Library RR) ge e. Pulini A Vi ELIOT A Orid@t yo \ % AIORZA 4} Tata ARA) WISEUnni. » PETRI: DELLA - R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI _— VOLUME QUARTO 1868-69 TORINO STAMPERIA REALE 1869. Îte ta terna ni dl aialto RAI FANARIOa a LIA] DI » dl Ni od rIRORT PCIAERCE ALLA CICICRA 7 ] Langa E arbisnaz 05004) Dea Ride sa sca «uusigi HetH fai ci rat vtdano@ vielZib inizia aa incon RIVE AorbiM AAr pria b1n9i9e alia pirlo levo E db alefagirt otti i a pit TRAI O i “ht » ecolli fab dubost if GIRO LU RIOT NET orse, 7° GARE O FVESBZART- 3907 iti alive) Poggio sa! 4 1 ; iau RICA, Ri 623? è RIT pm ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI E STRANIERI al 1° Novembre 1868 e 0 sui PRESIDENTE S. E. il Conte ScLopis pi SaLeRANO (Federigo), Senatore del Regno, Ministro di Stato, Membro onorario del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), ecc., C. O. S. SS. N., Gr. Cord. &, Cav. e Cons. onorario £&, Cav. Gr. Cr. della Concez. di Port., Gr. Uffiz. dell'O. di Guadal. del Mess., Cav. della L. d’O. di Fr. VICE - PRESIDENTE Monis (Dottore Giuseppe Giacinto), Senatore del Regno, Professore di Botanica nella R. Università e Direttore del Regio Orto Botanico, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Gr. Uffiz. &, Cav. e Cons. &, Comm. dell'O. della Cor. d'Italia. TESORIERE Peyron (Abate Amedeo), Professore emerito di Lingue Orientali, Socio Straniero dell’ Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Accademico corrispondente della Crusca, ecc., Gr. Cord. &, Cav. e 4 Cons. £&, Gr. Cr. dell’O. della Cor. d'It., Cav. Gr. Cr. dell’O. di Guadal. del Mess., Cav. della L. d'O. di Fr., e del Mer. di Prussia. TESORIERE AGGIUNTO Sismonpa (Angelo), Senatore del Regno, Professore di Mineralogia nella R. Università e Direttore del Museo Mineralogico, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Gr. Uffiz. &, £, Comm. dell’O. della Cor. d’It., Cav. dell'O. Ott. del Mejidié di 2.° cl., Comm. di 1.* cl. dell'O. di Dannebrog di Dan., Comm. dell'O. della St. Pol. di Sv. e dell'O. di Guadal. del Mess., Uffiz. dell'O. di S. Giac. di Port. pel Mer. scient., lett. ed art., Cav. della L. d’O. di Fr. —ee=—_ CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DIRETTORE Sismonpa (Angelo), predetto. SEGRETARIO PERPETUO Siswonpa (Eugenio), Dottore in Medicina , Professore Sostituito di Mineralogia nella R. Università, Professore di Storia Naturale nel Liceo Cavour, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ece., Comm. &, 4. SEGRETARIO AGGIUNTO Sosrero (Ascanio), Dottore in Medicina ed in Chirurgia, Professore di Chimica docimastica nella Scuola di appli- cazione per gl'Ingegneri, ecc., Comm. ». Accademici residenti Moris (Giuseppe Giacinto), predetto. Cantò (Gian Lorenzo), Senatore del Regno, Professore emerito di Chimica generale nella R. Università, ecc., Gr. Uffiz. +. Sismonpa (Angelo), predetto. Sismonpa (Eugenio), predetto. Sosrero (Ascanio), predetto. Cavacti (Giovanni), Luogotenente Generale d’Artiglieria, Comandante Generale della R. Accademia Militare, ecc., Gr. Uffiz. &, =, Comm. & e dell'O. della Cor. d’It., Gr. Cord. degli Ordini di S. Stanislao e di S. Anna di Russia, Uffiz. della L. d’O. di Fr., dell'O. Milit. Port. di Torre e Spada, e dell'O. di Leop. del B., Cav. degli 0. della Sp. di Sv.; dell'Aq. R. di 3.° cl. di Prussia, del Mejidié di 3.° cl., di S. Wlad. di 4.* cl. di R. Berruti (Secondo Giovanni), Professore emerito di Fisio- logia sperimentale nella R. Università, ecc,, Comm. +. RicaeLmy (Prospero), Professore di Meccanica applicata, e Direttore della Scuola d’applicazione per gl’Ingegneri, ecc., Comm. &, Uffiz dell'O. della Cor. d’Italia. Serra (Quintino), Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Gr. Cord. #, Gr. Cord. degli O. di S. Anna di Russia, della Concez. di Port., e di S. Marino. 6 i DeLronte (Giovanni Battista), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore Sostituito di Botanica nella R. Uni- versità, ecc., Uffiz. +. Genoccni (Angelo), Professore di Calcolo differenziale ed integrale, nella R. Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Uffiz. &. Govi (Gilberto), Professore di Fisica nella R. Univer- sità, ecc., Uffiz. &. Motescnort (Giacomo), Professore di Fisiologia nella R. Università, ecc., Comm. +. GasraLpi (Bartolomeo), Dottore in ambe Leggi, Profes- sore di Mineralogia nella Scuola d’applicazione per gl’In- gegneri, ecc., Uffiz. *. BaLrapa pi S. RoserT (Conte Paolo). S. E. Parrocapa (Cav. Pietro), Senatore del Regno, Ministro di Stato, Ispettore nel Real Corpo del Genio civile, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, C. 0. S. SS. N., Gr. Cord. &, Cav. e Cons. &, Gr. Cr. dell'O. della Cor. d’It., Gr. Uffiz. della L. d’O. di Fr., Cav. di 2° cl. di S. A. di R. Copazza, Dott. Giovanni, Vice Direttore del R. Museo Industriale, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, &. Lessona, Michele, Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Zoologia e Direttore del Museo Zoologico della R. Università, Uffiz. &. Accademici Nazionali non residenti BertoLONI (Antonio), Professore emerito di Botanica nella R. Università di Bologna, Uno dei XL della Società Ita- liana delle Scienze, ecc., <=, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia. De Noraris (Giuseppe), Professore di Botanica nella Regia Università di Genova, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Comm. &, #, Uffiz. dell'O. della Cor. d’Italia. Cerise (Lorenzo), Dottore in Medicina, ecc., &, Cav. della L. d°O. di Fr., a Parigi. Savi (Paolo), Senatore del Regno, Professore di Ana- tomia comparata e Zoologia nella R. Università di Pisa, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Comm. #, , Comm. dell’O. della Cor. d’Italia. BrioscHi (Francesco), Senatore del Regno, Professore di Meccanica, e Direttore della Scuola d’applicazione per gl’Ingegneri di Milano, Membro Straordinario del Consiglio superiore di Pubblica Istruzione, Presidente della Società Ita- liana delle Scienze, ecc., Comm. &, dell'O. della Cor. d'It., e dell'O. di Cr. di Port. Cannizzaro (Stanislao), Professore di Chimica nella R. Uni- versità di Palermo, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Comm. &, Uffiz, dell'O. della Cor. d'Italia. Berri (Enrico), Professore di Fisica Matematica nella R. Università di Pisa, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc.,. Comm. &. S. E. Menasrea (Conte Luigi Federico), Senatore del Regno, Presidente del Consiglio dei Ministri, e Ministro 8 degli Affari Esteri, Luogotenente Generale nel Corpo Reale del Genio Militare, Professore emerito di Costruzioni nella R. Università, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., C. 0. S. SS. N., Gr. Cord. &, &, Gr. Cr. @ e dell'O. della Cor. d’It., dec. della Med. d’oro al Valor Militare, Gr. Cr. degli O. di Leop. del B., di Leop. d’A. e di Dannebrog di Dan., Comm. degli 0. della L. d'O. di Fr., di Carlo III di Sp., del Mer. Civ. di Sass., e di Cr. di Port., ecc. Scaccni (Arcangelo), Senatore del Regno, Professore di Mineralogia nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, ecc., Comm. ®, Uffiz. dell'O. della Cor. d'Italia. Accademici Stranieri Eu pe Beaumont (Leonzio), Professore di Storia na- turale dei corpi inorganici nel Collegio di Francia, Se- gretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto Imperiale di Francia, ecc., Comm. #, ecc. HerscneL (Guglielmo), Socio Straniero dell'Istituto Im- periale di Francia, ecc., in Londra. Liesi6 (Barone Giusto), Professore di Chimica nella R. Università di Monaco, Socio Straniero dell'Istituto n riale di Francia, ecc., +. Dumas (Giovanni Battista), Presidente della Commis- sione delle monete, Membro dell’ Istituto Imperiale di Francia, ecc. Bittiet (S. Em. Alessio), Cardinale , Arcivescovo di Ciamberì , ecc., Gr. Cord. &; già Accademico Nazionale non residente. 9 De Baer (Carlo Ernesto), Professore all'Accademia Me- dico-chirurgica di S. Pietroborgo, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia, ecc. Acassiz (Luigi), Direttore del Museo di Storia naturale di Cambridge (America), Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia, ecc. MayER, Giulio Roberto, Dottore in Medicina, ad Heilbronn ( Wurtemberg). 10 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE DIRETTORE Sauri D'IGLiAano (Conte Lodovico), Senatore del Regno, ecc., Gr. Uffiz. #, Cav. e Cons. &, Comm. dell'O. della Cor. d'Italia. SEGRETARIO PERPETUO Gorresio (Gaspare), Prefetto della R. Biblioteca dell’Uni- versità, Socio corrispondente dell’ Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), della R. Accademia della Crusca; ecc., Comm. &, &, Comm, dell'O. della Cor. d’It. e dell'O. di Guadal. del Mess., Uffiz. della L. d’O. di Fr. Accademici residenti Peyron (Amedeo), predetto. Sauri D'IGLiANo (Conte Lodovico), predetto. Scropis pi SaLeRANO (Ecc."° Conte Federigo), predetto. Baupi pi Vesme (Conte Carlo), Senatore del Regno, ece., Comm. «&, &. Promis (Domenico), Bibliotecario di S. M., ecc., Comm. «. Ricorti (Ercole), Senatore del Regno, Maggiore nel R. Esercito, Professore di Storia moderna nella R. Univer- sità, ecc., Comm. &, ©, 9. 11 Bon-Compagni (Cav. Carlo), Gr. Cord. &, &, Gr. Cr. dell’O. della Cor. d’ Italia. Promis (Carlo), Professore di Architettura nella Scuola di applicazione per gli Ingegneri, ecc. Gorresio (Gaspare), predetto. Baruccni (Francesco), Professore emerito di Storia an- tica nella R. Università, ecc., Uffiz. &. Bertini ( Giovanni Maria), Professore di Storia della Filosofia antica nella R. Università, ecc.,. Uffiz. ®. FarertI (Ariodante), Professore di Archeologia greco- latina nella R. Università, ecc., Uffiz. &, &. GmrincHeLLo (Giuseppe), Professore di Sacra Scrittura nella R. Università, ecc., Uffiz. &. Pevron (Bernardino), Vice-Bibliotecario della R. Biblio- teca dell’Università, ecc., +. Rermonp (Gian Giacomo), Professore di Economia Po- litica nella R. Università, ecc., &. Ricci (Marchese Matteo). Vacrauri (Tommaso), Professore di Letteratura Latina nella R. Università, ecc., Comm. *. Accademici Nazionali non residenti Manzoni (Nob. Alessandro), Senatore del Regno, Acca- demico corrispondente della Crusca, Gr. Cr. dell'O, della Cor. d’Italia, ecc., a Milano. Corri (Ab. Antonio), &, &, a Roma. Cuanvaz (Ecc:"° Mons. Andrea), Arcivescovo di Genova, C. O. S. SS. N., Gr. Cord. &, Gr. Cr. dell'O. della Cor, d'It. e dell'O. di Cr. di Port. 12 Spano (Giovanni), Professore emerito di Sacra Scrittura e Lingue Orientali, ecc., Comm. &, a Cagliari. Carutti pr Cantogno (Domenico), Inviato straordi- nario e Ministro plenipotenziario presso la Corte dei Paesi Bassi, ecc., Gr. Uffiz. &, &, Gr. Gord. dell'O. d’Is. la Catt. di Sp., e dell'O. di S. Marino, Gr. Uffiz. dell'O. di Leop. del B., Gr. Comm. dell'O. del Salv. di Gr. Comm. dell'O. del Leone Neerlandese, ecc. Tora (Pasquale), Consigliere nella Corte d'Appello di Genova; ecc., Comm. +. Amari (Michele), Senatore del Regno, Professore ono- rario di Lingua e Letteratura Araba nel R. Istituto Su- periore di perfezionamento di Firenze, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscri- zioni e Belle Lettere), ecc., Gr. Uffiz. ®, &, Comm. dell'O. della Cor. d’Italia. Cisrario (Ece."° Conte Luigi), Senatore del Regno, Mini- stro di Stato, Primo Segretario di S. M. pel Gran Magistero dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, Socio corrispon- dente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche ), ecc., Gr. Cord. &, Cav. e Cons. &, Gr. Cr. dell'O. della Cor. d'’It., dell'O. di Leop. del B., della Conc. di Port., di Carlo III di Sp., del Leone dei P. B., di W. di Sv., Cav. dell'O. Ott. del Mejidié di 4.° cl., Gr. Uffiz. della L. d’O. di Fr., Comm. dell’0. di Cr. di Port., Cav. di Croce in oro del Salv. di Gr., Cav. degli O. di S. St. di 2.3 cl. di R., e dell'Aq. R. di 3° cl. di Pr., fregiato della Gr. Med. d’oro di R. pel Mer. scient. e lett. Minenvini (Cav. Giulio), Bibliotecario della R. Università 13 di Napoli, Socio corrispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), Cav. dell'O. della Cor. d’It. e dell'O. della Leg. d'O. di Francia. Accademici Stranieri “Tuiers (Luigi Adolfo), Membro dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia Francese ed Accademia delle Scienze morali e politiche), ecc. Grote (Giorgio), Socio Straniero dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Scienze morali e politiche), ecc., im Londra. i Monwsen (Teodoro), Professore di Archeologia, e Membro della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio cor- rispondente dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), ecc. Mutter (Massimiliano), Professore di letteratura stra- niera nell'Università di Oxford, Socio corrispondente del- l’Istituto Imperiale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), ecc. Rirscnr (Federico), Socio Straniero dell'Istituto Im- periale di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), ecc., in Lipsia. Mignet (Francesco Augusto Alessio), Membro dell'Istituto Imperiale di Francia (Accademia Francese ), Segretario Perpetuo dell’Accademia delle Scienze morali e politiche, Comm. della L. d°0. di Fr. p+, bere sondare rita Mercia dptteziend Pe % ì siaqui vino floti Fissi ciale Leni | ; un Hello aiar bitood fia -ascorient sitnobs00/) sioni vi Tago: Pignone Lppk Rin me ; Loduitilograi : al pia ni odudited Hab 19) ORIO ug * 5 riolaiilog * alata e hlti o de da Lai i» PLS ; n spurdamil 9 solo it Ott) vata ton» pa 34 vola: , gilzsfi ihtadivivà Matra bito BE INTE da bi Pay ip [9 iaoizinogi ps: «dite iseobio) "Thi avons sins foggia tal soi DI «dal n SULA RETRO 43 ssh agli dat md Hug avion duiltioisolinb. sin2beapdo motorio vininsgad ntusittA 5 i n nu Mt? di vai catania nie * ho) adire Pa dal Te nuto n° CLASSE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Pen Novembre 1868. Pia cdr; a pena 3 pronta vice PINQUIA. ABOPD, I A Scarano) 4 LIV sia idee s vi ss 1a; tori hifi. i M sia teo fe i ai x ODIA TA ouai LI » peas PA, fato x iatnvuiin di ono è fn pt) cip sti CETO c.tasopii apr irtentvinbunp alla amino li agot sarmeienico inoianolisgimon allunga iracsl ‘aup smrilmigie li do sab simtosib jativepisog alfob alreg ategi onpr. ci ccnl Ano sila aralobi olanig Id Lannoa sagii Deica nità 5 emdannti anninaoa da ado pistoia mm ast sila) pr a” utibasa pritenivung lange roi) istelitg cddaltan tao bina isodatrtàl 05160 id sera up alle 521 bmebtde ESE ti. intasss ti Calitalatod alal. gian batch n. CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE - Adunanza del î5 Novembre 1868 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Nell’aprirsi dell'adunanza il Presidente legge le seguenti « NOTIZIE DELLA VITA DI CARLO MATTEUCCI Ouotaudi Colleghi, In questo giorno, in cui tanto ci è caro il ritrovarsi di nuovo insieme, dopo il corso delle quadrimestri va- canze, ed il ripigliare que’ lavori e quelle comunicazioni scientifiche, che sono tanta parte della nostra vita, duolmi l'avere a frammischiare accenti di giusto dolore alle voci di quella franca amicizia che ci congiunge. Io vi debbo parlare, Signori, della gravissima perdita ehe abbiamo fatta nella persona di Carlo MatTEUCCI, Socio non residente di questa Reale Accademia, trapassato il 2 18 25 dello scorso giugno in Livorno, in Toscana, dove erasi recato a cercare nei bagni di mare qualche conforto al- l’affralita salute. Voi non aspetterete al certo da me che io entri nel giro speciale degli studi, per cui il.MartTEUccI acquistossi quella rinomanza che lo condusse a sedere tra Voi. Sarebbe te- merità la mia pur di tentarla, troppo diversa essendo la ragione delle discipline scientifiche a cui attendo dalle dottrine illustrate dall’estinto Collega. Alcuno fra Voi pi- glierà senza dubbio a narrare appositamente i meriti di Iui. A me basta l’accennare il campo nel quale egli si esercitò principalmente, le sue profonde investigazioni, le sue notevoli scoperte sulla elettricità animale, su quella del vapore, e su altre parti le più recondite della fisica, il suo corso di fisica, e quella numerosissima serie di memorie che stanno nella raccolta dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia, vero emporio dei prodotti scientifici di tutto il mondo. Ma l’estrema sobrietà che mi è imposta sulla vita scien- tifica del MatTEUCccI sarà, se mel permettete, compensata con alquanta larghezza nella narrazione della di lui vita politica, premettendo qualche generale considerazione, e va- lendomi poscia il più che è possibile de’propri di lui scritti. Grande attività d’ingegno e grande potenza d'applica- zione erano in Carlo MatTEUCccI. Dico attività ed applica- zione, e non sterile agitazione, quale è quella che invade certi spiriti mal conscii del presente, inquieti dell'avvenire, che tutto toccano e molto guastano, e credono che l’in- novare equivalga sempre al migliorare. No, o Signori, egli era. stato avvezzato in quegli studii che richieg- gono perseveranza d’attenzione e precisione d'idee, va- lutazione di fatti, epperò rendeva conto a se medesimo 19 di quello che intendeva fare. Ciò non vuol dire però che nell’operare di lui vi fosse sempre rigorosa uniformità, V’'hanno de’ tempi e delle circostanze in cui il fluttuare è quasi inevitabile; e non v'è colpa, purchè mai non si perda la direzione del bene e del giusto. Così avviene spessissimo in politica. Pronunzio la parola politica, e senza più accenno all’attrattiva che questa, non so se debba chia- marla professione, arte o scienza, esercitò sull’animo del MarTEUCCI. Questi era appunto nel vigore degli anni e delle speranze quando cominciò in Italia l'epoca di un risorgimento, assai meglio preparato dalla divina Provvi- denza che non servito dagli uomini. Non è raro l'esempio di scienziati, che, allettati dal- l’idea di operosità pratica anzichè speculativa, uscirono dalle serene regioni degli studi per gettarsi nelle tenebrose vie degli affari. Se costoro ragionino meglio degli altri devoti alla sola ricerca del vero, io nol potrei dire; ma ben so, che il MarTEUCCI, per quanto siasi impelagato nelle faccende pubbliche, non vi perdette peraltro mai l'amore dell’onesto nè l’onore della vita. Esordì il MarTEUuccI nella carriera politica, quando dal Gran Duca di Toscana, che l’aveva distinto con beneficii ed onori, fu inviato quale suo delegato presso il Governo provvisorio di Milano. Era il primo periodo della guerra dell’independenza italiana, bandita da CarLo ALBERTO con così puro intendimento e così inflessibile patriotismo. . A tanta scossa i vari Governi, in cui stava divisa l’Italia, non poterono più rimaversi nella vieta apatia. Fecero essi vista di piegarsi a seguire l’animoso concetto del nostro Re, e con intenzioni più 0 meno sincere s’ acco- starono anzichè unirsi alla mossa d'armi dei Piemontesi. In que’ momenti il Sovrano della Toscana, smesse le 20 tradizioni di antica norma, anzichè diplomatici di vecchia risma, sceglieva un Professore d'astronomia, Giambattista Amici, ed un Professore di fisica, il nostro MATTEUCCI, per compiere due missioni diplomatiche, l’una a Modena, l’altra, come si disse, a Milano. Si mandavano essi per tastare il terreno anzichè per entrare in negoziati formali. Il nostro Collega, posto a fronte -delle esitazioni del Governo provvisorio di Milano, ebbe a dichiarare, con- forme alle istruzioni che gli si erano date, che il Governo Toscano considerava come mezzo efficacissimo per assicurare l'indipendenza. italiana la fusione della Lombardia cogli Stati Piemontesi (1). Nè si ristava egli dall’ammonire, con un piglio autorevole, che le circostanze gli consentivano di usare, quel Governo provvisorio di tener fermo tra la spinta delle fazioni contrarie onde giungere a quello scopo. Senza troppo inquietarsi egli poi di certi riguardi di delicata riserva prescritti dalle regole consuete della diplomazia, suggeriva idee generali di composizione in- terna del nuovo regno che si stava per creare. Ho notato questi modi di trattare gli affari pubblici del MATTEUCCI, perchè essi servono a segnarne il carattere, come avremo occasione di riconoscere anche in appresso. Egli era uomo che facilmente si commoveva, e sotto l’impressione di fatti recenti si metteva su quella via, che sembravagli più diretta allo scopo. Non era la qualità dei principii che in lui si mutava, ma bensì la scelta dei mezzi. Siccome egli non era stato istituito in quelle formole ed in quella ritenutezza che governano gli uomini di Stato, eosì quando gli si paravano davanti occasioni in cui (I) Così in un dispaccio riferito dal sig. Augusto Bazzoni nella sua Storia diplomatica italiana dall'anno 1848 al 1868. Firenze, fivelli, 1868. 24 sperasse che la sua voce fosse ascoltata, egli non peri- tavasi di alzarla. Ne abbiamo un esempio in una lettera, che dal suo studio di Pisa, il 1° marzo 1859, dirigeva al Parlamento Britannico per ispiegargli quanto interesse avesse l'Inghilterra nel secondare la causa dell indipen- denza italiana. j Il dépend, egli scriveva, du concours actif de l’Angleterre d'oblenir pacifiquement un résultat, qui désormais ne peut étre empéché sans perpétuer la révolution au centre de l'Europe et faire de la situation de l’Italie une menace continuelle pour ta paix (1). Non erano queste veramente idee nuove , e non so fino a qual punto la parola del Professore di Pisa avrebbe potuto influire sulle deliberazioni del Gabinetto di San Giacomo, ma erano al certo l’espressione schietta di un sentimento profondo di amore patrio. Diffatti Y'In- ghilterra si astenne dal fornire il concorso attivo, e furono le armi Piemontesi congiunte con quelle di Francia che nei campi di Solferino e di San Martino risolsero il fa- tale problema. Frattanto il MarTEvCCI era passato dalla sfera delle ope- razioni a quelle della pratica. Il Governo provvisorie stabilito in Toscana lo aveva mandato quale incaricato d'affari in Torino, che era il passo di maggior rilevanza in que’ frangenti. Il Governo piemontese che aveva ripetutamente sfidato i maggieri pericoli per beneficare l’Italia, teneva allora in pugno le sorti della Penisola; s’egli avesse vacillato un istante negli alti propositi tutto sarebbe andato in rovina. (1) Questa lettera del MartEvcci ed altri scritti di lui, che ver- reme mano mano citando, leggonsi nella Raccolta di scritti politici e sulla pubblica istruzione. Lettera a Gino Capponi. Stampata a Torine nel 1863 dalla stamperia dell’Unione Tipografica editrice. 4 Nelle altre regioni potevano esservi più o meno romo- rose aspirazioni, in questa sola erano la vera forza e la spiccata volontà. Ciò non toglieva tuttavia che le fasi della politica sì succedessero con moto alterno. L’Inviato toscano a Torino, di tempra, come dicemmo, impres- sionabile, risentivasi di queste variazioni, e quindi tra- duceva le sue sensazioni nei dispacci ch’ egli spediva a | Firenze. Egli, secondo il suo costume, non tenevasi per vincolato strettamente alle istruzioni ricevute, e, più ancora devoto alla causa che ‘ligio ai Governanti, non si limitava alle relazioni officiali, ma si faceva promotore de’suoi concetti particolari pubblicandoli anthe nei gior- nali stranieri. Questa maniera di diplomazia alla libera non sarebbe da raccomandarsi sicuramente, perocchè essa genera con- fusione e disordine, ma a que’ tempi e colle abitudini di paesi non ancora fazionati ad una salutare precisione di regole, poteva pure scusarsi. L’amor di patria faceva talvolta trascendere i limiti della discrezione, e male si sarebbe accolta quella rac- comandazione, frutto di lunga esperienza che il Prin- cipe de Talleyrand faceva a’ suoi subordinati : surtowut pas de zéle. i Il Matteucci si abbandonava ad uno zelo di cui egli solo fissava la misura. Da una corrispondenza da lui te- nuta col Marchese Ridolfi, allora Ministro dell’istruzione pubblica a Firenze e suo grande amico, rileviamo com’egli si risentisse quando gli si rimproverava di mandare ar- ticoli a giornali, e di non stare nella cerchia delle sue istruzioni. Ma diremo noi con un illustre Magistrato che faceva parte del Governo provvisorio toscano e dal quale fu testè pubblicato un libro che merita di essere 23 seriamente studiato (1): Per fare il diplomatico in tempi ordi- nari, al MatTEUCCI sarebbero mancate le doti principali, cioè la sobrietà nel parlare e molto più la sobrietà nello scrivere, ma în allora, dovendo giudicare dai futti compiuti, piuttosto giovò che nocque il contegno di lui (2). E noi tutti che allora e poi lo vedemmo ci accorderemo nelle surriferite parole. Ma i tempi prendevano a correre propizi ai desiderii ed alle opere del MarTEvccI; seguitiamolo brevemente nel corso della sua luminosa carriera. Dalla Legazione di Torino il MatTEvccI era passato a far parte di una Deputazione che il Governo toscano mandava all'Imperatore dei Francesi. Nè qui la penna del MatTEvccI ci ha pur fatto difetto d'informazioni. Con una cura direbbesi scrupolosa e con un processo quasi stenografico egli descrisse un dialogo tra lui ed il Conte WALEWSKI tenuto il 14 ottobre 1859, ed il ricevimento della Deputazione toscana per parte dell'Imperatore che ebbe luogo due giorni dopo nel Castello di Saint-Cloud (3). In que’ giorni stessi egli pubblicava anche uno scritto intorno ai voti ed agli interessi dell'Italia centrale , nel quale studiavasi di far capaci i Francesi, meno corrivi a soccorrere l’Italia, dell’importanza di favorire le tendenze del Governo piemontese: On a compris, diceva egli, que le Piemont seul avec son armée, avec le prestige de sa Monarchie pouvait diriger l'emancipation italienne et donner des garanties d’ordre et de sécurité pour l’avenir. Appena poi la Toscana erasi annessa al Piemonte, (1) Il sig. Senatore Enrico Poggi, autore delle Memorie storiche del Governo della Toscana nel 1859-60. (2) Poggi ,. 1. c., vol. 1, pag. 193. (3) Questi documenti stanno nel III volume delle Memorie sto- riche del sig. Senatore Poggi. 24 l’instancabile MarrEUocI prendeva a discutere del miglior modo di ordinare lo Stato, e stampava in Parigi un ar- ticolo dove fra molte altre cose egli diceva: Je me garderai bien de faire la guerre aux grandes capitales là où elles egistent. Par cela méme qu’elles se sont formées et qu'elles sont en progrés il faut bien admettre quelles ont une raison d'étre, et que les inconvénients qu'elles ‘entrainent sont palliés ou surpassés par les avantages qui y sont atlachés. Ce n'est pas le cas de l’Italie, où une telle création ne pourrait que paralyser la vie d'un grand nombre de villes imporiantes, dont chacune aurait des titres égaua à élre cette capitale. En évitant la formation d’un de ces grands centres, qui dévoreni le plus souvent la substance d'un pays, nous restons dans la ligne de nos traditions, de nos goits, de nos intéréts bien entendus. Il suo programma era quello di un decentramento , sistema che molto si loda e molte difficoltà incontra presso coloro che avreb- bero potere di eseguirlo. Senza imprendere a ragionare di tutti gli atti e scritti del MarTEucCCI nella sua vita politica individuale citeremo sol- tanto una specie di Parenesi, ch'egli indirizzava nel settembre del1860 al Sommo Pontefice Pio IX, ed una sua lettera re- sponsiva indirizzata pure in quel torno al grande astronomo Padre Secchi, brano di corrispondenza che non cambiò di certo per nulla le rispettive opinioni degli scrittori. Ma ecco che si schiude pel MatTEUCcCI un vasto aringo in cui potrà dar prove della sua nobile ambizione di ser- vire al vantaggio del paese e della scienza. Il 31 di marzo del 1862 egli fu nominato dal Re a Ministro Segretario di Stato per l’]struzione pubblica, e fu il diciannovesimo nella serie di que’ che ressero quel dicastero dall'epoca della promulgazione dello Statuto in Piemonte. Se mai fu il caso di applicare felicemente l’adagio greco: 25 Zrdpray H\ayes taitav xoousi, egli fu appunto per la chia- mata del MartEucci al Ministero. Egli aveva trovato la sua Sparta e s’adoperò con grande amore. nell’ornarla. | Anzi può dirsi che in tutto il resto della sua vita egli non la perdette“mai più di vista e non mai smesse il desiderio di dedicarvisi. Prima ancora che diventasse Ministro il MATTEUCCI erasi seriamente occupato di progetti di miglioramenti da in- trodursi nel pubblico insegnamento. Tale fu il progetto di legge pel riordinamento dell’istruzione superiore pre- sentato al Senato il 1.° giugno 1861 e preso in conside- razione il 14 dello stesso mese; tali le relazioni fatte allo stesso ramo del Parlamento in febbraio e marzo 1862 sul progetto del Ministro De Sanctis intorno all'istituzione delle scuole normali per l'insegnamento secondario. Fatto Ministro presentò tosto alla Camera dei Deputati una proposta di legge relativa all’indicato stabilimento delle scuole normali all'oggetto di abilitare all’uffizio di professore nelle scuole secondarie. Era questa la proposta iniziata dal signor De Sanctis, già stata approvata dal Senato colle modificazioni introdotte dalle Commissioni senatorie, e ridotta nella forma più semplice e possibil- mente più pratica. Mentre si aspettava l'esito finale di quella proposta il nuovo Ministro cercava di migliorare gli elementi di siffatte scuole che già esistevano, ed otteneva dal Re l'approvazione di un nuovo regolamento della Scuola normale di Pisa. Egli aspirava ad ordinare, sulle tracce di quanto erasi già intrapreso da’ suoi predecessori, una legge organica generale sulla istruzione pubblica. Prevedendo però che tale resultato compiuto non sarebbesi ottenuto senza 26 sollevare interessi, ambizioni, pregiudizi d'ogni maniera, stimò di provvedere intanto alla maggiore urgenza e sol. lecitò l'emanazione di una legge di larga riduzione delle tasse universitarie, ed un accrescimento di stipendi a’ Membri del Corpo insegnante. Poscia egli si prevalse con molto accorgimento della disposizione dell’articolo 4 di questa legge , il quale por- tava « che un regolamento da approvarsi con Decreto » Reale stabilirebbe, in conformità dell’articolo 55 della » legge 13 novembre 1859, e dell’articolo 11 della legge » 16 febbraio 1861, la durata, l’ordine e la misura degl’in- » segnamenti e il modo degli esami in tutte le Università » governative. » Ognun vede che questa disposizione equivaleva ad un mandato di fiducia conferito al Ministero onde provvedesse sulla parte, che chiameremmo viva, dell’istruzione pub- blica. Ad esso diffatti davasi facoltà di porre in moto una macchina incompleta e di supplirne i difetti coll’aggiunta di nuovi motori. Grande era quindi l'autorità di che si trovava investito il Ministro, e sia detto a lode del vero, il MatTEvccI tanta ne prese da migliorare essenzialmente i corsi universitari. Se non tutti s'accorderanno nelle singole parti del regolamento emanato dal nostro Collega, nessuno di certo potrà negare che il medesimo sia stato dettato da uomo di grande ingegno, di gran dottrina, e di grande amore per la gioventù studiosa. La relazione, in data del 14 d’agosto 1862, premessa al Decreto Reale che approva il nuovo regolamento delle Università del Regno, è un lavoro insigne e degno di chi lo dettava. Esso rimarrà quale documento utilissimo a consultarsi in qualunque occasione si prenda a rior- dinare da buon senno gli studi universitari in Italia. (9 (9) ri È qui non vi dispiaccia, Signori, che io vi riferisca due tratti di quella relazione che mi paiono acconci a ricordarsi in questi tempi ed in questo luogo « Le Uni- Ù) versità, scriveva adunque il MattEUCCI, sono scuole, e nelle scuole convien studiare; e per farlo con profitto bisogna studiare con metodo e con perseveranza; nelle Università la gioventù deve educarsi nei sentimenti di gratitudine e di rispetto verso gl’insegnanti, ed appren- dervi che la scienza è la gloria la più pura, la potenza più vera di un popolo. Si chiamino dunque discipline o precetti naturalmente suggeriti dalla forza delle cose, lo studente non fa più il dover suo ed offende l'interesse proprio e delle famiglie, quando trascura le scuole per assistere ai circoli politici, quando non profitta di tutti quei mezzi che gli offre lo Stato. » Sul fine poi della relazione stessa, dice il nostro Col- lega: « le Storie contemporanee narrano come il più » » grande genio dei tempi moderni traesse il pensiero dell’Università di Francia dalla lettura delle Costituzioni per l’Università di Torino. Le quali ammirabili ancora per la sapienza virile con cui sono dettate, furono dagli Avi di Vostra Maestà affidati ad una autorità che inti- tolarono Magistrato della Riforma, quasi per meglio de- finire l’alto concetto da cui erano ispirate. » Progrediamo intanto nel citare gli atti ministeriali del MattEUCCI, quali il suo provvedimento per le conferenze sull'’insegnamento secondario tenute in Firenze nel 1862, quelli sopra la scelta dei libri migliori per le scuole ele- mentari e secondarie, sulle ispezioni ai Ginnasi e Licei del Regno, non che sul Collegio medico-chirurgico di Napoli, e sulla istruzione ed educazione popolare. Ed appunto venendomi sotto la penna la parola educazione di 8 i sì vasta e complessiva ‘significazione mì fermerò con vera compiacenza sul fermo proposito, sulla costante sollecita- dine del nostro Collega di promuovere efficacemente l’edu- cazione con cure almeno uguali a quelle che si pongono all'istruzione. È un grave errore il credere che la sola istruzione basti a moralizzare il popolo. Il MaTtTEvccI mi scriveva un giorno: « Non ho mai capito, quello , che pur » troppo si vede spesso, come assieme alla scienza, al » sentimento dei Savants non ci si associ un po’ d’eleva- + tezza d’animo, e d’ampiezza di vedute. — Noi facciamo » le Università — Ci mancheranno sempre le scuole per » fare l'Uomo. » Egli è questo un parlare veramente da uomo savio e coscienzioso, e piacesse al Cielo che tutti quelli che in vari gradi esercitano autorità sull'istruzione e sull’educa- | zione del popolo cercassero di fare l’uomo conscio de’ suoi doveri, pronto ad adempierli. Nè il MartTEUCcI mancò a quest’uffizio importantissimo cercando i mezzi d’imprimere nella mente e nel cuore dei giovani la morale religiosa, i nobili sentimenti, la devozione alla patria. Ed è da vivamente dolersi che al nostro Collega sieno venute meno non le forze, ma le occasioni di svolgere su larga scala l'applicazione de’ suoi principii. Il 7 di de- cembre dell’anno stesso 1862, egli usciva di carica, e doveva abbandonare in sul fiorire le concepite riforme. Non è però ch'egli fuori del Ministero smettesse le idee che tanto gli sarebbe stato caro di attuare. Egli non fu mai restìo a dare buoni suggerimenti, e ad assumersi carichi non lievi purchè gli sorridesse la speranza di giovare alla scienza od al paese. Al comparire di quelle erisi politiche che non di rado si succedono nei governi parlamentari egli non mancava quasi mai dal porgere 29 avvisi e consigli, onde influire sull’opinione pubblica nel senso che eredeva il più provvide. E con quel suo fare spigliato che avresti detto talvolta burbero se non fosse stato accompagnato da certo brio tutto benevolo, e con un rigore di raziocinio attinto ai metodi delle scienze esatte, propugnava caldamente le proprie idee. Un segno evidente della. sua vocazione alla direzione degli studi l'abbiamo in quell’importanza ch'egli attribuiva ai grandi Corpi scientifici, a quelli cioè che attendono rigorosamente ai progressi delle utili dottrine. Epperò tra i suoi prediletti divisamenti vi fu quello di chiamare gli anzidetti collegi ad aver parte diretta nella elezione dei primarii insegnanti. « Voglio ancora » egli scriveva nella relazione premessa al citato Progetto di legge pel riordinamento dell’istru- zione superiore « voglio aneora attirare la vostra atten- » zione sopra un’altra prerogativa attribuita dal Progetto » di legge alle grandi Università del Regno, quella cioè » del modo particolare di elezione dei Professori addetti » alle medesime. Guesto modo, che non vi presento già » come una intiera innovazione, ma piuttosto come l’op- » portuna applicazione di un sistema che ha l'appoggio » di una lunga esperienza in un grande paese a noi » molto affine, consiste nel sopprimere per la scelta dei » Professori di quelle Università il così detto eoncorso » per titoli, il quale pur troppo riesce il più delle volte » illusorio, per sostituirvi la presentazione di terne for- » mate dai più illustri Corpi accademici del Regno, come » sono la Società italiana dei XL, le Accademie delle » Scienze di Torino, di Bologna, di Napoli, di Palermo, » e l’Istituto lombardo. « Queste Società scientifiche » egli prosegue « dotate » dì una vita propria e indipendente dallo Stato, com- » petenti a giudicare della fama dei concorrenti, gelose » della loro riputazione, non così facilmente si piegano ‘ » per considerazioni secondarie o per privati interessi ; » l’autorità loro concessa dal Progetto di legge rialze- » rebbe la considerazione e la dignità di questi Corpi » scientifici e diverrebbe così una nuova ragione per » dover confidare nella verità e nella giustizia delle loro » proposte. » E verità e giustizia, soggiungeremo noi, si sarebbero ottenute, quando con queste norme saviamente osservate, le scelte si fossero fatte all'infuori d’ogni aspirazione po- litica, d'ogni setta filosofica o letteraria, d’ogni predile- zione individuale. Ciò è quanto dire coll’unico intento di affidare l'insegnamento ad uomini che concentrino tutte le loro forze nell’alta missione di comunicare la scienza, e che coll’ardore dei loro studi e l’assiduità della loro opera insegnino agli alunni non meno coll’esempio che colle parole. Propenso poi in particolar modo verso questa Reale Accademia il nostro Collega, durante il suo ministero, ci diede un saggio particolare della sua volontà di miglio- rarne la condizione. La lettera da lui scritta a tal uopo, che riferirò in appendice a questa notizia, contiene l’espressione delle sue intenzioni; alcune furono eseguite con vantaggio , una rimase nello stato di desiderio, cui sarebbe giusto che si soddisfacesse. La vita del MartEuccì non fu lunga, non avendo oltre- passato i cinquantasette anni e cinque giorni (1), ma fu (1) Egli era nato in Forlì il 20 giugno 181. 31 utilmente e nobilmente operosissima. Che se alcuno fra quelli che hanno il triste gusto di far la critica del bene tacciasse quell’operosità di eccessiva, noi gli opporremmo che essa serve di compenso alla ignobile e superba inerzia di molti. I meriti del MattEvccI furono retribuiti di distintissime ricompense così scientifiche come civili, perocchè egli fu Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Mauriziano, Cavaliere e Consigliere dell'Ordine civile di Savoia, Grande Ufficiale _ dell'Ordine della Corona d’Italia, Commendatore della Legion d’onore di Francia, Senatore del Regno, Presi- dente della Società italiana dei XL, Membro della nostra Reale Accademia delle Scienze, Presidente e Direttore della Sezione di scienze fisiche e naturali dell’Istituto di studi superiori di Firenze, Corrispondente dell'Istituto di Francia e dell'Accademia delle Scienze di Monaco di Baviera e Vice-Presidente del Consiglio superiore di pub- blica istruzione. ‘ Ma il maggiore , il più ambito , il più degno premio alle illustri fatiche di lui sarà il posto che i suoi lavori gli assegnano nella storia dei progressi della scienza. 32 APPENDICE Torino, li 29 aprile 4862. Divisione #.° — Sezione f.* — N.° di posizione 36. — N. di partenza 4938 P. S. Oggetto — Riforme accademiche. Al Chiarissimo Signore il Signor Presidente della R. Accademia delle Scienze di Torino. « Il sottoscritto che sin dai suoi primi passi nella scienza ebbe l’alto onore di appartenere alla R. Acca- demia delle Scienze di Torino, ascriverebbe a sua vera fortuna se nel tempo in cui è chiamato a reggere la Pubblica Istruzione potesse in qualche modo concorrere ad accrescere il lustro della medesima e ad estendere i vantaggi che essa rende alla scienza. « Nemico d’ogni ingerenza governativa soprattutto in ciò che spetta alle Società scientifiche, esso si limita ad invitarla, chiarissimo signor Presidente, a rivolgere nuova- mente la sua attenzione e quella dei suoi Colleghi sopra alcune innovazioni che potrebbero introdursi nei regola- menti dell’Accademia, come sarebbero: la pubblicazione speciale dei conti resi delle sedute; l’ammessione alle sedute di persone non appartenenti alla Accademia ma note per lavori pubblicati; e finalmente l’estensione della pensione ai Membri che ora non ne godono, e ciò o 33 sotto la forma stessa di. pensione o sotto quella di get- tone di presenza alle sedute. « Qualunque sieno per essere le proposte che l’Acca- demia delle Scienze potrà essere indotta a fare in van- taggio dell’Accademia stessa, il sottoscritto gode di poter assicurare che esso vi presterà tutto l'appoggio che spetta al Governo. » Il Ministro firmato: GC. MATTEUCCI. Il Segretario Comm. Eugenio Siswoxpa presenta un suo manoscritto col titolo: Malériaux pour servir d la Paléon- tologie du terrain terliaire, du Piémont. Deuxième partie ;° Ammaux; Types Protozoaires et Celenteres. Trat- tandosi di un lavoro descrittivo, di cui poco proficua riescirebbe la lettura scompagnata dalla presenza degli oggetti, l'Autore si limita a farne conoscere a viva voce il tenore, l'estensione e lo scopo. Nel fare la suddetta presentazione egli rammenta che tre anni or sono aveva l'onore di rassegnare alla Classe la prima parte dell’opera, cioè quella che tratta dei Vegetali, attualmente già stam- pata nel vol. XXI della Serie 2,° delle Memorie acca- demiche; soggiunge che la seconda parte, quella che deve comprendere la trattazione degli Animali, per la sua grande estensione; farà oggetto di diverse e distinte Memorie; e che quella intanto che depone ora sulla tavola dell’Ac- cademia abbraccia le specie fossili del terreno terziario del Piemonte, che ‘si riferiscono ai due tipi Protozoi e Celenterati. 3 BE Per ciò che spetta alla classificazione generale, egli ha seguito quella proposta dal rimpianto Collega Comm. De Firipri nella tornata del 10 dicembre 1865; classifica- zione eclettica, la quale, cioè, giovandosi delle osserva- zioni del Van BenepEN, del MiLne-Epwarps, dell’Agassiz, di Giovanni MiLter e di tanti altri Zoologi che si occu- parono di questa parte della scienza, ponendo per base principale il processo evolutivo e il processo genetico, divide l’intiero regno animale in dieci gruppi primarii, che solto-regni o .tipi vogliansi chiamare, i quali sono, par- tendo dalle forme più semplici alle più complicate: Pro- tozoi, Celenterati, Criptozoi (Molluscoidi), Echinodermi , Vermi - Brachiopodi, Molluschi, Cefalopodi, Artropodi e Vertebrati, Per la classificazione in particolare poi dei Protozoi e dei Celenterati, che formano, come si è detto, il materiale del presente lavoro, egli si è attenuto, pei primi, alla classifi- cazione del n'Orsieny, colle modificazioni, all'uopo, intro- dotte dal CarpENTER; e pei Celenterati, alle norme tasso- nomiche di Mirne-Epwanps ed Hamer, colle aggiunte e modificazioni del FromenTEL. Tutto il materiale di questa Memoria, stato raccolto nelle diverse formazioni del terreno terziario del Piemonte, sale a 400 specie circa, cioè 60 e più Protozoi, e 300 e più Celenterati; ma questo numero di specie, quan- tunque considerevole, è ancor lontano dal rappresentare l'intiera serie degli animali dei suddetti tipi, poichè in quello de’ Protozoi segnatamente moltissime sono ancora le specie nuove da descriversi, e per illustrar le quali, tutte minute, per non dir microscopiche, anzichè una 30 semplice rassegna, quale conviensi ad un lavoro generale come questo, si richiederebbe una affatto speciale Mono- grafia. Dal Socio Cav. GasraLDI sono presentati e letti i se- guenti due lavori mineralogici del sig. Dottore SrruveR, Assistente alla scuola di Mineralogia nella Scuola degli Ingegneri di Torino. SULLA SELLAITE NUOVO MINERALE DI FLUORIO. Esaminando, parecchi mesi or sono, un esemplare di anidrite dell'antica collezione BarELLI, la quale ora fa parte del gabinetto mineralogico del Valentino, osservai alcuni cristallini trasparenti, prismatici, che unitamente a cri- - stalli di solfo e di dolomite vedevansi qua e là sparsi nella massa dell'esemplare. Dopo breve studio di quei cristallini m’accorsi che non potevano riferirsi ad alcun minerale noto e che dovevano costituire una nuova specie. Secondo il catalogo del BaRELLI essi provengono dal ghiac- ciaio di Gerbulaz (1) sul territorio di « Les Allues » presso Moutiers in Savoia. La quantità di minerale di cui poteva disporre non bastando ad uno studio completo, mi recai questa state sul posto onde procurarmene altri esemplari. L’anidrite in questione vi forma una lunga cresta frasta- gliata e di fantastico aspetto, la quale fiancheggiando il lato destro del ghiacciaio si estende dal suo piede fino nella (1) La carta dello Stato Menrore piemontese e gli abitanti del paese dicono Geibroutà. 36 Moriana ed è conosciuta fra la gente del paese sotto il nome di « Roches blanches. » Lungo tutta quella cresta, nella massa dell’anidrite, si vedono cristallini di solfo, di dolomite e qualche raro gemello di albite (1). Ma non- ostante due giorni di assidue ricerche non riuscii a tro- vare il desiderato minerale, locchè del resto non recherà meraviglia a nessuno, quando si abbia riguardo alla grande estensione della anidrite. Forse che altri, più fortunato di me nelle sue ricerche, sarà in grado di completare lo studio del minerale, la cui natura e novità vengono più che sufficientemente dimostrate dalle seguenti proprietà che potei stabilire sui pochi cristalli della nostra colle- zione. Sistema cristallino : dimetrico, a:c=1:0.66 189. Faccie osservate: 111,110, 100, 310, 401, 201, mnp (2). ANGOLI A ir calcolati osservati 111, 110 IO GE It e 100, 401 DENTRO, 28° 24’ 100, 201 pat) 47° circa 110, 100 45° 45° 310,100 18° 26' 180 19' (1) Ignoro se tale giacimento della albite sia già stato da altri accennato. (2) P, ©P, Po, eP3, 4Po, 2P co, SII rato ca: ao, dietro co addio) aloe) a:ma:2c, a:a:c. Li 2 b 37 Combinazione osservata: 141, 110, 100, 310, 4041, 201, mnp; mnp diottaedro indeterminato posto fra 111 e 310. La fig. 1 rappresenta il cristallo misurato, la fis. 2 la proiezione stereografica delle faccie osservate. Sfaldatura perfetta secondo le faccie dei due prismi a base quadrata 110 e 100. Durezza = 5; Densità in piccoli cristalli = 2, 972 a 24° C. Frattura concoide. Il minerale è incoloro, trasparente, di splendore vitreo; la sua polvere è bianca. Una lastra tagliata normalmente all’asse di simetria presenta nella luce polarizzata i fenomeni dei corpi biri- frangenti ad un solo asse ottico, fatto il quale viene a confermare i risultati delle misurazioni eseguite al gonio- metro. Cristalli otticamente positivi. Il minerale è insolubile nell'acqua, non si altera in contatto cogli acidi, eccetto l’acido solforico concentrato, col quale a caldo svolge acido fluoridrico che attacca il vetro. Dalla soluzione ottenuta si depongono cristalli in- colori, aghiformi, facilmente solubili nell’acqua. Nè l'ammoniaca nè l’ossalato di ammonio producono alcun precipitato nella soluzione neutra; aggiungendo in- vece del fosfato sodico-ammonico si forma il caratteristico precipitato del doppio fosfato di magnesio ed ammonio. Al cannello, in piccoli frammenti , il nostro minerale fonde facilmente gonfiandosi e si riduce in uno smalto bianco, il quale ad ulteriore riscaldamento diventa infusibile , tramanda una vivissima luce e si colora in un Del roseo, se bagnato prima con nitrato di cobalto. Nel sale di fosforo il minerale si scioglie perfettamente. Notando la grande analogia che v'ha fra le sovraccen- nate reazioni e quelle che presenta il fluoruro di calcio 38 o fluorite, egli non è improbabile che il nuovo minerale sia il monofluoruro di magnesio, il quale si compone di 38. 71°/, di magnesio e 61.29 °/, di fluorio. Onde accer- tarmene scaldai una piccola quantità del minerale pol- verizzato con acido solforico concentrato ; considerando il sale ottenuto come solfato di magnesio puro, si dedur- rebbe dal risultato dell’analisi che il minerale contiene 39. 64 °/, di magnesio, invece di 38.71°/, contenuti nel monofluoruro di magnesio. Benchè, stante la piccolissima quantità di materia impiegata per il saggio, tal risultato possa sembrare abbastanza soddisfacente, non oso ravvi- sare come risolta la questione della chimica composi- zione del nuovo minerale, che io dedico all’illustre cri- stallografo QuinTINO SELLA. SU UNA NUOVA LEGGE DI GEMINAZIONE DELLA ANORTITE. Fra i pochi minerali i cui cristalli riferir si devono ad un sistema di assi triclino, va distinta per ricchezza di faccie l’anortite, massime quei nitidissimi cristalletti che s'incontrano al Monte Somma o tappezzanti le geodi dei grandi trovanti dolomitici o nelle cavità di certi massi cristallini composti di un miscuglio di mica e di piros- seno. Se i cristalli di questo minerale sono ricchi di faccie, essi non presentano però ugual dovizia riguardo alle gemi- nazioni. Mentre nella albite si conoscono ben cinque leggi di- verse di geminazione, sui cristalli di anortite finora non 39 furono notate che due sole, quella cioè comune in tutti i feldspati triclini, per la quale è asse di rivoluzione la normale a (010), e Valtra frequentissima nel periclino, ove l’asse di geminazione è parallelo alla zona [001, 100] ovvero all’asse delle Y [010]. Rarissimi d'altronde sono, secondo» Scaccni, i cristalli di anortite che presentano quest’ultima emitropia. Studiando una serie di cristalli di anortite del Monte Somma, appartenenti al museo di mineralogia della Uni- versità di Gottinga e gentilmente messi a mia disposi- zione dal Direttore del medesimo, barone SartorIus di WaLrersHAUsEN, fui lieto di incontrare un gruppo che presenta una terza legge di geminazione, non ancora se- gnalata nel nostro minerale, benchè osservata in altri feldspati triclini, come l’albite, l’andesina, la labradorite. È questa la legge che dà luogo alla disposizione sì fre- quente nell’ortosio, presentata p. e. dai noti cristalli di Carlsbad, in cui è asse di geminazione lo spigolo del prisma verticale ovvero l’asse delle Z [001]. Prima di entrare nella descrizione particolare del nuovo gruppo geminato, mi sarà lecito di dire qualche parola sul modo di orientazione adottato per la figura e la deter- minazione delle faccie. È noto come i trattati di mine- ralogia non sono niente affatto d’accordo sulla posizione da darsi ai cristalli dei diversi feldspati; si osserva anzi che sovente non solo non si ebbe alcun riguardo alla analogia delle forme cristalline dei feldspati triclini con quelle del monoclino ortosio, ma che neanche i cristalli di quelli sono uniformemente orientati. Onde evitare tale inconveniente A. ScHraur nella introduzione al suo Atlante delle forme cristalline del regno minerale propose di orientare i cristalli monoclini (l’ortosio p. e.) in modo che l’asse 40 della zona di simmetria Y si trovasse nella posizione oriz- zontale e diretto da destra a sinistra, l’asse delle X incli- nato verso l’osservatore e l’asse delle Z nella direzione verticale. E analoga orientazione introduce nei feldspati triclini, conservando verticale l’asse delle Z ed inclinando l’asse delle Y, in modo però da porre l’angolo ottuso £ dei due assi delle Y e Z positivi a destra dello spettatore. Io mi conformo tanto più volentieri a questa proposta , inquantochè anche DescLorzeAUX, che tanto contribuì allo studio dei feldspati, nel suo Manuel de minéralogie adottò per le specie tricline la medesima posizione. Quanto poi alla costruzione delle figure, io suppongo colla maggior parte dei cristallografi tedeschi, il sistema di assi girato da destra a sinistra. I due individui che formano il sovraccennato gruppo presentano la seguente combinazione di 44 faccie. r—————____—__—n2Rz SInonasze si ‘anna ils * me i, asia li @ spiga | mat aan. © QI sfoeioh arditi ODI toa pinionel int 5 a ojlipie Lys pri sizona perio: TO id £7_Maor PRIFTEN TORTO tibub gal odia. LE EE î simifuii Laga i AIA Moi AINSI 13 RAZAT isiorfani è Iiynio CS TETTI CIS RETOR MISI RIT LETTE CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE —_—_—_— Lu Adunanza del 22 Novembre 1868 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Venne dal sig. Prof. Muratori consegnata alla Classe una Memoria intitolata: Asti, colonza Romana e sue iscri- zioni latine. Il sig. Presidente deputa ad esaminare quello scritto i signori Professori Carlo Promrs ed Ariodante FagrettI, i quali fecero la seguente relazione, di cui la Classe approvò il giudizio. Il Prof. Muratori, lasciata per poco la terra de’Vagienpi, fece un’escursione nel vicino paese, che dal nome del- l'antica sua città or chiamiamo l’Astigiana, e fu già dei Liguri. Divid’egli il suo scritto in due parti, trattando nella prima dell’Asta Colonia, degli ordini de’ suoi cittadini, dei magistrati, giudici e comizi Astensi, poi del culto , della milizia. e delle arti. Nella seconda sono riunite XLVII iscrizioni che egli raccolse da Pingone, Guichenon, Spon, Doni, Fabretti, Muratori, Durandi, Marini, Zaccaria, Orelli, Kellermann, Steiner, Brambach, dai manoscritti di Bartoli e Terraneo, dagli storici locali e dalle schede del cav. Gazzera. 48 Molto opportunamente nota l’Autore, che il nome pri- mitivo, e che giustamente possiam chiamare anteromano, di questa città, è semplicemente Asta, adducendo la testi- monianza delle più yetuste sue lapidi, nelle quali è scritto a questo modo. per, converso, in quelle del 2.° secolo, uscente vi è premessa l’aspirata. Il qual nome primitivo, richiamando quelle di due città Ispaniche (Asta cognomi- nata Regia dai Romani, e della Colonia Astigitana (1)) ha una derivazione naturale affatto, sapendosi come di Spagna sian venuti i Liguri. Così pure, dal silenzio dei marmi e di tutti gli antichi scrittori, a gran ragione egli prova come l’aggiunto di Pompeia attribuitole ad una voce dai recenti non abbia fondamento alcuno; tale opinione non riposando che sulla storiella dell’aver Pompeo colà pian- tata la sua picca, sclamando Haec erit Hasta mea; opinione reietta persino da quel gran falsario di Filippo Malabaila, che negli autori latini trovò semplicemente Asta. Della prima parte non diremo oltre, diffondendosi l'Autore su istituzioni generali di tutte le città viventi col diritto, la milizia ed il culto Romani, anzichè sui modi particolari, coi quali è possibile che si sia retto quel municipio (come taluni dell’Italia centrale e dell’inferiore); ma che, seppur vi furono, non lasciarono traccia alcuna. Ci arresteremo adunque sulla parte seconda, che è l’epi- grafica, contenente nelle iscrizioni i soli legittimi docu- menti della storia dell’Asti antica, che essendo sparse in molti libri e manoscritti, sono perciò mal note, e vieppiù che loro prima contezza devesi al Guichenon , il quale nulla sapendo di epigrafia, qualunque cosa corrotta o falsa gli si facesse arrivare, tosto davala alle stampe. (t) Plinio III, 3, 7; Astenses i loro abitanti; Livio XXXIX, 21. 49 Ma prima di tutto, Asti fu dessa Colonia? Lo dice il tardo Tolomeo, ma Velleio Patercolo; nella enumerazione che fa delle colonie d'Italia; circa un secolo pria che cessasse la repubblica, alle ‘colonie di Eporedia, di Der- tona e dell’ Augusta de’ Vagienni, non aggiunge, come stato sarebbe affatto ovvio, quella di ‘Asti. Plinio in un articolo, dove, fra molte nostre città Cispadane, distingue le colonie di Dertona, de’ Vagienni e di Alba (alle quali due ultime bastan gli aggiunti di Augusta e di Pompeia), pone Asti fra gli Oppida. Le tante lapidi locali, compresavi quella al n.° 2 che spira il principio del primo secolo , altri magistrati non mentovano che:i Duumviri , i quali avvegnachè si trovin poscia anche nelle Golonie, eran da principio soltanto propri de’ Municipii, Bellissima e di grande importanza è l'iscrizione 1.8, per la quale l'Autore non osservò che di due titoli ne fu fatto. nno solo, posto essendo il superiore (in cinque linee) a P. Virgilio Laurea figlio di Publio, nipote di altro Publio e Prefetto di Druso Cesare Germani, dove i sottoscritti abbraccerebbero volontieri l'’emendazione Muratoriana di Germanici (1). Il titolo inferiore è posto ad un P. Virgilio Paulino, anch'esso figlio e nipote di un Publio, probabil- mente figlio anzichè fratello dell’anzidetto; è in quattro linee, e la chiusa, se non è mal copiata; in quel Praef. Cohortis II Veteranorum Exercitus ci darebbe un modo affatto nuovo nelle Romane lapidi militari, seppur quell’ Erercitus non era scritto EX + D: D + PEC * PUB © cioè Ex © Decreto : Decurionum * Pecunia « Publica * (2). (1) Così pure il Doni a page 140 di quattro iscrizioni d'Asti ne fece una sola, ripetuta poi da Muratori a pag. 519, 3; mentre due le aveva già date staccate a pag. 190, 5, 6. (2) Henzen 6591. 50 Molto importante è pure la 2.2, la quale e per l’orto- grafia della voce AIDilis, e pel TRibunus « MILitum >» A POPULo richiamerebbe i primi tempi dell’impero, non tro- vandosi da noi iscrizioni dell’età repubblicana. Chi la pone chiama padre L. Pompeo, e‘ madre una Erennia, che (con insolito matrimonio) è detta liberta di Lucio Erennio (4); codesta donna sposò un Ostilio, e chi eresse la lapide, chiamandosi AV * HOSTILIVS - L « F- POL - POMPEIVS- MACER -, dimostra coi suoi nomi di essere stato adottato da Aulo Ostilio (2): Nella 3.8 l’apografo, ch’è nelle schede del Gazzera, ha PRAEF * FABR - IVD -, che fa cessar l'imbarazzo della 3.3 e 4.8 linea, mentre essendo tratto da Prospero Balbo, merita assai più fede che non quelli del Guichenon e del Carretta (3); inoltre, l’apografo del Balbo subito dopo il Flam. Perpet. segna una linea mancante, forse non co- piata perchè illeggibile, cosicchè la restituzione della chiusa sarebbe a questo modo: FLAMini : PERPET uo divi © nervae . traiani had RIANI * DIVI :- NERVAE © nepoti divi © nervae * TRAIANI © filio Vero è che il Balbo legge nella terza linea ...... SIANI, ma in lettera un po’ guasta facilmente si confonde. S (1) Vorrebbe prudenza che fosse preferita la lezione del Gui- chenon, il quale nel suo stesso errore di L. P. lascia travedere il razionale L. F., cioè Lucti Filia; per uomo qual era questo Pompeo, il matrimonio con una liberta non è guari probabile. (2) Orelli 2695, 96; Maffei 242, 3. (3) Nei due marmi che compongono l’iscrizione unica al n.° 1 i due Virgili essi pure son detti Praefecli Fabrum. DÈ. con R, e poi i Vespasiani non eran consanguinei, ma predecessori di Nerva e sua figliazione adottiva. Nella 4. troviamo più razionale la lezione STERTINIO: del Doni (gentilizio frequentissimo soprattutto in Sardegna), che non lo sconosciuto Stritinio; essendo essa piuttosto antica, pensano i sottoscritti che sia da ritenersi il MAXVMO del Guichenon, anzichè Maximo; è pur da notarsi il TRibunus PLEBis, troppo guaste essendo le restanti lettere. La 5.° ha PRIMIPILI, che dovendo concordare col gentilizio CARINAS al primo caso, dev'essere. mutato in PRIMIPIL- (arisì; essa apparisee del primo secolo, e pel nome Carinas si rannoda con quella di due liberte, al n.° XLI. Carinas è a senso nostro un gentilizio venuto dalla professione di facitor di carene per le navi, o' meglio dalla città di Carina nella Frigia (1), come fu cognome di C. Albius Carrinas console dell’anno 711. Dov'è da osservare, che in questo marmo è scritto il nome con una R sola, mentre nella iscrizione 41.8 lo è con due, come pel detto console; in quest ultima poi, Carrinattae al terzo caso dovrebbe, secondo grammatica, mutarsi in Carrinati, ogni qualvolta non si voglia dire, che abbia il copista scam- biata in T l’ultima I, cosicchè sarebbe Carrinatiae come in lapidi Romane (2), in una delle quali Carinas chiamasi un liberto, e Carinatia la libertà. Un Q. Carinas è men- tovato in Alba in lapide militare da mons. Della Chiesa (3), come due Sassinas lo sono in due altre, ed un’Atinatia (4), con nomi desunti da una città Umbra e da una Latina. Nella 6.3 e 7° linea del titolo VII l'Autore legge (1) Plinio, V, 41, 1. (2) Muratori 2084, 10, Grutero, 935, 10. (9) Descriz. del Piemonte ms. vol. I, pag. 225. (4) Muratori 1378, 14; 1484, 3; Maffei 270, 6. 52 sanamente Beneficiarius, cui si potrebbe aggiungere Tri buni (1), vocabolo quasi intatto, e (per quanto sia possi- bile) ristaurando l’epigrafe a questo modo C'. TILLIVS. MF POL © VITAL. AST - VETERA nVS * MILITAVIT IN < leg © îiil ‘ ANN (2) XXII ‘ opTIo * BE NEFI cì ARIVS © TRi BVNI ANI LA Via ANN - XLI * MEN - VI Nella penultima linea la lacuna, quale la. dà Guichenon, comprende le lettere, per noi senza senso; di AN.,., LA; ogniqualvolta queste lettere non contengano le estreme e corrottissime di un nome proprio, come in altro marmo si ha Beneficiarius Getae (2). Correggasi anzitutto l’ultima linea, mutando, per figura, gli anni XXI in XLI, cosicchè Tillio sarebbe stato ammesso in questa legione in età di diciannove anni, com'era frequente. Per la lapide al n.° 8 vi son delle notevoli differenze tra le lezioni seguite dall’ Autore e quella data, prima d’ogni altro, dallo Smezio (3). L'iscrizione 10.° ebbela il Labus dal cav. Gazzera; però nelle due schede che sen’ hanno in quest’Accademia, alla linea 7.2 leggesi FILIS - P., cioè Posuerunt (4). Nella 13.2 (1) Orelli-Henzen 3462, 5178 etc. (2) Marini, Arvali, pag. 499. Arbitrariamente vi pose lo Spon (Miscell. pag. 51) Militavit . In . Britannia. (3) Znscript. ant. (1588) f.0 167, 8. (4) Bene emendò l’Orelli n.° 5058 in FILI. 53 il soldato € Iulius * Cattius., senza cognome e con due sentilizî, potrebbe essersi. chiamato così per adozione (come vedemmo al n.9 2), oppure derivando il gentilizio Cattius da quello materno. È pur singolare come i gentilizi che ‘gl’imperatori tramandarono ai loro liberti o clienti (Iulius, Clodius, Flavius etc.), più frequentemente che ogni altro si associno a gentilizi meno illustri. Le due prime linee dell'iscrizione 15.8 (le tre ultime essendo quasi inintelligibili), date così dal Guichenon: L- TITII - III ‘ FLAV - SOLVATINIANI etc. pare a noi che, invece di leggerle « L. Titiî..... mia. Flavi - Sol (e forse) Pollia » senza emendare neppur una lettera nel marmo, debbansi compire in: L TITI - L- F- FLAV (ta) SOL(va) + VATINIANI etc. Si dé così al soldato una seconda appellazione derivata dal nome della madre, ch'era dei Vatinii; FLAV - SOL...., posta appunto ove scrivesi la patria, è la città detta anche Oppidum Flavium Solvense (1), ma che le iscrizioni chiaman sempre Flavia Solva (2), oggi creduta Solfeld nel Norico. Per tal modo, in questo titolo militare, evvi segnata la (1) Plinio III, 27. (2) Orelli 3076, 77, 78; Henzen 5263, 64; Maffei 120, 7; 244, 2; detta semplicemente Solva nel latercolo Muratoriano 882, 1. Adunque costui, nato in una delle colonie militari poste da Vespasiano nel Nerico, compiuto il servizio in una legione, erasì ritirato presso Astì dove cessò di vivere. 54 patria del soldato, come usava quando la sua morte ac- cadeva lungi dal luogo nativo ;‘le tre linee seguenti; che dicemmo quasi-inintelligibili, comprendono nella 3.2 la voce LEGionis; nella 4.8 è forse Op.TI0 (luogotenente) dove Guichenon pone OTIG; dopo la qual voce: viene ‘una la- cuna seguìta da AVG che noi leggiamo evocatus - AUGusti, cioè richiamato; ossia rattenuto al servizio dall’imperator regnante; stava ‘nella 5.8.il. nome (femminile) di chi pose il marmo. Dall’aggiunto ‘di Flavia:ricaviamo ancora.che L. Tizio non fu anteriore a Vespasiano, e che, essendo legionario, doveva essere ed era pareggiato ai cittadini Ro- mani, come quello ch’era nato in Solva città censita nella militare tribù Flavia, come le vicine Siscia e Savaria (1). Nella 16.° il marmo, ch'è all’ Università, ci pare che abbia L. ACCAELIVS (come in Muratori e nello zibaldone del Ricolvi) anzichè L. ACCAEDIVS; nella 20.8 il Guichenon stampò veramente Sinoridis, ed è da notarsi il Bacchius-, che, malgrado la desimenza in ius, è nome servile, seppur non è mal letto invece di Bacchylus (2). Al n.° 20 il ge- nitivo Sinoridis lo crediamo errato nel marmo o nella copia, invece di Synoridis, come presso Grutero; pag. 786. In quella al n.° 21 il nome della moglie è veramente Fulfennia (come nota l'Autore, malgrado il. Muratori. che, seguendo le schede del Pacediano, lo muta in Pulfemia), e deve credersi d’ Industria‘ sola città nostra che abbia memorie di tal gente , come ricavasi da una, sgraziata7 ma intiera lapide dell’Università, della quale Maffei diede una metà sola (3), Ricolvi i tre quarti (4), e Gazzera (1).Muratori 862,7; Orelli 500. (2) Maffei, pag. 306, 4. (3), Pag. 231, 4. (4) Del sito d’Industria, pag. 44, 55 limitossi a ‘toglierla da questo (1). La denominazione di Magister * Minervalis, anzichè significare il capo dei sacer- doti di Minerva, per chi la renda compiuta, mutasi in Magister * Augustalis * Minervalis; e denota che la. divinità patrona di Asti (cioè Minerva) dava nome colà agli Au- gustali; come Apollo, Mercurio, Marte, Ercole, la Concordia - lo davano agli Apollinari di Reggio, Modena, Pesaro, Luceria ed altre città, ai Mercuriali di parecchie del regno di Napoli e della Dalmazia, ai Martensi o Marziali di Benevento: e d’Interpromio (S. Valentino), agli Herculanei di Tivoli, ai Concordiali di Padova, e via dicendo. La qual corporazione di Minervali è attestata altresì per Asti dal marmo di P. Letilio al n.°. 22, nonchè da un fram- mento dell’Università (2) qui venuto da Chieri città vici- nissima ad Asti, e posto da un Augustale Minervale colà domiciliato, avendo per altro quest’oppido (come la città di Asti) anche i suoi Augustali propriamente detti, come da antichi marmi. I Minervali di ‘Asti li crediamo. ad un tempo anche Augustali, come indica il. citato frammento ed è conva- lidato da un marmo.Nolano e da. uno Brundisino di un maestro Mercuriale. ed. Augustale (3), da uno, Padovano di un Augustale Concordiale (4), da altro di Tivoli di un Ercolaneo Augustale e di un loro maestro (5) e da altri aricora. Quindi è che non possiam concedere allo Zaccaria ed al Biorci che.la lapide provenga da Acqui, imperciocchè in codesta città il second’ ordine municipale (oltre gli (1) Bodincomago diverso da Industria; pag. 31. (2) Non inteso dal Ricolvi, vol. II, pag. 73. (3) Orelli-Henzen 2420, 6068. (4) Ivi 2384. : i (5) Henzen, Mdici, pag. 168. 56 Augustali) non si .spartiva che in Augustali Flaviali; come da marmo dell’Università edito. da. Zaccaria, Donati ed Hbrizetutt). culdroa peceteel ato not Nell'iscrizione vergini dall Axitore stiforiiti pr n.° 22 un doppio.shbaglio.troviam commesso dall’inesperto copiatore. nella. 1: linea. cioè in P LAETILIVS PL POL“ HILARVS «.SPYRI. Anzitutto nessun liberto si conosce ammesso nella nibù Pollia, quasi sempre (e soprattutto in Piemonte) essendolo nella Palatina, cruna delle quattro urbane e conseguentemente: delle più spregiate; teniamo (uindi che vada corretta in PAL: come vuol ragione @ come lesse il-Doni (2)... Nè meno fastidioso è quello SPVRI messo laddove vi ci voleva il grado ‘od ufficio da Letiliò occupato tra .i Minervali; epperciò ;. coll’autorità di pa= tecchie iscrizioni; lo mutiamo.in SEVIR:, vote che poteva agevolmente scambiarsi in quella di SPVRI. Nè si faccia colpa al Giuchenon.di aver. posto in calce alla: lapide fi nomi di due liberte;..esse vi stanno. come, per figura, in una di Roma'(3) v'è una liberta con un Delicium} e poi. il titolo lo tolse il Doni da Aldo. Manuzio , quasi uà secolo prima del Guichenon, la:cùi copia, in questa parte; è pienamente acceltabile; concordando con quella di Aldo: Riferendo il. titolo al.n.° 23;.n0n avrebbe Autore: sé- spettato che .P.- Equinio Popita fosse un liberto, qualora non gli fosse sfuggito, il Publiî ‘ Filius: nella 1.4 linea; del rimanente Popîtà ; diminutivo di. Popa o Vittimario , nòn è nome servile. Al m° 26. togliendo dal. Muratori un’iscri* zione Astigiana (che questi aveva preso dalle schede Ambrosiane del Pacediano con Terentinus e Terentinorum) (1) Excursus, pag. :50; pag. 87, ED; Fal 6056: (2) Znscript. antiquae, pag. 140, (3) Orelli 4394. DI vorrebe VAutore mutarli in Terentinius e Terentiniorumy, vale a diré, come -gentilizi, facendoli terminar in ius. Pensano i sottoscritti che non ve ne:sia bisogno, avendosi parecchi esempi di gentilizi ripetenti direttamente il nome patrio, come (per nom viscir-da questa desinenza) Aserninus; Amerinus, Arricinus da Zsernia, Ameria, Aricia, oltre altri raccolti dal Borghesi (1), anzi Terentillus chiamossi; e non Terentillius, il tribuno della plebe che circa l’anno 300 di Roma volle per legge por limiti all’autorità de’consoli (2). Al n.° 28. noteréemo, che ci pare preferibile nella 4.8 linea la lezione del Gazzera Cornelia * M.-(Marito anzichè Mater), mentre il disegno da lui prodotto attesta che il marmo è mancante sul fine (3). Guichenon, Spon e Mu- ratori vi lessero correntemente Refector Pectinarum, quando la lapide ha Pectinar.} epperciò; notando che Pectina non è voce latina, prima il Vernazza; poi il Furlanetto in più luoghi (4), «quindi il Gazzera provaronò come la buona lezione fosse Pectinaritis , invocando anche l autorità. di altri marmi. i ‘Quella. al n.930 non è di Asti, il algionie suo ‘primo copiatore notando nel codice epigrafico manoscritto; che stava Apud:Lombriascum; olim Umbiliacumj nune Taurini in aedibus :meisj e Lombriasco è terra alla sinistra del Po, cioè nel Traspado. Il nome. Vettius lo scrive il-Pingone colla doppia T; ‘e partisce il titolo in cinque linée, nella prima mancando la paternità forse per corrosione; presso quanti la diedero, ci pare sbagliato sempre il T. F. invece (1) Opere IV, 319; Henzen 6247: > (2) Livio MI, 9. (3) Zseriz, metrica Vercellese (1828), pag. 19; tavi li (4) Lessico ad vocem; Lapidi del Museo @’Este n.6; Logi di Padova, pag. 211. 98 di ST. F., e la ragione ne sarebbe che questa*donna cognominata Secunda doveva avere una sorella detta Prima, e questa l’abbiamo: in lapide dell’Università posta Vettiae St. F, Primae (4), giuntavi ‘un’altra già presso Chieri di un 7° Vettius* Stati * Fil* Pol; | che forse era fratello delle due donne. Sagacemente notò l'Autore, che. nel frammento al n.° 31 parlasi di quel P. Virgilio Laurea mentovato al n.°. 1, coi gradi di questo concordando a maraviglia le lacinie del frammento. Ha eziandio ogni ragione ‘di dir raro, se non unico, il cognome femminino Civitas del n.° 32; altro se n’ ha però in marmo Veronese (2), come in Como il titolo di M* Pompeius . Civis (3), rispondendo a quello di Politicus, che incontrasi in parecchie iscrizioni (4), al paro di Italia, Democratia ecc. (5), che son tutti nomi servili. » L’epigrafe ‘al n.°:38, anzichè male copiata ed inintelli- gibîle, pare'ai sottoscritti che piana sia ed agevole, emen- | dando solo la 4.* linea che forse fu Clivanillia 0 -Clivanilla, vezzegiativo derivato dal nome della gente Clivana 0 Clivamia, derivato esso stesso da quello della gente Cluvia o Olivia (6). Infatti lo storico Guido Malabaila citato dall’Autore dice che la prima e la seconda N hanno'in alto la traversa: - aggiungendo noi’ chela doveva ‘avere anche la ‘terza; orà queste iniziali così segnate significano costantemente Noster, Nostra e via dicendo. Leggiamo dato a rr modo, come per se esempi. Pai (1) Maffei 226, 7. (2) Maffei 160, 1; Muratori (1601, 6) dal Gori come Fiorentina. (3) Aldini, Marmi Comensi, n.° 125; Grutero 879, 10. (4) Muratori 780, 3; 987, 8; Gruitéra 1146,-42.. ale om (5) Muratori 602; 2 sospetta; 884 243 Mommsen L.R.N 5936; P39 tero 614, 6; 971,72. (6) Motamsen, ® Cit, 2014. PARTITI, Genio . Lucii + Nostri IVNoni » CLIVANAE;- Nostrae! Sad de IVNoni i ANNEAE.: Nostrae ibrtead009 dimo Vibdcs' corr INA RESTITVT ALS ve. ‘Quella al. n.° 39, siccome proveniente dal; pessimo co- piatore Guichenon,; ‘al .G- CAL 9 SIO; MIRI della 4.?:linea; può essere che contenga il gentilizio Calvisio, giusta l'emen- dazione proposta dal Terraneo; ima non:ci farebbe mara- viglia ogni qualvolta quel.9.,. avesse valore di; una .0 accoppiata. ad una $; richiamando a questo. modovin Calossius il nome. del. villaggio di Calosso, che. già appel- lavasi Calocium nel 1169 (1), come.in val d’Aosta la terra di Aimaville denominossi da Aimo, ed Avillio che ivi po- sero i loro nomi sul Pondel tre anni. prima. .dell’ era volgare (2). La voce Miri:la crediamo mancante in fine per frattura. 0 corrosione, cosicchè vi avanzino; solo le due prime sillabe del cognome Myrino (3). Nel marmo al n.° 44 dubitano i sottoscritti che; in. fine, anzichè un II; vi fosse. un.H. ( Heredes, ed. intendasi di colui cui fu posto il,monumento), essendosi scordata 0 non letta la trattina; superfluo essendo di ripetere che due erano i fratelli Valerii, già specificati nell’ epigrafe coi prenomi Lucio e Caio, L’iscrizione metrica al n.° 45 non è Astigiana, ma To- rinese, qui veduta avendola il Pingone sin da mezzo il secolo XVI nelle case, di Cassian (del Pozzo, descrittala a (1) Mon. Hist. Patriae. Chart.-I; n.° 542. Da noi, nel medio evo, la e vale soventi 3 ed s; come in Zanciwm, Arnacium ecc. (2) Antich. d’Aosta, pag. 31. (3) Grutero, pag. 240. 60 lungo , e datene le cinque linee che vi stavan a capo, dalle quali ricavasi ch’ era. stata. posta dalla madre al marito ed al figlio T: Arriò - T- F- Tro/mentina) © Tertio Essa però non andò coll’altre: nél castello di Reano circa il 1570, veduta avendola , un secol dopo, il Guichenon nel giardino ducale di Torino ; ; ambidue la danno con qualche errore, ma ‘di facile emendazione, avvertendo che, al solito, Guichenon copia Pingone e che ora è perduta. Primi a divulgarla siccome di Asti ‘furono, per quanto noi sappiamo, Doni e Gudio (1); che la tolsero da un codice del Redi, cui mancava l’intitolazione del marmo, e mancando quindi anche nei loro stampati. L’iscrizione ° 46 ci pare mutila nell'ultima linea In Agro Pes Vnus; dove alla semplice asta nuùmerale ‘converrebbe far seguire un X od almeno un V, mutando l’1.in 9 od in 4, non potendosi comprendere un'area monumentale larga meno di 0,30. Notiamo finalmente al n.° 47 che ai nomi di Livineius Regulus Guichenon e Muratori fanno precedere il prenome Lucius. Alle epigrafi con laboriosa dllivintà faccolte: dall’Autore, queste si potrebber aggiungere. Edita la prima nel 1588 da' Giusto: Lipsio a folio 44 dell’ Auciarivm, in calce ‘allo Smezio; e da lui veduta a Roma in Villa Medici, L- COELIO LF: POL: CLEMENTI HASTA * MIL COH - XII - VRB > ; Je IVLI + VEXc ANN: XXI: MILE (1) Pag. 355; pag. 390. 61 Scoperta la seconda nel 1744 presso Roma (Via Salaria, vigna dei Canonici di $. Antonio) fu stampata nell’anno stesso dal Marangoni, quindi riprodotta dal Donati (1); Notò il primo che « Nella parte superiore ‘arcuata è scolpita fra le due lettere una corona » Diarebiranse M M: SEPTITIO - M- F- POL. ;0°.. NEPOTI HASTA(1) ci MIL ù COH: IH ca Tia Drol IGRADIVI MIL -.ANN - IMI MG XI VIX- AN XXV -HF:0, Chiudesi la Memoria con un'appendice di XII lapidi spurie vergate dalla ignorante penna di Filippo Malabaila autore nel XVII secolo del Clypeus Civitatis Astensis e del Memoriale di Raimondo Turco, libri composti collo scopo di fornir notizie di Asti per tutti que’ secoli ne’ quali la storia ed i monumenti ne tacciono. L'Autore non si affaticò a dimostrarne l'illegittimità, che di per sè apparisce ; di qualche giovamento sarebbe però il rintracciare gli ele- menti che ad esse dieder origine. Per la 1.2 osserviamo, che il nome Asta è senza aspi- rata ed ancora come l’esattezza di questa ortografia sia singolare in un secentista; ma'ciò spiegasi notando che il Malabaila, il quale fornì (al Guichenon le iscrizioni di Asti, fornigli eziandio quelle ‘poste dall'Autore sotto i (1) Delle cose gentilesche e profane trasportate ad uso e adormamento delle Chiese, pag. 474; Donati, pag. 302, 3. 62 ni 7) 29, le quali; siccome antiche assai, non hanno l’aspirata; da esse poi trasse il Malabaila l'asserzione ‘at- tribuita ‘a Raimondo Turco (1), che ‘questa città da certi autori Latini è chiamata Asta. La sua 4. linea fu suggerita dalla celebre iscrizione di Pompeo a Roma (2). Alla 2.2 diede origine un passo di Livio (XLI, 13): de Ligure captus is ager (Lunensis) erat» Etruscorum ante, quam Ligurum, fuerat, combinato colle parole del decreto Viter- bese di re Desiderio; fu diffatti simulato che si fosse trovata in Lerici sulla sinistra della Macra. La 3.* eretta dagli Astensi Aelenae Aelianae..... optimae Civi fu desunta, nella cittadinanza e nel nome, da una ch'è all’Università, ripetuta, giusta la mala lezione del Pingone, da Guichenon, Doni, Grutero, Durandi, due volte da Muratori, poi data mancante, ma esatta, dal Maffei: Caeciliae Aelianae è Civi(tate) « Pollenti(nae), mutata dagli anzidetti ‘in Civi * Pollentiae. Pare che la 4.* col nome Pseudo-Gallico Leyr sia uscita dal cervello del Malabaila;, ogniqualvolta non l’abbia tolto dal Leyn, ch’erroneamente leggesi in titolo torinese presso il Guichenon. La 5.*° e 6.3 furono figliate da quella, anch'essa falsa, a p. 96 del Pingone : C- Iul + Caesar - C: F. | De Galleîs . | Et- Allobrogib | ..... phavit (3). La 7.° di P- Vrvinus* €: F: Taurin fu originata dalla Pingoniana di C- Vrvinus CF. Silenus: L’8., ad un M. Gardinio, fu simulata ad onore della famiglia Gardini di Asti. La 9. e 10.° ad Ot- taviano Augusto son fattura del Malabaila. La 11. di T. Annius * Agnanus | L. AEmilius * Agnanus * Natus * Romae | (1) Codd. mss. Bibl. Taurin. II, pag. 177. (2) Plinio VII, 27. (3) Queste iscrizioni 5.* e 6.* furono riprodotte da Guichenon, Spon, Grutero e Donati, e dimostratane la falsità dal Maffei. 63 Astae Edocatus ecc. è tolta, con tutti gli errori, da quella torinese del Pingone Ti Aul- Vitalis | L- Tettienus * Vitalis - Natus * Aquileiae | Edocatus * Iulia + Emona ecc. , introducen- dovi, qual cognome, il nome del vescovo francese S.Agnano venerato in Asti, e che il falsario credè corrotto da An- nianus. La 12. contiene il sunto della storia anteromana di Asti e di Pollenza come fu esposta dal Malabaila nel memoriale di Raimondo Turco. Conchiudiamo col proporre che questa monografia del Prof. Muratori sia inserita negli Att, per le buone notizie e per la diligente raccolta epigrafica, che di un’ impor- tante città nostra ci diede l'Autore. La qual città, se per la copia de’ cronisti suoi levossi in bella fama allorquando, arricchita dell’operoso commercio in lontani paesi, giunse nel medìio evo al maggior grado di potenza, principale fra tutte le città Piemontesi, principale altresì fra le città italiane mediterranee di second’ ordine, pure della sua storia antica quasi che nulla è a noi pervenuto ed ancor quel poco fu travisato e guasto dall'opera dei falsari. A. FABRETTI. CARLO ProMIS, Relatore. | fpronicna ads pese pre "st Nin valigia Ssb staogeo: sit ‘sm00. ascolto ib L pine i È sg oa "E, “gqupee si si cere lobi atsrgaton cis ino o 0 misi ni pesare st ib fà è BILL]. tai 199/98, tto Unupral. pra: «L'obart, ifsnproliae mon spog sk igor! ione ‘ping pino cia98g ita) nol ni ei Asa e iano: soivgegi de oro oibeamiea 3 era sl da ieonls ii amare silio ol'oltire si sua csliob- sing érnib10/Luoasa. ib ‘soastiolilbrie ontilnti | % 19908: ba doni deu $i vba siluscodo: be penne >. » Uoi 53 Par Sonne Nite Kat CECI. 46 inptor Vi; ch fer Mii (ai reranao tao: hh bit Pa M E i “al n pa -b i { " la K t te 3 C'e TEMA: 49 EPaBAuia ‘nivatiota ste 4 Mem 1805) PPPBOOI dose rità è io trarne: mi & 243 IMOIeFIoA) MI[GR'ITORTS0GonT fi è SD ing [iata; + RAT Aaa COLONIA ROMANA E SUE ISCRIZIONI LATINE PER G. F. MURATORI 11x68 PARTE PRIMA ASTI COLONEA Nullaque non aetas voluit conferre futuris Notitiam sed vincit adhuc natura latendi, Lucano, X, v. 270. INTRODUZIONE. Le iscrizioni romane di Asti e del suo territorio, raccolte insin dalla prima metà del secolo XVII per D. Filippo Malabaila e comunicate a Samuel Guichenon, furono da questo storico pubblicate con le stampe nel 1660 (1). Così un monaco è il primo raccoglitore delle iscrizioni astensi, come un vescovo pel primo fece di pubblica ragione le albesi (2). Ma forse perchè non bene escritte e tolte per (1) Histoire généalogique de la Maison de Savoie, vol. I, cap. IV, pag. 49 e segg. (2) Albae succincta descriptio. Taurini, 1661, Gianelli, in folio. In quest'opera Monsignor Brizio riferisce ben undici lapidi albesi. r 66 avventura da lapide male andate, o perchè negligente- mente stampate, sono la meschina cosa in fatto di critica (1) ed oggetto di acerbe censure degli eruditi (2). Il Marchese Scipione Maffei, per citarne alcuni, afferma doversi du- bitare se tra tutte ce ne sia pur una autentica (3). Il Morcelli ricisamente tutte le disapprova senza alcuna: riserva (4). Questo si vuole ripetere in parte dal vizio, comune ai più dei collettori di epigrafi, di non accennare quasi mai il luogo delle lapide e il tempo in cui furono trovate. Non si era ancora capito, non ostante l’esempio di Ciriaco d’Ancona, che molte fiate le iscrizioni intanto sono im- portanti e significative, in quanto se ne conoscono i luoghi. Il che vuol dire che presso di noi mancarono raccoglitori dotti di epigrafia. Or gran parte delle iscrizioni astensi forse perì, o è difficile rintracciarle, se ancora esistessero e giacessero ignote forse anche agli abitatori della Contrada. Alcune poche si conservano in Torino sotto i portici dell’Uni- versità, dove trovarono scampo dall’ascia o dal servire alle fabbricazioni e dalla ferocia degli scarpellini. Di tali (1) Nulla è più ovvio che trovare nel Muratori, N. Thes. înseript., biasimata la sbadataggine del Guichenon nello stampare le iscrizioni. (2) D. Filippo Malabaila, fattosi monaco nel 1595, stampava nel 1646 pel Zangrandi, in Asti sua patria, il suo Clypeus civitatis Astensis ecc., nel quale sono pure tre iscrizioni latine. Nel 1665 veniva ristampata quell’opera col titolo: Clypeus civitatis Astensis, liber apologeticus, aurlwre R. D. Philippo Malabayla astensi, monacho Cisterciensi congregationis S. Bernardi. Lugduni, sumpt. Michaelis Liberal, MDCLXVI. In questo libro si sostengono molte cose con- trarie alla storia ed alla critica. (3) Artis crilicae lapidariae ecc., premessa al primo volume del Supplemento del Donato. (4) Vernazza, Bibliogrefia lupidurio patria. MS., pag. 30. 67 altre sappiamo (1) che si conservavano ancora in Asti nel secolo passato, d’onde il Muratori ne ebbe apografi più corretti di quelli del Guichenon. Alcune sullo scorcio del secolo medesimo venivano qua e IJà pubblicate dal Vernazza, o inserite dal Molina nella sua storia di Asti, e nel secolo presente stampate in quelle di Serafino Grassi. Ma questi due sono istorici e di iscrizioni trat- tarono di sopra via. Intanto noi non possiamo tutte riscontrarle sulle lapide, nè corroborarle di sufficiente autorità. Forse ciò si otterrà col progresso del tempo, quando se ne facessero lunghe e pazienti ricerche: ma non è ragione che tutte del pari le epigrafi astigiane si mettano ad un fascio e si ripro- vino senza più. Quelle che si poterono riscontrare sui marmi si trovarono autentiche; alcune poggiano a suf- ficiente autorità; altre infine resistono al più severo esame, nè si possono giustamente condannare. Comunque sia vennero da noi raccolte tutte, anche le apocrife, le quali per così dire sono passate nel dominio della storia, e debbono qui trovare luogo per la legittima loro condanna. Non iscrivendo noi pei dottissimi abbiamo posto per disteso quello che è in sigla o in abbrevia- zione, con la versione in volgare, le necessarie diluci- dazioni e l'indicazione dei fonti onde le singole iscri- zioni furono attinte. Per accennare al modo con cui si possono mettere a profitto le raccolte epigrafi abbozzammo una specie di storia monumentale dei tempi in cui Asti fu sotto le (1) Secondo Carretta, parroco d'Asti, comunicò al Muratori, come ei dice, alcuni apografi di marmi astensi. Così pure Alessandro Chiappini. - 68 leggi dei Romani, e la premettiamo alle epigrafi con gli opportuni richiami. Questo ci parve il modo più speditivo per dare un’idea di quell’antica colonia romana, rispar- miare a noi la fatica di ripetere ed al lettore la noia di sentire le notizie di cui si vorrebbero corroborare. Crediamo che gli Astesi non che saperci male, ci vorranno anzi bene se non ci siamo eretti in campioni di alcune fole onde fu macchiato il candore della loro istoria antica, e di alcune iscrizioni latine onde venne disseminato il principio di alcune false cronache. Troppo più grandi e vere lodi illustrano la città loro senza che ne abbia bisogno di meschine e di false. La storia si eivile che ecclesiastica d’Asti non ha nulla da invidiare ad altre cospicue città italiane (1). Se non che, quasi a compenso di danno, si troverà nella nostra raccolta l'aggiunta di epigrafi trovate non è gran tempo in Germania dove tre Cittadini astensi la- sciarono la vita militando nelle legioni romane. Epigrafi che giovando a compiere la storia d’Asti era necessario qui introdurre; poichè non sempre a tempo, dice il Vernazza, vengono in mente, a chi scrive l’istoria d’un paese, le iscrizioni che si trovarono in lontane contrade. (1) Senza parlare delle storie del Molina e del Grassi e del Som- mario del Grandi, ove spicca la saviezza e sodezza della critica, accenniamo qui di volo le tre cronache d'Asti. 1.° Chronicon Astense eatraclum e Chronicis Aslensibus, editis per Ogerium Alferium. 2.° Memoriale Guilielmi Venturac, civis Astensis. 3.0 Memoriale Secundini Venturac de rebus Astensium. Tutte e tre furono pubblicate la prima volta dal Muratori, Rer. Ital., vol. XI, cominciando alla pag. 140. Ristampate nel vol. III dei Monumenta historiae patriae, pag. 703. 69 SI Proposta. ll lato dell’Apennino, che guarda il Po, compreso nella nona (I) delle undici regioni (2) in cui Augusto divise l’Italia, risplendeva tutto di nobili castelli (3). Infra i quali, dodici per numero, è ricordata da Plinio Asta (4) che con leggerissima mutazione nel corso di molti se- coli anche al presente ritiene il nome antico, mentre che quasi ogni contrada ha cambiato il nome (5). Lascio le favole e dirò soltanto quello che giova al caso nostro; poichè le molte altre cose, che dei tempi antichi si racconta mentendo, conviene affatto lasciarle. Di tal genere sarebbe quel che narra il Turco di Gomer, pronipote di Noè, fondatore della città, che avrebbe tolto il nome da Ascenez figliuolo di esso Gomer (6): dei Galli (1) Haec regio ex descriptione Augusti nona est. Plin., Hist. naturalis, II, (2) Divum Augustum...... descriptionem ab co factam Ilaliae totius in XI regiones. Id. ibid. 7. (3) Omnia nobilibus oppidis nitent. Id. ibid. (4) Non credo che il nome di Asta derivi dal greco, come favo- leggia il Memoriale che si dice di Raimondo Turco, visso, si dice, nel 1000, ma è del monaco Malabayla del secolo XVII. Penso anzi che in antico si dicesse Asf, come si disse nel medio evo, e lati- nizzato fosse dai Romani, al modo loro Asta. (9) Quasi cambiato ha il nome ogni contrada. Fazio degli Uberti, Dittamondo, lib. V, 6. (6) Ben disse Bonaventura Castilioneo: Eo etiam dementice plures accessere, qui audeant scribere non a Graccis solum, sed ab Hebraeis etiam civitalum, regionum ....... nomenclaturas derivent. Gallorum Insubrium antiquae sedes ecc. Mediolani MDXXXI, pag. 1. Vedi in fine le famose epigrafi false. 70 che la distrussero e di Cneo Pompeio Magno che la rifabbricò di poi, piantandovi in piazza la sua asta; della leggiadra Elena Eliana, Venere di bellezza e Pallade di valore, che la salvò dal furore di Belloveso; di Leyr Gallo, fatto cittadino astense; di Gaio Giulio Cesare che fu prefetto nelle vicinanze d’Asti, e dell’altre fole che si possono vedere comprese nelle iscrizioni apocrife. Le origini di Asti si perdono nell’oscurità dei tempi, e non sono memorie autentiche le quali accennino a tempi anteriori a quelli nei quali queste contrade furono soggiogate dai Romani. E ben sel seppe Filippo Mala- bayla che volendo difendere Asti da alcune pretese ca- lunnie di monsignor Francesco Agostino della Chiesa, non seppe trovare altre autorità, per la sua concitata difesa che le false iscrizioni del suo falso memoriale di Raimondo Turco, come si può vedere leggendo la seconda edizione del Clypeus (1). (1) Il Muratori, Rer. Ital., vol. XI, nella prefazione alle cronache d’Asti, si lagna di non avere potuto adoperare il memoriale del Turco, e dispera di poterlo avere. Ma lo stampò il Pasini nel suo volume dei manoscritti della Biblioteca universitaria. Angelo Paolo Carena, per quanto io sappia, fu il primo che dimostrò le assur- dità del memoriale Turchino, come si vede in un suo apposito manoscritto; poi il Vernazza, poi tutti quelli che ne hanno par- lato. Ma Giovanni Ardesco Molina nelle sue Notizie istoriche profane di Asti non se ne diede per inteso, o non seppe rinunziare alla gloriola che credeva ridondarne alla sua patria. Meglio fece il Grassi (Storia d'Asti), che il lasciò nel meritato oblio. $ II Asti colonia romana, sua ortografia. 1. Sécondo che dice Plinio (1) e Claudio Claudiano (2), il primo dei quali chiama Asti uno dei nobili castelli (3), ed il secondo non lo qualifica altrimenti, dovremmo credere bensì che fu governata a uso romano, ma du- bitare se fosse colonia o municipio; ma le antiche iscri- zioni latine, ivi scoperte, nelle quali si fa menzione se non di tutte, almeno delle precipue e più essenziali magistrature delle città governate a colonia, non ci lasciano alcun dubbio. L'autorità delle lapide viene con- fermata da Claudio Ptolemeo (4) il quale la chiama Asta Colonia. 2.Non altronde che dalle iscrizioni apocrife, e dal falso memoriale di Raimondo Turco (5) derivò la persuasione di coloro i quali asserirono che la colonia d’Asti togliesse il titolo di Pompeia. Niuno scrittore antico, niuna lapida autentica ne fa menzione. Però fa maraviglia che uno dei più nobili scrittori moderni abbia ciò potuto asserire senza corroborare di buone prove la sua affermazione (6). (1) Loco citato. (2) Claudiano fiorì ai tempi di Teodosio e de’suoi figliuoli Arcadio ed Onorio. Nel panegirico pel sesto consolato di Onorio canta, v. 303, neutra ius nec plus Pollentia rebus Contulit Ausoniis, aut moenia vindicis Astae. (3) Oppidum. (4) "Asta zodeivia, lib. III, cap. I. (5) Raimondo Turco, edito dal Pasini, pag. 182. (6) Cibrario, Prefazione alle cronache d'Asti. Monum. hist. patriae , vol. III 12 a Ond’è che inciampando in questo errore i nazionali, non è da stupire che tutti i fabbricatori di dizionari storici e geografici di Francia a coro ci tantino che Asti fu detta Pompeia (1). So ben io che ciò verificandosi potrebbe una bella volta condurci a determinare il tempo in cui fu dedotta colonia, il quale coinciderebbe con quella di Alba Pompeia, colonia anch'essa romana, dedotta nel 665 di Roma (2) insieme con la. colonia latina di Laude Pompeia (3) nella Gallia Cisalpina. La tavola itineraria di Teodosio, conosciuta sotto il nome di peutingeriana (4), nella quale Asti è nominata ben due volte, è affatto muta sopra il nome di Pompeia. 3. L’ortografia di questa colonia, rispetto al nome non è identica in tutti i ricordi dei tempi. Talfiata è con l’aspi- razione e tal altra senza. Ne è privo questo nome presso gli scrittori antichi, mentrechè in un’epigrafe dei tempi di Marco Antonino (5), nella tavola peutingeriana (6), in quelle di Marco Vezzio Astensiano (7) e di Caio Iulio Cattio (8) porta l'aspirazione. H. In quelle trovate sul Reno si trova luna e l’altra maniera. Ond’è che. non bene si appone il mio omonimo, (9) il quale scrisse che (1) Non citiamo alcuno, perchè sarebbe troppo lunga bisogna; basta aprire il primo dizionario geografico, o trattati di geografia, per convincersene. (2) Panvinio, /mperium romanum ecc. (3) Oggidì Lodi. (4) Sezione II in fine, e sez. IIl in principio. (5) È l'iscrizione di Valerio Terzio, n.° XI. (6) Loc. cit. (7) N° XII. (8) N.0 XII. l (9) Muratori, Novus /hes. inscript., come notò il Terraneo ne’suoi Marmora Subalpina. MS. dell Università. 73 i libri hanno asta e le lapide hasta. Il vero è che ne’ tempi più antichi si scriveva senza aspirazione, e pare che siasi usato con l’aspirazione specialmente dopo che invalse l’opinione che Pompeo Magno piantasse in questa città la sua asta. Pompeo Magno, per dirlo di passaggio, non ebbe mai che fare con Asti, e quando, passando per queste contrade, marciava con le sue legioni alla pon- derosa guerra onde fu incaricato contro Sertorio nelle Ispanie, avea ben altro pel capo che piantare in quella piazza Ja sua picca. Sarebbe congettura meno improbabile che deducesse questa colonia Strabone Pompeio, padre del Magno, quando dedusse quella di Alba Pompeia. È dunque certo che l'attributo di Pompeia non compete ad Asti per alcuna autorità sincera. 8 II. Tribù Pollia. 1. Dai monumenti epigrafici di Asti, si deduce con certezza che i cittadini di questa colonia votavano con la tribù Pollia, quantunque niun documento istorico provi questo fatto. Era questa una delle trentacinque nelle quali era divisa la repubblica romana (1). È noto che la tribù, nel senso romano, era il meccanismo elet- torale, con cui i cittadini di quel grande Stato eserci- tavano i loro diritti politici. Erano le tribù, come a dire, vasti collegi elettorali, proporzionati alla romana gran- dezza. L’appartenervi costituiva il complesso dei diritti (1) Che le tribù romane fossero trentacinque oltre alle iscrizioni, recate fra gli altri dall’Orelli, si vede chiaro in Livio (lib. XXIV, c. 27), ove dice: Praeter Maeciam quatuor et triginta tribus........ all'anno 548. 74 del cittadino romano (1). Però insino al finire del secolo IV, dopo il qual tempo andarono in dileguo, le lapide, spe- cialmente le militari, le quali ordinariamente si erigevano ai militi morti lontano dalla loro terra natale, ram- mentano la tribù, la quale si voleva notare subito dopo il nome del padre del defunto, e prima di esprimere la patria, o in mancanza di tale annotazione, prima del cognome. 2. Gon la tribù Pollia votava Asti e il suo territorio. Dalla parte che guardava i Taurini essa confinava con la Stellatina, a cui era ascritta la loro Augusta ed il suo agro. Dalla parte di Alba Pompeia confinava con la tribù Camilia a cui era ascritta la maggior parte dei Vagienni e la loro Augusta. Anche Pollenzia, Bodinco- mago, Industria ed Ivrea, Parma nella Liguria; Reggio e Modena nella Gallia Cisalpina, e Lambesa nella Numidia appartenevano alla Pollia, che dopo la Stellatina e la Camilia era la più estesa nelle nostre contrade. 3. Ben dodici tavole astesi. portano scolpita questa tribù. Di fatto alla Pollia erano ascritti i militi C. Cor- nelio (2), M. Cominio (3), GC. Valerio Terzio (4), C. Tillio Vitale (5), T. Vezzio Secondo (6), Decio Flavio Frontone (7), Publio Virgilio Laurea (8), P. Virgilio Paolino (9), P. Equinio (1) V. Monumentos historicos del municipio Flavio Malacitano di Manuel Rodriguez Berlanga. Malaga, 1864. (2) Vedi l'iscrizione n.° VIII. (3) Iscrizione n.° IX. (4) N.0 XI. (5) N.° VII. (6) N.° XXXII. (7) N.° XIV. (8) N.° I. RIE 75 Ingenuo (1), P. Letillio Ilaro (2) e Sestio Ottavio Celso Cassiano (3). 8 IV. Ordini dei cittadini. 1. La qualità di colonia per se stessa dimostra in quanti ordini di persone fosse divisa la popolazione. Nel dedurre le colonie romane i triumviri o un numero maggiore di commissarii (4) a ciò destinati, determinato il sito da fabbricare una città nuova, o scelta una di quelle che esistevano presso gl’indigeni, formavano, la prima cosa, il primo ordine dei cittadini, scegliendo, di regola or- dinaria, la decima parte dei dedotti, da insignirsi del nome e della qualità di Decurioni. Dovevano questi pa- gare un censo di centomila sesterzi (5). Quest’ordine era un'immagine del senatorio di Roma e veniva designato col nome di Decuriones; di curia, od ordo; ordo splendi- dissimus, patres , centum viri, curiales, possessores honesti, e in alcun luogo anche senatus. 2. Di questo primo ordine non è fatto cenno particolare nelle epigrafi astensi. Ma sono nominati i duumwviîri, gli edili, ed altri magistrati della colonia,i quali si dovevano scegliere tra i decurioni; e così ne rimane accertata la esistenza. 3. Nè pur della plebe si parla espressamente nelle epigrafi, ma non v'è dubbio intorno a questo; poichè (1) Iscrizione n.° XXIII. (2) N° XXI (3) N.° XXX. (4) Triumviri coloniis deducendis. (5) Il sesterzio era pari ai nostri ?0 centesimi. 76 facilmente s'intende che quei molti personaggi che sono rammentati in parecchie iscrizioni e non fungevano alcun pubblico ufficio, vi appartenevano. Neppure vengono no- minati gli abitanti del luogo i quali non appartenendo alla colonia, ma essendo coloni o municipi d’altre città venivano ad abitarvi (1) e potevano participare ai comizii duumvirali o edilizii pel solo diritto d’incolato. 4. Rispetto all'ordine mezzano fra i decurioni e la plebe si sa che nelle colonie e nei municipii punto non esi- stevano prima dei tempi di Ottaviano Augusto. Solo dopo quell’Imperatore si stabilì una specie di sacerdoti detti augustali i quali avevano l’incombenza di curare i sacrifizi che si facevano in onore dei Lari augustali, e così sorse un ceto medio detto degli augustali, i quali formavano un collegio i cui capi erano denominati seviri augustali o soltanto seviri. E crebbe cotanto che venne in certo qual modo a rappresentare nelle colonie e nei municipii quello che era in Roma l'ordine equestre. Non vi fu mai titolo nè più ambito, nè così facile ad ottenere come quello. Tosto vi si cacciarono dentro i liberti fattisi ricchi e nulla più aventi a bramare che qualche specie di onore, nè potendo, perchè non appartenevano al- l’ordine dei decurioni, concorrere alle cariche ed alle magistrature della colonia o del municipio. Ebbero gli augustali in loro mano gli appalti, il commercio, i pos- sessi e i denari, principali stromenti di potenza presso la plebe , talehè in brevissimo tempo divennero capi di un partito che sostituì un servile ossequio agli Imperatori, all'antica idea del senato di Roma. Erano creati dai de- curioni, dovevano essere liberti, ma ben presto persone (1) Incolae. cit dell'ordine decurionale si fecero ascrivere tra gli augustali, dove allora era la prevalenza (1). L'ufficio loro si riduceva a vegliare sulle ceremonie religiose istituite in onore degli Dei compitali, divinità dei quadrivii, alle quali si usava ergere altari là dove due vie s’incontravano (2). Questa istituzione essendo venuta meno sul principiare del terzo secolo , le iscrizioni che portano il nome di augustali debbono essere anteriori a tale epoca. Di tal ceto e tempo vuole essere Erennio Successore (3), Caio Albio Ligure, figliuolo di Spurio (3), e Quinto 'T'erentino Trofimo (3), E adunque evidente che nei più floridi tempi della co- lonia astense erano i decurioni, gli augustali e la plebe. 8 V. Magistrati astensi. 1. Il cittadino romano, disse Cicerone (4); avendo due patrie (l’una di diritto, Roma, l’altra di natura, il luogo di nascita 0 di abitazione), oltre al partecipare ai diritti della città ove era il centro politico della nazione, avea. pur quello del sito di residenza, il quale era governato ad uso di Roma, col nome di municipio o di colonia, ed (1) Vedi Petronio Arbitro, Satiricon, p. 156, vol. 1, edizione di Nodot. Orelli alla parola Augustales, 3297. Zumpt, De Aug., Berlino, 1846, e molti altri. (2) Petronio, Sat. 30. Orelli, Zscript. ampliss., coll.° n.0 3959. Horat., Sal. 11, 3, 181, e suo Scoliaste, ivi. (3) N.° XXIV, XXV, XXVI. (4) Omnibus municipiis duas esse censeo patrias: unam naturae, al- teram civitatis. De legib., lib. 1, c. 2. 78 amministrato dai proprii cittadini. Così sino a un certo punto dalla romana sapienza fu risolto il problema di conciliare l’unità della patria con la moltiplicità dei sin- goli centri di amministrazione, e l'amor della terra natale con quello del centro governativo. 2. Nei municipii il supremo magistrato era quello dei qua- tuorviri; ma nelle colonie, come fu Asti, veniva designato col nome di duumviîri. Tali erano i nomi con cui venivano comunemente designati (1), quantunque avessero diverse denominazioni secondo la diversità dei luoghi (2). Nei marmi astensi veggiamo veramente chiamati duumviri i sommi reggitori della colonia. Esempi sono Quinto Cari- nate (3), Publio Virgilio Laurea (4) e Lucio Pompeio (5). s.Iduumviri, sorretti dal consiglio del nobilissimo corpo dei decurioni, del quale eseguivano i decreti, avevano, diremmo noi, il potere esecutivo. Però giudicavano in civile (onde il nome di iuri dicundo) ed anche volendolo le parti, in criminale, che spettava propriamente al pre- side della provincia; amministravano i tributi, davano il nome all’anno, come i consoli in Roma, presiedevano alle adunanze dei decurioni, cui convocavano all’uopo nella curia, cooptavano il patrono, ordinavano (iubebant) l'esecuzione dei decreti decurionali; davano in appalto (1) Duumviri; duumviri iuri dicundo, duumviri praefecti iuri di- cundo, duumviri quinquennales. (2) Alcuni vollero, ma senza buone prove, che il primo magi- strato fosse pure detto dei consoli. Il eerto è, che a Capua erano ‘ detti Praelores, in alcuni monumenti trovasi nominato il Med- dirtuticus. Orelli, 3785, 38045 a Lanuvio il Dittatore, id. 2293: in altro pure è detto Magistri, id. 3790. (3) N° V. (4) N°. L. (5) No II 79 le imposte, facendo mettere nei pubblici registri, che do- veano essere visibili in tutto l’anno, il conto degli appalti fatti e delle condizioni imposte; infliggevano multe e simili. 4. Avvenne alcune volte che per adulazione fosse eletto a duumviro lo stesso imperatore (1) il quale accettava bensì l’onore della carica, ma a sua volta nominava un personaggio, detto il prefetto (2) che ne faceva l’uffizio. Di tale qualità pare che sia stato P. Virgilio Laurea (3) e tale forse GC. Irpidio Memore (4). 5. Ma ogni quinquennio i duumviri, che capitavano ad essere in carica, pigliavano importanza maggiore da alcuni rilevantissimi officii a cui fungevano. Allora venivano chiamati duumviri quinquennali, esercitando l'autorità che in Roma si diceva censoria. Di fatto facevano il censo, eleggevano i decurioni mancanti per morte o per altra cagione, rimovevano all'uopo quelli che meritassero tanto; il che facevano solo trapassandoli in silenzio nel leggere che facevano il nome di tutti i decurioni. Tali furono P. Virgilio Laurea e il detto L. Pompeio di Marco (5). 6. Inferiore e subordinata al decemvirato, e scala per con- seguirlo era l’edilità, il cui uffizio era somigliante a quello di Roma, poichè in numero pur di due curavano i pub- blici e privati edifizi, le pubbliche vie, gli acquidotti, i fiumi e le loro rive, i ponti e simili. Ma erano a quella annessi pesi straordinarii, dovendo a proprie spese fornire i giuochi pubblici. Ond’è che molti declinavano siffatto (1) O il figlio, o il nipote o altro alto personaggio. (2) Praefectus iuri dicundo. V. Grutero, 41, 7. CONO IE : (N° III. (I NT II. 80 onore; e veggiamo che alcuni venivano dispensati da tale carica per salire al duumvirato (1). 7. Tra gli edili d’Asti veggiamo nelle lapide ricordati Q. Carinate f. di Caio (2) ... Gillo... (3), L. Pompeio f. di Marco (4); Tito Vezzio (5) e P. Virgilio Laurea (6). 8. Agli edili per dignità succedevano i questori, magi- strati sopra il danaro pubblico del municipio, sotto la sor- veglianza dei duumviri, dei quali eseguivano gli ordini (7); | pare nondimeno che questo magistrato non fosse ammesso in tutte le repubbliche, mentre che se ne poteva restar privi. Ove non si voglia supporre che il tempo ci abbia in- vidiato i marmi d’Asti e di altre colonie, da tale silenzio sì può argomentare vero quanto qui si afferma. A Capua è certo che furono soltanto creati i questori nell’anno 34 dell’éra volgare, quando a quella colonia furono assegnati molti poderi dell’agro pubblico, e venne data una rendita sull’isola di Creta. Ove i duumviri e gli edili non avessero potuto bastare a tanto, i questori aveano cura di questi e di altri redditi del pubblico erario. $ VI. Giudici. 1. Quando per sue attribuzioni militari il pretore urbano di Roma era costretto ad allontanarsi dalla città, dieci ) Vedi Orelli. Aediles ecc. PENI° (5) N.° XXX. (6) N.° I. 5 (7) Nelle lapide romane, e nei decreti municipali, i questori vengono sempre enumerati dopo gli edili, SI commissari, cinque dell'ordine senatorio e cinque dell’e- questre la facevano da giudici nelle contese dei privati. Tal era pure della colonia d’Asti che, mancando per qual- sivoglia motivo i duumviri iuri dicundo, erano pure desi- gnati dieci sulle private quistioni. Questo caso si verificò in Asti, dove troviamo che Stritinio (1) era uno di questi decemviri, e probabilmente dell’ordine decurionale. 2. Sappiamo pure che nelle colonie erano parecchio le diecine 0 decurie ‘dei giudici. In sul principio erano tre, ma da Augusto si creò la quarta, e poscia da Claudio che fu il quarto degl'imperatori venne aggiunta la quinta ; sì che questi giudici erano cinquanta (2); e la dignità loro scemava in ragione inversa del numero loro. Ed è vero che la quinta decuria giudicava delle cose della menoma importanza, Nell’epigrafe mentovata (3) si nomina solo Stri- tinio come decemviro senz'altro, e punto non è accennaia la decuria a cui appartenesse. Ond’è che io vo pensando, e non so se alcun erudito sia con me d’accordo, che fosse. della prima; e che appunto. quei della prima, siccome più insigne, fossero per eccellenza chiamati decemviri (4) senza. più. Publio Virgilio Laurea e P. Virgilio Paulino furono entrambi giudici della quarta decuria (5). Al vedere come Caio Irpidio (6) è detto, se l’apografo non è guasto, prefetto, credetti alcun tempo che ogni decuria avesse; il suo presidente con questo nome; ma non ho trovato, al- cuna prova della mia opinione. CNN OT: (2) Visconti, di due antiche iscrizioni, pag. 400 (3) N.° IV. i (4) Decemviri stlitibus iudicandis. (iN I (6) N.° III. 8 VII Comizi. 1. Come si facessero i comizi elettorali per la creazione dei magistrati nei municipii e nelle colonie, dirò nel più breve modo possibile, perchè non sia la giunta più che la derrata. Ci gioveranno le tavole in bronzo, scritte, si vuole, tra 181 e 1’84 dell’èra volgare, scoperte a Malaga, illustrate da Teodoro Mommsen, dal Berlanga e dallo Swin- deren, monumento più esplicito e diffuso, di questa materia. 2. Premettiamo che alle elezioni nei comizi duumvirali, edilizii e questorii si preparavano tutti i ceti dei cittadini, i collegi, le corporazioni, gli uomini e le donne stesse. Così si trovarono scritti su pei muri scoperti nelle rovine di Pompei le seguenti indicazioni: Febo con tutti î suoî com- pratori vogliono duumviri M. Olconio Prisco e Caio Gavio Rufo: I pescatori di qui a due dì fanno Popidio Rufo edile: Verna co’ suoi scolari votano con ogni volontà duumwviro Capella che é un'eccellente persona: Licinio Romano domanda che si dia e dà il suo voto a €. Iulio Petilio: dopodimani di tutta volontà do il mio suffragio a Secondo; ne è degno: Fortunata brama che sia eletto Marcello (4). 3.Icandidati per le magistrature municipali erano di due sorti; volontarii o sforzati. Questi ultirmi venivano scelti a questo modo. Mancando i candidati volontari, la legge imponeva le candidature; e così il presidente dei comizi, (1) M. Holconium Priscum, C. Gavium Rufum II vir Phaebus cum emptoribus suis rogat. Popidium Rufum aedil. Pisciapi fu...... Capellam d. v. I. d. 0. v. f. Verna cum discent. O. Iulium Petilium aedil. Licinius Romanus rogat et facit. Propediem Secundum omni voluntate facio. Dignus est. Murcellum Fortunata cupit. Orell. 3700 e seg. 83 che era il primo duumviro, ed in sua mancanza il secondo, formava una lista di tanti eleggibili, quanti erano neces- sari; e quest’era la prima serie degli sforzati. Ciascuno di questi sforzati dal presidente, poteva volendolo, designare un altro candidato. Quindi nasceva una seconda serie di sforzati. Questi secondi sforzati potevano anch'essi designare un altro; edecco una terza serie di sforzati. L'elezione dovea raggirarsi per egual modo sopra gli sforzati e i volontari. 4. Per essere candidato al. duumvirato era necessario essere stato edile. Per essere candidato al duumvirato e all’edilità bisognava avere compiti gli anni 25, possedere 20 mila sesterzi (1) o avere 25 iugeri di terreno, non avere esercitato la carica da un quinquennio, avere insomma tutte le qualità necessarie per essere decurione. Queste ultime qualità non erano necessarie per essere questore. 5. Convocati i comizi per ordine del duumviro presidente, gli elettori venivano distribuiti per le loro curie, ciascuna delle quali doveva entrare nel proprio steccato. Se nella città fossero stati cittadini romani o latini d’altra città, i quali volessero prender parte alla votazione in virtù del diritto di incolato (2), si tirava a sorte in quale deile curie dovessero votare. 6. Sur un ponte temporario, di tavole, detto perciò il ponte dei suffragi, era collocata una cesta (3) alla cui custodia erano dal presidente destinati tre elettori che non fossero di quella curia, e ciascun candidato, volendolo, poteva mettere un guardiano di sua scelta. I custodi giu- ravano di fare le cose in buona fede. (I) Ventimila pezzi da 20 centesimi. (2) Zncolae; e si pigliavano anche per gli abitatori dei paghi sog- getti alla colonia. Orelli, 3705. {9) Cista. 84 7. Niuno doveva interrompere, o come che sia impedire i comizi, pena per ciascuna volta’ la multa di duemila sesterzi (1). Prima di cominciare la votazione il presidente comandava che tutti i candidali dessero buoni sigurtà del maneggio del bene pubblico; ed ove ciò non fosse paruto sufficiente, faceva ipotecare (2) i beni degli stessi sigurtà. 8. Allora il presidente, ad una sola chiamata (3) invitava le curie a votare. Il votante montava sul ponte, riceveva la sua tavoletta dai distributori (4) collocati all’una delle estremità del ponte, varcato il quale, sull’altra estremità lasciava cadere il voto nell’urna elettorale ed usciva dallo steccato. 9. Raccolti i voti e fattone Io spoglio dai distributori, il presidente traeva a sorte ciascuna curia, della quale tosto annunziava il numero dei voti in quella ottenuti dai sin- goli candidati; ed appena uno appariva eletto, il presi- dente gli faceva prestare il giuramento in presenza del pubblico (5). 10. A voti uguali gli ammogliati erano preferiti agli sca- poli. Tra i coniugati si antiponeva chi avesse figliuoli a chi ne fosse privo. Trà gli aventi figliuoli era prescelto chi ne avesse in maggior numero. Era riputato ‘vivo quel fizlio che fosse morto dopo aver ricevuto il prenome (6). À parità di voti e di circostanze decideva la sorte. (1) Dei sesterzi, vedi sopra. (2) Subsignare praedia. Tab. Malac. LX, (3) Uno vocatu. Tab. Malacitana. (4) Con vocabolo latino questi distributori si dicevano diribitores. (5) Priusquam fuclum creuumque renuntiet, ius iurandum adigite in contionem, palam, per Icvem ct divum Augustum et divum Claudium et divum Vespasianum et divum Titum ecc. Tabula Malacitana, cap. LV. (6) Ordinariamente il prenome s’imponeva al bambino dopo l'ottavo giorno della nascita. Sd 11. Nei comizi si faceva prima l'elezione dei duumviri, poi quella degli altri magistrati. 12. Di regola ordinaria entravano questi magistrati in carica alle calende (1) di gennaio. Vi duravano un anno. Se poi erano suffeti, cioè creati per surrogare alcuno che per morte od altro accidente fosse mancato, subentravano per quel tempo solamente che i surrogati avrebbero durato in carica. I duumviri non potevano più essere rieletti se non fosse passato un quinquennio dalla carica sostenuta. Potevano essere duumviri in più d’una città, avendo noi esempio di tale che il fu nell’Augusta dei Taurini ed in Eporedia (2). 8 VII. Culto religioso. 1. È scritto nelle storie moderne che in Asti era onorata di culto divino Giunone e Diana, affermandosi che la prima aveva un tempio dove al presente è la magnifica chiesa cattedrale che debb’essere del secolo XIII; e che alla seconda era consecrato l’antico edifizio che pur ora si ammira e serve di battisterio alla chiesa di s. Pietro. Ma soltanto in una lapida abbiamo memoria (3) che si adorava Giove Dolicheno, leggendovisi che un Lucio Fron- tinio Nigrino edificò un’ara a questo nume; in un’altra dedicata a Giove Ottimo Massimo di Lucio Accedio Cle- mente (4); in un’altra ancora a Giove O. M. di Licinio (1) Il 1.° di gennaio. (2) Vedi Marmora Taurinensia, (3) N.° XVIII. (4) N° XVI. 86 Agatione (1), e in un’altra finalmente a Nettuno, dedicata da L. Gessio Optato (?). Quindi dalle lapide riceve soltanto autorità l'affermazione di chi vuole che là dove ora è la chiesa di sant'Agnano fosse un tempio di Giove. Troviamo invece nominato il capo del collegio minervale (3) d’onde si può argomentare certamente del culto prestato a Mi- nerva. Capo ossia maestro minervale, fu P. Letillio Haro, liberto di Publio della tribù Pollia (4), come pure il fu C. Fulvio Filologo (5). 2. Gli Augustali, di cui sopra è detto, presiedendo ai sacri- ficii che si facevano ai lari augustali o della casa divina, come si diceva, vogliono essere considerati come parte dei ministri del culto religioso della colonia d’Asti. Questi sono rammentati nelle iscrizioni XXIV, XXV, XXVI. 3.Le anime degli uomini, secondo Platone, sono demoni ; se sono buone, da uomini diventano lari; se cattive si fanno larve o lemuri ; se è incerto se siano buone o mal- vagie le sono dette mani (6), dei quali è tutto pieno lo spazio che è tra il circolo lunare e il terreno (7). Ad ogni modo si credeva che i mani fossero le divinità dei morti, e si confondevano pure con le stesse anime dei morti. Quindi la solenne formola delle iscrizioni sepolcrali : D.M; D.M. S.; Diis o Dis Manibus Sacrum (8). (1) N° XVII. (2) N.° XVIII. (3) Magister minervalis. (4) N° XXII. (5) N° XXI. (6) S. Agostino, De civit. Dei, lib. II. (7) Festo. (8) Vedi Orelli, passim. Si stimava che gli Dei Mani presiedessero ai morti. NE . TANGITO 0 MORTALIS . REVERERE . MANES . DEOS. Spon., Miscellanea eruditac antiquitatis. pag. 23. 87 In Asti come in tutta la paganità romana vigeva il culto dei mani, e ne abbiamo esempio in quattro iscrizioni. Una di L. Tizio Vatiniano (1); una di Sinoride e Bacchio (2); una di Celiano e Saturnino Terentini (3) ed una di Ulpia Martina. Abbiamo inoltre quindici altre iscrizioni sepol- crali nelle quali non è espressa la formola solita. Da tre di queste (4) impariamo che altrettanti Astesi lasciarono la vita presso il Reno. 4. Dopo Augusto, invalso l’uso di fare l'apoteosi degl’im- peratori che più avessero benemeritato, s'introdusse anche una specie di onore divino ai principi onorati del nome di divo. Il nostro astense C. Irpidio Memore fu flamine per- petuo del divo Vespasiano (5). 8 IX. Milizia - graduati. 1. Le iscrizioni romane militari sono tenute in molto pregio perchè, oltre al conservare la memoria dei prodi che spesero la vita per la patria, accennano per lo più alla tribù, alla terra natale ed alla legione o coorte a cui i militi appartenevano, e contengono perciò buon dato di notizie che indarno si cercano altrove. Asti in proporzione conta un numero ragguardevole di graduati non che di semplici gregarii. Degli uni e degli altri faremo una rapida rassegna. 2. P. Virgilio Laurea, figlio di P. e nipote di P. doveva (1) N° XXV. (2) N° XX. (3) N.° XXVI. . (4) N° VII, IX, XI. (5) N° II 88 appartenere alla cavalleria degli scelti , e P. Virgilio Paolino, forse suo fratello, era cavaliere infra quelli cui il pubblico forniva il cavallo, e prefetto della coorte seconda dei veterani (1). 2. Inferiore di grado ai. precedenti, fu L. Pompeio, figliuolo di Marco, il quale alle sue dignità aggiungeva pure quella di tribuno dei militi, e al vedere come'egli non abbia cognome, si può argomentare che fosse anteriore ad Augusto. Il che pure si argomenta dall'essere egli stato eletto dal popolo, come attesta la lapida. I tribuni dapprima erano creati dai-re, poi dai consoli. Nell’anno di Roma 393 (2) una parte venne anche eletta dai suf- fragi del popolo. Nel 444 il popolo ne creava 12 (3). In seguito per decreto del Senato (4) metà dal popolo e metà dai consoli. I creati dai consoli vennero chiamati Rutili, o Rufoli da una Legge che su di ciò avea fatto Rutilio Rufo, se vero dice Asconio (5). Gli altri creati dal popolo, come il nostro Lucio Pompeio (6), si chiamavano Comi- ziati. Generalmente erano detti tribuni militum ad legiones (17). 3. Lucio Pompeio debbe avere vissuto gli ultimi suoi ‘ anni in patria, ove sostenne parecchi onorevoli uffizi;; È notabile che forse per ciò non è nominata la legione in cui fu tribuno. 4. Il contrario avvenne di C. Ivpidio Memore, il quale fu tribuno dei militi nella legione Terza Augusta (8). La (1) N.0 I. (RAT SUD VAL CiD (ld... Uib. IX. (4) Id., lib. XLIV, 21. Polibio, lib. VI. (5) In divinat., c. 10. (6) N.° II. i (7) Liv., lib. VII, 5. (8) N.° IIIL 89 legione pigliava qualità dal numero e da altro predicato. D’ ordinario nelle legioni combattevano solo i cittadini romani. La legione era divisa in dieci coorti, ognuna delle quali si divideva in cinquanta manipoli di 100 e poi di di 200 militi gregarii (1) con l'aggiunta di tre centurie di cavalieri; suddivise in turme di trenta uomini a cavallo, co’ suoi tre decurioni (2). Irpidio pertanto nella legione III Augusta era uno dei sei tribuni, grado che corrisponde a quello dei nostri colonnelli. Abbiamo ancora un Caio Stritinio Massimo che forse fu anch’egli tribuno militare. Ma la sua iscrizione (3) è così mal concia che non può accertarcene; e debb’essere corso errore per parte dello escrittore nella 3.8 linea, dove si chiama nientemeno che tribuno della plebe. Dal tribuno veniamo al. primipilo (4), e troveremo insignito di questa somma autorità militare Q. Carinate, figliuolo di Gaio, il primo cioè dei sessanta centurioni della legione, il quale, occorrendo, la guidava tutta quanta. Di centurioni non è alcuna epigrafe d’Asti. È bensì nominato un Marco Licinio Secondo, veterano ed Optione della legione decimaquarta Gemina (9) il quale era perciò sotto centurione, tale essendo l’ufficio di Optione (6). Di un altro veterano probabilmente della legione quarta Flavia, cioè di Caio Tillio Vitale, è pur menzione (7). (1) Legionari, o anche contubernali, senza grado. (2) Capi d'una decuria di cavalieri. )' NoIV, (4) Così detto perchè era centurione del primo pilo, cioè con- dottiero della prima centuria nell'ordine dei Pilani, ossia Triarii. Non solo presiedeva all’aquila, ma governava nella prima fila quattro centurie, cioè 400 uomini. Era quasi il capo di tutta la legione. IN. VI, (6) Da opto, scelgo, perchè era eletto dal tribuno per l'ordinario. (7) N.° VII. 90 gui Continua - Zegionarii. x 1. Maggiore è il numero dei militi gregarii , detti altri- menti legionari o manipolari. Primo ci si offre C. Cornelio figliuolo di Caio (1) d'Asti, il quale militò nella legione 14% Gemina (2) e perdè la vita sul Reno presso Magonza quando questa legione fu la prima volta con Druso, o un anno dopo che da Vitellio era stata mandata in Britannia. Ma è più credibile che morisse sotto Druso, perchè in allora questa legione non avea ancora gli altri due soprannomi di Marzia Vincitrice. Ond’è che la morte del nostro Cor- nelio succedette prima dell'824 di Roma. Si conferma questa congettura dall’osservare che è privo di cognome, segno, come abbiamo già detto, di antichità. Morì d’anni 40, ed avendone militato 23, avea cominciato gli stipendi nella prescritta età d’anni 17. Tre suoi servi, fatti liberi per testamento, gli fecero fare il monumento. 2. Nel medesimo tempo, o in quel turno visse pure Marco Cominio, natìo d’Asti, milite della legione 1*. Morì d’anni cinquanta, dopo averne militato quattordici. Anche esso trovò la tomba sul Reno, combattendo nella pre- detta legione, la quale, surnominata Minervia, era stata coscritta. da Domiziano (3) e mandata nella Germania inferiore, dove era stata, almeno alcun tempo prima delle guerre daciche, alla seconda delle quali intervenne sotto Quinto Acuzio Nerva, console nell’ 854; ed un anno ap- (1) Caio Cornelio era il primogenito, essendo regola che esso ripetesse il prenome del padre. (2) N.° VII (3) Imperò dall'81 al 96 dell'éra volgare. 91 presso sul Reno sotto Adriano. Fu sepolto a Bonne, dove l’erede gli fece fare una lapida che ne ricorda il nome, la tribù, la terra natale, l'età e gli anni di stipendio (1). 3. Meno antico di Cominio fu C. Valerio Terzio, pure della tribù Pollia e della città d'Asti, morto molto più giovane, siccome quegli che finì a 30 anni, dopo averne militato 10. Sepolto presso a Magonza, come ne fa testimo- nianza la sua lapida trovata in quei dintorni, gli fu fatto dal suo erede il monumento ove è notato che militava nella legione IV macedonica, la quale dall’imperatore Claudio fu fatta venire per difendere le stazioni che venivano abban- donate dalle legioni che fecero la spedizione di Britannia. Nell'anno di Roma 823 già da buon tempo era nella Ger- mania. Vi tornò forse nella spedizione che M. Antonino fece in Germania. Forse il nostro Astigiano militò a quei tempi. Il marmo si conserva nel museo di Magonza (2). 4. Marco Vezzio Astensiano, milite della coorte III pre- toria stanziata in Roma, sotto il consolato di Avito e Mas- simo, l’anno di Cristo 144, sotto il centurione Cattio ; e C. Giulio Cattio, militi della coorte IV pretoria, anche essa in Roma, sotto i consoli Torquato ed Attico, l’anno di Cristo 143, sotto il centurione Vero, furono entrambi d’Asti. Di questi due militi non abbiamo altra notizia; poichè solo il loro nome ci venne conservato in un later- colo che è nel museo Capitolino (3) in Roma. 5. Anche L. Flavio Supero fu dei pretoriani di Roma, e militava nella coorte VIII. Questi non morì milite; ma ricondottosi in patria, tolse in isposa Irtuleia Clemente, figlia di 0. Irtuleio, che lo fece padre di Flavia Modesta. (1) N.° IX. (AN XI. (3) N.° XI, XII. 92 Suo fratello Decio Flavio Frontone gli fece fare il monu- mento sepolcrale che fu scoperto presso la terra di Montà al nord di Vezza (I). 6. Non possiamo dare sufficienti notizie di un L. Tizio che pare facesse parte. di qualche legione. La lapida è male ‘andata (2). Però poniamo fine 1a questa rivista. $ XI. Arti. __ Nei municipii e nelle colonie sono spesso mentovati i collegi dei fabbri, senza determinarne la specie. E pare che queste corporazioni fossero per ovviare agl’incendi e spegnerli. Capo di questi era un prefetto (3). Asti avea sì fatto collegio (4). Alcuni per lo contrario credono che invece di FABR sia da leggere BRACT o BRAC, e intende- rebbero dei bractearii che sono da noi detti i battiloro (5), o dei bracarii, sotto la cui denominazione in alcune iscri- zioni veggiamo designati i sarti. | Un’iscrizione che a torto dal Maffei venne posta tra le sospette mentrechè soltanto mancava la parte inferiore del marmo (6), ci conserva la memoria d’un artefice della colonia d'Asti (7). E ciò non solamente ci viene indicato dal soprascritto della lapida, ma eziandio dal bassorilievo . (1) N.0 XIV. (2) N.° XV. (3) Praefectus Fabrum furono i due Virgilii, n.° 1. (4) N.° XXVII. (5) Indoratori. (6) Artis crilicae lapidoriae, preposta al 1.° tomo dei Supplementi al Muratori dal Donato. (7) N.° XXVIII. 93 nel quale, secondo il Vernazza (1), è effigiato un uomo sedente sur uno sgabello in atto di scardassare la lana. In faccia gli sta una femmina in piedi che o lo aiuta, o impara da lui. Tra le due figure si vede un banco sul quale posano i ferrucci del mestiere e gli arnesi della bottega. Un dotto nostro scrittore, come si ricava dal Vernazza (2), volle spiegare la terza linea di quell’iscrizione dicendo che T. Valerio Placido, così si chiamava il nostro artefice, fosse in Asti il ristoratore delle buone maniere e del servizio dei pettini per un più squisito intreccio dei drappi; e che la voce di pectinarius significhi l’arte di formare i pettini della tessitura. Più nobil titolo volle dargli un altro scrit- tore chiamandolo capo o protettore dell’arte di raffinare canapa e lino. Conchiuderemo toccando di Plinio che ci fa cono- scere che in Asti era un genere d’industria nella fabbrica delle stoviglie, e precipuamente dei vasi da bere, che do- vevano essere tenuti in grande pregio per tutta Italia, annoverandoli il naturalista tra i celebri di Sorrento e di Pollenzia (83). (1) Biografia lapidaria patria, ms. (2) Op. cit. (3) Oggidì Pollenzo. PARTE SECONDA ESCREIZIONI ROMANE. Luvaydyeta tà... x)dopara iva pa te anddatat, S. Giovanni, cap. VI, v. 12, VIVE Pil VIRGILIO” P'79PUITP'TTNI O POL: LAVREAE . AED . IT. VIR. I. D. PRAEF . FABR IVDICI . DE . III . DECVRIIS . EQVITI SELECTORVM . PVBLICIS . PRIVATISO PRAEF . DRVSI . CAESARIS . GERMANI . II . VIR . OVINO p"° VIRGILIO PIV TP N SIPOL" PA VIONO EQVO . PVBLICO . IVDICI . DE . IIII . DEC PRAEF . FABRVM . PRAEF . COHORTIS . II VETERANORVM . EXERCITVS 1. P(ublio) VirciLio P(ublii) F(ilio), P(ublii) N(epoti) (tribu) Por(lia) LaureAE, AED(ili), DpuuMvIRO I(uri) D(icundo) , PRAEF(€C(0) FABR(UM) IUDICI DE QUATUOR DECURIIS, EQUITI SELECTORUM PUBLICIS PRIVATISO(we) PRAEF(ec/0) DRUSI CAESARIS GerMmaNI(ci), puuMvIR(0) Quine(uennali) ; Publio) VIRGILIO, 9 P(ublii) r(ilio), P(ublii) n(epoti), Por(lia), PAULINO, EQUO PUBLICO, IUDICI DE QUATUOR DEC(UTiS); PRAEF(ect0) FABRUM, PRAEF(eC/0) COHORTIS SECUNDAE VETERANORUM EXERCITUS. 2. A Publio Virgilio Laurea, figlio di Publio, nipote di Publio, della tribù Pollia, edile, duumviro per dire il diritto, prefetto dei fabbri, giudice delle quattro decurie, cavaliere degli scelti per le cose pubbliche e private, prefetto di Druso (Nerone) Cesare Germanico (1), duum- viro quinquennale ed a Publio Virgilio Paulino, figliuol di Publio, nipote di Publio della Pollia, regalato del cavallo pubblico, giudice delle quattro decurie, prefetto dei fabbri, prefetto della coorte seconda dei veterani dell’esercito. 3. Per la tribù Pollia, gli edili, i duumviri, il prefetto dei fabbri, giudici della 4.2 decuria, prefetto di Druso, quinquennali; cavallo pubblico, vedi part. I, $ III; V, 2 e 4; IX, 1; V, 6; V, 4; V, 3; IX, 2. Rispetto al prefetto della coorte 2.8 dei veterani dell’esercito non ho nulla da dire. 4. Guichenon, Histoîre de la Maison de Savoie, vol. I, p. 52. Da lui Muratori Thes. novus inscript., pag. DOGLX , 1, osser- vando che ne ebbe un apografo di Giuseppe Secondo Carretta d’Asti, il quale ebbe la lapida sotto gli occhi e disse che nella terza linea è scritto III, e non III come il Guichenon (2); che sulla lapida è Vergilio e non Virgilio; / che invece di privatisque della 4. linea era scolpito IVD. Orelli, 3877, dal Muratori. (1) Germani Guich., Germanci Murat. meglio. (2) Il Guichenon non ha HI, ma III. 96 Ii. L . POMPEIO . M_. F_. POL PATRI . AID . IIVIR . IIVIR QVINO . TR.. MIL . A.. POPVL HERENNIAE.. L . L.. MATRI SEPTVMIAE . C . F.. AVIAE AV. HOSTILIVS.. L . F.. POL POMPEIVS . MACER 1. L(ucio) Pompero M(arcî) r(ilio), PoL(lia), PATRI; AED(ili), DUUMVIRO, DUUMVIRO QuINQ(vennali) , TR(ibuno) MIL(itum) A PoPuL(0), HerENNIAE L(uci) L(iberiae) MATRI, SEPTUMIAE C(ati) r(iliae) AviAE, Au(lus) mostILIUs L(ucîi) F(ilius), Por(lia) Pompeius MaceERr. 2. A Lucio Pompeio, di Marco, della tribù Pollia (1), suo padre, edile (?), duumviro (3), duumviro quinquen- nale (4), tribuno militare creato dal popolo (5); ad Erennia liberta di Lucio (6), sua madre, a Settimia, figlia di Caio (7), avola Aulo Ostilio, di Lucio, della Pollia, Pompeio Macro. 3. Guichenon, 0p. cit., p. 50, molto guasta. Muratori, op. c., MCCCXLIV, 3, dal Guichenon. Serafino Grassi, Storia d'Asti, p..45, senza citare alcuno la dà come qui si registra; ma stampa HERENNIA. (1) Vedi parte prima, $ III. (2) Ib., SV, 4. (3)Ib., eV (4), Eb VASI, 4. (5) ID DOS: 6) Ib., Lucio Erennio che la manomise. (7) Septimio, della gente Septimia. 97 ni. G . HIRPIDIO C . F. MEMORI PRAEE:IVa. Di. EX Vi DE ERO SOM n EG: 1 IM AVE PRAEF .1.D . IMPER. NERVAE TRAIANI . CAES . AVG . GERM . DAG FLAM . PERPET .... ASIANI . DIVI . NERVAE 3, TRATANI, ..(b9;; Loch 1. C(aio) Hrrpipio , C(aî) r(ilio), MeMOoRI, PRAEF(ecto), IU(ri) D(icundo) EX QUINTA DEC(uria) (vel er quinque de- curtis), TR((buno), MIL(itum) LEG(ionis) TERTIAE AuG(ustae) PRAEF(ecto) I(urî) D(îcundo) ImpeR(atoris) NeRvAE TRAIANI, CaES(aris) Auc(usti), GerM(anici), Dac(ici), FLAW(ini) PERPET(UO) (Vesp)asriani, Divi NERVAE (filio) (Divî) TRAIANI (nepoti). 2. A Caio Irpidio Memore, figliuolo di Caio (1), prefetto per pronunziare sentenze (2), (giudice) della quinta de- curia (3), tribuno dei militi della legione III Augusta (4), prefetto faciente funzione di duumviro (5) dell’impera- tore Nerva Traiano Cesare Augusto Germanico Dacico (6), flamine perpetuo (7) di Vespasiano figlio del Divo Nerva, mipote del Divo Traiano. * (1) Vedi parte prima, ? X, 1, in nota. (2) Prefetto iuridicundo è lo stesso uffizio di duumviro, esercitato per un altro titolare. (3) V. 6 VI, 2. (4) V. 6 IX 4. (5) V.6SV, 2. (6) Per questi titoli vedi le Storie romane. . (7) $ X, 4. 98 : 3. Guichenon, 1. c. Muratori, DCCVII, i. I supplementi sono da me proposti. - IV. GC. STRITINIO ..M ‘ PF... MAXIMO X . VIR. STLITIBVS . IVDICAN D.;. TR ,PLEB:. PRESSER 30 AE . ARIMILLAE...... 1. G(aîo) StRITINIO, M(arcî) r(ilio) MaxiMo DECEMVIR(0) STLI- TIBUS IUDICAN(dis) etc. 2. A Caio Stritinio Massimo, figliuolo di Marco, decem- . viro per giudicare le liti (1) ecc. 3. Guichenon, pag. 51, d’onde il Muratoti, DOCXLVIII, 1, con qualche variazione nelle due ultime linee. Ma siccome il Doni avea fatto una sola epigrafe con quest’iscri- zione, con quella del nostro numero XXIX, e quella del numero XXXII, così il Muratori la stampava tale quale a pag. DXIX, 3. Il Doni ha Stertînio. Y. Q . CARINAS . C . F POL . PRIMIPILI AED . IH. VIR 1. Q(uintus) Carinas C(ati) r(ilius), PoL(lia), PRIMIPILI (cen- turio) AED(ilis) DUUMVIR: (1) Quest’ iscrizione, pregevole perchè ci dà un decemviro per le liti (stlitibus iudicandis), è male andata nelle due ultime linee; d’onde pare si parlasse di un tribuno della plebe !! Dei XY viri per le liti vedi parte I, $ VI, 6. Invece di Arimilla bisognerebbe leggere PRIMILLA secondo me. 99 2. Quinto Carinate, figliuolo di Caio, della tribù Pollia, centurione del primo pilo, edile, duumviro. 3. Guichenon, op. cit., pag. 51; Terraneo ms. citato. Della tribù Pollia vedi $ III. Del primipilo, o centurione del primo pilo vedi $ VIII. Dell’edile e del duumviro , ML, 2. VI. DAS VLPIAE . MARTINAE CONIVGI AMANTISSIMAE QVAE , VIXIT ANNOS XXVII . M . VII M . LICINIVS . SECVNDVS VET . EX . OPT LEG . XIII 6 SABINILLA . ET . VIATORIANVS MATRI . DESIDERATISSIMAE 1. D{vis), M(anibus) ULPIAE MARTINAE CONIUGI AMANTISSIMAE, QUAE VIXIT ANNOS SEPTEM ET VIGINTI, M(enses) serreM M(arcus) Licinius SECUNDUS vET(eranus) , EX OPT(70ne) LEG(i0NiS) DE- CIMAEQUARTAE GEMINAE SABINILLA ET VIATORIANUS MATRI DESIDERATISSIMAE. 2. Agli Dei Mani. Ad Ulpia Martina, moglie amantissima, che visse anni 27, mesi sette, Marco Licinio Secondo, veterano già optione (1) della legione 14 gemina (2) Sabinilla e Viatoriano (fecero) alla madre desideratissima. (1) Vedi SIX, 6. (2) 6 IX, 7. 100 3. Guichenon , op. cit., p. 50. D’onde il Muratori, p. DCOCCLXXI, 3, ed il Terraneo, op. cit. Ma il Guichenon ha viatoribus nella penultima linea e desiderantissimae nel: l’ultima. VII. C.TILLIVS.M.F POL . VITAL AST . VETERA ..VS . MILITAVIT SRO NLII .. ARIVSTR BVNII . AN . LAVI ANN . XXI . MEN . VI 1. C(aius) TrLius M(arci) r(ilius) PoL(lia) ViTAL(is), AST(4} VETERA(N)US MILITAVIT IN (leg. INI)I ANN(08) DUO SUPRA VIGINTI, Be(neficiarius) I(n) L(egione 1 A(d)IUTR(ici) ...... 2. Caio Tillio Vitale , figliuolo di Marco, della tribù Pollia, di Asti, veterano, militò nella (legione quarta) anni 22, beneficiario (1) {nella legione n adiutrice ....). 3. Iscrizione maleandata dalla quinta linea in giù. Gui- chenon, pag.514; Spon. miscellanea antig.,sect.V, pag. 158, 4. VIII. C . CORNELIVS C.F. POL. AS. MIL LEG . XV. GEM. AN XL. STIP. XXIII .H.S.E LIBERTI . TRES . EX Tossb: Gi (1) Vedi S$ IX, 6. 101 1. G(aîus) CorneLIUS Cl(adî) F(ilius) PoL(lia) As(ta) MILIes) LEG(i0NÎS) DECIMAEQUARTAE GEM(iN40) AN(M0PUM) QUADRAGINTA, STIP(endiorum) TRES SUPRA VIGINTI H(ic) s(7s) £(84). LIBERTI TRES Ex Tlestamento) r(aciendum) c(uraveruni). 2. Caio Cornelio, figlinolo di Caio (1), della tribù Pollia, di Asta (2), milite della legione decimaquarta gemina (3) di anni quaranta, di stipendi 23, qui è stato sepolto (4). Tre liberti per testamento fecero fare (5). 3. Grutero , n.° 538, 1; Steiner, n.° 359; Brambach, Corpus inscription. Rhenanarum, n.° 986.. EX. M . COMINIVS L.F. POL. ASTA MILES . LEG . I MATVS . AN. L. MIL AN-.xm ©. H.S UE i RE CÈ erp ag ci PP 1. M(arcus) Cominius L(ucî?) rlilius) PoL(lia) AsTA, MILES LEG(70MÎS) PRIMAE, NATUS AN(M08) QUINQUAGINTA, MIL(itavi?) AN(nos) quaTUORDECIM. H(ic) s(1#5) E(s1). Hl(eres) Ex T(estamento) F(ieri) c(uravil). 2. Marco Cominio, figliuole di Lucio, della tribù Pollia, 1) Vedi p. prima, $ X, nota 1.a. 2) Asta, senza aspirazione. 3) $ VIII, 7. ) Presso Magonza, dove fu trovata la lapida. ( ( ( (4 (5) Pare antecedente all'anno 797 di Roma. 102 d’Asta (1), milite della legione prima (2), d’anni cinquanta, militò i4 anni (3). Qui fu sepolto (4). 3. Brambach, op. cit. x. M . COMINIO M .F. SECVNDO CAM . COMELLO AN . LXXXV ET . TERENTIAE . PR. F CLARAE PARENTIBVS . FILI . S PRIMVSE RISCSMS*SRE . € ET . M.. GOMINIO . M . F_. CELERI ET .0Q. COMINIO .M. F FRATRIBVS DISCITE CRESCENTES PIETATE REDERE VESTRIS 1. M(arco) Cominio M(arci) r(ilio) Secunpo Cam(ilia) COMELLO AN(NOrum) OCTOGINTA QUINQUE, ET TERENTIAE Pr(imi) r(iliae) CLARAE PARENTIBUS FILI(î) s(uî) Primus ET M(arcus) ET C(aius) et M(arco) Cominio M(arci) r(ilio) ceLERI ET Q(uinto) CominIo M(arci) F(ilio) FRATRIBUS. DISCITE CRESCENTES PIETATE(M) RED(d)ERE VESTRIS. 2.A Marco Cominio Secondo Comello, figliuolo di Marco, della tribù Camilia, d’anni 85, ed a Terenzia Clara, figliuola (1) Asta, senza l’aspirazione. Ved. parte prima, $ II. (2) Vedi $ X, 2. (3) Cominciò dunque gli stipendi a 36 anni invece di 17. (4) Fu sepolto a Bonne dove si trovò la lapida. 103 di Primo, suoi genitori, i figli Primo e Marco e Caio; e a Marco Cominio Celere, e a Quinto Cominio, figliuolo di Marco fratelli. Imparate o adolescenti a rendere ai vostri congiunti questo pietoso uffizio. Ecco qui Marco Cominio Secondo , soprannominato Comello , della tribù Camilia, vissuto 85 anni, e Terenzia Clara, figliuola di (Terenzio) Primo, genitori di cinque figtiuoli ; 1.2 Primo Cominio; 2.° Marco Cominio; 3.° Caio Cominio; 4.° Marco Cominio Celere; 5.° Quinto Cominio. Morti i genitori, morirono pure i due fratelli Marco Cominio Celere e Quinto Cominio. I superstiti fecero il monumento ai genitori e fratelli morti. 3. Orelli, n.° 5058, dal Labus. Trovata a S. Marzano presso Canelli, l’abbiamo pure registrata tra quelle dei Vagienni, per la tribù Camilia. Notisi che qui è collocata la tribù tra il cognome ed il soprannome, e che in alcune terre dell’Astigiano fosse pure la tribù Camilia. XI. C . VALERIVS L.F.POL.TE RTIVS . HAS TA . MIL. LEG mi . MAG. AN NES) I BEER i. C(aius) VaLeRrIUs L(ucd) r(ilius) PoL(lia) TERTIUS Hasta, MIL(@5) LEG(i0nis) QUARTAE MAC(edonicae) AN(norum) TRIGINTA, sTI(pendiorum) pece. H(ic) s(itus) E(s1) H(eres) r(aciundum) c(uravit). 104 2. Caio Valerio Terzio (1), figliuolo di Lucio, della tribù Pollia da Asta (2), milite della legione quarta ma-. cedonica (3), d’anni trenta, di stipendii dieci. Qui è se- polto (4), l'erede fece fare. 3. Brambach, op. cit., 1166. MII. M . VETTIVS . HASTENSIANVS . HASTA 1. Questo Marco Vezzio Astensiano, d’Asta (5), era mi- lite della coorte terza pretoria, in Roma, sotto il Conso- lato di Publio Lolliano Avito, e di Gaio Gavio, o Claudio Massimo, nel settimo anno dell’imperio di Antonino Pio, 144 di Cristo. Era suo centurione un Cattio. 2. Marini. Atti dei fratelli Arvali. Roma, 1795, parte 1.8, p. 326. Kellermann Vigili, n.° 4104, col. III, v. 17. Se- rafino Grassi, storia d'Asti, p. 243; ma non ne cita la fonte, come pure della seguente. XE. C. IVLIVS . CATTIVS . HASTA Anche Caio Iulio Caitio era astigiano, e milite in Roma della coorte quarta pretoria, sotto il centurione Vero, (1) Nota che questo Valerio ha il cognome (Terzio ). (2) Osservisi come in latino ci sia l'aspirazione in Hasta. (3) Ved. $ X, 3. (4) Presso a Magonza, vedi $ X, 3. (5) Anche qui è notabile l’aspirazione, e chiaramente risulta che così sì scriveva sotto gli Antonini. 105 l’anno di Cristo 143, nel sesto anno dell'imperio di An- tonino Pio, consoli Caio Bellicio Torquato e Tiberio Claudio Attico Erode. Marini, 1. c. Kellermann, Il. c. XMEV. D. FLAVIO . LIB FAVENTINA SIBI . ET O. CALgSIO . MIRI TE, (1) Questo padre e i due figlivoli tolsero il prenome di Caio in ossequio al loro patrono che li manomise. 121 1. Viria C(aiae) LIB(erta) FAVENTINA sIBI ET CAIO CALSIO MIRI T(itulum) r(ierî) 1(ussit). 2. Viria faventina, liberta di Caia (qualsivoglia donna di casa Viria (1)), ordinò che si facesse quest’epigrafe a sè ed a Caio Calsio (suo marito). 8. Guichenon , pag. 52; Terraneo, l. c., vuole che si legga Calvisio nella quarta linea. Non lo credo necessario; l’arzigogolo 9g pare un solo capriccio del quadratario per comporre a simmetria il mal cominciato verso; vuol leg- gere mari invece di miri. Tal sia, ed allora sta la nostra interpretazione. AL. Bibi ate i: Lo PRE TE AES FETI SR BISM* * VIBIART. LUN VXORI MONVMENTVM PRO . RE . MAGNVM PRO . PIETATE . PARVVM bito Me CIN ERP. ex Bi AGRO Pe XXIII REA). ic L .... Dis M(anibus) Viriae L(ucò?) N(epoti) UXORI MONUMENTUM PRO RE MAGNUM, PRO PIETATE PaRvUM. L(ocus) m(onumenti) in FR(onte) P(edes) DUODECIM IN AGRO P(edes) VIGINTI TRES. R2) Pesi 8 142) Il.... L. Agli Dei Mani di Vilia, nipote di Lucio, moglie. Monumento secondo le sostanze grande, (1) La gente Viria ha ancora altre lapide in Piemonte. Vedi I Vagienni, studii ed iscrizioni per G. F. Muratori, ms. 122 secondo l’affetto piccolo. Il luogo del monumento in fronte (cioè in lunghezza) passi dodici, nell’agro (in larghezza) passi ventiquattro. 8. Le due prime linee pare che accennino che il mo- numento è fatto per l’autore del medesimo, e sembra ancora che l’iscrizione manchi affatto nella parte supe- riore dove si era scolpito il nome dello stesso autore , marito di Vilia. Della gente Villia o Vilia abbiamo pure una lapide di Dogliani. 4. Guichenon, pag. 52. Spon, Miscell. erud. antiq., sez. v, pag. 159. Terraneo, l. c., il quale malamente interpreta la sigla L, prima della penultima linea, per lalitudo. ALI. CARRINAS A .L. HILARA SIBI . ET CARRINATTAE . 9. L NIMPHIDI AN.. XVII INT Re AL INA. 1. CarRINAS A(ulì) L(iberta) HILARA SIBI ET CARRINATTAE C(aiae) L(iberta) NimPHIDI, AN(nOorum) SEPTEMDECIM. IN FRONTE PEDES DUODECIM, IN AGRO PEDES UNDECIM. 2. Carrina Ilara, liberta di Aulo, per sè e per Carri- natta Ninfide, liberta di Gaia, d'anni 17. In fronte (lun- ghezza) piedi 12, nell’agro (larghezza) piedi 11. 3. Da una scheda dell’Abb. Gazzera, ove è scritto che l’iscrizione fu trovata in Asti, fuor di Porta Alessandria. XILEIL. PLOTIAE .M _. F PRIMAE , AN NORVM . NATA XII . NVPTA FVIT . DIES . G M.. PLOTIVS .C . F PATER . EGNATIA M.F. MATER POSVERVNT 1. PLotia£ M(arcî) r(iliae) PRIMAE, AN(norum) NATA TRE- DECIM, NUPTA FUIT DIES CENTUM. M(arcus) PLorIus, C(aòi) r(ilius) PATER, EGnATIA, M(arci) F(ilia) MATER POSUERUNT. 2. A Plozia Prima, figliuola di Marco. Di anni tredici fu maritata cento giorni. Marco Plozio, figliolo di Caio, padre, Egnazia, figlinola di Marco, madre posero. 3. Non è gran tempo che da Canelli mi fu inviata quest'iscri- zione. Così scriveva Gian Felice Demaria, parroco di Neyve, al Barone Giuseppe Vernazza nel 1780. Scheda dell’Abb. Gazzera, conservata nella Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di Torino. ALA. Date DOMELTAN 55 Nan CALI TA org è T.. PONI . IVSSIT SIBI . ET LVG. . FIL RESERO DOMITIAN... SALUTA T(iftul/um) PONI IUSSIT SIBI PT Luc(io) FIL(i0). carati Domizian.....saluta..... ordinò che si ponesse l'iscrizione a sè ed a Lucio figliuolo. 3. Grassi, Storia d'Astî, p. 45 e non dice altro. MILEWV, L. VALERIVS L .F . MAXIMVS C. VALERIVS L.F FRATRES . II L(ucius) VaLeRIUS L(ucii) r(ilius) Maxrmus; C(aivs) VALERIUS L(uci) r(ilius) FRATRES DUO. 2. I due fratelli Lucio Valerio Massimo, figliuolo di Lucio, Caio Valerio, figliuolo di Lucio. 3. Grassi, Storia d'Asti, p. 44. ll AILV. INVIDA FLORENTEM RAPUERUNT FATA IUVENTAM NEC LIGUIT MISERO ME SUPER: ESSE VIRO FLEVIT ET ABSENTEM PATER ET FLEVERE SORORES ET MATER TEPIDO CONDIDIT OSSA ROGO. QUAE PRIUS HOC TITULO DEBUIT IPSA LEGI. 1. Nel più bel fior degli anni - Mi tolse destin rio Nè più vedermi, misero - Potè il marito mio. Mi pianse di lontano il genitore Mi piansero le suore E l'ossa sopra îl rogo riponea La madre che pria qui giacer dovea. 125 2. Fabretti, cap. III, n.° 246, senz’altra indicazione. Doni, clas. X, n.° 10, la dà come cosa d’Asti, ed afferma che fu trovata in un ms. antico. Muratori, MCCXXIV, 2, la dice: astensì in urbe. In tutti ci sono varianti. Mi pare fabbricata su quella di Torino, marmora taurinensia, tom. 2, p. 148. ALVE. TITVLEIAE . AP LIB . FLORAE . MAT Q..Q . TITVLET. FILII . II APTVS . ET . ATTICVS WF ED. Ab 46 INGUOE «Bai VE elNi. Apo 1. TiruLeraE AP(pit) LIB(ertae) FLORAE MAT(ri), Q(uintus) TiruLe:(us) Aprus ET Q(wintus) TrruLE1(us) ATTICUS, FILI DUO V(ivi) F(ecerunt) ET L(ocus) E(st) IN F(ronte) P(edes) sePTEM, IN A(gro) UNUM. 2. Quinto Tituleio Apto, Quinto Tituleio Attico, due figli, viventi posero (questa lapida) alla madre Tituleia Flora, liberta di Appio, e il luogo del monumento è di fronte (in lungo) piedi 7 nell’agro (largo) uno. 3. Grassi, Storia d'Asti, pag. 45. È notabile che manchi la sigla P (pedes) tra le sigle penultima ed ultima. Ad ogni modo si può credere omissione del copista. XILWEI. LIVINEIVS . REGVLVS Guichenon, p. 50. Terraneo ms, citato. ISCRIZIONI APOGRIFE Isti qui valet exarationi Districtum bonus applicare theta. C. Sollii Sidonii Apollinaris, Panegyr., vers. 2195. AVVERTENZA. Samuele Guichenon (1), Guido Antonio Malabaila, conte di Canale (2), Filippo Malabaila (3), Iacopo Spon (4), L. Ant. Muratori (5), Ardesco Molina (6), Serafino Grassi (7), l’Ughelli (8) ed il Pasini (9) stamparono come romane parecchie iscrizioni, le quali forse non vanno più in là del secolo XVI. Le ristampiamo qui, dichiarandole apo- crife, perchè in certo modo entrano nel dominio della storia che ha diritto di condannarle, dopo averle conve- nute in giudizio, e perchè sieno oramai conosciute e sceverate dalle genuine. Non citeremo partitamente i fonti d’onde le abbiamo attinte, bastando le mentovate citazioni generiche. Rispetto alla terza è da vedere quello che molto acutamente dice il Prof. C. Promis nelle sue Memorie della città di Luni. Mem. Accad. delle scienze, vol. I, serie 2, p. 206. (1) Hist. de la Maison de Savoie, vol. I, pag. 49. (2) Compendio della Storia d'Asti, cap. 1 e 2. (3) Clypeus civitatis astensis. (4) Miscellanea erudit. antiquit. (5) N. Thesaur. inscript. (6) Storia d'Asti. (7) Storia d'Asti. (8) Ital. sac., vol. IV. (9) Memoriale Raimundi Turchi ecc. 4. Cn. Pomp. MXXII Regio Sobact Astam a Gomer cond. a Gall. Deirot Restau pob Laetpo: pi. 2. Dusnasio Tanarcorum praetori Viro Integerr. ob pacem Inter Ligures Et tuscos De finibus contendentes Compositam . Terminis ad Macram positis Ligur . Resp . Memoriae Ergo p . 3. Aclenae Aelianae mulieri pulchritudine (1) Formae Veneri et prudentiae et aliis Virtutibus Palladi comparandae Ob civitatem a Bello Vesi furore et direptione servatam Astenses cives optimae civi p . p . A. Legr Gallo viro fortitudine et animi Et corporis Insigni ob egregia facta Civitate Donato, vita functo civitas astensis et nati p . p. ò. C. Iul Caes. c . f . De Gallis et all Obrogibus triumphatori Astenses Benefactori pio Invicto, Divo Asten Laetitiae et grati animi Ergo IF IO SPO >. (1) Quel intérét peuvent avoir eu les auteurs d’une ....... in- scription trouvée en Asti, où il est fait mention de Bellovèse, et dans laquelle on donne un nom purement romain à une femme ligurienne, qui n’aurait pu avoir qu'un nom ligurien ou gaulois , si effectivement elle avait vécu du temps de Bellovèse? Bimard de la Bastie presso Muratori, N. T., vol. I, p. 161, col. 2. 128 6. 40. 14. C . Iul Caes . Domitor . Galliarum Diclatori perpetuo, triumphatori S.p.0Q ast . Laetitiae ergo et Honoris Dit Paolo DARA. P. Urvinus c\. f‘. Tavrin Aedilis et ponti super Flumin . Tanaro strato Ac Iul Caes apud Astam Praef . sibì et Pomeliae Urori et Aurelio Urvino fil . DEDE api or e M. Gardinio M . f . ob civitat . In° summa annonae Inopia pro Pro aere sublevatum astens Civitas optimo civi p.D.p.p. Octaviani Augusti munere Asta civitas Ob egregie adversus Germanos navatam operam Immunes per X annos esto M.-GLoll.--.erscopo. de Rox decreto, Aeterno Principi octav aug . Asla civitas Propensi animi ergo L.D.D.D. Titus Annius Agnanus L. Aemilius Agnanus natus Romae Astae edocatus Memor exiremi fati Sibi et Silviae urori Kar po. vivens EIMESD ‘pp. Qui Hic quiescere volet ita Iuste Vival ut nobis aequari possit . una AT PS 129 Olim habuit nomen populus de nomine Tani Tanus enim primus terram hanc cultoribus aurit Dicitur Hasta modo . Nam cum sibi cesserit hasta Pallantis : migrique ferax Pollentia villi Novum adepta nomen est urbs . sic nomine Tani Tanarus ipse solus gaudet nunc nomine prisco Cumque hasta perdit primum Pollentia robur a een Lun {99 mr 130 INDICE DELLE FAMIGLIE, OSSIA GENTI, COI PRENOMI E COGNOMI ImAcciedius: Clemens e et ERRE, O. . ISCRIZIONE Spanus Abs pen ORO i. - elfei » CaAlbius Spifilinssgleros Dai Reno. . | cero » A gipailla ,, 0: piuttosto; Primilla".. 