è TTUE== Ria = Sy te ne n a VITALE IRTAZAIRII Vs 4 d ‘1 Î i +80) CALI i di gi di Sata Ea vel dia PACARIOIEZA TRO) CAGIS ) È Vol, 27 1891/92 SE TONE PURCHASED 1923 FROM I ù NIG lo» be ori: TIVO vi Da di ie PA DELLA ACCADEMIA DELLE SCIENZE Di: PORENO PUBBLICATI - DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXVII, Disp. 1°, 1891-92 E . “TORINO SsesesSsesesa sasa sa RSS GI DISTRIBUZIONE DELLE SEDUTE DELLA lì. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO NELL'ANNO 1 S9A1-92 divise per Classi ri isti stòcocte Steele lts RESA Glasse di Scienze Glasse di Scienze fisiche, matematiche: morali, storiche e naturali e filologiche 1891 - 22 Novembre : 1891 - 29 Novembre » 6 Dicembre : » 18 Dicembre » 20 Id. : » 27 Id. 1892 «- 8 Gennaio : 1892 = 10 Gennaio » 7 Id ; » 24 Id. >» 531 1d. HER) 7 Febbraio » 14 Febbraio 21: TA. » PSI di * » 6 Marzo » 18 Marzo : » 20. Id. RARO TRS 8 Aprile 10 Aprile >» 24 . Id. » 1 Maggio » 8 Maggio > 15 Id. » 22. ld » 29 Td. » 12 Giugno » 19 Giugno » 26 dd. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DECTO RINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME VIGESIMOSETTIMO 1891-92 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO LCLAUSEN Librzio della R. Accademia delle Scienze 1892 PROPRIETA LETTERARIA Torino. — Stamperia Reale della Ditta G. B Paravia e O. 1168 (50C) 21-1x-92 ‘AUG det seat Ai dt RAC — C'e" CLASSE ì, SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Novembre 1891. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Cossa, Direttore della Classe, SALVA- pori, Bruno, BeRrRUTI, D’Ovipio, BizzozERo, FERRARIS, NACCARI, Spezia, GiBELLI, GiAcOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Vien letto l’atto verbale dell'adunanza del p. p. giugno, che “è approvato. x Fra le molte pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia © durante le ferie scorse, vengono in particolar modo segnalate le seguenti : \ 1° Presentate dal Socio Bizzozero: « Neue Untersuchun- 43 gen iber die Bildung der Elemente des Blutes »; del Dott. Pio QI Poi, Professore di Anatomia patologica nella Hairoratià di Torino ; "» 2° Presentate dal Socio Mosso: due Note del Socio Cor- rispondente Dott. A. CHauveav, di cui una ha per titolo « Sur I te mécanisme des mouvements de l’iris >»: e l’altra « Sur la fusion des sensations chromatiques percues isolement par chacun des deux yeux >»; 3° Presentate dal Socio Segretario Basso: a) Un' opera in tre volumi del Socio straniero Augusto Guglielmo von Hormanx, col titolo: « Zur Erinnerung an vor- angegangene Freunde, ete, » (Braunschweig, 1888); Atti R. Accad, - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 1 b) Un’opera in due volumi del Socio corrispondente Ernesto HAECKEL, intitolata: « Anthropogenie oder Entwicke- lungsgeschichte des Menschen » (Leipzig, 1891); c) Una Memoria del Socio corrispondente Prof. Augusto RicHI, intitolata: « Ricerche sperimentali intorno a certe scin- tille elettriche costituite da masse luminose in°moto » (Bologna, 1891); d) A nome del Prof. Federico Sacco, un volume del Socio corrispondente Prof. Arnould Locarp: « Les coquilles marines des cotes de France; description des familles, genres et espèces » (Paris, 1892). Il Socio Basso legge poi un suo scritto, che sarà pubblicato negli Att, in commemorazione del Socio corrispondente Guglielmo WEBER, morto a Gottinga il 23 giugno scorso, dopo una lunga vita consacrata ad importantissimi studi fisico-matematici. Vengono ancora letti ed accolti per l’inserzione negli Atti, i lavori seguenti: a) Presentata dal Socio BizzozeRo: una seconda Nota dello stesso presentante : « Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro- enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’ epitelio di rive- stimento della mucosa >»; b) Presentati dal Socio FERRARIS: 1° Una nota dello stesso Socio presentante, col titolo: « Sul metodo dei tre elettrodinamometri per la misura del- l'energia dissipata per isteresi e per correnti di Foucault in un trasformatore »; — 2° Un lavoro dell'Ing. G. PastoRE, del R. Museo Industriale in Torino, intitolato: « Di alcuni con- duttori rettilinei approssimati che si deducono dal moto ellit- tico piano »; c) Presentata dal Socio GiacomINI una sua comunicazione che fa seguito a due altre precedenti: « Sulle anomalie di sviluppo dell'embrione umano, trattando di una gravidanza tubarica »; 3 d) Presentati dal Socio Cossa: Studi sull’acido parame- tilidratropico », dei Dottori G. ERRERA e G. BALDRACCO; e) Presentata dal Socio PEANO una sua Nota « Sulla formola di Taylor »; f) Presentate dal Socio NAccaRI: « Licerche sperimentali sulla soprafusione dell’acqua e delle soluzioni saline in mo- vimento », del Dott. V. MONTI; g) Presentata dal Socio SEGRE una Nota del Dott. Vin- cenzo ReJNA, della R. Scuola per gl’ Ingegneri di Roma: « Sul- l'errore medio dei punti determinati nei problemi di Hansen edi Merek »; h) Presentate dal Socio Basso le « Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte di Torino e per Vanno 1892 », calcolate dall’Ing. T. AscHIERI, Assistente all'Osservatorio di Torino. Il Socio GiBELLI presenta la seconda parte di un lavoro dei Dottori Prof. 0. MattIRoLo e L. Buscarioni « Sulla storia di sviluppo del tegumento seminale ». Trattandosi di uno studio destinato, come quello che lo precedette, ai volumi delle Me- morie, il Presidente nomina una Commissione incaricata di esa- minarlo e di riferirne poscia alla Classe. Infine il Socio CAMERANO presenta un suo lavoro col titolo: Ricerche intorno alla forza assoluta dei muscoli nei Crostacei decapodi ». Questo lavoro è dalla Classe approvato per la pub- blicazione nei volumi delle Memorie. 4 GIUSEPPE BASSO LETTURE In commemorazione di Guglielmo Weber; pel Socio GIUSEPPE BASSO Nell'estate scorsa erano appena incominciate le ferie della nostra Accademia quando due vuoti dolorosi, a breve distanza l'uno dall'altro, s'aprirono nella schiera dei nostri soci corrispondenti per le sezioni di fisica e di meccanica applicata. Moriva a Got- tinga la sera del 23 giugno Guglielmo Weber, chiudendo una lunga vita tutta consacrata allo studio e coronata da una ric- chissima messe di allori imperituri. Spegnevasi nella notte del 6 luglio a Roma Giuseppe Pisati, vittima di un morbo crudele che troncava nella sua piena virilità un'esistenza la quale, nel campo delle ricerche fisiche, aveva dati, e più ne prometteva in avvenire, frutti importanti e copiosi. Di entrambi questi deplorati colleghi siami concesso di fare una breve commemorazione ora che ci accingiamo ai lavori ac- cademici del nuovo anno (1). GUGLIELMO WEBER. Guglielmo Weber nacque il 24 ottobre 1804 a Wittenberg da Michele Weber, professore di teologia in quella città. Nel- l’anno 1813, poco prima della celebre battaglia di Lipsia, le vicende della guerra franco-prussiana obbligarono la famiglia Weber ad abbandonare la casa paterna ed a riparare nella vi- cina Schmiedeberg donde, nell’anno 1815 essendosi la Univer- sità di Wittenberg fusa con quella di Halle, essa trasferì in quest’ultima città la sua residenza. Guglielmo Weber vi frequentò l’Istituto scolastico annesso alla Waisenhaus e, dopo alcuni anni (1) Il cenno di commemorazione di Giuseppe Pisati verrà pubblicato nella prossima dispensa degli Atti. COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO WEBER 5 di studio, cioè nell'inverno del 1821-22, si trovò in grado di intraprendere, in collaborazione col fratello maggiore Ernesto , una serie di indagini sperimentali sul moto ondulatorio dei li- quidi, i cui risultati vennero poi raccolti in una Memoria pub- blicata in Lipsia nel 1825 (1). Questo primo lavoro, scritto con una lucidità da cui tra- spira, direi quasi, la freschezza giovanile, è notevole per la copia di osservazioni acute ed originali, per la singolare semplicità dei procedimenti sperimentali, per l’esattezza dei mezzi di misura. Gli Autori furono in principio indotti ad occuparsi del moto on- dulatorio da un fatto puramente fortuito, cioè dalla osservazione degli increspamenti che sulla superficie libera del mercurio rac- colto in un vaso vengono prodotti dalla caduta di un filo dello stesso liquido. Però, nel corso delle ricerche, la importanza scien- tifica dello argomento andò man mano accentuandosi ed esten- dendosi sempre più. E si comprende facilmente che ciò sia avve- nuto, se si pensa che l’attenzione dei dotti si rivolgeva allora agli interessanti studi di Cladni sulle figure acustiche che por- tano il suo nome, che nell’interpretazione dei fenomeni ottici in- cominciavasi ad accogliere universalmente e quasi senza contrasto la teoria ondulatoria della luce chiarita dalle speculazioni teo- riche di Huyghens e di Eulero ed assisa su solide basi dai lavori sperimentali di Joung, Fresnel, Arago e Frauenhofer. L'analisi matematica, prestando il suo prezioso sussidio alle ricerche, allora recenti, di Poisson, di Fourier e di Cauchy, aveva concorso ad estendere i confini della nuova dottrina ed a svelarne la fecon- dità meravigliosa. Nella Memoria dei fratelli Weber, d’indole prettamente spe- rimentale, vengono dapprima sottoposti a minuto esame i vari modi di eccitazione delle onde liquide, ed a questo proposito viene anche studiata l’azione del vento sul moto ondoso del mare e si discute sull’influenza che strati d’olio, di etere, ecc., possono esercitare sullo smorzamento di tale moto. Si analizzano poscia i vari elementi che concorrono a determinare la forma delle onde; si espongono i metodi sperimentali per la valuta- zione delle creste e degli avvallamenti ondosi; si misura la ve- (4) Wellenlehre auf Experimente gegriindet, oder ber die Wellen tropfbarer Fhissigheiten mit Anwendung auf die Schall-und Lichtwellen; von den Briidern Ernsr HeinrIcH WEBER, Professor in Leipzig, und WiLHELM WEBER, in Halle. 6 GIUSEPPE BASSO locità di propagazione del moto tenendo conto delle varie con- dizioni che possono modificarla. Offrono speciale interesse lo studio della riflessione delle onde e dei fenomeni d’interferenza che ne possono derivare, quello della diffrazione dovuta al passaggio del moto attraverso ad aperture e l’analisi delle condizioni che de- terminano la formazione dei vortici. È pur da notare che certi risultati delle loro esperienze sono dagli autori messi in confronto con quelli ottenuti da altri sperimentatori, quali furono il Biot ed il nostro Bidone, e che spesso essi collimano colle conseguenze che scaturiscono dalle teorie di Newton, Lagrange, Laplace, Flau- gergue, Gestner, Poisson e Cauchy. La propagazione di moti vibratorii, non solo nei liquidi, ma anche in certi solidi, come nelle corde sonore, e nei gas, come nei tubi sonori, forma pure oggetto di studio svolto in una parte della Memoria dei due Weber; ma quest’argomento, specialmente per ciò che riguarda isuoni delle canne da organo, venne poi ripreso e trattato minutamente dal solo Guglielmo in due suoi lavori pubblicati, l’uno nel 1826 in occasione della sua nomina a dottore, l’altro nell’anno seguente per l’ottenimento dell’abilitazione all’insegnamento (1). Di entrambi questi lavori, seguiti da altri su argomenti analoghi che videro poco più tardi la luce negli Annali di Poggendorf, fino ad un ultimo pubbli- cato nel 1866 (2), sarebbe impossibile fare in pochi cenni una analisi alquanto completa. Ricorderò solo uno dei principali ri- sultamenti. Si sa che l’altezza del suono generato da un corpo vibrante, quale sarebbe una corda od una canna, subisce ap- prezzabili variazioni quando certe condizioni fisiche del corpo sonoro, come la temperatura, lo stato igrometrico, ecc., vengono a modificarsi anche di pochissimo. Può pure variare l’altezza del suono colla maggiore o minore ampiezza delle vibrazioni eccitate nel corpo sonoro. Così un diapason emette un suono fondamen- tale un po’ più grave quando è scosso più energicamente ed al- l’incontro il suono fondamentale di una canna d’organo aumenta (1) Ueber die Wirksamkeit der Zungen in den Orgelpfeifen ; Halle, 1826. — Ueber die Gesetze der Schwingungen aweier Korper, welche so mit einander verbunden sind, dass sie nur gleichzeitig und gleichmassig schwingen kònnen; 1827. (2) Theorie der durch Wasser oder andere incompressibile Fliissigheiten in elastischen Rihren fortgepfiansten Wellen; Leipzig, Berichte Math. Phys., 1866. COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO WEBER 7 alquanto d’altezza quando si rende maggiore l'ampiezza del moto vibratorio alla sua imboccatura. Ora Guglielmo Weber, traendo partito da ciò, riuscì a costruire una così detta canna compen- sata mediante la combinazione di una lamina vibrante speciale e di una canna d’organo, così fra loro vincolate che l’innalza- mento di tono che tende a prodursi in una delle due parti dello strumento compensa esattamente l'abbassamento di tono dell’altra. Affrettiamoci ora verso il periodo culminante della vita scien- tifica dell’insigne fisico tedesco. Egli, dopo tre anni d’insegna- mento in Halle, dal 1828 al 1831, fu chiamato, per l’autore- vole intromissione di Federico Gauss, a Gottinga in qualità di professore ordinario. Avendo dovuto dopo alcuni anni abbando- nare l’ufficio per ragioni d’indole politica, si trasferì nel 1843 a Lipsia, dove salì sulla cattedra occupata fino allora da Fechner, ed infine, nell’anno 1849, potè riprendere l’antico posto a Got- tinga e rimanervi fino all’ultimo. Le relazioni di corrispondenza intellettuale , stabilitesi fra Gauss e Weber fin dall’epoca della dimora di quest'ultimo. in Halle, vennero ben presto rafforzate dai vincoli di una cordiale amicizia, alla quale la scienza va debitrice di conquiste immortali che portano indissolubilmente congiunti i nomi dei due investi- gatori. Debbonsi dapprima menzionare gli studi sul magnetismo terrestre. È noto che l’esame sistematico degli elementi che, in dati luogo e tempo, caratterizzano l’azione magnetica della terra e più ancora le osservazioni regolari delle perturbazioni ma- gnetiche costituirono uno dei principali argomenti a cui rivolse la sua maravigliosa operosità Alessandro Humboldt. Questo ce- lebre naturalista aveva già, verso la fine del 1828, allogata in una sua casetta appositamente costruita in Berlino ura bussola delle variazioni di Gambey e, d'accordo con altri dotti di Freiberg, Pietroburgo, Kasau e Nicolajef, dava opera a metodiche osser- vazioni dell'ago magnetico, le quali, insieme alle relative rap- presentazioni grafiche, trovansi consegnate negli Annali di Pog- gendorf degli anni 1829-30. Ma ben presto intorno al primo nucleo di osservatori si raccolsero altri valenti, muniti di stru- menti ben comparabili e costruiti per la maggior parte dal Gambey stesso; furono fra i primi Weber in Lipsia, Sartorius ed Encke in Gottinga. Mercè la vigorosa iniziativa di Gauss e di Weber si completò rapidamente una rete di osservatorii ma- gnetici in regolare comunicazione fra di loro, di cui i principali 8 GIUSEPPE BASSO furono istituiti in Altona, Augsborgo, Berlino, Bonn, Braunschweig, Breda, Breslavia, Cassel, Copenaghen, Dublino, Friborgo, Got- tinga, Greenwich, Halle, Kasau, Krakau, Lipsia, Marburgo, Mo- naco, Milano, Napoli, Pietroburgo ed Upsala. Il rapido sviluppo della istituzione, la quale prese il nome di Magnetische Verein, consigliò nel 1836 la creazione di un periodico nel quale, non solo si trovano consegnati di anno in anno i risultati delle os- servazioni della Società, ma si contengono pure importanti Mo- nografie. Le principali di queste, dovute a Weber, sono qui in- dicate a piè di pagina (1). Fra i lavori fatti in comune da Gauss e da Weber nell’e- poca di cui ora si tratta è pur degno di nota il collegamento telegrafico dell’Istituto fisico coll'Osservatorio astronomico, ope- razione che diede modo ai due eminenti ricercatori di introdurre nella allor recente invenzione del telegrafo elettromagnetico mi- gliorie e perfezionamenti importanti. È anzi probabile che ap- punto in quest'occasione siansi nella mente di Weber maturati quei concetti che presero poscia corpo nelle sue numerose Me- morie sulle dottrine di elettrodinamica e che costituiscono , nel loro complesso, l’opera principale della sua vita scientifica. Era trascorso un quarto di secolo dacchè Ampère aveva fon- date le basi dell’elettrodinamica scoprendo la legge che governa (1) Resultaten aus den Beobachtungen des Magnetische Vereins: 1° Bemerkungen ber die Einrichtung magnetischer Observatorien und Beschreibung der darin aufzustellenden Instrumente (1836). 2° Beschreibung eines kleinen Apparats zur Messung des Erdmag- netismus nach absolutem Moas fitr Reisende (1836). 3° Bemerkungen ber die Einrichtung und den Gebrauch des Bifilar- Magnetometers (41837). 4° Ueber den Einfluss der Temperatur auf den Stabmagnetismns (4837). 5° Ueber die Reduction der Magnetometer Beobachlungen auf absolute Declinationen (1837). 6° Das transportable Magnetometer (1838). 7° Der Inductor sum Magnetometer (1838). 8° Der Rotationsinductor (1838). 90 Beweglickeit des Magnetismus im weichen Eisen (1838). 10° Unipolare Induction (1838). 11° Messung starker galvanischer Stròme bei geringem Widerstande nach absolutem Maasse (1840). 12° Ueber das electrochemische Aequivalent des Wassers (1840). 13° Magnetisirung des Eisens durch die Erde (1844). COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO WEBER 9 la mutua azione ponderomotrice fra due elementi di corrente elet- trica e deducendone con procedimenti ingegnosi la teoria che sot- topone ad un principio unico i fenomeni dell'elettricità e quelli del magnetismo. Fisici di tutti i paesi non tardarono ad apprezzarè l’alto valore della teoria amperiana, ma riconobbero che la ve- rificazione sperimentale delle sue conseguenze esigeva metodi più delicati e rigorosi di quelli che Ampère, matematico meglio che fisico, aveva indicati, ma non sempre realmente attuati. In questo campo di critica feconda, si lanciò con ardore il Weber e le sue ricerche pubblicate in una prima Memoria (1) nel 1848 non solo confermarono nei suoi punti essenziali la validità della dot- trina svolta dallo scienziato francese, mà ne estesero grandemente i confini. Infatti, egli pervenne a rappresentare in una sola for- mola la legge amperiana delle azioni elettrodinamiche e quella di Coulomb per le azioni elettrostatiche e ciò partendo dall’ipo- tesi assai verosimile che la forza esercitantesi fra due masse elettriche in moto non sia soltanto funzione dei valori di queste masse e della loro distanza, ma dipenda eziandio dalle velocità dei loro spostamenti relativi. Inoltre la teoria di Weber si prestò immediatamente alla ricerca delle leggi che presiedono alla pro- duzione dei fenomeni d’induzione elettrodinamica scoperti da Faraday, e Weber dimostrò come da questa sua teoria si dedu- cano le equazioni generali determinanti le condizioni delle cor- renti indotte, sia nel caso di correnti inducenti variabili che attraversano conduttori fissi, come in quello di correnti costanti aventi la loro sede in conduttori in moto. La parte sperimen- tale del lavoro relativo a quest'ordine di speculazione attinge una speciale importanza da ciò che essa costituisce una completa verificazione di tutta la teoria Weberiana e consta di un enorme numero di determinazioni e di misure, per le quali venne im- piegato l’elettrodinamometro dello stesso Autore, apparecchio ora notissimo per i continui servigi che esso presta nelle ricerche di elettrotecnica. Gli studi di Weber finquì menzionati si collegano stretta- mente con altri pubblicati nello stesso periodo di tempo, fra i quali ricorderò in poche parole quello sulla repulsione diama- (1) Elektrodynamische Maasbestimmungen; Annalen der Physik und Che- mie, 1848. 10 GIUSEPPE BASSO gnetica (1). L'azione repellente che un polo di calamita esercita sul bismuto era già stata scoperta da Brugmans fino dall’anno 1778; tuttavia questo fatto singolare passò quasi inosservato fino a che Faraday lo sottopose a più minuta disamina, ne ricercò le leggi e tentò la costituzione di una teoria atta a for- nirne la spiegazione. Quando un corpo diamagnetico si trova in un campo magnetico, esso apparisce magnetizzato per induzione, però in modo che i poli iuducente ed indotto che si trovano in presenza sono sempre omonimi. Questa forma speciale d'influenza magnetica fu dimostrata da Faraday; ma Weber fece molto di più, essendo egli riuscito ad ottenere correnti d'induzione dal diamagnetismo mercè l'apparecchio galvanometrico da lui chia- mato diamagnetometro ed a dimostrare che tali correnti hanno realmente direzione contraria a quelle che si genererebbero quando al corpo diamagnetico venisse sostituito un pezzo di ferro dolce. A collocare il nome di Weber fra quelli dei primi elettri- cisti del nostro secolo basterebbero quei suoi studi, dei quali mi rimane ancora a far cenno, che lo condussero alla creazione dei sistemi d’unità elettriche assolute. Un sistema siffatto, per ciò che riguarda le unità magnetiche, era già stato elaborato da Gauss ed esposto nel 1833 nella sua classica Memoria: Inten- sitas vis magneticae terrestris ad mensuram absolutam revocata. Weber si propose di risolvere la stessa questione per le varie specie di grandezze elettriche e di rendere per tal modo la loro determinazione indipendente dalla scelta degli apparecchi ado- perati per istudiarle. In una sua prima Memoria pubblicata nel 1851 (2) egli dimostra che, come le unità magnetiche, anche quelle elettriche ‘si possono far dipendere unicamente dalle unità di lunghezza, di massa e di tempo e ne stabilisce le definizioni. Escogita un ingegnoso procedimento per la misura, in unità as- solute, delle resistenze elettriche, descrive le sperienze da lui in- stituite su certi circuiti chiusi e raggiunge lo scopo propostosi di fissare il rapporto fra l’unità assoluta di resistenza ed il campione «di resistenza di Jacobi. L'applicazione del principio dello smorza - mento delle oscillazioni dell’ago magnetico in vicinanza di masse (1) Ueber die Erregung und Wirckung des Diamagnetismus nach den Gesestzen inducirter Stròme ; Annalen der Physik und Chemie, 1848. @) Messungen galvanischer Leitungswiderstinde nach einem absolutem Maasse; Annalen der Physik und Chemie, Band LXXXII, 1854. COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO WEBER 11 metalliche gli permette di fissare l’unità assoluta delle forze elet- tromotrici e per conseguenza anche quella dell’intensità di cor- rente. Infine, degnissimi di attenzione sono gli ultimi paragrafi del lavoro, nei quali l’Autore discute i valori trovati da Kirchhoff per le costanti da cui dipende l’intensità delle correnti elettriche indotte e tratta della determinazione di quelle altre costanti che, dipendendo dalla scelta delle unità di misura, figurano nella espressione della legge elementare relativa alle azioni elettriche. Qualche anno più tardi Guglielmo Weber si associò a Ro- dolfo Kohlrausch nello intraprendere una serie di lavori (1) che, insieme al precedente, costituiscono uno dei capisaldi su cui posa l’edificio delle dottrine elettriche moderne. Poichè l’intensità della corrente elettrica in un dato conduttore è rappresentata dalla quantità di elettricità che attraversa nell’unità di tempo una sezione del conduttore stesso, si presenta spontaneo il problema di fissare l’unità assoluta per le quantità di elettricità libera , positiva o negativa. Non sarebbe senza di ciò possibile il valu- tare numericamente gli effetti dell’elettricità nella condizione statica in confronto cogli effetti che essa produce allo stato di movimento, cioè sotto forma di corrente. Il metodo adoperato da Weber a tale scopo consiste essenzialmente nel paragonare l’impulso dato all’ago di un galvanometro dalla scarica di una data quantità di elettricità libera accumulata in un determinato conduttore coll’impulso dato all’ago stesso da una corrente elet- trica di data intensità, la cui azione abbia durata brevissima e nota. Tutto il procedimento sperimentale, informantesi a questo principio, è condotto e svolto fino nei suoi minuti particolari con insuperabile maestria ed i risultati che ne scaturiscono, anche tenuto conto della maggior precisione che le indagini posteriori vi arrecarono, formano un vero tesoro per la scienza dell'elettricità e le sue innumerevoli applicazioni. Basti ricordare che il rapporto fra le unità elettromagnetica ed elettrostatica, così di quantità di elettricità come d’intensità di corrente, si trova espresso dallo stesso numero che dà la velocità della luce nel vuoto; fatto questo che svela un vincolo sorprendente fra i fenomeni elettromagnetici ed i fenomeni luminosi e che costituisce uno dei precipui argomenti in favore della teoria elettromagnetica della luce. Alle stesse ri- (1) Ueber die Elektricitilsmenge, welche bei galvanischen Strimen durch den Querschnitt der Kette fliesst; Annalen der Physik und Chemie, 1856, 12 «GIUSEPPE BASSO cerche di Weber e di Kohlrausch dobbiamo parimenti la prima conoscenza della quantità di elettricità, in unità assolute, che è necessaria per decomporre, per es., un milligramma d’acqua; mercè Je stesse ricerche noi sappiamo ora valutare, per es., in chilo- grammi, tanto l’attrazione che un’unità di elettricità esercita su un’altra unità di specie contraria posta all’unità di distanza , quanto la somma delle azioni meccaniche che vengono esercitate nella decomposizione di un dato elettrolito dal passaggio, sotto forma di corrente, dell’unità di elettricità attraverso di esso. Verso il 1860 Kirchhoff aveva escogitata e resa di pubblica ragione la sua celebre teoria, rivestente il carattere di grande generalità, intorno al movimento dell’ elettricità nei conduttori. Prendendo appunto le mosse dai concetti fondamentali che in- formano tale teoria, Weber nel 1864 elaborò una grande Me- moria (1) sulle condizioni, determinabili quantitativamente, del moto di propagazione della elettricità. Trovata l’espressione della forza elettromotrice relativa così alla elettricità libera, come alla corrente elettrica per una sezione qualunque d’un filo conduttore, Weber giunge alle equazioni del movimento elettrico indipenden- temente dall'uso della legge di Ohm, sulla cui esattezza, per il caso di fili sottilissimi, egli dimostra che si possono elevare dubbi. Più specialmente considera il moto elettrico avente sede in un conduttore chiuso di forma qualunque ed ottiene le equazioni che danno i valori medii della forza elettromotrice e dell’inten- sità della corrente. Queste equazioni assumono forme più sem- plici e più esplicite quando si tratta di un conduttore filiforme circolare, per il quale si possono esaminare non solo le leggi del moto elettrico a regime stazionario, ma anche quelle rego- lanti tale moto soggetto a variazioni dovute a cause perturba- trici qualunque. Se queste variazioni rivestono il carattere di regolare periodicità, il moto elettrico si può considerare come oscillatorio e si va propagando sotto forma di onde. Di queste onde, della loro velocità di trasmissione e della densità dell’e- lettricità libera che le accompagna, l'Autore intraprende l’esame, interessantissimo per la teoria delle macchine d’induzione e pre- cursore, per qualche riguardo, ai mirabili studi sulle ondulazioni (1) Elektrodynamische Maasbestimmungen insbesondere iiber elektrische schwingungen; aus den Abhandlungen der mathematisch-physischen Classe der Koniglich Sachsischen Gesellschaft der Wissenschaften; Band VI, 1864. COMMEMORAZIONE DI GUGLIELMO WEBER 13 elettriche compiuti in questi ultimi anni da Enrico Hertz. Vo- lendo sottoporre al cimento della sperienza i risultati delle sue ricerche teoriche, Weber ricorre ai moti oscillatori elettrici che si possono ottenere per induzione da una calamita animata da rapidissimo moto rotatorio in presenza di un circuito chiuso. La sua teoria gli permette di esprimere per ogni istante la forza elettromotrice, l’intensità del flusso elettrico, la fase e l’ampli- tudine delle oscillazioni elettriche e la distribuzione dell’elettri- cità libera lungo il conduttore. Ora; i valori di questi elementi, che si possono determinare sperimentalmente mediante l’elettro- dinamometro, collimano in modo assai soddisfacente colle previ- sioni teoriche. La legge fondamentale Weberiana sull’azione reciproca delle masse elettriche fu oggetto, e lo è ancora, di interessanti di- scussioni per parte di vari fisici e matematici. Parve ad Relmholtz, fra gli altri, che tale legge potesse in qualche caso trovarsi in contraddizione col principio della conservazione dell'energia. Si fu per rimuovere obbiezioni di tal fatta che nel 1874 Weber pub- blicò un lavoro (1), nel quale si risolvono soddisfacentemente le difficoltà che gli erano state presentate; anzi trasse da ciò l’oc- casione di ottenere, studiando il moto delle particelle elettriche abbandonate interamente alle loro mutue azioni, risultati di non lieve importanza per la fisica molecolare. E questioni appunto di fisica molecolare, versanti in ispecie sulla teoria cinetica dei gas, occuparono ancora la mente di Weber per parecchio tempo; ma, in questi ultimi anni, la molto grave età impose poco a poco un termine alla sua maravigliosa fecondità intellettuale. Perciò rimangono ora, come documenti incompleti di un’attività che non si rallentò se non quasi all’ul- timo, molte note e studi inediti ed in gran parte monchi. Così Guglielmo Weber scese nella tomba raccogliendo il premio serbato. ai massimi promotori del progresso umano, la ‘riconoscenza im- peritura dei posteri verso la sua venerata memoria. (1) Elektrodynamische Maasbestimmungen insbesondere iber das Princip der Erhaltung der Energie: Abhandlungen der Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig, 1874. 14 G. BIZZOZERO Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro - enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa; Nota Seconda del Socio Prof, G. BIZZOZERO Ghiandole del retto di mus musculus. La mucosa, col suo strato muscolare e col sottomucoso, forma 5 o 6 ripiegature longitudinali che obliterano quasi il lume del- l'intestino. Nella mucosa stanno disposte, a palizzata, le ghian- dole tubulari, separate l’una dall’altra da scarsissimo connettivo. Qua e là il loro strato è interrotto da follicoli linfatici, che ar- rivano fin sotto l’epitelio della superficie libera della mucosa. — Le ghiandole occupano tutto lo spessore della mucosa e sono re- lativamente corte, rettilinee. Terminano in basso con un fondo cieco leggermente ingrossato a clava (fig. 1). Il loro lume è re- lativamente stretto; esso si dilata leggermente tanto in corri- spondenza del fondo cieco, quanto in corrispondenza dello sbocco della ghiandola alla superficie della mucosa. Anche in queste ghiandole l’epitelio che le tappezza consta di due specie di cellule:. protoplasmatiche e mucose (1). Le cellule protoplasmatiche sono senza paragone le più nu- merose, ed hanno diversa forma e costituzione a seconda del punto in cui sì considerano. Nel fondo cieco (fig. 1%) hanno forma di piramide tronca, colla base applicata sulla membrana propria. Il loro nucleo è rotondo o leggermente ovale, e sta nella parte basale della cellula. (1) Per l'indurimento mi valsi tanto dell’alcoo], quanto dell’acido picrico, Questo conserva meglio i contorni degli elementi. Per la colorazione. colla safranina servono entrambi; l'alcool, però, dà colori più vivaci, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 15 Subito al di sopra del fondo cieco le cellule gradatamente mutano di forma. Si vanno curvando in modo da presentare la convessità verso la superficie della mucosa, e nel tempo stesso si dispongono un po’ obliquamente in rapporto all’asse del tubo ghiandolare, in modo che la loro estremità libera è ad un livello alquanto. più alto che non sia l’estremità impiantata sulla membrana propria. Inoltre, questa ultima estremità non termina tronca, ma è a forma di linguetta appiattita, che si curva e va a terminare embricatamente sotto la base della cellula immedia- tamente sottoposta. Il nucleo mantiene la sua forma rotonda od ovale, e continua a stare nell’estremità basale dell’elemento. Questo cambiamento di forma e di disposizione delle cellule si fa tanto più spiccato quanto più ci avviciniamo allo sbocco della ghiandola. Oltrepassato lo sbocco, le cellule costituiscono l’epitelio della superficie libera dell'intestino; e qui esse sono in numero relativamente limitato, perchè, essendo le ghiandole ap- plicate strettamente l’una contro l’altra, la mucosa non rappre- senta che le sottili trabecole di una rete, ogni maglia della quale è occupata, o, meglio, formata, da uno sbocco ghiandolare. — Sulla mucosa le cellule epiteliali, naturalmente, banno forma di piramide, e, contrariamente a quanto si osserva nei fondi ciechi delle ghiandole, hanno la base alla estremità libera. Oltre a questi cambiamenti di forma, le cellule protoplasma- tiche ci presentano delle modificazioni, riguardanti il protoplasma e la loro superficie libera, affatto simili a quelle che abbiamo già vedute nel coniglio. Infatti, nei due terzi profondi del tubo ghian- dolare il protoplasma epiteliare è assai chiaro, e, esaminato a fortissimo ingrandimento, si presenta costituito d’una sostanza omogenea, entro cui è disposto un reticolo a trabecole assai sot- tili, ed a maglie molto ampie. Nel terzo superficiale della ghian- dola, invece, il protoplasma si fa sempre più granuloso (fig. 1*); e quest'apparenza è data da ciò, che il reticolo si fa sempre più fitto, e la sostanza omogenea interposta, quindi, sempre più scarsa. Ciò appare chiaramente quando si esaminino a fortissimo ingrandi- mento dei preparati colorati con safranina acquosa, e conservati in soluzioni di zucchero. A questo modo il protoplasma delle cellule assume gradatamente l’aspetto ben conosciuto di quello delle cellule rivestenti la mucosa intestinale. — Riguardo alla estremità libera delle cellule, questa nei due terzi profondi della ghiandola appare limitata (nelle cellule viste da lato) da una 16 G. BIZZOZÉRO linea sottilissima; invece nel terzo superficiale comincia ad ap- parire un orlo striato, che va man mano ingrossando, fino a di- ventare pari in spessore all'orlo striato dell’epitelio della super- ficie libera dell’intestino, col quale direttamente si continua. Le cellule mucose presentano pure notevoli modificazioni di forma e di struttura a seconda della loro posizione. Queste differenze è bene studiarle su sezioni chiuse in damar dopo in-. durimento coll’acido picrico e colorazione, p. es. colla yesuvina, perchè nelle sezioni chiuse in glicerina dopo colorazione con pi- crocarmino o safranina il muco delle cellule è fortemente. rigon-. fiato, e quindi il diametro degli elementi è pure molto cresciuto. Orbene, in questi preparati si vede che nel fondo cieco ghian- dolare (fig. 1%) le cellule il più delle volte hanno forma di poco differente da quella delle cellule protoplasmatiche circonvicine; sono, soltanto, alquanto più larghe nel punto in cui risiede il muco, e il nucleo è spinto alla base, e dispostovi trasversalmente. Quanto più si va in su nella ghiandola, tanto più la gocciola di muco ingrossa (1), e la cellula così acquista la forma di pera; la parte ingrossata corrisponde alla superficie libera, la parte as- sottigliata, invece, contiene il nucleo, e va a terminare, assotti- gliandosi a becco, contro la membrana propria ghiandolare. Nella fig. 1* si vede come queste cellule siano disposte obliquamente rispetto all’asse longitudinale della ghiandola, e siano curve, colla convessità rivolta verso lo sbocco ghiandolare, al pari delle cel- lule protoplasmatiche che le circondano; vi si vede, inoltre, come esse mutino gradatamente la loro forma fino a diventare cellule caliciformi dell’epitelio della mucosa. Modificazioni non meno notevoli si hanno nella struttura e nelle reazioni del blocco mucoso che contengono. Nelle cellule del fondo cieco esso è rappresentato (in preparati acido. picrico- vesuvina-damar ) da una sostanza omogenea, attraversata da un, reticolo a trabecole sottili; quella non si colora, questo si colora ben poco colla vesuvina, sicchè la cellula a mala pena si distingue dalle cellule protoplasmatiche. Andando più in su, il reticolo si va facendo più grosso e più colorabile; le cellule, così, diventano distinguibili anche a debole ingrandimento pel loro colore bruno, < (4) Il diametro trasverso della gocciola .di muco ‘nella cellula del fondo: cieco è di 7-84, in quella della metà. superficiale della ghiandola di 415.g. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 17 Finalmente nella parte più superficiale della ghiandola e nel- l’epitelio della superficie libera della mucosa, i blocchi di muco appaiono sotto forma di ammassi di granuli giallo-bruni. Riguardo, invece, alla costituzione chimica della sostanza mucosa, noterò che anche qui, come nel coniglio, si nota una graduata modificazione nel suo modo di reagire verso la sa- franina, modificazione di cui i due estremi sono rappresentati dalle cellule dei fondi ciechi ghiandolari da una parte, e dalle cellule della superficie della mucosa dall’altra. Infatti queste, colla su- franina, ingialliscono più presto e più fortemente di quelle, e, quando siano portate nella soluzione di zucchero, meno facilmente si scolorano. Si scolorano anch'esse, però, se la soluzione di zuc- chero non è molto concentrata. Le cellule 2» mtosî (fig 1%) sono assai numerose nelle ghian- dole di cui discorriamo. Ciascuna di queste ne contiene 5-8 ed anche più, e disposte tutte nei 5/. profondi della ghiandola; sicchè la parte di questa, che è vicina allo sbocco, ne è priva, come ne è privo l’epitelio della superficie libera dell’ intestino. Se ora sì tien conto di questa disposizione delle mitosi, e d’altra parte si tien conto delle suddescritte graduate modifica- zioni anatomiche e chimiche che presentano le due forme di cel- lule ghiandolari, andando dal fondo delle ghiandole alla superficie della mucosa, si dovrà concludere che anche nelle ghiandole del mus musce. si verificano tutte quelle condizioni, che ci fecero am- mettere nel coniglio una graduata trasformazione dell’ epitelio ghiandolare in epitelio della mucosa. Nel mus si avrebbe la differenza, che mancano le mitosi in corrispondenza del colletto ghiandolare. Ciò si spiega facilmente. Nel coniglio l’epitelio ghiandolare è ricchissimo di cellule muci- pare, sicchè, anche tenendo conto di una distruzione ed elimina zione di cellule mucose, c'è bisogno di una rapida produzione di cellule protoplasmatiche in corrispondenza dello sbocco ghiando- lare, per poter ottenere quella grande prevalenza di cellule pro- toplasmatiche sulle cellule mucose che si osserva alla superficie libera dell’intestino. — Nel mus, invece, non si ha bisogno di questo focolaio secondario di produzione cellulare, perchè, essendo le cellule mucose scarse anche nella ghiandola, il rapporto nu- merico fra le due specie di cellule non si modifica gran fatto nel passaggio dall’'epitelio ghiandolare a quello della superficie libera dell’intestino. (a Atti R. Accad. - Parte Fisica, ece.— Vol. XXVII, 18 G. BIZZOZERÒ Ghiandole del retto di cane. Non ho bisogno di dare una descrizione di queste ghiandole, perchè la loro forma e struttura vennero già esposte da KLOSE (1), ed un disegno ne fu già dato da HEIDENHAIN (2). Sono, al so- lito, ghiandole tubulari rivestite da due specie di cellule epite- liari: cellule mucose, fra cui stanno cellule protoplasmatiche. — Devo però notare, che nella figura di Heidenbain la parte mu- cosa è alquanto esagerata a spese della parte protoplasmatica. Ciò dipende dal metodo di preparazione usato: indurimento nel liquido di Miiller o nell’alcool e, dopo colorazione, esame e con- servazione in glicerina. Con questi liquidi le cellule mucose si gonfiano assai, e comprimono e fanno impicciolire il corpo delle cellule protoplasmatiche interposte. — Questo stesso difetto, se- condo la mia esperienza, si può rimproverare all’indurimento, col- l’acido picrico o col sublimato. — L’ indurimento, invece, col liquido di Flemming o con quello di Hermann conserva alle cel- lule mucose la grossezza e la forma, press'a poco, che hanno in natura; com'è facile constatare paragonando con. preparati otte- nuti semplicemente col dilacerare la mucosa appena tolta dal- l’animale, e distenderla fra i due vetrini senza alcun liquido di aggiunta. Convien notare, però, che tanto il liquido di Flemming quanto quello di Hermann non conservano alla sostanza mucosa contenuta nelle cellule quella struttura a granuli sferici e pal- lidi che essa ha nel tessuto fresco. Questa struttura granulare, è, del resto, delicatissima, e si perde tosto anche trattando. il tessuto fresco cogli altri liquidi induranti summenzionati. Per ve- derla, quindi, occorre o dilacerare il tessuto fresco senza liquido di aggiunta, o dilacerarlo nel liquido di Miller, che distrugge la struttura granulare solo dopo qualche tempo. Nella descrizione che segue io mi varrò specialmente dei pre- parati ottenuti coll’ indurimento nel liquido di Flemming o in quello di Hermann, perchè un accurato confronto mi ha persuaso .. (4) KLose, Beitrag sur Kenntniss der tubulòsen Darmdriisen, Diss.-Inaug. Breslau 1880. (2) HeipENHAIN, Phys. der Absonderungsvorginge 1880. SULLE GHIANDOLE TUBULART 19 che sono quelli che meglio conservano le condizioni naturali degli elementi e più evidente ne rendono la struttura. L'uno, poi, com- pleta i risultati ottenuti coll’altro, perchè, se il primo fa spiccar meglio i contorni cellulari, l’altro mi ha permesso di ottenere delle colorazioni più brillanti, più esclusive del muco contenuto nelle cellule; il che è di molta importanza per lo studio dello sviluppo di queste ultime. Quale sostanza colorante del muco la safranina, nei pezzi induriti con questi due liquidi, non presta quei servigi che fornisce in quelli induriti coll’alcool. Colorazioni ma- snifiche ed esclusive del muco si ottengono, invece, tanto coll’az- zurr'o di metilene, quanto coll’ematossilina. A quest’ultima, per la maggiore rapidità di azione, ho dato la preferenza nelle mie ricerche. I migliori miei preparati sono appunto quelli che, dopo l’indurimento in liquido di Hermann, ebbero i nuclei colorati in rosso colla safranina, ed il muco in violetto coll’ematossilina (1). In questi preparati è facile riconoscere anche a piccolo ingran- dimento i rapporti di numero fra le cellule mucose e le protoplas- matiche nei diversi punti della ghiandola. — Nel fondo cieco di questa (fig. 2° 4) sogliono essere relativamente numerose le mucose, di modo che fra due di esse non si osservano che una o, al più, due cellule protoplasmatiche. Questo rapporto si conserva fin verso il mezzo del tubo ghiandolare. — Nella metà superficiale della ghiandola, invece, le cellule protoplasmatiche acquistano decisa- mente la prevalenza, sicchè le cellule mucose riescono separate l’una dall’altra da parecchie cellule dell’altra specie (fig. 2* 5). : (4) Le sezioni di pezzi induriti successivamente in liquido di Hermann ed in alcool, vengono liberate dalla paraffina col silolo e coll’alcool assoluto, poi vengono messe per un'ora o due in una soluzione acquosa di safranina; indi si lavano in alcool assoluto per 10-15 m”, si tengono per 10 m” nell’e- ‘matossilina, sì lavano di nuovo per mezzo minuto nell’acqua , e finalmente si passano rapidamente nell’alcool assoluto (ovvero dapprima nell'alcool clo- ridrico 41 °/o,-poi nell’alcool assoluto), nell’olio di bergamotto, e in balsamo del Canadà. — Le sezioni devono essere assai sottili, dello spessore al più di 54. Di solito sono sufficientemente rigide per poter essere trasportate ‘direttamente da un liquido nell’altro. Se per avventnra riescono troppo deli- cate, si possono colorare sotto il coproggetti, facendo passare sotto di questo dî diversi liquidi. Se il coproggettivè sostenuto da due listerelle di carta sottilissima, disposte parallelamente all’asse più lungo del portoggetti, le correnti si stabiliscoro in modo veloce e regolare, la sostituzione di un liquido all’altro riesce più completa, e quindi i preparati risnltano meglio colorati. 20 G. BIZZOZERO Infine, l’epitelio della superficie libera dell’intestino è costituito quasi esclusivamente da cellule protoplasmatiche. I caratteri morfologici delle cellule protoplasmatiche pre- sentano nelle varie regioni delle ghiandole del cane quelle stesse modificazioni che abbiamo già veduto nel coniglio e nel topo. Nel fondo cieco (fig. 2% A) esse si adattano, nella forma, agli spazi lasciati liberi dalle cellule mucose, posseggono un nucleo ovale spinto all’estremità profonda del corpo cellulare, ed hanno la loro estremità libera, limitata da una linea sottile. Il proto- plasma appare di poco meno granuloso di quello che non sia nelle cellule della superficie libera dell’intestino. I contorni laterali delle cellule sono poco distinti. Venendo nelle porzioni più superficiali della ghiandola, le cellule vanno progressivamente aumentando in lunghezza e in lar- ghezza (si paragonino gli elementi delle fig. 2° A e 2% B che ven- nero disegnate allo stesso ingrandimento), e, oltracciò, vanno ac- quistando i caratteri tipici della cellula adulta. Infatti, il nucleo si porta un po’ più verso il mezzo della cellula, il protoplasma diventa un po’ più granuloso, i contorni laterali del corpo cel- lulare si fanno più spiccati, e sulla linea che limita l’estremità libera dell’elemento, si forma l’orlo striato. Quest'ultimo è già ben evidente verso il mezzo della ghiandola, ed aumenta tanto più in ispessore quanto più le cellule sono vicine allo sbocco. Anche nelle ghiandole rettali del cane, adunque, non si può parlare di un epitelio ghiandolare morfologicamente diverso da quello della superficie libera. È diverso l’epitelio del fondo cieco da quello della superficie libera; ma tra l’uno e l’altra ci sono tutti gli stadi di transizione, e questi si trovano ordinatamente disposti nel corpo stesso della ghiandola (1). Quanto alle cellule mucipare, accenno appena alle loro mo- dificazioni, perchè essenzialmente non differiscono da quelle che abbiamo conosciuto negli altri animali. Nella figura 3* B ho disegnato, ritraendole da un preparato indurito col liquido di Hermann, tregdiverse forme cellulari tolte l’a dal fondo cieco, la d dal mezzo, la c dalle vicinanze dello sbocco della ghiandola. Si vede che, quanto più si va verso la superficie, le cellule (1) Anche fra le cellule epiteliche delle ghiandole rettali del cane sì no- tano dei leucociti migranti, ma in numero relativamente non grande, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 21 si gonfiano di muco. Nella stessa figura in A disegnai due cel- lule che dimostrano lo stesso fatto, ma che furon tolte da un preparato indurito in alcool, e conservato in glicerina. Il con- fronto cogli elementi disegnati in B darà un’idea del grado di intumidimento che, come già dissi, l’indurimento coll’alcool pro- duce nelle cellule mucose. Anche nel cane, poi, si può mettere in evidenza che, benchè in misura assai minore che nel coniglio, ha luogo una modifi- cazione chimica graduata del muco secreto. Infatti, nei preparati colorati con ematossilina si scorge che l'intensità di colorazione del muco va leggermente aumentando quando dal cieco ghian- dolare si procede verso lo sbocco (1). Che queste modificazioni graduate di ambo le specie di cel- lule epiteliari accennino ad una genesi dell'epitelio della super- ficie dell'intestino da quello delle ghiandole viene confermato, anche nel cane, dallo studio delle mitosi. Queste, nelle ghiandole rettali del cane, sono molto nume- rose; ogni ghiandola ne contiene parecchie. Il che si trova in rapporto colla continua e notevole desquamazione dell’ epitelio. Infatti, nel muco che ricopre la superficie libera dell’intestino le cellule epiteliari cadute per desquamazione sono relativamente numerose; in una sezione di mucosa, p. es., dello spessore di 5-10 e della lunghezza di 7 mm. io ne contai una cin- quantina. Non è facile dar mumeri precisi, perchè le cellule de- squamate si deformano, sì che talora non è possibile accertare la loro vera natura; e, d’altra parte, il loro numero deve variare di sicuro nei diversi animali, e nelle varie condizioni di uno stesso animale. Orbene, anche nel cane le mitosi mancano affatto nell’'epi- telio della superficie libera dell'intestino. Esse stanno raggruppate nel terzo profondo delle ghiandole, e ‘principalmente nei loro fondi ciechi. Nel terzo medio sono rare, e, a differenza di quanto osserrammo nelle ghiandole del retto e del colon nel coniglio , (1) Questa differenza di intensità di colorazione nelle diverse parti della ghiandola si osserva anche nei preparati induriti in alcool e colorati colla soluzione acquosa di safranina. — A questo riguardo si noti, che il colore giallo che, al solito, acquista con questo trattamento la sostanza mucosa, sì perde quando, per conservare il preparato, s'agginnge la soluzione acquosa di zuechero, È G. BIZZOZERO nel terzo superficiale non se ne trovano più. -- Il focolaio più attivo di produzione cellulare è, quindi, il fondo cieco. | Riguardo alle mitosi delle ghiandole del cane c’è però un fatto che presenta un alto interesse per lo studio dello sviluppo delle cellule mucipare; ed è questo, che, a lato di numerose mitosi a corpo cellulare chiaro, protoplasmatico, non differenziato, le quali quindi, non si saprebbe se assegnare piuttosto alla serie dell’epitelio protoplasmatico, o a quella del muciparo, esistono delle mitosi meno numerose, che contengono nel loro protoplasma della sostanza mucosa, e che, per questo loro carattere, si ap- palesano quali elementi di rigenerazione dell’epitelio mucoso. La mia attenzione su questi elementi venne primamente at - tratta mentre stavo esaminando delle sezioni longitudinali di ghiandole indurite nell’alcool; e l’osservazione fu confermata in altre ghiandole indurite sia in sublimato che in acido picrico. Fra gli altri elementi tappezzanti il tubulo ghiandolare io vedeva non di rado delle cellule appajate, più sottili e più corte delle cellule epiteliari comuni circonvicine. Il sospetto che queste cellule fossero di natura mucosa, mi venne dall’osservare che il loro protoplasma era chiaro, e per- corso da un sottile reticolo come quello proprio della sostanza mucosa ; così come il sospetto che fossero elementi in mitosi mi nacque nel vedere: 1° che queste cellule erano sempre appajate, e così simili l’una all’altra; 2° che erano applicate l’una contro l’altra, mentre le cellule mucose adulte, in qualunque punto della ghiandola si trovino, sono sempre divise l'una dall’altra da in- terposte cellule protoplasmatiche; 53° che erano più piccole delle eellule mucose comuni; 4° che i loro nuclei non erano, come nelle cellule mucose, spinti all’estremo della cellula applicato contro la membrana, ma si trovavano posti alle parti laterali ed op- poste delle cellule rispettive. — Perchè il sospetto diventasse cer- tezza, però, io dovevo accertare 1° la natura mucosa della sostanza contenuta nella cellula; 2° l’esistenza delle forme corrispondenti agli altri stadi del processo cariocinetico. La natura mucosa della sostanza venne messa fuor di dubbio dalle reazioni coloranti. Essa, infatti, precisamente come il muco delle vere cellule mucose: 1° ingialliva quando, in sezioni indu- rite semplicemente nell’alcool, veniva trattata con soluzione ac- quosa di safranina; 2° si colorava fortemente in violetto od az- zurro, quando, su sezioni di pezzi induriti coi liquidi di Flemming SULLE GHIANDOLE TUBULARI 33 ò di Hermann, veniva trattata con ematossilina (fig. 4° d) 0 con az- zurro di metilene. — Fra queste reazioni ha maggior valore quella coll’ematossilina, perchè (massime se l’indurimento venne ottenuto col liquido di Hermann, e, dopo la colorazione coll’ematossilina, la sezione venne lavata con alcool leggermente acidulato con acido cloridrico prima di chiulerla in balsamo o damar) con essa la so- stanza mucosa risulta colorata intensamente, mentre ogni altra parte, ogni altro elemento della mucosa. resta perfettamente in- coloro. Quanto alle varie forme rappresentanti i diversi stadi del processo cariocinetico io le trovai facilmente, e pienamente di- mostrative, colla doppia colorazione esposta nella nota a pag. 19. La colorazione violetta che assumono le mitosi mucose permette di distinguerle a prima vista dalle mitosi comuni. — E qui è.da notare, che per questa ricerca convengon meglio le sezioni tras- versali, anzichè le sezioni longitudinali delle. ghiandole. La ra- gione ne è la seguente: mentre le mitosi comuni sono sparse, come si disse, in tutto il terzo profondo della ghiandola, le mi- tosi delle cellule mucose si trovano soltanto fra quelle cellule epiteliari che rivestono l'estremo del fondo cieco. In una sezione longitudinale della ghiandola, quindi, il fondo cieco presenta al- l'osservatore una serie sola (vista di coltello) delle cellule epi- teliari che lo rivestono, sicchè tra. queste poche cellule di raro capita di vedere una mitosi mucosa. Quando, invece. le ghiandole vengano sezionate trasversalmente, quando cioè la mucosa venga decomposta in tante sezioni parallele alla sua superficie, le se- zioni che interessano gli strati profondi e che comprendono così i fondi ciechi, ci presentano questi ultimi nella loro interezza, sicchè tutto intero o quasi intero ci appare lo strato epiteliare che li riveste. î Nella figura 4* ho ritratto alcune delle mitosi di cellule mucose che si trovano ne’ miei preparati. Vi si vedono diverse figure (aaa') corrispondenti agli stadi di piastra equatoriale (vista di coltello o di fronte) e di doppio astro (cee c') dal principio della divisione dei due gruppi di filamenti fino alla compiuta scis- sione della cellula. — Non ho mai osservato cellule mucose che contenessero il nucleo in mitosi allo stadio di gomitolo. Può darsi che ciò dipenda da insufficienza di osservazione; ma se. considero il numero grande di preparati che ho studiato, propendo piuttosto a ritenere che ciò si debba a che, in questo primo stadio del pro- 24 G. BIZZOZERO cesso di cariocinesi, le cellule non hanno ancora fabbricato nel loro seno della sostanza mucosa, e quindi il loro corpo è ancora costituito da solo protoplasma. Occorrerebbero, però, ulteriori osservazioni per decidere la questione. Tutti questi nuclei in mitosi stanno, come quelli delle cario- cinesi comuni, più all’interno, cioè verso il lume ghiandolare, dei nuclei delle cellule in riposo. Ho detto più sopra che le cellule gemelle presentano parecchi caratteri che le differenziano dalle cellule mucose tipiche. Fra quelle e queste, però, ci sono tutti gli stadi di passaggio. In- fatti, mentre da principio le cellule gemelle sono più corte dello strato epiteliare cilindrico in cui stanno, sì che colla loro estre- mità profonda non arrivano a toccare la membrana ghiandolare (fig. 2% A, 4*d), più tardi gradatamente si allungano fino a toc- care quest’ultima: i nuclei che stavano disposti lateralmente, gradatamente si spostano verso l’estremità profonda (fig. 4%e) e vanno a disporsi, più o meno schiacciati, al suo ‘apice; infine, mentre dapprima le due cellule stavano applicate l’una contro l’altra, poi, a poco a poco vengono distaccate l’una dall’altra dall’interporsi delle cellule protoplasmatiche che le circondano. È a questo modo, che da due cellule gemelle si formano due cellule mucose complete, sia per ciò che riguarda la costituzione, sia per ciò che spetta alla forma, alla grossezza, e alla dispo- sizione in cui stanno nel tubulo ghiandolare. La struttura filamentosa della sostanza cromatica delle mi- tosi mucose è poco evidente qualunque sia stato il metodo di indurimento e di colorazione adoperato. Questo però è un fatto comune a tutte le mitosi dell’epitelio intestinale; e, ad ogni modo, i nuclei mitotici delle cellule mucose sono, per l'aspetto , per- fettamente simili a quelli delle mitosi comuni che loro stanno vicine. — Nella fig. 4*b ho disegnato una piastra equatoriale che presenta qualche traccia del fuso acromatico. È un caso assai raro, poichè in generale, in queste ghiandole del cane, il fuso acromatico non si vede nè nelle mitosi mucose, nè nelle più belle mitosi protoplasmatiche. Anche nel cane, adunque, la derivazione dell’epitelio dell’in- testino crasso da quello delle sue ghiandole tubulari vien dimo- strata: 1° dalle trasformazioni graduate che le cellule epiteliari, sia protoplasmatiche che mucose, presentano, andando dai fondi ciechi shiandolari verso gli sbocchi ghiandolari; 2° dall'esservi SULLE GHIANDOLE TUBULARI 25 elementi in mitosi soltanto nelle ghiandole, — Nel cane, poi, merita d’esser notato: 1° che la rigenerazione epiteliare ha luogo soltanto nel fondo cieco ghiandolare, mentre nel coniglio ve ne sono due principali focolai, l’uno al fondo cieco, l’altro al col- letto ghiandolare; 2° che, oltre alle mitosi comuni, vi sono delle mitosi il cui corpo contiene già sostanza mucosa, e che quindi servono di certo alla rigenerazione delle cellule cosidette caliciformi. Queste mitosi mucose furono da me già viste nel colon del coniglio (1); ma nel cane esse sono assai più evidenti e nume> rose, ed anche in esso si trovano esclusîivamente nel fondo cieco della ghiandola. È qui, adunque, che senza dubbio risiede il focolaio di rigenerazione delle cellule caliciformi (2). GHIANDOLE DEL DUODENO. Ghiandole duodenali del cane. Per lo studio delle ghiandole tubulari del duodeno a quelle del coniglio, ho preferito le ghiandole del cane; le prime, infatti, sono assai tortuose, sicchè mal si prestano all'esame comparativo delle modificazioni che presentano gli epiteli nelle diverse porzioni del tubulo, mentre a ciò sono adatte le seconde che sono lunghe, diritte, ed impiantate verticalmente nella mucosa. Quanto ai metodi d’indurimento, colorazione e conservazione, ho adoperato tutti quelli già citati antecedentemente ; tra essi trovai specialmente utile l’indurimento col semplice alcool, che meglio d’ogni altro liquido conserva i caratteri e i contorni del- l’epitelio (3), e la colorazione con picrocarmino (con conserva- zione in glicerina) o con safranina (con conservazione in zucchero di canna). La conservazione in resina si deve, come al solito, adoperare quando interessa lo studio delle mitosi. (1) Bizzozero, Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol, XXIV, fig. 12 della tavola. (2) Credo non superfluo il riferire, che nel muco che riempie il lume delle ghiandole rettali del cane sogliono trovarsi numerosissimi bacilli, che arrivano fino al fondo cieco. Di ciò mi occuperò in altra capitolo del lavoro. (3) Nell’indurimento con alcool e conservazione in glicerina devesi natu- ralmente tener conto dell’ingrossamento che subiscono i blocchi di sostanza mucosa (pag. 18). Essendo, però, in queste ghiandole scarse le cellule mu- cose, ciò non guasta, anzi serve a rendere più evidenti le cellule stesse. TO: G. BIZZOZERO Le ghiandole (fig. 5%) incominciano all’imbasso con un fondo cieco ‘leggermente ingrossato, claviforme ; attraversano leggermente ondulose tutto lo spessore della mucosa, tenendosi parallele fra loro, e separate l’una dall'altra da un certo intervallo occupato dallo stroma connettivo della mucosa (d); arrivate a poca di stanza dalla superficie della mucosa si fondono di solito tra di loro, in modo che di due ghiandole (c e) si forma un solo largo tubulo che sbocca in corrispondenza della base dei villi intesti- nali. Lo stroma della mucosa è ricco di leucociti, che sono spe- cialmente numerosi al di sotto dei fondi ciechi ghiandolari (e). 1l lume delle ghiandole è piuttosto ampio, specialmente in corrispondenza del fondo cieco. Esso è riempiuto da una massa che, indurita nell’alcool, ha aspetto mucoso, 0, piuttosto, col- loide, e pare più consistente nel fondo cieco (fig. 6% A), che nella porzione superiore. In essa si osservano sempre degli am- massi di granuli, e dei leucociti i cui nuclei s'imbibiscono for- temente colle sostanze coloranti, e che sono simili a quelli che stanno nello stroma della mucosa. Al par di questi, ora conten- gono un solo nucleo ovale o rotondeggiante, ora 2 o 3 piccoli nuclei rotondi. Sono palesemente elementi che provengono dallo stroma, e che vengono eliminati col secreto ghiandolare. Infatti, non pochi di questi leucociti si vedono mentre stanno attraver- sando l’epitelio ghiandolare. i Quanto alle mitosi dell’epitelio, come è noto, esse sono molto numerose. Come, però, già ebbi occasione di notare altre volte ( 1), esse non sono distribuite uniformemente nel tubulo ghiandolare; sono assai numerose nella metà profonda della ghiandola, e quindi anche nel suo fondo cieco; scarse, invece, nella sua metà super- ficiale, quantunque alcune rare si vedano arrivare fino in imme- diata vicinanza dello sbocco ghiandolare. Vediamo, ora, la struttura delle cellule epiteliari. Anche qui abbiamo delle cellule protoplasmatiche e delle cellule mucose ; delle une e delle altre, adunque, dobbiamo partitamente discor- rere, mettendole in rapporto colle forme epiteliari che rivestono i villi intestinali, con cui esse si trovano in non interrotta con- timuazione. Supponiamo d’avere una ghiandola sezionata longitudinalmente: Cellule protoplasmatiche. — Se noi cominciamo dal para- (4) Bizzozero eVassane; |, c., p, 172, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 27 gonare le cellule dei fondi ciechi con quelle dei villi, troviamo differenze abbastanza notevoli nelle dimensioni e nella struttura, tantochè potremmo dar ragione a coloro che ammettono l’epitelio delle ghiandole essere diverso da quello delle villosità. Ma se noi, incominciando il nostro studio dai fondi ciechi, ci innalziamo a poco a poco nella ghiandola fino ad arrivare al suo sbocco, e poi continuiamo sul villo, allora vediamo che in nessun punto c'è un limite netto fra una forma epiteliare e l’altra; l’epitelio si modifica per una serie graduata di forme di transizione, Nel fondo cieco (fig. 6% 4) le cellule sono piuttosto lunghe, di forma piramidale, colla base rivolta alla superficie d’impianto, e l’apice tronco in corrispondenza dell’estremità libera. ]l. pro- toplasma è finamente granuloso. I nuclei stanno disposti in vi- cinanza della base, e contengono 2-3-4 grossi nucleoli. Nelle cellule che stanno immediatamente più sopra, la forma è già modificata, giacchè la loro estremità libera si è fatta più larga, e molte cellule presentano la loro metà basale incurvata alquanto, e terminata con una estremità assottigliata e diretta all’ im- basso (0); altre cellule, però, hanno anche l'estremità basale tagliata tronca (c). Venendo più in su nella ghiandola (fig. 6° B) fino al suo sbocco, le cellule quasi non mutano di carattere; esse sono disposte per- pendicolarmente all’asse della ghiandola e quindi la loro estremità basale termina tronca, e la loro forma diventa così più regolar- mente rettangolare (da quelle cellule all’infuori che sono compresse lateralmente dalle cellule mucose), i nuclei si conservano nella metà basale, e il protoplasma permane finamente granuloso. L'unico mu- tamento essenziale avviene nella loro estremità libera. Questa nel fondo cieco è limitata da un contorno semplice, sottile; venendo più in su, comincia ad apparire alla sua superficie libera uno straterello pallido, che a discreto ingrandimento pare omogeneo, ma a forte ingrandimento presenta una fina striatura parallela all’asse lon- gitudinale della cellula. A metà della lunghezza della ghiandola questo strato è già ben sviluppato (fig. 6% B) e la sua striatura più netta; esso ha assunto tutto l’aspetto di quell’orlo striato che ‘è caratteristico dell’epitelio assorbente dell’intestino, e come tale si continua per tutto il resto della ghiandola. Giunto alla base dei villi, l’epitelio si continua su di essi, mantenendo i suoi caratteri essenziali ; le sole differenze consi» stono in ciò che (fig. 6° C) le cellule si fanno un po’più strette e 28 G. BIZZOZERO più lunghe: l’orlo lucente aumenta leggermente in grossezza, e i bastoncini che lo compongono si fanno un po’ più spiccati: e, infine, che il nucleo cellulare si allontana alquanto dalla base, e arriva fin verso la metà della cellula. Come si vede, la differenza principale fra le cellule dei fondi ciechi ghiandolari e quelle dei villi sta nell’assenza e nella pre- senza dell’orlo lucente; ma questo non può essere un criterio differenziale fra l’epitelio ghiandolare e quello della superficie libera, perchè l’orlo lucente esiste anche nell’epitelio della ghian- dola per più di metà della lunghezza di questa, e, inoltre, lo si vede originare da una modificazione che succede gradatamente alla estremità libera delle cellule. Cellule mucose. — Anche queste hanno diverso aspetto a se- conda del punto ove le consideriamo. Nel fondo cieco (fig. 6* A d) sono piramidali, colla base rivolta alla membrana propria. La loro metà esterna è costituita dal protoplasma contenente il nucleo ovale o rotondeggiante: la metà interna, invece, è ripiena di muco attraversato dal solito reticolo. All’estremità libera le cellule sono aperte, per poter svuotare nel lume ghiandolare il loro secreto. Un poco più in su (fig. 6* A, e) le cellule conservano ancora, pressa poco, la stessa forma, ma il loro nucleo appare circon- dato da poco protoplasma, ed è spinto verso l'estremità basale della cellula. Più in su ancora le cellule mutano affatto. Vanno gradata- mente ingrossando, e tendendo così alla forma ovale o sferica (fi- gura 6° B, a) in modo da rappresentare un calice senza fusto e senza piede : il loro nucleo è spinto e schiacciato alla periferia, e tutto lo spazio limitato dalla membrana cellulare è occupato dal muco. In qualche caso il protoplasma appare ancora al di sotto del nucleo (fig. 6% B, 4) sotto la forma di un piccolo cono colla punta rivolta verso la membrana propria della ghiandola. HI muco contenuto nella cellula è continuo con quello raccolto nel lume della ghiandola. Il nucleo, schiacciato com'è, quando è visto di coltello appare sotto la forma di una sottilissima semi luna piuttosto omogenea e lucente, e colorata assai intensamente dai soliti coloranti nucleari; quando sia visto di piatto, invece, si presenta ancora ovale, finamente granulato, fornito di nucleoli. Le cellule mucose arrivano fino allo sbocco ghiandolare con questi caratteri, diventando, però, sempre più grosse e distese dal muco. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 29 Giunte sul villo, la loro forma cambia rapidamente: al pati delle cellule protoplasmatiche diventano più sottili e più lunghe (fig. 6° C); si assottiglia specialmente la metà basale delle cel- lule, acquistando così l'elemento la forma di un calice fornito di fusto, ma senza piede, e nel fusto è contenuto il nucleo. Quanto a questo, esso ha seguìto in parte le modificazioni di forma della cellula, ed è diventato stretto e lungo, disposto col suo asse maggiore parallelo all'asse maggiore della cellula ; si conserva però ancora fortemente colorabile e d’aspetto lucente. Dopo quanto abbiamo visto succedere nelle ghiandole del retto e del colon del coniglio, il paragone di queste varie forme delle cellule mucose nel cane ci permette di ritenere, che esse siano dovute ad una graduata trasformazione di quelle cellule mucose piramidali che stanno nei fondi ciechi ghiandolari. E questa opinione viene confermata anche qui dal fatto, che la mo- dificazione morfologica delle cellule procede di pari passo con una modificazione chimica del muco da esse secreto. A questo riguardo devo notare, che il muco di queste cellule del cane non ha le stesse reazioni coloranti di quello del retto del coniglio : esso non si colora col metilverde e colla vesuvina, Si colora bensì colla safranina, ma a ciò è necessario adoperare una soluzione acquosa concentrata (1). Con questa, come già ebbi occasione di dire precedentemente, si ottiene un differenziamento assai elegante: la sostanza fondamen- tale del connettivo rimane incolora, tutti i nuclei del tessuto acquistano un color giallo di vesuvina, il corpo delle cellule epi- teliari, delle fibre muscolari liscie e delle cellule dei. gangli di Meisner e di Auerbach diventa di color rosso fucsina, e il muco spicca per un color giallo chiaro (2). Orbene, esaminando una sezione così colorata delle ghian- (1) La sezione di mucosa, che deve essere sottilissima (intorno ai 5 #), Viene spogliata dalla paraffina colla trementina, passata in alcool assoluto, e poi trasportata con una spatolina in una goccia d’alcool (che le conserva una certa rigidità assai utile per praticare il trasporto) sul portoggetti, ove viene poi colorata sotto il coproggetti, come venne indicato a pag. 19. All’alecoi si sostituisce dell’acqua, ed a questa la soluzione acquosa concentrata di safranina. (2: Non tutte le safranine del commercio danno questo prezioso differen- ziamento dei varii elementi. Io l’ottenni colla safranina della fabbrica Bind- schedler e Busch di Basilea: — Non ottenni, invece, alcurià' coloràzione! del muco .colla safranina 0 fornitami dal Dott. Gribler di Lipsia. 30 G. 'RIZZOZERÒ dole. è facile l’accorgersi che l’intensità di colorazione del muco ‘varia assai ; nei fondi ciechi esso è appena giallognolo rossiccio, mentre un poco più in su si fa giallo più schietto, e più in su ancora, giallo chiaro spiccatissimo. Ciò si riferisce tanto al muco contenuto nelle cellule, quanto a quello che riempie il lume ghiandolare, o sta sulla superficie dei villi intestinali. ‘Anche qui, adunque, come nel colon e nel retto, abbiamo una graduata modificazione chimica del secreto delle cellule mu- cose, che comincia nei fondi ciechi, e progredisce fino alla super- ficie libera dell’intestino. È nei fondi ciechi che hanno origine le più giovani cellule mucose. Le numerose scissioni per mitosi che vi hanno luogo danno origine a degli elementi cilindrici 0 piramidali, che hanno diverso destino: alcuni restano cellule protoplasmatiche, altri invece si trasformano in cellule mucose. I primi stadi di questa trasformazione sono difficili a vedersi , poichè i piccolissimi granuli di muco primamente prodotti ven- gono nascosti dalla granulosità del protoplasma in cui sono im- mersi. Le forme, quindi, che predominano nei fondi ciechi ci presentano di solito le cellule mucose a stadio già relativamente avanzato. Facendo, però, delle sezioni della mucosa trasversali alle ghiandole, ed estremamente sottili, e colorandole colla sa- franina, si riesce non di rado a vedere (in quelle sezioni che hanno colpito la ghiandola immediatamente al disopra dei fondi ciechi) delle cellule cilindriche in cui la trasformazione è appena comin- ciata (fig. 7°, a); le cellule sono ancora per forma, nucleo, ecc. simili a cellule protoplasmatiche vicine ; da queste, però, si di- stinguono per dei granuli di muco che, accumulandosi nella loro metà interna, hanno ridotto qui il loro protoplasma ad una sem- plice trabecolatura reticolare. (ga Il successivo mutamento di forma che avviene nelle cellule mucose è determinato principalmente dal raccogliervisi di molto muco, che fa arrotondare le cellule e schiaccia alla base di essa il nuelec .e lo scarso protoplasma. Dico principalmente, e non completamente, perchè sulle forme delle cellule tanto protoplasma- tiche che mucose deve aver influenza anche la pressione che si esercita sulle loro superficie. Infatti, avendosi nella metà profonda del tubulo ghiandolare un'attiva moltiplicazione per mitosi, gli elementi devono compri- mersi vicendevolmente, e gli elementi compressi devono tendere continuamente. a. spostarsi verso il punto di minor pressione, cioè SULLÈ GHIANDOLE TUBULARI 31 verso la superficie libera dell’ intestino, dove la contiùua elimi- nazione di cellule rende libero lo spazio per le cellule sopra- venienti. Immediatamente al di sopra del fondo cieco questa pressione ha luogo prevalentemente sulle pareti laterali delle cellule, cioè in senso perpendicolare all’asse maggiore della ghiandola. Di ciò fa fede la forma delle cellule e dei loro nuclei; infatti, paragonando una sezione longitudinale (fig. 6* A) di questa regione delle ghian- dole con una trasversale (fig. 7%), si vede che in questa seconda le cellule sono più strette e lunghe, ed i nuclei pure più allun- gati. Il che appare anche quando in una sezione longitudinale si esaminino di fronte le basi d’impianto delle cellule ghiandolari (fig, 8°); queste basi hanno il loro asse più lungo parallelo‘ al- l’asse principale della ghiandola. La forma curiosa delle cellule d della fig. 6° A; che è frequen- tissima nei fondi ciechi, e che è caratterizzata da ciò che la estremità libera dell'elemento è più alta dell’estremità basale, e che quest’ultima è curva e va a finire assottigliata sotto la base della cellula sottogiacente, trova, come è già ben noto, una fa- cile spiegazione nello spostamento delle cellule verso lo sbocco ghiandolare ; giacchè questo può compiersi più facilmente dalla estremità libera, che da quella basale, la quale sì trova ‘appli- cata sulla membrana propria della ghiandola. Prescindendo dal fondo cieco, nelle altre porzioni del tubulo ghiandolare la direzione dell’asse di maggior pressione è varia- bile, probabilmente in rapporto col transitorio : formarsi e poi svanire, di centri di moltiplicazione cariocinetica. Si è per ciò che nei diversi tratti del tubulo ghiandolare, ora le cellule epiteliari appaiono schiacciate nel senso trasversale, come nei fondi ciechi, ora nella direzione dell’asse longitudinale della ghiandola, ora, finalmente, hanno press’a poco eguali i loro diametri trasversali. . Come ho già detto, le cellule sia protoplasmatiche che mu- cose della ghiandola sono in generale più corte di quelle che ri- vestono i villi. Credo che ciò sia in rapporto colla pressione che il muco secreto esercita sull’epitelio secretore. Questa pressione il muco racchiuso nel lume la esercita di certo sulla superficie libera delle cellule epiteliche ghiandolari; e deve tendere a rac- corciarle. Mentre, quando le cellule sono giunte sui villi, la pres- sione esercitata dal secreto è cessata, e su di esse non agisce più che la pressione laterale che esercitano reciprocamente le une sulle 39 G. BIZZOZERÒ altre e che tende ad allungarle. Del resto, sulla superficie del villo la grossezza e la lunghezza di una medesima cellula (sia proto- plasmatica che mucosa) varia assai, come è già noto, a seconda dello stato di contrazione di quel punto del villo su cui risiede. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Fig. 1* — Ghiandola tubulare del retto di mus musculus (Li- quido di Kleinenberg, vesuvina, damar). Si scor- gono due mitosi a a, e si vedono le modificazioni che presentano le cellule mucipare (0, 8, 0") an- dando dal fondo cieco verso lo sbocco della ghian- dola. Si vedono anche le modificazioni graduate delle cellule protoplasmatiche, che nella porzione superficiale della ghiandola diventano più scure e granulose. Ingr. di 290 d. » 2% — Porzioni di sezioni longitudinali di ghiandole del retto di cane (Liquido di Hermann, colorazione doppia colla safranina e l’ematossilina, damar). A Fondo cieco. Vi si vede l’epitelio ghiandolare, e, nel lume, il muco secreto. Nell’epitelio si scorge una mitosi protoplasmatica a, e più sotto due cellule gemelle mucose d. — B Dal terzo superficiale della ghian- dola, poco lontano dallo sbocco. Mancano le mi- tosi, le cellule protoplasmatiche sono più numerose che nel fondo cieco. Entrambe le forme cellulari, poi, sono più grosse, ed a contorni più netti che nel fondo cieco. — 580 d. » 8% — Ghiandole del retto di cane. Varie forme di cellule mucose. A Da mucosa indurita nell’alcool, e se- zioni conservate in glicerina: « cellule del fondo cieco, 6 cellula poco lontano dallo sbocco ghian- dolare. — B Da mucosa indurita nel liquido di Hermann, colorazione doppia con ematossilina e — VOL ANI Ino OA Atti RAccad. delle Sc. di To Ma; Ù i RSLI E sso vari g La TUInuno t.Salussolia, Torino L ai S È n È i S s hi E È Me -E S uf E 3 ‘s = S P n= 13 e) Pi Del _ È IE ni 5 DI “00 »* È Lai = ‘n l a 2 LD p Si n di ; [g, se si può determinare un intervallo da 0 ad un numero positivo in modo che per ogni valore di x interno ad esso si abbia f(2)>g(z): e chiamiamo, secondo il solito, multiplo secondo il numero (reale) m, di f(x), la funzione mf (x). Allora, posto f.(x)=", ne viene che f,(7) è maggiore nelle vicinanze di 0, di ogni multiplo di f,,(4), ossia, qualunque sia m, si ha f.>mf,,;; ossia f,+: è un ente costante, infini- tesimo rispetto ad f.,, mentrechè f,,,(7) è un ente variabile, infinitesimo rispetto ad f, (x). Di alcuni nuovi conduttori rettilinei approssimati , che si deducono dal moto ellittico; Nota dell'Ing. G. PASTORE La trasformazione del moto rotatorio continuo in rettilineo alterno sì ottiene con meccanismi speciali detti guide o condut- tori rettilinei, i quali, fatte poche eccezioni, appartengono alla classe dei sistemi articolati. Alcuni di questi meccanismi risolvono il problema per ap- prossimazione, guidando un punto secondo una traiettoria vici- nissima, per un tratto notevole, ad una retta. Tali sono i noti quadrilateri articolati di Watt, di Evans, ecc. Altri, invece, producono un moto rigorosamente rettilineo. Questi sono recenti: si dubitò anzi, fino a pochi anni fa, della possibilità teorica di ottenere in modo esatto l’indicata trasfor- mazione di movimento col mezzo di un sistema articolato pro- priamento detto, che cioè contenga sole coppie ci rotazione. Il dubbio fu dileguato dal Peaucellier e dal Lipkin, nel 1864, coll’inversore che porta il loro nome; poco dopo Kempe (1875) ed Hart (1877) proposero altri sistemi articolati composti, ca- paci, essi pure, di produrre l'esatto moto rettilineo. Questi meccanismi furono accolti con grande interesse, e rap- presentano, di certo, una delle più belle scoperte della moderna Cinematica. Tuttavia la loro complicazione ne impedì un largo impiego nelle macchine ; ed anche oggidi la pratica continua a valersi preferibilmente degli antichi conduttori approssimati di Watt, di Evans, ecc., apparecchi semplicissimi, col mezzo dei quali il moto rettilineo si ottiene con approssimazione più che sufficiente per gli usi pratici. 48 G. PASTORE Ora, in uno studio sui meccanismi a cui attendo da qualche tempo, mi venne fatto di cadere sopra alcuni quadrilateri ar- ticolati speciali, che riconobbi capaci di guidare, per un tratto abbastanza lungo. un punto sopra di una traiettoria sensibilmente rettilinea. Mi parve perciò che essi fossero per riescire di qualche pratica utilità, ed è con tale speranza che mi indussi a farne oggetto di questa Nota. I quadrilateri di cui intendo parlare derivano dal moto el- littico. Nel presente studio, dopo di aver accennate alcune proprietà di questo movimento e stabilita una proposizione ad esso relativa, deduco un primo conduttore rettilineo; da questo, applicando la legge di Roberts sul quadrilatero articolato, ne ottengo altri due. Dimostro in seguito, coll’analisi, che veramente, ed entro quali limiti, i tre quadrilateri ottenuti soddisfanno alle condizioni dei conduttori rettilinei. I. 1. Considero 7 moto di una figura piana invariabile, la quale si sposta nel proprio piano mantenendo due dei suoi punti rispettivamente sopra due rette fisse perpendicolari fra di loro. In questo movimento un punto qualsiasi della figura descrive, in generale, un’ellisse, d'onde Ja denominazione di moto ellittico. Le direttrici fisse siano x Ax.yA4y (fig. 1) e G, D rappre- sentino, in una posizione qualunque, i due punti da cui è deter- minato ;il movimento. Il punto G rimane sempre sulla direttrice cAx ed il punto D sulla direttrice y 4y. La congiungente G D è costante per l'invariabilità del sistema: la sua lunglezza la indico con 2 R. Il moto ellittico, che riceve numerose applicazioni nei mec- canismi, gode delle seguenti proprietà fondamentali. I. Esso si può ottenere facendo rotolare una circonferenza di circolo della figura mobile entro ad una circonferenza fissa di raggio doppio. La linea fissa è la circonferenza / di centro A e raggio 2 È; la rotolante è la circonferenza r, di raggio £, descritta su GD come diametro. NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 49 II. La trasettoria descritta da un punto qualsiasi della figura è un’ellisse. Il suo centro coincide col centro della cir- conferenza fissa; i suoi assi passano per le estremità del dia- metro condotto dal punto descrivente nella circonferenza roto- lante ; la lunghezza dei suoi semi-assi sono le distanze del punto stesso da questa circonferenza. Così, ad esempio, la traiettoria del punto P è l’ellisse e di centro A, di assi XX, YY passanti per le estremità e, d del diametro condotto da P nella circonferenza rotolante r, e di semi- assi Pe, Pd. Se il punto descrivente cade in M, centro della rotolante, l’ellisse traiettoria di questo punto si riduce alla circonferenza di circolo di centro A e raggio £. Se il punto descrivente cade sulla rotolante, ad esempio in @, l’ellisse si riduce ad una retta ; al diametro Y'Y' della circon- ferenza fissa. 2. Ciò posto, è facile dimostrare la seguente proposizione. Il moto ellittico si può ottenere facendo muovere due punti determinati della figura mobile rispettivamente sopra due ellissi concentriche, tali che la somma o la differenza dei semi-assi dell'una sia uguale alla somma od alla differenza dei semi- assi dell'altra. Ed invero, il movimento di una figura piana invariabile, nel proprio piano, è perfettamente determinato, per quanto riguarda le traiettorie dei suoi punti, quando sono determinate le traiet- torie di due qualunque di questi punti. Uno stesso movimento sì può perciò ottenere in molti modi: basta prendere due punti qualsiasi della figura, tracciarne le traiettorie, e poscia, assunte queste come direttrici fisse del movimento, far muovere sulle me- desime i due punti considerati. Applico questo concetto generale al moto ellittico piano. Prendo cioè due punti qualsiasi P, P' del sistema mobile e segno le el- lissi e, e da essi descritte nel movimento della retta GD. Queste ellissi sono concentriche in A ed hanno comune ed eguale al dia- metro GD = 2R della rotolante » la somma o la differenza dei semi-assi. Se P. e P' cadono entrambi fuori della rotolante, le due ellissi hanno comune la differenza dei semi-assi; se cadono entrambi entro a questa circonferenza, le due ellissi hanno co- Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voli XXVII, & 50 G. PASTORE mune la somma dei semi-assi; se infine, come in figura, uno di ‘essi, P, cade dentro, e l’altro, P', cade fuori della rotolante r, la somma cd dei semi-assi di e ‘è uguale alla differenza d'd' deitsemi-assi di e'. Se adunque si fa muovere la retta P P' del sistema in modo che il suo estremo P percorra l’ellisse e, ed il suo estremo P' percorra l’ellisse e', si ottiene il moto ellittico della figura pre- cisamente come facendo scorrere i punti G,D di essa lungo le direttrici. ortogonali «+4 .x. yAy. Nel moto della P P' sulle el- lissi e, e i punti G e 2 della figura mobile sono guidati se- condo le rette x Ax, yA4y; gli altri punti della circonferenza rotolante » secondo rette passanti per A; e gli altri punti della figura secondo ellissi di cui GD = 2R rappresenta la somma 0 la differenza comune dei semi-assi. 3. Si supponga, come caso particolare, che P cada in M (fig. 2) punto di mezzo della retta GD, e che P' cada sul pro- lungamento di GD, in N, a distanza DN=DM=R. Allora l’ellisse descritta da M si riduce alla circonferenza di circolo e di centro A e raggio £, e per ottenere il movi- mento del punto 2 basta articolare in esso un braccio AM=R girevole attorno al punto fisso A. Il punto N, invece, descrive l’ellisse e' cogli assi x 4%, yAy ‘e con semi-assi fe e 3. Supponendo perciò praticata nel piano del movimento una scanalatura che abbia per linea mediana l’el- lisse e, ed obbligando l’estremo N dell'asta M N, articolata in M al braccio AM, a muoversi lungo questa scanalatura, si ha un ‘conduttore rettilineo esatto: nel moto rotatorio di AM il punto ‘di mezzo D di MN è guidato esattamente secondo la retta yAy. 4. Allo scopo di evitare la direttrice ellittica e', la quale complicherebbe il meccanismo e sarebbe causa di attriti consi- -derevoli, sostituisco all’ellisse e' l’arco della circonferenza oscu- ‘latrice nel suo vertice /, e produco il-movimento del punto N ‘mediante un braccio articolato. NB girevole attorno: al centro ‘di curvatura B dell’ellisse nel vertice Y. Allora il meccanismo si trasforma nel quadrilatero articolato «ABNM, fisso sul lato AB. Il punto di mezzo D della sua biella MN non è più guidato secondo la retta yAy, ma bensì NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 51 secondo la curva //: questa però, come farò vedere, ha un con- tatto molto intimo con yAy, e per un lungo tratto si può ri- tenere come praticamente confondentesi colla medesima. Il raggio di curvatura per un’ellisse in uno dei vertici posti all'estremità dell’asse minore è dato dalla nota formola: a? cis e ove a è il semi-asse maggiore e d il semi-asse minore dell’ellisse. Nel nostro caso a = 3, d = R, e, per conseguenza: p= 9R. Il quadrilatero articolato ABNM ha adunque i seguenti elementi : SI lato isso? 452. 41B =8R, © MN —-9 ABNM Mel tn La ia ‘ (fig. 2) \ AM= RL, racer. d.%.. a ). BN=9R, distanze ....DM=DN=R. 5. La legge di Roberts, di cui già mi occupai in un prece- dente lavoro (*), permette di ottenere altri due quadrilateri equivalenti al quadrilatero A BNM, cioè capaci di generare la stessa curva //. In questo caso il punto descrivente D del quadrilatero pri- mitivo ABNM è il punto di mezzo della biella MN, perciò la costruzione ricavata dalla legge di Roberts si riduce alla se- guente: si compiono i parallelogrammi AMDM', DNBM", e trovati poscia i punti di mezzo N’, N" dei lati DM', e DM, si costruisce il parallelogrammo DN' CN". Il punto C deve cadere sulla retta 45 e dividerla per metà, ed i due nuovi quadrilateri capaci di generare la curva // sono: ACN'M' (fig. 3) col lato fisso 40 , CBN"M" (fig. 4) col lato fisso CB, (*) La legge di Roberts sul quadrilatero articolato. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 1890, vol. XXVI. 52 G. PASTORE Le lunghezze dei loro lati sono: lato fisso. ..... AC =4R, biella PESI M'N' =1R, ACN'M' i AMPA20RS (fig. 3) \ bracciante lib ; CN rr 2 R2 DM' A {j \ distanze. ..,.. È Î DN' = Sl 1 2 lato: fisso pus CB =:4)Be4 Lal Peres NINE CBN"M" CN" = Ro (fig. 4) Pracer n ta, (fig. BM"= R, DIN DRS \'fistanze Ni. he a DN RR II. 6. Considero un quadrilatero articolato qualsiasi A BNM (fis. 5), avente per lato fisso AB, e cerco l’equazione della linea descritta da un punto D qualunque invariabilmente con- giunto colla biella MN. Prendo per asse delle ascisse la retta dei centri AB, per asse delle ordinate la normale Ay condotta in A ad AB, e faccio : AM=M, MD=L, BN=", ND=e, AB=p . Indico inoltre con 2', y' le coordinate del punto M; con &”, y" quelle del punto N; con #, y quelle del punto descrivente D: e con « l’angolo variabile che la retta I7 D fa coll’asse delle 2. NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 53 Allora si ha; x =x—bcosa, 1 y =y—bsena; (1) x L=2= €08 ( (D+) ). | 1 RZ (2) y'=y—csen(D+a); | a°+y?=m?, | (8) Maga. Eleyo al quadrato le (1) e sostituisco nella prima delle (3): SES liane t-=(4) 26 Elevo al quadrato le (2) e sostituisco nella seconda delle (3): — p) 2 CI eve n = cose lcosD (e— p) +ysen DI | 2c .-(5) —senz}senD(x—p)—ycosD|. \ Facendo : | dx. M=cosD(r—p)+ysenD, b=Y, | =senD(e—p)—ycosD, iu Je 72 2 3. pelato DK y+ bm prega C®*=--____- 3; Pe ——_ i; 2b 2 € le equazioni (4) e (ò) si riducono a: A cosd+ Bsena=(, Mcosa—Nsenz=P, e dànno immediatamente : MPS CHE PIA CA. Neg Mi : C.N+B.P. Se — CNR > (N°) da cui: (C.M-A.P}4(C.N+B.P)}=(4.N+B.M). 54 G. PASTORE Sostituendo in quest’equazione i valori di A, B, C, M, N, P, e riducendo, si ottiene l’ equazione generale della traiettoria descritta da un punto qualsiasi D. invariabilmente congiunto colla biella di un quadrilatero articolato. È (+ $+ b— mè) senD(e—p) — y cos D! + +by)(c_pP+g+-n8|]°+ + [e (+ y°+b°— m°) cosD(r—p)+y sen DI —) ...(6) — ba|(x-p}+y+_n?{ |?= —4b°c° (sen D(2°+y°— pa) —py cosD|?. ] “. Introduco in quest’ equazione generale gli elementi che corrispondono al quadrilatero della fig. 2; faccio cioè, nell’ipo- iealdi\ & —1: m=%, be W0 n=39 =D 180%, p=8 Ottengo così l’equazione della linea 2: (= 8y+2%y—8cy)}+ (3122 8e+ay—4)}= art). 0 la quale, sviluppata, si riduce alla prima od alla seconda delle | due seguenti, secondochè si ordina secondo le potenze di y o se- condo le potenze di x: y+3x(cr—8)y'+x(32°—482°+128z+192)y° + AB + 2° (-12x—8)=0, | d | o-—240+(3y°+ 128) 244 48(4—-y°)2°+ | 9) +(3y/4 128yf+64)2°+24y°(8—y)c+yî=0, DA NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 55 8. Introducendo nella (6) i valori : mi 104) 9 (fed » È ta lfy Dee] 1 A <= c 9 p =D=4@ È che corrispondono al quadrilatero della figura 3, si ottiene l’e- quazione : ($- 8y+2y—-16cxy4(e-122—8x+2y+4y°) = = 649y°; sviluppando la quale si ottiene la stessa equazione (8). Sostituendo invece gli elementi : = 1 = 9 b=—, = de 3 n cei, p= 4, 2515 =>0, del quadrilatero fig. 4, si ottiene quest'altra equazione: ($_-56y+2°y+8xy?+(d°—56r+yx—8y—160) = 5184 y°, che sviluppata ed ordinata secondo le potenze di y, dà: y+3 (2° 16)y4+ (324 1602° 3202+512)y + 2 - (85) + (e 56zx—160)}f=0. Questa però si riduce ancora alla (8) sostituendo x — 4 in- vece di x. Trasportando adunque l’asse y della fig. 4 paralle- lamente a se stesso alla distanza — 4 dalla sua posizione primi- 56 G. PASTORE tiva, l'equazione (8') si trasforma nella (8). Per conseguenza, le linee rappresentate da queste due equazioni sono identiche fra di loro, ma diversamente situate rispetto all’asse delle y: so- vrapponendo le due linee, l’asse y della seconda è spostato di un’ascissa + 4 rispetto all’asse y della prima. La cosa corrisponde evidentemente al quadrilatero della fig. 4. Si ha così, in questi quadrilateri speciali, la conferma ana- litica della legge di Roberts. 9. Le proprietà geometriche della linea 77 si deducono dalla sua equazione. I. L'equazione (8) è soddisfatta per 2 = 0, y = 0 e non contiene che potenze pari di y: dunque la linea 7? (fig. 2) passa per l'origine A delle coordinate ed è simmetrica» rispetto all’asse x. HI. Per y= 0 la stessa equazione diventa: x° (e@°—12 a—-8)}=0, che ha due radici zero, due uguali a —0,6332, e due uguali a + 12,6332. In conseguenza, la curva 7 ha tre punti doppi sull’asse x: uno nell’ origine A delle coordinate, un altro in A' all’ ascissa — 0,6332, ed un terzo in A" all’ascissa + 12,6332 (*). (*) Si consideri un quadrilatero articolato qualunque A B NM (fig. 5) fisso sul lato AB, un punto D invariabilmente congiunto colla sua biella M N, e la curva // descritta da questo punto nel movimento del sistema. Si costruisca poi sul lato fisso A B il triangolo ABC simile e similmente disposto rispetto al triangolo invariabile M ND, e la circonferenza di circolo passante per 4,B,0. Allora i tre punti A, 8, C sono fuochi singolari della curva LI, e: 1° Questa curva può avere sino a 3 punti doppi sulla circonferenza A B 6; 2° Misurando le distanze lungo questa circonferenza da un punto fisso qualsiasi della medesima, la somma delle distanze dei punti doppi è uguale alla somma delle distanze dei fochi (CayLEY, On three-bar motion. Proceedings of the London mathematical Society, vol. VII, p. 136). Nel nostro caso speciale (fig. 2) la circonferenza 4 BC si riduce all’asse x Ax, cosicchè i tre punti doppi devono cadere sopra di questa retta, come appunto si è trovato. La posizione poi di questi punti doppi A, 4’, A” è tale da rendere soddisfatta anche la seeonda proprietà, NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 57 Il primo, A, è, come farò vedere, un punto doppio speciale, in cui i due rami della curva sono tangenti fra di loro. Il se- condo, A', è un punto doppio ordinario: un nodo in croce. Il terzo, 4, è un punto doppio isolato, intersezione reale di due rami immaginarii della curva, rami simmetrici, come quelli reali, rispetto all'asse + Ax; questa posizione 4” non può evidente- mente essere raggiunta dal punto D della biella nelle posizioni reali di questa, e perciò non è da considerarsi nello studio ci- nematico del meccanismo. III. Riduco l'equazione della curva / alla forma: Uu, + 4g ca .+u,=0, ove u, rappresenta il termine assoluto, ed w,, %,..... U, i termini di primo, di secondo, ..... di n°""° grado in x ed y. Ottengo; 1 3 9 9 b 9 DI 9 91 (c++ y°)-- 5% (e°+-y°)}+ 22244) +3 (2°+y°)+-2°=0...(10). Poichè in questo caso si ha «,=%,=0, l'origine A è un punto multiplo di ordine 2, cioè, come già si è detto, un punto doppio della linea 27. Inoltre la u,=0, cioè: x°—= 0) è l’equazione della coppia delle tangenti nell’origine. Ma queste due tangenti coincidono fra di loro e coll’asse y, dunque-in A i due rami p An, pAn' della curva 7? s’intersecano e sono tangenti fra di loro e coll’asse y. IV. Per x=0-la (8) si riduce a: y'==: 064 la quale ha sei radici uguali a zero. Ciò significa che la linea // possiede in A sei punti coin- cidenti sull’asse y. Per conseguenza, A è un punto d’ ondula- zione della linea ll e l’asse y è tangente multipla ed ha con- tatto sestipunto colla medesima. 58 G. PASTORE 10. Le coordinate dei vari punti della linea 77 si determi- nano abbastanza facilmente col mezzo dell’equazione (8), yY+3x(e—8)y+2(32°—482°+1282+192)y+ +2 (2-125—8)=0, che si riduce ad un’equazione cubica. Faccio y°= Y; allora essa prende la forma: aY?+3bY°+3cY+d=0; e questa perde il secondo termine ponendo: b V=Z-=Z-a(2-8). Allora l’equazione da risolversi è: SA DZE SO IRa.M (11) ove: 2 c b pia 37 042(39—2) ; ©: 5 93 q= —3-+23=(402f. (4) (4) a .. Nel quadro seguente (pag. 16 e 17) sono riportati i valori di Z, di Y e di y corrispondenti a valori di 4 compresi fra Da questo quadro si scorge che la nostra equazione ha due coppie di radici reali per x compreso fra — 0,8996 e 0, ed una coppia di radici reali (zero) per x = 12,6332. Per gli altri valori di x considerati nel quadro essa non ha radici reali. Lo stesso succede pure per tutti gli altri valori di x, perchè, e la cosa si verifica facilmente, per 2<—5 e per x>14 l'equazione (8) ha tutti i coefficienti dello stesso segno. 11. Al valore particolare £=12,6332 corrisponde il punto doppio isolato A", intersezione reale di due rami immaginarii della curva //. Astraendo da questo valore particolare di x, le — Vol. AXVII PINO Atti R_Accad delle Sc.di To E-Di alcun R {ORE-Di alcuni nuovi conduttori rettilinei approssimati che si deducono dal moto elittico. Atti R.Accad delle Sc.di Torino - VoLAX/ AM=DM=DN=R i MN=2R d I DS (0) Big.2. \ smzar sar gl BN=9R Torino, lit. Salussolia NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 59 coppie di valori reali di y segnate nel quadro con y,, Y, cor- rispondono alla parte di curva mp Ap'm', e quelle segnate con Y» Y, &lla parte di curva mln An'Im. Fra questi ultimi valori sono importanti quelli qui riportati, che si riferiscono ad ascisse negative di valore assoluto minore di !/,j- © | Yss Yy ut PRRO= — [CROATO 41,198 ZZORLA ‘|. frac LO 65IR Sh0/0001 R=. |. 40,371R 000001 RL ue -0;209,. Essi dànno la metà della corsa del punto D corrispondente ad una data deviazione dalla retta yy, e permettono, in con- seguenza, non solo di giudicare del grado di approssimazione di cui sono capaci i conduttori qui studiati, ma anche di deter- minare le dimensioni del meccanismo quando sono date la corsa e la deviazione massima che si può ammettere. Da questi valori è desunta la seguente tavola: Deviazione d 0,01.R 0,001 R ‘ 0,0001 R 0,00001 R 60 Valori di x ee e de ——__ (E 202 —_—T_r__—wui — 0,0001 — 0,00001 0 O 0 Où Ts Wo > (a è 12 12,3331 12,6332 13 14 G. PASTORE Coefflicienli dell’ equazione 44 cli BI p= 64x (3— 2) 165,76 147235 138,24 112 87,04 63,36 40,96 19,84 1,9264 0,192064 0,01920064| 0,0019200064 256 640 — 1152 — 1792 — 2560 — 3456 — 1180 — 5632 — 6912 — 7366,8 — 988.) — 8320 — 9856 q= (40 2)? 40000 <0 25600 <0 14400 <0 947453 6400 1600 1295 1024 <0 784 <0 641,507 | <0 576 <0 400 <0 256 <0 144 <0 64 <0 16 <0 0,16 <0 0,0016 <0 0,000016 | —0 0.00000016 | —<0 0 1600 6400 14400 25600 40000 57600 78400 102400 129600 | 160000 193600 230400 213370 255356 <0 270400 <() 313600 <0 >0 >0 >0 >0 >0 >0 > >0 >0 >0 >0 >0 17,8447 17,0532 16,1703 16,7948 imm.? n 8,6512 7AAZA 6,0971 5,4665 5,1612 4 2633 3,3879 2,5276 1,6778 0,8359 0,0833 0,00833 0,000833 0,000083 0 imm. 39,2562 31,1457 22,8323 16,7948 imm.° 1,3444 0,434025 0,138148 0,043776 0 imm?° 49,554 58,532 63,9838 755222 — 104, — 1124 —@€—7—@—@—@@@———e@©occou(@meeEELUE[EWEEIEE Valori di Y_=zZ—x(a—8) lori di (2 — 8) ___ ig Ya — 471553 | — 25,7498 + 110,9468 — 16,8543 — 16,8297 — 10,1677 — 8,5982 — 8,5982 imm.° imm. » » 0,6446 0,6446 0,0724 1,9186 0,0071 2,6036 0 2,9726 0,0012 31342 0,0133 3,5364 0,0279 3,8022 0,0376 3,8992 0,0378 3,7540 0,0259 3,1670 0,0032 1,2642 0,000332 0,426024 0,000033 0,137348 0,000003 0,043696 0 0 imm.9 imm,° » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » — 3,8806 — 3,8866 — 15,554 0 — 384 | — 1,0162 — 47,0728 — 8,4778 122,1009 96,1989 72,0026 58,9826 49,290 2755057 25,3090 23,1110 20,8807 19,3721 18,6154 16,2997 13,9401 11,4068 8,7118 5,6229 1,5078 0,4503539 0,139781 0,043939 0 4,1971 4,2816 9,3288 16,3632 25,3810 36,3964 49,4082 64,4176 81,4253 100,4316 121,4370 1444420 152,5486 160,042 169,4457 196,449% NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI rr ctiinnen. 1) ose ES | + 0,803 0269) + 0,084 0 + 0,034 0,145 T 04107 + 01% + 0,19% + 0,161 + 0,057 + 0,018 + 0,006 + 0,002 0 imm.ii dt KH Hit apr. de dd Miu i 4 = % ia a RT 62 | G. PASTORE . Si voglia, ad esempio, ottenere la corsa di m. 0,30 colla deviazione massima di '/,, di mm. In questo caso si ha 0,30 (n fa) d _ 0,0001 sai rapporto che è compreso fra il 1306 ed il 7420 della tavola. Assumendo il primo valore si ha: i 0,30=1,306 R, __ 0,30 108306 d=0,001E=0,00028 =?/, circa di mm. = — 0,228 mi Rapporto DA m. 0,10 m. 0,20 rape "è. P_r- a tr — === _—___ ___ "tc R d R 22,8 ‘0,0% 0,00044 0,088 0,00088 1306 | 0,076 0,0000765 0,152 0,000153 7420 (00185 | © 0,0000135 0,270 0,000027 41800 | 0,239 0,00000239 0,478 000000478 Torino, Ottobre 1891. R. Museo industriale italiano. NUOVI CONDUTTORI RETTILINEI APPROSSIMATI 63 Assumendo il secondo valore sì ha invece: 0990=’0,742 R', __ 0,30 — 0,742 a=0,0001 R=0,000045= 2 circa di mm. =0,405 m., Per ottenere all’incirca la deviazione richiesta dî !/,, di mm. si può assumere il valore intermedio &R— 0,25. Quest’altra tavola dà immediatamente i valori di A e di d nei quattro rapporti diversi considerati per la corsa cm.0,10, =m.0,20, =m.0,30, =m.0,40, =m.0,50. A uc I m. 0,30 m. 0,40 m. 0,50 ——rrr— sz Trt ire Del a) ——T__r—_PP6T—P ez R d R d R d 0,132 0,00132 0,176 0,00176 0,22 0,0022 0,228 0,000228 0,304 | 0,000304 0,38 0,00038 0,405 0,0.00405 0,540 | 0,000054 0,675 0,0000675 0,717 0,0000717 | 0,956 | 0,0000956 | 4,195 0,00001195 64 G. GIACOMINI Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano ; Comunicazione terza del Socio Prof. C. GIACOMINI 4 OSSERVAZIONE V. Gravidanza tubarica. Per lo studio delle anomalie di sviluppo dell’embrione umano devono certo aver importanza speciale quei casi nei quali l’o- vulo dopo essere stato fecondato, trovando ostacoli sul suo cam- mino, non compie la sua emigrazione, non giunge, vale a dire, nell'utero, ma si arresta in un punto qualunque della tuba fal- loppiana, oppure cade nella cavità peritoneale. Quando ciò avviene le condizioni di sviluppo sono comple- tamente alterate; e se in talune circostanze il nuovo individuo riesce, ciò malgrado, a percorrere tutta la sua evoluzione, nella grandissima maggioranza dei casi egli difficilmente si adatta al nuovo ambiente, perisce in uno stadio più o meno precoce e scompare senza lasciar traccie, oppure rimanendo residui, questi non sempre con facilità vengono ricondotti alla primitiva loro origine. Le gravidanze extrauterine costituendo un pericolo permanente e sempre grave per la madre, esse furono molto attentamente studiate dal clinico in riguardo diagnostico e terapeutico ; solo più tardi si è cercato di bene stabilire i rapporti intimi tra l’ovo ed il punto in cui esso si sviluppa, il modo con cui si dispon- gono gl’involucri d’origine materna e la provenienza loro. Lo studio anatomico delle gravidanze extrauterine è quindi di data abbastanza recente, e con esso si cercò di portar luce su molte questioni oggidì tanto discusse e tanto controverse. che riguardano i rapporti tra la madre ed il feto. In specie le gravidanze tubariche furono oggetto di diligente esame, e questo si potè ripetere con abbastanza frequenza, do- pochè l’esportazione della tuba divenne operazione comune presso i chirurghi. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 65 Si è appunto di una gravidanza tubarica esportata in seguito a laparotomia che desidero discorrere. In essa l’embrione si era arrestato alle primissime fasi del suo sviluppo, era entrato in un periodo di regresso, e quindi apparteneva a quelle forme che io ho descritto nelle precedenti comunicazioni fatte a questa Accademia (Adunanza 18 dicembre 1887, 8 gennaio 1888 e 28 aprile 1889). Le membrane d’origine fetale e materna in- vece continuavano nel loro sviluppo; erano ben conservati i loro rapporti con la parete tubarica e coll’embrione per cui la loro descrizione può essere di qualche interesse non solo per l'argomento speciale che stiamo svolgendo, ma ancora per que- stioni d’ordine più generale. Nel pomeriggio del 5 dicembre 1890, io riceveva due ovaia con parte di tuba falloppiana, esportate due giorni prima dal collega ed amico CarLE all'Ospedale Umberto I. Nella salpinge di sinistra esisteva una gravidanza tubarica. Dalla storia clinica redatta e pubblicata dal dott. Fantino (Quattro casi di gravi- danza ertrauterina operati con successo dal dott. Carle. Ri- vista di Ostetricia e Ginecologia 1891, oss., 4°), togliamo i se- guenti dati, che possono avere interesse per il nostro studio. Il preparato apparteneva ad una donna d’anni 38, la quale ebbe già 4 gravidanze normali. L'ultimo parto datava da 7 anni; l’ultima mestruazione avvenne in principio di settembre. Verso il 10 ottobre incominciarono sofferenze nella sfera genitale con me- trorragia, le quali portarono alla diagnosi di Emato-salpinge sinistra con perimetrite: nel mattino del 2 dicembre fu fatta la laparotomia la quale riescì felicemente. Durante l'operazione si trovò la tuba di sinistra del volume di un grosso pollice intimamente aderente all’ovaia da un lato e' dall’altro al peritoneo, coll’intermezzo di un coagulo sanguigno di antica data, che esisteva all’imboccatura della tromba. Esa- minata più attentamente dopo l’operazione la tuba sinistra si trovò grossa, elastica e bluastra, non appariva rotta in alcun punto; l’estremità addominale era pervia e da essa sporgeva ed aderiva un coagulo in parte lacerato dalle trazioni. Aperta lon- gitudinalmente la tuba così ingrossata ne escivano alcuni grammi di un liquido citrino, essa racchiudeva un embrione; l’ovo sem- brava essere isolato dalle pareti della tuba, ed i suoi involucri erano cosparsi di numerosi punti emorragici. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 5 66 C. GIACOMINI Io ebbi adunque il preparato tre giorni dopo l'operazione quando era già stata aperta la dilatazione che presentava la tuba sini- stra, ed era stata subito immersa nell’alcool del commercio. Lo stato di conservazione era mediocre, le parti erano di- venute rigide per il rapido indurimento e non permettevano un esame accurato; l'apertura fatta interessava non solo la parete della tuba ma anche il sacco dell’ovo. Questo si modellava sulla superficie interna della tuba, aveva ineguale spessore e poteva essere snocciolato senza difficoltà mancando le aderenze per la massima estensione. Solo in un punto le aderenze si facevano ma- nifeste e questo corrispondeva all'ilo della tuba; il sacco del- l’ovo assumeva in questo punto il massimo spessore; l’incisione era stata fatta verso il margine libero della tuba, dove le pareti erano più sottili. 1l massimo diametro della dilatazione, era parallelo all’asse della tuba ed aveva l'estensione di centimetri 3,2. Applicato alla parete posteriore sta l'embrione, il quale ad un primo esame si presentava coperto di depositi granulari ros- sastri, che difficilmente potevano essere rimossi. Esso non si di- mostrava di conformazione normale; ciò in parte poteva essere attribuito al metodo di conservazione, ma in special modo do- veva dipendere da un difetto da un arresto nello suo sviluppo. (Vedi. Fig. li. e 2°). Si distingue nell'embrione una estremità. cefalica libera ed una caudale aderente, l'estremità cefalica più grossa non pre- senta incurvatura, è posta sulla stessa linea del tronco, e non si distinguono particolarità le quali dimostrino lo sviluppo degli organi cefalici. Sulla faccia anteriore del tronco si trova una sporgenza che poteva considerarsi come rappresentante della re- gione cardiaca od epatica. Il dorso e tutto il lato destro erano applicati sulle membrane e furono un po’ deformati nell’indu- rimento. L'’estremità caudale è aderente alle membrane per mezzo di un cordone o meglio di una plica, la quale risulta formata da un sollevamento dell’Amnios, sotto del quale dovrebbero decor- rere gli elementi del funicolo ombellicale. La plica è lunga 5 mm. forma un angolo retto con l’asse dell'embrione e si dirige in avanti facendo inflessioni, le quali meglio si scorgono nelle se- zioni microscopiche. Sulla medesima linea dell'asse dell'embrione la plica si pre- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL EMBRIONE UMANO 67 senta breve e robusta, e lega strettamente l'estremità caudale colle membrane. Per questa disposizione ne risulta che l’em- brione è abbastanza fisso, godendo solo di limitati movimenti di lateralità e non di rotazione. Non esiste nessun rudimento di - estremità. L’embrione quindi è grandemente modificato nella sua con- formazione esterna è ridotto ad un informe tubercolo il quale solo per i suoi rapporti con le membrane può essere riferito ad una formazione embrionale. Anche la sua consistenza è poco pronun- ciata: e malgrado la sua superficie non dimostri in alcun punto traccie di distruzione, è certo però che esso non avrebbe tar- dato a scomporsi se avesse continuato a soggiornare nel seno materno. L'embrione è orientato per modo che il suo asse è paral- lelo all’asse della tuba, l'estremità cefalica essendo rivolta verso il padiglione e la caudale verso l’utero. La cavità nella quale si trovava racchiuso il prodotto era piut- tosto ampia. L’Amnios che la circoscriveva era intimamente le- gato con il Chorion. Non fu possibile di rinvenire i residui della vescicola ombellicale. La parete della cavità dell’ovo si presentava con caratteri molto diversi dall’ordinario. All’esame, coadiuvato anche da lente d'ingrandimento, non si potevano distinguere particolarità le quali potessero essere riferite alle membrane d’origine fetale o ma- terna. Questa parete innanzi tutto non aveva egual spessore in tutta la sua estensione. Nel punto ove l’ovo fu aperto era più sottile e, come abbiamo già detto, questo punto corrispondeva al mar- gine libero della tuba; la parte più robusta invece era in rap- porto col punto dove si distaccava il legamento largo e raggiun- geva lo spessore di 8 mm. Il colore della sezione era nerastro: alla pressione si dimo- strava friabile; aveva tutto l’aspetto di un coagulo sanguigno, il quale ci mascherava ogni particolarità di struttura, e non era pos- sibile di distinguere il Chorion e le sue villosità. In alcuni tratti però in mezzo al fondo scuro spiccavano alcune piccole isole biancastre che l'esame microscopico ci dimostrerà costituire delle dipendenze del Chorion. La faccia interna del sacco dell’ovo, quella che circoscriveva il liquido amniotico, nella massima parte della sua estensione 68 C. GIACOMINI si presentava d’aspetto leggermente ondulato: per l’esistenza di piccoli. e regolari sollevamenti divisi da superficiali solchi. I sol- levamenti apparivano di colore bluastro, e. corrispondevano a spazi pieni di sangue che il Chorion e l’Amnios limitavano verso la cavità amniotica. La faccia esterna del sacco dell’ovo, regolarmente convessa, era in gran parte libera ed indipendente, contigua con la mu- cosa della parete tubarica. Essa si presentava di un colore gri- giastro come se fosse coperta da una membrana abbastanza ro- busta ed un po’ rugosa nella sua superficie libera, intimameute aderente alle parti sottostanti, la quale aveva l’aspetto di. una membrana mucosa, e si continuava in realtà colla mucosa tu- barica attorno al punto ove l’ovulo aderiva strettamente. colla parete della tuba. Esaminando un po’ attentamente con lente d’ingrandimento questo punto di passaggio, si trova che non solo. vi esiste con- tinuità fra la mucosa e la membrana che riveste il sacco del- l’ovo, ma anche le pliche, così caratteristiche della mucosa tubarica e che sono ancora ben sviluppate e numerose nel nostro esemplare, appariscono anche sulla superficie del sacco dell’ovo, in quel tratto almeno più vicino al punto di sua inserzione. La parte che era fissa alla parete della tuba non era molto estesa, per cui tutto l’ovo godeva di una certa mobilità entro la cavità della tuba. che lo racchiudeva. Questa parte non poteva essere ben studiata che per mezzo di sezioni microscopiche e cor- rispondeva all’ilo della tuba. La dilatazione della tuba che conteneva l’oyo, aveva anche essa le pareti più. sottili verso il margine libero e più robuste verso il margine aderente. La mucosa in tutta la parte che era semplicemente applicata all’ovo, aveva caratteri che ricordavano la condizione normale. Le -pliche erano solo più strettamente applicate fra loro; per la compressione che avevano subito nell’ingrandimento dell’ovo, ma la superficie mucosa non era per nulla, modificata e . non esisteva nessuna formazione che potesse essere. paragonata alla decidua. Già adunque da questo primo esame il nostro preparato pre-. sentava disposizioni speciali le quali meritavano d’essere più at- tentamente studiate. Oltre. all’arresto di sviluppo dell’embrione, si trovano variazioni nella costituzione delle membrane che. cir-: ——_op ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 69 condano l’ovo, principalmente in quelle d'origine materna. Non poteva essere distinta una decidua diretta; la decidua riflessa se poteva considerarsi come rappresentata da quella membrana la quale era aderente alla superficie esterna del sacco, essa si allontanava grandemente, nel suo modo di comportarsi, da quanto si osserva nella ordinarie gravidanze uterine. Le ovaie si presentavano normali: il corpo luteo della gra- vidanza esisteva nell’ovaia dello stesso lato della gravidanza tu- barica. Dopo aver soggiornato ancora per qualche tempo nell’alcool furono studiati microscopicamente diversi punti della tuba e della parete del sacco dell’ovo. Quest'ultimo presentava serie difficoltà, per la sua durezza e friabilità ad essere convenientemente e re- golarmente sezionato in larghi tratti, e le sezioni non riescirono perfettamente colorite. Ciò malgrado i preparati erano adatti a dimostrare le più importanti particolarità di struttura e i rapporti topografici delle diverse parti. Incominciamo lo studio microscopico dell'embrione. Embrione. L’embrione fu sezionato insieme al tratto della parete del sacco dell’ovo sulla quale veniva ad impiantarsi il cordone o me- glio la plica ombellicale, ed in tal modo furono ben precisate le relazioni che essa plica aveva con le membrane d’origine fetale. Queste sezioni sono ancora convenientissime per dimostrare i rapporti intimi che esistono fra le membrane ovariche di ori- gine fetale e quelle di origine materna. La plica ombellicale si continuava con la parete dell’ovo, in un punto in cui questa si presentava libera di aderenze con la tuba, quindi le sezioni comprendono tutto lo spessore della parete del sacco ovarico ; e questo è uno dei più favorevoli per uno studio attento delle diverse parti. Tutto il preparato prima d'essere incluso in paraffina fu colorito in totalità col borace carmino. L'embrione fu compreso in oltre 500 sezioni, lo studio SE quali è di scarsa utilità per il nostro argomento. L’embrione in tutta la sua estensione è invaso da un processo di atrofia, il quale è più avanzato di quello che abbiamo descritto nelle pre- cedenti comunicazioni (Oss. II e III). Tutti gli elementi costi- tutivi sono PRESA alterati, nessuno si trova in condizioni normali. 70 C. GIACOMINI Ciò malgrado essi possono essere ancora distinti riguardo alla loro provenienza. Le dipendenze dell’ectoderma si sono me- glio conservate. Tutta la superficie dell’embrione è limitata da un unico strato di cellule fortemente appiattite con nucleo a ba- stoncino piuttosto colorito, il quale cirappresenta la lamina cornea. In molti punti essa si distacca dalle parti sottostanti ed ap- pare allora sotto forma di un finissimo nastro trasparente sparso regolarmente da nuclei. Il sistema nervoso centrale è ancora distinguibile ma in completa rovina. Gli elementi qui sono più stipati che non nel mesoderma, ed i nuclei più intensamente co- loriti. Anche la corda dorsale in alcuni tratti può essere rico- nosciuta e seguita. L’estremità cefalica è solamente distinta per il maggior vo- lume che assume la parte che rappresenta il sistema nervoso centrale ; del resto non si osservano nessuna delle particolarità così caratteristiche di questa regione. Nè esistono rudimenti di ve- scicole oculari ed uditive; nè si riscontra traccia dell’apparato branchiale. [féh Venendo più caudalmente si notano degli accumuli di cel- lule tutte profondamente guaste, che potrebbero essere interpre- tati per qualcuno dei visceri che vanno svolgendosi dal mesoderma o entoderma, ma uno studio attento di essi non ci condurrebbe ad alcun risultato. Merita però d’essere accennata la mancanza di vasi san- guigni nell’interno dell'embrione, e la nessuna traccia - di rudi- mento cardiaco. Il disturbo nello sviluppo in questo nostro caso, avvenne senza dubbio nel mentre il canale midollare si rendeva indipendente dalla lamina cornea, e nel momento in cui. inco- minciava lo sviluppo del sistema vascolare. Il mancato sviluppo dei vasi sanguigni, tanto nell’ embrione quanto negli annessi fetali, è forse la causa principale delle ano- malie di sviluppo che stiamo studiando, e la condizione in cui si trovava l’ovo lontano dalla sua sede naturale contribuì certo a produrre questo difetto nello sviluppo. Verso l’estremità caudale le sezioni comprendono il funicolo ombellicale. Esso non si origina dalla faccia ventrale dell’embrione, ma dalla sua estremità caudale formando quasi Ja continuazione di essa. Incomincia a comparire la parte embrionale del cordone e questa si presenta dilatata a guisa di imbuto, e gli elementi ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 71 dell'embrione sembrano prolungarsi per un certo tratto entro il funicolo ; segue quindi l'estremità che si continua con le mem- brane e qui appare più ristretto. Nel complesso si presenta ab- bastanza lungo paragonato collo sviluppo dell'embrione e descrive una brusca inflessione come si scorge nella fig. 3°. La sua costituzione è molto semplice. È rivestito alla sua superficie esterna da un unico strato di quei medesimi elementi che rivestono la superficie dell'embrione e che verso le mem- brane si continuano con l’epitelio dell’Amnios. Se non che ac- compagnando queste cellule epiteliali dall’embrione all’Amnios, tutto lungo il cordone, si tien dietro alle modificazioni che esse subiscono per divenire un epitelio normale ed attivo, che è ap- punto quello che riveste la superficie libera dell’Amnios. Le cel- lule si presentano meno appiattite, più avvicinate fra loro, i nu- clei meglio evidenti e rotondeggianti. L'epitelio nel cordone & sostenuto da uno strato più o meno robusto di tessuto connettivo lasso di provenienza mesodermale. Questo tessuto riempie tutto il cordone ombellicale. Nel punto più dilatato in vicinanza dell'embrione la parte centrale è vuota come se lo spazio fosse stato occupato da un liquido, che non ha lasciato residuo. Nella costituzione del cordone manca quindi la parte più essenziale che sappiamo essere formata dai vasi sanguigni, dal canale vitellino e dal canale allantoideo. Non esiste la minima traccia di questi organi, e non possiamo nemmeno dire se tutti si siano realmente sviluppati nel nostro embrione. Quindi l’embrione è legato alle sue membrane da cui deve trarre i materiali per il suo accrescimento solamente per la for- mazione dell’Amnios, la quale non ha alcun significato nutritivo. In ciò sta forse la causa prima di una gran parte di anomalie di sviluppo che avvengono nelle primissime fasi. Ammnios e Chorion. Continuando a studiare la sezione, la quale è rappresentata nella fig. 3*, noi vediamo il modo con cui si presenta costituita la parete del sacco ovolare nel tratto in cui esso non contrae aderenze con la tuba e troviamo che le membrane nei loro rap- porti e nella loro costituzione si avvicinano grandemente a quanto noi sappiamo esistere nelle condizioni normali. Le variazioni sa- ranno rilevate nel descrivere i diversi strati. Intanto se noi par- 72 €. GIACOMINI tendo dalla faccia interna procediamo verso l'esterno, troviamo le seguenti parti: 1° L’Amnios; 2° il Chorion colle sue villosità, poi 3° ampie lacune sanguigne nelle quali sono immerse una parte delle vil- losità choriali ; quindi un 4° strato più o meno esteso di strut- tura un po’ difficile a potersi ben definire, il quale comprende qua e là villosità del Chorion modificate però nella loro costituzione (infarti e stravasi sanguigni): e finalmente un ultimo strato che forma il rivestimento esterno del sacco dell’ovo e che anch’esso è di non facile interpretazione. Diciamo brevemente delle particolarità che presentano gli strati che siamo andati enumerando. L’Ammnios è ben distinto in tutta l’estensione del sacco, la sua costituzione è normale. Esso è strettamente applicato al Cho- rion per modo che non è possibile di stabilire i limiti tra il tes- suto mesodermale appartenente all’una e all’altra membrana. È scomparso completamente lo spazio Amnio- Choriale. Ho fatto spe- ciale attenzione se in questo tessuto si trovassero resti del ca- nale vitellino come furono riscontrati nella Oss. III (vedi Tav. IIJ, fig. 5) ma il risultato fu completamente negativo (Fig. 3%, 1 e 2). Il Chorion forma uno strato sottile che conserva pressochè uguale spessore in tutti i punti in cui fu esaminato. Il suo tes- suto. mesodermale ba l’identica disposizione di quella dell’Amnios e manca completamente di vasi sanguigni. Il suo rivestimento epiteliale ben distinto e ben colorito si presenta diversamente secondo i punti in cui lo esaminiamo. Là dove il Chorion colla sua faccia esterna corrisponde a lacune sanguigne, come in tutta la parte sinistra della fig. 3° l’epitelio si presenta nella sua pienezza di sviluppo. Non solo forma uno strato continuo e regolare, ma in moltissimi punti le cellule epiteliali si raccol- gono in gruppi di quattro, otto ed anche di numero maggiore, i quali sporgono sulla superficie del chorion sotto forma di bot- toni o germogli, che ci rappresentano la prima origine delle vil- losità, siccome venne descritto da diversi autori. Qui adunque il Chorion per la sua costituzione e per i suoi rapporti deve essere considerato come normale. Ma la superficie esterna del Chorion per grande estensione corrisponde a stravasi sanguigni, avvenuti in epoca più o meno lontana oppure a stratificazioni d’aspetto fibrinoso (infarti bianchi) (vedi Festremità destra della fig. 3 4). E mentre in questa loca- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'’EMBRIONE UMANO 73 lità le preparazioni microscopiche sono rese più difficili e meno dimostrative, il Chorion si presenta pure profondamente modifi- cato. Lo strato ectodermale non si mostra più continuo, ma inter- rotto qua e là, gli elementi epiteliali sono alterati nella loro forma e disposizione, il nucleo intensamente colorito non dimo- stra qui nessuna struttura, finchè si arriva in punti in cui il Chorion col suo tessuto mesodermale sembra far corpo con le parti soprastanti senza l’interposizione di un rivestimento epite- liale. Qui senza dubbio ci troviamo in presenza di condizioni morbose le quali furono quelle che cagionarono le alterazioni del Chorion e la scomparsa del suo epitelio. E siccome questi fatti si riscontrano su larghi tratti della superficie dell’ovo, oltre alle alterazioni anatomiche dovevano pro- durre gravi disturbi funzionali. Identiche disposizioni si osservano sulle dipendenze del Chorion, voglio dire sulle sue v/l/osità. Queste, siccome ho già notato, non potevano essere ben scorte macroscopicamente essendo ma- scherate in gran parte dagli infarti, solo erano rese ben mani- feste dalle sezioni microscopiche. Esse sorgevano su tutti i punti del Chorion e pressochè in eguale sviluppo. Alcune ramificate ed altre semplici. Dalla se- zione furono colpite in diverso senso. Esistevano su tutta l’esten- sione del preparato, più numerose vicino al Chorion, ma non mancavano anche vicino alla superficie esterna del sacco dell’ovo. Le une apparivano ancora legate al Chorion; altre invece erano completamente isolate. Questo loro modo di presentarsi e questa distribuzione non si allontanava gran fatto da quanto si osserva ordinariamente. Il Chorion non poteva ancora distinguersi in una porzione liscia ed in una porzione frondosa. . Studiando poi la costituzione delle villosità si trovarono dif- ferenze essenziali paragonando l’une colle altre. Le villosità che sorgendo dal Chorion si spingevano nelle lacune sanguigne erano quelle che si presentarono tipicamente costituite tanto nella loro parte fondamentale, quanto nel loro epitelio di rivestimento (Fig. 5° Vi.). Questo in principal modo merita un cenno speciale. In molte villosità, in quelle principalmente che non avevano incontrato osta- coli nel loro sviluppo, l’epitelio era disposto in un duplice strato in modo che non si potrebbe meglio dimostrare. Lo strato cellulare esterno è più sottile, i nuclei più inten- 74 C. GIACOMINI samente coloriti sono schiacciati perpendicolarmente alla superficie del villo; i limiti cellulari non sono distinti; forma come un orlo che divide il villo dal sangue contenuto nelle lacune senza l’in- terposizione di altri elementi formativi. Il rivestimento interno più delicato, è formato anch’esso da un solo ordine di cellule ben individualizzate, con nuclei volumi- nosi ovali disposti perpendicolarmente alla superficie della vil- losità e meno coloriti. I due strati si dimostrarono indipendenti fra loro ed indi- pendentemente dal tessuto mesoderma!le del villo; poichè in al- cuni punti essi apparivano, per difetto nella preparazione, isolati per una certa estensione. La figura 5° disegnata ad un maggiore ingrandimento, dimostra le cose che siamo andati descrivendo. Essa rappresenta una parte della villosità della fig. ©*, ma in sezioni più inferiori (e-2°). In alcune villosità, comè in quella disegnata nella fig. 3* i due strati cellulari potevano essere seguiti fino al punto in cui esse si impiantavano sul Chorion, ed in allora si scorgeva che era il 2° strato cellulare quello che si continuava con le cellule che rivestivano il Chorion, per cui esso rappresentava la vera parte ectodermale del villo. Lo strato esterno non poteva essere seguito, nè ben dimostrato sul Chorion; l’origine sua deve essere diversa, come pure differente sarà il suo significato. Sono ben note le discussioni che si sono fatte sulla esi- stenza di un secondo strato epiteliare del villo, e sulla interpre- tazione ad esso data dai diversi autori. Perciò che concerne la gravidanza tubarica, questa disposi- zione fu notata non di rado; e recentemente il Gunsser (Ueber einen Fall von Tubarschwangerschaft, ein Beitrag zur Lehre von den Beziehungen zwischen den Chorionzotten und deren Epithel zu dem miitterlichen Gewede. - Centralblatt Allg. Pathologie, 15 marzo 1891) la descrive pure in un caso da lui osservato, facendo provenire lo strato esterao dall’ epitelio della mucosa tubarica alterato. Se nella nostra osservazione il duplice strato epiteliale del villo non può essere messo in dubbio , tanto esso si presenta chiaro ed evidente, non possiamo dir nulla di preciso riguardo alla sua provenienza. Intanto se noi portiamo la nostra attenzione sopra le vil- losità che si trovano incluse in mezzo a coaguli sanguigni o meglio ancora le altre che stanno fra strati di fibrina canaliz- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIUNE UMANO va zata (infarti), noi troviamo che le cose sono di molto modifi- cate. In questi siti i villi si trovano in rapporto con parti le quali non dimostrano alcuna organizzazione, e finiscono anche essi per essere alterati e distrutti. La parte che si risente mag- giormente si è l’epitelio. Esso in molte villosità è completamente scomparso, in altre è in via di distruzione osservandosi solo detriti cellulari alla periferia del villo. In alcuni punti si può quasi tener dietro al processo di distruzione e di scomparsa dell’ epitelio. Così nella fig. 3 in g si trova una villosità la quale in parte fu colpita in senso longitudinale. Ora un tratto di questa villosità si trova compreso in un tessuto in via di disorganizzarsi, e questa è af- fatto spoglia di rivestimento epiteliale, mentre il tratto più cen- trale, sembra sporgere liberamente nell’interno di una lacuna sanguigna e conserva il suo epitelio nel modo sopradescritto. ll punto di passaggio fra l’uno e l’altro tratto si opera in modo abbastanza brusco. Le villosità spoglie del loro epitelio, sono solo ricono- scibili dal loro tessuto mesodermale, il quale sembra non aver risentito così grandi modificazioni, ed esse compaiono e spiccano sotto forma di isole scolorite in mezzo ad un fondo leggermente tinto in rosso. Tutto ciò non si allontanerebbe grandemente da quanto si osserva nella placenta uterina. Ora la scomparsa dell’epitelio delle villosità nelle ‘regioni so- praccennate è diversamente spiegato. Alcuni ammettono che ciò avvenga per compressione della villosità involta dal tessuto deci- duale intervilloso degenerato. Ma se ciò fosse, l’azione meccanica dovrebbe innanzi tutto e maggiormente far sentire la sua azione sul tessuto mesodermale del villo che è più delicato e meno resistente. Invece nei nostri preparati lo stroma del villo non si pre- senta grandemente modificato. Per cui è più razionale di am- mettere che il villo non sia completamente passivo in questo fe- nomeno, ma che esso dipenda piuttosto da una alterazione o trasformazione del suo epitelio. Questa idea sarebbe avvalorata dal fatto che le villosità che ho riscontrato in mezzo a stravasi sanguigni, le quali furono evi- dentemente soggette a forte e prolungata compressione, esse si di- mostravano alterate tanto nel loro epitelio quanto nel loro stroma. Di più in alcune poche villosità si può sorprendere il processo nel mentre si inizia. Si trovano infatti villi che sembrano pres- 76 C. GIACOMINI sochè normali ad un piccolo ingrandimento, solo dimostrano un po’ di irregolarità nel loro epitelio di rivestimento. Ma atten- tamente esaminando con mezzi più adatti si trova che il villo incomincia ad essere circondato da depositi fibrinosi, i quali al- terano l’epitelio, senza che questo abbia a subire pressioni dal- l'esterno. Si hanno immagini le quali ricordano le figure date da alcuni autori, e in special modo da M:inot nel suo interes- sante lavoro Uterus and Embryo. In tutte le villosità, sotto qualunque forma esse si presen- tassero, mancavano completamente i vasi sanguigni. Se si fa astrazione da quest’ultima circostanza, la quale è in rapporto. col modo di presentarsi dell’ embrione, nel resto il Chorion ha disposizioni identiche a quelle che furono trovate nelle gravidanze uterine. Subito al di fuori del Chorion ed in molti punti della super- ficie del sacco ovolare, si trovano lacune sanguigne abbastanza ampie, nelle quali il sangue doveva liberamente circolare. Si è in corrispondenza di questi punti che il Chorion si presenta nelle migliori condizioni fisiologiche (Fig. 5%, 4). Ho cercato invano l’esistenza di una parete propria endote- liale che limitasse questi spazi lacunari sia verso la superficie del Chorion e delle sue provenienze, sia verso l'esterno. Le villosità immerss in queste lacune, erano bagnate direttamente dal sangue, senza l’iuterposizione di alcun rivestimento, che non fosse quello che abbiamo veduto appartenere al villo. Le lacune sanguigne così disposte prendevano una parte non troppo grande alla formazione del sacco dell’ovo. La parte mag- giore era costituita da stravasi sanguigni che erano generalmente sparsi e formavano il grande spessore della parete, e dei così detti infarti bianchi, o punti necrotici che rappresentano parti degene- rati della decidua, e che trovandosi frequentemente nelle ordi- narie placente non è ancora ben stabilito se debbono conside- rarsi come disposizioni normali o di natura patologica. In ogni caso però la funzionalità del villo è completamente abolita nè è possibile che essa venga ristabilita. Di queste for- mazioni basterà il sopradetto, non potendo dal nostro caso trarre maggiori schiarimenti. Completiamo lo studio del sacco ovarico dicendo della sua superficie esterna. Già all’ esame microscopico abbiamo notato ANOMALIE DI $VILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO DI come tutta la superficie libera dell’ovo apparisse rivestita da una membrana, la quale nel punto d’inserzione alla tuba, sembrava continuarsi con la mucosa tubarica. L'esame delle sezioni con- ferma pienamente questo trovato. Tutta la superficie esterna del sacco dell’ovo è rivestita da un solo strato di cellule fortemente colorite, disposte a guisa di un epitelio. Malgrado gli elementi non siano normalmente costituiti, ciò nondimeno sì può benis- simo scorgere come essi siano di forma cilindrica e disposti per- pendicolarmente alla superficie che rivestono. Con maggiori o minori modificazioni questo strato fu riscontrato in tutti i punti della capsula dell’ovo in cui essa fu esaminata (Fig. 8*, 7). Serviva di sostegno a queste cellule epiteliari uno strato robusto di tessuto connettivo abbastanza compatto, di aspetto fibrillare, nel quale, oltre ai soliti elementi si trovavano cellule rotonde in discreta quantità, ed altre fusiformi con nucleo molto al- lungato, le quali più che al tessuto connettivo sembravano ap- partenere al muscolare liscio. Non esistevano vasi sanguigni, e non si trovarono elementi che potessero essere paragonati alle cellule deciduali (6). Colla sua faccia interna andava insensibilmente confonden- dosi con le altre formazioni del sacco ed in specie con gli in- farti bianchi o. necrotici. Epitelio e strato connettivo nel loro complesso formavano adunque una specie di membrana la quale poteva considerarsi come una continuazione e modificazione della mucosa tubarica, Gli studi di confronto appoggiano questa idea, e volendo però meglio accertarmi di questa circostanza che non è certo priva d’ interesse per il nostro argomento, ho fatto sezioni in corrispondenza del punto in cui l’ ovolo prendeva inserzione sulla tuba, e nella profondità del solco che esiste fra l'uno e l'altra, non si scorge nessuna interruzione fra la mucosa tuba- rica, quì già sensibilmente modificata, e la membrana che ri- veste l’ovo: anzi sul primo tratto di questa si notano delle gracili ma vere pliche che distinguono in sommo grado la mu- cosa della tuba. Adunque resterebbe ben stabilito che la superficie esterna dell’ovo anzichè da una formazione deciduale (riflessa) sarebbe rivestita da tutti gli elementi della. mucosa tubarica, d’ al- quavto modificati per adattarsi all’ ingrandimento che subiva l’ovo. Se tutto ciò risulta chiaro dall’esame dei nostri prepa- 78 C. GIACOMINI rati, non è però di facile spiegazione. Non è infatti facile a comprendere il modo con cui si è formato questo rivestimento più esterno della superficie dell’ovo. L’ipotesi la più accettabile, la più razionale, sarebbe quella di supporre che l’ovolo al suo principio si sia annidato nello spazio circoscritto da due pliche «della mucosa tubarica. La parte che guardava il. fondo di questo spazio assumeva delle aderenze strette colla parete della tuba, e da quì come ve- dremo, traeva in principal modo, i materiali per il suo acere- scimento; nel resto della sua superficie esso veniva abbracciato dalle pliche della mucosa, le quali lo rivestivano in tutta la sua estensione, si confondevano e compartecipavano alla formazione - delle membrane. Adottando quest’ipotesi, rigorosamente parlando, non esiste- rebbe superficie libera dell’ovo; ciò che noi abbiamo considerato come tale, non sarebbe che la faccia esterna delle pliche entro le quali si svolgeva l’ ovo. La faccia esterna delle pliche mal- grado le modificazioni subite per il distendimento e forse anche per disturbi di nutrizione, ha conservato però sempre i carat- teri della mucosa tubarica, mentre la faccia interna delle pliche, quella che si trovava in rapporto diretto dell’ovo si è trasfor-. mata in decidua e sì è messa in rapporto intimo con le villo- sità del Chorion, el ha dato origine a gran parte delle partico- larità che abbiamo veduto costituire la parete del sacco ovolare. Questa interpretazione è anche in armonia con quanto sì osserva sulla tuba nel punto in cui essa è dilatata dal prodotto del concepimento e che studieremo a momenti. Stando le cose in questi termini, si vede già da questo fatto come le condizioni in cui si sviluppa l'ovulo nella tuba siano un po’ diverse da quelle dell'utero; e se il processo può consi- derarsi come identico nella sua parte fondamentale, esso varia però grandemente nella esecuzione; e come non sia sempre possibile di poter fare confronti per trarre deduzioni o rischiarimenti. La possibilità che l’ovo fecondato resti compreso fra due pliche della mucosa tubarica era già stata accennata da Leopold (1) (1) Tubenschwangerschaft mit dusserer Ueberwanderung des Eies und consecutiver Hamatocele retrouterin. Dott. GenHaRD Leopold. Archiv jùr Gy- nàh:logie . Vol. 10. