et ir rta n: CIO ETTETA pon; gua ire SO. Uro Aesos esa TL rapire arpa pad o TER pene pp RIAD nine = IT lle —————_- de be II & MT tego ar enti FOR THE PEOPLE FOR EDVCATION | FOR SCIENCE “” Fovea MRI) DI i CT \ i » RENE ACCHOEMIA DELLE. SCIENZE FISICHE E. MATEMATICHE + | Zo6(4 51) Na NOTES CON 24 TAVOLE ai NAPOLI pOGRANIA DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Mr DIRETTA DA E. DE RUBERTIS FU MICHELE (A Vin re : uf: Men di; LAME O a "0 de tt i, bam "TERRENO CAN CR RR EA Lie NR RA to I) io vi Da cÀ; pe 3 pra 4 Aol DA ELENCO DEI PRESIDENTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE 1862. Costa OrONZIO GABRIELE 1863. 1864. 1865. 1866. 1867. 1868. 1869. 1870. 1871. 1872. 1873. 1874. 1875. 1876. 1877. 1878. 1879. 1880. 1881. 1882. 1883. CAPOCCI ERNESTO GASPARRINI GUGLIELMO PADULA FORTUNATO DE LUcA SEBASTIANO De GASPARIS ANNIBALE PALMIERI LUIGI TRUDI NICOLA De MARTINI ANTONIO PADULA FORTUNATO GUISCARDI GUGLIELMO FERGOLA EMANUELE PALMIERI LUIGI PADULA FORTUNATO PANCERI PAOLO TRUDI NICOLA CesATI VINCENZO De GASPARIS ANNIBALE CosTA ACHILLE PADULA FORTUNATO ALBINI GIUSEPPE TRUDI NICOLA 1884. 1885. 1886. 1887. 1888. 1889. 1890. 1801. 1892. 1893. 1894. 1895. 1896. 1897. 1898. 1899. 1900. 1901. 1902. 1903. o 1905. DE MARTINI ANTONIO FERGOLA EMANUELE GOVI GILBERTO BATTAGLINI GIUSEPPE DE MARTINI ANTONIO PADELLETTI Dino CostA ACHILLE FERGOLA EMANUELE PALMIERI LUIGI BATTAGLINI GIUSEPPE TRINCHESE SALVATORE FERGOLA EMANUELE VILLARI EMILIO SIACCI FRANCESCO ALBINI GIUSEPPE FERGOLA EMANUELE NICOLUCCI GIUSTINIANO CAPELLI ALFREDO DELPINO FEDERICO FERGOLA EMANUELE PALADINO GIOVANNI Pinto LUIGI ELENCO DEI SOCII NEL SETTEMBRE DEL 1905 UFFICIO DI PRESIDENZA Presidente — PINTO LUIGI Vice-Presidente — BASSANI FRANCESCO Segretario — DEL PEZZO PASQUALE Tesoriere — OGLIALORO-TODARO AGOSTINO SOCII ORDINARII SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE Socti residenti con la data della loro nomina . ALBINI GIUSEPPE; 13 giugno 1868. . OGLIALORO-ToDARO AGOSTINO ; 12 agosto 1882. . Bassani FRANCESCO; 10 dicembre 1887. . PALADINO GIOVANNI; Io giugno 1893. . Grassi Gumo; 20 febbraio 1897. 3. DeLLA VALLE ANTONIO; 12 febbraio 1898. iP 18. 19. 20. 21. 22. —_— V _— . De LoRENZO GIUSEPPE; 12 novembre 1904. . PIUTTI ARNALDO; 12 novembre 1904. . CANTONE MICHELE; 17 giugno 1905. Socii non residenti . CANNIZZARO STANISLAO; 10 febbraio 1872. . TARAMELLI TORQUATO; 10 dicembre 1892. . PACINOTTI ANTONIO ; 9 aprile 1898. . PATERNÒ EMANUELE; 11 febbraio 1905. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE Socti residenti FERGOLA EMANUELE; 19 novembre 1861. CAPELLI ALFREDO; 12 marzo 1887. Pinto Luii; 8 giugno 1889. CesARO ERNESTO; 3 dicembre 1892. Siacci FRANCESCO; 17 novembre 1894. DEL PEZZO PASQUALE ; 20 novembre 1897. — VI — Socii non residenti 23. SCHIAPARELLI GIOVANNI ; 9 aprile 1898. 24. TORELLI GABRIELE; 12 dicembre 1903. SOCII STRANIERI SEZIONE DELLE SCl1ENZE FISICHE 1. Lorp KELVIN (THomson GUGLIELMO); 1° aprile 1893. 2. WEISMANN AUGUSTO; 1° aprile 1893. 3. GAUDRY ALBERTO; 9 novembre 1895. 4. DOHRN ANTONIO; 4 dicembre 1897. 5. ReTzIus GusTAVO ; 13 luglio rgor. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE 6. AUWERS ARTURO; 9 Marzo 1895. 7. PoncaRE GiuLio ENRICO; 20 novembre 1897. 8. MirtAG-LEFFLER GUSTAVO; 13 luglio 1901. SOCII CORRISPONDENTI NAZIONA LI SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE 1. Comes ORAZIO; 10 novembre 1883. 2. CAPELLINI GIOVANNI ; 14 febbraio 1885. Da sese VI] i=== . BLASERNA PIETRO; 2 marzo 1880. . ScAccHI EUGENIO ; 13 luglio 1889. . SEMMOLA EucENIO; 16 dicembre 1893. . Mosso ANGELO; 9 aprile 1898. BAKUNIN MARUSSIA; 11 febbraio 1905. 8. CapoBIANcO FRANCESCO; i1 febbraio 1905. . DIAMARE VINCENZO; 11 febbraio 1905. . Parona CARLO FaBRIZIO;-11 febbraio 1905. . MATTEUCCI RAFFAELE VITTORIO; 17 giugno 1905. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE . D’Ovipio ENRICO; 12 febbraio 1881. . SALVATORE-DiNno NicoLa; 12 febbraio 1881. . BriancHI LUIGI; 9 agosto 1890. . ANGELITTI FILIPPO; 9 aprile 1898. . MasonI UDALRIGO ; 9 luglio 1898. . MontESANO DomENICO; 13 luglio 1901. . DEL RE ALFONSO; 25 Giugno 1904. Indice delle Materie CERRUTI A. — Contribuzioni per lo studio dell’ organo di Bidder nei Bufonidi — 1. Di una speciale penetrazione di ovuli in ovuli adiacenti nel Buro vuLearIs Laur. (con una tavola) |... .. . + lVPasquaLe M. — Revisione dei selaciani fossili dell’ Italia meridionale (con una tavola) /BASSANI F. — La Ittiofauna delle argille marnose plistoceniche di Taranto e di Nardò (Terra d’ Otranto) (con tre tavole) . . . . . . DE GASPARIS A. — Le alghe delle argille marnose pleistoceniche di Taranto (con una tavola) Wifi t = pg MIR De Francesco D. — Sul moto di un filo e sull’ equilibrio di una superficie flessibile ed inestensibote. Parto: primati 9 i) Ip. — Idem. Parte seconda. . . . . . Ri A e o Cesàro E. — Sulla rappresentazione intrinseca delle superficie . STO E “PasquaLe M. — Su di un PALAFORHAYNCHUS dell’ arenaria eocenica di Ponte Nuovo presso Barberino di Mugello (prov. di Firenze) (con una tavola) Riva C. — Le rocce granitoidi e filoniane della Sardegna (con sette tavole) . Capozianco F. — Dell’ azione di alcuni estratti organici sul lavoro muscolore Ho una tavola) CR) 3° et Neu a c SN» De GASPARIS A, — Considerazioni intorno al tessuto slot di PARI specie del genere PORTULACA (con una tavola). \-- .c-.m/ nen De Lorenzo G. — Lo scoglio di Revigliano (con due tavole) e APT Pasca E. — Contributo alla teoria della forma ternaria biquadratica e delle sue ‘ varie decompostizioni in fattorì . . . . MO i BrancHI V. — Il mantello vertebrale del Delfino (DELPHINUS EI (con tre tavole). BIS e FL Fa) TE Cesàro E. — Remarques sur la courbe de von Koch. Manat = De AngELIS D’OssaT G. — I coralli del calcare di Venassino (Isola di Capri) (con due tavole) GALDIERI A. — La Malacofuuna triassica di Giffoni nel Salernitano (con una tavola) ia dela di Vol. MI, Serie 2 No 4 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE CONTRIBUZIONI PER LO STUDIO DELL'ORGANO DI BIDDER NEI BUFONIDI l1.— DI UNA SPECIALE PENETRAZIONE DI OVULI IN OVULI ADIACENTI NEL BUFO VULGARIS LAUR. MEMORIA dlel dottor ATTILIO CERRUTI presentata nell’adunanza del dì 2 Maggio 1903 Da vario tempo, seguendo i consigli del mio Maestro, prof. A. della Valle, mi vado occupando dello studio di quello speciale organo, che, scoperto nel 1758 da Résel von Rosenhof ') sui testicoli del Bufo calamita Laur., e ritrovato più tardi da altri ricercatori in molti Bufonidi, porta oggi, in seguito a proposta dello Spengel, il nome di Organo di Bidder. E desso, come la maggioranza degli autori lo considera, un ovario rudimen- tale? Benchè molte sieno le ragioni che inducano a ritenerlo realmente tale, tut- tavia la lettura delle memorie che ne trattano, mostra subito quanto incomplete sieno le nostre conoscenze al riguardo. Lo sviluppo dell'organo, i modi varii con cui i suoi elementi degenerano, la formazione di sperma nell'interno del suo pa- renchima, la sua rigenerazione annuale, richiedono ancora numerose ed accurate osservazioni. Quantunque speri fra breve di poter comunicare i risultati a cui son giunto per lo studio di alcuni dei quesiti accennati, nondimeno desidero per ora di riferire su di un fatto singolare di penetrazione così del citoplasma come del nucleo di alcuni ovuli negli ovuli adiacenti, penetrazione che ho trovata piuttosto fre- quente nell’organo di Bidder del 2ufo vulgaris Laur. Gl’individui esaminati erano maschi e furono catturati, da me stesso, nel- l’area dell’ex-lago d’ Agnano. Gli esemplari presi in Gennaio non mostrarono pe- netrazione d’ovuli; quelli invece catturati verso la metà di Febbraio, mentre erano in accoppiamento, ne contenevano alcuni numerosi casi, altri nessuno. Così pure ') Rosel von Rosenhof A. I., Historia naturalis ranarum. 1758. ATTI— Vol. XII— Serie 22—N 1. l SIMO gen ho potuto constatare la penetrazione d’ovuli in bufi presi in Marzo ed in Aprile di quest'anno. È molto probabile però che il fatto da me osservato avvenga in tutte le stagioni dell’anno. Gli organi furono fissati: alcuni sul luogo stesso di cattura dei bufi, altri in laboratorio, ma solo poche ore dopo del momento in cui gli animali erano stati raccolti. I fissatori usati con buon esito sono stati: il sublimato corrosivo in so- luzione acquosa satura, con l’aggiunta del 5 °/, di acido acetico glaciale, i li- quidi di Flemming, debole e forte, il liquido di Gilson e quello di Zenker. Da quest'ultimo in ispecie ho ottenuto degli ottimi preparati, segnatamente quando l'ho fatto agire sui pezzi, prima per breve tempo alla temperatura di circa 50° C. e poi, per varie ore ancora, a quella dell'ambiente. Dopo la fissazione, i pezzi, lavati accuratamente in acqua corrente, sono stati disidratati cominciando con al- cool di basso titolo, per evitare contrazioni. In caso d'impiego di fissatori conte- nenti sublimato, i pezzi sono stati prima trattati con alcool iodato, poi inclusi in paraffina. Come intermediarii ho impiegato o l’olio di bergamotto, o il benzolo od il xilolo. La durata del bagno di paraffina pura è stata breve; circa 15-20 minuti per organi di media grandezza; prolungando dippiù l’immersione nella paraffina, di solito si ha un eccessivo indurimento dei tessuti. Le sezioni, seriali, dello spessore di 6-10 p sono state colorate con vari me- todi. I migliori risultati hanno dato l’ emallume di Mayer, l’ematossilina fer- rica secondo Heidenhain e la saffranina, sia soli che combinati con l’orange G., la fucsina acida e l’eosina Come è noto dagli studii di Knappe '), gli ovuli dell’ organo di Bidder hanno una distinta membrana, ed ognuno d’essi, inoltre, è interamente circon- dato da un follicolo risultante da una membrana connettivale esterna (Zumnica follieuli) e da un’altra addossata direttamente all’ ovulo ( Membrana granulosa ) costituita da cellule appiattite. I nuclei hanno pure una membrana ben visibile, un fitto reticolo acromatico, ed un numero di nucleoli, generalmente grande, ma variabile secondo lo stadio di sviluppo dell’ovulo ed il tempo in cui sì fa l'osservazione. Siccome il fenomeno della penetrazione avviene tanto fra due che fra molti ovuli, così comincerò col descrivere il caso più semplice. Penetrazione fra due ovuli. La fig. 1 rappresenta l’inizio della penetrazione fra due ovuli. Due di questi 4 e 3, vicini fra loro, sono circondati dai rispettivi follicoli fa, 76. Nel punto in cui gli ovuli sono a contatto i follicoli sono scom- parsi, ed inoltre si vede chiaramente che parte del nucleo Na, ed un sottile strato di citoplasma dell’ovulo superiore 4, sono penetrati nel citoplasma dell’ inferiore d. Le membrane dei due ovuli sono anch’ esse scomparse nel punto in cui è avve- nuto il contatto. Pure, malgrado la scomparsa di tali membrane, il citoplasma di @ e quello di % non si sono fusi ancora, ma sono ancora ben distinti. 1) Kuappe E., Dis Bildersche Organ. Morphol, Jahrb. 11 Bd., 1886. e Gea Numerosi altri preparati d’ovuli nello stesso stadio di quello rappresentato dalla ig. / mostrano identiche condizioni: è sempre uno degli ovuli che cerca di penetrare nel vicino. Lo chiameremo, nel corso della descrizione, ovulo invasore , riserbando all’altro il nome di ovulo invaso. La /ig.2 rappresenta una fase un po’ più inoltrata di quella della fig. /. In- teressante è il contegno del nucleo Va, che per passare per il luogo in cui gli ovuli sono a contatto, si è allungato e ristretto molto. Non sempre però l’esten- sione delle superficie di contatto fra due ovuli è piuttosto piccola come nelle fig. 1,2, alle volte anzi è molto rilevante. Nella fig. 5 è disegnato uno stadio più avanzato dei precedenti. Verso la periferia dell'ovulo è, in alto a destra, un grosso nucleo /V5 contiene numerosi nucleoli. Più in basso un altro nucleo Na è pene- trato dall’ovulo vicino, insieme al citoplasma, nel modo che abbiamo visto nelle figg. 1,2, e come ho potuto convincermi dall'esame delle sezioni seriali dei due ovuli. Anche qui, il citoplasma dell’ovulo 4 non è fuso con quello deil'ovulo è, ma è chiaramente distinto. Esaminando con un obbiettivo ad immersione omoge- nea tale preparato, ho potuto osservare nella parete del nucleo .Va una soluzione di continuità / (Cfr. fig. 4). Molti nucleoli sono fuoriusciti per tale apertura e si sono sparsi nel citoplasma di «. In un piccolo numero di casi di ovuli in penetrazione nello stadio corrispon- dente a quello indicato dalla .fig. 3, non ho potuto usservare interruzioni nella parete sia del nucleo invasore che in quella dell’ invaso. Si osservi la fig. 5. In essa si vede che il nucleo Na, appartenente all’ovulo 4, è penetrato nel vicino ovulo 3, ma che non è possibile distinguere nettamente, in questo caso, il cito- plasma dell’uno da quello dell'altro ovulo. La parete del nucleo /Va non mostra interruzioni, e così pure quella del nucleo Vd. Ciò mi è risultato evidente dal- l’esame delle sezioni scriali che interessano i due nuclei. Pur tuttavia parecchi corpuscoli, somiglianti per forma, per grandezza e per affinità con le sostanze co- loranti, ai nucleoli contenuti sia in /V4 che in 5, sono presenti nella zona cito- plasmatica, compresa fra i duc nuclei. In tale zona il citoplasma comincia ad ap- parire lievemente alterato, e si colora più intensamente. Non è facile stabilire il valore di tutti i granuli che compaiono nel citoplasma fra /Vg ed /V5. Sebbene, come ho già detto, abbia in parecchi casi osservato direttamente la fuoriuscita dei nu- cleoli da aperture nella parete nucleare del nucleo dell’ovulo invasore, nondimeno lo studio dei preparati mi porta a considerare molti dei granuli che si colorano nel citopiasma compreso fra Va ed .V5, come prodotti di origine citoplasmatica '). La fase successiva a quelle precedentemente descritte, è rappresentata dalla fig. 6. Il nucleo dell’ovulo invasore non è penetrato che in parte, sebbene lo stadio ') Chi guardi superficialmente la fig. 5, potrebbe esser facilmente indotto a credere che i corpuscoli da me disegnati sieno, non già come io dico, nucleoli, ma invece dei veri parassiti. Ma parassiti non sono, e di questo me ne son ben convinto coll’esame comparativo di molti altri preparati e col confronto delle figure pubblicate da Labbé, Doflein, Wasielewski, Schnei- der e dagli altri moltissimi autori che si sono occupati di parassiti cellulari. Del resto, come spero di poter dimostrare in un altro lavoro, l'aspetto speciale che i nucleoli hanno preso negli ovuli da me disegnati in questa figura, corrisponde ad una fase di sviluppo che si manifesta ogni volta che si verificano alcune condizioni determinate nella vita dell’ovulo. ra SE del processo di penetrazione sia inoltrato, e non sia più possibile distinguere il citoplasma dell’ovulo @ da quello di 5. Il citoplasma, fra i due nuclei, non ha più aspetto normale, e si mostra, anche a debole ingrandimento, spongioso e profonda- mente alterato. Si osservano in esso i granuli di varia grandezza che abbiamo già notati negli stadii precedenti. 11 nucleo dell’ovulo 3, aderente al quale è il cito- plasma spongioso, non mostra finora tracce visibili di alterazione: il suo reticolo acromatico è perfettamente visibile ed in buone condizioni; i suoi nucleoli sono normali per numero e per forma. Ma ben presto le cose cambiano molto d’aspetto (Cfr. fg. 7). La parete nucleare del nucleo dell’ovulo invaso viene ad esser corrosa, ed il citoplasma spongioso si mescola col contenuto del nucleo .V9. La struttura di quest’ultimo appare ora no- tevolmente alterata. Il reticolo acromatico ha perduto il solito aspetto, e si è mutato in un altro reticolo a maglie molto più grandi delle normali, con ca- vità più o meno ampie, in cui si osservano gran numero di minutissimi granuli. Del resto il paragone fra il nucleo /V5 della fig. 4 ad esempio, e quello .V5 della fig. 7, basta a far vedere quanto sia notevole la differenza nei due stadii. A poco a poco, poi, nell’ovulo invaso che ha così profondamente alterato il suo nucleo, il citoplasma subisce uno speciale processo di corrosione. Esso man- tiene la sua solita struttura anche quando è ridotto ad un piccolo strato parietale. Più tardi, al posto dell’ovulo non troviamo che uno spazio ripieno di un liquido albuminoso, facilmente coagulabile dall’ azione del sublimato (ig. 8). La sorte dell'ovulo invasore è però legata a que!la dell’invaso. Anch'esso ha il nucleo al- terato (/î7. 8), ed in breve subirà lo stesso destino. Dello stadio finale del fenomeno della penetrazione ho potuto osservare pochi casi. Penetrazione multipla. Come ho già detto in principio, il fenomeno della pe- netrazione non, avviene sempre fra due soli ovuli; alle volte ha luogo fra un nu- mero relativamente grande d’elementi. Se supponiamo ad esempio, di avere un gruppo d'ovuli: 2, 5, €, 4, ete., contigui fra loro, il modo solito con cui avviene la speciale penetrazione a cui ora accenno, e che chiamerò penetrazione multipla, è il seguente: l’ovulo 4 penetra in 3, 0 in c, c inde così via. Un caso molto interessante di questo genere è illustrato dalle 799. //, 12 e 73, che riproducono tre sezioni seriali d'uno stesso organo. Nella fig. 11 il nucleo .Va dell’ovulo @ è penetrato in buona parte nel vicino b, e si presenta in questo un po’ bitorzoluto, poichè è incontrato dal taglio in due punti p e p. Nella sua parete è chiaramente visibile una larga apertura ,f ( formatasi per scomparsa della parete nucleare in quel punto) dalla quale sono fuoriusciti numerosi nucleoli che si sono sparsi nel citoplasma fra Va ed il nu- cleo dell’ovulo invaso, il quale, come vedremo dallo studio della fig. /2, è posto nel luogo indicato dalla lettera /V. Siamo quindi allo stadio rappresentato dalla fiq.5, nel caso di penetrazione fra due soli elementi. Si osserva inoltre che una parte dei nucleoli di Va diretti verso il nucleo dell’ ovulo 3, sono penetrati in c, insieme al citoplasma di 5. L’ovulo e è in principio di penetrazione nel suo vi- cino d. È interessante notare che i follicoli e le membrane ovulari fra l’ovulo 4 e l'ovulo y sono scomparse, e che il citoplasma dell'uno è in immediato contatto con quello dell'altro. Parte dei nucleoli #4 provenienti da Va si è diretta verso l’ovulo 9. n: i | j N } DEN sf ;- @ P° | tr PR, es Nella /iy. /2 si vede in Ve il nucleo di 4 penetrato in 5. I nucleoli fuori- usciti da 4 si sono in parte addossati ad /Vb, in parte sono penetrati in c, in- sieme al citoplasma ed al nucleo dell’ovulo 4, formando una corrente staccata da Nb. Dell’ovulo c non si scorge più il nucleo, non interessato nel taglio, ma solo il citoplasma che è penetrato in 4. Questi, a sua volta, ha invaso col suo cito- plasma l’ovulo e. Nella ig. 13 la sezione lascia scorgere ancora il nucleo Va dell’ ovulo 4, e l’altro nucleo /% su cui si vedono i nucleoli provenienti da Va. L’ovulo c è appena rappresentato da un po’ di citoplasma, e l’ovulo 4 è penetrato in e. Il citoplasma degli ovuli non mostra, generalmente, caratteri suoi speciali, durante le varie fasi della penetrazione, oltre quelli notati. Alcune volte, è vero, si mostra addensato in certi punti e rarefatto in altri, od anche con zone di va- ria forma e diversa affinità per i coloranti plasmatici fig. 7; ma tali aspetti si incontrano anche in ovuli non soggetti alla penetrazione. In alcuni casi, però, ho potuto osservare nel citoplasma, in posizione non co- stante, un corpo avente di solito la forma di un V o di un Y, e facilmente visi- bile, quando è presente, per la intensa colorazione che assume con varii colori (cfr. fig. 9). A forte ingrandimento appare finissimamente granulare, ma non ho mai potuto scorgere in esso nessuna differenziazione. Non posso per ora pronunziarmi sul suo valore, anche pel fatto che l’ho potuto osservare in un numero relativa- mente piccolo di casi d'ovuli in penetrazione: alle volte nell’invaso, altre volte solo nell’invasore. Probabi'e significato della penetrazione. Questi che ho esposti sono i fatti che risultano dall’ esame accurato e ripetuto di preparati osservati costantemente col- l’aiuto di forti obbiettivi ad immersione omogenea. Naturalmente, i disegni che accompagnano il presente lavoro, sono la riproduzione solo dei più tipici fra i nu- merosi casi di penetrazione da me osservati. Per controllare ancor meglio il mio studio ho fatto pure un gran numero di fotomicrografie che mi sono stato utilis- sime, specie nella ricostruzione dei fenomeni di penetrazione multipla. Sui fatti, insomma, non ve dubbio. Ma quale può esser mai l’ interpreta- zione di questa migrazione semplice o multipla di tutto un organismo cellulare . nell'organismo vicino, migrazione che è accompagnata da tanta rovina così nel- l'organismo invaso come nell’ invasore ? Sul principio mi parve che tali singolari fenomeni di penetrazione si potes- sero riportare ad un tentativo di fusione fra ovuli, fusione che avrebbe avuto lo scopo di condurre alla formazione di uova doppie, ma che non avrebbe potuto av- venire per la rapida alterazione che sarebbe intervenuta negli elementi interessa- ti. Di casi di fusione di uova semplice ne troviamo parecchi descritti nella let- teratura. Così ad esempio le interessanti ricerche di O. zur Strassen ') hanno 1) O. zur Strassen, Ueder die Riesendildungen Lei Ascaris. Eiern Arch. f. Enrwickelungs- mech. 7 Bd., 1898. PRO AR, LO posto in chiaro che nell’Ascaris megalocephala le uova doppie, od anche multi- ple, derivano da uova semplici, le quali in istadi in cui erano munite o prive di guscio, fecondate o no, sì sono fuse insieme. Tali uova sono vitali, ed inoltre pos- sono dare, in opportune condizioni, embrioni giganteschi. Van der Stricht ') ha pure trovate uova multiple in ammassi d’uova appartenenti molto probabil- mente al Z%ysanozoon Brocchi, e crede che si sieno formate per fusione di uova semplici. Altri autori descrivono pure casi di fusione sia fra citoplasma e citoplasma, che fra nucleo e nucleo in varie cellule. Cito a mo’ d'esempio i casi notati da Goette *) e Zacharias °). Debbo però dire che tutti questi casi, per molte con- siderazioni. mi sembrano notevolmente differenti da quelli da me osservati nel 2xfo vulgaris. Ed ecco il perchè. Se si trattasse realmente di un tentativo di fusione fra ovuli, è chiaro che vi dovrebbe essere attrazione fra il citoplasma d’un ovulo e quello dell’ altro al- l’inizio della penetrazione. Ma è facile osservare che attrazione non vi è. Si os- servi la /ig. 10. In essa si vede che, scomparsi i follicoli, il citoplasma di è, in- vece di avanzarsi ver-0 4, od almeno di rimanere passivo, si è retratto, lasciando uno spazio fra esso e l’ ovulo 4, e questo è costretto ad avanzarsi molto perchè avvenga il contatto. Quando ciò è avvenuto, il citoplasma di 4 dovrebbe fondersi con quello di 5. Invece noi vediamo ancora nello stadio rappresentato dalla fig. 5 che la fusione non è avvenuta malgrado che il citoplasma di 4 sia da lungo tempo a contatto con quello di 4, cosa che si deduce dall’essere la penetrazione in fase molto inoltrata. Non meno importante di questi fatti è l'osservazione del modo con cui si com- porta il nucleo dell’ovulo invaso. Esso si porta sempre nel punto più lontano da quello in cui è avvenuta la penetrazione. Si osservino perciò le figg. 1, 2, 3, 5, 6, 10. Le figg. 2-5 sono particolarmente interessanti pel contegno dei nuclei /V8. Sotto l’ influenza dell’azione malefica dell’ovulo invasore, per isfuggirlo, i nuclei invasi si sono conformati a menisco concavo, convesso. Ma c’è anche di più. Osserviamo il caso di penetrazione multiplo già studiato (Cfr. fig. 14, 12 e 73). Il nucleo Va è penetrato in 3, più che questi non sia penetrato in e, e c in d. La conclusione che si può trarre da tutto ciò è chiara: la penetrazione di 5 in e è avvenuta solo dopo la invasione di 4, e lo stesso deve dirsi per 4 rispetto a c. Deriva da quanto si è detto, che, nella maggior parte dei casi di penetra- - zione non vi è attrazione fra gli elementi ad essa soggetti; anzi dal contegno degli invasi è facilmente deducibile una vera repulsione, che si manifesta col atto che gli ovuli invasi cercano ogni modo per isfuggire l’invasione. fatto che gl ] c 9 do p fuggire l’ one Non dobbiamo dimenticare, per poter cercare una spiegazione pr i Non dobb d ticare, per pot pieg e probabile della penetrazione, le condizioni biologiche speciali dell’organo di Bidder. In esso, come è noto, «gli ovuli, giunti ad un certo stadio di sviluppo, sono destinati ad esser ') O. van der Stricht, Ztude de plusieurs anomalies interessantes lors de la formation des globules polaires. Livre jubilaire dédié è Ch. von Bambeke, 1889. 2) A. Goette, Entwichelungsgeschichte der Unhe. 1875. ®) 0. Zacharias, Ueber cinen Fall von Kernverschmelzung bei Furchungshitgeln. Zool. An- zeiger, Bd. 9, 1886. ra OTT TO SS, SA durati in varii modi: sia per formazione di pigmento, sia per immigrazione di cellule della granulosa, sia per penetrazione di vasi sanguigni negli ovuli '). Non si potrebbe, è da domandarsi dopo tutto quello che ho detto, considerare la penetrazione come un modo speciale di distruzione degli ovuli dell’ organo di Bidder, dovuta all’azione, si direbbe quasi, parassitaria, che alcuni ovuli esercite- rebbero su altri? I fatti notati sono per la maggior parte favorevoli a tale in- terpretazione. Un altro appoggio le recherebbero, secondo me, altre due osservazioni: 1° che generalmente sono gli ovuli più giovani e posti verso la periferia dell’ or- gano quelli che invadono ovuli più vecchi, meno resistenti, e posti verso la cavità dell’organo stesso; 2° che negli organi in cui si vedono casi di penetrazione, ho sempre potuto osservare varii segni di degenerazione. Sarebbe dunque questa da me descritta una nuova causa ed una nuova ma- niera di degenerazione degli ovuli, da aggiungersi alle svariate maniere di dege- nerazioni (jalina, adiposa, granulosa, frammentaria, per atrofia diretta, per im- migrazione di cellule della granulosa, etc.) ormai note in seguito ai classici la- vori del prof. Paladino *), e poi alle ricerche di Ruge *#), Mingazzini ‘), Strahl®), Crety ‘), Rossi ‘), Henneguy °) etc. Dal? Istituto d’Anatomia Comparata della R. Università di Napoli. finita di stampare il dì 17 Giugno 1903 1) Cfr. Knappe, lc. 2) Paladino G., Della caducità del parenchima ovarico e del rinnovamento totale dello stesso mercè ripetizione del processo di primordiale produzione. Giorn. internaz. d, scienze mediche. Napoli 1881. —Id., Ulteriori ricerche sulla distruzione e sul rinnovamento continuo del parenchima ova- rico nei Mammiferi. Napoli 1887. . 3) Ruge G., Vorgtinge am Eifollikel der Wirbelthiere. 1. Ruùckhbildung der nicht ausgestossenen Eierstochseier bei Amphibien. Morph. Jahrb., 15 Bd., 1889. 4) Mingazzini P., L’oolisi nella Seps chalcides. Atti Accad. Lincei. Rend. (5), vol. I, 1892.— Id., Corpi lutei veri e falsi dei Rettili. Ricerche Lab. Anat., Roma, vol. 3, 1893. — Id., Sulla dege- nerazione sperimentale delle uova di Rana esculenta. Atti Accad. Lincei, Rendic. (5), vol. III, 1894. ®) Strahl H., Die Rùckbildung reifer Eierstocheier am Ovarium von Lacerta agilis. Verh. Anat. Ges., 6. Vers., 1892. i 8) Crety C., Sulla degenerazione fisiologica primitiva delle uova dei Mammiferi. Ricerche Lab. Anat., Roma, vol. 3, 1893. 7) Rossi U., Contributo allo studio della struttura, della maturazione e della distruzione delle uova negli Anfibi (Salamandrina perspicillata, Geotriton fuscus). Monit. Zool. Ital, 1894. — Id., Contributo allo studio della struttura, della maturazione e della distruzione delle uova negli Anfibii (Salamandrina perspicillata, Geotriton fuscus). Pubblic, Istit. Perfez., Firenze 1395. — Id., Con- tribuzione allo studio dell’oolisi. Arch. f. Entwickelungsmech., 5 Bd., 1897. 5) Henneguy F., Recherches sur l’atresie des follicules de Graaf chez les Mammifères et quelques autres Verlebres. Journ. Anat. Phys., Paris, 30me année 1894. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Tutti i disegni, eseguiti mediante la camera lucida, l'obbiettivo '/,, (ap. 1,30) ad im- mersione omogenea di Koristka, e l’oculare compensatore 4, a 500 diametri, sono stati ri- dotti qui della metà. Solo la fig. 4 è a 500 diametri. Gli ovuli sono indicati con le lettere a, b, c,d, e secondo l'ordine di penetrazione. N indica il nucleo corrispondente. Fig. 1. Inizio della penetrazione. Il nucleo Na, ed il citoplasma dell’ovulo a, sono pene- trati nell’ovulo d. SS v 2. Stadio di poco più inoltrato. Il nucleo Na si è molto allungato per penetrare in d. » 3-4. Il nucleo Na, penetrato nell’ ovulo è, ha ancora il suo citoplasma distinto da quello di d. Nella fig. 4, più ingrandita, si vede in f l'apertura per cuì sono fuoriusciti da Na i nucleoli n. . Stadio simile a quello rappresentato dalla fig. 3. Nel citoplasma si osservano dei corpuscoli che, probabilmente, sono nucleoli fuoriusciti da uno dei due nuclei. » 6. La zona citoplasmatica cit, compresa fra Na ed Nb, è divenuta spongiosa e si è al- terata. » 7.Ilcitoplasma spongioso cit, in seguito a corrosione della parete del nucleo Nd, si è mescolato col contenuto di quest’ ultimo. Nd si mostra profondamente alterato. v © » 8. Il citoplasma di d, in seguito all’ alterazione del nucleo, ha subito una speciale li- quefazione. L'ovulo a ha pure il suo nucleo alterato. » 9. Nel citoplasma si vede un corpuscolo è a forma di V. » 20. Inizio della penetrazione. Il citoplasma di è, sembra voler sfuggire il contatto di a contraendosi. » 11-13. Penetrazione multipla. L’ovulo a è penetrato in è, questi in c, cin d, dine. SEhEA Serino-Napoli CL DI he e Maten. VoLKI. Ser? LScC. * Li «Atti.d. AR. Accad. d. Sc. va ; ) uh a WPeT e a Ù AT PER LUPO Vol. XI, Serio 27 . e ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE REVISIONE DEI SELACIANI FOSSILI DELL'ITALIA MERIDIONALE MEMORIA della dott. MARIA PASQUALE presentata nell'adunanza del dì 9 Maggio 1903 In questo Istituto geologico si conservano numerosi avanzi di selaciani fos- sili dell’Italia meridionale: alcuni riuniti in collezione dal prof. 0. G. Costa e da lui successivamente illustrati; altri gentilmente offerti da cortesi donatori. Tale raccolta porgeva occasione ad un fecondo lavoro di osservazione, che potè divenire anche più largo per l'aggiunta delle indicazioni relative al materiale ricevuto in comunicazione da varie persone *), o tratte dalle anteriori pubblica- zioni sul medesimo argomento. Rivedere le precedenti determinazioni, studiare il materiale sopraggiunto, riu- nire quanto è stato finora pubblicato intorno ai selaci fossili dell’ Italia meridio- nale continentale, dandone un catalogo critico e ragionato, riusciva quindi op- portuno. Alla cortese liberalità del prof. Bassani, che pose a mia disposizione col- lezioni e biblioteca, e all'aiuto benevolo dei suoi ammaestramenti e consigli debbo la soddisfazione di veder compiuto il mio desiderio; onde mi è grato di esprimergli qui la mia viva riconoscenza. In seguito di questi miei studi i selaciani fossili dell’ Italia meridionale con- tinentale risultano distribuiti in 9 famiglie e 18 generi, appartenenti ai sottor- dini Asterospondyli e Tectospondyli. ; *) Tra coloro che mandarono in comunicazione o donarono all’ Istituto geologico esemplari citati nella presente memoria, ricordo i sig."i C. Bisogni, C. de Giorgi, B. de Sanctis, G. Di Stefano, E, Fittipaldi, A. Neviani, C. Praus, A. Rottini, A. Russo, E. Zup- pardi. Rivolgo a tutti i ringraziamenti di questo Istituto. Sono poi particolarmente grata al Prof. Antonio della Valle, Direttore dell'Istituto di Anatomia comparata dell’Università di Napoli, che gentilmente mi ha permesso di fare numerosi confronti degli avanzi fossili con quelli delle specie viventi, conservati nel Museo del detto Istituto. Arti— Vol. XII— Serie 22—N0 2. 1 ni EI Eccone l'elenco sistematico: Fam. Lamnidae Carcharodon auriculatus Blainv. sp. » megalodon Ag. » Rondeleti Mill. et Henle » sp. Lamna sp. Odontaspis contortidens Ag. » cuspidata Ag. sp. » ferox Riss. sp. » sp. Oryrhina crassa Ag. Desori Ag. » hastalis Ag. » Spallanzanii Bona p. » Sp. Fam. Carchariidae Carcharias ( Aprionodon) basisulcatus Sism. sp. » (Hypoprion) singularis Probst » (Prionodon) Egertoni Ag. sp. » » glaucus Linn. sp. » » lamia Riss. » Sp. Galeocerdo aduncus Ag. Galeus canis Rond. Hemipristis serra Ag. Sphyrna prisca Ag. Fam. Notidanidae Notidanus griseus Gmel. sp. » primigenius Ag. Fam. Spinacidae Centrina Salvianii Riss. Scymnus lichia Cuvier (?) Fam. Squatinidae Squatina alata Probst Fam. Pristidae | Pristis lyceensis Vigl. Fam, Rhinobatidae Rhinobatus obtusatus Costa Fam. Rajidae Raja clavata Linn. Fam. Myliobatidae Actobatis arcuatus A g. » Sp. Myliobatis Faujasi Ag. sp. » meridionalis Gerv. » microrhizus Delfortrie » salentinus Botti » sp. A questi si aggiungono alcuni avanzi di determinazione dubbia ed altri di provenienza ignota, di cui è tenuto conto in fine del lavoro. Ad eccezione del A/nobatus obtusatus e di un avanzo di incerta determina- zione, del cretaceo, le specie sono tutte cenozoiche e attuali. Il più importante fra i giacimenti terziarii è quello della pietra leccese (tiocere medio), sono rappresentate ventidue specie. in cui La parte espositiva è preceduta dall’ indice delle opere che più direttamente si riferiscono al soggetto dei lavoro e dall'elenco delle collezioni in cui si con- servano gli esemplari, e seguita da un quadro riassuntivo delle specie e delle pro- venienze, con l’ indicazione dell'età dei giacimenti, e da due indici, l’uno delle specie, l’altro delle località. Poichè molti avanzi di questa regione furono illustrati dal Costa in varii punti dei suoi numerosi lavori, mi è parso utile di aggiungere anche un elenco che riunisse tutte le indicazioni del Costa e contenesse nello stesso tempo, in corri- spondenza delle prime, le determinazioni risultate in seguito alla mia revisione. Istituto di Geologia e Paleontologia dell'Università. Napoli, 1903. Ma ge BIBLIOGRAFIA *) (Sono segnate con asterisco le opere che trattano esplicitamente o incidentalmente dei selaciani fossili dell’Italia meridionale). I Agassiz L., Recherches sur les poissons fossiles. Neuchatel, 1833-43. II de Alessandri G., Contribuzione allo studio dei pesci terziurii del Piemonte e della Liguria. (Acc. r. di se. di Torino), 1895. II de Alessandri G., Za pietra da Cantoni di Rosignano e di Vignale. (Soc. it. di se. nat.). Milano, 1897. III bis * Bassani F., Su due giacimenti ittiolici nei dintorni di Crespano. Padova, 1880. IV. *Bassani F., Descrizione deì pescì fossili di Lesina e appunti su alcune altre ittio- faune cretacce. ( Derkschr, math.-naturw. C]. kais. Akad. Wiss. Wienn, vol. XLV, parte II). Wienn, 1882. V. *Bassani F., Contributo alla paleontologia della Surdegna. Ittioliti miocenici. (Mem. Ace, sc. fis. e mat. di Napoli, vol. JV, ser. 2°), 1891. VI. *Bassani F., Appunti di ittiologia fossile italiana. (Mem. Acc. sc. fis. e mat. di Na- poli, vol. VIII, ser. 2°). 1895. VII. Bassani F., La ittiofauna del calcare eocenico di Gàssino in Piemonte. (Mem. Acc. sc. fis. e mat. di Napoli, vol. IX, ser. 2°), 1899. VIII. *Bassani F., // Nofidanus griseus Cuvier nel Pliocene della Basilicata e di altre regioni italiane e straniere. (Rend. Ace. sc. fis. e mat. di Napoli, ser. III, vol. VIII, p. 175), 1901. IX. Bassani F., Su alcuni avanzi di pesci del pliocene toscano. (Mon, Zool. it., Anno XII, N.° 7), 1901. IX.bis * Bassani F., Sui pesci fossili della Pietra leccese. Lettera al prof, C. De Giorgi in Lecce. Lecce, 1903. X. de Blainville H. D., Nouveau dictionnaire d’ histoire naturelle, vol. XXVII. Pa- ris, 1818. © X.bis Bonaparte C, L,, Iconografia della fauna italica. Tomo III. Roma, 1832-1841. XI. *Botti U., Sop:iu una nuova specie di Myliobates. (Atti Soc. Tosc. di sc. nat., vol. III, fasc. II). Pisa, 1872. XII. *Capellini G., Della pietra leccese e di alcuni suoi fossili. (Mem. Acc. sc. Ist. Bo- logna, ser. III, tomo IX). 1878. XII *Cortese E., Descrizione geologica della Culabria. ( Mem. descr. carta geol. d'Ita- lia. R. Uff. Geol., vol. IX). Roma, 1895. XIV. *Costa Achille, Sul deposito di argilla con avanzi organici animali nel tenimento di Fondi. (Mem. Ace. sc. fis. e mat. di Napoli, vol. IX), 1880. XV. *Costa 0. G., Paleontologia del Regno di Napoli. Parte I (1850), Il (1854-56), III (1857-63). (Atti Acc. Pont., vol. V, VII e VIII). Napoli, 1850-1863. XVI. *Costa 0. G., Cenni intorno alle scoperte paleontologiche fatte nel Regno durante gli anni 1854-55. (Rend. Acc. Pont. Napoli, vol. IV), 1856. XVII *Costa 0. G., Su di un nuovo genere di pesce fossile. (Mem. R. Ace. di sc.). Napo- li, 1857. XVII. *Costa 0. G., Geologia della calcarea tenera leccese. Napoli, 1857. *) Per brevità, le opere comprese in questo elenco sono indicate nel corso del lavoro col solo numero romano. XIX. XX. XXI. XXII. XXIII. XXIV. XXV. XXVI. XXVII. XXVIII. XXIX. XXXI. XXXII. XXXIII. XXXIV. XXXV. XXXVI. XXXVII. XXXVI. XXXIX XL. XLI. XLII. XL.III XLIV. XLV. XLVI XLVII RI. a *Costa 0. G., Appendice alla paleontologia delle province napoletane. (Atti Ace. Pont., vol. VIII). Napoli, 1865. *Costa 0. G., Studi sui terreni ad ittioliti delle province napoletane, diretti a sta- bilire l'età dei medesimi. (Atti Acc. sc. fis. e mat., vol. II). Napoli, 1865. Cuvier G., Règne animal. Paris, 1817. * Dainelli G., Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca. (Boll. Soc. Geol. it., vol. XX). Roma, 1901. *De Angelis d’Ossat G., Le sorgenti di petrolio a Tocco da Casauria (Abbruzzo). (Bass. miner., vol. XI, num. 16 e 17; 1° e 11 Decembre). Torino, 1899. *De Giorgi C., Note geologiche sulla Basilicata. Lecce, 1879. *De Giorgi C., Note stratigrafiche e geologiche da Fasano ad Otranto. (Lettera al- l’ing. Pezzi). (Boll. Com. Geol., anno XI, n 5-6). Roma, 1881. *De Giorgi C., La serie geologica dei terreni nella penisola salentina. (Mem. Pon- tif. Acc, Rom. Nuovi Lincei, vol. XX). Roma, 1908 Delfortrie E., Les droyeurs du tertiaire aquitunien. (Extrait des Actes Soc. Linn. de Bordeaux. Tom. XXVIII, 2° livraison). Bordeaux, 1871. *De Lorenzo G., La fauna Bentho-Nektonica della pietra leccese. (Miocene medio). (Rend. Acc. Lincei, vol. II, 1° sem., ser. 5*, fasc. 3, 4). Roma, 1893. *De Stefani E., Escursione scientifica nella Culabria (1877-78). Jejo, Montalto e Cupo Vaticano. (Atti r. Acc. Lincei, ser, III; Mem. CI. sc. fis. mat. nat., vol. XVIII). Roma, 1883. i . *De Stefano G., Alcuni pesci pliocenici di Calanna in Calabria. (Boll. Soc. Geol. ital., vol. XX). Roma, 1901. *Di Stefano G. e Viola C., L'età dei tufi calcarei di Matera e Gravina. { Boll. Com. Geol., anno XXIII, n. 2). Roma, 1892. *Eastmann C. R., Beitràge zur Kenntniss der Gaittung Oxyrhina. ( Beitrige zur Naturgeschichte der Vorzeit. XLI Band). Stuttgart, 1894. * Fucini A., Studi geologici sul circondario di Rossano in Calabria. Catania, 1896, Gemmellaro G., Ricerche sui pesci fossili della Sicilia. (Atti Acc, Gioenia di sc. nat., ser. II, vol. XIII). Catania, 1858. Gervais P., Zoologie et palégontologie frangaises. II edizione. Paris, 1859. Gmelin, Systema Naturae. Lugduni, 1789. Lawley R., Nuovi studi sopra i pesci ed altri vertebrati fossili delle colline toscane. Firenze, 1876. *Lawley R., Quattro memorie sopra a resti fossili. (Proemio). Pisa, 1879. *Lawley R., Studi comparativi sui pesci fossili coi viventi dei generi Carcharodon, Oxyrhina e Galeocerdo. Pisa, 1881. Linneo, Systema Naiurae. Vindobonae, 1767. *Lovisato D., Riassunto sui terreni terziari e posterziarii del circondario di Ca- tanzaro. (Boll, r. Comitato Geol. d'Italia, vol. XVI). Roma, 1885. Miiller I. u. Henle I., Systematische Beschreibung der Plagiostomen. Berlin, 1841. * Nelli B., Fossili miocenici dell'appennino aquilano. (Boll. Soc. Geol. it., vol. XIX). Roma, 1900. *Neviani A., Swi giacimenti dei Cetacei fossili nel monteleonese, ecc. (Boll. Soc. Geol, it., vol. V). Roma, 1886. *Neviani A., Contribuzione alla paleontologia della provincia di Catanzaro. (Idem, vol. VI). Roma, 1887. *Neviani A., Contribuzioni alla geologia del Catanzarese — 1.° Le formazioni ter- ziarie nella valle del Mesima —2.° Dal Tacina al Neto. (Idem, vol. VI). Roma, 1887. * Neviani A., Contribuzioni alla geologia del Catanzarese — 3.° Il terziario nel ver- sante ionico da Stalleti al fiume Stiluro. (Idem, vol. VIII). Roma, 1889. ina XLVIII. * Neviani A., Relazione delle escursioni fatte nei giorni 23 e 26 Settembre 1889 dalla Soc. geol. it., in occasione della VII adunanza generale estiva tenuta în Ca- tanzaro. (Idem, vol. VIII). Roma, 1889. XLIX. * Pepe G., Il terziario nella valle dell’ Angitola e del Mesima. Avellino, 1886. L. Probst I., Beitrige zur Kenntniss der fossilen Fische aus der Molasse von Baltrin- gen.—Hayfische. (Jahres-hefte des Vereins fiir Vaterl. Naturk. in Wiirtemberg. vol. XXXIV). Stuttgart, 1878. LI. *Rambotti e Neviani A., Cenni sulla costituzione geologica del littorale ionico da Cariati a Monasterace. Mem. postuma di V. Rambotti. Oss. e note di A. Ne- viani. (Boll. Soc. Geol. it., vol. VII). Roma, 1889. LII. Risso I.-A., Ichthyologie de Nice. Paris, 1810. LIMI. Risso I.-A., Histoire naturelle des principales productions de ?V Europe meridionale. Tom. III Paris, 1826. LIV. Rondelet G., De piscibus marinis. Lugduni, 1544. LV. Rouault M., Note sur les vertébrés fossiles des terrains sédimentaires de l’ouest de la France. (Compt.-rendus de l’Acad. des sciences, tom. XLVII). Paris, 1858. LVI. Sauvage H. E., Notes sur les poissons fossiles. (Bull. de la Soc. ggol. de France, III ser., tom. III). Paris, 1875. LVII. *Seguenza G., Le formazioni terziarie nella provincia di Reggio-Calabria. (Mem, classe sc. fis. mat. nat., ser. III, vol. VI, r. Accad. Lincei), Roma, 1880. LVII *Seguenza L. fu G., I vertebrati fossili della provincia di Messina. Parte I. I pesci. (Boll. Soc. Geol. it., vol. XIX). Roma, 1900. LIX. *Seguenza L. fu G., I pesci fossili della provincia di Reggio (Calabria) citati dal prof. G. Seguenza. (Boll. Soc. Geol. it., vol. XX), Roma, 1901, LX. Sismonda E., Descrizione dei pesci e dei crostacei fossili nel Piemonte. ( Mem. Acc. sc. Torino, ser. II, tom. X). Torino, 1846. LXI. * Vigliarolo G., Monografia dei Pristis fossili con la descrizione di una nuova specie nel calcare di Lecce. (Mem. Ace, sc. fis. mat. di Napoli, vol. IV, ser. 2°). 1890. LXII. * Woodward Smith A., Catalogue of the fossil fishes in the British Museum. (Na- tural History). Part. I, cont. the Elasmobranchii. London, 1889. INDICE DELLE COLLEZIONI IN CUI SI TROVANO GLI ESEMPLARI CITATI IN QUESTO LAVORO 41. Istituto di geologia e paleontologia della R. Università di Napoli. 2. Collezione dell’ Istituto tecnico di Lecce. 3. » del R. Ufficio geologico d' Italia. 4. Gabinetto di Storia Naturale dell’ Istituto tecnico di Reggio. 5. » » » del Liceo di Catanzaro. 6. » » » del Liceo di Potenza. 7. Collezione del prof. C. De Giorgi in Lecce. 8. » » dott. G. De Stefano in Reggio. 9. » » dott. Ridola a Matera. 40. » » dott. L. Seguenza in Messina, 1 SuscL. ELASMOBRANCHII Ord. Selachii Subord. ASTEROSPONDYLI Fam. Lamnidae Genere Cdarcharodon Miiller et Henle Garcharodon auriculatus Blainville sp. H. D. de Blainville, X, vol. XXVII, p. 284 (Squalus auriculatus) CARCHARODON INTERAMNIAE Cos, — Costa, XV, part. II, p. 53, tav. V, fig. 6; (C. auriculatus, in Woodward, LXII, p. 411; C. auriculatus? in Bas- sani, V, p. 19) *). È un dente proveniente dalla glauconia compatta del Gran Sasso, dove, se- condo Baldacci e Canavari, tra le numerose nummuliti rinvenute, predomina la N. Biarritzensis d’ Arch. **). EocenE MEDIO — Glauconia compatta di Isola [ Gran Sasso] (1) ***). Carcharodon megalodon Agassiz L. Agassiz, I, 1848, vol. ILI, p. 247, tav. 29 CARCHARODON ANGUSTIDENS Ag. — Costa, XV, part. II, p. 50, tav. VI, fig. 3; (O. auriculatus in Woodward, LXII, p. 412; C. auriculatus? in Bassani, V, p. 19). CarcHaRoDON ARCUATTS Cos. — Costa, XV, part. II, p. 56, tav. VI, fig. 4; (C. megalodon i in Woodward, LXII, p. 416). CARCHARODON AURICULATUS Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 48, tav. V, fig. 5; (C. megalodon in Woodward, LXII, p. 416). CARCHARODON AURICULATUS, Var. FALCIFORMIS Cos. — Costa, XIX. p. 104, tav. VI, fig. 2; (C. megalodon în Wood- ward, LXII, p. 416). CARCHARODON CRASSUS Cos. — Costa, XIX, p. 102, tav. VII, fig. 1; (C. megalodon, Costa, in schedis; e Woodward, LXII, p. 416) ****), *) La sinonimia è limitata agli esemplari dell’ Italia meridionale. **) G. Cacciamali, Geologia della provincia di Teramo, 1892, p. 17. *4*) Quando si è potuto indicare la collezione di cui fanno parte gli esemplari, ho segnato dopo la provenienza un numero fra parentesi che corrisponde a quello assunto da ciascuna col- lezione nell’ indice delle medesime a pag. 5. ****) Il C. crassus, segnato nel quadro a pag. 102 dell’ Appendice alla Paleontologia (XIX), e di cui è detto nel testo che fu rinvenuto nel calcare di Lecce, porta, sull’esemplare, un cartel- lino in cui dal Costa è scritto: « (. megalodon, Cotronei (Catanzaro) »: indicazioni che credo più precise. e alp ” SANA CARCHARODON LATISSIMUS Cos. — Costa, XV, part. II, p. 55, tav. V, fig. 8; (C. megalodon in Woodward, LXII, p. 416). CaRrcHARODON MEGALODON Ag. — Costa, XV, part. I, p. 117, tav. IX, fig. 2 e part. II, p. 46, tav. V, fig. 2-3 e tav. VI, fig. 1; idem, XVI, p. 10; Ca- pellini, XII, p. 24; Seguenza G., LVII, p. 49; Botti in Lawley, XXXVIII, p.9; Lawley, XXXIX, p. 35, tav. 6-11; De Stefani, XXIX, p. 184; Di Stefano in Cor- tese, XHI, p. 142 e 144; Fucini, XXXI, p. 64; De Angelis d'Ossat, XXIII, p. 15; Dainelli, XXI, p 623 e 673. CARCHARODON MEGALODON, var, SI- cuLus Gemm. — Seguenza G., LVII, p. 40; (C. megalodon in Bassani, V, p. 14). CARCHARODON MEGALODON, var. suBaURICULATUS Gemm.,— Seguenza G., LVII, p. 39; (C. megalodon in Bassani, V, p. 15 e Seguenza L., LIX, p. 7) *). CarcHARODoN PRODUCTUS Ag. — Costa, XV, part. II, p. 52, tav. V, fig. 1; Capellini, XII, p. 24; Seguenza G., LVII, p. 72; Bassani in Nevia- ni, XLV, p: 69; Rambotti e Neviani, LI, p. 360; Ne- viani, XLVII. p. 576. CARCHARODON RECTIDENS Ag. — Costa, XV, part. II, p. 51, tav. V, fig. 4 e tav. VI, fig. 2; Seguenza G., LVII, p. 49. Oni TuMIDISSIMUS Cos. — Costa, XV, part II, p. 54, tav. V, fig. 7; Woodward, LXII, p. 422 ai (A ingoia in Bassani, V, p. 15). Denti. MiocENE MEDIO — Calcare di Lettomanopello e della miniera di S. Spirito a Tocco da Casau- ria. Argille di Rossano, Paludi, Cropalati, Scala-Coeli. Arenarie di S. Gio- vanni in Fiore (1), Caccuri (1), Catanzaro e dintorni (3 e 5), Cotronei (4), Francavilla (3), tra Pizzo e Briatico (1), S. Gregorio d’ Ippona (4), Soverato (3), Gerace (1). Sabbie grossolane di Rombiolo (4). Calcare a Celleporae di Lazzaro (10) **). Arenaria e calcare a Briozoi di Stilo e calcare a Briozoi di Palmi (10) **). Sabbie calcaree di Benestare e Ma- lochio (40). Calcare di Cursi, Lecce e Specchia (1, 2 e 7). Lumachella del Capo di Leuca. Calcare di S. Barbara (40). Miocene suPERIORE — Sabbie di Falcò (10). Arenarie di Capo d’Armi (4 e 10). MiocENE — Macigno della Maiella presso Lama. TERZIARIO — Calcare di Rodi Garganico. *) Nella parte II della Paleontologia del Regno di Napoli (XV), nel quadro a p. 90, è se- gnato fra le specie provenienti da Lecce un CarcQ. subauritus, del quale non è mai fatto pa- rola, nè prima nè poi. Deve trattarsi di un errore tipografico, dovendosi invece dire C. subau- riculatus. Questa specie è citata solo nel quadro. **) Tongriano e Aquitaniano per G. Seguenza; Elveziano per De Stefani (XXIX, p. 159): opinione accettata, come più esatta, anche dal Bassani (V, p. 10). by PE Carcharodon Rondeleti Miiller et Henle I. Miller et I. Henle, XLII, p. 70 (Tav., fig. 1) CarcHaRODON ETRUSCUS Lawl. — Lawley, XXXIX, p. 34. CarcHAaRoDon RonpeLETI M. et H.— Di Stefano e Viola, XXXI, p. 133; Pasquale in Bas- sani, VIII, p. 175; De Stefano, XXX, p. 558. CARCHARODON SULCIDENS À g. — Seguenza G., LVII, p. 185 e 247; (C. Rondeleti in Se- guenza L., LIX, p. £). CARCHARODON sp. ind. — Costa, XVI, p. 10. Denti con corona allargata alla base, a margine irregolarmente seghettato , in cui qualche dentello si mostra diviso in punte più o meno grandi. La faccia esterna, piana, presenta delle rughe verticali alla base; la interna è leggermente convessa. Radice spongiosa, alta la metà della corona. Se le indicazioni topografiche sono esatte, alcuni esemplari di questa specie, pliocenica e vivente, proverrebbero dalla pietra leccese, la quale, come è noto, viene riferita al miocene medio. È vero che essi, sono estremamente rari (8 denti), ma tuttavia la loro presenza in quel giacimento vi farebbe intravvedere la possibile esistenza anche di un orizzonte più recente. Miocene MEDIO — Calcare di Lecce e Specchia (4, 2 e 7). PLIOCENE — Sabbie zancleane di S. Agata (10). Marne astiane di Reggio, Terreti e Nasiti (10). Sabbie di Calanna (8). Sabbie astiane di Ruvo del Monte (4). Tufi dei . dintorni di Matera (9). Banco a fosforiti del Capo di Leuca (7). PostpLIocene — Sabbie di S. Demetrio Corone (4). Carcharodon sp. CARCHARODON ANGUSTIDENS Ag. — Costa, XV, part. II, p. 51. CARCHARODON Sp. — De Giorgi, XXIV, p. 103; idem, XXV, p. 15 e 17; De Ste- fani, XXIX, p. 135; Lovisato, XLI, p. 17; Neviani, XLIV, p. 65. v Denti. Miocene MEDIO — Conglomerato della piazzetta Croce alle Baracche di Catanzaro (5). Arenaria micacea di Soverato (5). Calcare a CeZleporae e Nulliporae fra le fiumare Val- lanidi e Macellari [Reggio] (4). Calcare di Galugnano e di Bagnolo (2). Are- naria a sud di Calvello. Mi0cENE — Mantrella presso Lama dei Peligni (1) *). *) Come è già notato in Bassani (IV, p. 36 e 37), il genere Carcharodon fu dal Costa (XV, part. II, p. 92 e XVII, p. 234) citato erroneamente nel calcare cretaceo di Pietraroia, 2 Genere LLamna Cuvier Cuvier, XXI, vol. II, p. 126 (Tav., fig. 2) Riferisco a questo genere: una vertebra proveniente da Lecce e giustamente attribuita da Costa ad uno squalideo (XV, part. III, p. 128, tav. XII, fig. 15); un’altra vertebra donata a questo Istituto dall'ing. Rottini e proveniente dalle arenarie mioceniche tra Pizzo e Briatico. È ben conservata e misura 15 mm. di diametro e 10 di lunghezza. La superficie esterna, leggermente incavata, ha quattro fori ellittici, disposti longitudinalmente, paralleli fra loro, avvicinati due a due e opposti *); molte vertebre isolate rinvenute nel calcare di Lecce (tav., fig. 2) e cor- rispondenti perfettamente alla precedente e a quella trovata nella pietra cantone (miocene medio) di S. Michele, presso Cagliari (Bassani, V, p. 24, tav. 1, fig. 11). MiocenE MEDIO — Calcare di Lecce (4, 2 e 7). Arenaria tra Pizzo e Briatico (4). Genere Odontaspis Agassiz Odontaspis contortidens Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p, 294, tav. 37°, fig. 17-23 (Lamna [04.] contortidens) Lamna ADUNCA Cos. — Costa, XV, part. II, p. 72; (04. contortidens in Bassani, V, p. 29); Botti in Lawley, XXXVIII, p. 9. LAMNA CONTORTIDENS À g. — Costa, XV, part. I, p. 125, tav. IX, fig. 18 e part. II, p. 71; (Od. contortidens in Bassani, V, p. 28). Lamna conTorTIDENS Ag.? ——Lovisato, XLI, p. 17; ( 04. contortidens in Bassani, V, p. 28). LAMNA ELEGANS Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 71; Capellini, XII, p. 24; (04. contortidens in Bassani, V, p. 29). LAMNA RAPHIODON A g. — Costa (non Agassiz), XV, part. I, p. 127, tav. IX, fig. 28 e part. II, p. 71; (0a. contortidens in Bassani, V, p. 29). OponTASsPIS coNnTORTIDENS Ag.-- Di Stefano in Cortese, XIII, p. 142; Bassani in Nevia- ni, XLV. p. 69; Rambotti e Neviani, LI, p. 360; Ne- viani, XLVII, p. 576; De Angelis d’Ossat, XXIII, p. 15; Nelli, XLII, p. 416; De Stefano, XXX, p. 556, tav. X, figg 9a 12. OponTasPIS DUBIA Ag. — Lawley in Seguenza G., LVII, p. 99; (Od. contortidens in Seguenza L., LIX, p. 6). OponTASPIS ELEGANS A gr. — Costa (non Agassiz), XV, part. I, p. 127, tav. IX, fig. 80; (04. contortidens in Bassani, V, p. 29). *) È pur da ricordare un dente citato dal prof. Lovisato col nome di Zamna sp.? (XLI, p. 17), nell’arenaria elveziana di Soverato (5). Atti— Vol. XII— Serie 22—N0 2. 2 Bel: g SL Denti. Gli esemplari con strie longitudinali sulla faccia interna, riferiti dal Costa a Od. contortidens, Lamna raphiodon e Lamna (0d.) elegans, appartengono tutti alla prima di queste specie. È da escludersi la rapAiodon, perchè essi non sono molto ricurvi, nè coi margini convergenti in basso sulla faccia esterna; e la elegans, perchè, come emerge dal lavoro del prof. Bassani sulla ittiofauna di Gàssino (V), le strie dovrebbero essere marcate, diritte, continue, numerose, alcune brevi, intercalate alle lunghe e fuse con queste. I nostri esemplari invece hanno tutti strie lievi, ondulate, interrotte, poco numerose, caratteri questi della Od. contor- tidens. MiocENE MEDIO — Calcare di Poggio Picenze e della miniera di S. Spirito a Tocco da Casau- ria. Arenarie di Cerisano {1) *), Catanzaro e dintorni (3 e 5), Briatico vecchio (3), Conidoni (3), Pizzo (3), Soverato (3), Vena di Sopra (3). Calcare di Lecce e Specchia (4, 2 e 7). Miocene supERIORE — Argille di Benestare (10). PLIOCENE — Sabbie di Calanna (8). Odontaspis cuspidata Agassiz sp. L. Agassiz, I, 184, vol. III, p. 290, tav. 37°, fig. 43-50 (Lamna cuspidata) LAMNA CUSPIDATA Ag. — Bassani in Neviani, XLV, p. 69; Rambotti e Ne- viani, LI, p. 360; Neviani, XLVII, p. 576. Lamxna DUBIA Ag. — Costa, XV, part. I, p. 124, tav. IX, fig. 16); (0d. cu- spidata in Bassani, V, p. 26). LAMNA ELEGANS? Ag. — Lovisato, XLI, p. 17; (04. cuspidata in Bassani, V, p. 26). Lamna (SPHENODUS) LonGIDENS Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. I, p. 128, tav. IX, fig. 17; (Od. cuspidata in Bassani, V, p. 26). NoripanUS REcURVUS A g. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 362, tav. VII, i fig. 22 e 283 (non 21). OBONTASPIS CUSPIDATA Ag. — Di Stefano e Viola, XXXI, p. 133; Di Stefano in Cortese, XIII, p. 142; De Angelis d’Ossat, XXIII, p. 15. OpontasPIS DUBIA Ag. — Seguenza G., LVII, p. 73; (0d. cuspidata in Seguenza L., LIX, p. 6). Denti. MiocENE MEDIO — Calcare di Lettomanopello e della miniera di S. Spirito a Tocco da Casau- ria. Arenarie di Cerisano (4), Cocuzzo (4), Catanzaro e dintorni (3 e 5), Briatico vecchio (3), Conidoni (3), Pizzo (3), Soverato (3 e 5), Vena di Sopra (3), Palmi (ferrovia di S. Eufemia ) (6). Calcare di Lecce e Specchia (1, 2 e 7). Breccia miocenica di Gagliano (3). Miocene suPERIORE — Sabbie di Falcò (40). PLIOCENE — Tufi dei dintorni di Matera (9). *) Così determinati (in sc.) anche dal dott. G. Collamarini, che anni addietro esaminò gli avanzi di pesci fossili calabresi conservati in questo Istituto. EURO | PET Odontaspis ferox Risso sp. l1.-A. Risso, LI. p. 38, sp. 14 (Squalus ferox) Opontasris FERox Ag. — Costa A., XIV, p. 6; De Stefano, XXX, p. 557, tav. X, fig. 16, 17008320, Denti. PLiocene — Argille di Colle S. Magno presso Fondi (41). Sabbie di Calanna (8). Odontaspis sp. Altri denti, riferiti a questo genere da De Stefani (XXIX, p. 96); Botti in Lawley (XXXVIII, p. 9); Seguenza G. (LVII, p. 247). MiocENE INFERIORE (?) — Arenarie di Agnana (5) *). MiocENE MEDIO — Calcare di Lecce. PLiccENE — Marne astiane di Riace (10) **). Genere Oxyrhina Agassiz Oxyrhina crassa Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 283, tav. 37, fig. 16 (Tav., fig. 3) (?) OxyRHiNnA cRassa Ag. — Seguenza G., LVII, p. 40 e 72; Seguenza L., LIX, p. 5. OxyRBINA quaprans Ag. — BottiinLawley, XXXVIII, p. 9; Lawley, XXXIX, p. 116; Botti in De Giorgi, XXVI, p. 49. Col nome di Oz. quadrans fu indicato dal Botti un robusto dente laterale (Tav., fig. 3), la cui corona presenta nel mezzo della faccia esterna una sensi- bile convessità. L'estremità della corona è leggermente piegata in fuori; i mar- gini sono taglienti. La radice è molto ispessita (Lecce). Il Seguenza L. ripete con riserbo la determinazione di Oz. crassa per due denti, (Ardore, Agnana), citati da G. Seguenza, ma da lui non visti. MioceNnE INFERIORE {?) — Arenarie di Agnana *). MioceNE MeDio — Sabbie calcaree di Ardore. Calcare di Lecce (2). =. *) Queste arenarie da alcuni sono ascritte al miocene e da altri ritenute appartenenti ad una zona più bassa dell’eocene medio (Cortese, XII, p. 129). **) De Stefano (XXX, p. 554) ha anche citato due vertebre, riferendole a Lamna o Odon- taspis?, delle sabbie plioceniche a nord-est di Calanna (8). Sting ol Oxyrhina Desori Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 282, tav. 37, fig. 8-13 Oropus aPPENDICULATUS Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 73, tav. VII, fig. 41 e 42. OTODUS sALENTINUS Cos. — Costa, XV, part. I, p. 115, tav. IX, fig. 6; (Ox. Desori in Bas- sani, Vil, pi. 19). OxyRHIna BasisuLcata Sism,— Costa (non Sismonda), XV, part. II, p. 83, tav. VII, fig. 25 (non 18, 19, 20). OxyRHina DesorI Ag. — Costa, XV, part. II, p. 79, tav. VI, fig. 7 e tav, VII, fig. 1,8 e 13; (Ox. hastalis? in Woodward, LXII, p. 386; Or. ha- stalis in Eastman, XXXII, p. 179); Botti in Lawley, XXXVIII, p.9; Capellini, XII, p. 24; Neviani, XLIV, p. 65; Bassani in De Lorenzo, XXVIII, p. 2; De Angelis d’Ossat, XXIII, p. 15; Nelli, XLIII, p. 416. OxyRHINA ManteELLI Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 80, tav. VII, fig. 4. OxyrHINA Vanieri Rouault— Bassani in De Lorenzo, XXVIII, p. 2. OxyRuina Wirsoni Gibb. — Costa, XV, part. II, p. 362, tav. VII, fig. 12; (Ox. Desori in Woodward, LXII, p. 383; Eastman, XXXII, p. 180; Bas- sani, VII, p. 19). Denti. La Oz. Vanieri (Rouault, LV, p. 101; Sauvage, LVI, p. 633), che varii autori (Woodward, LXII, p. 385; Eastman, XXXII, p. 184), pur notandone la grande somiglianza con la Desori, serbano distinta da questa specie, deve, a mio parere, esserle associata. Le lievi differenze riscontrate nelle dimensioni, nella robustezza e nella curvatura della corona possono attribuirsi al posto occupato nelle mascelle. Della Oz. Wilsoni non è detto nulla nel testo del Costa, ma nella collezione giù sua esiste l’esemplare corrispondente alla figura.e proveniente da Specchia. Miocene MmepIO — Calcare di Poggio Picenze e della miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria. Arenarie tra Pizzo e Briatico (1) e a Pizzo (4). Conglomerato di piazzetta Croce alle Baracche di Catanzaro (6). Calcare di Corigliano (2 e 7), Lecce e Specchia (4, 2 e 7). Calcare di Cursi presso Maglie (3). Breccia di Gagliano [detta volgarmente frasciulo] (7). Oxyrhina hastalis Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 277, tav. 34, fig. 4-7 LAMNA CRASSIDENS A g. — Seguenza G., LVII, p. 73 (non 185 e 247); (Ox. hastalis in Seguenza L., LIX, p. 4). OxyRrHina Agassizi Lawl. —Botti in Lawley, XXXVIII, p.9; Lawley, XXXIX, p. 101; Neviani, XLIV, p. 65. OxvYRHINA BREVI8 Cos. — Costa, XV, part. II, p. 82, tav. VII, fig. 8 e 9; (Or. Rastalis in Bassani, V, p. 32). OxyrHINA DesorI Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 79, tav. VII, fig. 2 (non tav. VI); (Ox. hastalis in Woodward, LXII, p. 386 e Bas- sani, V, p. 32); Seguenza G., LVII, p. 40, 49 (non 247), (Ox. hastalis in Seguenza L., LIX, p. 4). 2 Gage OxyRHINA HasTaLIs Ag, — Costa, XV, part. I, p. 123, tav. IX, fig. 10 e 12; e part. II, p. 75, tav. VI, fig. 6,9 e 10 e tav. VII, fig. 7; Capellini, XII, p. 24; Seguenza G., LVII, p. 72 e 185; Bassani in Ne- viani, XLV, p. 69; Neviani, XLVIII, p. 576; Rambotti e Neviani, LI, p. 860; Di Stefano e Viola, XXXI, p. 133; Di Stefano in Cortese, XIII, p. 142; De Angelis d’Os- sat, XXIII, p. 15; Seguenza L., LIX, p. 4; De Stefano, XXX, p. 555; tav. X, fig. 1,2; Dainelli, XXII, p. 623 e 673. OxyRHINA LEPTODON Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. I, p. 121, tav. IX, fig. ll e part. II, p. 75, tav. VII, fig. 6. OxyRHINA MINUTA Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 85, tav. VII, fig. 52-58; (Ox. hastalis in Bassani, V, p. 32). OxyRHina PLICATILIS Ag. — Costa, XV, part. II, p. 78, tav. VI, fig. 5. OxyRrHINa suBINFLATA Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 8I, tav. VI, fig. 8; (Oz. hastalis in Bassani, V, p. 82). OxyRHINA TRIGONODON Ag. — Seguenza G., LVII, p. 72; (Ox. hastalis in Seguenza L., LVII ‘ e LIX, p. 47 e p. 4). OxyRHINA TUMIDULA Cos. — Costa, XV, part. II, p. 82, tav. VII, fig. 10 e 11; (Ou. brevis in Woodward, LXII, p. 390 e Eastman, XXXII, p. 183; Or. hastalis in Bassani, V, p. 32); Seguenza G., LVII, p. 72; (Ox. hastalis in Seguenza L., LVII e LIX, p. 47 e p. 4). OxyRHina xyPHopon Ag. -— Costa, XV, part. I, p. 122, tav. IX, fig. 9 e part. II, p. 75, tav. VII, fig. 5; Capellini, XII, p. 24; Seguenza G., LVII, p. 40, 49, 72; Bassani in Neviani, XLV, p. 69; Neviani, XLVIII, p.576; Rambotti e Neviani, LI, p. 360; Seguen- za L., LIX, p. 4. OxyRHINA Zippri Cos. — Costa (non Agassiz), XV, part. I, p. 121, tav. IX, figr.8 e 19; sue, (Ox. hastalis in Bassani, V, p. 32). Denti. Quelli riferiti da Costa a Oz. Zippei sono invece di Or. hastalis. A questa specie va anche ascritta la Ox. tumidula, rappresentata da due denti laterali po- steriori. Woodward e Eastman uniscono sotto il nome di Oz. drevis Costa questa e la 2umidula , ma la piccola piega verticale mediana, sulla faccia esterna, rilevata dal Costa, si riscontra anche sulla 44stalis, per cui non è un carattere specifico sufficiente. MiocENE MEDIO — Calcare della miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria. Arenarie di Ceri- sano (1), Catanzaro e dintorni (3 e 5), Briatico vecchio (3), Conidoni (3), Pizzo (3), tra Pizzo e Briatico (41), Soverato (3), Tropea (1), Vena di So- pra (3), Scannapieco presso Monteleone. Tufo calcareo di Palmi (ferro- via di S. Eufemia (6) e calcare a Briozoi di Palmi (6 e 10). Calcare are- naceo di Lazzaro (10). Sabbie calcaree di Malochio (10). Calcare di Ga- lugnano (2), Lecce e Specchia (1 e 2). Calcare di Cursi presso Maglie (3). Lumachella del Capo di Leuca. MiocENE sUPERIORE — Sabbie di Falcò (40). MiocENE — Calcare della Maiella presso Lama (4). PLIOCENE — Sabbie zancleane di Sant'Agata e Terreti (10). Sabbie di Calanna (8). Tufi dei dintorni di Matera (9). Banco a fosforiti del Capo di Leuca (7). delta 1 ga Oxyrhina Spallanzanii Bonaparte C. L. Bonaparte, Xbis, p. 134 LAMNA cRASSIDENS À g. — Seguenza G. (non Agassiz), LVII, p. 185 e 247; (Or. Spal- lanzanii in Seguenza L., LVII, p. 50 e LIX, p. 5). OxyRHINA Desori A g. — Seguenza G. (non Agassiz), LVII, p. 247; (0x. Spallanza- ni in Seguenza L., LVII, p. 50 e LIX, p. 5). OxyrkuHina SPALLANZANI Bon. — De Stefano, XXX, p. 555, tav. X, fig. 3, 4 e 5. Denti. PLiocene — Sabbie zancleane di S. Agata (10). Marne astiane di Reggio, Gallina e Riace (40). Sabbie di Calanna (8). Oxyrhina sp. *) Dente, senza radice (Oz. Mantelli Costa [non Agassiz], XV, part. II, p. 80; Ox. Desori Costa, in sch.), in una breccia a cemento calcareo marnoso di Mon- torio (4). Denti (De Giorgi, XXV, p. 17) nel calcare miocenico di Bagnolo (2). Dente (Pepe, XLIX, p. 16) e parte di vertebra (Neviani, XLVI, p. 174), nelle marne bianche plioceniche di S. Angiolo nel Monteleonese (5) **). Dente gentilmente comunicato dal dott. Di-Stefano [Calcare mioc. (?) di Pietracupa] (3). Denti (Fucini, XXXIII, p. 64), nelle argille mioceniche di Rossano, Paludi, Cropalati, Scala-Coeli. Alcune vertebre nel calcare elveziano di Lecce (2). *) Nel quadro a pag. 102 dell’App. alla Paleont. (XIX) il Costa segna Ox. angustata Cos., proveniente da Cerisano. Anche questa specie è citata solo nel detto quadro, **) Queste marne furono ascritte da alcuni al miocene, da altri al pliocene. Nel 1887 il Ne- viani (XLVI, p. 174), avendovi rinvenuto Pecten hkystrix e P. commutatus, le riferì definitiva» mente al « pliocene inferiore o zancleano ». 2 Jo Fam, Carchariidae Genere Ciarcharias Cuvier SuBGEN. Aprionodon Gill Carcharias (Aprionodon) basisulcatus Sismonda sp. E. Sismonda, LX, p. 45, tav. II, fig. 40 (Ozyrhina basisulcata) (Tav., fig. 4 e 5) GALEOCERDUS MINOR A g. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 63, tav. VII, fig. 40 ( non le altre); (Carcharias ? sp., in Woodward, LX, p. 446). OxyRHiNA BasisuLcata Sism. — Costa, XV, part. II, p. 83, tav. VII, fig. 19 e 20 (non 18 e 25); (Carcharias [ Aprion.] basisulcatus Sism. sp., part., in Woodward, LEXI, p. 488). Denti. Esaminati gli esemplari del Costa, posso dire con sicurezza che i su indi» cati denti spettano in realtà al gen. Carcharias [ Aprionodon ].— La fig. 25 della Ox. basisulcata, che il Woodward lascia insieme alle 19 e 20, con maggiore probabilità è da riferire all’Ox. Desori. Miocene mepIO — Calcare di Lecce (1 e 2). SusGEN. Hypoprion Miller et Henle Carcharias (Hypoprion) singularis Probst I. Probst, L, p. 128, tav. I, fig. 5, 6 (Tav., fig. 6) Riferisco a questa specie due denti corrispondenti a quelli rinvenuti dal Probst nella mollassa di Baltringen. La corona, alta il doppio della radice, è obliqua, a margini seghettati; ad un lato, presso la base, si notano tre grandi dentellature, che ne costituiscono il carattere singolare. La radice è un po’ rigonfia nella parte centrale e presenta un solco verticale mediano, appena accennato. Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (4). il {Re SugcEN. Prionodon Miller et Henle Carcharias (Prionodon) Egertoni Agassiz sp. L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 228, tav. 36, fig. 6-7 (Corax Egertoni); E. Sismonda, LX, p. 31, tav. I, fig. 19-24 (Corax pedemontanus). (Tav., fig. 7-9) GaLeoceRDO ETRUSCUS Lawl. — Botti in Lawley, XXXIX, p. 144. GaLEccERDO MINIMUS Lawl. — Id., XXXVIII, p. &. GLYPHIS URCIANENSIS Lawl. —Id., XXXVIII, p. 9. Prionopow suscLaucus Lawi. — Id., XXXVIII, p. 19. Questa specie è rappresentata da molti denti del calcare di Lecce, i quali, al pari di quelli già descritti dagli autori (Agassiz e Sismonda, loc. cit.; de Alessandri, II, p. 16, tav., fig. 13; e III, p.33, tav. I, fig. 12), offrono stret- tissima affinità col vivente Prionodon lamia Risso. A Prionodon Egertoni va, secondo me, associato Pr. similis Probst (L, p. 13, tav. I, fig. 12 a 19) della mollassa di Baltringen. Miocene MepIO — Calcare di Cursi (2), Galatina (2), Lecce (1 e 2). Carcharias (Prionodon) glaucus Linneo sp. Linneo, XL, tom. I, p. 401 (Squalus glaucus) CaRcHARIAS (PRION.) Laucus Linn. sp. — De Stefano, XXX, p. 559, tav. X, fig. 19, 21-23, 30, 34. Sei denti, tre superiori e tre inferiori. PLiocene — Sabbie di Calanna (8). Carcharias (Prionodon) lamia Risso I.- A. Risso, LIMI, p. 119 CarcHaRIAS (Priononon) LAMIA Risso — De Stefano, XXX, p. 0058. Denti. PLIioceNE — Sabbie di Calanna (8). Carcharias sp. CORAX APPENDICULATUS A g. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 66, tav. VII, fig. 62 (non 36 e 37). OxyRHINA BASISULCATA Sism. — Costa (non Sismonda), XV, part. II, p. 83, tav. VII, fig. 18 (non 19, 20 e 25). SELACHE vETUsTA Cos. — Costa, XV, part. II, p. 362, tav. VII, fig. 60 (non 59 e 63). pre e © ni Pe n ee © —© ET en Se SLA ea Denti. Nel descrivere la Selache vetusta il Costa dice di averne un solo esemplare e i caratteri da lui dati corrispondono all'originale della fig. 59 a tav. VII della Paleontologia (XV), che rappresenta invece un dente mediano di Hemipristis serra [v. pag. 18]. Nella spiegazione delle tavole poi sono indicate come JSelache vetusta anche le fig. 60 e 63, delle quali la prima va riferita al genere Carcharias, la se- conda a Ckrysophrys. Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (1). Genere Faleocerao Miller et Henle Galeocerdo aduncus Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 281, tav. 26, fig. 24-28 Corax EGERTONI Ag.? — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 65, tav. VII, fig, 29. CoRAX FALCATUS A g. — Costa (non Agassiz), XV, part. I, p. 110, tav. IX, fig. 29 e part. II, p. 65; (G. aduncus in Bassani, V, p. 36). GaALEOCERDO ADUNCUS Ag. — Costa, XV, part. II, p. 61, tav. VII, fig. 27 e 28; Bassa» ni in Neviani, XLV, p. 69; Rambotti e Neviani, LI, p. 360; Neviani, XLVII, p. 576; Bassani, V, p. 36; Di Stefano in Cortese, XIII, p. 142; De Ange- lis d’Ossat, XXIM, p. 15. GALEOCERDO LATIDENS À g. — Botti (non Agassiz) in Lawley, XXXVIII, p. 8. GALEOcERDUS DENTICULATUS Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 60, tav. VII, fig. 26; (G. aduncus in Woodward, LXII, p. 445; e Bas- sani, V, p. 36). — Costa, XV, part. II, p. 62, tav. VII, fig. 14; (Carcharias [Prionodon] gibbus in Woodward, LXII, p. 441). GALEOCERDUS RECTUS Cos. Li Gosta, XV, part. L;\p. 11, tav. IX, fig. 5; e part. II; p. 59, tav. V, fig. 10; (G. aduncus in Woodward, LXII, p. 445; e Bassani, V, p. 86). Woktay AV, part. IL, p..a61, tav.0V, fig. 9. GALEOCERDUS GIBBUS Cos, GALEOCERDUS . .... Denti. Sono qui riuniti gli esemplari ascritti da Costa a G. aduncus, denticulatus e rectus. Quelli che egli distinse come Cora falcatus ed altri da lui rapportati, con dubbio, a 0. Zyertoni, vanno anche associati alla specie di cui ci occupia- mo. Sono piccoli denti, seghettati agli orli, più sensibilmente alla base che verso l’apice della corona e internamente cavi. Il G. gibbus di Costa, riferito da Woodward al genere Carcharias (Prio- nodon), da me esaminato nell’esemplare e nella sezione di questo, appartiene pure a G. aduncus. Miocene MEDIO — Calcare della miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria, Arenarie di Cerisano (1), Catanzaro e dintorni (3 e 5), Soverato (3). Calcare di Lecce (1 e 2) e di Cursi presso Maglie (3). ArtI— Vol. XII— Serie 22>—N® 2. 3 Genere taleus Cuvier Galeus canis Rondelet G. Rondelet, LIV, p. 377 GaLEeocERDO PANTANELLI Lawl. —Lawley in Seguenza G., LVII, p. 99; (Galeocerdo Pantanellii in Seguenza L., LIX, p. 9). Un dente, conservatissimo. MioceNnE suPERIORE — Argille di Benestare (40). Genere ETemipristis Agassiz Hemipristis serra Agassiz L. Agassiz, I, 1848, vol. III, p. 237, tav. 27, fig. 18-30 GLyPBIs Scaccui Gemm. — Botti in Lawley, XXXVIII, p. 9; (H. serra in Wood- ward, XLII, p. 449). HemiPRISTIS MINUTUS Cos. — Costa, XV, part. II, p. 68, tav. VII, fig. 43-45; (H. serra in Woodward, LXII, p. 449 e Bassani, V, p. 88); Botti in Lawley, XXXVIII, p. 9. HEMIPRISTIS PAUCIDENS À g. — Costa, XV, part. II, p. 67, tav. V, fig.12 e tav. VII, fig. 30-33; (4. serra in Woodward, LXII, p. 449 e Bassani, V, p. 38); Capellini, XII, p. 24; Botti in Lawley, XXXVIII, p. 9. HEMIPRISTIS SERRA A g. — Costa, XV, part. I, p. 114, tav. IX, fig 8 e 4 e part. II, p. 69, tav. VII, fig. 46-48; Capellini, XII, p. 24; Botti in Lawley, XXXVIII, p. 9; Bassani, V, p. 88; De Angelis d’Ossat, XXIII, p. 15; Nelli, XLIII, p. 416. OxYRHINA MINUTA Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 862, tav. VII, fig. 51. i SELACHE VETUSTA Cos. — Costa, XV, part. II, p. 58, tav. VII, fig. 59 (non 60 e 63) [v. pag. 17]. a Aa Malt aaeia E AMIRCRINETE > — Costa, XV, part. I, p. 196, tav. IX, fig. 18-15 *). Denti. Miocene MEDIO — Calcare di Poggio Picenze e della miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria. Arenarie di Catanzaro (5). Calcare di Lecce (1, 2 e 7) e di Cursi presso Ma- glie (3). *) Di questi denti, nella spiegazione della tavola, il Costa promette di occuparsi nel vo- lume successivo, ma invece non ne fa più parola. Genere sphyrna Rafinesque Sphyrna prisca Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 234, tav. 26*, fig. 35-50 p/ SPHYRNA PRISCA Ag. — Costa, XV, part. I, p. 112, tav. IX, fig. 7; Rambotti e Neviani,,. FI LI, p. 360; Neviani, XLVII, p. 576; Bassani, V, p. 41; Di Ste- dal fano in Cortese, XIII, p. 142; De Angelis d’Ossat, XXIII, i, p. 15. bili Denti. Miocene MEDIO — Calcare della miniera di S. Spirito a Tocco da Casauria. Arenaria calcarea di Catanzaro e dintorni (3 e 5), Soverato (3). Calcare di Lecce (4 e 2). Fam. Notidanidae Genere nTotiaanus Cluvier Notidanus griseus Gmelin sp. Gmelin, XXXVI, tom. I, p. 1495, sp. 22 (Squalus griseus) NormaNUS GRISEUS Gmelin sp. — Bassani, VIII, p. 175, fig. intere. Un dente, inferiore, laterale. PLIOCENE — Argille di Potenza (4). Notidanus primigenius Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 218, tav. 27, fig. 4-8, 13-17 r NorIpANUS PRIMIGENIUS Ag. — Botti in Lawley, XXXVIII, p. 8. Noripanus rREcURVUS Ag. -—Costa, XV, part. lI, p. 70, tav. VII, fig. 24; Capellini, XII, p. 24; (N. primigenius in Bassani, V, p. 48). Denti. Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (1 e 2). Susorp. TECTOSPONDYLI Fam. Spinacidae Genere Centrina Cluvier Centrina Salvianii Risso I.-A. Risso, LIII, p. 135, sp. 20 CentRrINA Bassani Law. — Bassani, VI, p. 1; Bassani in Neviani, XLVI, p. 192; (C. Sal- vianii in Bassani, IX, p. 190. CenrRrINA EXxIGUA Cos. — Costa, XIX, p. 105, tav. VI, fig. 9. 20 — Due denti. PLIOCENE — Argille astiane di Cotrone. PostpLIocene — Terreno alluvionale di Amato (4). * Genere Sseymnus Cuvier Scymnus lichia Cuvier (?) G. Cuvier, XXI, tom. II, p. 130 Scymnus LIcHIA Cuv. (?) — De Stefano, XXX, p. 560. Due denti mal conservati. PLIoCENE — Sabbie di Calanna (8). Fam. Squatinidae Genere saguatina (Aldrovandi) Dumégril Squatina alata I. Probst I. Probst, L, p. 177, tav. III, fig. 39, 40 (Tav., fig. 10) Nel calcare di Lecce si sono rinvenuti due denti che corrispondono perfetta- mente a quelli di Squatina alata della mollassa di Baltringen illustrati dal Probst. (Altezza del cono dentario mm. 6, larghezza di esso alla base, mm. 9). Essi presentano anche grande affinità con l'esemplare dell’argilla miocenica di Fangario, in Sardegna, pubblicato da Bassani col nome di Squazina aff. d An- conai Lawley (Bassani, V, pag. 45, tav. II, fig. 18). Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (4 e 2). Fam. Pristidae Genere Ppristis Latham Pristis lyceensis Vigliarolo G. Vigliarolo, LXI, p. 17, tav., fig. 1 a 6; De Lorenzo, XXVIII, p. 2 Specie fondata su tre frammenti di rostro, che si corrispondono in guisa da riferirli con sicurezza ad un solo individuo. Il maggiore di essi misura cm. 30 di lunghezza per 12 di larghezza. I margini rostrali presentano poca convergenza dEi esa _% ‘e il rostro decresce lentamente dalla base all'apice, il che fa pensare ad una sua notevole lunghezza (forse un metro e mezzo). Gli alveoli si trovano a distanze di due volte la lunghezza di uno di essi negli anteriori, di tre volte la medesima nei posteriori (prossimi alla base). MiocenE MEDIO — Calcare di Lecce (4). Fam. Tkgiobamane Genere Rhinobatus Bloch Rhinobatus obtusatus Costa O. G. Costa, XIX, p. 109, tav. C; Bassani, IV, p. 36; Woodward, LXI, p. 82 Bell’ esemplare della lunghezza di 67 cm., mancante della parte posteriore del corpo. Conserva le pinne pettorali, le ventrali e tracce di una dorsale. Verte- bre, in generale, ben distinte. Creraceo — Calcare di Pietraroia (4). Fam. Rajidae Genere Raja Cuvier Raja clavata Linneo Linneo, XL, vol. I, p. 397 Rasa anTIQuA Ag. — Seguenza G., LVII, p. 185; Seguenza L., LIX, p. 10. Placca dermica. PLiocene — Marne e sabbie zancleane di Testa del prato *). Fam. Myliobatidae Genere Aetobatis Miller et Henle Aetobatis arcuatus Agassiz L. Agassiz, I, 1843, vol. III, p. 327 (Tav., fig. 11) AETOBATIS ARCUATUS Ag. — Botti in De Giorgi, XXVI, p. 49. Frammento di una placca dentaria larga 64 mm., che comprende cinque sca- glioni interi e molto piegati in archi regolari. Questi sono alti 10 mm. nella linea *) Al gen. Raja anche O. G. Costa riferì tre placche dermiche: una delle argille mioce- niche di Carovizzi (Costa 0. G., XV, part. III, p. 141); due (Id., in sch,) «della Maiella » (4), ica SI mediana e si restringono verso le estremità, dove ne misurano sette. La superficie è piana, un po’ consumata per l’ usura. La faccia inferiore è alquanto convessa. MiocenE MEDIO — Calcare di Lecce (2). Aetobatis sp. AETOBATIS SEGUENZAE Lawl.— Lawley in Seguenza G., LVII, p. 73, tav. VII, fig. 11; Se- guenza L., LIX, p. 10. Piastra dentaria, dimezzata ed erosa. Come osservò Seguenza L., il cattivo stato non ne permette la determinazione specifica. Miocene MEDIO — Sabbie calcaree di Ambutì (10). Genere naAyliobatis Cluvier Myliobatis Faujasi Agassiz Sp. L. Agassiz, I, 1888, vol. III, p. 67, tav. 45, fig. 1-3 (Ptychacanthus Faujasi) (Tav., fig. 12) Frammento di un robusto aculeo, lungo 185 mm., largo 22, che va lenta- mente restringendosi verso l'estremità distale, dove misura 14 mm. Sulla faccia superiore si notano profondi solchi, che vi delineano dei cordoni longitudinali, i quali vanno sempre più attenuandosi verso la parte ristretta, dove non rimane che un solo solco mediano. I dentelli sono grossi e ineguali. Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (2). Myliobatis meridionalis Gervais P. Gervais, XXXV, p. 519, tav. 80, fig. 6-8 (Tav., fig. 13) MyLIOBATIS ACUTUS À g. — Costa (non Agassiz), XIX, p. 107, tav. VI, fig. 3. MyYLIOBATIS MERIDIONALIS Gerv.,— Botti in De Giorgi, XXVI, p. 49. MyLioBaTIs RupIANUS Cos. — Costa, XV, part. III, p. 140, tav. XII, fig. 20; Idem, XIX, p. 106. « ACULEO » — Costa, XV, part. III, p. 198, tav. XII, fig. 19. Fra i pesci fossili dell’Istituto tecnico di Lecce è un bellissimo dorulito (tav., fig. 13), completamente conservato, lungo 20 cm. e largo 13 mm. La faccia. inferiore è ricurva, la superiore leygermente inarcata e percorsa da numerose strie, un po’ sinuose, che verso l'estremità di impianto divengono più profonde. I den- telli sono sottili e con le punte lievemente ripiegate all’indietro. L'esemplare cor-. pai pe | risponde ance nella sua sezione trasversale, a quelli del pliocene di Montpel- lier, descritti da Gervais.. Alla stessa specie associo un altro lego di più modeste proporzioni, man- | cante di breve tratto della punta, e conservato anche nell’Istituto di Lecce. P. Un'altra difesa fu ascritta dal Costa a Myliobatis acutus A g., dell’ArguUla _& Londra. L'esemplare del Costa è massiccio, coi dentelli piuttosto piccoli , la | punta acuta, la faccia superiore poco rilevata; nella specie di Agassiz, invece, la sezione è cava internamente, i denti sono grafidi, la punta troncata e la su- perficie rigonfia. Anche questo è un W7/. meridionalis Gervais. A questa specie vanno pure riferiti dei frammenti di aculei, due dei quali furono descritti dal Costa, il primo come My/. Rudianus (Costa, XV, part. III, p. 140 e XIX, p. 106) e l’altro, ur piccolissimo avanzo mal ridotto, indicato col nome di « aculeo ». Il Rudianus è l'originale della fig. 20 a tav. XII della parte II della Paleontologia, per la quale figura è detto, nella spiegazione della tavo- la, « frammento di ittiodorulito ». È Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (41 e 2). I Myliobatis microrhizus Delfortrie E. Delfortrie, XXVII, p. 225, tav. X, fig. 37 4 MyLioBaTtIs MIcRORHIZUS Delf. — Lawley e Issel in Seguenza G., LVII, p. 73; Seguen- za L., LIX, p. 10. MytLioBaTIS PUNctaTUS Ag. ——Botti (non Agassiz) in De Giorgi, XXVI, p. 49. È Questa specie è rappresentata da una piastra dentaria inferiore proveniente da _Ambutì, e da frammenti di placche che ho riscontrati nella pietra leccese. | | MiocenE MEDIO — Sabbie calcaree di Ambutì. Calcare di Lecce (41 e 2). Myliobatis salentinus Botti U. Botti, XI, fig. nel testo; Botti in Lawley, XXXVIII, p. 9 Piastra vomeriana quasi quadrata, con denti centrali e dentini laterali; un po’ consunta in avanti, incompleta nella parte posteriore. Miocene MEDIO — Calcare di Galugnano presso Lecce (2). Myliobatis sp. Alcuni avanzi dei quali non può indicarsi con sicurezza la specie : MyLioBaTIS APENNINUS Cos.— Costa, XV, part. I, p. 129, tav. VII, fig. 8. Piccolo frammento di placca dentaria, proveniente da Mormanno. Ha qualche | somiglianza col 2yl. meridionalis Gerv., del pliocene di Montpellier. io ile ii ra ”4 Pr Ta — da MyLIoBATIS sp. — Costa, XV, part. III, p. 186. Frammenti di placche dentarie raccolti nelle argille di Carovizzi. MyLiosatIS CapiALBII Cos. — Costa, XV, p. III, p. 140; Id., XVIII, p. 106. » Alla pag. 140 questo aculeo è indicato come proveniente da Lavinnio; nel- l’Appendice, a pag. 106, da Carqvizzi. MiocenE MeEDpIO — Argille di Carovizzi. TERZIARIO — Tufo calcareo di Mormanno (4). ESEMPLARI DI DETERMINAZIONE DUBBIA 1. Sphyrna aut Carcharias? CoRAX APPENDICULATUS Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 66, tav. VII, fig. 36 e. i 37 (non 62); (Carcharias [ Prionodon] sp. in Woodward, » LXII, p. 442). ‘ GaLEocERDUS MINOR Ag. — Costa (non Agassiz), XV, part. II, p. 63, tav. V, fig. 13 e tav. VII, fig. 15, 16, 17, 34, 35, 39, 61 (non 40); (Curcharias? in Woodward, LXII, p. 446; Carcharias in Bassani, V, p. 37). Denti a margine seghettato, che non presentano caratteri sufficienti per una sicura determinazione. Miocene MEDIO — Calcare di Lecce (4) *). 2. Famiglia Spinacidae ? CENTROPTERUS LIVIDUS Cos, — Costa, XV, part. III, p. 123, tav. XII, fig. 13; (Spinax lividus in Bassani, IV, p. 37 e 89). Le osservazioni per le quali il Bassani riferì il Centropterus lividus al gen. Spinax furono fatte sulla sola figura datane dall’autore, la quale non corrisponde: all’ originale, che io ho esaminato, e che lascia vedere solo un breve tratto di colonna vertebrale non ben netta e qua e là qualche pezzetto di zigrino. Ne è im- possibile qualsiasi determinazione generica: probabilmente appartiene alla fami- glia Spinacidae. Crevaceo — Calcare di Pietraroia (4). *) Sono da ricordare inoltre i seguenti avanzi citati dal Costa e non ritrovati nella col-- lezione: « Varie vertebre, della roccia appennina di Bagnoli e Pietraroia e del calcare di Lecce » (Co- sta, XV, part. I, p. 134). « Aculei e raggi di pinne, del calcare di Pietraroia » (Costa, XV, part. III, p. 140, tav. IV). ; i did i 23. ia A / x ara Migt ur " IR ORA La DIRSI VOS ee MENEIRIABINPi n EERUTE TE PE A | ML A "ito Hai ari si x di s 25 ha ESEMPLARI DI PROVENIENZA IGNOTA Nelle tavole della Paleontologia del Costa (XV) si trovano parecchie figure ricordate solo nella spiegazione delle stesse. Di alcune, avendo trovato gli esem- plari, si è conosciuta la provenienza e sono state iscritte al loro posto nelle pa- gine precedenti; le altre, di cui non si rinvengono gli originali, sono le seguenti: «Corax»........... Parte II, tav. V, fig. 11. = Galeocerdo aduncus. « Noripanus REcURvVUS» . . {d., tav. VII, fig. 21... = Indeterminabile. <«OxyRHiNA MINUTA » .... Id., tav. VII, fig. 50... = Odontaspis cuspidata. urti dI 0... Id., tav. VI, fig. 11... . = Oxyrhina hastalis. CRA, RIE «+ ...+> Id., tav. VII, fig. 38 e 49= fig. 38, Curcharias? z » 49, Odontaspis contortidens. ATTI — Vol. XII— Serie 29— N° 2. 4 ab PI A IL TAI E I SHE 5 , 1082 “£ ARIE? i lil Sa Quadro comparativo delle determinazioni di 0. G. Costa * e di quelle risultate. in seguito alla presente revisione. (I numeri con asterisco si riferiscono alle figure i cui originali si conservano nella collezione. dell’ Istituto geologico dell’ Università di Napoli). SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE DATA DA COSsTA| DENOMINAZIONE IN QUESTO LAVORO DE — Pagina Paleontologia del Regno di Napoli, Parte |. Tav. VII, fig. 8*. Myliobates apenninus Cos. > Sali E. » 2*. Carcharodon megalodon Ag. . » 3*. Hemipristis serra Ag. > 43, » varietas . Galeocerdus rectus Cos. » 6* Otodus salentinus Cos. » 7* Sphyrna prisca Ag. . » 8*. Oxyrhina Zippei Ag. DID » xyphodon Ag. » 10612*.» hastalis Ag. . DITE » leptodon A g. . Myliobatis sp. Ag > . Carcharodon megalodon A g. à | Hemipristis serra A g. . Galeocerdo aduncus A g. Oxyrhina Desori Ag. . Sphyrna prisca A g. ; | Oxyrhina hastalis Ag. > » 13*, 14*, 15*. Denti, per i quali vedi la 2° parte » 16. Lamna dubia Ag. >: » longidens Ag. » 18. » contortidens Ag. » 19*. Oxyrhina Zippei A g. » 28. Lamna raphiodon Ag. » 29. Corax falcatus A g. » 30. Odontaspis elegans A g. Paleontologia del Regno di Napoli, Parte Il. Tav. V, fig. 1*. Carcharodon productus A g. ‘) Paleontologia del Regno di Napoli, [XV], parte I, p. 196 e 197; parte Il, p. 361 e 362; parte II, p 198; » 2e3* » megalodon Ag. » 4% » rectidens Ag. . DID » auriculatus Blainv. » 6% » interamniae (cs. puelE >» tumidissimus Cos. latissimus Cos. » 9* Galeocerdus.... . . » 10. Galeocerdus rectus Cos. » 41. Corixi.... IERI. » 12*. Hemipristis paucidens A g. » 13. Galeocerdus minor A g. . 1*. Carcharodon megalodon A g. » 2. » rectidens A g. . WB E angustidens Ag. . » 4. » arcuatus Cos. . » 5. Oxyrhina plicatilis A g. . » 10; » hbastalis Ag. PI fd » Desori A g. » 8. » subinflata A g. » 9610. » hastalis Ag. . » 11. Oxyrhina..... ppendice, [XIX], p. 126 e 127). . Hemipristis serra Ag. 4 Odontaspis cuspidata A g. sp. . Odontaspis contortidens A g. Oxyrhina hastalis Ag. Odontaspis contortidens A g. Galeocerdo aduncus Ag. Odontaspis contortidens A g. bi Ri megalodon Ag. Ì . Carcharodon auriculatus Blainv. sp. .| 6 È | Carcharodon megalodon Ag. È { Galeocerdo aduncus Ag.. Galeocerdo aduncus A g. Hemipristis serra A g. - Sphyrna aut Carcharias?. \ = ‘) Carcharodon megalodon A g. l | Oxyrbhina hastalis Ag. . Oxyrhina Desori A g. . | Oxyrhina hastalis A g. Oxyrhina hastalis Ag. . 13 12 13 . | 25 “ —————_ \ l c Tav. VII, fig. 1*, 2*, 3*. Oxyrhina Desori A g. . » 4* Oxyrhina Mantelli Ag. . » 5. » xyphodon Ag. >» 6. » leptodon A g. . Miti » bastalis Ag. LIRA = PE: PAIONO brevis Cos. » 10, 11*. » tumidula Cos. » 12* » Wilsoni Gibb. » 13 » Desori A g. » 14*. Galeocerdus gibbus Cos. » 15%, 16*, 17*, 34%, 35*, 39*, 40*, 61*. Forme diverse di denti del Galeo- cerdus minor A g. » 36*, 37*, 62*. Forme diverse di denti di Corax appendiculatus Ag. » 41 e 42. Otodus appendiculatus A g. . » 43, 44, 45. Forme diverse di Hemipri- stis minutus Cos, » 38 e 49. » 46*-48*. Forme diverse dell’ Hemipri- stis serra A g. » 18, 19*, 20*, 25. Forme diverse della Oxyrhina basisulcata Sism. » 21, 22*, 23“. Piccoli di forme diverse della specie seguente . » 24*. Notidanus recurvus A g. » 26*. Galeocerdus denticulatus A g.. » 27,28. » adunens Ag, . » 29*. Corax Egertoni Ag.? . . . » 30*, 31, 32, 33. Forme diverse di He- mipristis paucidens Ag. . » 50, 51*. Oxyrbina minuta Ag. » 52%, 53*-58. Forme diverse dell’ Oxy- rhina minuta A g. » 59%, 60*, 63. Selache vetusta Cos. Paleontologia del Regno di Napoli, Parte Ill. Tav. XII, fig. 18. Centropterus lividus Cos... » 15. Vertebra di pesce squalideo » 19*. Aculeo. » 20*. Frammento di (78 MMM Appendice alla Paleontologia del Regno di Napoli Tav. VI, fig. 1. » 2. Carcharodon crassus Cos. » auriculatus, var. falci- formis Cos. . > 3*. Aculeo di Myliobatis acutus rat g. » 9*. Centrina exigua Cos, Tav, C. Rhinobatus obtusatus Cos. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE DATA DA COSTA! DENOMINAZIONE IN QUESTO LAV oRO | 3 36 e 37. Sphyrna aut EA 3 RN ld | 1e3. Ox. Desori A g.; 2. Ox. hastalis A g. Oxyrhina Desori Ag. . Orti hastalis Ag. Do È Oxyrhina Desori A g. . Galeocerdo aduncus Ag. . 115, 16, 17, 34, 35, 39,61. Sphycha ‘nol Car chaiba i 40. Carcharias ( Aprion. ) Oa Sism. sp... 62. Carcharias sp. . . Oxyrhina Desori A g. . Hemipristis serra A g, 38. Carcharias?. s È 49. Odontaspis contor Da nel : Hemipristis serra A g. 1 18. Carcharias sp. 19 e 20. Casdhitiac (apr) Vadis al Sism. sp... ava \ 25. Oxyrhina Desori Pa Saga È 22 e 23. Odontaspis cuspidata Ag. sp. . DI 21. Indeterminabile SECIT Notidanus primigenius Ag. Galeocerdo aduncus A g. Hemipristis serra A g. 50. Odontaspis cuspidata sa sp. 51, Hemipristis serra A g. Oxyrhina hastalis A g. 59. Hemipristis serra A g. \60. Carcharias sp. . 63. Chrysophrys sp. Fam. Spinacidae? . Lamna sp. ; Myliobatis meridionalis Gerv, . Myliobatis meridionalis Gerv, Centrina Salvianii Risso. | Carcharodon megalodon Ag. . . . . Rhinobatus obtusatus Cos. | è al fia Pogfg (ri N ————————_____—_____—@k€ÉÈnÈ_@"z —@——_y__ m__@—__________—32=_—@6+ bd O N | Carcharodon megalodon Ag... specie Cretaceo Hocene medio Aetobatis arcuatus Ag. Aetobutis sp. i Carcharias (Apr ) basisulcatus Sism. sp. o Carcharias (Hypopr.) singularis Probst. Carcharias (Prion.) Egertoni Ag. sp. . Carcharias (Prion.) glaucus Linn. sp. Carcharias (Prion.) lumia Ris so Carcharias sp. Carcharodon aur iculatus Blainv. sp. Caurcharodon Rondeleti M. et H. | Carcharodon sp. % | Centrina Sulvianti Vifisot: | Galeocerdo aduncus A g. Galeus canis Rond. Hemipristis serra A 2. Myliobatis meridionalis Gerv. Myliobatis microrhizus Delf. Ilyliobatis salenitinus Botti. . AMyliobatis sp. . | Notidanus griseus Cuv. Notidanus primigenius Ag. Odontaspis contortidens Ag. Odontaspis cuspidata Ag. sp. Odontaspis ferox Risso sp. Odontaspis sp. Oxryrhina crassa Ag. | Oryrhina Desori Ag. | Oxyrhina hastalis Ag. . Oryrhina Spallanzanii Bonap. Oxryrhina sp. | Pristis lyceensis Vigl. | Raja clavata Linn. Ithinobatus obtusatus Cos. | Scymnus lichia Cuv. (0) Sphyrna prisca Ag. Squatina alata Probst. Lamna sp. . . L . pai tati Myliobatis Faujasi Ag. sp. al Las Gig tr (la, MST dl GRSIORTS +3 PSI NS SSNERTI | pria QUADRO RIASSUNTIVO DELLE SPECIE E DELLE LOCALITÀ *) | Miocene inferiore (?) L:3 1(?) Miocene medio 7.9.13.15.22.23,24,26,31.34. 35.36.37.43.44.47.53,54,58. 60.61.62.64.65.66.69. 35 (2). 65 (1). 6.11.15.30.50.64 . 15.16.24.35.64.69. 15.24.35.48.69. 35.47.64 O. 8.15.16.19,35,47.48,64,65. Av}: Pi (© DAB sil dec 8.15.16.17.19.27.85.36.43. 47.64.65.69.71 35. 15.20.24.27.35.47.48.65.69 . 3.15.16.19.24.30.34.35. .48,47.63.64.65.69.70.71. 35 5,2 8.1 37 6.23.95.44.54. ;E ‘ di. 15.35.6469. 35, | Miocene superiore 12.25 25... Pliocene Postpliocene Guai al ate pos SEE std ed E «6° ela) ala ge 00 A N O I. s, n.d ‘el'oiale Mele è (o. 0 vere la e 0 e e. 00 è. a ISO of ate a ele E 10.13.38.42. 00.55.06.67. | 59. ei me è, (Pea Se e talea A d de ‘e’ gato to 0 O. «Ue è AT SIZE O o @ a. & n SEN MI *) I numeri corrispondono a quelli dell'indice alfabetico delle località. INDICE ALFABETICO DELLE SPECIE NOMINATE IN QUESTO LAVORO (I numeri si riferiscono alle pagine: quelli in corsivo indicano le sinonimie) Aetobatis arcuatus, 21. Seguenzae, 22. minimus, 76. sp., 22. Pantanellii, 18. Carcharias ( Aprion.) basisulca-| Galeocerdus denticulatus, 17. tus, 15. gibbus, 17. (Hypoprion) singularis, 15. | minor, 15. 