3. .ru......105.. » Bacchiuss. ste n IO. tin » Fitomaio i ei e o TREO, , 7 MSI » G.xiCalsius (altri legge Calvisius)...... 102020... coito » CR CAMngss ARR Vale ns oe e O... » PoriGaminins, (pater) a ai i can » PRES iI cora » Bg SINTRRE IL0 RNORDE Spie MEC » TO PIO RESERO E I ORTO » CATONISTEIITAR TRN o è - RA » CargnattaNiyhis ici, nai. La » Cina ati Dar E n anne » Ginzaippiaio co et e inno TRAE » Melo RIMus ts, E Ra I AL » rafbomiales!: pier) O io nt ‘ » i agili MR 0 RPS LIRICO » Pompewms Macer...+3-3sc ia ile pai è » SESTRI » PIOMA:BrIMAa: ii Ra a OO » Mi FIOGUS= Pale)... -- 200200 Eine + e SRO » Polfenvia Sabina! ae ira Lo ore LUI » SIDIIMAI: LIO O nta + 1. TRE » Salvia a. VELO see sep Ate ana. TRA » SINOFI AES TA, 200 ie a rt a si enti ah » @* Stritinius.Maximusri i. NOna PIU... ia: » eni. Rete in no + - TE » Terentia Clara: elia sé è + REFERENCE » @f"Terentinius, Trophimus ......31<4-<0200... J0ARDISI » Ferentimms Celanust tie ani ata e è RIPETI » "Herentinius /Saturninus,.d.s2:aeiiae RRIE » RIESI no. arte » feriali pater). scri lea LISI » L. Titius Solvatinianus, o Pol. Vatinianus ........... sub itahasFlorao- toa no RE «Ri GgFituleius AIICUS, , Lorient III » @uritaicius Aplus)! 21 ie IR MIT. ire Manna, cia e PEAS 5 ERRE » Aeris. Aree elit LAI » L. Valerius Maximus ..... Lor ii. anali » figvalerias (PAlEr) sitema » Ewwalerius Plactidus: «cooler E EALE lite RR » Giavesidus arto te RR on Dei ce SPIRE » MRVESIdius si ea LI lic tiassnsoo PAIR » Manius: Vesidius: (pater). i. iializatz;e;e è e QUI » Vesidia Rufa SII ASI SIN NI a » Wesidia-Tertia ;. Si n NI La. 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Virgilio Laurea, F. di Publio, nipote di Publio ..... » I Duumviro quinquennale. imm pelo FF. di Mango ...--.........:. se rrerebit ee » II Edili ne nate edi ae sto III » V de i ee SRO CRE PESI AI » XXXI igeeniprioti di Maree e TA. » IU MERA ORA PECORE E TAIRO | 110; trent XXX Pi-'Virgilio Laurea suddetto ......,- aliguatzg 0is) dis » I Giudici. C. Irpidio Memore, giudice della 4.2 decuria ......... » HI C. Stritinio Massimo, decemviro per le liti ........... » IV P. Virgilio Laurea, giudice della 4.2 decuria .......... » I P. Virgilio Paolino, giudice della 4.2 decuria .......... » ib. x Seviri augustali. emAiDIO Ligure 0390. DU 3Iyyn) ID In 0rBiartato, » XXV Brenunio' successore". 119337, MON WVARIII LENIPR.I » XXIV Q. Terentinio Trofimo ...... DIDO MRI ORA. Ia PINIOA XXVI 13% Procuratore alla vendita dei beni pubblici d'Africa. L. Caninio Valente, f. di Publio ............. ISCRIZIONE — XXVIÎ Divinità. nai e adore Evan. » XVI. XVII. XVIII Nettuno zzz ue a IT ii » XIX Maestro minervale. P. Letfilse Maro, t- de PUDIO sone... So » KXII Fabbri. Cellepio: dei fabbri i... enrinionnia dr ,» XXIX T. Valerio Placido, fabbr. di pettini ..............«» -.v XXVIII P. Virgilio Paolino, prefetto dei fabbri ............... ‘» I P.' Virgilio Laurea ‘03 N O, TRANS IRA » ib. Milizia. O. Carinate di Caio primipilo ............... è (Sneine] » v M. Cominio di Lucio, milite della legione I .......... » IX €. Cornelio di Caio, milite della legione XIV Gemina . » VuI L. Flavio Supero, milite della coorte VIII pretoria..... » XIX C. Irpidio Memore, tribuno dei militi della legione HI » HI C. Iulio Cattio, mil. della coorte IV pretoria .......... » XIIE M. Licinio Secondo veterano, optione della leg. XIV gem. » VI L. Pompeio di Marco, tribuno dei militi ............ dr Il C. Stritinio Massimo, tribuno dei militi ............... » 1V C. Tillio Vitale, veterano (beneficiario?) ............. » VII L. Tizio Solvatiniano nea fegione NV ............... » xv C. Valerio Terzio, mil. della leg. IV macedonica ...... » XI M. Vezzio Astensiano, milite della coorte III pretoria .. » XII P. Virgilio Laurea, cavaliere degli scelti ........ 3338978 ] P. Virgilio Paolino, prefetto della coorte Il dei veterani,» LI INDICE ANALITICO Imtroduzione. Proposta. Asti colonia romana. Tribù Pollia. Ordini dei cittadini. Magistrati. Giudici. Comizi. Culto religioso. Milizia — Graduati. Milizia — Legionari. Arti. Iscrizioni. Iscrizioni apocrife. Indice delle famiglie, dei prenomi e cognomi. dei duumviri. del quinquennale. degli edili. dei giudici. dei seviri augustali. del procuratore d’Africa. delle divinità. dei fabbri. della milizia. (ATEI Il Socio Comm. Ricorti legge uno squarcio del vol. V della sua Storia della Monarchia piemontese, il qual volume, insieme col VI dev'essere, presto pubblicato. In queste brano, dopo aver ritratti la Reggente Cristina di Francia, che tenne il governo dello Stato dal 1637 al 1663, ed i personaggi principali della sua Corte, si narrano i primi 136 atti della sua reggenza sullo scorcio dell'anno 1637, sì nella parte interna, sì nelle corrispondenze esteriori fino al principio della guerra civile. Per saggio del lavoro se ne pubblica quel brano ove è ritratta la Reggente Cristina. (A. 1637). Allorchè Maria Cristina di Francia restava vedova di Vittorio Amedeo I aveva di poco varcato il sesto lustro. Diciottanni innanzi, venendo in Piemonte a lui sposa sul primo fiorire della gioventù, avea recato nella Corte di Torino, gravata dal sussiego spagnuolo e piena di tumulti guerreschi, d’avviluppati maneggi e di ordini risoluti, la festività, il brio, le facili maniere e la destra favella della Corte francese. Il suocero, che fra i più ambiziosi propositi e i più urgenti pericoli non disde- gnava le grazie femminili, l'aveva accolta con lieto volto, e non di rado ne’ torbidi suoi negoziati colla Francia se ne era servito a vincerne le dure voglie. E Cristina di buon grado vi si acconciava, scrivendo al re Luigi XIII suo fratello quanto le veniva dettato; solchè talora con altre lettere sottomano temperava o disdiceva le prime : alla qual frode era indotta, non meno dall’ambizione di comando e di independenza, che da occulti dispetti a cui talvolta prestarono materia amorose brighe. Posciachè, dopo essersi per alcuni anni con mirabile candore e bontà conciliato gli animi di tutti, o poco soddisfatta del marito, o trascinata dall’impeto della gioventù e dalla facilità della vita cortegiana , diè luogo a sospetti. Il vecchio duca Carlo Emanuele I ne avvertì il figliuolo, il quale, anzichè pre- stargli fede, confidò gli avvisi alla sposa, che tenne modo di quietarlo. -» 197 Ma i sospetti rinacquero poco stante per cagione di un Pommeuse, giovane francese che era ai servigi di lei. Sembra che il cardinale Maurizio, o per zelo dell’onore domestico o per gelosia d'amore, ne facesse qualche risen- timento, a cui il Pommeuse rispondeva con una pasqui- nata. Onde da Cristina fu espulso di Corte e rimandato in Francia. Ma il conte Valperga e il Tournette, l’uno capitano nelle Guardie, l’altro gentiluomo presso il Car- dinale, essendo corsi dietro lui, lo raggiunsero vicino ad Avigliana e il ferirono gravemente in duello. Quindi tutti i Francesi, che erano presso la Duchessa, furono mandati via, con altissime doglianze di lei, che mai più perdonò ai feritori. Ma le sue doglianze crebbero i sospetti; nè, finchè visse e regnò Carlo Emanuele, tra lui e la nuora furono più che sforzate cortesie. Morto Carlo Emanuele, Cristina ebbe, come si narrò, col mezzo del Padre Monod, una parte principale nelle trattative intralciatissime di Cherasco. Dal qual successo incoraggiata, alzò l’animo a negoziare di continuo, più o meno segretamente, colla Corte di Francia, e ambire il maneggio dei più importanti affari, carteggiare cogli Ambasciatori ducali presso le Potenze straniere, circon- darsi di gente personalmente devota, e voler d’ogni cosa informazione e parte. Intanto s’'invaghiva del conte Filippo San Martino di Agliè, giovane cadetto d’antica e nobil casa, ma come altre del Piemonte, impoverita dalle lunghe guerre dove avea servito il Principe col sangue e cogli averi. Avea Filippo spesa la prima gioventù presso il cardinale Mau- rizio, acquistando nella conversazione degli uomini colti, che il frequentavano, non mediocre uso di lettere secondo quel secolo. Teneva egli da natura ingegno sufficiente, 158 dall’abitudine di Corte costumi sciolti, e sopra Vetà e l'ufficio, che era d’Alfiere nelle Corazze della Guardia du- cale, spiriti d'uomo positivo ed assegnato : tanto che, a far tempo dall’anno 1635, appaiono da lui registrate le somme di cui Madama Reale gli era liberale. Attorno poi a Filippo saggruppavano lo zio Ludovico che era Amba- sciatore a Roma, il fratello primogenito marchese di S. Germano la cui moglie era dama di onore della Du- chessa, il fratello minore Francesco abbate di Staffarda e il cugino Francesco Isnardi conte ed abbate della Montà. Del resto era Cristina fornita largamente delle qualità che possono aggiungere pregio al potere: spirito pene- trante, eleganza senza affettazione, dir pronto, mente leggiera sì, ma perspicace ed accorta, cuor magnanimo e giulivo. Era di tempra galante ed amorosa, capace di elevarsi colla voce alquanto maschile a una quasi popo- lare eloquenza, gelosa della propria autorità, mutabile a un tempo e ostinata, diffidente e pur incapace di custo- dire un segreto, splendida nel donare, inclinata ugual- mente ai sollazzi e alla divozione, ugualmente imperiosa ed obbligante. E nel volto, avvivato da occhi azzurri è pieni di fuoco fra biondissime chiome, mostrava una maestà degna dell’imperio a cui aspirava come figliuola del grande Enrico IV. Tale era la donna nelle cui mani cadeva inaspettata mente il governo del Piemonte e della Savoia .... L’Accademico Segretario Gaspare GoRrRESIO, 498 139 DONI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI FORINO dal 1° luglio al 31 ottobre 1868 The Peabody Institute of the City of Baltimore; the founder’s letters and the papers relating to its dedication and its history. Balti- more, 1868; 1 vol. 8°. In occasione che si inaugurarono le lapidi commemorative dei cit- tadini di Bergamo, che presero parte alla prima spedizione di Sicilia, e di quelli che morirono combattendo nelle guerre dell’in- dipendenza; discorso del Sindaco di Bergamo. Bergamo, 1868; 49. Monatsbericht der KR. Preussischen Akademie der Wissenschaften ; Januar-Juli 1868; 8°. . Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Serie seconda; tom. VII, fasc. 4j tom. VIII, fasc. 1. Bologna, 1868; 40. Rendiconto delle Sessioni dell’Accademia delle Scienze dell’ Istituto di Bologna; anno accademico 1867-1868. Bologna, 1868; 8°. Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Medico-Chirurgica di Bologna; giugno-ottobre 1868; 8°. -Abhandlungen der Sehlesischen Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur; - Abth. fùr Naturwissenschaften und Medicin, 1867-68; - Philoso- phisch-historische Abth. 1867; 1868, Heft I. Breslau, 1867-68, 8°. Verzeichniss der in den Schriften der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterliindische Cultur, von 1804 bis 1863 incl. Breslau; 8°. Donatori Istituto Peabody (Baltimora). Municipio di Bergamo, Accademia Reale delle Scienze di Berlino. Accademia delle Scienze di Bologna. Id. Socictà Med.-Chirurgica di Bologna. Società d’Agrie. di Breslavia. Società d’Agric. di Breslavia. Società Imperiale delle Sc. natur. di Cherbourg. Soc. Economica di Chiavari. Accademia Imp. delle Sc., Lett. ed Arti di Savoia (Ciamberì). Ministero dei Lavori pubbl. (Firenze). Società di Sc. naturali. di Freibourg. Società di Fisica e di Storia nat. di Ginevra, Società Olandese delle Scienze di Harlem. Accademia Imp, di Scienze, Lettere ed Arti di Lione, Assoc. Britannica pel progresso delle scienze (Londra). R. Istituzione della Gran Bretagna (Londra). Società Reale di Londra. 140 Fiinfundvierzigster Jahres-Bericht der Schlesischen Gesellschaft fiir vaterlindische Cultur: 1867. Breslau, 1868; 8°. Mémoires de la Société Impériale des Sciences naturelles de Cher- bourgj tom. XHI. Paris, 1868; 1 vol. 8°. Atti della Società economica di Ghiavari, 1867-68; 8°. Mémoires de l’Académie Impériale des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Savoie; seconde série, tom. IX. Chambéry, 1868; 1 vol. 8°. Le ferrovie economiche d’ Europa; Relazione al sig. Ministro dei la- vori pubblici, dell’Ingegnere Cav. Felice BIGLIA. Firenze (1868); 8.° Berichte iber die Verhandlungen der naturforschenden Gesellschaft zu Freiburg. Band IV, Heft rv. Freiburg, 1867; 8°. Mémoires de la Société de Physique et d’Histoire naturelle de Ge- nève; tom. XIX, seconde partie. Genève, 1868; 40. Archives néerlandaises des Sciences exactes et naturelles, publiées par la Société Hollandaise des Sciences à Harlem; tom. III, livr. 1-2. La Haye, 1868; 8°. Natuurkundige Verhandlingen van de Hollandsche Maatschappji der Wetenschappen te Haarlem (vol. XXV, parte 22). Haarlem, 1868; 49. Mémoires de l’Académie Impériale des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Lyon. Classe des Sciences, tomes XIV-XVI; Classe des Lettres, tom. XII. Lyon, 1864-67; 4 vol. 8°. Report of the thirty-sixth Meeting of the British Association for the advancement of science, held at Nottingham in August 1866. London, 1867; 1 vol. 8°. Proceedings of the R. Institution of Great Britain; n. 45-46. London, 1867; 8°. Philosophical Transactions of the R. Society of London; vol. 156, part 2; vol. 157, part 1. London, 1866-67; 4°. Proceedings of the Royal Society; n. 87-94. 8°. The Royal Society, 30th November 1866: 4°. ‘The Journal of the Royal Asiatic Society of Great Britain and Ireland; new series, vol. IMI, part 1, 1867. London; 8°. The Journal of the Chemical Society; July 1867. - June 1868. London, 1867-68; 8°. The Quarterly Journal of the Geological Society; n. 94, 95; 8°. The Transactions of the Linnean Society of London; vol. XXV, part 3. London; 1866; 4°. General Index to the Transactions of the Linnean Society of London; vol. I-XXV; 49. The Journal of the Linnean Society. Zoology, n. 34, 35. - Botany, n. 38, 39.; 8°. List of the Linnean Society of London, 1866; 8°. Rendiconti delle adunanze del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; serie II, vol. I, fasc. 12-16. Milano; 8°. Solenni adunanze del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere ; adunanza del 7 agosto 1868; 8°. Annuario del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; 1868; 18°. Atti della Società Italiana di Scienze naturali; vol. XI, fasc. 1. Milano, 1868; 8°. Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le pro- vincie Modenesi e Parmensi; vol. IV, fasc. 4. Modena, 1868; 4°. Annuario della Società dei Naturalisti in Modena; anno TIT. Modena, 1868; 8°, Abbandlungen der historischen Classe der K. Bayerischen Akademie der Wissenschaften: X Band, dritte Abth. Miinchen, 1867; 4°. Società Reale di Londra. LA R. Soc. Asiatica di Londra. Società Chimica di Londra. Società Geolog. di Londra. Società Linneana di Londra, Id. Id. Id. R, Istituto Lomb, (Milano). Id. Id. Società Italiana di Sc. naturali (Milano). RR. Deputazioni di Storia patria (Modena). Società dei Naturvalisti di Modena. Accademia Reale delle Scienze di Monaco. Accademia Reale delle Scienze di Monaca. Id. Società Imper. dei Naturalisti di Mosca, Osservatorio del R. Gollegio di Moncalieri. Società Reale di Napoli. H. Id. Amministr. gen. delle miniere di Francia. (Parigi). Istituto Imp. di Francia (Parigi). Soc. di Geografia di Parigi. Società Geologica di Francia (Parigi). Accad, Imperiale delle Scienze «li Pietroborgo. Id. 142 Abhandlungen der philosophisch-philologischen Classe der R. Baye- rischen Akademie der Wissenschaften; XI Band, zweite Abth. Munchen, 1867; 4°. Sitzungsberichte der K. Bayerischen Akademie der Wissenschaften; 1867, II, Heft. 3, 4; 1868, I, Heft. 1-2. Munchen, 1867-68 ; 8°. Geschichte der Stadt Rom, von Alfred von REUMONT; Band III, 1 Abth. Berlin, 1868; 1 vol 8°. Bulletin de la Société Impériale des Naturalistes de Moscou; année 1867, n. TII, IV. Moscou, 1867; 8°. Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del R. Coll. Carro ALBERTO in Moncalieri; vol. IN, n. 5-9; 4°. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; giugno-settembre 1868; 4°. Atti dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; vol. II. Napoli, 1865; 1 vol, 4°. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’ Accademia di Scienze morali e politiche; novembre e dicembre 1867; maggio e giugno 1868; 80. Annales des mines; sixième série; tome XIII; 1868, 1ère livr. Paris, 1868; 8°. Mémoires de l’Académie des Sciences de l’Institut Impérial de France; tom. XXXVII, première partie. Paris, 1868; 1 vol. 4°. Bulletin de la Société de Géographie; juin-septembre 1868; 8°. Bulletin de la Société Géologique de France; 1868, n. 3, 4; 8°. Mémoires de l’Académie Impériale des Sciences de S!-Pétersbourg; tom. XI, n. 1-18. St-Pétersbourg, 1867-68; 4°. Bulletin de l’Académie Impériale des Sciences de S'-Pétersbourg ; tom. XII, n. 2-5; 4°. {43 Atti della R. Accademia de’ Fisiocritici di Siena; serie seconda, vol. 151, IV. Siena, 1868; 8°. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1868, n. 13- 120; 8°. Relazione al Ministro d’agricoltura, industria e commercio sui mer- cati de’ bozzoli dell’anno 1868. Torino, 1868; 8°. Bullettino del Club alpino italiano ; vol. IMI, n. .12; 8°, fig. Atti della Società degli Ingegneri e degli Industriali di Torino; fasc. Il, UI. Torino, 1868; 8°. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; tom. XIII, disp. 5-9. Venezia, 1867-68; 8°. Mittheilungen der K. K. Geographischen Gesellschaft in Wien; neue Folge, 1868. Wien, 1868; 8°. A report on amputations at the hip-joint in military surgery. Wa- shington, 1867; 4°. Documenti inediti per la storia delle armi da fuoco italiane, pub- blicati da Angelo AneELUCCI; fasc. 2 e 3; 8°. Histoire des ducs et des comtes de Champagne; par M. H. D’ARBOIS DE JUBAINVILLE. Paris, 1859-66; 6 tomes en 7 volumes, 8°. Sui rapporti dell’uomo colla società civile; Prenozioni di Carlo Aueias. Ancona, 1868; 8°. Aéromotion. Mémoire sur la science et l’art de la navigation aérienne; par J. B. Baionne, 1867; 8°, Lezioni di geometria descrittiva, del Cav. Giusto BELLAVITIS; se- conda edizione. Padova, 1868; 8°. Giudizi di letterati nazionali e forastieri sul commento cattolico della » Divina Commedia del Sacerdote Luigi BENNassUTI. Verona, 1868; 8°. R. Accademia de’ Fisioeritici di Siena. Accademia R. di Medieina &i Torino. Camera di Comm. ed Ari di ‘l'orino. Club alpino ital. (Torino). Società degli Ingegueri e degl’Industriali di Torino, R. Istituto Ven, (Venezia). Soe. Geografica di Vienna, Dipartimento dela Guerra di Washington. L’Anfore. L'A. L'A, L'A. Sig. Abate BENNASSUTE, Sig. «Cavaliere E. BOLLATI. Sig. Principe BONCOMPAGNI. L’Autore. L’A. L’A. L’A. 144 rasti legislativi e parlamentari delle rivoluzioni italiane nel secolo XIX, raccolti per cura dell'Avv. Emmanuele BoLLatI; vol. II, 1859-61; parte 11; Toscana. Milano, 1866; 1 vol. 8°. Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche, pubblicato da B. BoncomPaGNI; tomo I, aprile-luglio 1868. Roma; 4°. Catalogo degli uccelli del Modenese, compilato da Paolo Bonizzi. Modena, 1868; 8°. Intorno ai Labroidi del Mediterraneo; studi del Professore Giovanni CANESTRINI. Modena, 1868; 8°. Nuove specie italiane di animali; per Giovanni CANESTRINI. Venezia, 1868; 80. Della schiavitù e del servaggio, e specialmente dei servi agricoltori ; libri 1]I del Conte Luigi CIBRARI0; vol. I. Milano, 1868; 1 vol.; 8°, Discorso agrario di Antonio Coppi, del 1867. Roma, 1868; 8°. Catalogo illustrato della raccolta di antichità Sarde, del sig. Raimondo Chessa; compilato per Vincenzo CRESPI. Cagliari, 1868; 1 vol. 4°. Catalogo degli insetti della provincia Senese, preceduto da una Memoria sulle primarie divisioni loro; per Apelle DEI. Siena, 1868; 8°. Notizie sull’ insetto che rode lo stelo del grano detto il Tarlino; per Apelle DEI. Siena, 1868; 8°. Distribution de la pluie en France; par M. DeLEsse. Paris, 1868; 8°. Le stelle cadenti del periodo di novembre, osservate in Piemonte nel 1867; Memoria III del Padre Francesco DENzA, Torino, 1868; 16°. Sul progetto di legge del Guardasigilli Comm. DEriLIPPO relativo all'ordinamento giudiziario in ltalia ecc. j per Giuseppe DESTEFANI NicoLosI. Palermo, 1868; 8°. Sig. P. Etero. Archivio giuridico di Pietro ELLERO; vol. I, fasc. 4-6; vol. II, fasc. 1-3. Bologna, 1868; 8°. 145 Modificazione ai metodi di determinazioni volumetriche del rame e dello zinco contenuti nei minerali, mediante una soluzione nor- male di ferro cianuro di potassio; del Cav. Maurizio GALLETTI. Genova, 1868; 8°. Lettere protologiche ossia Trattenimenti sulle leggi generali della na- tura (Programma); del Cav. Michele Giorpano. Bologna, 1868; 8°. Manuel d’histoire ancienne de l’Orient jusqu’aux guerres Médiques; par Francois LENORMANT; deuxième édition, Paris, 1868 ; 2 vol. 16°. Passage des leucocytes à travers les membranes organiques; par L. LorTET. Lyon, 1868; 8°. Memorie storiche di Dronero e della valle di Maira; per Giuseppe MANUEL DI S. GIOVANNI. Torino, 1868; 3 vol. 8°. Sur la chaleur latente de volatilisation du sel ammoniac et de quelques autres substances; par M. C. MaRIGNAc. Genève, 1868; 8°. Cosmographie de CHEMS-Eb-DIN ABOU ABDALLAH MOHAMMED ED- DimicHQuI ; texte arabe publié etc. par M. A. F. MEHREN. St-Pétersbourg, 1866; 1 vol. 4°. Mediche osservazioni sopra alcune non ovvie infermità rilevate dal Prof. Pietro MEssINA. Catania, 1851; 8°. Ragguaglio storico-scientifico sopra l’elettricità metallica rispetto agli antichi, con una breve intromessa di varie scoverte ed in- venzioni; del Prof. Pietro Messina. Catania, 1852; 8°. Sulla rabbia umana senza predominio di idrofobia; osservazioni del Prof. Pietro Messina, Catania, 1853; 8°. Sull’ornitopatia epizootica; osservazioni del Prof. Pietro MESSINA. Catania, 1853; 8°. Rabbia umana con ispecial predominio di aerofobia, e fenomeni idro-foto-fobici ; osservazioni del Prof. Pietro Messina. Palermo, 1854; 8°. Epitome di epizoozia vaiuolosa-ovina; del Prof, Pietro MESSINA. Palermo, 1855; 8°. L’ Autore. L’A. L’Editore. L'A. L'A. L'A. L’A. L'A, L’ Autore. L'A. L'A. L'A. L'A. L'A. Sig. QuariITcH. L'Autore, L'A. L'A, Sig, Ott, STRUVE, 146 Umana feratogenesi composta di diplogenesia monocefala congiunta ad altre anomalie congeniali; pel Prof. Pietro Messina. Palermo, 1857; 8°. Prolusione accademica pronunziata all’apertura della Sezione delle Scienze naturali presso la Società del Progresso în Palazzolo Acreide dal Presidente Prof. Pietro Messina. Firenze, 1868; 8°. Précis élémentaire de géologie; par J. J. p’Omatius D’HALLoy; 8ème édition. Bruxelles, 1868; 1 vol. 80. Il pensiero filosofico; per Vincenzo PeRsIANI. Napoli, 1868; 8°. Della vita e delle opere di Giovanni Gorgene; per Giuseppe PiTRÈ. Palermo, 1868; 4°. 4 Résumé météorologique des années 1867 et 1868 pour Genève et le Grand Saint-Bernard; par E. PLanTAMOUR. Genève, 1867-68; 8°. Saggio storico di letteratura poetica dal secolo di Pericle fino al nostro ecc.; pel Marchese Giuseppe PuLce. Napoli, 1867-68; 2 vol. 8°. A general Catalogue of books, arranged in classes, offered for sale by Bernard QuarITcH. London, 1868; 1 vol. 8°. Sur les phénomènes périodiques en général; par M. Ad. QUETELET. Bruxelles, 1868; 8°. Sull’oculare a separazione di imagini applicato all’equatoreale del R. Osservatorio di Modena; Memoria del Prof. D. RAGONA; 8°. Stelle meteoriche di agosto 1867 osservate nel R. Osservatorio di Modena dal Prof. D. RAGONA ; 4°. Storia e descrizione dell’anfiteatro romano di Cagliari; pel Can. Giovanni Spano. Cagliari, 1868; 8°. Jahresbericht am 24 Mai 1867-68 dem Comité der Nicolai-Hauptstern- warte abgestattet vom Director der Sternwarte ( 0. Struve ). St-Pétersbourg, 1867-68; 8°. i 147 Tabulac auxiliares ad transifus per planum primum verticale redu- cendos inservientes, edidit Otto Struve. Petropoli, 1868; 8°. Benkrede auf Heinrich August von VoGeL, von August VOGEL. Munchen, 1868; 8°. Osservazioni sullo Statuto costituzionale del regno d’Italia, per VAvv. Vincenzo Wrzi PLATANIA, Catania, 1868; 1 vol. 8°. Dei caratteri della tromba terrestre accaduta nel Friuli il 28 di luglio 1867 ecc. Relazione del Prof. Francesco ZANTEDESCHI. Venezia, 1868; So. Della differenza di distribuzione dell’eletirico negli strati aerei delle atmosfere elettriche e nei conduttori solidi isolati immersi nei medesimi; terza Nota del Cav. Francesco ZANTEDESCHI. Venezia, 1868; 8°. Della necessità di nuovi studi meteorologici per determinare quale relazione possa avere la variazione di colore delle cartoline ozo- noscopiche coll’invasione o sviluppo del cholera-merbus; Nota del Cav. Francesco ZantEDESCHI. Venezia, 1868; 8°. Documenti intorno agli studi spettroscopici del Prof. Francesco ZANTEDESCHI. Padova, 1868; 80. Pubbliche date del magnetoelettrico ed elettromagnetico ; dell’Ab. Francesco ZANTEDESCHI. Padova, 1868; 8°. Flora fossilis formationis oolithicae. Le piante fossili dell’oolite, descritte ed illustrate dal Barone Achille De ZiGno; puntata V. Padova, 1836-68; 4°, Principii di callinomia, ovvero del bello e delle sue leggi; di Giu- seppe D'ALBERGO. Sulla vita e sulle opere del Cav. Giuseppe dei Marchesi D'ALBERGO; Cenni del Dott. Nicolino Zocco. Siracusa, 1868; 89, EDO dtt Sig. Ott. Struve, L'Autore, L'A. L'A. L'A, L’A. Sig. Dottore Nicolino Zocco, L'A. D'ErTa ib uaisgaltod tei bara 40 £ ti i 15 el atnbib fino: gs tia sà fa dfittontna. 061 rog Y ose agisenib alla OJIS9T 3 Sti 386 PI: lea sot vis «BOLLETTINO METEOROLOGICO DELL'OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO AU AGOSTO 1868 MU NOTAZIONI. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 un po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; nò nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all’orizzonte. Pg pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine, nv neve; br brina; rg rugiada. AVVERTENZE. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. Le temperature minima e massima, e l’altezza dell’acqua caduta e dell'acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. La parola direzione designa il luogo dove il vento va; se si vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. La frase: « Azimuto della direzione del vento in gradi sessagesimali » ha forse bisogno di qualche spiegazione, perchè include una maniera di dare la proiezione orizzontale della direzione del vento alquanto diversa dall’ordinaria. Sopra una circonferenza di circolo fissa in un piano orizzontale si segnino i quattro punti cardinali: sud, ovest, nord, est. Si divida la circonferenza in 360 parti eguali cominciando dal sud; e si segnino i punti successivi di divisione pel verso sud, ovest, ece., coi numeri 0, 4, 2, 3, ecc.; 0 indicherà il sud; 90 l’ovest; 180 il nord; 270 l'est; 45 il sud-ovest; 135 il nord-ovest; 225 il nord-est; 315 il sud-est, ecc. Colla circonferenza divisa così in gradi sessagesimali, la quale può tenere nell'anemoscopio il posto della rosa dei venti e della sua nomenclatura, noi indichiamo con un semplice numero la proiezione orizzontale della direzione del vento; e questo numero è appunto l’azimuto di tal direzione. Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. alla temperatura di 0 gradi ed all'altitudine di metri 276 IN MILLIMETRI IN CENTESIMI Giorni 3 Altezza barometrica IN GRADI CENTESIMALI Temperatura esterna al Nord | Tensione del Vapore Umialta Pelativa IN MILLIMETRI | RE C_| 9 12 3 6 9 (1) 9 42 3 6 9 9 42 3 6 9 6 9 12 3 im.\antim.|merid.| pom. | pom.| pom. | avtim. | antim. | merid. pom. pom. pom. |minima | massima ann: antim. | merid.| pom. | pom. | pom. f ant. | ant. |mer.|pom, 38,9 | 38,8| 38,2|37,8] 38,3], 22,1 24,7 242 28,8 28,9 249 18,8 30,2 } 10,88] 9,96] 8,92] 7,83) 7,6k|11,45|54|43/34|27]05 11,98| 11,87] 11,87] 11,87 | 12,72| 14,76] 65 | 55 | 47 ! 14,43 | 14,67] 14,11] 13,09] 14,81 | 15,75] 88 | 71 |61]|49 56 15,611 14,08| 14,32] 14,75 16,13 | 14,82] 89 | 69 | 6t|55|6 i 7 Ù 4 38,1|/37,2|36,2|356|363] 241 23,6 26,4 28,9 20,4 25,8 17,9 30,2 377|/36,9|35,8|/356|(364| 193] 228] 248] 272] 274) 251 18,1 28,2 4 36,5 37,1] 36,8] 35,9] 35,5 36,5] 204 22,8 25,3 27,5 26,4 19,9 19,9 28,5 5 |363|267]356|312/343| 34,7] 184| 202 | 221 2,0 | 216 | 194 | 15,6 | 244 | 13,87] 12,89] 12,56] 13,14| 1481 | 13,72] 85 6 1 33,5|330|333| 320/334] 346) 183 | 211 zio 263) 265 | 235 | 178 | 28,3] 13,54| 13,52] 14,32] 13.58] 11,83 | 13,92 | 87 13,85] 13,69] 12,50] 10,66] 11,17| 11,89 79 | 66 |51|36|36 12,68 | 1530] 15,19] 14,12] 14,90] 17,07] 7 15,30] 47,20) 17,24| 1744] 17,18| 17,01] 72 | 69 15,90] 16,54| 16,87|15,35| 15,96) 12,91] 78 | 6 13,83 | 13.60] 15,30) 14,81] 14,05| 1640/77 | 61 | 60|56|56 13,76 | 14,32| 13,99] 15,02] 13,86| 15,56] 709 | 68/5060 {541 | 14,42| 14,70] 14,95| 14,08) 14,65] 89 | 7 14,52] 12,59] 12,57|13,73]| 15,16] 16,16] 91 | 72 13,89] 13,75| 14,87] 14,63 | 15,62| 15,89] 88 | 8 15,79) 14,77] 15,01] 16,34] 19,91 | 18,43] 85 | 75 14,43 | 11,98] 15,77| 11,06] 11,61| 12,95] 88 | 8 13,75) 11,88] 14,88] 11,06] 13,86] 14,10] 92 | 7 14,12] 14,50] 12,42] 43,04 | 1492| 12,61] 92 | $ 11,90] 13,47] 11,42| 11,26] 13,61|13,50] 83 | SI | 57] 49/61 11,88] 11,00] 12,03| 11,44| 12,04] 12,16] 87 | 67 | 6 12,15] 12,80| 12,14| 10,05 | 12,03 | 11,88] 80 12,88] 13,82) 10,44|,.9,38/10,36| 466/55|79|5 7,29] 11,32| 10,99] 9,79] 10,68| 12,60] 63 | 76.| 6 12,55] 11,81) 12,16) 11,25] 12,04] 12,71] 88. | 76 | 6 14,54 | 12,71| 11,94] 41,56.) 1263] 13,611 87 | 72 (5 12,78] 12,70] 13,53| 13,161 13,02| 13,44] 89 | 80 | 65 | 50 | 59 gr 13,58) 12,85|/42,43| 12;59| 13,76] 83] 7 13,14] 13,52] 13,92] 11,96| 13,41 | 14,26] 82 | 7 on 11,98] 957| 7,83] 14,20] 14,13] 79 | 69 | 4738/70 6,27] 6,%4| 5/52) 6,56] 6,56] 9,20/ 49|46|30]|32|30 Prima Decade da GS n 7 |362|1364|265|261|260|376) 199] 228 | 258] 289] 299] 2610) 175) 299 8 |396|40,5| 40,7] 403/408] 4155] 200] 234] 260) 284] 284] 262 190/294 9 |azg|aga|a29| 420] 115] 423] 236 | 261] 281) 296] 294] 266/213 | 306 10° |422|420]|40,7|391|393/ 395] 227] 260) 283] 294) 243] 221] 221| 300 20,7| 240 | 262| 274| 264] 246] 205] 281 20,3 | 233 | 250 | 265) 236] 219 | 196) 267 20,0 | 22,6 2,3 | 265 | 211 | 198| 192| 276 186] 201 | 231) 248 | 246] 221]. 180) 258 184] 19,7, (ccazac] 248 | 242 | 23/251 180 | (252 22:10] 0233 | 0250] 2741,| 260, | 2440|) 19,9} 1288 19,2] 180) 230] 222) 281 | do77/l 180 | (258 fnibu| c19,30) (2281) 234) (224 | 201-467 | (244 181.| 1496 | (228:| 24% 229 | 180 |/ 474 | (248 16,8] 94 | 0223] 247) 236 | 192. || 454 | (254 f5,9i 192) 2140] (237 | 0245 [ll 21,5 Klc148 | 248 17,8] (210) |/239.] 25,0 || 2481 | 216 || Az | 65 c 17,60] 200 | 224] 250 | (25,1 | 228 || 466 | 260 138 | 476) 199| 223 | 218 | 2006) 132 | 228 16,9 | 186 | 204 220) 213] 195] 164) 226 1820 2040] 0294] (246 (0243 [215041 | 2 7,1} 19,8. | Leze | 242 | 242 | 20/00] dojo | 2: ? 2 il 38,6 | 37,9] 37,0] 35,7] 34,8] 34,3 12 34,7 | 34,4] 33,0] 33,2 | 33,3] 33,8 13 34,3 | 34,6] 34,3] 33,2| 33,4] 34,0 14 34,2] 34,9] 35,2 34,0.] 35,4] 36,3 {15 |:38,0|389| 39,6] 397/399) 404 16 10,6] 40,8) 406) 39,6] 39,0| 38,7 17 33,7 | 33,7] 331| 32,0] 519| 314 Seconda Decade 18 31,4 | 32,0] 32,4|/32,5 | 32,8] 33,7 19 34,7 | 35,7 | 35,1] 34,7] 35,0] 97,0 20 37,2 | 37,6] 37,1] 364| 362] 37,5 2 |376|375|371|361| 362] 368 2 |359|357|3151 329/326] 323 23 30,7 | 30,9| 30,9| 30.6] 31,0| 324 2A 35,7 | 376|37,9| 37,6) 37,9] 386 2h 39,0 | 39,8] 39,9| 39,6| 39,6] 40,2 26 10,5 | 41,0] 40,6] 40,2| 40,4 | 41,4 27 42,6 | 49,2 | 42,6 | 41,4| 409] 41,8 28 40,9 | 41,0] 40,2| 39,4| 38A| 39,2 29 38,2 | 38,2] 37,1 [35,8] 35,2] 35,7 30) 37,0 | 27,3) 36.7) 36,3) 36,8) 38,4 3 40,2 | 41,2 | 40,8] 40,2) 40,0| 412 Terza Decade 18,2 20,8 24,5 27,0 26,6 23,8 17,0 19,0 2432 23,7 25,2 26,7 224 18,2 © I I a 18) 20,0 22,6 233 22,8 20,2 || 17,0 23 14,8 1777 20,6 22,8 2337 19,4 13,3 24,0 12 Decade] 38,2 È Decade | 35,7 132 Decade] 38,0 I Mese 37,3 14,14 13:53] 13,80) 13,59| 14,27] 15,02/ 86 | 75 | 61|58|67 14,74: |d4x14| 14,32) 10/49 11,78] 11,13] 79|71|57|47|54 13,17 | 13,26] 12,92! 19,37] 13,21} 13,74] st | 71|59|51|58/7 18,7 | 289 È 14,37] 13,79 13,21] 13,71) 14,33] 77 | 66] 56 | 48/52 Jativa Azimuto Intensità re be : Quantità di cielo coperto Altezza Altezza | del : della direzione del Vento Stato atmosferico SAPArIUA dell acqua | i VENTO IN GRADI SESSAGESIMALI ULI Ris LEX DORATA IN MILLIMETRI f IN MILLIMETRI TL | | lic | 9{12]3/ 09 U) 9 12 3 6 9 G|9|42/3]|6]|9 6 9 12 3 6 9 ant. | ant. | mer.|pom.! pom. pom.{ antim. | antim. | merid.| pom. | pom. | pom. | ant, | ant. |mer.|pom.|pom.|pom.{ antimerid. | antimerid. | merid. pomerid. | pomerid. | pomerid. ela a|e| 2] 1] 2] 20) 225) 60] so 50] ziof of ol allo o 0 an DA ii H 0 23 SIA III TTI ZA REZATIZIOOI 70 10 40 50 20] 1] 0]. 0,0] ol 0 r m m m i) 29 SN NON IDA A ZI eZ 45 90 70 35 40 4510/10] i] 3| 4| 8] ms no ms m ms sn ms 0 2,3 | MCR RR ZAR 4 45 45 40 45 50 705 9] 3| 4|10|10|10 sm, no sm, no m mr sm pt 16,8 1,9 UE ago 30 | 160] 280| 330f 6/10 6 9] 910] rsm, no p mr m m sm 11,5 1,4 {| {| t| 1| 1| 1] 230] 210] 135) 215) 320] 140| 8| 5| 4] 5) 5| 0| rms, no rsm m rms msr s 0 1,6 ilo|4g|t|o]| 0] 120 210) 255 o 0 0|].0|] 0 0 no m m m 0 1,7 PARE NRe Mo anali 70 35 55 50 | 110] O0| O] 0 of 1| 2 .s m m m mrs ms 0 2,9 MIRTO RT NEZNT NAZ 3) 40 80 45 70 40f 2 £| 5 4| 7] 0| sr, no ms m m smr s 0 2,1 ERO Si 10 70 | 135 90| 280/285) 8| 4/ 0 510/10] sm no ms m m ms ms 20,4 1,8 é DI CANA ATA 1} 340| 180 85 (i) Bal (93na] Za) KON MARiiMori Non] kt ms ms m m smr sm (1) 2,0 i i 14 1 DAI si 330 25 80 40 50 ox CORIO, eZ MEDICO k2 smr sm m msr msr s 0 2,2 MEZ INI INI 2182 10 35 50 60 (o) 55] 9|10| 5| 7|10| 5| ms, no ms, nb m m ms ms 4,9 19 SET RIOT ARIA REIAITINAITO) 75 60 50 | 190 | 350 10|10| 5| 4|10|{0| sm, pg s m mr ms 1,6 1,5 MM 111101) 110 45 30 0) 25) 340 10/10] 7] 9| 6] 6] sm, pg s mr sm sm ms 1,6 1,5 RI I i 1 RON 230 65 40 70 100] 10| 4] S|i10|10| 3 sm mr rsm sm sm m 1,0 0,6 Ming 203 3 2032 50 | 305 35 | 355 60 20.1 10.{ 10:| 3| 3 4UI R sm m msr msr sm 41,2 15% LO TNT LO NATI MARNA 90] 235 60 60 40 35 (8)] 90 Qi (60 ll 2 smr s rsm m smr s 0 1,8 AREA INIL NAZ OSTITTUNZT00) 65 90 35 40 8010! 10| 5 4| 8| 9l ms, no | ms, nd mr m mr ms 3,3 1,3 DANIONI H& 23 a 235 | 300| 345 Diff DR DIANA 8910 no m m m mrs pt 3,6 1,4 ti || Re co 39 | 225 140] 115 60-20 Da db as A sm m m mr smr m, p 6,5 0,9 È DENZA dati 2102 180 | 205 0} 65] 70 6] 5j 5 4|10| 9 msr m m mrs sm ms Ù 1,6 1 23| (0 NERE 00 (02) (05503 05 BAONE Meg) fe mr m m m mr Ù 20 708 61 AI Hai 70 7 55 50 50f 2|iol 51 7| 7/10 rsm sm mrs mr smr ms 0 2,6 23 204] 241 col) 55) 00] 5 45) 5 uo a m mr sm sm sm 0 1,7 ed 2/4 10 dl ico) 30] 270) so] so 0 ale Ali sm, no m m m mr 0 14 iRBU aci eRace ms ms, no m mn mer $ 0 14 | A| ti 1/11 25] 45] 180) 10) so] sofh2| ol alzo] 0] ho m m ms s 0 1,5 Iii ig 80 ei0) | 90 | 120 th) 20] 5| 0| 1| 4| 0| 0| ms, no ms, no m mr m Dl) 1A 0/00 OT Ve SR RA r r r msr ms 0 1,6 2 if t|o] 1} 1] 250/190] 230 260) isfoflo|o|o|o| 0 rs r s s 0 22 I il . | Giorni del mese | 1 2 3 OSSERVAZIONI OZONOSCOPICHE 2 ’ | 5o| 6 | 78 | 9 |4a0 |] st | 12 |(13 18 [19 | 20/20/22] 23 /(24] 25 26|27/28|29|30, 31 | = È “clicca aRR MP onizerià | 2 |ala|s |a |os|os|a (465 |5 65/85 GIO EER EE: fBpomerit. |35|5.5| 6 | 5I |- 7) (6% |A) |-.6 dai | 6) |r5;5. [asilo 45/7 [7 [gie [es] 75] 7/6] 7/46] | 5 Il 1 tà 9 pomerid. I 4 |,8)[\66].31[[o\]-asla |\7, |a | 6 [bos 5 | 75] 75] &p4]3/3/1|3./.4-|3;5/-3-|55]-0- DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE AGOSTO 1868 reasani a] 6 161711 | | : 6|7]|48|9|1o| m[ae|15|14 cal |17, 18] 19|g0|91|02|25|24|25|96 I a de L | | 7 "ii 7 x b Ù nl; 1 444 LL e Linea arometrica | nea | niet, L sha 3] sr - ia a + i = 143 | = i sÌ — 155 |- a I 138 DIR A los) E Paid) ipa paria EN L | ile | 1 aa 24 [ages | | | E e DI AI I - = dl | | | x I I Dian : lat ci ii Inea termometrica AE | Ea Tal I iù f\ Linea dell'umidità relativa. = P A iù ÙI F Io I li UIV 190 ci |ea l26|97 28 99] BOLLETTINO METEOROLOGICO — DELL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO AVS SETTEMBRE 1868 MINA NOTAZIONI. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 um po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri ; s strati. nr nebbia rara; nd nebbia; n/ nebbia fitta; n0 nebbia solo all'orizzonte. PI pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; br brina; rg rugiada. AVVERTENZE. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. Le temperature minima e massima, e l'altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. Ù i , La parola direzione designa il luogo dove il vento v4; se si vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. | La frase: « Azimuto della direzione del vento in gradi sessagesimali » ha forse bisogno di qualche spiegazione, perchè include una maniera di dare la proiezione orizzontale della direzione del vento alquanto diversa dall’ordinaria. Sopra una circonferenza di circolo fissa in un piano orizzontale si segnino i quattro punti cardinali: sud, ovest, nord, est. Si divida la circonferenza in 360 parti eguali cominciando dal sud; e si segnino i punti Successivi di divisione pel verso sud, ovest, ecc., coi numeri 0, 1, 2, 3, ece.; 0 indicherà il sud; 90 l’ovest; 180 il nord; 270 l'est; Ab sud-ovest; 135 il nord-ovest; 225 il nord-est; 315 il sud-est, ecc. Colla circonferenza divisa così in gradi sessagesimali, la quale può tenere nell anemoscopio ìl posto della rosa dei venti e della sua nomenclatura, noi indichiamo con un semplice numero la proiezione orizzontale della direzione del vento; e questo numero è appunto l’azimuto di tal direzione. , Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. Seconda Decade Prima Decade Terza Decade Altezza barometrica alla temperatura di 0 gradi ed all’altitadine di metri 276 IN MILLIMETRI tu 43,6 15,0 43,7 13,3 43, 42,2 42,0 41,9 41,5 42,1 39,9 35,1 34A 32,6 33,6 34,5 35,4 34,7 37,6 360,6 35,0 30,8 28,3 36,6 98,1 38,6 38,4 35,9 38,4 36,8 12 3 antim.|merid.| pom. 402 42,2 13,3 42,0 41,8 41,6 44,7 39,4 410,2 40,3 40,5 96,4 91 33,0 31,9 32,2 33,4 34,4 35,6 35,2 36,3 33,3 29,5. 30,3 36,5 37,6 38,0 37,1 34,4 37,6 34,7 19,9 35,4 35,6 98,0 pom. 434 43,8 42,0 42,4 42,2 42,7 39,6 41,3 49,3 40,7 36,3 39,4 33,2 33,1 33,3 34,4 33,9 37,2 35,9 antim. Temperatura esterna al Nord IN GRADI CENTESIMALI 20,0 184 18,6 20,1 18,3 14,5 16,5 16,9 16,7 16,3 18,2 17,6 19,1 18,5 19,1 19,6 21,7 23,0 19,7 20,8 18,7 18,3 14,7 17,6 18,6 19,6 18,2 19,2 17,7 21,0 20,4 19,5 6 pom. 24,9 25,8 26,5 CLES 28,8 26,8 25,6 99 Le, 23,6 24,0 24,8 24,3 18,0 19,2 20,1 PRI 18,4 20,1 17,4 17,3 15,0 16,6 18,2 18,6 17,1 18,1 ITA 20,3 18,6 17,1 9 pom. 21,0 29,3 "23,1 23,3 232 234 23,0 20,7 20,3 20,8 20,2 Ut 16,8 17,6 172 19,7 16,5 18,2 15,7 15,3 14,7 14,3 15,6 171 16,3 10,8 17,0 174 17,3 15,0 minima 12,4 141 16,5 177,2 18,2 18,0 19,8 18,1 14,8 162 15,5 15,8 15,5 14,5 15,2 14,0 14,2 15,2 14,9 14,6 13,8 143 13,3 11,2 14,8 15,6 16,3 16,8 14,2 15,5 6 massima | antim. 25,2 { 8,68 10,78 11,54 12,61 12.27 el 10,40 13,35 10,63 11,16 10,33 10,38 12,20 cy 12,22 12,33 11,34 11,21 11,85 11,61 9,93 14,71 1216 13,27 13,79 11,31 12.27 2, f î) Tensione del Vapore IN MILLIMETRI 9 42 antim. | merid. 9,93 11,58 11,09 11,10 12,06 12,13 12,83 | 12,76 11,97] 11,72 12,05] 12,59 11,81] 11,48 11,64] 10,65 12,31 | 12,07 11,12] 11,48 10,74] 11,24 12,42 | 12,40 12,25] 12,70 13,38| 13,87 11,81| 11,78 11,66] 12,21 14,79| 14,84] 3 pom. 7,592 10,71 pom. 8,67 2,10 13,71 13,50 10,58 12,57 11,26 8,93 10,33 9,19 8,64 9,54 13,20 11,83 11,49 11,12 12,91 11,96 12,98 11,20 11,44 12,27 10,90 11,20 12,64 12,79 13,87 12,80 12,32 12,82 pom. 9,94 12,75 15,07 14,88 13,61 15,09 12,11 7,83 10,35 9,77 11,16 10,78 13,05 11,53 11,62 12,06 19377 12:92 12,98 11,52 12,03 11,79 11,08 12,41 12,96 13,17 19,23 12,80 13,17 12,64 Umidità relativa IN CENTESIMI 12 3 . |mer.| pom 59 | pom HH) 66 n til di ti 43 | Intensità relativa Azunulo Quantità dl cielo coperto Altezza Altezza ! del della direzione del Vento Stato atmosferico dell’acqua dell acqua 7 IN DECIMI caduta evaporata | VENTO IN GRADI SESSAGESIMALI IN MILLIMETRI | LN MILLIMETRI 6 9 12| 3 6 9, 6 9 12 3 6 9 6 9 42:18. 6 9 Mn FEE 12 3 6 9 vl ant. | ant. | mer.|pom.|pom.jpom.{ anlim. | antim. merid.| pom. | pom. | pom. |ant. | ant: |mer.|pom.|pom.|pom.{ antimerid. | antimerid. merid. pomerid. | pomerid, | pomerid. Rio 1 80 55 90 | 250] 270) 330] O0| 1| 4|lo.| 0 0 r r r m m (1) 1,8 ri 1 30 15 80 | 200 20 20) | MTONTIORIONI IONI Molo. m m m r 0 1,5 Ì d'AIo, 1| 310 30 60 | 315 50 30.4 0] (ON ONioNi (01) (0 m m ms 0 1,4 i dI 1 i 90 70 70 5 55 2 ONION MONI NOR MIoNI TO no no m m ms 0 1,6 ZA) eo 25 | 205 | 310 0f{ 0| 0| 0|0| 0| 0 no nr m m ms (1) 1,6 AR ITON ORA | RIZA RI 2 110 65 45 70 455] 0] 0| 0||0| 3 1 no no mr m msr ms 0 1,8 daN (2418200 90 70 45 40 65] 3] 1| 0.0) O0|10| sm, mo m m m m ms 0 1,9 la Dio I ARA 1 50 60 55 | 345 50.) 180) [10 [TON] SINNI An] 2 sinr sr msr m sm ms (1) 2,5 Da | 20 DAR 90 75 70 75 50 10. 30] On] (OMR (0.| (0; ms no m m m 0 1,8 ì CAI IRTON SIR [ELA | MEZZA IZ 95 70 45 101 2 41 31221 3 ns, no ps rms m sm ms 0 1,6 j 2| if if 2|41| 2] 10] 45] 240] 240] 315 Quai aa aa ms m m m smr s 0 1,7 \U ni NSANZST SCA) 65 60 O 280.) 200] (07 Ei 40 r rm rm m smr 0 14 AA 1 2 2 120 so 10 45 80 50{ 7] 8|[10| 9/10] 10] msr, no ms rms ms, p ms ms 14,4 db, | j O ZI 109) | sa 30 10 | 100 (1) 10 IO IE] i |NU)| CS SMP ms mr m sm, n msn 22 0,7 : 2 1 1 e 2 80 220 180 120 330 50 2 4 4 5 8 (0) ms m, nb Tm m pd s 0 0,8 RIA rob el AN INNIARTO. 55 60 | 200 60 3010 ION SR E RZA TO no no m mi sur s 0 0,9 | DI den i La 40 40 65 65 | 335 O, Ì 10) | 10] (9 FOR 10) 9] sno ms m sm p pd 44 0,9 | Mal 2:| A 1 1 2 10) 340 45 45 30 20 | 10|10| 2|]/8| 9] 6] ms no ms m mr ms ms 0,8 0,9 È, (fat 1| 1] 1] 20] sof 70] go) 235] io] to] toto] to] 10] ms sm sm p p 28,0 0,7 INCA SAI il 1 15 70 40 45 40 40{ 5 9|10||7{ 4| 11 msr, no m m m msr s 1,8 0,9 | 2|4|2| 2] 1| 2] 35) 25] 345) o) 40) sofio|to[io|lto|to|to| sp p p s nb 30,8 08 | ila to 1 2] 70] 225) 200 290 | 270|]i0|to| 10 |U0|10| 10] nf nf; DI m ms p p 60,8 0, CREME RIE E 25 25 | 475 | 150| 160| 3055 8| 7] 4||0| 4| 0 sm rs rms m sr s 21,3 0,6 RR EZIOI EVI OI O NANI 1350] 35 50 | 4115 10. {10} 2 3||8| 7| 8 nf sm m m smr m (i) 0,7 | MEI 1 1-1 24)2.102: 60 40 20 35 40 15] 10|10|10| 6| 910] sm, no | pg, m m ms 0,8 0,8 Î Ii 2i egizie 0 20 65 45 20 10{10| 9|] 4| 5| 4|10| ms, n0 ms m ms ms p 1,6 0,6 || duo] 0|25/20/20/ 60] 190| 189] f{91| 189] 190) f90ffo|t0|]10|10{10|10| s pd nf ms DI PI ms 2,0 0,3 | Mio 2 0 210 30 20 30 | 10|10|10| 3| 2| 0 nf nf ms m ms m 0,3 0,6 | | DICO dala 5.| 4150 45 453 5/[ 1|1 9| 9 10] ms, no ms m m smr sm 0 0,7 | ee so) 15) 6o| 65|] 30f10]t0] 7|t0|t0{ 10] smp sm mr ms ms nb 0 0,6 } | | OSSERVAZIONI OZONOSCOPICHE Qfgiomi del mesel 1|2]3|]4|5|6|7]8|0 |t0|s1|12|18|t4|415|16|17/ 18/19/20] 21]20]23/24|25/26|27/28/29/90) | | egfontimerid. | 1 | ooo o5 ola s |a |o|4|o]4 [io | o | o 4 | 8 | 30] 8 | 0.||s|bo]05|66] 6] 520.3 NI fpomerid. | 7/5 |56|5l66|7|s|s|o|6]ss|7|a|7]|66|6]|8]|7]|6]|7 {75 |_5|76] 5] 7/85/45/4|6|5 | 3 pomerid. RR Tver REC ER|CGOCEofe [ ER Ea oa ora RE Torio io] er] O FONRSRe | DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE SETTEMBRE1868 6 7 8] 9) [Lio;| 1 [ag {13 14 | 15 | E 19 | 20| 21 |22] 25 |24| 25] 26.| 27 28| ZIO) 350 | 51 - } —_—- _— —- ta ea i | ae le didnt == ‘ Linea barometrica td SG ROBA DDR I I i LL sala a Tessa] Se II I | | 7 ] Linea della tensione del vapore : | 15 | | i 1 i lt SEI. . ini i sn nil i i Li | | 1 1 1 | I I ESSE NE MSN} | Linea dell'umiditàtrelativa | |__| || |__| L_LL7 Id d i i cli Li I du i ii 100 I {titti ele Sl SE Da SE I n E e | | la NAS | 3 dol Pa SEAT OSL | 7 | dia 80 il] ii II I HAS Dili AU a | LAV. ey LU | AA | SUSA OI © > CIV POI ES Di Uci pi a 60 | | fi I | Il x li Lio I Mi Ì i } I 1 E Il AVA Avimvime: |} | di el ev E COSCE CE RI avi pagzr 82 pi ila tas A+ a ara) LI 1 Ri ii i DI REI IAT LEI | | | | | >, | | Î Î i | i iii IBS E a [ESA | | | | | | | 10051065 GA 00 nrariarngr6a00ooe Tasles isa] 25/2697 28 99 30/31] BOLLETTINO METEOROLOGICO DELL'’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO SUM OTTOBRE 1868 AU NOTAZIONI. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 4 appena sensibile; 2 un po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; 20 nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all'orizzonte. PI pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; lr brina; rg rugiada. AVVERTENZE. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. i Le temperature minima e massima, e l’altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. È - + gr : i g À È E D) ‘a parola direzione designa il luogo dove il vento va; se sì vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettin secondo che questi numeri sono minori 0 maggiori di 180 : î È È x Ù î è inc. da La frase: « Azimuto della direzione del vento în gradi sessagesimali » ha forse bisogno di qualche Ren MEER = VR . . si Li Proiezione orizzontale della direzione del vento alquanto diversa dall’ordinaria. Sopra una PERO adi ioni nd È A AA segnino î quattro punti cardinali: sud , ovest, nord, est. Si divida la circonferenza in 360 parti n FIERE eroe Testi Tn Ea successivi di divisione pel verso sud, ovest, ecc., coi numeri 0, 1, 2, 3, ecc.; 0 indicherà il TUORLI ta Borat di ta mell'aremoncopio 135 il nord-ovest; 225 il nord-est; 345 il sud-est, ece. Colla circonferenza divisa così in gradi sessagesimali, ped ai baratto îl posto della rosa dei venti e della sua nomenclatura, noi indichiamo con un semplice numero la proiezione , © questo numero è appunto l’azimuto di tal direzione. ioni consecutive A Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservaz I Giorni Altezza barometrica alla temperatura di 0 gradi EalalLalzicnalne Gi melti 271 IN GRADI CENTESIMALI IN MILLIMETRI IN CENTESIMI IN MILLIMETRI Temperatura esterna al Nord Tensione del Vapore Umidità relativa Tr 6 9 12 42 69 0) 9 12 3 (1) 9 6 9 i i n minima | massima f antim. | antim. | merid. pom. » « |mer.|pom./pom.|pom, antim.|antim.|merid.| pom. | pom. | pom, { antim. | antim. 32,4 | 33,1] 32,5] 31,1| 313] 33,2] 15,7 16,4 15,5 17,5 | 12,68] 12,89] 13,14 13,34 95 |92/91|9|% 35,4 | 35,7] 35,7] 35,5/ 35,5] 35,5] 154 15,6 7 15,2 18,7 | 11,58| 12,52| 13,26 13,58 | 12 9 | 84|92 33,1 | 34,1] 34,0] 33,9] 34,2] 34,4] 14,7 16,3 ) 14,1 18,6 | 11,27| 13,06] 13,69 13,06 9 91 | 80|85 33,7 | 32,6] 30,6] 2941 29,3] 30,0] 15,4 14,6 li 14,6 18,6 { 11,99] 11,63] 12,18 10,81 4 | 87 8 34,2] 35,7] 35,8] 37,3] 39,1] 404] 10,9 129 0,0 10,2 17,5 | 862) 985] 971 10,94 75 83 41,5 | 41,9] 42,0] 41,0] 41,3] 41,7 10,3 12,1 10,1 19,0 | S,75|] 8,08| 9,39 9,48 2| 95 | 74 62 40,3 | 40,4 | 40,2| 39,7] 39,8] 39,2] 13,5 14,7 ; 13,2 18,5 | 9,29| 8,76] 10,00 11,44 8 70 90 37,3] 37,4] 37,2] 36,6] 37,1[ 37,2] 145 14,8 î 14,4 15,9 | 11,57] 11,42] 11,95| 11,18] 11,20 9 p 86 38,8 39,3 39,3 38,5| 38,4] 384] 130 13,4 ! 12,7 15,7 { 10,43) 9,66| 10,04) 9,77] 10,34 9 5| SI 39,9 | 39,4] 39,0] 38,6| 39,3] 40,6] 12,7 13,3 È 12;2 183 | 9,90|10,52| 9,85| 9,48] 10,43 293 |70|62|69 41,3 | 41,9] 42,0] 41,5] 41,5] 42,0] 143 14,8 14,4 18,2 | 10,57| 10,26] 10,86| 10,19| 10,78 p 66 | 75 41,6 | 41,9] 41,3| 40,2] 40,3] 40,8] 11,5 12,8 0 11,3 19;2 9,48| 9,85] 9,81| 8,87] 10,87 40,6 | 40,8] 40,2| 39,1] 39,1] 39,2] 11,7 13,2 q 8,5 11,2 19,8 9,24| 9,99] 9,87] 10,18] 10,95 38,8] 39,3] 38,5] 37,3| 37,0] 37,2] 11,3 12,7 5, 10,8 18,2 9,54| 9,85] 11,59) 11,80] 12,11 36,1 37,9] 37,6] 37,4] 37,9] 13,3 13,7 ti 12,9 17,0 | 10,31| 11,14| 9,36| 10,00] 9,41 37,6|37,9/137,2] 36,2] 36,3/ 37,2] 10.1 14,1 d 99 | 174) 8,09) 850| 9,70] 10,64] 11,00 36,9] 37,7] 37,4] 36,5] 36,8] 36,9] 12,1 13,1 È 11,8 17,5 9,75] 9,08] 8,78) 8689] 9,02 36,2 |: 34,8] 32,9] 31,5] 30,4 11,8 12,2 2, 2,0 11,4 14,1 9,43] 9,19] 10,07| 9,81) 9,55] 9,68 28,2] 284] 28,1 26,8] 26,3] 25,8] 11,6 11,9 p 11,1 13,5 | 9,93| 10,00] 10,27| 10,18] 10,41| 9,57 28,2] /29,5/30,2/ 30,5/ 32,5] 33,6] 10,6 11,3 sz 9,9 14,5 | 7,97) 8,75) 870] 861] 808| 7,74 33,21 329] 309] 30,3] 208/288] 85 2 79 | 145 | 80) 753] 718] 705) 7,3) 5,09 31,7] 325] 335] 942|35,8/378] 6,1 2 2 55.| 132 6,72) 5,06) 640] 7,96) 6,51 30,1 | 39,9| 39,8| 386| 38,6] 38,9 9 È 80 | 13,5 770) 7,59) 720) s02| 792 37,5| 37,9 373] 368370] 374 9 5,9 | 133] 625) 745l zi4l 735) 802) 797 36,3] 37,2] 36,8] 36,5| 370] 382 f 5,0 | 149 720) 8,26) 639) 748) 771 39,7 | 40,0] 39,5| 388|39,8//391/ 0; 89 | 159 7,80) 9,22) 9,65| 1045] 10,45 37,4 | 37,81 36,6|/35,5|35,8| 364 ° 1 12,1 | 154 10,64| 10,42) 10,48] 10,56| 10,27 37,9 | 39,9] 41,9| 42,5] 44,3] 16,0 È 2, 9 2| 92) 129] 832) 618) 482) 601) 714) 740 46,2 | 47,0] 46,3| 44,7] 44,3] 439] 6 7 / 62 | 98 7.27) 639) 607| 6,59) 6,93 h,3 41,0| 40,7] 42,2| 43,2 40 | 104 9| 6,25) 621| 675) 699| 701 44,7 |/45,8|/45,5| 45,1] 45,7] 46,5 1 10) 116 5,77] 6.29] 643) 647] 661 % i [1 pia © (2) a LS] a ° ° 9 PA 29 » IAS Terza Decade * Decade] 36,6 | 37,0| 36,6 | 36,1 | 36,5 | 37,1 4, 17,8 | 10,61 | 10,74 2| 10,95 " Decade] 36,5 | < 36,7 | 35,9] 36,1 5,0 16,8 | 9,43/ 9,66 9,92 ® Decade] 38,6 | 39,3] 39,0 98,5 38,7 / È; 13,2 Î 7,16] 7,29 7,08 37,6 37,4 | 36,8 37,3 15,9 { 9,67| 9,23] 9 9,32 Jativa Azimuto Intensità rela! LI Quantità dl clelo coperto Altezza Altezza del della direzione del Vento Stato atmosferico dell’acqua { dell’acqua caduta evaporata IN DECIMI GRADI SESSAGESIMALI VENTO IN SC LLLI IN MILLIMETRI | IN MILLIMETRI ) A2 9 | 42 9 6 6 antim. | merid È . | ant. |mer, pom.| antimerid. | antimerid. pomerid. | pomerid. | pomerid. 95 2 10 | 10 1 nf sm sm sm sm 310 10/10] 10 10] smp sm sm 5 | 10 ms msr ms 10 | 10 sm, pP ò smr no È sm, nb smr sm, p sm, p sr EA a ACI IRA RAS sm, no n som sr, nb smo st, no sr, no som, no nb nb ms, no sm sm, no s, nb. nf, DI ms coo4+a 00500 è» = 29 > ro s, no (CHIC) r sm, no 1 sl 2 1 1 2 0 1 1 0 1 0 1 1 1 2 1 1 1 2 2 4 1 0 2 2 0 sr, nb mr, nb sm sr, n0 i rs TESTARE - 0 O DO - CC °I3R DO N10 3a MO sO ww sm, nb sm, nb ms, no smr #9 29 ro to nos So vwo w poormmnv0omno ms, no nf msr nf nf r, nf nb o © + r9 210 OSSERVAZIONI OZONOSCOPICHE norni del mese ‘antimerid, pomerid, pomerid, Gti DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE OTTOBRE 1868 DI CA = rai ARE = STO SC ‘8 Ses eo [ ST T T “Tur I T Te z | | | | fedi “ | O 3 VB AS DO SSD PA | } | Lc] 3, Sl T È i+ in torni {SIVORI È Ci | | | | | | ° | | | Mm = ii Spora si + iL = CE | | RA TNT | | Di | || | | | | di TA] ++ IE i CSS O È CRA a vd | | | | dii Î [o] i | Ie] | | di IMI i La ! IEHICNE DI DL 23) bi | a = ai sl I LETI = ci | | | [ | | (te) iS RIBASA È La | 4 LI ]8 n Î | | [TOR 7 vw ci | | [ia si LL + 4 (e 1 L | ai sla È I a | | | | | Ts ris: mani IE noi È | BRR ] s |- AHA-+ -— - H+ PV" 2 ci ni ui UNI | | | = 4 ni iii — tot +_+* SSA = | | | | n] (cal DI INA INCI | / | | (-S] LL LL TH sn Sai i ii (Si | | (I Ì | Î | | ° a | ° | | | | || oi +++ alli enni cicci Li a I 1. (or) | | {avi DINI > | tina! Ls ea : EM Ob a e li n n + + 9 —l iii JR B 2 | | {|| fs Dl È) I E e ||| LELE » eri do | | I'egi | | = “LIE E Es {|| |> - ia ia su =: © ° z TANT | ‘= Te © 3A n | | | E 354 di if n E I SI I SE 63) CE) | (aa i T T |a Uli Ci x Ced Î | i | | | = id dL_ + —L I Li + E E ci RESSE <|_|.E L.&_|| @_| ces | Bla 73 led pi ray } pa AS it LIL sì T de so HH | Ì Î | Î Uni csi NT (—" NI | | dd | = I | URTI = ssaa = | | .& | È ER | si -- A ili di e e eiese li di & ta. | ai | Î Î | | | T | z| Î | | | Î | "I S -- ICH Iii i La a EE ed = Î | | | | | H- —_l Han ini A+ A I + Co) | | | AL SE tele Pe; Co) | | di di KI | ellzii Sg elle 2 L E | RS: + + cd LP | | | t- Tim = | | sE i Rca se SI di | > ES e © = © ta =; (o) s = PS Si ME BOLLETTINO METEOROLOGICO. DELL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO MU NOVEMBRE 1868 AMM NOTAZIONI. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 un po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; nò nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all’orizzonte. DI pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pi pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; br brina; rg rugiada. AVVERTENZE. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. c Le temperature minima e massima, e l’altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 2% ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. a pre , A Ri vatoli pena designa il fa dove 5 Sa va; se sì vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. i; È : } La frase: « Ra della direzione del vento “a sessagesimali » ha forse bisogno di qualche spiegazione, LEE, MIRTO LOR 30 Li proiezione orizzontale della direzione del vento alquanto diversa dall’ordinaria. Sopra una circonferenza di circolo fissa in un piano orizzon ale x segnino i quattro punti cardinali: sud, ovest, nord, est. Si divida la circonferenza in 360 parti Sena cominciando dal uan Ri a a De Successivi di divisione pel verso sud, ovest, ecc., coi numeri 0, 4, 2, 3, ece.; 0 indicherà il sud; 90 l’ovest; 180.îl Boni FIOLETE ni NERI 135 il nord-ovest; 225 il nord-est; 315 il sud-est, ecc. Colla circonferenza divisa così in gradi sessagesimali la quale Puoitenere 119 REID îl posto della rosa dei venti e della sua nomenclatura, noi indichiamo con un semplice numero la proiezione orizzontale della direzione del vento; e questo numero è appunto l’azimuto di tal direzione. e 3 Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. 0) lea alb’altitudine di metri 276 MESE IN MILLIMETRI Giorni Altezza barometrica alla temperatura di 0 gradi Temperatura esterna al Nord Tensione del Vapore Umidità relativa IN GRADI CENTESIMALI È IN MILLIMETRI nc 7 9 | 42 9 12 ; 9 7 9 12 3 b 12 antim.\antim.\merid. .| pom. È im. | antim. | merid. h pom. | minima | massima | antim. | antim. | merid.| pom. . A a . |mer.|pom.|pom.|pom, 46,0| 48,1 | 47,9] 47,0| 47,3] 4 5 5,2 10,1 ‘ 9,7 4,5 14,0 | 5,91) 6,26| 6,52| 6,69 53| 6 70 TANTA AT, | 47A| 46,4 | 45,0] 44,4 4 6,3 10,0 3, 9,8 4,0 14,1 5,78] 6,67] 8,21] 7,98| 8,63/ 809€ 4 | 90 82 | 89 13,5 | 13,6] 408 sa | 45 4,8 19 87| 12 9,6] .39) 4241 5.84) 618) 812) 784) 8 3,28] 95 | 95 | 96 78 | 96 40,8 | 41,2 | 40,6 | 3£ 39,3 | 3£ 9, 5,9 9,6 2 10,1 4,8 13,0 6,30| 5,99 5] 8,97| 9,0 211 86 | 87 88 36,7 | 36,7| 35,2 | 3: 33,3 | 32,8 Ri) 8,2 10,5 2,5 10,5 5,1 12,6 5,67) 7,62 3,75| 8,57 È i 4| 94 86 20,4 | 29,3 | 28,1 | 2 20,7] 24, 8,5 9,0 10,2 9,6 7,9 10,8 7,61] 7,59 3,0! È 8 di 88 95 22,0.| 22 { 3,6 | 18,1| 18, 9, 9,6 10,1 ì 8,2 6,5 10,2 | S46| 8,69) $ 3 3,62 96 88 18,7 p 21,6] 2 5,6 5,8 7,0 6,9 4,2 8,9 3,23] 6,06 d° bt È 218 88 | 82 | 50 26,7] 27,4| 28,0] 2 29/3] d,8 82 o 5,0 9,6 6 3,30 | 2,4 < 7 5 b ERO 30,7 | 34,3 | 30,8 4| 31,2] 32, Ù 2A 5,7 A ; 4,0 7,9 pit 3,88] 2, 2,63 |< 3,93 | 75 43 | 34 | 56 33,8 | 34 33,7 | 33,1] 33,1 2,8 3,3 6,3 10 Ì, 4,8 8,6 1 4,11 36,4 | 37,7 | 38,1| 37,8] 38,4| 99 2,4 6,6 8 2 5,3 9,5 4° 3,74 41,0 | 42 41,4 7) 41,2 È 1,7 6,9 4,9 8,0 it 4,56 38,7] 39,1] 38,7] 36,8 367] 36 2| 33 35,8] 36,9] 37,5|2 38,9 5 î 1,6 41,3 | 41,7] 40,8] 39,4] 39,5| 39,8 2,6 3,0 41,1 9] 42,6] 42,9] 42,5] 4 i; 0,3 43,6 413,4 | 4° 13,3 | 43,4 VANE | 40,7 5 | 40,3 | 36 39,9 40,4 | 4 40,7 |< 44,4 |A Prima Decade 24 4,9 i 5,01 2;8 6,1 5,02 1,7 7 5,3 D: 4,87 0,8 3,7 4,44 27 6,1 4,16 0,0 4; S6| 4,14 2,5 2: 4,15] 4,43 Seconda Decade Su CA n Wo iui a 44,6 ,1 | 45,6| 4 45,3 45,3 | 45,4] 44,6 43,5] 43,4 414,8 | 42 41,4|4 40,8 | 40,9 39,2] 30 39,6 | 39,6| 39,5 | 39,5 37,1|2 35,6 | 34,5/ 33,9] 332 30,8 29,9 | 29,4] 29,2| 26,9 3,98 4,94 4,38 6,02 6,98 5,89 6,73 6,16 Terza Decade 29,0 | 29,9] 30,0| 30,2| 34,1] 31,5 29,8 | 30,0] 29,6| 20,0] 29,1] 298 29,6 | 30,3] 30,9] 31,6| 322] 34,4 37,6 | 38,2 | 384.381] 38,5)| 38,7 1° Decade] 34;2::34;7 2° Decade] 39,3 | 39,9 8° Decade] 36,5 | 36,8 Mese. | 36,7] 37,1 Intensità relativa DALUtO Quantità di cleto coperto pttezza atta | del della direzione del Vento Stato atmosferico dell’acqua ell acqua IN DECIMI caduta evaporata VENTO IN GRADI SESSAGESIMALI IN MILLIMETRI | iN MILLIMETRI 7 DI 9 | 12 LI i) ta 6 9 ant, | mer .|pom.y anlim. merid . 5 3 Ù >| antimerid. | antimerid. pomerid. | pomerid, | pomerid. 0 ui Ts, no rs, no ms s sr 1| 325 È 215 | 3% ! Ts, no fs, n0 OJ 240 sr, nb sr, nb 240 7 34 ‘ sr, n0 rs (=) 130 Ò 315 È 0 ms, nb nb rs, m 1 I 1 $ 125 0 4 i sm, no nb nb { b nf i nb, pg 1 3 smi, no sm, PI > o to Ro - c rs, NO v 0 rs, n0 ms, nb DO mi, no rs, nb s, nb sì n0 nr ms, no no nr sm, no nb, DI nb, PI s, 0 m, nb su s, nb mr Ts, nf s, nb nb nr no ST, nb nf nb pictorertototetio s, n0 no nr sm, no sm, no sm, nb sm, no | sm, nb | ms, nb sì nb s, nb nv, nb nb, nv nv nv ms,nb,pg nf nf, pg nf s, nb, p nf, p nh p rs, nb nf sm DO DO RO caos fd aa sm, NO nd sim, nb n, n0 nr nf Î nf OSSERVAZIONI OZONOSCOPICHE Giorni del mese 120013) [UE TER 9 antimerid, 0 0 (0) 3 pomerid, ,5 0,5 |4,5 9 pomerid, DUB DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE NOVEMBRE 1868 a Î | \ | [asi 1 2/353|4 Ie 61 4 8 19 10| 101|12| 135|14|15|16|17)| 18| 19 20/ ANI 22, 25 Sodi 2526 27 | 28| 29/ 5051 —|_ + + == — na sm ta ia | iz Dl Linea barometrica 750 LiL_ + : r A 750 Li [Lal I J i Il E Ì di | 740 Di = apc } 750 A 1 Il 13 Fani | ati a | | Tea 010) si sai i ei = - i - | 720 I E Pn Linea termometrica J | A LL ot = — + — i + | 10 i (0) — i -— difed— ul Lal RSS O BS AL L__ _| 10 . 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ANGELO SISMONDA , DIRETTORE DELLA CLASSE Il Socio Conte pr S"-Rosert legge la seguente NOTICE BIOGRAPHIQUE SUR SADI CARNOT. De toutes les conquétes de l’esprit humain qui, dans notre siècle, ont étendu le domaine de la science, il n’en est peut-ètre aucune aussi importante que l’application de la mécanique aux phénomènes de la chaleur, soit par les nouveaux horizons qu'elle ouvre aux recherches des sa- vanis, soit par les avantages que peut en tirer la pratique. La nouvelle science qui en est résultée, la THERMODYNA- MIQUE, sorlie a peine de son berceaux, nous laisse entrevoir l’époque où tous les phénomènes physiques, chimiques et méme physiologiques viendront se ranger sous les lois de la mécanique qui par là deviendra la science universelle. Crest è Sapi Carnot qu’appartient le mérite de la pre- mire application de la science du mouvement aux effets 152 produits par la chaleur. C'est dans un éerit aussi petit de volume que riche d’idées originales et ingénieuses, publié en 1824 (1), que sont contenues les méthodes de rai- sonnement dont la nouvelle science fait sans cesse usage, et que se trouve énoncé, pour la première fois, l'un des deux principes sur lesquels elle repose. Ravi aux sciences par une mort prématurée, SADI CarnoT n'a pu que poser les bases du nouvel édifice que d'autres devaîent avoir la gloire d’achever. Ses recherches ne furent pas d’abord appréciées è leur juste valeur: elles ne portèrent leur fruit qu’après sa mort et lorsque la découverte d'un nouveau principe, le prin- cipe de Mayer, vint les compléter. L’admiration que m'a inspirée la lecture de l’ouvrage de Sapi Carnot m'a fait désirer vivement de connaître les vicissitudes de son ‘existence; car on aime è se retracer la vie de ces hommes d'élite qui, en se frayant des routes nouvelles, ont reculé les bornes de la science, et par là ont acquis des droits è la reconnaissance de la postérité, dont: ils sont devenus les bienfaiteurs. Vainement ai-je ouvert une foule de Dictionnaires bio- graphiques: ou ils ne font point mention de Sapi CarNoT ou ils ne lui consacrent que quelques mots. La seule no- tice moins sommaire, quoique bien insuffisante, que j'aie trouvée, est celle qu’a publiée; dans le tome 55 de la Revue encyclopedique, son ancien camarade è l'Ecole poly- technique, M. RoBeLIn. Trompé dans mon altente, j'ai cru pouvoir m’adresser (1) Réflerions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres à deévelopper cette puissance. Paris, chez Bachelier, libraire. 153 à son neveu, M. Sapi Carnor, ingenieur des ponts et chaussées è Annecy, qui, avec une obligeance extréme, dont je lui suis sincèrement reconnaissant, a bien voulu rédiger è mon intention une notice sur la vie de son illustre parent. C'est cette notice qu'avec la permission de l’auteur, je m’empresse de communiquer à | Aca- démie, en la faisant suivre d’une analyse de l’ouvrage de Sapi CARNOT. i Amené par mes études a m'occuper de travaux de méme nature, j'ai voulu contribuer, de mon còté, et autant que mes efforis pouvaient me le permettre, è rendre hommage è la mémoire d'un homme a qui les circonstances n’ont pas permis de développer tout son génie, que la mort a arrété au début de sa course, mais dont le nom doit étre è jamais gravé au frontispice de la nouvelle science, 7 I. « Sani Carnor ( Nicolas Léonard) naquit le 4° juin 4796 au palais du Luxembourg que son pere habitait comme membre du Directoire exécutif. » « Le Général Carnor avait eu, avant lui, deux fils, morls tous deux en très-bas dge. Il en eut un plus tard, en 4804, Hippolyte Carnor, aujourd'hui Député de Paris. » « « L’usage n'était plus alors de prendre ses prénoms » dans le catalogue de l'Église, mais dans l’histoire » des anciennes républiques: c’étaient les Lycurgue , » les Gracchus, les Brutus. Le Général CarnoT n’aimait » pas ces démonstrations: il choisit pour son enfant le 154 » nom d'un sage de TOrient, qui n'a laissé que de » belles poésies et des préceptes de morale: il l’appela » Sadi (1). »» « Dune complexion delicate, Sapi CarnoT raffermit sa santé par les exercices du corps dans lesquels il excellait. Il passa les premières années de son enfance à St-Omer où, durant la proscription qui frappa le Directeur. après le 18 fructidor, avait dù se réfugier sa mère, fille de Jacques Dupont, ancien directeur des établissements mili- taires de VOst-Frise, qui avait recu en 1792 une pension de l'État è titre de recompense nationale. » « Lorsque, sous le Consulat, Carnor put rentrer en France et fut nommé Ministre de la guerre, il emmenait souvent son fils è la Malmaison où il allait travailler ‘avec Bonaparte. La femme du Premier Consul, qui fut plus tard l’Impératrice JosEPHINE, avait pris le jeune Sapi en grande affection, et le demandait parfois è sa mère pour des matinées entières. » « Carnor dirigeait lui-méme l’éducation de ses enfants, et il n’envoya son fils ‘aîné suivre les cours du Lycée Charlemagne que pour le préparer aux examens de l’École polytechnique. Il avait reconnu en lui, de très-bonne heure, un goùt décidé et une aptitude spéciale pour les sciences exacles, et il le dirigea dans cette voie, sans négliger de développer son intelligence par l’étude des sciences natu- relles, l’exercice pratique des langues vivantes et la lecture des meilleurs classiques latins. » « Sapi Carnor entra a l'École polytechnique en sep- (1) Mémoires sur Carnot par son fils, t. IT, p. 88. 155 tembre 1842 à l'àge de seize ans. L'année suivante il sortit le 1° dans l’artillerie; mais, trouvé trop jeune et trop délicat, il resta une année de plus à l'École d’où il sortit dans le Génie en l'année 4814. Il y était encore au moment de l’attaque de Paris par les alliés, et fit ses premières armes è la Batte-Chaumont avant d’aller rejoindre son père qui défendait encore Anvers contre les forces anglaises et prussiennes et ne remit la place que le 3 mai à un commissaire du nouveau Gouvernement. » « Il avait eu pour camarades à l’École le Général Duvivier, tué è Paris en juin 1848, M, Cnastes, au- jourd'hui membre de l’Académie des sciences, M. RoBELIN qui a publié une notice nécrologique sur lui dans la Revue encyclopédigue en aoùt 4832 (4). » «A TEcole de Metz, en 18414 et 1815, Sani CarNoT rédigea plusieurs Mémoires scientifiques qui le firent distin- guer; mais, sous le gouvernement des Bourbons, il devait tre tenu à l'écart, et on l’envoya de garnison en garnison, et souvent dans de petites forteresses, où il ne trouvait dans son service que des travaux purement matériels. » a Il s'ennuya du métier et, lorsque le corps de l'État- major fut formé en 1819, les officiers de toutes armes élant autorisés è s'y présenter, il alla è Paris subir les examens et fut admis le second comme lieutenant dans ee nouveau Corps. Il n'y trouva pas l’emploi de son in- telligence el s'occupa de travaux entièrement étrangers au meélier. En 1824 il publia ses Réflexions sur la puissance motrice du few et sur les machines propres à développer celle (1) Tom. LV, p. 528. 156 pwissance , sans prendre d’autre titre que celui d'ancien élève de l'Ecole polytechnique. M. Gurarp, de l’Institut, rendit compte de cet ouvrage à lAcadémie des Sciences et dans la Revue encyclopédique en juillet 1824. Il devait étre suivi de plusieurs autres qui sont restés è l'éfat d’ébauche. » « Lorsqu'’en 1826 une ordonnance royale fit rentrer dans la Ligne les lieutenants d’Etat-major; Sapi Carnor fat rappelé dans le Corps du Génie par ses anciens chefs et y rentra avec le grade de capitaine. Mais en 1828, lassé du métier et désireux de se vouer plus librement à ses études favorites, il donna sa démission. » « Son esprit ne se confinait pas dans la culture des sciences mathématiques et de leurs applications. Dédai- gneux, à sa sortie de l’Ecole, des études philosophiques; il s'adonna plus tard, avec une remarquable pénétration, aux sciences économiques. » « Dès l'année 1824 son père disait devant lui:«« Lorsque » de vrais mathématiciens s'adonneront à l’économie poli- » tique et y appliqueront la méthode expérimentale, il se » créera une science nouvelle, une science qui n’aura » besoin que d’étre échauffée par l'amour de l'humanité » pour transformer le gouvernement des États. »» Il avait reconnu en lui plusieurs. des qualités propres è former léconomiste. ». e Sapi. Carnor avait un sentiment très-développé des arts et, comme beaucoup de mathématiciens, il était pas- sionné. musicien. Le choix de ses lectures indique le caractère. de son goùt littéraire: Pascar et Momkre ne quittaient pas sa table; il les savait presque par coeur. » « Son esprit, d’ailleurs, était egalement ouvert & 157 toutes les branches des connaissances. Il frequentait avec la méme assiduité le Musée du Louvre et la Bibliothèque royale, le Jardin des plantes et le Conservatoire des arts et métiers. » « Il visitait fréquemment les usines afin de s’initier aux procédés de la fabrication, et donna souvent des avis utiles è M. Crement Desormes, professeur au Conserva- toire, chimiste et industriel. » « Il était très-réservé, sauvage méme. Pourtant, quand il consentait è aller dans le monde, on ne tardait pas à le remarquer pour l’originalitè de sa conversation et, en petit comité, il se montrait plein d’esprit et de gaîté. » « Ses opinions politiques étaient hautement républi- caines. Il s'attacha è developper l’enseignement populaire, et fut un des fondateurs de l’Association polytechnique formée par d’anciens élèves de l'École. Il manifesta net- tement ses tendances en 1830 dans les réunions popu- laires, mais sans chercher jamais è fixer sur lui Yattention publique. Voyant les ‘espérances de la démocratie ajour- nées, il se confina de nouveau dans son cabinet d’étude et dans son laboratoire, et se mit particulibrement à étudier les propriétés physiques des gaz. » « Surpris au milieu d'un travail excessif, vers la fin de juin 1832, par une fièvre scarlatine qui dégénéra en fievre cerebrale et l'affaiblit beaucoup, SApI CARNOT suc- comba en quelques heures è une attaque de choléra le 24 aoùt, emportant avec lui les résultats de savantes recherches, et laissant, avec ses Aé/lezions sur la puis- sance motrice du feu, quelques travaux inachevés qui sont restés inédits. » 158 Il La seule production scientifique que nous possédions de Sapi Carnor date de l'année 1824; elle est intitulée: Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les ma- chines propres à développer cette pwissance. Ce petit ouvrage a été le point de départ des travaux qui ont constitué la Thermodynamique dans son état actuel. Dans ses 118 pages sont renfermées les. idées qui forment le noyau de cette nouvelle science. Depuis longtemps on a dit que dans le monde phy- sique, comme dans le monde intellectuel, tout est soumis à la loi de continuité; que nous nous traînons, pour ainsi dire, d'une vérité è la vérité voisine. Cependant l’ouvrage que nous nous proposons d’analyser paraît faire exception à cette règle. En effet tout y est original et l’on ne trouve dans les écrits antérieurs aucune trace des conceptions qu'il contient. C'est è ce titre quil mérite plus particu- librement de fixer notre attention. L’auteur y envisage la production du travail mécanique au moyen de la chaleur d’une manière indépendante d’aucun mécanisme, d’aucun agent particulier. Ses rai- sonnements sont applicables, non-seulement aux machines à vapeur, à air, ete., mais è toute machine thermique imaginable, quelle que soit la substance mise en euvre et quelle que soit la manière dont on agit sur elle. Il commence par faire remarquer que la production du travail mécanique, au moyen de la chaleur, est toujours 159 accompagnée du passage de la chaleur mème d'un corps, où la température est plus élevée, à un autre corps où elle est plus basse. Dans toute machine mise en mouvement par la chaleur, on a, en effet, d'une part une source de chaleur et de l’autre un réfrigerant et, entre les deux, un corps qui, mis tour è tour en contact avec l’une et avec l’autre, produit, par ses alternatives de dilatations et de con- tractions, le travail dont on a besoin. Il est naturel de s’adresser ici cette question : le travail produit par la chaleur dépend-il de la substance inter- médiaire, choisie comme sujet d’action de la chaleur? Sapi CaRrNOT, en s'appuyant sur l’impossibilité du mou- vement perpétuel, démontre que le travail produit est independant de la nature de l’agent intermédiaire, et que sa quantité est fixée umquement par les températures des corps entre lesquels se fait en dermier résultat le transport de la chaleur. On comprend toute l’importance de cette proposition. Si son effet se bornait à faire abandonner certains projets chimériques qui aboulissent è vouloir retirer de la chaleur plus de travail mécanique qu'elle n’en peut fournir, ce serait déjà un grand service renda aux inventeurs et comme un phare destiné è éclairer l’ecueil. Mais pour obtenir le plus grand travail possible entre deux températures données, il est nécessaire de rempliv une condition, et cette condition est: qu'il ne se produise, dans les corps emplovés è réaliser le travail mécanique de la chaleur, aucun changement de temperature qui ne soit dù è un changement de volume. Réciproquement, 160 toutes les fois que cette condition sera remplie, le maximum de travail sera atteint. Dans la construction des machines thermiques, on ne devra jamais perdre de vue ce principe; car il en est la base fondamentale. Si l’on ne peut pas l’observer ri- goureusement, il faut du moins s’en écarter le moins possible. Tout changement de température qui n'est pas dù è un changement de volume, est nécessairement dù au pas- sage direct de la chaleur d’un corps plus ou moins échauffé à un corps plus froid. Ce passage a lieu principalement au contact de corps de températures diverses: aussi, un pareil contact doit-il étre évité autant que possible. Il ne peul pas étre évité complétement, sans doute, mais il faut du moins faire en sorte que les corps mis en contact les uns avec les autres diffèrent peu entre eux de température. L’auteur fait voir de quelle manière, avec des enve- loppes, supposées imperméables à la chaleur, on réus- sirait è construire des machines qui pourraient satisfaire exactement è cette condition fondamentale. | Après avoir etabli sa proposition, Sapi CarNor entre- prend de déterminer quel est le travail maximum qui peut étre produit par une cerlaine quantité de chaleur, passant d'une source è un réfrigérant dont les températures sont déterminées. Ici les données physiques nécessaires lui ont fait défaut, et il n°a pu qu'établir la proposition : que le passage de la chaleur d’une température è une autre plus basse, ou Ja chute de la chaleur, comme il l’appelle, produit plus de travail dans les degrés infe- rieurs que dans les degrés supérieurs. 161 Ainsi, une quantité donnée de chaleur développera plus de travail en passant d’un corps maintenu è 1° à un autre maintenu-à 0°, que si ces deux corps cussent été è 101° et 100°, Il a entreva, en outre, que le travail produit est pro- portionnel è la différence de température entre la source de chaleur et le réfrigérant; mais il n'a pu formuler neltement, avec les seules données expérimentales qu'on possédait de son temps, la loi suivant laquelle varie le travail de la chaleur dans les différents degrés de l’échelle hermométrique. Aujourd’hui nous savons que le travail produit est di- rectement proportionnel & la chute de la chaleur el inver- sement proportionnel à la temperature absolue cu è la température évaluée à partir du zéro absolu, point de la privation totale de chaleur, qui a été fixé, d’après des données expérimentales et des déductions théoriques, è 274 degrés au-dessous de la température de la glace fondante. Tel est le théorème qu'on appelle ordinairement second principe de la Thermodynamique ou principe de Carnot, parce que c'est lui qui a montré le chemin pour y arriver. C'est ce théorème qui a servi, entre les mains de MM. Crausius, William Tnomson, RANKINE et autres, conjointe- ment avec le principe de l'equivalence ou principe de Mayer, a élever l’édifice de la nouvelle doctrine de la chaleur qui est venue modifier profondément toutes les théories de la physique. A l'époque où Sapi CarnoT s'occupait de ses recherches tout le monde acceptait, et lui avec les autres, l’hypothèse 162 de la matérialité et, par conséquent, de l’indestructibilité de la chalevr, bien qu'il exprime, dans plusieurs endroits de son livre, un doute marquè sur son exaclitude. D’après cette hypothèse la production du travail lui parut due, non è une consommation réelle de la chaleur, mais è son transport d'un corps chaud sur un corps froid, à sa chute, comme il s'exprime, d'une température plus élevée à une temperature plus basse. Ainsi, il supposa que la chaleur empruntée à la source plus chaude est versée intégralement dans le réfrigérant; que, par exemple, dans une machine a vapeur, la vapeur d’eau rend, en devenant liquide, au condenseur toute la chaleur qu'elle a recue du combustible à travers les parois de la chaudière. Or, cela est en contradiction avec le principe de Mayer, car le travail ne peut étre produit qu'aux dépens d'une certaine quantitè de chaleur qui doit disparaître pendant l’opération. En effet, on a reconnu depuis que la vapeur apporte au condenseur moins de chaleur qu'elle n’en prend à la chaudière, et que la chaleur consommée è l’intérieur de la machine est proportionnelle au travail effectif de la vapeur. Heureusement la proposition de Carnor, bien qu'établie dans l'hypothèse erronée de la matérialitè de la chaleur, nen est pas moins vraie. Une très-légère modification dans la forme de la démonstration de CarnoT suflit pour la rendre acceptable dans la théorie actuelle de la chaleur, comme l’ont fait voir presque en mème temps M. Crausius en Al- lemagne et M. W. Tuowmson en Angleterre. Au lieu de faire dépendre la demonstration de l’impos- sibilité du mouvement perpétuel, M. Crausrus s'appuie sur 163 le principe suivant: Za chaleur ne peut passer d’elle-méme d’un corps plus froid dans un corps plus chaud. M. W. Tnowson fonde sa démonstration sur l’ axiome suivant, qui n'est pas moins évident: // est impossible, au moyen d'agenis matériels inanimes, de tirer aucun effet mécanique d'une substance quelconque, en abaissant sa tem- pérature au-dessous de la temperature des corps qui sont les plus froids, parmi tous ceur qui environnent cette substance. Ces deux axiomes, l’un physique, l’autre mécanique, quoique différents dans la forme, sont, au fond, la con- sequence lun de l’autre. Ainsi la chaîne des raisonnements de Sapi CarNoT, un moment rompue, a pu étre facilement renouge, et son théorème, mis d’accord avec le principe de Mayer, est devenu l’une des deux colonnes qui supportent tout l’édifice de la théorie mécanique de la chalcur. Sani Carnor, en appliquant sa méthode de raison- nement a la recherche de certaines propriétés des gaz permanents, est parvenu à plusieurs théorèmes dont voici l’énoncé: 1° Lorsqu'un gaz passe, sans changer de temperature, d'un volume et d'une pression determinés, dà un autre volume et une autre pression également détermines, la quantité de chaleur absorbée ou abandonnée est toujours la méme, quelle que sott la nature du gaz choisi comme sujet d'expérience. 2° La différence entre la chaleur spécifique sous pression constante, et la chaleur spécifique sous volume constant, est la méme pour tous les gaz. 3° Lorsquun gaz varie de volume sans changer. de température, les quantités de chaleur absorbées ou dégagées 164 par ce gaz sont en progression arithmétique, si les ‘ac- croissements ou réductions de volume sont en PATO geométrique. Ces théorèmes ont trouvé depuis leur vérification dans l'expérience directe. Aujourd’hui ils'‘se déduisent sans peine de la considéralion que le travail intérieur est & peu près: nul dans les gaz permanente. | L’ouvrage de Sani Carnor est termine par l’examen des divers moyens proposés pour utiliser la puissance mo- trice de la chaleur. Cette partie de l'ouvrage est encore aujourd’hui de toute actualité , et mériterait d’élre étudiége par bien des ingénieurs et des constructeurs qui ne se font pas toujours des idées très-justes sur la manière d’agir des machines thermiques. Ils y verraient que dans l’orga- nisation de toute machine thermique, quel que soit le fluide employé, il ne faut jamais perdre de vue les trois principes suivants: 1° La température du fluide doit étre portée d'abord au degré le plus élevé possible, afin d'obtenir une grande chute de chaleur, et par suite une grande production de travail mécanique. 2° Par la méme raison le refroidissement doit étre porté aussi loin que possible. 3° Il faut faire en sorte que le passage du fluide élastique de la température la plus élevée è la température la plus basse soit dù è l’extension de volume, c’est-à-dire, que le refroidissement du fluide arrive spontanément par l’effet de la raréfaction. D'après cela, l’avantage des machines dites è haute pression, reside essentiellement dans la faculte de rendre 165 utile une plus grande chute de chaleur. Mais pour tirer de ces machines ie plus grand avantage, il faut employer la vapeur sous des pressions successives, très-differentes les unes des autres, et progressivement décroissantes. Les réflexions que fait Sapri CArNnoT sur VPemploi des gaz permanents et des vapeurs, autres que celle de l'eau, au développement du travail par la chaleur, peuvent dissiper nombre d’illusions qu'on se fait dans ces matières. L’importance des vérites découvertes par Sapi CarNoT ne fut pas assez appréciée de ses contemporains. La cause de cette indifference est peut-ètre dans le peu de dévelop- pements dans lesquels il est entré, et surtout dans la nou- veautée et l’originalité de ses vues, C'est ordinairement le sort de ceux qui précèdent leur siécle de ne pas étre compris et de passer inapercus. La renommée ne s'altache le plus souvent qu’aux écrivains qui savent exprimer le mieux les idées de leur temps. Ce qui doit soutenir dans leurs veilles sludieuses ces modestes pionniers de l’intelligence, laissés dans l’oubli par leurs contemporains, c'est la pensee qu’ ils obtiendront justice de la postérité. Tàchons, pour notre part, que cet espoir ne soit pas dégu et, en honorant les morts, encoura- geons les vivants. Dans son exposition Sapi CarNoT, voulant éviter l’emploi de l’analyse mathématique, a été obligé d’avoir recours à des raisonnements fort délicats et difficiles à saisir. Nous croyons gu’on manque souvent le bul en évitant l'usage de la langue algebrique, pour se rendre accessible à un plus grand nombre de personnes; car cette langue admirable fixe l'attention sans la fatiguer et fortifie la pensée, Parmi I1 166 les exemples que nous pourrions citer à l’appui de cette assertion, aucun n’est peut-étre plus décisif que celui que nous offre la célèbre Exposition du Systéme du monde de LarLace. Malgré la noble simplicité, Ja parfaite propriété d’expressions avec lesquelles cet ouvrage est éerit, fort peu de personnes sont en état de le comprendre. En 1839, CraPeyRon donna, dans le Journal de l' Ecole polytechnique, une traduction analytique de l’ouvrage de Carnor, en faisant usage d'une méthode de représentation graphique qui a été adoptée, après lui, par presque tous les auteurs; mais cela n'a pas suffi pour attirer sur ce sujet Vattention du public savant. Les idées de Sapi Carnor ne portèrent leurs fruits que vers la moitié de notre siècle, quand le principe de l’équi- valence, ou de Mayer, vint le compléter. En 1849, M. William Trowson, dans un Compte rendu de la Theorie de la puissance motrice de la chaleur de Sani Carnot (1), après avoir donné un résumé de cette théorie, signala les difficultés qui résultent pour elle du principe de l’équivalence. Un an plus tard il revint sur cette question, et en prenant pcur point de départ les deux principes de Mayer et de Carnot, donna sa 7héorie dynamique de la chaleur (2). Presque en méme temps MM. Crausius et RANKINE publiaient de leur còtè , l'un dans les Annales de. Pog- gendorff (3), l’autre dans les 7ransactions de la Société (1) « An Account of Carnot’s Theory of the Motive Power of Heat.» Trans, Roy. Soc. Edinb. v. XVI. (2) Trans. Roy. Soc. Edinb. v. XX. (3) Vol. LXXIX, 1850. \ 167 d'Edimbourg (A), leurs recherches aboutissant à des ré- sultats. analogues. Cette simultanéité dans la découverte des théories qui constituent la Thermodynamique dans son état actuel, offre un nouvel exemple d’un fait qui n'est pas rare dans l’histoire des sciences. Toutes les fois que nos connaissances sont arrivées a un certain point, que les temps sont mùrs, le mème pas peut étre fait simultanément par plusieurs per- sonnes, è l’insu les unes des autres. Le principe de Carnot est beaucoup moins vulgarisé que celui de Mayer. Il est des ouvrages consacrés è l’exposition populaire de la Thermodynamique où il n’en est pas méme fait mention. Cependant ce principe joue un role aussi im- portant que le principe de Mayer. Sans lui une théorie rationnelle des machines è vapeur, et en général des ma- chines thermiques, serait impossible. Une foule de résultats importants ont eté obtenus par son application. Nous pouvons citer comme exemples: la détermination des den- sités des vapeurs saturées; la détermination de la quantité de vapeur qui se précipite quand une vapeur saturée se dilate dans une enveloppe imperméable à la chaleur; la détermination du travail intérieur d’un liquide dans l’acte de la vaporisation; le changement du point de fusion des solides produit par le changement de la pression qu’ils supportent. Une chose digne de remarque c'est le rapport que les Reéflexions sur la puissance motrice du feu de Sapi CARNOT ont avec les considerations renfermées dans un petit ouvrage (1) Vol. XX. 168 de son illustre père, Ie Général Carnor, publié en 1783, sous le titre d’Essar sur les machines en général. Ce que le père a fait pour la mécanique ordinaire, le fils l’a fait pour la méeanique de la chaleur. De méme que le père montre qu'on doit, dans les ma- chines, éviter, è tout prix, les changements brusques de vitesse; de méme le fils montre que dans une machine thermique il faut éviter, autant que possible, le contact entre des corps de température differente. Comme le Général Carnor fait voir qu’ une machine ne peut rien ajouter au travail moteur et que le mouve- ment perpétuel est une absurdité, ainsi Sapi CARNOT démontre qu’entre deux températures données, le travail qu'on peut retirer d’une quantité donnée de chaleur est toujours le méme, quel que soit l’agent mis en ceuvre pour le réaliser, et que l’espoir d’augmenter le travail recueilli en employant un agent, un mécanisme, plutòt qu'un autre, est une chimère. Le mérite principal de Sapr Carnor, et celui qui le recommande le plus a la postérité, c'est d’avoir transporté dans la science de la chaleur les principes de la mécanique; c'est d’avoir eréé la logique de la nouvelle doctrine de la chaleur. C'est a lui que nous devons l’idée de ces cycles d’opérations qui, prenant un corps dans un état déterminé, le font passer à un état different, en suivant un certain chemin, et le ramènent par une autre voie è son état primitif. C'est dans son ouvrage qu'on trouve l’application a des questions de physique de la méthode de réduclion è l’absurde dont les anciens faisaient usage pour démontrer les vérités abstraites de la Géométrie. 169 Dès que le principe de l’équivalence fut découvert, on n'eut qu'a l’introduire dans les formes de raisonnement employées par lui, pour en faire sortir la Thermodynamique. Ce qui a manqué a Sapi CarNOT, c'est ce principe de l’équivalence. S'il avait rejeté l’hypothèse de la maté- rialité de la chaleur, il serait sans doute allé beaucoup plus loin dans ses découvertes. C'est un exemple instructif des dangers inhérents aux hypothèses. Elles peuvent étre utiles dans certains cas, mais il ne faut jamais s'en rendre esclave, ni leur altribuer une existence effective. Un atta- chement superstitieux è des apergus théoriques en oppo- sition avec les faits est, comme le dit Sir John HeRschEL, le fléau des sciences (1). Les expériences du Comte de Rumrorp qui avait tiré des mèmes matériaux par le frottement des quantités indé- finies de chaleur, les expériences de Sir Humphrey Davy qui avait produit la fusion de deux morceaux de glace, par le simple frottement, dans une atmosphère à une tem- péralure inférieure è zéro, auraient dù ouvrir les yeux aux savants; mais il est si difficile de sortir de l’ornière où l'on s'est engagé, que méme les esprits d'élite res- semblent quelquefois aux moutons de Panurge. Malgré ces expériences qui datent de la fin du XVIII siècle, il a fallu plus de 50 ans pour se défaire de la théorie de la matérialité de la chaleur, et méme aujourd’hui elle n’est pas complétement bannie des écoles. (1) « A bigoted adherence to hypotheses, or indeed to peculiar » views of any kind, in opposition to the tenor of facts as they » arise, is the bane of all philosophy » A preliminary discourse on the study of natural philosophy by J. F. W. Herschel. 170 Les auteurs qui ont tracé l’historique des travaux sur lesquels est fondée la Thermodynamique n’ont pas assez rendu justice à Sapi CarnoT. Ils ont beaucoup trop insisté sur l’erreur dont la démonstration qu'il a donnée de son théorème est entachée, et pas assez sur l’exactitude et la portée de ce méme théorème. Puisse cette exquisse rapide redresser l’opinion publique sur le mérite d'un savant dont les découvertes, indépendamment de leur valeur propre, ont ouvert un vaste champ aux investigations de la science! Il Socio Cav. Lessona presenta e legge, a nome del- l'Autore, Conte Tommaso SaLvapori, Assistente al Museo di Storia naturale, la seguente NOTA INTORNO AD ALCUNI UCCELLI DI COSTA RICA Il sig. Luigi Duranpo di Luserna, nella provincia di Pinerolo, tornava non ha guari da Costa Rica, e seco por- tava una collezione di uccelli, che molto generosamente donava al R. Museo Zoologico della Università di Torino. Questa collezione, secondo che me ne scrive lo stesso sig. Duranpo, fu per la maggior parte fatta da lui per- correndo la regione che si estende dal vulcano Turialba al Rio San Carlos (4), che divide lo Stato di Costa Rica (1) Neppure in recentissimi atlanti geografici ho potuto trovare indicato il vulcano Turialba, ed il fiume che divide lo Stato di Costa Rica da quello di Nicaragua non porta il nome di Rio San Carlos, ma quello di Rio San Juan. 171 da quello di Nicaragua. La collezione consta di 41 esem- plari appartenenti a 23 specie diverse, delle quali 14 man- cavano nel Museo di Torino. La maggior parte, descritte in questi ultimi tempi, sono particolari all’America cen- trale, e rare ancora nelle collezioni, onde mi è parso fosse prezzo dell’opera lo annoverarle in una lista, ac- compagnandole di qualche nota. TURDIDAE. Turdus obsoletus. Turdus obsoletus LawR., Ann. N. Y. Lyc., VII, 1862, p. 470. - Bairp, Rev. Am. B., pt. I, p. 28. - SaLvin, PZ i, dD0% p. 198. | Un individuo molto giovane, di color bruno cupo, con sottili strie di color rossiccio chiaro lungo lo stelo delle piume della testa, del collo, del dorso e delle cuopritrici delle ali; su queste ultime le strie si dila- tano formando un margine rossiccio assai cospicuo ; parte media dell'addome e sottocoda bianchi; cuopritrici inferiori delle ali e margine interno delle remiganti di color rossiccio chiaro. In questo abito somiglia molto al giovane del 7. phaeopygus, quale è stato figurato da ScLatER e Sacvin, P. Z. S., 1867, pl. XXIX. Devo la determinazione di questo individuo al si- gnor ScLaTER, cui l’ho inviato in comunicazione. Di questa specie, a quanto pare, non si conosce ancora il maschio adulto. L'individuo tipo descritto dal LawRENCE, e quindi dal Barrp, è un maschio giovane, ed una femmina adulta è stata descritta dal SALvIn. Mancava nel Museo di Torino. 172 Miyiadestes melanops. Myiadestes melanops Sarv., P. Z. S., 1864, p. 580, pl. 35. - Barrp, Rev. Am. B., p. 426. - Scr. et Sarv., Exot. Orn., pi DI. | Un individuo adulto. Anche questa specie, recentemente descritta, man- cava nel Museo di Torino. MNIOTILTIDAE. Parula inornata. Parula brasiliana Scr. et Sarv., Ibis, 1860, p. 397 (nec Licht.). Parula inornata Barrp, Rev. Am. B., I, p. 171. Un individuo. Secondochè fa osservare il Barrp questa specie è alquanto più piccola della P. pitiayumi, ed in essa le estremità delle cuopritrici mediane delle ali mancano delle macchie bianche, che si trovano soltanto all’estremità di alcune delle maggiori. L'individuo da me osservato mostra la macchia oli- vacea dorsale alquanto più estesa che nella P. pitiayumi. Del resto appena si può considerare come specie distinta. Mancava nel Museo di Torino. COEREBIDAE. Dacnis venusta. Dacnis venusta Lawr., Ann. Lyc. N. H. New York, 10 Febr. 1862, p. 10. - ScLar., Syn. sp. Dacnis, Ibis, 1863, p. 311, pl. VII. - ScL, et Sarv., P. Z.S., 1867, pi 348. 173 3 è edi1 o. Bellissima specie, descritta e figurata non ha molto, e rara ancora nelle collezioni. Mancava nel Museo di Torino. Chlorophanes guatimalensis. Chlorophanes guatemalensis ScLat., P. Z. S., 1861, p. 129. - Id., Cat. Am. B., p. 52, sp. 319. - Sarv., P. Z. S., 1867, p. 137. Chlorophanes spiza Lawr., Ann. N. Y. Lyc., VII, p..174. Due individui 9. Appena diversa dalla Chlorophanes atricapilla, almeno le due femmine da me esaminate differiscono soltanto per avere il colore verde alquanto più vivo; il becco non è nè più lungo, nè più grosso. Mancava nel Museo di Torino. TANAGRIDAE. Euphona elegantissima (BP.) CaB., J. f. Orn., 1860, pit: Un individuo è. Differisce alquanto da un individuo del Messico per avere il colore celeste della testa e della nuca alquanto più vivo ed intenso, ed il colore castagno delle parti in- feriori volge manifestamente al giallo dorato sul petto e sui fianchi, le quali differenze sono forse da attribuire alla freschezza dell'esemplare. Chlorophonia callophrys. Trigliphidia callophrys Cas., J. f. Orn., 1860, p. 331. Acrocompsa callophrys CaB., 1. c., 1861, p. 88. Chlorophonia callophrys Scrat. et SAaLv., Exot. Orn., p. 84. 174 Un individuo , a mio credere, femmina, siccome è probabile che il maschio abbia come quello della C. occi- pîitalis una fascia pettorale di color castagno. Confrontato con una femmina della €. occipitalis presenta le seguenti differenze: 1.° La macchia occipitale è di color azzurro assai intenso e non celeste chiaro, ed inoltre si estende lungo la nuca fino a raggiungere il collare celeste che, come nella C. occipitalis, cinge la base del collo. 2.° La fronte ed un largo sopracciglio che scorre ai lati della macchia azzurra della cervice hanno una tinta manifestamente giallo dorata, ciò che non è nella fem- mina della C. occipitalis. Questa specie mancava nel Museo di Torino, e pro- babilmente è questo il terzo individuo esistente nei Musei di Europa. I due individui tipi si trovano nel Museo di Berlino. Callispiza gyroloides (LArR.). Tre individui. Uno di questi è perfettamente adulto, un secondo ha le parti inferiori di color celeste meno vivo, e la macchia celeste del groppone meno estesa, ed il color castagno della testa meno vivo. Finalmente un terzo indi- viduo, a quanto sembra giovane, è quasi uniformemente verde con traccie di color castagno sulla testa, e sulle parti inferiori appena una traccia di celeste. Questi tre individui differiscono da un individuo del Perù esistente nel Museo di Torino per dimensioni notevolmente maggiori. Inoltre questo ha la testa di color castagno porporino, mentre nei due primi individui di Costa Rica la testa è di color castagno rossiccio. 175 Callispiza icterocephala. Callisie icterocephala Br., Compt. Rend. Ac. Sc. Par., xxx, p. 76. - Scrar., Contr. Orn., 18591, p. 53, pl. 70, f. 1. - Id., P. Z. S., 1856, pp.19, 251. - Id., Mon. Callist., p. 37, pl. 17. - Id., Cat. Am. B., D: 65, Sp. 390. - SaLv., P.Z. S., 1867, p. 138. og ahidipis icterocephala Br., R. et M. de Zool., 1851, p. 143. - Id., Note sur les Tang., p. 17. Callispiza (Chrysothraupis) Frantizii CAB.,J. f.0., 1861, p. 87. Calliste Franizii SaLv., P.Z.S., 1863, p. 169. - ScLar., Ibis, 1863, p. 451. - Ia., Ibis, 1868, p. 72. Un individuo. Siccome ha fatto notare lo ScLateR la C. Franizii CAB., cui per ragione di patria apparterrebbe l'individuo sud- detto, non differisce dalla C. icterocephala. Mancava nel Museo di Torino. Callispiza franciscae. " Aglaia fanny Larr. R. Z., 1847, p. 72. Calliste fanny Gray, Gen. B. App., p. 7. - Bp., Consp. I, p. 236. - Des Murs, Icon. Orn. pl. 56, f. i, Bp., R. et M. de Zool., 1851, p. 141. Calliste francescae ScLat., P. Z. S., 1856, pp. 142, 261. - Id., Syn. Av. Tan., p. 87. - Id., Mon. Calliste, p. 83. - Lawr., Ann. N. Y. Lyc. VII, 18641, p. 298, VIII, 1863, p.-175. - Sarv., P. Z. S., 1863, p. 169. - Scar. et SALV., P..Z. S., 1864, p. 350. Calliste franciscae SALvIN, P. Z. S., 1867, p. 138. Due individui affatto simili. È difficile distinguere questa specie dall’ affine C. lar- vata, ma avendo confrontato i miei due individui con due 176 della C. larvata, uno dei quali certamente del Messico, ho potuto verificare come i due individui di Costa Rica abbiano di colore che volge al verde dorato gran parte della testa, e non di color rameico o bronzato. Questa è la sola differenza che io ho potuto apprezzare, e se i miei due individui appartengono veramente alla C. fran- ciscae, mi pare molto dubbio che questa sia veramente distinta dalla C. larvata. Mancava nel Museo di Torino. Lo ScLateR, al quale dobbiamo una stupenda mo- nografia delle specie di questo genere, annovera in essa ben 52 specie, a queste aggiunse più tardi altre quattro (Ibis, 1863, p. 450), non contando la C. franiziù poscia riconosciuta identica colla C. icterocephala, e finalmente nell’ Ibis dell'anno corrente a pag. 71 egli parla di una ultima specie, la C. cabanisii = C. sclateri Cas. (nec LAFR.), colla quale il numero delle specie raggiungerebbe quello di cinquantasette. A queste mi sembra sia da aggiungere ancora la C. hannahiae (!) Cass. Pr. Ac. Philad., 1864, pl. 1, f. 1., delle montagne di Merida nello Stato di Venezuela, ove rappresenta la affine C. cyaneicollis, dalla quale differisce principalmente per avere le parti inferiori di color nero puro e non tinte sui lati di azzurro come nella C. cya- neicollis. Io ho trovato nella collezione Turati in Milano un individuo della C: hannahiae proveniente da Merida, col nome di C. nigriventris ParzuD., e mi sembra apparte- nere ad una specie veramente distinta dalla C. cyanezcollis, più che non lo sia la C. franciscae dalla Cl. larvata. È da notare come nella monografia dello ScLaTER sia figurata (PI. XXXVIII) la C. hannahiae e non la C. cya- neicollis. 177 Rhamphocelus passerinii. Rhamphocelus passerinii Bp., L'Antologia, 1831, n.° 130. - ScLat., P. Z. S., 1856, p.130. - CaB., J. f. Orn., 1860, p. 330. Cinque individui è. Bellissima specie tutta di color nero vellutato, ad eccezione della parte posteriore del dorso, il groppone e il sopracoda che sono di un bellissimo rosso; le piume di queste parti sono bianche alla base e gialle nella parte compresa tra la base gialla e l’apice rosso. Mancava nel Museo di Torino. Pyranga bidentata Sws. Un individuo probabilmente maschio, molto simile ad un altro individuo esistente nel Museo di Torino, ma con colori molto più vivi. Testa e collo di color rosso vivissimo, remiganti e timoniere con sottili margini rossi. Pyranga erythromelaena. Tanagra erythromelas Licnat., Preis-Verz. d. Sag. u. Vog. n.° 69 (1831). Pyranga erythromelaena ScLat., P. Z. S., 1856, p. 126. Un individuo è. FRINGILLIDAE. Pheucticus tibialis (V. tav.). Pheucticus tibialis « Barrp » LawR., Ann. Lyc. N. H. New York, 1867, pp. 478, 479. Un individuo. Pheucticus marima ex parte flavus, regione anle- ac supra- 178 oculari nigricante; dorso nigro flavo-mixto; alis nigris excepta macula alba ad basim remigum primariarum; cauda ex toto nigra; tibiis nigricantibus ; rostro ac pedibus in exuvie nigro- plumbeis. Long. tot. 0”, 220; al. 0%, 110; caud. 0", 0859; rostri culm. 0", 019; tarsi 0", 024. Testa, collo, groppone e parti inferiori di color giallo, alquanto più oscuro sulla testa, sul collo e sul petto; sulla parte anteriore del collo appariscono incertamente alcune fascie oscure che sono sulla parte nascosta delle piume; sul groppone qualche macchia sparsa di color nero; piume del dorso per la massima parte nere con margini gialli; sulla parte superiore del dorso prevale il giallo, e le piume hanno nel mezzo fascie angolose nere; le ultime penne del sopraccoda nere con sottili margini bianchicci; sottocoda giallo, bianco verso l’apice; piume delle gambe nere con sottili margini gialli; ali e coda nere, sulle prime una grande macchia bianca formata dalla base delle remiganti primarie; cuopritrici inferiori delle ali gialle; becco e piedi nero-plumbei. Questa specie, recentemente descritta, somiglia al P. chrysopeplus, ma ne differisce pel becco più corto e più robusto, per la regione anteoculare nera, per le ali e la coda interamente nere, ad eccezione della base bianca delle remiganti primarie, onde apparisce sull'ala una grande macchia bianca, e finalmente per le piume delle tibie nere con sottilissimi margini gialli. Mancava nel Museo di Torino. Il sig. SccareR m'ha indicato il nome di questa specie, della quale non ho potuto ancora consultare la descrizione originale, tuttavia ho trovato accennati i suoi caratteri distintivi nel. Zoologica! Record, 1867, p. 107. 179 Quattro sono ora le specie descritte del genere Pheucticus : { 1. Ph. aureiventris (LarR. et D’ORB.). 2. Ph. chrysopeplus (Vic.). 3. Ph. tibialis « Barrp » in Cass. 4. Ph. bonapartei mini (1). Hedymeles ludovicianus (Linn.). Un individuo maschio non perfettamente adulto. Ha il pileo diviso per il lungo da una larga fascia mediana bianca e cospicui sopraccigli bianchi tinti di roseo! DENDROCOLAPTIDAE. Picolaptes lineaticeps Larr. Un individuo. Affatto simile ad un altro del Messico, esistente nel Museo di Torino, avuto dal sig. Boucarp. COTINGIDAE. Tityra personata /. et S. Due esemplari maschi, similissimi ad altri del Messico, esistenti nel Museo di Torino, ma forse un poco più piccoli. (1) Non conosco quest’ultima specie, che il Capanis (Mus. Hein., J, p. 153) annovera nel genere Pheucticus, e che fu descritta dal Bonaparte sotto il nome di Guiraca magnirostris (P. Z. S.; 1837, p. 120). Questo nome era già stato adoperato dallo Swarnson (Class., B. II, p. 111, fig. 159), onde, attribuendo quella specie al genere Phewucticus, le ho dato il nome di Ph. bonapartei. 180 MOMOTIDAE. Urospatha, nov. gen. (ovpà coda, s749» spatola). Generis Momoti ve. Prionitis recentiorum characteres praebet, sed reciricibus decem; rostrum altum, robustum, for- tiler serratum. Urospatha martii. Prionites Martii Spix, Av. Bras. II, p. 64, pl. 60. - TscHn., Av. Consp. in Wiem. Arch. 1844, I, p. 299 (excl. syn.). - Id. Faun. Per. Orn., p. 245. Momotus Marti Gray (nec ScHLEG.), Gen. B, p. 68, 6. - Cass. Pr. Acad. Philad., 1860, p. 136. - Lawr. Ann. Lyc. N. H. New York, 1861, p. 290. - Scrar. et Sarv. P. Z. S. 1866, p. 191. - Sarv. P. Z. S. 1867, p. 151. Momotus semirufus ScLat., Rev. et Mag. de Zool. 1853, p. 489. - Id., P. Z. S. 1855, p. 136, 1857, p. 254. - SCHLEG., Mus. P. B. Momoti, p. 5. - ScLaT. et SaLv. P. Z. S. 1864, p. 363. Baryphonus semirufus Br., Consp. vol. anisod. p. 8, sp. 225. Crybelus Marti Cas. et H., Mus. Hein. II, p. 112. Momotus (Crybelus) martii SaLat., Cat. Am. B., p. 262. Un individuo. Questa è la più grande fra le specie descritte della famiglia dei Momotidi, e, per avere solamente dieci ti- moniere, differisce da tutte quelle del genere Momotus (ristretto), che ne hanno dodici; per la stessa ragione non può restare nel genere Crybelus insieme col C. mezi- canus e col C. castaneiceps, e neppure mi sembra che possa essere annoverato nel senere Baryphthengus col B. rufica- pillus, poichè questo ha sole dieci timoniere, ma le due mediane non sono spatolate come nel P. Marti, pel quale perciò propongo il genere W/rospatha. 181 Forse non sarà inutile che io dia qui una breve descrizione dell’individuo di Costa Rica: Capite, collo et corpore infra usque ad medium ventrem castaneo-rufis; lateribus capitis a naribus ad aures et maculis duabus pectoralibus migris ; dorso alisque viridibus ; remigibus primariis margine externo cyaneo-cobaltino; abdomine imo ac subcaudalibus pulchre cyaneo-viridibus; rectricibus decem, dua- bus mediis spatulatis, supra coerulescentibus basim versus viri- discentibus, subtus fusco-nigris ; rostro valido, alto, fusco-nigro, tomiis fortiter serratis; pedibus nigris. : Long. tot. 0,500; al. 0%, 165; caud. 0%, 290; culm. rostri 0%, 045; tarsi 0%,.030. Lo ScuaLEGEL dà i caratteri per distinguere il Momotus semirufus dal M. Martii, e i signori ScLATER e SALvIN (P.Z. S., 1864, p. 363) hanno seguito in ciò lo ScHLEGEL non considerando che il Momotus Martiù dello ScHLEGEL è il Momotus platyrrhynchus, tipo del genere Prionorrynchus, e non il Prionites Martiù Spix, col quale è affatto identico il M. semirufus ScLaTt. TROGONIDAE. Trogon puella GouLp. Un individuo maschio. Sopra uniformemente verde dorato; fronte e gote nere; ali nereggianti; base delle remiganti primarie marginate esternamente di bianco; remiganti terziarie con sottilissime linee bianche, irregolari, molto ravvicinate, formate da punti assai fitti, un poco più allontanate e distinte sulle cuopritrici delle ali; mento e gola neri; parte anteriore del collo e petto di color verde dorato come le parti superiori; una 12 182 fascia bianca divide il color verde dorato del petto dal color rosso vivo dell'addome; le piume di questa regione sono rosse negli apici, cenerine nella parte basale nascosia, e bianche nella parte intermedia; piume delle gambe nereggianti ; coda colle due timoniere mediane in ambidue i vessilli di color verde dorato; le due seguenti col vessillo esterno verde dorato e l'interno nero; tanto queste come le prime cogli apici neri per un breve tratto; le tre timoniere esterne nere con fascie sottili, regolari, bianche dall’apice fino alla base quasi interamente nera e marginata di bianco esternamente; becco giallo arancio, piedi cenerino-neri. Lung. tot. 0”, 240; ala 0”, 135; coda 0",143; aper- tura del becco 0%, 021. Confrontato con un individuo del Messico, esistente nel Museo di Torino, ne differisce per le linee bianche delle ali molto più fitte e sottili, pel colore del ventre rosso vivo e non tinto di roseo, e per le piume del ventre che tra la base cinerea e l’apice rosso hanno un largo tratto bianco ; invece nell’individuo del Messico le linee delle ali sono più distinte e più lontane in modo da spic- care il fondo nero, il colore rosso del ventre volge mani- festamente al roseo, e le piume di questa regione hanno appena indicato tra l'apice rosso e la base cinerea un tratto bianco. Secondo il sig. SaLvin (valentissimo conoscitore degli uccelli dell'America centrale) che ha esaminato tanto l’in- dividuo di Costa Rica quanto quello del Messico, gl’indi- vidui di Guatimala sarebbero similissimi a quelli di Costa Rica. Egli non sembra dare importanza specifica alle dif- ferenze da me sopraccennate e che si osservano confron- tando gl’individui del Messico con quelli dell'America centrale. Sebbene piccole, quelle differenze, trattandosi 183 di Trogonidi, mi sembrano di qualche valore, siccome le ho pur verificate, confrontando l’individuo di Costa Rica con un altro del Messico raccolto dal SaLLé ed ora esistente nella collezione Turati in Milano. È egli possibile che gl’ individui del Messico colle linee delle ali ben distinte ed alquanto allontanate appartengano al Trogon xalapensis Du Bus., Esq. Ornit. I, pl. 2, che generalmente viene considerato siccome identico col T. puella? Non sono in grado di verificare attualmente questo mio dubbio, non avendo potuto consultare l’opera del Du Bus. Pharomaerus mocimnno LA LLAVE. Sette individui maschi di questa splendidissima specie un poco differenti tra loro per essere in alcuni il verde con una tinta più dorata che in altri. TROCHILIDAE. Oreopyra calolaema. Oreopyra calolaema Sarv., P.Z.S., 1864, p. 584. - SaLv., Pelo 1807, pir159. Orcopyra venusta Lawr., Ann. Lyc. N. Y., 1867, p. 484 Un individuo probabilmente maschio. L'individuo è stato determinato dal signor ScLATER. Si deve al signor SALvIN l’aver riconosciuto come lO. venusta sia identica all’0. calolaema (Ibis, 1868, p.115, Zool. Record., 1867, p. 91). Mancava nel Museo di Torino. PICIDAE. Scapaneus guatimalensis. Picus guatimalensis HartL., R. Z., 1844 Sunpev., Consp. Av. Picin., p. 5, n.° 6. Megapicus guatimalensis MaLa., Mon. Picid., I, p. 19, ter, 45. A Scapaneus guatimalensis C. et H., Mus. Hein., IV, n, par 9a , Un individuo 9. ’ p. 214 (9). È Tripsurus pucherani. Zebrapicus Pucherani MaLH., Rev. Zool., 1849, p. 542. - Id., Mon. Picid., II, p. 227, pl. 103, f.1,2. Centurus pucherani Bp., Consp., p. 120. - Rcns., Handb. Picinae; p. 414 ,-sps.969.= Sonar... PaZeS., 1857 228, - 1859, p. 60. - ScLar. et SaLv., Ibis, 1859, p. 136, 1860, p. 43. - ScLat., P. Z. S., 1860, pp. 286, 297. - Lawr., Ann. Lyc. N. H. New York, 1861, p. 299. - ScLar., Cat. Am. B., p. 342. - Cas., J. f.Orn., 1862, p.328. - ScLar. et Sarv., P.Z.S., 1864, p. 367, 1867, p. 280. Zebripicus pucherani Br., Consp. vol. zygod., p. 141, sp. 224. Picus Gerini Sunpev. (nec Temm.), Consp. Av. Picin., pe9p.p, 10%: Un individuo maschio, come lo attestano, dietro le piume frontali di color giallo dorato, il pileo tutto e la nuca di color rosso. L'ho confrontato con un altro individuo , probabil- mente di Guatimala, ad esso somigliantissimo , sebbene con dimensioni alquanto minori, e colle fascie bianche trasversali delle parti superiori più spiccanti. Mancava nel Museo di Torino. 3 185 Secondo che osserva anche il Capawis questa specie ricorda alquanto il Tripsurus flavifrons sia pel colore bruno nero della base delle piume del pileo e per le fascie trasversali nere delle parti inferiori che risalgono fino al petto, ed anzi non ostante le fascie trasversali alternanti, . bianche e nere delle parti superiori, mi pare che sia da riferire al genere Tripsurus, tanto più che essa ha più lunghe la 3.8 e 4.8 remigante, come le specie general- mente annoverate nel genere Tripsurus, e non la 4.* e la 5.8, come nelle specie del genere Ceniurus, ciò che il MaLHERBE aveva anch'egli osservato. Questa specie evidentemente forma l’anello di con- giunzione tra il genere Centurus ed il genere Tripsurus, e forse per ciò il Bonaparte da ultimo la isolò facendone il tipo del genere Zebripicus ristretto. A torto il SunpevaLi. ha voluto riferire a questa specie il Picus Gerinii, Temw. PI. Col. in descr. tab. 433, fondato sul Picus varius indicus, GERINI, Ornit. II, p. 48, t. 121, mentre nella figura del Gerini è chiarissimamente rap- presentato il Tripsurus fNlavifrons (VieiLL.). Neppure l’autore della Monographie des Picidées, il MaLHERBE, ha saputo ri- conoscere il Picus Gerini, ed anch’ egli evidentemente per non avere mai consultata l’opera del GeRrINI e non Gerin, come scrive il MarmERBE, ignorando forse che l’opera è di un italiano ! Chiude la seduta una breve comunicazione verbale del Prof. Govi, il quale, tornando sull’argomento della utilità che può trarsi dagli strati soltilissimi riflettenti e traspa- renti dei metalli meno ossidabili, per farne Camere lucide, Micrometri luminosi, Sestanti ecc., mostra all'Accademia 186 un artifizio, mediante il quale si possono impiegare a tale uso strati così sottili di metallo, che, dove fossero a nudo, non presenterebbero aderenza sufficiente al vetro per reg- gere al più lieve attrito. L’artifizio consiste nel disporre lo strato metallico trasparentissimo su una faccia piana di un prisma e nell’incollare contro di essa, con balsamo del Canadà, con trementina o con altro glutine trasparente e d’indice presso a poco eguale a quello del vetro, una faccia di un secondo prisma capovolto dello stesso angolo, il quale viene perciò a formar col primo un parallelepipedo o un solido prismatico, avente almeno due faccie parallele. Allora attraverso alle facce parallele e al metallo inter- posto si vedranno direttamente gli oggetti luminosi leg- germente colorati, ma senza deformazione nè deviazione di sorta; mentre la faccia metallizzata intermedia rifletterà in modo mirabile verso l'occhio l imagine di altri oggetti situati comunque rispetto ai primi. — Il saggio presentato dal Prof. Govi consisteva in due prismetti di vetro isosceli, rettangoli, incollati insieme colle faccie ipotenuse, sull’una delle quali erasi deposto un straterello d’oro trasparente, che lasciava passare una bella luce azzurrino-verdognola, mentre rifletteva splendidamente le imagini degli oggetti laterali colla tinta giallo-ranciata dell’oro. I Aereo A ‘ O epoca perno vit pi dameceziseno 3% | @ un solido prismatico, avente almeno. die farne 4 Allora: attraverso. alle: ficce» parallele ei al: mil I, posto si vedranno» direttamente» gli. - lassdinanati dg PAgA sete colorati, ma senza nè deviazione! | PR di n sarzaro la flecia paia er | ii roigità cile ein l'cetiio l'imagine dii i dal î'rof. Gov: consisteva in die prismetili dî sab cancia rettangoli, incollati insiome colle faccie ipotenuse, suli delle quali erasi. deposto un. straterellò d'oro | che lasciava passare una bella.luco. azzurrino»verd us messo rifletteva splendidamente la i Po degli oggetti © latere cda finta giallo-ranciata dell'oro nai (dI i; SLI AL RADON TIRI (&rlo fbllonera dis Torino Lia P"Doyen L. (nti bilogre PHEUCTICUS TIBIALIS A bale dumodi 6 cori » _ li 4 È i ne bo) A î a 4 ita WIR Cope di 7 i n at » vr: I.) Ù î, " Chi i i si i “np ds na Ta eionentiy #53 ili) ite trooesalont 49260) Zani ororsi sfreergsa’ ti & FEROAA METIN 4 PREMI IRE TA ‘ 187 Adunanza del 27 Dicembre 1868. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Comm. SeLLA presenta e legge, a nome del- l’Autore sig. Dott. Alfonso Cossa, Professore di Chimica all’Istituto tecnico di Udine, il seguente lavoro : RICERCHE DI CHEMICA MINERALOGICA. È, Determinazione della calce e sua separazione dalla magnesia nell’analisi delle dolomie. Prima di accingermi all’analisi di diverse varietà di do- lomite e calcite di Traversella e dell’isola d’Elba che mi furono trasmesse dal Commendatore Quintino SELLA, volli con esperienze dirette accertarmi se senza discapito del- l'esattezza dei risultati si può, nella determinazione della calce, trasformare l’ossalato, ottenuto col solito metodo, allo stato di ossido, invece che di dosare la calce, come si pratica comunemente, sotto forma di carbonato. Anche ai chimici più esercitati nelle indagini analitiche riesce sommamente difficile di regolare la decomposizione dell’ossalato calcico in maniera che nel residuo non tro- visi traccia di ossido; è quasi sempre necessario di ripe- tere la calcinazione aggiungendo alla materia del carbonato ammonico, in modo da restituirle l’acido carbonico svol- tosi nella prima operazione. Rivor *) consiglia di determinare la calce allo stato di !) Traité d’'analyse des substances minérales. 188 calce caustica tutte le volte che la materia analizzata non pesa meno di due o tre decigrammi. FRESENIUS invece ac- cenna brevemente a questo metodo di determinazione e lo approva soltanto nei casi in cui la materia da ana- lizzarsi è in quantità piccolissima *). Pare però che nes- suno dei due chimici abbia fatto delle ricerche per ista- bilire quale sia approssimativamente l'errore che si com- mette dosando la calce allo stato di ossido. Il FrRESENIUS insegna soltanto che pesando Ila calce allo stato di ossa- lato; di carbonato ottenuto decomponendo l’ossalato ; di carbonato ottenuto precipitando la calce col carbonato am- monico; ed allo stato di solfato, invece di 100 si ottiene rispettivamente: 100,45 — 99,99 — 99,17 — 99,64. Queste cifre però esprimono i risultati di una sola ricerca istituita per ogni diverso modo di determinazione della calce. Recentemente FrITscHE 2) pubblicò un lavoro impor- tante intorno a questo argomento. Calcolando i risultati di tre esperienze istituite convertendo direttamente l’ossa- lato calcico in calce caustica, si osserva che in media, invece di 100, si ottiene 99, 89. - Da sette determinazioni, istituite riducendo ad ossido il carbonato calcico prepa- rato artificialmente, ottenne in media il 99, 65 per cento della calce realmente contenuta nella materia analizzata. Nelle mie ricerche ho determinato la calce allo stato di ossido : a) Nell’ossalato calcico essiccato a 100 gradi avente una composizione rappresentata dalla formola CaC*04+H?0. 3) b) Nel carbonato calcico ottenuto per precipitazione, !) Anleitung zur quantitativen chemischen Analyse. - 5.2 edi- zione, pag. 200. ?) Zeitschrift fir analitische Chemie. Dritter Jahrgang, pag. 177. >) = 125 0:40 n iii ttt 189 facendo agire il carbonato di soda su di una soluzione affatto neutra di cloruro calcico. c) Nel carbonato di calce naturale (cristalli di spato d'Islanda affatto privi di carbonato ferroso e di altre materie straniere). Per eseguire la riduzione metteva la materia in un pic- colo crogiuolo di platino che riscaldava al calor bianco su di un fornello di Erpmann alimentato da tre lampade di BunseN. - Dopo mezz'ora di riscaldamento di solito il crogiuolo non diminuiva in peso, ed il residuo bagnato con alcune goccie di acido cloridrico non dava più origine ad effervescenza. A. 1) - Grammi 1,553 di materia lasciarono un residuo di grammi 0,595, e perciò il 38,31 per cento invece del 38,396, come esige la formola che rappresenta la com- posizione della materia analizzata. Pertanto invece di 100 si ottenne 99,898. 2) - Grammi 41,343 diedero grammi 0,515 di calce cau- stica, ossia 38,347 per cento invece di 38, 356. La quan- tità di calce ottenuta corrisponde a 99, 976 per cento della calce realmente contenuta nella materia analizzata. 3) - Grammi 4,289 lasciarono un residuo di grammi 0,494, ossia il 38,324 per cento. Pertanto si. ottenne 99, 917 invece di 100. Errore medio nelle tre ricerche = — 0, 07 per cento. 1) - Grammi 0,864 lasciarono un residuo di grammi 0, 481 corrispondenti a 55,671 per cento, mentre la for- mola del carbonato calcico esige il 56. Si ottenne adunque 99, 412 invece di 100. 190 2) - Grammi 1,122 diedero dopo la calcinazione un residuo di grammi 0,626. Pertanto si ebbe il 99,630 invece di 100. 3) - Il residuo lasciato da grammi 1, 246 pesò grammi 0,697, corrispondenti al 99,891 per cento della calce realmente contenuta nella materia esperimentata. | Errore medio nelle tre ricerche = — 0, 35 per cento. |_DE 1) - Grammi 0, 924 lasciarono dopo mezz’ora di riscal- damento un residuo di grammi 0,519, corrispondenti al 56, 168 per cento della materia adoperata, invece del 56 richiesto dalla formola dello spato calcare. Pertanto si ottenne 100,30 invece di 100. 2) - Grammi 0,831 lasciarono un residuo di grammi 0,466. Pertanto si ebbe 100,137 invece di 100. 3) - Grammi 1,234 diedero grammi 0,693 di ossido calcico, cioè il 56, 158 per cento, corrispondente a 100, 137 della quantità di calce realmente contenuta nel minerale analizzato. Errore medio delle tre ricerche = + 0, 27 per cento. Le risultanze delle prime tre ricerche, che concordano con quelle degli esperimenti istituiti dal FRITScHE, ci au- torizzano pertanto a determinare direttamente, anche nel- l’analisi mineralogica delle dolomie, la calce allo stato di ossido. La causa del diverso senso dell’errore che si commette secondochè si riduce ad ossido l’ossalato calcico, oppure il carbonato calcico cristallizzato, è così ovvia che non merita di essere dichiarata. Nel corso delle mie ricerche sulla composizione delle dolomie ho potuto verificare che per ottenere quella esattezza che si richiede in un’ analisi mineralogica, è 191 assolutamente necessario di ridisciogliere l’ossalato cal- cico ottenuto nella prima precipitazione e di isolare nuo- vamente la calce asgiungendo alla soluzione l’ammoniaca e l’ossalato ammonico. Il dotto Professore di Wiesbaden ha con recenti esperienze evidentemente dimostrato che nella separazione della calce dalla magnesia, insieme al precipitato di ossalato calcico, si depone sempre della magnesia allo stato di ossalato magnesiaco o di ossalato ammonico-magnesiaco '). Nell’analisi di due dolomiti di Traversella ho riscontrato che la differenza tra la determinazione esatta dei carbo- nati di magnesia e di calce, e quella inesatta, cioè basata su di una sola precipitazione, può ammontare per il car- bonato calcico a + 0,62 per cento; per il carbonato di magnesia a — 0, 78 per cento. Questa differenza non può certamente trascurarsi in nessuna analisi mineralogica, e molto meno in quelle che devono servire per istudiare l’influenza esercitata sulla dimensione degli angoli dal variare delle proporzioni pon- derali secondo le quali i carbonati di calce e di magnesia entrano nella composizione delle diverse varietà di dolomie. II. Solubilità del carbonato calcico nell'acqua satura di acido carbonico. Il noto fatto della solubilità del carbonato calcico nel- l’acqua, che tiene in soluzione il gas acido carbonico, 1) Zur Trennung des Kalks von der Magnesia. Zeitschrift fiùr analytische Chemie. Siebenter Jahrgang, pag. 311. - Sento il dovere di attestare la mia riconoscenza al Professore FresENIUS che ebbe la cortesia di comunicarmi questo suo lavoro prima che venisse pubblicato. 192 non venne finora sufficientemente studiato per poter giustificare le deduzioni che si vollero trarre onde spie- gare alcuni fenomeni geologici. Le cognizioni che pos- sediamo intorno a tale argomento sono poche, e si rife- riscono per lo più al carbonato di calce ottenuto artifi- cialmente, mentre trattandosi di determinare il coeffi- ciente di solubilità di un dato corpo è necessario di tener conto dei diversi stati di aggregazione in cui esso può trovarsi. - Biscnor istituì sette esperienze sulla solubilità del calcare amorfo (creta) nell'acqua satura di gas car- bonico. Non accenna però in quali circostanze di tem- peratura e di pressione '). Secondo queste esperienze una parte in peso di creta si scioglierebbe in 994,5 parti di acqua satura di gas acido carbonico. Una parte in peso di spato islandico invece ne richiederebbe 3149. Il BrscHor insiste sopra la differenza di solubilità da lui riscontrata nel calcare amorfo ed in quello romboedrico per ispiegare la frequenza relativa degli scoscendimenti e delle caverne in alcune località. - Secondo Roberto WARINGTON 2) una parte in peso di carbonato calcico ottenuto artificialmente si scioglie in 1015 parti di acqua satura di gas acido carbonico, alla temperatura di + 21°C ed alla pressione di metri 0,7483. Allo scopo di meglio chiarire questo argomento, che interessa così la chimica come la geologia, ho istituito nel corso di questo anno diverse esperienze : 4a. - Sulla solubilità del marmo bianco saccaroide di Carrara. Ricerche preliminari mi hanno accertato che le 1) Lehrbuch der Chem. und Physik. Geologie. - 2.8 edizione, Bonn 1864, volume secondo, pag. 110. .*) Chem. Society Journ., Volume VI, pag. 296. 193 materie straniere contenute nei campioni di marmo da me adoperato erano in quantità piccolissima ed affatto trascurabile per lo scopo delle mie indagini. ». Sulla solubilità di altre specie di calcare. — L’acido carbonico di cui mi serviva per saturare l’acqua alle tem- perature e pressioni sottoindicate, veniva prima lavato con acqua e poi era fatto passare attraverso un vaso ripieno di frammenti di marmo, onde togliere di mezzo ogni traccia dell’acido minerale, che dall’apparecchio svolgitore avesse potuto accompagnare il gaz carbonico sino nell'acqua, e rendere meno attendibili i risultati delle esperienze, accrescendo per conto proprio il potere solvente dell’acqua sul calcare. — I campioni di calcare ridotti allo stato di polvere finissima si tenevano sempre sospesi nell’acqua mediante l’agitazione. A. Mille parti in peso di acqua distillata satura di gaz acido carbonico: 1a + 795 edalla pressione di millim. 753,8 sciolsero 1,224 di calcare 2» + 895 » Aia cri i » 3» + 9° ” n° alan Ta » 4» + 20°,5 » » 141,0 » 0,975 » 5» + 2195 » » 7446 » 0,935 » 6» + 219,5 » » 751 >» 0,965 » 1» + 22° ” Ea 0. (107 RIE EIA Kt) ” 80 + 26° » » 7404 » 0,875 » 9» + 269,5 » » 742,6 » 0,860 » 10 » + 269,5 » Me iaia * 0,885 » il» + 27° » » 141,2 » 0,885 » 1903, e 28° » » 7370 » 0,770 » 194 Media delle prime tre ricerche istituite tra 7°,5 e 9°,5 ppadi, =A 181; Media delle quattro ricerche istituite tra 20°%,5 e 22° gradi = 0,9487. Media delle cinque esperienze istituite tra 26° e 28° gradi = 0,855. B. > PL n. 1 Tempera-| Pressionel,, sio vanti tura millimetri d'acqua een carbonico i-Creta du Luneburg sian. .pa gi ee]4-18° | 740, 0 0,835 2. Carbonato di calce ottenuto arti filamento ara Re at + 180 199;37 0, 950 3. SPato d'ISIANDA ite 4-18 N42090, 1 0,970 4. Calcite, Balma di Pugnetto-Lanzo, lorihnegsartue: lata: ciclo + 12° 754, 2 1,223 5. Calcite, Traversella (prima fa- miglia di forma scalenoedrica. Vedi Q. Sera, Studi sulla mine- TROGANIArO san enne + 12° 194, 2 1,212 5. Dolomite in piccoli cristalli semi- trasparenti (romboedri primi- tivi). Traversella............. + 11° 50] 748, 7 0, 654 7. Dolomite opaca in piccoli cristalli a facce lievemente curvate. Tra- Yosella.g.iidiià 01200. dentiidea + 1fo 50] 754, 6 0,725 8. Dolomite opaca in grossi cristalli. TravefsellanoAtti i COPI. 1000 + 11° 745, 7 1,224 9. Dolomite trasparente in grossi cri- stalli *BraverSella Mm ao.i. + 11° 749, 1 1,079 10. Calcare oolitico di Pioverno-Ven- ZONE RU lire ao + 15° 747,0 PIBRISR 11. Calcare dolomitico di Monticello- AuparEnnli ipse ian Via 445°5 |.739,9 0,573 1) Questa e la precedente specie di Dolomite sono relativa- mente a quelle in piccoli cristalli assai povere di magnesia. — La loro composizione corrisponde alla formola: my C6+4Ca È - Un campione di Giobertite del Piemonte mi diede il risultato seguente: mille parti di acqua satura di acido carbonico alla tem- peratura di + 24° ed alla pressione di 735 millimetri sciolsero 0,248 parti di minerale. 195 È mia intenzione di moltiplicare queste ricerche allo scopo di poter determinare: 1.° Se l'aumento di temperatura nell’acqua, tenuto calcolo della diminuita quantità di gaz acido carbonico che vi può star disciolto, accresce il suo potere dissol- vente sul carbonato calcico, oppure se, come si verifica per altre combinazioni del calcio, la solubilità del car- bonato è minore a caldo che a freddo. 2.° Se la calce e la magnesia disciolte dall'acqua satura di gaz acido carbonico, vi si trovano nelle mede- sime proporzioni ponderali nelle quali sono combinate o mescolate nelle calciti, nelle dolomiti e nelle roccie dolomitiche. HI. Azione dell’acqua su di alcune rocce siliciche. La proprietà che hanno diversi silicati di sciogliersi in piccola quantità nell'acqua venne nuovamente dimo- strata dal Professore KennGoTT, il quale osservò che molti minerali ed in ispecial modo i silicati ridotti allo stato di polvere finissima, dopo un tempo più o meno lungo, imbruniscono la carta tinta in giallo dalla cur- cuma *). Frai minerali così cimentati da KENNGOTT sono d'origine italiana i seguenti: — la Celestina della Sicilia, la Biotina, l’Ortoclasio, la Leucite, la Nefelina, l’Anortite, l’Olivina, l’Anfibolo, V'Augite del Vesuvio; — l’Anglesite di Monte Poni in Sardegna; — il Clinocloro e la Mesitina 1) Ueber die alkalische Reaction einiger Minerale. — Jahrb. fir Min. und Geol. 1867, e Journ. fiùr praktische Chemie. Vol. 101 (1868), pag. 1 e 474. 196 del Piemonte — la Natrolite, l’ Analcimo, la Cabasite di Montecchio Maggiore nel Vicentino; — la Grammatite, la Staurotide e la Paragonite di Monte Campione-Faido. Queste ricerche però se ci insegnano che l’acqua eser- cita una azione solvente sulla maggior parte dei silicati, non ci additano in nessuna maniera precisa l’intensità di questa azione. A risolvere la seconda parte del problema per quanto esso si riferisce alle rocce silicee furono dirette alcune mie ricerche istituite in modo conforme a quelle che sui graniti del Fichtelgebirge ha nel principio di questo anno pubblicato il Dottor Carlo HausHorER *). Le rocce da me studiate, dopo essere state ridotte in finissima pol- vere, vennero lasciate in contatto di un peso venticinque volte maggiore di acqua di recente distillata; il contatto dell’acqua venne prolungato per dieci giorni ad una tem- peratura oscillante tra i 17° ed i 18° centigr. Dopo questo tempo i liquidi filtrati furono evaporati a lento fuoco in una capsula di platino; il residuo fu di nuovo ridisciolto nell’acqua e filtrato. Soltanto dopo questa seconda filtra- zione si può ottenere una soluzione affatto priva di par- ticelle sospese. Credo importante di far notare che durante tutto il tempo del contatto delle roccie coll’acqua venne esclusa la presenza dell’aria onde impedire che l’acido carbonico potesse influire sulla quantità delle materie disciolte. Il peso delle materie disciolte venne determi- nato allo stato di cloruro alcalino, avendo aggiunto al liquido, durante la seconda evaporazione, poche goccie di acido cloridrico puro. — Per alcune rocce il residuo 1) Ueber die Zersetzung des Granits durch Wasser. Journ. fiùr praktische Chem: Vol. cin (1868), pag. 121. 197 della evaporazione venne sottoposto all'analisi spettrale. — Di altre si tenne anche conto dell’acqua di combina- zione, della loro fusibilità, e del modo di comportarsi coll’acido cloridrico. Questi saggi vogliono essere consi- derati come i preliminari di uno studio analitico più completo che intendo d’intraprendere. — I campioni delle rocce intorno alle quali vertono le mie ricerche mi furono gentilmente forniti dal Professore Torquato TARAMELLI *). Gneis. Da un masso erratico nella morena che disten- desi dal Colle di Ragogna a San Daniele nel Friuli. L’orto- clasio bianco-giallognolo che prevale in questa roccia non presenta traccia di decomposizione; il mica è potassico. Materie disciolte e determinate sotto forma di cloruri alcalini: 0,125 per cento. — Analisi spettrale: potassio prevalente; traccie molto sensibili di sodio e di calcio , indizio della presenza del litio. Gneis. A feldispato ortosa — Albach, Aschaffenburg. Materie disciolte: 0,0866 per cento. Sienite. (Anfibolo, ortosa, quarzo) — Planenscher Grund. Dresda. Materie disciolte: 0,1123 per cento. Felsite porfirica. (Pasta feldispatica disseminata di cristalli di quarzo) — Gattaio, Euganei. Materie disciolte : 0,0935 per cento. Resinite porfiroide. Monte Sieva, Euganei. Si fonde assai facilmente col cannello producendo un vetro bianco semitrasparente. La reazione alcalina della sua polvere è molto pronunciata. Contiene il 4,133 per cento di acqua di combinazione. Materie disciolte: 0,0562 per cento. 1) I campioni delle rocce dei colli Euganei vennero tolti da esemplari recentemente donati al Gabinetto di mineralogia del- l’Istituto tecnico di Udine dal Professore Giulio Andrea Pirona. 13 198 Resimite. Monte Sieva, Euganei. Contiene il 6,335 per cento di acqua Materie disciolte: 0,110 per cento. Kesinite. Buchbad; Meissen. Materie disciolte: 0,0592 per cento. Perlite. Monte Sieva; Euganei. Contiene 4,099 per cento di acqua. Materie disciolte : 0,0624 per cento. Eerlite. Glashitte, Schemnitz — Ungheria. Contiene 1,355 per cento di acqua. Materie disciolte: 0,0729 per cento. Analisi spettrale: potassio prevalente; tracce di calcio. Nessun indizio di litio. Fomolite. — Monte Croci presso Battaglia; Colli Euga- nei. Si fonde assai facilmente in un vetro quasi incoloro. Contiene 6,296 per cento di acqua; e 11,66 per cento di sostanze solubili nell’acido cloridrico. Materie disciolte: 0,3260 per cento. Trachite in decomposizione. Monte Chiojn, Vicenza. — Analisi spettrale: distintissima la linea alfa caratte- ristica del litio. Materie disciolte: 0,0937 per cento. Trachite non decomposta. Monte Ortona. — Euganei. Materie disciolte: 0,0871 per cento. Trachite porfiroide in decomposizione (Sanidino', mica, orniblenda) — San Pietro Montagnone; Euganei. Materie disciolte: 0,0567 per cento. Trachite. — San Daniele; Colli Euganei. Materie disciolte: 0,0750 per cento. Granito (Albite, quarzo, mica). — Montorfano; Lago Maggiore. Materie disciolte: 0,0727 per cento. — Nessuna traccia di litio. = Granito (Ortosa, mica, quarzo). — Baveno; Lago Maggiore. Materie disciolte: 0,0996 per cento. Il residuo contiene tracce di litio. 199 Feldispato compatto bianco, in filoni nella Diorite. — Mosso ; Biella nel Piemonte. — Si fonde assai facil- mente in uno smalto bianco opaco. Materie disciolte : 0,350 per cento. Basalto compatto. — Monte Nuovo; Euganei. Si fonde difficilmente producendo una perla di colore verde-cupo. Si discioglie quasi intieramente nell’acido cloridrico, con separazione di silice gelatinosa. Materie disciolte: 0,1271 per cento. — Coll’analisi spettrale si riscontra nel residuo la presenza della calce e della litina. IV. Saggi analitici di alcuni calcari del Friuli adoperati nelle costruzioni '). 1.° Calcare grigio-cupo — Colle di Medea — peso SPEC IRR ARCIERI, le i 2,45 2.° Calcare bianco-grigio — Borgnano — peso TEC III OR ITA SERE AS ELE RAS: PALE ARA 2,99 3.° Calcare con foraminiferi — Colle di Santa Fosca:— peso’ specifico... I dI th dI 4. Calcare dello strato a Rudiste — Colle di Medéaliipeososspecifohi E It tt Lala, Dl 2,52 5. Calcare della Frana dei Rivi bianchi da Sant'Agnese a Venzone — peso specifico. ...... i Me 1) I primi quattro calcari mi vennero consegnati dal Professore Giulio Andrea Pirona, deto1072 poli Acqua ed acido carbonico ..... 43,51 | 44,56 | 43,60 Qasida dincalcio muito 52,83 | 53,66 | 54,60 Ossidi di magnesio e di ferro 1) | —,89| —,95| —,74 Sostanze organiche bitumi- di) 1,56] — Dose arfoionifo raise bakta: " | Materie insolubili nell’ acido Gloridrico.ri zii ita vat 1A7| —,75 90,90] 99,92 |100,08 |100,27 |100,22 Il Socio Prof. Lessona legge la seguente lettera a lui diretta dal sig. Giuseppe BeLLucci, naturalista in Terni, INTORNO ALL'ALIMENTAZIONE ED AL SONNO DEL TREITONE. Ella si rammenterà come un giorno ebbe a manife- starmi il desiderio che io facessi delle osservazioni relative al nutrimento ed al sonno dei Triton; da quel dì io posi ogni mia cura a raccogliere materiali in proposito, ed ora sono a comunicarle il risultato delle mie ricerche. !) Il ferro riscontrato nella parte solubile nell’acido cloridrico esiste nei calcari analizzati allo stato di ossido ferroso ed è con molta probabilità insieme agli ossidi di calcio e di magnesio in- tieramente combinato coll’acido carbonico. 2) Quando si disciolgono nell’acido cloridrico i calcari 1.° e 3.° insieme all’anidride carbonica si sviluppano dei carburi di idro- geno gazosi. iscaldati in tubi di porcellana questi due calcari danno origine eziandio 1 carbugi liquidi. eine a 201 Allorchè per la prima volta mi procurai dei Triton per istituire su di essi le osservazioni suddette, mi venne in pensiero di esaminare se dessi avesser mangiato delle mosche; a tal fine ne gettai alcune nell’acqua in cui dessi si trovavano, ed osservai come avvertiti dai loro movi- menti cercavano abboccarle, e se vi riuscivano le tran- gugiavano : in tale incontro notai più volte il fatto che i Triton, procurando abboccare le mosche, facevan sortire dal loro corpo delle bolle d’aria, alcune delle quali rima- nendo alla superficie dell’acqua, ingannavano i Triton istessi, abboccandole a luogo delle mosche. Queste, o vive o morte, ho veduto sempre esser mangiate dai Triton, ed oltreciò ho notato come le spoglie delle mosche inghiottite vengano emesse per l’ano rivestite da una sottile mem- brana che le avvolge a mo di un sacchetto. In seguito a queste osservazioni provai a cambiar nutrimento, e ricor- dandomi che Ella aveva nutrito delle Attinie con della carne arrostita, mi venne in pensiero di esaminare se quel cibo fosse stato accetto anche ai Triton; difatti vidi che ad essi era accettissimo, e molto più delle mosche, poichè bastava che io ne avessi gittato qualche pezzo nel vaso in cui si trovavano, perchè subito si desser moto a ricercarlo e farne presa. Un tal risultato mi faceva strada ad altre esperienze ; io provai a dar loro della carne di vitello non cotta oppure bollita, del pollo non cotto o bollito od arrostito, del tacchino parimente arrostito, della carne di pesce cotta, ed osservai sempre far presa con avidità delle carni suddette; alcune volte somministrai loro delle piccole larve o dei vermetti, oppure dei mol- luschi tagliuzzati, i visceri delle lucerte, la carne di rana, ed anco questi alimenti riuscirono ad essi accettissimi. Le materie superflue escrete per l’ano vidi anco in questo 202 caso esser rivestite da una membrana, anzi allorchè i Triton avevano fatto presa di qualche pezzo di carne piut- tosto grosso, oppure di più pezzi, il sacchetto di escre- menti che essi emettevan per l’ano presentava intiera la forma del loro canale digerente con i suoi allargamenti e ristringimenti, e con le sue piegature. Ho osservato pure che i 7riton che hanno ancora persistenti le branchie, ma che comincian di già ad attivare la respirazione polmo- nale, sono parimente carnivori. Mentre io dava opera a queste osservazioni, un nuovo fatto venne a presen- tarmisi: gettando un giorno ai Triton della carne, vidi come uno di essi abboccò, invece dei pezzi di carne, una delle quattro estremità di un altro individuo ; dai movi- menti che faceva il Triton abboccato io giudicai che do- vesse soffrire una forte morsicatura; esso peraltro divin- colandosi da ogni parte riusci in capo a qualche tempo a sottrarsi dalla presa dell'individuo afferrante. M’interes- sai allora ad osservare se ciò fosse la conseguenza di un semplice e straordinario sbaglio, oppure rappresentasse un fatto costante che ancora non avessi mai avvertito ; esaminai se si ripetesse, e non tardai a verificarlo di nuovo, e più volte; presentemente poi questo fatto di reciproche morsicature mi è divenuto così abituale, che ogniqual- volta io dia a mangiare ai Triton non manca di presen- tarmisi. Durante molte osservazioni ho veduto abboccare non solo le estremità, ma anco la coda, oppure delle parti lungo la regione ventrale, e della testa istessa; di più questi fatti non li ho osservati soltanto nelle circo- stanze in cui io abbia dato a mangiare ai 7riton, ma anco indipendentemente da ciò, ed in ispecie dopo diversi giorni di digiuno. In seguito a queste osservazioni io mi dimandai se la facilità con cui i Triton riproducono le 203 parti ampulate potesse trovare la sua ragione d'essere nella rispondente facilità che essi hanno a perderle, sia per causa di altri individui, sia per quella di altri ani- mali. Una tale opinione però sarebbe stata avvalorata se in seguito a quelle morsicature io avessi osservato strap- pare le parti abboccate, ma per quanto per lo addietro io abbia procurato osservare, non riuscii mai a segnalare quel fatto. Tuttavia per cercare di convalidarlo, esperi- mentai se, tagliando delle parti ai Triton, e poi presen- tandole ad altri individui, questi le avessero trangugiate, e l’esperienza corrispose esattamente a ciò che mi aspet- tava: allora attesi che qualche Triton abboccasse o qualche gamba o la coda di altri, ed allorchè mi si presentò una tale circostanza, recisi di un tratto il membro abboc- cato, e lo vidi trangugiare indifferentemente da quello che ne avea fatto presa: questa esperienza ho ripetuto più volte, e sempre con pari successo. Tali risultati davano sicuramente un maggior valore alla mia opinione, ma non valevano abbastanza per considerarla come verità addimostrata. Erano a questo punto le mie osserva- zioni, allorchè sopraggiunse l’inverno : il bisogno di ali- mentazione diminuito di molto nei Trilon non mi per- mise di verificare che rare volte il fatto suddetto in quella stagione : io attendeva pertanto il ritorno della primavera , sia perchè si richiedesse dai Triton un maggior nutri- mento, sia per procurarmi degli individui giovani, onde osservare se i Triton adulti riuscissero a strappare delle parti dal loro corpo, in causa della minore robustezza che questi avrebbero presentato. Sopraggiunse la prima- vera, ed il bisogno di nutrimento fu sentito dai Triton in modo notevolissimo, come meglio apparirà da quanto dovrò dirle in appresso : nell’istesso tempo poi ebbi ad 204 osservare un fatto che veramente non mi aspettava : avendo lasciati i Triton a digiuno per tre giorni; dopo un pasto abbondantissimo, segnalai in alcuni di essi l'estremità della coda mozzata, e nelle code di altri vidi dei tagli e degli incavi nei margini : ciò mi accennava che le parti mancanti fossero state strappate da altri Triton, che i tagli fossero il risultato d’inutili sforzi praticati allo scopo di staccarne delle parti. A che un tal fatto mi si ripetesse, mi bastò prolungare il digiuno, e dopo quel tempo ogni qualvolta io lo ebbi voluto verificare, vi son riuscito facilmente tenendo privi i Triton di cibo per qualche giorno; anzi io l’ho osservato tante volte, che presentemente tutti i Triton che ritengo hanno la coda mozzata, strappatasi reciprocamente o ad un tratto, o a diverse riprese. Non mi è riuscito ancora di vedere a strap- pare altre parti all'infuori della coda, nonostante pro- lungate morsicature, il di cui effetto aumenta di molto ove si tenga conto del danno che fa l’animale abboccato a se stesso col divincolarsi da tutte le parti: certo le quat- tro gambe devono presentare una resistenza maggiore ad essere divelte che non l'estremità della coda; d’altra parte ho istituito delle esperienze ad osservare se gli adulti riuscissero a strappare le gambe ad individui giovani, ma non ho ottenuto buoni risultati per una causa che dovrò esporle in appresso. In ogni modo i fatti suddetti comprovano grandemente l'opinione avanzata dapprima, ed addimostrano qual potente causa minacci di continuo i Triton ad esser mutilati di qualche lor membro o parte di essi; cosicchè quasi a compenso di questo pericolo a cui sempre soggiacciono, può ben dirsi esser loro data la facoltà di rigenerare quelle parti che lor possono venire a mancare. Certamente l’effettuazione di tali fenomeni ha i 205 luogo con una grandissima facilità in uno spazio limitato ove sono raccolti molti Triton come sarebbe in un reci- piente di vetro, e tanto più in causa del digiuno a cui essi.a bella posta si sottopongono: ciò non diminuisce però l’importanza del fatto istesso, e non si oppone per nulla a che desso si avveri nelle condizioni naturali. A dimostrare poi che il medesimo fatto succede anco nelle condizioni naturali, citerò le osservazioni seguenti: allorchè i Triton riproducono le parti che ad essi furono tagliate, queste non si presentano, almeno nei primi tempi, del medesimo aspetto che avevan quelle, ma la parte rigenerata si distingue benissimo da quella che esisteva dapprima, sia perchè ciò che dovrebbe essere di natura ossea, in essa non è che cartilaginea, sia per la pre- senza di deboli quantità di cellule pigmentarie, mentre nella parte antecedente ve se ne trovavano in propor- zioni copiosissime, e da ciò una certa trasparenza nella prima che manca in quest’ultima (1). Tali particolarità io ho osservato in tutti quegli individui a cui ho tagliato delle parti, che poi rigenerarono con l’andare del tempo. Ora fra alcuni Triton che pescai in Perugia ne trovai uno che presentava l’estremità della coda con i caratteri sud- detti, ciò che dava a conoscere essere stata mozzata nel luogo in cui si trovava; parimente avendo pescato anco costì in Terni dei Triton, raccolsi un individuo che offriva metà della coda con quei caratteri; cosicchè da questi fatti si può concludere che la facilità che hanno i Triton a perdere qualche lor membro, ingrandita , per così dire, (1) Anco nelle lucerte che ripristinano quella parte della coda che per qualunque causa può venir loro a mancare, ho notato il medesimo fatto; la parte rimessa si distingue benissimo all’aspetto da quella a cui si congiunse. 206 allorchè essi si tengono raccolti in recipienti limitati, si manifesta benchè in più deboli proporzioni anco in natura, sia per causa dei Triton istessi, sia per quella di altri animali (1). Giacchè sono a parlarle di parti rige- nerate, aggiungerò ancora come queste presentino una maggior facilità ad essere strappate dal corpo dei Triton che non quelle sviluppatesi contemporaneamente alle altre durante il periodo di accrescimento di quegli animali; cosicchè quei Triton che tornarono a riprodurre quelle parti che loro furono tolte, vanno incontro più facilmente degli altri, che non soffrirono ancora mutilazioni, a per- derle di nuovo ; diffatti i due Triton suddetti che raccolsi con la coda di già ripristinata furono i primi che l’ebber mozzata dagli altri. Ho detto di sopra che il oa di nutrimento si fa sentire vivissimo nei Triton nella primavera ; diffatti ho osservato come alcuni di essi sostennero -un digiuno di quattro mesi nella stagione invernale, senza che ricor- ressero per nutrirsi a strapparsi reciprocamente delle parti dal lor corpo, mentre nella primavera non sopportarono un digiuno di tre giorni, anco dopo un pasto lautissimo. La rigenerazione delle parti amputate a bella posta, o strappate per morsicature, si fa anco con sollecitudine maggiore in primavera che non in altre epoche, e ciò rispondentemente al copioso nutrimento che prendono in quel tempo; ho osservato un Triton a cui tagliai una gamba, giungere in poco più di un mese al medesimo grado di sviluppo nella sua rigenerazione, di quello che aveva raggiunto un altro Triton, a cui tagliai il (1) Fra gli altri ho osservato le larve di DyrIscus logorare la coda ai giovani Triton, e se questi si trovano ancora allo stato di piccoli girini, sono intieramente divorati dalle larve suddette. 207 medesimo membro quattro mesi addietro, prima che co- minciasse l’inverno (1). Alcuni degli alimenti che notai di sopra aver somministrato ai Triton si trovano nell’istesso mezzo in cui dessi vivono nelle condizioni naturali, ed è perciò a supporsi che in tali circostanze traggan nutrimento da essi; avendo veduto però che in quei luoghi in cui vivono i Triton si trovan pure delle rane e dei rospi, volli esaminare se i girini viventi di questi batraci fos- sero presi dai Trifton qual nutrimento, e difatti notai come fossero ad essi accettissimi; anzi dall’avidità con cui ne fanno ricerca, e dalla quantità che ne ingeriscono non oserei dubitare che il nutrimento abituale, ordinario dei Triton nelle condizioni naturali, sieno i girini di rana e di rospo. Ho esaminato ancora se i Triton adulti facesser presa dei girini dei Triton istessi, ed osservai come in ciò non ponevano alcuna difficoltà, ma li abboccavano con l’istessa facilità ch’essi presentavano a riguardo dei girini Ai rana (2); e non solo vidi abboccare e trangugiare i piccoli girini, ma anco quelli che già cominciano ad aver respirazione polmonale, ed in cui le branchie cominciano a ridursi. Io avea posto questi Triton ad un grado di (1) Ho tagliato gran parte della coda a dei girini di rana e di rospo per osservare se l’avessero riprodotta; questi ultimi però non mi sono mai sopravvissuti al taglio, morendo nell’istesso giorno o nel seguente; i girini di rana invece rigenerarono la parte man- cante con sorprendente prestezza; se però l’avessi tagliata allor- quando stavan per ridurla e perderla dipoi, la rigenerazione si ef- fettuava, ma oltrechè lentamente, la parte ripristinata presentava proporzioni ridottissime. (2) I girini delle rane sono essenzialmente erbivori; pure ho notato che se lor capita qualche girino morto, si raccolgono in certo numero attorno ad esso, divorandolo in capo a qualche tempo; più volte osservai questo fatto in un acquario; mi rimane ora a vedere se siccede anco nelle condizioni naturali. 