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 79 fin dal 1877 e più recentemente da X/e:n (1) (1890); ed era stata messa avanti questa ipotesi in special modo per dar spie- gazione di alcune osservazioni le quali sembravano contradire a quanto era generalmente ammesso sul modo di comportarsi delle membrane materne nella gravidanza tubarica. La maggioranza degli autori antichi e recenti sono infatti d'accordo nel considerare come carattere distintivo della gravi- danza tubarica, la mancanza di una decidua riflessa. Ora il Wert (2), il Wenckel (2) ed il Frommel (4) hanno riferito casi nei quali è descritta e figurata una decidua riflessa. Ma nè la descrizione nè il disegno furono sufficienti a produrre nell’animo di tutti il convincimento che si tratti qui Ci una vera formazione deciduale; e lasciano aperto il campo ad altre interpretazioni. Il nostro trovato sarebbe più dimostrativo sopra questo pro- posito , poichè realmente su tutta la superficie dell’ ovo esiste una membrana d’origine materna, la quale non solo partecipa alla costituzione della parete del sacco, ma di certo ha som- ministrato anche materiali alle formazioni che si trovano situate sotto di essa. E forse alcuno potrebbe andare tant’oltre da. ri. conoscere nello strato esterno dell’ epitelio della villosità, una provenienza dell’ epitelio che rivestiva la faccia ovolare delle pliche della mucosa tubarica nel mentre esse si adattavano all’ovo che andava ingrandendo. Ma facendo astrazione da tutto ciò, che non può essere in alcun modo dimostrato, resta sempre la domanda se questo rivestimento materno costituisca una vera decidua riflessa nello stretto senso della parola, vale a dire quale noi la riscontriamo nell’utero. Non crediamo che ciò sia. Già il Leopold scriveva : Possono nei primi tempi le pliche minime della mucosa della : tuba coprire l’ovo fecondato formando per così dire una riflessa subitanea: più in là però non esisterà una vera riflessa nè si formerà nel senso della riflessa uterina mediante prolifeazione. della decidua vera. Un appoggio a questo nostro modo di vedere (1) Zur Anatomie der schwangeren Tube, von Gustav KLEIN. Zettschrift fur Geburtshùlfe und Gyndakologie. XX Band, 2 Heft, pag. 288. (2) ScHRoEDER, Lehrbuch der Geburtshiilfe. - Elfte Auflage. Bonn 1891; edizione fatta da ALsHAaUsEN e WeEIT. (3) Wincget, Lekrbuch der Geburtshùlfe. Leipsig 1889. (4) Zur Therapie und Anatomie der Tubenschwangerschaft; prof, Richard FromMeL. Deutsches Archiv fur Klinische Medicin. Leipsig, 1888, Band 42, 80 C; GIACOMINI lo avremo studiando più avanti le condizioni in cui si trova la mucosa della tuba che non è in diretto rapporto con l’ovo. Un ovolo che si sviluppa in queste condizioni presenta delle strette affinità con quanto si osserva in molti mammiferi dove manca una decidua riflessa ed il prodotto resta subito circon- dato dalle pareti uterine. Ben inteso che tutto quanto siamo andati dicendo, si applica al caso nostro speciale e non può essere generalizzato a tutte le gravidanze tubariche, le quali presentano forse troppe varietà per essere ricondotte ad unità di tipo. Vediamo ora le condizioni in cui si trovavano le due tube di Falloppio, che furono attentamente esaminate. Furono fatte sezioni trasversali complete della tuba del lato non gravido in vicinanza al punto in cui essa fu divisa dall’utero: — e: della tuba del lato gravido verso la sua estremità uterina dove non esisteva le gravidanza; — fu esaminata in diversi punti la parete della tuba là dove si presentava distesa, libera e abbracciava il prodotto del concepimento; e finalmente furono fatti preparati della tuba nella località in cui aderiva 1’ ovo, comprendendo nelle sezioni anche parte delle pareti di questo. La tuba del lato opposto alla gravidanza si presentava in condizioni perfettamente normali, sia per rispetto al modo con cui si comportavano le ricche pieghe della mucosa, come per la conservazione del suo epitelio cilindrico-vibratile. Questi prepa- rati erano preziosi come termini di confronto. La tuba del lato destro non partecipava per nulla ai feno- meni che si svolgevano nel lato opposto. Ciò si accorda com- pletamente con le osservazioni che vennero fatte durante la gravi- danza ordinaria, essendosi le tube dimostrate indifferenti. Le sezioni della tuba gravida fatte pressochè nello stesso punto dove fu esaminata la destra, vale a dire in vicinanza del punto dove il chirurgo praticò l’ incisione, mostravano alcune differenze. Queste consistevano in un maggior spessore delle pa- reti dovuto ad un aumento della tonaca muscolare tanto rello strato longitudinale che circolare. Il lume del canale si presentava più ristretto e la disposi zione delle pliche della mucosa men ricca e complicata: si poteva dire che le pliche raggiungevano il massimo di complicazione nella tuba non gravida e il massimo di semplicità nella gravida. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 81 L'epitelio di rivestimento della mucosa era però normale. I vasi sanguigni erano più voluminosi e più numerosi nelle pareti della tuba gravida. Non ho riscontrato alterazioni della mucosa tubarica le quali potessero essere considerate come elemento ezio- logico della gravidanza. Là dove la tuba era dilatata per la gravidanza, essa aveva le pareti diversamente sviluppate. Queste si comportavano come le pareti del sacco ovolare, raggiungevano grande sottigliezza verso il margine libero ed andavano ingrossando quanto più si procedeva verso l’inserzione peritoneale. Verso il margine libero della tuba tutto era disposto per una rottura delle pareti, la quale non sarebbe tardata ad avvenire senza l’intervento oppor- tuno del chirurgo. All’esame microscopico la mucosa si presenta con caratteri pressochè normali, vale a dire che da essa sorgevano pliche, le quali si comportavano come d’ordinario; se esse apparivano più distanti fra loro, meno numerose e più delicate, ciò era senza dubbio dovuto al forte distendimento che ha provato la mucosa per adattarsi all’accrescimento dell’ovo (Fig. 4 T.). Il corpo della mucosa e delle pliche era ricco di cellule giovani. Scarsi. e poco sviluppati erano i vasi sanguigni. Nello spessore delle pliche erano però meglio evidenti che non nello strato normale. Tutta la superficie della mucosa e delle pliche era rivestita da un unico strato di cellule cilindriche vibratili. L’epitelio man- cava in nessun puoto. Volendo essere rigorosi, si potrebbe dire che esso era un po’ meno regolarmente disposto, meno alto, con nucleo più intensamente colorito: e ciò si scorgeva non in corri- spondenza delle parti che erano più esposte alla pressione, come all'estremità delle pliche, ma in special modo nella profondità dei seni e di quei spazi che stavano alla base delle pliche. Non in tutti i punti era possibile di scorgere bene e distintamente le ciglia vibratili. E ciò deve essere attribuito in parte al metodo di conservazione, ai depositi granulari che esistevano alla super- ficie della mucosa, e che disturbavano l’osservazione, ed un po’ anche allo spessore delle sezioni. Qualunque siano per essere queste variazioni delle cellule epiteliali, il fatto essenziale a notarsi si è che l’ epitelio era presente in tutta l’ estenzione della. mucosa, e non solo accen- nava a scomparire, ma non era grandemente modificato dalla presenza dell’ovo. Atti R. Accad, - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXVII, 6 82 C. GIACOMINI Forse. se la gravidanza avesse progredito, modificazioni più essenziali sarebbero avvenute più tardi, ma intanto le cose si presentavano in modo da non lasciar quasi sospettare dei feno- meni che si andavano svolgendo nella cavità della tuba. Questa osservazione non sarebbe quindi d’accordo con quanto sarebbe stato trovato da altri autori, i quali non solo dicono che l’epitelio cade completamente ma che si forma dalla mucosa una vera decidua. Il Langhans (1) che fu uno dei primi a ben studiare la gravidanza tubarica scrive: « Su tutta la faccia in- terna della parte allargata della tuba si forma mediante pro- lificazioni della mucosa una membrana simile alla decidua molto iniettata e che presenta un aspetto retiforme. » i Ed il Klein (loc. cit.) che più recentemente ha descritto un caso di gravidanza della tuba dice: Nella parte gravida l’epitelio tubarico scompare quasi completamente, più tardi proprio com- pletamente. In ciò sono d’accordo tutti i ricercatori. La nostra osservazione sarebbe anche non conforme a quanto venne generalmente riscontrato nell'utero gravido. Mentre nel- l'utero della donna e di animali sì trovano già essenziali modi- ficazioni nella sua mucosa prima che l’ovo vi giunga, e queste modificazioni persistono e si esagerano anche quando l’ovulo si è fermato e si sviluppa in altro punto delle vie genitali, nel nostro caso invece la mucosa della tuba pare quasi non accor- gersi della presenza di un ovo che ha già raggiunto un certo volume; e le poche particolarità riscontrate possono avere una spiegazione meccanica. Nel punto in cui l’ ovo aderiva alla tuba, non solo l’ epi- telio ma tutta la mucosa era completamente scomparsa. Solo alla periferia persisterano degli spazi più o meno regolarmente circolari, . rivestiti da epitelio cilindrico in via di distruzione i quali corrispondevano alla base delle pliche mucose. Al posto della membrana mucosa si trovava una vera for- mazione deciduale, la quale in alcuni tratti risultava quasi esclusivamente costituita dai soliti elementi cospicui, nucleati , di forma poligonale, disposti in diversi strati o riuniti in cu- muli. La parete del sacco dell’ovo mancava del rivestimento più esterno che abbiamo caratterizzato come mucosa, e si confon- (1) Coxrap und LangHans, Tubarschwangerschaft Ueberwanderung des Eies. Archiv fiir Gynokologîe, Bd. 1X, 1876. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 83 deva nel resto colla tuba, per modo che se la sezione non cor- rispondeva ai margini del punto aderente, non era possibile di distinguere i limiti fra le due formazioni. Le villosità del Chorion potevano essere seguite fin contro le pareti della tuba, e le loro estremità si vedevano mettersi in rapporto od essere circondate dalla formazione deciduale. Nello spessore della tonaca musco- lare si notavano cospicui vasi sanguigni pieni di sangue, alcuni molto dilatati e ridotti al loro rivestimento endoteliale. Non ho potuto ben riconoscere il rapporto tra questi vasi sanguigni e le lacune riscontrate nelle pareti del sacco, malgrado essi fos- sero i portatori di sangue alle pareti del sacco ovolare. In questo punto i preparati microscopici riescivano di più difficile esecuzione per il forte stravaso di sangue. Abbiamo creduto meritevole di uno studio speciale, l’osser- vazione sopradescritta. 1° Perchè la tuba ed il sacco dell'ovo erano ancora in- tatti quando essi furono esportati dalla cavità addominale. Nella grande maggioranza dei casi di gravidanze tubariche, la rottura avviene molto tempo prima che il chirurgo intervenga e quindi molti particolari non possono essere ben precisati. 2° Per l’esistenza dell'embrione: generalmente esso manca o perchè fu assorbito o perchè andò perduto e quindi rara- mente furono ben studiati i suoi rapporti colle membrane che circondano l’'ovo. 3' Perchè l embrione era in uno stato atrofico. Nelle gravidanze tubariche, molto più frequentemente che non in quelle uterine si riscontrano arresti o disturbi di sviluppo del- l'embrione. Ciò evidentemente avviene perchè la formazione de- ciduale che ha scopo eminentemente nutritivo, nella tuba si or- ganizza più tardivamente, è più lenta nella sua evoluzione e non comprende tutta l’ estensione della mucosa tubarica ove si è formato l'ovo. Anche nelle forme abortive che non raramente si osservano nell’utero, la spiegazione dovrà essere cercata in parte nel modo con cui si forma la decidua e nella sua costituzione la quale è meno adatta ad elaborare i materiali che devono servire al nuovo individuo che sta svolgendosi. 4° Perchè tutte le membrane ovulari d’ origine fetale e materna furono studiate nel loro mutuo rapporto e nelle mi- gliori condizioni di conservazione; e mentre le prime erano ben .84 GC. GIACOMINI distinte e con disposizione pressochè normale, quelle d’origine ‘materna erano grandemente modificate. 5° Per essere il sacco dell’ovo, nella massima sua esten- sione indipendente dalle pareti della tuba, e per il rivestimento che esso presenta in tutta la parte libera, il quale per la sua costituzione ricorda la mucosa tubarica. 6° E finalmente perchè la mucosa della tuba in tutto il tratto che non da inserzione all’ovo, si presenta ben poco mo- ‘dificata nella sua costituzione. Dalla frequenza con cui si presenta la gravidanza tubarica nella specie nostra, si potrebbe dedurre che non fosse cosa troppo difficile l’ottenerla sperimentalmente negli animali. Io ho fatto ri- petuti tentativi sulla coniglia senza mai riuscire ad alcun risultato. Per raggiungere questo scopo io legava il corno uterino di un lato o di ambedue i lati, in molta vicinanza del punto in cui. esso si continuava nell’ovidotto. La legatura veniva praticata generalmente al 3° giorno dopo il coito, prima vale a dire che gli ovuli fossero emigrati nell’utero. ll processo operativo fu già da me descritto in altro lavoro (1). Io cercava con questa le- gatura di impedire che gli ovoli giungessero nell’utero, sperava che essi si fermassero nella tuba e quivi si sviluppassero. Pri- mitivamente queste esperienze erano fatte per disturbare il nor- male sviluppo delle vescicule, più tardi furono continuate coll’ in- tento di produrre gravidanze estrauterine. Ma le mie speranze furono deluse. Nelle trenta esperienze che fino ad ora ho fatte, mai ottenni una gravidanza tubarica. Si ebbe uno sviluppo delle vescicole, quando tra la legatura e l’ovidotto esisteva un tratto d’utero più o meno esteso, ma allora la gravidanza avveniva sempre nell’utero. Talora si incontrava una leggera dilatazione contenente un liquido senza parti formative sopra la legatura, ma in codesti casi esisteva nessuna modificazione la quale si allon- tanasse dalle condizioni ordinarie. (1) Teratogenia sperimentale dei mammiferi. Torino 1889, GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione umano Ù Reti è 5) DETTI Lit Salussolia - Torano Atti R.Accad.delle Se.di Torino - Yo/ AX] Fig. 2. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL EMBRIONE UMANO. 85 SPIEGAZIONE: DELLE FIGURE della Tav. IV. Fic. 1% Tuba aperta nel punto in cui conteneva il sacco del- l’ovo pure aperto. 0v, Ova. P, Padiglione della tuba. 7, Pareti della tuba. 9, Sacco dell’ovo. £, Em- brione. Il tutto disegnato a grandezza naturale. » 2% Dimostra il rapporto dell'embrione colle pareti del sacco dell’ovo (a piccolo ingrandimento). E, Embrione. C, Peduncolo che univa l'estremità caudale dell'embrione colle membrane. A, plica amniotica che rappresentava il funicolo ombellicale. » 8% Sezione fatta attraverso l’estremità caudale dell'embrione, il funicolo ombellicale e le pareti del sacco dell’ovo. E, Embrione nella sua estremità caudale: tutti gli organi sono profondamente alterati. P/, Plica amnio- tica che lega l'embrione alle membrane MM, che for- mano la parete del sacco. Questa risulta costituita: 1° Epitelio dell’Amnios. 2° Tessuto mesodermale dell’Amnios e del Chorion fuso senza limiti. 3° Epi- telio del Chorion. 4° Lacune sanguigne. 5° Infarti fibrinosi. 6° Membrana che riveste la superficie esterna del sacco dell’ovo. 7° Epitelio di questa membrana. Vi, Villosità del Chorion inmerse nelle lacune san- guigne; g. Villosità la quale in parte è circondata dall’infarto ed in parte sporge nell'interno di una lacuna sanguigna. H7, Punto in cui il Chorion colla sua superficie esterna corrisponde all’infarto. » 4% Sezione della parete della tuba fatta in corrispondenza del punto in cui fu sezionata la parete del sacco. K. Piega della mucosa. Y, Mucosa della tuba leg- germente inspessita, ma rivestita in tutta la sua esten- sione da epitelio cilindrico. X, Tonaca muscolare. >» 5? Villosità della figura 3° (ma corrispondente a sezioni più inferiori) disegnata ad un maggiore ingrandimento per dimostrare il doppio strato epiteliare che riveste la sua superficie. e, Strato esterno. 7%, Strato interno. 4, Tessuto mesodermale del villo privo di vasi sanguigni. 86 G. ERRERA E -G. BALDRACCO Studi sull’acido parametilidratropico di G. ERRERA e G. BALDRACCO L'acido parametilidratropico CH. ea e la aldeide corrispondente, come risulta dalla formula di strut- tura, contengono un atomo di carbonio assimmetrico, apparten- gono quindi a quella categoria di composti pei quali si può prevedere la esistenza di due varietà attive e di una inattiva per compensazione extramolecolare. Lo sdoppiamento dei prodotti sintetici avrebbe un certo inte- resse, poichè costituirebbe una prova diretta che la formula di struttura attribuita loro da Miller e Rohde (*) e da uno di noi (**), è esatta; interesse che però è di molto diminuito dacchè Wid- mann (***) dimostrò nel cimene, dal quale i due suddetti composti provengono per ossidazione, la presenza dell’isopropile. I tentativi da noi fatti in questo senso, riuscirono però a risultati assolutamente negativi. Esperimentammo la azione degli organismi, tanto sull’acido, quanto sull’aldeide. Il liquido nutriente conteneva per ogni litro d’acqua distillata e sterilizzata, grammi 1,25 d’un miscuglio di sali, fatto nelle proporzioni seguenti: Fosfato di potassio . . . . . . . parti 50 Solfato di magnesio. . . . . . BI 548 Gloruro' di healcioi Wi Ni. tinti » 2 (*) Berichte der deutschen chem. Gesell. XXIII, 1075. (*#*) ErRERA, Gazzetta chim., 1891, I, 76. \***) Berichte der deulschen chem. Gesell, XXIV, 439, STUDI SULL'ACIDO PARAMETILIDRATROPICU 87 Vi sì aggiunsero pochi grammi dell’acido, poi alcune goccie di ammoniaca, in modo che il liquido conservasse però sempre reazione acida, quindi si seminarono alcune spore di penzezllium glaucum. La stessa esperienza fu fatta direttamente sulla aldeide, sopprimendo in questo caso la aggiunta di ammoniaca, ed aci - dificando invece il liquido con una goccia d’acido fosforico. I palloni vennero chiusi con un semplice tappo di cotone ed ab- bandonati a temperatura ordinaria (giugno). Nemmeno dopo un mese era comparsa la minima traccia di vegetazione, Nè migliori risultati diede la trasformazione dell’acido in un sale di base attiva. Si mescolarono quantità equimolecolari di chinina e dell'acido in soluzione alcoolica; per evaporazione del solvente si separò il sale sotto forma d'un liquido denso, vischioso, che ben presto solidificò interamente in una massa cristallina. Questa fu cristallizzata frazionatamente da un miscuglio d’acqua e d'alcool e si ottennero così parecchie porzioni identiche nel- l'aspetto, costituite da. bellissimi aghi setacei raggruppati in mam- melloni, solubilissimi nell’alcool, insolubili nell’acqua e fondenti tutti entro limiti ristretti di temperatura, cioè da 112°-116°. L'acido fu isolato separatamente dalle diverse porzioni, ma mon; si potè constatare in esso mediante un polaristrobometro Wild, la benchè minima traccia di potere rotatorio. Bischoff (*) nei suoi numerosi ‘e vani tentativi di sdoppia- mento di acidi succinici sostituiti, che presumibilmente dovreb- bero risultare dalla unione equimolecolare di due composti inver- samente attivi, fa osservare che gli acidi finora sdoppiati sono, soltanto quelli the accanto al carbossile, contengono direttamente od indirettamente legato all’atomo di carbonio assimmetrico, un ossidrile (come negli acidi racemico, mandelico, lattico, tropico, ecc.) od un gruppo amidico (come negli acidi aspartico, glutàmico, ecc.). L'acido da noi studiato non cade nè nell’una nè nell’altra di queste categorie, conferma quindi la osservazione di Bischoff. Se però sta il fatto, non ci sentiamo di. associarci,. almeno completamente, alla interpretazione che ne dà Bischoff. Egli dice: Se il potere rotatorio dipende dalla differenza specifica dei gruppi legati all’atomo di carbonio assimmetrico, è chiaro che, ad esempio, nella combinazione £ H.OH.COOH ——_+i.____- (*) Berichie der deutschen chem. Gesell. XXIV, 1069, 88 G. ERRERA E G., BALDRACCO questa differenza sarà più considerevole che nella H.. CH, 690H:. Per la stessa ragione quindi per la quale è da prevedere negli acidi dietilsuccinici un potere rotatorio inferiore a. quello degli acidi tartrici, sarà minore anche la differenza di solubilità tra i sali con una stessa base attiva dei primi acidi, che non tra quelli dei secondi, e quindi la separazione riuscirà molto più difficile mediante la cristallizzaziona frazionata, o in generale non sì potrà raggiungere coi metodi attualmente conosciuti. Ora noi faremo osservare che, come risulta dalle esperienze di Bischoff stesso e di Le Bel, le spore del penicillium frutti- ficano bene, tanto negli acidi monometil e monoetilsuccinico, quanto nel metiletilcarbincarbinolo e nel metilpropilcarbinolo, e tra 1 gruppi H.CH,. CH, C00H. COOH H.C,H,. CH,C00H. COOH dei due primi composti che non si sdoppiarono, non v'ha certo. minore differenza che tra quelli Wen; CH NOHy0 n Je della eis ingpgg OS delle sostanze per le quali lo sdoppiamento riuscì. Acido metadinitroparametilidratropico. CH, (4) C, mf (NO), (2.6) ovvero (3.5) CH. CH Ù 1 Sc O00H (1) L'acido parametilidratropico si discioglie nell’acido nitrico. (densità 1,52) raffreddato con acqua, senza che si sviluppino quasi assolutamente vapori mitrosi. Aggiungendo acqua, il nitro- STUDI SULL'ACIDO PARAMETILIDRATROPICO 89 derivato si separa, talvolta addirittura solido in fiocchi giallo- chiari, talvolta sotto forma d’un liquido che però solidifica quasi subito. La sostanza così ottenuta, compressa tra carta bibula per liberarla dal poco olio che contiene, si cristallizza disciogliendola in una piccola quantità di benzina bollente, nella quale è assai solubile, e mescolando poco a poco al liquido così ottenuto del- l’etere di petrolio, pure caldo (p. e. 80°-110°). L'aggiunta del- l'etere proluce un intorbidamento che scompare coll’agitare del liquido; quando lo scomparire del precipitato, che dapprima è assai rapido, si fa più lento, si tralascia di aggiungere l’etere di petrolio e si lascia raffreddare. Il nitroderivato si separa allora sotto forma di grossi cristalli aciculari raggruppati a stella, di color giallo-paglierino, fondenti a 122°-123°, Una determinazione d’azoto diede i risultati seguenti: Da gr. 0,5227 dell’acido si svolsero cme. 53 di azoto alla temperatura di 23° ed alla pressione ridotta a zero di 743,3 mm. E su cento parti trovato calcolato per Co H, N, 0; N 11,15 11,02 L'acido dinitroparametilidratropico è molto solubile nella ben- zina e nell’alcool, quasi niente negli eteri di petrolio : si discioglie un po’ nell’acqua bollente dalla quale, cristallizza in aghi per raffreddamento. Riscaldato al disopra del punto di fusione de- flagra, e perciò non se ns fece la combustione; affinchè la ana- lisi dell'azoto proceda regolarmente è necessario che il miscuglio della sostanza coll’ossido di rame, ambedue ben polverizzati, sia molto intimo; in caso contrario la decomposizione avviene troppo rapidamente. Alla luce l’acido si colora in bruno. Il sale di bario, pure di color giallo-chiaro, si deposita sotto forma di croste cristalline dalle soluzioni acquose molto concen- trate; è assai solubile nell'acqua. L'analisi diede i risultati se- guenti : I. Grammi 1,3725 del sale riscaldati per più ore a 125° perdettero gr. 0,0722 d’acqua, quindi fornirono per precipita- zione con cloruro di bario gr. 0,4425 di solfato di bario. 90 G. ERRERA E G. BALDRACCO II. Grammi 2,5471 del sale tenuti per alcune ore a 160° perdettero gr. 0,1346 d’acqua e diedero quindi gr. 0,8312 di solfato di bario. E su cento parti: trovato calcolato per 1 In. (Co H,N0,); Ba+4H,0 Hj,04:526/5 06:28 _ 10,07 Ba 18,96 19719 19,16 Da queste due analisi pare si debba concludere che il sale contenga realmente quattro molecole d’acqua, ma che due di esse si eliminino al disotto di 160°, le altre due al disopra. La per- dita infatti dovuta a due molecole d'acqua sarebbe in teoria di 5,03 °/,; valore molto vicino a quello dato dalla esperienza. Non abbiamo spinto più oltre la temperatura per non correre il pe- ricolo di decomporre il sale, del quale avevamo a nostra dispo- sizione piccola quantità, e che ci doveva servire per le ulteriori ricerche. L’etere metilico dell’acido dinitroparametilidratropico si pre- para col noto metodo, saturando cioè d’acido cloridrico una so- luzione dell’acido nell’alcool metilico. È un liquido denso, che solidifica. in un miscuglio frigorifero di sale e ghiaccio, ma ri- diventa liquido appena ne venga estratto; non fu analizzato. Non abbiamo cercato di indagare se il composto descritto sia l’unico prodotto di nitrazione dell’acido parametilidratropico, .0 se la poca parte liquida che lo. accompagna sia un isomero; poichè, essendo partiti da un acido non perfettamente puro, c’era il dubbio che la suddetta parte liquida potesse provenire dalle impurità contenute nel composto originale. Acido metadiamidoparametilidratropico. CH, (4) H,C, = (NH), (2.6) ovvero (3.5) \onc 0 (1) COOH STUDI SULL’ACIDO PARAMETILIDRATROPICO 91 L’acido metadinitroparametilidratropico viene ridotto molto facilmente dall’idrogeno solforato; basta nella sua soluzione am- moniacale far passare una corrente del gas fino a saturazione, quindi riscaldare per decomporre il solfuro d’ammonio; lo zolfo che si separa corrisponde esattamente alla quantità impiegata dell’acido. Se il sale di ammonio dell’amidoacido così ottenuto si aci- difica con acido acetico diluito in lieve eccesso, l’acido si separa sotto forma di fiocchi grigi, quasi insolubili nei solventi neutri ordinarî (acqua, alcool, etere, benzina, etere di petrolio, acetone, cloroformio), molto solubili invece, tanto negli acidi minerali, quanto nelle basi, poichè si formano i sali corrispondenti. L'acido acetico diluito non lo discioglie, il concentrato sì, e una ulte- riore aggiunta d’acqua non produce più alcun precipitato. Non fu analizzato per le difficoltà incontrate nel purificarlo. Metadiamidoparametiletilbenzina. CH, (4) di (NH), (2.6) ovvero (3.5) ‘CH. (1) Questa base fu ottenuta distillando a secco con un eccesso di barite, il sale di bario dell’acido sopradescritto; del resto per prepararla è inutile isolare l’acido. Avvenuta la riduzione del nitroacido, dopo decomposto il solfuro di ammonio ed allontanato lo zolfo, alla soluzione ammoniacale dell’amidoacido si aggiunge idrato di bario, finchè dal liquido tenuto in ebollizione non si svolga più ammoniaca. Portando quindi a secco a bagno-maria, si ottiene come residuo una massa costituita dal sale di bario dell’amidoacido e da un po’ di carbonato di bario; la si mescola intimamente col doppio del suo peso di barite e si distilla quindi a fuoco nudo. Si raccolgono nel recipiente collettore, insieme ad acqua, delle goccie oleose che ben presto solidificano completamente cristal- lizzando, e sono costituite dalla base. Il composto si purifica cri- stallizzandolo dall'acqua, nella quale è abbastanza solubile; si separa per raffreddamento della soluzione sotto forma di lamine 92 G. ERRERA E G. BALDRACCO rombiche sottili, incolore, che però alla luce si abbrunano leg- germente, fondono a 71°-72°. Una determinazione d’azoto diede i risultati seguenti: Grammi 0,1456 della base fornirono cme, 24 di azoto alla tem- peratura di 22° ed alla pressione ridotta a zero di 740,5 mm. E su cento parti: trovato calcolato per C, H, N N 18,37 18,67 La base bolle verso 300°, è molto solubile nell’alcool, dalla sua soluzione acquosa viene precipitata per aggiunta di idrato sodico, o potassico. Il cloridrato, il solfato, l’ossalato si disciol- gono molto nell’acqua. In quanto alla sua struttura sono possibili le quattro se- guenti formule: CH, CH, CH, CH; NH, NH, H,N NH, NH, H,N H,N NH, Col, CoH; Col; CH; Secondo la prima formula si tratterebbe d’una ortodiamina, giusta la seconda d’una paradiamina, giusta le due ultime d’una metadiamina. Per decidere a quale di queste categorie appar- tenga la base da noi ottenuta, abbiamo ricorso alle reazioni ca- ratteristiche. La base disciolta in poco alcool non dà per ebollizione in- sieme ad una goccia di una soluzione acetica, concentrata, calda di fenantrenchinone, alcun precipitato: ora in questa condizione le ortodiamine danno, secondo Hinsberg (*), un precipitato volumi- noso, costituito da aghetti giallo-chiari, dovuto al formarsi di una fenantrazina. (*) Annalen der Chemie, 237, 342. STUDI SULL ACIDO PARAMETILIDRATROPICO 93 Se si evapora a secco una soluzione acquosa del cloridrato della diamina addizionata di un eccesso di solfocianato di am- monio, si tiene quindi per un’ora alla temperatura di circa 120°, si riprende con acqua, ed al residuo accuratamente lavato e di- sciolto in idrato potassico, si aggiunge acetato di piombo, si nota, dopo aver riscaldato leggermente, un precipitato ‘abbondante di solfuro di piombo. Ora risulta dalle ricerche di Lellmann (*) che i solfocianati delle ortodiamine si trasformano per riscaldamento da 120"-130° in tiouree del tipo C., die al S, le quali non perdono L lo zolfo per opera d'una soluzione alcalina calda di piombo; mentre nelle stesse condizioni le meta e le paradiamine danno composti che anneriscono in presenza del liquido piombico. E a quest’ultima categoria di sostanze appartiene quella risultante dal solfocianato della nostra base in virtù della equazione: NEED VEPS'C N NESSO 8 NHL, o na GS yy. HS0N ‘ds NH6098'. NH, D'altra parte invece, dal cloridrato della base riscaldato da 100°-120° con aldeide benzoica, si sviluppa acido cloridrico, rea- zione questa che è, secondo Ladenburg (**), caratteristica delle ortodiamine. Mentre adunque le due prime reazioni escludono che la base da noi descritta sia una ortodiamina, la terza condurrebbe alla conclusione opposta. Siccome però Lellmann (***) ha constatato la reazione di Ladenburg non essere generale, poichè i cloridrati, tanto dell’orto, che del metadiamidoparaxilene, sviluppano acido cloridrico quando vengono riscaldati con aldeide benzoica, rite- niamo lo stesso avvenga nel nostro caso perfettamente analogo, e quindi in base alle due prime reazioni escludiamo pei gruppi amidici la posizione orto. Per decidere poi tra il posto meta e il para, abbiamo trat- tato una soluzione acquosa della base con nitrato di diazobenzina; si formò un precipitato giallo-ranciato solubile in un eccesso (*) Annalen der Chemie, 228, 248. (**) Berichte der deutschen chem. Gesell. XI, 600. (***) Annalen der Chemie, 228, 253. 94 UV. MONTI d’acido con color rosso, e che possiede tutti i caratteri d'un corpo appartenente al gruppo delle crisoidine. E poichè il dare queste sostanze coloranti è caratteristico pei metadiamidoderivati, concludiamo essere la base in questione una metadiamidopara- metiletilbenziva. Rimane però ancora indeciso se i due gruppi amidici occupino le posizioni orto rispetto al metile, od all’etile. E quanto fu detto per la base, vale naturalmente pel dia- midoacido e pel dinitroacido. Torino, Laboratorio di Chimica della R. Università, Settembre 1891. Sulla soprafusione dell’acqua e delle soluzioni saline in movimento. Ricerche sperimentali di V. MONTI Colle ricerche di cui espongo i risultati nella nota presente, mi sono proposto di esaminare quale sia l'influenza che una forte agitazione meccanica esercita sulla soprafusione dell’acqua. Le vecchie esperienze relative a questo argomento non dànno in- dicazioni sicure. Dapprima adoperai acqua comune. La tenevo in un piccolo calorimetro . d’ottone della capacità di circa 150 cm?, circondato da un miscuglio di ghiaccio e sale la cui temperatura variava nelle diverse esperienze fra — 20° C e —10°C. Pescava nel- l'acqua il bulbo di un termometro graduato in quinti di grado e di cui si era verificato con cura lo 0. L'agitazione dell’acqua sì otteneva immergendovi ed estraendone con alternative abba- stanza rapide (circa 80 per minuto) una pallina d’ottone del diametro di circa 1 cm. L'acqua si manteneva liquida fino @ temperature variabili fra —- 0°,4 C e —0°,8 C. Ad un certo punto incominciava la formazione dei ghiacciuoli, mentre la temperatura risaliva improvvisamente a 0°. Una soprafusione più prolungata ottenni producendo l’agi- tazione dell’acqua con una piccola elice metallica che poteva farsi girare orizzontalmente, con moderata velocità, in seno al liquido. In queste condizioni l’acqua rimase soprafusa, in due esperienze, fino a. —1°,4.0. SOPRAFUSIONE DELL'ACQUA E DELLE SOLUZIONI SALINE 95 Per maggior comodità, disposi verticalmente un motore elet- tromagnetico Deprez: prolungai con un'asta metallica l’asse del- l’elettro calamita, e all’estremità inferiore di quest’asse saldai l’elice che mi aveva già servito. Eccitando il motore colla corrente di 4 o 6 coppie Bunsen, l’elice poteva raggiungere delle velocità variabili fra 350 e 500 giri al minuto: velocità molto superiori a quelle usate prima. Queste velocità si misuravano con un apposito contagiri. Con ciò potei vedere la soprafusione dell’acqua prolungarsi fino a — 29,6 C. Al calorimetro d’ottone che aveva servito fino allora sostituii un bicchierino di vetro a pareti sottili, alto cm. 5,5 e largo cm. 4,5, accuratamente pulito all'interno. Potei così avere l’acqua liquida alla temperatura di —3°,6C, mentre l’elice si moveva colla massima velocità; tantochè la su- perficie libera dell’acqua si presentava fortemente depressa nel mezzo. L'acqua si mantenne a quella temperatura per circa un quarto d’ora. Non valsero a produrre la solidificazione nè il bat- tere forti colpi di martello sul tavolo ove stava l'apparecchio , nè l’alterare bruscamente a più riprese la velocità dell’elice, nè l'introduzione nell’acqua di una bacchetta di vetro. La solidifi- cazione avvenne invece in modo istantaneo, come era da aspet- tarsi, gettando nell'acqua un piccolo pezzo di ghiaccio. Un’altra volta usai acqua con tanta polvere di tripolo in so- spensione da formare una poltiglia poco densa. Il termometro scese fino a — 39,1 C, vi si arrestò alquanto tempo e poi ri- sali fino a 0°. Questo risultato è tanto più singolare che, se- condo il Blagden, le polveri in sospensione nell’acqua sembrano generalmente impedirne la soprafusione. Usando acqua distillata invece di acqua comune, la sopra- fusione si prolungò a temperature variabili fra — 3°,7 C'e —4°,7C secondo la velocità dell’elice. Disaerai l’acqua distillata da sottoporsi all’esperienza, facen- dola bollire fortemente per circa un'ora e mezzo. Inoltre all’asta metallica portante l’elice , in cui numerose piccole asperità dovute a ossidazione superficiale e ad altre cause potevano favorire la formazione di ghiacciuoli, sostituii una bac- chetta di vetro, piegata per breve tratto ad angolo retto alla sua estremità inferiore, e perfettamente liscia e pulita in tutte le sue parti. 96 V. MONTI Ottenni così l’acqua liquida con un’agitazione violentissima fino a — 60,10. Volli ancora aumentare la velocità relativa dell’agitazione, im- primendo al bicchierino una rotazione inversa a quella dell’asse del motore. Disposi perciò un grosso bicchiere da pile contenente il miscuglio frigorifico e il bicchierino dell’acqua al disopra di un disco saldato sulla ruota ad alette di un ventilatore da psicrometri. Così in virtù d'un movimento d’orologeria l’acqua poteva assumere una rotazione abbastanza rapida. Il motore funzionava con 6 Bunsen. La velocità dell’agitatore era di circa 500 giri, quella del bicchiere di 100 giri per minuto all’incirca. Feci tre esperienze con questa nuova disposizione: nella prima la soprafusione si arrestò a — 59,7: nella seconda si prolungò fino. °a — 70,065 nella:iterza dinona «79,2 & Esperienze analoghe a quelle fatte coll'acqua furono istituite per alcune soluzioni saline. Affinchè si potesse dedurne l'influenza del sale ebbi cura di alternare queste esperienze con altre fatte con l’acqua che mi serviva a preparare le soluzioni. Questa era acqua comune. L’agitatore era messo in moto al solito modo, colla velocità di circa 500 giri per minuto. Il bicchierino con- tenente l’acqua o la soluzione era immobile. Con una soluzione di 5 parti di Na Cl su 100 d’acqua, raggiunsi in una prima esperienza la temperatura estrema di — 5° C: in una seconda, la soluzione si presentava ancora li- quida a—8°,4C. Al sopraggiungere della solidificazione la tem- peratura risalì, nella prima esperienza a — 8°, 1 C, nella seconda a—3°,3C0. Una soluzione di 2 parti di Na C? su 100 d’acqua si mantenne liquida fino a— 5°, 8 C: sopravenendo la solidifi- cazione il termometro risalì a — 1°, 4 C. Una soluzione di 5 parti di X-NO, su 100 d’acqua, la cui temperatura di solidificazione sì trovò essere — 1°,7 C, era ancor liquida alla temperatura di —7°, LC. Una soluzione di 5 parti di Na, SO, su 100 d’acqua si potè portare fino a—6°,2 C: e alla congelazione il termometro risali a- 09,8 C. Una soluzione di 5 parti di Na, CO, su 100 d’acqua, si portò fino a — 69,60, e, alla solidificazione, il termometro salì a — 1°C. Tutte queste esperienze vennero, come si è detto, alternate con quelle fatte con acqua comune. Le temperature minime rag- giunte in queste ultime furono: —4°; — 29,5; —4°,6:; —49,8; — 49,6; — 39,7; — 59,20. SOPRAFUSIONE DELL'ACQUA E DELLE SOLUZIONI SALINE 97 In relazione con queste esperienze, io ne feci alcune sulla temperatura minima a cui possono portarsi le soluzioni saline quando sieno violentemente agitate. | Risulta dalle note esperienze di Riudorff sull’abbassamento di temperatura prodotto dai miscugli refrigeranti, che una solu- zione salina, quando non avvenga soprafusione, non può portarsi ad una temperatura inferiore ad una data, caratteristica del sale disciolto. Così, per esempio, non può portarsi una soluzione di Na, CO, ad una temperatura inferiore a —2°.0 C o una di KNO,, ad una temperatura inferiore a — 29,85 C. Versata dentro un bicchierino una quantità nota d’acqua, collocatolo in un miscuglio refrigerante, e fattovi pescare dentro l’agitatore mosso nel solito modo e colla velocità di circa 500 giri al minuto, quando Ja temperatura fu di poco superiore a 0°, vi versai dentro del nitrato potassico, finamente polveriz- zato, raffreddato preventivamente fino a 0° e nella quantità, se- condo Riidorff, più atta ad ottenere il massimo raffreddamento. La temperatura discese fino a — 6°,1 C. In analoghe condizioni ottenni col carbonato sodico una tem- peratura minima di — 4°,4 C, mentre la temperatura “di soli- dificazione di una soluzione satura di questo sale è, secondo Ridorff, — 2° C. Però anche nelle esperienze di Riidorff, in cui l’agitazione del liquido era certo molto più lieve che non nelle mie, molte volte la temperatura scendeva per un certo tratto, per poi ri- salire sempre allo stesso grado per un dato sale, allorchè inco- minciava la separazione del ghiaccio. Era quindi necessario che io ricercassi, in che fossero per differire le temperature estreme ottenute con una lieve agitazione, da quelle raggiunte nel caso di un’agitazione fortissima. Collocai in un miscuglio frigorifero due bicchierini con entro quantità note di acqua; ciascuno dei bicchierini era fornito di termometro. L'acqua dell’un bicchierino, che chiamerò A, veniva dolce- mente agitata con una bacchettina di vetro che tenevo in mano: l’acqua dell’altro, che chiamerò B, era messa al solito modo in veloce movimento. Quando in un bicchierino la temperatura era di poco su- periore a 0°, vi versavo dentro una quantità conveniente di ni- Atti R. Accad, - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 7 98 V. MONTI - SOPRAFUSIONE DELL'ACQUA ECC. trato potassico in polvere, stato fino a quel punto in un tubo d’assaggio circondato da una mescolanza frigorifera. Le temperature estreme a cui scese il termometro in tre esperienze nel bicchierino A furono — 29,6; — 29,1; — 2%,8C; invece nel bicchierino B, nelle stesse tre esperienze furono — 2°,9; PON IL O Da questo complesso di esperienze risulta, che la soprafusione dell’acqua, dovuta a un rapido movimento, viene favorita quando nell'acqua si trovi disciolto alcuno dei sali citati. Si sa che la deposizione di cristalli da una soluzione salina di cui si abbassi la temperatura e che giunga così alla saturazione, viene favorita coll’agitazione. Volli esaminare l’effetto di un mo- vimento violento impresso alla soluzione stessa. Preparai una soluzione salina concentrata: e quindi riempiutine due bicchierini simili, collocai questi l’uno accanto all’altro in uno stesso bagno la cui temperatura era notevolmente inferiore a quella a cui la soluzione era stata preparata. In uno dei bicchierini pe- scava un termometro graduato in quinti, nell’altro un termometro simile, più il solito agitatore mosso dal motore elettromagnetico. Ricorsi a sali che presentano spiccatamente il fenomeno della soprasaturazione, quali il solfato e il carbonato di sodio. Così, preparata una soluzione di Na, SO, satura alla tem- peratura ordinaria, î primi cristalli incominciarono a deporsi @ + 9°,6 C nel bicchierino in cui avveniva l’agitazione: mentre nell'altro la soluzione in quiete si mostrava ancor limpida @ + 7°C. In una seconda esperienza, fatta nelle stesse condizioni, la deposizione dei cristalli incominciò a + 9°,2C per la solu- zione agitata, e a + 6°,3 C per la soluzione in quiete. I cri- stalli osservati nella prima, formavano una pasta candida. e. fi- nissima che aderiva al fondo e alle pareti laterali del bicchierino; nella seconda, invece essi erano molto più grandi, e stavano sul fondo del bicchierino. Analoghi risultati mi furono dati dalle soluzioni di Na, C0,. Una soluzione satura a +30°C circa, cominciò a depor cristalli a 4 25°,8C nel bicchierino in cui aveva luogo V’agi- tazione, mentre nell’altro la soluzione era ancor limpida a +14°C. Mi porse i mezzi onde compire queste ricerche il Professore A. Naccari, al quale porgo sentiti ringraziamenti. Torino, Laboratorio di Fisica della R. Università, . Novembre 1891. 99 Sull’errore medio dei punti determinati nei problemi di Hansen e di Marek ; Nota di VINCENZO REINA I Nel problema di MareX (*) si suppongono dati quattro punti ABA'B': due altri punti P e P', fra loro visibili, sono tali che da P si possono mirare i punti AB, e da P'i punti A'B'. Colla sola misura degli angoli APP'=<« BPP'— È) A'PP=q0' B'P'P= c' la posizione dei punti P e P', rispetto ai punti fissi, riesce de- terminata. Se il punto B' coincide col punto A, si ha il cosidetto pro- blema di Pothenot generalizzato, nel quale, a partire da tre punti dati ABA', si determinano i due punti PP' per mezzo della misura dei predetti angoli «8 2 ff. Se si suppone la coppia A4'B' coincidente colla coppia AB si cade nel problema di Harsen, il quale consiste appunto nella determinazione della posizione relativa di due punti P e P', ri- spetto a due punti fissi 4 e B, quando sono noti gli angoli sotto cui, da ognuno dei punti P e ?P', sono visibili gli altri tre (**). I problemi di Pothenot e di Hansen potendo dunque consi- derarsi come casi particolari di quello di Marek, a tutti e tre deve essere applicabile la medesima soluzione. (*) Cfr. Technische Anleitung zur Ausfùhrung der trigonometrischen Ope- rationen des Kalasters, im Auftrage des kònigl, ungnrischen Finansministe- riums, verfasst von J. MarEK. Budapest, 1875, S. 269. La risoluzione di questo problema è riprodotta da W. Jorpan, Handbuch der Vermessungskunde, 2er B., 3 Aufl., S. 257. (**) Hansen, Eine Aufgabe der praktischen Geoddsie und deren Auftòsung. Astronomische Nachrichten. Bd, 18, S. 165, 100 VINCENZO REINA . Geometricamente si può procedere così: sui lati AB, A'B', si costruiscano i triangoli ABQ, A'B'Q' cogli angoli OBA — e. QAR-0 BA = a. d'Ara e dalla parte opposta o dalla stessa parte in cui trovasi il punto P e il punto P' rispettivamente, a seconda che la congiungente PP' incontra i lati AB, A4'B', oppure i loro prolungamenti. Fia. 12 Si descrivano i cerchi determinati dalle due terne di punti AB9Q, A/B'@': i punti P e P', in cui la congiungente @Q' interseca ulteriormente i due cerchi, sono quelli cercati. Avvertasi che se, SULL’ ERRORE MEDIO DEI PUNTI DETERMINATI 101 per la disposizione relativa dei punti, alcuno degli angoli «(f2f3' riuscisse maggiore di un retto, nella costruzione dei triangoli AB, A'B'Q' bisognerebbe prendere l’angolo supplementare. Analiticamente, supposte date le coordinate dei punti ABA'B', si determinano le distanze 48 A'B' ed i loro azimut; si risol- vono i triangoli ABQ, A4'B'@', si determinano le coordinate dei punti @ e Q' e per mezzo di queste si trova l’azimut della con- giungente @Q'. Nei triangoli APQ, A'P'Q' si verranno allora a conoscere un lato e i tre angoli, e la risoluzione dei triangoli permetterà di determinare le coordinate dei punti cercati P e P'. II. Si supponga il problema già risoluto, si facciano le posi- zioni : PAi'—=@ PBb=% QAT—a (EMI P' A! = ai P'B' = d' VA — a , Is b' A bc UO — DANESI via e si indichi con w la retta congiungente i punti QQ. Se gli angoli osservati e'f" sono affetti dall’errore medio +0, anche le posizioni dei punti P e P' saranno affette da un errore che noi ci proponiamo di valutare. Per P si conduca la tangente # al cerchio passante per es-o punto, e si consideri P_come determinato dalla intersezione delle rette # ed «. Se per effetto delle variazioni subite dagli angoli osservati, le rette # ed « si possono considerare come soggette a sposta - menti paralleli, e se si indicano con #,ed m, gli errori medi corrispondenti a questi spostamenti, per una formola notissima (*). l'errore medio della intersezione P, o in altre parole l’errore medio del punto P sarà dato da (1 af M_ V/m + sen($u) Riguardo all’errore m, si rammenti che quando su un seg- mento AB è costruito un arco di cerchio capace dell’angolo %, (*) Cfr. W, Jorpan, Handbuck der Vermessungshunde, 1er B., S. 297. 102 VINCENZO REINA lo spostamento parallelo dp della tangente al cerchio nel vertice P dell’angolo, corrispondente ad una variazione dg dell’angolo, è misurato da: (*) È AP.BP do. Nel nostro caso, avendosi g = « + (8, sarà b dp ==" (da + d), e l’errore medio #m,, corrispondente agli spostamenti paralleli su- biti dalla tangente #, sarà dato dalla formola a b3 e oe mè=2 (0). III. Per determinare il valore di »m, conviene riferirsi ad un si- stema di assi coordinati, e per maggior semplicità si consideri il caso della 2* figura (problema di Hansen). Si scelga l’origine nel punto A e l’asse delle x secondo la congiungente AB: si indichino con xy le coordinate di @, con xy" quelle di Q', con 6 l'angolo che la congiungente Q'@, misurata da @' verso @, forma colla direzione positiva dell’asse delle x. Si avrà; a—-x =rcos?9, y—y=rsen9, ' yYyTY Deo E—-a te di= e differenziando logaritmicamente l’ultima formola age) pga cono L (e È da). r r r r Se si pone (*) Opera citata, der B., S. 306. SULL’ERRORE MEDIO DEI PUNTI DETERMINATI 103 cioè si indica con (40) la variazione dell’azimut 6 quando, te- nendo fisso il punto @', si fa spostare il solo punto @, con (d0)' la variazione di 9 quando sta fisso @ e si fa spostare @', si avrà quindi a0= (40) — (46). La variazione dell’angolo 9, corrispondente allo spostamento simultaneo dei due punti Q e Q', si può dunque decomporre nelle due variazioni che si ottengono tenendo fisso l’uno dei due punti e facendo spostare l’altro. Ora per effetto della variazione (46) il punto P subisce uno spostamento trasversale alla retta e misurato da = 0'(46); per effetto della variazione (d6)' esso subisce lo spostamento + 2(46)'; quindi, in conseguenza dello spo- starsi simultaneo dei punti @, @', esso subirà lo spostamento trasversale + p'(40) + p(d6)'. Per quello che riguarda la determinazione del punto P, come intersezione delle rette # ed «, si potrà con tutta legittimità ri- tenere che questa sia la misura di spostamenti paralleli subiti da tutta intera la retta «: si avrà pertanto Si. me=p°(m+p (ma), s° 6 sen? @ | (105) = 2 mi, 9 51 È) ip PE (5) jar | c08t6 sen? 9, | (20) = 3 My no Mayr IV. Bisogna ancora determinare gli errori medi m,m,m, My delle coordinate dei punti Q e Q'. Ora si ha: sen & cos f? sen (a+ (6) sen x sen sen (x-+f9) &='a, con pi=‘c yg=a,senb=c 0 e'°e° (0 } u 104 VINCENZO REINA quindi da 908 «008 Bo e SE cos (a pp) = e E cos (3 da sen (x-+f) © sen’(a+f9) sen°(2 + ft) dx sen « sen (8 sen & cos (3 _., Senaicona OR snap) sa AT d0y _——cosasenfi sen < sen {3 é sen? {3 epr sen(2+f8) i sen°(2 4-3) Volare sen°(a + (9) d y sen @ cos (8 sen x sen {3 dj sen°e dB: ; sen(a +) — f sen°(x +9) a n sen°(x + (8) e passando agli erreri medi | Pipa , Sen° a cos? auto en p | sen'(a + 8) ORI d (0) 1 gi gente bsoni8 0. | pp enanto a; sen*(a + (8) Da queste formole si ricava sen° a + sen? (3 a+ Quai EEN rd Resto e d Pb sen' (a +) Ci senÈ a)» che è la nota espressione del quadrato dell’errore medio, nel caso di un punto determinato per intersezione da due punti fissi A e B. (Vorwcirts-Einschneiden) (*). Analogamente si ha 2,1 7 2A snc sen” x' cos° 2'+ sen? f' cos mec ns di (0), sen* (' +81) CAlerenz \ (60) | o, Sent + sen* 3' Marx TO sentla+p) Sostituendo i valori (6) (6) nelle (5) e nella (4) ottiene: 2 Peent(a4-9) \cos°0 (sen'x + sen* 3) +sen°0 (sen°« cos’ + sen%9 cos") p° c° (d)° r°sen*( (248)! ;cos® 6(sen'z'+sen'i')+sen?@ (sen°a'cos*'+ sen*3'cos? 3") | (*) JORDAN, opera citata, fer B,, S, 299, SULL'ERRORE MEDIO DEI PUNTI DETERMINATI 105 la quale si può anche scrivere così: me — Clone 6 [p "(a+ bi) +p°(a ani (7)... + sen? @ [e°° ° (a, cotg° a + db,‘ cotg? lo) + p° (a, cotg? a' +b,"! cotg® 8)] | Dalla semplice ispezione della figura risulta na. (flu)=a—B+6: sostituendo dunque i valori (2) (7) (8) nella (1) si ottiene M°— (0)? c°r°sen(a—L +6) 6) + p° (a+ b,'5)| + sen® 9 | p'° (af cotg°@+b,'cotg* B) Se o (a)'* cotg? x'+ b,'! cotg° 8)] : 120° a b°4- cos? 0.[o'? (a+ bf) formola nella quale non compare più alcuna traccia del sistema coordinato. L'espressione che dà LR medio del punto P' si ottiene da questa sostituendo a p e g' le distanze che si potranno indi- care con g e o’, di P' dai punti Qeq' rispettivamente, al lati ab i lati a, ed all'angolo (tu) l’angolo (tu u=B —a' +9. Tenute le medesime indicazioni, l'errore medio del punto P nel problema di Marek (1* figura), sarà dato dalla formola; (0)° r2 2 ta 2,272 SENO a le rd — r°sen(a—B+6) SARE s|f (2 tot a (2,4, | + sen" 6 É a, cotg*2+b,'cotg*/?) +5 sla; 'Acotg*% 240/00 )| V. Supponiamo che il punto P nella figura sia la intersezione delle due posizioni medie delle rette # ed w, cioè di quelle po- sizioni per le quali le somme algebriche di tutti gli spostamenti LI ri 106 VINCENZO ‘REINA — SULL'EKRORE ‘MEDIO ECC. paralleli sono nulle. Ad ogni altra posizione del punto P cor- risponderà una certa probabilità, ed è noto come, ammesso che gli spostamenti delle due rette seguano la legge di Gauss, tutte le posizioni del punto, dotate di eguali probabilità, giacciano su delle ellissi simili e similmente disposte col centro in P e per le quali le rette # ed « sono rette coniugate. Nel caso della nostra 2° figura indicando con A'e B' i se- midiametri di una delle ellissi, diretti secondo la retta « e la retta t rispettivamente, si avrà: ue 22m 5° pro Qm 5° sent (a—f+6) sen’ (x—(3+6) i quando si indichi con s un parametro variabile dall'una all’altra ellisse, e scelto in modo che la probabilità che il punto cada nell'interno della ellisse s sia data da Pieri 1 I semiassi A e B saranno allora dati dalle formole: sg mi+-m + (mf4m i) Ami mE sen(e—B+6) 3 poro Area me+-m,—V(m}+m,}f_4m}m,sen°(a— 6). verno ina o Lanzi ini ALATI o e l'angolo 9, che l’asse maggiore forma colla retta «, sarà da ricavarsi dalla formola m, sen 2(a—+ 0) DE i e RI ae Mpa m°+m, cos 2(a—+0) 0) Como, Settembre 1891. (*) JorpaN, opera citata, ter B., S. 344-46. re 107 Effemeridi del Sole e della Luna per Vorizzonte di Torino e per l'anno 1892, calcolate dall’Ing. T, ASCHIERI, Assist. all'Osservatorio di Torino, —— E = eee | _—————————_————__rr_______ _ _""+“ #_#_ 12121111k11__ Gennaio 1892, -@+91 mu: er rem); GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA Ss in e n | ei gen l E I SOLE | La LUNA Ri 2 |S passa E assa S = |__| nasce al E nasce al tramonta | -® = Li meridiano = meridiano [Gai h m h m Ss hm h m h m h m 41|4|8 0|412 22 4590| 446) 9 299 1 42p.| 6 0p| 2 và 0 23 14,00 47||410 40 240 OA 3 3 3 0 23 42,03 48 || 10 42 5) O) 6 (95 4 4 4| 7 59 24 9, 66 49|| 411 9 4 26 9 54 5 5 5 59 24, 36,87 50.0 44133 DIE LO AHI 6 6 | 6| 59 25° [asili SIM nn a | 7 74 7 59 20) 2987 521 12 47p 6g 53 2 1270 8 8 8 59 20) 190,003 53|| 12 41 42, dio 9 9 9 59 26 20,84 DAI di RISZ Se 35 SIMO 10 410 {10 58 26 45,49 56 11 99 9 30 IT) 41 dl MILA: 58 27 nb 7A (21420 10% 27 RZ, 12 di2:1|12. 57 Zi 39-09 RISI 118025 6 42 13 do CdS 57 i (90599 FORA) — | 7 42 14 14 {414 56 29 S,.dL| 530% 5044 1280254488) (31 15 dodo 56 28 39,68 ZIll 61 822 i AA 9 9 16 416 | 16 DO 29 0, 57 Sizes Ze .06 9 40 07 DALLA 55 29 20,78 4 She37 2 DR 10 4 18 418 [18 54 29 (40:29 6) 9 42 339 10 26 19 49 [19 DI 29 15911 7 10 45 4 19 10 44 20 20 |20 59 30. 17,19 8|| 11 48 4 59 AA 21 DI 24 52 30. 34,55 10 —— DI 58 11 ‘18 22 23 122 DA 30. 50,16 JAR 12865028 IM6RA9 1ATS7 23 DIM 23 50 34 7,02 12 10655 can | 11 359 24 24 |24 49 di 22,12 14 SI MEZ 12: 20p:| (25 RONZD 48 34 36,43 15 29010) 836 120057 26 26 |26 47 34 49,98 7 DIS 9 30 1 39 27 270 ez 47 32 2,73 191 61 ‘23 10027 Die85 28 28 |28 46 32. 14,67 19] 7 419 11627 SIRO) 29 29 |29 44 32 25,81 21 8_4 12 26p dal 30 30 |30 43 32. 36,13 22) 8 41 1 24 614 1 21934 42, 32 45,62 2201 ORETA 2 18 Ti ds 2, } FASI DELLA LUNA 7 Primo quarto 2h 2" ant. 14 Luna piena 4 16 ant. 22 Ultimo quarto 4 32 ant. 29 Luna nuova 5 28 pom, Il giorno nel mese cresce di 0h 56" 5 La Luna è in Perigeo 6h pom, 20 Id, Apogeo 5 pom. | Il Sole entra nel segno Aquario i il giorno 20 ad ore 2 m, 7 pom. 108 GIORNO del Mese DOO DUTY TOMASO ASCHIERI Febbraio 1892. TEMPO MEDIO DI ROMA Ii SOLE ERE sen RS iI ossi nr 5 passa E) nasce al = meridiano S h m h m S h m 744 |12 32 54,26|/5 25 40 384 | 207027 39 SILLY 28 37 939 45,149] 29 36 939 20,49| 34 35 33 24,95| 32 54 39 2859 34 32 ZIE 35 31 33 33,44| 37 29 33 34,651 38 28 33 35,08) 39 27 99 34,73) 4 25 93 33,61| 42 23 399 34,74| 244 22 33 29,44| 45 20 33 25) 82 47 19 93! 917910 8 47 93 47,08| 49 16 33 11,69| 51 14 33 5, 65 52 13 32 58,95) 54 14 32 51,63| 55 10 32 43,70] 56 8 32 35,16| 58 7 D0 26, 04 59 5 32 46,3416 0 3 32 6,08 il 2 31 05) 28 3 0 31 43,93 4 FASI DELLA LUNA. 12 Luna piena 241 Ultimo quarto 1 28 Luna nuova 5 Primo quarto 10h 29m ant. 8 28 pom, 4 ant. 4 37 ant. La LUNA ri In n= ssa nasce al tramonta meridiano h m h m h m 9 360.|,,2. 10p:|| 8,562 9 59 VINI) 10055 410 24 4 50 44-33 10 43 5 40 — A 16 IO, 6091 12. 500. MANZO TZ Polia (E: ARRE °8R021: 323 005€ 9 418 4 33 ao 1015 ANSE, SINO 19, 6 27% LEA IONI — 1 48 5 6 1908 Ta ZO 6 24 12 49 3, CIT UAAZO 1835 8 28 81195 Zaaii) 848 9 36 ARDA 9 6 10 38 SEI O23 dazza DISTA 9 41 — Lia O, 40-10 IZ0EZIa S| 5899 10 24 190054; (e Zo 10: 52 SIA: ida 7) 44 29 4 ‘6 | 8 11 |42 416p O LL 99 dl. 46 5 55 {Cb RS) 2. 20 6 36 uber (0) 5 45 780) 142° 3p.i5 UESO 1257 6 30 SILe0) {50 ARES Il giorno nel mese cresce di 1h 22% 1 La Luna è in Perigeo 10% ont, Apogeo 11 ant. | 1 pom. 07 29 Id. Id. Perigeo Il Sole entra nel segno Pesci il | giorno 19 ad ore 4 m. 35 ant. DO JIA | Età della Luna EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 109 Marzo 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA L [=| tej 1 SOLE i La LUNA n le a z |s passa E assa È = | | nasce al S nasce al tramonta | -& Doug È meridiano Ss meridiano Q hmil/h m Ss hm h m h m h m 61 | 1| 6 59] 12 31 _32,06|6 51 8 -23a.| 2 4ip.| 9 14p.| 3 62 | 2 57 34 19,68 71 8 46 de 33° || AO 34 4 83! 3 55 34n | 6192 Sii Areti se 20. 59 5 64 | 4 sa 30. 53,48 9ll 9 40 5 20 — 6 Gori (5 5A 30 39,68] 411] 10 46 6 16 iv | DO 66 | 6 50 30. 25,45 2|| 10 59 76 13 2 31 8 67 | 7 48 30 10,81 13440852 810 3 22 9 68 | 8 46 2h (SoaTilp d4j12/-b9na] 99 5 4 2% | do 69 | 9 44 29 40,34 LG 1!:5$ YI po 140 41 70 |10 42 29 24,56 Let Sir 10 46 5 4 12 40144 A 291 | Si46 413 404390 | Abe 31 6: 12} | 43 181412 39 28 52,04 20|| 5 48 —_— 6 34 14 19 113 Sofi 28 35,34 2Af- 61725] 431 1a. 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Perigeo 11 pom 24 Ultimo quarto 6 6 pom, Il Sole entra nel segno Ariete il 28 Luna nuova 28 ‘pom. giorno 20 ad ore 4 m. 12 ant. 110 TOMASO ASCHIÈRI Aprile 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA [SÌ [S| 5 i RI SOLE La LUNA H e © dà T_T Ccnl si e nn = z s passa S . passa S = || nasce al 3 nasce al tramonta | -® cs | meridiano > meridiano D hm h m Ss h m h m h m h m 9211 MEG 129 153572 (6 Mor] (i M90 | 4 6p. 4 931) (2 5450 22 95) lo SHIA MSTTO3 ORO 12 2a 9) SS DI 22 18,03 48|| 9 44 ONE 125 6 95 | 4 56 22 07 30 49 || 410.43 Toda 11 NZ) 7 96 | 5 54 21 42 89 50.|| 11° 49 UO ©) ili 8 97 | 6 2 2d 25098 OZ 12) “b6po 8° 4% 3 48 9 98 | 7 50 21 8,46 SSA 2: AZ] Oo 4 16 10 99 | 8 48 20 51,9 57 DA SIOZA 0 2 4 40 11 100 | 9 46 20. 34,91 Ho io 102953 SIMO, alzo 1041 | 10 45 20 Ms 57 DI NEIS (Mi? 5 MS 13 1021/44! 43 20 299 OI (01821 — DIS5 14 103 | 42 4A 19 46,56 59. 7 24 1281204 MESIMOZ 15 104 | 13 39 19% #31 X061] 470014 8.28 128052 6 40 16 105 | 14 37 19/1559 2 0) 0.3) ez esi 17 106 | 15 36 19 1,08 3 1041 ZA 655 18 107 | 16 534 18. 46,64 4 | 11 46 oo UOMIZzE 19 108 | 17 32 18 32,60 6 -— Doo) 88 20 109 | 18 81 18. 18,96 Valdi, TASTO Ao 21 140 | 19 29 18 7/0) 8 DREZAI [ops 9 49 22 At |20: 27 17° 52.007 [SP gil- altare 40. o Sori 14/2912. 25 17* 540, da 11 SO ATZISRE, (TI 12 12p.| 24 1134 |I(22 24 47 psn 12 dI 194 8 28 100050 25 114 [23 22 A 17. 37 13 JESS) 9 19 DI 26 115 |24 21 17) 6 45 14 LANZ5 10 10 DA CIA 116 |25 19 16 56, 03 16 4 145 sla lr DIS 28 117 |!26 17 16 46 17 pe drbalco DI 29 118 |27 16 16: | 36170 13 592 12850 pi RESRZa 1 119 |.28 14 10r TONO. 19 GI 1 48 9 46 2% 120 |129 15 16% 1940, 20 6 44 ZINIO) Jr 3 4124 |30 1 16% (11455 220] ZS2 e D0) — 4 FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese cresce di 1h 30" 4 Primo quarto 7h 419 anl. na i Lg 12 La Luna è in Apogeo 1h ant, 12 Luna piena TASSO ant 26 Id. Perigeo 10 ant. Ì : 6 l. «ig ge nei || Il Sole entra nel segno Toro il 26 Luna nuova 10 36 pom. | giorno 19 ad ore 3 m. 59 ant. l EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA LI Maggio 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA ad [=| S Il SOLE La LUNA 33 9 QQ __—_—_____— _—————__—6Tcssse——r | GG A v = "a 2 | passa E passa Td = || Nasce al = nasce al tramonta | a S {3 meridiano S meridiano les] h° am h m Ss h m h m h m h m dept idejib'10.|112- 16: | 47418/(7 23) 812028) ZI bip.| 12% 13o.| 5 123| 2 8 15 57,361. 24|| 9 (35 5 47 di 6 124 | 3 7 45. 54,06]. 25/410 44 6° 39 1 49 7 125 | 4 5 154 Losole 270 41125381 727 |f2 20 8 ipo‘ i 5 4 15 40,08 23) AFC; 11 2 46 9 127 | 6 2 15. 35,40 2g 2° KG 8 52 S 10 128 | 7 1 dit 34,27 30|| 3 10 9 32 S 26 11 129 | 8 0 1595 27470 Sil 4 7493 |:108 11 3 42 12 130 | 9| 4 59 159%. 24369 Sil! 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Il giorno nel mese cresce di 1h 8" 3 Primo quarto 8% 19 pom. i , 9 La Luna è in Apogeo 6h ant. 41 Luna piena 11 .49 pom. DU. "TRI Perigeo 6 pom. | 19 Ulti J i | pilo quanto DL Il Sole entra nel segno Gemelli il .26 Luna nuova 639 ant. giorno 20 ad ore 3 m, 49 pom. TI2 TOMASO ASCHIERI GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA Bi SOLE La LUNA Ha 8 or — —]9_eggse — | o o—n__—— 7,4 Ss | E passa asa 3 2 || nasce al al tramonta | .s al la meridiano meridiano A how h m s h m h m Giugno 1892. ne I 153 | deli 4097].A42 16. 48594 .| 6 7p.\12 48a 4 154 | 2 36 16 58,39 58 || 41° 54 6 50 18 14 155 | 3 a; 17° | 8y18 5924596) 76.30 1130 9 156 | 4 35 17 18590 Boi 2: 3 8 10 1 49 10 97 (A 35 48) 287/018 1003 Mb 8 49 2a, 11 158 | 6 34 101 39/1 bili 4-69 9 29 2. 28 12 19907 34 17. 50}54 do 1042 2 44 13 160 | 8 34 18) | 1585 Zi 0 20/7 A 58 DA 14 161 | 9 33 18. 13,40 Sr ES e AUT 9 è29 15 162 | 10 33 18. 25,20 AIN 61 38 _ a 3 16 163 | 11 33 18. 37,20 ANS AZ 40 17 164 |12 33 18. 49,40 4||10 24 1 34 5 36 18 165 |13 33 490 } 1078 HIAA LESG, 2° 30 6°: 39 19 166 | 14 33 190 1452 FINSL1.(450, 3° 25 1) 50 20 167 |15 33 190 27400 6 —- 4 418 i O 21 168 | 16 33 197 39x79 Gil 12. 7a.| 5. 9° | #07 20 22 169 | 17 33 19 523;167 Zi 421 30 D 58.1 HE3£ 23 170 | 18 33 20 | DX64 2VA21 (52, 6. 450] 42° b2ph 6a 474 |19 39) 20 18,66 ZI 1043, TA 34 Red 25 172 | 20 33 ROSA Sil 1 (35 23 d'' 29 26 173 |21 33 20. 44,77 Sii 21500. 9 16 4 49 27 174 |22 54 20 57681 Sil 21/290] 140% 13 6 16 28 dio 125 34 240 10/79 Si E VO7 AE A3 n 29 29 176 | 24 34 ZARE 23 SII 3.56 | 12. 15p.] (8. 37 30 dan 25 54 ZII 3611 8|| 4 56 LA 47 Q 32 1 178 | 26 35 ZAN 497706 Sii 6,0% 2 16° || H0N 15 2 1'79|27 35 228 | 4466 Sii 707 3! 101; 405 45 3 180 | 28 36 CINISI (3 MIBCOY Rez43) >? 59% Hd d5 4 181 |29 36 22 26,02 SS RATE) 4 544. {431 D 5) 132 | 30 7 22 .37,86 8|| 10 45 5 26:44 53 6 | FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese cresce di 0h 12" 2 Primo quarto 10h 41M ant. de 5 La Luna è in Apogeo 8 pom, 10 Luna piena 2 22 pom. |21 ld. Perigeo 4 pom. 17 Ultimo quarto 9 541 pom. PANE n 2 56 pom. Il Sole entra nel segno Cancro il giorno 21 ad ore 12 m. 43 ant, EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 119 Luglio 1892. (esi = Il SOLE La LUNA -_ = È assa = assa = al = nasce al tramonta | a meridiano Ea meridiano = Cee -«-s$s« iù ue h, m s le fagli bh CO gr VO bh ;m 12 22 49,43/8 8|| 11 50a.| 6 6p — 7 23 | 052 8|| 12 (53p.| 6 46 | 12 10n.| 8 2 11,07 7|| 1 156 "Be 26: |142 27 9 23 (22132 Di 3t306 de o 42 45 10 23. 32,61 OI AI ALT 8 52 1 SD ii 23. 42,55 6 5 44 9 40 1 29 12 23 15242 6 6 (21 108 34 2 O | 43 28: 14328 Gil 7:(2800) 14 26 2 38 | 4 24 10,05 5 | 8 419 3 28 415 24 18,38 Gli 9156 12. 22a 4 28 16 24 26,28 4| 9 40 ie 18 5 37 17 24 33,73 3|1 10 40 de 13 6 52 18 24 40,72 3 | 10: (35 Se 55 Ss 9 19 24 47,24 2| 10 (57 de 55 9 26 20 24 53,28 4I{ 111748 444 |410 42 2A 2 58,84 il 11/599 | 5031 |ld41 59)| 2 | 25 153,90 (0) = 6 20 4 16p.| 23 25 8,45 4 59 12/7822 He 10 > (39 24 25 12,49 58 || 1230 ge 3 (5a 25 25 16,00 S7il #03 ge Hi 5 (0 26 25. 418,96 S6il d'ixZAlgi 10c 2 6 23 27 23) 124537 55 2044 190. 45 7, 2204798 29 |2320 54 | 3 046re) 120 12pi| 18 19 29 25 2,45 53 40561] 12. 58 8 45 1 25 (2bedi 52 (G.Sh9 1 49 9 414 2 25 12546 94 || 7 21 2 36 9 37 3 25 2462 50 8 30 3 20 9 56 4 25 129845 49) 9 36 We di 40 (13 5 25 21,66 48|| 10 40 4 Hi 10 31 6 25 |19;26 47\|11 44 5 21 10 48 7 25 1163524 45. 12048p.| @ 2||M1 | 8 TEMPO MEDIO DI ROMA o FASI DELLA 2 Primo quarto 10 Luna piena 17 Ultimo quarto 24 Luna nuova 34 Primo quarto Atti R. Accad, LUNA. Il giorno nel mese diminuisce di 0h 50m, Sh (24 ant 3 La Luna è in Apogeo ib pom. 2 34 ant. 18 Id. Perigeo 3 ant. 9.37 ant. 34 Id. Apogeo 7 ant. Mg Il Sole entra nel segno Leone il 8 35 pom. giorno 22 ad ore 11 m.10 ant. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 8 114 TOMASO ASCHIERI Agosto 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA GS prole - d Si II SOLE La LUNA _ < |S passa = passa = mea |__| \masce il 3 nasce al tramonta | Le SO meridiano & meridiano ls] h m h m S h m h m h m h m 204 | Aolo5= 57-42: 25° 42,50: 7° 20 Al 590) 6° 4bp.i 1290 Dio) 0.2: 6 25 8,32 43|| 2 59 TR 31 14I Co 10 20. | 13 7 25 3, 44 42} 4 6 824 —- 41 247 I 4 8 24 57,9 40| 5 44 9 14 19 Ia. Noe 2418) || 5 10 24 541,84 39|| 69 10 40 dl AZ 13 219 | 6 44 Ri Ub5i2 38/| 6 59 1 7; Di 12 14 220) || 7 412 24 37,80 301 ‘7139 3 19 100) 2PR4 || 8 13 24. 29,90 35 8 44 12° ‘9a.l\°% 34 16 222 | 9 45) 24 21,42 33] 8) 98 137 DIR 17 223 | 10 46 24 412,36 92 9 4 1 49 VR 18 224 |11 197, 24 ZITO 30]| 9 23 2 39 830 19 226) 12 18 23 [92059 29] 9 43 8° 28 9 47 20 226 | 13 19 23 41,90 27410 6 A 7 I a DI 227 |14 21 23 130,68 26]|] 10 ‘33 SE 7 0200015. DO 228 115 22 23 (18,97 220 | I VIRA 6° 0 1 44 23 229 | 16 23 23 6,76 22||11 43 6 56 SE DU 230 | 17 24 22. [54,05 24 io ya 54 219 25 2341 |18 25 22 40,85 19] 12 834 8 54 5: 46 26 232 {19 27 22. [27,48 18%] 11%93 9053 6 6 DI 293 |20 28 22 113,04 16%) 2 U%4 10. 49 6 45 28 234 |21 29 21. 58,44 4% 31053 1a 2 7 49 29 290) || 22 30 Rit 143139 42:]| 5 5 12° 30p.|017 39 1 236 | 23 Bi Zi! 127490 cisl 6 414 e 15 810 2 237 |24 39 21° 11396 Oli 7052 4 ZA 8 18 > 2398 |25 34 20 |55762 QUI 8 ‘97 COSI SI 35 4 239 |26 319) 20 38,87 6] 9 81 cool 7 8_ 52 5 240 | 27 36 20. (2172 4 | 10 35 So) 9 410 6 244 | 28 37 20 4,20 Zi 41 40 4 40 9 31 7 242 |29 39 19. 146732 O 12 45.) 5 24 9 56 8 2453 | 30 40 19 28,07|6 58 1 52 60 dd HO 27) 9 244 |31 4A 19 9,50 56) 2 56 ie 72 110006. 10 FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese diminuisce di ib ZoL! 8 Luna piena 12h 472 mer. SESSI 12 La Luna è in Perigeo fib ante. 15 Ultimo quarto 7 27 ant. 928 Id. Apogeo 2 ant. 22 Luna nuova 11 49 ant. ——avon } Il Sole entra nel segno Vergine il 30 Primo quarto 2 19 pom. giorno 22 ad ore 5 m, 51 pom. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 115 Settembre 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA (os) ji =, HI SOLE La LUNA — 2 [3 assa = passa 3 = || nasce al Li nasce al tramonta | .s - meridiano = meridiano 25] h mlbh m Ss h m h m h m h m 245 | 1| 5 421 12 18 50;62[6 55/| 3 570.| 7 56p.|41 56p. 246 | 2 43 18. 31,43 53 4 49 8 52 — 12 AI | 3 45 18. 11,96 5E.H ‘5 233 9 48 iz. ban. d3 248 | 4 46 417) (52422 49]| 6 9 |40 44 2 49 14 249 | 5 47 1%) 132225 Zi 609800 44 37 d 27 15 250 | 6 48 47 \12905 40 7 195 == 4 I 16 dali 49 16 51,66 4411 7 QD] 12 29allu6 (6 17 252 | 8 bi 16 31,08 42|| 7 46 4 49 27 18 253 | 9 52 16 10,36 40|| 89 SAMO) 8 48 19 254 |10 53 15 (49592 358||] 8 34 agi: 10 140 20 255 | 11 54 19 28797 36|| 9 4 3 54 bl 34 21 256 |12 55 15 |_7856 34|| 9 41 4 50 [|.42 520|-.22 257 113 56 14 46,45 32 || 1028 5 49 DIG 23 258 |14 58 14 25,32 30{| 11° 26 6 49 3 412 24 259 [15 59 ik i 4317 29 cia 7 48 4 6 25 260 |16| 6 0 13 43,01 2711 12 32a.| 8 45 4 47 26 2641 |17 1 13 21,85 2a 1 sf 9 38 5 19 27 262 | 18 2 18) 10472 24 2 bZel 10 26 5 45 28 263 | 19 4 12. 39,64 2h % 109 {le12 6 (5 29 264 | 20 5 12. 18,62 19]| 5 410 | 11 54 6 24 30 265 | 24 6 11 57,65 17]| 6 45 | 12 34p.| 6 4 1 266 | 22 7 11 36,82 dall .7) 420 t 1% 6 57 2 267 |23 9 411 16,40 13] 8 23 1 54 i 45 3 268 | 24 10 10. 55,50 41|]| 9 28 2 36 7 34 4 269 | 25 dl 10 35,06 9] 10 34 5 19 7 57 5 270 | 26 12 10 14,79 8/41 40 VARE 825 6 2741 |27 13 9° 54,71 6|| 12 45p.| 4 54 9 E 7 272 |28 45 9 34,83 4li 1 46 5 46 9 45 8 273 |29 16 9 15,49 Si 2 41 6 40 | 10 44 9 274 | 30 17 8 55579 Oil 3 687 i 35 11 47 10 FASI DELLA LUNA. Il giceny nel mese diminuisce di {1h - 6 Luna piena gn 572 pom. | 9 La Luna è in Perigeo 12% ant. 13 Ultimo quarto 1 39 pom. 14 Id. Apogeo 7 pom, 24 Luna nuova 2 6 ant. Il Sole entra nel segno Libra il | 29 Primo quarto 7 9 ant giorno 22 ad ore 2 m. 49 pom. 116 TOMASO ASCHIERI . Ottobre 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA (as) [ei 3 HI SOLE | La LUNA a z |S passa G assa 3 = |- | nasce al E nasce al tramonta | = LO meridiano 2 meridiano [es] h m h m S h m h m h m h m Dro di PS 2 3 [3660/05 bal) Mep Bi 20. — 270 0 ZII 20 8 17,80 56 4 37 9 22 1 0a pi eo DA 7. [9925 DAN bt 40° 44 2-48 UO I Rb 22 7° (44,04 D20] bi26%0) 411 15 338 29 du DI 7° 1230409 Doe DI Sca] 411 66 4 58 280 | 6| 25 7, Pow 49 69 -_ 6 20 ZA dd (26 6 48,64 47) 6 35 |12 48a.| 7 43 2921. 8 DI 6 1320/00|) Uan 7102 1 42 9 18 283 | 9| 28 6 ([MbESIIO Uan 7153701) ol 30 Ido 33 284 {10| 30 6 POSTA 42) 8 22 3' 39 {041 3 285 | 11 31 D [44001 40|| 9 17 4 40 1 bp. 286 [12] 32 5 (30722. 38) 1022 5 42 2 4 287 413° 34 5 16007 300 44 ‘32 6 40 2 48 288 114% ‘35 5) |OBIMO N: DE n* 35 3 23 289 |15| ‘36 4 (49,43, 33112 \44n.| 8 25 3, Bi 290 |16| 37 % (9579954 BAI CI E54 9 410 4 12 2941 {17 39 4 (20,44 ZO pesi 9 53 4 3I 292 |18| 40 42 119790.1> 200 246” | 108 34 4 48 293 |19| ‘(42 4° besrol 2617 DITTE] 100 47 5 JE 294 |20| 43 SÌ {parso Rial 61157] 40 53 5 22 295 |21 44 SÌ PUSgolo Pall 7 1810 12% 34 pilo ts 296 |22| 46 Sd (Sogzi: 20 8524 4 197 6 4 2 297 129 MT 3 (2790 19]; 9 30 FA, 6 20 3 208 |24| 48 3 ‘20726/° 47|| 10) ‘36 2 49 6 59 4 299 125) 50 di MTV 16|| 11 38 3 40 7 40 5 300 |26| 51 3 {7499 dll 121350 2 33 830 6 301 1271 ‘52 3 N49 doll 412% 5 26 9 31 7 302 |281 ‘54 2 58,42 deli 2 SO 6 19 |10 20 8 303 |29] 55 2 54,81 10)| 2 36 T 1 :R ca 9 304 |30| 57 MM DELE Sil 3: ‘3 8 -_ 10 305 {31 58 2° 49,86 net SI 27 8 bi 1 100.) 11 FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese diminuisce di 4h 34D, 6 Luna piena 7a IM ant. PE 7 La Luna è in Perigeo 6% ant. 12 Ultimo quarto 10 27 pom. 22 Id. Apogeo 4 ant. 20 Luna nuova 7 14 pom, Il Sole entra nel segno Scorpione 28 Primo quarto 10 16 pom. il giorno 22 ad ore 11 m, 21 pom, III: e___—_ o ———1___m EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 117 Novembre 1892. GIORNO TEMPO MEDIO DI ROMA d |=| =) II SOLE La LUNA — enne |} | # 2 | passa - passa s = || nasce al E nasre al tramonta | e s |3 meridiano = meridiano si hm h m s h m h m h m h m 306 | 1|6 59/12 2 48;54|5 6] 3 48p.| 9 4ip.| 2 29a.| 12 e RA UE! 2 48,00 AI 4iFSOMer AR 31 3 47 13 308 | 3 2 2. 48,27 Sil 4 CSblel 1° 24 5 9 |A 309 | 4 3 2° 4937 1] 4 58 -_ besà bs 340 | 5 5 3 DASZO Qi Di 50041422 202.168. | | ‘46 344 | 6 6 2 4514 59 614 1:20 9 26 | 47 342] 7 8 E TD/O0 I STI “Vi PIA 23 140 46 | 38 313 | 8 9 SO 25539 BO: Sea Si28 il 10059, | +49 344 | 9 10 dial 70 0a Doll 9) 48 4 30 | 12 45p.| 20 345 |10 12 3 113,64/°* BAI 10) 134 pe:28 1 20 | i 3416 |11 13 3 ROnol. 19) 1143 6 21 1 Sal 2 3417 |12 15 3 28,62) dI —— PIO » #51] 3 318 |13 16 3 13720/* BOI 121 ‘52af] #4 52 2 33° | 24 319 |14 17 3 147/05) 49) 11059 8-34 2.055 | ‘25 320 |15 19 3 Ilba7z|? d8ll 3153 9‘413 5- di 26 3241 | 16 20 4 8,94| 47] 4° 6 9 53 5 291.2 322 |17 24 Re AMS 61 5) OI 1001 33 3 46 | 28 323 |18 23 si 4ezi 400, OLCSSELI'API 15 4 6 | ‘929 324 |19 AU E' 1481091 A51 712001) 10059 4 31° | 30 325 |20 25 5. | 25801 AZ (S C27008] 124 46pi|5 li 1 326 |21 27 5 18,31 43] 9 34 1 36 5 39 2 327 |22 28 5 34,60] 42|/10 30 2 28 6 26 3 328 |23 29 5 41.681. 42111 22 DEI 7 23 4 329 |24 SI boat 950.116 db 42: Pil, I 44 8 29 5 330 | 25 32 6 28,08| 40] 12 38 Li SALE 9 40 6 331 |26 33 Bb JAXI6I doi 1 ia 5° 55 (IMD 553 7 332 |27 34 FA AES 39814 229 6 43 — 8 333 | 28 36 7 (29003 5%. BONI, 1.750 Be AR. -1S- | 349 334 |29 37 € |49538 381 2048 8 18 1. 265 HO 335 |30 38 5, (11797 Sl 2152 9- 8 D c400 1 di Ì FASI DELLA LUNA. Il giorno nel mese diminuisce di fb 4 Luna piena 4h 39" pom. di “A e 9 à 4 La Luna è in Perigeo 5h pom. . 441 Ultimo quarto 10 52 ant. 18 1a. Apogeo 5 ant. 19 Luna nuova 2.9 pom. Il Sole entra nel segno Sagittario 27 Primo quarto 41 18 ant. | il giorno 21 ad ore 8 m, 13 pom, i [ 118 TOMASO ASCHIERI =» EFFEMERIDI ECC. Dicembre 1892. GIORNO : TEMPO MEDIO DI ROMA & [ei 5 Li SOLE La LUNA = Ss O-_rrt_—m———TTt__essst=- > || P_——TT_P sii si s |$ s | I) x |3 assa S passa d > — | nasce al El nasce al tramonta è n meridiano S meridiano RSI h m h m Ss h m h m h m h m 396 | tp799|| 42 9 (34500/4 371 2!:550;| 10 dp.ilo& ale.| 43 397 | 3h 40 8} (57524 SAI Si f24-: 10, 58 5_ 24 43 EVI 4 9, 21,08|. 371) 3-59 _- 6 50 14 399 | 4f 42 9) ‘45954 360 4i 460: 12 0a.lip 8 15 15 340 | I 43 10%} (1140549|= 36 5 45 E 39 9 al 16 Hal | Op 5 10 136301 SO 6 55 2 410 illo 32 17 342 | 7} 46 il 2204 |- 36 81:40 > 13 edi 49 18 343 | Sf 47 ik. (28706]|0 36 9526 2 10 |pli as 19 344 | 9 48 10 [E5gaD. le 300 40130 ® 2 ll42 2ip.| 28 345 |10f 49 128 (22497 lo} BOE 14 147 D 48 |l42 424] 24 346 [14 49 12) [50679 |:}: 26 -—_ ò di "N 22 347 112} 50 18 [19,00]. 30112) 9a % 12 i 4&,| 28 348 113) 51 1% [4ZgDO lc} BOH UA! 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Il giorno nel mese diminuisce di 0h i 140, 4 Luna piena Sh 7 ant. .3 La Luna è in Perigeo 6b ant. 11 Ultimo quarto 3 20 ant. ù È Gua È ite 19 L 9 3 ant. una nuova an Il Sole entra nel segno Capricorno 26 Primo quarto 10 412 pom. il giorno 24 ad ore 9 m, 9 ant, 119 ECCLISSI 1892 (Tempo medio di Roma) Nell'anno 1892 avverranno due ecclissi solari e due ecclissi lunari, di cui sono visibili soltanto le ultime due. I. Ecclisse totale del SoLe, 26 Aprile; invisibile a Torino Questa ecclisse è visibile nella parte meridionale dell'Oceano Pacifico, nella maggior parte della Nuova Zelanda e nella parte occidentale dell'America del Sud. II. Ecelisse parziale di Luxa, 11-12 Maggio; visibile a Torino. Principio dell’ecclisse . . . a 10° 0" pom. del giorno 11 Wimuieemedio” . >. ... 0.» 11 43 » » » Fine dell’ecclisse . . . . . » 1 27 ant. » 12 Grandezza dell’ecclisse-0,95 del diametro lunare. Per Torino l’immersione avviene a 106° verso sinistra dal punto più alto del disco; l’emersione a 59° verso destra dallo stesso punto. (Immagine diritta). III. Ecclisse parziale di SoLe, 20 Ottobre; invisibile a Torino. Grandezza dell’ecclisse 0,91 del diametro solare. Questa ecclisse è visibile nell'America centrale e settentrionale (esclusa la California), nella Groenlandia, nell’ovest dell’Islanda e nella metà settentrionale dell’Oceano Atlantico. 120 IV. Ecclisse totale di Luna, 4 Novembre; visibile in parte a Torino. Principio dell’ecclisse .. . . . . a 2° 59" pom. » della fase totale ve Torri » Istante ‘mediot**#0* 1D orge 040} 1"*35 » Fine della fase. totale >. . . |» 4_D7 » Hine®dell’eeclisse: LL. 080 |> 64! Li » Questa ecclisse è visibile nella maggior parte del Grande Oceano in Australia, in Asia, in Europa e in quasi tutta l'Africa (esclusa la parte occidentale dell’Africa settentrionale). A Torino la Luna nasce a 4" 58" pom., cioè 1" dopo terminata la fase totale; l’emersione avviene a 92° verso destra dal punto più alto del disco (Immagine diritta). Il Sole tramonta a 5" 1" pom. L’Accademico Segretario GIUSEPPE "ASSO. N SOMMARIO ———— Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 22: Novembre 1891... ne Pag. Basso — In commemorazione di Guglielmo Weber... .... ; Bizzozero — Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mu- cosa’ =: Nota seconda. i. int e NIE FERRARIS — Sul metodo dei tre elettrodinamometri per la misura dell'energia dissipata per isteresi e per correnti di Foucault in un.trasformatore tota ae eee sa Prano — Sulla formola di Taylor. .......,.. sa Pastore — Di alcuni nuovi conduttori rettilinei approssimati, che si-deducono dal.moto-ellittico= iu. 0a Gracomini — Su alcune anomalie di sviluppo dell'embrione umano . ErrERA e BaLpracco — Studi sull’acido parametilidratropico . . . Monti — Sulla soprafusione dell'acqua e delle soluzioni saline in IMOVIMENTO: + EEE a aa o EI iS Reina — Sull’errore medio dei punti determinati dei problemi di Hansen ‘e:di Marek ie a i ei RN AscHieri — Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di To- rino:e per l’anno 1892: dna wa SII Torino — Tip. Reale Paravia, F) «SC SL. TECTITI PESCI - da SET PIRIINA CI PAPI ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI:T.O RENO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXVII, Disp. 2*, 1891-92 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 121 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 6 Dicembre 1891. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: Bruno, BeRrRuUtI, D’OvipIio, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA. GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Vien letto l’atto verbale dell’adunanza precedente che è ap- provato. Fra le ultime pubblicazioni pervenute in dono all'Accademia vanno specialmente segnalate le due seguenti : 1° A text book of Physiology del Socio corrispondente M. Foster, professore di Fisiologia nell'Università di Cambridge; 2° Amales del Museo Nacional de Buenos Aires para dar a conoscer los bietos de historia natural muevos 0 poco conocidos conservados in este Establecimiento (Disp. XVII, 1891), del Socio corrispondente Dott. Germano BurmEIsteER, Direttore del Museo Nazionale di Buenos Aires. Poscia il Socio Segretario Basso legge un suo scritto, già presentato alla Classe nell'adunanza precedente, in commemora- zione del Socio Corrispondente Dott. Giuseppe PISATI, professore di Fisica tecnica nella Scuola d’Applicazione per gl Ingegneri in Roma. Questo scritto verrà pubblicato negli A##. Il Socio GiBELLI, anche a nome del condeputato Socio SALVADORI legge una sua Relazione sopra una Memoria dei Dottori 0. MAaT- TIROLO e L. BuscaLioni intitolata: Sulla storia di sviluppo del tegumento seminale. In seguito alle conclusioni favorevoli di questa Relazione, la Classe delibera la lettura della Memoria. e quindi ne approva l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche. La Relazione del Socio GiBELLI verrà pubblicata negli Aff. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc, — Vols XXVII. 9 122 G. BASSO LETTURE In commemorazione di Giuseppe Pisati : del Socio Prof. GIUSEPPE BASSO Il giorno ottavo del luglio scorso un numeroso e mesto corteo di amici, di colleghi e di discepoli accompagnava all’ultima di- mora il nostro socio corrispondente dottore Giuseppe Pisati, pro- fessore di fisica tecnica nella Scuola d’applicazione per gl’ingegneri in Roma. Sul feretro dell’uomo egregio, che all’età di 49 anni veniva spento da una penosissima malattia, parlarono col linguaggio dell’affetto e della riverenza illustri rappresentanti della scienza italiana ed alunni riconoscenti. E poichè si volle, con gentile pen- siero, che delle parole colà pronunciate rimanesse, in memoria dell’estinto, traccia durevole col darle alla stampa e col diffonderle largamente, così sarebbe superfluo che io ripetessi ora men bene ciò che coll’eloquenza del cuore si disse allora da quelli che, cono- scendo da vicino il Pisati, ebbero la fortuna d’apprezzarne meglio le virtù civili e domestiche, l’integrità scrupolosa, l'esemplare mo- destia, la squisita mitezza di carattere. Mi restringerò quindi a con- siderare in lui lo studioso valente ed operoso, accennando a tratti rapidissimi i principali suoi lavori nel campo delle scienze spe- rimentali. Sin da quando, poco dopo di aver conseguita la laurea nella Università di Pavia, si avviò per la carriera dell’insegnamento secondario, insegnando prima nel liceo di Ancona, poi in quello di Palermo, il giovane professore diede prova di non comune at- titudine alle investigazioni sperimentali costruendo un barometro a due liquidi ed un aspiratore ad efflusso costante, studiando i fenomeni dell’espansione delle gocce liquide ed escogitando nuove esperienze rivolte a scopo didattico. Ma in Palermo la possibilità di frequentare il laboratorio di chimica prima, e poi quello di fisica sotto la guida dei professori Cannizzaro e Blaserna diede modo al Pisati di dedicarsi a lavori di maggior lena. I primi di questi versano quasi tutti su argomenti di chimica pura, dei quali ri- corderò soltanto due, eseguiti nel 1871 in collaborazione del pro- COMMEMORAZIONE DI GIUSEP PE PISATI 123 fessore Paternò, dei quali l’uno contiene Ricerche sul bromuro di etilidene e l’altro Studi intorno all’azione del percloruro di fo- sforo sull’aldeide biclorurata. Appartengono a questioni riguardanti ad un tempo la chi- mica e la fisica quelle relative alla dilatabilità termica del solfo e del fosforo, alle quali in seguito dedicò i suoi studi, talvolta da solo, più spesso in collaborazione di altri colleghi, quali il De-Franchis, il Saporito-Ricca ed altri. 1 risultati di queste ri- cerche si trovano consegnati in tre Memorie; di queste, una Sulla dilatazione del solfo fuso ed un’altra Sulla dilatazione del fo- sforo furono pubblicate nella Gazzetta Chimica Italiana del 1874; la terza Memoria Sulla dilatazione, la capillarità e la viscosità del solfo fuso venne accolta negli Atti dell’Accademia dei Lincei nel 1877. Avendo determinato il coefficiente di di- latazione medio del solfo entro dati limiti di temperatura, il Pisati trovò numeri notevolmente più piccoli di quelli del Despretz e che sì accostano assai meglio a quelli del Kopp, conservandosi tut- tavia alquanto più grandi di questi ultimi. La dilatazione del fo- sforo solido fu studiata a partire dalla temperatura di 0° fino a quella della fusione del corpo e la misura della dilatazione del fosforo liquido fu poi spinta fino alla temperatura di 280°. Risultò che il fenomeno succede, per entrambi gli stati fisici del fosforo, con notevole regolarità: fu confermato il fatto dell'aumento di volume che accompagna la fusione ed essendosi trovato il modo d’impedire, o quasi, la formazione del fosforo rosso, la quale , quando avviene, complica di molto la legge della dilatazione, si riuscì ad ottenere buone determinazioni che verificano e comple- tano quelle fatte prima da Ermann e da Kopp. Nel 1875 il Pisati pubblicò pure nella Gazzetta Chimica Italiana la descrizione di alcune sue esperienze in difesa del- l’ordinaria teoria della induzione elettrostatica. A questa teoria il Melloni fin dal 1854 e più tardi il Volpicelli avevano con- trapposta un’altra, secondo la quale l’elettricità indotta contraria alla inducente sarebbe del tutto dissimulata e solo la indotta omo- nima si troverebbe libera e dotata di tensione. Oggidì l'esame di una tale questione non offrirebbe più un grande interesse, poichè intorno ai fenomeni dell’elettricità in equilibrio sui conduttori noi possiamo oggi attingere dalla dottrina matematica del potenziale cognizioni assai precise e di certezza indiscutibile. Giova invece ricordare, almeno sommariamente, un gruppo di Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 9* 124 G. BASSO lavori (1) eseguiti dal nostro compianto collega negli anni 1876-77 sulle proprietà meccaniche dei metalli e specialmente sulla tena- cità ed elasticità di torsione del ferro a diverse temperature. È nota la grande discrepanza fra i valori dati da Wertheim e quelli ottenuti da Baudrimont per la tenacità del ferro, così alla tem- peratura ordinaria, come a quelle comprese fra 100° e 200°. Era perciò conveniente lo istituire nuove ricerche su tale que- stione. Ciò fece il Pisati sperimentando su fili di ferro crudo, di ferro ricotto in presenza dell’aria e di carboni accesi, di ferro ricotto in presenza di anidride carbonica secca. Escogitato un procedimento ingegnoso per poter sperimentare a molte tempe- rature comprese fra l’ordinaria e 300°, egli determinava per cia- scuna di esse il peso necessario a produrre la rottura del filo e misurava ad un tempo l’allungamento in questo avvenuto. I ri- sultati di queste accuratissime esperienze sono assai discordi da quelli ottenuti precedentemente da Baudrimont e da Wertheim; inoltre, nelle prove eseguite sui fili di ferro ricotto, s’incontrarono certi fatti non ancora prima avvertiti e sovratutto questo, che, col crescere della temperatura a partire dall’ordinaria, il modulo di elasticità diminuisce fino a raggiungere un valore minimo a 50°; poi cresce fino a 90°, si mantiene quasi costante da 120° a 200°, presenta un nuovo minimo a 235°, il quale è quasi im- mediatamente susseguito da un forte massimo. Un modo analogo di comportarsi si riconobbe nel coefficiente di allungamento. In quanto alla elasticità di torsione ed alle modificazioni in questa provocate dal calore, il Pisati scoprì pure fenomeni assai notevoli, lo studio dei quali serve di complemento agli studi no- tissimi di Coulomb, di Wertheim e di Kupffer. Il seguente fatto è, fra gli altri, assai importante: l’elasticità di un filo metallico il quale, essendo assoggettato a torsione, trovasi animato da moto oscillatorio, presenta fra due determinati limiti di temperatura, due periodi successivi e ben distinti. Dapprima il numero totale delle oscillazioni ed il moduio di torsione vanno aumentando ed (1) Sulla tenacità del ferro a diverse temperature (colla collaborazione di G. Saporito-Ricca); Volumi della Società Italiana delle Scienze, 1876. — Sulla elasticità dei metalli a diverse temperature; Gazzetta Chimica Italiana, tomo VI, 1876 e tomo VII, 1877. — Ricerche sperimentali sulla tenacità dei metalli a diverse temperature (colla parziale collaborazione di G. SaPoRITO e di S. ScicHiLone); Atti della R. Accademia dei Lincei, 1877. COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE PISATI 125 il filo, quando ritorna alla quiete, offre una sensibile torsione permanente. Continuando però il filo ad oscillare, mentre esso passa dalla temperatura più bassa alla più alta delle due fissate, i fenomeni ora accennati diminuiscono d’intensità ed il filo tende ad assumere uno stato elastico normale e definitivo per quei dati limiti di temperatura. Donde una conseguenza, della quale il Pisati tenne gran conto in ulteriori sue ricerche, cioè che la determi- nazione delle costanti relative all’elasticità di torsione debbono sempre farsi su fili già ridotti allo stato elastico normale. Nel 1877 il Pisati lasciò la cattedra di fisica a Palermo per coprire l’ufficio di professore di fisica tecnica in Roma. Quivi i grandiosi mezzi sperimentali che furono messi a sua disposizione, così dalla Scuola d'applicazione per gl’ingegneri, come dall'Ufficio centrale metrico, suscitarono in lui il desiderio di dedicarsi a ricerche di più alta precisione, e, proponendosi un’opera di maggior momento, sì accinse alla trattazione di un problema che interessa per vari rispetti la fisica, la meccanica e la geodesia, cioè la deter- minazione del valore della gravità terrestre. In Italia, più che altrove, era a desiderarsi che tale problema formasse oggetto di studio per parte di sperimentatori accurati ; poichè, se il collegamento dei nostri Osservatorii astronomici aveva già promosso in tempi recenti una raccolta abbondante di ele- menti astronomico-geodetici ben determinati, mancavano tuttavia quasi completamente misure dirette ed esatte per l'accelerazione dovuta alla gravità. Per colmare questa lacuna il Pisati ebbe la buona sorte di potersi associare un collega esimio ed intimo amico, il professore Enrico Pucci, del quale pure la scienza deplora la perdita recente, avendo egli preceduto nella tomba di pochi mesi il suo collaboratore. Il lungo e difficile lavoro eseguito in comune non è pur troppo interamente compiuto; nel suo stato attuale esso è consegnato in una grande Memoria intitolata: Sulla lun- ghezza del pendolo a secondi, la quale conseguì il premio reale assegnato alla Fisica nell’anno 1882 e nell’anno seguente fu pub- blicata negli Atti dell’Accademia dei Lincei. La Memoria Pisati-Pucci, costituita com’è di minute descri- zioni di apparecchi, di esposizioni particolareggiate di procedi- menti di misura, di lunghe discussioni intorno alle cause di errore ed ai modi di eliminarle o di correggerle, non è guari suscet- tibile d’un riassunto succinto e ad un tempo chiaro. Dirò solo che gli Autori, dopo una diligente critica dei vari metodi appli- 126 G. BASSO cabili alla determinazione della gravità, decisero di appigliarsi al metodo differenziale di Bessel. Perciò dovettero ricorrere a due pendoli a filo, in tutto eguali fuorchè nella lunghezza, e deter- minare con somma precisione, sia la durata di oscillazione per ciascuno dei due pendoli, sia la differenza fra le lunghezze di questi. Si sa che la conoscenza di questi elementi permette im- mediatamente di calcolare il valore della gravità e la lunghezza del pendolo a secondi. Vedesi che il concetto fondamentale che informa il lavoro di cui si tratta non è, in fondo, originale, nè nuovo; ma nelle singole applicazioni del metodo adottato quante migliorie e perfezionamenti si trovano introdotti a confronto dei procedimenti di misura adoperati dal Bessel stesso! Gli studi an- teriori fatti dal Pisati sull’elasticità e sulla dilatabilità dei fili metallici imposero naturalmente agli sperimentatori la convenienza di assoggettare, in via preliminare, i fili che dovevano poi ser- vire per i pendoli a ripetute tensioni e torsioni, fino a tanto che si fosse certi che erasi in essi raggiunto lo stato elastico nor- male. La misura della differenza fra la lunghezza dei fili dei due pendoli veniva fatta con un metodo ottico, cioè ricorrendo ad un sistema di due microscopi a forte ingrandimento con oculare micrometrico. Pazientissime furono le cure adottate per mante- nere costante la temperatura durante le coppie di esperienze che facevansi coll’uno e coll’altro pendolo ed ingegnoso l’impiego di un termoscopio speciale, formato di un filo d’alluminio ed uno di platino, allo scopo di riconoscere ad ogni istante se la con- dizione della costanza nella temperatura mantenevasi soddisfatta. Infine gli artifizi adoperati per mettere in moto i pendoli; per fermarli all'uopo, per misurare esattamente l'ampiezza delle loro oscillazioni non solo valsero ad evitare notevoli cause d’errore, ma servirono a palesare l'influenza molto complessa che la re- sistenza dell’aria esercita sui moti pendolari. In questi ultimi anni l’attività del Pisati si rivolse pure ad argomenti dipendenti da altri rami della fisica e specialmente re- lativi all’elettromagnetismo. Tre sue Memorie che videro la luce durante il 1890 (1) hanno appunto per oggetto lo esame della (1) 1° Contribuzione alla teoria dei circuiti magnetici; — 2° Ricerche spe- rimentali sulla propagazione del flusso magnetico; — 3° Di un fenomeno perturbatore che si manifesta nella propagazione del flusso magnetico. Ren- diconti della R. Accademia dei Lincei, vol. VI, primo semestre 1890. COMMEMORAZIONE DI GIUSEPPE PISATI. 127 trasmissione del flusso magnetico attraverso i corpi, i quali in una data loro regione, sono sottoposti ad un’azione magnetiz- zante. Più particolarmente, il Pisati si propose la ricerca della legge secondo cui il flusso magnetico varia da una sezione ad un’altra di un fascio di fili di ferro dolce quando questo fascio, per una certa porzione della sua lunghezza, trovasi coperto da una spirale magnetizzante animata dalla corrente di una pila. Le osservazioni vennero eseguite col mezzo di una seconda pic- cola spirale infilata sul fascio stesso, la quale potevasi collocare successivamente a varie distanze dalla prima spirale ed era te- nuta in comunicazione con un galvanometro balistico a rifles- sione. Quest'ultimo serviva a misurare le correnti d’induzione che nella piccola spirale generavansi ogniqualvolta si chiudeva o si apriva il circuito contenente la pila e la spirale magnetizzante. A questo modo l'Autore pervenne a formulare la legge della tras- missione del flusso magnetico, la quale è analoga a quella, tro- vata da Fourier, per la propagazione del calore nelle verghe scaldate ad una loro estremità. È dunque probabile che, anche per il flusso magnetico, si abbiano a considerare in ogni specie di corpi due sorta di conduttività magnetica, cioè una interna ed una esterna. Però un esame più minuto del fenomeno, col- l'impiego di correnti magnetizzanti d'intensità molto diverse e col sussidio di strumenti precisi e sensibili, rese l'Autore accorto del- l’esistenza di un fatto secondario che perturba sensibilmente la legge fondamentale del flusso. Di questo perturbamento, in virtù del quale il flusso si propaga con andamento leggermente ondu- latorio, l'Autore propone una assai plausibile spiegazione. Chiudo con un'ultima osservazione questi pochi cenni, che io presento come molesto tributo alla memoria del collega che fu egregio scienziato, insegnante benemerito, patriotta e cittadino vir- tuosissimo. Chi legge i lavori di Giuseppe Pisati non può ristarsi dallo avvertire in loro un pregio veramente caratteristico. Tra- spira da ognuno di essi l'amore schietto della verità, al cui ac- quisto lo scrittore non credesi giunto senza aver applicata una critica diligente ai diversi procedimenti che si possono seguire, senza l’analisi minuta delle cause d'errore che sono loro inerenti e che fa d’uopo di correggere o di eliminare. Quando il Pisati espone i risultati delle sue ricerche, egli spinge fino allo scrupolo la cura di solamente affermare, e nulla più, di quanto l’esperienza in modo manifesto e con certezza gli ha additato. lo yorrei che i 128 G. GIBELLI giovani studiosi che oggidì popolano gl’Istituti sperimentali ita- liani meditassero i lavori di Giuseppe Pisati e ne traessero questo insegnamento: che non la brama di dar alla luce in breve tempo molte produzioni, le quali riescono poi per ordinario affrettate e superficiali, bensì lo studio paziente, coscienzioso, improntato sempre alla più severa sincerità scientifica può maturare frutti che porgano testimonianza del merito reale dei loro autori e ridondino ad un tempo a qualche vantaggio duraturo per la scienza. RELAZIONE sulla Memoria dei dottori OrEsTE MaTTIROLO e LUIGI BUSCALIONI I dottori Oreste Mattirolo e Luigi Buscalioni presentano un lavoro sulla Storia di sviluppo e sulla Fisiologia dei Tegumenti seminali, il quale fa seguito ad una memoria sull’Anatomia dello Spermoderma, accolta già da questa R. Accademia per la in- serzione nei suoi volumi (Adunanza 21 giugno 1891). Nella prima parte di questi nuovi studi gli Autori descrivono le fasi evolutive che subiscono i tegumenti del seme, il Chilario ed i Tubercoli gemini. Degne di nota sono le osservazioni sull’origine delle Valve chilariali dalla scissione delle Cellule Malpighiane; sulla forma- zione della Lamina chilariale, ed in specie sulle vicende degli elementi del tegumento interno; i quali invece di atrofizzarsi come si ritiene universalmente, si segmentano con grande attività, mentre il setto divisorio si forma quando il processo cariocinetico ha ter- minate le sue fasi. Non meno interessanti sono le conclusioni alle quali pervennero gli Autori, studiando la evoluzione dello strato tannico; avendo essi potuto dimostrare, che questo strato protegge il tegumento e ne impedisce la completa atrofizzazione provocata dall’embrione. La seconda parte del lavoro presentato è consacrata alla Fi- siologia del tegumento. | RELAZ. SULLA MEM. DI 0. MATTIROLO E L. BUScALIONI 129 In seguito ad accurati e lunghi studi, taluni dei quali già resi di pubblica ragione nel giornale botanico « La Malpighia, » gli Autori sono riusciti a mettere in chiaro: 1°) Che la linea lucida difende il seme da una evapora- zione dannosa alle prime fasi del processo germinativo; 2°) Che il tegumento seminale non è solo un apparecchio di protezione, ma esso ha un ufficio notevole nel meccanismo della respirazione, fenomeno finora non conosciuto; 3°) Che il Chilario in grazia degli speciali movimenti di apertura e chiusura, di cui sono dotate le sue labbra igrosco- piche, mantenendosi costantemente difeso dall'umidità, contribuisce efficacemente a provocare la rottura del tegumento, quando il seme sta per germinare, ed a regolare il processo di uscita della radice; 4°) Che i tubercoli gemini, sviluppandosi a ridosso della porzione librosa del fascio funicolare, hanno per compito di porre termine all’afflusso di materiali nutritizî al seme e di stabilire perciò l’epoca in cui ha luogo la maturità del seme. Tali ricerche, che determinano la funzione di organi nuovi scoperti dagli A., danno luogo a vedute originali e nuove nella scienza. Alla parte fisiologica tiene dietro un’accurata rivista critico- bibliografica sui lavori sinora pubblicati intorno ai tegumenti seminali delle Papilionacee e sullo Spermoderma in genere. Una tavola degli Autori, che ebbero ad occuparsi dei tegu- menti seminali nelle differenti famiglie vegetali, chiude il lavoro, al quale vanno unite n° 3 tavole illustrative diligentemente eseguite. Questa memoria, unitamente a quella già pubblicata, è im- portante non solo per la ricchezza di nuovi trovati e per l’ac- curatezza con cui fu condotta, ma in specie perchè gli A., hanno sottoposto ad una coscienziosa disamina i punti più controversi con- cernenti il tegumento seminale, di guisa che essa potrà diffondere molta luce su questa parte della anatomia e fisiologia botanica. T. SALVADORI. G. GIBELLI, Pelatore. L’Accademico Segretario GiusePPE Basso. RE t4ontavzga ta OtOaTeta Ot Le e nada di i Gig. dinupi toh iauot Abate bg 19 inrnmisanbengl UE Fat ani Md » 109tnatod Maseroig lot: M1orgeg pil ; santo che s9g6ido ninoltoni a itfoesi odoe sprgsovo Gus sh; eran ti, abaglib, Sbival gonitoali a e sata i TARA pan ‘229001; fap: dani! PARA olripanssaga 1655 ;DI0&, ftt} afalginina, ointargol eli QuaeiasI0I LI, [sa alovatoa, otytitio gegio sf «ica MIR D va in agata», 1a ata onortogoh , ao ib i agutivota ita ifyob amar ut ortalid) li ad) (0 A CA «odaotgi ‘aida ona pi atetob odoe isò ib ssrceratrigià @ soatodistuoo Adibimu flab-osstihrattoata) 15)200 sof rona pena ft obianp ,0tm91ug9t [bb ampio s! atnovong a pio c saotbat alfob attoan ib 02200091] lì stlog dor Rho :FIBUIUFT affsb osgobir # Leo pane tria -fistinios io: viodgrà. è ad WFIO ib oi ITMIO9 ‘19 DIL art logie Orani lob sao tdi orilidati "ih “6 gita fr O MRO 7 “pali ssa [ob stirota al ogoni sul 100 40 n00KS ivout inogro ib sgcisaut al orstagitratob ado” rio | *. Giller voir » ilazigrto stvhoy'# og001 fili Par: Voki edalvie Bbamsroae ar ontathi piatt soi) raf ste ifnoriggot tino osttolti Loi then sioni ia kinilfava sà VA NT; ansa eta ollira to MIMEG SE MORTA rotliaò 4n all “Ipoai.iab iaisgu4gdo; Na MOR dda, cibisA iigoh din ,«provri It parc io 2560 logo gilgi. sisbivttorori Net gliod # _Miygoso i ferri TAstag il Wii tentaglti talavat & Mi Sil "in 0gge ii $ goddess alloop a ta Arto trad sta «08 Tiago o iosa kb agsodante »I id cloni MIL ariggi: PROT È iu My lorskp dlraga tnfte Ratiettobitog dt had 1091 si 1 {100 Fei Rari VISTA QUOLIUN (800 dingnaib IRZTERASTIT Mo par bere 40 do arbuoîti) frtogosna ado: argo safanintoa otaaditugobi vb cri ppirgion ESSA a aiusoisiaginatiod Att] oc ustà DI uo j tu Li vis SURE 1 ‘n caliocisee ni cggarsag Ria N Salad RICO Moe è ite stlo e Mir (Autori, studia nido fiano: cea i atrate? rivetti Bari pot tato «dmn mo stra eun Lp } protegge il LI h) Fer vaagte Lirio odiana: aim pa "Laogà? o Intoro! pasta ta auto I nicol de "Vaginigto i Mr + algo cm Ì pio A $ Gmmetti — Relazione A Memoria dei ‘Dottori Oreste Mattiro j SARE - Luigi Tcen SIR Sata RR di i i O SO Torino 00 — Tip. Reale Paravia. rai i ap ; Ì ic x V ià ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXVII, Disp. 3*, 1891-92 ——_ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R, Accademia delle Scienze n - Si 131 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 20 Dicembre 1891. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio Direttore della Classe, SAL- vaborI, Cossa, Bruno, BERRUTI, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Vien letto l'atto verbale dell'adunanza precedente che è ap- provato. Vengono letti ed accolti per la pubblicazione negli Atti i lavori seguenti: a) Teorica di alcuni strumenti topografici a riflessione; Nota del Prof. Nicodemo JADANZA, presentata dal Socio NACCARI. b) Sopra una relazione fra le coordinate sferiche orto- gonali e le coordinate topografiche; Nota dell’Ingegnere G. B. MAFFIOTTI, presentata dal Socio FERRARIS. c) Azione dell’ etere cianacetico sulle basi organiche; Nota I del Prof. Icilio GUARESCHI, presentata dal Socio Cossa. d) Azione dell’anilina sull’etere cianacetico; Nota del Dottor E. QuENDA, presentata pure dal Socio Cossa. Infine il Socio CamERANO presenta uno Studio del Prof. Fe- derico Sacco, Sulle Ecchinidee e sulle Pyramideledee, il quale fa seguito a parecchi altri già pubblicati, sui Molluschi dei ter- reni terziarii del Piemonte e della Liguria, nei volumi delle Memorie accademiche. Un'apposita Commissione viene dal Pre- sidente incaricata di esaminare questo nuovo lavoro e di riferirne in altra tornata alla Classe. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Voli XXVII, 10 139 N. JADANZA LETTURE Teorica di alcuni strumenti topografici a riflesione ; del Proff NICODEMO JADANZA, Può sembrar strano a taluno che, dopo la esposizione della teorica degli strumenti topografici a riflessione fatta dal Bauern- feind (*), e dopo l’altra fatta dal Casorati (**), noi ci accin- giamo ad una nuova trattazione di codesto argomento che è uno ‘ dei più utili della Geometria pratica. Qualora però si osservi che la nostra trattazione è più ge- nerale e più semplice, si troverà giustificato il presente scritto. Ammetteremo come noto il teorema fondamentale : L'angolo che un raggio luminoso incidente fa con quello doppiamente riflesso da due specchi è doppio dell’angolo degli specchi. LÌ Prisma triangolare. 1) Sia PQ un raggio luminoso che incontri in @ la faccia AC del prisma retto a base triangolare ABC; sia < l’an- P Fig, 12 golo d’incidenza e QE la direzione che il raggio rifratto in @ (*) BavERNFEIND, Elemente der Vermessungskhunde (Siebente Auflage). Stutt- gard, 1890). (*) CasoraTI, Alcuni strumenti topografici a riflessione (Milano, 1872), ALCUNI STRUMENTI TOPOGRAFICI A RIFLESSIONE 133 prende nell’interno del prisma facendo l’angolo r colla normale in Q. Il raggio QR venga riflesso in R e, prendendo la dire- zione RS, incontri in S la faccia BC. In S subisca una nuova riflessione e sia S7 la direzione del raggio doppiamente riflesso il quale incontri in 7 la faccia AB; quivi si rifranga e sia TU la direzione del raggio emergente. Otterremo l'angolo di deviazione v che il raggio incidente P@ fa col raggio emergente TU nel seguente modo. La perpendicolare alla faccia AC nel punto @ incontri in N la retta su cui trovasi il raggio emergente 7U ed in H il raggio doppiamente riflesso ST; se M è il punto d’incontro della retta P@ colla TU ed L il punto d'incontro della QR colla S7, sì avrà: Nel triangolo MNQ p+N+i=180° e nel quadrilatero NQAT A+ i'+N=180° donde per sottrazione d=A+d'—i x (RE Allo stesso modo se & è l’angolo che il primo raggio rifratto QI fa coll’altro ST si otterrà: Dal triangolo LHQ 6+H+r=180° e dal quadrilatero HQAT A-ErPe H=180® quindi O0=-A+4r=-r en) D'altra parte, osservando che B è l’angolo delle due facce BA, BC del prisma, sulle quali succede la doppia riflessione , si ha anche G—=2B e perciò sarà r-r=2B-A L ni) 134 N. TADANZA L'angolo di deviazione 4 dato dalla (1), ponendo 2B-A=a e tenendo conto delle relazioni sen 2 = » sen Y CHE I senz=n senr, potrà essere espresso in funzione di y mediante la equazione: p= A+arcsennsen(a+r)—arcsennsenr ...(4). Se si vuole che il prisma sia a deviazione costante, dovrà aversi indipendentemente da 7 d = costante e quindi n) Odg dr Ora è Og mm ncoslat?) n COST vr Vi_w°sen(a+r) VI n?sen?r che si annulla, indipendentemente da r, se si ha a=0 c'e Quindi l'angolo di deviazione W sarà costante, indipendentemente dall'angolo d'incidenza è se A=92:RBs nel qual caso sarà #=r; i'=i. Il prisma triangolare adunque potrà deviare di un angolò costante un raggio luminoso soltanto quando uno dei suoi an- goli A è doppio di un altro B. L'angolo di deviazione 4 sarà dato da P—A_2B. i 20) Segue da ciò che il prisma triangolare rettangolo isoscele devierà di 90° un raggio luminoso, e quindi potrà servire a con- durre perpendicolari sopra allineamenti dati. 2) Nel caso esaminato precedentemente il punto d’ inci- denza @ ed il punto di emergenza 7' si trovano sui due lati ALCUNI STROMENTI TOPOGRAFICI A RIFLESSIONE 135 che comprendono l’angolo 4; esaminiamo il caso in cui quei due punti si trovano amendue sopra un medesimo lato. In questo caso (fig. 2*) si ha facilmente y4=180°— (+4) 6=180°—(r+#) GI=ON45 Fig. 2 gl A H. \ À o \lnor «| \ Li DIETE! \ B di NS C Và. 7a; Più Essendo r+r=180°— 2A =costante=a BREVA sarà rar e quindi i+ d = arcsen n senr + arc sen n sen (A—r) d(2 +4) n costr ncos(a—r) 0r — VI—wsen?r Vi—n?sen?(a— 7)" Questa derivata si annulla, indipendentemente da 7, quando a=0, nel qual caso è Agi Me L_1h80°, A SAS): Quindi E facile scrivere le equazioni dif- P, ferenziali che danno le coordinate sfe- riche ortogonali y= PM, x=OM del punto P rispetto al meridiano OX e all’origine O. Conduciamo perciò dai punti infinitamente vicini P, P' gli archi di circolo massimo PM, PUM' normali al meridiano OX. L’arco P'M' taglia il circolo minore PX' nel punto @, deter- minando un triansgoletto P@P' rettangolo in Q, il quale per essere infinitamente piccolo può considerarsi come piano, e dà luogo alle relazioni: Fig. 1. OP PP' sen QP=PP'cosa. Gli archi MM', P@ avendo la stessa, ampiezza stanno fra loro come i raggi dei circoli cui appartengono. Il raggio del meri- diano OX è il raggio r della superficie terrestre: quello del circolo PM minore PX' parallelo ad OX vale x cos — = r così ; quindi r MM' 1 od anche, poichè, come abbiamo supposto, i punti che si con- siderano non sono molto distanti dalla meridiana, e sono trascu- 1 rabili i termini dell’ordine di ZE r DEE 1 y° E: RON 144 G. B. MAFFIOTTI Tenendo conto di questa relazione, ed osservando che QP'=dy, MM'=dx, le eq. (1) si trasformano nelle dy=4dlsena Ola d i 2 (2): dr = dl cos 44 35 dl cos a P le quali sono le eq. differenziali cercate. 3. Il quadrilatero elementare PP'M'M è limitato da tre archi di circolo massimo, e dall’archetto PP', che essendo infi- nitamente piccolo può considerarsi egualmente come un elemento di circolo massimo. La somma dei quattro angoli del quadrilatero presenterà quindi sopra quattro retti un eccesso, che, detta d% Mii I de l’area infinitesimale del quadrilatero stesso, sarà espresso da —- . r L'incremento da subito dall’azimut % nel passaggio dall’ele- mento PP' all'elemento successivo P'P" è dato dalla eq. d i da=d0-33 nella quale d0 designa l’angolo infinitamente piccolo formato dai due circoli massimi di cui gli archetti P P', P'P" possono con- siderarsi come elementi. Si integri la (3) e si ponga il valore iniziale di @ eguale al valore iniziale di «. Si avrà, osservando che © è nullo al punto P, iniziale della curva: 0) a=0—- +. y° Sostituendo questo valore di « nelle eq. (2), sviluppando il seno e il coseno della differenza 0 — ssh e trascurando i ter- E apieal mini contenenti gir ottiene: FOA \ dy=4dl sen 6-5 dlc0sì, TIRI: ; Ò) Y 7 | da=dl cos 0 + dl sen 0 + ga dl cos ; RELAZIONE TRA LE COORDINATE SFERICHE ORTOGONALI 145 Il secondo membro di queste eq. consta di un termine prin- cipale e di termini di correzione, funzioni della curvatura ter- restre. I termini principali non sono altro che i differenziali dy', dx' delle coordinate y', x", che si otterrebbero invece di y, %, quando il calcolo venisse fatto colle regole della topografia, senza tener conto cioè della sfericità della terra. Le eq. (2°) si pos- sono quindi scrivere come segue : \ dy=dy — 2 de' 1 A 1 DÈ Gola PO I da=dx+-dy+23da . re, 2r° Le coordinate sferiche y, x, e le coordinate topografiche corrispondenti y", «' non differiscono che di una quantità dell’or- 1 . . . . . . . ' dine di -; quindi nei termini di correzione delle (2') possono r opa : | $ 10] scambiarsi l'una coll'altra, a meno di un errore dell'ordine di + . z: Parimenti l’area sferica © limitata dalle coordinate sferiche dei punti P, e P può essere sostituita dall’ area piana @' limitata sul piano degli assi coordinati dalle corrispondenti coordinate topografiche. Si avrà perciò : ' gni CCL) dy=dy da, je !/ DÌ LA y° ! da=d -d da . So Integrando e tenendo conto che fodd= lia [c'da', {ody=o y -| ydo, fo? da' = fya alt e che i valori iniziali di y", x sono gli stessi valori iniziali di Y, x, si otterranno le: 146 G. B. MAFFIOTTI Gli integrali che figurano nel 2° membro delle ultime eq. sono i momenti, che diremo m,, m,, rispetto agli assi coordinati (fig 2) OY, OX dell’area w'. Dette quindi y,, 2, le coor- dinate del centro di gravità di quest'area, posto cioè: di BIEL] nr Ù / m,=@%,= |& do, NO ade m,=0Y; fe da, le eq. (4) si potranno scrivere sotto la forma da, N, \ ea o ; rv D En prraoa i ' Ò) Ù May | v—-% 55 DINI ds Vi Queste eq., data la curva, permetteranno di determinare le coordinate ortogonali sferiche di un punto qualunque di essa senza eseguire il calcolo sferico di tutti i punti che lo precedono. 4. Indichiamo rispettivamente con P e con P' (fig. 2) le posizioni che il punto calcolato assume nel piano, degli assi coordinati in base alle coordinate sferiche y, x, e in base alle coordinate topografiche y, a. Le differenze y,—-y; a, —-2' rap- presenteranno allora le coordinate del centro di gravità G dell’area ' rispetto ad un sistema di assi parallelo al dato e passante per il punto P'. Chiamando pertanto per brevità momento dell’eccesso sferico di un’area il momento dell’area diviso per 7°, e abbandonando il concetto di curva al quale si è fatto ricorso unicamente per utilizzare le risorse del calcolo infinitesi- male, e venendo al concetto pratico di poligonale, potremo un Fig. 2. RELAZIONE TRA LE COORDINATE SFERICHE ORTOGONALI 147 enunciare il teorema racchiuso nelle equazioni (4”) nel segnente modo : TEOREMA. —- Le differenze fra le coordinate ortogonali sfe- riche e le coordinate topografiche di un punto sono eguali ai momenti dell’eccesso sferico dell'arca della poligonale che ha servito al calcolo, presi rispetto ad assi paralleli agli assi co- ordinati dati e passanti per il punto calcolato. Il momento rispetto all’asse delle x dovrà prendersi col segno cambiato. 5. Dalle eq. (4”) si ricava la seguente: cioè : ‘(7 COSIPVRRE P'P=-P'G. Si ricava pure —V yy iu. A. Lig VI i GIA Lg TX Quest'ultima equazione esprime la condizione di perpendico- larità delle due rette P'G, P'P. Le eq. (4) poi dimostrano che y—y' ed x,—' sono dello stesso segno o di segno contrario secondochè ' è positivo o negativo, e che l'inverso succede per x—2d ed y,—y. Ne segue che, se &' è positivo, il punto P deve trovarsi a destra di chi stando in P' guarda verso G: se &' è ne- gativo, deve trovarsi a sinistra. Quindi per l’insieme delle eq. (4"), (5), (6) il teorema del numero precedente si può enunciare così: Lo spostamento P'P_ che bisogna far subire nel piano degli assi coordinati a un punto P' calcolato topograficamente, per portarlo nella posizione vera P, corrispondente alle sue coor- dinate ortogonali sferiche, è eguale al momento, rispetto al punto P', dell’eccesso sferico dell’area o' della poligonale che ha servito al calcolo; ed è diretto perpendicolarmente alla retta P'G che unisce il punto P' al centro di gravità G di quel- l’area. La perpendicolare P' P_dovrà dirigersi a destra 0 @ sinistra di chi stando in P' guarda verso G, secondochè l’area o' sarà positiva 0 negativa. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, II 148 G. B. MAFFIOTTI — RELAZIUNE TRA LE COORDINATE ECC. 6. Faremo del teorema una sola applicazione, che sarà in pari tempo una verifica. Supponiamo che la poligonale consti di un solo lato P,P,. Date le coordinate ortogonali sferiche y,, x, del punto P.,, l’azimut ‘piano z del punto P, su P,, relativamente al meri- diano di origine, la lunghezza ip PI debbansi calcolare le coordinate sferiche ortogonali yY,, x, Di IDE Il calcolo eseguito colle formole della topografia darebbe per il punto P, le coordinate \ y=y,+sena l'a=ax,4+1c08a. L'area o" consta in questo caso di un trapezio che si può scomporre in un rettangolo di area y,(2'— %,) e in un triangolo 1 di area 3 (y—y,) (€ —,). Rappresentando quindi con E, e con e rispettivamente gli eccessi sferici di quelle due figure, espressi in arco di circolo di raggio uno, si avrà / % a Ete DI Ii mi= È +e) +3 e(22'+%,) 1 1 Mme pegno (4424). Applicando ora le eq. (4’) e tenendo conto delle (7) si ot- terrà dopo alcune riduzioni: di 1 Yo=Y kl sena — ( 5 E+ 3) lcosa, 2 1 XL, =, +1 c0804+ (243€ lsena + a E: Queste eq. coincidono sostanzialmente con quelle contenute nel modello n° 12 delle Istruzioni (1) per i lavori trigonome- trici del catasto italiano, alle quali equazioni si giunge, come è noto, coll’applicazione del teorema di Legendre. n °T_ÉkKÉTTT-> 149 Azione dell'etere cianacetico sulle basi orgamiche; Nota I° del Prof. I. GUARESCHI Sono conosciute le reazioni tra diversi eteri ed alcune basi organiche, specialmente amine: ma lo studio sistematico di un medesimo etere sui vari gruppi di basi organiche non è ancora stato fatto. Questo mio lavoro ha lo scopo di confrontare l’a- zione dell’etere cianacetico su diversi gruppi di alcali organici. Studio questo importante, senza alcun dubbio, sotto vari aspetti ; oltrechè ad ottenere le ciunacetilamine e composti simili, può condurre alla conoscenza di un metodo per la separazione di una base da un’altra o per separare una base aromatica conte- nente N H® nel nucleo centrale (anilina) da basi aromatiche contenenti N 7° nelle catene laterali (benzilamina); come può condurre alla conoscenza di basi con catena chiusa. L’etere cia- CH*CN nacetico da me prescelto, | , produce infatti con molte GO. 0 CE H° amine primarie e diamine dei bellissimi composti, le c;anacetil- amine R'.NH.COCH?CN e dicianacetildiamine prNHCOCH"CN NH(C0.C HS Con alcune basi la reazione ha già luogo a temperatura ordi- naria (benzilamina, etilendiamina, pentametilendiamina, camfila- mina, diacetonamina), per altre basi occorre l’ azione del calore (anilina, ecc.) ed in questo caso insieme alla cianacetilanilide può formarsi la malonanilide corrispondente. Facendo studiare nel mio laboratorio l’azione dell’anilina su- gli eteri monocloro bicloro e tricloroacetico e sull’etere cianace- tico, m’accorsi che l'anilina non agisce sull’etere cianacetico così semplicemente come avrebbe potuto prevedersi e che si forma 150 I. GUARESCHI anche della malonanilide. Questo può essere forse un metodo generale per ottenere le malonanilidi. È poi possibile che v riducendo il gruppo cianico CN delle cianacetilamine o per trasformazione del CN nel gruppo delle 0A NH amidine — IS NH atomi di carbonio e di azoto concatenati. Anche colle basi iminiche (ad esempio, piperidina) può la rea- zione aver luogo a temperatura ordinaria e formarsi composti stu- pendamente cristallizzati. Interessante è lo studio dei prodotti che si formano dall’e- tere cianacetico con amine acetoniche, quali ad es. la diacetona- mina, come riferirò in una seconda memoria. Mi parve tanto più importante lo studio dell’etere cianace- tico in questo senso, perchè l'idrogeno del metilene CH? vicino GEECON, C 00 CS per altre reazioni, lasciar sostituire il suo idrogeno o con me- talli o con radicali alcoolici, e poteva presumersi che anche in alcuni casi dei corpi da me studiati entrasse in reazione pure il gruppo metilenico. Importanti debbono anche essere i prodotti di ossidazione delle cianacetilamine ed i composti che da essi deriveranno. Questi pro- dotti non furono ancora da me studiati che in parte. La formazione dei derivati cianacetilici può servire bene a caratterizzare certe basi forse meglio che adoperando il cloruro d’acetile od il cloruro di benzoile od anche le anidridi corri- spoudenti. Di derivati cianacetilici se ne conoscono pochissimi ed anche da questo lato non è senza importanza questo studio per il confronto che se ne può fare coi corrispondenti derivati ace- tilici, cloroacetilici, ecc. I. van’t Hoff (1) ottenne dall’etere cianacetico coll’ ammo- niaca la cianacetamide C_N.C H°CO.NH? fusibile a 105°. E. Mulder riuscì ad ottenere la cianacetilurea facendo agire il cloruro di cianacetile sull’urea e la. cianacetildimetilurea dalla dimetilurea (2). (1) Berichte, VII, p. 1382. (2) Berichte, 1879, XII, p. 467. si effettui il passaggio a composti con più a CN contenuto in esso etere può, come è noto AZIONE DELL’ETERE CIANACETICO Lbbd L’etere cianacetico adoperato nelle mie esperienze proveniva dalla fabbrica Kahlbaum; era’ ridistillato, perfettamente incoloro e bolliva a 204°-206° sotto 745 mm. Di queste mie ricerche ho già fatto un brevissimo cenno nella seduta 3 luglio 1891 della R. Accademia di Medicina di © Torino (3). I composti che io ho ottenuto dalla benzilamina, etilendia- mina, pentametilendiamina, piperidina, ecc., cristallizzano assai bene. L'azione dell’etere cianacetico sulla anilina è descritta nella nota seguente dal Dott. E. Quenda. Azione dell’etere cianacetico sulla etilendiamina. L'etilendiamina adoperata era in forma di idrato C-H*(NH?)2 4 H3@ che bolliva a 117°-117°,5 e solidificava in massa cristallina da + 7° a + 8°; era perfettamente incolora. Appena si mette in contatto l’etilendiamina coll’etere ciana- cetico, nel rapporto di 1 mol. della prima per 2 mol. del secondo, il liquido si colora in giallo-verdognolo, sviluppa calore e dopo raffreddamento si rappiglia in massa cristallina bianchissima. Gr. 4,3 di etilendiamina furono mescolati con 11,4 gr. di etere cianacetico e dopo alcuni minuti la miscela era comple- tamente solidificata in massa bianca cristallina. Dopo raftredda- mento non si sente quasi più che l’odore intenso, acuto, dell’al- cool, il quale si riconosce anche nel distillato. Dopo alcune ore si lava il prodotto con poco etere e si ricristallizza varie volte dall’alcool sino a punto di fusione costante. Alcune volte bastano due cristallizzazioni. Colle quantità impiegate ottenni 9,4 gr. di prodotto (calcolato 10,6 gr.). In altre operazioni ho avuto ri- sultati anche migliori; la quantità di prodotto è teorica, o quasi. La sostanza cristallizzata, fusibile 190-191°,5, diede alla analisi i risultati seguenti : TI. Gr. 0,2334 di sostanza fornirono 0,4265 di CO? e 0,1168 di H*°0. (1) Giornale della R. Acc. di Medicina di Torino, 1891, T. 54, p. 480-81, 152 I. GUARESCHI II. Gr. 0,2235 di sostanza diedero 56,8 cm.3 di Na 22° e 746 mm. III. Gr. 0,1747 diedero 0,3141 di CO? e 0,0862 di H°0. IV. Gr. 0,0909 fornirono 23,2 cm.° di N a 19° e.739 mm. Da cui la composizione centesimale seguente : sl IR III. IV, Ci=49382 _ 49.10 _ TE MMI _ PIDELES _ Ni ra 28.20 _ 28.50 Per la dicianacctiletilendiamina : CH°NHIOOCH°CN si calcola : CH*.NHCOCH*CN C=49.50 (Hi=!55 15 N '‘28003 Si forma secondo l’equazione seguente: C HH CH*CN Ber, CH*.NHCOCH*®CA ao 086 ves Cad? 40; Hal CHE*N°H CAOS H? CH*,.NHCOCHSCI La dicianacetiletilendiamina cristallizza dall’acqua calda in bei prismi aghiformi simili a pennacchi ; dall’alcool si ha in sot- tili aghi leggieri, disposti in forma di ventaglio ; nell’alcool freddo è poco solubile. È pochissimo solubile nell’etere freddo, un poco più nell’etere bollente. Le soluzioni sono neutre. Fonde a 190-1919,5 in liquido incoloro. Scaldata sopra il punto di fusione diventa rossa, si decompone, rigonfia dando ammoniaca, acido cianidrico, odore di conina e residuo carbonoso. (Già a freddo e meglio per breve ri- scaldamento, si scioglie nella potassa ed il liquido neutralizzato con acido cloridrico si colora in giallo. La dicianacetiletilendiamina già a temperatura ordinaria si ossi la col permanganato potassico sviluppa::do acido cianidrico. AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO 158 Etere cianacetico e pentametilendiamina Un bel campione di cadaverina o pentametilendiamina mi fu fornito dalla Casa E. Merck. Anche questa base agisce come la etilendiamina, ma più lentamente e col tempo la miscela coll’e- tere cianacetico imbrunisce. Il prodotto solido, bianco, spremuto fra carta e cristallizzato dall’alcool, fu sottoposto all’analisi : I. Gr. 0,1676 di sostanza secca sul cloruro di calcio diedero Woods dt CO WRIT1IS dl o II. Gr. 0,1293 di sostanza fornirono 27 em.8 di N a 19° e 743 mm. Da cui la composizione centesimale : I. II. O"= 5.604219 _ SE 7 — N'i=oonse 23.3 Per la dicianacetilpentametilendiamina : on<0E° CH*.NHCOCH*®CN CH°.CH*,.NHCOCH®ON si calcola: ©C=55 95 H= 6.80 N23. 60.84 Questo composto cristallizza in piccoli prismi incolori, fusi- bili a 135-136°. È solubilissimo nell’acqua calda dalla quale cristallizza in aghi piccolissimi intrecciati ; forma facilmente delle soluzioni sovrasature. Si scioglie nell’alcool da cui cristallizza in lamelle sottili lunghe; è quasi insolubile nell’etere anche a caldo. Le soluzioni sono neutre Scallato sopra il punto di fusione si decompone. Già a temperatura ordinaria si ossida col permanganato po- tassico sviluppando acido cianidrico. 154 I. GUARESCHI Azione dell’etere cianacetico sulla benzilamina. L’etere cianacetico reagisce rapidamente a temperatura ordi- naria sulla benzilamina e dà una massa bianca cristallina. Amn- che in soluzione eterea i due corpi reagiscono. Mescolando ad esempio, 9 gr. di benzilamina con 10 a:11 gr. di etere ciana- cetico (nei rapporti cioè di molecole eguali) si ha poco dopo un prodotto cristallino che, lavato prima con poco etere, si fa cri- stallizzare dall’acqua o dall'alcool. Da questi due solventi si de- posita in lunghi aghi splendenti. La quantità di prodotto ottenuto è teorica. Se il prodotto è un po’ giallo si scolora col carbone. Facendo la reazione a b. m. si può nel distillato riconoscere facilmente l’alcool. Anche scaldando all’ebollizione una soluzione acquosa di ben- zilamina con etere cianacetico, si formano, dopo raffreddamento, dei bellissimi aghi splendenti di cianacetilbenzilamina. Il prodotto di varie preparazioni diede all’analisi i risultati seguenti : I. Gr. 0,1417 di sostanza fornirono 0,3573 di CO* e 0,0788 di H°0. II. Gr. 0,1186 di sostanza fornirono 0,2994 di CO? e 0;0700 di H°0. III. Gr. 0,1734 di sostanza diedero 0,4405 di C 0? e 0,0962 di H"0 IV. Gr. 0,238 di sostanza fornirono 33,8 cm.? di N a 22° e 740 mm. Da cui: I II Ide Vv CS06. 1 68.8 69.2 — 2.5 OE RE | 6LD GL _ AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO DES Per la cianacetilbenzilamina C8H°.CH*. NHCOCH®CN si calcola : C=08.9 Ho = Bio N—= 16.0 La cianacetilbenzilamina cristallizza dall'acqua e dall’ alcool in lunghi cristalli sottili, leggieri, splendentissimi. È questo uno dei composti più belli; spesso ha l’aspetto dei bei cristalli di caffeina. Solubilissima nell'acqua calda, è invece poco solubile nell'acqua fredda : 1 p. di cianacetilbenzilamina si scioglie in 665 p. di acqua a 22°. 1 p. di cianacetilbenzilamina si scioglie in 769 p. di acqua a 17°. Solubile nell’alcool a caldo, meno a freddo; quasi insolubile nell’etere tanto a freddo quanto a caldo. Le soluzioni sono nentre. Fonde a 1253°-124°,5 in liquido incoloro. Sottoposta a distilla- zione passa a 339-340° ma in buona parte si decompone svi- luppando ammoniaca, odore d’acido cianidrico e lasciando residuo carbonoso. Non distilla col vapore di acqua nè si scompone. Scaldata con potassa si scioglie, sviluppa ammoniaca e benzilamina ed il residuo pare contenga acido malonico. La cianacetilbenzilamina si ossida col permanganato potassico, già a temperatura ordinarin, sviluppando acido cianidrico. Separazione delle amine aromatiche vere dalle aniline Per separare le amine aromatiche che contengono NH? nella catena grassa (ad es: benzilamina C° 7° C H*. NH”) dalle basi che contengono NH? nel nucleo centrale (ad es: anilina C0H?. NH?) E. Fischer (1) consiglia di scomporre la soluzione del cloridrato o del solfato delle basi, acidulata e ben raffreddata, con nitrito di sodio sino a che un saggio del liquido trattato con soda ed (1) J. Taret, Berichte, 1886, p. 1929. 156 I. GUARESCHI etere, ed evaporato questo, non dia più la reazione dell’anilina coll’ipoclorito di sodio. In queste condizioni la benzilamina e suoi omologhi non sono attaccati dall’ acido nitroso e, sovrasaturando il prodotto della reazione con un alcali forte, si estrae la base con etere o per distillazione col vapore d’acqua. Questo metodo ha l’inconveniente di non essere tanto sem- plice e di più, richiede che una delle due basi sia decomposta. Nel caso sovraccennato l’anilina resta. decomposta, mentre la benzilamina si ricupera inalterata. Io ho osservato che mentre l’etere cianacetico reagisce a temperatura ordinaria colla benzilamina, non reagisce nelle stesse condizioni coll’anilina. Col metodo che ora brevemente descrivo si ha il vantaggio di separare nettamente le due basi e ricupe- rarle inalterate. Si tratta la miscela di anilina e benzilamina con etere cia- nacetico, possibilmente in quantità di poco superiore a quella corrispondente alla quantità di benzilamina o anche in quantità maggiore; si agita e si lascia a sè la miscela alcune ore. Se dopo 12 o 24 ore la miscela non è cristallizzata, basta agitarla con un poco di etere ; la poltiglia cristallina si getta in un filtro e si lava ripetutamente con poco etere. L’etere deposita ancora de’ cristalli che si raccolgono e si lavano. Evaporato l’ etere o distillato a b. m., secondo la quantità, si distilla il residuo in corrente di vapore d’acqua che trasporta l’ anilina; il residuo della distillazione fornisce cristalli di cianacetilbenzilamina. Tutti i cristalli di cianacetilbenzilamina si trattano con potassa e si distillano in corrente di vapore; passa prima un poco di ammo- niaca, poi la benzilamina che si può estrarre con etere. Si può procedere anche più semplicemente nel modo seguente : trattata la miscela di anilina e benzilamina con etere cianace- tico, si lascia a sè alcune ore ed anche se non è cristallizzata si distilla direttamente in corrente di vapore, passa l’anilina con il lieve eccesso d’etere cianacetico ; dal liquido residuo cristallizza da cianacetilbenzilamina, la quale, invece di essere separata e pe- sata, può direttamente essere trattata con potassa e continuando poi la distillazione si raccoglie la benzilamina. La separazione è quantitativa. Da una miscela di 1 gr. di anilina, 1 gr. di benzilamina, e 1,5 gr. di etere cianacetico, ottenni 1,55 gr. di cianacetil- benzilamina, mentre si calcola 1,6 gr. AZIONE DELL’'ETERE CIANACETICO 157 Da una mescolanza di 2,2 gr. di benzilamina, 2,4 gr. di anilina e 2,9 gr. di etere cianacetico, ottenni 3,3 gr. di ciana- cetilbenzilamina, mentre si calcola 3,33 gr. Gr. 2,2 di anilina furono mescolati con. 7,1 gr. di benzila- mina e 9,2 gr. di etere cianacetico (teoria per la sola benzilamina 7,4 gr.), fornirono 11,23 gr. di cianacetilbenzilamina invece di 11,5 gr. richiesti dalla teoria. Gr. 4,2 di benzilamina con 16,6 gr. di anilina e 16 gr. di etere cianacetico cui s’aggiunsero 50 em.