24. (Prionodon) Egertoni, 16. | rectus, 77. Galeocerdo latidens, 17. _» glaucus, 16. sp., 17. » lamia, 16. | Galeus canis, 18. » similis, 16. Glyphis Scacchii, 78. » subglaucus, 16. urcianensis, 16. Hemipristis minutus, 18. paucidens, 18. serra, 18. sp., 16. 25. Carcharodon angustidens, 6, 8. arcuatus, 6. auriculatus, 6, 6. var. falciformis, 6. crassus, 6. etruscus, 3. ! interamniae, 0. | | Lamna adunca, 9. contortidens, 9. crassidens, 12. 14. cuspidata, 10. dubia, 10. latissimus, 7. elegans, 9. 10. megalodon, 6. 7. var. siculus, 7. var. subauriculatus, 7. raphiodo», 9. (Sphenodus) longidens, 10. productus, 7. Sp... rectidens, 7. aut Odontaspis?, 11. Ta Rondeleti, 8. Myliobatis acutus, 22. [> sp., 8,8. apenninus, 23. He - subauriculatus, 7. Capialbii, 24. DI sulcidens, 8. Faujasi, 22. ti tumidissimus, 7. meridionalis, 22. Centrina Bassanii, 19. exigua, 19. È Salvianii, 19. Centropterus lividus, 24. Chrysopbrys sp., 17. Corax appendiculatus, 16. 24, Egertoni, 16. 17. microrhizus, 23. punctatus, 23. Rudianus, 24. salentinus, 23. sp., 23. Notidanus griseus, 19. primigenius, 19. dubia, 9. 10. elegans, 9. Galeocerdo aduncus, 17. 25. etruscus, 16. nl a he i cr DR Mata (Odontaspis) contortidens, 9. ————_———+—————____mmtt—tT____—_——_—_—_—_—__—_ ____ _1@@@1I falcatus, 17. recurvus, 10. 19. 25. pedemontanus, 16. Odontaspis contortidens, 9. 25. sp. 25. cuspidata, 10. 25. Odontaspis ferox, 11. sp., 11. Otodus appendiculatus, 12. salentinus, 12. Oxyrhina Agassizi, 12. angustata, 14. basisulcata, 12. 15. 16. brevis, 12. crassa, ll. Desori, 12. 12. 14. hastalis, 12. 25. leptodon, 13. Mantelli, 12. 14. minuta, 12. 18. 25. plicatilis, 13. quadrans, ff. Spallanzanii, 14. sp., 14. 25. subinfiata, 13. trigonodon, 13. tumidula, 13. Vanieri, 12. Wilsoni, 12. xyphodon, 13. Zippei, 13. Pristis lyceensis, 20. Ptychacanthus Faujasi, 22. Raja antiqua, 21. clavata, 21. sp., 21. Rhinobatus obtusatus, 21. Scymnus lichia (?), 20. Selache vetusta, 16. 18. Sphyrna prisca, 19. aut Carcharias? 24 Spinax lividus, 24. Squalus auriculatus, 6. ferox, 11. glaucus, 16. griseus, 19. Squatina alata, 20. aff. d’Anconai, 20. n = Ho 00 I Sì Ct to 0 INDICE ALFABETICO DELLE LOCALITÀ . Agnana (Reggio) . Amato (Catanzaro) . Ambutiì (Reggio) . Ardore (Reggio) . Bagnoli (Avellino) . Bagnolo (Lecce) Benestare (Reggio) . Briatico (Catanzaro) . Caccuri (Catanzaro) . Calanna (Reggio) . Calvello (Potenza) 2. Capo d’ Armi (Reggio) . Capo di Leuca (Lecce) . Carovizzi (Catanzaro) * . Catanzaro . Cerisano (Cosenza) . Cocuzzo (Cosenza) . Colle S. Magno (Caserta) . Conidoni (Catanzaro) . Corigliano (Lecce) . Cotrone (Catanzaro) . Cotronei (Catanzaro) . Cropalati (Cosenza) . Cursi (Lecce) . Falcò (Reggio) dI dI Co dI CI CI (io) > O 90 1 Si Ut H> CO N a I (ei . Francavilla (Catanzaro) . Gagliano (Lecce) . Galatina (Lecce) . Gallina (Reggio) 30. . Gerace (Reggio) . Isola [Gran Sasso] (Teramo)! . Lana (Chieti) . Lazzaro (Reggio) Galugnano (Lecce) . Lecce . Lettomanopello (Chieti) . Malochio (Reggio) . Matera (Potenza) . Monteleone (Catanzaro) . Montorio (Teramo) . Mormanno (Cosenza) . Nasiti (Reggio) . Palmi (Reggio) . Paludi (Cosenza) . Pietracupa (Campobasso) . Pietraroia (Benevento) . Pizzo (Catanzaro) . Poggio Picenze (Aquila) 49. . Reggio Potenza 51. 52. . Rombiolo (Catanzaro) . Rossano (Cosenza) . Ruvo del Monte (Potenza); . S. Agata (Reggio) . S. Angiolo (Catanzaro) . S. Barbara (Reggio) >» S Riace (Reggio) Rodi (Foggia) . Demetrio Corone (Cosen-. za) S. Giovanni in Fiore (Cosen- za) . S. Gregorio d’ Ippona (Ca-- tanzaro) . Scala-Coeli (Cosenza) . Scannapieco (Catanzaro) . Soverato (Catanzaro) . Specchia (Lecce) . Stilo (Reggio) . Terreti (Reggio) . Testa del Prato (Reggio) . Tocco da Casauria [miniera. di S. Spirito] (Chieti) . Tropea (Catanzaro) 71. Vena di Sopra (Catanzaro). n cd vasta A e ff al ve dA; À si PI # Sn Pia: ’ Via IA BOSE ER (Mie te “pr r era RETI to Y 5 e. siii i cei Rei QRL PC A le x È ada » tI ils I detti an Pi uc pub: pe INDICE GENERALE "Preto . ». . . . . . . . . ». ° . . . . . pa tr, 1 grafia . ì x A n 3 : ; È - i; È IR 3 indice delle collezioni in cui si ipand Lù esemplari gusti in aan lavoro . e : it 5 Parte descrittiva . : + È È è \ 6 . >» 6-25 i | Carcharodon auriculatus Bl. sp. . . . ai 6 dla HEI Ross. ell Metro i PIE AS » megalodon Ag. . . . pellani | Henmipristis serra Ag. . ct... 0» ivi "nd » Rondeleti Miller et ca wWilgS | Sphyrna prisentAg..0. . a» 19 ni » sp. >» ivi) Notidanus griseus Gmel. sp. . . . » ivi Lamna sp. . xr-9 » primigenius Ag. . . . . » ivi . Odontaspis Lido do » ivi | Centrina Salvianii Risso . . . . . » ivi i » cuspidata Ag. sp. . . . >» 10 Scymnuslichia Cuvier (?) . . . . » 20 ra » ferox Risso sp. » Il|Squatina alata Probst_. .... » ivi Z » MR I rendi Vida LL. . >» ivi WOxyrhina crassa Ag. . . . .. » ivi| Rhinobatus obtusatus Costa. . . . » 21 a » Desori Ag. . tia ds0-Rajavelavata Linn... 0. » ivi » hastalis Ag. . . . . . . » ivi] Aetobatis arcuatus Ag... » ivi » Spallanzanii Bonap. . . . » 14 » O rn i e - » 22 » © IV RE » ivi | Myliobatis Faujasi A i RSS 7 | Carcharias (Apr.) basisulcatus ci PA » 15 | » meridionalis Gerv. . . » ivi (Hypopr.) singularis Probst » ivi, » microrhizus Delf. » 23 (Prion.) Egertoni Ag. sp. m .16 » salentinus Botti » ivi >» glaucus Linn. sp.. » ivi » AE n » lamia Risso . » ivi|Sphyrna aut Carcharias? . . . . . » 24 Sp. . = re rico Balinianugno Dl do. ivi | Galeocerdo sifiiopua rea 7 RNA » 17 | Esemplari di provenienza ignota. . . » 25 dro comparativo delle determinazioni & O. G. Costa e di quelle risultate in seguito alla | presente revisione . . : . . - . . 2 ; È È È . pag. 26 " Quadro riassuntivo delle specie e delle località . o 1 ? tetta È a Sg lice alfabetico delle specie nominate in questo lavoro . È > 3 È 5 ; AR PISO: e alfabetico delle località . 7 NATU: - : SAT " 5 È SR e egazione della tavola . . : : ” : a È < ” " Lara lato della stessa finita di stampare il di 13 AQ0S0O 1903 93 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA *) (Tutti gli esemplari, figurati in grandezza naturale, provengono dal calcare miocenico di Lecce) Fig. 1, pag. 8, Carcharodon Rondeleti M. et H.— Dente della parte mediana, faccia interna. » la — Lo stesso, faccia esterna. "SR 0] — Lo stesso, di profilo. » 2, -> 9, Lamna sp. — Vertebra, di fronte. sia — La stessa, di fianco. » 3, » 11, Oxyrhinacrassa Ag. — Dente laterale anteriore, faccia interna. » da — Lo stesso, di profilo. » 4 » 15, Carcharias(Aprion.) basisulca- tus Sism. sp. — Dente laterale anteriore, faccia interna. da — Lo stesso, faccia esterna. » 5, » 15, Carcharias (Aprion.) basisulca- tus Sism. sp. — Dente laterale posteriore, faccia interna. » da — Lo stesso, faccia esterna. » 6, >» 15, Carcharias (Hypoprion) singu- laris Probst — Dante laterale anteriore, faccia interna. » 7.9, » 16, Carcharias ( Prionodon) Eger- toni Ag. sp. — Denti laterali anteriori, faccia interna. » 10, » 20, Squatina alata Probst — Dente, visto dalla faccia interna. » 104 i — Lo stesso, faccia esterna. » 106 — Lo stesso, di profilo. » 10€ — Lo stesso, visto dalla base. » 11, » 21, Aetobatis arcuatus A g. — Frammento di placca dentaria. » 12, » 22, Myliobatis Faujasi Ag. — Ittiodorulito. » 124 — Lo stesso, sezione trasversale m — %. » 120 —- Lo stesso, sezione trasversale m' — #2. » 13, » 22. Myliobatis meridionalis Gerv. — Ittiodorulito. "I » 134 — Lo stesso, sezione trasversale r — s. *) Gli esemplari delle fig. 1, 2, 4-10 si conservano nell'Istituto di Geologia dell’ Università. di Napoli; quelli delle fig. 3, 11-18, nell'Istituto tecnico di Lecce. Atti Acc. Sc. fis. e mat. di Napoli, Vol. XII, n. 2 99 culpaso LE a FLIOT DALZOLANI & ALRRARIO- MILANO M. PASQUALE, Selac. foss. dell’Italia merid.e 12 (| w se DGAZZZIONI eso Vr Vol. XII, Serie 2.3 È N° 4 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE LE ALGHE DELLE ARGILLE MARNOSE PLEISTOCENICHE DI TARANTO MEMORIA del Dottor AURELIO DE GASPARIS presentata nell’adunanza del dì 4 Luglio 1903. Debbo alla cortesia del Prof. Francesco Bassani, direttore del Museo Geo- logico Universitario di Napoli, l’ opportunità di aver potuto studiare un discreto numero di alghe delle argille marnose pleistoceniche di Taranto, i cui saggi furono cortesemente messi a sua disposizione, insieme con un gran numero di pesci, che egli sta illustrando — dal sig. Dott. Luigi de Marchesetti, direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste, al quale appartengono. Sull’età di queste argille, ancora controversa, scrissero recentemente una par- ticolareggiata memoria il Verri ed il de Angelis d’Ossat, alla quale rimando il lettore per ciò che riguarda la geologia di quei terreni e la relativa bibliografia ') L’esame delle alghe in discorso (la cui conservazione può dirsi in alcuni esemplari perfetta), sia perchè esse appartengono a specie tuttora viventi, sia perchè non mostrano condizioni biologiche mutate, avvalora le conclusioni recentemente ottenute da alcuni geologi], che, cioè, le argille di Taranto vanno riferite al Plei- stocene. Le pubblicazioni, le"quali riguardano le alghe fossili appartenenti ai depositi quaternarii, sono in numero assai ristretto e quasi tutte trattano specialmente delle diatomee. I lavori generali sulla fiora pleistocenica sono concordi a riconoscerla corrispondente all’ odierna. C. Gaudin e C. Strozzi *), i quali si sono occupati della flora diluviale, ed anche l’ Heer *) nel suo lavoro sul clima e sulla vegetazione del terziario ànno riconosciuto la perfetta identità della flora pleistocenica coll’ attuale. 1) A, Verri e G. de Angelis d’Ossat, Cenni sulla geologia di Taranto — Boll. d. Soc. Geol. Italiana. Vol. XVIII. *) C. Gaudin e C, Strozzi, Contributions à la flore fossile italienne, 1860 — Nouveaux mémoires de la Société helvétique. Tome XVIII. ?) O, Heer, Recherches sur le climat et la vegetation du pays tertiarie, 1861. ATTI — Vol. XII— Serie 22—N 4A, a Ve I Le specie terrestri messe in rilievo dal Meschinelli ') nci tufi del monte Somma non differiscono neanche nei minimi dettagli dalle specie viventi. In tutti, però, questi lavori generali si tratta esclusivamente di piante supe- riori terrestri, ed in quelli che citerò più avanti esclusivamente o quasi di diatomee oppure di alghe appena rappresentate da qualche specie. Ragione per la quale ho stimato le indagini compiute non prive d’ interesse scientifico , sia perchè ricolmano in parte una lacuna esistente nelle nostre ricerche paleofitologiche italiane, sia perchè facilitano il compito di farci acquistare un concetto più chiaro e determi- nato sul valore cronologico degli strati tarantini in guistione. ‘Lo Schimper °) nel suo splendido trattato di Paleontologia vegetale bene si appone considerando la fauna e la flora vivente come una continuazione delle faune e flore del pleistocene: « Une chose digne de remarque, c'est que depuis le commencement de l’ époque quaternave jusquà nos jours, les faunes aquatigues, pour autant que nous co- naissons, n'ont pas changé ; e’ est une preuve de plus que l époque quaternawre ne saurait étre separte de l’époque actuelle — e più avanti: la botanique viendra con- frmer ce que la zoologie a déjà è peu près prouvé , à savoir que dans toutes les parties de la terre les Faunes et les Flores quaternaires forment avec les Paunes actuellement eristantes un ensemble continu ». I lavori del Clerici *), dello Schroeter ‘), dello Stròse°), del Bonardi) e Parona, del Noetling ‘), del Bauer*), del Lanzi °), del Corti ') e del Wille‘'), nei quali troviamo descritte alghe postplioceniche, menano alle stesse conclusioni. In un lavoro del De Lorenzo (Studii di Geologia nell'Appennino meridio- nale. Mem. R. Accad. Sc. fis. mat. di Napoli. Vol. VIII, Napoli 1896) pubblicai un elenco di specie di Diatomee dei laghi postpliocenici, e più tardi sullo stesso argomento, del quale anche il de Angelis nel 1895 negli Atti dell’Accademia Gioenia aveva fatto cenno, fu pubblicato un lavoro completo e bene elaborato dai !) Dott. L. Meschinelli, La flora dei tufi del Monte Somma, 1890 — Rendiconto della R. Accademia delle Scienze di Napoli. 3) W. Ch. Schimper, Zraité de Palcont. veget. Paris. *) E. Clerici, Il travertino di Piano Romano — Bollettino del R. Com. geol. d’ Italia, Ser. II, vol. VIIT. 4)Jul. Schroeter, Ueder die von den Herren Prof. Engler, Cohn und Schròter, am 10 Oct. 1884 unternommene Eacursion zur Untersuchung der Torfmoore bei Tillowit, 0, 5, 1885, Breslau. 5) K, Stréòse, Das Bacillarienlager bei Kliehen in Anhalt, Dessau, 1884. *) E. Bonardi e C. F. Parona, Licerche micropaleontologiche sulle argille del bacino li- gnitico di Leffe in Val Gandino — Atti della Soc. Ital. di sc. nat., XXVI. *) Fritz Noetling, Ueder Diatomeenschichten des westpreuss. Diluviums. 8) Bauer Max., Dus diluviale Diatomeenlager aus dem Wilmsdorfer Forst. bei Zinten in Ostpreussen — Zeit. d, deut. Geol. Gesel., XXXIII, fasc. 2. °) Matteo Lanzi, Le diatomee fossili di Tor di Quinto — Atti dell’ Accad. pontit d. n Lincei, 1881. !) B, Corti, Ricerche micropaleontologiche sul deposito glaciale di Re in Val Vegezzo — Rend. Ist. lomb., Milano, ser. II, vol. 28. 14) N. Wille, Om et subfossilt Fund of Zostera marina — Geol. Fòren i Stockholm Fòr- hand]. Bd. 16. Stockholm, 1894. Riga Proff. G. de Angelis d’Ossat e F. Bonetti (Mammiferi fossili dell’antico lago del Mercure (Calabria) e Microflora fossile, Atti Acc. Gioenia, Vol. X, Serie 4.° Mem. XV). Anche questi studii avvalorano i concetti esposti. Queste specie sono meravigliosamente conservate e pare che non abbiano subìto una rilevante diminuzione di volume, come si può ben giudicare dall’ esame dei Codii, i quali, benchè di minima resistenza, ànno quasi serbato il loro spessore normale. La colorazione mostra un certo interesse dal punto di vista della conservazione, La tinta porporina delle floridee, nelle sue gradazioni dal roseo sino al coccineo, ha subìto nel l. nto lavorìo dei secoli una leggiera modificazione, oscillando dal giallo roseo al rosso bruno: la qual cosa è degna di nota, tenuto conto che la materia colorante delle Floridee non è molto stabile. Le alghe colorate in giallo bruno ànno conservato il loro colore, ma assai diminuito in intensità. Le alghe verdi si mostrano imbianchite o totalmente annerite. Rispetto alla distribuzione delie specie in rapporto alla profondità del mare, non è rigorosamente scientifico trarre conclusioni troppo decisive, visto che le alghe vengono continuamente distaccate dal fondo e spinte verso la spiaggia, onde av- viene frequentemente che possono raccogliersi in acque basse numerosissime specie appartenenti a varie zone e profondità; ciò che può dirsi con probabilità è che le specie raccolte vivono dai cinque ai trentacinque metri di profondità ed anche oltre; le alghe studiate possono dirsi appartenere quasi tutte alla seconda zona. Tutte le specie esaminate, tranne una, di cui una specie vicina vive sulle coste dell’Algeria, si raccolgono in prossimità delle coste italiane. . Le alghe che formano l’argomento di questo lavoro vanno ascritte ai seguenti gruppi: Confervacee, Sifonee, Laminariee, Gongilospermee, Nematospermee, Or- mospermee e Desmiospermee. CONFERVACEAE Chaetomorpha crassa (Ag.) Ktz. (?) Ktz. Phyc. germ. 204-— Sp. p. 379, Tab. Phyc. III, 59, 11 — Ardiss. Phyc. Med. pag. 213 vol. II — Rabenh, F7. Eu. 4/9. p. 328. — Erb. critt. ital. Ser. I n.° 757. CONFERVA GRASSA, Ag. — Ag., Syst. p. 99. C. cAPILLARIS, Dillw. — Dillw, Conf. tab. 9. CHAETOMORPHA TORULOSA, Ktz.— Ktz., Phyce. germ. p. 204. ConrERvA TORULOSA, Zanard. — Zanard, Suggio p. 61. Appartiene assai probabilmente a questa specie un esemplare non molto ben conservato. ito irrita ne en SIPHONEAE Codium tomentosum. Ag. Fucus romentosus, Huds. — Huds, 77. Angl. p. 584— Turn, Zist. tab. 135. Spox6opitm pIicHoromum, Lamx. — Lamx. Ess. pag. 73 — De Not, Sp. Aly. fig. n.° 73. Copium VermiLaRA, Delle Chiaie — Delle Chiaie, Hydr. Neap. p. 14, tav. XXXIX. C. pecumBens, Mart. — Mart. 7/. Bras. I, p. 19. C. FILIFORME, Montg. — Montg. FI. d’Alger. p. 50, tav. 10, fig. 2. C. simpLex, De Not. — De Not. Prosp. FI. lig. p. 66. « Due esemplari perfettamente conservati sono riferibili a questa specie; gl'in- dividui studiati hanno un medio sviluppo; i rami più o meno dicotomi non hanno una lunghezza superiore a quattro o cinque centimetri ed uno spessore medio di tre millimetri: essi presentano una colorazione bianca, che fa spiccare la forma sul fondo gialliccio della roccia. La colorazione bianchiccia è rapidamente acqui- stata dalle diverse specie di Codivm dopo pochi giorni da che sono abbandonati sulle spiaggie. DICTYOTEAE Harv. Dictyota dichotoma (Huds) Lamx. Ard. Phyc. Med. p. 478 — Menegh. 4/9. ital. e dalm. p. 224.— Rabenh. A/9. Europ. n.° 1818. DicHoPAyLLIUM picHoroMuM, Ktz. — Ktz. Phyc. p. 437. ZONARIA DICHOTOMA, A g. — Ag. Sp. 1, p. 133 — Syst. p. 266 — Delle Chiaie, Hydr. Neap. tab. XIII. Fucus pIicHoromus, Bert. — Bert. Amoen. p. 314. ULva picHoroMa, Huds. — Huds. 7/. angl. p. 496. Dicryora vuLsarIs, Ktz. — Ktz. Phyc. germ. p 270—Sp. p. 553 —Tad. Phyc. IX, 10, II. DICHOPHYLLIUM VULGARE, Ktz. — Ktz. Phyc. p. 337. DicTtYOTA ATTENUATA, Ktz. — Ktz. Tab. Phyc. 1X, p. 6, tab. 11, L DicTyOTA LATIFOLIA, Ktz., — Ktz. Tab Phyc. IX, p. 6, tav. 12, L D. sIBENICENSIS, Zanard, — Zanard, in Ag. Tab. Phyc. IX, p. 5, tab. 9, IV. D. AcutAa, Ktz. — Ktz. Sp. p. 555 — Zub. Phyc. IX, 13, I D. IMPLEXA — Erb. critt. ital. Ser. I, n.° 209. Riferisco a questa specie un esemplare abbastanza ben conservato, esso misura la lunghezza di otto centimetri, è biforcato in basso e presenta nel ramo di sinistra una seconda divisione con due rami, i quali verso l'apice, che è più largo, accen- nano a dividersi; il colore è bruno. Un accurato esame dell’ esemplare ci rivela uno spessore non dissimile negli esemplari viventi. Questa specie si trova insieme ad individui di PA/ebothamnion graniferum, Men. GONGILOSPERMEAE Callithamnion granulatum (Ducluz) Ag. Sp. II, p. 177 — de Not. Sp. Alg. lig. n.° 110— Ard, Phic. med. vol. I, pag. 73. Ceramium GranuLATUM, Ducluz. — Ducluz. Ess. p. 72 CALLITHAMNION GRANDE, J. A g. — J. Ag. Alg. med. p. 73—Sp. II, p. 62 — Duf. Elene. Alg. Lig. n.° 86. PHLEBOTHAMNION GRANDE, Ktz. — Ktz. Sp. p. 658 — Tub. Phyc. XII, 13, L CALLITHAMNION sPoxGIOsuM, Harv. — Hohenack. Meeralg. n.° 278. PHLEBOTHAMNION sPoxGIosuM, Ktz. —Ktz. Sp. p. 658. Tub. Phyc. XII, 13, e-g. Ceramium GraTELOUPII, Duby. — Duby. Mem. s. le groupe des Ceram. C. rruTICULOSUM, Schousb. — Schousb. Race. alg. del Marocco. C. xuscorum, Draparn, — Draparn. Collezioni. L’ esemplare studiato non rivela un ottimo stato di conservazione, la qual cosa si verifica facilmente anche negli individui di recente preparazione; il colore bru- niccio è ben evidente.. CRYPTONEMIACEAE. Grateloupia filicina (W ulf.) Ag. Sp. I, pag. 223 — Syst. p. 241. J. Ag. Ag. med. p. 103. Sp. II, p. 180. Epier. p. 153 — de Not. = Alg. lig. n.° 25. — Tab. Phyc. XVII, 22 — Erb. critt. ital. Ser. I, n.° 479, Ser. II, n.° 328 — Ard. Phyc. med. p. 139. DELESSERIA FILICINA, Lamx. — Lamx. Diss. s. pl. esp. de fucus etc. Fucus riLicinus, W ulf. — Wulf. in Coll. Iacq. III, p. 157, tab. 16, fig. 2. HALYMENIA RAMENTACEA, Delle Chiaie — Delle Chiaie, Hydr. neap. a XVI. GRATELOUPIA DICHOTOMA var. speciosa, Ardiss., — Ardiss. Enum. Alg. Sicil. n.° 164, Gr. PORRACEA, Suhr. — Ktz. Phyc. p. 397 — Sp. p. 730 — Tab. Phyc. XVII, 25, a—c. Gr. concaTENATA, Ktz. — Ktz. Phyc. p. 397—Sp. p. 731— Tab. Phyc. XVII, 24 c—e, Gr. HorRIDA, Ktz. — Ktz. Phyc. T. 76 fig. 1—Sp. 1. c,.— Tab. Phyc. XVII, 26, b, d. Gr. rILIFORMIS, Ktz. — Ktz. Sp. l. c. — Tab. Phyc. XVII, 25, d—e. GR. PENNATULA, Ktz. — Ktz. Sp. 1. c.— Tab. Phyc. XVII, 27,a—b. A questa specie appartengono diversi bellissimi esemplari rimarchevoli per il loro colore rosso bruno, conservatissimo in alcuni, e per le svariate forme di sviluppo. È notevole in alcuni di questi esemplari il modo come si comportano fra loro le ramificazioni secondarie dei rami principali; quando questi sono collocati a breve distanza, i piccoli rami emessi a contatto dei rami principali si ripiegano for- "” , per errore]. Questa specie, riscontrata ora per la prima volta allo stato fossile, è rappre- sentata da due esemplari, appartenenti al Museo civico di Storia naturale di Trieste ‘). Uno di essi (fig. 1) — benissimo conservato, ove se ne eccettui la parte ante- riore del rostro, mancante — ha la lunghezza di 15 centimetri; aggiungendone uno e mezzo, che presso a poco deve corrispondere al tratto del muso che non esiste più, si può dire ch’esso era lungo 165 millimetri. La maggiore altezza del corpo ne misura 12. La porzione conservata della testa è lunga 35: tutta intera, doveva arrivare a 50. La distanza fra l’ estremità distale del rostro e il margine ante- riore dell’ orbita si può calcolare a 30. La colonna vertebrale ha 63 vertebre: le addominali, in numero di 38, pre- sentano zigapofisi notevolmente sviluppate. Le neurapofisi delle vertebre addominali e delle prime caudali sono molto sottili; le successive, a cominciare dal livello !) Di un terzo, dubbioso, che fa parte del Gabinetto di Storia naturale dell'Istituto tecnico di Lecce, rimangono soltanto la testa e il tratto anteriore della colonna vertebrale. FOTO ST SS R PI seo delle pinnule spurie, si mostrano più robuste; le sei posteriori, al pari delle corri- spondenti emapofisi, brevi e prostrate. Alla base delle ultime neurapofisi addominali si scorge qualche ossicino secondario. Le coste sono molto lunghe. Le pinne pettorali non sono conservate. Le ventrali, inserite alla metà del corpo, risultano di sei brevi raggi, sostenuti da ossa pelviche delicate e terminate in punta. La pinna dorsale occupa un'estensione di sette vertebre e ha undici raggi, sorretti da altrettanti interneurali, allargati all’ origine, e seguìti da sei pinnule spurie. L'anale, che comincia un po’ prima della dorsale e ha l’estensione di nove vertebre, ne conta tredici, con sette false pinnule. La pinna codale, sostenuta dall’ ultima vertebra espansa in due placchette e dalle apofisi della penultima e dell’ antepenultima, è lunga 16 millimetri ed ha i raggi distintamente articolati: la sua formola è 4°I:9—-8-I-4. Il secondo esemplare è intero, ma meno conservato del precedente, di cui è più piccolo. Misura la complessiva lunghezza di 105 millimetri ed ha la testa lunga 31. Il rostro, delicatissimo, ne raggiunge 18. Le vertebre sono 63. I caratteri suesposti provano la spettanza dei nostri due fossili al vivente Scombresox Rondeleti '). Nel tempo stesso — fatta astrazione dalla grandezza, molto diversa — ne dimostrano la strettissima affinità con il pesce del Tripoli di Orano in Algeria, originariamente riferito dal dott. Sauvage a Ze/one e più tardi a Scombresor (Sc. obtusirostris Sauvage) °). Forse giova pure il confronto con Belone tenuis Gorjanovie- Kramberger *), del « Sarmatiano » della Croazia, il cui numero scarso di vertebre (57) potrebbe far pensare al genere Scombresoz. Ma il bell’esemplare non conserva traccia di false pinnule. Lo Scombresox Rondeleti vive nel Mediterraneo. Ad esso (l’ ha già notato il dott. Ginther) va ascritto il Grammiconotus bicolor A. Costa (gen. et sp. nov.), fondato da questo autore per un piccolo pesciolino, lungo 40 millimetri, privo di becco, il quale, come si sa, manca nell’età molto giovanile. — Nella penisola sa-” lentina è abbastanza comune: nel circondario di Gallipoli è detto Castaurieddru ; in quello di Lecce, Gastarieddru; in quelli di Taranto e di Brindisi, Ga- staurieddu. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. — Gabinetto di Storia naturale dell’ Istituto tecnico di Lecce (?). ') Il collega prof. Raffaele, accogliendo la mia preghiera, numerò le vertebre di due sche- letri di questa specie conservati nel Museo di anatomia comparata dell’ Università di Palermo: in 36 a. N e./ ?) H. E. Sauvage, Ann. se. géol., vol, IV, p. 257 (in part.), fig. 68, e vol. XI, p. 48. ") Glasnik Soc. Hist. nat. croatica, vol. X, p. 26, tav. II, fig. 1. uno sono 62 (FE); nell’altro, 68 ei; | NS Fam. Gadidae Gen. GADUS (Artedi) Linn. Artedi, Genera piscium, p. 19 [Gadus]}. — Linneo, Syst. Nat., ed. 10, p. 25 [/d.).. Cuvier, Règne animal [Gadus e Merlangus}. — Oken, Isis, p. 1182 [Morrhua]. — Risso, Hist. nat. Éur. mér., tom. III, pp. 225 e 227 [Morua e Merlangus]. — Giin- ther, Cat. fish. Brit. Mus., vol. IV, p. 327. — A. S. Woodward, Cat. foss. fish. Brit. Mus., parte IV, p. 599. Numerosi avanzi di questo genere, vivente, sono stati citati nei depositi del Miocene superiore, del Pliocene e del Postpliocene. In generale, consistono in ossa isolate e in otoliti, alcuni dei quali, rinvenuti nel Pliocene, sono stati riferiti a specie attuali. Varie forme del « Sarmatiano » sono rappresentate da esemplari ben conservati. Gadus poutassou Risso Gadus merlangus — Risso, Ichth. de Nice, p. 115. Gadus poutassou — Risso, Hist. nat. Eur. mér., tom. III, p. 227. — Giinther, loc. cit., p. 338. Le argille di Taranto hanno fornito parecchi pesci appartenenti al gen. Gadus, più o meno frammentarii. I più piccoli hanno la lunghezza di 7 centimetri; i maggiori di 14 a 15. Qualcuno, incompleto, doveva superare i 25. La loro determinazione specifica non è sempre sicura, specialmente per gli esemplari imperfetti. Ma quelli che sono meglio conservati rispondono ai caratteri del vivente Gadus poutassou, a cui, probabilmente, spettano tutti. Le vertebre sommano a 54, delle quali 31 sono codali e 23 addominali. Le nevrapofisi di queste ultime sono brevi, forti e piegate all’ indietro. Le parapofisi sì presentano pure robuste, ma anche più corte delle corrispondenti neurapofisi. Le pinne pettorali, sviluppate, hanno una lunghezza corrispondente a quella di cinque vertebre addominali e risultano costituite di almeno 15 raggi. Le ven- trali sono male conservate. Gl’ intervalli che separano l'una dall’ altra le pinne dorsali sono molto larghi : specialmente quello che divide la seconda dalla terza. La prima ha 12 raggi; circa 14 la susseguente e più di 20 l' ultima. L’'anale anteriore, molto estesa, comincia in corrispondenza del terzo o quarto raggio della prima dorsale e conta circa 37 raggi. Quasi immediatamente le segue la seconda, che ne mostra 23 o 24. La pinna della coda, troncata, conserva 22 raggi per ogni lobo, compresi i brevissimi laterali: essa principia a livello della undecima vertebra codale (nu- merate dall’ indietro). La notevole copia di raggi della prima pinna anale richiama altre specie vi- venti, cioè Gadus merlangus, G. luscus e (. pollachius, dalle quali peraltro gli esemplari di Taranto si distinguono per il numero dei raggi delle pinne dorsali, uc per gl’interspazii fra le dette pinne o per il numero delle vertebre. Questi stessi caratteri ne rivelano le differenze anche con le specie fossili. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. — Gabinetto di Storia naturale dell’ Istituto tecnico di Lecce. Gen. MERLUCCIUS Cuvier Cuvier, Rèégne animal. — Gunther, Cat. fish. British. Museum, vol. IV, p. 344. Di questo genere, vivente, sono stati fin qui citati allo stato fossile avanzi, almeno in parte dubbiosi, rappresentati da otoliti e da denti e rinvenuti nei terreni terziaril. Merluccius vulgaris Flem. Gadus merluccius ‘— Linn., Syst. Nat., I, p. 439. — Costa G., Fauna salentina, p. 119. Merlucius esculentus — Risso, Hist. nat. Eur. mér., vol. III, p. 220. Merlucius vulgaris — Fleming, History of British animals, p. 195. — Giinther, loc. cit. — Costa G., loc. cit — Moreau, Poiss. France, vol. III, p. 251. Parecchi avanzi di Taranto appartengono a questa specie vivente. Sono fram- menti più o meno grandi: uno ha il capo lungo 10 centimetri. Conservano la testa, le pinne pari, parte delle altre e buon tratto del tronco, nel quale spiccano i processi trasversi, larghi, sviluppatissimi, superiormente convessi, somiglianti a tegole, delle vertebre addominali. Si vedono distintamente i denti, lunghi, cilin- drici, lievemente arcuati e acuti. Il U. vulgaris (Merluzzo comune o Nasello) è specie frequentissima nel Me- diterraneo, di cui si fa pesca abbondante in ogni stagione. Nella provincia di Lecce è generalmente conosciuta coi nomi vernacoli di Zuzzo, Aluzzu o Merluzzu. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. — Museo geologico dell’ Università di Napoli (dono del dott. Cerruti). Fam. Pleuronectidae Gen. SOLEA Cuvier Cuvier, Règne animal, vol. II, 1817, p. 223. — Giinther, Cat. fish. Brit. Mus., vol. IV, p. 462.—A. S. Woodward, Cat. foss. fish. Brit. Mus., parte IV, p. 609. I più antichi avanzi, veramente sicuri, di questo genere provengono dal Mio- cene inferiore. Solea lutea Riss. sp. Tav. IL’ fig. 2. Pleuronectes luteus — Risso, Icht. Nice, p. 312. Rhombus luteus ’—Risso, Hist. nat. Éur. mér., III, p. 257. — Costa G., Fauna salentina, p. 120. Le eee n 1 È b Li . ——igg = Monochirus luteus — Costa O. G., Fauna Regno Nap. Pesci, IL p. 49; Costa G., loc. cit. Microchirus luteus — Moreau, Poiss. France, vol. III, p. 316, fig. 184.—Id., Ichth. franc., p. 453. Solca lutea — Bonaparte, Fauna it. Pesci, n. 28. — Canestrini, Archivio zool., I, p. 32, tav. 3, fig. 4. — Giîinther, loc. cit., p. 469. La lunghezza totale dell’ esemplare è di 28 millimetri. L’ altezza del corpo (3 mm.) vi è compresa tre volte e mezza; la lunghezza della testa (5 mm.), un po’ più di cinque volte. Gli occhi sono collocati sul lato destro: il superiore un po’ più avanti del- l’altro. L'intervallo che li separa è strettissimo, più piccolo del loro diametro longitudinale e dello spazio antioculare. La colonna vertebrale è formata di 35 vertebre, di cui 24 codali, fornite di appendici lunghe e sottili. Le neurapofisi anteriori sono quasi verticali ; le succes- sive, al pari delle emapofisi, notevolmente inclinate verso l’ indietro. Delle pinne pettorali non rimangono tracce. Le ventrali hanno 5 raggi, dei quali è conservata la base. Nella pinna dorsale, che comincia all’ apice del muso, a livello dell’ occhio superiore, conto circa 65 raggi; nell’anale, oltre 50. La pinna codale, lunga quasi 6 millimetri e compresa cinque volte nella com- plessiva lunghezza dell’ animale, è leggermente arrotondata e risulta di 17 raggi. Questo pesciolino, che appartiene certamente al gen ,So/ea, richiama tre specie viventi nel Mediterraneo: ,S. oculata, S. variegata (= S. Mangilit) e S. lutea. Decidere a quale di esse appartenga non è cosa facile, perchè le loro differenze sono basate in gran parte su caratteri che non si possono riconoscere negl’ indi- vidui fossili. Tuttavia posso dire che l'esemplare di Taranto, distinto dalle due prime per le proporzioni fra il diametro longitudinale dell’ occhio e lo spazio in- | teroculare e fra questo e l'antioculare, corrisponde con la massima probabilità alla Solea lutea. Nel tempo stesso, ne rilevo la strettissima affinità con gli esemplari delle marne « sarmatiane » della Croazia pubblicati dal prof. Gorjanovic- Kramberger col nome di Rkombus Bassanianus (alt. del corpo 3 volte e ‘/, a 3 ‘/, nella lungh. totale: lungh. della testa 4 volte e */, nella detta lunghezza; vertebre 35 (2°): D. 62-64; A. circa 52; V. 5 o 6; C. 17) |). Com’ è noto, la .Solea lutea, comunissima nel Mediterraneo, si tiene presso le coste ed abita i fondi fangosi: essa si pesca frequentemente anche a Taranto, in- sieme con la variegata. Il fossile, raccolto verso il 1890 al Capo della Rondinella durante gli scavi per la costruzione delle fortificazioni militari, fu donato — insieme con alcuni esemplari di Nyctophus, di Maurolicus e di Scomber, trovati nella stessa località — al prof. De Giorgi dal colonnello Cugini, allora direttore del Genio militare in Taranto. Argille marnose di Tarauto. Collezione De Giorgi in Lecce. !) Beitr. Palaeont. Oesterr.-Ungarns, vol. III, p. 71, tav. XIII, fig. 1-2. Atti — Vol. NI/— Serie 19 - N° 3. 5 = (BI Fam. Balistidae Gen. BALISTES Cuvier Cuvier, Règne animal. — Giinther, Cat. fish. British Museum, vol. VIII, p. 211. Fino ad ora gli avanzi fossili attribuiti a questo genere erano solamente denti. Alcuni, rinvenuti in depositi eocenici e oligocenici, paragonati da Dames ai denti faringei di Za/istes, sono molto dubbiosi, nè possono essere efficacemente citati '). Invece, altri, raccolti e determinati dal prof. Lovisato nel calcare mio- cenico della Sardegna °), che ho avuto occasione di esaminare, spettano veramente al genere in discorso; così come quello delle argille plioceniche della Toscana illustrato da Lawley °*). Nelle argille di Taranto il gen. Balisies è rappresentato da due pesci. Balistes capriscus Gm. Tav. I, fig. 9. Balistes capriscus — Gmelin, L. I, p. 1471. — Lacépède, Hist. poiss., I, p. 372, tav. 13, fig. 3. — Risso, Ichth. Nice, p. 51. — Costa O. G., Fauna Regno Napoli. Pescì, tav. 65. — Giinther, loc. cit., p. 217. — Costa G., Fauna salentina, p. 126. — Guida per l’acq. Staz. zool. Napoli, fig. 76. — Agassiz L., Rech. poiss. foss,, vol. II, p. 249, tav. F. [scheletro — Moreau, Poiss. France, Lopa9r ho: LE I due esemplari di questa specie raccolti nelle argille di Taranto, mancanti dell’ estremità posteriore della pinna codale, hanno presso a poco le stesse dimen- sioni (lunghezza da 14 a 15 cm.; altezza, circa 7). Le brevi mascelle non sono ben conservate; ma si scorgono, spostati, alcuni fra i caratteristici denti. Sul davanti dell’ orbita, remota e collocata molto in alto, si nota la sviluppatissima lamina verticale dello sfenoide, al pari del preopercolo, dell’ opercolo, del coracoide e della lunga postclavicola, che campeggia nell’ ampia cavità addominale. La colonna vertebrale ha 17 vertebre, fornite di robuste apofisi: le 10 codali sono più grandi. La pinna pettorale non è conservata. Si vede invece distintamente il lungo osso impari, posteriormente falcato, a cui è ridotto il cinto pelvico. Oltre la grondaia ossea, che accoglie la pinna dorsale spinosa, si distinguono parte del primo grosso raggio ‘), il secondo, il terzo, il quale sta a notevole di- ') Per questi ed altri denti terziarii, riferiti provvisoriamente dai varii autori ai gen. Corax, Sargus e Ancistrodon, e per i confronti con Balistes, vedi A. S. Woodward, Catal. foss. fish. British Museum, parte III, p. 283 e parte IV, p. 569-570. ?) D. Lovisato, Rend. Acc. Lincei, 1896, p. 78 [Balstes sp.]. ?) R. Lawley, Nuovi studii sopra ai pesci ecc., p. 76, tav. I, fig. T. *) In uno dei due esemplari (non figurato) questo raggio si vede irregolarmente e minutamente denticolato nella superficie anteriore, precisamente così come si osserva spesso negl’individui attuali. vi CI stanza dal precedente, e l'osso particolare che, partendo dal lato posteriore della detta grondaia, inclina verso l’ indietro e va a finire presso l'estremità distale della neurapofisi della quinta vertebra addominale. La pinna dorsale molle mostra tutti i suoi raggi (28) e i corrispondenti os- sicini interneurali, al pari dell’ anale, che le è opposta e ne ha 26. Essi sono più volte divisi e vanno a mano a mano abbreviandosi. L’ interemale anteriore ha uno sviluppo notevole. La pinna codale, incompleta, è sorretta dalle due placchette ossee in cui si espande l’ultima vertebra e dalle apofisi della penultima ed ha la formola I:5—5 1 I dieci raggi mediani sono profondamente divisi. In varie parti del corpo, come, ad esempio, sotto il tratto prossimale del cinto pelvico, si scorge, con l’aiuto della lente, la impronta delle squame tubercolate. Com’ è noto, il Balistes capriscus è specie del Mediterraneo. Volgarmente si chiama Pesce balestra o Pesce porco (Pisce puercu). In Taranto è detto Pisce scwrge o surge (sorcio). Il dente del Pliocene toscano distinto da La wley col nome di Balistes Cai- Fassi appartiene verosimilmente alla specie in discorso, come, del resto, asserì lo stesso Lawley ‘). Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Fam. Pomacentridae Gen. HELIASTES Cuvier Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. V, p. 493 [Heltases} — Gùn- ther, Catal. fish. British Museum, vol. IV, p. 60. Genere citato ora per la prima volta allo stato fossile. Heliastes chromis Linn. sp. Tav. Il, fig. 7 e 7a. Sparus chromis — Linn., Syst. Nat., I, p. 470. Chromis castanea — Cuvier, Régne animal, Ill. Poiss., tav. 90, fig. 1. — Moreau, Poiss. France, vol. III, p. 154, fig. 162. Chromis mediterranea — Costa G., Fauna salentina, p. 113. Heliases limbatus — Cuvier et Valenciennes, loc. cit., vol. IX, p. bll. Heliastes chromis — Giinther, loc. cit. — Guida per l'acquario della Staz. zool. di Napoli, fig. 32. ‘) Lawley, pur dichiarando spesso che i resti del Pliocene toscano corrispondono affatto a specie attuali e ne sono i rappresentanti allo stato fossile, li pubblicò quasi tutti con nomi specifici nuovi, perchè egli partiva dal falso principio che gli avanzi di specie viventi, quando si trovano in depositi anteriori al moderno, vanno distinti con nomi specifici nuovi ( Vedi F. Bassani, Mon. zool. it., anno XII). e Questa specie, di cui ho avuto l'agio di esaminare uno scheletro nella colle- zione Hyrtl, annessa al Museo di zoologia e di anatomia comparata dell’ Uni- versità di Vienna, è rappresentata da un solo esemplare, conservato nella parte e nella controparte, di entrambe le quali ho dato la figura, perchè esse si completano a vicenda. \ Il corpo è di forma ovale: la sua maggiore altezza (mm. 34), misurata a livello dell’ inserzione delle pinne ventrali, è compresa 2 volte e ‘/, nella lunghezza totale, esclusa la coda. I profili del tronco, nei tratti occupati dalla pinna dorsale e dall’ anale, sono quasi rettilinei. La testa ha una lunghezza corrispondente a quella di dieci vertebre. Il muso è corto; l'orbita, ampia e collocata molto in alto. Il sottorbitario è stretto e al- lungato. Lo squarcio della bocca è assai piccolo. Dei denti non rimane traccia. La colonna vertebrale conta 26 vertebre (12 addominali e 14 codali), più lun- ghe che alte e percorse da un rilievo longitudinale mediano. Le coste, notevol- mente sviluppate e robuste, si spingono fin quasi al profilo inferiore del tronco. Le neurapofisi addominali appaiono piuttosto brevi, mentre quelle codali e le ema- pofisi sono lunghe. Le pinne pettorali non sono conservate. Le ventrali, inserite a livello del secondo raggio dorsale e sorrette da ossa pelviche forti e allungate, la cui punta tocca l’ estremità distale del coracoide , contano un raggio semplice e cinque divisi. La pinna dorsale comincia subito dietro la testa e si stende fin presso alla coda. Ha sul davanti tre interapofisarii inermi e risulta di 14 raggi spinosi e di 11 molli e divisi, i quali occupano un’ estensione molto minore dei primi, ma sono più sviluppati di questi. Lo spinoso anteriore è breve, misurando la lun- ghezza di circa tre vertebre; il secondo è ‘/, più lungo del precedente; i cinque successivi, presso a poco eguali fra loro, sono quasi il doppio del primo; gli altri decrescono lentamente. Gl’ interneurali si presentano forti ed espansi alla base, ma non sono molto lunghi; soltanto i tre inermi raggiungono l’estremità distale delle neurapofisi corrispondenti. L’anale nasce a livello del decimo raggio dorsale e conserva i due spinosi, forniti di robusti interemali, e alcuni dei molli. Il primo spinoso è assai corto, misurando appena la lunghezza di due vertebre; il secondo, lungo come i susse- guenti, è 3 volte il primo. Della codale, che doveva essere incavata, resta solamente il lobo superiore (4-10). Le squame si mostrano grandi e sottili; la linea laterale termina sotto la fine della pinna dorsale. Il nostro esemplare, lungo nove centimetri, corrisponde ai piccoli e bruni Heliastes chromis, che girano a schiere per tutte le coste del Mediterraneo, cono- sciuti col nome di Castagnole o Guarracini. I pescatori della provincia leccese, che ne fanno preda abbondante, chiamano questa specie, in causa del suo colore, Moniceddra, Moniceddra niura o Monacedda (piccola monaca nera). Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. de My Fam. Pristipomatidae Gen. DENTEX Cuvier Cuvier, Règne animal. — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. VI, p. 212.— Giinther, Cat. fish. Br. Mus., vol. I, p. 366. Dentex sp. (cfr. D. vulgaris C. et Vi.) Tav. II, fig. 8; fig. 2 e 9a (2). Al gen. Dentex riferisco alcune vertebre isolate, una delle quali (riprodotta di fianco e di fronte alle fig.9 e 94) con dubbio. La più piccola è lunga 15 millimetri e ha il diametro trasversale di 12 ; la maggiore (fig. 8) misura 25 cm. in lun- ghezza ed è larga 18: essa somiglia assai a quella del Pliocene di S. Lorenzo in Collina (Bolognese), figurata dal prof. Vinassa de Regny, che l’ascrisse a D. Minsteri Meneg., rinvenuto nelle marne subappennine del Volterrano ‘). Na- turalmente, non è possibile indicare con esattezza la specie alla quale apparten- gono, ma il loro confronto con quelle del Dentice comune (Dente vulgaris Cuv. et Val.), vivente nel Mediterraneo *), ne dimostra la probabile identità. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Fam. Mullidae Gen. MULLUS Linn. Linneus, Syst. Naturae. — Cuvier, Régne animal. — Cuvier et Valencien- nes, Hist. nat. poiss., vol. III, p. 422. Genere riscontrato ora per la prima volta allo stato fossile. Mullus barbatus Linn. Mullus barbatus — Linneus, loc. cit., I, p. 495. — Bloch, Syst. ichthyol., tav. 348, fig. 2. — Cuvier et Valenciennes, loc. cit., p. 442, tav. 70. — Giinther, Cat. fish. Br. Mus., vol. I, p. 401. — Costa G., Fauna salentina, p. 86.— Moreau, Poiss. France, vol. III, p. 249. — Doderlein, Man. itt. Med., fasc. V, p. 263. Un esemplare (parte e controparte), lungo circa 9 centimetri. Vertebre 24. Com' è noto, questa specie (Triglia minore o di fango), comune nel Mediter- raneo, percorre i fondi fangosi delle acque poco profonde. Argille marnose di Nardò. Collezione De Giorgi in Lecce. 1) P. Vinassa de Regny, Riv. it. di pal., anno V, p. 84, tav. II, fig. 18. — G. Mene- ghini, Dentex Miinsteri, specie di pesce ecc., 1864. *) Cuvier et Valenciennes, loc, cit., vol. VI, p. 220, tav. 153. — Giinther, loc. cit., vol. I, p. 366. — Costa G., Fauna salentina, p. 90 [Dentex communis e Sparus denter]. RI Fam. Sparidae Gen. CHRYSOPHRYS Cuvier Cuvier, Règne animal, ed. II, vol. II, 1829, p. 181. — Cuvier et Valencien- nes, Hist. nat. poiss., vol. VI, p. 81. — Ginther, Cat. fish. Brit. Mus., vol. I, p. 483. — Smith Woodward A., Cat. foss. fish. Br. Mus., parte IV, p. 584. I resti fossili di questo genere vivente, che può dirsi quasi cosmopolita, sono stati rinvenuti in gran copia nei terreni terziarii. Nel maggior numero dei casi, però, si tratta di denti; solo nelle marne rupeliane di Chiavon e di Salcedo (Italia, Vicentino) e di Trifail (Stiria) e nelle argille « sarmatiane » di Podsused (Croazia) sì erano scoperti scheletri più o meno conservati. Altri ne hanno ora forniti le argille marnose di Taranto, i quali ne rappresentano due specie: l’ qurata e la caeruleosticta. Chrysophrys aurata Linn. sp. ì Sparus aurata — Linneus, Syst. Nat., I, p. 467.— Risso, Ichth. Nice, p. 234.— Costa G., Fauna salentina, p. 90. Chrysophrys vulgaris — Costa G., loc. cit. Chrysophrys aurata — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. VI, p. 85, tav. 145. — Giinther, loc. cit., p. 484. — Costa A., Atti Acc. Sc. fis. e mat. Napoli, vol. IX (1880), p. 5, tav. II, fig. 5-7. — Moreau, Poiss. France, vol. III, p. 45. — Doderlein, Man. itt. Mediterr., fasc. IV (1889), p. 156. È un solo esemplare, lungo circa 26 centimetri. Quantunque manchi l’estre- mità del muso e, per conseguenza, non si veggano i denti, ritengo fermamente che rappresenti Chrysophrys aurata, a cui corrisponde per tutti i caratteri. Come negli esemplari viventi, la lunghezza della testa è compresa quattro volte nella lunghezza complessiva, che è quasi tre volte e mezza maggiore dell’ altezza. La colonna vertebrale risulta di 24 vertebre, di cui 14 codali. Le coste, ro- buste e arcuate verso l’ indietro, giungono fino alla metà della cavità addominale. Le pinne pettorali non sono conservate. I raggi delle ventrali sono 6 ('/,)- La pinna dorsale ha sul davanti tre interneurali inermi e si compone di 10 o 11 raggi spinosi e di circa 13 molli. L’anale ne mostra lì molli e 3 spinosi, dei quali ultimi rimane l’ impronta; il primo spinoso è la metà del secondo, assai grosso, che è un po’ meno lungo del terzo. La pinna codale, forcuta, ha per ogni lobo 6 o 7 brevissimi raggi esterni, seguìti da uno semplice e da 7 od 8 più volte divisi. La superficie del corpo è coperta in parte da squame piuttosto piccole e molto sottili: le linee che dal loro centro irraggiano al margine anteriore sono in nu- mero di 7 od 8, più raramente di 9 o 10. Dai confronti istituiti fra il nostro fossile (il quale, come ho detto prima, rappresenta Chrysophrys aurata) e gli altri congeneri, ho rilevato la strettissima Ra "e affinità tra questa specie vivente e C%r. Brusinai Gorjan.-Kramb., del « Sar- matiano » della Croazia '). La Chrysophrys aurata (Orata comune), riscontrata pure da A. Costa nelle argille quaternarie di Colle S. Magno presso Fondi (prov. di Caserta), è abbondan- temente sparsa in tutto il Mediterraneo. D'ordinario si tiene presso i fondi rocciosi e, meglio ancora, presso gli arenosi. Anche a Taranto si pesca in gran copia. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Chrysophrys caeruleosticta Cuv. et Val. Chrysophrys caeruleosticta — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. VI, p. 110. — Webb et Berthelot, Hist. nat. Iles Canar., p. 31, tav. 6, fig. 2. — Ginther, Cat. fish. British Museum, vol. I, p. 485. — Doderlein, Man. ittiol. Mediterr., fasc. IV, p. 162. Un altro grande esemplare del gen. Chrysophrys, lungo 31 centimetri e alto 13 ‘/,, appartiene, a mio giudizio, alla specie caeruleosticta, della quale ho avuto campo di studiare minutamente, nella collezione Hyrtl di Vienna, un bellissimo scheletro. La maggiore altezza del corpo, misurata all’ origine della pinna dorsale, è contenuta 2 volte e °/, nella lunghezza complessiva: la lunghezza della testa vi è compresa 3 volte e ‘/,. Precisamente così come nel citato scheletro. Il profilo superiore del corpo sale, con curva regolare, ad arco di cerchio dall’ estremità del muso fino al principio della dorsale e continua abbastanza arcuato lungo tutta la parte spinosa della detta pinna, per scendere dopo a mano a mano fino al pe- dicello codale. Il profilo inferiore è pure notevolmente arcuato al ventre fino al principio dell’ anale; poi risale gradatamente. Il capo è più alto che lungo. Vi spiccano l’ orbita, notevolmente grande, collocata molto in su e fornita di robusti sottorbitarii, e il dentario, corto e fortissimo, a margine inferiore arrotondato. Nello squarcio della bocca stanno, fuori di posto, alcuni denti, canini e molari. Anche in questo esemplare non esistono più le pinne pettorali. Delle ventrali resta qualche raggio. Le pinne dorsale ed anale non sono integralmente conservate: della prima, preceduta da 3 o 4 interneurali inermi, rimangono almeno 9 raggi spinosi e al- trettanti molli e divisi; dell’ altra conto 3 spine, di cui l’ anteriore è assai breve, e 7 od 8 molli e divisi. La pinna codale, in ottimo stato, è ampia, alquanto incavata e compresa 4 volte e ‘/, nella lunghezza totale. Oltre ai brevi raggi laterali e al lungo raggio semplice, ve n’ ba 7 nel lobo superiore e 8 nell'inferiore, più volte e profonda- mente ramificati ’). !) Gorjanovig-Kramberger, Beitr. Palaeont. Oesterr.-Ungarns, vol. II, p. 107, tav. XXII, fig. 7. ?) Nella specie in discorso il numero dei raggi delle pinne pari e anche della codale è costante (P. 16; V. ‘/,; C. 17); invece è un po’ vario quello dei raggi della dorsale e dell’ anale. Negl'indi- vidui pescati presso le coste siciliane Doderlein riscontrò D. *!/,,_,1; A- */;_2; per quelli delle CAME Le squame, piuttosto grandi, mostrano le linee irradianti dal centro in nu- mero di 6 a 12.. i La Chrysophrys cacruleosticta, specie indigena del mare delle Canarie e della costa sud-ovest dell’Africa, s’ interna talora anche nel Mediterraneo ed appare a preferenza nelle acque meridionali della Sicilia. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste '). Fam. Labridae Gen. CRENILABRUS Cuv. (2) Pere: Agi DE Cuvier, Règne animal. — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. XIII, p. 146. — Giinther, Cat. fish. Br. Mus., vol. IV, p. T. A questo genere vivente, citato nel calcare eocenico di M. Bolca *) e nelle argille della Croazia attribuite al Sarmatiano, riferisco con dubbio una grande placca faringea inferiore, quasi completa, di un labroide, priva soltanto del sot- tile prolungamento mediano. I denti, irregolarmente disposti su cinque file per ogni lato, hanno forma di piuoli, sono tutti a superficie emisferica e vanno a mano a mano diminuendo in grandezza dalla serie interna all’esterna. L’avanzo, che entra perciò nel primo dei quattro gruppi fissati da Kner °), somiglia so- pratutto, per il numero e la disposizione dei denti, alle placche dentali del gen. Cremilabrus Cuvier (vedi Kner, loc. cit., p. 46, tav. 1, fig. 1 e 2). Argille di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Fam. Trachypteridae Gen. TRACHYPTERUS Gouan i Gouan, Hist. piscium, pp. 104 e 153. — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. X, p. 813. gi Fino ad ora questo genere non era stato citato allo stato fossile. Canarie, D. !*/,,; A. '/); secondo Cuvier e Valenciennes; D. ‘‘/,,; A. */,, secondo Stein- dachner. Nel magnifico scheletro esaminato da me a Vienna (lungo 70 centimetri e alto 80), proveniente dalle Canarie, la formola è la seguente: D. ‘%,,; A. */,; C. 8-I°7—8-I-8. Le ver- tebre sono 24 (e) : i. !) Altri frammenti, probabilmente del gen. CArysophrys, ma specificamente indeterminabili, si conservano nel Gabinetto di Storia naturale del Liceo di Taranto. *) La determinazione dell’ esemplare bolcense (Cr. Szainochae de Zigno) è messa in dubbio da Jordan, che inclina a ritenerlo come tipo di un genere nuovo (C. R. Eastman, Jordan on fossil Labroid and Chaetodont fishes [Science, N. S., vol. XX, 508, pp. 245-246. — 1904]). *) Sitzsb. d. math. nat. Cl. d. Wien. Akad. d. Wiss., vol. XL (1860), p. 45. = a Trachypterus iris Walb. sp. (?) Cepola iris — Walbaum, Artelius renovatus, III, p. 617. Regalecus maculatus — Nardo, Giorn. di fis., dsc. II, tom. VII, p. 116, tav. I, fig. 1. Trachypterus iris —Cuvier et Valenciennes, loc. cit., p. 341, tav. 297. — Giinther, Cat. fish. British Museum, vol. III, p. 303. — Moreau, Poiss. France, vol. II, p. 561. Il gen. Zrachypterus è rappresentato nelle argille di Taranto da due fram- menti di grandi esemplari. Disgraziatamente, come avviene spesso per gl’individui appartenenti alla fam. 7Yachypteridae, essi sono così imperfetti, che non permet- tono una determinazione assolutamente sicura. Posso dire per altro che trovano le maggiori affinità con 7rechypterus iris, di cui ho esaminato due scheletri ben conservati: uno nella collezione Hy rtl di Vienna (lungo m. 1,30), e il secondo nell’ Istituto di anatomia comparata dell’Università di Napoli (67 centimetri). L'avanzo più incompleto, lungo 12 centimetri ed alto 11, è costituito dalla testa, che presenta le ossa interamente fibrose. L’altro, lungo 38 centimetri e alto quasi 13 alla nuca, ha, oltre la testa, alquanto scomposta e a bocca protratta, una parte del tronco. Le vertebre conser- Vate, in numero di 28, sono longitudinalmente percorse dai quattro caratteristici solchi paralleli: ciascuna di esse, presso a poco tanto alta che lunga, misura un centimetro. Le neurapofisi si mostrano brevi. Nella parte superiore del fossile, che è rotta orizzontalmente, si veggono da 30 a 35 interneurali, assai lunghi, sottili e quasi verticali, i quali si spingono molto in basso. Irregolarmente intrecciati con essi si osservano altri filamenti, diretti obbliquamente: ritengo che sieno raggi della pinna dorsale, ripiegati in giù. Sul davanti, in alto, in corrispondenza della prima vertebra, se ne notano altri quattro, che, secondo ogni probabilità, sono pure rovesciati e appartengono al pennacchio costituito dalla parte anteriore, separata. della detta pinna. Pare di scorgere anche gli avanzi delle pinne ventrali, rappresentati da una debole spina, relativamente breve, la quale mi aveva fatto pensare al gen. Rega- lecus (Gymnetrus BI. Schn.) e più specialmente al Rey. gladius ‘); mi sembra però di potere ritenere che non si tratti dello sviluppatissimo filamento caratteri- stico di questo genere, ma piuttosto del primo raggio, leggermente spinoso, che sì vede nei Z7ac4hypterus e si conserva meno difficilmente degli altri, assai sottili. Come ho detto dianzi, è molto probabile che il nostro esempiare apparterga al 7». iris: in tal caso — considerando che questa specie ha 80 vertebre, di cui le 56 anteriori sono presso a poco eguali fra loro, mentre le 33 successive, molto slanciate, hanno una lunghezza doppia delle precedenti, e che la lunghezza della pinna codale corrisponde a quella di undici vertebre della parte posteriore del corpo — si può calcolare che il frammento delle argille di Taranto (nel quale la testa è lunga 14 centimetri e ogni vertebra ne misura uno) raggiungeva appros- simativa:nente la lunghezza di un metro e mezzo. 1) Cuvier et Valenciennes, loe. cit., vol X, p. 352, tav. 298. ATtTI— Vol. XII—Serie 22— N.0 3. lì) et ei Gli esemplari viventi del 7acAkypteres iris sono stati pescati presso le coste di Messina e della Corsica; i 7. Ziopterus, Rippeli, Spinolae e taenia '), che gli sì avvicinano notevolmente *), sono pure (come il Rega/ecus gladius) specie medi - terranee. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Fam. Cyttidae Gen. ZEUS Artedi Artedi, Genera piscium, p. 50. — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss, vol. X, p. 4 — Smith Woodward A., Catal. foss. fish. Br. Museum, parte IV, p. All. I più antichi avanzi di questo genere vivente, rappresentati da frammenti di scheletri, rimontano al piano aquitaniano (marne di Tiiffer in Stiria); altri, con- sistenti in placche dermiche, si rinvennero nelle argille plioceniche della To- scana °). Zeus faber Linn. Tav. I fig. 10. Zeus faber.— Linn., Syst. Nat., I, p. 454. — Cuvier et Valenciennes, loc cit., p. 6.—Cu- vier, Réèégne animal, Ill. Poiss., tav. 60, fig. 1. — Giinther, Catal., vol. II, p. 393.—Costa 0.G., Fauna Regno Napoli. —Costa G., Fauna salentina, p. 100.— Moreau, Poiss. France, vol. II, p. 467.— Rosenthal, Tabulae ichthyotomicae, tav. 13 (scheletro). — Agassiz L., Recherches sur les poiss. foss., vol. V, pag. 81, tav. B (id.). L'esemplare figurato è l’unico raccolto nelle argille di Taranto. Se ne hanno la parte e la controparte. Il corpo, conservato benissimo, è ovale e notevolmente elevato. A primo aspetto, per la brevità della testa, non parrebbe trattarsi del gen. Zeus, il cui muso, com’ è noto, in causa della bocca straordinariamente protrattile, si mostra, in ge- nerale, molto allungato; ma è necessario osservare che nel nostro fossile la bocca è chiusa e che, per conseguenza, il profilo del capo (come si osserva negl’ indi- vidui viventi) è più corto della metà, giacchè la mandibola non ha più la posizione orizzontale, ma scende molto obbliquamente, e il mascellare, invece di essere di- retto in avanti, è messo quasi verticalmente e si avvicina assai di più con la estremità distale all'angolo della bocca. Per tale stato di riposo, anche le altre ') Cuvier et Valenciennes, loc. cit., vo. X.— Ginther, Cat. fish. Br. Mus., vol. II. ?) Secondo ogni probabilità, anzi, il 7. taenza è sinonimo dell’ rs. *) Alcune di queste placche, illustrate da Lawley col nome di Zeus pliocenicus, sono identiche a quelle di Zeus faber, vivente (R. Lawley, Nuovi studî, p. 65, tav. 4, fig. 4-6). — Per altri resti fossili erroneamente o dubbiosamente riferiti al gen. Zeus, veli A. S. Woodward, loe. cit. ne ossa della testa assumono un aspetto apparentemente un po’ diverso da quello pre- sentato dagli scheletri freschi e dalle figure che abitualmente si hanno di essi; tuttavia un attento esame dell’ originale ne prova la corrispondenza con la specie vivente. La mascella inferiore lascia scorgere, ad un forte ingrandimento, alcuni dentini minuti. Il primo sottorbitario, relativamente molto grande, è pressochè triangolare; gli altri sono strettissimi. Al di sotto della estremità inferiore del preopercolo, che è senza spine e senza dentellature, si osservano i due noti unci- netti. L'opercolo è piccolo, delicato ed ha forma di triangolo. La colonna vertebrale, curvata ad ,S, ha 32 vertebre, assai più alte che lunghe e percorse da tre distinte fossette longitudinali; le caudali, anche più corte delle altre, sono in numero di 18 o 19. Le nevrapofisi delle prime dieci vertebre addo- minali sono relativamente brevi e si dirigono all'indietro; quelle delle altre quattro e delle tre prime codali si mostrano notevolmente più lunghe e quasi verticali. anzi qualcuna delle anteriori si presenta leggermente arcuata, con la concavità rivolta in avanti; le successive, al pari delle emapofisi, vanno a mano a mano accorciandosi e piegano obbliquamente verso la parte posteriore del corpo. Le coste sono delicatissime e molto brevi. Le ultime otto paia sono sorrette da parapofisi nettamente visibili e successivamente più lunghe dall’ avanti verso l’ indietro; mentre le precedenti si originano direttamente dai corpi vertebrali. A quanto pare, le tre prime vertebre non portano coste. La cintura scapolare è robusta. L’ estremità libera del coracoide tocca il profilo inferiore del corpo. La postelavicola, sviluppatissima, traversa l’ampia cavità ad- dominale e si spinge quasi fino alla carena del ventre. Dei raggi pettorali riman- gono pochissime vestigia. Le pinne ventrali, sviluppatissime, hanno sette raggi: il primo semplice, gli ‘ altri articolati. Il quarto, che — al pari del secondo, del terzo e del quinto — si mostra profondamente diviso, è il maggiore fra tutti, misurando una lunghezza corrispondente all’ altezza del corpo (40 mm.) La prima pinna dorsale, anche assai grande, ha dieci raggi spinosi, i quali, a un attento esame, mostrano le tracce delle punte basali. Sono pur conservati molto bene i lunghi filamenti fibrosi della membrana generale della pinna, che sembrano prolungamenti dei raggi: i maggiori di essi raggiungono la lunghezza del corpo, presa fra l'estremità anteriore del muso e il pedicello della coda. Della dorsale molle, contigua alla prima, non sono conservati i raggi, ma il numero di questi si può facilmente desumere dagl’interneurali, che sommano a 23. Alla base di essa si vedono distintamente le caratteristiche placche ossee, fornite di punte. L'anale ha sul davanti quattro raggi spinosi. I tre anteriori, che sono più sviluppati, hanno una lunghezza quasi corrispondente alla metà dell’altezza mas- sima del corpo (mm. 19); l’ultimo misura un centimetro. Segue la parte molle, della quale non sono conservati che due o tre raggi anteriori, ma rimangono gl’ interenali. Il primo di questi è robustissimo e fa tutt'uno coi tre successivi, che appaiono saldati con esso; dopo, ve ne sono altri 21. Anche qui si osservano le placche ossee, in numero di 9, con le relative punte. —- La pinna codale è mal conservata e scomposta: i suoi raggi misurano la lun- ghezza di 22 mm., corrispondente a quella di altrettante vertebre. Lungo il profilo inferiore del corpo, tra l’ angolo della mandibola e le pinne ventrali e tra queste e l’ anale, si nota l’altra fila di placchettine ossee , fornite di un rilievo mediano a guisa di uncino. Ho voluto intrattenermi alquanto particolareggiatamente intorno a questo pesce, perchè il suo stato di conservazione quasi perfetto consente un paragone molto efficace col Zeus faber attuale, stabilendone con certezza la identità con questa specie. L° unica differenza degna di nota sta nello sviluppo notevole dei raggi spinosi della pinna anale e di quelli delle ventrali. Ma qui giova notare che la lunghezza dei detti raggi non cresce in ragione diretta della statura de- gl’ individui, ma è, relativamente, assai maggiore nei piccoli, come ha già os- servato, tra altri, il Morcau e come son potuto convincermi io stesso con l'esame di parecchi campioni freschi, di varia grandezza. Tale differenza, pertanto, è solo apparente. Il Zeus faber, vissuto molto probabilmente anche nel Pliocene toscano (vedi p. 42, nota 3) e assai comune nel Mediterraneo, è conosciuto nelle varie regioni con diversi nomi vernacoli: Cilula, Rotula, Pesce S. Pietro, ecc. In Lecce è chia- mato Cetra; in Taranto, Pesce cenere ed anche A//o (invece di Gallo). Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Fam. Scombridae Gen. SCOMBER (Art.) Linn. Artedi, Genera piscium, p. 30.— Linneus, Syst. Nat., el. 10, p. 297.— Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. VIII, p. 6. — Smith Woodward A., Catal. foss. fish. Brit. Museum, parte IV, p. 459. Questo genere, vivente, ha i suoi più antichi rappresentanti nell’ Oligocene superiore. Scomber scomber Linn. Tav. TIL, fig. 1.e°2. Scomber scomber — Linneus, loc. cit., I, p. 492. — Risso, Icht. de Nice, p. 170. — Id., Hist. nat. Eur. mér., vol. III, p. 412. — Cuvier et Valenciennes, loc. cit., p. 6. — Cuvier, Règne animal, Ill. Poiss., tav. 45, fig. 1. — Giinther, Catal. fish. British Museum, vol. II, p. 357.—Moreau, Poiss. France, p. 409.— Id., Ichth. frangaise, p. 249. Fra gli Scombridae raccolti nelle argille di Taranto e di Nardò ve n’ ha molti appartenenti al gruppo ,Scombrina, la cui lunghezza varia dai 15 ai 28 centi- metri, che presentano i seguenti principali caratteri: suc Ra La maggiore altezza del corpo, misurata fra l'inserzione della pinna dorsale spinosa e le ventrali, è compresa da 6 volte a 6 volte e °/, nella lunghezza com- plessiva. La testa vi è contenuta circa 4 volte. Il premascellare, allargato in alto e piegato ad angolo quasi retto, si restringe in basso; il mascellare è diritto e regolare. Le mascelle, di eguale lunghezza, sono fornite di minuti dentini, molto vicini fra loro, conici, leggermente curvati verso l’ indietro e uniformi: nel premascellare dei varii individui ne conto da 30 a 38. L’orbita, grande ed elevata, corrisponde precisamente a ‘/, della lunghezza della testa. Il primo ossicino sottorbitario è molto allungato e ricopre in parte il mascellare. L’apparato opercolare è sviluppato. Il preopercolo, nel tratto inferiore, presenta spesso delle sottili strie raggiate o delle rugosità piuttosto fitte e interrotte. La colonna vertebrale è composta, in tutti gli esemplari studiati da me, di 31 vertebre, che, eccettuate le tre ultime, sono notevolmente più lunghe che alte. Di esse, 14 sono addominali e 17 codali. Le neurapofisi, uniformi, sono lunghe e sottili: le anteriori piegano obbliquamente verso l’indietro anche più delle altre. Le coste si mostrano robuste e arcuate. Parapofisi molto brevi. Alla base delle neurapofisi e delle emapofisi si vede spesso un lungo ced esile ossicino secondario. Le pinne pettorali, inserite un po’ innanzi alla dorsale spinosa, sono relati- vamente piccole: negli esemplari meglio conservati conto 19 raggi. Le ventrali, collocate appena più indietro delle pettorati, risultano di un raggio semplice e di 5 divisi. La prima pinna dorsale comincia al terzo anteriore della lunghezza del corpo, è di forma triangolare, ha un'estensione corrispondente alla lunghezza di cinque vertebre e si compone di 11 raggi. Qualche volta tutti o quasi tutti si presentano prostrati e seminascosti nel solco del dorso, ma in alcuni casi si mostrano eretti e ben distinti l’ uno dall’ altro. Il primo ha la lunghezza di quattro vertebre; il secondo è il maggiore fra tutti (cinque vertebre); gli altri vanno lentamente ab- breviandosi; gli ultimi due sono bassissimi. In alcuni individui (fig. 1), alla base della pinna in discorso stanno le vestigia di alcune placchette ossee (6 o 7) che rappresentano gli espandimenti a U degl’ interneurali, determinanti la gronda, entro la quale possono venire raccolti i raggi. Queste vestigia, nettamente visibili in varii esemplari, si scorgono in altri a mala pena con l’aiuto della lente; in altri non si rilevano affatto. Lo spazio fra la prima e la seconda dorsale corrisponde alla lunghezza di sette vertebre, cioè supera di */. l'estensione orizzontale della dorsale anteriore, ed ha 6 o 7 interspinosi inermi. La seconda dorsale, molto più bassa della precederte, ha sul davanti un breve raggio spinoso e 10 o 11 molli. Seguono 5 pinnule spurie. i La pinna anale, inserita quasi a livello della dorsale molle, è preceduta da una piccola spina libera ed ha 1/10 raggi. Anch’essa è seguìta da 5 false pinnule. La codale, notevolmente incavata, ha i lobi molto divaricati ed è rappresen- tata dalla formo!a 8:I:8—8) Scomber Steindachneri 28 ( n=) — priscus 30 (3) e | Auxîs croaticus 30-32 ( La D 13-15 c. Ò 5) — minor 30 (73) vr 4a. — thynnoides 30 (a) — vrabcensis 28 (FE) ! Dorsale | II Dorsale Anale RESI | ia —= 11 12-V 12-18-V 10-11 12-VIII 12-14. VII 11 11-12-V 11-12-V 10-11 | TI=v 12-V 10-11 | 10-12-V 12-V 10-11 | 12-VI 12-V ? | circa 12-V | 12-V 10-11 | 120V I 10-14-V 10-11 I 10-12-IV-V 10-12» V Questo quadro comparativo mette in rilievo le strettissime affinità tra le suddette specie fos- sili e lo Scomber scomber attuale, a cui probabilmente corrispondono tutte. ') Siccome in alcuni campioni i raggi della dorsale spinosa sono parzialmente o totalmente immersi nella gronda e non si possono contare con esattezza, potrebbe darsi, tutt'al più, che qualche esemplare appartenesse a Scombder coltas Linn., il quale, come si sa, si distingue da Scomder scomber anche perchè ha alla prima dorsale anteriore 7 od 8 raggi invece di 11. È noto che lo Sc. colias si pesca pure, quantunque meno frequentemente dell'altro, nelle acque che bagnano la provincia di Lecce, dove si distingue col nome vernacolo, diminutivo, di Scummarieddru (G. Costa, Fauna sa- lentina, p. 97). A ti i tt sie l î ud, ca ny b _—_ 48 — “9 Argille marnose di ‘l'aranto e di Nardò. Museo civico di Storia naturale di Trieste. — Gabinetti di Storia naturale del Liceo di Taranto e dell’ Istituto técnico di Lecce. — Collezione De Giorgi in Lecce. Fam. Trichiuridae Gen. LEPIDOPUS Gouan Gouan, Hist. nat. poiss., p. 185. — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. VIII, p. 218.—Smith Woodward A., Cat. foss. fish. Br. Mus., part IV, p.417.— De Blainviile, Nouv. dict. d’ hist. nat., vol. XXVII, p. 314 [Anenchelum]. — Heckel, Deukschr. d. math.-nat. Cl. Wien. Ak. d. Wiss., vol. I, p. 239 [Lepi- dopides]. I più antichi rappresentanti di questo genere rimontano all’ Oligocene infe- riore. I mari attuali ne albergano un’ unica specie. Lepidopus caudatus Euphr. sp. Trichiurus caudatus — Euprasen, Stockh. k. Vet. Acad. Nyn Handl., 1788, IX, p. 152, tav. 9, fig. 2.— Costa G., Fauna sal., p. 101. Lepidopus Gouani — Bloch, Syst. ichtyol., p. 239, tav. 53, fig. 2. Lepidopus argyreus — Cuvier et Valenciennes, loc. cit., p. 223, tav. 223. Lepidopus ensiformis — Costa O. G., Fauna Regno Napoli. Pesci, parte IL.—Costa G., loc. cit., pp. 101 e seguenti [Lep. argentatus, Lep. Peronit, Scarcina argyrea, Tri- chiurus gladius, Tr. Vandellii, Vandellius lusitanicus, Ziphoteca tetradens]. Lepidopus caudatus — Withe, Cat. Brit. fishes, p. 132. — Agassiz, Rech. poiss. foss., vol. V, tav. D (scheletro). — Giinther, Cat. fish. Br. Mus., vol. IL p. 344. Due frammenti di tronco, appartenenti, secondo ogni verisimiglianza, a questa specie, vivente nel Mediterraneo, che in Terra d’ Otranto è chiamata col nome vernacolo di Squagghasole. Argille marnose di Nardò. Collezione De Giorgi in Lecce. Fam. Carangidae Gen. TRACHURUS Cuv. et Val. Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. des poissons, vol. IX, p. 6. Questo genere, rappresentato nella fauna attuale da una sola specie, riferita dianzi ai Ceranx (C. trachurus) — dai quali si distingue, perchè la linea late- rale è coperta da placche per tutta la sua estensione, mentre nei Carene propria- mente detti queste si trovano soltanto nella parte posteriore —, fu citato nelle marne di Cutro [Calabria] ‘) e in depositi neogenici dell’Appennino *}.. Non è diffi- cile che gli appartenga pure qualche altra delle forme fossili ascritte a Carano. !) S. de Bosniaski, Proc. verb. Soc. tosc. sc. nat., ad.® 9 Marzo 1879 (Carane [Prachurus] Lovisatoi sp. n. [soltanto il nome]). ?) D. Pantanelli, ibid., vol. XIV, n.° 3. — 1879 (otoliti). = Trachurus trachurus Linn. sp. Scomber trachurus — Linn., Syst. Nat., I, p. 414. — Costa G., Fauna salentina, p. 100. Caranx trachurus "—Lacépède, Hist. poiss., vol. III, p. 63. — Risso, Ichth. Nice, p. 173. — Cuvier et Valenciennes, loc. cit., p. 11, tav. 246. — Cuvier, Règne animal, Ill. Poiss., tav. 57, fig. 1. — Costa G., loc. clt. Trachurus trachurus — De Castelnau, Anim. nouv. ou rares. Poissons, p. 23.—Giinther, Catal. fish. British Museum, vol. II, p. 419.— Moreau, Poiss. France, vol. II, p. 497. Anche di questa specie le argille di Taranto hanno fornito un rappresentante sicuro, quantunque privo della testa e della pinna codale. Ne ho fatto il confronto con scheletri freschi, rilevandone la identità. L'altezza massima del corpo è di 60 millimetri. Le vertebre sono in numero di 24, di cui 10 addominali; esse sono più lunghe che alte e compresse. Le co- ste, notevolmente sviluppate, hanno alla base un ossicino secondario. La pinna dorsale anteriore è preceduta da due interneurali inermi e conta 8 raggi. L'ultimo di questi è più corto del primo, che è pur molto breve, mi- surando la lunghezza di una vertebra ; il terzo, il quarto e il quinto, che sono i maggiori, raggiungono quella di quattro. Davanti al primo raggio si scorge la caratteristica spina quasi orizzontale, diretta in avanti. Segue la seconda dorsale, con 33 raggi: i primi lunghi quasi tre vertebre; gli altri molto brevi. L’ anale comincia un po’ più indietro della seconda dorsale, della quale ripete la forma, e conta 29 raggi. Il primo interemale, robusto e un po’ arcuato infe- riormente, si eleva diritto fino all’arco emale, a cui si appoggia. La roccia è rotta in corrispondenza delle due spine precedenti la pinna anale. Sul corpo sono sparse alcune squame, quasi circolari e sottilissime, che con l’aiuto di una forte lente si veggono percorse da finissime strie parallele al mar- gine. La linea laterale cammina. nel tratto anteriore presso a poco a eguale di- stanza fra la colonna vertebrale e la linea del dorso; poi, arrivata a livello del quarto raggio della seconda pinna dorsale, piega obbliquamente in giù e, giunta a livello del decimo, continva orizzontale lungo la colonna vertebrale, scendendo sotto di questa nell’ ultimo tratto: Essa è coperta per tutta la sua lunghezza da placche tre volte più alte che larghe, che nella regione caudale si vedono care- nate. Precisamente così come si osserva negli esemplari attuali di Zrackurus tra- churus. Questa specie (Maccarello bastardo o Sugherello) — alla quale somigliano in modo straordinario anche gli esemplari delle marne « sarmatiane » della Croazia descritti dal prof. Gorjanovic-Kramberger coi nomi di Caranz Haueri, gracilis e longipinnatus ') — è comune nel Mediterraneo. In tutte le acque marine che cin- gono la penisola salentina, dov’ è conosciuta coi nomi vernacoli di ,Spica/dra (Lecce) e di Zraulu (Taranto), si pesca molto frequentemente. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. ') Beitr. z. Palaeont. Oesterr.-Ungarns, vol. II, pag. 126, tav. XXVI, fig. 3-4 e tav. XXVII, fig. 1; p. 128, tav. XXVII, fig. 2-4 e tav. XXIV, fig. 7-8. Arti— Vol XII Serie 2°— N.0 3, 7 = e Gen. SERIOLA Cuv. Cuvier, Règne animal, vol. II, 1817, p. 315. — Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. IX, p. 200. — Smith Woodward A., Cat. foss. fish. Br. Mus., parte IV, p. 444. I più antichi rappresentanti di questo genere sono stati riscontrati nel calcare eocenico di M. Bolca: originariamente riferiti da G. S. Volta e da L. Agassiz a Scomber, Lichia e Carangopsis (Scomber cordyla Linn., Zichia prisca Agass. e Carangopsis analis Id.), furono più tardi ascritti giustamente da J. Heckel e da A. Smith Woodward a sSerdola. Seriola Dumerili Risso Caran® Dumerili — Risso, Ichth. Nice, p. 175. Seriola Dumerili — Risso, Hist. nat. Eur. mér., III, p. 424. — Cuvier et Valenciennes, loc. cit., p. 201, t. 258. — Cuvier, Règne an. Ill. poiss., tav. 56, fig. 1.1—Giin- ther, Cat. fish. Br. Mus., vol. II, p. 462.— Costa G., Fauna salentina, p. 100. Di questa specie, vivente, le argille tarentine hanno fornito un solo esem- plare, lungo circa 22 centimetri. Le ossa della testa e della regione addominale sono scomposte e non permettono di venire descritte. Le vertebre codali, in numero di 14, si mostrano (eccettuate le tre ultime) più lunghe che alte e strozzate nel mezzo; le addominali sono un po’ più brevi. Nelle pinne pettorali, spostate, si contano circa 20 raggi: i maggiori misu- rano la lunghezza di tre vertebre codali. Le pinne ventrali, notevolmente sviluppate, hanno un raggio semplice e 5 divisi, corrispondenti alla lunghezza di cinque di dette vertebre. La dorsale spinosa non è conservata. La molle comincia a livello della pen- ultima vertebra addominale, ha un'estensione di 6 centimetri, giungendo fino alla quartultima codale e mostra non meno di 30 raggi. L’anale, inserita più indietro della seconda dorsale, di cui è parecchio più corta (4 cm.), risulta formata dalle due piccole spine libere e da 1/20 raggi. Gl’interneurali e gl' interemali, lunghi, robusti e provveduti di una crestina longitudinale mediana, sono piegati alla base ad angolo ottuso. L’ interemale anteriore è grosso e arcuato, con la concavità ri- volta in avanti. La Seriola Dumerili, vivente nel Mediterraneo, è conosciuta a Taranto, dove si pesca non di rado, col nome vernacolo di Acciola de funnu. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. Ossa ingrossate per iperostosi Tav. TIL fig.6, Ye& Tra i fossili delle argille marnose di Taranto si trovano alcune ossa ingros- sate per iperostosi. Ne ho fatto riprodurre tre, in grandezza naturale, alla tav. III: le figure mi dispensano dal descriverle particolareggiatamente. Sono di color ca- IR) stagno chiaro, a superficie lucida, e mostrano un sottile rilievo longitudinale me- diano, che si osserva su entrambi i lati, cammina pressochè diritto, è quasi ta- gliente e deve rappresentare la lamina ossea originaria, normale, attorno alla quale si è poi determinato l’ispessimento. Nè ai due capi, nè altrove, offrono tracce evidenti di frattura; soltanto in qualche punto si vedono lievemente corrose, in modo da lasciarne discernere la struttura. Alcune (fig. 7 e 8) soro un po’ in- cavate ad un'estremità. Le maggiori sono lunghe 35 millimetri, hanno lo spessore trasversale di 15 e l’antero-posteriore di 10 ‘). Non è facile indicare con sicurezza la loro posizione nello scheletro, nè si può dire a quale animale appartenevano. Com'è noto, sono stati riscontrati in- grossamenti ossei in tutte le classi dei vertebrati *): più di solito si rinvengono nei pesci (specialmente delle famiglie Carangidae, Chaetodontidae, Percidae, Sciae- midae, Sparidae e Trichiuridae) e sono ossa della testa, vertebre e apofisi verte- brali, coste, ossa del cinto toracico e, sopratutto, interspinosi e raggi di pin- ne °). I nostri esemplari, certo spettanti a pesci, presentano qualche affinità, an- che per il colore e per la lucidità della superficie, con quelli del Pliocene e del Plistocene inglese (Cra9 e Forest Bed), che sono ascritti, quantunque a me sembri poco probabile, al gen. Pletaz (P. Woodwardi Agassiz), e con altri delle ar- gille sarmatiane del Bacino di Vienna (Carana carangopsis Heckel). Uno di essi (fig. 6), che si potrebbe grossolanamente paragonare per la forma a un nocciolo di dattero, richiama forse, benchè assai vagamente, una parte dell’ iperostosi didima che sta sulla testa del vivente 7richiurus lepturus Linn. e che ne sormonta gli occipitali. Tuttavia gli avanzi di Taranto, che a mio credere sono interspinosi, non corrispondono ad alcuno fra quelli già illustrati, nè consentono una determinazione. Argille marnose di Taranto. Museo civico di Storia naturale di Trieste. ') Il collega prot. Piutti, ch’ ebbe la gentilezza di analizzare questi avanzi, vi riscontrò notevoli quantità di acido fosforico e di materie organiche. ?) Vedi Paul Gervais, De l’hypérostose chez l’ homme et chez les animaux (Journal de zoo- logie, vol. IV [1875], pp. 272-284 e 445-462, con 5 tavole [V-IX]). ?) S. Woodward, Geol. Norfolk, 1888. — L. Agassiz, Recherches sur les poss. foss., vol. IV.— Cuvier et Valenciennes, Hist. nat. poiss., vol. VI e VII. — Heckel, Jahrb. d. Wien. geol. Reichsanstalt, III Jahrgang [1852]. — Steindachner, Sitzungsb. Wien. Akad. Wiss,, natur.- wiss. C1., vol. XXXVII [1859], p. 678. — P. Gervais, loc. cit. — Van Beneden, Bull. Acad. royale de Belgique, 3. sér., t. I, p. 119. — E. T. Newton, Vert. Forest Bed (Mem. geol. Survey, 1862) e Vert. plioc. deposits Britain (ibid., 1891). — A. Smith Woodward, Cat. foss. fish. Br. Mus., parte IV. — Per altre citazioni, vedi la monografia dianzi nominata di P. Gervais. o IR RISULTATI PALEONTOLOGICI E DEDUZIONI CRONOLOGICHE Se ora riassumiamo quanto sono venuto esponendo intorno all’ ittiofauna delle argille marnose di Taranto e di Nardò '), troviamo ch’ essa risulta costituita da Elasmobranchii selachii e da Teleostomi actinopterygù. I primi, rarissimi (quat- tro denti e una piastra dentaria) sono compresi in tre specie e in altrettanti ge- neri delle famiglie Zamnidac e Ifyliobatidae ©); i secondi, molto abbondanti, ap- partengono a ventisette specie, distribuite in ventidue generi, e rappresentano le famiglie Syngnathidae, Hippocampidae, Scopelidae, Maurolicidae, Scombresocidae, Gadidae, Pleuronectidae, Balistidae, Pomacentridae, Mullidae, Sparidae, Labridae, Trachypteridae, Cyttidae, Scombridae e Carangidae. Il maggior numero spetta agli Scopelidae e agli Scombridae, coi generi Nyctophus [= Scopelus] e Scomber; cia- scuno dei quali conta una considerevole quantità d’ individui, di cui sono spesso conservate la parte e la controparte. Alcune ossa, ingrossate per iperostosi, sono indeterminabili. È una fauna interessante, non solo per la copia notevole di esemplari (pa- recchie centinaia) e per il loro stato, in generale buono; ma anche perchè quasi tutte le specie che la compongono, al pari di alcuni generi ( /Zippocampus , Nyctophus [= Scopelus], Maurolicus, Heliastes, Mullus e Trachypterus), sono ci- tate ora per la prima volta allo stato fossile. Una particolarità degna di nota consiste nell’assenza di Clupeina. Nessuno dei nostri fisostomi, che pur sono nu- merosissimi, offre traccia di coste sternali, ond’io credo di poter escludere il gen. Clupea, così spesso citato, con tanta abbondanza di forme, nei depositi neo- zoici. Quanto agli Zryraulina, volendo essere scrupoloso, ne ho fatto cenno per incidenza (pag. 25); ma, in verità, sono di opinione che anch'essi debbano venir messi da parte. Ciò, del resto, non è molto strano, poichè è noto che i generi Clu- pea ed Engraulis sono rappresentati da forme pelagiche e migratorie, le quali non si avvicinano alla costa che per ragioni biologiche. Invece, un fatto che dà all’ ittiofauna in discorso un'impronta caratteristica è la presenza dei /Vyetophidae [= Scopelidae\ e dei Maurolicidac, i primi dei quali in gran copia. Come ho detto dianzi ‘), la loro determinazione mi ha tenuto lungamente indeciso, nè ancora (vorrei dire) ne sono interamente sicuro. Alla difficoltà di rilevare con assoluta certezza la costituzione della mascella superiore, che ha tanto valore per la di- stinzione degli ,Scopelidue dai Salmonidae, sì aggiunge la mancanza dei caratteri desunti dai punti lucidi (maculae luminosae) e dalla pinna adiposa, che sono i più importanti e dei quali, naturalmente, non può servirsi il paleontologo; in se- condo luogo, l'associazione di questi pesci di mare profondo con altri litoranei, ') Vedi a pag. 57 l'elenco completo dei pesci e degli altri fossili, animali e vegetali. ?) Questi cinque avanzi, appartenenti a specie attuali, sono isolati dalla roccia, onde la loro provenienza dal banco marnoso non è provata con sicurezza assoluta. In essi peraltro si scorgono tracce di roccia argillosa. Tutt’ al più, potrebbero essere stati raccolti nella parte più elevata del deposito, dove le argille marnose diventano sabbiose. Se poi fossero dello Zuppigno sottostante, il riferimento delle argille al Plistocene non verrebbe modificato, anzi acquisterebbe nuovo valore. *) Vedi le pagine 19-21 e 25. 2: cioè con gl’ Zippocampus, i Syngnathus, i Belone, gli MHeliastes, i Solea, ècc. , suggerisce ogni cautela. Giova peraltro riflettere che gli scopelini, pur vivendo, in generale, a oltre 1000 metri di profondità, appariscono frequentemente in dense truppe, al pari di molte altre forme del Plankton profondo, alla superficie del mare e nelle vicinanze della costa. La ricerca delle cause di queste migrazioni verticali ha attirato l’attenzione di parecchi scienziati, dando luogo a osservazioni e a considerazioni di uno speciale interesse: valgano ad esempio quelle, disposte in or- dine cronologico. di Giglioli, di Schmidtlein, di Brandt, di Chierchia, di Boguslawsky e Kriimmel, di Chun, di Natterer, di Grassi e Ca- landruccio, di Lohmann e di Lo Bianco. Quest’ ultimo naturalista ( Mitth. zool. Station Neapel, vol. 15), studiando lè forme abissali pescate dalla nave Maja durante l’ Agosto del 1901 nel golfo di Napoli, riassunse e discusse dottamente l’ importante problema, aggiungendo nuovi dati a quelli esposti dai precedenti stu- diosi, e concluse che, salvo i casi di automigrazione verticale per necessità di riproduzione o di cliotropismo positivo, la presenza in massa, nell'inverno e in primavera, degli animali planktonici profondi alla superficie del mare c lungo le coste, meglio che come una migrazione attiva per esigenze biologiche, può essere interpretata come una migrazione passiva, dovuta alle correnti profonde (determi- nate dalle mutate condizioni fifiche), le quali raccolgono i delicati e fragili or- ganismi che incontrano per via, travolgendoli e trasportandoli alla superficie, dove, spinti dal vento, vanno a infrangersi sulle spiagge. Certo, questa ipotesi è la più logica e la più probabile: « anche Grassi e Calandruccic » (riporto inte- gralmente il brano di Lo Bianco) « nel loro lavoro sulla metamorfosi dell’An- guilla, spiegando il fatto del rinvenimento delle larve di essa alla superficie dello stretto di Messina, scrivono che quando vi è alta marea nel mar Tirreno, vi è bassa marea nel mare Jonio, e viceversa; sicchè, quando si stabilisce il contrario, è così grande la quantità di acqua che si sposta, che prima d’incanalarsi per lo stretto di Messina, raggiunge le grandi profondità, trascinando seco alla superficie una massa di animali, tra i quali moltissimi tipi abissali. Tutta questa massa di organismi, trovandosi fmnori le condizioni normali, finisce per essere spinta dallo Scirocco sulla spiaggia del Faro, ove i loro cadaveri formano strati assai spessi, ed un’altra porzione arriva fin nel porto di Messina, ove non è raro il trovare galleggianti alla superficie pesci, cefalopodi ed altre forme abissali, già morti, per la mancanza di pressione » '). Secondo ogni probabilità, anche questi isospondili delle nostre argille marnose subirono la stessa sorte: presi e travolti da una corrente nel golfo di Taranto (che alla bocca ha più di 2000 metri di profondità), furono spinti alla superficie e sbattuti dalle onde sulle coste del Mar piccolo, dove lasciarono in gran copia le loro spoglie, non di rado accavallate e scomposte. In conclusione, credo di non ingannarmi riferendo i numerosi pesci in discorso alle famiglie ,Scopelidae e Maurolicidae. Può darsi ch’ io sbagli nella distinzione delle specie, la quale, come ') Accennando alle correnti che si determinano nello stretto di Messina, il dottore Lo Bianco dice ch' esse devono raggiungervi senza dubbio più migliaia di metri di protondità, come si desume dalle forme batibiche trasportate alla superficie. I "_ — - PL RI CMS AI e i gi E ho già detto, dev'essere considerata fino a un certo punto ipotetica, sia perchè manca il principale criterio fornito dai punti lucidi, sia perchè alcuni fra gli altri caratteri indicati dagli zoologi presentano graduali passaggi, sia infine per- chè si tratta di esemplari assai delicati, le cui pinne, non integralmente conser- vate, lasciano dei dubbî sul numero e lo sviluppo dei raggi che le compongono; ma, per ciò che riguarda la determinazione generica, ritengo di essere nel vero. Quanto ai rapporti della nostra ittiofauna, essa può venire efficacemente con- frontata con quelle del Tripoli italiano, delle marne grigie della Croazia, attri - buite al Sarmatiano, delle argille subappennine della Toscana, del Bolognese, dell’Astigiano ecc. e, sopratutto, con |’ attuale. La ittiofauna dei Tripoli della Sicilia, della Calabria, delle Marche, delle Romagne e della Toscana, studiata da Agassiz, da Sauvage, da Capelli- ni, da de Bosniaski, da Cecconi, da Bonomi, da Bassani e da altri, ha un'impronta spiccatamente mediterranea e mostra un carattere molto giova- nile, contenendo, anche a giudizio del dott. Sauvage, non solo delle specie af- finissime alle attuali, ma pure di quelle che vivono adesso; onde, meglio che alla zona profonda del Miocene medio (Langhiano) o al Tortoniano inferiore o supe- riore (= Sarmatiano), va riferita, secondo me, come già ritengono parecchi geo- logi, al Pontiano. Tuttavia, a quanto sembra, essa non offre molte analogie con la nostra di Taranto e di Nardò. Ha comuni con questa numerose famiglie, fra le quali, certamente, Zamnidae, Syngnathidae, Scombresocidae, Gadidae, Plewro- nectidae, Sparidac, Scombridae, Carangidae e Scopelidae: quest'ultima, rappresen- tata dai generi Anapterus e Parascopelus, vi ha una percentuale notevole d’ in- dividui, dovuta verosimilmente, come già dissero Cecconi e Bonomi, all’azione di correnti profonde; nè (data la difficoltà di rilevarne con precisione i caratteri) è impossibile che le appartengano altri esemplari ascritti ai Se/monidae (Osme- rus) '), ai Clupeidae e fors’ anche ai Cyprinidae *). Quanto ai generi riscontrati anche a Taranto e a Nardò, vi sono Oryrhina, Syngnathus, Belone, Scombresox, Gadus, Solea, Chrysophrys e Lepidopus; del gen. Zeus si raccolsero soltanto fram- menti, molto dubbiosi. Ma, per ciò che riguarda le specie, le affinità sembrano piuttosto scarse. Il dente di Ocyr4ina sp. è somigliantissimo alla vivente 0x. Spal lanzanii ; il Siphonostoma Albyi (la cui determinazione generica, come ha giu- stamente osservato Smith Woodward, è dubbiosa) e i Syrgnatus sp., oltremodo | copiosi, richiamano assai il Syngnathus acus; lo Scombresox acutirostris è molto | vicino al ondeleti, e i Lepidopus Albyi e anguis si distinguono a mala pena dal caudatus. Con le specie degli altri generi non è possibile istituire confronti, per- chè una (Zelone acutirostris Sauv. di Licata) è conservata troppo imperfetta- mente, e delle rimanenti, trovate al Gabbro. non figurate nè descritte, si conosce soltanto il nome (Gadus Jonas de Bosn., Chrysophrys pygmaca Id., Chr. Fuchsi Id. e ,Solea Sauvagei Id.). ') Smith Woodward ha giustamente notato che la determinazione generica degli Osmerus di Licata, del Gabbro e di Mondaino è molto dubbiosa. ?) Anche Smith Woodward osserva che un esemplare di Licata conservato nel Museo Bri- tannico di Londra e inscritto come Osmerus ha l’aspetto di uno scopelide. IR", e. _-” ge °° °__pPoo-. L'A Maggiori rapporti presenta la nostra ittiofauna con i pesci delle argille sub- appennine di varie regioni e specialmente con quella delle colline toscane, rap- presentata da parecchie migliaia di denti, di ossa, di doruliti, di placche dermiche ecc. e studiata dal compianto La wley e da chi scrive. Infatti, le argille di Or- ciano, Volterra e Siena fornirono OxyrRina Spallanzanii e Carcharodon Rondeleti, rinvenute anche in consimili depositi del Bolognese, del Parmigiano, della Basi- licata, della Calabria e della Sicilia; MyZiobatis aquila, trovata eziandio nel Bo- lognese e nell’ Astigiano; Merluccius vulgaris, Balistes capriseus, Chrysophrys aurata, Zeus faber e, secondo ogni probabilità, Dentez vulgaris, riscontrata pure nel Bolognese. È vero che si tratta di avanzi frammentarii; ma, come asserì ri- petutamente lo stesso Lawley, che non risparmiava studii comparativi '), essi sono identici a quelli delle predette specie. Altrettanto notevoli, anzi più soddisfacenti, perchè i confronti si possono fare con pesci quasi sempre interi e non con semplici frammenti, sono i vincoli con la ittiofauna delle marne grigie della Croazia (Radoboj, Podsused, Dolje, Vrabce, ecc.), intorno alla quale si occuparono Kner e Steindachner e più recente- mente Gorjanovige-Kramberger, che ne pubblicò la monografia completa, corredandola di numerose e bellissime figure. Queste marne, che a Radoboj e al- trove sono comprese fra il calcare della Leitha a Pecten latissimus e Pecten Bes- seriî e gli strati a Congerie (C. M. Paul, Verbandl. Wien. geol. R. A., 1874, e G. Pilar, ibid., 1877), hanno fornito molti pesci, conservati bene, alcuni dei quali somigliano tanto ad altri di Taranto, vale a dire a specie attuali, da far sorgere l’idea che si tratti delle stesse forme ora viventi nel Mediterraneo e che quelle marne, ascritte al Sarmatiano inferiore, debbano forse venire attribuite a un piano più recente. Valgano ad esempio i Syngnathus ( Helmsi e affinis), la Chrysophrys Brusinai, gli Auris (minor, croaticus , thynnoides e vrabcensis) e gli Scomber (Stemdachneri è priscus), i Carana (gracilis, Haueri e longipinnatus) e il Rhombus Bassanianus, strettissimamente affini e probabilmente identici a ,8yn- gnathus acus, Chrysophrys aurata, Scomber scomber, Trachurus trachurus e Solea lutea. Quanto al Belone tenuis del calcare marnoso di Jurjevcani in Croazia, mi pare che si presti a un utile confronto con lo Scombresoz Rondeleti, perchè dal- l'esame della figura sembra che le vertebre, comprese quelle coperte dall’apparato opercolare, sieno più di 60 e che non possa escludersi in via assoluta l’antica pre- senza delle pinnule spurie. Finalmente, ad alcune delle ossa ingrossate per ipero- stosi delle argille sarmatiane del Bacino di Vienna, pubblicato da Steindachner col nome di Caranz carangopsis, si avvicinano quelle delle argille marnose di Taranto, che richiamano anche notevolmente gli avanzi consimili del Cray e del Forest bed inglesi *). 1) Vedi la nota a pag. 35. *) Al Sarmatiano, secondo de Stefani e de Bosniaski, appartengono anche le marne tur- chine di Cutro (Catanzaro), di cui quest’ ultimo naturalista ha esaminato alcuni pesci, « solo in piccola parte ben conservati », che riferì a forme nuove o a generi dubbiosi o a specie indeter- minate, dandone soltanto il nome (Rhombus cutrensis, Rh. caudatus, Carana |Trachurus] Lovisatoi , Gadus Stoppani, G. latior, Chrysophrys aut Pagellus?, Thynnus sp.?, Clupea sp.?). Invece Ne- viani, al pari di Cortese, le crede sicuramente plioceniche. Lo stesso autore citò avanzi di Ma ih Ma dove la nostra ittiofauna trova la sua perfetta corrispondenza, è nei mari attuali e precisamente nel Mediterraneo, in cui vivono tutte le specie che la com. pongono; molte delle quali si pescano in abbondanza nel Mar piccolo di Taranto e si trovano sul mercato di quella città. Questa totalità di forme viventi, che si riscontra anche nelle altre classi animali e vegetali, come risulta dall’ elenco inserito nella pagina seguente, è una prova della estrema giovinezza, delle argille marnose di Taranto e di Nardò. Ond’è da concludere, com'è adesso l’ opinione dei più e come aveva supposto fin dal 1864 l'ingegnere Mauget '), ch’ esse vanno assegnate al Plistocene inferiore e corrispondono ai noti depositi di Fica- razzi, M. Pellegrino, Sciacca, Gallina, Matera, Ginosa, Castellaneta, Gravina, M. Mario, Vallebiaia e a tanti altri giacimenti italiani a Cyprina islandica, specialmente calabresi e della Sicilia, i quali, già ritenuti pliocenici, sono an- dati a mano a mano dimostrando, mercè gli studii recenti di parecchi geologi, la propria spettanza al Pospliocene. Quanto al loro carattere, la descritta ittiofauna, come gl’ invertebrati e le alghe, tutte costiere, che l’accompagnano, le dimostra di formazione marina, a tipo litorale. Infatti, ne fanno parte gl’ZAippocampus, i Syugnathus, i Solea, gli He- liastes, i Mullus, ì Crenilabrus ecc., che abitano presso le coste; alle quali si avvicinano in varie epoche dell’anno, talvolta in truppe numerose, i Belone, gli Scombresox, gli Scomber, i Trachurus, gli Zeus, i Lepidopus, i Merluccius (i cui resti tarentini — giova notarlo — appartengono a individui molto piccoli) e gli altri teleostomi dianzi illustrati. Per ciò che riguarda gli elasmobranchi, che vi sono rappresentati soltanto da cinque denti, la loro presenza (se pur vi è sicura) può essere accidentale: e quella dei copiosi Nyetophus e dei Maurolicus è pro- babilmente dovuta, come già si è detto, all’azione di correnti profonde. Clupea, di Thynnus e di Chrysophrys o Pagellus in altre marne presso Reggio, che ritenne pure sarmatiane e, come le precedenti, contemporanee al Tripoli. Allo stesso piano il de Stefani ascrive altri pesci delle marne di Piscopio, presso Monteleone Calabro. Di tutti questi ittioliti io conosco soltanto un Ahombus, conservato nel Liceo della Badia di Montecassino, che mi è parso di specie vivente. !') L'ingegnere Aristide Mauget visitò nel 1864 la penisola salentina per la ricerca di acque sorgive e trivellamento di pozzi artesiani, andando da Francavilla per Grottaglie a Taranto e da Taranto a Martina; poi ne scrisse una monografia, ancora inedita, diretta al Consiglio pro- vinciale di Terra d’ Otranto. In questo lavoro, che porta la data del 4 Ottobre 1864 e che io ho potuto esaminare a Lecce mercè la gentilezza del prof. De Giorgi, egli dà anche alcuni profili geologici, fra i quali uno da Taranto alla Torre della Rondinella: nella parte superiore stanno le « sabbie »; a queste segue un « calcare assai conchiglifero, quaternario, che giace su un banco di marne grigio-turchine, senza fossili, probabilmente della stessa formazione ». | | | | ELENCO DELLE SPECIE VEGETALI E ANIMALI RACCOLTE NELLE ARGILLE MARNOSE DI TARANTO E DI NARDÒ E CITATE IN QUESTA MEMORIA TARANTO ALGAE Chaetomorpha crassa Ag. sp. (?) Codium tomentosum A g. Dictyota dichotoma Huds. sp. Caltithamnion granutatum Duel. sp. Grateloupia filicina Wulf. sp. Gratetoupia Bassanii de (asp. Dudresnaya coccinea Ag. sp. Detesseria crispa Zanard. Gelidium corneum Huds. sp. RHIZOPODA Clavulina communis d' Orb. Glandulina rotundata Rss. Lagena striata d’ Orb. Marginulina giabra d° Orb. M. glabra d’Orb., var. subbultata Hantk. Nodosaria communis d’ Orb. N. communis d’Orb., var. annulata Rss. Nodosaria hispida d’ Orb. Nodosaria raphanistrum L. sp. Nodosaria sp. Polymorphina amigdaloides Rss., var. lepida Forn. BRACHIOPODA Crania ringens Hòoningh. Terebratula [Liothyrina] vitrea Born. CRINOIDEA Antedon rosacea Norm. ECHINOIDEA Schizaster canaliferus Ag. Spatangus purpureus Leske PELECYPODA Anomia sp. Chlamys infleca Poli sp. Mactra trianguia Ren. (?) Pinna sp. Tellina [Eutellina] donacina L. Tettina [Id.]) incarnata L. Tettina [Id.) serrata Ren. Thracia papyracea Poli sp. [=T. phaseo- lina Lam. sp.]. GASTROPODA Columbelta rustica I. sp. PISCES Carcharodon Rondeleti M. et H. Oxyrhina Spaltanzanii Bona p. Myliobatis aquita L. sp. Syngnathus acus L. Hippocampus antiquorum Leach Nyctophus caninianus C. et Vi. sp. Nyctophus Rafinesquei Cocco Nyctophus Rissoi Cocco sp. Nyctophus (?) sp. Maurolicus Poweriae Cocco sp. Maur. amethystino-punctatus Cocco (?) Maurolicus attenuatus Cocco (?) Beltone acus Risso Scombresox Rondeteti C. et V. Gadus poutassou Risso Merluccius vulgaris Flem. Solea lutea Risso sp. Balistes capriscus Gm. Hetliastes chromis L. sp. Dentex sp. [efr. vulgaris C. et V.] Chrysophrys aurata L. sp. Chrysophrys caeruleosticta C. et V. Crenitabrus (?) sp. Trachypterus inîis Walb. sp. (2) Zeus faber L. Scomber scomber L. Trachurus trachurus L. sp. Seriola Dumeriti Risso Fam.? [Ossa ingrossate per iperostosi ]. MAMMALIA Tursiops tursio Fabr. sp. (?) NARDÒ PISCES Mullus barbatus L. ATTI— Vol. XII- Serie 2°— N.0 3. Scomber scomber L. Lepidopus caudatus Euphr. sp. 8 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE [Tutti i fossili riprodotti nelle tre tavole provengono da Taranto e, tolto l'esemplare alla fig. 2 della tav. II, che si conserva nella Collezione De Giorgi in Lecce, ap- partengono al Museo civico di Storia naturale di Trieste.—Le figure sono in gran- dezza naturale, eccettuata quella al n.° 5 della tav. III]. TAVOLA I. Fig. 1 e 2, pag. 13— Carcharodon Rondeteti Miùll. et Henle. Denti, visti dalla faccia interna. » 3, » l14— Oxyrhina Spallanzanii Bonap. Dente, visto dalla faccia interna. LS 4, » 15— Myliobatis aquita Linn. sp. Piastra dentaria superiore. » 5, » 21— Ayctophus caninianus Cuv. et Val. sp. (?) » 6, » 24— Nyctophus (?) sp. [La distanza verticale fra il primo raggio della dor- sale e l’ inserzione delle ventrali, inesattamente riprodotta, è di mm. 21]. » 7, » 25— Maurolicus Poweriae Cocco sp. , » 8, » 27— Maurolicus attenuatus Cocco (?) » 9, » 34— Balistes capriscus Gmelin. » 10, » 42— Zeus faber Linn. » 11, » 40— Crenitabrus () sp. Placca faringea inferiore. TavoLa II. Fig. 1 pag. 29— Scombresox Rondeleti Cuv. et Val. » 2, » 32— Solea lutea Risso sp. » 3, » 23 — Nyctophus Rafinesquei Cocco. » 4, » 21— Nyctophus caninianus Cuv. et Val. sp. » 5, » 23— Nyctophus Rissoî Cocco sp. [Figura di un esemplare del Museo ci- vico di Trieste, completata con l’aiuto di un altro conservato nel Museo geologico di Napoli]. » 6, » 26— Maurolicus amethystino-punctatus Cocco (?) [I raggi della pinna pet- torale, che nella figura, per errore litografico, appaiono soltanto nove, sono invece 12 o 13]. » 7e7a, » 85 — Heliastes chromis Linn. sp. Parte e controparte. » 8, » 87— Dentex sp. [cfr. vulgaris Cuv. et Val.]. Vertebra. » 9e9a, » 37 — Dentea sp. [cfr. vulgaris Cuv. et Val.] (?). Vertebra, vista di fianco e di fronte. » 10, » 18— Hippocampus antiquorum Leach. TavoLa III. Fig. le 2, pag. 44 — Scomber scomber Linn. » 3, » 46— Pinna dorsale anteriore (incompleta) di uno Scomber coias Linn., conservato nel Museo di zoologia e anatomia comparata dell’ Uni- versità di Palermo (da uno schizzo del prof. F. Raffaele). » 4, » 17— Syngnathus acus Linn. » 5, » 17—/a. Due scudi dél tronco, molto ingranditi. » (8, » 50—Fam.? Ossa ingrossate per iperostosi. : \ È i ì i VSS E CIO SI COSE, II. TO e INDICE Nardò e citate in questa Memoria Spiegazione delle tavole . : 3 finita di stampare il di 26 Aprile 1905 Elenco delle specie vegetali e animali raccolte nelle argille marnose di Tati e di Prefazione. ; : & ì ” : 4 î . ‘ È i È . pag Bibliografia . i . ; ; ;