208 sviluppo abbastanza inoltrato a contatto dei Triton adulti, onde osservare se questi fossero riusciti a strappar loro le gambe dal tronco, ove le avessero abboccate, ma un tal fatto mi si rese impossibile, dal momento che l’intiero giovane Triton venìa trangugiato dall’adulto. Lo insieme delle osservazioni che finora Le ho esposto rappresentano tutto ciò che io ho potuto esaminare relativamente al nutri- mento dei 7riton: ora Le dirò cosa mi venne fatto di os- servare riguardo al loro sonno. Anco queste osservazioni si riferiscono soltanto ai Triton adulti ed a quelli giovanissimi che già hanno perduto le branchie. Qualunque sia la loro età peraltro compresa fra i limiti suddetti, il loro dormire si effettua sempre in condizioni tali da non rimanerne impedita la funzione di respirazione ; ed a ciò i Triton o si portano in pien’aria, oppure tengono sollevata la testa, o soltanto l’estremità anteriore di essa, al disopra del livello dell’acqua, stando immersi per il restante del corpo. Ciò dipende dalle di- verse circostanze in cui dessi si trovano; tenuti in un recipiente in cui non vi sieno rilievi di sorta sulla super- ficie dell’acqua, i Triton o risalgono le pareti e prendon sonno aderenti ad esse, oppure introducendo dell’aria nel loro corpo per ispirazione, e diventando così più specifi- camente leggieri, si mantengono galleggianti a fior d’acqua, comunemente isolati, ma qualche volta anco aggruppati, e specialmente i Triton giovani, intrecciando i lor corpi in varie guise. La base di tali aggruppamenti è formata nella più comune dei casi da qualche Triton isolato fin da prima dormente, inquantochè quei che son desti cercan tutti un appoggio di quella sorta, ma tutti voglionsi libe- rare dal prestarlo; avviene poi che per il sopraccaricarsi l'uno all’altro, i primi Triton che costituivano la base, 209 andando sempre più ad immergersi nell'acqua, risentono il bisogno di venire alla superficie a respirare, e cer- cando allora svincolarsi, interrompono con i loro moti il sonno degli altri, e causano così il discioglimento di quei gruppi di cui facevan parte. Se poi nel recipiente in cui si trovano i Trilon vi sono dei rilievi sopra il li- vello dell’acqua, essi si portan su quelli, e vi si addor- mono esposti all'aria; anco in tal caso i Triton giovani s'intrecciano assieme, si sovrappongono l’uno all’altro pre- sentando dei curiosi aggruppamenti. Che nei varii modi finora notati i Triton veramente si addormentino, io mi sono accertato in diverse maniere ; toccandoli con una bacchetta, essi non manifestano in quella circostanza quei movimenti che addimostrano allorchè son desti, o richie- dono a che li presentino uno stimolo continuato per un certo tempo; alle volte ne ho trascinati alcuni in giro per l’acqua, senza che cambiassero per nulla la dispo- sizione che avevan dato al lor corpo, e non avvertissero il movimento che loro avea impresso. Mi è occorso pure di gettarne alcuno giù dagli scogli che soprastavano al livello dell’acqua, e li ho veduti serbare quell’atteggiamento con cui erano caduti, anzi alle volte ho procurato farli cadere supini, ed essi o rimanevano immobili alla superficie dell’acqua, oppure raggiungevano il fondo del recipiente che la conteneva, mantenendo sempre quella posizione. Oltre ciò ho osservato più volte che il luogo occupato alla sera od in qualche ora della notte da qualche Triton addormentato lo era ancora il mattino appresso, presentan- dosi al medesimo tempo asciutta la superficie tegumen- tale, ciò che indicava aver quell’animale passata in: sonno la notte in quel luogo. Da quanto ho potuto osservare peraltro i Trifon non si addormentano regolarmente al 210 | sopraggiungere di ogni notte, mentre per contrario ho veduto alle volte ch’essi prendon sonno anco durante il giorno. Il sonno dei Triton poi che si trovano nelle con- dizioni naturali alla campagna, ha luogo in modo iden- tico a quello osservato nei recipienti in cui essi posson essere raccolti. Io osservai in una vasca in cui i Triton esistono in copia, e nella quale trovasi una scala in materiale che giunge sino al fondo. Di buon mattino io ho trovato sempre dei Triton nei gradini di quella scala, superiori al livello dell’acqua; essi rimangono in quel luogo fino al levare del sole immergendosi poi di nuovo nell’acqua. Collocai ancora delle tavole e degli altri oggetti che stessero in parte sopra il livello dell’acqua, ed anco in essi fu presa stanza dai Zriton per passarvi il lor sonno. Ad assicurarmi poi che essi fossero vera- mente addormentati, oltre alle varie prove di cui parlai di sopra, e che istituii un pari risultato su di essi, io ne trassi ancora da ciò, che quei 7riton non si avvedevano per nulla dello approssimarsi di persone, tanto che io poteva toglier le tavole in cui dessi trovavansi, senza che cercassero di allontanarsene. Oltre al venire intieramente al di fuori dell’acqua, onde passarvi in sonno la notte, i Triton rimangono ancora immersi in essa portandosi al suo livello, e tenendo soltanto l’estremità anteriore del capo sopra di esso; ciò raggiungono facilmente aderendo alle pareti delle vasche in cui si trovano, tanto ‘che in quella in cui presi ad esperimentare, prima del levar del sole strisciando la rete sul muro a livello dell’acqua, io ne raccolsi parecchi. Conosciuta così la maniera di dormire dei 7riton tanto nelle condizioni naturali, quanto lungi da esse allorchè tenuti in recipienti limitati, desidero ora richiamare la 211 sua attenzione ad un fatto relativo parimente al sonno dei Triton, con cui darò termine ad un tale argomento. Abbenchè sien provvisti di palpebre, pure ho sempre os- servato i Triton in sonno con gli occhi aperti: (1). Io ho cercato indagare la causa da cui un tal fatto potesse di- pendere, ed ora sottopongo al suo giudizio quanto avrei pensato a tal riguardo. Per la particolare conformazione degli organi visivi dei 7riton, le palpebre non possono chiudersi anteriormente, se prima non vengono tirate addietro a mezzo del muscolo retrattore ; si richiede per- tanto uno sforzo muscolare che i Triton non possono so- stenere nemmeno per breve tempo. Diffatti irritando loro gli occhi meccanicamente, essi ritraggono tosto i bulbi e chiudono le palpebre; poco dopo peraltro tornano a sospingerli avanti, e così a riaprirli di nuovo. Ove ven- gano esposti ai raggi diretti del sole, ed anco se questi si concentrano con una lente, in modo però da non formare il fuoco negli occhi, i Yriton, molestati dall’intensa luce che li colpisce, presentano un ripetuto ritrarsi ed avanzarsi dei bulbi, ed in conseguenza di ciò una successiva ed alternata chiusura ed apertura delle palpebre, ma non mai una prolungata chiusura. Da questi fatti può pertanto inferirsi esser loro impossibile il tener contratto il muscolo retrat- tore, e susseguentemente a ciò serbare gli occhi chiusi dalle palpebre; cosicchè nel sonno, in cui necessiterebbe che restassero chiusi per una notevole durata di tempo, potrebbe dirsi che essi rimanessero invece aperti, non potendo quegli animali sostenere un prolungato dispendio di forza muscolare, quale a quell’uopo si richiederebbe. (1) Nello insieme delle osservazioni che ho praticate ho veduto solo due volte dei Trifon addormentati con gli occhi chiusi dalle palpebre. 212 E così do fine alla esposizione di quelle osservazioni che ho potuto praticare sul nutrimento e sul sonno dei Triton. Probabilmente alcune delle osservazioni da me fatte saranno state di già segnalate da altri e più accurati esperimentatori; io Le assicuro però che tutto ciò che Le ho comunicato vidi con i miei occhi, e che se alcuni fatti risulteranno a ripetizione di ciò che già si conosceva, a me nuovissimo negli studii, apparvero come tante cose nuove, e non ristetti perciò dal comunicarle tutto quello che ho potuto esaminare. Io seguiterò nelle mie osserva- zioni, e se mi verrà fatto di vedere alcunchè meritevole di nota, non mancherò di portarlo a sua conoscenza. Mi abbia intanto per Terni, 8 giugno 1868. Suo GiusePPE BELLUCCI. L’Accademico Segretario Aggiunto A. SoBRERO. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE _——&m Dicembre 1868. 14 » ir ve9zi avdurasi@ è fot PPRMEP NIE E SARE TITO USI VCRIPITIIRO PRI PUAGIO dirti e | Stio i VA dine H SIR si 6 osta E stica DI (Be Na -sraosdo St. IMIDOSORLE i MHOLIOTE ABRA01 NARA Mep if vpi gt GIrr1s PNE ia cia pi ie ian sisfelosb si io 19q s afleglà EEIVI VU al I ZENSIOI suite - POETI Blaton laf st[sun gb amugiteb ta sabati. Wopliinog di pit saeny 0498RR A oto» brino part Kb s nbrotih dio satbyto. and t207.9' to iaiooniì cita j rio fsb MI UITITÀ bb etiiipa beoîs srppvgiei CILELNDII dbatg lab 6 east Traiminont, motor e; ì atntonilizg è riegò fin Sazni .leskoo sà LOST Ma sth 4 dl ast 215 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE ——_—_ Adunanza del 6 Dicembre 1868 PRESIDENZA DEL CONTE L. SAULI, DIRETTORE DELLA CLASSE. —__—_—_——— L’Abate Prof. GurrincHELLO continua la lettura del suo scritto sulla Trasformazione della specie. Il sunto ne è il seguente: È questo si è appunto l’errore dell’ Huxley, il quale chiama rispetti secondari quelli per cui la dentatura del- l’uomo si distingue da quella del gorilla, e maggiore la differenza che sotto questo aspetto passa fra il gorilla e il babbuino (cinocefalo); e così pure giudica più differenti le estremità del gorilla da quelle dell’orang-outang che non dalla mano e dal piede umano (1). Tale si è altresì la pecca del De Filippi, il quale mette a paro le distinzioni organiche fra l'uomo e le scimie antropomorfe con quelle che esistono fra queste e le capucine (cappuccine), e presume che il Professore BranconI metterebbe in prima linea fra i distintivi organici dell’uomo in confronto colle scimie (qualora per ipotesi fosse un costante e particolare suo (1) Man's Place in Nature, p. 29. CE Lyell, The Anliqguity of Man, p. 476-479; Bianconi, La Teoria dell'uomo-srimia. Bologna, 1864, p. 19-21. 216 difetto) la mancanza della parte acromiale della clavicola {se notevole per peso e misura, non però necessaria alla piena libertà dei movimenti delle braccia), posponendogli, se non anche trascurando affatto gli altri ben più importanti caratteri delle zanne, dell’arcata zigomatica e del legamento plantare chiamati dal De Filippi molto subordinati (1); lad- dove il sapiente Professor Bolognese è tutto nel mostrarne l’organica e teleologica importanza, siccome parti inte- granti di un sistema, onde l'apparecchio umano si con- traddistingue dal ferino. Ondechè , apostrofando contro l’Huxley: « pretende forse (dice egli) che abbiano lo stesso valore le differenze che passano fra la dentatura dell’uomo e della gorilla, e quelle che passano fra la gorilla ed il eynocephalus ed il cebus 2 Non si è accorto lo. scrittore inglese che li canini delle scimie antropomorfe adulte stabiliscono una natura ferina, diametralmente in oppo- sizione a quella dell’uomo, mite ed inerme? E non ha considerato che per quanta importanza si dia ai caratteri della dentatura del cynocephalus e del cebus, non si ha che una stessa natura colla gorilla, natura semplicemente va- riata, mentre rispetto all'uomo si ha una natura diversa? ‘ La zanna della gorilla, dell’orang-oufang ha richiesto il grande sviluppo delle forze muscolari e quindi le speciali modalità ossee della parte posteriore della testa, ha ri- chiesto del pari un particolare sviluppo delle forze che uniscono la testa al tronco. È perciò conformata tutta la testa in un dato senso, nel sense cioè del carattere. od istinto dell'animale. L'uomo nen ha quest’arma, le zanne: non ha sviluppo delle forze motrici per far agir le mede- sime: non ha la testa conformata in questo senso, ece. il} Op. cit., p. 64, 67. x La natura di questi due esseri, l'uomo e la gorilla, è pure diversa in ogni conseguente. La gorilla ha tutto ciò che le compete per la propria conservazione, e per la difesa. La conservazione è circoscritta entro certi confini; suo cibo sorio i prodotti vegetabili ch’essa debbe racco- gliere rampicando perpetuamente in quelle regioni, nelle quali i vegetabili sempre producono. Ecco il perchè tutte le scimie abitano sotto la zona calda. La difesa poi è col mezzo delle zanne o canini; con esse combatte contro i fivali, o contro i nemici che minacciano la vita sua 0 quella della sua prole. Ecco tutta la vita di questi ani- mali. L'uomo viaggia sulla terra, si procaccia cibo d’ogni sorta, in qualunque zona, in qualunque stagione. Manca d'ogni sorta d’armi, e si fa con tutto ciò più forte di tutti. Egli agisce sempre per proprio ed intimo vigore , egli domina. La gorilla usa servilmente delle poche e limitate risorse assegnatele dalla natura, le quali però bastano al suo ben essere stazionario ed invariabile. Parmi adunque che siano queste due nature ben diverse 6 lontane, anco- rachè esaminate in ciò solo che si attiene alla dentizione e alle conseguenti modalità della testa (1). » Le quali però assumono ben altro carattefe ed impor- tanza, considerate in relazione coll’organismo vocale e colle fattezze del volto, in ordine cioè all’espressione del pensiero e dell’affetto (2), improntato nell’alta e spaziosa, or corrugata ora spianata fronte; dipinto nelle ora ver- miglie, ora impallidite guancie ; accennato dalle contratte o dilatate nari; ma raggiante limpidissimo dalle vivissime luci, per cui si svela il proprio e si pervade l’altrui animo; (1) Bianconi, op. cit., p. 19-25. Cf., p. 8-28; e Owen, Clussifi- cotion of mammals, Appendix B. (2) Bell, The Hand, London 186), p. XXIV, XXX-XXXIIT, 164-165. 218 ma scolpito dall’articolata e simpatica voce, modulata con isquisitissimo artifizio della laringe, della flessibilissima lingua, dell’eburnea chiostra dentale (1), della volta pala- tina e delle purpuree sinuose labbra, su cui freme la minaccia, o tremola il pianto, o scherza il sorriso, secondo che da sdegno o da pietà, dal dolore o dalla gioia trovasi agitata o serena la mente, l’animo afflitto o giocondato (2). Ed al capo inerme sì, ma sovrano, non già armadura dell’istinto, ma sede e tempio della ragione (3), ben s’avvengono e corrispondono in perfetta euritmia e medesimezza di scopo tutte le altre membra, il tronco e l’estremità che costituiscono l’uomo, il solo bimano e bipede (4), differenziandolo grandemente, non pur da ogni altro animale, ma dagli stessi quadrumani, le cui estremità non sono propriamente nè mani nè piedi, ma piedi fazionati a foggia di mani, mani condizionate a foggia di piedi. Quindi, quanto a forma, più mano che piede il scimiatico comparativamente all’umano; e vice- versa, quanto a funzione, più piede che mano rispet- tivamente all’ umana; epperò se ‘sotto a quest’ aspetto potrebbero le scimie esser chiamate quadrupedìi, sotto quell’altro quadrumani, non compete loro perfettamente nè l’una nè l’altra denominazione, e quella di bimani e di bipedi vuol essere loro negata assolutamente (9). (1) Cf. Edinburgh Review, 1. c., p. 565, coll. 564; Galenus, De usu partium, lib. x1 c. 9; Blumenbach , De generis humani varietate nativa, Gottingae 1776, p. 28; Bell, op. cit., p. 230. (2) Cf. Gratiolet, De l'homme et de sa place dans la création, Revue germanique et francaise. Paris 1864, t. XXIX, p. 38-40; e Edinb, Review, l. c. (3) V. Bianconi, op. cit., p. 8-28. (4) Cf. Galeno, op. cit., lib. III, c. 1, coll. lib. I, c. 2. (5) Blumenbach, op. cit., p. 25; Gratiolet, 1. c., p, 37. 219 Perocchè, nei quadrumani del pari che nei quadrupedi, conferendo al sostegno del corpo ed alla sua traslocazione gli arti anteriori non meno, anzi più ancora, che i poste- riori, perchè più di questi poderosi e sviluppati (1), la medesimezza di scopo importa somiglianza nei mezzi per raggiungerlo; quindi analogia di forma negli organi della locomozione, i quali vogliono essere strumenti di presa ed impugnatori per chi stanzia sugli alberi, ne discorre i rami, o vi si sospende; di che ad un Aylobate, quale si è la scimia, può tornar più utile ancora una coda pren- sile che non un piede umano, ,vantaggiandosi meglio del proprio più o meno alla mano assimilato , anzi più mano esso talora e questa piede. Attalehè, se la conforma- zione dei quadrumani si mostra la più acconcia per un quadrupede .che a mo’ di cremnobate ossia funambolo, cammina sui rami; quando invece la si confronti col- l’umana e collo scopo della medesima, anzichè accostarvisi, se ne dilunga ed ha più l’aria di una caricatura (2) e di una degradazione, che non di un progressivo perfeziona» mento, abbassandosi la mano ad uffizio di piede, e ceden- dogli ancora in opera di flessibilità (3). Di che si fa vieppiù manifesto doversi desumere dalla funzione il criterio onde qualificar l'organo che è di essa strumento, e nel con- fronto con altri analoghi valutarne, giusta una tal norma, le morfologiche differenze (potendo queste sembrar talora (1) Blumenbach, op. cit., p. 24; Bell, op. cit., p. 31-32, coll. 198; Bianconi, op. cit., 33-36. (2) Cf. Galeno, op., cit. lib. II, c. 22; lib. IIT, cc. 8,16; Bodwich, Mission from cape Coast castle to Ashantee , ap. Duvernoy, op. cit. p. 218. (3) Cf. Galeno, op. cit., lib. III, c. 2; Blumenbach, op. cit. p. 25; Bell, op. eit., p. 12-13, 30; Bianconi, op. cit. p. 36-37. 220 anatomicamente menome, e chiarirsi: tuttavia fisiologica- mente importantissime) considerandole altresì in attinenza di quelle onde altri organi, per la necessaria correla- zione delle varie parti e funzioni d’un medesimo orga- nismo; si trovino pur essi corrispondentemente affetti e modificati. L’avere trasandato (non potendosi supporre ignorato) questo canone d’ogni buona (lasciamo star la migliore) z00- logia, o più propriamente zootomia ; fu causa che l'Huxley non seppe vedere fra la mano dell’uomo e quella del gorilla nessuna differenza, o non ‘maggiore di quella che s'incontra nelle umane varietà; e così pure maggiore la rassomiglianza del piede del gorilla coll’umano che non la diversità, essendo questa di mere proporzioni di mag- giore o minore mobilità, di disposizioni che hanno, per suo avviso, un valore secondario, non già fondamentale, e sebbene abbastanza importanti, siccome in perfetta cor- relazione con ogni altra parte del rispettivo organismo, a considerarle tuttavia anatomicamente, gli sembrano molto più spiccate e rilevanti le rassomiglianze che non le diver- sità (1). Ora, o noi andiamo grandemente errati, o l’ana- tomia professata dall’ Huxley va ragguagliata alla logica adoperata in questo suo ragionamento, parendoci che l’una' e l’altra abbiano lo stesso valore. Imperocchè, se le estre- mità dell’uomo e del gorilla si rassomigliano siffattamente che la rispettiva diversità non è maggiore di quella che si può incontrare in una delle umane razze o individualità ; e se tali differenze, affatto secondarie, sono in perfetta corrispondenza con tutte le altre parti dell’organismo; la logica conseguenza di tali premesse non è già di consî- (1) Huxley, op. et 1. cit.; cf. Lyell, op. cit. p. 477-478. 221 derare l’uomo, come fece l’Huxley, quale una delle famiglie dell'ordine dei primati (1), bensì di accomunarlo col gorilla , non solo ad una medesima famiglia o ad uno stessò genere, ma ad una stessa specie, di cui quest’ultimo sarebbe, al pari di qualunque altra umana razza, una semplice varietà. Nel qual caso, se la derivazione dell’uomo dalla scimia sì mostrerebbe possibile, la degenerazione di quello in questa si potrebbe riguardare come più probabile ; giacchè la degenerazione fisica e morale, non già di un qualche individuo, ma di un’intiera gente o tribù, razza 0 nazione, è un fatto in varii tempi ed in varii luoghi più volte rinnovato, e di cui non mancano viventi esempi (?); laddove l’originario stato bestiale, selvaggio e ferino è tuttora e rimarrà sempre un mito materialistico. Ma se il voler definire quale dei due, uomo o gorilla, sia l'ascendente od il discendente, deve parer cosa al tutto prematura allo stesso Huxley, schietto abbastanza per con- fessare che la derivazione dell’uno dall'altro è una mera ipotesi non dimostrabile; non essendolo in sua sentenza la teoria darwiniana, per difetto di dati non possibili a produrre, e nemmeno a supporre, perchè contraddetti costantemente dalla continua ed universale esperienza (3); ondechè egli amò meglio fallire alla logica che imparen- tarsi colle bestie, e menarne vanto, come altri fece, con coraggio per certo non umano; pare a noi che tale peri- tanza e riserbo ispiratogli dal suo buon senso e dalla coscienza dell’umana dignità, l’avrebbe dovuto avvertire (1) Lyell, ib. p. 478. (2) Cf. Pickering, The races of Man, and their geographical distri- bution. New edition, by John Charles Hall, London 1854, p. LI; De Quatrefages, op. cit., p. 227-229. (3) V. Whitmore, The Harmony of Science and Faith, p. 203. 222 che le considerazioni anatomiche o non hanno veruna importanza in questa questione, o deggiono averla pro- porzionata; e l’importanza della rassomiglianza degli or- gani voler essere ragguagliata e subordinata a quella delle funzioni, dovendo queste servir di criterio per giu- dicare della natura degli organi e del comparativo loro valore. Il fare altrimenti, e comparando due organismi più o meno simili o dissimili, considerarne le singole parti, ciascuna in se stessa, senz’alcun riguardo a tutte le altre a cui è attinente e coordinata nell’armonica unità d’uno stesso organismo; cioè esaminare una parte orga- nica, fatta astrazione da tale sua qualità, ed un organo, astraendo dall’esser esso strumento d’una funzione; può essere questa l’opera di chi trincia per mestiere questo o quell’animale e ne valuta i pezzi a peso ed a misura, o, come altri disse, col compasso e colla bilancia; ma questa non sarà mai la norma estimativa d’un buon zootomo, che fa professione di anatomia comparata. Questi sa che con parti perfettamente omologhe sono compossibili tali modificazioni da renderle stromento di funzioni di- verse e distintissime, risultanti non così da un diverso numero di elementi osteologici o miologici, quanto da varietà di forma, proporzione, disposizione, assesta- mento (1); e, se non ama di equivocare ed illudere, non assegnerà mai un valore secondario a modificazioni ana- tomiche che caratterizzano una diversa funzione, pareg- giandole, se non anche posponendole, a quelle che non importano una tale diversità. (1) Gf. De Filippi, op. cit., p. 21-22; Hyrtl, Handbuch der topo- graphischen Anatomie; Bianconi, op. cit., p. 52, nota 1; Duvernoy, op. cit., p. 136-137. 223 A ragione pertanto il Bianconi a proposito del metodo di comparazione usato dall’Huxley scriveva: « A questo patto » » io potrei conchiudere che fossero uguali due chiavi, quando confrontando tutto non curassi i tagli o le di- ‘mensioni. La comparazione fatta dal Professore Huxley prova bensì che quanto a numero di elementi ossei e miologici sono simili fra loro il piede della gorilla e dell’uomo; ma le conseguenze non ponno essere spinte più innanzi senza ledere le regole d’un sano ragiona- mento, Imperocchè la natura di ognuna di queste estre- mità consiste nel numero di pezzi ossei, nelle loro forme, nelle loro proporzioni, nel loro assestamento e nel loro funzionare. La comparazione d’entrambe le estremità per dedurne eguaglianza di natura, deve non restringersi ad ur solo di questi capi, ma deve abbrac- ciarli tutti; e chi fondandosi sur un. solo voglia argo- mentare da questo alla parità dell’insieme prende un equivoco, e trae in errore quelli cui volesse istruire. Il debito di chi insegna è di aprire altrui la verità, non d’inorpellare l’errore colle risorse dell'ingegno. In un confronto di questa fatta, affine di poter conclu- dere sull’eguaglianza o identità dei due oggetti, il piede umano e l'estremità posteriore delle scimmie, occorre, quanto alla osteologia, oltre l'eguaglianza del numero dei pezzi ossei, anche la somiglianza di forma dei pezzi medesimi, la uniformità delle loro proporzioni relative e del loro rispettivo collocamento, ed infine anche le conseguenze necessarie del loro assembramento, vale a dire, l’effetto che inevitabilmente discende dalla loro riu- nione. Una volta che siano giusti questi riflessi e questi principii, crolla la tesi del Prof. Huxley. Che monta in- fatti l’ugnal numero dei pezzi ossei, se alenni di questi 224 » son sì diversi per proporzione e per forma che nella » gorilla, ecc., costituiscono un pollice breve e sottile, là » dove sarebbe richiesto maggiore per lunghezza, e mas- » simo per grossezza, affine di servire come nell'uomo alle » leggi della statica per la stazione verticale? Che monta » il'numero, se la forma dei pezzi è sì differente, che » il pollice resta divaricato, sciolto e mobilissimo nella » gorilla, mentre è rigido, steso accanto alle altre dita, » e con queste fermato, mercè del legamento trasverso » nell’uomo ? Che monta se il ravvicinamento e l’armo- » nica riunione degli elementi ossei è tale che in un dei » casi ne esce un eccellente organo prensile, e nell’altro » una base appropriata a sorreggere il corpo (1)? » Laonde a chi non sappia quanta parte abbia il pregiudizio e la volontà nelle premesse e deduzioni di certi scienziati , dovrà parere strano assai ed inesplicabile come l'Huxley abbia potuto dichiarare essenzialmente identica, o per lo meno più simile che diversa la struttura del piede umano e quella dell’estremità posteriore del gorilla, mentre più diversa che simile ne è la rispettiva funzione , essendo la stazione verticale e l'ambulazione funzioni caratteristiche del piede umano, come lo è pegli arti posteriori delle antropoidi il prendimento; attalchè l’Huxley stesso fu co- stretto a denominare prensile quello ch’egli perfidia a voler chiamare piede e non mano nel gorilla, qualificando come secondarie o pretermettendo affatto quelle distin- zioni anatomiche che sono appunto il fondamento di tale caratteristica organica e fisiologica diversità, e segnata- mente quella maggiore o minore mobilità del pollice, la quale, per suo avviso, può variare indefinitamente ut Nei (1) Op. cit., pag. 53, 55, 225 senzachè la struttura del piede ne rimanga perciò sustan- zialmente alterata (1). Laddove, a detta dei migliori zoologi che ragguagliano l’importanza dell’organica diversità a quella della relativa funzione, in questa stessa maggiore o minore, perfetta od imperfetta mobilità e divaricazione del relativo pollice, e possibile od impossibile, assoluto o limi- tato suo contrapponimento alle altre dita, vuol essere collo- cato il costitutivo e distintivo della vera mano e del vero piede (2), per cui l’uomo si chiarisce il solo bimano- bipede, e si differenzia organicamente e fisiologicamente da qual più si voglia animale bipede o quadrupede o quadrumano, sia pure il gorilla od altra qualunque antro- poide. Perocchè l’impedita divaricazione dell’alluce, mentre si è la condizione necessaria alla caratteristica. fun- zione del piede umano, organo dell’eretto portamento e della deambulazione, è nel tempo stesso un impedimento ed un ostacolo insuperabile al perfetto esercizio della presa e della digitazione, funzione caratteristica della mano; alla quale funzione per lo contrario l’arto poste- riore del gorilla trovandosi meglio condizionato ed ac- concio che l’anteriore, epperò più di questo accostandosi per tal riguardo alla mano umana (3), mano hassi a dire e non piede, ed il chiamarlo prensile tanto lo qua- lifica e lo distingue, quanto il chiamare ambulatoria la scimiatica mano; comune essendo agli arti anteriori e posteriori della scimia la funzione ed il modo della loco- mozione, cioè l’impugnare colle dita i rami degli alberi, (1) Huxley, op. cit., pag. 90. Lyell, op. cit., pag. 476, seg. (2) V. Galenus, De usu partium, lib. I, c. 22, lib. HI, c. 8; Bell, The Hand, etc., pag. 74; Qwen on Limbs, pag. 37. (3) V. Bianconi, op. cit., pag. 45-46; Duvernoy, op. cit., pag. 59% 125; Galenus, op. cit., 1. II, c. 8. 226 unica stanza o la meglio accomodata ‘a quei cremmobati ed hylobati, non già il reggersi e camminare su due piedi stampando colla pianta sul suolo di tutta quanta la terra l'impronta di chi ‘ne è l’abitatore universale ed il domi- natore sovrano (1). Per la qual cosa, se gli organi vogliono essere qualificati dalle rispettive funzioni, e se la presa e la digitazione, funzione caratteristica della mano, è del pari comune ed appropriata agli arti anteriori e posteriori delle antropoidi, anzi più perfettamente eseguita dai secondi che non dai primi, non solamente non le possiamo con proprietà chiamar bipedi, essendo più manesco il loro piede che non la mano; ma contrariamente all’ Huxley dobbiamo dire che tra il piede umano e quello del gorilla, maggiore , perchè più importante, si è la diversità che la rassomi- glianza. Perocchè non di grado soltanto ma spiccatissima essendo nell’uomo la diversità di funzione del piede e della mano , spiccatissima si deve pur dire la diversità del piede umano dall’arto posteriore del gorilla; la cui speciale conformazione quanto lo rende più acconcio ad emulare in parte l’azione della mano umana, altrettanto lo rende disadatto ed inetto al portamento ed all’incesso umano; epperò tanto più dissimile dall’uman piede, quanto più prossimo all’umana, e superiore alla scimiatica mano. (4) V. Galenus, Op. cit. lib. II, c. 5. | er DE en torretta n a) —l Adunanza del 20 Dicembre 1868, PRESIDENZA DEL CONTE L. SAULI, DIRETTORE DELLA CLASSE Îl Socio Comm. Ricorri legge un brano inedito del VI volume della sua Storia della Monarchia Piemontese. In quello squarcio ch’ei lesse, si narrano i primordi del congresso di Vesfalia, massime nella parte che concerne agli interessi della Monarchia Piemontese. L’Academico Conte Vesme legge il primo capitolo di una sua Memoria dell industria delle mimere nel territorio di Villa di Chiesa (Iglesias) in Sardigna nei primi tempi della dominazione Aragonese. Questo capitolo, che è quasi preliminare, tratta della coltivazione delle miniere in Sardigna, e nominatamente nel territorio di Villa di Chiesa, fino alla caduta della domi- nazione Pisana. Vi si espongono dapprima le scarse notizie che ne rimangono delle miniere di Sardigna prima della conquista Pisana. Vi si tratta poscia della legislazione mi- neraria presso i Romani, e si raccolgono le varie notizie rimaste sulle miniere dell’isola durante la loro domina- zione. Finalmente vi si discorre della coltivazione delle argentiere del territorio di Villa di Chiesa durante la se- conda meta del secolo XIIT, nel qual tempo fu soggetta 228 ai conti di Donoratico; e nel' primo quarto del secolo seguente, mentre fu sotto la signoria diretta del Commune di Pisa. In questo tempo l'industria delle argentiere era talmente estesa e fiorente in Villa di Chiesa, che formava quasi la sola occupazione e ricchezza di quella sempre crescente popolazione. O) 9 D DELL’ USO DELLE ISCRIZIONI E DEI PAPIRI PER LA CRITIGA DEL LIBRO DI ARISTEA A PROPOSITO DELLA EDIZIONE PROCURATANE IN QUEST'ANNO DAI. PROFESSORE MORIZ SCHMIDT LETTERA a AL SIGNOR COMMENDATORE GASPARE GORRESIO. Illusire Signore, Nel terzo fascicolo deli'Archiv fiir wissenschaftliche Br- forschung des alten Testamentes (4) di Adalbert Merx, pub- blicato in quest'anno, è data per cura del Prof. Moriz Scamipr una nuova edizione della Lettera di Aristea a Filo- crate, il cui testo più non era stato ritoccato dal 1705, e la cui revisione niuno fin qui avea basata sopra una dili- gente collazione dei manoscritti. Di questa dotta fatica ogni studioso di archeologia sarà grato al professore tedesco, già noto (se è pur quello stesso) pei servigi resi alla lette- ratura greca colla sapiente edizione dell’Esichio. Senonchè, (1) Halle, 1868. ZI chi prende ad esaminare il nuovo lavoro, ove abbia cogni- zione degli studi sin qui fatti intorno alla Lettera e dei documenti che fino a noi sono pervenuti sulla storia dei Lagidi, tosto si accorge di non poche mende le quali scemano alquanto il vantaggio della rifatta edizione come delle notizie premesse al testo greco (1), ed è forse oppor= tuno rilevare. La qual cosa appunto mi propongo, illustre Signore, nelle seguenti osservazioni sull'uso dei papiri e delle iscrizioni greche per la eritica del testo di Aristea. Seguendo adunque l'edizione dello Scampr, noterò : 1. Re Filadelfo, accolto il consiglio di liberare dalla schiavitù i centomila e più. ebrei che servi viveano in Egitto, ordina, p. 16, 30: éx0:ivar modoteyma, tas anojpacis nottata: ; l’autore dà in questo luogo, p. 17, * n» rr x f 3-4: toÙ npeostoynuris tò avil'ypugov (ci. p. 19, 1: tig delodcosms fot» dvrl'yoazov 7608). Nel progetto di legge osservo, 18, 5: Oce@dvipaper yap “pò, ecc. (ef. p. 20, 25, dterdugores evochos tolto npo&éat); compi- lato il progetto, è detto, p. 18, 10: siodobivtos di 100 (1) Pag. 1-4: Catalogo delle precedenti edizioni di Aristea. - Pag. 4-6: Indicazione dei fonti della presente collazione. - Pag. 7-9: Pochissima importanza del sunto di Giuseppe Flavio, sia perchè non somministra mai dati migliori del buon manoscritto usato dall'editore, non avendo probabilmente posseduto esem- plare del libro di Aristea preferibile at mostri, sia perchè non avea sufficiente pratica e scienza della lingua greca per intendere perfettamente l’originale. - Pag. 7: Menzione dei nomi Filocrate ed Aristea nell'antica letteratura. - Pag. 9-10: Osservazioni sulla ‘ grecità. e specialmente sugli ionismi di Aristea. - Pag. 10-11: Congettura sia stato questi ebreo di religione. Del resto nulla intorno alle iscrizioni ed ai papiri e lor grecità, nulla intorno ai risultati positivi della scienza moderna per ciò che concerne l’età dell’autore. 91 npostayparos, inos tnavu paesi to faor)eî; il re; lello, poi modificato in qualche punto l’editto e dispostane la - promulgazione, rivolge il pensiero alla versione dei libri giudaici ed il testo suona, p. 18, 23: 76 Anpratpia é2É devosv etodolvar meot Tiis tav ‘Iovdaindv 6)iwy avri- ypagîs (cf. ripetutamente, p. 18, 27: t& ti elodiccos; p: 19, 1: tàis Delodoozas; p. 19, 27: mis ds etodoccms tavms Yyevopevas; nella compilazione di Demetrio osservo, p. 19, 19: éav 0dv vaveîtal cor tovopov, Bactded, ece.). Ora, a) in Giuseppe Flavio ed Fusebio sono sempre ado- perate nei luoghi corrispondenti le espressioni: éxdodva, #40978%s ; Flavio, ad esempio, scrive, XII, 2,3: tovrov di tod nportayparos avayvmodivtos to Pac, e poi inélevoe tiv Anprttproy îndolvar nat tò neot Tis cov Tovdatxéy feSiiov avaypagîis dogma. Ebbene, l’espres- sione che s'incontra ne’ Papiri tolemaici non è già fx0d0t5, ma etodo0:s, come rilevasi dalla 1. 32 del Pap. H di Londra: to mpos tav etodootv rpostayna; dalla 1. 65 dello stesso documento, «.0:006n (Cf. Pap. del Louvre 62, col. 2, 1. 9); dalla |. 29 del Papiro torinese IT: er0edoz4 vropynpa voto twy epnpevav. Di questi confronti ap- punto si è giovato il ch. sig. Bernardino Peyron (Pap. gree. 1841, p. 36, 37) nell’illustrare il secondo Papiro bri- tannico, ove dice che « la eî7d0915 è (nello stile della Cancelleria Alessandrina) la trasmissione di un regio or- dine compilato per iscritto da un ministro superiore, affinchè la regia volontà sia tratta in effetto ». I Papiri dunque confermano l’etrdoors, l'etrdoova: dell’alessan— drino autore della lettera, contro l’éxdc01g, l'éxdodvz: dei sunti posteriori di Flavio ed Eusebio; 2) Così è 232 dell'ex0eîvae 7poorzypa che ha riscontro nell'exZeva: delle i, 21, 42, 62, 70 del Pap. TE e 7 del Pap. HI di Londra; c) Nello stesso modo il drerddgaper y20 riu cvpgi pe al toîs modyuaoi riceve luce dal xal tiv rp09%- novo (av) éE intonebens dada bi(iv) momozo0a: del Papiro n° 6 del Louvre 1. 26 (Not. et extr. des man. p. 162); d) V'èdy odv savettar cor, ece., che in Giuseppe Flavio diventa é2v cùv cor doxf, è ripetutamente convalidato dai Papiri Alessandrini, i quali contengono spessissimo la formola &E13 0dy, idv galvazar, cvvizzai (Pap. taur. VI, VII, Pap. ‘del Louvre 12, 13, v. not. et extr. p. 171) nelle suppliche al re od ai magistrati. Forse i Papiri di- mostrano posteriore l'aggiunta cor évvouov del Codice B (V. Schmidt p. 19 ad I. 19); e) ugualmente tecnica pare l’espressione tod mpoot4yuaros tò avilypagov, Tis slodo- céus avityoucov ted:, se si bada ai Papiri, tra i quali il 64° del Louvre reca ts moîs Amprava Ertotolfis tò avtiypazov, nonchè all'ufficio dell’avtiypacevs nella. ge- rarchia amministrativa dei Lagidi. Questo non è luogo per ricavare viceversa dal testo di Aristea qualche luce che rischiari i papiri e le iscrizioni, ossia i fatti della storia civile tolemaica. Starò dunque eontento a dedurre gia da questi confronti che i festo conservatoci della lettera. a Filocrate concorda cei frammenti in lingua: ales- sandrina modernamente scoperti nelle tombe d'Egilto ed è preferibile ai sunti e loro varianti di Flavio ed Eusebio. 2. Sosibios e Andreas coi quali Arislea si concerta sono delti (2oy:) copatosb)azzs; p. 15; 4; el. avdpéav Fòv (doxi) copatorbìazz; ora è ben noto dai papiri e salle iscrizioni questo titolo lagidiano, ed è convalidata 233 l’aggiunta zoy: che è data tra parentesi. E questo titolo nascondesi, se non erro, in questa frase di Hieronym. Strid. praef. in Pentateuch. Moysi epist. 104 ed. Antw.: Aristeas eiusdem Ptolemaei UnEpaonioTtiS di cui il Prof. Schmidt (p. 10, not. 3) dice: est wohl bildlich zu nelmen. 3. Gli Ebrei schiavi diconsi sparsi, p. 17, 412: #5 te Thv nodev ol tiv yopav. (CI. p. 13, 21: xeztupevov thy te ré)luv nol ta vara tiv Alyontov: p. 33, 25 e 29, si yop anò cis yopas cis avtiv enteevovpevot). I prezzo dello schiavo riscattato si dee sborsare, per ordine del re, (p. 17, 16, 47) al proprietario militare presso t7 tv cleviov doo: (cioè p. 18,15, 16: dai toîs Unnperais 6v tayinatav) ed al proprietario civico amò tiis facimiaîis tparéSas (cioè p. 18, 16: dai far Vinoîs tparnsbitars). a) Giuseppe Flavio sefive invece #5 te tas modes Vipisv nat tiv yopev. Ora qui pure l’autore della lettera è più esatto del trasuntatore. Alessandria siccome capitale di tutto il paese non era di alcun nomo; era la 76):s opposta al rimanente paese, yop4, cioè al- l'insieme dei nomi; vedansi le notizie e i documenti rae- colti in proposito dal Kuhn, Die stidtische und biirger- liche Verfassung des Rom. Reichs, 1865, I, p. 476. Moriz Schmidt, p. 74, anm. 13, 22. d) Giuseppe Flavio sostituisce al ti t6v aloviav doo la frase Grav toîs atpatistars aroddnat tò puodovopixòv; eppure il secondo Papiro britannico (1. 23: perpauata xat opovia) dimostra l'esattezza e proprietà di vocabolo del testo originale. V'ha di più: Aristea dichiara che la distribuzione del soldo competeva toîs Unnpita:s toy taytaroy; ed il Papiro vaticano pubblicato dal Mai nel tomo V, p. 356 della 234 sua edizione di classici (1831-1833) del quale ho ragio- nato altrove (Atti dell’Accad. di Torino, adunanza del 19 aprile 1868) mentre spiega il titolo sinora ignoto di «pye- vrnpes (Pap. Il britannico, e not. et extr. des man. p..179 e 204) e l'ufficio degli vrugeree militari (inca- ricati di distribuire le razioni ed il soldo) prova sempre più quanto giusta sia e veramente alessandrina la frase del nostro testo, cioè del manoscritto stesso di Aristea, se pur strana potè sembrare ai tempi di Giuseppe Flavio il quale vedesi qui ricorrere a parafrasi. Aggiungerò sen- altro che l'invito ai delatori e la minaccia della confisca che contengonsi a piè dell’editto (p. 18, 5-10) collimano perfettamente colle notizie che altrove s'incontrano (Pap. del Louvre, n° 42, libro HI de’ Maccabei 3, 28, ecc.) sul governo dèi Lagidi; ciò dico per rilevare la intera e minuta conoscenza della civiltà tolemaica e della vita ales- sandrina sotto i re greci, che in tutta quanta la lettera si fa palese. , 4. Degli Ebrei condotti. prigioni da Tolemeo Lago è detto p. 15, 10-20, degli uni: «9 dv cioe tpeîs po- pradas naGordiaas avdpv Endentov cis TAV oper NATIUITEV ÉV Toîs ppovpiors ... ETLÙEgas TOÙS aprotovs ... naboritce (ci. émméztov poyluwr, xa torxos, Gpovpapros de’ papiri); degli altri p. 15,19 sg.: etucev eis tiv oixetetav delle persone di milizia, pe’ bi- sogni della guerra (cf. il pap. del Louvre 63, 1. 90 t23 uroorevas dei militari residenti in Alessandria). 5. Il re, prosegue Aristea, dà gli ordini necessarii per la fabbrica e lavorazione dei ricchi oggetti ch’ei vuol man- dare in dono al sommo pontefice di Gerusalemme, p. 20, 235 Bi: énfevoe de tods diozogidarzas (cf. p. 28, Qi: xa 9d).av yap odi! iv toîs fizar)unoîs Urfipys pronosv)axzions). Giuseppe Flavio sostituisce: «viguas tv xiSvTOV Év is érbyyavov gi Mido; Eusebio: ypapatorddazas (Schmidt, p. 6). L'espressione froxogudazes, prozopu)azia è nola solo per Aristea (v. Passow); le iscrizioni ed i Papiri, per quanto io mi sappia, non la danno. Ma se è dimo- strato; come dalle cose già dette risulta e risulterà dalle seguenti note, che ogniqualvolta il nostro autore cita un ufficio tolemaico, egli è confermato dai Papiri e dalle iscrizioni; se talvolta è accaduto che un Papiro ha svelato l’esistenza e la natura di qualche ufficio, mentovato sino allora dal solo Aristea, come si vedrà in seguito, non rimane egli probabile che anche questo sia veramente il'nome genuino, che anche questo fu malamente modi- ficato dai trasuntatori, che finalmente anche questo verrà da future scoperle epigrafiche, o dall'acquisto di altri Papiri lagidiani, ugualmente convalidato e schiarito ? 6. Nella sua lettera al pontefice ebreo, il re scrive, p. 20, 20: vat vipeîs de mapadoSevtes tiv Pacidelay puavbpwrstspov aravidpev toîs nior. Questa è frase pret- tamente, interamente lagidiana, se posso così esprimermi. Si pensi al mxozdafovros tiv Paordelav, al mpòs tiv mavinupv tiis naparibens tis facdetas dell'iscrizione di Rosetta (1.4, 1. 7). Quanto a eMavIpwrorssov, grdav- Goor:w non è raro; e frequentemente trovasi gràzv0p0- rta negli autori dell’epoca alessandrina ; specialmente ado- perasi la parola in Egitto a dinotare generosità, liberalità, umanità regia. Nell’iscrizione di Rosetta è celebrato Tole- meo Epifane perchè rzîs éautod dvvamueniv nes avOonmnne 236 nz7215 (1. 12); nella nota petizione dei sacerdoti di Philae a Tolemeo Evergete H chiedono: ereyapiione vipuîv avadeivai om iv; Ev avaypapouer tiv qeyovviav iuîv dg spor nepi tovtwv guiavipariav (1. 20, cf. Letronne, Rech. sur l’Eg., p.333 e la 14° interrogazione del re: rg 4v gray Gporos Eri, p. 49, 25). Anzi grAzviporz (v. Peyron, Pap. Taur. p. 167, sq. not. et extr. des man. p. 222-224) diconsi nei Papiri i Decreti d'Indulgenza che i Tolemei ema- navano appunto nel rxpadeSeîv tiv fzordetav, coi quali usavano condonare le pene e le multe incorse sotto il pre- cedente regno, e, per quanto sembra doversi dedurre dai Papiri, confermare nel loro possesso quei che non erano muniti di titoli regolari. Dunque l’incoronamento (7zp4- Miyis tis Baoeias) e l'atto di filantropia regia, si toccano generalmente nei documenti, come vedonsi con- giunti nel testo di Aristea. 7. Il re soggiunge che parte degli Ebrei liberati egli in- trodusse nella milizia, e parte anche negli uffizi di Corte, p. 20, 29; tods de duvapevovs al rept pas civat Ts mepi tiv ad)iv niotems @étovs énl yperòv rateotioaper. Giuseppe Flavio scrive: ért tiv Ts 0g rioriv inaviv. Ma i Papiri confermano ancor qui il zept riuas, il zept thy abUiliv del testo; v. ò ért t@Yyuaros innapyov Er, avdewr val tiv neo adiliv dadoyov val Eriotatev tod nxdupitov (Pap. del Louvre 16, 1. 1, 2). Polibio V. 65, 5, descrivendo la falange egizia cila tods inmsîs tods putv rspl tiv avidiv Ovtas; lo stesso autore parla altrove (XVI, 21, 8) dé toîs nept TÙùv aUinv riyepooi rel orpattstas di Alessandria. Il celebre Papiro 10.° del Louvre, sui due schiavi fuggiaschi, fa menzione di 237 tav mept aUdav dpyurnp:itàv (cf vt mepl tiv 4ddhv vea- vico: della Corte di Macedonia, Polyb. XVI. 22, 5.). L'espressione ci rept @20)v dinotava, nello stile cancel- leresco alessandrino, tutti coloro che coprivano qualche carica nella Corte (Peyron ad Pap. Taur, I. p. 75. Letronne in Not. et Extr, des Man. p. 204.). Lo stesso dicasi del- l’ért yperòv, che trovasi del resto ripetutamente in Aristea, p. 34, 4: toîs ért TV ypeiov duoros di èyypantov dia- otoxas tdwzev; p. 43, 23: ézédevoe tods Mormods mavtas amo)dozi tods Ent 50 ypetov: Giuseppe Flavio (XII. 2, 10): tods pv W\dovs, ovs ypsîav Évena mapeivar cvvesDivev. Ora, qualunque sia il senso dell'espressione di Aristea, ne vari luoghi citati, si può pur sempre asserire essere dessa più accettabile quanto al nostro testo. Peyron (Pap. Taur. I. p. 97.) reca un esempio di ot ért 70v ypeîoy della versione dei settanta; ma impertano bensì il Pap. VI Torinese, che ha ros ereyoetov, ed il Pap. VII tors ere- ypetov tetaypevors, a vieppiù dimostrare l’impronta ales- sandrina, tolemaica dello scritto di Aristea. 8. Aristea descrivendo in seguito minutamente l’ornato della tavola d’oro mandata in dono dal re al sommo pontefice , dice che gli artefici aveano su quella tavola scolpito un meandro, nel cui mezzo lucevano preziosissime pietre p. 26, 10: X(0ovs Eyovta mata perov nedvtedeis, mov VALLO MY dvOparavte nat capadav, eri d'Ivvgos, zal tav Kar Yevav, ecc. Giuseppe Flavio scrive nel luogo corrispondente : Mf0ovs alt xard péoov GEL0ICYOVE, morso dotipus, moraldns idéus évGevies, tiv te Gvipaza xot ty opepa;dov, ecc. Confrontando le due frasi, e vedendo che | 4é:0X6yovs di Giuseppe occupa il posto 238 del rodvredeîs di Aristea, ed il rotdas t0éas precisa- mente quello del rvAtedwv, m' è parso potersi congettu- rare avere avuto Giuseppe un testo più chiaro di Aristea che non l'abbiamo noi, ed aver letto 70Xve(d0v ove noi troviamo il problematico 7vX14200v che questo solo passo di Aristea ci fa conoscere (V. Atti dell’Acc. giugno 1868, p: 740-742). Fors'anco l'orso «otépas di Flavio suppone riezdov. Giudichino i dotti. Aggiungerò soltanto che da altro passo rilevasi pure (come si vedrà più sotto ) «avere avuto Flavio una miglior lezione della nostra. 9. Tanto era lo studio e tale la diligenza con che il re seguiva i lavori degli artefici, ch'egli spesso trascurava i pubblici negozi, p. 28, 25 ro)Adxs Yap tòv dnpdorev ypnpatiopòv maorst. Il vocabolo yonpzzionos rilro- vasi a p. 46, 20: wdg5 dv év roîs ypnparionoîs xd draupiosotv edenpias tuyyavor, e nel seguente brano veramente prezioso per la storia del governo dei Lagidi, p. 66, 3: « rapa tv dvaypagmpevav Enaota TAV yuwo- pévov Ev te toîs xpnpatropoîs tod factdens rat taîs OUPmociais pati ubeîvi. é008 74p fot, xe0ag nat où quoorets, do' is av ripépas' ò panda UoYATAL YPU- patitemv; péypis où sacanondi, nAVTA aver) poipeadae To \eyipeva nai npacagpevo * na)ébs yevopevov nat aUI- pepovtws * TÎ yo éntovon ta Ti mpotepov nenparypéva vat Nelalupéva noò cod ypupartropod napavayooretat, nat; el ti pù deovtms YÉyove, drop9dosas tuyyaver 76 rerporypévov ». I Papiri fanno frequente menzione di questa espressione tecnica; v. Pap. Taur. I. p. 4.1. 23 ypupario- povs; Pap. del Louvre Not. et Extr. p. 273. 276. 213. 278. 281, 267. 284. 369. 357. 368. 372. 377. 378. 239 349. Cf. Reuvens, Lettres, p. 100: 4rsdaxa go tav azoR tav Paotdeas veyonpatiopevav evtevE. Polibio (V. 81,5) parla della tenda in cui il re ypupuatiServ stmder xat det- nveîv; della porta del palazzo per cui si entrava nell'aula dei Crematismi (XV,51,2: ct Maxedoves éfavaotavtes xa- te)dbovta tòv ypnpatiotino nv)éva toy Pacrdetov. Siamo ben lontani, come si vede dal greco antico (significato industriale di ypupariotar (Plat. de rep. 4, 434) di ypapazotza (Arist. Pol. 41} 4. S 41) di ypapatiopos Xen. de rep. Lac. 7). Le parole ypnpatifev, ypupate ouos di Aristea (cf. yorpaziora: più giù) sono dunque pienamente appoggiate dalla terminologia dei Papiri, e dalle notizie storiche che possediamo sull’amministrazione lagidiana. E questa esatta corrispondenza ci autorizza forse a ricavare dal lungo passo surriferito alcune informazioni sul governo dei Tolemei, in cui tanta parte hanno i Gram mateis, gli Anagrafeis, gli Upomnematografoi, i redattori di registri, di memoriali; di lettere, ecc. (cf. Diod. 17, 52. Diod. HI. 38. Appian. praef. 10. Agatharch. ed. Did. p. 165 S 79, p. 194 S 440, Strab. XVII 797). Ma qui non occorre ragionarne distesamente. Mi basti rac- cogliere da questi confronti una nuova prova. dell’ ales- sandrinismo tolemaico della lettera a Filocrate. 40. Terminati i lavori e mandati i doni cogli ambascia- tori in Giudea, segue il racconto che Aristea ci fa del suo viaggio con molte osservazioni intorno a Gerusalemme e suo contado. Egli ammira il floridissimo stato agricolo di quel paese, ed in proposito rammenta che nell’ Egitto invece l’agricoltura andava trascurata, molta popolazione concentrandosi nella capitale, e la necessità di ricorrere 240 al lontano tribunale del re, nonchè i termini troppo lunghi prefissi alle udienze, trattenendovi buon numero di agri- coltori, ragione per la quale, soggiunge egli, p. 34, 2: « 6 Baordeds, Iva più natapévmoi, npocttate, po mAéOv etnociv Vipepov mapemiònpeiv » al toîs, ETÙ tOv yperòy duotos de Eyypantov diastoràs wav, Édv dvapuaîov, î xatanaréoa, dranpivev èv fipépars névie . npò no))cd di motobpevos xal yprpatiorae, xal tods Taltmv Ùnn- péros, emitate nata vopovs, Gras più mopropiòv Vapéd vovtes vi yemoyol nat mpootatar tis nidems Éiurtoor ta tapueizz Méyo dì ta this Yewoylas npoogopa ». Egli cioè accorciò i termini da un lato, e dall'altro instituì i Crematisti fuori della capitale, giudici percorrenti là provincia, analoghi ai quaranta che viaggiavano pe’ Demi dell’Attica, ed ai Missi Dominici di Carlo Magno. È avve- nuto per i Crematisti di Aristea ciò che avverrà forse pe’ proxogvdaxes ; conosciuti solo per la lettera a Filocrate fino al secolo nostro, vengono oggi chiaramente illustrati dai Papiri greco-egizi (Pap. Taur. I, Pap. del Louvre 14, ai quali forse è da aggiungersi il Pap. Taur. XIII resti- tuito da Franz C. 1. Gr. HI. p. 295: ci ypnparicavies ras Paucthinas , vi td Paciind unì mpocodixà, vat ldta- TIRA xpivovtes), i quali presentano i Crematisti siccome uomini che percorrevano, giudicando liti, le provincie dell’Egitto: e tra tutti questi Papiri il più celebre, com'è noto, sì per la sua lunghezza e conservazione, sì per lo splendido commento di cui Peyron lo ha arricchito, è quel primo Torinese (V. Peyron 2, p. 97). Ora il con- fronto già fatto (tra i nuovi documenti ed il passo di Aristea non è senza utilità per la critica del nostro testo. 24 Il Prof. Scampi dà érérate nare vopovs. Garbiz. tradu- ceva legibus ordinavit, Peyron, nel suo commento, ex legibus constituit. Letronne invece nel suo articolo sulla pubblicazione di Papiri Peyroniana (Journ. des Sav. 1828, p. 104) osservava « pewl tre faut-il lire vata vopods per praefecturas (au lieu de ex legibus) constituit ». D'altronde si ritrova nelle versioni di Lodovico Domenichi (Aristea, de’ sellantadue interpreti, in Fiorenza mpL) e di Guillaume Paradin (/istotre d'Aristée, à Lyon mprxnn) l’interpre - lazione proposta da Letronne, cioè di prefettura, divisione provinciale egizia, momo. Ciò collima coll uffizio dei Crematisti, sparsi pe’ nomi della monarchia. Di questo dubbio, della diversità del testo che ebbero i due tra- duttori citati, della congettura di Letronne, nulla dice il presente editore di Aristea. Eppure non mancano argo- menti onde appoggiare la forma vopods contro quella di vouovs. Nel senso di /eggi richiederebbesi, io credo, l’espressione xat4 tods venovs, v. Papi Taur. 1. p. 7. 1. 9. xera tovs nodttizovs vonovs; Pap. del Louvre 62. I. G. xat& tods véuovs; nel senso invece di nomi, si capisce la mancanza dell’articolo come negli esempi se- guenti: xat2 torov (Pap. del Louvre 65.1. 7); ot pòv Bacidizol ypauvariîz vot zopoypappartes vel romo- Jorpparis nata vopòv mavta Gra danavàzat în toÙ vouod, ecc. (C. I. Gr. 4956 1, 31-32.); ro natd vop.òv otpatayoîs (CI. Gr. 4957. vs. 49.) b) è vieppiù dimostrata dal passo citato, messo in riscontro coi Papiri, la esatta cognizione che Vautore della lettera a Filocrate possedeva delle istituzioni lagidiane, dello stile. ufficiale, delle espressioni volgarmente adoperate per denominare D 242 . ogni regia carica ed ogui pubblica cosa dei tempi della signoria greca; €) può forse lo stesso passo somministrare alcunchè di preciso intorno all’età di chi scrisse questa lettera. Difatti l'istituzione dei Crematisti, la creazione di magistrati regii incaricati di rappresentare il re nelle pro- vincie, di giudicarvi le liti in nome del re, ossia quelle che dinanzi al principe si portavano per lo innanzi, è cagionata dal troppo accentramento di popolazione in Alessandria, dall’osservazione dei danni che per l’agri- coltura ne derivavano; ora questi fenomeni non hanno potuto prodursi ne primordi di Alessandria, in sul prin- cipio della dinastia greca. D'altra parte i Crematisti si presentano, per lo meno finora, in Papiri non anteriori al regno di Evergete, al 147 circa avanti l'èra volgare, cioè in età assai remota da quella in cui visse Tolomeo Filadelfo. Questa osservazione devesi aggiungere, se non erro, av quella di un altro fenomeno pur tardo assai nella storia dei Lagidi, del quale discorrerò tra breve, ed alle ragioni per le quali Jo storico Graetz nel capitolo sul giudaismo alessandrino (3. bd.) e nell’appendice intorno alla versione dei settanta, della sua Geschichte d. Juden, altribuisce ai tempi di Filometore il fatto che l’autore della lettera d’Aristea narra essere avvenuto sotto il se condo Tolemeo. Questi sono i due punti che credo poter ricavare dallo studio dei Papiri e del passo sopracitato; e qui farei punto, se il passo medesimo non avesse, per le difficoltà ch'ei presenta, dato origine a dubbi ed in- terpretazioni diverse, e se non potessi aggiungere alcunchè di più esatto alle cose che ho già recato in proposito negli Atti dell’Accademia, dicembre 1867 (p. 144 sgg.). lA 243 Più sopra ho messo in confronto coll' ért toy yperòdv di Aristea, alcuni esempi dei Papiri; a questi si accosta inoltre l’oî ért teîs yperaes dell’ed. capit. in Rudorff, 119 = roayuazizot. Il xarazadéoat di Aristea, malgrado il divario rammenta l’avazaQev dei Papiri (Louvre 6, 1. 25; 8, LL 418; 13, I. 23) che significa citare in giu- dizio, Il rd roX)cd rotovpevos (nota però che in questo senso, se pure è il vero, Aristea adopera una sola volta npò no))cd, e per lo più megt r0)Xod, p.1,3.p. 13.3; pid 2 40prr:63] MER pio 6 iprip. 69972 vt schiarito dalla formola rd roXX6d #7ovpevav delle regie circolari (Pap. del Louvre n.° 64,1. 5.). Ma la maggior difficoltà per gli interpreti sta nella frase in cui scrive Aristea che il re istituì i Crematisti e li distribuì nelle pro- vincie 6ros pù ropiopòv dauSavovtes ci yenpyot nat npo- ordra tîs nédens èlartilar td topica, Meyodi ta tig yenpyias nodovopa. È facile dar ragione della menzione dei ‘ye0p0t, che appunto per esser tenuti lontani dai campi ne trascuravano il lavoro e scemavano il reddito dello stato, ma che sono e che vogliono dire qui i rpooratar? Peyron (Pap. Taur. I. p. 97) traduce defensores causarum, patrocinatores, tutores vindices , assertores causarum, €@ soggiunge che rpootote: va distaccato da is m0dews. Il Garbiz invece traduceva praefecli ‘civitatis, non so con cual ragione e senso. Ora due spiegazioni mi si sono presentate, le quali sottopongo al dotto lettore. La prima sarebbe che s’intenda qui: « gli agricoltori o loro rap- presentanti o sostituti in giudizio », cioè le persone in- caricate di agire in nome di un assente che non possa muoversi dal luogo in cui è; difatti: 4.° nei Papiri 244 vaticani del Mai (Class. auet. V. 350), Tolemeo figlio di Glaucia dice suo agente difensore, rpoctamns, il fratello Apollonio; 2.° egli supplica il re in altro luogo ( Pap. del Louvre 35, 1. 34 sgg.) di voler citare in presenza sua Demetrio figlio di Soso Cretese, che darà la difesa in sua vece, poichè nol può fare egli stesso per essere in clausura; 3.° in una lettera famigliare che si conserva nel Pap. del Louvre n.° 48, certi Myroullas e Chalbas, arabi, annun- ziano ad un loro fratello: 671 xoreràev puedeper mpòs ov Pacidéa (iva) Emdodjer EvrevELv nepi ov tò fiaoràeî. La seconda sarebbe la seguente: questa istituzione di Cre- matisti, come cercai di dimostrare nel sovracitato fascicolo degli Atti, si connette con una misura generale per cui il re avea deliberato di abbreviare il soggiorno dei pro- vinciali e stranieri (deputati, ambasciatori) nella capitale, accorciando il termine prefisso alle richieste udienze in Corte, ed avea stabilito non potersi più 7Aéov etxooty vipeodo naperdnpeiv in Alessandria, il che di necessità doveva pur mutare le usanze del cerimoniale rispetto agli ambasciatori che, per quanto appare da altro passo di Aristea, non poteano vedere il re prima di trenta giorni per lo meno. Ora questi ambasciatori erano alloggiati e nutriti a spese del re, ed aveano, siccome risulta dal testo di Aristea (pag. 44, 45), addetti speciali, incaricati dal re di ogni servizio che per loro occorresse: intorno a certo Doroteo che ebbe tal funzione poi presso i set- tantadue interpreti venuti da Gerusalemme, Aristea dice pi 45, 8: sive tiv t6v cotodrov mpoctaciav, cioè che egli era z00ot2t4s ( Aristea p. 43,3, 4: Gozi yap niodete stoty vg oV'yypoòviar mods 7% nord nol Bpoparz al 215 OTpoLvAS togoltor nai mposotàz:s ov) degli interpreti deputati dal sommo pontefice. Cosicchè î provvedimenti regi, concernenti i Crematisti ed il soggiorno dei non- Alessandrini nella capitale, avrebbero avuto per iscopo d’im- pedire da un lato che gli agricoltori lontani dai campi dimi- nuissero le pubbliche rendite, e dall'altro che i Prostata incaricati di ogni spesa di alloggio e vitto degli estranei venuti in deputazione, per la troppo prolungata dimora di questi, aggravassero di molto il pubblico tesoro, 0 togliessero più del necessario dai magazzini della città. Non saprei decidere tra le due interpretazioni proposte, nè vedere altra che sia preferibile, e lascio il giudizio a quei che sono maestri. AT. A pag. 36, IL e seg. è detto Str negli adròv Eyov 6 Izoxeuatos Uvdoas Tinatovs nat coppovas tiv peyi- otuv dv qeulannv Tis faoWertas tEe, ovpSovderovto» napproia. moòs tò ovpyipov tv tav. Anche questa frase sul consiglio degli amici nella Corte alessandrina dinota quanto esattamente informato fosse l’autore di ogni fatto della pubblica amministrazione. Nel gran litigio tra Giudei e Samaritani, Tolemeo Filometore raduna il con- siglio degli amici (Ios. a. J. XII. 4. 4. oùv toîs ele ualravta tov Pacidex; È Parideds moiods T6V gliov eis ovpSovàtav napadaSov ixc09:v). Così gli amici sono consiglieri alla Corte di Soria (Ios. a. J. XII. 8. 5.). In questa stessa narrazione di Aristea chi consiglia la liberazione dei centomila Ebrei è degli amici (Ios. a J. XII. 2. 2.). Aggiungerò due testimonianze poco osservate fin qui da quei che hanno cercato qual significato pre- cisamente avesse o quale incarico reale dinotasse questo 16 246 titolo così frequente nelle iscrizioni e nei Papiri: Plutarco narra (Apophth. Reg. et Imper.; p. 189) che Demetrio Falereo suggeriva al re alessandrino si procurasse e leg: gesse i libri che del principe trattavano, perchè ciò che gli amici non ardivano esporre al re, egli avrebbe in quelli trovato scritto: &@ yo ci glàor toîs Pact)edaw où Gappodor nopatvetv, taita îv mois LiiNiors jeypantai. E Diodoro Siculo, che le antichità egizie narrava già velate dille istituzioni greche, racconta nel suo primo libro (S 47) chie Osiride prima d’intraprendere le famose sue spedizioni, affidò la reggenza ad Iside, lasciandole per consigliere Mercurio ch’ ei preferiva tra gli amici: tiv tov Chav viysuoviav "Iotd: fi yuvari naosdevta, tabtr per napanataottica: aIpSovdov tòv ‘Eoudiv dra TÈ gpovrioet todtov drapéoem tv @)dav eldav (cf. Diod. XVII. 54: è d'’AleSavdpos els tè cuvédpiov nao2)afwv tods gi- dovs, ecc.). 12. Pare confermato ugualmente dai Papiri ciò che a p. 42, 18 e seg. è detto dei delatori o sicofanti seve— ramente puniti dal governo alessandrino, se si badi ad una lettera regia indirizzata agli impiegati di finanza, che conservasi nel Papiro 61 del museo parigino, ove il re si preoccupa pa)tora tov ovzopavteîv ertyetpo via (LL 15-16 cf. I. 10 éveoiy di zet), e dei svxovartelnìai noostepo.:vov che continuamente si recano alla capitale onde porgerne lamento al re. L' editto poi di Tiberio Alessandro (V. Journ. des Sav.: 1822. p. 682) lascia supporre qual piaga fosse questa, nello stato, dei delatori che di tanti pericoli e danni circondavano le private so- stanze. Ora sia lecito osservare che la severissima legge 247 di che parlasi in Aristea, ed i numerosi fatti dai quali senza dubbio prese origine, non sono nè legge, nè fatti di un governo nuovo e forte quale si dimostra quello dei tre primi Tolemei, e che anche da questo passo si rivela l'epoca Tolemaica assai tarda in cui fu scritta la lettera di Aristea. 13. Giunti gli interpreti in Alessandria ed introdotti nel palazzo, esibiscono, p. 44, 4: x vopodeciz yeypop.- uéva ypvooypapia toîs ‘Iovdatzois yponpact. Giuseppe Flavio scrive invece (XII. 2. 10. 38) éyyeypappévovs toùs vopovs ypovcoîs yoeppeswv. Eppure yovcoyoagia è il vero termine alessandrino (cf. Athen. p. 272, 273. ipfadas ypvooypagsis, comp. xapoypasia Athen. v. 204, p. 286.); lo si ritrova in un Papiro egizio (V. Reuvens, Lettres II., p. 66, Letronne, Lettres d'un antiq., p. 517, K. O. Miller, Iandb. der Arch. der Kunst, p. 434.). 14. Il re ordina si provveda al vitto ed alloggio degli interpreti. Certo Nicanore riceve questo incarico. Egli è detto nel testo di Aristea &py:nrpos. Ma il Prof. Scumor non fu sorpreso nel vedere un Archiatro far da gran mastro di Corte? Non ebbe notizia della lezione proposta qui da Letronne (Journ. des Sav. 1828, p. 105.) di apysdtazpos, gran ciambellano, titolo che si conserva in una iscrizione alessandrina dell’epoca lagidiana (C. I. Gr. n.° 4678)? Non conosceva l'ufficio persiano di èdéxzg0s (Suida ad v.) introdotto da Alessandro tra’ Greci? Non vide che avvenne per édexzzos ciò che sappiamo essere stato del couazogvize, cioè che moltiplicandosi gli uffizi, e crescendo il lusso ed il cerimoniale, si ebbe ri- corso all'aggiunta dell’ 4oy.. sicchè 4pyedezzpos significò 248 l'édézipos superiore a tutti gli altri V'éreoraras ts Dixs drgzovias nat naparzevis (Suida), appunto ciò che era, nel caso nostro, Nicanore, il quale dà ordini a Doroteo che pare Edeatro subordinato, deputato ad occuparsi spe- cialmente della legazione giudaica (V. testo, p. 44, 45.)? Non badò che questo stesso Nicanore è detto da Giuseppe Flavio nel luogo corrispondente : è ért tis tv Eévav anodoyis teraypévos, il che concorda perfettamente col citato titolo dell'iscrizione alessandrina ? E se a questi confronti si aggiunge la consueta esattezza dell’ autore della lettera nel determinare gli uffizi, non s’accresce la probabilità della congettura di Letronne, o per meglio dire non giunge forse questa, per gli argomenti che ab- biamo recati, a sufficiente certezza ? 15. Quanto ai faotizot maîdes, zar tv tiopevor Uni 700 Paris della p. 45, 28, ho già dimostrato negli Atti dell’Accademia (dicembre 1867, p. 157 e seg.), come questa frase di Aristea possa essere illustrata e con- fermata da tutte le notizie che dalle iscrizioni, dai Papiri e dagli autori ricaviamo intorno agli uffizi della Corte greca. Solo recherò alcuni altri dati intorno a questi giovani va- riamente impiegati presso i re: Mace. I. 1. 6: xt éxedeve "A\eEavdpos tods naidas avrod toùs indolore tods ovvez= tpezovs altov &nò veotatos; Mace. II. 8. 1-4. 29. 32. dra tiv tig cuvipoptas otopyiv; Liv: « pueri regii apud Macedonas vocabantur principum liberi ad ministerium regis delecti »; Athen. v. p. 195 (Antioco Epifane ) : {}z- ordinot di raîdes napfiIov EEundorei, ypvompata Epovtes; Diod. I. 53, raîdes ovvipogo: del figlio di Sesostri; Polyb. fr. h. gr. vol. HI, ovvrpogo: na:dirva: di Berenice; Polyb. 249 ibid. p. XXX, a proposito di un figlio di ministro, se intendo bene il passo: Gre @voyder tò fastdei maîs vr. 16. L’esaltezza storica dell’ioav xa0'idixiav tÙùv dvd- niwow rerompevo: (p. 46. 41.) alla tavola del re è pur dimostrata dall’analoga notizia che abbiamo in Giuseppe Flavio ove parla del giovine Ircano, figlio dell'appaltatore di Giudea, invitato alla mensa di Tolemeo (A. J. XII, 4. 9): tov tods Tonovs nata tiv dEiav diavepevrov. E lo storico Giuseppe, per quanto mi consta da ciò che scrisse sui Lagidi e lor governo, messo in riscontro coi Papiri, sembra ovunque esatto conoscitore dei fatti, del che in altro luogo spero produrre le prove, 17. Da un altro passo del nostro autore (p. 63, 3-15) possiamo pure inferire l'età lagidiana assai tarda in cui fu scritta la lettera, valendoci di una ingegnosissima 0s- servazione di Amedeo Peyron. Il celebre dotto ha fatto notare nella sua introduzione ai Papiri (I. p. 9), come i Tolemei vollero consolidare colla forza dell’armi la loro monarchia coll’armi fondata, e come non solo gli ammi- nistratori delle provincie erano comandanti militari (epi- strategos, strategos), ma gli stessi titoli, attribuiti a certi giudici ed assessori, sapeano di milizia. Ora nella lettera di Aristea, ove si enumerano le questioni dal re proposte ai settanladue, la 64,° interrogazione e risposta: tivas def zabotove atpataqods; 0g d'eimev* Goor.... TA dtmaa npaogovar, cui tiene dietro questa 65.°: tivas deî zadi- otuvenv Énì tiv duvopenv Uoyovtusi è dì dregrivato* tods avdpetz diapépovras, ecc. è una bella e semplice prova di un fatto notevole in proposito, cioè che, pacificato il paese per la cautissima e conservatrice politica dei Lagidi, 250 perdettero in seguito gli strategi ogni carattere militare, e quello civile assunsero esclusivamente (Pap. Taur. I. p. 70). Ma possiamo noi seguir le traccie di siffatto mu- tamento e fissarne la data alquanto precisa, per la critica del nostro testo? Dopo la morte di Filopatore, in sul prin- cipio del regno di Tolemeo V Epifane (205 av. l'e. v.), vedesi (in Polibio fr. Hist. gr. IL p. XXIX) Tlepolemo stratego della regione pelusiaca (o7p27070s t6v nate Im- \ovetoy Tirwv), temendo l’assoluto arbitrio di Agatocle in allora tutore del regio fanciullo (ertrporos), trar profitto dall'autorità militare ch'egli avea, cingersi di truppe, e raunare gran copia di danaro per ogni evento: t&s te Ouvapers mei abtov MOporte nat mepl ripov Èytvero ypr- puatov, iva padevi 16v èyip6v esyetontos A. Durante il regno di Filometore (181-146 av. G. Cristo), vedo con- servata l'autorità militare dello stratego. Viveva allora in reclusione, nel serapeo di Memfi, Tolemeo figlio di Glaucia, il quale, com’ è noto dai Papiri Britannici e del Vaticano, avea ottenuto fosse il fratello suo Apollonio iscritto in una compagnia militare di Memfi, e percepisse il soldo senz’ob- bligo di servizio, onde rimanesse a disposizione e difesa del bisognoso Tolemeo (Pap. Brit. IL e Pap. Vat. Mai class. auct. t. IV. p. 445, t. V. p. 353 e 601). Apollonio fu difatti arruolato nella Bandiera di Desilao. Ma i funzionari od intendenti non lasciavanlo godere del suo privilegio, distraendolo or per questa or per quella fatica, nè poteva star vicino al fratello. Questi allora ne fece lamento in una supplica al re (Mai, t. V. p. 350.) del tenore se- guente: « Io ti supplico, o Sole re, di non disprezzarmi, e di voler ordinare sia scritta una tettera a Posidonio 261 stratego perchè lasci mio fratello libero da servizio » (mpootatae youpar Moredovin tò doyicmpuatortiazi nat otpamajò dertovyputov adtov novit). Dallo stratego di- pendevano dunque gli Uperetaî e | Archiuperetes della Bandiera di Desilao (Pap. Vat; V. seconda lettera al Comm. Gorresio negli Atti dell'Acc.), che erano que fun- zionari appunto da’ quali Apollonio era distratto. Osservo d’altro lato, 1.° che il titolo di ér:ote@iayos ( vocabolo e titolo questo proprio dell’Egitto, V. Letronne Rech. p. 272) si presenta solo in documenti posteriori all’epoca accennata, cioè in quelli del regno di Evergete Il (127-117 av. Cr.) o di Aulete (72 av. Cr. V. Franz C. I. gr. HI. p. 292); 2.° che l'epistratego era sempre un Romano sotto la ro- mana signoria, com’ era sempre stato un Greco sotto quella dei Lagidi, avendo egli il comando della forza armata (Letronne Rec. I, p. 419, 420). Ora se nel primo Papiro Torinese dell’anno 117 avanti l'era volgare, allorquando si era prodotta la creazione di un nuovo potere militare, mentre l'antico ufficio militare dello stratego a poco a poco era divenuto esclusivamente civile, Ermia è detto otoe- tayòs xal vop.4oyns (il che sembrava a Letronne pro- blematico pleonasma, V. Journ. des Sav. 1827 p. 621), ciò crederei poter spiegare presumendo fosse quello, mi sia lecito così esprimermi, il periodo critico del vocabolo orparaîs in Egitto. Non significava più cioè un'autorità militare, ma non era tuttavia abbastanza civile perchè solo si adoperasse: aggiungevasi xot vopepyrs; mentre più tardi, sotto Tolemeo Aulete, il vocabolo, anche solo espri- meva il potere civile, e se il potere civile affidavasi allo stesso capo militare, questi dicevasi alla volta értotpatayos 252 nat atpatiis, otpatayos nat erotpatiyos (V. Letronne, Rec. IL p. 35. p. 41). L'epistratego venne ad ottenere dirimpetto allo stratego lo stesso. posto che questi, anti- camente, dirimpetto al magistrato civile antico. Finalmente fu tale l’identificazione dei vocaboli ozparayòs e vopuapyrs, che ai tempi di Strabone (XVII. 798) si adoperava l'un per l’altro ugualmente, nel medesimo senso. E così credo che, se la prima interrogazione in Arislea si riferisce allo otpatayos, funzionario prettamente civile ormai, la seconda intorno all'ézt t&6v duveuenr Goyov allude forse all’ ére- ototayos. In sul principio della dominazione romana otpatiyos avea totalmente perduto l'antico significato e ca- rattere: « L'anno 1v di Tiberio Cesare Imperatore Augusto, essendo Vitrasio Pollione capo sull’ Egilto (vyeuovos) e Ragonio Celere epistratego (éztorpariizov) Longino cen- turione ha dedicato .... (Letronne, Rec. I. p. 418). Il Franz (C. I. Gr. IL p. 456) si meraviglia non sia fatta menzione di stratego (otpatzyod mentio cur desit non liquet). Ma un soldato romano, un centurione, potea met- tere in non cale la citazione dell’ autorità civile , dello stratego. Egli ricordava i suoi superiori militari, sem- plicemente; e se ciò non era regolare (cf. C. I. Gr. ni 4704, 4746), si capisce la dimenticanza, se non erro. Quanto allo stratego dei Lagidi, se sono rette le mie osservazioni, egli incominciò a spogliarsi dal significato militare solo circa l’ultimo secolo della monarchia greca. 18. La lettera di Aristea (p. 67 in prince.) parla del- l’uso religioso di lavarsi le mani ch'essa stabilisce siccome uso comune a tulli gli Ebrei: eg 009 éott, n&or toîs Tovdatos dmovipopivors ti Seldon tas yeipas, 05 @Y 293 edesviai npis tov Geòv. Ora lo storico Graetz (Gesch. der Juden 3 Db. p. 492) nota che quesluso non è cer- tamente più antico di Hillel e Sciammai, e che non piccol tempo corse probabilmente prima che si estendesse fuori di Palestina e diventasse universale, e ricava da questo argomento aver vissuto l’autore di Aristea circa il dieci dopo Cristo. Aggiungansi altre argomentazioni del Graetz; 1.° che l’autore di Aristea sia anteriore a Filone lo prova il fatto ch’ egli è da questi citato a proposito non solo della versione dei settanta (Vit. Mos 139 sg.), ma ancora dell'uso proibito degli animali impuri (cf. Filone de spec. leg. II. 353); 2.° la versione dei settanta è fatto così lontano dall’ epoca dell’ autore, ch'egli potè, senza tema di essere smentito, ornario di molte leggende; e il testo dei settanta era già ai suoi tempi talmente mutato e corrotto, ch’ ei coglie l’occasione per fare un impreca- zione contro simile mutazione (cf. Frankel, Vorstud. Zur Septuag. 43). Ora anche di questi risultati dell’osserva- zione storica (tralascio le argomentazioni intorno all’epoca della versione stessa) nulla dice il Prof. Scam, quan- tunque da un diligente editore, il quale prepone una introduzione al testo riveduto , ben si possa esigere la cognizione di tutti que’ dati positivi, a tacere delle probabili congetture, che giovano a determinare | età dell’ autore. 19. In ultimo l'autore cita i doni fatti dal re agli interpreti, e per mezzo loro al sommo pontefice: tra le altre cose v erano, p. 69, 16: xt Puocivav dIovim» ts | tods éz70v (?). L'editore suole nelle note apporre le varianti non solo dei codici, ma dei testi di Flavio ed 254 Eusebio. Ora, non sò perchè, ommette qui |’ importante lezione di Giuseppe (12, 2, 14): ffuocivns 69dvns totods énatòv. Possano queste osservazioni, illustre signore, dimostrare essere ormai dovere di ogni editore di Aristea il por mente alle iscrizioni ed ai papiri come ai lavori, alcuni notevoli, altri poco men che immortali, i quali dai nuovi documenti del secolo nostro ebbero origine. Mi creda suo dev,mo ed obb,mo Giacomo LumBroso. L’Accademico Segretario Gaspare GORRESIO. do UT (+14 DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO dal 1° novembre al 31 dicembre 1868 Donatori Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften Accademia Reala delle Scienze zu Berlin; August-October 1868; 8°. i Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Società Medico-Chirurgica di Bologna; Novembre 1863; 8°. Med: Qiruealna i Bologna. Abhandlungen herausgegeben von naturwissenschaftlichen Vereine Società di Scienze nat. zu Bremen. I Band, mr Heft. Bremen, 1868; 8°, di i Brema. Anales del Museo publico de Buenos Aires, per German BURMEISTERj Museo pubblico Entrega cuarta. Buenos Aires, 1867; 4°. di Buenos Aires. Memoirs of the Geological Survey of India; vol. VI, parts 1, 2; 8°. Comm. geologica - dell’India si 23 Calcutta). Palaeontologia indica. The Gastropoda of the Cretaceous Rocks of ar Southern India, by Ferdinand SroLIiczga; V, 1-4. Calcutta, 1867; 4°. Annual Report of the Geological Survey of India and of the Museum Id. of Geology Calcutta; year 1866-67. Calcutta, 1867; 8°. Catalogue of the meteorites in the Museum of the Geological Survey Id, of India. Calcutta, 1867; 8°. RR. Ministeri Statistica del Regno d’Italia. (Firenze). AR. Ministeri (Firenze). Id. Id. Id. Id. Ministero di Agr.Ind.eCom, (Firenze). Ministero dei Lavori pubbl. (Firenze), Università di Gand, Società di Storia natur. e Medicina di Heidelberg, Società delle Scienze di Finlandia (Helsingfors), Id, Curatori dell’ Università di Leida. Società Reale delle Scienze di Lipsia. 256 Le opere pie nel 1861. Firenze, 1868; 4° gr. Morti violente; anno 1866. Firenze, 1868; 4° gr. Movimento della navigazione italiana all’estero; anno 1866. Firenze, 1868; 4° gr. Movimento della navigazione nei porti del Regno; anno 1867. Fi- renze, 1868; 8° gr. Industria mineraria; anno 1865. Firenze, 1868; 4° gr. Industria mineraria; Relazione degli Ingegneri del R. Corpo delle Miniere. Firenze, 1868; 1 vol. 8°. Bilanci comunali, anno 1866; Bilanci provinciali, anni 1866-67-68. Firenze, 1868; 8° gr. Meteorologia italiana; supplemento 1867, pag. 129-136. - 1868; 1° see mestre, pag. 101-194; 2° semestre, pag. 1-106; 4°. Di alcune questioni relative all'esercizio delle ferrovie; Relazione del Cav. Felice BrGLIA. Parte prima; locomotive e freni. Firenze, 1868; 89. Catalogue des collections d’anatomie comparée, y compris les osse- ments fossiles de l’Université de Gand. Gand, 1868; 8°. Verhandlungen des naturhistorisch-medizinischen Vereins zu Hei- delberg; IV Band; 1865 Marz bis 1868 Oktober. Heidelberg; 1868; 8°. Bidrag till Rinnedom af Finlands Natur och Folch, utgifna af Finska Vetenskaps-Societeten; Elfte-tolfte Hiftet. Helsingfors, 1868; 8°. Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Forhandlingj IX, X; 1866-68; Helsingfors, 1867-68; 89. Het Munt- en Penningkabinet der Leidsche Hoogeschool in 1867, door P. O. van DER CHHJs. Leiden, 1867; 8°. Abhandlungen der K. Sachs. Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig; Philologisch-historische Classe, n. IV, V. Leipzig, 1868; 80 gr. 257 Preisschriften gekrònt und herausgegeben von der Fiirstlich Jablo- nowskischen Gesellschaft, n. XIII. Leipzig, 1868; 8° gr. Berichte iber die Verhandlungen der K. Sachsischen Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig; Philologisch-historiche Classe; 1867, II; 1868, I. Leipzig, 1868; 8°. Determination of the positions of Feaghmain and Haverfordwest, etc., by Captain A. R. CLARKE. London, 1867; 4°. The Quarterly Journal of the Geological Society of London, n. 96; 8°. List of the Geological Society of London; November 1sì, 1868; 8°. Transactions of the Zoological Society of London; vol. VI, parts 6-7; 4°. Proceedings of the scientific meetings of the Zoological Society of London for the year 1868; January-June ; 8°. Report of the Council and auditors of the Zoological Society of London, read at the annual general meeting, April 29th 1868. London; 8°. List of vertebrated animals living in the gardens of the Zoological Society of London ( fourth edition); 1866; 8°. Bulletin de la Société Impériale des Naturalistes de Moscou; 1868, Mad} .9* Bulletin de la Société des Sciences naturelles de Neuchàtel; tom. VINI, iev cahier. Neuchatel, 1868; 8°. Abhandlungen der Naturhistorischen Gesellschaft zu Nirnberg; HI Band, 1 Ilàlfte; IV Band. Niirnberg, 1868; 8°. Bulletin de la Société Géologique de France; tome XXIV, pag. 721- 870; tome XXV, n. 4; 8°. Accademia Pontificia de’ Nuovi Lincei. Programma pel premio Carpi. Roma, 1868; 4°. Società Reale delle Scienze dì Lipsia; Id, Ministero della Guerrà della Gran Brettagna ( Londra). Società Geolog, di Londra. Id. Soc. Zoologica di Londra, Id, Id. Società Imperia dei Naturalistì di Mosca, Soc. delle Sc, nat, di Neuchatel, Soc. di St. nat, di Norimberga. Società Geologica di Francia (Parigi). Accademia de’ Nuovi Lincei (Roma), Commissione degli Ospedali di Roma, Accademia R. di Medicina di Torino. R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria ( Torino). Id. Regia Società delle Scienze di Upsal. R. Istituto Ven. (Venezia). Soc. Geologica di Vienna. Id. Min. della Guerra degli Stati Uniti ( Washington). L'Autore. Sig. Principe BONCOMPAGNI Sig. Marchese di CALIGNY. Id, 258 Rassegna mensile statistica degli ospedali e della città di Roma; anno I, maggio 1868. Roma, 1868; 4°. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1868, n. 21- 23,8% Historiae patriae monumenta edita jussu Regis Caroli Alberti; tom. XII; Codex diplomaticus Sardiniae, tom. II. Augustae Tau- rinorum, 1868; 1 vol. fol. | Miscellanea di storia italiana edita per cura della Regia Deputazione di Storia patria; tomo V. Torino, 1868; 1 vol. 8°. Nova Acta Regiae Societatis Scientiarum Upsaliensis; series Ill, Vol. VI, fasc. 2. Upsaliae, 1868; 4°. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; Serie terza, tom. XIII, disp. 102. Venezia, 1867-68; 8°. Verhandlungen der K. K. Geologischen Reichsanstalt ; 1868, n. 7. Wien; 8°. Jahrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt; Jahrgang 1868 ; XVIII Band; n. 2 Wien; 8°. Report on epidemic cholera and yeliow fever in the U. S. Army during 1867. Washington, 1868; 4°. Studio comparativo fra i coralli dei terreni terziari del Piemonte € delle Alpi venete; di Antonio D’AcHIARDI. Pisa, 1868; 4°.. Sulla oligoclasite del Monte Cavaloro presso Riola nel Bolognese, e sulla composizione della pirite magnetica; per Luigi BomBicci. Bologna, 1868; 8° gr. Intorno ad una formola del Leibniz; Nota del Prof. Placido TARDY. Roma, 1868; 4°. Société Philomatique de Paris; extraits de communications faites par M. le Marquis DE CALIGNY; 8°, Note sur la fondation de l’ancien port de Cherbourg. Paris, 1868; 8°% 259 Pompe conique sans piston ni soupape, etc.j par M. DE CALIGNY; 8°; Machines hydrauliques de M. DE CALIGNY; fo. Cours d’Hindoustani; discours d’ouverture du 7 décembre 1868; par M. GARCIN DE Tassy. Paris, 1868; 8°. Le leggi della natura; discorso di Gilberto Govi. Torino, 1868; 8°. Zur Erinnerung an Ferdinand v. Thiunfeld, von W. von HAIDINGER. Wien, 1868; 80. Annalen der Sternwarte in Leiden, herausgegeben von D* F. KAISER, Director etc. Harlem, 1868; 1 vol. 40, De latina Christianorum lingua disseruit Vincentius LANFKANcHIUS etc. Augustae Taurinorum, 1868; 8°. Delle accensioni vulcaniche e della ipotesi del calore centrale della Terra; Memoria del Prof. Agatino Longo. Catania, 1862; 4°. Indice generale delle opere inedite del Cav. Agatino LoNGo; seconda edizione (ital.-francese). Catania, 1868; 4°. Due Memorie di Geologia e di Vulcanologia del Cav. Agatino Lonco. Catania, 1868; 49. Sulla somma delle potenze simili dei numeri in progressione per differenza; Memoria di G. B MaRrsano. Genova, 1867; 8° gr. Salla somma dei prodotti ad emme ad emme di enne numeri in pro- gressione per differenza, elevati anche a potenze superiori alla prima; Memoria di G. B. Marsano Genova, 1868; 8° gr. Etude de statique physique. Principe général pour déterminer les pressions et les tensions dans un système élastique; par L. Fréd. MÉNABRÉA. Turin, 1868; 4° Monumentos prehistoricos. Descripgao de alguns dolmins ou antas de Portugal; por F. A. PERETRA pa Costa. Lisboa, 1868; 4°, Sig. di Sig. Marches& CALIGNY; Id L'A. L'A; L'A. KarsER: L'A. L'A. L'A. L'A. L’A, L'A. L'A, L'A. _L’Editore, Sig. Conle di S, ROBERT, L'A. L'A. L'A. L'A. 260 | Della influenza della risicoltura sulla salute pubblica ; Relazione del Dott. Giuseppe RIZZETTI alla R. Accademia di Medicina di Torino. Torino, 1868; 4°. Bullettino dell’Associazione nazionale italiana di mutuo soccorso degli Scienziati, Letterati ed Artisti, pubblicato per cura di Emmanuele Rocco; nuova serie; 52 disp. Napoli, 1868; 8°. On the Comte de St-Robert’s method of measuring heights by means of the barometer, by Williams MatHEws, Jun. London, 1868; 8°. Dei solfati doppi di manganese e potassa; per Arcangelo ScAccHI. Napoli, 1857; 8° gr. Prodotti chimici cristallizzati, spediti alla esposizione universale di Parigi; per Arcangelo ScaccHi. Napoli, 1867; 4°. Maladies de l’oreille; par Ile D° pe TrOòLTScH (texte allemand, et traduction francaise par le D" SenGEL). Paris, 1868; 2 vol. 8°. Thomae VaLLavrIl Acroases ml, factae studiis litterarum latinarum auspicandis in R. Athenaeo Taurinensi ab an. mpcccLxv ad an. MPDCCCLXVIII ; accedunt Th. VALLAVRIT Animadversiones in dis- sertationem Friderici RirscHeLu de Plauti poétae nominibus; Obiurgatoria Fr. RirscHeLui Lucubratiuncula in auctorem Ani- madversionum ; Th. VaALLAvVRII Adnotationes in obiurgatoriam RirscneLna Lucubratiunculam, et Appendicula aliquot locorum in quibus RirscHELIos in latinitatem insigniter peccavit. Augustae Taurinorum, 1868; 80. Sulla vita e sugli scritti di Bartolomeo PanNIZZA; Memoria del Prof. Andrea VERGA Milano, 1868; 4°. Ueber die Theorien der Ernihreng der thierischen Organismen ; Vortrag etc. von Carl Voir. Miinchen, 1868, 4°. Traité de la possession en droit romain, par P. van WETTER. Gand, 1868; 80. EI BOLLETTINO METEOROLOGICO DELL OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO AMAMI DICEMBRE 1868 ANN NOTAZIONI. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 un po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; nò nebbia; nf nebbia fitta; n0 nebbia solo all’orizzonte. PI pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; br brina; rg rugiada. AVVERTENZE. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. r Le temperature minima e massima, e l’altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. do , _ La parola direzione designa il luogo dove il vento va; se si vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. z / La frase: « Azimuto della direzione del vento in gradi sessagesimali » ha forse bisogno di qualche spiegazione, perchè include una maniera di dare la proiezione orizzontale della direzione del vento alquanto diversa dall’ordinaria. Sopra una circonferenza di circolo fissa in un piano orizzontale si segnino i quattro punti cardinali: sud, ovest, nord, est. Si divida la circonferenza in 360 parti eguali cominciando dal sud; e si segnino i punti successivi di divisione pel verso sud, ovest, ece., coi numeri 0, 1, 2, 3, ecc.; 0 indicherà il sud; 90 l'ovest; 180 il nord; 270 l'est; 45 il sud-ovest; 135 il nord-ovest; 225 il nord-est; 315 il sud-est, ecc. Colla circonferenza divisa così in gradi sessagesimali, la quale può tenere nell'anemoscopio îl posto della rosa dei venti e della sua nomenclatura, noi indichiamo con un semplice numero la proiezione orizzontale della direzione del venta; e questo numero è appunto l'azimuto di tal direzione. Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. Altezza hbarometrica alla temperatura di 0 gradi ed mIa LARA ine ARENA 276 IN GRADI CENTESIMALI 6 dieta LE IN MILLIM i Temperatura esterna al Nord Tensione del Vapore Umidità relativa i ‘‘‘TIPTtTEAEO-"E 7 9 42 3 6 9 7 9 42 3 6 9 nea , î 7 DAR 3: {le antim.\antim.|merid.| pom. | pom. | pom. | antim. | antim. | merid. | pom. pom. | pom. | minima | massima | antim. | antim. | merid.| pom. | pom. | pom. f ant. | ant. | mer.| pom. (pom. 1 |391|394|394|391]394|396] 02) OI 1;2 1,2 1,0 Of | —04 34 | 454| 457] 494] 4,81) 487] 460] 98 |100 {100 | 98 [100 21399) 4o7| 40,7] 408] 40,6] 41,0 —15| 41 |-05 01 |—1,2 | —0,8 | —18 0,3 | 423) 4,20 4,52 4,27] 98 |100 100 3 |a19| 42,5] 424] 419] 13,2) 429] — 147] 12 0,2 1,3 07 |-04|-25 1,5 | 4,08] 4,17| 4,50] 4,28) 451] 452/100 {100 | 98 | 87 | 96 È 4 | 43,4] 43,7] 43,9] 43,6] 44,0) 441] —147] 14 0;1 ATA DT 14 | 31 2,3 | 3,96) 408) 4,60] 4,99) 5,00] 4,94]100 [100 {100 | 98 | 96 È 5 |a4g| 450] 449] 441] 44,0) 444] —08| —08 2,6 5,8 5,1 3,7 ||---12 6,2 } 430) 4,43) 5,53| 5,44) 5,50) 5,33f/00 |100 {100 | 78 | 84 FI 6 [44,1] 444] 43,7] 42,8] 42,8] 49,6 1,6 14 4,0 6,7 6A 5,2 0,8 6,8 | 4,96] 5,01] 6,18| 6,52| 6,76/ 6,01] 96 {IUO {100 | 88 | 94 È 7 |41,9| 128] 418| 406] 409/4150] 46| 50 6,4 7,7 8,0 8,5 3,5 8,5 | 5,64) 5,83] 6,72] 6,81) 6,67 744] 89|90|94|89]83 8 39,5 | 39,7] 38,9] 36,9] 36,9] 37,3 7,3 7,3 82 9,6 8,6 72 6,9 9,5 | 7,43) 798] 7,67) 7,76) 7,72) 749] 9999 |94|88]93 9 |345|354|360|360|375| 390) 86| 71| 104| i166| 132 | 103 69 | 174] 441) 482) 557) 2090) 495) asa 54 [67/60/2144 10 | 42,8|445|460|46,6| 484] 500 13) 38 75 99 73 6,3 3,6 | 103 | 497] 4,92] 5,04 44 | 60 {1 |481|483|473| 461/457] 452] 24| 26 3,0 3,5 2,8 24 1,9 6,3 | 3,29) 3,23] 2,9% 53 | 60 12 [41,8] 41,9]| 41,5) 40,6) 41,1] 482] 13 ,7 3,7 5,3 3,8 29 0,9 5,7 | 398| 3,59] 3,39 59.70 7 13 42,8 | 43,4] 43,1] 42,3] 42,5] 42,9 PA 20 2,0 3,2 3A 3,6 1,7 3,6] 5,27] 4,90] 5,09 89 | 97 S| ta |185|430| 43,1) 4127] 428|434 i3| 45 5,5 6,7 6,0 5,8 3,0 6,8 | 5,92) 5,98| 6,36 82 | 86 dà) 15 13,7 13,1 | 43,6| 43,1 51 54 6,6 7,6 TI 6,6 4A 77 | 630) 641] 6,82 91 | 91 s) 16 37,9] 36,7] 968] 5A| 55 5,8 6,1 5,7 5,5 5, 62 | 6,62| 647| 6,55 97/98 £| 17 385] 392/396] 97) 104 134 | 13,6 | 10,2 81 0,8 | 443] 9,84) 3,33] 2:47 26 | 37 Iris 10,6 3 7 5,3 6,0 5,8 4,8 2,9 8] 429) 352) 449 70 | 58 19 48 5,3 4,5 3,7 29 5,7 È 5,06] 5,26| 5,19 84 | 90 20 1,7 2,8 29 23 | —05 29 | 4,60) 4,80] 4,99 93 | 93 21 1,0 4,5 4,2 3,3 | —1,0 4,8 4,27| 4,06 87/90 22 2,8 4,1 4,0 41 0,4 43 | 490] 4,88] 0,07 97 {100 23 4,2 5,0 3,9 3,1 3,0 5,1 | 5,85] 5,73) 6,00 92/95 s| % 1,8 4,4 3,9 25 | —10 4,9 4,96 97 |93 g) 2% 3,0 6,2 5,1 45 | — 0,6 6,3 | 4,60) 4,40) 5,63 86 | 84 A\ 26 42 6,5 5A 4A 0? 6,7 | 5,12| 4,84) 5,94 88 | 97 È 27 4,2 5, 42 37 i —-03 60 $ 446) 394| 4,45 69 | 77 ti S Bi 75. (6/00 (aonia, 77 | 481) 460) 5,8 58/70 29 15 5,8 5,7 5,1 0,0 GO. 442) 457) 58 81 | 85 30 5A 5,6 | 5,4 58) 290 60 589) 601) 6,26 97 |100 3I 4 | 75) Gol 50) 45) 76) o62) 653) 700 85 | 0 79 | 83 n | 78 B* Decade 39 57] 49] 41] to] 59] 549) 407) 653 85 (90 oso. 43] 59 541] 48] 15] cal 404] 489] 584 80 |84 Intensità relativa Azimuto Quantità di cielo coperto Altezza Altezza del della direzione del Vento Stato atmosferico dell’acqua dell’acqua deci caduta | evaporata VENTO IN GRADI SESSAGESINALI IN MILLIMETRI | {N MILLIMETRI _____—_—_—__eemdee6©eirmvTttTtTtm ee ee“ ___— ———————TT—TpTùm(+565w5w5_2l22np2le2ez__--——.r._—.——_ 7\o af a | 6 | 9 9 12 3 6 Do Leva GA 7 9 12 3 6 9 ant. | ant. |mer.|pom.|pom.|pom.| antim. | antim merid.| pom.| pom. | pom. f ant. | ant. | mer.|pom./pom.|pom.| antimerid. | antimerid. merid. pomerid. | pomerid. | pomerid. ilo|o|0{ 0| 0 10 {10{10|10|10|10 nf nf nf nf nf nf 0 fi AO OO 75 | 30 10| 10 | 10 |10|10]10 nf nf nf nf nf nf D) so) 4, ZA 50 | 260) 23v| ziofi0| 10 |10|to| 6]| 410 nf nf nf nf nb nf 0 2lo|o|0|0| 1 | 240 {10| 10|10{ 1| 0| 0 nf nf nf no no 0 2| 1] o| 0| 0| 0 230 | 10|10| 9| 2/00 nf nf si nb s, n0 sr no 0 CCA i 225 | 220 220 | 1] O] 1{ O410| 0] mrs, no nb m, nb ms, nb nf no (1) AU MTON| MORI MIONTIRETAIZIO | 220 10 {10 | 40 |10|10|10{sm,no | sm nr nf sm, no nb nf 0 TRI RION MON] NADA] AONI A | 180 | 10|{0{{0| 9| O|t0 nf nf nf ms, nb nb nf 0 2| 22 2 22 O| 70] 270) zio) 210] 1 ARI IONI ON ONTO, ms ms ms i) AN IRON St A 3 80 45 45 40121 5D| O 1 6| sirio no sr rs 0 DA N24 [044 MZ 92: 2: 359 | 50 50 55 55 | 1O|IO|IO|IO0|10{10] sm, no sm sr sr 0 ue 140 | 180| 215 215] 2154 5| 1| 1| 0] 0| 6 srmno s sr sr sm 0 i 160 | 160| 160| 160| 10| HO [10 (HO {10 {10} n0, nv nb, nv DI sm, nò 1,6 MER ca 215 | 215] 215] 215) 215/10] 10/1010 0/10] sem, n0 | s,n0 | pg, n sr no 0 DI IINOUINTON RION IONI) 10 | HO | 10/10/10 | 10] ms, no nf nf s, nb 0 DI 10 (RZ MLA TELO 215.) 225] 330) 100 10] {0|10|10{10| 0 nf p, nf p, nf nf nf no 6,2 A eee Mea OA ZA 0A 315 | 280 3200] 29011) A ON ON] e2A] 0,0 m m rs O) DI NON IONI IRON] IONI: 140] 6|4O|10|H0|10|10 sr, no $, n0 rs, nb s, nb m 0 A ed] 2395 20] 220110] 10 | 10|10| 9 61 sm, n0 s, nb s s rs, nb 0 RAI SAI AIR REZZA MT 50 | 230] 240] 240] 240] 10|10{10]|10|10| 0 nf nf nf nb m, nb | s, nb 0 ANTON NE2A [NR DIO 235 | 240 20 f{10|10| 0| 7| 7 1 nf nf s, 0 sr sm sr 0 a RAI CONI MEZZA NZONIANIO 30 | 255 10/10] 10 {10| 10] 10 nf nf nf nf nf nf 0 di eZ 03:21 20] 260] 220) 250] s5|i0/f0/10| 9| 5|t0] sw nf nb m; nb m nf 2,6 Stereo 1 40} 20 70 40 55] 8|10|{10| 10 3 5 nf nf nf sm sr sr, n0 i) CAS eli i 240 230 | 195 | 260] 5|10{ 1|3| 8| 9] sm, nf rm, nb som som ms, no 0 IAN |AGCLICA EGLI PALI A 20 | 250) 235] 235) 235] 6|10/ 9 7] 8| 0] sr, no nf rs, nb sm, nb rs nr 0 1 | o|o|o|o]| 0 | 4| 9|1O|10|10 10] ms, n6 | mr, nb | ms, nb | sr, nb sm ms U) 2i A] EZI ZA 0.0 240 | 235| 240 5] 0] 0] 0| 0/ 1|srm, no m sm sm no sr, n0 D) dI 2A 1 0| 0 70 | 175 225 1 9|10|10| 9| 10 sm, no sm sm, nr sm, nb ms s, nb 0 {| i] 0| 0 I 20] 20 10| {0{10{10|10|10 nf nf nf nf, PI nf, pg nb 1,8 {| o|o}o 2 | 220] 225|10| to] 10] 7| 0| o| nf 9 nf nf m 1,1 OSSERVAZIONI OZONOSCOPICHE diiorni del mese | 4 2 3 4 6 7 8_| 9 | 10] di {12 | 13 | 44 | 15 || 16. | 17 | 18 | 19 | 20 | 21 | 22] 23|24|25|26|27]|28/29|30|31 Yantimerid. | olo|o|o o|o|oopfo]o|o]lo]o]o]|og{o{o]o | o] o] o] o of o o] ooo 3 pomerid. 0 0 0 0 0 0 |0,5 |3,5 5 () 2 0 0 0 0 0 0 0 0 o| o] o] o|o| o 0|o0o|o0| 0 O pomeridà. | o {o | o | 0 o|]o|o|]2|j3|o | o {os [o5 |o5 |os{1|0 o|ofo|]o|o]o|o|o|o]o| 0 ù ' ES È 5 10 DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE DICEMBRE 1868 Tax F To GEE Eee GEE 13 |14]15|16 17 | 18 | 19 | 20 21|22]|93 |24| 925 26 | 27|28|99|30|531| sl l _ ; Seti si e È Ì ] sat a I Linea barometrica Jero] i > po CEST i 745 ni | Il DIRE i e Sa IVAN I a >. pe | Lo i; i pad ul 735 | il | = iI | t dt — T 7 t = 3” = ] t L_L sen DI -}- ie= + P+ 725 ue ai | __ aa dI tri i = (2 "li ESIBEZE [ita | {ili slaa Inea O rica T . L Ti 7 + } ==" pd [a È sima TI Ta alt air i | L 1 A i : A+ | t I ti | a i } a | fe | LL L_IL_—+4- ii iii. Lunea della tensione del vap 1 i |A ia SE Li II | | l Para 125 = | ala ii: o opera, | ba tI ran i te (RI 2 = | | L i e ne lì Olio di ii DI oli! i | | | | | | | E I 1 Ì I an pa i dial dt dieclesaie Li =; ce () a 2 Tincadelliimibbggiio Ss eee Frael lai Jai ù ET US sla EVE Sagan L I (LS | rd i = I } Say 100 - È i tiaze Ì di dl i i IL SI È Ji i Il - = ue È SI 80 z " ML î = È Al Sta st = IL + 4 N E RPS] È Dil i Ea] LAP ae NL L L14360 È MESI, slo dn JESS - Lil | E e e tr - sal È i 2lù D NI di | Re ISS ail 40 i DEE 10 n sa | tati + Ji Li|C2/1)_31|L4|5_ | 6/67 {€89 [10 11 |12|isfi4|1s 16 | 17 | 18|19|20|21}22|923]|24]|25]|96|97|98 99/50/51. CLASSE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Gennaio 1869. fi tisi olenasd 01 era ie. pia N A atuoo ma” a clan si xg + A [i a 1 "fab ono & obtain, 50, opa SaUTIIZINAI cioal AIR i ‘tane T084 ob viodalià” t'iropemonroli sqio'E al È ost198î cda Passa 100 LI — stata sad 1I0RAdA pei i EI io | ARNO: AI = a j MIMO. TIM) da SOUL A+ i RR , ont dale th per put. FAm i H. se Ls sito DWXIr pora di rist Ari #06 Mist ini opneido gono er mai li 608 LE orsono: io 10h Prese ‘ E > IA pt» dv alone al 4 tolto LAI | db citebomg T'b tivieze mbe! invito 3 inptr9 2 alloro) stop iui ade, vile a "slitni tt. ass (S) dior ir brbz3 TL ipyrrotang. si Setta ss iig ail Venfo te 3A o Ò oveuntc st i “a ld E = Pio eittrti- OSSUDIU > "af frasiol mo) ripa astoftsv it "È 6 er. v dg - Li P. AR C-. a; CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Adunanza del 10 Gennaio 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Cavaliere GenoccHi, presentando a nome del sig. Principe Boncompagni un opuscolo del Prof. Tarpy, legge il seguente suo scritto : DI UNA FORMOLA DEL LEIBNIZ E DI UNA LETTERA DI LAGRANGE AL CONTE FAGNANO I Nel presentare all'Accademia per incarico del Principe B. Boxcompagni una Nota (1) del Prof. Placilo Tarpy estratta dal Bullettino di Bibliografia che il medesimo Prin- cipe pubblica in Roma, chieggo licenza di esporre alcune considerazioni di cui mi porgono occasione le cose di- scorse nell’indicata Nota. Oggetto di questa Nota è la formola che esprime i differenziali successivi d’un prodotto in modo del tutto simile a quello con cui la nota formola Newtoniana esprime le potenze successive d'un binomio (2); essa fu scoperta da LersnIzIo e comunicata da lui per la prima . . 6 . 1) volta a Giovanni BernouLLI con lettera de’ + maggio 1695 10 264 quanto al caso dei differenziali d’indice intero e posi- tivo (3), poscia al Marchese pe L’HòpiraL con lettera del 30 settembre 1695 in cui oltre al caso degl’indici interi e positivi spiega chiaramente quello degl’indici interi negativi e accenna anche con parole per brevità troppo concise il caso degl’'indici fratti (4). L’analogia così manifestata tra i differenziali e le po- fenze parve sin da principio un fatto molto importante e degne di studio a Lerwnizio e al BERNOULLI: puto nescio quid arcani subesse, diceva il primo, e Valtro haud dubie aliquid arcani subest. Ma non videro subito come la stessa formola potesse applicarsi aglintegrali; e non era facile per avventura passare da una formola finita che si ve- rificava immediatamente colla differenziazione effettiva e diventava per tal modo una identità, ad una serie infi- nita di cui dovevasi determinare la somma. Il Prof. TARDY a questo proposito dice che « l'analogia tra gl’integrali e le potenze negative non era per anco avvertita »; ed io penso che abbia inteso con tali parole, non essere stata avvertita l'analogia degl’integrali d’un prodotto colle potenze negative d’una somma. Ma riconosce egli pure che LersnIZIO aveva « già stabilito il significato del simbolo d con indice negativo », e in ciò sta pro- priamente quella che suol denominarsi analogia tra gl’in- tegrali e le potenze negative. Trovo infatti l’ analogia stessa chiaramente e ripetutamente spiegata nelle lettere anteriori dei due celebri matematici. Nel poscritto ad una lettera del 28 febbraio 1695 LerBNIZIO si propone di esprimere l’integrale {(z°d”n) con una serie che procede secondo i differenziali d"n, d"-—'n, d"-?n, ece., e aggiunge: « Etsi autem sic exhauriri m videatur, posito esse integrum affirmativuam, non tamen hoc fit, nam 2 RITO La RATE SII » 265 (e) E id EI i a°n=f n=n, et d-"n=f n etd-> est I seu f » (9). In queste relazioni ch’ egli giustifica coll’ esempio di m=1, e che esprime anche generalmente dicendo più innanzi: « Si ponamus in aequatione (1) m esse numerum negativam seu m=—r, fore d"= f i » (6), consiste l’ana- logia sopra indicata che LerBxIzio chiama reciprocazione tra glintegrali e i differenziali. Anzi egli afferma che fu questa reciprocazione che lo condusse al metodo usato per trovare la menzionata serie: « Ego certe in totam hanc methodum me fateor, ex hac consideratione reci- procationis inter summas differentiasque incidisse : et a seriebus numerorum ad linearum seu ordinatarum con- siderationes processisse. » La medesima analogia è ripe- tuta nella risposta del BerwouLLI (aprile 1695): « oportet autem (vi è detto) ut m sit maior quam e, secus enim unus vel plures seriei termini involverent summas ipsa» rum #; quia tunc d-', d-?, d-3, etc. degenerant in ù 3 f (f. f , etc. ceu Tu ipse annotasti » (7). E in altra lettera delli & giugno 1695 (anteriore quindi d’oltre tre 18 mesi a quella già citata di LerBwIzio all’ HòprrAL) ricorda il BernouLLI la stessa relazion generale: « quoniam autem a-e=/ in » (8). Non era dunque ignete a LeIBNIZIO questo principio di reciprocazione quando scrisse la lettera del maggio intorno ai differenziali d'un prodotto. Nè parmi suppo- nibile che qui egli facesse corrispondere gl'integrali ai differenziali d’indice fratto; all'incontro veggo un concetto più generale e profondo nel seguente passo della medesima lettera (9): « Imo videndum an non in summationibus 266 concipere aliquid liceat respondens radicibus irrationa- libus, imo affectis. Nam ubi succedit extractio succedet et summatio. » (Trasporto alla fine del paragrafo questa ultima frase che trovasi stampata prima fra altre con cui non ha alcuna connessione, forse per un errore di tra- scrizione). L'espressione radices affectae indica senza dubbio quelle che anche oggidì si chiamano radici delle equa- zioni contenenti più di due termini, poichè è noto che tali equazioni erano significate coll’altra espressione cor- relativa di potestates affectae e che Vierta intitolò De nume- rosa potestatum affectarum resolutione il suo trattato della risoluzion numerica delle equazioni. Sembra pertanto che LeisnIzio parlando di estrazion di radici abbia voluto ac- cennare generalmente all'operazione con cui si trova il valore d’un’incognita determinata da una data equazione, e abbia conghietturato o divinato che essendo l’integra- zione operazione inversa della differenziazione, dovevasi con una o più integrazioni riescire alla soluzione di questo PROBLEMA GENERALE: Dinotando n differenziazioni succes- sive con d”, con V un’altra operazione incognita e con V” la ripetizione fatta n volte di tali operazioni, e infine con F(V,d) una data funzione intera dei simboli d e V, determinare l'operazione V per la quale sarà soddisfatta l'equazione F (V, d)=0. Questa interpretazione è confermata se non erro dalla lettera 24 giugno 1695 in cui LeIBnIzio allude ad un modo di ottener gl’integrali proposto dal BeRNOULLI: poichè l'operazione indicata dal BernouLLI sta unicamente nella ricerca d'una terza proporzionale e non richiede propria- mente l’estrazione d’alcuna radice cioè potenza. d’espo- nente fratto, e nondimeno LeIBNIZIO ne trae questa con- elusione: « Ex his iam magis intelligi arbitror quanta 267 iure dudum differentias potentiis, summas radicibus com- paraverim; quod nunc reali harmonia comprobatur; praesertim respectu termini ipsius, seu summae primae, quae etiam quasi extractione quadam invenitur. Et omnino, quae in geometrica progressione et logarithmis operationes locum habent, eas hic imitari licet, quod sane ingenio» sissime in rem contulisti ......» (10). LersnIzio chiama quasi potenze del d le espressioni formate col d accom- pagnate da un indice o esponente, e potendo l’operazione del BerRNoULLI condurre ad una serie infinita, accenna così l’uso che se ne può fare: « Quod ad seriem infi- nitam attinet, poterit ea interdum commode finiri aliquam ex ipsius d quasi potentiis ponendo nihilo aequalem ; quemadmodum et per alias hypotheses variari calculus potest, quoniam alicui quasi potentiae ipsius d valorem pro arbitrio tribuere licet .....Hinc libertas variandi quae poterit prodesse ad summandum. » Altre conferme mi si presentano scorrendo il tomo III delle Opera omnia di Lersnizio (Ginevra 1768). In una lettera al Warris del 28 maggio 1697, e quindi assai tempo dopo la lettera all’HòprraL, quando LeIBNIZIO aveva già dichiarato il senso degl’indici negativi e degl’indici fratti e ampliata agl’integrali la formola pei differenziali d’un prodotto, LEIBNIZIO paragonava ancora gl’integrali alle radici, scrivendo (pag. 105): « Et notavi mirabilem analogiam relationis inter differentias et summas cum relatione inter potentias et radices. Itaque iudicavi .... posse adhiberi novas differentiarum vel fluxionum affe- ctiones dy, d*y, ... similiter generaliterque d°y. » In altro scritto (stesso tomo pag. 373), pubblicato già negli Acta Eruditorum di Lipsia, anno 1702, egli spiega come segue che si debba intendere per radici e per estrazione 268 di radici, dandone una definizione pienamente conforme a quella che ho dianzi esposta: « Ut in algebra reciprocae sibi sunt Potentiae et Radices, ita in calculo infinitesimali Differentiae et Summae: et uti in algebra, seu scientia ge- nerali finitae magnitudinis, potissimus scopus est ertrahere radices formularum, ita in scientia infiniti invenire summas serierum; quae cum ex terminis constant continue seu elementariter crescentibus, nihil aliud sunt quam qua- draturae vel areae figurarum. Et quemadmodum aliae radices purae sunt, cum valores ex solis cognitis habentur; aliae affectae, cum ipsae earum potentiae valorum ipsarum ingrediuntur : ita quae summanda sunt, aut pure et plane sunt cognita etc. » i La considerazione della generale equazione F(V,d)=0 apre forse un campo nuovo d’utili speculazioni. Il caso pel quale è stata finora studiata è per quanto so quello solo in cui l’equazione è binomia, e si trovano allora i differenziali d’indice negativo e i differenziali d’ indice fratto ai quali si possono riferire i differenziali d’indice irrazionale considerando l’indice irrazionale come limite d’un indice fratto, e i differenziali d’indice immaginario pel solito passaggio dal reale all’immaginario. La questione offre già qualche cosa di arbitrario e con- venzionale allorchè lindice è fratto, e però in diverse maniere l’ hanno sciolta LreIBNIZIO, EuLERO, LAPLACE, Fourier (11). Al presente, due sistemi principali si trovano a fronte: quello del chiaro geometra francese LiouviLLE che trattò con molta ampiezza del calcolo dei differenziali d’indice qualsivoglia e ne svolse parecchie utili applica- zioni (12), e quello dell’italiano Prof. Tarpy che propose da prima nel 1844 le: sue speculazioni sopra il medesimo argomento al Congresso degli Scienziati in Milano, poi nel 269 1847 ne fece alcune applicazioni a problemi concernenti” il moto dei liquidi (13), più tardi pubblicava con pochi cambiamenti la sua prima Memoria negli Annali di Mate- matica del Prof. TorroLINiI (tom. I, pag. 135-148, a. 1858), e nella Nota di cui oggi si fa omaggio all’Accademia di- mostra la formola del Lerniz per indici anche fratti e negativi. Tuttavia questo nuovo genere di calcolo presenta ancora alcune difficoltà, delle quali feci un cenno. nei citati Annali, pag. 391-396. Leipwn1zio stesso subito riconobbe che la sua formola poteva ampliarsi, sostituendo al prodotto di due fattori il prodotto di tre o più, e paragonando i differenziali d’un tale prodotto alle potenze d’un polinomio. Altre am- pliazioni furono da altri indicate fra le quali mi pare particolarmente notabile una dovuta a Prarr e stampata nelle sue Disquisitiones analyticae (Helmstadt 1797, pag. 246 theor.). II, La formola del Leisniz fu pubblicata nel 1710 quanto agl’indici interi e positivi, nel 1745 quanto agl' indici interi e negativi (14). Ma tanta era allora la lentezza delle comunicazioni letterarie e scientifiche, che non è da stupire se era ancora ignorata nel 1754 non solo da La- GRANGE quando appena compiva il suo decimottavo anno, ma eziandio dal Conte Fagnano, uno degli scienziati più celebri di quel tempo cui non mancavano aderenze in Italia e fuori. Imperocchè avendo il giovane LAGRANGE trovata la stessa formola per ambidue i casi (15), e avendo in animo (così egli scrive) non di offerirla al pubblico che oramai tutto nausea e schifa che non sia di somma importanza 270 per le umane cognizioni, ma di rilenerla a suo privato uso e ad agevolare gli studi della sua affatto giovanile età, la quale anzi che atta a somministrare altrui egli riputava pur del tutto bisognosa di ricevere da altri lumi e scienza, il Conte Fagnano lo confortò a darla alle stampe. E tale fu l’oc- casione e l'argomento della prima pubblicazione di La- GRANGE, che è pure la sola da lui scritta nella lingua sua nativa (16), non compresa nei volumi finora usciti della ristampa delle sue opere che si sta facendo a Parigi, Essa è in forma di lettera con data di Torino 23 luglio 1754 indirizzata al prefato Conte GiuLio CARLO DA FAGNANO, matematico che il DrricHLET disse dotato d’una perspicacia straordinaria (17), iniziatore della teorica delle funzioni ellittiehe nella quale LacranGE doveva alcuni anni più tardi far meravigliare il grande EuLero (18). L'autore nel frontispizio è indicato col nome di Luigi de La Grange Tournier Torinese; la sottoscrizione porta Luigi de la Grange. . Quella lettera è menzionata nella Nota del Prof. Tarpy, ove sono eziandio dal Principe Boncompaeni indicati cinque esemplari della edizione fattane in Torino, i soli che si co- noscano e dei quali uno appartiene alla nostra Accademia. La stessa lettera fu poi ristampata per intero nel 1757 a pag. 107-112 del Vol. X della Storia letteraria d’Italia, sorta di Rivista Bibliografica che si pubblicava a Modena per cura del P. F. A. Zaccaria Gesuita e di altri due sopraintendenti della Biblioteca Estense. È probabile che fosse mandata ai compilatori da LaGraNnGE, il quale già aveva saputo che la sua formola non era nuova; e infatti vi leggiamo il seguente preambolo: « Noi benchè la serie del N. A. non sia affatto nuova, abbiamo giudicato che piacerà a’ leggitori il vedere intera la lettera, la quale gui riportiamo »; e in una nota si aggiungeva : « Diciamo 271 non affatto nuova la serie del N. A. perchè ritrovasi nel 1.° tomo del libro stampato l’anno 1743 in Ginevra con questo titolo: Virorum celeberrimorum Got. Guill. Leibnitii et Ioh. Bernoulliù Commercium Philosophicum et Mathematicum Lett. X. CXVIII con poca diversità. L'Autore stesso ha poi conosciuto, che mancale quello della novità; ma noi crediamo che altri pregi non gliene manchino. » Trent'anni dopo, una traduzione latina della parte prin- cipale della medesima lettera di LaGranGE al FaGnANO fu stampata nelle annotazioni aggiunte all'edizione pavese del Calcolo differenziale d'EuLero (Ticinî 1787) pag. 772- 775, edizione diretta dal P. Ferdinando SperonI dei mi- nori conventuali, discepolo del celebre Gregorio FowTANA il quale forse. ebbe parte nelle annotazioni: e convien dire che il P. Speroni e fors’anche il P. FonTANA igno- rassero che la formola era stata prima scoperta e pub- . blicata dal LeiBNIZIo, dacchè nessuna menzione vi è fatta del sommo alemanno. Ma quantunque la formola non fosse nuova fa tuttavia grande onore a LagranGE l’averla trovata, specialmente pel caso dell’indice negativo nel quale comprendeva con infinite altre la serie celebre di Giovanni BerwouLLI. E gli fanno onore le sue parole dianzi riferite e le altre della medesima lettera che manifestano il suo rispetto e la sua ammirazione pel Conte FaGNANO poichè rendono testimonianza del modesto sentire d’un giovane del quale il FAGNANO già riconosceva i meriti mandandogli in dono i suoi scritti stampati. Tali modi urbani e temperati non si smentirono mai nel LaGRANGE, nemmeno verso i suoi avversari, talchè il DELAMBRE potè giustamente scrivere di lui: « Quand il rectifie les idées de ses prédécesseurs ou de ses contemporains, c'est avec tous les égards dus 272 au génie; quand il démontre les erreurs de ceux qui l’ont attaqué, c'est avec l’impassibilité d’un vrai géomètre et le calme d’un démonstrateur (19). » Chi lo assalì con villana tracotanza fu il matematico francese FONTAINE, a proposito del metodo delle variazioni e del problema delle linee tautocrone; esso, dando un’altra soluzione di questo problema, osò affermare que M. de la Grange parais- suit n’avoîr pas bien entendu la sienne, e rispetto al metodo delle variazioni « qu’il s'était égaré dans la route nou- velle qu'il avait prise pour n’en avoir pas connu la vraie théorie » (20). Di tanta superbia ha fatto giustizia il De- LAMBRE, ed io nel ricordar quelle controversie ho voluto solamente chiarire una parola del nostro illustre Collega che in un’oecasione solenne recitando le lodi del LAGRANGE disse ch'egli fw combattuto dal matematico FontANA (21); sotto questo nome deve intendersi il francese FONTAINE, e non già alcuno dei Fontana notissimi matematici italiani. Credo anche non sia fuor di luogo respingere quì un rimprovero contro LaGraNGE che trovo in un libro recente e del quale tanto più è a dolersi perchè l’autore è uomo egregio per doti d'animo e d’ingegno (22). Ma è facile rispondere all’accusa che è quella di avere con soverchia arroganza impugnato certe abbiezioni del DaLeMBERT. La Memoria che si censura, comincia con queste parole : « M. D’AremBeRT ayant fait l honneur à ma solution du problème des Cordes vibrantes de l’attaquer sur quelques points, .....je vais ajouter ici de nouveaux éclaircisse- mens sur l’analyse de cette solution, qui serviront en méme temps de réponse aux objections de cet dllustre Giomètre et de confirmation à ma théorie (23). E quì certo non vi ha arroganza, vi ha al contrario dimostrazione di ) 273 ‘reverenza: nel resto della Memoria Lagrange espone le sue ragioni in modo fermo, ma pacato e conveniente. D'altra parte è noto che le ‘relazioni fra il DaLeMBERT' e Lacran6e furono sempre amichevoli e che ad esse La- GRANGE dovette la sua nomina a Direttore dell’Accademia di Berlino: tanto è lontano dal vero che DaLemseRrt si trovasse offeso del modo con cui LAGRANGE combatteva le sue opinioni matematiche. Il 16 giugno 1769 D'A- LEMBERT gli scriveva: « Je ne doute point que l’Académie n’ait grand besoin d’un Président: pourquoi ne vous fe- rait-on pas? ...... je vais, en attendant, préparer les voies en écrivant de nouveau au Roi tout le bien que je pense de vous ....Quant à moi, je trouve très-bon qu'on m’attaque et mème qu’on me réfute, pourvu qu'on n’y procède pas, comme dit MoNnTAGNE, d’une trogne trop impérieusement magistrale » (24). Anzi l'indole mite di LaGranGE gli permetteva di esser in buon accordo con DaremBERT nello stesso tempo che tenevasi amico EuLERO : « LAGRANGE qui était libre penseur avec l'un, modeste et réservé avec l’autre, géomètre su- blime avec tous les deux, mérita leur amitié et recut souvent leurs confidences. Il dut également è l’un et à l’autre. EuLeR, dans tout l’éclat de sa gloire, parut s’in- cliner devant le nouvel astre qui surgissait à Turin, et D'ALEMBERT le désigna au Roi de Prusse comme le seul homme digne de succéder à EuLeR, lorsque celui-ci quitta Berlin » (25). i In questo primo suo scritto anche LacranGE nota come Lersxizio l'analogia della formola con quella di NewTOoN, e paragona (ma in un senso diverso da quello di LeIBNIZIO) l'integrazione all’ estrazione delle radici: « nella stessa guisa appunto (così egli scrive) che dell’una ci serviamo 274 per le elevazioni ‘a potestà ed estrazioni di qualunque radice, potremo dell’altra valerci per le differenziazioni ed integrazioni di qualsivoglia grado. » Diede di nuovo la stessa formola e altre più generali relazioni simboliche tra le differenze, i differenziali, gl’integrali delle differenze e gl’integrali dei differenziali nelle Memorie dell'Acca- demia di Berlino pel 1772, pag. 186-221 (26). Ma tanto nel primo scritto, quanto nel nuovo, ommise sempre il caso degl’indici fratti che pure era stato accennato da LersnIzio e da EuLero, forse perchè l’interpretazione di esso lascia troppa parte alla convenzione e all’arbitrio, il che alla precisione geometrica del suo ingegno doveva ripugnare, ovvero perchè l'argomento non era ancora sviscerato abbastanza per chi amava come LacrancE di andare al fondo delle quistioni. Entrambi questi scritti appartengono al campo della Matematica pura, come gli altri presso che tutti, sui quali è stabilita la sua fama: e così la lettera al Conte FAGNANO inaugurò adeguatamente la sua carriera, mostrando quali dovevano essere i suoi studi prediletti. Calcolo delle va- riazioni, funzioni ellittiche, teorica dei numeri y teorica delle equazioni, regresso delle serie, calcolo delle funzioni, integrazione delle equazioni a differenze e ditferenziali ordinarie e parziali: tali furono gli argomenti delle sue più celebri Memorie. Trattò, è vero, anche quistioni prese dalla Meccanica, dall’Acustica, dall’Ottica, dall’Astro- nomia; ma in queste eziandio si mostra e si ammira piut- tosto il matematico che il fisico: e la sua Meccanica ana- litica deve riferirsi alla Matematica speculativa, se non alla pura. Fu simile in ciò ad EuLero che « paraissait quelquefois ne s'occuper que du plaisir de calculer, et regarder le point de mécanique ou de physique qu'il 275 examinait, seulement comme uhe occasion d’exercer son genie et de se livrer à sa passion dominante » (27). E i biografi di LaGrRANGE attestano tale tendenza del suo in- segno. DeLamBrRE dopo aver ricordato che ArcHIMEDE faceva poca stima delle sue invenzioni meccaniche e dava importanza solamente alle sue opere di-teorica pura, e che i grandi geometri moderni sembrano consentire nella opinione stessa di ARCHIMEDE, soggiunge : « Nous n’oserions assurer que LacranGE n’ait pas été le plus souvent de cette opinion. Plus d’une fois il a exprimé ouvertement son vou de voir encouraget les recherches purement analy* tiques; et mème quand il paraît se proposet la plus grande facilité des calculs usuels, c'est encore l’analyse principalement qu’il perfectionne » (28). Non diverso è il giudizio che di lui reca il S. Maurice nella Biographie universelle (Parigi 1819, v.o LacrAaNGE, pag. 170): « l’in- stinct qui l’entraînait vers ce que la théorie a de plus pur et de plus abstrait, était peu compatible avec la pa- tience nécessaire pour les longs et pénibles calculs qu’ex- igent les applications ,..: il éprouvait à cet égard une répugnance que D’ALemsertT avait connue; et quand il lui fallait céder à la nécessité et s’occuper lui-mème d’un travail de ce genre, c’était ave un dégort qui l’exposait à oublier quelqu'’une de ces attentions minutieuses que requiert la sùreté d’un résultat numérique .... C'est comme fondateur de théories, comme créateur de mé- thodes et d’un style qui sera éternellement réputé clas= sique en analyse, qu'il faut surtout voir LAGRANGE. » Da queste testimonianze possono trarre conforto coloro che si compiacciono delle speculazioni scientifiche astratte, non disprezzando ma lasciando ad altri il preoccuparsi di quella che oggi chiamano wtilità pratica. Ai detrattori 276 degli studi teorici (senza aver. pure a rammentare la risposta (29) fatta da GaLIiLEO ad un ignorante presuntuoso che per ischerno gli domandava a che servisse la geo- metria) possono rispondere col nome di LAGRANGE, coì nomi di molti illustri matematici di tutti i tempi e anche dell'età presente; e tra questi ultimi citerò solamente in Francia LiouviLLe, CHasLes, HerRMiTE; e in Germania Kummer, WeIERSTRASS, KRONECKER. NOTE (1) Zatorno ad una formola del Leibniz, nota del Prof. Placido Tarpy., Rettore della R.* Università di Genova. Estratto dal Bullet- tino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e fisiche. Tomo I, giugno 1868. Roma 1868. (2) Questa formola, come è noto, si rappresenta simbolicamente con d"uv=(du+dv)". Ì (3) Virorum celeberr. Got. Gul. Leibnitii et Ioann. Bernoullii Com- mercium phi. et mathem. (Losanna e Ginevra 1745), tom. I, pag. 46-47. Risposta del BernouLLI, ivi, pag. 52. (4) Scritti di Lemniz pubblicati da C. I. Gerhardt (Berlino 1850), tom. II, pag. 300. (5) V. il detto Commercium Leibnitii et Bernoullii, tom. T, pag. 36. (6) Ivi, pag. 37. (7) Ivi, pag. 4l. (8) Ivi, pag. 53. (9) Ivi, pag. 47. (10) Ivi, pag. 66. (1) Lemnizio , ivi, pag. 107, e nella citata lettera all’ Hòprrat. EuLero, Comm. Acad. Petrop., tom. V (anni 1730-1731), pag. 55. LapLace, Théorie des probabilités, 3*me édit., pag. 85 et 156. FoURIER, Théorie de ta chaleur, Ch. IX, pag. 561. (12) Journal de V'Ecole polytechnique, 21ème cahier, pag. 1-186; Giornale di Crelle, tom. XI, pag. 1-19; tom. XII, pag. 273-387; tom. XIII, pag. 219-232; Journal de Mathém., tom. XX, pag. 115-120, a. 1855. V. anche Prof. KeLLAND, On general Differentiation (Transaz. della Soc. R. di Edimborga, vol. XIV, pag. 567 e 604, 1840). 277 (13) Sopra alcuni punti della teoria del moto dei liquidi, Memoria del Prof. P. Tarpy. Firenze, 1847. (14) Miscellanea Berolinensin (Berlino, 1710), vol. 1, pag. 160-165; Leibnitii et Bernoullii Commercium, tom. I, pag. 99. (15) Questo involontario plagio fatto da Lacrance a Lerenizio fu menzionato anche dal Barone PLana nelle Mem, @ell’Accad. delle Scienze di Torino, 2.» serie, tom. XX, pag. 111. Egli ha pure notata la difficoltà delle comunicazioni in quel tempo (ivi, pag. 108). (16) MontucLa ha riconosciuta la nazionalità italiana di LagRraNnGE: « Nous croyons (così scriveva nella sua Mistoire des mathém. Paris 1802, tom. III, pag. 135) devoir ranger parmi les geomètres Italiens le célèbre cit. de Ia Grange, puisque le Piémont s’honore de lui avoir donné la naissance, et quoique d’abord appelé à Berlin où il a fait un long séjour, et que la France l’ait depuis adopté comme autrefois le grand Cassini. » Giova altresì ricordare che nel 1793 il Comitato di salute pubblica incaricò LaGrANGE di certi lavori scientifici pel solo fine di trattenerlo in Francia donde avrebbe dovuto partire come straniero (V. Journal de V'Éc. polyt. 2ème cahier, pag. 187); e che nel 1772 l'Accademia delle Scienze di Parigi lo aveva eletto suo socio straniero (DeLamBrE, Elogio di LAGRANGE, Mém. de l’Institut, année 1812, tom. XIII, pag. Ixiij. (17) Elogio di Jacosi nelle Memorie dell’Accad. delle Scienze di Berlino pel 1852, pag. 6. — EuLERo seriveva negli Acla Acad. Pe- tropol. tom. V, parte 2.3 pag. 24: « Talis comparatio (di funzioni trascendenti) vires Analyseos penitus superare videbatur donec ab Mlustrissimo Comite FaGnanI prima principia fuere patefacta etc. » (18) V. Acta Acad. Petropol. pro anno 1778, Pars prior, pag. 20. « Noto un abbaglio di DeLAmBRE che riferisce alla scoperta del calcolo delle variazioni lo stupore espresso qui da EvuLero (Elogio citato di LAGRANGE, pag. xlj). (19) Elogio di LaGrancE, pag. Ixxviij. Intorno al FowramE, vedi ivi, pag. xlix-l. (20) Mem. dell’Accad. delle Scienze di Parigi pel 1767, pag. 588, e pel 1768, pag. 464. LacranGE rispose nel tom. IV delle Miscellanea taurinensia , pag. 164, e nelle Mem. dell’Aecad. di Berlino pel 1770, pag. 98. ; (21) Atti della R.a Accad. delle Scienze di Torino, vol. II, pag. 551 (1867). (22) Melanges mathématiques par Eugene Catalan (Liegi 1868), pag. 334-337. Il signor CstaLan sì meraviglia, che Lacrance al- fermi, relativamente alle serie, certe proposizioni per verità er- 18 278 ronee ma in quel tempo ammesse dai più grandi geometri, e ammesse anche ai tempi nostri da stimabili autori, come egli medesimo riconosce a pag. 225 del suo libro. Di più, mentre è tanto severo per LaGrancE, lascia passare senz’alcuna censura un errore di DaLEMBERT assai più grave di quelli di LAGRANGE, Cioè che la quantità pata finito (ivi, pag. 335). (23) Miscellanea taurinensia, tom. II, pag. 323. (24) Journal des Savants, année 1846, pag. 57. In un'altra lettera (ivi, pag. 58) trovo queste espressioni affettuose : « Adieu, mon cher et illustre ami, je vous embrasse de tout mon coeur. Don- nez-moi des nouvelles de votre santé ,, et surtout ménagez-la, pour vous premièrement, et puis pour l’intérét des sciences, et pour la tranquillitè de vos amis, à la téte desquels je me flatte que vous me placez. Iterum vale et me ama. » (25) Journal des Savants, année 1846, pag. 54. (26) Ho dimostrato queste relazioni in un modo che mi pare semplice e rigoroso negli Annali di Sc. mat. e fis. del Prof. Tor- ToLINI, tom. VI (1855), pag. 70-102. Per ogni serie vi è data una. espressione del resto; per la formola sommatoria di MacLauRIN, vi è indicata una dimostrazione dei teoremi di MaLwsTÈN (pag. 99) che si accorda pienamente con quella del Sr Raape esposta nelle sue Mathemalische Miltheilungen, 1.° fasc. (Zurigo 1857) pag. 48-49. (27) Conporcet, Eloge de M. Euler (Hist. de l'Acad. R. des Sc. a. 1783, pag. 57: Parigi 1786). (28) Elogio di LacranGE, pag. lxix. Le parole del DeLAMBRE con- traddicono ad un’asserzione che sì legge negli Ali della R. Accad. di Torino (giugno 1867, pag. 552), cioè che secondo LAGRANGE è grandi trattati di analisi debbono semplicemente consultarsi, ma l’analisi deve studiarsi nelle applicazioni. L’asserzione di DELAMBRE pare più verisimile, oltre che egli potè udire l’opinione di LacrancE dalla stessa sua bocca. (29) È accennata dal Barone Manno nell'opera Della fortuna delle parole, tomo 1.°, pag. 157 (Torino 1831). (il cui modulo è 1) abbia un valore în- Serve di complemento alla precedente Memoria la let- tera. del Lagrange al Conte pa Fagnano, che la Classe decise di riprodurre. LETTERA DI Luici Der La Grance TounniEr TORINESE ALL'ILLUSTRISSIMO SIGNOR CONTE GIULIO CARLO DA FAGNANO Marchese de’ Toschi e di S. Onorio, Nobile Romano, e Senogagliese, Matematico celebratissimo. Conienente una nuova serie per i differenziali , ed integrali di qualsivoglia grado corrispondente alla Newtoniana per le potestà, e le radici. IN TORINO, MDCCLIV. - NELLA STAMPERIA REALE. Con lic. de’ Sup. Nella serie, che ho comunicata a V. S. Illustriss., mi lu- singava ben io d'avere ampiamente comprese varie opera- zioni del calcolo sì differenziale, che integrale di qualunque grado; e col paragone di quella colla tanto celebratissima serie Newtoniana per le potestà mi pareva in vero d’aver scoperta una corrispondenza non dispregevole tra ’1 cal- colo delle infinite, e quello delle finite grandezze ; ma poichè in somma non altro, che nuova comprensione, e riporto di calcoli notissimi per quello qualunque ritro- vamento si palesava, e nulla realmente si disvelava, che nuova scienza chiamarsi potesse, anzi che offrirlo al pub- blico, che oramai tutto nausea, e schifa, che non sia di somma importanza per le umane cognizioni, pensava trarne assai ampio frutto, ritenendolo per me a mio 230 privato uso, e ad agevolare gli studj della inia affatto gio- venile età, la quale, anzichè alta a somministrare altrui, è pur del tutto bisognosa di ricevere da altri lume e scienza; Ma i cenni della degnevolissima Lettera di V.S. Ilustriss. mi sono in luogo di autorevole comandamento; e poichè a Lei piace, che si pubblichi la suddetta serie, non dubito di recar malgrado a veruno, .obbedendo a Lei, ed a Lei anzi offerendola, che molto più di quello, che essa abbia in se, può darle di dignità col suo ragguar- devolissimo giudizio, se come si è compiaciuta di com- mendarla, finchè era nelle mie mani, vorrà riguardarla con egual benignità ora, che la ripongo nelle sue. Che se pur Ella tollerasse; che a Lei sola questo mio picciolo ritrovato io presentassi, sarebbe di già compita intera- mente l'offerta, senza che ora di vantaggio estendermi dovessi in dichiararlo. Che sa bene tutto il mondo letterato, come e le sottili sue opere, ed i grandissimi applausi dalle più celebri Accademie ricevuti ne lo attestano, che a Lei basta il proporsi a snodare qualunque più riposto arcano delle Matematiche, per comprenderne tosto in uno e lo scioglimento, e le conséguenze. Ed altronde, queste, che a Lei offro, mie riflessioni, sono pur di tal natura, che anche a ingegni meno sublimi basta accennarle, perchè ad essi spontaneamente possano manifestarsi. Ma pure giacchè Ella vuole, che io scriva ad ognuno, che di sì falte materie abbia comunque vaghezza, penso, che non m’abuserò della pazienza di Lei, se più oltre mi dilun- gherò, come tale mira richiede, e vuole. Dunque primie= ramente propongo le due serie, la Newtoniana per le potestà, e la mia per i differenziali, ed integrali, sicchè in una sola occhiata se ne comprenda ogni possibile rap- porto, e corrispondenza. 281 (ap I)m ambo m ambi m OI gate in (1) 2) am=3 b3 + ec. 2 3 (ey) go mom rypii im COTTI ina PF: (m_—1) Pit gmrdy3 + ec. 2 Dunque I. Siccome la prima serie serve per elevare a qualunque potestà la somma di due, e conseguentemente di quantunque quantità date, facendo l’esponenie wm eguale al numero del grado della potestà data; così la seconda serve per differenziare in qualsivoglia grado un qualunque prodotto di due, e conseguentemente di quan- tunque variabili, facendo nella stessa guisa l'esponente #m eguale al numero del differenzial proposto, II. Siccome ia prima serie vale similmente per estrarre qualunque radice dalla somma di due, o quantunque quantità, facendo l'esponente m eguale al numero rotto del grado della radice data; così la seconda serve per ridurre ad inteerale di qualunque grado un qualunque prodotto di due, o quantunque quantità finite, od infini- tesime, facendo l’esponente # eguale al numero intero (ma preso negativamente) del grado dell’integrale dato. Finalmente, siccome nella prima serie l'esponente, ove resta eguale a zero, fa, che la quantità, cui esso appar- tiene si debba intender elevata alla potestà nulla, e con- seguentemente eguale ad 1; così nella seconda esso indica in tal quantità non avervi luogo, nè differenziazione, nè integrazione, @ perciò doversi essa lasciare. tal quale si trova. Onde, come diceva nella stessa guisa appunto, che 282 dell'una ci serviamo per l’elevazioni a potestà, ed estra- zioni di qualunque radice, potremo dell’altra valersi per le differenziazioni, ed integrazioni di qualsivoglia grado. Sia dunque da differenziarsi la quantità xy; in questo caso poichè il differenzial cercato si è il primo, m sarà =1, e però la serie generale piglierà questa forma c'y° + r°y', cioè ridotta alla comune maniera di scrivere (che secondo l’uso introdotto il numero del grado della differenziazione si applica alla lettera d, o pure si segna con altrettanti punti) day +xdy. Se in luogo del primo si voglia il secondo, o il terzo differenziale sarà m=2, od =3, ed i ricercati differen- ziali, fatte le sostituzioni in luogo di m, saranno il se- condo 22y°+22!y"+x°y?, ed il terzo x3y°+3x2y'+3x1y> + x°y8, i quali come sopra ridotti rendono l’uno d*xy +2dxdy+xd*°y, e l’altro di5rxry+3d°xdy+3dad°y +xd3y, veri differenziali della quantità proposta, se si pigli anche il dx per fluente, e lo stesso s’intenda dei differenziali di qualunque siasi ulteriore grado. E come queste operazioni di differenziare per questa serie nulla più hanno di difficoltà, che quelle di elevare a potestà per la Newtoniana, così nulla più difficile si è l’integrare con quella di quel, che lo sia l’estrar le radici per mezzo di questa. Debbasi per esempio, per aver la quadratura indefinita di qualsivoglia curva, ritrovar l’integrale dell'elemento dell’area ydx. Si supponga nel canone generale dea=%; sarà per quel, che di sopra s'è detto m=—1, i quali valori in esso sostituiti, avremo la serie particolare da7'!y—dax73y+dx73y:—da75yY+dx73y— ec. Ora dx! dinota l'integrale di da, dx7? l’integral .del- l'integrale di dr (cioè l’integrale di x), che io chiamo 283 2° integral secondo di dx, e segno in questa guisa ICE ; da73 l’integral terzo di dx, cioè (aa ec. ° 2 ti Ma fao=o, fer. fu=-> e gene- m qu 4 ralmente , ba (come chiunque se ne può accertare, differenziando tali quantità, una, due, tre volte secondo il grado dell’integrazione, pigliando però sempre il dx per costante); dunque sostituiti questi valori nella serie ultimamente trovata, e posti secondo l'usanza dy, d*y, d*y ec. in luogo di y", y°, y° ec. essa sarà in fine Cdy. Ld'Y c4diy x3 d4y TIT5da >.3dd =.3.4da 2.3.4.5dos La qual serie particolare dalla mia universal derivata, vede benissimo, V. S. Mlustriss., che non è altra, che quella stessa tanto celebrata, che di già scoprì il Chia- rissimo Sig. Giovanni Bernoullio, e pubblicò poscia negli atti degli eruditi del mese di Novembre 1694. Del resto, non solo a’ differenziali di primo grado s° estende questa mia serie, ma bensì ad integrar con una sola operazione eziandio quelli di qualunque ulterior grado. Richerchisi l’integral secondo di dydx, fatto dunque m=—2., e supposto r=dx, ed y=dy otter- remo la seguente serie da-3dy—2da-3dy +3da-s‘dyT—4dx-3dy+ ec. la qual come l’altra ridotta da....... cdy 223d°y © 3xr*d3y 40° d4y ={ NEI MET SI ETA ni i 284 eguale ancora ad |vda , è per conseguenza all'altra poco fa trovata, la qual egualità, sebbene apertamente non si manifesti, tuttavia si può vedere, differenziando e l’una, e l’altra due volte, posto il dx costante, conciosiachè distruggendosi vicendevolmente tutti gl’altri termini, altro non vi resta in amendue , che il dyda. Molte altre considerazioni, che mi occorrerebbono, per ora le ometto, e come non del tutto necessarie, e come poco dicevoli alla intenzion mia, onde anzi che annojarla, con dilungarmi in cose a Lei superflue, bramo unica- mente di attestarle il mio ossequiosissimo rispetto. Dunque ringraziandola del gradimento, che V.S.Illustriss. s'è compiaciuta significarmi di questa mia tenuissima cosa, non meno che del prezioso regalo, che mi fa della dottissima sua lettera ultimamente impressa; e pregan- dola istantemente a continuarmi le sue pregiatissime grazie, ho l’onore di protestarmi con tutta la maggior stima, e con la più umile riverenza ec. P.S. Rilesgendo V. S. Illustriss. questa mia formola, non potranno all’acutezza del suo ingegno non occorrere sopra di essa qualcune importanti, ed utili riflessioni ; Supplico per tanto la somma di lei bontà, e cortesia, che di già ho avuta la sorte di esperimentare, a volermi far la grazia di comunicarmele, e di bel nuovo sono Torino li 23 Luglio 1754 Di V. S. Iustriss. Devotiss:, ed obbligatiss. Servitore Luicr De La Grancr. 285 Il Socio Secca, relatore di una Giunta esaminatrice, legge il seguente parere sopra una Memoria cristallografica del Dott. StRUEVER. RELAZIONE SULLA MEMORIA INTITOLATA STUDII SULLA MINERALOGIA ITALIANA PIRITE DEL PIEMONTE E DELL’'ELBA Nella seduta del 30 dicembre 1866 ebbimo l’onore di riferire favorevolmente all'Accademia intorno ad una Me- moria del dottore StrùveR, Assistente al gabinetto di mi- neralogia presso la Scuola di applicazione degli Ingegneri in Torino, relativa ai cristalli di Nefelina, di Apatite e di Pirite che ornano i nostri musei. Piacque all'Accademia di fare favorevole accoglienza alla Memoria dello StRÙvER e di decretarne la stampa nei volumi delle sue Memorie. Nel suo lavoro lo StRùvER si era limitato a dare contezza delle forme nuove che egli aveva trovato nei cristalli delle nostre raccolte. Ma considerando la straordinaria varietà e ricchezza di forme che presenta la Pirite italiana, im- perocchè è in ogni tempo notissima la magnificenza e varietà delle Piriti di Traversella, Brosso e dell’isola del- l’Elba, ci parve utile alla mineralogia italiana di consigliare allo Struver di allargare il campo della sua Memoria, e di fare una monografia per quanto possibile completa della Pirite italiana. Ed un cosiffatto lavoro ci sembrava tanto più oppor- tuno in quanto che le nostre raccolte presentano una 286 ricchezza di Pirite, che non esitiamo dal dire di gran- dissima lunga maggiore che in ogni altro museo. La net- tezza e bellezza de’ cristalli di Pirite delle nostre Alpi aveva in ogni tempo invaghito i benemeriti che fonda- rono le nostre collezioni pubbliche, per cui anche le vecchie raccolte ne erano discretamente fornite. Da alcuni lustri poi venne dato opera al mettere insieme quanti più cristalli di Pirite si poteva che sembrassero non senza interesse, col proposito appunto di preparare il materiale per una completa monografia della Pirite. La raccolta privata che il vostro relatore donò alla Scuola degli In- gegneri non conteneva meno di 800 cristalli di Pirite, e di molti ne conteneva pure la raccolta privata del prof. GasraLpi da lui donata alla stessa Scuola, cosicchè per gli sforzi incessanti e del vostro relatore, e del professore GasraLpI che gli successe nella direzione del gabinetto mineralogico di detta Scuola, questo è ora ricco di quasi 5000 cristalli di Pirite. Analoghe cure consecrava per parte sna allo stesso scopo il prof. A. Siswonpa, cosicchè anche il museo del- l’ Università contiene meglio di ottocento interessanti cristalli di Pirite. Lo Srriùver seguì il nostro consiglio. Le nuove forme di Nefelina e di Apatite che erano descritte nella prima Memoria, vennero rimandate ad una nota speciale già stampata negli Atti dell’Accademia, e la Memoria, intorno alla quale abbiamo oggi l’onore di riferire all'Accademia, non si riferisce più che alla Pirite. Lo StRùver descrive in essa tutte le forme e tutte le combinazioni, come ancora i geminati e le deformazioni (‘cristalli rimarchevoli per l'aspetto curioso che assumono per l’anormale sviluppo di alcune faccie), che ebbe 287 occasione di osservare nei cristalli che si trovano nelle raccolte della Scuola degli Ingegneri e del museo: vi nota i caratteri fisici principali delle diverse forme, e dà una idea delle giaciture di Traversella e Brosso meno cono- sciute di quelle dell’isola dell’Elba: Onde soddisfare a questo programma dovette lo STRÙvER riprendere ad esame le parecchie migliaia di cristalli di Pirite, che sono nelle nostre raccolte. Ne nacque che il numero di forme nuove da lui scoperte si andò aumen- tando di non poco: cosicchè le forme nuove con cui questa memoria arricchisce la cristallografia salgono a non men di 24, computando tra le forme nuove, quelle emiedriche delle quali già fosse conosciuta la forma di egual simbolo, ma in posizione inversa. Le forme di Pirite sinora indicate ne’ più autorevoli trattati sono le seguenti: 1. Cubo 100. 2. Rombo dodecaedro 110. 3-15. Pentagono dodecaedri 7 11 90, 7 650, oppure 7540, 7 430, x 3401), 7,320,;/7230,.7 210.77 120, 7 520,7 310, 710 30, 7 720, 7 410. 16. Ottaedro 111. 17-19 Icositetraedri 211, 311, 911. 20. Triacisottaedro 221. 21-29. Emiesacisottaedri a faccie parallele 7 321, 1.234,; 7,421, x 241, 7591,7851, 710.54, 2701061, n 453. Le nuove forme descritte dallo StRiveR sono ora le seguenti : (1) Essendo m >» n >» p si indica cona map la forma emiedrica diretta, e con 7 nmp la forma emiedrica inversa. L88 1-10. Pentagonododecaedri 7 780, 7 670 {?), 7 5060, x 450, 7 750 (?), 7 530, 7 250, x 11 40, x 920, 7710 (?). 11-14. Icositetraedri 11 55, 944, 522, 411. 15-16. Triacisottaedri 332, 331. 17-24. Emiesacisottaedri 7 432 (1), 7 342, 7 932, x 632, 7 11 52, x 10 87, 7 841, 716 63, senza contare che egli dimostrò esistere entrambe le forme x 650, 7 540 fra cui il DescLorzeaux crede dovere stare il simbolo di una forma incertamente determinata. Indi è che in totale le forme ora note della Pirite, sono le seguenti cinquantaquattro : 1. Cubo 100. 2. Rombodecaedro 110. 3-26. Pentagonododecaedri x 780, 7 670, 7 650, x 560, 7 11 90, 7 540, 7 450, # 430, 7 340, 7 750, 7320, 7 230, 7 530, 7210, 7 120, 7 520, 7 250, 7 11 40, 7 310, 7 10 30, 7 720, 7 410, 7 920, x 710. 27. Ottaedro 111. 28-34. Icositetraedri 211, 11 55, 944, 522, 311, 411, 911. 1 35-37. Triacisottaedri 332, 221, 3341. 38-54. Emiesacisottaedri a faccie parallele # 321, T 231, 7421, 7 241, 7 432, 7342; 7 531, 7 453; ‘7 632, 7 841, 7851, 7 932, 7 10 51, 7 10 61, 71087, x 1152, 2 16 63.0 Dei 24 pentagonododecaedri, 16 sono diretti ed 8 sone inversi, ed appena 6 sono l’uno complemento dell’ altro (1) La forma x 432 era già stata determinata parecchi anni fa dal vostro relatore, ma è ora pubblicata per la prima volta dallo STRUVER. 289 in guisa da costituire, ove coesistessero, la forma ‘oloe- drica, cioè 650, 540, 430, 320, 210, 520. Dei 17 emiesacisottaedri 13 sono diretti e 4 inversi: tre sono complementari in guisa da costituire ove coesi- stessero le forme oloedriche 321, 421, 432. Tutte le ‘forme sovra indicate vennero osservate dallo Srrùver nelle nostre raccolte, ad eccezione de’ pentago- nododecaedri 7 11 90, 7 340, 7 720, dell’icositetrae- dro 911, e degli emiesacisottaedri x 241,7 531, 7 10 51, cosicchè sono 47 le forme che lo STRiver trovò nelle nostre raccolte. Ma egli non è soltanto sotto il punto di vista delle nuove forme da lui trovate, che la Memoria dello StRÙvER è a parer nostro interessante. A noi sembra di poterne dedurre delle conclusioni non senza importanza per la cristallografia generale, cosicchè per dimostrarle ci sarà necessario dilungarci più di quanto sia costume nelle re- lazioni accademiche. A questo effetto noi trarremo qualche quadro dalla Memoria dello StrùveR, ed altri ne com- bineremo, in cui le fatte osservazioni siano aggruppate in guisa da rendere evidenti le conseguenze che ci pare di poterne inferire. Le combinazioni possibili che si potrebbero fare colle 47 forme semplici osservate dallo StRiver sono 24—1. Invece malgrado che lo SrrRùver abbia determinato 5603 cristalli di Pirite, non vi trovò che 87 combinazioni di- verse. È molto interessante il quadro seguente, che rife- riamo, con qualche modificazione , dalla Memoria dello StRUVvER, e dove sono indicate dette combinazioni, il numero di esemplari su cui ciascuna di esse si osservò, e la località onde provengono detti esemplari. 290 v "E - SIMBOLO DELLE FORME FIRE 5 COMPONENTI LA COMBINAZIONE 558 LOCALITÀ 2 Tear Ti 4009FTa e coetanee pi Ta) 454 {Taversella. Brosso (?) ATO ee i PATER e 1a 14 Ide S| 11100880, aldererot. arnesi piepi bri atrata. 13 dd» -id. ag er: i DA a anne 679 id. id.(?)Elbalf DIPORA. stiate DET DURE a 316 id. id. id. |f I RL: LIE RI PEREPEET ee ee c 7 10,7 — GE 7 (E 210, SPIRI DA SP DORIANA 19 id. id. (?) id. SITR rien i a. 9 idea = QIREZIO, 100/14 ca. rante patita, ceo 475 id. id. id. ie sal dt Fiction Ma 64 id,,°7 —M GRAB 11 10. TM ZE EA I I IO AE O, 55 id id — Il IRIPLiA. ridare filo iraniani Moroni - 1 — li id PSE 133 (Gi CN A RIETI RS (TOTO CARI), e 3 id. id. (?) id.|f 144°: id. 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DIO St ca e cla id. 35 ‘ide id. th ATO. Leda ge id. id. id. id. LU PINI i 0117, PINO AE ida id. idi 110 I°, «TATE id. id. id. id. id. VR PERI IORRTAE SE, id. .i@ .:. id id. Bab) TESO. E nm ide pi 108 9882 id. i O er dd+ del —ida 311 MII tto igienici) id, iii MI IO, TT 400, TIZI nenti ian cid id. id. td. e si id. id. r 421 id. iL Rice idAi id. id. id. n 80I, Zi hanaga drprte sio dad i 115,421, 7. 921, 409, dt ollris.c» ideata. 1; id. id. id. Pi pic RI ed id-i@a id id. id. ica id.aad. ki id, id. id. x 320 1d.-:0p% 14.4} id id: id. id. 632 r1063..1... idJk ‘id. id. id. agi 224 bi 40360. idipi cid. id. id. id. 110,1. ste 23002 ad.ividao id: 221 id. IO. (7) G414 300. 10 pe d0lobjt 10, id. id. id: regi id. 1d..p+1d.9 #7 310 id. 1d::(2)-. 30% p@pe ida‘10 1 id, 311 id. id. TIPI: idee sid. 14. 221 id. Dea ti id. id. 110,r1061 id. Og, "able... idognide Si 118, x 424, © 921, , 1320, = 8pI, 310 id. id. id. id. id. id. id: 7453 10,00 140) 14. id. id. id. id. 632 id.bi ‘id. cid id. 211, 221 411, n 120 id. id. id. # 560 id. id. 331,1 1250 SIMBOLO DELLE FORME COMPONENTI LA COMBINAZIONE NUMERO diesemplari osservati hà UT Ha HS dI dI > 9 WI I 9 9 UuTTÒ- ih dada DUI | Co | ae e ta ld ua 291 LOCALITÀ Traversella id. id. id. id. = Brosso id. oppure id — id. —_ id. — id. —_ id id. 3 _ id. —_ id. _ id. — id. — id. id. = — id. id. = id. Lo id. — id. = id. — id. 2 id. = id. — id. = — id.(?) _ id. id. — —_ id. —_ id. id = id. — —_ id. id. = id. = id. = a ic.(?) _ id. Ta SIMBOLO DELLE FORME COMPONENTI LA COMBINAZIONE NUMERO {di esemplari osservati t 210, 100, 111, x 421, 211, 221, 7321, 7320, 851 Traversella. || tas id. | dd. Jide, - 10» d9l, fU6 00, Bid TAR — Brosso. | id. id. id. id, id. x321, 7320, 851,230, m 670 (?) 932 id. n.520, 7410, 2920, id. 221, 944, 332, 841, 71030, | x 14 40, 430, =780.... id. oppure id. | Cosicchè sopra 87 combinazioni di Pirite osservate ne’ nostri musei si trovarono ROERO OSIO PI VI. ue 481 esemplari 5 combinazioni di 2 forme semplici in 1030 » 7 » 3 » 793 » 9 » 4 » 2546 » 17 » ò » 594 » 23 » 6 » 113 » 13 » 7 D) 20 ” 8) » 8 » 5) » 1 » 9 » 17 » 1 » 40 » 1 » 2 » in » 2 » 1 » 13 » ì » 293 L'esame dei simboli delle forme contenute nelle varie combinazioni, dimostra come non sia molto grande il numero di forme semplici che per lo più compongono i cristalli di Pirite. Però onde emerga più chiara la fre- quenza relativa delle varie faccie abbiamo riassunto nel quadro seguente il numero di esemplari e di combina- zioni diverse in cui ciascuna forma semplice si trovò. Nelle combinazioni distinguemmo quelle provenienti da Traversella, da Brosso, e dall’Elba. Notammo poi come di origine incerta le Piriti, che lo StRUveR non si decise ad attribuire piuttosto a Brosso che a Traversella. La lettera n indica quelle delle forme comprese nel quadro, che furono per la prima volta trovate dallo STRÙVER. 294 NUMERO DI CASI IN CUI SI OSSERVA SIMBOL è della 0 [ronue Esem- Combinazioni î nuove i einen FORMA plari {'rraversella| Brosso |incerte| Elba | Totale i 10(0)s457] ARIE 5539 45 37 4 TRIO 4613 46 38 4 siasi RAS 4275 40) 34 3 TRORI' PISO, 3217 35 1 E 107/175 ORMAI eReTS POS 991 Qu 16 4 FRA LTARELAR 124 12 QU 2 TAIL. 94 12 Grato oe 374 |. a [Dic 73 5 Je Peire med olenret 38 Mr Altas: Lidralicrgoziane 35 3 3175 20000 RIMEDIO PSE Lio CGS IE O di MERI 35 10: ATRIA ORI. TALD Ei 23 1 [S| [R na] Meo — 8 2 100 1) E 9 RIST Pit] Madre SPE) gb: © n 6 t 342 n 6 QILLITE SLOT 2 TeS2 n Lai NOCI ANO 2 esi af TA MO 2 x 430 TR 4 1 1 i gi ERI 3 cain (09 1 TESA Di lari at Sa noti Mesi è 2 411 n 3 1 Dil 3 7291 (Adi Sri IT 2° closer 2 n 932 n 3 2: a] ESSERI] Reg > 2 n 650 Ol tte RR SPE 2 x 560 n PA] NE SA Podi i sn (Peet S 2 TECO Mn PR IRR d One © da TO- DA 2 x 530 n QI oto DR. IE 2 t 11 40 n Vin ei 1 i [Per È TAO ne % 1 Li I | È 2 311 2 DRS TE 2 331 n RE E Ra RESA > 2 mt 632 n 2 DAI ltatero toe Da FM Pet Du earn DOM. N 2 t 780 n (eee RZ A 1 il n 670 (?) n 1 Tai ia E 1 t 450 n 1 4: PONTE, RE 1 n 750 (?) n 16) (Re A È) MERONI (oto 1 tt 520 Nina È td ASS a 1 tt 250 n de oe + ERE] Meg 1 030 I Pia ; IE PST o 1 n 920 n ch Rea | eee: Sa » 1 n 710 (2) n 1 1 i TA AE 1 do n tI AE dai > MOSSE 1 944 n di at RSS deine 1 522 n 1 Ati toe lean 1 DIC n 11) VESPRBRRIRAR RC bot at 1 1 t 432 n 1 1 BA Ra eo Lari 1 841 n dano aa i bene hegzoerpanacne 1 t 10 87 n ACE {VA MES ei a A) 295 Da codesto quadro apparisce, che le forme di gran lunga più frequenti nei cristalli di Pirite sono il cubo 100, il pentagonododecaedro 7 210, e l’ottaedro 111. Vengono poi per ordine di frequenza prima l’emiesacisottaedro m 321, e poscia quello che è assai meno frequente cioè 72 421, ed infatti sopra 5603 esemplari esaminati, 5317 non contengono altre forme che le cinque predette, siusta il quadro seguente, ove le combinazioni sono in- dicate per ordine di frequenza. pa SIMBOLO DELLE FORME LA IN COMBINAZIONE ESEMPLARI 18 sab id. id. sog id. 19 NE id. id. id. id. Totalei.t Bali ri 296 : Dobbiamo notare che in natura le forme 100, 7 210, 111 sono relativamente anche più frequenti di ciò che appaia nel quadro. Ed infatti per le stesse miniere di Brosso e Traversella, a meno che si tratti di esemplari rimarchevoli per la loro nitidezza, perfezione o grossezza, si tralascia per lo più di fare incetta di cristalli che presentino soltanto codeste forme semplici. Attraggono invece maggiormente l'occhio dei ricercatori le forme più complesse, specialmente quelle degli emiesacisottaedri. Quindi ad avere idea delle proporzioni con cui si pre- sentano nelle nostre miniere, converrebbe aumentare il numero di codeste forme semplici, e specialmente dei cubi, che talvolta, sovratutto a Traversella, sono copiosissimi. Non è quindi a meravigliare se fin da tempo antico. i cubi di Pirite hanno meritata l’attenzione dei minera- listi, tanto che il Vanoccio Biringuccio (1) ne scriveva tre secoli fa: la più anchor che la si troui (la Margassita) a filoni è in forma di certe grane hor grosse et hor piccole tutte cubiche a similitudine di dadi, ouer bisquadre tutte justamente squadrati. Colle quali rimarchevoli parole il BirinGuccIo mostra di aver fin d’allora compreso come non le dimen- sioni ma gli angoli rimanessero costanti nei cristalli di Pirite che descriveva. Dopo le cinque forme essenziali sovraindicate seguono per ordine di frequenza 211, 7 453, 221, e poscia, ma più rare, 7320, 110, 7 851, 7 230. Lo Strùver trovò taluna o parecchie di codeste forme combinate colle diverse forme essenziali sovradette in 241 esemplari, cosicchè le 12 forme delle quali abbiamo finquì discorso, costitui- scono 5958 esemplari sopra i 5603 esaminati dallo Striiver. (3) De la Pirotechnia. Venezia 1540, fogl. 20. 297 Le rimanenti 35 forme trovate dallo Srriver nelle nostre raccolte non si manifestarono che sovra 45 esemplari 17 di queste forme si trovarono sopra i esemplare (Lie SE AZIRARO PIOO PRESE sidalibio do tute . 