* di acqua per ve- dere se anche in queste condizioni la reazione avveniva bene, furono lasciati a sè per 48 ore. Distillando col vapore d’acqua e poi cristallizzando il residuo si ottennero 6,8 gr. di cianace- tilbenzilamina invece di 6,95. In un’altra esperienza simile - con 4,1 gr. di benzilamina, 16,4 gr. di anilina e 16,45 di etere cianacetico, si ebbero 6,7 gr. di cianacetilbenzilamina invece di 6,60 gr. Come si vede il metodo dà buoni risultati, Etere cianacetico e piperidina. Mescolando 17 gr. di piperidina 0° H!°. NH con 22,6 gr. di etere cianacetico, il liquido si colora in giallo-pallido o ver- dognolo, a poco a poco ispessisce e dopo alcune ore (alle volte dopo mezz'ora) comincia depositare una poltiglia cristallina bian- chissima che va facendosi più densa e poi solidifica completa- mente. Si sviluppa poco calore. ll prodotto, che manda odore acuto di alcool, lavato con etere si scioglie in circa 2 volte il suo peso d'alcool a blando calore, ed alla soluzione s’aggiunge un poco di etere. Così ottengonsi dei grossi prismi incolori che hanno l’aspetto dei cristalli di nitrato potassico. Anche più volte cristallizzato questo prodotto fonde a 88-89°. Il prodotto grezzo lavato con poco etere può anche ricri- stallizzarsi dall'acqua, dalla quale si ottiene in grossi prismi. Mescolando le soluzioni eteree di piperidina e di etere cia- nacetico non appare subito la reazione, ma dopo un certo tempo agitando il liquido a temperatura ordinaria, tutto si rappiglia in massa cristallina bianchissima. Auche agitando la soluzione acquosa concentrata di piperidina con etere cianacetico, a temperatura ordinaria, si formano dei bei cristalli di cianacetilpiperidina. 158 I. GUARESCHI Questa sostanza diede all'analisi i risultati seguenti : I. Gr. 0,2637 di sostanza fornirono 0,6060 di CO? e 0, pd di H*0. II. Gr. 0,1105 di sostanza fornirono 17,6 cm. di N a 19° e 738 mm. III: Gr. 0,198 di sostanza diedero 0,461 di CO? e 0,1442 di #Hf0: IV. Gr. 0,1461 di sostanza diedero 23,6 cm.? di N a 16° e 746 mm. Da cui: TE JR III. IN CI1207 — 63.45 == Hi = 28520 = 8.09 a N= nu 157588 = 18.42 Per la cianacetilpiperidina : C°H%..NCOCH?°CN Si calcola. CESSI) H:-= 7.80 NOM Si è formata nel modo seguente : CH*CN CHO NH+| = ©*H°.0H4 C°H'N 00CH4CN 00000 H° La cianacetilpiperidina cristallizza dall’alcool in grossi pri- smi incolori; a freddo non è molto solubile nell’alcool. Cristal- lizza bene anche dall’acqua; è pochissimo solubile nell’etere. Si scioglie in circa 54 p. di acqua a 15° e in 4-5 volte il suo peso di acqua bollente. La soluzione è neutra. Fonde a 88-89° AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO 159 in liquido incoloro che per raffreddamento subito si rapprende in massa cristallina che rifonde ancora a 88-89° (1). Si scioglie già a freddo nella soluzione di potassa al 10% e sviluppa piperidina. La cianacetilpiperidina è ossidata prontamente dal perman- ganato potassico e fornisce acido cianidrico ed un acido ben cri- stallizzato che sarà descritto in seguito. In una successiva memoria riferirò i risultati ottenuti nell’a- zione dell’etere cianacetico sulla fenzlidrazina, sulla piperazina, sulla guanidina, sulla allilamina, sulla camfilamina, sulla etil- fenilidrazina, sulla tetraidrochinolina, sulla tetraidro f naftila- mina, sulle diamine aromatiche, sull’ammonialdeide, sulla metil- anilina, sulla diacetonamina ed altre basi organiche. Di speciale importanza deve essere il composto ben cristal- lizzato, stabile e fusibile a 194-195°, che si ottiene dall’etere cianacetico sulla diacetonamina C° HA! NO e che non ha la composizione della cianacetildiacetonamina. Mi riserbo anche lo studio dell’azione dell’etere cianacetico sugli acidi amidati. Composti pure interessanti debbonsi ottenere dall’etere % cianopropionico. R. Università. — Laboratorio di Chimica Farmaceutica e Tossicologia. Torino, 9 Dicembre 1891. _ (4) Si può far osservare, che il ni/rile piperidilossamico C?H!° NCO CN è liquido, oleoso, bollente a 264° (Wallach e Lehmann), 160 E. QUENDA Azione dell’etere cianacetico sull’amilina ; Nota del Dott. E. QUENDA L'’anilina si comporta coll’etere cianacetico in modo alquanto diverso che non le vere amine aromatiche. Produce la ciamace- tilanilina ma solamente col concorso del calore, ed insieme al derivato cianacetilico si forma anche la malondianilide. In un matraccio munito di refrigerante feci reagire circa mo- lecole uguali di anilini (gr. 45) e di etere cianacetico (gr. 37). Scaldando a bh. d'olio la reazione incomincia verso 160°; man- tenni la temperatura fra 160° e 170° per 3 a 4 ore, racco- gliendo il prodotto che distillava. Nel distillato che passava quasi tutto a 70°—80° riconobbi in grande quantità l'alcool insieme ad un poco di anilina, etere cianacetico ed ammoniaca. La miscela rimasta nel pallone col raffreddamento sì rapprese in una massa solida gialliccia che si staccò poi facendola bollire con acqua. Triturata in mortaio si fece bollire a lungo & più riprese con circa quattro litri d’acqua che ne sciolsero la maggior parte (A). Rimase un residuo (£). Col raffreddamento si depositò il composto A quasi incoloro. Dopo ripetute cristallizzazioni dall’acqua e dall’alcool diluito (60 °/,)) questo composto si ebbe con punto di fusione costante. Sottoposto all'analisi, diede i risultati seguenti: I. gr. 0,2657 di sostanza diedero gr. 0,6542 di CO? e sr001238 di HO: II. gr. 0,1227 di sostanza diedero cm.’ 18,2 di azoto a 17° e 748 mm. III. gr. 0,1172 di sostanza diedero em* 18,5 di N a 16° ei vi mm. Da cui la composizione centesimale seguente : I II Ill GESTI sd pa HNL5.16 » su Di —- sofaili0:88 17,80 AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO SULL’ANILINA 161 Numeri questi che corrispondono alla composizione della cianacetilanilina ; COH°NH- CO. CM. ON. Per la quale si calcola = 607,5 Hi 4-50 N =»el7,b52 Questo composto si è formato nel modo seguente: C:H°.CN + C5H>.NH°=C*H° 0H+C°H° NH-C0. CH? CN. COOH" La cianacetilanilina è pochissimo solubile nell’acqua fredda. a) Gr. 75,583 di soluzione acquosa satura a 20° forni- rono gr. 0.0173 di residuo; cioè 1 p. si scioglie in 4366 p. d’acqua a 20°. 6) Gr. 95,2 di soluzione satura a 22°5 diedero gr. 0,030, cioè 1 p. di cianacetilanilina in 3173 p. di acqua a 229,5. È però molto più solubile nell’acqua calda. È pure solubi- lissima nell’alcool bollente da cui cristallizza in scagliette irre- golari splendenti, leggere. Nell’etere invece tanto a caldo che a freddo è quasi insolubile. La cianacetilanilide fonde a 198°,5— 200° in liquido incoloro e scaldata lentamente sublima in laminette sottili, trasparenti che conservano costantemente il punto di fusione a 198°,5-200°. Non distilla col vapore d’acqua. Le soluzioni sono neutre. Cogli acidi non forma sali; fatta bollire con soluzione concentrata di potassa caustica sviluppa ammoniaca ed anilina. La cianacetilanilina si ossida col permanganato potassico , dando acido cianidrico, già a temperatura ordinaria. L’acetilanilina o acetanilide fonde a 113° e la bromacetil- anilina a 134° La parte insolubile (B) in acqua bollente, fatta ripetuta- mente cristallizzare dall’alcool e scolorata, si ebbe in cristallini bianchi che all’analisi diedero i risultati seguenti : I. gr. 0,1580 di sostanza diedero gr. 0,4065 di CO? e gr::0,0822 dio H° O; 162 FE. QUENDA - AZIONE DELL’ETERE CIANACETICO ECC. II. gr. 0,1528 di sostanza fornirono gr. '0,3977 di C0° o gr. 0,0812 di H?0: | III. gr. 0,2166 di sostanza diedero cm.> 22 di N a 22° e 738 mm, da cui si ricava I II DIS C|EMMPAT19,9, — H = { È-)"] 5,9 — Nora = —. 11,34 Questo composto fonde a 223°-224° è insolubile in acqua, tanto a freddo che a caldo — quasi affatto insolubile in etere — solubilissimo invece nell’alcool a caldo. Scaldato con potassa si scompone e dà nel distillato del- l’anilina riconosciuta a tutte le sue reazioni caratteristiche. La composizione e le proprietà concordano colla composizione e colle proprietà della malondianilide studiata da Freund (Be- richte XVII, p. 134) e da Bischoff (Ber. 1888, p. 1768). Per la malondianilide CIOENT:C HP C H° , Sco.nH. C@HP infatti si calcola: La malondianilide proviene molto probabilmente da successiva scomposizione della cianacetilanilide. In questo senso saranno studiate anche le tre toluidine. Torino, R. Università. — Laboratorio del Prof. GuaRESCHI. L’Accademico Segretario GIusEPPE Basso, 163 CLASSI UNITE Adunanza del 20 Dicembre 1891 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM, PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE RELAZIONE della seconda Giunta per il settimo Premio BRESSA | letta nella seduta del 20 Dicembre 1891 SN —___r__——_——__— Le opere, che la prima Giunta giudicò degne di considera- zione, sono le seguenti: 1. Bertrand. — Calcul des probabilites , 2. Haeckel. — Memorie sui radiolari, sui sifonofori, sulle spugne cornee del mare profondo, 3. Hertz. — Memoria sulla trasmissione delle azioni elettriche . 4. Lie. — Theorie der Transformationsgruppen. Nella prima, benchè ricca di moltissimi pregi, la Giunta non riscontrò tutte quelle condizioni. che la volontà del testatore pre - scrive. Essa dovette pertanto, non senza rammarico , escluderla dal numero delle opere che crede possano venire premiate. Tali sono invece le altre tre opere: del valore di queste farò qui un rapido cenno. : Atti R. Accad. - Parte Fisica, ece. — Vol. XXVII, 12 164 A. NACCARI Le Memorie di E&gnEsto HAECKEL sopra citate, contengono la descrizione dei radiolari, dei sifonofori e delle spugne cornee del mare profondo, raccolti dalla spedizione del Challenger nel viaggio compiuto dal 1873 al 1876. È noto che i naturalisti del Challenger fecero abbondanti e preziose raccolte di organismi viventi sul fondo del mare. Il Go- verno inglese affidò all’HagcKEL lo studio degli animali spettanti al tre gruppi nominati di sopra. L'incarico non poteva venire affidato a persona più autorevole in tale materia. Fin dal 1860 l’HAECKEL aveva fatto conoscere un gran numero di radiolari. Con la monografia sulle spugne calcaree e sulle meduse egli a- veva posto le basi di un nuovo ramo delle discipline biologiche, della morfologia comparata e aveva indicato le proprietà fon damentali del protoplasma. Dal 1860 al 1888 l'HAECcKEI continuò i suoi studi sui ra= diolari. A quell'epoca appartiene il suo scritto sulle monere che lo condusse a stabilire il regno dei Protisti, intermedio fra l’ani» male e il vegetale. Con la memoria presentata a questo concorso 1’ HAECKED portò da 810 a 4318 il numero delle specie dei radiolari, ma oltre alla importanza della memoria rispetto alla zoologia siste= matica è d'uopo considerare il grandissimo valore della parte ana- tomica e fisiologica di questo lavoro. Il secondo degli scritti sopra citati riguarda i sifonofori. La delicatezza e la fragilità di questi animali, la loro vita in colottie e i numerosi fenomeni di polimorfismo ne rendono difficilissimo lo studio. La Memoria dell’ HaEckEL ha un grande valore non so- lamente per il numero delle nuove forme descritte, ma anche per le teorie generali che vi sono esposte sulla organizzazione, sulìa embriogenia e filogenia e sul concetto di individuo e di colonia; Nella terza memoria l’HAECKEL descrive sistematicamente le spugne cornee del mare profondo, ne fa lo studio istologico e tratta in generale della posizione del gruppo delle spugne cor= nee e della intera classificazione del tipo dei Poriferi. In questa memoria sono descritti dei fenomeni importantissimi di simbiosi fra gl’idroidi e le spugne. Le tre memorie dell’ HAECKEL formano insieme un’opera di 2300 pagine con 200 tavole disegnate per gran parte dall’au- tore. Esse costituiscono senza dubbio il lavoro più importante apparso nel quadriennio 1887-90 in fatto di zoologia; ed esso RELAZIONE PER IL SETTIMO PREMIO BRESSA 165 acquista ancor maggior valore da ciò, ch’esso è è parte di una va- stissima opera, con la quale l’autore studiando i fenomeni fon- damentali della vita e lo sviluppo e le relazioni degli organismi si acquistò fama di uno dei più grandi naturalisti che abbiano mai esistito e collocò il proprio nome accanto a quelli di Lin neo, di Lamarck, di Cuvier e di Darwin. Passo ora alle memorie dell’HERTZ. Queste sono in numero di nove; per l'ampiezza dell’argome to e per la natura stessa di esso non potrò darne qui che un imperfettissimo cenno. Benchè il numero dei fenomeni elettrici conosciuti e studiati in ogni loro particolare sia oggi grandissimo, le nostre cognizioni intorno all’essenza dell'elettricità e all’ intimo meccanismo dei fe- nomeni stessi sono molto scarse. Le azioni di un corpo elettriz- zato o di una calamita o di una corrente si esercitano sopra corpi lontani senza che ci sia dato vedere in qual modo tali a- zioni si trasmettano nello spazio interposto. Il Faraday fu par- ticolarmente attratto da tale questione e suggerì certi partico lari artifici utili a rappresentarci le condizioni, in cui la presenza di un corpo elettrizzato o di una calamita o di una corrente pone lo spazio circostante in quanto alle azioni elettriche o magne- tiche, che vi si possono esercitare. Il Maxwell valendosi di quel potente mezzo d’indagine che è la matematica, si addentrò assai più del Faraday nello studio teorico dell'essenza dei fenomeni elettrici. Egli ammise che alla propagazione delle azioni elettriche serva l’etere luminoso e, pro- cedendo nel campo delle ipotesi, fondò la teoria elettro-magne- tica della luce, secondo la quale i fenomeni luminosi sarebbero fenomeni elettro-magnetici. Qualche verificazione di tale teoria era stata favorevole ad essa, ma erano sempre verificazioni indirette e manchevoli. L’HeRtz sì propose di studiare sperimentalmente la propaga- zione delle azioni elettriche e si valse per ciò delle rapidissime oscillazioni, le quali avvengono quando una scarica elettrica suc- cede in certe condizioni speciali. Poniamo, ad esempio, che un corpo ‘conduttore elettrizzato venga posto in comunicazione con un altro non elettrizzato mediante un filo metallico. Quando il filo soddisfaccia a certe condizioni, l'elettricità, anzichè distribuirsi sopra i due corpi e raggiungere subito l’equilibrio, oscilla rapi- dissimamente fra l'uno e l’altro corpo e non si ha l'equilibrio se non dopo un gran numero di tali oscillazioni, 166 A NACCARI Con ingegnose disposizioni sperimentali l'HERTZ riuscì a di- mostrare che le azioni elettriche cui dànno origine nello spazio cirecstante quelle oscillazioni si propagano con velocità finita. Fu questa la prima diretta conferma delle idee del Faraday e del Maxwell secondo le quali nessun’azione elettrica si può trasmettere fra due corpi senza che un mezzo interposto vi prenda parte. L’Hertz mostrò che la propagazione di quelle azioni nei fili metallici e nell’aria avviene in modo simile a quello in cui si propagano le vibrazioni luminose e sonore. Egli misurò la velo- cità della trasmissione e trovò nel caso dell’aria un valore eguale a quello della luce. Studiò la riflessione delle vibrazioni elettri- che sopra specchi metallici e trovò anche per questo rispetto piena analogia con la luce. Mostrò che nei fili e nell’aria si possono avere onde permanenti formate dalle vibrazioni elettriche, come nel caso del suono. Costruito un grande prisma di sostanza iso- lante, mostrò che un raggio di vibrazioni elettriche fatto cadere sopra una faccia, vi sì rifrangeva come un raggio di luce. Trovò che l'indice di rifrazione di quella sostanza era presso a’ poco lo stesso per la luce e per le vibrazioni elettriche. Tutte queste esperienze vengono mirabilmente a confermare la teoria elettrò- magnetica della luce e ognun vede quanta importanza. abbia la opera dell’Hertz, che ravyicina e riconduce alla medesima causa due parti così vaste della fisica, due classi così ampie di fenomeni. Oltre a questa conseguenza principale delle indicate esperienze, altre ne ottenne l’Hertz, che meritano pure menzione, come ad esempio la dimostrazione che i movimenti elettrici, i quali av- vengono nell’interno dei corpi isolanti producono sui corpi esterti azioni elettro-dinamiche e che le radiazioni ultraviolette determi- nano la scarica fra due corpi che sono a diverso potenziale, quando la differenza di potenziale, senza l’azione di quelle ra- diazioni, è insufficiente alla scarica. A dimostrare l’importanza dei lavori dell’HERTZ, se ve ne fosse bisogno, basterebbe citare il gran numero d’indagini sperimentali e teoriche, le quali vennero fatte nel campo ch'egli aperse agli studi. La Theorie der Transformationsgruppen del prof. SoPHus Lie dell’Università di Lipsia è un’opera di capitale importanza, nella quale sono raccolte le ricerche affatto originali che la scienza deve al LiE intorno ai gruppi di trasformazione in generale e particolarmente di quelle di contatto. 1 risultati di tali ricerche RELAZIONE PER IL SETTIMO PREMIO BRESSA 167 si applicano tanto all’analisi ed alle equazioni differenziali della meccanica quanto a vari argomenti di geometria. La fecondità della teoria del Lie fu riconosciuta general mente. Anche illustri matematici francesi come Darboux, Poin- caré, Picard, Goursat pubblicarono dei lavori basati sull’opera del Lie e ne parlarono con grandissima ammirazione. Nei concorsi precedenti le Giunte incaricate delle proposte finali disposero i nomi degli autori in ordine di merito , senza che però venisse scemata in tal modo la libertà della votazione dell’Accademia. Nel caso presente la Giunta non si sentì in grado di procedere in quel modo. Essa aveva innanzi a sè tre opere eminenti spettanti a scienze diverse, tra le quali le parve troppo malagevole il confronto. Essa vi presenta pertanto le tre opere senza alcuna distinzione di merito. Il vostro voto dirà quale d’esse meglio risponda alla volontà del fondatore del premio. A. NAccaRI, Relatore. TORI EZZIAE DIMBNT ‘(GIREPIRE IAT IAOTNAIZA elisti isisnonaiib Lrvisanpe ali ho. india ent gosizare. chi laastanrosg ab ifitomogia teev ariohae alenonog: i giniogoronri (tai. Ts Bhe si10od stlob Vf ibi snsiioi |xvodvall dit PECE Fill rapine visa Lioni Ina asia cor pasgazi.. otrrani) ib astio one POT ian. 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ADUNANZA del 20 Dicembre 189%. . . ........, Pag 134 Japanza — Teorica di alcuni strumenti topografici a riflessione . . » 132 MarrFiorTI — Sopra una relazione tra le coordinate sferiche orto- gonali e le coordinate topografiche. . . .......... »..- 142 GuarESCHI — Azione dell'etere cianacetico sulle basi organiche . . » 149 QueNDa — Azione dell’etere cianacetico sull’anilina . . . ..... » 160 Classi Unite. Naccari — Relazione per il settimo premio Bressa . . . . - En Torino — Tip. Reale Paravia, RIPRESI INS 3 ATTI DELI.A n R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXVII, Disp. 4*, 1891-92 ———+ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 3 Gennaio 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, SAL- VADORI, Cossa, BERRUTI, BizzozerRo, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Segretario presenta in dono all'Accademia undici numeri, dal 101 al 111, del Bollettino dei Musei di Zoologia ed Ana- tomia comparata dell’ Università di Torino, i quali contengono lavori dei Professori SALVADORI, CAMERANO e Sacco e dei Dottori GieLIo-Tos, MAGGIORA e PERACCA. Il Socio CameRANO offre pure in dono una pubblicazione del Professore Emilio CHAIx di Ginevra, riflettente la vallata del Bove (Etna) ed accompagnato da una pregevole carta partico lareggiata dell’Etna. Questa pubblicazione riassume le cognizioni geologiche attuali sull’Etna, e contiene pure un notevole con- tributo alla conoscenza delle piante della regione superiore Etnea. La carta poi ha il merito di presentare in un sol colpo d’oc- chio non solo la geografia della località, ma anche la posizione relativa delle varie colate di lava a partire dal secolo quattor- dicesimo. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 13 170 Il Socio Cossa ricorda con parole di vivo rimpianto la morte dell’Accademico straniero Giovanni Gervasio StAS, professore nella Università di Bruxelles, e riassume le importanti contribuzioni da questo recate alle discipline chimiche in uno scritto che verrà pubblicato negli Atti. Il Socio SEGRE annunzia pure la morte del professore Leo- poldo KronEcKER dell’Università di Berlino, avvenuta in quella città il 29 dicembre scorso. Accenna agli alti meriti di questo insigne scienziato, specialmente nell’Analisi matematica, alla quale diede potenti impulsi in molteplici direzioni, dalla teoria dei numeri a quella delle funzioni ellittiche; dalle ricerche sulla teoria generale delle equazioni algebriche, sulla risoluzione dell’equa- zione di 5° grado, ecc., a quelle sulle forme bilineari e qua- dratiche, ed ai lavori profondi, mirabili per generalità e fecundità di vedute, sulla teoria aritmetica delle grandezze algebriche. Il Socio SEGRE soggiunge: la scienza e l'insegnamento che, quasi settantenne, egli coltivava e curava con ardore giovanile, il glo- rioso Journal fiir Mathematik, che egli dirigeva con molto zelo, possono ben a ragione piangere la grande perdita ! ‘ Dietro proposta dei Soci Cossa e SEGRE rispettivamente, la Classe incarica la Presidenza di esprimere i suoi sensi di con- doglianza all'Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Bruxelles per la morte dello Sras, ed all'Accademia delle Scienze di Berlino per quella del KRONECKER. ] Vengono in seguito presentati : Dal Socio Cossa, un lavoro del Dottore Clemente Mox- TEMARTINI intitolato: Sull’azione dell'acido nitrico sullo zinco; Dal Socio SEGRE, una Memoria del Prof. Riccardo DE PaoLis dell’ Università di Pisa, intitolata : Le corrispondenze protettive nelle forme geometriche fondamentali di prima specie. Essendo questi due lavori destinati ai volumi delle Me- morie, il Presidente li affida a due Commissioni incaricate di esaminarli e riferirne alla Classe in una prossima tornata. Lo stesso Socio SEGRE poi legge e presenta per l’inserzione negli Atti uno Studio Sulla teoria generale delle omografie ; Nota prima del Dott. Pilo PREDELLA. 171 Il Socio CameRANO, anche a nome del condeputato Socio SaLvaporI, legge una sua Relazione sulla Memoria del Professore Federico Sacco intorno alle Eulimidae, Pyramidellidae e le Tur- bonillidae, la quale fa seguito a parecchie altre Memorie, sia del compianto Prof. Luigi BELLARDI, sia dello stesso Prof. SAcco, sui Molluschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. Secondo le conclusioni della Relazione, la quale sarà inserita negli Atti, la Memoria del Prof. Sacco, viene prima ammessa alla let- tura, e poscia approvata dalla Classe per la pubblicazione nei volumi delle Memorze. In questa adunanza viene rieletto, salvo l’approvazione so- vrana, alla carica triennale di Segretario della Classe il Socio Basso. LETTURE _ In commemorazione del socio straniero G. S. Stas; Parole dette dal Socio Prof. ALFONSO COSSA Nell’adunanza del 22 febbraio 1891 la Classe di Scienze fisiche e matematiche della nostra Accademia, nell’occasione che all’illustre professore Stas tributavansi meritate onoranze per la ricorrenza del cinquantesimo anniversario della sua nomina a Membro della Reale. Accademia delle Scienze di Bruxelles, mi onorava coll’incarico di esprimere al nostro Socio straniero i sentimenti della sua profonda ammirazione, e l'augurio che Egli potesse ancora per molto tempo illustrare coi suoi deside- rati lavori la chimica, della quale per unanime consenso era ritenuto uno dei più valorosi campioni. — Pur troppo quell'au- gurio non si è verificato, ed oggi all’annunzio della sua morte 172, A. COSSA domando che l’Accademia acconsenta che per me si compia al dovere di commemorare con poche parole le più salienti bene- merenze scientifiche del compianto nostro collega. GIOVANNI SERVASIO Stas nacque a Lovanio il 21 settembre 1813, un mese dopo che a Scilla di Calabria era nato Raffaele Piria. I due chimici non solo ebbero in comune l’anno della na- scita, ma anche i principii della loro carriera scientifica; giacchè entrambi, dopo avere conseguito la laurea in medicina, appas- . sionati per la chimica ebbero la invidiata fortuna di poterla imparare nel laboratorio di Dumas, del quale furono gli allievi prediletti. Il Piria esordì (1838) con quel classico lavoro sulla Salicina, che lasciava già presagire a quale altezza egli sarebbe poi salito nelle ricerche di chimica organica. L'argomento della prima pubblicazione di Stas fu pure un pregevole studio sopra un glucoside, la florizina; ma il chimico belga cambiò ben presto d’indirizzo ne’suoi studi, e rivolse interamente il suo ingegno a ricerche d'indole unalitica, proponendosi il difficile compito di stabilire colla massima possibile precisione i numeri che espri- mono i pesi relativi coi quali gli elementi si combinano tra loro. — I risultati di questo studio, continuato con una costanza im- pareggiabile per oltre un trentennio, furono in due riprese pub- blicati col titolo: Ricerche sulle leggi delle proporzioni chimiche, sui pesi atomici ed i loro mutui rapporti. StAs ha trovato che non esiste alcun comune divisore tra i numeri che esprimono i pesi dei corpi semplici che si uniscono per formare le combi- nazioni definite, e pertanto ha dimostrato la insussistenza della ipotesi di Prout. Contro il rigore col quale vennero eseguite le ricerche di Stas perdette ogni parvenza di probabilità l’ingegnosa idea di Dumas, il quale, affascinato dall’ipotesi dell’unità della materia, ammetteva che la materia unica, se non era l'idrogeno, potesse essere una sostanza avente un peso atomico inferiore della metà o di tre quarti. Contro questo rigore dovettero pur .. cedere le sottili obbiezioni di Marignac, che voleva adattare i risultati ottenuti da Stas alle esigenze della ipotesi di Prout, ammettendo che la legge delle proporzioni definite sia da rite- nersi come un limite, intorno al quale sono possibili piccole variazioni. Nell'opera classica dello Sras, che meritò l’onore grandis- _ simo della Medaglia Davy, conferita dalla Società Reale di Londra, il genio si esplica nella molteplicità dei metodi rigorosi ideati COMMEMORAZIONE DI G. S. STAS 173 e seguiti per ottenere una stessa misura; negli artificii sottili posti in opera per eliminare per quanto è possibile gli errori di osservazione, e nel fino criterio col quale sono valutati quelli inevitabili. L’alto valore dello Sras nella chimica analitica si manifestò anche in altri suoi lavori, tra i quali emerge quello che ebbe origine da un celebre processo per avvelenamento con la nicotina. Il metodo ingegnoso ideato dal chimico belga per rintracciare e diagnosticare quantità anche piccolissime di un alcaloide vele- noso fu subito universalmente adottato, ed è ancora seguito nelle ricerche di chimica legale. Quando, or sono più di dieci anni, l’illustre Lockyer? pub- blicò le sue interessanti osservazioni sulla disassociazione delle linee caratteristiche degli spettri degli elementi, STAS intraprese una serie di ricerche sulla natura chimica delle radiazioni lu- minose. Questo suo lavoro è rimasto finora inedito, ma dal saggio che l’illustre autore comunicò all'Accademia delle Scienze {del Belgio nella solenne adunanza del 1890, appare che egli ha ottenuto dalle sue osservazioni un risultato importantissimo, avendo dimostrato che gli spettri calorifici ed elettrici degli elementi non sono sovrapponibili, e che gli elementi sono immutabili colle forze di cui si può attualmente disporre. Le produzioni scientifiche del chimico belga, che ho breve- mente ricordato, rimarranno nella storia della scienza; saranno in ogni tempo studiate con profitto, e giustificheranno l’affer- mazione colla quale si può, senza esagerazione, riassumere l’elogio del loro autore; essere stato lo StAS tra i chimici del suo tempo, quello che più si è avvicinato allo scopo da tutti desiderato, di rendere la chimica degna di essere compresa nel novero delle scienze esatte. 174 P. PREDELLA Sulla teoria generale delle omografie; Nota I del Dott. PILO PREDELLA Un'omografia generale ($ 2) si studia molto facilmente; gli spazi fondamentali e gli invarianti assoluti bastano per de- terminarla completamente (20); ma può avvenire che uno o più spazi fondamentali F[h,—1] FY[A;—1] ecc. vadano a sovrapporsi e a svanire in un altro spazio fondamentale F|R,—1] di dimen- sioni superiori. Lo studio di queste omografie particolari è assai più complicato. — Gli spazi fondamentali F[h,—1], F[1], ecc. non si presentano in una prima analisi e bisogna ricercarli nello spazio F[2,-1] (S 3). — Ma c’è di più; in questo caso i punti uniti e gli invarianti assoluti non bastano più per deter- minare l’omografia; in compenso però si presentano n +1 coppie di punti, coppie caratteristiche (che si riducono ad n +1 punti uniti nel caso dell’omografiu generale) le quali insieme agli in- varianti assoluti determinano l’omografia. La considerazione, che credo nuova, di queste n +1 coppie di punti chiarisce molto bene le proprietà dell’omografia. Col loro mezzo un’omografia qualunque, invece di essere data dalle solite n-+2 coppie di punti corrispondenti, che non dicono nulla nel carattere dell’omografia che determinano, si può sempre sup - porre data da n+1 coppie caratteristiche e dagli invarianti assoluti, che tengono così luogo della n+2°*“ coppia. Ne viene fra l’altro il teorema di Weierstrass (45) e una semplice costru- zione delle omografie (46). Alcuni dei risultati di questa Nota furono già da me otte- nuti in un altro lavoro sulle omografie (*). Qui però non faccio alcun uso di considerazioni al limite e le questioni sono risolte da un altro punto di vista. (*) Le omografie in uno spazio ad un numero qualunque di dimensioni. Annali di mat. Serie 22 Tomo XVII. Fasc. 2; questa Memoria sarà citata semplicemente col nome « Omografie ». SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 175 S ‘dl Preliminari. La relazione bilineare: 1. La yree=0 (iii horn (i cn1) fra le coordinate €, dei piani di uno spazio lineare S, (prima figura) e le coordinate y; dei punti dello stesso spazio (seconda figura), definisce un’omografia di S, in sè stesso. Supponiamo che il determinante [a,] modulo dell’omografia non sia nullo cioè che l’omografia non sia degenere. Ad ogni punto y (seconda figura) corrisponde un punto (prima figura) di coordinate: 2. ra=A04Yt..... + A+, 1Un44 Ton41= A, nti Yi 7 È set. un Un44, n+1 Ynti e ad ogni piano $ (prima figura) corrisponde un piano (se- conda figura) di coordinate: 5 a bad 3. pi=4 CEL + Ai nti En+1 Pad Pinta np Sat t Gti, n41 E pese Per trovare i punti uniti basterà porre nelle (2) 2 =y, e si avrà: 4. (at) zie cerco. Fal, gg de o ». . CI . Qing Wat. (ARI = 0 Queste equazioni coesistono quando . dia TY o e «iflel@ An41,1 DR) gi sie, Das | een oe Hi nt1 pig Mv Ankti,np1 7 176 PILO PREDELLA Questa equazione di grado n +1 in r fornisce i valori di r che messi successivamente nelle (4) dànno i punti uniti dell’omo- grafia. — Sia r' una radice di D(r)=0; r' renderà il determi- nante di caratteristica n—/'+1 (*) (dove #' è almeno uguale ad uno); allora le equazioni (4) si riducono ad n—7'+1 indipen- denti che determinano uno spazio /°[#'--1] di punti uniti che diremo spazio fondamentale. La radice 7 sarà almeno 7'—pla di D(r)=0 (Omografie $ 3). Alle altre radici r". . . + corrisponderanno rispettivamente gli spazi fondamentali Y[2"—1]..... F[h9-1]; e si avrà 6. IMRI ES pe Bali iI Se SO A 7. Quando r' è proprio radice pla di D(r)=0, r' radice h'pla, ecc., 79 radice R9pla diremo che l’omografia è generale ; allora po Men) +10 =n+1. Dalla (6) si ricava immediatamente quest’importante teorema del SeGrE (Omografie, $ 3). 8. « Gli spazi fondamentali di punti F|N/—1]...F[AR9-1] di una omografia sono indipendenti, cioè appartengono ad uno spazio ad R'+%"+...+49—1 dimensioni ». Dalle (3) considerando che il determinante An41,1 o» An41,n4A TP è identico a D(r) con uno scambio delle colonne nelle righe, si ricava correlativamente che in corrispondenza alla radice r'... 7? di D(0)=0 esistono o fondamentali di piani P[h'-1], ®[R'—-1], .. + [R0)_-1], tutti indipendenti, cioè appartenenti ad ‘uno spazio di piani ad #'+/%"4+...+40_-1 dimensioni. Diremo coniugati due spazi come F|R—1]e ®[£'—1] corrispondenti alla stessa radice. (*#) Un determinante si dice di caratteristica n —A/+1 quando non sono nulli tutti i suoi minori di ordine n--h +1 ma sono nulli tutti quelli di ordine superiore, SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 177 9. « In corrispondenza alle radici »'... x abbiamo dunque i o spazi fondamentali di punti: Y°[W'—1]...FY|hK9-1]ei loro spazi fondamentali di piani coniugati: ®[2/—1]...®[49-1] i cui sostegni indicheremo con G[n HW]... G[n-- 19] >». Gli spazi fondamentali di punti e.di piani hanno'le seguenti proprietà scoperte dal SEGRE: 10. «Ad ogni S[/'] passante per F [#'-1] corrisponde un S| prospettivo, il centro di prospettiva giace in G[n—W/| sostegno dello spazio ®[2/—1] coniugato di F[N'—-1]». 11. « Quando S[7'] varia descrivendo la stella di sostegno F[h'-1], il centro di prospettiva descrive lo spazio G[n—7/]; gli spazi S[/'] passanti per 7[#'—1] e i centri di prospettiva sono in relazione omografica ». 12. « Tutti gli spazi fondamentali di punti sono contenuti in G[n--h] meno F|W'-1] che vi può essere contenuto o no ». 18. « La retta che unisce due punti corrispondenti x; ed y, taglia G[n —%] G[n-n"]...G[n-h®] rispettivameote nei punti x —ry;, x:-r'y;....a;-r9Y; >. E correlativamente invertendo le due figure : 14. «Lo spazio d’intersezione di due piani corrispondenti x; e È; giace rispettivamente cogli spazi fondamentali di punti 7|4/—1] .. + F[hO—-1] nei piani n;-#18,,...mi—r®8, >. Dai teoremi (13) e (14) si ricava: 15. « Le punteggiate formate da due punti corrispondenti e dai punti dove la loro congiungente taglia G[nw—7']... G[2 49] sono omografiche fra loro e omografiche ai fasci formati da due piani corrispondenti (scambiate però le due figure) e dai piani che dalla loro intersezione proiettano rispettivamente Y[//—1]... F[h9-1] perchè sono omografici ai numeri 0,00, 9° ...rî ». 16. «I o—- 1 rapporti anarmonici: y! y(9) fin. edili ‘che si possono formare coi 0+2 punti f Lis Yi Mii TY; 9 dia di TOy; 178 l PILO PREDELLA o coi 7+2 piani Dia E, TRE, nto feto n—rMe, sono invarianti assoluti dell’omografia perchè passando con una proiettività dall’omografia data ad un’altra quei rapporti anar- monici non cambiano » (*). Si Omografie Generali. Abbiamo visto (7) che in un’omografia generale in S,, se F[R'-1]...F[49-1] sono gli spazi fondamentali di punti, W+N'+4...+O=n+1 Da questa relazione e per i teoremi (8) e (12) si ricava: 17. « Gli spazi fondamentali di un’omografia generale oltre essere indipendenti determinano come spazio a cui appartengono tutto S,; e il sostegno dello spazio coniugato di uno di essi non sega questo ed è lo spazio determinato dagli altri perchè p. es. G[n—/] deve contenere (12) F[K— 1]... F[O-1]i quali appunto determinano uno spazio ad n—#' dimensioni. » Chiameremo caratteristica dell’omografia generale il gruppo di numeri: IS! (RIA) (0a) Prendiamo i vertici 1; ... ”' della piramide di riferimento in F[N' —1],i vertici /+1,...7/+7" in F[h°-1] ecc, gli ul- timi A vertici in Y'[/X9--1] e vediamo cosa diventano le rela- zioni (2). Siccome nelle (2) i coefficienti della colonna rn sono le coordinate del punto corrispondente del vertice r°**° della (*) Gli importanti teoremi (12, 13, 14, 15, 16) sono del prof. SEGRE. Veg- gasi Segre Sulla teoria e classificazione delle omografie, ecc. Mem. della R. Acc. dei Lincei, anno 1883-84, e gli spazi fondamentali di un’omografia R, Ace. dei Lincei Vol. II, Serie IV. Semplicissime dimostrazioni (analitiche e geometriche) degli stessi teoremi si trovano nella mia Memoria già citata, SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 179 piramide di riferimento, si ricava che con quella scelta dei ver- tici di riferimento tutti i coefficienti sono nulli meno quelli della diagonale. Inoltre in corrispondenza allo spazio F°[h'—1] dovendo D(r)=0 avere una radice r multipla secondo 7', i coefficienti dei primi %' termini lungo la diagonale saranno uguali ad r' ecc. Le (2) pigliano dunque questa forma semplicissima : USAI —_ / 18 Ya Yo, = vi 1 Yn Ton4a D'Ynsa sd I TXyp4n = ao TYn4w n mo die > Siccome + ...—- sono gli invarianti assoluti dell’omografia r r sì deduce che: 20. « Dati gli spazi fondamentali e gli invarianti assoluti di un’omografia generale la corrispondenza è determinata » perchè scegliendo ecc. si possono scrivere le (19). 21. Per costruire dunque un’omografia generale di carat- teristica (18) basta descrivere © spazi indipendenti F[#'-1],... F[h©-1] e dare arbitrariamente i rispettivi invarianti assoluti; la corrispondenza omografica che riesce determinata è appunto l’omografia che si voleva (*). (*) Si può domandare come si trova geometricamente il corrispondente di un punto qualunque M. Se gli spazi fondamentali sono n-+4 punti, per trovare il corrispondente di M proiettiamo da n—1 di essi gli altri due e il punto M, otterremo tre piani; ed al piano che proietta M dovrà corri- spondere un piano formante coi tre un rapporto anarmonico dato (che è ua invariante dell’omografia). Ripetendo l’operazione n volte otterremo » pianì nei quali deve trovarsi 47 corrispondente di M che resta così completamente determinato. Se gli spazi fondamentali F[h'/—4], F[A"—1]..... F[hO-1] non sono tutti punti, conduciamo da M lo spazio S[7—1] che incontra cia- scuno di essi in un punto. (Il prof, BerTINI in una sua Nota: Costruzione delle omografie di uno spazio lineare qualunque. Rend, del R. Ist. Lombardo, Serie II, Vol. XX nel $ 1, n. 2, dimostra appunto che « Essendo F[h—1] 180 PILO PREDELLA 22. Due omografie generali proiettive hanno la stessa carat- teristica ‘e rispettivamente gli stessi invarianti assoluti perchè con una proiezione gli spazi fondamentali si trasformano in spazi fondamentali e gli invarianti assoluti (rapporti anarmonici ecc.) non cambiano; ma anche viceversa, e infatti: Abbiansi in..S, ed in S', due omografie colla stessa’ carat- teristica e gli stessi invarianti assoluti. Fissiamo in S&S, i vertici di riferimento come abbiamo fatto per ottenere le (19) ed ar- bitrariamente il punto unità, e così in S',. Le due omografie saranno allora rappresentate da identiche relazioni. Passando quindi con una proiettività dagli n+1 ver- tici di riferimento e dal punto unità della prima omografia ri- spettivamente agli omonimi punti della seconda passeremo dalla prima alla seconda. Badiamo che fissati gli n+1 punti di ri- ferimento e il punto unità in ,S,, i loro corrispondenti in S', pei quali si passa dalla prima omografia alla seconda sono scelti, i primi /' arbitrariamente in un F[R—1] cioè in una totalità coi, gli %' che seguono in una totalità oo” -!, ecc. e finalmente il punto unità in ,S, cioè in una totalità co”. Complessivamente il gruppo degli n+2 punti fissati in S, si può scegliere in una totalità n+7'(f'— 1) + (—1)+...+29©(©-1)= n+Sh(h—1) volte infinita di gruppi. 23, Date dunque due omografie generali aventi la stessa caratteristica e gli stessi invarianti assoluti esistono oo”#3*(@-4) proiettività colle quali si passa dall’una all’altra. 8 3. Caratteristica di un’omografia qualunque. Siano F[N—1], F[4, 1]... F[4,9©-1] gli spazi fonda- mentali di punti di un’omografia qualunque in 4,. Ad F[h',-1] è coniugato uno spazio fondamentale di piani di sostegno G[n—HM/,] - FIN 4]..i,e F[h)— 1] spazi indipendenti e tali che Ya=n+HA, per un punto M passa uno ed un solo S[s — 4] appoggiato in un punto a ciascuno di questi spazi »), Nello spazio S[s—4] avremo un’omografia subordinata con e punti uniti e cogli stessi invarianti della data, e allora per trovare il corrispondente di M procederemo come si è detto sopra, SULLA TEORIA GENERALE. DELLE OMOGRAFIF 181 Supponiamo che 7[}/,-1] seghi G[n—%',] in un F[}:-1}. In G[n—n',] sarà contenuta un’omografia subordinata i cui spazi fon- damentali saranno F[h,-1] F[R—-1]... [9-1] (*): e nella quale ad F[h,—1] sarà coniugato uno spazio fondamentale di piani (piani per G[n —%,]) il cui sostegno sarà un certo G[n-h',-H,]. Supponiamo che Y[h',-1] seghi G[n-M,H',] in un F[R;-1]. In G[n_W-H] sarà contenuta un’omografia subordinata i cui spazi fondamentali saranno F[W:—1] F[h",-1] . +. F[h,9-1]. Così proseguendo finiremo col trovare uno spazio G[n-h,-HW.,-...-HW,-:] in cui sarà contenuta un’ omo- grafia subordinata i cui spazi fondamentali saranno F[}/,—-1], F[h—1]...F[4h,9-1]; dove F[H,-1] non segherà il so- stegno G[n-R',-#.- ...-H,|] del suo spazio coniugato (**). In G[n-h,-h:-.,.-H,y] è contenuta un’omografia su- bordinata in cui gli spazi fondamentali sono P[h,"'-1], F|R,"—1], . «+ F[h9-1]. Così nello spazio G[n—-H—#,—...4H,] non c'è più traccia dello spazio fondamentale F[},—1], e d'altra parte abbiamo scoperto nello spazio Y[W,—-1] degli altri spazi F[W,-1],...F[W#,-1] ciascuno immerso nel precedente per la stessa loro definizione, e la cui importanza sì farà più mani- festa in seguito. Si ha In G[n-hR,-W,— ...H,) riguardo allo spazio fondamentale F[hy 1] rifacciamo la stessa analisi fatta in S; riguardo: allo spazio F[4,-1]. Entro lo spazio F'[hR,j —1].verremo a scoprire gli spazi F[h. —1]...F[W, 1]; e così via riguardo ad (*) Perchè il sostegno G[n—Ay] dello spazio coniugato di F[hf/—4]o! contiene (12) F[Ay}'/—1]..... F[h, — 1] e contiene per ipotesi F[hy— 1]. (**) Questo deve avvenire. Infatti le dimensioni degli spazi (G[nt—- M,7], G[nT—-h/—-hy], G[n—-h,—hyj-hy ]|,...che man mano si trovano vanno decrescendo, ma non possono diventare minori di h,j"+...+h,?—14; perchè gli spazi G[n—h,j], G[n—-Ahj/—-hy], Gn—-h/—-h/-hy],... contenendo (12) gli spazi F[h,j"—1],..F[h,—4] contengono anche lo spazio S[hj"+h"+..4+h— 41] cui questi appartengono. Dunque fi- niremo col. trovare uno spazio F{h',, —1]:che non sega più il sostegno del suo spazio coniugato. Se G[n—A,'] non sega F[hy/—4], p'=1. Che G[n—Ay] possa segare /[k,/ — 1] risulta chiaro dalle (41)... fb 182 PILO PREDELLA F|[h,"—1], ecc. fino al penultimo F[k,l-9% —1], nel quale tro- veremo gli spazi F|},®-1]...F [n] Troveremo allora lo spazio Sw m=n- MN, —... —N,-h —h, — E h'y— ecc. eni ie = dove non ci sarà più traccia degli spazi fondamentali Y[W,—1], F[hy° 1]... [4-1] cioè dove sarà contenuta un’omografia subordinata coll’unico spazio fondamentale [|#,)-1]. In questa omografia il sostegno dello spazio coniugato di F[|},9—1] sarà un certo G|m—,©|, nel quale sarà contenuta un'omografia subor- dinata con un unico spazio fondamentale F|A,9—1], immerso in F|h,9—1]. Il sostegno dello spazio coniugato di [4,2 —1] sarà un certo spazio G|m —%,9--h,9)], nel quale sarà contenuta un’ omografia subordinata con. un unico spazio. fondamentale F|h —1], ece., così proseguendo arriveremo ad un sostegno (o Mo: sò ne RE G|m_-M©—...-h Vi Ja in cui tutti i punti saranno uniti (*) pi Indichiamo questo spazio con Y to 1| (#4). e quindi n em h0- do 40 plo)-1 ) da questa relazione ricordando il valore di mm si ricava: 24. WA... 4Myt+h+-..+4+h'ntece.... Epi | Ph =n+1 o più brevemente Sh=n+1. Poniamo : 25. Mpeg OA +1) 2g) (*) Nella peggior ipotesi questo avverrà quando G È —hy- daje IA | sarà un punto. (**) Così veniamo a scoprire anche nell’ ultimo spazio F[h, — 4], gli spazi F[h0)—-1].. FA] ciascuno immerso nel precedente. Risul- terà dalle (41) che qualunque sia l'ordine con cui si prendono lt —1].. F[h,°) — 1] si trovano in essi sempre gli stessi spazi. SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 183 g==h'+ hi +1 aa sarà gt... +90=n+41. Dalle (41) risulterà che g'...g sono i gradi delle radici SO Dr) =0.. 26. Chiameremo gruppo caratteristico dello spazio fonda- mentale F[X/,—1] il gruppo (#1, N,-1, ... Ry—1,) e così per gli altri spazi F[h",—-1],... F[/,©-1]. Chiameremo ca- ratteristica dell’omografia il complesso (RI, RL cirie Ma hit A MO1, 4,91, ... 70,9 -1)] pa dei gruppi caratteristici degli spazi fondamentali. Se p'==1 chiameremo lo spazio Y'[h',-1] semplice, se p'=2 doppio, ecc. se p">1 multiplo. . In un’omografia generale tutti gli spazi fondamentali sono semplici (17). La definizione (26) di caratteristica è in accordo colla (18). 3184) Coppie caratteristiche di punti corrispondenti e spazi caratteristici di un’omografia. Dell’omografia qualunque più sopra studiata consideriamo uno spazio multiplo per es. F°[4',—-1] che per fissare le idee supporremo quadruplo; poniamo per brevità: ha=% hi=f ’ biso; h';j=0; sarà (25): lett a+8+y+0=g. Dal paragrafo precedente risulta: i 28. Nell’omografia contenuta in S,, F[a—1]è uno spazio fondamentale e sega il sostegno G[n—@a] in F|B—1], che è. quindi immerso in F[z—1] e G[n-«@]. jieoup.d 184 PILO PREDELLA 29. Nell’omografia contenuta in G[n—a], F[B—1] è fonda- mentale e sega il sostegno G[r——{| in F[y--1]che è quindi immerso in F|[B—1] e Gln—-a— ff]. 30. Nell’omografia contenutà in G[n—a—f], F[y—1] è fondamentale e sega il sostegno G|[n—-e—fB—y] in F[d-1] chs è quindi immerso in F[)—1] e G[n-e—f—-7y]. 31. Nell’omografia contenuta in G[n—-a—f} fari: F[d-1] è fondamentale e non sega il sostegno G[n—ax—f—y— 9] ( 27) =G[n—g/| del suo spazio coniugato. In a g] è contenuta un’omografia in cui non c’è più traccia dello spazio fondamentale F[z—1]. Fissiamo in F|z—1], « punti indipendenti: FARO: GERI PRO BEAZIA, gal gi dei quali i primi dò in 7[d-1], i primi y in 7[y_1}, i primi 6 in F[B-1} Nell’omografia contenuta in G|n — ch; B] i punti Aji.: A; sono punti (30) del sostegno G[n—«— f—] dello spago coniu- gato di F[|y—1], e quindi sono centri di prospettiva (11) di d» coppie di spazi corrispondenti S[7], £°[y] passanti per F[y 1]. In ciascuna di queste coppie di spazi scegliamo una coppia di punti corrispondenti (BBVA (BIBI. I punti B, B', saranno allineati con A,, ecc., i punti B; B saranno allineati ‘con ‘A; (*). I punti A, ... A4,, B,... By de- terminano un .S[y+d—1] e sono quindi indipendenti (**). In ‘ (*) Abbiamo denotato e denoteremo colla lettera B le coppie di punti allineati coi punti A, e così denoteremo colla lettera C quelli allineati con B, colla lettera D Guelfi allineati eon C. (**) Ed infatti badiamo che ai è S,:(4,..,4,B).. (A... A, B) cor- rispondono rispettivamente i 08°: (A, AB)... (A... A,B3) pro- spettivi ai primi secondo A, ... 43. Ora fra i punti A... Axe i è S, c'è una corrispondenza omografica (11); ma i punti 4, ... Ag sono indipendenti e determinano un F[°-1], devono dunque gli $, deterimimaro un S[y—è—-1] che è anche determinato dai punti A,...A,, 8, ... By il che dimostra che questi punti sono indipendenti, SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 185 questo S[7+d—1] sono poi anche contenuti i punti B',...3',. perchè si trovano rispettivamente sulle rette A, B, ... 4: B;. Abbiamo fatto queste considerazioni sull’omografia contenuta in G[Ir_z— fi], quindi i punti A, ... 4,, Bi... B; sono con- tenuti in G[n—-<—]B; ora procediamo. Nell'omografia contenuta in G[n_ 2), i punti B,... B;, 4,1... A, sono punti (29) del sostegno G[{n—-2z— f]) dello spazio corsetto di F [f#_1] e quindi sono centri di prospettiva (11) di y coppie di spazi corrispon- denti S,, S', passanti per 7[&—1]. In ciascuna di quelle coppie di spazi scegliamo una coppia di punti corrispondenti (600) -(G;0) (B.,, BA (PR). I punti €, C', saranno allineati con B, . ..i punti C; C'; con Bi Bi; B';;, con Sao SOR B Co I punti A4,...A4,, B,... B., C....C; determinano un S[f+7+0—1]e sono quindi RARE. in questo a lE ] sono anche contenuti i punti B',...B',, C. I) Finalmente nell’omografia conte cai in S, i fado ta. DEN, DI, sono punti (28) del sostegno G[n—] dello spazio coniugato di F[4—1] e quindi (11) sono centri di prospettiva di {?_ coppie di spazi corrispondenti S,, S', passanti per F[z—1]. In ciascuna di quelle coppie di spazi scegliamo una coppia di punti corrispondenti : (Di DI). (Di Di) (Crea C'a41) (CC) (BB) --(B DB). T punti D,, D', saranno allineati con C, ... D;, D'; con ini Pri. C_ Cicon B. BB, con ARTI, ig iicon 4, lena di Ah MESE CC Di_.-D, determinano un S[z + P 47481] ; sono pi indipendenti, questo spazio contiene anche i punti A, ... A,, B,...DB, C',...C',,D,...D';, ed è quindi uno spazio unito dell’o- mografia che (essendo (27) 2+f+7+0=g') indicheremo con H[y'- 1}. (*) Si dimostra come nella nota precedente. Atti R. Accad. —- Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 14 186 PILO PREDELLA In sostanza abbiamo trovato un certo spazio H[g—1], in cui abbiamo scelto i punti: A A i o RSI, SON De su] a? . . . I . che determinano come spazio a cui appartengono H[g' —1], e ai quali corrispondono rispettivamente i punti: ) Vi / / U Pi 239 Again: De Ba LORI SURE D'iz De e i punti corrispondenti (Babi -ABB ICARO) ‘ LA sono allineati rispettivamente con Mud 4, :B 100 UG, penare. | Concludiamo poi Se che 34. « ll gruppo dei g' punti (30) venne scelto in una totalità a(4-—1)+f(f_1)+ y(7-1)+0(0—1)+£ 3+7 +0 volte infinita di gruppi che hanno le stesse proprietà ». 35. « In H{g-—1]è contenuta un’omografia subordinata col- l'unico spazio fondamentale quadruplo F,_,, quindi lo spazio H[g—1] non sega G[n - g'] >» ($). Lo spazio H[g -1] si chiamerà spazio caratteristico relativo allo spazio fondamentale /°|z—1] o alla radice ' di D(r)=0. I gruppi di punti (32) e (33) si chiameranno gruppi caratteristici di punti dello spazio H#[y' -1|] e le g' coppie (30, 31) di punti corrispondenti coppie caratteristiche. 36. «In dla —1] esiste una totalità « ( (a-1)+f (B—1) +y((—1)+f+%y+0 volte infinita di gruppi caratteristici di punti ». In G[n—g'] è contenuta un’omografia subordinata in cui non c'è più traccia (31) di F[z- 1]; rifacendo nello spazio G[n—g/]la ricerca precedente riguardo allo spazio fondamentale F|h":—1] troveremo lo spazio caratteristico H[]y' —1] e proseguendo trove- remo gli spazi caratteristici H[g"° — 1]... H[9—1] conte- nenti rispettivamente le loro coppie caratteristiche di punti cor- rispondenti. (*) Se H[9'—1] segasse S[a — g/] in un punto questo sarebbe unito, e dovrebbe essere un punto di F[4--1] il che non può essere (31). SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIÈ 187 37. « Gli spazi caratteristici H[g'—1]... H[g9—1] sono in- dipendenti e determinano quindi (25) tutto &, ». Ed infatti H7|g'—1] non sega lo spazio a cui appartengono gli altri perchè non sega (35) G[n—g/] in cui questi sono con- tenuti e medesimamente H pi —1] non sega lo spazio a cui ap- partengono H[9g"— 1]... 4[g©-1]; ecc. H[g©7!—-1] non sega H[g®-1]. Siccome poi i punti del gruppo (32) sono indipendenti e determinano H|g'—1] si ricava: 388. « 1 o gruppi caratteristici (32) relativi rispettivamente agli spazi H[g 1]... H[99-1] formano n+1 punti indipen- denti. » Concludendo: 39. « In un’omografia qualunque di caratteristica: [(@—1, B-1, 7-1, è-1) Mi ha dt iali MICI, h021, 0A) a+ + y+0=g", N44 =9 hi 0+.. L=99, dove (25) g9+9°+...=90=n+1. esistono c spazi caratteristici: H[g' —1], H[g—1]... H[99—1], tutti indipendenti (36) e determinanti quindi $,. In H[g—1] è contenuta un’omografia subordinata con un unico spazio fondamentale multiplo Y|z—1] di caratteristica (a—1, B-1, y--1, 01). In H[g—1] si possono scegliere 9° punti indipendenti (gruppo caratteristico): di 9.2AIBli 1840). Dir Da I punti 4,... A, sono uniti; B,...B,; coi loro corri- spondenti B', ... Bi sono allineati rispettivamente con A, ...4g; ‘ Cy...C, coi loro corrispondenti C',. 01) sono allinenti con Bro By iDiup.;«Dpiboi doro corali li D',...Dyalli- neati con C, .. #0 E così riguardo agli altri sa H [g'-1] . H[g® 1]; si liaoh allora in tutto m+ 1 coppie caratte- ristiche di punti corrispondenti ». Atti R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 14% 188 PILO PREDELLA 40. Le n+1 coppie caratteristiche di punti corrispondenti insieme alla condizione che in H[g'—1]... H[99—1] le omografie subordinate abbiano un solo spazio fondamentale e insieme agli invarianti assoluti determinano l'omografia » (*). Infatti: Prendiamo per vertici di riferimento 1...n+1 rispettivamente i punti caratteristici di H[g'—1]: A... 4,3 . . «+ B, Cs... C,D,...Dz, e poi sempre nello stesso ordine i punti caratteristici di H[g'—1]... 4[9©-1], e vediamo se le relazioni omografiche rX1=U3Yit <<} +@n411Yn+1 Tan41 = Min+1YUit- << + An 4in+1Un41 sono determinate e che forma vengono a prendere. Intanto osserviamo che al vertice r°'*° della piramide di riferimento, considerato come appartenente alla figura y, corri- sponde un punto le cui coordinate sono @,14,3 . . . @,n +1; Cioè sono i termini della colonna #°*”*“ del modulo. Interpretiamo i punti senza apice come appartenenti alla figura y. Ai vertici 1... (che sono i punti A, ... A4,) corrispon- dono i vertici 1... «, quindi tutti i coefficienti delle prime « colonne sono nulli meno a, . . . @,, Ai vertici 4+1...%+ che sono i punti B, ... B; cor- rispondono i punti B', ... B' che sono in linea retta rispet- tivamente colle coppie di vertici (1, +1), (2, 4+-2)...(8,2+£); dunque tutti i coefficienti, delle Bb colonne che seguono le « già considerate, sono nulli meno (4,41,1 4,+12+1) (442,2 4x+2/2+2) see (044-038 Latest); E da4 1,1 da +1,a+1 è la coordinata. del punto B' sulla retta che unisce i punti di riferimento 1, 2 +1. Prendendo sopra questa retta il punto unità convenientemente, il rapporto @,41,1î 42+1.,2+1 prenderà il valore che ci piace di- verso da zero; e così dicasi per @,+: 2: 4,42,a+2: @cc. Così continueremo riguardo ai punti C', ...C',D,...D';, ecc. Siccome poi nello spazio H[g'—1] c'è un solo spazio fondamen- tale, l'equazione D(r)=0, (5) della omografia subordinata con- tenuta in H[g'—1] deve avere una sola radice r'; quindi ay = 4g,= (*#) Questo teorema dà ragione della denominazione di coppie caratteri- stiche, perchè data la caratteristica dell’omografia quelle coppie possono sempre essere scelte, e viceversa date quelle coppie e gli invarianti assoluti .l’omografia è determinata ed ha appunto quella caratteristica. SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 189 daria =f 00. riguardo a H[g'—1)... Gui- dati da queste osservazioni troviamo facilmente che il modulo dell’omografia contenuta in S, prende la forma seguente, dove i termini non scritti sono nulli : 1) Supponendo dati gli invarianti assoluti dell’omografia, vengono ad essere determinati tutti gli elementi del modulo (*), cioè riesce determinata l’omografia, e questo dimost:. il (39). (*) Dati gli invarianti assoluti dell’omografia sono determinati a meno di un fattore di proporzionalità le radici r, 7... di D(r)=0, cioè, tutti i termini lungo la diagonale. I termini fuori della diagonale sono poi deter- minati perchè ), 17” è la coordinata di B,. ecc. 190 PILO PREDELLA Guardando alla forma del modulo si trova: 41. «Lungo la diagonale (in corrispondenza allo spazio carat- teristico H|g'—1)] abbiamo g' termini =»), i quali costituiscono quattro gruppi; il I di 2, il Il di £, il HI di ye il IV did termini; i posti degli altri termini non nulli si scoprono facendo scorrere dal basso all’alto il II gruppo di « posti, il III di ft, il IV di Y posti. E così (in corrispondenza allo spazio H,,-) avremo lungo la diagonale p" gruppi di termini =r", il I gruppo di #',, il Il di #',, l’ultimo di 4°, termini. I posti degli altri termini diversi da zero si scoprono facendo scorrere il II gruppo di k', posta, il All'udi hi, ed. 0) 42. Scegliendo il punto unità in un certo spazio ad 2 +4," +7,"4...4+Ah,©-1=(27)g—1 dimensioni (dove .—1, 4y5j—1, h,"—1... sono le dimensioni degli spazi fondamentali); i ter- mini fuori della diagonale, (My: Ag; M1--- ft, Vi---U83 CC.) possono prendere valori prefissati arbitrari diversi da zero. Premettiamo intanto che se si vuole che il punto unità sulla retta. che unisce due punti di riferimento, sia un certo punto U prefissato, basta scegliere il punto unità di ,S, sopra il piano che proietta U dallo spazio determinato da tutti i punti di riferi- mento meno quei due; e così volendo che i punti unità, sopra r rette che uniscono coppie di punti di riferimento, siano punti (*) Per mezzo del (41) possiamo scrivere le relazioni fra x e y che dànno un’omografia con una data caratteristica; i vertici di riferimento sono però in posizione particolare, per averli in posizione qualunque basterà fare una trasformazione di coordinate e risolvere poi rispetto alle x. Per es.: Volendo le relazioni fra x e y di un’omologia, riferita ad una qualunque piramide di riferimento, seguendo questo metodo troviamo: Ta=(da Db —r)Y +00 YVot---- 4-9 }1 DiYnt1 rea =0,b9Y1+-(dGobo —1)Yot ..- + n4102Y pe 1 Cn 41 = A dn 44 YU + Abr p4 Yad ++ (An 41 Onda TT )YntA dove insomma il termine a;,,= a;by per i=% e per i=k, a; =4;b; —Y. Le a; sono le coordinate del piano di omologia e le 5; le coordinate del centro, se Y a,b, =0 centro e piano sono in posizione unita, SULLA TEORIA GENERALE DELLE OMOGRAFIE 191 prefissati, basterà scegliere arbitrariamente il punto unità di 4, in un certo spazio lineare ad n—r dimensioni. LIE EE a ELA 4 0 A io Loi gi So sono le coordinate dei punti B',...B',, 0',...C',, D....D, ecc., se vogliamo che A, .. .3,, fl... f,: Vi ---%, ecc. abbiano va- lori arbitrari, basterà prendere i punti unità convenientemente sulle rette (L, « +1), (2, x+-2), ecc. , cioè scegliere il punto unità di S, in uno spazio ad n—(B+y+0+%" +... Ly 4h + pipa Nm + , ecc.) = 2+h, +%,°"+...+7,9—1=(27)g-1 dimensioni. Dai teoremi (36, 42) ricaviamo: 43. « Il gruppo degli n +2 punti (che scelti rispettivamente come vertici di riferimento e punto unità riducono il modulo dell’omografia alla forma (41), dove i termini fuori della dia- gonale hanno valori prefissati arbitrari) si può scegliere in una totalità n +SX(/k—1) volte infinita di gruppi dove R—1 sono tutti i numeri della caratteristica dell’omografia ». Dalle definizioni di caratteristica e di invarianti assoluti, risulta : 44. « Due omografie proiettive hanno la stessa caratteristica e gli stessi invarianti assoluti ». Dal teorema (43) si ricava poi: 45. «Date due omografie aventi la stessa caratteristica e gli stessi invarianti assoluti esistono co"+?"@—! proiettività colle quali si passa dall’una all’altra » (*). Infatti basta scegliere nell’una e nell’altra i vertici di rife- rimento e il punto unità in modo che il modulo si riduca alla forma (41), allora passando dai vertici di riferimento e dal punto unità dell’una agli omonimi dell’altra si passerà dall’una all’altra. 46. Per costruire un’omografia data la caratteristica e gli invarianti assoluti basta descrivere arbitrariamente i o spazi H[g'—1]... H[9©—1]e fissare in essi le coppie caratteristiche; (38) queste coppie insieme agli invarianti assoluti determinano (39) l’omografia (**). (*) Da questo teorema è facile dedurre quello di WerersTRASss Sulle forme bilineari. (V, Omografie, S 10). (**) Questa costruzione di un’omografia qualunque è molto più semplice di quella di StauDT generalizzata per lo spazio ad n dimensioni dal professor BERTINI, Nota citata. 192 PILO PREDELLA - SULLA TEORIA, ECC. Fissati gli spazi caratteristici e le coppie caratteristiche si determina geometricamente la corrispondenza proiettiva in S, nel seguente modo. Sia M un punto di uno spazio caratteristico, per es. di H[g'—1]. Agli S, determinati da F[a—1] e da ciascuno dei punti B,...B,. C,...C,, D,...D; corrispon- dono rispettivamente gli 5", determinati da F|a—1] e dai punti B',...B, 0-0", Di. Di prospettivi 0, omologicivai primi rispettivamente secondo i punti A, ... A, B,...B,, C,... Cs. Se M è un punto di questi S, si determina subito il suo corrispondente; se M è fuori, conduciamo per M e in H[g-1] un S[f +y+0--1] qualunque che incontrerà (essendo (27) g=x++y+0) ciascuno di quegli S, in un punto; trovando i corrispondenti di questi punti determineremo 8'[f+y+0— 1] corrispondente di S[84+y+9—1] nel quale si troverà M'. Ripetendo quest’ operazione r volte troveremo uno spazio di di- mensioni r({}+y+0)—(r—1)(x+f+y+0)-1=2++y+0—1—ra —=g—1--ra nel quale dovrà trovarsi il punto M', che sarà "1 completamente determinato quando r=S aa Così si determina la corrispondenza proiettiva negli spazi caratteristici. Nello spazio, S[g—1] ad a +7, +...+%—1 dimen- sioni, determinato dai o spazi fondamentali, l’omografia essendo generale si determina la corrispondenza, come è indicato nella nota al teorema (21). Ciò premesso, il corrispondente di un piano S[n—1] qua- lunque di ,S, sarà il piano che contiene gli spazi corrispondenti degli spazi dove S[n—1] taglia gli spazi caratteristici e lo spazio S[g—-1), cioè sarà un S'[n—1] perfettamente determinato e determinabile. 193 RELAZIONE intorno alla Memoria del Dott. F. SAcco, intitolata : « I Molluschi dei terreni terziariù del Piemonte e della Liguria — Eulimidae, Pyramidellidae e Turbonillidae » L’A. nella memoria, che la Classe ci ha incaricato di esa- minare, continua lo studio dei Molluschi terziarii del Piemonte e della Liguria, iniziato dal compianto collega prof. L. BELLARDI e in parte già proseguito dallo stesso dott. Sacco. L’A. ha condotto questa memoria collo stesso metodo delle precedenti che vennero stampate nei volumi accademici. Nella famiglia Eulimidae VA. stabilisce due nuovi sotto- generi: Hordeulina e Sulcosubularia. Nella famiglia Pyramidellidae sono nuovi i sottogeneri: T'ur- ritodostomia e Cyclodostomia. Nella famiglia Zurbonillidae è nuovo il sottogenere Pyr- golampros. Le specie o varietà descritte come nuove sono circa un cen- tinaio, delle quali VA. dà le figure nelle 2 tavole unite al lavoro. I vostri commissari osservano che la memoria del dott. Sacco è redatta con lodevole concisione e per questa ragione e pel numero delle forme nuove che l’A. fa conoscere, la credono degna di essere letta alla Classe, e, qualora questa lo approvi, di essere stampata nei volumi accademici. T. SALVADORI. LorRENZO CAMERANO, Lelatore. L’Accademico Segretario Giuseppe Basso, opus USTA PITT Là AA LL) 4 È | vw sd Ohio DI soa pi i tagli t2 Rd; uma haasfà { Rios di 09948. È xt aina gl ‘nà DI $ QeS LA Jab pi ì. Le vioy abi ufo: inrcioabillinodi® » sshi da ‘ob i I 19 + 01 rombi” E : i al. di: pr i, a N; i ] dota i + ig 7 Ù fe it le Pu i o girati Li .i. sale dre ig ih sa 8 ont ob itato? i til pane [EE TRNER ANA 101 611091 otti È nor D0dAG Hob oa Li Dion oboloni oegata allox > È 7 a di sE, a ia RE 006 iso, Mm ecaionie ciali o i Radegionta. AIGLOAT:0E dado! ivona db SSR id ate ambito . i sSi Sì h a 4 } » di I ni pas f 4 } Ùl x 4 Lit.Bruni-Pavia SUGLI SCHISTI SILICEI A _RADIOLARIE cine È Xiphostylus sp. ao » 20. Druppula sp » 21. Spongotripus pauper, Rist. » 22. Sethocapsa sp. « | Dicolocapsa sp. ? > 24. » 25. ZTrigonocyclia trigonum, Rist. » 26. Rnhopalastrum sp.? ei, » 28.) Rhopalastrum sp. ar 32 . >» 30. Dictyastrum sp. » 31. Hagiastrum sp. » 32. Hagiastrum cfr. egregium, Rist. sari: Dictyomitra ? cretacea, Rist Li gi Y a, Riist. » 35. Dictyomitra Haeclkelii, Pant. » 36. Dictyomitra cfr. nerinea, Riist. » ST. METE, reosyringium Sp. >» 40. sail. » 42.) Sethocapsa sp. >» 43. >» 44: Sethocapsa? cometa, Pant. » 45 » 46 ? Stichocapsa sp. 0 Cyrtocapsa Î. n. Dicolocapsa f. n. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc — Vol. XXVII. 211 16 212 G. BIZZOZERO Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro — enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa; Nota Terza del Socio Prof. G. BIZZOZERO Ghiandole del duodeno del topolino grigio. . Fu con vivo interesse che incominciai lo studio di queste ghiandole, poichè certe particolarità, già da tempo conosciute nella loro struttura, dovevano mettere alla riprova la solidità della mia teoria sulla origine dell’ epitelio intestinale. Paneth (1), infatti, fino dal 1887 aveva trovato che nel fondo cieco delle ghiandole tubulari del mus musculus e del ratto esistono delle cellule contenenti dei granuli grossi e lucenti, le quali stanno disposte fra le cellule dell’ epitelio ghiandolare e possono considerarsi esse pure quali elementi secernenti. Orbene, quali sono i rapporti che corrono fra questi e gli elementi se- cernenti sostanza mucosa? Com'è che queste cellule, descritte da Paneth, si trovano in quella parte della ghiandola, in cui, se- condo la mia opinione, suol trovarsi il focolaio di rigenerazione dell'epitelio intestinale ? A queste domande aveva già cercato di rispondere Paneth; ma le sue ricerche non ebbero, rispetto ad esse, risultato sod- disfacente. Egli venne soltanto alla conclusione, che queste cel - lule a granuli sono affatto distinte e diverse dalle cellule mucose. Ecco, infatti, in breve com’egli (2) le descrive: « A fresco, su preparazioni ottenute raschiando la mucosa, si constata che i granuli sono discretamente rifrangenti, meno, però, che il grasso. La loro grossezza è variabile, il più delle volte superiore a quella (1) PanetH, Centralbl. f. Physiol., 1, p. 255, 1877, e Arch. f. mikr. Anat. vol. XXXI, 1888. (2) Arch. f. m. Anat, vol XXXI, p. 178. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 213 dei granuli mucòsi delle cellule caliciformi del topo e anche del tritone. Nelle ghiandole ci sono sovente parecchie cellule a granuli, e sovente ancora una o due soltanto. Talora non c’è che pochi granuli in una cellula. — L'azione su di essi dei diversi -reat- tivi è la seguente: L'acqua e la potassa non lì attaccano; nella potassa essi si raggrinzano alquanto, e diventano più rifrangenti. L’etere li scioglie lentamente, al pari dell’alcool. Gli acidi di- luiti li sciolgono rapidamente, ed essi non ricompaiono più quando sî neutralizzano gli acidi colla potassa. L'acido osmico li con- serva bene, e loro dà una tinta brunomogano. Si colorano viva- mente coll’eosina, ematossilina, safranina, verde di iodio, e la colorazione resiste alla lavatura nell’alcool più tenacemente che quella dei nuclei. Di più, essi non modificano la tinta della materia colorante, e perciò si distinguono dai granuli delle cel- lule caliciformi, che sono ancle più piccoli. Col verde di iodio diventano azzurro-turchese, mentre le cellule caliciformi appaiono verde-oliva, colla safranina diventano rosso di robbia, mentre le cellule caliciformi o sono omogene e appena colorate, ovvero sono riempite di granuli rosso-giallastri .... Raramente si vede una cellula caliciforme colla sua teca panciuta nelle vicinanze del fondo delle ghiandole, ma in tal caso la differenza fra essa e le cellule a grani è evidente . ... Le cellule a grani debbono considerarsi come una specie particolare di elementi chiandolari differenti dalle cellule caliciformi. Il prodotto di secrezione elaborato da esse ha caratteri morfologici e chimici diversi da quelli dei grani delle’ cellule caliciformi. ... Non si conosce alcuna regione nei mam- miferi ove si trovino elementi analoghi. . .. . Nella più parte delle sezioni dell’intestino del topo il fondo della maggioranza delle ghiandole è riempito di cellule a grani, fra le quali si tro- vano delle cellule ‘epiteliali ordinarie. Si trovano altresi delle ghiandole nelle quali non c'è che una cellula contenente grani, o Celle cellule contenenti grani piccoli e poco numerosi, disposti nella porzione della cellula rivolta verso il lume della ghiandola. Gli elementi del fondo cieco possiedono dei grani più dia che quelli degli elementi situati più in alto... Non v'ha dubbio che le cellule a grani derivino dalle cellule epiteliari. Si tro- vano tutte le transizioni fra queste e quelle. Ma che avviene di esse?. ..» A questa domanda le osservazioni di Paneth non per- misero di dare una risposta soddisfacente. Nè migliori risultati ebbero le ricerche più recenti di Ni- I14 G. BIZZOZERÒ colas (1), intraprese con metodi più perfezionati e cogli obbiet- tivi più perfetti che ora si posseggano. Egli constatò l’esistenza delle cellule di Paneth non solo nell'uomo, nel topo e nel ratto, ma ancora nel pipistrello e nello scoiattolo; accertò, contro la opinione di Paneth. ch’esse contengono sempre un nucleo; vide alcune particolarità di struttura de’ grani, e notò che alcune cel- lule epiteliali contengono uno o due corpi (enclaves) sferici o semilunari, in parte colorabili colla safranina, e simili a quei corpi che da parecchi vennero descritti in altre porzioni dell’ epitelio intestinale di altri animali. Egli ritiene probabile che le cellule, quando siano diventate piene di grani, li svuotino nel lume ghian- dolare, e per un po’ di tempo rimangano coll’aspetto di cellule strette e fortemente colorabili; ma poi tornino a secernere grani nel loro protoplasma, per scaricarsene di nuovo nel lume della ghiandola, e ripetere così, per un periodo per ora non determi+ nabile, il loro ciclo secretorio. Queste cellule non avrebbero, quindi, neppure seconda Nicolas, un rapporto qualsiasi colle cellule mu- cose; esse secernono un prodotto speciale, figurato, di cui non si possono precisare nè la composizione chimica, nè la funzione. Dopo questa esposizione si comprende facilmente per qual ragione io fossi desideroso di conoscere per mie proprie osserva- zioni i rapporti che hanno fra loro le cellule di cui si è tenuto discorso. Ecco i risultati delle mie ricerche (2): Le ghiandole duodenali del topolino (fig. 1*) sono corte, sicchè anche ad assai forte ingrandimento possono essere comprese in un sol campo del microscopio. Il che naturalmente facilita la comparazione degli elementi che le tappezzano. Sono rettilinee, o appena sensibilmente incurvate, ed hanno l’ estremità profonda leggermente claviforme. Sono applicate strettamente l’una contro l’altra, e quindi il connettivo interposto è scarsissimo. Delle tre specie di cellule che le tappezzano (protoplasma- tiche, mucose e a granuli), le protoplasmatiche presentano quelle (1) NicoLas, Journal international d’ Anatomie et de Physiol., 1894, v. VHI, pag. 1. (2) Per l’indurimento sono a preferirsi la soluzione acquosa concentrata di acido picrico, tanto raccomandata da Paneth (immersione per 2 giorni nella soluzione, lavatura per 4 giorno nell’acqua, alcool), e i liquidi di Flem- ming e di Hermann (immersione in essi per 1 o 2 giorni, lavatura nell’acqna corrente per 4 giorno, alcool). SULLE GHIANDOLE TUBULARI 215 stesse modificazioni che abbiamo notato nelle ghiandole tubulari precedentemente studiate. Nel fondo cieco (fig. 1%a) mostrano il nucleo ovale spinto nella parte più profonda della cellula; i contorni di questa sono meno distinti, e la sua estremità libera è limitata da una linea di contorno sottile. — Venendo più in su nella ghiandola, un po’ prima della sua metà comincia ad apparire all’estremità libera un palese orlo striato, che va ra- pidamente ingrossando (fig. 1% 5), fino a diventare, prima ancora che la ghiandola sbocchi, quasi eguale a quello che riveste la superficie dei villi. Anche qui, adunque, non si può dire che l’orlo striato distingua l’epitelio del villo da quello delle ghiandole. — I nuclei restano basali in tutta la ghiandola; è soltanto alla base dei villi che cominciano a portarsi verso il mezzo delle cel- lule; nel tempo stesso diventano un po’ più piccoli e più roton- deggianti, e la loro sostanza cromatica si colora più tenacemente colla safranina. Quanto al protoplasma, io non ho trovato differenze notevoli, come, p. es., quelle che esistono nelle ghiandole rettali del co- niglio. Tanto nelle ghiandole quanto sui villi esso appare come una finissima rete, con trabecole a direzione prevalentemente lon- gitudinale (rispetto all’asse della cellula). Naturalmente, nel dir ciò io prescindo dai casi in cui l’intestino stia assorbendo del grasso, poichè in questi casi il protoplasma delle cellule della superficie libera ne è riccamente provvisto, mentre ne manca quello delle ghiandole (1). La grandezza delle cellule, al solito, aumenta alquanto. Nella fig. 2* io ho messo a raffronto alcune cellule del fondo cieco ghiandolare (A) con altre tolte dalla metà superiore di un villo (B). Queste ultime sono alquanto curvate dalla pressione che su di esse si esercita dal basso; ma ciò non è costante, e, d'altra parte, la forma generale della cellula muta assai a se- conda dello stato di contrazione del villo, della presenza od as- senza di goccioline di grasso nell’epitelio, e di altre condizioni che non ci interessa di studiare. Le cellule del fondo cieco ghian- dolare avevano (in preparati induriti in liquido di Hermann) (1) Ciò si accerta faeilmente in preparati induriti in liquido di Flemming, passati in alcool e poi in olio di cedro, sezionati in paraffina, e passati in silolo, in alcool, e alfine conservati in glicerina. Le gocciole adipose, anne- rite dall’osmio, si conservano benissimo, 216 G. BIZZOZERO una lunghezza di 15-20 p, una larghezza di 4, 5 p.; quelle del villo erano lunghe in media 24 p, larghe 6-8 p. sas Quanto alle cellule mucose, il loro numero è relativamente assai scarso. In molte gliandole (su sezioni di 5 {. di spessore) se ne vedono 2-3; in non poche non se ne vedono affatto; in poche sono 4 o più, fino a 7 od 8. — Per quanto spetta alla loro posizione, non si trovano mai o quasi mai nel fondo cieco ghiandolare, Cominciano di solito ad una certa distanza da esso (fig. 1* e), e si continuano, succedendosi a lunghi intervalli, per tutta la ghiandola, e, poi, per tutta la superficie libera. della mucosa, fino verso l’estremità dei villi. — Hanno forma di ca- lice piuttosto allungato. La loro porzione superficiale è occupata dalla sostanza mu- cosa; la profonda, invece, dal nucleo, che non è nè schiacciato contro la membrana ghiandolare, nè sottile e lungo come è in altre ghiandole. Il nucleo è di solito ovale, circondato da scar- sissimo protoplasma, e differisce poco, all'aspetto e per la posi- zione, da quello dell’epitelio protoplasmatico vicine. — Anche nei villi le cellule mucose conservano la forma allungata; però il nucleo (fig. 2* B) si porta un po’ più verso il mezzo della cel- lula; il protoplasma aumenta di volume, circondando il nucleo ed occupando tutta la parte profonda della cellula; la sostanza mucosa, invece, appare come un grosso blocco che occupa la estremità libera allargata della cellula, e ne fuoresce per conti: nuarsi col muco contenuto nel lume della ghiandola. La sostanza mucosa, quando sia esaminata in ghiandole fre- sche (1), senza liquido d’aggiunta, o dilacerate da. pochi istanti in liquido di Miller, appare sotto forma di fini granuli sferici, piuttosto pallidi (fig. 4* a). Questa struttura però, come succede di solito anche nelle altre ghiandole, si perle facilmente sotto l’influenza dei liquidi che aggiungiamo ai tessuti per indurirli, esaminarli, ecc. Paneth ha osservato che i granuli si conservano quando per l’indurimento si adoperi l'immersione prolungata per un giorno o più nell’acido picrico, ed io posso confermare la sua osservazione, ed aggiungere che una conservazione anche migliore siha indurendo col liquido di (4) Nell’animale appena ucciso l’epitelio aderisce tenacemente alla super- ficie della mucosa e della membrana delle ghiandole; per ottenerlo sarà bene usare animali uccisi da un paio d’ore. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 19 Hermann. Però, sì con quello che con questo la struttura gra- nulare non appare egualmente bene in tutte le cellule; in alcune è appena accennata, in altre la sostanza mucosa ha acquistato aspetto omogeneo, senza che si possa rilevare la ragione della differenza. La sostanza mucosa, nei pezzi induriti con alcool od acido picrico, ingiallisce fortemente sotto l’influenza di una soluzione acquosa di safranina. Il colore, però, si perde aggiungendo, per conservare il preparato, della glicerina od anche la soluzione di zucchero. Si riesce a conservarla in preparati all’acido picrico, aggiungendo una soluzione di zucchero già previamente colorata colla safranina. Nei pezzi induriti col liquido di Flemming, e, meglio ancora, con quello di Hermann, la sostanza mucosa si colora elegante mente coll’azzurro di metilene o colla ematossilina, mentre tutte le altre parti del tessuto restano scolorate. È specialmente questa reazione, come vedremo, che mi servì alla soluzione del quesito che m’ero proposto. Per ultimo, per quanto spetta alle cellule di Panceth, da principio mi pareva che la conclusione mia non potesse esser di- versa da quella cui erano arrivati i miei predecessori in questo studio. Queste cellule, sia per la loro forma, che per la grossezza, la disposizione, la forte rifrangenza, e le reazioni dei loro granuli, mi parevano affatto diverse dalle cellule mucose. Senonchè uno studio più approfondito mi dimostrò, che tra una forma cellulare e l’altra esistono sempre graduate forme di pas- saggio, sì che venni condotto man mano alla ferma convinzione che le cellule di Paneth non sono che la forma giovane delle cellule mucose. Ciò appare con diversissimi metodi di preparazione. Se, ad es., esaminiamo sezioni sottilissime di ghiandole indurite in liquido di Flemming, colorate con safranina (1) e chiuse in damar, a tutta prima sembra che tra le cellule di Paneth e le mucose non vi sia nulla di comune. Quelle (fig. 1*c) sono a base assai larga, spesso piramidali; il loro nucleo è disposto trasversalmente alla base dell'elemento, e presenta un contorno fatto irregolare da frequenti insenature; nel loro protoplasma stanno numerosi — . (1) E bene sciogliere la safranina in acqua di anilina; le sezioni colorate si lavano o in alcool, o in alcool picrico o in aleool cremico 4 %/x) (MARTINOTTI), 218 G. BIZZOZERO i granuli caratteristici, rotondeggianti od ovali, vivamente colorati in rosso, e di grossezza relativamente notevole. Questa grossezza, però, non è eguale per tutti; essa, di solito, è minore in quella parte della cellula che è rivolta verso il lume ghiandolare; mag- giore, invece, nella parte ove sta il nucleo. I granuli paiono sospesi in una sostanza trasparentissima, incolora; è soltanto su sezioni estremamente sottili, ed esaminate coi migliori obbiettivi che si riesce a determinare che i granuli stanno come nelle maglie di una rete protoplasmatica a trabecole sottilissime (fig. 7%), la quale è stata ritratta con molta fedeltà in parecchie figure di Nicolas (1). Le cellule mucose, all'incontro, hanno forma di calice (fig. 1%e) privo di piede; nel fusto, relativamente grosso, sta il. nucleo ovale: la cavità del calice è distesa dal muco che si presenta come una massa omogenea, colorata in roseo dalla safranina. Nes- sunà traccia nel muco di struttura granulare, e tanto meno di granuli fortemente colorati colla safranina. Ma, continuando nell’esame, capitano di frequente agli occhi delle forme di passaggio Si vedono, anzi tutto, delle cellule di Paneth che (come è già stato osservato da altri) non giacciono nel fondo cieco, ma stanno più in su (fig. 1%), magari più in su del mezzo della ghiandola. Esse, naturalmente, non hanno più forma piramidale; sono diventate più lunghe e sottili, avviciman= dosi così alla forma delle vere cellule mucose; come in queste, il loro nucleo tende a disporsi parallelo all’asse più lungo della cellula. Contengono ancora numerosi granuli fortemente colorati, ma la grossezza di questi è alquanto diminuita. Altre cellule si riconoscono ancora appartenenti alla cate- goria delle cellule ci Paneth, a cagione dei granuli safraninofili che contengono; ma i granuli sono diventati minuti o minutis- simi (fig. 1% d, fig. 5% 4 e d), il corpo cellulare e il nucleo hanno acquistato la forma delle parti corrispondenti delle cellule mucose, ed inoltre è avvenuta una notevole modificazione della sostanza in- terposta ai granuli: questa è diventata più copiosa, ed ha acquistato la proprietà di colorarsi in roseo colla safranina precisamente colla stessa intensità del muco delle cellule mucose. L'ultima forma di transizione è rappresentata da cellule in tutto simili alle cellule mucose, ma che conservano ancora, (1) Loc. cit., Tav, III, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 219 sparsi nel loro muco, dei granuli estremamente fini e intensa- mente colorati in rosso, che sono un ricordo della loro deriva- zione primitiva. — La colorazione colla safranina non è la sola che dimostri codeste particolarità. Se delle sezioni indurite in liquido di Flemming vengono co- lorate colla vesuvina, le cellule mucipare spiccano fra le inter- poste cellule protoplasmatiche per la maggiore omogeneità e rifran - genza del loro contenuto mucoso, e pel colorito più intenso che gli venne impartito dalla vesuvina. Or bene, quelle cellule mucipare che stanno più nel profondo delle ghiandole, presentano spesso, sparsi nel loro muco, dei granuli brillanti affatto simili, per la ri- frangenza e la nettezza dei contorni, a quelli che stanno nelle cel- lule di Paneth, dai quali differiscono soltanto pel minor diametro. Figure ancora più eleganti e persuasive si hanno colorando le sezioni con azzurro di metilene o con ematossilina, che colorano assai poco i nuclei, mentre colorano intensamente la sostanza mucosa. La fig. 3* è tratta da un preparato colorato coll’azzurro di metilene. Vi si scorgono le cellule di Paneth a a che stanno nel fondo cieco. Più in su si vedono due cellule dd della stessa specie, ma che contengono dei granuli più piccoli, massime in vicinanza dell’estremità libera della cellula; la sostanza che sta fra questi granuli minuti ha già acquistato un colore azzurro simile a quello caratteristico della sostanza mucosa. Finalmente in e si vede la sezione ottica obliqua di una cellula che, quan- tunque presenti ancora dei granuli estremamente minuti, tuttavia, per l’aspetto e la colorazione della sostanza interposta ai gra- nuli, per nulla si distingue dalle vere cellule mucose. Avuti questi risultati, io ho voluto tentare di ottenetne la controprova, usando della reazione gialla che presenta il muco quando le sezioni di pezzi induriti nell’alcool o nell’acido picrico vengano trattate con soluzione acquosa di safranina, Preferii le sezioni indurite coll’acido picrico, perchè questo, meglio dell’al- cool, fa spiccare i contorni cellulari; disposi le sezioni sotto il coproggetti, immerse in una goccia d’acqua, ed a questa sostituii una soluzione acquosa concentrata di safranina. — Il risultato non poteva essere più favorevole. Dopo una mezz'ora si ottiene il differenziamento completo : i granuli delle cellule di Paneth ap- paiono di colore rosso vivo, come il protoplasma ed il nucleo, e la sostanza interposta ad essi è incolora, o di una tinta appena leg- 220 G. BIZZOZERO germente giallognola; le cellule mucipare perfette sono, invece, distese da una gocciola omogenea di sostanza mucosa rigonfiata e colorata in giallo; fra quelle cellule e queste, poi, vi ha una serie di forme di passaggio, rappresentate da cellule il cui se- creto contiene dei granuli rossi che diventano sempre più piccoli, immersi in una sostanza che diventa sempre più copiosa e inten- samente colorata in giallo (1). Con questi varî metodi, adunque, io aveva messo in evidenza degli elementi di transizione fra le cellule di Paneth e le cellule mucose, i quali, prescinlendo dalle altre modificazioni, presen tano questa particolarità, che il loro secreto è costituito da gra- nuli che presentano le reazioni dei granuli di Paneth , immersi in una sostanza che presenta, invece, quelle della sostanza mu- cosa. Questa sostanza intergranulare mi era di solito apparsa di aspetto omogeneo; non mai, neppure coll’indurimento coll’acido picrico, aveva veduto ben evidente in essa quella struttura gra- nulare, che appunto l’acido picrico conserva nel muco, se non di tutte; di un certo numero di cellule mucose. È chiaro come fosse importante per me di riconoscere questa struttura granu- lare, perchè ciò sarebbe riuscito un altro ed importante argo- mento per accertare la natura mucosa della sostanza in discorso. .. Raggiunsi il mio intento usando, per l’indurimento, il liquido di Hermann. Se sezioni sottilissime (meno di 5 p di spessore) di pezzi in tal modo induriti si colorano coll’ematossilina e si esaminano a forte ingrandimento, si vede (fig. 6 a) che la colora- zione azzurra si è fissata esclusivamente sul secreto delle cellule mucose — tutte le altre parti del tessuto sono rimaste incolore — e che questo secreto consta di granuli sferici o alquanto polie- drici per reciproca pressione, a contorno poco marcato, e di gros- sezza sensibilmente eguale in una stessa cellula. Per ottenere questo risultato è necessario che la sezione sia estremamente sot- (41) Potei conservare questi preparati usando di una soluzione acquosa concentrata di zucchero, colorata colla safranina. In questi preparati, che conservo da più di un anno, si vede che in non poche cellule di Paneth i granuli hanno assunto un colore rosso-giallo, mentre nelle altre sono sempre di color rosso vivo; il che dimostra che anche i veri grani di Paneth non sono sempre eguali fra loro. Ciò viene confermato anche nei preparati induriti in liquido di Flemming o di Hermann, colorati con safranina, e ‘passati in ‘aleool. olio di bergamotto e balsamo: la colorazione aderisce assai più tenacemente ai granuli piccoli che ai grossi, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 221 tile, che l'obbiettivo sia ottimo e ad immersione omogenea, e che la luce sia viva; se la luce naturale è debole, le si sostituisca la luce artificiale. Se non si hanno queste condizioni, la struttura granulare non sempre appare, perchè, avendo i granuli un con- torno poco marcato, i loro contorni non appaiono, e il blocco mucoso fa l'impressione di una massa azzurra omogenea. La co- lorazione violetta è più vivace, e i granuli sono più distinti nelle cellule mucose delle ghiandole, che in quelle della superficie dei villi. Coll’ematossilina i granuli delle cellule di Paneth riman- gono incolori. Se, invece, al trattamento coll’ematossilina si fa precedere la colorazione colla safravina (1), allora si ottiene una doppia colorazione; i granuli delle cellule di Paneth (così come i nuclei, massime quelli in mitosi) acquistano un color rosso brillante, mentre i granuli dei blocchi mucosi diventano di colore azzurro. Orbene, se in questi preparati si esaminano i blocchi di secreto di quelle cellule che dissi di transizione, si vede che constano di due sorta di granuli: di granuli violetti, fra cui stanno disposti dei granuli di vivace color rosso. Quantunque i primi abbiano contorni poco marcati, ed i secondi siano minutissimi, tuttavia, esaminando con un obbiettivo omogeneo apocromatico e con larga apertura dell'apparecchio Abbe, la differenza di co- lore dei granuli appare spiccatissima (fig. 6 0). Queste osservazioni dimostrano, adunque, che le cellule di Paneth rappresentano forme giovani di cellule mucose. Esse secernono dei granuli grossi, lucenti, safraninofili, che versano nel lume della ghiandola. Invecchiando, continuano per un certo (1) Le sezioni sottilissime si fissano sul coproggetti per mezzo di una so- luzione tenuissima d’albumina, e si liberano dalla paraffina col silolo, e da questo coll’alesol assoluto. Poi il vetrino si mette a nuotare su di una solu- zione tenue di safranina (8 goccie di soluzione acquosa concentrata di sa- franina in 4 gr. di acqua) raccolta in un vetro da orologio, si fa scaldare fino a che comincino a svilupparsi vapori, indi si lascia a sè per un paio d’ore. Successivamente: lavatura per alcuni m’” in alcool assoluto, immer- sione in ematossilina per 15 #, lavatura di alcuni #” nell’acqua distillata, passaggio per alcuni m’ in alcool acidulato con YCL (0,5°/), infine lavatura per alcuni minuti in acqua di fonte, passaggio per 30 m/' in alcool assoluto, bergamotto e damar. Bisogna curare che la colorazione coll’ematossilina non sia troppo intensa, perchè in tal caso nelle cellule di transizione i finissimi granuli safraninofili non riescono visibili entro il grosso blocco colorato in azzurro, DRD G. BIZZOZERO tempo a secernere granuli di questa stessa natura, ma più pic- coli : e, nel tempo stesso, secernono granuli che si colorano in- tensamente coll’ematossilina. In un periodo ulteriore la produzione di granuli safraninofili cessa affatto, ed il blocco di secreto è tutto costituito da granuli colorabili coll’ematossilina; la cellula è così diventata una schietta cellula mucosa. Mentre questi cam- biamenti hanno luogo nell'interno della cellula, questa assume anche la forma di calice propria delle cellule mucose, e grada- tamente si sposta dal fondo delle ghiandole verso il loro sbocco e, poi, fin sui villi. Le cellule di Paneth a granuli minuti erano state vedute anche da Nicolas; ma egli le considerava come la forma giovane della cellula di Paneth, di cui la forma adulta avrebbe secreto granuli più grossi: mentre dalle mie ricerche appare, come s°è veduto, precisamente l’opposto. Una volta poteva sembrar strano il fatto che le cellule mucose, invecchiando, mutassero la natura chimica del loro secreto. Ma non può sembrar strano ora che abbiamo visto, come in tutti gli animali fin qui studiati abbia luogo, dal più al meno, una modificazione dei caratteri del muco man mano si va dal fondo della ghiandola verso il suo sbocco. Queste differenze, che abbiamo ora osservato nel duodeno del mwus musculus, non sono certamente maggiori di quelle che ho de- scritto nelle cellule mucose del retto di coniglio, le quali, a se- conda della loro posizione nella ghiandola, si comportano così di- versamente di fronte all’acido acetico e alle sostanze coloranti. — La produzione cellulare nelle ghiandole tubulari del duodeno di topo è attivissima; ciò viene dimostrato dalle numerose mitosi che si vedono in ogni ghiandola e che hanno attirato l’atten- zione di tutti coloro che in questi ultimi anni si sono occupati dell'argomento (1). Esse stanno, di regola, nella metà profonda della ghiandola ; è raro trovarne nella metà superficiale, e ancor più raro in vicinanza dello sbocco. Le mitosi cominciano nel fondo cieco; talora se ne vedono proprio all'apice del fondo cieco, comprese fra due cellule di Paneth. Il corpo delle cellule in mitosi mi apparve sempre di aspetto protoplasmatico. A differenza di ciò che si osserva così di fre- (1) Recentemente REINKE descrisse alcune curiose particolarità di struttura di questi nuclei in mitosi, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 223 quente nelle ghiandole rettali del cane, non vidi nuclei in mitosi in cellule che già contenessero del muco; il che, però, non vuol dire che non ci siano. Mucosa intestinale di animali sprovvisti di ghiandole. Riconosciuto quale parte importante abbiano le ghiandole tubulari nella rigenerazione dell'epitelio intestinale, è ora interes- sante di vedere, come questa rigenerazione abbia luogo in quegli animali il cui intestino manca di ghiandole tubulari. In questo caso sono forse le cellule epiteliari della superficie libera che, nel posto stesso dove esercitano la loro funzione, si moltiplicano per mitosi ? Per la risposta a questo quesito esamineremo l'intestino di alcuni di questi animali. È necessario che l’esame sia fatto non in una, ma in alcune specie. perchè l’intestino di alcune ci pre- senta il processo di rigenerazione nella sua espressione più sem- plice; mentre quello di altre, per es. del tritone, ci dà delle figure già più complicate. e quindi può rappresentare una forma di passaggio verso l’intestino provvisto di ghiandole degli animali superiori. Intestino del tritone. Nell’animale adulto, misurato dallo stomaco all’ano, è della lunghezza di circa 14-18 cm. Esso non è tutto della stessa grossezza ; è più grosso nella parte anteriore, dove misura (in preparati induriti in liquido di Kleinenberg ed alcool) un dia- metro di 2-2.5 mm., mentre nella parte posteriore ha il diametro di poco più di un millimetro. — Spaccato pel lungo, la sua mucosa non ci presenta vere villosità. Essa forma, invece, delle ripiegature (pliche) contigue l’una all’altra, e aventi diversa con- figurazione e disposizione a seconda della parte dell’intestino în ‘ cui risiedono. Nella parte posteriore esse sono disposte longitu- dinalmente rispetto all’asse maggiore dell’intestino, hanno decorso regolarmente ondulato, e i rapporti che hanno fra loro sono tali, che le convessità di una plica si adattano alle concavità delle pliche che immediatamente le stanno ai lati (fig. 8). Nella parte anteriore dell'intestino, invece, quanto più ci avviciniamo allo stomaco, il decorso delle pliche si fa irregolare, le ondulazioni si trasformano 224 G. BIZZOZERÒ in zig-zag, ed i zig-zag delle diverse pliche si vanno confondendo fra loro. Inoltre, nella metà posteriore dell'intestino le pliche, essendo l’intestino più sottile, sono più basse, più grosse, più avvicinate l’una all’ altra, e non arrivano che ad una diecina ; mentre nella anteriore sono assai più alte, sottili, e, in ogni se- zione trasversa d'intestino, si scorgono nel numero di 14-16. La mucosa intestinale è sprovvista di ghiandole tubulari. A questo riguardo io mi trovo in disaccordo con Paneth, il quale (1. c., p. 174) scrive: « Beim Triton hingegen, dessen Diinndarm sehr schéne, sogar verzweigte Krypten hat, setzt sich das Epithel unterschiedlos, mit einem sehr deutlichen Stibchenbesatz versehen, in dieselben fort » e conferma il suo dire con una figura (l. c., fig. 7 a), la quale rappresenterebbe una ghiandola che, biforcandosi, terminerebbe con due fondi ciechi. Io credo che Paneth abbia bensì veduto la figura che ha disegnato, ma non l'abbia interpretata esattamente. Essa non rappresenta altro che la sezione verticale di pliche intestinali, app‘icate l'una contro l'altra, e che danno, così, l'apparenza d’una ghiandola. Le pliche intestinali nel loro decorso spesso si biforcano. Orbene, se si fanno sezioni nel punto in cui la biforcazione è appena avvenuta, le due pliche origi- nanti da essa sono ancora applicate l’una contro l’altra, e si- mulano la sezione longitudinale di una ghiandola; mentre quanto più le sezioni si fanno lontane dalla biforcazione , tanto più le pliche si allontanano l’una dall’altra, e si rendono reciproca- mente indipendenti. Credo che se Paneth avesse fatto delle sezioni in serie, si sarebbe facilmente persuaso di ciò. La figura da lui data rappresenta una plica ancor bassa, che sta sorgendo fra due assai più alte. Il suddescritto decorrere onduloso delle pliche intestinali fa sì, che quando si fa una sezione verticale delle pareti dell’ intestino, le cellule epiteliari non sono tutte sezionate longitulinalmente, come succederebbe se la mucosa avesse una superficie liscia. Anche | praticando una sezione esattamente trasversale dell’intestino (fig. 9), alcune pliche sono tagliate trasversalmente, altre, invece (e sono le più numerose) sono tagliate sotto varii gradi di obliquità. Di conseguenza, anche le cellule epiteliari che le rivestono capitano. assai spesso tagliate obliquamente o trasversalmente. Il che rende” i preparati d’epitelio di tritone meno dimostrativi e meno chiari” di quel che si supporrebbe, conoscendo la notevole grandezza degli elementi che lo costituiscono. i i SULLE GHIANDOLE TUBULARI 225 L'epitelio, studiato sulla metà più alta delle pliche, fu già oggetto di molte descrizioni (fra le più recenti cito quelle di Paneth e di Nicolas), sì che non v'è bisogno ch'io mi ci sof- fermi. È costituito (fig. 11 A) da grandi elementi protoplasmatici a grosso orlo striato, fra cui stanno delle cellule caliciformi. Queste ultime hanno un nucleo ovale, allungato nel senso del- l’asse più lungo della cellula, e (contro quello che si osserva in altri animali) non schiacciato contro la base della cellula, ma disposto, anzi, ad una certa distanza da essa. Esso suol colo- rarsi un po più intensamente dei nuclei delle cellule protopla- smatiche. Fra le cellule si vedono spesso dei leucociti (fig. 11 A) e questi possono trovarsi tanto verso la base, quanto verso l’e- stremità libera degli elementi. Inoltre, nell’interno di un certo numero di cellule protoplasmatiche si osservano dei vacuoli entro cui stanno (fig. 11 A) dei corpicciuoli globosi, di vario dia- metro, che spesso presentano parte della sostanza che li costituisce fortemente colorata dalle sostanze coloranti nucleari. Queste enclaves vennero recentemente descritte con molta diligenza da Nicolas, che le ritiene un prodotto speciale di secrezione delle cellule protoplasmatiche. Io, per ragioni che dirò altrove, per- sisto a crederle come un prodotto di disaggregazione dei leucociti migranti nello strato epiteliare, entrato successivamente nel corpo delle cellule epiteliari protoplasmatiche. Le. cellule mucose sono distribuite nello spessore dell'epitelio con discreta uniformità. 1l loro rapporto di numero colle cellule protoplasmatiche si può rilevare dalle figure 10 e 12. Le cellule che rivestono la metà alta delle pliche vi sono di- sposte 22 un solo strato. Non vi ha traccia di cellule di ricambio. Inoltre i loro nuclei vi si trovano tutti allo stato di riposo. Non mai ne vidi alcuno che si trovasse in mitosi. Come mai, adunque, si rigenerano questi elementi ? Esiste, all’infuori dello strato epiteliare, un focolaio di loro produzione, che corrisponda alle ghiandole tubulari dei mammiferi ? Per ottenere una risposta dobbiamo studiare l’ep?telio che riveste la metà inferiore delle pliche, e che si continua sui fornici formati dall’unirsi delle basi di due pliche vicine. Tutta questa zona d'epitelio per brevità la chiameremo epitelio dei fornici (fig. 12y), mentre quella dianzi descritta, e che riveste la metà alta delle pliche la designeremo col nome di epitelio delle creste (fig. 12 2). Orbene, paragonando l’epitelio di una zona con quello del-, l’altra, appaiono parecchie differenze. 236 G. BIZZOZERÒ Innanzi tutto le cellule dei fornici sogliono essere um po’ più piccole di quelle delle creste, come appare dal confronto di A con B nella figura 20. Riguardo alla costituzione delle cellule, quella delle cellule protoplasmatiche non varia gran fatto da una zona all’altra. Dappertutto il protoplasma è costituito da un fino reticolo @ maglie allungate nel senso del maggior diametro della cellula, il quale spicca specialmente nei preparati all’acido picrico, safra- nina e zucchero. I contorni cellulari sono un po’ meno spiccati nella zona dei fornici. Quanto all'orlo striato esso esiste, ed è di notevole grossezza, in entrambe le zone, perfino nelle cellule che rivestono le parti profonde dei fornici. In complesso, fra le cellule protoplasmatiche delle due zone non esistono quelle notevoli differenze che abbiamo notato nei mammiferi fra le cellule dei fondi ciechi ghiandolari e quelle della superficie libera dell’intestino, e che consistono nella dif- ferenza di densità del protoplasma e nella mancanza dell’orlo striato. Gli unici indizi, e per verità di poca importanza, d'una maggiore giovinezza delle cellule dei fornici starebbe nel loro minor diametro, e nella minore nettezza dei loro contorni laterali. Più spiccate, invece, sono le differenze nelle cellule mucose. Esse non riguardano tanto la forma dell'elemento quanto i ca- ratteri del muco che esso contiene. Il muco, negli elementi esaminati a fresco, appare in tutte le cellule sotto la forma di granuli omogenei, a contorno poco marcato. Se, invece, si tratta l'intestino coi diversi liquidi che servono per l’indurimento, si vede che il modo di comportarsi del muco varia a seconda delle cellule che si considerano, e che in molte di queste (come, del resto, abbiamo veduto anche nei mam- miferi) la più parte dei liquidi suddetti tende a far scomparire la struttura granulare. Or bene, in regola generale si può dire, che questa struttura è tanto meglio conservata quanto più le cellule mucose stanno profondamente situate nei fornici, mentre facil- mente scompare nelle cellule che risiedono sulle creste delle pliche intestinali. Questa differenza spicca assai bene nei preparati in- duriti all’acido picrico, colorati con safranina acquosa, e conser- vati in soluzione concentrata di zucchero (1). La cellula d della (1) Il pezzo d'intestino, non aperto, venne tenuto alcune ore in liquido di Kleinenberg, poi passato per un giorno in alcool 50 °/, poi per un giorno SULLE GHIANDOLE TUBULARI 227 fis. 14° risiedeva in un fornice, e in essa (lasciando da parte le particolarità di forma su cui ritornerò più tardi) si scorge che il blocco mucoso è costituito da un aggregato di granuli ben de- limitati; ancor più distinti questi granuli si vedono, sparsi ed isolati, in quella zona di protoplasma che sta fra il blocco di muco e il nucleo. — La cellula c, invece, è tolta da una cresta. In essa il blocco di muco è ridotto in una sostanza omogenea, nella quale si dirama un sottile ed elegante reticolo. A forte in- grandimento si accerta che le trabecole di questo limitano delle maglie circolari. Questa forma delle maglie si spiega facilmente; per l’azione dei reagenti adoperati, i granuli sferici di muco di queste cellule, impallidendo e rigonfiandosi, hanno perduto i loro contorni ed acquistato l’apparenza di una massa omogenea; ciò ha fatto apparire la sostanza che è interposta fra i singoli granuli, e che, attesa la forma sferica di questi, deve essere configurata a reticolo a maglie circolari. Non è superfluo, però, dinotare che in questi blocchi di muco rigonfiati si vedono spesso,come appunto nella cellula della fig. 14* c, dei granuli che hanno conservato la loro individualità, e che assomigliano assai a quelli della cellula 5. Nei preparati induriti col solo alcool, oppure prima col su- blimato (sublimato 2, cloruro sodico 1, acqua 100) e poi col- l’alcool, la struttura granulare della sostanza mucosa si altera ancor più. I granuli si gonfiano tanto, che il reticolo interposto si spez- zetta, si scompone; sicchè il blocco mucoso appare come una so- stanza omogenea, sparsa di granuli irregolari che rappresentano gli avanzi del reticolo. Anche nel tritone la migliore conservazione della struttura granulare del muco si ha nei preparati induriti col liquido di Hermann, variamente colorati, e conservati in balsamo o in damar. Qui essa si osserva tanto nelle cellule dei fornici quanto in quelle delle creste, ma anche qui fra quelle e queste c’è differenza; in- fatti nei fornici essa è evidente in quasi tutte le cellule (fig. 11% 5) ed in alcune, anzi, è evidentissima, tanto che si possono distin- guere il contorno e la grossezza d'ogni granulo; sulla cresta, in- vece, i granuli (fig. 11% 4) sono non di raro accumulati in un ammasso compatto, in cui poco distintamente si posson vedere i loro contorni. in alcool 70 °/,; infine lavato per 12 ore in acqua corrente, e, passando per la solita scala, chiuso in paraffina. Atti R. Accad, -— Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 17 928 G. BIZZOZERÒO Se le sezioni di pezzi induriti in liquido di Hermann, invece di passarle nel balsamo, si esaminano senz’altro nell’acqua, si os- serva un’altra differenza: nel muco delle cellule delle creste e di parte di quelle dei fornici i granuli, sotto l’azione dell’acqua , impallidiscono, e lasciano apparire il reticolo interposto; mentre in alcune cellule dei fornici i granuli permangono immutati , salvo che leggermente si gonfiano. Questi mutamenti si possono far suc- cedere sotto i propri occhi esaminando dapprima la sezione in una goccia d’alcool, poi aggiungendo ad un lato del coproggetti una goccia d’acqua, e tenendo dietro all’agire di questa sugli ele- menti della sezione. È importante, poi, di notare, che tanto in questi preparati quanto in quelli fatti coll’acido picrico, col sublimato o coll’al- cool, non c'è limite netto fra le cellule di una specie e quelle dell’altra; no, ci sono numerosi stadi di passaggio dalle cellule in cui i granuli sono conservati, a quelle in cui essi si sono fusi in una massa omogenea. Questi stadi di passaggio, anzi, si pos- sono osservare in una stessa cellula. — L'elemento rappresentato nella figura 15* risiedeva nel fondo di un fornice ed era stato indurito col liquido di Hermann. Esaminato in una goccia d’al - cool, tutto il suo muco aveva struttura granulare; aggiunta suc- cessivamente una goccia d’acqua, i granuli non si conservarono, spiccati ed isolati, che in vicinanza del nucleo, mentre quelli di- sposti verso l’estremità libera della cellula si fusero in una massa mucosa omogenea attraversata dal solito reticolo, in modo da di- stinguersi soltanto pel colore un po’ più bruno (dovuto al liquido di Hermann) dal muco delle cellule delle creste. A queste differenze morfologiche fra il muco dei fornici e quello delle creste corrispondono anche delle differenze nel modo di comportarsi sotto l’azione di diverse sostanze coloranti. Nella tabella seguente riferisco le differenze che ancora appaiono in modo spiccato nei preparati che servono di fondamento a questa mia esposizione, e che feci nei mesi di aprile-giugno 1890; diffe- renze, adunque, che persistono da 19-21 mesi. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 229 Metodo di preparazione Muco giovane Muco adulto 1. Alcool, safranina, zuc-| Giallo castagno ....|Giallo zolfo. chero, 2, Liq. di Kleinenberg ,|Giallo castagno ....|Giallo chiaro, quasi giallo safranina, zucchero. zolfo 3. Liq. di Hermann, esame | Bruniccio .......... Bruniccio meno intenso. nell’acqua. 4. Liq. di Hermann, sa-|Rosso solferino.....|Giallo o giallo rosso. franina, alcool cro- mico, alcool, damar. | Liq. di Hermann, sa-|Rosso feccia di vino | Giallo castagno, franina, zucchero. . Liq. di Hermann, ema-|Incoloro o quasi ...|Violetto intenso. tossilina, alcool clo- ridrico, damar. SI D Nel raccogliere questi dati io ho considerato come muco gio- vane quello che ha una struttura nettamente granulare, e che più tenacemente la conserva di fronte ai reagenti; esso, come già dissi, si trova in un certo numero di cellule dell’epitelio dei for- nici, specialmente nella parte più profonda di questi ultimi. Ve- dremo più tardi per quali argomenti io lo consideri come muco giovane. Pel muco adulto mi sono valso delle cellule caliciformi dell’epitelio delle creste. Io ho quindi considerato due tipi estremi. Poichè anche qui mi affretto a notare, che fra questi estremi ci sono tutti gli stadi di passaggio; e così, p. es., nei preparati del numero 1 si tro- vano numerose cellule il cui muco, nella colorazione, presenta tutte le gradazioni dal giallo-castagno al giallo-zolfo, in quelli del n. 4 delle gradazioni dal rosso-solferino al giallo e così via. Nella mucosa intestinale del tritone non vi sono, quindi, due specie di cellule mucose sempre e nettamente distinte l'una dal- l’altra per la forma e la costituzione del muco rispettivo ; vi sono due forme di cellule mucose collegate fra loro da una serie di stadi di passaggio. La descrizione che ho dato finora dell’epitelio dell’intestino di tritone, se ci ha permesso di trovare delle differenze fra le cel- lule protoplasmatiche e le mucose che lo costituiscono, a seconda della posizione ch’esse occupano nella mucosa, non ci ha però ancora permesso di rispondere al quesito: come si rigenerano gli elementi dell’epitelio ? Per decidere intorno a ciò si deve innanzi tutto esaminare 230 G. BIZZOZERO se fra le cellule cilindriche che rivestono l’intestino del tritone ne esistano di quelle che si presentino in via di scissione. Orbene, nei loro nuclei non ho mai visto figure che accen- nassero a scissione diretta. Invece, qualche volta ho veduto delle mitosi evidentissime, che, come quelle che esistono nelle ghian- dole di Galeati dei mammiferi, stanno più superficialmente che non siano i nuclei in riposo (fig. 16°). Devo però tosto notare, che queste mitosi sono estremamente rare. Sopra quasi 500 se- zioni complete di intestino di tritone che ancora conservo, e pre- parate in modo da dimostrare le mitosi che per avventura con- tenessero, non mi venne fatto di vedere che tre di siffatte mitosi. Due erano alla base d’una plica, la terza alla sua sommità. Queste scarsissime mitosi non bastano, quindi, a spiegare la rigenerazione dell’epitelio intestinale, conviene cercare altrove. La soluzione del quesito si ha solo quando si studi la parte profonda dello strato epiteliare. E qui di nuovo troviamo diffe- renze fra l’epitelio delle creste e quello dei fornici. Il primo è un epitelio semplice, ad uno strato solo. Il secondo, invece, ci pre- senta, fra le estremità profonde delle sue cellule cilindriche, altre cellule (fig. 10° c) che, a seconda del punto che si considera, si presentano in vario numero. Ora, cioè, sono rare, poste ad una certa distanza l'una dall’altra (fig. 11% B), ora formano uno strato quai scontinuo, o, magari, per certi tratti sono disposte a due strati. È specialmente nell’accertare l’esistenza di questo strato di cellule profonde che conviene andare cauti, perchè, p. es., quando si fanno sezioni dirette obliquamente all’asse maggiore delle cel- lule cilindriche, è facile che l’inesperto abbia figure che egli in- terpreta come dovute ad un epitelio stratificato, anche quando si tratta di un epitelio ad un solo strato. E questa obliquità delle sezioni è, come dissi, frequente nell’intestino del tritone, a cagione delle variabilità del decorso delle sue pliche. Per togliersi alle cause di errore è quindi necessario far sezioni sottili, paragonare fra loro le diverse sezioni appartenenti ad una stessa serie, ed accertare che le cellule cilindriche sono sezionate parallelamente al loro asse longitudinale. Nell’epitelio intestinale del tritone esistono, adunque, delle vere cellule di ricambio (Ersatzzellen); si verifica qui quanto era stato, erroneamente, supposto e descritto nell’epitelio intestinale dei mammiferi. — Ma v'ha di più. — Queste cellule di ricambio, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 981 oltre all’occupare il posto lasciato libero fra le estremità inferiori delle cellule cilindriche, si spingono a gruppi neb tessuto con- nettivo della mucosa, e vi acquistano la forma di germogli 0 di affi sottocpiteliari. i Questi germogli sotto epiteliari (fig. 12 e 13) si mantengono sempre in rapporti di continuità collo strato epiteliare di rivesti- mento dell'intestino, e sono di grandezza svariatissima. — I più piccoli sono rappresentati da due o tre cellule soltanto, le quali in parte stanno ancora nell’epitelio di rivestimento, in parte interrom- pono la linea di limite fra l’epitelio e la mucosa, e fanno sporgenza in quest'ultima. — I più grossi constano, invece, dell’aggregazione di alcune diecine di cellule. Essi si spiccano con base larga dallo strato epiteliare; appena penetrati nella mucosa, descrivono una curva, in modo da disporsi paralleli alla superficie della mucosa, e, infine, terminano ad estremità rotondeggiante. Nel loro breve decorso essi sono separati dall’epitelio di rivestimento da un sottile straterello connettivo, nel quale non di rado si osserva qualche vaso sanguigno (fig. 13* e). — Questi brevi germogli penetrano nella mucosa in direzione svariata, sicchè, in una stessa sezione tras- versale dell’intestino, alcuni si vedono sezionati longitudinalmente, altri in senso trasversale (fig, 12% e 13°). Questi ultimi bene spesso appaiono come isolotti cellulari, completamente ravvolti dal con- nettivo, e non presentanti più continuazione coll’epitelio di rive- stimento ; sicchè a prima giunta si crederebbero isolotti epiteliari indipendenti. Ciò si comprende facilmente: la continuazione non si può scorgere che in quelle sezioni che interessano la base colla quale il zaffo si fonde al rispettivo strato epiteliare. Le sezioni in serie tolgono ogni dubbio in proposito. Quello stesso germoglio che in certe sezioni pare affatto isolato, si vede nelle sezioni suc- cessive continuarsi collo strato epiteliare sovrastante. Il numero e la grandezza di questi germogli varia a seconda delle regioni dell’intestino. Nella parte di questo, che sussegue im- mediatamente allo stomaco, le cellule di ricambio sono disposte prevalentemente negli strati profondi dell’epitelio di rivestimento; i germogli sono piccoli, corti e si osservano soltanto nelle parti più profonde dei fornici, alla base delle pliche. Andando verso l’ano, invece, i germogli diventano numerosi e più lunghi, e non soltanto si spiccano da tutto l’epitelio dei fornici, ma salgono più in su, e si vedono in rapporto anche con quello delle creste; in qualche caso ho veduto dei germogli che risiedevano nella parte più alta delle pliche intestinali. DIC G. BIZZOZERO Le cellule che entrano a formare questi germogli, stando stret- tamente applicate l’una contro l’altra, sono irregolarmente polie- driche. Esse sono costituite da un nucleo relativamente grosso , e da una zona di protoplasma che lo circonda e che è assai scarsa, sicchè i nuclei riescono vicinissimi l’uno all’altro. I contorni cel- lulari sono delicati, e difficili a vedersi anche nei preparati indu- riti in acido picrico (fig. 13? c'), che pur suole conservar bene i contorni degli elementi epiteliari superficiali (1). Sulla loro natura epiteliare non vi può esser dubbio, e ciò per le seguenti ragioni: 1° Per la loro costituzione. Infatti i loro nuclei di poco differiscono da quelli delle vere cellule cilindriche ; sono appena un po’ più piccoli, sono rotondeggianti invece di es- sere ovali ed hanno un po’ più sottili le trabecole del reticolo. Quanto al protoplasma, esso differisce soltanto perchè nelle cellule dei zaffi è meno compatto; sicchè, p. es., nei preparati all’acido ‘picrico, che meglio mette in evidenza il fine reticolo protoplas- matico, quest’ultimo appare a maglie più grandi che nelle cel- lule dell’epitelio superficiale; esso è, tuttavia, come questo, for- temente colorato in rosso dalla safranina acquosa (nei preparati conservati nello zucchero). — 2° Pel fatto che in quei punti dei preparati, in cui i germogli sono in continuazione collo strato epi- teliare, si possono vedere, disposte l’una vicina all'altra, tutte le forme di transizione dalle cellule dei germogli a quelle dell’epitelio cilindrico superficiale; si vedono, cioè, le cellule allungarsi, ar- ricchirsi di protoplasma e mutar forma quanto più si avvicinano alla superficie dell’epitelio (fig. 13% e). — 3° Perchè fra gli ele- menti epiteliari comuni se ne vedono disposti di quelli, che già contengono nel proprio protoplasma un gruppo di granuli mu- cosî, degli elementi, cioè, che debbono considerarsi come giovani cellule mucose (fig. 13% c e c', fig. 14* a). Il miglior metodo per mettere in evidenza questo fatto così interessante è quello di in- durire nell’acido picrico, colorare con safranina acquosa, e con- servare in zucchero (2). Il contrasto fra la colorazione rossa che assume il protoplasma delle cellule epiteliari dei germogli, e il (1) Noto di passaggio che fra le cellule di questi zaffi epiteliari si vedono non di raro dei leucociti, simili in tutto a quelli che stanno nell’epitelio di rivestimento dell'intestino. (2) Si scelga un pezzo d’intestino nella sua porzione posteriore, perchè, come dissi, è qui che i gettoni sono più sviluppati, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 238 colore giallo-castagno del muco giovane, fa spiccare vivamente le cellule in discorso. Esse appaiono costituite da un nucleo, contro cui sta strettamente applicato un ammasso rotondeggiante od ovale di fini e fitti granuli mucosi ; il protoplasma non si scorge affatto, o rappresenta soltanto una assai piccola parte della cellula (fig. 14* a). In un solo germoglio si possono vedere 2,3 e più di queste giovani cellule mucose. — Il muco ch'’esse contengono è sempre sotto forma di distinti granuli, e il tono di colore di questi ultimi è eguale al tono assunto dal muco di quelle cellule ci- lindriche a granuli mucosi ben distinti, che noi abbiamo visto esistere nel fondo dei fornici. Queste cellule mucipare dei germogli subepiteliari, proce- dendo di basso in alto insieme alle cellule protoplasmatiche che le circondano, entrano gradatamente a far parte dello strato più superficiale dell’epitelio di rivestimento. A questo scopo esse si modificano, si allungano, ed infine raggiungono con una delle loro estremità la superficie libera dell’epitelio, e, a questo modo, cominciano a eliminare i granuli mucosi che contengono. Come una di queste cellule giovani, ma già superficiali, credo di poter designare la cellula d della figura 14*. Essa apparteneva già all’epitelio superficiale, ma si distingueva dalle cellule mucose adulte per ciò, che il suo blocco mucoso era relativamente piccolo ed era separato dal nucleo da un lungo tratto di protoplasma, nel quale si notava qua e là qualche granulo mucoso isolato. La dimostrazione del vivace processo di rigenerazione, che ha luogo nelle cellule di ricambio appartenenti tanto allo strato profondo dell’ epitelio di rivestimento, quanto ai germogli che ne dipendono, viene data in modo non dubbio dalle numerose mitosi che vi stanno. Esse spiccano assai, come in genere in tutti 1 tessuti del tritone, per la loro grandezza e per la nettezza con cui si vedono i singoli filamenti che le costituiscono. In ogni stadio del processo esse sono evidentissime, sicchè riesce facile contarle. In ciascuna sezione d’intestino dello spessore di 5-10 p. se ne trova almeno una diecina (1). Alle molte figure date dagli osservatori delle mitosi dei vari tessuti del tritone, credo inutile aggiungerne altre mie riguardanti l’epitelio intestinale. Non ho potuto, però, trattenermi dal disegnarne due allo stadio di doppio astro nelle figure 13* e 17*; la prima apparteneva ad un ger- S - (1) I tritoni da me usati erano sempre stati abbondantemente nutriti. 234 G. BIZZOZERO moglio subepiteliare, l’altra, invece, era nello strato più profondo dell’epitelio di rivestimento. Il protoplasma delle mitosi suol essere assai chiaro e trasparente, massime al dintorno dei filamenti. Non mi venne fatto di determinare se esistessero due specie di mitosi, l'una per l’epitelio protoplasmatico, l’altra per le cellule mucose. Su questo punto, però, non mi sono gran fatto soffermato. Paragonando fra loro l'intestino di tritoni uccisi in aprile, e quello di animali della stessa specie e tenuti nelle stesse condizioni, ma uccisi in giugno, potei accertare che in questo ultimo i germogli epiteliari erano più numerosi e più ricchi di mitosi. Questo fatto, unito all’altro che i germogli hanno una forma affatto irregolare e grossezza svariatissima, e che esistono molti stadi di passaggio da un semplice aumento diffuso di numero delle cellule profonde dell'epitelio di rivestimento alla formazione di un accumulo circoscritto di cellule epiteliari gio- vani, alla formazione, cioè, di un germoglio autonomo, mi fa supporre che i gèrmogli siano formazioni incostanti dell’inte- stino del tritone, e che il loro maggiore o minore sviluppo dipenda dall’attività con cui nell’animale esaminato ha luogo la rigenerazione dell’epitelio. Quando la rigenerazione è attiva, gli elementi giovani, oltre all’occupare gl’interstizi fra le estre- mità profonde dell’ epitelio cilindrico, s’ approfondano in accu- muli nel connettivo della mucosa; e ciò deve riuscir facile, in- quanto che questo connettivo è costituito da un reticolo di fasci fibrillari, che lascia ampie maglie, ove possono aver ricetto i germogli epiteliari. i I germogli epiteliari non si possono considerare come ghian- dole, perchè sono costituiti da cellule immature, e mancano di condotto escretore. Quando, però, si richiami alla mente come le vere ghiandole in un certo periodo del loro sviluppo siano rappresentate da zaffi solidi di elementi epiteliari giovani, si viene indotti a conchiudere, che i germogli epiteliari dell’intestino del tritone filogeneticamente corrispondano alle ghiandole tubulari degli animali superiori. Riassumendo, anche nell'intestino del tritone la rigenerazione degli elementi ha luogo per scissione indiretta. La sede delle mitosi solo per piccolo numero di elementi è nell’epitelio super- ficiale; pel maggior numero è fra le giovani cellule di ricambio che stanno tanto alla base delle cellule cilindriche quanto nei germogli subepiteliari. Nel tritone è degno di nota, che fra queste SULLE GHIANDOLE TUBULARI 235 cellule di ricambio non poche secernono sostanza mucosa, ad onta che non siano ancora in rapporto colla superficie libera dell’e- pitelio. Anche nel tritone ha luogo una maturazione delle cellule mucipare, e il muco, che esse secernono, va modificando gra- datamente il suo aspetto e le sue reazioni, man mano che le cellule che lo producono, vanno invecchiando, e che esse, dal profondo dello strato epiteliare, procedono verso la sua super- ficie. Non è, quindi, ammissibile l’opinione di coloro che, come Paneth (1), credono che le cellule mucose provengano dalle cel- lule epiteliari protoplasmatiche, e possano, svuotandosi del loro contenuto , di nuovo trasformarsi in queste ultime. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (In molte figure non vennero riprodotti i' colori dei preparati). Ghiandole tubulari duodenali di topolino. Fig. 1 Ghiandole in sezione longitudinale (liquido di Flem- ming, safranina, alcool cromico, damar). 760 d. 1 a imm. om. di Reichert) — a, b cellule pro- toplasmatiche — ce' cellule di Paneth — d cellula di Paneth a granuli minutissimi, e a contenuto mu- coso — e cellula mucipara — f mitosi. » 2°. Cellule cilindriche (liquido di Hermann, ematossilina, alcool con HC7, damar). 840 d. (apocr. 1,5"" di Zeiss). A. Da una ghiandola in prossimità del fondo cieco. B. Da un villo, poco lontano dal suo apice; fra le cellule protoplasmatiche vedesi una cellula mucipara, che ha soltanto il terzo superficiale del suo corpo occupato dal muco. ——_____________» O, in altri termini: « la sviluppabile circoscritta ad una superficie lungo una linea ; {massima | costante tilinee le tangenti alle varie linee di pendenza della medesima ha per generatrici ret- costante massima loro punti d’incontro con quella linea ». Ciò è ben d’accordo col fatto, che la sviluppabile circoscritta ad una superficie qualunque lungo una linea di costante pendenza pendenza . nei (*) Se la superficie S è un’elicoide qualunque ad asse verticale, le linee di costante pendenza e le eliche della superficie saranno una stessa cosa, e però: « sopra una superficie elicoidale, il cui asse è supposto verticale, le linee di massima pendenza sono le linee a tangenti coniugate delle eliche », Di questo caso particolare trovasi già fatta menzione in una mia Nota « In- torno alle superficie elicoidali », pubblicata nel Giornale della Società di Let- ture è Conversazioni scientifiche di Genova, fascicolo gennaio-febbraio 1887, 942 MARIO PIERÌ è una superficie di uniforme pendenza, e che sopra una tal su= perficie le linee di massima pendenza. coincidono con le gene- ratrici rettilinee. Quest’osservazione semplicissima è anzi una vera dimostrazione del teorema generale del n° 1, e sotto altra veste sarà svolta un po’ più per disteso nel seguente numero. 3. Se si suppone che la superficie S° sia una superficie ma- teriale rischiarata da raggi luminosi paralleli secondo la legge di LamBERT, allora (prescindendo, come ordinariamente sì fa, da ogni mancanza d'illuminazione proveniente dall’opacità della su- perficie) le linee, lungo ciascuna delle quali è costante l'’incli- nazione del piano tangente su quei raggi luminosi, non saranno altro che le cosiddette #sofote, vale a dire le lince di ugual chia- rezza, 0 lince uniformemente illuminate della superficie ; e il teorema generale del n° 1 si convertirà nella proposizione se- guente, assai notevole: « Le linee isofote di una superficie qualunque per raggi luminosi paralleli sono le linee a tangenti coniugate delle traiettorie ortogonali delle sezioni fatte sulla superficie dai piani normali a quei raggi luminosi. » Ovvero anche: « Per una superficie qualunque S, rischiarata da raggi lu- minosi paralleli secondo la legge di Lambert, la tangente ad una linea isofota in un punto qualunque P della medesima (il quale non sia punto punto singolare, nè punto di massima illumina- zione assoluta della superficie) e la proiezione ortogonale del raggio luminoso che passa per P sopra il piano tangente in P alla superficie, sono due tangenti coniugate, ossia due diametri coniugati dall’indicatrice di Dupin relativa al punto P. » Sotto quest’ultima forma il teorema generale del n° 1 è su- scettibile di una dimostrazione geometrica molto semplice. Invero si consideri la sviluppabile X circoscritta alla superficie S lungo la linea isofota < passante per P; e siano rispettivamente x il piano tangente in Palle due superficie S e £, p la generatrice di X uscente da P, ed / il raggio luminoso cadente sullo stesso punto P. La sviluppabile X avrà per cono direttore un cono di rota- ‘zione X', il cui asse ?' è un raggio luminoso, ed il cui angolo d’apertura eguaglia il doppio dell’angolo (acuto) formato dai raggi luminosi coi piani tangenti alla S nei singoli punti della #. Ora, se SOPRA LE LINEE UNIFORMEMENTE ILLUMINATE 248 n' e p' sono gli elementi di S' corrispondenti, e quindi paralleli, agli elementi x e p di Y, sarà 7' perpendicolare al piano ?'p/, e per conseguenza 7 perpendicolare al piano /p: dunque p è la proiezione ortogonale del raggio / sul piano x, come era da dimostrare (*). 4. Se ? è l’isofota d’intensità nulla, ossia la Zinea di con- fine fra luce cd ombra propria, il raggio l giacerà nel piano x e si confonderà con la sua proiezione in questo piano. Il teorema precedente può pertanto considerarsi come una generalizzazione della nota proprietà, già segnalata dal Dupin (**), che « ogni tangente alla linea di separazione fra luce ed ombra propria è coniugata al raggio luminoso uscente dal punto di contatto »: e come quest'ultima proprietà serve molto opportu- namente per costruire la tangente alla isofota d’indice zero o d’intensità nulla in ogni punto di essa, nel quale sia nota l’in- dicatrice (***) nello stesso modo e coi medesimi vantaggi la pro- posizione precedente potrà essere adoperata per trovare le tangenti di ogni altra linea isofota, nell’ ipotesi dei raggi luminosi pa- ralleli. Così è che un buon numero di semplici ed eleganti costru- zioni proposte in ordine alle tangenti del contorno d’ombra di certe superficie (****) si estendono immediatamente anche alle linee isofote senza modificazioni di sorta, all'infuori dello scambio fra il raggio luminoso e la sua proiezione sul piano tangente. Si può (*) La stessa proprietà non sussiste più in generale, allorquando i raggi luminosi procedono tutti da un medesimo punto proprio 0. In questo caso (come risulta da una succinta analisi, che qui si omette) affinchè il teo- rema sopraddetto abbia luogo per ogni linea isofota è necessario e suffi- ciente, che queste linee siano tagliate sulla superficie S dalle sfere che hanno il punto O per centro: il che trae di conseguenza, che quelle linee siano anche linee di curvatura per la superficie; ecc., ecc. W*y Loc. cr, S 1°. (***) V. per es. DE La GOURNERIE, Traité de Géometrie Descriptive, vol. III, pag. 63 (1864). (*#***) Per es. i metodi dei signori StauDIGL e PeLz per le tangenti del contorno d'ombra sopra una superficie di rotazione (Sitzungber, d., Ak. d. Wiss. in Wien, Bd. 68, 1873, e Bd. 79, 1879. — V. anche WienER, ZLehrbuch der darstellenden Geometrie, tomo II, Leipzig, 1887, pag. 556), e quelli atti- nenti alle superficie rigate e fondati sulla considerazione dell’iperboloide osculatore lungo una generatrice; ecc. Atti R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 18 244 MARIO PIERI anzi affermare addirittura in forza del teorema precedente, che « per costruire e rappresentare la tangente ad una linea isofota qualunque in un punto dato P di essa, basterà attenersi in ogni singolo caso agli stessi metodi e alle stesse regole fondate sul teorema di Dupin, che si conoscono in ordine all’isofota d’indice zero nell'ipotesi di raggi luminosi paralleli; con la sola avver- tenza di sostituire al raggio luminoso passante per P (che ove si tratti dell’isofota d’ indice zero è tangente in P alla super- ficie) la sua proiezione ortogonale sul piano tangente in P >. 