: : “ 7 ‘ : MUR > Carcharodon Rondeleti M. et H. . pag. 13 | Solea lutea Risso sp. pag. 32 Oxyrhina Spallanzani Bonap. » 14 | Balistes capriscus Gm. » 84 Myliobatis aquila L. sp. . » 15 | Heliastes chromis L. sp. 5 La 035 Syngnathus acus L. . 5 RL | Demi sp. [cfr. vulgaris C. et V.] . >» 37 Hippocampus antiquorum Leach > b18 ‘ Mullus barbatus L. 3 } DI Nyctophus caninianus C. et V. sp. » 21 Chrysophrys aurata L. sp. NP MIS Nyctophus Rafinesquei Cocco . » 28 | Chrysophrys caeruleostieta C. et V. . » 89 Nyctophus Rissoi Cocco sp. » 23 | Crenilabrus (?) sp. - » 40 Nyctophus (?) sp. 4 » 24 | Trachypterus iris Walb. sp. O » 41 Maurolicus Poweriae Cocco sp. » 25 | Zeus faber L. È - » 42 Maur. amethystino-punctatus Cocco (?) » 26 | Scomber scomber L. s » 44 Maurolicus attenuatus Cocco > » 27 Lepidopus caudatus Moss: sp. » 48 Belone acus Risso . - » 28 | Trachurus trachurus L. sp. » 49 Scombresox Rondeleti C. et V. » 29 | Seriola Dumerili Risso . sa 50 Gadus poutassou Risso . » 31|Zam.? [Ossa ingrossate per ipero- Merluccius vulgaris Flem. ». 82 stosi] » 0 Risultati paleontologici e deduzioni cronologiche È . - * 5 pag. ER DERE tPA, IAA FAR v:È et) ga Ri del SE aa, s x Lula bell ATE, fare MELA Li: Bassani Ittwof arg plstoc di Taranto Tav 8 po CE eno alii ALA Seria. Napoli «Uli RAccad. Se. Ste mate di Napoli, vol MM AZ “anto. Lav III 74 Za Ittwot'arg. plistoc di Bassani a Ur, a" "tl nei i : pren si ili 0 DEL alli: id eee I Vol. XII, Serie 22 Ne 5 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SUL MOTO DI UN FILO E SULL’ EQUILIBRIO DI UNA SUPERFICIE FLESSIBILE ED INESTENSIBILE MEMORIA di D. DE FRANCESCO presentata nell'adunanza del dì 4 Luglio 1903 (PARTE I). Il prof. Morera *) ha dimostrato che « se un sistema di forze applicate ad una superficie flessibile ed inestensibile è in equilibrio, questo sistema si può sempre scomporre, in infiniti modi, in due altri, ciascuno dei quali mantiene in equilibrio la superficie stessa, în guisa che per le forze di uno stesso sistema la superficie si può dividere in striscie infinitamente strette, ciascuna delle quali è di per sè in equilibrio come una curva funicolare. Questo teorema induce a considerare una superficie flessibile ed inestensibile come generata dal moto di un filo, ed a studiare le relazioni tra le forze, che producono il moto del filo, e quelle che tengono in equilibrio la superficie. La ricerca di tali relazioni forma la prima parte di questa Memoria. Nella seconda mi propongo di studiare quei moti in cui le successive posizioni del filo costituiscono una famiglia di geodetiche della superficie, o in cui il filo, scorrendo su sè stesso, presenta una figura costante. 1. Consideriamo un filo flessibile ed inestensibile in moto. Siano, rispetto ad una terna di assi ortogonali, 2 ,y, le coordinate di un elemento ds di filo, s l'arco compreso fra questo elemento ed un punto dato del filo; # la densità e T la tensione in ds; X,Y,Z le componenti parallele agli assi della forza unitaria ad esso ap- plicata. *) Transunti della R. Accademia dei Lincei, Serie 3", vol. VII, 1883. Attr— Vol. X//— Serie 2°—N0 5 i E pes Le equazioni del moto sono, com'è noto: Hel dad D) 0, 0, I d°y 2 dy Tmpta; a) d°z Db) d \ 1 mi +3 (17)=0 , che si possono anche scrivere, essendo m indipendente dal tempo: MT) opa) tata) e 0). d dy BO IT). __ dae dy dz b ; MOT (I) Gi (TA O (A Fra EROE sussiste la relazione : (7) - (3) | = de: Queste equazioni, supposto note ie forze, determinano ad ogni istante, quando siano integrate, la posizione di ciascun punto del filo, e per conseguenza definiscono mediante i parametri s e # la superficie, luogo di tutte le posizioni del filo. Sopra questa superficie le linee f=cost (o linee s) rappresentano le successive posizioni del filo mobile ; le linee s= cost (o linee #) rappresentano le traiettorie dei punti del filo stesso. Detto 6 l’ angolo delle due linee coordinate s e # nel loro punto d'incontro, l’ elemento lineare 4S della superficie generata sarà dato da: (1) dS° = ds + 2dsvdt così + vd? , essendo » la velocità di ds, cioè: DECEORS Supponiamo ora che la superficie considerata sia flessibile ed inestensibile e che sia in equilibrio sotto l’ azione di forze distribuite con continuità sulla me- desima e tali che le linee s e £ risultino coniugate, cioè la tensione T, a traverso l'elemento ds di linea s sia diretta secondo la linea ?, e la tensione T, a traverso l'elemento vd sia diretta secondo la linea s. Indicando con X,,Y,,Z,, le com- ponenti della forza unitaria sull’ elemento di superficie 47, compreso fra le linee dari etgai ear dalai K s=cost, s + ds= cost, f= cost, #+ dt= cost, per l'equilibrio debbono essere soddisfatte le equazioni seguenti *): A | X,vsen0= — tana): (2) | Y,wsenB= — ele 8a So AIZEN Spe) a al È, | ele ago=S SA | Dl Zvsen6 = — Se ora si pone nelle equazioni (1): Li (3) Tele misi dove « è una quantità costante, i secondi membri di esse risultano eguali ai secondi membri dell’equazioni (2) moltiplicati per a: lo stesso dovrà avvenire dei primi membri, e quindi: (4) X=-aX,vsend , Y—aY,vsen0, Z—=-aZjvsend . La quantità «, come è ovvio verificare, ha la dimensione del tempo, e si potrà quindi porre: «=1". Con ciò le 3) e le 4) diventano: i È (3) duca a T,=—mv, (4) x X,vsen0 , Y==Y,usend , Z=Zosehd . Dalle (3) si trae: [MN Todt="Tdt ; —T,ds=mvds. Quindi Za tensione totale che ha luogo, sulla superficie in equilibrio, a traverso un elemento vdt di traiettoria è eguale all'impulso della tensione T del filo nel punto stesso durante il moto; e la tensione totale a traverso un elemento ds di generatrice è equale e di segno contrario alla quantità di moto dello stesso elemento di filo. *) Infatti il Beltrami (Cfr. Sull’equilibrio delle superficie flessibili cd inestensibili, Mem. del- "1° Acc. delle Scienze di Bologna, 1882), riferita la superficie ad un sistema di coordinate curvilinee coniugate u e v, e scritto l’ elemento lineare sotto la forma: (a) ds°— Equ*-+- 2Fdudv + Gdv?, posto H= VEG— F°, trova le seguenti equazioni d’ equilibrio: MACAO tas d /, b/E SAP u=—2 (1.7 e)-a(% I (X,Y,Z ’ C,Y,8). % aida 14 MT € PI TOPI ey Dette poi X' ed X, le forze to/z// che agiscono rispettivamente sull’elemento di filo ds in moto, e sull’elemento di superficie do in equilibrio, essendo: do=vdtdssen0 , le (4) danno: x,=Xdt , Y,=Ydi , Z;=Zdt Dunque /a forza totale che agisce sull'elemento do di superficie è eguale all’im- pulso della forza motrice che agisce sull'elemento ds di filo. 2. Qui però è necessaria un’ osservazione. Per l'equilibrio stabile di un filo occorre che la tensione sia positiva; e quindi le linee che corrispondono alle traiettorie, avendo una tensione negativa, sono bensì in equilibrio, ma instabile. Se alle forze applicate alla superficie si cambia segno, cambiano segno anche le tensioni, ed allora la superficie è in equilibrio instabile per le linee appartenenti all’ altra famiglia. Si può ottenere una superficie in equilibrio completamente sta- bile, generata dal moto di un filo, se la tensione T, nel moto del filo generatore, è negativa; poichè cambiando allora il segno alle forze applicate alla superficie, le tensioni delle due serie di fili divengono positive. 3. Se il filo si muove non sollecitato da forze (eccetto che agli estremi, se questi estremi non sono liberi), allora X=Y=Z=0, e quindi per le (4) si ha pure xX,=Y,=Z,=0; onde la superficie generata dal filo, supposta flessibile ed ine- stensibile, è in equilibrio senz’ aggiunta di forze esterne (eccettuato il contorno). Esempio. Abbiasi un filo flessibile ed inestensibile, soggetto ad una forza F=w?r, perpendicolare ad un asse z, repulsiva e proporzionale alla distanza » dal- l’asse stesso. La curva di equilibrio stabile di questo filo (concava rispetto all’ z) è nota, essendo stata studiata dal prof. Marcolongo *). Ora la curva del Marcolongo rappresenta anche la posizione d’ equilibrio relativo di un filo non soggetto a forze, e i cui estremi siano legati ad un corpo rigido il quale ruota uniformemente intorno all’ asse 2 con velocità angolare w. Il filo descriverà nello spazio una superficie di rotazione, la quale, considerata come flessibile ed inestensibile, sarà in equilibrio senz’ aggiunta di forze, eccetto quelle al contorno. In virtù del teorema del prof. Morera, potremo sostituire a questa superficie un reticolato, formato dalle curve di Marcolongo e dai paralleli. Questo retico- lato però si troverà in equilibrio instabile, essendo la tensione positiva lungo le generatrici, negativa lungo i paralleli. i Se si fa ruotare, invece della curva di equilibrio relativo stabile, quella di *) Il Résal (Mecanique Generale, t. I, p. 318) ha trattato il caso che i punti fissi siano iu un piano con l’ asse di repulsione. Il Marcolongo (Alcune applicazioni delle funzioni ellittiche alla teoria dell'equilibrio dei fili flessibili, Rendie. della R. Acc. delle Scienze di Napoli, 1892) ha trattato il caso generale, riducendo le formole, quando la tensione sia positiva, alle funzioni ellittiche. PeR VR tg; e equilibrio instabile, cioè quella per cui T è negativa (la curva allora volge la convessità all'asse z), allora si avrà; tanto lungo le generatrici quanto lungo i pa- ralleli, tensione negativa. Cambiando il senso delle forze applicate al contorno, le tensioni divengono positive e la superficie è in equilibrio stabile. Si potrà avere una superficie più generale di questa, in equilibrio senza forze applicate (tranne al contorno), supponendo la stessa curva solidale con un corpo rigido ruotante con moto uniforme intorno all’asse 2, e che si trasporti con moto pure uniforme in una direzione qualunque. 4. Il Beltrami, nella Memoria citata, deduce le equazioni d’equilibrio d'una superficie flessibile ed inestensibile, dall’ equazione dei lavori virtuali : Pi 5 1 fisse + Ydy + 282) do + (ESE + Y.dy + Zd2) ds + S S (A3E + 2pdF + vdG) T =0, nelle quali X, Y, Z sono le componenti della forza unitaria applicata all'elemento superficiale do, X., Y,, Z, quelle della forza unitaria applicata all’ elemento 4s del contorno della porzione di superficie che si considera, e 2, p, v sono tre moltipli- catori, funzioni di « e di v. Supponendo le linee « e v coniugate fra loro rispetto alla tensione (il che si può ottenere in infiniti modi, come ha dimostrato il Morera *), la quantità w risulta nulla. Ora il porre nell’ equazione dei lavori virtuali p1=0, equivale ad omettere la condizione d’invariabilità dell'angolo di due linee coordinate, cioè ad omettere la condizione 8F =0. Per conseguenza la superficie flessibile ed inestensibile viene ad essere sostituita con un reticolato, formato colle linee « e ®. Questa osservazione è stata fatta anche dal prof. E. Daniele **), il quale ha trattato direttamente dell’ equilibrio delle reti, senza considerarle però come generate dal moto di un filo. Le reti considerate dal Daniele non possono del resto, nel caso generale, essere generate dal moto di un filo, la generabilità richiedendo la con- dizione geometrica che due linee qualunque di una famiglia taglino da tutte le linee dell’ altra archi eguali. Invece, una superficie qualunque flessibile e inestensibile, in equilibrio sotto l’azione di date forze, può sempre considerarsi come generata da un filo in moto sotto l’azione delle medesime forze, nel senso indicato dal teorema del n. 1. Infatti, pel teorema del Morera, il problema della ricerca di una famiglia di linee, « e v coniugate fra loro rispetto alle tensioni, è indeterminato. Aggiun- gendo tra « e v la condizione E= 1, l’elemento della superficie acquista la forma (1)', e per conseguenza due linee qualunque v tagliano da tutte le wu archi eguali. Si potranno quindi considerare le « come ie successive posizioni di un filo mobile. finita di stampare il dì 10 Settembre 1903 *) Cfr. Mem. cit. p. 239. **) Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 1892. 5 5 | Vol. XII, Serie 2 N° 6. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SUL MOTO DI UN FILO E SULL’EQUILIBRIO DI UNA SUPERFICIE FLESSIBILE ED INESTENSIBILE MEMORIA di D. DE FRANCESCO presentata nell'adunanza del dì 4 Luglio 1903 (Parte II). 1. Considerando ancora un filo flessibile ed inestensibile, il quale si muova ge- nerando una superficie, cerchiamo quale condizione debba verificarsi affinchè esso sì disponga, in ogni sua posizione, secondo una geodetica della superficie stessa. Chiameremo velocità di scorrimento la proiezione della velocità v di un ele- mento ds di filo, attiguo al punto M(s,t), sulla tangente in M alla linea s; essa è espressa da de de , dydy ded: _ wgdr de (1) uan dea Da questa formola si ricava d d'a de de da dx» dae (2) 55 (00088) = Ni de + ds sodi I da di poichè da dx 1 dw/dr\ dex? Zanasi). | 2) =! Inoltre, detto e, il raggio di curvatura della linea s, e ricordando i valori dei coseni direttori di g, e di v, avremo dance Vl (3) so" * cos (pv) - Supponiamo ora che le linee s siano geodetiche. ATTI — Vol. XII— Serie N° 6. 1 ir 0 |, se I: Se sono rettilinee si ha =0; quindi se la superficie generata è piana, il secondo membro della (3) è nullo: se invece la superficie è curva, il raggio oscu- latore p, è normale ad essa, e quindi anche a 2, onde cos(p2)=0. Dunque: se 4 filo movendosi genera una superficie, la condizione necessaria e sufficiente affinchè esso si disponga în ogni istante lungo una geodetica della super- ficie è che tutti i suoi punti abbiano nello stesso istante la stessa velocità di scor- rimento. 2. Ci limiteremo a considerare il caso in cui le forze esterne X, Y, Z che sol- lecitano il filo mobile siano funzioni delle coordinate (2, 7,2) e derivative di una funzione V. Questa funzione, per un punto fuori della superficie, sarà funzione di 2,7, e quindi di s,#,%, essendo la perpendicolare abbassata dal punto sulla super- ficie, ed s, # le coordinate curvilinee del piede della perpendicolare. Avremo quindi de + Ydy + Uds=aV =" ds 4 ae 4 o dn donde si deduce dV da dV dr dv de (4) 3 da aa 3. Le equazioni del moto d’un filo, di cui abbiamo già fatto uso nella prima parte, sono: ue dz dT dz ds abeti pad e Da queste possiamo dedurne altre delle quali i primi membri siano rispetti- vamente le derivate di V rispetto ad 5; È ed alla normale n. Moltiplicando rispettivamente per =" A —- e sommando, e tenendo presente dr A che DET —=1, otteniamo dre d°x IT = a, de ds * E poichè dalla (1) si ha bi) dx dx dx d'a da d GI 1 da 57 (00080) =Z3 3a +E x doi SL -35 sl potrà scrivere R d (6) sè = (00000) 4 Mea VR sei ®. " o RIST: Albe Sommando invece le (5), moltiplicate rispettivamente per i : "i otteniamo dae dx da de dix i : (1) n =Za la "Zae = De: così 5 —T a (v così) Ap TE = 3, (0? e (Tv così) . Infine sommiamo le (5), moltiplicate rispettivamente per SOLI essendo de de S va — 0, otterremo - dx de ad’ da 8) sta e E de __d( de) _, d (dr dv (de = Ce salta) - indi dado de d /dr vì e quindi dé dn — dn vde (2)= di cos(p,n) > essendo p, il raggio di curvatura della linea ? nel punto M. Dunque sostituendo in (8), avremo 4 IV wu db (8) IE FReRIERI eV rai (pn) , s od anche, pel teorema di Meusnier, Ù Di SESOT l t s dette R, ed R, i raggi di curvatura delle sezioni normali passanti per le tangenti alle linee s e £. Queste equazioni valgono qualunque siano le linee s e #. Se le forze fossero PIO ovvi dvi. s qualunque allora basterebbe sostituire a = eh rispettivamente dae dr dr F,=YX;- o vF,=YX 7 x FE,=ZXf essendo F.,F,,F, le proiezioni della forza (X,Y,Z) sulle tangenti in M alle linee s e £ e sulla normale x. Us dT sofa è 4. Eliminiamo ora fra le equazioni (6) e (7), cioè tra pò dT Ti (vcos 8) — veosì i, Ae sì trova dV D) l DIV 1d (9) nt 7 (00080) +3 LL 3417 (00s0)], veosì di che, scritto v°cos° 6 + v° sen°8 al posto di 0°, si riduce a a DE DVI 1 d vs. (10) i Va sen) = zz (V- 3? sen'0)= veosì de 2 [Ign en) v COS = Questa equazione, come le (6), (7), (8), vale qualunque sia il moto, purchè esista la funzione delle forze. Se ora il filo.si muove generando una famiglia di geodetiche, 0, come diremo per brevità, si muove geodeticamente, si ha D (v0os6)=0 ; e la precedente equazione diventa IdV wd 1 ò TS a 2g) i ES SEO ds Lo 2 ds (MEER) ‘vcosì di (3 P a Poniamo v cos 0di — de e potremo dire scorrimento la quantità o =f,vcos0d; essa è infatti il cammino fatto dal filo in virtù della sua velocità di scorrimento. Con questa sostituzione otte- niamo: (11) pesa sen) — (VG rent) =0 È 5. Supponiamo finalmente che il filo sia omogeneo: allora l’ equazione (11) sì potrà scrivere = (+3 ba ‘sen'6) _ - (v _ 5 v'sen'0) ==0, e questa mostra che la quantità: (2V + wv°sen*0)do + (2V — wv*sen?0)ds è il differenziale esatto di una funzione di o e di s, o se vogliamo, di 7+s e di o — s. Se adunque poniamo (12) ct+s=n x Oo_-SZE,} avremo 2Vdn + wwv'sen?9de = 2AW , f az essendo W una funzione di n ed e, che soddisfa alle equazioni di condizione _dW bbc ud J0W (13) bia i o vv'sen'9 = : 6. Consideriamo sulla superficie descritta dal filo mobile, una linea C nor- male alle geodetiche generatrici e passante per l’origine del filo al tempo t—=0. Ognuna di queste generatrici determinerà sulla C un certo arco É, contato a partire da un’origine fissa, e per conseguenza un punto qualunque M della su- perficie potrà essere individuato per mezzo dell’ascissa £ della geodetica su cui esso si trova, e della distanza (misurata lungo la geodetica) dal punto d’ incontro di detta geodetica con linea C. Questa distanza è ciò che abbiamo chiamato n, cioè la somma dell’arco s e dello scorrimento 3 del filo. Osserviamo che l’ascissa $, essendo comune a tutti i punti di una genera- trice, è funzione solamente del tempo: il rapporto de o &, lo diremo vedocità di spostamento. 7. Ciò posto, se è dato il reticolo geodetico generato dal filo mobile, e son date le velocità di spostamento e di scorrimento, si possono determinare le forze che sollecitano il filo, la velocità trasversale v senò, e la tensione T. Infatti, il quadrato dell’elemento lineare della superficie, espresso nelle coor- dinate È ed n, avrà la forma: (14) dS*° = dn? + Edi: , dove E, poichè il reticolo è dato, è una funzione nota delle coordinate £ ed n. D’ altra parte tenendo conto della prima delle (12), la (14) equivale a ds? = (ds + veosì dé) + EÉ dt? , e questa confrontata con | ds’ = ds’ + 2vc0s6 ds dé + v° di? , conduce a (15) EÈ* — v°sen?0 . La velocità di circolazione € essendo nota, resta così determinata la velocità trasversale vsen80. Dalla (15) e dalla seconda delle (13) si trae poi sn _dW gie; de wE wr e poichè (in virtù delle 12) il primo membro si può considerare come funzione di n ed e, avremo integrando (16) Ww= 3 Eé*de +-/(m), LIT UNERI ove l'integrazione essendo fatta come se n fosse costante, /(n) è una funzione ar- bitraria della sola m. Nota la funzione W, la prima delle (13) determina la funzione delle forze d an) ves da = fm+ "fà 3, (BENE. Per avere finalmente la tensione, si ha dalla (6), ricordando che - (ccos8) = 0 dT D) DV. w ‘dv d ds 2 ds î ed integrando: (18) T= ws È (vcosì) — (v + 3 v'sen'0) +f,(2), dove /,(t) è una funzione arbitraria del tempo. La velocità di scorrimento essendo data, nel secondo membro tutto è noto. Casi particolari. Supponiamo: (19) vcos 9 = cost =C È io In tal caso si ha (20) o=C, e per conseguenza (21) n= Ct+4s : e=Ct—-s. Sostituendo queste espressioni di n ed e nelle (15), (17), (18) otteniamo la velocità trasversale, la funzione delle forze e la tensione. Se inoltre si suppone che il filo mobile sia il meridiano di una superficie di rotazione e che la velocità di spostamento sia costante ed eguale a K, allora la E sarà funzione della sola n, e posto E = (mn), si ha dalla (15) (22) v°sen?0 = K°o(n) = K°g(Ct + s) , e dalla (17) (23) V =rc+ 9 + (CE— s)g(Ct+s) . Finalmente la (18) dà, tenendo conto che 3 (vcost)=0, (24) =-(V+5 o 'sen'6 ) + f(0) Se C—=0, cioè se vcosì=0, la (10) diviene illusoria, e quindi le formole che abbiamo trovato nell’ipotesi di C diverso da zero non sono più applicabili. ei AE In questo caso la (7) dà (25) z(V-3e)=0, V-3r=Y), essendo 4(s) una funzione arbitraria della sola s. Dalla (6) si ha: ÒT Db) (a aaa donde si trae (26) T=—-V+5) +y(d), con y(?) funzione arbitraria del tempo. Da ultimo si ha (27) E? — v'sen'9 0, equazione che determina la velocità in un punto qualunque, nota la quale, dalle (25) e (26) si ricava (28) v= 5 EE" +46), (29) T=—wEé*—4)+%(0). 7. Tornando al caso generale, ove sia data la funzione V e le velocità di scorrimento e di spostamento, si può determinare la velocità trasversale, l’ele- mento lineare della superficie e la tensione. Infatti, essendo V su tutta la super- ficie funzione di s e #, e quindi di s e c, la potremo, per le (12), riguardare come funzione di n ed «. Dalle (13) si ha quindi: 9 (30) W=fVdan+f() , vsen0= 2 dW na È w ds %w Dalla (15) si ha inoltre v°sen?0 - 4 (31) E= che determina l’ elemento lineare della superficie; e finalmente dalla (18) si ha la tensione T. 10. Supponiamo V=y(s+0). In tale ipotesi, date le velocità di spostamento e di scorrimento, si possono determinare la velocità trasversale, l'elemento lineare della superficie e la tensione anche quando la densità del filo non sia costante, ma funzione dell'arco s. Quei 3. Infatti, sostituendo nella (11) l’espressione di V si ottiene: d(v°sen?08) . d'v?sen?0) | de ds =0.. L'integrale di questa equazione è: v°sen'0= Y(s— 0), essendo y simbolo di una funzione arbitraria. Ottenuta la velocità trasversale, la (15) dà il parametro E e la (18) la ten- sione T. 8. Zilo che scorre su sè stesso. Il moto di un filo che scorre su sè stesso si può considerare come un caso particolare di moto geodetico, inquantochè la velocità di scorrimento è evidentemente funzione del solo tempo. Di questa specie di moto si occupò per primo il Résal *) il quale dimostrò che la figura permanente di un filo omogeneo pesante, e scorrente con velocità uniforme è ancora una catenaria. Il Leauté **) estese il teorema al caso in cui il filo sia sollecitato da una forza qualunque indipendente dal tempo. L’Appell ***) non s’impose la condizione dell’uniformità del moto, ma sup- pose piana la figura permanente del filo, e le forze esterne dipendenti dalla sola posizione dell’elemento, cioè funzioni delie coordinate e dell’ inclinazione. Il teorema di Appell è il seguente: Quando le forze esterne applicate ad un filo omogeneo dipendono solamente dalla posizione dell'elemento del filo, ed è filo conserva una fiqura permanente, la velocità di scorrimento del medesimo è proporzionale al tempo e la forma permanente è la i Jiqura d''equilibrio che acquisterebbe il filo se la componente normale della forza | esterna restasse la stessa e la componente tangenziale fosse diminuita ****) d’ una costante equale all’'accrescimento della velocità di scorrimento durante V unità di | tempo. Questo teorema si può estendere allo spazio. Si consideri un filo omogeneo in moto permanente e siano w® ed wY le com- ponenti secondo la tangente e secondo la normale principale della forza unitaria, s l’arco, p il raggio osculatore. Pel principio di D’Alembert le equazioni intrinseche del moto sono *) Résal— Zraité de Mecanique Generale, 1875, t. 3°, p. 270. **) Comptes rendus, 10 novembre 1879; Bulletin de la Société Philomatique, 18 novem- bre 1879. ***) Acta Mathematica, t. 12, 1889. #***) Nel testo francese (per un errore di stampa) è seritto augmentes. le quali, ponendo T_- wr =owT', dv 7 : ed osservando che > =0, si possono scrivere f ' i (82) a Ss y4È =0 e > Supponiamo ora che ® e Y siano indipendenti dal tempo: per la seconda delle precedenti equazioni anche T' sarà indipendente dal tempo; e quindi, perchè la prima 3 a 3 TL AES sussista, è necessario che anche ;- sia indipendente da £. Porremo dunque dv cri (33) cost=K, donde v—Kt+K'. Le 32) si riducono allora a dT' LR pe =0, p e queste, essendo le equazioni d’un filo in equilibrio sotto l’azione delle forze ®D—K e Y con una tensione T’, dimostrano il teorema. Dalla precedente dimostrazione si ricava ancora che le forze esterne possono essere funzioni qualunque non solo delle coordinate e dell’ inclinazione dell’ ele- mento, ma anche delle derivate di qualsiasi ordine di #, y, < rispetto ad s. finita di stampare il dì 19 Novembre 1903 ATTI — Vol. XII— Serie 22— N 6. 2 Da vu Ue, RIA S LIE . bi; AT dui atleti e? ’ LV as d'a A, MN LI vgg@a, M u” Pai Ù y “sr # + Me sirene # spine SO; 5 vii RR SR dee ade, parce s Pa o Marie ntanate : 9 : 33 i } ; sl EVO INT ate Sala a A: 1 3 È É dala or: ee ) if RR O Lat pasta ‘agi Aned la Ta SCE Sila Hd Ta ps AE IE | voi Ie fe if Rd & 4 . è e PIBIEZ AA ARTI 0 40 Ul de iL Vol. XII, Serie 2 N° 7. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SULLA RAPPRESENTAZIONE INTRINSECA DELLE SUPERF:CIE MEMORIA di E. CESÀRO presentata nell'adunanza del dì 7 Novembre 1903. $ 1. L'equazione intrinseca. La totalità delle linee giacenti sopra una superficie si può rappresentare me- diante una coppia di equazioni, atte a definire intrinsecamente ciascuna linea, quando in esse si disponga convenientemente di certi elementi arbitrarii. La me- desima coppia di equazioni potrà dunque servire a rappresentare intrinsecamente la superficie stessa, purchè prima si tolga il dubbio che le linee giacenti sopra una superficie data possano, altrimenti disposte, costituire un’altra superficie. Or- bene si, vedrà non solo che un tal dubbio non ha ragione alcuna di sussistere, ma che dasta un'equazione sola per definire una superficie insieme a tutte le linee che la compongono. A noi sembra che un tal modo di rappresentare le superficie, essenzialmente diverso da quello proposto in una recente opera *), meglio risponda e maggiormente sì adatti allo spirito ed ai procedimenti della Geometria intrinseca. Sulla superficie data si prenda un sistema di coordinate curvilinee ortogo- nali, e sia ds=Q,49,,+Q, dg, il quadrato dell’ elemento lineare. Affinchè la superficie sia determinata, a prescindere da movimenti nello spazio, occorre e ba- sta **) conoscere cinque funzioni di 9, e g,, ossia Q,,Q,, le curvature normali Do, , Do,, e le torsioni geodetiche 1 ©, delle linee coordinate. Dalle prime due funzioni dipendono anche le curvature geodetiche delle medesime linee d logQ, ; G,= logQ, ; (1) I d:, te) SITSOR, #) G. Scheffers « Einfihrung in die Theorie der Fltichen » (Leipzig, 1902; p. 358). ##) L. Bianchi « Lezioni di Geometria differenziale » p. 92. Atti — Vol. XII—Serie 2°— N.° 7. l do ue SOT _ ra SIR. ed è noto *) che fra queste e le altre funzioni intercedono tre relazioni differen- ziali (formole di Codazzi), necessarie e sufficienti per l’esistenza della superficie. Ciò premesso, si consideri una linea qualunque, tracciata sulla superficie, e l’arco s di tale linea si prenda d'ora innanzi come variabile indipendente fondamentale, alla quale cioè siano costantemente da riferire in seguito, sia direttamente, sia per interposte variabili, tutte le funzioni che ci sì presenteranno nei calcoli. In particolare 9, e 9, sono, lungo la linea, funzioni di s, fra le cui derivate sussi- ste la relazione Q'g + Oo _1 , sicchè si può porre Q,9,= 08% 7 Q,g,= senw : (2) ed è è l'inclinazione, sulla linea %,, della linea che si considera. Questa ci con- viene immaginarla definita ponendo una data funzione c di 9, e 9, uguale ad una funzione arbitraria di s, dimodochè, essendo do SE do SUISSE 3) — COS ->—. Sen = ’ ds, er di Î ne risulterà è espresso in funzione dì %,,%,:9. Intanto è noto **) che le tre cur- vature superficiali della linea, ossia la curvatura normale ©, la torsione geode- tica ©, e la curvatura geodetica @, sono date dalle formole No = DE, così» — 2©, cosw senw + Db, sen'w , E = €, 005° + (NM, — D0,) cosw senw — E sen'w , G=—- w' + G,cosw — G.senw , 47 Ces n per le quali si vede che 9© e © sono funzioni di g,,9,,7, mentre G dipende anche da c': ed importa osservare che ne dipende linearmente. Fermiamoci per poco ad esaminare più attentamente l’espressione di @. Dalle (2) si trae, deri- vando, Q1,+Q',d,=—%0senw , Q,1", + Q,9,=W'c0s% , ossia, tenendo conto dell’ultima formola (4), Q,9,4+9,= Gsenw , 9a + g,= — Geosw ? (3) dopo aver posto 1 dì, = SIC) 2 gi ddr cos'w + 26, cosw senw — G,sen'w , 1 i 1 dQ, a I=3 ni sen?w + 26, sen w cosw — @, cos'w , 2 be sicchè 7,cosw + y,senw= QQ, +0Q,Q, DA . Ora dalle (5) segue Q, 9:11, mas Q, 919» = (9, cosw +91 senw)S A *) « Geometria intrinseca » p. 158. ##) « Geometria intrinseca » cap. XI, form. (11), (14), (19). TT Ar 7 n ne e ra 7g Par: DI d'onde Quota dIdT, ES Qu9d, + L39395 Così vediamo che @ si può sempre esprimere linearmente ed omogeneamente nelle g, giacchè le y dipendono solo dalle 7 e dalle 9. Questa formola, che non sarà qui utilizzata, è nota (sotto altra forma) nella Geometria differenziale classica, poichè per G=0 le (5) diventano appunto quelle che si soglion chiamare *) le equazioni caratteristiche delle geodetiche. Ora siamo in grado di esprimere anche le due curvature assolute, ossia la Ressione lo e la torsione 1/:, in funzione delle 7 e delle derivate di e. Infatti dalle note uguaglianze D =} : gG= ’ dea, (6) nelle quali 6 rappresenta l'angolo della normale principale con la normale alla superficie, segue 1 g i 1 7 ESCONO ca fai —=9D0o° +1 9°, —=909 — GI — (No + 90)S. (©) 2 Dunque 1° è una funzione di 9,,9,,9,0°, che ha la forma d’un trinomio del secondo grado in c'; ed 1/x è una funzione di 9,,9,,0,0,0", in cui o" compa- risce linearmente. E se si tien presente che @ dipende linearmente da c', si ri- conosce che nell’espressione di 1/ WE #1 EN dove il simbolo d/ds indica la derivazione rispetto ad s, eseguita mantenendo co- stante o. Alla prima di queste formole, se si osserva che dalla (11) e dalla prima formola (4) segue sì può dare la forma semplicissima L= (x7 — 33)A. il Procediamo ora all'effettiva sostituzione dei valori (12) nelle (4). Dalle prime due formole si ricava, senza alcuna difficoltà, (ola vr) (E) + +! see Per operare analogamente sulla terza formola (4) conviene osservare che, se nel primo membro si tralascia la parte in o” (proveniente dalla derivazione di w ri- spetto a c'), al secondo membro si può dar la forma DI D) (7 + %) cos w — (7 + G, )senw ; purchè le derivazioni si eseguano mantenendo c' costante. Dunque —_ +jo' + & Vaso paco” call +e + Nana) (+e Na )] Sapia Vano e]: poi, ricordando che s-(7+ Gr ++ cr 0 (+) -(7+%)7 d Ù sì riconosce subito che le espressioni fra parentesi quadre valgono rispettivamente da, Ao) i Vaso. 4'9+A(c, Pac—-c°) : Vaso. A(c, 40) o' TORA e poichè A(c,A4c)= 2y Ac—c".A(5, Vas do ), si ottiene facilmente _ AG, Ac) : 1 Òd(e, Ao) 1 AI. Ao — A(o, Ao) ie — 247 DE (40)? den ua (49)? do) In altri termini 1 ” 2 RI D) 12 4! A 1 To Vao'! —) q-—— Vac—0°+ — lia: pred a( —) ra Vac—s Vas Vac of } de 8) e - © ER BS a In particolare si ritrova (per =0) la nota formola *) di Bonnet, che dà la curvatura geodetica delle linec c = costante. Nelle formole precedenti abbiamo quanto basta per determinare le cinque fun- zioni fondamentali e la stessa o. Questa, considerata come funzione di 9, e 9,, può bensì esser presa ad arbitrio per la rappresentazione intrinseca d’una super- ficie nota; ma quando invece della superficie si dà la prima equazione (8), questa equazione porta in sè quanto occorre per la determinazione di c, nè potrebbe aver senso se non vi si considerasse o sotto il duplice aspetto d’una den determinata funzione delle 7, che pur rimane aa hi cosà -|- Ti sens , si Pa 3: così — 1) senò , (18) ponendo, per brevità, 2 = JIcosò, jAo =dsens. Queste funzioni I e $ sono, come a,j,h, funzioni note di 9, e g,. Già sì è visto che anche Ao è una funzione nota delle 9; ed altrettanto si può affermare di AA7 e di A°c. Infatti dalle (17), qua- drate e sommate, e dall'ultima delle (16), segue c=d°.Ac , Aîc=2i4+kAc.. i (19) Supponendo momentaneamente note le Q, osserviamo che per l’esistenza della fun- zione 7, soddisfacente alle (18), si richiede che sia d dz d do (+): (20) Ora dalle (18), per 930, si trae 1 0A di dA +3 do do ed Ia do LO 1 dAe do 3 ds, de, ds, Una Da ST, RESET è questo pure il valore dell'espressione È SH ala send +32 c0s5) — (3 + <)(5- — così — 3} sen3) ; 1 senò 402 = ced; e poichè © che per la (20) si riduce a A?c send + (32 cons — 3 sen$) D + (Fe nS+ 52 cosò) » 2 i ta, dAG dI. dAG dI = (40.404 LE x) *) Bianchi « Geometria differenziale » p. 175. E Dunque A9.Af9 + AG. A)+3 0 (21 Questa relazione, cui siamo pervenuti esprimendo che la (20) è soddisfatta, si può : sostituire alla (20) come condizione necessaria e sufficiente per l’integrabilità delle (18). Se poi si vuol procedere all'effettiva determinazione di c, bisogna fare scom- parire dalle (18) ciò che ancora vi è d’incognito, oltre ©, cioè il rapporto di Q, a Q,. Del resto queste funzioni possono determinarsi entrambe aggregando alla (21) la prima equazione (19), e scrivendo dappertutto d/Qd7 per d/ds. Dopo ciò le (15) permettono di calcolare anche IV, , SV,, ©_; e però, riserbandoci di esami- nare in seguito il caso eccezionale (1—=0) lasciato in disparte, vediamo che la superficie resta determinata in modo unico nello spazio. Adunque ogni superficie è individuata dalla totalità delle linee, che su di essa giacciono. In altri termini possiamo affermare che, se una superficie si risolve nell'insieme di tutte le sue linee, è vano tentare di ricomporre queste linee in un’4/tra superficie. Ciò è del resto evidente, poichè l’infinità delle linee giacenti sopra una superficie non è nu- merabile, mentre le linee comuni a due superficie non sovrapponibili sono tante quanti i modi d’intersecarsi, ossia una sestupla infinità. Prima di andare oltre conviene insistere nell'osservare che il calcolo delle cinque funzioni fondamentali è stato eseguito in base alla conoscenza della sola prima equazione (8), che si può ben chiamare l’equazione intrinseca della super- ficie, giacchè basta da sola per definirne la forma. Come ciò avvenga è facile spie- garsi riflettendo che il secondo membro dell’equazione stessa compendia le due forme quadratiche, che nella Geometria differenziale classica portano il nome di forme fondamentali. Grazie, infatti, all’arbitrarietà di 7, ed alla conoscenza del modo come ' deve comparire in @, si è visto come si possa nell’espressione di 1,p* se- parare la seconda forma fondamentale (2%) da ciò che si riferisce esclusivamente alla prima (6); e come dal confronto dell’ espressione così ottenuta per N, con quella che dà la prima delle (13), possano dedursi //,7,4; e finalmente come si calcoli anche © mediante la seconda formola (13). Ricavate così le funzioni 9, ©, dall’espressione di 1/e, la seconda formola (7) può direttamente sommini- strare l’espressione di 1/:; ma riesce talvolta più comoda la formola (-+3)9+£9v+9v—=0 LA p che si deduce dalle (6) derivando la prima e tenendo conto delle altre. In un modo o nell'altro l'equazione che si ottiene è sempre la seconda equazione (8), che si può stabilire anche valendosi delle (14). Divenuta superflua, come si è visto, nella rappresentazione della superficie, essa è tuttavia indispensabile per rappresentare, nello spazio, le linee giacenti sulla superficie; e però ben le si può dare il nome di equazione intrinseca sussidiaria. fio. pa - $ 2. Riferimento alle geodetiche. Riprendiamo il caso escluso (9= 0), ed anzichè evitarlo cerchiamo di trarne profitto per giungere al più semplice modo di rappresentare intrinsecamente una superficie qualsiasi. Non si ha 93=0 se non quando sono nulli ad un tempo % e j, nella quale ipotesi le (19) diventano AiG=0: ; AleAc” La prima ci dice che Ac è costante; e poichè non può essere A°=0, altrimenti sarebbe costante anche c, si può sempre supporre che sia Av =1. Dunque *) le linee c = costante attraversano ad angolo retto un sistema di geodetiche (t = co- stante), e © misura appunto l'arco di tali geodetiche. Se queste ultime si assu- mono come linee 7,, e per conseguenza le prime come linee 9, (sicchè 9,=7, =", Q,==1), il quadrato dell'elemento lineare prende la forma do° + R°d7°, con R fun- zione di c e di 7; e si ha 1 dR n) do radica ==" [G} [di fra —— = È = R do di Ea N a) alc d'onde R=e5 4, a prescindere da un fattore, funzione di 7, che si può fissare a piacimento, cambiando 7, se occorre, in una conveniente funzione di 7. Intan- to, sia per la prima delle (9), sia per l’ultima delle (13), l’espressione della cur- vatura geodetica si riduce alla forma semplicissima g="+afio, (22) pio ed inoltre si vede che dev'essere pn = —#, sicchè, nel caso attuale, n non di- pende da e. Del resto la (22) potrebbe anche dedursi dall'ultima delle (4) osser- vando che, per la prima delle (2), si ha cosw=0d', e d’altra parte G,=0,G,=—. Ciò premesso, l’equazione intrinseca della superficie è o ti a +26 +, (23) l—c con », giova ripeterlo, indipendente da o’. Questa funzione p(c, 7) è unica per tutte le superficie applicabili sopra una superficie data, le quali si distinguono le une dalle altre soltanto per l’espressione di v(o,7,c). Infatti, poichè si ha R=e-S*, l'elemento lineare ha un'espressione unica sulle infinite superficie rappresentate dall’equazione (23) per una data funzione p(c, 7). Ben s’ intende però che a questa compete un certo grado di limitata arbitrarietà, dovuto alla li- 3ianchi « Geometria differenziale » p. 155. Sed CT A bertà di scelta delle linee c tra la doppia infinità delle geodetiche. È poi da no- tare che, essendo Rdr la larghezza della striscia compresa fra due geodetiche in- finitamente vicine, l'equazione n(c,7)=0 definisce, sulla superficie, una linea che si può dire di stringimento nel sistema di geodetiche che si considera, quan- tunque non sempre tagli le infinite strisce nelle parti più strette (R minima, come funzione di o), ma le attraversi anche nelle parti più larghe (R massima). L’e- quazione R(c,)=0 definisce invece il luogo dei punti, nei quali la predetta larghezza diventa nulla o infinitesima d'un ordine superiore al primo. Quanto alla funzione v(o, 7,0), ben lungi dal potere esser data ad arbitrio, sì richiede innanzi tutto che o' vi entri in modo particolarissimo, in modo cioè che, sottraendo p°(1 — c°) da v, rimanga il quadrato di un’ espressione composta d'un termine in o’, un termine in cVl1— c°, ed un termine indipendente da 0. Sia . il coefficiente del primo termine, — il coefficiente del secondo, ed % il terzo termine, aumentato di ‘/,,/. La conoscenza di queste tre funzioni basta per la completa determinazione della superficie rappresentata dall’equazione (23), pur- chè la superficie esista, per la qual cosa occorre e basta che le funzioni DO, =14!/f ; Do, = '|.f Sc = 9 date dalle (15), riescano tali da soddisfare alle formole di Codazzi, citate in prin- cipic del $ 1, vale a dire che si abbia Db) 1 dg dg E La e fili Son 924) do Re R dt Ca do ' R dr 7) Don A Di po=2°—!/(£° +95), (25) dove H= 2% rappresenta la curvatura media della superficie, mentre la curvatura totale K è data, come si sa, dal secondo membro della (25), e per conseguenza l d°R i R_do È Ed ora qualunque linea della superficie si può rappresentare aggregando ai- l'equazione intrinseca (23) la corrispondente equazione sussidiaria, i cui coeffi- cienti dipendono esclusivamente, come si è detto, dalle funzioni /,7,4, oltrechè da » e da c. Così, per esempio, si ha può, in virtù di questa formola stessa, ridursi alla nota *) formola K=— Similmente dalle (14) si deduce 3/ , Ù Ù 18 (1-0) *L=@—2)0+4(fe'-gY1-0o°)(c°-); ed espressioni alquanto più complicate si trovano per M ed N. Così avviene che *) Bianchi « Geometria differenziale » p. 154. ATTI — Vol. XZ/Z—Serie 2°— N.° 7. 2 ue pe” ogni insieme di linee, idoneo ad esser composto in superficie, è obbligato soltanto ad una legge di V/essione assoluta, la quale implica la conoscenza di ogni altra curvatura , assoluta o relativa alla superficie, poichè, come si è già osservato, dall’unica equazione (23) scaturisce, per ciascuna determinazione degli elementi arbitrarii, una coppia di equazioni intrinseche, atta a distinguere una linea tra le infinite dell'insieme che si considera. Come sì fissano i predetti elementi? Essi sono c e t, numericamente indipendenti ed arbitrarii, ma non funzionalmente tali. Ponendo infatti c uguale ad una data funzione di s, dalla seconda uguaglianza (2), che nel caso attuale diventa SEAT I. = 1-0" /R(0,7, (26) sì trae 7 in funzione di s e d’una costante arbitraria 4. La sostituzione di c e di 7 in (23) e nell’equazione sussidiaria corrispondente conduce ad una coppia di equazioni intrinseche p=9(65,0) , e=%Y(5,a), che definisce una semplice infinità di linee giacenti sulla superficie (23). La prima questione che si presenta è la determinazione delle stesse linee coor- dinate. Per le geodetiche è o =s, e per le altre c=%. Per le prime conviene servirsi delle formole iniziali (6), dalle quali subito si deduce, per 6—=0, x ced 1 Pb pri ) Re dove per o si deve porre s, e per 7 una costante arbitraria 4. Dunque /e equa- zioni intrinseche delle geodetiche a sono 1 D=109+1f0,), = gl) - @D Per le altre linee coordinate (c =) la (26) dà = fre, me ; (28) e dalle (7), osservando che, nel caso attuale, No =Do,=h—-'|,f , E=—-€©,=— ‘9 ’ G=—-G,=h, si deduce subito =p+0—- 5), —= hg FD “agi de pig (29) SI in conformità di quanto si potrebbe meno rapidamente ottenere mercè le (8), ser- SIM vendosi dell'espressione (14) di N. Le (29) per ==, quando vi si pensa 7 de- finita in funzione di s mediante la (28), diventano le equazioni intrinseche delle trajettorie ortogonali delle geodetiche c. Quanto alle altre linee notevoli, per de- terminarle basta procurarsi la funzione o di s, per cui è soddisfatta la definizione delle linee stesse. Così per le assinzotiche e per le linee di curvatura bisogna porre uguale a zero l’una o l’altra espressione No= fo" — ga' Vi BEY gO i TESE. N° SUPE, = 904 fa' vi a pi (30) Se l'equazione che in tal modo si ottiene vien derivata rispetto ad s, tenendo conto della relazione (26), e se fra le due equazioni si elimina 7, si giunge ad un’e- quazione in o, 0,0", dalla quale con una prima integrazione sì ricava o’ espressa in funzione di c e d'una costante arbitraria 4; poi, con un’altra integrazione. c (e per conseguenza 7) in funzione di s e di 4. Le equazioni intrinseche delle predette linee contengono dunque vr4 costante arbitraria. Per le yeodetiche se ne trovano due, perchè trattando nel modo testè descritto l'equazione differenziale di queste linee, cioè c"-+ p(1—c°)=0, si perviene ad un'equazione differenziale del terzo ordine in c, indipendente da s. Prendiamo a considerare, come esempio, una superficie svluppabile, assumendo a linee o le generatrici rettilinee. La prima formola (27) mostra che per qualun- que superficie rigata dev'essere 4=—'/,.7, e per conseguenza H=—/, K=—',9°, sicchè le (24) e la (25) diventano D) dI D) 1 dR —(Rf=*L—= — (R°g)—=0 DE Jo) 2 dr ’ do È I) ’ Di queste la seconda conduce a porre R°y= 2v, con v funzione della sola 7; poi la terza ci dà, disponendo convenientemente del parametro 7, R 2 32 E) 1 Soi , donde R=(u—-o)+%, con v funzione della sola 7; e dalla prima si deduce / Affinchè la superficie sia. sviluppabile (K=0) bisogna inoltre che si abbia 7=0, e per conseguenza o=0: quindi R=w—zs,n=1/R,R/=%(7). Ora dalle (29), ponendo = ed u=5(7), si ha EI E e LE) Virro | * S“VIFeO. dove 7 è definita in funzione di s mediante la (28), che nel caso attuale diventa s+ar= fe(7)d7. Dalle trajettorie ortogonali delle generatrici, così determinate, si deduce lo spigolo di regresso osservando che l'elemento lineare e l’ angolo di contingenza di questa linea sono ds, = du , &,==d:, mentre l’angolo di contin- genza delle trajettorie è e =V1-+ w'(7)d7; e d'altra parte, poichè le tangenti a queste linee son parallele alle normali principali dello spigolo di regresso, nei punti corrispondenti, si ha, per calcolare l'angolo di torsione, e, + n, =e°, d’onde Bi x,=%(7) dr. Dunque le equazioni intrinseche dello spigolo di regresso si ottengono eliminando 7 fra le equazioni s,= (1) » Po=P() è» Polto=YA). Inversamente, data questa curva, note cioè le funzioni 9 e 4%, si può immediata- mente scrivere l'equazione intrinseca della sviluppabile: 1 o” y 209 1 o°+(1 — co) 41) Pr iL sep Ora si consideri invece un comozde retto; e per cercarne l’asse (linea di strin- gimento) fra le trajettorie ortogonali delle generatrici, si applichino le (29). In virtà della prima, se si computa oc dall'asse, si vede che p ed 7 debbono annul- larsi, qualunque sia 7, per o —=0. Ne segue CI > D D) aii—='0+( Reg e Bpi i oi v dt L'altra formola (29) dà «=», dimodochè essendo, per la (28), s= fodr, l’an- golo di due generatrici infinitamente vicine è dsje = dr; e però la funzione » è quella che serve a distinguere un conoide dall’altro, facendo conoscere, per cia- scuno, la legge di distribuzione delle generatrici lungo l’asse. Così, se con @ si designa una costante data, si ha un paraboloide iperbolico per v= 4/cos'7, un cilindroide per v=4c0s27, un elicoide per v=4. In quest’ultima ipotesi è f=0; e però (essendo H= — f) si vede subito che la superficie è di area minima. Fer- miamoci per poco a considerare più attentamente questa ‘superficie. Dalle formole (30) e dalla (22), se prima si osserva che R=ctel., p==0/B° 4g 20/000 risultano immediatamente le espressioni delle curvature superficiali poi, quadrando e sommando la prima e la terza, si perviene subito all’equazione intrinseca della superficie: " Ò 1 nea 2_ 4 29 di LARE (82) Largo Pa (Oa La forma stessa dell'ultimo termine suggerisce di considerare le curve per le quali si ha o' == ‘/,, ossia le trajettorie delle generatrici sotto gli angoli = ‘,,m. Per esse l'equazione precedente si riduce alla forma semplicissima p° = ‘(8° + 40°). MIRA VENA Inoltre dalle (31) si ha MS (C- SC ARU, pui, 2a po 2a | Re ro a eo quindi 1/f —0—©—=20. Le equazioni intrinseche delle curve considerate sono dunque 3p° — «=4a? , a=a|4 —. Tali curve nascono, come si vede, da linee pseudocicloidali, non ny dando a queste una torsione proporzionale al quadrato della flessione (ax=/,0°); ed ap- partengono perciò ad una classe già segnalata *) come notevole per altra proprietà. Un po’ meno semplici sono le linee di curvatura, trajettorie delle generatrici sotto gli angoli +'/,m. È infatti per ‘== 1/V2 che si ha ©=0, ed in questa ipo- tesi la (32) diventa (8° + 40°)p° =(8°+ 22°); poi le (31) porgono per 6 il valore già trovato, sicchè la torsione 1/#=90' si può subito calcolare. Adunque le equa- zioni intrinseche delle linee di curvatura sono sì + 2a? 8° pese ssi a=2at4—. (33) Vs + da? cl Finalmente, per determinare le geodetiche, una prima integrazione della loro equa- zione differenziale (G=0) dà RV1—c°=ma, con m costante arbitraria; quindi co a° + ai boa ipa + (1—- m°)a? SR i D'altra parte 1 ZO O 1 —=90 = — ——_ VR? — ma? 3 — =_= (ma — R°). Dunque le equazioni intrinseche delle geodetiche sono (0° + a?)° in? fe ua ibrrkiiat sala nai ii gii de Td PT (35) dove o è definita in funzione di s dalla (34). Al posto dell'una o dell'altra equa- zione si può scrivere d 1 aÈ pracet e questa relazione fra a, + e o esprime una proprietà comune a tutte le geodeti- che. Del resto tale proprietà sussiste per le geodetiche di qualunque superficie mi- nima, perchè da ©©(H — 90) — ©'=K segue Do 4+- © = — K; e però, in cia- #) « Geometria intrinseca » ediz. tedesca, p. 192; o « Mathesis » Janvier, 1900. Pa I STATO tto emi Pigs E scun punto, la somma dei quadrati delle curvature assolute ha un valore costante per tutte le geodetiche concorrenti nel punto stesso. Quando poi si elimina o fra le (35), o pure s fra le (33), si trova la conferma d’un fatto già osservato *), che cioè tanto le geodetiche quanto le linee di curvatura dell’elicoide rigato ad area minima appartengono alla classe delle curve definite da una relazione del quarto grado fra le curvature. : $ 3. Equazioni.con unico elemento arbitrario. Proponiamoci di trovare utt le superficie rappresentabili mediante un’equa- zione intrinseca, la quale racchiuda, come la (32), «x solo elemento arbitrario. Quando » (e per conseguenza R) non dipende da 7, il ds° prende la ben nota for- ma ds° -+ 9°(5) dm, e però la superficie è rotonda, o applicabile sopra una super- ficie rotonda. Se poi anche v è indipendente da 7, altrettanto si può affermare di f:9,h, e per conseguenza di St, , 2%, , ©,. Dunque **) un’equazione intrinseca della forma p= ®(0, 9,0") non può definire che un elicoide. Ciò si stabilisce an- che osservando che l’equazione sussidiaria si presenta necessariamente sotto la for- ma «= Y(0,0,0°,0°), d'onde segue che ogni linea 7 ha le curvature costanti, vale a dire che la superficie possiede un sistema di eliche circolari, geodetica- mente parallele. Cerchiamo ora di precisare la forma della funzione ® deducen- dola dalla conoscenza dell'unica funzione R= (5). In primo luogo si ha p=—9(0)/e(0) , K=—p"0)/g(0); poi le' (24) diventano dg ‘liete ei (86) de la eri pb b) do PI è e da queste con un calcolo facile, tenendo conto anche della (25), segue 2 [p+@— + 19]= 9 +-+], vale a dire che la funzione p° + (4 — ‘,./) + 9° soddisfa, come 7, alla seconda equazione (36). Ne risulta, ricordando l’espressione di », che le dette funzioni sono entrambe proporzionali ad 1/R°. Siccome poi la prima funzione non può, per una superficie curva, ridursi a zero, è lecito supporla uguale ad 1/R°, togliendo da x, se occorre, un fattore costante, per attribuirlo ad R. Abbiamo dunque g=2a[R® , p°+(—'/,7) + 4g°=1/R°, (37) con 4 costante. Dopo ciò si vede che le (29), equazioni intrinseche delle eliche, diventano *) « Mathesis » Mars, 1900. ##) Bianchi « Geometria differenziale » p. 195. Lara Per ciascun valore costante, attribuito a o, queste equazioni rappresentano un’e- lica, che taglia sotto un angolo di coseno @/R le generatrici d'un cilindro cir- colare, di raggio VR'— a°. In particolare per 4=0 queste curve si riducono a circoli di raggio R, paralleli sopra una superficie rotonda. Nondimeno bisogna notare che, se vogliamo limitarci ai soli procedimenti della Geometria intrinseca, nulla fin qui ci autorizza ad affermare che questi circoli e queste eliche costitui- scano effettivamente una supèrficie rotonda o un elicoide, poichè non si è dimo- strato che le varie eliche debbano avere il medesimo asse. Ma questa lacuna sarà colmata fra breve; e si vedrà che il metodo intrinseco ha in sè quanto basta per giungere alla conoscenza completa d’una superficie, e delle linee che possono ge- nerarla. Per trovare l'equazione intrinseca della superficie ci resta da determinare % ed f. Ora dalla seconda formola (37) si ricava Vi1- ee è CP 3 9° (0) ; poi la (25) dà A—,./)(h+,/)=K+,9, d'onde si trae 9*(0)9"(G) — a? h RF=E P°(0) V [1— g' (0)]e*(0) — a È in nostro potere di fare scomparire l'ambiguità del segno. Infatti 7-+-'/,,f ed h — +], sono i valori delle curvature Dv, ed Dv,, alle quali è sempre lecito cam- biare simultaneamente il segno, purchè si cambii anche il segno di 7. Se adot- tiamo il segno inferiore, le ultime due formole ci dànno, sommate, l’espressione della curvatura media VI1- 9) — a poi se ne deduce, sottraendole l'una dall'altra, __[9(9)9"(0) — e") + 119°) — 2a i 11 |] 9°(0) VI 1— 9 (0)]9°(0) — a? Note così n,.f,9,% in funzione di 9, 9,9, si è in grado di scrivere l’equazione intrinseca della superficie. Quanto alle geodetiche c, le loro equazioni intrinseche sono, per le (27), 9) 9") — a _—"—_—aee=" =’ = . (39) P@V[1- 9° @]e A — a & p Le equazioni intrinseche delle linee giacenti sopra una superficie non bastano MT eat (Te per una discussione completa e precisa della superficie e delle linee stesse, consi- derate in quanto si trovano ‘insieme a costituire la superficie. Alle predette equa- zioni bisogna aggregare le varie condizioni d' immobilità , le quali servono appunto a studiare la superficie nei suoi vincoli con altri enti geometrici, fissi nello spazio. Nel caso d'un elicoide è sopratutto utile conoscere la posizione dell’asse nel trie- dro fondamentale delle varie curve o della superficie. Siano « e i coseni degli angoli che l’asse fa con la tangente alla linea che si vuol considerare, e con la normale alla superficie; e ricordiamo *) che per l’invariabilità della direzione, de- finita dai coseni «,8,, sono necessarie e sufficienti le condizioni = GB, B=Ga—©r , 1=©B_—D6a. (40) Anche senza nulla conoscere del modo come le eliche @, trovate in principio, deb- bono esser messe insieme per formare la superficie, noi possiamo tentare di sod- disfare alle (40) con funzioni a,f,Y, indipendenti da 7, e prevedere che, se si riesce in tale ricerca, la direzione così determinata è quella dell'asse comune a tutte le eliche, purchè si riesca anche a determinarne analogamente le altre coor- dinate é,n,%. Occupiamoci in primo luogo della sola direzione, e cominciamo dal notare che y, non vincolato alle infinite linee che passano per ciascun punto, non può dipendere da c'; ne dipendono invece « e B, in modo particolarissimo, ed anche prevedibile, ma che noi qui vogliamo dedurre unicamente dalle (40). Se nelle prime due si uguagliano tra loro i coefficienti di 5°, si ottiene da B dB a e Fece e ii Vi — o y1 — 7 d'onde, posto è =—1, successivamente si trae D) att O vw (a+ 3) = EE , 4 iB= (0 — tu)e'STeSh? 2 (4 tu) (0 — ivi —c'), 19] y ia go con « e © funzioni della sola o. Ne segue a=u0'+0Y1—c° 5 Blair Evidentemente « e v sono i coseni degli angoli che la direzione (a,8,) fa con le tangenti alle linee coordinate, ed era perciò prevedibile che dovessero risultare indipendenti da o’. Intanto le prime due condizioni (40) si riducono a d3 da de i. can sa o'=90r— pey 10 î o=paf1—0°—©r, (41) e per o —=0 ci dànno u=— (97 j v=— !/,g9 — s #) « Geometria intrinseca » p. 153. RIA I P dd è Ì pui LI d’onde, quadrando e sommando, [RE +- Gt + hg =p, giacchè u + v° + x? =1. Ne segue, per la seconda formola (37), purchè si fissi convenientemente il senso positivo della direzione cercata, y=—yR; poi u=(h—- 07), vi 4R = a], e finalmente a sa ; , ia da Tal a \ in £ : SAS (rs). (42) dove R=g(5),r= 90). Qui vogliamo far notare che le (40) potrebbero segnare il punto di partenza nella deduzione di tutte le formole precedenti. Infatti dalle (41) segue ancora, per 0'=1, du 4 dv alare aa e queste sono facilmente riducibili alle (36). Inoltre la terza condizione (40) può servire di controllo ai risultati ottenuti, giacchè per o —=0 è identicamente sod- disfatta, e per 0'—=1 dà dxldo=—KR=%(0). Trovata la direzione dell'asse, possiamo con procedimento analogo fissarne la ‘posizione nello spazio calcolando le coordinate £,n,%, le quali debbono, come si sa, soddisfare alle condizioni g= 9 — Gn, n= G5-&i+r , #=©n-906-Bf. Dalle prime due risulta, procedendo come per «,8,v, &=po' +gpi1—-0" , m=q0—pY1-0", con p e q indipendenti da o. Dopo ciò le due eguaglianze si riducono a 1 3 REST Ta Pac 9 e rm 1a, 0a -B+r, e per o —=0 dànno G- 1, NE+pp=0 , ‘n96+pa+r=0, ossia u=py,e6=(g— R)r; d'onde, moltiplicando la prima per v e la seconda per ©, poi sommando e tenendo conto delle relazioni +e +y=1, wie+y=0, ATTI — Vol. XII—Serie 2°— N.9 7. 3 O IE ban A de Av | Li DE si deduce &=— ay, e per conseguenza p=— 44,g9=— av + R. Sostituendo poi questi valori nelle espressioni di & e di n, si trova finalmente EL ag RP LS , a=—aB+Ro'. Si noti che il quadrato della distanza d'un punto qualunque all'asse è dato da ++ %=R°—°, come abbiamo già avuto occasione di asserire per ogni sin- gola elica, senza però esser sicuri dell’immobilità dell’asse nello spazio. Ora siamo in grado di trovare e discutere qualunque linea notevole della su- perficie. Già si è visto come si possano avere le eliche 7 e le geodetiche o. Per trovare le sezioni fatte nell’elicoide con piani perpendicolari all’asse basta porre a=0, e ricavarne c' per sostituirlo nelle formole atte ad esprimere le varie cur- vature. Partendo invece dall’equazione £=0 si ottiene il profilo dell’elicoide; e similmente, partendo da Do =0 0 da © =0, si trovano le assintotiche e le linee di curvatura. Si perviene così, in ciascun caso, ad una ben determinata coppia di equazioni intrinseche. Quanto alle geodetiche, una prima integrazione dell’ e- quazione G=0 dà Rsenw= costante (estensione del teorema di Clairaut); poi, conoscendo o' in funzione di c, si può da una parte determinare o in funzione di s, e dall'altra servirsi delle formole precedenti per calcolare le curvature 1/p=2% ed 1/e=— © in funzione di c, e per conseguenza di s. In tutti i casi scompa- risce dunque vn4 costante arbitraria; e ciò si deve al fatto che non vi è più da tener conto della (26), poichè «,£, 20, ©,G, ecc. sono indipendenti da 7. Geo- metricamente ciò si spiega osservando che ciascuna delle curve testè menzionate può esser trasportata elicoidalmente sulla superficie senza perdere la proprietà che la caratterizza in rapporto alla superficie stessa. Terminiamo con un'applicazione di quanto precede alla notevole classe degli elicoidi di area minima. Affinchè riesca H=0 la (88) ci dice che si deve pren- dere ©(5) =Vo°' + a’; ma per non confondere la nuova costante @ con quella che già comparisce nelle formole precedenti, scriveremo in queste asenA al posto di a. Innanzi tutto si noti che le (39) diventano 2 22 s° s 4 pcosà =a ta ’ mein ’ e rappresentano, in generale, un'elica non circolare, che per A=0 si riduce ad una catenaria, e per A=='/,r ad una retta. Si ha dunque un cafenoide per A=0, ed un e/icoide rigato per A = '/,m. Siccome poi »p non dipende da A, si vede che, fissato 4, se si fa variare A da 0 ad ‘/,r, gli infiniti elicoidi corrispondenti ai valori intermedii di A sono appunto le forme che un velo flessibile ed inestendi- bile va assumendo quando dalla forma iniziale d’un catenoide passa, con defor- mazione continua, a quella d’un elicoide rigato. In seguito potremo limitare la variazione di A all'intervallo predetto, perchè due valori come A e —A indivi- duano due elicoidi dotati delle medesime proprietà intrinseche, sebbene un eli- coide sia destrorso e l’altro sinistrorso. Ciò premesso, dalle formole precedente- PL 1 0 mente stabilite risulta a e) la 2a cos A __ ZasenA uiùa p o° + af ’ — a ba? ’ ALe ; h=0: poi le (30) ci dànno __ ge08(A 4 2w) __asen(A 4 2w) ; SE o° + a? na Rea (pr 5 ae I mentre @, indipendente da A, conserva l’espressione (31). Inoltre a =p(1 3A 9) a sen® Ica a°cos(A + w)cos(A + 3w) i (44) o°+a (0° + a? E questa l’espressione che bisogna scrivere al posto dell'ultimo termine in (32), per ottenere l'equazione intrinseca degli elicoidi di area minima. In particolare per A=//r si ricade sulla (32), e per A=0 sitrova l'equazione intrinseca del catenoide : 1 e) 200" de — 4a'o')+ a? FI E agle 4 a Dalla forma stessa dell'espressione (44) ci vien rivelata l’esistenza di curve notevoli fra le trajettorie delle geodetiche' o sotto un angolo costente w; e le (43) ci dicono inoltre che fra queste trajettorie si trovano anche le POTRO (De=0) e le linee di curvatura (© =0). Per tutte queste curve l'equazione intrinseca del- l’elicoide diventa 1/p°=v, e l'equazione sussidiaria si riduce, mediante un cal- colo facile, alla forma 1 o’senw+a'cos(A + 2w)sen(A + 3w) cos(A 4 w) , ca “ar (e +a?)(*sen’w + a’cos'(A + 2w)) dove per o bisogna porre scosw. Ne segue immediatamente che vi sono linee piane semplicissime su ciascun elicoide, giacchè per w= ',m— A si ha 1/e=0, ela (44) dà subito p =a° + (s° + a°)tg° A. Siccome poi la prima delle (42) dà a =0, si vede che le curve trovate sono le sezioni fatte nell’elicoide con piani perpen- dicolari all'asse. L'espressione (44) si semplifica anche per w='/,m—',A, ed w=',m — ‘(A tr), e conduce a scrivere la prima delle equazioni mentre dalla (45) segue la seconda. Tutte queste curve hanno dunque, come quelle già incontrate nel $ 2, sull’elicoide rigato, la forsione proporzionale al quadrato della flessione. Se poi si vogliono le linee di curvatura basta porre w='/,(r— A), o pure wr — |A, in (44) e (45), pertrovare equazioni analoghe alle (33); e =" — Ù i "OSSA Vis prendendo invece w= ‘/,(r — A) © ‘/,r si ottengono, per le assintotiche, equazioni du anche più semplici. ‘D Dai pochi esempii fin qui trattati si vede che la rappresentazione intrinseca delle superficie somministra nuovi e facili mezzi per lo studio di questi enti, e permette di penetrare, con maggior naturalezza del metodo classico, nella cono- scenza dei loro fatti intrinseci. Essa inoltre sembra suggerire nuove forme di que- stioni intorno alle superficie, e lascia intravedere la possibilità di altri enti, o tessuti di linee, rappresentabili mediante una o due equazioni intrinseche, ana- loghe alle (8), ma non speciali e vincolate come queste. finita di stampare il dì 23 Novembre 1903 Vol. XII, Serie 2. N° 8. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE £ MATEMATICHE SU DI UN PAZAFORAYNCAUS DELL’ARENARIA EOCENICA DI PONTE NUOVO PRESSO BARBERINO DI MUGELLO (Prov. DI FIRENZE) MEMORIA della dott. MARIA PASQUALE presentata nell'adunanza del dì 21 Novembre 1903. Il fossile che qui descrivo e di cui presento la riproduzione fotografica, pro- viene dall’arenaria di Ponte Nuovo, presso Barberino di Mugello, la quale occupa la base di quell’alta massa di rocce sulla sinistra della Sieve, in cui, a Dicoma- no, a Vicchio ed altrove, si raccolsero avanzi organici riferiti dal prof. de Ste- fani al miocene medio ‘). Questi lo comunicò gentilmente al prof. Bassani, che ebbe la cortesia di affidarmene lo studio; rivolgo perciò ad entrambi i miei vivi ringraziamenti. È una colonna vertebrale lunga 25 cm., con buona parte delle pinne dorsale ed anale e con tracce della pettorale. Mancano la pinna caudale e la testa. Se ne ha l'impronta e gran parte della controimpronta. La colonna vertebrale conserva 70 vertebre, piuttosto gracili e lievemente ri- strette nel mezzo. alte 3 e lunghe 5 mm., che nella parte posteriore vanno a mano «a mano abbreviandosi. Le nevrapofisi e le emapofisi sono lunghe e sottili. Degli interapofisari, alcuni sono addossati alle apofisi vertebrali, altri inter- medi ad esse, che qualche volta ne comprendono anche due. Si distinguono pure alcune coste. I molli e sottili raggi delle pinne dorsale e anale danno origine con la loro inserzione sugli interapofisari ad una cresta marginale ben netta. Tali raggi non \ ') Proc. verb. Soc. tose. sc. nat. 14 nov. 1880, p. 115. Atti — Vol. XII— Serie 22— N 8. 1 RU Te sono interamente conservati nella loro lunghezza, nè in tutte le parti della pinna. Si vedono interi solamente in un breve tratto della dorsale, nel quale la loro lun- ghezza è molto maggiore che non sia l’altezza del corpo nel punto corrispondente alla loro inserzione. I più lunghi infatti misurano circa 30 mm. e il corpo nella parte sottostante è alto 19 mm. Vi sono 104 raggi della pinna dorsale e 65 di quella anale. La massima altezza del tronco è di 27 mm.; esso sì restringe rapidamente nella parte caudale. La pinna pettorale (fig. 2, 1) è rappresentata da sel frammenti di raggi. L’esemplare appartiene evidentemente alla famiglia Pa/aeorhynehidae. Quanto al suo riferimento generico e specifico, giova un po’ di storia. Come è noto, questa famiglia è attualmente costituita dai due generi P4-. lacorhynchus (detto Palacorhynchum da de Blainville) e Memirkynehus, distinti dai seguenti caratteri :): Gen. Palacorkynchus de Blainville. — « Mandibola eguale in lunghezza alla mascella; raggi della dorsale in numero eguale a quello delle vertebre sottostanti ». Gen. HMemirhynchus Agassiz. — « Mandibola lunga la metà della mascella; raggi della dorsale in numero superiore a quello delle vertebre sottostanti ». Nell’ istituire il genere /emirhynchus, lAgassiz°), notando la grande cor- rispondenza dei suoi caratteri con quelli del genere Pa/zeorhynchus, aggiungeva che il fatto della disparità di lunghezza delle mascelle era abbastanza importante per giustificarne la divisione. Se non che il fossile sul quale egli creò questo ge- nere, e che chiamò /7em. Des Hayes °), è conservato malissimo, ed ha, fra l’altro, la mascella inferior: rotta. Della pinna dorsale l’Agassiz non. poteva dire, man- candone nel suo esemplare ogni avanzo. Più tardi, il Wettstein *), studiando i pesci fossili di Glaris, riconobbe nei Pal. Colei, Egertoni e mer ospond. ylum di Agassiz tre ZMemirhynchus e rilevò il fatto del gran numero di raggi nella dorsale, stabilendo così il duplice carattere di distinzione fra i due generi. Non che all’ Agassiz fosse sfuggita questa osservazione, ma egli dette a tale carattere solo valore specifico. In seguito, il Woodward, accogliendo le conclusioni di Wettstein, fissò la diagnosi generica sui due caratteri e nella enumerazione degli esemplari noti ricordò i due //em. Deshayesi del calcare grossolano di Parigi, pubblicati dal Ger- vais ’) e pei quali questo autore notava già la eguaglianza o quasi delle due mascelle, che rendeva inutile, secondo lui, la conservazione del genere //emirkyn- chus. !) Woodward A. $S, Catalogue of the fossi fishes in the British Museum, part. IV, 1901, p. 483. ?) Agassiz L., Zecherches sur les poissons fossiles, vol. V, part. I, 1844, p. 87. ') Questo esemplare è indicato a tav. XXX, vol. V, dell’atlante col nome di /istiophorus Des Hayes e nel testo, a p. 88 dello stesso volume, come Hemirkynchus Des Hayes. *) Wettstein A., Veber die Fischfauna des tertiaeren Glarnerschiefers, pag. 71-73 (Abhand- lungen der schweizer. Paone Gesellschaft, vol. XIII, 1886). î) Gervais P., Zoologie ct palgontologie frangaises, Il ed., 1852, p. 516, tav. 71, fig. 2 e 3. agi Di altri caratteri speciali il Gervais non parla, nè si occupa del numero di raggi della pinna ‘). | Anche van Beneden ‘), studiando degli altri individui, osservò che le due mascelle sono eguali, per cui propose di cambiare il nome di Zemirkynchus in Homorhynchus. Egli inoltre notò la grande somiglianza di questo genere con 2a- lacorhynchus, ma lo serbò distinto a causa della pinna dorsale poco elevata. Pa- ragonando il suo esemplare col Pal. bruselliense Le Hon *), ritenne anche questo un /Zmorkyanchus, onde riunì i due avanzi sotto il nome di 77om. brurelliensis Le Hon sp. Dopo molte osservazioni e confronti, credo di poter affermare che la diversa lunghezza nelle mascelle di alcuni esemplari è assolutamente accidentale. E allora, sono da fondere i due generi o si deve dare un nom? diverso al ge- nere Z/emirhynchus®? Non esistendo il carattere della ineguaglianza delle mascel'e, e risultando eguali gli altri caratteri scheletrici, l’ Zemiynehus differisce dal Palacorhynchus solo pel maggior numero di raggi della pinna dorsale. Deve questo carattere avere importanza generica o solo valore specifico? Osservando i criteri seguiti dagli ittiologi per la fauna attuale, troviamo che presso numerose famiglie le diverse specie di uno stesso genere presentano un nu- mero variabilissimo di raggi alla dorsale. L’oscillazione è del terzo, del doppio e anche di più '). Alla stregua di questi esempi, dunque, io mi sento autorizzata a riunire i due generi esistenti in uno solo, dando al carattere in discussione valore specifico. Propongo quindi che tutti i rappresentanti della famiglia in discorso vengano ascritti ad un unico genere — Palacorhynchus. . Passiamo ora alle specie. L’esemplare su cui Agassiz fondò l’ ZemirAynchus Deshayesi è, come ho detto, molto mal ridotto e non può servire ad un utile con- fronto. Restano i due fossili illustrati da Gervais e da lui riferiti alla detta specie. Questi non presentano caratteri singolari, nè l’autore gliene assegna, e cor- rispondono perfettamente alle figure di Agassiz per i Pal. Colei, Eyertoni e mi- crospondylum, già inscritti da Wettstein sotto il nome di em. Colei. Le due specie quindi, Desh2y si e Colei, possono riunirsi in una sola. Abbiamo così il !) Bassani F. (Rie. pesci foss. Chiauvòn, p. 98. tav. XV, fig.2, in Atti Acc. sc. fis. e mat. Napoli, vol. III, ser. 2*, 1889) e Zittel K. A. (Handbuch der Palaeontologie, vol. III, trad. frane., 1893. p. 295) esprimono anch'essi il dubbio che la differenza di lunghezza delle mascelle sia casuale e che i due generi sieno da riunire. : ?) van Beneden P. J., Sur un nouveau poisson du terrain bruxellien, (Bull. Acad. Roy. Belg., 1873, p. 207). *) Le Hon. H., Prélim. mém. poiss. tert. Belg., 1871, p. 14. *) Cito qualche esempio. Nella famiglia Cepolidae, le specie rubescens e mesoprion del genere Cepola hanno rispettivamente 67 e 90 raggi alla dorsale; nella famiglia Mormyridae, il Mormyrus brachyistius ne ha 17, il caschive 87; nel genere Belone, della famiglia Scombresocidae, si va da 13 (Bel. lovii) a 30 (Bel. taeniata), e nel genere Trichiurus, della fam. Trichiuridae, da 112 (Tr. savala) a 150 (Tr. muticus), (Giinther A., Catalogue of the fishes in the British Museum. Lon- don, 1859-70). ES dro Palaeorhynchus Deshayesi, caratterizzato dal numero dei raggi della dorsale quasi doppio di quello delle vertebre sottostanti. ‘ Tale particolarità rende sicuro il riferimento del mio esemplare alla specie Pal. Deshayesi. Nè deve meravigliare la lunghezza dei raggi dorsali, superiore nell’esemplare italiano alle proporzioni date da Wettstein, perchè gli esemplari di Agassiz, come quelli di Gervais e di van Beneden, sono molto incompleti in queste parti tanto delicate. Lo stesso Wettstein fa notare che gli avanzi di Glaris sono per lo più mal conservati. A complemento di questa nota credo utile di aggiungere alcune altre osser- vazioni fatte sulla famiglia Palzeorhynchidae e le conclusioni a cui sono venuta circa il valore specifico di tutti gli esemplari riferiti ad essa. Ho detto di quelli finora noti come Zemirkynchus; restano i Palacorhynchus già riconosciuti come tali. Questi, distribuiti dapprima in un numero maggiore di specie, furono dal Wettstein, che vide nel /z4um e nel medium altrettanti Pal. glarisianus, ridotti a tre specie: glaristanus, longirostris, Zitteli (Hem. Zitteli Kramb.)'!). Woodward accettò le conclusioni di Wettstein. Esaminando queste tre specie, troviamo completa corrispondenza nel loro sche- letro, e solo è da notare un graduale aumento nelle dimensioni, dal g/arisianus al Zitteli e da questo al longirostris; al quale aumento corrisponde (com'è naturale) una maggiore robustezza. Questa crescente statura si riscontra già nei diversi esemplari di Pal. g/a- risianus: quelli che Agassiz distinse come tali sono più gracili dei P4/. Zatum e medium, riferiti in seguito, e con ragione, al g/arisianus. Dai Pel. latum e medium si passa al Zittelt e da questo al Zongirostris, dove troviamo le dimensioni massime che lo han fatto finora tenere separato dagli altri. Le tre specie devono dunque, a mio credere, fondersi in una sola — da chia- marsi Pal. glarisianus —,i cui rappresentanti hanno, è vero, grandezza diversa, ma si corrispondono nelle proporzioni del corpo. Alla stessa specie è da unire anche il 24/. Riedli Kramb. *), pel quale l’au- tore notava già la grande somiglianza col g/aronensis. I suoi caratteri infatti sono quelli di quest'ultimo, e la maggiore estensione della pinna anale in avanti, come la lunghezza dei suoi raggi, possono essere l’effetto di una migliore conservazione. Risulta così il seguente quadro sinottico delle due specie, che ne comprende la sinonimia e la distribuzione cronologica e topografica : ‘) Kramberger-Gorjanovic D., Beitràge zur Kenntniss der fossilen Fische der Karpa- ten. (Palaeontographica, vol. XXVI, 1879, p. 59, tav. XV, fig. 1). ?) Kramberger-Gorjanovic D., De piscibus fossilibus (Appendice), p. 61, tav. XI, fig. 1, (Djela Jugoslav. Akad., vol. XVI, 1895). Genere PALAEORHYNCHUS de Blainville H. D. de Blainville, Nou. dict. d’ hist. nat., vol. XXVII, 1818, p. 314 |Palacorhynchum]. — L. Agassiz, Rech. poîss. foss., vol. V, pt.I, 1844, p. 78 [Palaeorhynchum] e p. 87 [Hemi- rhynchus].— P.I. van Beneden, £ul?. Acad. Roy. Belg., ser. 2°, vol. XXXV, 1873, p. 210 [Homorhynchus|. Pesci a corpo allungato e con vertebre numerose (da 50 a 70). Mascelle pro- tratte in forma di becco. Pinne dorsale e anale molto estese; ventrali sviluppate pettorali piccole e con pochi raggi; caudale forcuta. Palaeorhynchus Deshayesi Agassiz sp. Raggi della pinna dorsale circa il doppio delle vertebre corrispondenti. 1839. HisriorHorus Des HayEs A g. — L. Agassiz, loc. cit., tav. XXX [Hem. Des Ha- yes in Agassiz, id., p. 88] (4). 1844. PaLAFORHYNcHUM EGERTONI A g. — L. Agassiz, loc. cit., p. 80, tav. XXXIVA, fig. 1 [Hem. Colei? in A. Wettstein, loc. cit., p. 78; Hem. Colei in A, S. Woodward, loc. cit., p. 488] (2). 1844. PaLAFORHYNCHUM COLEI À g. — L. Agassiz, loc. cit., p. 85, tav. XXXII, fig. 1 [Hem. Coleì in A. Wettstein, p. 78] (3). 1844. PALAEORHYNcHUM MICROSPONDYLUM Ag. — L. Agassiz, loc. cit., p. 85, tav. XXXIV®, fig. 2 [ Hem. Colei in A. Wettstein, loc. cit., p. 78] (4). 1852. HemrrHyncHUs DesHaves Ag. — P. Gervais, loc. cit., p. 516, tav. LXXI, fig. 2, 3 [Hem. Deshayesi in A. S, Woodward, loc. cit., p. 488] (5). 1871. PALAEORHYNcHUM BRUXELLIENSE Le Hon — H, Le Hon, loc. cit., p. 14 [ HomorAkynchus bru- welliensis in P. I. van Beneden, loc, cit., p. 210) (6). 1873. HOMORHYNCHUS BRUXELLIENSIS Le Hon sp.— P. I. van Beneden, loc. cit., p. 210, con ta» vola (7). 1886. HewrayxcHus Corel Ag. sp. — A. Wettstein, loc. cit., p. 78 (8). 1903, PaLarorayncHus Desnayesi Ag. sp. —M. Pasquale, in questa Memoria (9). Eocene mepio — Calcare grossolano di Parigi (1) e di Nanterre (5). Arenaria di Bruxelles (6,7). Arenaria (pietra serena de’ Toscani) di Ponte Nuovo presso Barberino di Mugello (9). OLigoceNE supeRIORE — Ardesie nere di Glaris in Svizzera (2.3.4.8). dadi enti Alia L id mi (ped e. bi) fol , gie Palaeorhynchus glarisianus de Blainville H. D. de Blainville, loc. cit., p. 314 [PalacorRynchum glarisianum). — A. S. Woodward, loc. cit., p. 483 [Palaeorhynchus glarisianus). Raggi della pinna dorsale in numero eguale a quello delle vertebre corri- sponderti. I 1844. PaLarorHyNcHUM GLARISIANTM de BI. —L. Agassiz, loc. cit., p. 81, tav. XXXIV (4). 1844. PALAFORHYNCHUM LATUM A g. — L. Agassiz, loc. cit., p. 82, tav. XXXII, fig. 2, e tav. XXXV, fig.le2|[Pal. glaronensis in A. Wettstein, loc. cit., p. 73] (2). 1844. PALAPORHYNCHUM MEDIUM A. — L. Agassiz, loc. cit., p. 84, tav. XXXIII | Pal. glaronensis in A. Wettstein, loc. cit., p. 73] (3). 1844. PALARFORHYNCHUM LONGIROSTRE Ag. —L. Agassiz, loc. cit., p. 79, tav. XXXIV, fig. 3 (4). 1879. HemrHyxcHus ZirteLt Kramb. — D. G. Kramberger, loc. cit., p. 59, tav. XV, fig. 1 | Pal. Zitteli in A. Wettstein, loc. cit., p- 72) (5). 1886. PaLaEOR. GLARONENSIS de BI. em. Wett. —A. Wettstein, loc. cit., p. 73, tav. II, fig. 14-16 (6). 1886. PALAEORHYNCHUS LONGIROSTRIS Àg. — A. Wettstein, loc. cit., p. 75 (7). 1886. PALAFORHYNCHUM LATUM Ag. —F. Steindachner, Foss. Fisch. Ober- Rhein | Sitzungsb. k. Akad, Wiss., math.-naturw. CI., vol. LIV, 1886, p. 150] (8). 1889. PaLaEOR. cfr. GLARONENSIS de BI. em. Wett — F. Bassani, Rie. pesci foss. Chiavòn, p. 98, tav. XV, fig. 2 (9). 1895. PaLAFoRHyNncnUs RiepLI Kramb. — D. G. Kramberger, loc. cit., p. 61, tav. XI, fig. 1 (40). 1900. PALAFORHYNCHUS GLARISIANUS de B]l. — F. Bassani, Av. pescì Ales, p.3 |Rend. Ace. sc. fis. mat., Napoli, 1900] (14). OLIGOCENE INFERIORE — Arenarie di Raycza in Galizia (5). OLIGOCENE SUPERIORE — Ardesie nere di Giaris (1,2,3,4,6,7). Scisti bituminosi di Buchsweiler in Alsazia (8). Marne di Chiavòn nel Vicentino (9). Scisti mar- nosi di Trifail in Croazia (10). Marne scistose silicee del bacino di Ales in Sar- degna (4141) '). Istituto di Geologia e Paleontologia della R. Università. Napoli, 1903. ') Il genere Palacorhynchus è stato anche citato nell’oligocene superiore di Sagor in Croazia (Pal. Deschmanni D. G. Kramberger, in Palaeoichtyolozki Prilozi; Rad. Jugoslav. Akad., vol. LXXII, 1885, p. 32, tav. I, fig. 1, tav. III, fig. 3) e di Siegsdorf presso Traunstein in Baviera (Pal. giganteus A. Wagner, in Sitzungsb. k. bay. Akad, Wiss., 1860, p. 52). ll primo è un frammento di tronco che non permette un utile raffronto; probabilmente è anch'esso da ascriversi a Pal. glarisianus. Del secondo l’autore non dà figura e dalla descrizione risulta essere più grande di quelli citati. E anch'esso molto incompleto. Il Woodward (loc. cit., p. 487) ricorda pure dei frammenti riferibili con molta probabilità a questo genere, provenienti dall’ Argilla di Londra di Sheppey. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 40 i $ Fig 1, Palaeorhynchus Deshaygesi Ag. sp., dell’ arenaria eocenica di Ponte Nuovo presso Barberino di Mugello (grand. nat.). » Controimpronta. (Il tratto segnato con pun- tini ne indica la parte mancante). a, fram- menti dei raggi della pettorale. finita di stampare $l dì 18 Febbraio 1904 È D ioni tr dtt si PASQUALE, Su di un Palaeorhynchus ec M. Ke Acc. Sc. fis. e mat. di Napoli, Vol. XII, n. 8 / AIA DA7 14 G, D46, CA UA SEL SANTAITI PASS, VI ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE LE ROCCE GRANITOIDI E FILONIANE DELLA SARDEGNA MEMORIA POSTUMA di CARLO RIVA presentata nell’ adunanza del dì 2 aprile 1904 Cenni preliminari p- un 5 giugno 1902 il ralente geologo ed amico nio carissimo Carro Riva, sor- reso e travolto da una valanga della Grigna settentrionale, tragicamente periva montagne da luni tanto amate, prima ancora di aver compiuto il suo tren- no anno. Egli, che nella sua rapida e luminosa esistenza già molto aveva fatto "la geologia d'Italia, ci lasciò, morendo, un prezioso retaggio di numerosi ed im- nti manoscritti, da cui s° é svolto questo lavoro, che viene ora a luce, due anni A 10 a sua immatura dipartita. n un libro di « Ricordi », che di Iwi io pubblicai a Napoli in quello stesso , ho già descritto, come egli fin dal 1896 imprendesse le sue prime peregrina- i rela Sardegna e concepisse per Pisola squallida e deserta quell'amore, che va irresistibilmente poi portarlo ogni anno su quelle massicce e severe montagne itiche, nelle aspre gole solitarie e Iungo le desolate sue spiagge, a studiarne ndefessamente la natura e la struttura, che formano l oggetto di questo suo ul- li pronde lavoro, lasciato manoscritto. * Tra i 1896 e il 1901 Riva aveva già pubblicato parecchie note speciali su ce e minerali della Sardegna; ma la grande massa dei suoi studi di campagna Sa XII— Serie 22-N2 9. ; I o ta VOL * bai È y Ti h TAO n d Tr NI J SRI o e di laboratorio era ancora tutta raccolta nei materiali da lui lasciati, con la sua morte, inediti. In essi, oltre un enorme corredo di carte topografiche e di estratti bibliografici, si sono trovati: diversi libretti di itinerarì, dn cui sono minutamente descritte le regioni percorse c studiate; numerose fotografie di interessanti giaci- ture di rocce; vari quaderni di accuratissime analisi chimiche; le descrizioni di oltre quattrocento sezioni microscopiche di rocce (di cui disgraziatamente non erano ancor fatte le microfotografie); e infine, come risultato di tutto questo enorme la- vorio analitico, un poderoso manoscritto sintetico, riguardante Le rocce granitoidi e filoniane della Sardegna, che viene qui appunto integralmente pubblicato. Tutto questo materiale fu dalla vedova affidato a un caro amico e discepolo di Riva, i dott. Marco De MarcHI, d quale con amore e cura infinita e con mi- rabile precisione si occupò per mesi interi ad aggrupparne, ordinarne e coordinarne le varie parti, rendendone così possibile la definitiva pubblicazione. E l altro af- fettuoso amico e maestro di Riva, il prof. Luci BruewATELLI, 44 voluto assumersi la revisione delle bozze di stampa, per far sì, c'e il lavoro riuscisse il più che possibile corretto. Ad entrambi sia devoluta la gratitudine mia e di tutti è com- pagni di scienza. l Il lavoro, che così viene a pubblicarsi, consta di quattro parti principali, che trattano successivamente delle rocce granitordi, delle rocce filoniane, delle zone di contatto e dell'età delle rocce granitoidi sarde. I’ autore aveva anche premesso il sommario di una introduzione, che egli non potè poi condurre a termine; nè a me è parso opportuno colmare tale lacuna, scrivendo io stesso l'introduzione sulla base dei suoi libretti di itinerari; giacchè penso, che, meno le necessarie correzioni ed | aggiunte, indicate dall'autore stesso, il meglio di tutto è sempre pubblicare inte- gralmente l’opera altrui, in modo da rispettarne e rispecchiarne tutta l'originalità. E ciò mi è parso obbligo anche più sacro in questo infausto caso, che mi è toccato, di dover io, maggiore di lui per età, accendere la teda funebre al giovine amico, per sempre perduto. Napoli, 24 Aprile 1904. (+. De LorENZO h INTRODUZIONE Sommario: Origine del lavoro. Suo scopo. Sua divisione. Esatta descrizione delle regioni da me percorse in Sardegna e delle quali è data nel lavoro la descrizione delle rocce. Esclusione del Sarrabus. Esclusione del granito orbicolare di Fonni. LE ROCCE GRANITOIDI 6 Principali osservazioni di altri autori La distribuzione delle rocce granitoidi nell'isola di Sardegna è descritta da — Alberto La Marmora con ordine e chiarezza ammirevoli nel Cap. X della sua Descrizione Geologica dell’isola. A quella descrizione ed all’ annessa carta | geologica rimando il lettore, che non avesse presente la costituzione geologica della regione che ci interessa. DE Questa prima parte del mio studio comprende la descrizione mineralogica delle rocce granitoidi sarde, le loro facies e varietà e come esse sono PRESI Non è quindi qui fatto cenno delle ipotesi, fin ad oggi emesse, intorno all’origine ed all’età di queste rocce, riserbandomi di trattare questo argomento dopo di aver . descritte le aree e le formazioni di contatto e le forme filoniane. Il La Marmora così descrive i graniti sardi: « Les caractères minéralo- | giques des granites de Sardaigne se révèlent souvent par leurs cristaux de feld- È spath orthose, qui deviennent couleur de rose, incarnats et rarement blanes; le quartz, qui entre dans leur composition, est quelquefois d'un blanc sale et méme il prend une teinte rose. Ce granit est d’ailleurs très-pauvre en mica, de fagon qu'il passe fréquemment à la pegmatite: on peut méme dire, que c'est cette der- nière variété de roche granitoide, qui est la plus commune; le tale et surtout l’am- —phibole se trouvent souvent répandus dans la pate, et la roche dans ce dernier cas | passe è la syénite; enfin, on y rencontre de la pinite et de la tourmaline ». RETRO RT) STREET E LL CER ISO] se PESRIONRI VISSE IS Nè differisce da questa la diagnosi del Fournet '), il quale paragona i gra- niti di Capo Bellavista, della regione del Tirso e quelli di Arbus ai graniti di Monte Capanne, e vi nota una spiccata tendenza a passare alle sieniti per l’ag- giunta di anfibolo: « Ce granite est en outre accompagné des granulites et autres oblitérations cristallines habituelles aux roches de cette classe ». Nelle relazioni delle escursioni compiute in Sardegna dal Lepsius ‘)e dal Vom Rath”) sono sommariamente descritte, per l'aspetto loro macroscopico, le principali varietà delle rocce granitoidi del suolo sardo. Il Vom Rath chiama granititi nel senso di Gustavo Rose le varietà a grossi cristalli rosei di ortose, con oligoclasio bianco, quarzo e biotite, di Ter- ranova e di Nuoro. Distingue inoltre varietà chiare, bianche o grigie, a grana grossolana o minuta. Granititi a orneblenda riscontrò a Lanusei, a Capo Bella- vista, a Castiadas. All’ortite riferisce dubitativamente alcuni cristallini tabulari alterati nella granitite di Villa Novi Strisaili. Ricorda inoltre la /cies dioritica, a grossi prismi di orneblenda, di Capo Carbonara. Alle granuliti, nel senso di Michel Lévy, riferisce il Lovisato +) le rocce granitiche sarde. Egli nota, in alcuni punti dell’isola, passaggi a dioriti, come all'estremità sud di Capo Carbonara, o a sieniti, come a Su Sciuscia, una delle vette del Gennargentu: le quali forme egli considera piuttosto come masse intru- re filoniane. Il Fouqué ’ riferisce il granito di Fonni, che a Ghistorrai contiene in- clusi 1 noti sferoidi, ad una granitite grossolana povera in quarzo, a ortose e oligoclasio egualmente sviluppati, con muscovite e biotite cloritizzata. I grossolani cristalli di ortose danno aspetto porfirico alla roccia. Il Bucca esaminò alcuni graniti dell’Iglesiente, ed i risultati delle sue ri- cerche sono allegati alla descrizione geologico-mineraria dell’Iglesiente dell’ in- gegnere Zoppi ‘). Egli riferisce i graniti rosei e bianchi di Arbus alle granititi povere di biotite, a grana fina, sovente con tormalina. A Capo Pecora c nella regione d’ Oridda predominano invece granititi rosee o bianche nettamente porfiroidi,a due generazioni di quarzo. Forse sono comprese in queste rocce anche i porfidi granitici filoniani. La regione granitica sarda meglio conosciuta è il Sarrabus, dove i rapporti esistenti tra le rocce cruttive massicce e i giacimenti metalliferi servirono di sprone allo studio delle masse granitiche. Il De Castro ‘) nella descrizione geologico-mineraria della zona argentifera 1) Fournet — Ubs. geéol. sur la Sardaigne, Lyon 1858. à ) Lepsius R. — Veder die Geologie und den Bergbau der Insel Sardinien (Deutsch, Rundschau ilir Geogr. u..Statistik, II Jahrg., Heft 8-12, Miinchen 1880). ®) Vom Rath G. — Due viaggi in Sardegna. ') Lovisato D.— Cenni sul Gennargentu, Cagliari 1900. 5) Fouqué — Bull. Soc. géol. frang., 1887. °) Zoppi — Descrizione geologico mineraria dell’Iglesiente (Mem. deser. della Carta geol. d’Italia, vol. IV, Roma 1888). 7) De Castro 0. — Descrizione geologico-mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Mem. descr. della Carta geol. d’Italia, vol. V, Roma 1890). PINS Gi del Sarrabus ci dà poche notizie intorno alla natura mineralogica delle rocce gra- nitoidi. Esse sono invece descritte con maggiore dettaglio dal Lacroix e special- mente da Stefano Traverso. ') Il primo, in brevi diagnosi petrografiche, ri- ferisce le rocce granitoidi di Masaloni, da lui esaminate, al granito propriamente detto, alle granuliti con allanite ed alle pegmatiti (associazione pegmatitica di oligoclasio, ortose e quarzo). Il Traverso, nella memoria sulle rocce granitiche e porfiriche del Sarra- bus *), distingue, per la regione da lui esaminata, i seguenti tipi di rocce gra- nitiche: 1° Granito bianco, che ricorda assai le rocce analoghe di Mont’ Orfanò sul Lago Maggiore. E la più fresca e la meno disa&gregata tra le rocce granitiche del Sarrabus. I feldispati (ortose, oligoclasio, e in minor copia microclino) predominano notevolmente sul quarzo e sulla mica bruna. Lo zircone, l’apatite e l’ematite non mancano mai, e fra i prodotti secondarî sono più o meno costanti la clorite, la mica bianca, l’epidoto e la sillimanite. Il Traverso nota che quest’ultimo mine- rale è in modo speciale abbondante nel granito di Masaloni. Io non lo rinvenni in nessuna altra roccia granitica della Sardegna. 2° Granito roseo; è più diffuso del bianco e, eccetto la minor freschezza e coerenza, è paragonato dal Traverso al granito di Baveno. Esso presenta /@cies strutturali di granito grafico. 3° Granito anfibolico. Si trova nella regione s' Arcu s' Orcu nel Comune di Burcei e venne già considerato come roccia sienitica. Si differenzia nettamente dal granito rosso normale, nel quale è intruso in forma di masse o di dicchi, e mostra struttura nodulosa, isolandosi facilmente in bocce di qualche decimetro di diametro a struttura concentrica. Il feldispato di Ca e Na (oligoclasio secondo Traverso) predomina notevolmente sull’ortose; la biotite e 1’ anfibolo sono abbon- danti. Si ha quindi un tipo di passaggio alle rocce dioritiche a quarzo, che ve- dremo piuttosto frequenti in Sardegna e che ascrivo alle granodioriti (o adamel- liti di Brògger). 4° Graniti a sola muscovite o a grana minuta, che il Traverso chiama granuliti, sono rari nel Sarrabus come anche nel rimanente dell’isola; a meno che non si voglia ascrivere a queste rocce i filoni aplitici. Il Traverso descrive inoltre alcune granuliti a due miche o a sola biotite, a grana media, caratterizzate dalla presenza del quarzo granulitico, e che constano degli stessi elementi del granito. È probabile che si tratti di forme filoniane o periferiche. Le microgranuliti (nel sensa di Michel Lévy) a struttura nettamente por- 1) Traverso S. — Nota sulla geologia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus, "Torino 1890. Nel 2° cap. di questo lavoro v’ è la determinazione micrografica, fatta da Lacroix, delle rocce seguenti: Granito, granulite, pegmatite, microgranulite, mieropegmatite, porfidi petrosilicei, porfidi a quarzo globulare, porfiriti andesitiche con pirosseno, porfirite andesitica micacea, porfirite anfibo- lica, scisti micacei, scisti ad andalusite. 2) Traverso S. — Mosce granitiche e porfiriche del Sarrabus (Atti Soc. ligustica di Sc. nat., vol. VI, 1895). CeE - firica sono assai diffuse nel Sarrabus, specialmente nella zona che da Masaloni si estende a Burcei e Sinnai. Il M. Gennas è formato da micropegmatite rossastra, minutissina, a rari interclusi e a massa costituita essenzialmente da quarzo e ortose in accrescimenti granofirici, i quali sono più sviluppati e grossolani intorno agli interclusi. Queste rocce, descritte dal Traverso come micropegmatiti, sembrano corri- spondere alle rocce porfiriche tanto frequenti nelle regioni” centro-orientali della Sardegna, che io ascrivo alle forme microgranitiche dei porfidi granitici. Alle granititi nel senso di Rose, ossia ai graniti biotitici, riferisce esatta- mente il De Stefani la maggior parte delle rocce granitoidi sarde '). osser- vando solo che sovente, nella parte superiore della formazione granitica, alla bio- tite sì aggiunge la muscovite. Ed alle granititi anfiboliche a ortite io ascrissi È) le belle rocce granitoidi , a grossi cristalli rosei di microclino, del Nuorese; le quali passano localmente, a Burgos nella Valle del Tirso, alle adamelliti o granodioriti. Ed alle granititi riferi pure le rocce di Cala Francese nell’isola della Maddalena °). Fenomeni endogeni di contatto sono descritti dal Lotti pel granito di Villa» cidro ‘.. La roccia massiccia, a pochi metri dal contatto cogli scisti silurici, che ha metamorfizzati, acquista struttura microgranitica, contiene clorite e talora racchiude lamelle di molibdenite. Sovente mostra struttura porfirica e presenta facies analoghe a quelle di talune apofisi granitiche negli scisti. 2 DZ] Descrizione delie rocce granitoidi Le rocce granitoidi delle regioni di Sardegna da me percorse (le quali del resto comprendono la maggiore estensione deile rocce granitoidi sarde) apparten- tengono essenzialmente’ alla famiglia dei graniti e solo in piccola parte vanno riferite a quella della diorie. Queste due famiglie di rocce non costituiscono masse geologiche indipendenti, ma piuttosto le dioviti rappresentano soltanto delle /4cies locali nei predominanti graniti, ai quali sono con graduali passaggi congiunti. La parte maggiore dei graniti sardi è compresa fra le yrenititi nel senso di G. Rose, ossia graniti a sola biotite. Essi sono, nel loro aspetto tipico. a grana !) De Stefani C. — Cenni prelminari sui terreni cristallini e paleozoici della Sardegna ({Rend. R. Acc, dei Lincei, 1891, I). ?) Riva C. — Studio petrografico sopra alcune rocce granitiche e metamorfiche dei dintorni di Nuoro e della Valle del Tirso in Sardegna (Boll. Soc. geol. ital. vol. XV, 1896). ?) Riva C.—— I feldispati del granito di Cala Francese (Isola della Maddalena) e alcuni minerali che li accompagnano (Rend. R. Ist. lombardo, 17 gennaio 1901). — 1d. Die Feldspithe des Granitit von Cala Francese auf der Insel Maddalena, nebst einigen Bemerkungen iiber Brechungsexponenten von Mikroklin (Zeitschr. fiir Kryst., XX.XV Bd, Leipzig 1901). *) Lotti B. — Osserv. geol. e min. sui dintorni di Villacidro (Boll. Soc. geol. ital. XV, 1896, pag. 548). SETA, media, con ortose e microclino roseo, i quali, se in° grossi cristalli, danno un' a- spetto porfiroide alla roccia. Tra i feldisrati di Ca e Na prevalgono le miscele acide, oligoclasiche. Sono inoltre maggiormente diffuse le forme prive di anfibolo. Vi appartengono le granititi delle isole della Maddalena e di Caprera, e la maggior parte dei monti della pittoresca Gallura, compreso il massiccio del Lim- bara. Le stesse grossolane e porfiroidi granititi di Tempio Pausannia sono, nella loro facies normale, prive di anfibolo. Allo stesso gruppo di rocce granitiche appar- tengono quelle di Orune, a feldispati alcalini bianchi, le /ucies chiare, a grana fina, del Nuorese, alcuni tipi dei dintorni di Lanusei e le facies normali di Capo Carbonara, di Fraigas, Ozieri, Burgos, Gonari, Villanova, Teulada, Arbus etc. Quantunque non così diffuse come le granititi propriamente dette, a sola bio- tite, sono tuttavia frequenti in Sardegna le granititi anfiboliche; le quali, arric- chendosi in miscele di feldispati di Ca e Na, più basiche di quelle delle granititi a sola biotite, passano gradatamente alle dioriti e costituiscono un gruppo di rocce, largamente rappresentato in natura, che è quello delle granodioriti 0 adamelliti e che già si è reso noto in Sardegna nella adamellite di Burgos. Le granititi anfiboliche sono diffuse nel Nuorese, dove costituiscono la tipica varietà di granitite grossolana a cristalli porfirici rosei di microclino. Le granitite di Sorgono e del Capo Bellavista sono pure anfiboliche. Alle adamelliti apparten- gono pure, oltre quelle già note di Burgos, alcune /uczes, ricche in anfibolo, dei dintorni di Sorgono. ì A facies dioritiche localizzate, di limitatissima estensione, passano frequen- temente le granititi sarde; e ne constatai ovunque: dalla Gallura (specialmente nella Collina di S. Lorenzo, presso Tempio) a Fonni e a Capo Carbonara. Anche le frequentissime segregazioni basiche del granito sono di tipo dioritico. Assai più rare sono le dioriti basiche, prive di quarzo, nelle quali l’anfi- bolo sostituisce del tutto la biotite: si tratta generalmente di facies basiche delle granititi o delle adamelliti, come è il caso per le dioriti basiche di Capo Bellavi- sta, e anche della diorite grossolana a lunghi cristalli di anfibolo verdognolo, che forma l'estremità meridionale di Capo Carbonara e che è ricordata dal Vom Rath con queste parole: Le parti a grana grossolana formano segregazioni nella varietà a grana media, la quale a sua volta sembra passare al granito. Questa diorite, che costituisce la parte meridionale di Capo Carbonara, sembra qui formare non già filoni nettamente delimitati, ma potenti masse eruttive. Il Lovisato invece la considera come un potente filone. Le segregazioni basiche oscure, anfiboliche o micacce, e a prevalenti feldi- spati di Ca e Na, abbondano ovunque nei massicci granitici dell’isola. Con mag- giore frequenza le osservai lungo la costa nord dell’isola della Maddalena, nelle granititi grossolane di Tempio, e abbondantissime le trovai poi a Capo Bellavista, dove, più resistenti all’ erosione marina, sporgono dalla superficie lisciata e corrosa del granito tormentato dalle onde. Pei loro caratteri strutturali e mineralogici escludo l'ipotesi che si tratti di inclusi di rocce scistose, metaforfizzate dal granito. Tali scisti metamorfici, in- clusi nel granito, non mancano in Sardegna, e saranno in seguito descritti; essi hanno caratteri petrografici tali, per cui ogni confusione colle segregazioni ba- siche, di cui è qui parola, non è possibile. Tali segregazioni mi rammentano quelle tipiche e numerose dei massicci to- nalitici alpini, sopratutto del gruppo dell'Adamello, nonchè quelle di Calabria, descritte e figurate da De Lorenzo ‘): sì distinguono invece nettamente dalle macchie oscure, a struttura alquanto scistosa. del granito dei Pirenei, che il La- croix distingue col nome di inclusi endopoligenici, ritenendoli quali prodotti di assimilazione, da parte dei graniti, di strati argilloso-calcarei. Nel granito dell’Arborese il Bucca descrive degli inclusi quarzoso-micacei, a contorni irregolari, che probabilmente sono frammenti di rocce scistose, inclusi nel granito, che hanno assunto la struttura cristallina per azione di metamorfi- smo. Questi inclusi si trovano specialmente nel granito bianco filoniano; mentre nel granito rosso massiccio, che forma l’altipiano di Arbus, sono frequenti delle concentrazioni micaceo-feldispatiche, che anche il Bucca inclina a riferire a se- gregazioni veramente basiche. Nella Sardegna non trova conferma l’ ipotesi, che nei Pirenei è convalidata dall’osservazione sul terreno, che cioè le facies basiche dioritiche dei massicci gra- nitici sono in relazione cou rocce calcaree, le quali furono per così dire assorbite dal magma granitico, modificandone profondamente la natura. Nelle regioni gra- nitiche dell'Ariège, che ebbi occasione di visitare col prof. Lacroix, la relazione tra queste /wcezes basiche e i lembi di calcari inclusi nel granito è costante e per- suasiva. Ma non così in Sardegna, dove non si osservano modificazioni basiche nelle rocce granitiche, quando queste vengono in contatto con rocce calcaree più anti- che (per es. nel granito di Gonari, iniettato nel calcare, che è profondamente me- tamorfizzato); e d'altra parte manca ogni traccia di calcari dove si osservano le facies basiche dioritiche. Sembra quindi, che le facies dioritiche delle rocce gra- nitoidi sarde, più che prodotto di metamorfismo endogeno, siano risultato di diffe- renziazioni magmatiche originarie. Minerali delle rocce granitoidi l'ELDISPATI ALCALINI Fra i feldispati alcalini delle rocce granitiche della Sardegna sono ugual- mente diffusi tanto l’oriose quanto il microclino; anzi a questi nomi si potrebbe senz altro sostituire quelli di micropertite e di microclinomicropertite: poichè è un fatto costante l’accrescimento micropertitico dei feldispati alcalini con un feldispato, il quale, ogni volta che si presenta in lamelle di qualche spessore, si può con si- curezza riferire all’ a/bite. LI ) G. De Lorenzo — Studi di geologia nell'Appennino meridionale (Atti R. Acc. delle Scienze di Napoli, serie 2, vol. VITI, 1896) pag. 10, fie. 2. LR a Feldispati potassici Fra i graniti della Sardegna si distinguono alcuni a solo ortose, altri a or- tose e microclino, e altri infine a solo microclino. Graniti a sola albite riscontrai solo in una facies lotalizzata della granitite normale di Nuoro, e ad albite e microclino presso l’Abbatoggia nell’ isola della Maddalena. Nell'isola della Maddalena le granititi normali, nelle quali sono aperte nu- merose cave in diversi punti dell’isola, sono rocce a ortose; e il microclino appare soltanto nelle /@cies pegmatitiche di tali rocce: come bene si osserva a Cala Fran- cese, nelle /4cies pegmatitiche delle granititi, tra Punta Tegge e Punta Nera, e nella penisola dell’Abbatoggia. Anche in alcune /uczes aplitiche e in vere apliti filoniane dell’ isola della Maddalena il microclino sostituisce, in parte o del tutto, l’ ortose. Nella vicina isola di Caprera predominano le rocce granitiche a microclino e a ortose, con variabile predominio dell’uno e dell’altro feldispato; e anche qui si osserva la prevalenza del microclino nelle facies pegmatitiche. Le bellissime granititi dei dintorni di Tempio, caratterizzate dai grossi e lucenti cristalli rosei di ortose, e le comuni granititi dei monti della Gallura, a nord di Tempio, sono prive di microclino; mentre molte granititi del Limbara, come quelle della regione Filascheddu e delle vette e presso il piccolo santuario a N. S. della Neve, sono a solo microclino. Prevalenza di ortose, e poco microclino, si osserva nelle granodioriti o ada- melliti della Valle del Tirso presso Burgos; mentre il microclino è il solo feldi- spato alcalino delle granititi di Orune, e di quelle dei dintorni di Nuoro, che all'aspetto tanto sono simili a quelle di Tempio. Nelle granititi chiare a grana fina del Nuorese accanto al microclino prevalente non manca l’ ortose. Con prevalente ortose sono le granititi rosee, fine, dei dintorni di Sorgono e di Lanusei; mentre il microclino predomina in quelle dei dintorni di Gavoi, e nelle granititi di Capo Bellavista: sempre però accompagnato in quest’ ultime da piccola quantità di ortose. Infine nelle rocce granitiche del Capo Carbonara la quantità dei due feldi- spati è varia; nella facîes normale però l’ortose è prevalente. Da questa sommaria esposizione circa la distribuzione dei due feldispati potas- sici nelle varie rocce granitiche sarde non è dato stabilire a quali cause la pre- senza dell'uno o dell'altro feldispato sia legata. Indifferentemente in uno stesso massiccio granitico si trova l’ uno e l’ altro feldispato, e la presenza del microclino non è in alcun modo legata a fenomeni dinamici: trovandosi in molti casi come componente predominante in graniti nor- male non compressi, come, ad esempio, nelle fine granititi rosee del Limbara 0 nelle grossolane granititi del Nuorese. Invece, nelle regioni da me visitate, mì Atti — Vol. XI/— Serie 2!- N20. 2 REC; ENO sembra costante il fatto della prevalenza del microclino nelle /acîes pegmatitiche delle rocce granitiche. Tracce di azioni dinamiche riscontrai in alcune granititi dei dintorni di Orune, e in altre chiare a grana fina poco lontano da Nuoro, presso la via che conduce a Orosei. In queste il feldispato potassico è solo il microclino. Passaggi graduali dall’uno all’altro feldispato osservai raramente: general- mente l’ortose e il microclino sono ben individualizzati, anche quando sì trovano insieme in una stessa roccia. Il microclino in generale sembra di formazione po- steriore a quella dell’ urtose. La caratteristica struttura a grata per geminazione polisintetica non è in alcun modo costante e non può certo esser presa come carattere per la distinzione del feldispato. Questa deve sopratutto basarsi sui caratteri ottici. In lamine di sfal- datura basale una direzione di estinzione (a) fa nel microclino un angolo di 15° collo spigolo (001) (010). In una medesima roccia alcuni cristalli di microclino presentano costante la struttura caratteristica, in altri manca del tutto; altre volte in una stessa plaga di microclino vi sono parti a geminazione polisintetica, mentre altre parti ne sono prive e si mostrano uniformi. Forme e strutture dei feldispati alcalini ‘Tanto l’ortose quanto il microclino possono essere di color roseo carnicino, come nelle granititi della Maddalena, in quelle dei dintorni di Tempio, del Lim- bara, e in alcune del Nuorese e dei dintorni di Sorgono; oppure bianco-lattei, come nelle granititi a grana fina del Nuorese, in quelle di Orune, di Capo Bellavista e di Capo Carbonara. A feldispati bianchi sono le /aeies ricche in feldispati di Ca e Na, che si avvicinano alle granodioriti, come le rocce di Burgos e di Capo Car- bonara. Il peso specifico di questi minerali si mantiene tra limiti abbastanza co- stanti. Quello dell’ortose, misurato negli individui del granito di Tempio, oscilla tra 2,570 e 2,576, per #= 14°. Per il microclino roseo il p. sp. è di 2,57 negli individui della granitite presso la stazione di Nuoro, e di 2,584 — 2,606 in quelli dei blocchi di granitite presso il cimitero di Nuoro. Per il microclino bianco (con Na) s'è riscontrato 2,55 e 2,533 in individui della granitite di Nuoro. Nelle varietà grossolane delle granititi di Nuoro e di Tempio Pausania i cri- stalli rosei di microclino e di ortose raggiungono talora 2-3 cm. di lunghezza e si presentano tabulari secondo (001) o (010), e soventi allungati secondo l’asse [X]. Oltre le forme }001} e }010} sono comuni e frequenti }110} }201{ {101}. Nelle facies pegmatitiche e nelle spaccature geodiformi sono frequenti i cristalli ben for- mati e sono noti gli splendidi e grossi cristalli di microclinopertite di Cala Francese. Oltre la sfaldatura netta secondo le facce dei pinacoidi e (001) (010) è frequente la sfaldatura murchisonitica secondo un pinacoide }hol{; in alcune granititi della SO Gallura (Su Pupia, Tempio) tale faccia di sfaldatura forma con }001{ un angolo di circa 74° (angolo vero); nel microclino della granitite di Nuoro tale angolo è di 73° ‘|. circa, e in tale microclino la sfaldatura secondo questo pinacoide è più netta di quella secondo (010). Si tratta di facce a simbolo {701}. L'angolo teorico tra questa facce e }001{ è 73° 13°. Nell’ortose roseo di Tempio è costante e distinta la sfaldatura secondo }110{. Misurati Calcolati 110 : 001= 67°40' 67°%47' so 110 : O10 : 59°33' 59°23' 5” La legge di geminazione costante nell’ortose e nel microclino dei graniti sardi è quella comune di Carlsbad. Assai meno frequenti si riscontrano geminati se- condo la legge di Baveno; questi si trovano specialmente nei cristalli isolati e ben formati delle geodi di Cala Francese. In quanto all’accrescimento pertitico e micropertitico, come già avvertii, in tutte le rocce granitiche sarde da me esaminate è costante l’ accrescimento del- l’ortose e del microclino con albite. Le lamelle intercalate di albite sono talora abbastanza larghe da essere vi- sibili ad occhio nudo, come nei grossi cristalli o nelle larghe lamine di pegma- tite dell’isola della Maddalena. Anche nei feldispati rosei delle grossolane granititi di Tempio e del Nuorese si discernono facilmente le sottili e fine lamelle d’albite bianca. In tutte le altre granititi, a grana media o minuta, lo studio microscopico dei feldispati rivela costante tale accrescimento. Ogni volta che le lamelle in- tercalate hanno uno spessore sufficiente perchè si possa determinare di esse qual- che carattere ottico, si accerta la loro spettanza all’ albite. Le lamelle di albite sono intercalate nell’ortose e nel microclino in modi diversi; per lo più si tratta di accrescimenti regolari, paralleli a facce possibili di cristalli; raramente tale ac- crescimento appare irregolare. Quando tale accrescimento non avviene parallelo a facce di sfaldatura (nel qual caso è facile ricorrere a misure goniometriche), per la determinazione dei piani, parallelamente ai quali sono intercalate le lamelle d’albite, servono le lamine da sfaldatura secondo (010) e (001), misurando in esse l’angolo tra la direzione delle lamelle e lo spigolo (010) (001). I modi più fre- quenti di accrescimento sono i seguenti: 1° Accrescimento parallelo a }100{ del feldispato includente. Questo è il caso più frequente degli accrescimenti pertitici e micropertitici dei feldispati delle gra- nititi dell’ Isola della Maddalena. Nei grossi cristalli di microclino geminati se- condo la legge di Baveno, tanto frequenti nelle geodi del granito di Cala Fran- cese, tale accrescimento è ben visibile ad occhio nudo. Tale modo di accrescimento è anche comune nell’ ortose roseo della granitite di Tempio. 2° Accrescimento parallelo a {110{. Si osserva specialmente dove è netta la sfaldatura secondo tali facce; ad esempio nel feldispato delle granititi di Tempio, nel quale si osservano diverse serie di lamelle intercalate secondo piani diversì : alcune secondo (110), altre secondo facce della zona [100]. qa 3° Accrescimento secondo piani della sfaldatura murchisonitica. Questo è il modo più comune di accrescimento, comune tanto nell’ ortose quanto nel micro- clino, tanto in cristalli di dimensioni notevoli quanto nei microscopici componenti delle varietà più minute.Non sempre è possibile stabilire con precisione secondo quali facce tale accrescimento corra parallelo; giacchè non sempre le lamelle sono interacalate con sufficiente regolarità da permettere misure non troppo incerte. Witham Cross nel sanidino delle lipariti di Chalk Mountains sul Co- lorado riferì i piani di sfaldatura murchisonitica, secondo i quali avviene gene- ralmente l’ accrescimento pertitico, al pinacoide {1502{; e Des Cloiseaux alla forma }701}. Osann nei feldispati delle Apache Mountains osservò che l’ accre- scimento micropertitico avviene parallelo a piani che corrispondono al pinacoide 1502}. Nei feldispati dei filoni pegmatitici di Ula, presso Lavrvik, Brògger potè determinare che i comuni piani di sfaldatura murchisonitica corrispondono a facce di simbolo }801}, e le lamelle di albite sono sovente intercalate parallelamente a detto pinacoide; numerosi altri modi di accrescimento, sempre però nella zona [100], sono descritto dal Brògger per gli stessi feldispati di Ula, arrivando alla con- clusione, che i piani di separazione murchisonitica, parallelamente ai quali sono generalmente intercalate le fine lamelle di albite, non hanno una posizione costante. Alla medesima conclusione si arriva collo studio delle micropertiti, secondo facce delia sfaldatura murchisonitica, delle granititi sarde. Nel numero maggiore dei casi le lamelle di albite sono intercalate secondo facce di tipo (hol), le quali fanno col pinacoide (001) angoli compresi tra 73° e 76°. Dove l’accrescimento è maggiormente regolare, come ad esempio nel microclino- pertite delle granititi del Nuorese, si ottiene da buone misure: (hol) : (001) = 73° 1), Gli angoli teorici per le sopra citate facce di sfaldatura murchisonitica sono i seguenti : À (701) : (001) = 7313 (1502): (001) = 72°40' (801) : (001) = 72°2 1], L'angolo misurato si avvicina maggiormente al valore teorico per }701|. Nell’ortose di alcune granititi della Gallura oltre l’ accrescimento secondo }100} e }110} si osservano talora irregolari lamelle, le quali sono disposte secondo piani, che con (001) formano angoli compresi tra 55° e 56°. Non essendo possibile misurare con maggiore approssimazione l'angolo, è dubbio secondo quale forma le lamelle siano intercalate; probabilmente secondo uno dei seguenti pinacoidi : (100 9) : (001) = 55°7 (9 0 8) : (001) =55%41' (8 0 7) : (001)=56°20' '/, Soli Nel microclino di Nuoro una serie di finissime regolari lamelle sembra pa- rallela a un pinacoide di simbolo (hkl), vicino a (701). Una serie di altri accrescimenti, meno regolari, avviene secondo piani della zona [100], confermandosi così quanto venne esposto più sopra, cioè la posizione variabile dei piani, secondo i quali tali accrescimenti avvengono. Riguardo alla frequenza dei diversi accrescimenti pertitici e micropertitici è importante notare, che mentre l’accrescimento secondo {100} è costante nelle lar- ghe lamine e nei grossi cristalli di microclino delle facies pegmatitiche, ed è generalmente un’accrescimento pertitico, essendo per lo più le lamelle visibili ad occhio nudo, nei cristalli dei feldispati potassici, che entrano direttamente nella costituzione delle granititi normali, l'accrescimento avviene invece secondo facce di separazione murchisonitica, ed in tal caso le lamelle intercalate sono finissime, visibili solo al microscopio. Questo fatto è in relazione coll’origine di questo ac- creseimento. Infatti nei casi di un’intercalazione pertitica secondo {100} mi sembra ovvio il pensare che tale fenomeno sia dovuto a cause secondarie, come ho esposto nel mio precedente già citato lavoro sui feldispati delle pegmatiti di Cala Francese. A sostegno di questa ipotesi sta il fatto della completa freschezza delle la- melle di albite in confronto dell'avanzata alterazione del microclino, e più di tutto la circostanza, che le lamelle di albite, sempre numerose, sono ancor più ab- bondanti, da formare più del 50 °/, della massa del microclino, là dove sono im- piantati cristalli di quarzo o dove sottili fessure hanno facilitato alle acque al- calino-sodiche di depositare le lamelle di albite. Tali lamelle nei cristalli più grossi di microclino sono talora abbastanza lunghe da poter essere meccanica- mente isolate dal microclino. Inoltre nelle acies pegmatitiche l’albite è frequente anche in cristalli a sè, fuori della massa del microclino. Tale origine secondaria è ammessa anche dal Bréògger per le intercala- zioni micropertitiche, parallele a }100{, dei feldispati dei filoni pegmatitici di Fre- driksvarn, accrescimenti i quali furono in modo particolare studiati dal Kloss; e anche Lacroix attribuisce ad azione secondaria la formazione delle lamelle di albite in feldispati delle pegmatiti di Norvegia. Gli accrescimenti pertitici e micropertitici secondo piani diversi, general- mente paralleli a piani di separazione murchisonitica o a facce di sfaldatura se- condo (110), dei cristalli rosei di ortose delle granititi di Tempio, è probabile siano in parte dovuti a differenziazioni delle molecole dell’ albite: ammesso che entrino in miscela isormorfa col feldispato potassico. In appoggio a questa ipotesi sta il fatto, che in questi feldispati l'angolo di estinzione su (010), riferito allo spigolo (010) (001), raggiunge talora 9°-11°: valori questi caratteristici per l’or- tose e pel microclino sodico. Di origine primaria sono invece i finissimi submicroscopici accrescimenti paralleli a {701, che sono i più regolari. Essi ricordano le cryptopertiti di Gomsò-wege e molti accrescimenti micropertitici delle pegmatiti dei dintorni di Langesundfjord, nei quali le lamelle di albite sono parallele alle facca del pi- nacoide }801{ e da Brigger sono considerate come di origine primaria. Caratteri ottici delèù' Ortose e del Microclino L'angolo di estinzione dell’ortose delle granititi normali dell'Isola della Mad- dalena varia da 4° a 6°; nelle granititi di Sorgono e di Lanusei da 5° ‘/,-6° ‘/; mentre costantemente alquanto maggiore si nota l’estinzione nell’ortose roseo delle granititi della Gallura, e segnatamente nei grossi cristalli della granitite dei dintorni di Tempio Pausania, nei quali sì misura 4a = 11°-12°. Nell’ortose della granitite della Pupia misuro 4a = 6°-8°, e nel granito di Punta Grogantina (Limbara) ca= 7°. Questa notevole estinzione fa pensare che il feldispato alcalino di tali rocce sia un ortose potassico-sodico. Da (010) esce perpendicolarmente la bisettrice positiva (r,=Y=0) Il mi- croclino non presenta sempre la caratteristica struttura a grata. Quando essa è presente, lamine di microclino secondo (001) presentano due sistemi di lamelle a estinzione simmetrica di 15°, riferita allo spigolo (001) (010). Lamine senza Git- terstructur estinguono anch'esse a 15°. Tale angolo di estinzione su (001) e l'uscita inclinata della bisettrice positiva da (010) sono i soli, ma sicuri caratteri, che distinguono il microclino dall’ ortose. In lamine di microclino secondo (010) una direzione di estinzione (a) fa, come nell’ortose, un angolo di 4°-5° collo spi- golo (001) (010). Gli indici di rifrazione dell’ortose, misurati coll’ Abbè Pulfrich nei cri- stalli rosei della granitite di Tempio, sono: = 53°4030" = 1,52376 B=59°96 | = 152220 | T—-a=000572 a =bd'es x LOLB04 E quelli del microclino roseo della granitite di Nuoro, misurati col mede- simo sistema, sono: {= 53%4 =1,52490 B = 53°3630” = 1,52246 a=53°%4" =1,51837 E altra lamina, di un microclino più roseo della stessa granitite, ha dato: = 53%4730” = 1,52604 a=53%24 =1,51837 a=53°%2330"= 1,51820 Alterazioni dei feldispati alcalini La comune trasformazione in prodotti caolinici e in muscovite è l'alterazione più frequente dei feldispati alcalini dei graniti sardi. Nei graniti a ortose e a microclino quest’ ultimo è generalmente più fresco dell’ ortose; come pure nei tipi a microclino bianco accanto al microclino roseo, il primo si conserva inalterato anche se il roseo è già alquanto torbido. Le lamelle intercalate di albite sono sempre più fresche del feldispato includente, anche se l'alterazione di quest’ ultimo è già alquanto avanzata: come è il caso di alcuni cristalli di microclinopertite delle pegmatiti della Maddalena. Formazione secondaria di epidoto è piuttosto frequente. I graniti della pe- nisola dell’ Abbatoggia e la /acîes grossolana a microclino tra Punta Tegge e P. Nera, che affiora presso la Villa Weber, sono ricchissime in epidoto giallo verdognolo, che forma nidi granulari o netti cristalli allungati secondo [y], che sì insinuano in tutti i componenti della roccia, e si trovano tanto nei feldispati quanto depositati sul quarzo, e più di tutto tra i diversi componenti. Questa ricca formazione di epidoto è dovuta a cause secondarie esterne e non sì può ascrivere a soli processi di alterazione delle rocce. Talora è accompagnata da nuova formazione di albite, come nel granito dell’Abbatoggia. Anche a Capo Bellavista e a Capo Carbonara sono frequenti tipi alterati di graniti ricchi in epidoto. e. Ablbite Questo feldispato è, come già esposi, diffusissimo in tutte le rocce granitiche della Sardegna in forma di sottili lamelle, intercalate in modo pertitico o micro- pertitico nell’ ortose e nel microclino. In cristalli a sè si trova l’albite specialmente nelle /acies pegmatitiche di Cala Francese, e già descrissi l’ albite di questo giacimento. Come componente essenziale delle rocce granitiche l’ albite è poco frequente: la riscontrai solo in alcune granititi della penisola dell’Abbatoggia e tra Punta Tegge e Punta Nera nell’ isola della Maddalena, nonchè in altri granititi del- l’ isola della Maddalena, dove accompagna l’ ortose o il microclino prevalente. È invece l’unico componente feldispatico in una facies del granito grossolano presso Nuoro. Nelle rocce granitiche della Maddalena l’ albite forma numerosi cristalli bianchi alquanto torbidi e geminati secondo le solite leggi di Carlsbad e dell’al- bite. Lamine di sfaldatura secondo (010) estinguono a 18°-20° e da esse esce, poco inclinata, una bisettrice. Su (001) le lamelle polisintetiche estinguono a 3°-4°. Gli indici di infrazione sono compresi tra 1.529 e 1.540. Confrontati col quarzo si ha lo schema: wd> a anne NALE eD>a E Una facies granitica a sola albite riscoutrai presso Nuoro. Vicino al Camposanto di Nuoro sì trovavano, all'epoca delle mie escursioni in quella località, enormi massi. di roccia granitica verdognola formata da grossi cri- stalli di teldispato roseo carnicino, talora lunghi più centimetri secondo l’asse [X], e fra essi una fina miscela di laminette cloritiche verde intenso, granuletti di quarzo e piccole lamine dello stesso feldispato roseo. Le laminette cloritiche sono sovente incluse anche nei grossi cristalli rosei. Questa roccia porta le tracce di forti azioni dinamiche, visibili specialmente nelle plaghe cloritico-quarzoso-fel- dispatiche interposte tra i grossi cristalli; e anche questi ultimi sono sovente fran- tumati. Tanto i grossi cristalli rosei quanto le piccole e rotte lamelle delle zone cloritiche vanno riferite all’ albite. I grossi cristalli, allungati secondo {X], sono sempre geminati secondo Carls- bad, e ciascun individuo è alla sua volta finamente geminato secondo la legge dell’ albite; e tali lamelle polisintetiche sono talora così fine, da risultarne anche al microscopio una massa apparentemente omogenea. La sfaldatura secondo (010) e (001), con la media di numerose misure tra esse, corrisponde all’ angolo teorico dell’ albite : (001) . (010)= 98°30' (Misura), 93°36° (Calcolo). Il peso specifico è eguale a 2.600 — 2.605. In lamine secondo (010) non appare la geminazione polisintetica e in esse una direzione di estinzione (a) fa collo spigolo (001) (010) angoli di 18°-20°. Esce poco inclinata la bisettrice acuta. Lamine secondo (001) mostrano finissima gemi- nazione polisintetica secondo la legge dell’albite; le lamelle sono interrotte e al- ternate: risultandone così quasi l'apparenza di struttura del microclino. Esse estin- guono a 2°-8°. Gli indici di rifrazione sono alquanto inferiori a quelli delle albiti tipiche, pur essendo nettamente superiori a quelli dell’ortose e del microclino sodico. Nel- l’ albite della granitite di Nuoro ha potuto, con varie misure su diverse lamine. ottenere i valori : a = 53°%4930" = 1,52670 B= 54° 30" = 1,53090 r Intercalati nei grossi cristalli rosei di albite si trovano lumelle di feldispato, che ha i caratteri identici del feldispato includente. Tali lamelle, geminate secondo le leggi di Carlsbad e dell’ albite, sono disposte nei grossi cristalli in modo ir- regolare, e, a seconda della posizione reciproca dei due individui incluso e inclu- dente, i valori della rifrazione sono eguali o rispettivamente alquanto inferiori o superiori nell’uno e nell’ altro feldispato. Anche i valori dell’ estinzione nei doppi geminati delle lamelle intercalate confermano la loro spettanza all’albite. Pei me- desimi caratteri ottici vanno riferite all’ albite le piccole lamelle, frammiste al quarzo ed alla clorite, delle zone frantumate tra i grossi cristalli rosei. SSL La composizione chimica dell’ albite di Nuoro è la seguente: SO, 68,62 AL 0; + 19,42 Cao 0,47 Na,0 10,90 K,0 0,17 Mg0 0,14 99,72 Bb. FELDISPATI DI CA E NA Eccettuate le granititi a microclino e albite di Abbatoggia, e la granitite a sola albite di Nuoro, in tutte le altre rocce granitiche sarde è costante la pre- senza dei feldispati di Ca e Na. La loro abbondanza e natura è legata, come avviene generalmente in tutte le rocce granitiche, alla quantità e alla natura dei componenti colorati. Nei graniti poveri in silicati colorati maggiore è la quantità dei feldispati alcalini rispetto a quelli di calce e soda, e questi ultimi appartengono a miscele acide ; nei graniti ricchi di elementi colorati, invece, la quantità dei feldispati sodico-calcici aumenta, ed essi appartengono a miscele più basiche e sono maggiormente fre- quenti nei graniti anfibolici che nei comuni graniti biotitici. Essi poi sostituiscono, più o meno completamente, i feldispati alcalini nelle segregazioni basiche oscure e nelle /@cies dioritiche, raggiungendo il massimo grado di basicità , con miscele di bitownite-anortite, nelle grossolane dioriti a grossi cristalli di anfibolo di Capo Carbonara. Otigoctasio Le miscele di questo feldispato sono diffusissime in tutte le rocce granitiche o dioritiche sarde. Nelle granititi prive di anfibolo delle isole della Maddalena e di Caprera, e dei monti granitici al nord della Gallura e della Catena del Limbara, come pure nelle granititi chiare a grana fina del Nuorese, gli oligoclasi prevalgono sulle altre miscele sodico-calciche. Nelle facies aplitiche e pegmatitiche della Maddalena e di Caprera l’ oligo- elasio è il solo plagiocasio, che in piccola quantità si aggiunge al microclino e all’albite prevalenti; come pure in alcune facies chiare, acide, a grana fina, del Limbara e del Nuorese, non vi sono altri feldispati di Ca e Na all'infuori del- l’oligoclasio, che però è anche qui in quantità subordinata in confronto del micro- clino prevalente. Arti — Vol. XII— Serie 22 N90 9. 3 melito ii) E = Le zone periferiche dei cristalli sono costituite da miscele acide e da termini di oligoclasio-albite, e queste zone sfumano gradatamente a miscele basiche, che alla loro volta passano all’ andesina. Gli oligoclasi delle zone periferiche si distinguono pei seguenti caratteri: Estin- zione su (001), simmetrica nelle finissime lamelle di geminazione secondo la legge dell’albite, da -+ 3° a + 1°. L’estinzione massima nella zona perpendicolare a (010) non oltrepassa i 3°. Comunemente le lamelle mostrano estinzione simmetrica di 2°. Lamine secondo (010), dalle quali escono con lievissima inclinazione le bisettrici positive, estinguono da + 11° (oligoclasio-albite) a +.8° e + 4° (45, An, — Ab, An.) L'estinzione, misurata nei maggiori cristalli, geminati doppi secondo le leggi di: Carlsbad e dell’ albite, è caratteristica per le diverse miscele dell’ oligoclasio: I Il 0” 1” 1° 3 99 4° La rifrazione, confrontata con quella di granuli di quarzo tagliati paralle- lamente all'asse principale, è, per le zone periferiche, caratteristica per l’ oligo- clasio acido: u> a &>Y RCA eD>ai e talvolta si avvicina all’ albite per w=(>)yY. Nelle /aczes pegmatitiche della granitite di Cala Francese si osserva tal- volta, oltre le larghe lamine e i grossi cristalli di microclinopertite e i piccoli e bianchi individui di albite, anche l’oligoclasio in cristalli bianco lattei, che ad occhio non si distinguono da quelli di albite. I suoi indici di rifrazione, determinati col rifrattometro A bbe, sono i seguenti: = e == 1596059 B=54°3540" = 1,54154 = B4°4645" = 1,54507 Nelle granititi anfiboliche di Nuoro, di Sorgono, di Capo Bellavista e nelle adamelliti di Burgos prevalgono le miscele oligoclasiche; e di tali miscele è pure costituita la periferia dei cristalli di andesina e di labradorite delle /ezes dioritiche di S. Lorenzo presso Tempio, di Sorgono, di Capo Bellavista e di Capo Carbonara, nelle quali il nucleo dei cristalli arriva talora a termini basici della bitownite. Nelle segregazioni basiche di faczes dioritica le miscele acide e basiche del- l’oligoclasio (queste ultime prevalenti) formano sempre la zona periferica dei cri- stalli di andesina e di labradorite. Milag: FUT Andesina Le miscele dell’ andesina prevalgono nelle granititi anfiboliche, nelle ada- melliti, in molte acces dioritiche e nelle segregazioni basiche. La periferia dei cristalli di andesina sfuma nelle miscele oligoclasiche; e nei cristalli di maggiori dimensioni il nucleo passa generalmente a termini acidi della labradorite. Essa si separa dalla polvere delle rocce granitiche intorno al p. sp. di 2.65, e lo studio ottico delle lamelle ottenute per separazione, e delle lamine sottili delle rocce, mostra che sono all'incirca egualmente diffuse le varie miscele dell’ ande- sina: da quelle vicino all’oligoclasio a quelle che passano alla labradorite. Lamine secondo (010) estinguono da 5° a 15°; e su (001) le lamelle polisin- tetiche estinguono da 2° a 4°. Nella zona normale a (010) l'estinzione massima è di 21°. Nelle grauitite di Cala Francese e di altre località dell’isola prevalgono mi- scele acide di andesina; mentre prevalgono le miscele basiche nelle grosse granititi di Tempio, di Nuoro, nelle dioriti di S: Lorenzo, nelle adamelliti di Burgos e di Sorgono e nelle rispettive segregazioni basiche. L’andesina è pure il feldispato prevalente delle segregazioni basiche della granitite dell’ Abbatoggia. Nei doppi geminati secondo le leggi di Carlsbad e dell’albite si misurano i seguenti valori dell’ estinzione: I II Granitite Cala Francese 1 !/, 8 A. acida » Tempio 10 22 — basica » Tempio 4 9 — acida Diorite S. Lorenzo 7 15 — acida > » 6 21 — basica » » deu 15 — acida » » 6 16 — acida » Capo Carbonara 9 15 — acida Gli indici di rifrazione delle miscele andesitiche sono compresi tra 1.556 e 1.540; ed immergendo le miscele feldispatiche separate dalla roccia in essenze a indici di rifrazione compresi tra quei valori, si può rendersi rapidamente conto della quantità relativa di andesina in confronto di quella degli altri feldispati. I TTI, “if dieci die 2A a Labradorite-Bitownite Eccetto i tipi poveri di elementi colorati, e le /aezes aplitiche e pegmatiti- che, si può affermare che tutte le rocce granitiche sarde contengono in quantità maggiore o minore miscele labradoritiche. Nelle granititi biotitiche della Maddalena e di Caprera, in quelle di l'empio, di Gavoi e del Capo Bellavista è pochissima la quantità delle miscele acide della labradorite, che sfuggono generalmente all’osservazione delle lamine sottili. Solo fra le porzioni feldispatiche più pesanti, che si separano dal Thoulet, si trovano al- cune lamine, che pei loro caratteri ottici si debbono riferire a miscele labradori- tiche e che formavano certo il nucleo dei più grossi cristalli di oligoclasio e di andesina. Anche nelle /«czes dioritiche di S. Lorenzo la labradorite è rarissima, in quantità quasi trascurabile; e rara è anche in molte segregazioni biotitiche del granito della Maddalena, di Caprera e del Limbara. Assai più frequenti si trovano le miscele di labradorite nelle granititi grossolane di Tempio e in quelle anfibo- liche del Nuorese e di Sorgono e neile granititi biotitiche di Lanusei e di Cala Burrone a Capo Carbonara. Pure frequente si trova nelle adamelliti e in molte segregazioni basiche anfiboliche del ‘l'empiese, del Nuorese, dei dintorni di Fonni, di Sorgono e del Capo Bellavista: e insieme alla bitownite le miscele di labrado- rite sostituiscono completamente gli altri feldispati nelle facies dioritiche di Capo Bellavista e di Capo Carbonara. Le miscele di labradorite si riconoscono pei seguenti caratteri : Dalle sezioni secondo (010) escono con inclinazione varia, a seconda della basicità, le bisettrici positive. L’estinzione massima delle lamelle di geminazione secondo la legge dell’albite è compresa tra 25° e 36°. Lamine di sfaldatura se- condo (010) estinguono da — 6° a — 15°. Le estinzioni caratteristiche pei doppi geminati sono le seguenti : I II 16 24 6 23 12 PA f Massima basicità del feldispato nelle granititi di Lanusei (Labradorite 46,4»,) Gli indici di rifrazione sono generalmente compresi nei limiti seguenti: | np > (=) 1552 > (=) 1D5654 n, =(>) 1558 Dove la struttura zonale è assai marcata, il nucleo dei cristalli è costi- L'IM tuito sovente da miscele basiche della labradorite, mentre la periferia consta di miscele acide oligoclasiche. Nel granito normale di Capo Carbonara (Cala Burrone) sono frequenti i cristalli di plagioclasio, che constano di un mantello periferico di oligoclasi acidi, che gradatamente per zone di spessore diverso passano alla an- desine e rei cristalli più grossi arrivano fino ai termini basici delle labradorite. In alcune buone sezioni secondo (010) si misura: Periferia - 14 oligoclasio-albite + 34/, oligoclasio Zone intermedie! — 4 ( Ò andesina Nucleo 23 labradorite Miscele più basiche della labradorite si riscontrano nelle f«cies dioritiche del Capo Bellavista e del Capo Carbonara presso i semafori. A Capo Bellavista queste facies basiche costituiscono larghe segregazioni della massa granitica; al Capo Carbonara le dioriti grossolane anfiboliche basiche formano la stretta costiera, che sì spinge a sud del semaforo fin contro l’isola dei Cavoli. Nelle segregazioni basiche del Capo Bellavista la maggior parte dei plagio- clasi va riferita a miscele basiche della labradorite, e soltanto il nucleo dei cri- stalli consiste di bitownite. Nei doppi geminati si misura: I 4 Zone medie 13 30 (2) Periferia 38 Nucleo 56 (2) Nelle /ucies dioritiche di Capo Carbonara i feldispati di Ca e Na apparten- gono alla bitownite e a miscele di bitownite-anortite. Lamine di sfaldatura se- condo (001) a geminazione polisintetica estinguono a 24°-27°. Lamine secondo (010) estinguono a 31°-35°,e da esse esce, assai inclinato, un asse ottico. Le estinzioni caratteristiche nei doppi geminati sono le seguenti : I II 414), 32 40 4), 34 !/, 51 30 5I 27 Gli indici di rifrazione sono sempre nettamente superiori a 1.558 e infe- riori a 1.588: (7) è eguale o leggermente inferiore a 1.576. La maggior parte di tali miscele va riferita a bitownite con circa 80 % di An. Fra i prodotti di alterazione dei feldispati di Ca e Na predomina la musco- vite per le miscele acide, alla quale si unisce la calcite e l’epidoto pei feldispati basici. In alcune granititi della Maddalena e di Tempio nei feldispati basici, in- se pro sieme alle lamelle di muscovite secondaria, si trova in piccola quantità la preQnite: minerale che vedremo assai frequente tra i prodotti secondari delle rocce filoniane- diabasiche della Gallura. C. BIOTITE I graniti sardi da me osservati contengono tutti in quantità più o meno rile- vante la biotite. Nella maggior parte di essi la biotite è 1’ unico elemento colo- rato; in altri essa è accompagnato dell’ anfibolo. Solo alcune facies dioritiche ba- siche di Capo Bellavista e di Capo Carbonara sono prive di biotite, e invece- ricche di anfibolo. Nelle granititi normali la biotite si presenta in lamelle esagonali bruno- nerastre e lucenti, talora sovrapposte a pile. In sezioni sottili la biotite è bruno-- giallognola intensa con tendenza al rossastro, con fortissimo assorbimento: n,=%,,= bruno rossastro intenso n,= giallo legno chiaro Alterandosi la biotite si scolorisce e passa a tinte verdognole, trasforman- dosi gradualmente in clorite; e accompagnano questa trasformazione epidoto e quarzo; talora prodotti titaniferi e opale. L'angolo degli assi ottici della biotite è sempre assai piccolo, così che a luce convergente la figura assiale si direbbe quella di un minerale uniassico. Fra le inclusioni più frequenti nella biotite notasi lo zircone e l’apatite in prismetti allungati. Le varietà di granititi più grossolane, come alcune delle isole della Madda- lena e di Caprera, quella di Tempio e del Nuorese, sono le più ricche in biotite.. Le varietà minute invece contengono questo minerale in scarsa quantità; special - mente povere di biotite poi appaiono alcune varietà fine, chiare, notevolmente acide,. dei dintorni di Nuoro. Nelle facies dioritiche di San Lorenzo la biotite è prevalente sull’ anfibolo , e sovente in luogo di presentarsi in lamelle isolate forma minute squamette, che sì aggregano fra di loro e coll anfibolo e talvolta circondano i componenti inco- lori della roccia, interponendosi tra questi. È pure prevalente la biotite sull’ an- fibolo nelle adamelliti di Burgos e di Sorgono. Nelle segregazione basiche le biotite forma numerose squamette di color bruno- rossastro e ha gli stessi caratteri della biotite dei graniti normali. In alcune se- gregazioni oscure nelle granititi di Tempio e del Capo Bellavista la biotite è no- tevolmente ricca in inclusioni di apatite. Nella ./acies granitica acida a grana grossolana di Casa Weber e nella granitite ad albite di Nuoro la biotite è del tutto sostituita dalla clorite, che forma squamette fibroso-raggiate verdognole. Nella roccia della Maddalena questa clorite, che aggregandosi talora forma plaghe di più centimetri di diametro, è ci ‘associata all’epidoto, alla calcite e alla prelnite. Talora forma tavolette pseudoesa- gonali a contorni netti. Nella granitite ad albite di Nuoro le squamette cloritiche raggiate, frammiste ai granuli di quarzo e di albite, costituiscono le zone inter- poste tra i grossi cristalli rosei di albite. : Muscorvite La muscovite nelle maggior parte delle rocce granitiche sarde è un prodotto dell’ alterazione dei feldispati. Solo nella granitite di Cala Burrone:a Capo Car- bonara la muscovite è in modo insolito abbondante in larghe laminette, sovente associate alla biotite, in quantità però inferiore a quest’ ultima. I. ANFIBOLI Le granititi normali dell’ isola della Maddalena, di Caprera e della Gallura, quelle di Orune, e le /zcies a grana fina del Nuorese, come pure le granititi di Gavoi, di Lanusei e di Capo Carbonara sono prive di anfibolo. In queste regioni l’anfibolo è limitato alle segregazioni basiche ed alle aczes dioritiche. L’ anfibolo delle granititi di Nuoro, di Sorgono, del Capo Bellavista, e delle ‘adamelliti di Burgos e di Sorgono, va riferito alla orneblenda verdognola e si presenta in cristalli prismatici, idiomorfi, raramente terminati, sovente geminati secondo (100). L’ estinzione su (010) è cc—= 17°. Su lamine di sfaldatura varia da 13° a 15°. Assorbimento c>b>a. C—= verde bruno giallognolo, 0 verde cupo con tendenza all’ olivastro b = verde giallognolo cupo ; A = giallo verdognolo pallido o giallo chiaro. Nelle segregazioni basiche delle granititi di Cala Francese, di Tempio, di Nuoro, Fonni, Capo Bellavista etc., l’anfibolo, in prismetti tozzi, è talora preva- lente sulla biotite, ma sempre ad essa associato. L’estinzione, secondo se l’ an- fibolo è più o meno intensamente colorato, varia su (010) da 15° a 18°: così nel- l’ anfibolo delle segregazioni basiche di Cala Francese si ha cc=17° — 18°, in quello di Tempio, alquanto più oscuro, cc = 15° — 16°,con arssorbimento b>.c. b= verde intenso tendente all’ olivastro c= verde erba intenso g= giallo pallido, talora leggermente verdognolo. Gli anfiboli delle segregazioni basiche di Fonni, e delle dioriti di Sorgono e i’ seit ia int SNA î L È a: S. Lorenzo, mostrano estinzione di 15° a 16° per lamine di sfaldatura, e fino a 18° u (010); e in essièc>b>ba. c= verde cupo b= verde tendente al giallognolo a= giallo pallido. L° anfibolo delle facies dioritiche presso il semaforo di Capo Bellavista forma piaghe talora assai larghe, a contorni sovente allotriomorfi rispetto al plagiocasio. È un anfibolo bruno giallognolo pallido, che passa all’ anfibolo verde giallo- gnolo chiaro, quest’ ultimo a estinzione di poco superiore a quella dell’ anfibolo bruno: ca=b>a. b=c= bruno giallognolo — verde giallognolo chiaro a="giallo pallidissimo — verde giallo pallidissimo; Le dioriti grossolane a grossi cristalli di anfibolo, che affiorano a sud del se- maforo di Capo Carbonara, hanno struttura che si avvicina all’ofitica delle rocce diabasiche: struttura dovuta all’allotriomorfismo di parte degli anfiboli rispetto ai feldispati. Queste rocce contengono anche diopside; e parte dell’ anfibolo proviene dall’ uralitizzazione del pirsseno. Si possono diebimpnano in queste rocce tre va- rietà di anfiboli: Anfibolo bruno predominante, associato in accrescimento parallelo all’ anfi- bolo verde; il primo passa gradatamente al secondo. Nel mezzo delle plaghe di an- fibolo bruno vi sono sovente nuclei di pirosseno incolore. L'anfibolo verde passa a sua volta ad un anfibolo fibroso, verde pallidissimo, le fibre del quale intrecciandosi a fasci formano plaghe irregolari, che sono so- vente incluse nell’ anfibolo bruno. L’ angolo di estinzione dell’ anfibolo bruno è di poco inferiore a quello del verde: Su (010) cc = 16° = bruno. Su (110) ec —=14° — 16° == verde. Assorbi - mento cs b>a. bruno verde c = bruno giallognolo intenso ; verde erba talora legg. tend. al bluastro b= bruno leggermente più chiaro ; verde talora tendente al giallognolo a= giallo legno pallido ; verde o verde giallognolo pallidissimo. Nell’ anfibolo di queste rocce è sovente incluso il plagioclasio. 3 L'anfibolo si altera in clorite; e talora questa trasformazione è accompagnata dalla formazione di epidoti, carbonati, e ossidi di ferro. MIO E. PIROSSENO Le sole facies dioritiche basiche, a struttura tendente all’ofitica, contengono un pirosseno incolore dei caratteri del diopside. Esso è in gran parte trasformato in anfibolo. 199 MINERALI ACCESSORI La magnetite, l'apatite e lo zircone sono diffusi in tutte le rocce granitiche e dioritiche sarde, ma in quantità assai piccola; sono indifferentemente inclusi negli altri componenti. In maggiore quantità entrano nelle segregazioni basiche, anfi- boliche o micacee, tanto delle /«cies granitiche che di quelle dioritiche. In al- cune dioriti la magnetite è titanifera. Nelle dioriti e nelle segregazioni basiche è l’apatite specialmente frequente. La titanite è abbondante nelle granititi biotitiche grossolane di Tempio Pau- sania e in quelle anfiboliche del Nuorese, e nelle rispettive segregazioni basiche; è pure abbondante nella granitite ad albite di Nuoro, e nelle segregazieni basiche anfiboliche di Fonni e di Capo Bellavista e nelle adamelliti di Burgos. È meno frequente, o manca del tutto, nelle granititi della Maddalena, della Gallura (ec- | cetto le grossolane di Tempio) e nelle /aezes dioritiche di S. Lorenzo, di Sorgono, di Capo Bellavista e di Capo Carbonara. Nelle granititi di Tempio e di Nuoro a grossi cristalli di ortose e di microclino la titanite è specialmente abbondante e si presenta in cristalli piccoli, ma brillanti, gialli, nettamente terminati, e in molti casi misurabili al goniometro. Le forme che essi presentano sono: {111} }110} }001}. L'abito è quello solito della titanite delle rocce granitiche e cioè notevole sviluppo delle facce di }111} e subordinatamente di }001|. Misura Calcolo (111) - (111) 13,36 43,49 (111) - (001) STI 38,16 (80 MI 27 8. L’ortite è diffusa nella maggior parte delle rocce granitiche della Sardegna. La riscontrai nelle granititi di Cala Francese, in quasi tutte le granititi della Gallura e nelle rispettive facies dioritiche e segregazioni basiche, nelle adamelliti di Burgos e nelle granititi anfiboliche del Nuorese. Manca invece nelle granititi chiare acide di questa regione. Nei graniti di Gavoi e di Sorgono è pure fre- quente l’ortite. I cristalli di ortite, nettamente idiomorfi, sono allungati secondo [y], secondo cui misurano mm. 1-2. Dalle granititi grossolane di Tempio è pos- Atti — Vol. XII— Serie 2>— N09. 4 — 26 — | sibile isolare piccoli cristalli di ortite per lo più geminati secondo }100{, che mo- strano nelle zone }010} le forme seguenti : {100} - {001} » (201) - (101) Misura Calcolo (100) » (001) 64,53 64.59 (101) . (201) 25,47 25,37 (100) . (201) 25,57 26,00. Il piano degli assi ottici è parallelo al piano di simmetria. Ogni cristallo di ortite mostra la zona periferica di colore più chiaro del nucleo centrale. Il plecroismo è notevole: pel nucleo dal giallo bruno intenso al giallo bruno più chiaro, talora con tendenza al rossiccio; la periferia dal giallognolo al giallo pallido. La doppia rifrazione è debole. Sovente i cristalli di ortite sono rivestiti da un mantello di epidoto, in ac- crescimento parallelo, come fu descritto da Adams e Hobbs per alcuni graniti dell'Alaska e del Maryland. La Pirite non è molto diffusa: si trova frequente nelle granititi delle trincee ferroviarie presso Sorgono, e si trasforma facilmente in limonite. 4. Composizione chimica delle rocce granitoidi. La composizione chimica delle principali rocce granitoidi sarde è data dalle seguenti analisi, eseguite su varii tipi di tali rocce, dai più basici ai più acidi, appartenenti a diverse località. Pl DiorITE DI ESsPORLATU Sio, 61,19 TiO, 0,66 AL,0, 17,80 Fe,0, 0,87 FeO 4,25 M90 3,71 Cao 6,58 Na,0 2,73 K,0 2,43 H,0 0,40 100,83 GRANITITE DI ARBATAX StO, 69,94 Mi Ti0, 0,35 P.CASD 15,97 Fe,0, 0,47 FeO 1,93 M90 1,15 Cao 3,43 Na,0 2,82 ig 3,88 H,0 0,37 100,31 C. GRANITITE DI TEMPIO PAUSANIA SiO, 71,88 Ti0, 0,27 A1,0, 14,90 Fe,0, 0,60 Feo 1,30 Mg0 0,93 Ù Cao 2,94 Sio, 54,820 Ti0, 1,07 : A1,0, 20,80 Fe;0, 2,40 Fe0 4,66 Mg9 3,22 Cao 5,02 Na,0 4,82 1,0 i 0,85 E. GRANITITE DI Nuoro S70, 66,35 T:i0, 0,66 45,0, 17,47 Fe,0, 0,33 FeO 3,23 M90 1,03 Cao 4,18 Na,0 so RO K,0 3,41 H,0 0,31 100,77 Pi F GRANITITE DI INGURTOSU S(0, 72,30 TiO, 0,20 AI,0, 13,96 Fe,O; 0,30 FeO 1,70 Mg90 0,60 Cao 2uS Na,0 3,00 K,0 4,50 H,0 0,40 99,29 II — ROCCE FILONIANE 1 Osservazioni di precedenti autori Le rocce granitoidi ed i loro mantelli di scisti cristallini sono attraversati in ogni parte della Sardegna da innumerevoli filoni di rocce massicce diverse, le quali appartengono ai tre grandi gruppi delle rocce filoniane porfirico-granitiche, apli- tiche e lamprofiriche. i Il La Marmora apprezzò l’importanza geologica di queste rocce in filoni | SC = alle quali dedicò tutto il capitolo XI della sua opera. Egli le suddivide, dalle più antiche alle più recenti, come segue : 1.° Porfidi quarziferi rossi. Formano ammassi e filoni, i quali sono special- mente frequenti nelle zone granitiche scistose della parte meridionale e centro- orientale dell’ isola. Questi porfidi rossi passano ai porfidi quarziferi bruni. 2.° Porfidi sienitici, ad anfibolo accessorio. 3.° Porfidi dioritici, nei quali l’anfibolo è il minerale prevalente. I filoni di queste rocce attraversano i porfidi quarziferi e sienitici, ed hanno una direzione costante, secondo il La Marmora di circa N 15° E. La loro frequenza eguaglia quella dei porfidi rossi. I porfidi dioritici rappresentano le rocce filoniane lamprofiriche, mentre i porfidi quarziferi corrispondono in gran parte ai porfidi granitici. Alcuni porfidi sienitici descritti dal La Marmora, ad esempio quelli dell’ isola della Maddalena, corri- spondono alle rocce filoniane che io descriverò tra le porfiriti dioritiche. La medesima classificazione è mantenuta dal Sella nel breve riassunto geo- logico premesso alla Relazione sulle condizioni dell'industria mineraria nell’isola di Sardegna. Il Vom Rath ‘) descrive ripetutamente le formazioni filoniane dell’isola; e io avrò occasione di ricordare più volte le sue precise osservazioni. O.tre alle forme filoniane dei graniti e delle pegmatiti (apliti) il Vom Rath distingue i porfidi quarziferi rossi dai filoni scuri dioritici; e come dall’ opera del La Marmora così anche dai ricordi di viaggio del Vom Rath risulta evidente la diffusione delle rocce filoniane nell’ isola. Speciale interesse offrono le osservazioni sui filoni di porfido e di diorite di Castiadas, di Capo Carbonara, di Capo Bellavista e dei dintorni di Lanusei. A Castiadas. presso la casa della Direzione della Colonia Penale, una rupe di granito è attraversata da una massa di filoni di porfido quar- zifero della potenza di circa sei metri, nella quale, come pure tra quella e il gra- nito, sono intercalati quattro filoni di diorite diretti NNO-SSE. A Fortezza Vecchia presso Capo Carbonara il Vom Rath osservò, in un granito grigio-biancastro, più di 50 filoni dioritici, presso a poco paralleli e verticali (NNO-SSE), della potenza massima di 1 metro. « Fra questi filoni che si biforcano apparisce il granito in cunei estremamente ristretti (meno di 1 cm.); chi avesse davanti agli ccchi soltanto tali delicate apofisi granitiche potrebbe credere che questa roccia formasse vene e filoni nell’ oscura diorite; che la diorite per altro sia la roccia più recente ed eruttiva viene anche provato dalle numerose sue inclusioni di granito. Quest’ ultima roccia non mostra nelle apofisi nè nelle masse inviluppate alcuna notevole modificazione. I filoni di maggiore potenza mostrano struttura grossolana e porfirica a grossi interclusi di plagioclasio nella parte centrale, che diviene sovente minuta, compatta ec uniforme alle salbande ». Il Vom Rath descrive inoltre un potente filone di grossolana diorite a grossi cristalli di orneblenda, a nuclei di epidoto secondario, che da Porto Ginneo si può seguire fin quasi all'estremità della punta meridionale di Capo Carbonara, filone da non confondersi colla diorite che costituisce la sottile penisola del Capo, e che è considerata come una focies della granitite. 1) Vom Rath — Due vieggi in Serdegna. iiede il a Spe peeri SPE Anche il Capo Bellavista offre al Vom Rath largo compo di osservazioni sulle rocce filoniane; ed egli vi descrive i porfidi quarziferi rossi, a massa fon- damentale sferolitica colle facies di salbanda più acide e compatte e nettamente porfiriche, e le rocce filoniane dioritiche, che attraversano tanto il granito quanto il porfido e che sovente seguono la stessa via aperta dal porfido: avendosi così a contatto filoni di porfido e di diorite che si conservano paralleli fra di loro. Per tutte le altre regioni granitiche e scistose della Sardegna percorse dal Vom Rath sono ricordati numerosi filoni porfirici e dioritici, e per tutti si man- tiene abbastanza costante la direzione NNO-SSE. Questa costanza nell’ allineamento dei filoni, che poco si scosta da N-S, è pure messa in rilievo dal Lovisato ‘), il quale ne trae argomento per considerare la Sardegna come parte dell’ asse centrale della catena tirrenica. Le rocce filoniane dell’Iglesiente furono descritte dal Cossa, dal Mattirolo e dal Bucca È), e sono da essi distinte nei seguenti gruppi: 1.° Porfidi quarziferi microgranulitici, nel siluriano di Genna Carru (Eurite dello Zoppi). 2.° Porfidi quarziteri granofirici nel siluriano di Gennamari e di S. Lucia (I) presso Flumini. 3.° Porfidi quarziferi microfelsitici di Fanaci, Narboni Sabbius e Genna Arena (II). 4° Porfido granitico di Monterecchio. 5.° Diorite quarzifera porfiroide di Gennamari (III) e Gennarutta. 6.° Diabasi porfiroidi nel cambriano della regione Murboi e di Montevecchio. 7.° Melafiro a olivina nel calcare metallifero di Terra Nieddas presso Flumini. Di alcune di queste rocce (I, II, III) esistono analisi di Cossa e Mattirolo: I II HI S:50, 75,98 69,40 56,13 A1,0, ; 14,76 17,73 15,93 "2,0; ì (tr. di ferro) 0,51 8,60 M90 nad Pò 5,12 Cal) _ tr. 4,99 Na,0 3,05 3,00 {TE K,0 4,12 7,39 } 995 Perd. alla calcinazione 0,69 1,25 3,28 PSp 2,61 2,54 A (3 La diorite di Gennamari analizzata (III) è assai alterata. Le diabasi di Murtoi e Monterecchio e il melafiro di Terra Nieddas sono rocce di carattere lamprofirico. ') Lovisato — È la Sardegna parte dell'asse centrale della catena tirrenica 2 (Rerd, R. Acec.. dei Lincei, Serie 4%, vol. I, 1885). ?) in Zoppi — Descrizione geologico-mineraria dell’Iglesiente (Mem. deser. della carta geol.. d' Italia, vol. IV, Roma, 1888). Riguardo all’ età di queste rocce filoniane lo Zoppi si limita a considerarle posteriori al siluriano. Come già per le rocce granitoidi, così anche per le formazioni filoniane le maggiori ricerche riguardano il Sarrabus. Il De Castro '), in base alle deter- minazioni di Sabatini e di Bucca, così suddivide le rocce filoniane del Sar- rabus, ordinate dalle più antiche alle più recenti: 1.° Porfidi felsitici, che sarebbero posteriori alle quarziti e quindi post-silu- riani e probabilmente carboniferi. 2.° Filoni di rocce granulitiche, sienitiche e dioritiche, con ogni probabilità post-carbonifere. 3.° Porfidi microgranulitici (granofiri), i quali attraversano i graniti e pene- trano nel siluriano, intersecando le quarziti e i porfidi felsitici. Il De Castro ritiene questi porfldi come una manifestazione granitica più recente, ossia il ri- sultato di iniezioni di materia granitica in strette fessure N-S. 4.° Filoni diabasici diretti N-S, a proposito dei quali il De Castro scrive: « potrebbero ritenersi contemporanei alle microgranuliti e riguardarsi come la ma- nifestazione del fenomeno endogeno del concentramento di sostanze acide da una parte e basiche dall’ altra, appartenenti allo stesso magma ». A proposito di questa classificazione devo notare che generalmente osservai in Sardegna, specialmente nei dintorni di Lanusei e a Capo Bellavista, dei pas- saggi graduali tra i porfidi felsitici e i microgranulitici (che corrispondono ai porfidi granitici felsofirici e granofirici): generalmente gli uni sono una facies di salbanda degli altri; e, ad ogni modo, non credo possibile stabilire ovunque una netta distinzione, in nessun modo poi una distinzione d’età, tra le due rocce. Alcune diagnosi microscopiche di rocce porfiriche del Sarrabus, eseguite dal Lacroix, si trovano inserite nella memoria del Traverso: Note sulla geo- logia e sui giacimenti argentiferi del Sarrabus. Il Lacroix distingue: 1.° Microgranuliti e micropegmatiti, che corrispondono ai filoni aplitici e in parte ai micrograniti. 2.° Porfidi petrosiliciosi e a quarzo globulare (granofiri e felsofiri). 3.° Porfiriti andesitiche, pirosseniche, micacee e anfiboliche, che corrispondono in piccola parte alle porfiriti dioritiche e in prevalenza alle rocce lamprofiriche. Il Busatti *) studiò i porfidi felsitici di Tuvois nei quali fra gl’ interclusî notò frequente la pinite e la cordierite. L’ acidità di queste rocce varia da 75,7 a 64,23 ‘ di ,S70,; e nota il Busatti che l'acidità maggiore non è sempre in relazione colla maggiore frequenza di quarzo porfirico. Al Busatti si deve pure la descrizione dei felsofiri del monte Narba, di Baccu Arrodus e di una felsodiorite porfirica della stessa località, che corrisponde alla porfirite micacea ricordata dal Lacroix. ') De Castro — Descrizione geologico-mineraria della zona argentifera del Sarrabus (Me- morie descritt. della carta geol. d' Italia, vol. V, Roma 1890). *) Luigi Busatti — I porfidi della miniera di Tuvois nel Sarrabus (Mem. Soc, tosc. di sc. nat., vol. 12, Pisa, 1892). Lie Coll’ aggiunta di numerose nuove osservazioni e determinazioni Stefano Traverso, nella sua memoria sulle rocce granitiche e porfiriche del Sarrabus, riassume e coordina le sparse notizie intorno a queste rocce. Distingue il Tra- verso i porfidi dalle porfiriti. I primi formano elissoidi allungati da E. a O. e filoni; le seconde formano sottili filoni N-S. Ai primi corrispondono le rocce fi- loniane porfirico-granitiche, alle seconde la maggior parte delle rocce filoniane lamprofiriche e alcune porfiriti dioritiche. Le apliti sono comprese dal Traverso tra le granuliti e le micvogranuliti. Riguardo ai porfidi è notata giustamente l’ identità tra le forme intrusive filoniane e quelle in massa: corrispondenza che, salvo lievi differenze strutturali e di grana, verificai anche tra i piccoli massicci porfirici e i filoni dei dintorni di Lanusei. Per la struttura il Traverso distingue nei porfidi forme pelrosiliciose e a quarzo glubulare con frequenti tipi di passaggio tra le due, e alle quali, come a Monte Narba e a Giovanni Bonu, si aggiungono forme microgranulitiche. La cordierite, già constatata dal Busatti nei porfidi di Tuvois, è ritrovata in quelli di Monte Narba e di Monte Perdosu, nei quali si trova anche la sillimanite. Questi minerali io non rinvenni nelle analoghe rocce di altre località sarde. Le porfiriti sono distinte in due tipi: 1° porfiriti verdi d'aspetto minutamente dioritico o diabasico. Sono rocce a pla- gioclasio acido con anfibolo e pirosseno e si distinguono nettamente dai porfidi per l’aspetto e per la microstruttura di basalto. Sono di colore verdastro cupo, talvolta afanitico, con vari e piccoli interclusi, e formano numerosi filoni, sopratutto nel gruppo montuoso dei Sette Fratelli. 2° porfiriti rossastre d’ aspetto di porfido o di microgranito (porfiriti andesiti- che), che sono più acide delle precedenti essendo ricche in quarzo e povere in ele- menti colorati. Prevalgono nelia zona dove sono poco frequenti i filoni di tipo basico (Burcei). Le porfiriti del primo tipo corrispondono alle rocce filoniane che descriverò tra i lamprofiri di tipo spessartitico a massa diabasica. Quelle del secondo tipo trovano le equivalenti in parte nelle spessartiti a quarzo, in parte nelle porfiriti dioritiche. Il De Stefani ') distingue i porfidi quarziferi o microgranuliti e le dioriti porfiriche antiche, che riferisce alla zona dei graniti centrali e dei micascisti, da lui attribuiti al laurenziano ed all’ huroniano, dai porfidi petrosiliciosi e dalle porfiriti frequentissime nel mezzogiorno della Sardegna, a sud del Gennargentu. A proposito di queste rocce il De Stefano così sì esprime: « Contengono grossi cristalli, spesso corrosi o globulari, di quarzo, piagioclasio, talora mica e pirosseno, forse quarzo, in una massa fondamentale vetrosa o tinamente micropegmatitica. Essi sono accompagnati da tufi, e in moltissimi punvi li ho visti regolarmente alternanti in mezzo a strati paleozoici non fossiliferi. Forse appartengono alla base del carbonifero, ma non si possono precisare i limiti delle eruzioni finchè non sia '‘) C, De Stefani — Cenni preliminari sui terreni cristallini e paleozoici della Surdegna (Rend, R. Ace. Lincei, serie IV, vol. VII, 1891). — 33 — determinata l’ età dei vari strati sedimentari. Nella parte peninsulare d’ Italia niuna formazione si può paragonare a questa: i porfidi dell’ Estèrel e di vari luoghi delle Alpi sono attribuiti al permiano, perciò sarebbero più recenti ». Sembra quindi che il De Stefani consideri queste rocce porfiriche sarde come colate effusive. Questa forma di giacitura pur essendo frequente nel mezzo- giorno dell’ isola, non è tuttavia la più comune per le rocce porfiriche, costituendo esse veri e tipici filoni intrusivi, più recenti delle rocce che essi attraversano e non accompagnati da tufi. Queste formazioni filoniane corrispondono inoltre a quelle frequentissime delle Alpi, dove accompagnano i massicci granitoidi. pÉ Descrizione delle rocce filoniane Le rocce filoniane della Sardegna appartengono, secondo la classificazione di Rosenbusch, ai tre grandi gruppi seguenti: 1.° Rocce filoniane porfirico-granitiche. 2.° Rocce filoniane aplitiche. 3.° Rocce filoniane lamprofiriche. La spettanza delle singole rocce all’ uno o all’altro di questi gruppi riesce già facile, nella maggior parte dei casi, al semplice esame superficiale e macro- scopico delle rocce stesse. À. ROCCE FILONIANE PORFIRICO-GRANITICHE Il più piccolo numero di filoni in Sardegna appartiene a questa categoria di rocce; ma, in compenso, i filoni di queste rocce porfiriche sono in generale assai più potenti di quelli delle rocce aplitiche e lamprofiriche. Tra essi si può distin- guere un sottogruppo di porfid granitici e nn altro di porfiriti dioritiche. Porfidi granitici I porfidi granitici attraversano generalmente le rocce granitoidi, più rara- mente gli scisti cristallini. Tra essi distinguiamo tre tipi strutturali: microgra- nitico, granofirico e felsofirico. Porfidi granitici microgranitici I porfidi microgranitici sono in modo speciale frequenti nell'isola della Mad- dalena, specialmente nella regione orientale dell’ isola, e nella penisola dell’Abba- toggia, dove formano filoni assai potenti nella granitite. Al monte di Gonari, tra AtTI— Vol. XIT= Serie 2*- N09. 5 icagi; | I Tiena e Orodda, presso quest’ultimo villaggio, si riscontrano pure micrograniti a netta struttura porfirica, come pure nella regione montuosa del Gennargentu; e tipici filoni, simili a quelli della Maddalena, affiorano presso la Cantoniera a Pera Onni, sulla via, che dal passo di Corre Boi conduce a Villanova. Anche la parte centrale di alcuni filoni porfirici del Capo Bellavista è di tipo microgranitico, men- tre le salbande sono generalmente granofiriche o anche felsofiriche. I porfidi granitici a struttura microgranitica dell’isola della Maddalena sono roccie grigio-cenerognole, talora, nei tipi più oscuri, con tendenza al verdognolo. Nella loro facies normale sono assai ricchi in interclusi di quarzo e di feldispati. Meno frequenti e più piccoli sì presentano gl’ interclusi di biotite e di anfibolo. I feldispati, tabulari secondo }001{ misurano sovente, secondo l’ asse [X] cm 0,5—1. Eccezionalmente, e solo nei tipi più grossolani di questi porfidi, si vedono cristalli di 2 cm. Il quarzo mostra talvolta i contorni cristallini. Il più delle volte però i granuli sono arrotondati e il loro diametro non oltrepassa il ‘ cm. Fra gli interclusi di feldispato prevalgono i cristalli di or/ose leggermente rosei, per lo più geminati secondo la legge di Carlsbad, e coi caratteri ottici del tipico ortose potassico. L'accrescimento micropertitico con albite secondo piani di sfaldatura murchisonitica è frequentissimo, sovente però le lamelle d’ albite sono disposte nell’ ortosc senza apparente regolarità. I feldispati di Ca e Na, in cristalli più piccoli e meno numerosi di quelli di ortose, presentano i seguenti caratteri: Lamine secondo (001) estinguono — 1° — 1° !/, Lamine secondo (010) estinguono — 3° — 4° I II 45), DIO Corrispondono quindi a miscele tra gli oligoclasi basici e le andesine con circa 35“ di An. Non mancano termini più acidi, oligoclasici, come si deduce sopra- tutto per valori della rifrazione. Gli elementi colorati, la biotite e l’anfibolo, hanno i medesimi caratteri degli stessi minerali che entrano nella composizione dei graniti. Soltanto il loro modo di presentarsi è alquanto diverso. La biotite, oltre a formare nette tavole esagonali, si presenta in minute la- minette, le quali si aggregano fra di loro in guisa di formare degli accentra- menti di questo minerale sparsi nella roccia a guisa di interclusi. Talvolta in tali accentramenti alla biotite si accompagna, subordinatamente, 1’ anfibolo verde; assai raramente poi mancano prismetti di apatite, prodotti titaniferi e granuli di ossido di ferro. Queste concentrazioni biotitiche o biotitico-anfiboliche ricordano quelle ag- aggregazioni, che si formano in seguito all’assorbimento magmatico di minerali ferriferi. Talora infatti il contorno di queste concentrazioni ricorda la forma di sezioni anfiboliche, cd è probabile che la loro formazione sia appunto dovuta al- ec 9 l'assorbimento, per parte di residuo magmatico acido, di interclusi anfibolici, con successiva cristallizzazione, nello spazio stesso, di lamine biotitiche e anfiboliche, frammiste e accumulate fra loro in un modo qualsiasi. L’ anfibolo, di color verdognolo, forma cristalli prismatici e inoltre, al pari della biotite, concentrazioni di laminette. L’ estinzione è: cc=18. c= Verde intenso talora con leggera tendenza all’ azzurro b= Verde intenso a= giallo pallido tendente al verdognolo. Tanto l’anfibolo quanto la biotite si alterano in clorite, al pari degli stessi minerali delle rocce granitiche. La massa fondamentale è essenzialmente formata da un miscuglio granulare di quarzo e di ortose, con pochissimi granuli di miscele acide oligoclasiche, a cui sì uniscono, con variabile frequenza, laminette e squamette micacee, anfibo- liche e cloritiche. Il,grado di idiomorfismo dei componenti la massa fondamentale va gradata- mente diminuendo dagli elementi colorati all’ oligoclasio, all’ortose, fino al quarzo, che chiuse la cristallizzazione del magma. Fra gli elementi accessorii si notano: la magnetite e l’ apatite con una certa frequenza e, più rari, la titanite, lo zircone e l’ ortite. Tra i prodotti secondarii prevale il caolino, accompagnato da qualche squa- metta di muscovite, come prodotto dell’alterazione dei feldispati, e la clorite, con poco epidoto, come prodotto d' alterazione della mica e dell’ anfibolo. Verso le salbande dei potenti filoni i porfidi granitici ora descritti, di tipo prettamente microgranitico, passano a ,/@cies alquanto più basiche, a grana più minuta, a interclusi più piccoli e meno numerosi. Queste ./acies periferiche si differenziano essenzialmente dal tipo normale, per la maggior ricchezza degli elementi colorati e dei feldispati di Ca e Na. e la maggiore basicità di questi ultimi. Fra gli interclusi feldispatici predominano sull’ ortose quelli dei feldispati di Ca e Na, per lo più a struttura zonale; e il nucleo, sempre più basico della periferia, è nei cristalli maggiori costituito da miscele di labradorite: I Il 6 20 asi Id 8! GSi le Lamine di sfaldatura secondo (001), a geminazione polisintetica, mostrano estinzione, nelle lamelle di geminazione secondo la legge dell'albite, che da — 2° arriva a circa 9° per il nucleo dei cristalli. Si tratta quindi di miscele di andesina e di labradorite. Lig La massa fondamentale di questa forma basica delle salbande è notevolmente più ricca in biotite ed in anfibolo della forma normale. È invece notevolmente più povera di quarzo e di ortose, predominando, su questo feldispato, un plagioclasio acido, in fine listerelle a struttura zonale, la cui periferia è costituita da miscele acide oligoclasiche, e il nucleo, come avviene per gl’interclusi, raggiunge talora miscele di labradorite basica. Infine, nella massa fondamentale, tra gli elementi colorati e le listerelle plagioclasiche, vi è un ultima generazione di quarzo e fel- dispato alcalino, sovente in accrescimento granofirico. Questa /aeies basica si av- vicina al tipo lamprofirico. In tutto corrispondenti ai micrograniti della Maddalena sono quelli che co- stituiscono alcuni filoni negli scisti presso la cantoniera di Pera Onni, non lungi da Villanova. I filoni dei porfidi granitici, a salbanda di tipo lamprofirico, dell’ isola della Maddalena, e quelli di Pera Onni, ricordano alcuni filoni di rocce analoghe del- l'Odenwald, e fra quelli a me noti assomigliano in modo speciale ai filoni di Ernsthofen, descritti da C. Chelius nel Newes Jahrb. f. Min., 1888, II, p. 67, nei quali le salbande sono pure di tipo più minuto e alquanto più basiche della roccia normale. I porfidi granitici che affiorano presso Orodda framezzo alla tipica granitite sono marcatamente porfirici, con numerosi interclusi di quarzo e di feldispati bian- castri. Fra questi ultimi quelli di ortose misurano talora più di 1 cm. La massa fondamentale, grigio-verdognola, è finissima, afanitica e soltanto al microscopio si risolve in una miscela di listerelle minutissime di ortose, ge- minate secondo la legge di Carlsbad, e di granuletti di quarzo, allotriomorfo rispetto all’ortose: abbondano inoltre nella massa le laminette e squamette clori- tiche e micacee. Fra gl’interclusi quelli di quarzo sono alquanto idiomorfi; essi sono però assai meno numerosi di quelli dei feldispati. Gl’interclusìi in cui mostrano costante e regolare accrescimento micropertitico secondo piani di sfaldatura murchisonitica. I plagioclasi, pure assai abbondanti, appartengono a miscele che vanno dall’oligoclasio basico all’andesina basica, ra- ramente raggiungono miscele acide della labradorite. L’alterazione è assai più avanzata nel feldispato alcalino che in quelli di Ca e Na. Fra i prodotti secondari predominano le sostanze terrose caoliniche, l’epidoto e la muscovite. I feldispati contengono anche numerose squamette cloritiche. Il minerale colorato, ora trasformato in clorite, doveva essere mica bruna. Fra gli elementi accessori noto: apatite, zircone, magnetite titanifera e ortite. Queste rocce, che si distinguono, per una struttura assai più minuta e omo- genea della massa fondamentale e per la mancanza dell’anfibolo, da quelli della Maddalena, sono di tipo microgranitico, e per l’abbandonza degli interclusi dei feldispati di Ca e Na ela scarsità del quarzo si possono considerare come un tipo intermedio tra i più acidi micrograniti e le porfiriti quarzose-micacee acide. Al Capo Bellavista, la località più atta in Sardegna, per studiare le relazioni reciproche delle diverse forme filoniane, si osservano pure tipi microgranitici. IINPRE RPIP TYP A ESRII CPV da PRG IAA L4 PE ME P0, f P À SA Uno dei potenti filoni nord-sud, che formano il rilievo del pittoresco promon- torio, e precisamente il filone, il quale costituisce lo sperone che, principiando presso le case di Arbatax, finisce a mare presso l’ estremità orientale del golfo di Frailas, è costituito da una roccia porfirica, gialliccia, che è una varietà microgranitica dei prevalenti porfidi rossi granofirici, i quali formano i maggiori rilievi del Capo, su cui sorge il faro ed il semaforo. Oltre i frequentissimi interclusi di quarzo e di feldispati alcalini e oltre quelli di feldispati di Ca e Na appartenenti a miscele acide oligoclasiche, sono sparsi qua e là piccoli inclusi verdognoli, che rappresen- tano l’ elemento micaceo od anfibolico, attualmente trasformato in clorite ed epidoto. La massa è data da una miscela granulare di quarzo e feldispato in preva- lenza alcalino, senza traccia di struttura granofirica. Fra gli elementi accessori sì nota la titanite e lo zircone. Questa roccia, per la sua struttura microgranitica e per la scarsità dell’ ele- mento colorato, sì che s’ avvicina al tipo aplitico, ricorda alcuni filoni di alsba- chiti a grana grossolana dell’ Odenwald. Tipi microgranitici rossastri, a massa finissima e compatta, si presentano sovente, al Capo Bellavista, come modificazioni locali dei numerosi e potenti filoni a facèes granofirica e felsofirica. Al monte di Gonari, tra la punta San Ruju e la punta Lotzori, si osserva e si può per lungo tratto seguire un potente filone tra il calcare cristallino ed il granito. La roccia che costituisce questo filone è grigiastra o gialliccia, netta- mente porfirica, presentando, sparsi in una finissima massa granulare compatta e uniforme, numerosi interclusi idiomorfi di quarzo di pochi millimetri, ed altri di feldispati: in prevaleuza di microclinopertite, ed in minor copia quelli di mi- scele oligoclasiche. Inoltre, con minore frequenza, si notano laminette esagonali di mica. Questo minerale è più abbondante, in forma di minutissime squamette, nella massa fondamentale, la quale è prevalentemente formata da feldispati e da quarzo, in un finissimo ed irregolare aggregato granulare. Non si può in linea assoluta osservare un maggiore idiomorfismo del feldispato rispetto al quarzo, ma i due mi- nerali presentano entrambi forme per lo più allotriomorfe. I porfidi granitici normali di Grosssachsen nell’ Odenwald, limitatamente a quelti nei quali sono pochi sentiti i fenomeni dinamometamorfici, che furono de- scritti dal Futterer, trovano una corrispondenza strutturale e mineralogica colla roccia, che forma il filone ora descritto di Gonari. Non mancano tuttavia anche a Capo Bellavista, sebbene non siano frequenti, varietà di porfidi granitici a fina massa microgranitica, piuttosto ricchi in biotite e in feldispati basici, e che più si avvicinano ai tipici micrograniti filoniani della Maddalena. Tali rocce, che sono anch’ esse una /ucies dei potenti filoni granofirici e fel- sofirici, sono ricchissimi in interclusi, tra cui accanto ai grossi cristalli di quarzo, i quali talora conservano netta la forma cristallina, prevalgono numerosi gl’inter- clusi feldispatici : e tra questi sono in maggior numero le miscele di Ca e Na anzi che i tipi alcalini. RI I La struttura zonale è in essi marcatissima; e mentre la periferia consta di miscele acide oligoclasiche il nucleo raggiunge le miscele basiche labradoritiche. Prevale il tipo 45,4%, Infatti le zone mediane più vaste dei doppi geminati pre- sentano sovente la tipica estinzione di: I II 10 25 18 23.ete. Gl’ interclusi micacei sono numerosissimi, le laminette brune esagonali sono per lo più piccole, e raramente l’ alterazione in clorite è avanzata. La massa fon- damentale fina, compattissima, è essenzialmente feldispatica e notevolmente ricca di minutissime squamette micacee e piuttosto povera di quarzo. Fra i componenti accessori è frequente l’apatite. Per composizione e struttura questo tipo di porfido granitico si avvicina ai porfidi granitici di Rochesson ed Etival nei Vosgi. Tali rocce per la frequenza della mica e di feldispati basici si avvicinano alquanto ad alcune rocce lamprofi- riche di tipo minette e kersantiti. I tipi microgranitici di Capo Bellavista constano di interclusi di quarzo, di ortose e di miscele acide oligoclasiche, sparsi in una massa finissima essenzial- mente quarzoso-feldispatica (ortosica). Fra gli elementi colorati si scorgono sol- tanto laminette cloritiche, ma non in grande abbondanza, o aggregate fra loro, sostituendo scomparsi interclusi di silicati colorati, o in minute squamette nella massa fondamentale. Queste rocce appaiono più acide, e più povere di sillcati di Mg e Fe, dei porfidi granitici della Maddalena e di Orodda, e ricordano invece alcuni porfidi quarziferi effusivi a grana minuta, di tipo microgranitico. B. Porfidi grenitici grenofirici In ogni regione granitica della Sardegna, ma sopratutto nelle rocce grani- tiche dell’Ogliastra sono rimarchevoli e abbondantissimi i filoni di porfidi rossi a grana media o fina, ricchi d’interclusi di quarzo e di feldispati, generalmente assai poveri in elementi colorati. Queste rocce, che furono ben distinte dal Lamarmora col nome di por- fidi quarziferi rossi, non si trovano soltanto in filoni, ma formano dei più vasti affioramenti in forma di ammassi 0 espandimenti, come al Monte Ixi, al M. Razzu, al M. Perdedu presso Leulo, e in altre località presso Lanusei. Le rocce di tal giacimento vennero ascritte ai tipici porfidi quarziferi, e per lo più a quelli di tipo granofirico, e per la regione che Sarrabus esse furono chia- ramente distinte e studiate dal Traverso. Lo studio geologico e petrografico di queste rocce non mi fu possibile com- prendere nel campo delle mie ricerche; quindi mi limiterò soltanto ad un breve Pg: cenno delle forme filoniane di queste rocce, che ‘con maggior dettaglio ebbi campo di esaminare a Capo Bellavista. Tuttavia, anche in questa regione si verifica quanto già il Traverso ebbe a notare per i porfidi del Sarrabus e cioè che: « l'identità di composizione e di struttura tra le forme intruse e quelle in massa non permette di stabilire alcuna separazione litologica ». I granofiri rossi di questa località, che costituiscorio filoni di varia potenza, sono a grana grossolana e media, con interclusi numerosi di quarzo, in cristalli arrotondati, e di ortose roseo, e pochi cristalli di oligoclasio. Tra gli elementi co- lorati si osservano soltanto rari accentramenti di squamette o rosette cloritiche. La massa fondamentale è essenzialmente costituita da grossolani accresci- menta granofirici di quarzo e di feldispato alcalino. Fra gli elementi accessori si notano pochi granuli di magnetite e poca fluorite. Una dettagliata descrizione di queste rocce mi sembra superflua, poichè do- vrel trascrivere le descrizioni dei porfidi granofirici dei dintorni di Porto Ceresio del bacino di Lugano o dei granofiri di Rosskop presso Barr in Alsazia. Conviene invece notare, che i filoni granofirici di Capo Bellavista, quando presentano notevole potenza, passano verso il centro a tipi microgranitici e alle salbande a /acies fel- sofiriche. L'analisi del porfido quarzifero granofirico di Capo Bellavista ha dato il se- guente risultato: Sio, 76,10 Ti0, 0,07 A1,0, 12,90 Fe,0, — FeO 0,81 M90 0,27 Ca0 0,63 Na,0 3,88 K,0 4,63 H,0 (110°) 0,10 H,0 (> 110°) 0,44 95,83 * Filoni felsofirici di Capo Bellavista Non soltanto le salbande cei più larghi filoni di granofiri presentano faezes felsofirica, ma sono frequenti anche sottili filoni, la cui natura è intieramente di porfidi felsofirici. Sono rocce compattissime, dure, e constano di una massa fondamentale bru- na, 0 leggermente rossiccia, d’aspetto felsitico, nella quale sono sparsi piccoli in- terclusi di feldispati bianco-rosei e cristalli arrotondati di quarzo. Ad immediato contatto colle rocce granitiche incassanti il filone, la massa fondamentale è più LAI oscura, e più povera d'interclusi. Anche la granatite si modifica a contatto di questi filoni, diviene porfirica, i feldispati si fanno rossicci e la roccia si carica di squamette cloritiche. L'analisi di uno di questi porfidi quarziferi felsofirici di Capo Bellavista ha dato per esso la seguente composizione: Si,0 76,74 Ti,0, 0,05 A2,0, -11,12 Fe,0, 1,00 FeO 0,78 Mg 0,19 Cao 0,82 Na,0 3) K,0 5,87 H,O 0,19 100,11 Gl'interclusi di quarzo di questi felsofiri sono assai corrosi, e la massa fon- damentale si è sovente protrusa in essi. L’ortose è assai torbido, e in esso sono intercalate in modo micropertitico, parallelamente ai piani di sfaldatura murchisonitica, finissime lamelle di albite, più fresche del feldispato includente e finamente geminate in modo polisintetico. Con minor frequenza dell’ ortose si notano i cristalli di oligoclasio, e raramente di miscele basiche dell’ andesina. Fra gli elementi colorati noto solo qualche rara laminetta di biotite. Fra gli elementi accessori sono lo zircone, la magnetite e talora anche l’ortite. La massa fondamentale, olocristallina, è formata da un finissimo miscuglio compattissimo, essenzialmente feldispatico, nel quale si distingue qua e là qual- che listerella idiomorfa allungata secondo (010) (001). Questa massa feldispatica, a struttura microfelsitica, ha rifrazione notevolmente inferiore a quella del quarzo e del balsamo. È alquanto abbondante in essa le magnetite, finamente suddivisa in granuletti. A immediato contatto colle granititi incassanti i filoni, la massa microfel- sitica, ancor più minuta e compatta, si carica di innumerevoli microliti anfibo- lici, che talora formano un finissimo intreccio. La maggior parte di essi si pre- sentano come finissimi filamenti anche ad un ingradimento di 400 diametri, e passano gradatamente ad alcuni più grossetti, e cioè a prismetti, che misurano fino a mm. 0.15 di lunghezza e 0.02 di larghezza. Questi prismetti sono soventi geminati e l'estinzione è di cc = 15°-17°. L’assorbimento è notevole c>b>Aa. = Verde erba intenso, talora con leggiera tendenza all’ azzurrognolo b= Verde intenso tendente al giallognolo a= Giallo verdogznolo. Melp. S La spettanza di questo minerale ad un anfibolo monoclino è anche confer- mato dalle sezioni basali che mostrano la tipica sfaldatura anfibolica. Questi mi- croliti si addensano più numerosi intorno agli interclusi quarzosi e feldispatici e talora gli sciami microlitici assumono una palese disposizione fluidale nella base feldispatica microfelsitica. In queste rocce è frequente l’epidoto secondario, il quale riempie a preferenza le sottilissime fessure che sovente l’attraversano. Queste /acies felsofiriche di Capo Bellavista corrispondono ai porfidi quarzi- feri bruni del Lamarmora, il quale aveva già notato che essi rappresentano una facies endomorfa nelle salbande dei porfidi rossi: « Ces porphyres rouges pas- sent souvent aux porphyres bruns, qui forment des plagues appliquées au toit ou au mur des filons porphyriques ». Queste acies di salbanda dei filoni porfirici di Capo Bellavista sono ricordati anche dal Vom Rath. I numerosi filoni di porfidi rossi, che si riscontrano specialmente nei dintorni di Lanusei e di Banci, presentano varietà strutturali che vanno dalla micrograni- tica alla granofirica e al tipo felsofirico. Le forme strutturali più frequenti sono le granofiriche e le felsofiriche. Pei filoni più potenti quest'ultimo tipo è il più comune. Nella massa fondamentale si distingue il più delle volte una seconda gene- razione di quarzo e di feldispato, e la seconda generazione si presenta 0 come accrescimento granofirico dei due minerali, o il più delle volte è caratterizzata da formazioni sferulitiche costituite soltanto da sostanza feldispatica, o da pseudo- sferuliti, costituite da quarzo e feldispato tra loro associati. Queste formazioni sferulitiche, come si osserva frequentemente nei porfidi quar- ziferi effusivi, circondano specialmente, a guisa di larghe aureole, corrosi inter- clusi di quarzo, con minor frequenza di feldispato; e non è improbabile, come ebbe a notare il Matteucci per aureole sferulitiche intorno agli interclusi quar- ziferi dei porfidi granitici elbani, che tali zone sferolitiche siano dovute a feno- meni di assorbimento magmatico. Altre volte, come in un filone presso Banci, intorno agli interclusi vi è una zona di quarzo e feldisnato in caratteristico accrescimento granofirico. In questi filoni sono rari gl’interclusi di feldispati di Ca e Na, in generale appartenenti a miscele oligoclasiche e talvolta all’ andesina acida. Subordinata è la quantità degli elementi colorati, limitati a squame micacee o cloritiche. Le forme strutturali ora descritte sono quelle caratteristiche di molti porfidi quarziferi, di tipo granofirico e fe!sofirico, e sono limitate ai tipi più acidi dei porfidi granitici della Sardegna , ed ai filoni di minore potenza o alle salbande dei filoni maggiori. Al tipo granofirico, simile agli ultimi ora descritti, appartiene la massa principale centrale di un tipico filone composto , potente circa 15 m., diretto da N. a S. e inclinato verso E. che si osserva nel Passo di Correboi. Di questo filone parlano il La Marmora, il Lovisato e il V. Rath. Quest'ultimo notò la facies compatta, scura, afanitica, senza interclusi, che la roccia ATTI — Vol, X/Z— Serie 22—-N 099. 