2 esemplari oo at ii aaa) » Per lo più queste forme rarissime non sono molto sviluppate, ed in generale si manifestano per piccolissime facciuzze. A questa regola fanno soltanto eccezione le forme 7 540, x 10 61 e 7 432, le quali comunque ra- rissime si trovarono abbastanza sviluppate. Non è senza interesse lo investigare in quali specie di combinazioni le varie forme si presentino. Nel quadro seguente vennero distinte le combinazioni osservate se- condo che constan di 1, ovvero di 2, 3 ....forme sem- plici, e si indicò per ciascuna forma in quante di dette combinazioni a 1, 2,3 ...forme la si trovi. E così ad esempio la forma 7 453, che è la nona in- dicata nel quadro, si trovò in una combinazione di quattro forme semplici, in due combinazioni diverse di cinque forme semplici, in cinque combinazioni diverse di sei forme semplici, e così di seguito. Simbolo | Numero di combinazioni diverse in cui la forma entra vi i[2| 8415 T6 178] OTO pt to] tuale 1 10 at DD — DD I UT (de) é [ini . BO 00 > Lun dI 69 dI to = rw) utnèàs vu O = WII TGA (Dai VI 00 > «I UT 0 WWW 7 o VI d9 DI a want DR |=>0 I SOI OT 3 5 |>=20r0 : Sira eee 0 RO + OTO dI e DO) los 9 do 729» | 1 WUuwro. arr 2o = > I P Loco o_o TA [denienn! ima . ee » eee: ra a A è a a iù na a ai ie II I I OI i DO DO DI DI DI Osserva- zioni Tali forme coesistono in entrambe le combi- nazioni 299 Dall’ispezione di detto quadro emerge : 1.° Che soltanto le tre forme 100, 7 210, 114 che sono di gran lunga le più frequenti, costituiscono da sole cristalli di Pirite. 2. Che nelle combinazioni binarie, ossia di due forme semplici, entrano soltanto le forme precedenti e l’emi- esacisottaedro comune s 321. 3.° Che nelle combinazioni ternarie oltre le forme precedenti entra l’altro emiesacisottaedro abbastanza fre- quente 7 421, ed il pentagonododeacedro 7 230 che trovammo fra le forme non le più rare. 4.° Che passando alle combinazioni quaternarie, si accrescono le forme che entrano nella loro composizione delle forme non rarissime 211, 110, x 453 ed in un esemplare solo della forma rarissima 410. 5.° Che passando alle combinazioni di cinque forme troviamo, oltre alle precedenti, le forme non rarissime 221, x 320, x 851, ed altre otto forme rarissime. 6.° Che passando alle combinazioni di sei forme troviamo la novità di otto forme rarissime, e che un a- nalogo incremento di forme rarissime, relativamente al numero di esemplari in cui le combinazioni si osserva- rono, si trova quando cresce il numero di forme costi- tuenti la combinazione. 7.° Che la sola combinazione di 9 forme trovata in 17 esemplari a Traversella presenta l’anomalia di non dare un incremento di forme rare. Possiamo riassumere il significato del quadro precedente nel quale scriviamo le unità coi segni 300 Il Trattandosi delle forme frequentissime 100, 7 210, 111 I » frequenti 7 321, 7 421 204077453, 2217820 110, 7 851, 7 230 ° » altre forme rarissime ed indichiamo poscia per ciascuna specie di combinazioni il numero di forme che vengono ad aggiungersi a quelle delle precedenti combinazioni onde formare un totale di forme, delle quali soltanto si compongono i cristalli aventi il numero di forme proprio della specie di com- binazione considerata. E così ad esempio nelle combi- nazioni di quattro forme si trovarono le forme che già si erano mostrate nelle combinazioni a 1, 2 e 3 forme, e si trovarono di più quattro altre forme, di cui tre non rarissime ed una rarissima. | » non rarissime SPECIE NUMERO DI FORME NUMERO : che oltre le precedenti DI ESEMPLARI vi sì trovarono per ciascuna specie COMBINAZIONE nelle varie combinazioni] di combinazione | Ad 1 forma HIHI 481 » 2 forme tI 1030 DA I | 793 ag egli |]| o 2546 Sue DUI i 17 so oe e00000o 594 SIAE eesecsececeoee 113 ele ea e e00ee 20 ASI P9) e © 5 » 10 » (*) 1 gii DI » 6 e e eo 2 » 13° » ecoeo 1 301 Emerge quindi dalle pazienti indagini dello SrròùveRr che almeno per quel che riguarda la Pirite 1.° Le combinazioni di poche forme non si compongono in generale che delle forme le più frequenti. 2.° Le forme rare per lo più sono peco sviluppate, e si manifestano in generale con tanto maggiore probabilità quanto maggiore è il numero di forme costituenti la combinazione. Egli è come se le forze, le quali al momento della solidi- ficazione della materia ne determinano la forma cristallina, per lo più dessero luogo a cristalli composti di poche forme semplici; ma che pel solo fatto dello sviluppo contempora- neo di un maggior numero di forme, quantunque ciascuna di queste sia per sè abbastanza frequente, si faccia più agevole lo sviluppo di qualche piccola e rara facciuzza. Il lavoro dello Striiver dà anche luogo ad interessanti considerazioni per ciò che riguarda le relazioni delle forme cristalline colle giaciture. I cristalli dell'Elba non presentarono che le sei forme più frequenti, cioè 100, 7 210, 111, 7321, 7421, 211, che si manifestarono in nove combinazioni diverse. Seb- bene si abbia avuto occasione di arricchire le raccolte torinesi di una copiosissima collezione Elbana allestita nel 1861 dal capitano Pisani, e che il vostro relatore abbia fatto larga incetta di Piriti in un suo viaggio fatto verso quell'epoca nell'isola, tuttavia questa povertà delle forme Elbane potrebbe dipendere da che i cristalli del- l'isola sono nei nostri Musei in molto minor copia che quelli di Traversella e Brosso. Se ora noi paragoniamo i cristalli di Traversella con quelli di Brosso, osserveremo anzitutto nel quadro della pag. 12 che i cristalli di Traversella presentano 52 com- binazioni diverse, e quelli di Brosso 41, divario che potrebbe dipendere dall’ essere nelle nostre raccolte i 302 cristalli di Traversella più numerosi che quelli di Brosso. Lo StRUvER osservò 4 combinazioni che non si credette autorizzato ad attribuire piuttosto all’una che all’altra di queste località. Siccome Brosso dista pochi chilometri da Traversella, così i minatori spesso mischiano i cristalli dell’una e dell’altra località, sicchè per lo più ne vanno confusi ai pubblici Musei ove è difficile il separarli quando i cristalli non siano sovra matrice caratteristica. Nelle 47 forme osservate ne trovò lo Strùver 12 sovra soli cristalli di Traversella, 17 di Brosso, 6 incerte e 12 sovra cristalli di Traversella e di Brosso. Delle 24 forme nuove se ne ebbero 7 sovra soli cristalli di Traversella, 12 di Brosso, 4 incerte e 1 in Brosso e Traversella. Senza discorrere delle forme rare, per le quali si vede dal quadro della pag. 12 se si trovino piuttosto in una che in altra località, come senza parlare delle forme 100, 7 240, 111 che si trovano frequentissime in ambe le località, avvi ad osservare che gli emiesacisottaedri 7 321, x 453, 7851 ed il pentagonododecaedro 7 320 non si trovano mai o quasi mai a Brosso (se pure è ben sicuro che ci si tro- vino), e possono quindi dirsi caratteristici di Traversella. Sono per contro assai più frequenti a Brosso i penta- gonododecaedri 7 230, 7120 ed il rombododecaedro 110. Per le forme rare si potrebbe notare come i penta- gonododecaedri siano stati trovati quasi tutti a Brosso e ben pochi a Traversella. Concludiamo quindi che dalle osservazioni dello STRÙvER sugli esemplari delle nostre raccolte risulta che : 1.° La Pirite di Brosso è più ricca di forme diverse quantunque presenti un minor numero di combinazioni che quella di Traversella ; 2.° La Pirite di Traversella è spesso caratterizzata da 7321, 7453, 7851, 7320 mancanti affatto o quasi a Brosso ; 303 3.° La Pirite di Brosso quando non presenti svilup- pato l’emiesacisottaedro 7421 presenta talvolta non poche facciuzze di pentagonododecaedri le quali col rombodo- decaedro 110 si accumulano presso gli spigoli dei cubi che ne costituiscono la forma predominante. Lo Stròùver descrive le deformazioni più interessanti che gli si affacciarono nelle sue investigazioni, e ben fece, giacchè qualcuna delle nostre Piriti presenta delle anomalie così curiose, che può citarsi come modello di ineguale sviluppo di faccie della stessa forma. Finalmente l’autore consacra un capitolo della sua Me- moria allo studio dei caratteri fisici delle varie forme di Pirite, e pone specialmente in evidenza la natura delle strie, che spesso si trovano pronunciatissime sopra ta- lune delle faccie principali. La Memoria dello StrÙveR è accompagnata da un at- lante di 14 tavole nelle quali si trovano 188 disegni di diversi cristalli di Pirite, e la proiezione stereografica generale di tutte le forme finora osservate nella Pirite. Indi è che la Memoria dello Srtròver coll’atlante che la accompagna è a parere nostro una stupenda. illustra- zione di uno dei più interessanti minerali italiani, e quando si consideri la pertinacia, la pazienza, la dili- genza che richiedette, come anche la importanza delle novità che lo StrRUver vi trovò, come delle conclusioni che se ne possono dedurre, noi osiamo sperare che l’Ac- cademia vorrà accoglierla con favore ed anzi con plauso. Bartolomeo GaAsTALDI. Quintino SELLA, Relatore. Queste conclusioni vengono approvate. 304 È Lo stesso Socio Comm. SeLLa presenta e legge la seguente Memoria del Comm. Felice Grorpano, Ispettore delle Miniere. SULLA OROGRAFIA SULLA GEOLOGICA COSTITUZIONE DEL GRAN CERVINO. Nei tentativi d'ascensione del Gran Cervino pel versante italiano da me fatti or son due anni, già avea avuto occasione di travedere quanto uno studio completo di questo picco potesse esibire di seriamente interessante per l'esatta intelligenza della geologica struttura della parte orientale delle Alpi Pennine. Alto poco meno del Monte Rosa ed interamente formato di strati poco declivi, sorge esso di mezzo alle due profonde valli di Zermatt al Nord, e di Valtournanche al Sud, e la sua parte su- periore a forma di obelisco slanciasi isolata per circa 1,500 metri al disopra dei ghiacciai che ne cingono il piede. Tale forma spiccata e tale isolamento ne fanno oggetto alla giusta ammirazione de’ viaggiatori. Ma in pari tempo sono esse condizioni eccezionalmente propizie allo studio della sua geologica costituzione, permettendo di esami- narne le roccie passo a passo nella loro naturale succes- sione su più di 2,500" d’altezza verticale. Il caso è raro se non forse unico in quelle sconvolte formazioni degli altissimi nostri monti. In allora però il cattivo tempo, e più tardi altre occupazioni fuori d’Italia, m’impedirono di compierne lo studio. Ritornato in quest'anno a quelle 305 Alpi vi feci intorno diverse escursioni, e poi nei giorni 8, 4 e 5 di settembre, per un bel tempo, potei compiere l’ascensione del picco, montandolo pel lato d’Italia e scendendolo pel lato opposto della Svizzera. Oltre agli ordinari termometri, io portava meco un’aneroide costrut- tomi con ispecial cura da ELLior di Londra, ed un ottimo barometro a mercurio, sistema Fortin, che fu il primo a giungere su quella vetta poco tempo fa giudicata inaces- sibile. In tal modo potei non solo fare un esame geologico assai completo del picco, ma eziandio determinarne l’alti- tudine nonchè de’ suoi principali ridossi. Da alcuni dotti amici essendosi giudicato che possa riescire di qualche utilità il riferire sui risultati di questo esame orografico e geologico non tanto agevole del Cervino, ne presento qui il riassunto in pochi periodi. Vi annetto 3 tavole che presentano: 1.° L'aspetto del picco sui due versanti italiano e svizzero; 2.° La sezione geologica del picco stesso con le atti- tudini trovate de’ suoi punti principali; 8. Due sezioni geologiche generali ad angolo retto, cioè E. O. e N. S.; le quali mostrano la sua geognostica relazione con li monti vicini. Non narrerò l’ascensione cui esposi in altro scritto. Soltanto dirò come per impulso dei due Club alpini, italiano e svizzero, vennero da poco costrutte sui due versanti opposti del picco ed a grande altezza, due ba- racchette di rifugio in pietra. Quella sul nostro versante è al sito detto la Cravate, oltre li 4,100" d’altitudine, appunto dove nella ascensione del 1866 io sorpreso dal cattivo tempo avea passati 6 giorni senz'altro riparo che uno sporto di rupe. Credo che questo sia il più alto 306 rifugio d’Europa. La baracchetta svizzera costrutta solo in quest'anno trovasi, come vedremo, un 300" più in basso della nostra. Per le mie determinazioni barometriche io potevo ri- ferirmi a due stazioni inferiori. Una è quella di Aosta diretta dal benemerito Canonico G. CarrEL, e che si ritien fissata a 600" precisi sul mare. L’altra era in un casolare dello stesso Canonico detto di Avouil, poco sotto alla cappella del Breil, e perciò quasi al piede del Cervino. L'altitudine di questa venne accuratamente de- terminata dallo stesso Canonico in 1,980”. Il mio Fortin, già paragonato ai due ottimi barometri quasi identici di Avouil e di Aosta, avea d’ uopo d’un aumento di circa illim per segnare la pressione assoluta. Ciò posto, ecco dapprima alcuni dati orografici. Il picco sorge a 15 chilom. circa all’Ovest del Monte Rosa. Guardandolo da un qualche sito elevato presso a questo Monte facilmente si riconosce far esso parte d’una vasta corona di picchi analoghi assai di forma, benchè meno acuti, li quali a distanza varia circondano d’ogni parte questo secondo colosso granitico delle Pennine. Tai picchi analoghi sono, sui versanti svizzeri li detti Dent-Blanche, Gabel, Roth e Weisshorn, ed oltre la Viege alcune punte dell’Alphubel, del Rimpfisch, ecc., e poi altre consimili, benchè più basse, sul versante italiano. Tutti questi picchi appaiono formati come il Cervino da una regolare successione di strati tutt’ attorno rialzati verso lo stesso Monte Rosa. La forma speciale del nostro picco è all’ingrosso quella di una gigantesca piramide con 5 faccie principali, di cui 3 guardano la Svizzera e 2 l’Italia. La più ripida, tanto che in parte strapiomba, è quella rivolta proprio 307 al Nord e che dà sul dirotto ghiacciaio detto del Matterhorn. Per essa caddero gli Inglesi nella prima ascensione del 1865. Le altre il sono assai meno, però sempre tanto che un corpo cadente sovra esse non trovi ad arrestarvisi che al piede. Vedonsi infatti li massi che tratto tratto nel disgelo si staccano dalla cima e dai fianchi, balzare con successive parabole ed infrangersi in valanghe terribili che vanno poi a perdersi negli inferiori ghiacciai. La cima della piramide non è una punta, bensì una cresta orizzontale quasi tagliente a guisa di cuneo, lunga 180” e diretta Est-Ovest. Più in basso sullo spigolo occi- dentale trovasi altra simile cresta detta la Spalla, ma più addentellata. Vi si passa su nel salire il picco dall'Italia e talvolta con la neve fresca essa non è il tratto più facile dell’ascensione. Queste vette, come in generale le parti più salienti delle rupi del picco, sono smaltate da croste nere, vitree, traccie dei fulmini che nelle frequenti bufere le percuotono. I licheni però vi abbondano nelle fessure ed anche sulle ultime punte. Ecco l’altitudine di alcuni fra li punti più interessanti. I calcoli vennero fatti dal Canonico CARREL con le tavole di DELCROS. Colle del Leone che congiunge il picco al canlraiorie. OGCITEOIAO enti Ente era 3,610 metri Baracca di rifugio al sito della Cravate .. 4,122 » Punta Tyndall sulla spalla ............. 4,273 » Vellandel-pieco ‘iL. lai aero 4,505.» BoracHa, SVIZZETA. Lu. pegate deo rica O TO Circa all’altitudine della vetta estrema noterò che la colonna barometrica letta alle 2 pom. con l’aria oscillante intorno a 0°, il mercurio a + 5°, era in media 449" 10. 308 ? Riferendosi alle due stazioni di Aosta e di Avouil sopra indicate, si trovano rispettivamente le due cifre quasi identiche di 4,504" 80 e 4,505" 40, la cui media è 4,505. Il Saussure dava per simile altezza determinata con una operazione trigonometrica 4,522"; però questa altitudine pare un po’ eccedente, come lo era quella da lui adottata pel colle di S. Theodule. La carta svizzera Durour dà invece 4,482". La media sarebbe incirca la cifra trovata col barometro, la quale per conseguenza parmi potersi ritenere come assai attendibile. Sulla stessa vetta lasciai legato ad un bastone un ter- mometro a minimum di CaseLLa. Temo però che la sua scala negativa sia insufficiente per segnare il minimum assoluto dell’inverno. Credo ancora utile riferire qui l’altitudine d’un punto dei dintorni molto interessante, cioè il colle di S. Theodule che mette dalla Valle Tournanche a quella di Zermatt. Ivi esiste una baracca la quale nel 1865-66 servì per 13 mesi d’osservatorio meteorologico al signor DoLLFUs- Ausset di Mulhouse pel suo gran studio su’ghiacciai. Diverse determinazioni barometriche assai concordanti da me fatte in quegli anni, m'avean dato per altitudine del sito 3,332", Altre due determinazioni di quest’anno, benchè un po’ diverse fra loro, mi diedero ancora in media 3,334", Ora quella baracca è circa 16" sul vero colle naturale pel quale la carta svizzera Dvrour dà la cifra 3,322". Vi sarebbe dunque una bella concordanza. Quanto all’ aneroide debbo dire che, malgrado fosse senza dubbio l’uno dei migliori, esso nelle grandi varia- zioni di livello presentò il solito inconveniente del ritardo nelle sue indicazioni, ritardo che talora si verificò di gmillim per ogni 1,000" d’altitudine. Ciò non impedisce 309 che sia uno strumento prezioso per le determinazioni di punti secondari, sovrattutto poi ne’ siti scabrissimi. Ometto per brevità diverse altre osservazioni di qualche importanza relative alla meteorologia del sito e vengo alla parte geologica. Il Gran Cervino consta da cima a fondo di una suc- ‘cessione assai regolare di roccie stratificate, aventi una declività generale verso 0. N. 0., ossia eguale acclività verso il prossimo Monte Rosa. Partendo dal Breil sul versante italiano, e rimontando pei fianchi del picco sin . verso li 3,000» d’altitudine, sempre vedesi una forma- zione medesima di strati scistosi assai caratteristica, la quale regna pure vastamente all’intorno, sia nella Valle Tournanche sin giù verso Chatillon, sia rimontando ai colli di Furgen, di S.* Theodule, alle Cimes Blanches, e che forma ancora le masse del Breithorn e dei Gemelli appoggiate al nucleo de’ micascisti e gneis granitoidi del Liskamm e del Monte Rosa. Tale formazione comprende essenzialmente de’ scisti color bigio o verde cupo, ora serpentinosi, or talcosi, or cloritici, or anfibolici, tutti sovente granatiferi. Tali scisti presentano aspetto un po’ diverso, secondo la struttura loro e composizione; così quelli serpentinosi passano talora a masse compatte simili alla serpentina massiccia; tal altra ad una vera eufotide o granitone con distinti cristalli di felspato e diallagia; in altri siti presentano molteplici vene d’asbesto ed arnioni di liscia steatite e di pietra ollare. Assai varietà presen- tano pure gli scisti anfibolici, ma perlopiù l’anfibolo vi sì presenta in cristallini o bacilli neri. Questi scisti di sili- cati alternano con banchi di calcare cristallino micaceo o talcoso a superficie lucenti e colore bruno assai carat- teristico. Questo calcescisto è tutto sparso di venule ed x 20) 310 arnioni di quarzo, e ciò malgrado assai facilmente sisfacela. Esso forma banchi di varia grossezza intercalati agli scisti suddetti; talvolta però acquista una potenza notevolissima e domina sopra vaste zone delle regioni alpine. Però oltre a questi calcescisti la stessa formazione presenta de’ banchi più o meno grossi di calcare più o meno cristallino, ora puro, ora dolomitico, ora molto selcifero, nonchè dei banchi od arnioni di vera dolomite, di carniola, di gesso e di quarziti bianche in lastrelle tegolari. General- mente queste ultime masse calcaree e quarzose non for- mano strati regolari di grande estensione, ma una serie di banchi od amigdale che paiono ripetersi e sostituirsi sovra un determinato orizzonte geologico, mancando in certi siti ed abbondando- in altri. Così per esempio le dolomiti, li gessi, le carniole e quarziti, mentre appaiono in diversi siti vicini sui fianchi della Valle Tournanche, non s'incontrano punto alla base del Cervino sulla linea che si segue facendone l’ascensione dal Breil. Seguitando quest’ascensione dall'Italia sul contrafforte occidentale, e giunti verso li 3,000” d’altitudine, dopo un banco del sovradescritto calcescisto si passa prima a certi scisti finissimi color verde chiaro, indi quasi d’un tratto ad una massa enorme di massiccia e decisa eufotide. Li suoi elementi (felspato bianco-verdognolo e diallaggia verde-olivo) sono or mediocri or grossi assai, e la roccia stessa è sovente solcata da vene euritiche biancastre. Simile massa di roccia cristallina, la quale, da quanto osservasi, appare intercalata fra li banchi scistosi, non cessa che poco sotto al colle del Leone, presentando così in quel sito l'enorme grossezza di circa 500". Io vidi questa massa medesima ricomparire al piede N. 0. del picco sul ghiacciaio di Zmutt, anzi protendersi, benchè 311 già più sottile, al di là del ghiacciaio sul fianco dello Stockje e del Schonbiihl. Invece (fenomeno assai curioso) nulla più ne appare su tutto il fianco N. E. del picco medesimo, fianco per cui son disceso a Zermatt. In questo lato l’eufotide è rimpiazzata da un gneis talcoso con fre- quenti zone bianche quarzifere 0 di petroselce. All’Ovest poi del Cervino sotto al Monte Tabor ossia Dente-di-Herens, la roccia eufotidica scompare eziandio fra lo gneis talcoso che diviene poi nell’alto la roccia dominante. Tale enorme massa di granitone formerebbe pertanto in quel sito, come le annesse sezioni lo indicano, non altro che una grossa amigdala, la quale da ogni lato fa transizione allo gneis talcoso. Simile passaggio poi vedesi ben chiaro sul fianco della gran rupe dello Stockie ove l’eufotide diffusa in più vene sembra sfumarsi entro lo gneis medesimo. Sopra al colle del Leone (3,610"), e dopo alcuni scisti color verde chiaro ma sovente macchiati di ferruginoso, incomincia la formazione di gneis talcoso verdognolo, che costituisce poi tutta l’erta piramide. Questo gneis, o protogine scistosa che voglia nominarsi, presenta qualche varietà, ma è più sovente a grossi noccioli di quarzo e felspato con aspetto porfiroide. In alcuni siti esso alterna con scisti micacei o talcosi e con zone quarzitiche. Per esempio al sito della baracca di rifugio dal lato d’Italia, una zona talcosa formò col suo sfacelo una lunga scarpata che trattiene la neve, cui si diede il nome di Cravate. Un po’ sotto a questa Cravate, nonchè in alto affatto cioè a pochi metri sotto la punta del picco, trovansi ancora esili zone di scisti verdi serpentinosi analoghi a quelli della formazione inferiore, ma in niun punto della pira- mide vidi ripetersi li banchi calcarei. La vetta è di un gneis molto quarzoso tutto fulminato alla superficie. 342 Questa formazione dello gneis talcoso di oltre 1,000" di potenza riposerebbe in concordanza sulla formazione calcareo-serpentinosa del basso , presentando pure lo stesso leggero rialzamento verso il Monte Rosa. Sul ver- sante Nord del picco osservansi a diverse altezze notevoli rotture e contorsioni nei banchi della roccia; però questi disturbi non paiono affettare tutto il monte e non avere perciò che una secondaria importanza. Scendendo poi dal picco verso Zermatt lungo la costiera dell’Hornli, e visitandone il piede Nord sul ghiacciaio di Zmutt, vedonsi escire di sotto allo gneis li soliti scisti calcarei, serpentinosi, cloritosi e anfibolici con la loro inclinazione istessa che aveano al Sud ed in evidente proseguimento dei banchi che affiorano ai colli di Furgen e del Theodule. Il seguito poi degli stessi banchi, ma ricchi di dolomite e di carniola, vedesi ancora sul fianco Settentrionale del ghiacciaio di Zmutt e della valle di Zermatt, immergentisi a Nord sotto la catena dei picchi Vallesi già sopra nominati della Dent-Blanche, Gabelhorn e simili. Credo qui utile lo insistere sul fatto che la sovrappo- sizione dello gneis talcoso alla formazione calcareo-ser- pentinosa è un fatto ben dimostrato dalla esposta sezione geologica del Cervino, e questo fatto, comunque sempli- cissimo in sè, ha la sua importanza come si vedrà più sotto. Qui sorgerebbe una prima questione. Qual è l’età geolo- gica delle roccie del Cervino? La risposta è per ora molto ardua. Tutte queste roccie sono certamente d’ origine sedimentare, ma oggidi sono affatto cristalline, nè ci pre- sentarono ancora traccia veruna di resti organici. Restano 313 dunque soltanto le induzioni tratte dal paragone di loro composizione generale, nonchè dal loro giacimento rispetto ad altre formazioni di epoca conosciuta. Io non ebbi campo a percorrere una zona sufficiente delle altre regioni alpine ove simile formazione largamente s’estende per poterne recare un proprio ben fondato giudizio; perciò non voglio presentare su questo punto delicato se non alcuni cenni a guisa d’ipotesi. La parte superiore della formazione calcareo-serpentinosa è resa caratteristica dalle dolomiti, carniole, gessi e quarziti. In diversi punti di questa zona stessa si trovano anche nelle Alpi delle sorgenti salifere. Ora sappiamo che simili sostanze sogliono in tante parti del globo caratterizzare l’ epoca del Trias. Tali conside- razioni insieme ad altre che paiono più certe e dedotte dalla stratigrafica posizione, indussero sommi geologi che molto la studiarono nelle Alpi occidentali, come Lory e FavRE, a situare tale zona dolomitico-gessosa precisamente nell’anzidetta epoca triasica. In diversi siti poi della valle d’ Aosta, a S.* Marcel, Champ-de-Praz, Ollomont, come pure ad Alagna, trovansi vasti lembi d'un banco di scisto cloritico granatifero, ricco abbastanza di pirite ferrosa e ramosa da costituire assai ricche miniere di rame. Secondo gli studi del geologo tedesco GeRLAcH simile zona ramifera potrebbe far parte ancora della formazione calcareo-ser- pentinosa in questione, però della zona sua più profonda ed antica. Una certa analogia potrebbe esistere tra questa fascia ramifera alpina e quella degli scisti ramiferi del Mansfeld compresi nel terreno Permeano che è sottoposto al Trias di Germania. La differenza nello stato litologico delle roccie dei due paesi non dovrebbe stupire, essendo noto che le roccie alpine subirono una alterazione poste- riore marcatissima, la quale le ridusse al loro presente 314 stato cristallino. - Esaminando poi la giacitura di questa formazione delle rocce calcareo-serpentinose, si trova che in diversi punti, come p. es. tutt'intorno al Monte Rosa, essa riposa sui micascisti, gneis e graniti di questo istesso monte. Tale soprapposizione si può ancora notare nelle Alpi Graie tutt'intorno al nucleo di gneis granitoide del gran Paradiso. Altrove come nella valle stessa di Zermatt poco sotto il villaggio ed in altri punti del Vallese, si vede la formazione riposare sopra micascisti pure anti- chissimi. Però in diverse località, come p. es. nello stesso Vallese ove il terreno antracifero alpino viene a giorno a Bramois presso Sion, ed altri siti lungo la valle del Rodano, vedesi che la formazione calcareo-serpentinosa, la quale, benchè sovente in vario modo contorta, sembra venire ad appoggiarvisi e ricoprirlo. Questo terreno antracifero delle Alpi, comunque limitato sovente ad esili zone, ritiensi ora come rappresentante del carbonifero. - Per altra parte al Col Ferret, al colle della Seigne, al colle di Fenetre ed in altri siti lungo la catena del Monte Bianco, vedesi la stessa formazione scistosa a contatto, anzi talora quasi incastrata per effetto di forti ripiegamenti e di intense com- pressioni, ora collo stesso antracifero, ora con banchi fossi- liferi a belemniti che sono considerati come liasici. Secondo gli studi fatti dal GerLacH nelle Pennine, il terreno antraci- fero sarebbe veramente inferiore alla formazione scistoso- calcarea; per altra parle quest’ultima è certamente inferiore al terreno fossilifero suddetto. In conclusione potrebbe ri- tenersi almeno come probabile l’ipotesi, che quella potente formazione del Cervino sia intermedia alla carbonifera ed alla liasica, corrispondendo cioè approssimativamente alle epoche dette: Permeana e Triasica. Ripeto però che questa è una semplice ipotesi desumibile dalle osservazioni 315 sovraesposte. Qui la importante questione vertirebbe sulla reale anteriorità del terreno antracifero, e perciò sarà es- senziale che simile fatto già ritenuto come vero da riputati geologi venga posto fuori dubbio con esempli incontestabili. Si presenta una seconda questione la quale concerne la vera costituzione geologica dei dintorni del Monte Rosa e specialmente dei picchi analoghi al Monte Cervino, li quali, come già dissi, cireondano questo colosso granitoide. Simile questione è a parer mio di facile scioglimento ora che possediamo un taglio assai esatto di questo picco e suoi dintorni. Se io qui ne tratto, si è perchè esaminando diverse carte geologiche di quei siti e discorrendo con qualche geologo vidi e udii esposte ancora oggidì certe idee che credo ripugnanti ai fatti da me osservati. Così p. es. in tali carte vedesi segnata in rosso la parte supe- riore del Cervino come anche del gruppo di picchi Vallesi più volte citati, come se per essere la roccia di quelle sommità uno gneis molto cristallino o protoginico, dovesse questo considerarsi come più antico od almeno di più profonda origine che non la formazione calcareo-scistosa, la quale si osserva tutt'intorno alla loro base. Conside- rando in modo particolare quel gruppo di picchi del Vallese e viaggiandovi intorno, si rivede sempre quest’ul- tima formazione, la quale nel ghiacciaio di Zmutt vi si immergeva sotto con declivio al Nord, emergerne invece nel Vallese con declive opposto come si osserva nella 2.2 sezione della Tavola 3.°. Se si ammettesse quell’idea della maggiore antichità dello gneis, si dovrebbe in pari tempo supporre che questa roccia spinta fuori dal sotto attraverso la formazione calcarifera, l'abbia rovesciata tutto intorno a se come si ammette essere accaduto per le protogini del Monte Bianco o per li gneis granitici del 316 Gottardo. Invero la vastità di quel gruppo di picchi gne- siaci e la disposizione a ventaglio che in alcuni siti si appalesa nelle sue roccie, potrebbero dare qualche appa- renza di simile disposizione; io però per quanto ne vidi non saprei ammetterla. Esistono bensì in quel gruppo di monti e specialmente sulla destra della Viege micascisti e gneis che paiono inferiori alla formazione calcarifera- serpentinosa; ma molti fra li picchi più prossimi al Rosa come la Dent-Blanche ed altri vicini, appaiono affatto identici di costituzione al Cervino. La sezione geologica di questo toglierebbe ora dunque ogni dubbio, poichè in questo monte non è ammissibile l'emersione dello gneis dal sotto, ma vedesi che il medesimo a malgrado del suo stato granitoide è evidentemente la parte superiore della formazione, come il proverebbe ancora quel ripetersi degli strati serpentinosi sino alla cima. Fra questi scisti verdi che si ripetono nella piramide del Cervino non si vedono lembi calcarei quali si trovano, sul prossimo contrafforte del Monte Tabor, al Chateau des Dames e altri punti; ma tale lacuna può essere un semplice caso dovuto od alla già avvertita scontinuità di quei calcari od anche ad una distruzione più forte avvenuta sulla cima del picco. Al Sud di Val Tournanche poi, sulle cime del Pillonet trovasi ancora lo gneis talcoso sovrapposto alla formazione calca- reo-serpentinosa. Non si potrebbe nella citata ipotesi spie- gare questa posizione dello gneis sul Cervino, sul Pillonet ed altri punti lontanissimi fra loro, se non supponendolo emerso da qualche sito centrale quale precisamente. il gruppo di picchi Vallesi della Dent-Blanche, Gabelhorn, ecc. e rovesciatosi poi in falde enormi tutto intorno sui siti ove ora sono quei picchi testè citati. Simile spaven- toso riversamento con cui soltanto potrebbersi spiegare 317 le indicazioni delle carte geologiche sovra citate, diventa una supposizione non solo rischiatissima ma inutile. La sovrapposizione degli gneis alla formazione calcareo-ser- pentinosa parmi invece la più naturale disposizione come ce la presenta la sezione semplicissima del Cervino. Adunque questo è il tipo che spiega chiaramente la strut- tura geologica di gran parte di quella regione alpina al- l’estremità orientale delle Pennine. La descritta formazione calcareo-serpentinosa superior- mente coronata da grossi banchi di gneis talcoso circonda quasi tutto attorno come un mantello il gran nucleo granitico del Monte Rosa. E qui ben mi torna il notare ancora la grande analogia, dirò quasi identità fra la natura e disposizione delle de- scritte formazioni con quelle studiate dal Prof. B. GAsTALDI nelle Alpi Graie e già dal medesimo descritte in una Memoria inserita nel Bollettino N.° 11 del Club alpino. Colà pure esiste una identica formazione calcareo-serpen- tinosa ch’egli chiama delle roccie verdi intermezzata di gneis, e tutta rialzata verso il Gran Paradiso, gran nucleo di gneis granitoide ricco di felspato ove più non appaiono elementi serpentinosi, calcarei od anfibolici ed il quale appunto corrisponderebbe per natura e posizione a quella del Monte Rosa nelle Pennine. Simile analogia balzava pure all'occhio mio in quelle stesse Alpi Graie quando nell’autunno del 1867 feci una escursione, benchè assai rapida, da Lanzo ad Aosta percorrendo una curvilinea ad Ovest del Gran Paradiso per la Valle Grande o di Stura, Ceresole, il Colle del Nivolet e la Val Savaranche. Ovunque mi apparve questa formazione delle roccie verdi rialzata attorno a quella massa gnesiaco-felspatica del Gran Para» diso e della Levanna; la svelta guglia della Grivola tutta 318 pure di roccie verdi vi rappresenterebbe in certo modo il Cervino. La stessa analogia esisterebbe ancora in altre sezioni delle Alpi Occidentali dallo stesso Professore rile- vate. È utile che l’attenzione degli osservatori di queste regioni alpine sia rivolta d'ora innanzi a simili tratti caratteristici, li quali assai gioverebbero a sintetizzarne la geognosia. Ritornando ora all'esame di quella formazione calcareo- serpentinosa che nelle vicinanze del Monte Rosa sembra misurare non meno di 3,000 a 4,000" di totale potenza, dirò che la medesima è di origine sedimentare, ma oggidì è tutta fortemente cristallina ed anzi in più alto grado nella sua zona superiore. L’esame delle sue roccie sva- riatissime e di quelle del'Cervino in modo particolare, è altamente istruttivo per far riconoscere quasi evidente quel processo di trasformazione detto metamorfismo (qualunque poi ne siano state la causa ed il modo), il quale ebbe azione sì vasta e potente nelle Alpi. Il passaggio graduato di una roccia dalla struttura finissima a quella più decisamente cristallina e granitoide si osserva in più siti e chiaramente. Così la transizione lungo un banco medesimo dello scisto serpentinoso fogliaceo alla serpentina compatta ed all’eu- fotide o granitone, il passaggio di questo allo gneis talcoso o viceversa, le quasi infinite varietà della tessitura negli scisti e della natura dei cristalli che vi sono disseminati sono fatti frequentissimi ed eloquenti. Quelle grandi masse od amigdale di roccie granitoidi, quale sarebbe il banco d’eufotide esistente al piede Ovest del Cervino, non appa- riscono come eruzioni di roccie ignee, ma piuttosto come semplice effetto di diverso aggruppamento molecolare av- venuto in forza di condizioni speciali fisico-chimiche che in quella parte si verificarono. L’associamento poi in una 319 stessa formazione delle roccie serpentinose ossia magne- siache a quelle calcaree, fenomeno così frequente e forse non ancora bene esaminato, e la persistenza del carbonato calcareo in mezzo a tante potenti cause di decomposi- zione, sono due fenomeni che pure vi si presentano in scala vastissima allo studio del geologo. Non sarà forse dato che a futura generazione di naturalisti il raccogliere pieni frutti da un campo sì fecondo, e giungere all’esatta cognizione del modo in cui si formarono le tante roccie cristalline che ora vediamo costituire quelle tormentate catene di monti; ma più esse si studiano e più parmi sì venga indotti ad eliminare l'antica idea dell’intrusione di roccie ignee veramente dette ossia fuse e ad altissimo grado di temperatura, ed a spiegare invece la formazione delle roccie massiccie già credute ignee nonchè il meta- morfismo esteso su regioni immense e su potenze di strati di molti chilometri, con il processo semplicissimo detto idro-termale dai moderni geologi. Sappiamo infatti che sottoponendo determinate proporzioni di silice, allu- mina, alcali, calce, magnesia, ossido di ferro, ecc., a prolungato benchè tenue grado di calore sotto grandi pressioni, si fabbricarono ormai tutti li minerali e tutte le roccie sia granitoidi sia scistose che si riscontrano nella natura. Un processo consimile può e deve aver avuto luogo negli antichi sedimenti cui ora vediamo così trasformati in scisti micacei, talcosi, cloritici, in calce- scisti, in gneis li più porfiroidi ed in graniti, con le infinite transizioni tra loro secondo le varietà di loro composizione e le condizioni di temperatura e pressione cui andarono esposti nelle grandi profondità sotto cui giacerono. E molte fra le masse cristalline dei così detti nuclei eruttivi delle Alpi, ben probabilmente altro non 320 sono che li più profondi sedimenti metamorfosati e ra- molliti, spinti poi fuori attraverso li superiori più recenti depositi dalle cause che operarono il corrugamento della crosta terrestre. Simile ipotesi di'un vasto metamorfismo prodottosi con processo tanto semplice e naturale, parmi il più atto a dare spiegazione di tutti li fenomeni delle roccie alpine, e tale è l'impressione che sempre ho rice- vuta ne’ miei viaggi. Tornando alla regione che abbiamo in esame, dopochè simile metamorfismo già erasi in tutto od in gran parte prodotto, il graduale sollevamento della enorme massa granitoide e gnesiaca del Monte Rosa portava ad emergere tutto attorno a sè quegli strati così induriti, nel modo stesso in cui nelle Alpi occidentali la massa di gneis granitoide del Gran Paradiso li sollevava pure intorno a Sè per una estensione grandissima. Questi due solleva- menti, ad una con quello del Monte Bianco al Nord, determinarono gli assi delle catene Pennine e Graie e con essi li tratti essenziali dell’orografia della Valle d'Aosta e vicine regioni. Intanto le fratture colossali che il sol- levamento del Monte Rosa e le successive ondulazioni producevano in quelle masse emergenti tracciarono le prime vallate e li contrafforti principali, cui poscia durante un numero immenso di secoli il corrodere delle acque e delle meteore allargarono e ridussero allo stato presente. L'ispezione delle annesse figure, ma più ancora la vista istessa di quelle desolate regioni da un alto punto cen- trale, danno una idea imponente della distruzione ope- ratasi in quegli strati antichi che già coprivano le roccie del Monte Rosa, nonchè del volume sterminato di detriti cui le correnti alpine ed i ghiacciai ne convogliarono alle regioni inferiori. Pochi ed esili testimoni salienti di tale 324 distruzione restarono gli alti picchi attuali, tra cui sin- golarissimo e molto istruttivo il Cervino. - La forma acuta e l'isolamento suo sono ancora in stretta dipendenza della sua geologica costituzione. La base sua è formata di quelle roccie sfogliose e calcarifere che non difficilmente sface- lansi, mentre la piramide superiore è di roccia cristallina molto quarzifera, la quale benchè soggetta a fendersi può per la sua durezza mantenere pareti scoscese e verticali. Li ghiacciai che ne coprono il piede mentre in parte proteggono questo da una ulteriore troppo rapida distru- zione, nel loro corso lento ma continuo, esportano li detriti delle valanghe di sassi che vanno precipitando dai suoi ripidi fianchi. Senza questi poderosi veicoli che ne spazzano il piede, forse già il picco sarebbe sepolto nelle sue rovine; mentre invece, malgrado lo spoglio secolare operato dalle meteore, esso sorge e sorgerà per moltissimo tempo ancora acuto ed ardito ad istruzione del geologo ed a meraviglia dei viaggiatori a cui presenta quasi in sè riassunto il fiero carattere alpino. Dopo la lettura della Memoria del sig. Comm. Grorpano, il Comm. Angelo Sismwonpa dice che non intende voler entrare in una discussione, non essendo presente l'Autore, ma si crede in dovere di far osservare che nella detta Memoria, in quanto spetta ai fatti in generale, ei vede con piacere che non differiscono essenzialmente da quanto scrissero su quel gruppo di monti i geologi che prece- dettero il sig. Grorpano. Circa poi alle conclusioni intorno all’epoca di talune di quelle rocce, egli crede che la 322 differenza dipenda essenzialmente da che l'Autore con- sidera la serpentina quale roccia nettuniana metamorfo- sata, mentre gli scrittori più recenti che trattarono della geologia delle Alpi, la pretendono una roccia plutoniana, la quale, come tale, disordinò le rocce stratificate, e, fra i disordini cagionativi, portò spesso a tale altezza le rocce antiche da farle sembrare sopragiacenti a quelle, com- parativamente ad esse, recenti. Intorno poi alle rocce dichiarate dal Grorpano Trias- siche, il Sismonpa fa osservare ch’esse appartengono al terreno antracitifero alpino, nel quale rocce con im- pronte di vegetali carboniferi sono intimamente associate a rocce contenenti una ricca fauna liassica (Colle des Encombres e altrove). Egli soggiunge che classificò quel terreno secondo il suo Maestro, il BeAUMONT, cioè secondo l'esigenza dei resti animali, somministrando questi per tal uopo un criterio più sicuro, che non le piante; inoltre perchè il numero di specie animali trovatovi è superiore a quello delle piante. È bensì vero, egli con- tinua a dire, che distinti geologi sostennero con molta vivacità, che le due specie di rocce fossilifere non sono coeve, e ne spiegarono l'alternanza mediante particolari piegature, ed anche con rovesciamenti. Ma da che si constatò altrove in Europa, ed anche fuori d'Europa, la riunione di fossili di età differenti, si ammette dalla mag- gior parte dei geologi che certe specie organiche siano ripetutamente comparse alla superficie terrestre. 10.4 ta del MI* TERVINID lato di Svizzera (NÉ) veni Giordano. Ascensione del M° Cervino (4868) = Ipo pp Fevest) aporboca ap: avporzon ewor a722)]» è ‘armobino suo spomba o pprrplimae rd n SENESE SA PIPUTOA 95 pa ndviromp va23660) vm odi Ur o 7 SITI £ TELA iaimazzobai mero onos mpparenò aquod Mm mibrionil ASA) UL si MranNzcoy MW tini PZUP)LANA]T ee =““ “= === === 3 2Y 22} 110 5109 3 NSIISDII fi VLdOS puriorsofn amsrodii |__V = ù QUIS DIOLIIIA 109 0249] PAIA BUOIPILLE/ 2727 = = = = = SF = - 640 TA 3498 I21T])D7SIHI v == — = 2927 0grfaro carri O 2920 -ouoluatip 375126776 20007 === =5S È CZIGIA = È UTC ASPSAPVIPTPUDY ALI PO VI] PIUDUSAMV ISO7I7OAS ? 9507L7 7227940]? aSOUYUITIIS Apt0n 25795 PP VUISSHI18POd 31.195 VII TIÒ nba n poro]? vpvsA A VI LO III apo) wo ]Ipv20] AsAAT 1] PACE) (ados FALLO) RJSIISAIFVI (foudes 11109) 272 9271.1079 773100 25795 (VI po 00/2 APP 02m ufo sdosasu109)0gs: ‘99979) 2907 77998]S ASSO OI 150270] asorrprradios 19272.4079 9p?.19A DISC FORMAZIONE CALCAREO- SERPENTINOSA A RSIIS VIULI]E OLI BOU è d1d1 109 7S1SIIFD) ) 08? 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Firenze Lit Rolla CATE 323 Adunanza dei 24 Gennaio 1869. LU PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Genoccni presenta a nome del Principe B. Boncompagni dieci esemplari d'una riproduzione lito- grafica della Lettera di Lagrange al Conte Fagnano fatta eseguire dallo stesso Principe, e offre tali esemplari come omaggio all'Accademia. Egli aggiunge d'esser pure incaricato dal Principe Boncompagni di farle sapere ch’esso è pronto a mandarle un maggior numero di esemplari, se l'Accademia ne desiderasse per inviarli ad altre Ac- cademie o ad illustri scienziati: volendo il medesimo Principe che il suddetto opuscolo, divenuto ora somma- mente raro, possa essere così meglio conosciuto per mezzo della fattane esaltissima riproduzione litografiea , mentre ad un tempo applaude alla risoluzione presa da questa Accademia di farlo ristampare ne’ suoi Atti. Lo stesso socio Cav. Genoccni legge le due seguenti sue Memorie: INTORNO AD UNA DIMOSTRAZIONE DI DAVIET DE FONGENEX, I primi due volumi delle Miscellanea taurinensia conten- gono alcune memorie matematiche di DAviet DE FONCENEX che farono molto applaudite quando si pubblicarono. I 324 dotti videro con meraviglia e rincrescimento che nessuna ne comparisse più nei volumi seguenti; e il MonTUCLA ne rende testimonianza nella sua storia (1). Ma la spie- gazione di questo fatto fu data dal DeLaMmBRE, il quale afferma avere LacranGE rivelato negli ultimi giorni della sua vita che a lui in sostanza appartenevano le Memorie pubblicate sotto il nome del FoncENEX, poichè questi rice- veva da LaGrANnGE la parte analitica de’ suoi lavori e non aveva se non da svolgere ed elaborare i ragionamenti a cui si riferivano le sue formole (2). Troviamo la medesima rivelazione nella Biographie universelle (3) ; nella nostra (1) Histoire des mathématiques, tom. III, pag. 136 (Parigi, 1802): « Je ne dois pas omettre ici M.r le chevalier Davier De FoncENEX, qui a donné, dans les premiers volumes des Miscellanea physico- mathematica socielatis privatae taurinensis quelques mémoires qui font regretter de ne plus voir son nom dans les suivants. » (2) Mem. de l’Institut, tom. XIII, anno 1812: Elogio di LAGRANGE, pag. xxxvj: « le jeune LAGRANGE ..... fournissait è Foncenex la partie analytique de ses mémoires, en lui laissant le soin de déve- lopper les raisonnements sur lesquels portaient ses formules. En effet, on remarque déjà dans ces mémoires cette marche purement analytique, qui depuis a fait le caractère des grandes productions de Lagrange. Il avait trouvé une nouvelle théorie du Levier. Elle fait la troisième partie (dovrebbe dire la quarta) d'un mémoire qui eut beaucoup de succès; FoncENEX, pour recompense, fut mis à la téte de la marine que le roi de Sardaigne formait alors. Les deux premières parties paraissent du mème style et de la mème main; sont elles également de Lacrance? Il ne les a pas expressement réclamées, mais ce qui peut diriger nos conjectures sur le vé- ritable auteur, c’est que Foncenex cessa bientòt d’enrichir les recueils de la nouvelle Académie ; et que MontucLA, ignorant ce qui nous a été révelé par M. LacranGe è ses derniers instans, s'étonne que FoxcENEXx, après s’étre annoncé si avantageusement, alt interrompu des recherches qui pouvaient lui faire un grand nom. » (3) Ivi il nome è scritto Foncenet (Vedi a questa parola, pag. 168 - edizione di Parigi 1816). 325 Accademia alcuni anni addietro furono, sovra proposta del Barone PLana, fatte ricerche per iscoprire se fosse possibile le tracce della cooperazione di Lagrange alle scritture del FoncENEX, ma senza frutto (1). L’invenzione che LaGrAaNGE ha secondo DELAMBRE riven- dicata espressamente a sè stesso, è quella d’una nuova teorica della leva stampata nel secondo volume delle citate Miscellanee , pag. 320. Questa teorica è divisa in due parti di cui la seconda fu accettata senza discussione , mentre la prima che tratta il caso di due forze eguali , parallele e cospiranti applicate ad una leva retta, fu dai geometri riconosciuta come difettosa, e DALEMBERT dap- prima con raziocinii che sembrano poco soddisfacenti, poscia Fourrer in modo più plausibile cercarono di emendarla (2). Chiamata P l’intensità comune delle due forze applicate, 2x la loro distanza, R l’intensità della risultante , il FonceNEX stabilisce per la legge d'omogeneità l'equazione R=Pp{x), ove (x) denota una funzione di x da determinarsi, e per mezzo di considerazioni molto facili e chiare giunge alla relazione pa =2+(22), che dovrebbe servire a trovare (x). Ma egli da questa relazione conchiude senz'altro, che (x) deve essere (1) Mem. Accad. di Torino, 22 serie, tom. XI. Vedi Parte storica, pag. xliv e xlv: adunanze 9 e 23 gennaio 1848. (2) D’ALeMmBERT nel volume dell’Mistoîre de l’Acad. des sciences di Parigi pel 1769, pag. 285. - Fourier nel Journal de l’école poly- technique, 5.° cahier (anno vi), pag. 5I. 21 rA4 326 costante, e facendo x=0 ne deduce p(a)=2. Ora notò DAaLEMBERT che può soddisfarsi alla medesima relazione prendendo (2) =" +57" con d costante arbitraria, e più tardi questa osservazione fu ripetuta da LapLace, il quale, applicando alla indicata relazione i suoi metodi d’integrazione per le equazioni a differenze finite, trovò che per dare a g(x) il valore più generale possibile bisogna supporre la quantità b funzione loga (1) log2 \° L’errore di FonceNEx è ricordato anche dal Lacroix nel suo gran Trattato, tom. III, pag. 225, e vi è data pure la soluzione generale della menzionata equazione. Ecco adunque ‘in che peccava la dimostrazione di FoNcENEX, 0, per dire più esatto, di Lacrance. Ma quan- tunque erronea mi sembra assai notabile per un singolare nesso che può stabilirsi tra essa e una nuova geometria ideata prima di tutti dal sommo Gauss, e poi dichiarata e illustrata da LopatcHEFFsKy e BoLyAaI e distinta ora col nome di geometria immaginaria o non euclidea. Imperocchè se alla funzione @(x) si attribuisce il valore 2 ammesso. da Foncenex, ne risulta il postulato d’Euclide intorno alle parallele e la geometria euclidea; se invece si ritiene © (@) per una funzione della forma che indicarono DALEMBERT e LAPLACE, si ottengono le formole della geometria imma- ginaria independente dal postulato d’Euclide. Mi riservo di esporre in altro scritto che avrò l'onore arbitraria di sen27z e cos27z, facendo z= (1) Mémoires présentés par divers savants , tom. VII (anno 1773), pag. 74. 327 di presentare all'Accademia la dimostrazione di. queste proposizioni; e finisco notando che le relazioni analitiche tra due forze concorrenti e la loro risultante, delle quali dovrò valermi, rimangono le stesse nel sistema della geometria immaginaria come in quello della geometria euclidea, quantunque ricevano una diversa interpreta- zione geometrica. INTORNO AD UN TEOREMA DI CALCOLO DIFFERENZIALE. Le prime nozioni del calcolo differenziale bastano per dare una dimostrazione semplice e chiara del teorema seguente che determina il limite di una derivata parziale. Sia (x, a) una funzione di due variabili indipen- denti x e a; e supponiamo che pei valori di x compresi in un dato intervallo e per « prossimo ad un valor par- ticolare «=, la derivata parziale della funzione presa rispetto ad x si mantenga finita e determinata; suppo- niamo inoltre che per a=a, la stessa funzione abbia un limite (x), e che anche questa funzione y(r) abbia nel medesimo intervallo una derivata finita e determi- nata +'(x). Dico che se la derivata parziale pz'(x,a) ha un limite per a=a, questo limite sarà la derivata Y'(x). Per dimostrare questa proposizione ricorderò che se- condo la definizione della derivata si ha tra una funzione f(e) e la sua derivata f'(x) la relazione 328 ove e rappresenta una quantità che tende indefinitamente verso zero con h; da ciò si deduce p(r+h,a)—p(a, =hp'a (cr, a+ ho, y(e+h) —Loa=hly' (+ ha' , supposte @ e o' due quantità infinitesime con h. Ma dev'essere per A abbastanza piccolo lima g(£,a)=Y(x), lim. p(r+h,=Yy(r+h), , e quindi lima[g(r+h,a)—p(c,a)}=Y(r+h)—W(2), prendendo i limiti qui indicati pel valore a=4,: dunque sostituendo e dividendo tutto per A, avremo lima@r (1, a) +limo=Y'(0) +0 , ossia lima pe (jo — d'(e=d—limo . Ora +'(x) ha un valor determinato, e si suppone che anche lima gx (2,4) abbia un valore determinato; per ciò il primo membro ha un valor determinato, e dovrà averlo anche il secondo. Ma il valore del secondo si può render piccolo quanto si vuole prendendo A sempre più piccolo poichè a e a' decrescono indefinitamente con h: dunque il valor fisso del secondo membro non può esser altro che zero, e così devesi conchiudere i | limage' (cr a)=d' (e). Pertanto è dimostrato l’assunto. Questo teorema fu annunciato dal sig. BLancHET nel giornale di LiouviLLe (tom. VI, pag. 67-68, anno 1841); poscia con poca diversità dal DumameL ne’ suoi Eléments de calcul infinitésimal (tom. I, pag. 257; Parigi, 1856); dal 329 BertrAanD nel suo Traîlé de caleul differ. (tom. I, pag. 135; Parigi, 1864), e dal SerrET nel suo Cours de calcul diff. et int. (tom. I, pag. 73; Parigi, 1868). Ma le dimostrazioni che ne hanno date (eccetto il BerTtRAND, il quale afferma solo e non dimostra essere indifferente l’assegnare ad « un valor particolare prima o dopo la differenziazione) sono tratte dalla nota equazione f(e+h)—f(a)=hf'(@+0h) senza che apparisca come siano soddisfatte le condizioni necessarie per la sua sussistenza, nè come possano appli- carsi al caso presente i ragionamenti fatti per ottenerla. Deve anche avvertirsi che nelle applicazioni non si tratta propriamente di valori particolari della funzione @(x,a) e della sua derivata nel caso di a=,, ma di limiti verso cui tendono mentre « si accosta ad «,; e quindi può giustamente opporsi col Prof. LinpeLòF (Acta societatis scientif. fennicae, tom. VIII, 1867, pag. 205-213) l’esempio della funzione asen— che ha il limite zero per a=0, mentre la sua derivata cos- non ha limite, e mentre x anche in prossimità di «=0 sono adempite tutte le con- dizioni di continuità. E così vediamo espresse alcune condizioni di continuità che sono superflue e taciuta la condizione più essenziale, cioè che si sappia avere un limite fisso anche la derivata. Il teorema sopra esposto può servire a dimostrare che differenziando rispetto a più variabili si può cambiare l'ordine di esse, e a questo fine l’ha usato il sig. BLANCHET. Il SerReT ha dimostrata una tal proposizione in un altro modo che io stesso aveva seguito nelle mie lezioni uni- versitarie prima della pubblicazione dell’opera del SerRET. 330 Ma per applicarlo (come hanno Da DUHAMEL e SERRET) a provare che Di è il limite di i nel caso di Ax=0, Apo dy Ax da zione dix e Ax nulla per Ax=0, converrebbe aggiungere dopo scritta l'eguaglianza +: ove e è una fun- 2 z de qualche spiegazione per mostrare che veramente pa tende verso un limite fisso mentre Ax tende verso zero, oppure (usando le parole del SerrET) che la stessa quantità è continua nel caso di Arx=0. Quella proposizione può esser dedotta dall’altra egua- glianza facile a dimostrarsi A"f(e)=hhrha... nf" (£+Oh+0hrt... + bn ln) , in cui Ah, Mi, Àh,, --. hn-1 sono gli incrementi successivi di x, ei coefficienti 0, 4,, 0, ...0n-: sono quantità inco- gnite comprese tra 0 e 1 (°). (@) V. GruneRT, Archiv der Mathematik, tom. XLIX, fasc. 3.9 Ecco un’altra dimostrazione molto semplice. Posto. v=fia), h=da, si ba. 4y=fW+hM—-/2)} LAM ps4m-pa=df=4(7) ; SRITA dy° 1. A) dy, dv e quindi facendo da cl snesgiogl! possiamo dedurne 721 ip» D'altra parte la formola sopra citata darà dn LAY, EA IPA BP n rita) c) Ag, chiamate e,; e' due quantità infinitesime con 42: dunque Ay,_ du d°y __d°y =I7 +e+e ossia — 5+e+e 4a x al dx da K943 Pa i dy d'y Fa da donde lin In modo simile si passa a di o 200 331 È affine al medesimo teorema sopra dimostrato un lemma, di cui si valse il sig. LAMARLE per poter differen- ziare sotto il segno M da lui introdotto ed equivalente al- l'integrazione (Journal de Liouville, tom. XI, pag. 257, 1846); e sta in questo che se per n infinito si ha limp(y)=0, sarà sen ny dg g'(y)=cosny; e bisognerà per rendere il lemma esatto presupporre che anche ©'(y) abbia un limite fisso per n infinito. pure lim p'(y)= 0. Puossi obbiettare il caso di p (yY)= Avverto, sebbene non sia forse necessario, che in quanto precede tutti i valori s'intendono essere reali. Il Socio Conte di S°-Rosert, relatore di una Giunta esaminatrice, legge il seguente parere sopra una Memoria manoscritta del sig. Cav. Giorgio FoscoLo, Professore di Matematica nella Regia Militare Accademia, avente per titolo : Descrizione ed uso del declinatore orario. Il Prof. Giorgio FoscoLo ha presentato all'Accademia uno strumento da lui chiamato Declnatore orario, ed uno scritto che ne contiene la descrizione e l’uso. Il Declinatore orario rientra nel novero degli orologi solari equatoriali, ma si distingue da questi per la par- ticolarità di fornire ad un tempo l’ora media o la vera, e la direzione della meridiana senza il sussidio della bus- sola, che fa parte degli orologi solari più comunemente usati. Cosicchè detto strumento nel procurare l’orientazione in modo indipendente dall’ago magnetico, può servire a determinare la declinazione di questo. Ed è appunto perciò che l'inventore lo ha chiamato Declinatore orario. 332 Questo strumento risolve senza verun calcolo il: pro- blema in cui si domanda di dedurre l'ora del giorno e l’azimutto del sole dall’osservazione dell’ altezza solare, essendo date la latitudine della stazione e la declinazione del sole. Rispetto all’esattezza non vha dubbio che è preferibile il metodo di misurare col teodolite l'altezza del sole e risolvere quindi il triangolo sferico, i cui vertici sono il polo, lo zenit ed il sole. Ma ove non si ricerchi grande precisione, lo strumento del Prof. Foscoro offre il van- taggio di dare una soluzione rapida del problema ed acces- sibile ad ognuno. Difficile sarebbe lo stabilire @ priori qual grado di approssimazione potrà dare questo strumento quando sia costrutto con ogni cura. Il modello presentato è, secondo l'inventore stesso; ben lungi dall’offrire. in tutte le sue parti la desiderabile esattezza di costruzione; anzi egli medesimo si propone d’introdurvi modificazioni e perfe- zionamenti. Ad agevolare e semplificar la costruzione del Deck natore, forse varrebbe meglio sopprimere la curva del tempo medio, e dare con esso il solo tempo vero, inci- dendo invece sul suo quadrante, o sul piede, una tavoletta che indicasse l'equazione del tempo di 5 in 5 giorni pel calcolo dell'ora media. Ad ogni modo lo strumento del Prof. FoscoLo è molto ingegnoso, può adoperarsi con grande facilità e rapida- mente orientarsi, così che può riuscire utile ne’ viaggi, specialmente nelle mani delle persone poco versate nelle scienze matematiche, o non munite di strumenti più dilicati 339 e precisi. Proponiamo in conseguenza che il Prof. Foscoro venga confortato a dare la massima possibile esattezza al suo declinatore, e che intanto il suo scritto sia stampato ne’ volumi delle Memorie dell’Accademia. Govi. St-RoserT, relatore. Queste conclusioni sono approvate. Il Socio Comm. RicneLmy presenta e legge due Me- morie del sig. Ingegnere Ferdinando ZuccnertI, Assistente alla cattedra di Meccanica della R. Scuola d'applicazione per gl Ingegneri, le quali si pubblicano. INTEGRALI SIMMETRICI. Formola degli integrali simmetrici. — Sia la ‘ linea primitiva ABC (fig. 18) simmetrica rispetto all'asse Fig. 1.8 R' delle y, ed avente per equazione y=F (x). La suppongo inoltre cosiffatta, che ad un valore qualunque di 334 corrisponda un solo valore di y. Sia poi la linea ausiliaria MN (fig. 23) simmetrica rispetto alla retta OL bisettrice Y Fig. 2.3 “ N ef x "I aki È I i x dell'angolo retto XOY, ed avente per equazione y=? (x), e tale che ad un valore qualunque di x corrisponda sempre un valore unico di y. Dico che sussiste la se- guente relazione : c—-9(c) c fraraz= frtometati» SE, È g(c) Sono questi gli integrali definiti che io chiamo integrali simmetrici. Dimostrazione. — Dimostrerò la formola (1) geo- metricamente. Sia 4'B'C' la linea che ha per equazione y=F[r—g(x)] (fig. 1°); e che io chiamerò linea nuova. Vediamo il modo di costrurre la linca nuova. Prendasi un’ascissa O0P=c sull’ asse delle x di ciascuna figura. Mediante la linea ausiliaria si trova g(c) =P0. Si porti sull’ asse delle x della fig. 1° la lunghezza PQ da P verso Q, resterà l’ascissa 00=0P—PQ=c— p(c). Si trovi l’ordinata corrispondente Qn della linea primitiva, e si 339 prenda Pn'=Qn. Il punto n' appartiene alla linea nuova. Prendasi poi l’ascissa 0R=%(c), e si ripeta la costruzione fatta or ora. Si comincia a trovare l’ordinata RS=c stante la simmetria della linea ausiliaria rispetto alla retta OL. Resta l’ascissa negativa OS=0R—RS=g(c_—c=—|e-g()}=—00 L’ordinata Sm corrispondente della linea primitiva è uguale a Qn, stante la simmetria della linea stessa rispetto all'asse delle y. Si porti Rm'=Sm; il punto m' appar- tiene alla linea nuova. Chiamo coniugati i due punti m', n' della linea nuova. I due punti coniugati hanno ordinate o} LI i mn uguali. Si ha inoltre mn=m'n'=-< Infatti ‘ m'n=PR=0P—0R=c—@(c) e parimente mn=00=0P—PQ=c—g(c) . Essendo m'n'=m,n sarà ancora m'n'dy=mymndy; risulta quindi la verità della equazione (1), in cui si uguagliano due aree finite, aventi tutti gli elementi situati ad uguale distanza dall'asse delle x rispettivamente uguali. Per g(c)=0 la formola (1) diventa Seorsa= (rte-epae Sa gdt(2). Osservazione £.° — Dalla costruzione fatta risulta, che la linea nuova ha un andamento analogo a quello della linea primitiva, e si potrebbe anche supporre nata dal trasporto continuo delle doppie ascisse della medesima ridotte a lunghezza metà. Del resto continuano a suc- cedersi nello stesso ordine i punti di ordinata massima, minima e zero. 336 x Analogamente si potrebbe tentare di modificare la forma di certi solidi di volume conosciuto, facendo prendere agli elementi nuove posizioni mediante opportuni movi- menti di traslazione e di rotazione, accompagnati talora da una riduzione in proporzione costante; e si otter- rebbero per avventura relazioni analoghe a quella che è oggetto del presente studio. 2.° Si è supposto che nel costrurre la linea nuova si facesse sempre uso della stessa linea ausiliaria y=® (2), ma è evidente che si avrebbero ancora due aree uguali, quando nella costruzione dei diversi punti della linea nuova si facesse uso di tante linee ausiliarie diverse. Però, affine di ottenere una linea nuova continua, richiedesi che passando da un punto m' di questa linea al punto consecutivo la linea ausiliaria varii pochissimo; ed è indispensabile che i punti coniugati derivino da una stessa linea ausiliaria. Si può anche soddisfare a queste condizioni sostituendo ai parametri costanti della fun- zione ausiliaria g(x) altrettante funzioni continue della ordinata y e tali che assumano un valore unico cor- rispondentemente ad un valore qualunque di y. ®.° Se la linea primitiva soddisfa alla condizione, che ad ogni valore di x corrisponda un valore unico di y, anche la linea nuova soddisfa a tale condizione ; epperò, se la linea nuova sia ancora simmetrica rispetto all’asse della y, si potrà applicare nuovamente la formola degli integrali simmetrici. 4. Se la linea primitiva sia simmetrica rispetto ai due assi, si potrà procedere alla costruzione della linea nuova modificando prima le ascisse, sostituendo cioè e— (x) alla semplice x. Questa operazione non distrugge la simmetria rispetto all’asse delle x; si potrà quindi limi dita 337 procedere alla costruzione di una seconda linea nuova modificando le y, introducendo cioè y— @:(y) invece della semplice y. Le modificazioni indicate si possono fare o nell'equazione esplicita, o nell’equazione implicita della linea primitiva. 5. Tutta l’area nuova compresa nello spazio ango- lare XOY uguaglia l’intiera area primitiva compresa nello stesso spazio, sempre quando l’ascissa estrema della linea ausiliaria non sia minore dell’ascissa estrema della linea primitiva. Applicazioni, Passo a fare alcune applicazioni delle cose fin qui esposte. La formola degli integrali simmetrici serve a dedurre alcuni integrali definiti da altri integrali definiti. Fra le più semplici linee ausiliarie si hanno: il circolo d’equazione xa +y*=a?, donde p(a=Va—a?; e l’iper- bole equilatera d’equazione xy=a?, donde. p(o)=— È 8. Si ha questo integrale definito CITI I ORTONA (a) (14 002)" 204600 n 272 fi de donde si deduce quest'altro I 0 di valgscatci oto) 2n_-3. 7 (8) (are) gar 24 6 Qn— 22 " o Introducendo nell’integrale (a) la funzione ausiliaria : Lia iperbolica Pe=77 si ottiene, dietro la formola degli integrali simmetrici , da uf da sriid 35° 2n_-3 7 (a) (1272)? 21460 Q2n—-272 4a Ma 1 1 dA 1 l+ +(-7) i i - VITTO E 1603 PARSIRE AO 18 1 fl CLI ss 1 \° (1+402) 0" (+7 Sarà pertanto X= (40) dx | pa, -\f (20) 2d» C I(1+ 4a)? [1+(20):]?" (1) (0) E ponendo 2x uguale ad una nuova variabile, che rap- presento nuovamente con x, si avrà (ce) xa°dx X=2 (14 03)?" ’ si avrà infine i x?" dx 1 sega APT QMN——3 7 Sani XE Gann (1-4 02)" Qan=i o) 2.° Introducendo nello stesso integrale (a) la funzione ausiliaria iperbolica p(r)=—, si ha (c°) x da dea 339 Trasformando alquanto il primo integrale, ed operando un facile cangiamento di variabile, analogo a quello fatto nell'esempio precedente, si ottiene a*rda _V2 1 35 Q2n-3 x (14 ws)" — 202040600" 2n—-272 3. Introducendo nello stesso integrale (a) la fun- zione ausiliaria iperbolica p(a)=- , sì ottiene gan(ga +1)" (+1) 143 4.° Introducendo nell’integrale (68) (in cui siasi fatto (a»=3)la funzione ausiliaria iperbolica pl)=i, si ottiene (261)? (V3):r 2 uf 0 5.° Si ha questo integrale a 1 ay. 13 1) VI —x de=zVi —a + arco (sen=£) 7 essendo /»a. Introducendo la funzione ausiliaria circolare p(a)= Va — a } sarà Î a er i ; 340 ossia folcus blfsirey if oluy 3 î fra e fatto [a—a?=g9?, donde I=Va+p, resterà REV 9O, a 2 (41 rano 5° arco(sen= ==) 6.° Si ha l'integrale definito e-340=1V7 Introducendo la funzioné ausiliaria iperbolica ple)=a sarà ie] h\2 e % Ped Ia e ( è) da=zV7 ; 2 2 donde Ca 2 = Sh n Ano T e sto Qe?h (0) » ed anche fi h\2 Va —@ E T Il G a) desti. 0) Se h=1 si avrà I 2 ai € x da= (e) IO) Ml er #.° Sia il circolo di raggio 1, e d’equazione 1° -+y°=1, è , Ma; l’area compresa, fra la curva e i due assi, sarà 7° 34l Introducendo le funzioni ausiliarie iperboliche per modi- : È eta ; > ficare le ascisse e le ordinate = Ù (vedi osservazione 5.°), si ottiene la linea nuova di equazione (= ossia riducendo . e l’area compresa fra gli assi positivi 0YX, OY, e questa . à n linea nuova sarà ancora 7 8. Sia la linea primitiva di equazione y=x°cosx, la cui area compresa fra le ascisse 0 e al disopra 7 2 dell’asse delle x, vale bl n° L3COST=—= 0). 4 (o) 2 Introducendo la funzione ausiliaria iperbolica p(r)=t ; e sostituendo anzi al parametro costante a una funzione della ordinata y, ad es. la stessa y (vedi osservazione 2.°), sì avrà una linea nuova di equazione se Lost y=( _) cos(a 2), TT 9 varrà sempre e l’area compresa fra l’origine e l’ascissa È i n pedi SULLA COSTRUZIONE DEI DENTI DELLE RUOTE DENTATE PER MEZZO DI EVOLVENTI DI CIRCOLO Perchè una ruota dentata trasmetta il movimento ad an’altra con ragione equabile delle velocità è necessario che la comune normale alle superficie dei denti'a contatto incontri sempre la retta dei centri AB in un punto C, che è il punto in cui si toccano le circonferenze dei circoli primitivi. Si può soddisfare a questa condizione col tagliare i denti dellé ruote secondo le evolventi HP, KP di due circoli, detti circoli di base, tangenti ad una retta MN condotta in direzione qualunque pel punto di contatto delle circonferenze primitive. La comune nor- male alle evolventi a contatto è la tangente stessa ai circoli di base. Si ha d’altra parte un procedimento generale per la costruzione delle ruote dentate, il quale consiste nell’as- sumere a direttrici dei denti delle ruote compagne le curve descritte da un punto di una linea generatrice tan- sente alle due circonferenze primitive e sviluppantesi sull’una e sull'altra. Le linee cicloidali così descritte godono di questa proprietà, che la normale ad un loro elemento qualunque passa pel punto di contatto della cir- conferenza primitiva colla linea generatrice dell'elemento stesso. Ho tentato di studiare la costruzione dei denti delle ruote dentate per mezzo di evolventi di circolo dietro la considerazione che essa deve essere un caso speciale del 343 procedimento generale che ho riferito; ed ho potuto sta- bilire la seguente proposizione di geometria: « facendo svolgere una spirale logaritmica tangente ad una circon- ferenza di circolo sulla circonferenza medesima presa per deferente, il polo della spirale descrive la evolvente di un circolo concentrico ed interno al deferente ». La equazione della spirale logaritmica in coordinate polari è: Pafgtno* essendo @ l’ascissa angolare, p il raggio vettore, e la base dei logaritmi Neperiani, a unaquantità costante che determina la spirale, fo la lunghezza del raggio vettore dal quale ha principio la misura degli angoli. Un punto che percorra la spirale logaritmica può allon- tanarsi indefinitamente dal polo, e vi si può anche avvi- cinare indefinitamente, ma per raggiungerlo deve dare un numero infinito di giri intorno al medesimo. La tangente alla spirale logaritmica in un punto qua- lunque fa col rispettivo raggio vettore un angolo costante i i lido pri che ha per tangente trigonometrica ra Questa proprietà della spirale serve per dimostrare la proposizione enun- ciata. Infatti, mentre la spirale CP si svolge sulla circonfe- renza di raggio AC ed è tangente ad essa, i raggi vettori come PCM, che congiungono il polo nelle sue diverse posizioni coi punti rispettivi di contatto della spirale col deferente, fanno sempre lo stesso angolo (90— a) colla circonferenza, epperò sono tangenti ad un circolo di 344 raggio AM interno e concentrico al deferente; inoltre gli stessi raggi vettori sono normali alla linea descritta dal polo della spirale. Le normali alla linea descritta dal polo essendo tangenti al circolo di raggio AM, la linea medesima coincide colla evolvente HP di questo circolo. Detta a la tangente trigonometrica dell'angolo a che la retta MN tangente alla circonferenza di raggio AM fa colla retta AC l’equazione della spirale è ancora p= poe°* ù Vi hanno anzi due spirali, che possono, sviluppandosi sul deferente, fare descrivere al rispettivo polo la stessa evolvente; infatti il contatto della spirale col deferente può avere luogo sì nell'una che nell’altra estremità di ciascuna sua corda tangente al circolo evoluto, come è indicato nella figura pel punto P". Teniamo dietro allo sviluppo di una di queste spirali sul deferente. Osserviamo la spirale PC che tocca ester- namente il deferente rivolgendo la propria convessità verso quella della circonferenza su cui si appoggia. Può supporsi che il polo della spirale abbia già descritto una parte dell’evolvente PH camminando in modo da avvici- narsi sempre più alla circonferenza di base e continui a svilupparsi sul deferente e toccarlo esternamente. Quando tutta la spirale si sarà svolta, il suo polo si troverà sul deferente nel punto I. Ciò non si potrebbe eseguire materialmente per la impossibilità di avere un modello di spirale con un numero infinito di giri che vadano restrin- gendosi indefinitamente intorno al polo. È da avvertirsi un’altra circostanza, ed è, che l’elemento di curva cicloidale descritto dal polo quando trovasi sul deferente non è nor- male ad esso, a differenza di quello che succede quando 345 sì adopera una linea generatrice che non presenta intorno al punto descrivente un restringimento simile a quello che ha luogo nella spirale logaritmica. Intanto questa, abbracciata dal deferente, comincia a svilupparsi nell’in- terno di esso ed il polo continua a descrivere la evolvente finchè giunge sul circolo evoluto in H. La spirale abbraccia poi essa stessa il deferente, e, proseguendo lo sviluppo, si vede che il polo descrive l’altro ramo dell’evolvente, o, per dire meglio, l’altra parte dell’ evolvente, poichè questa curva non è interrotta, presenta solo un punto di regresso in H. Facendo ritorno alle ruote dentate, osservo che il polo della stessa spirale, svolgentesi sulle due circonferenze primitive, descrive le due evolventi di circolo che si con- ducono equabilmente. E mentre il contatto della spirale con una circonferenza primitiva è esterno, coll’altra è interno. E resta chiarito come la costruzione dei denti delle ruote dentate mediante evolventi di circolo,sia com- presa in quella generale per mezzo di curve cicloidali. Esaminerò ancora il caso particolare in cui uno dei raggi primitivi sia infinito. I denti della dentiera si tagliano allora in linea retta PL e normalmente alla MN; i denti del rocchetto si tagliano ancora secondo evolventi del circolo di base AM. Dalle cose esposte si deduce facil- mente, che, sviluppandosi una spirale logaritmica PC sopra una retta CL, a cui è tangente, il suo polo descrive una linea parimente retta PL inclinata alla prima di un angolo complemento di quello che la tangente alla spirale fa col raggio vettore. Inoltre, il polo percorre su questa linea retta spazii proporzionali alle lunghezze degli archi di cui la spirale si svolge, la quale cosa richiede che gli archi di spirale logaritmica crescano proporzional- 346 mente ai raggi vettori. Si ha anzi nella ipotenusa CL del triangolo rettangolo CPL la lunghezza dell’arco di spi- rale CP compreso fra il punto € ed il polo e vale - Ma si ha: tanga=a . Dunque la lunghezza dell’arco PC vale P > ali+a i Questi risultati possono facilmente verificarsi col calcolo. Se la retta MN coincide colla retta primitiva CL, la spirale CP diventa anch'essa una linea retta coincidente colla primitiva e si cade sulla ordinaria costruzione deî bocciuoli tagliati secondo evolventi del circolo primitivo, i quali si impiegano pel sollevamento dei pestelli. Lo stesso Socio Prof. RicueLmy presenta il modello operante di un giunto immaginato dallo stesso assistente Zucchetti, giunto che si può sostituire al così detto universale per la trasmissione del movimento rotatorio fra due alberi non paralelli. Questi sono per un tratto di conveniente lunghezza ripiegati a doppio gomito, con- servano la forma cilindrica, prendono direzione paralella ai rispettivi assi di rotazione da cui sono ugualmente distanti, ed infine penetrano in due brevi tubi uniti so- lidariamente in un solo pezzo che diremo il giunto cen- trale. Gli assi dei tubi sono mutuamente inclinati di un angolo uguale a quello formato dagli assi di rotazione e distano fra loro di una quantità alquanto superiore al diametro degli alberi, affinchè questi possano entrambi i Ò IP, P: Leu fee N RE a - Regioni 93, Age Oto fb Laine 4 dito opto a baro: 1 in ‘anivliso» ovo cia si DIL ti olbsiivonii Job sr de GENOA "Hsopl) loibit 4 via BR ususii IsortniH VIVRAI PA SIA RA LL uiis cado 4 Y à ' tl, è [10 00 (08 FUNE (54 3h I i , * Ming Roi dest ovini ossponag sigdgi bo, nati inte li SoUletii) Gtib L£IOG ut e O RT SISSI: » niloni “alaglusulsti ages: iui dol teas: di) Lola }6 ib Hagiicsh lama] olivup'& Aalsuzo. ol: i span dinavp sa ib oro) ci pastello 19” Mpigazia] Mesbp drifiig irodis sian ndestarte Mii Sulla costruzione det denti delle ruote dentate per mexzo di evolventi di circolo . 347 muoversi liberamente senza compenetrarsi. La stessa di- stanza corre fra i due piani paralelli che contengono i rispettivi assi di rotazione. ll nuovo giunto offre sovra quello detto universale 0 giunto di Hooke il vantaggio che, laddove in questo girando l'albero motore uniformemente, l’albero condotto ha un moto solamente periodico, nel nuovo giunto invece la comunicazione di movimento si fa con ragione delle velocità angolari perfettamente costante. Per contro il nuovo apparecchio ha due inconvenienti, l’uno di svilup- pare un altrito di prima specie fra ciascuno dei tubi e la parte dell'albero che vi passa dentro, l’altro di avere un punto morto cui il pezzo condotto può a mala pena superare. Per riconoscere l’esistenza di quest'ultima dif- ficoltà giova ridurre col pensiero i due alberi a semplici linee rette, allora le due parti che ripiegate paralellamente agli assi descrivono girando rispettivamente attorno a queste due superficie cilindriche, è chiaro che in qualsivoglia posizione si trovino verranno sempre a tagliarsi, e luogo geometrico di queste rispettive intersezioni saranno l'una o l’altra delle due elissi intersezioni delle superficie ci- lindriche come sopra generate. Intanto quell’organo che dicemmo il giunto centrale potremo ora riguardare come ridotto ad un sol punto materiale e starà continuamente sull’una o sull'altra delle due notate elissi. Ma allorquando verra ad occupare il punto di comune sezione delle due elissi, o per meglio dire uno dei punti di intersezione delle medesime, perciocchè questi punti di intersezione sono due, è evidente che non vi sarà ragione perchè trapassi piuttosto sull’una che sull’altra, ciascuno di questi 348 due sarà dunque punto morto. Affinchè il pezzo condotto sia sforzato a superarlo due ripieghi possono venire messi in pratica. Od armare cotest’ organo con un volante, ovvero annettere al giunto centrale un’asta rettilinea la quale sia per mezzo di apposite feritoie guidata a rima- nere nel piano di una delle due elissi. Il Prof. RicneLwy termina la sua esposizione facendo notare come nel giunto materiale tutto si passa nella stessa guisa che in questo ipotetico, salvo che una delle due superficie cilindriche e tutto quello che trovasi an- nesso colla medesima devesi intendere trasportato para- lellamente a sè stesso di una quantità uguale alla minima distanza dei due assi .di rotazione; infine mostra sul modello costruito il volante, l'asta, le feritoie, ed indica l’uffizio di ciascuno di questi organi. Il Socio Prof. Govi legge una sua scrittura, che porta per titolo: Sull’uso delle formole di Fresnel nel calcolare l'intensità della luce riflessa e trasmessa dalle lamine di vetro. Questo lavoro verrà stampato in una delle prossime dispense degli Atti. L’Accademico Segretario aggiunto A. SoBRERO. # TVCC SA BRA IR sita sfusi ssa: vis n b404 dita si] ju S) L'TOI ja 4 GI&TTO8 bl» 3 stan aos onsata Jena (eiglanz 0 GArtatmsi me È gl asonilizt» Ria nu sis1tm99 -otgnia is siolivoes dI0v1o bi li aporia sirio BIOSITIÌ sdiaogi Gs td oxssm 0g ‘sie dleb Tati poi i Riv sa Sui SUS En 1D ABI isa «07 i di cn stanza sue siescnasi rv iano tor | dond ensrie collu! olatrstsae oigvis isa sino 01800 tele Ban ao arca esiti Mogi 0lagop ui odi Greg keeni da. È | Mmpresotico de delie | CLASSE. uo RIPRIIGIA 414) Lea | ti; (6 : € » I i; è fil sil 3 ves Ò aq ROPLISURTAZE lat44< ui è [#7 Fi Minima iiccion ui Giasun ti fad ib oessia orsi ose) la it DARA ir DIL] et iui ssaa “ivotoGiEnE GERIO I -DIABILAI ; fue i nibai / È 4 | fi PR RInTA O PA chie, SCIE } I dd È, È "Gao 1869. 7A seco % mita ua Liu n ; Er dure vD3 SIA, SIOE PIOL 99:93 GEM IG 01 } e j * Yo i) TAR gta MIIMSTTTA ei SIL. A DI ARA sino! 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Parlò poscia de’ più considerabili avanzi dell’ antica cerchia, che son quelli a notte nelle vecchie ghiacciaie, a levante sotto la Galleria d'armi, all'angolo est-nord nei sotterranei del palazzo de’ Musei; e disse della forma delle torri murali, le quali da esse sporgevano in emiciclo, essendo aperte verso la città e con impalcature in legno. Venendo quindi alle loro successive demolizioni, dimostrò come primo ad essere alterrato fosse l'angolo sud-ovest, poi nel corso del secolo XVII e nel principio del seguente fosse abbattuto il lato meridionale, poi quelli ad occidente e levante, ultimo in fine il lato settentrionale. L’Academico Conte Vesme legge il secondo Capitolo della sua Memoria Dell'industria delle miniere nel territorio di Villa di Chiesa (Iglesias) in Sardigna nei primi tempi della dominazione Aragonese. In esso Capitolo si tratta dei Communi o Compagnie, per mezzo delle quali e nel territorio di Villa di Chiesa, e, con istituzioni poco difformi, nei territorii di Siena e di Massa in Toscana, si solevano coltivare le miniere. Tali Com- pagnie si dividevano come ora in azioni, che in ambedue i luoghi si chiamavano trente, probabilmente dal tedesco Irennen, dividere; chè molte voci nell’ industria delle 304 miniere a quel tempo si trovano essere di origine tedesca. Il numero di trente in ogni Compagnia era di trentadue, ma ogni frenta poteva suddividersi in parti o frazioni a piacimento. Le trente erano rappresentate, come oggidì, da una carta, che poteva cedersi, depositarsi, o darsi in pegno; le trente tuttavia o parti di trente, quantunque rappresentate da titoli mobili, erano considerate come beni stabili al pari delle stesse miniere, e per le loro aliena- zioni dovevano osservarsi le medesime solennità che per gli altri immobili. i I possessori di trente, e aventi parte così al dominio della miniera, sono detti partiarà in latino, e parzonavili in italiano; voce della quale già abbiamo esempio in un documento in dialetto senese del 1298. I diritti dei par- zonavili corrispondevano a un di presso a quelli degli azionisti di oggigiorno, se non in quarto a quel tempo non vera Consiglio d'Amministrazione, e la fossa era governata direttamente dai parzonavili. Essi parimente conferivano direttamente, caduno per la sua parte, alle spese occorrenti, ma non erano tenuti in solido l’uno per l’altro. Non erano conosciute le Compagnie a capitale fisso, e così ognuno per la sua parle era tenuto in proporzione della somma che fosse dovuta dalla fossa; poteva tuttavia liberarsi da nuove spese, rinunziando alle sue trente. Avevano inoltre i parzo- navili un diritto assai importante: di lavorare essi medesimi, o mandare chi lavorasse in loro vece, alla fossa, e che di quel lavoro si tenesse conto per la loro parte di spese. Il pagare che i parzonavili facevano la loro parte di debito, dicevasi francare le trente. Le Compagnie di fosse non solevano essere formate di 395 ricche persone, che in quell'industria cercassero un im- piego dei loro capitali; ma in gran parte erano composte di gente povera ed operosa, che nella coltivazione delle argentiere e col proprio lavoro cercava speranza di mi- gliore fortuna. Quindi avveniva di necessità, che spesso o tutti i parzonavili, o parte, mancassero del denaro necessario alle spese. A tale bisogno supplivano i distanti, istituzione tanto propria di questa industria e di Villa di Chiesa, che altrove non ne troviamo vestigio. I bistanti fornivano settimanalmente il denaro necessario per le spese della fossa, fino alla somma, pel tempo, e alle condizioni convenute coi parzonavili in quello che dicevasi scritto di distante, o anche la bistante. Il bistante, pel suo credito, aveva privilegio sui prodotti dell’argentiera, e perciò era proibito di venderli od esportarli senza il suo consenso; alla scadenza, se questi non bastassero , i parzonavili, caduno per la sua parte, erano tenuti in avere ed in per- sona. Le azioni per bistantaria dovevano proporsi fra sei mesi dalla scadenza; altrimenti il bistante non era inteso a ragione. Non si trova menzione, quale fosse il premio od usura solito percepirsi dai bistanti. L'usura che il tutore doveva pagare pei denari del pupillo che ritenesse presso di sè era del 10 per 100; ma troviamo anche esempio di usura al 20 per 100: e questa, a un di presso, crediamo fosse l'usura solita percepirsi dai bistanti, l'industria dei quali non era scevra di disturbi e pericoli. È certo, che i bistanti in Villa di Chiesa erano potenti e numerosi ; poichè troviamo, che dei quattro Brevaiuoli, che, secondo l’uso Pisano, in Villa di Chiesa erano preposti alla correzione del Breve, fra i tre che erano tolti dall'industria delle 356 argentiere uno doveva essere Distante. - In Massa non tro- vasi menzione di bistanti; la fossa vi soleva essere ammi- nistrata dal portitore, che vi troviamo detto anche fattore, il quale sembra solesse essere uno dei parzonavili. Esso vi era incaricato della vendita del minerale, del paga- mento dei debiti della Compagnia, e dell’esazione dei crediti e nominatamente di ciò che per francatura fosse dovuto dai parzonavili ; e vediamo che talvolta, a patti convenuti, essi anticipavano le spese. Spesso le argentiere si davano in allogagione: e ciò o per una parte del prodotto, del quale modo abbiamo un esempio del 1298 in Massa, di una fossa data in allogagione cogli attrezzi o fornimento pel prezzo di 2/5 del prodotto al conduttore che colla sua compagnia si obligava di lavorarla, e 3/5 ai parzonavili; ovvero si davano a prezzo fisso, 0, come dicevasi, a parte franca. Nè soltanto le argentiere, ma anche le singole trente o parti si davano spesso in allogagione; nell’uno e nell’altro caso il conduttore suben- trava in tutti i diritti del parzonavile, compreso quello di lavorare alla fossa. Pel pagamento del prezzo convenuto il parzonavile aveva privilegio sui prodotti, e questo anzi pri- meggiava lo stesso privilegio del bistante; i prodotti non bastando, il conduttore era tenuto in averi e in persona. La divisione dei. benefizii, 0, come dicevasi, la part- tura, non si faceva in denaro; ma si partiva la vena, ossia il minerale, tra i parzonavili, in proporzione delle loro ragioni. I parzonavili erano chiamati per bando a venir prendere caduno la loro parte; e lo Scrivano di Villa di Chiesa doveva scrivere nel libro della fossa quanto fosse dato a ciascheduno. 397 Adunanza del 17 Gennaio 1869. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Prof. Tommaso Vatcauri legge le seguenti OSSERVAZIONI CRITICHE SUL VOLGARIZZAMENTO DI GC. CRISPO SALLUSTIO FATTO DA VITTORIO ALFIERI. I. Tutti sanno come la prima gioventù dell’Alfieri sia stata anzi scioperata che no, e lontana da quegli studi che educano la mente, ingentiliscono il cuore, e prepa- rano l’uomo alla vera sapienza. E di questa scioperata gioventù io stimo non debbasi tanto dar carico alla natura del grande Astigiano, quanto alle condizioni del- l’età in cui visse. Correvano allora quei tempi in cui le contrade subalpine erano governate da Principi allevati quasi esclusivamente alle armi. A promuovere la disci- plina militare miravano massimamente quei signori del Piemonte, i quali dalla bravura dei soldati riconoscevano il lento, ma ben considerato e progressivo ampliarsi del loro stato. E come accade che gli uomini si volgono mas- simamente a quelle arti alle quali scende il favore dei potenti; così la più parte dei patrizi subalpini spendeva i suoi verdi anni negli esercizi cavallereschi e nello ad- destrarsi alla guerra. E per una cotale emulazione, questo ardore per gli studi militari diffondevasi anche nelle altre 23 358 classi dei cittadini; talchè puossi affermare con verità, che ai tempi di cui parliamo le lettere erano tra noi coltivate un po’ rimessamente. Donde avveniva che pochis- simi allora sorgessero in Piemonte gli scrittori di qualche grido. E se alcuni per avventura riuscivano a sollevarsi oltre la schiera dei mediocri, si avvedevano ben tosto che questa non era stanza da loro; ed esulando da queste contrade, si conducevano a procacciare lor ventura sotto altro cielo. Testimoni il Denina, il Baretti, il Federici, e più tardi quel Carlo Botta che dovea diventare un così chiaro ornamento d’Italia. Per la qual cosa a quei giorni fiorivano bensì in Pie- monte parecchi valorosi scienziati che fondarono questa nostra Accademia delle Scienze, e coi loro trovati ne dif- fusero rapidamente la fama in tutta Europa. Non manca- vano alcuni latinisti, che, senza scorrere pel vasto campo della letteratura romana, stavano contenti ad uccellare alle frasi ciceroniane ; e lavorando di commesso, anzichè scrittori originali e di polso, riuscivano servili e gregarii imitatori degli antichi. E tali furono un Domenico Chionio, un Bernardo Vigo, un Goffredo Franzini. Ma forbiti ed eleganti scrittori italiani non vi erano. Nel campo delle lettere italiane, fatte alcune poche eccezioni, non s’in- contravano in Piemonte che verseggiatori di nessun conto, o storiografi di oscuro nome che andavano racimolando, per lo più con poca critica, i più notabili avvenimenti, o infine ispidi eruditi che tramandavano ai posteri il frutto delle loro investigazioni con una lingua impropria, scor- retta, e con uno stile rotto, stentato e non di vena. E nel toccare di questa condizione delle lettere italiane in Piemonte una cosa è, a mio parere, assai notabile. Sebbene Vittorio Amedeo II nella prima metà del secolo scorso si 359 fosse accinto alla nobile impresa di ravviare a migliori fonti gli studi, e fin dal 1734 (1) nello Studio Generale di Torino fosse stato affidato l'insegnamento della elo- quenza italiana a Girolamo Tagliazucchi, uomo dotto, di assai buon gusto ed operoso professore; nondimeno i semi sparsi da questo illustre filologo modenese poco fruttificarono. Il terreno, non certamente per malignità di natura, ma per l’infelicità dei tempi, mal corrispose alle fatiche dell’esperto coltivatore. Ora abbattutosi l’Alfieri a vivere in così fatta età, non è a maravigliare se sciupasse, come lo confessa ingenua- mente egli stesso, la fanciullezza e l'adolescenza in istudi frivoli, leggieri e male ordinati. Non è a maravigliare se non essendosi messo per la carriera delle armi, passasse la prima gioventù tutto occupato di cavalli e di amori. Ben è il vero, che tirato poi irresistibilmente dalla gene- rosa sua natura ad applicare a qualche lodevole impresa l'ingegno che avea grande; ed anco spinto dai con- sigli di Tommaso Caluso che avea per caso conosciuto in Lisbona, l’Alfieri si diede, in sui trent'anni, ad atten- dere di proposito agli studi delle lettere latine ed italiane. Del che egli era maravigliosamente confortato da due dotti amici suoi, il Tana ed il Paciaudi. Che più? Es- sendo egli già oltre i quarant'anni, si accese di tanto ardore pel greco, da divorare con indomabile costanza l’improba fatica e il fastidio che suole recare ai già pro- vetti lo studio di una lingua antica. Ma per imparare profondamente le lingue ed assapo- rarne le più recondite bellezze e, che è più, per riuscire (1) V. Vallauri, Storia delle Università degli studi del Piemonte, Vol. III, pag. 90 e segg. 360 valoroso ed elegante scrittore non basta l'ingegno, nè la cura lunga e non interrotta che altri vi ponga in tarda età. A voler venire in eccellenza di questa difficilissima parte dello scibile umano, richiedesi di necessità che fin dai più teneri anni l’uomo si metta allo studio dei primi rudimenti della grammatica. Imperciocchè questi assai malagevolmente si apprendono dagli adulti, nei quali col crescere del giudizio viene scemando la memoria. Uopo è che il fanciullo si adusi per tempo ai vari accidenti che i vocaboli ricevono nelle lingue madri; che s’imprima nella mente le pressochè infinite differenze dei loro signi- ficati: che faccia tesoro delle più elette locuzioni e di quei modi di dire, i quali per la loro proprietà ed efficacia dipingono al vivo, anzi scolpiscono i pensieri. Chi trascura questi studi nella sua più verde età, non isperi di colti- varli con gran profitto quando si sarà avanzato negli anni. Potrà diventare erudito, ma scrittore di finissimo gusto, forbito ed elegante non mai. Per la qual cosa se mal si appose Pietro Giordani, alloraquando scrisse « non aver » l’Alfieri conseguito il tanto da lui pregiato e cercato stile » per l’infelice temperie dei cielo subalpino »; vuole al- l’incontro essere lodato come giusto ed acuto giudice quando disse che della ruvidezza dello stile alferiano po- vero e stentato « fu cagione la tardezza degli studi comin- » ciati a quella stagione che già la natura rintuzzata e » vinta dal costume, non può rispondere alla finezza » dell’arte ». Ora il motivo allegato dal Giordani della povertà e ruvi- dezza della lingua dell’Alfieri serve mirabilmente a ren- dere ragione della poca perizia da lui acquistata nel latino ; abbenchè nello studiarlo non mancasse poi di usare ogni fatica e diligenza. Ed io vorrei che l'esempio di questo 361 illustre Subalpino giovasse a disingannare certuni fra i nostri contemporanei che si ostinano di dare agli studi italiani un indirizzo non ben considerato. Vi hanno alcuni i quali avvisano che i fanciulli nelle pubbliche scuole si debbano disciplinare quasi esclusiva- mente nella lingua italiana, nella storia e nei primi ele- menti delle matematiche; e che lo studio delle lettere latine e greche debbasi differire a quell’età in cui i gio- . vani avranno acquistato maggior discernimento. Funesto errore, per quel che a me ne pare, il quale fe’ cadere al basso le nostre scuole, e minaccia di fare intristire per lo innanzi la coltura della nazione! E questo mio parere io potrei confortare con validissime ragioni, se non mi sviasse dal proposto argomento, e se non avessimo alle mani il volgarizzamento di Sallustio, fatto dall’Alfieri, che appunto a provare il mio assunto io mi propongo di esaminare, non a modo di retore o di grammatico che sentenzii dalla cattedra; ma come critico che sottopone le sue osservazioni al giudizio di dotti e umanissimi Colleghi. II. Già cinque italiani, prima dell’Alfieri, si erano accinti a volgarizzare le opere di Sallustio. Primo di tutti Fra Bartolommeo da San Concordio, dell’Ordine dei Predica- tori, vissuto nella prima metà del secolo decimoquarto. La cui versione, pubblicata per la prima volta nel 1790 (1), se in alcuni brani si dilunga dal vero senso dello storico romano (colpa probabilmente dei codici scorretti che egli ebbe alle mani), merita nondimeno una lode singolaris- sima pel suo candore, per quella schiettezza ed elegante semplicità che ammiriamo nella più parte dei trecen- tisti, e specialmente nei due suoi confratelli, il Cavalca (1) Di G. Crispo Sallustio, ecc., Firenze, Grazioli, 1790, in-8.°. 362 / e il Passavanti. Dopo il frate pisano entrarono in questio aringo Agostino Ortica nel cinquecento (1), M. Dandolo sul cominciamento di questo secolo (2), e alquanto prima il torinese Pietro Savi (3) e l’alessandrino Francesco Eugenio Guasco (4), noto per altri suoi lavori filologici, e mas- simamente per le erudite annotazioni di cui corredò la mordacissima d7o0x0XA0xUyTa6c:s di L. Anneo Seneca. Quantunque assai men dotto di latino che i cinque suoi predecessori, erasi persuaso l’Alfieri diaver tradotto meglio di loro; e lo dice apertamente nella prefazione posta in © fronte al suo volgarizzamento. Ma alle sue parole non rispondono i fatti. Nella traduzione del nostro tragico non è buon sapore di lingua italiana, e quel che più monta, sono senza fine i passi dello storico romano o frantesi, o fieramente guasti o stranamente interpretati. Io per me non sono acconcio di provare la vostra pazienza, ono- randi miei Colleghi, col discendere a notare i più minuti vizi di questa versione. E starò contento a censurare al- cuni luoghi soltanto, in cui l’Alfieri per ignoranza di latino svisò del tutto il senso del testo sallustiano. III. Voi certamente rammentate, o signori, il comin- ciamento del proemio della Guerra Catilinaria, in cui Sallustio cerca se nella guerra più giovi la forza del corpo o quella dell'animo, e conchiude: Postea vero quam in Asia Cyrus, in Graecia Lacedaemonii et Athenienses coepere urbes alque nationes subigere, .... ium demum periculo atque (1) In Vinegia, per M. Sessa et Piero de' Ruvani, compagni, del MDXXIII, adì 18 Magio, in-16.°. (2) Venezia, 1802, in-8.°. A (3) Guerra Giugurlina di Crispo Sallustio, Torino, G. B. Fontana, 1761, in-12.°. (4) La congiura di Catilina, ecc., Napoli, 1763, in-4.°. 363 negotiis compertum est, in bello plurimum ingenium posse. L’Alfieri interpreta le ultime parole di questo periodo . così: I pericoli e le vicende mostrarono che più del brando poteva in guerra la mente. Dove usando la voce pericoli mostra di non avere inteso il concetto sallustiano. Qui il vocabolo latino periculo non suona altro che experientia e doveasi tradurre: « Allora finalmente l’esperienza e » la trattazione degli affari mostrarono chiaramente » che in guerra può moltissimo l’ingegno ». E oltrecchè questo senso apparisce ovvio e naturale dal contesto; è anche confermato dalla etimologia del vocabolo periculum, che ha comune la radice col verbo greco reipd@, experior, periculum facio. Dalla quale significazione di pruova, espe- rienza derivano molte eleganti locuzioni latine, quali sono ad esempio: periclitari ingenium, periculum facere fidei , dili- gentiae, doctrinae. Che più? Lo stesso numero singolare, in cui è qui adoperata la voce periculum, ci conduce più agevolmente al primo e naturale suo significato di pruova; laddove lo storico romano volendo accennare ai pericoli della guerra, avrebbe più propriamente usato il numero plurale scrivendo : tum demum periculis compertum est. IV. Dal principio del proemio sallustiano vengo, o si- gnori, a quel luogo in cui lo storico ci fa una breve, ma viva pittura del suo protagonista: Lucius Catilina, egli scrive, fuit ... ingenio malo pravoque. La traduzione di siffatto testo, che a prima giunta si porge facile e piano, fu fatta dall’Alfieri in modo che dà chiaramente a dive- dere quanto male ei fosse stato indirizzato nello studio del latino. Molti, anche a’ dì nostri, trascurano una parte che io reputo importantissima nello insegnamento di una lingua. E questa è il far notare accuratamente la proprietà e la differenza dei vocaboli; sicchè veggansi 364 i bene spiccate anche le più piccole e direi quasi sfumate gradazioni dei loro significati. Senza conoscere profon- damente il differenziarsi fra loro dei vocaboli che a primo aspetto si potrebbero scambiare per sinonimi, altri non riuscirà mai a scrivere con proprietà ed eleganza, nè a traslatare convenevolmente da una lingua in un’altra. E di questo abbiamo una solenne riprova nelle citate parole di Sallustio, malamente interpretate dall’Alfieri. Le voci malus e pravus, che a prima vista pare abbiano un solo e medesimo significato, sono tra loro assai diverse, quando avviene massimamente che si usino insieme unite. La quale differenza appare manifesta dai contrapposti; essendochè a malus si oppone bonus, a pravus si oppone rectus (1). Che se pravus; detto di cosa, vale storto, nel senso traslato, riferendosi all’uomo, significa colui che non giu- dica dirittamente delle cose; e per estensione colui che, stando pertinacemente ne’ suoi torti giudizi, non dà alcuna speranza di emendazione. Perla qual cosa le parole: Lucius Catilina fuit ingenio malo pravoque si volgeranno propria- mente in italiano: Lucio Catilina fu d’indole cattiva e di torti giudizi. Vediamo ora come l’Alfieri siasi dilungato dal vero concetto sallustiano: Lucio Catilina, egli dice, fu di prava e malefica indole. Primamente il latinismo prava, usato assai radamente dai prosatori italiani, per chi non sa ottima- mente il latino, riesce inintelligibile. In secondo luogo l’Alfieri traduce a sproposito il malus per malefico. Bene spesso avviene che l’uomo abbia indole cattiva; ma per timore delle leggi, per mancanza di opportunità, o per altra cagione non sia malefico. La voce malus esprime la (1) Interesse oportet, ut inter rectum et pravum, sic inter verum et falsum. M. T. Gic., Acad. IV, 11. 365 cattività dell'animo ; il malefico la riduce in atto pratico. Donde appare che errò il traduttore, perchè non cono- sceva la differenza caratteristica che è tra malus e pravus. V. Piacemi ora chiamare la vostra attenzione a quella parte del proemio in cui Sallustio, sull'esempio di Tu- cidide, entra a parlare delle origini della città di Roma; le quali, a dirla di passaggio, sono conformi alla descri- zione fattane da Livio, ma ben diverse da quelle che le assegna, non so con quanto fondamento , il dotto nostro Collega Teodoro Mommsen nella sua recente storia ro- mana. Venendo Sallustio a parlare della cacciata dei re e della trasformazione della monarchia in repubblica, ‘osserva che i Romani, liberatisi dalla signoria di un solo, e acquistata la libertà, incominciarono a solle- vare gli animi loro ed a mostrare maggiormente la loro virtù. Ecco le parole dello storico: Ea tempestate coepere se quisque extollere, magisque ingenium in promiu habere. Il nostro Astigiano traduce: Alora den tosio innalzaronsi gli animi, e si assottigliarono gl’ingegni. Questo assottigliarsi degl’ingegni non trova alcun riscontro nel testo sallustiano. Ingenium in promtu habere è lo stesso che ingenium promere, expromere, italianamente: manifestare l'ingegno, far mostra dell'ingegno. Ed è cosa ben diversa dallo assottigliare l’in- gegno, che sarebbe la fedele versione della frase latina ingenium acuere. VI. Ma lo storico dopo avere descritto i Romani, prodi in campo e virtuosi in patria, e diventati perciò ricchi e signori del mondo, volendo toccare, come era uffizio suo, delle cause della congiura Catilinaria, ci dipinge con grande verità di colori la corruzione dei cittadini, nell'animo dei quali alle antiche virtù era sottentrata l'ambizione e l’avarizia. E poichè si erano avvezzati alle 366 mollezze ed alle dilicature dell’Asia, si mostravano appas- sionati dei capolavori degli artisti greci: Insuevit erercitus populi romani amare, potare, signa, tabulas pictas, vasa caelata mirari, ea privatim ac publice rapere. In questo brano l’Al- fieri cade in quattro gravi errori, interpretando nella maniera seguente: avvezzavasi il romano esercito agli amori, ai banchetti, alle statue, pitture e vasi preziosi, cui poi cela- tamente e apertamente predavano. E primieramente ognun vede quanto sia inesatto il tradurre il verbo latino potare per la voce italiana banchetti, che ha una significazione assai più ampia. Altri potrà ben dire che i Greci dal bere chiamarono cvuroicia i loro banchetti, nominando. così una parte invece del tutto. Ma qui Sallustio non volle censurare i Romani pei loro banchetti; sì piuttosto pel bere che facevano senza modo e misura. La qual cosa fanno bene spesso gli uomini anche fuori dei banchetti. In secondo luogo i vasî preziosi del traduttore non corri- spondono affatto ai vasa caelata dello storico romano. Im- perciocchè anche senza essere cesellati, i vasi possono essere preziosi, o per la materia, o pel nome dell’artefice, -o per altra cagione. E poi l’avvezzarsi alle pitture ed alle statue non esprime il mirari del testo latino, che fu del tutto intralasciato dall’Alfieri. Finalmente privatim et publice rapere non significa rubare di nascosto e palesemente. Qui l’avverbio publice vale auctoritate publica. E lo storico nostro volle accennare alle rapine che si commettevano tanto dai cittadini, come privati, quanto dai pubblici uffiziali, che, nelle provincie massimamente, abusavano dell’autorità di cui erano investiti a danno dei privati e del pubblico. E nello stesso senso appunto Cicerone nella sua Verrina de signis, scriveva: Nemini video dubium esse, quin Verres sacra profanaque omnia et privatim et publice spoliarit. Imperciocchè 367 sappiamo come quell’avido pretore spogliasse delle cose più preziose e i privati e le città della Sicilia. E a queste spogliazioni pubbliche e private mirava appunto Catilina, il quale in una città così corrotta come era Roma a quei tempi, potè facilmente trovare fidi aiutatori ed esecutori de’ suoi disegni. VII. Come abbiamo veduto poc'anzi, già Sallustio nel capo V descrisse con singolare maestria il carattere del suo protagonista. Nondimeno volendo mostrare ai lettori, come Catilina, anche nella sua esterna apparenza por- tasse manifesta l'impronta delle gagliarde sue passioni e dei mostruosi suoi vizi, dopo avere nel capo decimoquinto toccato della corrotta gioventù di questo scellerato, termina il ritratto con una notabile pennellata, scrivendo: Igitur color eius ersanguis, foedi oculi; citus modo, modo tardus incessus; prorsus in facie vultuque vecordia inerat. Le ultime parole di questo periodo, le quali fanno vedere nel nostro storico il profondo filosofo, furono al tutto svisate dall’Alfieri colla seguente traduzione : al contegno ed al volto mostravasi insano. A dimostrare convenientemente lo sbaglio del traduttore, è anzitutto da notare che Sallustio a bello studio ha qui congiunto i due vocaboli facies e vultus che hanno significato assai diverso. Facies a faciendo dicta significa la forma, le fattezze del viso, le quali durano sempre le stesse in ogni tempo. Così chi ebbe nella sua gioventù naso adunco, bocca grande, occhi piccoli, tali appunto li con- serva nella vecchiezza; nè li muta pel mutarsi delle con- dizioni della sua vita o degli affetti che ne turbano o ne rasserenano la mente. Epperciò usiamo dire acconciamente che anche dopo lungo tempo abbiamo riconosciuto una persona alle fattezze. All’incontro vultus a volvendo 368 dictus dinota quello che si muta {volvitur) nell'uomo o per età o per malattia o per le passioni, e suona italianamente aria, fisionomia, sembiante. Quindi noi diciamo che Tizio invecchiando ha perduto l’aria ridente degli anni giovanili; che Camillo dopo grave malattia non ha più la fisionomia, che ebbe già, d’uomo ferrigno e rubizzo; che Alfredo irato ha un sembiante orribile. E in nessuno di questi esempi noi potremmo sostituirvi la voce fattezze. Dal sin qui detto appare come Sallustio, usando qui congiuntamente questi due vocaboli, abbia voluto signi- care che Catilina dimostrava la sua insania e alle fattezze e alla fisionomia. E questa stessa locuzione ha usato Cicerone nel capo LXV del Bruto, dove, parlando del- l'oratore Gn. Lentulo che non avea grande acume, sog- giunge: quamquam et ex facie et ex vuliu videbalur. Ora vediamo come al concetto dello storico latino ri- sponda la versione dell’Astigiano. Questi traduce la voce facies per contegno. Ma tutti sanno che contegno vale gravità, fasto 0 maniera di vivere; e diciamo perciò avere un mobile contegno, stare in contegno e simili. Donde è chiaro che i due vocaboli contegno e volto, adoperati dall’Alfieri, non sono acconci a notare la differenza che passa tra facies e vultus; differenza che viene esatta- mente espressa dalle voci fattezze e fisionomia. VIII. I delitti di Catilina, finquì narrati da Sallustio, valgono bensì a mostrarci l’uomo avido, ambizioso e mal- vagio; ma queste parole del capo XVI: insontes, sicuti sontes circumvenire, iugulare; scilicet ne per otium torpe- scerent manus aut animus, segnano un tale grado di malizia, che l’uomo non potrebbe immaginarla maggiore. Quegli però che sta contento a scorrere la versione dell’Alfieri non prova quel sentimento d’indegnazione da cui siamo 369 compresi noi leggendo il testo latino. E questo nasce dal non avere il traduttore inteso il senso attribuito da Sal- lustio alle voci insontes e sontes. Qui lo storico romano volle significare che Catilina, per tenere esercitati i giovani suoi compagni, faceva loro sgozzare alla rinfusa et eos qui sibi non nocerent et qui nocerent, vale a dire ed amici e nemici. Laddove l’Astigiano dice che faceva loro ed inno- centi e colpevoli del pari svenare. L’uccidere un înno- cente è per fermo una grande iniquità; ma quanto non è maggiore l'’ammazzare un innocente con cui siamo legati di amicizia? Nè lascierò di notare che svenare non ri- sponde esattamente all’iugulare dell’originale latino. IX. Fra questi giovani che erano incappati nella con- giura di Catilina e ne favorivano i disegni, molti erano ricchi e nobili. E di costoro appunto scrive Sallustio nel capo XVII: Iuventus pleraque, sed marime nobilium, Catilinae inceptis favebat. Quibus in otio vel magnifice vel molliter vivere copia erat, incerta pro certis, bellum quam pacem malebant. L’Alfieri interpreta: I giovani pressoché tutti, e principalmente i nobili, favorivano Catilina. Come quelli che viver volendo oziosi nella mollezza e nel lusso, ed anteponenendo al certo l’incerto, più nella guerra che nella pace speravano. E con questa interpretazione fa dire a Sallustio il contrario ap- punto di quanto egli volle significare. Lo storico mostra una certa maraviglia al vedere che giovani, i quali avreb- bero potuto vivere tranquillamente in mezzo agli agi ed ai piaceri, facendosi congiurati, anteponessero al certo l’incerto, la guerra alla pace. E l’errore dell’Alfieri sta prin- cipalmente nello aver tradotto copia erat per volendo; quando il vero senso è quello di potendo. Aggiungi che la versione dell’Alfieri è del tutto illogica. Imperciocchè chi desidera di vivere tranquillo, în otio vivere, non entra certamente nel ginepraio delle congiure. 370 X. Non senza maraviglia, o signori, ho udito più volte le declamazioni e le invettive con cui alcuni nostri con- temporanei si scagliano contra lo studio delle lettere latine, quasicchè i nostri giovani sieno condannati a spre- care una parte notabile della loro vita nello imparare nudi e sterili vocaboli, vuote e sonore frasi. Costoro, io credo, non hanno mai badato che nessuno potrà mai dirsi vera- mente dotto di latino, quando non abbia una profonda cognizione delle istituzioni religiose, civili e militari di quegli antichi signori del mondo che furono i Romani; quando non ne conosca le leggi, i costumi pubblici e privati, le virtù ed i vizi che per lo spazio di quasi otto secoli resero or prospere or tristi le sorti di quella na- zione. Senza questo corredo di dottrina altri non potrà mai riuscire, non che scrittore latino di qualche nome, ma fedele interprete degli autori romani. E quanto io dico appare da uno sbaglio preso dall’Alfieri nel volgere in italiano questo luogo del capo XVIII: Catilina, pecu- niarum repeiundarum reus, prohibitus erat consulatum petere, quod intra legitimos dies profiteri nequiverit. Chi conosce le leggi romane sa come i cittadini che aspiravano al consolato dovessero entro il mese che precedeva i comizi centuriati, fare inscrivere il loro nome presso il magi- strato che aveva il carico di presiedere ai comizi predetti. E questo chiamavasi latinamente profiteri. Ora l’Alfieri ignorando questa legge, cadde in grave errore, interpre- tando : a Catilina, reo di concussione, venne inibito il consolato, perchè egli fra il prescritto tempo giustificato non sì era. XI. Ma benchè caduto dalla speranza di ottenere il con- solato, Catilina non si ritrasse punto dalla mala via per cui erasi messo. Anzi, volendo affrettare gli avvenimenti, radunò in casa sua molti dei congiurati per confortarli. 371 E in una orazione conservataci dallo storico dice comin- ciando: Ove io non avessi conosciuto per prova il vostro valore e la vostra fede, non mi sarei accinto a così grande impresa, neque per ignaviam aut vana ingenia, incerta pro certis captarem. Chiunque abbia qualche pratica degli scrittori-latini sa come questi usino bene spesso di nomi- nare metonimicamente le virtù ed i vizi invece degli uo- mini virtuosi e viziosi; e si avvede di colpo che in questo luogo per ignaviam aut vana ingenia vale per ho- mines ignavos aut vani ingenii, e vuolsi perciò volgere italianamente : nè io fidandomi di uomini dappoco o leggieri, piglierei l’incerto pel certo. Ma l’Alfieri riferisce con poca logica le parole ignaviam et vana ingenia a Catilina, anzichè ai congiurati, e traduce perciò: nè îo per dappocaggine o leggierezza îl certo abbandonerei per l’incerto. XII. Nè Catilina stette contento ad aringare i suoi com- pagni. Per averli più fidi volle anche legarli col giura- mento; e non si peritò di abusare, per questo effetto, dei riti sacri, facendo loro bere sangue umano misto con vino. Ciò fatto si racconta aperuisse consilium suum, atque eo dictitare (dictitabant) fecisse, quo inter se magis fidi forent, alius alii tanti facinoris conscii. Anche un me- diocre latinista vede facilmente che le parole aperwisse consilium suum altro non vogliono significare se non che Catilina palesò ai congiurati î suoi disegni intorno alla esecuzione della congiura. E questi erano appiccare il fuoco in varie parti della città di Roma, fare man bassa sui consoli, sui senatori, e seminare in ogni luogo il disordine e lo scompiglio. Inoltre è chiaro che l’infinito dictitare sta elegantemente per dictitabant, e non vuolsi punto riferire a Catilina, ma a coloro che raccontavano queste # 372 gravi nefandità da lui commesse. Ma il nostro Astigiano allontanandosi affatto dal concetto dello storico, inter- preta malamente : che Catilina svelasse loro il suo inganno, adducendone per cagione che, consapevoli essi, ecc. XIII. La storia di tutti i tempi c’insegna che coloro i quali si travagliano nelle rivoluzioni non sono punto nemici delle donne, e sanno benissimo accozzare i feroci disegni di sterminio e di sangue colla galanteria e coi geniali e simpatici passatempi. Ed un esempio ce ne for- nisce Sallustio nel congiurato Quinto Curio, il quale di- mesticatosi già da lungo tempo con una nobil donna, chiamata Fulvia, usava con lei alla scapestrata. Ma sic- come Curio, per esser povero, non poteva guari largheg- giare coll’amica; così costei, come spesso fanno coteste arpie di mansueta apparenza, talvolta mostrava che di lui poco le calesse. Quando un bel dì l'amante facendo del grande, cominciò a prometterle mari e monti, qua- sicchè fosse diventato un Creso. E dalle promesse passò alle minaccie, ove essa non si mostrasse dolce e arren- devole ai suoi desideri. Repente glorians, scrive lo storico, maria montesque polliceri coepit, minari interdum ferro, nisi obnoria foret. E Vl’Alfieri interpreta: Cominciò ad un tratto a vantarsi di darle mezzo mondo; quindi a minacciarla coll'armi se ella venisse a tradirlo. Ognun vede che nisi‘'obnoxia foret vale quanto dire: nîsî sibi obse- queretur, e che il traduttore la sbaglia all'ingrosso. XIV. Ma non solamente codesti cospiratori romani vede- vano di buon occhio le femmine, ma vollero anche averne alcune a parte della congiura. Di una di queste, per nome Sempronia, sappiamo che era giovane, bella, di gran casato, dotta di greco e di latino, e di singolare ingegno fornita. E Sallustio soggiunge che cantava e ballava con 373 grazia, che parlava assai bene, faceva versi, e sapeva mettere altruiì a filo per ischerzare « posse versus facere, iocum movere. » Il qual testo è tradotto dall’Al- fieri a questo modo: E motteggiare e verseggiar sapeva. Ma la frase 7ocum movere non vale iocarîi, sibbene ercilare alios ad iocandum. XV. Io sono venuto fin qui scegliendo qua e colà alcuni luoghi nei quali l’Alfieri si dilunga dal senso dello storico latino. Ma nel capo XXX è oltre ogni altro notabile uno sbaglio del volgarizzatore. Ivi Sallustio racconta che il senatore Lucio Senio lesse in senato una lettera ricevuta da Fiesole, in cui scriptum erat, C. Manlium arma cepisse cum magna multitudine ante diem sextum calendas novembris. Chiunque abbia appreso i primi elementi di archeologia latina sa benissimo in qual modo i Romani contassero i giorni del mese; ed io crederei di abusare della soffe- renza de miei eruditi Colleghi quando volessi dare anche il più breve cenno intorno al calendario romano. Baste- rammi perciò il notare che le parole ante diem sexium cal. novembris tanto suonano quanto sezio cal. novembris, cioè il sesto giorno prima delle calende di novembre, ossia più chiaramente il 27 di ottobre. Ebbene il nostro Astigiano scrive: C. Manlio aver preso con infinita gente le armi il dì sesto di novembre. XVI. Che se il nostro traduttore non sapeva contare i giorni del mese alla romana, qual meraviglia se non conoscesse le monete di quella nazione e il loro com- puto e valore? Di fatto racconta Sallustio, nel citato capo XXX, che i senatori decrevere, si quis indicasse de coniuratione quae contra rempublicam facta erat, praemium servo libertatem et sestertia centumy; libero impunitatem eius rei et sestertia ducenta. L’Alfieri mostrando aperta- 9 24 374 mente di non conoscere la grandissima differenza che passa tra sestertii e sestertia, traduce: A chi svelasse la congiura contro la republica, se servo fosse, gli sì fissò in premio la libertà e cento sesterzii; se libero, l’'impunità e mille sesterzii. Imperciocchè, come tutti sanno, sestertia centum - sestertia ducenta suonano lo stesso che centena millia sestertiorum - ducenta millia sester- tiorum. Ora, se a detta del sig. Letronne (1), il sestertius dei Romani corrisponde a 20 centesimi e '/, dei nostri, secondo la versione alferiana il senato romano avrebbe promesso un ridicolo premio di 20 lire, ed uno di 200 lire o circa; laddove essi premi furono l’uno di 20,458.35, e l’altro di 40,916. 70. XVII. Tralasciando ora di notare parecchi errori di minor momento, vengo al capo XXXV, in cui lo storico ci pone sott'occhio una lettera di Catilina che raccomanda la moglie sua Orestilla a Q. Catulo: Egregia tua fides, scrive il gran cospiratore, in magnis periculis fiduciam commendationi meae tribuit. - L’egregia tua fede. ... ne miei gravi pericoli mi dà grande speranza che tu abbia a tenere buon conto della mia raccomandazione. Assai male l’Alfieri: L’egregia tua fede. ... ne mici gravi pericoli speranza grande mi porge e sostegno. XVIII. E uscito già di Roma Calilina, volendo. assi- curare, per quanto poteva, il buon esito della sua im- presa, avea fatto intendere a Lentulo che si procacciasse l’aiuto anche dei forestieri. Epperciò questi cercò di tirare nella congiura alcuni ambasciadori degli Allobrogi che sì trovavano per avventura in Roma, e ne diede il carico (1) Considéralions generales sur l’evaluation des monnaies grecques ei romaines. 375 ad un certo Umbreno. Questi ambasciadori furono radu- nati nella casa di D. Giunio Bruto quod foro propinqua erat, neque aliena consilii propter Semproniam. Con queste parole lo storico reca due ragioni per cui era stala scelta per questo effetto la casa di Bruto. Primieramente, essendo essa vicina al foro, dove era sempre gran folla di popolo, quegli Allobrogi vi potevano facilmente essere introdotti senza dare alcun sospetto. In secondo luogo, per essere abitata da Sempronia, non era straniera alla congiura. L’Alfieri spropositando traduce: La quale, per essere al foro vicina, ed abitata da Sempronia, pareva op- portuna. E con queste ultime parole mostra di non avere capito la seconda ragione accennata dallo storico. XIX. Saviamente scrive il Macchiavelli che quando una congiura si è distesa in molte persone è impossibile che non trovi l’accusatore. E questa sentenza del Segretario Fiorentino si riscontra verissima nella congiura di Catilina. Fra gli accusatori lo storico rammenta un L. Tarquinio il quale, dopo avere svelato ai senatori molte cose intorno ai disegni della congiura, nominò tra i complici anche Crasso, uomo ricchissimo e assai potente. All’udire questo nome, plerique ..,... conclamant indicem falsum, deque ea re postulant uti referatur. Ilaque, consulente Cicerone, frequens senatus decrevit, Tarquinii indicium falsum videri. Ecco la versione dell’Alfieri: Esclamano tutti essere falso l’indizio, e doversi tal cosa chiarire. Consultato perciò da Cicerone il senato, quasi a pieni voti decretasi non essere bene appurata la deposizione di Tarquinio. Tre sbagli sono qui da notarsi. E primieramente (a tacere delle parole esclamano tutti, le quali non rispondono al latino plerique conclamant), l'Alfieri non ha punto inteso il senso del brano postulant uti referatur. Referre aliquid ad senalum 376 non significa chiarire una cosa, ma proporla al senato, met- terla în consulta, in deliberazione. E poi consulente Cice- rone, senalus decrevit, non vale: il senato, consultato da Cicerone, decretò; ma piuttosto: è senato, sulla pro- posta di Cicerone, decretò. In terzo luogo colle parole senatus frequens lo storico non volle significare i quasi pieni voti del senato; ma sì il numero grande dei senatori che si erano recati in senato. Ed è cosa ben diversa; accadendo non di rado che in una numerosissima adu- nanza, messa a partito una cosa, pochissimi sieno i voti che l’approvino. XX. Siamo giunti, o signori, a quella parte della mono- grafia sallustiana in cui lo storico sta per introdurci in senato, e farci assistere alla lotta ingaggiatasi principal- mente tra Cesare e Catone. Il primo dei quali avvisava doversi i congiurati trattare umanamente; laddove il se- condo opinava aversi ad usare contro di loro tutto il rigore della giustizia. Noi che da più anni siamo spettatori delle battaglie che si vanno combattendo nel campo della po- litica, non ci maravigliamo certamente che fossero dis- cordi i senatori romani nel deliberare intorno ai complici di Catilina. Non mai le passioni degli uomini si accen- dono più facilmente che nei fieri conflitti delle opinioni religiose o politiche. Questi conflitti dovevano essere ne- cessariamente gravi, trattandosi di una congiura in cui erano impigliati molti e possenti uomini, e che mirava a sovvertire interamente lo stato ed a mutare le sorti dei cittadini. E più terribile ancora si fece la lotta, perchè, come interviene, la congiura fu usata a sfogo di odi e di nimicizie private. La qual cosa appare manifestamente dal capo XLIX, in cui Sallustio narra come Quinto Catulo e Cn. Pisone abbiano tentato ogni via per indurre il 37 consolo a porre nel novero dei congiurati anche C. Giulio Cesare loro mortale nimico. E recando lo storico la ra- gione della nimicizia che era tra Pisone e Cesare, scrive : Piso oppugnatus (a Caesare) in iudicio repetundarum, vale a dire: Pisone, per essere stato accusato da Cesare di con- cussione. E l’Alfieri traduce: Pisone; perchè era stato con- vinto da Cesare di concussione. La voce convinto non ri- sponde all’oppugnatus. Convinto vale: provato colpevole. E l’Alfieri commette non solamente un errore di lingua, ma anche di storia. Imperciocchè dalla orazione Tulliana Pro Flacco (cap. XXXIX) vedesi che Pisone fu assolto per sentenza dei giudici; ciò che non sarebbe avvenuto se Cesare fosse riuscito a provare il delitto dell’accusato. XXI. Sallustio ci ha conservato due fra i discorsi pro- nunziati dai senatori. Quello di Cesare e quello di Catone. Il primo di questi oratori non potendo negare i delitti che erano apposti ai congiurati, e volendo tuttavia sal- varli, si appiglia a quei mezzi a cui sogliono general- mente ricorrere coloro che hanno una cattiva causa alle mani, Ammette che i congiurati, come parricidi della republica, hanno meritato la morte; ma sostiene non doversi loro infliggere questa pena per le perniziose con- seguenze che ne potrebbero nascere. E una di queste dannose conseguenze viene da Cesare accennata colle seguenti parole: Omnia mala erempla ex bonis rebus orta sunt. Sed ubi imperium ad ignavos aut minus bonos pervenit, novum illud exremplum ab dignis et idoneis ad indignos et non idoneos transfertur. Qui le voci dignus e idoneus voglionsi prendere in mala parte; cioè novum illud eremplum ab hominibus dignis poena, et idoneis qui puniantur, transfertur ad homines indignos poena, et non idoneos qui puniantur. E si vede chiaramente, l'oratore aver 378 voluto significare che allorquando l'impero cade in cattive mani, la pena della morte da quelli che ne sono degni e meritevoli si trasferisce a coloro che non la meritano e ne sono indegni. Ma VAlfieri allontanandosi affatto dal vero senso di Sallustio, riesce a questo strano e ridicolo con- celto: I nuovi esempi allora dalla perizia e capacità trasferisconsi alla incapacità ed ignoranza. E non senza ragione chiamo strana e ridicola questa interpre- tazione dell’Alfieri. Imperciocchè tanto suona quanto il dire: Quando il governo cade in balia dei cattivi, allora l’in- solito esempio di condannare i cittadini alla morte passa dai buoni ai cattivi governanti. XXII. Cesare volendo confortare il suo parere anche coll’autorità del senno dimostrato dagli antichi Romani in opera di governo, dice come i loro maggiori non isde- gnassero di imitare nelle buone istituzioni gli alleati ed anche i nemici. E dopo aver toccato di molte buone usanze introdotte in Roma per l'imitazione degli stranieri, viene alla legge Porzia, in virtù della quale i Romani, ad esempio di altre nazioni, ai cittadini condannati scam- biarono la morte nell’esilio. E un po’ prima narra come i loro padri arma alque tela militaria ab Samnitibus Leo. Sumpserint. Chi abbia una mediocre conoscenza della lingua latina sa benissimo qual differenza passasse tra le due voci arma e tela. Bene spesso la prima ser- viva a notare quelle che noi chiamiamo armi di difesa, come sono a mo’ d'esempio lo scudo e l’usbergo ; colla seconda venivano significate le armi con cui si assaliva e si offendeva il nimico ; ed erano la spada, le aste, i giavellotti e simili. E posta questa differenza, il testo sallustiano predetto si può tradurre molto appropriata mente così: I nostri maggiori presero dai Sanniti le armi 379 difensive ed offensive; laddove malamente interpreta l’Alfieri : Gli avi nostri dai Sanniti le armi e saette pren- dèevano; come se le saette non fossero armi. XXIII. All’aringa di Cesare in senato tien dietro quella di Catone il quale esordisce dicendo: Longe mihi alia mens est, P. C., cum res atque pericula mostra considero, et cum sententias nonnullorum ipse mecum reputo. Le parole di Ca- tone rendono chiaramente questo concetto: Ben diver- samente, o P. C., io giudico quando considero le cose nostre e î nostri pericoli; e ben diversamente quando esamino meco stesso î pareri di alcuni. L’Alfieri all’in- contro scrive : Jo di gran lunga dissento, qualora în se stessa la cosa considero, l’universal pericolo ed il parere di taluni. Gl’intelligenti veggono di colpo come il traduttore si allon- tani dal pensiero di Catone, il quale dice di formare due giudizi diversi, secondo che considera o i pericoli della republica, o il parere di alcuni oratori. XXIV. La narrazione sallustiana è omai giunta al ter- mine a cui per lo più vanno a riuscire le congiure. Eccoci, o signori, davanti agli occhi il carcere Tulliano in cui fu tratto Lentulo con altri congiurati, descritto dallo storico colle seguenti parole : Eum (locum) muniuni undique pa- rietes, atque insuper camera lapideis fornicibus vincta. Noi traduciamo: Quel luogo è chiuso per ogni parte da mura, e inoltre da una volta sostenuta da archi di pietra. E l’Alfieri: Le pareti dintorno e la volta di quadrate squallide pietre, ecc. Ognun vede come questi abbia mutato gli archi in pietre quadrate, le quali non si trovano nel testo sallustiano. E qui, o signori, io mi arresto a questo carcere Tul- liano che, nobilitato poi dalle catene del principe degli apostoli, fu mutato in tempio cristiano. 380 Del resto dagli appunti che io sono venuto facendo alla congiura Catilinaria recata in italiano dall’Alfieri, si vede manifestamente come male si provveda all’utile delle scuole nostre mettendo, come si fa, questa versione nelle mani dei giovani i quali attendono allo studio del latino e dell'italiano (1), e come farebbe opera assai lodevole colui che pigliasse a purgarla interamente, e più minu- tamente che io non ho fatto, dai gravi errori che la de- turpano. E quanto io scrivo di questa versione di Sallustio pur troppo si può applicare alla più parte dei volgariz- zamenti degli scrittori classici latini. Pochissimi sono i traduttori che si possano meritamente lodare per piena intelligenza del testo latino, per buon gusto di lingua italiana e per quella disinvoltura di stile che dà ad una traduzione l’aspetto di una scrittura originale. Chiuderò adunque, o signori, queste mie avvertenze critiche pale- sando un mio ardente desiderio. Piaccia a Dio di ricon- durre gl’Italiani agli studi severi dell'antichità, e spezial- mente delle lettere latine e greche, le quali sono ora vergognosamente trascurate per cagione dei viziosi me- todi introdotti nelle nostre scuole! Quando il sacro fuoco della sapienza greca e latina riscaldi nuovamente il petto degl’Italiani, allora si rimetteranno, io spero, per quella via, per cui camminando i padri nostri meritarono di essere chiamati i promotori della moderna civiltà. (1) Coloro che mettono fra i libri di testo il volgarizzamento dell’Alfieri, da noi censurato, mostrano di non sapere che il nostro Astigiano imprese ancor giovine questa traduzione per la necessità che aveva d’imparare il latino, e che quantunque, dopo molti anni l’andasse emendando col consiglio degli amici, tuttavia non riuscì a ripulirla in modo che le possa essere consentita l’entrata nelle scuole. 381 Adunanza del 31 Gennaio 1869, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F, SCLOPIS Il Socio Domenico Pros nella seduta delli 31 gen- naio lesse una sua Memoria sulle zecche di Messerano e Crevacuore dei Fieschi e Ferrero, ricchissime ambedue per una bella e numerosa serie di monete da esse emesse. Dopo aver detto come un Nicola Fieschi, cittadino di Genova, ebbe nel 1370 dal fratello Giovanni, vescovo di Vercelli, in feudo le sudette terre semoventi dalla sua mensa, espose in qual modo i suoi nipoti senza veruna concessione per parte del loro legittimo sovrano cominciarono in esse a coniare monete da principio anonime, indi a nome proprio, e ne presentò i disegni indicando a quale specie esse appartenevano, e quale regola ne aveva diretta la battitura. Dati alcuni brevi cenni sulle persone di tal ramo de’ Fieschi che ebbero quella signoria, narrò in quale modo uno degli ultimi viventi, sul principiare del secolo xvi, cioè Ludovico II, adottò un nipote di Sebastiano Ferrero, patrizio della vicina città di Biella, generale delle finanze dei re francesi Ludovico XII e Francesco I negli Stati che possedevano in Italia. Da quest'epoca tracciò una concisa biografia dei Ferrero che in seguito a tale adozione divennero possessori dei sudetti feudi, e descrisse le monete di caduno facendo 382 conoscere a qual legge furono lavorate notando come per avidità di guadagno soventi volte contraffacevano quelle dei vicini Stati, onde quasi ovunque ne fu proibito il corso, il che fu cagione che il principe Carlo Besso sul finire del secolo xv fu costretto a chiudere le officine di Messerano e Crevacuore, cessando così di valersi d’un privilegio, del quale sebbene da principio si fosse abusi- vamente da’suoi predecessori usato, tuttavia a Filiberto, da cui discendeva, era stato legittimamente dai papi concesso. Chiuse la sua lettura narrando qualmente Vittorio Filippo figlio dell'anzidetto Carlo vendè nel 17677 al re di Sardegna il suo piccolo Stato con tulte le re- galie annessevi riservandosi i privilegi solamente onorifici, che colla morte del suo nipote ed erede passarono per sua disposizione e per sentenza del 1843 della Camera dei conti di Torino al ramo secondogenito del suo casato, cioè ai marchesi Ferrero della Marmora. Il Socio Prof. abate GmrineHELLO prosegue la lettura del suo scritto sulla Trasformazione della specie; il brano che segue è il transunto della lettura fatta. Per la qual cosa, se gli organi vogliono essere qualificati dalle rispettive funzioni, e se la presa e digitazione, fun- zione caratteristica della mano (1), è del pari comune ed appropriata agli arti anteriori e posteriori delle antropoidi, anzi più perfettamente eseguita dai secondi che non dai (1) V. Bianconi, La teoria dell’uomo-scimmia, pag. 52-53, col, 29-32. 389 primi, non solamente non le possiamo con proprietà chiamar bipedi, essendo più manesco il lor piede che non la mano; ma, contrariamente all’ Huxley, dobbiamo dire che fra il piede umano e quello del gorilla, maggiore, perchè più importante, si è la diversità che la rassomi- glianza. Perocchè non di grado soltanto, ma spiccatissima essendo nell'uomo la diversità di funzione del piede e della mano, spiccatissima si deve pur dire la diversità del piede umano dall’arto posteriore del gorilla; la cui speciale conformazione, quanto lo rende più acconcio ad emulare in parte l’azione della mano umana, altrettanto lo rende disadatto ed inetto al portamento ed all’incesso umano ; epperò tanto più dissimile dall’umano piede, quanto più prossima all’umana, e superiore alla scimia- tica mano. Il quale contrapposto si avviene per l'appunto al scimia- tico organismo, vuoi considerato in riscontro all’umano, di cui si è, non so qual più mi dica, contraffacimento o caricatura, vuoi considerato relativamente alle proprie funzioni. Perocchè, fatto stromento di locomozione, quindi pedestre, quanto all’ufficio, la mano, e per lo contrario, quanto al modo di compierlo, manesco il piede; non potendo questo altrimenti e meglio eseguire il proprio ufficio che colla digitazione, non è a stupire che dive- nuta questa appropriatissima per la locomozione, sia al paragone più perfetta nel piede che nella mano. Ondechè confusa in una la duplice distinta funzione della mano e del piede, e questo a quella assimilato, rimane esclu- sivamente propria dell’uomo la qualificazione di bimano- bipede esprimente la perfettamente distinta conformazione e funzione delle superiori ed inferiori estremità dell’or- ganismo umano, e l’incontestabile ed inarrivabile sua 384 perfezione, siccome quella che nella scala animale corre parallela colla distinzione delle funzioni (1). Novella prova che queste vogliono essere assunte a criterio del valore e dell'importanza delle organiche di- versità onde sono condizionate; nulla importando che queste diversità siano più o meno apparenti, risultino da maggiore o minor numero di elementi o soltanto dalla più o meno varia loro forma, proporzione, assettamento; non dovendo essi considerarsi disgregatamente ciascuno di per sè, ma collettivamente ed armonicamente in ordine all’integrità dell'organo di cui sono parte, ed alla moda- lità che dall'organo così fazionato riceve la funziene di cui esso è stromento; e così pure ciascun organo e funzione particolare considerarsi nel mutuo loro conserto in ordine alla fisiologica unità dell’intero organismo. Posto il quale complessivo riscontro, anatomiche diversità che considerate di per sè o ragguagliatamente a questa od a quell’altra di uno stesso oppur diverso organismo, par- . rebbero a prima vista di poco o nessun momento, possono rivelarne un grandissimo e tale, da essere quella organica particolarità condizione essenziale dell’intiero organismo, od almeno così ad esso connaturale da non potersi senza nocumento o con profitto alterare. Qual pro diffatto ritrarrebbe il gorilla dall’aver fermo e stabile l’incesso, eretto il portamento, stia egli in piede o seduto, perfetta la mano, equilibrato il capo, vocale la bocca, sublime la fronte e lo sguardo, se niun conto gli mette lo spingerlo al disopra od al di là della natìa sua foresta, sola stanza a lui accomodata, in cui esso si cro- giola e bea, di nulla bisognevole che non gli sia amman- nito dalla natura; se per difetto d'intelligenza, della quale (1) V. Bell, The Hand, pag. XXII-XXIV. 385 non abbisogna, non avendo nulla da apprendere, nulla da significare, superflua gli riuscirebbe la loquela; ed incapace di ricavare verun profitto’ o diletto da un qua- lunque lavorìo, a nulla gli gioverebbe il potersi stare a lungo o comodamente assiso (1); a nulla la perfezione della mano acconcia ad ogni più squisito artifizio;.a nulla l'indipendenza degli arti anteriori dai posteriori, vantag- giandosi più assai della robustezza e lunghezza dei primi per ghermire da lungi e stringere, soffocare e stritolare la preda, e dell’associarli ai secondi per agevolare ed avacciare il corso arrampicandosi o discorrendo su per gli alberi di ramo in ramo e spenzolarvisi e dondolare (2); come gli riesce a tutela delle parti più nobili e più vitali la curvezza del dorso, e l’andar chino e carpone (3)? L’uomo al contrario non abbisogna di congenite armi, perchè nel capo di lui alberga, come in sua rocca, di tutto punto armata la simbolica Pallade o Minerva, dea della sapienza e della guerra, delle scienze e delle arti; celeste scintilla che appresasi in Adamo per irradiamento divino, ed avvi- vata nel di lui colloquio col Creatore, dovea destarsi nella di lui prole al materno sorriso, afforzarsi e svolgersi nel consorzio umano. All’uomo, figlio di Dio, non fu dunque nè madre, nè noverca o matrigna la natura, all’uomo innocente spontanea e facile, allo scaduto ritrosa e diffi- cile, ma pur costretta ad essere provveditrice ai di lui bisogni, e ministra de’ suoi voleri; a fornirgli ogni varietà di cibo e di stanza, armi e strumenti a sicurezza e difesa, a comodità e diletto, ad istruzione e coltura; a rendergli (1) Galenus, De usu partium , lib. IN, cap. NI et VIII, coll. XVI sub finem. (2) Duvernoy, op. cit., pag. 27. (3) Galenus, op. cit., lib. III, c. II 386 possibile lo scoprire e sfruttare i.più riposti di lei tesori, a carpirle i più gelosi segreti, a valersi di quelle terri- bilissime forze di lei non credute per lo innanzi potersi mai dall'uomo correggere e governare. Nasc’ egli ignudo, debole ed inerme (1), perchè a suo riparo, sostentamento e difesa veglia e provvede, finchè gli basti il proprio, il senno altrui (2); sprovvedutissimo degli animali, riesce . per la loro spontanea o sforzata contribuzione e suddi- tanza il meglio fornito; da essi ritrae cibo, vesti ed armi; per lui vegliano, combattono, lavorano; lui trasportano , lui vettureggiano; dimestici o dimesticati lui per ogni dove accompagnano , 0 viva vita nomade, o trasporti e fissi altrove per necessità o diletto la sua stabile dimora. Chè non confinato come i vari generi della flora e della fauna a questa od a quella zona o regione, vive sotto ogni cielo, ad ogni clima si natura, e trova o si provvede tetto , indumento e ristoro; e non solo non trova limiti od ostacoli al libero suo corso, ma tutto glielo agevola ed affretta, e ratto qual vento traversa le viscere de’ monti, scorre sul dorso a’ flutti e sale oltre le nubi. Autore di questi prodigi l'ingegno, operatrice la mano dell’uomo (3), strumento perfettissimo che ogni altro scusa o produce (4); organo del tatto che nell'uomo è squisitis- simo (5), perchè, a così dire, il più oggettivo de’ sensi, quello che ci desta più vivo il sentimento del non do, che più ci giova a distinguere da noi e fra loro gli oggetti ed a renderceli più noti, a conoscere le proprietà geome- triche de’ corpi, a formarci le nozioni di distanza, di (1) Blumenbach, op. cit., pag. 27. (2) Ib., pag. 21. (3) Cicero, De natura Deorum, II, 60. (4) Galenus, op. cit., lib. I, c. II. (5) Bell, op. cit., ch. VII, pag. 220. - 387 moto; di numero, di tempo e di misura (I): vivo compasso che presuppone il geometra, ma non lo costituisce (2); nè solo, come pittorescamente disse il Gratiolet (3), afferra le idee, ma qual pantomimo le esprime (4); nè le esprime soltanto momentaneamente, ma col magistero dell’ arte le perenna. Inutile artifizio, ove manchi l’assoluta libertà della mano e l'indipendenza del braccio, incompossibile coll’uffizio di gamba e di piede, nè altrimenti conseguibile che coll’eretto portamento (5). Di qui la maggiore lunghezza e robustezza degli arti inferiori destinati a reggere da soli e trasferire il corpo (6); quindi più pieno, fermo e stabile il piede , meno sciolto e più poderoso l’alluce (7); più lungo il tallone, più svolti e raggruppati nel polpaccio i muscoli gemelli e solèo (8), più ampia la pelvi, più largo il petto, l’articolazione del femore coll’osso degli ili, mercè d’un condilo posto obliquamente, appropriata al maggior so- stegno del tronco, o stia l’uomo in piedi o seduto (9), ed a mantenere le estremità inferiori in retta linea colla colonna vertebrale (10) curvabile alternativamente nella triplice sua regione cervicale, dorsale e lombare (11), e sormontata non (1) Bell., op. cit., ch. VII, pag. 139. (2) Ib., ch. X, pag. 160, coll. Galenus, op. cit., lib. I, cap. III-IV. (3) Conference è la Sorbonne ap. Revue germanique et francaise, tom. XXIX, pag. 37-38. (4) Quintilianus, Institut. orator., lib. XI, c. 3, nn. 85-€9. (5) Virey, Compendio di storia fisica e morale dell’uomo, Torino , 1853, pag. 17, 27-28. (6) Blumenbach , op. cit., pag. 24. Bell, op. cit., pag. 31-32, coll. 198. Bianconi, op. cit., pag. 33-36. (7) Virey, op. cit., pag. 21. (8) Ib., pag. 20, 28. Duvernoy, op. et 1. cit., 8 XVIII. (9) Virey, op. cit., pag. 20, 29-30. (10) Galenus, op. cit. lib. III, capp. II e III. (11) Duvernoy, op. cit., pag. 231. 388 già da un acchiappatoio o ceffo ferino, ma dal capo eretto e sublime (1) che sovr’'essa, per la mediana posizione del gran foro occipitale (2), bilicato nell’attitudine di chi spe- cula (3) ed impera (4), si rivela sede del pensiero di chi numera gli astri e li pesa, e risale alla fonte da cui de- riva (5); aula della parola in cui il pensiero s'impronta e di forma sensibile si riveste; ora imperiosa quale s’addice al terrestre sovrano, ora supplice quale si conviene al cit- tadino celeste; simbolo pur essa di quel nesso, di quel vincolo eminentemente religioso di cui l’uomo è la per- sonificazione; vincolo che rilegando il sensibile coll’intel- ligibile, questo col sovrintelligibile e col sovrannaturale, rilega la terra col cielo, la natura con Dio. (1) Ovid. Metamorph., I, 76-88. Silius Italicus, XV, 84-85 (2) Virey, op. cit., pag. 55; Duvernoy, op. cit., pag. 173-174; Isidore Geoffroy Saint-Hilaire, Archives du Mustum ete., tom. X, pag. 26, 50; Bianconi, op. cit., pag. 15. (3) Seneca, De olio sapientis, c. 32; Cicero, De nalura Deorum, TL, 156. (4) Duvernoy, op. cit., pag. 224; Virey, op. cit., pag. 17. (5) Plato in Timaeo, 90, A; et Cicero, De legibus, I, 9; Lactantius, Divin. Inst., Il, 1. L’Accademico Segretario Gaspare GORRESIO. MUSA Alla pag. 227 (Munanza del 20 dicembre 1868), invece di Presidenza del sig. Conte L. Sauti, leggasi: PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. ScLopis. 389 DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO DAL 1° ar 31 ceENNAIO 1869 Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; November 1868; 8°. Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Dicembre 1868; 8°. Discorso del Sindaco di Bergamo in occasione che si inaugurarono le lapidi commemorative dei cittadini di Bergamo morti nelle guerre dell’indipendenza. Bergamo, 1868; 4°. Mittheilungen der naturforschenden Gesellschaft in Bern, aus dem Jahre 1867; n. 619-653. Bern, 1868; 8°. Mémoires de la Société des Sciences physiques et naturelles de Bordeaux; tom. VI, 2° cahier. Bordeaux, 1868; 8°. IV und V Jahresbericht des Vereins fiir Erdkunde zu Dresden. Dresden, 1868; 8°. Meteorologia italiana; 1868, pag. 107-120; supplemento 1868, pa- gina 9-16; 4°. Carte géologique de la Néerlande ; par W. C. H. SrarING. Harlem, 1858-1867; n. 3, 4, 6, 7, 8, 10, 11, 17, 21, 22, 23, 27. 20 Donatori Accademia Reale delle Scienze di Berlino, Società Med.-Chirurgica di Bologna. Municipio di Bergamo, Società di Scienze nat. di Berna, Società delle Scienze fisiche e naturali di Bordeaux. Soc, d’agricoltura di Dresda. Ministero diAgr.Ind.eCom. (Firenze), Comm, Geologica della Nuova Olanda (Harlem), Università di Leida, Istituzione Reale della Gr. Brett, (Londra). Id. Società Zoolog, di Londra, Univers. Cattolica di Lovanio. Id. Id, Il, Id. Id, Id. Id, Id. Id, Id. 390 Annales academici; MpcccLxmm-MpeccLxIv. Lugduni-Batavorum, 1868;- 1 vol. 49. Proceedings of the Royal Institution of Great Britain; n. 47-48. London, 1868; 8°. List of the Members, officers and Professors etc. London, 1868; 8°. Transactions of the Zoological Society of London; vol. VI, part 5. London, 1868; 4°. Annuaire de l’Université Catholique de Louvain; années 1863-1868; 6 vol. 16°. Société littéraire de l’Université Catholique de Louvain; Choix de Mémoires, IX. Louvain, 1863; 1 vol. 8°. Discours prononcés par N. J. LAFORET après les services funèbres célébrés pour le repos de l’àme des Professeurs Louis Mallard et G. A. A. Arendt. Louvain, 1865; 8°. Theses. Facultas theologica; n. 265-267; 269-276; 278-281; 283-326; 8°. Id. Facultas iuris; n. 8-10; 12-14; 8°. Id. Facultas medica; n. 63-66; 8°. De residentia beneficiatorum, dissertatio historico-canonica, quam. ... conscripsit Ludovicus HENRY. Lovanii, 1863; 1 vol. 8°. De Hyperdulia eiusque fundamento, dissertatio historico-theologica , quam. ....publice propugnabit A. J. J. F. HAINE. Lovanii, 1864; 1 vol. 8°. De iure Ecclesiae in universitates studiorum, dissertatio historico- canonica, quam ....... publice propugnabit Fr. Ceslaus Maria pE RoBiano. Lovanii, 1864; 1 vol. 8°. De processione Spiritus Sancti ex Patre Filioque, dissertatio theo- logica, quam ...... publice propugnabit A. B. van DER MOEREN. Lovanii, 1864; 1 vol. 8°. De origine Evangeliorum deque eorum historica auctoritate, dis- sertatio historico-apologetico-critica, quam ......publice propu- gnabit J. Fr. DEMARET, Lovanii, 1865; 1 vol. 8°. 391 De vita et scriplis Sancti Jacobi Sarugensis, dissertatio historico- theologica, quam. ... publice propugnabit J. B. ABBELOOS. Lovanii, 1867; 1 vol. 8°. Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Rendiconti; serie II, vol. I, fasc. 17-20. Milano, 1868; 8°. ‘ Memorie del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; Classe di Scienze matematiche e naturali; vol. XI, fasc.1°. Milano, 1868; 4°. Memorie del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; Classe di Lettere e Scienze morali e politiche; vol. XI, fasc. 1. Milano, 1868; 4°. Memorie della Società Italiana delle Scienze naturali; tom. II, n. 7; tom. III, n. 2-4; tom. IV, n. 1-2. Milano, 1867-68; 4°. Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del R. Coll. CARLO ALBERTO in Moncalieri; vol, IIl, n. 10-11; 4°. Memorie della Società archeologica di Mosca (in lingua russa); tomo I, parte 22. Mosca, 1867; 4°. Atti della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere di Napoli, dalla fondazione sino all’anno 1787. Napoli, 1788; 1 vol. 4°. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; novembre 1868; 4°. Exploration archéologique de la Galatie et de la Bithynie ete.; par Georges PERROT, Edmond GuiLLaume et Jules DELBET; livraisons 18-21; f.° Bulletin de la Société de Géographie; octobre 1868; 8°. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1868, n. 24; 1869, n. 1; 8°. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; Serie terza, vol. XIV, disp. 12. Venezia, 1868-69; 8°. . Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften; Mathem.