5. Rechiamo qui appresso l’enumerazione di alcuni casi par- ticolari, in cui apparisce più semplice e più vantaggiosa l’appli- cazione del principio esposto al precedente n° 3 sulle tangenti alle linee isofote. « Sopra una quadrica rigata ed in un punto qualunque P di essa (dove il piano tangente non sia normale ai raggi lumi- nosi) la tangente alla linea isofota che passa per P e la proiezione ortogonale del raggio luminoso passante per P sul piano tangente in questo punto sono armonicamente coniugate rispetto alle due generatrici della quadrica uscenti dal me- desimo. >» « Sopra un’elicoide rigata chiusa a piano direttore (elicoide d’areà minima) la tangente ad una linea isofota qualunque e la proiezione ortogonale del raggio luminoso che passa pel punto di contatto sul piano tangente alla superficie in questo punto formano angoli uguali con la generatrice rettilinea uscente dal medesimo. » « Se nel punto P di un’elicoide rigata qualunque si conduce il piano normale all’asse della medesima, indi (nel piano tan- gente in P) la normale e alla sezione retta così ottenuta; e se e, î, i", g sono rispettivamente le tangenti all’elica e all'isofota passanti per P, la proiezione ortogonale del raggio luminoso uscente da P sul piano tangente in questo punto, e la genera- trice rettilinea appartenente al medesimo, saranno allora e, e ed 7, 2' duè coppie di raggi coniugati e g un raggio doppio di una stessa involuzione. » « Se g è una generatrice qualunque (non singolare) di una superficie. rigata, per ogni punto P di yg passerà anche una se- conda generatrice g' dell’iperboloide osculatore alla rigata lungo A. COSSA 245 la retta 9g, e le due rette 9, g" saranno sempre separate ar- monicamente dalla tangente in P all’isofota, cui questo punto appartiene, e dalla proiezione ortogonale del raggio luminoso passante per P sul piano gg. » 6. Alla questione « se una linea isofota possa esser linea di curvatura, o linea asintotica per la superficie » il teorema del n° 3 permette di rispondere immediatamente come segue: « La condizione necessaria e sufficiente affinchè una linea isofota rispetto ad un dato sistema di raggi luminosi paralleli sia una linea di curvatura per la superficie (senza esser tutta composta di punti parabolici), è che quella ‘isofota sia piana ed in un piano normale alla direzione del lume. » « Perchè una linea isofota rispetto ad un dato sistema di raggi luminosi paralleli sia una linea asintotica per la superficie (senz’ esserne una linea parabolica) è necessario e sufficiente che essa sia un'elica del cilindro generato dai raggi luminosi ad essa incidenti, e che questo cilindro tagli ortogonalmente la superficie lungo tutta quella linea. » Torino, gennaio 1892. RELAZIONE dei Soci A. NaccarI ed A. Cossa, relatore sulla Me- moria presentata dal Dott. MontEMARTINI nell’adunanza del 3 gennaio 1892 « Sull’azione dell’acido nitrico sullo zinco ».. Il dottor Clemente MONTEMARTINI, assistente alla cattedra di chimica docimastica nella scuola degli Ingegneri di Torino, si è proposto il còmpito di studiare così qualitativamente come quan- titativamente i fenomeni di riduzione che avvengono per l’azione di alcuni acidi ossigenati sopra i metalli. Le sue prime ricerche fatte con questo scopo si riferiscono all’azione dell’acido nitrico sullo zinco, e formano appunto argomento della Memoria pre- sentata all'Accademia nell'adunanza del 3 gennaio 1892, ed in- torno alla quale noi fummo incaricati di riferire. In questo lavoro di lunga lena, l'Autore espone con fedeltà e discute con critica sottile i metodi di sperimentazione seguiti 2460 A. COSSA - RELAZ. SULLA MEM. DEL DOTT. C. MONTEMARTINI ed i risultati ottenuti dai chimici che lo precedettero nello studio dell’azione dell'acido nitrico sui metalli. Egli fa giustamente notare, come fino ad ora non siasi tenuto conto dell’influenza che può, in alcune circostanze, esercitare la massa dell’acido nitrico sulla natura e sulla quantità relativa dei prodotti della sua riduzione per l’azione dello zinco. Le molte esperienze intraprese dal MontEMARTINI e da lui ordinatamente descritte con ricchezza di particolari, riescono a stabilire esattamente come varii in funzione della temperatura, del grado di concentrazione, e della massa dell’acido nitrico, la riduzione di questo acido nei prodotti seguenti: ammoniaca, acido nitroso, ipoazotide, biossido e protossido di azoto, ed azoto. — L’Autore ha dimostrato, che, contrariamente a quanto fu asserito da altri, nelle condizioni delle sue esperienze, tra questi prodotti di riduzione non devono essere compresi: l’idrossilamina e l’idro- seno. Egli spiega poi in un modo ingegnoso la formazione dei pro- dotti di riduzione dell’acido nitrico indipendentemente dal così detto idrogeno nascente ; ammettendo invece l’intervento dell’acqua nella reazione tra lo zinco e l’acido nitrico. — In un capitolo speciale sono poi accuratamente descritte le determinazioni spe- rimentali fatte dall’Autore per stabilire la legge della velocità colla quale l’acido nitrico in diversi gradi di concentrazione scioglie lo zinco. I risultati importanti ottenuti dall’Autore della Memoria che abbiamo esaminato sono il frutto di una lunga serie di ricerche, colle quali egli ha dimostrato di essere un paziente, coscienzioso ed abile sperimentatore, avendo superato molte difficoltà special- mente in alcune determinazioni eudiometriche. — Pertanto pro- poniamo che la Memoria del dott. MONTEMARTINI sia ammessa alla lettura e quindi inserita nei volumi delle. Memorie della nostra Accademia. A. NACCARI ALronso Cossa, Relatore. L’Accademico Segretario Giuseppe Basso. 0 de - PierI — si le linee uniformemente illuminate dil una supe qualunque rif o ‘Cossa —. Relazione sulla Memela del Dott. C. i ; Ad — Sull’azione dell'acido, nitrico sullo zinco i seticAR i Ù;: DELLA at a eg ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO x . È * ne DE. Je Tx CS i PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI. | Von. XXVII, Disp. 6%, 1891-92 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 31 Gennaio 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, Cossa, Bruno, BERRUTI, SiAccI, Bizzozero, FERRARIS, NaAccarI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Si dà lettura dell’atto verbale dell’adunanza precedente che viene approvato. Il Presidente segnala alla Classe il cospicuo dono fatto al- l’Accademia dal Socio Paolo BosELLI di un grande numero di libri, fra i quali molti riguardano anche le scienze fisiche, ma- tematiche e naturali. Il Socio Siacci presenta in dono, a nome dell’autore, un lavoro del Tenente Colonnello del Genio Federigo FALANGOLA, relativo ad Esperimenti sulla resistenza delle pietre allo schiac- ciamento. Il Socio Basso presenta pure in dono un opuscolo del Pro- fessore Annibale Riccò, estratto dai Comptes-rendus dell’Acca- demia delle Scienze di Parigi, ed intitolato: Tremblements de terre, soulèvement et eruption sous-marine à Pantellaria. Il Socio SEGRE, anche a nome del condeputato Socio D’G- vipio, legge una Relazione sulla Memoria del Prof. Riccardo DE Paotis intitolata: Le corrispondenze proiettive nelle forme geometriche fondamentali di 1% specie. Secondo le conclusioni favorevoli di tale Relazione, il lavoro anzidetto è prima ammesso alla lettura e poscia approvato per Atti R. Accad. = Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 19 248 C. SEGRE la pubblicazione nei volumi delle Memorie. La Relazione del Socio SEGRE sarà inserta negli Atti. Infine la Classe accoglie, per essere pubblicato negli Attz, un lavoro del Dott. Ermanno DERWEUX sui Foraminiferi plio- cenici di Villarvernia (Tortona). LETTURE RELAZIONE sulla Memoria del Prof. Riccarpo DE Paotss, inti- tolata: Le corrispondenze projettive nelle forme geometriche fondamentali di 1“ specie. Fra le produzioni scientifiche più meravigliose del secolo che volge al tramonto, è certamente da porsi la geometria projettiva, quella che l'HankEL chiamò la strada regia della Matematica! Essa, dopo aver cominciato ad organizzarsi in un corpo di scienza per opera della scuola francese del primo quarto di secolo, e spe- cialmente di PoncELET, ha poi, grazie a sommi matematici di varie nazioni, esteso rapidamente ed in modo mirabile il campo e gli strumenti delle sue ricerche. Dalle curve e sùperficie di 2° ordine, dalle projettività, è progredita allo studio delle curve e superficie di ogni ordine, delle corrispondenze algebriche qua- lunque, di innumerevoli nuove specie di enti. A ciò han contri- buito potentemente tanto il metodo sintetico quanto l’analitico; ed anche la gara che in certi periodi vi fu tra essi, e che al- ternativamente condusse i partigiani dell’un metodo o dell’altro ad escogitare dei mezzi di ricerca atti a raggiungere e sorpas- sare 1 risultati degli avversari. Ormai non è più necessario di star a rilevare i vantaggi proprî dell’analisi e della sintesi geometrica, e la utilità e quasi necessità che ne consegue pel progresso della geometria, di va- lersi di entrambe. Ciò però non è in contrasto con l’idea di fare una geometria projettiva pura, cioè svolta con metodo esclusi- vamente sintetico, senz’'alcun uso di coordinate e di principî ana- litici. Come già fu rilevato più volte (anche da noi), questo pro- blema, oltre ad avere per se stesso un’alta importanza scientifica e a condurre ad una più completa illuminazione delle proprietà RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL PROF. R. DE PAOLIS 249 degli enti geometrici, è stato ed è tuttora utilissimo per ciò che, escludendo gli altri strumenti, viene ad esigere un perfezionamento in quelli di cui si vale il metodo sintetico. — Allo stesso modo fra i grandi progressi recenti dell’analisi, che tanto hanno con- tribuito ad accrescerne il rigore, vi è stata la sua purificazione, cioè la dimostrazione dei suoi principî fondamentali indipendente da certe rappresentazioni geometriche; le quali, se giovavano a renderli più intuitivi, avevano però l'inconveniente di basarsi su postulati non necessari all'analisi, o (quel che è peggio) su con- cetti non rigorosi. Si potrebbe dire che in alcuni punti la trat- tazione simultanea dell’analisi con la geometria produceva una dannosa confusione. Stabiliti invece in modo puramente analitico e rigoroso quei principî fondamentali, si può ora applicarli con sicurezza anche alla geometria. Ovvero, ritornando al problema della geometria pura, si possono cercare, guidandosi su quelle analitiche già note, delle dimostrazioni sintetiche dei corrispon- denti principî fondamentali geometrici. Alla costruzione di una geometria projettiva essenzialmente sintetica, furon dedicati gli sforzi di molti geometri, presso i quali però il concetto della purezza si presenta con grado diverso. Un primo periodo, che si riferisce specialmente alla geometria pro- Jettiva degli enti algebrici di 1° e 2° ordine, è rappresentato da un lato dalla citata scuola francese e in particolare da PoNCELET e CHasLes, e dall’altro lato da MòBIUS e STEINER e poi dal- l’opera di StauDT, la quale chiude gloriosamente la serie, e rag- giunge la completa purezza di metodo, facendo una teoria esclu- sivamente geometrica degli elementi imaginari. Il secondo periodo, che si riferisce agli enti di ordine qualunque, parte ancora da ricerche dei geometri nominati, e più specialmente di STEINER; e cominciò ad avere un principio di soluzione, od almeno una preparazione di questa, coi noti trattati del CREMONA sulla teoria geometrica delle curve e superficie algebriche, nei quali per altro alcuni principî fondamentali son presi dall’algebra: come ad es. il principio di Lam relativo ai fasci, il principio di corrispon- denza nelle forme semplici (*), ecc. I tentativi per liberare com- (*) A questo proposito, e trattandosi di un principio che dovremo ancora nominare ripetutamente, ci sia concesso di porre qui una questione: E egli esatto di attribuire, come sempre si fa (anche in recenti lavori storici), al solo Cnastes la scoperta di quel principio di corrispondenza? Non v'è dubbio che questo grande scienziato ha il merito di averlo pel primo formulato e 250 C. SEGRE pletamente quelle teorie geometriche da ogni nozione analitica proseguirono poi, senza risultati definitivi, fino a questi ultimi anni, quando l'Accademia delle Scienze di Berlino pose ripetu- dimostrato come un modo di procedere generale, rilevandone tutta l’impor- tanza, nella seduta del 27 giugno 1864 dell'Académie des sciences (Comptes Rendus, t. 58, p. 1175); e poco prima nelle sue lezioni alla Sorbonne del 1863-64 (secondo quanto egli stesso asserisce poi nella nota alla pag. 821 del t. 63° dei Comptes Rendus). Ma ciò che va rilevato si è che già tre anni prima il De JonquiÈREs nella Nota Theorèmes genéraua concernant les courbes géo- metriques planes d'un ordre quelconque (Journal de Mathém., 2. sér. t. 6, pag. 113; 1861) ed il Cremona nell’/ntroduzione ad una teoria geometrica delle curve piane (Memorie Acc. Bologna, 12 ser. t. 12; 1861) facevano molte appli- cazioni dello stesso principio, specialmente alla determinazione degli ordini di luoghi geometrici (senza enunciarlo in generale, ma accennandone in ogni caso speciale la breve dimostrazione analitica). Veggasi anche quanto accenna il JonquigRES in nota a pag. 872 del t. 63 dei C. R., rilevando che il CREMONA gli aveva comunicata per lettera una dimostrazione basata appunto su quel principio : « s’il fallait citer quelqu’un à ce sujet ce serait M. CREMONA ». Alcuni, — e lo stesso Chasres in qualche punto della polemica col JoNQUIBRES (relativa alla priorità nell’introduzione degl’indici o caratteristiche di una 00 di curve piane) svoltasi nel t. 63 dei C. R., ed alla quale si riferiscono ap- punto le due precedenti citazioni di quel vol. (polemica in cui è singolare, essendosi nel 1866! di vedere che lo CHASLES considera quasi come privo di valore perchè evidente il lemma, adoperato dal JonquièRESs nella ‘citata Nota del 1861, e poi nei Theorèmes fondamentaux, etc. del Giornale di mat. t. IV, 1866, pag. 45, secondo cui nell'equazione delle curve di una co! alge- brica i coefficienti sarebbero sempre funzioni razionali di un parametro!) — vogliono giustificare l’attribuzione esclusiva del principio di corrispondenza allo CnasLes basandosi sulla comunicazione del 24 die. 1855 (C. R. t. 41, pag. 1097) « Principe de correspondance entre deux objets variables, qui peul étre d'un grand usage en Geometrie ». Ma il principio di cui quì si tratta (ed al quale il JonquIÈRES poco dopo, sotto il nome di principe de correspondance anharmonique, dedicava il Cap. 4° dei Melanges de geometrie pure 1856) consiste, come ben si sa, nel fatto che una eorrispondenza alge- brica (1, 14), od (4, 2) fra due forme semplici non è altro che una proiettività fra le forme stesse, ovvero tra l’una forma ed una involuzione ordinaria del- l’altra. Si tratta dunque della struttura della corrispondenza; e non del nu- mero degli elementi uniti, eome nel principio di corrispondenza formulato poi nel 1864: nè la detta comunicazione del ’55 contiene alcun indizio che lo ChasLes intravvedesse fin d’allora l’utilità di considerare corrispondenze algebriche d’indici qualunque (non è neppur riportata la rappresentazione analitica delle due corrispondenze (1, 1), (1, 2), che poteva servire alla dimo- strazione del principio, e che poi bastava generalizzare per giungere al prin- cipio del '64). E del resto, se lo CHasLES avesse posseduto fin d’allora il principio generale di corrispondenza, si può asserire con sicurezza che non avrebbe lasciato trascorrere otto anni senza mai farne applicazioni e nem- RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL PROF. R. DE PAOLIS 251 tamente pel premio STEINER (da conferirsi nel 1884 e nel 1886) appunto il tema di fare una teoria puramente geometrica delle curve e superficie d'ordine qualunque (*); ed il concorso fu vinto da un giovane geometra, Ernesto KéTTER, con. un lavoro (**) nel quale la detta teoria geometrica è svolta, od almeno avviata, per le curve piane. In pari tempo però, ed indipendentemente dal detto concorso, il Prof. De PaoLIS, il quale (secondo che av- verte nell’introduzione al lavoro intorno a cui dobbiamo riferire) « già da parecchio tempo aveva indirizzato i suoi studi allo scopo di rendere la geometria indipendente dall’analisi, risolveva completamente il problema »; e prima della pubblicazione della Memoria del KòrTER presentava alla R. Accademia dei Lincei un ‘manoscritto contenente i suoi risultati. L'impresa a cui il prof. DE PAOLIS si accinse è più ampia che non sia il tema dell’Accademia Berlinese; e del resto, perchè la trattazione di questo risultasse più completa e luminosa, era forse opportuno prender le mosse un po’ da lontano, cioè dai meno un cenno nei suoi lavori; nè avrebbe taciuto nella citata nota a pag. 821 del t. 63 dei C. R., nella quale invece (come già dicemmo) si li- mita a nominare la nota del ’64 e Ie lezioni del 1863-64, Sarebbe poi interessante di ricercare se, prima ancora dei geometri menzionati, lo STEINER non si sia valso del principio di corrispondenza per ottenere parecchi teoremi che si trovano, senza dimostrazioni, in alcuni suoi scritti. (*) Nell’enunciato del tema di concorso ci pare di scorgere un concetto non giusto, che rileviamo perchè lo si trova pure tuttora nell’opinione di alcuni geometri: quello cioè che a risolvere pienamente il detto problema sia necessario di sostituire agli elementi imaginari, punti, rette, ecc., che stanno sulle curve, superficie, ... algebriche, degli enti reali. Ciò non pare esatto. Si sa bene che la locuzione « elementi imaginari » sta per indicare certi enti perfettamente reali, come quelli considerati da StaupT od altri equivalenti; ma non è necessario che in tutti i ragionamenti si ricorra a queste rappresentazioni. Poichè il grande geometra Bavarese ha dimostrato in base ad esse che gli elementi imaginari hanno comuni con quelli reali gran parte delle proprietà, noi possiamo fondarci a dirittura su queste, cioè possiamo partire dalla teoria di SraupT già fatta, senza più curarci in ge- nerale delle rappresentazioni reali, sicuri che ogni volta che queste occor- rano veramente, le potremo enunciare senz’altro. Così la curva o superficie algebrica si può ben considerare come un insieme di punti complessi, ai quali basterà sostituire le imagini reali per avere immediatamente delle rappresentazioni reali dell’ente algebrico. (**) Grundziige einer rein germetrischen Theorie der algebraischen ebenen Curven (Abhandlungen der k, Preuss, Akad. d. Wissenschaften 1887). 252 C. SEGRE fondamenti di tutta quanta la geometria. Così una prima parte, la più generale, della ricerca del De PaoL1S, consiste nella Zeorza dei gruppi geometrici (come quelli composti dei punti di una linea, superficie, ecc.) e delle corrispondenze che si possono sta- bilire tra i loro elementi; e fu già pubblicata, appunto con questo titolo, tra le Memorie della Società Italiana delle Scienze (t. 7°, ser. III, 1890). Essa contiene, tra altre cose di Analysis situs, la teoria della connessione delle superficie, e delle dimo- strazioni puramente geometriche di teoremi sulle corrispondenze d'indici finiti, e specialmente continue, fra due o più gruppi di punti (linee, superficie), i quali equivalgono a noti teoremi analitici di VEIERSTRASS, CANTOR, ecc. (*). Si può dire che quella Memoria riguarda la parte della geometria che corrisponde alla teoria ge- nerale delle funzioni. Invece l’attuale e quelle che le faranno seguito, corrispondono alla teoria delle funzioni algebriche; si restringono cioè a trattare degli enti algebrici, rispettivamente nelle forme (fondamentali) di 1° specie, e poi in quelle di specie superiore. Si sa che nella geometria degli enti algebrici la parte che si riferisce alle forme di 1% specie è quella che serve di fon- damento ed alla quale è sufficiente di applicare quei principî che si trattava di stabilire geometricamente. Così la teoria generale della polarità deriva da quella particolare relativa alle forme binarie; i teoremi sul numero dei punti d’intersezione di curve o superficie algebriche, come pure quelli sugli ordini delle curve o superficie generate da fasci projettivi, od in vari altri modi, si trag- gono dal principio di corrispondenza in una forma semplice; ecc. La parte dunque del suo lavoro che il prof. DE PAOLIS presenta alla nostra Accademia, e che appunto riguarda le forme di 1* specie, è della massima importanza per gli enti algebrici; e, come si vedrà, essa non solo raggiunge pienamente il suo scopo partico- lare, ma prepara altresì nel miglior modo le parti successive. Fra le vie secondo cui si soglion generare le forme algebriche di ordini qualunque mediante forme d’ordini inferiori, se ne posson distinguere principalmente due: l’una conduce ad es. alla genera- zione delle curve, superficie, ecc., mediante fasci projettivi di ordini (*) Quei cap! della detta Memoria che contengono proposizioni necessarie per quella su cui riferiamo sono riuniti, come avverte l’A., in un altro seritto pubblicato nel t, 18 ser, 2* degli Annali di Matematica (1890). RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL PROF. R. DE PAOLIS 258 inferiori; l’altra a considerarle come fondamentali per una pola- rità. Il 1° concetto, che deriva dalla generazione di STEINER delle curve di 2° ordine, ecc., è quello che ha guidato il KòTTER nel suo lavoro. Jl 2° invece è la base della trattazione fatta da Straupr delle coniche e quadriche; e, se non erriamo, è da esso che, con un'opportuna generalizzazione, il De PaoLIs è stato condotto al metodo da lui seguito. — Questo metodo raggiunge in pari tempo la massima generalità e la massima naturalezza. Si tratta infatti, in gran parte delle ricerche geometriche sugli enti algebrici, di applicare, come dianzi rilevammo, da un lato la teoria della polarità rispetto ad un gruppo di » elementi az'=0 della forma semplice, teoria che deriva tutta dall’equa- zione @,ay-7=0; e da un altro lato il principio relativo ad una corrispondenza [m, » | di equazione a,” d,y"= 0. Ora è chiaro che entrambe queste equazioni, e più in generale quella di una qualunque corrispondenza algebrica [,, m», #3,...], si posson dedurre da un'equazione plurilineare azb,c. ..=0 tra gli ele- menti di un numero qualunque di forme, facendo coincidere questi elementi in gruppi di w,, 2, #,,... Si può dunque porre a fondamento di tutta la teoria lo studio delle corrispondenze n-lineari azb,c....=0 tra n forme di 1% specie; e con ciò si sarà ridotti ad un ente definibile elementarmente. È appunto così che fa il nostro A.: il fondamento della sua Memoria sono queste corrispondenze, le quali raggruppano gli elementi delle n forme in una oc"! di gruppi di » elementi, che egli chiama aggruppamento projettivo (*) d'ordine n, Ap,, e definisce con la condizione che, se di un suo gruppo si fissano gli n—2 ele- menti di n—2 forme, i rimanenti due descrivano nelle rispet- tive due forme una projettività (cioè un A p.). — Questo è, come dicemmo, l’ente principale di tutta la trattazione: tutti gli altri ordinari enti algebrici, i sistemi di corrispondenze, le involu- zioni, ecc., non sono che combinazioni o casi particolari di ag- gruppamenti projettivi. — Aggiungiamo che l’aggruppamento Ap, può, come la sua equazione, essere riducibile, cioè spezzarsi in due o più altri; ed in particolare può essere singolare, cioè BPRzZATSi: 10, Rd Vanta L3 considerazione costante di siffatti aggruppamenti è d'importanza capitale. (*) Con questo qualificativo di « projettivi » per gli aggruppamenti, cor- rispondenze, ecc., lA. sostituisce quelli consueti di « algebrico, lineare, ecc. » i quali sembrano presupporre una definizione analitica. 254 C. SEGRE Quanto allo svolgimento della Memoria possiamo limitarci a qualche cenno, perchè già la prefazione di questa lo delinea con sufficienti ragguagli. La teoria generale degli Ap, esige alcune preparazioni, fra cui meritano di esser rilevate quelle dei due primi capitoli relativi ai sistemi fondamentali di elementi qua- lunque: i quali non sono altro che quelle varietà che si soglion chiamare varietà lineari, od iperspazi. Un sistema fondamentale vien definito da queste proprietà: che entro esso vi sian dei gruppi $,, o fasci, d’infiniti elementi, tali che per due elementi passi sempre uno ed un solo fascio; e che se tre fasci 6/, 6, S;" hanno a due a due un elemento comune diverso dall’una coppia all'altra, ogni altro fascio, che abbia un elemento comune con ,S/ ed un altro con S", abbia necessariamente un elemento comune con S/". Da questi soli postulati e dalla solita genera- zione di sistemi superiori S,, $,,... mediante quelli inferiori, si deducono tutte quelle proprietà che corrispondono ai principî della geometria projettiva degl’iperspazi; e solo per procedere nello studio delle corrispondenze projettive occorre poi aggiun- gere il postulato che una corrispondenza projettiva (cioè ottenuta mediante projezioni e sezioni) tra due fasci sia individuata da 3 coppie di elementi corrispondenti. — Questi sviluppi eran ne- cessari per tutto il lavoro, perchè in esso s’ incontrano ripetu- tamente dei sistemi infiniti di enti che verificano le dette con- dizioni, cioè che sono fondamentali; e ad essi allora vengono applicati con frutto i risultati generali ottenuti in quei due ca- pitoli: il che dà origine a vari ragionamenti che si posson ri- guardare come iperspaziali (*). (*) Del resto ragionamenti di tal natura sì trovano anche nel lavoro del KòTTER e sono inevitabili in queste teorie! Come esempio rileviamo nella Memoria in esame il n. 181 nel quale si considera un certo sistema sempli- cemente infinito Nk di aggruppamenti proiettivi, pel quale si dimostrano delle proprietà completamente analoghe a quelle ben note della curva razio- nale normale d’ordine %. Se quel sistema si rappresentasse analiticamente, sì avrebbe pei suoi aggruppamenti un’equazione i cui coefficienti sarebbero forme binarie d’ordine & di due parametri z,, x): il che spiega quell’ana- logia. Chiamando m l’ordine degli aggruppamenti e (supposte coincidenti le m forme) considerando per ognuno di essi gli 7 elementi m-pli, la N* del De PaoLis ci dà una co' di gruppi di m elementi che il KòTTER sotto il nome di involuzione d'ordine m e rango k studia ($$ 99 e seg. del suo la- voro; v. anche $ 189) mostrandone l’analogia con la curva razionale normale d’ordine A. Essa nasce in modo evidente da una corrispondenza [k, m]j sicchè si doveva presentare necessariamente ad ambi gli scienziati, RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL PROF. R. DE PAOLIS 255 Tale applicazione si presenta da prima nel sistema costituito da tutti gli aggruppamenti projettivi d'ordine n» fra » forme fondamentali. Definiti in modo ovvio i fasci di aggruppamenti (e stabilita per essi, nel n. 56, una proprietà caratteristica im- portante), si riconosce poi in base ad essi che quel sistema di aggruppamenti è fondamentale (di specie 2"—1). In conseguenza si possono introdurre dei sistemi fondamentali di varie specie (<2"—1) di Ap,, e riferirli projettivamente fra loro: cosa im- portante per tutto il seguito. — Mediante ciò, e partendo dagli aggruppamenti di 2° ordine, per poi procedere con l’induzione completa ad aggruppamenti d’ordine qualunque, si definiscono e si studiano gli aggruppamenti projettivi armonici. Se a,b, c.... = e a',b',c....=0 sono le equazioni dei due aggruppamenti, la condizione di armonia è (aa') (62/) (cc)...=0. Geometricamente due Ap, si definiscono come armonici (supposta già data la defi- nizione per due Ap,_;) nel seguente modo. Due elementi x, a di una delle n forme son completati in gruppi di due Ap, qua- lunque dai gruppi di elementi delle rimanenti n—1 forme i quali costituiscono due A p,_,: si considerino x, x’ come omo- loghi quando questi ultimi due aggruppamenti sono armonici : allora x, x si corrisponderanno in una projettività. Orbene, se questa è un’involuzione, si dice che i due Up, sono armonici. Tale relazione è di somma importanza per tutta quanta la teoria. Essa determina una corrispondenza reciproca involutoria fra i sistemi di Ap,. Essa conduce ad uno svolgimento della massima generalità della teoria della polarità rispetto ad un Ap,, e quindi dell’apolarità fra aggruppamenti projettivi di qualunque ordine, ecc. Come caso particolare degli Ap, si ottengono (quando le » forme sono sovrapposte) le involuzioni d’ordine » e specie (dimen- sione) »—1, vale a dire, secondo la denominazione del DE PAOLIS, le involuzioni projettive d'ordine n e rango n-1 (Ipi n); € come intersezione di n — p involuzioni siffatte (e quindi del sistema fondamentale da esse determinato) un’involuzione projettiva di ordine n e rango 0 (1) Pn, 0) (*). Così pure da un aggruppamento (*) Il KòTTER nel suo lavoro in vece che dagli Ap, parte dalle involuzioni d'ordine n e 42 specie (che costruisce come luogo del gruppo degli elementi uniti di due involuzioni fisse d’ordini minori m, ed n-m, riferite secondo una projettività la quale varia in un dato fascio di projettività); e mediante queste genera successivamente le involuzioni di specie superiori. 256 C. SEGRE projettivo Ap, considerando solo i gruppi in cui gli elementi coincidono secondo le multiplicità m,, m3,...,, ove 2m,=%, si ha (come già notammo) una corrispondenza projettiva [m,, Mg, + + m,]: ogni corrispondenza siffatta si ottiene in tal modo da tutti gli Ap, di un sistema fondamentale la cui dimensione è 2"-1-Xm—-Xmm,—...—-M,m,..m,. Di tutti questi enti si ottengono molte proprietà valendosi di quelle già date prece- dentemente per gli p,. Così si considerano le involuzioni ar- moniche, gli elementi multipli od apolari, per involuzioni o per Ap, qualunque, ecc.; e di questi elementi si determina poi il numero, come si trova il numero degli elementi uniti di una corrispondenza (il principio di corrispondenza), il numero delle coppie comuni a due corrispondenze tra due forme, quello degli elementi uniti di due involuzioni di 1° rango riferite projettiva- mente, ecc., ecc. La polarità generale rispetto ad un gruppo G, deriva poi da quella relativa alla Jp, n-1 che ha gli elementi di G, per n— pli; e rapidamente, in poche pagine, si possono ottenere come semplici corollari le principali proposizioni che vi si riferiscono, il Jacobiano di due gruppi, l’Hessiano e lo Stei- neriano di uno, l'armonia fra gruppi, ecc. Ad un certo punto di questa trattazione compare la neces- sità di stabilire un teorema geometrico che compia in essa uf- ficio analogo a quello che per l’algebra ha il teorema fonda- mentale di questa. Ed invero è solo da un teorema siffatto che sì posson trarre ad es. i risultati citati relativi a numeri di ele- menti multipli, uniti, ecc... Il nostro A. ha scelto in sostanza per teorema fondamentale questo: che una las ed una Dia hanno sempre un gruppo comune. Val la pena di riferire il con- cetto della dimostrazione. Esso consiste nel considerare un fascio di Sp, n di cui quella data faccia parte, e riferirlo alla forma sostegno, riguardando come omologa ad un elemento di questa la Jp, n-1 che contiene il gruppo della +) p,, determinato da quell’elemento. Rappresentando gli elementi della forma e quelli del fascio di .Jp,.,_, coi punti di due sfere c, o', si avrà una corrispondenza |w, 1] fra i punti di 7 e quelli di un certo gruppo di o'. Ma la corrispondenza si dimostra esser continua (e con un numero finito di punti di diramazione): le si può dunque appli- care un teorema sulle corrispondenze continue che il De PAOLIS ha stabilito geometricamente nei lavori precedenti, e che qui cor- risponde al teorema analitico a cui bisogna sempre ricorrere nel RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL PROF. R. DE PAOLIS 297 punto trascendente (cioè relativo alla continuità, ecc.) della di- mostrazione del teorema fondamentale dell’algebra. Esso permette di conchiudere che quel gruppo di o’ abbraccia tutti è punti di questa sfera, cioè che ogni VERRI del fascio (e quindi in par- ticolare la data) ha comune un gruppo con la .)p, . Questi cenni sono sufficienti per dare un’ idea del contenuto della Memoria, e mostrarne l'originalità e l’importanza. Quanto al metodo con cui essa è svolta, non occorre dire che è essen- zialmente sintetico e che della pura sintesi ha tutti i pregi, come deve avere presentato all’A. tutte le difficoltà. Per gli enti fon- damentali le definizioni e le costruzioni, come pure le dimostra- zioni delle principali proprietà, sono in generale basate sull’indu- zione completa: il che è nella natura del metodo (*). I ragionamenti sono sempre rigorosi, anche quelli più delicati relativi alla con- tinuità delle corrispondenze projettive. Infine osserveremo che la trattazione dell’argomento, fatta con sì grande generalità, mentre è una continua prova d’'ingegno da parte dell’A., raggiunge in pari tempo una grande naturalezza, e quasi il carattere di ne- cessità, sì che ci par difficile che in avvenire vi si possano in- trodurre delle semplificazioni importanti, almeno di concetto. Essa ci permette già di prevedere che l’A. potrà, in base ad essa, se- guendo lo stesso indirizzo, svolgere egregiamente le parti succes- sive del suo tema, cioè la teoria geometrica delle curve piane, delle superficie e delle varietà algebriche di ogni dimensione. E noi facciamo voti che ciò accada sollecitamente, com'’egli (almeno in parte) ci fa sperare. Così quello che abbiamo chiamato il se- condo periodo nella costruzione della geometria projettiva essen- zialmente sintetica si potrà considerare come chiuso ottimamente dall’ importante opera del Prof. DE PAOLIS! E. D’'Ovipio. C. SEGRE, Relatore. (*) E in fatti il KOTTER procede allo stesso modo. — Del resto, all’infuori di poche coincidenze richieste dall’identità dello scopo e del punto di par- tenza (la teoria di SrauDT), non vi sono altri punti di contatto fra i due autori. 258 E. DERVIEUX Foraminiferi pliocenici di Villarvernia ; Studiati da ERMANNO DERVIEUX Già sin dal 1841 la località di Villarvernia (Tortona) era conosciuta; infatti il sig. Michelotti nel suo Saggio Storico dei Rizopodi caratteristici (1) nota come in essa si trovino le specie Biloculina complanata Michelotti e la 7riloculina carinata Michelotti. Ora, avendo io studiato i foraminiferi fossili di questa località esistenti nel R. Museo di Geologia di Torino, credo utile pubblicarne il catalogo con alcune osservazioni. Il Dott. Sacco nello studio sul Bacino Terziario del Pie- monte (2) trattando del Piacenziano (Plioc. inf.) fa osservare la località di Villarvernia come composta di « banchi sabbiosi, zeppi di Foraminiferi e di Molluschi di piccola mole »; ed infatti il residuo del lavaggio delle sabbie di detta località mi riuscì com- posto per !/, di resti conchiglie di piccola mole e per */, re- stanti di foramimiferi. Ora, considerando questa fauna fossile di Villarvernia in rap- porto alle faune attuali, devo anzi tutto premettere, che essa si dovette depositare in un mare tranquillo e poco profondo. Dico in un mare tranquillo, perchè, mentre per alcuni generi solamente gli esemplari abbondano, per gli altri sono scarsissimi; numerandosi infatti a centinaia quelli di Miliolina e Trun- catulina, di ogni grandezza e dimensioni, mentre gli altri pochi generi sono appena rappresentati; e così tutto il catalogo consta di sole dodici specie. In un mare poco profondo, perchè vi è una prevalenza straordinaria del gen. Miliolina (diviso in 4 specie), il quale da solo ci fornisce i ”/,o della totalità delle forme, e secondo le osservazioni fatte nei mari attuali questo genere ha (1) MiczeLoTtTI Giovanni — Saggio storico dei Rizopodi caratteristici dei terreni sopracretacei. — Mem. Soc. Ital. Scienze, vol. XXII, 1841, pag. 253-302, tav. 1-3. Modena. (2) Sacco Dott. FeperIco — Il Bacino terziario e quaternario del Piemonte — Torino, 1889-90, pag. 488, FORAMINIFERI PLIOCENICI DI VILLARVERNIA 259 un habitat di acque poco profonde e generalmente di litorale. Nei depositi di spiaggia del nostro Mar Tirreno se ne rinvennero abbondanti esemplari. La fauna fossile foraminifera di Villarvernia presenta un facies tutto speciale per questa abbondanza veramente straor- dinaria di Mzlioline e Truncatuline, e questo fatto è forse unico in tutto il Piemonte, trovandosene bensì esemplari ovunque, ma sempre in scarso numero. Non mi farò a descrivere le singole specie, non avendo esse alcun che di particolare ; mi basterà compilarne il catalogo con alcune piccole osservazioni riferentisi principalmente alla sino- nimia per il Piemonte. 1. — Miliolina secans (d’ORBIGNY). (Quinqueloculina secans d’Orbigny. 1826. Ann. Sc. Naturali. Vol. VII, pag. 303, n. 43, mod. n. 96.) E la specie che ha maggior numero di esemplari, di tutte le dimensioni (secondo età). Nei catalogi dei foraminiferi foss, piemontesi figura per la prima volta. 2. — Miliolina seminulum (LINNE). (Serpula seminulum, Linné 1767. Syst. Nat., 12 th., ed, pa- gina 1264). Questa specie già conosciuta nel Piemonte, come ovunque, è rappresentata da altre 20 esemplari, ben conservati. Essa è la Triloculina carinata registrata dal Micheletti. 3. — Miliolina linnaeana (d’ORBIGNY). (Triloculina linnaeana, d'Orbigny 1839. Foram. Cuba sog. 153. Tav. IX, fig. 11-13). Non fu ancora considerata nelle specie piemontesi, ed è quivi rappresentata da varii esemplari. 4. — Miliolina subrotunda (MonTAGU), (Vermiculum subrotundum, Montagu 1803. Test. Brit. part. 2. pag. 921). Moltissimi esemplari tutti minori di 1 mm., di aspetto molto poroso. È per la prima volta registrata in Piemonte. 260 E. DERVIEUX 5. — Truncatulina lobatula (WALKER e JACOB). (Nautilus lobatulus, Walker and Jacob. 1798. Adams’ Essays, Kanmacher's ed. p. 642. Tav. XIV, fig. 36). Questa specie, fu già conosciuta, esistente nel nostro bacino terziario, anche considerata nella Zruncatulina boueana d’Orb. sinonima. Avendo osservato che qualche autore la descrive come di colore bianco candido, devo notare che tutti i moltissimi esemplari di Villarvernia sono invece di color grigio chiaro. Meno di 1 mm. di diametro. 6. —- Globigerina bulloides d’OrBIGNY. (Globigerina bulloides, d’Orbiguy. 1826. Ann. Sc. Nat. vol. VII, passio n.) i Mod. n.sli6 0,0). Questa specie comunissima e già conosciuta è rappresentata da buon numero di esemplari. La presenza di queste globigerine non può mutare il criterio di deposito poco profondo, perchè il suo habitat si estende dai 500 ai 6000 metri. t. — Nonionina scapha (FicnreL e MoLL). (Nautilus scapha, Fichtel and Moll. 1803. Test. micr. pag. 105. Tav. XIX, fig. d-f). Questa specie, rappresentata da varii piccoli esemplari di meno di 1 mill., è già conosciuta anche sotto il sinonimo di N. boueana. 8. — Polystomella crispa LAMARK. (Polystomella crispa, Lamark 1822. Anim. s. Vert. Vol. VII, pag. 625, n. 1). Vari esemplari di tutte le dimensioni sino a raggiungere il diametro di 2 mm. 9. — Textularia trochus d’ORBIGNY. (Textularia trochus, d'Orbigny 1840. Mém. Soc. Géol. France. vol. IV, pag. 45. Tav. IV, fig. 25, 26). Specie ovunque sparsa nei mari attuali, e rappresentata fos- sile in questa località da pochi esemplari (6?), fra cui alcuni © Diccolissimi. FORAMINIFERI PLIOCENICI DI VILLARVERNIA 261 10. — Biloculina ringens (LAMARK). (Miliolites ringens, Lamark 1804. Ann. du Muséum vol. V. masses Nol SIX. Tav. XVII.-fie 1). Questa specie è già conosciuta in Piemonte sotto il nome di B. simplex d’Orbigny. Essa però non è sinonima della B;/o- ‘culina complanata, descritta come specie di Villarvernia, la quale appartiene al gen. Miliolina. 11. — Discorbina orbicularis (TERQUEW). (Rosalina orbicularis, Terquem 1876. Anim. sur la Plage de Dunck. pag. 75, Tav. IX, fig. 4). Pochi esemplari di mm. 0,45 circa. Già conosciuta. 12. Bolivina punetata d’ORBIGNY. (Bolivina punctata, d’ Orbigny. 1839. Foram. Am. Mérid. pag. 61, Tav. VIII, fig. 10-12). Questi pochi esemplari si avvicinano più alla forma figurata dal Terrigi 1880. Fora. Marne Vatic. Tav. II, fig. 41, tolta però la carena. Già conosciuta. Devo poi osservare che si sono inoltre rinvenuti alcuni esem- plari mal conservati di Rhabdogonium cf. tricarinatum d’Orb.; di Cristellaria rotulata Lmk.; e di Nodosaria, Rotalia, Pul- vinulina, Uvigerina, Virgulina. L’Accademico Segretario GIusEPPE Basso. A a 198 ATUSITETATITTA 100 FSTMANOLÌN LATYIMMATOY - Tetti) ritor e D) da vWrut long ini 9 cile 0 D'Africa Gase \ATTORE a) RI PRSAV Zali‘ ge RATA carpi Voi > Ma} hg }Gi ail. sta roitiftaia 3° “dl ‘Gxoq da ca bat: "rasata 19P"ci5stta Pond” org Taeg gg id I PIA MELÉ x Wiltarmsrrin sA0MOANTOLE Ma in6o Te vd ran vi (ieccogna"?) eiuaiosidto Ù con = n ob opalTyel, gip ih, sa At saggio .82 dia «vat ar i MEI fire” sd {pe COR Cal Questa apoctitritotaro 5 utent ‘serio fera ta, Li KO. bo, di qsta a LE n} ca IR ctr «400 | 3 apt a eten < bra ad ‘dg atermgi saro alle sig omanioivve ie Fraliggisno è *% i sifot + ra a den ato er or des Nei I Mina saneho Vichtal 16 Mo anIpigeonog, tr i ty SLI VALERIA b PI priorita, a. vari Pie poll | i vi dpi Uil SRI oAORE INTO ia 6it6 Sta vid 04 Si 0 priori 15 sifiaropo bt bdfi ID itavie i Su eSiindoll dl © Res spalti i ovs nni SONA Lt {if"< sy tina Lu: tg pic lb) papi; dix3, È gr Vitae be dr me incanti io aero divo A} ggipiobussA* “d si a ‘nta | a 0 Nr sega RAR tioehns dà” quos (Teztotat deo ch, d a orig 1860 ‘Mii. BOSSA i uu da 25 s0bifi VO SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 341 Gennaio 1892. . . . . SEAT Pag. Segre — Relazione sulla Memoria del Prof. liccardo De PaoLIS, intitolata: Le corrispondenze projettive nelle forme geometriche fondamenta di A°sspecie- AR » Dervieux — Studio dei foraminiferi pliocenici di Villarvernia . . . » Torino — Tip. Reale-Paravia. 247 248 258 x A pasa SO gi 3 ; ACCADEMIA zi N CA DEMICI SHORNTARI DELLE DUE CLASSI “i ; è 3 a cienze Fisiche, M pt mt atemaliche e Naturali CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 14 Febbraio 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, SAL- vapori, Cossa, Bruno, BERRUTI, SiAccI, FERRARIS, NACCARI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GiacoMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanza precedente, il Socio Segretario presenta in dono all'Accademia, a nome del- l’autore, una Memoria stampata, col titolo: Ricerche sopra l’a- zione fisiologica del massaggio sui muscoli dell’uomo, del Dott. Arnaldo MaceIoRA, Professore incaricato d’Igiene nella R. Uni- versità di Torino. Il Socio FERRARIS presenta e legge una Nota dell’Ing. Elia Ovazza, Assistente alla Scuola d'applicazione per gl’'Ingegneri di Torino, intitolata: Sul calcolo delle travi reticolari elastiche ad aste sovrabbondanti. Questo lavoro sarà pubblicato negli Att. Atti R. Accad, -— Parte Fisica, ecc. — Vol, XXVII, 20 264 ELIA OVAZZA LETTURE Sul calcolo delle travi reticolari elastiche ad aste sovrabbondanti ; dell’ Ingegnera ELIA OVAZZA 1. In questa Nota considereremo soltanto le travi che si possono chiamare reticolari doppie, perchè costituite da sbarre collegate fra di loro a cerniera alle estremità ed aventi per assi rette compiane e costituenti lati e diagonali di successivi quadrilateri aventi ciascuno un lato comune col precedente ed il lato opposto comune col seguente (fig. 1°). 2. Chiameremo pannello l'insieme delle sei sbarre formanti un quadrilatero elementare della travatura: montanti le aste (m) disposte secondo i lati comuni ai successivi quadrilateri e quelle dei pannelli di estremità opposte ai montanti che questi pan- nelli hanno in comune col secondo e col penultimo. Diremo aste di contorno (a, c) quelle distese secondo i lati appartenenti esclu- sivamente ad un pannello, esclusi i montanti di estremità j; aste diagonali quelle aventi assi secondo le diagonali (4) dei qua- drilateri elementari. i 3. Supporremo inoltre che le forze sollecitanti la travatura, carichi e reazioni di appoggio, abbiano linee di azione giacenti nel piano degli assi delle sbarre, — piano del sistema — e punti di applicazione nei punti d'incontro di detti assi — nodi della tra- vatura. Con ciò riteniamo per semplicità ripartito il peso proprio di ogni sbarra sopra i nodi suoi estremi. 4. Anche nel caso, qui esclusivamente considerato, in cui le reazioni di appoggio sono staticamente determinate , il calcolo delle tensioni nelle singole sbarre è problema per cui non basta la statica dei corpi rigidi. Invero, tolta una diagonale per ciascun pannello, la travatura diventa triangolare, strettamente indefor- DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICITE 265 mabile e perciò determinata staticamente anche per riguardo alle tensioni interne ; ognuna delle travature clic consideriamo contiene dunque tante aste sovrabbondanti quanti sono i pannelli che la costituiscono; laonde alle equazioni di equilibrio della statica vanno aggiunte altrettante equazioni di condizione da dedursi dalla teoria dell’elasticità — altrettante equazioni di ela- sticità — quanti sono i pannelli. Ora, se anche questi non sono in numero molto grande, è pur notevole la quantità di opera- zioni numeriche da eseguirsi per la soluzione numerica rigorosa del problema; aggiungasi che, per la forma stessa delle equa- zioni di elasticità, dette operazioni numeriche sono così l’una con l’altra concatenate, che occorre rattenere fra limiti strettis- simi l’approssimazione del risultato di ogni singola operazione, se i risultati finali del calcolo voglionsi con un’approssimazione suf- ficiente per gli usi della pratica. 5. Presentasi perciò opportuno un metodo di calcolo per via grafica da condursi di pari passo col calcolo numerico ; quello eviterà gli errori grossolani probabilissimi in questo, mentre questo correggerà gli errori di non sufficiente approssimazione , più probabili in un calcolo grafico. Rimandando per quel che riguarda i particolari del calcolo numerico ai molti lavori pubblicati sull'argomento (*), noi qui ci limiteremo all’esposizione di una soluzione completamente gra- fica, che non si riduce alla soluzione in via grafica di relazioni dedotte in via algebrica (**), e che non crediamo ancora appli- cata nè conosciuta nel mondo tecnico. 6. Fra le lunghezze dei sei lati di un quadrangolo completo corre, com’ è noto, una relazione determinante una qualunque di (*) W. RirTER, Anwendungen der graphischen Statick. 2® Theil; Zùrich 1890. V. CeRRUTI, Sistemi elastici articolati. Torino 1873. M. Lewr, Statique graphique, IV Partie. 1888 Paris. H. MùLLEeR-BreEsLau. Theorie und Berechnung der eisernen Bogenbrucken, Berlin 1880. : H. MuùLLER-BRESsLAU, Die graphische Statik der Baukonstruktionen. Band II, Leipzig 1892. (**) Cfr. M. GesBIA, Le travature reticolari a membri sovrabbondanti, Atti del Collegio degli Ingegneri di Palermo, 1881. Id. . id. Sugli sforzi interni dei sistemi articolati. Atti della R. Aeca- demia dei Lincei, 1881-82, Roma. 266 ELJA OVAZZA esse, conosciute che sieno le altre cinque. E classica la forma seguente, data a tale relazione dal Cayley: (*) PARO ga dA lioixc0b gras ale alta ba dodo i 1 d*,, se 0 d°,., ld RUSETO ove con d,, indicasi la distanza di due qualunque, % e %, dei vertici 1, 2, 3, 4 del quadrangolo. Differenziata questa relazione rispetto alle sei lunghezze ch’essa contiene , se, come suolsi, trascuransi le potenze superiori alla prima delle deformazioni elastiche, sostituito nell’eguaglianza ot- tenuta ai differenziali le corrispondenti dilatazioni elastiche, si ottiene una relazione di primo grado fra le dilatazioni elastiche simultanee delle sei sbarre formanti un medesimo pannello. Se ora in questa relazione si sostituiscono alle dilatazioni le loro espressioni, di primo grado, in funzione delle tensioni elastiche loro cause, si ottiene l'equazione di elasticità corrispondente al pannello considerato, equazione che evidentemente è di primo grado nelle tensioni che insieme collega. 7. Ciò posto, dette V e V' le tensioni dei montanti v e ®' di un pannello in equilibrio sotto l’azione di forze esterne ad esso applicate sui nodi (fig. 2), tolgasi il montante v ed ai nodi O ed XK da esso collegati si applichino due forze d’intensità V e di versi opposti, dirette secondo l’asse dell’asta soppressa ®, e perciò rappresentanti l’azione di quest’asta sopra i nodi suoi estremi. Scrivansi le equazioni d’equilibrio di questi nodi, due per nodo, e l'equazione di elasticità relativa al pannello che si considera. Eliminate fra queste cinque equazioni le tensioni delle sbarre di contorno e delle diagonali, risulta un'unica relazione di primo grado fra V e V', cui può darsi la forma: Vicari, (*) V. CERRUTI, |). c. 7 S. Canevazzi, Meccanica applicata alle costruzioni, Parte 18, Torino 1890, SaLMon-FIEDLER, Analitische Geometrie des Raumen, 4° Band, pag. 76, 1879. BaLTZER, T'heorie und Anwendung der Determinanten — Leipzig, 4881. DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE 267 ove « e {3 sono quantità dipendenti dalle forze esterne applicate ai nodi Q ed del montante v e dalle dimensioni del sistema elastico costituente il pannello. Dato a V una serie di valori arbitrarì, la relazione prece- dente fornirà quindi una serie di corrispondenti valori della ten- sione V', tali che assunti i valori di V a misure delle ascisse dei punti di una punteggiata, e similmente i valori di V' come misure delle ascisse degli elementi di altra punteggiata, ottengonsi due punteggiate simili, perfettamente individuate da due coppie di elementi omologhi. Basteranno dunque due tentativi perchè se ne possa dedurre il valore di V corrispondente ad uno spe- ciale valore di V', soggetto a determinata condizione, come per es., a quella dell’equilibrio di ciascuno dei nodi collegati dal montante ?'. 8. A tale conclusione, direttamente deducibile dal fatto che sono da determinarsi due soli costanti a e (3, perchè venga individuata l’indicata relazione fra le tensioni V e V', si giunge anche mediante le considerazioni seguenti, da cui otterremo ap- punto un metodo di calcolo per via grafica delle tensioni V' corrispondenti a fissati valori delle V. 9. Sieno @ e {8' le aree delle sezioni trasversali dei mon- tanti v, 0; y e È quelle delle diagonali c e d; ® e v quelle delle aste di contorno o ed «. Indichiamo con una medesima lettera caduna sbarra e la sua lunghezza misurata sull’asse. Sieno Po € Pax le forze esterne applicate ai nodi Q ed E, estremi del montante v. Assunta ad arbitrio la tensione V di questo montante, mediante i quadrilateri di equilibrio dei nodi @ ed R, deducansi i corrispondenti valori, 0, U, C, D, delle tensioni delle sbarre 0, u, c, d. Si calcolino le corrispondenti dilatazioni do, du, dc, dd, dv, delle lunghezze 0, u, c, d, v, mediante le note for- mule di elasticità: che suppongono, come per semplicità ammetteremo sempre in seguito, costante per tutte le sbarre il modulo £ di elasticità longitudinale. Poichè anzi in seguito occorreranno soltanto quantità pro- porzionali a dette dilatazioni, assumasi per semplicità E=1, 268 ELIA OVAZZA (Alia de. > go e per costante di proporzionalità il rapporto n° sicchè risulti in di valore numerico : do=V. Dovrà assumersi di conseguenza : 2 e od “ cb d do=0--, re; © Lo de=0-È, no o DIO) VV Vv” vò e genericamente: PRG = e. 9 CT indicando con / la lunghezza e con % l’area della sezione tra- sversale dell'asta tesa dalla forza S. (*). 10. Note le dilatazioni, 07, si supponga fisso uno qualunque dei nodi estremi del montante v, il nodo @,per esempio, e si supponga invariabile la direzione dell’asse di questo montante ; tenendo conto del segno delle singole dilatazioni, mediante un (*) Sull’asse 2 d'un sistema di assi cartesiani ortogonali 0(zy)— (fig. 3%), portisi OP misurante in certa scala l’area f, e sull’asse y il segmento 00/3 e conducasi 0,0, parallela ad . Si segni su 0,0, il punto L per cui sia OL=l, e su OL si porti Of misurante l’area 9 nella scala in cui l’area f è misurata da UP, Proiettisi / in P su Oy parallelamente ad Or, e p da P. Inserito nell'angolo PPO parallelamente ad Oy il segmento HX misurante la tensione S, in PX, si ha la misura della dilatazione el nel rapporto pre- stabilito. Puòin certi casi essere preferibile la seguente costruzione data dal WiLLIOT Su due rette parallele (fig. 4%) si segnino due segmenti AB e DE misuranti: il 1° la lunghezza / in una scala fissata di ) unità lineari per metro, il 2° la tensione S in altra data scala, di £ unità lineari per #9; prolunghisi DE ; PICO Ra 2 del segmento CD misurante l’area 9 nella scala di —_ unità lineari per metro di quadrato, e proiettisi E in H# sulla 4B dal punto / di concorso delle rette AC e BD; il segmento BH misura È! nella scala, da fissarsi ad arbitrio, di )' unità lineari per metro. (Non oecorre osservare che il modulo E quì inten- desi misurato in chilogrammi per metro quadrato). Nelle applicazioni queste operazioni grafiche si semplificano, molte sbarre avendo lunghezze eguali ovvero serioni trasversali equivalenti. Per altro bene spesso dette operazioni si sostituiscono con vantaggio rilevante con l’uso del regolo logaritmico, letti DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE 269 diagramma Williot, (*#) deducasi la corrispondente dilatazione dv del montante è”. A tal fine (fig. 5°) per un punto arbitrario Q', polo del diagramma, avendo riguardo ai segni, (in figura si supposero po- sitive tutte le dilatazioni), conducansi nelle direzioni 0, d, v ri- spettivamente le dilatazioni calcolate do, dd, dv in VM', ON, QR'. Per R' nelle direzioni c ed « guidinsi le dilatazioni de e du in R'T' ed RS. Si conducano per SS” ed N' le normali ad «u e d rispettivamente, e si incontrino in H'; quindi per M' e T' le normali ad o e c, incontrantisi in X'; la proiezione or- togonale n'%' del segmento H'K' sulla direzione v' da la di- latazione dv del montante v nella scala assunta per le dilata- zioni. Se ne dedurrà facilmente la tensione V' del montante v' mercè la relazione : 11. Se indichiamo con l’indice o le posizioni dei punti M', N', RI, T' S', H', K', x!,X' corrispondente all’ipotesi di V=0, (R', coincide con il polo Q'), poichè i seguenti M,.M', NN, R',E' variano proporzionalmente a Y, e così pure avviene delle differenze R'S'— HS, cd R'T'— RI, T,, col variare di V i punti T' ed S', e perciò i punti H' e X', %' e %' descrivono altret- tante punteggiate simili a quella descritta da R'. Avremo quindi RSA Mo 2000, — costamte ; QR onde la conseguenza ottenuta in via analitica al numero 6. (*) WiuLior, Notions pratiques de la statique grafique, Génie civil. Octobre 1887. Paris. E. Ovazza, Sul calcolo delle deformazioni dei sistemi articolati. Torino, Loescher, 1888. Id. id. Sul calcolo delle freccie elastiche delle travi reticolari. Torino, Loescher 1888. Ras. Mou5r, Ueber Geschwindigkeitspline und Beschleunigungspline. Civilinge- nieur 1887. ; i Kroun, Der Satz von der Gegenseitigheit der Verschiebungen. Zeitschrift des, Arch-und-Ing. Vereins zu Hannover 1884, l : R. Lanp, Kinematische T'heorie der statisch bestimmten Tréger. Zeitschrift des veosterr. Are. und. Ing. Vereins. Heft. I, 1888. MuùLLER-BrEsLAU, Die graphische Statik. e, W. RITTER, l. c. i 270 ELIA OVAZZA 12. Proiettisi la spezzata chiusa X'M'Q'E'T'K' ortogonal- mente una volta sulla direzione del segmento M'K'=%, ed un’altra volta sulla direzione del segmento 7"K'=y. Analoga- mente proiettisi ortogonalmente sulle direzioni di N'H'=% e di S'H'=y la spezzata chiusa H'N'Q' R'S'H', e si esprima con eguaglianze l’annullarsi di ogni singola proiezione. Otteniamo quattro equazioni che risolte rispetto alle quan- tità x, y, 2, y', diventano: x sen” (0c) = [sen (vc) cos (0c) — sen (0v) | dv | 1) | STA lele + sen (0c). de —sen(0c).cos (0c). do. y sen? (oc) = [sen (ve) — sen (0%) cos (00) | dv (0) — sen (0c).d0 + sen (0c) . cos (oc) . de * x' sen? (ud) = [sen (v) cos (ud) — sen (va)| dv | (3) + sen (ud). dv — sen (ud) . cos (ud) . dd y'sen® (ud)= [sen (uv) —- sen (vd) cos(ud)|dv I — sen (ud) dd + sen (ud). cos (ud). du Si proiettino ortogonalmente sulla direzione v' le spezzate aperte K'M'Q'R'S'H'e R'T'R'QN'H'. e si eguaglino le proiezioni a dv. Sommate membro a membro le due eguaglianze così ot- tenute, si ha: 2.00 = x sen(00) +y sen (cv) — 2 sen(dv') —y' sen(uo') (5) — do. cos(0v)+ du. cos (vv) — decos (cv) + dd. cos (dv) }% Eliminate fra le cinque precedenti relazioni le quantità x, Y,%, y, dopo una serie di riduzioni, si ottiene la seguente relazione, coincidente con quella che si ottiene dalla differenzia- zione della sopra ricordata formola del Cayley (*), collegante le (*) Cfr. V. CERRUTI, l. c. pag. 38. DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE 271 dilatazioni simultanee delle sei sbarre del pannello considerato (*): sen (vu). sen (v'0) sen (vc). sen (0/4) sen (uc) . sen (0d) du————— _ de +4 —— Li 00 0 d v tai (ud) sen (0c) di (17) sen (00) VA (v'e) sen (A) 3-0. D) c 7 (*) Sostituito nella (5) ad #, y, <, y' le loro espressioni dedotte dalle (4), (2), (3), (4) e poste in evidenza, nell’eguaglianza che risulta, le dilatazioni 8, sì ottiene: 7 La n, Sen(0v').cos(oc) sen (cv') Piera [cos (Gbit sen (oc) sen (oc) Ù sen (uv’)cos (ud) , sen(dv’) — [cost + son tuo) 71 solu) cos(cv') cos (oc) | sen(0v) i [cos tit sen (oc) sia sen Go | de n, Sen(dv)cos(ud) sen(uv') + cos (dv) + — sen(ud) ‘ se(ud) 0d+ p.. dv. BIGIOIOI (6) ove __—8en(0v')sen(0v)+sen(ve)cos(oc)sen(0v')}H-sen(cv')sen(vc)—cos(oc)sen(0v)sen(cv') gi: sen? (oc) sen(dv’)sen(dv)_—sen(uv)cos(ud)sen(dv')—sen(uv')sen(ue}}-sen(uv')sen(vd)cos(ud % sen? (vd) sen (oc) sen (ud) v la nota relazione di proporzionalità fra le lunghezze dei lati ed i seni degli angoli opposti d’un triangolo, applicata ai triangoli uvd ed ovc, la (6) tras- formasi nella seguente: Si moltiplichino ambo i membri della (6) per . Mediante sen (0c)sen(ud) 34 sen (v’c).sen (ud) sol82? (vc). sen (vd) su v u 0 __sen (vuyson (v'0) se —_ SON (0v) sen (uv') dd + n! dv =“ d c 2v posto __ sen (ud)[ — sen (0v') sen (0v)+- sen (vc) cos (06) sen 0v’)+ sen (cv’)sen (cv) — “sen (oc)] —cos(oc)sen(0v)sen(cw') | sen (0c) { sen (dv) sen (dv) — sen(uv)cos(ud)sen (dv) — sen(uv) sen (uv) + | + sen (uv) sen (vd) cos (vc) | 7 sen(ud) Se ora osservasi che sen (00) = sen [(ve) + (0c)], sen (dv) ="sen [(ud)+(uv)], sen (uv) = sen [(0d) + (du)] , sen (cv)= sen [(00)+-(0c)] 272 ELIA OVAZZA 13. Ciò posto, dovendosi calcolare una travatura reticolare piana doppia, assunta ad arbitrio la tensione V', del montante libero del primo pannello, se ne deduca il corrispondente valore V', della tensione del montante comune al primo ed al secondo pannello mediante la costruzione grafica indicata. Quindi dalla tensione V',, applicando il medesimo procedimento grafico al secondo pannello, e considerando come forze esterne al secondo pannello anche le tensioni delle aste di contorno e delle diago- nali del primo pannello, deducasi la corrispondente tensione V?, del montante successivo. É così si proceda di pannello in pan- nello fino ad ottenere la tensione V', dell'ultimo montante, che corrisponde all’assunto valore 7’, della tensione del primo ‘mon- tante. Questa tensione V',, salvo un caso, non soddista gene- ralmente alle condizioni di equilibrio dei nodi su cui agisce. Si assuma perciò un secondo valore V”, della tensione del primo montante e, procedendo come prima, se ne deduca il corrispon- dente valore V , della tensione dell'ultimo montante. Dalle due coppie di valori simultanei V!, e V',, V”, e V°,, potrà ricavarsi il valore V, che corrisponde a quel valore Y, il quale soddisfa alle condizioni di equilibrio dei nodi collegati dall’ultimo mon- tante. 14. La cosa appare chiara su di un esempio, che ora noi consideriamo per fissare le idee, senza perciò nuocere per nulla alla generalità della trattazione. Determinate le reazioni degli appoggi, si disegni la poligonale chiusa delle forze esterne, di- sponendo queste nell’orline in cui trovansi applicate girando per uno stesso verso sul contorno della travatura. Nel nostro caso consideriamo una travatura composta di due soli pannelli I II V VI e II IIT IV V appoggiata orizzontalmente nel nodo III ed avente fisso il nodo /, (fig. 6°). Supposti € caricati i nodi II, IV, V, VI rispettivamente dalle forze ab; cd, de, ef, mediante un poligono funicolare (figure 6*% e 7°) collegante queste forze ed avente il il primo lato passante pel nodo I, si determinano le rea- zioni: de verticale applicata. al nodo III ed fa. applicata al e si applica il Teorema di trigonometria su ricordato ai triangoli uvd, owd ove, uve, si deduce piè a, sen (uc) sen (0d). Onde la relazione finale del numero 12. DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE 278 nodo I nella direzione determinata dalla costruzione stessa. Si rifece (fig. 8°) la poligonale delle forze a dbedefa, disponendo queste nell’ordine in cui si incontrano i loro punti di applicazione girando sul contorno della travatura pel verso I II IIIL IV V VI. Per cadun vertice di questa poligonale delle forze si guidi, in- definitamente, la parallela all'asta di contorno collegante i punti di applicazione delle forze esterne misurate dai lati della poli- gonale concorrenti in quel vertice. Fin quì procedesi come se si volesse disegnare la figura reciproca dello schema della trava- tura nell'ipotesi in cui, per mancanza di una diagonale per pannello, la travatura fosse strettamente indeformabile e perciò staticamente determinata. Pel vertice f comune ai lati della poligonale ef ed fa mi- suranti le forze esterne applicate ai nodi I e VI si conduca la retta 1 parallela alla retta 1 dello schema della trave e vi si segni un punto A' ad arbitrio. Si conducano per 4A’ le paral- lele alle diagonali del 1° pannello I II V VI fino all’incontro delle parallele 2 e 4 alle aste omonime di contorno del mede- simo pannello in Ze V,e si compia il parallelogrammo VA'ZB'. Se il segmento f A4' misura la tensione del montante 1, avremo nei poligoni A'faVA', efA'Ze, A'VB'Z i poligoni di equilibrio dei nodi I, VI, VII, considerando per comodità di esposizione come nodi anche i punti d’incrocio VII ed VIII delle diago- nali di cadun pannello. Dalle tensioni così ottenute delle sbarre 1, 2, 3, (3), 4, deducasi con la indicata costruzione grafica per un pannello in genere, la corrispondente tensione del montante 5, e si inserisca nel diagramma degli sforzi in B'C' parallela alla retta 5 dello schema. 15. Avanti di proseguire, si osservi che supposti per la ten- sione del montante 1 altri valori fA”, fA”,...,il diagramma si modifica per modo che le punteggiate descritte corrisponden- temente dai punti Ve Z col muoversi del punto 4' sono simili alla punteggiata A/4"A"...; sono quindi simili, e perciò pro- spettivi, i fasci improprii (con centro all’infinito) descritti dalle rette VB', ZB'. Segue che, col muoversi di A' sulla 1, B' si muove su di una retta fissa descrivendo una punteggiata simile alla A'4"A"... Che se anzi osservasi che quando 4' coincide col punto M comune alle rette 1 e 4, il punto B' coincide col punto P comune alla retta 2 ed alla parallela 3 per M alla diagonale 3; e che se A' coincide con U, intersezione delle 274 ELIA OVAZZA rette 2 ed 1, B' cade in Y, punto d’intersezione della 4 con la parallela (3) per V all’altra diagonale (3), si deduce una semplicissima costruzione della retta sostegno della punteggiata B'B"B"... Questa retta, come risulta da tale costruzione, è la reciproca 5 della retta 5 dello schema della travatura nel- l'ipotesi in cui, tolta una qualunque delle diagonali del primo pannello, si disegni il diagramma reciproco della travatura così modificata. Segue che su questa retta stessa va disteso il segmento B'C' misurante la tensione del montante 5. 16. 1 punti M e P essendo punti omologhi nelle punteg- giaten ALA:IAR:+0)0 BID Basnetgnee ha: ) i m ai pedi, deo =... =W{(costaritè). PIB'T:R.B: Ba Ma da quanto venne dimostrato analiticamente a numero 6 e sinteticamente a numero, 11, si ha pure: = —r'y_i:kéfkèaktz ie, BC_-BC BC -BC sarà quindi AA" MA"-MA'=1:|(PC°- PC) (PB'- PB)|=% =———> pren TR rm Rare 7 ,à DILATA facci M ehe | A' Lao To" dra fi 7 o) (ot Po) = (MA MA)=k.00°—2A Onde ed analogamente in generale ATGALA ela. ei cotanto) CACMUCIC I punti C'C'C"... costituiscono adunque una punteggiata simile alla A'A"A4"... 1. Portata in B'C' sulla retta 5 del diagramma la ten- sione trovata del montante 5 corrispondente alla tensione f.A' del montante 1, conducansi per C' le parallele alle diagonali DELLE ‘RAVI RETICOLARI ELASTICHE 275 7 e (7) del secondo pannello fino all’incontro in X ed Y con le parallele 6 ed 8 alle aste di contorno del medesimo pannello, e compiasi il parallelogrammo X0'YD'. I poligoni deZB'C'Xd, ab YC'B'Va, C'XD'Y sono i poligoni di equilibrio dei nodi V, Il, VIII della travatura. Col variare della posizione del punto A' sulla retta 1, e perciò del punto C' sulla retta 5, anche il punto D' descrive una retta, la quale, dimostrasi come per la retta 5 sostegno della punteggiata B'B"B"..., è la reciproca della retta 9 dello schema della travatura strettamente inde- formabile che si ottiene togliendo una diagonale per pannello. Il luogo dei punti D' è quindi la parallela all’asta 9 condotta pel vertice c della poligonale delle forze, ed anzi le punteggiate descritte dai punti C' e D', C'C"C"... e DD'D"..., sono simili, essendone elementi omologhi le intersezioni @ ed A delle coppie di rette 5 e 6, 8 e 9 del diagramma. Dai poligoni di equilibrio così ottenuti, si deduca al solito modo il valore della tensione del montante 9 corrispondente alla tensione B'C' del montante 5, e si inserisca nel diagramma degli sforzi in D'E' parallelamente all'asta 9 e però sulla reciproca 9. Se il punto E' risultasse coincidente col vertice e della po- ligonale delle forze, la tensione trovata D'E' soddisferebbe alle condizioni di equilibrio dei nodi III e IV, per i quali sarebbero poligoni d’equilibrio rispettivamente i poligoni beD'Yd, cd XD'e. 18. Meno che per caso, il punto E' non risulta coincidente col vertice e della poligonale delle forze. Osservisi però che col variare della tensione V, del primo montante, le tensioni nelle sbarre 2, 3, (3), 4 del primo pannello, da considerarsi come forze esterne insieme con le ad e de rispetto al secondo pan- nello, variano linearmente con V,, e così dicasi della tensione W, del primo montante, che se ne deduce. Segue che anche le ten- sioni nelle aste 6, 7, (7) ed 8 del secondo pannello variano linearmente con V,, e per conseguenza anche la tensione Y, del terzo montante 9. Se quindi indichiamo con è ed e le posizioni dei punti D' ed E' per l’ipotesi di V,=0, per cui A' cade in f, si ha per due coppie qualunque di valori corrispondenti delle tensioni V, esp: FA è DE FA dp E": fA' =" VITTI Tr de) fA'=k" (D'E"— de) 276 ELIA OVAZZA essendo %° una costante. Sarà perciò : ossia AAT} |(RE'— RE')-{&RD'_RD)|-V.EE Dj Ma dalla similitudine delle punteggiate. 0'C"C",.... ; DDD 51 he pure: DIRE, SEI: e dal numero 16: ba CO =5AA; deducesene : A'A2KE:E essendo X una costante di proporzionalità. Le punteggiate fA'A"A"..., eE EF"... sono quindi pur esse simili. 19. Basterà cercare il punto A della prima che corrisponde al punto della seconda coincidente con €, per ottenere in fA la misura del vero valore V, della tensione del primo montante. A tal uopo su una parallela (9) alla retta 9 del diagramma degli sforzi, si porti il segmento (A))(A°)= A'A4", e si proietti il punto c sulla (9) in (A) dal punto comune alle rette (4°) E' ed (A4°)E". Si riporti sulla 9 il punto A per modo che abbiasi: sarà fA la tensione del primo montante che soddisfa a tutte le condizioni del problema. Sono quindi sufficienti due tentativi per la piena soluzione della questione proposta. 20. Dal valore ottenuto della tensione V, si dedurranno le tensioni delle altre aste della travatura, rifacendo la medesima via tracciata in cadun tentativo. Le operazioni grafiche per questa ulteriore ricerca risultano semplificate considerevolmente e con- trollate insieme dal paragone dei risultati ottenuti nei tentativi DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE 277 con quelli che si vanno man mano ottenendo, se si tiene conto della relazione fondamentale di similitudine delle singole pun- teggiate considerate nel corso della trattazione. ‘21. Non occorre provare che i ragionamenti fatti nel nostro caso speciale stanno qualunque sia il numero dei pannelli costi- tuenti la travatura, perchè completamente indipendenti da questo numero. 22. Il metodo adottato per la soluzione del quesito propo- stoci ha l'inconveniente, comune alle soluzioni grafiche per falsa posizione dei problemi di primo grado (*), che ben difficilmente sì possono scegliere i tentativi per modo che le corrispondenti costruzioni grafiche rimangano nei limiti del foglio. È questo stesso inconveniente che rende delicata la soluzione numerica del problema, bastando un piccolo errore nelle singole operazioni a produrre notevolissimi errori nei valori finali. Si ovvia a questo non continuando gli stessi tentativi del principio alla fine del calcolo, ma variandoli di pannello in pannello. Si osservi che le congiungenti i punti omologhi delle punteggiate simili, che vengono a considerarsi sulle rette reciproche alle rette dello schema che sono assi di montanti, inviluppano parabole perfet- tamente individuate da queste reciproche e da due qualunque di quelle congiungenti, come tangenti. [nd:viduate separatamente le singole parabole con tentativi fra loro indipendenti, e facili a scegliersi per modo che le costruzioni rimangano nei limiti del quadro, riesce ovvia la definitiva soluzione del quesito. Non ci indugiamo sui particolari relativi alla semplificazione così ac- cennata, i quali ci porterebbero ad eccedere dai limiti concessi alla mole del presente lavoro ; ci ridurremo a considerare su di un esempio il caso speciale, frequentissimo in pratica, in cui essendo tutti paralleli fra loro gli assi dei montanti, dette pa- rabole riduconsi a punti, centri di similitudine delle diverse coppie di punteggiate. 23. La figura 10* è lo schema di una trave a correnti ret- tilinei paralleli, con appoggi estremi semplici distanti fra di loro (*) G. FourET, Poutres è plusieurs appuis. Comptes rendus de l’Académie des Sciences de Paris, Mars, 1875. G. SacHERI, Determinazione grafica dei momenti inflettenti sugli appoggi di un ponte a più travate. Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino, vo- lume X, 1875. 278 ELIA OVAZZA di m. 31,02, e con pannelli di forma quadrata. Distingueremo ordinatamente con successivi numeri romani i successivi pannelli dall’appoggio di sinistra verso quello di destra e contraddistin- gueremo con gli stessi simboli come indici le quantità rife- rentesi ai vari pannelli (*). Le aste di contorno ed i montanti hanno lunghezza comune di m. 2,82 fra nodo e nodo, le aste diagonali hanno lunghezza comune di m. 3,99. Le sezioni tra- sversali dei montanti hanno tutte area eguale a cm? 42,24; le altre sbarre hanno le sezioni indicate in cm° della seguente ta- bella. ASTE DI CONTORNO superiore inferiore Gioi —0118,2 po C=S0F840£ perio — 19439 Vi = Mx. = a o = si 1940 Vie le = Wy =@®g, = 228,9 vu ipo = 2008 de, = 404,9 Ve = Yz ACE Qah=:20259 Vi = 2344 ASTE DIAGONALI DISCENDENTI da sinistra verso destra da destra verso sinistra 00° — GIA 0, = 70,08 o 10008 Ya "2050 dirne D184, . 0, = 5920... Ye =59:20.)) e pt Ù;, = 4224) nd = 55200 Vga bij0 a ie 0A! “O = 49007 go U 15600! SCE Our 29408 — Grigi 29,00. ay, = 29,60, ò,, = 20,80 Iv = 20,80 Calcoleremo la trave nell’ipotesi di carico uniformemente ripartito su tutta la lunghezza della trave e trasmesso a questa in corrispondenza dei nodi da travi trasversali. È questa la con- (*) Questa trave è calcolata coi metodi approssimati ordinari nella pre- gevolissima opera: Max EpLeN von LEBER, Die neue Briickenverordnung des oesterr. k. k. handels-ministeriums. I. Band, pag. 166. Vienna 1888, DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE 279 dizione di carico che si assume come la più sfavorevole per le aste di contorno. Applicato in parti eguali ai due contorni il peso proprio della trave, in ragione di Kg. 700 per metro lineare, e concentrati sui nodi del contorno inferiore i sovrac- carichi permanente ed accidentale, in ragione di tonnellate 0,4 e 3 per metro lineare rispettivamente, si dovranno, arroton- dando, supporre caricati i vari nodi della travatura dei seg- menti carichi : Nodo di contorno inferiore: intermedi. ton. 10,6; estremi, ton. 5,3 » » superiore: » » 1 b » » 0,5. 24. A fig. 11, disegnata la poligonale 0,1.2,... 26. delle forze esterne, che qui riducesi ad una retta verticale, nell'ordine . in cui le forze si presentano applicate girando sul contorno della trave sempre nello stesso verso, e precisamente partendo dal- l'appoggio A e percorrendo prima il contorno inferiore (i seg- menti 12,13 e 25,26 misurano le reazioni degli appoggi destro e sinistro rispettivamente), si costruirono le reciproche delle rette dello schema, come si indicò nella trattazione generale. Assunti due valori arbitrari 254, 254° della tensione del montante 1; si calcolarono i corrispondenti valori delle tensioni delle aste 2, 8, (3), 4 del primo pannello; quindi dedotti in fig. 12% segmenti proporzionali alle corrispondenti dilatazioni, 02, 03, 04, 0(3). con la costruzione indicata a fig. 3%, si calcolarono mediante diagrammi Williot (fig. 13*) i corrispondenti valori della tensione del montante 5, e questi si inserirono in B'0' e B'C° nel dia- gramma degli sforzi. 25. Va notato che in questo caso speciale, a causa dell’e- guaglianza di lunghezza delle sbarre diagonali, le rette Of della fig. 3* relative a queste sbarre, coincidono con la bissetrice dell’angolo #0y, mentre quelle riferentisi alle sbarre di contorno ed ai montanti coincidono con l’asse y. avendo dette sbarre tutte eguali lunghezze. Di più, essendo eguali anche le aree delle se- zioni trasversali di tutti i montanti, assunto nel diagramma Williot per misura della dilatazione del primo montante, la ten- sione sua causa, il diagramma stesso dà senz’altro nella misura della dilatazione del 2° montante la misura della corrispondente tensione di questo montante medesimo Come conseguenza de'la Atti R. Accad. - Parte Fisica, ece. — Vol. XXVII. 21 280 ELIA OVAZZA forma quadrata del pannello, il centro 6, ; di similitudine delle punteggiate A A4"..., LB... coincide col centro del quadrato limitato dalle rette 1, 2, 4, 5 del diagramma, onde queste pun- teggiate riescono simmetriche rispetto al centro &, s. La fig. 11° poi indica la posizione del centro $, ; di similitudine delle pun- teggiate AA"... CC"... 26. Risulta dal disegno che, se si continuassero gli stessi tentativi per la costruzione relativa al 2° pannello, la figura assumerebbe proporzioni e-agerate; ed invero le tensioni del mon- tante 9 corrispondenti ai valori B'C° e B'C° della tensione del montante 5, calcolate a parte ed inserite nel diagramma, non restano nei limiti del quadro. Si a-sunsero perciò altri due va lori B"C0" e B!C'! della tensione del montante 5 e si operò come pel pannello primo, deducendo così la posizione dei centri di similitudine &;,, e €, , delle analoghe punteggiate sostenute dalle rette 5 e 9 dello schema. Va notato però che fissati ad arbitrio i punti C” e C', i punti B" e B'‘ vanno determinati di conseguenza mediante le note relazioni di similitudine. Basta a tal uopo osservare che i punti C" e B”, e così dicasi di C'e B!‘. sono le proiezioni sulla retta 5 di uno stesso punto della 1 dai centri £,;, e S,;. Analogaente si determinarono gli altri centri & e $ di similitudine corrispondenti agli altri sue- cessivi pannelli, centri che diremo punti fissi per l’analogia che presentano con gli omonimi punti singolari che s'incontrano nella teoria della trave continua, in molti punti analoga alla teoria qui esposta. Nel disegno non si esposero i diagrammi Williot fuorchè pel primo pannello, ed anzi, per ragione di chiarezza, pel pannello V ci limitammo a segnare la posizione dei punti fissi dedotta da costruzione fatta a parte in scala più opportuna. 2%. Trattandosi di trave simmetrica e simmetricamente ca- ricata, non occorre protrarre la costruzione fino all’ultimo pan- nello di destra, potendosi assumere come condizione determinante la definitiva soluzione del problema l’eguaglianza delle tensioni dei montanti 21 e 25, che limitano il pannello centrale. Basterà perciò determinare due coppie di elementi corrispondenti, X' ed Y°, X' ed Y° delle punteggiate simili sovrapposte descritte, sulle rette 21 e 25 coincidenti del diagramma, dai vertici X ed Y. dei due rettangoli funzionanti da poligoni d’equilibrio dei nodi ideali X ed L (fig. 10) d’inerocio delle diagonali dei pannelli adiacenti al centrale, e determinare delle due punteggiate così DELLE SIRAVI RETICOLARI ELASTICHE 281 individuate gli elementi corrispondenti equidistanti dall’asse di simmetria, X), del diagramma degli sforzi (fig. 11°). La ricerca degli elementi X' ed Y°, X° ed Y" fu fatta a parte a fig. 14 in scala doppia di quella per la fig 11% Fu ommessa per chiarezza la costruzione dei punti X ed Y equi- distanti dall’asse X) di simmetria, costruzione che fu condotta secondo che indica la fig. 15°. Ribaltata la punteggiata X'° X"... attorno al punto Q gia- cente sull’asse di simmetria in (X°) ed (X'), si condussero per (X°) ed (X°) due parallele mm ed »°", ad arbitrio, ed altre due parallele »' ed n" per Y' ed Y'; la congiungente i punti m'n/, m'n' passa pel punto (X) unito delle punteggiate simili so- vrapposte (X')(X")..., Y Y"... Ribaltata (X) in X attorno ad ©, si hanno in X ed (X) gli elementi corri.pondenti cercati. 28. Riportato il punto X dalla fig. 14% alla 11”, si co- truisca la poligonale avente i vertici successivi sulle reciproche, 17, 13, 9, 5, 1, degli assi dei montanti, il primo vertice in X, ed i lati passanti pei successivi punti fissi £. Im seguito si pro - ietti sulla retta 5 dal punto fisso £,; il vertice A di questa poligonale che giace sulla retta 1, si proietti sulla 9 dal punto fisso $; il vertice della poligonale giacente sulla retta 5, e così via. Vengonsi per tal modo a determinare sulle rette reciproche agli assi dei singoli montanti i segmenti misuranti i veri valori delle tensioni provocanti le sbarre corrispondenti, da cui facil- mente deduconsi le ten.ioni di tutte le altre sbarre del. sistema, siccome indica in modo evidente la figura. 29. Nella metà inferiore della fig. 11% si espose parte del diagramma degli sforzi che si ottiene nell'ipotesi, accettata in via di approssimazione quasi universalmente nel mondo tecnico, che ogni singola sbarra soffra tensione eguale alla media arit- metica di quelle che softrirebbe quando mancasse l’uno e poi l’altro dei due sistemi di diagonali parallele (*). È notevole che quest’ipotesi conduce nel nostro caso a valori delle tensioni di alcune sbarre di contorno differenti da quelli da noi trovati con la teoria dell’elasticità di circa 0,18 della tensione medesima. Questo errore ordinariame:te viene compensato dal fa'to che per (*) Cfr. RirtER. I. c. MuLLer-BresLAu, l.l. c.c. WicLioT. l. c. 282 ELIA OVAZZA ragioni costruttive alle sbarre per cui tale errore relativo risulta massimo (le sbarre di contorno adiacenti agli appoggi), si danno diménsioni molto più grandi di quelle che richiedonsi dalle con- dizioni di stabilità. 30. Esporremo da ultimo nella seguente tabella i valori in tonnellate delle tensioni delle singole sbarre ottenuti con l’ap- plicazione analitica della teoria dell’elasticità, calcolo necessa- riissimo pel controllo d’un calcolo grafico di natura singolar- mente dilicata qual’ è quello da noi esposto. Avvertiamo che per ragioni di simmetria la tabella potè limitarsi a circa metà della trave. In essa si contrassegnano come positive le tensioni, come negativi gli sforzi di compressione. ASTE DI CONTORNO ae rie r DB" — dc superiore Oi =— 24,5 On=— 83,6 On= — 121,9 Owv=— 154,1 | Ov =—168,8 Ove =— 174,8 inferiore Mii= 1 033;5 Un=+ 788 Un =+ 121,7 Uryv=+ 150,5 Uy =-+ 167,6 Uve =-+173,2 DIAGONALI DISCENDENTI e "ili flo gg da sinistra da destra verso destra verso sinistra Di =+ 347|C.=— 4A Di=4+ 362 1 =— 294 Du=+ 248 | On =— 244 Dv=+ 469 | Cv=— 149 Dv=+ 9Ulov=— 78 e dolore 10 Torino, 34 Gennaio 1892. MONTANTI Vv, =— 250 Vi =+ 69 Vi=+ 225 Vn=z+ 43 Vi ="ilbaie Valc= al L’Accademico Segretario Giuseppe Basso. —— n *—T3>-> 2° n LE ZAR IZATA PI CE ee Atti RAccad. delle Sc. di Torino — Fo/XIZ/ SUL CALCOLO DELLE TRAVI RETICOLARI ELASTICHE ad aste sovrabbondanti NOTA dell’ Ing. Elia Ovazza _ Classe di Scienze Fisiche, Matematich SA ; î vota, 3 i x | ADUNANZA del 14 Febbraio. | Ovazza — Saul calcolo delle travi reticol sovra nonne ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORTINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUB CLASSI Vor. XXVII, Disp. 8*, 1891-92 Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO CL AUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze * ibi CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E, NATURALI Adunanza del 28 Febbraio 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, SAL- VADORI, Cossa, Bruno, BERRUTI, BizzozERro, FERRARIS, NACCARI, Giacomini, Camerano, SEGRE e Basso Segretario. \ Si approva, previa lettura, l’atto verbale dell'adunanza (pre- cedente. sb “I Socio Naccari presenta e legge una Nota del Dott. Fe- derico Guarpucci, Ingegnere nell'Istituto geografico Militare, ‘col titolo: Sulla determinazione degli azimut della geodetica che passa per due punti dell’ellissoide terrestre. Questo livoro del- l'Ing. Grarpucci sarà pubblicato negli Atti. no w° Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 284 F. GUARDUCCI LETTURE Sulla determinazione degli azimut della geodetica che passa per due punti dati dell'ellissoide terrestre; Nota del Dott. FEDERIGO GUARDUCCI Il problema della determinazione degli azimut reciproci del- l’arco di geodetica che unisce due punti dell’Ellissoide terrestre, dei quali sono date solo le coordinate geografiche, può risolversi molto semplicemente e colla approssimazione ai termini del 5° ordine nel modo seguente. Siano P, e P, (fig. 1) i due punti dati aventi rispettiva- mente per latitudini L, ed L,, (ZL, < L,) e per longitudinali 6, e 6, contate da Occidente in Oriente; e siano 2, e 180°+z, gli azimut in P, e P, dell’arco di geodetica PP,=s contati da Nord verso Est. Indicando con r, ed r, i raggi dei paralleli in Pj e P,, - abbiamo r; sen z;= 7, Sen 4, ovvero, introducendo le rispettive latitudini ridotte u, e u, COS U, sen 4 = C0$S U, sen Z9 4 dalla quale si deduce facilmente 1 1 1 1 (De tang5(2,+2,)=tang3(2,—2)cotangz(u,+w)cotang s(U—%, espressione rigorosa che ci risolve il problema quando sia noto il valore della convergenza dei meridiani z,—2,- Il teorema di Dalby ci offre, come è noto, il modo di ot- tenere molto semplicemente e colla approssimazione ai termini di 5° ordine il valore della analoga convergenza relativa però agli azimut «, e «, delle sezioni normali invece che a quelli della geodetica riducendo il problema al caso di una sfera: in DETERMINAZIONE DEGLI AZIMUT DELLA GEODETICA 285 altri termini se riportiamo sopra una sfera le latitudini L, e L, e la differenza di longitudine 9, 9, =A9 ed indichiamo con 4, e 4, gli analoghi azimut che risultano pel cerchio massimo passante pei due punti così determinati, abbiamo pel citato teorema: 1 (2)... a-a=d,—- i et AL*. AG cost LySenLm+ .- nella quale AL e A$ rappresentano rispettivamente le differenze di latitudine e di longitudine, L,, il valor medio della latitudine ed e la eccentricità dell’ellisse meridiana il cui quadrato e? ri- guardiamo come quantità di 1° ordine al pari di AL e A9. Nella (2) i termini del 6° ordine costituiscono una picco- lissima quantità che alle latitudini italiane e nelle condizioni più sfavorevoli raggiunge appena il valore di due millesimi di secondo per punti che distano fra loro di dieci gradi tanto in latitudine che in longitudine; si possono dunque trascurare, ed applicando una delle analogie di Nepero, abbiamo senZ,, 1 1 1 (3)... ang, (xa—_a,)= tango (d,-a.)= tang 3 AG. -AL COS 5 Per passare da questa alla espressione della quantità 1 i tang gl) che ci occorre, giova la formola data da Wein- garten relativa alla differenza fra l’azimut della geodetica e quello della sezione normale in un punto qualunque dell’ellissoide. Questa formola ci dà infatti pel punto P, di i SH 22 EA sen 2L. senz Mn — — sen ca 3 Se AT 4 12(1—@) Wa l 1° 4808 1 1 + termini di 6° ordine, nella quale N, ed , rappresentano rispettivamente la gran normale e il raggio di curvatura del MEDE s meridiano alla latitudine L, e la quantità ia ed = vengono 1 1 riguardate come quantità di 1° ordine al pari di e°. 9 Do Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 386 F. GUARDUCCI Pel punto P, abbiamo analogamente ti80 Pia, — (Rees a 2 9 9 2 o) e 05 ; (AME Ca =—_-—-;_ cos°L,sen24,+ - — sen 2L, sen 2, + termini L(l_-e) Na 5 tV A8° 05 7 di 6° ordine, dalla quale, sottraendo la precedente, abbiamo es \cos°L,sen2z, cos’L;sen2z; | 12(1-é)) N, fa gli (4)94 R es a I + term. di 6° ord. 48 Pa Pi Indicando con a il semiasse equatoriale, abbiamo la nota espressione 1 (1—e°sen°L,) No; a?(1— e) (1-e’sen*L;)? 2e°AL(1- e'sen°L.)sen2L, . a°(1—c°) a?(1— e?) 1 9 CATO ni + termini di 2° ordine, Pi per cui senza alterare la approssimazione possiamo nella (4) porre E, ed N in luogo di 7, ed N,. Inoltre gli sviluppi di Le- nil di 2 2 gendre ci dànno L,=L,+= c0s2,+. Ra Pi (O)-5o 2,=2,+ = senz;tangZ, +... È bf dalle quali si deduce mediante lo sviluppo in serie di Taylor cos°L, =cos° L, — DI cosz, sen2L +... 1 2 sen2z,=sen2z, + a senz, cos 22, tang L, +... 1 DETERMINAZIONE DEGLI AZIMUT DELLA GEODETICA 287 sen 2L,=sen AL be. == 3 -—— sen? senz, = sen 2, + DN sen 22, tang L, +. Il i: 1 . e sostituendo nella (4) ed osservando che ad — possiamo s0- Pi 9, i i 1 stituire quantità dello stesso ordine N’ abbiamo dopo fa- Il cili riduzioni e trascurando quantità di ordine superiore e 3 (6) \ CO MER VER e .» ) | + termini di 5° ordine (*), dalla quale si deduce indicando con 37 il modulo dei logaritmi di Brigg 1 1 log. tang 5 (e, — 2) =log tang 7 (2-1) (ri: | M e° s3 sen L, cos L, senz, 12.N} sen(a,—a;) e poichè per la (5) abbiamo I a ssenzi e, 2, (Wa N, © tangL, tangL, 1 la precedente diviene I 1 2 Mes a -3) 12. N° sen(e,_2) 1 ‘log tang — (2, —)) =logtang 3 (a9—2;) - costL, +... (*) La deduzione di questa espressione si trova anche nell’opuscolo del Prof..N..Japanza,: intitolato : Guida al calcolo delle coordinate geodetiche. Torino,, Loescher, 1801. 288 F. GUARDUCCI (a ovvero per la (3) e ponendo l’unità pel fattore sen (2, sen(2,— 2) 1 L 1 log tang 5 (e— “= log e tang 2. AG cos- AL (e 2 sha? Condono 120 Il la quale ci dice che il calcolo della quantità log tang 3 (@—21) possiamo eseguirlo seguendo la (3), ossia come se i punti dati si trovassero sopra una sfera, salvo ad aggiungere la correzione logaritmica Mila sa L O) N? cos L, , la quale si calcola facilmente quando si abbia un valore anche grossolanamente approssimato (sono più che sufficienti cinque de- cimali nel suo logaritmo) della distanza s che può ottenersi con un calcolo provvisorio, considerando questa distanza come l’ipo- tenusa di un triangolo rettangolo avente per cateti gli archi di meridiano e di parellelo sottesi rispettivamente da AL e A8 alla latitudine media L,, Del resto questa correzione è molto piccola e decresce colla latitudine L,; alle latitudini italiane essa incomincia ad acqui- stare il valore di mezza unità del 7° ordine decimale per distanze fra i punti di circa 130 chilometri, per cui, nella gran maggio- ranza dei casi che si possono presentare in pratica, si potrà tra- scurare riserbandola a quei casi speciali di distanze molto maggiori che richiedono l’uso di logaritmi a più di sette cifre decimali e che esigono il massimo rigore compatibile colle formole. La (1) risente dunque soltanto della incertezza di determi- nazione della convergenza dei meridiani ottenuta dalla (6) e ci dà perciò gli azimut 2, e £, colla approssimazione del 5” ordine, venendo così ad essere in armonia con quella del 6° ordine nelle coordinate geografiche. Del resto spingendo ancora la approssi- mazione nella ricerca del valore della convergenza dei meridiani possiamo dare alla (1) quel grado di esattezza che si desidera, DETERMINAZIONE DEGLI AZIMUT DELLA GEODETICA 289 Esempio 1° Per mostrare una applicazione del metodo esposto mi servirò delle relazioni rigorose fra le latitudini, longitudini ed azimut dei due punti Berlino e Kénigsberg (che distano fra loro di circa 530 chilometri) contenute nell'esempio I a pag. 224, vol. 1 del trattato dell’illustre Prof. Helmert (Die mathematischen und phisikalischen Theorien der hiheren Geodisie. Leipzig, 1880), e supponendo note le latitudini e la differenza di longitudine dei suddetti punti, procederò alla ricerca degli azimnt reciproci della geodetica che li unisce. Chiamando dunque L, la latitudine di Berlino, L, quella di Kònigsberg e 46 la ho differenza in longitudine, i dati del problema sono L,=52°. 30/. 16", 7 L,=54.42.50,6 di =02. 12.339 AG=7°, 06’. 00", 00002 ed il quadro seguente mostra il procedimento del calcolo. 290 F. GUARDUCCI (P;) Berlino L, =522.30/.46", 7 uy=520.2443",01137 (P,) Kònigsberg L,=54.42.50, 6 vu, =54..37.24 , 75639 42.33.90 Au= 2.12.44 ,74502 A9=7°.06/.00”7,0 NE=TZIA j TAL — 414.0641695 1Au= 1.06.20 , 87251 1A460=3.33 .00, L= 93..36.33 ,69 Ur =93 31.03, 88388 Fig. Alla latitudine 53° 36. Arco di meridiano di ampiezza 2°.12'—m—=245 chil, m?—= 60025 Arco di parallelo di ampiezza 179.06 = p =470 » p?= 220900 Valore di s? in chilometri — 280925 Jog sin imoetri)......... = 11. 44858 log costante = 6.38301 — 20 2 logs = 11. 44858 2 log cosLZ, = 956880 log sen'Z,, = 9,9057908. 073 2 colog N, = 6.38888 log tang 149 —8. 7926619. 628 log correzione = 3,7892710 ©0l0gcos 3 AL =0. 0000807. 204 correzione = 0. 0000006. 155 log tang 3 (c2-3,))=8.6985341.150 i(a,—4)= 29.51’ 34”,3 log cotang u,, =9. 8689275. 387 log cotang 3 Au = 1. 7143929. 370 log tang 3 (#2-2)=0 2818545900 1(z,t-2,) = 62. ” AzimuttinbP.,= 60%: z,= 59:33 .00 ,608 Secondo HELMERT » » » 89 Differenza .. 0,004 z,= 65.16.09 ,370 180 .00 . 00 ,000 » » Pr... 180+2,=245 16.09 ,370 Secondo HELMERT » » » 65 Differenza ...-,.. 0 ,006 DETERMINAZIONE DEGLI AZIMUT DELLA GEODETICA 291 Come si vede dunque gli azimut con tal metodo determinati differiscono soltanto di circa mezzo centesimo di secondo da quelli ottenuti dal Prof. Helmert con procedimento rigoroso (*), diffe- renza insignificante e che malgrado la distanza abbastanza rilevante che separa i punti equivale praticamente ad uno spostamento ‘laterale di circa un centimetro di un punto rispetto all’altro sulla superficie terrestre. Si noti inoltre che nell’esempio scelto, nel quale i due punti differiscono poco in latitudine e molto in longitudine, vengono realizzate le peggiori condizioni pel problema, giacchè al diminuire della differenza in longitudine, le sezioni normali tendono a di- venire geodetiche, ed il termine di 5° ordine della (2) tende ad annullarsi, ciò che porta ad una più esatta determinazione della convergenza dei meridiani 2,— 2, . Esempio 2°. Per applicare il metodo anche ad un caso che più si avvicini a quelli ordinari della pratica usufruiremo dei dati contenuti nell’Esempio II a p. 302 del precitato Trattato, nel quale esempio i punti distano fra di loro di 120 chilometri, ed eseguiremo il calcolo con tavole a sette sole cifre decimali. I dati sono: L,=56°. 13'. 49", 0218 L,=57.00.00, 0000 AL= 0°. 46'.10”, 9782 AQ= 1°. 22’. 06", 0326 ed il quadro seguente mostra il calcolo. (*) Il Prof. HeLMERT conta gli azimut da sud verso ovest, per cui gli risultano maggiori dei nostri di 180°, 999 #. GUARDUCCÌ L, =56°.43'. 49", 0218 u, = 56°. 08’. 29", 6878 L, =57.00 00, 0000 ug =56.54.44 ,3148 NIL= 10446 10982 Au = 0 46.14 ,6270 A0= 1°, 22.06”, 0326 TIA (= 02309 36 au = 0.23.07 ,3135 1a0=0.44.03 ,0163 L,, =56 .36.54 , 5109 Um =96 341.37 ,0013 Polo / Alla latitudine 56°. 37’ Arco di meridiano di ampiezza 0°.46'=m = 85 chil. m°?= 7225 Arco di parallelo di ampiezza 10,22" = p =84 » p° = 7056 Valore di s® in chilometri — 414281 » log s? (in metri) — 10.15476 log costante = 6.38301 — 20 2 log Si40. 15276 2logcos ZL, 9.48992 log sen Z,,, — 9. 9216829. 7 2 colog N,= 6.38870 logtang 3A0 —=8.0770627.8 log correzione = 2 41639 — 10 CRUI correzione — 0. 0000000 3 log tang 1(z9-#,) =7.9987555.8 1(2,—a)= 0° 34.16”, 68 colog tang u,, =9.8203390. 4 colog tangi Au —=2.1722459. 6 log tang3 (59+33)= 9. 9913385.8.. i(a,+4)= 44.25. 2,= depp so = 44.59 180 .00 180 + 3, = 224 .59. Azimut in P,=360— 2, —(0100D= Secondo HELMERT » » Differenza .... 0,02 » » P,=360—(180+2,)=135.00.00 ,02; Secondo HELMERT » » _0 Differenza .... 0,02 DETERMINAZIONE DEGLI AZIMUT DELLA GEODETICA 293 Si vede dunque che gli azimut risultano in questo caso errati di circa due centesimi di secondo, ciò che equivale ad uno spo- stamento laterale di circa un centimetro di un punto rispetto all’altro, quantità insignificante ed appena in armonia coi deci- millesimi di secondo nelle coordinate geografiche. Nell’eseguire il calcolo conviene assumere sempre per punto P, quello di latitudine minore, nel qual caso possiamo dispen- sarci dall’aver riguardo al segno di A& intendendo che gli angoli 2; e 2, dati dalla formola sono contati da Nord verso Est quando il punto P, è a destra di P, e da Nord verso Ovest nel caso contrario, salvo poi a ridurre questi ultimi a veri azimut secondo la convenzione stabilita Firenze, 10 febbraio 1892. L’Accademico Segretario GrusePPE Basso. ee TL>_-* tue 10280. Son 12970 cziov bro } gni IDR]. 4 (9; x Ra Miriana) i $. 4: 200 à NASA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DEE, TO REANO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXVII, Disp. 9%, 1891-92 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 295 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 13 Marzo 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio, Direttore della Classe, Sar- vapoRI, Cossa, BeRRUTI, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA, Giacomini, CAMERANO, SEGRE, e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, il Socio Segretario presenta in dono all'Accademia un libro del sig. Cav. Alessandro MARINI, intitolato: La Sericoltura italiana nel 1891. Viene poscia data lettura dei tre seguenti lavori: 1° « Dei Monostomum del Box Salpa; Studi sui Tre- matodi endoparassiti; » del Dott. Francesco Saverio MONTICELLI, presentati dal Socio CAMERANO. 2° « Formole relative delle forme binarie del sesto or- dine », del Prof. Enrico D’Ovipio: Nota presentata dallo stesso Socio Autore. 3° « Studi sull’allenamento »; Ricerche del Signor Gre- gorio Manca, studente di Medicina, presentato dal Socio Mosso. Questi lavori verranno pubblicati negli Att. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 23 296 FR. SAV. MONTICELLI LETTURE Studii sui Trematodi endoparassiti. - Dei Monostomum del Box Salpa; Nota di FR. SAV. MONTICELLI Del Box salpa si conoscono tre specie di Monostomum tro- vati parassiti nell’intestino: il M. capitellatum Rud., il M. or- biculare Rud., ed il M. spinosissimum Stossich assai più raro dei precedenti. Nei Box salpa del nostro golfo io ho ritrovato tutte e tre le suddette specie ed un’altra forma nuova. Lo studio di queste forme da me ritrovate mi ha fatto avveduto che lo Stossich (1) ha riferito al Monostomum capitellatum Rud. una forma del tutto diversa da questa e che, invece, concorda a capello con quella nuova da me ritrovata. Infatti il IM. capitellatum descritto per la prima volta dal Rudolphi nel 1819 da quanto io mi conosco, non è stato mai fisurato. Il Wagener solamente ha dato una immagine delle uova di questa specie che non sono pedicellate e già nell’utero con- tengono un embrione a termine (2). Siccome io ho trovato nel Box saipa dei Monostomum che con la descrizione data dal Rudolphi del suo M. capitellatum concordavano ed avevano le uova appunto senza pedicello e con- tenevano embrione a termine simile, anzi, identico a quello figurato dal Wagener, li ho identificati col M. capitellatum, ritenendo quello doversi riguardare per tale, che Wagener ha ristudiato e ne ha figurato le uova. Gli esemplari da Stossich riferiti al M. capitellatum hanno, invece, uova con prolungamenti polari, dei quali dà una fedele immagine lo Stossich (loc. cit.), e quindi, ancorachè non differissero, come differiscono, per altri caratteri (1) Brani di Elmintologia tergestina, Serie I, in: Boll. Soc. Adr. Sc. Nat Trieste, Vol. VIII. 1883, pag. 2, Tav. II, fig. 9. (2) Beitrage zur Entwicklungs-geschichte der Eingeweidewiirmer, Haarlem, 1857, pag. 101, fig. 5, Taf. XIX. | STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 297 dal M. capitellatum, per questa sola caratteristica non possono a questa specie riferirsi. Ond’io penso che a questa forma nuova, perchè oltre che differente dal M. capitellatum lo è ancora dagli altri Monostomi del Box salpa e degli altri Monostomum in genere, si debba imporre il nome specifico di M. Stossichianum in omaggio di chi primo l’ha trovata. Intendo in questa noterella descrivere queste due forme (M. capitellatum e M. Stossichianum) per meglio permetterne il riconoscimento, mettendo in evidenza le caratteristiche diffe- renziali di ciascuna, perchè mi è necessario stabilir bene l’ identità di queste due forme per ciò che dovrò dire in un altro di questi miei studi sullo sviluppo di una di esse (MM. capitellatum). Monostomum capitellatum RupoLPHI [1819]. (Entoz. synops, pag. 83 e 343). avi nero, ah, 0, de, 14° 10, AMSA 207 120) La forma del corpo di questa specie allo stato vivente può bene apprezzarsi nella figura 3: anteriormente ristretto, subci- lindraceo , leggermente rigonfio terminalmente, quasi a mentire una capocchia, si slarga gradualmente fino a divenire del tutto terete e cilindraceo nel suo terzo posteriore, e si termina po- steriormente subtroncato. Ha colorito generale bianco-trasparente e mostrasi giallo limone nella parte centrale della metà poste- riore con macchiette irregolari più o meno estese, dendritiformi nerastre che si estendono anche nella parte anteriore ristretta del corpo : queste macchiette dendritiformi ad un esame più mi- nuto, si mostrano riunite fra loro a formare una rete a maglie larghe ed irregolari (v. fig. 1, 3). Tutta la superficie del corpo è rivestita di fitti aculei, che solo nello estremo posteriore si fanno più radi, disposti, come d’ordinario, con le punte rivolte indietro (figo 0021) Esaminando degli esemplari in alcool sia fissati direttamente con questo liquido, sia preventivamente ammazzati con sublimato, il corpo mostrasi come l’ho disegnato nella fig. 4: l’estremo an- teriore si ricurva a pastorale, cosicchè l’orifizio boccale viene a capitare di contro la faccia ventrale del corpo, e tutto il corpo ha aspetto rigonfio, cilindraceo, allungato : nella parte anteriore della superficie ventrale (quasi per un terzo della lunghezza to- 298 FR. SAV. MONTICELLI tale del corpo) esso si presenta scavato abbastanza profondamente. Questo escavamento è limitato posteriormente da una cresta tra- sversale sporgente: in prossimità di questa osservasi posteriormente un leggero infossamento della parte media posteriore che presto scomparisce e così il corpo diventa del tutto cilindraceo fino al- l'estremo posteriore dove è rotondato, subpuntuto. In corrispon- denza della cresta ventrale, come si vede chiaro nella figura 4, si osserva un infossamento trasversale della superficie dorsale che fa apparire maggiormente rigonfia e ripiegata ad arco la parte anteriore del corpo. Gli aculeetti che ricuoprono il corpo di questo Monostomum sono tanto addossati l’uno all’altro da dare l’immagine di una palizzata (visti in sezione): essi sono conici, puntuti, a punta sub- ricurva ed impiantati nell’ectoderma (cuticula Auct) dalla quale fuorescono le punte, mentre la loro porzione basale poggia sulla membrana basale, o limitante dell’ectoderma (fig. 21): tutt'intorno la base degli aculeetti si osservano delle granulazioni colorabili col carminio in certi casi molto apparenti (v. figura). Sviluppatissima in questa specie, come pure nel M. Stos- sichianum ed in generale in tutti i Monostomi, è il sacco mu- scolare cutaneo, o somatico, in tutti i sistemi di fibre che lo co- stituiscono. Le figure 2 e 21 valgono assai bene a dimostrarlo e da entrambe si ricava il grande sviluppo, sopra tutti, del sistema di fibre diagonali che dà al corpo l'aspetto reticolato, che si riconosce tanto all'esame a fresco, quanto di animali con- servati in alcool e preparati in glicerina. Nè meno sviluppato è il sistema muscolare delle fibre dorso ventrali. così in questo, come nel M. Stossichianum, come mostra la fig. 11. In questa muscolatura ho potuto osservare delle belle fibrocellule musco- lari che ho rappresentate nella figura 7. Esse hanno forma allun- gata, irregolarmente fusiforme e le loro estremità si continuano in fibre contrattili: il loro protoplasma centrale è compatto ed uniformemente poco colorabile, ed in prossimità dei prolunga- menti polari comincia a mostrarsi alquanto granuloso e presenta delle strie longitudinali che si continuano nei prolungamenti fi- brillari. I fasci di fibre del sistema muscolare dorso-ventrale sono costituiti da fibre che s’inseriscono isolatamente sulla mem- brana basale dell’ ectoderma e si riuniscono insieme, a formare i fasci, nel mezzo del corpo. Disotto gli strati muscolari del sacco muscolare cutaneo 0 somatico, evidentissime, tanto nel M. in STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 299 esame, come nel M. Stossichianum, si osservano numerose cellule come mostrano le figure 11, 21, con nucleo distinto e for- temente colorato, le quali formano uno strato compatto tanto, quanto finora non ho osservato in altri Monostomum. Non è sempre facil cosa il riconoscere la forma di queste cellule: ciò dipende dal modo come vengono sezionate e dalla loro posi- zione obliqua.Come si scorge dalla fig. 18, esse hanno l’aspetto di pera, o di fiasco a collo molto lungo con protoplasma fina- mente granuloso e punteggiato che rimane quasi incoloro col carminio e con altri mezzi coloranti, o pallidamente tinto in roseo, meno che in prossimità del nucleo dove osservasi un alone di protoplasma più fortemente colorato. Il nucleo è grande ed occupa la parte centrale della cellula, ha forte contorno e rimane quasi incoloro coi reattivi coloranti: nel centro vi si nota un nucleolo intensissimamente colorato che ha un diametro di quasi i due terzi del diametro nucleare ed è impigliato nel reticolo nucleare non sempre facile ad osservarsi. Queste cellule, come ho già detto, sono disposte obliquamente col collo rivolto verso l’ectoderma, che traversa il sacco muscolare somatico e perviene alla base di essa. Queste cellule sono delle glandole cutanee omologhe a quelle dei Distomi e degli altri Trematodi. Da una serie di ben riuscite preparazioni in toto si può ri- cavare tutta la interna organizzazione del M. capitellatum, come lo mostra la fig. 1. La bocca è ventrale subterminale ed è circondata dalla ven- tosa boccale, o faringea, che, come dimostrerò in altro studio, chiamo così e non ventosa anteriore, perchè non deve considerarsi omologa alle ventose anteriori dei Distomidi e degli altri endo- parassiti. Dal fondo della ventosa faringea si diparte un lungo tubo esofageo esile e cilindraceo che si arresta poco dietro il livello della cresta ventrale. Questo lungo esofago, prima di di- vidersi .a dar le braccia intestinali, forma il bulbo esofageo che si trova pure nel M. Stossichianum e nel M. spino- sissimum, ed ha forma di fiasco allungato a largo collo. Questo bulbo esofageo mostra una struttura evidentemente di- versa da quella della faringe: visto su preparazioni in toto mostrasi fortemente striato trasversalmente, e questa striatura, già osservata in altri Monostomi dal Dujardin (1), è pro- (1) Hist, nat, des Helminthes, Paris, 1845. 300 FR. SAV. MONTICELLI dotta da un sistema di forti fibre muscolari che circon- dano l’esofago, come si scorge nella figura 11, e son disposte circolarmente. L'insieme di queste fibre muscolari addossate a circondare l’esofago, prima del suo dividersi a formare le braccia intestinali e che costituiscono il bulbo, danno a questo, quando se ne osservano le sezioni transverse, l'aspetto di un gomitolo: nelle sezioni sagittali di questo bulbo (fig. 12) si scorgono le sezioni transverse dei sistemi di fibre circolari anulari testè de- scritte, ma non ho potuto riconoscervi con certezza altri sistemi di fibre longitudinali e dubito della loro esistenza. Questo bulbo, come ci mostra la sua struttura, è un vero sfintere che funziona come organo di rinforzo della faringe che, per essersi adattata ad una nuova funzione (ventosa), non compie completamente la funzione alla quale era primitivamente destinata. All’altezza di questo bulbo esofageo così nel M. capitellatum, che nel M. Stos- sichianum, si osserva (fig. 11) un ammasso di cellule che cir- condano il bulbo, e disposte disotto ed intorno a questo, le quali esaminate a forte ingrandimento mostrano l’aspetto che ho ritratto nella fig. 9. Hanno nucleo intensamente colorato con reticolo nu- cleare evidente con nodi cromatici e protoplasma del tutto chiaro, o poco colorabile, tranne che in prossimità del nucleo. Queste cellule, che sulle sezioni si mostrano molto irregolari, per reciproca mutua pressione (fig. 9), hanno forma, parmi, di pera a collo breve e corpo rigonfio. Io considero queste cellule per la loro posizione, per la loro struttura e per i loro rapporti, perchè, come pare, sboccano nel tubo digerente, come delle glandole salivari. L’arco formato dalle braccia intestinali è assai largo nel M. capitellatum e la sua curva esterna è assai regolare. Le due braccia intestinali, colorate nel vivo in giallo intenso, con- servano lo stesso calibro dell’arco per tutta la loro lunghezza ; esse si estendono posteriormente fino all’altezza del testicolo po- steriore e si terminano a cul di sacco di poco rigonfio, senza fondersi insieme ad arco come avviene in altri Monostomum. Circa la fina struttura dell’apparato digerente del M. capi tellatum dirò che essa è del tutto identica a quella del M. Stos- sichianum, ed, incidentalmente, che è la stessa che negli altri Monostomum. La ventosa faringea presenta la solita struttura di un tale organo, sulla quale non insisterò ora, dovendo occu- parmene in altro di questi miei studii. Le braccia intestinali e l’esofago sono rivestiti da epitelio; quello dell’esofago in generale STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 301 è diverso da quello delle braccia intestinali. Nell’esofago esso è appiattito e spesso non si scorgono che i soli nuclei immersi in una massa omogenea sinciziale, esile, addossata alle pareti: nelle braccia intestinali l’epitelio è, invece, molto alto e caratte- ristico (fig. 11). Se si guarda la figura 5, nella quale ho raffi- gurato un pezzo d’intestino del M. Stossichianum a forte in- grandimento, si può apprezzare la forma delle cellule costituenti l’epitelio intestinale. Esse sono posteriormente slargate subrettan- golari: alla loro estremità, che sporge nel lumen dell’intestino, sono di molto più ristrette e subpuntute, e, mentre la metà in- feriore (fig. 5) mostrasi fortemente colorata col carminio ed anche con l’ematossilina, la metà anteriore è incolora, 0 quasi. L'insieme caratteristico di questo epitelio si può vedere nella fig. 11, ricavata da una sezione trasversa all’altezza dell’ arco dell'intestino. Ad un esame minuto le singole cellule dimostrano che la metà inferiore, colorata, non lo è tutta egualmente, ma tutto intorno al nucleo, che è piuttosto piccolo ed occupa il centro della metà colorata, il citoplasma è più intensamente co- lorato e va gradualmente sbiadendosi verso la parte posteriore basilare della cellula e dall’altro estremo facendosi sempre più chiaro fino a diventare incoloro nella metà anteriore della lun- ghezza totale della cellula. Tutto il protoplasma ha un aspetto filare, che, meno evidente nella metà colorata, nella quale mo- strasi anche granuloso, è evidentissimo nella metà incolora della cellula, come chiaro lo mostra la figura 5. Questa disposizione filare evidente nella metà incolora, ad un esame superficiale può inter- pretarsi facilmente come una copertura di ciglia di cellule sotto- stanti (la parte colorata), ed a questa interpretazione dà ragione l'esame di sezioni a piccolo ingrandimento, nelle quali l’epitelio sembra diviso in due strati, dei quali lo strato inferiore rappre- senterebbe le cellule vere nucleate e colorate, lo strato superiore, le ciglia delle medesime. Ma l’esame a forte ingrandimento disin- ganna del tutto e dimostra evidentemente la natura filare del protoplasma, come ho già detto, ed il continuarsi di questi fili nella parte colorata delle cellule e viceversa, e l’originarsi dei fili dalla parte poco colorata del protoplasma della metà anteriore delle cellule. Il nucleo, che è, come ho già detto, piccolo e chiaro, mostra un nucleolo intensamente colorato impigliato in una indistinta rete nucleare. 302 FR. SAV. MONTICELLI Il sistema escretore si apre allo esterno per un forame cau- dale che trovasi sulla faccia ventrale ed è subterminale : questo forame mette capo in una vescicola caudale che, dapprima tu- bolare, si slarga, dopo poco, a vescica globosa. (uesta vescicola è rivestita dal caratteristico epitelio di rivestimento del sistema escretore fatto di grandi cellule appiattite, poligonali con cito- plasma finissimamente granulare e con nucleo grande ed evidente e forte colorato, come si scorge nelle fig. 14, 20, 22, epitelio che si continua con l’ectoderma che riveste il forame caudale. Dalla vescicola caudale partono anteriormente due tronchi grossi, che si spingono lungo i lati del corpo verso la parte anteriore di esso, dai quali partono numerosi ramoscelli trasversi sia rivolti verso l'interno, che verso l’esterno del corpo (margini), che si ra- mificano e diminuiscono di calibro, ed alcuni (interni) entrano in rapporti anastomotici con quelli provenienti dal lato opposto, altri si anastomizzano fra loro, ed altri infine terminano, come pare, a fondo cieco. Tutta questa disposizione di vasellini piglia nel M. capitellatum l'aspetto di un reticolo a maglie irregolari e di varia grandezza. Le aperture genitali (sbocco del pene e dell’utero) sono si- tuate sul cominciare del terzo medio del corpo e sono indipendenti l’una dall’altra, ma ravvicinate tra loro; trovansi all'altezza del bulbo esofageo e sboccano all’esterno nello spessore della: cresta trasversale ventrale. I testicoli giacciono nella estremità posteriore del corpo innanzi all’ovario e sono situati l’uno innanzi l’altro: hanno forma ovoidale e son disposti con l’asse maggiore perpen- dicolare all’asse longitudinale del corpo, (fig. 1): da ciascun te- sticolo parte un dottolino escretore che dopo un breve tratto, si fonde con quello dell’altro testicolo per formare un deferente unico che decorre con cammino leggermente ondulato nella linea me- diana del corpo e va a metter capo nella tasca del pene, che è piccola ed a forma di cornamusa e sbocca allo esterno sulla si- nistra dello sbocco dell’utero: il suo sbocco, come quello del- l'utero, è circondato da un cercinetto formato da uno ispessi- mento dell’ectoderma. Nell'ultimo suo tratto prima di continuarsi con la tasca del pene, il deferente si slarga alquanto, special- mente in prossimità di essa, per formare una sorta di ricettacolo o vescicola seminale esterna molto allungata. L’ovario piccolo, ovoidale è disposto, come i testicoli, cioè col suo asse maggiore parallelo all’asse maggiore di questi: esso tro- $TUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 303 vasi situato, dietro i testicoli, nello estremo posteriore del corpo e spinto verso la parete terminale di questo, ed occupa perciò lo spazio che intercede fra il cul di sacco dell'estremo posteriore del corpo ed il testicolo posteriore, od inferiore: nella sua faccia infero-dorsale destra (guardando l’animale dal dorso) l’ovario (fig. 14) si prolunga a collo di fiasco, si rivolge inferiormente e si continua con l’ovidutto esterno. Circa la struttura dell’ovario dirò che esso è fatto di grandi cellule poligonali, per reciproca pressione, che ne occupano tutta la zona centrale: quelle pa- rietali sono assai più piccole e meno nettamente poligonali e d’or- dinario tondeggianti. Hanno tali cellule ovariche nucleo grande, chiaro e nucleolo eccentrico fortemente colorato impigliato nella rete nucleare (fig. 17, 6, 10); esternamente l’ovario ha una mem- brana propria (fig. 17) con una tunica muscolare. L’ovidutto che si origina dall’ovario è rivestito da un epitelio ad elementi indistinti e cosparso di nuclei e presenta nella sua origine uno sfintere ovarico non molto sviluppato nei sistemi di fibre che lo costituiscono ed internamente coverto di un epitelio cigliato (fig. 14, 17). L’ovidutto interno, piuttosto esile, si rivolge in basso e po- steriormente, e, passando dietro ed inferiormente alla vescicola cau- dale del sistema escretore, descrive un arco e risale, rasentando l’ovario dal suo lato sinistro (osservando sempre l’animale dalla faccia dorsale), fin sotto il testicolo inferiore. Nel suo decorso lungo il lato destro dell’ovario riceve (fig. 14) prima lo sbocco del vitellodutto impari e poi lo sbocco di nume- rose glandole del guscio, le quali formano una massa compatta che accompagna per buon tratto l’ovidutto interno, (fig. 14), e nelle preparazioni in toto può ben facilmente vedersi come un corpo meno colorato dell’ovario che sporge da un lato di questo (fig. 1; qui l’animale è visto dal ventre). Questo tratto del- l’ovidutto che ha forma di fuso, costituisce l’ootipo ed ha più sviluppati sistemi muscolari: esso è rivestito internamente da un sincizio alto e di apparenza cuticoloide con evidenti nuclei sparsi (fin. 19). Dopo lo sbocco delle glandole del guscio il canale ovidutto si allarga, e ciò avviene propriamente quando è giunto sotto il testicolo inferiore, come sopra ho detto: qui comincia, l'utero, ed il suo decorso dapprima leggermente ondulato, poi fortemente spirale, si può ben scorgere dalla figura; nè io insisterò nel de- 304 FR. SAV. MONTICELLI scriverlo, osserverò solo che, originatosi a destra, sì spinge verso sinistra, passando fra e dietro i testicoli, per poi occupare la parte centrale del corpo, l'ambito compreso fra le braccia intestinali. Le numerosissime uova dilatano talmente le anse uterine che non sempre può riconoscersi il decorso spirale dell’utero. Nell’ul- tima sua porzione l'utero si restringe e risale lungo la linea mediana del corpo e sbocca all’esterno in prossimità, a destra (faccia ventrale) dello sbocco della tasca del pene. L’utero è rivestito di un epitelio, assai evidente nella sua porzione iniziale, fatto di cellule appiattite con nucleo distinto (fig. 14), che poi lungo il suo decorso si riduce ad un esile straterello sinciziale con nuclei sparsi addossati alle pareti e spesso non si vedono che questi. Come ho osservato nel M. cymbium, manca in questo Monostomum, come in altri, la vagina (il Canal di Laurer); fun- ziona come ricettacolo seminale interno la prima porzione del- l’utero che d’ordinario è riempiuta di sperma. I vitellogeni sono disposti irregolarmente per tutta la superficie del corpo e sono appunto le macchiette dendritiformi nerastre, sul vivo, delle quali ho innanzi parlato. Questa disposizione dei vitellogeni era già stata osservata dal Rudolphi (p. 343) che non li aveva però riconosciuti, egli infatti parla di «... vasa plurima plurimus locis inter se anastomosantia ut tota fere corporis pars illis obtegatur. » Le macchiette sono più o meno estese come ho già notato, e sono connesse a formare una rete, ma in realtà esse non sono dalla rete distinte ma formano come delle vari- cosità di questa, cosicchè in questa specie non si osservano dei vitellogeni, ma un unico vitellogeno ramificato, dal quale, nella parte posteriore del corpo, si origina un unico vitellodutto impari imolto largo e molto lungo che sbocca nell’ovidutto interno. L'unico vitellodutto si origina dal vitellogeno poco innanzi l’ovario sul lato sinistro del corpo, passa trasversalmente innanzi 1’ ovario (faccia ventrale) dirigendosi verso destra, poi si ripiega ad arco, segue per un tratto la curva dell’ovidutto interno, e sbocca in questo, come ho già detto, innanzi lo sbocco delle glandole del guscio. Le già mentovate numerosissime uova che farciscono le anse uterine, sono jaline, trasparenti, hanno forma ovale-allungata, e contengono quasi tutte l'embrione a termine che è stato già fi- gurato dal Wagener, come ho innanzi ricordato, e che deseri- verò a suo tempo. STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 305 Il M. capitellatum misura in lunghezza 6-14 mill. e mil- lim. 0,5, 0,8 in larghezza. Esso si trova d’ordinario più fre- quentemente nell'ultima porzione dell'intestino del Box salpa e non mai in gran numero, ma sempre in pochi esemplari, nè si trova costantemente, almeno dalle osservazioni che ho fatte finora. Per le ragioni innanzi espresse la sinonimia di questa forma deve venir così stabilita (1): Monostomum capitellatum Rudolphi [1819]. (Entoz. Synops, pag. 83, 343). 1845. Dujardin. Hist. Nat. Helm., pag. 360. 1850. Diesing. Syst. Helm. I, pag. 326. 1857. Wagener. Entw. d. Eing., pag. 26, 110. Tab. XIX, fig. 5. 1858. Diesing. Rev. d. Myzhel., pag. 327. 1859. Cobbold. Synops. of Distomidae, pag. 42. 1873. Villemoes-Suhm. Helm. Notiz. III., in: Zeit. Wiss. Zool. Bd. 23, pag. 342. 1884. Carus. Prodr. Faun. Mediterr, (escl. cit. di Stossich), Vol. I, pag. 122. Monostomum Stossichianum n. sp. (Tav. fig. 5, 7,8, 9, 10, 41, 13, 15, 18) Questa specie è assai facile a riconoscere ed a distinguersi dalla precedente, oltrechè per la forma del corpo assai differente, come un esame comparativo delle due figure 4, e 15, ed 1 e 8 val bene a mostrarlo, e per la caratteristica della quale ho innanzi (4) Leuckart a pagg. 43, 45 della sua opera (Mensch. Parassit. 2 Afl. | Bd. 4 Lief.) riproduce, indicandolo come di « M. capitellatum nach Wagener », un embrione che non ha niente a vedere col M. capitellatum, come dimo- strerò a suo luogo parlando dello sviluppo dei Monostomum in un altro di questi miei studii (Sullo sviluppo embrionale e post-embrionale dei Distomi e Monostomi). 306 FR. SAV. MONTICELLI detto delle uova lungamente pedicellate, ancora, e dirò più spe- cialmente — perchè è il carattere che prima si presenta a chi osserva questa specie allo stato vivente - per la caratteristica co- lorazione rosso mattone della ventosa boccale che molto ricorda quella della ventosa posteriore dell’ Apoblema ocreatum da me altrove descritta (1), colorazione varia d’intensità, ma sempre costante, come ho potuto osservare e constatare. Questa colora- zione è dovuta ad una serie di piccoli granuli colorati in rosso che si trovano disotto l’ ectoderma, sparsi fra le fibre radiali della ventosa faringea o boccale, come nel caso dell'A. ocreatum ; essi sono di natura pigmentaria e disposti parallelamente alle fibre suddette. Tale colorito sparisce dopo poco nell’alcool. Tutto il corpo di questo Monostomum, come quello del M. capitellatum e del M. spinosissimum Stossich, è coperto di numerosi, piccoli e forti aculei assai fitti e fittamente disposti in serie trasversali: esso è ovale allungato, molto più ristretto anteriormente che posteriormente ed alquanto rigonfio dorsal- mente; escavato nella faccia ventrale. Allo stato di vita tende assai facilmente a ravvolgersi su se stesso; conservato in alcool mostra l’aspetto da me ritratto nella figura 15. Misura 4-6 millim. in lunghezza ed è, come si vede, più piccolo assai del M. capitellatum. Più che una minuta e particolareggiata descri- zione, basterà a farne riconoscere le caratteristiche anatomiche la figura 8. Nell’insieme della sua organizzazione questo Mono- stomum assai al precedente si rassomiglia, ma ne differisce essenzialmente per la disposizione dei vitellogeni e dei testicoli e per il decorso dell’ utero. Dalla ventosa faringea parte l’eso- fago lungo, esile, cilindraceo che nel terzo anteriore della totale lunghezza del corpo, prima di dividersi a formare le braccia intestinali, presenta il bulbo muscoloso, esofageo, simile per forma a quello del M. capitellatum e della struttura innanzi descritta, circondato dall’ammasso di glandole salivari già ricor- date (fig. 11, 9): le due braccia intestinali decorrono esili per tutta la lunghezza del corpo e marginalmente, e si arrestano al- l’altezza dei due testicoli. Questi sono situati l’uno accanto al- l’altro e non già l’uno innanzi l’altro, come nel M. capitellatum, e trovansi nel terzo posteriore del corpo: essi sono relativamente (1) Osservazioni intorno ad alcune forme del gen. Apoblema, in: Atti R. Acc., Torino, vol, XXVI, pag. 15-16. i i STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 307 grandi, cosicchè occupano quasi tutta la larghezza del corpo nel posto che occupano. Da ciascun testicolo parte un dotto escre- tore che risale verso avanti e dirigesi ad incontrar l’altro che viene dal testicolo opposto, e si fondono poi entrambi insieme in un unico dotto che va a sboccare nella tasca del pene che qui, come nel M. capitellatum è assai breve e piccola. Prima di sboccare in questa, come si vede dalla figura 8, il deferente unico si rigonfia e si slarga per un tratto assai maggiore che nel M. capitellatum e trasformasi così in un ricettacolo semi- nale esterno di forma allungata tubulare. L’ovario è situato al- quanto dietro i testicoli nella estremità posteriore del corpo e nella linea mediana: esso è molto piccolo, e dirò piccolissimo rispetto ai grandi testicoli. Dalla sua sinistra ed inferiormente e dorsalmente si origina (intendi osservando l’animale dal lato ventrale) l’ovidutto interno che al suo inizio presenta uno sfintere ovarico, (fig. 10): esso dapprima esile, ristretto, si slarga poi, alquanto dopo la sua origine, e si volge verso destra, descrive un arco ed abbracciando l’ovario, sul margine anteriore destro di questo fa un’ansa e si slarga maggiormente a formare l’utero. Lungo la curva dell’ovidutto interno sbocca il dotto vitellino impari e tutto l'arco di esso è circondato dalla massa delle glandole del guscio che sboccano innanzi il dutto vitellino. Le numerose glan- dole del guscio formano un vero cumulo o corpo allungato fal- ciforme, disposto ad abbracciare il lato infero-laterale destro del- l’ovario come ben può scorgersi anche nelle preparazioni in toto (fig. 8, 10). L’ovidutto, appena trasformatosi in utero, comincia a rav- volgersi su se stesso e s’intromette fra i due testicoli e n’esce slargandosi ancora dippiù, e descrivendo poche, ma larghe anse. con decorso ondulato e varicoso si estende fino all'altezza del- l’arco dell'intestino e quivi sbocca in prossimità dello sbocco del pene. Alquanto prima di sboccare, il :canale uterino si re- stringe di molto, cosicchè il suo ultimo tratto, come chiaro dalla figura 8 apparisce, ha aspetto e figura di tubo cilindrico e de- corre parallelamente all’asse longitudinale del corpo. Sulla dispo- sizione dei yitellogeni non insisterò nel descriverla : dalla figura 8 essa emerge evidente, solo voglio notare, che, come bene osserva lo Stossich, sono molto sviluppati (1) e si arrestano in estensione (1) Op. cit., loc, cit. 308 FR. SAV. MONTICELLI anteriormente all’altezza dell’arco delle braccia intestinali: sul vivo qualche volta mi è ‘parso vedere che avessero estensione maggiore. I singoli acini vitellogeni mostransi all’aspetto come tante chiazze scure ed i dottolini escretori di essi si riuniscono, da quanto mi è riuscito vedere, in un unico vitellodutto che decorre dorsalmente all’ovario e sbocca nell’ovidutto dorso-late- ralmente, poco dopo che questo, uscito dall’ovario, si è ripiegato, ed immediatamente prima che in esso sbocchino le glandole del guscio, come, del resto, ho già innanzi detto. Le aperture genitali, l’una d’altra indipendenti, sboccano nella parte anteriore del corpo all'altezza del bulbo o sfintere eso- fageo, l'una accanto all’altra; l'apertura uterina a destra, quella della tasca del pene a sinistra. Entrambe, come nella specie precedente, sono circondate da un cercinetto, fatto dall’ectoderma, che si è ispessito tutt'intorno gli orifizi (fig. 8). La disposizione del sistema escretore è identica a quella descritta innanzi nel M. capitellatum. , Se non sì esamina l’animale vivente, nè sui preparati in toto (sia a fresco, che debitamente condizionati), ma fissato in alcool, od in altro liquido fissatore e conservato in alcool, si vedrà che il M. Stossichianum, mostra l’aspetto da me ritratto nella fig. 15. Anteriormente esso presentasi ristretto e subpuntuto, posterior- mente slargato: la faccia ventrale è ugualmente escavata e la dorsale rigonfia e molto, cosicchè tutto l’animale ha aspetto concavo convesso. Sul finire del primo quarto della lunghezza totale del corpo, si osserva dorsalmente un solco trasversale che divide l’animale in due regioni: una anteriore, breve, corta, ri- gonfia assai, a forma di cappuccio; l’altra posteriore, larga, a forma di cucchiaio. In corrispondenza del solco dorsale si 0s- serva ventralmente una cresta trasversale, come nel M. capitel- latum, la quale però non è così sporgente come in quello, ma, evidente lateralmente : nel mezzo del corpo lo è assai meno e spesso, in certe condizioni di stato dello animale, è quasi eva- nescente. Nel punto medio della cresta, o disotto a questa, sboc- cano le aperture genitali nella linea mediana del corpo. In questi esemplari in alcool la ventosa faringea o boccale mostrasi molto evidente e protrude fortemente allo esterno come una vera ventosa. Essa, come si vede, è del tutto ventrale, sub- terminale ed il margine anteriore del corpo si ripiega anterior- mente e dorsalmente a covrirla come una cocolla. STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 309 Le uova, di colorito bruno giallastro, sono di forma ellittica allungata, alquanto rigonfiate ad un polo, ristrette all’altro: da questo polo il guscio si continua in un prolungamento posteriore, o filamento polare [gambo nel senso di Braun (1)], che è ri- curvo a falce ed alla sua estremità gonfio a clava: meglio di ogni più minuta descrizione varrà a farne apprezzare la forma la figura 13 che ho ritratta da uova fresche. Le uova riferite dal Setti (2) al M. capitellatum appartengono al M. Stossichianum, come pure a questa specie deve riferirsi il M. capitellatum in- dicato dal Parona « facilmente differenziabile per il lungo pe- duncolo caratteristico » (3) delle uova. La sinonimia del Monostomum in parola, per tutte le cose innanzi dette, sarà la seguente : Monostomum Stossichianum Montic. n. sp. 1883 Monostomum capitellatum. Stossich. in: Boll. Soc. Adr. Sc, Nat. Vol. VIII, pag. 2, Tav..II, fig. 9. 1884 » » Carus. Prodrom. Faunae Mediter. Vol. I, pag. 122 (partim). 1886 » » Parona. Intorno al Mono- stomum orbiculare Rud. in: An. k. Ac. agr. To- rino, Vol. XXIX (estratto) pag. 5, 7 nota 2. 1887 » » Parona. Res Ligusticae, II, in: Ann. Mus. Civ. Gen(2), vol. IV, pag. 489. 1891 » » Setti. Sulle uova dei Tre- matodi, in: Atti Soc. Fig Sc Nat. Volkl pag. 4. (1) VeRMES, in: Bronn’s Klassen-Trematoda, pag. 497-499. (2) Sulle uova dei Trematodi, Nota preliminare, in: Atti Soc. Lig. Sc. nat. e Geogr. Vol. II, Fasc. I. (Estratto). (3) Intorno al Monostomum orbiculare del Box Salpa, in: Ann, R. Acc» Agr. Torino, Vol. XXIX, 1886, (Estratto). 310 FR. SAV. MONTICELLI Dalla descrizione data delle due forme M. capitellatum e M. Stossichianum sì ricava come esse sono due specie ben di- stinte fra loro. Ora, lasciando da canto il M. orbiculare che si allontana di molto, anzi moltissimo, dai due Monostomi summentovati , esaminiamo per poco i caratteri differenziali che distinguono il M. spinosissimum Stossich dalle due specie studiate, con le quali esso ha grande rassomiglianza, e stabiliamo così, al tempo stesso, le caratteristiche differenziali proprie di ciascuna delle tre specie in parola che valgano al facile riconoscimento di esse. Monostomum Stossichianum n. Sp. (fig. 8, 45 e 43) Di forma ellittica-allun- gata, anteriormente molto ristretto, posteriormente slargato, concavo- con- vesso, Lunghezza 4-6 rill. M. spinosissimum STOSSICH. (op., cit. pag. 2, tav. II, fig. 8.) M. capitellatum RUDOLPHI (fig. 4, 3, 4, 16.) Corpo Di forma ellittica, an- teriormente alquanto ri- stretto. Lunghezza 2,5-3 mill. Moltissimo allungato, subcilindraceo. Lunghezza 6-14 mill. Aculei Sparsi ugualmente per tutta la superficie del corpo, di forma conica ed assai fitti fra loro. Ventosa faringea, o boccale Bene sviluppata in tutte, proeminente, ventrale, subterminale. Lungo, Lunghe » che raggiun- gono i testicoli. Esofago Lungo, Lunghissimo. Bulbo esofageo Presente in tutte e tre le forme. Braccia intestinali Brevi che si arrestano innanzi i testicoli. Lunghe che raggiun- gono i testicoli. STUDII Monostomum Stossichianum n. sp. All'altezza del bulbo eso- fageo, SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 311 M. spinosissimum STOSSICH. Aperture genitali Alquanto dietro la ven- tosa faringea (fide figura Stossich) (1). Testicoli Entrambi allo stesso livello ravvicinati, o l'uno dal- l’altro discosto: oblunghi con l’asse maggiore parallelo all'asse longitudinale del corpo. Alquanto dietro i testi- coli, A grappoletti occupanti la parte medio-posteriore del corpo. Ellittiche allungate, pi- riformi di colorito bruno giallastro con un lungo filamento polare, o gambo d’ordinario jalino traspa- rente. Senza embrione a ter- mine. Ovario Immediatamente dietro i testicoli, Vitellogeni M. capitellatum RUDOLPHI, All’altezza del bulbo eso- fageo. Uno innanzi l’altro rav- vicinati, addossati con l’as- se maggiore parallelo al- l’asse transverso del corpo. Dietro il testicolo infe- riore, o posteriore, Sparsi per tutto il corpo, disposti a formare: Un disegno determinato. Uova Una rete a maglie irre- golari e varicosa. Di forma ellittica, jaline trasparenti, prive di filamento polare, o gambo contenenti (2): Embrione? Embrione a termine, (1) Non avendo avuto che pochi esemplari della suddetta specie non ho potuto constatare yuesto punto della sua organizzazione: parmi, però, esse sieno come nelle altre due specie, (2) Il Setti attribuisce un pedicello (pag. 5) anche alle uova di M. spinosissimum, ma non dice dove ha ricavata questa notizia e se è frutto di sue personali osserva- zioni in contraddizione con quelle dello Stossich. Al qual proposito osservo che il Setti medesimo, parlando di Monostomi con uova peduncolate, novera un Monostomum foliaceum: io non mi conosco al dì d’oggi alcun Monostomum di tal nome: uno ve ne era per lo passato ed è quello che ora chiamasi Amphiline foliacea e non è un Trematode, sibbene un Cestode. Atti R, Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 2 do DIL2 FR. SAV. MONTICELLI Circa la biologia di queste quattro specie di Morostomum del Box salpa finora note, non mi è riuscito di sapere cosa alcuna. Tutte le esperienze da me immaginate per seguire lo sviluppo post-embrionale (quello embrionale non essendo difficile a farsi) del M. capitellatum - quello che per avere le uova con embrioni a termine offriva più facilità alla esperienza - sono rimaste in- fruttuose. Questa specie, come le altre del Box salpa, capita nel tubo digerente dell'ospite per mezzo delle alghe o degli altri vegetali che ne formano il nutrimento ordinario (1). Fra queste alghe e zo- osteracee il citato Picone ha incontrati frequenti Gasteropodi nel tubo digerente dei Boz salpa; piccoli Artropodi vi ha ri- conosciuti anche il Parona (2). Dalle ricerche fatte finora non ho potuto confermare l'osservazione di Picone e Parona, la quale indurrebbe ad ammettere che le Cercarie dei quattro Monostomi del Box salpa trovino ospite intermedio nei surriferiti piccoli Gasteropodi ed Artropodi che con le Alghe e le Zoosteracee ca- pitano nell’intestino del Box salpa. L'osservazione mia, come alcune altre considerazioni che a suo tempo esporrò, mi condu- cono, invece, a pensare che il M. capitellatum, come le altre specie del Box salpa, abbia una larva che, come avviene per le Cercarie terrestri incistantisi sulle erbe, s’incisti sulle zoostere e sulle alghe e con queste penetri direttamente nel Box salpa. Napoli, 30 Settembre 1891. (1) Picone, I pesci fitofagi, ecc., citato dal Parona, loc. cit., pagg. 3-4. (2) Loc. cit., mem, cit., pag. 4 e pag. 7, nota 2. SL F.S MONTICELLI - Franc. Sav. Monticelli dis "O MITO. Sf A0S* i RAccad.delle Sc. di Torino — Po/ AV Fs MONTICELLI - Studi sui Trematodi endoparassiti Alti R-Accad. delle Sc. di Torino - Vo/ XIV gle A Ag bi Fig. 12 medi (i di | i. | Mie ovdi gla vt \ sura goa Basse ra.) vtdi ovdi s/0 I} sne | ml e EGIRAZ. md o0f Fig. 20 » interno. rse — ricettacolo seminale esterno, o maschile. sfo — sfintere ovarico. i — testicoli. tp — tasca del pene e pene. ut — ‘utero. ve — vescicola caudale del sistema escretore. vf — ventosa faringea. vtt — vitellogeni. vtdi — vitellodutto impari. 