6 LL AI di questo filone, che egli ascrive ai porfidi quarziferi, acquista alle salbande. Il V. Rath notò anche inclusioni di scisti nel porfido. Questa roccia all’ aspetto è a massa fine e compatta, di colore grigio chiaro, con numerosi interclusi di quarzo e di feldispati giallognoli, tra cui prevalgono quelli di ortose, mentre sono meno frequenti i cristalli di miscele ortoclasiche e di andesina. La massa fondamentale mostra due generazioni di quarzo e feldispato. L’ una in granuli con un certo grado di idiomorfismo, l’ultima in minutissimo accresci- mento granofirico. Questi accrescimenti formano poi sempre una sottile zona in- torno agli interclusi di quarzo. Nella massa sono sparse minute squamette micacee, e fra i prodotti secondarii abbondano la muscovite e la calcite. In altri punti della massa filoniana la roccia acquista una tessitura più grossolana degli elementi della massa fondamentale, diminuendo talora in essa anche la quantità del quarzo come minerale bene in- dividualizzabile, e presentandosi invece larghe zone sferolitiche, specialmente fre- quenti, a guisa di aureole, intorno agli interclusi di quarzo. Questo potente filone granofirico, notevolmente acido, presenta ai due lati strette salbande di natura dioritica e all’ incirca di eguale potenza (1 m. circa), di cui la roccia è verde cenerognola con rarissimi e piccoli interclusi di feldispato e di quarzo (assi raro). La massa afanitica e compatta è formata da un intreccio di listerelle assai alterate di p'agioclasi acidi, fra i quali sono interposti granelli di quarzo e una sostanza verdognola cloritica. lL’alterazione, assai avanzata, non permette di riferire questa /ucies basica ad un determinato tipo di roccia filoniana. Tra la roccia porfirica acida, che co- stituisce la massa principale del filone, e le strette salbande basiche il passaggio è netto, senza transizioni; c si ha un esempio tipico di filone composto a struttura simmetrica simile ai noti filoni composti della Turingia, descritti da Lieben- stein e da Bicking, o ai filoni di Lessebo, Lenhofda, Oscarsham e Hvetland in Sméland, descritti da Holst, e ad altri della stessa regione descritti dal Nor - denskyold; e fino ad un certo punto il filone di Correboi ricorda anche i filoni composti di Arram illustrati da Judd. Filoni di analoghe rocce porfirico-granitiche si riscontrano nella massa sci- stosa del Gennargentu. Un filone, diretto N-S, poco a Sud di Bruna Spina, ricorda alquanto il filone di Corre Boi; ma la roccia è assai più alterata e più povera di quar- zo; la massa fondamentale specialmente è essenzialmente feldispatica : e questa roccia potrebbe considerarsi come un porfido sienitico. L'alterazione è però troppo avanzata per una diagnosi attendibile. Presso Tertenia attraversa gli scisti un potente filone di porfido granitico a grana grossolana, con interclusi di feldispati di 1-2 '/, cm. di lunghezza. Oltre al- l'ortose sono abbondanti gl’ interclusi di quarzo e di plagioclasi acidi. La massa sembra in parte a struttura granofirica, ma l’ abbondanza dei prodotti secondari, fra i quali carbonato e ossidi di ferro, maschera in gran parte la struttura. A giudicare dalla frequenza delle plaghe, ancora ben delimitate, di prodotti cloritici frammisti a carbonato e a ossidi di ferro, i componenti colorati (probabil- mente miche) dovevano essere abbondanti in questo porfido. 87" (o RD Porfiriti dioritiche A queste rocce corrisponde parte di quelle comprese dal La Marmora sotto il nome di porfidi sienitici, e come tipo caratteristico di esse consideriamo quei filoni di rocce a struttura porfirica, costituiti da una massa grigio-violacea con interclusi feldispatici e anfibolici verdognoli, i quali si osservano numerosi at- traversare le granititi delle isole della Maddalena e di Caprera. Lungo le coste delle due isole, dove l'erosione marina ha lisciate le rocce, questi filoni appajono con maggiore evidenza. I più potenti di tali filoni osservai presso il Semaforo della Maddalena, e in uno di essi è aperta una cava di questa roccia compattissima. Sono frequenti lungo la costa occidentale e settentrionale dell’isola, e ad essi va anche riferito il filone ricor- dato dal La Marmora, che attraversa il granito in direzione N-S presso Punta Negra. Un altro filone, di circa 4 m. di potenza, forma nell'Isola di Caprera l’e- stremità di Punta Rossa, su cui sorgono le ultime batterie del forte. Anche lungo la costa nord di Cala Portese, nell’ isola di Caprera, questi filoni sono frequenti. L’alterazione delle rocce che costituiscono questi filoni è sempre avanzatissima, anche in campioni tolti da tagli recenti della m: ssa filoniana. Gl’interclusi feldi- spatici (di mm. 1-3) appartengono a miscele acide dell’andesina. L’abbondanza dei prodotti secondari (muscovite e caolino) impedisce di accertarsi se talora siano pre- senti miscele più basiche. Sembra tuttavia esclusa la presenza di feldispati alcalini tra gl’ interclusi. Anche il quarzo manca fra gl’ interclusi. Notevole invece dovea essere la quan- tità degli elementi colorati, ora rappresentati dalle plaghe cloritiche le quali coi loro incerti contorni fanno supporre, che la maggior parte del'minerale originario fosse anfibolo. Non si può tuttavia escludere l’originaria presenza delle miche. Alla clorite vanno sovente uniti l’epidoto e la zoisite e abbondanti prodotti leucoxenici. La massa fondamentale è olocristallina e consta di feldispato, quarzo e laminette cloritiche. Si notano in queste rocce due tipi strutturali. Nella forma più comune il feldispato della massa forma listerelle idiomorfe a geminazione polisintetica, e fra esse sono interposti i granuletti di quarzo, net- tamente allotriomo:fi rispetto al feldispato. Il feldispato della massa è più acido di quello che forma gl’ interclusi; esso appartiene a miscele acide oligoclasiche e a termini intermedi tra l’albite e l’oligoclasio. Confronti col quarzo danno: Wwdba > CIEZTA e>a' talora w>=V La differenza A dei doppi geminati è quasi nulla. Le listerelle, allungate se- condo (001) (010), mostrano talvolta un’ estinzione di 10° che, unitamente agli altri caratteri, è tipica delle miscele di oliggoclasio-albite. imticionie Sete cant a n. Ses. 1°. SE Nel secondo tipo strutturale, che si riscontra generalmente nei filoni dell’i- sola di Caprera, è sviluppata, nella massa, una seconda generazione di quarzo e feldispato in accrescimento granofirico. Il notevole intorbidamento dei feldispati impedisce una accurata diagnosi di essi; ma sembra tuttavia che anche negli accrescimenti granofirici sia della medesima natura delle listerelle; l’ortose, o manca affatto, o è presente in quantità assai piccola. Le forme granofiriche sono in generale ‘alquanto più grossolane e più acide di quelle a struttura listiforme. del feldispato della massa. Alle porfiriti dioritiche riferisco pure alcuni filoni nel granito dei dintorni di Sorgono, Essi sì vedono affiorare con specia!e frequenza lungo le trincee della li- nea ferroviaria Sorgono-Tonara. tra i segnali chilometrici 89-94, e si alternano con filoni di tipo lamprofirico. La loro potenza è generalmente tra 1 e 5 metri e la loro direzione varia da N.40°0 a N. 20° 0, avvicinandosi taloraassai alla direzione N-S, con inclinazione di circa 60°-70° S-0. Queste rocce sono di colore grigio-cenerognolo, talora brunicce, altre volte alquanto verdognole. Le poco fresche assumono toni grigio-giallognoli. La loro massa è per lo più generalmente afanitica, compattissima, e contiene frequenti interclusi quarziferi e feldispatici, che raramente raggiungono od oltrepassano un centimetro. Gl’ interclusi feldispatici sono essenziamente plagioclasici, talora assai alte- rati, altre volte con una zona periferica d’ alterazione e il nucleo limpido, inal- terato. Essi constano di miscele, che dall’ oligoclasio vanno alla labradorite; la maggior parte di essi appartiene alle andesine. Molti cristalli hanno i seguenti valori della rifrazione: n, < 1,550, raramente n,> 1,550 Wi, > 1,550 n,> 1,550 La roccia di qualche filone mostra inoltre frequenti interclusi rosei di ortose. Gl’interclusi di quarzo sono fortemente corrosi, con zone di assorbimento ma- gmatico e insenature della massa in essi. Io credo che tanto il quarzo quanto l’ortose in grossi cristalli non siano il prodotto del magma di queste rocce filoniane, ma siano invece stati strappati dal magma alle incassanti rocce granitiche. Infatti la natura mineralogica e strut- turale della massa fondamentale di questi filoni, la quale è di natura piuttosto basica, a plagioclasi prevalenti, priva di quarzo e ricca di silicati di Mg e Fe, poco s'accorda colla ricchezza del quarzo e colla presenza dell’ortose fra gl’inter- clusi. Inoltre alle salbande, mentre la massa fondamentale si fa più fina e o- scura, aumenta la quantità dei due citati interclusi , ciò che invece s’ accorda coll’ ipotesi che essi siano inclusi, strappati alla incassante roccia granitica. Frequenti plaghe cloritiche ed epidotiche, a netti contorni anfibolici, attestano la originaria frequenza di questo minerale fra gl’ interclusi. Soltanto nei tipi più freschi questo minerale appare ancora inalterato nella massa fondamentale, e pre- Pere «senta i caratteri di orneblenda bruno- -verdognola chiara. Fra i prodotti secondari oltre la clorite ‘e l'epidoto abbonda assai 1a calcite. Notevolmente simile alle rocce dei filoni di porfiriti diazilialia! dell’isola della Maddalena, testè descritte, è la roccia che forma un potente filone al Capo Bel- lavista e che costituisce l’ultimo rilievo, diretto da Nord a Sud, che termina a mare alla punta di San Gemiliano, a nord del piccolo golfo di Frailis. L'aspetto di tale roccia è cenerognolo, un po’ rosso nei tipi alquanto alte- rati. La struttura porfirica è netta, e fra gl’ interclusi il maggior numero è dato dai feldispati, fra i quali in prevalenza si annoverano le miscele acide an- desiniche-oligoclasiche, e in assai piccolo numero gl’interclusi rosei di feldispato alcalino. L’alterazione per lo più assai avanzata di questi interclusi, con abbondante formazione di caolino, mica ed epidoto, non permette un controllo accurato delle loro proprietà ottiche. Qua e là appaiono anche alcuni interclusi di quarzo, a guisa di granuletti arrotondati; essi sono tuttavia in quantità assai piccola. Frequenti si palesano gl’interclusi anfibolici, che gradatamente passano a piccoli prismi della massa fondamentale, senza poter quindi distinguere due nette generazioni di tale minerale. In questa roccia di San Gemiliano l'alterazione in clorite non è così avanzata come nelle corrispondenti delle isole della Maddalena e di Caprera. Per quanto riguarda la composizione della massa fondamentale, essa presenta ‘composizione e struttura corrispondente a quelle dei filoni sopra descritti, predo- minando tuttavia la struttura listiforme dei feldispati sul tipo granofirico. A differenza delle rocce corrispondenti della Maddalena va qui notata la fre- quenza dell’ortite e della titanite fra gli elementi accessori e una certa frequenza di magnetite titanifera. Verso le salbande la roccia è a grani più minuti, e la massa fondamentale si arrichisce notevolmente di prismetti anfibolici. La composizione chimica della roccia filoniana di San Gemiliano è la se- guente: Sio, 64,02 Ti0, 0,88 AI,0, 15,00 Fe,0, 1,80 FeO 4,35 Mg0 3,93 Cao 3,80 Na,0 3,10 K,0 2,83 Piedi 0,30 41,0 0,75 100,76 Ammesso che il quarzo e l’ortose di queste rocce siano inclusi, strappati dal magma filoniano alla roccia granitica incassante, tali filoni si possono conside- Se rare come porfiriti anfiboliche, analoghe a quelle che formano una numerosa serie di filoni intorno ai massicci granitoidi alpini. I filoni di Sorgono mi ricordano: in modo speciale molte porfiriti dioritiche della Valtellina e della bassa Valle Camonica. Altri filoni di rocce analoghe riscontrai nella zona centro orientale della. Sardegna , specialmente lungo la via Dorgali-Banci, e nei dintorni di Ulassai, Gairo e Lanusei. Alcune di queste rocce filoniane, notevolmente ricche in anfibolo, appartengono al tipo Vinthte. Sono rocce grigio-verdognole, finamente granulari. Constano di una massa plagioclasica quarzosa , ricca di squamette cloritiche e di cristalli di anfibolo, i quali da dimensioni microlitiche aumentano gradatamente fino a cristalli di mm. 0.5-1 di lunghezza, i quali però sono generalmente trasformati in clorite. L'anfi- bolo è bruno-giallognolo o bruno-verdognolo, e passa ad un anfibolo fibroso verde pallido, quasi incolore. L’estinzione, per l’anfibolo bruno e su (010), è cc= 16-17. Sono frequenti i piccoli interclusi di plagioclasi, che solo al microscopio si differenziano dalla massa fondamentale della roccia. Constano di termini basici della labradorite e in parte di bitownite. I feldispati della massa sono alquanto più acidi. Fra i prodotti secondari predominano la clorite, la muscovite e l’epidoto. Queste rocce filoniane si differiscono nettamente dalle porfiriti dioritiche pre- cedentemente descritte, per l'abbondanza dell’anfibolo nella massa fondamentale e la basicità dei plagioclasi. Questi caratteri le avvicinano alle rocce filoniane di tipo lamprofirico, ed esse trovano la loro perfetta equivalenza nelle vintliti delle Alpi centrali, specialmente: con quelle della Valtellina, della Valle Camonica e del Trentino. APLINI 1 Come nella maggior parte dei massicci granitici, così anche in Sardegna sono numerosissimi i filoni aplitici. Essi sono generalmente poco potenti e fra le rocce filoniane che attraversano il granito essi sono certamente 1 più tenui. Dai filoni di pochi centimetri si arriva a quelli di alcuni decimetri; rarissimi sono i filoni aplitici di potenza superiore a 1 m. La loro direzione, in contrapposto a quella dei filoni lamprofirici, non è costante, ma variabilissima. L'aspetto, la composizione e la struttura di queste rocce sono assai uniformi ; e fra le rocce filoniane le apliti sono certamente quelle che conservano maggiormente: ovunque lo stesso carattere mineralogico e struttura'e; esse inoltre assomigliano: a molte faces periferiche, a grana fina e chiara, delle granititi: per i caratteri quindi dei singoli componenti di queste rocce aplitiche rimando alla descrizione degli stessi minerali che formano il granito. La grana è finissima, compatta, risultandone una roccia d'aspetto afanitico nei filoncelli di piccola potenza o presso alle salbande dei filoni maggiori; più grossolana, saccaroide, nei filoni più grossi. Rn Il colore è bianco o roseo, talora giallognolo per alterazione dei feldispati. La composizione mineralogica di queste rocce è la seguente: ortose e micro- clino, sovente in accrescimento micropertitico con albite (accrescimento, che avviene parallelamente a piani di sfaldatura murchisonitica), albite, miscele albitiche- oligoclasiche e oligoclasi acidi : raramente si notano miscele basiche oligoclasiche, e in un solo filone aplitico, che attraversa la granitite presso Gavoi, notai, in pic- cola quantità, miscele di oligoclasio andesina acida. Nella maggior parte delle apliti di Sardegna sono presenti tanto il micro- clino quanto l’ortose, con variabile prevalenza dell’uno o dell’altro feldispato; in alcune il microclino manca affatto. L’ortose e il microclino sono in generale leg- germente rosei o, se alterati, giallicci. Le miscele oligoclasiche sono invece per lo più bianche. Il quarzo è in quantità inferiore a quella dei feldispati; in alcuni filoni del- l’isola della Maddalena e di Caprera esso è assai scarso e le rocce, quasi del tutto pure di elementi colorati, risultano essenzialmente di un miscuglio feldispatico. L'allotriomorfismo del quarzo delle apliti non è così marcato e costante come nelle normali rocce granitiche. Esso è anche sovente incluso nei feldispati. l'ra gli elementi colorati si notano squamette di biotite e di muscovite, la prima sovente trasformate in clorite. Talora predomina le biotite, altre volte la muscovite, ma la quantità loro è sempre assai scarsa; in alcuni filoni aplitici delle isole della Maddalena e di Caprera sembrano mancare affatto gli elementi micacei. Il granato è frequente in alcuni filoni aplitici delle isole di Maddalena e Caprera; ricchissimo in granato rosso è un filoncello aplitico a grana finissima di Punta Rossa a Caprera. Questa aplite consta essenzialmente di ortose, assai . torbido per alterazione in prodotto caolinici, di albite e miscele oligoclasiche, in cristalli allungati secondo lo spigolo (010) (001), e di quarzo. Le laminette di muscovite sono rare. Il granato rosso forma piccoli ma numerosissimi cristalli, che mostrano nettamente la combinazione }110{ {211}. Lo zircone, le magnetite e l’apatite non sono molto frequenti. Rarissime poi l’ortite, le tormalina e la titanite. La struttura granulare panidiomorfa, tipica delle rocce aplitiche, passa so- vente, nelle varietà grossolane e specialmente nelle /acies periferiche aplitiche delle granititi, alla struttura ipidiomorfa; altre volte si hanno invece forme strut- turali granofiriche per accrescimento tra il quarzo e i feldispati. Tipi aplitici si osservano nella granitite di Cala Francese presso la Madda- lena, specialmente presso le spaccature e le cavità geodiformi e nelle /acies di salbanda dei filoni pegmatitici, che già descrissi in una mia precedente comuni- cazione. Altri giacimenti di filoni aplitici si trovano alla Punta Gigantuni del Monte Limbara, a Capo Bellavista, alla Cantoniera 60 presso Sorgono e a Capo Carbonara. ROCCE FILONIANE LAMPROFIRICHE I filoni lamprofirici sono senza dubbio i piu numerosi fra quelli che attra- versano i graniti e gli scisti cristallini della Sardegna. Una enumerazione di essi qui non sarebbe ragionevolmente possibile, poichè oltre quelli già numerosi citati dal La Marmora, dal Vom Rath, dal Lovisato, dal Traverso e da chiunque si occupò del suolo sardo, io ne riscontrai a centinaia lungo gli itine-. rari da me percorsi. Nelle isole della Maddalena e di Caprera, lungo la via che conduce a Tem- pio, nei dintorni di questa pittoresca città, nel massiccio del Monte Limbara, in tutta la regione granitica del Nuorese, nei graniti di Capo Bellavista, del Sar- rabus e di Capo Carbonara questi filoni oscuri, basici, sono, ripeto, innumerevoli. Forse la loro frequenza diminuisce alquanto nei graniti della Barbagia, e spe- cialmente nella formazione granitica dei dintorni di Lanusei, dove invece predo- minano i filoni di rocce acide porfirico-granitiche e specialmente dei granofiri. Appartengono a queste rocce la maggior parte dei porfidi dioritici del La Marmora e delle dioriti e grana fina del Vom Rath; come pure molte delle porfiriti del Sarrabus descritte dal Traverso e dal Lacroix; le diabasi e i melafiri descritti dal Bucca; e alcune dioriti porfiroidi descritte da Cossa e Mat- tirolo per l’Iglesiente; e anche i porfidi diabasici del Sarrabus descritti dal De Castro appartengono a queste rocce filoniane di tipo lamprofirico. La potenza dei filoni lamprofirici è generalmente minore di quella delle rocce filoniane porfirico-granitiche. Sono rari i filoni che misurano 5-6 metri di po- tenza, per lo più essi non superano 1-2 metri, e innumerevoli sono i piccoli fi- loni di potenza inferiore a 1 metro e anche di 20-30 centimetri. Essi, come già risulta dalle osservazioni del La Marmora, del Vom Rath del Lovisato etc. presentano una direzione costante N-S o NNE-SSO, con rare deviazioni da questa direzione generale. Ad esempio a Capo Carbonara osservai qualche filone con direzione N 40° O. Fra le rocce in filoni alla dipendenza dei graniti i lamprofiri rappresentano: l’ultima intrusione magmatica; essi attraversano non soltanto le rocce granitiche e il loro mantello di scisti cristallini, ma anche i filoni di porfidi granitici. Petrograficamente queste rocce non presentano una notevole varietà di tipi. Sono rocce oscure, grigio-brunastre o nerastre, o grigio-verdognole, a grana per lo più fina, sovente compattissima, d'aspetto afanitico, raramente a grana media, e- solo nel caso di filoni di qualche potenza. Un gran numero di filoni presentano: un tipico aspetto diabasico. La struttura porfirica macroscopica è in esse rarissima, ma il microscopio svela sovente due o più generazioni di taluni fra i componenti.. Alle salbande dei filoni queste rocce divengono a grana più fina, compatta e scura, per essere più ricche in elementi colorati che non le facies normali; queste differenze strutturali, comuni e costanti in tutte le rocce filoniane, si osservano- anche a contatto cogli inclusi delle rocce incassanti, che talvolta i lamprofiri contengono. Nelle trincee ferroviarie presso Sorgono vennero messe allo scoperto numerosi filoni lamprofirici, e taluni di essi sono carichi di frammenti della roccia granitica incassante; questa località è assai opportuna anche per vedere le varie e numerose apofisi dei filoni nella massa granitica. Fenomeni analoghi si osservano con tutta evidenza anche a Capo Bellavista, specialmente là ove sono aperte le cave al Capo Arbatax, o lungo le scoscese e frastagliate coste. Fra le classi delle rucce filoniane, come furono stabilite dal Rosenbusch, i lamprofiri della Sardegna vanno ascritti alle Spessartiti. Soltanto alcune forme periferiche nerastre, finissime, sono di schietto tipo odinitico , identiche a molte tipiche odiniti dell’Odenwald e del gruppo dell'Adamello. Secondo la composizione mineralogica e la struttura i lamprofiri della Sar- degna si potrebbero suddividere come segue: 1) Lamprofiri a struttura granulare-diabasica con augite prevalente. a) senza olivina e a plagioclasi acidi; 6) con olivina e a plagioclasi basici. ; karamente si riscontrano in questo tipo facies porfiriche diabasiche: chiamo queste rocce col nome di spessartiti. 2) Lamprofiri ad anfibolo prevalente, con o senza augite e prive di olivina. Viì appartengono le rocce a tipico aspetto spessartitico, e simili alle spes- sartiti dell'’Odenwald e delle Alpi, e in esse distinguiamo forme granulari, e più raramente porfiriche, a struttura intersertale, panidiomorfa o pilo- tassitica. 8) Lamprofiri di tipo odinitico, al quale passano le spessartiti porfiriche a strut- tura pilotassica della massa: queste forme sono generalmente /ucies di salbande. Risulta quindi che, meno rarissime eccezioni , le rocce lamprofiriche sarde sono di tipo diabasico e spessartitico, e caratteristiche per la forma a liste e l’i- diomorfismo dei feldispati in confronto agli elementi colorati. Raramente l’augite è idiomorfa rispetto ai plagioclasi ; tale idiomorfismo è più comune per gli anfi- boli bruni di alcuni tipi anfibolici ed è costante per l’olivina. Non è possibile tuttavia stabilire una netta distinzione tra i tipi strutturali esposti, perchè essi passano insensibilmente l'uno nell'altro, sovente in una sola e limitata massa filoniana. a. Spessartiti diabasiche Le spessartiti diabasiche sono caratteristiche per le regioni granitiche del nord della Sardegna: la Gallura e l’isola della Maddalena. In quest’ isola, come pure lungo le coste nord, e presso il Palan predominano i tipi senza olivina e a pla- gioclasi acidi. Nei dintorni di Tempio, invece, ed in alcuni punti della massa del Limbara predominano le tipiche spessartiti diabasiche , ricche in olivina e a labradorite-bitownite. Nelle regioni granitiche della parte centro-orientale e meridionale dell’isola hanno maggiore diffusione le tipiche spessartiti ad anfibolo prevalente, che presen- tano i diversi tipi strutturali sopra accennati. Atti — Vol XII- Serie 22°— N° 9. 7 Spessartiti diabasiche oliviniche Le spessartiti diabasiche oliviniche dei dintorni di Tempio Pausania sono rocce a grana fina o finissima, di colore grigio-verdognolo, più chiaro nelle varietà meno fine, assai scuro nei tipi compatti, quasi afanitici. Nelle prime si distinguono nettamente ad occhio nudo le listerelle di ar pre: tra le quali sono interposti i minerali colorati. I minerali essenziali di queste rocce sono l’augite e miscele di labradorite- bitownite e olivina. Accessori: oligoclasio-albite, anfibolo, biotite, quarzo, magne- tite titanifera, apatite. Secondari: clorite, serpentino, calcite, prehnite, muscovite, caolino. La struttura è granulare , eccezionalmente porfirica olocristallina diabasica, caratterizzata dall’idiomorfismo dei feldispati e dall’ allotriomorfismo dell’ augite rispetto ai plagioclasi. Ne risulta una grossolana struttura intersertale, tipica delle rocce diabasiche. Nelle varietà più grossolane le listerelle di feldispato misurano, secondo lo spigolo d’allungamento (001) (010) da 1 a 3 milimetri. Le due leggi di gemi- nazione, secondo Carlsbad e l’albite, sono quasi sempre associate, e nelle liste più grosse è generalmente alquanto marcata la struttura zonale, data da un sottile mantello acido che sfuma rapidamente in miscele basiche. Questi feldispati listiformi appartengono a miscele variabilissime, che sono comprese fra la labradorite e l’ anortite, con il mantello costituito da miscele albi- tiche-oligoclasiche. Mancano invece quasi del tutto le miscele intermedie tra gli oligoclasii basici e l’andesina-labradorite, come si rileva dalle proprietà ottiche e sopratutto dalla separazione dei componenti mediante i liquidi pesanti. Le miscele plagioclasiche basiche presentano i seguenti caratteri. Valori del- l'estinzione nei doppi geminati: I Il 15 38 19 35 20 39 9 28 27 37 19 42 26 34 22 40), Nelle porzioni separate nei liquidi di p. sp. compresi tra 2.70-2.75 abbon- dano i feldispati basici, a indici di rifrazione compresi tra 1.556 e 1.588. Talune lamine di sfaldatura mostrano le proprietà ottiche caratteristiche per miscele bi- townitiche vicinissime all’anortite. tt e e ce pa e È dg RU. p{—“_£x__z_ è... SEG In lamine di sfaldatura secondo (001) l'estinzione nelle lamelle di gemina- zione secondo la legge dell’albite va da 22° a 30°, e in qualche rara lamella rag- giunge 32°. Da esse esce, con forte inclinazione , un asse ottico. Alcune lamelle secondo (010), dalle quali esce pure con notevole inclinazione un asse ottico, mo- strano un angolo di estinzione (aa) di circa 30°. Fra 2.62 e 2.64 si separano una certa quantità di feldispati dai seguenti caratteri. Lamine secondo (010) estinguono a 10°-18° (aa); da esse escono all’in- circa normalmente le bisettrici positive. Lamine secondo (001), a geminazione po- lisintetica , presentano una estinzione di pochi gradi (aa = 2°-3°). La rifrazione è la seguente: È a <1,534 cd>a- cb= giallo bruno verdognolo A =giallognolo chiaro Frequentemente l’anfibolo bruno è circondato da un mantello di anfibolo verde (cc—= 18 ‘/. su (010)). In queste rocce sono abbondantissime le plaghe irregolari di clorite accom- pagnata da epidoto. Fra i prodotti secondari abbonda anche la calcite. Fra le pla- ghe feldispatiche si osservano inoltre frequenti e limpidi granuletti di quarzo. La magnetite titanifera e l'apatite abbondano. Nella roccia, che forma il potente filone che affiora al Chm. 89 della linea Tonara-Sorgono, si osservano delle plaghe incluse a guisa di lenti o filoncelli, di colore più chiaro della massa rocciosa principale, i quali risultano costituiti da larghe plaghe di feldispati di Ca e Na, della stessa natura di quelli che formano la roccia includente, e da numerosi cristalli prismatici, nettamente idiomorfi, di anfibolo bruno, per lo più geminati secondo (100), i quali solo raramente sono circondati da un sottile mantello di anfibolo verdognolo. In queste lenti mancano le larghe piaghe cloritiche, e anche il quarzo sembra manchi del tutto; soltanto qua e là piccole squamette cloritiche sono incluse nei feldispati, i quali, al pari di quelli della roccia includente, sono alteratissimi, e anche qui fra i prodotti di alterazione predominano le lamelle di muscovite e la | prehnite. La struttura di queste plaghe è quindi nettamente granulare panidiomorfa. senza traccia alcuna di struttura diabasica, che si palesava ancora nella roccia includente. Esse sfumano insensibilmente nella roccia madre, e più che inclusi credo che debbansi considerare come segregazioni più antiche dello stesso magma. Esse sono infatti più basiche della roccia includente, e sono prive di augite e di quarzo, che sono fra i componenti più giovani della roccia principale. Queste segregazioni basiche forniscono inoltre la prova, che l’anfibolo bruno è di formazione primaria e che esso si è separato dal magma prima e contempo- raneamente dei feldispati, e che quindi è più antico dell’ augite. Questi filoni ricordano assai quelli delle spessartiti di Ehrbach presso Heppen- heim nell’ Odenwald. Essi mostrano alle salbande delle notevoli differenze strut- turali. La roccia diviene afanitica, grigio bruna, e mostra soltanto qualche piccolo incluso di quarzo e di pirite. La struttura microscopica è porfirica, presentandosi gli elementi colorati in due generazioni. L'alterazione, avanzatissima, con abbon- dante formazione di calcite, clorite, epidoto ete., maschera in gran parte la strut- tura e la composizione originaria della roccia. Nel filone che affiora tra le cantoniere 60 e 61 sono frequenti gl’ inclusi della granitite attraversata dal filone stesso. La roccia filoniana a contatto cogli inclusi granitici è di natura odinitica e in tutto simile a molte odiniti filoniane dell’ 0- denwald e dell’ Adamello, ATTI— Vol X7/- Serie 22- N09. o ai ig to ia rio sg ipa ia» da Nella roccia, finissima, afanitica, si scorgono al microscopio piecoli interclusi di labradorite, e plaghe cloritiche a forme anfiboliche e pirosseniche. Alcuni pic- coli cristalli di pirosseno monoclino, quasi incolore in lamine sottili (cc 43 su (010)), sono ancora conservati. La massa fondamentale consta di un tessuto finissimo, a struttura pilotassi- tica, di listerelle plagioclasiche e di microliti pirossenici e anfibolici. Anche in queste forme odinitiche abbondano i granuletti di magnetite. Molti altri filoni che attraversano la granitite nei dintorni di Sorgono con- stano di rocce analoghe alle descritte, generalmente a grana minuta e assai al- terate. I filoni di Arbatax al Capo Bellavista sono strutturalmente analoghi a quelli di Sorgono: soltanto la loro natura è alquanto più basica, ed è anche maggiore la quantità del pirosseno allotriomorfo rispetto al plagioclasio. Le liste feldispatiche, a marcata struttura zonale, constano di mantello oligoclasico, mentre il nucleo sale a miscele di labradorite basica e di bitownite. L’augite passa all’anfibolo chiaro; e si osserva, non abbondante, un an- tibolo bruno in cristalli idiomorfi, il quale passa anch’ esso all’ anfibolo chiaro. I caratteri di questo minerale sono simili a quelli già descritti parlando dei filoni di Sorgono. Anche qui abbondano le plaghe cloritiche, accompagnate da epidoto e da calcite secondaria; accessori si notano alcune squamette di biotite e alcuni granuletti di quarzo. Il filone di Capo Arbatax, che contiene inclusi frammenti di felsofiro, è a grana finissima e consta di sottili listerelle idiomorfe, di miscele di andesina e labradorite, tra le quali è frammisto l’anfibolo verde bruno, l’augite e la biotite. I silicati di Mg e Fe sono in gran parte allotriomorfi rispetto al feldispato, e in questa roccia sembra che anche l’anfibolo bruno derivi in parte dall’augite. Anche la biotite sì insinua tra le liste di plagioclasio, che sono sovente incluse in essa. Non mancano i granuletti di quarzo, e abbonda l’ apatite. È} invece scarsa la magnetite. Per alterazione in questi filoni scompare sovente ogni traccia di anfibolo bruno, risultandone invece plaghe cloritiche, associate a prismetti di anfiboli chiari a epi- doti e a calcite. Allo stesso gruppo di rocce lamprofiriche, d’ aspetto e composizione diabasica ed a struttura intermedia tra la granulare panidiomorfa e l’ intersertale, appar- tengono la maggior parte dei filoni dei dintorni di Nuoro. Questi filoni nella regione granitica del Nuorese sono numerosissimi, e con di- rezione N-S attraversano la granitite. Nei muricciuoli che servono di confine tra i terreni coltivati, o che fiancheggiano le strade mulattiere, frammiste ai bloc- chi di granito sono numerosissimi quelli di rocce lamprofiriche oscure. Queste rocce vengono generalmente anche qui impiegate per la manutenzione stradale. I componenti essenziali di queste rocce sono la labradorite e 1’ anfibolo verde; l’au- gite manca del tutto in alcuni filoni (p. es. presso la stazione di Prato, e in alcuni Milan ODA, UNITI: pe filoni di 1-2 m. di potenza della regione Dellighinori dove si dividono le mulat- tiere per Orune e per Ollore) o si trova in piccola quantità a formare il nucleo delle plaghe anfiboliche (p. es. nei filoni presso Nuoro, lungo la via per Orosei). Il feldispato è listiforme, assai conservato, e appartiene, a seconda dei filoni. a miscele acide o basiche della labradorite. Talora la periferia dei cristalli è no- tevolmente più acida. Qua e là, ma scarsi, si notano anche alcuni interclusi di feldispati, di Ca e Na, generalmente assai più alterati dei feldispati listiformi. L’anfibolo verde, o verde giallognolo, forma cristalli allungati fibrosi, o fasci fibrosi interposti tra le liste plagioclasiche. Esso forma molte plaghe irregolari . o a grossolani contorni idiomorfi, formate dall’ irregolare aggregazione di fibre an- fiboliche, intrecciate e frammiste a squamette di biotite. Questo anfibolo ha l’aspetto e i caratteri dell’anfibolo uralitico, e credo che esso provenga intieramente dal- l’augite. In alcuni filoni infatti si nota ancora, come nucleo di plaghe o di cri- stalli anfibolici, l’augite rosea fresca, che passa all’anfibolo verde. L’anfibolo bruno è assai scarso, ed è associato al verde. I caratteri ottici di questo minerale corrispondono a quelli già ricordati parlando delle analoghe rocce della Gallura e dell’ isola della Maddalena. Accessori ricorderò la biotite, l’apatite e la magnetite titanifera. Le varietà di queste rocce più minute e prive di augite ricordano le spessar- tite di Oberhessenbach nello Spessart, le quali però sono più ricche in biotite e mostrano in maggior grado l’idiomorfismo dei silicati di Fe e Mg che non le corrispondenti rocce del Nuorese. b. Spessartiti projiiainente dette a struttura granulare panidiomorfa 0 porfirica Appartengono a questo tipo di rocce lamprofiriche molti filoni dell’isola di Caprera, alcuni del massiccio del Limbara, e molti fra quelli, che attraversano la granitite al Capo Bellavista e al Capo Carbonara. Sono rocce grigio-cenerognole, o grigio-brunastre, raramente verdognole, che presentano, se a grana non troppo fina e minuta, l’aspetto di dioriti minute. Assai più che nelle spessartiti diabasiche è frequente la struttura porfirica, resa palese talora anche macroscopicamente per piccoli e frequenti interclusi fel- dispatici., I componenti essenziali di queste rocce sono i feldispati di Ca e Na e l’an- fibolo bruno e verde; l’augite è accessoria, o manca affatto. In molte di queste rocce noto inoltre, accessorio, il quarzo. Molti filoni di Caprera, d'aspetto di microdioriti , constano di larghe la- mine di feldispati di Ca e Na, assai alterati, e da numerosissimi cristalli idio- morfi di anfibolo bruno e verde. Qua e là spiccano molti grossi interclusi di pla- gioclasio alteratissimo e plaghe idiomorfe a contorni anfibolici di 1-2 mm. tra- sformati in serpentino o in clorite. L’ augite è scarsa e si trasforma in anfibolo verde ed in clorite. Il quarzo si presenta in granuli allotriomorfi tra i feldispati. Fra i prodotti secondari abbondano la muscovite, il caolino, l’ epidoto, la cal- = ig cite, forse anche la prehnite, e prodotti leucoxenici, che derivano dalla magne- tite titanifera. Alcuni filoni del massiccio del Limbara, presso il Santuario di N. S. della Neve, e tra Punta Bandiera e Punta Balestrieri, sono a finissima struttura por- firica, olocristallina, con piccoli interclusi feldispatici alterati, augite incolora in piccoli cristalli nettamente idiomorfi (cc = 43°), altri cristalli di anfibolo giallo brunastro, anch'esso in cristalli nettamente idiomorfi, in una massa fondamentale formata da listerelle di labradorite, e da una seconda generazione di augite e an- fiboli. Pochi granuli di quarzo. Molti di questi filoni sono alteratissimi, e fra i prodotti secondari predominano la clorite, l’ epidoto e la muscovite. Moltissime di queste rocce filoniane di Ca- prera sono così alterate da rendere impossibile una diagnosi di esse. Fra i filoni del Capo Bellavista appartiene a questo tipo, fra quelli da me esaminati, un potente filone tra la granitite e il porfido granitico, che netta- mente affiora lungo il mare in una piccola insenatura dell’ estremità est del pro- montorio. La massa compatta grigio-cenerognola della roccia consta di listerelle e ta- volette di feldispati di Ca e Na e di piccoli e abbondantissimi cristalli idiomorfi di anfibolo verde bruno olivastro. Questo forma tozzi prismetti a nette terminazioni e presenta i soliti caratteri dell’anfibolo bruno di queste rocce. Si scolora rapida- mente e si trasforma in clorite. In molte plaghe cloritiche si osserva ancora il nucleo anfibolico. Il quarzo è accessorio, e abbondano i prodotti secondari come nelle rocce ana- loghe di Caprera. In alcuni punti del filone la roccia assume struttura porfirica. Alle salbande la composizione e la struttura non cambiano; la roccia è soltanto più minuta. Questo filone manda nella granitite incassante numerose e fine apofisi, che si diramano e serpeggiano nel granito e presto scompaiono. Queste apofisi sono ne- rastre, più oscure del filone principale e minutissime, afaritiche; constano di mi- nutissime listerelle di labradorite, che s’ intrecciano fra loro, e tra le quali sono interposte plaghette allotriomorfe cuneiformi, che risultano costituite dall’ aggre- gazione di minutissimi prismetti fibrosi di anfibolo bruno e verde, unitamente a minutissimi granuletti di magnetite. In questa massa finissima, la cui struttura si avvicina alla pilotassitica, sono sparsi rari e piccoli interclusi di feldispato, alterato. Manca il quarzo. Queste apofisi si avvicinano al tipo odinitico presen- tato dai filoni di piccolissima potenza, tanto frequente anche nella medesima loca-: lità. Allo stesso tipo spessartitico appartengono altri numerosi filoni, che ovunque s'incontrano nel granito di Capo Bellavista, nelle grandiose Cave di Arbatax, come pure lungo la costa orientale fino nel granito di Porto Frailis. Lungo la costa tra Porto Giunco e l’estrema punta di Capo Carbonara sono frequenti i filoni di spessartiti anfiboliche a struttura porfirica panidiomorfa. La loro potenza raggiunge talora i 5-6 metri; essi sono diretti N-S o N 20°-30° O, in- clinando per lo più a est. I filoni più potenti hanno l'aspetto di rocce dioritiche a grana fina, a strut- tura porfirica, e constano essenzialmente di miscele oligoclasiche ed andesiniche, e È Su; pn ; di ida bruno giallognola, in cristalli idiomorfi, c- = 14° su (010), ec anfibolo verde, cc= 17° su (010). L’ anfibolo verde, oltre che dal bruno, sembra derivi in parte dall'augite, che forma talora il nucleo dei cristalli di anfiboli. Gl’interclusi di feldispato, alteratissimi, sembrano anch’ essi non più basici dell’ andesina. Quarzo, magnetite e apatite, accessori. Abbondano , fra i prodotti : secondari, la clorite, l’epidoto, la calcite, la muscovite, etc. Spessartiti analoghe a questa non mancano a Capo Bellavista. Fra esse si distinguono alcuni tipi a struttura granulare panidiomorfa, ad anfibolo primario, bruno e verde, prive di augite, e a miscele oligoclasiche-andesiniche, raramente con termini acidi della labradorite. In queste rocce, oltre il quarzo, si nota l’apa- i tite abbondantissima, la magnetite e la titanite. - Queste rocce sono simili alle spessartiti di Ehrbach presso Heppenheim nel- i l’Odenwald. i ; Verso le salbande queste rocce si tanno finamente granulari, conservando la stessa composizione e struttura granulare o porfirica panidiomorfa ; sovente la quan- tità dell’anfibolo aumenta notevolmente e si hanno /acies odinitiche. Nelle spessartiti finora descritte la biotite o manca del tutto, o si trova in piccolissima quantità. In una piccola insenatura della costa, appena a sud di Cala Burrone a Capo Carbonara, si notano due filoni diretti all'incirca N 30°-35° O, fi inclinati fortemente a E, potenti un m. o poco più, costituiti di spessartiti, nelle quali accanto all’anfibolo vi è biotite prevalente. Inoltre queste rocce mostrano una apparente scistosità, e sulle facce di più facile sfaldabilità di esse si osservano già colla lente minutissime squamette brune, micacee. Sono rarissimi e assai pic- coli gl’interclusi feldispatici. I componenti essenziali di queste spessartiti, sono feldispati di Ca e Na (an- desina basica e labradorite acida prevalente, gl’individui maggiori sono costituiti da miscele basiche della labradorite) in forma di tozze listerelle, allungate secondo (010) (001) e di individui tozzi, tabulari secondo (001) e (010). Fra queste liste- relle si nota una seconda generazione di plagioclasi in granuletti, frammisti a po- chi granuletti di quarzo. L’anfibolo, verde bruno, o verde erba, si presenta in cristalli fibrosi, dai prismi di circa ‘/, mm. a microliti minutissimi (estinzione in lamine di sfaldatura cec=16°17°. Associata all’anfibolo si trova in notevole quantità la mica bruna. L’apparente scistosità di queste rocce è data da un certo parallelismo degli ele- menti colorati. I prismetti anfibolici sono grossolanamente disposti in piani pa- ralleli. Questa disposizione non mi sembra però dovuta a cause dinamiche, ma piuttosto a una disposizione fluidale dei componenti, e quindi a una struttura ori- ginaria della roccia. Queste rocce sono simili ad alcune porfiriti anfiboliche micacee della Valletta di Sonico nel gruppo dell'Adamello. In queste di Capo Carbonara il feldispato è al- quanto più basico di quelle delle equivalenti rocce della Val Camonica. -— Cia, fica e fi SP dti i, SS ie ia » EE SRI Fitoni lainprofirici di tipo odinitico Filoni di vere rocce odinitiche, simili a quelle che attraversano le rocce gab- briche dell’ Odenwald o le dioriti basiche dell'Adamello, sono assai scarsi in Sar- degna. Più che veri filoni odinitici si riscontrano sovente ./acses odinitiche dei filoni spessartitici, o alle odiniti si possono talora riferire sottili filoncelli, per lo più apofisi dei maggiori filoni spessartitici. Molti filoni di spessartiti passano alle salbande a tipiche Yacies odinitiche. Queste rocce, con maggior frequenza si osservano a Caprera e al Capo Bella- vista. Sono rocce finissime, afanitiche, oscure, talora a struttura finamente porfirica. Gl'interclusi feldispatici sono per lo più trasformati in lamine muscovitiche. I più piccoli sono generalmente i meglio conservati e risultano costituiti da mi- scele basiche della labradorite e da bitownite. I II 15 4l 21 4), 45 5 31 31 36 24 32 Sezioni secondo (010) estinguono a 26°-27°, e da essa esce, con notevole in- clinazione, un asse ottico. ; Sono inoltre frequenti le plaghe cloritiche, per le quali non è dato stabilire quale fosse il minerale originario. Altre volte queste piaghe irregolari sono riem- pite da un intreccio anfibolico di color verde pallido, ed è probabile che tali plaghe rappresentino scomparsi cristalli di augite. In alcuni filoni abbondano, fra gl’in- terclusi, prismi sottili e allungati di anfibolo bruno, i quali gradatamente scen- dono fino ai microliti anfibolici della massa fondamentale. Questa è formata da. un finissimo intreccio di prismetti anfibolici verdi, raramente bruni, tra i quali vi sono listerelle e plaghette di feldispato striato. Nella massa sono poi sparsi numerosi e minutissimi granuletti di ossido di ferro. Talora in queste rocce è incluso qualche granulo di quarzo, arrotondato e circondato da una corona di microliti anfibolici. Sembra trattarsi di inclusi, estranei alle rocce filoniane. Rocce filoniane di Capo Bellavista (Tarole I-VII) Il Capo Bellavista è costituito da 5 potenti filoni, diretti N. S.. di rocce por- firico-granitiche, che attraversano la granitite. Il La Marmora e il Vom Rath considerano solo 4 filoni, trascurando il filone occidentale di S. Gemiliano. Da O. a E. questi filoni sono: 1.° Filone che costituisce la cresta più bassa del promontorio su cui si trova la chiesuola di S. Gemiliano, e termina a mare verso sud col promontorio della Torre di San Gemiliano. La roccia di questo filone è un porfido granitico grigio, a grana grossolana nettamente porfirica, e si distingue facilmente dai por- fidi rossi, che costituiscono i filoni verso oriente. 2.° Il secondo filone principia presso la Stazione di Arbatax, dove si vede nettamente tagliato dalla trincea della strada provinciale. Forma la cresta che si mantiene a occidente della mulattiera, che dal porto sale al Semaforo, e termina in mare, verso sud, al porto di Frailis, alquanto a ovest della Punta Frailis (vedi tavola I, fig. 1). 3.° Il terzo filone principia a mare al promontorio a est del Porto di Ar- batax, dove è aperta la grande cava pel prolungamento del molo, lambe Cala Morisca, è tagliato dalla strada, che conduce al Semaforo e che per un certo tratto corre su esso, e termina a sud a P. Frailis, alquanto a est di essa (vedi tavola I, fig. 2 e tavola II, fig. 2). 4.° Il quarto filone, che nettamente, a guisa di muraglione bizzarro, s’al- lunga in mare all’estremità E. della Cava di Arbatax, costituisce il promontorio che chiude a N e NNO Cala Morisca, e l’attraversa per continuare verso sud «a formare la maggiore cresta, sulla quale sorge il Faro ed il Semaforo (vedi tavola III, fig. 1e 2). 5.° Finalmente l’ultimo filone costituisce il rilievo minore, che verso mare corre parallelamente al rilievo maggiore, ma che verso sud si confonde con quello, ed è ben visibile nella veduta della costa Sud di Cala Morisca (vedi tavola III, fig. le 2). Questi filoni sono separati fra di loro da avvallamenti, i quali si trovano nella granitite. Talora la granitite entra in un filone e lo suddivide in più rami, i quali poi di nuovo si riuniscono a formare l’unico potente filone. Ciò si osserva netta- mente nella veduta della costa N. di Cala Morisca, dove il filone di porfido rosso che costituisce il promontorio si vede, in basso, suddiviso in quattro rami, fra i quali è insinuata la granitite. Questi maggiori filoni ed il granito fra loro compreso sono attraversati da numerosi e poco potenti filoni di rocce lamprofiriche. La grandiosa cava di Arbatax presenta una sezione splendida e assai istrut- tiva per mostrare i rapporti tra queste rocce. VA ne vp ne Si dn Li. a Rio pela Nella primavera del 1901 erano cinque i filoni lamprofirici messi alla sco- perta dal taglio. La loro direzione poco si scosta da N. S. Essi attraversano talora intieramente il granito (vedi fig. 1 della tavola VII); altri stanno per intero nel porfido (vedi tavola IV, fig. 1); altri ancora sono insinuati tra il granito ed il porfido (vedi fig. 2 della tavola VII); o lungo il percorso passano dall’una all'altra forma litologica. come, p. es., il filone rappresentato nella figura 2 della tavola VI, il quale in basso traversa il granito chiaro e in alto il porfido rosso: talvolta si suddividono in più rami o mandano sottili e ramificate apofisi nelle rocce incas- santi (vedi fig. 1 e 2 della tavola Vi). Lungo la frastagliata costa orientale e meridionale del promontorio a nord di Cala Morisca i filoni lamprofirici sono nettamente denudati dall’ erosione ma- rina, e pel loro colore bruno verdognolo intenso si differenziano a distanza dagli incassanti porfidi rossastri o dalle biancheggianti granititi. La fig. 1 della tavola VI rappresenta uno fra i più evidenti di questi filoni, il quale è intieramente nel porfido rosso, che a sua volta è incassato nella granitite. La direzione di questo filone, fortemente raddrizzato con inclinazione a est, è di circa N 25°30° 0, e la sua potenza è di circa 4 m. ce Un'altro filone, poco lontano da questo, si vede verso l’estremità destra della figura 1 della tavola III. È un potente filone (3-4 m.), che a mare attraversa il granito, per proseguire più in àlto intieramente nel porfido. Nel versante N, questo filone è rappresentato dalla fig. 2 della tavola VII; e un dettaglio dello stesso da sud è visto nella fig. 1 della tavola V. Sono interessanti le apofisi di carattere odinitico che questo filone invia nella granitite incassante e che sono visibili nella figura 1 della tavola III e nella figura 1 della tavola V. Questi stessi filoni si vedono nettamente proseguire la loro strada attraverso il porfido ed il granito della costa a sud di Cala Morisca (vedi tavola III) e qua e là compaiono con notevole frequenza lungo l’intiero promontorio a Capo Bellavista e ricompaiono nettissimi a sud, lungo la costa della Punta e del Porto di Frailis. Anche il porfido che fcrma la cresta della penisola di San Gemiliano, e la granitite che affiora alla base e che comprende il’ porfido, sono attraversati da parecchi e potenti filoni lamprofirici. III. ZONE DI CONTATTO 1. Antecedenti osservazioni I fenomeni di metamorfismo di contatto esercitato dal granito sugli scisti cristallini azoici e sugli scisti argillosi e filladici siluriani, nonchè sui calcari paleozoici, vennero con moderno criterio posti ovunque in rilievo dal La Marmora nella sua classica opera. Nelle descrizioni delle singole aree di contatto, che andrò descrivendo nelle pagine seguenti, io avrò sovente occasione di ricordare le antiche osservazioni del La Marmora su tali rocce di contatto, e mi limiterò qui a ri- SE; geS portare quanto egli scrisse in proposito nelle considerazioni generali premesse al 2° volume della Description géoloyique: « Nous croyons pouvoir attribuer à la prè- sence et au contact des granites et des pegmatites (roches qui forment entre elles un passage continuel) les principales modifications, que l’on observe dans les terrains paléozoiques ; d'abord, le changement des schistes siluriens en schistes cristallins, qui sont toujours plus abondants dans les regions où la masse granitique est plus considérable; ensuite la modification des calcaires anciens, qui, au contact du granite ou de la pegmatite, deviennent suberistallins, dolomitiques et méme friables suus la simple pression des doigts. C'est probablement à cause de l’apparition des granites au dessous des depòts siluriens que la base de ces derniers a été fortement péenétrée de matière feldspathique et siliceuse , au point de former les leptynites et les quarzites rubanés, ainsi que les bancs de pierre lydienne, que l’on rencontre sì souvent dans une position intermédiaire entre ces deux terrains ». Vedremo appunto in seguito come le leptiniti et le quarzites rubanés del La Marmora corrispondano a diverse varietà di hornfels a mica, andalusite, cor- dierite e feldispato, più o meno ricchi in quarzo. Anche il Fournet constatò il metamorfismo esomorfo esercitato dal granito sugli scisti, quantunque mi sembra che egli riferisca a tali prodotti metamorfici anche le segregazioni oscure micacee del granito stesso (La Marmora, 1° Vol. pag. 440). Scisti cristallini azoici e filladi siluriane metamorfizzate dal granito e tra- sformate in scisti a noduli, in scisti ad andalusite ed in hornfels, ricorda più volte il Lepsius nel suo breve schizzo geologico sulla Sardegna: « An mehrerer Orten ist der Thonschiefer iiber dem interlagernden Granit in Andalusit- Frucht- und Knoten Schiefer umgewandelt: so am Capo Teulada und in gròsseren Mas- sen am Monte Linas (N-0 v. Iglesias). In den oberen Zonen treten schwarzen, dichte Kalksteinbinke zwischen den Schiefern auf; dieselben sind an einigen Orten, so im Valle d'Oridda, in grauen und weissen zuckerkérnigen Marmor an der Grenze gegen den Granit umgewandelt: der Marmor wird dicht am Granit oft so grobkéòrnig, dass er zu einem groben Grus von Krystallkòrnern zerfàllt.... Auf dem Siidende der Asinara tritt der Granit hervor, welcher die unmittelbar anflagernden Schichten zum Theile in Andalusit-Schiefer umgewandelt hat... In den Bergen des Gennargentu sind die untersten Silur-Schiefer unmittelbar auf dem Granit in gebinderten Hornstein vertindert ». Uno scisto filladico a macchie di Riu is Arrus presso Flumini maggiore è descritto da Cossa e Mattirolo, i quali lo paragonano agli scisti a macchie di Tirpersdorf in Sassonia. Le macchie risultano formate dall’ aggregazione degli stessi componenti la roccia, ossia minute lamelle di mica incolore, frustagli di mica magnesiaca bruna e corpuscoli bruni opachi probabilmente di grafite. La Atti — Vol. XII— Serie 22—N0 9. 9 ILE, AR PES <> GE composizione di questo scisto è la seguente : Sto, 57.83 A1,0, 20.55 Fe,0, 8.73 Cao te: M90 3.39 K,0. 3.32 Na,0 0.93 Perd. Cale. 3.97 98.71 Il Bucca descrive hornfels quarzoso-biotitici, inclusi nel granito bruno di Arbus, nella regione Crabulazzu e aggiunge: « La roccia inclusa è uno scisto, che ha però assunto la sua struttura cristallina per azione di metamorfismo. In- fatti il granito bianco dell’Arbus attraversa gli scisti argillosi siluriani renden- doli al suo contatto completamente cristallini e trasformandoli completamente in pietra cornea (hornfels) quando li ha racchiusi ». Anche il Vom Rath nelle due relazioni dei suoi viaggi in Sardegna de- scrive più volte i rapporti tra graniti, scisti e calcari a contatto, e nelle singole descrizioni avrò occasione di ricordare le sue osservazioni. Ma la regione in Sardegna nella quale i fenomeni di metamorfismo di con- tatto sono finora meglio conosciuti è il Sarrabus. Le prime notizie a questo proposito si devono al Lacroix, il quale ricorda uno scisto micacco di contatto ed una roccia a quarzo, andalusite e miche, di Masaloni. Nel 1893 poi, il Traverso nelle due memorie, Quarziti e scisti meta- morfici del Sarrabus e Associazione di minerali di contatto nella miniera di Gio- vanni Bonu , fa conoscere e descrive con dettaglio petrografico una interessante serie di rocce metamorfiche, le quali voglio qui brevemente ricordare, anche perchè la regione esaminata dal Traverso non entra nel campo delle mie ricerche. Gli scisti filladici argillosi, riferiti al siluriano, avvicinandosi al granito divengono micacei, acquistano struttura a noduli o a macchie per concentrazione di sostanze carboniose e di squamette micacee. Più vicino al granito sì arric- chiscono in andalusite, la quale si presenta in cristallini allungati, generalmente disposti parallelamente ai piani di scistosità e passano poi a scisti nodulosi a chiastolite, finchè a immediato contatto col granito divengono compatti, silicei ed estremamente ricchi in biotite e in andalusite. « Gli scisti a chiastolite » sog- giunse il Traverso «corrispondono al tipo Huelgoat descritto dal Lacroix per il siluriano di Bretagna; mentre l’insieme degli scisti metamorfirici, passanti gradualmente, dai più compatti e macliferi, ai semplici micascisti, parmi stia più o meno regolarmente a rappresentare i tre stadii stabiliti dal Rosenbusch per le rocce della Valle di Andlan ». Secondo le descrizioni del Traverso si tratterebbe quindi di filladi quarzoso-micacee di contatto e di hornfels scistosi ad andalusite, del tutto privi di elementi feldispatici. Assai interessanti sono le quarziti metamorfiche del Sarrabus, le quali sono CR — A ricche in pirosseni monoclini verdognoli, che talvolta si trasformano in attinoto, in rutilo, zircone, sfeno, miche, epidoto, zoisite; e in quelle di Gio- a vanni Bonu e di Monte Narba è notevole la quantità di wollastonite, colla quale si De trovano sovente associate la calcite e il granato grossularia. Interstratificata negli scisti quarzoso-cloritici, nella miniera di Giovanni Bonu, rinvenne il Traverso ; una lente costituita da una roccia metamorfica compatta e cristallina, la quale risulta costituita dai seguenti minerali: ferro ossidulato, pirosseno (diopside), gra- S nato, anortite, labradorite, saussurrite, sillimanite, calcite, cpidoto, quarzo e clorite. La roccia mostra inoltre di aver subito notevoli azioni dinamiche, posteriori al metamorfismo di contatto. Vedremo, che rocce analoghe di contatto, intieramente cristallizzate e essen- zialmente costituite da pirosseni, granati e feldispati basici, e che ricordano alcuni Kalksilicathornfels, io riscontrai in vari punti della Sardegna, ed è probabile che esse derivino dalla trasformazione di calcescisti o di scisti filladici quarzosi inter- H calati con lente calcari. Il Traverso riferisce alle rocce granitiche il metamor- fismo di contatto subito dalle rocce filladiche, mentre crede che le quarziti furono | maggiormente disturbate dalle porfiriti. | Hornfels scistosi a biotite, sillimanite, andalusite e biotite, di Gonari e di } Bonu, ebbi occasione di descrivere in una nota pubblicata nel 1897 nel vol. 15 del Bollettino della nostra Società Geologica; e contemporaneamente, nello stesso Bollettino, il Lotti ricorda scisti a macchie e a chiastolite di Villacidro e di Gonnos Fanadiga, pure a contatto col granito. 23 Zona di scisti gneissici di contatto di Caprera La presenza di rocce scistose nell'isola di Caprera è più volte ricordata dal Lovisato nelle sue note intorno alla presenza in essa dal granito e della tor- malina. Queste rocce sono a Caprera limitate alla Penisola di Punta Rossa, e affiorano lungo la costa N-E di Cala Portese. La granitite grigio chiara, o rossiccia, povera di biotite, passa insensibil- mente, in questa località, ad una roccia gneissica grossolana, assai ricca in tor- malina nera, la quale in campioni isolati si potrebbe ritenere una /acies pegma- titica della granitite, mentre nell'insieme questa formazione presenta una netta struttura scistosa, resa bene palese dalla disposizione in strati paralleli delle la- mine micacee. La composizione complessiva di questo gneiss a tormalina è la seguente: Quarzo, ortose, miscele acide oligoclasiche, biotite, muscovite, tormalina, granato, e in piccolissima quantità zircone e apatite. Il quarzo e l’oligoclasio si trovano in quantità all'incirca equivalente; il | primo in larghe plaghe irregolari e in aggregati granulari è sovente incluso nel feldispato, e contiene talvolta finissimi aghetti probabilmente di rutilo. L'ortose e l’oligoclasio (miscele acide) si presentano in cristalli tabulari talora di più mil- limetri (fino ‘/. cm. e più); essi non formano individui arrotondati a guisa di lenti , en pa come s’osserva sovente nel tipico gneiss, ma piuttosto costituiscono cristalli idio- morfi, come nelle /ucies pegmatitiche delle rocce granitoidi. L’ oligoclasio è so- vente circondato da un largo mantello di feldispato assai torbido, probabilmente ortose. La mica bianca, in pile di lamine, è generalmente sparsa nelle plaghe quarzoso-feldispatiche; la biotite invece forma zone tra loro parallele e stabilisce i piani di scistosità. La tormalina, talora abbondantissima, si presenta in cristalli prismatici, È frequente nettamente terminati da faccette di piramide trigonale. Comunemente i prismi misurano secondo [c] circa ‘'/ cm. Questa tormalina è descritta dal Lo - visato, il quale riporta di essa anche un'analisi chimica eseguita dal professor Fasolo di Cagliari. Il granato, leggermente roseo, si trova costantemente ma sempre in piccola quantità, ed esso è pure descritto dal Lovisato. Possiamo denominare queste rocce: gneiss tormaliniferi a due miche a facies pegmatitica, Dove la costa di Punta Rossa volge a sud, di contro all’isoletta della Pecora- si passa a rocce a deciso carattere gneissico, le quali specialmente verso sud, a contatto colla granitite della sottile lingua sud di Punta Rossa, acquistano de- ciso carattere metamorfico. Si hanno da prima, tra il granito della costa sud di Cala Portese e gli gneiss ad andalusite della costa est, dirimpetto all’ isola Pe- cora, delle /4cies gneissiche a netta struttura parallela, le quali in certi punti hanno l'aspetto quasi di granititi compresse a grana minuta. Constano di quarzo, di feldispato ortose e oligoclasio, raramente miscele acide dell’andesina, mica bianca e nera, quest’ultima prevalente, con piccole quan- tità di magnetite, zircone ed apatite. Tra le larghe plaghe di quarzo e di feldi- spato è quasi sempre interposto un finissimo miscuglio di piccolissimi individui di feldispato striato, mescolati a qualche raro granulo quarzoso e squamettine micacee. Il feldispato di tali zone appartiene generalmente a miscele acide di oligo- clasio-albite. Queste zone minute tra i maggiori cristalli non hanno l’aspetto delle zone di frantumazione per azioni dinamiche, che si osservano in molti graniti compressi e negli gneiss, ma ricordano piuttosto fenomeni di iniezione di un magma granitico nelle rocce scistose ci ircostanti , come si osservano frequentemente nelle aree di contatto. Anche macroscopicamente queste rocce hanno l'aspetto di scisti iniettati dal granito. A queste forme susseguono i gneiss di contatto ad andalusite, minuti, quar- zosi, a fine disposizione parallela e lenticolare dei feldispati (ortose e oligoclasio), a due miche, con tormalina, zircone e apatite. L’andalusite è frequente, e si pre- senta in sottili prismi rosei, associata alla biotite e alla muscovite. A queste rocce sono collegati altri gneiss a marcatissima struttura di contatto: essenzialmente formati da un impasto minutissimo di squamettine di biotite rosso-bruna, da mu- scovite e da granuletti di quarzo frammisto a poco feldispato, a cui sovente si aggiunge l’andalusite. Questi aggregati circondano i cristalli lentiformi dei fel- dispati (ortose e oligoclasio), le plaghe quarzose e le lamelle maggiori di mica. Fra gli elementi accessori si nota zircone, apatite e tormalina. La biotite di nuova formazione non solo in squamette ma sotto forma di sferuline, a guisa di gocciolette, è sovente inclusa nel quarzo e nel feldispato. Frequenti vene quar- zose attraversano questi gneiss. s — 69 — Nel loro insieme queste rocce lasciano ben riconoscere il loro originario ca- rattere gneissico; in alcuni punti della loro massa però sono quasi del tutto ri- cristallizzate e passano a hornfels scistosi, con andalusite e biotite. I fenomeni di metamorfismo di contatto, esercitati dalla granitite sulle rocce scistose gneissiche di Punta Rossa, se non molto intensi, sono tuttavia ben palesi; ed i loro prodotti sono rappresentati da gneiss di contatto ad andalusite, tormalina e granito; i quali passano, in una zona assai più limitata, a rocce metamorfi- che, che, pur conservando il carattere scistoso, sono in gran parte ricristallizzate. Inoltre, lungo la costa sud di Cala Portese, tra il granito e gli gneiss ad anda- lusite, si osservano fenomeni di iniezione del granito negli gneiss. 3. . Zona di contatto lungo la sinistra del Coghinas a nord di Tula Nella carta geologica del La Marmora è segnata una larga zona di scisti cristallini, che da Tula si estende a nord fin dove il Coghinas si dirige per alcuni chilometri in direzione E.0., ed è compresa tra la sovrastante massa trachitica del Monte Sassu e la formazione granitica della Gallura. Il limite tra le due formazioni sarebbe segnato dal corso stesso del Coghinas. Il La Marmora con- | sidera queste rocce scistose come appartenenti al siluriano e le chiama scisti tal- così e micacei. In realtà la formazione scistosa di questa regione è meno sviluppata di quanto appare dalla carta del La Marmora. Il granito non si arresta al corso del fiume, ma continua per lungo tratto ad affiorare (a sud del ponte della strada che va da Tempio a Sassari) anche sulla sinistra del Coghinas, e viene in alcuni punti a diretto contatto colle trachiti. Così il Monte Fradesbalzo si trova al limite tra il granito e la trachite rossa, bollosa; e soltanto poco a sud di questo rilievo montuoso affiorano, isolati nel granito, alcuni lembi di scisti cristallini. I rilievi montuosi della regione Contracana sono costituiti da granito, e soltanto alle case Su Lione principiano ad affiorare decisamente gli scisti. Proseguendo verso sud, per Su Melu, Turrina Manna, Castelluzzu, è un alternarsi continuo di scisti e di granito, e a immediato contatto fra le due rocce evidentissimi e frequenti si 0s- servano i fenomeni di iniezione del granito nella massa scistosa. Gli scisti di questa regione hanno aspetto filladico più che gneissico, e il metamorfismo di contatto da essi subìto se non molto intenso è però quasi sempre nettamente palese. Il carattere esterno della roccia normale, e la netta scistosità è sempre conservata anche nei tipi che maggiormente hanno subìta l’azione del | metamorfismo. Chiamo quindi queste rocce gneiss filladici di contatto, che, a seconda dei minerali di nuova formazione in essi prevalenti, si possono distinguere come | segue: 1.° Gneiss filladici di contatto a sillimanite (Monte Su Casteddu e Case Su . Lione). 2.° Gneiss di contatto a sillimanite e a cordierite (Case Multone). — 70 — 3.° Gneiss di contatto a cordierite con andalusite (Case Su Lione). 4.° Gneiss di contatto ad andalusite (lembi scistosi, versante sud del Monte Fradesbalzo). Nel loro complesso queste rocce poco differiscono fra di loro, e sovente in un medesimo corpo roccioso da uno straterello all’altro può trovarsi in prevalenza l’uno o l’altro dei minerali di contatto sopra ricordati. I gneiss di contatto a sillimanite delle Case Su Lione sono a grana minuta e uniforme, a struttura finamente parallela e compatta. Constano essenzialmente di quarzo in prevalenza, biotite rosso bruna, ortose, oligoclasio (scarso), sillima- nite, zircone, apatite e magnetite. La sillimanite forma fasci fibrosi, sovente a struttura raggiata, localizzata in nuclei, sparsi irregolarmente qua e là nella roccia. La biotite è sovente tras- formata in clorite, e in tal caso contiene finissimi aghetti di rutilo. Si presenta, oltre che in squamette e in lamine, anche in masserelle minute, o in gocciolette incluse nel quarzo. La muscovite è scarsissima in questi tipi, essa è invece abbon- dantissima nei gneiss a sillimanite del Monte Su Castedduzzo a circa 3 chilometri a nord di Tula. La sillimanite forma fasci fibrosi associati a fibre finissime, an- ch’ esse aggruppate a fasci di muscovite. In questa roccia è abbondantissima la mica di nuova formazione, la quale si presenta in sottili e minutissime laminette a contorni esagonali, di color bruno intenso, incluse nelle maggiori lamine di biotite giallo-bruna, nella muscovite e sopratutto nelle larghe lamine cloritiche, assai abbondanti in questa roccia. Questi gneiss a sillimanite e a biotite di M. Castedduzzo a immediato con- tatto col granito mostrano notevoli fenomeni di iniezione. Presso Case Multone questi stessi gneiss a fasci di sillimanite contengono larghe plaghe, costituite da finissimo aggregato micaceo, dell'aspetto e della strut- tura della pinite. Anche la forma di queste plaghe pinitiche ricorda talora la forma di sezioni cordieritiche; e quantunque noù si riscontri questo minerale inalterato, credo si possano ad esso riferire le plaghe pinitiche. In esse sono incluse con abbondanza la biotite bruna e il quarzo. Presso le Case Su Lione i gneiss a cordierite contengono anche, con frequenza, prismi di andalusite e raramente la sillimanite. Presso il Monte Fradesbalzo, dove i primi lembi di scisti vengono a contatto col granito, gli gneiss filladici di contatto sono essenzialmente andalusitici. Que- ste rocce a struttura finamente parallela e uniforme, assai ricche in due miche, hanno l’aspetto di gneiss filladici minuti normali, e la loro natura metamorfica si rivela al microscopio per la presenza di piccoli noduli, di qualche mm. di dia- metro, costituiti dall’accumulo di squamette biotitiche, associate a muscovite e ad andalusite. La sillimanite è assai scarsa, e la cordierite sembra mancare affatto, come pure i suoi prodotti di alterazione. Anche al Monte Fradesbalzo si osservano apofisi di granito in questi scisti di contatto; e talvolta questa intrusione è così intima, che ne risultano vere rocce di miscela, che si possono considerare come scisti iniettati. i i AI, god 4. Zona di contatto Fraigas-Ozieri-Vigne Lungo una trincea della strada, che dalla Stazione di Fraigas conduce a Ozieri, a pochi metri dal ponte sul Rio Manno, si osservano nel granito alcuni lembi scistosi di limitatissima potenza, i quali sono trasformati in tipici horn- fels compatti, micacei, andalusitici-feldispatici. A causa della piccola potenza di questi lembi scistosi, che affiorano lungo il taglio stradale, mancano i termini di passaggio dagli scisti normali filladici di Ozieri a questi hornfels, e si os- serva in questa località il solo prodotto finale del metamorfismo. Questi hornfels, che verranno in seguito ricordati ancora parlando della zona di contatto di quella località, ricordano strutturalmente alcuni di Bono. Constano essenzialmente di mica bruna, di andalusite e di feldispato; vi sono inoltre assai abbondanti la muscovite e il corindone; alcune piccole plaghe serici- tiche fanno inoltre sospettare, per la loro particolare struttura, l'originaria presenza della cordierite. La magnetite è scarsa; il quarzo è limitato ai filoncelli quarzosi che attraversano questi hornfels; nella massa metamorfica è assai scarso, e talora manca del tutto. L’andalusite forma raramente grossi cristalli a forma definita, ma piuttosto si presenta in innumerevoli granelli arrotondati, variamente corcresciuti insieme al feldispato ed alla biotite. È povera di inclusioni e non mostra quasi traccia di materie carboniose. Il feldispato forma granuli allotriomorfi, frammisti agli altri minerali; talora alcuni straterelli sono specialmente formati da questo mi- nerale: appartiene prevalentemente a miscele oligoclasiche e dell’ andesina, e in più piccola parte al feldispato alcalino potassico. Questi hornfels feldispatici si trovano sovente a immediato contatto col granito, dove formano una stretta zona; e vedremo in seguito come sì possono con ogni probabilità interpretare ammettendo una limitata iniezione feldispatica nella massa scistosa. Queste rocce, secondo la nomenclatura proposta dal Salomon, sl dovrebbero chiamare Hornfels-Astiti feldispatici o Hornfels-Edoliti andalusitici, a seconda della prevalenza dell’andalusite o del feldispato. Ad oriente di Ozieri, presso la fermata ferroviaria Vigne, gli scisti filladici quarzosi vengono a contatto col granito e si trasformano in hornfels scistosìi e compatti, a due miche, andalusite, quarzo e feldispato ; alcune plaghe sericitiche lasciano poi sospettare per la tipica loro struttura l'originaria presenza della cordierite. Nella stessa località sono frequentissimi, nei muricciuoli divisori, e che fian- cheggiano gli stradali ed i sentieri, dei blocchi di calcare cristallino, bianco 0 cenerognolo, sovente zeppo di grossi cristalli di granato rosso, e con mica, feldi- spato, anfibolo verde, anfibolo bruno, clorite, epidoto, titanite etc. CI e Questo calcare corrisponde perfettamente al calcare cristallino di contatto, che forma la sommità del Monte di Gonari. Dato il tempo limitatissimo, durante il quale potei trattenermi nei dintorni di Ozieri, non mì fu possibile riscontrare in posto questi calcari metamorfici. Data la frequenza dei blocchi, limitata nelle vicinanze della fermata Vigne, non deve essere lontano da questa località il con- tatto tra calcare e granito. - ). Zona di contatto Anela-Bono-Silanus È questa una regione della Sardegna dove l’azione del metamorfismo di con- tatto si è esercitata con maggiore intensità. Il Lamarmora ricorda più volte gli scisti chiastolitici di Silanus, di Illorai e della base del Monte Rosu, e a pro- posito degli scisti di Illorai dice: « Les cristaux de macle sont longs et comme argentés, et ils sont groupès entre eux en éventail, ou plutòt en guise de simuler l’empreinte de pied d’ oiseau. Le fond de la roche est d’un noir verdatre, sur le- quel se dessinent ces curieux groupes de cristaux, qui sont entrecroisés d’une manière si remarquable ». In una mia nota su alcune rocce sarde, pubblicata nel 1897, è descritto un hornfels ad andalusite, che rinvenni in grossi blocchi presso la stazione ferroviaria di Bono. In successive escursioni in quella regione, com- piute nella primavera del 1899 e del 1901, seguende le aree di contatto tra le rocce granitoidi e gli scisti, ho potuto meglio constatare la estensione e 1 intensità delle azioni del metamorfismo e trovare in posto l’hornfels raccolto a Bono, in- sieme ad altre varietà di rocce metamorfiche. Questi fenomeni di contatto si os- servano assai bene lungo il pendio orientale della Punta Manna e Punta S. Gior- gio, e precisamente percorrendo il sentiero, che dalla casina delle guardie forestali (m. 994) scende direttamente ad Anela. Lungo questo versante della montagna è un succedersi continuo di rocce gra- nitoidi e di scisti di contatto, i quali sono dati da micascisti e gneiss filladici di apparente aspetto normale a qualche distanza del granito, da tipici hornfels scistosi e compatti, intieramente ricristallizzati, a diretto contatto colla roccia granitica. Questi hornfels sono frequentemente inclusi nella roccia eruttiva, la quale a sua volta manda frequenti intrusioni negli scisti, che con tanta intensità metamorfizza. Le rocce granitoidi di questa località sono prevalentemente dioriti quarzoso-micacee, nelle quali i feldispati di Ca e Na sono dati da miscele di an- desina e di andesina-labradorite, con stretta zona periferica di oligoclasio. Queste rocce presso Anela sono prive di anfibolo, mentre a sud, verso Burgos, passano a tipiche granodioriti anfiboliche. Inoltre, percorrendo l’antica strada mulattiera Bono-Burgos-Esporlatu-Illorai,. che si conserva sempre a un notevole livello sopra la nuova strada provinciale, si ritrova il contatto presso Esporlatu. Da Bono a Burgos continua la regione gra- nitica, e alle granodioriti anfiboliche subentrano presso Esporlatu vere dioriti quar- zoso anfiboliche; il contatto fra queste rocce e gli scisti cristallini è segnato dal SAI Rio Molto, che divide la R. Su Sitta da R. Runculunnu. Appena passato il tor- rentello si ritrovano ovunque, in posto e in enormi blocchi lungo il sentiero, dei tipici hornfels compatti, essenzialmente cordieritici-feldispatici-biotitici, con va- rietà più o meno ricche in quarzo ed in andalusite. Seguendo un sentiero lungo le falde orientali della Punta S'Aspidarzu agli hornfels compatti subentrano hornfels scistosi, ancora ricchi dei minerali di con- tatto e specialmente di biotite, cordierite e andalusite nella regione Su Banzos: quindi più a sud, tra R. Chighine e Punta Puzzone si hanno gneiss e micascisti filladici di contatto, talora con poca andalusite, altre volte quarzoso-micacei e dal- l'aspetto di rocce normali; finchè a Illorai, riavvicinandosi al contatto col granito, si ritrovano hornfels scistosi andalusitici cordieritici, e queste rocce si osservano proprio affioranti sulla via presso il Cimitero di Illorai, dove il granito in nu- merose apofisi si insinua tra di esse. Percorrendo poi il sentiero, che dal Cam- posanto di Illorai scende direttamente alla Stazione ferroviaria, si tocca in più punti il contatto, osservandosi le solite rocce metamorfizzate, finchè presso alla ferrovia appaiono gli scisti neri a chiastolite, ricordati dal Lamarmora. Descriverò ora brevemente queste diverse rocce di contatto, cominciando dalle zone esterne per finire a quelle, che a contatto immediato colle rocce granitoidi hanno subìto più energico il metamorfismo. Le rocce scistoso cristalline a qualche distanza dal granito sono micascisti o micascisti filladici di contatto, assai quarzosi, ricchi in biotite e in muscovite, con tormalina, zircone, apatite, rutilo e ossidi di ferro; con sparso soltanto qua e là qualche raro aggruppamento di prismi di andalusite, associati alle miche. Sovente in queste rocce, a netta struttura scistosa, con straterelli a struttura e composizione normali, si alternano straterelli in parte o del tutto ricristallizzati, di composizione e struttura eguali a quelle degli hornfels scistosi e compatti, a cui passano. Lungo il pendio orientale della punta S'Aspidarzu nella R. Chighine affiorano gneiss minuti, sovente finamente pieghettati, a ortose e microclino, con raro gra- nato; questi gneiss manifestano sovente un primo e leggiero grado di metamor- fisnio col caricarsi di squamette di mica bruna e di aghetti di sillimanite, limi- tati“agli straterelli meno quarzosi. Nella vicina località Su Banzos sì ha poi :l passaggio a hornfels scistosi a mica, andalusite e cordierite. Altre facies di scisti poco o punto metamorfizzati sono date da intercalazioni locali, nei micascisti o gneiss filladici e nelle filladi, di sottili banchi o straterelli di quarziti micacee minutissime, formate da un fino aggregato quarzoso con no- tevolissima quantità di miche, in sottili listerelle. Queste quarziti micacee resi- stono più delle rocce filladiche argillose alie azioni metamorfiche. In esse si osserva - no sovente, avvicinandosi al contatto, frequenti plaghe sericitiche interposte fra i granuli guarzosi; e certe rocce compatte finissime, essenzialmente quarzose-bioti- tiche, dell’ aspetto di corneane, senza alcun accenno a struttura scistosa, che si osservano frammiste agli hornfels cordieritici presso Esporlatu, credo che rap- presentino il prodotto finale metamorfico di questi strati quarziferi. In questi hornfels accanto ad una notevole quantità di biotite di nuova formazione sono fre- Atti — Vol XII- Serie 9° N09. 10 fer" .eo quenti i granuli feldispatici (essenzialmente feldispati alcalini) frammisti a quelli prevalenti di quarzo. Le rocce metamorfiche, secondo il grado di metamorfismo e la composizione mineralogica le possiamo dividere come segue: 1.° Micascisti e micascisti filladici di contatto: con quarzo, biotite, mu- scovite e, accessoriamente, feldispato alcalino (scarso), tormalina, zircone, apatite, ossido di ferro e, raramente, andalusite. 2.° Hornfels scistosi o non scistosi, a biotite, cordierite e andalusite, con accessori: quarzo, feldispati alcalini, oligoclasio (scarso), corindone, apatite, zircone, tormalina, rutilo, sillimanite. Queste rocce, intieramente ricristallizzate, ma nelle quali sovente si riconosce ancora la struttura scistosa, corrisponde- rebbero, secondo la nomenclatura proposta dal Salomon per le rocce di contatto, alle Astiti e alle Avioliti, a seconda se in esse prevale l’andalusite o la cordierite. 3.° Hornfels propriamente detti, a biotite, andalusite e quarzo, con feldi- spato, cordierite, sillimanite, zircone, apatite, grafite, accessorii. Questi corrispon- dono al tipo da me già descritto nella già citata nota (Hornfels astitici a quarzo secondo Salomon) e che è specialmente frequente nei dintorni di Bono. 4.° Hornfels propriamente detti a cordierite e biotite prevalenti, con molta andalusite e con quarzo e feldispato accessorii (hornfels aviolitici), caratteristici per la zona di contatto di Esporlatu. 5.° Hornfels propriamente detti micacei- -feldispatici ad andalusite, con mu- scovite, corindone e zircone accessorii, privi di quarzo. Sono, secondo Salomon, hornfels edoliti ad andalusite. Questi hornfels essenzialmente feldispatici, privi di quarzo, sì trovano a immediato contatto col granito e passano subito agli horn- fels a biotite e andalusite e agli hornfels scistosi. A queste varietà di hornfels feldispatici appartengono inoltre esclusivamente gli inclusi di scisti metamorfici nelle dioriti, e gli hornfels a contatto colle apofisi delle rocce eruttive. Vi sono poi naturalmente forme di passaggio tra queste diverse varietà di hornfels. Negli hornfels scistosi di Anela, Bono, Esporlatu, Illorai, a biotite, cordierite e andalusite, è notevole la quantità del quarzo, il quale oltre a formare intieri stra- terelli della roccia, che separano le diverse zone parallele intensamente metamor- fiche, entra in numerosi granelli in queste zone metamorfiche stesse. La quantità del feldispato in tal caso è piccola, ed esso è feldispato alcalino. Negli stessi hornfels compatti, invece, il feldispato prevale sul quarzo; e da queste forme si passa poi direttamente agli hornfels a prevalente biotite e feldi- spato del tipo 5°, che rappresentano la zona di maggiore metamorfismo. La cordierite, negli hornfels del 2° tipo, forma larghe plaghe della roccia, e quali sono zeppe di biotite e di lunghi prismetti di muscovite. Contiene oltre ‘a cordierite cristalli di' zircone e di corindone, e talora prismetti aciculari di sil- limanite. Essa è intieramente trasformata in un finissimo aggregato di minerali micacei, che costituiscono la comune trasformazione in pinite, negli hornfels sci- ig stosi, mentre è in gran parte inalterata negli hornfels compatti. In questo caso l’ alterazione è limitata alla periferia delle larghe plaghe allotriomorfe di cordie- rite, oppure principia appena lungo le fessure, che comunemente attraversano questo minerale. Non sono rari dei regolari cristalli di”cordierite del diametro di circa un mm., geminati nel modo caratteristico e nei quali si possono riscontrare i ca- ratteri ottici proprii di questo minerale. L'andalusite forma grossi cristalli idiomorfi, a contorni corrosi, dentellati, di alcuni mm. di lunghezza, o individui tozzi, e contiene innumerevoli lami- nette di biotite rosso-bruna e masserelle sferroidali dello stesso minerale, e grafite finmamente suddivisa. Nelle varietà quarzose di queste rocce l’andalusite contiene inoltre innumerevoli granuletti di quarzo. I cristalli di andalusite sono general- mente isolati gli uni dagli altri e tra di essi si estendono larghe plaghe cordie- ritiche. Nelle varietà scistose di queste rocce si alternano sovente straterelli pre- valentemente costituiti da biotite e andalusite con altri essenzialmente cordieritici micacei (biotite e muscovite), con quarzo e feldispato. Il feldispato forma talora plaghe irregolari, oppure si presenta in granuletti uniti fra di loro a mosaico. Nel primo caso è esclusivamente feldispato alcalino di tipo ortose, nel quale sono intercalate finissime lamelle di feldispato a rifra- zione maggiore, probabilmente albite. I granuletti a struttura pavimentale, che nella varietà povere o prive di quarzo costituiscono talora piccoli straterelli di 1-3 mm. di spessore, sono in parte di ortose, in parte di oligoclasio. Il corindone abbonda specialmente nelle varietà non scistose di queste rocce, ed è incluso neila cordierite e nell’ andalusite, e per lo più in granuletti irrego- lari, e talvolta si riconoscono nette sezioni esagonali. La rifrazione è fortissima e la birifrazione debole. Il carattere ottico è uniassico negativo. La sillimanite è assai scarsa, per lo più inclusa nella cordierite. Lo zircone, l’apatite, la magnetite, la tormalina, sono componenti costanti ma poco abbon- danti in queste rocce. Abbondano invece le sostanze carboniose, specialmente in- cluse nell’ andalusite. Se si eccettua l’alterazione della cordierite in pinite nelle varietà scistose di questi hornfels, e talora una limitatissima alterazione in clorite (con abbondante formazione di aghetti di rutilo) di qualche lamella biotitica, queste rocce di contatto sono assai fresche. 