-Na- turw. Classe; erste Abth.; LVI Band, 2-5 Heft.; LVII Band, 1-3 Heft.; zweite Abth., LVI Band, 3-5 Heft., LVII Band, 1-3 Neft. Wien, 1867-68; 8°. Univers, Cattolica di Lovanio. R, Istituto Lomb. (Milano). Id. Id. Società Italiana di Sc. naturali (Milano). Osservatorio del R. Collegio di Moncalieri. Società Archeologica di Mosca, Società Reale di Napoli. Id. Ministero della Pubb, Istr. di Francia ( Parigi ). Soc. di Geografia di Parigi. R. Accademia di Medicina di Torino. R, Istituto Ven. (Venezia). Accademia Imp. delle Scienze di Vienna, Accademia Imp. delle Scienze di Vienna. Id, Id. Id. Id, Id, Id, Id. Id, Id, Id, Id. Id. 392 Almanach der K. Akademie der Wissenschaften; 1868, 8°. - Denkschriften der K. Akademie der Wissenschaften; Mathem.-Naturw. Classe; Band XVII, XVIII. Wien, 1867-68; 2 vol. 4°. Denkscriften der K. Akademie der Wissenschaften; Philos. - go Classe; Band XVII. Wien, 1867; 40. Archiv fur 6sterreichische Geschichte; XXXVIII Band, zweite Halfte; XXXIX Band. Wien, 1867-68; 8°. Die Grotten und H6hlen von Adelsberg Lueg, Planina und Laas, von Dr Adolf ScaMmipL. Wien, 1854; 1 vol. 8° con atlante f.° Geschichte Wassaf's, persisch herausgegeben und deutsch ubersetzt von HAMMER-PuRGSTALL; I Band. Wien, 1856; 1 vol. 4°. Regesten zur Geschichte der Markgrafen und Herzoge ésterreichs aus dem Hause Babenberg, von Andreas von MEILLER. Wien, 1850; 1 vol. 4°. i Das Verbriiderungs-Buch des Stiftes S. Peter zu Salzburg, etc.; von Th. G. v. RARAJAN. Wien, 1852; f.° Las historias del origen de los Indios de esta provincia de Guate- mala; traducidas etc. por el R. P. F. Francisco XIMENEZ, exacta- mente segun el texto espanol etc. publicado por el Dr C. ScHERZER. Viena, 1857; 8°. Monumenta linguae palaeoslovenicae e codice Suprasliensi edidit F. MikLosicH. Windobonae, 1851; 1 vol. 8°. Genesis und Exodus nach der Milstiter Handschrift, herausgegeben von Joseph DIEMER. Wien, 1862; 2 vol. 8°. Recueil d’itinéraires dans la Turquie d’Europe. Détails géographiques, topographiques et statistiques sur cet empire par Ami Bovf. Vienne, 1854; 2 vol. 8°. Die Kechna-Sprache von J.J. von TscHupI; 1-3 Abth. Wien, 1853; 2 vol. 8°. 393 il Dante ebreo, ossia il Picciol Santuario, poema didattico in terza Acea Imp. rima del RagpI Mosé, Medico di Rieti; ora per la prima volta ‘G!S, Scienze di Vienna, pubblicato dal Dott. Y. GoEpENTHAL. Vienna, 1851; 1 vol. 18°. Monumente des K. K. Miinz-und Antiken- Cabinettes in Wien; be- Id. schrieben von Joseph ARNETH. Wien, 1850, f°. Die Cinque-Cento-Cameen und Arbeiten des Benvenuto CELLINI, Id. und seiner Zeitgenossen im K. K. Miinz-und Antiken- Cabinette zu Wien; beschrieben von Joseph ARNETH. Wien, 1858; f°. Die antiken Cameen des K. K. Miinz-und Antiken- Cabinettes in Wien; Id. beschrieben von Joseph ARNETH. Wien, 1849; f°. Jahrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt ; 1868, n. 3; 8°. Soc. Geologica di Vienna, Verhandlungen der K. K. Geologischen Reichsanstalt ; 1868, n. 11- Id. 13; 8°. Verhandlungen der Schweizerischen Naturforschenden Gesellschaft soc. elvetica in Rheinfelden ; Jahresbericht 1867. Aarau, 1867; 8°. p° beino Il moderno bachi-cultore, ossia la bacologia rigenerata ; di Giuseppe L’Autore. BOARELLI; seconda edizione. Torino, 1869; 8°. L’esposizione di Chiavari; per G. B. BRIGNARDELLO. Firenze, 1869; 8°. L'A, Het Munt- en Penningkabinet der Leidsche Hoogeschool in 1867, L'A. door P. O. van DER CHIs. Leiden, 1867; 16°. Origine e progressi delle istituzioni della Monarchia di Savoia sino L’A. alla costituzione del Regno d’Italia; opera del Conte Senatore Luigi CIBRARIO; 2° edizione. Firenze, 1869; 1 vol. 8°, Sulle superficie gobbe di quarto grado; per L. CREMONA. Bologna, L’A. 1868; 4°. Le stelle cadenti del periodo di agosto 1868; Memoria IV del P. Fran- L'A. cesco DENZA. Torino, 1868; 16°. Archivio giuridico di Pietro ELLERO ; vol. II, fasc. 4. Bologna, 1869; 8.° Sig. Prof. ErteRo, Exposé des formations quaternaires de la Suède; par A. ERDMANN. L'Autore. Stockholm, 1868; 8°, avec atlas 4°. L’ Autore, L'A. L’A. Sig. Cavaliere Ripi DI MEANA, L'Autore. L'A. L’Editore, L’ Autore, 394 Le radiazioni nei loro rapporti col vapore d’acqua e altri corpi gas- sosi, e distribuzione delle radiazioni oscure e luminose nello spettro del platino incandescente; Memoria del Dott. Pietro Maria GARIBALDI. Genova, 1868; 8° gr. Studii archeologici-topografici sulla città di Bologna; del Conte Se- natore Giovanni Gozzapini. Bologna, 1868; 4°. I corpi considerati come chimiche individualità, ecc.; dissertazione del Dott. Antonio Mazzoni. Faenza, 1868; 8°. On a new form of permanent Magnet, by Frederick A. PAGET. London, 1869; 8°. Mémoires inédits sur la milice des Romains et celle des Francais; de Jean Anténor Hije pe CaLIGNY etc., précédés d’une notice historique sur l’Auteur et sur le corps francais du génie, par M. A. RIPA DE MEANA. Turin, 1868; 8°. Note di chimica generale e tossicologica ecc.; del Professore Pietro ScrvoLETTO. Napoli, 1868; 8°. Abecedario storico degli uomini illustri Sardi ecc.; pel Canonico Giovanni Spano. Cagliari, 1869; 8°. Memoria sopra una lapida terminale ecc., e scoperte archeologiche fattesi nell’ isola in tutto l’anno 1868; pel Cav. Giovanni Spano. Cagliari, 1869; 8°. Sopra una lezione del Cav. Prof. Tommaso VaLLaurI intorno al Germanismo nelle lettere latine, discorso del Cav. Prof. Giuseppe SPEZI. Roma, 1868; 8°. Chézery, chartes du XII° siècle; publiées par Jules Vuy. Genève, 1868; 40. The disentanglement of ideas, or the Mystery of the Cross; by Ar- thur Youn. London, 1868; f°. La scienza alla esposizione universale di Parigi nel 1867; osserva- zioni del Prof. Francesco ZAnTtEDESCHI. Venezia, 1868; 8°. cara AA Le rear i STLITIS CARRI VIA ATO ANS MSI pui dio prenda Sui peli | dor 15) "18 :3 è TIS4 Misti is ) IA Asti in doosoto. IVI 30 AVSIPAVILRNIO f f miti ì Ga e A VIII FILOSMONTRES + MN RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI FATTE NEL MESE DI GENNAIO. La pressione atmosferica si mantenne costantemente elevata in tutto il mese, e la media del mese 43,85 supera di 7”" la media di Gennaio degli ultimi tre anni. Nel solo giorno 22 essa discese al disotto di tal media, per risalire il giorno dopo. I valori estremi della pressione atmosferica sono 52,3 nel giorno 9 a 9" ant. e 31,7 nel giorno 22 a 3" pom. La temperatura elevata nella prima decade andò diminuendo nella seconda e nella terza. In questa pei giorni 23, 24, 25 e 26 la temperatura massima fu inferiore allo zero. La media di tutto il mese delle temperature minime — 2,7 è molto superiore a quella dell’anno scorso — 7,2, ed eguale a quella del 1867, ma inferiore a quella del 1866 — 0,6. Le temperature estreme per la prima decade sono +7,8 e —41,8, per la seconda +5,5 e — 5,5, e per la terza +6,3 e — 9,2. Il vento fu debolissimo in tutto il mese; la sua direzione fu quasi sempre S. 0. Si ebbe neve nei giorni 14, 28 e 29, ma in quantità minima. NOTAZIONI ED AVVERTENZE. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 un po' forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; nò nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all'orizzonte. Pg pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; br brina; rg rugiada. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. Le temperature minima e massima, e l'altezza dell’acqua caduta e dell'acqua evaporata, si riferiscono alle 2% ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. La parola direzione designa il luogo dove il vento va; se si vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive GENNAIO Altezza barometrica 13 Decade | 46,7 2 Decade| 45,4 9° Decade] 39,5 | 40,0 | 39,7 | 38.9| 39,31 396] —43 | —40 | —0,7 pr a hei {i 3,84] 402 4,25] 409] 430] 4,41 94 | 92 | 89 |79|87 3,10] 3,24| 3,53] 344| 355) 358/90] 91/7973 {178 3,66] 3,79) 405) 3,97] 405] 413] 91|90|82|75|8! | Mese, | 43,8| 44,3] 44,0] 434] 43,6| 4401-21 |—147 0,8 233 132 Oi 27 27 Giorni Temperatura esterna al Nord Tensione del Vapore Umidità relativa del alla temperatura di 0 gradi iii d all’altitudine di metri 276 IN GRADI CENTESIMALI IN MILLIMETRI IN CENTESIMI MESE IN MILLIMETRI _rrrr_—_—*.*t—r—rr eee ar-@i dici 7 9 12 3 6 9 D 12 8 (1) 9 È 42 3 (H 9 7 9 {42 3 | 6 antim.lantim.|merid.| pom. | pom. | pom. antim. | merid. pom. pom. pom. | minima | massima Ontim. Da merid. "7 pom. | pom, f ant. | ant. |mer.|pom./pom, 1 39,3 | 40,6] 41,2| 41,5] 42,8| 44,2 4.1 dA 7,6 6,5 3,8 3,0 7,8 3,12] 3,86] 4,83 4,56| 3,60] 3,36] 51|63|73]|58|50 DD 46,9 | 47,7 | 47,8] 47,7] 47,8] 48,5 1,0 92 3,9 i 1,6| —05 4,0 4,39| 4,01] 3,47] 3,33| 3,87] 3,65] 94| 81 | 64|56|69 3 48,7 | 49,4] 49,1] 48,5] 48,7| 48,5 —10 1 4,4 3,1 21 | —12 4,7 4,03| 3,76] 3,27) 4,25] 4,03] 4,35] 92|88|60|69/70 È i 45,7 | 45,9] 45,9] 44,4] 44,7] 459 0,6 DIO 14,6 3,7 22 0,0 4,8 4,30) 4,18| 4,35] 3,87) 4,11] 4,38] 90|87|82|62|75 É 5 46,8 | 47,5] 47,5] 47,0] 47,0] 478 0,0 21 4,2 33 2,6 | —1,0 4,9 4,47] A4,41| 4,61) 4,13] 4,57] 451] 94|96|86|66]|78 H 6 47,1 | 47,0] 46,2| 45,4| 46,3 | 46,6 0,0 3,0 44 3,1 IT 0,7 4,8 427| 3,91 4, 43| 4,1| 4,71) 4,24[93|85|78]67|83 È 7 16,5 | 46,7| 46,5] 44,9| 440] 43,3 0,7 232 4,9 3,8 28 |—-0,6! 5,0 4,30] 4,12 MA | 4,59] 4,88] 4,83] 94 | 85|84|70]|82 s 45,4 | 473| 47,4| 47,7] 47,9| 48,7 0,9 4,2 5,9 4,5 239, |/—0}8 6,0 4,20| 4,53] 4, D 4,88] 4,91] 4,691 94|92|80|71|79 9 51,9] 52,3] 02,0] 51,6] 01,3 51,5 da 24 DT, 25 Rigi 09: 3,0 4,5U| 4,75) 5,02) 5,142] 5,09| 5,21/ 92 | 9695 | 95.|.95 10 48,6| 48,5 | 47,5] 46,4| 46,3] 45,9 14 14 14 |-12 |-148 | —£8 3,0 4,14| 451] 5,08] 4,47 100 | 89 {100 |100 Il 46,5 | 47,5| 47,2] 46,3] 45,7] 45,5 —22|—06 |—03 | 19 |—31 |—38 | —03 3,96) 3,90] 4,27) 4,22) 3,96] 3,66/100 (1U0 (100 | 96 |100 19 44,3 | 44,9 | 44,3 | 43,2] 42,9| 45,1 — 4 | AA 0,4 0,1 | —0,3 | —5,5 0,8 3,26 4,27] 4,34] 4,60 4,60{100 100 | 93 [100 5 13 43,1] 43,9] 43,8| 43,9] 44,5| 446 _2? 0,2 1,6 0,8 0,7 | —3,0 1,8 3,62) 3,90). 4,33| 4,02] 4,33) 4,38/.96 (100 | 94 | 80 | 9 E 14 44,0 | 44,7 | 44,1] 43,3] 49,5] 43,3 0,7 1,9 97 23 2,4 | — 05 3,4 4,30] 442] 4,52) 42 4,92] 4,49[ 90/94 |87|79]|93 à 15 43,3 | 44,1 | 43,9] 43,6| 44,2] 44,6 1,6 3;7 5,3 4h 24 0,8 5,5 4,70] 4,76] 4,86) 4,37] 4,94] 504/92 |94|83]|66|79 z 16 43,7 | 44,1 [43,1] 42,2( 41,9 | 41,9 0,1 5 3/4 2,6 150) (i=4;2 | 35 4,36] 441] 4,93] 491f 4,74] 488/92 |96|91|86| 87 S 17 45,2 | 45,6 | 45,9] 45,1] 45,7] 46,3 1,0 36 5,2 4,1 3,3 | —0, DA 4,42] 4,65| 4,92 1 469] (5,27) 5,63] 94 | 194.| 85 | 72 | 88 di 18 40,6 | 47 48,3 | 47,6] 47,6| 48,6 —0,7 | —08 00 | —06 | —0,5 | —/,1 3,3 3,36] 3,68] 3,19] 3,23/ 3,38) 4,24/.77 | 86.|74|72]|78 19 491] 49,9] 496/490] 49,8| 50,5 —-39 | — 14 056 | —0,6 | —1,2 | —50 0,7 3,26] 3,99] 3,64| 3,47] 39) 4,02] 99 | 98 | 88|74| 80 20 48,7 | 48,7| 48,3| 47,0] 46,4| 460 4,8 1,8 0,4 152 2,6 dA 0,1 3,18] 3,11] 3,61) 3,38] 3,37) 3,14] 98|95|88|75|80 2A 42,3 | 41,7] 39,8| 37,2] 36,3] 36,8 208) 152 0,1 | —0,8 |'— 5,0 3,08) 3,23] 3,06 3,38] 3,21) 349/95 |95|68|68/70 22 33,9 | 33,5 | 32,3 | 31,7] 34,5| 37,1 1,8 29 | —05 | —20 | —3,8 2,74| 3,19) 3,15] 2,76) 3,33) 3,19] 68 | 8I | GI | 48.| 77 23 39,0] 40,0 | 40,0| 39,3] 39,7 | 39,8 —35 |—-26 | —36 | —48 | —5,8 217] 240) 2,35] 2,09] 2,40/ 2,85} 70|78|67]|56|69 ® 4 38,8] 39,2| 390| 38,31! 38,7] 39,6 —3,8 |—23 | —3,3 | —5,2 92 2,18] 2,00| 1,93 DPO 2,19] 2,98] 91 | 85 | 53 | 67| 61 i 20 41,2 | 41,3] 42,9| 42,3] 42,8] 43,0 —49 |—-31 | —3,3 | —53 | —88 2/16] 2,38| 2,87 TI) 2,76] 3,08/100 {97 |90| 74] 76 Sa 26 44,4 | 41,6| 41,0] 40,1| 40,2| 40,3 —3 — 0,7 23 3,9 8,9 2597 2359/11 3;51 254 3,14] 2,40] 94 | 97 | 94| 58] 79 Bi 27 39,9 | 40,6 | 40,0| 39,2| 39,3 | 39,0 —-1,6 0,6 = 05|—20 |—-7,5 2,37] 2,64] 2,82) 2,93/ 3,03] 2,82] 84 | 90 | 68/60] 69 ia I 28 39,2 | 39,3 | 39,0 | 38,7] 38,7| 38,9 0,0 0,2 0,9 1.3 SH 3,80) 3,64] 4,05] 4,38 4,27) 4,27] 94| 88 |89]| 98 [100 29 37,9 | 38,8] 38,7] 37,9] 37,1| 368 — 0 0,5 0,6 0,7 | —1,6 4,05] 4,27 HE) 4,44| 4,42] 4,55|100 {100 |100 | 96 | 94 30 36,9 | 38,0] 38,5 | 38,8| 40,4| 41,1 359) 5,5 4,0 27 | -05 4,55] 4,95 ,27| 5,12] 5,09] 4,89]:96.|.98 | 88 | 77|83 31 1A | A, | 45,4] 44,4] 44,5] 44,5 3,7 6,2 4,9 2,9 | —32 4,96] 4,98 re 4,90] 5,24] 4,91J100 | 96 | 88|7 79 GENNAIO niensità relativa Azimuto Ù Sin Lo Quantità di clelo coperto Altezza dell'Acqua x Tea IVI IN MILLIMETRI della direzione del Vento Stato atmosferico E A n IN DECIMI IN GNADI SESSAGESIMALI caduta evaporala DL MA On eh di 12 Ù 9 12 3 (i 9 pom.|pom.|pom.jantim.|antim.\merid, pom. .fant mer. *| antimerid. | antimerid. | merid. |pomerid.| pomerid. | pomerid. (U) 21235 235 235 DÒ 0 10 245 250 220 (Ù) no ta rs, nd rs, nb |rsm,nb Ts, n0 rs, no sr ue to 20 © co sr, no sm mr cI-a Tr, no no rs, no 260 sr, no sr rs, n0 — t9 rs, nr ms, nr sr, nr Prima Decade mo a cr — 19 — O dic st, nb sr, nb sr sm, nb nf nf r, nd nf nf nf nf nf nf nf r, nb nb rsm, no mm mr, nb | r, nb © ouio a © S rw s SM,NO,nV | sr, nv s,n0 | sr, no oe o sr, nb | ms,nb | sr, nb | sr, nb sm, n0 nf ssnb | rs, nd ms mms, no msn MST ere Pisana, een rea ee iS $ Hi Pi) 4 DI bi Di b) sm, nv sm sm sm rs, nb nr nb © = ta a SS a o cc co coc-- — — 40 29 + O è0 9 — — nb no ST, nb sr, nr mr, no mr, nr nb ms, nr m rm, nr nb n r, nb nr nr halo a e ae nr sr, nr Ts, nr r, nb nh nr ri rs, nb Terza Decade sm, nb nh s, nb nb nf nf nf P ms, nb | sm, nb ms oceuvececcco pr I E EST IS mr, nb nf TS, n OZONOSCOPICHE Giorni del mese 5 | { 15 | 16. || 17 S ‘ DL 24 | 25/2 28 [-29.| 30 | 31 9 antimerid, 3 pomerid, 9 pomerid. ASI [a6] LoL 20] 21|22 © 24] 25/26/27 De EDI | 3051] © | que termometrica | ii BE VOLERE SÙ HA ESSSsaSa- Ì . CLASSE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Febbraio e Marzo 1869. A texi vaesdd5I mr toh Poor Sa ino. a. Muon- N06 dala PROT ASA 2RTO uQiuiob ni nasci sila GISUDBAL: gslasbissti nia 4 bito biz 0 HOIIPAIZOUA 160400 LEE IRE Ania spie adi idee saoonilaga i 2081 cisrddot &I LE. cosant. UE. sac 240 Y iaia 12207 ]23 laser iD 8 arde tl siltazoigoinod osi Sonitisuli 096 i paeeuti PIA vio plasnp STT0/q5l date dona de sind 0 Sio DINUNAIE RR RL PERETOLA spagna solaio ii > PARAVIA ‘#7 È [ATEIASPOP LI 18 doti AG LO 397 CLASSE DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Adunanza del 21 Febbraio 1869 PRESIDENZA DEL SIG. COMM. G. MORIS, VICE-PRESIDENTE Il Vice-Presidente annunzia alla Classe la dolorosa perdita del Cav. Pietro Paleocapa, Accademico residente, avvenuta in Torino il 13 febbraio 1869. I sentimenti di profondo dolore e di rimpianto espressi dal Vice- Presidente trovano un eco unanime nei Soci presenti, i quali a lui si uniscono nel deplorare questa morte, la quale tolse all'Accademia un Socio che per ogni verso la onorava. Il Socio Cav. Genoccni annunzia che il Principe Bal- dassarre Boncompagni ha inviato al signor A. SERRET, Membro dell'Istituto di Francia, editore delle Opere di Lagrange, un esemplare della riproduzione litografica , fatta da lui eseguire, della Lettera di Lagrange al conte Fagnano, stampata a Torino nel 1754. Il signor SERRET ha fatto sapere al medesimo Principe Boncompagni che questa lettera potrà essere compresa nel tomo VI della 398 edizione di tutte le Opere della quale soltanto i due primi sono ora pubblicati. Il medesimo Socio legge poi una sua Memoria intitolata Dimostrazione di una formola di Leibnizio e Lagrange e d'alcune formole affini. In essa si dimostra la nota serie per gl’'integrali successivi d’un prodotto, facendo uso della formola > mn XL f@d=T) fa)la—a-ds , che permette di giudicare della convergenza della serie e di formar un'espressione .del suo resto. Stendendo questa formola a valori fratti (positivi) di m, si stende la dimo- strazione agrintegrali d’indice fratto. Nella stessa Memoria si dimostrano altre formole, tra le quali Autore crede non siano ancora state avvertite le seguenti : fronte d"7 eri ‘dp) |, qu" da”+r : pdg=Y ‘Im.(—:) a" (qa: e m >m+n d E dtt” p|aden=Y tm](-3) |eTE doo qui p, 9, v indicano tre funzioni di 2, e generalmente si rappresenta col simbolo fm], il coefficiente di «” nella potenza (1+ 2)” Questa Memoria sarà pubblicata nei Volumi Accademici. 399 Il Socio Cav. DeLroNTE legge un suo lavoro intitolato: Un ricordo botanico del Prof. Filippo De FiLipr, ossia Osservazioni e note diagnostiche sulle piante nate dai semi da esso raccolti in Persia e mella China. Nella introdu- zione di questa sua Memoria l’Autore rammenta come il De Fiuipri, reduce dal suo viaggio in Persia, e più tardi, mentre si disponeva a far ritorno dal Giappone, facesse pervenire a Torino semi di piante varie provenienti dalle regioni da lui visitate; e che i detti semi a lui consegnati furono con ogni diligenza possibile seminati nell’ Orto bo- tanico del Valentino; sicchè ne nacquero piante, le quali, a compimento dell’opera, doveano essere studiate, clas- sificate e descritte. A ciò appunto attese il Socio DELPONTE, il quale espone nel suo lavoro la determinazione botanica e la descrizione delle specie suddette, con alcune con- siderazioni intorno all’ indole loro, così per le specie spontanee come per le piante economiche. Il lavoro del Cav. DeLPonte viene approvato per la stampa nei Volumi accademici. 400 Adunanza del 7 Marzo 1869, PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Presidente legge una sua scrittura intitolata : NOTIZIE DELLA VITA DI PIETRO PALEOCAPA SOCIO DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE. Nei lutti comuni della gran patria italiana per la perdita de’ migliori suoi figli avvien sovente che s'incontrino lutti particolari di questa nostra Accademia, la quale appunto tra essi sceglieva e sceglie i suoi componenti. Così, dopo che ci furono tolti il Lamarmora, il Plana, il Manno, il Matteucci, ed altri egregi Colleghi, la morte venne testè ad involarci Pietro PaLEocara, che avevamo eletto con gioia e riverenza a sedere fra noi. Ora io, facendomi a compiangere insieme con Voi, onorandi Colleghi, questa amarissima perdita, vi chiedo licenza di trattenervi alquanto nel discorrere della vita di questo nostro cotanto commendevole Socio. Non è già ch'io creda d'essere appieno istruito di tutti i meriti ch'egli acquistossi nell'esercizio della scienza e dell’arte dell’Inge- gnere, in che spese la maggior parte della sua vita, e vi fu 401 valentissimo, ma perchè ebbi la sorte di conoscerlo di persona allora quando, già provetto negli anni, la prima mossa d'armi della guerra dell’independenza italiana lo produsse sulla scena politica, dove egli ebbe più larghe e più splendide occasioni di mostrare quanto fosse il suo senno e quanto il suo amor per l'Italia. Nessuno certo tra Voi, o Signori, vorrà darmi rimprovero se, come già m’accadde di fare altre volte, prendendo a parlare di uno Scienziato, lo considero anche come uomo politico. Ella è questa una ventura della nostra Reale Ac- cademia il racchiudere nel suo seno uomini che seppero illustrarsi non meno nelle tranquille specolazioni della scienza, che nell’agitato maneggio delle cose pubbliche. Quest’alleanza di discipline diverse, ma non contrarie, porge talvolta all'uomo l’opportunità di svolgere la pienezza delle sue forze intellettuali e morali, di cui altrimenti una parte sarebbe rimasta inerte e sepolta. Ma non ometterò di ripetere quello che già io avvertiva, parlandovi del Matteucci, lasciarsi per me indecisa la quistione, se non valga meglio per la quiete e per la gloria dell’uomo il coltivare esclusivamente la scienza che l’attendere alla politica. Pur sempre è vero che se il PaLeocaPA si fosse contentato delle benemerenze acquistate ne’ carichi d'ingegnere e di diret- tore delle pubbliche costruzioni in Venezia, non sarebbesi procacciato fama uguale a quella che ottenne passando nel campo delle grandi lotte e delle vaste applicazioni. La famiglia PaLEocAPA, come suona lo stesso nome, è d'origine greca. Essa abbandonò l'isola di Candia nel 4669 quando i Turchi se ne impadronirono, e si trasportò nel dominio della Signoria di Venezia. 402 Il nostro Pietro nacque V'11 novembre 1788 (4) in Bergamo dove suo padre era Cancelliere della Repubblica. Cominciò per iniziarsi all’Università di Padova negli studi del diritto, d’onde egli potè attingere quella nozione espan- siva del giusto e dell’ equo, che così bene poi seppe svolgere nella sua vita pubblica. Congiuntesi le Provincie Venete al Regno d’Italia in virtù del trattato di Presborgo del 25 decembre 1805, il PaLrocara fu anche lui preso da quel desiderio di gloria militare che invadeva i giovani dove regnava Napoleone. Entrò nella Scuola militare di Modena aperta al Genio ed all’Artiglieria teoretica, emula in parte della famosa Scuola politecnica di Parigi. Dalla Scuola di Modena, come -dalla Scuola militare di Pavia, provennero, oltre il PaLrocara, illustri allievi, tra’ quali sono da nominarsi Nobili, Rezia, Armandi, Stecchini, Vacani, Francesconi, Birago (2). Uscito primo della sua promozione il PaLeocaPa co- minciò la sua carriera militare col grado di Tenente nel Corpo del Genio e fu incaricato dei lavori che allora si eseguivano nella fortezza di Osopo. Egli fece la campagna del 1813 col secondo Corpo della grande Armata comandato dal Generale Bertrand. Fu pri- gioniero di guerra dopo la sconfitta di Yiitterbok e condotto in Pomerania. (1) Molti lo dicono nato nel 1789, ma avvertendo com'’egli scri- vendo al Re il 4 aprile 1867 gli indicasse Za mia grave età che tocca l’ottantesimo anno, sembrerebbe doversi riferire la di lui nascita all'anno antecedente. (2) V. Estratto complelo dei cenni storico-statistici sulla Milizia Ci- salpino-Italiana dal 1796 al 1814 del Barone Alessandro ZanoLi scritto da un Veterano dell’ex Esercito, con aggiunte e rettificazioni del- l'Autore. Milano 1847 - Annali universali di statistica. 403 Sfuggì alla prigionia; e ritornato in Italia quando il Regno Italico era presso alla sua caduta, fu mandato a Peschiera incaricato dei lavori di difesa del forte avanzato di Mandella. Sciolto dagli Austriaci l'Esercito italiano, il PALEOcAPA fa uno de’ sei Ufficiali a cui venne offerto servizio nel Corpo superiore del Genio (1). L'offerta non fu accettata dal giovine Ufficiale, che, abbandonato il servizio militare, fu dopo due anni impiegato nel Corpo degl’ Ingegneri di acque e strade in Venezia. Nel 1820 egli fu trasferito nel Collegio degli Ingegneri della Giunta del Censimento istituito in Milano, e vi passò parecchi anni. Ma scor- gendo che quella Giunta procedeva con forme troppo lente, e meno efficaci, domandò ed ottenne di rientrare nel servizio delle acque e strade, e fu nel 1829 nominato Ingegnere in capo a Venezia. Nel 1833 venne nominato Ispettore idraulico, e nel 1840 Direttore generale delle pubbliche costruzioni. Ed ecco il nostro Collega collocato in grado di porre in azione tutte le forze del suo ingegno avvalorato dallà sua dottrina, e di farsi apprezzare pel modo con che sapeva preparare e condurre ardui lavori a risultati felici. Riuscì egli a comporre controversie che da più d’un secolo dura- vano sulla regolazione di Brenta e Bacchiglione mercè d’un piano che ebbe l'approvazione del celebre Fossombroni da (1) Questa ed alcune altre notizie della vita del PaLrocapra, le abbiamo attinte da un articolo inserto nel Monitore delle strade ferrate del 17 febbraio 1860. L'Autore di quell’articolo asserisce poter garantire l'autenticità dei cenni da lui pubblicati perchè desunti dalle carte e memorie lasciate dal defunto, le quali dalla famiglia a lui fu concesso di esaminare. 404 lai consultato per ordine del Governo (1); e così dal 1849 in poi non s' ebbero più a lamentare innondazioni del Brenta per lo avanti così replicate e disastrose. Ideò egli pure e mise ad esecuzione un piano d’opere per la siste- mazione dell'Adige coordinato alla bonificazione di vastissimi terreni paludosi, e specialmente delle così dette Valli Ve- ronesi. In fine ebbe ad occuparsi d’un grande lavoro pel miglioramento del Porto di Malamocco, dove più ancora che per le difficolà de’ luoghi, incontrò resistenza di pregiu- dizi inveterati. È Malamocco il Porto sostituito dalla natura ad altro poco distante, al sito ora denominato Porto Secco sul litorale di Pelestrina; col perdersi di questo, l’altro principiò ad essere praticabile dalle navi solamente nell’anno 1493, quando cioè anche il Porto di San Nicolò del Lido, che è quello immediato di Venezia, andava perdendo di profondità. Due correnti determinano l’inflessione e l’ andamento delle foci di questi porti in generale, e di quello di Mala- mocco in particolare; una è la radente litorale proveniente (1) Il PaLEocaPa recatosi a Firenze in principio dell’anno 1835, vi sì trattenne alcuni mesi. Il FossomsronI, soddisfatto delle infor- mazioni che a viva voce ne trasse, e dei dati fornitigli, e sciolti i dubbi che ancora gli rimanevano, ne stese una Memoria ed un piano che sotto il modesto titolo di Considerazioni sul sistema idraulico dei paesi veneti si fece di pubblica ragione in Firenze nel 1847. Chi legge queste Considerazioni, dettate con tanta profondità di sapere e tanta avvenenza di forme, non può a meno di ammi- rare il genio del grande statista e matematico toscano. - Il libro porta per epigrafe il verso Virgiliano Extremum hunc Arethusa mihi concede laborem, ma spicca in ogni sua parte una vivezza giovanile, felice testimo- nianza della freschezza di mente dell’ottuagenario Autore. 405 dal Nord, Valtra la corrente di riflusso che sortirebbe direttamente dal Porto se dalla prima non fosse costretta a piegare verso il Sud; onde deriva la viziatura delle foci che scorrono in senso quasi parallelo alla spiaggia; e quindi in alcune circostanze di mare e di vento non solo era malagevole l’accostarsi a que’ lidi, ma talvolta pericoloso o impossibile il tentare l’ ingresso o l'uscita dal Porto. Il Governo Veneto, pensando di avere nella difficoltà degli accessi una sicurezza contro gli assalti, anzichè stu- diarsi di superare radicalmente gli ostacoli, erasi appigliato a certi ripieghi che non impedivano il progresso del male (1). Venuti i Francesi, si pensò a trarsi da quegl’impigli; Prony, Sganzin e Bertin de Vaux nel 1807, giovandosi anche delle idee e dei suggerimenti di Andrea Salvini Colonnello del Genio navale, e del Wanderberg della Marina Olandese, opinarono che lo spediente più atto a cessare i lamentati danni e pericoli fosse quello di gettare due dighe in senso quasi ortogonale al lido. Questo sistema suscitò gravi oppo- sizioni, ma ancor più validi difensori che in fine ebbero il vanto di giustificarlo, estenderlo ed eseguirlo, e tra essi furono l'ingegnere Casoni ed il PaLEocara. Di quest'ultimo riferiremo il parere espresso nell’ adunanza dell’ Istituto Veneto del 30 gennaio 1848. Egli, confermando i fatti (1) Quanto alle opere di difesa dei lidi di Venezia, progressiva- mente costrutte, fino a que’tanto celebrati Murazzi che il Senato Veneto fece costrurre, secondo il progetto dell’illustre ZENDRINI, poco prima della metà del secolo xvi, è da vedersi la dotta ed importante Esposizione dello Stato antico, delle vicende e della condizione attuale degli estuari veneti, pubblicata dal Commendatore PaLEocapa Presidente della Commissione idraulica istituita con R.° Decreto 6 ottobre 1866, in Venezia nel 1867. Ivi si contengono varie notizie di quest'opera, veramente magistrale, di Malamocco. 406 e le osservazioni riferite dall'ingegnere Casoni e le conse- guenze che ne dedusse, aggiunse non potersi muovere dubbio sull’assoluta convenienza di chiudere quanto prima la vecchia foce di Malamocco, e di costruire la controdiga al Sud. Avvertì che il malaugurato desiderio, sorto allora in pochi, di mantenere in un colla nuova anche la vecchia foce, non era che una fase della costante e moltiforme opposizione che aveva sempre incontrato il progetto di migliorare radicalmente il Porto di Malamocco. Vinto un ostacolo, soggiunse egli averne sempre dovuto combattere un altro e diverso, confidarsi però che il progetto fosse per avere sollecito ed assoluto compimento. Tutto l'Istituto si associò al voto manifestato dal PaLEocara. Ci siamo soffermati alquanto su questo racconto dei lavori intorno al Porto di Malamocco, perchè l’importanza del- l’opera ed il grido che se ne levò ce lo consigliavano; ma i limiti naturalmente imposti a questa notizia non ci con- sentono di diffonderci ulteriormente su quanto egli fece come Direttore delle costruzioni in Venezia, e come Membro di quell’Istituto. Accenneremo quindi soltanto di volo i suoi studi Sugl'indizi della diminuita portata magra de’ fiumi; le ricerche fatte in compagnia de signori Zendrini e Pasini sull'innalzamento di livello nel Mare Adriatico. Nè più ci estenderemo citando le sue Memorie da lui lette all'Ateneo di Venezia sulla bonificazione di Val di Chiana, e sulla siste- mazione stabile della stessa Valle, non che.il suo Discorso sulla condizione idrografica della maremma veneta e le bonificazioni di cui è suscettibile; gli studi sulla costituzione geologica del bacino di Venezia; le memorie d’idraulica pratica , e quelle sulla regolazione della foce del Danubio nel Mar Nero. 407 Tre volte il PaLrocapra fu chiamato in Ungheria; pri- mieramente nel 1842 per dare il suo parere sulla re- golazione del tronco del Danubio che scorre fra Buda e Pest; poi nel 1846 per cercar modo di salvare le vaste pianure traversate dalla Theiss raccoglitrice di tutte le acque della Transilvania, e della maggior parte di quelle discendenti dai monti settentrionali dell’ Ungheria, e di asciugare le paludi che la infettavano. Il piano proposto dal PaLrocara fu accettato; ma gli avvenimenti politici e guerreschi che sopravvennero ne interruppero l’eseguimento; da ultimo nel 1848 per esaminare un piano di regolazione dei Porto di Fiume. Nei primi moti di quell’immenso palpito nazionale che si destò in Italia sul principio del 1848, Venezia erasi sottratta senza grande sforzo alla dominazione straniera. Il 22 marzo essa aveva proclamato la Repubblica, ed il giorno seguente aveva eletto un governo provvisorio che veniva presieduto da un uomo cinto da immenso prestigio di popolarità Daniele Manin. Di tal governo entrava a far parte il PaLEocAPA in qua- lità di Ministro dell'Interno e dei Lavori pubblici. In quei primi frangenti non si tardò a sentire il bisogno di potente soccorso che al calor degli spiriti aggiungesse un robusto alimento. Il PaLeocapa dovette quindi recarsi al campo del Re CarLo ALseRTO per implorare tale soccorso; volle però andandovi aver facoltà di dichiarare al Re, che Venezia intendeva mantenersi libera, disporre di sè, e scegliere quel Governo che fosse per riconoscere più conforme a’suoi veri interessi, non ostante la forma repubblicana ch'erasi as- sunta, ma che dovevasi riguardare come affatto provvisoria. 408 Non è da stupire che in una accensione così subitanea di sentimenti patriotici, di liete speranze, di possenti, ed anche smodate, ambizioni, il desiderato pigliasse il posto del possibile. Non fa meraviglia che le vecchie idee repubblicane, sopite, anzichè distrutte, cercassero di mostrarsi accresciute e corrette. Ogni piccolo accidente che si volgesse a talento di que che governavano si allargava nella loro fantasia; e sognavano allora d’avere una importanza impossibile a verificarsi. Alle seduzioni ed alle allucinazioni dell'amor proprio si congiungeva la diffusione di certe teorie di ragione di Stato svolte da pubblicisti di chiaro nome, le quali raccomandavano doversi « continuare là guerra con tutto l ardore, e frattanto preparare di buon accordo dei due Governi, Veneto e Lombardo, una sola Legge elettorale, affinchè, finita la guerra, i deputati eletti col suffragio universale decidessero tutte le questioni di territorio e di reggimento politico (1). » Così secondo quelle dottrine Re Carro ALgeRTO sarebbe divenuto quasi un condottiero di truppe per una impresa indefinita, ed il Piemonte un provveditore di mezzi di guerra da terminarsi poi con o senza positivo suo danno, ma di sicuro con detrimento della sua forza morale. Lodavasi, ben è vero, a cielo il magnanimo proposito di acquistare l’independenza d’Italia, ma non si rifletteva abbastanza che a conseguirla ed a conservarla questa indipendenza (1) V. l'opuscolo intitolato, Sulla questione politica Lombardo- Veneta. Lettera dell’ Avv. Valentino Pasini al Marchese Lorenzo N. Parero, Ministro degli Affari esterni di S. M. il Re di Sardegna: pubblicata nel dì 30 maggio 1848 in Venezia co’tipi di Giovanni Cecchini. 409 era d’uopo si procedesse con una fermezza di volere ed una energia di azione che male sarebbonsi acconciate con un ondeggiamento continuo di propositi e di previ- sioni tutte avviate sull’incertezza dell’avvenire (1). Pietro PaLeocapa, tuttochè fosse. novizio negli affari politici, era però dotato di quella doppia prerogativa intellettuale che distingue l’uomo destinato al governo ; molto buon senso, ed un tatto morale finissimo. Egli presto si avvide che non c’era da fidare sulle velleità di do- minazioni disgiunte, e di esorbitanti pretese, e si pose tra le file di que’ che. parteggiavano per l'annessione di Venezia agli Stati di CarLo ALBERTO, e fu inviato a Torino per compiere quell’atto che venne solennemente accettato colla Legge del 27 luglio 1848 (2). Accettavasi in virtù della medesima la deliberazione del 4 dello stesso mese della Città e Provincia di Venezia pre- sentata al Re CarLo ALgerto al Quartiere generale di Ro- verbella il successivo giorno 12, da speciale deputazione, che esprimeva il voto generale di quella popolazione. Or qui mi sia permesso il segnare particolarmente la data di questa Legge. Quando trattossi di sanzionarla si era all'indomani della battaglia di Custoza (3), ma sotto (1) V. il libro interessantissimo così per le cose che vi si riferi- scono, come per l'autorità dell'Autore, che ha per titolo: Memorie ed osservazioni sulla guerra dell’indipendenza d’ Italia nel 1848, raccolte da un Ufficiale piemontese. Torino, dalla Stamperia reale, 1848. (2) Questa legge fu approvata dalla Camera dei Deputati il 21 luglio con 134 voti favorevoli ed uno contrario; dal Senato il 24 dello stesso mese, all'unanimità e salutata col titolo di bene augurata legge. (3) La battaglia di Custoza ebbe luogo il 26 luglio suddetto. 410 la pressione di quel disastro non veniva meno la lealtà e, diciam pure, il coraggio del Ministero presieduto da Cesare Balbo. Si guardò in faccia al pericolo; senza esitazione e senza spavalderia. Si misurò quanta fosse la responsabilità che si assumeva pe’ casi futuri, ma prevalse la voce della lealtà e dell'onore; e forse una di quelle intuizioni dell'avvenire che si sentono e non si spiegano, guidò la mano dei Ministri che firmarono l’atto solenne. Nè mai il Piemonte si scordò di Venezia sia negli uffici diplomatici, sia in materiali sovvenzioni anche quando giaceva stremata di forze (1); e vide con vivissima gioia, e non senza qualche mescolanza di giusto orgoglio, diciott'anni dopo, celebrarsi in Torino il grande avvenimento, di cui parleremo in appresso. Venuto tra noi il PaLrocara, non tardò a conoscerci e ad essere conosciuto, e si strinsero tra l’uno e gli altri quelle relazioni che furono consolidate dalla stima reci- proca, ed abbellite dalla mutua simpatia. Caduto il Ministero Balbo, sottentrò ad esso per pochi giorni un Ministero così detto di fusione; presiedevalo il Conte Casati, ne facevano parte il Marchese Pareto , il Marchese Vincenzo Ricci, il Conte Durini, gli Avvocati Gioia, Rattazzi e Plezza, ed il Paleocapa per il porta- foglio dei Lavori pubblici. Cessato a sua volta quel (1) Il sussidio mensile di lire 600,000 assegnato nel febbraio 1849. Veggasi negli Atti ufficiali il rendiconto della tornata del Senato del 15 di detto mese. La discussione che precedette l’adozione di quella legge racchiude una pagina importante della nostra storia politica, massime per quanto vi si disse dai Senatori Alberto Della Marmora, Colli e Cibrario, che avevano compiute importantissime missioni in Venezia per ordine del Re CarLo ALpeRTO, 41I Ministero, il mostro Collega non pensò altrimenti a tornare a Venezia. Dissuadevanlo in fatto dal rimpatriare le agita- zioni colà sorte ed alimentate dagli umori repubblicani che vi dominavano. Nè vi era allora speranza che Venezia potesse reggere contro l’avversa fortuna che la minacciava, qualunque fosse la valentia del suo popolo che tanto onore acquistossi durante l'assedio, quando ebbe a lottare col triplice flagello della guerra, del colèra e della fame. Il PaLeocaPa accomodossi pertanto alla nuova condi- zione di vita che gli offriva il Piemonte; entrò nel Corpo Reale del Genio civile e vi rimase col grado d'Ispettore fino al principio del mese di novembre 1849, quando accettò il portafoglio dei Lavori pubblici, offertogli da Massimo d’Azeglio. Egli erasi ricusato di aderire all'invito che il Gioberti facevagli di entrare nel Ministero da lui presieduto, che prese il nome di democratico, ma non rifiutò quelio di Massimo d’Azeglio, perchè gli parve che, sebbene quel Ministero giungesse al potere in tempi infelici, pure si avesse a sperarne miglior frutto nell’interesse della po- litica nazionale. Per molti anni il Pacrocapa tenne la direzione del Dicastero dei Lavori pubblici, e se aveva meritata. la fiducia dell’Azeglio, non minor credito si acquistò presso Camillo di Cavour, anzi diciamo pure presso il paese intiero, che, conosciutolo seppe distinguerne i molti pregi d’intelletto e di carattere. Durante il suo ministero, si costruì la prima e vasta vete di strade ferrate in Piemonte e si moltiplicarono le comunicazioni stradali di secondo e di terz'ordine. De vai 412 A lui toccò la sorte di promuovere efficacemente le due opere più maravigliose che l’industria umana ‘abbia felicemente tentato in questo secolo XIX: il traforo del Monte-Cenisio, ed il taglio dell’istmo di Suez. La prima idea del traforo del Cenisio appartiene al signor Méedaîl di Bardonnéche, il quale Vespose in un opuscolo pubblicato nel 1844 in Lione (1), dopo però averne fatto parola at Re Carto ALgerTO. Questi , intento sempre com'era, a cogliere ogni occasione che sorgesse di beneficare o d’iltustrare il suo Stato, commise. tosto al degno suo Ministro dell'Interno Cavaliere Des Ambrois, di esaminare se la cosa fosse veramente possibile e con quali mezzi s'avesse ad ‘attuare. ]l Cavaliere Des Ambrois incaricò immediatamente il Cavaliere Enrico Maus inge- gnere belga, venuto in quei giorni in Torino per as- sumere la direzione dei lavori della strada ferrata di Genova, e Vegregio e caro nostro Collega, Direttore di questa Classe Accademica, Senatore Angelo Sismonpa, di attendere agli studi necessari per rispondere al doppio quesito. Questi, per valermi delle parole istesse del lodato Collega (2), percorsero e ripercorsero in tutte le direzioni possibili la porzione della Catena alpina tra il Monte Cenisio ed il Monte Genèvre e eonchiusero poi che la linea, la quale, secondo loro, «offriva i maggiori vantaggi per una tale opera era quella appunto supposta dal Medail, e che dopo nuove indagini determinarono di seguire i (1) Stamperia di Demoulin, Rouet e Siberet. (2) Nella Memoria intitolata: Nuove osservazioni geologiche sulle Rocce antracitifere delle Alpi, inserta nel tomo XXIV, serie 2.2 delle Memorie di questa reale Accademia. 413 distinti ingegneri Commendatori Grattoni, Grandis; Som- meiller e Ranco, i tre primi dei quali vennero incaricati di far eseguire quel gigantesco lavoro. Fra le prime indagini che si eseguirono nel 1845 e l’incominciamento effettivo dell’opera corsero alcuni anni, e l’ideata impresa fu soggetta a molte e gravi critiche mosse anche da valentissimi ingegni. Nè dee fare specie che si producano tali contrasti, quasi che le verità scien- tifiche avessero il privilegio di mostrarsi subito incon- trastate ed incontrastabili. No davvero, la cognizione della verità è preceduta da faticose ricerche, da incertezze € da dubbi moltiplici che non si sciolgono se non con ripetuti esercizi d’osservazioni, di calcoli e d'esperienza. Il motto provando e riprovando, che s'era scelto lAcca- demia del Cimento, è pure quello che sempre dee rego- lare la forma d'ogni maniera d’investigazioni scientifiche. Nella serie dei lavori teorici preparatorii di questa opera insigne, troviamo avere preso attiva parte, oltre al sig. Sismonda, varii altri Soci di questa R.° Accademia, che a causa d’onore nomineremo, e sono il Cav. Giulio ed il Cav. Mosca, di cui lamentiamo la perdita, il Ge- nerale Menabrea (1) ed il Generale Cavalli. Cotesti lavori preparatorii durarono, come si disse, parecchi anni, ed il rapporto finale fu esteso dall’ illustre. PaLrocara. Esso (1) V. il rapporto del Generale Conte Menaprea alla R.e Accademia delle Scienze del 20 novembre 1853, nel quale si esamina e sì approva un nuovo sistema proposto dai signori Ingegneri Grandis, Grattoni e Sommeiller per trar profitto della forza motrice dell’acqua, sistema applicabile tanto alla locomozione che alle arti ed all’ in- dustria: sistema che poi fornì i mezzi di perforamento del Monte Cenisio. % 4lt porta la data del 25 ottobre 1849, e ci piace riferirne la conclusione, siecome quella che nell’espressione delle convinzioni dell’Ingegnere insinua Je previsioni dell’uomo di Stato, ed i sentimenti del buon cittadino: « Outre les avanlages matériels dont ils seront la source (scriveva egli) ces fravaua maintiendront encore des rapports plus suivis entre les diverses parties du Royaume en les rap- prochant les unes des autres et de la capitale. C'est pourquoi nos malheureuses circonstances politiques et les conditions peu prospéres de nos finances, qui obligent d’introdwire beaucoup d’economie dans tous les autres services publies, loin d'étre un motif pour refuser les moyens de poursuivre celle entreprise, concourent au contraîre pour l’encourager et en hater l'accomplissement. D'aîlleurs de semblables en-- treprises erercent une influence utile sur le crédit d'un Etat, surtout quand l'utilité qui en dérive s'étend du pays qui les fait ewécuter aux Etats qui l'avoisinent. Sous ce rapport l'entreprise projetée, au lieu d’étre locale et par- ticuliére au Piemont, devraît étre regardée, si non comme Européenne, au moins comme touchant de bien près aux mférets des nations de l'Europe les plus considerables par leur puissance et par leur industrie. Si cette fraternité des nations, qui est desirée par tous les cours genereux et quespere un si grand nombre d'hommes, était déjà réalisée au lieu de n'étre qu'un projet encore, on les verrait nous arder à l'envi de leur concours. Maîs puisque la civilisation est encore si loim de cette fraternité des. peuples, le Piemont aura è soulenir, seul, une entreprise difficile, il est vrai, mais. aussi il acquerra à la fois plus de gloire et plus de droits d l'estime et à la reconnaissance des autres nations. » 415 Così si esprimeva il PaLrocara, e chi dirà trovarsi nelle sue parole squisitezza di senno, di sentimento, e di elocuzione, dirà appunto quello che noi pensiamo. Sei giorni dopo la data del riferito rapporto il PALEOCAPA, fatto Ministro dei Lavori pubblici, vedeva pienamente approvata dalla Commissione esaminatrice (41) le sue con- clusioni, e così aperto il periodo di pratica applicazione. Quanto al gran progetto, oramai pienamente eseguito del taglio dell’istmo di Suez, egli è uno di quegli esempi di opere che la Scienza prepara, la politica maneggia e l'evidenza dei fatti costringe ad eseguire. Balena nella mente di Leibniz, raccomandata forse da un racconto d’Erodoto, l’idea della congiunzione del Mediterraneo coll’Eritreo; egli la comunica a Lodovico XIV sotto l’al- lettatrice forma della conquista dell’intiero Egitto. Il gran Re non dà retta al sommo Filosofo. Napoleone corre dove lo chiama il suo genio. Gl’interpreti della Scienza seguono la fortuna delle armi: Lepère fra i trambusti della guerra tenta una livellazione tra i due mari, che da Laplace è riputata erronea. Un modesto Ingegnere italiano, il bolo- gnese Ghedini procede nel 1820 ad una nuova livellazione (1) V. Procès verbal de la seconde Stance de la Commission d'eramen du projet de la percée des Alpes pour le chemin de fer d'Ilalie vers la France, 1er novembre 1849. Leggesi in questo verbale : Après la lecture, la Commission les approuve (les conclusions du rapport) et demande ensuite quelques éelaircissements sur la disposition des couches soulevées entre la Dcire et VAre. Les explicalions que M. le Prof. Sismonpa s’empresse de donner, déemontrent que la direction des banes se combine favorablement dans le ceur de la Montagne avec le tracé de la Galérie. E l’ulterivre seguito dei lavori ha pienamente giustificato l’opi- nione del Prof. Siswonpa. 416 e trova che i due mari sono a livello (1), come argo- mentava Laplace; l'inglese Chesney rifà la livellazione nel 1834 che viene d’accordo con quella del Ghedini. Una terza livellazione eseguita nel 1844 da una Commis- sione inglese la conferma. Il sig. Ferdinando di Lesseps, stando in Egitto fin dal 1832, s' impossessa di quella idea e di que’ resultati. Matura per lo spazio di più di vent'anni il gran concetto, che poi frammezzo a contrad- dizioni, ad urti, a disgusti d'ogni maniera, giunge ad attuare a segnalatissimo vantaggio del commercio non meno che della civiltà del mondo inliero. Ai dubbi rinascenti, alle accuse, non di rado violente, che gl’impedivano il progresso del suo disegno giudicò con savio consiglio il sig. di Lesseps non doversi rispon- dere altrimenti che collo squittinio della Scienza appli- cabile. Egli fece opera perchè si raccogliesse in Parigi nel 1855 una Commissione internazionale composta di Scienziati e d’Ingegneri, la quale giudicasse del progetto e della sua esecuzione. In questa Commissione entrò il Pareocara quale rappresentante del Regno Sardo (2); rifiutò egli per modestia la presidenza che gli si offeriva, ma prese parte allivissima nei lavori, dimostrando come (1) V. l’interessantissimo opuscolo intitolato: L’istmo di Suez e l’Italia del Senatore Luigi ToreLLi, Milano, 1867. (2) La Commissione fu composta, oltre il PALEocAPA, dei signori RenpeL e CLEAN, surrogato dal Mampy, inglesi, NEGRELLI suddito austriaco, Conrap olandese, LeuTz prussiano, RenaUD e Lreusson francesi; furono poi aggiunti i signori RicauLt DE GeNouILLY Con- trammiraglio e TorrES per la marineria militare francese, MontESsINO Direttore dei Lavori pubblici di Spagna, ed Harris Capitano di marina al servizio della Compagnia delle Indie; dicesi che quest’'ul- — timo abbia fatto settanta viaggi da Suez a Calcutta. 417 il canale dei due mari che misura 145 kilometri (1) dovesse essere incassato e liberamente comunicante. col mare da ambe le parti. Vari anni dopo il nostro Collega dovette ancora occuparsi delle correnti marittime e combat- tere un sistema proposto per la regolazione del Porto-Said allo sbocco del canale dei due mari nel Mediterraneo (2). E potè in questa discussione valersi dell'esempio dell'esito felice che-avevano sortito i lavori da lui più di venti- quattr'anni prima fatti eseguire al Porto di Malamocco, Due potenti avversari incontrò sul suo nascere l’impresa del taglio dell’Istmo di Suez; politico l'uno, tecnico l’altro: Lord Palmerston e Roberto Stephenson. Il vecchio Ministro inglese non seppe svincolarsi dalle viete tradizioni degl’interessi del commercio britannico, e temè che quello avesse a soffrire se il traffico tra l'Eu- ropa e le Indie orientali ripigliasse l'antica direzione per l'Egitto ed il Golfo Arabico. È debito tuttavia di giustizia il soggiungere che molti tra i suoi colleghi nel Ministero, e singolarmente il signor Gladstone divenuto poscia di lui splendido successore, non partecipavano in quella avver- sione. Ora il Governo Britannico, senza nulla smettere della sua solertissima antiveggenza (di cui sono, fra altri, sicuri argomenti l'occupazione di Perim e di Aden, e la (1) V. Rapport de M. I. HawxsHaw Président de la Société des. In- génieurs civils de Londres sur les travaua du Canal de Suez.” Suivi des observations de M. Vorsin - Documents publiés par M. Ferdinand De Lesseps. Paris 1863. Altri assegnano a quel canale maggiore lun- ghezza, e la portano a circa 160 kilometri. (2) Lettera al signor Ferdinando di Lessers del 15 novembre 1867, stampata nel Giornale dell’ Ingegnere Architetto civile e meccanico , tomo XVI. 418 spedizione dell’Abissinia), ha cessato d'osteggiare contro il taglio dell’ Istmo, e saprà a suo tempo ritrarne l'utile che si potrà maggiore (1). Roberto Stephenson, devoto alle idee di Lord Palmerston, combattè quell'impresa con tutte le forze della sua potente dottrina, della sua lunga esperienza; e dell'autorità del — suo nome. Egli fino dal primo giorno in cui sorse Videa di tale opera prese a combatterla, e sostenne in-quel senso la discussione in seno alla Camera dei Comuni d’Inghilterra, dove l’accorto Ministro aveva introdotto la quistione come di grande influenza sugl’interessi commerciali del Regno Unito. Alle obbiezioni di Stephenson rispose con buon successo il nostro Collega, il quale’ anche tra que’ che gli stavano più dappresso ed in più modesta sede, ebbe ancora ad incontrar oppositori. E lo stesso ingegnere Casoni che l'aveva tanto assistito pel Porto di Malamocco prendeva a contrad- dirlo (2) sul nuovo argomento. Il PaLeocara gli rispondeva con una Appendice alle Considerazioni sul prolendimento delle spiaggie, e sull'insabbiamento dei Porti dell'Adriatico applicate allo stabilimento di un Porto nella rada di Pe- lusio (3). Finalmente, come già si è accennato, il 15 no- vembre 186 egli dirigeva ancora una lettera al sig. di Lesseps sulla regolazione del porto Said allo sbocco del canale dei due mari nel Mediterraneo. (1) Le vicende delle opposizioni politiche all’eseguimento del pro- getto del signor di Lesseps sono con sugosa brevità narrate nel lodato opuscolo del sig. Senatore Luigi ToRELLI, a cui rimandiamo il lettore. (2) In una Memoria letta all'Istituto Veneto nel novembre 1856. (3) Tanto della Memoria che dell’Appendice furono fatte parecchie edizioni. Si cita quella di Milano ( Tipografia Salvi, 1857). 419 Così fisso nel suo ben meditato concetto, egli non si lasciò smuovere nelle sue convinzioni, e giovò all’ esito finale dell'impresa, onde acquistò il diritto di essere annoverato tra i più benemeriti di quella schiera che sarà dalla. poste- rità riverita e benedetta per il taglio dell’ Istmo. Il PaLEocAPA poteva chiamarsi oratore stando alla celebre definizione: Vir probus dicendi peritus. La sua riputazione di probità preparava gli animi ad ascoltarlo colla fondata prevenzione che nulla sarebbe uscito dalla sua bocca che non fosse schiettamente giusto , e compiutamente sincero. La sua parola era facile e linda, ornata di certa direi quasi morbida finezza, che è pregio singolare dei Veneti. Poteva dirsi nel miglior senso facondo; poichè vi seno due generi di facondia; l’ uno serve al pensiero, e lo esprime in modo pronto e scorrevole senza affaticare l'orecchio degli uditori ed ingombrarne la mente; l’altro precipitoso, di una smodata abbondanza, non dà posa nè tregua nè di suono nè di attenzione, ed anzichè giovare alla trasmissione delle idee, assorbe e confonde l'intelligenza e l’ udito. Quando nelle assemblee politiche il PaLeocara s'alzava a parlare tosto si'faceva silenzio, e tutti gli sguardi si volgevano a lui. Era un vero diletto il seguirlo in quelle nitide sue spiegazioni di dottrine tecniche. Se prendeva a descrivere gli aspetti dei luoghi od i congegni delle macchine, tanta era l’evidenza del suo dire, che si cre- deva d’aver gli oggetti disegnati sottocchi. Se gli avveniva poi di toccare punti di politica generale, così interna come esterna, lo faceva con quella gravità ed aggiustatezza che non mai debbono dimenticarsi dall’uomo di Stato. 420 S'atteneva alla scienza delle verità utili (1) senza mai la- sciarsi trasportare sulle ali del desiderio nella regione delle chimere. Dotato di tanta facoltà oratoria, egli ne usava sobria- mente. Non era tra que’ che cercano anzichè aspettare le occasioni di parlare, e credendosi saper di tutto, s0- vente non concludono nulla. No certamente; e ben si può dire, la parola del PaLeocapa faceva sempre progredire efficacemente la discussione. Ne’ Consigli della Corona egli non era corrivo a discorrere quando non si trattasse di affari del suo dicastero, ma allorchè giungevasi alla deli- berazione in cui dovevansi raccogliere i voti di tutti i Ministri, il suo parere era così assennato, che per lo più traeva a sè anche le opinioni che da prima erano dissidenti. La fluidità non lo abbadonava mai, e talvolta un frizzo elegante, ma parco, veniva spontaneo a colorirne il discorso. La sua memoria era cera nel ricevere, marmo nel rite- nere; e questa facoltà, che conservò sino all'estremo di sua vita, gli fornì il modo di sbrigare eziandio durante la sua cecità rilevantissimi e complicati affari, soprattutto nella Direzione amministrativa delle strade ferrate. Anche negli ultimi tempi egli, oltre alle ordinarie in- cumbenze di quell’amministrazione, assumeva e compiva il carico di particolari rilevantissimi lavori. Citeremo fra altri le memorie Sulla ferrovia atraverso le Alpi Elvetiche; Sulla ferrovia del S. Gottardo considerata nel rispetto (1) La science des vérités utiles, science qui met à leur juste valeur et les résistances de l’habitude et les entreprises de l'imagination : Così il Principe di Talleyrand nel Discours sur 2a mort de monseigneur BouRLIER. 421 economico; - Sui ristauri e le ampliazioni del Porto di Brindisi e sull'introduzione dell’acqua potabile nella città di Napoli. — La magnifica Esposizione delle vicende e della condizione attuale degli estuari veneti (Venezia 1867). Di un tratto caratteristico; tanto più commendevole , quanto meno frequente negli uomini che stanno al potere, dobbiamo toccare a lode del PaLeocapa. Intendiamo della equità e della imparzialità che erano in esso eminenti. Più d’una volta accadde che i disegni da lui stesi, o patrocinati in materia di opere d’arte, di costruzioni e simili fossero soggetti a contraddizione ed a critica motivata. Egli, Mi- nistro, lungi dall’adontarsene, pigliava in accurato esame le proposte contrarie a’ suoi primi divisamenti, e fattosi capace che desse fossero migliori, non esitava a concedere loro la preferenza. E sappiamo di taluno, che venutogli in vista appunto perchè discordante dalle sue idee fu poscia da lui in particolar modo favoreggiato e protetto. Piacesse al cielo che siffatti nobilissimi, ma troppo rari esempi fossero spesso imitati, chè la dignità umana non meno che la cosa pubblica ne sarebbero avvantaggiate ugualmente. Il 4 di novembre 1866 il Re Vrrrorio EmanueLe II riceveva solennemente nel real palazzo di Torino la Depu- tazione Veneta che gli recava l’atto d’unione della Venezia al Regno d’Italia, ed il suo plenipotenziario (1) reduce da Vienna che gli consegnava la Corona di ferro, simbolo di ricuperata nazionale indipendenza. A chi ben considera la condizione delle cose politiche, e la qualità singolarissima degli eventi, era quello un (1) Conte Luigi Federico MenaBREA. 422 giorno d’insperata felicità per l’Italia; un giorno che apriva l’adito alla definitiva costituzione d'un gran popolo. Quale sia stata la gioia provata dal nostro Collega nello scorgere terminate tante sciagure, adempiute tante spe- ranze, è più facile il comprendere che il dire. Volle il Re in quella occasione aggiungere alle onori- ficenze di Senatore e di Ministro di Stato già conferite al PaLrocara, quella che presso di noi si considera come l'apice delle distinzioni sociali, il Collare dell'Annunziata. Nè si debbe dimenticare che già prima esso era stato pe suoi meriti scientifici insignito della Croce di Cavaliere dell’ Ordine civile di Savoia, e chiamato a far parte del Consiglio dell’Ordine stesso. In sull’aprile del 1867 a lui fu offerta la Presidenza del Gabinetto che allora si stava formando. Egli declinò questa tanto onorevole, quanto ardua missione allegando Vetà grave, la salute mal ferma, e la compiuta cecità che da nove anni lo affliggevano (1). L'occupazione più rilevante e più assidua a cui attese nell’ultima parte della sua vita il Parrocapa fu quella della Direzione dell’Amministrazione delle strade ferrate della Lombardia e dell’Italia centrale. Ragguagli provenienti da fonte autorevole (2) c'infor- mano che nel 1860, peritoso egli nell'accettare la carica di Presidente di quella Direzione a motivo della cecità che fin d'allora lo aveva colpito, non erasi in fine ar- reso, se non a replicate istanze da più parti venutegli, e (1) Poniamo in appendice a queste notizie il testo della lettera in cui il PaLeocapa declinò il fattogli invito, una copia della quale ci venne cortesemente comunicata dalla famiglia dell’illustre estinto. (2) V. Monitore delle strade ferrate del 17 febbraio 1869. 423 singolarmente a quelle del Conte di Cavour. Ma una volta risoluto di assumere tal Presidenza, affrontò con energia gio- vanile le difficoltà che si presentavano, e via progredendo, giunse col tempo alla fusione di quello che chiamasi un gruppo ferroviario estesissimo, composto fin’allora di tre Amministrazioni affatto diverse. Attivissimo sempre, adoperò le forze morali che mai non gli fecero difetto nel governo di quell’importantissimo ramo d'incumbenze che gli fu affidato, ed alla vigilia della sua morte, dal letto ove giaceva infermo, detlava ancora una lettera per affari amministrativi con tanta lucidità d'idee e fermezza di ragionamento da non lasciare travedere l'imminente fine della sua vita. Ed abbiamo anche in istampa una lettera che appena nove giorni prima della sua morte, cioè il 4 febbraio, egli scriveva a un suo nipote, il signor Dottore Zannini Assessore municipale in Venezia, intorno al bacino d'approdo che in quella citta darebbe immediato accesso ali’ estremità occidentale delle Procuratie vecchie. A lui toccò una felice ventura che raro è che avvenga agli uomini di gran merito. Fu assai conosciuto, e stimato quanto valeva. La scienza da lui posseduta volgendosi sempre alle applicazioni, svelavasi anche agli oechi delle moltitudini. Gli uffizi pubblici a cui attese, erano di utilità pratica, le sue relazioni accessibili a tutti. Chiunque ebbe a trattar d'affari col PaLrocara, lo stimò grandemente. Chiunque strinse con lui famigliarità, non potè a meno di amarlo. Molti eletti e meritati amici convenivano nella sua casa, ‘specialmente nelle tarde ore della sera, e col piacevole 424 conversare a lui porgevano gralissima distrazione. Cir- condato dall’affetto di un'ottima sorella e di egregi con- giunti, egli assaporò le dolcezze della vita intima. Ammalatosi di febbre gastro-reumatica, dopo sette giorni ‘ di malattia, fra le assistenze de’ parenti e degli amici, e tra i conforti della Religione, passò di questa all'altra vita il 13 di febbraio di queslanno 1869. «Se dovessi in brevissimi termini ridurre il ritratto morale del nostro compianto Collega, lo farei con due versi latini, dettati molti anni addietro da un altro illustre Socio di questa reale Accademia Tommaso VaLpeRGA di Caluso, e direi: Praestabat sensu veri, pulchrique, bonique Recta videns, lactusque ipse et iucundus amicis. APPENDICE Torino, 4 aprile 1867. SIRE, Non ho parole che valgano ad esprimere alla M. V. quanto io abbia l'animo penetrato di gratitudine per quell’alta prova di confidenza che per bocca del Gene- rale Morozzo seppi avere V. M. voluto darmi in queste gravissime circostanze del paese e in mezzo a quelle 425 difficoltà che anche alla Corona creano le malaugurate dissensioni dei varii partiti politici. Quantunque in tali contingenze io mi credessi insufficiente a prestare alla M. V. quei servigi che Ella ha diritto di esigere da chi assume l’altissimo ufficio di Presidente del Consiglio, tuttavolta, se alla mia grave età, che tocca 1’ 80° anno, e al conseguente affievolimento delle forze fisiche e mo- rali, non si aggiungesse la compiuta cecità da cui sono colpito già da nove anni, io vorrei cimentarmi al difficile arringo per dare almeno prova alla M. V. della illimitata mia devozione e per tentare di corrispondere a quel favore che Le piacque in tante occasioni accordarmi. Ma il complesso delle dette mie tristi condizioni fisiche e morali fa che io non possa accettare il posto offertomi, riconoscendomi assolutamente incapace di sostenerlo de- bitamente. Io confido però che questa mia dichiarazione franca e sincera non farà venir meno nella M. V. quella bene- volenza che ottenni fin dal principio della mia carriera politica e che Le piacque conservarmi per diciotto anni, e spero che V. M. mi riguarderà sempre come il più devoto e il più riconoscente de’ suoi servitori. L'umilmo devot.mo suddito P. PALEOCAPA. 426 Il Socio Cav. Govi legge la seguente sua Memoria : , ROMAGNOSI E L'ELETTRO-MAGNETISMO. Appena l’OErsTED ebbe divulgato nel 1820 la sua scoperta dell’azione che le correnti elettriche esercitano sull’ago cala- mitato (1), si tentò di rivendicarne la gloria all’Italia, at- tribuendola a Giandomenico Romagnosi, il quale, al dir di taluni, l’avea pubblicata sin dal 1802, quand'era consi- gliere aulico in Trento. La pubblicazione era stata fatta nella Gazzetta di Roveredo, secondo certi scrittori (2), in quella di Trento secondo altri (3), e l’ALpini nel suo Essai théorique et experimental sur le galvanisme, stampato a Parigi del 1804 (4) e l’Izarn nel Manuel du galvanisme, dato in luce nello stesso anno (5), aveano onorevolmente. ram- mentato la scoperta e il nome dello scopritore. — Come poi avvenisse che il RomaGnosI, vivo e pieno ancora di vigorìia nel 1820, non movesse lagnanza nè allora nè poi contro l’0ErstED, e in vece sua levasse alto la voce chi, forse, in quel tempo non conosceva nè il metodo speri- mentale seguìto dal celebre giureconsulto, nè i fenomeni da lui osservati, potrà spiegarlo il progresso di questo discorso, nel quale, dimostrandosi come altra cosa fosse quello che il Romagnosi avea visto, da ciò che l’OErsTED scoprì 18 anni dopo, apparirà chiaro il motivo per cui l'onestà e la dottrina del Romagnosi rifuggissero dal volersi appropriare quanto sentiva non appartenergli in nessun modo. Ma per dimostrar meglio la differenza che corre tra le sperienze del filosofo piacentino e quelle del professore danese, converrà dire innanzi tutto in che cosa stia la 427 scoperta di quest’ultimo, e ricordar per ciò brevemente alcuni principii relativi agli apparati elettromotori voltaici, che sembra ignorassero o dimenticassero quelli, i quali vollero dare al Romagnosi la scoperta dell’OErsTED. Se si prepari una pila, sia essa a colonna, come la classica del VoLTA, sia a corona di tazze, a truogoli, alla Wollaston, alla Grove, alla Bunsen o altrimenti, e si tensa isolata il meglio possibile, ai due estremi dell'apparato elettromotore si manifestano due stati elettrici opposti, e si manifestano, come suol dirsi, colla loro tensione, vale a dire con tutte quelle attitudini che si riscontrano nel- Vambra o nel vetro sfregati con un pannolano, o nelle macchine elettriche di Orro di Guericke e degli altri elettricisti, che precedettero il GaLvani ed il VoLta. — Queste due estremità (Poli) della pila isolata, essendo elettrizzate oppostamente, i loro stati elettrici rispettivi tendono a neutralizzarsi attraverso alla pila stessa c lungo la sua superficie esteriore, c dove la conduttività di queste parti sia sufficiente, si neutralizzano infatti quasi del tutto. Ecco perchè non si hanno forti tensioni ai poli del piliere, se non eccitandone le coppie con liquidi resisten- tissimi al moto elettrico, come sarebbe l’acqua distillata, e isolando nel miglior modo possibile le une dalle altre le superficie esteriori c libere degli elementi. Se la tensione è bastantemente vigorosa ai due poli, essi attraggono i corpi leggeri, poi li respingono dove questi siano isolati, danno scintilluzze o almeno valgono a caricare un condensatore che per tal guisa diviene ca- pace di darne; se si attacchino ad essi duc fili metallici isolati e se ne affaccino a piccolissima distanza i due capi liberi, ecrompe da questi un torrente continuo di scin- tille ....insomma le due estremità della pila agiscono 28 428 in tutto e per tutto come i due conduttori d’una macchina elettrica di NAarRNE o di WINTER, colla sola differenza, che in questi la tensione è grandissima, ma l’attività è presto esaurita, nella pila invece la tensione è minima, l’attività invece per dir così inesauribile, poichè non cessa se non coll’estinguersi di ogni azione chimica o di ogni eccita- mento meccanico o fisico fra le parti dell'apparecchio. Aggiungasi ancora che facendo comunicare colla ierra uno dei poli della pila, mentre l’altro rimane isolato, cresce su quest’ultimo la tensione perchè l’azione dell’altro polo non tende più a neutralizzarla. Sinchè i due fili conduttori isolati che partono dai due poli d’una pila non si trovino congiunti, o per contatto immediato dei loro capi liberi, o perchè le scintille sta- - biliscano quasi un ponte di materia vaporosa e incan- descente fra di essi, ciascun filo trovasi carico di elet- tricità in tensione; ma non appena, in un modo o in un altro, si venga a fare dei due fili un solo sentiero che il moto elettrico possa trascorrere, la tensione sva- nisce pressochè interamente, o divien debole in guisa da non produrre più nessuno di quei fenomeni che produ- ceva dapprima. Allora si stabilisee nel filo congiuntivo dei poli e in tutta la lunghezza della pila un moto particolare che si chiama Correnie e che differisce dalla Tensione anteriore, come la forza viva differisce dalla semplice pressione, come la caduta d'un grave differisce dallo sforzo esercitato da esso contro i corpi sui quali riposa. — Se il conduttore che riunisce i duc poli presenta una piccola resistenza al moto elettrico, la tensione è pressochè nulla nei diversi punti della sua lunghezza, se invece resiste assai, si trovano su di esso segni di tensione positiva presso il pole 429 positivo, e di negativa presso il polo opposto, mentre sulla metà del filo (se la resistenza è uniforme nelle sue diverse parti) la tensione è assolutamente nulla. Dove si prenda finalmente un conduttore ideale che non presenti resi- stenza alcuna al neutralizzarsi dei due moti opposti, si avrà una tensione nulla su di esso in tutti i suoi punti, se invece la sua resistenza sia infinita, ritornerassi al caso del filo spezzato o del circuito aperto e si avrà la tensione massima ai due poli, nulla su tutto il tratto, non conduttore, intermedio. Richiamate così alla memoria queste nozioni intorno alle pile, alle tensioni cui esse danno luogo, e alle eor- renti che ne derivano, si può agevolmente definire la scoperta dell’OErstEeD dicendo come stia in ciò, che: « Se » una Corrente elettrica passa vicino a un ago calamitato » essa tende generalmente a deviarlo dalla sua posizione » per disporlo normalmente a se stessa ». Dove non sia Corrente, quando pure l'elettricità agisca in qualche modo sopra di un ago calamitato, i moti che essa vindurrà non saranno quelli scoperti dall’OErRsTED, e quando ancora siano stati osservati anteriormente al 1820, non potranno scemare in alcun modo il merito della sua scoperta. I fisici infatti fin dai primordii della elettricità s’erano avvisti che i corpi elettrici poteano attrarre e respingere un ago magnetico al pari di qualunque altro corpo, sa- pevano che con le scariche elettriche attraverso aghi d’acciaio si potean questi magnetizzare e smagnetizzare, che se ne poteano invertire i poli a piacimento ecc. — Basta scorrere la raccolta di Van Swinpen e gli scritti di Apinus, di Cigna, di Beccaria, di FranKLIN e d’altri elettricisti (6) per trovarne le prove. Non potea dunque nel 430 1802 parer nuovo a nessun fisico mediocremente istruito che un polo della pila, o il filo che ne partiva e sul quale s’accumulava l’ elettricità di tensione, attirasse © respingesse un ago magnetico, nè che un ago d'acciaio si magnetizzasse facendolo attraversare secondo la sua lunghezza dalla scarica d’una pila come fece in quel turno Giuseppe Moson, a quanto ne dice l’ALpini (7) e come l’ALpini medesimo tentò di ripetere con altri metodi. Stabilito così che l’attrazione o la repulsione di un ago magnetico isolato, da parte dei poli o dei fili conduttori polari di una pila, non è fenomeno che abbia relazione con quello scoperto dall’ OErRstED, nel quale agisce non l’Elettricità di tensione, 1aa la Corrente, che non attrae nè respinge propriamente ,:ma dirige l'ago magnetizzato, ecco la descrizione delle sperienze del Romagnosi, tal quale la riprodusse nel 1827 l’Antologia di Firenze (8), toglien- dola fedelmente (a quanto asserì) dalla Gazzetta di Trento del 3 d’agosto 1802, e come poi venne ripetuta da molti scrittori di cose storiche o di notizie seientifiche, i quali la trassero dal periodico fiorentino, o dal foglio di Trento o da quello contemporaneo di Roveredo (se pure non fu per errore citata quest’ultima Gazzetta) commentandola a lor talento, c talvolta persino omettendone alcune parti, perchè meno arrendevoli al sistema d’interpretazione da essi vagheggiato. i 451 Articolo sul Galvanisimo, 8 agosto 1802. Trento. « IL signor consigliere Gian Domenico de Romagnosi, abi- tante di questa città, noto alla repubblica letteraria per altre sue profonde produzioni, si affretta di comunicare ai fisici d'Europa uno sperimento relativo al fluido galvanico applicato al magnetismo. » Preparata la pila del signor VoLtA, composta di piastrelle rotonde di rame e zinco, alternate con un frapposto interstizio di flanella umeltata con acqua impregnata d'una soluzione di sale ammoniaco, attaccò alla pila medesima un filo d'argento snodato a diversi intervalli a modo di catena. L'ultima artico- lazione di detta catena passava per un tubo di veiro, dall’estre- mità esteriore del quale sporgeva un bottone pure d’argento unito alla detta catena ». Qui evidentemente trattasi di una pila i cuì due poli non erano insieme congiunti. dalla catenella d’argento, ma questa partiva da uno solo di essi e terminava in un . bottone d’argento che si poteva maneggiare mediante il tubo di vetro, senza scaricarlo di quella tensione positiva o negativa che vi si era accumulata. « Ciò fatto, prese un ago calamitato ordinario, fatto a modo di bussola nautica, incastrato în mezzo d’un asse di legno qua- drato, e levatone il cristallo che lo copriva, lo pose sopra d'un isolatore di vetro, in vicinanza della pila suddetta » . _Se si fosse trattato di sperienza analoga a quella del- l’OErsTED l’isolatore sarebbe stato inutile, non essendo la tensione elettrica quella che fa deviar l’ago in tal caso, ma la induzione della corrente, la quale opera in egual 432 —- modo, tanto se l’ago è isolato, quanto se trovasi in per- fetta comunicazione colla terra. o (*) « Dato îndi di piglio alla catena di ar- gento, e presala pel tubo di vetro suddetto, ne ap- plicò la estremità 0 bot- tone all’ago magnetica, e tenutala a contatto per lo spazio di pochi se- condi, fece divergere lago dalla direzione po- lare per alcuni gradi » . I L’estremità o bot- tone della catena d’argento rappresentando il polo isolato della pila, il RomaGnosI toccando con esso l’ago, parimente isolato, veniva necessariamente a metter questo in istato elettrico omologo, come se l’avesse toccato con un baston- cello di cera lacca o di vetro sfregato, e dovea perciò ve- derlo allontanarsi per repulsione dal bottone d’argento che gli avea comunicato la propria tensione elettrica, se pure codesto allontanamento non era dovuto ad un semplice urto dato inconsciamente dall'operatore all’ago della bussola. LL (*) Si è creduto opportuno di rappresentare con una figura l’espe- rienza del Romagnosi, tal quale egli medesimo la descrisse, affinchè riescisse evidente per tutti [anche per quelli cui sono meno fa- miliari siffatte materie]; non essere stati congiunti fra loro ì due poli della Pila da quella catena d’argento che servì alla prova, e non aver quindi potuto deviare l’ago magnetico per influsso della Corrente, che non ebbe modo di stabilirsi, neppure attraversando il corpo dello sperimentatore, il suolo e la tavola che sosteneva il Piliere, essendo tenuta la catena per un tubo di vetro; isolatore perfettissimo delle minime Tensioni elettro-chimiche dell'apparato Voltaico. 433 « Levata la catena di argento, l'ago rimase fermo nella direzione divergente a lui data » . Qui la sperienza non sarebbe facilmente spiegabile per la semplice azione della elettricità comunicata all’ago, se non si sapesse quanto frequentemente gli aghi ma- gnetici, quelli soprattutto a cappelletto o còno d’ottone, come s’usavano nei tempi andati, divengano pigri e restii per soverchio attrito del pernio, così che girando adagio adagio la cassetta che li contiene, si arriva talvolta a tra- scinarli per più di 180° dalla loro posizione naturale d’equilibro. Non è dunque cosa meravigliosa che l’ago elettrizzato e respinto dal bottone d’argento comunicante colla pila, o urtato dalla mano, rimanesse fermo nella nuova posizione da esso presa, quantunque fosse rimossa la causa che lo avea fatto deviare, tanto più che la devia- zione essendo di alcuni gradi soltanto, la coppia magnetica della terra doveva agire assai debolmente su di esso e quindi poteva non bastare a vincer l’attrito che lo teneva per così dire imbrigliato fuori del meridiano magnetico. A voler poi supporre una deviazione prodotta nell’ago da una corrente anzichè dalla tensione d’un polo, non si riesce a spiegar meglio quel suo rimanersi deviato in una situazione anormale. « Di nuovo applicò la medesima catena, facendo divergere di più il detto ago dalla direzione polare, ed ottenne sempre che lago rimanesse nel luogo in cui lo aveva lasciato, di modo che la polarità rimaneva interamente ammortizzala ». Questi nuovi contatti del bottone polare coll’ago, queste nuove repulsioni e l’arrestarsi dell'ago stesso in ogni nuova posizione impostagli, come se la polarità sua rimanesse ammortizzata ...sono altrettanti indizii dell’indole pura- 434 mente elettrostatica, e forse meccanica del fenomeno, e della renitenza dell’imperniatura al movimento, o tatt’al più di qualche attrazione elettrica che poteva manifestarsi fra le punte dell'ago e il contorno scabro della cavità cilindrica di legno che lo conteneva. | (Nota). « Per verificare poi viepiù questo risultato egli approssimò all’ago calamitato, alla massima vicinanza possibile (senza però toccarlo), ora un pezzo di molla da orologio, ed ora altri stromenti di ferro, i quali dapprima attracvano forte- mente l'ago medesimo ad una distanza quattro volte maggiore; ma essi, sotto l’azione del galvanismo, non ebbero attività di farlo movere nemmeno di un pelo » . Chi pur volesse, torcendo il senso d’ogni parola, inter- pretare come opera di una vera corrente esteriore all’ago le deviazioni osservate dal Romagnosi, sarebbe assai imba- razzato per ispiegare l’indifferenza di esso per l’acciaio.0 pel ferro, che, sotto la supposta azione del galvanismo si manifestò in modo così singolare. — L'attrito invece del cappelletto o le attrazioni elettriche locali bastano per dar ragione d'un tale fenomeno, soprattutto quando si pensi che la novità dei fatti, la non moltissima pratica dello sperimentatore, e l'entusiasmo che lo animava e che apparisce bastantemente dalle parole della Gazzetta, dovevano fargli trascurare molte di quelle precauzioni e di quelle prove che i fisici più provetti sogliono mettere in opera per evitare possibilmente ogni illusione ed ogni sorgente d'errore. « Per ripristinare poi la polarità, ecco come îl signor Ro- maGnosI operò. Con ambe le mani strinse fra il pollice e l'indice l’estremità della cassetta di legno isolata senza scuoterla, e la sii it 435 ritenne così per alcuni secondi. Allora si vidde l'ago calamitato moversi lentamente, e ripigliare la polarità. non tutto ad un tratto, ma per successive pulsazioni a somiglianza d’una sfera da orologio destinata a segnare î minuti secondi » . Codesta ripristinazione della polarità tenendo la cassetta di legno fra il pollice e l'indice senza scuoterla, compie la prova della resistenza d’attrito della imperniatura, 0 dell'attrazione elettrica della cassetta, poichè nel primo caso i fremiti o le scosse muscolari involontarie sareb- bero bastati a strappar l’ago dall’aderenza del pernio, e nel secondo il contatto delle mani spogliando d’elettricità la tavoletta di legno, dovea toglierle ogni attitudine a mantener l’ago fuori del meridiano magnetico. Qui pure non apparisce il più lontano rapporto col fenomeno sco- perto dall’OErstED, nel quale l’ago, deviato da una corrente esterna e non messa in alcun modo a contatto con esso, torna spontaneamente al suo luogo appena si allontani la corrente o si rompa il circuito. « Questa esperienza fu fatta nel mese di maggio e fu ripetuta alla presenza d’alcuni spettatori. In tale circostanza ottenne pure senza fatica l'attrazione elettrica ad una sensibilissima distanza. Egli fece uso di un sottile filo di refe bagnato nel- l’acqua pregna di sale ammoniaco, e lo raccomandò ad una cannetta di vetro; approssimò indi la catena d’argento suddetta al filo, a distanza di circa una linea, e vidde il filo volare a combaciarsi col bottone della catena, ed a volgersi în su, sempre altaccato come melle esperienze elettriche ». Il racconto dell’attrazione elettrica ottenuta approssi- mando il bottone d’argento a una linea (2"", 24) circa da un filo di refe bagnato, mentre dimostra la tensione ab- bastanza energica della pila adoperata dal RomaGnosI, 436 conferma vieppiù la natura elettrostatica (se non fu pu- ramente meccanica) dei moti impressi all’ago magnetico, poichè nessun conduttore d’una pila a colonna invaso da una Corrente avrebbe la forza di attirare un filo di refe bagnato, mentre la Tensione di un polo può benis- simo dar luogo a così fatta attrazione. Romagnosi dunque non agì sull’ago calamitato colla Corrente d'una pila, ma tutto al più colla Tensione di uno de’suoi poli; esso non fece altro perciò se non che ripetere vecchie sperienze già conosciute dai fisici, ed eseguite dallo stesso VoLtA e da altri molto tempo prima, quando mostrarono potersi attirare coi poli della pila le foglie d’oro, le pagliuzze, i fili bagnati ecc. ecc., dai quali non differiva in guisa alcuna l’ago.magnetico usato dal Ro- MAaGNOSI, che si comportava in codesto caso come gli aghi d’ottone o d’argento di GiLsert e di Haùy, il suo magnetismo non servendogli a nulla, neppure a ricon- durlo nella posizione di prima, poichè una causa acci- dentale lo riteneva nella direzione in cui un urto, o la elettricità lo aveva spinto o tirato. Ed ecco perchè il dottissimo giureconsulto, mentre viveva in Milano educando i giovani nelle scienze legali, scri- vendo articoli per molti periodici e procurando la mag- gior diffusione possibile delle sue idee filosofico-giuridiche e de’ suoi principii economici (dal 1820 al 1835) non mise mai fuori una sola riga per rivendicare una priorità che egli ben sapeva di non avere sull’illustre fisico di Co- penhagen. Le parole usate dall’ALpini nel raccontare l'osservazione del Romagnosi (che esso chiama per errore ROMANESI) furono probabilmente la prima cagione dell'inganno in 437 cui molti scrittori italiani vennero trascinati, non avendo essi forse potuto leggere l'articolo originale della Gazzetta di Trento, difficilmente reperibile nelle nostre Biblio- teche. L’ALpini infatti, dopo d’aver detto delle sperienze di Moson, soggiugne: « Cette nouvelle propriété du galvanisme a été constatée par d'autres observateurs, ei dernièrement par M. Romanesi (leggi RomaGnosI) physicien de Trente, qui a reconnu que le galvanisme faisait décliner l'aiguille aimantée » . Codesta indicazione insufficiente e quasi enigmatica potea veramente far credere, con molta apparenza di verità, che il Romagnosi avesse prevenuto l’OErsTED nella grande scoperta. Ma il documento originale e completo toglie ogni dubbio, e sarebbe un atto sleale da parte di noi Italiani il ripe- tere per vanità nazionale un falso vanto, mentre così acerbamente si vanno rinfacciando agli stranieri quelle che noi giudichiamo piraterie esercitate da essi sulle nostre glorie paesane. 438 APPENDICE Sono lieto di poter aggiungere a questo scritto, che il valen- tissimo e modestissimo fisico italiano Giuseppe Rezti (morto nel 1860) tentò già nel1840 (V. Biblioteca italiana, T. 98, pag. 60 e seg.) di rettificare la storia della scoperta di OERsTED attribuita al Romagnosi, ma il suo lavoro fu volontieri posto in oblio, mentre si ripetè dai più ciò che meglio valeva a lusingare gli animi del popolo d’Italia. Anche l’astronomo Paolo Frisiani tenne il parere del Berti, e lo scrisse a Cesare Cantù in una noterella a matita, che questi mi ha gentilmente comunicata. Il Prof. Silvestro GreranDi nella sua traduzione del Trattato di Elettricità dinamica del DemonreRRAND, pubblicata a Bologna nel 1824, parlando delle sperienze del Moson e del Romagnosi (pag. 111 e 112) avea già detto: « Queste esperienze non han nulla che » possa avere illuminato il sig. OErsrED nella sua grande scoperta ». E si potrebbero citare ancora le opinioni d’altri fisici nazionali e stranieri che, più o meno chiaramente, si espressero nel medesimo senso intorno a codesto argomento. NOTE (1) Experimenta circa cffectum conflictus eletrici in acum magnelicam; in 4°. Hafniae, 21 julii 1820. Opuscolo tradotto nei se- guenti periodici : Grurert, Annal., t. LXVI, pag. 295-304. ConricLiacni e BrugenatELLI, Giornale di fisica, chimica ecc. Decade II, tom. III Pavia, 1820, pag. 335 e 339. Bibliothèque Universelle. Sciences et Arts. T. XIV (1820), p. 274-280. Annales de Chimie et de Physique. T. XIV (1820), pag. 417-425. (2) Cantù Cesare, Notizia di G. D. Romagnosi. Milano, 1835, in-8°, pag. 9. (3) Antologia, di Firenze. T. 27, N° LXXIX (luglio 1827), p. 135-138. (4) Aupini Jean, Fssai théori ale et capérimental sur le Galvanisme. Paris, 1804, 2 vol. in-8°. Vol I, pag. 340. eli teen att 439 (5) Izarn Joseph, Manuel du Galvanisme, Paris, 1804, 1 vol. in-8°. pag. 120. E nella traduzione di codesto Manuale stampata a Firenze nel 1805, pag. 78-79. (6) Van Swinpen, Recucil de Mémoires sur Vanalogie de l'Électricité et du Magnétisme. À La-Haye, 1784, 3 vol. in-8°. Epinus, Sermo academicus de similitudine Electricitatis et Magne- tismi. Petrop., 1760. Similitudinis effectuum vis Magneticae et Electricae novum specimen. Nov. Com. Aead. Petrop. T. X, pag. 296-298. Urona, Dissertatio de analogia Electricitatis et Magnetismi. Miscel. Soc. Taurin. T. 1 (1759). Dissert. et Opusc. varia, p. 43-67. BerauD, Sur le rapport qui se trouve entre la cause des effets de l’Aimant et celle des phénomènes de l'Electricité. Prix de l’Acad. de Bordeaux, t. II (1748). Wiccke, Abhandlung von Erregung der Magnetischen Kraft durch die Elektricitàt. Sehwed. Abhand. 1766, pag. 306. BLonpeau, Mémoires sur les varialions de l’intensité magnétique ; sur les rapporis du Magnélisme avée l’Électricité etc. Mem. de l’Ac. de Brest. T. I, pag. 421. STEIGLEHNER, Ueder die Analogie der Eleklricitàt und der Magne- tismus. Neue Abh. der Baier. Akad. Philos. T.II, pag. 227. Husner, Veber die Analogie der Elektrischen und Magnetischen Kraft. Ibid. T. Il; p. 351. Poi, Osservazioni fisiche concernenti VElettricità, il Magnetismo e la Folgore, lette nel 1784. Atti della R. Acc. di Napoli dalla fondazione sino all'anno 1787, pag. 169-195. Beccaria, Elettricismo artificiale. Torino 1772, 1 vol, in-4°, pag. 729 e seg., e nelle altre sue opere. FRANKLIN, OEuvres. Traduction de M. Barbeu Dubourg. Paris, 1773, 2 vol. in-4°; e nella edizione originale: Ezperiments and observations on Electricity. London; 1769, in-49. PriestLEY, Mistory and present state of Eleclricity with original experiments. London, 1767, in-40; Additions, ib., 1770. 0 la traduzione francese anonima (fu fatta dal Brisson), in tre vol. in-8°. Paris, 1771. SiGAUD DE LA Fonb, Précis historique ct eapérimentol des Phéno- mènes Electriques. Paris, 1781, 1 vol. in-8°. (7) ALpini, Essai etc. T. I, pag. 339, e 340. (8) Antologia di Firenze. T. 27, pag. 135-138. Adunanza del 21 Marzo 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Lessona presenta e legge, a nome dell'Autore, Conte Tommaso SaLvanori, Assistente al Museo di Storia naturale, la seguente Memoria. MONOGRAFIA DEL GENERE CZYX LackPÈDE. Le seguenti note intorne al genere Ceye ebbero origine dallo studio di alcuni individui di questo genere, rac- colti dal Marchese Giacomo Doria in Borneo nel territorio di Saràwak. Alcuni di essi, sebbene alquanto differenti dalla C. rufidorsa, quale viene descritta dalla maggior parte degli ornitologi, pure io, per mancanza di sufficienti mate- riali di confronto, riferiva, sebbene con qualche dubbio, a questa specie, considerando le differenze siccome sessuali. Questi miei dubbi io scriveva fin dai primi giorni del set- tembre 1868 al sig. Smarpe, l’autore della bella Mono- grafia degli Alcedinidi (1) ora in corso di pubblicazione, ed avendogli più tardi inviati quegli individui onde li esaminasse, non dubita che siano veramente riferibili ad una specie distinta e non ancora denominata. Studiando quegl’individui io aveva da lungo tempo preparato i materiali per una rivista dell’intero genere, ma dopo il cominciamento dell’opera del sig. SHARPE, io (1) A Monograph of the Alcedinidae or Kingfishers by R. B. SHARPE, London, 1868-69, pt. I, IT, III (continua). 441 stetti in forse dell'opportunità di pubblicare la mia Mo- nografia, e mi vi sono determinato soltanto considerando come io non potessi partecipare a tutte le opinioni del sig. SHARPE, e come avessi una nuova specie da descri- vere, un’altra da denominare, sebbene nota da lungo tempo, e la sinonimia di alcune da rettificare. Ma nello stesso tempo non debbo tacere come il sig. SHARPE mi abbia dato validi aiuti, sia manifestandomi le sue opinioni, come anche inviandomi molti individui di questo genere onde ne facessi soggetto dei miei studi, cd attualmente quanto sono per dire si può considerare, almeno in gran parte, come il risultamento dei nostri studi comuni. Grazie vivissime io debbo anche all'ottimo amico mio sig. Conte Ercole Turati di Milano, il quale inviandomi i numerosi individui della sua stupenda collezione, mi ha posto in grado di esaminare individui di tutte le specie finora note del genere Ceyx. Il genere Ceye fu stabilito dal Lactpèpe nel 1801 (1) per le specie tridattile del grande genere Linneano Alcedo; egli non indicò particolarmente alcuna specie quale tipo del suo genere, ma siccome in quel tempo le tre specie tridattile note erano confuse sotto il nome comune di Alcedo tridactyla, perciò quella alla quale questo nome va riserbato, cioè la specie colle parli superiori rossiccio- lilacine e col dorso azzurro (Alcedo tridactyla è PaLL.), dovrà essere considerata siccome il tipo del genere Ceye. Le altre duc specie che venivano confuse con quella (1) Mémoire sur une nouvelle Table Méthodique de la Classe des Viscaur., Mém. de l’Instit., III, p. 511 (1800-1801). 442 del PaLLas erano l’Alcedo tridactyla Q PaLr., e V'Alcedo tri- dactyla Scop. (nec Part.), delle quali la prima dal 1846 fino ad ora è stata confusa colla C. rufidorsa STRIcKL., ed aspetta ancora un nome, e la seconda è stata deno- minata dal Kaup sebbene con nome assai improprio. (1811) ILricer (Prodr. Syst: Mamm. ed Av., pag. 208, 231) sebbene considerasse il genere Ceyx come uno smem- bramento artificiale del genere Alcedo, pure indicò come ad esso dovesse appartenere l’Alcedo tridactyla Linn., ma senza riconoscere come sotto questo. nome varie specie andassero insieme confuse. (1816) VieiLLor (Nouv. Dict., V, p. 614) senza accettare il genere Cey?, tuttavia indicò che ad esso appartengono i Martini-pescatori a tre dita, e come tre varietà dell’A/- -cedo tridactyla descrisse abbastanza bene le tre specie allora note, e che ho sopra indicate. - (1817) Cuvier pel primo nel Regne animal, I, p. 417, adottò il genere Ceyx, e vi comprese l’Alcedo tridactyla Part. e l’Alcedo tribrachys Snaw. (= A. azurea LaTH.) appartenente al genere Alcyone. (1826) SrepHens (Contin. of SHaw's Gen. Zool., XIII, pt. II, p. 106) cambiò nome alla C. tridactyla chiamandola C. luzoniensis, e seguendo il Cuvier comprese nel genere Ceye anche l’Alcedo azurea LatH. (1826) Lesson nel Voyage de la Coquille, I, p. 691, de- scrisse una Ceya meninting, da non confondere, come egli fece, coll’Alcedo meninting Honsr. (1828) Lesson nel Manuel d’Ornithologie, II, p. 95, annoverò nel genere Ceyx tre specie, cioè la C. tridaciyla (varietà . della quale considera la specie del Sonnerat), la C. azurea e la C. meninting. (1829) Cuvira nella 2* edizione del suo Regne animal, a-9 143 I, p. 444, all’Alcedo tridactyla ed all’A. tribrachys annoverate nel genere Ceyx nella 1° edizione, aggiunse la €. me- ninting Less. i (1836) Temmincx nelle Planches colorices, liv. 100, de- scrisse e figurò la Ceyx lepida, la C. solitaria e la C. pusilla. La prima è una buona specie e ben distinta del genere Ceye, la seconda era stata descritta dal Lesson col nome di C. meninting, e la terza appartiene al genere Alcyone. . (1837) Burton (Proc. Zool. Soc., 1837, ‘p. 82) descrisse col nome di C. microsoma una specie per nulla differente dalla €. tridactyla (PaLL.). . (1846) StRrIeKLAND (Proc. Zool. Soc., 1846, p:39) rico- nobbe come col nome di Alcedo tridactyla fossero state dal PaLLas descritte due specie distinte, e descrisse col nome di C. rufidorsa una specie, che credette fosse quella stata: descritta dal PaLLas e da altri quale femmina o varietà delli A. tridactyla; ma in verità la €. rufidorsa StRIcKL. ne era diversa, e l’Alcedo tridaclyia 9 PaLL. era ancora da: denominare. (1846) Gray (Genera of Birds, p. 80) non annoverò nel genere Ceyx altre specie fuori delle due confuse dal. ParLas sotto il nome di C. tridactyla, e dette il nome di €. tridactyla all’. tridactyla 9 PALL., mentre dette il nome di €. rubra all’altra (Alcedo tridactyla è PaLL.) già rappre- sentata dal Burron nella PI. Enl., 778, f. 2, ed alla quale: BoppaEeRT aveva dato il nome di Alcedo rubra, e poscia: GmeLIN quello di A. purpurea. (1848) Kaup (Eisv., p. 14, in Verhandl. Nat. Ver: Darmst., 1848, p. 74) descrisse e denominò €. melanura la specie già dal Sonnerat descritta (A. tridactyla Scop. (nec PaLt.)). (1850) BonaparTE nel Conspecius generum Avium,1I, p. 157, annovera cinque specie, cioè la €. tridactyla, la C. purpurea, 29 414 la C. rufidorsa, la C. melanura e la C. lepida, la sinonimia delle quali è in parte erronea. (1851) RercHenBAcA (Handbuch spec. Ornit. Alcedineae, p. 8; t. 403», fig. 3388-89) col nome di C. tridactyla figurò due specie diverse, l’una colle scapolari rossiccie tinte di lilla, e l’altra colle scapolari nere tinte di azzurro, mentre nel testo si trova descritta soltanto la prima; nessuna delle due figure rappresenta la C. tridactyla (PALL.), ma invece due specie allora non per anco descritte, ambedue da denominare. (1860) Gray (Proc. Zool. Soc., 1860, p. 348) descrisse una €. uropygialis per nulla differente dalla C. lepida Temm. (1861) PucHERAN (R. et Mag. de Zool., 1861, p. 341- 345) cercò di dimostrare che delle due specie descritte dal PaLLas e da Linneo col nome di A. tridaciyla, quella cui deve essere dato il nome di C. tridactyla è quella colle parti superiori interamente rossigno-lilacine, e che si debba dare quello di €. purpurea (Gm.) alla specie col dorso ceruleo, e questo vorrebbe perchè nella descrizione del Linneo, Mant. Plant., p. 524 (1771), nella quale ven- gono comprese ambedue le specie col nome di Alcedo tri- dactyla, si trova descritta prima la specie colle parti su- periori rossiceie lilacine, e poscia come varietà la specie col dorso ceruleo, e così realmente dovrebbe essere , qualora le descrizioni del Linneo non fossero state pre- cedute da quelle del PaLLas (Spicil. Zool., VI, p. 13 (1769), che erroneamente il PucHERAN crede posteriori, nelle quali è l’ inverso, avendo questi col nome di A. tridaciyla descritta prima la specie col dorso ceruleo , alla quale perciò veramente spetta quel nome, e poscia come femmina o varietà descrisse la specie colle parti superiori rossigno-lilacine. 445 Del Vosmaer, che pure descrisse le due specie, non è da tenere conto, poichè, sebbene anteriore al PàLLAs, non adoperò nomenclatura binomia. | (1863) WaLrace scoprì in Celebes e descrisse (Proc. Zool. Soc., 1863, pp. 19, 25) la C. cajeli. (1868) SHarpE (Proc. Zool. Soc., 1868, p. 270) pubblicò la descrizione della C. Wallacei. (1868) Goutp (1. c., p. 404) ha descritto da ultimo una C. philippinensis, certamente un A/cyone, similissima al- l’A. cyaneipectus (LarR.) (1), specialmente nelle parti su- periori; il sig. SHARPE recentemente nella sua monografia conserva questa specie nel genere Ceyr, ciò che non mi pare in nessun modo ammissibile, poichè avendo avuto. opportunità di esaminare un individuo esistente nella collezione del Conte Turati, e stato riconosciuto dal sig. SHARPE siccome appartenente a questa specie, ho ve- rificato che esso ha becco compresso, collo spigolo infe- riore diritto, perfettamente simile nella forma ed anche nelle dimensioni a quello dell’Alcyone coeruleipectus, mentre nella Monografia del sig. SHARPE è rappresentata con becco largo, depresso, ceiciforme; la somiglianza fra le due specie è tale da far dubitare che la €. philippinensis GouLp non sia altro che la femmina della A. coeruleipectus. Riassumendo le specie finora descritte del genere Ceya . sono in ordine cronologico di denominazione le seguenti: «1. C. tridactyla (Part.) (1769). C. lepida Temm. (1836). C. solitaria Tewm. (1836). C. rufidorsa StrIcKkL. (1846). C. melanura KauP. (1848). Ut sb 2 dI (1) A scansare la parola ibrida cyaneipectus meglio sarebbe seri vere Ceya coeruleipeclus. sio FS (er) 6. C. cajeli Watt. (1863). 7. C. wallacei StarpE (1868). A queste sette specie sono da aggiungere le seguenti : 8. C. dillwini (C. tridaciyla Reicg. (nec PaLL.), £. 3388 (nec f. 3389), che il sig. SHARPE va a pubblicare in breve. 9. C.sharpei mihi (C. tridactyla Reicn., f.3389 (nec f. 3388). 10. C. innominata mihi (C. rufidorsa Auct. (nec STRIGKL.). Queste dieci specie a me note si possono distinguere ai seguenti caratterì : A. Rostro rubro (CEYx). A'. Supra rufo-lilacinae, rectricibus maiore ex parte rufis: a.Fascieulo plumarum pone-auriculari albo supra coeruleo : a’. Abdomine medio albo ........... 1. C. melanura. d'. Abdomine flavo : a". Dorso coeruleo ........ cia. 2. C. tridactyla. b'". Dorso rufo-lilacino .......... b. Fasciculo plumarum pone auriculari albo, supra minime coeruleo : a'. Scapularibus nigris coeruleo-tinctis 4. C. dillwyni. d'. Scapularibus rufis: a''. Tectricibus alarum nigris ac rufis, mediis exterioribus coe- 3. C. rufidorsa. ruleo-marginatis....,...... 5. €. sharpei. 0''. Tectricibus alarum rufis, nulla coeruleo-marginata........ 6. C. innominata. B'. Supra nigrae ac coeruleae, cauda nigra: a. Scapularibus nigris: a'. Genis nigris immaculatis:........ 7. C. eajeti.;, © d'. Genis nigris coeruleo-maculatis., 8. 0. wallacei. b. Scapularibus nigris coeruleo-tinetis .. 9. C. Zepida. BL Hostro"nigro (THEROSA). ii le0 Ser LAI a A 10. C. solitaria. Le prime nove specie hanno tutte il becco rosso-coral- lino, l’ultima invece, la €. solitaria, ha il becco nero ed inoltre notevolmente più sottile e più svelto che nelle prime, onde mi è parso che, anche comprendendola nel 447 genere Ceyr, potesse essere il tipo di nn sottogenere, pel quale ho accettato il nome di Therosa adoperato dal MùLLER. Delle prime nove le tre ultime sono assai meno tipiche, presentando un modo di colorazione notevolmente diverso da quello delle prime sei, ed inoltre occupano una re- gione diversa da quella occupata dalle altre. Oltre alle dieci specie soprannominate sono state rife- rite al genere Ceyx, per avere anch'esse tre sole dita, la .C. azurea (Latn.), la C. pusilla Tewm., la C. cyaneipectus Larr. e la C. philippinensis GouLp, le quali spettano invece al genere A/cyone Sws. (1), che comprende le forme tri- dattile della sottofamiglia degli Alcedinini, mentre nel ge- nere Ceyx vanno annoverate le specie pure con tre dita della sottofamiglia degli Alcionini. Le specie del genere Ceyx sembrano avere stretti rapporti con quelle del genere Ispidina, tra. le quali 1'I. madagasca- riensis (BrISs.) è similissima nei colori alla Ceya innominata; sì direbbe quasi che le Ispidinae, tutte africane, sebbene tetradattile, rappresentino in Africa il genere Ceyr (2). Le specie del genere Ceyx sono tutte della regione In- diana ed Australiana, e più specialmente dei confini tra le due regioni; come si può vedere dalla seguente tavola. (1) Le specie del genere Alcyone sono caratterizzate dal becco compresso, e non largo e depresso come nelle specie nel genere Ceye, e collo spigolo inferiore più diritto. (2) Una specie che per l'aspetto, le dimensioni ed il colorito si direbbe una vera Ceyz, se non fosse tetradattila, è il Dacelo fallar ScaLec., Ned. Tijdschr., III (1866), p.187, che certamente non può restare nel genere Dacelo, e mi sembra dover costituire il tipo di un nuovo genere, pel quale propongo il nome di Ceycopsis per indicare la sua somiglianza colle specie del genere Ceyr, e Ceycopsis fallar dovrà esser detta l’unica specie finora nota, ed ancor raris- sima nei Musei, della quale ho visto un solo individuo esistente nella collezione Turati in Milano. F cià = "****@pido] « ***IGOEIQRA « ****--IToleo “« CIBUIUIOUUT « **<-rodieys « *°IUAMINP « ** ESIOpgnI « "*elfMoepug « eImue]jow xAan z FIR, | 5|S|\z|®|a|E|E|F[F siele|Elele[s|s[e|e|e]e]s <{ 8 SIsFlalsiz|s inps Pe |B|ENE[3|(sa|S|E/SIaEì AE AIR e|8|5|z|5|8|5|8|5|®|21818 È Gil L'è SI OR edi 1 bg ESE E » eisendeg QUIONION ©IS9ICHI VNVICNI ANOIDHYU % ‘dTOv] anfia® au9u96 1ap 219008 a119p 0946096 IUOLZNQUASID U]]IP_ VIOAVI, I 0 6 8 L 9 S y 6 6 | e 449 | Dall'esame di questa tavola si possono dedurre i se- guenti corollari. 1.° La Ceyx melanura sembra esclusiva delle Filippine. 2.° La C. tridactyla, se è vero che si trovi anche nelle Filippine, occupa forse l’area più estesa da Ceylan alle Filippine, e ci presenta il fatto singolare di non occu- pare un grande spazio intermedio, non essendosi trovata finora nell’isola di Borneo. 3.° La C.rufidorsa finora è stata trovata soltanto nella penisola di Malacca. 4° La C. dillwyni sembra limitata a Borneo (Labuan non essendo che una dipendenza di quest'isola), e pro- babilmente vi si trova ovunque, essendo stata osservata a due estremità opposte, Labuan nel nord e Banjermas- sing nel sud. 5.° La C. sharpei finora è stata trovata soltanto in Borneo nel territorio di Saràwak nell’angolo nord-ovest dell’isola; ignoro da qual parte provenga l'individuo rac- colto da Otto von KessEL, rappresentato dal ReIcHENBACH. 6.° La C. innominata occupa un’area assai estesa da Singapore, e molto probabilmente anche da Malacca a Borneo verso oriente, e verso il sud-est fino all'isola di Flores senza interruzioni. 7.° La C. cajeli occupa una delle isole più meridio- nali delle Molucche , quella di Bouru, nella quale pare confinata, non essendo ben certo che si trovi anche in Matabello come vorrebbe lo ScHLEGEL. 8.° La C. wallacei è confinata nelle isole Sula, poste a mezza via tra le Molucche e Celebes. 9.° La C. lepida ha il suo centro nelle Molucche e si estende verso oriente sulla costa occidentale della Nuova Guinea. 450 ; x | 10.° LaC. solitaria, propria della Papuasia, si estende verso occidente fino in Ceram delle vicine Molucche. 11° È da osservare ancora come Borneo, è . forse anche Malacca posseggano tre specie, e queste molto affini tra loro; due ne posseggono Singapore, Sumatra, le Filippine, Ceram e la nuova Guinea, e tutte le altre località. una sola. 12.° È cosa assai singolare come nella grande isola di Celebes, lunga circa 8 gradi secondo la latitudine, e poco meno secondo la longitudine, posta nel centro della grande area, sulla quale sono diffuse le specie del genere Ceyr, non sia stata trovata finora alcuna specie di questo genere, che, a quanto pare, vi è rappresentato dal Cey- ‘copsis fallax (1). 13.° Finalmente sembra cosa importante l’ osservare «come le specie tipiche di questo genere , quelle dalle ‘parti superiori di color rossiccio lilacino siano proprie della regione indiana; una sola, la €. innominata, da Giava si distende nelle vicine isole del gruppo di Timor appar- ‘tenenti alla regione Australiana. Le altre meno tipiche colle parti superiori nere, macchiate o tinte di ceruleo, ‘sono esclusive della Australiana. Poco si sa dei costumi delle specie di questo genere; sembra che si nutrano d’insetti acquatici ed anche di piccoli pesci. Traduco dallo ScHLEGEL quanto a proposito della C. rufidorsa, Aucr. nec STRICKL., si trova nelle note manoscritte del Visconte De Bocarmé intorno agli uccelli di Giava: (1) Secondo il WarLace le isole Sula apparterrebbero zoologica- mente alla Celebes anzichè alle Molueche, ma mi sembra che i materiali di cui si è valso per giungere a questa conclusione non siano abbastanza numerosi. 451 « A Giava non si trova che nei Inoghi boscosi, nei seni marini più ombrosi e dove le sponde sono affatto impenetrabili. Raramente si vede volare sull'acqua; d’abi- tudini sedentarie, sta posata giornate intere sullo stesso ramo, d’onde sta spiando le idrometre. Se si riesce a collocarsi in modo da poterla osservare senza farsi scor- gere, la si vede precipitarsi venti volte al minuto in mezzo agli stuoli spesso numerosi di quegl’ insetti ». Intricatissima è la sinonimia delle prime sei specie , e, come si vedrà in seguito, il nome di tridactyla dato dal Parras alla specie ora tipo del genere Ceyr è stato causa di numerosi errori, siccome lo stesso nome è stato adoperato dai vari autori per designare cinque almeno di quelle sei specie , tutte tridattile ed assai somiglianti. Nessuno autore, per quanto io sappia, ha trattato par- ticolarmente di questo genere, intorno al quale sono da consultare specialmente : Gray, G.R., List. of the Specimens of Birds in the collection of the British Museum, Part. II, Section I, Fissirostres. London, 1848, p. 59. ReicHENBACcH, L., Handbuch der speciellen Ornitologie II. Dresden und Leipzig 1851, Alcedineae, p. 8-10. Cassin, J., Catalogue of the Halcyonîdae in the collection of the Academy of Natural Sciences of Philadelphia, No- vember 1, 1852, p. 15-16. HaARTLAUB , Dr. G., Beitrage zur exotischen Ornithologie, Journ. f. Orn. 1854, p. 413-414. PucHERAN, Observations rectificatives sur quelques espèces d’oiseaux, R. et Mag. de Zool., 1861, p. 341-345 ScuLeGeL, H., Museum des Pays-Bas, Alcedines. Mai, 1863, p. 48-49. 452 ScHuLeGEL, H., De Vogels van Nederlandsch Indie. Haarlem, 1864. De Ijsvogels, p. 38-41, 66-68 {con tavole, testo olan- dese e francese). SHarPE, R. B., Proceedings of the Zoological Society of London, 1868, p. 270. SÒarpe, R.B., Monograph of the Kingfishers or A/cedi- nidae, 1868-1869, pt. I-IIIl (1). Fam. ALCEDINIDAE. Subfam. HALCYONINAE. Gen. Ceyx Lackp. (Ceyxa da Kave nome proprio ) Alcedo, Linn., S. N. 1, p.......(partim) (1766). Ceye, Lackp., Mém. de l’Instit., p.511,-Cuv., Règn. An., I, p.417 (1817) (Typus: Alcedo tridaciyla PALL.). Therosa MùLL., MS. (Typus: Ceyx solitaria Temw.). Dacelo ScuLee., Mus. P. B., Alcedines, p.18 (partim). (1) Questo mio scritto era già stato presentato e letto alla Reale Accademia delle Scienze quando ricevetti dal sig. SHaRPE un suo lavoro intorno al genere Ceyr, presentato alla Società Zoologica di Londra il 26 novembre 1868, ed inserito nell’ultima parte del volume dello stesso anno, non ancora messa in circolazione. Questo lavoro, che porta il titolo On the genus Cevx (P.Z.S., 1868, p. 587-599), è il più completo che io mi conosca intorno all’ argomento. In esso sono annoverate dieci specie, e tra queste la C. philippinensis, che io credo appartenga al genere Alcyone, la C. uropygialis, se- condo me non differente dalla €. Zepida, ed inoltre non avendo avuto ancora il sig. SHarpE l’opportunità di esaminare individui della vera €. rufidorsa StRIcKL. , vi è ripetuto l’errore di confondere con questa la specie cui io ho dato il nome di ©. innominata. 453 Car. Rostrum maiusculum, crassum, latum, depressum, go- nyde sursum verso, culmine recto ; cauda brevis; pedes trida- ctyli; digitus internus anterior nullus. a. CEYX. Rostro, pedibusque rubris. Ceyx melanura. Le Martin-Pécheur de l’ile de do, Sonn., Voy. N. Guin., p. 66, pl. 32, (1776). Alcedo tridactyla, Scop., Del. Flor. et Faun. Insubr., p. 90, sp. 55 (1786). - Gm., S. N. I, p. 459 (excl. syn. Patt., Vosw., ac Linn.) (1788). - VieiLr., N. D., XIX, p. 420 (partim) (1818). - Id., Enc. Méth., I, p. 298 pati - Id., Gal. des 08:, 1, p 315 (1834). TO tridactyla var. B, LatH., Ind. Orn., I, p. 260 (1790). Ceye tridactyla, Sws., Class. of B., II, p. 335 (1836). Ceyx melanura, Kaup, Fam. der Eisv., p. 14, subgen. 3, 16 in Verhandl. Nat. Ver. Darmst., 1848, p. 74, - Gray, List. Spec. B. Brit. Mus., II, 1, p. 59, 3 (1848). - Id., Gen. B. III, App., p. 5 (1848). - Bp., Consp. I, p.158, gen. 305, 4 (1850). - ReicH., Handb. A/cedineae, p. 9, sp. 23 (1851). - Cass., Cat. Halcyon. Mus. Philad., p. 15, 2 (1852). - HartL., J. fur Orn., 1854, p. 413, 8. - Bp., Consp. vol. Anis., p. 9, sp. 322 (1854). - Cas. et Hrin., Mus. Hein., II, p. 151 (1860). - Starpe, P. Z. S., 1868, p.271. - Id., Mon. Alced., pt. II, pl. XIV (1868) (1). Ceyx luzoniensîs, Jerp. (nec STEPH.), B. of Ind., I, p. 230 (1862). i Dacelo melanura, ScuLeG., Mus. P.-B. Alcedines, p. 49 (1863). (1) Id. P. Z. S, 1868, p. 694. 454 ? Alcedo (Ceyt) tridactyla V. MantTENS , Die Preuss pie nach Ost-As., I, p.190 (1865). Alcedo (Ceyx) melanura, v. Mart., 3. fiur Orn., 1866, p. 18, sp. 87. Ceyx supra rufo-lilacina; pîleo cerviceque pulchre lilacino- maculatis; colli lateribus maculis binis, inferiore alba, supe- riore coerulea ornatis; alis migris coeruleo-maculatis; pectore lateribusque rufis lilacino-indutis, abdomine medio albo. i « Ceyx supra splendide rufa, nitore lilacino; pileî ac nuchae plumis macula parva lilacina-terminatis; regione parotica li- lacino-induta; macula ad colli latera sericeo-alba; supra cyaneo- marginata; ala migra; tectricibus minoribus macula mediana longitudinali pulcherrime cyamea notatis; alae margine eclerno dilute miniato-rufo; remigibus migris intus rufo-marginatis; primae limbo basali eterno rufo; macula parva anteoculari migra; altera jurta nares Ravescente; mento ei gula totîs pure albis; pectoris fascia lata nitide violaceo-lilacina ; abdomine medio albicante; hypocondriis dilute miniato rubentibus lilacino- lavatis; Tectricibus intermediis totis rufis; lateralibus pogonio externo nigris, interno rufis; rostro corallino , pedibus rubris » { HaRTLAUB.) (1). | Long. tot. 0,120 - 0",130. ALL 0°,054. Caud. 0”;029. Rostri ‘a fronte 0,028 - 0%,032. Rostri a rictu 0",036 - 0%,040. Tarsi 0%,008. Hab. Filippine (Cuwminc). Mus. Torino, TuratI e molti altri. (1) Di questa e della specie seguente mi è piaciuto di riferire le belle e compiute descrizioni dell’HarTLAUB. 455 Nulla si sa dei costumi di questa specie, della quale più comunemente che non delle altre. sì irovano individui nei musei. i Generalmente la prima descrizione di questa specie si attribuisce al Kaup, ma è indubitato che SONNERAT, Scopoti, GmELIN, LATHAM e VieiLLoT l'avevano già descritta, taluni credendola la vera €. tridactyîa (PaLL.), altri con- siderandola siccome una varietà. Il SonneraT nella descrizione del suo Martin-Pécheur de l’ile de Lugon (Alcedo tridactyla ScoP. nec PaLL.) dice il dorso come tutte le parti superiori couleur lilas foncé, e le parti inferiori, gola; collo, ventre di color bianco, ciò che si verifica in questa specie e non in altra. Il sig. SHarPE attribuisce la figura del SonnERaT alla €. tridaciyla PaLt., alla quale, nella sua Monografia, riferisce pure l’Alcedo tridactyla Scor. fondata sul Martin-Pécheur de Vile de Lucon del SonneRAT, ma mi sembra assolutamente in errore, tanto più che il PucH®eRAN (Rev. et.Mag. de Zool., 1861, p. 244) ha potuto verificare nell’ originale colorito del SonneraT che le parti inferiori sono bianche, ed anche egli pensa che la figura del SonneRAT non si possa in nessun modo riferire alla €. tridactyla (Part.) (1). GmeLIN pure descrisse molto esattamente questa specie, e così anche il VieizLo tra le varietà dell’Alcedo tridactyla. Ceyx tridactyla. Alcedo tridactyla, PaLL., Spic. Zool., VI, p. 10-13, t. 2, f. 1 (1769) (partim). - Linn., Mant. Plant., p. 924 (1771) (partim). - Gm., S.N., 1, p. 459 (1788) (partim). - LATH,, (1) Nell'ultimo suo lavoro intorno al genere Ceyz il sig. SHARPE non sembra lontano dal seguire l’opinione del Puc®ERAN intorno al Martin-Pecheur de l’ile de Lucon del Sonnerat. 456 Ind. Orn. I, p. 260 (partim et excl. var. 8 quae C. melanura KauP) (1790). - Viercr., N. D., t. 19, p. 420 (partim) (1818). Martin-Pécheur de Pondichery Burr., PI. Enl., 778, f.2. Alcedo rubra Bopp., Tabl. PI. Enl., p.48 (1783). | Alcedo purpurea Gw., S.N., I, p.449 (1788). - LatH., Ind. Orn., I, p. 253 (1790). - SHtaw., Gen. Zool., VIII, p..... (1811). i ? Alcedo erythaca var. B Gm., S.N., I, p.449 (1788). - LatH., Ind. Orn., I, p. 253 (1790). ci Ceyx tridactyla ILLic., Prod. Syst. Mamm. et Av., p. 208 (13811). - Cuv., Règn. An., I, p. 417 (partim?) (1817). - Syres, P. Z. S., 1832, p. 84. - StRIcKL., P. Z. S., 1846, p.99. - ? JERDON; Ill. Ind., Orn., pl. 25 (1847). - Gray, Cat. Fiss. Brit. Mus., p. 59 (1848). - Id., Gen. B. App., p. 5 (1849). - Bp., Consp., I, p.57 (1850). - Cass., Cat. Halcyon Philad. Mus., p. 13 (1852). - Horsr. and Moore, Cat. B. Mus. E. Ind. Comp., I, p. 391 (partim) (1854). - Moore, P.Z.S., 1854, p. 269. - Bp., Consp. vol. Anis, p.9, sp. 319 (1854). - Lavarp, in Emers. Tenn. Ceylon, p. 177 (1860). - Jerp., B. of Ind., I, p. 229 (1862). - Gray, Cat. Mamm. and B of Nep., p. 24, sp. 93 (1863). - SHarpe, P. Z. S., 1863, p. 270. - Id., Mon. Alced., pt. III, pl. XXIII (nec pt. II, pl. XII) (1). ? Ceya luzoniensis STEPH., Gen. Zool., XIII, 2, p. 106 (1825). Ceyx purpureus Less., Tr. d’Orn., p. 241 (1831). - HartL., J. f. Orn., 1855, p. 423. Ceyx microsoma Burt., P.Z.S., 1837, p. 89. Ceyx rubra Gray, Gen. B., p.80 (1846). - Id., Cat. Fiss. Brit. Mus., p. 59, sp. 2 (1848). - ld., Gen. B. App., p. 5 (1849). - HartL., J. f. Orn., 1854, p. 414. (1) Id., P. Z. S., 1868 p. 593, sp. 3. Chatbailia 457 Ceye erythaca BLyrH, Cat. B. Mus. A. S. B., p. 50 (£849). - Mason, Burmah., p. 672. Ceyx purpurea Br., Consp., I, p.57 (1850). - Cuv., în Mus. Paris. (partim) fide Puc®er. R. et Mag. de Zool., 1853, p. 285. - ? RcH5B., Handb. Alced., p.9, sp. 24, t. 398, f. 3071 (1851). - BP., Consp. vol. Anis., p.9, sp.320 (1854). Dacelo rubra ScnLec., Mus. P. B. Alcedines, p.49 (1863). - Id., Vog. Ned. Ind. Alced., pp. 40, 68, pl. 16, f. 2 (1864). Alcedo (Ceyx) purpurea v. Mart., J. fiir Orn., 1866, p. 18, sp. 86. Ceyx supra rufo-lilacina, interscapulio, scapularibusque migris coeruleo-tinctis, subtus viltellina. « Pileo et nucha laete rufo-lilacinis; macula parva frontali coerulea, alis et interscapulio migris cyaneo-maculatis, dorso medio laetius cyaneo; tergo, uropygio et supracaudalibus lila- cinis; cauda tota rufa; regione pone-oculari mitide lilacina ; macula ad colli latus alba supra cyanco-marginata; corpore subtus vitellino; colli lateribus et pectore nonnihil rufescente- adumbratis; gula alba; margine alari ci subalaribus rufis ; abdomine imo et subcaudalibus pallidioribus; rostro corallino; pedibus rubris. » (HARTLAUB.). Long. tot. 0%,120 - 0%,130. Ala 0,056. Rostri a fronte 0",031. Tarsi 0",008. Hab. India (Jerpon), Ceylan (LavARrD), Penang (CanTOR), Malacca (BLyrH, De Firippi e GioLioLI, viaggio della Ma- genta), Singapore (HartLAUB.), Sumatra (MiLLer), Giava (Mus. Brit.), Filippine (CuminG, Mus. Brit.). Mus. Torino. Questa specie è fra tutte riconoscibile per avere le 458 ‘parti superiori rossiccie tinte di lilacino, e la regione del dorso compresa tra le scapolari di color nero tinto di ceruleo. Nel Museo di Torino si conservano di questa specie due individui di Malacca; essi hanno le parti inferiori di un bel color giallo, ed in ciò differiscono dalla fig. 2 della PI. Enl. 778, nella quale viene questa specie rappresen- tata col ventre di color bianchiccio, la qual. cosa è forse da attribuire all’essere stato rappresentato un individuo scolorato per opera della luce e del tempo. Io ho osservato due individui della C. innominata, da lungo tempo con- servati, nei quali le parti inferiori hanno perduto affatto il bel color giallo, e sono invece bianchiccie, tinte di giallo rossigno. Questa è una delle d0a specie più anticamente cono- sciute, e fu assai bene descritta dal PaLrLas siccome maschio della sua A/cedo tridactyla. Fra.i sinonimi di questa specie quello di C. luzoniensis ‘ LI SrTePH., erroneamente, per quanto sembra, è stato attri- buito dal Jerpon- (B. of Ind., I, p.230) alla €. melanura Kaup, che chiama con quel nome. Così pure viene riferita a questa specie l’Alcedo erythaca Gw., l.c., (che, secondo LatHAM, sarebbe stata descritta anche dal Linneo, S. N., I, p.179, 4), ma mi pare a torto siccome da quegli autori le viene assegnata la lunghezza di pollici 6 ed anche 6 ‘4, ciò che non conviene nè a questa, nè ad altra specie di Ceyx, e dubito ancora. che: l’Alcedo eryihaca var. 8 di GweLIN e di LartHAM possa rife- rirsi alla C. tridactyla. Giava viene indicata tra i luoghi ove si trova questa specie, ciò che non mi sembra ben certo, poichè l’indi- viduo o gl’individui del Museo Britannico che sono indicati 459 come provenienti da Giava, non portano la guarentigia del nome di alcun collettore. Ceyx rufidorsa. Ceyx rufidorsa StRIcKL., P. Z.S.,. 1846, p. 99. - Id., Ann. and. Mag. Nat. Hist., XIX, p. 129 (fide Cass.). - Gray, Gen. B. App., p-5 (1848). - Moore, P.Z.$., 1854, p. 270. ? Ceyr tridactyla Jarp. and Sets. Ill. of Orn., ser. I, pi. 59, £.2 (1). ? Alcedo madagascariensis JerD. (nec Briss.), Ill of. Ind. Orn.....(fide STRICKLAND). Ceyx capite, dorso, teclricibus, caudaque totis laete rufis, splendore lilacino variantibus; corpore subtus aurantio-fiavo , mento albo, loris et macula aurium obscure coeruleo-nigra: (sic) (STRICKLAND, L. c.). Hab. Malacca (STRICKLAND, CANTOR.). Lo STRICKLAND descrivendo questa specie credette di riconoscere in essa l’Alcedo tridactyla 9g Paxt., Spic. Zool., pt. VI, p.13; ma in ciò s'ingannava, poichè il PaLLAS dice espressamente di questa: Coerulea temporum arcola: deficiens, mentre della sua specie lo StRICKLAND dice: macula aurium obscure coeruleo-nigra, onde era facile il riconoscere come la specie del PaLLas e quella dello STrICKLAND fossero due specie differenti ; invece gli autori posteriori non avendo più trovato. individui della vera €. rufidorsa di STRICKLAND, Che con esso credevano identica: coll’Alcedo tridactyla © PALL., ed avendo spesso tra mano individui senza la macchia cerulea sui lati del collo, che credevano (1) Non ho potuto consultare l’opera di Jirpine e SeLBY, e dubito che la loro C. tridactyla si debba riferire alla €. innominata, ed è soltanto sull’autorità di SrricgcpanD che riferisco alla €. rufidorse lAlcedo madagascariensis JerD. (nec Briss... 30 460 appartenere alla C. rufidorsa StRICKL., osservavano come a torto lo STRICKLAND, e più tardi anche il Moore, aves- sero descritto quella specie colla macchia cerulea sui lati del collo. Ciò ha durato fino a questi ultimi tempi, ed anche recentemente il sig. SntAaRPE nella descrizione della C. rufidorsa (che, si noti, non è quella di STRICKLAND, € che anteriormente aveva chiamato C. tridactyla) fa la stessa osservazione sulla mancanza della macchia cerulea sui lati del collo. Ma posteriormente lo stesso sig. SHarRPE ha avuto la buona fortuna di scoprire nella collezione di Lord WALDEN un individuo di Malacca, avente al disopra del fascetto di piume bianco gialliccie sui lati del collo, la macchia nero-cerulea, sebbene assai meno distinta che nella C. tri- dactyla (PALL.), onde è stato manifestamente dimostrato che la C. rufidorsa della maggior parte degli autori era una specie diversa dalla C. rufidorsa di STRICKLAND, e che ad essa era ancora da dare un nome. Il sig. Snarpe ha avuto la gentilezza d’inviarmi in co- municazione quell’individuo, il quale sembra un giovane, ed è, forse perciò, alquanto differente dalla descrizione dello StRICKLAND, sebbene non pare possa cader dubbio che esso debba essere riferito alla vera C. rufidorsa, ciò che il sig. SHAaRPE si propone di verificare confrontandolo col tipo. Ecco intanto la descrizione di quell’ individuo : Juv. (?). Supra rufus, superciliis, uropygio, supracaudalibusque tantum lilacino-tinctis ; uropygio summo medio macula lilacina, fere coerulea ornato; macula frontali media nigricanti-coerulea, laieralibus flavicantibus vix conspicuis; lateribus colli fasciculo plumarum albo-sericeo-flavido, supra macula nigro-coerulea ; 464 gula alba; subtus pallide vitellina, pectore ac lateribus rufo- tinctis; alis, scapularibusque migris, his vix coeruleo-tinctis ; tectricibus alarum mediis ex parte, angulo ac margine alarum, remigum marginibus internis, ac primae margine etiam externo basim versus rufis; tectricibus medtis exrterioribus coeruleo- marginatis, reliquis vix lilacino-marginatis; tectricibus alarum inferioribus flavo-sericeis, paullulo rufo-tinctis ; rectricibus fusco- nigris, intus rufo-marginatis. Magnitudine C. TRIDACTYLAE. Ceyx dillwyni. Ceya tridactyla Rcns., Handb. Alced., p. 8, sp. 21, t. 4032, f. 3389 (nec descr. nec f. 3388) (1851). - MorTLEY and DiLLrwyn, Nat. Hist. of Labuan, p. 13 (1859). Ceyx rufidorsa ScLat., P. Z. S., 1863, p. 213. Ceyxe Dillwynni Sarre in litteris (1). Ceya supra rufo-lilacina, subius flavo-albida, lateribus colli macula una tantum albo-flavida, scapularibus nigris coeruleo- tinctis, tectricibus alarum medtis exterioribus coeruleo-marginatis. Parti superiori rossiccie tinte di lilacino specialmente sulla testa e sul groppone, appena una traccia dello stesso colore sul dorso; una macchia nero-cerulea nel mezzo della fronte più o meno distinta; due macchie sui lati della fronte rossigne volgenti al giallognolo; avanti l'occhio una macchia nericcia; sui lati del collo un. fascelto di piume bianco-giallognole; parti inferiori giallo-bianchiccie tinte di rossigno sul petto; scapolari nere tinte di ce- ruleo verso l’apice; ali nere, cuopritrici per la massima parte rossiccie, le mediane marginate di lilacino, e di queste soltanto le più esterne, presso il margine dell’ala, con margini cerulei; margine dell'ala, cuopritrici inferiori, (1) Id., P\Z.S., 1868, pp. 594, 593. 462 margine interno delle remiganti ed esterno della prima di color rossigno; timoniere rossigne cogli apicì neri ; becco corallino; piedi rossi. Lungh. tot. 0,130 - 0,140. Ala 0,062 - Om 058. Coda 0,025. Becco dalla fronte 0%,032 - 0,028. Hab. Labuan (MorTLEY}, Borneo (Banjermassing) (MoTTLEy). Mus. SHarpE, WALDEN. Il sig. SHAaRPE ha avuto la gentilezza d’inviarmi tanto l’individuo tipo di questa specie, che è di Labuan, quanto un altro individuo di Banjermassing nella parte meridio- nale di Borneo, appartenente a lord WaLpEN. Questo pare meno adulto del primo, avendo nelle parti superiori meno diffusa la tinta lilacina. Il primo è quello stesso stato descritto. dal DiLLwyN nell’opera Natural history of Labuan col nome di €. tridactyla, e colle seguenti parole: Above from. the beak to the end of the tail rufous red. Scapulars dusky black tipped with rich blue. Il secondo è quello che nella lista degli uccelli di Borneo dello ScLatER (P.Z.S., 1863, p. 213) porta il nome di C. rufidorsa. Non mi pare dubbio che la €. dilwyni sia una buona specie distinta da tutte le altre. Somiglia «alla €. rufidorsa STRICKL., ma ne differisce principalmente per non avere la macchia nera cerulea sui lati del collo al disopra dell’altra bianco-giallognola, ed in ciò si avvicina alla C. sharpei ed alla C. innominata , ma da ambedue differisce per le scapolari nere tinte di ceruleo verso gli apici. Inoltre differisce dalla C. innominata per le cuopritrici 463 superiori delle ali, delle quali le mediane più vicine al margine dell’ala hanno l’estremità marginate di ceruleo. Il ReicHENBAcH pel primo sembra aver descritto questa ‘specie confondendola colla vera C. tridactyla (PaALL.), ed è da notare come delle due figure date dal REICHENBACH soltanto la f. 3389 sembra rappresentare questa specie, avendo le scapolari nere tinte di ceruleo, mentre la f. 3388, che mostra le stesse parti di color rossiccio tinto di lilacino come il dorso, e nella descrizione sono indi- cati di color castagno bruno (Schultern und Vorderrand des Fittigs castanienbraun), appartiene ad una specie diversa, alla C. sharpeì mihi. Il RercHENBACH aggiunge (e ciò apparisce anche nelle figure) che /e grandî cuopritrici delle ali, come anche le piccole, sono di color nero puro cogli apici volgenti all’azzurro oltremare, mentre nei due individui da me esaminati le cuopritrici sono in gran parte rossiccie, e solo le più esterne fra le medie sono nericcie, marginate di ceruleo, ma è probabile che quei due individui non siano per- fettamente adulti. Ceyx sharpei. Ceyx tridactyia Rcns., Handb. Alcedineae, p. 8, sp. 21, t. 403°, f. 3388 (nec f,3389) (1851). Ceyxa supra rufa splendide lilacino-induta; subtus vitellina; laleribus colli macula una tantum albo-fiavida ornatis ;. scapu- laribus rufo-lilacinis; tectricibus alarum superioribus maxima parte nigris, mediis prope margine alarum coeruleo-marginatis, reliquis lilacino-marginatis. Parti superiori rossigne tinte di un bellissimo colore lilacino, parti inferiori di un bel giallo; sulla parte media della fronte una macchia nero-cerulea, un’ altra nera 404 avanti l'occhio ; sui lati del collo un fascetto di piume bianco-gialliccie ; ali in gran parte nere, come anche le cuopritrici, meno alcune rossigne nel mezzo della regione delle cuopritrici; le medie nere con un po’ di rossigno verso l’estremità, le più esterne di queste marginate di cerulee, le altre di lilacino; margine dell’ ala rossigno come il margine interno-delle remiganti , l'esterno della prima fra queste ed anche le cuopritrici inferiori, Timo- niere interamente rossiccie; gola bianca; becco e piedi rosso corallini. Lungh. tot. 0,135, Ala 0", 058. Coda 0,023. i Becco dalla fronte 0%,032. Hab. Saràwak (Borneo) (Doria). Mus. Doria, Torino. Di questa specie io ho esaminato due individui, e forse anche un terzo, che per essere stato conservato nello spirito di vino è per tal modo scolorito da essere poco riconoscibile. Essa appartiene al gruppo delle specie rossiccio-lilacine superiormente e con sola macchia bianco-gialliccia sui lati del collo. i Essa differisce dalla C. dillwynî per avere le scapolari rossiccie tinte di lilacino e non nere tinte di ceruleo, e dalla C. innominata per le cuopritrici superiori delle ali in gran parte (e forse nell’adulto interamente) nere, e per avere le più esterne fra le mediane marginate di ceruleo. Inoltre da tutte le specie colle parti superiori rossiccie sì distingue per la tinta lilacina che in essa assume una splendidezza tale quale non si vede in alcun’altra. A quanto sembra un individuo di questa specie, rac- colto in Borneo da Orto von KesseL, fu rappresentato dal ReicHENBACH (l.c.) col nome di C. tridactyla insieme con altro appartenente alla C. dillwyni. Il Marchese Giacomo Doria, che fece stupende colle- zioni in Saràwak, ha portato gl individui da me descritti. Ho chiamato questa specie Ceya sharpei dal nome del- l’autore della bella Monografia degli Alcedinidi; omaggio tanto più da me dovutogli, in quantochè mi ha libera- mente comunicate le sue idee, e m’ha inviato per studio molti individui di questo genere. Ceyx innominata. Alcedo tridactyla 9 PaLr., Spie. Zool., VI, p.13 (1769). - Linn., Mant. Plant., p. 524 (1771) (partim). - Vieir., N. D., XIX, p. 420 (partim) (1818). - ? Horsr., Trans. Linn., Soc. XIII, p.174 (1820). - ? Rarrt., ibid., p. 263 (1820) (1). ? Alcedo madagascariensis Jerp., Ill. Ind. Orn. Ceyx tridaciyia Gray, Gen. B., p.80 (1846). - Id., List. Fiss. Brit. Mus., p.59, sp.1? (1848). - Pucner., Rev. et Mag. de Zool., 1861, p. 337. - SHanpe, Mon. Alced., pt. II, pl. XII (errore) (1868). Ceyx rufidorsa BLyrH., Cat. B. Mus. A. S. B., p. 50 (1849). - Bp., Consp., I, p. 158 (1850). - Rcus., Handb. Alcedin., p.8, sp. 22, t.398, f. 3070 (1851). - Cass., Cat. Halcyon. Philad. Mus., p.15, sp.3 (1852). - Br., Consp. vol. Anis, p. 9, sp. 321 (1834). - Horsr. and Moore, Cat. B. Mus. E. Ind. Comp., p. 132, sp. 167 (1854). - Hart. J. f. Orn., (1) Nè HorsrieLp, nè RarrLes descrivono la loro A. tridactyla , onde è impossibile decidere se intendano parlare della l. imnominata o della C. tridactyla vera che si trova anche in Sumatra, ed a quanto pare anche in Giava. (er) 1854, p. 413. - ? Cas. et Hein., Mus. Hein., IT, p. 152 1860). - Wacx., P.Z.5., 1863, p.484, sp. 32. - SHARPE, P. Z. S., 1868, p. 271. - Id., Mon. Alced., pt. II, pl. XMI (1868 (1). Dacelo rufidorsa ScuLee.; Mus. Pays-Bas, Alced., p. 48 (1863). —- Id., Vog. Ned. Ind., Alced., pp. 40, 67, pl. 16 (1864). 46 | Ceyx supra rufa, pileo, dorso medio ac uropygio lilacinis; subius vitellina; scapularibus, tectricibusque alarum supcerioribus rufis, mediis subliliter lilacino marginatis. Parti superiori rossiccie, colla testa superiormente , cervice, parte mediana del dorso, groppone e sopraccoda tinti di lilacino; una piccola macchia nera avanti l'occhio; sui lati della. fronte due macchie poco spiccanti giallo- rossigne ; sui lati del collo due macchie o meglio due fascetti di piume bianco-gialliccie ; parti inferiori gialle, sola bianca; scapolari rossiccie, in alcuni individui tinte di color lilacino, in altri no; cuopritrici superiori delle ali rossiccie, le mediane con sottile margine lilacino ; remiganti bruno-nere, marginate internamente di rossiccio, come anche la prima nel margine esterno; margine. e cuopritrici inferiori dell'ala, lati della testa e del collo, e fianchi di color giallo tinto di rossigno; becco, piedi ed unghie color rosso corallino; iride bruna. Lungh. totale 0©,135. AI. 0,058. Coda 0,023. Becco dalla fronte 0",032. Hab. Malacca ? (Mus. Heine), Singapore (Warp. , Mus. (15) Td 0P. Z3 90 1888, p (592; 467 Smarpe), Sumatra (RarrLes (?), Mus. di Leida), Bangka (Mus. di Leida), Giava (HorsrieLD ?, Bore, Kun, V. HassELT, De Bocarmf), Bawian (HartLAUB), Borneo, Sardwach (Watcace (Mus. Turati), Doria), Lombock (WALLACE), Sumbava (Forsten), Flores (WALLACE). Mus. Torino, Turati, Doria, SHARPE, WALDEN ecc. Io ho potuto esaminare undici individui di questa specie, e mi è parso che quelli di Flores, Sumbawa, Lombock e Giava siano notevolmente più piccoli di quelli di Borneo e di Singapore. Nessuno degl’individui da me esaminati offriva la mac- chia nero-cerulea sul mezzo della fronte come si vede nella C. sharpei, nella C. dillwyni, nella C. rufidorsa e nella C. tridactyla. Per questo carattere si avvicina alla (. melanura, che pure manca di quella macchia. Questa specie è una delle più anticamente conosciute essendo stata descritta dal PAaLLas come femmina delV’A. tridactyla. Poscia dallo StRICKLAND fu confusa colla sua C. rufidorsa, e questo errore è stato pure fatto da tutti quelli che ne hanno parlato dopo lo STRIcKLAND e sol- tanto recentemente il sig. SHarpe riconosceva l’ errore avendo potuto osservare un individuo della vera C. rufidorsa STRICKLAND, la quale, come si è detto, ha una macchia nero-cerulea ai lati del collo al di sopra della macchia bianco-gialliccia, che sola si trova nella €. innominata come anche nella C. sharpei e nella C. dillwyni. Essa si distingue facilmente dalla C. dillwynî per le scapolari rossiccie e non nere tinte di ceruleo, e dalla C. sharpei, cui più somiglia, per avere le cuopritrici supe- riori delle ali quasi uniformemente rossiccie e per man- care dei margini cerulei all’estremità delle cuopritrici 468 medie più esterne, è se, come credo, manca costanie- mente della macchia cerulea nera sul mezzo della fronte, anche questo dovrà essere indicato come carattere diffe- renziale tra le due specie. Anche questa specie ha gli stessi costumi delle altre e si nutre principalmente d’insetti acquatici. r Ceyx cajeli. Ceyx cajeli WaLr., P. Z. S., 1863, pp. 19, 25, pl. V. - SnarpE, P. Z. S., 1868, p. 271. - Id., Mon. Alced., pt. I, pl. 5 (1868) (1). Dacelo cajeli ScaLeG, Vog. Ned. Ind., pp. 39, 67, pl. 16, f. 3 (1864). - Id., Ned. Tijdsch., III (1866), p. 339. Major; supra nigra ac pallide coerulea, subtus rufo-lutea ; genis scapularibusque nigris immaculatis. i Pileo e cervice di color nero con piccolissime macchiette celesti, a modo di punti piuttosto rari; lati della testa e regione malare di color nero puro senza macchie; due grandi macchie sui lati della fronte e due altre sui lati del collo di color giallo rossigno, come le parti inferiori; dorso, groppone e sopraccoda di color celeste chiaro quasi argenteo, sul sopraccoda la tinta celeste è alquanto più intensa; gola bianca; sui lati del petto uno spazio con piume nere; scapolari nere senza traccia di tinta azzurra; ali nere con piccolissime macchiette a modo di punti sull’apice delle cuopritrici superiori; margine dell’ala, e cuopritrici inferiori di color giallo rossigno; dello stesso colore sono i margini interni delle remiganti ed anche l’esterno della prima verso la base; coda nera colle (1) Id., P. Z. S., 1868, p. 595, sp. 5. 469 timoniere giallo-rossigne sul margine del vessillo interno verso la base; becco e piedi di color rosso corallino pal- lido, iride bruna. Lungh. totale 0,145. Ala 0”, 068. Becco dalla fronte 0",031. i Hab. Bouru (WacrL.); Matabello ? (v. RosENBERG.). Mus. TURATI. Questa specie, della quale ho esaminato un bell’esem - plare, è particolarmente distinta pel fondo nero della testa, sulla quale spiccano piccolissime macchiette celesti, per le gote e le scapolari nere e pel colore celeste argen- tino chiaro del dorso. Essa somiglia alla C. lepida, ma ne differisce pel pre- dominio del nero sulle parti superiori, pel colorito celeste più chiaro quasi argentino del dorso, delle macchie della testa e delle cuopritrici delle ali, pel colorito nero puro delle gote e delle scapolari e pel becco più breve. Somiglia pure alla C. wallacei, ed ha com'essa le sca- polari nere, ma ne differisce per le macchie della testa più chiare e più piccole, pel color celeste del dorso più chiaro, bianco ceruleo argentino, per le gote nere e Pale becco alquanto più breve. Secondo il WaLrLace, che ha era questa specie nell'isola di Bouru, essa si nutre d’insetti acquatici e di piccoli pesci, di cui fa preda nelle gore e nei pantani. È dubbio se gl’individui di Matabello appartengano veramente a questa specie. La figura data dallo SHtanpe mostra troppo volsente al bianco il celeste del dorso, e le macchiette celesti della testa non sono piccole abbastanza. 4700 Ceyx wallacei. Ceyxa lepida WaxL. (nec Temm.) P. Z. S., 1862, p. 338 (partim). Ceyx wallacei SHaRpE, P. Z. S., 1868, p. 270. — Id., Monogr. Alced., pt. I, pl. VI (1868) (1). Cejx €. caieli similis sed minor rostro longiore ; supra nigra ac laete coerulea, subtus rufo-lutea; scapularibus nigris ; dorso toto laetissime coeruleo; genis nigris coeruleo-maculatis. Pileo, cervice e cuopritrici superiori delle ali nere, sparse di macchiette di color azzurro vivissimo, assai spiccanti sul fondo nero; lati della testa e regione malare con mac- chiuzze alquanto allungate azzurre, quasi confluenti; dorso di color celeste argentino .assai vivo; cuopritrici superiori della coda dello stesso colore ma più intenso; scapolari, ali e coda nere; margine dell'ala e margine interno delle remiganti ed esterno della prima e cuopritrici inferiori delle ali di color giallo-rossigno ; gola bianca; una macchia su ciascun lato della fronte alla base del becco, ed un’altra su ciascun lato del collo e parti inferiori di color giallo- rossigno; sui lati del petto alcune piume nere; becco e piedi rosso-corallini; iride scura. Lungh. totale 0",138. Becco dalla fronte 0,033. Ala 0", 063. Coda 0%,025. Tarso 05,010. Hab. Isole Sula (WALLACE). Mus. TuraTI, WALLACE, Britannico. Ho esaminato un individuo di questa specie, proveniente dal WALLACE, ed ora esistente nella collezione TURATI. (1) 1. P. Z. S., 1868, p. 595, sp. 67. 471 Questa specie partecipa della €. lepida e della C. cajeli; come la prima ha le gote striate di azzurro, ma più chiaro, e come la seconda ha le scapolari nere. Differisce dalla prima per avere le scapolari nere, l’az- zurro delle macchie della testa e delle ali meno intenso ma più vivo e spiccante, il dorso uniformemente di color celeste. Secondo lo SHARPE anche il colore rossiccio delle macchie frontali e dei lati del collo sarebbe più intenso che nella €. lepida, ciò che non appare nell’individuo da me esaminato. Differisce dalla C. cajelî pel becco alquanto più lungo, per le macchie del pileo e della cervice più spiccanti sul fondo nero, più grandi, più numerose, e di colore azzurro assai più vivo, e principalmente per le gote non nere ma con macchie azzurre allungate e quasi confluenti. L'individuo da me osservato ha le cuopritrici inferiori delle ali, per un gran tratto, di color nero presso l’angolo dell’ala. Questa specie fu da prima annoverata dal WaLLACE tra gli uccelli delle Isole Sula col nome di €. lepida, e recen- temente è stata descritta dallo Sharpe avendola ricono- sciuta diversa. La figura della €. wallacei nella monografia del signor SmarPE non mi pare ritragga bene i caratteri di questa specie; le macchiette della testa sono troppo fitte, troppo regolarmente disposte in serie lineari, di color troppo intenso e non abbastanza spiccanti; il colore celeste del dorso nell’individuo da me esaminato risale più in alto, ed è più chiaro e più spiccante. Ceyx lepida. Ceyx lepida Temwx., PI. Col. 595, f. 1 (1836). - Gray, List. 472 Spec. B. Brit. Mus., II. 1, p. 59, sp. 4 (1848). - Bp., Consp. I, p. 158 (1850). - Rcns., Handb. Alcedineae, p. 10, sp. 25, t. 398, f. 3066 (1851), - Cass., Cat. Halcyon. Mus. Philad., p. 16, sp. 4 (1852). - Bp., GConsp. Vol. Anis., p. 9, sp. 323 (1854). - Hartt., J. f. Orn., 1854, p. 414. - Gray, P. Z. S., 1860, p. 348. - Id., P. Z. S., 1861, p. 433. + Watt., P. Z. S., 1862, pp. 335, 338 (partim.). - Id., P. Z. S., 1863, p. 25. - V. RosenB., J. f. Orn., 1864, p. 118, sp. 83. - Smarpe, P. Z. S., 1868, p. 271. - Id., Monogr. Alced., pt. II, pl. XI (1868) (1). Alcyone lepida Gray, Gen. B., p. 82 (1844). Ceyx uropygialis Grav, P. Z. S., 1860, p. 348. - SHaARPE, PZ SHAB pì 271012) : Dacelo lepida ScuLe., Mus. Pays-Bas, Alcedines, p. 48 (1863). - Id., Vog. Ned. Ind., pp. 39, 66, pl. 16, f£. 4,5 (1864). Ceyx supra nigra ac intense coerulea; subtus rufo-lutea , genis coeruleo-maculatis , scapularibus migris apicem versus coeruleo-tinctis. Parti superiori nere; pileo e cervice con macchie di colore azzurro intenso, come anche i lati della testa. e la regione malare; due macchie sui lati della. fronte ed altre due sui lati del collo di color giallo rossigno, ma più chiare quelle sui lati del collo; dorso, groppone e sopraccoda di colore azzurro intenso, volgente all’oltre- mare sul mezzo del groppone; gola bianca; scapolari nere tinte di azzurro verso gli apici; ali nere con macchie azzurre sugli apici delle cuopritrici superiori; margine (1) IRPI ZiVSì 61868) p: 0596; sp..7. (2) Id. P. Z. S., 1868, p. 596, sp. 8. - Id. Mon. Alced., pt. IV, pl. XXX (1869). 473 dell'ala, e margine interno delle remiganti ed esterno della prima, e cuopritrici inferiori delle ali di color giallo rossigno come le parti inferiori; coda nera, becco e piedi di color rosso corallo. Lungh. totale 0,140. Ala 0”, 060. Coda 0", 023. Becco dalla fronte 0",036. Hab. Batchian (BernsTEIN, WaLLacc); Ternate (Berx- stEIN); Morotay (BernsTEIN); Ceram (ForstEN); Amboina (MiLLerR, ForsteN, Watrtace); Costa occidentale della Nuova Guinea (MiLLeR, WaLrace, RosenBeRG); Gilolo (Wacx. Mus. SHARPE) (1). Mus. Torino, TURATI, SHARPE, ecc. Questa specie somiglia alle due antecedenti, ma diffe- risce da ambedue pel colore azzurro delle parti superiori più intenso, più diffuso e meno spiccante sul fondo nero, pel colore del dorso e del sopraccoda azzurro intenso, celeste chiaro volgente all’oltremare lungo il mezzo del dorso, e principalmente per le scapolari nere ma tinte di azzurro, e non di color nero puro; inoltre differisce dalla C. wallacei, cui più somiglia per le macchie del pileo, della cervice e delle cuopritrici delle ali meno spiccanti e di color più cupo, e dalla C. cajeli princi- palmente per i lati della testa e la regione malare con macchie azzurre e per le macchie della testa assai più grandi, quasi confluenti e di diverso colore. In un individuo di Gilolo manifestamente giovane, (1) Lo ScuLeGEL dà per patria a questa specie anche le Isole Sula, ma siccome osserva lo SHarpe gl'individui di questa località appar- tengono alla C. wallacei. 474 x inviatomi in comunicazione dal sig. Stanpe, le macchie del capo sono poco appariscenti, e le scapolari mostrano appena una traccia della tinta azzurra. To ho esaminato quattro individui di questa specie, e tra questi uno di Ternate e l’altro di Gilolo inviatimi in comunicazione dal sig. SHAaRPE, e secondo lui riferibili alla C. uropygialis Gray, avendoli egli confrontati cogl’in- dividui tipici esistenti nel Museo Britannico ; tuttavia nes- suna differenza di qualche valore io ho potuto scorgervi, onde non esito a riunire la €. wropygialis alla C. lepida. Osservando la figura della C. lepida Temwm., PI. Col. 595, £. 1 non apparisce la tinta chiara oltremare che domina lungo il mezzo del dorso degl’individui da me esaminati, e questa potrebbe essere una differenza tra la C. lepida Temm. e la C. uropygialis Gray, ma sembra che la figura del TEMMINcK non sia molto fedele, siccome Io stesso individuo tipo del TEMMINcK è stato pure rappresentato nella figura a sinistra della tavola della C. Zepida dell’opera dello SHARPE e questa volta colla tinta celeste oltremare lungo il mezzo del dorso. b. THEROSA, Rostro migro, elongato, gracili. Ceyx solitaria. Ceyx meninting Less. (nec Alcedo meninting Horsr.) Voy., Coq. I, p. 691 (1826). - Id. Man. d’Orn. IH, p. 96 (excl. syn.) (1828). - Cuv., Régn. An., 2.% éd. (1829), I, p. 444. - Less., Tr.-d'Orn., p. 241 (1831). - PucGeR., R. et Mag. de Zool., 1861, p. 345. Ceyx. solitaria Temm., PI. Col. 595, f. 2 (1836). - Gray, P. 4. 8.]:48595 pi 172. - Id.; P. Z..;Sui4859 Db: dns e n e 475 Ia., P. Z. S., 1861, p. 433. - Sharpe, P..Z.8., 1868, p. 271. - Id., Mon. Alced, pt. II, pl. XII (1868) (1). Alcyone solitaria Gray, Gen. B., I, p. 82 (1847). - Bp., Consp. Gen. Av. I, p. 158 (1850). - ReicHa., Handb. Alced., p. 7, t. 398, f. 3067 (1851). - Bp., Consp. vol. Anis., p. 10, sp. 358 (1854). - RosenBero., J. f. Orn. (1864), p. 118, sp. 84. Alcedo solitaria ScaLea., Mus. Pays-Bas, Alcedines, p. 17 (1863). - Id., Vog. Ned. Ind. A/ced, pp. 12, 48, pL 3, f.5 (1864). Therosa solitaria MùLLER, Ms. Ceyx rostro nigro; supra nigra ac splendide coerulea, dorso medio vix pallidiore, subtus rufo-lutea. Parti superiori nere quasi per intero tinte di azzurro intenso e vivissimo; piume della testa e della eervice con macchie azzurre sugli apici delle piume , in modo da dare l'apparenza quasi di fascie trasversali, lati della testa di color azzurro; due macchie sui lati della fronte e due altre sui lati del collo di color bianco-gialliccio; scapolari e dorso di color azzurro, alquanto più chiaro lungo il mezzo del dorso; ali nere, cuopritrici superiori con macchie azzurre, e dello stesso colore sono i margini esterni delle remiganti secondarie; margine dell’ala, cuopritrici infe- riori dell’ala e margine interno delle remiganti di color giallo rossigno come le parti inferiori, le quali sono di colore alquanto più intenso e volgerte all’arancio ; gola bianca; coda nera colle timoniere marginate esternamente di azzurro; becco nero; piedi di colore arancio. Lungh. totale 0”,130. (1) Id., P.Z.S., 1868, p. 597. 31 476 Ala 0",054. Coda 0”, 020. Becco dalla fronte 0", 033. Tarso 0",010. Hab. Nuova Guinea (WaLL., MiLLer, RoseNBERG); Isole Aru (WaLLace); Ceram ? (Mus. di Leida); Mysol (WALLACE). © Mus. TURATI. Anche questa specie secondo il Wartrace si nutre d’in- setti acquatici. Questa specie fu per la prima volta descritta dal Lesson col nome di Ceyx meninting avendola egli confusa col- l’Alcedo meninting Horsr. Gli autori l’hanno compresa ora nel genere Ceyx ed ora nel genere A/cyone; ma Ia forma del suo becco note- volmente depresso mostra come abbia maggiori affinità colle specie del primo genere. Anche lo SHaRPE recente- mente la annovera nel genere Ceyx, ma il becco assai più sottile che non nelle altre specie del genere €eyr ed il suo colore nero, mentre in quelle è sempre di un bel rosso, mi sembrano sufficienti caratteri per farne il tipo se non di un genere, almeno di un sotto-genere, pel quale mi pare si possa adottare il nome di Therosa proposto dal MiùLLER. L’Accademico Segretario Aggiunte A. SoBRERO. MU ESS Mionera dis Qbrino Lit: FF Doyern L (nti lilog. CEXX SHABFEI si ui If te, My NO IAS DE SERE bi Ù SA, Sa N CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGIGHE Febbraio e Marzo 1869. SIL - 1 v È PIP de * x . "od om IR aio aa Mesa: a {pa vesti ada f È i È > 191 wi intatti BI DOLO BE MEDIO TA LAS ONE SXV e i, PR ar} ostelli e oisrddo? | O C}X CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE —_T_ ___—- Adunanza del 14 Febbraio 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Marchese Riccr comunicò alla Classe le seguenti Note illustrative di alcuni passi più controversi del Libro Primo di Erodoto, estratte dal novero di quelle che nel suo nuovo Volgarizzamento andranno in calce al Libro medesimo. n E 4 > x CI , tà I LA LAS oùtor #0vres Evsavto) EBdounxovta, Tapéyovta iuepas Tinxooias ual TevtaziogiMias noi diouupias ..... duoîov mpocdyet piva (8 32); Questo passo formò la disperazione di tutti i critici, che, per quanto ci si stillassero attorno il cervello, non seppero mai proporre una congettura che non zoppicasse per qualche verso. L'unica cosa certa è, che, tenendo ferma, secondo la lezione volgare, la somma di 25,200 giorni, senza intramessa di mesi intercalari; e assegnandone in- vece 26,250 a un uguale spazio di tempo, coll’aggiunta di un mese intercalare ogni biennio; risultano, nel primo caso, 360 anni di 360 giorni ciascuno (il che s’ accorde- rebbe, badiamo, coll’opinione espressa dallo storico al 480 $ 10 del Libro III); e di 375 giorni ciascuno nell'altro caso: anni questi troppo lunghi, e tali da rendere impos- sibile quel normale avvicendarsi delle stagioni, per cui il Nostro dice che sarebbe stato appunto istituito il mese in- tercalare. E infatti il Wurm (De pondd. ration., p. 170) e il Letronne (Journal des Savans 1836, p. 244) si affret- tano ad osservare che Erodoto in questo luogo contrad- dice al vero modo d’intercalare dei Greci, che era ogni terzo anno; come ne fa fede egli medesimo al $ 4 del Libro II. Onde, per escire d’impaccio, varie furono le vie cui s'appigliarono i chiosatori. E alcuni, collo Scaligero e collo Sturz, tassano addirittura lo storico di grave errore. Altri invece, come il Wesseling, studiano di rimediare congetturando, inducendo, rabberciando; e si figurano, p. e., che Erodoto abbia voluto alludere all’anno lidico anzichè al greco; il quale anno lidico restringendosi a 350 giorni, coll’aggiunta del mese intercalare ogni biennio, si ottengono subito i 365 giorni dell’anno normale, e acco- modato alla regolare vicenda delle stagioni. Ma a tal fine questi critici sono obbligati di emendare il testo, senza altro fondamento che il bisogno di conformarlo alla loro ipotesi, nel modo seguente: uépas Tevtuzocias xal TetpamiogiAias xat Svopipias (24,500); e appresso revrixovta xal Tevraxooicy vai muvtamogiicov nai dicpvpicov (25,550). Ma ancor più ardito fu il Wyttembach in questa via sdrucciola delle ipotesi, delle correzioni, delle aggiunte. Egli tien fermo il primo termine dei 360 giorni; e poi per fuggire gl’inconvenienti del secondo termine dato dal testo, e cambiare i 375 giorni in soli 365, suppone che invece di roùrepov debba legsersi roùxroy (rò Éxroy); talchè l’intercalazione di biennale mutisi in sessennale: e inoltre fa una lunga aggiunta per innestare un’altra intercalazione annuale di cinque 481 giorni, onde s’integrerebbe esattamente il suo calcolo. Ma sembrami molto più giusta a questo proposito l’os- servazione del Bahr: che se può ammettersi facilmente un'alterazione patita dal testo erodoteo, non si comprende come sia tanto antica da non riuscire, neppure per con- gettura, emendabile col confronto dei codici conosciuti. Il mezzo più facile e spedito di tutti sarebbe pertanto quello di imputare ogni oscurità ed inesattezza all’autore : ma neppur questo si può affermare con tal fondamento, che non sottentri subito qualche dubbiezza circa l’altera- zione dei testi e gli equivoci degli amanuensi. Quantunque non dovremmo troppo meravigliarci se, in età sì remote, neppure i dotti possedessero un’idea esatta del tempo; e della misura degli anni e dei mesi, ragguagliata al corso delle stagioni. ci de ypeooy Éoti texuarpopevov Méyew tolo: vÙv Eri goa: IeAa- cy, T66v drép Tuponyéov Kpnorova rory oixeortoav x. T. A. (857). La distinzione ammessa in questo passo di Erodoto fra Pelasghi e Tirreni, non può a meno di riuscire all’erudito una novità molto strana, essendo così frequente e radi- cato l’uso presso gli antichi di congiungere i due nomi insieme, per designare un solo e medesimo popolo. Talchè il nome composto di Tirreni-Pelasghi si usò perfino talvolta a indicazione di genti, cui, se poteva per buone ragioni convenire l’aggiunto di Tirrene, mancava però ogni sto- rico fondamento per dirle Pelasghe. Ma nel caso nostro all’incontro tutto induce a credere che i Pelasghi di Cre- stona e i Tirreni sottoposti fossero effettivamente una cosa sola; e il doppio nome indicasse unicamente la di- versa posizione geografica degli uni e degli altri. Poichè 482 Erodoto stesso ai $$ 124 e 127 pone Crestona e i Cresto- nesi sui monti; onde i sottoposti Tirreni ci riescono natu- ralmente come distesi lungo le spiaggie del golfo termaico e dello strimonico. E d’altra parte l’originaria medesimezza di questi Tirreni e di questi Pelasghi, sparsi per le montagne e i lidi della Tracia, conviene anche benissimo con quanto c’insegna in più luoghi (II, 51, IV, 145, V,"26, VI, 137) il Nostro sulle vicende e i progressi dell'emigrazione pelasgica, la quale dall’Attica si sarebbe primieramente versata nelle isole di Lemno, d’Imbro e di Samotracia. Ma dirimpetto a Lemno si erge appunto il monte Atos; donde i Pelasghi, traversata la penisola calcidica, devono essersi naturalmente allargati per le rive e i monti della Tracia. Lo che consuona eziandio con quanto dice Eschilo (nelle Supplicanti, v. 250 e seg.) dei Pelasghi provenienti da Argo peloponnesiaco, chiamati esplicitamente da Sofocle (v. Framm. 