1. — Figura d’insieme del Monostomum capitellatum 1 Rudolphi, da una preparazione in toto, 76 (pag. 297, 299, 300, 302, 303, 304. 2 2. — Muscolatura somatica dello stesso, 6’ (pag. 298). 3. — Monostomum capitellatum dal vivo; in estensione e dal dorso x 5, (pag. 297). 4. — Aspetto generale dello stesso da un esemplare in 1 alcool, —, (pag. 297-298). i 5. — Sezione trasversale dell’ intestino di Monostomum 8 12 Stossichianum n. Ssp., 10° particolari T0' (pag. 301). 12 6. — Uova ovariche di M. capitellatum, 10° (pag. 303). 7. — Fibre muscolari ingrandite (dorso ventrali) ed isolate 12 del M. Stossichianum, UE (pag. 298). 8. — Figura d’insieme del M. Stossichianum da una pre- 1 parazione in toto, —, (pag. 306, 307, 308, 309). 0) STUDII SUI TREMATODI ENDOPARASSITI 315 Fic. 9. —- Cellule salivari dello stesso in sito di molto in- 12 grandite, 10° (pag. 300, 307). 10. — Figura d'insieme dei rapporti reciproci dell'apparato genitale femminile dello stesso: da un preparato in toto completato da ricostruzione di sezioni in serie (dalla faccia dorsale) pag. 306, 307). Di 11. — Sezione transversa dello stesso all'altezza del bulbo dell’esofago, 1 particolari Ro ( pag. 298, 299, 300, 301, 307). 12. — Sezione sagittale del bulbo dell'esofago del M. ca- pitellatum, 1 (pag. 300, 307). C 13. — Uova uterine molto ingrandite del M. Stfossichia- num, (pag. 309). 14. — Sezione frontale della estremità posteriore del corpo del M. capitellatum per lasciar’ vedere i rapporti dell'apparato genitale femminile (la sezione è alquanto 3 obliqua), 0° (pag. 301, 302, 308, 304). 15. — Aspetto generale del M. Stossichianum da un esem- 1 plare in alcool, —, (pag. 306, 308). 1) 2 16. — Uova uterine del M. capitellatum, Gi (pag. 304). 17. — Sfintere ovarico dello stesso (sezione frontale molto 3 8 obliqua), GE particolari “n (pag. 303). 18. — Cellule glandolari cutanee del M. Stfossichianum 12 molto ingrandite ed isolate, EL (pag. 299). 316 FR. SAV. MONTICELLI Fic. 19. — Glandole del gascio isolate del M. capitellatum, 92 i 8 1 particolari “en da una sezione trasversa a livello delle medesime, (pag. 312). » 20. — Epitelio di rivestimento dei tronchi del sistema escre- 12 tore dello stesso visto di lato, 10 (pag. 502). » 21. — Sezione longitudinale dell’ectoderma e della musco- 4 12 "a 8 ica dello stesso, -—, parti 1 — latura somatica dello stesso, Po: particolari I (pag 297, 298, 299). » 22. — Epitelio di rivestimento del sistema escretore del ; 12 M. Stossichianum visto di fronte, 10° (pag. 302). 317 Formole relative alla forma binaria del sest’ordine ; del Socio Prof, ENRICO D’ OVIDIO Nelle ricerche relative alle forme algebriche ed alle loro applicazioni geometriche è indispensabile aver alla mano molte relazioni fra i covarianti e gl’invarianti di esse forme; in parti- colare occorrono le espressioni delle mutue « spinte » (Ueberschie- bungen) delle forme costituenti i sistemi completi invariativi delle forme proposte mediante le forme di questi sistemi. Per le sin- gole forme binarie dei primi quattro ordini sono conosciute tutte coteste spinte e molte di quelle relazioni; non così per le forme degli ordini superiori. Ho quindi stimato utile pubblicare il presente scritto, il quale contiene appunto una raccolta di espres- sioni delle mutue spinte fra le forme costituenti il sistema completo di una forma binaria del 6° ordine, nonchè parecchie « sizigie » ossia relazioni fra tali forme. E siccome a ciò mi ha indotto principalmente il desiderio di esser di qualche giovamento a coloro che avessero a istituir calcoli sulle forme binarie del 6° ordine, così mi è parso op- portuno di non registrar soltanto le formole che ho ragione di creder nuove, ma anche quelle già date dagli Autori che si sono occupati dello stesso argomento, quali il CLEBSCH, il GoRDAN, lo SteFANOS, il MaIsANO ed io stesso (*). (*) CLEBscH, Theorie der bindren algebraischen formen. Gorpan-KERSCHENSTEINER, Vorlesungen ber Invariantentheorie(.weiter Band, $$ 26 a 30). StEFANOS, Sur les relations qui existent entre les covariantes et les in- varianis de caractère pair d'une forme binaire du sixiòme ordre (Comptes- rendus etc., t. 96, 1883, p. 232); Sur les relations qui existent entre les cova- riants et les invariants de la forme binaire du sigiòme ordre (ibid. p. 1564). Maisano, La sestica binaria (Memorie dei Lincei, v. 19, 1884); Die Steinersche Covariante der binéren form 6. Oranung (Math. Annalen, Bd. 31, 1888). D’Ovipio, Il Covariante Steineriano di una forma binaria del sest’or- dine (Atti dell’Acc, di Torino, v. 24, 1888). 318 E. D'OVIDIO L'occasione a questi calcoli mi è stata pòrta dallo studio dei combinanti della forma di 6° ordine e dalla ricerca di certi risultanti; ma, ad evitare ingombro, rimetto coteste questioni ad altro scritto. Per brevità, sopprimerò anche lo svolgimento dei calcoli, limitandomi a dar delle indicazioni, affinchè il lettore possa eseguirli da sè. Quanto alla disposizione della materia, va avvertito che alcune relazioni si troveranno per avventura regi- strate prima di altre che han contribuito a trovarle; ma ciò non nuoce al mio assunto. Get Sistema completo di una forma f del 6° ordine. Il sistema completo di una forma binaria del 6° ordine può ritenersi costituito dalle seguenti 26 forme, delle quali spiegherò subito il significato, ed a ciascuna delle quali sottoscriverò il suo grado nei coefficienti della forma proposta: 5 invarianti Ai. sg Jay 2 4 6 10 15 6 covarianti di 2° ordine { mm n vw 3 5 1} 8 10 12 5 » 4°. » % 5A x pb y 2 4 5 7 9 5) » Gloria. sf fitaepio» d (a 1 3 4 6 3 » 8° » h n 0 2 3 5 1 » 10° » X 4 1 » 28 » É 3 Qui si suppone che la forma proposta del 6° ordine sia f=a,x,54+60a,xx,+ 15 asa; 2° +2003r,x+ 15:4,2,}0,! +6asz,%,° + 3%," , ovvero in notazione simbolica FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 319 e che sia inoltre (*) A=(f,fi),- k=k=k'=...=(f,f), h=h2= ..=(f;f)} I=t°=.,=(f;4) p=pS=0.=(fk)}ya=nd=1.v=(fk), i=t°=...=(fh, o=0,=..,=(f), mam, =...=(k,1), nen, =.= (kym), \=i,=...=(m,n), p=0,=...=(n,0), y=v,=...=(I,m) C=6,=...=(fim) , B=(k, k)', A=4A*=1..=(k,k), a=a,'=...=(k,l), p=,=...=(k,m), Y=y'=...=(k,n), ( 0=0=:.:=(h,1), e=e,=...=(p;l), C=(k, 4), D=(m,m), R=-(mn)(nl)(lm)=(1,)) =»; up) =; Vv): Sono pari: A. (3) ABBA Da = sia 2, bi sono, dispari: . 4, £,, 0, d, fl. v, bn X, 4 Ba yi 9, €, BR. SIE Polari di mutue spinte fra forme degli ordini 2, 4, 6, 8, 10, 12. Giova premettere molti sviluppi di polari, i quali si ottengono applicando la nota formola del GorpaN e CLEBSCH. Avverto che in tali sviluppi denoterò con =7°, =0?, bk=ki, k'=k't, f=a, f'=b,5, h=h, h'=h',... delle forme qualunque degli ordini rispettivi 2, 2, 4, 4, 6, Gi-28 086 as ee già necessariamente quelle dianzi definite; cosicchè con semplici mutamenti di lettere gli sviluppi medesimi si adatteranno a tutte (*) Conforme alle notazioni usuali, ax=0, x, + 2%,,(205)= a bada bi, (ff =pma spinta di f su ff=(abf 4,97? be fy8= pma polare di f rispetto . al polo y(Y,, Ya); e così via, 320 E. D'OVIDIO le forme del sistema completo della forma proposta di 6° ordine f. Nella quale ipotesi alcuni termini riesciranno nulli; p. e. se f' coincide con f; sarà (f, 1) =07 (fida) =0 Le polari qui considerate sono quelle delle mutue spinte fra le dette forme /,/',... Esse sono disposte in guisa che gli or- dini delle due forme che si spingon l’una contro l’altra vadano sempre crescendo, prima quello della prima, poi quello della seconda. E per ciascuna coppia di forme si comincia dalla spinta d’indice più alto, scendendo sino a quella d’indice zero, cioè sino al prodotto delle due forme. Ordini 2, 2. (2,0),= (10) i l') (xy). (UM), =I21,1,-30,0)@ PELLT+ (1) (O) =180— (1,9), (cy) = 30,1 et =11,11,+3 (11) (0g. Ordini 4, 2. ir] ( 1° (cy) = (K2) #2 14,41 1 (N î,0),e= (K1) kx kyl,—g 3 (4,9) @y) = kh + 5 3 (k, 1), (9), kI),=hL1,—3(k,) (cy) =E212k,+3(4,) (cy), bI)a=b*1" —5(k,1), (cy) —3(k,0)° (24)? kg L?k, li Bi i nei (RI); k,1°— (k,);s (29) — (4 1°, (ey) — kg 1h} 1,+3(k,1)},(cy)?. (k (& ( ( Ordini 6, 2. (fiDy=(al)a*1,—3(/,1)° (2y)=(a0)a,tla,+g(f.1) (9); (PIa= (20) a,ta,t,—3(f,1),"(2y)=(a1) ala +3(f (29), (Fa=(al)aat1,—3(f. Ia (29); FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 321 (FI), =a tI, (ey =atta,+i (0) (4), (F)ya=01— 5(f,), (ey) —-3(f. 0° (cy) =axla,l,—;(f),(M)+T(f' ey), (Mya = aa): (29) - TA (24) =a,t1a}1,+7 (fn), (9) -3(£D (e), (= ata 1 — (f,0);a (cy) —È(f 0a (24) 3 s =a, la, 1,+ Ti (fd, (ey. x Ordini 8, 2. (h,9),= (#0) h21,—i(h,1 (24) =(11)hSLhy+g 1} (9), (t,) = (#2) 834,1, 3h, DP,(cy)=MDILLA+ | (10), (2)), (H,3),0= (2) ASHEI,—3 (HD (29) = (MALTA +-$ Uta (04), (= (ARI, (04): (81), = 3811, (MD) (cy)=MLE1,+3(,)) (c9), (HI) a = 381° —È (h,1), (cy) -g(2, 1) (24) =hyLh,l,—:(h,D,(cy)—-g(M. 1) ey), Ordini 10, 2. = ANZI MAMA + 7% (9), Ordini 12, 2. 1 (6,0,= (61) t.1,-H (6,0) (cy) =(10)t°Lt,+ (6,0 (cy). 322 E. D'OVIDIO Ordini 4, 4. (k,},= (BRR R,— (A (eg): (kW), (BRE, H,-3 (hf 9), (kPa (FRE RI (kh), (e) 3 (6) (9 = (LIE HER4- (IH) (09); (le, b!),=(k11)kSWEW;- e b' (24) = (8!) kE 13%, +1 (E (CY); (1,0), (KI) TER} (h,}(7Y)- 5 (1,10)? (cy? — (KW)keb21,H,- i Mb (cy), (RR) = (RIE En) A. (kE), = tWEH,-3(k,4)(29), (RR),a =IR= (40), (e) È (ey =., (KR), At RT (kE) (e) FUR (AM) (9), (RR) =kW 2 (0,0); (e) — 7,0, (CY DI; (cy) CY Ordini 6, 4. (fh},=(abat,—3 (fb ey) =(at ka, +7(£ 1 79), (fi sar (a ar'ayky 3 (fb, (cy); (PP = («bat tk-3(f A = att a+ (f,1 (2) (fa = (ata hf, 4) — È (1 (cy =(abftatkxa,k—3(fh) (a) (1 (e = (batt a}+3 (fb, (04) (A 9 FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 323 (Fa (0h) a ak — (f,k)°,: (ey) — (ft), (cy)? = (ata kxa,k,—3(f1) (1) +È (61); (f,k),= (ak)a kt,—a(f, k)? (cy )= (Ra 9a ti (£1)? (cy), (Fb), = (ak) ak, 1-3 (f. Di sent (f,1)° (24)? =(akba, kr a,k ig if, k), (cy) sil (f, k)? s° Y)È, (£h)a= (01) A, k, — 5 k) 7? » (€ y)-2( È k)', (cy) ta if k)' (cy), (Fk), = (ab)a,ta,k,=—È D) (FA, a(ey)— È 7 (Fk), (ey) — : (f k)' v(£ y) 9 (FR) ,=ax%xk,—î (f.1) (ey)=akta,+5(f.1) (24), (PR ak} S(P1), (ey) (A eg= (FR) = ak, pain a(f.b) (ey ey, (FR ak È (f.k),a (cy) — i: h)îsn (cy —T(£.1);° @y) -3(fh)' (cy) = (PR) = at ayk'—2(f.1);: (09) — 5 LE sa (29) —3 (f, 1)°sn (0y)* —i(h,0* (21 aa Ordini 8, 4. (h,3}9,=(AAREk,— È (HA) (cy) = (MPI hy +3 (1) (19), (A) = (SA 1 pu 1)* (ey) = (MALE A+ 3 (,1)*, (29). (hh = (AALST, ha (€): (h,k),= (MA) ht ka k,—7 (1, h)(2y)= (10h k3h+1 1 (h,k)(cy), (h,3),= (4A k— 3 (Ah) (cy) 3 (1) (ey) = (h,R)E,= (HERE h—3 (1a (7) — SMB (cy = ( 2 i ar h sh, (AA hh k — (hh) ,3 (CY) 3 (4h), (cy = Z94 | E. D'oviDiò d P == (KR) REI, — 7 (1,1) (74) = (10), +-7g (0,1) 0); (MI) RR E 1, (ey) ui y Vaia k, hyk, cali 1°, (29) +31. b? (cy)? MISTI +5 (Mb, (9) 3 (11° ey, berline La ba (29) — 1 (bey sl 1) (cy) (HAITSA+ È (Mt (7y) 1 (119 (ey + (a GB (ME ha (2Y)— 7 (bay) È (1,94, (1y)? — (MR) 24,°4,4+5 di l'a (ey) — 3 (#,0*,a (cy)? RIT (1,1, (cy) (f,k),s=(hk)h,x hy ky — 3 3 (h k)?,i(1y) — de 23 (h, k)',a (€ y= | h, a 6 Ordini 10, 4. (X,2) =(XDPX, n) h)* (cy) = (XK tt, +31 (29) è Ordini 12, 4. (= 11-40 (e) = (Mt ht+ ph (e). Ordini 6, 6. (ff (adab,—3 (1) (79); (PP (ada db, (PP) (19), (ada, b— (ff) (cy) —3(f. 1") (cy = (abl'o,ba,b,+3(f.f")° (cy); (ada bb, —i(f,f") (cv), FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 325 (FP = (ada db (ff) (e) È (PL) cy) = (abl'asba,b,— %(f,f")" (#y), (F.fPa= (ada _S (PNE (AOL (ff = (abat bd, 3 (ff) (cy), (ff) = (ada td 6 (FP) (ey) —î (f 1 (cy? = (abfas ba, b, + (f.1"(19?. (fff= (adatb by —S(PL ale) 51) (ey — (ff (ay = (PAN ME NE (PI (04) — sf eg (f.P),=(ab)a*btd,—3(f. ff (cy), (Pa = (ada be (PLIM ELY, (PP = (dad bn) (AS) ey = (PP) = (Dad (f. Ln) (Pag (AP) Lf AAC) E Ca (ff) ‘(ey 3 (Py) s (ff) (cy) = (fP!), abb, 3(ff") (29). (FP)a =aLbd- (FP), T (ff) = bd 3 (fn 2) — (1) (eyt= SA Gy, 326 E. D'OVIDIÒ (Pa = ASA (ff egt=.., (FP) == (I A CI A ACI (FP)s0 = Ad BP 0) EEN TAP A — RAM FAN Ordini $, 6. (A, P},= (haha, 7 (hf) ey) = Mah a hy+1 (MP (09). (hf Mah, h,a,—5(1,f)°, (cy): 2, (i, f),= (ha)htaza,— 3 M.f)F(cy) = (Ma)htazh,+-5 (lf) (cy), (hf = (ha ht at —3 (hf) (ey) —È (1) = haha, hya,—3(M,f},(y)+ gf) cy)? = (Ma) ta, he4-S (HP) — 7 01) (09, (1, P)'sa= (ha)h,Mya - (hf) (ey) — 0 1) — haha, ha,+i (hf), (cy): (A. {= (haha a, —2 (hf) (cy) = (Mahe h,+-È (hf) (cy) (hf) = (ha) ht az a —2 (hf) (ey) Zi (hf) (cy)? = (ha) hat h +3 (lf) (ey)+ 3 ft nta fa Mah ha fe) Wa f, 1) if ga (hf = (na ht ya, —3 MP (e) TM 9, Lio FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 327 (4, f)},= (ha)h,"a,'a, N Gy) = (Marta hA+È (1) (29). (sf) = (ha) ht ata — (fe) - TM 9 A s(19)—7 (hf) (ey — (MP) (cy) = (i, ft = (Ma) È (MPa) —3 (0,1) (em MY sf egt=.. (My fa (Maya —3 MP ni My) -—iM. 1, (eyt= (hi, f),= (ha) h'a,ta, — 5 (hf) (cy) = (ha)h, a hy4+-7 (MP) (cy), (A, f)a = (Ma)haa— i (hf) (cy) (M.f) @y?. (if) = (Ma) ata i (hf) (0) — È (MP, (4)? S Ò (hf) (cy) = (hi, fu = (Ma) aza,— 3 (hPa È Mae? — (hf (eZ (cy) = (hf), = (ha) ha (hf) (04) — Ti MPa (04 Stay -T Mace (1) (cy) = (hf) = (ha) ht hyay—3(h,f);: (ey) — È i(h f); (ey) n 2 MP et ZL, y= (4f),=h3a,a,— i (h,f) (vi PIERRO (Rf), = hat ata È (hf), (ey) — Mt) 9 = (hf) = atea (hf), (CY) If) E Mt. Atti R. Atcad, - Purte Fisita, ecc. — Vol, XXVII. 25 328 i. p'ovipiò Ordini 10, 6. dii latai (4: MA td 3% f)° (cy), Ordini 12, 6. (t, f},= (ta) tra, (tf ey) = (ta tazt, +3 (1.1) (£9) Ordini 8, 8. (h,MY,= (MW RM, — MH (71), (h, W)î,= (HMREMM,— ZH) (29) . Ordini 10, 8. 7 7 3 8 PALO t (= (Lei (41° ©) =(1) vi lw ty +1 (41) (2%): Ordini 12, $. (t,1),= (EMYTLSR,—3 (1° (ey) = (11 ht, +3 (1.1) (04). Ordini 10, 10. 9 ga 9 1 1 900 nd VA 10) CY dai 040 dd Ordini 12, 10. pà 3 1 (i alp ey) etti (4) 9)» Ordini 12, 12. i (t, re (t ‘sd a È de NE (t, ()** (2 Y) A FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 329 Come ognun vede, la precedente raccolta non è completa, essendomi limitato a notare quel che mi occorreva, o poco più; ‘ma è agevole completarla, quando se ne abbia bisogno. S II. Ciò premesso , esporrò varî gruppi di mutue spinte fra le forme del sistema completo della sestica f espresse mediante le forme medesime, e precisamente le spinte de’ covarianti pari fik,il,h,p,m,n, 4 su tutte le forme del sistema. Preporrò un punto (.) alle formole già date dagli autori citati in principio, la previa conoscenza delle quali serve al cal- colo delle altre. Spinte della forma f del 6° ordine sulle forme del suo sistema completo. (F,6°=0, “(hI=24434k, (fm) =3(444B1) + 3h, .(fn= 3 (Ba- Ck-Im, .(f,n)=$Bd—3A(e+ taziià (RA)=im, (fAP=—da, (AMBI. (hA)=-35- 74, (fipy=B, (pio, Nip 7444. (p=-7ì. pranta (FP) == x D i “da (E M=31, (f,4)}=0, (n= Af_-3p, (ftt SARRI (f0) =31(3A4+3BE+30)_jm(244341), (f.p}=—}02—3B#+34y+51v. (f.p)=in(24+3A4%)-3I(3BA-3Ck+Im), (f,) Vp=jA02—i(0-_3AB)B-3B7+3(1w +m>), (FU ERA as A) e GR Bk+; gl). (f.9*=0, (2) '21(44+ Bk 3 (paz zt, 330 È. D'OVIDIO ciglia +3 4R—jfm=51p; (b=—3% (56° =3(B4A-01), ((.8)}=5 4249-72, pO=de(i48 4 D+ 10) Los A(C+1AB)+{k(3A0+5B")+BP-{In, eg cop ife (1,9) == 11 (3Bm+i 00) 4+31:(3BA-30k+1m)-3pm, RI 2 1 (,=0, (h9P=gm—gA1, (f,Òt=ia Ria a 1 4 (f.00=i(Ap— Bf), (hdà=30, (f, = t/(a+ La) tar, (= (fg Bla o (fat=zAe+5R, (fel'=3f(204+3AB) +7 Bp— AMUAIOCIONI (f, 6) CA 3 ; A ii i i (an=o, (fo'=zn—gAm, (hO=3f, (Se (Ora aa) (o=za(4 x A6G-}38, (RO 3fGAA +3 5a cn ((o°0, (0) A SAIL (Fa 4; : 1 (fat=3fi- gr, (alzato (f,1)= "fp—3kh, (00=0, (1,0=-—B(G44+3Bb) + 48-&!, (O=— p(15+0) +7 4°, (f, SISMA o RE 23 4 4 è —}dit nt nnt FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 391 (f,0)=1(A+744)+} (Bf Ap)f-jFk1, fat — jan rip tBA)0 (50 (1.2) SL (RW°= 7g ha — gf(5 fl45 3W)+34p, 20 \ fe=-F3ì. (GO=R(A+i R)-g Al, (gx ( ( (fi= Ar rio gh, (0=Sfa, (fe)=gr8—j. 7A =—£0, "N fo , Spinte di % sulle forme del sistema completo di f. «(k, n= 3Bm+3 Ci RI (RARE, .(k,4) og “E 1 galla Hit = 1 s k, Lg pr, (k, v)=s(la_m) 3 bi 3B v, (ku) =—31(CI+Bm)+3mn, k,})}= A vie) = JE C145 1Bm)m_jn, k,a)=0, (&, Lr (k,a=—1B, (ke) =1hm- 5A, ‘sail ros CI-gBm, (4.3)}:=—37, (#.f)=7lm-3mA, 0, (b, lia Rieti ca=7Bh, {onb, Bm)-jnA, (h,9=1(A4+4+B%M—1P, (,3°=36-9, EIA LA (k, e) = Dix, (k,e)? —t BA -(FO+542) k +, = cat Tali 392 E. darai ( ab °C (ky) = (Bf k)1+5s re ego) Boi AB), (E = —1E0+34(2e4+ ai lef (®,6)=3(fm-p))—5k(2 2A +341), Aia —gze, o =(8B8f-55), (ka = _ (6434) (i u)=sfa 3h 1 (k,O)'=zA40-B, n= CHIAMI AA (RATA 0 =p(j4-B)n-z40-&be, (1,6) =—j(f1+3#)1-3k(Ap—Bf)+3hm, &p'=36=39) e (ly =—p(fa+340), (k,y \=pt(e-F/)+ h A (amm (5 0+749). (£, = fA+gg 4fh- sa P_i HI, (Bb) = gf ESE ere) Sani Spinte di Z sulle forme di Y. .(2,1)°=Ay=20+3A4B, .(lym))=Ain=5(B+A0), . (la=D, .(GA}°=n>3 BL, (6 4)=B5 .(T,0)}=3(A44+B1) LEA Bia - (90) 2048-40) 5 (Amt An) , 0. = RI (ha =Teva FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 333 (Ta): =— 30/4 (av È, digr=tin 6) iAhLin—im, (19) =2+jBv, 000,9) =3DI— 1(3Bm +31) imm, dA d=jAe—ib, (Predator (1)e)}=3(Ba— 46); ser SAnp=g1(GAL+4BI= a). (1,6): =—jBa-3AR-2y: (16)=3 Armf—=3Im-m(44+3 AK), (Ga) =î dee VIAN AA aiar, (At Et), (x) = Mae B)+; de hail, 6 — j (Ap— Bf+2k1)k+5 hm, CORSE CE TA Ta (1,8) =3f(3Ap—3B/+7H)h(3 +41). Spinte di 7 sulle forme di f. s s 1 5 (f, mî=— Anf+31(A4k+54)— km, (Am) = (GA B)+g 490-318, ‘(n= —3(24C+3B")f-30p+j(344+BM! +(GAm-Sm)k+Am+j?, (h,n)=3n(GAB- 0)+3B0O—;((6+md), (A HAT TBREID RA) gl DE), (n, orta (aper) ti (nA)=S ipa ila, 3 4 Gel ii (hp =— 7 9 1 9 1 (h, pl'= I BE- RADH ph (hp= 0-4: deg (A, p)° =sh(3Af=39) +5 hi, Mp=—3(fè+k%), 334 E. D'OvIDIO = ZA -IB, ha z(46+7 A): (hh) = fi Ah, (RD)? ea r)f-7 (A, vt =3(B-34°) (+30) br+gle, (h,v)=i1(h,m}—3m (=... 1 ; Al 1 1 i (ut =7An(f-)—jAmd+%(A+7 46) +g2(BI-Am)=5 hp, (4, so robiagi (h,) (AB B'-3A40)( ui e)+ (0-3 AB)la +3B(me+3hv) 35 +70 (f.0 +0 (fm? 1 1 +7! (fp +pm(f9))=., (4,3) =3m (ln —3n(m=..., (ORESTE (A, a) =g(14- km), (a =rn(3 4° — B)—gbe+lò, PT SRI-Thm, CT o AB—-37 RR agio. +e (ea @6t=z(}4B-0)1+ 3 B0+gfr+(md-10), (i, G) =3 Anfo pf API 3KIA-dR0} i, p'=p0c+ fg BR+ 47410, Bat = erre Vr rsa ge +& CI4 3 gABI— 3 Bm- An)b+ { 3 A0p+1 lm, pt =pB(G4-B)0+3(0+14B)6-fw —g(802+347)+3(3n-38))3-441(+30), FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 935 5 Va 1 25 5 ) d—0, (4,d)= ti pn mg go 49-35”, d 8 5 h, 9)\ Ad eta 1 2 4 1 1 ho) = —apAft_qgiPti ph AR +qb4. n, è) =3(Ap—BN)f+] he) =7%a (he) Sa A+ im, h,e)}=— BI di + A+ le, h, e): =pggf(Am-3% o B)+ ga (34 -]5) +7 A(G44-30) Ah Alp, (4, ( (h, 0 (hd =— matr 307 1%» ( pirata A1)h, (4 ( ( 2 ilo 2 4 (2h, e =— gg Afat glo qpa—gke AI + a 10+3Bx: (1, e)=ip(Ap—Bf)- Gg Afk4 È klp—30(A4+Bk)7hP, mat (fn, 6)° SR O ro re palm, ho Bi +46 + ala i ao ei + Set mes gusta, (= È A) + (Am a A1)r+-9B+310, (ht) =3f(l,m)— 31 (f,m—5m(f1= (A, af =0, ant dl, A, 0°= nato mali, LA 25 (h, n) = +7 (4,4)° =(54 -R AR) (+ fg, - 15 , ta 336 E. D'OVIDIO 1 (h, 1) =g(Gbn-fd), == A fps (A, 6)=0, (#9) ina pi n, (h,6) ito) A 510 (4, 6 di. sr cn d#lai am EIN Bpi STI 19 5 13 1 (4, VA ridi Ahl — ga hm (4, 4 =if(R4°+)+gb0— sAkn—gpòT—gpha 5 1 bp 1 4 1 1 (4,6)=3(p—3 Af)fl+gkhl+(Ap—Bf)h 77618 31 Dir (,x)}=0, '=(532-3 > 2.4 Lee son 44 +agga!» i 32554, 191, (SA rog A+ i timS: a i 049 @ = — zar 4f+ sr l+ AV prhh 1 1 19 1 (A ENI ft AA), adagio sth, (x) = 3g AF) (Ah, t)° == — g%: 5.13 (Mn =(A- cn B)/- sn! kl sog 4, 5,49 353 (fi 0) = + ig A AA 5.53 25.41 6197 (4, t})= =Fpfd- comi 'f+ ont — hi, III (4, t)° =gnft +7! n-pAl, i ae 9 43 5.43 (4, °° = san A+ a+ lr 101 (Mi=—pf- ottani 1 FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 397 Spinte di »p sulle forme di /. — 3 (BA- CRE È Im, .(pim)=3 A(c+36)— 3 B Bòè+} lv, —3k(3404+; 8)+! A(20+3A4B)+,BF-îln, Pa, pg ble—@—40-, ma, Li E ( ( (pal'=—in+iBl, (py4)? = Mr (pd (p,A)=}(km—Bp)+ 14, .(p4)=—(Batbe), (ppf=-i0+ZA4B, (pp'=pBi-p485+5". (pip'=jfm-3lp—gbA4, 1 2 1 p,v}=-3Cao-3Bp+34y_1, p.i = B(Ba_24f 9) +By-îlw, 1 1 p, p)=—3BP+jFn-gb1(340+5B') pura AB) +3n( (AA TRA ( (p,v)=1Pm+31(BÒ— Ck) m(44+B1) : ( ( (p.) = C(Ba—2A46)+3 "E 208 (p.3) =3Blm-3lmn+gkm(34C+5B') +iAm(20+34B)+gn(Ck- BA), (pat=iv, (pa= ftt (}AB-30)+{B4A--glm, (at=zA (+39) +, (p,a)=—5Bfl-}pm+3k(A4+B}), (p, (3) FAN GIA, lodo =: (p, 6) - sio eine cioe In+ gn À 1 7 1 (p.6°= pp B(E+6)- ld mi Pet 1 E 398 E. D'OVIDIO map )) 3loD A PM+AGP+ 240) + Bim ma, i ig I ver. Lao — gly+ght. n= - fre] (om410)p+ irta) +g40b44+}(3B1-n)b1, (p,0°=0, (p.ò’=i(n—BI), (nò'= (2420-78), O (nl+add) a (km Bp)+514, (nd =3(G4°—B)n+g(40+40), d)=3f(A4 io a (Mel =0, (pe =3(01+ÌBm—An), (0, l'=sgr (780-346). (p.°=-&Bf++GAB-}0)o-B4-gzAkm PE (e a ade nori ioni (p, )= Mg ini set nta po =0 (per 1Bm4+3 LAN, (p,t= Be - A+. o=-(GAC+ Bf - 5(0+3 AB)p+gl' + (E 4447 B4)+(j 0-43), (P.O= AB+ 4 BO+4 fr È md 4 16+3 (6-40), (py6) =3f(AA— BI+ Im) pm ip(G AA +3 BE+307), FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINÉ 339 (Pim) = 0, apt — a BI+#a Aki, (papi, (pa=pfm—plp—pdR- hd, CA omini. ian lei 1 (pia) = Bf" — (A+), ( I L_-(251C4+3AB)b+t3(g4°732)A4 Lai AT +), (10) = Bd- 334 A(G +56) — re9! bi, pio) =— cr (p. 6° =— IDR 1 BI)f+ (3 sr Al — 1 +1(4+32)F+m(G PAS: Auk, STE or mal + rana!” toa Ali x (, DE pn RR) PLRGAAASBE 4), (0 == Ae +36 p, (0, = sete 3 4B)f- Sr Bp + prim 4A, Ga = (red team B]e- (artt leon an, (pi x)= aes] (+ red) il 33 jeg4 71m, 1 1 29 1 9 1 1 (p: ) =5(Mplk-5(kp}h—-z(k,h}p=..., 9 (p.i=33 40-76: 389 189 559 (p, 6° =sog Af1- sog" sssn!2 +e” i +e b4 Bh, 340 E. D'OVIDIO 193 MP VARSSRTTE VA (6) ans anfePaani dadini > LIAN 97 say (27% 1 (p,if°= 8.5.1 Bf — Afp gi Te Misti o 1 1 ] ] (pt =af+ difatti EM Spa, 1 21 dna. L: 2 (p,)=zxAf k->gfkp+gfhl—jW he Spinte di 2 sulle forme di f. - (nm = Der (sit = Ann = : (; ABC+ B° + 20°) , . (mA)? = Bu), \=(mAF=}; (20,0)? =0 RA MRI v)=3(DI-A,nm), Amg =R, (1; r)=3 (Ax n_-Amnl)» - (mA) Ser Sa nam_- Dun), (ma=p, (ma= 3 Amlk—-In—-zm') (m.B}=—5), (m, (3) pn: (n= = 70, (m, )=3 Ac ck —;(3Bm+3 CIm)—3n : (mf =! (B2—446+37). (m, d)=3(B'+AC)f=3(4AA+1Bk+12)1-1(24+3A4b)m, finding (0 +34 (me) =+g1(Ck— Pda) di (me, 6) = S(BR- A)+5 SO mi =1 21 SGds tit) (myg)i= 1(Bè+3 Ae+3 viel me) =i(f om) LGASFHAZIA{P). (5 =—3(20+7 ar MB 4)0- ky 5,34 +3G4-qm)a- aa li» FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 341 (n, = tf Al +{Bm) o h -3 kim +jP(5A-A44)-jApm , (my) = fat bh Emi— metta (4 Ania B$, (e. x) = i (Agk—5Im)f+; (5 m— Al) -3KIA+} hn, (m=(G42- pE)f+(GA1- Em) — TR-3By+}16, (m, t)=— Auf +gf(514+ 451 hm)- (APE Ie) * Spinte di » sulle forme di f. (nn) = Am=g(40+B)C+3BD, ( . (n, 4) ci Cm + Bn), (nm 4)=302+3Bf, (n,v}° =, «(10)=i(Apnt- Dm), . (n, p)è = - (8, a) =3(D— Ann), «(0,3 =0, (2, ))=3 (Amm Ann); (n, 2) = 50 +5»), (a.2)=3 Di—3(3C1+jBm mn, (p}=30, (n, 6) =iAmk—3(3014+3Bm)m—jr. (n= ala Fi +508)a Mapa (n, di =-3(Cz+A47))- (n, ASI BA)-in(2A434k); (a: di sleep agli Sr Rl ata n (n. )=—gH(4 AC+5 1B:)-iBl+gln+3 i Dp — in(44 + BL) +/4(20+34B), Om =3(jte+ mo )+ pg A Cc+alpAB-0)f-5B2, 342 E. D’'OVIDIO (2,6) = 3A mn f — 1(3BA-30k41m)m- AS ale a (22,4) SOSTE Po sp lo 1kv4+3ma), 1% 1 Di (e, 2) =3(301+jBm) _apn45(30k3BA- Im) (1,0) =((R,n), 1) —7((4,0m)=..., (, 0) =3Dh—j(,m1-2(h.1) 9 7 (mg =— (kn) 8) +1 (0,19%) È =, (n, Y) at n1-3(%, n)? k_c(h,k)n= side A (fn), h) — ee un. =3(h, n) i n) h + 5 Ton =20 dla en Spinte di A sulle forme di f. Y I 4 (A,A)}=7BC, (4,08) 0 Ba} (A, v)? —;B i (4.9) =3CP+jBlm-jmn, (Auf=iBu. (A,p)=—Clm-3Bln+5w, (4, =3(Cu—B)), (4.))=40(8- 1). 1 Ba, 3 (A,a)i=0, (A.c)'=3(Bm-C1), (A.a)=% (4,a)=3%k(n-3B1)—jmA, (4,B*=0, (4.6*=3(1Bn- Om), (A)pr=7PA, do A (Ay):=2053 (4p)t= x B01+3, Bm+3 Cn, (A,)P=3B7, (4. yo 14(3Bm+3C1), (A,dl'=—iv, (4,0)=}(lIm— ly FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 343 (A, dì=—}Bd+3A4(e+36)+j/2, N 41 1 1 1 1 (A, è)=3f(n—3B1)—71®—3A(24+3A4k), 4 (A,e)/ =— gl . 23 ni (A,'=(3B+ 040) Br — 120” - pinta uh, (A, = -AB(e-%)— friv+ mag, (A, (nile magna +7 Gi: B(e+3 sto (A, =} (0 Amt) oto resin ME (A, &)=3f (3Bm+C1)- ia: (Asnt=- rorfAsm)? lima 1A-iBp, pklm—3A (5 ADL+3Bk+37"), An)=—1(5ka+B = Bf eRl- ph (A,m}=—7(5k2+ Ba), (A4,4)=3 Pmi e 4 Oi pa4 gf, (4,90 Dj h)+-; 3((1,)},4)= (4.0) =((4, A)f,1)+7(4,4"1—7(@,0°.4)=.., (4,6) = sd APR-1(h, A}1—È (4,}A= Lei sd 1 sa 1 ZA 9 7 5 (Asygf= ì A),h)+ j (lA) fo (MEP AP+7 (MT, A) 3h, B)'A 41 7 4 7 4 1 7, (A, 7° =3Bx—51(0+340)+ po ff+ab(e+36) +79, À 1 1 4,(A4 ROS Pe). (e 1 5 ka, =D) A+ + gen” (A,0)° = =} (2,4)- 3 lim+ f3 BIR+-7 I (n,4)- iena. 1 die. (A,f=—3BI+1f(2+3%) —gh0—glz— glad. (A, 0) =gfkLA +jf(34k4—1p) -jMkl-3Bf}. Atti R. Accad. — Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 26 344 E. D'OVIDIO S IV. Sizigie. Ad ottenere delle relazioni (sizigie) fra le forme del sistema com- pleto della sestica f, servono assai utilmente le seguenti relazioni : (9.0) + 40,9) +0(9,9)=0, ove c,,6 son tre forme qualunque ; (0,9) (P,0)° (L,0)° € Pet at ti la relazione, alquanto più generale di questa, fra due terne di forme e le seconde spinte delle forme dell’una terna su quelle dell'altra ; la relazione, che dà il determinante funzionale di una forma e del determinante funzionale di altre due, espresso mediante le tre forme e le loro mutue seconde spinte, cioè m_—_n AN riali i — (9, (0,0) = 2(m+n—2) si (L,0)"+9(9,0) = 92(9, 9° ’ la relazione che dà il quadrato del determinante funzionale di due forme espresso mediante le due forme e le loro seconde spinte, cioè —2.(9,9) = (pp) —2 (pp + (4,0); la relazione, alquanto più generale, che dà il prodotto dei determinanti funzionali di due paia di forme espresso mediante le forme delle due paia e le loro mutue seconde spinte. Data una forma © e una sizigie L=0, si ha l'identità (0,9) =0, e però anche le (0) =0, ((0,4),0)=0; le quali identità forniscono nuove sizigie. Ecco alcune delle sizigie che nel modo indicato possono ottenersi : fyr+kt+hn=0, 3/(9+3A8)—ky-pa=0, fa — kd + =0 > FORMA BINARIA DEL SEST'ORDINE 345 fe—-1iS+man=0, fy—3k(4BI—2Ac— A 5la)+na=0, 1 F(e+3t)-34(0+347) -Ax=0, 1 i DO a: 5f'A_fkp+3Fh+n°=0, ma—15f+vk=0, kp+ly-na=0, lt4+f0+hd=0, 3Bfi Fk 3p"+3h843#=0, .-2Bfk—AfA+}fE+2A4lkp+6pA—3khm+2k#1=0, ,—jABfh—BfA+2flm+2Bkp+ApA—3Pp +34(Bl-n)_Em=0, .fm—21p+Bh+3Ak —kA=0, Pn+Oh+ÈkP-]AKA-24*=0, .Cfl+3Bfm+3pn—3klm+Ck—2BkA--AA°—ìPA=0, .Cf4+ Bp_;km_-21A=0, .3B°f+20p-Bkl+kn-2mA=0, i .3BOf-3Df-340p-3C41+4(3Am-Bl+n)+{Fm=0, .($ B° + AC) Bf+ Dp+3A40k1+5Ckm+3C1A— BAm 3 AAn—glnIm=0, 2 1 9 .3(404B)k+3(AB+6C)A4+}BP-2ln-m"=0, .DE+3(AC+B°)A-30F-2mn=0, 3 (AB+60) (4 0k—i BA)+ DA — 1B"?—3 CIm+Bln-n"=0, .— Bfn+4Apn—3Dh+4kln-3ABkA-—4CkA +(6B— 4°) A?+3AA24+4Alm+3"=0, Torino, marzo 1908. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 26 * 346 G, MANCA Studi sull’allenamento, ricerche sperimentali di GREGORIO MANCA Le prime ricerche scientifiche sull’allenamento furono fatte da G. TH. FEecHNER (1). Egli sperimentava sopra se stesso, e l’esercizio giornaliero consisteva nel sollevare, al di sopra della testa, due manubri, uno per ciascuna mano, di cui ognuno pe- sava circa 9 libbre e '/, (gr. 3244). Ml sollevamento durava un minuto secondo e altrettanto l'abbassamento. L'esercizio era prolungato fino al momento in cui riusciva impossibile conti- nuarlo col solito ritmo. Naturalmente per tutto il tempo di queste esperienze il FECHNER cercò di lavorare sempre alla stessa ora e di conservare lo stesso metodo di vita. Il risultato più importante osservato da FECHNER fu, come era da prevedersi, che si ha un aumento progressivo della quantità di lavoro giornaliero. Limitandomi a citare alcune medie, risulta che FECANER nella 1* settimana d’esercizio sollevò i manubri 57 volte al giorno; nella 2%, 58 volte; nella 3°, 70 volte; nella 4*, 83; nella 5*, 100; nella 6%, 129; nella 7%, 197: nella 8* settimana 275 volte (2). La parte nuova ed importante di queste esperienze non era (4) G. Ta. FecHNER, « Ueber den Gang der Muskelibung » (Ber. d. X. S. Ges, d. Wissensch. su Leipzig, math. phys. CI. 1857, Bd. IX, H. III, S. 113). Re- centemente scrissero intorno all’allenamento, però da un punto di vista al- quanto diverso dal mio, CH. HenRY, « Recherches expérimentales sur l’en- traînement musculaire » (ne’ Comptes Rendus de l’ Académie des Sciences de Paris, t. CXII, 1891, pag. 1473-1476), e WARREN. P. LomBaRD « Some of the influences which affect the power of voluntary muscular contractions » ( nel Journal of Physiology, vol. XIII, 4892, n. 1-2, pag. 14-19, capit. « The effect of Exercise » ). (2) Ammesso che, come dirò più avanti, i numeri indicanti le elevazioni de’manubri costituiscano una serie di carattere dinamico e crescano secondo una « progressione geometrica irregolare », avrei dovuto, per maggior precì- sione, servirmi esclusivamente delle medie geometriche (confr. A. MESSADAGLIA : « Il calcolo de’ valori medii e le sue applicazioni statistiche, nell’ Archivio di Statistica, anno V”, 1883, fase. 11° e ]V°, pag. 26 e seg. dell’estratto; e W. STANLEY Jevons: Z'he principles of Science; London, Macmillan, 1887, pag. 362); invece mi sono contentato di cercare le medie aritmetiche, che offrono il vantaggio di non richiedere lunghi calcoli e di dare una precisione più che sufficiente per questa ricerca preliminare delle leggi dell'allenamento, STUDI SULL’ALLENAMENTO 347 tanto lo stabilire l'aumento continuo della forza muscolare sotto l'influenza dell’esercizio, quanto di conoscere il decorso caratte- ristico di quest'aumento e di tracciare la curva dell’allenamento. A questo proposito FECHNER trovò che la curva in questione sale continuamente, ma non in modo uniforme, e che l’'ascensione è più rapida alla fine delle esperienze che al principio. Siccome tanto nella tabella numerica quanto nella tavola grafica pub- blicata da FECHNER non è molto evidente questo maggior au- mento finale ed appare solo dopo un esame diligente delle cifre e della curva, io ho voluto studiare meglio il fatto cercando i modi di metterlo in maggiore evidenza e le leggi che lo gover- nano. Ho perciò calcolato le variazioni delle cifre indicanti le quantità di sollevamenti, da un giorno all’altro. Dico variazioni e non aumenti perchè, sebbene il decorso tipico delle curve del- l'allenamento sia complessivamente ascendente, si può -- da un giorno all’altro — avere anche una diminuzione oppure una sta- bilità nel numero de’ sollevamenti. Per brevità di linguaggio , sotto il nome di varzazioni, comprendo tutti e tre questi casi possibili. Facendo le medie di queste variazioni per le singole quindicine di esercizio, ho calcolato la variazione media gior- naliera in quella data quindicina, variazione che è sempre rap- presentata da un numero positivo, cioè da un aumento continuo, per la sopravvalenza degli aumenti sulle diminuzioni. Nelle espe- rienze di FECHNER la variazione 0 aumento medio giornaliero nella 1% quindicina fu di 0,57 sollevamenti; nella 2%, di 3,06; nella 3%, di 4,06; nella 4% quindicina di 23. È evidentissimo il progressivo crescere di questo aumento medio giornaliero. lo feci un gran numero di esperienze sopra una quindicina di persone; per ora esaminerò solo i risultati di 2 serie di espe- rienze. Nella prima serie, gli esercizî li feci io stesso per la durata di 70 giorni; nella 2* serie si prestò cortesemente l’amico Dr. R. Cao, che fece gli esercizi per 35 giorni. I manubri da noi usati pesavano 5 kgr. ciascuno. Le condizioni di espe- rienza erano identiche per ambedue: i manubri, l’ora di lavoro, il ritmo erano i medesimi. Inoltre il nostro stato individuale era poco differente, avevamo la stessa età, avevamo abitudini quasi eguali, il vitto era eguale; per quanto riguarda la costituzione fisica, il Dr. R. Cao era un po’ più robusto di me. Con condi- zioni così poco diverse non è da meravigliarsi se i nostri risul- tati siano stati quasi identici, e se, partiti da cifre vicine, dopo > 348 G. MANCA 35 giorni d’esercizio abbiamo raggiunto delle cifre che differi- scono tra loro solo di 7, mentre la differenza iniziale era di 10. I dati delle mie esperienze sono ordinati nelle tabelle nu- meriche 1° e 2*, e rappresentati graficamente nelle tavole 1% e II°. L'aumento progressivo delle quantità di lavoro giornaliero risulta evidentissimo dalle cifre della tabella 1% e dal rapido, benchè disordinato, ascendere delle curve della tavola I*, nella quale la curva punteggiata è descritta secondo i dati del Dr. R. Cao, la curva a linea continua secondo i miei. Per citare al- cune cifre, basti dire che nel 1° giorno d’esercizio io sollevai i manubri 25 volte, il Dr. R. Cao 35 volte; nel 15°, io 43 volte, il Dr. R. Cao 37; nel 30°, io. 52, il Dr. R. Cao. 45; nel_35° giorno, 10 53; il Dr. R. Cao 60 volte. Continuando l’allenamento, io nel 55° giorno d'esercizio avevo raggiunto la cifra di 96, nel 70° quella di 126, che rappresenta un po’ più del quin- tuplo della cifra iniziale. Su questi dati ho calcolato le medie settimanali, dalle quali risulta che nella 1* settimana di eser- cizio il Dr. R. Cao sollevò i manubri 22,4 volte al giorno; nella 2%, 32,7; nella 8*, 43; nella 4?, 44; nella 5° settimana 51. Io invece, nella 1% settimana ebbi 28, nella 2* settimana, 42; nella 3%, 46,6; nella 4%, 46,8; nella 5%, 54; nella 6*, 63; nella 7°, 59; nell’8%, 59; nella 9%, 95. Anche in queste esperienze l’uumento medio giornaliero cresce progressivamente; facendone le medie quindicinali si hannoi dati della tabella 2*, sui quali è costruita la tavola grafica II*. Per il Dr. R. Cao quest’ aumento nella 1% quindicina fu di 0,23 elevazioni; nella 2%, di 1,23. Per me nella 1* quindicina l’au- mento medio giornaliero fa d 1,28: nella 2%, di 2.62; nella 3*, di 3; nella 4%, di 3,53; nella 5* quindicina di 5. I numerosi dati da me raccolti, offrono oramai materiale sufficiente per poter determinare con precisione le leggi dell’al- lenamento; spero di poter tra breve sottoporre le cifre ottenute ad una rigorosa analisi matematica. Contentandomi per ora di esprimere con una legge grossolana i risultati avuti da FECHNER e da me, dirò che la forza muscolare durante un prolungato esercizio ginnastico cresce secondo una « progressione geometrica irregolare ». L'espressione « progressione geometrica irregolare » è frequentemente usata in statistica (1), in cui per es. si dice (1) Vedi MessapaGLIA A,, op. cit., pag. 28, e GaBaGLIO A., Teoria generale della statistica, Milano, Hoepli, 1888, vol. II°, pag. 179 e seg. in cui parla delle « serie a carattere dinamico », STUDI SULL’ALLENAMENTO 349 che la popolazione cresce in tal modo. Che anche la forza muscolare nell’allenamento progredisca con questa legge è fa- cile persuadersi, ricordando quanto ho detto per 1’ aumento medio giornaliero e guardando la tavola che rappresenta gra- ficamente le medie quindicinali di quest'aumento: se si trattasse di « progressione aritmetica », regolare o irregolare, gli aumenti medi giornalieri non dovrebbero mostrare alcuna tendenza a crescere, le loro medie quindicinali — per il compensarsi degli errori casuali — dovrebbero differire pochissimo l’una dall’oltra, e la curva della tavola II° dovrebbe essere orizzontale (1). Prima di finire, voglio accennare rapidamente ad un altro fatto osservato in molte esperienze, che ora non pubblico, e nel corso degli esercizi che facevo io stesso. Come risulta dalla ta- bella 1 e dalla grafica corrispondente ne’ giorni 17°, 18°, 19° e 20°; 32°; 40°, 41° e 42°; 65° e 66° d’esperienza, non feci alcun esercizio. Esaminando i numeri rappresentanti le quantità di elevazioni de’ manubri fatte ne’ giorni che seguirono imme- diatamente i periodi di riposo, si vede subito che o non si ha alcun aumento sulle cifre precedenti, o invece si ha una note- vole diminuzione. Il primo caso è rappresentato, nella tavola gra - fica I*, dal decorso orizzontale della curva, formata da rette inter- rotte da punti, che corrisponde a’ giorni di riposo ; il secondo dal decorso discendente della stessa curva. Tanto nell’uno che nell’altro caso si ha, dopo una semplice interruzione della ginnastica per 2-3 giorni, una evidente stabilità, o più sovente una diminu- zione di quelle condizioni (di forza muscolare, di resistenza alla fatica, ecc.) che prima rendevano attuabile una data quantità di lavoro Nella curva della tavola 1%, sono numerosi i tratti orizzontali ed i discendenti anche in corrispondenza di periodi di nessun riposo, e perciò si potrebbe fare l’obbiezione che anche quei tratti da me citati come indicanti l'influenza del riposo, sì possano invece ritenere delle variazioni casuali al pari degli altri appartenenti a periodi di lavoro: quanto io ho affermato si basa però su calcoli e costruzioni grafiche che ora non riporto, ma che dimostrano la mia asserzione. (1) Ciò che affermo sul decorsoze sulle leggi dell’allenamento vale natu- ralmente solo per le condizioni e la durata delle mie esperienze; ho fatto delle ricerche anche sui limiti dell’allenamento e sull’allenamento intensivo s conto di pubblicare tra breve una nota in proposito, 350 :S NUMERI Peio 50 = |Manca G.| Cao R. a db © 1 25 35 2 25 32 3 24 33 4 27 30 5 27 34 6 31 36 7 43 27 8 37 36 9 52 30 10 42 31 JÒ 41 31 O 39 31 13 7 35 14 37 35 15 43 37 16 51 35 17 38 18 39 19 52 20 52 21 | 46 49 22 | 47 50 | 28 139! 87 | 24 | 45 44 G. MANCA TABELLA 1° i NUMERI z 9 delle elevazioni ES dei manubri 5 (0) 5 |Mauca G. | Cao R. a' x d' c' 29 5) 37 26 47 51 27 45 44 28 92 50 29 92 40 30 52 45 dol 58 59 32 49 38 49 56 34 61 59 35 53 60 36 68 droz i Sit 70 38 61 39 Sb ni | 40 | | 41 42 43 55 44 d3 45 58 46 5.7 47 67 48 72 | GIORNI di esercizio 3 Uto DENG ò1 NUMERI delle elevazioni/ dei manubri. G. Manca SPUDI SULL'ALLENAMENTO 351 Nelle colonne a, a ed «' sono notati progressivamente i giorni di esperienza tenendo calcolo anche di quegli in cui non si fece alcun esercizio. Per le esperienze su G. Manca, il giorno 1° eorrisponde al 5 aprile del 1890: per il Dr. R. Cao al 7 Giugno dello stesso anno. Questi dati sono rappresentati grafi- camente nella Tavola I*, secondo la linea delle ascisse. Nelle colonne 6, d e d' sono indicati i numeri delle ele- vazioni de' manubri (contando come unità d’esercizio l’innalza- mento ed il successivo abbassamento de’ manubri) fatte da G. Manca ne’ giorni corrispondenti. I dati sono rappresentati nella grafica I* dalla linea continua, che viene interrotta da al- cuni punti ne’ periodi di riposo. Le colonne e e c contengono i numeri di elevazioni fatte dal Dr. R. Cao, che sono rappre- sentati nella tavola 1* da una linea punteggiata. TABELLA 2° AUMENTO MEDIO Quindicine [Oer ager G. Manca R. Cao FEE ta mitiigao eviluo id: dial n 1, 28 0, 23 2° 2, 62 193 di 9 SCR d dna I si | | Nella 1% colonna sono indicate progressivamente le quindicine. Nella 2* e 3* colonna sono notati gli aumenti medi gior- nalieri delle varie quindicine, calcolati facendo prima la somma algebrica delle variazioni giornaliere delle diverse quindicine , e dividendo poi questa somma pel numero de’ giorni presi in con- siderazione. de G. MANCA - STUDI SULL'ALLENAMENTO Questi dati sono rappresentati dalla tavola grafica II*, nella quale le auindicine sono nella linea delle ascisse, gli aumenti medi giornalieri elle varie quindicine nella linea delle ordinate, la curva continua è tracciata coi dati di G. Manca, quella a rette interrotte da punti coi dati del Dr. R. Cao. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE GRAFICHE Tavoa I°. — È costruita secondo i dati della tabella 12. I giorni sono indicati nella linea delle ascisse, le elevazioni dei manubri in quella delle ordinate, in numeri assoluti. La curva a linee continue corrisponde a’ dati di G. Manca. I tratti in cui le rette sono interrotte da punti neri apparten- gono a’ periodi in cui si fece riposo. La curva punteggiata è tracciata secondo i dati del Dr. R. Cao. TavoLa II°. — Corrisponde alla tabella 2%. Le quindicine sono nella linea delle ascisse, gli aumenti medi giornalieri in quella delle ordinate. La curva continua appartiene a G. Manca, quella punteggiata al Dr. R. Cao. Laboratorio di Fisiologia della R. Università di Torino. L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. | li 0 0 0 0 0 0 ) 0 e tn 5 0 dt 0 n n di _ i. - rari saenza n Lai nesase Gasasznze . | HERE AE pini HRS i : Tr è LT T mani Hi È - RI TERSe na noa SITL T - se i - AH oork OTL EG ni Easenana 0 DR n WATIZIOEZIZION , JUET PUS][E, I! 5 tp Ù) CE, TANTI È 04 st, fiadi ‘idv PeR A ta RL Sarai RI 3 SATA ; ve Ubi a 6 », A n at N s F 5 r | dA É Ed. b $ Pigi ge i x ta) x À Pa toi La EIA x } “ Ad : . "ct " »* # # LI ‘ tri _ « hi 7 k & ù «i { A se N ' 4 È a kad cio: } ; } Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Natur: del Box Salpa PE E) . MIC . IRE 0 » o 00 _ Formole relative alla formola binaria del sint ana Manca — Studi sull’allenamento . 0. i Ne: Torin i 4 os SEE] R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUF CLASSI Vor. XXVII, Disp. 10%, 1891-92 —_& Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Marzo 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: SaLvaporIi, Cossa, Bkuno, BERRUTI, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI, CA- MERANO, SEGRE, PeANO e Basso Segretario. Il Socio Segretario, dopo aver letto il processo verbale del- l'adunanza precedente che viene approvato, presenta in dono al- l'Accademia, a nome dell'Autore, il primo numero delle nuove Pubblicazioni del R. Osservatorio astronomico di Torino sul- l' « Azimut assoluto del segnale trigonometrico di Monte Vesco sull’orizzonte di Torino determinato negli anni 1890 e 1891 », del Prof. Francesco Porro, incaricato della Direzione dello stesso Osservatorio. Il Socio CameRrANO legge un suo lavoro nel quale vengono esposte le ricerche da lui eseguite Intorno al parassitismo ed allo sviluppo del Gordius pustulosus BAIRD. Il Socio Peano legge una sua Nota sulla Generalizzazione della formula di Simpson. Il Socio NaccarI presenta e legge uno Studio sperimentale Sulla trasformazione dell'energia in alcune pile elettriche del Dott. Adolfo CampeTTI, Assistente al Laboratorio di Fisica della R. Università di Torino. I tre lavori ora accennati saranno pubblicati negli Atti. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXVII. 27 354 IL. CAMERANO LETTURE Ricerche intorno al parassitismo ed allo sviluppo del Gordius pustulosus BAIRD; Del Socio Prof, LORENZO CAMERANO Il: Gordius pustulosus, descritto per la prima volta dal Baird nel 1853 (1) sopra un esemplare femmina trovato pa- rassita nella cavità addominale di un B/aps obtusa, è specie oggi ancora rarissima nelle collezioni ed è incompletamente nota. Un secondo esemplare di questa specie venne trovato solo nel 1884 dal Villot- (2), pure parassita, nella cavità addominale di un Blaps- mortisaga a Grenoble. Anche questo esemplare è una femmina. Un terzo ‘esemplare io lo ebbi nel giugno 1889, rac- colto in un pozzo del palazzo della R. Accademia Albertina di Torino. Un quarto esemplare, finalmente, venne raccolto dal dottor Cesare Lepori nell’acqua a Serramannu nella provincia di Cagliari. Questi due ultimi esemplari erano pure femmine (3). Il fatto dell’essersi trovato un esemplare della specie in discorso in un pozzo del palazzo della R. Accademia Albertina in-mezzo alla città di Torino e il fatto dell’essersi trovati esem- plari parassiti nei B/aps mi indussero ad esaminare i B/aps che fivono nei sotterranei e ‘nelle cantine della città di Torino. La specie più comune, e della quale si possono raccogliere in poco tempo molte centinaia di individui, è il B/aps mucro- nata Latrel. Feci raccogliere perciò molte centinaia di Blaps mucronata hei sotterranei e' nei cortili degli edifizi di varie località di To- rino, vale a dire: della casa del conte M. G. Peracca in via Madama Cristina, -dell’edifizio degli Istituti Biologici in via di (1) Bair, Catalogue oftlie Entozoa in the British Museum, p. (37. — Proc, Zool Soc. di Londra, 1853, pag. 20, tav. XXX, fig. 4. — Ann. and Mag, nat. hist., 2? ser., vol. XV, pag. 72. (2; ViLLOT, Revision des Gordiens, Ann, sc. nat. zool, 1886, pag. 303, tav. XITI e XIV, fig. 8-12. (3) CAMERANO, Nuove osservazioni intorno ci Gordii, I. — Bollettino dei Musei di Zoologia e di Anatomia Comparata di Loose 66, vol. IV, 1889, e JI, Gordii di Sardegna, ibidem, 83, vol. V, 1890. - RICERCHE INTORNO AL GORDIUS PUSTULOSUS BAIRD. 355 Po, dell’edifizio» della R. Scuola veteribaria in via Nizza, di una casa in. piazza . Bodoni, di una casa in piazza Vittorio Ema- nuele II e del palazzo, Carignano sede dei Musei di Zoologia e di Anatomia Comparata. I Blaps provenienti dalle cantine della casa di piazza Bodoni e di quella della piazza Vittorio Emanuele non presentarono alcun Gordio ; invece gli esemplari provenienti da tutte le altre loca- lità presentarono numerosi esemplari di Gordius pustulosus allo stato parassitico ed in varii stadii di sviluppo. Le mie osservazioni vennero ripelute durante gli anni 1890- 91 e 92 e mi diedero a un dipresso sempre gli stessi risultati, tanto che credo sia lecito conchiudere che per le località so- pradette il parassitismo del Gordius pustulosus nel Blaps mu- cronata è un fatto normale. Nelle cantine e nei sotterranei dove sogliono vivere i B/aps mucronata vivono pure, come è noto, altri artropodi; così ad esempio nei sotterranei del palazzo dei Musei non sono rari gli Sphodrus leucophtalmus, V Harpalus aeneus e varie specie di - piccole Amara; non sono rari neppure varie sorta di ragni e gli Oniscus murarius. Ho esaminato diligentemente anche questi artropodi raccolti come i B/aps a più riprese, ed ho trovato il Gordius pustu- losus parassita nello Sphodrus leucophtalmus (29 marzo 1891) e.nell Harpalus aeneus (12 aprile 1891). Il Gordio parassita di quest’ultimo era di piccole dimensioni e possedeva ancora i resti dell’armatura della tromba dello stadio larvale. Credo utile di riunire in una tavola i risultati delle osser- vazioni fatte sui B/aps dei sotterranei_del palazzo dei Musei di Zoologia e di Anatomia Comparata. Nelle tavole seguenti chiamo giovanissimi gli individui di Gordii (stadio filiforme) che misurano non più di m. 0,10, am. 0,12; chiamo.giovani quelli che misurano da m. 0,13 a m. 0,17 circa. Non ho d’uopo di far osservare che si tratta qui di una distinzione i cui termini non__sono da. considerarsi che relativi e destinati a dare soltanto una idea complessiva ed approssima- tiva dei vari stadi di sviluppo dei” Gordii che si trovano allo stato parassitico in una data stagione nei Blaps. È noto infatti che in alcune specie di Gordii può osservarsi il fatto di esem- c*plari di piccola mole completaménts maturi. Ho avuto cura perciò, nel caso. nostro, di tener conto anche dello stato di svi- 356 L. CAMERANÒ luppo degli strati cuticolari esterni i quali forniscono nella maggior parte dei casi un criterio migliore per determinare approssimativamente l'età di un Gordio allo stato filiforme. Esemplari di Blaps mucronata raccolti il 27 marzo 1891 net sotter- ranei del Palazzo Carignano, sede dei Musei, contenenti individui di Gordius pustulosus. SE NUMERO DEI GORDII i contenuti in ciascun esemplare di B/aps 3 7 i OSSERVAZIONI ai eteri | del colore | GOrdiki || Gordil >. 2 | bianchicci normale RISE | ale 1 — -- 19 _ 2 — _ 3 Q _ 3 — — — 3 4 — - 2 Q _ 5) 10 — i = 6 19 — = = 716019 i —_ — 8 19 — 3916 4 9 29 — = = 10 16 _ 5 Q 2 Il Blaps venne trovato morto e i Gordii erano in parte già ammuffiti. 11 16 — — —_ 12 o) _ = — 13 |16e109 — —_ — 14 |1Be19 _ — —_ 15 — _ 19 = 16 | 24 0209 — — —_ 17 — _ 49 010 —_ 18 10 —_ — — Questo esemplare di Gordio e il seguente, messi nell’ acqua, dopo pochi giorni morirono. 19 19 —_ _ — 20 - - 645309 1 21 _ -_ 4 Q — 22 19 Il numero totale degli individui di Blaps mwucronata era di 118. Di questi, 22 presentarono esemplari di Gordius pustulosus. i RICERCHE INTORNO AL GORDIUS PUSTULOSUS BRAIRD, 857 Esemplari di Blaps mucronata ruccolti il 3 giugno 1891 nei sotter- ranei del Palazzo Carignano, sede dei Musei, contenenti individui di Gordius pustulosus. SS 7 "a NUMERO DEI GORDII OSSERVAZIONI E DATE 85 contenuti in ciascun esemplare di 2B/ans \ 9 E° i Sinni Spe Samamiente 3 se . * e Sd ni l 2èmplarl di aps rac- 8 MES socipiinaai Gordii l Gordii colti il 3 giugno 1891 e tenuti vivi 83 |'bianchicei Urali giovani |giovanissimi | in Jab»ratorio fino al 20 luglio 1894, ni -_ | 1 Q _ _ (3 Giugno) Appena aperto l’a- nimale il Gordio esce da sè: lo colleco nella terra umida. 2|19026 —_ _ _ (6 Giugno), Messi nell’acqua si muovono lentamente. 3 19 — _ _ (Idem). Questo esemplaredi Gordio messo nell’acqua non dà segno di vita. 4 — 29 _ — (Idem) I due Gordii erano morti. 5 —_ 1 LENTA _ _ (Idem) Il Blaps era morto e così pure il Gordio. 6 10 — _ —_ (Idem). ]l Gordio messo nell’ac- qua non dà segni di vita. al —_ te i _ (12 Giugno) Avendo osservato il Blaps starsene quasi immobile coll’estremità dell'addome molto sporgentelo collocai nella terra umida: dopo poco tempo ne uscì il Gordio che collocai nella terra umida. 8 Fil 16 dì -- (12 Giugno). Come il precedente; col precedente nella terra u- il Gordio mise fuori il capo: | ma non riuscì ad uscire: dopo || 4 ore lo. estrassi e lo collocai mida. 9 209 — —_ 1 (42 Giugno). H-Blaps era morto: l'esemplare di Gordio giovanis- simo presentava i resti dell’ar- matura della tromba larvale, 10 109 26 —_ SA {17 Giugno). Colloco i Gordii nella terra umida coi precedenti. 11 oi — _ — (Idem). Il Gordio non dà segni di vita. 12 _ 109 — (19 Giuguo). Colloco il Gordio nel- l’acqua: esso è vivacissimo. _ || 13 — _ 3 Q 2 (Idem). i 14 = 2.6 — — |7 Giugno). Colloco i Gordii nel- l’acqua:-essi sono vivacissinti, || 15 —_ LUO = — (28 Giugno). Idem t 16 _ 10 _ -- {Idem). Idem 17 1090109 | _ _ (41 Luglio). Idem I 858 L. CAMERANO- © Il numero totale degli individui’ di Bl4ps ‘mucronata era * - di 124. Di questi, 17 presentarono esemplari di Gordius pu- stulosus. È d’uopo aggiungere ancora al numero: dei Gordii se- gnato in questa tavola un individuo © adulto che il 27 giugno trovai deposto all’asciutto nel vaso dove tenevo i Blaps. Al 21 settembre 1891 gli individui di Blaps mucronata è ‘ nei sotterranei del Palazzo Carignano erano poco numerosi e non © - ne potei raccogliere che una ventina. Di questi, un solo esem- - plare presentò 2 Gordii 1 © e 1 9 adulti: ma ancora bianchicci. nina di Blaps mucronata raccolti il 25 Ai 1892 nei sotter- ranei del Palazzo Carignano; sede dei Musci, contenenti individui di Gordius pustulosus. Ù de: — E îs 2 2 [Rei LO ua È 2 29 ST > Q7 = | © d''a Ia wo > (| NUMERO DEI GORDI- L > E — è contenuti in ciascun esemplare di Blaps ' 3 Ta OSSERVAZIONI Gordii adulti Gordii adul ti Gordii Gordii ma ancora | del colore -| giovani |giovanissimi bianchicci normale — — 10 _ Il Blaps venne trovato morto uni- tamente ad altri dieci i quali | 3 non contenevano Gordii, 1601 Q — — — ri — = 2 Ò pi i: == — 29 1 19 —_ = _ Il Blaps muoveva le zampe con molto stento. — _ 2 3 se 22 _ — 2 al = = 1 Il Blaps venneesaminato il giorno 4 marzo ed era morto nel labo- - ratorio. -- È È 19 “e - = a = 1 Q e 2 Ò È “A — = 1 qQe 10 _ —_ — 1 Q = Lat _ = 106029 _ presi 1 Q —; QeIò _ 19 — —_ = 4 Uno dei Gordii ha appena la lun- . ghezza di un centimetro circa. RICERCHE INTORNO AL GORDIUS PUSTULOSUS BAIRD. 359 Il numero totale -degli individui di B/aps mucronata era di 94. Di questi, 19 presentarono esemplari di Gordius pustu= losus. Come si scorge dalle tavole precedenti, si è verso il mese di giugno che i B/aps contengono i Gordii completamente. svi+ luppati. Questo fatto io lo verificai anche nelle altre località di Torino sopracitate, nelle quali trovai il. Gordius pustulosus. Ora possiamo domandarci in che modo si sviluppa il Gor- dius pustulosus nelle condizioni speciali dei luoghi dove si tro- vano i Blaps mucronata e in che modo questi ultimi possono venire così abbondantemente infetti. Anzitutto debbo osservare che il Gordius pustulosus ha gli apparati riproduttori foggiati sullo stesso stampo fondamentale dei Gordii più noti, come ad esempio: il (G.. tolosanus, il G. Villoti, ece., ed inoltre. che i due sessi sono separati. Mi era venuto il dubbio che si trattasse di una specie vivipara, ma nessun fatto è venuto a confermare questa ipotesi. Gli individui adulti di Gordius pustulosus, estratti dai Blaps, e messi nell'acqua vivono benissimo .e si. comportano come: gli individui delle altre specie. Ho provato ripetutamente a' tenerne individui adulti nella terra umida, ed anche in questa essi vivono a lungo, il che del resto. avviene anche; entro a certi limiti, per altre specie di Gordii. Non ho osservato l’ac+ coppiamento nè negli individui tenuti. nella ‘terra oEBida; nè in quelli tenuti in acqua. sal Ora, nei sotterranei del Palazzo Carignano, sede dei Musei, i Gordii per svilupparsi non hanno a loro disposizione alcuna quantità di acqua. Solo durante le piogge prolungate può goc- ciolare un po’ d’acqua dalle finestre chiuse da inferriate che danno luce ai sotterranei stessi; ma come io ho verificato ri- petutamente, durante due anni, l’acqua sopradetta serve soltanto ad inumidire il terriccio che sta sotto alle finestre. Si noti pure che si è precisamente in questo terriccio che sono più nume- rosi gli individui di B/aps attirati probabilmente dai detriti di varie sorta che cadono dalle inferriate sopradette. Nelle altre località di Torino nelle quali i B/aps mi presentarono Gordii, le condizioni di vita sono a un dipresso come quelle dei sotter- ranei del Palazzo Carignano. i 360 I. CAMERANO Nel terriccio umido, seguendo le indicazioni del Perris (1), trovai alla profondità di 20 o 30 centimetri numerose larve di Blaps mucronata. Esaminatele diligentemente, anch'esse si pre- sentarono infette da (Gordius pustulosus a varii gradi di svi- luppo, ma in complesso di piccole dimensioni: così, ad esempio, in una larva ne rinvenni un individuo della lunghezza di appena un centimetro. In nessuna tuttavia, sebbene io ne abbia esami- nate oltre ad una settantina, trovai la prima forma larvale ca- ratteristica dello sviluppo del G. folosanus, o del G. Villoti. Ciò premesso, mi pare st debba ammettere che nelle com- dizioni speciali dei sotterranei del palazzo Carignano e di altri edifizii di Torino l'accoppiamento e lo sviluppo delle uova del Gordius pustulosus si compie nella terra umida in via normale. Per ciò che è dello sviluppo delle uova e della prima forma larvale non ebbi occasione di fare alcuna osservazione ; mi pare tuttavia probabile che si abbia qui un caso di accorciamento di sviluppo. Forse lo stadio di larva propriamente detto si compie entro all'uovo e l’animale quando esce ha di già la forma allungata nematodiforme, portando seco, come residuo dello stadio lar- vale, una parte dell’armatura chitinosa della tromba e piccole prominenze chitinose all’estremità posteriore del corpo. Il Gordio penetrerebbe forse nell’ospite essendo già allo stato nematodi- forme. Per quanto abbia cercato non mi venne fatto di trovare larve di Gordii incistidate nè nei B/aps adulti, nè nelle larve anche giovani di questi ultimi. Mi pare inoltre che pel Gordius pustulosus, il quale si trova nelle condizioni di vita sopradette, si possa ritenere che esso si sviluppa direttamente in un solo ospite (2). Sarebbe interessante di verificare se il G. pustulosus pre- senti a Londra e a Grenoble, dove venne pure trovato paras- sita di B/aps, un analogo fenomeno di adattamento. (1) Histoire des metamorphoses du Blaps producta, Dey., et du Blaps fatidica, Sturm. — Annales de la Socicté entomolog. de France, 2° ser., vol. X, pag. 603 (1852). (£) Vedasi a proposito dell’ incistidamento dei Gordii, ViLLot, L’evolution des Gordiens, — Ann. sc, nat., 7° ser., 1894, pag. 343. RICERCHE INTORNO AL GORDIUS PUSTULOSUS BAIRD. 861 L'individuo di G. pustulosus che venne trovato in un pozzo della R. Accademia Albertina proveniva certamente da qualche individuo di £L/aps mueronata cadutovi entro. Analogamente forse si può spiegare la presenza di un individuo di G. pustu- losus in un serbatoio d'acqua a Serramannu in Sardegna. Il Villot (1) ha descritto minutamente la femmina del G. pustulosus: i miei esemplari corrispondono a questa descri- zione e così pure corrispondono in complesso le dimensioni delle areole dello strato esterno della cuticola, strato che il Villot chiama impropriamente epidermide (2). Riguardo ai tubercoli infraareolari bo osservato che questi sono più sviluppati verso l’estremità posteriore del corpo ed assumono l’aspetto di minu- tissime spine; talvolta questi tubercoli o queste spine si trovano anche sopra l’areola stessa (fig. 4c e fig. 6 c). Descriverò ora il maschio del G. pustulosus che fino ad ora non era conosciuto. La forma generale del corpo è simile a quella della fem- mina : ma le differenze di diametro trasversale fra l’estremità anteriore, la posteriore e la meliana sono meno spiccate che nella femmina. Le dimensioni degli individui più grossi sono m, 0,14, m. 0,15 in lunghezza e m. 0,0008 in larghezza. L’estremità posteriore è biloba : manca la lamina post-cloacale : vi sono due serie convergenti di peli setole come mostra la fig. 8 unita a questo lavoro. (14) Revision des Gordiens, op. citata. (2) Non ritornerò qui sopra la questione dell’ epidermide e della cuticola dei Gordii poichè ko già avuto occasione di trattarla lungamente in'altri la- vori. Il ViLLor recentemente ( Erolutions des Gordiens, op. citata) torna a sostenere la sua idea che lo strato. cellulare periferico sottocuticolare del Gordio adulto sia da considerarsi come un ammasso di fibrille nervose fra le quali si trovano ancora i nuclei delle cellule primitive dello strato ch'egli chiama ipodermico (tav. 16, pag. 5, e spiegazione della figura pag. 397). Gli argomenti che il ViLLor adduce per combattere l’opinione del VeJpovsKY, del MicHEL e mia a tale riguardo, e tanto meno: le figure che egli unisce al suo lavoro, non mi paiono menomamente sostenibili; quindi io conservo allo stato cellulare periferico dei Gordii adulti il significato ed il nome di strato epidermico propriamente detto ed agli strati soprastanti il nome di strati cuticolari. Ritornerò del resto sopra questo e sopra altri punti dell'anatomia dei Gordii, sui quali non mi è possibile andare d’accordo col ViLLor,'in altra occasione, 362 I. CAMERANO Lo strato cuticolare esterno presenta due sorta di areole: le une più piccole e di tinta più chiara, di dimensioni variabili (lunghezza da 12 a 15 micromillimetri, larghezza da 10 a 15 micromillimetri) ; e le altre più grandi sporgenti, e di tinta più scura. Queste grosse areole (lunghezza da 25 a 30 micromilli- metri, larghezza da 22 a 30 micromillimetri) sono formate dalla fusione più o meno completa di varie areole più piccole. Le grosse areole sono più numerose e più sporgenti verso l’estre- mità posteriore del corpo. I tubercoli infraareolari sono come nella femmina. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA. Aide. di or Gordius pustulosus, individuo giovanissimo tro- vato parassita in un Harpalus aeneus nei sotterranei del Pa- lazzo «Carignano il 12 aprile 1891 (Zeiss. oc. 3. ob. F.). (: armatura chitinosa, residuo dell’armatura della tromba dello stadio larvale propriamente detto. Fic. 2. — Gordius pustulosus, individuo giovanissimo tro- vato parassita in un Blaps mucronata nei sotterranei del Pa- lazzo Carignano nell’aprile 1891 (Zeiss. oc. 3. ob. F.). 4. come nella figura precedente. Fia. 3. — G. pustulosus adulto, porzione dello strato cu- ticolare esterno del maschio trovato parassita in un Blaps mu- cronata nei sotterranei del Palazzo Carignano (Zeiss. oc. 1. ob. F. tubo chiuso — la carta da disegno sul tavolo da lavoro — camera chiara di Abbé). a. areole più grosse e più scure. — b. protuberanze infraareolari. Fic. 4. — G. pustulosus adulto, porzione dello strato cu- ticolare esterno della. femmina — il resto come nella figura precedente — c. protuberanze sopraareolari. Mr «<>. Came îic&rche intorno al parassitismo Ati RAccad. delle Sc. di Torino Igt del Gordius Pustulosus: Bard RICERCHE INTORNO AL GORDIUS PUSTULOSUS BAIRD. 363 Fia. 5. — Gordius pustulosus giovanissimo (lungo un cen- timetro appena) parassita di una larva di Bl/aps mucronata dei sotterranei del Palazzo Carignano (3 marzo 1892) (Zeiss. oc. 2. ob. E.). a. residuo dell'armatura chitinosa allo stadio larvale. Fic. 6. — Gordius pustulosus adulto : porzione dello strato cuticolare esterno della regione anteriore del corpo vista in se- zione (Zeiss. oc. 3. in ob. F.). @. areole — d. protuberanze tu- bercoliformi infraareolari — e. protuberanze tubercoliformi su- praareolari. Fic. 7. — Come la fig. 6, la sezione è fatta nella regione posteriore del corpo là dove le protuberanze infraareolari o su- praareolari sono più sviluppate e sono più o meéno spiniformi. Fic. 8. — (Gordius pustulosus maschio , parassita di un Blaps mucronata dei sotterranei del. Palazzo Carignano (Hartn. ocul. 2. ob. 4.). @. serie divergenti di peli setole precloacali. Fic. 9. — Estremità posteriore dell’individuo di cui è rap- presentata l’estremità anteriore nella fig. 5. — @. protuberanza chitinosa, residuo probabile di uno degli uncini chitinosi poste- riori dello stadio larvale propriamente detto. 864 G., PEANO Generalizzazione della formula di Simpson; Nota del Socio Prof. GIUSEPPE PEANO Fra le formule per le quadrature sono notevoli quella dei trapezii (4) f fa a [M+ fo] +, ove sera a) e quella di Simpson : b (6 fra [ra +ar(4 Lar] + a a ove ( b rappresentando costantemente con vu un valore intermedio fra @ e b (*). Il resto nella (x) è nullo, se f (x) è intera di primo grado, e nella (8) il resto è nullo, se f(x) è intera di grado non su- periore al terzo. Parallelamente a queste formule si hanno quelle di Gal L’analoga alla (8) è b ol fossa) a da +73 )|+2 (*) Pubblicai quell’ espressione del resto della formola di Simpson nelle Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, pag. 206. GRNERALIZZAZIONE DELLA FORMULA DI SIMPSON 365 ove (6 a)° MT: f*(0): e il resto è nullo per le funzioni di grado non superiore al terzo. Paragonando le formule (8) e (5), che si possono conside- rare come egualmente approssimate, risulta che è più semplice, in generale, il calcolo dei tre valori f (a), f (5 “I f(b), che esige la formula ({?), che il calcolo dei due a+ 1 dbD-=a a+D 1 b-a r( 9 ara 9 =) che esige la formola (8°). Questo spiega il maggior uso della formula ({) di Simpson sulla corrispondente ((}') di Gauss. Le formule di Gauss costituiscono una successione infinita , mentrechè le formule dei trapezii e di Simpson erano finora isolate. Io mi propongo di esporre qui una successione di infinite formule di quadrature, di cui le due prime sono appunto la (2) e la ({8). Per semplicità supporremo i limiti dell’integrale eguali a — 1 e + 1, poichè basta fare il cambiamento sl aMisb &pl ha, 2 2 onde ridurci a questo caso. La questione che ci proponiamo è questa: Determinare gli n+1 coefficienti 4j; 4,,,...4,, egli n—1 valori z, z.... X.-, compresi fra —1 e +1 in guisa che la formula (1) {f@ de= Aof(-1)+A4f(£)+A:f(2)+... ITA Ai A) sussista, qualunque sia la funzione f(x) intera di grado 2n— 1. La soluzione è la seguente. Pongasi. (2) più (7 ) @- 1. 366 ; 04 PEANÒ Avendo la fanzione (2*—1)" le radici — 1 ed 1 multiple d’ordine n, la sua derivata (n— 1)", Y,, avrà le radici a,,= — 1, x,=1, semplici, ed n — 1 radici 4, x, . . . Lu distinte e com- prese fra — 1 e +1. Si calcolino i coefficienti A, 4, ;... colla formola (1, 4%) Ge EE) (a A eee (rt) Allora sussisterà. la. formula (1). i Infatti, si divida la f(x), funzione ‘intera di BIT nl, per Y,, di grado x + 1; siano de pal idee d(£ x) il resto, onideis ‘ces “bienni li sia ‘sto Ul. ia vr eg + Le. ; - Sarà d (2) ‘di grado n, .e e (2) di grado n — 2, Attribuendo. ad.x gli n+-1 valori Lo Ly, .-- . . ty HA PUBBLICATI | | sta ACCADENICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI AXVI, Dis. 11%, 1891-92 Scienze Fisiche, “Matematiche e Naturali 385 CLASSE DI SCIENZE FISICRE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 10 Aprile 1892 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’Ovipio Direttore della Classe, BRUNO, BeRRUTI, Bizzozero, FERRARIS, GiacoMINI, PEANO e Basso Se- gretario. Si dà notizia della morte del Socio corrispondente Profes- sore Annibale De Gasparis della Università di Napoli. Il Di- rettore della Classe ricorda glimportanti lavori compiuti dal- l’illustre estinto nel campo delle matematiche pure e dell’astro- nomia. Le parole di commemorazione pronunciate dal Direttore D’Ovipio saranno pubblicate negli Atte. Vengono quindi letti ed accolti per l’inserzione negli Att? i tre lavori seguenti : 1° « Su di un sistema di coniche nello spazio »; Nota del Dott. Domenico MontEsANO, presentata dal Socio D'OvIpIO ; 2° « Sulla resistenza elettrica delle leghe facilmente fu- sibili allo stato liquido »: Studio sperimentale del Professore Dott. Carlo CartANEO, presentato, a nome del Socio NACCARI, dal Socio Basso. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XAVII. 29 386 È. D'OVIDIO Infine il Socio CAMERANO presenta un lavoro manoscritto del Dott. Francesco Saverio MonTICELLI, intitolato: Studi sui Tre- matodi endoparassiti; Monostomum Cymbium Diesing; Contri- buzione allo studio dei Monostomidi. Essendo questo lavoro destinato, previa approvazione della Classe, ai volumi delle Memorze, il Presidente incarica una Com- missione di esaminarlo e di riferirne alla Classe in una prossima adunanza. LETTURE Cenno necrologico di Annibale De Gasparis ; Nota del Socio Prof. E. D’OVIDIO Conobbi Annibale De GasparISs (*) dopo la instaurazione del Regno d’Italia, quando egli era già Professore di Astronomia nella Università di Napoli e prossimo ad assumere la direzione dell’ Osservatorio astronomico di Capodimonte, al quale infuse nuova vita, circondandosi di giovani astronomi, guidandoli e in- fervorandoli con l’esempio. La semplicità bonaria de’ modi, il parlare modesto e insieme arguto, l’entusiasmo che addimostrava per la scienza, lo rendevano immediatamente simpatico, e gli pro- cacciavano la riverenza di chi lo avvicinava. Sanno tutti quale notevole contributo egli abbia recato all’Astronomia con la sco- perta di un gran numero di asteroidi (Igea, Partenope, Egeria, Eunomia, Psiche, Massalia, Temi, Ausonia, Beatrice, MR Ii ce (*) Nacque a Tocco negli Abruzzi, il 18419. CENNO NECROLOGICO DI ANNIBALE DE GASPARIS 387 è anche risaputo dai lettori dei volumi accademici con quale costanza egli si occupasse di perfezionare i metodi e gli sviluppi proprî dell'Astronomia intesa in senso lato. Ma il DE Gasparis non era esclusivista nei suoi studi, e sa- peva guardarsi intorno e mirar lontano. Ricorderò quella sua geniale Nota, pubblicata in francese e segnata con l’anagramma Jean Blaise Grandpas, nella quale dava, egli primo, la no- zione e la teoria dei determinanti cubici. Si dilettava anche di letteratura; era gran lettore di romanzi e ammiratore dei poeti, ad es. Virgilio e Ossian, che sapeva a memoria. Fu un patriota, quando amar la patria era delitto; e la memorabile giornata del 15 maggio 1848 lo vide fra i com- battenti per la libertà. Ebbe gli onori che meritava; fu ascritto dal 1861 al Se- nato del Regno, e socio dei principali sodalizî scientifici. Purtroppo in questi ultimi anni la salute declinante lo aveva costretto a lasciar l’insegnamento e le ricerche astronomiche; ed ora si è spento a circa 73 anni. La morte del De GaspParis è grave lutto per la scienza ita- liana, e particolarmente per l'Osservatorio e per l’Università di Napoli, di cui fu vanto, per i moltissimi suoi amici ed ammi- ‘ratori. Attendendo che altri, più competente e meglio informato, dica degnamente e compiutamente dell’ Uomo e dell’ Astronomo, io ho soltanto voluto oggi, all’annunzio della sua morte, espri- mere il cordoglio dell’Accademia di Torino, che perde nel DE GasPaRIS uno dei più insigni suoi Soci corrispondenti. 388 D. MONTESANO Su di un sistema lineare di coniche nello spazio ; Nota del Prof. DOMENICO MONTESANO Nella Geometria dei sistemi di linee dello spazio ordinario, dopo la teoria dei sistemi di rette, che può ritenersi sufficiente mente nota per le molteplici ricerche su le superficie rigate, le congruenze ed i complessi di raggi, si presenta la teoria dei si- stemi di coniche dello spazio, su la quale poco sinora è stato fatto (*). Un contributo a tale teoria è la presente Memoria, nella quale viene studiato il sistema delle coniche intersezioni degli elementi corrispondenti di una stella di piani e di una rete di quadriche omografiche fra loro, sistema che già per incidente avevo ottenuto in altre ricerche (**). Esso nella Geometria delle coniche dello spazio ha la stessa importanza che nella Geometria della retta ha la congruenza di raggi generata da due stelle di piani omografiche fra loro, ed al pari di tale congruenza il suo studio si connette intimamente con quello di una curva gobba (di 7° ordine e di genere 5) che ne è direttrice e che determina completamente il sistema. Dopo aver considerato la rete di superficie di 3° ordine di cui tale curva C. è base, i cui fasci hanno per basi variabili le coniche del sistema £ di cui mi occupo, ho stabilito le carat- teristiche elementari di tali coniche ed il grado del complesso delle tangenti ad esse; ho dimostrato che il sistema ammette oo' reti {*) Degne di nota sono le Memorie di CHasLes (Comptes-rendus, 1865, pag. 389) di LirorH (Giornale di Crelle, vol. 67) e di HreroLzeR (Math. An- nalen. Bd, II, p. 562) che stabiliscono il numero delle coniche dello spazio soddisfacenti ad otto condizioni elementari. Vg. anche ScauBerT, Kalkul der abzùhlenden Geometrie, $ 20, pag. 90. (*#*) Veg. la mia Nota: Su le trasformazioni involutorie dello spazio che determinano un complesso lineare di rette ( Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Vol. IV, p. 207). UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 389 di quadriche generatrici, i cui gruppi-base formano su la C_ un’in- voluzione (fondamentale) di 8° ordine e di 4*% specie e possono riguardarsi come gli elementi di uno spazio lineare a quattro di- mensioni, ho considerato alcune varietà lineari degne di nota di tale spazio e ne ho dedotto una nuova genesi mediante reti di coniche dell’involuzione che in un piano determina una rete di cubiche aventi sette punti in comune (*), mettendo in evidenza alcune notevoli proprietà di tale involuzione. Poscia ho fatto cenno delle superficie costituite da oo! coniche del sistema SX e di quelle omaloidiche specialmente, fra le quali è degna di nota quella di 6° ordine per cui la (€, è doppia, superficie di cui dà un breve cenno il Caporali nella sua clas- sica Memoria: Sopra è? sistemi lineari triplamente infimti di curve algebriche piane (**). Quindi ho studiato le trasformazioni birazionali involutorie dello spazio nelle quali le coniche del sistema X sono coniugate ciascuna a se stessa (involuzioni irriducibili, mediante trasforma- zioni birazionali dello spazio, ad altri tipi già noti) ed ho dimo- strato che ogni trasformazione razionale involutoria dello spazio, nella quale le coppie di punti coniugati siano sui raggi di un complesso di grado u dotato di co° raggi (u-1)pli formanti una stella, è in generale del tipo da me studiato; ed infine ho esa- minato una corrispondenza fra punti e rette dello spazio deter- minata dal sistema S, nella quale ai punti dello spazio corris- pondono delle schiere rigate sì fatte che una sola di esse con- tiene una retta assegnata ad arbitrio; ed ho dato in ultimo un breve cenno del caso particolare in cui le coniche del sistema X hanno in comune un punto (nel quale caso la C. direttrice di 3 passa tre volte per tale punto e risulta di genere 3), dimostrando che in tale caso esiste una trasformazione birazionale (4, 5) dello spazio assai notevole che muta il sistema X in una stella di rette. Ci) È la ben nota involuzione studiata dal Griser nella Nota: Ueber zwei geometrische Probleme (Giornale di Crelle. Vol. 67: e posteriormente considerata dal BertINI nelle sue Note: Ricerche sulle trasformazioni univoche involutorie nel piano $ 24 (Annali di Matematica, Serie I[, vol. 8) e Sopra alcune involuzioni piane $ 27 e 28 (Rendiconti dell’Istituto lombardo, Serie II vol. 16) e dal Caporati nella Nota: Sulle trasformazioni univoche piane in. volutorie $ 11. (Sue memorie pag. 123). (**) Sue memorie, pag. 202, $ 43, 59, 390 D. MONTESANO 1. Date nello spazio ordinario una stella (0) di piani ed una rete R di quadriche riferite l’una all’altra con una corrispondenza proiettiva II, ogni piano © della (0) sega la corrispondente qua- drica 5, della E secondo una conica ‘/, il cui assieme è dop- piamente infinito e lineare, nel senso che per un punto arbitrario dello spazio passa un’unica conica ‘ dell’assieme. Designeremo con £ tale sistema di coniche. Un fascio di piani (r) della (0) ed il corrispondente fascio (K,) della E generano una superficie di 3° ordine ,S, che è il luogo delle coniche del sistema £X situate nei piani del fascio (r) considerato. L'assieme di tali S, è una rete =. Due qualunque di queste superficie S, dovute ai a (7); (#9) della (0) hanno in comune, oltre la conica 7 di X situata nel piano o = rr", una C, di ge- nere 5 (*) passante per O e per gli otto punti-base della R ed appoggiata in 6 punti alla y. Ogni punto P di questa linea C, è la sezione di un raggio & della stella (0) con la curva X, base del fascio della È che nella II corrisponde al fascio (%), sicchè pei punto P passano col coniche del sistema X, appartenenti alla S, della = dovuta al fascio (%), la quale ha in P un punto doppio. Tutte le superficie S, della = contengono la (.,(**) sicchè le coniche del sistema £ sono le basi variabili dei fasci della Z Una qualunque / di tali coniche ha sei punti sulla C., i quali con 0 costituiscono il gruppo di sezione della 0, col piano © della 7, sicchè nel fascio della 2 che ha per base la 7, le sin- gole superficie secano ulteriormente il piano % di ) secondo i sin- goli raggi del fascio (0-0). 2. La curva C, ottenuta nel $ precedente, curva che d’ora in avanti sarà chiamata linea direttrice del sistema Y, non am- mette alcuna quatrisecante, giacchè se una tale retta esistesse, essa apparterrebbe a tutte le S, della =, nè in questa la base variabile di un fascio risulterebbe una conica. Ammette invece col trisecanti costituenti una superficie per cui (*) Veg. SaLMon-FiEDLER, Analytische Geometrie de Raumes, II Theil, 3° Auflage, pag. 132. (**) Veg. Cremona, Mémoire de géometrie pure sur les surfaces du troi- sième ordre, } 22 e 27 (Giornale di Crelle vol. 68) e i Preliminari di una teoria geometrica delle superficie. Parte seconda, n° 102 (Memorie dell’Acca- demia di Bologna, Serie II, vol. 7), UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 391 _ la C, è 5-pla. E siccome le superficie della Z passanti per un qualunque punto P di una trisecante # della C, contengono per intero la #, sicchè la base variabile del fascio che esse superficie formano, è costituita dalla # e di conseguenza da una seconda trisecante #' della C. situata nel piano Ot, perciò può affermarsi che le trisecanti della C, si distribuiscono in coppie, in modo che le trisecanti di una coppia costituiscono una conica degenere del sistema £, sicchè il piano che esse determinano appartiene alla stella (0). Si ha di più che ogni retta r della stella (0) è corda di cinque coniche degeneri di X, che sono le coniche degeneri si- tuate nei piani del fascio (r) della S, = C, r della E, e perciò i piani delle coniche degeneri del sistema £ inviluppano nella stella (0) un cono A di 5* classe non dotato di alcun piano doppio (e perciò di genere 6) non essendovi alcun piano della (0) che contenga due coniche di £. Per dedurre il grado della superficie © delle trisecanti della C., conviene notare che le coniche di X che si appoggiano ad una retta arbitraria r dello spazio, sono in piani della stella (0) in- viluppanti un cono L°, di 3° classe (dotato del piano doppio 07), giacchè di tali piani quelli che passano per una retta »' della stella (0), sono quelli che contengono le coniche di X situate sulla S,= C,r della £ e passanti per i punti di sezione di tale S, con la r. Sicchè le rette della superficie 9 che si appoggiano ad una retta arbitraria r appartenendo a coniche degeneri di Y i cui piani sono quelli comuni ai due conì inviluppi A e I°, precedentemente accen- nati, sono in numero di 15, e questo è l’ordine della superficie 0. 3. La curva luogo dei punti comuni alle coppie di trisecanti delle C. che costituiscono le coniche degeneri del sistema X, è doppia per la superficie © di tali trisecanti; nè oltre di essa e della C, la O ammette alcun’altra linea o punto multiplo, non essendovi al di fuori della C. alcun punto che appartenga a due coniche degeneri di . Per dedurre l’ordine della curva doppia H ora accenata oc- corrono le seguenti considerazioni. Le superficie S, = C, della rete = segano un piano arbitrario % dello spazio secondo una rete $ di cubiche aventi in comune i punti P,, ...P,, in cui © sega la linea direttrice C,; sicchè ogni 392 D. MONTESANO conica del sistema SY, base variabile di un fascio della E, dà per sezione con © una coppia di punti che con P,, . ..P. costitui scono la base di un fascio della S e che quindi risultano coniu- gati in un’involuzione Z, di ottavo ordine e di classe prima, che ha per punti fondamentali tripli i punti P,,...P.. La curva punteggiata unita della I, è la C,=(P,...P.) Iacobiana della $. Questa curva €, risultando il luogo dei punti di contatto delle coniche di Y col piano è, contiene evidentemente i punti di se- zione del piano © con la curva / in quistione. Viceversa ogni punto comune alla €, ora accennata ed alla superficie © delle trisecanti della C., non situato su tale curva, trovandosi su di una conica degenere ## di SX tangente ad , coincide col punto doppio #? di tale conica e perciò appartiene alla H ed è quindi doppio per la ©, sicchè l'ordine della H è PESARE se 5 ini: melt; Il genere della H è 6 essendo essa riferita univocamente al cono A dei piani delle coniche degeneri di £. Nell’involuzione /, ora considerata le coppie di punti coniugati infinitamente vicini si trovano su rette il cui inviluppo j è di 4° classe, e di genere 3 (se % è arbitrario,) perchè riferito con cor- rispondenza univoca alla curva punteggiata unita dell’involuzione. Tale inviluppo j è la traccia su @ del cono J, della stella (0) costituito dai piani sostegni di coniche di Y tangenti al piano @. Questo è dunque un cono di quarta classe e, se @ è arbi- trario, di genere 3. I piani che esso ha in comune col cono A del $ 2, sono quelli che contengono le coniche degeneri di Y aventi i punti doppi nei punti (2 H,). Ciascuno di questi piani tocca perciò i due coni lungo la stessa generatrice. E tenendo calcolo della genesi del sistema, della classe dei coni T,, Y, e dell'ordine della curva punteggiata unita della I, può affermarsi che: Indicando con è, %, À, 1, v, o i numeri delle coniche di z che passano per un punto, che hanno per corda una retta, che si appoggiano a due rette, che si appoggiano ad una retta e toc- cano un piano, che toccano due piani, che toccano un piano su di una retta assegnata, si ha: SIRMIONE IS PARO pid UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 393 Si hanno con ciò le caratteristiche elementari delle coniche del sistema È. 4. Il complesso delle tangenti alle coniche di Y è di 4° grado, giacchè le sue rette situate in un piano w costituiscono l’invi- luppo ;j, ottenuto nel paragrafo precedente e quelle che passano per un punto P costituiscono il cono di 4° ordine di vertice P circoscritto alla superficie ,S, della rete & che contiene il raggio r= OP. Questo cono contiene la tangente # in P alla conica di X che passa per P, e lungo tale retta tocca il piano 7 = 0. Esso ammette di più per raggio doppio la retta = 0 P. Ne segue che il complesso che si esamina, ha per raggi doppi le rette della stella (0). Le trisecanti della ©. sono anche rette doppie del complesso, perchè per un punto P di una di esse # si ha che la 8, della = che contiene il raggio OP, passa anche per la #, Suche il cono circoscritto a tale superficie di vertice P_ ammette oltre OP il raggio doppio #. In un piano © della stella (0) l’inviluppo del complesso è costituito dal fascio (O — 4) contato due volte e dalle tangenti della conica ) di Y di cui © è sostegno, perciò se questa degenera nella coppia di rette #,# segantisi in ZL, l'inviluppo in quistione ridu- cesi ai due fasci (0—), (L—) da contarsi ciascuno due volte. Si noti ancora che i raggi del complesso che passano per un punto P della C, costituiscono il cono di secondo grado (da con- tarsi due volte) che è tangente in P alla superficie della rete E che ha in P un punto doppio. Infine è agevole riconoscere che può stabilirsi una corrispon- denza univoca e prospettiva fra i raggi del complesso in quistione ed i punti dello spazio. A ciò basta riguardare come corrispon- denti un raggio # del complesso ed un punto 7' dello spazio quando il primo sia la tangente in 7’ alla conica di Y che passa per questo punto. In tale corrispondenza sono eccezionali i punti delle curve H,: 0; le trisecanti di quest'ultima ed i raggi della stella (0). 5 Una curva gobba C. di genere 5 trovasi su co? super- ficie di 3° ordine (*) formanti rete, i cui fasci hanno per ulte- (*) Veg. HaLPHEN, Sur la classification des courbes gauches algébriques. Journal de l’Ecole polytechnique — 52° Cahier — cap. I; teor. 20. 394 D. MONTESANO " riori linee basi coniche ‘), appoggiate alla C., in sei punti e co- stituenti un sistema lineare doppiamente infinito. Ora si vuol dimostrare che tale sistema è della stessa na- tura di quello studiato nei paragrafi precedenti, che cioè lo si può riguardare in infiniti modi come generato da una stella di piani e da una rete di quadriche proiettive fra loro. A ciò, designando il sistema in quistione con Y, e con & la rete della S, che ha per base la C., occorre premettere i seguenti teoremi: a) I piani delle coniche del sistema £ costituiscono una stella di cui è centro un punto 0 della C, (*). Che se ,, xv sono due qualsiansi coniche del sistema £, basi dei fasci ©, O) della rete, ed ©, &' sono i loro piani, il fascio g sega il piano + secondo un fascio di cubiche del quale sei punti-base sono i punti d’appoggio della , alla C., onde gli altri tre sono su una stessa retta. Ora di questi ultimi punti due sono i punti (o y,) ed il terzo è il punto 0=(%C,) non situato su ‘,; sicchè per questo punto O determinato completa- mente dal piano © della conica 9, passa il piano o' di ogni altra conica Y, di X. Inversamente ogni piano della stella (0) contiene una co- nica del sistema £, perchè un fascio arbitrario della 2 sega il piano + secondo un fascio di cubiche, in cui tre punti-base sono per diritto, sicchè gli altri sei che sono i punti di sezione, di- versi da 0, del piano © con la C., appartengono ad una conica %, che evidentemente è base di un fascio della E e perciò ap- partiene a £. 6) Le coniche del sistema Y che appartengono ad una della rete =, sono nei piani di un fascio della stella (0). Infatti tali coniche hanno tutte per corda quell’unica retta r della superficie S, che ha un solo punto in comune con la C, (#*), sicchè i loro piani costituiscono il fascio (r). Inversamente le coniche del sistema £ che appartengono ai piani @ di un fascio (r) della (0) sono su una superficie S, della rete = che contiene la r. Chè se , è una tale conica, nel fascio di S, che ha per S 3 (*) Veg. la mia Nota già citata, pag. 2413. (**) Veg. SturM, Ueber die Curven auf der allgemeinen Fliche dritter Ordnung. (Math. Annalen, vol. 21, pag. 494, n= 7,7), UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 395 base le 7,, C,, ve ne è una che contiene la r, secante semplice della C,, e che perciò contiene anche tutte le altre coniche del sistema Y situate nei piani del fascio (r). Vi è dunque corrispondenza univoca fra le superficie della rete = edi raggi della stella (0) in modo che una superficie della 2 contiene il corrispondente raggio della (0). Alle S, di un fascio della 2 corrispondono i raggi di un fascio della (0) e viceversa. c) Ogni quadrica Y, che passi per una conica %, di X, incontra la C, al di fuori della Y, in otto punti base di una rete di quadriche. Infatti le superficie ,S, del fascio della = che ha per base le C., Y,; segano la fuadsica F,, oltre che in Y,, secondo curve K, di 4° ordine e di 1° specie di un fascio 9, le quali hanno a comune gli otto punti in cui la C, sega al di fuori della y, la F,; perciò questi punti Pi s +. «. Pg sono, come si era af- fermato, i punti base di una rete È di quadriche. Ogni conica del sistema SY si trova su di una quadrica di questa rete È. Infatti una conica arbitraria , di SY diversa da 7, (la quale già si sa che trovasi sulla quadrica F, della £) determina con la 7, una superficie Q,=C,7,7, della = che le contiene, la quale appartenendo al fascio che ha per base le C., %, sega la quadrica F, secondo una K,= P,..... P, del fascio 9, appoggiata in quattro punti alla 7, e perciò anche alla 7", che ha per corda la stessa retta o della ©, (raggio della (0)) che è corda della ‘y. Ne segue che la X, e la y, appartengono ad una medesima quadrica F, =P,..... P, della rete È, che è quella di cui fa parola il teorema. Viceversa ogni quadrica F°, della rete contiene una co- nica Y, di Ro Infatti la quadrica F°, ha in comune con la 7, una curva K, del fascio ©, la diede: perciò appartiene ad una Q,= C. y, della =. E la curva che con la K, forma la sezione di tale su - perficie O, con la /°, è una conica Yi che ha per corda la stessa retta o della O, (raggio della (0)) che è corda della y e che di conseguenza appartiene al sistema >. Dunque le coniche di Y appartengono una ad una alle sin- gole quadriche della È, e perciò viene ad aversi fra la stella di piani (0) e la rete È una corrispondenza univoca II nella quale 396 D. MONTESANO si corrispondono un piano della prima ed una quadrica della se- conda sostegni di una medesima conica del sistema 2. Ora si ha che le coniche di Y appartenenti ad una super- ficie Q, della rete E, e perciò situate nei piani di un fascio della (0), si trovano su quadriche della £ formanti un fascio, e vi- ceversa. Infatti la quadrica 7, della rete È che contiene una conica arbitraria Y, della Q, del sistema SY, sega ulteriormente la O O, secondo una K, di a. specie che contiene i punti P,,....P., base della è, po questi punti appartengono tanto alla 7, come alla Q, essendo punti della C,; nè tale X, incontra il raggio o della stella (0) situato sulla O Qu, sicchè incontra le co- niche della ©, appartenenti al sistema Z ciascuna in quattro punti, e i determina con ciascuna di esse la quadrica cor- rispondente della rete &; queste quadriche perciò appartengono al fascio che ha per base la SEC Viceversa se Ys, Vo Y> ... sono le coniche di £ situate sulle quadriche Fa, TONI OTRS ul un fascio della F, due qualunque Quitesse 0.96 oo ad una superficie O, della Z, a cui corrisponde un fascio della R che contiene le 7, F, Li cho perciò coincide con quello da cui si parte, sicchè anche le ol one al pari delle 7, y appartengono alla Q, accennata. Dalle precedenti proposizioni deriva che la corrispondenza Il già indicata che intercede fra la stella di piani (0) e la rete di quadriche R, è una proiettività, e può affermarsi che : Il sistema delle coniche che costituiscono con una (0, asse- gnata, gobba e di genere 5, le basi variabili dei fasci nella rete delle superficie di 3° ordine che ha per base la 0,, può in infiniti modi riguardarsi generato da una stella di piani e da una rete di quadriche fra loro proiettive. Si noti ancora che ogni sistema co° di coniche dello spazio sì fatto che per un punto passi un’unica conica del sistema ed un’unica conica del sistema esista che abbia per corda una retta arbitraria dello spazio, è del tipo studiato in questa Nota. Infatti i piani delle coniche del sistema costituiscono una stella di cui ogni fascio contiene coniche costituenti una super- ficie di 3° ordine, il cui assieme è una rete sì fatta che i suoi fasci hanno per basi variabili le singole coniche del sistema, UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 397 6. I gruppi base delle varie reti di quadriche generatrici del sistema Y sono i gruppi variabili di sezione della linea di- rettrice” C. con le quadriche passanti per una qualunque conica %s di Z. Ne segue che tali gruppi sono co! ed uno qualunque di esso è determinato da quattro suoi punti. Si ha dunque che : Sopra una €. gobba di genere 5 si ha una involuzione fon- damentale di 8° ordine e di 4% specie, ogni gruppo della quale è base di una rete di quadriche generatrici del sistema di coniche che ha per direttrice la curva C.. Se nelle due varietà a quattro dimensioni V,, ', costituite dalle quadriche che passano per due coniche assegnate Y,, y, del sistema X, si riguardano come corrispondenti due quadriche ap- partenenti ad una stessa rete generatrice di XY, due quadriche cioè la cui curva di sezione si appoggi alla ©. in otto punti, le due varietà risultano riferite omograficamente fra loro. Infatti una qualunque X, delle curve di sezione accennate che sia dovuta alle quadriche ‘F 3, F'; delle due varietà, avendo quattro punti su ciascuna delle ‘/,, n ed otto sulla 0, appar- tiene per intero alla superficie S, della rete = che contiene le va o in modo che, quando la °F, 9 varia in un fascio © della i, avente per base le coniche ‘,, 0 da la K, varia sulla S, nel fascio che ha per base i punti P,,...P, di sezione della d, con la S, non situati su y,, e di conseguenza la corrispondente qua- dica F, della V/ varia contenendo sempre i quattro Duni! Rpg: dp, ora accennati e quindi descrive un secondo fascio o' io: al precedente avente per base una conica 0’, che bi per i punti P,,...P, e si appoggia in due punti alla VILENT modo che alla i degenere dell’un fascio corrisponde la superficie degenere dell'altro. E perciò la corrispondenza intercedente fra le V,, V', risulta proiettiva. Ne segue che i gruppi G della C, basi delle reti generatrici del sistema X formano una varietà lineare W, a quattro dimen- sioni. Le varietà lineare ad una, a due, a tre dimensioni con- tenute nella precedente, sono costituite dai gruppi G situati sulle quadriche di un fascio, di una rete o di un sistema lineare triplo avente per base una conica arbitraria del sistema SY. In particolare costituiscono una varietà lineare ad una, a due o a tre dimensioni i gruppi G, che contengono tre punti, due punti o un punto assegnato della C.. 398 D. MONTESANO E notando che fra le quadriche passanti per una conica Y di S quelle che contengono il punto 0, degenerano nel piano « della y ed in un piano arbitrario ® dello spazio e costituiscono una varietà lineare a tre dimensioni, in cui le varietà a due o ad una dimensione sono dovute ai piani 4 di una stella o di un fascio, e di più pel fatto che una di tali quadriche degeneri (x — %) sega la C. ai di fuori della conica y, situata in 2, in 8 punti di cui uno è 0 e gli altri sette sono la sezione di @ con la C., sicchè nella rete di quadriche che ha per base questi punti, ogni superficie è costituita dal piano e da un piano arbitrario della stella (0), perciò si ha che: Il gruppo di punti di sezione della ©. con un piano arbi- trario dello spazio forma assieme ad O un gruppo G della C.. Col variare del piano si ha il completo sistema dei gruppi G che contengono il punto 0. Tale sistema è una varietà lineare W,, in cui ogni varietà lineare a due o ad una dimensione è costi- tuita dai gruppi i cui elementi diversi da V sono nei piani di una stella o di un fascio. In particolare nella W, vi è la varietà limeare W, formata dai gruppi costituiti dal punto O contato due volte e dallo sestuple sezioni della C, con le coniche di X. Alla W, appartiene anche ogni gruppo G che contenga i tre punti di appoggio della C. con una qualunque sua trisecante, giacchè ogni quadrica che contiene tali punti di appoggio P,, P., P, ed una conica arbitraria y del sistema £, risulta degenere. Però una quaterna di punti P,... P, che sia in un piano qualunque @ del fascio che ha per asse la #=P, P. P,, oltre che al gruppo (OP, ...P.), appartiene ad co! altri gruppi G. Infatti la involuzione che si ha nel piano costituita dalle coppie di sezione del piano con le coniche del sistema SX, ha i suoi tre punti fondamentali P,, P,, P, situati per diritto, e perciò gli altri suoi quattro punti fondamentali sono la base di un fascio di co- niche unite nell’involuzione (*), sicchè tra queste coniche ve ne è una che si appoggia in due punti ad una conica assegnata Y di X e determina con la y un fascio di quadriche che danno per se- zione con la C, co! gruppi G aventi in comune i punti P,, sp Escluso il caso ora esaminato, una quaterna di punti della C., appartiene sempre ad un solo gruppo GG. (*) BeRrTINI, Sopra alcune involuzioni piane, $ 30, UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 399 7. Assunte ad arbitrio due reti R, R' generatrici di S, le corrispondenze proiettive che intercedono fra ciascuna di esse e la stella di piani (O) dànno origine ad una terza corrispondenza proiettiva II, intercedente fra le due reti, nella quale due qua- driche corrispondenti hanno in comune una conica di £. Ora si vuol dimostrare che l’ulteriore sezione di due super- ficie corrispondenti in tale proiettività è una conica di un piano completamente determinato dalle reti assunte , A. Infatti le coniche di Y comuni alle superficie corrispondenti di due fasci @, o delle R, È' appartengono ad una superficie S, della rete Z, sicchè la superficie generata da tali fasci proiet- tivi g, e' contiene la S, e di conseguenza anche un piano ©, sul quale si trovano le eolie coniche non appartenenti a Y comuni alla superficie corrispondenti dei due fasci, cioè le curve basi dei due fasci hanno in comune quattro punti del piano e due superficie corrispondenti in essi passano per la stessa co- nica contenente i detti punti. Perciò un punto qualunque P del piano ® risulta la sezione di due quadriche corrispondenti Y, F' dei fasci ©, Q. Ma di più esso trovasi sulle quadriche corrispondenti Y,, F)' delle due reti, che hanno in comune la conica Yy di X nda per esso, perciò risulta la sezione delle curve basi dei fasci corrispondenti (FF), (F'F,') delle reti R, F'; e per essere il punto P un punto arbitrario di ©, ne segue che le curve basi di ogni coppia di fasci corrispondenti delle R, R' hanno in comune quattro punti del piano &w in modo che la superficie S, che essi fasci generano, si spezza in una S, della rete = e nel piano ®; questo cioè sega due superficie CATIA Ronin delle due reti R, R' se- condo una medesima conica, ulteriore sezione (diversa da quella di x) delle due superficie. Diremo w piano dell’omografia delle R, R'. Assunto ad arbitrio un piano @ dello spazio ed una rete £ generatrice di 2, considerando una quadrica arbitraria Y della È che contenga la conica y di Y e la conica 0 del piano ®, in ogni rete R' generatrice di Y che ammette come piano di omografia con la E il piano 4, la quadrica 7 corrispondente alla F deve contenere le coniche , d; e viceversa ogni quadrica 7" del fascio che ha per base le y, 0 appartiene ad una rete E' generatrice di X, il cui piano d’omografia con la R dovendo contenere la è comune alle superficie corrispondenti XY, F', coincide con @, 400 D. MONTESANO Se ne deduce che : Se due reti R, R' generatrici di Y ammettono per piano di omografia il piano @, i loro gruppi base G, G' trovansi nella W, in una medesima varietà lineare col gruppo G, costituita dal punto O e dai sette punti di sezione della G col piano ©; e viceversa. 8. Dalle proposizioni ottenute nei precedenti paragrafi si de- ducono mediante sezione con un piano 1 seguenti teoremi sull’in- voluzione piana di Geiser: L’involuzione /, costituita dalle coppie di punti di un piano © che formano la base di un fascio di cubiche con sette punti P,,...P, assegnati ad arbitrio nel piano, può in infiniti modi riguardarsi generata da un’omografia intercedente fra il sistema rigato (@) ed una rete pf di coniche, nel senso che ogni coppia della I, è la sezione di una retta 7 del piano con la conica corrispondente nell’omografia generatrice. Le reti p sono co? in modo che in esse le curve corrispon- denti ad una retta arbitraria » del piano nelle omografie gene- ratrici della /, costituiscono il completo sistema delle coniche passanti per la coppia di punti #' della I, situata sulla r. Riguardando come corrispondenti nei due sistemi lineare 00° di coniche che hanno per basi due coppie HH', KK' della 7, due coniche che appartengano ad una stessa rete generatrice , la corrispondenza che viene ad aversi è proiettiva. In essa due coniche corrispondenti si segano sulla cubica unita y,=P,... P, HH'KK' della I, che contiene le coppie HH', KK', sicchè alla conica degenere (74, r) dell’un si- stema corrisponde la conica degenere (KX', r) dell’altro sistema. Ne segue che le co? reti p possono riguardarsi come elementi di una varietà lineare a tre dimensioni w,, nella quale ogni va- rietà lineare a due o ad una dimensione è costituita dalle reti d le cui coniche passanti per una coppia arbitraria HH!' della 7, formano una rete od un fascio. Fra le reti p ve ne sono ce? degeneri, ciascuna costituita da coniche spezzantisi in una retta r del piano ed in una retta va- riabile di questo. Tali reti degeneri, coordinate alle singole rette del piano, costituiscono una varietà w, lineare a due dimensioni della 0, . Due qualunque reti fp, e generatrici della I, risultano riferite UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELTO SPAZIO 401 omograficamente fra loro in modo che due coniche corrispondenti in esse hanno in comune una coppia di punti coniugati della /, ed una coppia di punti di una retta o completamente determinata con le due reti e sì fatta che la rete degenere coordinata ad essa è la rete degenere della %w, situata nella varietà lineare ad una dimensione determinata dalle p. d. 9. La polare o del punto O della C. rispetto ad una conica arbitraria p del sistema X è Ja sezione del piano © della col piano o' polare di 0 rispetto alla quadrica che in una qua- lunque delle reti generatrici di Y corrisponde ad & nell’ omo- grafia intercedente fra le (0), £. Ora, tenendo fissa tale rete & e facendo variare la yin X, il piano %' descrive una stella (0') omografica a quella descritta dal piano © della y, avente per centro il punto 0' reciproco ad O rispetto alla rete /, e la o descrive il sistema delle corde di una cubica gobba €, che passa per i punti 0, 0, sicchè per essere la £ iliiara fra le reti generatrici delle 3 ne deriva che : Il luogo dei punti reciproci al punto O rispetto alle reti generatrici del sistema * è una cubica gobba ©, di cui ogni corda è la polare del punto O rispetto ad una conica del si- stema d. E siccome la quadrica polare del punto O rispetto ad una superficie S, della = contiene la retta r della ,S, uscente da O e le polari di O rispetto alle coniche della S, aventi per corda la », le quali ap.artengono a Y, perciò essa coincide con la dn Cy evisiivha ieher: La rete delle quadriche polari del punto O rispetto alle su- perficie della rete 2 ammette come linea base la cubica gobba C.,, precedentemente accennata. In particolare la prima polare del punto O rispetto alla S, della rete = che contiene la congiungente il punto O con un punto arbitrario P della C,, risulta il cono che proietta tale curva dal punto P; sicchè a alla superficie Q, della rete = che contiene la tangente tin O alla C.,, la ver polare del punto O è il cono che proietta da o Ta C, e quindi tale O, è la superficie della rete 2 che ha in 0 un punto doppio. E siccome ogni piano che passi per la tangente in O alla C., contiene una conica del sistema £ che passa per O e che perciò Atti R, Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXVII. 30 402 D. MONTESANO appartiene alla O, ora accennata, perciò la tangente in O alla C, è la tangente # in O alla C.. Di più nel piano © che oscula in O la C., la conica del sistema SY tocca in O la f, sicchè in tale piano la congiungente i due punti di sezione della C, diversi da O, essendo la polare di tale punto rispetto alla y, risulta essere la #, cioè il piano © oscula anche in 0 la C,. Dunque le C.,, €, si osculano in 0. Le altre cinque rette della O,= 0° (6h) diverse dalla t, che escono da O, sono le trisecanti IDE della C. passanti per O. Una qualunque # di tali rette che incontri oltre che in O, la C. nei punti P,, P/, trovasi su una S, della rete = che ha in P,. P, due punti doppi, e le polari del punto O rispetto alle col coniche y = P, P/ del sistema Y passano tutte pel punto 0, che è coniugato armonicamente ad O rispetto a P; e P;, sicchè tale punto O; è il punto di appoggio della # con la C,. Si hanno con ciò sei punti 0, 0, ,... 0, della C.. Assunto ad arbitrio un tO O' della c, esistono co° reti generatrici del sistema Y, rispetto alle quali i punti O ed O' sono reciproci fra loro. Le superficie di tali reti che passano per una conica arbitraria y di X formano una varietà lineare, perchè rispetto ad esse il piano polare di O è il piano che passa per O' e per la polare o di O rispetto alla y. E siccome a tale varietà appartiene quella lineare ed co* costituita dalle quadriche degeneri formate ciascuna dal piano » della y e da un piano arbitrario della stella (0), perciò si ha che: Nella varietà W, costituita dai gruppi base G delle reti generatrici del sistema £, ogni varietà lineare W, che contenga la varietà lineare W, costituita dai gruppi di cui fa parte due volte il punto O, è costituita da gruppi dovuti a reti, rispetto alle quali il punto O ha per reciproco un medesimo punto 0'. 3 10. Le coniche del sistema Y che sono nei piani di un cono I della stella (0) di classe 4, costituiscono una superficie di or- dine 3 f1. Infatti quelle di tali coniche che si appoggiano ad una retta r sono nei piani comuni al cono dato I ed al cono T, costituito dai piani sostegni delle coniche di Y appoggiate alla r, sicchè il numero di tali coniche è 3y. La superficie ,S,, che con ciò si ottiene, passa evidentemente con p falde per ia C. e contiene 10p. rette formanti le 5 UN SISTEMA LINEARE DÌ CONICHE NELLO SPAZIO 403 coniche degeneri di Y, i cui piani sono quelli comuni al cono T° ed al cono A del $ 2. Se il cono I° è razionale la corrispondente superficie S,, è omaloidica. Infatti riferito il cono l (e perciò il sistema delle coniche della S,,) ad un fascio di piani (r) con corrispondenza univoca, ed assunto un punto arbitrario 0' dello spazio diverso da O e non situato sull’asse r del fascio, si proietti ogni conica della S,, sul corrispondente piano del fascio (7). La superficie costituita dalle coniche proiezioni è una Ssu+o = 43%, e perciò risulta omaloidica; e siccome fra di essa e la S,, vi è corrispondenza univoca, perciò anche la S,, è omaloidica. Se invece il cono l non è razionale, la corrispondente su- perficie non risulta omaloidica, perchè se così fosse, rappresen- tata su di un piano, le sue coniche avrebbero per immagini le curve di un fascio, il quale verrebbe ad essere riferito con cor- rispondenza univoca al cono T, ciò che non può essere. Nel caso di u=2, la superficie S,=75 su cul sì viene a rappresentare la S,=C.? nel modo anzidetto, ammette per rette doppie le sezioni d, d' dei due piani del cono Pl passanti per 0’ con i corrispondenti piani del fascio (r), contiene le 10 coppie di rette p,p',, -.- P;pD',) proiezioni delle coniche degeneri della $, ; contiene le due rette 9, g' secondo cui il piano r 0' sega il cono che proietta da O0' la corrispondente conica della S,, ed ammette come punto doppio il punto 0' perchè una retta uscente da questo punto sega ulteriormente la superficie S, solo in punti situati su coniche che sono le proiezioni di coniche della S, ® cui essa retta si appoggia. Sicchè rappresentando la $S, su di un piano 3, le curve immagini delle sezioni piane della superficie’ risultano delle @i=4%P: .\PI(DDI:QO, SOLI i punti Q, ' (immagini delle g, g) su di una retta o' del fascio (A) immagine del punto doppio 0', sicchè le sezioni della S, coù i piani della stella (0') [ le quali su la S, corrispondono alle curve di sezione della S; con i piani della stella (0')] risultano essere delle OCPPO PDT Ne segue che nella corrispondenza che viene ad aversi fra il piano c e la S, come prodotto di quella stabilita fra il piano o e la 5, 404 D. MONTESANO e di quella intercedente fra le ,S,, Sy, alle sezioni della ,S; con i piani uscenti da 0' corrispondono le C.,= A° P,... P,p (DD precedentemente accennate e perciò il punto A risulta sul piano l’immagine di una curva razionale di 5° ordine della S;. È pel fatto che una retta del fascio (A) è l’immagine di una conica della S, e perciò anche di una conica della ,S;, ne deriva che le sezioni piane di quest’ultima superficie hanno per immagini delle C=A4°P,...P,, (DD) su o. Con trasformazione quadra- tica che abbia per base i punti A, D, D', al sistema delle pre- dette curve viene a sostituirsi il sistema delle C,=@*P,...P, e si ottiene la rappresentazione più semplice della S; su di un piano. In essa l’immagine della curva doppia C. è una curva C.,=0,(P,-..P,))°3 come può riconoscersi notando che ogni superficie S,=C, ha in comune con la S; due coniche. Il: punto A: ed ogni curva. C,= A°T Pc Pagr Perna 2,...5, rappresenta una cubica razionale ) della S, appoggiata in 7 punti alla C. ed in un punto ad ogni conica della su- perficie. Tali cubiche y, il cui numero è 512, sono gobbe , perchè ogni cubica piana che si appoggia in 7 punti alla C. risultando unita nell’involuzione /, che le coniche del sistema X determi- nano sul piano in cui trovasi, appartiene ad una .S, della rete & e le coniche del sistema £ che si appoggiano ad essa (ciascuna in due punti) sono nei fasci di un piano. Si noti ancora che ogni superficie di 6° ordine che abbia per linea doppia una €. di genere 5 è della specie studiata, perchè ogni conica del sistema Y avente per direttrice la C., che passi per un punto della superficie , appartiene per intero a questa, avendo in comune con essa, oltre il punto considerato, i sei punti di appoggio con la C.. È perciò che la superficie contiene co' coniche del sistema £ anzidetto situate necessaria mente nei piani di un cono di 2° grado. Con metodo analogo a quello tenuto per la superficie, S, di cui si è fatto ora cenno, si giunge alla rappresentazione su. di un piano di una qualunque superficie razionale costituita da co- niche del sistema SY. Per determinare una sì fatta superficie si può anche partire da una sua curva direttrice, da una curva cioè (razionale) a cui si appoggino le coniche della superficie ciascuna in un punto, UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 405 In generale le coniche di X appoggiate ad una curva C, avente in comune con la €, v punti, non tenendo calcolo della ,S, della per le quali questi punti sono doppii, è di ordine 3(31—v). I piani delle coniche generatrici costituiscono nella stella (0) un cono di classe 3u—v. Il. Nel caso più generale in cui la linea direttrice €. del sistema X non si spezza e passa semplicemente pel punto 0, non sì può coordinare ad ogni conica del sistema £ un solo suo punto, perchè se ciò fosse possibile, la superficie luogo di tali punti avrebbe in comune con una qualunque conica 7 del si- stema X, al di fuori della C., l’unico punto coordinato alla "E ciò che è assurdo perchè i sei punti comuni a questa ed alla €. contano per un numero pari o nullo di punti semplici di sezione. Ne segue che nell'ipotesi anzidetta non esiste alcuna corri- spondenza birazionale tra due sistemi dello spazio nella quale le coniche del sistema X abbiano per corrispondenti le rette di una stella, perchè se tale corrispondenza esistesse ad un piano del se- condo sistema corrisponderebbe nel primo una superficie che avrebbe in comune, al di fuori della C,, un punto con ogni conica del sistema X. Esistono invece corrispondenze birazionali dello spazio nelle quali si corrispondono fra loro due sistemi di coniche Y. Fra tali corrispondenze noi studieremo quelle involutorie in cui ogni conica del sistema è coniugata a se stessa. Un qualunque / di tali corrispondenze determina su di una conica arbitraria 7 di 2 un’involuzione ordinaria. Ora, tre casi possono darsi: o il centro di tale involuzione qualunque sia la Y, coincide con 0, o col variare della 7 esso descrive in un piano @ della stella (0) una curva C,=0*7 in modo che ogni punto G di tale curva è coordinato a tutte le coniche y che hanno per corda la retta OG: o col variare della 7 in X il punto G de- scrive una superficie $S,,. 1° Nell’involuzione . che si ottiene nel primo caso, ogni retta r della stella (0) è coniugata a se stessa con un’involu- zione ordinaria che non ha, in generale, per elemento doppio il punto O, sicchè la J è una delle trasformazioni studiate dal De- Paolis (*) ed è di 1° classe e di 1° specie secondo la classifica- zione dello stesso geometra. (*) Alcune particolari trasformazioni involutorie nello spazio (Rendiconti dell’Accademia dei Lincei, Serie IV, vol. 4, pag. 735). 406 D. MONTESANO Le coppie di punti della J situate in un piano arbitrario © della stella (0) costituiscono l’involuzione 7, del $ 3 di tale piano, e siccome dei suoi sette punti fondamentali 0, P,,...P; gli ul- timi sei si trovano su di una conica, perciò risulta di 4° grado con una curva punteggiata unita C,=0°P,... Py e coni punti fondamentali 0, P,,...P,; (cui Iva alia rispetto le je= 05 Pina Pon 00; mne 0 Pi). Se il piano % combiene “a t, delle cinque trisecanti f, .... & della €. uscenti da 0, questa viene a corrispondere ad ogni suo punto, sicchè il grado della I, si abbassa di 1. Ne segue che la trasformazione J è di 4° grado, che la sua superficie punteggiata unita è una Q,= 0° C.t,...t, e che in essa ai piani dello spazio corrispondono delle ®D,= 0° Ct, . .. t. Cia- scuna di queste 5 rette corrisponde per intero nella J ad ogni suo punto, mentre al punto 0 è coniugata la O, della rete = che ha in O un punto doppio (S 9) ed alla C. è coniugato il cono che la proietta da O. La superficie punteggiata unita O, della J è il luogo dei punti di contatto delle tangenti condotte da 0 alle coniche del sistema £. Rispetto ad essa la prima polare del punto 0 è la Q,= 0? della E già accennata, sicchè il cono tangente in O alle £, è il cono T,=t,-..4, che proietta da 0 la cubica gobba C, del Sto E siccome rispetto a tutte le coniche del Lui X che hanno per corda una generatrice arbitraria di tale cono che si appoggi nel punto P alla C,. i punti 0 e P sono reciproci fra loro (*) sicchè risultano i punti doppi dell’involuzione che la J determina sulla retta OP, perciò la C, appartiene alla superficie Q,. Questa contiene del pari la curva doppia /,, della superficie delle tri- secanti della C.. 2° Una trasformazione involutoria del 2° tipo, nella quale ogni conica del sistema Y è coniugata a se stessa con un'’invo- luzione il cui centro & appartiene ad una curva razionale piana C,=0'7! ammette come linea fondamentale doppia di 1° specie tale curva C, di cui ogni punto ba per corrispondente la conica del sistema Y che passa per esso, e come linea fondamentale 2 p-pla di 2* specie la conica *) del sistema £ che si trova nel piano % della C,, perchè due punti arbitrarii P, P' di tale conica si pre- (*) Infatti la quadrica polare del punto O rispetto alla S della rete E che contiene la retta OP, è il cono che proietta da P la C, (S 9), UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 407 Y sentano come coniugati nella ./j. volte rispetto ai centri G, ...G,, che sono le sezioni della retta P /' con la C,. Ulteriore linea fondamentale di 1% specie della / è la (., ad ogni punto P della quale corrisponde la sezione (diversa dalla retta 0.) del cono che proietta da / la C,, con la Sy= P' della rete Z, sicchè l’ordine di multiplicità della” C., per la J è 2 |. +1. Infine nella 4 corrispondono per intero ciascuna ad ogni suo punto le trisecanti della C. appoggiate alla C, in punti diversi da O, il cui numero è 5(201+1). E siccome ogni superficie ® che nella J sia coniugata ad un piano dello spazio, è segata da ogni conica del sistema YX in due punti al di fuori della C., perciò il grado della trasformazione è ila oa e le ® sono delle 0pan= Chit: CÈ C,* t, PEA È (2041) © La Jacobiana delle ® è costituita dalle : Ta any CT" O, Ct, Entry — (N 6142 6, 3 To (2n+1) C, Ati CL C, “(è, pabit pri che corrispondono rispettivamente alle C,, C.. La superficie punteggiata unita della trasformazione è una Ue e Ct ih \H Int (28t1 10° 3° Nell’involuzione J del 3° tipo nella quale ogni conica del sistema Y è coniugata a se stessa con un’involuzione il cui centro appartiene ad una superficie S,,, le rette che congiungono le coppie di punti coniugati formano un complesso I costituito da oc? fasci di raggi di cui ciascuno ha per sostegno un piano della stella (0) ed un punto della S,,, sicchè fra questa superficie e la stella (0) viene ad aversi una corrispondenza birazionale e prospettiva. Viceversa ogni complesso di rette I costituito da fasci situati nei piani della stella (0), uno in ogni piano, ed aventi per centri i punti di una superficie S,,, determina con il sistema Y una tras- formazione J della specie che ora si esamina, in cui ogni coppia di punti coniugati appartiene ad un raggio di T e ad una co- nica di S. In tale trasformazione 7 ad un punto arbitrario della Ci, è coniugata la curva che con la retta OP forma la sezione della 408 D. MONTESANO S,=P* della E con il cono di I° che ha per vertice P, sicchè se 1. è il gralo del complesso T e di conseguenza è p-1 la mul-. tiplicità dei raggi della stella (0) in T, la curva in quistione è di ordine 20+1 con p+1 rami passanti per P. Ne segue che la superficie punteggiata unita della trasfor- mazione passa con /.+1 falde per la (€.; e siccome ogni co- nica del sistema X al di fuori della C, ha due punti in comune con tale superficie, questa perciò risulta una U,,,,= 044. In un piano arbitrario è dello spazio le coppie di punti non coincidenti della + sono le coppie dell’involuzione /, del $ 3 si- tuati su i raggi del complesso I, e siccome in + le congiungenti i punti di una retta r arbitraria ai coniugati nella I, formano sun inviluppo di 5° classe, perciò le coppie in quistione formano una curva di ordine 31, la quale con la curva w,,4,=(U,.44@) forma la sezione del piano © con la superficie che gli corrisponde nella J. Questa perciò è di grado 61 + 4. Nella corrispondenza birazionale e prospettiva che intercede fra i piani della stella (0) ed i punti della superficie $S,,, nella quale due elementi corrispondenti sono sostegni di un fascio del com- plesso Ul, ai piani di un fascio (r) della (0) corrisponde una curva di ordine pv. della ,S,, avente sulla » 2 —1 punti (dei quali alcuni possono coincidere in 0), perchè il cono che proietta tale curva da un punto arbitrario P della r, è il cono del complesso di ver- tice P. Ne segue che nella corrispondenza anzidetta ad una curva piana della ,S,, corrisponde nella stella (0) un cono inviluppo G,=0,..0,"... (essendo p°—Xd°—m) avendo indicato con c, un piano della stella (0) a cui corrisponde non un punto della Sn ma una curva C,, di ordine s, giacente in tale piano. Perciò tutte le rette del piano 0, sono raggi multipli secondo s, pel complesso l’ e la conica ‘, del sistema Y giacente nel piano 0, è coniugata a se stessa nella / con co! involuzioni aventi i centri sulla C;,, cioè la ‘, corrisponde per intero s, volte ad ogni suo punto, e quindi è linea fondamentale 2 s,-pla di 2 specie per la J. Fra le coniche del sistema X ve ne sono col su le quali la J determina un'involuzione degenere, in modo che una qualunque di tali coniche corrisponde per intero al suo punto P centro del- l’involuzione degenere di cui essa è sostegno. Il luogo di tali punti P è una curva fondamentale doppia C, di 1° specie, per la J. Questa curva C, incontra ogni conica UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 409 fondamentale y, nei 2°, punti comuni alla 77, ed alla curva €, che nella ;S,, corrisponde al piano 0, della ‘7,, sicchè il cono co- stituito dai piani delle coniche di £ coniugate ai punti della ©, ammette come piani multipli secondo 2s,,... 25, ... i piani 9)... 7... Per dedurre la classe di questo cono si noti che essendo r una retta arbitraria della stella (0) i centri delle involuzioni che la J determina sulle coniche del sistema Y situate nei piani del fascio (7) e perciò sulla S,=r C,, costituiscono la curva C, che sulla su- perficie SI bosnegonad al fascio (r) della (0), sicchè i 2p.+1 punti in cui tale C, sega al di fuori della r la S,=C,r sono centri di inltoluzioni! degeneri dovute alla + sulle coniche del si- stema £ passanti per essi. Vi sono dunque 24+1 piani passanti per la r, sostegni di coniche di X su cui la J determina involuzioni degeneri, cioè l’inviluppo dei piani in quistione è di classe 2u+1. Ne segue che esistono 5(2u-+1) coniche degeneri, ognuna delle quali è costituita da due rette #,," che sono coniugate fra loro nella 4 con corrispondenza prospettiva, il cui centro P, è situato su una di esse #, sicchè tale retta 7, uu nella J de in- tero ad ogni suo punto. Nè oltre le C.,, C,, Yi: 0. Yn cit; È (2141) già accennate la / ammette ale linee forate menitali. sicchè in essa ai piani dello spazio sono coniugate delle 241 2, Eroe Voppa CTOIALcuto Due qualunque di queste superficie hanno in comune oltre le linee fondamentali una curva variabile di ordine 64+4, sicchè si ha (6u+4)° —7(2u+1)?°—40—8s°-5(21+1)=6144 da cui si deduce y=2p°+u—-2xXs=2m+p. La Jacobiana delle ® è costituita dalle = 2ut1 25 n 25 Saar C,% 1... ant. t, e Banti)» Ù — 0 6p+2 67A)0,8 sp ds 3 3 opa; C, i {eo ]h [DAR ° » t, esle È, (2p+1)3 coniugate rispettivamente alle C,, C. e la superficie punteggiata unita” è una (CARE = Cio prcalteateo - Questa su- perficie contiene evidentemente anche la curva doppia H7,, della superficie delle trisecanti della C., le quali a due a due si cor- rispondono con proiettività prospettiva nella 7. 410 D. MONTESANO 12. Se in una trasformazione involutoria X dello spazio le coppie di punti coniugati sono su i raggi di un complesso I° co- stituito da co° fasci di raggi aventi per centri i punti di una su- perficie ,S,, e situati nei piani di una stella (0), la quale perciò risulta costituita da raggi (2 — 1)-pli del complesso, due casi pos- sono darsi: o le coppie di punti della X situate su un qualunque fascio (D—0) del complesso appartengono ad una cubica Ci, pas- sante pel centro D del fascio, 0 esse costituiscono una conica (0, non passante per tale centro D. Tanto il sistema delle C, nel primo caso come il sistema delle C, nel secondo è si fatto che una sola sua linea passa per un punto arbitrario dello spazio ed una sola linea si trova in un qualunque piano della stella (0), sicchè nel secondo caso il sistema delle coniche 0, è del tipo studiato in questa Nota, e la trasformazione involutoria X risulta essere una trasformazione J del 3° tipo studiata nel $ precedente. Nel primo caso invece il sistema X' delle C, è costituito dalle basi variabili di una rete di superficie di 4° ordine avente per base una linea di 13° ordine; nè si ha il sistema più ge- nerale di tale natura ma si presenta per esso la particolarità che fra le sue curve ed i punti P della $S,, vi è una corrispondenza univoca e prospettiva. Questa particolarità determina senz'altro il sistema X', la S, ed il corrispondente complesso T che non è quello più generale soddisfacente alla condizione già imposta di ammettere una stella di raggi (2 —1)-pli, ma ammette ulteriori particolarità. Ne segue che in una trasformazione birazionale involutoria dello spazio le cui coppie di punti coniugati siano su i raggi di un complesso 1, dotato di una stella di raggi (v — 1)-pli ma non soddisfacente ad ulteriori particolarità, risultano unite le superficie di 3° ordine di una rete avente per base una C. di genere 5. Le coppie di una siffatta trasformazione J possono essere rife- rite con corrispondenza univoca ai punti dello spazio ordinario. Assunta infatti una cubica gobba HH, che passi pel centro O della stella di raggi (vu —1)-pli del complesso L' determinato dalla J, basta riguardare come corrispondente ad una coppia qualunque PP' della J quel punto P, in cui la retta P P' sega la corda della H, non uscente da 0 situata nel piano O P P', perchè con ciò viceversa ad un punto arbitrario P, dello spazio situato sulla corda c, della H, viene a sd quell’unica coppia P P' della J che si i nel piano Oc, allineata con P.. UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 411 13. Il sistema S di coniche studiato nei precedenti paragrafi determina una corrispondenza degna di nota frai punti e le rette dello spazio, la quale si ottiene assumendo come corrispondente di una retta arbitraria » dello spazio il suo polo /t rispetto alla conica Y di Y che è nel piano Or. Viceversa ad un punto ar - bitrario R vengono a corrispondere le oo! rette » polari di KR rispetto alle coniche di X situate nei piani del fascio che ha per asse la = O R, le quali rette estensione alla quadrica po- lare del punto rispetto alla S,="C, e pero costituiscono una schiera rigata p che ha per direttrice la +. Dunque la corrispondenza X in quistione intercede fra lo spazio punteggiato ed un sistema oc5 di schiere rigate, godente la proprietà notevolissima che una retta arbitraria dello spazio appartiene ad una sola di tali schiere. E si ha ancora che: Se la quadrica sostegno della schiera rigata che corrisponde nella X ad un punto P passa pel punto P', viceversa la quadrica sostegno della schiera rigata che cor- risponde a P' passa per P. Infatti in tale caso i punti P, P' risultano fra loro reciproci rispetto alla conica del sistema Y che trovasi nel piano OPP'. Il punto O è elemento eccezionale per la corrispondenza X avendo per corrispondenti tutte le corde della cubica gobba (©, del $ 9. Di più se r' è un qualunque raggio della stella (0) e su di esso D, D' sono i due punti doppi dell’involuzione determinata dalle coniche del sistema X che hanno per corda la »' (punti che appartengono alla superficie Q, del $ 11, 1°), rispetto alle coniche accennate essi punti D, D' risultano reciproci fra loro, sicchè la schiera rigata (0 £°) che corrisponde a D (0 D') nella X risulta un cono quadrico di vertice D' (0 D), e la cubica gobba 7 che con la »' forma la sezione di tali coni p: TÀ risulta il luogo dei poli della r' rispetto alle coniche di Y che l'hanno per corda, risulta perciò la curva coniugata alla retta 7' nella corrispondenza X, in modo che ogni altro punto della r' ha per corrispondente nella X una schiera rigata situata su di una quadrica che ap- partiene al fascio che ha per base le ', 7,. La 7, contiene i cinque punti della H,, in cui si segano a due a due le trisecanti della C. appoggiate alla r. Essa incontra del pari in 5 punti la cubica C,, perchè fra le quadriche del fascio (r'‘),); polari dei punti della »' rispetto alla S,=r"C., vi è la quadrica I,=7'C, polare di 0, e su questa la r' è segante semplice della C, ed è corda della 7,. 412 D. MONTESANO La 7, può anche definirsi come il luogo dei punti a cui nella X corrispondono schiere rigate contenenti il raggio »' della stella (0). Dunque i raggi della stella (0) sono eccezionali nella corri- spondenza X avendo per coniugati non dei punti ma delle curve. Sono del pari eccezionali per la X i punti della curva H, del $ 3. Chè se P è un tale punto e 7, # sono le trisecanti della C. segantisi in esso, rispetto alla conica degenere (##) di Y ogni retta » del piano 7=#f ha per polo il punto P, il quale perciò corrisponde alla r nella X, mentre rispetto alle altre coniche del sistema X che hanno per corda la #=0P, le polari di P co- stituiscono un fascio che ha il centro sulla r' e si trova nel piano ' che con x forma la quadrica polare di P rispetto alla £,= C.r. Si noti ancora che se d, d' sono due rette del fascio (P — 7),se- parate armonicamente dalle #,#, ogni punto di una delle d, d' corrisponde all’altra nella X essendone il polo rispetto alla co- nica degenere (##) di . Perciò le rette d,d' sono anche esse eccezionali nella X. Il loro assieme essendo costituito da fasci di raggi i cui centri ap- partengono ad una linea H di 10° ordine ed i piani ad un in- viluppo conico A di 5° classe, costituiscono una congruenza T' di 5° ordine e di 10? classe. Infine la C. presenta questo di particolare nella X che ogni suo punto è vertice del cono corrispondente. Noteremo in ultimo che le curve 7, coniugate nella X ai raggi r della stella (0) sono le basi variabili dei fasci di una rete di superficie omaloidiche di 5° ordine, aventi in comune le curve C,, Ho, la prima doppia e la seconda semplice. Infatti la cubica 7, coniugata nella X ad un raggio arbi- trario r della (0) forma con tale raggio la sezione delle qua- driche ,,=x C,, I, polari luna di O e l’altra di un punto ar- bitrario 0' della r, ricuetto alla S,=r C.. Ora quando il raggio r' descrive un fascio (0-) e si suppone che il punto 0' varia su una retta arbitraria s di ©, la S, varia nel fascio che ha per base la C. e la conica y di X situata in 0, la quadrica 1, descrive il fascio 9 che ha per base la C, e la polare o di O ri- spetto alla conica y anzidetta, e la quadrica I, descrive una va- rietà v di 2° ordine, perchè per un punto si P dello spazio passano due superficie della v sostegni delle schiere rigate 5.10 UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 4183 coniugate nella X ai due punti in cui la quadrica sostegno della schiera coniugata a P sega la s. E la © risulta riferita proiet- tivamente al fascio 2 in modo che la superficie generata dalle due forme si spezza nel piano 4 e nella superficie £ costituita dalle cu- biche sobbe coniugate nella X ai raggi del fascio (0 — 4). Que- le) D DE st'ultima superficie è perciò di 5° ordine, ha per linea doppia la C, e per linea semplice la retta o già accennata e le dieci rette delle congruenza I°. ,, coniugate nella X ai dieci raggi della stessa congruenza situati nel piano (*). Di più la £. contiene la curva 7, essendo questa incontrata in quintuple di punti va- riabili dalle singole cubiche generatrici della superficie. Sicchè ai piani @ di un fascio (r') corrispondono superficie 2. le quali hanno in comune la C, doppia, la #7; e la 7, coniugata alla r°, e che a Ugo ppla, 1a £,0 / 3 8 0 5 ©) perciò appartengono ad un fascio. Di conseguenza variando il piano © nella (0) la corrispon- dente superficie descrive una rete e ne segue il teorema. ©) 14. 1° Alle rette di una stella arbitraria (P) dello spazio sono coniugati nella X i punti della quadrica I, che contiene la schiera rigata p coniugata nella X al punto P (paragrafo precedente). Sulla /, si trovano, oltre la r =OP e la y, che le è coniu- gata nella Mnsa raggi e,,...e', della congruenza l’, ,) coniu- gati nella X alle rette e, utt: tidellartbusi uscenti da IP: liete (e Wappar Giaono alla schiera pe lar alla schiera rigata o incidente alla 0; e mentre i punti di una generatrice arbitraria 9 della 0 sono coniugati nella X ai raggi della (2) situati nel piano c= rg, invece i punti di una retta d della schiera p poni ini nella X ai raggi della (P) formanti un cono LP, =r°e, e. Infatti ogni piano 7 del fascio (r) con- tiene uno solo Ù di tali raggi che è la polare del punto L=dx rispetto alla conica di X giacente in 7, e 9 coincide con r' nei due piani 7 che passano per i punti y,d, come coincide rispettiva - mente con e .e., mei piani 7 che passano per i punti degni deg. ORC 1) È la nota superficie studiata dal CLi:BscH ( Ueber die Abbildung al» gebraischer Flachen insbesondere der vierten und finften Ordnung; Math: Annalen. Bd. 1) e dallo Sturm (Ueber die Flichen mit einer endlichen Zahl von (einfachen) Geraden-Math-Anvalen-Bd, IV); ecc., ecc, 414 D. MONTESANO Ne segue che ai raggi di un fascio arbitrario (P — ©) della stella (P) corrispondono nella X i punti di una curva razionale C della /, che ha per secanti semplici i raggi della p e per trisecanti quelli della 0°, e che perciò risulta di 4° ordine e di 2° specie. Col variare del piano @ nella (2) la corrispondente curva C, descrive una rete omaloidica sulla /, avente per base i cinque punti pcs cre idella (curva eroe ) (0) 2° Alle rette di un piano arbitrario % dello spazio sono coniugati nella X i punti di una superficie omaloide di 6° ordine. Infatti fra i punti di tale superficie Q e i piani della stella (0) viene ad aversi una corrispondenza univoca e prospettiva ri- guardando come corrispondente ad un piano x della (0) il punto È della O coniugato nella X alla retta r= 7. In tale corri- spondenza ai piani 7 di un fascio (r) corrispondono i punti È di una curva di 4° ordine appoggiata in tre punti alla r, sicchè viceversa ai punti di una curva piana della © corrispondono i piani di un cono I di 4* classe. E siccome i piani eccezionali della corrispondenza sono semplicemente i 10 piani che proiet- danogdaWMOMei0i retite (et, ee della congruenza T..,o sh tuati in 7, ciascuno dei quali ha per corrispondente nella O una retta e, e di conseguenza appartiene come piano semplice ad ogni cono l,, perciò il numero dei piani variabili comuni a due di tali coni, che è l'ordine della O, risulta essere 6. E la Q ha in O un punto triplo, essendovi nel piano @ tre corde della cubica gobba ©, del $ 9. La superficie O, = 0°t, ...t, luogo dei punti aventi per co- niugati nella X dei coni quadrici, sega il piano + secondo una curva ‘%,, che viene proiettata da 0 secondo un cono X,= 0!