3.° tipo: Hornfels propriamente detti, a biotite, andalusite e quarzo. Fra gli elementi accessori si notano in essi la cordierite, in plaghette allotriomorfe, e tra i cristalli di cordierite un feldispato alcalino, in accrescimento micropertitico con albite, piuttosto scarso, e che si trova di preferenza in quelle parti della roccia dove scarseggia l’andalusite. Vi è inoltre la sillimanite, in rari prismetti inclusi nelle cordierite, zircone, apatite, tormalina e abbondantissime le sostanze carboniose, a preferenza incluse nell’ andalusite. 4.° tipo. Come già dissi gli hornfels avioliti appartenenti a questo tipo sono caratteristici per la zona di contatto diretto di Esporlatu, come si osserva spe- cialmente lungo la sinistra del R. Molino appena a sud del villaggio. All’aspetto poco si differenziano dagli hornfels ad andalusite (Hornfels-Astiti) di Bono, quan- tunque appaia facilmente la minor frequenza dell’andalusite e l'abbondanza della Mi, cordierite dalla minor frequenza delle macchiette rosee e dalla lieve lucentezza grassa, che acquistano le plaghe della roccia, nella quale la cordierite prevale ; tuttavia anche in questi hornfels di Esporlatu, come in quelle di Bono, le su- perficie da tempo esposte alle azioni atmosferiche presentano il tipico rilievo dato da cristalli di andalusite. La cordierite è certamente il minerale prevalente di questi hornfels. Essa forma plaghe talora di alcuni mm. di diametro, per lo più irregolari, altre volte a contorni idiomorfi. I cristalli «mostrano inoltre sovente netto abito prismatico. Essi sono costantemente geminati secondo }110| e {130}, le due leggi essendo fre- quentemente associate in un medesimo individuo, e frequentissimi essendo i geminati polisintetici. Contiene abbondantemente inclusa la biotite, sostanze carboniose e, con minore frequenza, finissimi aghetti di sillimanite e qualche cristallo di anda- lusite. Raramente noto incluso qualche cristallo di corindone. Essa è generalmente fresca, solo alla periferia di alcuni cristalli si osserva un principio di alterazione in pinite, alterazione che talora segue le linee di fratture caratteristiche di questo minerale e si insinua fino nella massa del cristallo. La biotite, rosso-bruna, in forma di minute squamette, è egualmente diffusa in tutta la roccia, forse con maggior frequenza è inclusa nell’ andalusite. Questo minerale presenta i soliti caratteri di struttura e le medesime interposizioni come negli hornfels andalusitici di Bono. Il quarzo e il feldispato non sono molto abbondanti. Il primo è generalmente limitato a straterelli quarzosi e raramente si trova in granuli isolati e frammisti agli altri componenti. I feldispati divengono più frequenti a immediato contatto col granitv o colle sottili apofisi granitiche negli scisti. Generalmente tra 11 gra- nito e l’ hornfels cordieritico vi è una stretta zona di pochi millimetri, talora ridotta anche a meno di un millimetro, essenzialmente costituita da feldispato a granuletti minutissimi e biotite. Fra i feldispati predomina il tipo alcalino, ac- canto a miscele di Ca e Na appartenenti a termini dell’ oligoclasio e dell’andesina. Fra i componenti accessori noto la tormalina, spinello verde, assai scarso, silli- manite, muscovite, zircone. Sovente in questi hornfels l’andalusite e la cordierite sono in proporzioni al- l’incirca eguali, e nella nomenclatura proposta dal Salomon manca un nome per designare una roccia metamorfica essenzialmente formata da biotite, cordierite e andalusite. Volendo per esse introdurre una nuova denominazione proporrei di chia- marle Esporlatuliti. 5.° tipo. Gli hornfels che si trovano incluse nelle dioriti o che sono inter- posti tra le iniezioni del granito sono fini, compatti, uniformi, di colore grigio- oscuro violaceo, ed all'aspetto non si differenziano dagli hornfels non feldispati- ci, prevalentemente quarzosi. Essi sono inclusi nella diorite in frammenti talora arrotondati, talora ango- losi, talvolta del diametro di qualche decimetro, ma più frequentemente in piccoli frammenti di pochi centimetri di diametro, e anche sono rimasti conglobati dal magma granitico sotto forma di piccolissimi noduletti o di sottili straterelli ; ta- lora il granito e lo scisto metamorfico sono così intimamente mescolati da risul- tarne quasi una roccia di miscela; questa intima fusione delle due rocce è però PR; SA sempre limitata a una strettissima zona di alcuni millimetri. I componenti essen- ziali di questi hornfels sono: biotite, feldispato (andesina) e andalusite, con, ac- cessoriamente, muscovite, corindone e zircone. Manca del tutto il quarzo. La cordierite sembra mancare affatto nelle forme essenzialmente feldispatiche- micacee, povere in andalusite, si trova talora in piccola quantità nei tipi ricchi in andalusite. La biotite e l’ andalusite si presentano coi medesimi caratteri de- scritti per gli altri hornfels; talora l’andalusite è in parte alterata in prodotti micacei e in un minerale a forte rifrazione, debolmente birifrangente, leggermente giallognolo, che ricorda la zoisite. Il feldispato si trova sopratutto in granuletti equidimensionali, che formano un tutto a struttura pavimentale, ed è ailotriomorfo rispetto alla biotite. Qua e là poi compaiono cristalli di feldispato, zeppi anche essi di squamette biotitiche, i quali presentano dimensioni notevoli, maggiori dei granuletti: sono cristalli allun- gati secondo (010) (001), geminati in modo polisintetico secondo le leggi dell’ al- bite associata alla geminazione di Carsbad. I II 4), 19h La differenza è compresa tra 10° e 13°. Gli indici di rifrazione sono com- presi tra 1.540 e 1.557. Questi caratteri corrispondono a quelli di miscele andesi- niche. I granuletti feldispatici non sono sempre geminati, ma tanto i granuletti geminati, quanto quelli che non presentano geminazione, hanno i medesimi ca- ratteri. n, >1,54l N < 1,557 = Ibo74 In rarissimi granuli la rifrazione è lievemente superiore a 1.557. Vanno quindi in massima parte riferiti a miscele dell’ andesina, e in piccola parte a miscele acide della labradorite. Alcuni granuletti mostrano struttura zonale. Il corindone, in granuletti talora di Ta — 1 mm. di diametro, è piuttosto fre- Dei quente; così dicasi dello zircone. Questi hornfels corrispondono per aspetto esteriore, composizione e struttura agli scisti micacei feldispatizzati, chiamati leptinoliti dai petrografi francesi. Il Michel Lèvy e il Lacroix spiegano la presenza del feldispato in questi scisti di contatto immaginando fenomeni di imbibizione o di iniezione operati dal magma granitico degli scisti: « Au contact immédiat du granit, en effet, on observe une zone constante, dans laquelle les schistes et aussi les quarzites se chargent de feldspaths, soit par imbibition, ces mineraux jouant le mòme ròle que le quartz dans les schistes micacés, soit par iniection en nature du granite lui méme. Il est possible de suivre, pas è pas, tous les stades de feldispathisation et les passages insensibles entre ces schistes feldspathisés (leptinolites ) et le granite lui-méme ». Fenomeni di iniezione di magma granitico negli scisti abbiamo visto che non Cosi mancano nella nostra regione. Talora il granito è iniettato sotto forma di sot- tili vene o di filoncelli tra gli straterelli e le lamelle degli scisti, e questi feno- meni coinciderebbero "colle iniezioni « lit par lit » descritti da Michel Lèvy e Lacroix. Tuttavia nelle aree di contatto da me esaminate questa iniezione è limitatissima , si scorge soltanto al contatto immediato tra la roccia eruttiva e lo scisto, ed è un fatto che si osserva comunemente in tutte le regioni di contatto. Questi fenomeni di iniezione si presentano in Sardegna precisamente così come li descrive Adams, parlando dei fenomeni analoghi osservati nei Pirenei. Se vi sia stata addizione di sostanze estranee a quelle che costituiscono gli scisti normali, nella formazione degli hornfels micacei-feldispatici, oppure se la trasformazione della roccia scistosa per azione del magma eruttivo sia avvenuta in seguito ad azioni puramente fisiche, senza l’intervento di sostanze estranee, è dif- ficile poter 4 priori affermare senza il sussidio di una immensa serie di analisi, che mostrino le relazioni tra gli scisti normali e le rocce metamorfiche. E anche a questo proposito voglio ricordare quanto dice l’Adams, sembrandomi, che quanto egli espone in proposito trovi conferma nei fenomeni osservati nelle aree che ci interessano in questo studio. Una /acies speciale di rocce di contatto è data dagli scisti quarzitico-grafitici neri, ad andalusite, di Illorai, denominati « schistes maclifères» dal Lamarmora. Già riportai la descrizione che il Lamarmora dà di queste rocce. Esse con- stano essenzialmente di un aggregato finissimo di granuletti quarzosi, zeppi di un tino pigmento nero carbonioso e accompagnati da qualche squametta mica- cea. Queste venature più quarzose, costituite da granuli più grossolani e non così fortemente pigmentate, sono intercalate con frequenza fra gli straterelli più minuti. Le forme andalusitiche di questi scisti quarzitici presentano sulla superficie di scistosità tanti finissimi prismetti argentati, variamente aggruppati o isolati, che felicemente paragona il La Marmora a impronte di piedi di piccoli uccelli, a lucentezza argentea. Dove l’andalusite si fa più abbondante la roccia perde al- quanto della sua scistosità, il pigmento diviene più abbondante, come pure le squamette micacee e i cristalli di andalusite acquistano anche maggiori dimen - sioni. Il pigmento carbonioso si agglomera specialmente fuori dei cristalli di an- dalusite, e in questi sono notevolmente abbondanti le inclusioni liquide. Accessorio si nota il corindone, ma in piccola quantità, che sfugge all’ e- same delle sezioni sottili. Solo esaminando la porzione che si deposita dalle solu- zioni pesanti si osservano granuli di corindone, facilmente riconoscibili pel valore alto della rifrazione e pel carattere ottico uniassico negativo. Il pleocroismo, ri- marchevole nei granuli più grossi, presenta macchie più intense irregolarmente distribuite nei granuli: n,= azzurro intenso n,= azzurro pallido o incolore. Nella stessa porzione pesante si notano frequenti laminette di un minerale più o meno intensamente azzurro o verdognolo, a debole birifrazione e a rifran- genza alquanto superiore a 1.659, con piccolo angolo degli assi ottici, positivo, con pleocroismo dall’ azzurro al verdognolo. Calcare e scisti di contatto di Silanus Le rocce scistose di questa regione sono date da gneiss minuti, compatti, fi- namente scistosi, che a poca distanza dal granito hanno aspetto e composizione normale. Gli elementi che li compongono sono il quarzo, il feldispato e la mica, disposti in straterelli paralleli. Il quarzo ed il feldispato sono intimamente mesco- lati; fra gli elementi accessori abbondano l’apatite e lo zircone. Il feldispato in granuletti è ortose; qua e là però appare qualche larga plaga feldispatica, in tal caso costituita da microclino. Straterelli più ricchi in mica si alternano con altri prevalentemente quarzoso-feldispatici. A contatto col granito questi gneiss minuti presentano tracce evidenti, se non forti, di metamorfismo di contatto. Non osservo però in questa regione nè hornfels, nè hornfels scistosi, come nella vicina zona di Anela-Bono. Le forme di contatto sono date da gneiss di con- tatto ad andalusite, ricchi in biotite e in muscovite. La struttura scistosa è assai bene conservata e gli straterelli della roccia sono sovente finamente pieghettati. Il feldispato è scarso, agli straterelli micacei con andalusite si alternano strati prevalentemente quarzosi. L’andalusite forma grossi cristalli di 1-2 mm. secondo l’asse verticale, è assai fessurata e talvolta trasformata in aggregato di lamelle e fibre muscovitiche, e contiene abbondanti inclusioni di sostanza carboniosa. Questi gneiss di contatto affiorano appena ad est di Silanus, nelle vicinanze del Nurraghe Madrone e vengono inoltre a contatto col calcare cristallino, che forma poi il Monte Cerbo che domina il villaggio di Silanus. Il La Marmora descrive chiaramente i rapporti tra gli scisti e il calcare, e il giacimento del calcare cristallino. Questo calcare, che ha subìto l’ azione me- tamorfica del granito, è considerato dal De Stefani come spettante al carboni- fero, e in esso il De Stefani notò cristalli di couzeranite, il che convaliderebbe trattarsi di roccia metamorfica. Nei campioni da me esaminati, di calcare grigio e di calcare saccaroide , netai alcuni microscopici granuletti di quarzo e squamettine biotitiche e di mu- scovite. Al contatto tra il calcare e gli scisti avvi alcuni filoni di spessartiti dia- basiche e qualche filone si trova intieramente nella massa calcarea. 75 Zona di contatto di Orune Le rocce massicce di Orune sono rappresentate da granititi chiare, a grana media, a grossi cristalli bianchi di microclinopertite con oligoclasio-andesina e bio- tite. Presentano tracce di azioni dinamiche, per zone di frantumazione, che circon- dano i grossi cristalli dei feldispati alcalini. Le rocce scistose, che affiorano nelle adiacenze del villaggio di Orune, dove vengono a diretto contatto colla granitite, sono, nella loro Yuczes normale, mica- scisti filladici, prevalentemente quarzosi, con straterelli essenzialmente micacei for- i mati dalla aggregazione di laminette e squamette piegate e contorte di biotite e di muscovite, anch'esse frammiste a granuli di quarzo. La tormalina è accessoria; negli straterelli micacei abbondano sostanze carboniose. I fenomeni di contatto tra la granitite e gli scisti si possono agevolmente osservare percorrendo la mulattiera, che da sud sale rapidamente ad Orune, spe- cialmente nel tratto compreso tra la fontana Nunnale al Rio Guddiguizza e il villaggio, come pure all’uscire da Orune verso nord, percorrendo in direzione E.0. un tratto dello stradale che conduce a Nuoro. Tra la fontana Nunnale e Orune si osservano nettissime apofisi della granitite negli scisti metamorfici, e a immediato contatto delle due rocce non sono infre- quenti fenomeni di iniezione del magma granitico nelle rocce scistose. Queste sono dirette N. 30°-40° E., con inclinazione media a N., e sono rappre- sentate da scisti gneissici finissimi a straterelli paralleli e pieghettati, oppure sono scisti fiiladici quarzoso-micacei, quasi del tutto privi di feldispato, identici a molti scisti cristallini di contatto delle Alpi, per esempio a quelli del gruppo di Campo in Valle Viola e dell'Adamello, che furono descritti dal Salomon come scisti filladici di contatto. Nelle vicinanze del granito questi scisti oltre all’ar- ricchirsi in mica bruna, contengono costantemente l’ andalusite e talora anche cordierite. Straterelli essenzialmente quarzosi si alternano con altri essenzialmente micacei, ed in questi ultimi di preferenza si trovano l’ andalusite e la cordierite. Le rocce scistose metamorfiche di Orune comprendono: 1.° Gneiss minuti filladici e micascisti filladici di contatto ad andalusite. che constano essenzialmente di quarzo, di biotite e di muscovite. Nelle varietà gneissiche il feldispato si presenta in granuli frammisti a quelli di quarzo, è in prevalenza ortose e in piccola parte oligoclasio. La muscovite oltre che in minute squamette si presenta anche in lamine zeppe di inclusi quarzosi. La biotite raramente si presenta in laminette, ma per lo più forma squamette ir- regolari, sovente trasformate in clorite. L’ andalusite, non molto abbondante, co- stituisce spesso aggregati raggiati rosei o cristalli isolati, che non sempre se- guono i piani di scistosità della roccia. Accessorii: zircone, tormalina, magnetite, apatite. 2.° Micascisti fil'adici di contatto ad andalusite e cordierite (?). Questi pas- sano ad hornfels scistosi con andalusite. Queste rocce sono povere o prive di feldi- spato, anche là ove esse sono a diretto contatto colla granitite, o rinchiuse in lenti tra le apofisi della roccia granitica. Sarebbero, secondo la nomenclatura di Salomon, Hornfels-Astiti scistosi a quarzo. La biotite, la muscovite e l’ andalusite sono i componenti essenziali di queste rocce. L’andalusite in larghi cristalli mostra struttura poikilitica, zeppa d’inclu- sioni di quarzo e di biotite. Sembra povera e talora priva di inclusioni carboniose. Sovente tra le squamette micacee sono interposti granuletti di quarzo, e in quantità piccola anche di feldispato (ortose e miscele acide albite-oligoclasio). Negli hornfels scistosi a diretto contatto colla granitite a N.0. di Orune, lungo lo stradale Nuoro- Bitti, si trovano larghe plaghe fessurate, zeppe di lamine micacee, costituite da un finissimo aggregato micaceo, che ricordano i prodotti di alterazione della cor- dierite (pinite). Trovandosi la cordierite fresca negli hornfeis compatti della mede- a nil - PE Pdl AE ©. a SS | pes sima località, è probabile che queste plaghe di alterazione derivino da cordierite originaria. Fra i minerali accessorii di queste rocce noto: zircone, apatite, tormalina e magnetite. Queste rocce assomigliano notevolmente ad alcuni filladi di contatto ad andalusite della Foppa, al Monte Aviolo, nel gruppo dell'Adamello, descritte dal Salomon. 3.° Hornfels micacei ad andalusite e cordierite. Li riscontrai a diretto con- tatto col granito, dove dallo stradale Nuoro-Bitti si stacca la via per Orune. Sono rocce oscure, violacee, compatte, o talora finamente scistose. I componenti sono l’andalusite e le miche (biotite e muscovite) e la cordierite ; alcuni straterelli sono prevalentemente costituiti da lamine muscovitiche, accom- pagnate da biotite. In queste zone si trovano specialmente le plaghe cordieritiche e vi si osservano anche granuletti di quarzo e di feldispato, ma non in grande quantità; altri straterelli più larghi sono essenzialmente costituiti da andalusite e da biotite. Essi talora si biforcano e comprendono plaghe lentiformi cordieritiche e muscovitiche. L’andalusite presenta marcatissima struttura poikilitica, cd oltre che alle miche è associata a granuli di quarzo e di feldispato (scarso. Alcune zone andalusitiche sono zeppe di inclusioni carboniose, mentre altre ne sono quasi del tutto prive. Queste rocce, secondo la nomenclatura di Salomon, sarebbero Hornfels-Astiti ad andalusite. 8. Zona di contatto Oliena-Orgosolo Tra il villaggio-di Oliena ed il biancheggiante monte calcareo, che lo so- vrasta, si stende una stretta zona scistoso- elia intercalata a cuneo tra la massa granitica, che si estende ad ovest di Oliena fino a congiungersi col granito di Nuoro, e il calcare cretaceo del monte di Oliena. Questi scisti cristallini furono considerati dal La Marmora come azoici quantunque per la loro natura non si possano differenziare dalle simili formazioni ascritte al siluriano. Questa zona continua verso sud, allargandosi sempre più verso Orgosolo. Questa zona scistosa è imperfettamente delimitata sul'a carta geo- logica del La Marmora, come in quella dell’ Ufficio geologico. Salendo da Oliena direttamente verso le pareti verticali del monte calcareo s'incontra dapprima, addossato alle altre formazioni, un conglomerato essenzialmente formato da ciottoli calcarei frammisti a ciottoli di scisti cristallini, tra i quali predominano gli hornfels scistosi ad andalusite, con qualche raro ciottolo porfi- rico ro:so. Più su, dove principia il bosco, destinato auch’ esso a scomparire presto, s'incontra la zona di scisti cristallini, che sono qui diretti N. 20°-40° E., con incli- nazione verso sud. La natura di queste rocce è assai varia, e il metamorfismo di contatto, in grado più o meno intenso, sembra abbia agito su tutt’ intiera questa stretta zona scistosa. D'altra parte da straterello a steafarello di questi scisti si hanno notevolissime differenze strutturali e di composizione, poichè a straterellì essenzialmente quarzoso-cloritici 0 micacei o quarzoso-feldispatici-micacei si passa Arti — Vol. XII— Serie 2 N09. ll SUS == Rare ad altri essenzialmente andalusitici-micacei, e anche a intercalazioni di qualche potenza di hornfels andalusitici-micacei, nei quali è scomparsa l’originaria sci- stosità. Lo stadio meno marcato di metamorfismo è presentato da gneiss minuti, a fina struttura parallela, costituita da straterelli essenzialmente quarzosi alternati con altri, nei quali ai granuli di quarzo sono frammisti numerosi granuli feldi- spatici, in prevalenza di tipo alcalino, e numerose squamette cloritiche e di mu- scovite. Questi minerali con minor frequenza si trovano anche diffusi negli stra- terelli essenzialmente quarzosi. La clorite contiene finissimi aghetti di rutilo, e accessorii si notano lo zircone, la tormalina e la magnetite. Jl primo accenno a metamorfismo in questi gneiss è fatto palese da limitato accentramento di mica bruna, localizzato a formare piccole macchie irregolari, ben visibili sulla superficie di alcuni piani di scistosità. Questi gneiss minuti cloritici a macchie di biotite passano a gneiss minuti, nei quali alla clorite si è sostituita quasi completamente la biotite; pel resto conservano la stessa struttura finamente parallela dei gneiss cloritici. Mano mano che aumenta l’azione metamorfica, l’ cito micaceo si fa più abbondante e non tarda a comparire, negli straterelli micaceo-feldispatici, 1’ an- dalusite, che talora diviene assai abbondante: e si hanno gneiss minuti di contatto ad andalusite, i quali alla loro volta passano ad hornfels scistosi, andalusitici, ricchi in biotite ed in muscovite, sovente con feldispato alcalino abbondantissimo, e talora con larghe plaghe di aspetto pinitico e sericitico, che fanno sospettare la originaria presenza di cordierite. A questo tipo appartengono molti inclusi nel conglomerato di Oliena. Finalmente il prodotto finale di metamorfismo, che qui si osserva, è presentato da limitate intercalazioni di rocce, nelle quali è scomparsa del tutto o quasi la scistosità originaria. Questi hornfels hanno aspetto, composizione e struttura si- mili alle analoghe rocce di Bono e di Esporlatu; predominano gli hornfels bioti- tico-andalusitici a cordierite, ossia gli hornfels-astiti a cordierite, che per la fre- quenza di questo minerale e l’abbondanza del feldispato passano a hornfels-avioliti a cordierite e feldispato, o, come con espressione abbreviata converrebbe chiamarle, a hornfels-esporlatiti. Il quarzo è poco abbondante, e per lo più limitato alle pla- ghe essenzialmente feldispatiche. Sembra che quest’ultimo minerale sia esclusiva- mente di tipo alcalino. Il carattere gneissico minuto, passante a gneiss micacei di contatto con 0 senza andalusite, con intercalazioni di rocce micacee-andalusitiche, si mantiene abbastanza costante lungo questa stretta zona scistoso-cristallina, che bordeggia la sovrastante massa calcarea. E gli stessi fenomeni di contatto sì riscontrano per- correndo la strada Oliena-Orgosolo, dove questa, a sud del Rio Sorati, lungo il pendio N.E. e E. del Monte Zonconoveri, taglia il contatto tra il granito e gli scisti. Nelle trincee si osservano nette e numerose apofisi del granito negli scisti, apofisi che si ripetono e si susseguono per un certo tratto lungo la strada. Gli scisti gneissici e quarzosi-micacei a contatto con queste apofisi non sono trasformati in hornfels, ma conservano ben marcata la scistosità ; talora hanno un aspetto macchiato, altre volte gli straterelli ricristallizzati sono alternati con straterelli SEIN 3 13 FASO quarzosi normali. Oltre la biotite è abbondantissima in questa zona la muscovite in larghe lamine, ed è costante l'abbondanza dell’andalusite. Inoltre vi sono larghe plaghe trasformate in prodotto sericitico, che per la loro struttura lasciano supporre l’ originaria presenza di cordierite. Il quarzo è per lo più limitato a straterelli o a lenti comprese tra le plaghe micacee-andalusitiche, e il feldispato, non deter- minabile stante l'alterazione avanzata, non è così frequente come in alcune delle corrispondenti rocce andalusitiche di Oliena. Abbondano la magnetite, le sostanze carboniose, e con minor frequenza si osservano piccoli cristalli di tormalina. Attraversato il Rio Sorati ed il Rio Boloriga la strada taglia ancora in pa- recchi punti il contatto tra granito e scisti, come pure a sud di Orgosolo lungo il pendio est della Punta Sisorgoni e scendendo da questo monte alla Chiesa di San Michele, è un alternarsi continuo di granito e scisti, che qui sono assai di- sturbati e decomposti e mal si prestano ad uno studio litologico di dettaglio. Predominano i tipi gneissici fini, a muscovite e clorite, che presso al contatto assumono un aspetto di scisto macchiato per accentrazione della sostanza micacea. Dal Nuraghe Sirilò (m. 1155) o anche dalla Chiesa di S. Michele (m. 821), vi- cinissimo a Orgosolo, si domina assai bene la regione circostante, e si può, dalle for- me dolci e arrotondate, che presentano i monti costituiti da scisti cristallini, rendersi facilmente esatto conto dell’ andamento e della potenza di questa zona scistosa, che, allargandosi notevolmente verso S.S.E, fino a unirsi alle formazioni scistose del Gennargentu, si restringe assai verso nord, per terminare presso Hiers, strettamente incuneata tra il granito e l’ imponente massa di calcare cretaceo del monte di Oliena. 9. Zona di contatto di Orani e di N. S. di Gonari. Contatto cogli scisti e col calcare. Il monte di Gonari, situato a qualche chm. a S. E. del villaggio di Orani e ad est di Sarule, è ricordato nella maggior parte degli scritti di geologia sulla Sar- degna. Per la sua posizione centrale e isolata nel mezzo dell’altipiano granitico del Nuorese questa montagna presenta uno splendido panorama. L' interesse geo- logico che inoltre questa località offre è notevolissimo, poichè tanto il calcare quanto gli scisti a contatto col granito presentano intensi fenomeni di metamorfismo. Il La Marmora descrive colla sua consueta precisione i rapporti tra gli scisti, che ritiene siluriani, il granito e il calcare, e riporta uno spaccato del monte, dovuto al De Vecchi. Il Vom Rath parla del Monte di Gonari in entrambe le relazioni dei suoi viaggi in Sardegna. Nella prima riporta le osservazioni del La Marmora, de- scrivendo alcuni frammenti di calcare cristallino a granato e ad augite, raccolti dal Lovisato sulla cima del monte; nella seconda relazione dà conto della propria escursione compiuta in quella località. Nella mia già citata nota sopra alcune rocce sarde descrissi un hornfels sci- stoso ad andalusite e sillimanite, che in vicinanza del granito affiora a ponente della vetta di Gonari, in strati diretti N. 70° O., con una inclinazione di circa l'e 60°-70° a NNE. Visitando nuovamente questo monte nell'ottobre del 1899 e nella primavera del 1901, ho potuto delimitare meglio la zona di contatto e raccogliere una numerosa serie di interessanti rocce metamorfiche. L’ aspetto macroscopico di queste rocce è quello dei micascisti filladici, simili a quelli alpini, segnatamente del Gruppo dell'Adamello, e degli scisti a contatto con altri massicci dioritici della Valtellina (Gruppo di Campo, Val Viola, etc.). Sono rocce micacee a scistosità facile e bene evidente, ricche di quarzo, il quale forma anche larghe vene e filoncelli, in grossi granuli. Sovente sulla su- perficie di queste rocce, specialmente se erose, risaltano grossi cristalli prismatici di andalusite, lunghi talora sino a 4-5 cm. e di 1 cm. di spessore. Spesso questi grossi cristalli sono numerosissimi e danno aspetto rugoso e caratteristico a queste rocce scistose. È facile poi constatare che questi prismi non seguono sempre i piani di scistosità della roccia. Questi scisti metamorfici sono in prevalenza hornfels sci- stosi ad andalusite, mica, cordierite e sillimanite, assai ricchi in quarzo. Dove la natura della roccia originale normale è ancora palese, si passa a micascisto filla- dico di contatto ad andalusite. Veri e tipici hornfels compatti non ne osservai. La biotite, abbonduntissima, è sovente accompagnata dalla muscovite e da fasci fibrosi di sillimanite. Contiene inclusioni di zircone e, alterandosi in clorite, anche finissimi aghetti di rutilo. Nei micascisti ad andalusite è inoltre abbondantissima la muscovite, che frammista alla biotite ed all’ andalusite costituisce intieramente straterelli della roccia scistosa. L’andalusite costituisce i grossi cristalli prismatici già ricordati, e l’intera massa rocciosa è zeppa di questo minerale, per lo più a struttura poikilitica, e con- tiene le solite inclusioni. La sillimanite è assai abbondante in queste rocce, costi- tuisce fasci fibrosi irregolarmente sparsi nella roccia, ma segnatamente frequenti nelle plaghe andalusitiche. sono inoltre diffusissimi prismetti isolati, o aggre- gati di pochi prismi, indifferentemente inclusi negli altri componenti (c = a). La cordierite è anch'essa piuttosto diffusa, ma per lo più trasformata nel solito finissimo aggregato di squamette micacee (pinite ). Si trova di preferenza nelle zone quarzose e biotitiche, quantunque non manchi anche nelle zone essen- zialmente biotitiche-andalusitiche. Il quarzo, in granuletti, è assai abbondante e contiene a preferenza finissimi aghetti di sillimanite e sferuline brune di biotite. Non sono molto frequenti i feldispati, i quali in plaghette allotriomorfe accompa- gnano generalmente il quarzo. Predomina un feldispato alcalino in accrescimento micropertitico con un feldispato a rifrazione maggiore, probabilnrentee albite. Meno frequenti si trovano feldispati a geminazione polisintetica, che sembrano non essere più basici di miscele oligoclasiche e dell’ andesina acida. In questi micascisti filladici metamorfici non mancano facies di quarziti. sono quarzite micacee carboniose, compatte, durissime, bruno-nerastre, sovente sol- cate da sottili filoncelli di puro quarzo. Le sostanze 'carboniose grafitiche sono abbondantissime e offuscano i granelli di quarzo, anche in sezioni assai sottili. Sono frequenti aggregati finissimi di laminette muscovitiche associate alla biotite. Lungo la mulattiera, che da Gonari scende in direzione N. O. a Orani, pas- + i e stila sando per Su Rujo e S. Francesco, è un succedersi continuo di calcari e scisti | metamorfici e di graniti. Anche qui si osservano apofisi di granito negli scisti, e, limitati al contatto immediato, fenomeni di iniezione, da cui risultano /acies di gneiss, ricchi in feldispati (ortose e microciino), sillimanite e andalusite. 3 10. x Calcare di contatto del Monte di Gonari I calcari cristallini, che formano la vetta del Monte di Gonari, sulla quale sorge il Santuario, e che, intercalati tra gli scisti ed il granito, sì osservano ri- petutamente tra Orani e Gonari, sono di aspetto e di natura assai varie. Talora è marmo saccaroide quasi puro con vari minerali irregolarmente sparsi nella sua massa, come squamettine di mica bruna o granuletti verdognoli di pi- rosseno. Questi minerali non sono sempre uniformemente sparsi nella massa calcarea, | ma si accumulano sovente in zone o strati, e ne risulta un aspetto zonato, listato. ._ Pel predominio dell’uno o dell'altro minerale la roccia assume un colore grigio- «bruno o verdognolo. Zone ricche in minerali si osservano poi al contatto diretto tra il calcare ed i filoni granitici che lo attraversano. In altri punti il calcare, specialmente dove è a grana più grossolana, è zeppo di granato roseo, varietà gros- sularia, in grossi cristalli isolati, oppure in piccoli granuli, o più sovente in masse compatte. Il g:anato è frammisto al pirosseno e lo contiene incluso; inoltre è co- «—stantemente accompagnato dalla vesuviana. 4 Talora il granato e la vesuviana, frammisti al pirosseno, sostituiscono intie- | ramente il calcare e si hanno veri hornfels a granato e vesuviana, compattissimi e duri. Talune zone sono formate da un finissimo aggregato compattissimo, gra- nulare, costituito da granato, vesuviana, biotite, pirosseno in prevalenza, accom- pagnati da altri minerali, che entrano in questi calcari. 4 Altre varietà sono straordinariamente ricche in wollastonite, che in fasci di fibre raggiate accompagna il granato, la vesuviana ed il pirosseno. Alcuni blocchi trovati presso la vetta sono essenzialmente costituiti da wollastonite e da granato, «Altre zone o macchie verdi sono formate da un aggregato di ‘fibre e prismetti di . anfibolo attinolitico; altre da miscele di epidoto e zoisite, frammiste a wollastonite. Alcune zone di questi calcari sono compattissime, afanitiche, con una leggiera tinta verdognola, e al microscopio si risolvono in un aggregato omogeneo di cal- cite, pirosseno, epidoto etc. Ma è soltanto una sistematica separazione coi liquidi pesanti, previa eliminazione del carbonato di calcio, che permette di conoscere la composizione complessiva di questi calcari di contatto. Il granato, il pirosseno e la vesuviana sono forse i minerali più frequenti. Il | primo va riferito alla varietà grossularia; è debolmente attirato da un elettroma- gnete di notevole potenza. In generale non mostra anomalie ottiche, le quali sono invece con frequenza presentate dalla vesuviana. Questo minerale raramente si pre- senta in cristalli definibili, ma per lo più forma masse irregolari compatte. Il pirosseno monoclino forma prismetti o granuli o sferuline di colore verdo- | gnolo pallidissimo: appartiene al tipo diopside. I granuletti assai piccoli sono so- ì 4 baie È” _| S' vente incolori, altri mostrano un colore verde più intenso. L’ estinzione, misurata su (010), è nella maggior parte dei casi cc=41°, in pochi granuli di 45°. La rifrazione corrisponde a quella dei pirosseni poco ferriferi di tipo diopside ; infatti nei granuli più chiari si ha 7, lievemente inferiore a 1.70, e nella mag- gior parte dei casi pel giallo #, è eguale o insensibilmente superiore a detto valore. Ora non soltanto le augiti ma anche i pirosseni di tipo hedenbergite hanno rifra- zione nettamente superiore. : i La biotite segue per frequenza il pirosseno, forma piccole e sottili squamette di intenso colore bruno, e sovente le lamine sono piegate e contorte. È apparentemente uniassica, e con grande facilità attirata da un’elettrocalamita di debole potenza. La wollastonite, eccetto che in alcuni blocchi a granato, dove è il minerale prevalente, nella maggior parte dei casi non è molto frequente. Forma prismi fibrosi, che si aggregano a struttura raggiata. I cristalli sono allungati se- condo [7]. Fra gli anfiboli noto un anfibolo debolmente colorato in verde, quasi incolore, con estinzione di cc= 15°-16° su (110) e che riferisco all’'attinoto. Vi è inoltre un anfibolo intensamente verde con sensibile pleocroismo: co-b=@ c= verde erba intenso con tendenza all’azzurrognolo b= verde giallognolo G= giallo chiaro intenso cc= 20° (su (010). L’epidoto e la zoisite sono frequenti in minuti granuli nelle zone minute compatte, verdognole. L’ apatite è frequente, e, specialmente nelle zone vicine al contatto diretto, si nota sovente la tormalina e la titanite. Piuttosto scarse sono le laminette di muscovite e di clorite. I feldispati si trovano in quantità assai piccola, e si presentano in piccoli granuli arrotondati (specialmente le miscele basiche ) o in cristalli a contorni piuttosto netti, tabulari secondo (001) (feldispati alcalini). Fra le miscele di Ca e Na predominano ì tipi basici, labradorite basica-bitownite-anortite. Gli indici di rifrazione di questi feldispati sono compresi tra 1.56 e 1.60, e l’estinzione, misurata in lamine di sfaldatura, varia da 30° a 37°, e da dette lamine esce con forte inclinazione una bisettrice e un asse ottico. Meno frequenti si notano le miscele acide oligoclasiche. Fra i feldispati alcalini si nota il microclino, con o senza Gitterstructur e con accrescimento micropertitico d’ albite, e l’ ortose, facilmente distinguibile per l'orientazione ottica presentata dalle laminette a sfaldatura secondo (001) e (010). Nelle zone di contatto immediato, specialmente ricche in silicati, è frequen- tissimo un minerale del gruppo delle scapoliti. Forma granuli o piccoli cristalli incolori a sfaldatura netta, prismatici, facilmente riconoscibili al microscopio pel carattere ottico uniassico negativo. I valori della rifrazione sono superiori a quelli | | | das MISE noti pei dipiro e si avvicinano maggiormente a quelli delle miscele più ricche in mejonite. Dal confronto con essenza si ottiene infatti: DaDi== > n, > 1.543 589 > n, > 1,576 | una doppia rifrazione quindi piuttosto forte e certamente compresa tra 0.025 e b; 0.03. Anche il peso specifico è più alto di quello delle scapoliti di tipo MI poichè la massima parte del nostro minerale si separa dal Thoulet di P. sp. torno a 2,7. È debolmente attaccato dagli acidi. Sembra quindi appartenere al tivo skapolite propriamente detto di Tschermak, ossia a miscele comprese tra Me,Ma, e Me,Ma,. PRÈ È Zona di contatto Monte Spada — Su Rena — Correboi Non sono numerose le notizie che si posseggono intorno alla costituzione della massa scistosa del Gennargentu. Il La Marmora principia con queste rocce la descrizione degli scisti cristallini azoici della Sardegna: « Ce groupe, qui est granitique à sa base septentrionale, est formé d’un schiste gris très talquex, fine- ment feuilleté et satiné, il conserve è peu près toujours le méme aspect, c'est a «dire, il passe fort rarement au schiste micacé et jamais au gneiss, malgré son voisinage des granites, qui se trouvent au contact avec lui en quelques localités; il est traversé par des filons de quartz ». Notava però il La Marmora la pre- senza di scisti micacei al Monte Spada in vicinanza del granito. i Anche il Lepsius considera le rocce del Gennargentu come spettanti in parte alla formazione azoica e in parte al siluriano inferiore: « In dem hohen Gebirg- stock des Gennargentu sitzt eine michtige Schieferhille dem Gramit auf; graue und grinliche Talk-und Thonglimmerschiefer ( Phyllite ) setzen die westlichen Ziige gegen den Tirso hin und lings der oberen Flumendosa zusammen »; e più avanti: « In den Bergen des Gennargentu sind die untersten Silur-Schiefer un- —mittelbar auf dem Granit in gebanderten Hornsteinen verindert ». o Ed a proposito di questo fenomeno di contatto ecco quanto dice il Vom Rath, «Verso la cantoniera Su Rena si trovano interessantissimi fenomeni di contatto. Il granito ed il calcescisto sono qui inviluppati l’ uno nell’altro nel modo il più ‘intimo. Come risultato del contatto compariscono masse granulari di granato bruno e giallo verdastro. Un minerale fibroso raggiato, in particelle sferiche grandi 10 mm., commisto a granato giallastro, dovrebbe per analogia appartenere all’augite ». Il Lovisato ascrive la massa scistosa del Gennargentu al huroniano, e in un recente scritto sul Gennargentu ne ricorda incidentalmente alcuni fenomeni di contatto: « Questi scisti al contatto hanno perduto tutti i caratteri originali, sono piegati e ripiegati, contorti, cristallini, varicolori, ricchi in epidoto e quarzo, anche minutamente cristallizzato ». — 88 — In una nota sopra alcuni minerali di Su Poru, presso la cantonata di Su Rena tra Fonni e Correboi, il Lovisato parla di scisti uronici metamorfizzati dal granito, ed è probabile che gli stessi minerali descritti dal Lovisato, l’heden- bergite, il granato, l idocrasia, l’epidoto (o zoisite?), siano il prodotto di azioni metamorfiche della massa granitica sui calcescisti. Le rocce scistose normali, che affiorano lungo il pendio S.0. del Monte Spada, sono filladi quarzoso-micacee, grigio-brunastre, di aspetto sericeo lucente, a stra- terelli finissimi e finamente pieghettati e contorti. Le laminette micacee non sono individualizzabili neppure colla lente. Si osserva che a straterelli essenzialmente formati da fibre e squamette sottili micacee, verdognolo pallide e pieghettate, ac- compagnate da granuletti di quarzo, si alternano straterelli più sottili essenzial- mente quarzosi, con poco feldispato (ortose e miscele albitiche-oligoclasiche) e la- minette micacee. Aghetti finissimi di rutilo sono associati alla mica e inclusi nel quarzo. La grafite, finamente suddivisa, è sparsa in tutta la roccia. Sovente queste filiadi sono ricche in tormalina e in zircone. Più a sud, da Genna Ludurren a Genna Erbeghe, predominano veri scisti e filladi argillosi-micacei con interclusi di quarziti micacee ricche in pigmenti carboniosi. Lungo il pendio ovest e N.0. del Monte Spada, avvicinandosi al granito, le filladi sono intensamente metamorfizzate e si hanno tipici hornfels compatti a biotite, andalusite, feldispato e cordierite. In queste rocce metamorfiche la natura originaria della roccia è ricordata soltanto dalle vene e lenti di quarzo. che le at- traversano, all’ infuori delle quali tali rocce sono intieramente ricristallizzate. La scistosità è palese soltanto nei grandi massi rocciosi, scompare se si esaminano limitati campioni di rocce o le larghe zone metamorfiche. I componenti essenziali degli hornfels di questa regione sono le miche e l'an- dalusite, in alcuni tipi è abbondantissima anche la cordierite, per lo più trasfor- mata in pinite, e talora anche il feldispato, avendosi così hornfels biotitici-feldi - spatici, che ricordano quelli di Anela. Sono caratterizzati per la straordinaria abbondanza della biotite di nuova for- mazione, della quale sono zeppe anche le plaghé cordieritiche e andalusitiche. Il quarzo è limitato alle larghe zone e vene quarzose originarie. Nelle zone meta- morfiche sembra mancare. I granuli incolori o leggermente torbidi, frammisti alle lamine di biotite, nelle plaghe prive o povere di andalusite e di cordierite, sono di feldispato. La tormalina e lo zircone sono poco frequenti. Mancano inoltre la sillimanite, che caratterizza le rocce metamorfiche di Gonari, e il corindone, tanto frequente negli hornfels biotitici feldispatici di Bono e Anela. , Molti scisti di contatto del Monte Spada presentano una caratteristica strut- tura bandata e sono inoltre fortemente pieghettati e contorti. I diversi straterelli hanno talora qualche centimetro di spessore, ed è per essi caratteristico l’ alter- narsi di straterelli costituiti da hornfels biotitici-andalusitici-cordieritici, del tipo di quelli ora descritti, con straterelli essenzialmente feldispatici-micacei, e quindi assai più chiari dei precedenti, in cui laminette di biotite di nuova formazione sono assai minute e suddivise. Questi strati micacei alla loro volta sono frammi- sti e alternati a straterelli essenzialmente quarzosi. Gli strati di hornfels si »uddi- vidono talora con estrema finezza nelle plaghe feldispatiche e quarzose. Di eg oss Queste varietà di rocce metamorfiche, che si trovano vicinissime al granito, ma che potei osservare e raccogliere soltanto in blocchi lungo il pendio occiden- tale del Monte Spada, poco sotto la vetta, rappresentano con ogni probabilità il prodotto di una fina iniezione magmatica, strato per strato, mista ad una com- pleta ricristallizzazione degli scisti argillosi a contatto col magma granitico. È mia intenzione di occuparmi in seguito con maggior dettaglio delle for- mazioni scistose e massicce che costituiscono il gruppo del Gennargentu; ricorderò qui solo brevemente che gli scisti intercalati tra le rocce massicce di Punta La- marmora (Perda Crasias ) e di Su Sciusciu, al carattere metamorfico dei quali recentemente accennò il Lovisato, sono rocce di contatto essenzialmente quarzoso- micacee-feldispatiche, in alcuni punti straordinariamente ricche in corindone. Al- cuni straterelli, completamente ricristallizzati, constano di un fino aggregato di squamette biotitiche, che è il minerale prevalente, fra le quali s' interpongono gra- nuli feldispatici. Il corindone si presenta in granuli isolati o in aggregati granu- lari, e sovente anche in individui a nette forme cristalline. Oltre la mica bruna, vi sono plaghe sparse a guisa di macchie, costituite da un aggregato finissimo BIBI di mica chiara di tipo muscovitico e da poche laminette biotitiche. Sovente la scistosità è scomparsa e le vene quarzose sono poco frequenti, e si hanno allora veri hornfels micacei feldispatici a corindone (Hornfels-Edoliti a co- rindone); oppure, se si fanno compattissime e dure, meno ricche in mica e con abbondanza di quarzo unito al feldispato (e in tal caso sono meno ricche in co- rindone), si hanno rocce di caratteristico tipo leptinolitico (Hornfels-Gneiss): Al contatto presso la cantoniera Su Rena le rocce scistose normali sono si- mili a quelle del Monte Spada, ma generalmente più quarzose, compatte, meno ricche in mica. Sono filladi quarzoso-micacee o cloritiche. Anche qui sono fina- . mente pieghettate. I primi accenni di metamorfismo in queste rocce son dati dalla formazione di laminette micacee brune, che si accumulano a preferenza a formare macchie o noduli nella roccia. L'aspetto di tali rocce è apparentemente quello delle filladi normali. La struttura microscopica pieghettata degli straterelli micacei originari, che separano gli strati essenzialmente quarzosi, è ancora ben conservata: struttura questa, che scompare completamente appena il metamorfismo si fa più intenso. Verso Correboi le filladi cloritiche divengono tormalinifere. Appena ad est della cantoniera Su Rena, sopratutto sino al Passo di Carre- boi, è un succedersi di scisti più o meno intensamente metamorfizzati e di graniti. che in belle e larghe apofisi penetrano tra gli scisti. La normale granitite assume al contatto cogli scisti l'aspetto aplitico e pegmatitico, come pure le iniezioni e le apofisi, anche potenti, di graniti negli scisti sono di granito chiaro, a grana minuta, quasi privo di mica. Al contatto immediato non mancano intime inie- zioni, lit par lit, di granito fra gli straterelli degli scisti, risultandone rocce di miscela dall'aspetto e costituzione di gneiss di contatto. La forma più intensa c metamorfica è data da hornfels biotitico-feldispatici; fra straterelli di questi hornfels sovente è iniettato il magma granitico, isolando e includendo frammenti e nuclei della roccia metamorfica. L'aspetto di queste rocce è simile a quello degli hornfels biotitico-feldispatici del Monte Spada e di Anela. Att! — Vol. XIT— Serie 22—N0 9. 12 = = Non mancano neppur qui forme ad andalusite e specialmente a cordierite. Questi minerali sono però raramente freschi, per lo più, sopratutto la cordierite, sono trasformati in una miscela di prodotti micacei. Riassumendo quanto ho esposto per la regione ora presa in esame, si può dire, che gli scisti argillosi e gli scisti filladici quarzoso-micacei e cloritici della regione si sono trasformati per azione del granito nei tipi seguenti di rocce me- tamorfiche : 1.° Filladi quarzoso-micacee, e scisti argillosi di contatto a noduli di bio- tite (Su Rena-Correboi). 2.° Hornfels scistosi a biotite, andalusite e cordierite, con o senza quarzo, talora feldispatici (tip. Astiti). Su Rena, Monte Spada. 3.° Hornfels compatti, come sopra, sovente ricchi in feldispato ( Hornfels Astiti ). 4.° Hornfels biotitico-feldispatici (Hornfels Edoliti), Su Rena, Monte Spada. Limitati a straterelli intercalati tra gli Hornfels Astiti, ricchi in corindone, alla Punta La Marmora. 5.° Hornfels a quarzo, biotite e feldispato di tipo leptinolitico (Hornfels- Gneiss). Punta La Marmora e Punta Su Susciu. 12. Contatto presso la cantoniera di Pera Onni Presso la cantoniera di Pera Onni, lungo la via Correboi-Villanova-Strisaile, si osserva il contatto tra gli scisti cristallini, attribuiti al siluriano, e le rocce granitiche, che continuano verso sud fino a congiungersi colla regione granitica di Lanusei. Gli scisti siluriani, come si osservano vicinissimo alla cantoniera, sono trasformati in hornfels micacei-cordieritici-feldispatici (Avioliti feldispatiche). Anche in queste rocce a straterelli quarzosi normali si alternano larghe zone completamente ricristallizzate, e formate essenzialmente da larghe plaghe di cor- dierite e da mica bruna. Talora alla cordierite si sostituisce un aggregato gra- nulare feldispatico, sempre accompagnato da notevole quantità di biotite. Il feldi- spato è prevalentemente di natura alcalina, pur non potendosi del tutto escludere la presenza di miscele acide calcico-sodiche. La cordierite è sovente assai fresca, e per lo più in geminato polisintetico. Alcune plaghe sono trasformate nel solito aggregato micaceo, e sovente acqui- stano un colore giallognolo più o meno carico. Tra i componenti accessori di questi hornfels noto l'abbondanza di spinello verde, pleonasto. È pure frequente il corindone e la magnetite. Fra i minerali secondari prevale la sericite e la clorite. td tte 0) Ae da date 13. (dl Contatto presso S. Maria Navarrese In questa località, che dista pochi chilometri verso nord da Tortoli, il granito è attraversato da potenti filoni di porfido granitico rosso e di lamprofiri verdo- gnoli e nerastri, che corrispondono esattamente a quelli di Capo Bellavista. Gli scisti cristallini, come si osservano a qualche distanza dal granito, sono qui rap- presentati da quarziti micacee compatte e finamente scistose, a struttura regolar- mente parallela. Le finissime squamettine micacee sono di muscovite, allineate in sottili straterelli paralleli, e fra gli elementi accessori si nota: la tormalina, lo zircone, la magnetite, l’ apatite e qualche granulo di granato. Il primo accenno di metamorfismo si palesa in queste quarziti per numerose ed irregolari macchie leggermente giallognole, date da accentrazioni micacee, nelle quali alla mica bianca ancora prevalente si uniscono squamette di bruna biotite. Inoltre un finissimo pigmento micaceo si diffonde in tutta la roccia, avvolge e penetra nei granelli quarzosi, e la quantità di mica bruna aumenta notevolmente, finchè si passa a quarziti di contatto fortemente micacce, nelle quali larghi strate- relli sono intieramente formati da un aggregato di squame biotitiche-muscovitiche, in cui si nota anche una formazione di feldispato alcalino. Queste rocce hanno l'aspetto di filladi quarzoso-micacee, sovente sono ricchissime in granato. A diretto contatto col granito si osserva una zona, sottile, di hornfels bio- titico-andalusitici, ossia di Hornfels- Astiti. In queste rocce gli straterelli com- presi tra le larghe zone quarzose inalterate, proprie delle rocce quarzoso-filladiche, sono intieramente ricristallizzati. I minerali prevalenti e che da soli formano quasi intieramente detti straterelli, sono l’andalusite in prismi allungati e la mica bruna, associata a notevole quantità di muscovite. L’andalusite presenta le solite inclusioni e la roccia ha la medesima struttura delle analoghe astiti più di altre aree di contatto sarde ed alpine. Questi fenomeni di coutatto si possono assai bene e facilmente osservare per- correndo la costa, poco a nord di Torre S. Maria Navarrese. 14. Zona di contatto nelle adiacenze di Sorgono Le rocce scistoso-cristalline, che nelle adiacenze di Sorgono vengono a con- tatto colle rocce granitoidi, fanno parte della massa scistosa del Gennargentu, e la natura degli scisti normali è all'incirca eguale a quella degli scisti, che si trovano al nord del massiccio, al Monte Spada e presso Fonni, lungo la via di Correboi. Tale formazione scistosa è ricordata dal La Marmora nel seguente pe- riodo: « La roche granitique arrive sans interruption jusqu’au village de Sorgono. Si de ce point on se dirige vers Tonara, on rencontre bientot la roche schisteuse, c'est è dire les schistes talqueux de la masse du Gennargentu, mais sì l'on con- ee a dei se tinue è marcher vers le nord, on ne cesse de fouler le granite qui forme toute la base de la grande masse centrale jusqu’auprès d’ Ottana ». I contatti tra graniti e scisti, da me osservati, si trovano lungo la via ferro- viaria Sorgono-Tonara; e inoltre a N.E. e a nord di Sorgono, seguendo la linea ferroviaria, si osservano nelle trincee granitiche numerosi e netti filoni di por- firiti dioritiche e di rocce lamprofiriche, che furono a lor luogo descritti. Al casello 88 si entra ad un tratto nella regione scistosa, e il contatto tra le due rocce è assai netto, osservandosi per un certo tratto negli scisti apofisi dei graniti di tipo aplitico. Così a N. e a N. E. di Sorgono si osserva il contatto nelle immediate vicinanze della borgata. Lungo la linea Sorgono-Tonara, a qualche distanza dal granito gli scisti normali sono rappresentati da rocce dure, compatte, a fina struttura parallela, grigie o verdognole, a superficie lucente, attraversate da frequenti vene a lenti quarzose. Sono essenzialmente scisti quarzosi, formati da minutissimi granuletti di quarzo, fra i quali sono interposte laminette micacee e cloritiche. Sono raris- simi i granuletti feldispatici. È costante, benchè in minima quantità, la torma- lina e lo zircone. Oltre a queste forme quarzitiche si hanno tipi filladici più ricchi in mica ed in clorite. Le rocce metamorfiche di questa regione le raggruppo come segue: 1.° Filladi quarzoso- micacee di contatto. Sono rocce di aspetto di scisti fil- ladici normali, a finissima struttura parallela. Sono eminentemente quarzose e ric- che in microscopiche laminette di muscovite e di clorite. Nelle zone micacee si no- tano con una certa frequenza granuli feldispatici. Un primo accenno alla strut- tura metamorfica è dato da minutissime squamette e sferuline di mica bruna, che, suddivise, isolate o aggregate fra loro, sono interposte o incluse nelle zone quar- zose. Questo speciale aspetto della mica bruna manca del tutto e costantemente nelle rocce scistose normali, che distano dal contatto. Inoltre queste rocce passano insen- sibilmente e gradatamente a /aezes di hornfels scistosi. Queste filladi quarzoso-micacee di contatto si osservano lungo la ferrovia Sor- gono Tonara, tra il casello 88 e 89, e lungo la via provinciale Sorgono-Tonara, fino a qualche Chm. da Sorgono. Non mancano forme, specialmente a est di Sor- gono, più ricche in feldispato e in mica, che passano a gneiss filladici di contatto. 2.° Filladi di contatto ad andalusite e hornfels scistosi a biotite, andalusite e feldispato. Le filladi di contatto ora descritte, a pochi metri dal granito passano a queste rocce ad andalusite. In esse, a zone quarzose poco o nulla metamorfizzate sì alternano straterelli in gran parte ricristallizzati e costituiti da lunghi prismi, talora raggruppati a disposizione raggiata, di andalusite, ricchi di inclusioni mi. cacee e carboniose, e da larghe plaghe, formate da un finissimo tessuto di lami- nette e squamette micacee (essenzialmente mica bianca o leggermente verdognola o giallognola), frammiste a squamette di mica bruna. Altre zone sono invece pre- valentemente formate da granuli feldispatici frammisti alle miche (ortose e mi- scele acide oligoclasiche). Gli hornfels scistosi a contatto col granito, nella zona a nord di Sorgono, sono ricchi in plaghe di prodotti di alterazione di tipo pinite e che con ogui probabilità — 93 — derivano dall’ alterazione della cordierite. Queste rocce hanno aspetto scistoso e già ad occhio ci è palese una notevole differenza tra i diversi straterelli, i quali sono metamorfizzati con intensità notevolmente diversa gli uni dagli altri. Gli strate- relli quarzosi sono quasi del tutto inalterati, i granuletti quarzosi contengono tuttavia sferuline di mica bruna, e squamette micacee di nuova formazione sono interposte tra essi; altri straterelli sono formati da un miscuglio di laminette micacee brune e da granuletti feldispatici (ortose e miscele acide oligoclasiche). Gli straterelli più numerosi e potenti sono costituiti da plaghe di pinite, alternate con altre essenzialmente ad andalusite e biotite. La tormalina, lo zircone ed il ‘corindone sono piuttosto scarsi. i Queste rocce si possono definire micascisti filladici di contatto a biotite, an- dalusite e feldispato, che gradatamente passano a hornfels scistosi andalusitici- feldispatici-biotitici. Presso il casello N. 60 trovai sparsi dei blocchi di hornfels ad andalusite, bio- tite, cordierite, corindone e pleonasto, assai poveri in feldispato. Gli straterelli di queste rocce, interposti tra le vene quarzose, sono intieramente ricristallizzati, e la struttura scistosa è in molti punti del tutto scomparsa. Alcune plaghe di queste rocce sono formate da squamette di mica chiara con cristalli allungati, o granuli di andalusite, ricchi in inclusioni micacee e carboniose; altre plaghe essenzial- mente biotitiche sono ricche in cordierite inalterata. Abbondantissimo si trova il corindone. Meno frequente la tormalina e uno spinello verde (pleonasto). In una trincea della ferrovia presso il casello Chm. 88 si trovano, intercalati nelle filladi di contatto, presso al contatto diretto col granito, banchi di rocce assai compatte, d’ aspetto di corneane, minutissime, senza distinta scistosità. L'aspetto loro varia notevolmente in uno stesso campione di roccia. Dure e compatte come selce, di colore grigio, cenerognolo o roseo, passano a zone o a lenti, finamente granulose, verdognole, essenzialmente pirosseniche, oppure a parti, anche esse fi- namente granulose, essenzialmente micacee, e che hanno aspetto e composizione di hornfels micacei. Rocce identiche a queste sì trovano anche poco a nord di Sorgono, vicino al contatto col granito, e qui sono in relazione con un giacimento di pirrotite, mista a pivite, a calcopirite e a marcasite. La parte cornea di queste rocce, di colore grigio, cenerognolo o talora roseo, è essenzialmente costituita da un impasto di minutissimi granuletti incolori, fel- dispatici. Pochi fra questi granuli mostrano la geminazione polisintetica, ed in questi l’ estinzione è notevolmente inclinata sulle tracce di geminazione; come pure ogni volta che una sfaldatura è palese, l'angolo di estinzione è notevole. Non è possibile, in causa della piccolezza dei granuli, riconoscere l’ orienta- zione ottica per arrivare ad accurate determinazioni. Tuttavia la rifrazione loro è sempre fortemente superiore a quella del balsamo, il che fa supporre che si tratti di miscele non più acide della labradorite. In queste stesse plaghe cornee feldispatiche abbonda la titanite, che si presenta tanto in granuletti irregolari quanto in cristalli idiomorfi dalle tipiche forme. Il colore verdognolo di talune di queste plaghe cornee è dato da minute squa- mettine cloritiche, che s’ interpongono tra i granuletti feldispatici. Sovente sì ag- L'E giunge l’ epidoto e la zoisite; poi particelle carboniose, e più raramente granuli di magnetite. Zone ricche in clorite, in epidoto e zoisite, con notevole quantità di particelle carboniose, si alternano con zone più chiare quasi esclusivamente feldispatiche. Le zone e plaghe essenzialmente micacee hanno la solita composizione e struttura degli hornfels feldispatico-micacei. Constano di numerose lamelle di mica rosso-bruna, tra le quali s’ interpongono dei granuli di feldispati basici di Ca e Na e granuli di sillimanite. Finalmente le larghe zone -granulari verdi sono essenzialmente costituite da un pirosseno monoclino verdognolo, quasi completamente incolore in sezioni sottili. Questo pirosseno forma larghe plaghe o granuli minutissimi aggregati fra di loro e l’ estinzione, misurata su (010) è di cc = 45°-46°. In piccolissima quantità si nota anche qualche laminetta di anfibolo intensamente verde. Localmente qua e là nella roccia al pirosseno è associata la vesuviana, la quale talora forma piccole plaghe a sè ed è talora frammista a granuletti di gra- nato. Al pirosseno vanno sempre uniti feldispati di Ca e Na, titanite e apatite. I feldispati si presentano in granuli raramente geminati, e sui granuletti isolati dalla roccia mediante le soluzioni pesanti constatai i caratteri seguenti: Da laminette di sfaldatura esce un asse ottico assai inclinato e l'estinzione, rife- rita alle tracce di sfaldatura, varia da 28° a 35°. Gli indici di rifrazione sono compresi tra 1.555 e 1.600. Caratteri, che corrispondono a quelli di miscele di bitownite-anortite. Gli hornfels ora descritti hanno aspetto e composizione piuttosto singolari. Come risulta dalla descrizione, che io ho data, sono costituiti da zone e da plaghe, alternantisi e miste, di hornfels micaceo-feldispatici a sillimanite, che non dif- feriscono essenzialmente dagli hornfels prodotti dal metamorfismo di contatto su- bìto da scisti filladici, da hornfels feldispatico-cloritici e da hornfels costituiti essenzialmente da pirosseno monoclino verde chiaro e da feldispati basici, accom- pagnati da vesuviana e talora da granato, titanite e apatite. La costituzione di queste plaghe è quella presentata sovente da rocce metamorfiche derivanti dalla trasformazione di rocce calcaree. È inoltre notevole il fatto, che i feldispoti di ogni parte o zona di questi hornfels sono notevolmente basici. La loro spettanza alle miscele di bitownite-anortite è accertata pei feldispati associati al pirosseno ed alla vesuviana; e almeno non più acidi della labradorite sono i granuletti delle zone cornee essenzialmente feldispatiche. È quindi notevole ia ricchezza in Ca di questi hornfels. Si può forse supporre che le rocce originarie normali, che per azioni di me- tamorfismo di contatto si sono in tale guisa ricristallizzate, fossero scisti filladici ricchi in calcare o alternanti con banchi o con lenti di calcare. È 4 4 - | : d i Î l'nabdal TRA lire siberiana ce mn » L* - "è È o dir e LIMENTA all o 15. Zona di contatto a nord di Lanusei La strada, che da Gairo conduce a Lanusei, giunta al punto culminante del- l’altipiano, alla cantoniera di Sarcerè, incontra il contatto tra la granitite, che forma l’altipiano a nord di Lanusei e che continua poi fino al mare, e gli scisti filladici, assai quarzosi, ricchi talora in clorite ed in epidoto. Lo stradale, oltre- passata la cantoniera, corre per qualche tratto quasi al limite tra granito e scisto, e il contatto si può in parecchi punti scoprire lungo una vallecola, che corre pa- rallela allo stradale. A 30-40 m. dal granito gli scisti filladici diventano più cristallini e passano a tipici scisti a macchie o a scisti zonati, nei quali alcune zone alternate o le macchie risultano dall’accentrarsi di laminette cloritiche, unite a squamettine di mica bruna di nuova formazione. Sono scisti assai quarziferi e ricchi in mica bianca. Questi scisti a macchie, a diretto contatto col granito, passano a filladi di contatto ad andalusite e a hornfels scistosi a biotite, andalusite e corindone. 16. Zona di contatto Bidicolai — Genna Silana A circa 15 Chm. a sud di Dorgali, presso la cantoniera di Bidicolai, gli scisti filladici cloritico-quarzosi vengono a contatto col granito. La zona metamorfica non ha qui generalmente grande potenza ed è limitata per lo più al diretto con- tatto, dove il granito è insinuato in varie apofisi negli scisti. Le rocce metamor- fiche sono qui rappresentate da hornfels scistosi e compatti, e sono caratterizzate per la ricchezza in feldispato, biotite, andalusite e tormalina. Al contatto diretto, e per una stretta zona, sembra sia avvenuta una vera iniezione di sostanza fel- dispatica del magma granitico nella roccia scistosa, risultandone rocce di contatto fortemente feldispatiche, nelle quali a straterelli prevalentemente formati da questo minerale si alternano altri straterelli, costituiti essenzialmente da miche, biotite e muscovite, e da andalusite. Talora la struttura scistosa è meno palese e ne risultano hornfels micaceo- feldispatici andalusitici, costituiti da un minuto miscuglio di granuli feldispatici e di lamelle biotitiche e muscovitiche, nel quale sono sparsi grossi e idiomorfi cristalli di andalusite rosea, zeppa di inclusioni micacee e carboniose. Il feldispato di queste rocce è piuttosto acido. Pei valori della rifrazione lo riferisco all’albite o a miscele acide oligoclasiche. I suoi indici di rifrazione, sempre nettamente in- feriori a 1.555 e superiori a 1.528, hanno per lo più i valori seguenti: n= (> <) 1.536 1.541> =n,> 1.536 Nt SAT STI SERRA NI RLETINF O IO. U CARNE VIT cao Tuttavia, per la piccolezza dei granuli, per la mancanza, eccetto rare eccezioni, di geminazione, non è facile riconoscere l’ orientazione delle lamelle o dei gra- nuletti. Certo che non si tratta nè di un feldispato alcalino di tipo ortose nè di miscele basiche di feldispato di Ca e Na, ma di miscele albitiche-oligoclasiche. La tormalina è eccezionalmente frequente e si presenta in minutissimi e nitidi cristallini, sparsi dovunque nella massa rocciosa. Rocce di eguale composizione e struttura, salvo insignificanti differenze nella quantità reciproca dei componenti, riscontrai pure negli scisti cristallini meta- morfici a contatto col granito presso la cantoniera di Genna Silana. Tra Bidicolai e Genna Silana è un continuo alternarsi di granito e di scisti di contatto. Li. Zona di contatto di Ingurtosu A fenomeni di metamorfismo di contatto, esercitato dal granito d’ Arbus sugli scisti argillosi e filladici siluriani, si riferisce il La Marmora, quando accenna. a leptinoliti e a scisti a chiastolite, collegati intimamente cogli scisti argillosi e tal- cosi, che egli osserva specialmente al Monte Linas; e già ricordai, che il Bucca. descrive un hornfels incluso nel granito di Arbus, e che il Lotti osservò, a con- tatto col granito, a Villacidro e a Gonnos, scisti a macchie e a chiastolite. Inoltre il vom Rath osservò apofisi granitiche negli scisti. Blocchi di scisto sono inclusi nel granito, il quale con delicate vene penetra nella roccia fessurata senza alte- rarla in modo notevole. Una località, che bene si presta per lo studio di questi fenomeni metamorfici, è data dai dintorni di Ingurtosu, dove si può gradatamente seguire il passaggio dagli scisti filladici-argillosi normali ai più compatti e tipici horfnels. Percorrendo lo stradale, che da Monterecchio conduce a Ingurtosu, dopo di avere attraversato il Riu Mannu, tra il Riu de La Spina e il Riu d'Ingurtosu, gli scisti argillosi- filladici, attribuiti al siluriano, mostrano una fina punteggiatura, la quale appena visibile in alcuni straterelli diviene marcata in altri. Le piccole macchie, che non sorpassano il diametro di 1 mm., sono giallognole e si distinguono facilmente dal fondo grigio-cenerognolo, talora verdognolo, della roccia. Al microscopio questi scisti di tessitura minutissima appaiono formati da un fino aggregato di granuli di quarzo con laminette cloritiche e di mica bianca; vi è inoltre abbondante l’ema- tite e la tormalina. In sezioni molto sottili le macchie si palesano appena se si osserva a piccolo ingrandimento, e risultano dei medesimi componenti della roccia, solo che in esse è lievemente più abbondante l'elemento cloritico e micaceo. Queste macchie non hanno una demarcazione netta nella massa della roccia, ma sfumano insensibilmente in essa. Se le sezioni sono molto sottili non si differenziano nep- pure al microscopio se non a Nicols incrociati. Il successivo stadio metamorfico è rappresentato da scisti punteggiati, più ricchi in mica, di colore grigio-brunastro, a punteggiatura fina e spessa, che si palesa come un impercettibile rilievo sui piani di scistosità. Questi scisti sono assai più micacei dei precedenti, ed accanto alla mica bianca si nota una notevole quantità. cio Apnea cer ke É j 3 SE ai di fine laminette di mica bruna di nuova formazione, mentre è diminuita la quantità di clorite. Talora la mica bruna sostituisce completamente la clorite. Il pigmento ferrifero è assai diffuso in tutta la roccia. Al microscopio le macchie appaiono nettamente e sono ben delimitate anche in sezioni molto sottili; anche qui esse sono formate dagli stessi componenti la massa rocciosa, con una maggior accentrazione degli elementi colorati, mica e pigmento ferrifero, e in esse vi sono accumulate anche squamette cloritiche giallo-verdo- gnole. La mica bruna di nuova formazione è generalmente estranea alla costitu- zione di queste macchie. La tormalina è qui meno frequente. Questi scisti punteggiati passano alla zona di hornfels scistosi, alla quale sono uniti per innumerevoli tipi di passaggio. La roccia diviene sempre più cristallina e micacea e le macchie tendono a scomparire e a fondersi colla massa dello scisto. Così a Pizzinuri, vicinissimo al granito, osservai hornfels scistosi essenzialmente micacei con prevalenza di mica chiara, leggermente verdognola, di mica legger- mente bruna e di clorite, ricchi inoltre di tormalina e di un finissimo pigmento ferrifero e carbonioso (grafite), nel quale a notevole ingrandimento si riconoscono abbondanti, sottili e brevi prismi di rutilo. Quando le macchie sono ancora visi- bili, esse sono costituite dagli stessi elementi micacei e quarzosi e dal pigmento opaco. Esse non sono nettamente delineate dal resto della roccia, ma sfumano e tendono a scomparire in essa. Talora anche la scistosità diminuisce o scompare, e si hanno tipi che si av- vicinano a tipici hornfels a quarzo e mica, ma in cui predomina una mica chiara, accompagnata da abbondantissime squamette cloritiche. La tormalina è frequente in tutte queste rocce. Queste rocce metamorfiche, essenzialmente quarzoso-micacee, con prevalenza di miche chiare e con assenza di puri silicati di Al di nuova formazione, rappre- sentano forse il prodotto del metamorfismo subìto da quarziti micacee minutissime, che in banchi di varia potenza affiorano in diversi punti presso Ingurtosu. Ad immediato contatto col granito gli scisti a macchie micacei si trasfor- mano in compatti e tipici hornfels a tessitura minutissima, che variano di com- posizione e struttura nei diversi punti del contatto. In alcuni punti lungo lo stra- dale, nelle adiacenze del Riu Pizzinuri, questi hornfels, dove sono più compatti e duri per essere a immediato contatto col granito, vengono scavati per servire da ghiaia stradale. Sovente, come lungo il Riu Pizzinuri, sono attraversati da filon- celli quarzosi. In tutti è caratteristica la straordinaria abbondanza della mica bruno-rossastra, la quale, suddivisa in minutissime squamette, impartisce il colore brunastro e un certo scintillio alla roccia. Ogni traccia di scistosità è scomparsa, e neppure se ne nota traccia all’ os- servazione microscopica. La struttura microscopica è generalmente a macchie pic- cole e spesso di natura diversa, eccetto che per la biotite, dal resto della roccia. La massa fondamentale, per voler così chiamare la porzione che comprende le mac- chie, è costituita da un miscuglio minutissimo di biotite e di feldispato. In molti casi, con un paziente esame a ingrandimenti fortissimi usando obiettivi a immer- sione, si può escludere la presenza del quarzo: in questo caso i granuletti incolori, frapposti fra le squamettine micacee, sono tutti di feldispati e precisamente di mi- Atti — Vol. XII Serie 29- N29. 13 dg; PE scele di Ca e Na, quantunque non sempre presentino la geminazione polisinte- tica, anzi si può dire che la maggioranza di essi non presenti geminazione di sorta. Non riesce facile determinare la natura di questo plagioclasio, poichè la piccolezza dei granuli è tale, che non è dato isolarli e osservarli in un mezzo di nota rifrazione. I loro indici di rifrazione sono sempre nettamente superiori a quello del balsamo, e sembra che la loro basicità non arrivi alla labradorite; ma in molti casi, nelle varietà più minute e compatte di questi hornfels, non resta sempre possibile una sicura diagnosi della parte incolore, frapposta alle squamet- tine micacee, e non si può sempre escludere in via assoluta, che accanto al feldi- spato, che sembra in ogni modo prevalente, vi sia anche del quarzo, e neppure si può escludere, che il feldispato sia, almeno in parte, di tipo alcalino. Il pigmento carbonioso è quasi del tutto scomparso, e non è neppure abbondante la quantità dei prodotti ferriferi. Si nota qualche sottile laminetta di ematite; osservo inoltre . alcuni rari prismetti di tormalina e, pure raramente, il corindone. Con poche variazioni, riguardanti per lo più la tessitura più o meno minuta, si mantiene costante l’ aspetto e la costituzione della massa di questi hornfels. Maggiore variabilità si osserva rispetto alle macchie. In alcuni tipi queste sono costituite da cristalli irregolari di cordierite, an- ch’essi zeppi di laminette di biotite, ma non così addossate le une alle altre come nel resto della roccia, in guisa che queste macchie cordieritiche appaiono alquante più chiare, e maggior risalto hanno a Nicols incrociati, per la birifrazione maggiore del minerale e per l’estinzione all'incirca simultanea in tutta la loro massa. In altre varietà le macchie sono in parte ancora formate da cristalli di cordierite e in parte da cristalli di andalusite. Le une sono facilmente distinguibili dalle altre per la notevole rifrazione dell’ andalusite; in modo che questo minerale spicca sul fondo feldispatico-micaceo della roccia, mentre questo risalto manca alle mac- chie cordieritiche. i Anche qui la biotite è più abbondante fuori delle macchie, inoltre le squa- mette micacee, incluse nell’andalusite o nella cordierite, sono più minute e di preferenza agglomerate nel centro dei cristalli. Tanto l’andalusite quanto la cordierite si presentano in cristalli prismatici, talora notevolmente allungati. I cristalli di andalusite sono zeppi di inclusioni, sì che sembrerebbero corrosi o formati da tanti granelli, se l’orientazione ottica, costante in tutta la plaga, non dimostrasse trattarsi di un unico cristallo, zeppo di inclusioni. Le sezioni basali di cordierite mostrano i vari e caratteristici ge- minati di compenetrazione secondo }110| e }130{. Finalmente in una stretta zona, a immediato contatto col granito, o al con- tatto diretto colle sottili e varie apofisi che il granito invia in queste rocce, la feldispatizzazione è notevolissima, e oltre la cordierite ed la biotite si notano minutissimi prismetti di sillimanite e frequenti granuli di corindone. Talora le apofisi granitiche si suddividono finamente nell’ hornfels e ne risulta quasi una roccia di miscela; così le inclusioni di granito nell’ hornfels, come quelle di horn- fels nel granito sono assai frequenti al contatto diretto fra le due rocce. Hornfels a biotite, feldispato, cordierite e andalusite, simili a quelli descritti, riscontrai in altri punti a contatto col granito, nelle concessioni di Gennamare e di Cra- È ST | ui n — LZ 1 Monte Crabulazzu osservai hornfels, che oltre i citati minerali con- 1 sii copia notevolissima di corindone. — ‘Riassumendo: la zona degli hornfels, che si osserva a immediato contatto col | granito, è rappresentata nelle regioni di Ingurtosu- Crabulazzu da hornfels essen- zialmente micaceo-feldispatici, a cristalli sparsi porfiricamente, a guisa di inter- clusi, di cordierite e di andalusite: sono quindi hornfels edoliti a cordiorite e horn- fels edoliti cordieritici-andalusitici. Accessori vi sono la sillimanite, il corindone, lo zircone, il rutilo, la tormalina, ossido di ferro e sostanze carboniose: queste ultime sempre in piccola quantità, in confronto dell'abbondanza loro negli hornfels scistosi di Pizzinuri. Questi sono i risultati delle analisi eseguite sopra alcune di tali rocce di contatto : A, SCISTO ARGILLOSO A MACCHIE PRESSO INGURTOSU Si0, 56.65 Ti0, 0.79 A1,0, 17.98 Fe,0, 5.54 Fe0 4.54 Mg90 3.76 Cao 0.40 Na,0 0.76 K,0 5.14 H,0 4.47 100.03 B. SCISTO MICACEO A MACCHIE DI INGURTOSU STO, 55.53 o Ti0, 0.80 A8,0, 20.70 Fe,0, 3.22 FeQ 6.03 Mg90 3.96 Cao 0.30 Na,0 0.53 K,0 6.21 H,0 3.04 100.62 . — 100 — C. HoRNFELS DI PIZZINURI S70, 55.71 Ti0, ° 108 41,0; 20.54 Fe,0; 0.83 FeO 6.93 M90 2.77 Cao 0.62 Na,0 1.29 K,0 (ORE H,0 2.28 99.17 18. Zona di contatto presso Teulada I fenomeni metamorfici subìti dagli scisti e dai calcari siluriani a contatto colla formazione granitica del Sulcis meridionale furono ripetutamente messi in evidenza dal La Marmora. Durante una rapida escursione nei dintorni di Teulada in compagnia del- l'ing. Cappa, allo scopo di visitare quelle concessioni minerarie, osservai in più luoghi fenomeni evidenti di metamorfismo di contatto tra graniti e calcari e gra- niti e scisti. Per l’importanza speciale, che tali fenomeni metamorfici acquistano in questa località per la genesi dei giacimenti metalliferi, trovandosi questi in aree di contatto fortemente metamorfizzate, ritornerò prossimamente sull’ argo- mento, appena avrò avuto l’opportunità di fermarmi più a lungo in quella regione. Prescindendo ora completamente dai fenomeni di mineralizzazione, accennerò bre- vemente ad alcuni contatti dei dintorni di Teulada, posti fuori dell’area mine- ralizzata. Gli scisti argillosi, cloritici e micacei, generalmente assai quarzosi, che pre- dominano nella regione, già a qualche centinaio di metri dal granito assumono il caratteristico aspetto macchiato, proprio delle rocce di contatto. Così, lungo la strada che da Teulada conduce a Domus de Maria, principalmente salendo alla Silla, dopo il ponte di Fogaias, presso il Furruxu Valloni e Nuraxi de Mesu, questi scisti affiorano lungo la via con direzione N.S. e inclinazione a O. Tipici scisti a macchie a maggiore cristallinità si osservano presso Teulada, tra il ponte Salvatore Troja e la Cava di marmo, lungo la via che conduce al porto. Anche qui gli scisti hanno direzione *N.S. e inclinazione a 0. Le macchie sono prodotte da ‘una concentrazione delle squamette micacee e cloritiche e dal pigmento ferruginoso. Esse sono stirate parallelamente nel senso della scistosità della roccia. — 101 — Anche presso il Porto di Teulada a qualche distanza dal granito notai uno scisto a macchie, in cui la struttura è in gran parte mascherata dall’ alterazione della roccia. A immediato contatto col granito questa struttura tende a scomparire. È anche con minore evidenza visibile negli hornfels scistosi e compatti, a quarzo, biotite e feldispato, che si riscontrano a immediato contatto colle apofisi di gra- nito negli scisti, al principio della discesa verso Domus de Maria, di poco oltre- passato il Furruxu Nuraxi de Mesu. Le macchie sono prodotte dall’alternarsi di plaghe essenzialmente feldispatiche-quarzose-biotitiche con altre scricitiche, nelle quali i succitati minerali sono sparsi in minor copia. Il feldispato di queste rocce, in minuti granelli, sembra prevalentemente appartenere a miscele acide di Ca e Na: ma non è facilmente determinabile a causa dell’ alterazione di queste rocce. In molti altri punti gli scisti argillosi a diretto contatto col granito diven- gono compatti, durissimi, perdono gradatamente la scistosità, fino a presentarsi in banchi compatti, che pur conservano un fine ordinamento parallelo dei loro com- ponenti. La loro cristallinità aumenta e si trasformano in rocce di tipò leptino- litico, costituite da un miscuglio finissimo di laminette micacee (muscovite e bio- tite), di clorite e di granuletti di quarzo, frammisti ai quali, o limitati a strette zone parallele, si notano talora granuli feldispatici, che però talora mancano affatto. Fra gli elementi accessori si notano ossido di ferro, zircone e tormalina. Rocce di questi tipi appaiono lungo la nuova via che da Santadi conduce a Teu- lada, precisamente oltrepassato S. Anna Arrese presso Su Coneale, dove la nuova via taglia in diversi punti il contatto tra granito e scisto. Lo stesso tipo leptinolitico affiora a immediato contatto col granito tra la Cava di Marmo di Teulada e il Ponte di Tuerra, sulla destra della via che conduce al porto. La roccia dura e compattissima mostra fina struttura parallela e consta essenzialmente di granelli di quarzo, fra i quali sono interposti minutissimi ag- gregati micacei ( miche chiare o leggermente verdognole ). I granuli di quarzo sono alla loro volta zeppi di inclusioni micacee, o brune o verde-giallognole, in forma di sottili prismetti o di sferuline. Zone strette e parallele constano poi di aggregati cloritici e micacei, accompagnati da ossido di ferro e da sostanze car- boniose. I granuletti feldispatici sono qui rarissimi. Non riscontrai rocce di con- tatto a andalusite o con altro silicato di Al di nuova formazione. Queste però non devono mancare, e ad esse con ogni probabilità vanno riferiti gli scisti a chiastolite, dei quali parla il La Marmora anche per questa regione. Pr. PROBABILE ETÀ DELLE ROCCE GRANITOIDI DELLA SARDEGNA Le varie ipotesi intorno all’età probabile delle rocce granitoidi sarde, se non hanno finora sollevate le vivaci discussioni sorte per altri massicci granitici in- sulari ed alpini, sono tuttavia alquanto discordi fra di loro. Tre tendenze si sono a questo proposito manifestate. Alcuni, come già il Sella ed ora il De Stefani, sostengono l’età anti- chissima delle formazioni granitiche sarde, le quali formerebbero la base di tutta la serie delle formazioni paleozoiche. — 102 — Al Laurenziano ascrive quindi il De Stefani i graniti della Sardegna, fa- cendo soltanto eccezione per alcune varietà chiare, a sola mica bianca (granuliti), che ascrive alla zona degli scisti cristallini, all’ Uroniano. Questa opinione, espressa per la prima volta dall'autore in una nota preliminare sui terreni cristallini e paleozoici della Sardegna, è riconfermata in un recente scritto dello stesso De Stefani, dal titolo: Come l'età dei graniti si debba determinare con criteri stra- tigrafici. In esso, negando ogni importanza ai fenomeni di metamorfismo di con- tatto nelle rocce contigue al granito, l’autore sostiene, che tali fenomeni si basano sopra ipotesi pure e semplici, e, negando del pari ogni importanza all'esistenza di apofisi del granito nelle rocce scistose circostanti, mantiene il suo concetto, che i graniti sardi e corsi, al pari di quelli di Toscana e di Calabria, costituiscono il terreno più antico. Il De Stefani termina il suo scritto con queste parole: « Non sono entrato ad esaminare se questi graniti possano essere sedimentari, metamor- fici, vulcanici, o magari anche plutonici, ma antichissimi, perchè con queste ri- cerche si entrerebbe in un campo di idee secondo me veramente ipotetico e nel quale ora non voglio entrare ». Un secondo gruppo di geologi riferisce i graniti sardi a diversi periodi geo- logici, e, pure ascrivendoli in gran parte alla formazione più antica dell’isola, ammette vi siano graniti più giovani delle formazioni scistose, che essi hanno metamorfizzate. Di questa opinione si mostrano il Lepsius, lo Zoppi, il Bucca ed il Capacci. Il Lepsius, che osservò interessanti fenomeni di metamorfismo subìti dagli scisti azoici e siluriani a contatto col granito, ritiene che, quantunque il granito formi ovunque in Sardegna la base delle formazioni azoiche e siluriane, e mai si sovrapponga a queste, è tuttavia certo che una parte dei graniti sardi (tra i quali pone le forme filoniane) sono più recenti della formazione siluriana: « Da auch La Marmora von verschiedenen Punkten der Insel Granitginge im Silur- Schiefer erwihnt und eine Contact- Metamorphose mancher Stockgranite beobachtet hat, so scheint es wohl unzweifelhaft zù sein, dass ein Theil der sardinischen Gra - nite ein Jiingeres Alter hat, als die Silur-Formationen ». Lo Zoppi nella prima parte della sua descrizione geologico-mineraria del - l’Iglesiente tratta diffusamente la questione dell’ età dei graniti, e riassume con dettaglio e chiarezza le idee degli studiosi, che lo precedettero nello studio dello interessante argomento. Basandosi sul fatto, constatato dal Bucca, che le are- narie quarzose a grana grossolana dell’ Iglesiente, che furono riferite al Cam- briano per la presenza in esse di trilobiti, contengono gli stessi elementi che costituiscono le rocce granitiche, quali il quarzo, l’ortose, il microclino, plagio- clasi, la muscovite, l’apatite, lo zircone, la tormalina, ossidi di ferro e un abbon- dante cemento caolinico, lo Zoppi considera come pre-cambriani la maggior parte dei graniti di Arbus, di Oridda e di Capo Pecora. Inoltre egli inclina a consi- derare antichi tutti i graniti sardi, anche pel fatto generale che essi formano la massa fondamentale di tutta l’isola, nonchè per vederli in molte località come a Capo Pecora e nell’ Oridda, spuntare sempre sottoposti agli strati siluriani. Per poter poi spiegare gli evidentissimi fenomeni di metamorfismo di contatto subìto dagli scisti e dai calcari, e le inclusioni di scisto nel granito stesso, ammette lo al “gie ee "A e i } LR e Ie e E STOICA I IS eg n | -- 103 —- Zoppi una seconda e più recente formazione granitica, la quale sarebbe in questo caso filoniana. « E molto probabile anzi » aggiunge lo Zoppi, « che oltre ai graniti filoniani vi siano graniti in grandi masse di differenti età..... i graniti filoniformi sono evidentemente eruttivi e sono stati iniettati nelle dicche dopo l’ epoca silu- riana. Quanto ai graniti in grandi masse, alcuni fatti stanno a favore della po- steriorità dei graniti al Cambriano ed altri, compreso quello d’ indole generale, che cioè tutto il nucleo sul quale l'isola riposa è formato di granito, farebbero supporre che la genesi è anteriore all'era cambriana ». Conviene però notare che questi graniti in grandi masse non sono considerati dallo Zoppi come eruttivi, al pari dei graniti filoniani, ma egli li ritiene formazioni sedimentarie convertite per metamorfismo in granito. Al pari dello Zoppi anche il Bucca distingue i graniti dell’ Iglesiente in pre-cambriani ed in post-siluriani: « Per la geologia dell’ Iglesiente sono di molto interesse due graniti: uno rosso che forma l’altipiano di Arbus, il Capo Pecora ed occupa una buona parte della Contea d’ Oridda, bianco l’altro, che si presenta in filone a Crabulazzu e sotto forma di grossi ammassi, aventi dimen- sioni anche di centinaia di metri, come sopra al villaggio di Arbus. Il primo, che occupa grandissima estensione nel distretto (e anche nell’Isola tutta), probabilmente diede il materiale per la formazione delle arkose (arenarie cambriane) e deve rite- nersi probabilmente come pre-cambriano. Il bianco, invece, che occupa delle esten- sioni limitate e che fornisce le pietre da ornamentazione, come quello del Capo Carbonara, e che si vede talvolta in filoni fra gli scisti argillosi del Siluriano, a contatto dei quali presenta tutti i fenomeni di metamorfismo, deve ritenersi pro- babilmente come post-siluriano ». Il Capacci, infine, in una breve prefazione geologica ad un suo studio sulle miniere di Monteponi e Monterecchio, dopo di avere succintamente ricordate le idee dei vari geologi che si occuparono dell’argomento, così conclude: « Sembra doversi distinguere più formazioni granitiche, e mentre il granito roseo in grandi masse, che evidentemente costituisce l’ossatura dell’ Isola intiera, è senza dubbio antichissimo e certamente pre-cambriano, invece quello bianco parrebbe doversi ascrivere al post-siluriano, giacchè trovasi in dighe per entro agli scisti siluriani, mentre infine il granito filoniforme parrebbe essere terziario come è quello studiato dal Lotti all’ Isola d’ Elba ». Conviene però subito notare, che il Capacci com- prende nei graniti filoniformi anche tutte quelle rocce in filoni, che coi graniti nulla hanno a che fare: ossia i porfidi granitici e quarziferi, le porfiriti e i filoni di rocce lamprofiriche. Infine la terza ipotesi è quella, che considera i graniti sardi propriamente detti, che formano cioè massicci e apofisi negli scisti, come almeno post-siluriani ed aventi tutti la medesima età geologica. Questa idea è nettamente sostenuta dal La Marmora, il quale, come vedemmo, avea constatato il metamorfismo costante subìto dalle formazioni scistose e calcaree paleozoiche, ovunque esse vengono a contatto coi massicci granitici, la formazione dei quali fa cadere posteriormente al Carbonifero. Dopo di avere diffusamente descritto i graniti dell’ Isola egli così conclude: « On voit, par ce que nous venons d’exposer sur les granites de la Sardaigne, qu'ils paraissent devoir ètre rapportés tous è un méme age géologique; et que les 2 différences, que ces roches presentent entre elles, ne sont que des accidents ana- logues è ceux, que se produisent dans toutes les parties du globe où le granite recouvre une certaine ètendue de pays ». Il Bornemann considera del pari post-siluriahi i graniti di Arbus. Hl Lo- visato pone il periodo di formazione di tutti i massicci granitici sardi tra il Siluriano ed il Carbonifero, considerando contemporanee ad essi le dioriti « che in così grandi masse noi vediamo formare il Capo Carbonara ». Il Traverso, che specialmente si occupò delle formazioni granitiche e filo- niane del Sarrabus, notando i fenomeni di metamorfismo subìti dalle rocce scistose siluriane a contatto col grarito, a proposito dell'età di queste rocce così si esprime: « Per età ritengo le rocce granitiche sarde corrispondenti alle alpine, e tutte credo riferire agli ultimi periodi del Paleozoico, superiori al Devoniano. Il limite paleozoico dei graniti è tracciato dai porfidi, di essi meno antichi e certamente permiani ». Ed alla medesima conclusione di ritenere i graniti in massa almeno post- siluriani arriva anche il Lotti, il quale a proposito della massa granitica di Villacidro, la quale si congiunge poi con quella di Arbus, così scrive: « I fenomeni di alterazione indotti dal granito negli scisti siluriani e la modificazione nella struttura del granito stesso presso il contatto, provano ad evidenza che non sola- , mente la roccia eruttiva dei filoni, ma anche la massa granitica di Villacidro (che difficilmente potrà tenersi distinta da tutto il resto del massiccio granitico sardo-corso) è da riferirsi ad un periodo geologico posteriore al Siluriano ». A queste stesse conclusioni, di ritenere cioè i graniti della Sardegna apparte- nenti tutti ad un unico periodo di formazione, il quale cade in epoca posteriore al Siluriano, conducono le osservazioni da me fatte sul terreno durante le gite in Sardegna: osservazioni che trovano inoltre conferma nei risultati dello studio pe- trografico, esposti nei capitoli precedenti. Credo superfluo il discutere l’ origine eruttiva plutonica delle masse grani- toidi. Essa è ormai generalmente ammessa e provata, e pei massicci sardi baste- rebbero gl’ intensi e costanti fenomeni di metamorfismo di contatto, le assimila- zioni magmatiche e le apofisi granitiche negli scisti e nei calcari a provarla. Il non volere considerare il modo di origine di tali masse, prima di stabilire i concetti sui quali si deve fondare la determinazione della loro età, come scrisse il De Stefani nel periodo poc’ anzi ricordato, sembra per lo meno strano e rende impossibile ogni discussione; giacchè è certo, che i concetti esclusivamente strati- grafici, i quali possono valere per le rocce sedimentarie, sono in moltissimi casi affatto insufficienti per stabilire l’età di un massiccio plutonico o di una forma- zione intrusiva. Le ricerche di geologia petrografica, che da un trentennio si vanno pubblicando intorno alle regioni granitoidi ed alle loro zone di contatto, in Europa. e nell'America, danno la migliore confutazione all’ affermazione del De Stefani che « l’azione metamorfica dei graniti a contatto colle rocce circostanti, nel mo- mento d’ una loro supposta eruzione, in una età posteriore alla formazione di quelle stesse rocce, è una ipotesi pura e semplice ». Come risulta da quanto dissi precedentemente, l'osservazione sul terreno non permette, in Sardegna, di distinguere nettamente due formazioni granitiche: l'una È i 4 i È — 105 — | di granito roseo grossolano, l'altra di granito chiaro, più acido e minuto. Quest’ ultimo (non confondendo con esso le apliti) non forma filoni o massicci in- dipendenti dal granito roseo, ma si trova generalmente compreso in quello come _ facies locale, o sovente come facies periferica. E inoltre la forma comune delle apofisi granitiche negli scisti, le quali presentano sovente tipo aplitico. Inoltre nessun criterio petrografico permette di distinguere nettamente fra di loro due tipi granitici, poichè fra le differenti forme di queste rocce, dalle più basiche dioriti alle grossolane granititi anfiboliche, fino alle più minute e acide granititi, vi sono insensibili e graduali passaggi. Dalla descrizione delle aree di contatto appare poi evidente, che i fenomeni di metamorfismo di contatto subìto dagli scisti o dai calcari, non sono in nessun modo limitati ai contatti colle apofisi granitiche o alle forme filoniane; al contrario i fenomeni più intensi di metamorfismo si osservano al contatto diretto colle maggiori e potenti masse granitiche normali. A contatto colle più lontane e poco potenti apofisi, che i graniti mandano nelle formazioni scistose, i fenomeni di metamorfismo si fanno generalmente sempre più deboli, sino a scomparire quasi del tutto, se queste apofisi s’internano negli scisti a considerevole distanza dal massiccio principale. Inoltre, nella massa granitica principale, e non soltanto nelle apofisi o nei filoni, si trovano sovente inclusi, vicino al contatto, nuclei scistosi più o meno intensamente metamorfizzati e trasformati in hornfels scistosi e com- patti; e inoltre ancora i fenomeni di assimilazione operato dal magma granitico, benchè parziali e limitatissimi, si osservano con grande frequenza nelle zone di diretto contatto fra graniti e scisti. Î Questi fatti, insieme alla costanza ed alla generalità del fenomeno, mi sembra provino ad evidenza, come il metamorfismo di contatto è prodotto dai graniti che costituiscono i grandi massicci e non è in nessun modo limitato alle forme filo- | miane, a contatto delle quali anzi il fenomeno è assai meno intenso e sovente non è affatto palese. Vedemmo, che lo Zoppi ed il Bucca a sostegno dell’età pre-cambriana dei graniti rosei dell’ Iglesiente adducono il fatto, che le arenarie cambriane constano degli stessi elementi, che compongono i graniti, e che quindi questi dovevano a quelle preesistere. Dalla descrizione di tali arenarie, fatta dal Bucca, non risulta che esse constino di veri e propri frammenti granitici, ma piuttosto da minerali _ o da frammentini di minerali, fra i quali prevale il quarzo, tenuto insieme da cemento caolinico. Ora non mi sembra si possa con sicurezza affermare, che tali minerali provengono dal disfacimento di rocce granitiche. Anche gli scisti cri- stallini contengono elementi feldispatici, sovente zircone ed apatite, ed anzi la fre- quenza della tormalina nelle dette arenarie s’accorderebbe col ritenere provenienti dagli scisti cristallini gli elementi che le costituiscono. Nelle descrizioni prece- | denti vedemmo infatti, che la tormalina nou è limitata agli scisti metamorfizzati dal granito o caratteristica di essi, ma è anche frequentissima nelle zone scistose cristalline normali, non influenzate dal granito. Inoltre, dato anche che le arenarie cambriane sarde constino realmente di elementi granitici, non è perciò detto, che tali elementi debbano provenire assolutamente dagli attuali graniti sardi, potendo essi derivare da altre masse granitiche (0 di scisti Gdr anteriori, ora scom- I rn — Vor XIT— serie s- N29. si arenarie terziarie dell’ Italia meridionale (esclusa la PERA che sono > stituite da elementi di rocce granitoidi e di scisti cristallini, derivanti da. di rocce antiche, ora del tutto scomparse da quelle contrade. Quindi, per ogni verso, | l'argomento addotto da Bucca e Zocchi non ha alcun valore per poter senz 'ltro | affermare l'età pre-cambriana dei graniti della Sardegna. INDICE Cenni preliminari . È ; A 3 è 5 A a n n. I. Le rocce granitoidi . e î È s 1. Principali osservazioni di altri autori . a 2. Descrizione delle rocce granitoidi. 