256) Tirreni-Pelasghi; i quali, secondo il tra- gico, sarebbero andati finalmente a posare nella regione corsa dall’Axio e dallo Strimone. Ove si comprenderebbero appunto quelle pianure e quei monti che Erodoto assegna, con distinzione assai più apparente che reale, ai Pelasghi di Crestona e ai Tirreni della riviera. Ma che gli uni e gli altri fossero originariamente e etnograficamente una stessa cosa, ce lo conferma eziandio con mirabile chia- rezza Tucidide a $ 109 del Libro IV delle Storie, ove dice che si riscontra nel paese sottoposto al monte Atos una popolazione divisa in due rami barbarici; il primo, assai piccolo, e composto di Greci calcidici; il secondo, molto più esteso, e formato di gente pelasgica, quali erano i Bisaltini, gli Edonei e i Crestonesi. E a tutti appicca co- stantemente l’appellativo composto di Tirreni-Pelasghi , senza fare differenza alcuna tra gli abitatori dei monti Tra 483 e della pianura. Ma il luogo che commentiamo offre pure un’altra difficoltà per la fantasia presa a Dionisi d’Alicar- nasso (Antig. Rom. I, 26, p. 69, Reisk.) di torturare l’or- tografia della parola Kpnor&va, in guisa da convertirla in Cortona; sbalzando così d’un tratto la città tracia in mezzo all’Etruria. E Dionisi appoggia la conghiettura a quel grande imbroglio archeologico che sono veramente i Tir- reni, i quali ora si confondono coi Pelasghi, ora coi Lidi, ora cogli Etruschi; e formano (ben dice il Mommsen) una delle maggiori disperazioni della sana critica. Nè mancò neppure fra’ moderni filologi chi prendesse a di- fendere l’ardita opinione di Dionisi; fra’ quali va citato in primo luogo il Niebhur (Stor. Rom. I, pag. 70, ed. pr.) (p. 37, sec. ed.). Ma gli contraddissero risolutamente il Muller, il Riedel, il Lepsius, il Middendorf, ed altri. Non si sa infatti comprendere come lo storico, mentre è tutto inteso a narrare e illustrare le origini elleniche, salti di piè pari in Etruria, senza nissun apparente motivo o qualsiasi connessione d’argomento. Nè è solo il raziocinio, ma anche l’autorevole e concorde testimonianza degli antichi che ci tiene fermi nella lezione volgare. Perchè, oltre a quanto già vedemmo aver detto Tucidide dei Cre- stonesi di Tracia, viene egregiamente in acconcio il se- guente passo di Stefano Bizantino Kpioray, 70Ms Opxns: some de eivu i Kpnotooy dp Hpodorg. Colle quali testimo- nianze si accordano pur quelle di altri autori di molto peso, come, poniamo, Pindaro, e Licofrone nella Cassandra {v. 937). Ecateo finalmente annovera i Kpnorayvas fra’ popoli di Europa, mostrando chiaramente d'intendere con questo nome il popolo collocato da Erodoto nei monti tracii. 484 &voporias, xol tpinxidas xaò ovocitia ($ 65). Il senso del passo è troppo chiaro per poter dubitare che gli ordinamenti ivi espressi da Erodoto non si rife- riscano alla milizia. E ne abbiamo eziandio un’autore- volissima conferma nel seguente passo di Polieno Aaxe- Daupeoyior puev di xatà Aoyovs xai poipas, Evoporias xa cvocitia otaroredevoytes tuadoy x. t. A. (Stralegg. II, 3, 11). Ma avendo rispetto alla costituzione interna di Sparta, tutta quanta indirizzata all'educazione militare dei cittadini, è ovvio il credere che gli stessi ordini governassero essenzial- mente lo spartimento civile e militare del paese. In quanto poi al vero significato dei tre ordini militari designati da Erodoto, non sono sempre chiare, piene e concordi le testimonianze degli scrittori. Così, p. e., se crediamo a Tucidide (al Libro V, pag. 68) diremo che quattro enomotie facevano una pentecoste, ciascuna delle quali contava cinquanta uomini; e la pentecoste quadru- plicata formava poi il loco, ossia la coorte, corpo di due- cento uomini. Ma Senofonte (De rep. Laced. XI, $ 4) dicendo che la mora constava di quattro lochi, di otto pentecoste e di sedici enomotie, avremo portata d’un tratto l’enomotia a cinquanta uomini; posto, badiamo, che diasi alla mora il numero normale di ottocento capi. Se non che questo numero non essendo rimasto sempre abbastanza fermo, ne venne che anche le enomotie dovettero seguirne le va- riazioni. Ed appunto al tempo di Senofonte, componen- dosi la mora di seicento uomini, lo stesso storico attesta che le enomotie non comprendevano più di trentasei capi per ciascheduna. Checchessia peraltro di ciò, una cosa resta certa, ed è; che l’enomotia costituiva la prima e più semplice partizione nell’ordinamento della milizia i 485 lacedemonica. Più oscure poi ed incerte sono le notizie che ci restano delle triecadi. Ma è assai verosimile che rap- presentassero una partizione dell’oba o fratria, quasi allo stesso modo che la gens romana formava l’elemento costi- tutivo della curia. Tanto più che i vincoli più o meno stretti di consanguineità e parentela fra le famiglie dei cittadini, era così a Roma come a Sparta, la base degli ordini e delle divisioni politiche primitive. E già la stessa radice della parola triecade ci dà un indizio come, anche presso i Lacedemoni, ci fosse una specie di numero sacro e normale che in certo modo governava l'assetto generale del paese. Ma se a principio la triecade sarà stata preci- samente un’aggregazione di trenta capi; in quel modo che le trenta fratrie formavano l’intera cittadinanza; vien naturale il dubbio, se, in progresso di tempo, alla per- manenza del nome abbia potuto rispondere la immobilità del numero primordiale. La quale obbiezione occorre pure spontanea rispetto alle due costituzioni romane che pren- dono il nome dalle curie e dalle centurie, aventi ambedue a base dei numeri fissi e normali. Nè mancò Teodoro Mommsen, nella sua dottissima storia di Roma, di pro- porre e di sciogliere tale quesito; e ora procedendo per conghiettura , ora sillogizzando, dimostra con quali arti- fiziosi acconciamenti, o convenzionali antinomie, i Ro- mani mantennero intatte certe designazioni numeriche, quantunque non più rispondenti alla verità delle cose. Le Sissitie finalmente tutti sanno che erano quelle mense comuni di Sparta che ebbero tanto grido nella storia della Grecia. Ma queste mense riunivano solamente gli uomini aventi a Sparta grado di cittadini, cioè gli uomini di razza dorica; e, ciò che più monta, non li riunivano a caso, ma secondo certi rapporti di più o meno stretta 486 : consanguineità e parentela; rapporti appunto designati dai nomi di triecadi e di fratrie. Onde le sissitie, nel senso militare e politico, van riguardate come un termine generico; in cui tutti i diversi membri dell’ordinamento militare spartano erano compresi ed espressi: il quale ordinamento militare, come notavamo a principio, for- mava quivi essenzialmente una cosa sola colla costitu- zione civile. uijxos bdo, eUCciva avòdpi mévre fiutpas dvatcimovia: ($'72). Erodoto al $ 101 del Libro VI, e $ 53 del Libro V, ci fornisce egli medesimo la misura del cammino possibile a percorrersi in un giorno da un pedone, determinandola fra’ centocinquanta e i duecento stadii; cosicchè lo spazio interposto fra gli ultimi termini della Cilicia ed il Ponto Eusino non dovrebbe avere a questo ragguaglio una lun- ghezza maggiore di mille stadii. Ma ciò non si accorda punto nè col giudizio di Eratostene, che dice essere quella via lunga tremila stadii (Strab. II, p. 68), nè col testimonio di Plinio, là dove gli assegna duecento miglia romane (H. N. VI, 2). Le quali opinioni degli antichi, in quanto contraddicono al testo erodoteo, sono eziandio rincalzate dalle investigazioni e dai precisi calcoli della scienza moderna; onde sappiamo immancabilmente che quel tratto di paese conta 60 miglia geografiche in linea retta. Il qual viaggio, attese tutte le svolte e gli innumerevoli andiri- vieni necessitati dai naturali impedimenti e dalle acci- dentalità del terreno, nissun pedone al mondo potrà fornir mai in cinque giorni. Ma il Dahlmann (Herod. p. 69, 97) tenta di difender lo storico da queste note, allegando non trattarsi qui di un camminatore ordinario, ma di un 487 prodigio di forza e di speditezza; come leggiamo di quel Filippide, che andava da un giorno all’altro da Atene a Sparta, benchè poste fra loro a trentasei miglia geogra- fiche di distanza. Non solo peraltro niente traspare dal testo del preteso prodigio, ma l’introdurre in questo luogo un prodigio guasterebbe tutta la forza dell'argomento. Perchè la cele- rità del pedone essendo presa ad indizio e misura di longitudine, chi non vede che deve intendersi di una celerità normale, e non mai straordinaria? Conchiuderemo piuttosto che se inesattezza vha (come assolutamente pare) in questo luogo di Erodoto; ove si attribuisce a una distanza geografica, che si pretende determinare, proporzioni molto minori del vero; gli è per altro un fallo assai condonabile; se si pensa dopo quanti secoli d’investigazioni, di calcoli, di esperimenti, l’arte difficile del misurare raggiunse il presente grado di perfezione. ovvavere 605 TE, TÎs payne ovveoreosone, Thy iuépnv EÉaxtvns vinta yeviodas. tiv dé peraMhayny taitany Tfis ipuépns Oarîis ò Muansios toto "Ico: mponyépevoe goeodat x. T. A (8 74). Erodoto volendo descrivere un’ecclissi totale di sole, mette addirittura, e, direi quasi, con volgare semplicità, l’effetto apparente per la causa reale; e ciò si comprende nè ha mestieri di scusa. Dappoichè il nostro Autore, ignorando il principio efficiente del fenomeno, aveva tutta la mente fissa nella novità dell’inesplicabile oscuramento. Nè all’ignoranza di Erodoto potrebbe ragionevolmente contrapporsi la scienza di Talete, quivi stesso lodato come colui che antivide e predisse il prodigio. Ma tali predizioni non erano, secondo ogni verisimiglianza, il 488 frutto di scienza astronomica; sì che Talete sapesse spîe- gare le ecclissi per le loro cagioni, nè tampoco assegnare all'apparizione del fenomeno il giorno e l’ora determinati. La sua abilità restringevasi a indicare generalmente l’anno in cui l’ecclissi si avvererebbe ; abilità derivata, come pensano il Lepsio e il Petersen, dalle notizie attinte ai così detti cicli babilonici ed egiziani. I quali cicli, non essendo in sostanza che una preziosa raccolta di dati sperimentali, senza base scientifica e certa, naturalmente accadeva che anche le induzioni che se ne traevano si risentissero di quella pecca. E ciò era tanto capito dagli antichi, anche nel fatto speciale delle predizioni delle ecclissi, che accuratamente notavano quando il fatto aveva realmente risposto alla congettura. La qual cosa certa- mente non si penserebbe più di fare ora che abbiamo le predizioni astronomiche fondate su quei dati scientifici e certi che tutti sanno. In quanto finalmente al tempo pre- ciso in cui avvenne l’ecclisse menzionata da Erodoto, gli ultimi calcoli del Bosanquet, dell’Hind e dello Zech tornano a collocarla al 28 maggio dell’anno 585 a. G., anzichè al 30 settembre del 610, come opinano il Bailly e l’Oltmanns. É5 d, ESvea roXdd Tapopenpoapévovs , dnmeoda €56 *OpPpixoss* EVS optas evidpiocaoda: moNias, nai otuéetv Td pueypi ToÙdE ($ 94). Questo passo di Erodoto fu sempre addotto come una conferma autorevolissima «di altre antiche testimonianze intorno all'origine lidica degli Etruschi. Ma non mancarono critici, dotti ed acuti, che già da lungo tempo sfatarono cotale opinione: e Dionigi, per esempio, dice chiaramente di non saper ravvisare il più piccolo termine di somi- glianza fra la religione, le leggi, la lingua, le costumanze at RI de “i Pure AA sin i | | 489 degli Etruschi e quelle dei Lidi. Ma ciò che deve trattenerci anche più dal ricevere con troppa facilità la narrazione di Erodoto in questo proposito, si è che, se realmente gli Etruschi fossero proceduti da una colonia di Lidi, il loro cammino verso l’Italia avrebbe dovuto essere neces- sariamente marittimo. Laddove non pochi, nè lievi sono invece gl’indizi per concludere che l'immigrazione etrusca ebbe luogo piuttosto per via di terra. Chè, in primo luogo, le più antiche e importanti città d’Etruria sono tutte incastrate profondamente entro terra, e nissuna di qualche nome si trova giacente proprio sul mare, all'infuori di. Populonia; la quale sappiam di certo che non entrava neppure nel novero delle dodici comunità più vetuste. Oltredichè il moto delle popolazioni etrusche, nei tempi storici, si avverò sempre da settentrione a mezzogiorno; onde è di tutta verosimiglianza che anche il primo loro ingresso nella penisola avvenisse per lo stesso verso: e finalmente il grado di coltura in cui troviamo dapprin- cipio gli Etruschi, è troppo umile e rozzo perchè possa bene accordarsi colla loro provenienza dal mare. Il var- care uno stretto di mare fu certo cosa possibile e agevole in tutti i tempi: ma l’afferrare alle coste occidentali d’Italia era impresa di ben altra natura; e domandava argomenti e disposizioni affatto particolari. Sì che resta eziandio avvalorata viemmeglio l'opinione che colloca le più antiche sedi etrusche nel settentrione della penisola: ed è congettura molto probabile il supporre che il pas- saggio di queste genti avvenisse attraverso le Alpi retiche, ove perdurarono appunto così lungamente quei Reti, che per l’idioma che parlavano e perla consonanza del loro nome coi Raseni della pianura, possono con gran fondamento dirsi i primogenitori, o il primo seme della razza etrusca SOR 490 in Italia. Opinione per altro combattuta da quelli i quali ravvisano piuttosto nei Reti gli sparsi avanzi, e come le ultime reliquie di quegli Etruschi circumpadani, che do- vettero cedere il luogo, incalzati e sopraffatti dall’irruzione soverchiante degli Umbri. Ma checchessia di ciò, quello che importa anzitutto al fatto nostro, si è di mettere in sodo, come fra i Tuponyot o Tuppnvo etruschi, e alcun popolo lidico così chiamato , non potette esservi più che un’accidentale somiglianza di nome; onde poi derivarono gli equivoci e tutta la confusione surriferita. Il Mommsen poi, nel1.° libro della sua Storia Romana, al cap. Etrusker, crede di avere forse trovata la ragione critica del quiproquo nel nome delle città di Tvppa nella Lidia, i cui abitanti si chiamavano conseguentemente TopfnBoi od anche Tuppayoi. E non avevano al certo nulla di comune coi Tupfnyot 0 Tuponyvo dell'Etruria: i quali, tutto induce a credere che fossero così chiamati, con ellenica trasformazione, dal proprio e originale nome Tursennae; che fu d’altra parte il tema invariabile onde eziandio derivarono il Tursci degli: Umbri, ed il Tusci od Etrusci dei Romani. Le quali spie- gazioni etimologiche hanno soprattutto il merito di met- tere un po’ di chiarezza nell’orribile confusione sparsa nella Storia antica dall’identità del nome Tirreni, appli- cato a popoli di provenienza, di sito, d’indole, di favella differentissimi. Ed in vero, dai ragionamenti fatti, appa risce abbastanza chiaro, ci sembra, come i Tirreni lidici sieno una cosa diversa dai Tirreni etruschi; e nè gli uni, nè gli altri, possano ragionevolmente confondersi coi Tirreni pelasghi. 491 «(05 de eîAov, év ETéporoi Moyoroi dnAcioc) ($ 106). Non solo qui; ma anche al $ 184 del presente libro, Erodoto accenna all’intenzione di scrivere qualcosa di speciale sulle cose assirie. Onde alcuni conéludono che abbia realmente esistito una qualche sua opera, ove trat- tasse ex-professo e separatamente tale materia. Opinione che saria stata avvaloratissima da un passo di Aristotele (Hist. Animal. VII, 20; 18 ed. Schneider), se una più esatta collazione dei Codici e delle antiche lezioni non avesse persuaso a restituire “Hotodos in luogo di ‘Hpodoros. Sì che nel dubbio gravissimo della genuina versione di Aristotele, e nel silenzio completo di ogni altro antico scrittore intorno a tale opera di Erodoto sugli Assiri, siamo piuttosto indotti a credere che essa non abbia mai esistito realmente. Molto più che l’espressione usata in questo passo, e al $ 184 dal Nostro, éy éréporor Abyorci, per rinviare il lettore altrove, è pur quella stessa che s'incontra tante altre volte, quando Erodoto ama citare qualche luogo, antecedente o susseguente, della sua Storia. Onde possiamo con ottimo fondamento supporre che egli altro non faccia qui se non rimandare il lettore ad un futuro episodio riguardante la storia assirica, che avesse in animo d’in- trodurre; come già ne introdusse ragionando dei Lidi, dei Persiani, e di altri popoli. Vero è peraltro che questo promesso episodio non si trova menomamente: ma ciò non rilieva gran fatto, chi consideri che Erodoto impiegò lunghissimi anni nel comporre le nove Muse; e che, insaziabile di perfezione, ora aggiungeva una parte, ora ne toglieva un’altra; e nell’assiduo lavoro di correzione e ripulimento della sua Storia passò la vita, senza trovare mai modo di soddisfarsi compiutamente. .Infino a tanto 32 492 che fu sopraggiunto, già vecchissimo, dalla morte in Turio, mentre stava tuttavia dando ordine all'opera im- mortale. Onde non vha luogo a meraviglia se qualche parte, specialmente episodica, benchè additata e promessa, non si trovi poi nel corso dell’opera, o per effetto di oblivione o per altro accidente. (a 4 n / n 7 La 4 e - dToL oTAdIOL TRIS mEpiodov TT TOMt0s Yivovtai ovvatavtes dyda- KOVTA HAÌ TETPAKOGIOL + +... METÀ DÈ, TEÎYOG TEVTHXOYTOA PÈv TTNYEÉGIY BacvAnicoy é0v TÒ eUpos, Upas dè, dimxocicov Tayécov x. T. d. ($ 178). Nella misurazione del circuito di Babilonia, e dell’al- tezza e grossezza delle sue mura, i calcoli di Erodoto sono contraddetti e messi in forse da altre testimonianze certo molto autorevoli. Ctesia, per esempio, citàto da Diodoro (II. 7), fa il circuito di Babilonia lungo trecento sessanta stadii; e Glitarco ed altri asseriscono che ne aveva appunto trecento sessanta cinque, quanti sono i giorni del- l’anno. Fatto senza dubbio di gran valore, attesa la grande importanza messa dagli antichi, nella edificazione delle loro città, a siffatti riscontri. Non mancarono per altro alcuni che credettero di trovare un termine conciliativo fra le opposte sentenze, congetturando che Erodoto po- nesse a base dei suoi computi lo stadio caldaico, quando invece Ctesia e Clitarco allo stadio assirio si riferissero. Perchè tre. stadii assiri equivalgono appunto a quattro caldaici: onde, menata buona la congettura, i risultamenti finali dei due calcoli, anzichè contraddirsi, precisamente si affronterebbero. Essendo però molto più probabile che, trattandosi di misurare la circonferenza di Babilonia, | tutti i citati scrittori si servissero egualmente dello stadio 193 caldaico, anzichè di niun altro, crediamo stare nel vero notando che Ctesia e Clitarco assegnarono effettivamente al circuito di Babilonia una tal lunghezza che può rag- guagliarsi a nove miglia geografiche ; laddove, secondo i calcoli di Erodoto, le miglia geografiche di questo stesso circuito non sarebbero meno di dodici. Ora, dalle recenti e accurate misure prese sui luoghi da diligentissimi viaggiatori; dietro la scorta dei ruderi sparsi per la pia- nura; risulterebbe tale, presso a poco, la lunghezza di ciascuno dei lati chiudenti la quadrata Babilonia, che i calcoli di Erodoto ne vengono maravigliosamente confer- mati e difesi. In quanto poi alla misura delle mura babilonesi, con- siderate nell’altezza e nella grossezza, ivi pure i calcoli di Erodoto contrastano con quelli di Ctesia. Perchè Erodoto fa dette mura alte dugento cubili, e Ctesia cin- quanta orgie; e l’orgia è una misura di trecento piedi. Onde se Erodoto avesse parlato di cubiti ordinari, che torna a dire di cubiti greci, equivalenti ciasenno a un piede e mezzo, è chiaro che i due calcoli, anzichè con- traddirsi a vicenda, esprimerebbero, sotto due diverse forme, una cosa sola. Ma il Nostro menziona qui espli- citamente i cubiti regii, ossia babilonici, di tre dita più lunghi degli ordinari: onde le mura di Babilonia ci rie- scono, stando ad Erodoto, di trenta in quaranta piedi più elevate, che non attenendoci a Ctesia. Ma la discre- panza diventa anche maggiore, se conferiamo i calcoli di Erodoto colle testimonianze di Strabone, di Diodoro, di Curzio, e in genere degli scrittori che fiorirono circa ai tempi di Alessandro; i quali tutti concordano nell’as- segnare alle mura di Babilonia un’altezza non maggiore di cinquanta cubiti. Ma checchessia di questa concordia, 494 il detto di autori vissuti tanto tempo dopo che le mura di Babilonia già più non esistevano, atterrate da Dario, non potrà mai ragionevolmente toglier credito alle testi- monianze tanto più antiche, e perciò più autorevoli, di Erodoto e di Ctesia. Nè eccede d’altra parte il verosimile che le mura di Babilonia fossero in fatti così alte come Erodoto e Ctesia le rappresentano, chi abbia per poco presente l’ elevazione di certe moli egiziane e di altri monumenti babilonesi. Il Buckingam poi nel suo Itinerario in Mesopotamia (p. 154, Berlino 1828) crede di dare un’ac- cettabile spiegazione dei cinquanta cubiti attribuiti da Ero- doto alla grossezza delle mura babilonesi, a fronte dei soli trentadue piedi menzionati da Curzio e da Strabone, congetturando che il nostro autore abbia misurata l’intera grossezza del muro, e gli altri non più di mezza. L’Accademico Conte Veswe legge il HI Capitolo della sua Memoria Dell'industria delle miniere nel territorio di Villa di Chiesa (Iglesias) in Sardigna nei primi tempi della dominazione Aragonese; nel quale si tratta del Maestro e Scrivano di fossa, del Ricoglitore di somma, e della Ragio- natura nei libri di Villa di Chiesa. Al tempo del quale esponiamo le istituzioni, le Com- pagnie non avevano quella rappresentanza e centro d’azione, che oggi è conosciuto sotto nome di Consiglio d'Ammi- nistrazione. Esse erano governate direttamente dai parzo- navili che avessero le più trente; e perciò da questi sce- glievansi gli officiali (ora diremmo ?mpiegati ), i quali se- condo prescrivessero i parzonavili dovevano dirigere i lavori, e fare le spese. Primo e principale fra gli officiali della fossa era il Maestro, corrispondente quasi appieno all’Ingegnere Diret- tore dei nostri tempi. - Nessuno poteva accettare maestria se non avesse servita l'arte dell’argentiera anni 5 almeno, salvo se fosse egli medesimo parzonavile di quella fossa. Nessun maestro, finchè non avesse rinunciato all’officio in una fossa, non poteva in altra fossa acceltare maestria. Dal maestro si dirigerano i lavori secondo la volontà dei parzonavili, si accordavano e si pagavano i lavoratori, e s'invitavano i parzonavili alla francatura delle trente, ed alla partitura. Doveva restare alla fossa dal mezzogiorno del lunedì al mezzogiorno del venerdì; il sabbato era destinato alla ragionatura, della quale tratteremo fra breve, e ad esigere la francatura e pagare i lavoratori. Oltre il Maestro, la fossa aveva uno Scrivano, corri- spondente a quello che oggi diciamo Segretario; il suo officio dicevasi scrivania. Del resto, quasi tutte le prescri- zioni del Breve relative ai Maestri sono communi anche agli Scrivani. Ambedue dovevano dare fideiussori, 0, come dicevasi, pagatori; ad ambedue cera vietato di accettare l’officio se avessero odio o nimistà con alcuno dei parzo- navili; o di porre lavoro per conto proprio in fossa della quale fossero officiali; o di cavar vena dalla partitura per alcuna cagione, se non fosse con volontà dei parzo- navili, ovvero le piccole quantità occorrenti per saggi 0 ‘mostra. Rare volte in Villa di Chiesa, dove sembra che per l’ordinario ne tenesse le veci il Maestro o lo Scrivano, più frequentemente nel Costituto di Massa, trovasi inoltre men- zionato il Ricoglitore di somma, detto anche semplicemente 196 Ricoglitore, corrispondente a un dipresso al Cassiere delle odierne società. A lui toccava esigere le somme dai par- zonavili, e fare le spese, rendendo di ogni cosa esatto conto. Abbiamo più sopra fatto cenno della ragionatura: così dicevasi la tenuta dei libri; e il tenerla, ragionare. Ma questa tenuta dei libri differiva interamente, e per la forma e per gli effetti, non solo da quanto praticasi ai nostri giorni, ma anche dagli usi di Toscana a quei tempi. Era instituzione propria di Villa di Chiesa: scopo della quale era anzitutto, che nessuno potesse sottrarsi al paga- mento dei publici pesi ai quali. andavano soggette le argentiere; e poscia, d'impedire le frodi nelle alienazioni di trente, nella vendita della vena, nella paga dei lavo- ratori, e nel riparto delle spese o della partitura. La tenuta dei libri delle fosse si vendeva a benefizio dell’Università di Villa di Chiesa, al prezzo e pel tempo che il Con- siglio giudicasse conveniente. Il compratore doveva tenere almeno 6 scrivani buoni e leali, ciascuno dei quali doveva dare due idonei pagatori. Tutte le fosse dovevano ragio- nare settimanalmente in Villa di Chiesa presso il com- pratore del diritto; nè quelle sole del suo territorio, ma anche quelle delle ville vieine; ma i lavoratori di alcune argentiere più lontane non erano tenuti come gli altri di venire in Villa di Chiesa dal sabbato a terza al mattino del lunedì. A cura del compratore del diritto tutte le fosse dovevano essere costrette a ragionare in Villa di Chiesa; e erano definite le tasse o diritti da pagarsi per ciascun atto della ragionalura. Per meglio assicurarne l'esattezza, la ragionatura doveva 497 farsi in presenza di due fra i maggiori parzonavili, fra quelli che stessero in Villa senza lavorare a monte. Gravi pene erano stabilite contro il maestro, scrivano 0 rico- glitore che omettesse di ragionare, o non ragionasse bene e lealmente, od esigesse dai parzonavili o dal bistante somma maggiore della dovuta, od avendo ricevuto il denaro non pagasse i lavoratori, od altrimente usasse frode nel- l'esercizio delle sue funzioni. Ogni fossa aveva il proprio libro; ed ogni anno si faceva libro nuovo, ma in appositi armadii a chiave si conservavano i libri vecchi. Nel libro della fossa dovevano notarsi tutti i parzonavili, dalle tre ragionature inanzi, ed ogni passaggio di trente da una ad altra persona; il numero delle trente allogate, ed a chi, ed a qual prezzo; gli utensili della fossa; il numero ed il prezzo dei lavoratori; le somme pagate dai parzonavili o dal bistante; la vena partita o venduta, ed il prezzo: îintto ciò insomma che si esigeva o si spendeva, e le obligazioni che si .contraevano, relative alla fossa. - Le scritture degli Scrivani dei libri facevano fede come carta di notaio nelle cose di argentiera; non potevano fare altri atti, sotto pena di nullità. In Massa all’incontro la ragionatura si faceva non da publici scrivani, ma, come oggi si suole, ogni compagnia teneva essa medesima i proprii conti. Questi dovevano da ogni fossa tenersi in quaderni continui, non in fogli volanti; ed anche questi libri facevano fede in giudizio, purchè fossero tenuti da scrivani giurati. - Ciò non ostante, anche in Massa in un libro da tenersi dai Maestri del Monte doveva notarsi il nome dei parzonavili di caduna fossa, e il numero delle loro trente, e la quantità della 498 vena venduta o partita; e ad investigare la fedeltà di questo libro si deputavano persone secrete. Prescrizione evidentemente diretta ad impedire, che si frodasse il Com- mune dei diritti imposti su questa industria. 499 Adunanza del 28 Febbraio 1869. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SGLOPIS , L’Ab. Peyron lesse quella parte della sua illustrazione della prima tavola di Eraclea che ragguarda le provvisioni amministrative fatte dalla colonia Turio-tarentina nell’oc- cupare e render fertile la Sirite che era selvaggia e deserta. I magistrati ne divisero il terreno in tre parti, asse- «gnandone una agli Dei, ritenendo l’altra come agro pub- blico, e dividendo per sorti la terza fra i coloni. I privati trovarono modo di dissodare e render colte le porzioni loro toccate in sorte. Ma la città priva di danaro pubblico, non potendo fare altrettanto, bandì che fosse lecito a chiun- que entrare nei terreni sacri, e probabilmente anche nei pubblici, romperli, coltivarli, ed usufruirne insino a che la città giudicasse equo ed utile di richiamare a sè il dominio utile. Quindi avvenne che i due poderi sacri a Bacco ed a Minerva furono col tempo invasi da diciotto famiglie di contadini che se li divisero fra loro, li dissodarono, © seminandovi orzo esastico raccoglievano una messe cor-, rispondente ai loro lavori. Gli uni neghittosi e poltri mie- tevano la sesta o la ottava semente; i procaccianti otte- nevano di già la semente vigesima ed anche vigesima sesta. Allora la città li congedò tutti, e propose all’asta pubblica l’affittamento dei due sacri poderi, pubblicando le condizioni dell’affittanza. Gli industri e faticanti agri- coltori, che coi risparmi passati si erano fatto un peculio, 500 riuscirono deliberatarii pronti a costrurre edifizi rustici per sè, per buoi, e per rimesse, come anche per piantar viti ed olivi. Ai neghittosi sottentrarono altri. La città luerò alle due divinità l’annua entrata di 6447 medimmi d’orzo. Niuno è che voglia sobbarcarsi per pochi anni ad un affittamento di terre di coltura poco iniziata, prive di viti, di alberi domestici, di case, e di tutto che valga a pro- muovere la coltivazione, ed offra soltanto la speranza di frutti lontani. Quindi le locazioni delle 18 porzioni dei due poderi furono varie. Le une per il primo quinquennio lasciando sperare altri quinquennii. Le altre a vita del conduttore. Quella del podere di Bacco fu a vita del con- duttore trasmissibile ab ?nfestato alla prole e per testa- mento a qualsiasi altro. Tutte e tre miravano più o meno alla perpetuità ; ma a questa, che pugna colle cose umane contingenti, prov- vide il buon senso primitivo. Il conduttore, per essere approvato dai magistrati, doveva presentare un fideiussore per un quinquennio, e rinnovarlo successivamente. Così al termine dei cinque anni si dovevano saldare i conti alla presenza dei magistrati per decidere se l’affittamento continuerebbe. I magistrati miravano ora ad aumentare il canone primo, ora ad imporre nuovi obblighi al conduttore, ed anche a liberarsi da agricoltori negligenti. Davanti questi suoi accusatori si trovava solo il contadino illiterato e rozzo. Egli bensì avrebbe avuto nel fideiussore chi perito delle leggi lo avrebbe patrocinato; ma un articolo del- l’affittamento ricisamente proibiva al fideiussore di inter- venire nel rendiconto, di chiamare un giudizio di revisione, 001 e di dare in qualsiasi modo molestie ai pubblici uffiziali. Se i magistrati per pudore non pronunziavano la condanna, ma solamente una multa, il conduttore durava pena a trovare un nuovo fideiussore per il quinquennio entrante; se poi lo trovava, i magistrati potevano ricusarlo. Nei venti rendiconti di un secolo è impossibile che i magistrati, promotori dell’agricoltura e degl'interessi dell’erario, non trovassero un motivo plausibile per rompere la perpetuità. Così l’emfiteusi di Eraclea si riduceva ad un affitta- mento da rinnovarsi da cinque in cinque anni secondo la condotta del conduttore, e gli interessi del progresso dell'agricoltura, e quelli dell’erario. Il Socio Cav. Boy-Cowpagxi legge una sua Memoria sul Cesarismo. Fu gloria vera di Roma l'avere saputo reggere se stessa con la libertà, anzichè il regere imperio populos. Il Cesarismo, ossia la nuova costituzione introdotta da G. Cesare e Ottaviano, segnò la decadenza di Roma, da cui mosse la rovina di tutta la civiltà antica. La Memoria segna compendiosamente le cause della caduta dello stato libero dietro la scorta del Macchiavelli e del Montesquieu. Percorre le vicende dell'impero romano indicando come esse rivelino un peggioramento continuo, che riesce alle invasioni barbariche. Il cristianesimo fu un grande beneficio ed un grande sollievo agli oppressi, fece un grande mira- colo nell'ordine morale, suscitando de’ maravigliosi esempi di santità in mezzo alle corruttele di que’ tempi, ma non rigenerò nè l'impero, nè i popoli che gli erano soggetti. fr een re nere rn cn 502 Adunanza del 14 Marzo 1869. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Prof. abate GumineneLLo prosegue la lettura del suo lavoro sulla 7rasformazione della specie. Il brano seguente è il riassunto della lettura fatta. Ed ecco di quali e quante differenze sia condizione ed accenno l’eretta statura ed andatura dell’uomo, bimano perchè bipede, e come tale condizionato all’esercizio del- l'intelligenza e della sovranità (1); laddove tutto nelle antropoidi è correlativo all'andamento quadrupede (2) ed alla condizione di frugivoro (3), competendo ad esse so- vranamente il detto Oraziano: « Nos numerus sumus et fruges consumere nati (4). » Imperocchè l’unità e semplicità del principio organizza- tore, importando necessariamente il mutuo congegno e contemperamento di ciascuna parte e funzione, siccome tutte dapprima potenzialmente in esso comprese e quindi per la vitale e plastica di lui virtù svolte e conservate, fa sì che, nel raffronto di due diversi organismi, oltre al considerare le singole parti di ciaschedun organo, nè già (1) Duvernoy, op. cit., pag. 124. (2) Ib., pag. 61, 124-125, 59, 53. Herder, Propylien der Geschichte der Menschheit. (3) Duvernoy, op. cit., pag. 56, 223-224; 50, 51, 62, coll. 229- 230, ed Archives du Museum, tom. X, pag. 89-90. (AI Ep. 2 503 di per sè, ma relativamente alle rispettive di lui funzioni, si debbano altresì l’uno e l’altro risguardare in correla- zione all’intiero organismo, non competendo loro un mo- mento e valore assoluto, bensì relativo, nè altrimenti estimabile che dal loro rapporto e proporzione col tutto. Il quale pertanto è suscettivo di quelle sole varietà che non alterano essenzialmente l’euritmia delle parti, l’unità fisiologica, il tipo specifico, immutabile appunto perchè substratum, ossia fondamento delle individuali accidentalità; misura che sono della potenzialità specifica, e condizione di vitalità così specifica come individuale. Importando l’una e l’altra nello stesso suo concetto la permanenza dell’essenziale identico durante una serie e sequela di accidentalità, circoscritta individualmente dal limite asse- gnato al possibile sviluppo del rispettivo organismo e dal periodo ascensivo e discensivo di sua vitalità: e, quanto alla specie, dal campo in cui è possibile la continua e promiscua fecondità; perennando la specie nella succes- sione degli individui per legge e condizione analoga a quella con cui nella successione di momenti ed accidenti vitali perdura l’individualità. Laonde i limiti circoscriventi il campo ed il periodo della specifica ed individuale orga- nica variabilità, ne segnano' in pari tempo l’identico ed invariabile; può quindi perire una specie (1), non già trapassare in un’altra, come non si trapassa d'una in un’altra individualità. Di che, lo scostarsi d'un individuo dal relativo tipo specifico non è mai un progredire, un perfezionarsi, ma un decrescere e deteriorare; nè un subli- marsi, nobilitarsi, ingentilire, ma tralignare, imbastardire, degenerare. E per conseguenza, tornando a bomba, per (1) V. Fée, Le Darwinisme, pag. 85-86. 504 quanto questo o quell’individuo delle antropoidi possa sotto questo o quell’aspetto deviare dal proprio tipo, non gli riuscirà perciò più agevole, prossimo o fattibile il trapasso ad un altro, e meno ancora all’umano; bensi col degenerare vieppiù la sua progenie, potrà questa riu- scire più e più inetta alla propria vita scimiatica, senza acquistare perciò punto o fiore di attitudine, gusto e capacità per la vita sociale ed umana (1). Insomma, un continuo ed indefinito svolgimento è tanto possibile nella specie quanto nell’individuo, la cui acci- dentale variabilità è limitata per la stessa ragione per cui è limitata la specifica accidentale variabilità; l’invariabilità sostanziale del tipo individuale, durante il periodo vitale, essendo correlativa a quella del tipo specifico nell’ambito di sua possibile promiscua e costante fecondità. Nè giova l'argomento tratto dal procedimento fetale, o dalle metamorfosi degli insetti, o da altro consimile svol- gimento vitale; appunto perchè svolgimento determinato e definito d’una determinata e definita immanente virtù; non già trapasso indefinito ed indefinibile d’una indefinita sempre potenziale ed attuabile, non mai pienamente at- tuata virtualità. Quello costante, regolare, comune a tutti gli individui congeneri; questo, privilegio accidentale di pochi favoriti, quanto limitato nel numero dei prescelti, incerto, irregolare, incostante nella sua formazione e durata, altrettanto illimitato e illimitabile nella serie delle possibili successive trasformazioni, non suscettive di alcun limite, perchè prive di fondamento e di base, essendo meri accidenti e fenomeni non prodotti nè sostenuti da veruna permanente virtude o sostanzialità. (1) Ib., pag. 52-53. Crawfurd, Notes on Sir Charles Lyell's, Anliquity of Man, Anthropological Review, N.° 1, May, 1863, London, pag. 175-176. 7 505 Il Socio Marchese Ricci continuò la lettura delle Note illustrative di alcuni passi più controversi di Erodoto. E le comunicate alla Classe nella presente Seduta sono tratte dal novero di quelle che andranno in calce al 2.° libro del suo nuovo Volgarizzamento. “Ocor pév yàp yeorelvai Éor dvSpoorcy, ipyuijici pemerpixaoi Tuy Yyoopny ... d de dpSovoy Miny, ovolvoroi x. T. A. ($ 6). Il mio illustre, e sempre caro maestro, Ab. Amedeo Peyron, parlò di questo passo di Erodoto con quell’acume e dottrina che gli appartengono, nella seduta del 3 mag- gio 1868 della Reale Accademia delle Scienze di Torino (V. Atti di questo mese). La maggior parte del suo Discorso tende a definire qual fosse propriamente la lunghezza dello scheno, cyoîvos, eracleese; misura replicatamente menzionata nelle, così dette, Tavole d’Eraclea ; ed ivi ragguagliata a 120 piedi eracleesi. Ma non fa al nostro proposito di seguire il chiarissimo uomo nella sua nuova e acuta argomentazione su questo punto. Egli però, dopo avere lungamente sillogizzato sulla vera misura dello scheno eracleese, e conchiuso che debba precisamente ragguagliarsi a metri 25, 288, passa ad investigare come avvenisse questo curioso fatto; che in Eraclea e in Egitto si usasse lo stesso vocabolo per indicare un rapporto di longitudine tanto diverso. Chè dove lo scheno egizio è una misura geografica fatta per designare enormi distanze, lo scheno eracleese invece corrisponde a una brevissima superficie. Ma per risolvere il dubbio è di buon aiuto al Peyron la conoscenza della lingua copta, di cui, come è noto, egli compose un reputatissimo dizionario: ove a p. 298 registrò anche la parola westrog usata da So- 506 ‘ fohia (II, s. 7), e che vale corda misuratrice, porzione di terra misurata, lungo tratto di terra o di mare. La qual parola, soggiunge il Peyron, non poteva ridursi a orto- grafia ed a pronuncia greca, meglio o altrimenti di quello che fece Erodoto, dandole la forma e il suono di oyoîvos. E poco rilieva che egli, scrivente a Turio, e quindi a pochi passi da Eraclea, non potesse ignorare la gran differenza che correva fra lo cyoîvos, misura egizia, e lo oyoîvos, misura eracleese. Resta però sempre vero che non gli era dato di esprimere grecamente il vocabolo copto diversamente da quel che fece. Ma poi che Erodoto ebbe data forma, e direi quasi, cittadinanza ellenica allo scheno egizio, misura geografica di grandi distanze, e ragguagliatolo a 60 stadii olimpici, altri scrittori greci si servirono dello cyoîvos, così inteso, per designare con- simili rapporti di longitudine universalmente. Fi furono però tutt'altro che concordi nello attribuire allo scheno una lunghezza costante, ferma, determinata. Teofane ed Eratostene, p. e., equipararono lo scheno a 40 stadii, Artemidoro a 30, ed altri scrittori a 32: ed anche Dio- doro Siculo discorda fortemente da Erodoto su questo punto. Nè mancò invero chi cercasse di ridurre a con- cordia le opposte sentenze; e in particolar modo il D’Anville, nella sua Memoria De la mesure du schène égyptien (Mémoires de l’Acad. des Inscript. Vol. XXVI, p. 82), e il Larcher vi s'adoperarono studiosamente. Ma anche qui interviene il ch. Peyron; il quale crede che le diver- genze fra autore e autore nella misurazione dello scheno sieno innegabili, nonostante qualunque sforzo usato per ridurle ad un’apparenza. E piuttosto ricorre all’auto- rità di Strabone per rendersi ragione del fatto; fon- dandosi precisamente in quel passo dove egli narra che, vete sti Da È 507 nemmanco in Egitto, la misura dello scheno era ferma e costante; ma s’accorciava o allungava, secondo i luoghi. Della qual cosa, il Peyron conclude, non c'è da fare le me- raviglie, perchè lo scheno rappresentando un lunghissimo tratto di paese, e non avendo termini materiali che ilo distinguessero, poteva difficilmente misurarsi con regole determinate. E tutto persuade che si procedesse piuttosto con certi calcoli grossolani e una estimazione appros- simativa. “Og0 uév de Aios OnBotos dpuytai ipòv ... T69v “HpaxXea Eva vopiGovee ( Principio e fine dei $$ 42 e 43). Questi due Capi sono importantissimi. per le notizie che contengono dei numi e della religione egiziana ; e per i rapporti che vi si studiano fra la teogonia egizia e la greca. Quivi,.p..e.; appare più che mai manifesta la tendenza osservata dai critici nel Padre della storia di ridurre particolarmente, e quasi esclusivamente, all’E- gitto, l'origine orientale di tanta parte delle deità, delle credenze e dei riti ellenici; nel che sembra ormai indu- bitato che Erodoto si governasse con un'idea fissa non sempre vera nè sostenibile. Ed è notevole che egli usa tal volta tali espressioni; come quando, p. .e., discorre della provenienza di Ercole, al principio del $ 43; da far quasi credere che i Greci prendessero dall’ Egitto, non solo il tipo ideale e gli attributi figurativi, ma per- fino la designazione fonetica di molti dei loro Dei. Ma giacchè Erodoto non poteva ignorare qual radicale dif- ferenza di forme e di suono passasse fra i nomi delle deità greche ed egizie; ed egli stesso la conferma in tanti luoghi del suo racconto; bisogna concludere che 33 908 quando pure afferma, in modo secco e assoluto, che il nome di questo o di quello Iddio è provenuto alla Grecia dall'Egitto, avesse per sottintèsa la costante trasforma- zione fonetica impressa dal genio ellenico a tutto quanto gli veniva di fuori. Resta poi sempre a certificarsi se Erodoto abbia dato nel segno, quando crede di veder chiaramente esemplato Ercole in Oro, Bacco in Osiride, Pane in Mendes, Venere in Ator, e via dicendo: ora appoggiandosi verosimilmente sul- l’analogia delle tradizioni accreditate nei due paesi intorno alla nascita, alle affinità, agli attributi, ai gesti, alla ra- gione simbolica di ciascuna divinità; ora anche giovan- dosi, credo, delle prove anaglifiche, come sarebbe una, per esempio, la figura delle colombe messe sempre in grembo all’Ator egiziana: e tutti questi argomenti rivolgendo al suo intento cogli aiuti e i confronti somministrati dalla cronologia. Ma le prove cronologiche addotte da Erodoto, se molto rafforzano l'opinione che la maggior parte delle deità e dei culti ellenici avessero effettivamente un’ori- gine straniera, o orientale che dir si voglia, non provano però abbastanza, ci sembra, che tale origine fosse pre- cisamente egiziana, anzichè assiria, licia o fenicia. Giac- chè non basta, poniamo, lo scoprire una qualche analogia tra la favola e certi attributi figurativi dell’Ator egiziana coll’Afrodite ellenica, per poi indurne con fondamento che questa sia una copia di quella, se non si escludano insieme tutti gli argomenti che la dimostrano piuttosto derivata dall’Astarte fenicia; donde è sì probabile che anche gli Egizi traessero la loro Ator. E lo stesso ragionamento valga per la derivazione di Ercole, eroe greco, da quel- l’altro Ercole, famoso Dio dell'Oriente. Poichè ivi pure non può essere ricevuta l'opinione di Erodoto, se prima 509 non si distruggano tutte le prove che riattaccano piuttosto l’Ercole greco all’Ercole fenicio; e oltraciò si riducano al niente tutti i dati tradizionali intorno al moto fenicio verso l’Egitto, anzichè viceversa. Ma Erodoto era così invasato della priorità egiziana in ogni cosa, massimamente spet- tante alla religione, che per sapere qualcosa di più netto e compiuto dell’Ercole egiziano va a cercarne notizia a Tiro, e perfino nell'isola di Taso; ove una colonia fe- nicia coltivava Ercole sotto il titolo di Tasio. Checchessia per altro dell’origine attribuita da Erodoto all’Ercole greco, le sue parole confermano appieno questi due notevoli punti di critica archeologica : che l’ Ercole greco è un tipo storico-religioso derivato alla Grecia, come tanli altri, di fuori; e che gli Elleni nell’accettarlo, vi impres- sero, secondo il solito, il marchio evidente del proprio genio. La qual cosa accadde questa volta mediante la trasformazione antropomorfica del Dio orientale. Ma questi Capi che sto dichiarando sono massimamente importanti per la menzione che vi si fa di Giove Tebano, ossia di Giove Ammone ; per l’intreccio favoloso dello stesso Giove con Ercole; e per il cenno dato dei varii ordini, o gradi, ìin cui erano ripartite le deità egiziane, dacchè vi sì annovera Ercole fra’ dodici Dei. Il Dio egiziano pertanto, che Erodoto indica collo ap- pellativo greco di Giove, aveva naturalmente in Egitto un nome di forma e di suono affatto diverso, Re o Ra, che unendosi coll’epiteto consecrato Amun, faceva Amun-Ra ; e significava, secondo gl’interpreti, Signore del cielo, re degli Dei. Si vede poi in altro Capo come il nostro Sto- rico ravvisasse nell’Amun-Ra egizio il tipo e l'esemplare del Giove pelasgico, dello Zeés in una parola. Opinione però insostenibile di fronte agli argomenti che mostrano 510 anzi la radice delle parole Zeùs e Sé come una pro- prietà distintiva dei popoli ariaci: onde questi temi sa- rebbero poi passati, con traccia evidente di un’origine comune, in tutta la gran famiglia delle lingue indo- europee. Ma lasciando ora da parte l’intricata quistione delle origini, noteremo piuttosto come la tradizione ri- mastaci dell’Amun-Ra egiziano convenga assai bene al riavvicinamento fattone da Erodoto col Giove dei Pelasghi e dei Greci. Perchè l’Amun-Ra tiene incontrastabilmente nella teogonia egiziana il primo grado dell'onore e della potenza: egli è personificato e adorato nel Sole; rap- presenta un essere primo che in sè contiene l’inizio e l'incremento di tutte le cose; regola il corso del tempo e l’avvicendarsi delle stagioni; e di tutto quello che quaggiù accade è causa movente e supremo dispensatore. Ma non è soltanto la deità di Giove che sia raffigurata nel Sole dagli Egiziani. Essi, per così dire, lo spezzano in quattro parti, identificandone ciascuna in un nume proprio e distinto: i quali però tutti insieme concorrono a formare finalmente una deità sola e complessa, che sarebbe, per conseguenza, la deità solare. E uno dei quattro numi solari gli è Oro, tipo e esemplare dell’Er- cole greco, secondo Erodoto; nel quale Oro gli Egiziani raffigurarono il Sole di primavera, attribuendogli così, in modo più speciale, la virtù vivificante e fecondatrice. Siccome poi il Sole, seguendo il suo corso, dopo l’equi- nozio di primavera, entra nel segno dell’Ariete; e col segno dell’Arieie incomincia il zodiaco egiziano; pare che non si sapesse come meglio dinotare questo principio che consecrandolo con una nota solenne di religione, e copulando l’Ariete con Giove; ab Iove principium. Donde SPAGRNI > i le, A i Pi 5I1 abbiamo eziandio una spiegazione abbastanza buona della favola introdotta nel $ 42 fra Ercole e Giove; e restiamo anche chiari del perchè sia così sovente rappresentato Giove colla testa caprina nelle figure egiziane: il qual modo fu anche imitato con cerla frequenza dai Greci. E già anche oggi si vedono fra ruderi del tempio di Giove in Tebe, a mezzogiorno di Karnak, non pochi arieti in pietra di enorme grossezza, collocati all'ingresso di detto tempio. I quali giacciono a uso di sfingi, e portano scolpita nel petto l’immagine del nume. Accennai poi dianzi come al Giove egizio era sempre e solennemente affisso l’aggiunto di Amun, che nei ge- roglifici si trova indicato colle tre lettere A M N. E varie sono le interpretazioni che danno i critici di detto nome; alcuni col Champollion attribuendogli il senso di gloria, ‘celsitudo, sublimis; altri collo Iablonski tirandolo a senso astronomico, e dicendo suonare lo stesso che lucidus. Ma di tutte sembra più probabile l'opinione del Wilkinson; il quale sorrelto dall'autorità di Manetone, fa dell’ag- giunto Amun il sinonimo del greco xsxpaupéyvos, occultus, non apertus. Opinione difesa con tutta forza dal Réter, come l’unica che bene si attagli all’etimologia della lingua copta. Giove Ammone poi aveva la sede principale del suo culto in Tebe, e in tutto il nomo che la circonda; donde l’ap- pellativo di Giove lebano attribuitogli dal nostro Storico : nella stessa guisa che il culto di Mendes /Pane) era mas- simamente proprio del nomo mendesio. Pei quali raffronti l’Heeren riduce con buona logica il nomo ad uno spar- timento religioso dell'Egitto, avente ciascuno un Dio, un tempio, un culto, un sacerdozio particolare. Le prime parole finalmente del Capo 43 ‘HpaxAéos dè rép: Tod tov A6yoy Mrovoa, dti sin T6v diobdexa Seosy richiamano 312 la nostra attenzione sul punto quanto importante altret- tanto avviluppato ed oscuro dei varii ordini o gradi in cui le deità egiziane si distinguevano. Erodoto ritorna sul tema dell'ordinamento graduale dei Numi anche ai Capi 46 e 145 di questo medesimo Libro, e specialmente il secondo passo attirò tutta l’attenzione e lo studio dei chiosatori. Ma non perciò tutte le ambiguità furono di- leguate; ed anzi molte ne restano ancora, e resteranno sempre in sì fatta questione. Ei sembra però accertato che i tre ordini degli Dei egiziani avessero per fonda- mento la generazione o emanazione, stabilita per la tra- dizione teogonica, dagli uni agli altri. E così pure molle e concludenti ragioni indussero lo Tablonski (Proleg. ad Panth. p.74 e seg.), in ciò seguìto eziandio dal diligentis- simo Wilkinson, a riputare che il secondo ordine degli Dei egiziani si componesse degli otto Dei del primo grado coll’aggiunta dei quattro Numi solari Ammone, Oro, Se- rapide ed Arpocrate. Ma, anche riguardo a ciò, la mente del critico resta tutt'altro che acquietata e soddisfatta. Essendo invero duro a comprendere, oltre ad altre am- biguità, questo massimamente; che a fornire il numero dei dodici Dei di secondo grado entri eziandio Giove Ammone, che è pure, per universale consenso, ricono- sciuto come il capo della gerarchia celeste, e il suo stesso nome significa egizianamente Re degli Dei. Tyedoy dì val rdvta TÀ oUvimata Tav Sedby E Aiyrtov EMAvde és tiv *EMdda... tà dé Vorepa, to #6 ‘Hotodov te xai “Opnpoy Eyovta, #Y9 Nyo (Principio e fine dei 8$ 50, 51,02 e 53). In sul cominciare del Capo 50 Erodoto torna a ripe- tere, in modo più ampio ed espresso, ciò che aveva già dae 513 accennato pur dianzi intorno all’esclusione di certe par- ticolari deità greche dall’ origine egiziana, senza che però esse siano mai entrate per converso dalla Grecia in Egitto. Ove, secondo Erodoto, non trovasi in nissun tempo la menoma traccia dei loro nomi. Ma che cosa si deve propriamente intendere per questa traccia? Vuole parlare Erodoto di una vera e propria consonanza; 0 vuol dire soltanto che di alcune deità greche, come sarebbe, poniamo, Nettuno, non havvi in Egitto tipo ideale corrispondente, nè nome, per conseguenza, che possa rappresentarsi come, diremmo, tradotto da una lingua nell’altra? Io, per verità, inclinerei molto a questa seconda opinione, sorretto dall’argomento intrinseco del- l'indole diversissima delle due lingue, e da prove ana- logiche di molto peso. Dopo avere poi il Nostro insistito. nuovamente nella sua prediletta credenza che, da alcune deità infuori, tutte le altre derivarono alla Grecia dall'Egitto, soggiunge che quelle che gli Elleni non ricevettero dagli Egiziani le ebbero dai Pelasghi. Ma ognuno che ricordi quanto fu da noi detto nel Discorso proemiale della gente pe- lasgica, del suo genio venturiero e navigatore, dei tanti luoghi dove si sparse, dei vestigi impressivi da qualche culto straniero, e specialmente dei suoi rapporti cogli El- leni; terrà invece per molto più vero che alcuni eziandio dei culti egiziani (intendo di quelli comuni ad altri po- poli d’Oriente, e più anticamente trapiantati sul suolo greco), prima ancora di essere ricevuti dagli Elleni lo fossero dai Pelasghi. I quali poi, è strano, non può ne- garsi, di vederli da Erodoto al Capo 50 appaiati addirit- tura cogli Egiziani; come volesse egli costituire di entrambi le due uniche, o almeno le due principalissime fonti del politeismo greco. Il che ripugna altrettanto alle induzioni più confermate della critica moderna, quanto a ciò che lo stesso Erodoto afferma poco più sotto; che, cioè, i Pelasghi ebbero ùna religione essenzialmente ideale, senza ‘culto visibile nè appellazioni particolari; quantunque poi lasci intendere come anche fra loro allignasse qualche religione determinata. Ma furono senza dubbio i popoli vicini che ve la trapiantarono : onde se gli Elleni trovarono effettivamente introdotto già fra Pelasghi, loro predecés- sori, il culto, poniamo, dell’Astarte fenicia, non è mica questa ragion sufficiente per far cambiare a esso culto la natura e l’origine propria, riducendo arbitrariamente al ciclo pelasgico ciò che realmente non gli appartiene. Nel mio Discorso proemiale accennai pure al posto occupato nel politeismo greco dal Dio Nettuno, provando come egli fosse un mito tutto proprio dell’Ellenismo e un parto specialissimo della fantasia greca. Ora anche Erodoto, nel luogo che dichiariamo, attribuisce a Nettano una cerla condizione particolare e distinta; lo esclude dalle comuni origini pelasgiche ed egiziane, e gli dà per patria la Libia. Ove in effetto pare che il suo culto fosse molto radicato ed antico. E la testimonianza del nostro Storico consuona pure mirabilmente colla opinione dei critici più riputati, quando colloca in Atene una delle sedi principalissime dei Pelasshi; ed accenna inoltre alla convivenza di questi cogli Elleni sul suolo attico. Ove il pelasgismo mostrò realmente indole così tenace, e contrastò con tanta forza all'opera trasformatrice degli Elleni, da costringerli a venire con esso a componimento. E se alcunchè sappiamo delle cose dei Pelasghi, gli è senza dubbio in grazia massimamente delle traccie lasciate dalla colonia pelasgica fissa e perdurante in Atene. i 515 Nè meno grave e importante è la testimonianza di Erodoto intorno all’idealità della religione pelasgica; re- ligione semplice e pura, senza figure sensibili, nè templi costrutti da mano umana. Ma sulle più alte cime dei monti, e sotto la gran volta del cielo, adoravano i Pe- lasghi l’Invisibile, l'Incomprensibile; e non trovando termine adequato ad esprimere ciò che non si può intendere, lo designaron piuttosto da quel viluppo misterioso d’aria e di luce che lo attornia e lo cela agli occhi degli uomini, dicendolo Zeus. E così appellarono Sé01, dalla stessa radice grammaticale, significante cielo, etere, luce, l'aggregazione universale e indistinta degli altri numi. Nè la scienza mo- derna potrebbe certo acconciarsi all’etimologia dataci da Erodoto del vocabolo Séo, che egli vorrebbe derivato dal verbo Se?var. Nel rimanente poi i Pelasghi non avrebbero fatto altro che perdurare in quella purezza e semplicità religiosa che fu già propria dei popoli ariaci, prima che sì dividessero ed allargassero per tanta parte. d’Asia e d'Europa; essendo omai provato che la radice gramma- ticale di Zeùs e Sé; radice, come dicemmo, significante cielo, etere, luce; è il tema costante onde derivò in tutti i linguaggi indo-europci l’appellazione di Dio. E della idealità ed astrattezza della religione pelasgica rimasero le traccie visibili nella Grecia; specialmente sulla bo- scosa cima del monte Liceo nell’Arcadia; anche mentre il politeismo ellenico aveva raggiunto l’ultimo grado della sensualità e dell’antropomorfismo: tanta è l'efficacia di una lontana e misteriosa antichità nelle materie di religione. Ma l’ultimo Capo del.luogo che stiam dichiarando fu, ed a ragione, il vero martello dei critici, riuscendo dif- ficilissimo di accordare il valor letterale delle parole con un senso probabile e conforme alla verità dei fatti 516 conosciuti. Ivi Erodoto mostra evidentemente di dare. un'estrema importanza ai poemi d’ Esiodo e di Omero per la determinazione delle credenze e dei culti religiosi nell’Ellade. Ma colla mente piena di questo concetto lo espresse in tali termini che, intesi in modo troppo as- soluto, oltrepasserebbero senza dubbio, l'intento e la mente dello scrittore. E il nodo della questione sta mas- simamente nel vero senso da attribuirsi al verbo oe, adoperato da Erodoto là dove dice, riferendosi ad Esiodo e ad Omero, otro: dé eios ci rromoavtes Seoyoviny "EMAnot x. t. A. Così il Wesseling, non potendo in nessun modo indursi ad ascrivere ad Esiodo e ad Omero il ritrova- mento della generazione, della nomenclatura, delle fi- sure, dei fatti dei Numi ellenici; e parendogli di tutta evidenza che quanto nei poemi loro si trova di queste cose, non sia che la riproduzione (vogliasi pure meglio ordinata, amplificata e abbellita) di quanto già preesi- steva nella tradizione e nella credenza popolare; si avvisò di accordare il senso letterale del verbo 7oeîy col proprio modo d'intendere, riducendolo in questo luogo al sem- plice valore di descrivere in versi, versibus describere. Ma nè il Wesseling, nè gli altri commentatori che lo segui- rono in questa via, pensarono abbastanza all’intimo le- gamento che ha il 7omoayres Seoyoviny con quel periodo antecedente, ove Erodoto dà ad intendere che se i Greci niente sapevano di chiaro e preciso in fatto di religione ne dovevano riconoscere i poemi di Esiodo e di Omero. Oltredichè gli esempi allegati per dimostrare che anche altri autori, ed Erodoto stesso . altrove, usurparono il verbo 7oeîvy nel senso di ridurre a una certa forma let- teraria una materia accattata di fuori, non reggono poi alla prova; giacchè nei suddetti esempi spicca sempre 517 chiaro il concetto di attribuire ai diversi autori non solo l'invenzione della forma, ma anche della materia. Resta dunque che si lasci al verbo zoreìy il suo ordi- nario e proprio significato; altrimenti, osserva acutamente il Wolf, neppur si comprenderebbe la ragione gramma- ticale del dativo ‘EXArc: susseguente. Ma quale sarà -adunque la spiegazione più ragionevole del. concetto erodoteo ? In qual senso si potrà accettare dalla sana cri- tica che Esiodo ed Omero sieno predicati gl’inventori della teogonia greca, e di ogni sua appartenenza? Il Bahr si esprime in guisa nel vii Excursus del celebre suo com- mento, che parmi concedere veramente di troppo all’opera effettiva esercitata da Omero e da Esiodo nel rinnovamento religioso della Grecia. Imperocchè egli mostra di credere che i due poeti” sammentovati trovassero le condizioni religiose del lor paese avvolte tuttavia in quella caligine d’indefinito politeismo, che la tradizione ed Erodoto at- tribuiscono all’era pelasgica. In guisa che tutto quanto apparisce nelle credenze e nei culti ellenici di distinto, d’individuato, di figurato, di fornito insomma di vita e di movimento, saria stato realmente prodotto, secondo il dottissimo Bihr, dalla fantasia e dal genio creatore di Esiodo e di Omero. Ma confesso di non arrivare a comprendere come possa accordarsi questa opinione col fatto certissimo; e dal medesimo Erodoto confermato due Capi innanzi; che già fino dai tempi pelasgici, il culto di alcuni Numi orientali, individuati e distinti, si era fatto adito nella Grecia. Oltredichè, quando ap- parvero Esiodo ed Omero, era già gran tempo che la razza ellenica si era sovrapposta ai Pelasghi; ed è nota l'inclinazione immensa avuta sempre dagli Elleni di ap- propriarsi i Numi e i riti stranieri, mano mano che 518 entravano in rapporti e stringevan commercio coi popoli vicini. I quali Numi e riti poi trasformavano e attempe- ravano secondo le esigenze del proprio genio. Che più? Se il mito nettunico, questo mito ellenico per eccellenza, è di antichità sì remota che se ne perde l'origine nel buio dei tempi: onde nè Esiodo nè Omero furono certa- mente quelli che l’inventassero e propagassero nella Grecia. Diremo adunque piuttosto che Esiodo ed Omero trovarono già senza dubbio preesistente la materia delle favole: ma era una materia inerte, sbricciolata, confusa: oli stessi fatti si saranno coniati in cento modi diversi, e spesso contraddittorii; lo stesso Dio avrà avuto proba- bilmente nomi differenti, secondo i luoghi ; e un mito vulgatissimo in una parte dell’Ellade nissuno forse lo avrà conosciuto nell’altra. Condizione nafuralissima dello stato di disgregazione e d'isolamento in cui si trovavano vicendevolmente i diversi popoli ellenici, infino a tanto che non furono riavvicinati e congiunti insieme dall’im- presa troiana. La quale infuse primamente nelle varie tribù greche, anche le più lontane, il sentimento dell’o- rigine comune; e cominciò a ridurre le sparse membra ad unità ed essere di nazione. Il qual fatto dette poi abilità ai poeti posteriori; fra cui Esiodo ed Omero ten- gono il primo luogo; di unificare, coordinare, ripulire e ridurre insomma a compiuto e ben congegnato sistema, la mole informe e scompigliata delle tradizioni preesi- stenti: onde i loro libri furono a ragione tenuti in conto di testi sacri, e come le fonti più autorevoli della. reli- gione. Ma Esiodo ed Omero principalmente adattarono eziandio con profondo artificio le ricevute favole agl’in- tenti e al linguaggio più proprii della pocsia: sicchè la natura e i fatti degli Dei presero ognora più nelle fizioni SC ST 519 poetiche quel colore e quella tendenza aniropomorfica, che è senza dubbio una delle note principalissime del rinnovamento religioso operato da Esiodo e da Omero. Di rinnovamento adunque si tratta, e non d’invenzione propriamente detta. Ma ei fu davvero un rinnovamento sì largo, bello, immaginoso , fecondo, che ben poteva Erodoto degnamente sublimarlo con quei magnifici ter- mini che sappiamo. Tale è essenzialmente l'opinione difesa con gravissimo linguaggio dal tedesco Iacobs (Vermischie Schriften VI, pag. 157); nè diversa in sostanza l interpretazione del ch. Professore italiano Giovanni Maria Bertini, nella dotta ed acuta chiosa da lui pure fatta a questo passo controverso di Erodoto; e comunicata alla Classe di Scienze morali, storiche e filologiche della R. Accademia delle Scienze di Torino nella Seduta del 29 marzo 1868 (V. Atti di questo mese). Aivos, Sonep Ev te Domixn doldinog fori xa ev Kirpoo x. tr. A. ($ 79). Nonostante la diversità dei commenti fatti a illustra- zione di questo passo, tutti però i chiosatori convengono che Erodoto abbia voluto qui alludere ad un canto fu- nebre e lamentevole usato in Egitto per commemorare e piangere le tristi avventure e la morte di qualche Dio. Il qual canto, per meglio specificarne ai suoi connazio- nali la natura ed il fine, egli pareggia assolutamente al canto Lino dei Greci, così detto da Lino, figlio di Apollo e ucciso per mano d’Ercole. Ed accenna eziandio il no- stro Storico all'identità sostanziale di questi canti funebri egiziani e greci colla lamentazione ritmica usata dai 520 Fenici per piangere i tristi casì di Adone. Ma Erodoto si affretta pure a soggiugnere che se questi canti funebri egiziani, greci, fenicii, convenivano insieme perfetta- mente, essi però ricevevano un’appellazione diversa, se- condo i luoghi. Così, per esempio, la lamentazione egi- ziana chiamavasi maneros. Col qual nome lo Iablonski (voce. Aegypt. p 22 e seg.) pretende che vogliasi designare un figlio di Mene /elerno), primo re dell'Egitto. Ma io in- clinerei piuttosto all'opinione di quelli che nel canto funebre, detto maneros, scorgono una pubblica lamenta- zione delle celebri sventure di Osiride e del triste suo fato. Opinione tanto più sostenibile dopo che il nostro Rosellini ( Monumenti P. II, T. INI, p. 10), lodatone dal dottissimo Bahr, negò che la voce maneros si riferisse a persona alcuna umana o divina; ma la ridusse ad un modo solenne di esclamazione solito ad usarsi dagli Egi- ziani nelle feste e nei conviti; esclamazione notata anche da Plutarco, il quale credette di renderne grecamente il significato colle parole aiciua tà TomdTa zapein. Ma se il Rosellini molto probabilmente si appose riconoscendo nel maneros altra cosa da un nome proprio, nel rimanente crediamo che il punto resti assai più facilmente risolto dalla traduzione alemanna dataci, non ha guari, dal Burgoch (Die Adonisklage und das Linoslied. Berolin 1852, pag. 15 seg., 21 seg.) di due carmi estratti da papiri egiziani, i quali contengono le lamentazioni d’Iside sulla sorte d’Osiride: e quasi a ogni strofa ritorna la voce mdd-er-hra o méd-ne-hva. Donde ognun può vedere la fa-° cile e naturalissima derivazione del maneros notato da Erodoto. Re e O. COLLAZIONE DI DUE MANOSCRITTI DI ARISTEA LETTERA AL SIGNOR COMMENDATORE GASPARE GORRESIO Illustre Signore, Dei tre manoscritti di Aristea, posseduti dalla biblioteca imperiale di Parigi, il professore M. Scnmipr ebbe sot- occhio, per la sua edizione, quei che si conservano nei codici gr. n. 129 e n. 5. Il terzo contenuto nel codice n.128, egli fecè confrontare qua e là dal signor Zotenberg, poichè non permetteva il regolamento della biblioteca fosse quel volume inviato all’estero. Ora, essendo quest'ultimo mano- scritto il più antico ed il solo completo di Aristea, tro- vandomi in Parigi, colgo l’opportuna occasione per colla- zionarlo e completare il lavoro dello Scamipr, mandandole, illustre Signore, le varianti che ho potuto rilevare; le quali trascriverò riferendomi, per la pagina e linea, alla recente edizione tedesca (Archiv fur Wissenschaftl. Erforsch. d. alten Testam. Halle 1868 Drittes Heft): 922 P. 15. 8. pero avdpetas — 9. motvta Umogeipra - 16. paupitino. P. 16. 1. fpeîis dì Paoed mpogovopabovies Ziva' nat dia toùto - 6. otxettats (e p. 15. 1. 30; p.17. 1 28) - 14. mpotidepevos - AT. enboXas - 18. dtauvpas - 19. puv- pradas Eoesda: - 19. 20. napeotos dè Avdpeas - 20. Èv )dyo om. - 28. eine. P. 1%: 2. 3. Uno ta terpandora tadavta (A) - 4. otopot - 5. peyadoporpia (e p. 18. 1. A4. 29) - 7. totodto — A4. sionypévor, t6v - 16. tods piv otpartotas - 21. tÙv tiv lovdeiov - 23. 6uoloyavivas - QI. tiv naTà mavtoy - 28. fore T6V co@parov. P. 18. 6. ydo nat dipîv - 8. pn: toò qavivtos - 11. ta dia mavt yovtos - 12. 13. pera rabra sionypévor cio - 20. nporaveveydevtos el nat TEpi TOUTHY sIXOCA doaypuia - 23. tòv Anpritprov - 26. diolxnto; nat deest, B.049; ". npocavapipw cor: ta de - N9. paviizar; om. go EVVOMOY. (1).Il prof. ScammT dà dèr:p ... tà pardora. Parmi utilissimo qui il confronto col sunto di Giuseppe Flavio (A. I. 12, 2,3), sì per la critica del testo di Aristea, e sì per quella del testo di Giuseppe. Secondo Aristea, i cortigiani calcolarono dovesse ammontare la spesa totale a Onep ... tà apraxdora thlavta Od drèp tà terpaxdora t4avta; ma in effetto poi lo stato venne a spendere mietov Ta)cvrtar Ebaxogiway Egirovta (Scummt p. 18. 1. 17). Giuseppe Flavio scrive ne’ passi corrispondenti « più di 409 talenti », « più di 460 talenti ». 523 Pi120 3. orovdimv - 5. Wv &v mpoaipd via: - 13. rutorsetodat, AVUITUITOVS - 18. napovtos - 25. 26. yaprotinov. P. 21. AO -_ ld , , A. ent yerpòv natestazaper - 2. tovtots - 13. tovtov; TOv apyiompuatogu)azoy (1) - 15. xopiCovtas-17.18.ypa- x PA is Pia) guy de xat où mpòs ripas mept mv tav Podda, xat yapt- ogpevos fon° nat piitas UEtov ti mpatets. P. 22: 3. iva eld@ow - 1. &meo Enopitov, ‘Avdoéas toy tere , \ \ \» , >” / propevav rapa col xal'Aprotias: &vdpes - 10. peredazav - 14. xal cò desunt - 15. xeta moddots - 20. xvpisdav e Ù Mer È) U È) amuvtav - QI. pera copadetas - 27. ‘Ioongos, “EGertas. p.190; 3. ‘Ivonpos - dB. AGoatos - 6. Zatovs om. - 9. ‘Iovdas Ziuov ’Inongos - 12. Matdaîtos (2) - 14. ’Iwva0as - 13. evvatas - 17. favias - 19. TowvaGns-- 24. Unép - \ > \ tov meot - 29. ovde. P. 24 (3). 6. erezmiderv - 8. more - 9. ta deest - 12. Evexer - (1) Se non erro, le iscrizioni ed i papiri greci ci autorizzano a credere sia più probabile questa forma che non quella « òy àpyicoparogi)ara » adottata dallo ScHwIiDT; come permettono sì ri- tenga quasi certa l’aggiunta dell’ &px. ne' due passi p. 15. l. 4. e pOz-1:-19: (2) È scritto in margine, essendovi qui omissione nel testo. (3) Il manoscritto offre in margine, alla parola repientoypivou (p. 24. 1. 24.) la seguente glosa (scrittura del sec. xrv) lettami cortesemente dall'egr. sign. Carl Wescher: où xxx 7 pépos TS tparélne cuvzota)pivov To) ypusod rai odg Gpwpivov: d))k dà m4vTOY nt \dproytos® nat xutà ts ompatinàs ÙrastAmEtS fitor natà d0os raù xatà piajxos nai uatà T)dros, Gpotmsetyovtos: otepsà yup fiv. = di d)od toù ayiimaros tò dî sidos ds gia Feodepiros tprymvos età idyov Uvayuyiz vpudotipas raù Setotipas. 34 924 44. 15. pérpors: étr yado ént ta ths ovons odbiv &y fonavise - 20. xadoviv, dtd ypantisv - 2A. natonodov- Brioar - 22. cuvertdovI ypvotov doxuov: otepedv = 23. dé y dì cd - 26. Eyovta ayomidiv: tutorov. P. 25. A. u0ò &v pépos - 2. netpévov di nata - L. tò dé entos — 6. ovvébaive petewpov emmmenevav - 8.9. dnnpyov: ava, mupà Etepov - 12. natundetdes cuvécpryov moòs tiv - 15. ExtURAv Eyovoa moocoyiis® cvvegéow - 19. tt di xat - 22. ypodv - 25. draazeviv È - 26. dtayAvytis* nai nat apporeoa ta péon thv tpamebàv mpòs tiv ypficw nenoriodar nad’ è &v péoos alowviat: dote nat Thv T6v uvpatov Oto nel Tv Tic otepavns civar natà tò tv moday péipos* Eiacpa. P. 26. 6. repovas narà ndelorv Eyovtas éoviy0ar - ‘1. 8. natd empaverav — NA. Er de Gvuyos - 15. Kpovotadov, éveri- noto - 19. x ds în - 26. navtà - 28. noòs Tv. P.I: h. ocuvapiofopavor - 6. x0etov - 1. Yiuummyiov di eda éNdogovos fi tò mayos - 12. mavia ineterto0n - 13. xa Movîi - 13. ti natacnevi - 29. nadevas (A), évapyes - 29. évontpov Èn. Pi*za: 3. 0° fot, mpoovvieleodevta - 8. nat - AL. rpooS)epar - 20. évévtes - 2A. Cem))aypévas - 24. rolvtedeta nat teyvovpyia - 25. émoder - 28. cvvtedéowor. PESTO, 6. dov ripuîv - 1. 8. în toÙ at torovs EGewpodpev* (1) Un altro % è sovrapposto al primo, con diverso inchiostro. FSE do ’ tav modv - 9. tiis dins ’Iovdatav, Én - 13. peyado- porpia - 18. Gupoort - 20. &r° édavovs - 23. Eyovoa - 95. eiye * ts Ò - 26. torov: nabuuovias To. PiXo0. 5. évena - 8. avéx)(n)mtos - 9. rodvpo(Ki)tov - AN. ota- Olav: xuadodev - 13. david, fupator - Al. pepolt- Bobodar - A. xovias éws éveoyòs - A. ndot: nANV - 2A. renciopévos di nat abtoîs - 22. nieîov - 24. Éxe- devo - QI. dé iepéov. P. 31. 3. 4. ot dé, oi di, vi di - dragepovtos ypopevat - 8. Gavpactos: Vbos - 9. npofatwv: ite, fapeot - 10. AA. éx\eyopévov* oîs empelés fotiv auopnta-13. adtoîs, od xabitovar oi dravanabopevor - 16. oryà, pabiva AT. int th tono - 2A. de txrdnbw - 23. n ovviotato * 26. folozo: ta Yypod - 29. Idyov - 32. ldiatatos - 33. ypoav. Prod 3. nata nécov t6v Coppduv den - 6. cicc)nAvbeva 8. adiyntov - 10. npòs Yao - 13. AL. pera\apéavopev mpòs -— AA. 45. fv° gay - 15. tes Hi vemtepropòs. - A6. pa- dels divarar - 23. îx péoovs, odd: sicodevero - 24. pera aunorSetas -— 25. mponaSnyovpevov npos - 30. tÒò xata tÙv Opropòv npaypo dvtas mevtanootove, più. P. 33. A. tò alto — 5. yiua - 6. repi6cion nad’ Gr0v — 9. deelodovs - A4. pundevdz - 19. tivòv di dpervòv tov mpòs tiv Yewpyiav — 20.21. did toòro obra - 25. mis yopus - QI. dé éyivero. 526 P. 34 (1). 1. anotevovpevor - 4. dieyypuntov - 12. Év Édatnoîs - 16. xrivm ta moda - 17. oi toror déovtar. - 2I. 22. fort nateonevacpém i yopa - 22. 23. dé ovdev - Qh. tOv te nare Thiv Acua)éva — 25. Guotws dé nat - 26. mpocipapevovs — 31. ct yerrvidiviss. l P. 35. 1. de è moramòs — 4. 6. odtos d° egetciv usque ad mepieyetar om. - 6. 7. dé covales - 22. imébas dv - 25. abtoîs - 28. did toù vopov. P. 36. I. napadederyuevor - 3. Unopepev - 5. 6. dvoa- mOonUoTos Eyovtes: nat éxeîvos aUtods* Yympis nat tod pos - 8. “Avdpiav - 14. uadés abtov Veyew, mepi éautov Eyav avdpas - 16. EE - 19. xaridiav - 26. dd deest - 21. mpòs vipuov énigntabevta - 271. vopigew Yap toîs no)iots. Pi 37 A. mept te tv fipotov nat morov: nat t@v vojutto- pévav - 5. tiv vopoBectav, év di tovtors nat, navu- dertdatuovos - 10. fa) ; Rsa DI o bIÀ ” Tivos éotl - 14. tà yaoa - Nd. esvoracis - 16. duyds Urepreivov - A. dé eis - 2A. tedeua: - 23. tòv_ tig pe \ al \ Gois - 23. 24. Yao na ta nara tiv - 25. diò nat Oenviioai, ped Vpor - 26. mavta divapuv cine mapeotat - È) VEE , foco 21. napo, dé copevicavioy - 30. dî apyimtpos. P. 45. > ” To) ” \ - A. érutedetv - 3. ots ovyypòviar, fpata, otpmpvais - LA \ \ »” d. mapagevowto - 6. pundev - 7. 9. yao aviparos usque \ x > , i > _ ad 14 did om. - 12. éxédevoev - 14. 15. toîs eQopoîs - 19. rmapera)ege - 23. cov deest. P. 46. 2. avanto neromipivor - 3. ty drateroî, dî Erioyov - A. drev0bvers - 8. Enauvinus di 6 - 9. ò di arrenpida - 10. dea - e \ LI i \ > , e , tupoî éavtòv - 13. xat toùto dî, Erepota - 14. ipotovs - 20. 21. tuyyavo - 27. addi tiv peyamovvav. P. 47. 4. vò de cinev - 5. Unapyos - 6. érimaloîro da mavtov - 20. iritoviore dî nal - 22. enite)oî, dò di - 30. dé épuoev. P. 48. 2. ua ayadiv - 6. amonaiveodar, dì Et 9. Momo éEfis pa0aconar, cit énepota - 12. di Und - 23. xa doviy - 25. 28. mpòs ebpposvvav usque ad perà tadra om. - 29. x209 de. PT "RE ng 529 P. 49. 1. 2. ti mpotepta om. vipépa - 4. pndi docdyis - 6. evepyecia mpis - 9. de 6, erepota. - 10. drarepoî (ca alia manu) - 11. éregepo: - 13.6 Povdoviar - 14. todTd. oct — 16. eis ETE0oY om. — 17. eine - 19. mPLITAS - 21. 22. vovtedoîs - 28. altias mepiSa)ew. P. 50. 6. érionprivas - "1. dì Epu - 13. 6 di éen - AL. 15. Ursprigavov nat Coynpov ti éribvpiicdar - 16. dè arposdens - 19. di abriv - 24. Ò° Enaivecas - 2. toîs nato tov Unvov - 28. nata tidi aicOfcz. Pi 5%. A. xad 6oov VnovauSavopevor nal ént neayos - 2. % n)eiv n neraodai gepopevovs, dtarpsiv - lb. 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TÒ yap cuvepyes - 7. di Exelvos AA. di éregavvioas - NI. piòî Ent - 19. mob Gydav conysitar - BA. de aEt00v - 21. Ara - 23. 24. nòs înuyivodoree - 28. di ameguivaro - 27. cvpSovdfas - 28. pinbev. P, 57. A. 2. xaditota ovyupotiicas: mavtas TÈ enaméoue - éyopévn - 6. &ppovtis tis à, nai - 1. orevdet m. 8. éxyivav - 8. 9. 2 dyudd - 9. ds imideisdat - 18. di quovoas - 19. dv om., yuvami* Gr pv - 19. 20. tore tò Hiv (Em om.) - 22. déov Ò° tor - 24. Gray ° noSepviv (0, - 25. éEodov - 27. cvvavtop. (sic) - 98. ‘dv om. Gdî Epos, drav npdoTAv. P. 58. 4. de Erivosiv - 8. éyes, Qupod - 9. emuoeoet OREO - 12. yuwoanev dei - 15. dî amonezp. - 16. VT. rodroe» - 17.19. derdoyiopod nare thv Povddiv naparibivia nat piabepa tiv nata tò dvavtiov toi Idyov dracmtpa - 21. tews tv EStocì - 23. sizav - 24. mpòs Exactov - 299. del. P. 59. 4. 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Rega Bdoprizovta 30. 6 dî aneguivaro. P. 62. dA, n 1 > ” , ovdev, de ayuwviovviat - 6. mpoctivav - 7. pera 15. co&tat - VT. ca ds todrov - 24. 25. popevos - 28. toùs TS Mu Ò, om. - 9. é6doun t6v ripspòv - NI. fioav Yap inavoi - 13. amapa)cqiotos i, dè ton - Ah. tòv \eyopevov - 45. ta ata - 15. 16. Erepativ tporov - IT. È où tadto - 19. xpotw È - 20. teves - 25. éyuparerav dî uededer nat dingiosivav mporipév - QI. ed di, cindy - 21: 28. tòv pet adtiv om. - 29. è de ton. P. 63. 3. cindy di - 7. péytore om. - Il. 6 di ameprivaro - n32 13. tò vixav, meprba)bovtas - 16. 6 dé dronenp. - NT. è di on - 18. duyhv - 22. tòv mAetova ypovov - 23. nat év taîs - 26. 5 où mpaccmv éemtiv 4))ors - 28. tovra TPOCELTOY. P. 64. 1. 6 di com - 2. tibsvar - 3. Proî - 8. ivvarov - 9. 10. ò dè epuoe - 11. 12. toîs tOv dpyopevav flows - 16. di ent - 19. di égn - 20. Paowkeîs om. - 21. 22. xat tivis TOY idtaTtov - QU. GINA ds, mardela - 26. nat nIovto. P. 65. 2. mpòs tobtov cine - 7. xanov om. - 12. cis Î' inad- (erab)oato è Pactdeds Ialbv - 14. Ioyov, dé eine, noppéyiora - 15. nopoyerabivior - 16. xataSeSin ever - 25. t6v di eronpivopivav Qanlws - 21. otopat di not ndo. P. 66. A. apocwpevor - 6. «oEnta - A0. ropayivooretat - 11. deovtos yeyovòs - 13. xataxeyoprinaner - 22. ot i é dè éreréiovy - 23. di éx - 25. évvatns - ‘21. adTbv Fabio - 28. xaInpepav. P. 67. 3. tòv om., di é0os - 8. fvavto - 7. Emepotnca - 12. xadendotv - A2. 13. teprotiva - Ah. dî ovtos, Sore év - 15. nata mpédest - NT. tedelmam di dre Na6e - 18. ta Ts fopavetas - 24. dî aveyvoo0a - 28. drapetva. P. 68. lb. mpdocovtos - 8. dî arò - 10. 11. éredebero - 11. rombi - AI. 12. di ton - 15. Bcoreuntov - 16. mpotoropeîv - AG. Xa6eiv - 17. sqq. xata dî TIV 938 »” , , \ \ \ > ” LÀ , uveniv sEriacneodar tov Gedy ougîs autò yevendar: tivis LS 0007 LOI, NI , or ovetoov ds onpavdevtos - È) \ 9 0) înpiperve amocyopevov - QI. Gbers - QI. dia todT aÙto cò. Pi «60. A. de 6 - 1. 2. mept tòv tod Anprtpiov - 6. idlav: DI / \ 8 - SB VAZ4A2d TO GUPSALVOV ETTI le dexatoy yap cime - 7. oravbis éEero - 10. yongapsvos - 16. stotovs - 18. va écyv - 26. tòv rieto. Al Museo Britannico poi ho trovato, illustre Signore, nel Codex Burneianus n.° 34, un altro manoscritto in- tiero di Aristea, del quale non fa parola il prof. Scuwpr. La collazione di questo mi ha fornito le varianti che seguono : I. 2. edtuytas 1. 3. ouviotapevns lÌ. 41. (xavovi) xat (Orosze) 1. 19. éromocueda I. 24. mocon)now P.A4. 2. [Bov)opevos 13. 14. 6oov nardetas Ayoyi 22. nocaitives pupratdo» 31. déoce. Ka0ò 33. di Éxaota e e e] To O, a | P.. 45, ek apyepio . DE Éyò ° —_— a \v È GWUATIDVNALAs SR en seg. "È calci i i e e è e _ è _ ao ie a . . . 8. perà avdpetas . 9. navta Uroyetora 16. papputiyo 20. otzertav 23. ént tiva 30. otmetiams P. 16. A. ripeîs de Baonded 2. Zilva: xat did toùto 3. yiverat 6. otmertate . 17. éro)as . 18. 6 di drazbbas . 19. poprddas é960da 19. 20. rapsotos de "Avdpeas EB, 57 \GY® om. . 20. 21. popradar dwdeza (1) . 28. de ed pada, eine POSET . 2. 3. Urep Ta TETPANOTIA . 4. olopat CU peyadoporpia . 7. totoùto A4. 15. rapaypina (2) 16. toùs pèv otpatimtas 1. 24. TAV TOY Lovdatov 28. ÉoTL tovV cmuatar, oluetiais (1) Tuttavia, p. 20 1 22: inèp dixx pupidòzs come l'edizione di » P I p SCHMIDT. (2) C£. i papiri. ai tnt ini ni fn) rn Pen ] ] ] ] l ] ] ] i i nn n n n ni n i ww risp "e ge gi RR (bn 535 29. mavtù» pi nad Guru còv tporov év ti Paoieta: xop ecc. P. 18. 7. 8. anct@noaviav Egn* toò pavévtos ecc. AI. ta Wa mavt fyovtos 12. 13. elonypévor elor TOV Torodimv AL. peja)oporpia 16. tOV taymatwy 19. élevdepodvro 20. mpocavevey0évtos et nat nept toltwv ettooa 23. tòv Anprtptov 26. dixuto . 29. peyadoporpia D. 49 PA TPOCAVADÉ po col TA di ToÙ ecc. 16. avtas 19. iv odv pavia Pace ypagnoera: ecc. 23. ép° éxdomas P. 20. 3. omovdtav (1. 5. proxogviazas) 5. 6. dv dv TpoaLpsvtat 6. vopnicpatos 9. de x tov 12. ertovpéaret . 13. martoriata, avuprnaotovs . 18. rapovtas . 26. yaptotinoy Pad: kE Ent YeLpowy 036 I. 13. tv apytompuatogriday I. 16. tadavtos, ypapuov dî I. 17. éav Bon nat yaprodpevos în I. 23. te Eppwro I. 3. tiva et067ty I. 8. 9. éxopitov avdp:as (tòv teriunpévav rapa col) nal Aproteas Uvdpes nadot 10. perédazav 14. xat cò desunt 15. avertanta, To).oîs 19. 20. xupredov dravtoy 24. x om. . 27. ’Inongos, “Etentas P(525; i i n n i i . . . . . . 1. MarStas 3. ’Iwonpos . 5. "A6paîos . 6. Zatovs om. 9. Zruav, ‘Imongos 192, MartSatos 15. Evvamas 17. Baveas 19. ’Inva0us 23. ért6o)hv i n n n n n tn) ( —— i e . . . . . . . . 9h. neo TOY mepl P.024° I. 6. Erenm)dety Li. de “etree I. 8. rote &ypnotos. . . . I. 9. 74 om. >» \ Ca | h\ n sv > \ DI > , 15. EtL yap Ent ta tiis ovons ovdev &v eonavite 21. ratazo)ovOrcat 23. deya de 24. di éaopòv 26. oyomidov: Entorov Pi 95, 2. uetnévov de nata 4. de éxtòs 6. érunetnevnv \ 9. rapa > , , 15. extorwY, CUVEYETW 2A. etonpeva» \ 22. ypoay 25. druonesvniv Anutecnevaoto 26. diey)upiis: nal nat apoporenà péon tiv tpureGav mpos tiv Yypiow meroricda. nad è dv pépos alpavtar: date nat tiv t6v xvpatov degiv nat TIV TÙÎS otepavnS elvar xata TÒ TGV TOÙbY pépos* fNaopa P. 96. 6. repovas natanderiv Eyovtas toviy0a 11. de Gvvyos > , 15. éveturoto 19. de ér 23. de énquovta 28. npòs thy PAS ò. cuvappoSopevov, éavta* Kara 7. fipumayion di odx élaogovos © 598 . . [I I e e n ° . . . . . . . . TE Te ce iii . . . . . . . 12. érmete)écon 15. tà xataonivi;, g@)MdwtAV . AT. god . 25. évapyes 29. ivortoov dh ysyovvizy P32% 3. d’ éotw 3. 4. mpoguvee). Ah. posSdepat 21. mpopetas 24. ro)vteleta ul teyvovpyia 098, avra Be 20. . 6. 606v vipîv 1. 8. ért tov, nat tormovs 13. peyaoporpia 18. Gupwoet . 20. yivopevas 23. Eyovoa 5. Évexa . 8. de avéniantos . 9. molvppratov 13. fovtas, pupatoy 14. pepoltSodadat 15. xovias: É65 21. renciopévors dî nat udtoîs 22. yap deest — rAeîoy D . 2h. Encdevoe natonvpavta da ade All butti iti se see nti cette n (tb i (2) e] 3. ci de eta. (o) 5. ypopevot 10. èxdeyopévov vis inuuelés 13. aùtoîs adest; ci diavaravopevot 14. yivopévov 16. pindiva Gv0ponov Ènt té TIRO 23. cuviotaro. 26. TÎ ypoa 29. Acyuoy 30. xexo)nppevot 3. nata péoov, doén 6. stos)advdtvat 8. 2diyatov 10. rpoòs SZ 13. cis peradapSavomev moòs quianiv Ak. 15. W° éav 15. énidéiols tis © vewrepiojòs 16. pundets 23. én pépovs - ovdi elcoò. 25. mpora0nyovnevov 29. 30. Gelos tè nata tòv dprapòv npaypa Pi. dd: \ bj A. xata tè auto 9. 20. tav Jeopyiav (dad ] Î ] I. ] J: ] A ]. Ì mmie ct nni n n n dna . . e IS go EMIR £0 20. 2. îva di dia toùto oùro: 25. ts yopas DI. de Eytvero P.(3% . 1. amotevovpevot . 4. dreyyoaniav, deacto)ads Edmwuev 8. 9. modes, Éiartwct 192. Év É\atxoîs 17. déovtat 2A. épuropeiav 24. 22. Ééotr nateonevacpeva i Yopa. 22. 23. ds ovdev . 24. yopniyodvras: tv tè . 35. lommv 26. rpoctpnpevove 34. ol yermvioytes 32. aùtoîs B..35: de è rorapòs 4; . 4. 6. odros - yopav om. . 6. 7. dî dopades 22. inuétas oòv . 25. adtoîe 28. dia toù vépov Di 36, 1. napadederyuévot 5. 6. Ovoamoondotos Eyovtes nat Éne yopis nat 8. avdpéav AL. nadés abtov )éjew, mept éautov Eyav avdpas I. I. . . . . . . . . . è UT su fn 19. xatidiav 26. dea deest QU. mpòs ripoov enionmnbevta — vopiSe Yap toîs noldols Pro. A. nepi te TOV fipatoy nat UCRION nat toy vopito- pévav ele. 5. tiv vopodeciav, madiv navvdero dai aovos 6. ovtws Vipéaro. 10. &yvotas AA. stuyov - (dî tori desunt) 12. è romtovopo0erns 14. évdizos 416. è 0deòs 47. ov0ev 18. Ur avbporav upupios 2A. rpocdnimbels 39. 33 Xabot Pi 'de. A. mo) 4. 5. etti Yap 8. xauvòv nat poaraov 10. pIavoray 13. ti da nat déyety 20. un0ev 20. 24. erupioyopeda» Kara pudiv 23. 24. Gdev ci Atyuntimv 27. Pporòy 29. év ovdevi 29. 30. mepi tiis tod, Veod duvaoteras 30. degdov a I I crei cei . att GE ST 1 OMBRE eg e 0 P39 . uùtoîs - Onws év pndevi de 1. pwofis 12. navta Al. nadeotane: Atapéper nadapiomati 16. Ere di yves - de arnyop. 18. td \ona | 2A. de dx. 27. ipspagia P. 40. 3. xa0ane 7. dî om. vipîv En tostov 8. enbiorta:. 9. onpetov 13. 14. tò onperododa dia 18. rpocayovet 20. rept ov de 9/1. tTonos 21. 22. neyapantripinevat . 23. éntidepat 24. ovbev P. 44. 4. nat dì tig tpogîis . 8. drnépaotov mepueyet AL. dedmwuer . 21. rip@v ovotaceos desunt . 21. ts edioylas . 28. deym)etav nUpeos è TETTO + alal ito ie < VT I E O E n le (Te i em eu Ts Reg Vga E" E TE i i I i er” e e n 0 90 2 Re ARL I. | l 14. . 23. . 28. mo. . 8. pundev 12. 14. 18. t9. le P. 152. pnpvanopov - cixîi nata dia toÙto È toroùtos ts deest Gupndds P. 43. det tadta aELodd Yor Droxpatn mpoonyyede as dî desunt tds om. . 6 facieds om. NÈ . xuta è0vos . te deest € , . Mipépats deest Unépeve mAPUYLVOLevOvS Vpévov avenatodntov e \ > , os de, QVELIMpatoy . od deest « Ti Yapa . Évotaote . puydis Unepreivov . de ste , . tedernat , Ts Sodis 93. 24. xa ta nato chv 23. ded at, Vp.ov 26. nova divapiv eìme mapéota: 27. uapot-, t@v dî 30. d de P. 45. A. érure)eiv 1.2. dv Yap obra drareraypevov Unò toù faodéws: G pev Eri nat vÙv Exaotov dmotedeîv: iv Yap oto diatetaypévov Ùnò toù fagiéws auev et nat viv Gpas! oîs ovyypAviat, Bpara TOCOÙT% i Taparyîvoto O » vw . pae» . nporeyéotara et 1 7. 9. yap - mavta om. 9. ta dl’ adrod Ak. 15. toîs é0tapots 15. rapaytvopevot 19. rapenadece 22. fyev yuvarzi 23. cov deest 3. de Entoyov 4. OtevBuvers 5. dmvexés, doxipatov 8. érawéras de 9. 6 de 10. dratupoîev é@utov, 4065 413. xat todto de ge v ritieni Vi re ©— po L [i e i I ao" su _ at) n pa o ti dn pn dn n rn di rn den dn nl n n [or crea D . Tuo ad _) . WET gt © “SCIE - ut ao (Da | AL. Gpotovs 16. cis deòs 20. 21. tuyyavo 21. ovdi tiv peya)wrivav Pel. . T@ de eîmev 4 5. Unapyots 6. Éruma)oîto N41. sin todta 20. di xal rovto 22. napadidor dixdeorv Eniteroî - 6 de 30. dî Epuoev P. 48. . 2. t@v deest . 6. aropatveodar - dî iti Éva, . 9. Nomdv dbfis pabiconar — elt’ Enepato 12. de Unò . 25. 27. érpannoay di td pera . 28. na06 de . 31. dé ripgaro P. 49. I. doay oi A. 2. tà mporspata sine vipépa 4. pde doedyes 6. 0 deest 9. inamwvicas de — Emepata 11. értpépot 13. 6 fiovAovtar Ah. npodapSdverv de di todti co 16. 17. cis Erepoy om. 546 I, 19. rpaccos 1, 241. 22. vovberois I, 28. aitias I. G. értonpuivas 1. 7. de Eqmn 1. 13. dî équ I. 14. 15. Ureprivavov nel Goynpov ti envprioato I. 16. de drposderns I. 19. dî avtòv I. 24. d° Enauviras 1.125. de om I. 28. xatd Ti de aiobioet P. 54; ca 1. A. xa Gov UnodauSavipevor nai l. 2. motors: d meîv N nirasdar pepopévovs I. 4. spore I. 6. cavtov Ì. 8. zapa)oyov I. 9. épeîs - ererdeîov Yap .. 41. avaotpogniv Eye: ds dî 1. 13. Cexravtòs 16. dexatootiv 48. diaravtòs VI po ce dia TOY 23. aùto ie i e DO, 1° 24. npuccovow E Vefey 2 N to sie no Tee rar 8. Unsicusavev ” \ ” 9. pote Tv mpòtov — Ye deest 10. dî épn 19. qovov - dî eéxsîvos P. 53. 3. 4. mods toùds &iXovs peradotinòs wv . 5. drapévor . 5. 6. drarmavtos . &. de éqgn : 23. xadovis 25. aim yap Oecdenios . 26. cv avti, ta ayada P. 54. A. de Eqgn 8. ovvapecdets de . 9. de pn 11.42. pù ta mapa AL. xat td toraòta di vot, 19. 20. a xe00s usque ad xzte deest 28. mporogetày Prob: . Ùî Oda — el [iù — NATROKEVACEL 16. de stre , , 19. N DETTA TON LZ 22. pundev napavopov mparcor - mpòs tooto tonoe CA Cu eu -er'E E e Jill ee ei e. WIR Me rt net, + Ar ATEO RIO di 5 .. 23. édwxe I. 25. ele &v P- 56; I. xanona0odper ws aUTov 3. tò y&p cvvepyes 13. draravtòs 17. pimdî ént 19. xal Tod dylav 21. ir 24. &v deest — éreyiwasoner tods dolov tiva 28. pndev . . . ® . . ° . Più. I, 1. 2. faornded: mods TA xa)iiiata cvyupotnicas , tavtas tO Enavecas 4. ti deyopeva 6. &ppovtis tis i 7. omevder deest 8. éxyovav 8. 9. ta ayaba 9. tò de 19. (@v) deest . 20. gote — En deest 22. dov Ò' éatl . 23. av tI mpaccev . 24. Grav nvbepvov (dn . 24. 25. thv EE0dOv . 27. cvvavtoporoynoxjevos . 28. nos Qvapaprntos — 6 de — cis Arav P. 58, Il. 4. to d° Erevostv hi dn n" Nr a SM [Ce I e e e I e I © i ‘°° | Sii e e i n n n nni . . . . . . ut a DD 8. Qvpod 9. értpepe 12. odv deest 16. 17. rpaoce 17. 19. perd diadoyiopod nata tiv BovXùv Tapati- divra nat PiaSeoa tòv nata tò ivavtiov tod \gyov dicompa. 20. rpootedev 21. ty ÉEr00î 24. moòs Exaotov 29. deî PRO. 4. Eevitedet 5. quorv. xat TO TAV avipwrav yévos tods 8. drapévn 8. 9. a ro6s ad roòs om. 15. aùtoîs 17. diapéve 19. tl éott 21. xpatiota yapa 25. yapà 21. ti d delie nadòc mpotepov 28. yivopevov > Pi 60. 1. érepatà 2. tpanoî 3. 4. Urropipononet 4. 5. nat È 0eds 7. de autiv — énnpaita 8. égn deest (SAI (On. le) 10. dî deest 12. inawiras dî adròv 15. 16. tò d: yiveodar nara mpoaipeciv tabta . Imper — @vtinetevos DI. dé évepyeta . 214. 25. dppoon . 28. tolto 30. 31. avéxoevata e ne | . . . . . . do i P. 61. 1. CIA Éw 3. tode quysiv - duvape 6. dc Epuoev 1. xaBnyetitat 8. atoeots 42. stre . opatat 17. caps - stnoyv 122. Gpacbvas dia toùto 2h. 25. ab éottv ad rpòs deest 27. xeyapropéevos 28. tods é6doumovta P. 62. \ id forali fe osi e i di ini — Od ni [i . n . . . . . . 3 . . . la A. ovbév 6. rporrivav 7. pera deest 9. dî deest . N11 foav Jap . 12. yivopiévov . 13. arapaldyiotos dè - dî ègu . A4. tòv Aeyouevov Drena" pnsamdi Sean dementi dei dei den Se “® . bi titti tit e ici =—p "> immane! ee nai an i dn n ln n . ». Ce CO . . ° damn nn ln n n fn n n x . . . . . . . \ 1 15. ta aùta 15. 416. EISOHONI TIOTDY 7. 3 où 19. Kporw d 95. di xededer xat dexatorivnv 21. cd de - simòy 27. 28. tòv per ato v om. 28. deîv 29, è de P. 63. . SITO . péyuote om. 2 9. dî aùtov 3 6. draravtòs 7 15. t® vixav! 44. cù épyaGerar ndat 491. de ton 22. tòv mietova 23. xal Év taîs 26. Epuutov (Om. 0cvx) 28. tolto mpocetnov P. 64. 2. tIdÉvat 3. Broî 8. Evvartov 9. 10. dì Zpros 12. fior 19. dî épn - to adpeotov 20. Paotneîs om. DA. 22. tIVES TOV ldimtov 552 I. 24. da 0g - mardeta I. 26. té doen ts dpyiis nat molto . . . . . . P. 65. . 2. mpòs toùtov cime — diamavtos . 1. xaxòv om. L . 12. ds d éravenavoato 6 Baandeds Ix)bv (1) Ah. de eine - nappéyiora 15. rapayevndevtov ; 16. xataSe6)npevwy 2I. éyò dn 25. A\in}ws 2". otopar di nat Pi (66. l.. A. «pocimpévot IL 10. rapayivacreta: 1. 14. yeyovòs ‘ 1. 13. xatazeyapinapeo I ].. 19. tov dramperovios I. 292. oi de | I. 25. évvamis - ovvedperas ] 1. 27. adrbv Pri i l.. 1. rapeyevovto L 9. rov-omi- ds de I. 5. vuzavto I. 12. 413. éyovta tepro) tva I. 1%. dote év I. 15. otovet xara (1) Lo stesso ha il Codice Parigino! aid nnt dini 5:47. h48. }. 26. 1. 27. I. 28. 10. #4: 44 14. 15. 16. 4% —— —— -——r — —r — —r —#14HÀ41—»4é1- e, MT ana n 0. A. 2. repl t6v toò Anpntpiov 5. TUAVOTEGOV 5. 6. tiv t0tavy 558 x , LAI TEAELWILY de OTE tà tig spprveras uadas de nupiéopevos deapetva 4. Oramavtòs 8. rapeyvordn de AA. éreMdéeto TOLNTIADY 12. de Ep eru6ovìdis deonépuntov mporotopeîv - \xbeîy ” De / \ \ Il di sale seqq. aveotv éSriuoneodar tov Geov caps avrò yeveadar: tivos yapiv tò cvpuéaivov tori: dv , I a\ , Idi \ ln r ovelpov de onpavdevtos ot ta Geîa Podderai mepiepyuodpevos eis novovs UvOputovs Enpiperv amooyopuevov dî ovtws aronatasti vat ueMovtos ”. OUELS Pin 69: qu LA 6. Oexaiov Yao 1. cis adbis ÉEEv A 4 yonodpevos iva ÉAv 7 554 I, 25. 26. vévevzas Yap mepiepyiav toy duvapevav mge- dev EVEoyeran I. 26. tov mAelo ypovov Finalmente, alla Bodleiana di Oxford mi venne nelle mani, tra le altre, una edizione di Aristea (Oxonii 1692) con alcune note scritte a mano, in margine, le quali di- consi tolte da una copia di Meibom. Ora parecchie di queste note trovandosi dimostrate giuste dalle edizioni posteriori, ho creduto far bene trascrivendole tutte, quasi- chè fossero varianti di qualche codice, perchè colle pre- cedenti pagine siano presenti agli occhi di qualunque studioso di siffatta materia. p. 13.1. 22. xe ta xata thv tiv npòs emerTa Atuntov Taper)inpatos p.A4.1. 27. ttò xddov dov * è Parmdeds simev*, doti, ae tolto morficat p. 18.1.8. pm tod qavévros ént vr EVOYOV p. 201.49. ros tò cv Al- an intelligilur azò TOY qurtimv tivos pobov più Atdrortav, an scrib. pev EYn dia Tolrav pro pù p. 21.14. ereyetpwv xateota- Eni napov:imo ent ypetòv NOpLev muneribus praefecimus p. 28.1. 15. cs cy tis fotnue édane p. 29. 1. 18. 0bpwot an Gupopact p. 34. L 46.0 tarov tÙTOV p.32.1.2. Baotderoy éx tonmv f. ÉxtUTOY Paul p. 32. l. 30. ro&yua 34.1 109. 34. 1 15. gomizay od 34. 1 18. xatadoyov 34. 1 31. ovors .35.1.7. covadetas adtosvint 35. 1. 34. xatosioba: 36. 1. 13. rap étépovs 45. 1. A. xatevyos 45.1. 23. avexderrza * ov mis Cais yoovov 46. 1. 3. éyov 46. 1. 9. tò dixatov 46. 1. 27. peyxdocvyvav 48. 1. 13. Bovdopnévo 48. 1. 31. xotvodoyizy 55. I. 28. &ruyoet 56. 1. 1. 05 autor quiverae 56. 1. 2. Telovpévov 06. I. de TÒ Yao CUYYEvVES x 56.1. 4. pera di svnpepras 56. 1. 5. TOY Ééxetvo» d))a dio) Shx.l. Agfbe: 57. 1. 43. Eemria (Dai (Dai VI f. npayumatos haec videntur corrupta. gomizay mid natd )oyoy cÙaav QIS ques non potuit esse xetz9p0- vecobzi an xadopardat ÉTÉ 0oLs TpocevYAS * RAT EYeLY TOUTO ). 0% Bovdevopivo f. xa deleo voces «7vy@ei (pro quo scrib. «7vyodot) per velut scholion praece— dentis ovuSaivovo: forsan in mss. er vel e$ pro telovpévoav Toto», mAVTWY. cuveyYyvs aut ovyysves f. péya Tv ak dedy nupe - tela p. 58. L. 28. érciotasw p. 59. 1. 25. X\apbavety p 60. 1. 25. 76 mperov CVVATONPIVOLLEVOS p. 61. 1. 19. aroreraypévov p. 62. 1. 1. drareraypevo» ovdev p. 62. 1. 3. ermuedntriv ce* tV (Biwy p. 62. 1. 20. teves p. 63. 1. 23. ropstoy p. 64. 1. 3. firoîs p. 64. 1. 41. tà ypripoara p- 64,1,,49 fico, p. 64. 1.19. tè Aprotov Ti quot p. 65.1. 5. dra tov iyovpevov p. 65.1. 7. xat od péytorov * Aynoai p. 65. 1. 8. avevacv p. 65. 1.43. érsyéato zal t6v TAPuvTOY p. 68. I. 24. arepduzàdain pro ereonpunv fors. Agprpòs uao ad. cUvO. Pa | . ». ent - qui praefecti sunt. Urtote - ovdevi an 2o0dsva * EEeu an delendum. an rropropods Piars an yoricipa Ti acdeîa certe hic sensus videtur esse. Brovs: adder. &. tò rowtov Od toù viyovpévov * add. videtur zaxòy UEVVAOY SS) 194 Mu arspravasda Mi creda, illustre Signore, di lei — Dev.m0 ed Ob. G. LumBroso. e e L’Accademico Segretario Gaspare GoRRESIO. DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO par 1° aL 28 reBBralro 1869 Donatori Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften Accademia Reale zu Berlin; December 1868; 8°. delle Sena di Berlino, Abhandlungen der K. Akademie der Wissenschaften zu Berlin; aus Id. dem Jahre 1867. Berlin, 1868; 1 vol. 4°, Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Serie Accademia s mv 5 e delle Scienze seconda; tom. VIII, fasc. 2°; Bologna, 1869; 40. di Dolegna Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Società — Medico-Chirurgica di Bologna; Gennaio 1869; 8°. Med. CA A di Bologna. Giornale del Gabinetto letterario dell’Accademia Gioenia; vol. 1, Gabin. letterario disp. 12 e 2°, settembre-dicembre 1868. Catania, 1868; 8°. nu. fo Forhandlinger i Videnskabs-Selskabet i Christiania; Aar 1867. Chri- soc. delle Scienze stiania, 1868; 1 vol. 8°. di Cristiania. Registre til Christiania Videnskabsselskabs Forhandlinger; 1858-1867. Id. Christiania, 1868; $°. Det K. Norske Frederiks Universitets Aarsberetning for Aaret 1867. R. Università Christiania, 1868; 8°. di Cristiania, Ministero di Agr.Ind.eCom, (Firenze), Soc. Geologica di Londra, R. Istituto Lomb. di Se. e Lettere (Milano). Osservatorio del R. Gollegio di Moncalieri, Società Reale di Napoli, “Soc, Filomatica di Parigi, Soc. di Geografia di Parigi, R. Accademia di Mediciua di Torino, -L’ Autore, L'A. L'A, L'A, L'A, 258 Meteorologia italiana; 1868, pag. 121-144; Supplemento 1868, pa- gine 17-24. The Quarterly Journal of the Geological Society, n. 97. London, 1869; 8°. Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Rendiconti; serie II, vol. II, fase. 1-2. Milano, 1869; 8°. Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del R. Coll. CAaRLo ALBERTO in Moncalieri; vol. Il, n. 12, 1868; 4°. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche, di Napoli; dicembre 1868; 4°. Bulletin de la Société Philomatique de Paris; avril-aoùt 1868; 8°. Bulletin de la Société de Géographie; novembre et décembre 1868; 8°. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1869, n. 2-3; 8°. Traité élémentaire des fonctions elliptiques; par le D' O. I. BrocH. Christiania, 1867; 8°, La Dinamica molecolare secondo Fusinieri e Reinchenbach; per Enrico DaL Pozzo pI MomBELLO. Foligno, 1866; 1 vol. 16°. Trattato di Fisico-chimica secondo la teoria dinamica; per Enrico DaL Pozzo pI MomBeLLO. Foligno, 1867; 1 vol. 16°. T:ol Mo\ivenitizas XNolipas, ArkroiBn baò I. Acxeya)}a. P i ‘ i >» et: Zvpov; 1868; 8°. "Ey ‘Eppovro):t Delle combustioni spontanee e di alcune cagioni d’incendi non co- muni; Memoria di F. DeL GIUDICE ; parte prima. Napoli, 1869; 8°. Sullo stato attuale della quistione della navigazione al polo boreale; Memoria di Ferdinando De Luca. Napoli, 1868; 4°. I miei studi fisico-geografici; Memoria del Cav. Ferdinando DE Luca. Napoli, 1868; 4°. inni i e de preti ati dei 959 » Archivio giuridico di Pietro ELLERO; vol. 11, fasc. 3. Bologna, Sig.Prof. Erurro, 1869; 8.° Brief des Freiherrn Karl von Estorre an Herrn Prof. E. Desor. Zirich, 1869; 8°. Intorno alla vita ed agli scritti di Wolfgang e Giovanni Bolyai di Bolya, matematici ungheresi; Nota del Dott. Angelo Fonti. Roma, 1868; 4°. Gesammtsitzung der KR. Akademie der Wissenschaften zu Berlin (3 december 1868); 8°. Mlustrazioni filologico-comparative alla grammatica greca del bott. Giorgio CurtIvs ecc.; per cura del Dott. Fausto Gherardo Fumt. Napoli, 1868; 1 vol. 8°. Rudimenti di Metrologia, ecc.j Manuale utile ad ogni classe di per- sone, per cura del Cav. Domenico MaRTINES. Messina, 1864; 1 vol. 8°. ; Origine e progressi dell’aritmetica ; sunto storico ecc. del Cav. Do- menico MartINEs. Messina, 1865; 1 vol. 89. Observations relatives à un ouvrage de M. CLAPAKÈDE, intitulé : Zes Annélides Chetopodes du golfe de Naples, et Reponse è ses erîi- tigues; par M. DE QUATREFAGES. Paris, 1869; 4°. Mémoire pour servir à la connaissance des Crinoîdes vivants; par Michael Sars. Christiania, 1808; 4°. Nuove notizie intorno a Gherardo da Firenze e Aldobrando da Siena, e Osservazioni intorno alla sincerità delle carte d’Arborea (Lettera di Carlo VESME al Prof. Adolfo Borgognoni), Bologna, 1869; 8°. Analogia fra alcuni fenomeni osservati dal Prof. Franc. Zantedeschi nella eclisse di Sole deil'8 di luglio 1842 in Venezia, e taluno de’ fenomeni osservati da Janssen, dal Secchi, nelle protuberanze solari 1868; Nota del Prof. Francesco ZanTEDESCHI. Venezia, 1869; 8°. L'Autore. Sig. Principe BONCOMPAGNI, Id, L'A, L'A. L'A, L'A, L'A, L'A. L'A. L’Autore. L'A. L'A 560 Altre analogie spettroscopiche ecc. ; Nota del Prof. Cav. Francesco ZANTEDESCHI. Venezia, 1869; 80. Sul telegrafo elettro-magnetico senza filo metallico congfuntivo delle stazioni dell'America Mower ecc. Nota del Prof. Cav. Francesco ZANTEDESCHI. Venezia, 1869; 8°. Documenti raccolti intorno alle date di alcune moderne scoperte di elettricità applicata; del Prof. Cav. Francesco ZANTEDESCHI. Venezia, 1869; 8°. Anso EV FEBBRAIO 1869 BOLLETTINO METEOROLOGICO = DEET*OSSERVATORTO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO an RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI FATTE NEL MESE DI FEBBRAIO. In Febbraio la pressione atmosferica fu molto elevata nelle due prime decadi, e sebbene sia diminuita nella terza, il suo valore medio 42,00 è alquanto superiore alla media degli ultimi tre anni. Si ebbero oscillazioni in maggior numero e di maggiore ampiezza che non nel mese scorso. I valori estremi corrispondenti a queste oscillazioni sono i seguenti : Giorni del mese Massimi. | fitorni del mese Minimi il h . 4k,9 AAT 34,4 ui Serao 0) 52,0 ATRIA 66: 44,1 {OSE Ra 46,3 | INEEZOo dio ia) RSS Se 48,1 ESSO see FALLE [CR 48,0 | BOTA: Ia 32, 4 PIRANO! Gio DIO 43,9 I Ps PRE EROI MZ RI La temperatura fu mite; la media delle temperature minime +-2,5 e la media delle temperature massime +9,7, sono di poco differenti dalle corrispondenti degli anni 1866 e 1867, ma sono però molto superiori a quelle dell’anno scorso. La temperatura minima nel solo giorno 14 fu inferiore a 0. I valori estremi della temperatura sono — 0,4 il 414, e + 44,4 il 15. L'umidità fu generalmente grande; nei giorni 2, 42, 14, 15 e 28 raggiunse la saturazione. Si ebbe neve nel giorno 2, e pioggia nei giorni 19, 20, 21, 22, 23 e 24. L'acqua raccolta nel pluviometro raggiunse l'altezza di mm. 52,8. Nel giorno 28 si ebbe nelle ore pomeridiane vento fortissimo; ma in tutti gli altri giorni il vento fu assai debole. La tavola seguente dà per questo mese il numero delle volte che spirò il vento in ciascuna direzione, N NNE NE ENE E ESE SE SSE S'SSO SO 0S0 0 ONO' NO NNO Vo 34 6 KIA 2 e a) 2A ò ) 5 EP NOTAZIONI ED AVVERTENZE. Intensità telativa del vento: Ò indica calma; f appena sensibile; 2 un po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. orma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; nè nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all'orizzonte. PI pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine. ; nv neve; dr brina; rg rugiada. n osservazioni sono fatte a tempo vero locale. ‘© altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. ‘© temperature minima e massima, e l'altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 3 pom. del giorno Der cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. ‘2 parola direzione designa il luogo dove il vento va; se si vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino condo che questi numeri sono minori 0 maggiori di 180. IU ia pi veterani e pe 3, A, ei Sa er le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. FERBBRALO Giorni del MESE Seconda Decade Prima Decade LL T=——_——_r_vTPP >_> --tTE”: ia oi an re na SN5s5sicsanstgwhp- SC050 JN 27 Terza Decade —_ ——_—_ _.)- o 19 20 190 0 NN (-) a Ge we 4° Decade] 44,4 12° Decade] 43,2 3° Decade] 38,2 Mese, | 42,0 Altezza barometrica alla temperatura di 0 gradi led all'altitudine di metri 276 IN MILLIMETRI 45,0 43,6 38,6 49,7 11,9 4,7 DI 10,0 13,0 11,6 11,2 95 TI E D,7 5,9 10;0 8,8 9. 9 10,4 11,7 11,4 Temperatura esterna al Nord IN GRADI CENTESIMALI 43.|..37| 05 31 i5| 06 6,1 69 | 04 93| 73) 12 go | 66) 13 97.) 67 19 go | 68 | 20 93 | 67 10 CU INTOGR 14 uo 8s2| 02 15 | 76). 31 41 | 36 05 49 | 4428 ge | 59-04 1,0 | 94) 08 10,8 \CARB,La | 218 10,8 | 84} | 27 84 |. 74.| | 30 66 | Gal 58 5,3 5,1 3,6 5,9 D 4,3 H) 2 5,0 8,1 7,8 5,8 a 2 A 1 84 i 15 80 7 5,3 10,3 8, 40 If} 8,9 2,8 7,6 6,1 2,9 5,7 4,7 9,5 11,0 10,5 10,4 10,9 11,0 8,7 12,4 12,7 7,6 5,5 10,5 14,1 11,7 9,8 10,0 957 Tensione del Vapore IN MILLIMETRI 0,32] 5,90] 5,35 4,15) 4,88] 447] 516 4,89] 4,02] 4,22| 4 4,76| 5,89] 5,88] 6,18 9, 1,93| 5,87| 6,25) 5,04 76| 5,82) 0,64] 5,8 5.14) 6,02] 6,26) 6,29 ,06] 3,88) 6,37] 6,43 5,11} 6,49) 4,27 122. 38| 6,33] 6,13|] 6,67 4,70] 5,71 6,18] 6,10 7) 640| 634) 6.14 pl 4,54) 345| 4 a7| 3,67) 3,67) 4 g7| 547) 468) 5 D9| 6,20) 6,09] 6,29 5,68| G640| 6,34] 6,67 6,80] 7,08] 6,85] 6,88 90| 6,53) Gdi| 6,42 GU0| 6,36) 6,22] 6,41 6,31) 0,23; 6,71] 6,41 646] 6,73) 7,16] 7,39 6,90|. 5,68| 4,80) 5,79 6A45| 5,96) 5,26| 5,9 6,11) 6,36] 5,63| 5,6 GAI1| 7,13] 7,71) 7,85 53. | (07,321 4,671 2:67 12 3 6 pom. pom. | minima |. massima | antim. | antim. merid.| pom. | pom. 4,75| 4,94| 5,38] 5,06 4,76 9 5,67 5,95 5,62 7 pom. faut. 5,51] 94 4,96 {100 3,56] 79 4,83 | S7 5,76] S6 5,52] 9 5,58] 89 6,58] 98 6,05 87 4,74] 94 6,16] S9 5,77] 96 6,10{100 3,90] 92 3,90] 85 4,68] SU 5,80] 90 6,62] 90 704 {100 6,71 [100 6,35 | A 6,12] 79 7,01] 97 6,28] 90 5,28 | 88 6,78 93 7,18] 95 2,34 [100 90 | 80| 67|7 Umidità relativa IN CENTESIMI \—_——_——_—_mm6 9 |az|3|6 ant. | mer.| pom.!pom.{pog 96 | 86 | SI | 83/9 93 | 70|57|7 91 |74|62|70 89|75|61|6 89|83|74|80 100 | 97 | 16| 95 90 | 80 | 70|7 gi | 82|66|78|7 primo Decade ti) fc ° ti | i Terza Decade FEBBEBRAILO Intensità relativa del VENTO ona ne 2928 19 — 29 — è9 ISS) 6 .|pom. 240 60 210 250 90 210 245 205 220) 225 della direzione del Vento Azimuto IN GRADI SESSAGESIMALI 9 Laotim.|antim, 340 215 155 325 220 05 12 merid. 220 3 pom. 50 205 220) 215 3ò 40 230 215 35 e _ 2 LLIII0l0DL0DDD ÒÙEeEe Quantità di cielo coperto Stato atmosferico IN DECIMI Miorui del mese fi sotimerid, È pomerid, È pomerid OSSERVAZIONE OZONOSCOPICHE 5_| 6.|/7. | 80] 9 [to [(41 |\12 |/13 | ta | 15 || 16 | 17 | 18 {19 | 20] 21.122 ofo|ojo|o]o]o]jo]jol]lo]o{olo{|8g]|o]|4 {8 {05 ONORIO [Fri ironal ta foNFoxifox sar Mole: (far 35: zaia (6 Az o|o0 ) 3 4|0 23] 24 0| 0 0|7,5 0| 0 7 9 12) 3 0) 9 171 9 12 3 6 9 ant. | ant. |mer.|pom.|pom.|pom.| antimerid. | antimerid.!| merid. pomerid. | pomerld, | pomerid. GIIO(IO [IU (1010 sem, n8 | sm, nd nb smr PI 0 i0|{H0|{fo| 6| 2| 0 nf, p nf, nv s, nb m sr, nd nb 9,8 | 1| 2[0| 5] 9] 0| mr, nr | sr, n0 | sr, nd som sm 0 3| G| 4| 0 0| Ol rs, nr sr, n0 sr 0 3] 3/ 4| O| 1 Ol rs,nr | srnr || rs, nb nr s, nr no 0 0| 0 0/0] 0/0 rar nr nb s 0 0| 0|0|0|0U0|0 nr nr nr 0 10] 3) 3] 0 0] 0 nf nf nb 0 AORINAZA Gi IONI. nf nf si nb sr no no 0 1 DRINEZA [IRA UORINO. r, nr sr, no nb ST LI Ù) 3/23] 2| 1] 0| mis, ar | rms, nr sr, nr sr sm 0 8|10|HO0|1H0|{10| 10] sr, nr nf nf nf nf nf 0 10 | 10] 10|10|10| 10 nf nf nf nf nf nf () Ut IOR RIONI ION INIZIO sno sn, no rs (U) 6| 4| 6|1| 0 Of sr, no rs, m sr sr s 0 0 0{1{ 1| 0 0{ r,nr sr sr sr s 0 4| 2 {| 0] O] 0] 5,725 sr, nb || sr, nb sr rs, nr sr (Ù 10| 10|10|10|10|10 ms, nb ms, nb ms ms m {0 | IO | HO | 10 {10|10| nf pg nf, p p nf, p p 10|10|10|10|10|10 nf p p p PD 10 | 10 | 10 | 10 | 10 | 10 { ms,nr,pg p p p p {0/10 {10 | 10 | 10 | 10| ms, no ms ms ms sm 10 | 10 {10 | 10| 10 | 10] sm, nd sm sm p p 10] 10|10|10| 9| 9 smndp sm sm sm sm 1010 9/10 | {0| 10] ms, nd rs, nb sm SMI sm SI 7] 8| 50] Of rs, 20 nb rsm rs s 1 0| 6/3 1| sn, nr s nr rs sm 10| 10| 5/1 2|0 nf nf m, nr ms ms CM -=] 26 | 27 | 28 31 6, ; 0 6 1 Altezza dell'Acqua IN MILLIMETRI caduta | evaporata lai —z i DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FEBBRAIO 1869 4 Sil] s ee) FM Se T16]17]18|19]80] 91]92]95 [24]25]96]27]98]29]50]51] ] : pre = i | i | ile Linea barometrica_| | i L L es dd i i e DI i V4 y A ro A I I I HO ti È - —j T E Legea] dr "i T_30 + | dl. I dl I I + I I L ia Linea termometrica LE e E PR [iu Ain : I lele i Rene e È + Dt le = dii iL I LI ALS A\ SÈ _A AIL_A da | 10 a a è o CA = \ ali 32 = NA — enne ione na alli ind _ ul a nil IL ii | - 0 i t ESA] Sao sape TCS] es FEE = EALI dio ae al Linea della tensione del vapore | | | {| | ln SII + d I = AE tI J ue +—_ + 0 vid ipitr i ai ida = T = Sa Il L n e n n | n SE Ly 1 dt iLu | Linea dell'umidita relativa | EE ia ER E a A - eso | ie ] la cu v T L Sd; 100 7 Ù Lala a 7A N A) {\ sd [) AL UNESI y fl 1] [i L [e 80 ILS [| |\ | LV I a } i Ù JE | dl ) ESRI VIS eV ne _l_lgo == sa i i = Prima Decade © tw è + Www Ma RO Pao tO = to © wi ea s U H Di Di Ci s LI pe 6 ti D4 x ——T_ t9 © 19 + — — — — + OO to — — a — 1a ai to Ko t9 © 09 = n 29 to to to do dd © è9 = r0 ao De) DS = a 19 0a (>) Terza Decade du pae RI PR RO dp RO o o _ + — t9 — — — 290 to 09 9 = to » i ro Azimuto della direzione del Vento IN GRADI SESSAGESIMALI 12 300 350 10 70 210 250 215 50 50 .(merid, 295 85 205 245 200 50 Quantità di clelo coperto . IN DECIMI «[ antimerid. ms, nb msr, nò msr, nr nr no sm, nr no ms, nr s, nb, nv sm, nb nr nb UA no sm, nb s, nb nv nf ms,nb,pg rs ms ms ms, nr ms, n rs sm, nr nf PI ms, nb ms, nr nf 10 | 10 9 antimerid. rs, nb nb m, nb nr rs smr mr nv nv sm, nb DI, nf sm, nb nf s, nb State atmosferico 12 3 6 merid. | pomerid.| pomerid. rs Di sm sm s n nm si nr smi sm, PI nv ms m 9 pomerid. Altezza dell'Acqua IN MILLIMETRI caduta | evaporata OZONOSCOPICHE 16 | 17 | 18 timerid, Pomerid, bomerid, 19 PT IE “ee i Aa Î DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI ME EOROLOGICHE MARZO 1869 TARA GRA ; 10 1112] 15|]14|15|16]17|18|19|20|91|22 23 242596 27 28/29) 30|51 + i Linea barometrica | [ I I ai lory AI — | 795 ++ > a - E : i i +25 Ni | Linea termometrica [sg i 200) a) | SEE Rara] L I | i I 5 a ai 3 aes | TE sie ona oa ee (e È Ieri Linea della tensione del vapore ai ]OGLIA ' a, I Al DC". | I [As te =: "i; + + 0 L (ta aan li Ti si i 3] Sessssss 2558 ‘| Linea dell'umidità relativa tai Eni 3 = Va | al NIE al —L_44100 D) ue, prode LI ì h i "AN La cat a PAS DL DI i CLASSE DI SCIENZE FISIOHE E MATEMATICHE Aprile 1869. 37 564 l'Autore fa sopra di essi, ed afferma di non essere il solo di questo parere, imperocchè geologi riputatissimi vollero che la Memoria del Grorpano vedesse la luce in periodici scientifici scritti nelle principali lingue di Europa, e lo Sruper assegna alla salita del Cervino fatta dal Giorpano una importanza scientifica eguale a quella della salita del Monbianco fatta dal Saussure. Quanto alle osservazioni del Sismonpa intorno alle con- clusioni del Grorpano relativamente ai serpentini ed all’età geologica dei terreni da lui osservati, non crede il SELLA potersi affermare come dice il Sismonpa che gli scrittori più recenti, i quali trattarono della geologia alpina pre- tendano il serpentino una roccia plutonica che disordinò le roccie stratificate. A lui pare invece che i geologi-chimici sieno oggi quasi unanimi nel ritenere il serpentino come roccia metamorfica. Finalmente quanto all’età di questi terreni il Sera ricorda i lavori di Favre, di Lory, la riunione in S'-Jean-de-Maurienne della Società geologica di Francia nel settembre 1861. Ivi si giunse a conclu- sioni ben diverse da quelle del BrAumonr adottate dal Sismonpa, e nota che il Giorpano si limitò ad esporre l'opinione di quelli, come la opinione più generale dei geologi odierni, senza dichiarare egli quale conseguenza “diretta delle proprie osservazioni che le roccie di cui discorre siano triassiche. Lo stesso Socio SELLA presenta e legge una, Nota del Prof. Adolfo Lieprn, intitolata : 565 DI UN METODO PER SCOPRIRE L’ ALCOOLE MEDIANTE LA SUA TRASFORMAZIONE IN IODOFORMIO. Nel mio lavoro sulla ‘sintesi degli alcooli, intorno al quale son occupato da molto tempo, ebbi spesso occasione di osservare la formazione dell’iodoformio allorquando dei liquidi contenenti dell’iodio libero furono! trattati con potassa. caustica. Studiando l’origine dell’iodoformio for- matosi, venni a riconoscere che ogni qual volta la detta reaziorie si manifestava il liquido conteneva sempre una sostanza di natura alcoolica, per quanto minima spesso ne fosse la proporzione. Quest’ osservazione, che l’iodo e la potassa danno un precipitato di iodoformio anche con soluzioni diluitissime di certi alcooli, mi era di grande utilità nel seguito delle mie ricerche, poichè mi permise di riconoscere la presenza degli alcooli e di seguirli passo a passo attraverso molti processi chimici. Or si sa come pur troppo noi difettiamo nelle ricerche di chimica or- ganica di quelle reazioni caratteristiche e sensibili, che rendono facile e sicura l’analisi dei minerali. Quindi la prospettiva di trovare nella formazione dell’iodoformio un mezzo analitico perla ricerca dell’alcoole doveva indurmi ad esaminare più esattamente la reazione indicata. Comincerò coll’osservare che: l’alcoole' e gli alcooli in generale, come è noto, non sono i soli corpi, i quali in contatto coll’iodo e colla potassa producano iodoformio, e potrebbe darsi che si tratti qui d’una reazione carat- teristica: per una certa classe di corpi. Sono occupato a studiare questa parte della questione ed intanto farò 5606 conoscere il modo di applicare questa reazione per la ri- cerca analitica dell’alcoole comune nel caso più semplice, «quando non vi sono presenti altre sostanze capaci di ‘generare iodoformio. Trattasi per esempio di scoprire piccole quantità di alcoole in una soluzione acquosa: basta riscaldare leg- germente un poco del liquido in un tubo da saggio. ed introdurvi pochi granelli di iodo insieme a poche. gocce. di potassa caustica. Per poco notevole che sia.la propor- zione dell’alcoole nell’acqua, si produrrà subito; appena che l’iodo si è sciolto, un precipitato cristallino, giallo- cedro di iodoformio. Il leggero riscaldamento del liquido non è necessario per produrre la reazione, ma la acce- lera notevolmente. Bisogna evitare però di portare ..il liquido all’ebollizione, poichè tanto l’alcoole quanto più ancora l’iodoformio si volatilizzano facilmente col vapore d’acqua. In soluzioni molto diluite la paoli non si forma più subito ma solo dopo qualche tempo. Ho potuto constatare in questo modo con sicurezza ua presenza di 3% di alcoole nell’acqua. Diffatto il DIRGLI tato di iodoformio presenta un aspetto così caratteristico che anehe, ove si tratta di mere tracce di esso, è impossibile confonderlo con'polvere o particelle solide di altra natura, che potrebbero delle volte trovarsi sospese nel liquido. D'altronde c’è un mezzo semplice per togliere ogni dubbio ove ce ne fosse. Basta pescare fuori dal liquido un po’ del precipitato, - il quale! si trova o depositato al fondo oppure, come suole avvenire nelle soluzioni dilui- tissime, galleggia alla superficie, - e. sottometterloall’e- same microscopico. Se è iodoformio lo si trova composto 567 di tavole esagonali o di stelle a sei raggi assai facili a riconoscersi. Ho applicata la reazione descritta per scoprire alcoole nell’etere e riporto i risultati ottenuti, poichè offrono qualche interesse. Diffatto ho trovato che non soltanto l’etere del commercio, ma anche quello lavato alcune volte con acqua, poi rettificato sul cloruro di calcio, tale quale si suole usare nei laboratorii di chimica, con- tiene sempre delle quantità notevoli di alcoole tanto che facilmente se ne può dimostrare la presenza anche. in un sol centimetro cubo di etere. Ho potuto dimostrare la presenza dell’alcoole persino in un etere il quale dopo rettificazione sul cloruro di calcio era stato distillato sul sodio e raccolto al punto d’ebollizione fisso di 35°. Una seconda distillazione sul sodio non valse nemmeno a pri- varlo completamente di alcoole. Da ciò si vede chiara- mente, come l’etere, tale quale fu adoperato generalmente dai chimici e che fu considerato come purissimo , certo non era puro nella maggior parte dei casi, ed io sono convinto che la presenza non sospettata dell’alcoole nel- l’etere creduto puro ha potuto dar luogo a gravi incon- venienti e ad erronee conclusioni in certi casi, in cui si fa uso di quantità rilevanti di etere. Inoltre si capisee come la produzione dell’iodoformio per l’azione dell’iodo e-della potassa sull’etere sia greggio, sia purificato colle cure accennate, doveva far nascere l'opinione che l’etere stesso si trasforma in iodoformio nelle condizioni indicate. Tale nozione riportata in vari. trattati è erronea, come si rileva dall’esposizione seguente. Ecco ora il modo di ‘constatare la presenza dell’alcoole nell’etere. ‘ Si agita l'etere (bastano pochi grammi) con un poco 568 d’acqua, si. separano i, due strati decantando. l'etere. che, galleggia e poscia si scalda leggermente lo strato, acquoso,, onde cacciare almeno approssimativamente l'etere che vi è sciolto. Quini si jatradugeno nel liquido ACQUOSA) pochi, quanto ia per ve ala l’iodo. Allora si vert compa- rire un precipitato ‘giallo di iodoformio. stà toy Resta oramai a dimostrare, come, ho detto. sopra, che questa reazione; proviene da, una impurezza dell'etere, e non. da una, trasformazione chimica, dell'etere stesso, ;..> Perciò, ho sottomesso l’etere; ad. una serie. ;di lavature successive ed ho esaminato le acque. di lavatura. nel modo, indicato. Se; la produzione. dell’iodoformio. proveniva, dal-. l’etere stesso, sciolto nell'acqua, allora doveva osservarsi egualmente su tutte le. porzioni: d'acqua, che. avevano, servito, successivamente a. lavare :l’ etere. All'incontro .se la reazione proveniva dalla presenza dell’alcoole, che rende. impuro l’etere., è evidente che. l’alcoole,,; essendo.: molto, più solubile nell’acqua. dell’etere., doveva. passare, per. la maggior parte nelle prime acque agitate.con etere, doveva, diminuire costantemente. di proporzione nelle acque .con- secutive e. finire per. sparire completamente: con lavature continuate. Ed è per tannsato: quel; che .si è, osservato, nell'esperienza. . foxl Agitando. 1 4/, chilog. di etere: con, 200: ci, G.. d’acqua per. volta e, ripetendo quest'operazione, Afiprelta con sempre, RUONI R0D0% ho nericata che il precipitato di LIA scemava, di AA iaia aeUE: dii psn ioni e. non. comparve più nella 19. acqua di lavatura.. Ho potuto dimostrare però la presenza di tracce d'alcoole. ancora, nella, 21..° acqua sottoponendola alla distillazione 569 frazionata: ed esaminando coll’iodo, e colla potassa la prima ‘frazione; acquosa, che, passò, alla distillazione. In ogni modo, resta, dimostrato ‘che. per mezzo. d’ una serie di lavature più o meno lunga, secondo la propor- zione d’alcoole che nell’etere si trova, si arriva finalmente ad. ottenere dell'etere, che non cede più all'acqua nessuna sostanza capace di generare iodoformio coll’iodo e colla potassa. Avverto in quest'occasione che l’alcoole non es- sendo l’unica sostanza capace di produrre iodoformio nelle condizioni dell'esperienza, si potrebbe mettere in dubbio, la sostanza, che contamina l’etere., non essere alcoole ma qualche, altro corpo. Tuttavia la supposizione che sia dell’alcoole mi pare di molto la più. probabile che si possa fare. C'è un altro mezzo ancora per ottenere dell’etere puro. senza ‘ricorrere a tante lavature con acqua. Basta mettere l’etere in. digestione alla temperatura ordinaria con un miscuglio. ossidante di bicromato potassico ed acido sol- forico, come è stato proposto da E. Kopp. Dopo parecchi giorni si distilla l'etere, lo si lava con acqua alcalina e. si esamina: su una piccola parte di esso, se, agitato con acqua’: e saggiata l’acqua con potassa e iodo, dà ancora, luogo ad un precipitato di iodoformio. Nel caso affer- mativo. si ripete.il trattamento una seconda, volta con un, nuovo miscuglio ossidante. L'esempio dell’etere, che perciò ho riportato estesamente, mostra l’applicazione che si può fare della nuova reazione e come essa può condurre.a risultati difficili a prevedersi. Ne, citerò un’altra. applicazione, che. offre. un, interesse. fisiologico e che mi è stata suggerita! dal prof. WoHLER, quando, in, occasione d’una recente: sua; visita a Torino io gli mostrai la predetta reazione. 570 I fisiologi ammettono generalmente, che l’alcoole in- trodotto nell'organismo sotto forma di vino o di altra bevanda spiritosa, vi viene ossidato completamente e che ‘non passa affatto nell’urina nè vi si manifesta indiretta- mente per la presenza d'un prodotto di trasformazione, Or trovato un nuovo mezzo per la ricerca dell’alcoole che sorpassa in quanto a sensibilità tutti quelli finora conosciuti, conveniva ripigliare nuovamente la questione anzidetta. Ho cominciato ad esaminare se la reazione descritta è applicabile per la ricerca dell’alcoole nell’urina. Perciò ho distillato un certo numero di urine di diversi individui ed ho trattato le prime frazioni dei distillati con iodo e po- tassa. Vi si produssero tenui precipitati, i quali all'esame microscopico ‘non presentarono l’aspetto di iodoformio. Poscia ho aggiunta una piccola quantità di alcoole all’urina e distillatala ho trattato la prima frazione nel solito modo con iodo e con potassa. La presenza dell’al- coole si manifestò colla produzione d'un abbondante pre- cipitato di iodoformio. Trovato che ebbi in tale guisa, che le sostanze con- tenute nell’urina non impediscono la reazione dell’alcoole a farsi, - passai ad esaminare nello stesso modo l'urina d’un individuo, che mezz'ora prima aveva bevuto una bottiglia di vino. In questo caso ottenni coll’aggiunta' di iodo e potassa alla prima frazione, che passò alla distil- lazione dell’urina, un abbondante precipitato di iodofor- mio, che ho sottoposto per maggiore sicurezza anche all'esame microscopico. Ancora con una seconda porzione d'urina emessa dallo stesso individuo un’ ora più tardi e con una terza porzione fornita dopo un’altra mezz'ora potei ottenere simili precipitati. 571 Considero come probabilissimo, doversi attribuire la formazione dell’iodoformio in questo caso alla presenza dell’alcoole proveniente dal vino bevuto e di cui una parte sarebbe passata inalterata nell’ urina. Stando a quest'esperienza la questione fisiologica, di cui si tratta, sarebbe decisa in un senso opposto all'opinione gene- ralmente ammessa. Moltiplicherò le esperienze relative onde verificare se il risultato dell'esperienza riferita si confermi sempre. Lo stesso Socio Comm. SeLLA presenta e legge una Memoria del sig. Cav. Giacinto Berruti, Ingegnere delle Miniere, avente per titolo: Intorno agli sforzi trasmessi dalle ruote dentate, Memoria che verrà stampata in una prossima dispensa. di questi Atti Accademici. Il Professore Govi dopo d’aver ricordato all'Accademia le sue sperienze sulle Anomalie del caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore (V. Atti ecc., vol. II, 1867, Disp. 3.*, pag. 225-226 e Disp. 5.°, pag. 455-457), espone alcuni nuovi fatti da esso avvertiti nel proseguire in codeste ricerche, e fra gli altri il convertirsi della contrattilità longitudinale del caoutchouc stirato in dilatabilità assai notevole, quando si oltrepassi un certo limite di tempe- ratura variabile col variar della tensione, il che sembra confermar sempre più la spiegazione da esso data di tali fenomeni. | Aggiugne poi che, essendosi pubblicati in Francia al- cuni studii sul medesimo argomento, egli farà il possibile per compiere e mettere in luce al più presto le varie 372 particolarità delle sue antiche e delle più recenti. indagini su questa specie di paradosse: fisico, per non perdere l’anteriorità delle idee o della: osservazione dei fatti, e per agevolare la via a quei fisici che vorranno occuparsi della stessa materia. n Mostra quindi un semplicissimo congegno atto a spie- gare l’apparente aumento di volume del caoutchouc, e forse di altri corpi elastici ancora, quando vengano sotto- posti a trazioni che li allunghino sensibilmente. Un. tal congegno consiste in una lamina o falda di caoutchoue lunga 0%, 2, e larga 0"; 4 e grossa 0"" 8 all'incirca, stretta fra due specie di morsetti in legno che ne tengono afferrati i due lati paralleli più corti, eosì clie si' possa, tendendo i morsetti stirar la lamina più o meno per istù- diarne le variazioni di forma. La lamina stessa è rigata parallelamente ai suoi lati longitudinali e trasversali con linee, equidistanti. segnate: con inchiostro della China e abbastanza; vicine: le. une alle: altre; ( 5!" circa); Stirando! codesta. falda.si vedono. difformarsi le: linee segnale sovra di. essa mentre si difformano anche i lati longitudinali eda principio rettilinei e. paralleli. della: lamina; Questi .s'in- curvano: notevolmente: al. pari, delle: linee: ad essi parallele; che; più si scostano; dall'asse longitudinale: della: lamina» ei mostrano; per;tali guisa: che la. materia della; falda mentre; allungandosi, tenderebbe a; restringersi ;, ne-viene impedita; dai. morsetti chela serrano; i quali agiscono per tal guisa come forze stiranti del caoutchouc normalmente alla: sua lunghezza. La: lamina. supposta infinitamente. sottile: viene a, crescere! così in superficie e. mostra come un solido nelle, stesse condizioni! debba aumentar di volume, tanto 073 più, quanto sarà maggiore l’azione distendente trasversale degl’incastri o dei ritegni impiegali a stirarlo. Se si chiude fra due morsetti cavi spalmati di gomma lacca fusa o di colla un cilindro di caoutchouc fortemente stirato , piglian- done solo quella porzione che più era lontana dalle sue estremità, si ottiene un solido tale fra i morsetti, che sti- rato nuovamente non muta più sensibilmente il suo volume primitivo. La sperienza si fa in un largo tubo di vetro pieno d’acqua, e comunicante con un tubo capillare, e lo stiramento si opera mediante un peso in ferro che si può trattenere o lasciar libero a volontà col mezzo d’un roc- chetto elettro-dinamico che inviluppa il cilindro di vetro. Lo stesso Professore Govi annuncia per una delle pros- sime tornate il complemento delle sue indagini sull’elet- troforo comunicate in parte all'Accademia il 16 dicembre 1866 (Atti, vol. II, disp. 1.°, pag. 30), e alcune nuove sperienze sulla condensazione dei fluidi che armano î coi- benti, condensazione da lui gia dimostrata pei liquidi nelle sue ricerche di elettrostatica (Atti, vol. I, disp. 3.*, pag. 206-217 e pag. 221-230) e che fin d’allora avea procurato di render sensibile nei corpi aeriformi altrimenti che per l'aumento di luce gaz-radi presso le pareti dei recipienti che li contengono, quando le pareti stesse siano toccate o messe in rapporto col suolo; ma lo avea tratte- nuto la difficoltà d'aver manometri per le minime tensioni da misurarsi. 574 Adunanza del 25 Aprile 1869. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Presidente annunzia nei seguenti termini alla Classe la morte del Comm. Giuseppe Moris, Vice-Presidente del- l'Accademia, e quella del Comm. Antonio BERTOLONI, Accademico nazionale non residente. « Ed anche oggi, Colleghi chiarissimi, io vi ho a parlare di sventure che toccano particolarmente alla nostra Acca- demia, e nella parte più sensibile l’affliggono involandoci due delle illustrazioni della scienza italiana. Sono poche settimane che il preclaro nostro Vice-Pre- sidente Senatore Moris era tra noi e colla consueta sua assiduità e diligenza assisteva ai nostri lavori, ed il 418 di questo mese la tomba s'è chiusa sulla salma di lui, ma non si è chiuso il meritato encomio, come non cesserà il doloroso compianto. Di già un nostro egregio collega, stretto col trapassato d’amicizia come di studi, ha trat- teggiato la lunga e dotta carriera percorsa dal professore Giuseppe Moris, e possiamo credere che quel primo saggio improntato di tanta riverenza ed affetto si verrà trasformando in una distinta e compiuta narrazione tale da prendere posto nella storia dei progressi della scienza botanica in Italia. | Noi però qui oggi ricorderemo soltanto quei pregi ra- rissimi che rendevano il Moris così accetto ad ogni ordine D79 di persone che avesse che fare con lui. Egli era per indole disposto agli studi della natura che valgono a soddisfare un animo pacato, ed a mantenere una costante serenità della mente. Ogni: cosa nel Moris era composta a soavità squisita. Scrupoloso meglio ancora che esatto nell’adem- pimento de’ suoi doveri, sia che le cure dell’insegnamento richiedessero il suo intervento; sia che gli ufizi della di- gnità senatoria ricercassero la sua presenza, egli potevasi assegnare come modello ai funzionari dello Stato, agl’inse- gnanti, agli studiosi. Uno zelo che ardiremmo chiamare soverchio per la scienza, un desiderio vivissimo di condurre a termine l’opera che fu il pensiero della sua vita, la Flora Sardoa, consumarono innanzi tempo le ‘forze fisiche del nostro Collega. A lui non fa conceduto di pubblicare l'ultima parte di quel grande lavoro, la quale però confidiamo non sarà perduta mercè dell'onorevole concorso di quei- che gli furono colleghi ed amici. Ma egli abbastanza fece per raccomandare il suo nome alla posterità e per essere annoverato tra i benemeriti della nostra Accademia. Ter- minerò dicendo che il Moris sent (per valermi delle espressioni di Alessandro di Muwsorpt) l'influenza del mondo fisico sul morale, quella correlazione misteriosa tra il sensibile ed il soprannaturale che danno allo studio della natura contemplata dall'alto, una parlicolarissimu attrattwa non ancora bastantemente apprezzata (4). ]l giorno che precedette quello della morte del Moris fu l’ultimo della vita lunghissima di un altro distintissimo (1) Quadri della natura, Nozioni di una fisiognomica dei vegetali. 576 Socio nazionale non residente di questa Reale Accademia, il Professore Antonio BertoLoNI, che fra i molti lavori di botanica si rese singolarmente commendevole per la com- pilazione estesissima della lora italica ». Il Socio Cav. Genocchi presenta e legge la seguente Memoria del sig. Ingegnere Donato Levi, intitolata: SULLE EVOLVENTI ALLUNGATE 0D ACCORCIATE DELLE LINEE PIANE. Nella pregevole opera intitolata Développements de Géo- métrie descriptive par M. Théodore OLiviER; si tratta di certe linee piane, le quali dall’Autore sono chiamate evolventi di circolo imperfette. Queste linee, le quali hanno una generazione analoga a quella delle evolventi ordinarie di circolo, sono dall’ OLIVIER riguardate come sezioni piane di certe superficie sghembe elicoidali; e siccome coi me- todi della geometria descrittiva si sa costruire il piano tangente a tali superficie in qualsiasi loro punto, ne dedusse egli il modo di costruire la tangente alla evolvente imperfetta di circolo. Ma la risoluzione di tale problema data dall'OLivieR non si può applicare alle linee; generate nello stesso modo sostituendo un’altra linea piana alla circonferenza di cir- colo, poichè non sussisterebbe più in tal caso la proprietà delle superficie sghembe elicoidali che ne è il fondamento. Trattando però direttamente la questione, si giunge ad una risoluzione applicabile a qualsiasi linea piana, e da > 577 questa risoluzione poi sì deduce il modo di costruire il piano tangente alle superficie sghembe elicoidali, analoghe a quelle considerate dall’ OLIvIER. Sia AB (fig. 1) una linea piana, la quale non abbia punti di flesso; una retta PQ si muova in guisa che un suo punto M percorra la linea AB, e si mantenga tan- gente a questa linea; se un punto m si muove sopra PQ in modo che la lunghezza da esso percorsa sopra PQ abbia un rapporto costante » alla lunghezza dell'arco di AB percorso da M, il luogo geometrico delle posizioni di m si dirà evolvente di 48. Questa evolvente dicesi perfetta se r=1, imperfetta nel caso contrario, ed allora sì dice allungata od accorciata secondo che r è maggiore o minore di 1. Le evolventi perfette od imperfette di una linea piana godono della proprietà espressa dal seguente teorema: La normale all’evolvente di una curva in un suo punto qualunque m incontra la normale a questa curva nel punto corrispondente M in un punto C, tale che, es- sendo 0 il centro di curvatura della curva in M, si ha OC OM Per dimostrare questo teorema, osservo che il movi- mento del punto m si può riguardare come composto del moto di rotazione della figura intorno ad 0, e del moto di traslazione della figura stessa nella direzione PQ, in modo che r sia il rapporto delle velocità di M nel secondo e nel primo di questi due movimenti. Le due velocità del punto € nei due movimenti saranno uguali e di direzione contraria, e quindi € sarà il centro di rotazione istantanea, epperò la normale alla linea percorsa da m passerà per C. = 38 578 Se la linea AB si riduce al solo punto 0 (fig. 2), im torno al quale giri la retta AB, in modo che l’angolo da essa descritto e lo spazio percorso da m sulla retta stessa sieno proporzionali, la linea percorsa da m è una spirale d’Archimede avente per polo il punto 0, ed il ragiona- mento precedente prova che la normale in qualsiasi suo punto m incontra la perpendicolare al raggio vettore in 0 in un punto C, tale che 0C sia uguale al rapporto costante fra lo spazio percorso da m sopra AB e l’angolo descritto da questa retta. Il ragionamento precedente dimostra adunque la nota proprietà della spirale d’Archimede di aver la sottonormale costante. Il teorema qui sopra dimostrato serve anche a trovare il raggio di curvatura dell’evolvente imperfetta di una linea qualunque, e quindi la sua evoluta. Considero una circonferenza di circolo (fig. 3). Sia 0 il suo centro e sieno m m' due punti qualunque di una sua evolvente imperfetta ed M M' i punti corrispondenti della circonferenza, e C e C' i punti in cui i raggi OM OM' sono incontrati dalle normali mI m'I' alla evolvente. Poste le notazioni OM=za;) MOMW=0): ‘MCM=p>, mp sì avrà i tang p'— tang es: 0C=0C'=ra., e quindi rò e aiuto a A ang (p PITT ne pia e facendo tendere a 0 l'angolo 6 si avrà __ r cos' g al p_p_ r VI TAR Ora dal triangolo CC°/ si ha hd: cos ( a) see GE sen(d+p—p')" Ma dal triangolo CC'0 si ricava CC'=20Csen 2=2ar sen È 1 Dunque si avrà 2ar cos(p— o)enì = e N — sen(d+P—p') 2 senz i 35008 (e_5) E quindi ancora Osa Ea SANA - cos (p—p') = Ben? Lao arr ai se) È cos (p'— p)— cos o SME TL] > 979 e facendo tendere 6 a 0 per l'eguaglianza (1) sì avrà ar ° ar(1—r) 1_T008°P —d1-r(1+cos'p) 1—-r lim.CI= Questa espressione rappresenta la distanza fra C ed il centro di curvatura dell’evolvente nel punto mm; epperò ad essa aggiungendo mC si avrà il raggio di curvatura dell’evolvente in m. Or se 4 è l'angolo del raggio 0M col raggio che passa per l'origine dell’evolvente , sarà L3 mo= =?) 1—-r — cosp LI Mm=rad e tangp= e quindi si avrà il raggio di curvatura espresso per l'angolo w. La formola esprimente tang prova che, se l’evolvente è imperfetta , nell’origine è tangente alla circonferenza, mentre si sa esserle normale quando è perfetta. Nell’origine si ha lim ci=t0=r) 1-2r epperò se r<3, lim. CI sarà sempre positivo, il raggio di curvatura non cambierà di segno, e l’evolvente non avrà punti di flesso. Se r è compreso fra 5 ed 1, nell’origine lim. CI sarà negativo ed in valor assoluto minore di mC. Pertanto il centro di curvatura nell'origine si troverà sul prolun- samento del raggio, e nell'origine la curva sarà con- vessa verso il centro del circolo. Il raggio di curvatura cambierà segno, e la curva avrà un punto di flesso pel valore di g determinato dall’equazione r(1+cos'p)—1=0 . Se poi fosse r>1 ossia se l’evolvente fosse allungata, lim. CI avrebbe sempre lo stesso segno. Nell’ origine lim. CI53, € cambia di segno }, + - SALO È È : due volte se reg. I valori di g corrispondenti a questi due cambiamenti sono determinati dall’eguaglianza n 581 cosp=z( | ne io ) Se la linea considerata non è una circonferenza, la formola esprimente lim. C/ sussisterà pure, purchè invece di a si sostituisca il raggio di curvatura della stessa linea nel punto che si considera. Considero ora una superficie cilindrica, la quale abbia per direttrice la linea AB ed abbia le generatrici perpen- dicolari al piano di questa linea; sia sopra questa super- ficie descritta un'elica la quale incontri sotto un angolo & le generatrici della superficie cilindrica, e per i punti di questa linea si tirino rette, le quali sieno tangenti alla superficie cilindrica, e facciano colle sue generatrici tutte lo stesso angolo #8. La superficie rigata $, luogo di queste rette, sarà sviluppabile se S#=a, sghemba nel caso contrario. La sezione fatta da un piano parallelo al piano di A nella superficie cilindrica considerata, è una curva eguale ad AB, e la sezione delle stesso piano con $S sarà una sua evolvente perfetta, allungata od accorciata secondochè sarà B=a, B>a ovvero B vi sarà sempre una ed una sola 584 Sr nam e s. posizione di PQ tale che l'angolo MQR sia retto; allora la perpendicolare condotta per € a QR risulta parallela a PQ, e quindi la proiezione del contorno dell'ombra propria di S sarà una linea a rami infiniti, avente per assintoto:la detta posizione della P0Q. Il Soc. Cav. Govi presenta e legge la seguente Nota del sig. Prof. Adolfo LrieBEn. SULL’ EODURO DI BENZILE. Ho dimostrato alcun tempo fa (1), che i cloruri organici subiscono per l’azione dell'acido iodidrico una doppia de- composizione, in virtù della quale si formano gli ioduri corrispondenti e dell’acido cloridrico. Fanno eccezione a questa regola i prodotti clorurati di sostituzione del ben- zole, i quali vengono intaccati dall’acido iodidrico solo a temperatura relativamente elevata, e probabilmente per questa causa forniscono idruri invece di ioduri. In conseguenza poteva prevedersi, che i due toluoli clorurati isomerici, che si conoscono, darebbero sotto l’azione del- l’acido iodidrico risultati essenzialmente differenti. L’uno di essi C°H*C1.CH5, che si potrebbe chiamare benzole metiloclorurato, dovrebbe comportarsi come i benzoli clo- rurati, l’altro il cloruro di benzile C°H°CH?C1 dovrebbe invece mostrar una certa analogia coi cloruri della serie C" H**+:C]. L'esperienza è venuta a confermare la mia previsione. Il benzole metiloclorurato, CÉH4C1.CH3 (toluole clorurato), preparato per l’azione del cloro sul toluole in presenza (1) Sitzungsberichte d. K. Akademie d. Wissenschaften zu Wien, LVII. canali _ Vini 0. 585 dell’iodo, fu chiuso in tubi di vetro insieme a 5 p. di acido iodidrico a 1,96 e poi riscaldato per 32 ore ad una temperatura vicina a 140°. Nell’aprire i tubi scappò un po’ di gaz (probabilmente idrogeno), e potei costatare essere formato lo strato superiore da benzole metiloclo- rurato perfettamente inalterato. Lo strato inferiore, cioè quello dell'acido iodidrico , conteneva bensì un po’ d’ iodo libero (da un principio di scomposizione dell’acido iodi- drico), ma non conteneva traccia di acido cloridrico. Da ciò si vede che la sostanza esaminata si comporta esattamente nello stesso modo come l’ho osservato prima per il benzole clorurato. Mi parve inutile di studiare l’azione dell’acido iodidrico a temperatura più elevata, essendo evidente che potrebbe nascere da tal azione solo del toluole ma non mai un ioduro. L’azione dell’acido iodidrico sul cloruro di benzile in eguali condizioni dà risultati affatto differenti. Una parte di cloruro di benzile, preparato secondo LaurtH e GRrIMAUX per l’azione del cloro sul toluole bollente, fu rinchiusa in tubi di vetro con 5 p. d’acido iodidrico a 1,96 e scal- dato a 120-140° per 8 '/, ore. Già dopo poche ore i due strati liquidi sovrapposti erano tanto intensamente colo- rati, che non si poterono più distinguere. Aperti i tubi e separati i due strati, si potè costatare nello strato in- feriore la presenza dell'acido cloridrico in quantità notevole oltre all’acido iodidrico e all’iodo libero. Lo strato supe- riore fu scolorato per mezzo di acqua alcalina, lavato con acqua, disseccato con cloruro di calcio e sottoposto a . distillazione frazionata. Si notò in occasione delle lavature che esso era più leggiero dell’acqua, mentre il cloruro di benzile è più pesante. Il punto d’ebollizione del liquido si mantenne 586 qualche tempo tra 111° e 120°, si innalzò poi rapidamente a 280° ed al di là di 300°, lasciando ancora un residuo giallastro un po’ viscoso, ma non decomposto. La frazione più volatile era evidentemente del toluole. Oltre di esso ot- tengonsi soltanto prodotti bollenti al di là di 280°, che non si solidificano nemmeno in un miscuglio frigorifico, che si sciolgono nell’alcoole e ne vengono precipitati dall’acqua, ed inoltre si distinguono per una bella fluorescenza. Nelle condizioni suindicate dell'esperienza il cloruro di benzile viene, a quanto pare; completamente scomposto dall’acido iodidrico. Esso si comporta dunque in modo affatto differente dal suo isomero, il benzole metiloclorurato. Or per quanto nell'esperienza descritta non si fosse ot- tenuta traccia d’ioduro di benzile, pure, considerando i risultati prima ottenuti coll’azione dell’acido iodidrico sui cloruri dei radicali alcoolici, non mi parve probabile una trasformazione diretta del cloruro di benzile in idruro. Anzi presunsi, che l’ioduro di benzile si formasse da prodotto intermedio e che subisse alla temperatura del- l’esperienza una ulteriore trasformazione; sperai quindi ottenere l’'ioduro conducendo l’esperienza a temperatura più bassa. Diffatto ben tosto l’esperienza mi mostrò esser facilissimo preparare l’ioduro di benzile. Basta mettere in digestione per qualche tempo il cloruro di benzile con acido iodidrico a temperatura ordinaria ed. agitare il miscuglio spesse volte. Abbandonando per tre settimane alla temperatura ordinaria un miscuglio di 1 p. di clo- ruro di benzile con 5 p. d’acido iodidrico a 1,96 in una boccia a turacciolo smerigliato, che fu conservata al buio e spesso agitata, ottenni la quantità teorica di ioduro di benzile, mentre era sparito completamente il cloruro e’ che non si potè riconoscere la presenza di altro prodotto. TV TRA 587 La reazione è dunque una delle più nette e si esprime colla seguente equazione : C$H°.CH°C1+HI=C°H°CH*.I+HC1. L’ioduro di benzile è un corpo solido cristallino che fonde a 24°1 e resta talvolta liquido per un pezzo anche a temperature inferiori. Nella sua preparazione dal cloruro lo si ottiene dapprima in istato liquido, così che non si produce nessun cambiamento in apparenza. Toccato però con una bacchetta di vetro lo strato liquido superiore, esso si rapprese in una massa cristallina. I due strati furono separati. In quello inferiore formato dall’acido iodidrico potè riconoscersi la presenza dell'acido cloridrico. Per depurare l’ioduro di benzile venne fuso a debole calore e lavato in istato liquido prima con acqua alcalina, poi ripetute volte con acqua pura. Si versò poi _l’olio in una capsula posta sul ghiaccio e rappresosi completamente in una massa cristallina incolore, la si spremè a 0° tra carta sugante. Si possono in seguito fondere i cristalli un’altra volta, filtrar la massa fusa per sbarazzarla delle fibre aderenti della carta e di gocciolette d’acqua e disseccarla completamente con cloruro di calcio. Il prodotto è perfettamente puro, se fu completa la trasformazione del cloruro di benzile in ioduro, e ciò si può sempre ottenere, lasciando agire l’acido iodidrico per un tempo non troppo breve ed agitando spesso il miscuglio durante la preparazione. Se il prodotto non è puro, lo si vede perchè allora non resta tutto solido alla temperatura ordinaria, ma fonde almeno in parte. Anche in tal caso riesce facile procurarsi l’ioduro di ben- zile puro, sia per mezzo della fusione frazionata , sia facendolo cristallizzare nell’alcoole. In quest’ultima ope- 588 razione si approfitta della circostanza, che l’iodure di benzile è assai meno solubile nell’alcoole a 0° di quello che non sia alla temperatura ordinaria. Essendo utile di evitare l’azione del calore per quanto si può, conviene, quando si vuole far cristallizzare l’ioduro nell’alcoole, farne una soluzione concentrata alla temperatura ordinaria, la- sciarlo cristallizzare a 0° e per ricapitare quel che resta sciolto nelle acque madri o svaporarle nel vuoto o pre- cipitarle con acqua. L'ioduro di benzile puro è un corpo solido, bianco cri- stallino, che rapidamente tira sul giallognolo e lentamente arrossisce, specialmente quando viene esposto a delle fusioni ripetute. Î Esso fonde a 24° 1. Scaldato al di là di questa tempe- ratura si colora in rosso e nel momento in cui un movi- mento nel liquido indica un principio d’ebollizione (a 240° all'incirca), si scompone totalmente. Si sviluppano d’un tratto torrenti di acido iodidrico, sublimano cristalli di iodo e distilla un carburo d’idro- geno liquido d’un odore simile al toluole (forse C7H6?), mentre rimane un residuo nero e viscoso. L’ioduro di benzile fuso mostra a 25° un peso specifico di 1. 7335 per rapporto ad acqua della stessa temperatura. La solidificazione è accompagnata da una contrazione notevole. L’ioduro fuso è un liquido molto rifrangente, leggermente giallognolo, che aderisce poco al vetro e si colora più facilmente della sostanza solida. Conviene con- servare la sostanza proteggendola dall’azione della luce per quanto l’arrossimento si produce più facilmente per effetto del calore anzichè della luce. La sostanza arrossita pare fondere ad una temperatura un po’ più bassa della sostanza inalterata. ARL IMERA 589 L’ioduro di benzile è solubile nell’etere, nel solfuro di carbonio, nell’alcoole (poco solubile a 0°), insolubile nell’acqua. La proprietà più caratteristica però dell’ioduro di ben- zile è il suo odore e l’azione potentissima che ha sugli occhi in modo da provocare lagrime, proprietà che pos- siede tanto in istato solido, quanto liquido, quanto pure in soluzioni molto diluite. Quando si filtra la sostanza fusa o la sua soluzione, o quando si staccano i cristalli spremuti dalla carta sugante ecc., senza: prendere pre- cauzioni particolari , gli occhi prorompono in lagrime abbondanti. È notevole però che gli organi respiratori non ne vengono molestati ed il naso stesso non ne soffre molto a meno di inspirarlo a posta. L’ioduro di benzile mostra, come era da aspettarsi, con gran facilità la doppia decomposizione, e quindi si presta molto bene alla preparazione di altri preparati benzilici. Triturato in un mortaio con acetato d’argento ed acido acetico reagisce subito alla temperatura ordi- naria formando ioduro d’argento ed acetato benzilico, che si riconosce facilmente al suo odore gratissimo. Trattando l’ioduro con una soluzione alcoolica d’ammo- niaca, pare che la reazione non si compia subito, almeno puossi distinguere ancora per un pezzo l’odore irritante dell’ioduro di benzile. Dopo qualche tempo si trovano depositate al fondo delle belle laminette incolori di tri- benzilammina, mentre rimangono in soluzione gli iodidrati di benzilammina ecc. Distillando la soluzione alcoolica ed estraendo il residuo con acqua, che scioglie gli iodidrati soli, se ne può recapitare una nuova porzione. Si pote- rono costatare sui cristalli tutte le proprietà caratteri- stiche della tribenzilammina ed in particolare fu trovato il punto di fusione un po’ al disotto di 92°, 590 La formazione e le proprietà della sostanza preparata col cloruro di benzile ed acido iodidrico non lasciano nessun dubbio intorno alla sua natura , cioè che essa sia ioduro di benzile C$H®*CH*I. Le proprietà del toluole iodu- rato, C6H4.I.CH3, recentemente scoperto da HoERNER (1) (la teoria di KekuLÈ ci lascia prevedere l’esistenza di tre tali benzoli metiloiodurati isomerici) sono affatto diffe- renti di quelle dell’ioduro di benzile. Facendo l’analisi dell’ioduro di benzile, la quale con- fermò la formola C?H”I, ho esaminato nello stesso tempo se la trasformazione del cloruro in ioduro era stata com- pleta e se proprio non vi si era formato nessun altro prodotto. Ho già menzionato che la quantità del prodotto ottenuto corrispondeva a quella del cloruro di benzile adoperato. Onde convincermi che non ci fosse nessun altro corpo, nemmeno in piccola proporzione, mescolato coll’ioduro di benzile, ho diviso la sostanza depurata nel modo sopraindicato (senza farla cristallizzare da un solvente) in tre parti per mezzo della fusione frazionata. Queste tre frazioni costituivano dunque la totalità del prodotto. Egli è evidente che in caso della presenza d’un corpo estraneo esso non si troverebbe egualmente ripar- tito nelle tre frazioni ma troverebbesi probabilmente di preferenza nella frazione più fusibile. Or si fece la determinazione dell’iodo nella frazione relativamente meno fusibile A, e per contro la determi- nazione del carbonio ed idrogeno in quella più fusibile C. Osserverò riguardo a queste determinazioni, in quanto al carbonio ed idrogeno, che l’ioduro di benzile appar- tiene alle sostanze di difficile combustione, in quanto all’iodo, che ho messo a profitto per determinarlo la (1) Bulletin de la Soc. chim., N. S. X, p. 468. 