#, ...t, il quale oltre di O ha in comune con la O, una curva H, = 03 di genere tre. Ora è agevole riconoscere che questa linea MH. è doppia per la superficie Q,. Infatti ad un punto arbitrario D della H. è coniugato nella X un cono quadrico avente per vertice il punto D' della ;;, si- tuato sul raggio OD, sicchè vi sono due rette in % (generatrici del cono anzidetto) che hanno per coniugato nella X il punto D, il quale perciò è doppio per la O. UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 415 Questa perciò è la superficie di cui fa cenno il Caporali nel n° 4°, $ 43 della Nota già citata (*). Ta © contiene la curva punteggiata unita dell’ involuzione 7, del piano # a cui è dovuta, e la curva H,, del paragrafo 8. Nella corrispondenza univoca e prospettiva già accennata in- tercedente fra i piani della (0) e i punti della Q,, due elementi corrispondenti 7, /? sono sostegni di un fascio di rette (R— 2). i cui coniugati nella X sono ‘i punti della r=%#, sicchè il com- plesso di rette T, costituito da tali fasci (che è di 4° grado ed ha per raggi tripli i raggi della stella (0)) è quello formato dalle schiere rigate che nella X sono coniugate ai punti del piano ©. Di tale complesso fa parte la congruenza [. ,;- 8° Col variare del piano © in un fascio arbitrario (a) la corrispondente superficie O, descrive una varietà quadratica W, giacchè le superficie della W che passano per un punto P sono le corrispondenti dei due piani del fascio (a) che contengono i due raggi della schiera o coniugata a P appoggiati alla a. Invece il complesso 1’, col variare di & attorno alla a. de- scrive un fascio 9, perchè una retta arbitraria r dello spazio ap- partiene a quell’unico complesso dell’assieme dovuto al piano del fascio che contiene il punto £ che nella X è coniugato alla retta r. La base del fascio © è formata dalla stella dei raggi tripli (0), dalla congruenza P. ,, e dalla congruenza costituita dalle schiere rigate coniugate nella X ai punti della a, sicchè quest’ul- tima è di 2° ordine e di 6° classe. Siccome le quadriche sostegni delle schiere rigate che costi- tuiscono tale congruenza @, ; formano una varietà ad una di- mensione e quadratica, esse perciò appartengono ad una rete, di cui due punti-base sono il punto O ed il punto A che nella X corrisponde alla a. Gli altri sei punti-base P,,... P, hanno evidentemente per coniugate nella X sei schiere rigate 0,,...0; aventi per direttrice la a, sicchè le cubiche coniugate nella X alle sei rette O P3, AIOP) hanno tutte per corda la a. —_(#) Veg. anche Borotsa, La superficie del 6° ordine con dieci rette, ecc, Memorie dell’Accademia dei Lincei, 1807. 416 D. MONTESANO Per ognuno dei punti 0,4, P,,...P; passano col raggi della ‘(Q5.;5 (€ gia ci è noto che quelli passanti per Pizia costituiscono coni di 83° ordine aventi rispettivamente per raggi doppii i raggi O P,,...0P, che sono doppii per la congruenza, mentre quelli passanti per A costituiscono il fascio di raggi che ha per sostegno il piano delle rette OA, a. E siccome fra le cubiche coniugate ai raggi di un fascio (0 ) della stella (0) cinque ve ne sono che si appoggiano ad una retta arbitraria, sicchè viceversa fra le schiere rigate coniu- gate ai punti di una retta 4 cinque ve ne sono che contengono un raggio del fascio (O — #), perciò il cono dei raggi della @,,, che ha per vertice il punto O è di 5° ordine ed ha per raggi doppiilrasgii0 Pc... (0-PC agi0 e Celperciò di 28) specied($). Gli altri suoi quattro punti singolari (vertici di coni di 2° grado) sono i punti A,,... A, del piano @=0A-a, in cui le quattro rette che proiettano da O i punti di sezione della a con le superficie O,,= 0° del $S 11, 1°) segano ulteriormente tale superficie. La superficie focale della congruenza risulta il luogo dei punti, a cui sono coniugati nella X delle schiere rigate situate su qua- driche tangenti alla retta «. l Con ciò si è al caso di determinare le caratteristiche elemen- tari delle quadriche sostegni delle schiere rigate coniugate nella X ai punti dello spazio; come può determinarsi mediante le note formole di Zeuten il grado del complesso di rette che nella X corrisponde ad una superficie assegnata o l'ordine della superficie che nella X corrisponde ad una congruenza di raggi. 15. Può succedere che la linea C. direttrice del sistema ® sì spezzi in due o più parti. Senza alcuna difficoltà, servendosi all'uopo della rappresentazione di una S,= C, su di un piano, può stabilirsi nei singoli casi su quale io lince ‘in cui la (08 sì scinde, viene a trovarsi il punto 0, e come si dissi su tali linee gli otto punti base di una qualunque rete di qua- driche generatrici del sistema SX. Ha maggiore importanza il caso in cui le superficie di 3° or- (*) KummeR, Ueber die algebraischen Strahlensystem u, sì w, Monatsbe- tichte Ak, Berlin, 1866, 4 12. UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE NELLO SPAZIO 417 dine, che formano la rete che ha per base la C.. sono dotate di un punto doppio, il quale allora risulta il centro O delia stella di piani generatrice del sistema Y ed è uno dei punti base di ogni rete di quadriche generatrici di Y, sicchè trovasi su ogni conica di X ed è triplo per Ja linea direttrice C. del sistema la quale risulta di genere 3, ed ha in comune, oltre di 0, quattro punti con ogni conica È. In tale caso può stabilirsi una trasformazione birazionale dello spazio nella quale al sistema Y corrisponde una stella (0°) di rette. Stabilita infatti una corrispondenza birazionale nulla y fra i piani ed i raggi della stella (0) (*), si consideri per ogni co- nica y del sistema £ il suo punto di sezione G, diverso da O, con il raggio o della (0) che nella y corrisponde al piano & della y. La superficie ® luogo dei punti G risulta un monoide di ver- tice O, che passa semplicemente per la C.; e siccome col variare di o in un piano x della (0), il piano © descrive un cono qua- drico tangente al piano 7, e la conica 7 una superficie di 6° or- dine che ha in comune col piano 7, oltre ad una conica y, la linea di sezione col monoide ‘, perciò questo risulta di 4° ordine. I tre raggi fondamentali della y sono rette semplici della ® non appoggiati alla C.; invece le altre nove rette della super- ficie uscenti da O incontrano ciascuna in un punto la C.. Ora si consideri nella stella (O) il sistema delle reciprocità bi- razionali nulle y nelle quali ad un fascio di raggi assegnati (0—7) corrisponde un cono inviluppo assegnato I, della (0) tangente a 7. Tale sistema è ‘ineare ed co3 e due qualunque sue corrispon- denze hanno un’usica coppia di elementi corrispondenti in co- mune (**), sicchè gli 005 monoidi ® dovuti a tali corrispondenze (*) Veg. Sturm, Ueber die retiproken und mitihn zusammenbingenden Verwandtschaften (Math. Annalen, Bd, 19, pag. 474), (**) Infatti una reciprocità birazionale nulla in una stella è completamente determinata da sette coppie di elementi corrispondenti affatto arbitrarie. Ora l’assegnare di un piano x il corrispondente cono T) tangente a © lungo la retta p, significa assegnare le quattro coppie pr, pyî,, Pata, Pata» avendo indicato con 7, e, 73 tre piani arbitrarii del fascio (p) e con p,, Pa, P3; le loro sezioni diverse da p con il cono T,, sicchè le reciprocità nulle in cui 7 e I si corrispondono, formano una varietà lineare 008. * Due qualunque y, y' di esse hanno c0' coppie in comune i cui elementi costituiscono un cono di raggi di 3° ordine, che si spezza nel piano x ed in Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXVII. 3 | 418 D. MONTESANO - UN SISTEMA LINEARE DI CONICHE formano un sistema lineare omaloidico V avente per base la C.= 0°, ed una C,= 0° situata nel piano x (*). Il sistema omaloidico W connesso al precedente sistema è costituito da superficie Y, = 035HE 3 0g» come può dedursi notando che la jacohbiana del sistema delle D, è è costituita dal piano 7= C, contato due volte, dalla /,=C,° €, luogo delle coniche di Y ap- poggiate alla C,, e dal cono I,=C, che proietta da O la C.. Da ciò segue Echo che la curva fondamentale C, del secondo sistema è di genere 5 ed ha nel punto @ un punto quadruplo e che la curva fondamentale H, è gobba e passa semplicemente per Q. Le C,, H, hanno GLitei di Q, 10 punti in comune. 9? E la Jacobiana delle Y è costituita dalla ‘S.= HCN dalla I, = H,°C, luogo delle corde della O, appusao ad H,, e dal cono I = che proietta la H, da Q, le quali sapirfitie corrispondono rispettivamente al pinto O ed alle C,, C, nella corrispondenza birazionale X connessa ai due sistemi. In questa alla rete della stella (@) corrispondono le coniche del sistema £ (mentre alle rette della (0) corrispondono le corde della H,); sicchè permette di studiare le superficie costituite da coniche del sistema x e quelle che hanno un solo punto in co- mune al di fuori della C. con ogni conica del sistema. un cono quadrico p,y, ed un cono inviluppo di 3° classe, che spezzasi nel cono T, ed in un fascio di piani cyy. Ne segue che tre corrispondenze arbitrarie y, x/, x" del sistema hanno un'unica coppia variabile di elementi corrispondenti in comune costituita dal raggio comune ai coni pyy, yy! diverso dai tre raggi fondamentali della x, e dal piano comune ai fasci gyy, gyf. (*) Il monoide di V che passa per tre punti assegnati 4,B,C dello spazio, è quello dovuto alla corrispondenza x del sistema in cui ai tre raggi OA, OB, OC corrispondono rispettivamente i piani delle coniche di £ pas- santi per 4, B,C. 419 Sulla resistenza elettrica delle leghe facilmente fusibili allo stato liquido ; Nota del Dott. Prof. CARLO CATTANEO Nello scorso anno (*) ho studiato la dilatazione termica delle leghe di Wood, Lipowitz, Darcet e Rose, ad elevata temperatura al fine di constatare se ancle per esse, come per le leghe bi- narie (**) e per le amalgame (“**) allo stato di perfetta liquidità si verifichi la legge di approssimazione che i metalli componenti vi conservano i loro rispettivi coefficienti di dilatazione e se sia sensibile la variazione di volume accompagnante la loro forma- zione. Ora ho eseguito una serie di ricerche sulla resistenza elet- trica di tali leghe, fra 250° e 350°, per stabilire poi la rela- zione esistente fra la resistenza specifica della mescolanza di varii metalli e quella che dessa dovrebbe avere qualora i metalli stessi conservassero in essa invariate le singole proprietà fisiche. Della misura della resistenza elettrica delle leghe facilmente fusibili si è già occupato il Weber (****), ma per temperature non superiori ai 130° circa; per lo scopo prefissomi occorreva eseguire le dette misure a temperature vicine a quelle di fusione dei sin- goli metalli componenti le leghe, ed anche a temperature supe- riori a quella di fusione del metallo (piombo) meno fusibile. 1 metalli B:, Sn, Pb, Cd che mi hanno servito per questo studio erano stati forniti come chimicamente puri dalla casa Trommsdorff. Le pesate vennero fatte col metodo della tara mediante una (*) R. Accad, Fisiocritici, Siena 1890, serie IV, vol. II (CATTANEO). (**) R. Accad., Lincei, Roma 1887, vol. III, 2° sem. — 1888, vol. IV, 1° e 2° sem. (VICENTINI ed OMODEI). (#**) R. Accad. Scienze di Torino, 1890, vol. XXV, marzo (CATTANEO), (*#*#**) Annal. Phisik und Chemie, Wiedemann 1886, 27, 2 (WEBER). 420 C. CATTANEO bilancia di precisione sensibile al decimo di milligrammo; le leghe venivano preparate in un piccolo crogiuolo di carbone di storta, tenendole coperte da vapori di paraffina, per evitare quanto meglio era possibile il contatto coll’aria. Per lo studio delle tempera- ture © di fusione delle singole leghe rimando al mio lavoro precedente sopra segnato (V. nota (*) pag. 3). Il metodo adottato per le misure di resistenza elettrica è lo stesso di quello già adottato dapprima da Vicentini ed Omodei per lo studio dei metalli facilmente fusibili (#) e poi da Vicen- tini e Cattaneo per lo studio delle amalgame (**); è il metodo suggerito da Kohlrausch per la determinazione di piccole resi- stenze, indipendentemente dalle resistenze dei contatti, coll’uso del galvanometro differenziale. Rimando quindi ai lavori sopracitati (V. note (*) e {**) pag. 4) per tutto quanto riguarda la preparazione dei tubi di resistenza, la determinazione della loro capacità di resistenza mediante mer- curio, le cautele da seguirsi per il loro buon riempimento, l’ap- parecchio riscaldante a paraffina, la lettura e correzione delle temperature, e le misure elettriche col galvanometro differenziale a grande resistenza (bussola di Wiedemann). Aggiungo soltanto alcuni schiarimenti per quanto riguarda i calcoli. La capacità di resistenza dei tubi (C,) l'ho determinata alla temperatura dell’ambiente in un bagno ad acqua; siccome operai sempre a temperature comprese fra 0° e 25° la riducevo a 0° (C,) colla conoscenza del coefficiente di temperatura del mercurio fra queste temperature (0,00087). Reciprocamente dalla cono- scenza di C, passavo a quella di C, (per le alte temperature a cui eseguivo le determinazioni di resistenza elettrica delle leghe) mediante gli opportuni valori del detto coefficiente alle tempera- ture stesse. Calcolata poi in Ohm la resistenza £ della lega li- quida alla temperatura 7 del bagno a paraffina, nel tubo di nota capacità di resistenza C7, allora ci dava la resistenza speci- vl fica 0 della lega liquida a 7 riferita a quella del mercurio alla stessa temperatura, presa come unità. Colla formula R,=R,(1+4t) SI | (#) R. Accad. Fisiocritici, Siena 4890, serie V, vol. Il (VicenTINI ed OMoDEI), (**) R. Accad, Lincei, 1892 (VICENTINI e CATTANEO), RESISTENZA ELETTRICA DELLE LEGHE 4921 calcolavo poi, mediante la conoscenza dei valori di È e di p, ri- spettivamente i coefficienti di temperatura % (di resistenza) e A (di resistenza specifica). Per tutti i calcoli successivi ho tracciato poi le curve dei valori di & e di p per ogni lega. Ho calcolato anche la resistenza specifica 2, che teoricamente ogni lega liquida dovrebbe avere qualora i metalli componenti conservassero in essa immutate le singole proprietà fisiche. Per le leghe binarie (*) e per le amalgame (Vedi nota (**) pag. 4) il valore di p, veniva desunto dalla formula Re RE) Wrc nella quale V, p, e V,, rappresentano rispettivamente volume e resistenza dedica dei due metalli componenti alla tempera- tura che si considera. Per il caso mio la formula adottata è la seguente : UNTER ERI ET I BT “n o A Si I PA ove Vf» UG VETO Vip, indicano rispettivamente volume e iienza specifica, alla stessa temperatura, dei metalli Bismuto, Stagno, Piombo e Cadmio; e 0, indica la resistenza specifica della mescolanza. I valori dei singoli volumi alle varie temperature sono stati determinati in base alla conoscenza della composizione centesimale delle leghe e delle densità dei componenti ; queste densità poi vennero a loro volta determinate in base ai valori normali tro- vati da Vicentini ed Omodei nel loro studio sulla dilatazione dei metalli allo stato liquido (**); così pure le resistenze specifiche dei metalli componenti si determinarono servendosi dei dati normali ottenuti dagli stessi sperimentatori nel loro studio sulla resistenza . dei metalli (V. nota (*) pag. 4). Naturalmente per tali determina- zioni teoriche si suppone che i metalli componenti, ancor quando si trovano nella lega liquida sciolti a temperatura inferiore a 1.(8) (*) R. Accad. Lincei, vol. VII, fascicolo 7, 1894 (VIcENTINI). (*#*) R. Accad. Scienze di Torino, 1887, vol. XXIII (ViceNTINI ed OmoDEI). 422 C. CATTANEO quella della loro fusione, seguano le stesse leggi di dilatazione e di resistenza elettrica che si sono trovate al disopra del loro vero punto di fusione quando vennero studiati isolatamente. Ho calcolato infine i valori di A e {2 N I) Pe coefficiente di variazione della resistenza specifica per effetto della mescolanza dei metalli; Ve-V = RA(5 Bega (5) od anche DE=De 122 — SO e * (6) coefficiente di contrazione che accompagna la formazione delle leghe; tale calcolo si eseguisce facilmente in base ai dati da me già ottenuti nello studio della dilatazione termica delle leghe ora in esame. I valori di D, vengono dati dalla formula De= Si e li SEO IRAN SRI ceci el SP pit pe ove P, P, P, P, e D, D, D, D, sono rispettivamente le quan- tità sd in O dei componenti la lega e le densità di questi alla temperatura per cui si vuol calcolare la D.. Segue ora la spiegazione delle tavole: La prima dà la composizione atomica e centesimale e la tem- peratura di fusione delle quattro leghe. Nella seconda I ed E hanno significati già noti; così pure ke K: k è determinato fra 250° e 350°, X fra la tempera- tura di fusione delle leghe e 350°. Nella terza pure 7, o, &' e K' hanno significati noti; %' è determinato come sopra e così I valori di 7° e di p sono le medie delle due serie di de- terminazioni concordanti, fatte separatamente per ogni lega, con due tubi di diversa capacità di resistenza. La quarta contiene i valori delle densità D e delle resistenze specifiche ; dei quattro metalli componenti, valori adoperati per RESISTENZA ELETTRICA DELLE LEGHE 423 il calcolo delle p, colla formula (3); 4 e # sono rispettivamente il coefficiente di dilatazione e quello di temperatura (della resi- stenza specifica) dei detti metalli liquidi, che hanno servito a de- terminare D e - alle varie temperature. La quinta contiene i valori delle D) e D, determinate rispet- tivamente, per le quattro leghe, coll’esperienza o mediante il calcolo della formula (7), vedi il mio lavoro già segnato (V, nota (*) p. 3). Questa tabella mi ha servito per ottenere i valori di p. Nelle tabelle sesta, settima, ottava e nona, ) e p. hanno si- gnificati già noti; /', e %', sono rispettivamente i valori del coef- ficiente di temperatura della resistenza specifica, fra 250° e 350°, e dati dalle - sperimentali e dalle p, teoriche. Tavola 1. Lega Wood Lega Lipowitz Bi, Sn, Pb Cd, Bi,, Sn, Pb, Cd, BAIA Bi—=49.98 | Sn =43573 Sn=412.76 | no 0958 ) pz 679.5 Pb =13.73 \ Pb = 26,88 CA=16.80 | CA=10.38 \ 100.00 100.00 Lega Darcet Lega Rose Bi,3 Snyo Pbg Bi, Sny Pb, Bi = 49.05 Bi = 48.90 | Sn=21.20 p= 949.2 Sn=23.55 | e = 940.3 Pb—= 29.75 Ph=2755 \ 100.00 100.00 CATTANEO Cc. | 8&7000°0 = % 767000°0 = N ‘220QUL 2.4070A €960'0 0360°0 SELTO | 00066 L99700 | 0°0S8 79ST0 | €76 006 0098 968000 | €76 | BAINO ETTep Moped SLOTO | 9°863 | 936000 | VG LS9FO | VOLE | FEG00 | 9'LL3 GOLFO | S'TTOE | 77600 G6ELTVO T960"0 d NA YU L 0qu) opuoseg | 0qn) WII toLFro = 9 L66000 = “9 sog UST 997000°0 = % 0000 = M ‘220QUL 2407DA L86000 | 0°OSE | SSLT'O | 0'0SE <760°0 | 01064 | LOLFO | 0°0S 6980°0 | 76 | YS8ST0 | &76 gAINO EITep 193Opod EILFO | 966 EGLTO | SFLe 8760°0 | S°8S 966000 | E LL3 6960°0 | "863 | SFLTO | 8'L63 €860°0 | 6G'07E | TSLFO | SFHE U L U I 0qn] opuooag | 0qn) QwurIq LE60°00 = °d LOsPO=sS9 qoo1eg UST E88000°0 = % 7€7000°0 = M “PIU 2401VA ELOFO | 0°0SE | OF6F0 | 0068 :G0V°0 | 0'0S8 | 698F°0 | 006 876000 | LO | &Y2F0 | S'L9 BA.IMO EI[ep topo 6E07°0 | "86 | &L8T°0 CFOVO | 7CLS G'ESS S88T0 | 8'SL3 7e0F0 | 9268 | FO6FO | €663 GLOVO | 676 | LE6FO0 | 667€ YU d U nh 65€000°0 = % 66€000°0 = M "220AUL 24020 680F0 | 0'0SE | #7TE'0 | 0'0CE 97070 | 006 | 08030 | 0°0S 0960°0 | 869 | 8960 | 8°069 BAINO E]Tep Moped 9070 | 60098 | 06030 | 788 OLOVO | L'L6€ | FIIS'0 | 676 OLOVO | TSE | SETT | OSTE E60F0 | 9'0CE | &X1T'0 |9097E YU L UT NA 0qn} opuooag | 0qn) VII] Le6010= SD LOL zygmodig SIT 3 eIOACT oqn) opuooag | 0qnIi omLI] Le60/0=s0 SaR poo Mm SIT 425 RESISTENZA ELETTRICA DELLE LEGHE 8720000 = _,% 7L9000'0— =,M FEeL ‘0 0 'Se8 6L3L"0 0 816 67SL 0 O 3 SO8L ‘0 S ‘983 BAINO E]]ep 130pog W9oL 0 8968 60CL ‘0 € 813 666. 0 6 66 SLIL 0 707€ sog 232] LILO00 "0 = =,7 KS9000 "0 — =, 96gL'0 0 ‘SE G97L'0 088 OELL 0 0'H3 T86L'0 G ‘98 BAINO E]lep 1moped 808L ‘0 e ‘L% 0OLL'0 nic OLEL 0 8 ‘163 CIEL 0 8 EE d E q0018d 8S9IT] 87L000'0— =,% 099000 0 — = d7 7118 0 0°S3g FeK8'0 0816 65780 0 1L3 8EL8 ‘0 U 966 BAINO EITEp 193OPpaq cecg 0 0 ‘93 98 0 LL 0880 7 ‘863 LS6L'0 GEE d 8; Zymodrg vSI] ‘GE CIOAVI, E8000 ‘0 — =,% TaL000 "0 — =, 6548 0 0 "SE 0188 ‘0 0'8TE 7598 0 0°FL3 868 ‘0 G 93 RA.INO EITEP 19OPoq . Ul i a i. gif OTTO] A SAL DITTA: co i { ji! fi + fa LR io vi, Lori 1: Tha diver pet "ig » ant 5 _ A .-8! ua È ’ "i ; «SLA: ” SOMMARIO — e Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Nati ADUNANZA del 40 Aprile 1892... D'Ovio — Cenno necrologico di Annibale De Gasparis . . . » °—Monresamno — Su di un sistema lineare di coniche nelio spazio. A | Carraneo — Sulla resistenza elettrica delle leghe facilmente fusib allo “stato ‘ligmdo 4". 20 Da A AI Lon Mo ST) ga d ve, a ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUF CLASSI Vor. XXVII, Disp. 12°, 1891-92 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche € Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 1° Maggio 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D'Ovipio, Direttore della Classe, Cossa, Bkuno, BerRuUTI, Bizzozero, FERRARIS, NACCARI, SPEZIA, GIBELLI, GIAcOMINI, CAMERANO, SEGRE, PEeANO e Basso Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale dell’adunanzà pre- cedente. In nome dei rispettivi autori vengono presentati in dono al- l'Accademia: 1° dal Socio Camerano: il Catalogue distributif des oiscaux de la Suisse, élaboré sur le catalogue questionnaire de la Commission federale, 3"° edition, par le Dr. V. FATIO et Prof. Dr. Th. Stuper. Genève, 1892; in-8°; 2° dal Socio Basso un’opera intitolata: Untersuchungen iber die Ausbreitung der elektrischen Kraft; del Dott. Enrico He®tz, Professore di Fisica all’Università di Bonn; 3° dallo stesso Socio Basso i nnmeri compresi fra il 112 ed il 120 (vol. vii) del Bollettino dei Musei di Zoologia e d’ Ana- tomia Comparata, che contengono studi dei Dottori L. CAMERANO, M. G. PeRACcCA, D. Rosa, A. GRIFFINI, E. GieLio-Tos e C. CAMERA. Vengono in seguito letti ed accolti per la pubblicazione negli Atti i due lavori seguenti : a) « Sulle anomalie di sviluppo dell’ Embrione umano » ; IV* Comunicazione del Socio presentante GIACOMINI b) « Sulla risolvente di Malfatti »; Nota del Signor F. GiupicE, presentata dal Socio PEANO. Il Socio Camerano, anche a nome del condeputato Socio Bizzozero, legge una sua Relazione sopra il lavoro del Dottore Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XXVII. 32 434 C. GIACOMINI Francesco Saverio MontIcELLI che ha per titolo: « Studi suz Trematodi endoparassiti Monostomum cymbium Diesina; Con- tribuzione allo studio dei Monostomidi ». Sulle conclusioni favorevoli di questa Relazione, la quale sarà stampata negli At#, il lavoro del Dott. MONTICELLI viene ammesso alla lettura, ed in seguito approvato, con votazione unanime, per l’inserzione nei volumi delle Memorte. LETTURE Sulle anomalie di sviluppo dell'embrione umano ; Comunicazione IV2, del Socio Prof, C. GIACOMINI Lo studio delle anomalie di sviluppo dell’embrione umano incomincia ad incontrare il favore degli anatomici. Diverse pub- blicazioni si sono fatte in questi ultimi tempi, e tutte sono con- cordi nel riconoscere l’interesse grande che presenta quest’argo- mento. Devo qui ricordare le osservazioni di Kollmann, di Romiti, di Chiarugi, di Phisalix, di Kiebel e di His (1). Quest’ ultimo autore, in principal modo, colla sua autorità e competenza dà un vivo incoraggiamento per le ricerche sopra questo campo ed indica la meta che si dovrà raggiungere. Io spero che tutti coloro che si interessano di embriologia umana e posseggono prodotti abortivi dei primi mesi, risponderanno all'appello e renderanno di pubblica ragione le loro osservazioni, preparando così il materiale per un nuovo capitolo dell’ontoge- nesi umana, il quale per la sua estensione e per l’importanza teorica e pratica non sarà certo uno dei meno apprezzati. Fermo in questa convinzione, come nelle precedenti comunica- zioni fatte a questa Accademia, io continuo ad illustrare il materiale che la gentilezza dei colleghi ogni giorno mi vien somministrando. (1) KoLLmann, Die Korperform menschlicher normaler und pathologischer Embryonen, 1889. Romiti, Nota su un uovo umano mostruoso, 1890. (CHIARUGI, Intorno ad uovo umano mostruoso, 1891. PaisaLix, Contribution è la Pathologie de l’embryon humain, 1890. RRTSPERE Ein menschlicher Embryom scheinber blischenformiger Allantois, His, Offene Fragen der pathologischen Embriologie, 1891. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 435 Oss. VI. L'osservazione che segue è pressochè della stessa natura di quelle segnate ai N. II, III delle precedenti memorie; solo l’atrofia dell'embrione è spinta ad un grado estremo e stabilisce come un ponte di passaggio a quelle formazioni nelle quali l’em- brione è completamente scomparso. Sopra di queste ritornerò in una prossima comunicazione, intanto dopo aver descritto questa nuova forma abortiva, farò uno studio comparativo tra quanto venne osservato nella specie nostra ed i prodotti che io ho ot- tenuto per mezzo dell’esperimento nel coniglio. Nelle ore mattutine del 3 aprile 1890 il dott. Canton mi portava al laboratorio un aborto completo che era avvenuto nella notte precedente (numero della raccolta XLII). Esso risultava delle due caduche, diretta e riflessa fra le quali esisteva uno spazio abbastanza grande. L’aborto aveva la figura piriforme con collo molto allungato. La parte ristretta era formata dalla caduca diretta che si era impegnata e modellata sul collo uterino, e conténeva nel suo interno grumi di sangue; la parte più grossa che corrispondeva perciò al corpo dell’utero era formata dall’ovolo, il quale solo per metà della sua estensione era rivestito ancora dalla caduca riflessa od ovulare sottile, che fu facile distaccare dal chorion e così si ebbe l’ovolo affatto libero dalle membrane materne. La costituzione di queste all’esame macroscopico si dimostrava ner- male. Immerso l’ovolo nel liquido picro-solforico appariva di forma che si avvicinava di molto alla sferica con un diametro che oscillava da 3 a 3 1]4 di c. m. Tutta la superficie era rivestita da villosità coriali non molto pronunciate in altezza e numero, ad eccezione di una piccola zona di forma circolare, dove esse erano più rare e più brevi, e questo era il punto che aderiva un po’ più strettamente alla caduca, la quale per la posizione rappresentava la serotina. Il chorion era ben disteso. Aperto, si trovò l’amnios ampio, applicato alla superficie del chorion, dal quale però si isolava con gran facilità in tutta l'estensione ; solo in un punto le aderenza erano strette; e questo punto corrispondeva precisamente alla lo- calità dove il chorion era più intimamente legato alla caduca, 436 C. GIACOMINI L’amnios era sottile, trasparente, e attraverso alla sua pa - rete poteva essere con facilità esaminato ciò che racchiudeva dentro di sè, ma non si scorgeva traccia di embrione. Traspor- tato il preparato in alcool diluito, il contenuto s’intorbidò. La figura 1% rappresenta il chorion e l’amnios intatto a grandezza naturale. Aperto il sacco amniotico non fu possibile nei primi esami di riconoscere la: presenza dell'embrione; esistevano solo dei de- positi granulari, che potevano essere con facilità rimossi. Non si è che dopo aver soggiornato per un certo tempo nel- l'alcool, che potè essere notato un piccolissimo rilievo a forma di tu- bercolo sulla superficie dell’amnios, in vicinanza della località dove esso aderiva al chorion; era appena distinguibile ad occhio nudo per il suo aspetto biancastro ed opaco e dal punto ove sorgeva partiva una stria biancastra (x) che terminava là dove l’amnios era aderente al chorion. Rappresentando il tubercolo un rudimento embrionale, queste aderenze erano quindi fatte dai residui del cordone ombellicale o meglio del peduncolo addominale. La fi- gura 2° dimostra l’oggetto a grandezza naturale, in rapporto con l’amnios. Il suo diametro di poco supera il millimetro. Visto con lente d’ingrandimento questo tubercoletto puntiforme si dimostrò leggermente allungato come un bastoncino, con una estremità libera e l’altra infissa perpendicolarmente sull’amnios. Appare liscio nella sua superficie, ma diviso da due superficiali solchi in tre piccole dilatazioni, la prima delle quali è la più cospicua, di forma sferica, solo in avanti presenta un sottile pro- lungamento che si dirige verso l’amnios. Questa estremità libera rappresenterebbe la porzione cefalica. La 2° dilatazione è più piccola, corrisponderebbe al tronco; l’ultima sembra involta da una sottilissima membranella trasparente che ha l’aspetto di una vescicola. Questa è quella che aderisce all’amnios. La figura 3* rappresenta il rudimento embrionario, come si scorge con lente d'ingrandimento. Non è possibile dare una interpretazione esatta alle parti- colarità sopra descritte e riferirle a parti embrionarie. Non vi ha dubbio però che per la forma, per la posizione e per i rap- porti qui si tratti di resti embrionari ridotti alle minime pro- porzioni; ciò è dimostrato dalle sezioni miscroscopiche. Il tratto amniotico che sosteneva questo prodotto abortivo, con i procedimenti ordinari fu sezionato trasversalmente al de- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'’EMBRIONE UMANO 437 corso della stria ombellicale; l'embrione fu perciò colpito paral- lelamente al. suo asse. Furono così fatte 490 sezioni. Nelle prime sezioni comparvero tosto ben distinte le tre di- visioni che si sono notate sulla superficie esterna del rudimento embrionario (fig. 4 @«, d, c). Tutte erano ben caratteristiche. L’anteriore (a), la più voluminosa, risultava costituita essenzial- mente da quei piccoli elementi rassomiglianti a cellule linfoidi che abbiamo descritto nelle precedenti comunicazioni; ma in mezzo ad essi comparivano degli spazi più o meno regolarmente circo- lari, rivestiti da epitelio cilindrico ben distinto ed in condizioni normali. Questi spazi nelle sezioni successive andavano ingrau- dendo, ed assumendo forme svariate, sempre però erano rivestiti dall’epitelio sopradetto, il quale per altro non appariva continuo, essendo in certi tratti mancante, ed il suo posto essendo preso dagli elementi rotondeggianti. Questa disposizione, con variazioni impossibili a descriversi, persisteva per tutta l’estensione di questa dilatazione. Per gli studi fatti, questi spazi devono essere con- siderati come rappresentanti della porzione cefalica del canale midollare e delle sue dipendenze. Ma un tentativo di riferire queste formazioni alle vescicole cerebrali primarie è assolutamente impossibile. Questa prima dilatazione deve essere quindi conside- rata come estremità cefalica. La 2° (db) dilatazione più piccola e più semplice, non pre- sentava alcuna particolarità nella sua struttura da meritare una descrizione; constava unicamente di elementi piccoli, rotondi, con contorni non troppo regolari. Essa ben presto si fondeva con l’e- stremità cefalica e più oltre faceva una sporgenza nella. cavità della terza divisione. Rappresentava la regione cardiaca od epatica. Finalmente la 3* (e) dilatazione assumeva la forma di una vescicola, la quale circoscriveva una cavità, contenente elementi in via di scomposizione con depositi pulverulenti. Le pareti di questa vescicola avevano pressochè egual spessore in tutti i punti ed erano costituite esternamente da cellule epiteliari ectoder- miche, le quali formavano il limite esterno di tutto il rudimento embrionario, generalmente disposte in doppio o triplice strato. Anche in questo esemplare, come negli altri embrioni descritti, la lamina cornea dell’ectoderma era strettamente applicata alle parti sottostanti e costituiva un potente mezzo di difesa. Ho fatto speciale attenzione se vi fossero proliferazioni delle cellule della lamina cornea verso il mesoderma, siccome furono descritte nell’osservazione III, ma esisteva nulla di tutto ciò. 438 C. GIACOMINI Sotto lo strato epiteliare si trovavano gli elementi del me- soderma stipati fra loro per la formazione e l’ingrandimento della cavità centrale. Verso il lato dorsale la vescicola si continua e si confonde con le altre parti embrionali, anzi nelle sezioni suc- cessive queste formano una sporgenza conica marcata entro la cavità, ed in essa sì notano accumuli cellulari di natura epiteliare. In alcuni tratti della faccia interna della parete della vescicola si osserva un rivestimento endoteliare ben manifesto. La cavità circoscritta dalla vescicola in gran parte è vuota. Solo nella parte centrale, là dove essa assume la maggior esten- sione, esistono elementi di volume e forma diversa, circondati da una sostanza amorfa irregolarmente disposta. Tutte queste parti erano sospese nel liquido che doveva riempiere la cavità (fig. 5). Continuando a studiare le sezioni poste più in basso, si vede che la parete ventrale della vescicola viene in contatto dell’amnios, e contrae con esso delle aderenze senza formare un vero peduncolo ; ed allora le cellule ectodermiche della lamina cornea passano a rivestire la faccia interna dell’amnios (fig. 5). Considerando questo modo di congiungersi del rudimento em- brionario con le membrane, senza l’interposizione di un cordone o peduncolo ombellicale, io sarei indotto a credere che la ve- scicola sopra descritta, anzichè all'embrione, appartenga al cor- done ombellicale fortemente disteso per liquido raccoltosi entro il celoma o nel tessuto mesodermico che involge le parti costitutive del cordone, siccome occorre non raramente di osservare in pe- riodi più inoltrati nello sviluppo, producendo così una separa- zione tra l'embrione propriamente detto e le sue membrane. È certo che la congiunzione si fa solo per mezzo delle pareti della descritta vescicola, nello spessore delle quali non si riconosce alcun organo il quale valga a stabilire legami funzionali tra l'embrione e le sue membrane. Intanto l’estremità caudale dell’embrione va impicciolendo sempre più, si rende indipendente e poi scompare. Anche la ve- scicola ri restringe e sul prolungamento di essa noi troviamo un forte inspessimento dell’amnios dove esistono residui delle for- mazioni primitive. Sulla faccia esterna o coriale dell’amnios, mentre sta per cessare il rudimento embrionario e precisamente al punto op- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 439 posto ove esso aderiva, sorge un prolungamento cilindrico mal circoscritto il quale finisce in un piccolo accumulo cellulare di forma ovoidea, che credo di poter interpretare come vescicola ombellicale fortemente atrofizzata (fig. 7, P. O). Il peduncolo (P) che rappresenterebbe il canale vitellino è ri- dotto ad una sostanza amorfa leggermente tinta dal carmino, sulla superficie della quale si notano nuclei liberi. Gli elementi invece dell'accumulo cellulare sono ancora ben distinti, hanno l'aspetto epiteliare e circoscrivono una microscopica cavità (0). Le sezioni successive ci rappresentano solo l’amnios ed il suo inspessimento, il quale corrisponde a quella stria biancastra che si osservava ben evidente al primo esame. Essa fu sezionata in tutta la sua lunghezza, ed in mezzo al tessuto mesodermico si osservano traccie dei vasi ombellicali disposti molto irregolarmente, tratto tratto interrotti nel loro decorso e presentantisi sotto forma di masse nucleari intensamente colorate (fig. 9, Y). Un canale epiteliare si rendeva pure manifesto nelle sezioni inferiori per scomparire più tardi. Esso aveva la figura regolarmente circolare e l’epitelio di rivestimento era in buone condizioni di conserva- zione (fig. 8, V). Avendo già riscontrato il rappresentante del canale vitellino nella parte superiore, questo secondo canale sa- rebbe da riferirsi al canale allantoideo, il quale insieme ai vasi ombellicali avrebbe costituito il peduncolo addominale. E le ade- renze strette che abbiamo veduto esistere tra l’amnios e chorion, erano appunto fatte dal peduncolo addominale così profonda- mente modificato nella sua costituzione (fig. 8, 9). In questo modo sarebbero state riconosciute nel nostro pro- dotto abortivo tutte le provenienze e formazioni fetali, le quali nella loro disposizione e costituzione armonizzavano con la con- dizione dell’embrione. Sottilissimo era l’Ammnios. Fu studiato in sezioni in quella parte che corrispondeva all’embrione, ed in larghi lembi conve- nientemente colorati visti di fronte. La parte ectodermica formata da un unico strato aveva gli stessi caratteri del rivestimento epiteliare dell'embrione. In mezzo alla porzione mesodermica si notavano dei cospicui elementi cellulari regolarmente sferici con nucleo centrale, protoplasma reticolare e delicato. Erano sparsi su diversi punti, si trovavano anche in corrispondenza del pe- duncolo addominale. Non mi sono mai incontrato in simili for- mazioni e non posso ora dire quale significato esse abbiano. 440 C. GIACOMINI Anche il Chorion presentava disposizioni speciali, La parte mesodermale era pressochè normale, ma il suo epitelio come pure quello che rivestiva tutte le villosità era poco distinto. Appariva sotto forma di un orlo fortemente colorito, nello spessore del quale erano situati nuclei. I limiti cellulari erano scomparsi e in nessun punto distinguibili. Quà e là, applicati alla superficie delle villosità, comparivano ammassi di cellule deciduali d'aspetto nor- male. Tanto nel chorion come nelle sue dipendenze mancavano completamente i vasi sanguigni. Le villosità erano voluminose come edematose, la sostanza fondamentale conteneva scarsissime cellule e distanti fra loro. Sembrava che lo stroma del villo fosse stato infiltrato da un liquido sieroso. Anche le due decidue furono studiate su molteplici prepa- rati, ma in esse non furono riscontrate particolarità le quali potessero essere messe in rapporto, collo stato in cui sì trovava l'embrione. È la prima volta che io osservo le membrane d'origine fe- tale in condizioni non troppo normali. Forse queste parti ave- vano cessato di vivere pochi giorni prima della espulsione del- l’ovo, mentre l'arresto dell’embrione era avvenuto in epoca molto più lontana. Non ho potuto raccogliere dati clinici e ginecologici ad il- lustrazione del fatto anatomico. Questa osservazione ci dimostra che per quanto spinta sia l’atrofia dell'embrione, noi possiamo sempre in alcuni punti di esso riconoscere delle disposizioni, le quali, resistendo al processo di distruzione ci ricordano ancora la loro provenienza e la loro natura. Fino ad ora non fu ancora descritto un rudimento embrio- nario nel quale con un attento esame microscopico non fosse possibile di riconoscere alcune di quelle formazioni che segnano la primitiva comparsa dell’embrione ed in sommo grado la ca- ratterizzano. Se tutto ciò mancasse, evidentemente non si potrebbe con certezza riferire ad un prodotto embrionario l’oggetto del no- stro stulio, e solo i rapporti che esso mantiene con le mem- brane avrebbero valore nella decisione. Quindi le forme nodulari di His, colla quale denominazione io chiamava quei prodotti abortivi nei quali l’esame microscopico non dimostra più traccia di organi primitivi, devono essere molto rare, e probabilmente devono avere un altro significato riguardo all’epoca in cui sì ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 441 iniziò il processo. In una prossima comunicazione io descriverò una nuova osservazione, la quale può essere interpretata come un arresto di sviluppo avvenuto nei primissimi periodi, e dove è ben difficile di riconoscere il prodotto embrionario. Il caso studiato ha molta rassomiglianza con quello recen- temente descritto dal Chiarugi (loc. cit.) però questo ci rappre- senta uno studio meno avanzato del processo di atrofia e forma piuttosto un tratto intermedio tra le mie osservazioni II e III e la presente. Tutto ciò è importante, non solo perchè ci di- mostra l’identità del processo per mezzo del quale si originano e si producono tutte le anomalie di sviluppo dell'embrione umano, ma ancora perchè ci lascia sperare, che continuando le nostre ricerche, si potrà giungere a raccogliere tutte le gradazioni, le quali si estenderanno dalla completa scomparsa dell’embrione, fino a quei prodotti i quali. pur conservando un certo volume, sono profondamente alterati tanto nella conformazione esterna quanto nella intima costituzione. Ed in allora sarà più facile di fare una distinzione di tutte le forme anomale, distinzione la quale ci rappresenterà i diversi stadi in cui si trova il processo di atrofia e la diversa epoca in cui esso ha sorpreso l’ovolo. Per render meglio evidente la stretta affinità che esiste fra le forme anomale dell’embrione umano fino ad ora descritte, e per cercare di risolvere alcune di quelle molteplici questioni che ho già accennato nelle precedenti comunicazioni, e che ad ogni momento si affacciano alla nostra mente, quando tentiamo di in- terpretare i fatti osservati, io desidero qui brevemente riferire i risultati di alcune mie esperienze fatte nel coniglio. Esse, come si vedrà, si accordano in modo perfetto con le forme abortive che si riscontrano così frequentemente nella specie nostra. Nel coniglio possiamo veramente dire che alloraquando la gravidanza procede liberamente e non è disturbata nel suo de- corso dal nostro intervento, è raro di osservare embrioni defor- mati; ed anche, disponendo di un grande materiale, è difficile di poter raccogliere in breve spazio di tempo una quantità di esem- plari sufficiente per studi di confronto. E queste anomalie nel coniglio rappresentano generalmente stadi molto avanzati e mai ho potuto osservare forme atrofiche e nodulari. Di più queste anomalie sono piuttosto l’effetto della semplice morte dell'embrione, ed allora si riscontrano alterazioni, che malgrado la loro rasso- 4492 C. GIACOMINI miglianza, non credo di poter del tutto paragonare ai fatti os- servati nella specie nostra. Mettendo invece ad incubare alcune dozzine d’ova di pollo ed esaminandole a periodo diverso di sviluppo, riesce più facile d’incontrarci in numerose deformità. Ma anche qui le forme a- trofiche e nodulari sono relativamente rare; vale a dire che è più facile di trovare nel pollo vizii di conformazione, di posizione, di rapporti in alcuni organi, in specie appartenenti al sistema nervoso centrale od al sistema vascolare; ma è meno frequente che l’arresto di sviluppo avvenga in tutto l'embrione. Ma esperimentando nel coniglio col metodo da me proposto (Teratogenia sperimentale nei mammiferi) si riesce ad avere tutte le forme e gradazioni necessarie per uno studio completo. Poche sezioni basteranno a dimostrare il nostro asserto. La figura 10 ci rappresenta un embrione di coniglio al 12° giorno di gravidanza (esperienza 31) (4 grandezza naturale - B leggermente ingrandito). Esso era arrestato nel suo sviluppo. Si presenta molto più piccolo dell'ordinario, non esisteva curvatura cefalica, però erano distinte tre fessure branchiali. La parte infe- riore del tronco formava un angolo sporgente ventralmente, che ricordava la disposizione descritta da His in alcuni embrioni u- mani. (Lg. Sch. BB. fig. 1, 2, 8 tav IX del suo atlante). L’embrione fu disegnato e sezionato trasversalmente, involto nell’amnios il quale anche qui, come nei prodotti abortivi umani, era più ampio del normale. Quest’arresto nello sviluppo si. era ottenuto legando semplicemente i corni uterini alla distanza di 5. cm. dallo sbocco delle tube, poche ore prima che fosse com- piuto il 3° giorno dal coito. Nel corno di sinistra non furono riscontrate parte embrionali; in quello di destra invece sopra la legatura esisteva una vescicola con l’embrione sopra descritto. È questo uno dei pochi casi nei quali colla legatura dell’utero io sia giunto ad ottenere un certo sviluppo dell’embrione. Se l’animale fosse stato ucciso in un periodo più precoce, anche nell’altro corno uterino, si sarebbero riscontrati residui em- brionali in via di scomparire. La legatura dell’utero oltre ad agire meccanicamente impe- dendo alla vescicola blastodermica di disporsi regolarmente lungo l’utero ad una determinata distanza, deve far sentire la sua azione sul circolo sanguigno, per l'interruzione che avviene in corri- spondenza della legatura dei vasi del mesometrio. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 443 Il semplice esame esterno di questo embrione già dimostra una grande rassomiglianza con le forme abortive della specie nostra, ma lo studio delle sezioni è molto più istruttivo fig. 11. Qui è caratteristica la trasformazione o sostituzione degli elementi dei diversi organi, in quelle cellule piccole, rotonde, fortemente colorite che abbiamo ripetutamente descritto. I limiti degli or- gani sono ancora distinguibili, possono essere seguiti e conservano i loro rapporti normali. Il sistema nervoso centrale in tutta la sua lunghezza è completamente trasformato e composto nel me- desimo modo. Esso risulta costituito dai soliti elementi disposti in un sottile nastro, il quale forma inflessioni e giri i più complicati senza mai perdere la sua continuità. La fig. 11 » rappresenta una sezione dell’estremità cefalica dove questo fatto appare eviden- tissimo, malgrado il piccolo ingrandimento a cui fu disegnata. Mancano tutte le dipendenze del canale midollare, che, al- l'epoca in cui è giunto il nostro embrione, dovrebbero essere ben distinte. Non esiste traccia delle vescicole oculari ed uditive, l’ar- resto è certo avvenuto nel momento in cui queste formazioni stavano per iniziarsi; quindi in un periodo in cui l’embrione non presentava il volume attuale, ma era più piccolo; il che vuol dire che malgrado l'arresto egli continuò ancora a crescere senza raggiungere il volume di un embrione del 12° giorno. Se continuò a crescere, l’evoluzione sua era arrestata; gli organi non subirono più alcuna modificazione tipica, ma erano iswasi da un processo regressivo che li distruggeva. Quindi se vi era una parvenza di vita, questa non era più dominata da alcun principio regolatore. Un' altra deformità è rappresentata nella fig. 12 (esperienza 34) e fu ottenuta pungendo la vescicola blastodermica al 9° giorno di gravidanza e facendo una leggera pressione sull’ilo dell’utero ove stava sviluppandosi l'embrione. Ucciso l’animale al 183° giorno, nella maggior parte delle vescicole operate non fu trovato traccia d’embrione, esse erano molto più piccole del corrispondente pe- riodo di sviluppo ed il contenuto andava lentamente assorben- dosi. Solamente in due fu riscontrato un rudimento embrionario informe applicato sulla placenta, la quale fu distaccata dall’utero e convenientemente indurita fu sezionata insieme all’embrione. All’esame delle sezioni gli annessi fetali si dimostrano ben costituiti. Anche l’ectoplacenta nella sua disposizione generale ed in quella parte che corrisponde all’embrione, non si allontana 444 C. GIACOMINI dalla norma. L’embrione invece è interamente guasto, principal- mente nella porzione cefalica. Nella conformazione esterna ed interna nulla si osserva che possa essere riferito alle formazioni primitive. Anche qui tutto il campo della sezione è invaso dai soliti elementi, i limiti degli organi sono quasi interamente scom- parsi. Però ad un attento esame si trova che la lesione è meno avvanzata che non nell’embrione della fig. 11, malgrado che questo conservi meglio la sua forma esterna. Nella fig. 12 si vede l’amnios completamente chiuso e mal disposto A. La parte prossimale della vescicola ombellicale O si continua con la splancenopleura; il celoma interno è ampiamente comunicante con l’esterno C. Un'ultima osservazione voglio riportare, la quale presenta al- cune particolarità che la distinguono dalle precedenti. Anche questo preparato fu ottenuto col mezzo della puntura delle vescicole blastodermiche dopo l’ 8° giorno di gravidanza. Le vescicole che non furono operate contenevano un embrione normale nello sviluppo e conformazione. Delle operate, alcune non presentavano più traccia di embrione; due invece contenevano un rudimento informe, le- gato alle membrane con l’estremità caudale, libero nella porzione cefalica. Le fig. 15 e 14 dimostrano la grande rassomiglianza che esiste fra le due formazioni che hanno l’aspetto di noduli o tubercoli. La rassomiglianza è pure marcata nella interna costitu- zione che per brevità non descriveremo. Mi limito a riprodurre una sola sezione fatta in corrispondenza del tronco di una di esse. La disposizione, sulla quale desidero in principal modo chia- mare l’attenzione, si è il moo di presentarsi del canale midollare. Questo è ben distinguibile in tutta la sua estensione, ma è alterata solo la metà ventrale di esso; la porzione dorsale ha pressochè i caratteri di una formazione normale. La parte ventrale è com- pletamente distrutta, e sembra che la parete si vada sgretolando dall’avanti all’indietro (fig. 15 M). Non vi ha dubbio che il processo deve essere un pò diverso da quello osservato nella fig. 11. Qui contemporaneamente tutta la parete del canale midollare, tanto nella regione cefalica, come nella spinale, è trasformata im quegli elementi piccoli, rotondeg- gianti, che mantengono ancora stretti rapporti fra loro, per modo che si può seguire questa parete nelle sue numerose ed intricate flessuosità; nell’altro caso invece il processo si inizia in un punto e progredisce poco a poco, non abbiamo la disposizione flessuosa. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'’EMBRIONE UMANO 445 Quando tutta la parete è distrutta troviamo un ammasso di ele- menti alterati nella loro conformazione e costituzione che rap- presentano in certo qual modo .i residui dell'avvenuto disfaci- mento. Si potrebbe paragonare il canale midollare ad un muro di fabbrica che vien demolito per opera del tempo o del pic- cone, per cui non sì hanno che rovine là dove poco tempo prima si aveva un formazione tipica e regolare. Questo duplice modo di presentarsi del sistema nervoso cen- trale nei prodotti delle nostre esperienze, si osserva pure distinto nei rudimenti dell'embrione umano, è abbastanza caratteristico e merita d'esser notato potendo essere anche diverso il processo che produce l’una e l'altra alterazione. Quando si saranno moltipli- cati gli studi sopra questo punto, potrà meglio essere chiarita la natura del processo che produce, prima la totale rovina del pic- colo organismo, poi la completa sua scomparsa. Io potrei moltiplicare queste osservazioni ; ma le soprade- scritte le credo sufficienti ad affermare la stretta affinità che esiste tra le forme abortive umane e quelle prodotte artificialmente negli animali: è quindi certo che studiando attentamente que- st'ultime nel loro modo di prodursi, si porterà rischiarimenti alle prime. Più che una affinità io direi che esiste una identità perfetta fra tutte le forme abortive studiate. Anche nei prodotti speri- mentali le membrane continuavano a vivere. Anche qui i fenomeni che si osservano nel rudimento embrionale non erano tutti da riferirsi alla pura morte dell’embrione, molti elementi apparivano ancora in condizioni normali e viventi. Tutto ciò dimostra che la causa meccanica per mezzo della quale noi abbiamo agito sopra le vescicole blastodermiche non uccise l'embrione, ma disturbò grandemente il suo sviluppo, sia modificando i suoi rapporti, sia alterando la sua nutrizione. La morte completa sarebbe avvenuta più tardi. Questa idea che io aveva manifestata nelle due prime me- morie, vedo che è pure accennata da His, malgrado egli cerchi una diversa interpretazione ; l’His infatti nel suo ultimo lavoro scrive: — Contenendo gli embrioni abortivi cellule ancora viventi, si potrà forse considerarli come non morti. Però è evidente che la vita che in essi si trova, da quel momento non è più la loro vita propria, quando cioè lo sviluppo si arresta, ed il sistema nervoso centrale perde la sua organizzazione; chi volesse conside- 446 C. GIACOMINI rare ancora come viventi gli embrioni abortivi, potrebbe con la stessa ragione parlare della vita di un cadavere, divenuto sede di vermi (loc. citato, pag. 25). D'accordo che la vita che si osserva in tutte le forme abor- tive non sia più quella dell'embrione normale, sia nelle sue espli- cazioni, sia nel suo scopo finale; io credo però che dal punto di vista dello studio di questi prodotti, si debbono distinguere gli embrioni morti, da quelli colpiti da un arresto o disturbo nello sviluppo. Quindi una delle prime questioni a studiarsi sarà di ben de- terminare i caratteri macroscopici e microscopici degli embrioni imorti, per vedere se le lesioni che si osservano nei diversi or- gani corrispondano a quelle osservate negli arresti di sviluppo. Il materiale raccolto negli animali è adattissimo per questo scopo. Intanto ciò che risulta evidente dalle esposte osservazioni, si è che non conviene risalire troppo in alto per spiegare queste formazioni. Trovando costantemente gli annessi d’origine fetale ben sviluppati, normali nella loro costituzione e viventi, egli è d’uopo che la causa perturbatrice abbia agito dopo la loro for- mazione e dopo che essi si sono resi indipendenti dall’embrione. Se la causa avesse fatto sentire la sua azione prima, nell’epoca, vale a dire, in cui l’ovolo è ancora allo stato di vescicola blastoder- mica, essa avrebbe certamente disturbato anche la formazione degli annessi. Quando la causa agisce in questo periodo il di- sturbo è più grave, la distruzione dell'embrione è più rapida e non riusciremo forse mai a trovarne le traccie. Ciò è dimostrato dai nostri sperimenti. Noi siamo riusciti ad ottenere forme abortive solo quando si operavano coniglie gravide dopo l’ 8° giorno, epoca in cui la vescicola blastodermica inco- mincia a fissarsi all’utero per mezzo dell’ectoplacenta. In allora si può dire che le membrane sono iniziate nel loro sviluppo e rese indipendenti dall'area embrionaria, esse si sviluppano per conto proprio, anche quando l'embrione si sia arrestato. Quando infatti l'operazione veniva praticata al 7° od 8° giorno, qua- lunque fosse il processo adottato non si giungeva mai ad otte- nere alcun risultato, la vescicola si arrestava e l’amnios ed il chorion non si svolgevano. Questa relativa indipendenza di sviluppo che si osserva fra le diverse parti dell’ovo, forse può esistere anche per le diverse parti dello stesso embrione. Per gli animali superiori non pos- ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 447 siamo dir nulla, ma le importanti esperienze di Roux nei ver- tebrati inferiori (rana), le quali hanno dimostrato una certa in- dipendenza di sviluppo delle singole sfere di segmentazione devono essere tenute in grandissimo conto, potendo esse darci la chiave per risolvere molte questioni più complesse che abbiamo incon- trato nel nostro studio. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE della Tav. V. Fi6. 1. Ovolo (n. XLII) grandezza naturale. Fu aperto il Chorion per mettere in evidenza l’Amnios. » 2. Rudimento embrionario col tratto d’Amnios al quale ade- risce. x, Stria biancastra che rappresenta il peduncolo addominale. » 3. Lo stesso preparato visto con lente. Si distinguono le tre divisioni della sua superficie a, d, e. » 4, 5, 6, 7, 8. 9. Sezioni del rudimento embrionario, di segnato allo stesso ingrandimento. La fig. 4 corrisponde alla sezione 46%, e dimostra le tre divisioni e la loro costituzione. M, residui del canale midollare. » 5. (Sezione 118) La vescicola c, raggiunge il massimo vo- lume e comincia ad aderire all’Amnios A. » 6. (Sezione 132). %: (Sezione 148). L’embrione è quasi completamente scom- parso. Sulla superficie esterna dell’Amnios sorge un pe- duncolo P, che mette ad un cumulo di cellule O, che può considerarsi come rappresentante della vescicola ombellicale. 448 Fic. Be LO. IRE pl ia 15. C. GIACCMINI (Sezione 334). Rappresenta l’inspessimento dell’Amnios che corrisponde al peduncolo addominale; in V si nota il canale allantoideo. (Sezione 409). Corrisponde alla. parte terminale del- l’inspessimento dell’Amnios. Qui si notano delle parti più intensamente colorite che sarebbero gli ultimi re- sidui dei vasi ombellicali Y. Embrione di coniglio - esperienza 31; A, grandezza naturale; 5, leggermente ingrandito. Sezione della porzione cefalica dello stesso embrione per dimostrare il modo di comportarsi delle vescicole ce- rebrali primarie. n. Sistema nervoso centrale profon- damente alterato. Sezione del tronco di un rudimento embrionario di co- niglio. A, Amnios: 0, porzione prossimale della ve- scicola ombellicale; C, Celoma (esperienza 34). 14. Due forme abortive di coniglio ottenute sperimen- talmente (esperienza 18). E embrione. H membrane. Sezione trasversale della regione dorsale di uno dei so- pradetti embrioni. Canale midollare MM, nella sua forma ventrale è completamente distrutto. “Atti RAccad. delle Sc. di Torino - [OLA _ GIACOMINI-Anc GIACOMINI- Anomalie di sviluppo dell'Embrione umano “Ati R.Accad. delle Se. di Torino ToZ.UINZ Lit. Salussolia - Torino. 449 Sulla risolvente di Malfatti ; Nota del Prof. F. GIUDICE Ricorrendo alla teoria degli invarianti, si calcolano facilmente delle speciali risolventi dell’equazione di 5° grado: però il calcolo della prima risolvente, trovata dal MALFATTI, ed in generale di quelle che non hanno per coefficenti degli invarianti è riescito molto laborioso. CockLE ed HARLEY, essendosi proposto il calcolo d’una risolvente analoga a quella del MALFATTI, incontrarono calcoli tanto complicati che si limitarono a considerare 1’ equa- zione di 5° grado ridotta trinomia con la trasformazione di Brinc; tale risolvente, per l’equazione completa, fu poi ottenuta da CayLey (*), con calcolo piuttosto complicato, in una Memoria intilolata: « On a new auzxiliary equation in the theory of equa- tions of the fifth order ». La forma precisa di questa risolvente era già stata data da JacoBI (**), come avvertì poi lo stesso CayLEY (***), in una Memoria intitolata: « Observatiunculae ad theoriam aequationum pertinentes ». I risultati a cui accen- nammo si sarebbero ricavati immediatamente da quelli ottenuti più di mezzo secolo prima dal MALFATTI, se i medesimi fossero stati conosciuti. Per ciò il BRrIOSCHI, con cuore italiano, ritornò sulla prima risolvente calcolata per l'equazione: x°— 5ax3 + 5be°— 5cx+d=0 e la ritrovò, per il caso di 5=0, seguendo lo stesso elegante processo d’eliminazione del MarrartI: però il suo calcolo (****), nonostante la semplificazione introdotta col supporre nullo è, non si può ancora dire del tutto semplice. Senza discostarmi dal pro- cedimento primitivo, io ho potuto ottenere la risolvente del (*) V. Collected Mathematical papers, vol. IV, pag. 309. — Oppure: Phi- losophical Transactions, vol. CLI. (**) Gesammelte Werke. Dritter Band, p. 278. — Oppure: Crelle's Journal, Bd. 13. (***) Collected..., vol. IV, p. 324. (#***) Annali di Matematica pura ed applicata, t. V, n. 5. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 33 REST 450 F. GIUDICE MaLrartI, per l'equazione completa, con calcolo semplice ed ele- mentare, che ritengo conveniente far conoscere per l’importanza storica di essa risolvente. L'eliminazione, specialmente con metodi elementari, introduce quasi sempre dei fattori estranei alle risultanti: noi avremo cura di notarne la comparsa, perchè ne riesca poi facile e naturale la soppressione. Posto : y=ar+bd He=ac"b G=a*4° 3abe È 26 (1)... { L=a?.(ae—4bd+3c)=a?I M=a?.(ace+ 2bed — ad° — b’e— c3) RG IHE AI] K=a?.(a°f— 5abe+ 2acd + 8b°d— 6bc°)= ak si trova: (2). Ar ler 5024 +10cx°+10dx° + 5er + f) ) =y+10Hy?+10Gy?+5(L-3H?)y+ K-2HG-. Pongasi : = y+10Hy"+10G$+5(L- 3E°)y+ E-—2HG gn piro pesa VE ii; Va) | —yY 1 t 07) vai | ve —y 1 t U I uz vz —y Il È | De È te uz vzE —yY 1 2 tz uz vE —, =y_-5.(o2+tuz).y—5. (uz +t0°2 ++ uve) è 9 D Db 9 — b(t2+ 624 to + ud + tv? — 102) y 99 D v — 5 (to + tu°2 +02 + tuv 2 — uvz® — uz? \ — vi — tuve) — e— 92-— WA, SULLA RISOLVENTE DI MALFATTI 451 per cui dovrà essere : | £.(0+tu=—-2H uz + t0°2° +-t°2-+ uve = — 2G Mer. tz +82" + 80° + uv23 + 3 tuvz? —-7H*° — L 5e.(0— tu).(uz+t0°2° —t°2— uve) — 2 Core A —- R-9HG. Pongasi ora: z(v— tu) =2a (5)... < uz+to° —t2—wv?=2 ue + tv — te — ud = 7 e, per queste e per le (4), si avrà: ze=—-H+a ziu=—H—a uz+t?=—G+f 2 4+uve=— G_-f | 2 («32° + t9v2°)=4H°—L+30°+y | 2(t2+ wo?) =4H°—L+430°—y. (6)... Queste, con l’ultima (4), dànno: 2(G° — £°)=(- H+a)(4H°—L+32+7) SA (4H*°—L+3%f- j?=4(-H+a)(G+{)? — 4(H+a)(G-B)' —16(H°— 1 2 DA AA 400f +7 [(4H°-L+ 3% y)( G+) +2.(H-a} (64M) +3 +2(H+2)(-G+f))=2E—- 4HG. . |[(4H°-L+3808+y)(G+£) Semplificando queste tre equazioni e moltiplicando l’ ultima per a° — H°, per cui però importa osservare che si introducono le radici «=# H, ed eliminando poi G* per mezzo della ():d G=HL-M-4H?, Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 33 452 F. GIUDICE che si ricava dalla penultima (1), si ottiene: | 3He-ay-—f-M=0 252i—(8H°4+6L)e° —16GcB+8Hf°—y (3). SIAM 25258—(10H°+L)c8—(K+HG)x° + Gay + H6y+H°K-LHG=0. Eliminando 7, una volta mediante prima e seconda ed un’altra volta mediante prima e terza, s'ottiene : (+ (2M—14H){416G&8f— 25284 (178? + 6L)c4+(2HM—L°)c+M®=0 Hf°+ Ga +(HM+7H°&®+Lod-254)f | +(K—2HG)x+(LHG+GM—H®?K)a=0. (9)... Per eliminare ) s'è però dovuto moltiplicare per «° la penultima (8) e per « l’ultima, introducendo così la radice mul- tipla «—:0, la quale si riconosce pur subito osservando che le (9) sono soddisfatte da oe, El Se nell'ultima equazione, moltiplicata per H7{, si pongono per 6' ed 4 i valori dati per queste quantità dalle ultime due equazioni, s’ottiene un’equazione che si può mettere in luogo della penultima senza introdurre nè perdere radici, perchè si riconosce subito che, essendo H diverso da zero nel caso gene- rale, la nuova equazione sarà soddisfatta da ogni sistema di valori che soddisfi entrambe le (9), e la penultima di queste sarà sod- disfatta da ogni sistema di valori che soddisfi l’ultima di esse e la, nuova equazione. S'ottiene così, eliminando poi G° mediante (7), [25Ha'— (25441) c0 + H°M|°+|--256# + (25GH°+ LG — HK)d + (H°K— LH°G)a]f — 25H°x%+ (25H4+4LH?+2HM+ KG)a' +(— M°—4LH'—2H*M—H*KG)x+H*M?=0. SULLA RISOLVENTE DI MALFATTI — 458 Si riconosce facilmente che i coefficenti di {?, {} e ?°, annul- 5) landosi per «&°=H?”, sono divisibili per &® — H?: dividiamo per questa quantità e toglieremo le radici estranee 2==-#- H intro- dotte per dare in forma intera l’ultima (8), come fu osservato. Otteniamo così: 2547 —M)(+|—25G2?+(GL— HK) 2|B (10)... ) € Î — 2542244 (4H°L +2HM+ KG) M?=0. Dalla seconda (9) moltiplicata per 257° — M togliamo la (10) moltiplicata per 78 + Ga e dividiamo la risultante per Hz, sopprimendo così una radice estranea 4=0 introdotta dal calcolo come fu avvertito; con ciò otteniamo, eliminando G? con (7): | (25Ga°+ HK—GL)f°+|--62522+(100H°+50L)2? (11).. | +(16HM—L9)2|]f+(25K—25HG)e+(25GM +21HGL—21H*K—KL)&+HKM-GLM=0. Prendendo le ultime due equazioni in luogo della penultima con la seconda (9) s’ introduce però, per l’ equazione in «, il fattore estraneo 25H%° — M, perchè dal modo in cui fu ottenuta la (11) segue immediatamente che il sistema composto delle due ultime equazioni ammette precisamente tutte le soluzioni del si- stema composto della penultima equazione e della seconda (9) insieme con le soluzioni dell’ equazione che s’'ottiene dalla (10) facendovi 2°— M:25H. Se con A, Ba, C ed A', B'z, C' indichiamo i coefficenti di £, £, £° nelle equazioni (10) ed (11), eliminando f} otte- niamo : (AB'— A'B)(BC'— B'C)e&=(AC'—A'C). Il secondo membro di questa risulta divisibile per 24. Soppri- miamo il fattore 2° che viene in evidenza, con cui sarà tolta la radice z=0 introdotta eliminando Y, come fu detto a suo tempo, e dividiamo pure pel fattore 25Hx°—M, il quale deve. certa- mente esservi, perchè fu introdotto formando l’equazione (11), 454 F. GIUDICE come fu osservato; poniamo. poi (12)... 25 e=% ed eliminiamo G* per mezzo della (7). Otterremo così la risol- vente, coll’incognita @, senza radici estranee: = |— 0° + 3La°+(12HM—3I°+8H?L+2KG)v —2EGL+IL*—4H°I°|x[-Hot+(7HL+M)o + (10842M+ 72H*°L—7LM- 31HL®°+18HKG — K°)w?+ (-— 660KGM+31L°M — 264H°LM +25HL*— 84H°L°42HKGL+21H°K? +K?L+ 68HM®)o—25M(HK®°—16M°—2KGL +13 —4H°I°)|—|Ko°+(24GM+16HGL — 16H?K—2KL)o+44HKM—44GLM SS HEKE GR + 4HIRG4 KI? 2% —°—10Lo+(551°-120HM—80H°L—20KG)a' +(6007HLM—-160M?4 80KGL+360H°L° + 10HK? — 140L?) 0° + (800LM? — 200KGL? + 50HK°L +175L4—100K°M+ 3600H?M?*+ 4800H*LM +1200HKGM + 800H°KGL—400H*K°—1000H?L? — 1800HL*M+1600H*L?)w° + (2688HM*—240L°M? — 7424H?°LM® — 1856KGM? + 240KGL? — 3408HKGLM — 336H°KGL*®—170HK°L? +160K°LM+336H3K?L+520H?L'—6816H*L°M — 448H'L* +28HK°G—106L° + 2120HL3M +1704H°K°M- K')o+25 (16M? +2KGL +4H°L° —HK°-L}?=0. Mediante il processo ordinario d’estrazione di radice quadrata, SULLA RISOLVENTE DI MALFATTI 455 si riduce subito quest’equazione alla seguente : [0*— 5La® +5(31°— 12HM—8H*L— 2KG)o + 5(HK°+L°—16M°—2KGL- 4H°I?)|° +(2160L°M°— 6912HM® —13824H°LM? — 3456 KGM° + 640KGL*— 4608HKGLM — 15364?KGL®—520HK?L® +360K?LM +1536H*K?L +1520H°L'9216H°L°M — 2048H*L3 — 256L° +128HK*G+2720HL*M +2304H°K?M- K')o=0. Se si sapesse ottenere un valore di è, epperò di x, si de- terminerebbe poi subito il corrispondente valore di {}, che sarebbe radice comune delle (10) ed (11); mediante le (6) si otterreb- bero allora senza difficoltà valori tra loro corrispondenti delle 4, t, u, v; e, per la prima (1),e per le (2).e (3), la (14)... az’ +502'410c2°+10d2° + 5ex +f=0 avrebbe per radici i cinque valori dati dalla 1 Par pe dea pes =. 2 53 4), o=- ( D+ Yz+ tV +uy toV/a) La (18) è dunque una risolvente della (14); essa non dif- ferisce sostanzialmente dalla risolvente del MaLFATTI, la quale si potrebbe subito avere, senza secondo termine come la diede il 5 Mio medesimo, ponendo == L—, sostituendo i loro valori nei (D) coefficienti dell'equazione di 5° grado alle quantità H, K, G, a L, M qui introdotte per comodo e ponendo infine 1, 0, rali b & 3° —e, d in luogo di a, d, c, d, e, f, perchè MALFATTI, come fu già detto, ha considerata l’equazione a°— 5ax3+ 5ba° — 5cx+d=0. Indicando con D il discriminante della quintica (a, d, c, d, e, f) (CY), 456 F. GIUDICE ponendo cioè: si riconosce facilmente (*) che il coefficente di — nel termine lineare della (13) non è altro che a! D. Pongasi ancora 6HM+4H*L + KG=a'q 1) (15) HR SINO a HoE—gl ossia, per le (1), q=a°df+10ac?e — 3abef — 5abde — 4 acd* + 20°f— 5b°ce + 14b5°d° — 16bc°d + 604 s=a*cf*— 2a*def + a8e — ab°f* — 4abcef (15)... + 8abd?f—2abde — 2ac*df+ 14ac*eè — 22acd°e + 9ad! + 653ef — 12b°cdf — 15b°ce? + 105°d°e + 60c8f+ 30bc°de — 20bcd3 —15cie+10c3d. Con ciò avendo riguardo anche alle (1), la (13) si può seri- vere semplicemente così : [0î— 5a812° + 5a! (31° — 29) 0 + 5a (as 257°)|° kg. VDo= È Il primo membro si decompone subito in due fattori. Ponendo dx LO)... eso (16) 5 ossia, per la (12), "IRE U==ì pv (*) CEuvres de LagrangGE, Traité de la resolution des equations numeri- ques, Paris MpeccLxxIX; pag, 144, SULLA RISOLVENTE DI MALFATTI 457 ed operando l’accennata scomposizione, s’ottiene: (17) | [66- 5194+-5(31°— 29) 24 5(as—257*)+aYD. 6] — lx [0-51644+-5(31°— 29)6°2+-5(as -25J°)-ay/D.6|]=0. Una risolvente della (14) è quindi ancora la (18)... 6— 51644 5(31°— 2)@- aVD.0+5(as-2579)=0, come l’altra che si avrebbe prendendo col segno + la radice del discriminante. Dalla (18) s’ottiene subito la risolvente di JAcOBI e CAYLEY facendo ni PEA (id) ° 25 JAacoBI trovò che tal risolvente doveva ridursi a yY + ay + a,y+a,=32 VA.y ; dove è A—=5°D e diede, ma inesatto, il valore di a,. CAYLEY, indipendentemente da JAcoBI, determinò tutti i coefficenti e li espresse, precisamente come nella (18), con discriminante e primi coefficenti di covarianti della quintica. Entrambi, per calcolare i coefficenti, ricorsero alla ®=y= (12345) — (13524) = XX +-X5%, + LA,+2,, +%,2, SEME che dà l’incognita della risolvente per mezzo delle radici del- l'equazione di 5° grado. Il calcolo della (13) riesce un poco più comodo procedendo così : Indicando con a, d, ec, d e con d', d, c', d'i coefficenti di (8*, {°, ©, £° nella (10) e nella seconda (9); s’ottiene subito col metodo di BEzour: — alb — ale — a'd — ale — a'd+ (be) (5d') =0. — a'd (dd') (cd) 458 F. GIUDICE Dividansi per H tutti i termini del precedente determinante e per « la seconda orizzontale e la seconda verticale, togliendo così due radici a=0 introdotte formando la (9). All’ultima oriz- zontale s’aggiunga poi la prima moltiplicata per Hx*°— M e di- vidasi la nuova ultima orizzontale per 2°, con cui saranno sop- presse le radici «=0 introdotte eliminando y. Dopo ciò, all’ultima verticale s'aggiunga la prima moltiplicata per Hz*° — M, si faccia 25a°=@© e si ponga @ in evidenza, dividendo per © l’ultima verticale. S'otterrà così la risolvente (13) nella seguente forma A B C pi E x Z,=0 C E uu 7 dove è: A=Ho-M B=-—Go+GL- HK C=4H?L + KG 24HM D=0°— (4H*+2L)o0+L°— 16HM E=- Ko+20H?K+ KL— 20HGL U=Ho°7HL% —108H°M+31HL* — 72H*°L4 K'—18HKG V=16HM° +2HKGL +4H*L° — H*K°— HI?. 14 Aprile 1892. 459 RELAZIONE intorno alla Memoria del Dott. FR. SAv. MONTICELLI intitolata : Stud: sui Trematodi endoparassiti = Monosto- mum cymbium Diesina. - Contribuzione allo studio dei Mo- nostomidi. L’A., già noto favorevolmente pei suvi precedenti lavori sui trematodi, avendo potuto avere dal Museo di Storia Naturale di Vienna i tipi del Diesing del Monostomum cymbium raccolti dal Natterer nel Brasile, ne fa uno studio diligente e minuto sia dal punto di vista anatomico, sia riguardo alle affinità colle altre specie di Monostomidi. Per stabilire la posizione sistematica del M. cymbium VA., fa una revisione critica di tutte le specie di Monostomum pa- rassite delle Gralle e dei Palmipedi, e conchiude che a tre sole si devono ridurre le specie di Monostomum di questi uccelli : M. mutabile, M. flavium, M. sarcidiornicola. I vostri Commissari credono che il lavoro del Dott. F. S. MONTICELLI costituisce un buon contributo alla conoscenza di questi parassiti e perciò ne propongono la lettura alla Classe, e qualora questa lo approvi, la stampa nei volumi accademici. G. BIzzozERO L. CamERANO, Relatore. L'Accademico Segretario (1usePPE Basso, TA Lei to Uk Naireto e 7100 ah en vi "x na Ri Wi + 1 Di NISt At l'olnniz Cip | iis morsi itadbenon ienigagtavi srcoià I fol Oionaai f f 1} PIA OÎual tI gi j ite i TRARC | R*{ dadi Ki £ à tu ter f] al6z: o a. old 3 i raszali) BXNN0901100) sli 3 Alta \eluliol cl iipigiofinona ioulov | ONION: .etoigistt 04ALULA! È prmintgnz on anbooa ft. AOCCIRIME SCRIUITO i) SPUTA vi bali if ib @®iffid 4008 isla T ro è 9Hash) ID da ol sb n NT, n SI ib ea Dirotta img VAR GA ) — MATRICI IS (a mi d vY dt. 4° e pa i, icuntovetita pton ai 01113041; ohnsva! aciaeiti Tal tail opus) der, afoat Jas \yigle sia boinlodana biro id diersizol i Stia ni Ai, hont LLOnrTO rvaettgin0O) a00d vos Lig 17300 “ip dh “bd ‘i tan La E iverqggi of ateo ADUNANZA del 10. Maggio 1892 DO ANAS APE GiacoMINI — Sulle anomalie di sviluppo dell’embrione umano. - i municazione IV . e a vw GruDICE — Sulla risolvente di Malfatti AE a ara gDe I Do ubi SE Drrsino. - . Contribuzione allo studio . Monostomidi » . .. .... a via i "PUBBLICATI a AGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUF CLASSI 0 co pae Ci 4 | Von. XXVII, Disp. 13°, 1891-92 ida x O = - Classe di Scienze Fisiche , Matematiche e Naturali. 3 = 461 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 15 Maggio 1892 PRESIDENZA DEL COMM. PROF. ALFONSO COSSA SOCIO ANZIANO Sono presenti i Soci Bruno, BizzozeRo, FERRARIS, Nac- CARI, Mosso, SPEZIA, GiBELLI, GracoMINI, CAMERANO, SEGRE, PEANO e Basso Segretario. Letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza precedente, il Socio SPEZIA offre in dono all’Accademia una sua pubblica- zione, intitolata: Sulla origine del solfo nei giacimenti solfi- feri della Sicilia. Lo stesso Socio SPEZIA presenta un lavoro manoscritto del Dott. C. F. Parona, Professore di Geologia nell'Università di Torino, il quale ha per titolo: Revisione della Fauna liasica di Gozzano in Piemonte. Essendo questo lavoro destinato, previa approvazione della Classe, ai volumi delle Memorie, il Presi- dente incarica una Commissione di esaminarlo e di riferirne in altra seduta alla Classe. Il Socio Basso legge e presenta per la pubblicazione negli Atti una Nota: Sul problema delle onde piune nella teoria elettromagnetica della luce, del Signor Antonio GaRBasso, lau- reando nella Facoltà matematica dell’Università di Torino. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 34 ® 462 A. GARBASSO LETTURE Sul problema delle onde piane nella teoria elettromagnetica della luce (*). Nota di A. GARBASSO. Assumo le equazioni della teoria elettromagnetica nella forma sotto cui furono messe da Hertz: OX OM N ALOE dY gas, di ©9600 IVANO | 40Mo VIRNA AMA) TAIL d O VON A, — =" A Ca ATA Rea | Ot. ORO In queste equazioni sono X, Y, Z le componenti della forza elettrica; L, M, N le componenti della forza magnetica; x, y, 2 le coordinate del punto in cui si considera la perturbazione ; # il tempo; €, , &, le costanti di polarizzazione dielettrica secondo le direzioni degli assi; A il reciproco della velocità della luce nell’etere. Il mettere le equazioni sotto questa forma corrisponde al fare le due ipotesi seguenti : 1° Che gli assi principali della forza elettrica siano gli assi principali della forza magnetica; 2° Che la costante di polarizzazione magnetica sia uguale all'unità lungo i tre assi e quindi in ogni direzione. Se si esclude la presenza di quantità libere di elettricità e (*) La nota presente contiene la dimostrazione diretta di alcune propo- sizioni enunciate da Hertz nella sua Memoria: Uber die Grundgleichungen der Electrodinamik fiir ruhende Kòrper. Wied. Ann. XL, S. 577, 1890. SUL PROBLEMA DELLE ONDE PIANE 4689 di magnetismo si hanno oltre alle (1) e (2) ancora le equazioni seguenti : dX OY OA (3). . az a i OL 00M CET (4)... — + — dx dY vg” La simmetria dei sistemi (1) e (3) da una parte e (2) e (4) dall'altra, ci fa vedere che i risultati a cui si potrà giungere per la forza elettrica saranno perfettamente paralleli a quelli che si otterranno per la forza magnetica, quindi l'opportunità di eli- minare le componenti di una delle due forze e di eseguire il cal- colo solamente con le componenti dell'altra. Volendo eliminare le componenti della forza magnetica, per es., basta derivare la prima delle (1) rispetto al tempo e le ultime due delle (2) rispetto a z e y ordinatamente, con che si ottiene : oa DN a dl > DN LT RO A OM __dX 07 oto de dad” o Maro Mo 800 Otdy = dxdY = yi onde si ricava facilmente : eo ee VA Za Tera aaa dt 02° 0x0 dxdYy dY OrOrA DARE dI MOI ie ‘ 2e — = = a = = = Bicosi: (0)... Aa 5A I° Viuodi * ape "0a 4 SPAM VARIO 3 A CNIT LZ, ‘oe — dg d2dy ddr 093 Ora dalla (3), derivando rispetto ad , si ottiene: 0° X 1 Da + OY dydx atti R. Accad - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 464 A. GARBASSO da cui: RIA E Ri drdz Il valore del primo membro sostituito nella prima delle (5) permette di scrivere quella equazione sotto la forma: Xx * (10222 NepX SL VA : A” 3 dr E a E,63 drdY Se si vuole che l’onda sia piana, rimanendo arbitraria la funzione che rappresenta il valor numerico della forza, bisognerà porre: (6)... e X=a.f(s.t) e Y=b.f(s.1) e,4=c.f(8.1) essendo a, b, c i coseni (costanti) direttori del vettore di com- ponenti e, X, e, Y, #54; f(s.t) una funzione qualunque del tempo # e del parametro s definito dall'uguaglianza s=ax+By+y8. Le quantità di «, {, y risulteranno essere i coseni direttori della normale alla giacitura dell’onda. Si può osservare che, essendo $ una funzione ad arbitrio di s e di altre variabili comunque (indipendenti dalle coordinate), saranno verificate le relazioni : 7) PP asia = (7) dy ds dy db _9dwds dw ge LARA AN Tenendo conto di queste e delle equazioni (6) la (*) diventa: 40 d*f aa dèf ab'0f ay of et aes et ds e ds 5 Tini E1 €2É3 (-4) 3a sé SUL PROBLEMA DELLE ONDE PIANE 465 se ne deduce: 0? f VR IL aa] c 0 ba dif 2 Î LAI NG lle t z| og ci. ha EG 33 ; o] 0°f 1 pì yi a c B 0? f e così: (8). =—|[- -+-+- E, — € - (Ste dui Ageno & 1a CA La n. ) d.8° of 1 (o %, È. a ya 0° f ae Ga La Str aid (esset i Ì SAD ego sex EC Cisa ds Le equazioni (8) si integrano immediatamente secondo un noto teorema di D’Alembert. Però, onde la funzione f che s’ot- tiene sia la stessa in tutti i casi, come l’ indole del problema richiede, si devono verificare le uguaglianze : Ei 7 E EE Di 2 2) Pe * TIA tte sarà +-+-]c+ —(a—a)a=pe, essendo una variabile ausiliaria, la cui definizione risulta dalle equazioni stesse. Ponendo per semplicità : 2 2 "È e) [9À G / 23 —+-+-=h (e 63) = E, E, & ENES 2 n 2 (2 / } PI È; + Sri + _ ha < i (63 È E) = J09 E Ea E ESE: part.) 2 22 ” Ò CON ia RR, — (a_e)=%; \ £&z 3 €3 Ei È2 le (9) si scrivono: \ ha+kb=pa h,b4+k,c= 06 hsc+kya=pe 466 A, GARBASSO { (A,-p)a+%kb=0 (G:—)b+k,c=0 | (h3—)c+kza=0. Sono queste tre equazioni lineari omogenee in a, b, c; perchè si verifichino per valori non tutti nulli delie variabili (ciò che trat- tandosi dei tre coseni d'una direzione non avrebbe senso) è ne- cessario che sia h,—p k, 0 o, svolgendo : (10)... (R1— P) (Ma 2) (Ma — f) + kx ka=0. Siccome ogni valore reale di ci dà una terna di valori possibili per i coseni a, d, c saranno tante le direzioni del vettore (Xx, # Y, #37) che soddisfano al problema quante sono le radici reali e distinte dell’equazione in g. Ora, delle radici di questa equazione una sola cosa si può affermare a priori, che cioè una di esse è certamente reale, e ciò deriva dall'essere reali i coefficienti e di grado dispari l'e- quazione. Indichiamo con a,, d,, €, i coseni della direzione (reale) che corrisponde a questa prima radice dell’equazione (10). Si avrà identicamente : DIA E DL o a, di Wi hi = (eta dea b, Ci b hi Pena pa, Pi. Ci di, Se ora indichiamo con «,, d,, €, i coseni che determinano SUL PROBLEMA DELLE ONDE PIANE 467 la direzione che è nel piano dell’onda, a novanta gradi dalla (a,, di, CI), SE cIOè poniamo: a,=e—yh bs =" 75 (67| Co=ab, Ba, è facile vedere che si verifica per identità la relazione : b IR) 2. a4.h+a=0. (21 Ei 3 Infatti (a, d, , c.) è la direzione del vettore (L, M, N), quando sì prende per il vettore (e, X, e. Y, €34) la direzione (a,, di, c1) bi è MELAROETO (equazioni 1, 3, 4). Nella stessa ipotesi — ,— ,-: sono propor- zionali ai coseni di direzione di (X, Y, 4), ma quest’ultimo vettore è perpendicolare ad (LZ, MV, N) per le equazioni (2). Ciò posto, se si trasforma la (11) tenendo conto delle re- lazioni che legano le @, f, y fra loro e con le a,, d, ci si può con calcoli semplicissimi, per quanto un po’ sviluppati, ar- rivare ad una qualunque delle identità : A $ h4k— =h, + ks S a b 2 2 hy+k, = + sa Ca = a b hs + ka — h, 4 ki ri Gs dg Se ne deduce che la terna a,, d,, c, dà sempre una dire- zione possibile del vettore (e, X, e. Y, €34). Ma alla terna soddisfacente a,, d,, c, dovendo corrispondere una radice reale della (10), ne segue che quest’equazione ha due radici reali e quindi le ha reali tutte tre. Alla terza radice dell'equazione in f corrisponderà una nuova terna di coseni a3, di, (3. 468 A, GARBASSO Si può provare però che la terna 4,. dg, 63 soddisfacendo al problema deve coincidere con una delle due a,, di, €, e ARMONICA. E di vero, se si suppone per un momento la terna 43, da, C3 soddisfacente e distinta dalle due a,. d,, c, e @,, d», €, (che sono distinte fra loro), si dimostrerà, con un procedimento simile a quello impiegato innanzi, che anche la terna a,, d,, c, definita dalle a=Ber—yd b, =ya,— ds C; =ab—a3, e però distinta da ciascuna delle tre precedenti, dà una direzione possibile del vettore (:,.X, e Y, 137). Ora a questa quarta terna di coseni dovrebbe corrispondere una quarta radice della equazione in o, ciò che non può essere. È evidente che ad ogni direzione possibile del vettore (6, X, e, Y, €47) corrisponde una ed una sola direzione del vettore (X, Y, Z), una ed una sola direzione del vettore (L, M, N). Riassumendo i risultati ottenuti si può conchiudere che: 1° Per il vettore (e X, e Y, #34) (polarizzazione dielet- trica di Hertz, parallelo e differente per una costante dallo spo- stamento dielettrico di Maxwell) vi sono in ogni caso due di- rezioni possibili, fra loro ortogonali. giacenti nel piano dell’onda; questo vettore è nella ipotesi meccanica della luce la vibrazione di Fresnel. 2° Per il vettore (LZ, M, N) (forza magnetica di Maxwell e di Hertz) vi sono in ogni caso due direzioni possibili, fra di loro ortogonali, giacenti nel piano dell’onda e perpendicolare ciascuna alla posizione corrispondente del vettore (5, .X, e, Y, 834); questo vettore è nell’ottica dedotta dalla teoria dell’elasticità la vibra- zione di Neumann. 3° Per il vettore (X, Y, Z) (forza elettrica di Hertz, forza elettromotrice di Maxwell) vi sono in ogni caso due dire- zioni possibili fuori del piano dell’onda, perpendicolari alle po - sizioni corrispondenti della forza magnetica; questo vettore nelle teorie meccaniche della luce è la derivata geometrica presa per rispetto al tempo della vibrazione di Sarrau. SUL PROBLEMA DELLE ONDE PIANE 469 La polarizzazione magnetica di Hertz nelle ipotesi adottate coincide con la forza corrispondente; la forza elettrica cade nel piano dell’onda ed ha la direzione dello spostamento corrispon- dente nel solo caso dei mezzi isotropi. Si può notare che, dalle equazioni trovate dal Poincaré (*) fra i vettori di Fresnel, Neumann e Sarrau, si deducono con facili eliminazioni due sistemi che per la forma coincidono esattamente con quelli di Hertz (sistemi 1 e 2). Ciò del resto si poteva affermare a priori, poichè quelle re- lazioni del Poincaré sono identiche, nella forma, con certe equa- zioni di Maxwell, da cui si possono appunto ricavare quelle uguaglianze a cui Hertz è giunto la prima volta per una via differente (**). Torino, maggio 1892. (*) H. PolncaRÈ. TAéorie mathematique de la lumibre., pag. 279. (**) H. Hertz, Uber die Beziehungen awischen den Maxwellschen electro - dynamischen Grunagleichungen und den Grundgleichungen der gegnerischen Electrodinamik. Wied. Ann. XXIII, S. 84, 1884, L’Accademico Segretario GiusEPPE Basso. (ni quarti dio dufto Kino aa S sdettoDbs. iastàgi. plleri stili, il noftongna: bRotametsatte fortoPro.noittinia asta. al ;otc0bragafrtoai artok, AL, dosNa eilaggrrigo 0Imamtatzoga ciloh scctsotib 4 ad: ha sboo' Hal signtiozi desMia ob osp 0g à Meetonio Sab sisrosi lnoisrpo alfab ada astotid iiont son, ogornbobiia verista reno Joseot%. ib È afnipimntiazi cpofinnios sorio af t9g oil) inistata onb i (£aefvifonizia) sino dB art alloup dilring ivo » orterttistta n7v61oq 1 otzs1 feb Ri po al't09 (100. 6000] ni boa Abitaghi INTEREttI ‘asonto A lab olloup stavanit otamqge Lomoazag. ads «D , Mowxs}6 di Bor pitti og pitor arri si otostg 4 stroli tr) R Sal Mage, | n i 10 «MV LUSq CAT i pisab ausprimpniinae si hl Ana * DELE vile island at PES % piedi 25) th NI ertagh , sibdrari urto “th sosia Pater elle Perle starti I02AI 458 IIZZ n A bel VW Ana DI i : È ci ù \ i da ' it I Y La } "da f Mmronrivipo ooiraboss AV 20241 nitaenio 9 Malga hi -1 ite dalt'una Leni 08 Mugi - ti / dal. Motio ‘a Ta de 20 n è 0.6. TE VU | mer di i... DO Par 1) vettori DRVIGTIRI nà slot Metro Mi Ma Peio >» ogni faoritaloi î [E fatt SOMMARIO —__ Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 15 Maggio 1892-00... eni Pag. GarBASSO — Sul problema delle onde piane nella teoria elettroma- gnetica della luce... . 00 + 00e ai eo n e » Torino — Tip. Reale Paravia. ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUF CLASSI © Von. XXVII, Disp. 14*, 1891-92 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R Accademia delle Scienze CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 29 Maggio 1892 PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. ENRICO D'OVIDIO DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: Cossa, Bruno, BizzozERo, FERRARIS, Naccari, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, GIACOMINI, CAMERANO, SEGRE, e Basso Segretario. Il Socio Segretario legge l’atto verbale dell'adunanza pre- cedente, che viene approvato. Il Socio Cossi rammenta alla Classe la perdita che essa fece per la morte dell’illustre suo Socio straniero, Prof. A. G. Hormann, avvenuta quasi improvvisamente a Berlino la sera del 5 maggio, e ne enumera le benemerenze scientifiche. Sulla pro- posta del Presidente la Classe incarica lo stesso Professore Cossa di redigere una biografia dell’illustre Chimico tedesco per essere pubblicata nei volumi delle Memorie. Il Socio Segretario dà comunicazione delle lettere di rin- graziamento, per la loro recente nomina a Socio corrispondente, dei signori: Enrico Porncaré di Parigi, Giovanni Hopkinson di Londra, Gabriele LippmaNN di Parigi, Adolfo LIEBEN di Vienna, Carlo KLEIN di Berlino e Romualdo Pirorta di Roma. Inoltre lo stesso Segretario presenta parecchie pubblicazioni dei nuovi col- leghi KLEIN e PirottA, delle quali essi fanno dono all'Accademia. Dal Socio BizzozERo viene segnalata, fra le opere pure per- venute in dono all'Accademia, quella intitolata: Beitrige zur Kenntniss der Lage der weiblichen Beckenorgane nebst Bes- chreibung eines frontalen Géfrierschnittes des Uterus gravidus in situ, del Socio Corrispondente Dott. W. WaLpEYER, Diret- tore dell'Istituto. anatomico dell’Università di Berlino. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ece, — Vol, XXVII: 35 472 Vengono poscia letti ed accolti per l'inserzione negli Atti i quattro seguenti lavori: 1° Sulle ghiandole tubulari del tubo gastroenterico e sui rapporti del loro epitelio coll’ epitelio di rivestimento della mucosa; Nota IV® del Socio BizzozERo, presentata dallo stesso Autore; 2° Le zone terziarie di Vernasca e Vigoleno nel Pia- centino; Studio geologico del Prof. Dott. Federico Sacco, pre- sentato dal Socio SPEZIA; 3° Un nuovo apparato per misurare basi topografiche; del Prof. Nicodemo JADANZA; 4° Sopra alcune differenze trovate nel calcolo delle co- ordinate geografiche dei vertici del quadrilatero che congiunge l'Algeria colla Spagna; Nota dello stesso Prof. JADANZA. Questi due ultimi lavori sono presentati dal Socio Basso. Il Socio GIBELLI presenta un suo studio, eseguito in colla- borazione del Dott. Saverio BELLI, col titolo: Rivista critica delle specie di Trifolium italiane, comparate con quelle del resto d'Europa e delle regioni circummediterranee delle sezioni : Cryptosciadum CELAK, Calycomorfum PRESL. Questo lavoro viene accolto dalla Classe per la pubblicazione nei volumi delle Memorze. Il Socio CameRANO, anche a nome del condeputato Socio Spezia, legge una sua Relazione sul lavoro del Prof. C. F. Pa- RONA, intitolato: Ievisione della Fauna liasica di Gozzano in Piemonte. Sulle conclusioni favorevoli di questa Relazione, la quale sarà pubblicata negli Atti, lo Studio del Prof. PARONA è ammesso alla .lettura ed in seguito approvato per l'inserzione nei volumi delle Memorze. Infine il Presidente nomina apposite Commissioni per l'esame di tre lavori, dei quali gli Autori desiderano l'accoglimento nei volumi delle Memorie, cioè: 1° Sulle proprietà termiche dei vapori; parte IV®, Studio del vapor d'acqua rispetto alle leggi di BoyLE e di Gay-Lussac. Ne è autore il Prof. Angelo BartELLI dell’Università di Padova. 2° Il clima di Torino; Studio del Dott. G. B. Rizzo, Assistente all'Osservatorio della R. Università di Torino; 3° I Ditteri del Messico (Stratiomydeae e Syrphideae, parte I) del Dott. E. GieLio-Tos. Di questi tre lavori i due primi sono presentati dal Socio NaccarI; l’ultimo è presentato dal Socio CAMERANO. _—________y_____________—&@— i e” # I 473 LETTURE Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa ; Nota quarta del Socio Prof. G. BIZZOZERO Intestino delle lucertole. Degli studi che ho fatto sull’intestino della Zacerta muralis potrò riferire molto in breve, perchè il processo di rigenerazione dell'epitelio vi è assai semplice (1). La mucosa dell’ intestino non presenta nè villi, nè valvole. La sua superficie, però, è resa più ampia da lunghe pliche lon- gitudinali, le quali, come nel tritone, sono variabili per numero (20, 30 e più) e per altezza a seconda delle diverse porzioni dell'intestino. La loro disposizione e il loro decorso si possono studiar bene con una lente in un intestino appena tolto all’ani- male, spaccato pel lungo, disteso, e reso leggermente opaco col versarvi sopra qualche goccia di alcool. Esse sono disposte pa- rallele fra loro, e tengono un decorso onduloso, ma con ondu- losità meno marcate che nel tritone. In una sezione trasversa dell’intestino ogni plica si vede costituita di una sottilissima la- nina connettiva, rivestita da uno strato epiteliare relativamente grosso, che si continua nei fornici fra una plica e l’altra. L’epitelio è formato, al solito, di cellule protoplasmatiche e di cellule mucipare (2). (1) Mi sono servito specialmente di preparati induriti coll’acido picrico, che più degli altri liquidi induranti, che pur ho provato, rende evidenti i contorni cellulari. (2) Anche nella lucertola fra le cellule epiteliari si notano molti leuco- citi migranti, e nel protoplasma di alcune di esse non mancano quelle in- clusioni, quei globetti di sostanza cromatofila che si osservano anche nel tritone e nei mammiferi, e che sono a considerarsi come avanzi di leucociti distrutti. ; i (AE 4A G. BIZZOZERO Le cellule mucipare sono relativamente assai scarse. Sia per ciò, sia anche per la loro notevole picciolezza, io non mi soffermai gran fatto nel loro studio. Nei fornici sono di forma tendente alla cilindrica; il nucleo è rotondo od ovale, e disposto (ma non schiacciato) all’estremità basale della cellula. Lo spazio fra il nucleo e l’estremità libera della cellula è occupato dal blocco di muco, il quale è giallo colla safranina, tanto se per l’indurimento si sia adoperato l’alcool, quanto se si sia fatto uso di acido picrico: il color giallo scompare quando si aggiunga, per la conservazione del preparato, la soluzione di zucchero, no- tandosi, però, che la scomparsa è più lenta nei preparati all’a- cido picrico. — Nella parte alta delle pliche gli elementi muci- pari acquistano la forma di calice (fig. 2°); nel fusto di questo si trova, alquanto allontanato dalla base delle cellule, il nucleo. Le cellule protoplasmatiche sono, in generale, lunghe e sot- tili. Di solito, però, nei fornici sono più corte che nella parte alta delle pliche. Hanno un protoplasma reticolato, ricco, natu- ralmente negli animali ben nutriti, di gocciole di adipe di varia grossezza, e sono limitate verso la superficie libera da un orlo striato relativamente sottile, il quale si continua su tutto V’e- pitelio superficiale, quindi anche dove questo riveste la parte più profonda dei fornici. Il nucleo, ovale, è, nei fornici, disposto nella base della cellula: andando verso l’alto delle pliche esso si allontana dalia base e giunge fino alla metà del corpo cel- lulare, e qualche volta anche la supera (fig. 2'). Quello che più interessa nell’epitelio intestinale delle lucertole si è, che esso non può considerarsi dappertutto come un epitelio semplice. Tra le estremità profonde delle cellule cilindriche spesso stanno disposte delle cellule irregolarmente poliedriche, che da una parte si appoggiano sulla mucosa, coll’altra si spingono più o meno in alto fra le cellule sovrapposte. Il loro nucleo è si- mile a quello delle cellule cilindriche, ma di forma un po’ più rotondeggiante. Il numero di queste cellule varia a seconda dei punti che consideriamo. Nei fornici sono così abbondanti da formare talora uno strato continuo (figura 1°). Quanto più ci avanziamo verso l’alto delle pliche si fanno, invece, più rare; sicchè qui l’epitelio acquista l'aspetto d’un epitelio cilindrico semplice (fig. 2°). Queste cellule sono vere cellule di ricambio. Infatti 1° si tro- vano graduate forme di passaggio da esse alle cellule cilindriche SULLE GHIANDOLE TUBULARI 475 superficiali; 2° fra di esse se ne trovano non poche che hanno il nucleo in mitosi (fig. 3*). Quantunque si tratti di elementi relativamente piccoli, il nucleo presenta evidente la struttura fi- lamentosa, ed assai apparente è anche il fuso acromatico (fi- gura 3° B). Più che nelle altre specie animali antecedentemente descritte, appare nella lucertola che le mitosi dell'epitelio sono disposte a gruppi: si possono percorrere dei tratti piuttosto lunghi dello strato epiteliare senza trovarne, mentre in altri punti se ne pos- sono vedere (come è disegnato nella fig. 3* A) quattro o cinque in piccolissimo spazio. In quei punti in cui il processo di mitosi si manifesta, là si ottiene per risultato un gruppo di cellule di ricambio, che poi, gradatamente, si trasformano in cellule cilindriche superfi- * ciali. Anche le cellule di ricambio, adunque, non formano uno strato continuo ed uniforme, ed i loro accumuli hanno una du- rata transitoria. La grande maggioranza delle mitosi sta nello strato profondo dell’epitelio. Conviene tuttavia notare, che, come nel tritone, così anche nella lucertola si trovano delle mitosi anche fra le cellule cilindriche superficiali, in corrispondenza della loro metà interna. Sono, però, assai rare (fig. 4°). Conchiudendo, possiamo dire, che nella lucertola, come nel tritone, la rigenerazione dell’epitelio ha luogo per mitosi, e che il processo cariocinetico ha luogo principalmente in cellule che stanno negli strati profondi dell’ epitelio. C’è però questa diffe- renza fra i due: che nella lucertola mancano quei germogli sotto- epiteliari che nel tritone raggiungono, invece, un notevole svi- luppo. Intestino della rana. Il modo di comportarsi dell’epitelio nella rana è assai simile a quello della lucertola (1). Anche nella rana la mucosa non ha villi, ma è sollevata in tante pliche che hanno diversa configurazione a seconda del tratto (1) Le mie osservazioni vennero fatte specialmente su pezzi induriti nel- l’aleoo], oppure dapprima, per due giorni, nell’acido picrico, poi (dopo la* vatura per 24 ore nell’acqua) nell’alcool. 476 G. BIZZOZERO d’intestino in cui stanno. Nella porzione anteriore (che è la più lunga e che ha il diametro maggiore) esse costituiscono come due complicati sistemi di valvole semilunari trasversali (1); mentre nella posteriore decorrono, ondulose, in direzione longitudinale, e si continuano colle pliche della mucosa della cloaca. Nella mucosa intestinale della rana non si scorgono ghian- dole tubulari. L’epitelio è costituito da cellule protoplasmatiche, fra cui stanno, sparsevi abbastanza uniformemente, le cellule mucipare. Le prime (fig. 5) appaiono quali belle e lunghe cellule pris- matiche, a contorni abbastanza marcati. Sono provviste di un ‘ nucleo ovale, disposto coll’asse maggiore parallelo a quello della cellula, e collocato nella metà profonda di questa; esso non è però del tutto alla base dell'elemento, poichè fra esso e l’estre- mità profonda di questo vi è generalmente un breve tratto oc- cupato da protoplasma. Il protoplasma presenta una fina stria- tura longitudinale, la quale, nei preparati induriti nell’acido pi- crico (2) e convenientemente colorati, appare dovuta a un fascio di fibrille che incominciano alla base della cellula, decorrono passando ai lati del nucleo, e vengono a perdersi verso l’estre- mità libera dell'elemento. Queste fibrille sono relativamente grosse, massime nella parte profonda della cellula, dove hanno anche un decorso piuttosto rigido; mentre nella metà superficiale sono leggermente ondulose. Alla superficie libera delle cellule si osserva il solito orlo striato, che esiste tanto sull’ epitelio della cresta delle pliche, quanto su quello dei fornici, mantenendo dappertutto lo Seasan aspetto e lo stesso spessore. Le cellule mucipare sono, al pari delle protoplasmatiche, re- lativamente assai lunghe, e ciò si deve specialmente all’allunga- mento di quel tratto di corpo cellulare che separa la teca dal nucleo (fig. 5 a), e che potremmo designare col nome di pezzo intercalare. In ogni elemento potremmo quindi distinguere quattro parti, che, andando dal profondo verso la superficie, sarebbero : la porzione basale, la porzione contenente il nucleo, il pezzo in- tercalare e la teca. (1) Se ne vegga la figurain: Wiedersheim. Lehrb, der vergleich. Anatomie, Jena, 1882, pag. 588. (2) Bizzozero, Giorn, dellAccad, med. di Torino, 1892, pag, 205. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 477 La prima porzione, generalmente sottile, e la seconda, in cui il nucleo ovale sta disposto longitudinalmente, non presentano nulla degno di nota. Nel pezzo intercalare, invece, è curioso il fatto, che il protoplasma contiene sempre parecchi vacuoli, e da questi è, così, ridotto ad un sottile reticolo, le cui trabecole colla safranina (e successiva conservazione in soluzione di zucchero) si colorano in rosso intenso, come il resto del protoplasma cel- lulare. Quanto alla teca, essa è relativamente piccola e corta, di forma ovale od ovoidea, ed è ripiena di granuli mucosi, che pre- sentano il solito aspetto già studiato negli altri animali. Essi nella rana, però, sono relativamente resistenti. Infatti la costi- tuzione granulare del blocco mucoso si osserva ancora tanto nel- l’intestino intatto conservato per 24 ore (nell’inverno) nel corpo dell'animale, quanto in pezzetti d’intestino conservati per altret- tanto tempo nel siero iodico di Schultze, o nel liquido di Miiller allungato a parti eguali con acqua. I granuli mucosi (in pezzi all’acido picrico) si colorano in giallo colla soluzione acquosa concentrata di safranina, e questa colorazione, che li fa spiccare assai sul fondo rosso dato dal protoplasma, sì conserva aggiungendo soluzione di zucchero, pre- viamente colorata pure con safranina. È, dunque, una colora- zione che mi servì assai bene nelle mie ricerche. Fra le cellule epiteliari dell’intestino di rana stanno disposti, come è già noto, numerosissimi leucociti, i quali giacciono a pre- ferenza (ma non esclusivamente) fra le estremità profonde degli epitelii (fig. 5* d). Dei leucociti, alcuni hanno il protoplasma a granuli fini; altri invece, contengono granuli grossi, fortemente colorabili (1). Oltre ai leucociti, sono pure frequenti delle cellule che (a differenza dei leucociti) stanno a preferenza in corrispondenza della metà superficiale delle cellule epiteliari, e si distinguono per esser grosse (20-30 1 di diametro), per aver un nucleo spinto, di solito, alla periferia dell'elemento e per contenere dei granuli di color verde-giallo Di queste cellule, la cui esistenza è già nota da lungo (vennero anche in questi ultimi anni de- scritte da Heidenhain e da Nicolas) non è ancora precisata la natura. (1) Le stesse specie di leucociti vedonsi anche nel connettivo della mucosa, 478 G. BIZZOZERO Se ora, conosciuti i costituenti dello strato epiteliare, pas- siamo a studiare la rigenerazione de’ suoi due costituenti essen- ziali (cellule protoplasmatiche e cellule mucipare), troviamo che essa è dovuta a quegli stessi processi che abbiamo verificato nel tritone e nella lucertola. Le cellule protoplasmatiche si moltiplicano per mitosi; e la sede delle mitosi è doppia. "Troviamo, infatti, delle cellule con tale forma di scissione tanto nella porzione superficiale dell’epi- telio, al disopra, cioè, del piano corrispondente ai nuclei epi- teliari in riposo, quanto nella parte profonda, quasi a contatto della mucosa. Di mitosi profonde ne contai due o tre in ogni sezione trasversale d'intestino; le superficiali mi parvero un po’ più scarse. Queste cifre non possono, però, aver gran valore, perchè vennero ottenute nell'inverno, in condizioni cioè diverse da quelle in cui l’epitelio si trova a intestino vivacemente fun- zionante nella bella stagione. La moltiplicazione di queste cellule dà luogo alla produzione di cellule giovani di ricambio. Queste, però, appaiono più scarse che nella lucertola, e, naturalmente, assai più scarse che nel tri- tone. Infatti, esse si vedono sparse qua e là fra le cellule pro- toplasmatiche, tanto nell’epitelio dei fornici (fig. 5 c) quanto in quello delle creste. Non mai arrivano a costituire uno strato continuo, e tanto meno dei germogli subepiteliari. L’epitelio della rana, quindi, si avvicina, più che quello della lucertola e del tri- tone, al tipo dell'epitelio cilindrico semplice, ad un solo strato. Quanto alle cellule mucipare, sono riuscito a riconoscere che anche nella rana, come nel tritone, Ze loro forme giovani stanna nel profondo dello strato epiteliare, e che è solo ad un periodo più avanzato della loro vita che arrivano, con quella loro estre- mità che secerne muco, alla superficie dell'epitelio. Nella figura 5 6 ho ritratto appunto una di queste cellule mucose giovani: si vede come essa sia racchiusa fra le metà profonde delle cel- lule protoplasmatiche, e come quasi tutto il suo corpo sia co- stituito da un ammasso di granuli mucosi. Questi ultimi, al pari di quelli delle cellule adulte cui assomigliano per forma e gros- sezza, presentano la reazione caratteristica del colorarsi in giallo colla safranina. Queste cellule mucose giovani si trovano a preferenza nell’e- pitelio che riveste i fornici. In ogni sezione d’intestino (porzione posteriore) io ne trovai un paio. Qui pure, però, devo notare, SULLE GHIANDOLE TUBULARI 479 che si trattava di rane esaminate in inverno, in stagione, cioè, in cui la rigenerazione epiteliare deve essere minima. Anche nelle rane, adunque, si conferma che le cellule cali- ciformi non sono il prodotto di una trasformazione, di una de- generazione delle comuni cellule epiteliari, come Paneth ed altri vorrebbero. Le loro forme giovani si distinguono per aver già una costituzione, un contenuto specifico. Epitelio muciparo dello stomaco del cane. Trattando della struttura delle ghiandole rettali del cane io ho messo in rilievo, come esse siano particolarmente favorevoli allo studio dello sviluppo delle cellule mucipare ed alla dimo- strazione del fatto, che queste ultime sono elementi ben carat- terizzati fino dal principio della loro vita, giacchè esse possono contener muco, ed essere, così, differenziate specificamente quando ancora stanno moltiplicandosi per cariocinesi. A meglio confermare questo fatto ho pensato bene di isti- tuire delle osservazioni sulla mucosa dello stomaco dello stesso animale, ove le condizioni dello studio dovevano essere ancora più favorevoli che nel retto. Infatti, nello stomaco (superficie li- bera della mucosa, e fossette gastriche) oltre all’aversi una vi- vace rigenerazione dell’epitelio di rivestimento, si ha anche il van- taggio che l’epitelio stesso è tutto costituito di cellule mucipare, sicchè c’era da aspettarsi che le mitosi mucose vi si dovessero trovare in gran numero. Ho incominciate le mie indagini dalla porzione pilorica, dove, essendo le fossette gastriche più profonde, l’epitelio muciparo è più sviluppato; per ciò mi pareva dovesse riuscire più facile se- guire lo sviluppo de’ suoi elementi. Ma nella regione pilorica non si ottengono colla safranina e coll’ematossilina quelle colorazioni brillanti che sono necessarie per riconoscere con sicurezza i più piccoli ammassi di muco contenuti negli elementi cellulari. Do- vetti, quindi, rivolgermi al fondo dello stomaco; e qui ottenni risultati che mi hanno pienamente soddisfatto. Come è noto, le ghiandole del fondo gastrico non sboccano direttamente alla superficie della mucosa; esse, quando sono vi- cine allo sbocco, si assottigliano alquanto (costituendo così il co/- letto ghiandolare, Driisenhals di Heidenhain) e svuotano il loro 480 G BIZZOZERO secreto in quelli infossamenti della mucosa che prendono il nome di fossette gastriche. Ora, il rapporto fra i colletti ghiandolari e le fossette mi pare non sia stato esattamente descritto e disegnato dagli osser- vatori; del che non dobbiamo meravigliarci, considerando che in questa parte della mucosa i tubuli ghiandolari sono assai numerosi e tortuosi, sicchè nella sezione microscopica difficile è seguirli di- stintamente per un certo tratto del loro decorso. — Di solito si ammette che i colletti ghiandolari vadano singolarmente a metter capo nel fondo della fossetta. Ne’ miei preparati, invece, io os- servai assai di frequente (fig. 7*) che a variabile, ma generalmente breve distanza dalla fossetta (fig. 7% I), i colletti di due ghiandole (fig. 7% III) vicine si fondono in un condotto unico (fig. 7% II) e un po’ più grosso, il quale, poi, va effettivamente a metter capo al fondo della fossetta. Questi brevi condotti, adunque, mettono in rapporto le ghian- dole colla fossetta, epperò io li chiamo dotti collettori. Siccome al fondo di ogni fossetta troviamo gli sbocchi di tre o quattro dotti collettori, e siccome ognuno di questi, come dissi, a breve distanza si biforca e dà origine a due ghiandole gastriche, così ne deriva che ad ogni fossetta corrispondono 6-8 ghiandole; del che possiamo persuaderci tanto studiando dalle sezioni verticali, quanto confrontando fra loro delle sezioni orizzontali della mucosa fatte in serie. Non considero qui quelle altre biforcazioni delle ghiandole che talora si osservano in parti più profonde della mucosa. Riguardo all’epitelio che riveste queste diverse parti, si posson distinguere con Heidenhain, venendo dal profondo alla superficie: 1° l’epitelio ghiandolare; 2° l’epitelio del colletto, che, succe- dendo al precedente, effettivamente occupa quasi tutto il colletto ; 3° l’epitelio cilindrico, che occupa il resto del colletto, e s’in- nalza fino a rivestire la superficie libera della mucosa. I limiti fia l'una e l’altra specie di epitelio non sono costanti. Ciò vale specialmente per l’epitelio cilindrico, il quale, come già aveva osservato Heidenhain (1 c., p. 371), s'inoltra ora più, ora meno profondamente nei colletti ghiandolari. Epitelio ghiandolare. — È costituito da quelle due specie di cellule che vennero rese note dalle ricerche di Heidenhain e di Rollett, cioè dalle cellule principali (Hauptzellen) o adelomorfe, e dalle cellule di rivestimento (Belegzellen) o delomorfe. Non mi . dilungo a descriverle, non avendo nulla da aggiungere a quanto ne hanno scritto i due sovracitati, e gli altri più recenti osservatori. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 481 Epitelio del colletto ghiandolare. — La sua forma fu, invece, oggetto di controversia, giacchè Rollet lo descrisse costituito sol- tanto da Belegzellen diventate assai numerose, e quindi disposte l'una contro l’altra, mentre Heidenhain vide disposte fra di esse anche delle cellule principali. L'osservazione di Heidenhain venne confermata dagli osservatori posteriori, come da Jukes, e special- mente da Stòhr. Mi sembra, però, che la descrizione che ne dà quest'ultimo sia meno esatta di quella che ne aveva dato Hei- denhain 12 anni prima. Infatti Stohr (Arch. f. m. Anat. vol. 20) asserisce che nel colletto le cellule principali non di rado asso- migliano assai a quelle di rivestimento, e se ne distinguono sol- tanto pel « dunkleren Aussehen » di queste ultime (1. c. p. 226), mentre Heidenhain serive che su buone sezioni trasversali le cel- lule principali appaiono « als sehr kleine kegelfòrmige Zellen, mit der breiten Basis der Wand aufsitzend, mit der Spitze das Driisen-Lumen erreichend. Sie besitzen einen granulirten, mitunter leicht gefàirbten Inbalt, und einen der Basis nahe geriickten, schwach tingirten Kern. » Ecco come, secondo le mie osservazioni, starebbero le cose. L'epitelio del colletto contiene effettivamente, oltre alle cellule di rivestimento, anche delle cellule principali, le quali, com- presse come sono dalle prime (che sono così numerose nel colletto) presentano forme assai svariate; sicchè hanno forma, ora, come le descrisse Heidenhain, di piramide colla base alla periferia, ora, invece, di piramide colle base all’interno, ora di cilindro e così via. Esse (fig. 8* 8), paragonate colle corrispon- denti cellule principali del corpo della ghiandola (fig. 8% @), presentano però delle differenze riguardanti: 1° la grandezza, poichè sono alquanto più piccole; 2° il protoplasma, infatti nelle cellule del corpo ghiandolare il protoplasma (sia nei preparati induriti in alcool, e colorati colla safranina, coll’azzurro di me- tilene (fig. 8) o coll’ematossilina, sia in quelli induriti in liquido di Hermann e poi colorati colla safranina) appare sotto la forma di una sostanza chiara, omogenea, attraversata da un reticolo a trabecole piuttosto grosse e intensamente colorate; mentre nelle corrispondenti cellule del colletto le trabecole diventano sempre più sottili e meno colorabili; 3° il nucleo, che nelle cellule delle ghiandole è piuttosto rotondeggiante e collocato il più delle volte ad un po’ di distanza dalla base delle cellule, mentre in quelle del colletto è schiacciato contro la base cellulare, e vi acquista, quindi, la forma di una ciotola. 482 G. BIZZOZERO Queste modificazioni, verificantisi nelle cellule principali quando passano dal corpo della ghiandola nel rispettivo colletto (fig. 8°), hanno luogo gradatamente. Ciò si può accertare scegliendo per l'esame delle ghiandole il cui colletto sia povero in cellule di rivestimento; giacchè, nel caso contrario, queste ultime, col loro corpo grosso e granuloso, interrompono ad ogni tratto la serie delle cellule principali, le nascondono in parte alla vista, e ren- dono difficile lo studiarne i caratteri. Riassumendo, l’epitelio del colletto si distingue da quello della ghiandola: 1° perchè le cellule di rivestimento vi sono più numerose; 2° perchè le cellule principali vi si fanno gradatamente più piccole, a protoplasma più chiaro, ed a nucleo fortemente schiacciato alla base dell’elemento. Epitelio cilindrico. — A riguardo di questo è, innanzi tutto, da ricordare una particolarità primamente messa in luce da Hei- denhain, e consistente in questo, che nella zona rivestita da epitelio cilindrico si trovano ancora tratto tratto delle cellule di rivestimento (fig. 6% e, d, e), le quali arrivano così fino nell’epi- telio della superficie libera della mucosa. Il loro numero varia notevolmente da un animale all’altro, e diminuisce gradatamente man mano si va dal profondo verso la superficie della mucosa. Come già venne notato dagli osservatori che si occuparono di questo argomento, le cellule cilindriche non hanno tutte lo stesso aspetto; esse si modificano notevolmente procedendo dal profondo (cioè dove confinano coll’epitelio del colletto) verso le fossette gastriche. Nei colletti (fig. 7% a), nei dotti collettori (fi- gura 6* c) cominciano come cellule piuttosto corte, a protoplasma granuloso. Andando verso la superficie della mucosa diventano più lunghe (fig. 6° d) e la parte interna del corpo cellulare ac- quista aspetto più omogeneo. Queste differenze accennano ad una evoluzione degli elementi cellulari che è collegata colla loro fun- zione di secernere muco. Ciò si mette in piena evidenza nei pezzi induriti in liquido di Hermann, nei quali il muco sia stato intensamente colorato colla ematossilina (fig. 6%). In essi io ho potuto accertare che le cellule cilindriche tappezzanti i dotti collettori, ed eziandio quelle che stanno, più in basso, in immediata vicinanza delle cellule principali dei colletti, non hanno tutto il loro corpo di ‘natura protoplasmatica, come vorrebbero alcuni, p. es. Trin- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 483 kler (1); poichè in corrispondenza della loro estremità libera esse contengono giù un piccolissimo blocco di muco (fig. 6 c). Man mano che si avvicinano alle fossette, la quantità del muco va aumentando. Finchè nelle fossette (fig. 6“ d) il blocco mucoso occupa la metà, o più della metà, del corpo cellulare ; ed a questo modo si continua in tutte le cellule della superficie libera della mucosa. Quanto al loro nucleo, si può facilmente confermare l’as- serzione di Moschner (Inaug.-Diss., Breslau 1885, pag. 17) che esso ha forma ovale, ed è disposto nel senso dell'asse mag- giore della cellula, e ad una certa distanza dalla base di questa Ed ora veniamo alle mitosi. l Le mitosi nell’animale adulto sono estremamente rare nel- l’epitelio ghiandolare (2). Rarissime sono pure nell’epitelio del colletto: quella che ho disegnato nella fig. 6° d era in quella parte del colletto che immediatamente confinava coll’epitelio cilindrico. Fra le cellule cilindriche dei colletti e dei dotti collettori , invece, le mitosi sono frequentissime. Del pari frequentissime sono nell’epitelio della parte profonda delle fossette; non è raro ve- dere delle sezioni trasverse di fossette che, in questa regione, conteng no ciascuna 3-4 e più mitosi, ad onta che la sezione non abbia che 5-10 p. di spessore. Venendo più in su, le mi- tosi vanno rapidamente diminuendo; sono rare nel terzo medio delle fossette, mancano nel terzo superiore. Quanto alla natura delle mitosi, quelle che stanno fra le cel- lule principali del colletto (fig. 6% 2) mi apparvero sempre di natura prettamente protoplasmatica. La sostanza corticale della cellula appare finamente granulosa; la parte centrale è chiara, omogenea, e soltanto attraversata da qualche filamento granuloso. Invece nell’epitelio cilindrico tappezzante la parte superiore dei colletti ed i dotti collettori, fra le mitosi protoplasmatiche se ne notano altre, e non poche, che contengono un piccolo blocco di sostanza mucosa. Ciò si dimostra con piena chiarezza nei pre- parati induriti nel liquido di Hermann e colorati con safranina ed ematossilina (fig. 6* c): il blocchetto di muco, collocato sempre nella parte superficiale della cellula, appare di color violetto, a lato del nucleo in mitosi colorato intensamente in rosso. (4) TRINKLER. Arch. f. mikr. Anat. XXV, p. 200, 1885. (2) Bizzozero e Vassare. Virch. Arch., vol. 110, p, 165, 484 G. BIZZOZERO Nel fondo delle fossette, poi, le mitosi contenenti sostanza mucosa (fig. 6° d) si possono dire predominanti per numero sulle protoplasmatiche; fra esse talora ne vidi alcune che contenevano due blocchetti di muco, l’uno al disopra, l’altro al disotto del nucleo (fig. 6* e). Non occorre aggiungere, che le mitosi sono rappresentate in tutti i loro diversi stadi, quantunque predominino quelle allo stadio di piastra equatoriale. Esse si possono seguire fino alla scissione della cellula, con produzione di due cellule gemelle, che ricor- dano quelle delle ghiandole rettali dello stesso animale. In complesso ,. fra le mitosi mucose delle ghiandole rettali e quelle delle fossette del fondo gastrico del cane ho notato questa differenza, che le prime sono più ricche di sostanza mu- cosa delle seconde; nelle prime il muco occupa quasi tutta la cellula, mentre nelle seconde si limita ad uno, o, al più, a due blocchi ai poli opposti del nucleo scindentesi. La conclusione che si può trarre dai fatti testè descritti non può essere che questa: che l'epitelio muciparo rivestente la su- perficie dello stomaco trae la sua origine da quello che si trova nella parte profonda delle fossette e da qui si approfonda fin nel colletto delle ghiandole gastriche. Infatti: 1° andando dal pro- fondo verso la superficie noi troviamo una evoluzione progressiva degli elementi cilindrici secernenti muco; 2° è soltanto nel pro- fondo che si trovano cellule in mitosi, e, inoltre, queste mitosi, contenendo già muco, si dimostrano effettivamente appartenenti alla classe degli elementi mucipari. Esse sono, poi, così numerose che bastano da sole a spiegare la rigenerazione così attiva del l’epitelio della mucosa gastrica. — Le mitosi del colletto ghiandolare hanno forse qualche rap- porto anche con una rigenerazione degli elementi specifici delle ghiandole gastriche? — Questo quesito venne già posto da altri osservatori, e recentemente Salvioli (1) si mostrò disposto a ri- spondere affermativamente. Nel lavoro che ho fatto con Vassale noi abbiamo notato, che nell’epitelio specifico delle ghiandole del fondo gastrico di vari ani- mali si trovano bensì delle mitosi, ma in numero straordinariamente scarso. Siccome, però, non si hanno cognizioni precise sul grado di stabilità (cioè sulla durata della vita) degli elementi dell’epi- (1) SaLvioLi. Journal de Krause. 1890, Bd, VII, Heft 10. - Atti RAccad.delle Sc. di Torino -VoLXX7 SULLE GHIANDOLEÈ TUBULARI 485 telio specifico, così non si può dire se il numero degli elementi prodotti da queste mitosi basti a sostituire gli elementi che si suppone vadano man mano distruggendosi. Io non ho fatto studi per risolvere questa questione. Debbo, però, notare un fatto che mi sembra favorevole all’ ipotesi di Salvioli, o che, per lo meno, non le è contrario ; il fatto è questo, che nel colletto ghiandolare non c° è limite netto che separi l'epi- telio del colletto da quello cilindrico muciparo. Fra le cellule principali del primo (fig. 7° c) e le cellule cilindriche del se- condo (fig. 7% a) ci sono delle forme intermedie; delle cellule, cioè, in cui i nuclei da schiacciati si fanno rotondeggianti, e poi ovali, mentre le rispettive cellule, non più comprese fra le cel- lule parietali (ormai diventate assai scarse), assumono una forma regolarmente cilindrica, e acquistano un protoplasma finamente gra- nuloso. È a queste cellule che, venendo più in su, seguono degli elementi, che hanno lo stesso aspetto, ma che, pel piccolo blocco di muco che presentano alla loro estremità libera, si dimostrano già appartenenti all’epitelio muciparo. A questo modo si arriverebbe al concetto, che le mitosi che si trovano agli sbocchi delle ghiandole del fondo gastrico abbiano doppio destino: alcune, procedendo verso la superficie della mu- cosa, servirebbero alla rigenerazione dell’epitelio muciparo: altre, andando invece verso il profondo, servirebbero a quella dell’epi- telio specifico. Ma se la loro trasformazione in elementi mucipari è, dopo le mie osservazioni, da considerarsi come certa, altret- tanto non si può dire della loro trasformazione in elementi ghian- dolari specifici. Per giungere a ciò, da una parte si dovrebbe dimostrare che questi ultimi normalmente si distruggono e si rigenerano, dal- l’altra si dovrebbe trovare qualche carattere specifico del proto- plasma che fosse comune tanto alle mitosi quanto a quelli ele- menti specifici nei quali si suppone ch’esse siano per trasformarsi, in modo che non si potesse dubitare dei loro rapporti di pa- rentela. 486 F. SACCO fa SERA è Le zone terziarie di Vernasca e Vigoleno nel Piacentino; Studio geologico del Dott. FEDERICO SACCO Nella vasta regione piacentina, tanto tipica e famosa per lo sviluppo del Pliocene e per la straordinaria ricchezza in fossili che presenta tale terreno, sonvi due zone, relativamente ristrette, le quali hanno una facies litologica e paleontologica alquanto diversa da quella della restante regione terziaria, per modo che i diversi geologi che se ne occuparono, specialmente Doderlein, Pantanelli, Taramelli, Trabucco, Toldo, ecc., ebbero ad emet- tere al riguardo opinioni assai svariate, spesso fra loro contrad- ditorie, nè si venne finora ad un accordo al riguardo. Tali zone trovansi nei dintorni dell'elevato paesello di Vernasca e del mi- rabile castello di Vigoleno. In questi ultimi anni facendo il rilevamento geologico del- l'Appennino settentrionale (1) ebbi pure ad esaminare le regioni sovraccennate, ed essendomi sembrata abbastanza chiara la loro interpretazione stratigrafica, parmi opportuno di presentare al riguardo una breve nota speciale, corroborata da una carta geo- logica in grande scala, esponendo sinteticamente il mio modo di vedere, senza però entrare in minute discussioni, che trar- rebbero facilmente alla polemica, al che l'argomento in esame sì presterebbe troppo bene. Cretaceo. In un lavoro speciale (2) ebbi già a sviluppare il concetto che la complessa formazione appenninica indicata col nome com- (4) F. Saccò, L’Appennino settentrionale, (parte centrale) — Carta geo- logica alla scala di 1:100000, 1891. — Studio geologico. Boll. Soc. geol. ital., con 2 tavole vol. X, 1891 (2) F. Sacco, L’ige des formations ophiohtiques résentes. Mém. Soc. belg e féol., Paléont. ete., tom. V, 1891, LE ZONE TERZIARIE DI VERNASCA E VIGOLENO 487 * preensivo di ysch, Liguriano, Etrurico, Modenese, ecc., e considerata finora come eocenica, sia invece da scindersi in due serie distinte, una inferiore potentissima (costituita di Arenarie (Macigno), Calcari Alberesi, Argilloschisti, Argille scagliose, Ga- lestri, Schisti diasprigni, ecc., con lenti ofialitiche) attribuibile al Cretaceo, ed una superiore, meno potente (rappresentata da calcari marnosi) a Fucoidi (schisti marnoso-argillosi, ecc.), rife- ribile all’Eocene, specialmente al Parisiano. Tale ipotesi, basata su numerosi fatti litologici, stratigrafici e paleontologici, venne poi maggiormente svolta nel sovraccennato lavoro speciale sull'Appennino settentrionale. Nella limitata regione di cui vogliamo ora occuparci pre- sentasi sviluppatissima la formazione cretacea, rappresentata spe- cialmente da argilloschisti e da argille scagliose brunastre o violacescenti, talora rossiccie, come sul fianco settentrionale del M. Sirgallina, tra i Baroni e €. Riotto in Valle Ongina, nella vallecola sotto i Magrini, in molti punti di Val Stirone, spe- cialmente sul suo lato sinistro tra il Pianazzo, la Villa ed il Gruppo, nonchè tra Predera e gli Albarelli, ecc. Tra le argille scagliose abbondano pure gli straterelli arenacei ed arenaceo- calcarei, e non sono rare le lenti ofialitiche come a Pietra Nera, in Val Reccola, a monte ed a valle del Pianazzo, ecc., ecc. La stratigrafia della formazione cretacea è alquanto contur- bata, ma in complesso sembra costituire una antichinale coll’asse diretto ad un dipresso da Vernasca a C. Mezzone. Parisiano. A questo terreno, sviluppatissimo e potentissimo poco più a Sud, appartengono soltanto, nell'area in esame, alcuni lembi di calcari marnosi bianchicci e di marne grigiastre friabili a Sud di Vernasca, veri lembi staccati, residui della prossima estesa for- mazione parisiana di M. Burgazzi. Messiniano. Sopra all’estesa e potentissima formazione cretacea che sì abbassa gradatamente a *Nord, si sviluppano ampiamente nel Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 36 488 F. SACCO bi Piacentino i terreni pliocenici tipici litologicamente e paleonto- logicamente. Ma alla loro base compaiono qua e là speciali zone sabbioso-arenacee. talora ghiaioso-conglomeratiche, le quali sono senza dubbio attribuibili al Messiniano, terreno il quale con facies simile sviluppasi estesamente ad Ovest nel Pavese e ad Est nel Parmense; d’altronde esso deve pure esistere lungo le falde appenniniche del Piacentino, solo che fu generalmente ri- coperto e mascherato dai terreni pliocenici e quaternari, appa- rendo soltanto in pochi punti sul margine della zona pliocenica. Sotto Vernasca, verso Val d'Arda, compaiono sotto al terreno pliocenico alcuni banchi messiniani sabbioso-arenacei, grigio-gial- lastri, inglobanti irregolarmente lenti ciottolose od anche pseudo- brecciose, talora ad elementi abbastanza notevoli; il tutto si presenta quasi orizzontale o con leggiera pendenza a N. E. od a Nord circa. Tale zona è anche riconoscibile in parte oro- graficamente per costituire una specie di gradino nella sua parte terminale. In Valle Ongina riaffiorra un altro piccolo lembo messinzano, arenaceo-ciottoloso, al termine della discesa della strada di Ver- nasca; ed una zona più estesa sviluppasi a S.S.E. della C. Riotto, colla solita facies di banchi sabbioso-ciottolosi, grigio-giallastri, leggermente inclinati a N.N.E. Ma i più estesi ed interessanti lembi messiniani appaiono nelle colline di Vigoleno ad Est ed Ovest di questo paese. In- fatti, ad un dipresso tra le borgate dei Becchi, dei Bandiera e dei Magrini, sviluppasi una zona di marne, sabbie ed arenarie grigiastre o giallognole, che comprendono strati assai ricchi in fossili marini, ed inglobano inoltre due tipiche lenti di gesso, utilizzate industrialmente; tettonicamente questa zona sembra co- stituire una leggiera conca, aperta forse verso N. E., poichè mentre i suoi strati pendono per lo più a N.E. presso i Ma- grini ed a N.0. presso i Bandiera, invece le marne sabbiose assai fossilifere dei. Gorghera inclinano talora dolcemente verso Sud-Est. I fossili sono marini, in parte però alquanto frantumati; nel complesso s’accordano specialmente colla forma piacenziana, ma sonvi pure alcune forme tortoniane. Quanto ai Gessi in questione è noto come alcuni geologi li attribuiscano alla formazione delle argille scagliose; io invece non dubito che appartengano al vero e tipico Messiniano. LE ZONE TERZIARIE DI VERNASCA E VIGOLENO 489 Ad Est di Vigoleno riappaiono le marne calcaree, le sabbie e le arenarie grigio-giallastre del Messiniano, tra la Predera ed i Pelorsi, inclinando quivi specialmente a N.N.0. Piacenziano. È a tatti noto lo sviluppo, la costituzione, la potenza e la straordinaria ricchezza in fossili che presenta il Pliocene infe- riore nel subappennino piacentino, tanto che ne ricevette il nome. La formazione piacenziana è costituita da una serie di strati marnosi grigio-bleuastri, talora più o meno sabbiosi, quasi oriz- zontali o inclinati solo di 2° a 6° circa verso il Nord con oscillazione a N.0. od a N.E.: il suo spessore visibile è talora di oltre 150 m., ma è probabile che verso valle esso sia molto più forte. Questo terreno nella sua parte superiore, di passaggio all’Astiano, diventa sempre più sabbioso, più grigio-giallastro, passando gradualmente alle sabbie gialle astiane, come vedesi per esempio sopra Lugagnano, al M. La Ciocca, ecc.; ma nelle sue propaggini più meridionali, più entroappenniniche direi, il Piacenziano superiore diventa in gran parte arenaceo, giallastro, talora anche localmente ghiaioso-ciottoloso, solo più con qualche letto grigio-bleuastro sabbioso-marnoso, cioè assume quasi com- pletamente la facies astiana; ne risulta quindi una incertezza nella distinzione tra il Pliocene inferiore ed il superiore. Con> siderando però che trattasi di lembi quasi entroappenninici e che rappresentano quindi l’estremità meridionale di golfi plioce- nici, per modo che anche durante il periodo piacenziano dovevano essere essi quivi poco profondi e sublittoranei, ne risulta che sembra più logico attribuire questi banchi sabbioso-arenacei gial- lastri al Piacenziano, piuttosto che non all’Astiano, a cui sa- rebbero certamente riferibili a primo tratto. Tale zona intermedia appare già nel promontorio, direi, di Vernasca; ma sviluppasi poi complessivamente nelle colline di Vigoleno, dove inoltre si presenta straordinariamente ricca in fossili, specialmente nella valletta che separa il promontorio su cui sta il paese di Vigoleno dalla restante massa collinosa a Nord, nonchè ai Varani, verso i Bandiera, ecc. ecc.; i fossili sono particolarmente abbondanti nella metà inferiore della so- vraccennata zona arenacea del Piacenziano, dove sono pure fre- quenti le sorgenti acquee. 490 F. SACCO È a notarsi come i fossili del Piacenziano di Vigoleno per quanto abbiano una facies complessivamente pliocenica, presen- tino tuttavia alcune forme che sono piuttosto comuni nel 7'or- toniano, tanto che alcuni autori vorrebbero parallelizzare questi terreni al Zortoniano, ciò che non credo accettabile. Siccome però nelle colline di Vigoleno non soltanto il Pia- cenziano ma anche il Messiniano racchiude fossili marini, non è a stupirsi che in queste regioni si incontrino anche fossili che ricordauo la fauna miocenica. Nel profondo burrone che esiste tra i Vassalli ed i Forna- sari, è messa stupendamente a nudo l’intiera serie pliocenica, la quale vi si presenta in gran parte sabbioso-arenacea, con in- terstrati marnosi: non sarebbe poi improbabile che la parte in- feriore di questa serie dovesse già riferirsi al Messiniano, come l’indicherebbe la natura sabbiosa di questi terreni inferiori, ma non potei ancora trovare un fatto indiscutibile per sciogliere tale questione. Quanto alla stratigrafia delle pliocene del colline di Vigo- leno è notevole che quivi esso costituisce una specie di leggiera conca o di seno locale, giacchè mentre sul lato meridionale gli strati pendono regolarmente di pochi gradi a Nord circa, invece sul fianco occidentale essi inclinano piuttosto verso Est o S.E., e sul lato settentrionale i banchi presentano una pendenza bensì a N.E. in generale, ma mostransi anche suborizzontali o leg- germente inclinati a Sud. D'altronde tale conca è già accennata dal fatto della zona cretacea che affiora ad un dipresso lungo la linea Magrini-Fornasari, staccando così la zona messinzana da quella pliocenica. Astiano. Il Pliocene superiore, o Astiano, presenta in tutto il pia- centino la solita, caratteristica facies di sabbie ed arenarie gial- lastre, talora giallo-rossiccie, spesso riccamente fossilifere, spe- cialmente nella sua parte basale, di passaggio al Piacenziano inferiore. Nelle regioni in esame, specialmente nelle colline di Vigoleno, l’Astiano parrebbe assai sviluppato se ci fondiamo solo sulla facies complessiva: ma secondo le considerazioni sopraesposte, credo più logico limitare tale orizzonte ai più elevati banchi LE ZONE TERZIARIE DI VERNASCA E VIGOLENO 491 arenacei, giallastri, compatti, i quali rappresentano i lembi stac- cati di un velo astiano assai più esteso in origine, dovendosi esso collegare alle formazioni astiane che sviluppansi ampia- mente più a Nord; tali lembi residui debbono in parte la loro conservazione appunto alla loro speciale compattezza e resistenza all’erosione, nonchè, per la zona di Vigoleno, alla speciale con- fisurazioue a seno o conca che qui sì verifica. È notevole osservare che l’Astiano di Vigoleno si spinge sin quasi a 480 metri sul livello del mare, ciò che, tenuto conto di quanto dovette certamente essere esportato, ci conduce ad ammettere per la regione subappennina in esame, un solleva- mento di oltre 500 metri, dalla fine dell’epoca pliocenica al giorno d’oggi. Terrazziano. Le formazioni diluviali del Sahariano sviluppansi poco a Nord dell’area in esame. Durante il periodo ferrazziano le acque erosero ampiamente ed incisero profondissimamente tutti i terreni, specialmente i pliocenici, lasciando solo più come residuo un sottile deposito alluvionale che ricopre il fondo delle valli. Il quantitativo di erosione fatta dalle acque durante il solo periodo terrazziano si può valutare in alcune regioni ad oltre 200, 250 metri, come per esempio in Val d'Arda presso Lugagnano ed altrove. CONCLUSIONE. Dal sovraesposto possiamo concludere quanto segue: 1° Nelle zone terziarie di Vernasca e di Vigoleno non ap- pare nè il Langhiano, nè VElveziano, nè il Tortoniano, come è ritenuto da alcuni autori, ma solo il Messiniano ed il Pliocene. 