3 3. Minerali delle rocce granitoidi . È ° A. Feldispati alcalini. : È È 5 a. Feldispati potassici. " - 5 d. Alterazioni dei feldispati alcalini . e. Albite . x > a 3 : B. Feldispati di Ca e Na . È D 5 a. Oligoclasio . x È . . b. Andesina. 2 a ° s E c. Labradorite-Bitownite . a È C. Biotite . a 5 3 5 5 (Muscovite) . 3 . è ; 7 D. Anfiboli o 5 - ; 3 5 E. Pirosseno . ci c È L F. Minerali accessorii. : o : È 4. Composizione chimica delle rocce granitoidi A. Diorite di Esporlatu . 3 È " B. Granitite di Arbatax . È 3 5 . Granitite di Tempo Pausania È ° Granitite di Nuoro E ° n z F. Granitite di Ingurtosu . 3 o + Fa Rocce filoniane . È z è x È È 1. Osservazioni di precedenti autori. 3 . 2. Descrizione delle rocce filoniane . È . A. Rocce filoniane porfirico-granitiche a a. Porfidi granitici . . È c , a. Porfidi granitici microgranitici 6. Porfidi granitici granofirici . b. Porfiriti dioxitiche. . . b. Forme e strutture dei feldispati sedi c. Caratteri ottici dell’ ortose e del microclino . "(. Filoni felsofirici di Capo Bellavista (6) ; D. Segregazioni basiche nella granitite di Tempio Pausania E. Sl 7 Pi pag. . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . ° . » . . . » . . . » . ° . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » ° . . » . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » . . . » o % QD So vs » 0 Hi 10 Me B. Apliti ptt N ci IR C. Rocce filoniane lamprofiriche È c È a. Spessartiti diabasiche . ; 2 È a. Spessartiti diabasiche oliviniche . B. Spessartiti diabasiche senza olivina. b. Spessartiti propriamente dette 5 è 3 î h È c c. Filoni lamprofirici di tipo odinitico * n 7 c È 3. Rocce filoniane di Capo Bellavista a - : È È n 5 5 III. Zone di contatto 3 n = A a : 5 È 5 : È 1. Antecedenti osservazioni 5 x È î c 3 È - x * 2. Zona di scisti gneissici di contatto di Caprera . : È 5 o 3 3. Zona di contatto lungo la sinistra del Coghinas a nord di Tula i È 4. Zona di contatto Fraigas-Ozieri-Vigne . o ° x a 5 c c 5. Zona di contatto Anela-Bono-Silanus . î î > 5 si 5 6. Calcari e scisti di contatto del Silanus : ; 3 x : a 7. Zona di contatto di Orune . È - - x - È i i, 8. Zona di contatto Oliena-Orgosolo. DLE pira È 3 . è . 9. Zona di contatto di Orani e di N. S. di Gonari. Contatto cogli scisti e col calcare è ‘ i Me VI e i ‘ a À a 10. Calcare di contatto del Monte di Gonari. ‘. 5 ; 5 î 11. Zona di contatto Monte Spada-Su Rena-Correboi È à È 3 3 _ [so] . Contatto presso la cantoniera di Pera Onni . . Contatto presso S. Maria Navarrese . 2 È . Zona di contatto nelle adiacenze di Sorgono . HH > 9 15. Zona di contatto a nord di Lanusei 16. Zona di contatto Bidicolai-Genna Silana. 17. Zona di contatto di Ingurtosu 5 E ° x A. Analisi chimica dello scisto argilloso a macchie di Ingurtosu B. Analisi chimica dello scisto micaceo a macchie di Ingurtosu C. Analisi chimica del Hornfels di Pizzinuri 18. Zona di contatto presso Teulada . 3 3 è IV. Probabile età delle rocce granitoidi della Sardegna . Tavole di eliotipie I a VII c è È . x : A finita dr stampare il dî 14 Gennaio 1905 LA IP SION, ap at IR Dei O I e E) WB SRI DOTI VT in bl «€ ù pt e ET ne I day °° vate PEN n Atti R. Acc. Sc. Napoli, 8.0 2.0 - Vol. XII, N.0 9 Riva, Rocce di Sardegna, - Tav. | CAPO BELLAVISTA FILONE DI PORFIDO (2°) NEL GRANITO CAPO BELLAVISTA FILONI DI PORFIDO (2° e 8°) NEL GRANITO i { I 4 1a : be Ki L Ne Sa 1, v f hs ca Riva, Rocce di Sardegna, - Tav. Atti R. Acc. Sc. Napoli, 8.2 2.4 - Vol. XII, N.0 9 CAPO BELLAVISTA FILONI PORFIRICI E LAMPROFIRICI NEL GRANITO CAPO BELLAVISTA FILONE DI PORFIDO (3°), ATTRAVERSATO DA FILONE LAMPROFIRICO, NEL GRANITO Atti R. Acc. Sc. Napoli, 8.0 2,9 - Vol. XII, M.0 9 Riva, Rocce di Sardegna, - Tav. III CAPO BELLAVISTA, COSTA NORD DI GALA MORISCA, FILONI DI PORFIDO (4° e 5°) NEL GRANITO wu Noe =. tea ni enna CAPO BELLAVISTA, COSTA SUD, COL FARO E IL SEMAFORO ET] FILONI DI PORFIDO (4° e 5°) NEL GRANITO } = Sa < E I d = co) ® N°) 3 © ® (o) S) ©) oc [o = ce Atti R. Acc. Sc. Napoli, 8.8 2.0 - Vol. XII, N.0 9 ZOLA FENNARIO= MILANO ELIOT CAL CAPO BELLAVISTA, CAVA ARBATAX, FILONI LAMPROFIRICI NELLE GRANITITE CAPO BELLAVISTA, CAVA ARBATAX, FILONE LAMPROFIRICO NEL PORFIDO Atti R. Acc. Sc. Napoli. 8.8 2.4 - Vol. XII, N.0 9 Riva, Rocce di Sardegna, - Tav. V CAPO BELLAVISTA, COSTA NORD DI CABA MORISCA, FILONE LAMPROFIRICO CON APOFISI ODINITICHE NEL PORFIDO E NEL GRANITO CAPO BELLAVISTA, CAVA ARBATAX, FILONE LAMPROFIRICO CON APOFISI NEL. PORFIDO E NEL GRANITO "rb si = P AE CT fa OLINVYD 3 OCI4HOd FLNYVSYIAVYL ODIHIHOUdNVI NOTI VISIAVI138 Odvo "AY| — ‘euBepueg Ip 00004 ‘PAIY —r—r_— i Css i pe dia —_—-|reE.-,,-;:z-iT-.rr_ rr _rtr_.tTr.r1ttt1 _rrr tr tr rr r tr_tP_eeî IL'LINVHD V1 VYSHIAVUL YVLIOA YNS Y 3HO OSSOH O0I4HOd 13N OLYSSVONI O0IBIHOHdNYI INO1NI ‘VYOSIHON VIVO IO AHON Y OIEOLNOWOUd ‘VISIAVI138 OdYI 6 0°W ‘IX 7ON = E a°S ‘HOGDN ‘98 ‘99Y “Y 1HY «N ta MESE ì È - e . teo, as, Dpef —3 US, Di d Atti R. Acc. Sc. Napoli. 8.8 2.0 - Vol: XII, N.0 9 Riva, Rocce di Sardegna CAPO BELLAVISTA, ESTREMITÀ DELLA COSTA NORD DI CALA MORISCA, FILONE LAMPROFIRICO NELLA GRANITITE EROSA E DENUDATA CAPO BELLAVISTA, CALA MORISCA, FILONE LAMPROFIRICO TRA PORFIDO E GRANITO ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DELL'AZIONE DI ALCUNI ESTRATTI ORGANICI i SUL LAVORO MUSCOLARE 4 ti RICERCHE SPERIMENTALI pel Prof. FRANCESCO CAPOBIANCO presentata nell'adunanza del dà 11 Giugno 1904 In una mia precedente nota esposi alcuni risultati ottenuti sul cuore di rana dalla irrorazione sul miocardio di estratti organici , sciolti o sospesi in una solu- |_—Zione fisiologica di cloruro sodico. LE bi di i rr In quella nota, giustificando lo scopo e l’obbietto delle mie ricerche, espressi il convincimento che ad onta dei risultati notevoli, conseguiti sulla significazione del secreto interno di molte glandole, per opera di fisiologi, di terapisti e di clinici, non si era ancora pervenuti ad eliminare molte contraddizioni e ad avviare la soluzione di molti quesiti. « Ciò, secondo mi pare » scrivevo allora « oltre che alla difficoltà dei problemi va in parte riferito anche alla diversità di condizioni degli esperimenti, così in rapporto alla varia provenienza degli estratti organici tentati ed alla loro diffe- rente preparazione , come alle diverse vie di somministrazione ed alle specie ani- - mali differenti che han servito alle esperienze ». Rimandando ad altra volta la esposizione delle ricerche continuate sul cuore, riferisco ora i risultati che sulle grafie muscolari del gastrocnemio del Bufo vu/ga- ris ho ottenuto dall’azione di estratti d’ organi, perchè tali risultati mi paiono non ‘privi d’ interesse e rappresentano un altro contributo allo studio, del quale la pre- cedente mia nota fu solo un capitolo d’ introduzione. È noto come la ricerca delle leggi, che regolano il lavoro muscolare nelle più diverse condizioni fisiologiche e sperimentali, è stata largamente perseguita nei dif- . ferenti animali e nell’uomo, e sin dal 1870 il Kronecker studiò le leggi della fatica nel gastrocnemio e nel tricipite di rana, concludendo che la linea di fatica è una retta per il muscolo in sovraccarico , mentre per il muscolo, caricato prima della Arti — Vol. XII—Serie 2°— N.° 10. l E gn contrazione, la linea di fatica, pur essendo una retta sino all’ ascissa segnata dal muscolo inattivo e senza pesi, si avvicina da questo punto ad una iperbole, di cui un asintoto è l’ascissa del muscolo inattivo e caricato. Le deduzioni del Kronecker, parzialmente contradette, furono però nel 1896 confermate sulle rane da I. Yoteiko, che nella curva della fatica distinse tre fasi: una scala, falta di parte ascendente e discendente; una fase di discesa rapida con rilevante differenza di fatica ed una di discesa lenta con diminuita differenza di fa- tica. Le due rette dàn luogo ad una linea leggermente concava in basso. Per quanto riguarda i muscoli del rospo mancano, che io mi sappia, ricerche ergografiche sistematicamente seguite. Il Gleiss in un contributo alla chimica dei muscoli trovò che quelli del rospo si contraggono più lentamente e producono regolarmente meno acido che non i mu- scoli di rana, i quali lavorano più celeremente ed il Bonhoffer (1890) dimostrò che nel decorso della rigidità il gastrocnemio del rospo si comporta come un muscolo rosso, cioè come un muscolo tardo relativamente a quello di rana, il cui contegno è di un muscolo pallido. Altre differenze notò il Meirowsky (1899), per lo stesso fenomeno, tra i mu- scoli di rana esculenta e quelli di rana temporaria e di rospo, nel quale il Nagel vide la curva di rigidità biapicale, analoga ad alcuni miogrammi, la cui linea ascen- dente presenta una scontinuità dovuta alla presenza di fibre più rapide e più lente nello stesso muscolo. Non essendo mio proposito ricercare le leggi del lavoro muscolare in questo animale, di cui mi son servito per le mie esperienze, ho cercato soltanto di preci- sare alcune condizioni fondamentali, su cui potessi poi stabilire l’esame comparativo. Quanto al dispositivo sperimentale non ho bisogno di indugiarmi a descriver- lo: Un ordinario miografo di Pfliger, un apparecchio a slitta di Du Bois-Rey- mond, una grande pila Grenet ed, inserito nel circuito della pila, un orologio a contatto (Contactuhr), che col costante funzionamento mi permise di regolare gli intervalli tra gli stimoli di apertura, i quali si succedevano ogni minuto secondo. Un cronografo Jacquet segnava anche i secondi e serviva ad assicurarmi insieme dell’uniforme movimento del cilindro, che compiva un giro completo in 4,6". Così ordinato il dispositivo, ho tentato una doppia serie di esperienze prelimi- nari, raccogliendo moltissime grafie muscolari con stimolazioni dirette sul gastro- cnemio e con quelle avviate per lo scialico, isolato per breve tratto e conveniente- mente protetto. Per la stimolazione diretta del muscolo, lo isolavo per buona parle anche dai tronchi nervosi prossimiori. In entrambi i casi, poi, il tendine veniva un- cinato ed attaccato con sottil filo metallico alla leva del miografo. Parmi inutile aggiungere che in ogni caso guarentivo nel modo migliore il disseccamento dell’animaie o del muscolo, quando questo era isolato 0 scoverto. Ho poi praticato in modo sistematico frequenti e ripetuti controlli , nella sta- gione fredda e nella calda, raccogliendo tracciati muscolari scritti continuativamente, senza riposo , sino alla completa e definitiva stanchezza, ovvero solamente per pe- riodi di 5' ed alternantisi con riposi di mezz’ ora, ogni volta. Tale intervallo mi è parso sin dal principio sufficiente a ristorare il muscolo , restituendolo nelle con- dizioni primiere. Usa ic Nel Tracciato I è la prima parte di una lunga grafia, nella quale le scosse si son succedute senza interruzione per circa due ore e mezza con eccitazione di apertura di una corrente indotta, con distanza tra le bobine pari a 9g e col sollevamento ritmico a secondi di un peso di 15 grammi a tutto carico. L'altezza delle contrazioni più forti è di 3 cm., e dopo circa 80 contrazioni con progressiva lentissima diminuzione si giunge ad 1 */, cm. ti il IN l (Ult ili UFIAIAAI i) VITI () f} 1 / (1/! i /( i} IULI | Il VOIIITÀ VU \ Tracce. I. — Rospo. Grafia normale. Contrazioni iniziali. Stimolazione d'apertura. Tempo in secondi. Peso grm. 15. Corrente indotta. Distanza tra le bobine =9. Dopo un’ora e mezza di lavoro continuo il muscolo esegue ancora contrazioni, che danno un sollevamento pari a 10-11 mm,, come si può rilevare dal tracciato N. 2. UAN / VI JV Ù VUCI JI UNA (VIA il Li | III I ELP RE I EERERE CORE ERO E KE: CIALE RL x / Tracc. II. —- Idem del precedente dopo ora 1.80' di lavoro continuo. Le contrazioni si seguono ed il livello gradatamente si abbassa; la linea di ri- torno al riposo è aumentata di durata; non più un angolo inferiore aculissimo, ma una breve linea, che ne è quasi la fase terminale, come si vede in fig. 3* che ripro- duce un tratto dopo 2 ore. Tracc. III. — Continuazione del primo e secondo dopo ore 2 di lavoro continuo. Com'è facile intendere, il peso e la grandezza degli animali variano tra limiti, se non molto estesi, certo non piccoli e corrispondentemente si hanno modifi- cazioni più o meno apprezzabili. pe pra Per gli animali di media taglia il peso di 15 grammi si è rivelato il più adatto ad un maggior rendimento di lavoro e con esso si può ottenere una curva durevole, lunga, continua, quando rimangano costanti gl’ intervalli tra gli stimoli. Se durante il lavoro, con tale peso, si lascia per 10’ il muscolo a riposo ed al- leviato del suo peso, le contrazioni, che possono provocarsi dopo il riposo, sono alte quasi quanto quelle del muscolo fresco sia la stimolazione ritmica diretta dal nervo o dal muscolo. Con animali di più grossa taglia ho invece adoperato il peso di 20 grammi, per- chè da esperimenti preventivi mi convinsi che le proporzioni rimanevano costanti con tale rapporto tra il peso dell’animale e quello da sollevare. SAUL i — "= — > 1 fl Î hi AAA e V IL LIA LSPCKTAI LEPRI IAA III fF PLIPII LV ISIILILEILAEII Tracc. IV. — Grafia muscolare normale. Stimolazione muscolo diretta. Intervalli a secondi. Peso 20 grammi. Distanza tra le bobine—=9. Riduzione fotografica ad !/,. Nel Tracc. IV si vede una grafia muscolare normale. Dopo circa 180 contrazioni, i sollevamenti non son quasi più apprezzabili. Lasciando riposare il muscolo per 30), il secondo tracciato che si ottiene è pari per altezza dei sollevamenti iniziali a quello che lo precede, ma un poco più breve. Vi si contano 168 contrazioni, nelle quali però la linea che segna il livello superiore pur essendo una rella converge con maggiore e più rapida inclinazione verso l’acissa. Seguendo così ad alternare periodi di riposo e di lavoro sì può anche dopo 6 ore otterere un tracciato miografico, che se dinota una certa stanchezza del muscolo ha però anch’esso un non trascurabile valore chilogrammetrico, come si può osservare guardando il Tracce. V e paragonandolo col IV. Tra i due intercedono ben 10 tracciati ergografici, separati da intervalli di * ora di riposo. UVUVIARVUVUVVUUVILI LATIRTAIO ILIETARIEIEE ARPEL ALE HIARAIRERET EHI PUPATI KI TITTINT MITUTIIVIT VE LITRI SANA VALIIRARONCHRAAA A ALRRIAAA A] Trace. V. — Idem del precedente dopo 6 ore di lavoro in cui si sono raccolti 10 tracciati, con intervalli di riposo di 80'. Riduzione fotografica ad ‘/,. Se tra il primo e l’ ultimo della serie si notano delle differenze, queste sono quasi inapprezzabili allorchè si esaminino due ergogrammi successivi, perchè la fa- tica sopravviene in un modo così gradualmente progressivo che è solo a grandi intervalli che questa differenza può rivelarsi evidente. Nel Tracce. VI invece è dato un tracciato di gastrocnemio di rospo ottenuto per 0 fidi stimolazione nervo diretta, con un peso di 20 grammi. Paragonando questa ergo- grafia con la VII si notano a prima vista differenze notevoli. Tra le due non interce- dono che solo 6 altri tracciati, eppure non occorre nemmeno fermarsi a rilevare i caratteri differenziali tra esse, tanto questi risultano in modo evidente. Hi } } SUITSIA A TIERRA SHAH, fi WPL'A'IO VANI VU SUUUEVUY TU Ven VEUVI UVE UVILI (UM 14{}f it} LUI Iijafti tì 1 LPIsAS IDE (AMI FILI ipa i IT Liar cia ripgilisparetiit Tracc. VI. — Grafia muscolare normale. Stimolazione nervo diretta, ritmica a se- condi. Peso 20 grammi, dist. — 9. Riduzione fotografica ad ‘/,. La grafia dopo altre 50 contrazioni cade ad un minimo. Ai fil { VU Kk (7177 ASPIOOI VAPORE, NSIDAAI NARRA SASSI Its I (III Lev s4 POLLI ADELE LA LP EREIIDIIOLI Trace. VII. — Idem del precedente dopo ore 2 !/, e 6 grafie con riposi interposti di 20'. Riduzione fotografica ad ‘/,. In questi due tracciati si dimostra se pur ve ne fosse bisogno che la stimo- lazione dal nervo produce più facile stanchezza, per l’ attossicamento delle termi nazioni nervose. Si può aver differenza di grandezza dell’ animale, sperimentare nella stagione fredda e nella calda, adoperare animali raccolti immediatamente o tenuti per due o tre giorni in ambienti adatti di laboratorio e le differenze serberanno sempre un certo rapporto costante, che consente di farvi su assegnamento per l’esame di com- parazione. Il Tracciato VIII è da questo punto di vista assai istruttivo. Esso rappresenta la curva ergografica di un rospo di media grandezza, raccolto nell’Aprile ultimo. Tracc. VIII. — Grafia del gastrocnemio. Lavoro preagonico. Peso 20 grammi. Tempo di stimolazione d’ apertura in secondi. Distanza tra le bibone= 9. Ridu- zione fotografica ad ‘/,. RR Trattavasi di un animale rimasto soverchio tempo in laboratorio e sul quale io volevo praticare qualcuno dei saggi con estratti. Dispostolo secondo le ordinarie norme, raccolsi la grafia accennata. Questa come si vede non si rassomiglia a niu- n’altra delle ergografie iniziali normali. Sorpreso di tal fatto, liberai |’ animale, lo tenni a riposo, ma dopo circa 10’ l’animale era morto. Trattavasi di una curva er- gografica preagonica e per controllarne il significato, cercai di raccogliere tutti gli altri rospi che mi parvero dover soccombere più presto. In quasi tutt'i casi potei constatare che la comparsa di una ergografia come quella riportata era prono- stico sicuro di morte imminente , sicchè mi persuasi che in effetti la curva della fatica del gastrocnemio nei rospi, che si avvicinano a morte spontanea, ha i carat- teri di quella addotta e che io chiamerei del lavoro preagonico. Le determinazioni da me fatte non son già destinate a fissare le leggi del la- voro muscolare nel rospo, siccome ho già dichiarato. Altre constatazioni sarebbero occorse per una determinazione completa ed esauriente, sopratutto in rapporto al variare del valore dei pesi, del ritmo e della intensità degli stimoli; aggiungervi fors'anco la determinazione delle curve contemporanee di chiusura e di apertura, siccome praticò Ioteiko, ed altre simili determinazioni, ma avrei complicato oltre- modo le mie ricerche, le quali aveano sovratutto la mèta nello studio dell’ azione degli estratti organici. Quelli che io ho adoperato, come già pel cuore di rana, mi sono stati forniti dalla casa Merck e che sono in massima ottenuli per disseccamento degli organi. Li ho usati nella proporzione di 1 grammo su 20 cem. di soluzione isotonica di cloruro sodico, benchè forse poteva anche omettersi tale precauzione trattandosi di rospi, poichè è già noto, per le osservazioni dell’ Overton sulla rana, che i muscoli di questa si tengono a lungo irritabili anche in soluzioni ipoisotoniche ed iperisotoniche, che non vadano oltre certi limiti. Delle dette soluzioni iniettavo 2-4 o 5 cem. nel sacco linfatico dorsale del rospo ed il tempo della iniezione corri- spondeva o negl’intervalli del riposo, quando il muscolo era in lavoro alternativo, ovvero nella fase della lenta discesa, che può quasi considerarsi una fase presso- chè costante, se il muscolo era in lavoro continuo. In ogni saggio, ho prima fatto scrivere un tracciato normale ed assicuratomi che il muscolo funzionava normalmente procedevo alle altre pruove, e ciò per non lasciarmi sorprendere da possibili modificazioni, che in questi animali potean me- ritare ben altre spiegazioni. Uno dei metodi per studiare sui muscoli della rana l’effetto di sostanze iniet- tate è stato quello di sottrarre al circolo, con una forte allacciatura alla radice del- i’ arto, il gastrocnemio di un lato, in modo che non potesse giungervi a traverso il sangue veleno di sorta, e dopo avere sperimentato sull’arto in perfetta circolazione apprezzare le deviazioni col controllo della grafia data dal muscolo guarentito dali’at- tossicamento. Jo ho rinunziato a questo controllo, contentandomi della preventiva de- terminazione del tracciato normale e per le seguenti considerazioni: Mi è parso, infatti, che a quel metodo potesse obbiettarsi che l’allaccialura di tutto un arto 0 non è stretta fortemente ed allora non si è sicuri che il veleno in- trodotto nel circolo non vi sia penetrato col sangue, ovvero essa è completa ed ia impedisce l’arrivo del tossico, ma in tal caso anemizza il muscolo e ne turba it metabolismo, cui è legato il normale svolgimento della sua funzione. D'altra parte, è poi noto che l’affaticamento di un muscolo o di un gruppo di muscoli non è senza «influenza sugli altri muscoli, non direttamente impegnati nel lavoro, i quali risentano | —anch’essi, sebbene in misura diversa. Ho preferito perciò il metodo esposto innanzi, seguendo il quale ho esperi- mentato parecchi estratti organici quali la tireoidina Notkin e l’estratto di glandola liroide, l’estratto pituitario, il surrenale, il timico, il lienale, il testicolare, l’ovarico, il renale, il prostatico ed infine anche l’estratto di cervello. Tireoidina Notkin È noto cho sul principio attivo della glandola tiroide non può dirsi ancora sta- bilito l'accordo unanime e il Drechsel va sino ad ammettere in essa la esistenza di tre sostanze, mentre pel Baumann il principio attivo sarebbe rappresentato dalla iodotirina. La tiroproteide Notkin non è, secondo questo A., un secreto, ma il prodotto degli scambii intraorganici, il quale si accumula nel corpo tiroide, ove sarebbe neu- tralizzato da un fermento speciale. È noto che il Notkin preparava la tiroidina dalle tiroidi di bue, di pecora, di porco in massima parte e più limitatamente da quelle di cane, e che la credette il costituente precipuo della sostanza colloide contenuta nei follicoli tiroidei. Quella che io ho adoperata è il Thyreoidinum depuratum Notkin (Merck), che è perfeltamente solubile in acqua e che io ho sciolto, come al solito, in solu- zione di cloruro sodico. Quanto all’azione che il succo tiroideo manifesta su la funzione muscolare non conosco altre osservazioni se non quelle sole che il Mosséè praticò su l’ uomo, | servendosi pel suo esame del dinamometro Collin nelle prime ricerche (1885) e dell’ergografo in altre posteriori (1898). Notlò aumento della ampiezza e della durata della curva del lavoro, ed avendo | potuto escludere il dubbio che il rinforzo fosse dovuto allo allenamento, riconobbe | al succo tiroideo il potere di aumentare, nell’uomo, la energia muscolare e di ri- tardarne l’affaticamento. Le mie esperienze sul rospo mi han dato risultati interessanti. Scelto un ani- male, raccolto di recente, fu preparato secondo il metodo ordinario per la stimola- zione dal nervo, e cominciai a fare scrivere il muscolo per un lavoro continuo, con un peso a tutto carico di 20 grammi, con slimoli succedentisi ogni secondo. Dopo 3-4 contrazioni progressivamente più alte, si raggiunsero contrazioni massime misuranti 2 cm. di altezza ed in numero di circa 60. Da questo punto i solle- vamenti furono più bassi ed il muscolo entrò lentamente nella fase di lavoro quasi costante. Dopo circa 20' di questo lavoro, mentre i sollevamenti erano ancora di 12 mm. e la curva del lavoro quasi una perfetta linea orizzontale, iniettai sotto la pelle del rospo 5 cem. di tiroidina in soluzione isotonica salina 1:20. Il muscolo conti- nuò la sua gratia senza modificazioni rilevabili. Dopo circa 10' si videro però nella linea uniforme del tracciato sorgere gruppi di contrazioni più alte misuranti un cen- be. JIA timetro, precedute e seguite da altri più bassi, ma il passaggio dagli uni agli altri è gra- duale, insensibile, sicchè nell'insieme la linea dei livelli superiori è leggermente convessa. Questi gruppi di sollevamenti più alti compariscono anche in seguito, ma ad intervalli irregolari, ed il passaggio si fa talora bruscamente. Dopo che il muscolo ha scritto per una ora ed i sollevamenti misurano an- cora 4 mm., lo lascio in riposo per 25’. Questo riposo è sufficiente a ripararlo in buona parte. Ripigliando la grafia si hanno alcune contrazioni iniziali ascendenti e poi zo contrazioni alte 17 mm..e gradatamente, dopo altre 60 contrazioni, si arriva a sollevamenti di un centimetro. I gruppi di contrazioni più alte si fanno più fre- quenti; il passaggio verso le contigue più brusco; si hanno quasi dei periodi, ma ad intervalli irregolari di 2, 4, 5 contrazioni; la linea superiore del lavoro è irre- golare; accanto a sollevamenti di 1 centimetro, se ne trovano precedenti o conse- cutivi altri che ne sono solo la metà. Tracc. IX.— Grafia dopo 25' di riposo e circa 60' dalla iniezione di tiroidina. Gruppi di contrazioni più alti intercalati ad altri più bassi. Peso 20 grammi, dist.= 9. Tempo in secondi. Riduzione fotografica ad /‘/,. Un novello riposo del muscolo ne rinforza di nuovo le contrazioni, ma ben presto compariscono le differenze e le irregolarità nei sollevamenti. Dopo 30' di una così anormale serie di contrazioni, la linea di fatica tende a regolarizzarsi, preval- gono le contrazioni più basse; quelle più alte si fanno molto più rare sin che dopo 40’, una lunga serie di sollevamenti di 5 mm. protraesi per 6 minuti, con qualche singola scossa più alta ad intervalli lunghissimi. Le grafie riprodotte in Tracc. X, rappresentano la ripresa del lavoro dopo il riposo, la comparsa dei gruppi di con- trazioni più alte, il ritorno alla linea di fatica uniforme. AMM MAMMA rt t UVM VV i I KH HAUT it {KKK} LILLIPAALIIAAL (AL IV AL AAII {AS LI LIA ILA LIALILLILIILI Trace. X.— Rappresenta tre stadi di lavoro del muscolo: la grafia inferiore segue immediatamente al riposo; la media dopo 10'da questa; la superiore dopo 20" dalla seconda. Riduzione fotografica. Tempo in secondi. Peso 20 grammi, dist.=9. boa A Non potendo più oltre insistere nella giornata, dopo questi risultati, rimisi l’esperienza alla dimane. Il rospo rimase sul sughero fissato ed a riposo, protetto dal disseccamento con un fitto strato di ovatta bagnata. Per causa indipendente dalla mia volontà esso rimase così per tre giorni in- teri. Quando tornai l’ovatta era ancora sufficientemente umida sotto la camera di cri- stallo. Mi parve il caso di raccogliere ancora dei tracciati. Esaminando la prima grafia di quel giorno si vede che l’altezza delle contrazioni più forti è di circa 17 mm. e si ha poi un indebolimento e quindi ancora un rinforzo. La linea di lavoro è a forma di sigma, convessa in alto nella prima parte, con- cava nella seconda. La stanchezza vien presto e dopo 150 contrazioni che son sem- pre più deboli, l’altezza dei sollevamenti cade a 4-5 mm. e la grafia si regolarizza; la linea di lavoro è quasi orizzontale. In questo momento inietto 2 ccm. della so- luzione Notkin e dopo 4' le contrazioni si rinforzano di nuovo e questo rinforzo è progressivo, ma non graduale; si verifica irregolarmente, ma dopo 15/' si ha evidente aumento, il muscolo può dare ancora sollevamenti alti, misuranti 13 e 14 mm., i quali però non sono perfeltamente uniformi. (Trace. XI). ! (((( | î Il (VAMAIN KIA] f } {/ \ AMAANANARANAARANTAAAAIA RANA, {Al VAKIMMAMAARAAMER > VANE | AUSILI ETA AIA ALLA ALI ALIPLELLEVI CO | Trace. XI. — A. Grafia delle contrazioni deboli; B. Dopo 4' dall’ iniezione del Not- kin; C. Dopo 15' minuti dalla iniezione. Si rileva il notevole e progressivo. rin- forzo. Le altre condizioni di esperimento sono identiche agli altri tracciati. Il Tracciato XII riproduce una grafia scritta pochi minuti dopo la precedente. Vi si sorprende la restaurazione della energia muscolare , la regolarità delle linee di contrazione , la normalità della linea di fatica insensibilmente digradante, la man- canza della scala iniziale. Ma già dopo circa roo contrazioni comincia una certa neTtKàthihÌ de. I Lil LI Lili ALLILII daijli LIA LALA Lil) ALLAALLI AIA IAA AA A ALI i ì BILL Li Tracce. XII. — Dopo 15' dal precedente. La grafia superiore è Ia continuazione di quella inferiore. Riduzione fotografica ad !/,+ Stimolazione di apertura. Dist.=9. Temp. in secondi. Peso 20 grammi. irregolarità appena apprezzabile; qualche contrazione più alta comincia a guastare la uniformità della linea superiore. E queste irregolarità si accentuano, le differenti elevazioni periodiche si fan più frequenti, gruppi più alti e più bassi s’ intercalano a vicenda, senza nessuna regolarità, siccome può rilevarsi nella grafia superiore, che Arti— Vol. XII Serie 22-N® 10. 2 E, 1 SS è la continuazione dell’altra. Questa grafia riproduce esattamente il Tracciato IX e dimostra che il fenomeno si ripete anche in questo esperimento. La serie delle con- trazioni non si rinforza uniformemente, ma talune fra esse sono più alte, aggrup- pate, mentre quelle più basse non rappresentano che l’altezza delle contrazioni, nella quale si era uniformata la linea ordinaria di lavoro. Facendo lavorare invece con intervalli di riposo, alternativi a fasi di lavoro della durata di 8' o 10', l’azione della tiroidina si rileva nell’aumentare la eccitabi- lità del muscolo fresco 0 riposato, senza però dargli un vero aumento del suo po- tere dinamogeno. Ad ottenere cioè un lavoro utile maggiore mediante la tiroidina occorre somministrarla mentre il muscolo lavora in modo continuativo , allorchè ì suoi alli di assimilazione e disassimilazione sono vivaci per le scosse che si suc- cedono e lo rendono, direi quasi, più susceltivo di quell’azione. Dimostrativa, in effetti, è per questa deduzione l’esperienza che espongo. Rac- colta la grafia tracciata dal gastrocnemio di un rospo forte ed abbastanza vivace nelle consuete condizioni di lavoro, essa si presenta identica alle altre normali già ripro- dotte, sicchè la ometto. Sopravvenuta la fase quasi costante di lavoro, nella quale il muscolo è entralo dopo 8' di attività, e in capo a 10’ lo si pone a riposo e si pratica una iniezione di 2 ccm. di tiroidina. Dopo 15’ dalla iniezione e 30' di riposo la grafia è mulata; l’allezza delle scosse è un pochino superiore a quella precedente, ma la stanchezza è più precoce e la linea di fatica cade asintoticamente verso l’ascissa. Tracc. XIII.— Dopo 15' dalla iniezione e 30' di riposo. L'aspetto della grafia è mu- tato. Riduzione fotografica ad ‘/,. A misura però che il Notkin si assorbe, la energia del muscolo aumenta ed i tracciati posteriori si rinforzano; ad ogni periodo di ripresa consecutiva al riposo di 30' si ha un aumento nei sollevamenti; la grafia è più sostenuta e dopo circa 6 ore di lavoro, interrotto da periodi di riposo, il muscolo è ancora alto a dare con- trazioni come quelle segnate nel Tracciato XIV. tin (UTI Tracce. XIV — Dopo circa 6 ore di lavoro, Distanza = 9. Peso 20 grammi. Tempo in secondi. Riduzione fotografica ad !/,. Dapprima, dunque, la tireoidina rivelava solo limitatamente la sua azione sol- lecitatrice ; è bastata la stanchezza del muscolo, perchè questazione di rinforzo si facesse assai evidente. e nm deg 4 ZE Altre prove tentate mi convinsero sempre più di questo modo di azione della tiroidina. La quale non si esaurisce nemmeno così presto. Questo stesso rospo, ancor fissato al miografo, fu lasciato per 18 ore in riposo, sino al mattino seguente, e se ne potè raccogliere la grafia ove le contrazioni, tranne qualcuna più bassa sono assoluta- mente più energiche anche di quelle corrispondenti del muscolo fresco nel giorno pre- cedente. Molte misurano linee di alcuni centimetri, e di un centim. superiori a quelle del muscolo al principio della esperienza. La fase di lavoro costante è però più breve, come ancora sempre più breve si fa nei Tracciati seguenti, di cui il XV rappresenta l’ultimo che mi fu possibile raccogliere. Esso precedette la morte completa del mu- scolo, il quale poco dopo non rispose più a stimoli anche molto più energici. if NIULITT SIAT VANTI AIAR n A Na NA AIAR e 104 Vi K ALIISASSIFILILI SA TITIISC IE ([}pLEOKK RTLA IENA IAA Trace. XV. — Ultima curva di lavoro. Distanza = 9. Peso 20 grammi. Tempo in secondi. Riduzione fotografica ad !/,. Come si vede, osservando questo Tracciato e paragonandolo col Tracciato VHI, che rappresenta il lavoro preagonico, è innegabile la grande rassomiglianza dei due tracciati. Entrambi rappresentano il modo di comportarsi della funzione del muscolo in lavoro preagonico ed banno caratteri di quasi assoluta identità. Il muscolo, adunque, che ha lavorato sotto la influenza della tireoidina Notkin compie il suo lavoro preagonico nel modo istesso del muscolo non altrimenti sot- toposto ad azioni modificatrici, ma esaurientesi in condizioni naturali. Volendo poi trarre una conclusione sulla influenza esercitata dalla tiroidina si deve riconoscere che essa è un possente stimolatore della funzione muscolare, spe- cialmente allorchè questa sia depressa. Tale azione si verifica così quando la stimolazione è praticata direttamente sul muscolo come, ed anche più chiaramente, quando si tratti di stimolazione diretta dal nervo. È noto, per le esperienze del Cyon, che la tiroidina è capace di aumentare in alto grado la eccitabilità di molti nervi o di restaurarla quando sia depressa, così come è alta ad eccitare le terminazioni intracardiache del vago, del depressore, e dei vaso-dilatatori ed a rendere al vago la eccitabilità depressa dall’atropina. Con meccanismo analogo parmi debba essa agire sulle terminazioni nervose intramuscolari, allorchè queste sieno attossicate dai prodotti della fatica, come d’al- tra parte accelerando essa il ricambio nutritivo del muscolo e le escrezioni azotate deve porre quest’ultimo in condizioni di rendere più attivo il proprio metabolismo e liberarsi di quelle sostanze che la fatica vi ha accumulate. È noto, in effetti, che è questo meccanismo di vivace anabolismo e di non meno attivo catabolismo una delle favorevoli condizioni, che conferiscono alla instancabilità della fibra muscolare cardiaca. IE Estratto tiroideo Poichè , come già ho detto, non si può ritenere che la tireoidina Notkin sia la sola sostanza attiva della tiroide, a controllo di quella ho sperimentato anche sulla influenza dello estratto della glandola in toto ed, in effetti, l’estratto tiroideo del Merck non è che la glandola disseccata e polverizzata. Il Mossè già cilato, nel rilevare il potere dinamogeno, presentato dalla tiroi- dina, afferma di avere altrettanto ottenuto adoperando la glandola fresca. Dalle mie esperienze, pertanto, io non posso sottoscrivere ai risultati che per l'uomo ha conseguiti il Mossè, almeno per quanto riguarda il rospo. Io ho adoperato l’estratto 1:20 in soluzione di cloruro sodico isotonica, ed i ri- sultati sono stati assolutamente diversi da quelli della tiroidina e certo non di rinforzo delle contrazioni muscolari. Nel Tracciato XVI è segnala la miografia normale del gastrocnemio di un rospo di mediocre grandezza, di peso 18 grammi, il cui muscolo si contrae, come nelle precedenti esperienze, ogni secondo, con scosse d’induzione, ad una distanza tra le bobine pari a 9, e solleva un peso di 20 grammi. Quando il lavoro muscolare è entrato nella sua fase costante inietto 5 cem. della soluzione in 1 della grafia supe- riore, che continua l’altra e quasi immediatamente si ottiene un rinforzo delle con- trazioni leggiero e fugacissimo. Sono poche contrazioni alquanto più alte, non dovute certamente all'effetto della iniezione dello estratto non ancora assorbitosi che forse in minime tracce, e poi il muscolo si esaurisce quasi completamente. T MNM VIA MNAMIAVAA MIA BA vavtd pu LA MMM DAI Tin MMI 4 ARCI Hi ell sh Mii ANIMATA I) RILUNI IITTTIFRISTT VISA STU LO HS CATERBO RIS BOI LATER EGIOIGOLT OST EP TRE DIS RIRI CLONI Trace. XVI. — Grafia normale. La linea superiore continua il tracciato inferiore. In I s'inietta l’ estratto tiroideo. Distanza = 9. Peso 20 g.mi. Tempo in se- condi. Riduzione fotografica ad !/,. Lo lascio allora riposare, sorreggendone il peso e covrendolo, secondo il solito, con ovatta bagnata, per circa 35’, dopo del qual tempo raccolgo la grafia XVII. Il addi {44 (HO rsiaszanino Trace. XVII. — Idem del precedente. Dopo 85' di riposo e 36’ della iniezione. Riduzione fotografica ad '/,. Pigi Osservando questo tracciato non mi pare si senta il bisogno di illustrarne le diffe- renze. Si tratta di pochissime contrazioni, molto basse, rapidamente decrescenti in una linea appena ondulata. La linea che riunisce gli estremi superiori delle contrazioni è concava verso l’alto. Non solo è diminuito il lavoro del muscolo, scemata la eccitabi- lità, affrettato notevolmente: l'esaurimento, ma è mutata anche la forma della curva mio- grafica. «Né vantaggio di sorla si ottiene facendo intervenire un riposo lungo, di 50'. Il Tracciato XVIII ha anch’esso un numero di contrazioni scarso e più deboli delle pre- cedenti. Le più alte misurano appena 6-7 mm., mentre le corrispondenti del Trac- ciato XVII misurano anche 12 mm. La linea che riunisce gli estremi inferiori delle Singole contrazioni è convessa in alto. TOT TAR pLILIILIL LI POLI LIL I EIIA RI LILESALALA fPRLIpI FAI CILOLI ASESCICILO LIALELIANI Tracc. XVIII. Idem del precedente. Dopo 50' di riposo. Riduz. fotog. al ‘ Nelle altre due grafie seguenti il muscolo può dirsi che non funziona più. Poco più di due ore sono state bastevoli ad annullare la funzione muscolare nel rospo. È chiaro, dunque, che una profonda differenza di azione si riscontra tra la ‘tiroidina Notkin e lo estratto della glandola in toto. In questo secondo caso si somministrano e si fanno assorbire all’ animale so- stanze, che ne indeboliscono la funzione muscolare e devono provocare quella che il Verworn chiama falica muscolare per distinguerla dallo esaurimento muscolare. Nè a me pare che la contraddizione tra gli effetti della tireoidina e quelli dello estratto tiroideo sarà ingiustificata, quando si pensi, come ho detto a principio, che si è ancora lontani da un accordo sul principio unico attivo della glandola. Anzi, dice Neumeister, non vi ha campo della chimica fisiologica, nel quale differiscano tanto le opinioni quanto sul principio attivo della glandola tiroidea. Basta solo considerare che il Frànkel ha estratta e segnalata una base ti- reoantitossica, il Drechsel molte basi che solo in parte sono identiche con la ti- reoantitossica del Frànkel, il Notkin una «tiroproteide » e Baumann e Roos un prodotto iodo-fosforato, la « tiroiodina », per intendere come complessa debba rilevarsi |’ azione dell’ estratto in paragone della sola tiroidina. Così stando le cose, è chiaro che almeno per gli effetti sul lavoro muscolare non è lecito fermarsi alla sola azione della tireoidina, generalizzandola, ma occorre comparar questa all’ altra della glandola in toto, E ciò tanto più, perchè non si devono porre fuori causa le paratiroidi che, per quanto mi sia riescito impossibile avere dal Merck qualsiasi indicazione generica sul modo di preparazione del suo estratto , assai probabilmente devono venir comprese nella glandola disseccata. Ri ET Estratto pituitario I risultati sperimentali della estirpazione della glandola pituitaria , praticata nel cane, nel gatto , nella testuggine, nella rana sono tutt’ attro che concordi, e dove per alcuni l’ablazione della ipofisi non avrebbe conseguenze funeste, per altri, in- vece, si produrrebbero fenomeni gravi, caratterizzati da ipotermia, poliuria, cachessia, disturbi nervosi, e nella rana sinanco manifestazioni di paralisi progressiva. Ù Il De Cyon assegna alla ipofisi un posto funzionale importante nella regola- I zione per via nervosa della pressione arteriosa ; ed osservazioni anatomo-patologiche ne han, d’altra parte, rilevato il rapporto con l’acromegalia. Come che sia, è noto sperimentalmente che la iniezione endovenosa di estratto acquoso pituitario determina , nel cane, rinforzo dello impulso cardiaco ed eleva- mento della pressione arteriosa (Schàfer, Livon), la quale invece diminuirebbe, al- lorchè se ne inietti l’estratto alcoolico (Sch àfer, Magnus, Vincent). La irrigazio- ne, praticata sul miocardio di rana, determinò nelle mie esperienze già citate rinforzo dell’azione cardiaca assai notevole ed evidente. Che io mi sappia, pertanto, niuno ha studiato sinora gli effetti, che |’ estratto in parola determina sulla funzione muscolare, Le esperienze, che riferisco, volsero a tale intento ed adoperai |’ hypophysis sicc. pulv. Merck , ricercandone gli effetti, come per altri estratti, sul lavoro muscolare nel Bufo vulgaris. Anche il metodo, se- guito per questa serie di esperienze, fu analogo a quello tenuto per le altre già descritte. Ottenuta una prima grafia normale per stimolazione diretta del muscolo e che non riproduco perchè identica a tante altre e dopo un lavoro di circa 8' ed essendo già da 5' sottentrata la fase di lavoro quasi costante, inietto nel sacco linfatico dorsale del rospo 3 cm. di soluzione di estratto nella proporzione di 1:20 di soluzione isotonica salina. Dopo 3-4 la regolarità uniforme delle contrazioni si altera. Sul Trac- ciato compariscono linee più alte a periodi variabili di 3-4-5, e queste contrazioni — più alte talora sono nettamente distinte da altre basse, che le seguono o le pre- fi cedono, ma più frequentemente si passa dalle une alle altre per gradi, come per una scala ascendente o discendente. “ Nel Tracciato XIX si vede un tratto di gralia come quella accennata. La irre- golarità della linea di lavoro è notevole, i gruppi di contrazioni più energiche sono ; frequenti e ravvicinati anche più di prima, ed osservando il tracciato secondo la 4 sua direzione, cioè da sinistra a destra si nota il rinforzo progressivo delle contra- 4 zioni, benchè continui evidente la irregolarità della linea di fatica. [INEKIT TNT È E e SEA TILI{S Agg, Iii odia baia ISSIILISALIARIAAAAIA AIA A OA IL, Trace. XIX.— Grafia del gastrocnemio. Dopo 10' dalla iniezione dello estratto pi- tuitario. Tempo in secondi. Peso 20 grammi. Distanza = 9. Riduzione foto-* grafica. il labii De 2020) |. 72 Dopo poco tempo il muscolo è pressochè esaurito, le sue contrazioni appena segnate, sicchè lo lascio in riposo per 25. Ricominciando il lavoro si hanno contrazioni più alte che non nella grafia ini- ziale normale e da queste un abbassamento anche più brusco che non nel tracciato precedente. Ma vi si riconoscono sempre i gruppi periodici di contrazioni più alte, seguiti e preceduti da altri più bassi, come nella grafia precedente. La serie dei miogrammi è, in generale, più alla, ma egualmente irregolare come nel tracciato che precede, e la fatica muscolare sopravviene più bruscamente. Dopo altri tracciati ottenuti con regolari intervalli di riposo, covro il rospo di ovalta bagnata e lo lascio sotto una campana, per continuare l’esperienza il giorno dopo. La tavola annessa alla fine del lavoro riproduce i tracciati oltenutine dopo circa 20 ore! La fig. 1.° è il primo della serie ed in esso si possono quasi riconoscere i ca- ratteri d’ una grafia muscolare normale. Solo la fase di lavoro quasi costante so- pravviene più precocemente e la linea di fatica è nella sua prima parte convessa in allo. Nella seconda serie di miogrammi il lavoro si può dire uniforme e costante e la linea di fatica una retta. Dopo 5 minuti di questo lavoro, lascio riposare il muscolo, sospendo la sti- molazione ritmica, sorreggo il peso e covro l’animale con ovatta bagnata. La fig. 2.° riproduce il tracciato oltenuto dopo 20° di riposo. Come si vede, hanvi profonde modificazioni: si è avuto il ripresentarsi delle cuspidi più alte e dei gruppi periodici di contrazioni più forti in mezzo ad alte più basse ; la grafia ri- corda il Tracc. XIX, oltenuto il giorno precedente, pochi minuti dopo l’iniezione di estratto. L’aspelto, però, ne è assolutamente più caratteristico ; la stanchezza soprav- viene più precocemente e la differenza tra i gruppi più alli e quelli più bassi è più notevole. Sin da principio si vedono contrazioni debolissime seguite e precedute da altre più forti. Già alla 34.* contrazione la energia è transitoriamente ridotta al mi- nima, mentre segue una serie di sollevamenti molto più alti di essa e relalivamente anche più elevati di quelli che la precedono immediatamente. Dopo 109 contrazioni irregolari ne mancano quattro; la fase di lavoro costante non si trova; la linea di falica è irregolare. Dopo 5' di lavoro, in cui i caratteri si conservano immutati e diminuisce solo, serbando un certo rapporto, l'altezza delle contrazioni, io pongo, secondo il solito, a riposo il gastrocnemio. Dopo 20’ raccolgo la serie di miogrammi, rappresentati nella fig. 3°. Questa è notevolmente diversa dalla precedente, pur serbandone il tipo. Fin dalla terza contrazione comincia la irregolarità; essa è, in effetti, quasi la metà di quelle prossime e poi più bassa delle altre è anche la quarta e via dicendo. Lungo il tracciato, che si continua nelle linee a, d, c, d si notano irregolarità, le quali. meglio che descri- vere basla osservare per rendersene conto. Serie di contrazioni deboli precedono una contrazione forte; in alcuni punti si ha quasi come una addizione latente; in altri ineccitabilità apparente ed assoluta del muscolo. Insomma una funzionalità muscolare delle più eteroclite ed abnormi. In tutte le esperienze praticate con gli estratti organici io non ho potuto mai veder ripetersi questo fenomeno caratteristico. È bensi vero che osservando alcuni dei trac- ct DG ciati della tiroidina si vede qualche grafia, che potrebbe associarsi a queste dell’estratto pituitario, ma se si considera l’insieme dell’azione, non si può non distinguerla netta- mente. La considerazione però che tali grafie si ottennero 24 ore dopo dal muscolo, che si era già esaurito il giorno prima, potrebbe destare il sospetto che più che all’azione dello estratto iniettato, le rilevate modificazioni dovessero riferirsi a queste condizioni speciali del muscolo. Questo sospetto ho però potuto io eliminare completamente. Rospi immuni di qualunque iniezione, che ho fatto lavorare nelle solite condizioni, e che ho poi lasciati riposare per 24 ore, a fine di uniformarne le condizioni a quelle del rospo già sperimentato, non mi han mai fornito tracciati simili. Altri animali trattati con altri estratti e. messi a riposo, e poi costretti a lavorare dopo 24 ore, non hanno del pari presentato nelle loro ergografie muscolari le par- ticolarità rilevate dopo |’ azione dello estratto pituitario. Il quale deve provocare nello svolgersi della funzione muscolare alterazioni tanto più apprezzabili ed evidenti quanto più il muscolo è affaticato. Ciò, in effetti, si conclude anche osservando la già citata tavola, ove son riprodotti, come ho detto, tracciati ottenuti ‘dopo 24 ore. Il primo della serie (fig. 1.*), scritto dal muscolo, restaurato da un così lungo riposo, è po- chissimo modificato in paragone di una grafia normale. Il secondo ed il terzo, in- vece, appaiono assai più alterati, perchè scritti dal muscolo che successivamente si andava sempre più affaticando. Assolutamente diverso è il risultato della esperienza se la stimolazione, invece di farla diretta dal muscolo, la si avvia pel nervo. Nella figura XX sono riprodotte tre grafie, ottenute da un rospo discretamente forte, il quale dopo aver fornito una prima grafia normale e perfettamente identica alle altre scritte in condizioni simili, e perciò omessa, ebbe iniettati 5 cem. della solita soluzione 1:20 Nacl di estratto pituitario. HIM AI tisi | (i MMM Attrici “TRAE RAISI PESI, RA A ! Hi Li RAR IO ANA. So PB TOTTITECESSTITECPTTOCICCOETEVOVTSEV COSI FOVIVTCICTAGISTTUGUOSVOFESSTIO TNT CREVVESTOFCSFTOVETTATI Trace, XX.— Serie di grafie dopo l’ iniezione di estratto pituitario. Stimolazio- ne nervo-diretta. Dist. = 9. Peso 20 grammi. Riduz. fotogr. '/,. La inferiore dopo. 15° dalla iniezione. La destra dopo 50' di riposo e 65' dalla iniezione. La sinistra dopo 45 dall’ altra. Tempo in secondi. Il Tracciato inferiore, più lungo, fu oltenuto dopo ‘/ ora di riposo e 15' dalla iniezione. Il suo valore chilogrammetrico è notevolmente abbassato, paragonandolo con quello normale (v. Trace. VI); la forma della linea di lavoro modificata profon- damente; poche contrazioni di una relativa altezza, e poi bruscamente una lunga serie di altre progressivamente più deboli. Dei due tracciati soprastanti, quello a destra di chi guarda fu seritto dopo il precedente e con l’intervallo di riposo di 50°. Vi si vede chiaramente che l'apparato Dio +, pat mneuro-muscolare è sempre più alterato, nè vale a risollevarlo un riposo di 45/, per- chè dopo tale intervallo il muscolo è appena in grado di dare la brevissima ergo- | grafia, segnata a sinistra di quella testè descritta e separata da essa per un inter- vallo di riposo di 45. Dopo quest’ ultima grafia feci intervenire altro riposo, ma il muscolo era dive- muto completamente ineccitabile, perchè mi fu impossibile raccogliere altri tracciati, per quanto facessi variare il periodo di restaurazione muscolare e la intensità della stimolazione. Considerando ora i risultati ottenuti dallo estratto pituitario sul lavoro musco- lare del rospo in questa doppia serie di esperienze, non è chi non vede la profon- da differenza di azione, che viene da esso spiegata sulle diverse parti dell’ apparec- chio neuro-muscolare. E se, prescindendo dalle manifestazioni di evidente diminuzione della energia, che si ottengono allorchè la stimolazione segua la via nervosa, e che non son do- vuli ad effetti tossici generali prodotti dall’ estratto, noi guardiamo le conseguenze che si rivelano per la stimolazione diretta del muscolo, si deve concluderne che l’estralto pituitario pur eccitando la funzione muscolare vi esplica un’ azione saltua- ria ed abnorme, che dà un lavoro irregolare ed atipico, tanto più manifesto quanto più grande è la stanchezza. Estratto surrenale Abelous e Langlois, che si sono occupati ripetutamente della funzione delle capsule surrenali, ne han riconosciuto la notevole importanza come organi, incaricati di elaborare delle sostanze atte a modificare, neutralizzare o distruggere ‘ veleni preparati nel corso del lavoro muscolare, e che si accumulano nell’organismo dopo la distruzione di esse. Albanese sperimentò gli effetti che |’ ablazione di tali organi provoca sulla resistenza alla fatica nelle rane e nei conigli. Decapsulati questi animali, e stimolandoli ripetutamente notò che essi soccom- bevano all’ esaurimento assai più presto di altri animali integri destinati a controllo. Dall’ altra parte, Oliver e Schàafer studiarono |’ azione della sostanza altiva delle surrenali sulla muscolatura striata del corpo e conclusero che la introduzione di essa nel sangue, così per gli omeotermi, come e meno spiccatamente negli ele- rotermi, produce aumeuto dell’ altezza delle singole contrazioni muscolari e ne pro- lunga la durata. Il Boruttau, che ha pubblicato al proposito un pregevole lavoro, non si associa a questi ultimi autori, e, ricercando sul gastrocnemio di rana, ottenne e ri- produce dei miogrammi isolati ed isotonici, dai quali conclude che il principio attivo delle surrenali agisce sulle coultrazioni muscolari così come la fatica; analogia che si rivela più evidente facendo agire direttamente sul muscolo estratti concentrati. 4 Quanto ai muscoli lisci è noto che specialmente quelli dei vasi risentono no- tevole influenza dalla sostanza attiva delle capsule, così come un’ azione tonica essa esercita sui muscoli bronchiali, su quelli della vescica biliare, del.coledoco, dell’eso- fago, dell’ intestino tenue, dell’ utero. Secondo il Battelli, l'adrenalina negli organi che la preparano diminuisce Atti Vol. XII Serie 2°— N° 10. ° LIB durante il lavoro ed aumenta nelle ore che conseguono all’ eccessivo affaticamento. Essa abbandonerebbe le surrenali per versarsi nel sangue ed elevarvi la pressione abbassata dalla fatica ‘). Dopo questo breve cenno dei lavori che più direttamente riguardano le mie ricerche, non insisto oltre nella bibliografia, arricchitasi straordinariamente pel pre- zioso contributo di indagini istologiche, chimiche e sperimentali, sicchè sarebbe assai difficile spigolarvi senza divagare. Espongo quindi le mie osservazioni condotte con i soliti metodi. L’ estratto adoperato, fornitomi da Merck, è indicato come Gt. suprarenales sicc. pulv. Raccolta la grafia normale del gastrocnemio di un rospo abbastanza vivace e solo da qualche giorno rimasto in laboratorio, ottenni con la stimolazione dal mu- scolo un tracciato in tulto simile, per aspetto e per valore ergografico, all’ altro già riprodotto (Tracce. IV), di cui furono identiche le condizioni sperimentali. Entrato il muscolo nella fase di lavoro costante, iniettai nel sacco linfatico dorsale 5 ce. di soluzione isotonica di cloruro sodico con estratto surrenale 1:20, nè immediata- mente apparvero modificazioni importanti. Sopravvenuta la stanchezza, lasciai il mu- scolo a riposo per quasi mezz’ ora. Aila ripresa del tracciato notai differenze notevoli. BAL PAAGA SA RTAAZA ARMADA TYRVVVYVVYY VAI ailiiu:istiitizii:siiisitii; 0a FUGA ii stia rs 12 {LIV F RIV ILA LTALI ALLA Tracc. XXI. — Grafia del gastrocnemio dopo 30' di riposo e 35’ dalla iniezione del surrenale. Stimolazione di apertura. Distanza = 9. Peso 20 grammi. Tempo in se- condi. Riduzione fotografica ad !/,. Paragonando il Tracc. XXI, col IV si vede, a prima vista, la differenza gran- dissima. Dopo le prime cinque contrazioni, nelle quali il muscolo si va progressi- ) Avevo già presentato alla R. Accademia questo mio lavoro, quando mi pervenne il Fasc. II, Tom. XLI degli Arch. Italien. de Biologie, ove è dato il riassunto di un lavoro di S. Dessy e V. Grandis: « Action de l’ adrénaline sur la fonetion du muscle », già precedentemente pubblicato in una rivista scientifica americana. Non avendo letto prima il detto lavoro ne fo cenno in questa nota. Gli AA. hanno sperimentato l’ estratto acquoso di surrenali di bue sul /eptodactylus ocellatus, un anuro trequente in quelle regioni. Dalle loro esperienze risulta che quando, dopo una lunga serie di contrazioni, il muscolo avea esaurito la sua facoltà di contrarsi, ed iniettavano 2 ce. di soluzione, dopo 2-8 minuti, esso, di già divenuto inerte, ricominciava le sue contrazioni e le continuava per un tempo molto più lungo di quello che avea lavorato in condizioni normali. Essi notarono che il la- voro medio compiuto dal muscolo dopo l'adrenalina è però inferiore al lavoro medio compiuto dal mu- scolo in condizioni normali. Specialmente sensibili all'azione dello estratto sarebbero gli animali tenuti lungo tempo a digiuno e fornirebbero aumento di attività maggiore che non gli altri. In conclusione, bisogna ritenere che un animale affaticato, avendo esaurito tutta la energia muscolare sua, recupera la facoltà di fornire ulteriore lavoro senza bisogno di riposo, ma assumendo una piccola quantità di estratto surrenale. Al lavoro è annesso un tracciato ottenuto da un animale tenuto da cinque mesi a digiuno. * La Mi : "e È ogg > TRA vamente accorciando, si ha una serie di contrazioni deboli, nelle quali il muscolo resta nel grado di accorciamento, che aveva dapprima raggiunto e che aumenta appena in modo insensibile, come si può riconoscere osservando attentamente la linea, che riunisce gli estremi inferiori delle scosse, la quale è leggermente ascen- dente verso destra. Su questo stesso tipo, ma con caralteri sempre più accentuati, sono foggiate le grafie che seguono. Trace. XXII. — Dopo 30' dal precedente. Il Trace. XXII è scritto dopo un intervallo di riposo di mezz'ora, e vi si nota l’accorciamento anche maggiore del muscolo. Si è dinanzi ad una vera forma di tetano incompleto. Dalla quarta contrazione il muscolo ha raggiunto il massimo ac- corciamento. Gli stimoli, succedentisi ogni secondo, e che avean determinate curve ergografiche caratteristiche, non solo pei muscoli normali, ma anche per quelli sog- getti ad altri estratti e per gli altri affaticati in misura regolare, sono in questo caso sufficienti a dare quasi una forma di tetano. ANALI sriisiastaciesIsilitistoiitarQsaasatafsioto Trace. XXIV.— Idem dei precedenti dopo altro riposo di 30. 1 Tracciati XXIII e XXIV sono gli ultimi raccolti dopo alternativi periodi di ri- poso. In essi si ripetono i caralteri succennati , resi però meno rilevanti pel pro- gressivo esaurimento del muscolo. Non dissimili dalle precedenti furono le serie di miogrammi ottenuti con la sti- molazione dal nervo. Per eliminare il sospetto che la quantità dello estratto iniettato fosse eccessiva, sì da determinare una forma di contrazioni tetaniche, sperimentai con dosi progres- sivamente decrescenti, ma i resultati furono analoghi € mi persuasero che nel ro- spo l’ estratto surrenale Merck agisce nel modo descritto. de a Come si vede, i miei resultati sì allontanano non poco da quelli dei precedenti ricercatori, che videro nel surrenale un estratto destinato a restaurare il muscolo affaticato, neutralizzandone le sostanze tossiche prodotte dalla fatica, e si accordano, invece, con quelli del Boruttau che assimilava 1’ azione del surrenale a quella della falica, interpetrando miogrammi isolati ed isotonici. lo non saprei, in effetti, intendere i risultati ottenuti nella serie degli ergo- grammi riportati e ripelutamente controllati, se non ammettendo che con la iniezione di tale estratto si versano nel sangue quelle sostanze provenienti dalla fatica mu- scolare ed accumulatesi nelle glandole relative per esservi neutralizzale o distrutte. Si sa che vi è una frequenza minima di stimoli, alta a tetanizzare i muscoli e che una successione di stimoli non telanizzante per dati muscoli, può divenir tale quando concorrano condiioni, che rendano più lento il decorso della scossa muscolare. Tra queste condizioni una delle più opporiune è la stanchezza dei muscoli, che, nel caso nostro, non potendo essere l’effetto del lavoro muscolare, perchè si rivela precocemente e dopo periodi di riposo, deve essere riferita all’ assunzione di so- stanze, che provocarono nel muscolo effetti analoghi. Estratto timico Benchè sia ancora discusso e da non pochi autori negato il valore della fun- zione del limo, come glandola dotata di speciale attività secernenie, non mancano esperimenti, che gli assegnerebbero un notevole significato. Così lo Svehla avrebbe trovato che la iniezione del succo timico determina negli animali abbassamento dalla pressione sanguigna ed a dosi tossiche convul- sioni generali ed arresto del respiro. Altri notarono che all’ablazione della glandola conseguono disturbi trofici, de- bolezza muscolare, paresi (Abelous e Billard), spasmi e convulsioni (Treupel). Che io conosca, però, niun lavoro è apparso, che ne abbia rivelata la influenza sul lavoro muscolare. E nell'analisi comparativa degli estratti organici, io non potevo trascurare un organo caratteristico non meno per la sua struttura e genesi quanto per la sua tran- sitorietà. Ho, quindi, come per le altre glandole, anche per questa adoperato l’ estratto preparato per disseccamento dal Merck (Gland. Thymi sicc. pulv). Cominciafa la grafia normale per stimolazione d’apertura di una corrente in- dotta direlta sul muscolo, e sottentrata la fase costante ho iniettato nel sacco dor- sale di un rospo 5 cem. di estratto 1:20 di soluzione fisiologica salina. Subito dopo nel tracciato, che si presentava identico a tanti altri ottenuti in condizioni normali, si notò un accorciamento del muscolo, che si venne leggermente accentuando. Allorchè dopo 1o' di lavoro ebbi sospese le stimolazioni ritmiche, il muscolo si rilasciò bruscamente e la punta dela leva scrisse una linea quasi ver- ticale abbastanza lunga. Il tono muscolare, esageratosi, cadde rapidamente non ap- pena cessato lo stimolo. Dopo mezz'ora di riposo ripigliando la grafia si ottenne il tracciato XXV, ove ARTT. Vini ETRE è Cani pt val ; — 21 — come si vede sin dalle prime scosse si viene accentuando un aumento del tono, che dà alla prima parte del tracciato un aspetto particolare. La linea che riunisce gli estremi inferiori delle ‘linee di contrazione è concava in basso e poi continua leg- germente e gradatamente ascendente. In mezzo alla uniformità della linea di lavoro, superiormente, emergono alcune contrazioni più alte e poi il tracciato continua sen- 2’ altra nota speciale. 4 OTMTTTI MINI ATLIRIINTUALTTTTTTTTETTTAO INPFMNTANANIITI ANIMATI Mi: | il | ili TING IIUUIA NNT NI | VIMAZAANI \ ITESVOAN 'NRRLA {NANI MATT III FER ì Il il'AIIIASALIIAL IALIA | LAAI IA AGI AIA AMA} AV \IIKX} ASI R1IRI VI RI} 1 IVI ACASII VALI ARAN IA RESINE Trace. XXV.— Dopo 30' di riposo e 35' dalla iniezione di estratto timico. Sti- molazione d'apertura, diretta dal muscolo. Dist.=9. Peso 20 grmi. Tempo in secondi. Riduzione fotografica ad !/,. Quando si sospesero le stimolazioni, il muscolo ebbe ancora un rilasciamento segnato dalla leva scrivente con una verticale, meno lunga però di quella segnata prima. Il rilasciamento del muscolo fu meno accentuato. Dopo questo secondo tracciato, intervenne un altro riposo di mezz'ora, ma le scosse del muscolo furono deboli e scarse, e un profondo esaurimento sopravvenne precocemente. Basta, infatti, osservare il Tracc. XXVI per convincersi come la funzione mu- scolare sia stata depressa e fiaccata dall’estratto, che s° è assorbito avvelenando pro- fondamente tutto |’ organismo. Il IMNIIIONT ui IA AIA ALI II AUSILI VA ADI VI TATA Tracc. XXVI. — Idem del precedente dopo 80' di riposo. Quanto più tempo passa, altrettanto più evidente si fa |’ esaurimento muscolare. Il Tracciato XXVII è ottenuto dopo altri 40' di riposo ed i suoi caratteri sono tali che non occorre fermarsi a descriverli. AIIAIAAL PAIA LIL ALA AA ZRAIAAIAL II LALIIOLILA —— Tracce. XXVII. — Idem del precedente dopo 40' di riposo. Dopo questa grafia non riuscii ad ottenerne altre, anche aumentando la intensità dello stimolo. 1] rospo era profondamente altossicato, e visse dopo solo due ore. Diminuendo la. dose della iniezione gli effetti furono analoghi, ma più leggieri. pi ae L’accorciamento immediato del muscolo fu meno accentuato; riuscii ad olte- nere qualche tracciato in più, senza però notare altra caratteristica se si eccettui |’ au- mento del tono. L’animale sopravvisse circa 5 ore, ma poi soccombette. | Mi pare, quindi, che se una deduzione si deve trarre circa la influenza dello estratto timico sul lavoro muscolare, si deve riconoscere che esso si limita ad un accentuazione del tono muscolare proporzionale alla dose iniettata e che annienta poi la funzione muscolare perchè attossica 1’ organismo. Questo per quanto riguarda la interpetrazione dei tracciati ottenuti per stimo- lazione diretta del muscolo. Assai più caratteristiche sono, invece, la serie di miogrammi ottenuti stimolan- do direttamente il nervo. « Nel tracciato XXVIII, è segnata la grafia normale del gastrocnemio di un rospo, oltenuta appunto per stimolazione diretta dal nervo. MARRA ARA MARNA Mi IMI IUTTINNIN MIMAMIANINA IVI \{ UNI i VI Ii VU INI NAVA I MAMMA MAN VARMANAMANDAMMA AAA AA Pbddd tipi ridi igiiaaizai di gaiisttitali Trace. XXVIII. — Grafia normale. Stimolazione nervo-diretta. Distanza tra le bobine = 9. Peso 20 grammi. Tempo in secondi. Riduzione fotografica ad !/,. In I s’inietta l’ estratto timico. Come si vede, allorchè il lavoro muscolare è entrato nella fase quasi costante inietto, in I, 5 cem. di estratto timico 1:20 di soluzione isotonica di cloruro sodico. Imimediatesdioli non notansi differenze apprezzabili; la stanchezza sopravviene se- condo il solito; i caratteri della curva di lavoro non presentano modificazioni. Lascio allora il muscolo a riposo, sorreggendone il peso e covrendolo con ovatta bagnata. Dura questo riposo 30’, dopo dei quali raccolgo la grafia XXIX. If (4 MIN HI Il i VW AMI NV IMAA ANTANI VENI IT vue ILCIILALIASI SILLIAI:IIIIVIS LI} }IIKRAILIITI LA LE) AA 1 IL A/IBA RAISI IA LEALI LLIACI LILLE LlLibiligak Trace. XXIX.— Idem del precedente dopo 30' di riposo. La differenza tra questo tracciato e l’ altro che precede è notevole e non oc- corre una minuta comparazione. La linea di fatica è accentuatamente convessa nella sua prima parte quale non si è mai in altri casi ottenuta. Anche la linea che riu- nisce gli estremi inferiori delle scosse, la quale dovrebbe confondersi con l’ascissa, si presenta invece anch’ essa alquanto convessa verso |’ alto. Ma le differenze aumentano allorehè un maggior tempo abbia permesso un più i. A completo assorbimento di estratto. Il tracciato XXX è ottenuto dopo mezz’ ora di riposo dal precedente e vi si vede come la serie delle scosse si altera sempre di più. Tracc. XXX.— Idem del precedente dopo 30' di riposo. Riduz. fotografica ad ! Alla prima stimolazione il muscolo ha un notevole accorciamento, che è segnato dalla linea ascendente e leggermente obliqua che inizia la serie. Dopo poche con- trazioni, 5 0 6, nelle quali aumenta la energia, ma il muscolo si mantiene sempre accorciato, si ha in esso un progressivo allungamento fino’ a toccare l’ ascissa ed oltrepassandola anche in sotto, mentre tultavia durano le scosse. Tale modo di com- portarsi del muscolo dà al tracciato |’ aspetto caratteristico che si vede riprodotto con lo stesso tipo nel tracciato XXXI, nel quale si aggiunge naturalmente anche |’ effetto del progressivo esaurimento del muscolo. MANARA RAMA RNA ALI i VUVANMINVNINIVANINIAMANANIVAMANA N ANRRAMAAANRANAMANNRASIIFARRARINI NANNA n AILIULLALII IA LA VIA AIA RIV IAA LL AIAIIISILAPAIL II AIIUA ALLA ALA GRIS ITA SI AIPI AL IGIALILILCIL BALIA LIL ZIIA LIA LA LI IPNA LO A aridi Tracc. XXXI. — Idem del precedente dopo 30’ minuti di riposo. Come dissi innanzi, assai caratteristica si rivela in questi ultimi tracciati la in- fluenza dello estratto. Il muscolo alla prima eccitazione si raccorcia notevolmente, ma vien man mano rilasciandosi nella serie delle scosse successive, sicchè quando ancora le sue contrazioni danno un discreto effetto utile, esso ha già raggiunto l’ascissa, e nel tracciato XXX meglio che nel successivo si vede che |’ ha anche oltrepassata. Il tracciato XXXI è l’ultimo che potei raccogliere. Il rospo, come nell’ altra esperienza, sopravvisse circa due ore, ed analogo fu il risultato variando le dosi. L’ estralto timico, adunque, pur riuscendo d’ innegabile azione tossica generale, imprime al decorso della funzione muscolare un carattere proprio, che si rivela nel peculiare aspelto delle grafie è che deve consistere in un’alterazione del tono del muscolo. Estratto lienale Con gli stessi metodi ho sperimentato |’ azione dello estratto splenico. Non è îl caso di ricordare la ricca serie di osservazioni falte sulla milza, le quali le hanno assegnato un posto cospicuo nella difesa dell’ organismo. Mi limito, quindi, a riferire le modificazioni, che da questo estratto derivano sul tracciato muscolare e che si pos- di AA i Se IE LANE pesa IRE sono riassumere in un rinforzo transitorio delle contrazioni muscolari, il quale rag- giunge la sua maggiore accentuazione dopo 30’ e ben presto è seguito da un notevole indebolimento, sicchè dopo un’ ora e 40’ il muscolo non dà che poche e basse con- trazioni, per quanto si aumenti la intensità delle stimolazioni. Tali effetti si ottengono praticando in un rospo forte e vivace una iniezione di 5 cem. della soluzione salina isotonica, contenente |’ estratto nella proporzione di 1:20. Meno accentuali essi sono, invece, adoperandone 2 o 3 cem. Ma nell’un caso e nell’ altro, | estratto splenico manifesta la sua azione in modo analogo e finisce poi per uccidere anche |’ animale, la cui sopravvivenza varia in rapporto alla quantità della dose iniettata da 2 a 5 ore. Tranne, dunque, la transitoria eccitazione, l’ estratto in parola fiacca la funzione muscolare perchè attossica profondamente tulto |’ organismo. Estratti testicolare ed ovarico Zoth, Pregl e Capriati, studiarono |’ azione del succo testicolare sulla forza muscolare e ne constatarono aumento notevole, senza che si potesse pensare allo effetto dello allenamento. Questo estratto, secondo i primi due autori, sarebbe inefficace sul muscolo fresco ed aumenterebbe la capacità al lavoro del muscolo affaticato, senza modifi- care il tipo della curva, prolungando i suoi effelti anche dopo cessate le iniezioni, e diminuendo il senso della stanchezza parallelamente ai fenomeni obbiettivi di questa. Nei miei esperimenti ho saggiato anche |’ azione di quest’ estratto, preparato al solito dal Merek, ma non son riuscito a sorprendere niuna modificazione degna di nota nel tracciato. Lavori il muscolo in modo continuativo o con periodi alternativi di riposo, la iniezione della soluzione di estratto non altera in modo evidente il de- corso del lavoro. Osservando i tracciati, dei quali ho raccolto un gran numero così con stimo- lazione diretta come mediante quella indiretta dal nervo, io non sono riuscito a dif- ferenziarli in maniera che occorresse fermarvisi, da quelli scritti da muscoli integri. Nei batracii l’ estratto testicolare è inattivo, ed io ho trascurato di riportarne tracciati. Tossico, invece, in sommo grado riesce |’ estratto della glandola genitale femmi- nile, il cui valore come organo a secrezione interna ha avuto molti e valorosi so- stenitori ed è poggiato su numerose ed esatte osservazioni sperimentali. Nelle mie esperienze sul rospo solo dopo 25’ dall’ iniezione di 5 cem. della solita soluzione in Nacl, il tracciato miografico è sceso ad un valore minimo, e dopo quasi un’ ora il muscolo avea perduto qualunque capacità a contrarsi, giacchè si ebbero appena piccole oscillazioni, riferibili ai movimenti dell’ animale. Nel Tracciato XXXII è riprodotta, con riduzione fotografica, una .grafia, ottenuta dopo mezz’ora di riposo e 35' dalla iniezione di estratto ovarico Merck in un rospo» il cui gastrocnemio avea già fornita una grafia normale simile in tutto alle altre già riprodotte, ed oltenute per stimolazione ritmica di apertura sul muscolo. SE. SARI 7 Osservando questo tracciato è facile riconoscervi la profonda letale azione dello estratto. Lo stesso animale finisce per soccombere. Variando le dosi da 5 ccm. di VIVA NNAMALARAANAIAAIA MA pr AIAR ALIIAVIA AIA LIA ICI VAL |GI CAL LA! IA AIA IAL ILA AIA VI RIA LISI RAGA IAS III RZ Aia Trace. XXXII. — Dopo 85' dalla iniezione di estratto ovarico e 30’ di ripos®. Sti- molazione muscolo diretta. Dist. = 9. Peso 20 grammi. Tempo in secondi. Ri- duzione fotografica ad ‘/,. soluzione 1:20 Nael a 3 0 2, gli effetti sul muscolo sono analoghi e la sopravvi- venza dell’ animale va da un’ ora e mezza a quattro. Egualmente si comporta il tracciato muscolare quando si faccia la stimolazione dal nervo. In questo caso, come lo splenico, l’ estratto ovarico agisce quale un possente tossico dell’ organismo, e gli effetti che noi ne rileviamo sulla funzione muscolare non sono che un fenomeno dell’ attossicamento mortale, di cui è preda tutto l’orga- nismo. Estratto renale È noto che tra gli organi a secrezione interna è per moltissimi compreso an- che il rene, il cui estratto manifesterebbe per alcuni azione vaso-costrittiva (Tieger- stedt, Bergmann, Oliver ed altri) benchè non manchino opinioni contrarie, tra cui cito quella di L. Stern, fondata su esperienze che non parlano a favore di una secrezione interna renale. Nelle mie ricerche l’estralto riesce meno tossico di quello ovarico e consente una più lunga funzionalità del muscolo, ma anch’ esso dopo al- cun tempo finisce per annullarla completamente, sebbene con minore rapidità del precedente. Come quest’ ultimo però avvelena energicamente |’ animale. IRA LISIAA IALIA LIL LIAAL AAILAAIA LIA LA SILA ALI ALIA LA | ALIA LALIAI LI AGLA SILA AIA ALI AAA Li I A ALIA Ai LIILI Tracce. XXXIII. — Due grafie muscolari di bufo vulgaris. La inferiore dopo 30’ di riposo e 85' dalla iniezione di estratto renale. La superiore dopo 80' di ri- poso dall’ altra. Stimolazione di apertura sul muscolo. Dist.=9. Peso 20 grammi. Tempo in secondi. Riduzione fotografica ad ‘/,. Nella figura XXXIII sono segnate due grafie del gastrocnemio ottenute per sti- molazione diretta del muscolo. ATTI— Vol XII Serie 2°— N.° 10. 4 ciao La inferiore fu ottenuta quando già da 35' si erano iniettati 3 cem. di soluzione di cloruro sodico contenente |’ estratto nella proporzione di 1:20. È un tracciato che segue, dopo mezz’ ora di riposo, a quello normale, che è affatto identico al trac- ciato IV. Paragonandoli, vi si scorge il profondo decadimento della funzione mu- scolare. La serie di miogrammi superiori fu oltenuta dopo mezz’ ora di riposo dalla pre- cedente. Ed oltre al normale questi due furono i soli che io potetti oltenere dal gastrocnemio di un rospo forte ed abbastanza vivace, simile a tanti altri che in dif- ferenti condizioni mi avevan fornito serie di numerose grafie. Alquanto più accentuati sono gli effetti che si possono ottenere stimolando dal nervo. Il rospo in entrambi i casi sopravvisse alla iniezione solo 2 ore, che si prolun- garono a sei quando la iniezione fu di solo un centimetro di soluzione di estratto. Estratto prostatico Analoga fu l’azione di questo estratto così per gli effetti sulla funzione musco- lare, come per quella generale. I tracciati ottenuti dopo la iniezione di esso si con- fondono quasi con quelli ottenuti dallo estratto renale, sicchè mi pare opportuno ometterli. Estratto cerebrale Il cerebrum siccatum di Merck ha anch’ esso azione paralizzante sul lavoro mu- scolare, del quale modifica anche la curva. Nel tracciato XXXIV è la serie degli ergogrammi normali ottenuti dal gastrocne- mio di un rospo, ridoita per fotografia a ‘ 13, LALAAIAAAI KALILLINAR: ITh LUVTVVAAMAVANAIN At.ulliiltilialitstiiiliariii(iti\iiLiali Tracc. XXXIV.— Grafia normale. Peso 20 grammi. Stimolazione d' apertura. Dist.=9. Tempo in secondi. Riduzione ad !/;. Se si paragoni questa col tracciato seguente XXXV, che è la grafia dello stesso muscolo dopo 20’ dalla iniezione del cerebrum siccatum in soluzione salina 1:20, si Tracc. XXXV.,— Idem del precedente dopo 20' dalla iniezione di estratto cere- brale. Riduzione fotografica !/,. Va PIE, Apa scorgeranno le notevoli differenze non soltanto in rapporto alla energia delle con- trazioni ed alla durata del lavoro, ma anche per rispetto alla forma della curva. E dopo altri 20' di riposo si ottiene il XXXVI, nel quale la funzione muscolare si vede ridotta ad un minimo. tari AAA MMM NAM MAM rire nni nni ALLA LA LORA LIL LISI LA LICEI AIISI LASA ALADIAR LI LIE LI SIA Asia Trac& XXXVI.— Idem del precedente dopo 30' di riposo. Non è valso il riposo di 30' a restaurare il muscolo, che anzi è divenuta sem- pre più manifesta la insufficienza muscolare. Questi son tracciati riprodotti dalle esperienze, nelle quali la stimolazione fu di- relta sul muscolo; quelli ottenuti per stimolazione diretta dal nervo, pur avendo gli stessi caratteri, sono meno tipici. Se per altro, allorchè il lavoro muscolare sia decaduto, come si vede nel trac- ciato XXXVI, s’ inietta nello stesso animale una soluzione salina di tiroidina No - ikin, si ha dopo 15’ ad osservare un rinforzo relativamente notevole. Trace. XXXVII. — Idem del precedente dopo 15' dalla iniezione di tiroidina Notkin. In questo tracciato si vede chiaramente come la tiroidina abbia non poco restaurata la eccitabilità del muscolo paralizzato dallo estratto cerebrale. Tale rinforzo non va però oltre un certo tempo. La fig. XXXVIII rappresenta un tracciato ottenuto dopo il precedente con l'intervallo di 20' di riposo. QULLLILILLIAr it At} ixKkttitd Tracce. XXXVIII. — Idem del precedente dopo 20' di riposo. E tale grafia fu l’ultima che potei ottenere da quel rospo. In essa come nella precedente si vede che la curva del lavoro tende a ripristinarsi avvicinandosi alla norma, ma prima che questa sia raggiunta sopravviene la morte del muscolo, che non risponde più nemmeno a stimoli di notevole intensità. Se però, incoraggiati dai risultati benefici ottenuti dalla tiroidina dopo l’azione =. 9 del cerebrum, la sì tenta contro altri estratti non si riesce tanto facilmente ; così è riescito vano il tentativo di adoperarla per attenuare od eliminare gli effetti del sur- renale. Ma su questo modo di azione della tiroidina dopo altri estratti tornerò altra volta. CONCLUSIONI Benchè le presenti ricerche abbiano il valore soltanto di un secondo contri- ‘ buto allo studio analitico, che io mi son proposto degli estratti organici, e non devo da esse trarre deduzioni generali, pure dalle riferite esperienze ed anche daila sem- plice ispezione dei tracciati grafici, si può concludere in massima che gli estratti or- ganici influenzano tutti il lavoro muscolare nel Bufo vulgaris, 3d eccezione dello e- stratto testicolare: i — Tale influenza o si rivela specialmente pel muscolo, ovvero è l’espressione di un altossicamento generale dell’ organismo. Di qui una duplice categoria di estratti, quanto alla loro azione; — Appartengono alla serie di quelli attivi sui muscoli la tiroidina, l’ estratto pi- tuitario, il surrenale, il timico, e subordinatamente lo estratto della glandola tiroide; appartengono alla serie dei tossici generali l’ estratto ovarico, il renale, il prostatico, l’ estralto splenico; — La tireoidina eccita il lavoro muscolare aumentando |’ energia del muscolo in modo più efficace quando esso è affalicato ; sul muscolo fresco agisce aumentandone la eccitabilità iniziale, ma senza notevole aumento di rendimento di lavoro; la sua azione è più pronunziata anche in dose minore, quando sia preceduta altra introdu- zione di essa; ha azione durevole; nou è tossica; — A differenza della tireoidina, l’ estratto secco di glandola tiroide produce in- debolimento e facile stanchezza degli apparecchi neuromuscolari; — L’ estratto pituitario è anch’ esso un eccitante della funzione contrattile del muscolo, ma la sua azione è caratteristica per la comparsa di peculiari periodi; — L’ estratto surrenale imprime al lavoro muscolare note caratteristiche di grafie, ed esso è certamente un veleno della funzione motoria muscolare, paragonabile nei suoi effetti all’azione della fatica; — L’ estratto testicolare non rivela speciale influenza sul lavoro muscolare nel Bufo vulgaris ; — Gli altri estratti sperimentati, cioè il renale, il timico, 1’ ovarico, lo splenico elc., parmi agiscono sul muscolo perchè avvelenano l’ organismo e sono mortali; — È possibile solo fino ad un certo punto sperare attenuazione degli effetti di questo o quello estratto, mescolandolo în vitro o introducendolo nel sangue succes- sivamente od insieme ad altri estratti antagonistici; — Il meccanismo di questo antagonismo ed il modo di profittarne ha bisogno di ulteriori ricerche. Napoli, Istituto Fisiologico della R. Scuola Veterinaria. Giugno 1904. ‘è bibo LAVORI CITATI Capobianco F., Bollettino della Soc. di Naturalisti di Napoli. Anno XVII, vol. XVII, 1903. Kronecker, Bericht d. Kénigl. Gesellsch., Leipzig, 1872. Joteiko I., Thèse. Paris, 1896. Gleiss W., Pflùger’s Arch., XLI, 1887. Bonhòffer K., Pflùger's Arch., XLVII, 1890. Meirowsky, Pflùger’'s Arch., LXKXVIII, 1899. Nagel, Pflùger’s Arch., LVII[, 1894. Overton, Pflùger’s Arch., XCII, 1902. Drechsel E., Phys. Centralbl. Bd. IX, 1895. Baumann E., Roos E., Zeitschr. f. phys. Ch. Bd. XXI e XXII, 1896 e 1897. Notkin I., Wien. Medie. Wochenschr., 1895. Mossé A., Arch. de phys. norm. et pathol., 1898. Cyon, Arch. f. d. ges. Phys., LXX, 1898. Frinkel, Wien. Med. Blatter, 1895, Cyon, Arch. f. d. ges. Phys., 1900. . Schifer e Vincent, Journ. of. Phys., 1899. Livon C. B., Comp. rend. Soc. Biol., 1899. Abelous et Langlois, Arch. de Phys., 1892. Albanese, Arch. ital. de Biologie., 1892. Oliver G. e Schàfer A,, Journ. of Phys., XVIII. Boruttau H., Arch. f. d. ges. Phys., LXXVIII. Battelli F., Compt. rend. d. la Soc. de Biol., 1902. Abelous et Billard, Arch. de Phys. norm. et path., 1896. Swehla K., Arch. f. experim. Path., XLIII. Pregl e Zoth, Arch. f. d. ges. Phys., LXII Capriati, Annali di nevrologia, 1892. Tiegerstedt e Bergmann, Arch. f. Phys., 1898. Oliver, Journ. of Phys., XXI. Stern L., Révue. méd. d. 1. Suisse romande, 1902. = finita di stampare il di 11 Marzo 1905 og LILLE ACILIA ELE EOS PLASI PISA I pps bla [EI I 000 LS Ù AM R. Accad Sc fis.e mater. ab Navodi vol XI! n° 10. Ar Cavo biaico . fl (77 4A IIIII{{ITITTTA ion “ Da iI ie AM hu uu Lalli Mud uniti M ll V| ( IVVIIVIIKI {LI LI INVII} IV 141 [1A ERI VISIERE EL eee EE ILL IA RR Se SE PARRA EE Fig. ed Il | MM. | | iL (Ul dl Vu Lul Ldll lu Mi {LJ dd. Mat Me Ma JI adi lu I li (navali bid lo Hbalkialtad Judi AFISASILIIIIISIVAIIINI [1{ II {JI\\1!I}\I 1} {1}'\tL%} mu b_WL IIIIILIII(tIL:{ IV IS NK LEALI LA LA AIA A GUIA A A A N AN, Fig 4. CE | ae o addullalldhrltd salari svadlivnlivalkviniidizzit Lt IRREORA Alu |, Ì ii | \ A I Al th 4A | | | Il || | | (DA | lisv \ | I UNVUANU UV UVA! Ual nnt vl ANA J MU AAA valli lu MAANIUÙ ud UVUWI UNA Mud LAMAIIUU LAICI IAIANIALIA I IZ III St.lit A. Serino-Napoli le i è VE I # RI » uo "ah x so di ua "i SALITE RI AI <*V Tg n pa Le papa mo Dea 2 i É i + @ o Mu - | I ca E OE _ Fas li ae0aT soci î — aL i f 14 î o LA a Di Di Mi, è dr E Lia ti u , _ Ni È ARA A LO dA Va u dt l Ù i i _ na è Î ‘dt sE po” dà : PI do î Li CIO lè ba n e Li e ne Ar | A K ; wild | + E° © Pi, elAT. , » CI UL b, * n \ Ò 3 È, Bite ta i \Le î ; «ig «0 Di ul Ù 35) i TA l I È I | Pal si È e NL, iù n° È : 5 È È _ - vi IO x Vol. XII, Serie 2. N° 44 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE CONSIDERAZIONI INTORNO AL TESSUTO ASSIMILATORE DI ALCUNE SPECIE DEL GENERE PORTUZACA MEMORIA del dottor AURELIO DE GASPARIS presentata nell'adunanza del dì 25 Giugno 1904 In un lavoro sulla vita dei cloroplastidii, che pubblicai nel 1900, posi mente a rilevare diversi fatti, i quali sotto variì punti di vista mi sembrarono atti a fare emergere il congetto della specializzazione dei corpuscoli di clorofilla. In questa memoria tenni dietro alle diverse fasi dello sviluppo dei corpuscoli seguendoli dalla loro formazione all’ ultima fase della dissociazione dei micro- plastidii. Notai, inoltre, diversi esempi, nei quali nettamente era evidente l’ individua- lizzazione dei corpuscoli ed in ispecial modo nella Pellionia Daveanna , richia- mando l’attenzione alla struttura dei corpuscoli osservati in questa pianta e sulla loro vitalità conservata per un tempo più o meno lungo fuori delle cellule ed in ambiente adatto. In ultimo descrissi un interessantissimo caso di formazione di membrana in tutti i cloroplastidii delle cellule del frutto di un Zycopersicum, caso, che a me parve assai adatto a mostrare una spiccata individualizzazione dei cloroplastidii. In questa nuova comunicazione di un caso riguardante il medesimo argomento tralascerò la parte bibliografica, rimandando il lettor3 alla precedente memoria e solamente mi limiterò a far qualche cenno dei lavori. il cui argomento in un modo o nell’altro potrà avere qualche rapporto colle osservazioni delle quali tratto. Le ricerche istologiche sulle Portulacacee sono oltremodo limitate, il Pax‘) nella sua monografia sulle Portulacee da un piccolissimo accenno alla struttura, ma si limita appena a notare che in queste piante non v’ è nulla d’ interessante èr lo studio anatomico ed isto!ogico, e qualche cosa si rileva dal Christ *) nella sua memoria sulle Cariofilline. e—_ !') F. Pax. Partulacaceae. Die natiirlichen Pflanzentamilien nebst ihren Gattungen ete. A. Engler nud K. Pran tl, part. III, 1, fasc. ®) Christ, Vergl. Anatomie der Caryophyllinen. Diss. Marburg, 1887. Arti — Vol. XII— Serie 22-N2 11. l MT no } Nell'estate del decorso anno la mia attenzione fu richiamata da una osser- vazione fatta dallo illustre Prof. Delpino sulle modalità presentate dal paren- chima clorofilliano della Portuleca oleracea, egli con squisita cortesia ne affidava a me lo studio facendomi rilevare l’ importanza del caso. Per questa ragione intrapresi lo studio istologico delle foglie con ispeciale interesse ed in breve e sotto diversi punti di vista ebbi a convincermi che le os- servazioni compiute erano degne di nota. Osservando le foglie di questa pianta per trasparenza si è meravigliati dal vedere che il tessuto clorofilliano si dispone a preferenza lungo il decorso dei fa- sci libero legnosi formando una bella rete di verde più oscuro quasi bluastro, mentre che gli spazii, i quali restano limitati fra le nervature sono di una tinta verde assai chiara. Questo fatto è evidentissimo quando si toglie l’ epidermide della pagina su- periore ed allora il distacco tra i fasci ed il fondo è oltremodo spiccato; la stessa osservazione si può fare facendo una sezione trasversale della foglia ed osservan- dola con una lente di piccolo ingrandimento, ogni fascio, allora, si mostra net- tamente cinto da una zona di cellule intensamente colorate, che si stacca dagli altri tessuti pallidamente colorati di un verde giallastro. In nessun caso ebbi mai a notare una simile disposizione, la quale rivela una certa connessione di fatti, un indiscutibile rapporto fra le cellule della zona ed il tessuto conduttore. La probabile importanza di questo rapporto, la quale vo ricavarsi dall’ e- same dei fatti, sarà messa in evidenza nelle conclusioni di questo lavoro. Comincio dall’esaminare la struttura del tessuto in quistione e la sua loca- lizzazione. Questa struttura è caratteristica nella Portulaca oleracea , mentre in altre specie è meno spiccata. Ogni fascio nel taglio trasversale appare, come ho precedentemente detto, cinto da una zona di cellule piuttosto grosse, le quali contengono corpuscoli clorofillo-. fori di un verde assai intenso, questi corpuscoli sono limitati specialmente dal lato della cellula, che cinge gli elementi del fascio, in modo che osservando queste cellule appaiono come se fossero solamente per un terzo riempite di corpuscoli. Questi clorofillofori ànno grandezza snperante spesso dei due terzi gli altri cloroleuciti ed il loro colore se ne distingue nettamente anche quando si mostrano fra di loro mescolati nel liquido, che vien fuori dal taglio. La loro forma è variabilissima, alle volte sono sferici, semilunari, piriformi, ellittici, altre volte enormemente allungati, bacillari od estesi in un sottile pro- lungamento, non di raro strozzati nel mezzo o scavati d'una cavità mediana che da loro un aspetto quasi anulare. Alle volte esistono varie strozzature (4 e più) che fanno loro assumere quasi l’ apparenza di saccaromiceti in via di gemma- zione. Il loro contenuto, generalmente granuloso, attira qualche volta l’ attenzione per la presenza di qualche granulo dell’aspetto di un pirenoide. La loro forma li allontana da tutti i cloroplastidii finora descritti, nei quali mai fu fatto cenno di simili modalità e solamente trovano riscontro nei corpu- E. TSE GRET ire scoli clorofillofori descritti dall’ Haberlandt nel suo importantissimo lavoro sulla simbiosi della Convoluta Roscoffensis con alghe unicellulari ‘) in questo lavoro a pag. 5. fig. 12 si osserva un gruppo di corpuscoli, il quale trova un esteso ri- scontro nelle forme da me studiate, come anche nelle figure 1, 11. 