59f grande facilità colla quale l’ioduro di benzile si scom- pone totalmente in presenza dei sali d’argento. Frazione A. - 0.3213 gr. della sostanza vennero precipi- tati con una soluzione alcoolica di nitrato d'argento. Per maggior precauzione sì abbandonò il liquido per qualche tempo e lo si scaldò nel bagno-maria. L’ioduro «d’argento fu lavato prima con alcoole, poi con acqua acidulata con acido nitrico. Ottenni 0. 3441 gr. d’ioduro d’argento e 0. 0012 gr. d’argento. Frazione GC. - 0.5812 gr. della sostanza posta in una na- vicella di porcellana e bruciata con ossido di rame ed ossigeno secondo il metodo di Prria davano 0. 8098 gr. d’acido carbonico e 0.174 gr. d’acqua. Quindi si calcola per 100 p. della sostanza Trovato Calcolato nn — rr — A c per C'H'I BOTDORIO . ia} —— 38. 00 38. 53 Idrogeno... ..... ——_ dd SERI 11901 SES IPE ISIN — 58. 26 100. 00 L'accordo delle cifre trovate tra loro e con quelle cal- colate è sufficiente per autorizzare la conchiusione, che tutte le frazioni della sostanza son costituite esclusiva- mente da ioduro di benzile. L’Accademico Segretario Aggiunto A. SoBrERO. m e Da psp nerone padre DI 1° siivong debditva è avrai aloe pers pa pr Di Mobioitrainanertiti vitoonlst Mico - vafalaiplrad AREtp iii cronto lede Ra 0 clawari: sirhori ie seria trio dida Sb ad e tab beludivs alipole Miro ioni Gol Lafa nagad agro, Nn. eric Vail Aioduta di pil di 1 SITO Dia init al2zòday ads allargata 0 dl © ha tanti ‘ibvabilene Uiphitiattostag: P sia Pa: 8008 ug i rane fini Le VE ATO Hirobearonsat a vu 4 usim bad (1 avanti netatsazi reggia Don Sn sfostave tabit coni rds i E dai d Lapo di EL cdl DI da De Maiora di deozito he Trio SOR » Taty] upratadiea i Seta AGIO. 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RITMO di ai È 10 43% saionni Ae2AIO. grazzglott gie POTEIIFOII(NE ‘assiro siagtleari «glia > *98/91 ,&1 PROT Hab.om ot oiaud reco 2008 neotion ir sione i HHOLUO.IO, [RS AIRES AOL E TAMIONI IS ’ dd ofinatasd.] gu < Q102s91019 “loftgia ottenili , 100 SUI Tam 107 pb 133 SUI) IDO 013094 ib ONT! IT cotenilesb sro ir ogm Ugo, sh dig Sd ib Serbo sonole sno bmniezongo cismumene io 0760 sesti isb 0g sc alnisbaottib. odo è test - ‘ te IXZI set no scudi L Pari ì . ® IC ” : : Fi£ i n «07 ) la x i te dog da ; sort 4 cet di ui UE ARI ei i ti ® € LAI 7 sà T_ ne pero 4 afforirì i a aa) f citt lead È s i È | » i) mo . i Y Vi”; erro alo9,1 203 x J Var LI A x . \ ld È I Li - 631 DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO paL 1° marzo aL 30 apriLE 1869 Programma certaminis poetici ab Academia Regia disciplinarum Nederlandica ex legato Hoeufftiano indicti anno MpeccLxIx; 4°. Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; Januar 1869; 8°. Matériaux pour la Carte géologique de la Suisse; sixième livraison: Jura Vaudois et Neuchatelois; par Auguste JaccaRD. Berne, 1869; 1 vol. in 4° avec deux cartes in-folio. Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Marzo‘1869; 8°. Mémoires de la Société des Sciences physiques et naturelles de Bordeaux; tom. VI, ie" cahier. Bordeaux, 1869; 8° gr. Meteorologische Beobachtungen angestellt in Dorpat, im Jahre 1868, redigirt und bearbeitet von D" Arthur von OETTINGEN. Dorpat, 1869; 8°. Nova Acta Academiae Caesareae Leopoldino-Carolinae Germanicae Naturàe Curiosorum; tom. XXXIV. Dresdae, 1868; 1 vol. 4°. Archives du Musée Teyler; vol. II, fasc. 1 et 2. Harlem, 1869; 8° gr. Verhandlungen des naturhistorisch-medizinischen Vereins zu Hei- delberg; Band V, i; 8°. The Quarterly Journal of the Geological Society, n. 97. London; 8°, Donatori R. Accademia delle Scienze di Amsterdam. R. Accademia delle Scienze di Berlino. Commissione geologica di Svizzera (Berna). Società Med.-Chirurgica di Bologna, Soc. delle Scienze fisiche e naturali di Bordeaux. Università Imp, di Dorpat. Accad. Cesarea dei Cur.della Nat, di Dresda. Curatori del Museo Teyler (Harlem). Soc, di Storia nat, e Medicina di Heidelberg, Soc, Geologica di Londra, Osservatorio del R. Collegio di Movcalieri, Società Imper. dei Naturalisti di Mosca, Società Reale di Napoli. Id, R.Istituto tecnico di Palermo, Soc. Filematica di Parigi, Soc. di Geografia di Parigi. Commiss. Imp. Archeologica di Pietroborgo. Soc. perla bibliot. popolare di Racconigi. R. Acc. di Medic. di Torino. Municipio di Torino. R. Istituto Ven. (Venezia). Accademia Imp. delle Scienze di Vienna, Id. Id. 632 Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del R. Coll, Carro ALBERTO in Moncalieri; vol. IV, n. 2; 4°. Bulletin de la Société Impériale des Naturalistes de Moscou; année 1868, n. 2. Moscou; 8° Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; gennaio e febbraio 1869; 4°. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’ Accademia di Scienze morali e politiche; luglio-dicembre 1868. Napoli; 8°. Giornale di Scienze naturali ed economiche pubblicato per cura del Consiglio di Perfezionamento, annesso al R. Istituto tecnico di Palermo; anno 1868; vol. IV. Palermo, 1868; 1 vol. 4°. Bulletin de la Société Philomatique de Paris; octobre-décembre 1868; 80. ; Bulletin de la Société de Géographie; février 1868; 8°. Compte-rendu de ia Commission Impériale Archéologique pour les années 1865 et 1866. St-Pétersbourg, 1866-67; 4° avec atlas in-fol. Bullettino della Società per la biblioteca popolare di Racconigi > anno primo. Torino, 1869; 16°. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1869, n. 6, 7; 8°. Città di Torino. Bollettino Medico-Statistico, compilato dall’ Uffizio d’igiene; gennaio 1869; 40. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; Serie terza, tom. XIV, disp. 42. Venezia, 1868-69; 8°. Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften; Math.-Natarw. Classe; erste Abth.j LVII Band, 4, 5 Heft.;- zweite Abth., LVII Band, 4, 5 Meft.; LVII Band, 1 Heft. Wien, 1868; 8°. Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften ; Philos.-Hist. Classe, LIX Band. Wien, 1868; 1 vol. 8°. Archiv fur osterreichische Geschichte; XL Band, 1 Halfte. Wien, 1868; 8°. 633 Fontes rerum Austriacarum; zweite Abth. Diplomataria et Acta, XXVIII Band, 11 Theil. Wien, 1868; 8°. Jahrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt; Jahrgang 1868, n. 4j October-december. Wien; 8° gr. Verbandlungen der K. K. Geologischen Reichsanstalt, n. 14, 1868; 8° gr. Annual report of the Commissioner of Patents, for the years 1865- 1866. Washington, 1867; 6 vol. 8°. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche; pubblicato da B. Boncompagni; tomo I, novembre 1868. Roma; 49, Cartulaivre de l’Abbaye Notre-Dame de Léoncel etc.; — Cartulaire .municipal de la ville de Montélimar ete.j; publiés par VAbbé6 Ulysse CHEVALIER (Prospectus); 8°. Note sur la publication des OEuvres de St-Avit; par l’Abbé CHEVALIER. Vienne, 1869; 8°. Scriptores rerum germanicarum recudi fecit G. H. PERTZ (20 vol, 8°); Compte-rendu par l’Abbé Ulysse CHevaLIER ; 8°. Histoire de la réunion du Dauphiné à la France; par J. J. GUIFFREY; Compte-rendu par l’Abbé Ulysse CHEVALIER; 8°. Gallia Christiana, tom. XVI; Compte-rendu par l’Abbé C. U. J. CHEVALIER; 8°. Inventaire des Archives des Dauphins à $'-André de Grenoble en 1277; publié etc. par l’Abbé C. U. J. CaevaLIER. Paris, 1869; 8°. Etudes sur le métamorphisme des roches; par DELESSE. Paris, 1869; 8°. lievue de Géologie pour les années 1866 et 1867; par MM. DELESSE el DE LAPPARENT; VI. Paris, 1869; L vol. 8°. Pane di Liebig e sua fabbricazione; Rapporto letto all'Accademia Fisio-Medico-Statistica dal Dott. Ferdinando GaroroLETTI, Mi- lano, 1869; 8°, Accademia Imp. delle Scienze di Vienna, Società Geolog. di Vienna, Id, Commissione delle Patenti ( Washington). Sig. Principe Boncompagni. L’ Autore. L'A. Gli Autori, L'Autore, L'Autore, L'A. L'A, L'A. L'Editore. L’ Autore. Signori Spangs ed ELLis, L'Autore. L'A. Sig. Prof. ZLANTEDESCHI. 634 3 Treatises on light, colour, electricity and Magnetisme by J. F. JENCKEN, translated by Henry D. JENCKEN. London, 1869; t'vol. 8°. Vincentii LanrRancHI de litteris Subalpinorum oratio, etc. Augustae Taurinorum, 1869; 8°. : Gli uffizi finanziari e la circoscrizione delle Provincie; Osservazioni dell'Avv. Giovanni LEoNARDI. Catania, 1868; 8°. Sulla possibilità ed utilità di una ferrovia intorno il promontorio Gar- ganico; Antonio M. LomBarpi agli abitanti del Gargano. Foggia, 1869; 8° gr. ì T. Livii ab urbe condita lib. III-VI quae supersunt in Codice re- scripto Veronensi descripsit et edidit Th. Mommsen. Berolini, 1868; 1 vol. 4°. Osservazioni meteorologiche fatte in Alessandria nella Specola del - Seminario, 1868, dal Cav. Pietro PARNISETTI. Alessandria, 1869; 8°. Explication et restitution d’une inscription en vers grecs consacrée au dieu Mithras etc. par J. P. RossiGnoL. Paris, 1868; 8°. Archivio giuridico, diretto da Filippo SERAFINI. Vol. II, fase. 2. Catalogo delle monete dei Reali di Savoia che fanno seguito al ca- talogo delle monete antiche del Medagliere Spano (del Canonico G. Spano). Cagliari, 1869; 8°. Memoir of Jared SPARKS, by George E. ELLIS. Cambridge, 1869; 4°. Orographie der Schweizeralpen; von Prof. B. STODER} 8°. Incertezze della livellazione barometrica e geodetica ; Nota del Prof. Francesco ZANTEDESCRI. Brescia, 1865; 89. Intorno al Magnetismo trasversale alla direzione della corrente elet- trica; esperimenti dei Prof. Fr. ZAnteDEScHI ed Emilio VILLARI. Padova, 1869; 8°. AIDIC Asso IV APRILE 1869 i BOLLETTINO METEOROLOGICO Zoe DELL'OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO ——_—__MNNN RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI FATTE NEL MESE DI APRILE. Il valor medio della pressione atmosferica nel mese di Aprile 37,07, è assai prossimo alla media del triennio 1866-67-68. I valori estremi della pressione atmosferica corrispondenti alle varie oscillazioni sono i seguenti : Giorni del mese. Massimi. (ilorni del mese Minimi. 2 aio Bio BOOT rara (atea ateo 25,0 et RR 44,9 La IO) Ate 39,2 ARI rare 47,2 NBA 19,4 Lote sio 0.090 40,2 QI 36,4 least. bo 6,1 FOR arene 31,2 La media delle temperature ricavate dalle sei osservazioni giornaliere +14,0, è di 1,2 superiore alla media di Aprile dell’anno scorso. Le medie delle temperature estreme giornaliere + 8,5 e +18,7 sono pure superiori a quelle dell'Aprile dell’anno scorso, poco differenti da quelle d'Aprile 1867. temperature estreme furono -+-1,3 nel giorno 4 e + 24,2 nel giorno 30. La massima differenza fra la temperatura Le massima e minima diurna fu di 43°,9 ed ebbe luogo il giorno 19, e la minima differenza fu di 4°,2 ed ebbe luogo il giorno 17. Le medie della tensione del vapore e dell’umidità relativa sono 6,89 e 60. Si ebbe pioggia in 9 giorni e l'acqua raccolta nel pluviometro raggiunse l’altezza di mm. 53,0. Si ebbe un temporale il giorno 25 con poca grandine. Verso le 6 pom. di questo giorno cadde il fulmine a poca distanza dall'Osservatorio. La tavola seguente dà per questo mese il numero delle volte che spirò il vento in ciascuna direzione. N: NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSO SO 0S0 O ONO NO NNO VET a DIA ES I 5 E 281 0 (6: ee DINA NOTAZIONI ED AVVERTENZE. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 un po’ forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. nr nebbia rara; nò nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all’orizzonte. PI pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pl pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; br brina; rg rugiada. Le osservazioni sono fatte a tempo vero locale. Le altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. e ì p ° Le temperature minima e massima, e l’altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. ) A = o: Ì , a parola direzione designa il luogo dove il vento va; se sì vuol sapere donde viene bisogna aggiungere o togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. fe I Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. APRILE SE. a ROAD pa i Temperatura esterna al Nord Tensione del Vapore Umidità relativi alla temperatura di.0 gradi ni SE E ML ATA IN GRADI CENTESIMALI IN MILLIMETRI Tictagn | MESE L dr f i I : È Ù I g da 6 ai i anlim ftt fasci ta; TI) goa sullo olloe Moria: poni pom. DI minima | massima GT antim. ica pom. Dora ant. do tom to con 1 | 308] 31,3|315]|31,8| 327335 21 3;1 5A 7, 5,9 4,7 13 79 | 517) 522| 530) 513] 588 03 [81 | Gs er’ 2 [312|912/3h7|317|324 a5l sol gol tor] 990] 74] (341 114] 527] 546] 490] 475) 5,30 84 |58|50/61|x RZ 37| col 9g | 184) 134 95] (27) 143] 599) 594] 558! 520] 377 85 |64|48|33/xgl ‘74 el e al oe| o4| 84] 85] 61] 37 106] 547) 5,31) 446) 486) 474 n {52 |61|59|m ST PEER UR, s3l se| os 98| 90] 78] ‘45 108) 489] 5,18] 5,28] 484] 496 78 |73 54/5907 sì Go | 424430] 43,1] 428] 430] 43; sT| 72| 149) 137] 141 | 147 3,3 | 157 | 5yS| 6,18) 5,66] 5,39) 5,39 81 |53| 45/4515 É 7 44,9 | 43,9.) 43,1] 482] 41,5] 418 7,8 9,8 13,8 16,1 16,3 13,1 7,0 17,3 5,62) 6,03| 476| 495] 5,66 72 67 |40|33| [x DI 8 | 41,1| 41,4] 41,0] 40,0] 40,0| 40,3 77) 108 15,5 | 182 18,1 14,3 6,9 19,3 | 6,09) 6,50] 5,90) 6,31] 7,18| 7,92] 77 | 67/45 41/49] 9 40,1 | 40,4| 39,9] 39,3] 39,2| 39,9 10,0 12,6 16,7 19,4 19,8 16,1 9,5 20,5 7,16] 7,59) 8,65) 7,40/ 7,16] 8,034 79| 70 | 61 | 45/42/59 10 |aym|agz|427|419| 420428] 96] 186 | 159 | 180) 198] 126/98 195 | 810 7,89) 8,13] 8,05 873] 92|83|s9|53|0|a il 44,8] 44,7 | 44,2] 43,7] 44,0| 45,1 13,5 15,6 18,9 2231 19,1 16,8 11,6 22,8 9,29 8,87) 6,77 12 [63] 47,2] 47,0] 46,3] 46,5 47,1] 126] 15,7 186| 217 | 20,6] 476 | 14,2] 228.| 6,64 776) 6,68 29 | 49|35| 40/57 e) 13 | 47,2] 47,0] 46,0] 44,6| 44,1 443 129| 161 1919,ì 227) 229 487 12,1 234 | 7A T41| 6,48 2|42|31]|322|56 6 1A 13,8) 13,3) A2A| 41,0] 40,5| 404] 135) 163 20,5] 22/6 2 18,3 127 i 229.| 7,78 7,393) 0,98 60 | 41|28]|33|36 é n] 39,3 | 39,2) 38,3] 38,0] 37,6| 37,0] 12,9 15,5 18,6 15,3 11,9 11,9 194 | 6,58 5, 7,49 52 | 37|60|72|7# z 16 | 33,1] 324] 313] 28,8] 268] 25,81) 108] 130 15,7 | 165 {1,4 10,0 17,2) 6,74 6,46| 6,40 65 | 49 |47|63/6; £| 17 |230|235/241 234] 23,1] 233 9A 9,5 | 10,4 11,5 10,4 8,8 13,0 | 7,29 5,91} 6,61 84 | 64| 607|52|/M 2 18 | 19,7] 194|198|21,1| 220] 234 6,3 94 14,6 14,7 11,8 5,5 15,4 | 6,08 5,09| 4,06 75 | 41|34|35/5l 19 276|28,2| 291] 29,2| 30,7] 34,4 79 13,9 18,2 20,9 13,8 7,1 21,0. | 5:97 4,81| 3,07 19 | 31 | 17] 30|59 20 | 37,6] 38,2] 380] 37,6] 37,9] 9861 d104| 124 {52 | 166| 149) 135) 104 sr 6,27) 6,71 70 | 49|49|60|07 2 38,2] 38,5] 38,1] 37,1] 37,5] 38,6 9A 129 17,1 18,2 17,8 39,3] 388] 37,5 37,5] 984 971 135 17,0 20,1 20,6 14,3 84 | 194 | 7,23) 7.1) 616) 5,56| 7,18) 7,86j S10|61|43|36 17, 23 | 398|40,2|39,8|383] 387/997] dqo4f fta6f 174] 190 198 | 16, 1 1 1 9,2 | 214 | 740) 6,63) 7A7| 6,13) 6,27) G91| S4|07|50|35|36/46 6,4 9,9 | 20,6 | 7,56| 7,48) 7,67] 7,26) 8,62) 830/81 |6l|o2|44|5 TA | Ali | 248] 802] 906] 887) 905) 941|10,08| 72/69 |54|4 25 | 381|382|37,5|36,3| 361369) d41| 165) 192| 216| 206 6,8 | 13,0 | 22,3 | 951] 1045) 9,86) 8,58 1 26 |/984|396| 40,2] 402/400|403/ 112] i04.| HA | 126] isa | 1156) 98 | 168] Sil 881) 905) ssi) 918) 931]92|96|91|80/9/% 27 | 41,7] 428|430|426| 424|437| di1| 195 | 160) 166) 168 | 133 08 | 172] 856] od6) 828) ‘728] 753] s4sfs7|so|62|% 7 28 | 43,6|494| 42,5] 410] 40,6 40,7) d24/ 148 | 163] 194 192) 459] 108| 210] 844) 651) 804) 7,27 758| 803|76|5e|50|4 29 |39,9/39,9|390|37,3| 364/965] 159) 151 | 188 | 2156) 226) 182) 108| 231] sia) spo) 700) 4,83 5,9) 708/7861 |13|25|9|#] 90, |(347134,2|\33,3]31,9](31,2] 358] 125] 159] 201 | 2260) 239) 180] sa7 | 42] 705) 765] 71 5,7 8,26 8,15 62 | 56 | 41 | 26] 38 sil 24 |387|388|982/37,41 373] 9876) 137) 158] 193] 214) 210 Terza Decade ————WISeeEr_ _ _—=-<=«€è@o.@àòe SS ZZZ Lo] ti CS) Cal 1° Decade| 36,2 | 36,7| 36,7 | 36,2| 36,6| 37,4 58 80 | dI4 | 194 | 124 | 10,6 5,1 147, | 5,86) 623) 5,84| 5e4l 576) 681 s5|s0|59|50|52|W 2° Decade] 36,3 | 36,3| 36,0| 35,5 5* Decade] 39,2 Mese, 35,4| 36,0] 110 13,7 17,1 18,5 17,3 14,4 10,1 19,5 7,12] 7,42] 6,67] 5,98] 6,61] 7,41f 73| 64 |46 ; Sit ; È 2 5 DI = 39,9 | 39,0|38,0|37,8|384| di5 | 143] 173] 193) do&| 159 | 104 | cos] sof sil zo) 607] 785) saalofo7|55|41/50]® 3 37,2(37,5| 97,2] 26,6] 366/373f 9 | 190| 153 | 471 16,4 13,6 85 | 187] 7,02] 7,25| 6,771 620) 6,74] 735 45 | 30|® er" 1 te sità relativa Azimut Altezza dell'Acqua Giorni ECCni si Quantità di cielo coperto IN MILLIMETRI della direzione del Vento Stato atmosferico IN GRADI SESSAGESIMALI IRRDEULMI ‘| caduta | evaporata G | 9 9 42 3 Ù 12 6 9 È 3 6 9 pom.|pom. antim.\merid.| pom, m. È) mer, antimerid. | antimerid. pomerid.| pomerid. | pomerid. 2 320| 50| 75 9 nb, pq m 205 | 175 | 120 10 U smr 9 J 1 230 3 D) e 40 180 79 rima Decade rs, nr st, nr sm nr lisi nr S + = Ss, nr sr, nr |rsm,nr (2) ms, NI sm, m mms, nr mr ms, no ms, nr m nr î m nr m ofololofoglofotolfotofotolotota socia mr, nr Ti sT è msr m, PI sm, no sm CORSI © 4 D î bi È 6 : s A ta bi bi ue oo - O Sd (No. rsm sm sm 19 — co m, nr p Terza Decade VAZIONIEI e 18 N antimerid, E dl; 0 A I] 8 pomerid, J i ) |A, fi © Li 3 pomerid, 7,0 i, | È Ù : q . 4 70 so 30 DIAGRAMMI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE APRILE 1869 26| 27 PR 0/50) 21 IG MEI | Linea dell'umidità relativa | 90 ce 9 | 10] 11| 12|15|14 donato 15 | 16 | 17 | 18 = 26 | 27 | AZIO Tanino 3031 BREST REA Mer STAT te, Mag parere sr mu PISGLASSE: DI SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE ac Maggio 1869. N) ' 7,9 VAUITAN A ce rt) lor HI OMETTO Vitconi di Ù toi) dont 2007 iii oleole Pi “di ” ta ni RIOT sb tar. 19 È vroagi LEV AI $) A (Ri; egli \ LI (LT NT gti sad, disci à Uta ge LE | 4 si di DATI bd È FATA, sett nr ’ UOMO IIMERRE SSD BIOL A giiab AI si tf cesti RE did ‘atani DE {6 L: Pete 3 del ds: MNTIVICA, siiob sro 637 CLASSE DI SCIENZE FISICHE E° MATEMATICHE Adunanza del 9 Maggio 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Prof. Govi, per incarico avutone dal Prof. GeNoccHi (costretto ad assentarsi per dolorose circostanze di famiglia), presenta un nuovo fascicolo del Lullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche ( Dicembre 1868), pubblicato a Roma dal Principe Boncompagni. Contiene questo fascicolo la continuazione della storia e dell’analisi dell'opuscolo di Pierre PELERIN pe MaRICOURT sulla proprietà della Calamita: storia e analisi intrapresa e condotta a termine con rara erudizione dal P. Timoteo BerteLLi. Compie il fascicolo un copiosissimo elenco di recenti pubblicazioni concernenti le matematiche. Il Prin- cipe Boncompagni ha arricchito il lavoro del P. BERTELLI d'interessantissime note bibliografiche, fra le quali me- ritano una menzione speciale quella sulle due opere del Carpano : Pratica Arithmetice et mensurandi singularis , Milano, 1539, in-8° piccolo; e De Subtilitate, Norim- berga, 1550, in-fol. Lo stesso Principe Boncompagni 638 dimostra in un’altra sua Nota che il Globo Arabo-Cufico del Museo Borgia di Velletri, descritto dall’Assemani nella sua opera intitolata: Globus coelestis Cufico-Arabicus ete., Patavii, 1790, trovasi ora nel Museo Reale di Napoli, ciò che egli ritiene non essere stato avvertito chiaramente in alcuno. Il Socio Sosrero legge la seguente Nota: DI UN NUOVO COMBUSTIBILE FOSSILE ITALIANO ANALIZZATO DAL PROFESSORE VALERICO CAUDA Tra le questioni che da parecchi anni più vivamente preoccupano e naturalisti e chimici e manifattori e spe- culatori in Italia, quella dei combustibili tiene senza fallo il posto più eminente. Ad ogni istante e da ogni parte sorgono voci di lamento che deplorano l’ingente somma di danaro che siamo costretti a mandare in tributo alla Francia ed all’Inghilterra per procurarci litantrace e coke, imperiosamente richiesti dalle nostre officine, alle quali vanno sempre più mancando il legno ed il carbone vege- tale, ed alle cui esigenze troppo scarsamente vengono in soccorso le ligniti, i legni fossili e le torbe, che qua e là sì rinvengono nel nostro suolo. E per verità i nostri combustibili indigeni, o poveri si mostrano di potere calorifico, o mancano di quelle qualità che si richieggono per alcune speciali applicazioni, © si rinvengono in troppo scarsa quantità, perchè sovr’ essi possano fare assegnamento le molte arti che sorsero e sì svolsero nel nostro paese. 639 Quindi è che sempre viene accolto come una. buona novella l’annunzio della scoperta di un nuovo combu- stibile, tanto più quando le sue qualità gli assicurino un posto accanto a quelli dei quali siamo costretti a fare incetta in lontane regioni, e diano fondamento a sperare che se ne ottengano buoni risultamenti nelle pratiche applicazioni. E questa è la ragione che mi dà animo a dirvi poche parole di un combustibile fossile di cui è recentissima la conoscenza, e che senza esitazione puossi dire il migliore che il suolo italiano rinchiuda nelle sue viscere, lasciando addietro a sè tutti quelli che finora si scopersero. Al quale effetto io non farò che riassumere i dati anali- tici che si ottennero dall’ottimo mio Collega Prof. Valerico Caupa, a cui da 7 anni fu dal Governo affidato l’incarico di eseguire le analisi dei minerali richieste dalla Direzione delle miniere, o dai privati: nel quale ufficio egli sempre si adoperò con zelo indefesso, e con quella scrupolosa esattezza che è dote principalissima di chi attende a lavori analitici. E mi è grato in questa occasione il dirvi, ono- revoli Colleghi, che prima del finire di questo anno acca- demico io spero di potervi presentare un quadro di tutte o quasi tutte le analisi che per sua cura, o sotto la sua direzione si eseguirono dacchè è stabilita la scuola di applicazione del Valentino; lavoro che mentre attesterà l’operosità del mio Collega, servirà di utile guida agli studiosi delle nostre produzioni minerarie, ed a coloro che intendono farne applicazioni. Il combustibile di cui è questione proviene dal comune di Borgotaro nella provincia di Parma. Esso è di colore nero lucente: ha frattura scagliosa, in alcuni luoghi concoidea - colla triturazione dà una’ 640 polvere bruniccia. La sua densità risultante da una media di tre determinazioni concordanti è =1,432, l'acqua essendo a +15°. Scaldato a +100°, esso non perde che piccolissima parte del suo peso per acqua igroscopica che si svapora (0,875 °/,). L'essiccarsi non vi produce sfaldamento. Se un pezzetto di questo combustibile afferrato con una sottile pinzetta si pone entro la fiamma di una lampada a spirito di vino, esso, senza screpolarsi o scoppiettare (come fanno per lo più i nostri combustibili fossili) si rammollisce , si fonde, si rigonfia, ed arde con lunga fiamma bianca luminosa accompagnata da un po’ di fumo. Ridotto in polvere grossa e scaldato in crogiuolo chiuso, questo combustibile perde una parte del suo peso per estricamento di prodotti volatili, e lascia un residuo car- bone o coke di colore nero bigio, spugnoso, voluminoso. L’analisi immediata diede i seguenti risultamenti, in 100 parti: fiigliolio.lcene cina lite 56,272 CENE ina eva li sian 6,304 Materie volatili combustibili. ...-......... 36,549 AcQUA igroscopica iz: se stona 0,875 100,000 . Una speciale operazione analitica diretta alla determina- zione della quantità di solfo contenuta in questo combu- stibile, dimostrò che in 100 parti esso non ha che 0,397 di tale pernicioso -elemento. La determinazione del potere calorifico si eseguì col me- todo di BartHER. 1 gr. di questo combustibile ridusse dal puro litargirio gr. 27,023 di piombo: onde, ammettendo che ogni gramma di piombo ridotto rappresenti calorie 226,5, 641 il combustibile in questione avrebbe 6120,7 calorie, delle quali 4399,78 appartenenti al carbonio fisso, e 1720,92 alle materie volatili che esso fornisce scomponendosi pel calore. Sottoposto questo combustibile a distillazione secca entro storta di ferraccio, con annesso apparecchio con- densatore e raccoglitore dei prodotti gasosi, si comportò a modo dei litantraci grassi; 100 gr. di combustibile die- dero 181,3 di gaz: nel pallone condensatore si raccolsero abbondanti prodotti bituminosi ed oleosi, ed acqua con- tenente ammoniaca e solfidrato d'ammoniaca. I gaz lavati con soluzione alcalina perdettero 3 litri del loro volume (acidi carbonico e solfidrico). I litri 178 residui ardevano con fiamma bianca luminosa, simile a quella del gas illuminante del litantrace. Una determinazione molto im- perfetta del potere luminoso di questi prodotti gasosi avrebbe dimostrato che la loro fiamma uscente da un becco sottile, e ridotta al volume di una fiamma di comune candela d’acido stearico, sta a questa, quanto a forza illuminante, come 1:3. La nostra scuola non possiede apparecchi coi quali sì possa acconciamente istituire un così fatto genere di ricerche, con imitare in piccolo ciò che fassi nelle offi- cine a gas: onde è possibile che se si fosse eseguita la distillazione secca in più convenienti strumenti, e con migliore applicazione del calore, scemata la proporzione dei prodotti bituminosi, il volume dei gas sarebbe riuscito maggiore, e maggiore altresì si sarebbe trovato il loro potere luminoso. Sta tuttavia, che tutti gli altri com- bustibili indigeni fossili che finora si esaminarono , cimentati allo stesso modo, diedero minor copia di gas, e che ardevano con fiamma più cerulea che bianca e pochissimo luminosa. 642 Questo combustibile pertanto si presenta con un com- plesso di caratteri, che, come dicevamo in principio, lo pongono in cima a tutti gli altri che finora si scopersero nel nostro paese; sicchè se la provenienza ne fosse igno- rata, lo si potrebbe battezzare col nome di un buon litantrace grasso. Lo commendano la piccola proporzione d’acqua igro- scopica; la tenue quantità di ceneri che esso fornisce per compiuta combustione (1) e l’essere pochissimo solforato ; il non screpolarsi pel riscaldamento ; la notevole ric- chezza in carbonio fisso; la natura del coke che se ne ricava; il volume considerevole dei gas che esso fornisce; ed il potere illuminante di questi; e finalmente il potere calorifico rappresentato da gr. 27,023 di piombo. Riandando le molte analisi di litantraci di Francia con- segnati da BertHIER nel suo Trattato dei saggi per via secca, e le ancor più numerose analisi dei litantraci di Scozia, di Inghilterra ecc. eseguite dai signori PLavPER e De LA BècHE troviamo risultamenti, tra le cui massime e minime vengono a colloèarsi quelli che emergono dalla presente analisi. In molti degli accennati litantraci si trovarono e maggior copia di ceneri e di solfo, e minor ricchezza in carbonio ed in potere calorifico. Non v'ha dubbio che il combustibile di cui si è fin (1) Un'analisi qualitativa di queste ceneri vi dimostrò i seguenti componenti: Sesquiossido di ferro; Calce caustica e carbonata; Carbonato di magnesia; Solfato di calce; Solfato di magnesia; Silice; Allumina. 643 qui ragionato non debba considerarsi come ottimo, capace di impiegarsi nei forni a riverbero, nel riscaldamento delle caldaie a vapore; potrebbe servire a produrre coke, e forse gas illuminante: senza fallo, perchè capace di fondersi pel calore, esso si presterebbe in eccellente maniera alla preparazione dei combustibili agglomerati, in mescolanza con polviscoli di lignite, di carbone vege- tale, di coke, servendo in questo caso di cemento che li agglutini e li leghi in una massa coerente. E queste saranno le sole conclusioni che come essen- zialmente pratiche io trarrò dalla surriferita analisi. La questione del nome che darsi debba a questo com- bustibile, se cioè sia da porsi fra le ligniti o fra i litan- traci, parmi oziosa. Io lo chiamerei un carbone fossile a coke rigonfiato (a coke boursoufflé, Dumas). I nostri Gol- leghi, cultori esimii della geologia , sapranno meglio che altri determinare l’epoca geologica a cui il presente combustibile appartiene: e se esso giace nei terreni che finora non ci diedero che le ligniti, essi sapranno pur dirci per quali speciali condizioni di influenze telluriche questo da quelle tanto si mostri diverso. I Geologi ancora e gli Ingegneri delle miniere potranno pur dirci quanto del presente combustibile la natura ci abbia largito, e se della sua scoperta l’industria nostra debba veramente rallegrarsi come di un nuovo ed effi- cace sussidio. Il Socio DeLPONTE comincia la lettura di un suo lavoro botanico intitolato : Specimen Desmidiacearum subalpinarum ; lettura che verrà continuata nella prossima adunanza. Adunanza deli 30 Maggio 1869. PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS ti Il Socio DeLPonTE continua e termina la lettura del suo Saggio intorno alle Desmidiacee del lago di Candia in Piemonte. La Memoria è approvata per la stampa nei Vo- lumi accademici, e nella prossima dispensa di questi Atti si pubblicherà un sunto del lavoro, redatto dall’Autore. L’ Accademico Segretario Aggiunto A. SogrERo. —=<— CLASSE SCIENZE MORALI, STORICIIE E FILOLOGICHE Maggio 1869. ù; “Soa ia pred cesti è ina Veatiti ii? ot Di si { n i tb dol Hit ig vidi dui ital. dop va MIMIOTAUTE porone VAPAROR 14 DI sli bit Pi pa 11 ‘ " Nada 4 vent si : È sl È + LO 44 vie wii È è CA hi : LA ’ $ ‘ [ a P UO $ T ISSEEIOt i LEI IR N x i < n î - CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 2 Maggio 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Prof. GuringneLLo prosegue la lettura del suo lavoro sulla Trasformazione della specie. Ecco il sunto del brano da lui letto. Nè più valevole è l'argomento dedotto dagli animali anfibi, o riunenti in uno stesso organismo forme e fazioni di diverso tipo; quasichè dal digradare ed ingradare de’vari tipi specifici nella serie animale, si chiarissero riducibili ad unità di composizione e di tipo, e per ciò stesso de- ducibili da una medesima forma primordiale. E per verità quest’unità di composizione e di tipo, non meno ipotetica . che la derivazione di ogni tipica varietà da una sola primitiva e semplicissima forma è smentita, anzichè com- ‘provata, dall’esistenza degli anfibi, o di forme corrispon- denti a diverso tipo e riunite in uno stesso individuo, sic- come quelle che non essendo meno stabili, o più permute- voli e transitorie delle altre, provano anzi l'impossibilità di quel sognato continuo od interpolato specifico svolgimento 648 e trapasso (1); il quale, ove fosse possibile, non potrebbe es- sere limitato a questa od a quella parte dell’organismo, ma, attesa la loro correlazione, a tutte si dovrebbe estendere, e compiersi in tutte simultaneamente (2). Di che, scambio di trovarsi riunite in uno stesso organismo forme perfette di diverso tipo, non si dovrebbero incontrare che forme imperfette, difettive, manchevoli, o mancate, le quali, sco- statesi dall’uno per accostarsi all’altro tipo, giunte a mezza via e divenute neutrali, non che trasmissibili e perfezio- nabili, dovrebbero riescire impossibili, perchè nemmeno vitali. E così l’ornitorinco, ad esempio, caso che mai fosse stato per l’addietro un quissimile dell’anitra od aspirasse a ciò diventare, o non avrebbe, smarrita ogni altra cognata forma, senza pure un vestigio delle avite penne, conservato incolume il solo becco; ovvero sovr' esso modellatosi bel- lamente l’ereditario grugno senza perdere o cangiare un solo pelo durante, e, segnatamente a mezzo quel lungo lavoro di trasformazione, quando cioè semisvolto (pove- rino !) non avea più o non ancora, nè un buon becco, nè un bel muso, sì solo un resticciuolo dell'uno ed un rudimento dell’altro, non avrebbe potuto a meno di riuscire spelacchiato del pari che spiumato, perduti per inedia e piuma e pelo. Lo stesso è a dirsi degli anfibi, .i quali, ove fossero ‘in via di diventare, per naturale o libera elezione, gli uni animali esclusivamente acquatici, gli altri terrestri, prima di riuscire acconci e condizionati ad una sola stanza, diverrebbero inetti ad amendue. Che se l'organismo degli (1) Vedi Sorignet, op. cit., pag. 314-324, 318, 323-324; Maupied, op. cit., pag. 460-461, 479. Fée, op. cit., pag. 43-45, 47-49. (2) Cf. Darwin, op. cit., ch. V, pag. 161; Bell, op. cit., pag. 113. 649 animali anfibi o riunenti forme di diverso tipo è siffatta- mente accomodato alla rispettiva loro stanza e condizione da essere evidente il danno anzichè il guadagno di una ‘più o meno graduata successiva specifica trasformazione (1); resta per ciò solo dimostrata di questa l’insussistenza. Sì perchè l’elezione naturale, condizione della specifica trasformazione, non è applicabile che alle vantaggiose e profittevoli varietà (2). Sì perchè, se le specie attuali, pre- sunte trasformate, lo furono appunto perchè non avreb- bero potuto durare e vivere nella presupposta anteriore loro condizione; resta a dimostrare come abbiano potuto per generazioni e generazioni prosperare e svolgersi per tutti que’ successivi gradi di inferiorità e superiorità rela- tiva (3); e come non esistendo alcun limite alla perfetti- bilità, l'abbiano finalmente incontrato nella rispettiva loro perfezione, e tale da cessare ad un tratto ogni ulteriore svolgimento e conservare immutabile l’attuale loro tipo durante un periodo indefinito ed immenso, come con- servarono il proprio alcuni gruppi di specie fin dal primis- | simo a noi noto albeggiare della vita. E finalmente, come essendo certa ed incontestabile l’immutabilità di alcune specie, non che l’estinzione totale della maggior parte delle altre, certa del pari la durata incommensurabile delle poche trasformate; si possa tuttavia, non dico provare o dimostrare, ma presuppore un tal privilegio d’inutile trasformazione. Inutile alla natura, che non può avvantaggiarsi delle superstiti, se non prova danno per le estinte. Inutile agli (1) V. Fée, op. cit., pag. 49-50 coll, Darwin, op. cit., 135, 344. (2) Darwin, op. cit., pag. 135, 137. l (3) V: Flourens, Ezamen du livre de M. Darwin, pag. 41-42. 650 individui privilegiati, essendo così lento ed insensibile il procedimento dell’iniziata loro trasformazione, da non essere osservabile nè osservata mai durante qual più vuoi lunga serie di secoli e di generazioni. Inutile alla specie, giacchè la specie che si trasforma perisce nella trasfor- mazione, e non lascia di sè traccia veruna, nemmeno fossile. Inutile finalmente a dar ragione della gradazione de’ vari tipi nella serie animale e delle varie loro suddi- visioni in classi, ordini, famiglie, generi e specie, for- manti l’unità del genere animale; imperocchè , se la specifica somiglianza di due organismi può essere in- dipendente dalla derivazione comune di un medesimo stipite, ed essere stati l’uno e l’altro simultaneamente primordiali, e la possibilità fisiologica di una comune filiazione non ne involge la realtà; tanto meno l’accor- darsi del vario in un’armonica unità sarà argomento apodittico di comune derivazione ; laddove può questa riuscire non meno inetta a chiarire la Coin tipica varietà che a spiegarne l'armonia. Di vero, se non havvi armonia possibile senza ordinata varietà, nè ordine senza distinzione, nè distinzione senza limite, nè ordinata distinzione del finito e determinato senza subordinazione e gerarchia; e se quindi una stabile e permanente armonia suppone una non meno. stabile e permanente ed essenzialmente costante ed invariabile ordinata e subordinata varietà; la stabile e permanente armonica unità de’ tipi ne importa la non meno stabile e permanente ed invariata distinzione, non che la pri- mordiale e simultanea loro origine, attesa la loro mutua e necessaria correlazione, e ne esclude perciò la possi- bilità del successivo loro svolgimento o parziale trasfor- mazione. Assurda più ancora che ipotetica, non potendo 65 l'armonia universale risultare da una parziale, acciden- tale e precaria trasformazione; accidentaria e casuale nell’origine, nel processo, e nella durata; limitatissima estensivamente, essendo sempre. il privilegio di pochi, ma intensivamente illimitata. E ciò necessariamente, non potendosi limitare l’indeterminato, l’indefinito, una va- rietà assoluta che non ritiene più nulla del primitivo, e non ha ancora nemmeno un’accenno del remoto suo av- venire; uno svolgimento e perfezionamento di ciò che non è più; un iniziamMento di ciò che non è ancora, e quando sia per essere, non avrà più nulla di comune col suo prin- cipio; brevemente: un accidente senza sostanza, una rela- zione fra due incognite, una mera apparenza ed assurdità. Tant'è, che i più assennati, e non perciò i meno dotti, fra coloro che, badando più alle generali analogie che alle particolari diversità, riconoscono in ogni gran tipo, od in ciascuna delle principali. sue suddivisioni, un'unità d’organizzazione, ammettono pure, anzi profes- sano ‘espressamente, la comune .primordiale origine e stabile e costante permanenza, delle singole specie (1). Locchè riesce ad ammettere tanti tipi primordiali, distinti e permanenti, quante sono le specie ed i generi, i soli tipi reali perchè fondati, non già sopra una più o meno vaga ed incerta analogia, ma sopra il reale fondamento di una promiscua illimitata o limitata fecondità, vero cri- terio e sempre sicuro, quindi preferibile a quello sovente fallace di una maggiore o minore analogia o rassomi- glianza di forme. (1) V. Fée, op. cit., pag. 50, 51, 54, 55. Duvernoy, op. cit., pag. 136-137, 228. CS DI 652 Gaspare Gorresio legge alcuni brani della gran leg- genda epica sanscrita l'Uttaracanda, che egli sta ora pubblicando a Parigi, ed espone alcune idee generali sulla origine, sulla natura e sulla forma di quel vasto com- plesso di tradizioni epiche. L'Uttaracanda svolge nei primi quaranta capitoli tutta la gran leggenda dei Ràcsasi; narra imprese e fatti che han preceduto la guerra dell’Aryo Rama contro quei fieri nemici delle genti Arye; e si connette perciò strettamente col Ràmaàyana Erano i Ràcsasi d'origine, di favella, di culto al tutto diversi dai popoli Aryi, e loro nemici; erano razze nere, feroci, crude; Ravano loro capo e duce muove guerra ai Devi del culto Aryo e va ad assalirli nelle loro sedi, ed in questi as- salti si scorge l’idea che ispirò presso i Greci la titano- machia e la gigantomachia. Il Prof. Gorresio legge ap- punto alcuni brani dove si descrivono quegli assalti di Ràvano e dei Ràcsasi contro i Devi e contro gli eroi delle schiatte Arye. Il primo brano narra l’assalto dei Ràcsasi contro Visnu, il secondo il combattimento di Rà- vano contro Arguna prode re di stirpe Arya; il terzo l'impresa di Ràvano contro Yama, Deva che governa il mondo dei morti; Primo brano. Tutti quei Ràcsasi si raccolgono intorno a IT ATTTR PELI . a quella guisa che riparano al sostenitor del bor: le viventi creature ; e risonante come un grande viluppo di nubi, quell’oste di prodi Ràcsasi capitanata da. Màli va PRA ATEO a E 653 - progredendo verso le sedi dei Devi, anelante alla vittoria. Ma inteso dal messaggiere dei Devi quel grande sforzo dei Racsasi, il possente Nàràyana (Visnu) si dispose alla bat- taglia. Munito di faretra, d'armi e d’armadura e fermo sul dosso di Garuda si mosse il Dio rapidamente alla disfatta dei Ràcsasi, e così risplendeva sul dosso di Suparna il Dio Hari (Visnu) fosco-azzurro e con veste gialla, come sul vertice del monte Kàncana risplende una nube incoronata di baleni. Seguitato dai Devi, dai Siddhi, dai Risci e dai Maho- raghi, celebrato con canti dai Gandharvi, marciava il Dio contro l’oste dei nemici armato d'arco, di spada e di disco e tenendo in mano la conca divina. Allor che vide lo splendido Hari, fosco-azzurro come nube, si scom- mosse l'oste dei Ràcsasi ; erano scosse le lor vesti dal vento suscitato dalle ale di Garuda, ondeggianti le lor bandiere, dissipate le loro saette. In quella i Ràcsasi, circondando a turme a turme Madhava (Visnu), lo lace- ravano con armi, simili al fuoco di finimondo. ....... Quei nuvoli di RAcsasi | tonanti inondavano con pioggia di dardi il monte Nàràvana ;: sì come le nubi dilagano con pioggia una montagna. Assalito da quei neri Ràcsasi il giallo e fosco-azzurro Visnu somigliava al divino monte Angana cinto da nuvole piorne. Sì come a torme si get- tano in un campo le locuste, sovresso un monte i cu- lici, in una brocca di latte le mosche e nel mare s’attuf- fano i delfini, così entrano a furia nel corpo di Mari le saette scoccate dagli archi dei Raesasi, rapide come il 654 fulmine, il.vento e l'animo, a guisa che v'entreranno i mondi nel dì del finale disfacimento. Assalendolo con carri i>carradori, con elefanti i montatori d’elefanti, con cavalli i cavalieri ed i pedoni con pedoni, quei Ràcsasi sovrani, pari a monti ed armati di lancie e di saette, di spade e di ferrei raffi tolsero il respiro ad Hari, sì come lo toglie al brahmano il rattener che egli fa il suo alito. Tempestato dai Ràcsasi come una smisurata cete dai pesci, tese Visnu il divino suo arco corneo e con fulminei quadrelli, dischiavati dall'arco teso fino all’orec- chio e rapidi quanto l'animo, tagliò in pezzi minuti come grani di sesamo a cento e a mille le membra dei Racsasi in quella gran battaglia. Dissipato quel nembo di dardi, come dissipa la pioggia il vento sollevato, si diede il sommo Purusa (Visnu) a soffiar nella gran conca che si noma Pàncaganyva. Insuflata da Hari con tutta la forza del suo fiato, la conca sovrana, nata nell'acqua risonò con fracasso spaventoso, come una nube di fini- mondo. Il suono della conca divina atterrì i Ràcsasi, come il ruggito d'un leone nella selva gli elefanti ebbri. d'amore. Più non potevano star fermi i cavalli, rimasero disebbriati gli elefanti, cadevano dai carri i guerrieri stu- pefatti dal suon della conca; ed in quella le fulminee saeite ben pennate, lanciate dall’ arco corneo, dilace-. rando i Ràcsasi si ficcavano entro terra. Non pochi di que’ Raàcsasi squarciati dalle saette scoccate dall'arco di Visnu cadevano sgomentiti, come rupi percosse dal ful- mine. Le ferite fatte dal disco di Visnu per le membra dei nemici versano sangue a goccie, a quella guisa che trasuda dai monti umor metallico; ed il fracasso della e 1 Cd I | I 655 conca divina, lo strepito dell'arco corneo e le quadrella | lanciate da Visnu divorano gli spiriti vitali dei Ràcsasi vessilliferi. Colle divine sue saette discindeva Visnu le mani con esso i dardi, le teste, i vessilli e gli archi, i carri colle lor bandiere e le faretre dei Réacsasi. A quella guisa che prorompono dal sole fasci di raggi, flutti ondosi dall’oceano, prodi Nàghi dal Pàtàla e rivi d'acqua dalla nube; così volano a furia rapidi nembi di quadrelli a centinaia ed a migliaia, saettati da Visnu coll’arco corneo e lanciati via con forza. Come son messi in fuga dal sarabha i leoni; dal leone gli elefanti, dal- l'elefante le tigri, dalla tigre i leopardi, dal leopardo i cani, dal cane i gatti, dal gatto i serpenti, dal serpente gli augelli, così son dal possente Visnu dispersi per le plage o stesi a terra i Ràcsasi in quella battaglia. Allor ch'ebbe atterrati migliaia di Ràcsasi, l’uccisor di Madhu (Visnu) diede fiato alla sua conca, com’ empie il vento una nube per lo cielo; e tutta quell’oste di Ràcsasi rotta dai dardi di Naràvana e sbalordita dal suon della conca se ne fuggì disfatta alla volta di Lanka. Tempestato dai dardi di Visnu e rotto l’esercito dei Ràcsasi, Sumdli si diede battagliando ad inondar Hari con una piena di saette; e tutto ne lo coperse, come copre la nebbia il sole. I Ràcsasi più valorosi ripresero allora fermezza e ardire. Ma il RAcsaso Sumdli superbo di sua forza s'av- ventò con ira a Visnu facendo gran clamore e ravvivando quasi i Racsasi. Levando in alto la sua mano guernita. d’aurei ornati, come leva la sua proboscide un elefante, ruggi il Racsaso per giubilo, a guisa d'una nuvola che baleni. All’auriga di quel Ràcsaso che sì forte andava 656 ruggendo, recise Visnu il capo ornato di ciondoli fiammanti: onde i cavalli aombrando si diedero ad errare disfrenati, e dai cavalli vaganti è pur tratto qua e là il Ràcsaso Sumàli, come dagli instabili oggetti dei ‘sensi è trasviato l'uomo che non ha abito di virtù. Ma raffrenando i cavalli, a guisa che l’uomo donno di se stesso rifrena gli oggetti de’ sensi e fermando: il carro. dinanzi a Visnu, stette quivi immobile. In quella il prode Màli, impugnando saette ed arco; si slanciò incontro al’ grandibracciuto Îlari che s inoltrava di corso sul campo di battaglia; e l’auree saette scoccate dal suo arco, attingendo Hari, penetra- vano nel suo corpo, come gli augelli nel monte Krauncà. Travagliato da quelle saette lanciate a furia da MAli, pur non si turbò Visnu in quella battaglia, come non si con- turba per dolori l’uom che ha vinto i suoi sensi. Ma stando colà armato di spada e di clava. e facendo riso- nare la corda del suo arco, il venerando Deva fonte di salvezza alle creature scoccò contro Màli nembi di dardi, che fiammeggianti come lampi di folgore, giungendo al corpo di Màli, ne bevevano in copia il sangue, sì come bevvero un dì Vamrita i Nàghi. Fatto rivolgere indietro Mali, il Dio portator di clava, di disco e di conca, ne abbattè con saette acute l'arco; il vessillo edi cavalli, ed it Ràcsaso Màli privato di carro, tolta ed impugnata la clava, balzò a terra, come sbalza un leone dalla cima d'un monte... ...... IRE IVIRA ROTTI cl alert ei) dee 657 Secondo brano. Odi, o Rama se tu sia felice, dove quel re dei Rae- sasi trovò chi seppe domarlo a guisa d'un uom volgare. Quel prepotente Ràvano percorreva così la terra guer- reggiando e dando travaglio ai re, o Rama fra i re su- premo. Ma ei pervenne poscia alla città che si noma Mahesmati pari alla città celeste la dove stava in pros- sima vicinanza Vasuretas. Regnava quivi un re pari in possanza a Vasuretas, e per nome Arguna, il cui sacro fuoco era di continuo alimentato da steli di canne sac- carine. -In quel giorno appunto il possente Arguna , re degli Heihavi, era ito colle sue donne alla riviera Narmada per far quivi sollazzo. ll signor dei Ràcsasi interrogò quivi i ministri del re dicendo : Dove è ora quell’Arguna che qui regna? Piacciavi dirlo or prontamente. Io son Ràvano qui venuto per far battaglia col vostro signore; annunziategli solleciti la mia venuta. Intesi i detti di Ràvano, i saggi ministri d'Arguna gli significarono senza timore come il re era ito alla Narmada. Allor che il figlio di Visravas (Ràvano) seppe da quei cittadini dove era ito il re, parlitosi immantinente si condusse al monte Vindhya somigliante allHimdalaya. Ei visitò l’altero Vindhya tutto cinto da viluppi di nubi, pieno di belve e d’augelli erranti, emulante quasi #/ cielo; seminato di millé cocuzzoli e di caverne abitate da leoni, sparso di freddissim’acque. cadenti da dirupi con fracasso che pare scroscio di risa; monte sovrano, e quasi celeste, frequentato da Devi, da Dànavi e da Gandharvi, da schiere di Apsarase e da 658 Kinnari scherzanti con donne. Osservando il Vindhya che spande d’ogni intorno riviere d'acque cristalline a guisa che il gran serpente Ananda vibra le sue teste colle lor lingue guizzanti, pieno di grotte e di spelonche e pari alla cima dell'Himalaya, Ràvano progrediva verso la. ri- viera Narmada che dichina col suo corso al mare occi- dentale e le cui acque pure e coperte di tremole ninfee son qua e là scommosse da bufali, da cervi; da leoni, tigri, orsi ed elefanti alteri riarsi dalla caldura ed assetati; riviera risonante del vario canto delle anitre, dell’oche, dei cigni, dei galli acquatici e delle grue di continuo galluzzanti. Pervenuto colà Ràvano, discendendo dal carro Puspaka, s' immerse, a quella guisa che s'abbraccia una nobile. donna amata, nella Narmada nobilissima fra le riviere, a cui son ghirlanda i suoi alberi fiorenti, seno le coppie d’oche rosse, lombi le sparte isolette, stretta cintura i cigni, liscio delle membra la polvere dei fiori, candida veste la bianca spuma dell'’onde, soave tatto le freschissime acque ed occhi lucenti le ninfee dischiuse. Seduto a grand’agio co suoi ministri sur una vaga isoletta di quel fiume, tutta dipinta di vari fiori, l’eccelso signor dei Ràcsasi prendeva diletto della vista di quella riviera. Poi sorridendo festevolmente così quivi parlò: Ràvano re dei RAcsasi ai suoi ministri Marîca, Suka e Sàrana. Ecco il sole che dopo avere coi mille suoi raggi quasi inaurato il mondo j salito ora al sommo del cielo, piove cocente ardore; e veggendo me qui seduto, muove più tardo per la sua via. Questo vento fresco come l’acque della Nar- mada, che olezza e riconforta le membra stanche, spira qui pur per timor mio leno leno. Questa Narmada eziandio, 659 nobilissima fra le riviere e cagione di giocondo diletto , nelle cui onde rapide guizzan nascosti i pesci, se ne sta ora a guisa di donna impaurita. Or voi che feriti in battaglia con armi da alteri re somiglianti ad Indra, ne usciste bagnati di sangue come di succo di sandalo rosso, immergetevi nella Narmada confortatrice degli uomini, come s'immergono nel Gange i grandi elefanti caldi d'amore, e pari nel sembiante a Mahaàpadma. Alleggiata in questo gran fiume la stanchezza, andate quindi attorno, o Racsasi, adoperandovi con ogni studio a coglier fiori. Qui sopra questa isoletta la cui luce somiglia a splendor di luna, farò io oggi con fiori un’oblazione al consorte. d'Uma (Siva). Mossi da quei detti di Ràvano Prahasta, Suka e Sàrana, Mahodara e Dhùmràksa s' immersero nella Narmada. Da quei Ràcsasi sovrani pari a sovrani elefanti era tutta sconvolta la gran riviera, sì come è scommosso il Gange dai grandi elefanti Vàmana, Angana, Padma ed altrettali. Quindi que’ Ràcsasi bagnatisi nelle nitide acque della Narmada ed uscitine, si diedero come per ischerzo a recar fiori a Ràvano; e su quell’ isoletta dilettosa della Narmada, chiara al par di lucida nube fu da quei Ràesasi sovrani fatto in un istante un mucchio di fiori. Apparecchiata in tal modo quell’offerta di fiori, Ràvano signor dei Ràcsasi discese a purificarsi nella ri- viera, sì come s’addentra nel Gange un grande elefante. Purificatosi quivi conforme al rito e mormorate le preci - solenni, uscì Ràvano dalle acque della Narmada ; ed a lui che procedeva colle mani congiunte e concave sulla fronte tenevan dietro con mente raffrenata sette Racsasi, Mahodara, Mahapàrsva, Marîca, Suka e Sàrana, Dbimraksa, ; 660 e Prahasta, a quella guisa che van dietro al possente signor dei Devi i selte venti corporeati.. Chè dovunque ne va Ràvano re dei Ràcsasi, quivi si porta un aureo linga. Nel mezzo dell’ara eretta. quivi in sulla sabbia avendo Ràvano collocato il Linga, l’onorò con fiori e con profumi olezzanti al par d’ambrosia; e dopo aver onorato l’eccelso Siva corporeato, dator di grazie e ornato d’aureo diadema, il Ràcsaso sciolse un. canto e protendendo le mani danzò quivi dinanzi. ............. 95 100 AR Poco disenstà dall isoletta della Narmada, da qu'el sito dove Ràvano re dei Ràcsasi aveva fatto quell’offerta di fiori, Arguna sovrano fra i vincitori e possente signore di Màhismati immerso nell’acque della Narmada prendeva sollazzo colle sue donne; e in mezzo ad esse così egli appariva come un elefante nel mezzo di mille elefantesse. Preso da vaghezza di provare la forza poderosa delle mille sua braccia, il re Arguna s'altraversò con esse all’ im- peto della Narmada: concitata. Le nitide acque della ri- viera incontrando. l’argine loro opposto dalle braccia di Karttavîrya (Arguna), rotte e portate via le sponde, rivol- sero a ritroso il loro corso; e la piena impetuosa del- l’acque della Narmada co’ suoi pesci, delfini e coccodrilli, trascinando fiori e strati di poe così appariva quale apparir . suole ingrossando alla stagion delle pioggie. La foga del- l’acque incitata quasi da Kaàrttavîrya trascinò via. tutta l'offerta di fiori fatta da Ràvano; il quale, lasciato incom- piuto il rito, si diede a guardar la Narmada che correva a ritroso, o Rama, a guisa d'una donna riluttante; ed 601 osservata ad occidente la crescente piena dell'acque, pari al crescer dell'Oceano, rivolse quindi lo sguardo alla plaga orientale. Colà vide Ràvano la riviera nel perfetto natural suo stato, co’ suoi pesci tranquilli, somigliante ad una donna placidamente atteggiata; e senza proferir parola col cenno sol d’un dito, Dasagrîva comandò a Suka e Sàrana d’ire cercando a sinistra la causa di quella piena. Per lo comando di Ràvano i due prodi fratelli Suka e Sàrana usi a camminar per l’aria s'avviarono verso la plaga ae- cidentale ; e iti per lo spazio d'un mezzo yogana, que’ due Ricsasi videro nelle acque della Narmada un uomo po- deroso, intento a sollazzarsi colle sue donne, pari ad un gran pesce, coi capelli scomposti dall’ acqua , cogli occhi inebbriati di voluttà, simile all’Amore nel sembiante, il quale ratteneva colle mille sua braccia la riviera a quella guisa che un monte ingombra coi mille ‘suoi alberi la terra; ed era cinto da migliaia di donne elette e di «garzoni, come un elefante da migliaia d’elefantesse calde «d’amore. Veduta quella grande maraviglia, i due Ràcsasi Suka e Sàrana tornati addietro e fattisi innanzi a Ràvano così gli dissero: Un uomo chiunque ci sia, somigliante ad un gran pesce, o re dei Ràcsasi, precludendo colle sue braccia la corrente della Narmada, mena sollazzo colle sue donne; sbarrata da colui colle mille sue braccia, la fredda riviera va mugghiando, come mugghia il mare per tempesta. Udendo Suka e Sàrana così favellare, Rà- vano sclamando: « Quegli è Arguna » si levò bramoso di far battaglia; e tosto che il re dei Ràcsasi s' indirizzò alla volta d’Arguna, si levò ad una un alto grido, come fosse conquassato l'Oceano. In quella il re dei Raesasi 602 circondato da Mahodara e Mahàpàrsva, da Dhùmraksa, Suka e Sàrana s'affrettava verso colà dov’ era Arguna; ed in breve ora’ quel possente, somigliante a nero col- lirio, pervenne al terribile gorgo della Narmada. Quivi it +» re dei Ràcsasi vide ArSuna, e fatto dall'ira rosso gli occhi; superbo di sua forza disse ai ministri d'Argéuna con voce non troppo cupa: Annunziate or prestamente, o ministri, al re di Heihaya che è qui sopraggiunto per far battaglia un che si noma Ràvano. Udito il parlar del re dei Raesasi, i ministri d’Arguna si levarono armati e gli risposero : È nota l’ora in cui s'addice far battaglia; or via, rimanti tranquillo, o Ràvano! che brami tu chiamare ora a bat- taglia il nostro re ebbro di voluttà in mezzo alle sue donne? Come puoi tu combattere con Arguna qui dinanzi alle sue donne, come farebbe un tigre con un elefante caldo d'amore in mezzo alle sue elefantesse ?. Indugiati pur oggi, o Dasagrîva, non mostrarti sì baldo e lieto d'aver battaglia; domani Arguna ti torrà in singolar cer- tame' il desiderio che hai di combattere, 0 onorando. Ovvero se udendo i nostri detti più forte ti crebbe la sete di far battaglia, combatti qui con noi ed avuta di noi vittoria, te ne andrai poscia a combattere con Arguna. Allora i ministri del re dî Heyhaya furono in una mischia cacciati in fuga alla rinfusa e divorati dai ministri di Ràvano affamati. Si levò in quella lungo le rive della Narmada un clamor confuso di guerrieri seguaci d’Arguna e dei ministri di Ràvano; i quali con giavellotti, catene e ferrei raffi, con tricuspidi picche pari a saette folgori tempestavano in battaglia tutti i seguaci d’ArSuna. V' ebbe allora un terribile conquasso dei guerrieri’ poderosi del re 663 di Heyhaya tempestati da Ràvano per ogni parte, pari allo scommuoversi dell'Oceano co suoi delfini, coccodrilli e pesci; e gli oltrapossenti ministri del re dei Ràcsasi, Prahasta, Suka e Sàrana disfecero ardenti d'ira l'oste di Karttavîrya. Ma da uomini intenti alla guardia dell’acque fu prontamente riferita ad Arguna, che si stava sollazzando, lopra di Ràvano e de’ suoi ministri; ed Arguna im- mantinente, detto alle sue donne che non temessero, uscì fuori dell’acqua, sì come esce dalle acque del Gange l'elefante Angana. Era Arfuna tutto infocato, cogli occhi offuscati dall'ira e fiammeggiava come il terribile e on- dante fuoco di finimondo. Dato di piglio subitamente ad una clava ricinta d’oro eletto, ei s'avventò sopra i Tàc- sasi come s'avventa alla tenebra il sole; ei si slanciò colla foga impetuosa di Garuda, tragittando le braccia e Wibitan do} bai (gran ‘clavaidi ufo onto ii deu ius ih eat è < 0 cos, 0 s e s è Ss ss ss è S s e è e s e 0 4 so sus e è e e * s è s s è s a. » Ferzo brano. ® » ® e e 0 è 0 0 oss ss e ss ss e 0 so 0 e 0 0 0 ss 0 0 ° 0 0 0 0 0 08 0 *® Ma mentre che il re Ràcsasi andava per ta terra met- tendo terror negli uomini, s'affrontò nella purissima selva col grande Risci Narada. E quel Risci divino risplendente d’immensa luce, stando sul dosso d’una nube; così parlò a Ràvano che stava sul carro Puspaka: Fermati, o prode re dei RAcsasi, o figlio di Visravas; io son soddisfatto, o generoso, delle forti tue prodezze ....... MINO ie ARL PAU Or ti dirò io alcuna cosa, se tu credi doverla udire; fa d’ascoltarmi attento, ment” io ti parlo, o caro. Perchè vai tu, che i Devi non possono 664 uccidere, combattendo pur questo mondo ? Questo mondo fu già prostrato allorch’ ei cadde in poter della. morte. Non s’' addice a te, cui non possono dar morte i Devi, i Daityi, i Dànavi, nè i Gandbarvi, i Yaksi, i Ràesasi, travagliare pur questo mondo umano. Chi potrebbe starsi ad affliggere un tale mondo stolido e sempre pigro al bene, aggravato da duri mali, sopraffatto dalla vecchiaia e da cento morbi ? Qual uom saggio potrebbe mai'aver desiderio di far battaglia quaggiù nel mondo umano ba- lestrato qua e là di continuo or da questi or da quelli contrari eventi? Non voler tu, o possente, disertare questo mondo che già da sè ogni dì vien meno per vecchiezza, fame, sete ed altri mali ed è tutto perturbato da scora- mento e. da dolore. Pon mente un poco, o grandibrae- ciuto signor dei Ràcsasi, a questo così diverso mondo umano di cui non si conosce la via. Qui s'attende a danze e a suoni da genti liete; là si piange da genti addolorate, con volti inondati di lacrime per amor del padre, della madre, dei figli, per desiderio delle consorti e dei con- giunti. Ed il mondo implicato nella sua ignoranza non conosce quanto sia grande la sua miseria. Perciò che vuoi tu darti pensiero di tal mondo gramo, travagliato da continuo affanno? Questo mondo umano fu oramai da te vinto; di ciò non v ha dubbio, o caro. Ora, o Pulastide vittorioso, fa di domare Yama da cui procede la distru- zion delle creature e da cui è questo mondo disfatto : superato colui, tutto è vinto di ragione. Eccitato con tali detti, il re dei Ràcsasi fiammante quasi d’igneo vigore, così rispose a Nàrada sorridendo e salutandolo: 0 grande Risci, caro ai Devi ed ai Gandharvi in battaglia e nei 665 diporti, io son qui appunto tutto disposto ad andare per aver vittoria all’imo fondo della terra. Quindi poichè avrò vinto i tre mondi e sottomessi al mio potere i Naghi e i Suri, conquasserò il mare sede dell’acque per trarne l’amrita (ambrosia). Ma il venerando Risci così rispose a Dasagriva: Perchè vuoi tu metterti qui ora per un’altra malagevole via? Ben è grande ed aspra fuor di modo ed ardua a superare, o domator de tuoi nemici, la via che mena alla città di Yama re dei Padri. Ma Dasagriva rompendosi a rider con fragore pari allo strepito di nube autunnale, rispose: « Tieni dunque ciò come fatto » e sog- giunse queste parole: Per quella via appunto, o Brahmano, or io intento-a dar morte a Vaivasvata me ne vo alla plaga meridionale dove siede il re figlio del sole (Yama). Avido di battaglia, o venerando, io feci per isdegno promessa che vincerei i quattro custodi del mondo. Perciò m'avvio alla città del re dei morti e spegnerò colui che affligge le genti. Ciò detto e salutato il Muni, Dasagrîva s'indirizzò co’ suoi ministri baldo e lieto alla plaga me- ridionale. Ma il gran Brahmano Nàrada fulgente al par di viva fiamma, raccoltosi un istante in attenta medita- “zione, così pensò: Come mai quel re dei Racsasi potrà egli di per sè pigliar battaglia con colui da cui sono tra- vagliati Indra e i tre mondi con ogni lor cosa mobile ed immobile e che impugnando lo scettro pare un secondo Agni (fuoco) onniveggente? Con colui contro cui spaven- tati di gran paura si contendono vano gli uomini ma- gnanimi ed a cui sta di conlinuo sottomesso questo ter- gemino mondo? Come potrà egli porre a morte colui che determina e discerne ciò che è bene e ciò che è male 666 ed a cui è noto Lutto il tergemino mondo? Or che giungerà alla sede di Yama quel Ràcsaso Dasagriva, qual altra legge stabilirà egli mai colà ? Ho grande desiderio di vedere quell'ammiranda battaglia di Ràvano e di Yama; mi con- durrò alla sede del re dei morti ...........000. < e è 0 o 0 so S & 0 s è © è es es e ® s * os © o è è 0 è 0 e e e e s es è è e è s e è os è Ciò fermato nel suo pensiero; quel sommo fra i Brahmani s' avviò con rapido passo alla sede di Yama a raccon- targli quel che era avvenuto. Colà egli vide il Deva Yama venerato da Agni che prescriveva regola e modo alle creature conforme alla condizione di ciascuna. Ma Yama veggendo colà giunto Narada Risci onorato: dai Devi così gli parlò, fattol sedere ed offertagli conforme al prescritto la patera ospitale: È egli prospero, o. Risci divino, l’esser tuo? Non vien egli meno il pio tuo dovere? Qual è la ragion della tua venuta, o Risci onorato dai Devi e dai Gandharvi ? Per tal modo interrogato il venerando Riscì Narada così rispose: Ascolta! io parlerò: poi si provvegga a ciò che s'ha a fare. O re dei Padri, quel Ràcsaso ehe s’appella Dasagrîva e cui è difficile il superare, qui s inoltra per mio consiglio a fin d’assoggettarti colla sua forza. È questa la cagione per cui sollecito io qui ne venni, bramoso di veder combattersi lun coll altro te armato di scettro e quel Ràcsaso sorquidato. In questo ei videro. venir da lungi, pari a sol che spunta, il carro divino di quel Ràesaso. Il poderoso Dasagriva veniva gua- tando qua e là le creature che ricevono quivi il frutto delle lor buone o ree azioni. Ei vedeva corpi animati percossi 0 trascinati da uomini paurosi ligi a Yama, i | 667 terribili e diversi, altri ch'eran traghettati a torme per la riviera Vaitarani che ha onde sanguigne e tratti a mano a mano su per l'arena arsiccia ; altri divorati da vermi e da orribili cani, urlanti ‘con forti ed alte grida 0 mi- seramente dirotii in gemiti. Udiva egli in alcuna parte suoni di voci strazianti gli orecchi; e scorgeva nella selva inferna che ha spade invece di foglie (asipatravane) fiera- mente accismati i rei. Per lo Raurava dolente, sulla trista riviera le cui acque hanno virtù di corrodere (Ksaranadi), nell’orribit landa lo cui fondo è di rasoi taglienti e s'ap- pella Ksuradhàra vide Ràvano a cento e a mille uomini riarsi dalla sete e chiedenti acqua, altri consunti dalla fame, miseri, smunti, scolorali, coi capegli sparli e s0- miglianti a cadaveri, altri coperti di fango e di sozzura, ruvidi e correnti intorno vergognosi. Altre creature vide egli poi che fruivan liete il frutto del loro bene adoperare entro case dileltose, rallegrate da canti e da suoni, qui pii donatori di vacche nutrentisi di pingue latte, dà ci- bantisi di riso quelli che avean donato riso, godenti ciascuno il frutto delle. buone loro azioni, abbigliati di nobili vesti i donatori di vesti, stanti entro ease agiate i donatori di case e tutti nobilmente adorni colore: che avean donato oro, gemme e perle ; e splendenti di proprio fulgore vedeva egli colà gli uomini giusti. Le vie eran quivi le une come sommerse nell'acqua ovvero involte in te- nebra, le altre soavi, dilettose e di celeste aspetto. Diste- nebrando collo splendor del carro Puspaka tutta quella regione più e più s'avvicina il Raesaso grandibracciuto ; e colla sua gagliardia si diede quel fortissimo a liberare le creature che erano quivi tormentate per. gli atti Tor RA bi 668 passati : le quali disciolte dal Racsaso Dasagriva perven- nero in un istante a felicità non pensata nè sospettata. Ma mentre che da quel Racsaso oltrapossente venivano liberate le genti morte, i custodi di quegli spiriti, accesi in ira corsero incontro al re dei Ràcsasi. Tutto parve ad un tratto colà giù intronato dalle voci de’ possenti guer- rieri del re dei morti che correvano gridando Hala! Hala! Quei valorosi a cento e a mille tempestarono il carro Puspaka con giavelotti e mazze ferrate, con dardi, magli, ferre, lancie e verrettoni. Era innumerevole l’oste del ma- gnanimo Yama quivi accolta d’eroi di fiera forza che mai non indietreggiano nelle battaglie. Ei spezzarono in un subito gli alberi e i poggi, gli alti seggi ed i sedili del carro Puspaka a quella guisa che le api rompono i fiori. Ma tultochè percosso a furia pur rimase saldo per virtù di Brahma il carro Puspaka, opera dei Devi. In quella i ministri valorosi del Ràcsaso Dasagrîva presero a com- battere a lor posta e con tutta la lor forza: e quei se- guaci del re dei Ràcsasi, esperti di tutte l’armi, colle lor membra insanguinate fecero quivi una gran battaglia. Si percotevano l’un l'altro coll’ armi fieramente e con grand'impeto i prodi guerrieri di Yama ed i ministri del Ràcsaso. Ma i guerrieri di Yama, lasciati i ministri del Ràcsaso , si diedero con nembi di dardi a tempestare pur Dasagriva; e il re dei Racsasi inondato di sangue le membra, tutto sforacchiato dalle ferite così appariva sul suo carro come un dischiuso fior d’asoka. Allora quel pos- sente prese a saettare picche, clave e dardi ferrei, acuti e di varia maniera, e saettò pure colla forza del suo balestro alberi e roccie. Ma spregiando tutte quell’armi 669 e strappatogli il balestro, i guerrieri di Yama con lancie e dardi gli soffocarono il respiro. Colla corazza disciolta, tutto rigato di sangue, irato e insano abbandonando egli, o prode, il carro Puspaka, fermò il piede a terra. ... #im, (o “ego. (o, e e ala e d e. e. .00 Csi e 0 (alo v.o ap ul elle ‘al e.ele Di 0... So 0 a.e sile o. fruste certe cn rel 670 Adunanza del 23 Maggio 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS Il Socio Comm. Domenico Promis legge la seguente NOTIZIA DI UNA BOLLA IN PIOMBO DEL SECOLO XII Nel medagliere di S. M. in Torino, ricco di trenta mila e più monete tra greche, romane ed italiane dei bassi tempi e moderne, conservasi una serie di 3,500 medaglie spettanti alla nostra penisola, ed inoltre 1,500 sigilli e bolle. 2 Tra queste evvene una sinora inedita, e per l'epoca e per la persona cui appartenne assai pregevole. Ha da ambi i lati lo stesso impronto , cioè volta a destra una testa d'uomo sbarbata ed a collo nudo, con attorno 5 RÒOG FILIV RICC DI ET REGIA GRA COMES ANDRI, ossia Rogerius filius Riccardi Dei et regia gratia comes Andriae, leggenda in caratteri tali che indicano spettare la bolla al secolo XII, cioè quando dominavano i Normanni nella Puglia, dove tuttora esiste detta piccola città. Ora per vedere chi fosse questo Ruggiero figlio di un Riccardo conte d’Andria, è d’uopo avantitutto conoscere la storia di tali conti durante la dominazione dei Nor- manni nell’ Italia meridionale. 671 Conquistata da questi nel 1042 la Puglia, subito venne divisa in vari feudi tra i principali della loro nazione, ed il contado d’Andria toccò ad un Pietro, che Guglielmo Apulo (1) dice aver edificata o meglio ristaurata questa città. Gli successe il figliuolo pure di nome Pietro, ed a distinzione del padre detto Pierrone, il quale con altri conti dichiaratosi nel 1073 contro il duca Roberto Gui- scardo, venne da questo fatto prigione, ma lasciatolo indi libero, ogni cosa gli restituì, ad eccezione della città di Trani. Di nuovo ribellatoglisi nel 1080, venne di tutto spogliato, ed il suo contado fu dato ad un Riccardo, come appare dal vederlo con tale titolo segnato ad una donazione fatta da Ruggiero figlio di Roberto duca di Puglia nel 1089 alla Chiesa di S. Nicolò di Bari (2), e col nome abbreviato di Riccio ad altro atto del 1096 dello stesso a favore di quella di Melfi (3). Ignorasi quando egli morisse, ma è probabile che subito abbia avuto a successore un conte Goffredo ; il quale nel 1127 avendo preso parte ad una confederazione fattasi in Troia contro il re Ruggieri (4), battuto da esso due anni dopo se gli assoggettò (5), ma di nuovo essendosi ribellato , preso prigione e privato delle sue terre, fu esiliato in Sicilia. Per alcuni lustri non trovansi più nominati conti di detta città, quando nel 1166 subito dopo la morte del re Guglielmo I vediamo un Bertranno, di nazione francese, (1) Muratori, Rerum italicarum scriplores. Tom. V, pag. 259. (2) Ughelli, Ztalia sacra. Venetiis, 1721, tom. VII, col. 610. (3) Idem, tom. I, col. 923. (4) Alexander Telesini monasterii abbas. - De rebus gestis Rogerii Si- ciliae regis. Muratori, Rerum italicarum scriptores. Tom. V, pag. 620. (5) Idem, pag. 627 e 628. Anonimus Cassinensis. Muratori, ut supra, Tom. V, pag. 32. 672 cui nuper Andriae comitatus datus fuerat (1) col padre Gil- berto duca di Gravina, cugino di Margherita di Navarra vedova del detto re e tutrice di Guglielmo II, trovarsi alla corte in Palermo, e indi da essa rimandati in Puglia nominando il padre capitano generale di questa provincia e di Terra di Lavoro. Due anni dopo essendosi la no- biltà del regno sollevata contro i Francesi, che al seguito della regina erano venuti in Sicilia e vi occupavano le migliori cariche, ne furono tutti cacciati, e Gilberto con Bertranno si recarono a Costantinopoli (2), dalla quale epoca non trovasi più di essi alcuna menzione. Chi fosse succeduto a Bertranno nessun contemporaneo ce lo fa conoscere, e solamente l’Ughelli (3) riporta una donazione fatta sette anni dopo, cioè nel 1175, al vescovo di Monteverde da un Goffredo, che si dice conte di Andria e signore di Monteverde, di alcuni beni avuti in feudo in quel territorio dal re Guglielmo II, ma questo atto dal critico De Meo (4) fu riconosciuto spurio , essendo in tale anno conte di Monteverde un Riccardo di Balbano e di Andria un Ruggieri, che con altri feudatari sul principio del 1176 marciò contro l'arcivescovo di Magonza, cancelliere dell’imperatore Federico I, il quale con un potente esercito era entrato negli Abruzzi (5), che ‘in conseguenza presto dovette abbandonare. :Non tenendo perciò conto dell’esistenza di questo Goffredo è certa quella di Ruggiero, che, secondo Romualdo arcivescovo Salernitano (6), fu gran connestabile e giustiziere di Puglia (1) Ugo Falcandus. Historia Sicula. Muratori. Tom. VII, col. BRE: (2) Idem, col. 341. (3) tali sacra. Tom. VII, col. 803. (4) Annali diplomatici. Tom. X, pag. 308. (5) Anonimus Cassinensis, pag. 69. (6) Muratori Tom. VII, col. 217. 673 e Terra di Lavoro, et virum providum et discretum et de sanguine regio ortum. Incaricato esso nel 1177 dal re Gu- glielmo II di accompagnare papa Alessandro III in Lom- bardia, dove doveva recarsi ad un convegno con Federico I, col quale Ruggiero aveva pure a conchiudere la pace a nome del suo sovrano, avuto per collega Romualdo sud- detto, col medesimo, col papa e vari cardinali a Viesta, porto nella Capitanata, s' imbarcò sulle galee del re ed approdò nel marzo a Venezia, dove alli 24 di luglio Alessandro, dopo aver sciolto dalla scomunica l’impera- tore, l’abbracciò piangendo e indi con lui si giurò la pace dal pontefice e dai legati di Lombardia e dal re Guglielmo. Partiti l’arcivescovo ed il conte pel regno, sbarcati a Barletta e soffermatisi per alcun tempo Rug- giero in Andria e Romualdo in Salerno, recaronsi dal re a Palermo, dove vennero festevolmente accolti. Mancato ai vivi il re Guglielmo nel 1189 in detta città, fu inco- ronato re Tancredi conte di Lecce, figliuolo naturale di Ruggiero duca di Puglia, quantunque già avesse giurato fedeltà a Costanza moglie dell’imperatore Enrico VI e legittima erede del trono (1). Il conte d’Andria però melius suae fidei memor (2), e forse anche pretendendo a questa successione per credersi superiore a Tancredi in dignità (3), con alcuni altri conti si unì ad Enrico Testa maresciallo dell’imperatore, il quale con un grosso eser- cito era entrato nella Puglia. Questi però dopo aver sac- cheggiato alcune terre essendosi nel 1190 ritirato dal regno, le forze del re comandate dal conte d’Acerra si (1) Anonimus Cassinensis, pag. 71. (2) Idem, pag. 71. (3) Riccardus de Sancto Germano. Vita regis Tancredi. Muratori, tom. VII, col. 971. 674 rivolsero contro Ruggiero, il quale, dopo aver ben fortificata Rocca S. Agata e lasciatovi al governo il suo figliuolo Roberto di Calagio, si chiuse in Ascoli, dove però presto venne assediato; ma vedendo l’Acerrese non esservi alcuna probabilità di forzare questa città alla resa e non potendo indurre colle preghiere il conte a cedere, lo invitò a venir seco ad un abboccamento , durante il quale proditoria- mente presolo lo fece uccidere. Nell'anno susseguente poi il suo figlinolo rimise ai regii Rocca S. Agata, e così ebbero fine i conti normanni d’Andria; e questo feudo nel 1203 venne dato a Jacopo, probabilmente dei conti di Fondi, cugino di papa Innocenzo IlI, che però per breve tempo ne godè essendone stato spogliato-dal ballio di Federico II; quando poi Carlo I d'Angiò ebbe conqui- stato il regno di Napoli, il suo figlio diede Andria a Bertrando.del Balzo, dal quale indi passò ad altri baroni.. Essendo però tutti questi posteriori al secolo XIII, a nessuno di essi puossi attribuire la nostra bolla. Ora avendo veduto che tra tutti i normanni, i quali ebbero dal 1042 al 1190 il possesso della detta città, un solo si trova col nome di Ruggiero, e che questi era di sangue regio epperciò parente del re Guglielmo II, dal quale era stato insignito di sì alta dignità ed incaricato di importantissime missioni, e dal cui favore ebbe questo feudo, come consta dalle parole regia gratia che leggonsi sulla bolla, nessun dubbio può sorgere per credere che essa ‘spetti ad un altro Ruggiero. Il Socio Prof. Bertini comunica all'Accademia un ca- pitolo della Storia della filosofia, alla cui pubblicazione ha posto mano. Esposte le dottrine di Empedocle sulle 675 questioni ontologiche e fisiche che si dibatterono nel primo periodo della filosofia greca, il Bertini viene a discorrere ne’ seguenti termini sulle idee teologiche di Empedocle, e sulla sua teoria della conoscenza umana. « Dottrine religiose di Empedocle. Su questo punto ci si presenta la stessa questione che già abbiamo avuto a discutere rispetto ai Pitagorei. In qual rapporto stanno le idee e gli effati di Empedocle circa le cose divine, col suo sistema filosofico ? Ne formavano una parte inte- grante, o ne rimanevano fuori, coesistendo nella sua mente dottrine filosofiche e credenze religiose, senza ve- nire a contatto nè a contrasto fra loro, a un dipresso come nella mente di uno scienziato religioso possono coesistere, e coesistono talvolta di fatto la fede e la scienza? Non parmi che la seconda delle due ipotesi si possa am- mettere. In una mente riflessiva nella quale s’accoglie e sì agita una gran moltitudine di pensieri, è impossibile che codesta moltitudine non tenda continuamente a or- dinarsi in un sistema in cui ciascuno dei varii pensieri abbia un suo proprio luogo , e si trovi in qualche con- nessione cogli altri. È impossibile p. es. che il pensiero del Dio supremo, dato ad Empedocle dalla stessa religione popolare, si rimanesse nella sua mente come un elemento isolato, ondeggiante nell’atmosfera nebulosa delle sue cre- denze, senza sentirsi attratto e trascinato verso qualche punto del suo sistema filosofico. Questo pensiero noi tro- viamo espresso da Empedocle in versi analoghi a quelli che più sopra abbiamo ammirato in Senofane. Dopo avere . invocata la Musa Calliopea, pregandola che lo assista e lo aiuti a parlar rettamente de’ beati Dei, egli esclama: 676 i « oh felice colui che asseguì tutta la dovizia della mente divina! Misero chi accoglie buia opinione intorno agli Dei! A Dio non ci è dato accostarci, nè coglierlo col- l'occhio, nè afferrarlo colle mani, che è pur la più:certa via per cui la persuasione entra nella mente degli uomini. Non ha Dio umano capo sovra membra umane, nè dal dorso gli si spiccano due rami. Egli non ha piedi, nè pieghevoli ginocchia, nè irsute membra, ma solo mente santa, ineffabile che col celere pensiero pervade l’intiero mondo » (vs. 387-96, ediz. Mullach.). Ora la questione che abbiamo a risolvere è la seguente: qual era, nel sistema fisico o metafisico che dir si voglia, di Empe- docle, quel termine, nel quale egli riconosceva effettuato il concetto del Dio supremo descritto nei versi testè citati? Non può dubitarsi che questo termine sia l’Amicizia, Questa esiste primitivamente nello Sfero, non ne viene mai ‘affatto espulsa, come accade alla Discordia, ed è destinata sempre a riprendervi il predominio. È un fatto che Empedocle divinizza tutti i termini ‘del suo sistema, e ciò non solo per figura poetica, ma perchè ogni ente, ogni potenza sovrumana apparisce alle menti di ‘questi antichi come cosa divina. £ anche un' fatto che, fra tutti questi termini metafisici, l’Amicizia è quello che ha la. massima importanza, come principio della vita, autrice d’ogni cosa buona: il regno dell'Amicizia è quello della beatitudine assoluta. L’Amicizia è adunque per Empedocle il Dio supremo. E qual altro poteva essere per lui il Dio supremo , invisibile, incorporeo, mente santa e ineffabile che col celere pensiero pervade l'universo? Forse lo Sfero? Così l’interpreta Aristotele (Metaph., B, c. 4), il quale dice, che secondo Empedocle la Discordia è la generatrice di tutte le cose, salvo dell’Uno, cioè Dio, che Empedocle 677 avrebbe contrapposto agli Dei longevi, venuti all'esistenza anch’essi per opera della Discordia. Ma lo Sfero è bensì chiamato Dio da Empedocle nel verso 180, ma un Dio che ha delle membra le quali furono poste in iscompiglio dalla Discordia. Come mai ad un tal Dio potrebbero con- venire gli attributi sovramenzionati ? Come mai poteva Empedocle chiamarlo Mente? Non è egli più probabile che questo Dio Mente invisibile fosse per lui l’Amicizia ? Per escludere questa interpretazione non vi è altra via che supporre che il Dio supremo di Empedocle non avesse alcun posto nel suo sistema filosofico. La quale supposi- zione, se sarebbe poco probabile, quando si trattasse pu- ramente del Dio supremo tradizionale, del Giove della religione popolare, riesce affatto improbabile nel caso nostro, in cui si tratta di un Dio supremo, il cui con- cetto è già un risultato della speculazione filosofica degli Eleati ». « Dopo gli Dei vengono quelli che Empedocle chiama longevi demoni, da lui distinti con varii nomi, secondo la loro varia natura ed ufficio. Alcuni sono benefici, altri malefici (Plut., De Orac. def., p. 418). Alcuni di essi, spinti da insana discordia, essendosi fatti rei della più detestabile fra le colpe, vennero sbalzati dalla magione degli Dei nelle tenebre terrene, acciocchè ivi scontino la pena della loro scelleratezza, e in questo numero appunto sono le anime umane. In questa terra le anime passano nelle varie forme degli animali e delle piante; ed egli stesso, Empedocle, si ricordava di essere stato già una fanciulla, e di mano in mano, un uccello, un pesce, un arboscello (vs. 12, 13). Ciascun vivente deve prendere successivamente tutte le forme possibili, ciascun’ anima deve sperimentare tutte quante le vite; sinchè salendo di 678 grado in grado da una vita ad un’altra più eccellente, da quella del vate, p..es. a quella dell’uomo politico, da questa a quella del filosofo, ritorni alla sua primitiva beatitudine. Da queste dottrine derivavano naturalmente i suoi precetti morali, come il divieto di sparger sangue e di cibarsi di carni, il riprovare ch’ei faceva i sacrifizi cruenti (Sext. Emp. adv. Math. IX, 129), il raccomandare la continenza e la castità, le sue prescrizioni di ceri- monie, digiuni, purificazioni, iniziamenti a misteri. Con tali pratiche mirava a sciogliere l’anima dalle passioni , a riempierla di furore divino, a renderla degna di risalir fra i celesti ». « Dottrine di Empedocle sulla conoscenza umana. La teoria cosmologica che a suo luogo abbiamo esposta è affermata da Empedocle con grande asseveranza dogmatica, come quella che, a suo dire, si fonda su ragioni evidenti: ma « è proprio de’ cattivi il negar fede alle cose meglio sta- bilite » (vs. 105). Egli è dunque ben lungi da quello scetticismo che scrittori molto posteriori gli attribuiscono (Gic., Acad. post., XII, 44). Certo egli riconosce gli angusti limiti della conoscenza umana, l’imperfezione de’ mezzi con cui questa si ottiene. « Anguste sono le facoltà ap- prensive diffuse per le nostre membra, e molti affanni ci ottundono il pensiero: appena s’ è dato uno sguardo a questa picciola parte della non vivibile vita, ecco la morte, e ognuno di noi trasvola come fumo, conoscendo sol quella parte della realità, in cui s'è imbattuto: ognuno si vanta di aver trovato il tutto, ma vano è il suo vanto, poichè il tutto non è apprensibile agli uomini nè coll’udito, nè colla vista, nè colla mente » (vs. 36-43). La mente però è la sola facoltà con cui si possa conseguire qualche certa conoscenza: con lei sola, e non già coi sensi AS 679 | possiamo elevarci al pensiero dei quattro elementi e dei due principii attivi: con lei sola si conosce la mente suprema che è Dio (vs. 82, cf. 52-7 e 389-96). Sembra tuttavia che Empedocle si facesse eco di questo intellettualismo eleatico non tanto per propria convin- zione, quanto perchè il suo ingegno religioso e poetico si sentiva allettato dal prestigio di simile dottrina e da quell’aura di misticismo che ne traspira. È certo che in altri luoghi del suo poema egli insegna una dottrina ben diversa e ben più coerente a’ suoi principii. Egli poneva l’esistere come identico col sentirsi, e questo come identico col conoscersi. Quindi gli derivava come prima conse- guenza quella che Sesto Empirico, che la riferisce, trova così paradossale, che cioè tutti gli enti siano pensanti, non gli animali solo, ma anche le piante « e tutti di pensiero abbian lor parte » (Sext. adv. Math., VIII, 286). Che le piante abbiano senso, e che il senso sia tutt'uno col pensiero, è dottrina attribuita ad Empedocle da Ari- stotele (De Plant., I, 1. De An., III, 3). Quindi una seconda conseguenza, che cioè pel mutarsi dell’essere di una cosa se ne mutassero anche i pensieri (De An., loc. cit.). Quindi ancora conseguiva in terzo luogo quel pronunziato di Empedocle, che non si possa conoscere una cosa, senza avere in sè dell’essere di quella. Con terra veggiam terra, acqua con acqua, Il divo eter coll’etere, il vorace Foco col foco, coll’amor l’amore, E coll’odio funesto odio s’ apprende. (Ivi, I, 2). « Ogni elemento sente e pensa se stesso, in quanto è se stesso: ogni elemento è un’anima (ivi). Un ente non 680 può conoscere un diverso da sè ,.,se non in quanto i suoi pori sono acconci a riceverne in sè gli effluvii (Theophrast., De sens., 7). Al fondo di questa dottrina sta il presupposto materialistico che il fatto soggettivo si spieghi col fatto oggettivo, come se questo, in quanto tale, avesse una esistenza indipendente e anteriore ad ogni soggetto, e non già solo una esistenza relativa al soggetto. Che cosa è conoscenza? Sembra ovvio il ri- spondere, che la conoscenza consiste nell'essere un 0g- getto presente od inesistente ad un soggetto E siccome ciascun ente è presentissimo ed intimo a se medesimo, sembra ovvio il conchiudere che ciascun ente abbia conoscenza di sè, come appunto insegnava Empedocle, e che intanto gli enti si conoscano fra loro, in quanto si communicano a vicenda del proprio essere. Nè a lui, nè a veruno degli antichi poteano venire in mente le difficoltà contro tale dottrina, che a noi moderni, figli di KanT, si affacciano così evidenti ed inevitabili. Che intendete voi per questa presenza od inesistenza di un oggetto ad un soggetto? Intendete forse il sem- plice accostamento dell'uno all’altro? Ma questo non sarebbe altro che una relazione spaziale fra i due ter- mini della conoscenza, non esisterebbe in sè, ma solo per un pensante che concepisse lo spazio, cose nello spazio, relazioni di cose nello spazio. Ora è evidente- mente assurdo, che la conoscenza consista in una rela- zione meramente ideale fra i due termini, soggetto ed oggetto, in una relazione tale, cioè , che ed essa e i suoi termini, come tali, non esistano se non per un pensante superiore che li apprenda; poichè in tal caso il fatto della conoscenza presupporrebbe, oltre al soggetto che ne è l'uno dei termini, un secondo soggetto, e questo, per la 681 stessa ragione, un terzo, e così in infinito. Se poi per quella presenza intendete qualche cosa di più che un mero accostamento locale, diteci di grazia, in che consiste questo di più? Forse in una consapevolezza che abbia il soggetto della presenza dell'oggetto? — Ma che cosa è consapevolezza se non conoscenza? La vostra definizione adunque contiene un sinonimo del definito, e non ne analizza il concetto ». « Sarebbe vana impresa il voler conciliare i diversi effati di Empedocle sulla conoscenza. Tutta la sua filo- sofia è un eceletticismo, o piuttosto un sincretismo, nel quale troviamo accozzate insieme, ma non conciliate le varie dottrine che dividevano le menti del suo tempo, e in ciascuna delle quali egli trovava una materia allet- tevole pel suo ingegno poetico anzichè speculativo. Mentre quindi egli accoglie nel suo sistema il Dio uno, sovra- sensibile, che Senofane avea contrapposto al politeismo antropomorfico, vi pone accanto. gli Elementi e le Po- tenze della natura, considérate come enti reali e distinti, ed elevate al grado di Dei: accetta dagli Eleati 1’ Ente uno, ma lo fa alternare colla moltiplicità: conserva di- stinti e irreducibili fra loro quei varii elementi, ciascun dei quali nelle singole dottrine ioniche era stato consi- © derato come principio unico. L’unità assoluta de’ più antichi Pitagorei, inspirante in sè il vacuo infinito e ge- nerante il tempo e il moltiplice, gli suggerì probabilmente l’idea dello Sfero primitivo, che si scompone nella plu- ralità; come il perpetuo oscillare della realità Eraclitea fra due stati estremi, potè suggerirgli l’idea del periodico alternarsi dei due stati di unificazione assoluta nello Sfero, e di dispersione assoluta nel caos. Ma egli vedeva che a render ragione di questo movimento di scomposizione 682 e di ricomposizione non -bastava la ‘causa materiale dei primi Ionici, e perciò assumeva non una unica potenza essenzialmente attiva, quale ad Eraclito era sembrata suf- ficiente a produrre le cose più contrarie fra loro, ma due potenze, l’Amicizia, principio de’ fatti positivi e buoni; la Discordia pei negativi e cattivi, e non vide quella coincidenza de’ contrarii in uno, che Eraclito aveva mo- strata: non comprendendo che la contesa di Eraclito divide bensì, ma dividendo unisce, distrugge bensì, ma distruggendo crea, Empedocle credette, per rendere com- piuta la spiegazione de’ fatti, di dover contrapporre a quella, come a forza distruttiva e dispersiva, una forza unificatrice e creatrice, e questa forza egli la trovava in quella Amicizia, o Venere, o Amore, che aveva una parte così importante nella fenomenologia di Parmenide. Una notizia superficiale e fantastica anzichè razionale, dei sistemi che lo aveano preceduto, gli lasciò credere di poter recare a convivere la vita pacifica dell’età del- l’oro in uno Sfero filosofico > principii, che, con nina mente più speculativa, avrebbe veduti divisi in eterno per discordia implacabile ». PART CRE 683 DOCUMENTI GRECI REGIO MUSEO EGIZIO DI TORINO RACCOLTI BAL DOTT. GG. LUMBROSO Qualche vocabolo problematico che occorre ne’ papiri greci di Torino, avendomi stimolato ad esaminarne gli originali conservati nel nostro Museo, ebbi occasione di studiarvi altresì alcune iscrizioni su pietra, tessere e cocci, e le greche quietanze di tre contratti demotici stipulati sotto la dinastia Tolemaica (1). Quantunque: siano. questi frammenti esigui, la novità (se non erro) di um'iserizione di Cretesi, l’importanza che gli Egittologi danno attual- mente allo studio de’ nomi proprii, la pochezza e l’incer- tezza dei documenti sopra alcune parti della geografia dell’ Egitto, la difficoltà dello studio de’ cocci, la discus- sione sorta tra’ dotti intorno a qualche parola oscura del (1) Gradiscano i ch.mi Proff. Fabretti e Rossi i miei ringraziamenti vivissimi per le cortesie usatemi nel Museo, pi 45. EE 684 primo papiro torinese, la condizione dei documenti egizi, sparpagliati e tagliati tra diversi viaggiatori ed oggi sparsi pe’ musei dell’ Europa, in ogni modo il diritto che hanno i filologi di conoscere senza indugio anche il più piccolo frusto dell'antica letteratura greca, mi fanno credere che la presente pubblicazione, per povera che sia, riuscirà utile e grata; e che gli studiosi dell'Egitto greco e romano porranno questi frantumi nel «libro delle ricordanze », per cavarne poi, quando che sia, qualche opportuno confronto. I, 1. Nella sala a mezzanotte del Museo (pianterreno) conservasi un bel frammento d'iscrizione, fin qui, ch'io sappia, inedito, di 79 e più centimetri di lunghezza e 27 ‘ di altezza; la pietra intera, restituita l'iscrizione, e computati i margini, potendosi ritenere essere stata di un metro e mezzo di lunghezza. Leggonsi attualmente le seguenti sei righe. ZEAEYKON TON £..TENH TOY B KAI NAYAPXON KAI APXIEPEA TO KO TAXXOMENON KPHTOQN APETHXY BAZIAEA ITOAEMAION KAI BAZIAIZZ KAI BAZIAIZZAN KAEOINATPAN THN T KAI TA TEKNA KAI THX EI£ TO E@ Di questa iscrizione si può facilmente restituire le la- cune e determinare l’età, mercè il confronto con iscrizione analoga di Curium (Cipro), C. I. Gr. 2622: ZéAevxov astenia 685 Bidvos, tov ovyyevi tiv facrdews, tov GTpataov vol vabapzov nat apyispéa, tiv varo tiv vicov, Kovpiswv d modis dperfis Evenev nat ebvotas tiis eis Baotdia Iro- demator vat Baotiocav Kicondtpav tiv adelgiv nat Buotdiocay K\eondtpav tiv quvaîza, Oeods edepyetas, azt tig cis abtiv edepyeotas. La circostanza delle due Cleopatre regine, (sorella e moglie di Tolemeo), come stabilisce essere questo mo- numento dell'età di Evergete I (i), così fissa pur anche la data del nostro testo: il quale per essere avvenuta la riconciliazione di Evergete colla prima Cleopatra circa il 427 avanti l'e. v. (2), e per essere fatta menzione sulla ‘nostra pietra de’ figli di Evergete (tx 7sxv2) (3), può ritenersi essere stato inciso tra il 127 ed il 117 av. Cr. e posteriore probabilmente alla citata iscrizione; forse lo stesso Seleuco avendo avuto la dittatura di Cipro, prima che dell’isola accennata dal nostro frammento. La prima riga senza dubbio va letta : Xsevxov tov avyjevr tov Pustdews tov Grpatayor na vavapyov uu coyispea. I titolo di « stratego, navarca, arciprete », accompagnato da quello di « cognato del re », ove si considerino le iscrizioni di Cipro che parlano del go- vernatore 0 dittatore dell’isola, dimostra provarsi evidente- mente dal nostro frammento che vi fu in Creta, o parte della Creta, uguale dittatura civile, marittima e religiosa; in nome de re. greci dell’ Egitto; e questo giova a far probabile la restituzione della terza riga. Il signor Fr. {1) Letronne, Rech., p. 90-91. (2) V. Letronne, op. cit., p.-93. 3) Champoll. Fig., Ann. des Lag., 2, 175-76. Letr. op. cit., p.92. 686 | Lenormant (1) scrive a proposito di Cipro, che in essa deputavansi tre funzionarii principali: lo stratego a Cittium, il navarca a Salamis, e l’arciprete a Paphos, i quali, tutti e tre, davano in comune i loro decreti. Ma questa, senza dubbio, è una svista di quel dotto: i tre poteri erano concentrati in una mano sola; e il nostro Seleuco, a meno che si smembrasse in tre parti, Yuna residente a Cittium, l’altra a Salamis e la terza a Paphos, il che non è probabile, era alla volta governatore, ammiraglio e pontefice, e tale fu nel luogo della nostra iscrizione. La seconda riga m'è parso si debba restituire, consi- derate le condizioni dell’isola (2), nel modo seguente : TO KoLvoy Tuwy Tw Paoret vrotaatopevav Kputev. Intorno alle relazioni tra il Regno alessandrino e l'isola di Creta queste due cose sole, io credo, si sapevano; cioè l'aver dato opera Tolemeo Filopatore (221-204) a far cingere di mura Gortina, la più potente città della Creta dopo Cnossos (3), e l’essere stata o fondata o nuovamente de- nominata in Creta, come in Etolia, una città Tolemaica, Arsinoe (4). Ora c' insegna l'iscrizione nostra, che circa un secolo prima della battaglia d’Azio, quando già la politica romana accennava alla conquista dell’isola, quando (1) Rev. de num., 1853, p. 335. (2) Bolanachi et Fazy, Mist. de la Crete. Paris, 1869, p. 219: « Le » syncrétisme ne fut jamais qu’une institution temporaire ; les al- » liances particulières que les États contractèrent ne purent pas » mieux donner l’unitè à la Crète. Aussi l’isolement et le parti- » cularisme furent-ils les caractères distinctifs de la politique cré- » toise jusqu’au moment où les insulaires se trouvèrent face à face » avec la puissance romaine ». (3) Strab., p. 478. (4) Droysen, Gesch. d. Hell., 2, 722. e 687 già i Tolemei da Roma riceveano ispirazioni od ordini, un dittatore, un funzionario dei Lagidi governava in nome di Alessandria, una parte almeno dell’isola ormai degenere e patria feconda di mercenari e di pirati. La restituzione della terza, quarta e quinta riga si ricava agevolmente dalla sovracitata iscrizione 2622 (confr. 2624, 2617). La sesta riga sembra essere stata XaL Ta tTexva nat Tus es to e0vos evepyeotas. L'espres- sione to e8vos corrisponde qui a to Kovov, come ve- desi da una analoga iscrizione del comune de’ Licii (1) in onore di un funzionario di Tolemeo Epifane. Se si con- fronta poi coll’ é0vepyns degli Ebrei d'Alessandria (Jos. ‘A. J., 44, 7, 2), cogli é0vapya:, capi di certe suddi- visioni dell’ Egitto secondo Strabone (147,798 cf. J. des Sav., 1822, p. 672), e coll’espressione é#0vos usata nell’iscrizione di Rosetta (Letronne, £tec., 1, 278), si seorge essere forse adoperata l’espressione della nostra la- pide ad indicare un gruppo, una parte della popolazione dell’isola. L'iscrizione intera può dunque leggersi presso a poco così: Zelevxov tov cvyyevn tov f[aotews tev otpatayov] Kat vavapyov nat apytepea to vo|tvov Tuwv Ta Parte vro] Taccopevav Kpatwy UpeTiS [evexev HAL EUVOLAS TUNIS ELS te] Baotdea TlroXeuaoy ner Bacixioo| av Kiconatpay TIV ade)gnv] Kar Paoniroor Kicomarpav tav Y[vvarna deovs evepyetas] Kot ta texva nat tas es to eG[vos evepyectas] (1) Letronne, Rech., p. 22. 688 Senonchè taluno potrà opporre a siffatta spiegazione : 4.° il silenzio della storia intorno al dominio effettivo dei Tolemei in Creta; 2.° il taccouevav, che, considerata l'indole dei Cretesi di allora, i quali da mercenarii ser- vivano ogni potenza, e secondo l’uso dei vocaboli 74ypa, taocev, érit4oe (A) per indicare « arruolamento, ar- ruolare, collocare », potrebbe riferirsi a Cretesi stabiliti come coloni o mercenarii in qualche punto del regno La- gidiano; 3.° l'essere Seleuco, circa quell'epoca, gover- natore di Cipro, come vedemmo, quindi potersi trattare nel nostro frammento di una comunita. Cretese, vivente in colonia, nell'isola di Cipro (cf. C. I. Gr. 2613); 4.° es- sere confortata questa opinione dall é9v&pyrs, quindi dal- l':0vos degli Ebrei stabiliti in Alessandria; 5.° essere questo un omaggio del corpo dei Cretesi, come abbiamo nelle iscrizioni di quell'epoca, omaggi del corpo dei Basilisti (C. J. Gr. 4893), del corpo dei pristinai e pasticcieri Arsinoitici (Brugsch, Geogr., I, p. 136). Al che, in tanta dubbiezza e pochezza mia, non altro posso rispondere se non che Koevoy si presenta nelle iscrizioni analoghe come espressione solo di republica, di città, di comune, nè pare potersi confondere con aUvodos, rifdvs, cixos (2), od altra qualsiasi espressione di corporazione, confrater- nita, collegio, o convegno. 2. Le altre iscrizioni greche del pianterreno sono già di pubblica ragione (3); solo noterò: 1.° un bassorilievo, (1) Aristea, ed. Schmidt, 1868, p.18, 1.16; p. 20, 1. 28; p.34, 1.7. (2) G. I. Gr. 4893. Brugsch, Ll. cit. C. Allard, Za Bulgarie orientale, Parîs, 1864, p. 283. (3) Corp. Iscr. gr., 4684, 4968, 4677, e la Stele pubblicata dal- l’Ab. Peyron. 689 il quale raffigura da una parte Iside e dall’altra Esculapio in piedi, e presenta sotto l’immagine di quest'ultimo le magre lettere TENE . ATOY KY.IOY..... CYAICI.O 2.° non essere la nota iscrizione Ipwturos teyvn «p0ya- otupiapyov (C. 1. Gr. 4968), sopra la base di un cippo destinato a reggere una mensa, come è stato scritto dal San Quintino, e ripetuto dall’editore tedesco, ma sopra la base di un gruppo di quattro figure, di bellissimo marmo e di forma svelta e leggiadra assai, che facevan . parte di un tempietto. Cosicchè l’ épyzotuprepyns di cui si tratta era capo-scultore. Il. 4. Nel primo papiro torinese leggo cvvrapovtav e non ovprapovtav (pag. 1, 1 3), yoayutas piuttostochè xodyutas (A, 10); et tuv Atoorolv avv tar (3,1); eydixnoavtes e non eydmaoavies (6, 8); yoayvras di nuovo (8, 15); chiaramente yoayutovvtas e non yo)yù- touvtas (8, 22). 2. Nel secondo papiro parmi ancora dover leggere yoa- yetov (2, 8). Egli è vero che è facilissima la confu- sione tra l'alfa ed il lambda; ma poichè già de’ dubbi sono sorti sulla lezione Peyroniana (1), ho voluto avvertire il lettore, che certamente in un passo si legge yoayu- tovvtes; per cui avrebbersi i Coachiti e non i Colchili, e si confermerebbe l'opinione di Ideler e Brunet de Presle in proposito. (1) V. Notices et extr. des Man., t.18, 2e pt., p. 158. 690 3. Nel papiro terzo leggo eyx@Aovpevor e non svaaàov- . paevot (1. 20). 4. Nel papiro quarto evyopiav e non dio (1. 14) yasotadavtav, di cui frequentissima ne’ papiri l’abbre- viazione y A, piuttosto che yaAxotorav tov (I. 18); d'ere)9n e non ds ere)9a (I 22). 5. Nel papiro sesto &gyvprx e non appropria (1. 10). Tra le linee 34 e 35 di questo papiro, oltre ad una lineetta di separazione frequente ne’ papiri rm, ci sono alcuni segni di scrittura, tra’ quali distinguesi un x. Quanto alla linea 35, vi leggo expemamev pun mpaco(ev) L e rav a e non expevaper pi.. apiar L gs mavvi x (cf. pap. VII, 1. 20). i 6.Nel papiro settimo leggo ruyorpev e non tuyomp.ev (1.6). 7. Nel papiro ottavo uv. agatov (?) tov metevegmtov pa 2); FaBer piuttosto che Tao (4) (1.18); forse sila tu)s roovrwsms e non Te(exto)s (1. 34); br invece di dt (1.37); ts oporoyias eyovons (1. 40); Zewfdeeros piuttosto che ZvBXorros (1. 45); tovtovs [.. ..], forse avtos (I. 48). 8. Nel papiro nono, 1.4: tav odor xa... [p]av xat; 12: reporter 0... tewv; 1.3: Evtiygid. ... poi... dov Epponde ...... povezu; I A: AroXd LL e eyaadovper.. . av Adnvo.... (vv; hh 5: Hpaxdetd, . . mamubdoni yi. Xv; 1. 6: rapacyuoton ..... wi; 1. 7: mpospepero To... .Xofyeas?; 18: auto . LL. (Aoyrass 1.9: var. ... (Av)uaweodar; 1. A4: dov? .0. @v. Dopo l’ultima linea sono incollati pezzettini di cui l'uno ha. op, (1) V. Brugsch, Geogr., I, p.191. Si confronti la forma îv Aox {legg. Azoge:) in un pap. di Parigi (Not. et ertr., p.381). 691 l’altro cd, il terzo ..... vov xutom-(t)ovfavos K (ef. rporrtigiavos ?; nel papiro ottavo e Brugsch op. cit., I, prt:94). 9. Nel papiro decimo pepes 2-7 (? 1. 9). 40. Nel papiro undecimo leggo tns EAotos e non tus ZeXetos (I. 3). Andrebbe cancellato il nome di Selois (fem.) in quella alquanto leggera monografia di Parthey sui nomi proprii egizi (4), e sostituito Elois. 44. Nel papiro tredicesimo leggo yonuatiravtov(2)e non ypupatiotetor (L 4); puorntoperos 0 puountoperos (3) e non qirozantopetos (1.5); è uno di que’ titoli nati dall’adulazione o amor di fazione nell’antichità, come guocwtipetos (C. I, Gr. 4678), puofacdiotis (pap. di Par. 15), gmMoxacap (Ann. Ist. di Corr. arch., 1852, p. 122, 1.4), guMoypiotos (Trans. of the R. Soc. of Lit. 1859 p. 296, n.° 40), e così via. Non credo vi sia os vra- xovoavtos ma 00. raxovoavtos (1.1); nè dtarce (I. 8); leggerei dedavetxevat (I. 8); tov apugotepwv etovs? (I. 41). HI. I contratti demotici n.' 23, 24, 25 del regio Museo sono seguiti da atti di registrazione greci (enregistrements) che paiono notevoli pe’ fatti cui accennano. 4. Il primo (pap. dem., 23) è già stato comunicato dallAb, Peyron a Letronne, e si trova oggi riferito tra (1) Aegyptische Personennamen bei der klassikern , in Papyrus- rollen, auf insehriften, gesammelt von G. Parthey (Berlin, 1864). (2) Cf. congett. di Franz, C.I.Gr., p. 295. 8) Cf. ibid. 692 le note della collezione de’ papiri Parigini (/ot. el extr., p. 215), come segue: A. étovs MA, pecoph ET, ter. érl thv év Atosn. tà pe) . tp: to ns “Aczà . [ni] tiv tod... 2. xata thiv map “Epuodesoov cel + dtayf . dp’ fiv Uro). ‘Hpax)edapos 6 dvtryp . peppaovins. 3. Ilerevepostov ted. amoyp pod otnias Z E(v Til... .) te Ato. Ts pey . anédoto. gute c Ierevepotov Y. TE T. tpransoras Yo. "AcxÀ . tp. 5. ’Aro)Aesvios è rpòs tò Jp. nego . L MA pecopi erayopevo B. Gli editori de’ papiri Parigini raccostano ragionevolmente quest'alto al quarto papiro Torinese, ove parlasi di un accordo tra Psemmontès-Apollonios ed i Coachiti, a pro- posito della casa contestata « di cui essi avrebbero fatto acquisto per contratto egizio prima del presente accordo: ov tuyyaver tedciodat odtoîs avnv E YYpLay npò tiÙs ouoroyias tavtais (Not. et extr., p. 216). E difatti nel nostro atto parlasi dei sette cubiti della casa posseduti e ceduti da Psemmontes (otzteg 7\). Ora rivedendo al Museo l'originale, trovai la fine della terza linea essere [o{r0Ao- qua?) av edeto [denpwvOns] netevegstov. L'edero, invece dell’xredoro letto prima, si adatta perfettamente col vyyavee teGeîoda: del quarto papiro Torinese, e ci prova che il contratto demotico che possiede il Museo è veramente quello citato nell'accordo. 2. Il secondo (pap. dem. 24) ancora inedito suona : 1. e(tovs) pn e puecoon l& te ene tav ev spp to 9 ns a[v]tioyos nata tuv. | | I Ì hà 693 2. [mapa] rtodepaor tov npos ta wii diafp vy nv vro[ye] ‘Hp 0 avrei apevo[9ns?]. 3. [Po]ixias ev Atoo@ tue hi wu cu yervai de[da|- Mavtar Ùtx tas mpon[eysevas]. 4. [cvy]yP nv [.<..] Mov0es Epiews 4 + 'B tedos (+) . Z (?) Avroyos. Il contratto di cui abbiamo qui la registratura fu dunque stipulato nell’anno 45 di Evergete Il (circa 127 av. Ve. v.); compratore della casa, o meglio della parte di casa (leg- gerei alla linea 3 7uy omas ..... WyY UL YELTULAL CCC.) accennata, è un certo Amenotes (v. l’Amenotes, figlio di Oro, Paraschista, proprietario nelle Memnonie, di cui trattano i papiri 8, 9, 42 di Torino, dell’anno 51-52 di Evergete II ). Venditore è Monthis (v. Mwv9ns, Pap. Cas. 48, 7, e Parthey op. cit.), figlio di Erieus (nome che occorre pure ne’ papiri torinesi, v. Parthey ). Il prezzo è di 2000 drachme, e l'imposta del decimo 200 drachme, se ho letto bene. La casa era posta in Diospolis-la-Grande, overa pure una Regia Banca (A) (trapezè), di cui abbiamo parecchi atti: eppure la nostra quietanza è stata scritta (1) CF. Tabula (Venezia 1284, E. Lattes, Della libertà delle Banche in Venezia, 1869, p.29) = mensa Romana e cpàreta greca; v. tavola (Firenze 1296, Arch. st., 4, p. 6). Bancherius = Campsor (in Ve- nezia 1318, Lattes, p. 27), come rparebiras = &pyvpapaés nell’Egitto greco (V. Manetho, III, 99, ed. Did.). Non posso citare, anche di passagio, in un opuscoletto che la sorte libraria o la specialità dell’argomento può forse condurre fuori della stretta nostra cerchia, il nome di Elia Lattes, senza che il Lettore sappia da me come fin dal primo passo in questa carriera io l'abbia avuto maestro, com’egli sia stato poi sempre e sia il mio esempio, il mio conforto, il mio più nobile pensiero, l’anima della mia vita e de’ miei studi. = sta 694 invece alla Banca di Hermonthis e l'imposta ivi pagata. È lecito dunque supporre od essere avvenuta qui qualche irregolarità (comp. il pap. XII torinese?), il che è meno probabile ritrovandosi un esempio identico al nostro tra i papiri parigini (15 dis cf., Peyron, I, 145), od essere stato in facoltà de’contraenti pagare alla Banca d’Hermonthis la tassa sopra una vendita succeduta in Diospolis, con- trariamente all'opinione di Brugsch (Geogr., I, p 195), o finalmente avere appartenuto il sito della casa venduta, in fatto, nell'uso comune, al territorio di Diospolis, ma in diritto ossia ufficialmente (decaduta e discioltasi in pic- coli gruppi l'antica Tebe) al circondario di Hermonthis. Nell’anno 45 era sopra alla Banca d’Hermonthis, Antiocho, banchiere nuovo, se non erro, da aggiungersi alla serie che già possediamo. Il controscrittore (1) (avtrypapevs) era certo Eraclide (Hp ?), e l'appaltatore (0 pos tue wvet) certo Tolemeo. Nell’anno ‘28 ritroviamo: Dionisio banchiere, Tolemeo controscrittore, Asclepiades e Crates appaltatori della gabella (Pap. Par., I, 5 dis); nell’anno 34: Apollonio, Ammonio, Zminos e compagni (Pap. Berl., 38. Droysen, p. 494. RA. Mus., 3, 4.° ser.); nel 45, come vedemmo, Antiocho, Eraclide, Tolemeo ; nel 52: Ammonio, Apollonio (?), Tolemeo (Pap. Berl., 37. Droys., p. 493); nell’anno 4 di Sotere IT: Ammonio, Asclepiade, Tolemeo (Pap. Cas. Brugsch, Zettre, p. 27); nell’anno 12: (1) Questo vocabolo, che corrisponde esattamente a quello greco, mi è fornito dalla nomenclatura degli impiegati di certi nostri Istituti finanziari, Banche, Monti. Nella stessa guisa la nostra lin- gua amministrativa contrappone il « ragionato » al Xoyteràs greco, I° « estimatore » al doxsuaords e così via. : 4 695 Dionisio, Eraclide, Psenchonsis (Pap. Nechout., ib., p. 63); nell’anno 14: Dionisio, Eraclide, Psenchonsis (Pap. Berl.; 39, 40. Br., Zett., p. 61). Nello spazio di 38 anni (142- 104 av. le. v.), alla Banca Regia di Hermonthis vediamo ò banchieri, 6 controscrittori, 4 appaltatori diversi. La durata massima dello stesso Banchiere è di 5 anni (Am- monio, 119-114), quella dell'appaltatore di 412 anni (Tolemeo 126-114). Nomi indigeni s'incontrano tra’ nomi greci nella serie sì de’ banchieri, sì degli appaltatori (Zmin, Ammonios, Psenchonsis). L'imposta, la tassa, era il téXos, vocabolo adoperato universalmente nella grecità ; è noto altresì che l’appal- tatore di una tassa governativa dicevasi te\wwrs od anche semplicemente, e per altra formazione rélov; finalmente che l’ufficio di esso dicevasi con analogo vocabolo teXsvrov, il quale passò, con altri molti, nella lingua latina dei tempi inferiori dell'impero, ritrovandosi nel codice Teo- dosiano appunto menzione del « felonium » (1) a proposito di certi dazi, che si prelevavano in Africa. Ora nella stessa guisa che fine (2) appo noi diede (1) Nov. Valentin , III, tit. 18, 1: « De Telonio vero statuimus, ut ex quinque centesimis duae Rusicadiensis et Coluanae civitatibus, tres sacris largitionibus inferantur: de salinis, alumine, caractere, herba rubea, lini maceratura et clavi vitrei tantum tituli a sacris largitionibus pro numero hominum et possibilitate poscantur » ‘ (ed. Haenel). V. i derivati raccolti in Rau, Grunds. der Finanzw. II° Abth. p. 284. (2) Se il lettore prende in mano i « quaderni di conti » degli Antellesi, illustri mercanti del secolo decimoterzo , pubblicati nel quarto volume dell'Archivio storico italiano (1.2 ser. p. 7 segg.), troverà sotto la rubrica « Descrizione di carte di negozii | ecc. » ; « Una carta di fine de’ detti patti ». 696 origine a Fin-ancier ( appaltatore ), a Fin-anza, che prima volle dir quitanza e poi sestese a significar lo stesso danaio, il tributo, l'imposizione, quindi, per natural svi- luppo: tesoro pubblico , Erario; teXos non diede pur esso origine a siffatto derivato? Crederei di sì: anzi in questo presentito derivato troveremo forse spiegazione di un oscuro vocabolo dell’iscrizione di Rosetta: cioè (nella I. 16 ove trattasi d’imposte da pagarsi dai Sacerdoti), to teleotizòv, quella « caisse telestique », in cui Ameilhon vedeva « un droit de dispense que les inities étaient obliges de payer »; Pahlin « quelque don fait annuellement a l’institution des mystères » ; Champollion-Figeac « un droit que les prètres payaient pour étre initiés aux mystères »; Letronne « un droit payé pour devenir prétre » (41), e forse era semplicemente « l’erario pub- blico », ted-cotixov rispondendo, per formazione, a Fin-anza: « i sacerdoti non siano costretti a maggiori contribuzioni all’erario, alla Fin-anza, di quelle fissate loro sotto il pre- cedente re ». « Due carte di fine ke la Compagnia de li Scali fecie a me Guido e Neri et Andrea d'uno tenore, quando partimmo da loro ». « Uno trascritto in forma piuvicha, e con sugiello pendente de la Corte di Nimisi, de la finanza ke li scali ebbeno per lana tratta del reame: ne la quale fine fui messo io Guido ». Che finanza qui significhi lo stesso che fine (quitanza) ne danno se non prova, almeno indizio assai plausibile le parole che poi seguono: ne la quale fine (Osservazione dell’ed. F. Polidori, con- fermata del resto dall’antico francese: « Poi après prist par mort finance Jehane » V. Littré, ad v.). Tra i ricordi di Oderigo di Credi (Arch. st., IV) troviamo pure: « gli ragionieri della gabella ..... mi feciono una fine » (p. 61). — « Item, per un’altra fine avuta dalla gabella de’ contratti ..... costommi la detta fine per se sola fiorini 1 d’oro » (p. 65). (1) V. Letronne, Rec., I, 276. MEI PSA 697 Le quitanze greco-egizie c’insegnano inoltre che era il compratore del podere il quale dovea, col prezzo, pagar l'imposta, come, per un esempio, presso di noi Guido dell’Antella poneva tra « cierte ricordanze » del suo « Chuaderno » (Arch. st. 1.° ser., vol. 4, p. 14): « Da Primerano de la Sardella comperai il podere da Sala, del mese di Febbraio anno mccc; per prezzo di lire tremilia et lire venticinque di gabella ». 3. Il terzo atto di quitanza (Pap. Dem. 25, bil. 3) è da notarsi, perchè ci prova che abbiamo nel nostro con- tratto demotico precisamente la ripetizione di quello con- servato nel Museo di Berlino (n.° 37=9, v. Brugsch, lettr., p. 64), concernente la vendita di un terreno fatto dal sacerdote d’Ammone, Imhotp ad Osoroer. Diffatti la quitanza greca, che accompagna il contratto demotico di Berlino, malamente pubblicata nel 1829 da Droysen (#4. mus., p. 494, 508): îTovs vB mayoy te terantat Ènt tv Év ‘Eppovde tparebav, 0° ns Appovios, dendtas Eyuvallov nata dtaypagiiv Itoieuatov telsvov, Vo fiv Unoypager “Amo))evios è dvirypageds, "Evapis "Quov potonov miyes A év Ilaxéper, Gv Evricato nao' “Appovitov toò Bdtovtos, talaviav B' telos ao'. ’Appovios toametizas, concorda precisamente colla nostra, che leggo nel seguente modo: A. etovs NB rayov lì e[ ]e tuv ev eppove[t] Tparesay eo ns appears denutas evavAMIOL —_ 2. xara diaypagav | |] Aeparov tedmvov vp ny UMOYpager Cppovios 0 UVTIYPAPELS OGIponpis por 3. Ymovtamov P ev marsuet (sic) ov cwwmoato map smovdov tov Bocvtov(tos) yalzov TL B te Sc. Brugsch nella sua Geografia. (I, p. 185 ) tratta di 698 nactpis 0 taseuis, come di nome della nostra località, scomponendolo in p.aà-Zam: il $ generalmente essendo trascritto dai Greci T o X; checchè ne sia, nella nostra quitanza (come in quella di Berlino) non si può leggere altro che raxeue:. Diversamente da quella berlinese, la nostra quitanza dà chiaramente Ammonio come banchiere, ed Ammonio come controscrittore. Il segno © ( ér/onpov cavri) indica 900 (cubiti): mentre di 1000 cubiti parla il Brugsch (Zett., p. 61). IV. Nell’ottavo tavolino (parte posteriore) della sala a mezza- notte, ho ritrovato alcune tavolette di legno di quelle che si appendevano al collo delle mummie de’ poveri privi di cassa, e le trascrivo qui perchè possono contribuire alla conoscenza più esatta de’ nomi proprii. A. ZevrAnvis . non ho incontrato questo nome nei papiri di Parigi (Mot. et extr.), nè in Goodwin (Copt. a. Gr. Aeg. Names, Zeitschrift di Berlino, 1868, p. 64), nè in Frohner (Ostraca, Rev. Arch., voll. 11,42), nè in Deville (Inscr. gr. d’Eg., Archiv. des miss. sc. et litt., Q°%me sér., t 2). In Parthey (Aeg. Personenn, 1864) si trova solo la forma Senplunis, ove cita colla solita fede ZevrAovvios del Corp. Iscr. gr. n.° 4970. Ma ivi pare si debba leggere Zevr)mvios e non Zevr)[cv]vtos ? come dà il Franz. Ora, secondo la nota legge di trascrizione de nomi egizi in greco, per cui Xev, Tosv = eg. ta-se- t-n=la figlia di, la nostra ZevrAmus fa supporre rimus; ora abbiamo appunto non solo 7Amvis, nome di un 699 vescovo di Hermonthis (Le Quien, Or. Christ., H, 640; Parthey), ma la forma 7Axws, come vedremo in altra tavoletta. > 02. MeXavovs | Qvyarrip Ay | dpsatos | es Eppav0iv da una parte; e di dietro: MeXavovs Ovyata | pav dpaates|, poi :di nuovo: MeAdavovs Qvyerap av dpna | Te6, e poi cyz0 oppure 2720. È scritto tre volte MeXcvovs, una volla Aydpeatos e due volte avdpnates. La forma Me)evovs (fem.) è singolare (cf. txovs, una delle gemelle del Serapeo (Not. et extr., p. 339, 268), non meno che quella di Avdpeztos. Tuttavia è noto; che la forma aros pel genitivo era molto usata in Egitto (ot. ef extr., p. 391, not. 3). Le ultime lettere non so se voglian dire 2ya9@m quyd), presso a poco come evvi evtoyet sulla cassa della mummia di Petemenofi (Acc. di Tor., t. 29, p.325), ovvero in- dichino una data. La forma es e«ppwv0w, che si ritrova in altre tavolette (v. Mot. et eztr., p. 436, n.' 5,7 — e credo che l’EPMON3II della citata iscrizione 4970 accenni non già a nome proprio, come pensò Franz, ma a quello di Hermonthis ) si spiega pel trasporto. delle casse alla Necropoli (cf. ess to os tapovs ev pepvoverais (1) ). 3. Zatov | nis. Il legno parendo tronco, non so se si debba leggere Zzovris (nome nuovo) o Satov. ... His, ma parmi più probabile il primo modo, 4, Zevappi | votos. «mo | Guvews vv | peratyia des. Queste due forme di nomi sono nuove. Al primo s'avvicina il Senarmais de’ papiri (Parthey, Not. el extr.). (1) Bern. Peyron, Mem., p. 39; 40, 46 700 5. Orpanta | amo teuev | vv. Il nome Theracle si pre- senta qui per la prima volta nei documenti egizi. L’aro, confrontata questa colle altre tavolette, prova che repevtw è nome della sua patria. Questo nome, quale è, . non ritrovasi ne’ documenti. Si può confrontare colle forme TUGUVOV, TUOUVEVDUX, TELLEETEVTOV, TILOVVEOOU, tuovveriBi, tuovovanve, Top.0v0a, che nel papiro Casati (Not. et extr., p. 134 segg.) si presentano per nomi di luoghi. «Ora Brugsch (Geogr., 1. 190) scompone tuovv in t. menu (demot.), t.'mone (copt.) = mansio, statio navium, portus; il qual vocabolo unito a Ten, Tevi, Tennu, Dennu = Thinis, This, si potrebbe formare Tementnu = statio, urbis This; se non si vuol derivare da qualche compo- sizione analoga, come ta-ma-t-n-tennu=l’agro di This (v. ta-ma in Brugsch, Geogr., III, p. 40). 6. Da un lato Sevxedacigios e dall’altro AnvIS. Abbiamo già veduto la forma rAnvis. Quanto a Zevxa- \xois parmi rispondere a sen-Calasiris, la figlia di « Calasiris », che è nome frequente. 7. Da un lato erovvzos vtos emevuyov efimoev etwv 28 dall'altro. Pel nome, conf. égovvyes ( Lauth, Manetho, p.95), épovvyos, égwvuyos (Not. el extr.), Zeverwvvyos (ib., p. 434); copt. Ephongh nel dialetto memfitico, Ephonh nel tebano; demot. Ephanch; gerogl. Anfanch = che vive, vivente ( Brugsch, Zettre, p. 16, 45). I nostri individui (per il x invece del ©) sarebbero dell’alto Egitto. 8. Keots | e&ny4 | ris. A meno che Kaos sia er- rore per Kaotos (1), anche questo nome si presenta per (1) V. Egger, Bu/?. de la Soc. des antiq., 1863, p. 147. C.L Gr. 1997; Athen., XIII, p. 093 F. 701 la prima volta, se non erro. Il nostro povero Kaos non ha che fare, senza dubbio, col grande eé4y4tris, ma- gistrato alessandrino di cui parla Strabone (17, 797) ed una iscrizione (n.° 4688) del Corpus. Corrispondeva almeno il suo grado a quello del funzionario alessandrino, quan- tunque molto inferiore? Oppure dobbiamo noi attribuire un altro sigaificato a questo titolo ? Certo mi pare che non s’ intenda qui per e&nyacas un interprete o turcimanno. I frammenti di papiri tebani ultimamente pubblicati dal Parthey (Berlino, 1869), parlandoci di un “Aro)Aeyeos eppmveds tv tpwyodvtev (p. 4), impediscono che si faccia quest'onore a Kc. Rimane che lo si tenga per un va- nitoso interprete e fautore delle superstizioni degli indigeni suoi contemporanei, e si creda ch’ ei guadagnasse il pane spiegando altrui le cose del mondo con quella chiarezza probabilmente che pose nel significarci le occupazioni della sua vita mortale. 9. Da un lato ovros (inciso) devpovins avrp (?) ....0.0; e dall'altro Vevuov| vs pa. Questa tavoletta fu già riferita da S. Quintino ( mummia egiziana, Acc. di Tor., vol. 29, p..276), per provare che sui monu- menti greco-egiziani, la lettera 4 ha talvolta la figura di una croce. Lo stesso autore traduce pix per « anno 41 ». 10. Sopra una tavoletta, assai più piccola delle precedenti, leggo da una parte: Bovs Boat Bova Bovs 702 — dall'altra: ov (?) xa XY EV Bondut o dette otov (?) ap. r utaQov (?) AWa 1.* linea forse potrebbesi leggere ov; alla 8. — 6.* AMIAV AYOY. 11. Sopra un pezzo di legno corroso leggo le pa- role : oAoxotvos, yprotogopos. V. 1. Nel medesimo tavolino evvi la seguente iscrizione su pietra calcarea : + ev9a xatanore H parapa e cafe etsdem Gn pam qape vw9 A: wdx T”. ovanaven 0 9 ee nmirrors A 6paap. var © caqu na 'ianoi EV TANVZIS TO Orxaimy @prnv + + + 703 la quale può confrontarsi utilmente con un'iscrizione ana- . loga meno ben conservata del Museo di Leida, pubblicata da Janssen (Mus. Lugd. Bat. Inser. gr. et lat., 4842, p. 63) e riprodotta da Egger (Mem. d'H. ane., p. 44A). 2. Sopra una piccola pietra calcarea, riferita da S. Quin- tino (op. cit., p. 323) (4), leggesi 7eteevs oppovov . L. NA, Peteeo figlio d’Ammonio nell’anno cinquantuno. Segue l’immagine d’una mummia, o cassa di mummia, orizzontale. ]l nome di Peteeus non è fin qui citato (v. Parthey, Goodwin). Nel papiro 8 di Parigi, col. 14, I. 2, non si deve. leggere rere07, ma, secondo l'originale, metep. (v. Planches e cf. Brugsch, Zettre). VI. 4A. Nella prima vetrina destra della sala a mezzogiorno, sopra un pettorale di mummia leggesi dalle due parti dello scarabeo: CANCN | Y'IOC. Questo nome con- TALWITOV corda precisamente con quello CANCNOQC d'una iscri- zione di Kalapsche (C. I. Gr., n.° 5041), che Niebuhr lesse Zaysvos. 2. S. Quintino nella citata memoria (p. 263) (cf. C. I. Gr. 4829) riferisce l’epigrafe seguente, ch’egli ha letto sopra una maschera di mummia, nel Museo; KAAAHTIC YIOC EKNOYAC. Non ho potuto: ritrovarla. (1) Trovasi nella sala a mezzogiorno, al pianterreno (col n.° 164). VII Malgrado i lavori già pubblicati sull'argomento degli Ostraca (1), la lettura n'è ancora così difficile, ch'io non oso dare per certa la seguente trascrizione de’ nostri cocci: oltrechè lo studio de singoli punti di archeologia finanziaria, da essi ricavati, non può dirsi esaurito , molte rimanendo le lacune e molti i dubbii (2). A. Del primo ecco ciò che ho potuto trascrivere: CI[I.L0VLOS ARL OLEVUALIS MPRATIPES UPyuprans commis drsypater nropGpndis Binvyios otpaB.... (tov fev mos?) 9° yas | 24 toatavov tov xupiov cp). dpay . anta 060) . (du)o ..... ———— 4z L I tparavav apiotov xatro09s TOV AUPLOV aGup xi Atovvo. no. VAS 2. Del secondo : UTTIAVIS ARL OL CUY AUTO sremmpntai tepas mvàns Tonvis dx (1) V. Fròhner, Rev. arch., t.11, p.427. (2) Per esempio, l’espressione deou®, des... .0v (Franz xs5xpio») ha molto imbarazzato il sig. Fròhner (Rev. Arch., t.11, p.427), ed egli stesso non è pienamente soddisfatto della spiegazione che propone. Umilmente chiederei a quel dotto, se dall’Ostracon n.° 17: vrsp evòp. e dall’osservazione paleografica delle 2 lettere 4 e x, non si rica- verebbe l'opinione, che è piuttosto da leggersi è:or°° e da distin- guersi ivi tra la capitazione del padrone, e la tassa sugli schiavi. ni (=) (Dai nagyvovì fiondov disjpavev pu vo(pe)Mtos . ... (a)mo pat(pos) new cvyavzov v(msp) (do) go w ya I) |SFy LA papxov OVANPIOL AVTIIVIVOV xatTapos Tov xvpiov pil < | (0 avravivov?) Del terzo: QUILOVIOS TUPAT. NAL THX (mapayi)fwvos mpantopes apyvpians con © rus (pappovdi ovr.?) aspavov Bond. die(ypadev) ta ....4 v(mep) npor OO POIVIX >. LL... ovop. 7 ELS TO IS Adpravov TA Del quarto: L ovvio cppaviavos nat | rayvovfios mpa* die) 0 (c.om)as yedaotonis (2?) dea. tu m.. Nat Binvyeos vneo ..... ? dn . go. qevr(?) B avtavivov Karapos TOV XUPLOV o P> 30 &y avtwvwvov Korapos tov xvpioÙ aGup Ks avvos aupovavos geonpie .. 0? 706 Nella 1.° di queste quitanze abbiamo @°yvs (Siene), nella 2.° gomw y2 (Siene), nella 3.° r0000dav qom (Siene), nella 4° da. go. ya. Non crederei si pos- sano riferire queste espressioni nè a @omizia (Fenicia, vedi in Frohner un esempio), nè a Azoypagia 0 gopodoyia; ma ad un'imposta fondiaria sulle terre producenti palme, datteri: cioè yu qorvimogutos 0 gowizogopos. Qui cade in acconcio l'osservazione di Strabone (177, 1,51): xe0 cAnv dì tÙiv Alyurtov tod polvizos &yevvols Gvros nat ‘inse povtos naprov cova edppatov év toîs mepi tò Aélta toreis al mepi Thv “AdeEavdpetav, 6 év Ti Onbatà: colui &protos tov Gav vera. Ora è noto, che nel loro sistema d'imposta fondiaria, i Greco-Egizi distinguevano la crro- qopos yi, la win yÎ (diatoros), Vapredites yi, il mapadetcos (1), alle quali distinzioni sul cadastro, s'ag- giungerebbe la gomzogutos yÀ de’ nostri cocci. Il seguente Ostracon parmi notevole per la menzione del pépropos rotapogviax(tas), intorno alla qual gra- vezza si veda il sullodato lavoro del Frohner : Kadagtots TpasTop appoprans dra Touveov Ovadìrtos (?) fondov dieyonper Ip Cundis mao mov GeV cate... pntpos Granavtos vrsp pepro* notano quiaa 1) adpravov Tov xupiov PE dey. otazt (2)... y° otengo "e )ry adpravov teu nupiov yoza È. (1) Varges de Aeg. prov. Rom., p.37. Droysen, Rhein. mus., 1832, p. 513. Peyron, Pap. Taur. I, 133. Letronne, Recueil, 1, 275. Peyron, Pop. di Zoide, p. 177. Inscr. Rosett., 1.15, 16, 30, 6. Ostracon rotto in due pezzi : + Marpspiin apostos \ixar vor G pax? ap) ceo dr ..... navarotes (xa)ecips ?) put. D(mep) pepropov sv... 1. na10f$S E 7. Del seguente non ho potuto decifrare se non queste lettere : delia. T_ pu UOo. KAL .. slortano ionagietzizoi uoL pupaov vpi Mov avtovivov YT? LKT ouersì . « 8. Finalmente eyvi questo frammento con lettere finis- sime, e molte abbreviature (pare un conto): ORO +. OUV [Lx OY LL. QPAvIOÙ RETTA: TV SIN a 2 ai 708 VIN. Insieme alle tessere ed ai cocci ho ritrovato due tavole di legno, quadre, sottili, incavate leggermente dall’ una e dall'altra parte, estesa nelle cavità qualche morbida cera, sulla quale vedonsi oggi conservati alcuni caratteri in disordine. Appartiene forse questo piccolo monumento « taîs oximponripos délrots, at pois pev ypagovtat, dratnpodar de TR ypagévra », di cui parlasi in Diogene Laerzio ('7, 37). Sopra l'una tavola si può leggere AIKI HMQ; sopra l’altra la lettera e ripetuta più volte e le parole KAI CTYAIOY 0 CTYAIOY. Quest ultima forma, quan- tunque non registrata .nei vocabolari, si ritrova in pa- role composte come értorvAzov. Ma se è la prima forma che si deve leggere, avremmo un nuovo esempio di gre- cizzamento di parola latina da aggiungere alle note forme: poazsi)ov, novstmdta, tITÀOS, Vevrtov, covdupIav, dnvaprov, oncuoviatop, pepfpava, tafepyn, potov, rodpavtas, ao- CAprov, GpayeX)wras, NEVTNVAPIOS, CYONMITIXOG, GEVELS, \eyswv, mapovddos, overpavos, sZopdevapiws, TpvAImOS , petatopas (1), che la lingua greca dell’oriente tolse dalla romana, come questa accettò da quella pur alcuni vocaboli, come usiacus ecc. (2). (1) V. Trans. of the Roy. Soc. of Literat., 1859, p.288; 1827, p. 49. Letronne, Recueil, 2, 234. (2) Letronne, Znscr. gr. du C. de Memnon; in Trans. of the Roy. Soc. of Lit., 1822, p. 49. 709 IX. Appartengono infine a' monumenti greco-egizi del museo queste sei lucerne di terra cotta, .con iscrizioni intorno : eya equi avaotaots sulla prima; Iovdas xe IaxoBos aro- atodos sulla seconda; tov ayrov Kuprazos sulla terza; tov ayi[ov n]stpos sulla quarta; vev ede[m]oov nuas sulla quinta; AoSar[ ]ro xa t[ ] pos sulla sesta. Un vaso di terra cotta a manichi, schiacciato, porta da un lato l'impronta di una testa, dall'altro l'iscrizione evÀ OZ . TI VATIOL punvo. 710 REGISTRO G@recità. uyuos 9; apootepav 2, 1A avatavon 5, 1; avirjpagevs 3, 2; 3, 3; armootoios 9 2; apyopenns 1, A: apyrprxav 2, 5; aperta A 4; apratos aatcap 7, A; apysspevs 1, 1; sar ire, dl; Bondov 7, 2; 7, 3; Md Bovs, oc, Bova, fovs 4 10; qerviae 3, 2; dedaveraevat? 2, 14; dedmiavtar 3, 2; dexatus evavaliov 3, 3; 2 deltotov ? 4 10; dcaypagn 3, 2; 3, 3; deeypapev 1,1; 7, 2;9, 3% 45 eydixmoavtes 2, A epradovpevot 2, 3; e0eto 3, 1; e0(vos) 1,1 expevapev 2, 5; edencoy 9, 5; evyopia 2, 4; ebnyams 5, 8; erimpatat 71, 2; etedem0n 5, 1; etovs 2, 11;:3,,1, 150972; evdoyia 9; ceparvin 1, D- ivdratiovos 5, 1; uutuzorte È, È; merone 2, 8; xo(vov) 1, 4; xupiov 1, A; 7, 2; umdmos 5, 1; Voyeta, Moyea 2, 8; vpawesdar 2, 8; pepropos 7, 5; 17, 6; pepos 2, 9; vavapyos N, 1; o60). 7, 4; odoxotwos h, 14; opodcyia, 2, 1; 2,4; napaoyiotou 2, 8; npaxtopes 1, 1; 7, 3; 17, ESTRAS kh; npoccev 2, d; mpoepepeto 2, 8; nposodwv qomvix 1, 3; moos Tui vit (0) 3,2; Geomip.. . ;d 221; Tit oinvar 5, 1; ovyyevns tov facrews 1, Li ouvrapovtes 2, 1; 2, 8; texva 1,4; tehos' 3, 223,0 3 telmvov 3, 3; tpanesa 3, 2,3, 3; Tvymiper 2, 6; ded 9 (vee Oecv); vranovonvtos .2, ) f; vroyp. 3, 2; 3, 3; puicuntopetos 2, NI; qorvimogutos Yan? 1, A-k; yauotalaytar? 2, 4; yerzov 3,3; yoayutar 2, 4-2, 2; yoayutovvtes 2, 1; xpanaticavioo 2, 11; ypiotogopos kh, 11; diovtorov 3, 3. 712 Nomi proprii di persone. A6paap. 5, 4; _ Bocutou(tos) ? 3, 3; Adpravov 7, 3; Iax®6 5, 1; 9, 2; AGrivo ... 2; 8; Iuovdov 3, 3; Apevo0ns 3,2% Iovdas 9, 2; Appoviavos 1, 4; Iouviov 7, 5; Appovos 3,3; 5,2;7,1; Ioaax 5,4; 951,01 Kadertis 6, 2; Aus 7, 6; Ka)asipws 7, 5; x Avastacts 9, 4; Kaos 4, 8; | Avdpeas-utos 4, 2; Kiecrnarpa 1, A; Avvios!"7, 4; Kputes 1,4; Avttoyos 3, 2; Kopiaxos 9, 2; Avtovivov ( Mapzov Avdn- Meavovs 4, 2; prov) 1, 2;7, 4;07,7; Muavogedtos ? 7,2, AroXk 8.8,08; Movdis 3, 2; Annmiavos 1, 2; Ocoponpis 3, 3; Binvytos 1, 1; 7, 4; OvaXintos ? 7; 5; Atovvoros 7, 4; Hapovdov 6, 1; Exvovas 6, 2; Havarotes 7, 6; E\toa6et 5,1; Marpeudn 1, 6; EXors 2, 10; HapayiSavos? 1,3; Erovoyos 4, 7; Iayvov6...7,% 06 Potevo "3, 25 Metasus 5, 2; Eppowde . . . 2, 8; Ierpos 9, 4; Ei, 8; Iv. gm tov 2, 7; HpaxAstd . . 2, 8; 3, 2; Ilevovgavaov? 7, 2; Onpaxdn k, 5; Mmnvis 4, 6; OUarn)os? 1, 3 Iooyras 2, 7; IportiStwvos 2, 8; todepotos 1,1;3, 2; 3,3; Irogsun%s 1, A; Fatoyats? 4, 3; Zavevos 6, 1; Zedevxos, 1, 4; Zevappuvotos 4, 4, Leyxalucgos 4, 6; Zevràavis h, 1; Zepnvov 7, 3- 7415 LeXatros:2, "1; 3rpaer: << eh Zmupar. . 41, 3501, 8; Tir. . + Mntig 1, 4; Tparavov et | Deouryspdos ? hh, 4; Xelaotonts? "1, 4; Weyuavdris 4, 9; Qpov 3, 3; Nomi di luoghi. Tasz 2, 7; Atogrodts 3, 2; deo. rv 1,6; EppwvOis 3, 2; 3,3; 4,2; Ouvews 4, 4; Haxents 3, 3; Bonywusk1,tte1r20kh 3; Tepevivo dh, 5; ——-498 5 + iva ei Ln PREF spet gi "i A “ sasrsb det arrfosprsesiti sato. SO riti approranitiX > frost nr Po Sigie cisti îa di SI : w A At n: gorio ta Sui » aio osi 2000 3a: GITAIIE 4 CE Laga * ne va i LD 2 PR te Unit Te Da VERA i rate io È 1 nn 4 “A, ione :R & mena: ne di $i SOA VERI, Tpanensi! € H95 ara) Si Silent de penso Mi de ea Fs corn it ali ” 4 (sile a PL dk È j ia sà : È RETI | dti è 4 SILE e: 4 , Mr at re E i r * #p- È, es i aC È BITUC® k Ad n . * b] bell 9 TI" ETA peri { 7 VALLI » 2 #3) WRITE È, , 5 Lira? e 34 a b Ù rà MIT, dr tu? PALI >: - x LI Î - e 4 w i ©, nes DO n è; P LI 4 bri abionse. song: sd) “fog oieboai x 5 E i ) "i p È) > i tali Ti } si Ò adire LI ribatte % L. AS: RTLA Mer R f. i PERITO O: n x DE 4 ch, N ba ag Ù Po da gia hi aggio ip roe "SO SORRIDI re «O FIAS i A Y » È ' P » 1} ini 1 APPENDICE Tra le iscrizioni che il sig. di Vogué riportò da Cipro e pubblicò nel 1867 (Journ. Asiatique, t. X, 1867; p..420; Comte de Vogiié, Mélang. d’archéol. orient. Paris, 1868, p. 36) evvi la seguente, bilingue, trovata in un piccolo villaggio, detto Larnax Lapithou, situato a sud-ovest delle rovine dell'antica ciltà di Lapithos: il testo greco, inciso accuratamente e di facile lettura, sarebbe AOHNAI SQTEIPANIKH ‘ KAIBAZIAEOQS PT°AEMAIOY I'PAZIAHMOZSEZMAOY TONBOQ.. NANEO..EN ATA . HITYXHI Il sig. de Vogié traduce: « À Athéné, sauveur, et è la » victoire du roi Ptolémée, Praxidème fils de Sesmas, » a élevé cet autel. Ce quà bonheur soit! » Il testo fenicio al disotto, letto con difficoltà, suona, secondo la versione dell'editore: « à Anait, force des vivants, et au » seigneur des rois, Ptolémée: Baalsillem, fils de Sesmai, » a consacré cet autel ». Ma, osservò dipoi il signor #7 716 G. Derenbourg (Journ. Astat., ibid., p. 500), richiedersi, affinchè Ja versione del greco, quale la dà il Vogié, si ritenga esatta, che la parola x: sia posta prima di v:xz; inoltre Nizn e Xotepe sono due soprannomi di Atene; ond’ è che, per accordare i due testi greco e fenicio, il signor Derenbourg propone di leggere faotàeî aTodeporo, e tra- duce « À Athéné Libératrice-Victoire, et au roi Ptolémée ». Quanto alla data, il sig. Waddington, per confronto pa- leografico, assegna come data all'iscrizione greca lo scorcio del IV secolo avanti Vera cristiana (ib., p. 121); quindi il sig. di Vogié ritiene evidente trattarsi nel testo di To- lemeo Sotere e della definitiva sua viltoria sopra Antigono e i principi di Cipro collegati con quello (312 av. C.), tra' quali appunto Praxippos re di Lapithos fu primo vinto: da Seleuco, capitano di Tolemeo. À primo aspetto si scorge: 4.° che la spiegazione della parte greca data dal Vogié non regge, per le ragioni addotte dal Derenbourg; 2.° che la correzione del testo e la sostituzione di due dativi a’ due genitivi, proposta dal Derenbourg, è troppo rischiosa; nè ha valore assoluto il confronto col testo fenicio, essendo questo inciso poste- riormente a quello greco, e l’un incisore avendo seguito. l’orme dell'altro, oltredichè non sono sempre identiche per l’espressione o la forma le due parti nelle iscrizioni bilingui di Cipro; 3.° che la data dell'iscrizione proba- bilissimamente non è del 312, poichè allora Tolemeo Sotere non era ancora salutato re, nè gli si dovea attri- buire quel titolo sui monumenti; ma posteriore al 305, anno del suo incoronamento, quindi al sopraccennafo evento della sconfitta di Praxippos re di Lapithos. NR To . 747 Ora, il nome di questa ciltà si trova menzionato una seconda volta, circa l’anno 160 avanti l’era v., allorchè infuriava la discordia tra re Filometore ed Evergete suo fratello, e questi favoreggiato da’ Romani, avendo occupato Cipro, quello cinselo d'assedio c preselo appunto nella città di Lapithos; « xdptos yevopavos iv Aanrida toò copatos ana nat Tis Yuyîs avtoò (Polyb., 40, 12, 6). Os- servisi poi, che durante il regno di Filometore (vincitore di Evergete, assediato in Lapithos), regno favorevolissimo in generale agli Ebrei alessandrini, due Ebrei, Onia e Dositeo, ebbero il comando supremo delle truppe « xa otpatafoi mamme Ts duvapews nrav’Ovias nat Aootdeos ‘Tovdziot » (Jos. C. Ap., 2, 5); luogotenente de’quali potè essere Prassidemo , figlio di Sesmai , il quale, dopo la vittoria, vedrebbesi innalzare in nome del re o dell'esercito un altare alla dea Salvatrice, liberatrice dell’isola. Se si noti finalmente che la capitolazione di Evergete in Lapithos avvenne nel ventunesimo anno del regno di Filometore (Champoll., Ann. des Lagid., II, p. 396), e che suolsi in siffatti religiosi monumenti indicare la data della con- secrazione, forse si potrà, con sufficiente probabilità , sciogliere il piccolo problema del genilivo « faces MroXepatov », e congetturare, che il KAI posto innanzi a queste due parole non altro sia senonchè l'indicazione della data: KAL « nel 21° anno del re Tolemeo », il che probabilmente ebbe lincisore greco incarico di scri- vere e forse scrisse ; e l’incisore fenicio forse non intese 0 tradusse liberamente. Nei papiri greco-egizi il segno grafico di anno ora precede ed ora segue il numero. Il. Il signor Huber, Console generale austriaco in Egitto, nel 1854, comperò dagli Arabi del Fayum, la seguente difettosissima iscrizione Arsinoitica, pubblicata dal Brugsch nel primo volume della sua Geografia (p. 136-137): LE uu 10. YIIEP AYTOKPATOPOX KAIZAPOX ©EON YIOY AIA EAEYOEPION SZEBAST ON IOIHIAIOY OKTAOVYIOY ONTOX EIII HX AITYNTOY TO HAH®OOX TON AIIO TOY APZINOEITOY KAOAPO YPTON KAI IHAAKONTOIOION HPAKAFIAHN SOXQTOY IPOST ATHN TOY ABL KAIXAPOX ST HAHN KAI IKON A NOPHHN AIA BI OY LAB KAIZAPOYX MEXIP KE Brugsch legge: e. 1 ’ n , UTEp Autoxpatopos Katcapos Oediv vicd, Atos ’ElevBeptov Ze6aatov LA È) DA 2” Ita Mordiov “Oxtavicu Gvtos énapyov tÙs (?) Atyuntov tò Tifidos TO»v anò toù ’Apowoettov nadapo- ppydòv nat TAancuvToTOLDv ‘Hpan\etdnv Zoyotov npoot- atnv tod etovs I Karcapos 719 otuinv nat eludva (xal) dopriv dia fi- 1) 3 "Etove DIC; Katowoos peyip xe Alla seconda riga, il confronto coll’iscriz. 4715 del Corpus, recentemente ricopiata dal Wescher (Bull. Inshit. Corr. Arch. 1866 p. 52), richiede si legga piuttosto Oe0d vicd che Ocòv viod. Tra la terza e quarta riga il Brugsch è imbarazzato e non dà per certa la lezione ércpyov ts (?) Alyurto». Ma non badò egli che è frequente un’altra espressione ad indicare i magistrati e funzionarii maggiori e minori dell'Egitto greco, cioè 6 ér:, segue la determinazione dell'oggetto della carica. Così troviamo ot ért tòv yperòv ( Pap. Taur. 1, 97; 6,34; 7, 17-18), ci ént ts fiatuiis (v. Bern. Peyron); 6 ért 70v rpoaddav toò vopoò (Papp. passim), 6 ért tov nactopopov (Pap. Parig. 35, 1. 12; 37, 1.44). Perciò leggerei qui Gyros ért Tiis AtyUrtov. Alla quarta riga: il vocabolo 7Xf0s, considerata l’ana- logia di questa iscrizione con quella notissima dell’isola di Bacco (C. I. Gr. 4893), suppone un cuvodos, una confraternita : composta appunto dei xe0apovpyor e dei miagovtoretce del nomo arsinoitico. Qui è da notarsi l'osservazione di Strabone (17,35) a proposito di questo nomo, cioè « ch'era il solo in Egitto che avesse grandi e perfetti alberi di ulivi con bei frutti, e che potesse dare olio di buona qualità ». I rawrovvtoretce sono noti, non così i xa0apovpyee che non sono registrati nel Thesaurus. In Ateneo (14, 54) 720 è detto che come rupoes si è contralto in tupods, om- cupdets in oncapods, così tAaroets in mdazods, sottinteso sempre &ptos (ciontar de nat EMerpiwv tod @pros). Quindi è facile presumere che al rAexouvto (apro-) rotos corrispondesse l’altro derivato xx9xpo (apro-) vpyos. Ora, appunto gli autori (v. H. Steph. v. ceudadis) ed i Papiri distinguono i xe0epoevs aprovs (Pap. di Leida, Leemans p. 95, cf. « pains purs » in Chabas, Pap. Mag. Harris p. 182). II. Alle notizie biografiche (v. Franz, C. I. G. t.3, p.314) che abbiamo intorno al celebre Tiberio Giulio Alessandro, figlio di Alessandro Alabarca, nipote di Filone, ebreo di nascita, poi rinnegato e nemico degli Ebrei, accolto nell'ordine equestre nel 46 dell’e. v., Procuratore di Giudea nel 63, Prefetto dell'Egitto nel 67-68, — è da aggiungersi forse la seguente, ricavata da una iscrizione sgraziatamente mutila di Gythium in Laconia; copiata nel 1863 e pubblicata nel 4866 dal sig. Fr. Lenormant (Inser. gr. ined. centur. in Rhein. Mus. t. 21, p.397) ‘ATA@HITYXHI HIOAISYHTYOEATON T.IOYTAIONAAEZANA ove l'editore legge T(:r0v) ‘IcvArov ’AdeSayd[pov. 721 IV. In un codice della Laurenziana (Plut. 74, cod. 7, p.179) conservasi il trattato ancora inedito (Ar0)Awyrev Kurtews tus mepe apdpav mpayparetas), del medico ip- pocratico Apollonio di Cizio, sulle articolazioni, dedicato a Tolemeo Neos Dionusos (Sharpe, Gesch. Aeg. Il, 41). L'epistola dedicatoria è interessante in quanto che oltre a Zopiro, professore di medicina ippocratica in Ales- sandria, l’autore cita Posidonio suo coetaneo e compagno nella scuola di Zopiro (paprupnoeiev @v npuv Hootdevtas TED UUTG) TUVÙLATETALPGWS LATPO). 722 INDICE Un'iscrizione di Cretesitonaz. SO-dAsti nia. a PAG De talte aperizioni del' MUSeo .., 5. er dee ao v Emendazioni ai papiri di Torino ............. delt Quietanze greche di contratti demotici.......... » Tavolette di legno con iscrizioni ............... » Iscrizioni su pietra calcarea i... ll... » Epigrafi sopra maschere di mummie............ » Ostraca uo. Le e è brc tta » Tayole ricoperte diceftileb.avie 02, ich SoEILAnTA I » EMISSIONI ate nero 1 ca SRG ) Repistro ;:. Grecità .-.sinas sh vivaisti » » Nomi proprii di persone ........... » » Normi.dilaocht. a... ult » Appendice : Un’iscrizione di Cipro ............. » » Un'iscrizione Arsinoitica ............ » » Di Tiberio Giulio Alessandro ....... » » Apollonio di Cizio, Zopiro, Posidonio » . 683 688 689 691 698 702 703 704 708 709 710 712 713 715 718 720 721 L’Accademico Segretario Gaspare GoRRESIO. ES IT) 723 DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO paL 1° aL 31 maggio 1869 Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; Februar 1869; 8°. . Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Serie seconda; tom. VIII, fasc. 3°. Bologna, 1869; 4°. Mémoires de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux- Arts de Belgique; tom. XXXVII. Bruxelles, 1869; 1 vol. 4° Bulletins de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique; 2" série, tom. XXV, XXVI. Bruxelles, 1868; 2 vol. 8°. Annuaire de l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique; 1869. Bruxelles, 1869; 8°. Biographie nationale publiée par l’Académie Royale des Sciences, des Lettres et des Beaux-Arts de Belgique ; tome deuxième. Bruxelles, 1868; 1 vol. 8°. Discorso sulla finanza italiana pronunziato alla Camera dei Deputati dal Ministro delle Finanze, Conte DE CAMBRAY-DIGNy. Firenze, 1869; 80. Mémoires de l’Académie Impériale des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Lyon. Classe des Lettres; tome XIII. Lyon, 1866-68; 1 vol. 8°. Donatori Accademia R, delle Scienze di Berlino. Accademia delle Scienze «di Bologna. Academia Reale di Scienze, Lettere ed Arti di Bruxelles, Id, Id. Id, Ministero delle Finanze (Firenze). Accad. Imp. di Sc. Lett. ed Arti di Lione, Società Linneana di Lione. Univers, Cattolica di Lovanio. Id. Id. Id. Id. Osservatorio del R. Collegio di Moncalieri. Id, Acc. del Progresso 1 Palazzolo-Acreide, Soc. Filomatica di Parigi. Società Geologica ‘+ di Franc. (Parigi). Acc. R. di Medic, di Torino. Club alpino ital. (Torino). Municipio di Verona. Sig. Priacipe BONCOMPAGNI. L'Autore, 724 Annales de la Société Linnéenne de Lyon, nouvelle série; tomes XI-XVI, années 1864-68. Lyon, 1865-68; 6 vol. 8°. Annuaire de l’Université Catholique de Louvain; 1869; 160. Société littéraire de l’Université Catholique de Louvain; Choix de Mémoires, X. Louvain, 1869; 1 vol. 8°. Theses. Facultas theologica; n. 327-336; 8°. ; Id. Facultas iuris; n. 16, 17; 8°. Id. Facultas scientiarum; n. 5, 6; 8°. Sopra gli aeroliti caduti il giorno 29 febbraio 1868 nel territorio di Villanova e Motta dei Conti ecc.; Memoria dei Prof. A. Gorran, A. BERTOLIO, A. ZANNETTI e L. Musso. Torino, 1868; 16°. Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del R. Coll. CARLo ALBERTO in Moncalieri; vol. IV, n. 3, 4j 4°. Resoconto degli Atti dell’Accademia del Progresso in Palazzolo-Acreide per l’anno 1° di sua istituzione 1868, redatto dal Segretario Ge- nerale Dott. Nicolino Zocco. Siracusa, 1869; 16°. Bulletin de la Société Philomatique de Paris; Janvier-Mars 1869; 8°. Bulletin de la Société Géologique de France, 1869; n. 1. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1869, n. 8. Bullettino del Club alpino italiano ; vol. JII, n. 13. Torino, 1869; 8°. Statuto per la Biblioteca comunale di Verona, deliberato nella tor- nata del Consiglio comunale 25 giugno 1868. Verona, 1869; 4°. Bullettino di Bibliografia e di Storia delle scienze matematiche e fisiche; pubblicato da B. Boncompagni; dicembre 1868; 49. Eaux de Saint-Sauveur; leurs spécialités: maladies des. femmes, maladies nérveusesj par A. CHaRMASSON DE PurLavaL. Paris, 1860; 8°. 725 Macedonio MELLONI; discorso-del Prof. G. CossaveLLA. Cuneo, 1869; 8° gr. Extraits de géologie; par MM. DeLESsE et DE LAPPARENT; 8°. Riassunto delia teoria del P. Angelo Seccni intorno alla relazione dei fenomeni meteorologici colle variazioni del magnetismo ter- restre; per l'Avv. Raffaele Drago. Genova, 1869; 8°. Di Giuseppe Maria Bonzanigo, astigiano ,intagliatore di legno e d'avorio nel secolo XVIII; brevi notizie di P. Giusti. Torino, 1869; 8°. Die indische Cholera in Regierungsbezirke Zwickau im Jahre 1866; von Dr. Rudolf GiNrHER (avec atlas). Leipzig, 1869; 4°. Materialen zur Mineralogie Russlands; von Nikolai V. ROKSCHAROW; fiinfter Band. St-Petersburg, 1869; 8°. De l’abolition de la peine de mort en Portugal; par M. Ch. Lucas. Paris, 1869; 8°. Rapport verbal sur les travaux de M. MITTERMAIER etc. ; par M. Ch. Lucas. Paris, 1869; 8°. L’Espagne scientifique; par M. Ed. Muty. Bruxelles, 1868; 8°. Annuaire de l’Observatoire Royal de Bruxelles; par Ad. QUETELET; 1869; 16°. Physique sociale ou Essai sur le développement des facultés de l'homme; par Ad, QueTELET; tom. I. Bruxelles, 1869; 1 vol. 8°, Observations des phénomènes périodiques, pendant les années 1865 et 1866; par M. Ad. QuUETELET ; 4°. Sur les phénomènes périodiques en général; par M. Ad. QUETELET; 8°. Taille de l'homme à Venise pour l’àge de vingt ans; communication par M. Ad. QUETELET; 8°, Sur la différence de longitude entre les Observatoires de Leyde et de Bruxelles ete. (communications diverses); par M. Ad. Que- TELET; 8°. L'Autore, Sig. DeLessn, L'Autore. L'A. 726 Résumé des observations sur la météorologie faites à l’Observatoire L'Autore. ” R. de Modène; par M. le Prof. D. RaGoNA; année 1867. Cher- bourg ; 8°. L'A. Esposizione e discussione dei risultati del barometro registratore del R. Osservatorio di Modena per l’anno 1867; del Prof. Domenico n RaGONA. Modena, 1867; 8°. LA Sulle leggi che seguono in Modena le correnti atmosferiche infe- riori ecc.; del Prof. Domenico RagoNA; f°. DA Note sur le nombre e; par M. S. REALIS. Paris, 1869; 8°. L'A. Neue Daten ilber den Todestag von Adolph v. Schlagintweit etc. Zusammengestellt von Hermann von SCHLAGINTWEIT-SARUNLUNSKI. Miinchen, 1869; 8.0 (con 2 tav. f.°). Anno IV MAGGIO 1869 ai BOLLETTINO METEOROLOGICO Fas DELL OSSERVATORIO ASTRONOMICO DELL'UNIVERSITÀ DI TORINO ——_—_ MU RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI FATTE NEL MESE DI MAGGIO. Il valor medio della pressione atmosferica è in questo mese 34,73, inferiore quindi di circa 3 mm. alla media degli ultimi tre anni. Le oscillazioni furono abbastanza numerose, ma di poca ampiezza, essendo i valori estremi 28,0 e 40,3. I valori estremi corrispondenti a queste oscillazioni sono nel seguente quadro : Giorni del mese. Massimi. Giorni del mese. Minimi. e OZ DA 31,9 (O 35,9 DR 28,8 ea tto 35, 6 N ere CORE AS O AS 39,9 SESSO 28,0 NOLI 37,0 ODIA BOO 33,5 VASO SITO 37,6 Ponte ne 30,3 PAESE SS 40,3 5 IICNORSE 33,3 la temperatura è in media di circa 3 gradi inferiore a quella di Maggio del 1868, ma non si scosta guari dalla media di Maggio degli ultimi tre anni. La temperatura più elevata di questo mese + 25,1 ebbe luogo nel giorno 17 e la minima + 8,3 nel giorno 2. Le temperature estreme di Maggio dell’anno scorso furono a queste mollo superiori, essendo state +31,3 e +12,0. Si ebbe pioggia in 17 giorni, e l’acqua raccolta nel pluviometro raggiunse l’altezza di mm. 126. L'umidità fu sempre considerevole, non raggiunse però mai la saturazione. La tavola seguente dà il numero delle volte in cui spirò il vento in ciascuna direzione. N NNE NE ENE E ESE SE SSE S SSO SO 0S0 O ONO NO NNO 2908 22 A bi SISSA 3 i a) 3 & NOTAZIONI ED AVVERTENZE. Intensità relativa del vento: 0 indica calma; 1 appena sensibile; 2 un po' forte; 3 forte; 4 fortissimo. Forma delle nubi: m indica cumuli: r cirri; s strati. p nr nebbia rara; nd nebbia; nf nebbia fitta; no nebbia solo all'orizzonte. o Pg pioggia minuta e scarsa; p pioggia; pd pioggia dirotta; pt pioggia temporalesca; gr grandine. nv neve; br brina; rg rugiada. to CRRIVAZIOIE sono bit. a tempo vero locale. îù e altezze barometriche sono diminuite di 700 millimetri. i art A Le temperature minima e massima, e l'altezza dell’acqua caduta e dell’acqua evaporata, si riferiscono alle 24 ore comprese fra le 9 pom. del giorno per cui sono registrate e le 9 pom. del giorno precedente. a È È P RETI ; ; La parola direbione designa il luogo dove il Vento: va; se si vuol sapere donde viene bisogna aggiungere 0 togliere 180 ai numeri di gradi del bollettino secondo che questi numeri sono minori o maggiori di 180. Per le osservazioni ozonoscopiche le cartoline stanno esposte pel tempo che passa fra due osservazioni consecutive. Netta peaOReniO gradi Temperatura esterna al Nord Tensione del Vapore Umidità relativa alla te Ci ed all’altitudine di metri 276 IN GRADI CENTESIMALI IN MILLIMETRI IN CENTESIMI IN MILLIMETRI 9 42 5 12 9 4 k 6 9 12 3 6 9 .lanlim.