2° Le lenti gessifere di Vigoleno non fanno parte della formazione delle argille scagliose, come è ammesso da taluno, ma appartengono certamente al Messiniano. 8° Le zone terziarie in questione, rappresentando residui di golfi protesi entro la regione appenninica, presentano già nel Piacenziano superiore la facies sabbiosc-arenacea, giallastra, littoranea, che è generalmente caratteristica invece dell’ Astiano, al quale d’altronde forma graduale passaggio. 492 F. SACCO — LE ZONE TERZIARIE DI VERNASCA ECC. 4° La regione esaminata presenta in complesso la seguente costituzione geologica : Terrazziano — Alluvione del fondo delle valli. Astiano — Strati e banchi sabbioso-arenacei, giallastri, talora fossiliferi. / / Straterelli sabbioso-marnosi, grigi, spesso fos- siliferi. Strati e banchi sabbiosi, o arenacei, o marnosi alternati, giallastri, qua e là fossiliferi. Alternanza più volte ripetuta di banchi sab- bioso-arenacei giallastri, con sabbie mar- nose grigie, ricchissime in fossili. Superiore Piacenziano < Talora banchi arenaceo-calcari a Lithotham- nium, Pecten, ecc. Inferiore - Potente zona di marne, talora sabbiose verso l’alto, azzurro-grigiastre, inglobanti nu- merosi fossili ben conservati. Messiniano — Banchi sabbiosi ed arenacei, grigio-giallastri, con fossili marini. Sabbie, arenarie e marne grigio-giallastre con zone o lenti ghiaiose, ciottolose o brecciose, nonchè con qualche lente di gesso. Parisiano — Calcari marnosi biancastri, marne grigiastre, ecc. Cretaceo — Argillo-schisti, argille scagliose e galestri, a tinta bruna o violacescente o rossiccia, con interstrati arenacei e calcarei, e con lenti ofiolitiche sparse qua e là. ti RAccad. delle Sc. di Torino — Fo£ AH (4 " (| 7) ii " n, \W i ) TT | SS gm lr TESTI ‘7 È Lit. Salussolia - Torino Dan - x ot A d Ru : d e la 5 2 a Ù SÌ ji x dI È pre A ANIYIÙÙI )) 11/0584 RS ì \ Li 4} n: 4 \ Più Ò NUCA DÒ 5 07. (ee QUÌ Nd Z Feperico Sacco - Le zone terziarie di Vernasca e Vigoleno nel Piacentino Alli RAccad. delle Sc. di Torino — /oLAIY ZA een VII MRESA ta EZÌ Lit. Salussolta -Torino Secondario Terziario Quaternario Cretaceo Parisiano Messiniano Piacenziano Asliano Terrazziano c fiolitiche corn aa con lenti of.o conlenti gessose 2rarnoso —arezaceo Scala dt [25000 - Equidistanza fra le curve orizzontali meli Jia) Un nuovo apparato per misurare basi topografiche ; Nota del Prof, NICODEMO JADANZA Per le basi topografiche, non essendo necessaria quella pre- cisione che si richiede nelle basi geodetiche, sono stati immagi- nati apparati di misura molto semplici, consistenti per lo più in aste di abete che si succedono in linea retta lungo la traccia già segnata sul terreno. Gl’intervalli compresi fra due aste successive si sogliono misurare o mediante i così detti compassi di spessore, 0 mediante linguette graduate annesse alle medesime aste di misura. Col nuovo apparato, che qui presentiamo, vogliamo intro- durre in topografia il metodo adoperato primieramente dal Porro (*) consistente in un’asta graduata alle due estremità con cui si mi- sura l'intervallo tra gli assi di microscopi già disposti nel piano verticale passante per la verticale di uno degli estremi della base e per l’altro. Esso consiste essenzialmente delle parti seguenti. L’asta di misura. L'asta di misura è di abete, della lunghezza di circa 4",20 ed ha per sua sezione trasversale quella indicata dalla fig. 1°. Essa, come vedesi, consta di cinque listelli eguali uniti insieme con colla e viti e collegate ancora da costole interne alla distanza di 1'". Gli appoggi 1 e II che sostengono l’asta consistono in due perni terminati a calotta sferica che entrano nell’interno del vano cen- trale e vanno contro la tavola supe- riore. L’accorciamento prodotto dalla flessione per il peso pro- prio è affatto trascurabile, non raggiungendo il millesimo del Fig. 12 —0,05- x aY (*) Vedi nota in fine. 494 N. JADANZA millimetro. Il peso dell’asta è di 8 chilogrammi. La distanza / dei due appoggi I e II è calcolata per mezzo della formola: l — =0,55938 (* 7=0,55938 (*) in cui L è la lunghezza dell’asta. La fig. 2° mostra in proiezione orizzontale la faccia supe- riore dell’asta ora descritta. Fig. 22 Essa porta ai due estremi due lastre metalliche d, c (fig. 3* e 4*), ciascuna della lunghezza di 10 centimetri. Esse sono divise in millimetri e numerate, ei dal loro punto medio ed 0° 0} 0E OZ 0 0 0 07 0E 07 05 in direzioni opposte ogni 6 {opinion fingono = 10 millimetri. 9 Lo zero trovasi adun- que nel mezzo di cia- Fig. 42 scuna lastra. Sulle lastre o trovasi il segno + o il Simi e SEO — dirimpetto a 50 40 30 20 0 0 1 20 30 40 50 ciascun numero di die- cine di millimetri ; il se- gno + si trova su quella parte della graduazione che è verso l’estremo dell’asta, il segno — sulla parte opposta. =D Tre altre lastrine come quella rappresentata g. 5 9 a D, dalla fig. 5* si trovano sulla faccia superiore alla Sim distanza di un metro l’una dall’altra; la parte gra- Lea duata di tali lastrine è della lunghezza di un centi- metro ed è divisa in millimetri a destra ed a sinistra della linea centrale. Esse servono alla campionatura dell'asta. Per lunghezza normale dell’asta di misura s’intende la di- stanza compresa fra gli zeri delle due lastre d, e; codesta lun- ghezza sarà indicata con L. (*) Cfr. Travaux et memoires du Bureau international des poids et me- sures, Tom. VII, pag. 367. La sezione trasversale dell’asta di misura ci fu suggerita dall’ egregio Prof. C, Gurpi. NUOVO APPARATO PER MISURARE BASI TOPOGRAFICHE 4 Ne) Ue Il cannocchiale microscopio. Per fare le letture delle divisioni che trovansi agli estremi dell’asta di misura, si adopera il P/esiotelescopio (cannocchiale microscopio) mediante il quale si possono osservare oggetti a distanza variabile da zero all'infinito dell’obbiettivo del mede- simo. La parte esterna di esso, come vedesi nelle fig. 6* e 74. ic a Fig. 6 SN DS S N consta di un basamento B con tre viti V, il quale porta nel suo centro il cannocchiale C e la livella A. Codesto cannocchiale "a 4 496 N. JADANZA può girare intorno al suo asse verticale e per questo serve il piccolo manubrio p (fig. 7%). La livella A serve per disporre verticalmente il cannocchiale CO; per facilitare tale disposizione sulla parte superiore del basamento 5, vi sono degli intagli che distano di 90° l'uno dall’altro. La parte ottica consiste essenzialmente in un cannocchiale astronomico, nel quale al secondo fuoco dell’obbiettivo si è posta una seconda lente N la cui distanza focale sia minore della di- stanza focale dell’obbiettivo M. Indicando con ®, la distanza fo- cale dell’obbiettivo M e con %, quella della lente N situata alla distanza A=g, dall’obbiettivo, la distanza focale o dell’obbiet- tivo composto delle due lenti M ed N sarà uguale a 9,. Si comprende facilmente come codesto strumento possa ser- vire alla visione di oggetti lontani e vicinissimi Quando l’oggetto che si guarda trovasi a distanza grandis- sima (infinita), sull’obbiettivo M arrivano paralleli i raggi lu- minosi emanati dai punti dell’oggetto; la immagine di esso adunque | sì forma al secondo fuoco della lente 1, cioè sulla lente N, la NUOVO APPARATO PER MISURARE BASI TOPOGRAFICHE 497 quale, essendo di spessore trascurabile (infinitamente sottile), non porterà alcuna alterazione su detta immagine e quindi, mediante l’oculare O, si guarderà la medesima allo stesso modo come se la lente N non esistesse. Se l'oggetto si avvicina accostandosi al fuoco anteriore della lente M, la immagine data da questa tende ad allontanarsi sempre più dal suo secondo fuoco. La lente N impedisce tale allonta- namento e ne dà un'immagine reale situata tra N ed il 2° fuoco di questa. Quando l’oggetto si trova nel fuoco anteriore della lente M, questa emetterà paralleli i raggi luminosi emanati dai diversi punti dell’oggetto. Codesti raggi paralleli incontrando la lente N° andranno a formare la immagine dell’oggetto nel secondo fuoco di essa. Se l'oggetto si avvicina ancora e si trova al vertice dell’ob- biettivo 2, questa lente non avrà azione su di esso e quindi la sua immagine si troverà nel coniugato del vertice della lente M rispetto alla lente N. Si può fare in modo che questo punto coniugato del vertice della faccia anteriore della lente M, non cada troppo lontano dalla lente N, e questa condizione determina la distanza focale di essa lente. Volendo che la immagine della faccia anteriore della lente M si trovi ad una distanza assegnata dalla lente N, per es.. ad una distanza uguale a Shy la distanza focale ©, della lente 1) i N si determinerà mediante la equazione: 1 1 1 se Did dla i eb n d’onde 5 Mes 1 da E] Nel nostro caso abbiamo dato ad n, ©,, 0, i seguenti va- lori numerici : gp, =0",20 pe to; gg=0",071: L’oculare poi è ortoscopico di distanza focale uguale a 0”",012, 498 N. JADANZA Il reticolo del cannocchiale è composto di due soli fili per- pendicolari tra loro; nell'istante della lettura uno di essi sì di- spone parallelamente alle divisioni che si trovano sulle lastrine b e ce si stimeranno ad occhio i decimi di millimetro. Per eliminare l'errore dovuto alla non verticalità dell’asse ottico, ciascuna lettura si farà due volte prima e dopo una ro- tazione di 180° del cannocchiale C intorno al proprio asse; la semisomma delle due letture, che chiameremo coniugate, sarà quella che corrisponde all'asse ottico verticale Nel campo del cannocchiale si vedono distintamente i segui + e — che tro- vansi sulle lastrine d, c; ciascuna lettura deve essere preceduta dal segno conveniente. Rilevamento del punto a terra. A principio ed alla fine della misura, diventa necessario tro- vare la distanza di uno degli estremi della base dall’ asse del microscopio più vicino. Per questo vi è una lastrina metallica della lunghezza di dieci centimetri divisa anche essa in millimetri e numerata di 10 in 10 millimetri da 0" a 100". La linea segnata 50 è più lunga delle altre e traversa in tutta la lar- ghezza la lastrina; essa può mettersi in coincidenza del punto che segna uno degli estremi, ed uno dei lati più lunghi di essa può mettersi nella direzione della traccia della base, facendo che il 100 vada verso l'estremo più lontano. Indicando con # la media delle due letture fatte prima e dopo la rotazione di 180° del cannocchiale, la quantità #—50 indicherà la distanza del punto fisso a terra dall’asse del microscopio. Codesta distanza, secondo che sarà positiva o negativa, indicherà che l’asse del microscopio trovasi tra gli estremi della base ovvero fuori. La stessa operazione dovrà farsi quando, per una ragione qualunque, convenga sospendere il lavoro. In tal caso, posto un picchetto a terra con sopra una lastra metallica nel mezzo della quale vi sieno due linee ortogonali, sì determinerà, come si è detto poc'anzi, la distanza del punto d’intersezione delle due linee ora dette dall’asse del microscopio più vicino. Quando si vuol proseguire il lavoro si procederà come quando si è cominciato, ritenendo il punto a terra come uno degli estremi. NUOVO APPARATO PER MISURARE BASI TOPOGRAFICHRE 499 Livella. Sostegni dell’asta di misura ed altri accessori. È molto conveniente che l’asta di misura sia posta in po- sizione orizzontale prima di fare le letture ai suoi estremi. A tale scopo serve la livella che si mette nel mezzo dell’asta. I sostegni di questa sono fatti in modo da potere, per mezzo di un manubrio, avere due movimenti, uno in direzione normale alla base, l’altro in altezza. I sostegni dei plesiotelescopi sono treppiedi comuni, uno di essi è rappresentato dalla fig. 8%, la quale fa vedere anche come è situata l'asta di misura. | Fig. 8? ZZZ Ye ISI = = = === € I == = PESSIMA (1, SÒ LT —- = Pe" =, =" == - = 25 AIEÎ Un’asta di misura della lunghezza di 4",20. N° 3 plesiotelescopi coi relativi treppiedì. N° 3 sostegni per l'asta. Una livella. Un piechetto per il punto a terra (*). Metodo pratico per misurare una base topografica. Dopo avere scelto gli estremi B e C della base da misu- rarsì, si fissino in modo stabile sul terreno, p. es. con due massi di pietra o con due grossi picchetti in legno, le cui faccie su- periori siano spianate ed orizzontali. Sarà bene nel mezzo di co- (*) In pratica è meglio aver 5 plesiotelescopi; riuscirà così più spedita la misura della base, 500 N. JADANZA teste faccie (quando fosse necessario conservare gli estremi) in- castrare due lastre metalliche su ciascuna delle quali sieno segnate due linee rette tra loro perpendicolari. La traccia del piano che passa per la verticale di un estremo e per l’altro, può essere segnata sul terreno per mezzo di un teodolite qualunque, o meglio per mezzo di un cordino teso fra i due estremi o fra punti gia- centi sull’allineamento determinato dagli estremi. Si metta il treppiede del plesiotelescopio su di un estremo, p. es., B in modo che l’asse dello strumento si proietti presso a poco sull’allmeamento (ciò è sempre possibile, potendosi, come sì è detto innanzi, con esso guardare oggetti a qualunque di- stanza) e si determini la distanza tra il punto a terra e l’asse del plesiotelescopio mediante due letture coniugate. Indi si di- sponga l’asta di misura sull’ allineamento, e quindi il secondo plesiotelescopio all’altro estremo di essa e sì disponga orizzon- talmente rer mezzo della livella. Dopo ciò due osservatori fa- ranno le letture coniugate sulle lastrine d e e, quindi sì scam- bieranno tra loro e rifaranno le letture sulle medesime lastrine. Si sarà così fatta una portata. I plesiotelescopi, che sono in numero di 3, portano ciascuno su di un braccio del basamento inciso il numero corrispondente 1, 2, 3; codesto numero trovasi anche sulla piattaforma supe- riore del corrispondente treppiede. Essi si possono disporre in precedenza sull’allineamento, e quando si son fatte le letture ai primi due, si può togliere il primo che si metterà in seguito del 8°, intanto che l’asta di misura si farà andare sotto il 2° ed il 5° per fare la seconda portata e così di seguito. Il modello per registrare la lettura potrebbe essere il se- guente : ® 5 Letture Letture | Letture | = sul all'estremo B ; all’estremo € 2 io Media n Media |__| Media || Osservazioni n a terra + | ° I = una, — E 1 2 NUOVO APRARATO PER MISURARE BASI TOPOGRAFICHE 501 Indicando con #?, la media delle letture sul punto a terra fatte all'estremo 2 e con #, la media di quelle fatte all'estremo C'; con d, e c, le medie delle due letture fatte dal medesimo os- servatore sulle lastrine % e ec che trovansi agli estremi dell’asta e corrispondenti alla %°"* portata, si avrà per la lunghezza to- tale 7° della base la formola seguente: / =nL+Y bh + a+ (t,+t,— 100) essendo » il numero delle portate, ed L la lunghezza normale dell'asta di misura. - La campionatura dell’asta sarà bene farla prima e dopo la misura della base, si avranno così due valori di ZL di cui si prenderà la media. Con questo apparecchio abbiamo fatto misurare da alcuni allievi ingegneri una base sul corso Cairoli in vicinanza del Po. Ritenuta la lunghezza normale L dell'asta di misura i RIT come risultò dalla campionatura dell’asta stessa, fatta prima e dopo della misura della base, il risultamento ottenuto fu il se- guente : Andata (da sud a nord). 1° OSSERVATORE. n= 76 Y 8,= — 131,60; ) a =+29,75 1 1 AE 76x3999"" 702—131,60 +29,75 +5,05= = 303880"" 552. 502 N. JADANZA 2° OSSERVATORE. 22 < mm "a == n=76 Daron 55 Dar ty +t— 100 40/8 T,=76x8999"".702—130,55 + 29,704 4.08= — 9098102. Lunghezza media della base nell’andata : ade ' prrlibie e 303" 880927. Ritorno (da nord a sud). 1° OSSERVATORE. n= 76, YA=+615",35; )io=— 695,45 eo re) T"=76x 3999".702+615,35— 695,45—7,20= = 803890"",052. 2° OSSERVATORE. n= 76 Vb,=+613"",05 Dio,=— 695",40 1 1 REI (I T,'=76x3999"" 7024 613,35— 695,40—7,20= — 808887" 802. NUOVO APPARATO PER MISURARE BASI TOPOGRAFICHE 508 Lunghezza media della base nel ritorno: atoridhree Ba, i i] = 303",888927 e quindi: Lunghezza media della base. pr" T-—— =303",884927. Il tempo impiegato per la misura della base (andata e ri- torno) è di circa 7 ore. Questa base fu collegata mediante osservazioni angolari ai suoi estremi coi punti trigonometrici Monte dei Cappuccini e Torre Bert, come è indicato nella figura ). Fig. a= 93°38'23", 75 a= 52°47'11",375 g= 50°07'31", 27 f,=120°03'46", 59 Su Bieo S Risolvendo il problema della distanza inaccessibile si trovò che la distanza fra Monte dei Cappuccini e Torre Bert era di 1832",708 mentre la stessa calcolata colle coordinate geogra- fiche dell'Istituto Geografico Militare risultò di 1833",583; con una differenza di 0",875. Atti R. Accad - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 37 504 N. JADANZA —- NUOVO APPARATO ECC. NOTA. Il metodo di misurare una base geodetica fondata sulla mi- sura della distanza tra gli assi di microscopi già disposti ver- ticalmente lungo la direzione della base, è comunemente noto col nome di metodo di Porro. Ciò ha fondamento sulla rela- zione che trovasi a pag. 232 del volume XXXI (1850) dei Comptes-rendus hebdomadaires des séances de V Acadeémie des sciences, fatta dai Commissari Binet, FAYE, LARGETEAU (rela- tore), la quale conchiude così: Les appareils de M. Porro, destinés à la mesure des bases, sont simples, ingenieusement congus, d’un usage très-commode, d'un prix peu éleve et d'un transport facile en tout pays; ils of- frent ce precieux avantage qu'on peut, sans une grande dépense et en peu de temps, mesurer la méme base deux ou méme trois fois. Il Padre A. SeccHI nella misura di una base sulla via Appia (*) scelse tra gli altri il metodo di misurare inventato dal Sig. Porro (**), ecc. Il primo che abbia adoperato microscopi isolati nella misura di basi geodetiche è stato senza dubbio il Sig. HassLER nei la- vori geodetici eseguiti negli Stati Uniti di America (***). Il metodo di Hassler però è talmente differente da quello del Porro, che è lecito supporre che questi non abbia avuto cognizione delle opere di HASSLER. Il metodo del Porro è stato perfezionato specialmente per opera di SeccHi, HossARD, SALMOIRAGHI. I due apparati adoperati nella Spagna, cioè quello appar- tenente alla Commission pEL Mara e l’altro del Generale IBANEZ, sì possono ritenere come derivati dal tipo HaAssLER. Però essi, che oggi sono i più perfetti apparati per misurare basi geode- tiche. debbono considerarsi come nuovi; tante sono le modificazioni introdotte dal fu generale IBANEZ, Marchese di Mulhacén. Torino, Maggio 1892. (*) Misnra della base trigonometrica eseguita sulla Via Appia per ordine del Governo Pontificio nel 1854-55 dal P. A. SeccHI D. Cl. D. Roma 1858. (oa Lacan. (*#**) Cir. F. scHiavoni, Principîi di Geodesia, parte 2°, pag. 84. dl Sopra alcune differenze trovate nel calcolo delle coordinate geo- grafiche dei vertici del quadrilatero che congiunge l’ Algeria colla Spagna ; Nota del Prof. NICODEMO JADANZA I Tra le innumerevoli operazioni geodetiche fatte nel secolo presente è, senza dubbio, degna di particolare attenzione quella relativa al collegamento della rete geodetica dell'Algeria con la Tetica (2080) Mulhacén (// Nord Monte Sabiha (585) atei lotti Filhaussen (1436) Sud rete geodetica di Spagna. Codesto collegamento consiste in un quadrilatero (vedi figura annessa) colle rispettive diagonali. Gli Atti R. Accad - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. SI 506 N. JADANZA angoli dei triangoli furono tutti osservati da provetti osservatori, a disposizione dei quali erano istrumenti della massima preci sione. Il risultamento ottenuto è stato quanto di più esatto si poteva desiderare. Tutte le operazioni, geodetiche ed astronomiche, fatte per tale collegamento nell’anno 1879, sono esposte nel Memorial du depòt general de la guerre, tom. XIII (1887). A pag. 94 di codesto volume sono registrate le coordinate geografiche (lati- tudine e longitudine) dei punti £7haussen, Mulhacén, Tetica, calcolate mediante le coordinate geodetiche polari (distanze ed azimut) dei medesimi punti riferiti alla origine M° Sabiha, - essendo note le coordinate geogratiche di quest’ultimo punto, come pure l'azimut di Filhaussen sull’orizzonte di M' Sabiha. I dati ed i calcoli relativi si possono riassumere nella tabella seguente: Coordinate geografiche di M. Sabiha. Latitudine «= DOOR 70 Longitudine 6 = — 3° 11' 10,77 (da Parigi) Azimut di Filhaussen = 226° 54' 11°,76 (N-E-S-0). Coordinate geodetiche polari (rispetto all’origine Sabiha): Distanza Azimut Filhaussen suo 92790 = 226° 54 Mulbacén s=269847 ,24 z=505 42 57 ,488 Tetica | s=225712 ,49 2=322 02 49 ,157 Coordinate geografiche ottenute mediante il calcolo (*). Latitudine Longitudine (da Parigi) Filhaussen 3500 34,64 — 4° 01' 39,69 Mulhacén 37 03/1759 —5 38 57 ,91 Tetica i 088 obpbsdi4 71 —4 45 083 ,14 (*) Nel citato volume è scritto così: Nous avons employé dans ce calcul les formules exactes données par M. Andrae dans la triangulation du Da- VE Filhaussen, Mulhacén, Tetica. Le formole adoperate sono le seguenti: (**) 3 s°sen (e — e) cos (e—2e) E=Z——_ —— ——e—;rnqTte 20m Nn sent” Aeree ri corea tt X=ssen(2— e); Y=scos(e—2e); a Sam ° osenl 79 log(o,—0)=l ia Ei vi da ngi ng? (fon) ‘529,.N, sen 1 5 do i SO) logé' —0) —GX° ALCUNE DIFFERENZE DELLE COORDINATE GEOGRAFICHE 507 II. Volendo porre a cimento alcune formole da noi date in un opuscolo che ha per titolo: Guida al calcolo delle coordinate geodetiche, si presentava propizia l'occasione di applicare le mede- sime al calcolo delle coordinate geografiche degli stessi punti, n I N,8en1 coso, | | e=2+180+m+-— —-s°sen2osenz. 24a°sen l ed il risultamento del calcolo è stato quello che trovasi nella tabella annessa. nemark, formules basges sur la considération du triangle polaire. — Codeste parole non indicano chiaramente le formole adoperate per il caleolo numerico, Gli elementi dell’elissoide terrestre sono quelli di BesseL. (#*) Cfr. N. Japanza, Guida al calcolo delle coordinate geodetiche (Torino. 1891, Loescher editore), pag. 36. — Le quantità £, G, X, LZ, sono date da apposite tavole. 508 N. JADANZA Latitudine Longitudine Filhaussen 35%00' 34,41 — 4° 01540558 Mulbacén 37:03: È808 —5. 38 59 ,41 Tetica 37 Lo. do ,28 —4 45 04 ;09 Tra il risultamento ottenuto da noi e quello che trovasi nel Memorial citato innanzi, vi sono delle differenze che sorpassano mezzo secondo in latitudine ed un secondo in longitudine. Co- deste differenze sono troppo forti per poterle addebitare alle formole da noi adoperate; abbiamo perciò pregato il prof. Paolo Pizzerti della R* Università di Genova a voler fare il medesimo . calcolo colle formole più esatte di Bessel, ‘cioè con le seguenti (*); tgu=)1— e°tg9 \ sen m =C0svsenz cosm cos M=cosucose cosmsen M=sen% oi .8+ffcos(2M+c)senc+ycos(4M+2c)sen27... sen = cosmsen(MM +0) BO) cos u' cos? = — cosmcos (M +0) cosu senz —=— senm ia t =——_-tgw chi VI- è 5 senr senz seno =— cosu' AG=%—|[7,82514]senm [2'7+[3'cos(24 + o)senz+... ] ; Ecco il risultato ottenuto dall’egregio collega: Latitudine Longitudine . . Filhaussen 35° 00' 34",42 —A4°01i 40565 Mulbacén 37 03 18 ,06 —5 38 59 ,41 . Tetica I7015» 151,27 —4 45 04,090 (*) Cfr. ALBrEecaT Th., Formeln und Hiilfstafeln fiir Geographische orts= bestimmungen (Leipzig,-1879), pag. 79 e 80. ALCUNE DIFFERENZE DE:LE COORDINATE GEOGRAFICHE 509 Il risultamento precedente mostra chiaramente che il nostro calcolo era esatto. Per maggiormente confermare l'esattezza di esso, il Dottor AlmonettI, assistente alla scuola di Geodesia, ha calcolato di nuovo le coordinate geografiche di Mu/hacen, che è il più distante da M° Sabiha, adoperando le formole date da Helmert (*), cioè le seguenti, che non hanno bisogno di tavole numeriche. tgu=V1—etgo | cos senz= Cos%, cosu cost = cos) cos, | cosw cose = sen, sen) cosu seno = sen) senu=senw)C0sÀ e Il tgEk= ——__senu, log, =2logtg - E VI — e° 2 eran cri Ia DI ii in secondì 9 il da k, 1-k "alieno log =2logcos——-Mkf+... I gol 8 2,4 A Le u(3)ta ” 1 " 9 20=2X+ E k, sen2) — gl k,sen4) in sec. insec. 20,=205—Ac A)=At- pcos2o,sen Ac+qcos4o,,sen2 Ac in sec. in-seg. — rcos67,, sens Ac di; ola Ant logp=log È (gh di log grz log. It ki 29 logr=log—R"%? 0gr ogg k, MEN A) (*, Cfr. HeLmeRrTt, Die Mathematischen und Physikalischen Theorien der Hoheren Geoddsie (Leipzig, 1880), vol, 40 pag. 223 e seguenti. 7 510 N. JADANZA — ALCUNE DIFFERENZE ECC. Ù] CLI LU ' ur \ senu = sen, C0sÀ cOosu COS6) = C0SÀ COS %, x LU LU ' cosu cosz =— sen v, Sen \ cosu senw — sen \ cosu senz =— C0S% ' ] Li tge = ==; tou (Ae AG=(0—0)— cosu, |p A} — q cos2),, sen A}. i rosee - + (3) +r cos4)_,sen24 ì| in sec. in sec. 2 2 ’ ne 7 " © logg =log È 7 ke: logr = log R E k dda — 2A = x A) . î Il risultamento del calcolo fu questo: Latitudine di Mulbacén= 37° 03' 18,08 Longitudine » = — 5° 38' 59,40 cioè (a meno di un centesimo di secondo nella longitudine) iden- tico al nostro. III. In vista dell'importanza che ha nella storia della Geodesia il collegamento della Spagna coll’Algeria, e data la grande preci- sione ottenuta nelle singole operazioni, abbiamo creduto nostro dovere il segnalare codeste differenze nella certezza che i bene- meriti esecutori dell’opera colossale vorranno ricercarne la causa. Torino, maggio 1892. (*) a è lo schiacciamento. RELAZIONE intorno alla Memoria del Prof. C. F. PARONA, intitolata : Revisione della Fauna liasica di Gozzano in Piemonte. L'Autore, già noto per precedenti lavori intorno alla Fauna liasica, nella memoria presentata al nostro esame, fa uno studio completo della fauna liasica di Gozzano, servendosi del mate- riale da lui stesso raccolto, del materiale del Museo geologico dell’Università di Pavia e del Museo geologico dell’Università di Torino. Numerose sono le forme nuove, sopratutto fra i Brachiopodi. Le specie più importanti vengono dall’Autore figurate nelle due tavole unite al lavoro. L'A. paragona inoltre il giacimento di Gozzano con altri consimili e conchiude non esservi dubbio che il calcare di Goz- zano possa spettare al Lias inferiore anzichè al Medio. Il lavoro del prof. Parona è un buon contributo per la co- noscenza della fauna liasica e perciò i vostri commissari credono di doverlo proporre per la lettura, e, qualora la Classe lo ap- provi, per la stampa nei volumi accademici. G. SPEZIA L. CAMERANO, Relatore. L’Accademico Segretario GiusePPE Basso, ———E_>r_—>--? f ” I | 7 af, 5 PI DI È, } e NI CRA [sb stra utàte calle onesto Mso VUOI ZO T i LL okt ok Ata iv ENTI PE in. tal: coi Muse sile omtotui cerovat itofaoanto: "ra Qin Ra ( I a intiote Gf une) oto i aaa Tip ALtOt8 i : viy Ti H} NS Ù LA sl TiKtugage Ù lalaat dle tali alia EGO GOMMATO OO Ti say 0720 ID Soru ia! molrigusantà 13 tivo. n° Fani i Î VU or TV ROERO di du Gist afro vrofieVIih cib e satira Lia ti È Miti (05 omiià i (PUCTOAI } fi “ritorni Roo pelli (D nuo) volt TE on ARI ; FIVE vate TATO att ak cupo) f AO paco dg [abc * i biofian ipassisoiao Fibim sip ui poli vacitgoti AN BLA SIOE IT 94 O Lai “n ({ STIOGO A ida Taitione T04 Bosa i - " Bini > IRONIA 04, Manioid vo tese Ne DOGANALE sprtasite) A f SRL ai paia ADUNANZA del 29 Maggio 1892 ua Si RI — Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-ente IN $; sui rapporti del loro epitelio GORI: di rivesti ento. #6, Ei mucosa. -— Nota pena DIRTI VO ZI si geografiche dei vertici del Ì quadrato che congiunge PA colla Spagna . . 4 x i ATTI DELLA fr, hi GS OR. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXVII, Disp. 15%, 1891-92 _———_ Classe di Scionze Fisiche, Matematiche e Naturali TORINO CCACRELO-CL'AUSAEN Libraio della R. Accademia delle Scienze l e x Î = è , x > LIT Re d È É bi TORE A IL ; PAT , RE DE ve i CRI a Pe di ae iz Sa dA x O SARI L, CSI ESS RE e a - ù paia E RI ir E 3 Te") 24 MIRA & CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 19 Giugno 1892. PRESIDENZA DEL SOCIO COMM. PROF. MICHELE LESSONA PRESIDENTE Sono presenti i Soci: D’'Ovipio, Direttore della Classe, SAL- vVADORI, Cossa, Bruno, Bizzozero, FERRARIS, NaccarI, Mosso, SPEZIA, GIBELLI, CAMERANO, SEGRE e Basso Segretario. Viene letto l’atto verbale dell’adunanza precedente che è approvato. Vengono offerti in dono all’Accademia, in nome dei rispettivi autori: 1° Dal Socio D’Ovipio « Nicola Fergola e la Scuola ‘dei matematici che lo ebbe a duce », del Prof. Gino LoRIA dell'Università di Genova ; 2° Dallo stesso Socio D’OvipIio « I fondamenti matema- tici per la critica dei risultati sperimentali », del Prof. Paolo PizzetTI, pure dell’Università di Genova; 3° Dal Socio Segretario Basso « "Cenni monografici sui singoli servizi dipendenti dal Ministero dei Lavori Pubblici per gli anni 1884-90, compilati în occasione della Esposi- zione Nazionale di Palermo degli anni 1891-92 », ecc. Vengono poscia letti ed accolti per la pubblicazione negli Atti i sei lavori seguenti : a) Sopra una nuova serie di combinazioni basiche del platino; Nota del Socio Prof. Alfonso Cossa, presentata dal medesimo ; b) Sulle ghiandole tubulari del tubo gastroenterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mu- cosa. Nota V® del Socio Bizzozero , ‘presentata dallo stesso autore ; Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol, XAVII. 38 514 c) Sulle anomalie di sviluppo dell’ embrione umano ; Comunicazione V* del Socio GIACOMINI, presentata per incarico dell’autore dal Socio Segretario; d) Sulle cianacetilamine e nuovi acidi ossamici; Nota II° del Prof. Icilio GuARESCHI, presentata dal Socio Cossa ; e) Sulla trifenilpiperazina; Ricerche del Dottor Luigi Garzino, Assistente al Laboratorio di Chimica farmaceutica della R. Università di Torino; lavoro presentato dallo stesso Socio Cossa; f) Su una congruenza di rette di secondo ordine e di quarta classe; Nota del Prof. D. MonrEsANo, della R. Uni- versità di Bologna, presentata dal Socio SEGRE. Il Socio CamERANO, anche a nome del condeputato Socio SALVADORI, legge una sua Relazione sul lavoro del Dott. E. GieLio-Tos, intitolato: Ditteri del Messico - Stratiomydae e Syrphidae (parte I°). Sulle conclusioni favorevoli di questa Relazione, la quale sarà pubblicata negli Att, la Classe ammette prima alla lettura il lavoro del Dott. GieLio-Tos, e poscia ne approva l’inserzione nei volumi delle Memorze. Il Socio NaccarI, anche a nome del condeputato Socio FER- RARIS, legge una sua Relazione sullo studio del Prof. Angelo BartELLI, dell’Università di Padova, intitolato: Sulle proprietà termiche dei vapori; parte IV®. — Studio del vapor d'acqua rispetto alle leggi di Boyle e di Gay-Lussac. Lo stesso Socio NaccaRI, pure a nome del Socio FERRARIS, legge un’altra Relazione sul lavoro: Il Clima di Torino, del Dott. G. B. Rizzo, Assistente all'Osservatorio della R. Univer- sità di Torino. Entrambe le dette Relazioni concludono in senso favorevole alla ammissione dei rispettivi lavori alla lettura: udita questa, la Classe ne approva la pubblicazione nei volumi delle Memorie. Le due Relazioni elaborate e lette dal Socio NaccARI saranno inserte negli Att. i Infine il Socio SPEZIA presenta uno Studio del Prof. Ales- sandro Portis della Università di Roma, col titolo: Contridu- zione della storia fisica del bacino di Roma. Questo lavoro è diviso in due parti, di cui la prima tratta d’Una nuova se- zione geologica del colle Capitolino, e la seconda versà sullo Esame delle sezioni aperte nei dintorni immediati della città. 515 Essendo lo Studio del Prof. Porris destinato, quando la Classe lo approvi, ai volumi delle Memorie, il Presidente in- carica una Commissione di esaminarlo e riferirne alla sua volta alla Classe. LETTURE Sopra una nuova serie di combinazioni basiche del platino ; Ricerche del Socio Prof, ALFONSO CUOSSA In una estesa memoria pubblicata nel 1890 sopra un nuovo isomero del sale verde del Magnus (1), ho dimostrato che si possono ottenere delle combinazioni derivanti da una nuova base ammoniacale del platino (platososemiammina) contenente una sola molecola di ammoniaca. Più tardi (2) comunicai all’ Ac- cademia dei Lincei in Roma un cenno preventivo di ricerche dirette ad ottenere combinazioni di basi platiniche di pitidina e di etilammina, omologhe al nuovo isomero del sale verde del Magnus, e contenenti pertanto i cloruri di platososemipiridina e di platososemietilammina. — Ora con questa mia nota mi pro- pongo di fare sommariamente conoscere i principali risultati delle ricerche preaccennate. Limitandoci a considerare quella tra le combinazioni della platososemiammina, che è isomera del sale verde del Magnus, e che in base alle sue proprietà può essere rappresentata colla formola: 2Pt(NH,)CI,, Pt(NH,),Cl,, (1) Memorie della R, Accademia delle Scienze di Torino, serie 1I, t. XLI. — Berichte d. deuts. chem. Gesell., vol, XXIII, pag. 2503. — Bull. de la Soc. chim. de Paris, vol. IV (serie 3%), p. 827. — Gazzetta chim. ital., vol. XX, pag. 725. (2) Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. VII, (serie 4°), 1891. 516 A. COSSA si vede che sostituendo e permutando in questa combinazione i gruppi: (NH,) e (NMH,), con dei gruppi corrispondenti di piri- dina e di etilammina, si può teoricamente ammettere l’esistenza delle nove combinazioni omologhe indicate nel prospetto seguente, nel quale, per brevità di scritturazione, i simboli a, p, e rap- presentano rispettivamente una molecola di ammoniaca, di piri- dina e di etilammina. I 2Pt(a) CI,, Pi(a), CI, TE 2Pt(a) DI e. CI, III 2Pt(a) CI,, Pi(e), CI, IV: 2Pt(p) di 7 i” CI, VE 2Pt(p) Cl,, Pt(p), CI, VI 2Pt(p) co Pi(e), 5 VII 2Pt(e) Tal Sap VIII. 2Pt (e) Cl, Pi(p), € IX 2Pi(e) ig Pt(e), C Le esperienze, che mi accingo a descrivere dimostrano che realmente possono esistere queste nove combinazioni. Ommetto però la descrizione della prima, perchè essa trovasi già esposta diffusamente nella memoria citata in principio di questo mio la- voro, e quella dell’ultima, perchè finora non mi fn dato di ot- tenerla cristallizzata. Nè intendo di occuparmi più oltre in ten- tativi per prepararla in uno stato di purezza tale da poter essere analizzata, giacchè mi sembra che il concetto teorico che informa questo mio studio sia sufficientemente dimostrato dalle proprietà riscontrate nelle altre otto combinazioni. COMBINAZIONE II”. 2Pt(a)Cl,, Pi(p), Cl. Cloruro di platososemiammina e di platosodipiridina. Il modo più semplice di preparare questa combinazione con- siste nel mescolare due soluzioni acquose di cloruro doppio di NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 517 platososemiammina e di potassio e di cloruro di platosodipiridina, nei rapporti quantitativi indicati dall’equazione : 2(Pt(a) CI,, KCI, H,0)+ Pi(p), CI,, 3H,0= 2Pt(a) CI, , Pt(p), CI,+2EC1+4H,0. Si separa immediatamente la nuova combinazione sotto forma di una polvere gialla cristallina. Impiegando tre grammi di clo- ruro doppio di platososemiammina e di potassio, e grammi 2,33 di clororo di platosodipiridina, la quantità della nuova combi- nazione ottenuta fu di grammi 4, perciò quasi la quantità teo- rica che sarebbe di circa grammi 4,5. Il precipitato giallo cristallino quasi insolubile a freddo, si scioglie facilmente nell'acqua bollente, dalla quale si depone in cristalli distinti, la cui forma fu determinata dal D" Alfonso Sella, che mi comunicò le indicazioni seguenti : « Sistema cristallino: triclino, Forme osservate : }100{, 5010, }001{ Angoli misurati: (010):(001)=51°, 20' (001):(100)=111, 18 (100):(010)=88, 18. In un unico cristallo vennero osservate le altre due forme: }011{, }111{, ma la loro misura non riuscì sufficientemente esatta per potere essere utilizzata nel calcolo dei rapporti assiali. Si osservarono pure gli angoli seguenti: (010): (0 (011):(1 E) 103938 11)=25° circa I cristalli sono tabulari secondo }100{ ed hanno un abito prismatico parallelamente all’asse verticale. Sopra }100{ le di- rezioni di massima estinzione bisecano con grande approssimazione l'angolo yz. Sopra }100|{ si osserva un notevole pleocroismo; aven- dosi un colore giallo verdastro pallido, quando la sezione prin- cipale biseca l'angolo acuto yz, ed un colore giallo aranciato normalmente a questa direzione. » La determinazione del platino e del cloro contenuti in questi cristalli diede i seguenti risultati, che concordano sufficientemente 518 A. COSSA con quelli calcolati in base alla formola chimica loro attribuita. Infatti per cento parti in peso si ottennero : Teoria. Platino 50,680, 50,92 Cloro 18,52 18,54 Indipendentemente dal criterio sintetico fornito dal modo di preparazione, le proprietà chimiche di questo composto mettono fuori d'ogni dubbio che esso deve essere considerato come una combinazione di due molecole di cloruro di platososemiammina con una molecola di cloruro di platosodipiridina. Infatti la solu- - zione acquosa di questo corpo si presta alle reazioni seguenti: a) Trattata con una soluzione contenente una quantità equimolecolare di cloroplatinito potassico (1), produce un preci- pitato di colore bianco roseo, il quale ha la composizione e pre- senta tutti i caratteri del cloroplatinito di platosodipiridina. Il liquido separato dal precipitato, dopo essere stato conveniente- mente concentrato, depone dei prismi di colore giallo aranciato, trimetrici coi parametri proprii del cloruro doppio di platosose- miammina e di potassio cristallizzato con una molecola d’ac- qua (2). La reazione è semplice ; avviene cioè senza formazione di prodotti secondarii, e la quantità di cloroplatinito di plato- sodipiridina che si produce, entro i limiti di esattezza che si può raggiungere in queste determinazioni, corrisponde a quella indi- cata dall’equazione: 2Pt(a) Cl,, Pt(p), Cl,+ K,PiCI,= Pit(p),Cl,, PtCL,+2(Pi(a) Cl, KCI. b) Trattata con una quantità equimolecolare di cloruro di platosodiammina (cloruro della prima base del Reiset), dà origine ad un precipitato giallo cristallino, che ridisciolto nell’acqua bollente cristallizza in prismi dimetrici, identici per forma e composizione col nuovo isomero del sale verde del Magnus, da me preceden- (1) I pesi molecolari delle combinazioni : 2 Pt .a)C4, Pi(1)j (1, e K, PiCI, sono rispettivamente :1144,52 e 413,98. (2) Il Dott. Alfonso SeLLA che misurò questi cristalli trovò che i rapporti assiali sono :a:b;c—=1,300:1:0,8475. NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 519 temente studiato. Nella soluzione rimane inalterato il cloruro di platosodipiridina. Anche questa reazione è quantitativa e avviene secondo lo schema: 2Pt(a) CI,, Pt(p),Ct,+ Pt(a), CI,= 2Pt(a)Cl,, Pt(a), Cl,+Pt(p), CI. c) Quango si tratta a caldo la soluzione del cloruro doppio di platososemiammina e di platosodipiridina con ammoniaca, e si espelle successivamente per continuato riscaldamento l’eccesso di alcali libero, si osserva che la soluzione diviene perfettamente incolora. Allora aggiungendovi una soluzione di cloroplatinito di potassio, si forma un abbondante deposito di colore verde chiaro che, esaminato al microscopio, risulta costituito da una mesco- lanza cristallina dei due cloroplatiniti di platosodiammina e di platosodipiridina. Ora la formazione del primo di questi due cloroplatiniti non può essere spiegata se non ammettendo nella combinazione Il" la preesistenza del cloruro di platososemiam- mina, che per l’assorbimento di tre molecole di ammoniaca si è trasformato in cloruro della prima base del Reiset. A motivo della loro insolubilità è impossibile il separare i due cloroplatiniti per determinarne le quantità rispettive. d) Trattando una soluzione della combinazione Il* con un eccesso di acido cloroplatinico, o meglio di cloroplatinato sodico, si ottiene un precipitato voluminoso, amorfo, di colore bianco gialliccio, il quale a poco a poco alla temperatura ordinaria, e immediatamente per il riscaldamento, diminuisce di volume, di- venta cristallino ed acquista un colore rosso mattone. Questo precipitato cristallino è costituito da cloroplatinito di platinodi- piridina: (CI, Pt(p), CI,, PCI); ed è identico per proprietà e composizione a quello che si può ottenere direttamente facendo agire un eccesso di cloroplatinato sodico sopra una soluzione di cloruro di platosodipiridina. — La reazione poi per la quale questo sale si produce, è quella stessa da me studiata sperimentalmente fin dall'anno 1887, per (41) Sopra le proprietà di alcuni composti ammoniacali del platino, Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXII (1887), 520 A. COSSA spiegare come in circostanze analoghe si forma il cloroplatinito di platinodiammina (1). Cioè: quando si fa agire sopra il cloruro di platosodipiridina, o sopra un corpo che contiene questo sale, un eccesso di cloroplatinato sodico, si forma da principio il cloro- platinato di platosodipiridina (precipitato bianco gialliccio, amorfo), il quale per una reazione intermolecolare si trasforma nel suo isomero: cloroplatinito di platinodipiridina (precipitato rosso cri- stallino): Pt(p), Cl,, PtCI,=CI,Pt(p),CI,, PLCI,. Termino la descrizione delle proprietà constatate nel cloruro doppio di platososemiammina e di platosodipiridina coll’accennare che, allorquando si tratta questo corpo 4 freddo con un eccesso di nitrato argentico, si precipitano appena i due terzi del cloro in esso contenuto. Tale fatto, che si verifica in tutte le combi- nazioni della serie considerata in questo lavoro, fa supporre come probabile per i cloruri di platososemi-ammina-piridina-etilammina le formole di struttura: NH,— CI GRANO] Cs HSN201 Pixgra i Red Pig Per le stesse cause additate nella mia memoria: « Sul nuovo isomero del sale verde del Magnus » a proposito del cloruro di platososemiammina, finora riuscirono vani i lunghi e laboriosi ten- tativi da me fatti per isolare in uno stato di sufficiente purezza i cloruri di platososemipiridina e platososemietilammina. COMBINAZIONE III°. 2 Pt(a) CI, Pi(e), CI,. Cloruro di platososemiammina e di platosodietilammina. Ho preparato questa combinazione mescolando soluzioni calde e concentrate di cloruro doppio di platososemiammina e di po- tassio e di cloruro di platosodietilammina nel rapporto di due molecole del primo sale e di una del secondo. Il sale che si NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 521 depone, purificato con ripetute cristallizzazioni nell'acqua nella quale si scioglie facilmente, si presenta in prismi trimetrici, anidri, inalterabili all’aria; essi sono dotati di un forte pleo- eroismo, cioè appariscono colorati in giallo quando lo spigolo più pronunciato del prisma è parallelo alla sezione principale del Nicol, e in rosso aranciato in una posizione normale alla pre- cedente. La determinazione del platino e del cloro diede i risultati seguenti che soddisfanno alla formola : 2 Pt(a) Cl, Pt(e), CI, Teoria Blatino 4:04 3' AbnO:49 DI 00 Uloror:® 10 hi "20790 21,03 Questa combinazione presenta le proprietà seguenti: a) Col cloroplatinito potassico e col cloruro di platosodiam- mina, si comporta in un modo analogo a quello della combi- nazione precedente; dando, cioè, rispettivamente origine a cloro- platinito di platosodietilammina, ed al nuovo isomero del sale verde del Magnus. b) Con il cloruro di platosodipiridina, dà origine per doppia decomposizione alla combinazione II*, essendo questa quasi in- solubile nell’acqua alla temperatura ordinaria: 2 Pt(a) CI,, Pi(e),CI,+ Pi(p),, Cl, = 2 Pt(a) Cl,, Pt(p), CI,+-Pt(e), Cl, . c) Con acido cloroplatinico o con cloroplatinato sodico, si ottiene il cloroplatinito di platinodietilammina. Questo cloropla- tinito (07, Pt (e),, Cl, Pt CI,), che si produce in seguito a rea- zioni analoghe a quelle per le quali si formano i cloroplatiniti di platinodiammina e di platinodipiridina, è identico al sale che preparai direttamente facendo agire un eccesso di cloroplatinato sodico sul cloruro di platosodietilammina. Esso cristallizza in lamine esagonali di colore giallo carico, e si discioglie non dif- ficilmente nell'acqua. 522 A. COSSA COMBINAZIONE IV?. 2Pt(p) CI,, Pt(a), CI, Cloruro di platososemipiridina e di platosodiammina. È noto che, analogamente a quanto succede per le basi am- moniacali del platino, il cloruro platinoso assorbendo quantità variabili di piridina e di etilammina, può dare origine a com- posti contenenti due o quattro molecole delle basi citate (1). Ora si può ragionevolmente ammettere che limitando l’azione dei due alcali sul cloruro platinoso, si debbano ottenere dei composti contenenti ura sola molecola di base, e perciò omologhi al clo- ruro di platososemiammina (P?(a)C7), la di cui esistenza fu già da me dimostrata nel nuovo isomero del sale verde del Magnus. L'esperienza ha verificato questa previsione, ed io mi sono appunto valso dell’azione limitata della piridina e della etilammina per preparare quei termini della serie che formano argomento di questo lavoro, e che contengono i cloruri: P?(p) C7,, Pt(e) CI,. Preparazione del composto: 2.Pt(p) CI,, Pi(a), CI, . Ad una soluzione acquosa di cloroplatinito potassico aggiunsi una quantità equimolecolare di piridina (per gr. 10 di cloro- platino, grammi 1,9 di piridina pura). Non avviene una reazione netta e semplice corrispondente all’equazione : K, Pt Cl,+C,H,N=2 KC1+Pt(C,H,N)CI, ma insieme al cloruro di platososemipiridina si forma e in quan- tità predominante del cloruro di platososemidipiridina (P#(p), 4), il quale si depone a motivo della sua insolubilità. Quando ogni traccia di piridina libera è scomparsa, (per il che alla tempera- tura ordinaria si richiedono almeno 48 ore), separo colla filtra- zione il cloruro di platososemidipiridina, ed al liquido filtrato, che contiene: cloruro di semipiridina, cloruro di potassio, cloropla- tinito di potassio inalterato, e probabilmente anche i cloruri di platosomonodipiridina e di platosodipiridina, aggiungo un eccesso (1) Veggasi la bella memoria di JORGENSEN: Zur Constitution der Pla- tinbasen, Journ, f. prakt. Chemie, vol. 33 (nuova serie), pag. 489. NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 523 di cloruro della prima base del Reiset. Si forma del sale verde del Magnus insolubile, e dalla soluzione filtrata e concentrata a blando calore si depone cristallizzata la combinazione : 2P#(p) C0,, Pt(a),Cl,, in quantità che variano a seconda del grado di concentrazione della soluzione di cloroplatinito potassico impie- gato, e della temperatura alla quale su di questa soluzione si fece agire la piridina. Nelle esperienze fatte colle quantità di piridina e di cloro- platinito potassico sopra indicate e sciolte in 300 cent. cub. di acqua, alla temperatura ordinaria, la quantità della combina- zione IV* ottenuta fu in media di grammi 1,7, mentre se ne ottennero gr. 2,6 quando la piridina agiva ad una temperatura di circa 90° gradi. — Si spiega assai facilmente questa diffe- renza, considerando che a temperatura ordinaria la velocità della reazione essendo molto lenta, la piridina ancora libera può agire sul cloruro di platososemipiridina (P#(p) C7,) trasformandolo in cloruro di platososemidipiridina, (P#(p),C7,) in una proporzione più grande di quando si opera a temperatura più elevata, giacchè in questo caso l’azione della piridina sul cloroplatinito potassico essendo molto più celere, deve essere necessariamente maggiore la quantità di cloruro di platososemipiridina che sfugge ad un ulteriore assorbimento di piridina. Il cloruro di platososemipiridina e di platosodiammina cri- stallizza in esili lamine romboedriche, poco solubili nell’acqua alla temperatura ordinaria; molto più facilmente nell’acqua bollente. La determinazione della quantità percentuale di platino e di cloro diede questi risultati : Teoria Platino 57,19 bigoivli Cloro ZIO 20,79. Cloruro doppio di platososemipiridina e di potassio. Si può dimostrare che la combinazione IV® è costituita da due molecole di cloruro di platososemipiridina unite con una molecola di cloruro di platosodiammina, ottenendo da essa il sale: Pt(p) CI,, KCI e studiandone le proprietà. Ad una soluzione acquosa calda di 7 grammi del composto : 2Pt(p)CI,, Pt(a),Cl, aggiunsi grammi 2,8 (1) di cloroplati- (1) | pesi molecolari dei corpi: 2 P{(p) Ch, Pt(a), Cl, e K, Pt CI, sono ri- spettivamente: 1020,82 e 413,98, P)Ua, , Clo 5 È 524 A. COSSA nito potassico. Si formò del sale verde del Magnus che pesava grammi 3,8; quantità assai vicina a quella calcolata in base al- l'equazione seguente, e che sarebbe di grammi 4,1. 2Pt(p) CI,, Pi(a), Cl,4-K, Pt 01A= 2(.Pt(p) CI, K C)4 Pi(a), C1,, PiCI,. La soluzione, separata dal sale verde del Magnus, evaporata nel vuoto sull’acido solforico depone dei prismi ortotomi di co- lore giallo aranciato, e che dall’analisi fattane risultano avere una composizione corrispondente alla formola : Pt(p) CI,, KCI. Esperienza Teoria Platino 46,18 — 46,34 46,45 Cloro 25,32 20,47 25,60 Potassio 9,25 s23 9,32 La soluzione acquosa del cloruro doppio di platososemipiri- dina e di potassio si presta alle reazioni seguenti: a) Trattata con cloruro di platosodiammina, si ripristina la combinazione IV® che precipita, e rimane in soluzione del clo- ruro potassico : 2(Pt(p) CI,, KC1) + Pi(a), CI,= 2Pi(p) CI, Pt (a), CI,+2 KCI. In una esperienza avendo impiegato grammi 1,714 di clo- ruro doppio di platososemipiridina e di potassio, e grammi 0,719 di cloruro della prima base del Reiset, ottenni grammi 1,8 della combinazione IV®; ora la quantità corrispondente all’ equazione sopra indicata sarebbe di grammi 2,09 (1). b) Trattata con un eccesso di piridina, si ottiene del clo- ruro di platosodipiridina che, determinato sotto forma di cloro- platinito insolubile per l’aggiunta di cloroplatinito potassico, ri- sulta in quantità corrispondente al cloruro di platososemipiridina contenuto nella soluzione. (1) I pesi molecolari dei corpi: Pt(p) Cla, KCl e Pi(a), Cl, Hx0 sono ri- spettivamente: 418,26 e 351,04. NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 525 c) Finalmente per l’azione di una quantità equivalente di platosodipiridina, produce un precipitato costituito dalla combi- nazione V®*, la quale è affatto insolubile nell’acqua alla tempe- ratura ordinaria. 2(Pt(p) CI, KC)+ Pt(p), Clh,= 2Pt(p) CI, ,Pt(p), Cl,+2 KCI. COMBINAZIONE Vf. 2Pt(p)Cl,, Pt(p), Cl, Cloruro di platososemipiridina e di platosodipiridina. Per preparare questa combinazione, che è isomera coi cloruri di platosopiridina e platososemidipiridina e col cloroplatinito di platosodipiridina, si possono seguire due metodi differenti : a) Aggiungendo ad una soluzione di cloruro di platososemi- piridina e di potassio, o ad una soluzione della combinazione IV® del cloruro di platosodipiridina. b) Sottraendo al cloruro di platososemidipiridina metà della piridina che contiene. Si arriva a questo risultato riscaldando per otto ore a bagnomaria, in un recipiente munito di refrige- rante a riflusso, il cloruro di platososemidipiridina (P(p), C4,) in presenza di acido cloridrico diluito con sei volte il proprio peso di acqua. — Dalla soluzione acida trattata con cloruro di platosodipiridina si precipita la combinazione: 2Pt(p) CI,, Pt(p), CI, la quale viene poi ripetutamente lavata con acqua e con alcool. Con questo secondo metodo si ha un rendimento assai scarso, mentre col primo si raggiunge quasi la quantità teorica. Ottenuta tanto nell’una quanto nell’altra maniera, questa combinazione si presenta sotto forma di minutissimi cristalli aciculari, anisotropi, di colore giallo pallido, e dei quali, a mo- tivo della loro piccolezza, non mi fu possibile di riconoscere, nemmeno approssimativamente, la forma cristallina. La determinazione percentuale del platino e del cloro diede 526 A. COSSÀ i risultati seguenti: a db Teoria Platino 45,04 OANO 45,99 Cloro {05 16,84 16,73 Una molecola di questa combinazione V*, se è realmente co- stituita nel modo indicato dalla formola che le ho attribuito, per l’azione di un eccesso di piridina, dovrebbe risolversi in tre mo- lecole di cloruro di platosodipiridina, le quali, poi, per l'azione del cloroplatinito potassico, dovrebbero dare origine ad un numero eguale di molecole di cloroplatinito di platosodipiridina; composto che si può facilmente raccogliere e pesare. L'esperienza ha verificato la previsione; infatti con un gramma della combinazione V®, trat- tata nel modo preindicato, ottenni grammi 1,8 di cloroplatinito di platosodipiridina, quantità assai vicina a 2 grammi, che è appunto quella calcolata in base alle due reazioni seguenti : 2 Pi(p) CI, Pt(p),Cl,+6(p)=3 Pt(p), CI, 3(Pt(p), CI,)+3X, PCI,=3(Pt(p),CI,, Pt CI) +6 KCI. COMBINAZIONE VI?. 2Pt(p) Ch, Pi(e), CI, - Cloruro di platososemipiridina e di platosodietilammina. Preparai questa combinazione aggiungendo ad una soluzione bollente di 10 grammi di cloroplatinito potassico in 120 cen- timetri cubi d’acqua grammi 1,9 di piridina pura. Abbandonato il liquido al raffreddamento spontaneo, dopo due ore circa, cioè quando la piridina era stata completamente assorbita , separai colla filtrazione il cloruro di platososemidipiridina che si era for- mato. Nel liquido filtrato versai in eccesso una soluzione con- centrata di platosodietilammina; dopo che fu separato, mediante filtrazione, il cloroplatinito di platosodietilammina, la soluzione depose cristallizzato il cloruro di platososemipiridina e di pla- tosodietilammina nella quantità di grammi 2,7. Questo sale cristallizza in piccoli prismi raggruppati in mam- NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 527 melloni di colore giallo carico; poco solubile nell'acqua alla tem- peratura ordinaria, vi si discioglie abbondantemente a caldo. La determinazione percentuale del platino e del cloro diede questi risultati: Teoria Platino 51,43 51,46 Cloro 18,66 18,72 La soluzione acquosa di questo sale: a) Con cloruro di platosodipiridina precipita la combina- zione V®, rimanendo in soluzione il cloruro di platosodieti- lammina. 5) Con cloroplatinito potassico dà origine a cloroplatinito di platosodietilammina che precipita, ed a cloruro doppio di pla- tososemipiridina e di potassio che rimane in soluzione. COMBINAZIONE VII?. 2 Pi(e) CI,, Pi(a),Cl,. Cloruro di platososemietilammina e di platosodiammina Preparazione. — Ad una soluzione di 10 grammi di clo- roplatinito potassico in 150 centimetri cubici di acqua riscaldata a circa 90°, si aggiungono 9 centimetri cubici di una soluzione acquosa di etilammina al 33 per cento. Si forma immediata- mente del cloruro di platososemidietilammina, mescolato con una sostanza nera amorfa che accompagna sempre gli altri prodotti quando si fa agire l’etilammina sopra il cloruro platinoso o i cloroplatiniti alcalini. Alla soluzione filtrata e leggermente ina- cidita con acido cloridrico, si aggiunge un eccesso di cloruro della prima base del Reiset. Il liquido, separato dal precipitato verde di cloroplatinito di platosodiammina che eventualmente può for- marsi, concentrato nel vuoto sull’acido solforico depone il cloruro di platososemietilammina e di platosodiammina, che è necessario di purificare con successive soluzioni nell'acqua e concentrazioni nel vuoto. Impiegando le dosi di cloroplatinito potassico e di etilam- mina sopraindicate, ottenni (media di tre preparazioni) circa grammi 2,5 di questa combinazione. 528 A. COSSA Questo sale cristallizza in esili prismi clinoedrici, solubili nel- l’acqua ed insolubili nell’alcool. La determinazione percentuale del platino e del cloro ha dato questi risultati: Teoria Platino 60,88 61,15 Cloro 21,92 22020 La soluzione di questa combinazione trattata con cloropla- tinito potassico dà origine a sale verde del Magnus, ed a cloruro di platososemietilammina e di potassio. Con un eccesso di etilam- mina si trasforma in una miscela dei due cloruri di platosodie- tilammina e di platosodiammina. COMBINAZIONE VIII?. 2 Pt(e) CI,, Pt(p), CL. Cloruro di platososemietilammina e di platosodipiridina. Si ottiene facilmente questa combinazione, approfittando della sua poca solubilità nell’acqua fredda, aggiungendo del cloruro di plato- sodipiridina ad una soluzione concentrata della combinazione VII®. Il Dottor Alfonso Sella mi comunicò le notizie seguenti sulla forma cistallina di questo composto. « Sistema trimetrico: azb:ie=l4780-1::4, 542. Angoli Osservati Calcolati (001) : (111) 79°,40' (101) : (111) 54934 (001) - (101) pesa 71°,50! (001) : (113) 610522! 61°,19' (118): (113) 93°, 28! 0,304]: Cristalli gialli, opachi, estremamente fragili; tabulari secondo la base. In generale uno stesso cristallo risulta composto da più individui sovrapposti per la base e tra loro sono soddisfacente- mente paralleli. » NUOVA SERIE DI COMBINAZIONI BASICHE DEL PLATINO 529 La determinazione percentuale del platino e del cloro diede questi risultati : Teoria Platino 48,27 48,55 Cloro basta LAO. Analogamente alle combinazioni precedentemente descritte, questo eorpo trattato con un eccesso di etilammina, si cangia in un miscuglio di molecole eguali di cloruri di platosodietilammina e platosodipiridina; e per l’azione del cloroplatinito di potassio produce una quantità di cloroplatinito di platosodipiridina, cor- rispondente alla quantità di cloruro di questa base in esso con- tenuto. Non mi fu finora possibile di poter isolare in cristalli puri il cloruro doppio di platososemietilammina e di potassio, giacchè la soluzione di questo sale si altera molto facilmente anche alla temperatura ordinaria. Spero che questo mio lavoro possa essere giudicato merite- vole di richiamare l’attenzione dei chimici, non già perchè vi sono descritte delle nuove combinazioni, ma bensì perchè da esso emergono queste due conseguenze, che mi sembrano importanti. 1. Le ricerche fatte colla piridina e l’etilammina confermano in un modo indiretto, ma sicuro, che il platino è suscettibile di unirsi anche ad una sola molecola di una base per dare origine a combinazioni omologhe ai composti monoammoniacali del pla- tino da me precedentemente studiati. 2. La proprietà che ho riscontrato per la prima volta nel cloroplatinato di platosodiammina di trasformarsi per una rea- zione intermolecolare nel cloroplatinito della base platinica cor- rispondente: ‘ Pt(NH,), C1,, PtC1,=CI,Pt(NH,),, PICI,, è comune ai cloroplatinati delle basi platosopiridiniche ed etilam- miniche corrispondenti, e perciò acquista il carattere di una reazione generale. Torino, Laboratorio chimico della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 39 530 G. BIZZOZERO Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa; Nota quinta del Socio Prof, G. BIZZOZERO Intestino della larva del Petromyzon Planeri. Questo intestino ci presenta la rigenerazione dell’epitelio nella sua forma più semplice, poichè vi mancano tanto le ghiandole tubulari, quanto i germogli sotto-epiteliari e le giovani cellule di ricambio profonde. La formazione di nuove cellule si compie dalle cellule già specificamente differenziate, che in unico strato lo rivestono (1). L'’intestino è rettilineo, e si isola facilmente dopo di avere spaccato l’animale lungo la linea mediana ventrale. Siccome per ottenere le cariocinesi nel loro numero normale bisogna servirsi di animali ben nutriti. e il loro nutrimento consiste specialmente di diatomee, che col loro guscio siliceo rovinerebbero la lama del microtomo, così io, prima d’indurire l'intestino, lo liberava del suo contenuto facendo passar nel suo lume, per mezzo di una siringa, dell'alcool allungato: soltanto dopo fatto ciò, lo pas- sava nell’aleool di crescente concentrazione , fino all’alcool as- soluto. La figura 1% mostra a piccolissimo ingrandimento la ben nota figura della sezione trasversa dell'intestino di petromyzon. Si vede che il contorno dell’intestino ha figura irregolarmente ovale, ma che a questa non corrisponde la forma del suo lume. Infatti, a cagione della cosidetta valvola spirale, che è dovuta (1) Pel mio studio usai di larve della lunghezza di circa 10-12 em. — Per la fissazione e l’indurimento trovai ottimo l'alcool; per la colorazione mi servii specialmente dell’ematossilina e dell’eosina. _ BIZZOZERO - Ghiandole Ti i RAccad.delle Sc. di Torino F0/.AX17/ tg. 4 G. Bizzozepro dis. n. Lit. Salussolia, Torino ILA | VIN900 90 509 a o te )0 99090 9900 6 Bizzozero dis. Lit. Salussolia, Torino Ù » SULLE GHIANDOLÈ TUBULARI 531 ad un notevole rialzo longitudinale delle pareti dell’intestino, il lume di questo viene notevolmente ristretto e ridotto alla forma di un ferro da cavallo. L'epitelio che lo riveste si può quindi considerare come co- stituito di due foglietti: uno esterno (e), concavo, che si ap- plica sull’intestino propriamente detto ; l’altro interno (f), con- vesso, che è applicato sulla valvola spirale. I due foglietti si sal- dano fra loro in corrispondenza della base della valvola spirale; in questo punto, adunque, l’epitelio forma una curva, cui daremo il nome di fornice (9). L'intestino ha tonache sottili. Io non mi sono soffermato gran fatto a studiare la loro interessante struttura ; esse risultereb- bero però di parecchi strati, che, andando dal lume dell’intestino verso l'esterno, sarebbero i seguenti (fig. 2%): 1° epitelio cilin- drico; 2° una sottile membrana connettiva (fig. 2% a), finamente fibrillare, continua, che chiamerei membrana limitante; essa è facilmente isolabile colla macerazione nell’alcool allungato; 3° due sottili strati di fibre muscolari liscie, di cui le interne (2) hanno direzione longitudinale, le esterne (c) trasversale ; 4° un grosso strato di tessuto cavernoso sanguigno (4). Le lacune esterne sono più ampie delle interne; queste ultime, poi, sono in diretta co- municazione con numerose piccole lacune sanguigne (d'), le quali, essendo scavate nello strato muscolare liscio anzidetto, rimangono per ciò superficialissime, e non sono separate dall’epitelio cilin- drico che per mezzo della membrana limitante ; 5° uno strato connettivo sottile (/), formato da sottili fascetti connettivi for- temente ondulosi, intrecciantisi fittamente fra loro; 6° epitelio esterno dell'intestino (9), costituito da un unico strato di cellule giustapposte l'una all’altra e presentanti un'elegante forma fusata, simile a quella delle fibro-cellule muscolari liscie. i Quanto alla cosidetta valvola spirale (fig. 1% 6), essa si può considerare come una duplicatura delle pareti intestinali, ingros> sata da un aumento del tessuto cavernoso. Infatti, noi vediamo che dall’avventizia dell’arteria (fig. 1% c) che, come è noto, scorre lungo l’asse della valvola, partono delle trabecole connettive, le quali, anastomizzandosi fra loro, circoscrivono numerose lacune sanguigne (4). È questo tessuto cavernoso che costituisce il corpo della valvola. Le sue lacune sono in generale assai ampie; se ne eccettuano, però, quelle che costituiscono lo strato superfi- ciale del corpo della valvola, le quali sono, relativamente, assai 532 G. BIZZOZERÒ piccole, ed arrivano fin sotto l’epitelio cilindrico, dal quale, come nell'intestino, non sono separate che dalla membrana limitante (fig. 4 s). Queste trabecole contengono, nel connettivo che ne forma lo stroma, degli elementi istologici di diversa natura, che ne modi- ficano il significato. Quelle, infatti, che giacciono sotto l’epitelio cilindrico contengono in buon numero delle fibre muscolari liscie (fig. 4 m), disposte in diversa direzione ; esse possono, per ciò, considerarsi come corrispondenti allo strato muscolare già notato nelle tonache dell’intestino. Tutte quelle altre trabecole, invece, che si diramano nel resto della valvola, e specialmente quelle che stanno nella metà basale di questa, sono infiltrate di leucociti. Fra questi ultimi se ne trovano costantemente alcuni presentanti le varie forme della mitosi. Il che ci permette di concludere, che questo tessuto in- terlacunare della valvola spirale è un focolajo di produzione di leucociti. Non sarà superfluo notare, che nello spessore delle trabecole si trovano talora anche delle grosse cellulule nervose. — Gli elementi dell’epitelzo si possono studiare facilmente iso- landoli colla macerazione per un paio di giorni nell’alcool allun- gato. Essi ci si presentano come cellule protoplasmatiche a forma di prisma molto allungato, con contorni laterali netti, e termi- nate all'’imbasso da un’estremità tronca posante sulla membrana limitante. L’estremità libera porta l'orlo striato, il quale mo- difica alquanto il suo aspetto nelle diverse cellule. In alcune ha una figura identica a quella degli altri animali studiati finora, con questo di più che vi è assai evidente la struttura bacillare, trovandovisi i bastoncini assai distinti l’uno dall’altro; in altre, invece, fra lo strato di bastoncini e la piastra che li sopporta è intercalato un altro strato o un’altra piastra, che è limitata verso il lume dell’intestino da una superficie leggermente convessa. Non interessando al mio scopo, non mi sono occupato più oltre di questa particolarità di struttura, così come non mi sono oc- cupato di determinare se talora, come viene ammesso da molti, i bastoncini siano contrattili ed acquistino il significato di ciglia vibratili. Il nucleo sta nella metà profonda delle cellule, però ad una certa distanza dalla loro base; è ovale, parallelo all’asse | più lungo della cellula, e presenta 2-3 grossi nucleoli. In pre- SULLE GHIANDOLE TUBULARI 533 parati molto colorati e visti a forte ingrandimento, il suo corpo si presenta attraversato da un fitto e sottile reticolo, i cui punti nodali hanno l’apparenza di finissimi granuli. Il protoplasma cellulare ha un aspetto finamente reticolato (con reticolo più lasso ed interrotto nella metà superficiale della cellula), e contiene spesso delle goccioline di grasso. In esso, eziandio, si trovano spesso (fig. 3 vv) delle inclusioni (enclaves) simili a quelle già vedute negli altri animali, rappresentate da globi di diversa grossezza, d'aspetto ora piuttosto granuloso, ora omogeneo, contenenti spesso dei granuli di una sostanza che for- temente s'imbibisce coi coloranti nucleari. Se, ora, dopo aver esaminato gli elementi isolati, li studiamo nel loro insieme, per es. su sezioni trasverse di un intestino pre - viamente indurito nell’alcool, troviamo che vi sono differenze no- tevoli fra le cellule epiteliari a seconda del pgsto che esse oc- cupano nell’intestino. Le differenze più spiccate noi le troviamo paragonando le cellule dei fornici (fig. 4°) con quelle che stanno più lontane da questi ultimi, cioè che stanno sia sulla cresta della valvola spirale (fig. 3), sia lungo la linea mediana dor- sale dell’intestino (per brevità designeremo queste due regioni col nome di antibasali, in opposizione ai fornici, che si trovano alla base della valvola spirale). Le differenze (fig. 3° e 4%) consistono : 1° nella forma; infatti le cellule dei fornici sono lunghe e assai sottili, mentre quelle delle regioni antibasali sono più corte e più larghe: 2° nella forma dei nuclei, che nei fornici sono parimenti più lunghi e sottili; 3° nella disposizione dei nuclei. Infatti i nuclei nei fornici, per quanto siano sottili, tuttavia ingrossano alquanto le cellule nel punto in cui essi risiedono ; perchè, adunque, le cellule possano, come in ogni epitelio, star applicate l’una contro l’altra, occorre che i nuclei di cellule vicine stiano disposti a diversa altezza nel corpo cellulare; ne consegue, che nei fornici i nuclei sono disposti in diversi piani e stretti lateralmente l’uno contro l’altro. Nelle zone antibasali, invece, i nuclei tendono a mettersi tutti allo stesso livello e stanno ad una certa distanza l’uno dall’altro ; 4° nel numero delle inclusioni presentate dal protoplasma cel- lulare, le quali sogliono, nei fornici, essere assai meno numerose che nelle regioni antibasali; 5° nel numero dei leucociti mi- granti nello strato epiteliare. In tutto l’epitelio che riveste l’in- testino si trovano dispersi dei leucociti, i quali stanno quasi 534 G. BIZZOZERO esclusivamente in corrispondenza della metà profonda delle cellule, cioè fra la base di esse ed il nucleo ; assai di raro si vedono nella metà superficiale. — Orbene, questi leucociti sono piuttosto scarsi nell’epitelio dei fornici (fig. 4 /), mentre nelle zone anti- basali non è raro veder dei tratti in cui quasi ogni cellula epi- teliare è provvista di un ieucocito (fig. 3). Come si spiegano queste differenze? Io credo che esse sì tro- vino in rapporto colla diversa età delle cellule epiteliari. Infatti, egli è solo nell’epitelio dei fornici che noi troviamo degli ele- menti che si moltiplicano per mitosi; e questi elementi vi sì trovano costantemente e vi si scorgono con facilità. Descrivo qui in breve le figure cariocinetiche che si tro- vano più frequenti e spiccate nell’epitelio del petromyzon, ricor- dando che i miei preparati vennero fissati ed induriti nell’alcool, e colorati specialmente con ematossilina, 0, successivamente, con safranina ed ematossilina. In un primo periodo il nucleo della cellula epiteliare si porta verso la estremità libera dell’elemento (fig. 4 c), in modo da trovarsi colla sua estremità inferiore al disopra del livello, della estremità superiore dei nuclei in riposo. Esso aumenta alquanto in tutti i suoi diametri; per qualche tempo persistono ancora; i nucleoli, poi scompaiono. La cromatina nucleare non si vede mai. in forma filamentosa; essa si presenta in forma di bastoncini così corti, da sembrare quasi granuli, notevolmente più grossi dei; granuli dei nuclei in riposo e assai più intensamente colorati. In un periodo successivo la membrana scompare, ed i cromo- somi si riuniscono a costituire la piastra equatoriale (fig. 5 a), la quale il più delle volte è parallela all’asse longitudinale della cellula, talora, invece, perpendicolare. A questo punto ha avuto luogo una notevole modificazione della forma della cellula; essa si è accorciata ed ingrossata, ed è diventata ovale o claviforme ; la sua estremità inferiore, quindi, si è allontanata notevolmente dal limite inferiore dello strato epiteliare, mentre la superiore rimane ancora al suo posto, provvista dell’orlo cigliato. A que- sto punto essa è lunga 28-32 u, mentre le cellule in riposo che la circondano son lunghe 70-80 wu. In un periodo ancora più avanzato i cromosomi si sdoppiano nei due nuclei figli (fig. 5* 3), e all’estremità inferiore della cellula comincia ad apparire un’insenatura nel protoplasma. (fi- gura 5° c) che accenna alla sua scissione. — Continuando il SULLE GHIANDOLE TUBULARI 535 processo, si hanno alla fine due piccole cellule appaiate, le quali, poi, gradatamente allungandosi, finiscono a diventare simili per forma e dimensioni alle cellule adulte che le circondano. Le cellule in mitosi stanno, adunque, di regola nella parte superficiale dello strato epiteliare. Nei molti miei preparati una volta sola 10 ho veduto «na mitosi giacente nella parte profonda dello strato, quasi a contatto della membrana limitante; ma non sono sicuro che appartenga all’epitelio ; anzi, per la minor gros- sezza del corpo cellulare e per la maggior grossezza dei cromosomi inclinerei a ritenerla una mitosi di leucociti. Le mitosi epiteliari dei fornici sono abbastanza numerose. In una sezione dello spessore di 5 ogni fornice ne presenta 4-6 ed anche più. Esse stanno nella curva del fornice, e si esten- dono nell’epitelio del 8° inferiore della valvola spirale e nella porzione corrispondente dell’epitelio dell’intestino. Questa attiva produzione cellulare parmi basti a spiegare le non piccole differenze che corrono fra le cellule dei fornici e quelle delle altre parti dell'intestino. Nei fornici infatti le cellule, aumentando continuamente di numero, si comprimono reciprocamente in senso trasversale e di- ventano, al pari dei loro nuclei, lunghe e sottili ; inoltre, la gio- vinezza sempre rinnovellantesi degli elementi dà ragione della scar- sità delle inclusioni che si trovano nel loro protoplasma, e del minor numero di leucociti che si trovano fra essi. Invecchiando, le cellule epiteliari si spostano gradatamente, sicchè gli elementi più vecchi, se non si desquamano mentre si trovano in cammino, finiscono col trovarsi all’apice della valvola spirale o alla linea mediana dorsale dell’intestino. Anche nella larva del petromyzon adunque gli elementi non vivono e muoiono là dove primitivamente vennero prodotti. Anche in essa, poi, abbiamo uno speciale focolaio di rigenerazione cel- lulare che risiede nei fornici; sicchè gli elementi di questi, attivi specialmente per la rigenerazione, non si possono considerare del tutto equivalenti a quelli del resto dell’intestino, che sono attivi specialmente per la funzione. 596 G. BIZZOZERO Intestino medio di alcuni insetti. Hydrophilus piceus. Riferiti i risultati ottenuti nei vertebrati, desidero ora di esporre alcune osservazioni frammentarie che ho fatto in alcuni insetti, poichè il modo con cui in questi si compie la rigene- razione dell’epitelio presenta, nelle diverse specie esaminate, delle differenze che hanno molta somiglianza con quelle osservate nei vertebrati. — Incomincierò dall’Hydrophilus, giacchè in nessuno degli animali da me studiati meglio che nell’idrofilo si può di- mostrare la derivazione dell’epitelio dell'intestino da quello delle sue ghiandole tubulari (1). Nell’idrofilo le pareti dell'intestino medio sono costituite (figura 6): 1° dall’epitelio di rivestimento; 2° dalla membrana chitinosa : 3° dallo strato connettivo, 4° dagli strati muscolari; 5° dalle numerosissime ghiandole (2). 1° Epitelio (fig. 6°). — È costituito da una sola specie di elementi, cioè da cellule prismatiche lunghe, a contorno laterale spiccato. Il nucleo giace verso il mezzo del corpo cellulare, è irregolarmente ovale, ed a contorno marcato; contiene talora un paio di nucleoli, più spesso un nucleolo solo, grosso, a contorno irregolare, da cui parte un reticolo che, essendo a trabecole fine e a maglie larghe, dà al nucleo un aspetto chiaro. Il proto- plasma è pur chiaro, a cagione di una quantità di vacuoli, che gli danno un’apparenza reticolata ; il reticolo è, poi, relativa - mente più fitto ed a trabecole più grosse nella metà superficiale della cellula che nella profonda. Le cellule, al solito, portano alla loro estremità libera l’orlo striato, che è di un discreto spessore, ed a'strie assai fine. 2° Membrana chitinosa. — È distesa sotto le cellule epi- teliari ed è su di essa che posa direttamente la loro estremità (1) Un brevissimo rapporto di queste osservazioni venne già da me pub- blicato nella seduta 26 maggio 1889 della R. Accad. delle Scienze di Torino, (2) Per lo studio usai a preferenza 1’ indurimento col liquido di K!ei- nenberg e la colorazione con safranina, e specialmente con ematossilina ; e quando non è detto altrimenti, mi riferisco a questi preparati. Paragonai, però, coll’ indurimento coll’acido osmico, col liquido di Flemming, o col su- blimato. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 5897 profonda. — Su sezioni verticali della parete intestinale essa si presenta sotto la forma di una linea assai marcata (fig. 6 d), resa irregolarissima da una quantità di curve e di angoli, de- rivanti da ciò che essa, anzichè essere piana, è, di solito, fina- mente pieghettata. Essa si può studiare facilmente sia isolandone dei lembi colla dilacerazione delle pareti dell’intestino, sia trattando addirittura quest’ultimo con una soluzione tenue di potassa cau- stica, la quale fa scomparire ogni altro elemento, all’infuori della membrana chitinosa. Si vede che questa è sottile, jalina, omogenea, e si nota che, oltre alle anzidette pieghettature, essa presenta numerosi fori, presso a poco tutti della stessa grandezza, e di- stribuiti con notevole regolarità (fig. 9% a). È facile il persuadersi che ogni foro corrisponde allo sbocco di una ghiandola. In cor- rispondenza di ogni foro la membrana forma una specie di ca- pezzolo o di imbuto (fig. 10°), al cui apice si trova appunto il foro; nelle pareti dell’imbuto la membrana è finamente pieghet- tata, in modo da ricordare le pieghettature di un collaretto spagnuolo (fig. 9 Bd). 3° Stroma connettivo (fig. 6 c), — È rappresentato da uno straterello di sostanza omogenea, che sta sotto la membrana chi- tinosa, dalla quale con tutta facilità si stacca, e da cui si di- stingue, oltre che pel minor potere di rifrazione, per la facilità con cui scompare colla potassa caustica. La superficie superiore di questo strato appare, nei pezzi induriti, provvista di una quantità di sporgenze irregolari, che corrispondono alle pieghet- tature già accennate della membrana chitinosa. Inferiormente, poi, esso manda dei prolungamenti, che costituiscono la membrana propria delle ghiandole, ed altri prolungamenti che si insinuano fra le sottogiacenti fibre muscolari. 4° Muscoli. — Nelle pareti intestinali abbiamo fibre mu- scolari striate che, a seconda della direzione che banno, si di- stinguono in longitudinali interne, trasversali e longitudinuli esterne. Le fibre longitudinali interne si distinguono, oltre che per la direzione, per la forma e sottigliezza. Sono delle cellule al- lungate, sottili (4-6), contenenti un grosso nucleo ovale, e for- nite di parecchi prolungamenti che, come il corpo della cellula, sono diretti in direzione prevalentemente longitudinale per rapporto all’intestino, e si assottigliano sempre più coll’allontanarsi dalle cellule cui appartengono. I prolungamenti di cellule vicine s'in- 598 G. BIZZOZERO trecciano fra loro. Tanto le cellule quanto i loro prolungamenti sono trasversalmente striati. Esse giacciono nella parte profonda dello straterello connettivo anzidescritto, sicchè, su sezioni trasverse dell'intestino colorate col carmino, esse appaiono come piccole fisure circolari di vario diametro, che sono immerse nella sostanza connettiva e facilmente possono scambiarsi per nuclei (fig. 6, d). Le fibre trasversali o circolari (fig. 6 e), a seconda del loro diametro si distinguono in sottili e grosse. Le prime (del diametro di 5-8 4) sono più interne, e quindi si trovano in rapporto di contiguità colle anzidescritte fibre longitudinali; le seconde (del diametro di 10-12 p.) stanno immediatamente all’esterno delle sottili, con cui costituiscono, quindi, un unico strato. Tanto questo strato, quanto quello formato dalle fibre longitudinali interne, sono, naturalmente, attraversati dalle ghiandole, e più precisa- mente dagli sbocchi di queste; le loro fibre muscolari devono, quindi, avere per buona parte un decorso onduloso, dovendo deviare tratto tratto quando incontrano un collo ghiandolare. Le fibre longitudinali esterne (fig. 6 f) non formano un vero strato. Esse costituiscono dei fascetti di 2-3 fibre, che nel loro decorso corrispondono ora verso il fondo cieco, ora verso il mezzo, ora un po’ più verso lo sbocco delle ghiandole, alla cui mem- brana propria aderiscono. Stanno, quindi, ad una notevole di- stanza dalle fibre circolari. I fascetti s'intrecciano tratto tratto fra loro, costituendo così una rete a lunghissime maglie longi- tudinali; in ognuna di queste sta una parimenti lunga fila di ghiandole. Le singole fibre muscolari sono spesso alquanto ap- piattite, grosse 12-20 u, talora biforcate, e in sezioni trasversali mostrano con molta chiarezza un asse protoplasmatico contenente i nuclei, ed una corteccia di sostanza contrattile. 5° Ghiandole. — Sono numerosissime (fig. 8° e), tanto da quasi toccarsi l’una l’altra, e disposte con una notevole regola- rità. Sono, infatti, disposte in lunghe file longitudinali, equidi- stanti fra loro. Se, poi, per una ghiandola qualunque di una fila si immagina condotta una retta perpendicolare alla direzione delle file, questa taglia le due file adiacenti a metà dell’intervallo fra due ghiandole di quelle (fig. 9% a). Le ghiandole (fig. 6*) sono piriformi allungate, con ingrossata la estremità corrispondente al fondo cieco. Esse si connettono alle pareti dell’intestino colla loro estremità superiore, che cor- risponde allo sbocco; la porzione inferiore è libera, sicchè la su- rea - SULLE GHIANDOLE TUBULARI 539 perficie esterna dell'intestino; guardata colla lente, appare fina- mente e regolarmente granulata. Sono limitate da una membrana propria sottile, jalina, trasparentissima, prolungamento, come dissi, dello strato connettivo. Su di questa si vedono applicate alcune cellule pallide, fortemente appiattite, ed allungate nel senso dell'asse maggiore della ghiandola, le quali forse corrispondono alle cellule di HexLE delle ghiandole tubolari gastroenteriche dei mammiferi. Il contenuto della ghiandola è per buona parte rappresen- tato da cellule epiteliari, sicchè il lume ne risulta relativamente assai piccolo, e non si estende cle ai due terzi superiori della ghiandola. — Le cellule epiteliari, poi, variano assai a seconda del posto che occupano. Ne possiamo distinguere tre zone: Nel fondo cieco (1% zona) le cellule (fig. 6, x) sono piccole, poliedriche ; hanno un protoplasm» a reticolo fitto, e contengono dei nuclei piccoli, rotondeggianti od ovali, forniti alla loro volta di un nucleolo piuttosto grosso, da cui parte un fino reticolo di cromatina. — Fra queste cellule si vedono frequenti delle mi- tosi (2-4 per ogni sezione di ghiandola dello spessore di 5 .) in tutti gli stadi. La cromatina delle mitosi è sotto forma di granuli o corti bastoncini minutissimi, fortemente colorabili ; sempre molto visibile (quantunque si tratti di cellule assai piccole) è il fuso acromatico. Nella 2% zona (fig. 6 y), le cellule si appiattiscono, si allun- gano e si dispongono radiatamente in modo, che coll’ estremità esterna toccano la membrana propria della ghiandola, e colla in- terna arrivano al centro di questa, ove s’incontrano colle cellule del lato opposto. I loro nuclei vanno ingrossando, sono ovali, e disposti a poca distanza dalla membrana propria. La 3* zona incomincia dove comincia il lume ghiandolare, ed arriva fino allo sbocco. Le cellule vi stanno (fig. 6 2) in un unico strato disteso fra il lume e la membrana propria della ghian- dola. Esse si sono ingrossate ed accorciate, così come si sono ingrossati il nucleo ed il nucleolo. Il reticolo protoplasmatico presenta maglie più larghe, sicchè le cellule appaiono più chiare di quelle che stanno nelle due zone anzidescritte. Inoltre, alla loro superficie libera le cellule presentano un orlo striato, si- mile a quello dell’epitelio intestinale, ma un po’ più sottile. In vicinanza dello sbocco della ghiandola le cellule devono cambiar forma, perchè il lume ghiandolare si allarga e la ghian- 540 G. BIZZOZERO dola, al contrario, si assottiglia. Esse, quindi, sì appiattiscono fortemente, si curvano, e, convergendo, vanno ad applicarsi in- torno alla punta dell’imbuto chitinoso. — La membrana propria della ghiandola non le segue in questa curva; essa procede diritta, attraversa lo strato muscolare, e, giunta alla superficie dello strato connettivo, si fonde con esso. Ne consegue che tutt’at- torno all’imbuto chitinoso rimane uno spazio circolare (fig. 6 9g), a sezione triangolare, limitato internamente dall’imbuto stesso, esternamente dalla membrana propria ghiandolare, inferiormente dalle cellule lamellari dell’epitelio ghiandolare, spazio che pare riempito di liquido chiaro con pochi granuli (1). Quanto al secreto che riempie il lume della ghiandola, esso, nei pezzi induriti nel liquido KLEINENBERG, appare omogeneo, fortemente rinfrangente, di aspetto mucoso o colloideo. Da questa descrizione che ho dato dell’intestino dell’idrofilo si può, senz'altro, determinare il modo di rigenerazione dell’epi- telio intestinale? No certamente; poichè l’epitelio intestinale non presenta mai alcuna delle sue cellule in mitosi. È vero che ci sono numerose mitosi nelle ghiandole; ma l’epitelio ghian- dolare è nettamente separato dall’ intestinale per mezzo del- l’imbuto chitinoso. All’apice dell’ imbuto chitinoso esiste bensì, come dissi, un foro, ma questo ha diametri assai più piccoli di quelli delle cellule ghiandolari circondanti lo sbocco; inoltre questi fori della chitinosa (nella membrana isolata dopo macerazione in alcool allungato, ed esaminata in una goccia d’acqua leggermente colorata con eosina) mi apparvero generalmente chiusi mediante uno straterello di sostanza finamente granulosa. C'è poi un’altra particolarità che richiama la nostra atten- zione. Il lume delle ghiandole mette capo al foro dell’ imbuto chitinoso; ma al di là di questo manca un dotto escretore che attraversi l’epitelio di rivestimento. Le cellule di queste passano come strato continuo al di sopra degli imbuti; è facile il per- suadersene tanto su sezioni verticali dell’intestino (fig. 6), quanto esaminando dei lembi di epitelio intestinale isolati colla macera- zione. A che serve il secreto se non può svuotarsi liberamente nell'intestino? 0 vi si svuota, forse, procurandosi un passaggio (1) Questi rapporti fra gli elementi costituenti lo sbocco ghiandolare si . vedono bene nei pezzi induriti con soluzione d’acido osmico 1 %/g. SULLE GHIANDOLE TUBULARI 541 temporaneo coll’allontanare l’una dall’altra le cellule sovragia- centi dell’epitelio di rivestimento ? (Queste incognite si spiegano tenendo conto di un fatto assai curioso che ho notato negli idrofili, e di cui ho già dato conto, come più sopra dissi, nella mia nota del 1889. — Questi animali tratto tratto eliminano dall'apertura anale dei cordon- cini bianchicci, semitrasparenti, piuttosto elastici, lunghi parecchi centimetri. Siftatti cordoncini sono costituiti, andando dall’esterno all'interno: 1° da uno strato gelatinoso, resistente all’acido ace- tico, d'aspetto mucoso (fig. 10 y); 2° dalla membrana chitinosa dell'intestino medio, tosto riconoscibile pe’ suoi caratteri, e spe- cialmente pei suoi imbuti e fori (fig. 10 x). Essa rappresenta ancora un tubo come quando era nell'intestino, sicchè limita un lume in cui trovasi, 3° un contenuto, costituito da una massa gelatinosa, sparsa di ammassi granulari di diverso aspetto, spesso nerastri, che sono palesemente materie fecali. Nessuna traccia di epitelio intestinale. Talora l’animale elimina due o tre cordoncini, ciascuno di alcuni cm. di lunghezza, tal altra ne elimina un solo, della lunghezza di 10-12 cm. e più; cioè di una lunghezza che cor- risponde a quella dell’intestino medio dell idrofilo. Si tratta, adumque, dell’eliminazione di tutta la membrana chitinosa dell’intestino medio, rivestita da uno strato di se- creto, e contenente materie fecali. Io ho voluto anche studiare con quanta frequenza e con quanta regolarità questa eliminazione abbia luogo. A questo scopo in maggio e giugno 1889 ho mantenuto isolati (ciascuno in un proprio vaso pieno d’acqua) alcuni idrofili, li ho nutriti abbon- dantemente con carne, ed ho continuato a tenere nota dei giorni in cui la chitinosa veniva espulsa fino al giorno in cui li ucci- deva per esaminarne l’intestino. Ecco i risultati. Designo i di- versi animali colle lettere dell’alfabeto; i numeri che seguono a queste indicano i giorni, dal principio all’esperimento, in cui ebbe luogo l’evacuazione : = bj 12,7, 200, 21,,23,,24,,26,.28, 32,,04;,36,,99,,40 =: 12,16, 17,,20,,22,,24, 27,.29, 36, 97,,42 = 12, 17, 20, 21, 24, 26, 29 13, 19, 21, 23, 24, 28, 81, 35, 38 ivceliorzis L92042 2080, 12717720,24, 28, 0 dea, Il [e <> > © e Î 549 G. BIZZOZERÒ Come si vede da questa tabella, quantunque in media si abbia una eliminazione ogni tre giorni, tuttavia nei singoli casi si osservano differenze notevoli, giacchè in uno stesso animale si possono avere delle eliminazioni distanti l’una dall’altra 6 o 7 giorni, e successivamente delle eliminazioni distanti l’una dall’altra soltanto 24 ore. Probabilmente questa irregolarità sì tiene in rapporto colla quantità di alimenti che l'animale assume. A ciò inclino a credere considerando che gli animali, come appare dalla tabella, cominciarono ad eliminare la chitinosa da 5 a 13 giorni dopo che erano stati isolati e s'era cominciato a fornirli di cibo; mentre, dopo che l’esperienza fu in corso e la assunzione di alimenti fu lasciata in balìa dell’animale, le eliminazioni ebbero luogo, in media, ad intervalli assai più corti. Non ho fatto altre esperienze atte a risolvere questa que- stione, perchè a me bastava avere accertato, che questa elimi- nazione della chitinosa è un fatto frequente e normale nell’idrofilo. L’ho osservato in animali conservati per molti mesi in labo- ratorio, e presentanti sempre le apparenze della migliore salute. Il distacco della chitinosa deve necessariamente essere accom- pagnato dal distacco dell’epitelio intestinale che giace su di essa. Non si saprebbe comprendere come il fatto potesse aver luogo altrimenti. Tuttavia in nessuno dei cordoncini eliminati si può trovar traccia di epitelio. — La spiegazione che mi parve più naturale di questo fatto si fu, che l’epitelio venga distrutto, digerito rapidamente mentre la chitinosa si trova ancora nell’in- testino. A determinare il valore della mia supposizione io esa- minai l’intestino dei suaccennati idrofili, che uccidevo a diverso intervallo dall’ultima evacuazione Se la mia supposizione era fondata, e se la distruzione dell'epitelio non ha luogo in modo istantaneo, avrei dovuto trovare qualche animale in cui l’intestino contenesse la chitinosa in via di eliminazione, ma ancora provvista del suo epitelio. — Ed è appunto ciò che avvenne. Il lume in- testinale degli idrofili B e G non conteneva che masse d'aspetto’ mucoso, con materie fecali; quello degli idrofili C, D, Y con- teneva la chitinosa accartocciata, in via di eliminazione, senza traccia di epitelio; finalmente quello dell’idrofilo E, ucciso 4 giorni dopo l’ultima evacuazione, presentava la chitinosa in via di eliminazione, ancora provvista del suo epitelio. Darò una breve descrizione di questo intestino dell’idrofilo E, perchè da un paragone fra esso e quello degli animali anzi SULLE GHIANDOLE TUBULARI 548 citati si può arguire come abbiano luogo la eliminazione e la riproduzione della chitinosa e del suo epitelio. L'intestino dell’idroflo E è contratto (fig. 8); la chitinosa caduta (a) in parte tocca l’epitelio nuovo, che le è sottoposto, in parte se ne trova distaccata formando delle pieghe irregolari, sicchè fra essa e l’epitelio suddetto rimangono degli spazi, i quali sono riempiuti d'una sostanza d’aspetto colloideo (c), simile a quella che costituisce il secreto delle ghiandole e presentante qua e là degli scarsi piccoli nuclei rotondeggianti (fig. 11 e). Nella chitinosa sono evidentissimi gli imbuti (fig. 11). La su- perficie superiore della chitinosa è ancora regolarmente rive- stita del suo vecchio epitelio. Gli elementi di questo sono per- fettamente riconoscibili e colorabili (fig. 11 5). In preparati induriti in alcool e colorati col picrocarmino, le cellule pre- sentano di solito al disopra (di raro al disotto ) del nucleo un grosso vacuolo, hanno un orlo striato grosso ed a strie poco evidenti, e, per contro, presentano assai spiccata una striatura longitudinale di quella zona di protoplasma che sta sotto all’orlo striato. Quanto alle tonache intestinali, si osserva quanto segue : 1° l’epitelio è onduloso (fig. 8 6 e fig. 7 a): gli infossamenti corrispondono agli sbocchi ghiandolari, i rialzi agli spazi inter- ghiandolari. Le sue cellule hanno protoplasma piuttosto chiaro, e posseggono già un orlo striato piuttosto grosso; 2° sotto l’e- pitelio manca ogni traccia di membrana chitinosa; 3° lo strato connettivo (fig. 7 c) non presenta, di degno di nota, che più lunghe e sottili le sporgenze della sua superficie; 4° nulla di notevole presentano ì muscoli; 5° di notevole importanza, invece, sono le modificazioni che offrono le ghiandole e che appaiono a prima vista paragonando fra loro le figure 6 e 7. Le ghian- dole dell’idrofilo E sono piccole, corte, applicate strettamente l’una contro l'altra (fig. 8 e). Il loro impicciolimento si spiega studiando il contenuto (fig. 7). Infatti, in ess» sono rappresentate soltanto cue celle tre zone epiteliari che abbiamo veduto nella fig. 6°: la zona del fo:do cieco (la quale fra le sue cellule piccole, poliedriche presenta sempre parecchie mitosi) e la zona sovrastante a questa, cioè quella a cellule lunghe, strette e radiate. In questa seconda è da osservare sol questo, che in talune ghiandole manca ogni traccia di lume, mentre in altre le cellule più vicine allo sbocco non si toccano colla loro estremità 544 G. BIZZOZERO centrale. ma lasciano uno spazio chiaro, che sembra contenere un po’ di liquido sieroso (fig. 7 %). Manca, invece, la terza zona, quella a grosse cellule chiare e a orlo striato, e manca ogni traccia di secreto mucoso. Al posto di tutto ciò si osservano due grosse cellule (fig. 7 g), a grosso nucleo, e a protoplasma che è assai chiaro perchè costituito da un fino reticolo a larghissime maglie. Talora fra queste due celiule se ne osserva una terza, compressa e schiacciata da esse (figura citata). — Queste cellule segnano il confine della ghiandola, perchè è direttamente su di esse che poggia l'epitelio di rivestimento dell’ intestino; ed è in questo solo periodo che l’epitelio ghiandolare mi apparve in - continuazione diretta (senza interposizione di membrana chitinosa) coll’epitelio di rivestimento. Infatti, nell’idrofilo D, che si trovava in un periodo di ben poco più avanzato dell’idrofilo antecedente (la chitinosa caduta era ancora nell'intestino, ma il suo epitelio era già stato digerito) fra le due cellule ghiandolori chiare e l’epitelio intestinale si trovava già interposto l’imbuto chitinoso, provvisto de’ suoi ca- ratteri morfologici. Sembra che l’imbuto sia la prima parte che si forma della chitinosa, perchè in quest'animale, neppure coi più forti ingrandimenti, potei accertare l’esistenza della chitinosa fra l’epitelio intestinale e lo strato connettivo. Invece, negli idrofli C ed #, ad onta che la chitinosa caduta fosse ancora nell’intestino, la chitinosa nuova si poteva dimostrare riprodotta tanto in corrispondenza degli sbocchi ghian- dolari, quanto fra epitelio intestinale e strato connettivo. Essa qui era dunque già completa. - Le ghiandoie erano ancora pic- cole; sotto l’imbuto chitinoso vedevansi ancora le due cellule grosse e chiare, ma al disotto di queste cominciava ad accumu- larsi del secreto mucoso. Per ultimo, negli idrofili B e G la chitinosa caduta era già stata eliminata dall’intestinmo. In essi le ghiandole erano grosse e piene di secreto, la chititosa nuova già ben spiccata. Dall'esame dell'intestino di questi animali uccisi nel maggio e giugno 1889, così come di quello di altri animali uccisi nell'aprile dello stesso anno, ecco il concetto che mi sono fatto intorno al processo pel quale ha luogo la muta dell’intestino medio : Nel momento che precede il distacco della chitinosa le ghian- dole sono fortemente distese dalle numerose cellule epiteliari che SULLE GHIANDOLE TUBULARI 545 vi si sono moltiplicate per cariocinesi, e dal copioso secreto mucoso ch’esse hanno fabbricato (fig. 6), e che non potè svuo- tarsi attraverso al sottile foro della chitinosa. È a questo punto che succede la eliminazione parziale del contenuto ghiandolare, ed essa ha luogo sia per la pressione secretoria endoghiandolare , sia (e questa deve agire in modo brusco) per la contrazione dei muscoli. La contrazione dei mu- scoli avvicina l'una all'altra le ghiandole, in modo ch’esse si comprimono reciprocamente. Riguardo ai muscoli longitudinali esterni è da notare che, inserendosi essi generalmente verso il mezzo delle ghiandole, la loro compressione si esercita special-, mente sul contenuto della metà superficiale delle ghiandole, cioè su quella parte che deve essere spinta fuori. — Sotto questa pressione il secreto mucoso si spinge fra la chitinosa e lo strato connettivo sottoposto, staccando quella da questo. Ecco, adunque, che il budello chitinoso, tappezzato internamente dall’epitelio, si trova libero nel lume intestinale, ed è rivestito alla sua super- ficie esterna da quello strato mucoso che ha servito al suo di- stacco e che noi abbiamo trovato costante tanto sulla chitinosa ancora giacente nel lume intestinale (fig. 8 c), quanto su quella già eliminata dall’animale (fig. 10 y) (1). La stessa contrazione, che ha espresso dalle ghiandole il secreto mucoso, spinge fuori anche le cellule ghiandolari, che circondavano quest’ultimo. Esse si dispongono sullo strato con- nettivo limitante il lume intestinale, e vi costituiscono il nuovo strato di epitelio di rivestimento. — A questo punto, adunque, le ghiandole (fig. 8 e) sono piccole, compresse l’una contro l’altra, prive di secreto, e il loro epitelio è in diretta continuità coll’e- pitelio di rivestimento dell’intestino (fig. 7) che da esse ha avuto origine. Ma ben presto fra quell’epitelio e questo si forma l’'im- buto chitinoso che di nuovo li separa, e che poi si estende fra l’epitelio intestinale e lo strato connettivo che lo sostiene; nelle ghiandole (fig. 6*) le cellule più vicine allo sbocco entrano in (4) Questo modo di distacco mi ricorda quello descritto da Toparo (Ri- cerche fatte nel Laboratorio di Anatomia. Roma, Salviucci. 1878) nella muta dell’epidermide dei rettili, nella quale pure si forma uno strato di sostanza mucosa che separa l’epidermide vecchia dalla nuova; colla differenza, però, che nei rettili la sostanza mucosa non è un secreto ghiandolare, ma un pro- dotto di degenerazione di uno speciale strato epiteliare. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 40 546 C. GIACOMINI attività secretoria, e producono nuova sostanza mucosa, mentre quelle giacenti nel fondo cieco si moltiplicano per mitosi; e così in breve tempo l’intestino si trova pronto per una nuova elimi- nazione della chitinosa e del suo epitelio. L’idrofilo, adunque, si distingue dagli animali fin qui stu- diati per ciò, che mentre in questi neli’intestino si desquamano successivamente singole cellule, nell’ idrofilo si desquama e si riproduce in blocco tutto lo strato epiteliare (1). (1) Una breve descrizione ed un disegno dell’intestino d’idrofilo si tro- vano nel noto lavoro di FRENZEL sull’intestino medio degli insetti (Arch. f: mikr. Anatomie, vol. 26, pag. 229, tav. IX, 1885). FRENZEL, però, non ha distinto lo strato muscolare longitudinale interno; inoltre, non avendo notato l’esistenza della membrana chitinosa, e non conoscendo il fatto del periodico rigenerarsi di questa e del suo epitelio, non ha potuto conoscere i curiosi rapporti genetici che esistono fra l’epitelio delle ghiandole e quello dell’in- testino, Secondo lui quest’ultimo si rigenera per scissione diretta delle sue stesse cellule. Sulle anomalie di sviluppo dell'embrione umano ; Comunicazione V, del Socio Prof, C. GIACOMINI Chi ha avuto l'opportunità di esaminare una serie numerosa di prodotti abortivi dei primi due mesi, si sarà certamente in- contrato in casi, nei quali mancava all’interno delle membrane l'embrione. Questa possibilità è d’uopo che sia bene stabilita, onde evitare false interpretazioni e per poter convenientemente apprezzare il materiale antico e recente descritto nella letteratura. Ora ciò può succedere in due modi: o perchè l'embrione si arrestò nelle primissime fasi del suo sviluppo, entrò in un pe- riodo di regresso, fu assorbito in loco e scomparve senza lasciar residui. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 547 Oppure perchè l'embrione emigrò dalla sede sua naturale, attraversò tutte o parte delle membrane che lo involgevano e fu espulso in epoca più o meno lontana dal momento in cui av- venne l’aborto propriamente detto e furono emesse le sue mem- brane. Questo secondo modo ammette ancora una distinzione, secondochè nella sua emigrazione l'embrione è seguito dal sacco amniotico; ovvero esso si presenta nudo, e tutte le membrane ri- mangono al loro posto e continuano a vivere ed anche a crescere. È mio desiderio di discorrere brevemente di queste diverse occorrenze, arrecando osservazioni le quali valgano a dimostrare la loro possibilità. Se queste, a primo aspetto, possono sembrare questioni secondarie riguardo alla ontogenesi della specie nostra ; esse meritano però d'essere attentamente studiate, potendo la loro soluzione appianare la via per ricerche più importanti. D'altra parte esse interessano la patologia dell'embrione e delle sue mem- brane, così poco avanti nel suo studio, e per ciò solo esse devono richiamare la nostra attenzione. Prima però di venire direttamente all’argomento credo op- portuno di riferire una nuova osservazione un po’ difficile ad essere interpretata, ma che pur nondimeno io penso abbia grande im- portanza per stabilire un legame fra i prodotti abortivi 1 quali presentano ancora un rudimento d’embrione, e quegli altri nei quali ogni traccia d’embrione manca completamente. Oss. VII. Il 18 aprile 1889 riceveva dal dott. Carbonelli un aborto il quale era avvenuto il giorno prima, ed era rimasto per 24 ore in acqua. Circostanza questa non troppo favorevole per uno studio diligente e minuto delle singole parti, e che deve perciò evitarsi il più possibile. L'aborto comprendeva tutte le mem- brane d’origine fetale e materna, che furono indurite e quindi conservate in alcool (N. XXI della Raccolta). La caduca ovulare era già stata incisa ed il Chorion era in gran parte allo scoperto. Liberato dalle decidue l’ ovolo aveva forma leggermente ovale. Il massimo diametro misurava appena 10 millim,, il trasverso 9 mm. Tutta la superficie del Chorion era rivestita da villosità regolarmente ed uniformemente disposte. In un punto, corrispondente ad una estremità del massimo dia- 548 C. GIACOMINI metro, il Chorion si allungava in un breve peduncolo, il quale si trovava impegnato in una apertura della caduca. La fig. 1 dimostra l’ovolo a grandezza naturale. Un ovo con queste dimensioni è certo uno dei più piccoli che sia stato descritto; avrebbe corrisposto alla 2° settimana e mi aspettava di trovare un embrione appena costituito. His per i suoi embrioni più piccoli di 2 a 4 mm. dà come diametro del Chorion 1,5 c.m. e recentemente Spee ha descritto un embrione umano dei primi periodi con canale neuenterico e canale mi- dollare aperto, il quale era contenuto in un sacco coriale di 8,5, —10 e 6,5 mm. l Prima di aprire il Chorion mi assicurai con un attento esame della perfetta integrità della sua parete; e l’esame fu tanto più accurato sospettando che l'embrione fosse già uscito, non pre- sentandosi il sacco coriale troppo disteso; ma ciò era forse da mettersi in rapporto al suo lungo soggiorno in un liquido im- proprio per la conservazione delle parti Dopo esser rimasto per qualche tempo in alcool fu aperto il Chorion, e la piccola cavità si trovò percorsa da una sostanza aracnoidea, la magma reticularis, la quale dava un aspetto ne- buloso a tutto il contenuto. Non fu possibile scorgere il sacco amniotico ed il prodotto embrionario. Sulla parete opposta all'apertura del Chorion si notava un piccolissimo corpicciuolo rossastro, puntiforme, che si intravedeva appena attraverso la magma, e del quale non fu possibile di ben stabilire la forma, i rapporti e la natura. Anche visto ad un certo ingrandimento non potevano essere distinti altri particolari; però il corpicciuolo si dimostrava ben organizzato, ben circoscritto, e di una certa consistenza, e sì di- stingueva perciò dagli ordinari precipitati che si formano nella cavità dell’ovo sotto l’azione dei reagenti. Non era possibile quindi dire se questo corpo rappresentasse una parte o la totalità del- l'embrione, oppure se avesse altro significato. In tutte le forme anomale che abbiamo studiato fino ad ora, per quanto l’atrofia dell'embrione fosse giunta all'estremo grado (vedi Oss. precedente VI), riesciva sempre abbastanza facile il caratterizzare non solo l'embrione, ma ancora le sue principali regioni; ra ciò veniva fatto in specie per irapporti che il pro- dotto conservava colle membrane. Nel caso presente il rudimento embrionario, se possiamo così chiamarlo, non aveva connessioni col ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’'EMBRIONE UMANO 549 Chorion, di più l’Amnios non si lasciava scorgere, Eravamo a- dunque in presenza di una disposizione forse non ancora descritta. Per risolvere ogni questione conveniva procedere ad un esame più minuto. Fu distaccato tutto il tratto di Chorion che sosteneva nel suo centro il corpicciuolo. e che misurava pressochè il terzo di tutta la superficie coriale. Convenientemente colorita con borace carmino, questa parte fu divisa in oltre 400 sezioni. L'esame microscopico delle sezioni ci diede maggiori rischia- rimenti, ma non dissipò completamente i dubbi. Ecco ciò che venne osservato. Nelle prime sezioni si notava solamente il Chorion con le sue dipendenze. La sua parte mesodermale era robusta, ben costi- tuita e ricca di cellule. L’epitelio era distaccato per lunghi tratti, e si presentava sotto forma di un sottile nastro; i limiti cellu- lari non erano ben distinti e lo stesso fatto si osservava nelle villosità. Ciò in gran parte era l’effetto della cattiva conserva- zione. Non si rinvenne traccia di vasi sanguigni. Lo spessore del Chorion è relativamente pronunciato e si man- tiene costante in tutta l’estensione della sezione. Anche le villosità sorgono voluminose e sono poco ramificate. Alla sua faccia interna appare il tessuto della magma con scarsissime cellule. Non si notano altre particolarità. Giunto alla 78" sezione in un punto della superficie in- terna del Chorion incomincia ad accennarsi una leggera spor- genza, che va aumentando nelle sezioni successive; quindi al centro di essa si forma una cavità, ed entro questa compare un sotti- lissimo nastro contorto circoscrivente uno spazio più ristretto, come si scorge nella fig. 3°. Questo nastro è formato da cellule di natura epiteliare in condizioni non troppo perfette di conserva- zione. Queste cellule primitivamente dovevano essere applicate alla superficie interna della cavità che è circoscritta dalla sporgenza mesodermica del Chorion e formare così il rivestimento epiteliare di essa. L’epitelio si è distaccato dalla parete della vescicola forse per le medesime circostanze che hanno prodotto il distacco del rivestimento epiteliare dal Chorion e dalle sue villosità. Si ha così una vescicola perfettamente chiusa, la cui parete è formata da due strati, uno epiteliare e l’altro connettivale; questo ha l’identica costituzione dello stroma del Chorion, col quale si confonde nelle prime sezioni, più tardi essa si rende in- 550 C. GIACOMINI . . dipendente (fig. 4%). Ma allora il nastro epiteliare è già scom- parso. Lo strato epiteliare non ha legami colle parti circostanti, e non si può dire quale sia la sua provenienza. Ciò rende molto difficile di interpretare il significato di tutta questa formazione, se debba vale a dire considerarsi come una produzione del Chorion, oppure di altre dipendenze degli annessi fetali. Quando incomincia a comparire la cavità di questa vescicola, al lato sinistro di essa dalla superficie interna del Chorion parte una stria di tessuto mesodermico , sotto forma di . sottilissima membranella, la quale può essere seguita ad una certa distanza e poi scompare confondendosi con la magma reticulare (fig. 3* A). Nello spazio compreso fra questi due prolungamenti del tes- suto mesodermico del Chorion, compare un cumulo cellulare ben circoscritto che va un po’ ingrossando e poi tosto finisce. Esso fu compreso in 30 sezioni. Questo cumulo ci rappresenta il cor- picciuolo che abbiamo notato macroscopicamente quando fu aperto il Chorion. Gli elementi che lo costituiscono ricordano quelli dell’em- brione, però non sembrano normali nè nella costituzione, nè nella distribuzione. Sono delicati, mal circoscritti poco coloriti dal car- mino e d'aspetto epiteliare. In un tratto della superficie questo accumulo è limitato da un unico strato di cellule appiattite, che non può essere seguito per tutta l'estensione della formazione, ma che in alcuni punti appare ben distinto con nuclei fortemente coloriti e sporgenti sulla superficie. Gli elementi situati internamente hanno forma rotondeggiante, contenuto granuloso, e nucleo pochissimo evidente. Nelle prime sezioni queste cellule sembrano sparse uniformemente senza dar origine a formazioni speciali; però nel centro del tubercolo si no- tano delle parti circoscritte, che possono essere seguite per poche sezioni, che accennano quasi ad organi embrionali; ma dalla loro forma, dalla loro costituzione e dai loro rapporti non possiamo de- durre nulla riguardo alla loro significazione. La fig. 5° disegnata ad un maggiore ingrandimento dimostra la costituzione del tubercoletto nella sua parte centrale ; in a e d; si vedono dei tratti abbastanza ben circoscritti che simulano organi primitivi dell’embrione. Il corpicciuolo che stiamo descrivendo non si presenta com- pletamente isolato dalle parti circostanti; ma nelle prime sezioni si vede che esso contrae una connessione stretta con la parete della vescicola per mezzo di breve e sottile peduncolo, formato ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 551 da poche cellule circondate da sostanza amorfa, che si continua con il tessuto mesodermale della vescicola, senza spingersi pro- fondamente. Ciò è dimostrato dalla fig. 4% in 7° Considerate queste due formazioni a piccolo ingrandimento, senza discendere a particolari di struttura, sembra d'aver sot- t'occhio un embrione colla sua vescicola ombellicale, grandemente modificati nella loro conformazione. Continuando l'esame delle sezioni si scorge che la vescicola è la prima a scomparire, poi cessano le cellule che formano il tubercoletto, e finalmente il prolungamento membraniforme che si origina dallo stroma del Chorion anche esso non diventa qui distinguibile. Le restanti sezioni sono tutte uniformemente di- sposte e non dimostrano alcuna particolarità la quale meriti una descrizione, e porti rischiaramento alle cose sopradette, Come si scorge dalla fatta descrizione, noi ci troviamo in pre- senza di un caso un po’ difficile ad essere ben interpretato. È certo però che si tratta qui di un’anomalia di sviluppo di una forma nuova che non ha riscontro nelle osservazioni precedente- mente studiate. Due supposizioni noi possiamo fare su questo proposito. Una è quella di ammettere che l'embrione sia uscito dalla sua sede naturale attraversando il Chorion e sia stato accompagnato nella sua emigrazione dall’Amnios. La seconda si è di considerare il nostro ovolo colpito da un arresto di sviluppo avvenuto nelle primissime fasi quando il Chorion si era appena differenziato. L'arresto avrebbe interessato non solo l’embrione, ma tutte le formazioni comprese nella cavità coriale vale a dire l’Amnios, la vescicola ombellicale ed anche il peduncolo addominale. L’idea che l’embrione fosse uscito è la prima che era venuta alla nostra mente quando fu esaminato il contenuto dell’ovo e fu trovato mancante di parti formative; ma dopo l’esame mi- croscopico delle sezioni è difficile di poter accogliere questa ipo- tesi, essendo che rimarrebbe sempre a dare una interpretazione alle particolarità descritte entro il Chorion. Ed anche supponendo che l’emigrazione dell'embrione non sia stata completa, ma una piccola parte fosse rimasta a posto, contrasta ancora la perfetta integrità del Chorion, constatata prima della sua apertura, ed il modo di presentarsi delle parti entro contenute. Per cui torna più conveniente di credere che si tratti real. 552 C. GIACOMINI mente di un disturbo di sviluppo avuto nell’ovo nel momento in cui il Chorion stava per completarsi e per rendersi indipendente dalle altre parti embrionali. Ed in allora il cumulo cellulare dovrebbe essere considerato come il residuo embrionale e la ve- scicola applicata alla superficie interna dal sacco dell’ovo come yescicola ombellicale. Rimane sempre a dar ragione della man- canza dell’Amnios e del peduncolo addominale ; forse queste parti furono più profondamente colpite. Però trattandosi di anomalie di sviluppo che non sappiamo ancora ben valutare nei loro effetti, e di annessi fetali la forma- zione dei quali non è ancora perfettamente conosciuta nella specie nostra, possiamo rimandare una discassione per la quale ci man- cano gli elementi essenziali. Del resto residui di Amnios potreb- bero rinvenirsi in quel prolungamento membraniforme del tessuto mesodermico del Chorion, che abbiamo veduto esistere solo in corrispondenza del rudimento embrionale. Ora fermiamoci un momento sul rudimento embrionale. Am- messo che il cumulo cellulare rappresenti l’embrione in via di scomporsi e di scomparire, noi scorgiamo tosto come esso sì di- stingua grandemente dai prodotti che abbiamo avuto l'occasione di studiare nelle precedenti comunicazioni (Osservazioni II, III, V, VI). Si distingue innanzi tutto per il suo volume e per la sua costituzione. Malgrado il suo studio sia stato accurato e ripetuto, non abbiamo potuto rinvenire traccia alcuna di organi primitivi em- brionari. Quindi anzi che una forma atrofica esso ci rappresen- terebbe una forma nodulare, l’unica che, fino ad ora, sia stata descritta col soccorso del microscopio. His, che è stato il primo, come si sa, a stabilire una di- stinzione dei prodotti abortivi, nel suo ultimo lavoro, chiama noduli quei corpi più o meno rotondeggianti, che si trovano ade- renti al Chorion, come unici residui dell’embrione. Essi avreb- bero un diametro che oscilla fra 1 ed 1 !/, mm. Si riscontre- rebbero con una certa rarità avendoli egli osservato solo cinque volte su quarantacinque embrioni anomali. Ma His non ha sezionato le sue forme nodulari per un esame microscopico, e non può essere eliminato il dubbio, che nei suoi noduli esistessero traccie più o meno manifeste di organi primi- tivi, ed in allora, secondo il concetto da noi espresso, dovrebbero appartenere alle forme atrofiche. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 555 E questa non deve essere considerata come una distinzione pu- ramente scolastica ed arbitraria. Essa ha la sua importanza ed il suo fondamento in riguardo all'epoca in cui si iniziò il processo di arresto. In tutte le forme nodulari il disturbo nello sviluppo sì opera molto presto e più propriamente nel momento in cui nel- l’area embrionaria stanno per comparire le prime traccie del nuovo individuo, corda dorsale, solco midollare, masse protovertebrali. Tutti questi organi non si differenziano ed allora al posto dell’em- brione noi troviamo un ammasso di cellule, non solo senza distin- zione di parti, ma così confuse che non possiamo nemmeno stabilire da quale foglietto blastodermico esse provengano direttamente. Per questo fatto le forme nodulari devono essere, siccome l’ha riconosciuto già His, molto rare, e più rare di quanto egli ha calcolato stando alla sua esperienza personale. Se il disturbo col- pisce la vescicola blastodermica in un periodo più precoce, nes- suno degli annessi fetali si formerebbe ed in questo caso più difficile riescirà di rinvenire i residui modificati dell’ovo. Vedremo meglio la verità di quest’asserto, descrivendo a momenti alcune nostre esperienze sul coniglio. Non avendo il nostro nodulo alcun rapporto diretto con le membrane e non presentando nella sua conformazione esterna al- cuna particolarità che ricordasse una formazione embrionaria, le sezioni microscopiche furono fatte un po’ arbitriamente senza una prestabilita direzione. Ciò certo deve portare un po’ di con- fusione nella interpretazione delle diverse parti, ma non nello stabilire il significato del tutto. Se qui avessimo un prodotto normale, in qualunque senso fossero state dirette le sezioni, sa- rebbe sempre facile di ben caratterizzare una formazione em- brionaria normale, a qualunque periodo fosse giunta nel suo sviluppo. Invece nella nostra osservazione l’unica cosa che pos- siamo asserire si è che gli elementi non si trovano in condizioni fisiologiche, e che essi provengono da parti embrionali e non daglî annessi fetali. Un altro fatto non concorda con le osservazioni precedenti. Negli arresti di sviluppo che abbiamo studiato, ed in tutti quelli riferiti dagli autori, le membrane prendono uno sviluppo molto superiore al volume dell’embrione. Questa sproporzione è così costante e così evidente, che essa subito ci mette sull’avviso sulle condizioni di sviluppo dell'embrione. Nel presente caso nulla di tutto ciò. Il volume del Chorion è fra i più piccoli che siano 554 C. GIACOMINI stati osservati. Questa circostanza è forse in connesso con l’ar- resto dell’Amnios; ad ogni modo se si ripetesse sarebbe un buon dato per caratterizzare le forme nodulari. Infine un’ultima e più essenziale differenza noi troviamo nel nostro rudimento embrionario, e questa sta nel modo di pre- sentarsi degli elementi. Sorprende infatti di non trovare le cel- lule dell'embrione alterate in quella guisa che abbiamo ripetu- tamente descritto negli altri arresti di sviluppo tanto dell’uomo come degli animali. Le cellule si disorganizzavano ed andavano distruggendosi senza passare per quei stadi o per quelle forme che abbiamo osservato negli altri prodotti abortivi. In nessun. punto si notavano quegli elementi piccoli, rotondeggianti, forte- mente coloriti che tanto caratterizzano le parti interne delle forme atrofiche. Il processo deve quindi essere diverso. E che realmente la distruzione delle parti embrionali molto giovani e non ancora differenziate, avvenga un po’ diversamente da quanto si osserva in periodi più avanti nello sviluppo, è di- mostrato da alcune mie esperienze sulla coniglia gravida, che credo opportuno di quivi brevemente riferire. Esse danno anche un appoggio valido a molti particolari che siamo andati discutendo. Quando nella coniglia gravida si opera prima che avvenga l’aderenza della vescicola blastodermica alle pareti dell'utero per mezzo dell’ectoplacenta, in allora, siccome abbiamo già avuto occasione di dire nella precedente comunicazione, difficilmente lo sviluppo continua, si ha una distruzione delle pareti della ve- scicola e di queste è raro di poter raccogliere dei lembi per un più minuto esame. Ma uccidendo l’animale pochi giorni dopo l’ope- raziore si riesce ancora a trovare qualche parte della blastoderma ed a studiare il modo di comportarsi degli elementi costitutivi. Così in una coniglia gravida al 7° giorno e 5 '/, ore, da alcune vescicole blastodermiche (esperienza V) vien estratto con una pic- cola siringa di Pravaz ad ago finissimo una goccia di liquido, esse tosto avvizziscono. — Altre vescicole dello stesso utero non vengono operate per servire come termine di confronto. L’ani- male è ucciso 3 giorni ed 1 ora dopo l’operazione, e quindi 10 giorni e 6 '/, ore dopo il coito. L'esame dimostrò che lo sviluppo ha continuato nelle ve- scicole blastodermiche rimaste illese, ed esse contenevano un em- brione normale e corrispondente all’età, Le vescicole operate si ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 555 presentavano invece molto più piccole e lo sviluppo si era com- pletamente arrestato. Aperto, l'utero in alcune di esse si potè an- cora raccogliere larghi lembi ci blastoderma, in quella parte che sta applicata al mesometrio e quindi dovevano corrispondere al- l’area embrionale della vescicola. Questi lembi preparati con gli ordinari metodi furono sezionati in tutta la loro estensione. Convien ricordare che nel momento in cui fu praticata l’ope- razione nell’area embrionaria della blastoderma si trova già ac- cennato il solco midollare e dietro esiste la linea primitiva nel pieno suo sviluppo. Ai lati di essa incomincia comparire il me- soderma fra i due foglietti primari, però nella massima sua estensione la vescicola blastodermica è ancora didermica. Essa non presenta aderenze con le pareti uterine e può essere facilmente isolata senza lesioni. Come nella nostra forma nodulare, le sezioni di questi lembi furono eseguite senza alcuna orientazione, per cui dal loro esame riesce più difficile di poter stabilire la posizione dell’area em- brionaria e delle parti assili dell'embrione. Nelle sezioni i lembi blastodermici si presentano continui senza interruzione. Sulla faccia esterna si trovano'traccie mani- feste dello strato albuminoide che circonda primitivamente l’ovolo e quindi tutta la vescicola blastodermica ; esso è generalmente frantumato, ma in alcuni tratti mantiene ancora stretti rapporti colla blastoderma, ed assume la forma di un sottilissimo nastro omogeneo e fortemente tinto dal carmino. Alla faccia interna si trovano detriti granulari prodotti dal disfacimento delle cellule blastodermiche. Sono ben distinguibili i due foglietti primari: il foglietto in- terno costituito da un unico strato si mantiene costante in tutta l'estensione dei preparati: il foglietto ectodermico è formato da elementi più chiari, meno regolarmente disposti e sovrap- posti in diversi strati a seconda dei diversi punti in cui si esamina la sezione. (La fig. 6* rappresenta una sezione di blastoderma fatta in queste condizioni (Hartnack oculare 1, ob- biettivo 5). Nei preparati fatti non si è potuto notare elementi mesodermici. Ciò però che ci interessa direttamente si è la costituzione degli elementi. Essi non hanno caratteri normali. I contorni delle cellule sono quasi interamente scomparsi nelle ectodermiche, molto irregolari nelle entodermiche. Queste 556 C. GIACOMINI sono più colorite delle prime, più piccole, più granulose con nucleo meglio evidente. Nelle cellule ectodermiche si riscontrano fre- quentemente dei vacuoli. Riesce facile dimostrare le profonde modificazioni che sono avvenute in questi elementi paragonandoli con quelli di una blastoderma normale della stessa età. In queste membrane avveniva una lenta distruzione delle parti senza che esse subissero altre trasformazioni. E che la di- struzione sia lenta lo dimostra il fatto, che malgrado siano tras- corsi più di tre giorni dalla praticata operazione, si vede che le vescicole conservano ancora la loro continuità e la loro strati- ficazione. Non troviamo nessuno di quei fenomeni che abbiamo veduto esistere nelle forme abortive. Circostanza questa la quale viene in appoggio della distinzione che abbiamo fatto, tra i fe- nomeni che avvengono nelle parti colpite puramente dalla morte e quegli altri che si osservano negli organi primitivi, quando essi già costituiti e resi indipendenti, sono disturbati nel loro sviluppo. Non dovrà però essere dimenticato che il mesoderma in questo periodo si sta iniziando, e non ha ancora acquistato quella im - portanza che assume subito più tardi. E ciò potrebbe avere in- fluenza sul diverso modo di comportarsi delle parti nella loro distruzione, sostenendo alcuni che gli elementi piccoli, rotondeg- gianti, d'aspetto linfoide che invadono tutto l'embrione, siano di provenienza mesodermica. Nello sviluppo normale del coniglio noi osserviamo delle atrofie che avvengono in alcuni punti della vescicola blastodermica, e che possono essere paragonate a quanto abbiamo notato nelle nostre esperienze. Così il Duval (1) ha molto ben descritto l’a- trofia che subisce tutta la porzione periferica o distale della vescicola ombellicale nel coniglio. Essa infatti primitivamente si trova costituita dall’ectoderma e dall’entoderma:; ma appena sì inizia l’invaginazione dell'emisfero superiore della vescicola om- bellicale nell’inferiore, questo incomincia a degenerare; le cellule dei due foglietti divengono meno distinte, la sostanza protopla- smatica si colora meno intensamente coi reattivi, i due strati cellulari non sono più riconoscibili, presto si fragmentano per- dendo la loro continuità, finchè al posto dell’ectoderma e del- l’entoderma non rimane che un detrito, il quale anche esso non tarda a scomparire per assorbimento. (*) MarHÒtas Duvar, La placenta des rongeurs. ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE. UMANO 557 Ora io credo che il processo per mezzo del quale avviene la distruzione e la scomparsa di tutta la vescicola blastodermica, quando essa, per mezzo dei nostri esperimenti, è disturbata nella sua evoluzione e resta impedita la sua aderenza alle pareti ute- rine, dalle quali deve trarre i materiali per il suo accrescimento, sia presso che identico al sopradescritto, se non che nelle con- dizioni normali il processo si limita ad un solo emisfero della vescicola, mentre nel nostro caso esso si opera su tutta la sua estensione. Per analogia noi possiamo dire che anche nella specie nostra devono avvenire fenomeni consimili a quelli che abbiamo osser- vato nella coniglia; anche in noi se la vescicola blastodermica nel mentre sta per arrivare od è già giunta nell’utero incontra ostacoli al suo sviluppo deve subire la medesima sorte, deve de- generare e scomparire. Ma egli è evidente che nella specie nostra forse non si giungerà mai ad osservare questi fatti, o supposto anche che essi, in qualche rara circostanza, cadessero sotto la nostra osservazione, difficilmente noi lo potremo riferire a di- sturbi avvenuti nelle primissime fasi di sviluppo dell’ovolo. Finchè adunque non saranno meglio chiarite con nuove osser- vazioni, le condizioni in cui avvengono i disturbi di sviluppo nell’ovo umano quando sta per giungere nell’utero, e le loro con- seguenze tanto sull’area embrionaria, quanto nella porzione extra embrionaria della vescicola blastodermica, noi possiamo provviso- riamente conchiudere che nel caso sopradescritto si tratti di un arresto di sviluppo avvenuto nell’ovolo nel mentre stavano per comparire le prime traccie del nuovo individuo. Con maggiore certezza possiamo asserire che quando l’arresto di sviluppo avviene in questa fase esso fa sentire la sua azione non solo sull’embrione, ma ancora sugli annessi d'origine fetale, e finalmente possiamo affermare che le forme nodulari devono avere un significato diverso dalle forme atrofiche , indicandoci precisamente l'epoca precoce in cui si inizia il processo, e co- stituendo come l’estremo limite a cui noi potremo giungere con la nostra osservazione nell’esame dei processi abortivi. Sarebbe cosa non troppo difficile, percorrendo la letteratura antica ed anche recente, di trovare casi i quali corrispondano in modo perfetto alle forme che abbiamo fino ad ora descritto nelle nostre comunicazioni. Ma è questo un lavoro che meglio e più opportunamente sarà fatto quando il materiale sarà divenuto più 558 C. GIACOMINI - ANOMALIE DI SVILUPPO ECC. abbondante. In allora si vedrà che molte osservazioni che ven- gono ancora oggidì dai diversi autori considerate e citate come disposizioni normali, non ci rappresentano invece che forme anomale. E sarà questo un grande vantaggio che sarà portato al nostro studio, venendo eliminato un materiale il quale, anzichè rischia- rare, disturba grandemente il concetto che noi possiamo farci delle prime fasi di sviluppo della specie nostra. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE della tav. VI. Fia. 1. Ovulo [n° XXI] a grandezza naturale. Tutta la super- ficie del Chorion è coperta da villosità. — P breve peduncolo che si trovava impegnato in una apertura della decidua. » 2. Lo stesso ovulo dopo l’apertura del Chorion, » 3. (Sezione 108) C. Chorion. — 0 vescicola circoscritta dal tessuto mesodermico. E nastro epiteliare che si trova entro la cavità della vescicola. A prolungamento membraniforme del tessuto mesodermico del Chorion. » 4. (Sezione 116). In esso si scorge in & un cumulo di cellule le quali rappresenterebbero il rudimento em- brionario ; in si trova una congiunzione tra il cumulo cellulare e la vescicola 0, della quale è già scom- parso il nastro epiteliare. » 5. Il rudimento embrionario disegnato ad un maggiore in- grandimento (Hartnack oculare n° 3, obbiettivo 7) in a ed in % si vedono delle parti circoscritte, che ri- cordano disposizioni del canale midollare o della re- gione cardiaca. » 6. Sezione di un lembo di vescicola blastodermica di co- niglio tre giorni dopo la puntura e l’aspirazione di una goccia di liquido entro contenuta. Alla superficie interna si trovano detriti cellulari D. Si distinguono ancora bene i due foglietti primari ectoderma (e) ed eutoderma (?) che verso le estremità della sezione si vanno disorganizzando. tosti ie. MINI- Anomalie di sviluppo dell’ Embrione umano. F 19 p 1 I° x ‘0 La ® 3 DQ® So Sulle cianacetilamine e nuovi acidi ossamici ; Nota seconda del Prof, ICILIO GUARESCHI Nella mia prima Nota: Azzone dell'etere cianacetico sulle basi organiche, ho fatto osservare che debbono essere interessanti i prodotti di ossidazione delle cianacetilamine. Tutte le cianace- tilamine che ho ossidato col permanganato potassico danno, spesso già a temperatura ordinaria, dell'acido cianidrico ed un acido ossamico sostituito. Reazione che si può esprimere nel seguente modo: R'.NHCOCH®°CN+0* = R'.NHCOCOOH + HCN cianacetilamine primarie acidi ossamici monosostituiti o primari. R*.NCOCH*° CN+0* = R'.NCOCOOH+HCN cianacetilamine secondarie acidi ossamici bisostituiti o secondari. MENHOCOCHSCN 7 vv NHCOCOOH R”r -—=» CH*°CH°NHCOCOO Ag o CH*°CH°NHCOCOOH CH< CH°C00H Cd'=cHR000%6 è più probabile che il mio sia quello colla formola I. Il sale monoargentico è pochissimo solubile nell’acqua fredda, solubile a caldo; la sua soluzione ha reazione acida. Anche il fatto che questo sale d’argento riscaldato sopra 160° non sviluppa gas, ma dà acqua, rende più probabile la formola I. Ho tentato, decomponendo questo sale d’argento, di avere l'acido apiperidonossamico per eliminazione d'una molecola d’acqua, ma non sono riuscito nell’intento. Sopra 160° questo sale rigonfia, senza sviluppare dei gas, sviluppa acqua, ed il residuo bruno in gran parte si scioglie nell'acqua dando una soluzione acida che per evaporazione deposita argento ridotto. Il sale diargentico C' H°Ag* NO? fu ottenuto dalla soluzione del sale potassico, col nitrato d’argento, come pure neutraliz- zando con ammoniaca il liquido acido da cui si è precipitato il sale monoargentico. I. Gr. 0.4676 di sale diedero 0.2488 di Ag. II. Gr. 0.4679 di sostanza disseccata a 100° fornirono 0.2541 di Ag. Da cui: calcolato per trovato C'H°Ag* NO° JÒ TR Ag°/ 53.21 54.28 53.60 Questo sale d’argento è una polvere bianco-giallognola, pe- sante, cristallina, pochissimo solubile nell’acqua anche bollente, che a 100° non si altera, ma bensì alla luce. SULLE CIANACETILAMINE 571 La soluzione neutra del sale ammonico dà col cloruro fer- rico precipitato rosso; coll’acetato neutro di piombo dà un pre- cipitato bianco voluminoso che si rappiglia in minutissimi cri- stalli disposti a rosetta. Non precipita col cloruro di bario nè col solfato di rame. I sali, acido e neutro, di potassio sono solubilissimi. Dunque riassumendo, l’ ossidazione della cianacetilpiperidina avviene in due fasi; nella prima si elimina acido cianidrico e formasi l'acido piperidilossamico : CH? CH°® mol CH® H?C CH* —t 0°- HCN — wo CH* H?C CH*® NCOCH?CN NCO . COOH acido piperidilossamico. Nella seconda fase, si rompe la catena dell’acido piperidil- ossamico nel punto di collegamento tra il carbonio e l’azoto e formasi l’acido ossalildamidovalerianico : CH? CH? H?C CH? H°C cu? + 0°— EL H? 2 ca 0H.0C | NHCOCOOH NC0600H acido ossalil-0-amidovalerianico. Azione del calore sull’acido ossaliltà amidovalerianico. L'acido ossalil è amidovalerianico, secco, scaldato a 160°-170° sviluppa acqua ed un miscuglio di anidride carbonica e di ossido di car- bonio; perde circa 36 °/, del proprio peso. Il prodotto ottenuto stando sul cloruro di calcio cristallizza e la sua soluzione ac- quosa precipita col ioduro di potassio iodurato, coll’acido fosfo- molibdico e col ioduro bismutico potassico; si scioglie solo in parte nell’etere dall’evaporazione del quale si ha una sostanza che pre- cipita coll’acido fosfomolibdico e che col ioduro bismutico po- tassico dà un abbondante precipitato cristallizzato in begli aghi. DIS I. GUARESCHI Questi pochi caratteri non sono sufficienti per affermare con sicurezza che in questa reazione siasi prodotto l’apiperidone sioiCH:CH CH NCOCOOH . Intorno la decomposizione pirogenica dell'acido ossalil dami- dovalerianico tornerò forse ad occuparmi quando avrò preparato maggiore quantità di materiale; desiderando anche di studiare l’azione del calore su altri acidi ossamici. Cianacetilmetilanilina. Questo studio aveva per me lo scopo non tanto di preparare l'acido metilfenilossamico quanto di vedere come si comporta la metilanilina (e l’etilanilina) coll’etere cianacetico per farne poi il confronto colla tetraidro z chinolina le cui relazioni colle aniline alchiliche sono note in base alle ricerche di Eug. Bamberger. L’etere cianacetico non agisce sulla metilanilina a tempera- tura ordinaria ma bensì verso 180°. 42 gr. di metilanilina, bollente a 192°, furono mescolati con 52 gr. di etere cianacetico e scaldati in pallone tubulato munito di refrigerante per raccogliere i prodotti della distillazione. A 180°-182° incomincia ben manifesto lo sviluppo dell’ alcool, insieme a traccie di ammoniaca, metilanilina ed etere cianace- tico. Si va mano a mano aumentando lentamente la temperatura sino a 190°, poi, quando è già distillato circa */, dell’alcool che | deve prodursi, si porta la temperatura anche a 210°. Dopo circa SULLE CIANACETILAMINE 573 3-4 ore di riscaldamento si lascia raffreddare ed il liquido rosso - bruno si solidifica in massa cristallina bianca. Il prodotto, di- stillato in corrente di vapore, per togliere la piccola quantità di metilanilina e di etere cianacetico inalterati, si scioglie in acqua bollente, si scolora, si lascia cristallizzare, ed infine si ri- cristallizza dall'alcool il prodotto ottenuto. Si può anche scaldare la miscela di etere cianacetico e me- tilanilina, a fuoco nudo, con piccola fiamma. Il composto così ottenuto diede all’analisi i risultati seguenti: I. Gr. 0.1625 di sostanza essiccata sul cloruro di calcio die- dero 0.4095 di CO? e 0.0895 di H°0. II. Gr. 0.1087 di sostanza fornirono 14.6 cm? di N a 15° e 747.5 mm. Da cui la composizione seguente ; TÈ TE Co = | 68.44 _ Ho. = 6.10 _ iN = -- 15.4 Per la formola della cianacetilmetilanilina : CH° 6 IT5 CHEN 0. CH°CN si calcola: CO = 68.86 H = nO4 N — Al16.86 La quantità di prodotto che si ottiene è quasi teorica. La cianacetilmetilanilina cristallizza dall'acqua bollente in grosse tavole ed ancora meglio cristallizza dall'alcool. È solubile nell'acqua calda, poco nella fredda. Solubile nell’etere. Fonde a 86°-87°5 in liquido incoloro. 574 1. GUARESCHI Acido metilfenilossamico. Anche la cianacetilmetilanilina già a temperatura ordinaria è ossidata dal permanganato potassico, secondo l'equazione seguente : CH Cè H° 6775 di g73 = NCO.COOH + HCN > 2 oe ci > NOOCH*CN+ 0°= | 4.6 gr. di cianacetilmetilanilina in polvere e sospesi in 50 cm? di acqua furono trattati con 175 cm? di soluzione satura - di permanganato potassico, cioè un poco più del doppio del suo peso di permanganato, si sviluppa calore e molto acido cianidrico. Il liquido giallo ed alcalino, fu concentrato poi estratto con etere, acidulato con acido solforico ed esaurito con. etere. Distillato l’etere rimane un residuo liquido che, agitato, dopo pochi mo- menti si rappiglia in massa cristallina bianca, la quale lavata alla pompa con poco etere e ricristallizzata dall’acqua calda fornisce dei bei prismi incolori. Quest’acido, cristallizzato dall'acqua, con- tiene H?0 di cristallizzazione. I. Gr. 0.1500 di acido secco sul cloruro di calcio, fornirono 9,2 di Na 15°tfe 747 mm! II Gr. 1.5586 di acido secco all’aria, scaldati a 80°-90° per- dettero 0.158 di H°0. III. Gr. 0.4489 di acido seccato all’aria e sul cloruro di calcio, scaldati a 70° fornirono 0.0414 di H?0. IV. Gr. 1.3342 di acido, scaldati a 75°-80° fornirono 0.1300 dito: Da cui: trovato ASTI, io — — > re IR II. DUE IV. Da RTZON _ — = H*0 of sa 1031 9.22 9.7 Numeri questi che corrispondono alla formola dell’acido me- tilfenilossamico : cun > + de I ugo DI III FLORA 71.15 (1) 70.85 150 = == 5.20 5.90 N e 11.66 sa re Numeri che conducono alla formola C!4H!°N?°0°, per la quale si calcola: Cio li=altiz000 HO is MM 5:00 INERTI L'analisi e la decomposizione cogli alcali in ammoniaca, di- fenilamina ed acido ossalico mi pare non possano lasciar dubbio che la sostanza ottenuta sia la difenilossamide asimmetrica : CONH* | È CONCA la quale colla potassa si decomporrebbe nel modo seguente: CO.NH° COOK | __+2K0 CON(C°HP)f La difenilossamide asimmetrica è un prodotto costante del- l'ossidazione della cianacetildifenilamina; però sempre in piccola quantità. (1) La quantità maggiore di carbonio trovata nell’analisi II è da attri- buirsi alla formazione di un poco di composti nitrosi; l’acqua ottenuta era acidissima, 582 I. GUARESCHI — SULLE CIANACETILAMINE T.a difenilossamide asimmetrica è isomera colla difenilossamide CONHC°H° simmetrica od ossanilide | di Gerhardt. La mia dife- CONHCSH° nilossamide asimmetrica fonde a temperatura più bassa (169°- 170°) che non la difenilossamide simmetrica (245°), come la dietilossamide asimmetrica (125°-127°) rispetto alla dietilossa- mide simmetrica (179°); così pure è della difenilurea non sim- : NH° 2 spad metrica C0< x(csH5} che Ponao a 189° mentre la difenilurea NEO UT 00 ù simmetrica CO È fusibile a 235°. Cianacetiltetraidrozchinolina. La tetraidrozchinolina C°H'° NH si comporta pressochè egual- mente alla metilanilina ed alla etilanilina ; fornisce il derivato cia- nacetilico C°H!°. NCOCH°CN in bei cristalli fusibili a 65°-66°. Dovendo ancora studiare i prodotti di ossidazione di questa so- stanza mi limito a questo breve cenno. Azione dell’etere cianacetico sulla fenilidrazina. I prodotti che si ottengono sono diversi secondo la tempera- tura cui ha luogo la reazione; questi prodotti saranno descritti in una terza Nota insieme a quelli che si ottengono da altre basi. Torino. Laboratorio di Chimica farm, e tossicologica dell’Università, 17 giugno 1892. 583 Sulla trifenilpiperazina ; Ricerche del Dott. LUIGI GARZINO Dalle ricerche da me riferite in una precederte pubblica- zione (1), risulta che per l’azione del bromuro di fenacile C,H, CO. CH, Br, sull’etilendifenildiamina CH (Ce HE) 81 farma il composto C,,H,, N: questo corpo, come ammisi allora, pro- viene dalla condensazione di una molecola di etilendifenildiamina con una di bromoacetofenone con simultanea eliminazione di acido bromidrico ed acqua. Reazione rappresentata dalla equazione se- guente : C,H,.N<0®7 Ch v.0,H,+-0,H,C0CH,Br=HBr+-H,0+ FRI La sostanza così ottenuta, sarebbe un derivato della tetra- idropirazina o tetraidropiazina (Widmann) che dir si voglia (1) Gazz. Chimica Ttal, XXI, 1891. Fasc, XI, vol, 2°, Sulla Trifeniltetra- idropirazina, Nota I, 584 L. GARZINO e propriamente la (1.3.4) trifeniltetraidropirazina N.C,H, N.C,H, Gli studii ulteriori su questo argomento, di cui si tratta ap- punto nella presente comunicazione, ebbero per iscopo: 1° La preparazione della trifeniltetraidropirazina con mi- glior rendimento di quanto ebbi in precedenza. 2° La preparazione della trifenilessaidropirazina (o trife- nilpiperazina) per riduzione della trifeniltetraidropiraziva. In seguito, per estendere maggiormente queste ricerche, stu- dierò altri composti simili. Così, oltre ai corrispondenti derivati della orto- e paraetilenditolildiamina. intorno a cui riferirò in una prossima nota, e dell’z — e { etilendinaftildiamina, prepa- rerò i composti analoghi dall’etilendifenildiamina e dal cloroace- tone: inoltre, avuta la etilendimetildiamina dall’azione del bro- muro d’etilene sulla metilamina, col cloroacetone tenterò d’avere la trimetiltetraidropirazina, da cui forse potrò isolare la tetrai- dropirazina stessa. Trifeniltetraidropirazina. ©Hs="CHj CH.N= ce o>N CH, TIC: Questa base risulta, come è detto sopra, dalla condensazione di una molecola di bromuro di fenacile con una di etilendife- nildiamina. Riguardo all’etilendifenildiamina, noterò che, avendo impie- gato i metodi di preparazione suggeriti da Gretillat (1) e Morley (2), non ebbi risultati del tutto soddisfacenti, poichè assieme all’eti- (4) Moniteur scientifique, 1873, pag. 384. (2) Bericte, XII, 1794. SULLA TRIFENILPIPERAZINA 585 lendifenildiamina cercata, ebbi sempre la formazione della so- stanza a punto di fusione più elevato (presenza di difenilpiperazina, fondente a 165°), che rendeva malagevole ottenere la base se- condaria allo stato di purezza. Ebbi miglior rendimento, modificando un poco il metodo di Hofmann; modificazione che consiste nell’impiegare, assieme al bromuro d’etilene, un grande eccesso di anilina. In un ampio pallone, si mescolano il bromuro d'’etilene e lanilina, nel rapporto di «na molecola di quello per otto di base; si connette ad un refrigerante a ricadere, scaldando poi al- l'ebollizione del bagno-maria. Dopo un quarto d’ora circa di tale riscaldamento, la forma- zione di una poltiglia cristallina di bromidrato d’anilina, indica il compiersi della reazione. Protratta l’azione del calore ancora per qualche minuto, si lascia raffreddare: si tratta quindi con grande quantità d’acqua la sostanza, riscaldando a b. m., prima nel pallone stesso, poi versando in larga capsula. Col vapor d’acqua si elimina il bro- muro d’etilene inalterato. Ripetei varie volte questo trattamento, lasciando raffreddare il liquido prima di separare l’acqua, fino a scomparsa del bromidrato d’anilina. La sostanza grezza, che per raffreddamento si solidifica in massa cristallizzata, pressai accuratamente fra carta, per espor- tare la quantità d’anilina che la impregnava ancora. Questo pro- dotto, cristallizzato una volta da alcool a 80°, l’ebbi bianco e puro fondente a 64°-65° in goccia limpida. Così operando ottenni circa l’83 °/, del rendimento teorico, evitando completamente la formazione della dietilendifenildiamina (difenilpiperazina). In ricerche anteriori (1) ho dimostrato che per azione del bromoacetofenone sull’etilendifenildiamina, si forma la trifenil- tetraidropirazina C,, H,, N,, assieme alla difenaciletilendifenil- diamina, quando il bromuro di fenacile è impiegato in lieve ec- cesso, e che si ottiene solamente la trifeniltetraidropirazina, quando nell’operazione è presente una quantità maggiore di eti- lendifenildiamina. Preparai ora il composto di condensazione più abbondantemente e con più facilità operando nel modo seguente : Gr. 35 di etilendifenildiamina sì mescolarono intimamente (1) Gazzetta Chimica Italiana, XXI, 1891, fasc. XI, vol, 2°, 586 L. GARZINO con gr. 21 di bromuro di fenacile e con gr. 17 di acetato so- dico anidro. — La quantità di diamina impiegata è notevolmente maggiore di quella occorrente per avere i reattivi in proporzioni equimolecolari. — La miscela, ben secca, introdotta in palloncino a largo collo, venne riscaldata all’ebollizione del bagno d’acqua. Dopo pochi minuti di riscaldamento, la massa fuse in gran parte e si osservarono tosto grumetti bianchi di bromuro di sodio ; passato un quarto d’ora circa, la sostanza si risolidificò quasi tutta e la reazione fu compiuta. — Si triturò con acqua in mor- taio il prodotto grezzo, che non esalava più affatto odore di bromoacetofenone, finchè l’acqua di lavaggio non dava più rea- zione di bromuri. La sostanza paglierina, polverulenta si lavò ripetutamente con alcool concentrato, freddo, triturandola in mor- taio, fino a che l’alcool restò incoloro. Il prodotto allora, pres- sochè bianco, secco pesava gr. 30 (mentre teoricamente si sarebbe dovuto averne gr. 32,7) ed era quasi puro. — Per purificarlo completamente, si sciolse in benzina, in cui è molto solubile, ri- scaldando leggermente, e la soluzione benzinica che era più o meno colorata in giallo, si versò poco a poco in 19-12 vo- lumi di alcool concentrato freddo, agitando vivamente affinchè la pirazina non si separasse oleosa e poi a grumi. Dopo brevissimo tempo cominciarono a formarsi minuti cristalli e dopo qualche ora si ebbe depositata gran parte della sostanza. Dei 30 grammi so- pradetti, ebbi depositati in un simile trattamento gr. 23 di pi- razina fondente a 128°-129°. — Le acque madri benzino-alcoo- liche, colorate alquanto, fornirono per concentrazione altra pirazina più gialla e naturalmeute meno pura. Ripetendo due o tre volte questa operazione, si ha la trife- niltetraidropirazina bianca. Così precipitata è in polvere cristallina, costituita da minute squamette incolore, che, vedute in massa, hanno leggiero color paglierino. L'analisi di questo prodotto confermò la formola grezza già data precedentemente; difatti la sostanza seccata su acido sol- forico, fornì i seguenti risultati analitici: Gr. 0,2030 di sostanza diedero 0,6297 di CO, e 0,1253 di H,0. Gr. 0,2609 di sostanza fornirono cc. 21,5 di azoto a 22° e 739,5 mm. di pressione atmosferica. Ì i TRI SULLA TRIFENILPIPERAZINA 587 Trovato Calcolato per C., H,, N, GIRO Sp. pn e pata 84,61 Hi {, =; 648 ca SAI 6,41 E BUZZI 9, 7a i Ae a: pont 8,97. La trifeniltetraidropirazina fonde a 1830°-131°. È poco solubile in alcool freddo, di più nel bollente, molto solubile in benzina, facilmente in etere, da cui specialmente si ot- tiene ben cristallizzata. Le soluzioni benzinica ed eterea hanno intensa fluorescenza azzurra. Il Dr. Artini Ettore, dell'Università di Pavia, determinò le costanti cristallografiche ed ottiche di questa sostanza cristalliz- zata dall’etere. Ebbe la gentilezza di comunicarmi i risultati ot- tenuti, che qui unisco, Trifeniltetraidropirazina. Sistema trimetrico: (Fig. 1) PAVCAZIVE NATI E 21 (001) : (011) = 619,46 (001): (101) = 67 ,39 Forme osservate: OTO, TORO, JO d JO 1 ORI I cristalli sono sempre pri- smatici, allungati secondo [100]. Sfaldatura perfetta secondo }001|. Piano degli assi ottici 5100/. Bissetrice acuta, positiva, nor- male a }001{. Forte doppia rifrazione. Angolo vero degli assi ottici 2Y, = 66°, 4' per la luce del sodio. Indice di rifrazione medio [o = 1,7252 (per la luce del sodio). Dispersione degli assi piuttosto energica: 0 > v. 388 L. GARZINO La trifeniltetraidropirazina è una base assai debole, però sta- bilissima. Si scioglie negli acidi minerali concentrati da cui ri- precipita per aggiunta di acqua. Si conserva molto tempo inal- terata, sia esposta all’aria, sia in soluzione. Ha proprietà riducenti; difatti la sua soluzione alcoolica ri- duce il cloruro d'oro, il cloruro mercurico; col cloruro ferrico dà una colorazione verde fugace, che passa al giallo e da cui non ottenni pel riposo sostanza cristallizzata, come avviene per contro nell’identico derivato toluilico. — "Trattata con soluzione alcoolica di cloruro di platino, dapprima dà un intorbidamento verdognolo, dovuto a riduzione del sale, e poi la soluzione si fa limpida, gialla, da cui si deposita un cloroplatinato che però non ha la composizione corrispondente al sale platinico della tri- feniltetraidropirazina. Alla pressione ridotta a 240 mm. bolle sopra 360°, alte randosi parzialmente, ingiallendo e sviluppando odore eguale a quello di naftilamina; tanto la parte distillata, quanto il residuo più colorato, ricristallizzati, hanno il punto di fusione della base pura. Riduzione della trifeniltetraidropirazina. Fra i derivati della trifeniltetraidropirazina, presenta parti- colare interesse quello che si dovrebbe ottenere per sua idroge- nazione, cioè la trifenilessaidropirazina o trifenilpiperazina. Difatti la formazione di questo corpo, costituisce una prova dell’esservi un doppio legame nel nucleo caratteristico della te- traidropirazina; inoltre, ammessa per la trifeniltetraidropirazina la formola di costituzione : CHON< sr o e>N. C,H. C;H, nel composto essaidrogenato: BOCCHI CH, Na oi 3 NUO CSHI sarebbe presente un atomo di carbonio asimmetrico, che darebbe alla molecola la possibilità di essere sdoppiata nei due isomeri otticamente attivi. SULLA TRIFENILPIPERAZINA 589 Ricerche su quest'ultimo argomento formeranno appunto og getto di un altro lavoro. Il procedimento di riduzione, generalmente adottato, cioè l’impiego del sodio con alcool etilico assoluto, è quello da cui ottenni buon risultato, quantunque finora non abbia ancor po- tuto preparare quantità sufficiente di trifenilpiperazina per uno studio completo. Dalla riduzione col sodio e coll’alcool amilico, ebbi risul- tato negativo. Similmente riottenni la base inalterata dall'impiego dell’amalgama di sodio, tanto in soluzione alcoolica quanto acetica. Tentai pure la riduzione collo stagno ed acido cloridrico, nella speranza di aver maggior rendimento, ma invece ebbi un risultato diverso, ebbi cioè, non solo riduzione, ma contempora- neamente idratazione e perciò sdoppiamento della trifeniltetrai- dropirazina nell’originaria etilendifenildiamina ed in acetofenone. Riduzione della trifeniltetraidropirazina con stagno ed acido cloridrico. In palloncino munito di refrigerante a ricadere, sciolsi gr. 6 di trifeniltetraidropirazina in ce. 80 di acido cloridrico ad L49° alla soluzione limpida leggermente verdognola, riscaldata blan- damente a b. m.. aggiunsi in una volta gr. 4 circa di stagno polverizzato. Appena cominciato lo sviluppo di idrogeno, la colorazione verdognola della soluzione scomparve assumendo una tinta gial- liccia. Dopo un’ora di riscaldamento si separò una parte cristalliz- zata bianca che man mano aumentò, mescolandosi poco per volta con un’altra sostanza a grumetti, verdiccia e più pesante. Inoltre, all’estremità del tubetto, assieme ai fumi di acido clori- drico si notava distinto l’odore di acetofenone. Come riconobbi in seguito, la sostanza bianca leggiera era cloridrato di etilendifenildiamina ed il prodotto verdiccio, trife- niltetraidropirazina inalterata che si depositava per il diluirsi del- l’acido cloridrico. 590 L. GARZINO Dopo tre ore di reazione a b. m. lo stagno era quasi com- pletamente disciolto. Diluii il contenuto acido del pallone con un poco più del suo volume di acqua, quindi lo distillai con corrente di vapore acquoso. Le prime porzioni distillate, costituite da un liquido tor- bido contenente goccioline oleose alquanto più pesanti dell’acqua, esalavano nettamente l’odore di acetofenone. — Successivamente, assieme all’acqua non distillò altra sostanza. — Estratte con etere le prime frazioni ed eliminato il solvente ebbi un re- siduo liquido, oleosn, leggermente colorato, del peso di gr. 0,8 circa. Questo liquido, per raffreddamento con miscela frigorifera, si solidificò in massa cristallina; trattato con fenildrazina vi si com- binò già a freddo, meglio a b. m., per dare un composto, che nell'aspetto, nel punto di fusione (105°), nella poca stabilità, è identico a quello preparato da Reisenegger (Berichte XVI, 664) da fenilidrazina ed acetofenone. — In questo modo fu ricono- sciuta con certezza la presenza costante dell’acetofenone fra i prodotti della riduzione. — Si filtrò poi a caldo il liquido acido, da cui si era eliminato l’acetofenone, e che conteneva indisciolta una sostanza solida polverulenta, ed in soluzione un cloridrato. La parte rimasta sul filtro, lavata con acqua e seccata, pesava gr. 3 circa; cristallizzata da alcool-benzina fu riconosciuta per trifeniltetraidropirazina inalterata. La parte solubile in acqua acida, parzialmente cristallizzatasi per raffreddamento della soluzione, si trattò con potassa in ec- cesso, per precipitare la base e ridisciogliere l’idrato stannoso dapprima separatosi. La base non completamente bianca, lavata e seccata, era circa in gr. 2,5: da alcool diluito si ebbe fon- dente a 65°. Il punto di fusione, l’aspetto ed un dosaggio d’azoto, l’iden- tificarono per etilendifenildiamina. Gr. 0,1150 di sostanza fornirono ce. 14 di azoto a 18°,5 e mm. 731,5 di pressione atmosferica. Trovato Calcolato per C,,N,;HL N 0/, 13,51 13,20 SULLA TRIFENILPIPERAZINA ‘© 591 Dunque l’azione dell'idrogeno nascente sviluppato dallo stagno ed acido cloridrico sulla trifeniltetraidropirazina si può spiegare colla seguente equazione: C; Hi CH; N NH HyC DH Hol CH, | +H,+H,0= +e giga] H,( da cu, H:0 si N NH GE, 0, pe o 0, En cioè per addizione di una molecola d’idrogeno e d’una molecola di acqua, si ricostituiscono l’etilendifenildiamina e l’acetofenone. È questo forse il primo caso in cui per riduzione e simul- tanea idratazione, si rompe un anello carboazotato, scindendosi nei due corpi che l’avevano costituito. FI: Riduzione della trifeniltetraidropirazina con alcool assoluto e sodio. Si sciolsero gr. 6.8 di trifeniltetraidropirazina in gr. 4590 di alcool assoluto, contenuti in gran pallone connesso ad un refri- gerante a ricadere. Nel liquido bollente si introdussero a brevi intervalli gr. 35 di sodio metallico, ben secco, tagliato a pezzetti operando rapidamente e procurando che lo sviluppo di idrogeno fosse sempre vivacissimo. Quando il sodio fu tutto disciolto, si versò la soluzione gial- lognola, tiepida, in più di !/, litro d’acqua, agitando il liquido torbido, si separò la sostanza pastosa rossiccia, che dopo 24 ore si fece in gran parte cristallina. — Raccoltala su filtro ed es- siccata, venne trattata a caldo con acido cloridrico diluito (acido cloridrico ad 1,12 allungato con egual volume d'acqua). — Il prodotto grezzo vi si sciolse parzialmente con colorazione verde 592 L. GARZINO intensa; la porzione maggiore restò indisciolta. — La soluzione in acido cloridrico diluito, filtrata, decolorata con carbone ani- male e neutralizzata con ammoniaca, lasciò depositare una base che, cristallizzata da alcool ordinario, è in minuti aghetti bianchi, riuniti a ciuffetto, fondenti a 101°-102°. — Altra piccola quan- tità di pirazina ridotta, ricavai dalla parte non scioltasi in acido cloridrico. acquoso, trattandola con acido cloridrico alcoolico (acido cloridrico 1,12 p. 19, alcool concentrato p. 31). Anche la base avuta in questo modo fonde, dopo cristallizzazione da alcool, a 101°-102°. Il residuo del trattamento con acido cloridrico alcoolico, circa gr. 3, è costituito, oltre a resina, da trifeniltetraidropirazina inalterata. Il rendimento in base ridotta è circa il 30 %/, Questa sostanza, ben secca, diede all’analisi i seguenti risultati : Gr. 0,1728 di sostanza diedero 0,5313 di CO, e 0,1095 di H,0. Gr. 0,1250 di sostanza, fornirono cc. 10,4 di azoto a 22,5 ed alla press. atm. di mm. 739,8. Trovato Calcolato per C,, H,, N, RUI 83,85 84,07 H%, 7,04 7,00 NO) 9,27 8,91 I dati analitici corrispondono quindi a quelli richiesti dalla trifenilessaidropirazina (,, H,, N,. La sua formazione è rappre- sentata dall’equazione seguente: Geo # CGH..N<0H = >NG}H,'{H,= | IA a E I È, I, si avrebbe cioè la difenilpiperazina in cui un atomo di idrogeno .di un metilene è sostituito dal fenile. SULLA TRIFENILPIPERAZINA 593 La trifenilpiperazina, cristallizza in piccoli aghetti riuniti a ciuffo dall'alcool concentrato in cui si scioglie abbastanza facil- mente. È pure solubile nei solventi ordinari da cui si deposita cristallizzata. È insolubile in acqua. — La sua soluzione in benzina, etere, etere di petrolio offre ancora fluorescenza azzurra, ma meno intensa del composto tetraidrogenato. Fonde costantemente alla temperatura di 101°-102°, in goccia limpida, fluorescente, che resta poi lungo tempo vischiosa. Si scioglie negli acidi minerali, anche non molto concentrati, da cui per aggiunta d’acqua riprecipita bianca. Sciolta in acido cloridrico, precipita in giallo chiaro col cloruro di platino, in giallo ranciato col cloruro d’oro, in bianco col cloruro mercurico. La sua soluzione alcoolica, trattata con soluzione alcoolica di acido picrico, lascia depositare col riposo un picrato, fondente verso 173°-175°, in cristalli gialli, minuti, duri. La trifenilpiperazina ha molta analogia colla base tetraidro- genata da cui deriva. In essa però è molto più accentuato il carattere basico. Ha perduto la proprietà riducente sui sali dei metalli pesanti, anzi con questi dà dei sali doppi ben definiti. Cloroplatinato di trifenilpiperazina. — Preparai questo sale, trattando una soluzione di trifenilpiperazina in acido clo- ridrico, con una soluzione alcoolica di cloruro di platino. Per con- centrazione si ottiene il cloroplatinato cristallizzato, di color giallo scuro. Questo sale, lavato prima con un poco d’alcool e poi con alcool ed etere fu essiccato completamente nel vuoto e sulla po- tassa e quindi analizzato. Riscaldato a 100°-120°, non diminuì di peso. Gr. 0,5856 di cloroplatinato così seccato, diedero 0,1565 di platino metallico. Calcolato per Trovato C5-Hy, MH PACE Peo="26,72 27,13. Il cloroplatinato di trifenilpiperazina C,, H,, No H, EE, è una polvere giallo bruna, costituita da minutissimi aghi. Si decompone verso 220°. È insolubile in acqua, facilmente solubile in alcool concentrato, da cui si può avere cristallizzato ; è insolubile in etere. atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 43 594 L. GARZINO — SULLA TRIFENILPIPERAZINA Azione del bromo sulla trifenilpiperazina. — La trife- nilpiperazina in soluzione eterea, trattata con bromo, sciolto pure in etere, dà immediatamente un precipitato bianco, costituito parte da un bromoderivato libero, e parte da un bromidrato for- matosi coll’acido bromidrico messo in libertà nella reazione. Avendo fatto un saggio quantitativo con soluzione titolata di bromo in etere, constatai: 1% che in soluzione eterea a freddo, la trifenilpiperazina assorbe la quantità di bromo necessaria per dare un monobromocderivato; 2° che parte in soluzione, parte come bromidrato si trova una quantità di acido bromidrico, cor- rispondente alla metà del bromo impiegato, e che quindi per azione del bromo sulla trifenilpiperazina, non si forma un com- posto d’addizione, ma bensì di sostituzione. Che nella riduzione con sodio ed alcool assoluto l’addizione di due atomi di idrogeno sia avvenuta nel nucleo pirazinico, sciogliendo il doppio legame esistente nella trifeniltetraidropirazina,. e non in uno dei tre fenili, è resa probabilissima dalle seguenti considerazioni : 1° Somiglianza nell'aspetto fisico della trifenilpiperazina colla trifeniltetraidropirazina originaria. 2° Accrescimento della potenza basica nel composto ridotto. 8° Scomparsa della proprietà riduttrice, probabilmente do- vuto nella tetraidropirazina alla presenza del doppio legame fra i due atomi di carbonio del nucleo pirazinico. 4° Non formazione di un derivato bibromurato d’addizione. Da queste osservazioni e da quanto dissi innanzi si deduce che il prodotto di riduzione della trifeniltetraidropirazina, sia veramente la trifenilessaidropirazina o trifenilpiperazina, rappre- sentata dallo schema seguente ; MAGI CH CH.N4g i e N. Ho. | CH Torino, Iz. Università. Laboratorio del Prof, Guareschi. Giugno 1892. 995 Su una congruenza di rette di secondo ordine e di quarta classe; Nota di DOMENICO MONTESANO Due recenti Memorie, l’una di Sturm (1), l’altra di Schu- macher (2), completando le classiche ricerche del Kummer su le congruenze di rette di 2° ordine, dànno la classificazione di quelle di tali congruenze che contengono oc! coni o fasci di raggi, che ammettono cioè una linea singolare: quella costituita dai vertici o dai centri di tali coni o fasci. E nella Memoria dello Sturm si fa cenno di tre congruenze della natura accennata, costituite da coni di 2° grado, le cui linee singolari sono rispettivamente una conica, una cubica gobba ed una cubica piana dotata di punto doppio (3). Nella presente Nota studio la prima di queste tre congruenze, la quale con un’altra di egual tipo forma la congruenza delle ge- neratrici dei coni non degeneri di una rete di quadriche la cui curva nodale si scinde in due coniche ed in due rette. Innanzi tutto dimostro che la congruenza appartiene a due complessi te- traedrali, quindi ne do la rappresentazione su di un piano e determino le trasformazioni involutorie dello spazio che la mutano in se stessa. Di più ottengo alcuni notevoli teoremi su le reti di quadriche la cui linea nodale si scinde in parti di cui due siano due coniche assegnate situate in piani distinti ed aventi in comune una coppia di punti. (1) Math. Annalen, Bd. 36. (2) Math. Annalen, Bd. 33. (3) Lo Sturm si limita ad indicarne la genesi più semplice e la natura delle superficie focali, rimandando ogni ulteriore esame ad un prossimo lavoro 5906 D. MONTESANO 1. Se una congruenza di rette di 2° ordine, non degenere, è costituita dalle generatrici di oo! coni di 2° grado, questi formano un sistema irriduttibile oo, di indice 2, e perciò ap- partengono ad una medesima rete di quadriche. Ora, escluso il caso di una rete di quadriche composta tutta da coni aventi in comune il vertice (esclusione che deve inten- dersi fatta anche in seguito). si ha che le generatrici dei coni di una rete £ di quadriche costituiscono una congruenza di 4° ordine (perchè è noto che quattro di tali coni si trovano in ogni fascio della rete) e di 12% classe (perchè i vertici di tutti i coni del sistema costituiscono una curva X, di genere 3 che è la curva nodale della rete) (1). Sicchè il problema di determinare le congruenze di 2° or- dine costituite dalle generatrici di oo' coni quadrici equivale al- l’altro di determinare quali sono gli spezzamenti della curva nodale K, di una rete £ di quadriche da cui derivi lo spezza- mento della congruenza delle generatrici dei coni della rete in due o più parti, di cui una sia di 2° ordine. Conviene a ciò servirsi della considerazione di quella corri- spondenza involutoria / che ogni rete f di quadriche determina nello spazio, corrispondenza in cui due punti coniugati sono re- ciproci rispetto a tutte le quadriche della RR. Nel caso generale questa involuzione 1 è di 3° grado ed ammette come linea fondamentale semplice la curva nodale X, della rete (2). È noto che su tale curva si ha un’involuzione fondamen- tale di 4° ordine e di 2* specie, di cui ogni gruppo è costi- tuito dai vertici di un tetraedro autoreciproco rispetto alle qua- driche di un fascio della R, tetraedro di cui ogni faccia con- tiene la trisecante della curva 7, coniugata nell’involuzione I al vertice opposto (3). (1) La superficie focale di questa congruenza L,,,3 è costituita dalle curve basi dei fasci, della rete dotate di punto doppio, punto che trovasi sulla Kg nodale. Perciò essa è la superficie di 24° ordine e di 82 classe studiata dallo Sturm nella sua Nota Veber Flachennetz sweiter Ordnung. Giornale di Crelle, vol. 70. (2) Vegg. REYE, Geometria di posizione, Vol. 2°, Lez. 278, i (3) Vegg. ScHur., Veber die durch collineare Grundgebilde erzeugten Curven und Flàchen — Math. Annalen., Bd. 17, $ 10, i UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 597 Sono del pari coniugati nella / due spigoli opposti del te- traedro, cioè a due a due nella 7 sono coniugate le corde della curva K,, e due corde coniugate si appoggiano alla curva in punti costituenti un gruppo dell’involuzione fondamentale. Nella / sono uniti i punti base U,,...U, della rete E e le rette che uniscono a due a due tali punti, le quali sono corde della K,. Ora, escludendo il caso che le quadriche della rete R ab- biano in comune una linea e che le polarità dovute ad esse ab- biano una coppia di elementi corrispondenti in comune, ogni spezzamento della X, compatibile con le esclusioni ora fatte, sarà tale che le due linee ), ), che prese assieme formano in esso la curva nodale X, della rete ‘, risultano la base di un sistema omaloidico di superficie di 3° ordine, che ammette per sistema connesso un sistema omaloidico della stessa natura, nè sarà possibile che una delle linee ), ) sia una cubica piana o che una di esse sia una curva di 5° ordine di genere O e l’altra sia una retta quatrisecante della precedente, e ciò perchè per le esclusioni fatte, nell’involuzione / che la rete & determina e che ammette per linee fondamentali le ), ), non vi è alcun punto che abbia per coniugato un piano, non vi è alcuna retta che sia coniugata ad ogni suo punto, nè vi sono due rette di cui una sia coniugata per intero ai punti dell’altra. Perciò nelle ipotesi fatte la X, può spezzarsi semplicemente (1) o in una K. gobba di genere 2 ed in una sua corda, o in una K, gobba di 2° specie ed in una conica X, appoggiata alla deo in quattro punti, o in due cubiche gobbe aventi in comune quattro punti. Non è possibile il secondo spezzamento perchè ove mai avesse luogo, la Jacobiana delle superficie P, coniugate nell’involuzione [ ai piani dello spazio, risulterebbe costituita dalle superficie L,= X,, I,= K}K} che nella I corrisponderebbero rispettivamente alle K,, K, sicchè a due a due risulterebbero coniugate nella I le corde della X,, il che è assurdo, non potendovi essere alcun fa- scio della rete È costituito da quadriche aventi per tetraedro autoreciproco comune un tetraedro i cui vertici siano tutti sulla K,. (1) Vegg. Norner, Eindeutige Raumtransformationen, Math. Annalen, Bd, o 598 D. MONTESANO È possibile invece che la XK, si spezzi in una X, di genere 1 ed in una sua corda %, ma ciò succede semplicemente quando della rete R fa parte una quadrica degenerata in due piani. In- fatti nel caso indicato la Iacobiana delle superficie ®, coniugate nella I ai piani dello spazio, risulterebbe costituita dalle Jo = «= K,?1°, che nella I corrispondere»hbero rispettivamente alle k, K., ed ai punti A, B, C...della % risulterebbero coniugate nella I le trisecanti a, d, c...della K., sicchè il fascio di piani k'(a, d, c...) avente per asse una qualunque generatrice k' della I,=K. corda di tale linea, risulterebbe il fascio dei piani polari della (4) = ABC.... rispetto ad un fascio di qua- driche della X, e quindi in tale fascio, e perciò nella È, yi sa- rebbe una quadrica spezzata in due piani passanti per #. Viceversa se tale fatto si verifica, la curva nodale della rete contiene certamente la retta %, e l’ulteriore linea nodale della rete è una X. (appoggiata in due punti alla /%) (1) la quale risulta il luogo dei vertici dei coni non degeneri della £; e perciò la congruenza L,,,, costituita dalle generatrici dei coni della rete si spezza in questo caso in juna L,,, e nei due si- stemi piani rigati che hanno per sostegni i piani è, d' formanti la quadrica degenere della _: nè si presenta alcuna congruenza di rette di 2° ordine. Un caso particolare del precedente si ottiene quando la rete R di quadriche contiene due superficie degeneri (0 d'), (ce), nel quale caso tanto la retta 4=00' come la retta %'=se' fanno parte della curva nodale della rete, e l'ulteriore parte di que- sta curva è una XK, di genere 1, avente per corda le wEgnt luogo dei vertici dei coni non degeneri della &, sicchè anche in tale caso la congruenza costituita dalle generatrici dei coni della rete si spezza in parti di cui nessuna è di 2° ordine, si scinde cioè in una L,, e nei quattro sistemi piani rigati (0), (0°), (e); (€). I punti base della rete si distribuiscono in tale caso in quattro coppie SS, 7 7,, SS, 7'T/ situate rispettivamente su le rette s=de, t=ed', s'=d'e' d#'=d0. Av | Uno qualunque dei quattro piani d, e, d', e' corrisponde a (1) Per l’involuzione / che si presenta in tale caso, vegg. la mia Nota Su alcuni gruppi chiusi di trasformazioni involutorie nel piano e nello spazio Atti del R, Istituto Veneto; Tomo 6°, Serie 62, $ 4; 2°, UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 599 se stesso nell’involuzione I con corrispondenza involutoria e qua- dratica di 1* classe, che ha per elementi uniti i quattro punti base della £ situati nel piano che si considera: e dei tre punti fondamentali della corrispondenza due sono su la X, ed il terzu è sulla % o sulla 7, cioè la X, contiene i punti ST-S, 7, METIS TS T,, S'T- S' PARRA S' 1191 DI sTs SOUS IT 8, D. Di sa ÎÉ K, ha per soglia lati dei due quadrangoli $8'8,8/, TARO Te DI, mentre non incontra le s, s Ora se il punto 7, coincide col punto 7' sulla # ed il punto 7’ col punto 7" sulla # TETRRO evidentemente possibili), le sha coppie di punti S7-S,T,, S7-ST; S'T-S/T,, S'T-S/T della K, coincidono i r i su le rette coniugate eiiache della # rispetto alle due coppie di rette 77S, 76; TS', TS/; come coincidono in 7' le due coppie di pi ST'- STI, ST/-S,T'; S'T°-S/T/, S'T/-S/T' rispettivamente sulle Da SS armoniche di Ù o alle due coppie di rette T'S, T'S; T'S', T'S/, sicchè i punti 7, 7’ risultano doppii per la curva K,, e perciò questa si spezza in due co- niche y, y aventi entrambe in comune i punti 7, 7' ed appoggiate entrambe alle rette %#, %' ed ai lati del quadrangolo gobbo S,8'S, 57. E siccome ogni tetraedro autoreciproco rispetto alle quadriche di un fascio della £, ha due vertici su ciascuna delle due co- niche (e ciò perchè nell'involuzione / alle y,y' vengono a cor- rispondere rispettivamente le quadriche %7/y, %7#y, sicchè ad ogni corda dell’una linea è coniugata una corda dell’altra), perciò la congruenza L,, costituita dalle generatrici dei coni non degeneri della rete si spezza in due congruenze L,., L',.,» entrambe di 2° ordine e di 4* classe, il cui tipo è quello che ci siamo proposto studiare. 2. Oltre la linea singolare (o y') ciascuna delle congruenze L,,, IL, ha i quattro punti singolari isolati S, S,, 8, $/, da ognuno dei quali la predetta linea viene proiettata secondo un cono della congruenza. Si ha di più che da ciascuno dei punti T, T' oltre i raggi del cono di 2° grado che contiene la retta TT' e passa per i punti S, S,, S°, S/, escono altri co' raggi della congruenza situati nel piano (4 o 4’) della linea singolare. La congruenza ammette ulteriormente i piani singolari 0, d', 600 D. MONTESANO e, ' sostegni di fasci di raggi aventi per centri i primi due il punto di sezione della linea singolare con la X =00' e gli ultimi due il punto d’incontro della stessa linea con la W=ee. Tali centri sono coniugati nell'involuzione j (o y°) determi- nata su la 7 (o su la 7) dalle due coppie di punti di appoggio con i lati opposti del quadrilatero S' ,S' S, $,', involuzione che contiene del pari la coppia 7 7’, e ciò perchè i due quadran- goli completi costituiti l’uno dai punti di appoggio della y (o della y') con i lati del quadrilatero indicato e l’altro dai punti di appoggio con i lati del quadrilatero ##/'#, hanno due punti diagonali in comune situati su le s,s'. sicchè hanno anche in co- mune il terzo punto diagonale O od (0) centro dell’involu- zione indicata. Il quadrilatero gobbo S S',S,5) e le coniche 7, y appar- tengono ad una medesima quadrica /) rispetto alla quale le rette s, s' sono polari l’una dell’altra, sicchè la polare a' rispetto alla F, della retta a che congiunge le traccie A, A' delle s, s' sul piano a della 7, si appoggia anche essa alle s, s' e passa pel centro O dell’involuzione j della 7, già indicata, di cui è asse la retta a; e nell’omografia assiale armonica H che ha per assi le a, a', risultano coniugati i punti 7 e 7", S ed S,, S'ed S, e le rette s ed s', e perciò risultano anche coniugate le rette #, #' che si ap- poggiano alle precedenti, sicchè è coniugata a se stessa nella H la rete E ed, al pari della y, corrisponde a se stessa nella H la conica 7’, cioè la a' è la congiungente le traccie A,, 4;' delle s, s' sul piano &' della y' ed è l’asse dell’involuzione della y°, già indicata, il cui centro 0' trovasi sulla retta a. E può affermarsi che: Le due congruenze L,,, L',, sono coniugate ciascuna a se stessa in una omografia assiale armonica che ha gli assi nei piani delle coniche singolari delle due congruenze. Questi piani sono reciproci fra loro rispetto alla quadrica che con- tiene le coniche singolari ed i punti singolari isolati delle due congruenze. Di più, dall’essere le #, # coniugate nell’ omografia assiale adesso accennata, si deduce che i due piani che esse determinano con la retta 7 7°, sono separati armonicamente dai piani 4, @'. Del pari sono coniugate nella 77 le rette %, %', siechè le due quadriche S,=/%yy S',=/'yy sono separate armonicamente dalla superficie /, già indicata e dalla quadrica degenere (#4) nel UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 601 fascio che ha per base le 7, 7, ciò che può dedursi anche dal fatto che a due a due le quadriche del fascio indicato sono coniugate nell’involuzione / determinata dalla rete È, e mentre le S,, S, sono coniugate fra loro perchè nella I corrispondono alle rette fondamentali %' e % rispettivamente, invece la gna la (0) sono coniugate ciascuna a se stessa. 3. Ciascuna delle due congruenze L, ,. L',., appartiene a due complessi tetraedrali aventi in comune le stelle (T), (1). Si consideri infatti il complesso tetraedrale T che ha per punti singolari i punti S, S,, 7, 7’ e che contiene il cono di raggi che proietta la y da S'. Un qualunque cono della con- gruenza L, che ha per linea singolare la 7, appartiene per in- tero a tale complesso avendo in comune con esso i cinque raggi che passano per i punti S, S,, 9°, 7,7", sicchè la L, , appartiene al complesso e questo contiene del pari il cono che da S/ pro- ietta la %. Analogamente la L, , trovasi in un secondo complesso te- traedrale l' (coniugato al precedente nell’omografia assiale ar- monica H già ottenuta), i cui punti singolari sono S.S, 7,7", e che contiene i due coni che da ,,S, proiettano la 7. Lo stesso dicasi per la L',,. Uno qualunque dei quattro complessi tetraedrali che con ciò si hanno, ha in comune, con il complesso di 3° grado costituito dalle generatrici delle quadriche della &, le quattro stelle di rette che esso contiene, i due sistemi piani rigati che hanno per sostegno i suoi piani singolari opposti a 7 ed a 7' e la con- gruenza L, , o la L,,. Ora, inversamente si ha che: La congruenza costituita dalle generatrici dei coni di un complesso tetraedrale V aventi i ver- tici su di una conica ‘] che passi per due punti singolari T, T' del complesso, è del tipo ottenuto. Si noti infatti che se S,.S, sono gli altri due punti singo- lari del complesso ed a, d sono le due rette secondo cuii piani singolari 0=SS, 7°, e=S$, 7 sono segati dal piano 4 della 7 e #,t' sono le due rette dei fasci (7— e), (7'—d) seconde di- rettrici delle congruenze lineari del complesso I° che hanno per prime direttrici le rette a, d dei fasci (7'—0), (7—e), tutti i coni del complesso I° che hanno i vertici nel piano @ sono tangenti alle rette #, #' nei punti 7, 7' rispettivamente. Perchè 602 D. MONTESANO essendo V un punto arbitrario di %, nel piano # V i raggi del complesso I costituiscono due fasci di raggi aventi i centri l’uno in 7 l’altro sulla retta a, sicchè i due raggi di l situati nel piano # V ed uscenti da V coincidono nell’unico raggio V 7 co- mune ai precedenti due fasci, cioè il cono di I° di vertice V tocca il piano Vt lungo la V7 e perciò anche la # in 7. Ana- losamente esso è tangente alla # in 7°”. Ne segue che presi ad arbitrio tre punti V,, V,, Y, sulla conica ‘7, i coni del complesso aventi per i questi punti si segano, oltre che nei punti singolari S,/S,, 7, T' dei quali i due ultimi contano ciascuno per due, in altri due punti 4, Ser sì fatti che i coni del complesso che li hanno per vertici, pas- sano entrambi per i cinque punti V,, V,, V,, 7, T' della 7 e quindi la contengono per intero, in modo che il cono del com- plesso che ha per vertice un qualunque altro punto della 7 passa anche esso per S', S,', cioè i coni le cui generatrici formano la congruenza L,, che si considera, appartengono ad una mede- sima rete /. E siccome fra i coni in quistione quelli che hanno per vertici i punti di sezione X, X' della y con la a, è (diversi da T' e 7), si spezzano nelle due coppie di piani 0, d' = X#; :,5=K't in modo che ciascuna di queste coppie fa parte della rete E, perciò la congruenza che si esamina, è del tipo ottenuto. 4. Assegnata una conica 7 ed un quadrilatero gobbo S.5'S, S' i cui lati incontrino la precedente linea, ogni coppia di punti TT' della che appartenga all’involuzione di tale linea che contiene le due coppie dei punti di appoggio con i lati opposti del quadrilatero dato, vien proiettata da ogni punto V della 7 secondo due rette che risultano coniugate nell’involuzione di raggi che contiene le tre coppie di rette di sezione del piano © della y con le tre coppie di faccie opposte dell’angolo quadri- spigolo completo V (.S, 5", S,, S,'). sicchè le rette VT, VI" trovansi su di un cono di 2° ordine H, che passa per i punti BiaS ee naSi. = Tenendo fissa la coppia 77' e facendo variare il punto V sulla 7, le generatrici del cono H, ora indicato descrivono una congruenza L, che fa parte evidentemente di due complessi te- traedrali (l’uno contenente le stelle (7), (7%), (8), (9) ed i coni che da S', S°, proiettano la 7, l’altro le stelle (7°), (T"), UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 603 (S°), (8°) ed i coni che da S, S, proiettano la 7) e che perciò risulta del tipo che studiasi, cioè i coni H, che la formano toccano nei punti 7, 7' le rette che passano per questi punti e si appoggiano alle diagonali s,s' del quadrilatero dato. E così, data una conica y, una coppia di punti 7, 7 su tale linea e tre punti .S, S,, S' al di fuori del suo piano, di cui due S,S, siano proiettati dal terzo secondo rette appoggiate alla y, le generatrici dei coni di 2° grado che hanno i vertici sulla e passano per i cinque punti dati, appartenendo ad un com- plesso tetraedrale (quello che contiene le stelle (7), (7), (5), (S,) ed il cono che da S' proietta la 7), formano una con- gruenza L, , del tipo che si studia, essi cioè hanno in comune un altro punto e toccano in 7 e 7°' le stesse due rette ; ecc., ecc. Di più si ha il teorema che: Due coniche situate in piani distinti ed aventi in comune una coppia di punti fanno parte della curva nodale di 0 reti di quadriche i cui punti base diversi da quelli comuni alle coniche date, appartengono ad una quadrica passante per tali linee e si distribuiscono in coppie situate sui raggi di un complesso tetraedrale. Sia infatti F, la quadrica che contiene le coniche date %, y', e rispetto a cui i piani ©, 4' di tali linee sono fra loro reci- proci. Pei due punti P, P' poli della retta p=% o' rispetto alle yy (i quali punti risultano anche i poli dei piani 4, &' rispetto alla F,) si conducano due rette a=P'0, a =P0' che vadano a due punti O, 0' della p separati armonicamente dai punti 77, T' comuni alle 7,7, e che perciò risultano fra di loro polari rispetto alla 7}; e di due rette s, s' polari fra loro rispetto alla F, ed appoggiate alle a, «' si considerino i punti di sezione $, MAR SLO S', con la F,. Siccome nell’involuzione determinata su la y dalle coppie di sezione con le due coppie di lati opposti del quadrilatero gobbo SS" 8,5) della F,, l’asse è la retta « e perciò il centro è il punto O, ne segue che vi è una congruenza ZL, , del tipo studiato che ha per linea singolare la y e per punti singolari i punti £, 5}, S', S,: T, T°. E la conica singolare dell'altra congruenza L,, i cui coni appartengono alla stessa rete che contiene i coni della L, 4» dovendo trovarsi sulla quadrica H,=Y 88, 9°S e sul piano del fascio (7°7") reciproco al piano @ della ‘y rispetto alla /,, coincide con la Y' . 604 D. MONTESANO D'altra parte col variare della coppia 00’ armonica alla TT', la coppia di rette ss' descrive un complesso tetraedrale 0, (da ogni raggio del quale le coppie di punti singolari 77", PP vengono proiettate secondo coppie di piani fra loro armoniche), perciò ne segue il teorema enunciato. Sapia ad arbitrio una retta # della stella (7) le coppie di raggi ss' del complesso 9, composte ciascuna da rette polari rispetto alla F, appoggiate alla #, costituiscono (non tenendo conto del piano TPP') una S, gobba che ha per direttrici la # e la sua polare #, rispetto alla F, e che passa per 7”, sicchè le rette uscenti da questo punto ed appoggiate alle coppie ss’ anzidette costituiscono un fascio di raggi (7’-x'). Se #" è un elemento ar- bitrario di tale fascio appoggiato alla coppia ss’, quella rete di quadriche la cui curva nodale contiene le y e y° e che hai suoi punti base (diversi da 7,7) su le s, s’, è costituita da super- ficie che nei punti 7’, 7 toccano le rette #, #, sicchè queste ($ 2) sono separate armonicamente dai piani ©, 6’, e quindi il piano 7' del fascio anzidetto è il coniugato armonico rispetto ad ©, o' del piano r=# 7 T', nè varia col variare della # in tale piano. E può affermarsi che: Una qualunque delle oo3 reti di quadriche indicate nel teorema precedente, è completamente determinata quando si diano le tangenti alle sue superficie nei punti comuni alle coniche nodali, che siano due rette separate armonicamente dai piani di tali coniche. Si noti ancora che assegnata ad arbitrio una retta % ap- poggiata a queste coniche nei punti X, X,, essendo 00' una coppia di punti armonica alla 77" ed essendo A' e K/i se- condi punti di sezione delle OK, OK, con le 7, y' rispettiva- mente, la retta &#/=X" X/ forma con queste coniche e con la & la linea nodale di una rete di quadriche i cui punti base (diversi da 7, 7) si trovano o sulle rette s=AA4,, s' I o sulle rette s=A44'", sy=4'A,, avendo indicato con A, Al, DIAM ana diagonali dei fabarangoli completi 7 T' XK K', TT! K K/ diversi da O e da O' rispettivamente. Ne segue che tenendo fissa la retta % e facendo variare la coppia 00', la retta 7' descrive una schiera rigata p, e da una proprietà già dimostrata nel $ 2 si deduce che la quadrica Sy sostegno della schiera p' è coniugata armonica alla quadrica S,=77 h, rispetto alla superficie 7°, già indicata ed alla qua- UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDÌNE 605 drica degenere (w0'), sicchè un qualunque raggio della schiera o forma linea nodale di una rete di quadriche con le ‘, ‘7' e con un qualunque raggio della schiera rigata o della ,S, che con- tiene la %, come due raggi appartenenti allo schiere PIPERRRT opposte alle f, pf, formano analogamente con le 7, 7' la linea nodale di una rete di superficie di 2° ordine. Può affermarsi perciò che : Fra le schiere rigate che hanno per sostegno le quadriche di un fascio © la cui linea base si scinda in due coniche ne y, viene ad aversi una corrispondenza involutoria tale che due raggi appartenenti a due schiere coniugate formano con le coniche y, y la linca nodale di una rete R di quadriche. Nella corrispondenza a due schiere incidenti sono coniugate due schiere del pari incidenti. E due quadriche S, S'° del fascio © che siano sostegno di schiere coniugate si corrispondono fra loro in ogni involuzione I dello spazio costituita da coppie di punti reciproci rispetto alle quadriche di una qualunque delle oc* reti R del teorema pre- cedente, sicchè due punti arbitrari di tali quadriche sono reci- proci fra loro rispetto alle quadriche di co! reti X del sistema, 5. In uno qualunque dei complessi tetraedrali 1, ' che con- tengono la congruenza L, ,. ogni congruenza lineare le cui di- rettrici passino rispettivamente per i punti singolari 7, 7', ha in comune con la ZL, , una schiera rigata situata su una qua- drica, la quale passa per la conica 7 e contiene o i punti sin- golari ,S', 5 del complesso I", o i punti singolari S, Sj del complesso I° secondo che la congruenza a cui la schiera è do- vuta, appartiene a T o a T'. Ne segue che la congruenza L,, ammette due sistemi oo! E e Z' di schiere rigate; del primo sistema fanno parte i coni che proiettano la y dai punti S, 5}, dell’altro i coni che proiettano la stessa linea dai punti S', S/. Le schiere rigate del sistema Z contengono ciascuna un raggio del fascio (K— d) e un raggio del fascio (K'— e), mentre le schiere del sistema =' contengono ognuna un raggio del fa- scio (K — 0) ed uno del fascio (K'— e), continuando a designare con X e K' i punti di appoggio delle X=0d0", #'=ee alla y. Due schiere del medesimo sistema non hanno alcun raggio in comune, perchè le due congruenze lineari di I° (o di b) cui sono dovute, non hanno oltre la retta 77’ e la s(o la s) 606 D. MONTESANO alcun’ altra retta in comune; invece due schiere di sistemi diversi hanno in comune un raggio : quello comune ai due piani 7, 7' contenenti rispettivamente l'uno le direttrici d, d, uscenti da 7°, l’altro le direttrici d', d,, uscenti da 7 delle congruenze lineari di T e di I a cui le due schiere sono dovute, e ciò perchè questo raggio r essendo comune ai complessi 1, I" senza appar- tenere alle stelle (7), (7') si trova nella congruenza L,,, @ perciò nelle due schiere considerate in questa. E notando che tale raggio r è l’unico raggio giacente in 7 (0 in 7) e non uscente da 7 (o da 7'') e che la corrispondenza che intercede fra le rette d,d' dei fasci (7—c), (7 —0) [o fra le rette d,, d dei fasci (7—d'), (7 —e)] direttrici di con- gruenze lineari del complesso I (o del complesso I) è proiettiva, ed in essa alle #, #" corrispondono rispettivamente le 7" K, TK' (o le 7" K', T'K) si deduce che: Proiettando i singoli raggi della congruenza L,,, dai suoi punti singolari T, T', la corrispondenza che viene ad aversi fra le stelle (T), (T°), riguardando come corrispondenti due piani delle due stelle che protettino un medesimo raggio della congruenza, è birazionale e quadratica. Il piano 0= 77'KK' della y è fondamentale per tale cor- rispondenza in entrambe le stelle ed è coordinato a sè stesso, mentre le altre due coppie di piani fondamentali coordinati sono letto; 10%." Viceversa : data una corrispondenza birazionale quadratica fra due stelle di piani non sovrapposte (T'), (T'), nella quale due piani fondamentali coordinati fra loro, coincidano in un unico %w, le rette di sezione dei piani corrispondenti delle due stelle costituiscono una congruenza del tipo che studiasi. Infatti la proiettività che la corrispondenza data y determina fra i fasci (7-0), (7’-%), genera una conica y, di cui ogni punto è vertice di un cono di 2° ordine le cui generatrici apparten- gono alla congruenza ZL in questione. E tale cono passa, oltre che per i punti 7, 7°, per le due coppie di punti uniti delle due proiettività che sulle rette comuni alle altre due coppie di piani fondamentali coordinati della y vengono ad ottenersi come sezioni delle coppie dei fasci di raggi corrispondenti nella y si- tuati in tali piani, sicchè la LZ è del tipo ottenuto. 6. La congruenza Z, , può essere facilmente rappresentata su di un piano c. Basta riferire con una correlazione X tale UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 607 piano e ad una delle stelle (7), (7’), per es. alla (7), e riguar- dare come corrispondente ad un punto arbitrario P di o quel- l’unico raggio r della congruenza non uscente da 7 che trovasi nel piano x della stella (7) corrispondente di P nella X. Sono eccezionali per la corrispondenza i punti D, E, 0 del piano o che nella X. corrispondono ai piani singolari 0’, e, ® della L, ,, risultando essi rispettivamente l’immagine dei tre fasci di raggi (K-0), (K'-), (7'-@) della ESSI, I coni della congruenza aventi i vertici sulla y sono rap- presentati dalle rette del fascio (0); le schiere rigate del si- stema = dai raggi del fascio (E), e quelle del sistema ' dai raggi del fascio (D). Di più, siccome in ogni piano passante per la # due raggi della L, , coincidono in un raggio del fascio (7-), perciò questo ha per immagine su c la retta DE che nella X corrisponde alla #. È egualmente agevole riconoscere che i due fasci (X-0), (K'-e) sono rappresentati dalle rette DO, E 0. Ogni retta del piano 7 è la immagine di una superficie gobba di 3° grado avente per direttrice doppia una retta della stella (7°), sicchè una qualunque superficie S,= (7 SS, 5'S/)° (7 7’)? costi- tuita dai raggi che la congruenza ha in comune con un com- plesso lineare, ha per immagine sul piano di rappresentazione e una C,=DEO. Ne segue che il rango della L, , (numero delle coppie di raggi della congruenza appartenenti ad un medesimo fascio con una retta arbitraria) è 2. 7. Una qualunque trasformazione quadratica © dello spazio che abbia per elementi fondamentali nell’un sistema la conica y ed un punto arbitrario O, e nell’altro sistema una conica y* ed un punto 0*, facendo corrispondere ad ogni retta del primo si- stema appoggiata alla y, una retta del secondo sistema appog- giata alla y*, muta la congruenza L, , in una congruenza L*, , di egual tipo, la quale ammette come elementi singolari la ed i sei punti che corrispondono nella ® ai quattro punti sin- golari isolati della ZL, , ed ai due raggi di questa congruenza che escono dal punto fondamentale O della ©. Ma se questo punto 0 coincide con uno dei quattro punti 8,8, 9,5) per es. con S, alle schiere rigate della L, , le cui quadriche sostegno passano per i punti ,S,,S,, vengono a corri- 608 I). MONTESANO spondere nella 9 fasci di raggi aventi per centri i singoli punti della conica fondamentale 7* e situati nei piani di un cono in- viluppo di 2* classe Z,, di cui è vertice il punto ,S,* che nella © corrisponde ad S,, sicchè la congruenza L* che nella @ cor- risponde alla L sdndo costituita dai fasci anzidetti, risulta di 2° ordine e di 2* classe, e la sua superficie focale riguardata come superficie di punti è il cono di raggi ®, aderente ad /, superficie che ha due contatti con la ‘7 dovuti ai due piani che nella © corrispondono ai coni della L, , che da S',S, proiettano la 7. Corrispondentemente la io A della congruenza L,, che corrisponde nella © al cono ®,, è una ®, = (Y 8/5, 8° 8)? che contiene i lati del quadrilatero SS'S, + ta a per piani tangenti doppii i piani dd, se (1). Questa superficie ®, è superficie focale, oltre che della con- gruenza LZ, ,, di una seconda congruenza di esual tipo M, ,, che corrisponde nella © alla congruenza M, si che con la L, S° forma il completo sistema delle tangenti al cono ®, appog giate alla y*. I coni della M, ,. che hanno i vertici sulla y, passano per i punti XK, XK, S, vs: S', S) e nei primi due toccano le rette == RANE i quelli. che hanno i vertici in 7 e 7”, si spezzano nelle coppie di piani de, d'e. E notando che i due piani sostegni dei fasci di raggi delle congruenze L*, M* che hanno per centro un punto arbitrario A della 7%, segano, oltre che in A, questa linea in due punti che corrispondono ad A in due proiettività Il, II! della y* inverse l’una dell’altra, sicchè ogni omologia armonica che abbia il centro su la corda di contatto del cono ®, con la y* e per piano assiale il piano polare del precedente punto rispetto a ®,, fa corrispondere l’una all’altra le congruenze L*, 2MM*, perciò prendendo egualmente in considerazione invece della © una tra- sformazione quadratica 0' dello spazio che ammetta nell’un si- stema per elementi fondamentali la conica y ed uno dei punti S", S'",, può affermarsi che: I due sistemi col X e 2' di trasformazioni quadratiche invo- (4) È la ben nota superficie di 4° ordine e di 42 classe, che se la conica 7 è l’assoluto risulta la ciclide di Dupin. Vegg. per essa i recenti lavori sulle superficie di 4° ordine a conica doppia del Loria (Memorie della R. Acca- demia di Torino, Serie 22, Tomo 36, S 74 e 72) e del SEGRE (Math. Annalen, Bd, 24, n° 116). UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 609 lutorie di 1% specie (1) aventi in comune la conica fondamen- tale y, che mutano la superficie D, in se stessa (2), costituito il primo da involuzioni in cui sì corrispondono i punti S ed #,, l’altro da involuzioni in cui sono coniugati i punti S' ed S,, fanno corrispondere l’una all’altra le due congruenze L,,,; M,, Invece l’altra trasformazione quadratica, involutoria e di 1° specie che muta la ®, in se stessa, la quale trasformazione I ammette per linea fondamentale la , per superficie punteggiata unita la F,=ySS'S,S/ dei paragrafi precedenti e per punto fondamentale il vertice del cono di Kummer della ®, che è il punto P del $ 4, muta ciascuna delle congruenze L, ,3 MU;.4 in se stessa, corrispondendo nella © all’omologia armonica che ammette per piano assiale il piano che passa pel vertice del cono ®, e per la corda di contatto di questo cono con la y*, e per centro il polo di tale corda rispetto alla ‘). Le quadriche punteggiate unite delle trasformazioni del si- stema £ (o di quelle del sistema £') costituiscono il fascio © (0 @) determinato dai coni che proiettano la y da S, S, (o da S°, S/'). Continuando a designare con A ed A' le traccie delle rette s=$$,, s=6' 6) sul piano © della % (punti che trovansi sul- l’asse a della ie H del S 2) e con A,, A, i coniugati armonici dei precedenti punti rispetto alle se 88, SS rispettivamente (punti che trovansi sull’altro asse « della /H, asse che contiene anche (S$ 4) il vertice P del cono di Kummer della ®,) si ha che i piani &, «' delle coniche d=S'"S/', d'=S$S, che con la y formano la base dei fasci ©, g' ora asi pas- sano rispettivamente il primo per A, ed il secondo per Aj, sicchè si segnano secondo la retta a'=A, A, P. (1) Le trasformazioni quadratiche involutorie dello spazio saranno dette di 1% o di 22 specie a seconda che le rette che escono dal punto fondamentale della trasformazione, corrispondono ciascuna a sè stessa, o sono a due a due fra loro coniugate. (2) Per tali sistemi veggasi Segre, Memoria e $ citato. Si noti anche che lo studio delle due congruenze Z,,,, M;,; potrebbe assai agevolmente essere dedotto dalle note proprietà della varietà cubica T dello spazio a quattro dimensioni, dotata di conica doppia #, e di due punti doppi (varietà studiata dal Segre nel $ 39 della sua Nota: Sulle varietà cubiche dello spazio a 4 di- mensioni ecc. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, Serie II, tom. 39°), potendo le L,,,, My, essere riguardate come le proiezioni dei due sistemi di rette (4,4) della r che si appoggiano alla k,. Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII, 44 610 D. MONTESANO Di più del fatto che nella involuzione / sono uniti i punti So, Sy e quindi anche i coni che da essi proiettano la conica 7, si deduce che le due coniche 0, d' sono unite nella I, e che perciò rispetto ad esse il punto P ha per polari le s', s. Analogamente essendo unite nelle singole trasformazioni del sistema S (o di X°) i punti ,S°,,5,' (o $, S,) ne segue che sono anche uniti in esse i coni che da tali punti proiettano la y e quindi risulta anche unita la d' (o la d). Nella / sono anche unite le singole quadriche dei fasci 0, 9', sicchè la I è commutabile con le singole trasformazioni dei sistemi X, X'. Combinate con esse dà per prodotto due sistemi IX, IX' col di trasformazioni quadratiche involutorie di 2* specie (tutte aventi per conica fondamentale la 7) le quali mutano l’una nell’altra le L, ,M,,- In una qualunque corrispondenza del sistema IX (o del si- stema /X') la conica puntegg giata unita trovasi sulla quadrica 7, e contiene i punti uniti S', S, (o i punti S, S,). Invece nella corrispondenza risultano coniug si i punti S, S, (o SESSI è unita la conica 0 (o la Ò), sicchè i due suoi pan ini isolati trovansi su la 0' (o su la 0) e sono allineati col punto P, ed il suo punto fondamentale trovasi su la s' (o su la s). Si noti ancora che a due a due le trasformazioni del sistema X (o del sistema £'°) sono fra loro commutabili e due di siffatte tra- sformazioni danno costantemente per prodotto la corrispondenza quadratica involutoria di 2* specie X (o X') che ammette per co- nica fondamentale la 7; per punti uniti isolati i punti S, S, (o i punti S', S/) e per conica punteggiata unita la 0 (o la d'). Tanto la X come la X' mutano ciascuna delle LZ, ,, M,., in se stessa. Del pari sono fra loro commutabili ni i trasfor- mazione 7 del sistema £ ed una trasformazione arbitraria 7" del sistema X'. Il loro prodotto è una involuzione quadratica di 2° specie (avente per conica fondamentale la 7) che fa corri- spondere ciascuna delle Lg ERI; so a se stessa, essendo coniugati in essa i punti S ed S., S' ed, La sua conica ue giata #9 U, Sf con la y la sezione delle superficie punteggiate unite U,, U', delle 7, 7", e perciò si appoggia alle y, d, d' a ciascuna in due punti. Ed essendo le U,, U,' entrambe unite nell’involuzione I, è del pari unita nella / la conica «,, sicchè tale linea trovasi in un piano passante pel punto P. UNA CONGRUENZA DI RETTE DI SECONDO ORDINE 611 Di più essendo unita nelle 7, 7" la quadrica F,, risultano punti uniti isolati del prodotto 7 7’ i due punti L, L' di se- zione della F, con la congiungente i due punti fondamentali delle 7, 7", dei quali punti fondamentali il primo trovasi sulla s, l’altro sulla s' (1), sicchè il punto fondamentale della 7 7' che è il coniugato armonico della traccia della retta LL' sul piano © della 7, rispetto ad LL, L', trovasi sulla superficie Q,=(88,5'S,)}ay che è coniugata al piano © nella trasforma- zione involutoria di 3° grado dello spazio avente per superficie punteggiata unita la quadrica /, e per elementi fondamentali le rette s, s' di cui ciascuna è coniugata ad ogni punto dell'altra, i lati del quadrangolo 8/8 S, 5 coniugati ciascuno a se stesso, ed i punti S, S', S,, S,' ognuno dei quali ha per corrispondente il piano dei due lati del quadrangolo anzidetto che concorrono in esso. Col variare della 7 in Y e della 7’ in S' si ha un sistema co° Y di trasformazioni quadratiche involutorie di 2* specie che mutano ciascuna delle congruenze L, ,, 24, , in se stessa. E siccome quella corrispondenza di SY (o di X') che ha il punto fondamentale in @ riducesi all’omologia armonica (4-2) (0 (4-2)), perciò fra le corrispondenze del sistema ‘Y vi è l’omografia assiale armonica H che è il prodotto delle due omologie accennate. Si noti ancora che a due a due le trasformazioni del si- stema Y sono fra loro commutabili, e due trasformazioni sì fatte danno per prodotto la /, sicchè oltre le corrispondenze ottenute non vi sono altre trasformazioni involutorie quadratiche che mutano in se stesso il sistema delle due congruenze L, ,; M;,,- Perciò riassumendo può affermarsi che: Ogni congruenza del tipo studiato in questa Nota corrisponde a se stessa in un'omografia assiale armonica, in una trasforma- zione quadratica ed involutoria di 1° specie, in due trasformazioni quadratiche ed involutorie di 2* specie che ammettono ciascuna per punti uniti isolati una coppia di punti singolari isolati della congruenza, ed in co? trasformazioni quadratiche ed involutorie di 2% specie rispetto alle quali entrambe le coppie di punti singo- lari isolati della congruenza sono costituite da punti coniugati. (4) Su le due coniche di sezione della quadrica F, con i piani sLL', LL' i due gruppi SS, LL’, S'S/LL' sono armonici, e quindi i punti Z, L' sono coniugati fra loro tanto nella involuzione X, come nella X'. 612 RELAZIONE intorno alla Memoria del Dott. E. GIaLio-Tos in- titolata: Ditteri del Messico - Stratiomyidae, Syrphidae (Parte 1). Il compianto Prof. Luigi BELLARDI lasciava morendo al Museo Zoologico di Torino una ricchissima collezione di Ditteri Europei ed esotici. Fra questi ultimi sono particolarmente importanti i Ditteri del Messico intorno ai quali il BELLARDI stesso pubblicò nel 1859, nel 1861 e nel 1862 tre Memorie che vennero stam- pate nei volumi della nostra Accademia. Il BELLARDI lasciò come è noto ben presto lo studio dei Ditteri per quello dei Molluschi terziarii. Ma egli tuttavia non trascurò mai le occasioni di ar- ricchire la propria raccolta di Ditteri, di guisa che il materiale che essa oggi contiene è molto notevole. Il Dottore E. GiaLio-Tos intraprese lo studio ed il riordi- namento della collezione dei Ditteri del BELLARDI e nella Memoria affidata al nostro esame espone il risultato dei suoi studi sulle famiglie Stratiomyidae e Syrphidae del Messico. Numerose sono le specie nuove descritte, numerosissime le identificazioni sino- nimiche fra specie descritte da altri Autori. Le descrizioni sono fatte con diligenza e sopratutto sono simmetriche e facilmente comparabili fra loro, pregi che non di rado mancano disgrazia- tamente in molti lavori faunistici di simile natura. I vostri commissari credono che la Memoria del Dottor GIeLIo- Tos sia un buon contributo alla conoscenza dei Ditteri in ge- nerale e in particolar modo della interessantissima fauna Messicana e perciò ne propongono la lettura alla Classe, e qualora questa la approvi, la stampa nei volumi Accademici. Tommaso SALVADORI. L. CAMERANO, Relatore. 613 RELAZIONE intorno alla Memoria del Prof. Angelo BATTELLI Sulle proprietà termiche del vapor d’acqua. Nei volumi XL, XLI, XLII di quest’ Accademia vennero inserite le prime tre parti dello studio del Prof. BarTELLI sulle proprietà termiche dei vapori. La Memoria affidata al nostro esame forma la quarta parte di quello studio. L'Autore seguì lo stesso metodo usato per l’etere e per il solfuro di carbonio e si servi anche degli stessi apparecchi. Egli discusse l’esperienze come fece per gli altri due liquidi e stabili entro limiti molto estesi come si comporti il vapor d’acqua rispetto alle leggi del BoyLe e del Gay-Lussac. Vista l’importanza del lavoro, che nel caso del vapor d’acqua s’estende anche alla pratica, visto che in questa Memoria sono continuati gli studi dello stesso Autore già accolti nei volumi dell’Accademia, noi proponiamo la lettura della Memoria alla Classe. G. FERRARIS. A. NaccarI, Relatore. 614 A. NACCARI RELAZIONE sulla Memoria del Dott. G. B. Rizzo intitolata: Il Clima di Torino. La serie delle osservazioni meteorologiche fatte in Torino comincia nel 1758. Fu il conte Ignazio Somis, Professore di Tedicina all’Università e Membro di questa Accademia, che le iniziò e le proseguì regolarmente per molti anni. Nell'anno 1787 l'Accademia stessa assunse la direzione delle osservazioni meteorologiche ed è da quell’anno che cominciano le osservazioni, sulle quali si può fare qualche assegnamento per un confronto con le osservazioni recenti. Gli strumenti stavano dapprima in una finestra della Biblio- teca, poi furono collocati sulla specola. Era direttore di questa il VassaLLI-EANDI, che in alcuni suoi scritti riassunse una parte di quelle osservazioni. Dopo la morte di lui le osservazioni furono regolarmente continuate nell’ Accademia fino al 1865, in cui l'Osservatorio meteorologico fu unito all’astronomico nel Palazzo Madama. Il Rizzo si propose di utilizzare questa numerosa serie di dati: 1° per studiare il medio andamento giornaliero della temperatura, della pressione, della tensione del vapore e del- l'umidità relativa in ciascun mese dell’anno; 2° per fare lo stesso studio per l'andamento annuale; 3° per esaminare se dalla intera serie delle osservazioni risulti l’indizio di qualche muta- mento nelle condizioni meteorologiche di Torino. Per le variazioni diurne il Dottore Rizzo si valse soltanto delle indicazioni date dagli strumenti registratori nel periodo 1871-1890. Egli calcolò la media dei valori termometrici e barometrici spettanti ad una delle 24 ore del giorno in un dato mese. Così fece per tutto il ventennio, poi dei venti valori trovati prese la media. Ripetè il calcolo per gli altri mesi: poi fece lo stesso per le altre ore del giorno. Con le 24 medie così ottenute per un dato mese applicando il metodo dei minimi quadrati egli dedusse le costanti di una formola di BEssEL, atta a rappresentare con sufficiente RELAZIONE SULLA MEMORIA DEL DOTT. G. B. RIZZO 615 approssimazione l’andamento della temperatura o della pressione in un giorno. Fu confermato da questo studio il fatto, cui il Wicp non aveva voluto prestar fede e che egli aveva attribuito ad errore, che cioè la massima temperatura del giorno si ha a Torino più tardi di quello che avvenga in generale altrove, vale a dire fra le tre e le quattro e più tardi in estate che in in- verno. Per l'umidità atmosferica furono utilizzate le osservazioni fatte dal 1866 fino ad oggi. Per lo studio dell’andamento annuale il Dottore Rizzo si valse delle osservazioni fatte dal 1866 al 1890. Per ogni giorno calcolò la media degli elementi meteorici e ne cercò il valor medio per ciascuna delle 73 pentadi di un anno. Prendendo per ogni pentade la media dei valori trovati in tutto il. periodo, egli ottenne i valori che gli servirono al calcolo delle costanti delle formule periodiche. Fra i risultati notevoli ricordiamo i seguenti : la temperatura media annuale è 11°,73, la pressione barometrica media annuale è 737,09, la media umidità relativa è 71,35, i giorni piovosi dell’anno sono in media 106, la media annuale dell'altezza della pioggia è mill. 835,5. La massima tempera- tura secondo l’andamento medio cade nella quarta pentade di Luglio, la minima nella quarta pentade di Gennaio. La pres- sione ha due massimi, l’uno in Febbraio, l’altro in Settembre, e due minimi l’uno in Marzo, l’altro in Dicembre. L'umidità relativa ha un minimo in Luglio, un massimo in Dicembre. La pioggia ha un andamento molto complesso, che è rappresentato graficamente e nelle tabelle, ma non algebricamente: v'è un mas- simo molto elevato in Aprile. Prendendo tutta la serie delle osservazioni dal 1787 al 1890 il Rizzo indagò quali variazioni avvengano d’anno in anno. Su una tavola stanno i valori medi ed estremi della pressione e della temperatura per ogni anno e le indicazioni relative alla pioggia ed all’aspetto del cielo. Da questo prospetto appare come la pressione e la tempe- ratura variino entro limiti molto discosti. La media escursione annua della pressione è di 36 mill. e nel periodo intero 1787- 1890 i valori estremi furono 757,8 nel Gennaio 1884 e 709,8 nel Febbraio 1879. Più notevole ancora è la variazione della temperatura. L'escursione media annuale è di 43°, ma nel 1864 s'ebbe la minima di 17°,6 sotto zero e nel 1861 la massima di 37,4. 616 A. NACCARI - RELAZ, SULLA MEM. DEL DOTT. G. B. RIZZO L’esame di tutte queste osservazioni dimostra che le condi- zioni meteorologiche di Torino non sono mutate in modo sensi- bile da quelle che erano un secolo fa. Dal 1830 al 1860 appare un aumento nella temperatura, nella pressione e nella quantità di pioggia, ma poi si manifesta una diminuzione d’eguale gran- dezza.. La Memoria del Rizzo, che richiese un lungo lavoro per le riduzioni e le correzioni delle osservazioni antiche fatte con istru- menti graduati diversamente da quelli che si usano oggidì e per le interpolazioni richieste dai confronti, è condotta con grande accu- ratezza. Essa ci pare un lodevole esempio di quegli studi me- teorologici, che, utilizzando un gran numero di osservazioni po- trebbero quando fossero più frequenti, guidure ad importanti conclusioni climatologiche. La Memoria ha poi speciale importanza per la nostra Accademia perchè vi si discutono le osservazioni eseguite per lunga serie d’anni per cura della Accademia me- desima. Per tali ragioni noi vi proponiamo la lettura di questa Memoria G. FERRARIS. A. NACCARI, Relatore. L’Accademico Segretario GIusEPPE Basso. -—__—wvWe—.....— "9 617 ADUNANZE DELLE CLASSI UNITE Nell'anno accademico 1891-92 l'Accademia tenne parecchie adunanze a Classi Unite. In quella del 20 dicembre 1891 fu . letta la relazione della seconda Giunta per il conferimento del settimo premio Bressa (vedi Atti, pag. 231-235). Nell’adunanza del 27 dicembre successivo, l'Accademia conferì questo premio al professore Enrico Hertz dell’Università di Bonn, ed in quella del 3 aprile 1892 riconfermò nell’ufficio triennale di tesoriere, il socio Giuseppe Bruno. Tale elezione fu approvata da Regio decreto del 10 aprile. Il 26 giugno 1892, l'Accademia chiuse i proprii lavori inau- gurando un busto al compianto suo Presidente, Senatore profes- sore ANGELO GENOCCHI. Il busto, opera lodata dello scultore cav. Giacomo (Ginotti, fu collocato nell’atrio del palazzo dell’Accademia. Vi è apposta la seguente iscrizione dettata dal Socio Francesco SIACCI : ANGELO GENOCCHI PRESIDENTE DELLA R. ACCADEMIA DAL MDCCCLXXXV AL MDCCCLXXXIX NELLA NATIA PIACENZA INSEGNÒ DIRITTO ROMANO POI IN QUESTA UNIVERSITÀ ANALISI INFINITESIMALE LÀ PRECLARO GIURISTA QUI MATEMATICO SOMMO QUI TRASSE IN TEMPI DIFFICILI CERCANDO LIBERTÀ QUI VISSE VIVRÀ QUANTO LA SCIENZA IL SUO NOME MDCCCXVII-MDCCCLXXXIX 618 ONORANZE Erano presenti alla cerimonia inaugurale parecchi Senatori e Deputati al Parlamento Nazionale, il Prefetto della provincia di Torino, i Presidenti dei Consigli Provinciali di Torino e di Piacenza, i Sindaci di queste due città, il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, il Rettore e i Presidi delle Facoltà della R. Università, professori della Università, direttori e professori di altri istituti d’istruzione superiore, quasi tutti gli Accademici ed un eletto stuolo di Signore. S. E. il Ministro della Pubblica Istru- zione aveva delegato il Presidente dell’Accademia a rappresentarlo. Si associarono inoltre alle onoranze i Presidenti del Senato del Regno e della Camera dei Deputati, il R. Istituto Lombardo di Scienze, Lettere ed Arti, la Società Italiana delle Scienze detta dei XL, i quali due istituti erano rappresentati dal socio prof. Enrico D’Ovidio, la R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, la R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti del Belgio, le RR. Università di Roma e Bologna, Autorità civili e militari e Soci non residenti, stranieri e corrispondenti dell’Accademia, Il Presidente dell’Accademia, prof. MicHeLE LESSONA, aprì la funzione pronunciando le seguenti parole : « Compio un dovere graditissimo assegnatomi dai miei colleghi, ringraziando gli illustri personaggi e tutte quelle cortesi persone che vollero accogliere il nostro invito. Ringrazio in particolar modo della loro venuta il Sindaco e il Presidente del Consiglio provinciale della città di Piacenza, città che ha tanta parte in questa funzione. Ringrazio i lontani che vollero esprimere il loro rincrescimento del non aver potuto venire, il Ministro della Pub- blica Istruzione che mi onora dello incarico di rappresentarlo, il Presidente del Senato, il Presidente della Camera dei Deputati, i rettori di parecchie Università, molti colleghi insigni d’Italia e di fuori, i quali tutti vogliono col pensiero essere oggi in questa sala. « In questa sala da oltre a cento anni si radunano assidua- mente uomini differenti fra loro per varî rispetti, differenti per indole, differenti per studî, differenti per idee politiche e sociali, differenti per nascita, figli alcuni di famiglie patrizie eminenti, altri di poveri popolani. Questi uomini per tanti rispetti diver- genti qui sono tutti concordi in un solo intento, tutti pari nello adoperarsi per la conoscenza del vero. « Molte ore furono passate qui in questo nobile intento, mentre fuori imperversava scatenata la furia delle passioni umane, AD A. GENOCCHI 619 « L'uomo arrivato alla vecchiaia, chiusogli l’avvenire, volge lo sguardo al passato, irresistibilmente, concitatamente, affanno- samente. « Soltanto il vecchio può comprendere in tutta la sua terribile verità il lamento di Francesco Petrarca: Io vo piangendo i miei passati tempi... « Il vecchio ripensa alle ore che ha speso senza fare tante cose che avrebbe potuto fare e alle ore che ha speso nel fare tante cose che avrebbe potuto non fare. « Le ore passate qui sono oasì piacevolissime nel deserto tur- binoso della rimembranza. « Tutti qui si adoperarono con pari buon volere, ognuno se- condo le sue forze. « Le forze di taluni furono così poderose che l’opera loro ri- mane indelebile nella storia intellettuale dell’umanità. « Uno di questi valorosi è scomparso. Qual uomo egli sia stato vi dirà il mio collega D’Ovidio che io prego di prendere la parola. » Indi il socio EnrIco D'Ovipio lesse il seguente discorso : Signore e Signori ; Il poeta prediletto dall'uomo insigne, in onore del quale siamo oggi qui adunati, scrisse : Virtù viva spregiam, lodiamo estinta. Ma questa sentenza non trova applicazione nel caso di An- gelo GeENocCHI; poichè le sue virtù furon sempre dall’universale riconosciute. Tanto meglio per lui, tanto meglio per noi; chè egli non ebbe l'animo contristato da gravi ingiustizie patite, nè noi abbiam rimorsi da placare Tanto meglio, se le lodi, che a me tocca oggi dire di lui, non saranno se non l’eco di quelle che a lui vivente furono tributate Tanto meglio, se l’inaugura- zione, che oggi celebriamo, di un ricordo marmoreo del rimpianto Presidente di quest’Accademia, segna l'adempimento di un voto fatto all’indomani della sua morte; voto, che nessun ostacolo ebbe a vincere, anzi fu favorito in ogni guisa dai dotti d'Italia 620 ONORANZE e fuori. Lo stesso indugio, che da circostanze esteriori venne @ questa cerimonia, vale a dimostrare almeno che non vi era pe- ricolo nell'attendere, che il nome del GeENOccHI non aveva a temer l’oblio per molti anni. E basterebbe scoprire il busto del già nostro Presidente, per dir compiuta la solennità; tanto son noti l’eminente valore scien- tifico, l’integerrimo carattere e le civili virtù di lui. Ma volle l'Accademia che una voce sorgesse in quest’aula a commemorare l’uomo e lo scienziato ; ed io, cui venne affidato sì onorevole compito, lo farò di gran cuore, se non degnamente. E AncELO GeENoccHI nacque in Piacenza il 5 Marzo 1817. Ivi percorse tutti gli ordini di studî, e fu veramente puer aureus, facendosi sempre notare per vigore d’ingegno e per amore di apprendere; ivi si laureò in leggi l’anno 1838 presso la Facoltà giuridica, la sola colà esistente e che da Parma eravi stata trasfe- rita in seguito dei moti politici del 1831; ivi esercitò l’avvo- catura ; ed ivi ebbe la cattedra di Diritto romano, nel 1845 come sostituito, nel 1846 come titolare. Come avvocato, non potè aver parte in dibattimenti impor- tanti; poichè agli esordienti non era concesso se non il patrocinio gratuito in qualche causa penale, ovvero in qualche causa civile innanzi ai Pretori. Pure assisteva con diligenza alle pubbliche udienze, e molto studiava la Giurisprudenza ; ed insieme a due suoi amici e colleghi (1) soleva adunarsi a discuter quistioni giuridiche proposte or dall’uno or dall’altro. E fu appunto in virtù della grande stima che si era acquistata appo la Magistra- tura ed il Foro, che, non richiedente, anzi repugnante, venne no- minato professore di Diritto. Non va taciuto che non piacque immediatamente agli studenti, per la severità del suo contegno e la freddezza della parola. Ma eccoci a un momento decisivo nella vita e nella carriera del GenoccHI. Fu la politica che lo determinò. Nato io quando spuntavano appena i primi albori del risor- gimento nazionale, avendo passato la fanciullezza sotto l’assolu- (1) Carlo GraRELLI e Pietro AGNELLI. AD A. GENOCCHI 621 tismo borbonico, ancora in tempo per comprendere quanto mi- serabile fosse l’Italia serva e divisa in piccoli stati, ma troppo tardi per poter prender parte coll’azione ai memorabili fatti che la condussero alla sospirata indipendenza, io ho sempre invi- diato gli uomini della generazione precedente la mia, poichè la loro gioventù fu nobilitata dalle grandi emozioni delle cospira- zioni per abbattere la tirannide, dei combattimenti per l’indi- pendenza della patria, del solenne trionfo dell’ unità nazionale. Come è monotona, grigia, la vita dei giovani di oggi a petto di quella! Forse è perchè non splende innanzi ad essi un grande ideale, che i nostri giovani si perdono talora dietro a picciole cose e vane parvenze. Uno di quegli uomini fortunati fu il GenoccHI. Egli non era ancora trentenne, quando tutta Italia fu scossa ed esaltata dalla fatidica invocazione : « Benedite, gran Dio, l’Italia ». Mente eletta, nudrita di forti studi classici, indole insofferente di giogo, cuore sensibile, il GeNoccHI non poteva rimanere estraneo ai moti patriottici, anzi vi si mischiò con ardore. « Prima del 1848 (1) e sin da quando Maria Luigia d’Austria « chiamò i Gesuiti a Piacenza, si formò ivi e si accentuò un partito per combattere i clericali austriacanti, stati sempre potenti ed allora resi più audaci e persecutori. Il partito ri- conosceva per capo l’avvocato Pietro Giola (che fu poi Senatore e Ministro della pubblica istruzione); vi cooperarono non pochi del Foro; vi si unì qualche nobile; nè vi mancò qualche prete. La lotta fu viva e costante, e si fece più gagliarda quando dal vicino Piemonte vennero speranze di prossima ri- scossa; il perchè la maggioranza del partito era di monarchici costituzionali. Però non vi mancavano uomini di idee repubbli- cane, e principale fra essi era il professore di matematica Fran- cesco BuccELLA, e molto caldo il nostro GENOccHI. Secppiata nel marzo dell’anno 1848 la rivoluzione dei Lombardi, e sgombrata Piacenza dagli Austriaci, gli uomini di parte moderata (che rap- presentavano l’opinione della grande maggioranza dei cittadini, ed eran molto intransigenti) ne assunsero il governo provvisorio, e principal loro pensiero ed opera fu la immediata annessione della città e provincia al Piemonte. Ma ogni cosa allora finì A A_A A A A A A A A A A A A AO A (1) Così scrive l’egregio Magistrato Comm. Pietro AGNELLI, amico € compagno di studi del GENOCCHI, 629 ONORANZE « presto. Gli Austriaci, vincitori a Custoza, rientrarono nell’Ago- « sto a Piacenza. » Quale schianto non dovett’essere quella catastrofe pel nostro patriota! Egli pianse di rabbia e di dolore all’annunzio della ritirata del prole Alessandro LAMARMORA, e pria che gli Austriaci rientrassero vincitori in Piacenza, egli, insieme a taluni altri li- berali, emigrò. Andò prima a Stradella, patria di sua madre ; e quindi sen venne a Torino, la grande ospite degli infelici emi- grati da ogni parte d’Italia per isfuggire alle persecuzioni, per cercar libertà, ch'è si cara. Non mancarono officìî presso il GeNoccHI, perchè ritornasse a Piacenza: ma egli con una fiera lettera rifiutò, dichiarando che non vi avrebbe messo più piede finchè vi rimanesse lo stra- niero. Son giunto in tempo a procurarmi copia dell’ abbozzo di quella lettera, abbozzo che io ebbi la fortuna di trovare fra i moltissimi manoscritti lasciati dal GexnoccHI (1). La lettera è affatto inedita, ed io son certo di far cosa grata all’uditorio dandone lettura. Così la figura di Angelo GenoccHI si drizzerà al vo- stro cospetto, come Farinata innanzi a Dante, in tutta la sua naturale nobiltà. La lettera è indirizzata al Prof. Carlo Fioruzzi di Piacenza, già maestro del GenoccHI, insegnante di Diritto penale nella Facoltà legale e Cancelliere del Magistrato degli Studi. Eccola : CARISSIMO PROFESSORE, La sua lettera mi è giunta mentre stava cercandomi una nuova abi- tazione, poichè ho dovuto lasciare quella che aveva prima; e per questo e poi per gl’imbarazzi che accompagnarono e seguirono il mio trasloca- mento, non ho potuto risponderle insino ad ora. Queste disposizioni da me prese Le dicono abbastanza ch’io non in- tendo di muovermi al presente da Torino, ove se mi trasferii e trattenni sin qui, non fu certo per qualche mia utilità e nemmanco per vaghezza di novità o per diporto, ma unicamente pel ribrezzo a me insuperabile di veder un’altra volta nella mia patria gli Austriaci, che vi rientrarono dopo aver sparso sangue italiano e inorgogliti della vittoria. (4) Esso è scritto su un mezzo foglio, contenente la soprascritta di una lettera con l’ indirizzo: All’Illm° sig. Avvocato Angelo GenoccHi Membro del Comitato dei Ducati, Torino, fermo in posta. Vi è un bollo P. D. ; un altro 25 ‘ nov , un altro circolare ove si distingue 24 nov., e un pezzo d’ostia rosso, “= AD A. GENOCCHI 628 Un tal motivo pur troppo non è cessato, e finchè non sia tolto, finché Piacenza dovrà soflrire il sozzo aspetto de’ Croati, io non vi tornerò. Quanto sia prudente il raccoglier costà molta gioventù 1n questi tempi, e in presenza dell'abborrito nemico; quanto profitto possa spe- rarsi da un’istruzione in siffatte circostanze a lei impartita, non so. Ben meraviglio di coloro che saranno abbastanza imperturbabili o abbastanza padroni della propria volontà, per esercitare con tutto il dovuto racco- glimento e zelo l’ufficio di maestri; ma non potrei imitarli; perderei il tempo io stesso e lo farei perdere ai giovani. Vedemmo in maggio e giugno come si studiasse e come si rendesse conto degli studi fatti; nè biasimo però la gioventù, di cui anzi farei meno stima quando avesse potuto allora attendere alle scuole come vi attendeva ne’ tempi ordinari. Ma se allora mi parve poco ragionevole la determinazione di riaprire le scuole e anzi di prolungarne il corso oltre il termine consueto, determinazione dalla quale si dovette poscia recedere, molto meno trovo ragionevole la presente. Siamo dunque ani- mali d’abitudine, sospinti prepotentemente da una cieca natura ad ese- guire il nostro compito, che temeremmo di morire non adempiendolo, e che non facciam ragione di nuovi eventi e di tempi mutati? Per me credo che il solo effetto buono d’una tale determinazione sarà che tutti gli studenti del territorio ricusino di recarsi costà, e ren- dano così pubblico un’altra volta l abborrimento del paese contro l’Austria. Mi sembra poi strano che mentre tutti gli impiegati del Governo Sardo trasferirono fuori della giurisdizione austriaca la loro sede, e di questo contegno ebbero lodi universali, i soli professori e maestri restino a Piacenza, quasichè o meno odiino il tedesco o meno abbisognino di libertà. Mi sembra una povera illusione l’immaginarsi che sia un bel fatto il conservare la scuola come mancipia dell’autorità di Carlo Alberto; in Piacenza sappiam tutti che comanda solo il tedesco, e nessuno vorrà credere che, se vi si tengano scuole, questo avvenga senza la tolleranza o meglio l’espressa licenza del tedesco, qualunque sia la data e la sopra- scritta della lettera del Magistrato. Si stampava a Piacenza un giornale: l'austriaco tacque per qualche giorno, poi chiamò a sé ed ammoni il direttore, poi aggiunse provoca- zioni gravi, finché in breve quel direttore dovette cessare. La medesima sorte toccherà ai professori: eglino si espongono a dovere ad ogni tratto comparire dinanzi all’ austriaco a render conto della loro condotta e riceverne i superbi comandi, e quando gliene venga il capriccio, l’au- striaco finirà per chiudere al tutto le scuole. Io non approvo che a queste condizioni i professori si sottomettano: io non lodo neppure che profit- tino d'una permissione o espressa o tacita de’ tedeschi; non lodo che possano essere creduti indifferenti, se non propensi alla dominazione austriaca: non lodo che possano mettersi a mazzo con coloro i quali sono amici a tutti i governi, sono amici all'Italia e all'Austria, a Cristo e al Diavolo. Se le scuole, come fu fatto di tutti gli altri ufficì, con pieno assenso del Governo Sardo, si trasferiranno in luogo non dominato dagli Austriaci, 624 ONORANZE verrò anch’ io a pagare l'obbligo mio; non penso di avere obbligo alcuno di recarmi a Piacenza. Gli stessi argomenti alquanto sottili ch’Ella, ca- rissimo sig. Professore, trae dalla data e dalla soprascritta delle lettere spedite o ricevute dal Magistrato, provano che non v'ha un argomento più forte e più evidente, qual sarebbe un’approvazione espressa del Mini- stero Piemontese. Nel che la riserva di esso Ministero è senza dubbio lodevole, e non diversa dal contegno che adopra rispetto alla Lombardia e al Veneto, donde una immensa emigrazione, indotta ad abbandonare le proprie case e quanto ha di caro la terra nativa, non dal timore, perché era più coraggioso il partire che il rimanere, ma dall’abbominio della dominazione straniera, venne come una viva e una perpetua e gran- diosa protesta in faccia all’Italia, in faccia all'Europa contro l’Austria. Sarebbe cosa indegna che quei profughi fossero ricacciati in mezzo agli Austriaci e così, tornati i popoli tranquillamente alle proprie sedi, potesse l’Austria vantarli contenti o almeno indifferenti. E il Governo Sardo non ha comandato e certo non comanderà ai professori dell’antico Regno Lombardo Veneto, che si partano di qui e vadano ad occupare le loro cattedre. Ciò che il Governo non fa pel Lombardo Veneto, non farà, spero, per la città di Piacenza, le cui condizioni sono eguali a quelle e forse peggiori; e se lo facesse, non obbedirei a nessun costo a’ suoi comandi. Ma esso non vorrà neanche contraddire a se medesimo trattando con diversa misura i professori e gli altri impiegati. La prego, carissimo sig. Professore, a volere, nella sua qualità di Cancelliere, comunicare al Magistrato le ragioni che Le ho esposte e che mi tolgono di venire a Piacenza. Ove sia d’uopo, le ripeterò direttamente al sig. Preside di esso Magistrato. Io Le ho spiegato apertamente e schiettamente l’animo mio; non mi resta che ringraziarla della premura da Lei avuta, e dichiararmi, siccome fo, Suo dev.°> GENOCCHI. Con la venuta a Torino si chiude la pagina politica della vita del GenoccHI; nobile pagina, non guasta da gonfiezze ret- toriche nè da incostanze. Si può dire che non egli cercò la po- litica, ma questa lui. Delle sue patriottiche benemerenze, nonchè industriarsi di trar vantaggio, egli non usava nemmanco parlare. Quanto alle sue idee politiche, esse furon quelle di tanti altri onesti e fervidi patriotti in quegli anni; ma, costituito il regno italico sotto lo scettro sabaudo, il GENoccHI si acquietò. Del resto egli era uomo d’ordine ed alieno dalle intemperanze; e il suo desiderio costante fu un governo forte e saggio, anche se incarnato in un Nerone; talora anzi, allo spettacolo di incon- AD A. GENOCCHI 625 sulte dimostrazioni io lo udii ripetere, tra indignato e scherzoso, quei due versi: L’assoluto, dispotico governo, Sta bene per l'estate e per l'inverno; tuttavia non lo prendevo certo in parola. II. Ma con la venuta a Torino si apre una nuova pagina della vita di Angelo GeNoccHI, la più importante e gloriosa, voglio dire della sua vita di matematico. Benchè nelle scuole di Piacenza egli avesse atteso con suc- cesso a tutte le varie discipline, benchè fosse poscia divenuto avvocato e chiaro professore di Diritto romano, pure la sua pre- dilezione era stata sempre la Matematica. In essa aveva avuto un valente maestro nel BUCCELLA, poi suo maestro anche in po- litica; in essa aveva fatto le letture più gradite e meditate, presso la ben provvista biblioteca civica piacentina. Ora qui a Torino egli trovava ricche biblioteche, una cospicua Università, una illustre Accademia, molti dotti; quindi il suo amore per la Matematica qui ebbe incentivo a vieppiù accendersi e divampare. D'altra parte qui egli non aveva più insegnamento di Diritto, nè affari d’avvocato; senza contare che la sua indole, pur es- sendo fornita di certe doti proprie del valente avvocato, come un acuto spirito critico, un’implacabile dialettica, una frase con - cettosa e scolpita, mancava tuttavia di quell’esteriore brillante, di quel sapersi intromettere, di quelle maniere officiose, che so- gliono così bene aiutare a procacciarsi cause e clienti. Avrò segnato un carattere della sua fisonomia non meno morale che fisica, quando avrò detto ch'egli era un’indole anti-parlamentare. L'uomo del tipo, per così dire, parlamentare, discute volen- tieri e con forme cavalleresche ; il GeENOCcCHI facilmente perdeva la pazienza, agitandosi e tremando, ed allora diventava acre, pungentissimo; ma presto ritornava alla calma. Quegli ha costume di far buon viso al parere della maggioranza e cerca di farne suo pro’; pel GeNoccHI non vi era maggioranza che tenesse. Quegli infinite lettere riceve, e moltissime ne scrive in fretta e Atti R. Accad. - Parte Fisica, ecc. — Vol. XXVII. 45 626 ONORANZE piene di belle frasi ; lo scrittoio del GeNoccHI era quasi deserto, le lettere ricevute, le buste, financo gl’inviti ad adunanze con- servava; sovente sul loro rovescio scriveva de’ tentativi di calcoli o l’abbozzo delle risposte, e lo stile era come l’uomo, sincero, sobrio, diritto. Quegli molto si muove, molto si mescola colla gente; il nostro viveva ritirato e schivava la folla. Quegli ambisce le cariche pubbliche, gli onori, e sovente si piace di vivere larga- mente ; il GENOCCHI visse sempre nel modo più semplice, quasi dimesso, e schivò anche l'ufficio di Preside di Facoltà. Il solo ufficio che accolse di buon grado fu quello di Presidente della nostra Accademia, e nell’esercitarlo non ci oppresse certamente sotto il peso della sua autorità. La sua vocazione era la Matematica ; e doveva esser ben gagliarda vocazione quella che lo persuase ad acconciarsi a vivere con le ottanta lire mensuali che gli venivano di casa, in una came- retta a un ultimo piano di via Alfieri, tutto assorto nella scienza; che di lui, sprovvisto di regolari studî universitarî, fece uno dei più dotti e più fecondi collaboratori dei volumi accademici, e ciò in tempi in cui i matematici in Italia erano pochi e separati fra loro e dagli esteri, in tempi ai quali ancora ben si atta- gliavano le parole del Paoli: « Fra tutti quelli che in Italia « si dànno allo studio delle Matematiche, se qualche genio su- « blime si eccettua, il quale colla forza del suo spirito abbia « trionfato di tutti gli ostacoli e siasi posto a livello dei geometri « oltramontani, pochi altri si contano che giungano alla medio- « crità. Nè ciò si deve ripetere dalla mancanza degl’ ingegni, « che abbondano in Italia come per tutto altrove, ma dal male « inteso metodo d'insegnar le Matematiche; poichè quivi non si « pongono nelle mani dei giovani che elementi molto leggieri, « i quali compariscono facili perchè sono inesatti, e non trattano, « in ciascun ramo della scienza, che di qualche caso particolare ». Ma una scuola, anche se insufficiente e tapina, è pursempre un aiuto, una guida, uno sprone; aiuto, guida, sprone il GENOCCHI non trovò che in sè stesso, e salì « a livello de’ geometri « oltramontani ». Le condizioni in cui il nostro scienziato versava non eran certo tali da dargli quella tranquillità che deriva dal vedersi innanzi un sicuro avvenire. Eppure egli lavorava con stoica co- stanza, quasi avesse potuto dir di sè, come LAGRANGE: « le mie « occupazioni si riducono a coltivar la geometria, tranquillamente AD A. GENOCCHI 627 « e nel silenzio. Siccome non ho fretta e lavoro piuttosto per mio « piacere che per dovere, così io somiglio ai gran signori, quando « edificano; io fo, disfò e rifò, finchè non sono passabilmente « contento; il che tuttavia mi avviene raramente ». Così durò più anni, frequentando le biblioteche, assistendo alle lezioni del PLANA e principalmente del CHIÒ, e pubblicando dal 1851 in poi numerosi lavori. Entrò nell’insegnamento della Matematica non prima del 1857, spintovi dall’egregio CHiò, che gli aveva messo molto amore, e che, per tagliar corto alle ritrosie del GENOCCHI, scrisse e firmò col costui nome la domanda di ammissione al concorso per la cattedra di Algebra e Geometria complementare presso la nostra Università. Ottenuta la cattedra come reggente e divenutone tito- lare nel 1859, passò nel 1860 da quella, che fu abolita, al- l’Analisi superiore; nel 1862 all’Introduzione al Calcolo, ov’era sicuro d’aver buon numero di scolari; e nel 1863 al Calcolo infinitesimale, ove rimase finchè visse, facendosi supplire negli ultimi anni dall’egregio Prof. PEANO, ora suo successore. Come insegnante, le doti che maggiormente spiccavano in lui, erano dottrina e precisione. Benchè tutto dedito alle ricerche scientifiche, non neglesse mai, per correr dietro a quelle, i suoi doveri scolastici. Scrupolosamente puntuale, era giustamente esi- gente con gli scolari; i quali sel sapevano e lo temevano, ma gli erano affezionati e non gli serbavan rancore neanche di qualche rabbuffo durante gli esami. Spiegava con calma, senza mai ri- petersi, badando a porre rigorosamente i concetti fondamentali e studiandosi ad un tempo di conseguire semplicità di procedi- mento e chiarezza di esposizione. E vi riusciva pienamente, e fu infatti uno dei primi a informare l’insegnamento del Calcolo infinitesimale a quello spirito di esattezza che oggidi pervade tutta la scienza matematica, senza rinunziare, il che non è agevole impresa, alla chiarezza. Con questo non intendo affermare che fosse un maestro perfetto, se pur ve n’ ha ; l’indole austera, la voce fioca e monotona, non erano adatte ad elevare la tempe- ratura dell’ambiente della scuola, a render gli scolari familiari col maestro. 628 ONORANZE III Dove veramente egli profuse tutto sè stesso e palesò tutte le straordinarie sue doti d’ingegno, di dottrina e d’operosità, si fu nelle pubblicazioni. Le quali abbracciano uno stadio di 35 anni, dal 1851 al 1886, e sommano al cospicuo numero di 176, disseminate nei giornali scientifici, italiani, francesi e tedeschi, nei volumi delle Accademie delle Scienze di Bruxelles, Parigi e Torino, dell’Istituto Lombardo, della Società Italiana delle Scienze detta dei XL. Sarebbe imprudenza e presunzione soverchia in- golfarmi nell’esaminar partitamente tante elaborate scritture; nè l'occasione il consente. E però mi contenterò di raggrupparle a seconda dell’affinità degli argomenti, e di segnalare le più im- portanti in ciascun gruppo. Se non vi ha autore di vaglia, del quale non sia utile aver raccolti in volume i varî lavori, per meglio iscorgerne i mutui nessi e seguir passo passo lo svolgersi del suo pensiero, ciò’ sarebbe, più che utile, necessario rispetto al nostro, il quale soleva ritornar sovente sopra un medesimo soggetto; tanto più che molti de’suoi lavori, abbondando di com- menti agli altrui e di svariate osservazioni, mal si prestano ad esser riassunti senza che perdano troppo della propria fisonomia. Il GeNoccHI era un gagliardo analista, e specialmente un arit- mologo. Egli rientra nel ciclo che prende nome e carattere dai sommi EuLERo, LAGRANGE, Gauss, CAaUcHY; e i suoi lavori più notevoli sì riferiscono alla teoria dei numeri, alle serie, al calcolo inte- grale. I metodi, di cui RIEMANN e WEIERSTRASS hanno arricchita la immensa Analisi, non isfuggirono ai suoi studi, ed anzi egli se ne dichiarava ammirato, sebbene non li adoprasse a strumento di ricerca e preferisse attenersi a quelli nei quali la poderosa sua mente, soltanto per proprio impulso e senza la scorta di alcun maestro, era venuta educandosi e svolgendosi. Accade pur troppo sovente che le vedute e i metodi, che sorgono quando la nostra via nella scienza è già scelta, ci trovino esitanti ad addentrarci in essi e ci paiano più ardui che realmente non sono, sol per manco di fiducia nelle nostre forze ; ond’è che fanno un bene inestimabile quegl’ insegnanti che fra i giovani che intendono dedicarsi alla scienza arditamente divulgano le nuove dottrine, anche quando non siano peranco giunte a maturità. E ciò è AD A. GENOCCHI 629 tanto più vero oggidì, che l’incalzarsi delle cose nuove è dive- nuto così rapido, da giustificare quel che un altro illustre scriveva al nostro in un istante di stanchezza : « Je donnerais toutes « les Mathématiques du monde, tous les royaumes de la terre « avec leur gloire, pour vivre au bord de la mer, de l’existence « d’un zoophyte ou d’une anellide arènicole. Les questions sont « maintenant si difficiles à traiter et demandent tant d’efforts, « que c'est à étre absolument découragé ! » Tuttavia nemmeno quest’altro io prenderei in parola. Alla sottilissima ed astrusa teoria dei numeri, della quale era il più strenuo cultore in Italia, si riferiscono i principali lavori del GeNOCccHI; cioè ai numeri complessi, alla legge di re- ciprocità de’ residui quadratici, alla risoluzione in numeri interi dell’equazioni indeterminate. Capitale fra essi è la « Note sur la théorie des résidus quadratiques » del 1852, che fu accolta dall'Accademia del Belgio, ed è anche oggi citata con molto onore, segnatamente per una bellissima dimostrazione che con- tiene dell’accennata legge di reciprocità. In quella nota il GE- NoccHI ritrovò alcuni risultati del DIrICcHLET e le formole di EISENSTEIN, che egl’ignorava; « ma (scriveva il KRONECKER, testè < rapito anch'esso alla scienza) questa coincidenza accresce la no- « stra stima pel suo talento matematico ; poichè è per lui un « titolo di gloria, che, senza conoscere certe pubblicazioni del « DIRICHLET e dell’EisENstEIN, egli fosse spontaneamente venuto « nello stesso ordine d’idee di quei due grandi ». Della teoria delle serie egli dava nel suo corso una esposi- zione elementare mirabile per semplicità e rigore. E le serie furono argomento di pregiati suoi studî; come quelli sui numeri Ber- novlliani, sugli sviluppi in serie di SrirLIine, Biner, PRYM e sulla loro convergenza, sul resto della serie di EuLERO sotto forma d'integrale definito, sulla serie di LAGRANGE, ecc. Fra gli scritti concernenti il calcolo integrale, citerò quelli sulla rettificazione delle ovali di CARTESIO mediante tre archi di ellisse, sugl’integrali ellittici e sugli abeliani, sull’integrale completo (non trovato da JAcoBI) dell’equazioni differenziali del 3° ordine cui soddisfanno il numeratore e il denominatore della formola di tras- formazione delle funzioni ellittiche, sull’equazioni lineari del 2° or- dine, sui casi d’integrazione in forma finita, sugl’integrali Euleriani. Questo degl’integrali Euleriani è un soggetto sul quale il GENOCOHI ritornò più volte, ciò che rivela in lui (come notò il BELTRAMI) 630 ONORANZE un seriissimo istinto di maestro associato a quello di ricercatore, se si tien conto che allo studio di esso son dovuti forse i primi avviamenti alla odierna teoria delle funzioni. Merita altresì una particolare menzione, qualunque sia il giu- dizio che voglia portarsi su alcune delle critiche che vi sì con- tengono, il lavoro « Sur un Mémoire de DAviET DE FONCENEX », ov'è fatta un’accurata disamina dei principî delle Geometrie non euclidee, sussidiata da interessanti ricerche storiche. E notevole per giuste osservazioni sull’abuso delle serie di- vergenti e per le critiche a varî scrittori (EuLeRo, D’ALEMBERT, LaGranGE, Pornsor, ...) è la Memoria « Sopra una formola di lLAGRANGE spettante al moto dei liquidi nei vasi ». Nè deve passar sotto silenzio la nota « Del calore solare nelle regioni circumpolari della terra », nella quale, rifacendo con gran semplicità un calcolo che il PLANA aveva sbagliato, mostrò insussistente l’asserzione, che il calore ricevuto dal sole in un anno fosse minimo in un punto della terra diverso dal polo. Non vi è forse scrittura del GenoccHI, nella quale non sia corretto qualche errore, chiarito qualche punto di storia della scienza, giudicata qualche questione di priorità. Non poche sono interamente dedicate ad argomenti di critica, e sono modelli di acuto ragionare, di coscienziosa ricerca storica, di vasta e sicura erudizione. E doveva esser veramente straordinaria l’erudizione del nostro Autore, se egli, così abborrente da ogni vanteria, non potè non confessare di essere un erudito, sebbene il facesse per modestia. « Moi, scriveva al KRONECKER, je suis un pauvre érudit: « ma seule ambition est de savoir apprécier le mérite des grands « géomètres, comme autrefois j'appréciais celui des grands juris- « consultes..... Sed longe sequor et vestigia semper adoro. » Questo scriveva a 66 anni un uomo che i matematici d’ogni paese tenevano in così alta stima ! Oltre alla erudizione, nelle sue scritture si ammira uno stile chiaro, ben nudrito, elegante, pari a quello dei grandi geometri e giureconsulti che l’Autore aveva scelti a modello. Di qualunque argomento tratti, egli lo padroneggia ed illustra da ogni lato in modo davvero magistrale; ond’è che leggendo GENOccHI non accadrà mai che ci paia di aver in mano una lampada da mi- natore, la quale rischiara solo quella poca parte di suolo che le. è sottoposta, giusta l’arguta espressione del DARBOUX, AD A. GENOCCHI 631 Ad acquistar pieno possesso dei singoli argomenti gli riesci rono senza dubbio di valido sussidio i moltissimi quaderni, nei quali soleva scrivere il riassunto o la traduzione di quanto andava leggendo di più interessante per le sue ricerche : essi, nonchè buon numero di lezioni di Calcolo infinitesimale manoscritte, sono al presente proprietà della Biblioteca civica di Piacenza. IV. Il Genocchi manteneva inoltre frequente corrispondenza epi- stolare con molti matematici nostrani e stranieri (1). Ho avuto la sorte di leggere le costoro lettere, e posso dire che ognuna di esse è un documento della profonda stima che del suo sapere e del suo carattere facevan tutti, anche quando discordavano dalle sue opinioni. La corrispondenza più fitta è quella col BeLLavitis, la più istruttiva e geniale quella coll’ HERMITE: « M. GenoccHI, questi scrive, m’avait attaché à lui sans « que nous nous fussion vus, par le charme de son esprit, « par une bonté et une simplicité qui montraient une nature « exquise, autant que par son rare mérite d'homme de science. « La science qui nous avait rapprochés n’était pas le seule « objet de notre correspondance; quelque chose de plus intime « venait de la confiance à laquelle je me livrais pleinement en « reconnaissant la droiture et l’élévation de son caractère. Et « tout cela n’est plus; il ne reste que des regrets et un inou- « bliable souvenir! » Grazie a te, gentile e forte campione della classica Analisi, per l’amicizia onde allietasti il nostro Collega, per la simpatia verso l’Italia che emana dalle tue lettere. Il nostro saluto cor- diale sorvoli ai ghiacci delle Alpi, e venga a cercarti nella tua casa ospitale, là presso la Sorbona, recando l’augurio che la tua vita sia ancora per lunghi anni conservata all’incremento della scienza, alla gloria del tuo paese! (1) Eccone i nomi: BaTTaGLINI, BeLLAvITIS, BELTRAMI, BERTRAND, BETTI, Boxcompagni, Bourget, BrioscHi, Brocarp, CasoRaTI, CHASLES; CREMONA, Darsoux, pe TiLLy, GeRONO, GHERARDI, GILBERT, GUNTHER, HERMITE, HoEL, HoppE, KRONECKER, LEBESGUE, MANSION, MaRRE, QUETELET, RICCARDI, SCHWARZ, ScHerING, P. SeRRET, TarRpy, TERQUEM, TortoLINI, WEIERSTRASS, WINCKLER, 632 ONORANZE Siccome apparisce dalla sua estesa corrispondenza epistolare, il GenoccHI aveva molti amici in Italia e fuori. E quantunque vivesse a sè, nè facilmente si concedesse, pure contava non pochi amici anche qui in Torino. Con essi si ritrovava volentieri in- sieme; ed anzi le loro desiderate visite divennero l’unico suo sollievo negli ultimi anni, quando la vista gli si era affievolita sì da vietargli di leggere o scrivere altro che brevemente, e una certa rigidità, lasciatagli in un ginocchio da una malaugurata frattura della rotula riportata nel 1883, gli aveva tolto quasi ogni voglia di escir di casa. Fu fido amico, e non tiepido. È risaputo con qual calore prese le parti del CHiò, cui lo legava gratitudine antica, in una notissima controversia accademica, la quale nondimeno credo non avesse lasciato nel suo animo nessun rancore. E l’ultima sua pubblicazione fu in memoria di un amico, l’ ingegnere Savino ReaLIS, non meno abile che modesto cultore della teoria dei numeri e del calcolo integrale. Non è la men bella pagina della vita del GENoccHI quella che s’intitola dall’amicizia, da questa perla del cuore umano, che non a torto fu detta « Seule mouvement de l'Ame où l'excès soit permis ». Il qual verso giova tener presente nel caso attuale. Ma quella, che nè da me nè forse da altri potrebb’ essere scritta, si è una pagina che i moderni biografi ricercano con gran cura e curiosità; quella dell'amore. Con una mente aperta a tutte le bellezze, non solo della scienza ma anche dell’arte ; amante della musica, della pittura, dei romanzi, del teatro; con una passione così gagliarda per la poesia, da sopravvivere a quella istessa della scienza: con un cuore pieno di sentimenti patriottici, con un aspetto simpatico (somigliava a Giuseppe Mazzini), si direbbe che egli abbia dovuto pagare il suo tributo all’eterno feminino. Ed io confesso che, ove potessi ciò affer- mare, proverei la stessa soddisfazione di ARAGO, quando seppe che esistevano lettere di amore firmate da Newron. Ma il nostro matematico era della stoffa di cui si fanno i santi, e convin- zione mia e dei suoi intimi è che egli non sia vissuto veramente che per la scienza, suo amore supremo; sebbene non giungesse ad asserire col Poisson: «La vita non è buona se non a due cose: a far della Matematica e a professarla. » Il fatto è che egli, così coraggioso nel manifestare le proprie opinioni nella scienza e nella politica, era poi timido e contenuto nell’ espressione dei AD A. GENOCCHI 633 sentimenti e degli affetti. Anche da giovane, a Piacenza, stava lontano dalle donne; appena s’intratteneva con la madre e la sorella, e sembrava che ne avesse soggezione. Ma quel che è certo, e che mi preme rilevare, si è che egli aveva della donna e della famiglia un altissimo concetto. Mor- togli il fratello rimasto a Piacenza, chiamò presso sè a Torino la sua vecchia madre, e la circondò di tenere cure finchè morte non gliel’ebbe rapita. Un consiglio, che soleva dare ai giovani scien- ziati, era di farsi una famiglia. Ad un amico, che, per far di- versione ai lamenti di lui circa la vita inoperosa cui era da ultimo ridotto, parlava de’ propri crucci e dei fastidî che gli procurava un certo ufficio pubblico, rispondeva: «Ma lei ha la consolazione della famiglia! » V. « Ruit hora ». Ho dianzi accennato al declinar della salute del GenoccHI. Pure verso il 1885 egli parve riaversi, riprese le lezioni interrotte, ed accettò la carica di Presidente, alla quale i soci dell’Accademia vollero innalzarlo, come dovuto omaggio all’illustre e venerato collega, che apparteneva al sodalizio fino pal 1862. Ma quel confortante stato non durò guari. Certi disordini cardiaci cominciarono a ricorrere a più brevi intervalli ; tutto il suo essere intorpidiva. Non fece più scuola. Nè la di- gnità di Senatore conferitagli, non dirò «in articulo mortis », ma certo troppo tardi, valse a rialzare il suo animo. ‘Tornò vana ogni esortazione di amici, perchè non si lasciasse vincere dalla ipocondria e si recasse al Senato. Anche la Matematica gli divenne indifferente; non scriveva più lettere, non sempre leggeva le altrui. Sopraffatto dalla inazione, il povero vecchio aspettava la morte; e sovente l’ho udito esclamare: « Che cosa ci sto più a fare qui, è meglio ch'io muoia!» Quante volte, poichè la memoria dei versi fu l’ultima a tramontare in quel nobile intelletto, egli avrà ripetuto col poeta del dolore universale : Licei: O natura cortese, Son questi i doni tuoi, Questi i diletti sono, Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena È diletto fra noi. 634 ONORANZE Pene tu spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge; e di piacer quel tanto, Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana Prole, cara agli eterni!; assai felice, Se respirar ti lice D’aleun dolor; beata, Se te d’ogni dolor morte risana! Così languì , così si spense il 7 marzo del 1889 a set- tantadue anni. La morte del Genocchi fu appresa con dolore dai matema- tici d'ogni paese. HERMITE l’annunziò all'Istituto di Francia con parole commosse; le principali Accademie d’Italia e quelle di Bruxelles e di Liège, le quali tutte lo avevano voluto socio, re- gistrarono dolenti la infausta data. I membri dell’Accademia di Torino, più direttamente e duramente colpita, cercarono un conforto nel dar opera all’adempimento del sacro dovere che loro incombeva di onorare la venerata memoria del loro capo. Una bella e affettuosa commemorazione fu letta dal nostro Sracci nel dì trigesimo dalla morte, insieme a importanti lettere di HERMITE, CATALAN, DE TILLY, KRONECKER, BRIoScCHI, TARDY, BETTI, BeLTRAMI, illustranti l’opera scientifica del compianto Professore. E interessanti notizie circa la sua scuola diede più tardi il Pravo nell’Annuario della nostra Università. Una pubblica sottoscrizione fu aperta, alla quale concorsero dotti d’ogni parte, nonchè il Comune di Piacenza. Ed oggi abbiamo la mesta gioia d’inaugurare un busto, lavoro di yvalo- roso scalpello, nell’atrio del palazzo dell’Accademia; e fra brere una lapide sarà posta nell’ Università a chi per un trentennio educò migliaia di giovani ai severi studi dell'Analisi. Dopo LAGRANGE, accanto a PLANA, la nostra Accademia scrive il nome di GeNOccHI: essi formano la triade matematica nelle gloriose memorie del primo secolo di sua esistenza. Ed è bello e degno che alla odierna solennità assistano i rappresentanti del Governo e della Magistratura, della città natale del GeNnoccHI e di questa che gli fu seconda patria, di molte Accademie, dell’Ateneo Subalpino; onorare un tal uomo è un dovere civile. Si abbiano tutti una parola di ringraziamento. Ed ora, o Signori, scendiamo a rimuovere il velo che ancor AD A. GENOCCHI 635 ne cela le sembianze di Angelo GexoccHI, e il Nume di questa Italia, che egli tanto amò e cui accrebbe onore con le opere sue, protegga il modesto monumento. Il quale starà perenne a ricor- dare agli studiosi lo scienziato dottissimo e infaticabile; ai tori- nesi colui che nella loro città cercò asilo e trovò pace ed affettuosa riverenza; agl’Italieni tutti il patriota fervente e in- temerato, che sdegnò di restare nella sua città nativa, perchè lo straniero la contaminava col suo innaturale dominio. Ma a noi, colleghi ed amici suoi per tanti anni, una folla di care memorie affluirà alla mente, un palpito più rapido avrà il nostro cuore, quantunque volte, attraversando l’atrio di questo palazzo, ci soffermeremo pensosi e commossi a contemplare La cara e buona imagine paterna. L'on. avv. ErnESTO PASQUALI, Deputato al Parlamento Nazio- nale e Presidente del Consiglio provinciale di Piacenza, a nome di questa città ringraziò l'Accademia e l’oratore, e manifestò il vivo compiacimento della città nativa del Genocchi di custodirne la lettera, di cui diede lettura il prof. D’Ovidio, nella quale sì palesa l’animo nobile e caldo di amor patrio dell’insigne mate- matico. Gli Accademici Segretari GiusePPE BASSO ERMANNO FERRERO. —_—_ == ====———- ERRATA-CORRIGE. A pag. XXXI, 13 Dicembre 18091, leggasi: INDICE DEI LAVOR1 PUBBLICATI 637 dalla Classe di Seienze Fisiche, Matematiche e Naturali. CONTENUTI NEL VOL. XXVII DEGLI ATTI AbpuNAnzE della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali Pag. 1 121, 131, 169, 195, 247, 263, 283, 295, 353, 385, 433, 461, 471, 513. Mmeninme ‘delle Glassi. unite: ivo Io Dai A Li » 163, 617 Relazione della Giunta per il settimo Premio BRESSA ......,. » 163 Inaugurazione di un busto in marmo ad ANGELO GENOCCHI .. » 617 ASCHIERI (Tommaso) — Effemeridi del Sole e della Luna per l’oriz- amiga Kerio ve perilanno 1892). 11 leda een » 107 BaLpracco (G.) V. ERRERA (G.). Basso (Giuseppe) — In commemorazione di Guglielmo WEBER..... » 4 — In commemorazione di Giuseppe PISATI ................ 5 BI Bizzozero (Giulio) — Sulle ghiandole tubulari del tubo gastroenterico, e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento RIA ICONA nile » 14 Noale, e eee » 242 Nod zlVa tre e eee » 4972 Nota Ve... lac e e seeio » 530 Camerano (Lorenzo) — Relazione intorno alla Memoria del Dott. F. Sacco « I Molluschi dei terreni terziarii del Piemonte e della Liguria. — Eulimidae, Pyramidellidae e Turbonillidac » ..... » 193 —- Ricerche intorno al parassitismo ed allo sviluppo del Gordius pustulosus BAIRD. .........--..--0000 iii ieri » 354 —— Relazione intorno alla Memoria del Dott. Fr. Sav. MONTICELLI, intitolata: « Studi sui Trematodi endoparassiti : Monostomum 459 cymbium Diesin6; Contribuzione allo studio dei Monostomidi » 638 INDICE DEL Voi. XXVii Camerano (Lorenzo) — Relazione sulla Memoria del Prof. C. P. Pa- RONA, intitolata: « Revisione della Fauna lisiaca di Gozzano in PIEMONTE OE du va dedi Pag. 511 —— Relazione intorno alla Memoria del Dott. E. GieLIO-Tos « / dit- teri del Messico; Stratiomidae, Syrphidae (Parte 1°) » ...... » 612 CAMPETTI (Adolfo — Sulla trasformazione dell’energia in alcune pile elettriche; Studio sperimentale . ........ MP Cattaneo (Carlo) — Sulla resistenza elettrica delle leghe facilmente fusibilitallo fsfato liquido ee ERE E seco a SEI Cossa (Alfonso) — Commemorazione del Socio straniero Giovanni Servasio STASI nie ARI Meo AGRA io Bo) 07 —— Relazione sulla Memoria del Dott. C. MONTEMARTINI « Sul- lazione dell'acido nitrico sullo zinco » .......... Me —— Sopra una nuova serie di combinazioni basiche del platino.. » 515 DERVIEUX (Ermanno) — Foraminiferi pliocenici di Villalvernia.... . » 258 b’Ovipio (Enrico) — Formole relative alla formola binaria del sesto orde: 33-00 IRE 000 MITO } > SASA —— Cenno necrologico di Annibale DE GASPARIS .......... ahi apaaso — — Discorso per l’inaugurazione di un busto di ANGELO GENOCCHI » 619 ERRERA (G.) e BaLpRACCO (G) — Studi sull’acido parametilidratropico » 86 FERRARIS (Galileo) — Su! metodo dei tre elettrodinamometri per la misura dell’energia dissipata per isteresi e per correnti di Foucault in un trasformatore .................. REI e Pi GaRBASSO (A.) — Sul problema delle onde piane nella teoria elettro- magneticasdellaMuce een sonate CIR .. ». 462 Garzino (Luigi) — Sulla trifenilpiperazina ..................2.00% » 583 Giacomini (Carlo. — Su alcune anomalie di sviluppo dell’embrione wife: — TI IVa wel........... reti irta .. » 64, 434, 546 GiBELLI (Giuseppe) — Relazione sulla Memoria dei Dottori Oreste MATTIROLOXO LUIZIPBUSCABIONIG: i RE . DIA GiupICE (F.) — Sulla risolvente di Malfatti ............... ME Guarpucci (Federico) — Sulla determinazione degli azimut della geo- detica che passa per due punti dati dell’ellissoide terrestre . » 284 GuarEscHI (Icilio) — Azione dell’etere cianacetico sulle basi orga- niche: Nota! HRR E, DIET, SERIE de LONINIO +4 MARIA —— Sulle cianacetilamine e nuovi acidi ossamici; Nota II* ..... » 559 Japanza (Nicodemo) — Teorica di alcuni strumenti topografici a ri- flessione!) Ste oa BR” AE alate te a lae STATO LE a LETO SSSVRRSE RIT —— Un nuovo apparato per misurare basi topografiche ......... » 493 —— Sopra alcune differenze trovate nel calcolo delle coordinate geografiche dei vertici del quadrilatero che congiunge l’Algeria colla Spagna .... a 's'lal'elle (eletta n «le 0.09 sie - e e 0 o 000 00.0 0 00 000 000 38 SS 505 INDICE DEL VOL. XXVII Lessona (Michele) — Parole per l’inaugurazione di un busto di AnGELO BENBEGHIE (nio RETE CA OI UT MarrFioTTI ((&. B.) — Sopra una relazione tra le coordinate topo- DTT ARR E RR O VIA, eat Manca (Giorgio) — Sull’allenamento ; Ricerche sperimentali ........ MontESANO (Domenico) — Su di un sistema lineare di coniche nello SULL 51 RESERO ORO RE PE RO —— Su una congruenza di rette di secondo ordine e di quarta CISA MESE RR ae MonTI (V.) — Sulla soprafusione dell’acqua e delle soluzioni saline MMEDONIDIEOTO ii Ria SER I MONTICELLI (F.S.) — Studi sui Trematodi endoparassiti. — Dei Mo- mposiomumidellBox Salpa .......--.- +... CREA Bo NaccaRI (A.) — Relazione per il VII Premio BRESSA ............. —— Relazione sulla Memoria del Prof. A. BatTELLI « Sulle pro- mriebictermiche del vapore d'acqua» ..... +... 00-50 —— Relazione sulla Memoria del Dott. G. B. Rizzo « /l Clima GROrmMo di... SIAT SAI TAR ne n CLIO Ovazza (Elia) — Sul calcolo delle travi reticolari elastiche ad aste Savrabbondantii 0... MITI OA Parona (C F.) — Sugli schisti silicei a radiolarie di Cesana presso il Monginevra ........ E eta SS SLI PastORE (Giuseppe) — Di alcuni nuovi conduttori rettillinei appros- simati, che si deducono dal moto ellittico ................. Prano (Giuseppe) — Sulla formola di Taylor .... ............... : —— Generalizzazione della formola di Simpson ..... SIONI PIERI (Mario) — Sopra le linee uniformemente illuminate di una su- PELocierqualunque:;../.:3. hp. SE OT CIRIE SE PrepELLA (Pilo) — Sulla teoria generale delle omografie .......... QueNDA (E.) — Azione dell’etere cianacetico sull’anilina .......... Reina (Vincenzo) — Sull’errore medio dei punti determinati nei pro- blemi di Hansen e di Marek ....... AA AIA TOR S Sacco (Federico) — Le zone terziarie di Vernasca e Vigoleno nel Piacentino - Studio geologico ........................ quit SeGRE (Corrado) — Relazione sulla Memoria del Prof, Riccardo DE PaOLIS « Le corrispondenze proiettive nelle forme geometriche fondamentali di 1° specie » .....-000.00 sie alia e ora ERRATA-CORRIGE ......... a Ss Leo IRE Torino, Stamperia Reale G. B. Paravia e €. » » » 99 486 248 636 Pai » i bj ed «9, i LITI SM LIS! PMI CADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO ARTICOLI DI REGOLAMENTO approvato dalle Classi unite nella seduta del 8 Aprile 1892 TETTE 1° Nessuna memoria, da inserirsi nei Volumi in-4°, potrà occupare più di 80 pagine di stampa, nè potrà aver unite più di due tavole. Le dette tavole dovranno essere di formato uguale ad una facciata, e la riproduzione di ciascuna di esse, compresa la tiratura nel solito numero di copie, non dovrà costare più di L. 100. Qualora #i siano incisioni o disegni inserti nel testo della memoria, la spesa intera relativa a queste incisioni o disegni dovrà venir computata nel massimo di spesa sovra stabilito per le tavole. Quando una memoria non adempia a tutte le suaccennate condizioni, essa sarà stampata solo nel caso che lautore della medesima assuma a proprio carico la spesa eccedente. 2° Qualunque lavoro da inserirsi negli Atti non potrà occu- pare più di 24 pagine di stampa in-8°. Se un tal lavoro conterrà incisioni o disegni inserti nel testo, od in tavola a parte, la stampa di esso, non dovrà occupare più di 16 pagine. A ciascun lavoro stampato negli Atti non potrà essere annessa più di una tavola di disegni, e questa non potrà avere formato maggiore di una doppia facciata Il costo della riproduzione di tutti i disegni inserti nel testo o nella tavola a parte, compresa la tiratura di questa nel solito numero di copie, non potrà eccedere, in complesso, la somma di L. 70. Un lavoro, che non adempia a tutte le ora dette condizioni, sarà stampato solo nel caso che l’autore assuma a suo carico la spesa eccedente. Tip. Paravia 487 (C4) |9-IV-92. sb ofsvonage, i : Ra , SITO DO mins n Ò SR baen0 | LI . er 0; + INTO IRIEHIOO “Rai UTI ERO LADA 19] , deeo ID Rip taqueta ca nogib ib alon SOMMARIO —__—————— Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 19: Giugno 1892... nat Pag. Cossa — Sopra una nuova serie di combinazioni basiche del- platino Bizzozero — Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico e sui rapporti del loro epitelio coll’epitelio di rivestimento della mucosa: —Notarguinta:: 0 ui ina an Giacomini — Sulle anomalie di sviluppo dell’ embrione umano - Comunicazione V.. . . 0. SNITZ SITO flo Dna ate GuarescHi — Sulle cianacetilamine e nuovi acidi ossamici - Nota II Garzino — Sulla trifenilpiperazina. . . . .. Larita III TORE Montesano — Su una congruenza di rette di 2° ordine e di 42 classe Camerano — Relazione sulla Memoria del Dott. E. GieLio-Tos in- titolata « Dilteri del Messico - Stratiomyidae, Syrphidae (Parte I)» Naccari — Relazione intorno alla: Memoria di Angelo BATTELLI « Sulle proprietà termiche del vapor d’acqua > . . . « .. .. Relazione sulla Memoria del Dott. C. B. Rizzo intitolata « Zl Clima di Torino » .. ... SIRIA IA FINI TA TUR OE a SA api Classi Unite. ADUNANZE del 20 e 27 dicembre 1891, e 3 aprile e 26 giugno 1892 Torino — Tip. Reale Paravia, » 513 515 530 617 636 637 New York Botanical Garden Libra ULI DIO 3 5185 00297 4648 ast ez x an TEO renze 4 î) 1 ORALI IT RIA RITI A) MIRI) | SONIA n DIO epr DI ti VITTO “ 1 "| x dO61, DIESIOUINAIN AIN OSO IONICO IRARINIUIRTAZAI | RIAZAIO ‘ di ; Ù 19% CATIA 1 i PIANTA di 4) in RO AI, OA A * pei ti de Rest ì IONICO ie x a = TEPREISRTI z li "I