|merid. pom. | antim. ù merid. » h pom. minima | massima | antim, | antim. | merid. | pom. | pom. { pom. 34,1] 34,5 35,5 13,3 19,0 18,7 412,2 22,0 8,52] 9,09] 8,99] 6,73] 8,62 9.1l 370 36,7 36,0 13,5 17,2 2 17,5 8,3 20,2 | 11,04| 9,02| 9,87| 9,96] 9,78] 11,24 37,4| 37,4 37,6 132 17,7 16,2 12,8 20,5 9,98| 9,97| 11,08| 10,73] 10,71] 10,57 36,7 | 35,8 33,4 12,3 19,3 22 18,1 10,6 23,1 8,57] 10,18| 10,26] 9,01| 9,88| 10,87 32,6 | 32,0 33,8 13,4 20,4 4 18,1 12,6 25,0 9,54] 9,85| 9,81] 8,84] 10,27] 9,75 35,9 | 35,7 32,7 11,3 12,6 11,7 10,8 18,1 9,60| 9,18] 9,07] 906) 9,48| 9,62 30,1 | 30,0 29,5 11,8 14,8 16,0 11,0 18,1 9,56] 9,85] 11,00] 11,63] 11,48] 9,34 30,2 | 29,8 33,5 12,7 16,8 13,0 12;1 19,6 | 10,03| 10,74| 10,33| 10,59| 8,46] 9,47 35,4 | 35,4 35,6] 12;5 5,5 17,3 / 1739 fi #11:6 201 9,51| 8,33] 8,08) 6,64) 9,65] 10,93 35,4 | 34,1 32,7 14,4 18,0 4 13,8 13,6 18,1 | 10,77] 10,82| 11,12] 11,52| 10,58| 9,37 33,1 | 33,4 34,5) 121 15,9 16,5 | (11,6 18,9 { 10,07 | 10,10f 9,34/ 9,81 10,47] 10,69 37,8] 37,5 39,0] 12,9 19,4 18,6 11,8 22,5 | 9,78] 11,16] 11,25) 10,24] 11,98| 11,49 39,9 | 39,4 38,8 15,3 214 REI: 20,4 | 413,7 24,4 | 12,01 | 11,42] 10,30] 10,87] 10,17] 11,19 38,2 | 37,4 35,7] 17,6 20,6 9 16,8 16,6 11,81 | 11,89] 14,96) 12,34| 14,15| 11,60 33,5 | 32,6 822] 45,8 18,5 15,3 14,8 10,73| 10,87| 11,32| 11,10 11,24] 11,12 30,5 | 28,0 30,3 4,7 19,5 2 16,8 | (13,6 11,24] 10,55] 11,08/ 10,33| 10,49| 10,82 31,5 | 31,5 34,1 i 20,7 18,5 13,8 2 10,89] 11,36] 13,29) 10,69| 11,09 | 10,87 37,1 | 36,9 37,0 5 19,9 16,6 14,5 12,23 | 11,06] 11,17] 10,53| 12,19 12,19 37,9 | 36,5 35,5 g 20,2 18,7 14,3 2 11,64] 11,48] 11,01 | 11,09] 13,26| 11,89 34,5 | 34,3 33,9 5, 19.6 18,9 15,1 p 12,23 | 11,73] 12,03 | 12,20] 11,49] 10,73 35,2 |/35,3 34,6] 149 182 17,0 | (13,9 10,14| 10,06] 11,041] 12,79| 11,44| 11,48 35,4 | 36,0 36,9 È 2,0 LE È 19,5 | 113,1 10,45| 10,47| 9,90) 997] 10,42) 9,86 37,3] 37,6 37,1 4,8 18,8 4 17,3 13,4 9,68] 8,56] 8,30] 9,45] 9,98] 11,48 36,4 | 358 35,3) 15 19,1 16,4 | (13,8 11,15] 10,33| 10,18| 10,11] 11,55| 12,09 34,7 | 34,0 31,8 | ; 15,9 5 144 |: 139 11,58 | 141,40| 11,99| 12,27] 12,14] 11,66 31,8 | 31,7 31,7 3,5 19,0 15,9 || 12,3 10,71| 10,36| 10,87| 10,70] 11,52] 10,89 36,7 | 37,0 38,7 L 19,9 2 18,6 || 126 10,63 | 10,92 | 10,24| 10,17] 10,16| 10,95 40,3 | 40,3 39,3 6 20,5 || 22. 194 || 15,6 11,77 | 11,29] 11,27| 10,76] 11,10] 11,71 38,4 | 384 37,6 î 21,8 ; 195 || 162 12,05 | 12,71] 13,53| 12,61] 12,43] 11,75 37,1 | 36,2 34,8 , 23,1 17,3 || 152 11,93 | 13,73| 12,77| 12,35] 12,80) 12,93 34,f 31,8] 15,6 199 14,6 |} 13,1 10,98 | 11,48| 12,00} 9,05| 10,51] 10,33 Prima Decade 0% ( o Da co um a nm dc CA Seconda Decade AL Q > — _b cod 44 Si 9 > «> = #9 \= (CA) (S] nni 19 > o Na w o] = 09 9 PL 29 tO e9 e9 e9 ma (eci ta] ococuUosSo* 12 29 re D w © ui € 19 29 T9 PO 20 t9 > 20 20 290 20 29 03 9 0 w = O — a (e SI ES © IPS) indi di lie ZH a e I NE PESI SEPA fel) LA rreandeliasteos(onezielanpe e e ee | T i E aa t aaa e “n Ola wr ia ne: IERI | Î dB T nai 5 ] | en? 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Copazza legge il seguente suo scritto: SULLE MACCHINE DINAMO-MAGNETO-ELETTRICHE Il Prof. Wine di Manchester applicava per il primo allo induttore di Siemens il principio della moltiplicazione. Egli adoperava la corrente originata dalla rotazione del- l’induttore fra i poli di un sistema di calamite perma- nenti per magnetizzare una elettromagnete fra i cui poli ruotava un secondo induttore di dimensioni maggiori del primo. L'esperienza dimostrò che l'intensità del magne- tismo dell’elettromagnete riesciva di gran lunga superiore a quello delle calamite permanenti eccitanti il primo in- duttore, e del pari la corrente originata nel secondo in- duttore era in commisurata misura aumentata di intensità. Perciò era essa adoperata a magnetizzare una seconda elettromagnete che per mezzo di un terzo induttore gene- rava una corrente indotta di intensità sempre crescente. I fattori continui di questa intensità di corrente sono 730 manifestamente l’azione inducente delle calamite perma- nenti, ed il lavoro motore consumato nel produrre le rotazioni degli induttori. Siemens a Berlino e WHrarsTonE a Londra avvertirono contemporaneamente la possibilità di sopprimere uno di questi fattori, sostituendo cioè all’induzione continua delle calamite permanenti una semplice eccitazione originaria che per effetti riflessi viene ad ingrandirsi fino ad un massimo di azione a cui corrisponde una commisurata intensità di corrente indotta. Werner Siemens leggeva, il 17 gennaio 1867, all’Acca- demia delle Scienze di Berlino una comunicazione sulla trasformazione del lavoro meccanico în corrente elettrica senza intervento di calamite permanenti (1). Sulle sue indicazioni il di lui fratello William a Londra costruì una macchina che presentò a quella Società Reale il 14 febbraio suc- cessivo. Nella medesima tornata era letta una memoria di WHEATSTONE che si era incontrato nella stessa idea. W. Lapp pure di Londra, applicando questo principio sotto la scorta di WHreaTstONE, ed utilizzando la corrente indotta in direzione continua, venne accostandosi alla costruzione di Witp. Una macchina di Lapp figurava all'esposizione di. Parigi nel 1867. Essa scaldava al bianco splendente un filo di platino di 2/3 mm. di diametro ed 1 m. di lunghezza, e produceva fra le punte di carbone una luce di-inten- sità esuale a quella prodotta da 40 elementi Bunsen. L’in-. tera macchina aveva 60 cent. di lunghezza, 30 di lar- ghezza e 20 d’altezza. Due modelli più piccoli furono commessi dal Conservatorio di arti e mestieri di Parigi, (1) Memoria tradotta negli Archives de Genève, tom. XXIX, p. 70. TC: 731 e da me per il R. Museo industriale italiano in Torino. Quest'ultimo è quello che ho l’onore di presentarvi, il- lustri Colleghi — Permettetemene una brevissima de- scrizione. L’induttore o la spirale di Siemens ha il nucleo di forma parallelepipeda rettangola allungata nel verso delle spire. Le estremità polari, sporgenti a T dal nucleo, sono terminate da porzioni di una stessa superficie cilindrica ordinaria. La spirale, così costituita, gira in due cavità cilindriche corrispondenti, praticate nelle facce polari di una elettromagnete. x Quando questa sia magnetizzata, al passare del piano polare della spirale da una posizione assiale dell’elettro- magnete a quella in verso opposto e successivamente, si generano nella spirale le correnti indotte alternate, raccolte e trasmesse in verso continuo per mezzo di op- portuno commutatore. Nella macchina di Lapp vi sono due induttori o spirali Siemens che si movono fra le facce polari di una elet- tromagnete, a ferro di cavallo, come in questo modello, o fra le facce polari alle estremità opposte di due elettro- magneti diritte coniugate, come nel modello esposto a Parigi. Una di queste spirali costituisce un solo circuito colla spirale magnetizzante l’elettromagnete , l’altra è continuata da un circuito esterno (1). Trasmessa originariamente una corrente nel circuito ma- gnetizzante, il debole magnetismo remanente conservato (1) La fig. 1 rappresenta in disegno dimostrativo la macchina di Lapp esposta a Parigi, e la fig. 2 il modello posseduto dal Museo, colla proiezione dei due induttori in piani perpendicolari fra loro, posti sopra uno stesso cilindro e separati da un disco di bronzo. 192 dalle estremità polari dell’elettromagnete basta alle suc- cessive eccitazioni. Messe in moto le spirali, la corrente indotta nella prima è trasmessa nel circuito magnetiz- zante; quella indotta nella seconda è destinata a produrre effetti esterni all’elettromotore. Fig. 1. Fig. 2 La scala di queste figure è nel rapporto di */,. I fili avvolti alle spirali dei due induttori e dell’elettromagnete sono di rame di egual diametro. Il diametro del filo scoperto è di mm. 2,5 e quello del filo coperto di 3 mm. Le lunghezze rispettive del filo sono per la spirale del maggiore induttore che trasmette la cor- rente all’esterno metri 40,38 per la spirale dell'altro induttore metri 16,86 e per la spirale avvolta alla elettromagnete metri 208. liti cin init 733 Siccome in qualsiasi macchina adunque, così in quella di Lapp si riscontrano i tre periodi, iniziale, di regime e finale. Nel periodo iniziale in ogni successiva fase di moto la corrente indotta ha per effetto di aumentare il magne- tismo temporario del nucleo dell’elettromagnete, e questo ‘aumento di magnetismo influisce a far crescere la in- tensità della corrente indotta da esso nella spirale durante la fase successiva. Contemporaneamente il lavoro mecca- nico vincendo l'inerzia delle parti in moto ed equilibran- done il lavoro resistente, non che equilibrando il lavoro resistente prodotto dalle azioni magneto-elettriche progres- sivamente eccitate e reagenti fra gli induttori e l’elettro- magnete, costituisce tutte le masse mobili in istato di moto uniforme. In conseguenza di questo fatto complesso vanno crescendo progressivamente e l'intensità della cor- rente magnetizzante e quella della corrente indotta nel- l’altra spirale sino ad un limite a cui corrisponda il massimo stato magnetico del nucleo dell’elettromagnete. A questo punto si costituisce il periodo di reggime. Tale periodo potrebbe durare indefinitamente, perdurando l’azione del lavoro meccanico, ma vi sono cause che av- vertiremo in seguito le quali limitano questa durata. Il periodo finale comincia al rallentarsi della velocità del moto e cessa all’annullarsi di essa. Qual che possa essere l’avvenire pratico sì della macchina di Lapp che delle altre basate sopra analogo principio, e quali che siano le modificazioni ed i perfezionamenti che possano reclamare, è indubitata la loro importanza dal lato teorico. Esse offrono la conversione del lavoro mec- canico in elettricità dopo una prima eccitazione magne- tica, come le macchine ideate primamente da BeLLI ed 734 ; ultimamente da ToepLeR, da HoLTs e da BertcHA offrono l’analoga conversione dopo una prima eccitazione elet- trica. Ciò che si verifica in esse è un fatto complesso, ia cui analisi può chiarire od appoggiare alcune idee teori- che sulle condizioni interne de’ corpi in istato elettrico e magnetico dipendentemente da fatti sperimentali e de- duzioni razionali, senza aver d’uopo di ricorrere ad ipo- tetiche dottrine già messe in dubbio, o non ancora sancite dalla scienza d’oggidì. Egli è perciò che io reputai che non avreste sgradito, illustri Colleghi, d’accogliere alcune considerazioni che l'esame di queste macchine mi suggeriva. Permettetemi che prenda le mosse da alcune conside- razioni sopra fenomeni che sono causanti, o concomi- tanti, l’induzione magneto elettrica, e la elettromagnetica nella cui successione sta il modo di agire di questa mac- china. : Siamo qui in presenza di più dottrine rispetto alla origine e costituzione del magnetismo, che possono rias- sumersi nelle seguenti: Quella dei due fluidi magnetici permanentemente se- parati, o temporariamente separabili in ciascuna molecola e che fu posta a fondamento delle analisi di Porsson, di Gauss, di Thompson e di altri. _ Quella che attribuisce il magnetismo a fenomeni di moto, .o smovimento in limiti di spazio determinati, di un unico fluido magnetico, ipotesi emessa la prima volta da EuLeRo e quindi tradotta all'ipotesi dell’ etere da MossortI (1) e con maggiore sviluppo da me in una Memoria che lessi all'Istituto. Lombardo nel 1855: sulla (1) Mem. della Società italiana, tom. XXIV. dà deri Ser 735 polarizzazione rotatoria della luce sotto l'influenza delle azioni magnetiche (1) e più tardi con principii modificati da HeLwHoLTz nel 1859 (2), da Crartis nel 1861 (3) e da MaxweLL nel 1861 e 62 (4). La teoria di Ampère la quale ammette che le correnti molecolari siano libere di spostarsi intorno alle molecole e che sotto l'influenza di un’ azione magnetizzante si di- rigano obbedendo alle leggi dell’elettrodinamica, e quella di WesER e di DeLARIVE appoggiata ultimamente dal Pro- fessor ViLrari di Firenze, per cui le correnti molecolari circolano intorno alle molecole dei corpi magnetici in direzioni legate ad esse, così: che l’orientazione delle correnti sotto l'influenza di una azione magnetizzante trae seco l’orientazione delle molecole stesse (5). Voglionsi finalmente aggiungere a queste dottrine le osservazioni e le esperienze dei distinti Professori CANTONI di Pavia (6) e Virrari (7), le quali condurrebbero ad ammettere che l’orientazione magnetica temporaria delle molecole del conduttore, orientazione trasversale, costi- tuisca od accompagni anche il fatto della corrente elet- trica. Le considerazioni e le esperienze di questi egregi Professori e soprattutto quelle sulla più intensa azione magnetizzante di una corrente trasmessa in una spirale di ferro anzichè in una spirale di rame, starebbero in favore di questo modo di vedere (8). (1) Giornale dell’Islituto Lombardo. (2) Crelle’s Journal, vol. LV, p. i. (3) Phil. Mag., vol. XXI, p. 65, 92, 650. (4) Ibid., vol. XXI, p. 161, 281, 338; e vol. XXII, p. 12, 85. (5) Elektrodynamische Maasbestimmungen, vol. III, p. 557. (6) Attidell’Istituto Lombardo di scienze e letlere, febbraio e luglio, 1865. (7) Ibid., marzo ed aprile, 1869. (8) L'esperienza di Arsago dell’attrazione della limatura di ferro 736 Del resto sì in questa che nelle ipotesi di MossotTI e di De La Rive, le quali si corrispondono esattamente colla sola differenza della considerazione dell'unico, o dei due fluidi elettrici, la trasmissione della corrente con- siste sempre nella trasformazione temporaria degli ele- menti del conduttore in elementi bipolari. Ciò è anche conforme al modo con cui si possano spiegare i feno- meni di elettrolisi. Solo secondo MossortI e De LA Rive gli assi di polarità sarebbero disposti nella direzione di propagazione della corrente, e secondo CANTONI e VILLARI, sarebbero disposti perpendicolarmente a questa dire- zione. da parte di un filo di rame percorso dalla corrente elettrica po- trebbe essere pure addotta in appoggio di queste idee. PrEcHTL fu il primo ad assumere che la corrente eccitasse nei conduttori un magnetismo trasversale e propriamente magnetismo periferico (Feilitzch. Die Lehre von Fernewirkungen des Galvanischen Stromes, ecc.; pag. 695. Leipzig, 1865). Partendo da altro punto di vista nello spiegare l’esperienza di OersTED, arrivò SeEBECK essenzialmente allo stesso risultato ( AbhandIungen der Berliner Akademie fur 1820, pag. 288). Di questo modo di vedere fu pure zelante fautore StErreNs (Feilitzch- ibidem). Anche BerzeLIus per rendersi ragione. della detta espe- rienza di Oersten fu condotto all'ipotesi di una speciale costitu- zione di magnetismo trasversale ch’egli denomina tetrapolare (Ann. de Chimie et Physique, 1821. Accad. des Sciences, 1821). Davy al magnetismo trasversale tetrapolare di BerzeLIUS sostituiva il ma- gnetismo trasversale annulare, accostandosi maggiormente all’opi- nione di PrecatL ed a quella di Cantoni e ViLLari (Feilitzch-idid.). Anche Bio (Accad. des Sciences. Avril, 1821) dopo avere, in compa- gnia di Savart, stabilite sperimentalmente le leggi dell’azione d’una corrente rettilinea sull’ago a diverse distanze, fu condotto ad am- mettere che l’azione dei fili conduttori percorsi da correnti sia il risultato di una magnetizzazione molecolare. Anche lo stato elet- trotonico di Farapay non è che uno stato caratteristico di tensione dei corpi anche non magnetici, nella sfera di azione di una cor- rente galvanica o di una calamita, stato di tensione, che diverso dallo stato magnetico, ha tuttavia qualche somiglianza con esso. 537 Ho ricordate queste diverse ipotesi solo per esporre brevemente lo stato della scienza, senza ch'io reputi che si possa oggidì pronunciarsi per alcuna. Partendo da un punto di vista più generale possono esse ridursi a due fondamentali. Secondo l’una, l’azione che è causa dello sviluppo di magnetismo, o di corrente elettrica, produce preventiva trasformazione degli elementi del corpo magnetico , 0 dei reofori, in elementi bipolari e conseguente orienta- zione dei loro assi tangenzialmente alle linee di forza. Per l’altra invece gli elementi materiali sono già in condizione di bipolarità, ma cogli assi disposti in in- finite direzioni diverse. Nella costituzione dello stato ma- gnetico, o della corrente elettrica, si determinerebbe solo una conveniente orientazione degli assi di questi ele- menti. Nel primo caso, che la costituzione della bipolarità degli elementi debba trarre seco la necessità della loro orientazione, riescirà evidente a chi avverta che quella costituzione induce una variazione temporaria nelle con- dizioni d’equilibrio stabile che reggono le molecole del corpo in istato naturale; e che sviluppandosi in ciascuna di esse dei centri di opposte azioni, soggetti a leggi di attrazioni e ripulsioni, dovranno le molecole ruotare in- torno ai proprii centri, finchè le azioni emananti dai poli di esse facciansi equilibrio. In ambidue i casi poi è chiaro che per le condizioni stesse che governano la struttura del corpo, le molecole opporranno una resistenza all’azione orientatrice, e ten- deranno a riprendere le disposizioni di equilibrio stabile quando cessi questa azione. Ne nasceranno quindi ma- nifestamente anche moti traslatorii delle molecole che 738 accompagnano i moti rotatorii di esse per orientazione e disorientazione in quanto che le azioni fra elementi bipolari si riducono sempre ad una forza e ad una copia. Oltre che dà fenomeni di suoni constatati nell’atto della magnetizzazione temporaria da Pace, WeRTHEIM, DE LA Rive, MarTEUCCI, MaGRINI, e nell’atto della induzione ma- gnetica da VirLari ed altri, furono ultimamente i cam- biamenti di stato molecolare ed i moti vibratorii delle molecole del ferro durante la calamitazione resi visibili da M. TrÈves col sistema di due coristi muniti di spec- chi secondo il metodo di LissaJous, di cui uno circon- dato da una spirale, e per l’istantaneo cambiamento delle figure riflesse, secondo che si trasmetteva, o no, la cor- rente nella spirale suddetta. Questa condizione di moto quindi non è solo una deduzione razionale; ma deve ri- tenersi oggidì un fatto sperimentale. Nè meno furono avvertite le relazioni ed influenze re- ciproche fra la corrente elettrica ed i cambiamenti mec- canici dei corpi; le variazioni di coesione e di elasticità prodotte nei corpi attraverso cui siano trasmesse, ed il calore ossia i moti termici propagati lungo il circuito. Discende da ciò che per uno stesso grado di energia di azione magnetizzante, o di causa di elettricità, sarà tanto minore l’effetto di orientamento quanto è maggiore la resistenza che oppone il sistema alla variazione delle sue condizioni di equilibrio stabile. Inoltre che per queste azioni producendosi moti traslatorii, e vibratorii ne na- scerà un incremento nella somma delle forze vive delle molecole e quindi uno sviluppo di calore (1). (1) Vedi la Nota analitica che fa seguito a queste considerazioni. iena 739 PuickeR (1) ammettendo che i fluidi magnetici oppones- sero una resistenza alla loro separazione, ne desumeva la relazione assegnata da MùLLER fra l'intensità della azione magnetizzante ed il momento magnetico temporario da essa prodotto da cui si deduce che questo non cresce indefinitamente con quella ma è soggetto ad un mas- simo. WEBER (2) arrivava pure alla condizione che in cia- scun corpo, al crescere l’intensità dell’azione magnetiz- zante, il momento magnetico converge verso un massimo finito, ammettendo che a questo limite si costituisca lo equilibrio fra l’azione suddetta e la resistenza che oppon- gono le molecole alla rotazione. Riassumendo questi preliminari, noi siamo condotti ad ammettere come deduzione da fatti sperimentali una orien- tazione temporaria degli assi delle molecole od originariamente bipolari, 0 rese tali sotto determinate influenze, accompagnata da moti vibratorii di esse; sì nella trasmissione della corrente in un conduttore che mella costituzione del magnetismo temporario nel ferro. — Con ciò stiamo nel campo dei fenomeni, senza spingerci in quello delle cause. Le future deduzioni non saranno che conseguenze razionali di questa premessa. Passiamo ora ad esaminare il fatto complesso che si riscontra nella macchina di Lapp. Per fissare le idee e semplificare la dicitura, denomi- nerò posizione assiale della spirale mobile quella per cui il piano diametrale passante pei poli del nucleo, che denomineremo piano polare, passa per i poli della elet- tromagnete, posizione equatoriale quella per cui la direzione del piano polare è perpendicolare alla precedente. Se si avverte che i piani polari delle due spirali sono (1) Pogg. Ann., vol. XCI, p.12, 1854. (2) Elektrodynamische Maasbestimmungen, UI, p. 570. 740 perpendicolari fra loro, si troverà che l’azione magnetiz- zante dell’elettromagnete è alternata sui nuclei delle spi- rali ma non suddivisa fra esse. Passando il piano polare per una semirivoluzione da una posizione assiale ad un’altra successiva ed inversa, si genera nella spirale una corrente di distacco ed una di altacco che per la duplice inversione riescono nello stesso verso. Questo periodo si compone di due fasi, cioè passaggio del piano polare dalla posizione assiale alla equatoriale indi da questa all’assiale inversa. Rispelto alla generazione delle due correnti lo stato delle cose in queste due fasi è identico a quello che si otterrebbe se in ciascun istante della prima fase si ritirasse dall'interno della spirale una calamita elementare di intensità eguale alla diminuzione di intensità che soffre il magnetismo del nucleo in quel- l'istante, e se nei successivi istanti della seconda fase si riponessero nello interno della spirale le stesse calamite capovolte, e collo stesso ordine cominciando dall'ultima. Perciò le correnti di distacco e di attacco risultano dalla sovrapposizione delle successive correnti elementari dovute alla sottrazione delle calamite nella prima fase e succes- siva aggiunta nella seconda. Ritornando il piano polare per moto rotatorio continuo alla posizione assiale precedente, si ripassa per analoghe fasi, e si generano due altre correnti di distacco e di attacco egualmente dirette fra loro ed opposte alle pre- .cedenti. Vi è quindi inversione di corrente ad ogni semi- rotazione, ossia ad ogni passaggio del piano polare per la posizione assiale. Queste correnti inverse sono rad- drizzate e raccolte tutte nello stesso verso mediante il commutatore. 741 Nel linguaggio ordinario si ammette che l'inversione della corrente nella spirale e per conseguenza il di lei raddriz- zamento nel commutatore siano fenomeni istantanei; ma ciò a rigore non è. Il costituirsi della corrente al mas- simo di intensità commisurata alla causa che la genera, per una repentina chiusura di circuito, o per una repen- tina induzione magnetica, non è istantaneo ogni qual volta nel circuito sia compresa una spirale. HeLwoLTHZ (1) di- mostrò teoricamente e sperimentalmente che l’estra-cor- rente che si genera nella spirale al primo nascere in essa della corrente primaria, avendo un’intensità in ciascun istante corrispondente ed opposta a quella della primaria, in quell’istante, ritarda l’accrescersi di intensità di questa fino al suo massimo; ciò che non produce l’estra-cor- rente che si genera al cessare della corrente primaria. Tale ritardo era già stato avvertito da Farapay e da MarTEUCccI. HeLmHoLTz con calcoli basati su formole da lui determinate ed esperienze da lui ideate arrivò a determi- nare il valore del tempo che impiega la corrente a costi- tuirsi dalla sua origine fino al grado di intensità costante. Esso è compreso pei casi da lui calcolati fra 0,038 e 0,566 centesimi di secondo. Questi limiti hanno un rapporto finito colla durata della corrente nell’uno o nell’altro verso. Io non ho avvertito di contare le rotazioni dell’indut- tore nella macchina di Lapp sul modello veduto a Parigi. Dalle relazioni su di esso (2) trovai accennato che facesse da 1900(2) a 2000 (3) giri al minuto per cui vi era da 3800 a (1) Pogg. An., Bd. LXXXIII, p. 505, 1851. (2) Bericht ueber die West-ausstellung zu Paris im Jahre 1867. Bd. II, p. 244. (3) Ezposition universelle de Puris. - Rapport du Jury international, tom. X, pag. 18. 742 4000 inversioni, ossia da 63 a 66 inversioni di cor- renti al 1". WEBER (1) e Lenz (2) assegnano la formola che lega l'intensità è della corrente col numero n dei cambiamenti di polarità in 1", espressa da via 5, 74435 n °7T+0,01939n + 0,00033 n° per cui il massimo di è corrisponde ad n= 55. Questa proprietà si verifica pur nel modello che avete sotto gli occhi (3). Attenendoci perciò a questo limite di 55 inversioni di polarità al 1", si trova che l'intervallo fra una inversione e l’altra è di 0,018 ossia 1,8 centesimi di secondo. Perciò stando anche solo nei limiti trovati da HeLmorz e sopra ricordati, il ritardo prodotto dall’estra corrente sarebbe compreso fra due millesimi e tre centesimi del- l'intervallo fra due inversioni successive di polarità. D'altra parte richiedesi pure un certo tempo perchè il ferro acquisti il massimo di magnetismo corrispondente alla intensità dell’azione magnetizzante , o perchè lo perda affatto al cessare di questa. Questo tempo è dovuto in parte alla inerzia delle molecole nell’orientamento , allon- tanandosi dalle posizioni di equilibrio stabile nello stato non magnetico, non che nel ritorno ad esse cessata l’azione orientatrice, ed in parte vuol essere attribuito alle cor- renti di induzione che si generano nella massa del ferro (1) Pogg. Ann., Bd. LXI, p. 431, 1844. (2) Ibid., Bd. LXXVI, p. 494, 1849. (3) L’induttore fa 17 giri, ossia 34 inversioni di polarità ogni | giro di manovella, ed il massimo di intensità della corrente cor- risponde a 100 giri di manovella al minuto, ossia 1,66 giro al 1" e quindi a 1,66x 34= 56 inversioni di polarità. } i È 1 ì 743 al principiare dell’azione magnetizzante e contrarie a questa. Ambedue queste cause conducono ad avvertire che il tempo richiesto per la costituzione del magnetismo debba essere maggiore di quello per la cessazione. Diffatti in questo caso le correnti di induzione si annullano im- mediatamente insieme colla corrente magnetizzante , ed inoltre al cessare l’azione orientatrice di questa, cessa l’azione antagonista all’influenza del sistema che tende a richiamarle alle loro posizioni di equilibrio stabile. Im ogni modo anche questi ritardi nella costituzione del magnetismo e nella cessazione di esso hanno influenza sulla relazione precedente fra la velocità di rotazione o di cambiamento di polarità, e l'intensità della corrente indotta. D'altronde sì WesEeR che Lenz arrivarono alla formola empirica sopra citata, adottando per misura della corrente, il primo la deviazione di un magnetometro a specchio, l’altro un voltamento, interposti sul circuito ed esperimentando con una macchina magnetoelettrica di StonrER a tre calamite permanenti verticali a ferro di cavallo e sei rocchetti. È indubitato però che quando aumenti il numero de’ poli delle spirali mobili in una stessa rotazione, come nella macchina l’ Alliance debba diminuire il numero di rotazioni a cui corrisponde il mas- simo di è perchè i ritardi sopravvertiti influiscono meno a diminuire la intensità della corrente risultante dalle singole correnti alternate, raccolte e raddrizzate dal com- mutatore. Torneremo fra poco su questa osservazione. Intanto dalle cose premesse discende che anche nel periodo di reggime l’intensità della corrente raccolta dal commutatore e trasmessa nella spirale magnetizzante non può ridursi di intensità costante; ma è variabile periodica con fasi che accompagnano quelle di rotazione dell’in- 49 744 duttore e quindi periodiche pure riescono e l’intensità del magnetismo della elettromagnete e quella della cor- rente raccolta dall’altro induttore e trasmessa ne’ circuiti esterni. Si costituisce perciò il reggime stabilito della mac- china, quando riescano eguali fra loro le intensità dei detti stati elettrici e magnetici corrispondenti alle stesse fasi dei successivi periodi. Quindi gli assi di bipolarità delle molecole oscillano periodicamente nei nuclei degli induttori e nelle spirali che li circondano, non meno che nel nucleo della elet- tromagnete e nella relativa spirale. V'ha però la diffe- renza che negli induttori i detti assi oscillano fra zero ed un massimo di deviazione dalla loro posizione natu- rale, mentre nell’elettromagnete oscillano solo durante il reggime stabilito fra limiti di massimo e minimo, che potranno avere valori assai prossimi fra loro, ma sempre con differenza finita. La costituzione del reggime stabilito dello elettromotore implica quindi una condizione di equilibrio dinamico, oscillante in ciascuna parte di esso fra l’azione orienta- trice variabile periodica delle molecole e la reazione del sistema di esse da cui è quella parte costituita. Queste oscillazioni perciò che si è avvertito sono necessariamente e commisuratamente accompagnate da vibrazioni trasla- torie. Queste considerazioni danno ragione dei seguenti fatti: Nella trasmissione di una corrente idroelettrica in una spirale, quando siasi essa costituita e finchè resti in istato di intensità costante, può ritenersi che si costituisca pure un orientamento costante, ed una correlativa intensità costante di moti vibratorii. La resistenza alla trasmissione si riduce allo sforzo che deve esercitare l’energia elettrica 745 per mantenere la costanza di queste condizioni contro la reazione del sistema di molecole del conduttore. Quando invece le correnti siano alternate, come negli elettromotori ad induzione magnetica, l’energia elettrica deve in parte essere impiegata a vincere la resistenza di inerzia che oppongono le molecole del conduttore alle inversioni di orientazione. Si deve quindi riscontrare nella trasmissione di queste correnti una resistenza maggiore che nel caso precedente. Quest'aumento di resistenza non saprebbe essere spie- gato colla sola influenza delle estra correnti; perocchè per una eguale intensità di corrente primaria le estra correnti opposte hanno forze elettromotrici eguali, e quindi la somma algebrica delle loro intensità non ha influenza sull’intensità della corrente continua, raccolta e trasmessa dal commutatore nel circuito esterno, se non per le perdite occasionate dalla produzione di scintille al ces- sare della corrente primaria. Queste estra correnti sono paragonabili alla somma di lavoro che deve accumularsi per mettere in moto un sistema di masse e che è re- stituita alla cessazione del moto, ma non integralmente in causa di urti finali che consumano forze vive nelle masse. Una tale resistenza speciale dovrà riescire tanto più sen- tita nelle macchine dinamomagnetiche, per le quali sono dovute all'energia elettrica della corrente circolante nella spirale dell’induttore magnetizzante ed in quella della elettromagnete non solo le inversioni di orientazione delle molecole del nucleo dell’induttore; ma altresì le oscilla- zioni periodiche di orientazione delle molecole del nucleo della elettromagnete. Parimente sono dovute alla energia elettrica della corrente indotta nell'altra spirale anche le 746 inversioni di orientazione delle molecole del rispettivo nucleo. Consegue da ciò che oltre all’effetto delle scintille, una parte considerevole del lavoro motore, sarà pure consunto nel produrre queste rapide alterazioni di orientazioni di molecole, accompagnate da conseguenti vibrazioni di esse; e quindi sarà convertito in calore. A questa condizione, dipendente dalle reazioni elettro- magnetiche; si aggiungono le condizioni dei moti di massa ad aumentare la quantità di calore convertita in lavoro. Diffatti abbiamo avvertito che per la relazione trovata da WesER e da Lenz fra il numero di inversione di polarità e l'intensità della corrente, questa non può raggiunger il suo massimo che per un numero di rotazioni degli in- duttori compreso fra 1700 e 2000 giri al 1'. A questo limite di velocità e perni e molle sfreganti necessaria- mente ed in breve tempo si scaldano. Il riscaldamento nella macchina di Lapp è tale che egli fu indotto a far circolare acqua fredda nell’interno del nucleo degli in- duttori. Sta in questa circostanza dei riscaldamenti per moti di masse sfreganti e per troppo rapide inversioni di po- larità, riscaldamenti che ossidano rapidamente le super- ficie di contatto del commutatore e tendono ad abbruciare gli involucri isolanti dei fili, la causa già enunciata che limita il tempo di azione di questa macchina. Di queste cause di consumo di lavoro convertito in ca- lore, la terza potrebbe essere attenuata quando si facessero cospirare in queste macchine parecchie elettromagneti e parecchi induttori, come si fanno cospirare parecchi roc- chetti e parecchie calamite negli apparecchi elettromotori di Sronrer e di NoLLeT, in guisa da ottenere l’eguale 747 numero di inversioni di polarità di induttori che produ- cono la corrente raccolta continua, con velocità minori delle masse moventisi. Nella macchina di NoLLET la ve- locità dei dischi è ridotta a 200 giri per 1", ossia ad sa circa della velocità dell’induttore di Lapp. Indipendentemente però anche da questa circostanza, poichè nelle macchine dinamo-magneto-elettriche devesi al lavoro motore dimandare anche quella parte di lavoro che va consunta nel produrre le variazioni di orienta- zione delle molecole nel nucleo dell’ elettro-magnete, le quali orientazioni sono permanenti nelle calamite delle macchine magneto-elettriche , non che quella parte di lavoro che va parimente consunta nelle inversioni di orientazione nelle molecole dei nuclei degli induttori, ciò che nelle macchine magneto-elettriche è prodotto dall’in- fluenza delle calamite permanenti; è chiaro che sotto il riguardo del consumo di lavoro motore le macchine dinamo-magneto-elettriche sono più dispendiose delle ma- gneto-elettriche. Quelle macchine, importantissime dal punto di vista teorico della conversione del lavoro in elettricità, ne con- vertono tuttavia troppa parte in calore, e quindi per ciò che spetta alla produzione di elettricità hanno un coeffi- ciente utile troppo piccolo, ad altre condizioni eguali, rispetto alle macchine magneto-elettriche, perchè possa essere loro riservato un avvenire industriale come elettro- motore ordinario. Le esperienze successive potranno sole chiarire, se potendo ovviare all’effetto del soverchio riscal- damento, si troverà un vantaggio per la produzione di luce, stante la maggior tensione che acquista la corrente, a cagione della maggiore resistenza che è costretta a superare. 718 NOTA ANALITICA Il sig. Brior, nella sua pregevolissima opera (') ultima- mente pubblicata sulla Teoria meccanica del calore, parla anche dell’elettricità e di tutti i fenomeni statici, dina- mici e d’induzione che essa presenta. Egli si attiene alle idee più generalmente ricevute, senza pregiudicare la pre- messa teorica di accettare l’ipotesi dei due fluidi, o quella dell'unico fluido elettrico, e la conseguente supposizione se questo unico fluido sia lo stesso etere veicolo delle vibrazioni luminose, od un fluido distinto da esso. Per lui la corrente elettrica è uno smovimento di elettricità che ha luogo quando la funzione potenziale non ha lo stesso valore in ciascun punto del circuito, in guisa che rappresentando con V questa funzione relativa ad un dato punto e con n un elemento della normale alla superficie x di livello che passa per quel punto, è la forza "an elettromotrice. Con questo modo di vedere, egli ammette che « l’elet- tricità movendosi attraverso il sistema reticolare di molecole ponderabili, le urta e comunica loro una parte della sua forza viva, ciò che si riconosce dal riscaldamento del conduttore. Si può valutare, egli dice , l’effetto medio di questa comunicazione (1) Théorie mécanique de la chaleur, par Ch. Brior. Paris, 1869, pag. 256. tt Ù è 749 di forze vive, come nell’ attrito ordinario , per mezzo di una resistenza fittizia opposta dal mezzo ponderabile e diretta in verso contrario della velocità. Accettate le idee sovraesposte, è questo l’unico modo di concepire la resistenza al moto dell’elettricità, e la conversione in calore della quantità di energia elettrica consumata nel vincere questa resistenza; ed il sig. BRIOT, applicando l’analisi a queste idee, colla potenza che lo distingue, ordinò con molto rigore, chiarezza e semplicità le teorie dell’elettrodinamica e dei fenomeni d’induzione. Accettando invece le idee esposte in questo scritto, si arriva alla conseguenza che: sì nella corrente elettrica che nella costituzione del magnetismo temporario, ha luogo una orientazione temporaria degli assi delle molecole, od origina- riamente bipolari, o rese tali sotto determinate influenze; orien- tazione accompagnata necessariamente da moti vibratorii. Quando la bipolarità non sia primitiva, come si am- mette da taluni, può ritenersi ch’ essa sia prodotta da induzioni elettriche o magnetiche intermolecolari. Nelle idee di MossorTI e di De LA Rive queste induzioni elet- triche intermolecolari che danno luogo alle correnti elet- triche, sono accompagnate da irruzioni dell’unico, o dei due fluidi elettrici. Queste irruzioni potrebbero produrre gli effetti avvertiti dal sig. BRIOT. Ma nel produrre i moti oscillatorii dipendenti dalle orientazioni ed i moti vibratorii che necessariamente le accompagnano devesi necessariamente consumare una porzione dell’energia della causa eccitante, dovendosi vin- cere la reazione del sistema che tende a ricondurre le molecole nelle condizioni di equilibrio stabile, di mano in mano che l’energia eccitante diminuisce. Perciò tutte DI le volte ehe l'energia eccitante è variabile, varieranno 790 pure le orientazioni delle molecole, assumendo gli assi di esse posizioni medie variabili, intorno alle quali oscil- leranno e varieranno le intensità dei moti vibratorii. Quando la energia eccitante si riduca costante , il si- stema si costituirà in un nuovo stato di equilibrio stabile rispetto alle posizioni medie dei centri delle molecole ed alle direzioni medie dei loro assi. In questa breve Nota mi propongo di determinare le espressioni delle forze che si esercitano fra le molecole di un sistema bipolare sotto l'influenza di una eccitazione esterna, e per conseguenza i momenti di esse che tendono a far ruotare le molecole intorno ad assi passanti per il centro. Moti vibratorii. Si consideri un sistema di molecole in condizioni di bipolarità; si rappresentino con Cr, Y., zx ed x,y,2 le coordinate dei centri di due molecole m, ed mm; LE » À le distanze fra i poli di esse; ir, » î le intensità d'azione ai poli; bzda Do pe i momenti di queste azioni (momenti magnetici); lr, mi, n: » I, m,n icoseni diorientazione degli l assi di m, ed m; e si ponga (er-e)lL+(yym+ (zz) iv ee oo in cui AR sia la distanza fra i due centri. È noto, che il potenziale della molecola m, al centro di m è dato dall'espressione pre La componente f; dell’azione di m, al centro di m, e parallela ad uno degli assi, è: Perciò rappresentando con fi”, fi le componenti, pa- ‘ rallele allo stesso asse, dell’azione di m, sopra ciascuno dei poli (N) ed (S) diam, sarà: mu i asa 1 . 1 Tà =in(c+30 y+amà; +3). goti 1 1 Mati r=i(0-30; y_gmà; 2-3). Quindi rappresentando con F; la componente parallela al detto asse della forza che si esercita dalla m, sulla m, e trascurando i termini che contengono il cubo di /A, mk. dr e le potenze superiori al cubo, sarà: suoli pih dio dle cdi Fi=fi c=e( ii + mal enil) lasal (2) . Analogamente rappresentando con V il potenziale al centro della molecola m delle azioni esterne al sistema di molecole che si considera; con g;, gi”, gi, G: le fun- zioni rispetto a V, analoghe alle fi, f;”, fi°, Fi rispetto a g, sarà: dV gGi= di -(3), _. (dg. dg. dg ; G=u(1it+ mit eni tei (4) 752 Se si ammette, che i valori delle variabili che si con- siderano, siano quelli corrispondenti ad uno stato di equilibrio stabile, dovrà essere Ge Re) Si e AC (5) parallelamente a ciascuno degli assi coordinati. La somma 2 è estesa a tutte le molecole del sistema meno quella che si considera. Rispetto agli angoli di orienta- zione G; è funzione solo di /, m, n; mentre F; è fun- zione altresì di /,, mi, Mr. Supponiamo che avvenga una variazione nell’ orienta- zione degli assi delle molecole , in seguito ad una varia- zione U(1) di V, e si rappresentino con /[+a, m+b, n+c; lh+a:, mi+b, ne+c, i valori dei coseni di orientazione, essendo a, b.. .a,... funzioni di #. Po- nendo sarà » il valore che assume G;, e sviluppando G'; = Gi +I; (4) et s'@ late (6) è Analogamente, ponendo Pirebhila-a; Vi. tie ndadtag Hp sE sarà: Fi=F+®:(i) GIRL Lo ada Pea (7). Essendo T; e g; le somme di termini successivi a Gi ed F; negli sviluppi di G',, F. 758 La componente parallela ad uno degli assi, che sol- lecita la molecola m in questo stato variato, sarà rappre- sentata da G'; + x F'; î ossia, stanti le (5), (6), (7), da J;=M+2; fit OREIRS Quando U e quindi a, db, c; a, bi, c. variino perio- dicamente , sarà anche *; variabile periodica. Osservisi che IT; è funzione di x, y, È e g; è funzione di axr—-%; Yyi—-Y; z:—z. Sì supponga che in un dato istante siano LKU, Y+V, Z+Wj} LZ+tU, Y+U, Zi+w: le coor- dinate dei centri di m ed m,, e si ponga X+A4%, Y+Av, Z+Aw, in luogo di r,+u—(r+0); y+%v—(Y+0); Z+wW—-(Z+Ww) e ‘ &;=Ti(r+w, y+v, 2+) Î (9) +Z=p;(X+A4w, Y+A4v, Z+A4w) Ri AnieCA Se U è funzione periodica di t, si può ritenere che le coordinate x, y, z delle posizioni medie dei centri di cia- scuna molecola siano indipendenti dal tempo; ma se U si componga di due parti, l'una periodica e l’altra non periodica, allora le x, y, z sarebbero funzioni del tempo. Nella macchina di Lapp questo secondo caso si verifica nelle fasi iniziale e finale quando si esalta o cessa il magnetismo della elettromagnete, e quindi le reazioni dipendenti da esso. Nel periodo di regime, in cui è costante l’intensità media della corrente indotta, ecci- tante la elettromagnete, può ritenersi che la parte non periodica di U si riduca sensibilmente costante, e che quindi abbia luogo il primo caso. 754 In generale quindi sarà d° d° ident grio+u)=ta; ge (V+0)=Y -— e quindi rappresentando con 8 un intervallo piccolo in valore assoluto, ma grande rispetto alla durata di ciascun periodo, sarà: ©) na 1{m}j/du\X\? dv\? dw\?: L=},3 i 1) + n) Te) [a (0) pni( de), (ene (ey 2I\dit di di i dove = è esteso a tutte le molecole del sistema, la somma delle energie attuali dei moti vibratorii delle molecole del sistema. Nel caso sopravvertito per cui siano #, y, z indipendenti dal tempo, allora il secondo termine di questa espres- sione è nullo. Moti rotatori. Se si rappresentino con £, n, $ le coordinate del polo N della molecola m rispetto a tre assi passanti per il suo centro e paralleli a quelle delle x, y, z, e quindi —È, —n; —$ quelli dell'altro polo, considerando l'istante a cui si riferisce la Y; data dalla (9), saranno M=%%,—nY., M=tF,- 2 m_ 1 è) 2 324 ’ Sid Fd ++ 0; vd di ; ecc. SRI —dn-1 Sner — Du-1 Sne1r — Cnei an=z_—_—-;— |; ba=——_-;_-; = ——_—,-— ;j; ecc. di pp phi QUI PORTA PR LET ge mesi SnzAnt Dn tnt 0.1; VazAn Un . Ne verranno per conseguenza s=s = di FOLLA: pa m_1 V, Sg= Si b) Va [REA bi Va S3=5g3 } Vv; pi 5, ecc. ; @6G:i ch a. si Un=1 < Sn=Sn-1 ’ CO ee , e quindi, qualunque sia n, saranno v Sn=S; v=(—-1) —} - n ? n ( ) (m_A)" Onde, crescendo n, la s, rimarrà costantemente uguale, ad a+b+c+...., e la differenza »v, convergerà verso zero; ed al limite n= si avrà 763 a+b+t6+ urlo = m Si vede inoltre, che per valori finiti di n, nelle suc- cessive derivazioni, i valori dei nuovi elementi che si sostituiscono a quelli che precedono, convergono tutti : KU a continuamente verso questo limite di [In modo che ea nea... rappresentano delle misure, il sistema Medri. ) è preferibile, in quanto ai singoli elementi, al sistema (a, db, c, .....), e così successiva- mente; e nell'insieme ciascun sistema di misure equivale all’unica misura Lal, valore il più probabile risultante da tutte le misure effettive a, db, c, ..... | : Il Socio (renoccn presenta a nome del Principe B. Boncompagni il frontispizio e gl’ indici del primo vo- lume del Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche, e il primo fascicolo del secondo volume (gennaio 1869) dello stesso Bullettino. Questo fascicolo contiene parte di un articolo intorno all'opera del sig. Varson intitolata: Za vie et les travaua du Baron Cavcny (4); e sembrano specialmente degne d'attenzione le notizie che vi sono date circa varii scritti che trat- tano della vita e delle opere del Caucay; altre notizie che si riferiscono ai primi lavori del medesimo, ed al suo opuscolo intitolato : Quelgues mots adressés aus hommes de bon sens et de bonne foi, e inoltre la pubblicazione (1) Parigi, 1868. Due volumi in-80. 704 fatta in quel fascicolo di un rapporto del Cavcny, che in parte era inedito (4). Il medesimo Socio presenta a nome pure del Principe Boncompagni un opuscolo del sig. HoùL, avente per ti- tolo: Sur une formule de LergNiz, nel quale si riassumono le Note pubblicate sopra lo stesso argomento dal Professore Tarpy e dal GenoccHi. Quest ultimo, mentre si professa grato al signor HoL pe’ suoi cortesi giudizi, crede suo debito dichiarare, che le lodi a lui rese per la ristampa della lettera del LaGranGE al FAGNANO sono piuttosto do- vute all'Accademia che ha deliberata tale ristampa e al suo Presidente che l’ ha proposta (2). (1) Veggansi nel detto fascicolo le note alle pag. 1-2, 14-17, 20-23. (2), V. Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. IV, pag. 278. La medesima osservazione deve farsi rispetto ad un articolo anche esso molto cortese pubblicato dal sig. GrunERT nel suo Archiv der Mathematik und Physik, tom. L, pag. 223-227. Alla fine di questo articolo è riportata la lettera del Lacrance, della quale perciò si hanno ora quattro edizioni, senza contare l’edizione latina del 1787, e la riproduzione litografica fatta eseguire alcuni anni addietro dal Principe Boncompagni (V. Atti, pag. 323 ). Nell'ultima dispensa (maggio 1869) del Journal des Savants un illustre Matematico menziona soltanto la prima e la seconda edi- zione di quella lettera (1754 e 1757), e anche in un modo che non sembra pienamente esatto, poichè della prima dice che « Fagnano TICA devina le mérite du jeune auteur et fit imprimer sa lettre », dalle quali parole pochi intenderanno che il FaGnANO eccitò soltanto Lagrange a pubblicare la sua formola, e che allora LacranGE scrisse e fece egli stesso stampare quella lettera. Quanto alla seconda, fatta nella Storia letteraria d’Italia ,, si afferma che gli editori no- tando l’incontro di LacranGE col LeiBNIZ, « rendent justice cepen- » dant aux qualités distinguées, qui en sont indépendantes »; e nel testo italiano non troviamo affatto queste qualità distinte e indi- pendenti. Altri punti si crede importante avvertir&, nei quali non sem- brano del tutto giuste le osservazioni del dotto scrittore. Lita isti cienza rain enni iris ct iii ETRO hl ff A 765 1.0 Troppo severo è per avventura il giudizio pronunciato contro l’Elogio di LagrancE scritto dal DeLsmpre) che parrebbe anzi pregevolissimo per le particolarità della vita di LaGrancE che vi sono esposte, e per le opinioni del medesimo che vi sono riferite, quand’anche il DeLamBRE per la natura de’ suoi studi non fosse atto ad apprezzare i lavori di Lagrange. Anche la tradizione che si ram- menta intorno alla parte avuta da LaGranceE negli scritti del Fox- cenex non ha altro fondamento che la rivelazione contenuta in quell’Elogio, e non sarebbe conosciuta senza di esso. Può del resto vedersi nella citata opera del Varson (tom. I, pag. 103) come non facesse sì lieve conto di DELAMBRE e de’ suoi giudizi il grande ana- lista Agostino CaucHY. 2.° La prima Memoria del Foncenex è giudicata fort médiocre: tuttavia a quella Memoria che tratta delle quantità immaginarie , LaGRANGE non isdegnò di apporre una Nota assai lunga segnata col suo nome, ove fa uso dei principii stabiliti dal FonceNEx per ispiegare un paradosso di D’ALemBeRT (Miscell. Tuurin., tom. I, da pag. 142 a pag. 145; questa Nota manca nella nuova edizione delle OEuvres de Lagrange, non meno che un’altra ad una Memoria del P. GerpIL nel tom. II, pag. 17-18, in cui parla della metafisica del calcolo infinitesimale). Parimente alle obbiezioni di quella Me- moria D’ALemBERT non isdegnò di rispondere in uno scritto appo- sito (Opusrul. Mathém., tom.I, p. 210-227). Di più la stessa Memoria contiene una dimostrazione sopra la forma delle radici immagi- narie che D’ArLemeerT dichiarò fort ingénieuse et fort simple (ivi pag. 227), e che Lagrange riferì nel suo trattato della Reésolution des équations numériques, lodandone l’eleganza e la semplicità, e aggiungendo che LapLace aveva dimostrata la stessa proposizione « en partant de l’analyse employée par FoncENnEX » (Résol. des équat. numér. Parigi, 1808, pag. 183-185 e pag. 188, Nota IX. Vedi anche Mem. Acad. de Berlin, 1772, pag. 224). La medesima dimostrazione fu pure menzionata ed esaminata da Gauss nella sua celebre Tesi del 1799, art. 8, 10 e 11 (Opere di Gauss, tom. III; pag. 16 e 18-20. Gottinga 1866). 3.° Anche la prima Memoria di LaGRANGE sopra l'attrazione degli sferoidi (Mem. Acad. de Berlin, 1773) è giudicata severamente. Ma un altro giudice, del quale non si vorrà ricusare la competenza, come si ricusa quella dell’astronomo DeLamBrE, la disse invece una preparazione d’ altissima importanza ai lavori posteriori, cirie hochst wichtige Vorbereitung der spitern Arbeiten (Opere di Gauss, tom. V, pag. 280: Gottinga, 1867); e formalmente riconobbe (ivi, 706 ‘p. 3-4 e 279-280) che in essa Lagrange. ottenne pienamente il suo intento, così dichiarato da lui stesso: « Je me propose dans ce » Mémoire de faire voir que, bien loin que le problème dont il » s'agit, se refuse à l’analyse, il peut ètre résolu par ce moyen ‘» d’une manière, si non plus simple, du moins plus directe et » plus générale que par la voie de la synthèse; ce qui servira è » détruire un des principaux argumens que les détracteurs de » l’analyse puissent apporter pour la rabaisser et pour prouver la » supériorité de la méthode synthétique des anciens » (Mém. Acad. de Berlin, 1773, pag. 122). i 4.° La dimostrazione della formola per la trasformazione degli integrali triplicati data da Lacrance nella stessa Memoria (ivi pag. 125) è giudicata incomprensibile se non davvero inesatta, e si chiedono l'opinione e gli schiarimenti del sig. Serret. Ma un'osservazione di Lacrance sopra i quadrati e i cubi dei differen- ziali delle variabili, che principalmente si censura, è estranea alla dimostrazione; di più essa non differisce da una che aveva già fatta Eurero (Novi Comm. Acad. Petropol., tom. XIV, Pars I, 1769, pag. 90). Nel rimanente la dimostrazione di Lacrance fu intesa da LecennRE, che riferendola con qualche parola di schiarimento, con- chiudeva: «le principe qui sert de base à ces transformations ap- » partient è M. pe LA Grange » (Mém. Acad. de Paris,1788, pag. 461); e fu parimente intesa e ripetuta dal Lacrorx (Trasté du calcul ete., tom. II, pag. 205-208, 1814). Il Prof. Govi comunica da parte del sig. ManveLLi (Professore di Fisica nell'Istituto tecnico di Reggio-Emilia) una sua osservazione così concepita: « Nella scorsa set- » timana facendo sperienze agli scolari col Rocchetto di » Runwxorrr.restai sorpreso dell’influenza della luce solare » anche diffusa sulla scarica elettrica, la quale cessa nella » oscurità, per una conveniente distanza dalle punte dello » scaricatore universale, e ricomincia appena si aprano » le imposte. Avendo esposto l’eccitatore universale al » sole, vi notai l'influenza del passaggio di una nube ». » L'esperienza riesce assai bene colla bottiglia di REST RENE > VESPE CARE, CSR Nn a PO: CREO PI A e af 767 » LevypA, che si carica e si scarica continuamente con » scintille rumorose. Credo che questa sia la prima prova » sperimentale di quanto si osserva in natura ». Lo stesso Prof. Govi espone verbalmente all'Accademia la costruzione di un Manometro per le piccolissime pressioni, e per le minime variazioni di pressione, del quale egli fà uso da qualche tempo per alcuni suoi studi. Questo Manometro, in cui al mercurio si è sostituito l'acido sol- forico (concentrato e puro d’acido solforoso, d’aria disciolta e di ogni altro gaz), consiste in un tubo ad U, che colle sue due braccia può comunicare col recipiente nel quale si trova il gaz, di cui si vogliono misurare i mutamenti della forza elastica. Raggiunta che siasi colla macchina pneumatica una certa rarefazione misurata col Manometro ordinario a mercurio, sì chiude la comunicazione di uno dei due bracci del tubo ad U col recipiente. L'acido solforico (il quale non dà sensibilmente alcun vapore alle tempe- rature ordinarie ) trovasi allora fra due masse di gaz di forza elastica piccolissima ed eguale. Se le due masse gazose siano tenute alla stessa temperatura, ogni movi- mento dell’acido mostrerà una variazione di tensione nel gaz del recipiente, che non sarà certo dovuta a multa- menti della temperatura ambiente ma ad altre cause, la cui energia potrà per tal modo venir facilmente misurata. — Infatti la densità dell'acido solforico essendo circa 4,8, quella del mercurio essendo 13,59, ogni millimetro di variazione nella pressione del gaz produrrà sulle due, co- lonne dell'acido uno squilibrio di 7"”,55 circa, sicchè 768 valendosi di un cannocchiale per osservare i moti del Manometro, vi si potranno leggere facilmente mutazioni di pressione, che sarebbero invisibili, o quasi, perchè rappresentate da millesimi di millimetro, se si misurassero col mercurio. — Una espansione praticata in quel braccio del tubo ad U, che deve esser chiuso, permette di tra- scurare la variazione di pressione del gaz residuo in quella parte mentre varia il livello delle due colonne d’acido nel Manometro. Se i due ‘bracci del tubo ad U sono muniti amendue di una espansione o camera, si avrà ancora il vantaggio d’impedire per tal modo il trabocco dell’acido nel caso di subite e forti variazioni nella pres- sione. — Dopo ogni sperienza rimettendo nuovamente in comunicazione i due bracci del Manometro fra loro o col recipiente (secondo l'indole delle ricerche da farsi) si ristabilirà l’equilibrio nei due bracci, e si potranno misurar così le successive variazioni possibili della pressione. Il Socio SeLLa presenta e legge la seguente Memoria del Dott. Alfonso Cossa, Direttore dell'Istituto tecnico di Udine. SULLA DETERMINAZIONE DELLE FORMOLE MINERALOGICHE DI ALCUNI CARBONATI ROMBOEDRICI MISTI. Nel determinare in base ai risultati dell'analisi chi- mica le formole stechiometriche dei carbonati romboedrici misti contenenti gli ossidi di calcio, di magnesio, di ferro, di manganese, si ammette generalmente che questi mi- nerali sono costituiti da una semplice mescolanza dei PR _] 769 carbonati isomorfi di calce, di magnesia, di ossido fer- roso, di protossido di manganese, e si adottano per con- seguenza delle formole che sono comprese nell'espressione generale seguente: aCa0,C0°*+bMg0,C0°+cFe0,C0°+dMn0,C0°. A seconda poi dei rapporti numerici che passano tra le quantità a, b, c, d, si riferiscono i minerali analizzati alla dolomite, alla mesitina, alla siderite, alla dialloggite, oppure se ne istituiscono delle nuove varietà mineralo- giche ,, come ad esempio: la guhrhofiamite, la conite, la breunnertte. Studiando le proprietà fisico-chimiche, e specialmente il modo col quale si comportano nell'acqua satura di gaz anidride carbonica alcune dolomiti e mesitine del Piemonte consegnatemi dal Commendatore Quintino SELLA, mi sono confermato nell’idea, già ammessa da molti Mi- neralogisti, che i carbonati di calce e di magnesia nella dolomite normale (1), ed i carbonati di magnesia e di os- sido ferroso nella mesilina-normale si trovano non sempli- cemente mescolati, ma uniti in uno stato di vera com- binazione chimica. — Continuando in questi studii avrei pure trovato un argomento valevole, a mio avviso, per di- mostrare che molti campioni di quelle dolomiti e mesitine che non contengono i carbonati metallici nelle proporzioni di equivalenti eguali, si possono razionalmente ritenere come costituiti da una miscela isomorfa, o, di due carbo- nati doppii, per esempio di dolomite normale e di me- sitina normale (mjCa0, Mg0, C*0*|+n}Mg90, Fe0, C*0*{); (1) Chiamo dolomite e mesitina normale quelle specie minera- logiche che contengono equivalenti eguali dei carbonati di calce @ di magnesia; di magnesia e di ossido ferroso. 770 oppure di un carbonato doppio e di un carbonato sem- plice, per esempio di mesitina normale e di siderite : (mjMg0,Fe0, C*0*|+nFe0,C0°). E cosa notissima che l’acqua satura di gaz acido car- bonico scioglie in proporzioni diverse cosìi carbonati di calce, di magnesia, di ferro, come i minerali che con- stano della loro mescolanza o combinazione (1). Da varie esperienze da me istituite allo scopo di determinare pre- cisamente il coefficiente di solubilità di alcuni carbonati romboedrici, risulta che mentre mille parti in peso di acqua distillata satura di gaz .carbonico alla temperatura di 18 gradi ed alla pressione di 750 millimetri disciol- gono 0,970 parti di spato calcare, nelle medesime con- dizioni di temperatura e di pressione ne disciolgono: 0,115 di magnesite cristallizzata, 0,720 di siderite, 0,310 di dolomite normale, 0,075 di mesitina normale (2). (1) Si ammette generalmente che il carbonato calcare ed in ge- nerale i carbonati terrosi si trovano disciolti nell'acqua satura di acido carbonico allo stato di carbonati acidi o di bicarbonati. Le ricerche di Bineav però (Ann. de Chim. et de Phys. sér. 3°, vol. 44, pag. 296) tendono a stabilire che il gaz acido carbonico disciolto nell’acqua non esercita sui carbonati alcuna azione chimica. (2) Le cifre suesposte indicano la media di tre determinazioni istituite con le cautele indicate nelle mie « Ricerche di chimica mineralogica » inserite nel vol. IV degli Atti della Real Accademia delle Scienze di Torino. — Nelle ricerche che si riferiscono alla siderite ed alla mesitina ebbi cura di eliminare la presenza dell’aria atmosferica onde impedire la scomposizione del carbonato ferroso. — I minerali di cui sonmi servito per la determinazione del coeffi- ciente di solubilità sono i seguenti: 1.° Spato islandico affatto privo di carbonato ferroso e di altre materie eterogenee. — 2.° Ma- gnesite cristallizzata di St. Kathrein-Bruck, Stiria; affatto priva di calce e di silicati; contiene appena il 0,54 per cento di carbonato \ arca viti it rr siii 771 Se nella dolomite e nella mesitina normale i carbonati di calcio, di magnesio e di ferro fossero soltanto mesco- lati in quella parte di detti minerali che è suscettibile di essere disciolta dall'acqua satura di acido carbonico, si dovrebbero trovare i singoli carbonati in quantità corri- spondenti al loro rispettivo coefficiente di solubilità, mentre invece vi si dovrebbero riscontrare in quella istessa proporzione ponderale nella quale essi si trovano nella dolomite e nella mesitina se questi minerali sono real- mente costituiti da una combinazione del carbonato calcico col carbonato magnesiaco; o, del carbonato magnesiaco col carbonato ferroso. — Ora i risultati dei cimenti analitici da me istituiti danno ragione a questo secondo modo di considerare la costituzione della dolomite e della mesi- tina normale, come si può rilevare dalle seguenti cifre che esprimono la composizione centesimale delle materie disciolte nell'acqua satura di gaz acido carbonico alla temperatura di 18° ed alla pressione di 750 millimetri : Composizione centesimale Soluzione carbonica della dolomite normale della dolomite normale desunta dalla formola: , Mg0, Cao, c?0* Carbonato calcico ..... DEI 94. 34 Carbonato magnesiaco 45.16 ....... 45. 66 100014 0... ..+100. 00 ferroso. La Giobertite terrosa del Piemonte (vedi mie ricerche di chimica mineralogica) si scioglie in maggior copia nell’acqua sa- tura di acido carbonico, ma nelle materie disciolte però trovasi carbonato ferroso e silicato magnesiaco. — 3.° Siderite cristallizzata di Neudorf, Harz. — 4.° Dolomite normale di Traversella in piccoli cristalli. — 5.° Mesitina normale di Traversella in cristalli bianchi, lenticolari, associati al quarzo ed alla dolomite. — I primi tre mi- nerali furono tolti dalla collezione mineralogica del R.° Istituto tecnico di Udine; gli altri due dai campioni consegnatimi dal Com- mendatore 0. SELLA. 742 Composizione centesimale , Soluzio rboni della mesitina normale della mebititd ate desunta dalla fonealaa Mg0, Feo, C°0 Carbonato magnesiaco 41.32..... i cv ea ARI Carbollat0 ISrPOso Seti TO e ene e ss ILL IR Pa SS 100.00 . Per ammettere che molti campioni di dolomite e di mesitina, i quali contengono i carbonati metallici in pro- porzioni non corrispondenti alle formole Ca0, Mg0, C°0* Mg0, Fe0, C°0* possono essere considerati come una mescolanza di do- lomite normale con carbonato calcico, o di mesitina normale con carbonato ferroso, mi appoggio al fatto se- guente da me sperimentalmente constatato: se si sotto- pongono questi minerali all’azione dell’acqua satura di gaz acido carbonico, si trova che la porzione disciolta è da principio quasi intieramente costituita dal carbonato più solubile che si trova in eccesso nel minerale. Conti- nuando a far agire sul minerale l’acqua satura di gaz carbonico, si arriva ad un punto in cui la parte indi- sciolta è quasi intieramente costituita da dolomite o da mesitina normale (1). Ritenendo che il modo di comportarsi di alcuni car- bonati misti coll’acqua satura di gaz acido carbonico (1) Questo fatto venne da me constatato nei seguenti minerali di Traversella, di cui mi propongo di pubblicare tra breve l’analisi: Dolomite opaca in grossi cristalli; Dolomite trasparente in grossi cristalli; Mesitina lenticolare associata alla dolomite (N.° 7934 della rac- colta del Valentino); Siderite associata alla pirite (Brosso); Mesitina ‘associata all’ematite (Brosso). 773 possa costituire un criterio sufficiente per ammettere che tali minerali sono costituiti da una mescolanza di dolo- mite normale col carbonato calcico (1); o di mesitina normale col carbonato ferroso, mi sono preoccupato della maniera di determinarne le formole stechiometriche. At- tenendomi ad un metodo già seguito da alcuni Minera- logisti nella determinazione delle formole dei minerali misti, ho istituito le calcolazioni numeriche necessarie per la determinazione delle formole mineralogiche dei carbo- nati romboedrici misti che si possono ritenere come una mescolanza di mesitina e di siderite. Miscele isomorfe di mesitina e di siderite. m(Mg0,Fe0,C*0*)+n(Fe0,C0°). Chiamando i pesi dei singoli componenti: acido carbo- nico, ossido ferroso, ossido magnesiaco, contenuti nel- l’unità di peso della siderite. ..... colle lettere a, +a,+40,=1 della mesitina mit, 0 DFP del carbonato misto » C+Cg+c0=1 si hanno le equazioni: co=a(a,—b,)+bò,, co=ala—b.)+b,, co=a(a,—b,) +, ; (1) Le due dolomiti di Traversella citate nella nota precedente contengono i carbonati di calcio e di magnesio nel rapporto di 4:41. Questi due minerali messi nell’acido cloridrieo fanno una viva effervescenza anche alla temperatura ordinaria. Mettendo la loro polvere in una soluzione diluita e fredda di acido acetico si può con somma facilità separare la calce che nel minerale trovasi in eccesso rispetto alla magnesia. La parte del minerale rimasta indisciolta messa nell’acido cloridrico si comporta come una dolomite normale. Ecco un altro fatto che, sembrami, possa corroborare il mio asserto. 774 dove « indica la quantità di siderite contenuta nell’unità di peso del carbonato misto. cid) Coda _c—D a—b, a,—b, a;—b Indi si ricava a= (A) . Ammettendo i numeri proporzionali C=6; 0=8; Fe= 28; Ca=20; Mg=12, si ha per la composizione della siderite e della mesitina normali : Siderite Mesitina Pa 0 ope agpre037/93 sd b,=0,4400 1116 APRE (i ZORO b,=0,3600 canna 03 =:0;0000 .... .,. b, = 0,2000 IDO 1,0000 . Scelgo ora, ad esempio, una mesitina di Brosso compresa nella collezione trasmessami dal Commenda- tore SeLLa (1). In una recente analisi vi trovai: ACIAOGARARDONICO oi; Sa i da 39,98 Dssido,tTerroso: asiboglus ivo 49,30 Ossido magnesiaco ........... 8,66 Calee:ca tt erre a reno 0,39 98,33 . Sostituendo alla calce un’ equivalente quantità di ma- gnesia, e riducendo poscia all'unità di peso si ottiene: (t) Mesitina in grossi cristalli lenticolari associati all’ ematite. Peso specifico = 3,429. La polvere del minerale è di colore bianco» giallognolo, e sciogliendosi nell’acido cloridrico non sviluppa trae- cie di cloro. Mille parti di acqua satura di acido carbonico alla tem- > peratura di 16°, ed alla pressione di 758"" disciolgono 0,115 di minerale. Le prime porzioni che si disciolgono sono intieramente costituite da carbonato ferroso. A 1° “ali init 39,980:..1.. 0,40705 = €, Acido carbonico..... Ossido ferroso ...... BISOGRISIOO, 0,50194 =‘c, Ossido magnesiaco ... 8,938...... 0,09101 ='c, cia fi fi 1,00000 . Sostituendo questi valori in (A) si ricava a '079428, ag 079445; ag 0; D440; secondo che per la determinazione di « si parte da c, ovvero da c,, oppure da c;. Il calcolo delle probabilità ci insegna (1) che il valore più probabile di « sarà a=0,5416 . Lo spato analizzato sarebbe quindi a ritenersi com- posto di DILETTO NEO 54,46 Mositina ta ei 45,54 100,00 colla composizione : ì osservata calcolala si Acido carbonico... 40,705 ..... 40,698 + 0,007 Ossido ferroso . ....050;194 2-1 50,194 Ossido magnesiaco. 9,101 ..... 9,108 — 0, 007 100,000 100,000 . (1) È noto, che quando le incognite X, Y, Z.... sono legate colle quantità.h,,..B,;,; Ci.) Fi agere Aligi li Pa 060.5 dalle equazioni: AiT4-BiYiCZ4 ca = NA AgX+B, Y+C,Z+ ..... 23 A,XT+B,Y+C,4+..... cr 776 Indi. si conclude ancora che lo spato di Brosso da me studiato ha una composizione pressochè identica con: quella indicata dalla formola | Mg0,Fe0,C°0*+2(Fe0,C0°). Essendo la composizione corrispondente alla formola la seguente: calcolata osservata Acido carbonico... 40,745 ..... 40,705 nà 0,040 Ossido ferroso .... 50,000 ..... 50,194— 0,194 Ossido magnesiaco. 9,,255 ..... 9,101+ 0,154 100, 000 100,000 . essendo queste equazioni in numero maggiore delle incognite, ed avendo l’osservazione somministrati i valori di A4,, B, ........ F,r4asBg ae 6 , i valori più probabili di X, Y, Z...... (quando le fatte osservazioni dovessero ritenersi egualmente esatte) sono somministrati dalle equazioni: XX A° +YXAB+ZZAC..... 24, XxAB+Y2B® +ZS2BC..... =IBF, XZAC+Y®BC+Z®C?..... AI Ora nel caso nostro avendosi : ‘aa—b,)=c—d, a(ag—b)=t,—bd , a(ag—- Db) =c3—di, | e non essendo da presumersi più esatta l'una che l’altra delle fatte determinazioni, il valore più probabile di « sarà somministrato dalla equazione: «[(a1—d, + (a, — ba)? +(a—b3)]=(a db) led) + (Gg da)(co— do) +(a3—b3)(c3—bd3). 5 L’Accademico Segretario Aggiunto A. SoBrEno. tai: 61 AS: gusto. piano is bal $ U fa MYIBOREROA Siti f, Se pl qiost 1827 ‘ È ploariot silla digiti Sap 1, STORIE E FILOLOGICHE TÈ PR TIRA. NF RENI TITO) Falso) x ri . . x DI » RI BO RR Raf dpr lriatapottatod } Wissitee ci Rinaro wi 2, bigata PALIO GARA RD CEE CI, ARIE : q 4 - f | le’ re, 4 . Z ea à fa 1 Li ® ' bi É ; | ‘ i ; Bi. i c À Ra At ALI SR 5 È è I. È î ‘ dif è de 4 x "ld Ù FÀ ‘ ito don R3A x TT ‘ 4 ® ptiattpgà, ns ile. Rc Sr A ] fe% (dir Ra ret Rug epi susbtgtai E a scesi A : PERS PRESO AGRO Pei VO API SRP IC) ledro Stat TITO MS ACRI: + x y È, t), . ted Ò Ra vi : pleh n Ove, nt ) s $i ti PAGA } si DIS “ î 13} Pa Le art, | adipe “- it ti VR ae apr ROVENTE. 3% É ; At) sò CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 13 Giugno 1869 PRESIDENZA DI S. E. IL CONTE F. SCLOPIS L'Accademico Conte Vesme continua la lettura della sua Memoria Dell'industria delle mimere nel territorio di Villa di Chiesa (Iglesias) in Sardigna nei prim tempi della dominazione Aragonese. Nel Capitolo V si dà il Nome e la descrizione dei varti lavori di fossa, e del Modo e strumenti di lavoro. 1 lavori di miniera sì a Massa come in Villa di Chiesa si designa- vano col nome generale di lavori di fossa. Ma oltre questa generale significazione, col nome di fossa s' indicava quello speciale lavoro, che ora trattando degli scavi antichi so- liamo distinguere col nome di pozzi, ossia quegli scavi che, cominciando dall'alto, vanno discendendo in linea retta ‘alquanto inclinata, seguendo la direzione del minerale. Bottino dicevasi quello, al quale ora diamo il barbaro nome di galleria. L'entrata della fossa o del bottino di- cevasi bocca ; il suo vano in linea retta, il fusto; quel tratto piano presso la bocca, a deporvi ciò che si estraeva, e che ora diciamo piazzale, con simile nome dicevasi la 780 i piazza della fossa ‘o del bottino. Trovansi frequentemente nominati anche i canali, e sembra fossero i pozzi verticali, per giungere alla vena, o per estrarre acqua. Le cantine, delle quali trovasi parecchie volte menzione, sembra fos- sero i vani formati dallo scavo nell’ interno del monte, pei quali communicavano fra loro due fosse vicine; le dorgomene pare corrispondessero al dorslagum dei docu- menti Trentini, e significassero quelle che ora diciamo traverse. — Il vano o scavo di fossa dicevasi fondorato ; e il pieno o sodo tra due fosse mezzanule. Dar vento alle fosse era far sì che l’aria vi circolasse; ed era lecito ot- tenerlo anche aprendo via in una fossa altrui, la quale tut- tavia per qualsiasi altro uso consideravasi come via morta. Il lavoro delle fosse si faceva a fuoco in monte sodo, e a ferro in monte tenero. Pel lavoro a fuoco nelle fosse si faceva uso delle bo/ghe, ordegno ora sconosciuto; . i bolgajuoli ponevano fuoco il sabbato, sì che le fosse po- tessero ‘essere sfumate al riprendersi dei lavori il lunedì. — Il lavoro a ferro ‘si faceva dai piccomieri. Quali fossero gli utensili o strumenti dei quali si faceva uso nei lavori di fossa è noto in gran parte, sia perla menzione che se ne trova in antichi documenti sia perchè molti frequentemente se ne discoprono negli antichi scavi. — Gli utensili da fossa si- designavano in Villa di Chiesa colla denominazione generale di guscierno di fossa, 0 sem- plicemente guscierno. Principale di tali utensili era il pic- cone, onde il nome dei picconieri; troviamo inoltre la marra, la marrascure, Vascione, la pala, i cunei 0 comielli che a forza s'introducevano nelle spaccature per fendere la roccia; i lumi del sevo, coi quali si rischiaravano le o 8 fosse; il canape da cavalcare, al quale con una cinghia per più sicurezza si fermavano i lavoratori; le bolghe, delle quali abbiamo fatto sopra menzione; ed i barili da recare acqua od aceto, che si gettava sulla roccia affocala per agevolarne la spezzatura. Il Capitolo VI tratta della Zena e sue varie qualità, e della pestatura e lavatura. — Vena dicevasi quello che ora più communemente diciamo minerale. E poichè qui trat- tiamo della sola vena di piombo argentifero, che pare fosse la sola che si’ ricercasse nel territorio di Villa di Chiesa, soggiungeremo che si distingueva in vena di piombo o vena d'argento, secondo che in essa primeggiavano per valore il piombo o l'argento. Galanza, 0 coi nomi cor- rotti di ghiletta, chiletta, e altri simili, dicevasi non la galena in generale, ma quella più pura che in Francia: chiamano alquifour, ed in Italia alcuni alchifolio. Distin- guevansi inoltre la vena grossa o grossame, ed il minuto; il siliffo, dal quale si traeva Ja vena gentile; l’albace, 0 albagio, o vena lorda, ai quali si opponeva la vena netta. La nettatura si faceva o dai pestatori che la rompevano con martelli, e poscia cernevano il pestaticcio, 0 colla lavatura. Se alcun corso d’acqua 0 durevole o anche solo. invernale fosse presso l’argentiera, se ne faceva uso per lavare la vena; ma siccome quasi tutte le argentierie del distretto d’Iglesias sono in luoghi aridissimi, la vena si portava a lavare o al rio di Canadonica, o a quell'altra acqua che per sito fosse più opportuna. Era proibito la- vare in Villa di Chiesa. In Monte di Malva non sì poteva trarre rigagno per lavar vena se quattro buoni uomini a ciò eletti dal Consiglio di Villa non accertassero , che 782 non poteva derivarne danno ai lavori della montagna. In ogui altro luogo era lecito lavar vena. I luoghi dove si faceva la lavatura dicevansi piazze da lavare; le vasche da lavare, &ruogora; e fancelli di truogora quelli che vi lavavano la vena. Il pestare nell'acqua la vena lorda, (boccarder) affinchè più facilmente le parti minute della vena si separino dalla pietra, è detto baccare; la vena terrosa che si lava, siliffo (evidente derivazione della voce schlich); e quella più fina e quasi melmosa, scionfa (cor- risponde allo schlamm). Oltre la vena estratta direttamente dai lavori di fossa troviamo che di frequente si lavava anche il geltatieccio 0 monte vecchio. Il Capitolo VII tratta del Trasporto, misura, pesatura, ‘saggi e vendita della vena. Il trasporto si faceva da car- ralori, e più spesso da molentarùi, ossia da conduttori d’asini, detti in. volgare sardo molenti; doveva eseguirsi in sacca buone e ben chiuse, sì che non ne seguisse sperdimento. La vena si misurava a corbelli e mezzi cor- belli, l'esattezza dei quali si accertava scandigliandoli alla pila del marmoro, che sta dentro del Chiostro della Corte del Capitano; e la misura doveva eseguirsi da persone specialmente nominate a quest’officio, che dicevansi misu- ratori della vena. Talora invece la vena si pesava. colle siatere; e queste ogni settimana si dovevano scandigliare con li rubb:, che a tal uopo si serbavano in una cassa del palagio. Misurata o pesata la vena, il misuratore do- veva dinunziarla al Camerlingo del Re. La vendita della vena era libera. Il suo prezzo natu- ralmente era vario secondo la ricchezza della vena sì in 788 piombo, sì principalmente in argento. Questa si accertava per mezzo dei saggi. L'arte del saggiutore era libera, e molte ne erano le botteghe in Villa di Chiesa. Della vena sulla quale si faceva il saggio doveva conservarsi parte in un sacchetto o bossolo sigillato del sigillo del venditore e del compratore; e se tra questi pel saggio falto sorgesse lite, si faceva un nuovo saggio da altro saggiatore elelto da persona a ciò deputata dal Giudice. Le parti avevano diritto di assistere mentre si faceva tale saggio definitivo. Il saggiatore che fosse trovato in fraude era severamente se nell'avere e nella persona, nè mai più poteva ar aggi in Villa di Chiesa. I saggi non si pesavano dal saggiatore medesimo, ma da persona che a ciò si eleggeva ad ogni nuova chiamata di officiali, ossia ogni tre mesi. Doveva essere persona buona e sufficiente, ec giurare di esercitare l’officio bene e lealmente. Appena ricevuto l’officio gli si consegnavano dal suo predecessore le .saggiole o bilancette colle quali si pesavano li saggi, e che erano fornite dei loro pesoni, ossia di quello di un’oncia, pari a 24 denari; di un de- naro, pari a 24 grana; di grana 12; di grana 6; di grana 3; di grana. 2; di un grano; di mezzo grano; di un quarto di grano; di un ottavo di grano; e di un sedicesimo di grano. E questi e le bilancette due volte durante il suo officio doveva, in presenza del Capitano e di due buoni uomini chiamati a ciò dal Consiglio, far scandigliare per mezzo dei pesoni autentici che si i custo- divano presso del Camerlingo. | Il Capitolo VIII è intitolato: Maestri del Monte, e loro 784 scrivano. Estimatori del Monte. Rivedute, scandigliatura e partiti. Liti di trente e di fosse. — I Maestri del Monte avevano la suprema cura e giurisdizione su quanto riguar- dava l’arte delle fosse, e sulle persone addette a questa industria. Erano otto, eleggevali il Consiglio di Villa di Chiesa, della quale dovevano essere borghesi, ed aver servito l’arte dell’argentiera almeno anni cinque. Per simil modo si eleggeva il loro scrivano. Ai Maestri del Monte spettava scandigliare i bottini e i canali se andassero diritti, e rivedere le fosse che fondorassero con altra fossa vicina, e tra le due fosse rizzare ? partiti, ossia piantare i ter- mini. A Massa troviamo prescritto, che la posizione dei partiti si debba determinare colla calamita, e notare nella sentenza della delimitazione a che vento siano rivolti i partiti, affinchè se vengano smossi se ne possa nuova- mente determinare la posizione: ed è questa forse la più antica menzione che si abbia di questo uso della calamita. I Maestri del Monte giudicavano i piati che sorgessero tra vicini sui rispettivi loro diritti, ed in generale tutti quelli che riguardavano l’esercizio dell’arte; dalle loro sen- tenze o decisioni non era lecito appellare. Ma le liti per proprietà di fosse o di trente erano di giurisdizione dei giudici ordinarii. Li stimi in materia di fosse o di trente, per l’incanti o per altro motivo, ‘si. facevano da due ar- gentieri eletti parimente dal Consiglio, che prendevano nome di Estimatori del Monte. Oltre l'indennità della via, pei vari atti che si facessero dai Maestri del Monte si pagavano varie somme, che si dividevano in parti eguali fra li stessi Maestri del Monte per loro salario. ili bat Valiani (20 x LOS I ROTA bf ud Mr) 1 ssi, td PITARII ITIFO FAZI Serino L4.F' i Doyere Llanta dis e Lt. REMI REA Tee Lio 785 Il Cav. Fapretti legge il seguente scritto : SOPRA UNA ISCRIZIONE UMBRA SCOPERTA IN FOSSATO DI VICO. Tra le diverse provincie d'Italia. che somministrarono maggior copia di vocaboli e di forme grammaticali dei vecchi linguaggi italici è per fermo quella dell'Umbria, i cui abitatori furono riguardati dagli Scrittori romani come i più antichi (1) e già fermati in solido stato innanzi al tempo della etrusca invasione. Con le sole tavole di Gubbio fu dato ricomporre la grammatica del parlare um- bro, la quale non si discosta essenzialmente da quella degli Osci o Sanniti; ma, se si eccettuano coteste tavole iguvine, scarso è il numero di monumenti scritti che giunsero in sino a noi e che appartengono a quella regione : una breve iscrizione diede Todi (2) e un’altra Amelia (3), ammendue con caratteri locali: e una terza fu rinvenuta alla Bastia di Asisi in una pietra scritta con lettere romane. Ora si presenta un’altra leggenda, sco- perta recentemente a Fossato di Vico, negli Appennini Umbri, località posta nel distretto di Foligno (nel man- damento di Gualdo Tadino), la quale connettendosi con la lapida della Bastia, conservata nel Museo archeologico (1) Umbrorum gens antiquissima Italiae eristimatur (Prin. Hist. nat. III} xrx 1). — Etruscorum duodecim populi , Umbri in id tempus in- “tacti, antiquissimus Italiae populus (FLor. I, 17). (2) Nella statua di bronzo del Museo Vaticano (Corpus énser. italicar. n. 85). (3) Lamina di rame nel Museo Napoletano (Corpus inser. italicar. "n. 100). 786 di Perugia, e con una pietra che si vede tuttora nel duomo di Asisi, porgerà occasione a ricerche storiche e filologiche. Me ne dava communicazione il signor Marco Micheletti il 29 maggio scorso con queste parole che non voglion essere sconosciute a coloro che prenderanno ad esame la nuova iscrizione. « È incisa in una lamina di rame, ed è fissata con due grappe di piombo sul labro supe- riore di un vaso di terra cotta di forma cilindrica, ten- dente piuttosto a cono tronco. La curva del rottame se- gnerebbe un diametro di circa centim. 60, e forse 50 in altezza, e centim. 8 di spessore. Questo, assieme ad altri pezzi dello stesso vaso, è stato trovato nel fondo di una buca tonda del diametro di m. 2,40, ed altrettanto pro- fonda, scavata regolarmente nel vivo di uno scoglio sulla cima di un monticello che si erge presso Fossato nella imboccatura della foce che mena a Fabriano tra chilo- metri 209-210 da Roma, intorno al quale la ferrovia Pio-centrale italiana, piegando ad angolo retto, fa la gi- rata di curva, ed alla cui falda verso ponente passava l’antica via Flaminia che da Foligno conduceva al Furlo. Nella parete tonda della buca appariva ancora qualche traccia di calcistruzzo levigato e lavorato a guisa di mo- saico, che dava a conoscere esserne stata intonacata tutta la buca stessa. Il terreno era tutto egualmente inerbato, nè appariva alcun indizio. Nel fare casualmente una fossa per piantarvi un olmo si è trovato il sito. Ad un palmo circa di profondità si sono rinvenuti gli ossami sparsi di un cadavere con molti frantumi di vasellami di vetro - di variati colori, e di altri di terra cotta; a mezza pro- fondità sei rocchii sani di colonne di travertino bianco, scanalati, e del diametro medio di centimetri 30, ed 80- . 787 e 90 di altezza; poi due altri con capitelli frantumati; e ‘tutto di stile greco. Si conosceva benissimo che la buca era stata scavata altra volta, ed il tutto rimesso giù alla rinfusa, ad eccezione dei pezzi di colonne, i quali erano ad arte accomodati per lungo ». Ho detto che il nuovo bronzo di Fossato si ricongiunge in qualche maniera con la seguente iscrizione (scolpita a grandi lettere in tre linee) esistente in una parete della cattedrale di S. Rufino di Asisi, pubblicata primamente dallo Smezio (VII, 4), poi dal Grurero (CLXXVII, 8), dall’Abate di Cosranzo(n:15) e ultimamente dal Momxsew (Inscr. latin. antig. n. 1412): MOST + MIMESIVS » C+ F + T- MIMESIVS - SERT- F - NER* CAPIDAS-C-F-RVF | NER- BABRIVS-T-F-C-CAPIDAS: T.F-C-N-V- VOLSIENVS - T - F - MARONES | MVRVM - AB- FORNICE = AD CIRCVM «ET - FORNICEM- CISTERNMQ + D + S - S - FACIVNDVM + COIRAVERE La specialità di questo marmo asisinate non consiste solamente nella presenza di varii cittadini, ricordati con prenomi disusati e senza il compimento del cognome, tranne il terzo (Nero Capidas Cai fil. Rufus) che segue l’uso romano: è la voce marones che ha lasciato lungamente incerti gli epigrafisti intorno al suo significato, e che ora riceve una sicura spiegazione. Nell’indice Gruteriano fu considerata addirittura come il plurale del cognome Maro. Ben si avvide il Momwsen che la posizione di quella voce ‘ pareva dimandare un mome di magistrato, quasi come il meddix della Campania; ma riscontratolo come cognome nel titoletto funerario (Barbini nelle Dissert. dell’Accademia di Cortona II 151 n.50, Lanzi Saggio ecc.1=162-123 n. 4, RirscHL Priscae latinitalis monum. epigr. tab. x, n. 50) 783 M ORVCVLE M. Aurunouleius MARO Maro AD - VI» K- DEC a. d. vj k. dec. finì col dichiarare che rimaneva incerto se i Marones accennassero veramente ad un ordine di magistrati o se maron fosse a considerare quale cognome (Zeitschr. fùr die Wissenschaft der Sprache I 394). -Più tardi toccando no- vamente di questa leggenda nella citata raccolta delle an- tichissime iscrizioni latine si fermò nel significato di co- gnome, annotando: Sex viri Postumus Mimesius C.-f., T. Mimesius Sertoris f., Nero Capidas C. f. Rufus, Nero Babrius T. f., C. Capidas T. f. C. n., V. Vo[i]sienus T. f. Marones haud scio an non fuerint cives romani, cum adsint praenomina complura non civilia Neronis, Postumi, Sertoris. E così senza osservazione di sorta venne annoverata tra i cognomi nell’indice epigrafico. Se tutto ciò fosse vero, la forma plurale marones non potrebbe essere cognome del solo Volsieno, l'ultimo dei seviri nominati: dovrebbe convenire anche ai due precedenti, cioè a due altre fa- miglie diverse, quali la Babria e la Capidate. Ad escludere la presenza di un cognome veniva innanzi il seguente marmo della Bastia (tav. ann. n. 2), maltrat- tato in parecchie publicazioni, prima che il MommsEn ne avesse con l’impronta assicurata la lezione nel sopracitato giornale filologico: AGER «* EMPS - ET TERMNAS- OHT C-V-VISTINIE - NER - T - BABR MARONAT EI VOIS è NER - PROPARTIE PV*VOISrENER SACRE - STAHV 789 Gl’illustratori delle tavole di Gubbio, AurREcHT © KircHHorr, adottarono la nuova e corretta lezione, da me stesso accertata con l'impronta cartacea (Corpus inser. italicar. n. 81, tab. vibis), traducendo (Die umbrischen sprachdenkmiiler II 390 sg.): Ager emptus et | terminatus au- ctoritate | C. V. fil. Vistiniù Ner. T. fil. Babrùi | Maronis Voisii Ner, fil. Propertii | T.V. fil. Voisieni | sacrum esto. Non è qui il luogo di dare una compiuta illustrazione di questa leg- genda: basterà notare, che la forma compendiata oht = rom. AVCT- equivale all'antico umbro uhtretie = auctori- tate da uhtur = auctor, e che i gentilizii Vistinie e Pro- partie stanno per Vistinier e Propartier, come richiede il senso e come accenna l’ultimo nome Voisien er chia- ramente posto al genitivo di un tema in o. Il Momxsen fermo nel vedere un cognome nel maronatei, siccome giudicarono i citati AurrecaT e KircHHorr, preferiva renderlo con la forma romana Maronatis, piuttosto che Ma- ronis; ond’è che se qui discorrevasi di un Nerone Babrio Marone o Maronate figlio di Tito, il marones della epigrafe precedente doveva riferirsi a tre personaggi tutti di stirpe diversa, cioè allo stesso Babrio, al Capitate e al Voisieno; lo che non è nè verosimile nè credibile. Ben si appose l’ Huscnxe, allorchè nel Museo Renano (Rhein. Museum neue folge XI 344 sgg.) tolse ad illustrare i minori monumenti dell'Umbria, accordando al marones il significato di curatores e al maronatei (abl. singolare di un tema in «) quello di curatione. Siffatta opinione, mantenuta nella dichiarazione delle tavole di Gubbio (Die iguvischen tafeln pg. 509), non fu accettata, direi anzi di- menticata o tacitamente reietta, dal Momwsexn, che pure poneva sempre la iscrizione della Bastia a riscontro del marmo di S. Rufino. Ora finalmente la interpretazione 790 dell’Huscake riceve una decisiva conferma dal bronzo inedito di Fossato, molto più antico degli altri due mo- numenti sin qui ricordati, ed anteriore eziandio alle due tavole di Gubbio scritte con lettere romane: i marones erano daddovero i curatores 0 moderatores della cosa pu- blica, e maronatus valeva curatio. Ecco la iscrizione, che al fac-simile e nella stessa grandezza dell’originale reco nella tavola annessa (n. 1): i i CVBRAR - MATRER « BIO - ESO OSETO:CISTERNO-N:C-4V . SV MARONATO LI ‘ V-b-VARIE-T-C-FVVONIE La quale si può ricondurre a questa forma: Cubrar matrer. piom. esoc | osetom cisterno n{umer] cfomferter] WVIIII | sub maronatom |V. L. Varier T. (. Fulonier; e latinamente: Cuprae Matris. pium hoc ossetum cisterna numis conlatis LVITI sub maronati Vibiù Lucii fil. Varii et Titi Caiî fil. Fullonii. Le singole voci meritano una parola di comento. Nelle prime due si palesa chiaramente la dea Cupra con l’ap- pellativo di mater, al genitivo cuprar matrer; divinità venerata nel contermine Piceno, ove sorgeva Cupra Montana (e quindi Cupra Marittima), che prendeva appunto il nome dalla divinità, che quivi aveva un tempio cele- bratissimo: anzi appo SrraBone la città stessa, a simi- glianza di Fanum Fortunae (oggi Fano), vien detta Cuprae templum (Kvrpas ipo), fondata probabilmente dagii Etru- schi, presso i quali Giunone prendeva il nome di Cupra (1): (1) Di un tempio dedicato alla Dea Cupra a Grottamare (nel territorio di Fermo), restituito a spese dell’imperatore Adriano, si fa menzione in un marmo Gruteriano 1016, 2 (Oneri n. 1852). ‘ 791 ‘Epegris dé t6 tiis Kumpas iepov, Tuppryéy tdpvpo xal xrioua: tiv è’ “Hpay éxelvos Kurpav xarovow (StRAB. V; Iv, 2). E poichè cuprus valeva bonus specialmente nel linguaggio dei Sabini (1), popoli confinanti con gli Umbri e coi Pi- ceni loro consanguinei, più chiaro apparisce per quale motivo Giunone ossia Cupra si confondesse con la Bona dea. Così Marte ebbe anch'esso l'appellativo. di Cuprius o Cyprius; e così fu chiamata vicus Cyprius una località di Roma, quod ibi Sabini cives additi consederunt, qui a bono omine id appellarunt; nam cyprum Sabine bonum (Varr: De l. lat. V, 159): e del pari, per contrapposto, il vico prossimo venne detto vicus scelleratus. Il trovare enunciata la divinità in principio della iscrizione col genitivo può avere una conferma nella formola DEVM | MAANIVM, che compie per se sola una iscrizione di Spello (MommsEn inser. lat. ant. n. 1410 dal Donato 53, 3, che la prese dalle schede Stotschiane), città posta più presso a Fuligno che ad Asisi (2). Come nella nostra lamina si disse Cubrar invece di Cuprar per uno scambio frequentissimo delle labiali , così verosimilmenie si scrisse bio per pio[m]; del che abbondano gli esempii nelle tavole iguvine, in abrof, habina, kabru, subra rimpetto alle forme apruf, hapinaf, kaprum, supra. Ed oseto bio vale ossuarium (1) Il Corssen trovò l'aggettivo cuprus nella forma kiperu= bono (Zeitschrift fiir vergl. Sprachf. X 22 sgg.) di una iscrizione sabellica (Corpus îinscr. italicar. n. 2848). (2) Il ch. Corssen comunicandomi alcune dotte osservazioni in- torno a questa leggenda (18 giugno 1869), aggiungeva: Da manus qut bedeutet, Manes die Todesgoetter als quite, Mana Mania eine Todesgoettin als gute: so scheint die Umbrische Cubra mater in der inschrift cines grabstactte ebenfalls eine Todesgocettin als gute Muller zu bezeichnen, est (a) 792 pium, come il sabellico pio bie = pio bove e il romano far pium, essendo che pium propriamente significhi puro, santo, pio. Conosciuto è il prenome dimostrativo eso, la cui forma neutrale si compie in esoc; e così nelle tavole di Gub- bio: stahmito eso tuderato est (VI a 8)= templum hoc li- mitatum est; eso persnihimu (VII a9) ed esoc persnimu (VIb 25) = hoc precator. Segue oseto, con la sibilante semplice, per espe rispondente al romano ossuarium od ossarium, e riferen- tesi al vaso cinerario, su cui venne apposta l’iscrizione; ed è chiara la sua derivazione da ossum, con una forma- zione analoga a sepulcretum, arundinetum, viminetum, oli- vetum ed altri vocaboli simiglianti. - Cisterno, derivato evidentemente da cis-ta, può sembrare a primo ‘aspetto una forma neutrale, come ossetum; ma se ricordasi l'umbro sve-po (più antico sve-pw) = siqua, come l’osco Viteliù (Vitelio)= Italia e il pompeiano viù teremna- tust = via terminata est, ritorna ad identificarsi col latino cis-ter-na, ricettacolo sotterraneo per le acque piovane, poi anche destinato a conservare i vini, e da ultimo a mantener fresche e incorrotte le vivande durante la stagione estiva (cisternae frigidariae); qui poi (e tale è l'autorevole giudizio del Corssen) assumerebbe semplice- mente il significato di camera sotterranea o di crypta. Altri potrà ricercare, se il luogo, ove fu trovato il vaso con l’iscrizione, e dove erano allogate alquante colonnette e capitelli e vasi di vetro e di terra cotta, non fosse per avventura una favissa, del cui uso toccarono Aulo Gellio (II, 10) e l’abbreviatore di Festo (pg. 88 MùLLER); imperoc- chè le favissae erano appunto simili a celle e cisterne, ubi re- poni erant solita ea quae in templo vetustate erant facta inutilia. RR 793 Nelle antiche glosse le favissae sono pur dichiarate Incavpoì; e tale era la opinione di Q. Valerio Sorano, quod in eos non rude aes argentumque, sed flata signataque pecunia conderetir. Le sigle N-C-, seguite dal numero yVIÎII con forma arcaica (quindi LVIIII, e da ultimo LVIIII) identica alla etrusca rovesciata (IIII A), parvemi che indicassero nu- mis conlatis; e questa interpretazione viene ammessa dal Corssen, che, prendendo a confronto le tavole eugubine, leggerebbe n[umer] c[omferter]: ivi difatti troviamo numer prever (tav. Va 19) = numi privi (singuli), numer tupler(Va19)=mnumî dupli,e numer tripler (Va 21) = numi tripli. A giustificare la forma con-ferter soccorre l’umbro ar-fer-tur = ars-fer-tur per ad-fer-tor (allator). Preziosa è quindi la formola su maronato, quasi sub suratione. La preposizione sw per sub (donde subra = supra) perdeva la labiale per ragione della consonante con cui comincia la voce seguente: il che verificasi nel com- posto su-tentu per sub-tendito, mentre si conservò inal- terata in sub-ahitu = sub-igito e in sub-ocau = sub-voco. I due maroni erano Vibio Vario figlio di Lucio e Tito Ful- lonio figlio di Caio: Varie e Fulonie stanno per Varier e Fulonier, come si è visto nel Vistinier = Vistinii nella. lapide della Bastia. Nelle istituzioni dei popoli dell’Italia. meridionale era . celebre il mediv o meddir, che prendeva l’aggiunto di: tuticus (da touta, umbro tuta e tota = civitas), ricordato più volte da Tito Livio (1): nella costituzione degli Umbri si avevano i Marones; e mentre dai medices o. meddices, chè (1) Medirtuticus summus magistratus erat Camponis (Liv. XXIIT, — 35; ef. XXIV 19, XXVI 6).. 794 sì trovano menzionati nei monumenti della Campania, del Sannio, dei Volsci e degli Equi, derivava il medicatus, dal maro dell'Umbria scendeva il maronatus quale magi- stratura municipale. Credetti da principio che maronato fosse un ablativo, che pareva richiedere la preposizione sub; ma, tenuto quindi miglior conto delle leggi gram- maticali che governavano la favella degli Umbri, ritengo, assenziente il Corssen, che maronato stia per maronatom all’accusativo (così nelle tavole di Gubbio trifo per tri- fom = tribum), considerandolo per un nome del tema maronatu (abl. maronatei, come mani = manu e ar- putrati = arbitratu delle tavole iguvine), simigliante a consul-a-tu e curion-a-tu. Nè qui fa ostacolo trovare il sub coll’accusativo, essendosi vista la preposizione post reggere l’ablativo in pus veres (tav. eugub. I a 7,14, 24) e post verîr (tav. VIa 58, VID 3, 22) = post portis (pone portas). Ma qual è il significato di Maro? Può essere identificato col medix degli Osci e Sanniti, ed è in relazione col uéday dei Greci, da uéd@® imperium teneo? Seguendo la conget- tura dell’HuscHxE (nel citato Museo Renano XI 346 sg.) il Corssen lo deriva da una radice mar per smar, che si riscontra in pep-uaip-60 (pep-pép-00), pep-pnp-(0) CURTIUS Grundzige der griechischen etymologie n. 466), ritenendo il mar-on foggiato a similitudine delle voci latine ed-on, vol-on, ger-on, mand-on, bib-on. Nelle tavole eugubine si è osservato come due perso- naggi vengono enunciati col prenome e col gentilizio, aggiunta la interposizione del prenome paterno: uhtretie t. t. Kastrusiie = aucioritate Titi Titì fil. Castrucii, e uhtretie K. T. Kluviier = avctoritate Cai Titi fil. Cluvii; e così nella tavola della Bastia C. V. Vistinie[r], Ner. T. Babr[ier], Vois Ner. Propartie[r], e T. V. Voisiener. 795; Questa stessa maniera di enunciazione, osservala anche in alcuni tegoli tudertini, occorre nella lamina volsca di Velletri, ‘ove leggesi ec-se-cosuties ma-ca-tafanies me- dix sistiatiens, cioè Egnatius Sexti fil. Cossutius et Marcus Cai fil. Tafanius meddices statuerunt. Il nostro bronzo, che ora vede per la prima volta la luce, segue la stessa co- stumanza nel ricordare i nomi di due magistrati, V. L. Varier e T. C. Fulonier (Vibiî Lucii fil. Variù e Titi Caîi - fil. Fullonii). Il maronato era una specie di duumvirato, come pare fosse il medicato dei Volsci: due personaggi investiti di tale autorità si presentano nella lapide della Bastia e nel bronzo di Fossato: e forse i sei marones, curatori della cosa publica in Asisi, che vengono innanzi nel marmo di S. Rufino, ricordano tre distinti maronati, nel qual tempo i marones, a due a due succedentisi, murum ab fornice ad circum et fornicem cisternamque de Senatus sententia faciendum curavere (1). Quanto durasse l’ufficio del maro- nato, e se fosse una magistratura annuale, com’è pro- babile, non è facile stabilire. Dal vedere nel marmo di S. Rufino il marone Vibio Volsieno figlio di quel Tito Vo[!]sieno insignito della stessa carica nella pietra della Bastia, altri potrebbe conghietturare che l’ufficio fosse in certe famiglie ereditario. La scoperta di altre iscrizioni, aggiunte alle tre che sono di non dubbia importanza per meglio conoscere le istituzioni politiche dell’ Umbria , offriranno materia a più ampie e sicure indagini. (1) Alla importanza di quei lavori ben corrisponde Ta grandiosa , iscrizione, che, a giudicarne dall’incompiuto calco cartaceo invia- tomi dal ch. prof. Antonio CrISTOFANI, per ciascuna linea percorre una lunghezza di quasi cinque metri: le lettere della 1.à e 2,8 linea sono alte m. 0,15, quella della 3.8 m. 0,10. 796 Ho detto più sopra che la iscrizione di Fossato è an- ‘ teriore alla sesta e settima tavola di Gubbio e ad una parte della quinta, scritte con lettere romane; e per fermo, se in quelle troviamo soltanto la P di una forma antica, mentre la L è sempre ad angolo retto che accenna al cadere del sesto secolo di Roma, nel nostro bronzo non solo si scorge la Y ad angolo acuto che fu abbandonata verso l’anno 570, ma vi troviamo la P non chiusa, la E e la f con le linee salienti piuttosto che orizzontali, e l’A di una forma che non s'incontra che negli antichi monumenti. Le consonanti, a maggiore argomento di an- tichità, non sono raddoppiate: lo che si vede in oseto per osseto e in Fulonie per Fullonie (etrusco INVYV8 fuluni = Fullonia), come durava nell’anno 568 quando fu scritto il senatusconsulto de Bacchanalibus. Puossi adunque ricon- durre la nostra iscrizione alla metà del sesto secolo di Roma e anteriore ad ogni modo alla guerra siriaca e alla se- conda guerra macedonica. Meno antiche sono le altre due lapide, che appartengono ad Asisi, scritte quasi nello stesso volger di tempo; imperocchè, se in quella di S. Rufino si appalesa un Vibio Volsieno figliuolo di Tite Volsieno (1) che s’incontra nell’altra della Bastia (scritta nell’umbro linguaggio forse per l'argomento religioso), in ammendue trovasi nominato Nerone Babrio figlio di Tito, il quale ebbe autorità di comperare un campo, destinato ad uso sacro, ed apporvii termini, e più tardi reggendo il maronaio concorse a compiere opere di publica utilità. Anche alla romana letteratura si congiungono le so- (1) Il Momwsen riconduce il Volsienus della prima iscrizione alla forma Voisienus della seconda. Nella epigrafia etrusca s’incontra _ ugualmente |9N|2|V3 (vuisinei) per (E IIIANZI (vulsinei) = Volsinia. RE nn 1 tito. si dint tti 797 pracitate iscrizioni. E per fermo, se perdurò il dubbio che Sesto Aurelio Properzio fosse di Asisi, il gentilizio Propartie (pro-partie) che chiaramente si legge nella seconda iscrizione vale a togliere la incertezza intorno alla patria dell’elegante poeta latino. Del pari si nobilita col maro il cognome del poeta mantovano, che dicono nato da poveri genitori, e che Marone, padre suo, non fosse che un operaio di figuline: Publio Virgilio portava un cognome illustre, come quello che designava un or- dine di magistrati, una dignità municipale, nelle istitu- zioni politiche dell’Italia antica, 798 Adunanza del 27 Giugno 1869 PRESIDENZA DI S., E. IL CONTE F. SCLOPIS ll sig. Conte Vesme presentò alcuni documenti mano- scritti d’Arborea, che debbono essere mandati all'Accademia di Berlino per aver il giudizio di quel Corpo scientifico sulla loro autenticità. ELENCO DELLE CARTE depositate presso la Reale Academia delle Scienze dall'Academico Carlo Baupi pi Vesme A, Pergamena palimsesta, l'antica scrittura della quale è del secolo VIII, la posteriore del secolo XV. — È la Pergamena seconda secondo l'edizione del Martini, pag. 116 a 125. 2. Pergamena del secolo XIII. — È la Pergamena quarta secondo l'edizione del Martini, ivi publicata da pag. 141 a 158. 3 ; 3. Codice cartaceo, del secolo XV, di fogli 158. — È il Codice Garneriano, publicato dal Martini nell’Ap- pendice alle Carte d’Arborea, da pag. 21 a pag. 64. 4. Codice cartaceo, della medesima età, di fogli 24. — È il Codice primo nella raccolta del Martini, ivi pu- blicato da pag. 223 a 238. 5. Codice cartaceo, della medesima età, e parimente di . 799 fogli 24. — È il Codice secondo nell’Appendice del Martini alle Carte d’Arborea; ivi publicato da pag. 147 a 187. 6. Undici fogli (due dei quali mancanti della parte in- feriore), che già appartenevano ad un Codice, parimente del secolo XV; essi contengono poesie italiane di Bruno de Thoro e di Gherardo da Firenze, e poesie sarde di varie età ed autori. Vi ha inoltre la fotografia di una pagina del Codice Senese di Aldobrando. Fra vari temi proposti pel concorso che la Classe sta per aprire è scelto il seguente proposto dal Segretario: PROGRAMMA L’Accademia Reale delle Scienze di Torino (Classe di Scienze morali, storiche e filologiche) ha deliberato nella sua tornata del 27 giugno 1869 di porre al concorso il seguente tema: DEI MONTI DI PIETÀ IN ITALIA CONSIDERATI SOTTO L'ASPETTO STORICO, ECONOMICO E MORALE. Sui Monti di pietà in Italia s'è scritto già più di un secolo addietro ed in tempi più a noi vicini. L'Accademia, apprezzando meritamente i lavori già fatti, ha giudicato nulladimeno che sarebbe opportuna ed utile una nuova storia di questa importante istituzione, ora che sono fa- cilmente accessibili gli archivi che ne contengono i ma- teriali. È La parte storica del tema debb’essere principalmente 800 ‘studiata e trattata più distesamente, esponendo dove ed in quali condizioni sociali avessero origine i Monti di pietà, a quali mali cercassero di rimediare., come si pro- pagassero, da chi fossero principalmente promossi, ecc. Si esporranno quindi le successive vicende degli ordini interni di questa istituzione, e se ne metterà in rilievo il suo aspetto economico e morale colla guida dell’espe- rienza storica e dei principii dell'economia sociale. I lavori dovranno essere presentati fra tutto il mese di dicembre del 1870, in lingua italiana, latina o fran- ‘cese, manoscritti e senza nome d'Autore. Porteranno un’ epigrafe ed avranno unita una polizza sigillata con dentro il nome e l'indirizzo dell’Autore, e di fuori la stessa epigrafe che il manoscritto. Se questo non vincerà il premio, la polizza verrà abbruciata; sono esclusi dal concorso i soli Accademici residenti. I pieghi dovranno essere suggellati ed indirizzati franchi di porto alla R. Accademia delle Scienze di Torino. Di quelli che verranno consegnati alla Segreteria dell’Ac- cademia medesima si darà ricevuta al consegnante. Lo scritto premiato si stamperà, se l’Autore il consente, nei Volumi delle Memorie accademiche; l'Autore ne ri- ceverà cento esemplari a parte, e conserverà per le suc- cessive edizioni il suo dritto di proprietà. Il premio che la Classe propone all'Autore della miglior Memoria, è una medaglia d’oro del valore di L. 1,200. Torino , il 10 di luglio 1869. Il Presidente FEDERIGO SCLOPIS. L’ Accademico Segretario GASPARE GORRES10. 801 Si procede alla votazione per l'elezione di Soci nazio- nali residenti e non residenti. — Non fu fatta alcuna elezione. La Classe elegge a suo Socio straniero il sig. Leone Renier, Membro dell'Istituto Imperiale di Francia, pre- giato epigrafista ed archeologo. L’Accademico Segretario Gaspare GoRREsIO. Et SID] (osi di LP REA LA IaL'DSiRa i EEA pr: #q toa RPUSNE i Tri AIHGEI USA Mc Dire: a LE t) ladder io ia Ù 3 x O ie È LAV] ergal s IALIA papa Pg RE x ok VA tal, b ) ; ‘ a i Py jura pa PI y Mur NE AI SI A bee Po GrAstmano. DIE ici È 4 A Ù ‘, d' SETRRI 4 ) a E » ì - A ‘ h n è, | x 4 4 di i DI r mi dari y x n f sl N ORSI i 114 t a 3 ti i P x 4 Ji È x 1 ‘ ; I 4 Dptià Let E sa ' ue." Ù . dA ai pp CR Ia ica gal PRONTI vata ì. < n ‘ i + ; d x ent dda i ‘ n Ù Pg & LA «Pod Pi ' (] + x . \ / = i g i a >. 4. RR x Ai -_ | A . n ‘ I dee Li 803 DONI FATTI ALLA REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO par 1° aL 30 ciueno 1869 Monatsbericht der K. Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin; Màrz 1869; 8°. Bullettino delle Scienze mediche, pubblicato per cura della Società Medico-Chirurgica di Bologna; Marzo-Maggio 1869; 8°. Bibliotheca Indica; a Collection of Oriental works published by the Asiatic Society of Bengal; New series, n. 157. Calcutta, 1869; 40. Bibliotheca Indica; a Collection of Oriental works published by the Asiatie Society of Bengal; New series, n. 155, 156, 158. Calcutta, 1869; 8°. Oeversigt over det K. Danske Videnskabernes Selskabs ete., 1867, n. 7; 1868, n. 3, 4; 1869, n. 1; 8°. Schriften der Universitàt zu Kiel aus dem Jahre 1867; Band XIV. Kiel, 1868; 1 vol. 4°. The Quarterly Journal of the Geological Society, n. 98. London, 8°. Philosophical Transactions of the R. Society of London, for the years 1867, 1868; vol. 157, part II; vol. 158, parts I et II. London, 1867-69; 4°. Proceedings of the Royal Society of London; n. 95-108; 8°. Donatori Accademia R. delle Scienze di Berlino, Società Med.-Chirurgica di Bologna. Società asiatica del Bengala (Calcutta). Id. R. Società delle Scienze dì Copenhague, Università di Kiel. Soc. Geologica di Londra. Società Reale di Londra Id, Società Reale di Londra. _Soc. Zoologica di Londra, R. Osservatorio di Brera (Milano). RR. Deputazioni di Storia patria (Modena). Società Italiana delle Scienze (Modena). Osservatorio del R. Collegio di Moncalieri. Società Imper. dei Naturalisti di Mosca. Società Reale di Napoli. Id. Amministr. gen. delle miniere di Francia. (Parigi). Soc. di Geografia di Parigi. Commiss. Imp. Archeologica di Pietroborgo. Acc. R. di Medic, di Torino. Municipio di Torino. Soc. artistica e archeologica di Ulma. 804 Catalogue of scientific Papers (1860-63), compiled and published by the Royal Society of London; vol. I, II. London, 1867, 1868; 4°. Proceedings of the scientific meetings of the Zoological Society of London for the year 1868; Part III, June-December ; 8°. Effemeridi astronomiche di Milano per l’anno 1869. Milano, 1868; 1 vol. 8°. Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia patria per le pro- vincie Modenesi e Parmensi; vol. IV, fasc. 5. Modena, 1869; 4°, Memorie della Società Italiana delle Scienze, fondata da Anton-Mario LorgnA. Serie III, tom. I, parte 2°. Firenze, 1868; 4°. Bullettino meteorologico dell’Osservatorio del R. Coll. CaRLo ALBERTO in Moncalieri; vol. IV, n. 5; 4°. Bulletin de la Société Impériale des Naturalistes de Moscou; année 1868, n. 3; 8°. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli; marzo e aprile 1869; 4°. Rendiconto delle tornate e dei lavori dell’ Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli; gennaio-maggio 1869; 8°. Annales des mines; sixième série; tome XIV; 1868, 6"° livr.; tom. XV, 1869, 1ère livr. Paris; 8°. Bulletin de la Société de Géographie; mars-avril 1869; 89. Compte-rendu de la Commission Impériale Archéologique , pour l'année 1867. St-Pétersbourg, 1868; 4° gr. avec atlas in-fol. Giornale della R. Accademia di Medicina di Torino; 1869, n. 9-11; 8°. Città di Torino. Bollettino Medico-Statistico compilato dall’ Uffizio d’igiene; febbraio, marzo 1869; 4°. Verhandlungen des Vereins fiir Kunst und Alterthum in Ulm und Oberschwaben. Neue Reihe, erstes Heft. Ulm, 1869; 4°. PL ne 805 Jabrbuch der K. K. Geologischen Reichsanstalt; Jahrgang 1869, n. 1; Jinner-Marz. Wien; 8° gr. Verhandlungen der K. K. Geologischen Reichsanstalt, n. 1-5, 1869; 8° gr. Flora Brasiliensis. Enumeratio plantarum in Brasilia hactenus dete- etarum; ediderunt C.F. Ph. DE MaRTIUS, eoque defuncto, successor A. G. EicHLER. Fasc. XLVII; in-f°. Le guerre e la dominazione dei Francesi in Piemonte dall’anno 1536 al 1559; Memorie storiche di G. B. ApRIANI. Torino, 1867; 80. Ginevra, i suoi Vescovi-Principi e i Conti e Duchi di Savoia; Memorie storiche dal secolo X al XVI, del Prof. G. B. ApRIANI. Torino, 1869; 8°. Della vita e delle varie nunziature del Card. Prospero Santa Croce, edite la prima volta ed illustrate di copiose annotazioni per cura del Prof. G. B. ApRIANr. Torino, 1869; 1 vol. 8°. Grande medicina italica o Jatromatematica, di Gaetano ANTINORI; quinto concelto. - Patogenia; fasc. 3°. Piacenza, 1869; 8°. Bullettino di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche; pubblicato da B. BoncompaGNI. Tomo II, gennaio 1869. Roma; 4°. La Cappella di S. Maria in Betlem presso Chieri, detta di Balermo. Torino, 1869; 8°. Catalogo dei fossili miocenici e pliocenici del Modenese; pel Dot- tore Francesco Coppi. Mudena, 1869; 8°. Traité élémentaire du calcul des erreurs, avec des tables stéréo- typées ete.; par Fr. FAì DE BruNo. Paris; 1869; 8°. La ferrovia della valle d’Aosta; pensieri e proposizioni ( dell’ Inge- gnere FERRANDO). Torino 1869; 40. Atti dell’Accademia Urbinate di scienze, lettere ed arti. Relazione del Vice-Presidente Prof. Demetrio GRAMANTIERI, letta nella tor- nata del 19 aprile 1868. Urbino, 1868; 8°. Societa Geolog. di Vienna, Id, S. M. il Re d’Italia, L' Autore, L'A. Sig. Principe BONCOMPAGNI. C., T. Ant. Bosro, L'Autore. L'A. L'A, L'Autore. L’A. L'A, L'A. LA. L'A. L’Editore. 806 Sur une formule de Leibniz; par J. HougeL. Bordeaux, 1869; 8°. Recherches sur l’origine des Gaulois; par G. LévftQue. Paris, 1869; 8°. Rivelazioni astronomiche aggiunte alla declamazione filosofica di Cesare Claudio OrLANDINI. Bologna, 1869; 8°. Tentativo intorno ad una geometria a più di tre dimensioni, ossia a dimensioni veramente imaginarie, di Cesare PALADINI. Sondrio, 1869; 8°. Storia della Monarchia Piemontese; di Ercole RicoTI; vol. V e VI. Firenze, 1869; 2 vol. 8°. Sulla efficacia delle soluzioni dei tartrati nel rendere emiedrici i cristalli dei paratartrati che in esse s’ingrandiscono; Memoria di Arcangelo ScaccHi. Napoli, 1866; 4°. Delle combinazioni della litina con l’acido solforico; Memoria di Ar- cangelo ScaccHI. Napoli, 1868; 4°. Dell’acido paratartarico anidro; Memoria di Arcangelo ScaccHi. Na- poli, 1869; 4°. Inscriptions belges à l’étranger; par H. ScaueRMaNnSs. Liége, 1868; 8°. Archivio giuridico; diretto da Filippo SerAFINI. Vol JII, fasc. 3. Bologna, 1869; 8°. — -#8LDE0-63+- INDICE DEL TERZO VOLUME (lA aMa Elenco degli Accademici (1° novembre 1868 )............. Pag. Tema proposto per concorso dalla Classe di Scienze storiche, Muerali canloleziche. i. elica cilagee prabara » 3 799 Doni fatti alla Reale Accademia delle Scienze pag. 139, 255, 389, 557, 631, 723, 803. Osservazioni meteorologiche fatte all'Osservatorio astronomico di Torino (agosto - dicembre 1868; gennaio - giugno 1869). BeLLUCCI (Giuseppe) — Lettera intorno all’alimentazione ed al senno den: Tritonit 3984 Ant into aieeoLaeoi » BerRUTI (Giacinto) — Lettura di una Memoria intitolata : Intorno agli sforzi trasmessi dalle ruote dentate...... » BERTINI (Giovanni Maria) — Comunicazione di un capitolo della Storta: dellasfilosafia 19,40 dip aràuolloh asini » Bon-CompagnI (Carlo) — Sunto di una Memoria sul Cesarismo » Caupa (Valerico) — Minerali italiani analizzati ( Appendice al volume IV degli Atti). Copazza (Giovanni) — Sulle macchine dinamo-”magneto-elet- denas ed ero lesa ni. aaa Job allega, » Cossa (Alfonso) — Ricerche di Chimica mineralogica ...... » —— Sulla determinazione delle forme mineralogiche di alcuni carbonati romboedrici misti... ............... » DELPONTE (Giuseppe) — Lettura di una Memoria intitolata: Un ricordo botanico del Prof. F. DE FiLiPPI............ » —— Lettura di una Memoria sulle Desmidiacee del lago di Canta! im Piemonte; Pi HALLIARI ON ci IVA » Dorna (Aléssandro) — Sulla media aritmetica nel calcolo delle Copen Igea hola » FABRETTI (Ariodante) — Osservazioni sopra una iscrizione umbra scoperta: sn Fossato di: Vico. ..N'4al 00. RW. » 200 571. 674 501 729 187 768 399 643 757 785 808 GASTALDI (Bartolomeo) — Sunto di una Memoria intitolata : Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità rinve- nuti în Italia..... PRA RnTante, ETTI Ri NIE SE Pag. GENOCCHI ( Angelo) — Di una formola del Leibniz, e di una lettera di Lagrange al Conte Fagnano............... » —— Presentazione di alcune copie di una lettera di Lagrange, a nome del Principe BONCOMPAGNI. .............. LA -—— Intorno ad una dimostrazione di Daviet de Foncenex » -—— Intorno ad un teorema di calcolo differenziale. ..... » -— — Sunto di una Memoria intitolata: Dimostrazione di una formola di Leibnizio e Lagrange, e d’ alcune formole —— Presentazione di un opuscolo del signor HovEL, e di un fascicolo del Bolleitino di Bibliografia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche. ........l..v.10. el. » GHIRINGRELLO (Giuseppe) — Continuazione della Memoria sulla Trasformazione della specie............. 215, 382, 502, -— Sul morbo muliebre dei Sciti.....................+ » Grorpano (Felice) — Sulla orografia e sulla geologica costitu- Zione del Gran Gervino»..1. 23x12 als sod eta » GorresIo (Gaspare) — Saggi dell’Uttarakanda ............- » —— Proposta e Programma del tema di concorso stabilito dalla Classe di Scienze morali, storiche e filologiche » Govi (Gilberto) — Presentazione di due Camere lucide..... » -—— Applicazione dei metalli in strati sottilissimi alla costru- zione delle Camere lucide, e ad altri usi............ » ——. Lettura di una Memoria intitolata: Sull’uso della formola di Fresnel sul calcolare l’ intensità della luce riflessa e trasmessa dalle lamine di vetro....... ei » —— Romagnosi e l’elettro-magnetismo .. .............. » —— Anomalie del Caoutchouc vulcanizzato rispetto al calore » —— Presentazione di un fascicolo del Budlettino di Biblio- grafia e di Storia delle Scienze matematiche e fisiche . » = Nuovo. manometro:.... lata dare aa » LANINO (Luciano) -- Comunicazione di una Nota intorno alla costituzione dei terreni adiacenti alla via ferrata da Foggihia Napolizevi dica icon ar muss iaiti » Levi (Donato) — Sulle evolventi allungate od accorciate delle linee piandpiu- >> 29 AI 20 20 > — 20 Ha a > 29 > 29 a o = + h9 29 —> DS 20 20 20 è9 n + +» O 29 » d9 è0 + 29 29 > — è09 29 > >> Ww E IIS IS = ROL ROL a dol retto DO == a dI = a w 240 110 Azimuto della direzione del Vento IN GRADI SESSAGESIMALI 12 merid, 205 205 70 200 55 200 205 10 30 195 200 Quantità di cielo coperto Sì n InIumnO0O 0 S Swi ds S 0 ant. | mer. |pom. vi = a SO OS CIRSNCIIS ©» O 20 (M= (=) EE SEI — 12 00 dI 0 +» I è 2 SC 9 9 dI = 1 00 0 vo RE e — IN DECIMI 3 10 29 4 > 40 è 29 0 H 9 — O ao 4 (cn) (RES wa Do vo DD pom. mM >

] RISULTATI conseguiti Carbonio fisso ........ e «SITR Cepere ...<. dere = cip sile a ni Materie volatili combustibili... SOLO ”.0 te oa ee ta a 2 00.‘0. 2 WI Coke polverulento. 1 Gr. ridusse gr. 21,392 di pio» I Calorie = 4675. Campione N.0 1 - p. ° Gatbonio :f1880;::< e «ue e Cenere... + 1 foste ceto CS î Acqua igroscopica .......+ Materie volatili combustibilit Solto; . 1,00. Solfo DIC ita 27,32 P. fo. Nichelio ....... ci Rame: 1 RR { Polo Nrichelio: ....1. = fReeeSeRee Rame..ciccile e Cobaltaziz.i ih PIUMALTE P. °/o Nichelio.....&-3-bEre SRO Rame, srt valle de ne) xx a AO Pis%, Nichelio,;:sev:1<1.0/- e e save Rame..... PRPRPRERE E u P.I Niîchelio,.;. 4 «sat Se Rameéeili es SIE Orso. STA EE Nichelio p. °/q «++: 08 Cobalto di visa ARTE Rame DO cpleiitio fece ee Oro D La gO PROVENIENZA niera di Ornavasso ( Pallanza), esplorata dal sig. G. Massola. | (Ministero d’Agricoltura). niera di Doccio (Valsesia), esplo- rata da Stefano Perona. * (Ministero d’Agricoltura ) niera esplorata dalla Società Biscolfeim e C., nei comuni di Sabbia e di Cavagliana in Val- esesia. (Ministero d’Agricoltura ) nor G. Ruffoni. nera di Doccio (Valsesia), esplo- ‘ata da Stefano Perona. . (Ministero d’Agricoltura). nerale presentato dal sig. Bau- lino maggiore in ritiro. reofranco (Ivrea). (Corpo Reale delle Miniere, listrelto di Torino). 67 5 OSSERVAZIONI 10 {(1) Campioni minerali supposti auriferi. (11) Colla leggenda: Regione Cobianca, se- conda galleria. 773 1 » 68 E \ eg] DATA |2Z NATURA RISULTATI BS della 28 dei n” D S| srepiZiONE {72 MINERALI Sa c n 198 __ 2.0 Campione (1). Nichelio p.°/o...... o. Cdbalto(z1/3 2/10/0000 svi Rame RR . 0, Campioni N.i 1.° I 104| 5 Nov. 1867 3| Pirrotina nichelifera | Nichelio p."/o.. 3,98 2,75 è N° 15 del Cat ecobaltifera,mista | Cobalto » .. 1,87 1,9 € i i con pirite ramosa, | Rame » .. 9,15 1,90008 con matrice for- mata da roccia ser- pentinosa con quarzo, amfibolo ecc. frapposti. P. °/o 1054 8 Dic. 1868 1 | Pirrotina DIRI Riccio us n i edi ecobaltifera, mista | Cobalto ......... 000000000 N.° 15 delCat. apirite ramosacon f Rame................. se ganga silicea ecc. Campione N.° 1 p.°/o (1). 106} 13 Dic. 1868 | 3]Campioni minerali | Oro........ DIRÀ Pol c.c. 0,00 N 17del R.0 supposti auriferi. Ad Campione N.° 2 p.°/o (1). Michelio. ..1-< E e-... 0,440 Rame... i... 0 ce SS 312. Geo: 71 do. RR + VR 0, 205 5) PROVENIENZA OSSERVAZIONI operati NUMERO dei saggi (1) Wie leggenda: Regione Cobianca, quarta ga erd, niera di Cervia e Laghetto, neif 12 comuni di Sabbia e Cravigliana, circondario di Valsesia, pro- vincia di Novara. ( Corpo Reale delle Miniere, istretto di Torino ). nerale presentato dal sig. Inge- 3 nere G. Axerio. niera detta Buco e Motta, di Cro- 31(1) Costituito da una roccia quarzosa, con vino , territorio di Fomarco, cir- piccole venature di pirite ordinaria, mista rondario di Pallanza, provincia con traccie di pirite arsenicale aurifera. li Novara. (Corpo Reale delle Miniere, listretto di Torino). i (1) Roccia schistosa e quarzosa con pir- rotina nichelifera, pirite ramosa e pirite arsenicale aurifera interposte. (111) Questo campione minerale sì riscontrò quasi identico al secondo. DATA della SPEDIZIONE LO) (1107 | 6 Apr. 1861 N.° 8 del Reg. 108 | 1.° Magg. 1861 N.° 12 del R.° 109|7 Magg. 1861 N.° 14 del R.° il {10|21 Magg. 1861 N.0 16 del R.° 27 Luglio 1861 N.° 18del Cat. 112 {31 Luglio 1861 N.° 19 del Cat. = © E NATURA S £ dei * 5 (cH Za MINERALI 3 05 1|Pirite ramosa, con carbonato di rame verde interposto ; ganga argillosa. 2| Pirite ramosa con- tenente carbonato di rame. 1| Pirite ramosa mista a pirite arsenicale; avente ganga quar- zosa. (er) Calcopirite (1) entro roccia schistosa. w Pirite ramosa, con- tenente traccie di rame grigio, sup- posta aurifera. rS Pirite ramosa, con traccie di pirro- tina; ganga silicea e serpentinosa. RISULTATI conseguiti Campioni 1.0 Rene PuSfossaioa ae 27,5 P. fo. RAME. I PETE o. 1 Campioni N.° 10 2°(1) I Rame p. 9/5... 16,38 359,50 2% Campioni N.° 4.° 5° 21,83 13,33. 14 Rame p. 9/0... Campioni N. 1.° 2.8 Rame p.°/g +... 18. 46. 18 Oro » traccie iraccie tal Argento » negativo » » Campioni N.i 1.° 2° 58 Rame p. °/.. 9,5 7,66 13,9 $ Nichelio ».......». e.0° «ICT i raci PROVENIENZA iera di Macagno superiore Varese ). (Ministero d’Agricoltura). iera di Casali, circondario di hiavari. (Corpo Reale delle Miniere, istretto di Torino). erale presentato dal sig. Pro- sssore Moro. iera di Bisano e Sassonero, rovincia di Bologna. ndati dalla Segreteria della cuola di applicazione degl’In- egneri di Torino, Usi O) CO Do (0) oi %” = NUMERO — D ee ei pe) (e) la v Da [e] >» OSSERVAZIONI 3 | Venne soltanto richiesta la determinazione 21 del contenuto di rame. (1) Di cotesti sei campioni minerali venne richiesta la determinazione del titolo in rame. (11) Questo minerale risultò contenere fil- lipsite mista con la calcopirite, 12 | VB. Questi campioni minerali furono ana- 836 lizzali per via secca e per via umida. NUMERO d’ordine 113 114 115 116 |117 1118 119 NUMERO {deicampioni] DATA della SPEDIZIONE (9) ro (5) 7 Ag. 1862 1 N.° 44 del Cat. 25 Sett. 1862] 3 N.° 46 del Cai. 18 Ott. 1862 1 N.°48 del Cat. 3 Febb. 1863 1 N.° 54 del Cat. 18 Apr. 1863 4 N.° 60 del Cat. 1° Magg.1863[ 1 N.° 62 del Cat. 8 Magg. 1863f 1 N.° 64 del Cat. cn NATURA dei MINERALI Pirite ramosa con- tenente alcune pic- cole vene di solfo arseniuro di ar- gento. Pirite ramosa mista con pirrotina ni- chelifera e con ma- gnetite; ganga ser- pentinosa. Pirite ramosa. .... Pirite ramosa alte- rala, con carbo- nato verde di rame interposto; ganga schistosa ecc. Pirite ramosa..... Pirite ramosa, in parte alterata. Roccia amfibolica e serpentinosa con- tenente piccole quantità di pirite ramosa e di pirro- tina nichelifera in- terposte. conseguiti 19 P. °/o Rame........ fiuto Hop Argento .....e.c000et0ì .. Gio for ao PebA calo Campioni Ni 10 20 Rame p.°/-... 7,25 3,25 Nichelio »....... traccie 1,50 Polti Rame A site Per °/, Campioni N.i 1.° Rame p.9/,.. 3,66 3,83 5,58 6 PSI Rame.sicii. e dite ate Campione N° 1. Rame.i.:.ese ice cre Nichelio,.c..ci077 0 3 II RISULTATI 2.0 3.0 | PROVENIENZA :sentato dal sig. Cav. Richard di St-Jean-de-Maurienne (Savoia) ssentato dai signori Perelli e Paradisi, da Milano. ì) nor Conte Beltrami, minerale proveniente dalla Sardegna. piera di Libiosa presso Chiavari, :splorata da Giuseppe Rissetto. (Ministero di Agricoltura). niera di Monle-Loreto (Ancona). Dalla Direzione della Scuola li applicazione degli Ingegneri li Torino. esentato dal signor Professore Antonio Pansa. Minerale della Sardegna spe- lito dal sig. Solinas (Sassari) nerale proveniente dal comune lì Forno di Lemmie, provincia li Torino, presentato dai signori Marchetti Gio. ed Ajmo G. OSSERVAZIONI dei saggi operati NUMERO 5 | Con richiesta della determinazione del rame e dell’argento. 4 | NB. Sopra cotesto minerale si pralicarono tre distinti saggi docimastici per la ri- cerca dell’oro, ed i risultati furono tutti negativi. 12 878 î È 2 DATA = e della =) Z| SPEDIZIONE NATURA i RISULTATI dei MINERALI. conseguiti NUMERO dei campioni (9) A 3 Campioni N. 1° 120|28 Sett. 1863] 2|/irite famosa alte- | Rame p.0/,........ 21,50 rata contenente N.° 72 del Cat. molto carbonato di rame verde ed os- sido ferrico idrato frapposti ; ganga RIE Campioni NÎ 10 20 121|7 Genn. 1864| 3| Minerali misti, costi- | Rame p.°/-... 13 5,50 N.°77 del Cat — tuiti da ferro arse- { Nichelio » .... 3,38 4,17 ' : nicale, da pirro- tina nichelifera e da pirite ramosa; ganga serpentinosa molto compatta. 122 | 26 Febb, 1864| 2 Piriteramosa gialla, | Rame p. °/, 0... 39,70 | N.° 80 del Cat con ganga silicea i serpentinosa. I Campioni Ni 1° 20 123|17 Magg. 1864] 3|Pirite ramosa, con } Rame p.°/o.... 22,33 19,50 it N.085 del Cat ganga silicea ecc. Campioni Ni 1° 124|4 Magg. 1864] 2|Calcopirite avente | Rame p. °/,....... 21,50 o per ganga una roc- ig cia serpentinosa. PS | 125|21 Marzo1865| 1|Minerale misto for- | Rame... .........000 0000 o mato da pirite ra- | Piombo... ....:e-. 00000 Adele mosa iridata, da | Argento............. de FSE pirite ordinaria di [Oro ............0.0 0000 siste ferro, da pirrotina { Nichelio nichelifera, da os- 247] sido ferrico e da sì e ‘a e 'e.@-e a 3 0 0 le (0 SIRIA of ce ans PROVENIENZA SES OSSERVAZIONI AC Za 878 era di Balmafol, circondario 6 Susa. (Ministero d’Agricoltura). istero d’Agricoltura......... 9|/B. ll nichelio separato dai campioni n.' 1 e 2 conteneva traccie di cobalto. pioni presentati dal signor G. 6 esare Corbellini. iera detta La Gallinaria, Ca- 9 rca presso Chiavari. (Real Corpo delle Miniere, stretto di Genova). 4 ipione N.°-1 da una miniera 6 etta Garibaldi; il N.° 2 dalla iniera detta Marsala; tali mi- erali furono presentati dal sig. iovanni Cadolini Deputato al arlamento mazionale. erale presentato dal sig. Moret 6 letro. î 920 ES] ci NUMERO d’ordine 126 128 129 130 DATA della SPEDIZIONE 27 Marzo 1865 N.° 93 del Cat. 28 Marzo 1865 N.°93 del Cat. 9 Magg. 1865. N.°98 del Cat. 17 Aprile 1866 N.° 5 del Cat. NUMERO dei campioni 247 NATURA dei MINERALI galena argentifera; tale minerale com- plesso trovasiinter- posto ad una ma- trice costituita da uarzo, da ortosio, a mica bianca schistosa ecc. 3 | Pirite ramosa mista con pirite di ferro ordinaria ; ganga costituita da schi- sto micaceo. 4|Pirite ramosa alte- rata e mista con pirite di ferro or- dinaria, ossido fer- rico idrato, ed a- vente una ganga schistosa mista con roccia calcare, 1|Pirite ramosa mista con pirite bianca aurifera, con pir- rotina nichelifera, con magnetite. 4| Calcopirite mista con 259 pirite ordinaria di ferro contenente oro; ganga di roc- cia serpentinosa e quarzosa con car- bonato di calce cri- stallino interposto. RISULTATI conseguiti Campioni Ni 1.° 2,936 Rame p.°/,... 10 9,20 9,60. Piso Rame;gigiii. ssh, Ceto ì Nichelio.%... ore 1-3 CAF E) A «ti Camp. N.i 1° 2° 30 Polla Rame. 12,5 9,5 8,5 9° Oro... 0,0032 0,0027 0,0018 0,0 PROVENIENZA iera detta delle Cascine, co- june di Mezzanego presso Chia- ari ; esplorata dalla signora aola Gandolfi vedova Massa. (Ministero d’Agricoltura). iiera di Reppia, comune di Nè Chiavari); esplorata dal signor erdinando Pirazzi-Maffiola. (Ministero di Agricoltura ). npione presentato dal sig. Cav. ongenet , proprietario delle nagone per ferro di S. Marlino i Aosta. £ rniera di rame detta Cliiadò e farlina, territorio di Mocchie, ircondario di Susa. (Ministero d’Agricoltura). Cit OSSERVAZIONI dei saggi operati NUMERO 920 “a (e e) NUMERO d’ordine 131 133 139à 136 DATA della SPEDIZIONE 16 Dic. 1866 N.°21 del Cat. 4 Nov. 1867 N.°13 del Cat. 22 Nov. 1868 N.° 12 del Cat. 19 Apr. 1861 N.° 11delCat. 2 Genn. 1862 N.0 21 del Cat. Idem N.0 23 del Cat. NUMERO deicampioni 25 de) 5 2 3 2 i 2 274 NATURA dei MINERALI Calcopirite in parte alterata; con ganga argillosa. Pirite ramosa mista con pirite arseni- cale aurifera, e con pirrotina nicheli- fera, ganga silicea, serpentinosa ecc. Pirite ordinaria di ferro mista con pirite ramosa, con galena argentifera e con arsenico sol- forato; ganga quar- zosa ecc. Ferro arsenicalesup- posto aurifero. Pirite arsenicale au- rifera con pirite ramosa, entro roe- cia silicea e ser- pentinosa. Pirite supposta auri- fera e ramosa dis- seminalaentro roc- cia calcare ed ar- gillosa. Campioni N. 1.° Rame p.°/,.. 28,5 26 23,5. Campioni N. 1.0 Rame" p. facce ri 13,30 Nichelio »° .. 06 0,70 Oro »itoav, Aa 0,0035 0 Campioni N. 1.° 29 Rame p.°/,. 1,050 2,174 0 Piombo » 0,602 0,368 0 Argento » (1) 0,0015 0,008 +0) RISULTATI conseguiti 2.0. 306 Campioni N. 1° Diet Va: i 0,00094 0,00 Rane 99 rina »° "SS P.I Oo. dt è Rame.

PROVENIENZA iniera di Monte-Linajuolo , co- mune di Rovegno. (Corpo Reale delle Miniere, distretto di Milano). iniera di Valprato , provincia d’ Ivrea, esplorata dai signori Secqueville e Kantoronwiez. (Corpo Reale delle Miniere, distretto di Torino). iniera di Baio (11), denominata Comunia, territorio di Baio, cir- condario d’ Ivrea. ( Corpo Reale delle Miniere, distretto di Torino). resentato dal signor Professore Sella Quintino. finiera di Monte Scarapia, ter- ritorio di Pugno; saggio ordi- nato dal sig. Ronchetti Luigi. ampioni minerali provenienti da Cesana, circondario di Susa. (Ministero d’Agricoltura). operati NUMERO dei saggi 959 13 10 15 t014 OSSERVAZIONI 79 NB. Il campione n.° 5, segnato colla leg- genda: Roccia incassante gli ammassi di calcopirite di monte Linajuolo, non diede al saggio alcuna traccia di rame. (1) Argento con traccie di oro. (11) Esplorata dal sig. Antonio Re. (0 è) (—») NUMERO d’ordine 137 138 139 140 141 142 DATA della SPEDIZIONE 10 Marzo 1862 N.°31 del Cat. 20 Marzo 1862 N.° 33 del Cat. 9 Selt. 1862 N.°45 del Cat. 26 Marzo1863 N.°56 del Cat. 19Luglio 1865 N.°99 del Cat. 25 Ott. 1865 N.° 105 del C. 20 Genn. 1866 N.° 2 del Cal. NUMERO deicampioni (9) a ti NATURA dei MINERALI Campione di argilla supposta aurifera. Pirite supposta au- rifera. Pirite arsenicale au- rifera. Pirite bianca arse- nicale aurifera; ganga quarzosa. Pirite ordinariasup- postaaurifera,con- tenente alquanta pirite ramosa. » Pirite ordinaria mista con pirite arsenicale e pirite ramosa sparse en- tro abbondante roccia schistosa e serpentinosa ecc. Pirite ordinaria mista con pirite ar- senicale aurifera, RISULTATI conseguiti Pia Ororin 09 CdA nega: Pi a Oban a quei arie A 0,00 F.-%la Oro. » 1. ai 0,00 Pisi. | Orosit. NIC. UA 0,03 Argento. out SRRTÀ ate trac Pi Cla i OFd.i iti 0,00 Rame st. PERS 2,0 Campioni N.0 1.0 2.0 3.0, Oro p.°/, ... traccie 0,0015 traeci Rame » . idem 0,7500 i # Pilot sr vari crac 0,001. PROVENIENZA dm (=) dd \pione proveniente da Aosta . resentato dal signor Avv, Cav. godino. veniente da Aosta; presentato al signor Dottore Cristiani. fpione proveniente da Courgnè Ivrea ); presentato dal signor alesio Giovanni. la Direzione della Scuola di pplicazione degli Ingegneri di ‘orino. sentato dal signor Debernardi ? Ivrea. veniente dal comune di An- rate ( Ivrea). (Ministero d’Agricoltura). sentato dal signor Figari..... dei saggi operati NUMERO 3 id) 12 OSSERVAZIONI 81 = ci DATA SZ NATURA 0 ARTS IONE ST della SE dei 25] srrpizione |2E MINERALI CORONE è 283 P. %o 144/160tt0b.1866| 1|2Pirite arsenicale au- | Oro ............:.,. bic pc rifera, con pirite } Rame. ............:...c0r, 0,7 N.° 2 del Cat. ramosa mescolata. ; Campioni Ni Cd 2 145]25 Ottob.1866| 2|Pirite arsenicale au- | Oro p. 0/;........., 0,001 00 N° 18 del Cat. rifera, mista con | Rame » .......,.. 2,680 3,4 pirite ramosa, Campioni Ni 1.0 9° Si | 146} 15 Dic. 1866 3{ Minerali misti e co- | Oro p.°/o.... 0,0015 0,0005 tra dai slituiti da piritear- | Argento ».... 0.012 0,005 è SRI senicale aa È Bio DIS 37125 1,045 0, da solfo arseniuro di argento, e da pirite ramosa ; le quali specie mine- rali trovansi inter- poste ad un’abbon- dante roccia quar- zosa durissima. {| 147{17Marzo1867| 1|Pirite arsenicale au- | Oro. ............. vt, 0,01 : N.° 5 del Cat rifera , avente ta | ganga molto ab- bondante, serpen- tinosa. Campioni Ni 10 2.1) 3, | j 148] 4 Nov. 1867 | 3] Pirite arsenicale au- | Oro Pi °/or+.. 0,0105 0,0071 0,00 N.°12del Cat rifera, mista con ; ; pirite ordinaria; avente una ganga calcare, con clo- rite, serpentina verde interposta. 293 PROVENIENZA i i tal v Da ° OSSERVAZIONI esentato dal signor Vavrek... Traverselle (Ivrea); presentati dal signor A. Domingo, Chimico industriale. Ila valle di Lucana presso Ivrea; presentati dal signor Ignazio Craveri. ;nor Vincenzo Crosa......... niera di Alfenza, comune di Crodo, circondario di Domo- dossola, provincia di Novara. (Corpo Reale delle Miniere, distretto di Torino). 18 9f(1) Con traccie d’argento. 1091 6G* 149 150 152 153 154 DATA della SPEDIZIONE 4 Dic. 1867 N.° 16del Cat. Idem N.° 17 del Cat. 5 Dic. 1867 N.° 18 del Cat. 20 Dic. 1867 N.°20 del Cat. Idem N.021 del Cat. 23 Ag. 1868 N.° 77 del Cat. NUMERO deicampioni (2) w O (9) (e) LO) I) 307 NATURA dei MINERALI Pirite arsenicale ed aurifera. Pirite arsenicale au- rifera. Pirite arsenicale au- rifera. Oro nativo dissemi- nato entro roccia serpentinosa alte- rata e mista con molto quarzo ed ossido di ferro 0- craceo. Oro nativo entro roccia serpenli- nosa con venature di quarzo e con calcare misto con ossido ferrico in- terposli. Pirite supposla au- rifera. RISULTATI conseguiti Campioni Ni 1.° 2,0 Oro p.°/,-+.. 0,0085 0,0071 0,0 Campioni N. 1° «6 Ofo pI vee ol dl Piombo» isiti.altutrt E A ZIBCO . <-0 1. 200 «o E e Rame..... | Nichelio,.- > pere trac Oppio \ Argento... .....-. esere 0,00 Silice e silicati insolubili... 38,278 Perdite ue 2jaiacace g SNO 1,4 I P. % Solfuro di antimonio ...... 33,52 Id! °'di ‘piombo. cat 14,38 Argento.........» apHagoe . 0,00 Opi ra A acero pre 0,00 Pirite arsenicale compresa la GADGA c'e agere ele.e e intaiadele oli 62,0 Poe Mercurio... is \qedt VC SRO E operati PROVENIENZA OSSERVAZIONI i © SE Da ri 25 (21! 1or Conte Beltrami ......... 6{(1) Scorie di piombo provenienti dalla Sar- degna, raccolte in un’antica usina, jor Defernex banchiere per il 8 { VB. Venne richiesta la determinazione del- onor Ingegnere Franefort. l'argento e del rame. ior Ruffoni Vittore ......... 8}(1) Contenente traccie di manganese. . lor Zannetti Tommaso,...... 5 3 \pione proveniente da Nicosia, rovincia di Catania (Sicilia). (Ministero d’Agricoltura). | 1163 6° 88 2 DATA = della Z| SPEDIZIONE 160|15 Lug. 1863 N.070del Cat. 161 {19 Giug. 1863 N.° 68 del Cat. 162 | 26 Genn. 1866 N.° 4 del Cat. 6 22 NATURA RISULTATI Q s dei = 23 hd < cpl conseguiti DI 313 Campioni NS 4° 2 Argilla con solfoin- { Solfo p. 9r......... 37,53 terposto ecc. Acido solforico libero,. 4,40 Acqua a +1000...... 18,31 Argilla mista con solfato di Calce. Lo. see 39,54 Berdite 3.07; oe «0,22 P. °/o. 1|Calcare dolomitico, | Carbonato di calce.......... suppostoidraulico. Id. di magnesia...... Id.. di Ferro. anne Silice solubile. ......... sera Id. insolubile... 2202aNe Allumina::. e Acqua a 100° c.li. 0. e Traccie di materie carbonose, perdite.” We ana Campione N.° 1 (1) - p. “a Di Calcani 000. 400 Carbonato di calce.......... è Id. di magnesia ...... Silice insolubile. RE Id. solubile RR Sesquiossido di ferro........ Id. alluminio....... Aequa a + 120°... . e Perdite... .....+ 5. SERE Campione N.° 2 (mn) - p. °/o Calcani SU. 0 Carbonato di calce......... k Id. di magnesia ...... Silice insolubile... ........... Sesquiossido di ferro e di al- lumini. ii. Va Ren Acqua ‘a -+120°;. 7.000 Perdite i giu eee hr 319 PROVENIENZA OSSERVAZIONI operati NUMERO dei saggi rovenienti le suddette argille dalla Sardegna, e spedite dal signor Prof. Antonio Pansa. ampione presentato dal signor Da Canale Luigi; proveniente da Nuceto ( Mondovì). resentali dalla Direzione delle Ferrovie meridionali. Idem. Leni Db (er) (OS) 7|(1) Proveniente da una stratificazione cal- care sotto la masseria Schiavone nel tor- rente Cippone. 7|{1) Calcare proveniente dalla sponda destra della Ginestra, in grandi ammassi isolati. 1187 (des) =) DATA della SPEDIZIONE NATURA RISULTATI dei ; i È conseguiti MINERALI NUMERO d’ordine NUMERO deicampioni]i (de) he (Le) È Campione N.° 3 - p.9/o. 11163] 29 Gen. 1866f » {[Calcari........... ‘Carbonato di calce. ......... Deo A GELCat.i. ce Sironi 10020, Ossido di ferro e d’alluminio. Acqua a + 120°... 000 Perdite ©). Cee Campioni N 10 20 3.95 Ds at GA) Ì 164129 Apr. 1866] 11|Calcari (1)........ Silice e silicati RI N° 9 del Cat insolubili.... 0,218 0,126 0,2 i A AT2SO9 IVA 0,017 0,022 0,00 De oa 0,021 traccie 0,0 Ca0, CO?..... 0,703 0,790 0,7 Mgo, CO?..... 0,012 0,019 0,0 Materie organi- - che e perdite. 0,014 0,018. 0,018 Acqua a + 120° 0,015 0,025 0,019 Campione N.° 4 - p.i gr. » Idem AIRONE PIE ta Silice e silicati insolubili ... ATP103- 940] e deere GSC Cao, CO: M50, CO... Materie organiche e perdite... Aequa ‘a --+-1200-. 008 Campione Ni 5.° 6° p. i 165 Idem DRITTA ATEO EI Silice e silicati insolubili. ... 0,153 0,223 Fe? 05........ 0,014 05040: 0 Ca0, CO? (1)... 0,770 0,667 0 Materie organi- che e perdite. 0,011 0,010 0 330 Acqua a +120° 0,020 0,019 0 3 di PROVENIENZA OSSERVAZIONI operali NUMERO dei saggi irezione delle Ferrovie meridio- 7 | Calcare d’una stratificazione esistente sotto nali. Bonalbergo, a venti minuti di strada dalla confluenza del rivo Bonalbergo nel | Miscano. I NB. Sopra i tre calcari presentati dalla Di- |{ rezione delle Strade ferrate meridionali, ad istanza del sig. Cav. Prof. Marchesi, si praticarono diverse ricerche onde ac- certare il migliore impiego dei medesimi; i risultati conseguiti furono i seguenti: il calcare n.° 1 può somministrare calce assai idraulica, ed- i calcari n.0 2 e 3 diedero ottime calci aeree. alcari della Toscana, mandati 16|/VB. La ricerca della presenza della potassa dai signor Cav. Prof. Martin- ovvero della soda, eseguita accuratamente Franklin. sopra tutti questi calcari, riescì negativa. (1) Le analisi di questi calcari si opera- rono tutte sopra f gramma di materia. Idem » Idem 16}(1) Contenente traccie di carbonato di ma- gnesia, 1226 (Jo) do E ; Sl DATA |S2 NATURA RISULTATI Sk ella DE dei Be SE conseguiti Z| SPEDIZIONE {2 MINERALI è 330 Campione N.° 8 - p. 1 gr. » | 29Apr. 1866 | na | Calcari..........- Silice e silicati insolubili.... 0,20 N°9 del Cat AP O... 0,0 ME à Fe? 03... cone 1 0,0% Cao, CO? (7)... OE 0,708 Materie organiche e perdite .. 0.0 : Acqua a +120°....... sy Campioni N. 1.° Do Ù e p. 1 gr. 3 » Idem di Iena Lote. ba Silice e silicati insolubili.... 0,099 0,204 Allumina....+. 0,005 0,003 081 Fast. 0,010 0,013 0,016 Carb. di calce.. 0,841 0,732 0,8 » magnesia . traccie 0,012 {Materie organi- che e perdite. 0,012 0,009 Acqua a +120°. 0,018 0,016 Campione N.0 1 (1) - p.°/;- - 16614 Magg. 1861] G6|/dro-carbonato di | Carbonato di magnesia eee 65000 N. 13 del Cat maynesia. Id. di calce'sta. età 90 = Said e Silice e silicati insolubili.... 1% Allumina con traccie di Fc? 05 | Separata... ... o CE Calof:orerte DI ec EN ( Carbonato di calce .....,..., 4,8( Acqua a +120°.........,.. 3,» Perdite. 00, a finistero di Agricoltura Idem, Idem. Idem. PROVENIENZA sore toe 00 NUMERO dei saggi operati OSSERVAZIONI 5 Proveniente da Castellamonte (Ivrea). 5) Idem. 5|(im) Di Benasco (Castellamonte, Ivrea). - 5 (Iv) Di Castellamonte (Tvrea ). 1272 S| DATA DE della 25] seepizioNE NUMERO dei campioni 336 » 23 Magg. 1862 N.0 38 del Cat. 167}4 Marzo 1864 168|27 Apr. 1865 NATURA dei MINERALI 3| Campioni paste per veli (1), ua td 2| Terre refrattarie 1) pet la fabbrica- zione di mattoni per carcere peni- tenziario in costru- zione nella città di Sassari (Sardegna) 1|Sabbia di Beverone, di colore rosso bruno, impiegata nelle costruzioni marittime della Spezia, in qualità di terra pozzola- nica. ISULTATI conseguiti Campioni N 1° 2° Silice P.°lo- . 51,9 61,5 RRDOTTIRSIE 16,5 traccie Fe: E 26 7,8 LIDO: 19,5 15,4 M50, CO?..... traccie 4,2 ROTICOT. 0) idem traccie Acqua a + 120° e perdile.. 6,3 ca Campioni N. 19 i Gramm. parle solubile (11). Silice 1 gramma..... 0,008 0,00 Resto: (Ve 0,062 0,0î MIRO 0,027 0,02 CI0::00%.< 0,145 0,13 Mg0, GO. Aree 0,028 0,02 parte insolubile. fai: 0), RP o 0,468 0,47 FE 0). SS SRARE 0,058 0,06 AI OST a 0,173 0,15 Calce ae traccie trace Mapnesia 100 0,009 0,00 Acqua a + 120° e per- i dite: (V). 1 ERE 0,022 0,048) i Gramma. Silice e silicati insolubili . 0,48 AL'OSr.. le 0,10 Hey O. ..li: tO 0,05: Ganci SI 0,04 MeO i. usi: RO 0,02 HO... cioe i SR 0,00 finistero di Agricoltura PROVENIENZA Ministero degl’ Interni. ......... Presentato dal Trincheri. signor Capitano NUMERO dei saggi operati OSSERVAZIONI n. — r9 e |] (o) 9|(1) Saggi eseguiti pel signor Stefano Cesari, 10 1299 fabbricante di Ancona. N. B. Per ‘causa della poca omogeneità dei tre campioni presentati, non si con- seguirono risultati analitici di molta esat- tezza ecc. (nm) Terre argillose spedite da Sassari. (11) Col trattamento dell’acido cloridrico. (tv) In parte allo stato di FeO, CO?. (v) Nelle dette terre argillose si accerta- rono alcune traccie di materie organiche d’origine vegetale. E NUMERO d’ordine 169 | 26 Genn. 1866 » DATA della SPEDIZIONE N.0 4 del Cat. Idenî Idem =. ae © J Ri SH NATURA = dei Pe MINERALI s 342 Sd-dtgiulle... copi » BArgille..... Sd » Idem 345 RIS U L'ISASTI conseguiti 1 Gramma, Silice solubile... O 0,004 Allumina idem ........ ni ate pie E Ossido ferrico idem ........ 0,04 Gad, CO”... . a 0,0 MEO) GO? .... ee «... 08 Acqua a + 1200........... 0,034) Perdile- tv. RO + 638 Campione N.° 1 (1) - 1 gramma, Silice solubile: a. se 0 0,10 Jd.: insolubile Re 0,54 Alumina. 0) TE 0,18 Ossido ferrico. o Se 0,09 Aequa a + 1200... 200% «. 0,02 Traccie di materie organiche e perdite’, .4.. 0 Campione N.0 2 - 1 gramma, Silice. solubile .. 008008 0,00 Td. insolubile... SE 0,5 AO. E 0,25 ESTOS. = sr 0,08 Ca0, CO? -.. cc. S 0,05 Aequa a + 190°, nen 0,0 Perdite 2... va. 0,013] Campione N.° 3 - 1 gramma. S Silice insolubile. ........... 0,141] ARTO) E 0,0534 Feo CO alii. 0,087 CICCO... SERRE 0,63 Me0,. CO”... .....- SEE 0,034] Aequa:a + 120° 0,0 C) È Partite . + ..3...0,-. (yi O 0,014) ampioni mandati dalla Direzione delle Ferrovie meridionali, irezione delle Ferrovie meridio- nali. PROVENIENZA ’ Idem. oi OSSERVAZIONI (°] 4|() Campione di un argilla proveniente dalle vicinanze della masseria Schiavone, presso il torrente Cippone ( V. pag. 5, calcare N.° 1 ). 4|Questa argilla si rinviene sulla sponda Re 5 È . 5 i”, destra della Ginestra in prossimità del calcare N.° 2 {V. pag. 51). 4|(11) Questo campione segnato colla leg- genda: Schisto argilloso, proviene da Bonalbergo nel Miscano in vicinanza degli strati del calcare N.° 3 (V. pag. 52). RZ! no | Re) © || = NUMERO d’ ordine Î ®. NATURA i RISULTATI® dei r MINERALI DATA della conseguiti SPEDIZIONE ha NUMERO deicampioni 345 i Gramma. 26 Genn. 1866] 1| Argilla detta Lapillo | Silice e silicati insolubili ... bianco dei martiri | Silice solubile ............. JO, a) ; . . - N.° 4 del Cat. (1). PINTO B EA E He 10 Fa CIO Mg0, CO”........ SR Acqua a 4 120°......206 Lee Perdite .....- e IRE 1 Gramma. Ilem 1prapillo iu if Silice e silicati insolubili ... Mg0,C0?....... one Aequasa +4- 1205; 0 ARSRRRE Perdite... ar RE 1 Gramma. Idem 1. Lapillo. .i....i4 Silice e silicati insolubili... . Cad, C03... Mg 0, C0* .0..0. 0 Acqua a + 120°, Sale Perdite 1... Ren 348 101 o ee ans PROVENIENZA STE OSSERVAZIONI PL 151 irezione delle Ferrovie meridio- 61(1) Questo lapillo trovasi in abbondanza in nali. prossimità della Galleria di Ariano. un G6{Lapillo esistente in grande quantità nel E Cerreto vicino alla masseria Corsana, # Idem. 6 Lapillo, il quale incontrasi nella valle Mi- scano, presso Monte Calvo. P. memoria. Sopra cotesti 6 campioni mandati dalla Di- rezione delle Ferrovie meridionali, me- diante accurate ricerche analitiche non si è potuto accertare nelle medesime nè la potassa, nè la soda od altra base al- calina allo stato di combinazione, oltre la calce e la magnesia notate nei risultati; sopra li delti campioni , ad istanza del sig. Cav. Prof. Marchesi Direttore tecnico delle Ferrovie meridionali, si fecero molti tentativi ed esperimenti, onde conoscere ——_| praticamente il modo migliore di utiliz- 1329} zare li suddetti campioni minerali. ini 02 NUMERO © d’ordine 170 DATA della SPEDIZIONE 22 Dic. 1866 N.° 22 del Cat. - NATURA dei MINERALI NUMERO deicampionijî w 48 5| Terre argillose . ... 303 RISULTATI conseguiti (1) Campioni N. 1.° i Gramma. A Silice e silicati 0,448 AI°FO Stan, 0,347 Re Poe 0,043 Capri 0,010 Nata 0,015 IO. B A 0,016 - ASSI 0,013 Fe 0...:.... 0,017 Cao, CO?..,. 0,009 Acqua (I1).. 0,051 Perdite/Sato.o 0,031 Campioni N. pers A Silice e silicati ...... ATZI03: ERE Acqua (0)... perdita (im) (iv 29 ° | 0,530 0,52 0,287 0,250 0,114 0,10 A) » 0,007 0,003 0,00 0,010 0,00 0,009 0,05 0,014 0,00 0,027 0,03 0,029 0,02 (V) (vi) 4.9 59 » tracci traccie» 0,013 0,008 0,007 » 0,064 0,029 0,020 0,040 0027 PROVENIENZA sd ‘gille provenienti dal circondario di Mondovr, le quali furono pre- sentate dal sig. Prof. Defilippi. dei saggi operati "NUMERO 1329 103 OSSERVAZIONI 25 |(1) Argilla di colore cinereo, assai pla- 1354 stica, ecc. A parte insolubile nel HCI. B parte solubile in HCI. (11) Acqua separata a gradi 120° centesimali, (A) Contenente traccie di calce e di ma- gnesia. (1) Argilla di colore bianco-giallo dotata di sufficiente plasticità. (1v) Argilla di colore rosso ocraceo-scuro, poco ‘Plastica. - (v) Argilla di colore bianco -giallognolo, poco plastica. (vi) Argilla colorata in giallo - chiaro , al- quanto plastica. NB. Le matonelle preparate con le dette argille porlate al colore rosso-bianco su- birono 1 seguenti cangiamenti, cioè le matonelle del N.° 1 risultarono affatto infusibili, st » quasi infusibili, » 3 » molto fusibili, » 4 » meno fusibili del precedente, » 5 » in parte fusibili. =>] > E DATA È della Z| sPeDIZIONE — NUMERO | 171|20Aprile1867 N.° 4 del Cat. 172 | 14 Magg. 1868 | N.° 4 del Cat. NATURA dei MINERALI NUMERO dei campioni 353 1| 7erra kaolinica... 5 | Argille feldspatiche (1. IT Silfce.. <.<... cv CAPACE RISULTATI conseguiti | P.9E Parte insolubile. Silfice:; a ‘osa atei 76,6 Allumina........050% cr GIR E Mapnésia..... .ae/a;e he SIE Potassa e 2 ® 0 .0)0 eo. è 3 a ale SISSA Td. di magnesia....... Acqua a+ 120°... ca SRbRe Pemdite....,°.1.35 v0 a RE Campioni N.i Silice quarzosa e combinata p. °/o 48,06 59,07 54,1 Albo 41,12 34,13 375 BERIO. une 1,97 096 Di Calbefsoainte 2,38 1,54 Bossa, ;alruore 1,44 1,09 Magnesia........ 0,65 0,21 Acqua a +120°.. 0,94 0,46 Idem al colore rosso nascente ..... +. 2,53 1,75 Traccie di materie organiche vege- tali e perdite.. 0,91 0,79 = PROVENIENZA gnor Luigi Fino negoziante... . OSSERVAZIONI operati NUMERO deî saggi foi (Se) (31 o 301) Campioni provenienti dal circondario di Mondovì, presentati dal signor A. Musso di Villanova. 1390 DATA NATURA O RISULTATI della dei conse it SPEDIZIONE MINERALI tia NUMERO d’ordine Campione N.i » [14Magg.1868| » | Argille feldspatiche | Silice quarzosa e com- N.° 4 del Cat. Potassa..... alzate Magnesia Acqua a + 120° Idem al colore rosso nascente Traccie di . materie organiche vegetali e perdite \ » | 21 Dic. 1868 1 | Petrolio o bitume na- { Densità = 0,90805. È turale liquido, di N.° 21 del Cat. aspetto oleoso, di | 200.cc di’ petrolio colla distillazic colore rosso bruno | frazionata diedero : e dotato di poli- i o Sole A RC So, .15.cc di olio bia ‘A Densità a + 2200,,.25.cc di olio d tinta giallognola - — 0,815. | Densità a + 275, ...45. ‘cc olio giai intenso a O | Densità a +295....40.c© olio giallo scuro a 0,865. I Densità a + 380° olio bruriecio 75. di 0,885 densità. 107 È ce NS PROVENIENZA Sa OSSERVAZIONI + “Ra iniera delta Rile dell’ olio, co- 8 mune di Rivanazzano, circon- dario di Voghera, provincia di Pavia ; esplorata” dalli signori Molo Defendente e Zolesi Giu- seppe. (Corpo Reale delle Miniere, distretto di Milano). l'orino, il 10 Giugno 1869. VALERICO CAUDA Vice-Direttore del Laboratorio di Chimica. ri r «POV 7 x d è» STE è » = p , Ò Ù » . ' è î y ME*1T194 5 x \ y £ DI x 4 db wi . + R ì ® hi 1° : ' * Ù Ò s x ì Hi È È U È , : i i i 5 ì è . : USE Ù h | i 3 eci d ? fee -_ LA f . ® DI . È x - i 1] = PA ì f ager aaranntii aiir RITIRI cina PIE IRRIEIPIPNTARIETE N TIOE ES OTESIPOTTAT - na è 09] li \ A È x ' (Mid Pi > x ) uh Î Pe 2/01 - AMNH LIBRARY