5 si riscon- trano strane affinità coi clorofillofori da me descritti. , La disposizione dei corpuscoli nelle cellule trova qualche affinità nel modo col quale sono collocati i corpuscoli nel tessuto assimilatore della Pellionia Da- reanna *), i quali sono anche grandissimi ed intensamente colorati rispetto agli altri, piccoli e di un verde giallastro. Nella Zortuloca oleracea gli altri corpuscoli di clorofilla, i quali si trovano nei tessuti sono piccoli, ellittici e di un verde giallastro, inoltre suno abbastanza scarsi, sicchè sì potrebbe dire che ia funzione clorofilliana si accentua a prefe- renza 0 quasi totalmente nelle cellule, le quali circondano i fasci. La resistenza, inoltre, di questi corpuscoli è singolarmente manifesta; se alcune foglie della specie in questione si collocano in macerazione nell’acqua, trascorso un certo tempo, quando le foglie intere si mostrano in completo disfacimento e quasi spappolate in un ammasso di batteri, micrococchi e bacilli, le cellule le quali contengono i grossi clorofillofori restano al contrario intatte benchè del pari attaccate dagli schizomiceti. Questo fatto dimostra senza dubbio una maggiore energia vitale nei grossi corpuscoli e quindi una singolare resistenza all’azione dei batterii, dai quali sono difesi la mercè del loro potere fotobiochimico da una parte, e dall’altra mette in rilievo una certa autonomia nel lavoro che compiono. autonomia affatto inespli- cabile se si considerano i detti corpuscoli in istretta dipendenza del protoplasma delle cellule; il disfacimento dei tessuti può arrivare fino al punto del completo disgregamento delle cellule ed all'analisi microscopica le cellule a corpuscoli grossi restano per lungo tempo in ottimo stato di conservazione contrariamente a ciò che avviene per le altre cellule, le quali restano rapidameuie disorganizzate. Il fatto della resistenza di questi corpuscoli non è affatto nuovo, ho notato in altro lavoru a proposito dei cloroleuciti della Pe/ionea che questi conservavano la vitalità per un lunghissimo periodo anche quando rimanevano fuori delle cel- lule, ed anche in questo caso notai che siffatta proprietà era esclusiva dei grossi corpuscoli mentre che ì corpuscoli più piccoli e pallidi n’erano privi e ciò m'in- dusse ad ammettere nei corpuscoli una certa individualizzazione, la quale non può negarsi anche nel caso attuale. La disposizione assai caratteristica dei corpuscoli grossi della Portulaca ri- chiama in modo singolare l’attenzione, l’essere essi tutti limitati verso la parete della cellula che cinge il fascio costituisce un fatto essenzialmente differente da ciò che generalmente si osserva. I cloroleuciti sono in genvale sensibilissimi all’azione fotochimica dei raggi !) Dott. Gottlieb Haberlandt, Ueber den Bau unl die Beleutung der Chlorophyllzellen von Convaluta Roscoffensis. Leipzig, Wilhelm Engelmann, 1891. ) Dott. Aureliode Gasparis, Contributo allo studio delia vita dei Cloroplastdii. Atti della R. Accalemia delle Scienze fis. e mat. di Napoli. Vol. X, Serie 2°, n. 6, 1900. sa! Ere solari ed è ben constatato che essi si spostano e si orizzontano nella miglior ma- x . niera nelle cellule a seconda delle necessità; nel nostro caso non è quistione di. luce, poichè disponendosi tutti nello stesso modo intorno al fascio reagirebbero in modo differente all'azione di questo agente, le qnali considerazioni ci fanno piutto- sto supporre che debba trattarsi d'un fatto d'altro genere, e come questa disposi- zione è raggiunta in un periodo avanzatissimo di sviluppo è necessario ammettere una certa individualità nella vita di questi. Per osservare il modo come si vanno formando questi plastidi è necessario fare delle sezioni trasversali nei tessuti delle foglie in via di formazione. Assai per tempo si vanno man mano accumulando nei tessuti giovanissimi microplastidi, i quali presentano già assai spiccatamente una colorazione verde nelle cellule, le quali cingono i fasci. | Da principio si osservano in queste cellule piccoli gruppi di microplastidii, i quali lentamente si portano verso la parete formando una massa omogenea di gra- nuli intensamente colorata in modo da formare uno strato più o meno compatto lungo l’ intera parete, oppure solamente da un lato pigliando un aspetto semi- lunare. In seguito lentamente la massa si frammenta in plastidii piccoli ed ellittici da principio i quali restano per qualche tempo addossati alla parete e poi a poco a poco si portano verso il lato della cellula che resta addossato al fascio ed acqui- stano la loro forma definitiva precedentemente descritta. La maniera colla quale si formano gli altri corpuscoli non differisce gran fatto da questa; i microplastidii si spingono verso le pareti delle cellule dove formano una massa assai meno compatta e colorata dell’altra, si riuniscono, quindi; for- mando gli ordinarii corpuscoli ellittici e pallidamente colorati, i quali da prin- cipio restano contro le pareti e più tardi verso il mezzo della cellula. La riproduzione dei plastidii delle cellule intorno ai fasci si compie rara- mente perchè il numero di questi non aumenta di molto. Nella maggior parte dei casi dopo che i cloroleuciti si sono allungati s' ì- nizia una strozzantura che finisce per staccare una piccola massa alla estremità mentre che negli altri corpuscoli la divisione si compie normalmente per divi- sione diretta dando origine a duc corpi più o meno uguali in lunghezza; la prima formazione à, invece, quasi l’ apparenza di una gemmazione ; è da notare, però, che tenuto conto della forma variabile dei cloroplasti la riproduzione non si com- pie sempre nella medesima maniera, quindi solamente per le forme assai allungate ed irregolari si può osservare. Portulaca Gillesii Le foglie di questa pianta sono ricche di parenchima acquifero ed anche in questo caso osservando le lamine per trasparenza si vede una bellissima rete for- mata dal tessuto assimilatore che è principalmente localizzato alla periferia dei fa- sci e tenuto conto della presenza del parenchima acquifero benchè i corpuscoli in questo caso siano meno colorati, pure, nello insieme per la maggiore trasparenza il tessuto clorofilliano appare con maggiore precisione e nettezza. a = dn pe è ci na A Le cellule del parenchima clorofilliano che circondano i fasci costituiscono una fila ed in qualche punto anche due. I corpuscoli in queste cellule sono ab- | bastanza abbondanti e sono addossati alle pareti cellulari, le quali si trovano a | -contatto col fascio. In generale i corpuscoli sono un tantino più piccoli di quelli che si osser- vano nella Portulaca oleracea ; il loro colore in primo tempo è assai pallido, ma "va gradatamente acquistando un colore uguale a quello dei corpuscoli preceden- temente descritti. La loro forma definitiva si accosta a quella osservata nella precedente specie, solo è da notarsi che la forma predominante è la sferica od ellittica, ed invece l’anulare, la semilunare, la cilindrica nonchè le altre, avanti descritte, in questo ‘caso sono generalmente eccezzionali ; la riproduzione si compie per divisione di- retta ed i corpuscoli sono divisi nel mezzo. La formazione di questi corpuscoli è luogo assai per tempo; nelle foglie di qualche millimetro di lunghezza si possono osservare nelle prime fasi di sviluppo. I mic:oplastidii diventano da principio numerosissimi nelle cellule, si riuni- | «cono in massa lungo le pareti e quindi successivamente la massa si frammenta. Il perioto della formazione delle masse è spiccatissimo in questo caso e si estende quasi contemporaneamente a tutte le cellule, le quali a prima vista sembrano a pareti ispessite e colorate in verde. Dalle ricerche compiute rileviamo in primo luogo che la disposizione dei ‘corpuscoli esaminati non è regolata dalla influenza dalla luce, ma invece dal la- | vorio di nutrizione; in secondo luogo che la forma dei corpuscoli è caratteristica a sì allontana sensibilmente dalla comune forma dei cloroplasti ed in terzo luogo che la resistenza dei corpuscoli depone per una spiccata individualizzazione. finita di stampare il dì 27 Luglio 1904 Na LÀ ‘ ta" - -a * ERRO ERI E ALIENA Vo ST SIE POSTO pETtoa È; ni À x” L, US Mal Mes Più È, ta \ : Di 4 x i SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. — Foglia di Portulaca Gulesti, il cui tessuto assimilatore si osserva per traspa- renza. Ingr. Oc. 4, obb. a Zeiss. I. II. — Frammento della foglia della Portulaca oleracea, Oc. 4, obb. a Zeiss. III — Portulaca oleracea. Sezione longitudinale di un fascio cinto dalle cellule a clo- ; “rofilla. Oc. 4, obb. DD, Zeiss. fr= Portulaca oleracea. Sezione trasversale di un fascio al medesimo ingrandimento. V. — Portulaca oleracea. Cloroleuciti, a, d, c, forme anulari, f 2, J, 9, forme bacillari, allungate e ramificate, n, i, e, forme in via di riproduzione. Oc. 6, obb. apocr. 2,0 imm. omog. Zeiss. Le è i ti 3: une È a n SO IRE Vi vr dk. Accad d Sc Fissche e Male. VANA Sor LA. ti (TA Re Ù di del RT è pra ® 9 i re © iti i Ml O x si are ye d + ra Pn Pg N° 12 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE LO SCOGLIO DI REVIGLIANO MEMORIA. di GIUSEPPE DE LORENZO presentata nell’ adunanza del di 17 Dicembre 1904 « ... hier auch die Aufgabe sey, durch Triimmer sich eine Vorstellung von jenen ewig classischen Hohen des Erdalterthums zu verschaffen. » GOETHE Italienische Reise, 4 Aprile 1787. A mezza via tra Torre Annunziata e Castellammare di Stabia, a cinque- cento metri appena di distanza dalla foce del Sarno, sorge dal mare una pitto- resca scogliera calcarea, che per le sue forme e la sua natura, strane in mezzo ai pianeggianti depositi vulcanici, attira immediatamente l’attenzione di chiunque percorra quella bella e famosa costiera, su cui si stendeva appunto l’antica Via Sta- biana. Questa scogliera, detta di Revigliano, per la sua posizione isolata e incan- tevole, sul golfo ove il Vesuvio fuma, fin da antichi tempi fu scelta come luogo di contemplazione o di riposo o anche di lotta: come ne fan fede gli avanzi ro- mani, medioevoli e moderni, di templi, chiostri e fortificazioni, che tuttora vi si trovano; ma quel che per i geologi la rende interessante è la sua natura cal- carea, del tutto estranea alla costituzione della limitrofa piana vulcanica. Infatti, quel tratto di terra, che si stende a est di Revigliano, tra Pompei e Stabia, al pari di tutta la pianura campana è costituito, come si scorge dalla carta geologica della tavola 'II, da depositi vulcanici, per la maggior parte accu- mulatisi in situ, in parte anche rimaneggiati dai piccoli ‘corsi d’acqua e dalle onde del mare. Tali depositi nella parte più superficiale ed estesa sono rappresen- tati da ceneri e lapilli vesuviani, di natura leucotefritica e leucobasanitica, ge- neralmente sciolti, a volte anche cementati in tufi. A questi ‘materiali detritici si vedono sottoposte presso Torre Annunziata le vaste correnti laviche del 1631, e negli scavi di Pompei le stratificazioni di pomici a piccoli frammentini calcarei, ATTI — Vol. XII—Serie 2° N.° 12. l tn PO Mia: caratteristiche dell'eruzione del 79, che si ritrovano anche sulla cresta della Somma e sulle cime dei circostanti monti appenninici. Lungo il corso del Sarno poi, negli scavi di S. Marzano, par che si trovi anche altro materiale vesuviano, anteriore all’ eruzione che seppelli Pompei. Alla base di tutti questi depositi leucitici vesu- viani sì trovano i tuti sanidinici grigi, di natura pipernoide e di probabile ori- gine flegrea, che si rivelano negli scavi profondi o fuoriescono ai margini della pianura campana, a Pozzano, Lettere, Nocera, etc., dove si adattano alle falde delle montagne calcaree e contengono frammenti e blocchi calcarei, venuti giù da monti e metamorfosati, mediante gli acidi dei tufi, nei famosi massi fluoriferi, già illustrati da Arcangelo Scacchi. Con la natura di tutti questi depositi vulcanici niente ha da fare lo scoglio di Revigliano, che, pur trovandosi appena a 10 chilometri dal cratere fumante del Vesuvio, è formato di pura roccia calcarea, eguale a quella, che costituisce, di là dal mare e dai tufi vulcanici, i monti dell’ Appennino. Si tratta di un calcare stratificato, compatto, bituminoso, di color grigio oscuro, in cui, meno qualche dubbia traccia di rudiste, non mi è avvenuto di trovare fossili ben discernibili; esso però è in tutto e per tutto simile ai calcari, che a poco più di 4 i di distanza costituiscono il promontorio di Castel- lammare e contengono piccole camacee e sferuliti, hanno intercalate anche delle marne verdi a orbitoline e sono principalmente noti per la ittiofauna del Capo d'Orlando, di cui darà il prof. Bassani la descrizione definitiva. Questi depositi erano finora ritenuti come appartenenti alla parte inferiore del Cretaceo, forse all’ Urgoniano; ed aptiane sembravano le bivalvi delle intercalate marne ad orbitoline: quindi tutto il complesso di questi calcari di Castellammare era giudicato come Urgo-aptiano, o Cretaceo inferiore, al pari dei restanti calcari a requienie dell’ Italia meridionale. Ma gli ultimi studi del prof. G. Di Stefano, da lui esposti nelle sue Osservazioni geologiche nella Calabria settentrionale e nel circondario di Rossano, tendono a dimostrare, che la Zoucasia di questi calcari non è la carinata Math. sp., e che i calcari inferiori a requienie dell’Italia me- ridionale spetterebbero non all’Infracretaceo, ma al Cenomanianoin senso lato, sop- portando tutta la restante pila di calcari a ippuriti, fino agli alti livelli del Tu- roniano e del Senoniano. Se queste conclusioni si potessero applicare anche ai calcari di Castellam- mare, il che dovrà però essere ancora dimostrato, allora anch’ essi dovrebbero ri- tenersi come cenomaniani e similmente cenomaniani sarebbero i calcari dello scoglio di Revigliano, i quali rassomigliano tanto a quelli di Capo d'Orlando e della mon- tagna di Faito, che, restringendo ad essi lo sguardo, pare quasi di trovarsi, in- vece che in mezzo al mare, sulla cima del S. Angelo a tre pizzi, le cui pitto- resche forme torreggiano a circa 1500 m. più in alto. Quindi dal punto di vista stratigrafico lo scoglio di Revigliano sarebbe uno dei tanti capisaldi, che testi- moniano la grande transgressione cenomaniana, messa in evidenza da Suess in Das Antlitz der Erde; e dal punto di vista tettonico sarebbe uno scoglio di cal- care cretaceo, fuoriuscente dal mantello dei depositi vulcanici, analogo a quelli che estuberano dal Flysch eocenico, da me descritti nella Geologia dell'Italia me- ridionale, Bari 1904, p. 122, fig. 29, i quali a lor volta O0CRIAEIANO alle note Klippen della catena carpatica. . ; i A ; A i | O Ma la importanza maggiore dello scoglio di Revigliano è nel fatto, che esso, trovandosi così vicino al focolare eruttivo del Vesuvio, sta ad indicarci il modo come è costituita la platea sedimentaria dell’anfiteatro eruttivo della Cam- pania. Ed infatti esso non solo ci dice, che i calcari mesozoici si trovano a po- chissima distanza dalla superficie e dal camino vulcanico (il che già si era po- tuto argomentare dall’ esame dei blocchi rigettati dal Somma-Vesuvio), ma pel modo come son disposti gli strati del calcare, da cui è formato, conferma anche quel che io già ripetutamente in precedenti lavori ho esposto, sulla conformazione sinclinale e sulla tettonica della conca eruttiva campana. Dianzi io ho detto, che i calcari di Revigliano sono stratificati; ma i loro strati non si discernono bene, specialmente nel lato orientale, dove sono masche- rati e coperti da numerosissimi piani di frattura e di scorrimenti, e velati e cemen- tati anche da spesse plaghe di calcite cristallizzata. E infatti, a causa di tali frat- ture, la scogliera di Revigliano non è in verità una massa unica, ma un aggregato di una diecina di piccoli scogli, a pareti alte e lisce, separati da piccoli bracci e seni di mare, che li rendono oltremodo pittoreschi. Nel lato occidentale però, espo- sto alla pioggia edace portata dal libeccio, la stratificazione è messa bellamente a nudo, come può vedersi nella seconda fotografia della tavola I. Ed è notevole che, malgrado le numerose fratture e dislocazioni, tale stratificazione, meno qualche piccolo accidente locale, inclina uniformemente e regolarmente verso nord-ovest, al pari di tutte le masse sedimentarie della penisola di Sorrento e di Capri: in guisa che, facendo una sezione geologica schematica dalla Valle di Tramonti al golfo di Napoli, sul genere di quelle esposte da Emil Béose nel suo Contributo alla geologia della penisola di Sorrenio (Atti di questa Accademia, serie 2°, vol. VIII, 1896), si vede (fig. 2°, tav. II), che lo scoglio di Revigliano, sia dal punto ‘di vista stratigrafico che da quello tettonico, è in intima relazione colla penisola di Sorrento. Anzitutto si osserva, che la direzione e l'inclinazione degli strati calcarei di Revigliano corrispondono esattamente a quelle della massa generale dei calcari della penisola di Sorrento, malgrado le numerose e forti dislocazioni, cui fu sog- getta la isolata scogliera: il che dimostra quale costanza in generale questi cle- menti serbino nella costruzione delle montagne calcaree fratturate, e quale im- portanza quindi essi abbiano nello studio architettonico di queste masse sedimen- tarie. E infatti noi vediamo subito, che questa inclinazione a nord-ovest degli strati di Revigliano convalida ancor meglio l’osservazione, che tutta la base sedi- mentaria del bacino eruttivo della Campania sia foggiata a mo’ di conca sincli- nale: al pari di quella, che contiene il vulcano del Vulture e di altre, che con- tengono altri vulcani. Tale disposizione sinclinale ha una grande importanza per la genesi dei fenomeni eruttivi nelle nostre contrade; mentre poco significato per tale scopo pare che abbiano le fratture e dislocazioni lineari: come si può rile- vare immediatamente dal fatto, che il limitrofo golfo di Salerno, il quale è tanto e forse più fratturato di quello di Napoli, ma solamente ha gli strati disposti a cupola anticlinale, non presenta alcuna traccia di fenomeni eruttivi; pur essendo assai esiguo il limite, che separa la perturbata conca craterica di Napoli dalle vaste e non turbate acque del golfo di Salerno. Ra Sa Non solo lo scoglio di Revigliano conferma la disposizione sinclinale «della conca sedimentaria campana, ma esso ci dà anche evidenza delle masseicalcuree, che giacciono sotto lo specchio d’acqua del golfo..In una succinta Zistory of volcanie action in the Phlegraeon Fields (Quart. Journ. ‘Geol. Soc., vol. LX, 1904) io ho recentemente indicato, come la penisola di Sorrento l'isola di‘Capri.non siano.che le sommità, emergenti dalle onde del mare, di un’unica grande massa .sedimen- taria, allungata da sud-ovest a nord-est e rotta e spostata da numerose .disloca- zioni longitudinali e transversali. A nord-ovest di questa massa, sotto le acque marine, giace una seconda massa sedimentaria, allungata nella medesima dire- zione della prima e separata da questa mediante una valle sottomarina, corrispon- dente a una delle solite dislocazioni transversali dell’ Appennino, diretta da sud- ovest a nord-est. Ora il prolungamento verso nord-est di questa valle o dislocazione sottomarina viene a corrispondere per l'appunto allo scoglio di Revigliano, il quale ci mette dunque in modo plastico sotto gli occhi l'estremità della ipotetica massa sedimentaria, nascosta dalle acque del mare, e ci dà un pallido indizio della com- plessa e poderosa architettura di queste masse sottomarine. Indizio anche fuggevole, perchè, in un periodo di tempo non lungo rispetto alla storia della terra, quantunque lunghissimo nella storia degli uomini, la pioggia edace e le onde spumanti avranno eroso e diroccato la scogliera calcarea, di cui gli avanzi saranno anche coperti da altri depositi sedimentari ed eruttivi, in modo che le formazioni della terra e le acque del mare si stenderanno di nuovo sopra un altro mistero. Napoli, Museo geologico dell'Umwersità , Decembre 1904. finita di stampare il dì 14 Gennaio 1905 1S3A0-0NS YO ONVITDIA3H IA 0119008 01 INY TIM = DIUVANBA #RIVTORIVO L10M9 153-0NS VO ONVITDIAFEZ IA 0I1900S 01 RP Accad Sc rise mater. di Napoli, vol Mn {2 53 = | 05 ERE PRC] < ola -.P È IVI - — Ri IReviglia Py ®., Ad LIA tobbia 4 Hi ri n Scala di Lerriera Pa 425.000 C(arpenterza £ \ > Maccna d'OltveNW®t 3 7A fy Inclinazione È degli strati , \ > Fabb. di Tela si Depositi vulcanici ealluvivrali per la maggior parte recenti Calcare del Cretaceo vupercore v_A 1) È. dl Siti A Derino-Napui M Cerreto DeLorenzo-Lo Stogliv di Revigliano lar CAS Pretro /002 15/5 /l4/ la ae /:D0000 CY CONA 24 IL) \ N D N NT o GS) AN SS è ì DAS NN N È S | ù ssi Calcari cretacez REG Za upiao VAZZZIZÀ Depositi vulcanici, subvulcanici e alluvionali. | J N° 13. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE - CONTRIBUTO ALLA TEORIA DELLA FORMA TERNARIA BIQUADRATICA E DELLE SUE VARIE DECOMPOSIZIONI IN FATTORI MEMORIA di ERNESTO PASCAL presentata nell'adunanza del 17 Dicembre 1904 Nulla dies sine linea. INTRODUZIONE ù La teoria delle curve piane del 4.° ordine è uno degli argomenti più brillanti quale si cimentarono i maggiori geometri e analisti del secolo scorso, e basti Miiiziaro Pliicker, Steiner, Hesse, Salmon, Cayley, Aronhold, Cleb- ° sch, Geiser, Klein, argomento cui accresce anche singolare importanza l’in- | timo legame che la curva piana del 4.° ordine ha colle funzioni abeliane. Ma se grande sviluppo ha assunto la teoria delle quartiche piane, assai poco | studiata è stata invece quella della forma ternaria biquadratica, considerata dal | punto di vista della teorica delle forme algebriche. La costruzione e lo studio di qualche covariante e invariante si trova già in — Salmon, e in Clebsch (Crelle, 59), (che studiò, fra gli altri, quel cova- | riante S di quarto ordine e grado che ha trovato poi applicazione alla quartica automorfa di Klein), Reye, (Crelle, 78) e Liroth (Ia. Ann., 1) i quali | considerarono quell’invariante di 6.° grado il cui annullarsi è in rapporto colla | rappresentazione della forma mediante somme di 4.° potenze. Ma un'introduzione alla costruzione del sistema completo della biquadratica ternaria si deve a Maisano (Giorn. di Batt., 19), il quale seguendo la via che era stata tracciata da Gordan (Iuth. Ann., 1), per la ricerca del sistema com- - pleto della cubica ternaria, determinò tutte le formazioni invariantive della bi- quadratica sino a quelle di 5.° grado e alcune di quelle di 6.° grado, mentre Gordan stesso, tralasciando di occuparsi della quartica generale, avea poco prima (Math. Ann., V7, 20) raccolto le sue considerazioni sulla speciale quartica auto- morfa di Klein. ATTI — Vol. XZ/— Serie 2°— N° 13. l MR, SESIA Una delle maggiori difficoltà che si presenta in questo argomento sta nella. grande complicazione dei calcoli, giacchè lo stesso calcolo simbolico, che nel campo binario ha servito indubbiamente ad abbreviare e a far giungere assai avanti nella determinazione dei sistemi completi, nel campo ternario invece presenta diffi- coltà pratiche di gran lunga maggiori e rende servigi, in proporzione, assai minori. Un qualche vantaggio può dunque presumersi riducendo le nostre considera- zioni a calcoli nel campo binario, seguendo cioè un ordine di idee da cui prese le mosse ripetutamente il Brioschi nei suoi molti lavori sulla teoria delle forme e specialmente in quello intitolato: Stud analitici sulle curve del 4° ordine (Ann. di Matematica (2) t. VII, 1875-76; Opere Matematiche, t. II, p. 141). In questo lavoro l’ illustre Autore immaginò la forma biquadratica ordinata secondo le potenze di «,, e prese in diretta considerazione le binarie in 2,,2, che formano i coefficienti di queste varie potenze ; 07m covariante della forma ter- naria sarà covariante del sistema di queste binarie. Questa idea tanto semplice è degna di essere sfruttata assai più di quel che non sia stato fatto finora; nean- ch’ essa è priva alle volte di rilevanti difficoltà, ma in molti casi è feconda di risultati. Le forme di quart’ ordine che considera specialmente Brioschi nel lavoro succitato non sono però le generali, ma quelle in cui compaiono solo le potenze pari di z,; nella presente Memoria, io, prendendo invece in considerazione il caso delle quartiche generali, mi propongo appunto di applicare largamente il suddetto metodo, pur non trascurando, quando mi si presenta l’occasione, come p. es. nella seconda parte laddove tratto della formola di Brill, di adoperare il calcolo delle forme ternarie. n) Ciò mi dà occasione di trovare una serie di altri risultati ausiliarii, come p. es. la ricerca del sistema completo di tre forme binarie di ordine 2, 3, 4, il completamento di alcuni teoremi di Clebsch, ecc., che non sono direttamente ri- sultati relativi alla ternaria biquadratica, ma che, dal nostro punto di vista, sono indispensabili per costruire la teoria completa di questa forma. Il mio lavoro è diviso in due parti; nella prima parte mi occupo, seguendo specialmente l’ indicato punto di vista, del sistema completo della quartica. Dopo avere riassunto i risultati di Maisano e di Gordan, passo ad occu- parmi delle forme invariantive della quartica espresse come forme invariantive del sistema di tre binarie degli ordini 2, 3, 4; trovo le equazioni differenziali cui esse devono soddisfare da questo punto di vista, e determino indi il sistema com- pleto di tre binarie degli ordini 2, 3, 4, sistema non ancora conosciuto. Per tale ricerca prendo le mosse dal sistema di una forma di 4° e una di 3.° ordine, che fu studiato parecchi anni fa da Gundelfinger, e la cui determi- nazione dette anche luogo ad alcune pubblicazioni di Sylvester, e applico il me- todo che si trova nella classica Opera di Clebsch: Z%eorie der bintiren algeb. Sormen, Leipzig, 1872, per ampliare un sistema completo quando alle forme fon- damentali si aggreghi una quadratica. Trovo pertanto che i teoremi che dà Clebsch sono suscettibili di notevoli perfezionamenti, e dimostro infatti parecchi teoremi ausiliarii, coi quali si ha il Se De ettamente dai teoremi di Clebsch. Dopo ciò passo alle forme invariantive della ternaria biquadratica, e, fra le altre cose, dimostro non esatta una asserzione di Maisano riguardante la dipen - denza dei tre covarianti di 6.° ordine e 6.° grado, come dimostro anche la indi- pendenza dei tre invarianti di 9.° grado. Come lo studio del sistema delle tre binarie mi serve utilmente per la ter- maria, i risultati relativi a questa possono, a loro volta, utilizzarsi per il sistema . delle tre binarie, e nel $ 10 mostro infatti con che metodo semplice possono tro- varsi delle sizigie relative a questo sistema. ; Nella seconda parte della mia Memoria tratto delle condizioni di decomposi- | zione in fattori della quartica ternaria. Di questo argomento mi occupo da due punti di vista diversi e con due diversi metodi, di cui l’ uno richiede calcolazioni nel campo ternario, e l’altro invece nel solo campo binario. Partendo da un teorema generale dovuto a Brill sulla decomponibilità di una forma ternaria in fattori lineari io giungo, dopo una serie alquanto complessa di . calcolazioni simboliche, ad esprimere il cosidetto covariante di Brill mediante i | covarianti fondamentali del sistema di Maisano. Di forma assai più semplice sono i risultati che ottengo coll’ altro metodo, | cioè eseguendo calcolazioni nel semplice campo binario, e adoperando perciò le formole già trovate, anche a questo intento, nella parte prima. i Ricerco così le condizioni per varii casi di decomponibilità, e mi servo a tal uopo di alcune formole fondamentali, che dimostro sin da principio, sul compor- tarsi dell’ Hessiano di una ternaria di ordine qualunque, e in particolare di una | quartica, la quale si scinda, in un modo o in un altro, in fattori. PARTE PRIMA Sul sistema completo della quartica ternaria. Del sistema completo della quartica ternaria si occupò Maisano (Giorn. di Batt., t.19, Rend. Circ. mat. di Palermo, t. I, p. 54), il quale, seguendo il metodo e i procedimenti che il Gordan (Ma. Ann., t. 1) aveva adoperato per la ricerca del sistema completo della cubica ternaria, determinò le forme dei primi sei gradi del sistema completo della quartica, eccettuati solo i corarianti misti di 6.° grado. Trovò poi ancora che gli invarianti indipendenti e indecomponibili di 9.° grado sono 4/ più tre, ma non ne dimostrò effettivamente la indipendenza. Poco prima di Maisano, il Gordan (Wat. Ann., t. 17, 1880) si era oc- cupato del sistema completo della speciale quartica automorfa : ex, +e,'cy +24, incontrata da Klein nei suoi studî sulla risoluzione di certe equazioni di 7.° grado e sulla trasformazione di 7.®° ordine delle funzioni ellittiche, e aveva trovato che tal sistema completo risulta di 54 forme. Il Gordan, come dice egli stesso nell’ introduzione al suo lavoro, voleva prima occuparsi del sistema completo della quartica generale, ma vista la grande complicazione della cosa, pensò a limitarsi a quella sola quartica speciale; ciò- nonpertanto nel suo lavoro c’ è anche qualche risultato che riguarda il caso ge- nerale, come diremo più sotto. Per quel che dovremo dire in seguito sarà pertanto necessario riferire sui ri- sultati ottenuti da Maisano; riferiremo poi nell’ altro $ anche su quelli di Gordan. S 1.— TABELLA DELLE FORMAZIONI OTTENUTE DA Marsano. Disporremo le formazioni secondo il grado nei coefficienti della forma, e inoltre le disporremo in quattro categorie secondo che sono invarianti, covarianti, contra- varianti, 0 covarianti misti. Inoltre avvertiamo che per indicare una formazione che sia di grado X nei coefficienti (7rado della formazione) di grado x nelle 2 (ordine) e di grado v nelle x (classe), useremo il simbolo (X,p., v). i % an pt Grado zero (4 covariante misto evidente) 5 ai 1. Un (0,1,1) » II. Grado uno (/ covariante) tà 2. ra =. (1,4,0) III. Grado due (/ contravariante, 1 covariante misto) È 8. (abu)' us =, =... =0 3) (2,0,4) A 4. (abufa 0’ =0@ (2,4,2) : IV. Grado tre (/ invar., / covar., 1 contrav., 3 cov. misti) 5. (abo'—A=agg'= 0,° (v. sotto N.° 9) (3,0,0) 6. (abefa 0’ —AS=A (3,6,0) È. ha (abu)"(acu)(bcu® =u°=j (3,0, 6) "Y 8. agua, = 00 =@ (v. n. 9) (8,2,2) Re 9. Agi, = du = 0 (3,3,8) 3 10. (abu) (acu)a bc, = Ku, = K (3,6,8) V. Grado quattro (/ covar. / contrav. 9 cov. misti) 9 11. (002) =s, =s (4,4,0) 12. au?=u, =p (4,0, 2) ; 18. afua, (4,1,3) 4 14. astolua. "6 >= (4,5,1) di: 15. (abu)'a, "du, (4,2,4) | 16. (090) ta (4,2,4) 17. (abu)az ug dd, (4,4,3) petalo — e (4,6,2) 19. (abu)a za, (4,3,5) 20. (aAu)a "A,5 (4,8,1) PR (abu)a a 6, (4,5,4) VI. Grado cinque (3 ccrar. / contravar. 20 cov. misti) ia =, (5,2,0) IRICRALA =, (5,2,0) 24. (abAfabA*=v 6,8,0) 25. (asu)* (5,04) 26. au, (53,1) 27. (asu)a 3, (5,4,2) 28. (asu)'a,8, (5,2,3) 29. Au A, (5,4,2) | *) Indichiamo con c e non con « (come fa Maisano) questo contravariante per evitare una confusione che potrebbe presentarsi nei $ seguenti. cl Be 30. (00'x)'a'AzUz4, i (5;8;1) 31. (Gja)u zu, (5,2,6) 32. (00'r)a tu UA, (5,3,4) 33. Ag Agli; Wg 4, (6,1,5) 34. (00'£)A gg UA, (5,4,5) 35. (COLA gg Ud, (5,5,3) 36. astuzia, (5,2, 6) È 3. (abu)au58,° (5,3,4) 1 38. (abu)beua tu 6,0, (5, 4,5) 39. (abu)a cod, (5,5,83) 40. (adu)(acu)a zu db 0, (5,5,6) 41. (Gjr)uz u, (5,1,8) 42. (abuse Ut, bc, (54,2) 43. (abu)a scsi A, bc, (5,8,83) dA. locator, 6 0, = (5,9,1) | 45. (asua,%8,° (6,6,1) ; VII. Grado sei (7 invar., 5 covar. *, 2 contrav.; è covarianti misti non fu- rono calcolati da Maisano) 46. (coc’”) =B (6,0,0) 4°. abi, 0, =, (6,6,0) 48, (abeV'acto a. (6,6,0) 49. (co'x)(c'0’2)(0'v=N (6,6,0)" i 50. (abu)’(asu)(bsu)? (6,0, 6) 1 51. = (aAu'A%u,? (6,0, 6) VIII. Grado sette (In riguardo a queste forme il Maisano si occupò solo dei covarianti, e dimostrò che di questi ne esistono di indipendenti e indecompo- nibili solo 42 più è cinque seguenti) 52. (abe)a "bc, (7, 4,0) 53. (abe)?b,c,a, bc, CI. 54. (abA)’A,'a,°b_° (15-40 55. as'an'a ca (7, 4,0)” 56. (aAA')Y'aA_'A',* (7,10,0) IX. Grado nove (Il Maisano si occupò degli invarianti di 9.° grado e di- mostrò che ne esistono 4/ piè tre indipendenti, e indecomponibili ; noî dimostreremo in seguito che essi sono effettivamente indipendenti). 67. ate =0 (9,0,0) 58. AAT (9,0, 0) 59. (ass)* — E (9,0,0)" adi *) Per questi tre covarianti vedi più avanti il $ 18. AT >è IRA, . $ 2.— RISULTATI DI GORDAN PER LA QUARTICA GENERALE E PER LA SPECIALE QUARTICA AUTOMORFA, Il principio dal quale Gordan prende il punto di partenza è il seguente: La biquadratica ternaria /=,* ha un contravariante di 4.* classe o=(abu'=u,. Ora si può immaginare il sistema completo della biquadratica costituito di tre parti: delle forme contenenti solo simboli di /, e non di o (sistema S,), delle forme contenenti solo simboli o (sistema S,) | e finalmente delle forme contenenti simboli di / e simboli di o (sistema S,). Il Gordan per la prima parte fa la ricerca completa, cioè non limitata alla speciale quartica, e trova in tutto solo sefte formazioni le quali sono (adoperando le stesse notazioni del $ precedente) : SER i (1,4,0) 2. 0 (2,4,2) î SE bbA (8,0,0) CAL De- +a dd, = n dI e CoA 2V8, +i,î, Sé ear . +8 Mi; 1 dI, =0 dI È dI dI Ma i im +2 DEA a irta Spia "Sca è + Bibi cm + Bistiria “a =" Mia Aa +2 HB suit TI Rn DV i E SE + 5h - danno Oi 1298, +2 melo = gear CERN See oe Di queste equazioni l’ultima equivale ad una relazione conseguenza delle (3). Giacchè applicandola ad un termine come (2), col teorema delle funzioni omoge- nee, essa dà per risultato il medesimo (2) moltiplicato per 4 1 2 8 —ibh_ghtagbhtgh che è dunque zero; e tale relazione si ottiene eliminando » fra le (3). — de La VII, - scriversi (posto J eguale alla somma di tanti termini (2)): 4 Zia E 2 Pi i 98 or + —Flhtbhtnta)I=0. Per effetto della prima delle (3) l’ultimo termine è 4w, cioè, come abbiamo detto di sopra, il peso di J, e quindi si vede che la precedente relazione diventa | esattamente una di quelle quattro (che del resto, come si sa, non sono indipen- denti) cui deve soddisfare un invariante del sistema delle tre binarie @«,8,v. Le altre tre sono V, VI, e infine quella che si ottiene da VIII con una modificazione simile a quella cui si è assoggettata la VII. Resta così anche dimostrato di nuovo che un invariante di f è invariante del sistema delle tre binarie «,B,r, come si era detto in principio di questo paragrafo. Delle nove equazioni caratteristiche non resta quindi da considerare che solo J gia 3808, deducono due relazioni fra le derivate di J rispetto ai soli coefficienti ‘di a B.r Si ha le prime quattro, fra le quali eliminando le due derivate i dJ Y31,B ubi ao + a B; ii) da. Ls ua = Mein, ti, f20 “e Zeri, vili TI Hi, sar a 2a Y B; ASTE Paseo 0 e un’altra relazione analoga che per ora è inutile scrivere. Se ora in luogo dei coefficienti effettivi introduciamo per un momento i coef- ficienti simbolici, cioè poniamo ii pÎ Bia, = BB fa" B;, i1381 pio v Tita riconosciamo subito che il coefficiente relativo al primo sommatorio nella prece- dente equazione è il coefficiente di 2,'%,° nel prodotto 12r,r,B,°, diviso per il coef- ficiente binomiale i, Similmente il coefficiente relativo al secondo sommatorio è quello di ,',"* in Li 2 IMilela —00,0, diviso per È ;P quindi infine l’equazione differenziale diventa: 1. 12 DrataB.) pa +2 Oritata — ca, 5 2 ER) a Dl dove in generale col simbolo 2(0)55 intendiamo il processo di Aronhold pel quale si deriva rispetto ai coefficienti della forma w, e si moltiplica ciascun termine per il coefficiente omonimo dell'altra forma £ del medesimo ordine. L'altra relazione che si ottiene è quella ricavata da questa, mutando l'indice 1 nell’in- ® — 15 — dice 2, per modo che, introducendo due quantità arbitrarie Ya > moltiplicando le due equazioni per y, € y, c sommando si ha infine l'equazione unica: dI (7) 12Y (1, Bs) d(a) sg x Unni Ts, 3 sE na €, Pa UV) — mR Si trova dunque il risultato che un invariante J di f, considerato come inva- riante del sistema delle tre binarie a, 8,1, soddisfa ad un equazione differenziale _& cui primo membro è in sostanza la somma di tre processi di Aronhold operati nel noto modo fra le forme rispett. 121,8," e a, di 4° ordine 9Y,t.t! — aa,a,> e B,° di 3° ordine — 248,6, ev, di 2° ordine È da osservare che la forma di 3.° ordine che prende il posto di una 8,’ è la polare di (8) p 9(Y,.))? na au, ’ la quale espressione s’ incontra in alcune ricerche riguardanti la quartica terna- ria /; così p. es. la (8) eguagliata a zero rappresenta le quattro tangenti doppie | passanti per 7,=0,z,=0 della curva di 4.° ordine /=0, ma pel caso in cui bin / sia B=0 *). Inoltre l’annullarsi della (8) insieme a B=0 è condizione necessaria è suffi- ciente perchè la /=0 si riduca ad una conica doppia, come fece vedere lo stesso Brioschi **). $ 4. — LE EQUAZIONI DIFFERENZIALI PER I COVARIANTI MISTI. l Passiamo ora a considerare il caso di un covariante di /, e per porci da un | punto di vista più generale supporremo che sì tratti di un covariante misto con- | tenente le due serie di variabili contragredienti 2,2,2,,%,0,%,. 4 Ai primi membri delle equazioni differenziali I,.....IX, bisogna, come si | sa, aggiungere dei termini in cui figurano le derivate rispetto alle 2 e «, e pro- | priamente i seguenti: dI dI in E fd , dI nm. dL —agt: "du s i dI da: UL e kh *) Vedi Brioschi, Studî analitici sulle curve di 4.° ordine. Ann. di Mat. (2), t. VII; Op. mat., II, p. 141, [p. 151]. NE 2°) Brioschi, Agi. Lincei (2), t. III, 1875-76, p. 91. Vedi anche più avanti, parte seconda di questa Memoria. sc in IV. mir +47 ni e mi NE apt in VII. -dapt3aptiaptip3 = "ir — Da ‘i in VII 30 AMA, Lai EL n Teftind telo ius Ap ago Se, come abbiamo fatto per gl’invarianti, indichiamo con (9) (2 Hi, Bi Hi v o Jet a,\,B,a,x,u un termine del covariante (di ordine v + v, e classe p + e.) espresso mediante 4,8,Y,@ e ordinato secondo le potenze di , e «,, ricordando che il peso q del covariante è dato, come è noto, dalla lana 4k_-(v+v)— 2(p+ di) _ SETTI O I in cui % sia il grado nei coefficienti, si ha la formola: (10) dp, + po +p +h)-v_-v — 29 —29,= 39 . Le somme v+ v,,p + p, sono costanti per tutti i termini del medesimo co- variante. Immaginiamo ora di fare la trasformazione lineare di determinante £ (2,=tz,); il covariante deve restare moltiplicato per la potenza di # eguale al peso. Ma con questa trasformazione lineare le <,v, restano anch'esse trasformate in u=#, u,= tu, (come si vede ricordando che «,u,4, sono i minori di 2.° ordine della matrice Vi Y Ys | Bs in cui yez sieno variabili cogredienti alle 7) mentre i nuovi coefficienti 2',y,B', a" risultano gli antichi moltiplicati rispett. per #,#" ,7,1 (perchè la nuova Y possa porsi eguale all’ antica), onde, scrivendo il termine (9) in 2',r,B,a,2,%, e indi sostituendo a tali quantità i loro valori si deve avere per risultato il termine (9) stesso moltiplicato per # onde (11) Ap, + 2h +p—-v-p=9; e eliminando 9 con (10) si ha fi Sa eV} 29,0. La equazione differenziale IX, scritta per i covarianti, si riduce esattamente a questa relazione fra i gradi di un termine come (9), il che si verifica a colpo — d’occhio. Similmente come sopra, la VII diventa una delle equazioni cui deve soddi- | sfare un covariante del sistema delle tre binarie; infatti essa, col teorema d’ omo- | geneità e posto J eguale alla somma di tanti termini (9), diventa: ; i dI Y dI na Piga girà 21 dI dI ia Dida, + 3.8; dB, E Dirt, dr, adi. do, pra du, velati VITTI È i — 3 (4, +49, + 44, + dp, — v 9, — 99 2)I=0 e per la (10) il coefficiente di J è esattamente g. Così per la VIII, e così anche per la V e VI, sulle quali due ultime non | occorre alcuna trasformazione. «+» Sulle rimanenti quattro equazioni operando come abbiamo già fatto per il è caso degli invarianti, si ha: dI 1 LI IE sl x 2,8.) >) + Ort! ca dg LR. 3% dI dI dI dI | 3, (n I n bio e nt da + pr) =0 Mir «che comprende al solito die equazioni perchè 7,,7, sono da considerarsi due quan- tità arbitrarie. | Riserbando ad un prossimo paragrafo l’ applicazione delle formole trovate, vo- | gliamo intanto quì segnare la tabella dei sistemi di soluzioni delle due equa- zioni (3) relative ai termini di un invariante. 4 Assegnato il numero p che è la terza parte del grado dell’ invariante, si . hanno i seguenti valori per p,,p,,#;P,: lie , pi},=0; pa =0, fp, Tesio p=p—l;p,=1;p9=2; ph, =?2R_2 "AGLI ; pi 0, pa =4 = 23 pi=p— 2; bo=t; pa 0, = 22 ER p,=3, py=2, py=?a—3 (pi p_2? 1 p,=2, pad; pi= ar 4 paterno pir=t— 2, p=0; p=8, = _6 Arti — Vol. X1/— Serie 2°— N° 13. 3 © piatt Lair AMA PRC e ittico abano lia IA TARA pl E ed in generale pi=h_8, pt, pa =48— 20, p,= 2a —88 +8 in cui s può avere qualunque valore 0,1,2...p e # qualunque valore 0.1,2...2s; per ogni valore di s vi sono 28 + 1 valori per #. i Da quanto abbiamo detto in questo $ si presenta utile considerare il sistema completo di tre forme binarie di ordini 4,3, 2. Ora un tal sistema non è conosciuto, ma sono conosciuti i sistemi completi di una cubica e quadratica, di una biquadratica e quadratica e finalmente di una biquadratica e una cubica. Il primo di questi sistemi completi fu studiato da lungo tempo da Salmon e Clebsch; esso costa di 15 formazioni fra cui 5 in- varianti e si trova riportato nella classica opera di Clebsch (Bin. a/y. FPormen, Leipzig 1872, p. 208). Il secondo sistema si trova anche riportato nella opera di Clebsch (p. 212) e fu studiato da Bessel e Harbordt (Math. Ann. I) e Brioschi (ibid., III) e risulta di 18 forme fra cui 6 invarianti. Finalmente il sistema di una biquadratica e una cubica fu studiato da Gun- delfinger (Dissert. per l Università di Tibingen, Stuttgart 1869) e con ura cor- rezione di Sylvester (Comptes rendus, t. LKXVIII, 1878, 2.° sem., p. 242, 287, 445) è risultato composto di 61 forme fra cui 20 invarianti. Per trattare del sistema di tre forme degli ordini 4,3,2 si presenta opportuno di prendere le mosse dal sistema di Gundelfinger, giacchè così non dobbiamo che applicare il metodo e i risultati che Clebsch stesso dà nella sua cit. Opera (p. 193 e seg.) per dedurre da un dato sistema completo quello relativo al caso in cui il complesso delle forme fondamentali si amplii con una nuova forma qua- dratica. Cominciamo intanto ad esporre i risultati di Gundelfinger modificati da Sylvester, e che non sono molto noti perchè contenuti in una dissertazione di- venuta ora alquanto rara. $ 5. — SISTEMA COMPLETO DI (WUNDELFINGER PER UNA BIQUADRATICA E UNA CUBICA BINARIE. Il sistema completo trovato da Gundelfinger (loc. cit.) e colle modifica- zioni di Sylvester risulta di 1) — 20 Invarianti 2) — 15 Covarianti lineari 3) — 10 Covarianti quadratici 4) — 8 Covarianti cubici 5) — 5 Covarianti biquadratici 6) — 2 Covarianti quintici 7) — 1 Covariante sestico In tutto 61. Pa — 19 — Esporremo la tabella di queste formazioni disponendole secondo il grado nei coefficienti di una delle forme p. es. di quella di 4.° ordine e mutando natural- mente alcune delle notazioni di Gundelfinger per porle d'accordo con altre già . da noi adoperate. Le due forme fondamentali le indicheremo con 8=B,° ,a=x.%. In vista dell’introduzione della quadratica y rappresenteremo poi con (î,j,7, 2) una forma di ?”° grado nei coefficienti di « e j”° grado in quelli di 8, di m”° grado in quelli di y, e di »”° ordine. Naturalmente vi saranno alle volte più forme rappresentate egualmente, ma ciò non porterà inconvenienti. I. Forme di zero grado nei coefficienti di «. 1. pe, (0,1,0,3) 2. u=(B2)B,P, (0,2,0,2) 3. Q=(Bv)Bw, (0,3,0,3) 4. R= (ww)? (0,4,0,0) II. Forme di 1.° grado nei coefficienti di x. d. a=a,* (1,0,0,4) 6. (aB)a,*B_° (1:31,0,5) CR (ala. B.=w.. = (1,1,0,8) 8. (aBl'a,=p,="p (A SS tI 3) .» Ysu A. 3. Il prodotto di due forme A, A’ è (in quanto ad operare su esso spinte di potenze di y) da considerarsi in un caso solo e cioè quando ambedue le forme, che possono supporsi anche eguali, sieno di ordine dispari, 24 — 1,2% —1, e allora c'è da considerare solo la spinta (2% + 24'— 2)" di y'*' su AA, il cui risultato è naturalmente un invariante. 4. Se A è un determinante funzionale di due forme di ordini r e s (am- bedue maggiori di 1 *), sono allora ancora da trascurarsi fra le precedenti spinte 1° N05 P_IEn di y suA la 32 di y} su A Î se r e s sono ambelue pari e ) RS Roe ea i Q=r-bs-2 la (24 — 1)ma di Y* su A eri #) Quest'aggiunta non è stata inserita da Clebsch nel suo teorema, ma è facile riconoscere che per la sussistenza di esso, nessuna delle due forme può essere lineare. ovvero : la 1A di Y, (eu-A la 82 di y® su A se r e s sono uno pari e uno dispari e QM—-l=r+sT_-2 la (2%X — 8)ma di Y*-! su A ovvero *): la 1A di.{.} su-A la 3.8 di y* su Af 897 es sono ambedue dispari e . . . . . . . . . 2k =r — Bra 2 la (2X — 3)ma di Y*-! su A 5. La prima aggiunta che vogliamo fare a questo teorema e che ci servirà assai utilmente pei nostri scopi, è la seguente: Supponiamo che A non sia un determinante funzionale, ma contenga il sim- bolo di un altro covariante 0 che sia determinante funzionale di due forme 9, di ordine »,s, maggiori di 1. Allora A sarà certamente una parte di una spinta B di 6 su altri covarianti, e possiamo perciò, come si sa, senza mutare sostan- zialmente il sistema completo, sostituire B ad A. Sia BL, = e sia y di ordine v. Il numero w sarà il numero dei determinanti simbolici con- tenuti in A e contenenti il simbolo 0, mentre la forma y è quella che si ottiene da A sopprimendo i fattori simbolici 0, che per avventura figurino in A e indi mutando nel modo noto il simbolo 0 nelle variabili 2. Supponiamo ora che sia x—12 #; allora una parte della spinta B è fr‘) (rt e questa è, a sua volta, una parte della spinta Celle eo o 4 che è un determinante funzionale. Al covariante A può perciò sostituirsi il C che è un determinante funzionale, e quindi applicare il teorema di Clebsch se v+r— 2, ovvero l'ordine di A diminuito di s — 2, è maggiore di 1. Abbiamo dunque il teorema: Se fra 1 simboli coi quali A di ordine n è costruito, c' è anche quelli di un determinante funzionale 6 di due forme di ordini r,s ambedue maggiori di 1, e se, indicando con m il numero dei determinanti simbolici di A contenenti 6, si trova che r > m e p= s, allora si può trascurare la spinta (2 — 1)" di x su A per ho) È bene notare che in Clebsch p. 196, nell’ enunciato del teorema, laddove si legge gerade bisogna leggere ungerade, come risulta dalla dimostrazione. - 9 lutti è valori di k tali che 2k sia sempre minore dell'ordine di A, e anche per dl valore di k eguale alla metà dell'ordine di A, nel caso în cui questo sia pari, e anche s sia pari. Di questo teorema faremo presto delle applicazioni. 6. La seconda aggiunta che vogliamo fare al risultato di Clebsch è la seguente. Si è detto nel N.° 4 che fra le formazioni da includere c'è anche la spinta di ordine (24 + 2% — 2) di y**- sul prodotto A-A' in cui A e A' sieno due forme di ordini dispari 24 — 1,2% — 1. Ora, prima di tutto, bisogna osservare che se A, A' sono due determinanti fun- zionali di ordini dispari, allora il loro prodotto per una formola nota *) si scinde in termini di cui ognuno è prodotto di tre fattori dei quali perciò almeno uno è di ordine per; ciò però, come risulta dalla predetta formola, quando tutte le quat- tro forme di cui sì considerano i determinanti funzionali sieno di ordine mag- giore di 1. Quando poi tali ordini sono l’unità aggiungiamo la seguente considerazio- ne: i casì che possono presentarsi sono o che una delle quattro forme sia di 1.° ordine o che lo sieno due, e propriamente una di quelle che compongono A e una di quelle che compongono A’ (non potendo darsi che ambedue le forme che com- pongono A sieno lineari). Ora se una sola delle quattro forme è lineare il teorema sussiste ancora. Sia infatti A=(pu)pnto, Aa; dovendo A,A' essere di ordini dispari, sarà m pari e dei due numeri 7,9 sarà uno pari e uno dispari; sia 9 pari e p dispari maggiore di 2. Possiamo allora scrivere: AA (ID) APPIA + (4) (VATI de e il secondo termine è già scomposto nel prodotto di due fattori di ordini pari, perchè m è pari, mentre il primo termine con la identità: 1 1 1 pit = ri (i + @ (quad — CA (Ip re! sì scinde in tre termini di cui il primo contiene per fattore 4, il secondo 3, e il terzo yg, tutte tre di ordine pari. Se due delle quattro forme sono lineari il teorema sussiste ancora purchè però fra queste ve ne sieno almeno due eguali. Se infatti è A= (Gp) pe! , A'=(9I 90 în cui m e 9g sono pari, applicando al prodotto AA' l'identità che dà, come so- pra, il valore di (94) (PH) PI *) V. Clebsch, p. 119. Pi _241- Sa si trova che tal prodotto si scompone in tre termini di cui ognuno ha. un fattore | di ordine pari; e se infine è P x A= (Epp, AAP) (m= pari) ponendo i i34) il prodotto AA' si riduce ad un termine che ha per fattore % (di ordine pari), ed al termine Po Ri si P, ® i n Rit sn CANI PIP Forint I UCI ai Pai contenente il fattore 9y di 2.° ordine. i Ma quando un termine del prodotto AA' contiene un fattore di ordine pari 2, allora la spinta (2% + 24 — 2)" di esso su y*#! contiene una parte che si spezza rella spinta 2” di quel fattore su y*, e nella spinta dell’ altro fattore sulla restante potenza di ; la formazione di cui si tratta può essere sostituita da parti decomponibili ed è perciò da trascurarsi. Onde : Per la formazione del richiesto sistema completo ampliato, nel costruire le (2k + 2k'— 2)" spinte dei prodotti di due forme A,A' di ordine 2x—1,2k—}i, del sistema dato, su x, bisogna trascurare i prodotti AA' in cuù A e A' sieno ambedue determinanti funzionali, salvo che le 4 forme di cui A,A' sono deter- minanti funzionali, sieno tutte diverse e contemporaneamente due di esse sieno li- neari. Quindi p. es. i quadrati di A o di A' sono sempre da escludersi: Ma si può dire ancora dippiù: Se la forma A contiene in m determinanti simbolici, il io di un dè- terminante funzionale di due forme 9,4 di ordini »,8, di cui una può anche es- sere lineare, (s= 1) mentre l’altra sia di ordine >, allora, ragionando come abbiamo fatto di sopra, alla forma A a sostituirsi la c= pt {(C72407 vano a, rom , de d) che è un delete ona Supponiamo poi che A’ o sia addirittura un determinante funzionale, ovvero sì trovi a sua volta nelle stesse condizioni di A e quindi ad esso Desa sostituirsi un C che sia un determinante funzionale. Al prodotto AA' può allora sostituirsi il prodotto CC perchè idesioì differisco evidentemente da AA' o per forme che si decompongono in più di due fattori (e queste non devono considerarsi nella formazione del richiesto sistema completo ampliato) ovvero per prodotti di A o A' per altre forme del sistema completo pri- mitivo ( non ampliato) {e tali ultimi prodotti s' intendono già considerati nella formazione del sistema ampliato ). Ma al prodotto CC' può applicarsi il teorema argomenta” e quindi ones 1 l’invariante che da esso si ottiene, spingendolo con una opportuna potenza di 1959 purchè non si verifichi quell’ unico caso di eccezione di cui si parla” nel teorema | medesimo, onde abbiamo il teorema: UM Ue e e» P%, simboli di cui risulta A (di ordine 2k—1) c'è quello di un determi- nante funzionale di due forme 9,4, di ordini r,s, e se il numero m dei deter- minanti simbolici contenente tal simbolo è minore di r, e se si chiama x la forma | ottenuta da A mutando, nel modo noto, il medesimo simbolo nelle variabili x, e sop- | primendo i fattori lineari simbolici formati con quel simbolo, per la formazione | del sistema ampliato sono da escludersi la spinta (4k—2)"® di x*- sul quadrato di A, e le spinte (2x-+2k —2)" di Y°+-! sul prodotto di A per un' altra forma A' chesi trovi nelle medesime condizioni di A, purchè però non si verifichi che, indi- cando con 9, .%,,%, ma, le forme e il numero che sono rispetto ad A' ciò che 9. v,4,M, sono rispetto ad A, le quattro forme (04 di (Pr : sieno tutte diverse, e di esse due sieno lineari. In particolare una o ambedue le forme 1,1, possono dizentare eguali ad 1, mentre uno o ambedue dei corrispondenti numeri m,m, possono annullarsi, il che | corrisponde a supporre che una o ambedue delle forme A, A' possano diventare ad- dirittura determinanti funzionali. Così questo teorema comprende come particolare il precedente. Sono parecchie le forme di ordine dispari del sistema completo di Gundel- finger le quali rientrano nelle condizioni del precedente teorema. Esse sono propriamente : Sette lineari: q=(vp)w,, (v)wv., (ne, (85) (B»)B. *); (va)w,, (Bm)(B2)B, *) (87) (B9)B. *). Cinque cubiche: Q ae, Q)°, (£,9)° ; (T,B}, (T,Q) Due quintiche: (a, B) ; (E, 8). Alle quattro ultime forme cubiche, che non sono direttamente determinanti funzionali, sono, secondo lo spirito dell'ultimo teorema, da immaginarsi sostituiti i seguenti determinanti funzionali: ((a, 8), w) ((E,B) , w) ((a,B)° x) cioè (p,%) ((a,Q)",X) cioè (8 ,k), *) Queste tre forme possono considerarsi in doppio modo come determinanti funzionali, il che ci sarà utile nell’ applicazione del precedente teorema. ATTI — Vol. XII— Serie 2'— N.° 13. 4 ss ed è necessario aggiungere che in luogo delle due ultime , possono considerarsi anche le altre ((K,8)° , a) cioè (1,0) ((K,Q)}, a) cioè (0,a) e ci converrà adoperare alle volte le une, e alle volte le altre. Per il teorema dimostrato, di questi 14 determinanti funzionali sarà inutile considerare i quadrati e i prodotti a due a due e formarne le spinte con potenze di y, salvochè non si verifichi il caso di eccezione di cui abbiamo parlato. Ora questo caso d'eccezione si verifica nei soli seguenti casi, e cioè per i prodotti : (wp)rw, * (81) (Bs)B, * (w8)w,- (BT) (BP), (n), » (85) (B2)P, (Wwa)w, + (85) (Bp)B, (Wa)w, - (BT) (Pp)B, (wa)w, »(B1) (Bs)f, (op)w, «(TQ)T_ (ws)w_ + (TBET_ (wm)w, + (TQ)NT, (wo)w, «(TBIT_. (Pr) (B2)B, + (TQYT,® che sono undici, € Doe: i quadrati e prodotti a due a due delle precedenti 14 CAS forme sono in numero di e 105 così si vede che col precedente teorema veniamo a semplificare il sistema completo ampliato, quale verrebbe direttamente col metodo di Clebsch, di ben 94 invarianti, e propriamente 22 di 1.° grado in y, 30 di 2.° grado in y, 29 di 3.° grado, 10 di 4.° grado e 3 di 5.° grado in y. Avendo presenti questi risultati passeremo ora a formare la tabella delle forme di 1.° grado in y; queste risulteranno formando: l. La prima e seconda spinta di y su ogni forma’ A di ordine pari o di- spari maggiore di 1 della tabella precedente. 2. La prima spinta di y su ogni covariante lineare della tabella precedente. 3. La seconda spinta di y sul prodotto di due covarianti lineari (anche eguali) meno quelli che rispondono alle condizioni del teorema precedente. 4. Se poi A è un determinante funzionale di due forme di cui nessuna sia lineare, allora è da trascurarsi la prima spinta di y su A. 5. Ed infine se A, di ordine p1 > 1, contiene il simbolo di un determinante funzionale 6 di due forme di ordini 7,s maggiori di 1, e se il numero dei deter- minanti simbolici in cui compare 0 è minore di » e p => s, allora è da trascurarsi la prima spinta di y su A. PE TIOSIEA È I e LAT NR TETI bots n 4 n h 21 dA o PA fa. ultimo teorema ci farà escludere 5 forme, che altrimenti bisognerebbe nel udere nella classificazione. Ricordiamo poi anche che, come si sa dalla teoria generale, in luogo di una “spinta intera si può sempre considerare solo una sua parte. |. Sulla tabella del $ precedente formiamo allora la seguente altra tabella delle forme di 1° grado n v. I. Forme di zero grado in «. tato (0,0,1,2) 2. (MB (0,1,1,8) 3. QLp=m.,=m (Od) 4. (MON (0,2,1,2) 5. (fw) (0,2,1,0) 6 rt. (0,3,1,1) II. Forme di 1.° grado in a. To (ATI, (1,0,1,4) 8. (rala. = n =n EROE 9 (Y;(a;B)? (ago) 10. (1:(0,8)) (ad 9) ll (fi(0,8)°) (i ALICA) 12. (2) Cid PEA (Yi (ai) (Rd) 14. (1:(8,2)) (e-La) MPEG ZIONE) a (iu 0) 16. (1: (a; w)?) (i: 2 1:29) Mivar) (1:,2,1,0) 18. (13 (a, Q)) *) (LB, dad) 19. * (1dYa (1,8,1,1) 20. (Ma (cea; a Mera DI 21. (1: (Q; 2) nas) (1,4,1,0) 29. (Y , (ew) (awv')a,w'.)° dtt) 23. (VI), (4; Bb, 1.4) III. Forme di 2.° grado in a. 24. (35) PR /0 14) 25. (CAR?) (2,0,1,2) Per t* (0, 2) (2,1,1,3) 22 (1,0%,P)) xd 849) Rest lp) a i) 29. (9) (Ridi Bo (ri; 0)? (2,2,1,2) ® | #) La prima spinta di ‘{ su (a, Q) è da trascurarsi in forza del teorema da noi dimostrato. ty Id. id. Ra dan ng PENETRARE TA Vi ARIE AO ENI RE SII, alt 3 ” is 31. (1. (8: n)) 32. n 8; n) 33. (13(k;w)?) d4. (13, w)8) 35. (1D° 86. rale, 3°. (19) 38. (Y ,(8, P)°) 39. ( sw, m)) 40. (v;(Q,m) #5) 4l. (2) 42. (kw (ke) (ky) 43. (2)(19) 44. (Bs)(BP)(BY)Y, 45. (09M), 46. (pr) (ws) (vr) 47. (19° 48. (Md) 49. (ws)(1)(19) IV. Forme di 3.° grado in «. OO: A) (3,0,1,4) d BL. (IP°IMI.Y, (3,1,1,3) È 52. (IR)(Iy°T, (3,1,1,1) bei E nn) (3,2,1,2) È 54. (BT) (BT) (BT. (3,2,1,2) © 55. = (BT)°(BT)(8Y)(Ty) _ (8,2,1,0) 1 56. (pY) (1) (3,2,1,0) ì OI (ROTTO (3,3,1,3) " 58. (TO).(TOIL, (FG, 17) E 59. (Bn)(Pm)(Br)v, (8,3,1,1) È 60. (BT)? (T4)? (Tr)r, (3,3,1,1) 61. (ar) (1) (3,4,1,0) 4 62. Mm (8,4,1,0) “8 63. (a1)(py) (3,4,1,0) SY 64. (Bp)? (Br) (Py) (3,4,1,0) A 65. (wr) (wY) (PI) (3 , 4 ’ 1, 0) 66. (Br)(B5) (BY), (3,5,1,1) #) La prima spinta è da trascurarsi in forza del teorema dimostrato. # TOR ; ##*) Nel sistema completo di una biquadratica e quadratica in luogo di questa spinta si suol considerare la (k, ({;)?) che è una sua parte — V. Clebsch, 7%. d. d. alg. Formen, p. 213. ####) La prima spinta su Y è da trascurarsi come sopra. e gle (QU) (T) (Ty) tr, (3,5,1,1) 68. = (Bs)(82)(BY)(PY) (3,5,1,0) 69. (0) (Y)(PpY) (3,5,1,0) 70. (ws)(wy)(my) (3,5,1,0) 71. (MM (3,6,1,0) 2. (Me (8,6,1,0) bi 713. (82)? (BY) (3,6,1,0) | 14. (BP) (BY) (67) (3,6,1,0) î ha 75. (wr) (WwY) (ST) (3 ’ 6 ’ 1 sj 0) 76. (Bs) (B») (BY) (sY) (3,8,1, 0) 7. (V0)(wy)6sy) (3,8,1,0) l 18. (3) (Y)(oy) (3,8,1,0) È 79. (ws)(wy) (BP) (BY) (8,8,1,0) (Da V. Forme di 4.° grado in a. A 3 80. (Br)? (BH). (4 ,3,1,1) e questo è l’unico covariante di 4.° grado in 0 e di 1.° in y. 81.—111. Tutte le altre formazioni di 4° grado o di grado superiore in a, e di 1° in Y sono tutti invarianti e risultano dalle seconde spinte di y coi prodotti a due a due dei covarianti lineari. Quelli di 4° grado in & sono in numero di 14--17=31, e si possono facilmente costruire facendo le spinte di Y sui prodotti dei covarianti lineari della tabella IV. per quelli di II. del $ 5, e sui quadrati e prodotti di quelli di III., ed escludendo quelli che “A soddisfano alle condizioni del teorema solito. CÀ VI. Forme di 5.° grado in a. 112.—135. Di queste non vi è che invarianti tutti ottenuti nel modo ora detto, e sono in numero di 20 + 4= 24. È VII. Forme di 6.° grado în a. V 136.—148. Di queste esistono 7 + 6= 12 invarianti. D VIII. Forme di 7.° grado in «. I 149.—152. Di queste esistono 4 invarianti. IX. Forme di 8.° grado nei coefficienti di a. 158. Il solo invariante fe; (Br) (Er) (Em) (67) - Re", pra Quindi abbiamo: 16 108 invarianti. D. 23 covarianti lineari. 8. 12 covarianti quadratici. covarianti cubici. 4 > 5. 3 covarianti biquadratici. In tutto 153 formazioni di 1° grado in x. Può darsi che fra queste ve ne sia ancora qualcuna superflua, ma è certo però che non ne esistono altre indipendenti da queste. S 7.— FormazioNI DI 2.° GRADO IN v. Per trovare queste formazioni dobbiamo costruire: 1. Le terze e quarte spinte di y° sui due covarianti biquadratici della ta- bella del $ 5, che non sono determinanti funzionali o che non contengono il sim- bolo T. 2. La quarta spinta di y° sugli altri tre covarianti biquadratici che sono determinanti funzionali o che contengono il simbolo T, e sul covariante sestico. 8. La terza spinta di y° su ciascun covariante cubico. 4. La quarta spinta di y*® su ciascuno dei due covarianti quintici (che sono ambedue determinanti funzionali). 5. La quarta spinta di x° sul prodotto di ciascun covariante cubico per cia- scun covariante lineare, escludendo quei prodotti pei quali può applicarsi il teo- rema dato dianzi. I. Forme di zero grado in a. Male SI (0,0,2,0) Rs Boni (BPNBYIVE (0,152,11) 3. (1? (1° (0,3,2,1) II. Forme di 1.° grado in a. 4. (an (am)ar = (1,0,2,2) 5. (ap)'(av):= (ny)? (1,0,2,0) 6. ((a,B), °° (1,1,2,1) (È ((a,B,r°) (1,1,2,1) 3. ((a;w),r°) (1,2,2,0) 9. (a, Q, (1,3,2,1) 10.—-15. Inoltre i 6 invarianti ottenuti facendo le 4° spinte di Y? sui prodotti di p, per i quattro covarianti lineari p,49,8,(ws)w, e di Q per pes. suor a | III. Forme di 2° grado in «. 16. (A) (EV) Yak, (ee) Lu (Av)? (1)? (2 0.:.27,0) 18. (Br ,1,2,1) 19. ((,b°,r) (2,1,2,1) DOLL (kw) 1) (22,259 21. ((&,9)°.1) (2:3,2,.1) SA 22.—86. Gli invarianti (6+9=15) ottenuti facendo le 4° spinte di Y? sui pro-_ dotti di (a, B)° per i quattro covarianti lineari p,g,5,(vs)w, e di (a, Q)° per p,8, ovvero sui prodotti di B per i sei covarianti P. lineari contenuti nella tabella III. del $ 5 e di Q per i tre fra questi che non sono determinanti funzionali. IV. Forme di 3.° grado in a. i 87. (TTT? (8,0,2,2 È 38. (TB) (TO (TY)Y. (8,1,2,1) d 39. (To) (Ty) Ty)? (3,2,2,0) bi 40. (TQ (TY (TY), (3,3,2,1) Sd 41.—61. I 6--6+9=21 invarianti ottenuti facendo le 4° spinte di Y? sui prodotti di ? peri quattro covarianti lineari della tabella IV. del $ 5, e di Q per quelli che portano i numeri 46 e 51, ovvero sui A b prodotti dei 4 covarianti di IT. per (#, 8), ovvero di p, e s per AA È a t i (k,Q), ovvero di (a, 8)? per i sei lineari di IIT., ovvero infine di (a,Q)? per i tre lineari di ITI. che non sono determinanti funzionali. V. Forme di 4.° grado in a. 62.—84. Di queste non esistono che invarianti appartenenti alla quinta cate- br i goria (secondo la classificazione fatta in principio di questo $) e si ottengono spingendo quattro volte y? sui prodotti B, + (B@*B, ; Qa8,, A ovvero sui prodotti dei covarianti cubici o lineari di II. del $ 5 per i covarianti lineari o cubici di IV., o infine peri prodotti dei covarianti lineari per i cubici di III., escludendo quei prodotti che soddisfano alle condizioni del teorema solito. Sono perciò in tutto 24-G+6+9=28 . _ —32—- VI. Forme di 5.° grado in a. 85.—100. Si ottengono tutti invarianti e propriamente quelli ottenuti facendo le 4° spinte di Y? su (aB)'a,"B,*(8m)°B., (aQ)a,"Q,* (BB, o sui prodotti dei due covarianti cubici di IIL del $ 5 per i quattro lineari di IV., ovvero dei due cubici di IV. sui sei lineari di III el escludendo i soliti: sono perciò 2-4-6 +8= 16. VII. Forme di 6.° grado in a. 101.—107. Sono tutti invarianti e sono quelli ottenuti facendo le 4° spinte di y} su MBkB, + (Pm°B, (Qk,"Q, - (Bm°B, ovvero sui prodotti dei due covarianti cubici di IV. del $ 5 per i quattro covarianti lineari di IV. stessa, esclusi tre (2+5= 7). VIII. Forme di 7.° grado in a. 108.—109. Sono le 4° spinte di Y? su (TB) de - (BT). (TOT, - (Pm) B, - Abbiamo dunque in tutto 109 formazioni di 2.° grado in y, e cioè DE 96 invarianti. DI 10 covarianti lineari. 3. 3 covarianti quadratici. $ 8. — Formazioni DI 3.° E 4.° GRADO IN Y E RIASSUNTO DEL SISTEMA COMPLETO. Si ottengono le formazioni di 3.° grado in y formando le 5° spinte di y° sui due covarianti quintici del $ 5, e la 6.* di y' su T, e sui prodotti di ciascun covariante quintico per ciascun covariante lineare, e di ciascun cubico per cia- scun cubico, esclusi i soliti. I. Forme di zero grado in «. 1.—2. Vi sono 2 invarianti che sono le 6 spinte di y* su 8°, BQ. RE; dpr II. Forme di 1.° grado in a. . 3. ((a,B), v?) (1,1,3,1) 4.—6. Si hanno 3 invarianti che sono le 6° spinte di y? sui prodotti di B, pei due covarianti cubici della tabella II. del $ 5 e di Q per (a, B). III. Forme di 2.° grado in a. (8) (@,1,3,1) 8.14. Gli invarianti che sono le 6 spinte di {? sui prodotti di B pei due covarianti cubici di III. del $ 5, e di Q per (k,B)}, ovvero sui due prodotti : [ (cx U B)?]° ti (a, 8)? (a ’ Q ’ o infine sui due prodotti di (a,f) per p ed s. IV. Forme di 3.° grado in a. 15. (TIT) (8,0,3,0) 16.—25. Gli invarianti ottenuti formando le 6° spinte di ? sui prodotti di f, pei due covarianti cubici della tabella IV. del $ 5, ovvero sui pro- dotti di p, od s per (k,B), ovvero sui prodotti dei tre covarianti lineari di III., che non sono determinanti funzionali, per (a, 8), o infine sui prodotti dei 2 covarianti cubici di II. pei due cubici di III., escluso il prodotto (a, Q)?*(k,Q). V. Forme di 4.° grado in a. 26.—34. Gli invarianti ottenuti formando le 6° spinte di {® sui prodotti di (a, 8) pei due covarianti lineari di IV. del $ 5, che non sono de- terminanti funzionali, ovvero di (a, 8)? pei due covarianti cubici di IV., ovvero di (#, 8) pei tre lineari di III. che non sono deter- minanti funzionali, o infine dei due cubici di III per se stessi , escluso [(X,Q)°]?. VI. Forme di 5.° grado in a. 35.—39. Gli invarianti ottenuti formando le 6° spinte di y* su (aB)a,"B."X (B'm)*B, ovvero sui prodotti di (k, 8) per i due covarianti lineari di IV. del $ 5, che non sono determinanti tunzionali, o infine sui prolotti dei 2 covarianti cubici di IV. per (k, B)?. VII. Forme di 6.° grado in «. 40. L’ invariante ottenuto facendo la 62 spinta di y® su (EB)k," B2"* (BMP, - Att — Vol. XII— Serie 22 N° 13. 5 cia VM In tutto dunque esistono non più di 40 formazioni di 3° grado in r, e pro» priamente : sia 38 invarianti. Di 2 covarianti lineari. Le formazioni di 4° grado in y risultano in un modo solo, e cioè facendo le 8° spinte di y° sui prodotti dei tre covarianti cubici 8, (x,8)°,(z,8)° per ciascuno dei due quintici della tabella del $ 5. Si hanno così sei invarianti di cui 1 di primo grado in a. 2 di secondo grado in a. 2 di terzo grado in a. 1 di quarto grado in a. Le formazioni di quinto grado in y non sono da considerarsi, perchè in forza del solito teorema, sono decomponibili. Riassumendo abbiamo dunque che il sistema completo di tre binarie degli ordini 4, 3, 2, risulta 4/ piè di e 268 invarianti. 2. 50 covarianti lineari. 25 covarianti quadratici. 15 covarianti cubici. covarianti biquadratici. 8 6. 2 covarianti quintici. 1 pa covariante sestico. In tutto 369 formazioni. Nel seguito di questo lavoro, servendoci dei calcoli riguardanti la quartica ternaria, troveremo delle relazioni (sizigie) fra le forme di questo sistema completo, e altre fra le forme del sistema trovato da Gundelfinger. $ 7. — EsPRESSIONI, MEDIANTE LE FORME INVARIANTIVE DEL SISTEMA DELLE TRE BI- NARIE, DEGLI INVARIANTI, COVARIANTI E CONTRAVARIANTI DI 2° E 8° GRADO DELLA QUARTICA TERNARIA. Alcune delle formazioni di cui si parla nel titolo furono calcolate da Brioschi, il quale se ne servì per varie applicazioni. Così in una breve Nota in Atti Accad. Lincei (2), t. III, 1875-76, p. 91 (Opere Mat. t. III, p. 349), il Brioschi dette la espressione dell’ Hessiano A (v. $ 1), che egli poi applicò per ricavare le condizioni necessarie e sufficienti perchè la quartica piana si riduca ad una conica doppia; tali condizioni potevano però trovarsi te Da con un metodo diretto affatto elementare e senza ricorrere all’ Hessiano, come faremo vedere più avanti, quando tratteremo della decomposizione della quartica (v. $ 18). Nell’ altro lavoro: Studia analitici sulle curve del 4° ordine (Ann. di Mat. (2), VII, p. 202, Opere Mat., v. II, p. 141) lo stesso Autore calcolò il contravariante o (v. $ 1), e inoltre molte altre formazioni, ma queste ultime per il caso in cui sia B=0, che è il caso da lui quasi esclusivamente considerato in quel lavoro. i In questo paragrafo ci proponiamo di completare appunto i calcoli del Brio- ‘chi, anche in vista di alcune applicazioni che dobbiamo fare nei paragrafi se- i guenti. Cominciamo dalle formazioni di 2° grado. Il o calcolato dal Brioschi *) è È b GU = (abu'=(a, a) — 8(a, Bu, + 12[(a,v)? — [B, 87°]? — 241, Bu, + 2aa + 67° 3 dove naturalmente per (a, B)° s'intende la terza spinta di « e f ma scritta nelle i variabili u,u,, Cioè s’ intende («B) (ax); così similmente tutte le altre forme bi- pi marte che compaiono nel secondo membro s’ intendono espresse in %,, %,. L’ altra forma di 2° grado è (adu)a° 5° che è: uz (ab,ta_"b, + Qu, [(a,b3)v, + (asd, )u,](a,d,) a, "0, + [(a,b,)u, + (a,b, )u,}° a,b, . E calcolandola mediante le formazioni invariantive di a,8,Y, si trova: (abu)'a,"b, = us [MY + 478)" B203" + 2((1a)a,° + 2(BBY°B.B 2) + + 4(Ba)a,°B_ +2, + (aaa,a',°] + + ws 400)? eu 23° — 4(4(BY)"B.u, + 3 (87) (1) B_°) e + — 4((BB)"B.8,- + 2(07) (au)a,1,)7, — 2(0B) (au), "B,°] + + [2a(1u)?w,' + 4a(Bu)?B,,° + 2(a(aua,® — (pu 12° + 2) + + 4((1B)°B, - 8° — (vu) - B)7 + (2(ava, 1° — 2(Bu?*B, + 8° + (PBY'B,B e) - Delle forme di 3° grado calcoleremo l’ invariante A e il contravariante 7 che Brioschi calcolò solo pel caso di 8=0; l’ Hessiano A fu invece già calcolato completamente da Brioschi, per quanto con un errore di segno nel penultimo termine. : Esso si potrebbe dedurre dalla forma precedente, moltiplicando questa per wu’. . indi mutando u,',u, %,..... u', nei coefficienti di f (v. più sotto). Si ha così: A=3Bahx,° + 12ama,} + 3(4aw + 2an — Bhy)c,y° + + 6(2aw — 6my+ 24B)c,° + + 3(ak — 3yw + 4ha — 6n — 2mB)x,° + + 6(2ma — 2nB — wB)x, +- 3(1K 4 av — 28w) . ‘ 1 META *) E bene avvertire che la formola data dal Brioschi è per 7 (abu)' che da lui è indicato con Cc. i nt Da L’ errore che si trova in Brioschi (corretto nella edizione delle Opere Mat. t. III, p. 350) è al termine privo di z,, in cui invece di +3a7 è calcolato —3aw *); è da notare inoltre che le notazioni di Brioschi sono diverse dalle nostre, che abbiamo adottate per porci d’ accordo coi paragrafi precedenti, e che sono (v. $$ 5, 6, 7): h=(m) w=(8B)°B,8, . k=(aaYa,'a',° m=(BY)B, n =(ay)a, w=(aBla,'8, Inoltre la formola di Brioschi è per - A e non per A (il quale > A Brioschi indica con H). : Per calcolare A ci serviremo della formola già calcolata per il e, osservando che se in u'è=(45v)° mutiamo le « nei coefficienti della ternaria abbiamo l’ in- variante A. Dobbiamo cioè mutare: 4 3 2 2 u, in 4, A in 8, porge de ; 8 uu, in a,o, , u,u,u, in BB, u,u,u, in Yao 4, «U.3 in .0 Si ha allora immediatamente A = 8a(aa)* + 18(0y)? (ax)? — 36(B8°)? (By) (27) - Vogliamo ora su questo risultato fare l'applicazione della equazione differen- ziale (7) del $ 4, e ciò anche per far vedere come mediante questa equazione diffe- renziale, il risultato precedente potrebbe ritrovarsi direttamente. Essendo 3 il grado di A, il numero w di cui si tratta nella tabella alla fine del $4èp=1;si hanno allora per l’espressione di A mediante 2,8,y tre categorie di termini che possono simboleggiarsi (adoperando la notazione (2) del $ 4) con (1,0,0,2) , (0,2,0,1) , (0,1,2,0), Dall’ ispezione delle tabelle dei $$ 5 e seg. si trova che esiste un solo inva» riante di 2° grado in « e di grado 0,0 in fe yedè 2=(ax); esiste un solo in- variante di grado l in x, e 2 in y ezero in 8 edè (ar) (ay) (v. forma 5 del $ 77), ed esiste infine un solo invariante di grado zero in x,l1 in y e2in 8 edè (rw) (v. forma 4 del $ 6). *) Propriamente in Brioschi, in cui si adotta altra notazione, si legge: — at in luogo di + at, come deve essere. a ei L' invariante A deve dunque essere una combinazione lineare di questi tre, . .dei quali però il primo bisogna moltiplicarlo per a. Chiamando ora D l’operazione rappresentata dal primo membro dell’equazione differenziale (7) del $ 4, formiamo i risultati di D operato su ciascuno di questi tre invarianti. Si trova: D.a(aa)' =24a(fa) (Ya)y, D . (ay)? (ay)? = 6(BY)° (11)? B, — da(ab) (av) B, D.(B8)° (Br) (BY) =3(BY) (r°1)"B, — 2a(Ba)? (Br) (ay)a, — 2a(88°)° (68”)(B'8)B", - Ponendo dunque A=e.a(aa)' + cav) (ar)? + e'(88)° (8) (BY) in cui c,c,c' sono tre coefficienti numerici da determinare, e osservando che, come si sa della teoria delle binarie cubiche, e come del resto può subito mostrarsi, il termine (BB)? (BB") (BB")B", è zero, e che in luogo di (fa) (ya), può porsi: (Ba) (va) [Y2)B, + (Br)a,] » si hanno fra le c le relazioni: 24e — de = 24c +2" —=0 6e + 3e"—=0 le quali si accordano a dare e=6be , e =— 12c e quindi, osservando che in A il termine che moltiplica « (che è il coefficiente di 2° e che quindi simbolicamente si rappresenterebbe con a, =b,=c,) deve avere per cofficiente numerico 3, si ha c=83 e perciò c =18,c =— 86. Passiamo ora al calcolo di j= (@3u.’ (acu)’ (de)? (v. $ 1) che Brioschi fece solo pel caso di 8=0, (da lui fu indicato con 67) e dal quale dedurremo poi alcuni | risultati riguardanti il sistema delle tre binarie x, 8, Y. Il Brioschi (Op. Mat. II, p. 142) partì dal fatto che (24w)' e j non sono altro, per il principio di trasporto, che gli invarianti è e j della binaria biqua- | dratica ottenuta dalla ternaria eliminando », con w,2, + 2,7, + ur, =0. l'aa Con tale eliminazione la ternaria moltiplicata per v,° diventa: F(x,c,) = au, + 6]u,'u, — 4Bu,u, + cuu,* in cuì per «, intendiamo w,z, + %,2,- Formiamo ora le quattro forme invariantive di F: 1 2 H=_-(F,P) T=(F,H) il I=3(F,P 1 sj = TA e allora I e J non sono altro (a meno di fattori numerici e di potenze di «,) che i contravarianti (20u)*,(abu)(acu)(bcu) della ternaria .f; propriamente Ja Fra H,T,1,J, e F sussiste la nota relazione (1) JF° — IHF° — 4H? — 4T* la quale fu adoperata da Brioschi per il calcolo di J nel caso di 8=0, osser- vando che dovendo J essere indipendente da , nelle espressioni di F, H e T pos- siamo fare una notevole riduzione col porre in esse «, =0. Le espressioni ridotte di F, H,T che così vengono ad aversi sono (v. Brio- schi, Op. mat. II, p. 142) a 4 = au, 1 te L/ H,= [3 (a, au? — 2(4, 8), ni (a— 85] ug (2) 3 3 m=|- (2,0) a)u + fata, — B(a, au — T]ata,7) — 2B(2, But +]e-Fohr]]w e sostituendo questi valori nella precedente formola il secondo membro deve risul- tare divisibile per a e si ha l’espressione di J. Ora questo procedimento il Brioschi lo potette fare per 8=0 perchè in tal caso le formole si esprimono solo mediante le forme invariantive di una binaria es biquadratica e di una quadratica, e il sistema completo di queste insieme a tutte le relazioni fra esse sono già ampiamente noti, ed è in forza di queste conosciute relazioni che si può porre in vista nel secondo membro delle (1) il fattore a”. Ma nel nostro caso non possiamo seguire lo stesso procedimento perchè per far ciò dovremmo prima ricercare le relazioni fra le forme invariantive del sistema ‘completo di «,8,y considerato nei $ 3 e seg. Noi allora procederemo nel seguente altro modo: troveremo prima direttamente J colla formola = (FH)', e poi ci serviremo del risultato ottenuto per trovare me- diante il procedimento indicato di sopra, delle relazioni fra le forme invariantive del sistema delle tre binarie 2, 8,y. Coi soliti metodi del calcolo simbolico si trova: 1 A Dr 2) (a, a), + a i 2(0 ’ 8) E, 2(a8) (cu)] uz +[4(B, B)*. wu," — 6(12) (au). u, + (1u)a — (Bu) (B'u)]u,° + +[— 4(By)? + u,° — 8 (Bu)? wu, + 10(Bu) (fu), ]u, 9 + [3 (iu — I + a(cn)Pu,? | us + [— 20(Bu}.u,"]u,° + au ug . Per brevità abbiamo soppresso i fattori lineari simbolici «_,8,,, coi quali bisogna intendere sempre completati i simboli in ciascun termine secondo le regole del calcolo simbolico. Se ora in questo H mutiamo le @,°, 2," 2,,.. nei coefficienti di > F, abbiamo esattamente il contravariante J. E sopprimendo il fattore «,° e moltiplicando per 6 sì trova: j= (abu) (acu)? (beu? =," [(aa))? (2'a”)? (aa) ] + u,° [— 12(aa)? (aB)? (a B) (a'u)] + uz* [18(aa")? (ey)? (au)? — 6 (aa)* (yu) — 6(0B)* (AB) (Bu) (Bu) + + 24 (BB)? (aB) (aB) (au)?] + us [— 24(B8)° (BB") (8°) (B")? — 18 (ay)? (aB) (au) (Bu)* — — 54 (8) (By)? (au)* + 30 (aB)? (yu) (cu)] + u3° [Ba (aa)? (cu)? (au)? — 18 (1a)? (au)? (ru)? + + 27010)? (ocu)* + 36(B8)? (Bu) (B'u) (ru)? — 36 (BY)? (Bu) (B*)"] + u, [— 120(08) (cu)* (Bu) — 36 (2Y) (Bu)? (ru) + (ru)? ] + [6a (ru)? (anu)* — 6(Yu)? (yu)? (Yu)? — 6a (Bu)? (Bu) ] î che per 8—0 diventa proprio, salvo il fattore i quello calcolato da Brioschi & (Op. mat. II, p. 147), e da lui indicato con 7. sep" pesa S 10.— RELAZIONI, TROVATE MEDIANTE I RISULTATI DEL $ PRECEDENTE, FRA LE FORME INVARIANTIVE DEL SISTEMA DI (GUNDELFINGER E DI QUELLO DELLE TRE BINARIE a,B,y. Abbiamo già nel $ precedente spiegato il modo con cui vogliamo trovare le- indicate relazioni. Sostituiamo nella (1) i valori (2), per J poniamo il valore + ) già trovato, e indi, tolto il fattore «,'°, paragoniamo i coefficienti delle medesime potenze di %,. Il paragone dei coefficienti di «,° non dà che la nota relazione fra le forme invariantive della biquadratica «, cioè la medesima (1) ma calcolata per « anzi- chè per F. Il paragone dei coefficienti di #,° dà invece una relazione fra i covarianti del sistema completo di Gundelfinger (v. $ 5), cioè: i + 2a*. (aa) (ab) (aB)a', — a°[2(a, at. (a, B)° + (a, a). (a, B)] — — 6a. (a, BE -((a, a), a) + 6[(a, a)]}(a,B) — 6(a, a) .((a, at, a).B=0 che, colle notazioni di Gundelfinger, è: (1) 2af.m — a?[2k.p-+-i-(a,B)]) — 6a.(a, 8}. T + 64°.(a,B) — 6KT.B=0. È evidente che nel paragonare i coefficienti delle stesse potenze di v,, noi pos- siamo poi per dippiù eguagliare fra loro solo quelle parti che hanno i medesimi gradi nei coefficienti di «,8,y. Così nel coefficiente di v,' vi sono due categorie di termini, gli uni solo ina eve gli altri in « e 8; ma dei primi è inutile tener conto perchè essi non daranno evidentemente che solamente relazioni fra le forme del sistema di una biquadratica e quadratica, e tali relazioni sono già dif- fusamente trattate in Brioschi e in altri Autori. L’altra relazione (in « e 8) si riduce alla seguente, dopo qualche riduzione *): ai (Get 10) — (BA) + a] T+ Tra) © — 802,8) (2,8) +32, af G,8{— — 18a.B-(a,B)° (xa, a) + 6[(a, a)°]°B* +12((a, a), a)(a,B)-B+ + 24(a, a) [(a, B)} =0 e queste sono tutte formazioni comprese nel sistema di Gundelfinger. #) Si osservi p. es. che: (48) (08) B.,=(aP)° (aB)B'.[(B8)a, + (a8)8.]= =— 5 (aB) (a8’) (B8)° &,° + (aB)° (a8)B° = =-(6,8%,a) +((a,0",8). i — 41 — D. Dal paragone dei termini in «,° si hanno due relazioni, una in « e 8, e l’altra in a,B,v. La prima è a*((B,BY°,B)+a*}(a,B)°-B°+3(B,B°(e,Bi+ (8) + a}(a,a)"-8°+9(x,B)°-(a,8)-B] +15(2,8)-(a,a)-B°+8[((a,8)]}?=0 e la seconda è: a'}((a,m*,B) —3((B,1)*,a)—3(a,B'-)|+ (4) tha }_— 4(a, )- (a, B) + 6(a,B)(a,1) +22, a (B,v)} F + 18,0) (a,B)-y—6(a;a) (2, y)-B+2((a,a},a)f.y}=0. Dal paragone dei termini in «,° si hanno tre identità; una riguardante il si- stema di «,y, e questa colle notazioni adottate da Brioschi nel luogo citato [Op. Mat. II, p. 145, formola (10)] si ridurrebbe alla già nota: ,2 ? NO ETA E — n° + uvw — ku — w=0 ; una riguardante il sistema di «,8, e questa non è altro che la formola che si ricava applicando la formola generale (1) di pag. 197 della Opera di Clebsch (7%. d. bin. alg. Formen, Leipzig, 1872) e finalmente una riguardante il sistema di a,B,y, e questa è: a°{(B,y}-B_-2(8,B}-r1+ _ 5) +a 16(a,B)- (8,1) — (a, v*-B°+3(a,B). Bor t + {- (x; a).8*.Y—-8[(@,B)]°-1+6(a,yn)(a,B)B}=0 a) Dai termini in v, si hanno, oltre un’ identità, due altre relazioni le quali sono il prodotto di a’, o di «8° per la relazione (6) a-(1,8)+Y-(B,a)+-B(a,y)=0 la quale è evidentemente un tipo di relazione che sussiste sempre fra i tre deter- minanti funzionali di ?re forme binarie prese a due a due, e che si ricava im- mediatamente dalla nota identità simbolica fondamentale, completandovi i fattori lineari simbolici. Infine dal paragone dei termini senza «, non si hanno, come può verificarsi, . Che identità insignificanti. Restano così trovate, con un metodo abbastanza semplice, delle relazioni (si- | zigie) piuttosto complicate fra le forme invariantive del sistema di tre binarie degli ordini 4,8,2, ed è per la semplicità del metodo adoperato che non abbiamo | voluto quì tralasciare di porle in vista e di ricavar partito dai risultati ottenuti, con altro intento, nei paragrafi precedenti. Arti — Vol. XII— Serie 22—N0 13. 6 de ed $ 11. — EsPRESSIONE, MEDIANTE &,8,Y, DEL COVARIANTE S, DEL CONTRAVARIANTE | P, E DELL’INVARIANTE B DEL sIsteMAa DI MaIsano. Per calcolare il covariante (v. $ 1) | s=(00'x)° adoperiamo lo stesso metodo tenuto da Brioschi per dedurre il contravariante o da f=4-". ; Ponendo in %a' (v. $ 9) per «, il suo valore ricavato da «,2,+v,2,+4,2,=0, si ha la binaria biquadratica in «,,%, (moltiplicando per #,') dg == (a , au, + 8 (a bl Bu, + 12 [(a ’ ne sj (8 bi BI ]x,tu, + 24 (Car) Bzz'u, + 2 [aa + 3] d,° della quale, se calcoliamo l’invariante equianarmonico indicato con 7 da Clebsch, otteniamo il richiesto s, a meno di una potenza di %,. Un primo calcolo ci dà così per s (sopprimendo un fattore 2,'): s=(2,0)' Gg) — S(0fl'a(co) 2, + 12 [opta — REYES lente mali (19)Ya Bo (9) +. 2,° +2 [aag* + Ie rg J2s° e coi metodi noti del calcolo simbolico, eliminando nuovamente il simbolo 9, si ha la seguente espressione (non ancora definitiva) di s: s= dala, a)'+a + 12(a, a) +1? — 72(0, 8)» (KB) — 48(8, BP - (a, MM} +24[(e, 3} + i + 24[(B,8)°°} + x, {820 (08) (2a/) al," + 96(08)* (Y)Y,+Y..? + 192(0))? (08) (Br) ab, + 1 + 96 (ay)? (cer) (By) e,.8,° — 96 (BB)? (By) (8"Y) BB"? — 192(BB)? (BB) (BMP Bore! + 2, | 480 (ap)? (aa)? 1° -+ 144 (ar)? (ay). 1") — 48(ay)a, (11)? — 480(88))° (Ba) (B'a) a, — — 288(88))° (Br) (BY) -Y,° — 24(BB)°B,.B-(M)* + 96M? B.3{ + 23° | 960. (aB)? (ay) (By)a, + 48 (BY)? BY} + 2,' | 4a*(aa')' + 24a . (ay)? (ay)? + 2410? (MT. Dobbiamo ora trasformare i termini di questa espressione in modo da farvi comparire le forme invariantive del sistema completo di «,8,y cioè le forme che entrano a far parte delle varie tabelle dei $ 5 e seg. Prendendo in considerazione quelli fra i termini precedenti che non compaiono nelle dette tabelle, li trasfor- miamo nel seguente modo: (aB) (aa’)a'.° = (18) (aa’)[(eB)a,-+ (aa) B.]a° anita Ata ri, de; i =(aa)Va sb 1(08)o,t 2 (aB) (a 8) da, ] 3 2 (AB) (aa Pal B,- + (aa) 8. oo ni “i Intanto (v. forma 22 del $ 5) V| @,B)'= > (Gal) (aB)'a/"8, + > (aa)* (aB) (#B)a,0/,p, = wo|H = (00) (ab)'a.*P.+ + (20)? (8) a/,8.[(aB)a', + (0/9)8,) bi. = (00) (aB)'a/,"P, — (aa). onde infine to (8) (aa)at*= 5 (k, BY+- 1 (aa). - Passiamo agli altri termini del coefficiente di x, : (any)? (ay) (Br) a,b, = (ay)? (ar)?. B — (av) (aB) (ar). 8, = (ay) (ar)}.B — (ay) (a8)°B,- y — — (av)? (aB) (BY)a_Br". - Ma: bc (ey)? (AB) (By) a, 8.1 = (am)? (ar) (BY) a,.B,° — (ara, . (BY)? B. ne inoltre (ag)? (ap)? B, == ((@ Ra n)? Da i (32) onde si hanno le due formole che danno le trasformazioni del quarto e terzo termine del coefficiente di «,: h ; L ìi 1 |M), b = I (on)? (er)? B — SI (@. Bim T+ Md + 7 (Hat 0. VINI ni 1 Cp ener) Par arte (8 MT+ 77 Inoltre: (BB)? (BB) (B'M) BL Bar = — (BB)? (B8") (B'8)B".+y + (PB)? (B8”) BET, = (88°)? (BY) (BY). B — (685° (B"Y) (BY)B"." BL ei = (w,Y)}- B — (BR) (B8”) (8"M)B. 8". — (BB)°B.P (0MP"- Onde cia 1 : 1 (BP)° (88) (B'MP-BaMa= FM a (v. $$ 5, 6) (88)? (Br) B'MBLBLE = (88) (8%)? B8,8% + (BB) (81) (B8)BB" ta 1 1 E dal 5 : RI ETRE e RC) ei ha de Passando ora ai termini che formano i coefficienti di #,) e 2,° si ha: (op) (aaa =, 1 +1 (aa). © (6) (an) (Ema, = (a, Bf, +12) - Colle formole (1),(2),(3),(4) i coefficienti di s diventano funzioni dei soli covarianti e invarianti fondamentali del sistema completo delle tre binarie, e si ha la espressione definitiva (per le notazioni, vedi i $ 5 e seg.): s=]4a.i.a + 12i.y° — 72.pe(1,8) — 48wn + 24n° + 240} +2, j48.a(k,B° +8a.i-B+96(p;vY)-1t+144(a,y})'-B—144((2, 8), 1)°-1+960;2)-1- — 144(0, y)°+B+48w.m}| +2, |] 48a(k,y} + 160.i.1 — 480(w0, a? + 144(a,Y})'.1-48n.h— 288(0,Y}.1_ — 24w . h 4 96m? | + 23° Ì 96a((a,B,v) + 32a (Y ; p) + 48m. h} +o,' | 4a.i + 24a(a, y)' + 248° |. Questo covariante s differisce, per un termine decomponibile, dal noto e impor- tante covariante S di Clebsch (CreZle, t. LIX) la cui espressione simbolica è: S= (abc) (abd) (acd) (bed)a bc, d, , e che ha, come si sa, molte notevoli proprietà; così p. es. è stato dimostrato che le sole quartiche per cui S si riduce al prodotto A. sono la quartica di Klein (v. $ 2) e la conica doppia *). Inoltre se la quartica è esprimibile come combi- nazione lineare di cinque potenze quarte di forme lineari, la curva S=0 passa per i 10 punti d'incontro di queste cinque rette a due a due. Si presenta pertanto utile determinare la relazione che ci deve essere fra S e s e questa relazione si deve poter determinare colle note e ordinarie trasformazioni del calcolo simbolico. Ma queste nel nostro caso si presentano non semplici, per cui preferiamo determinare la suddetta relazione in altro modo. Il covariante S è stato calcolato da Brioschi (Op. Mat., II, p. 149) nel so- lito caso particolare di 8=0, e da tale espressione risulta che 1° S calcolato da Brioschi manca del termine in a°, mentre invece il nostro precedente s con- tiene un termine solo in 4° e cioè 44°72,'. Intanto dall’ ispezione del sistema completo della quartica, risulta che non può essere che (5) S=c,gs+c,Af dove c,,c, sono due coefficienti numerici, perchè non esiste che un solo covariante 2 *) Ciani, Rend. Circ. Matem. di Palermo, t. XIV, 1900, p. 16. i " ; | ci I da di 4° grado e ordine; onde una simile relazione deve sussistere per 1’ S calcolato da Brioschi, che non può che differire per un fattore numerico dal nostro S già segnato, e che, per evitare confusioni, chiameremo S'; si ha così: S'=c8+0,Af. La combinazione del secondo membro bisogna farla in modo che sparisca il termine in 4°; bisogna dunque porre (v. l’espressione di A nel $ 9): 4c, + 8c/, e Un’ altra relazione si ottiene paragonando i coefficienti di 4°,‘ al primo e se- condo membro. Il Brioschi trova per coefficiente di 7,° una espressione che colle notazioni da noi adottate si riduce a 4°; ora nel secondo membro della precedente formola il coefficiente di #,° si riduce a 24 c, 4°, dunque si ha: 24, =1 cioè infine 1 4 6 '—-_ IA (6) zl 3 i) e per passare da questa alla (5) non resta che determinare il fattore numerico per cui S differisce da S. Per far ciò supponiamo che la / si riduca semplicemente a ,f= 6r2z,°, cioè che sia a=0,8=0,«=0; i simboli a,’4,,0,4,4,, 4,70, sono da intendersi allora equivalenti a r,°,t.w,t:- La S' (di Brioschi) si riduce a Saswr e per cercare a che cosa si riduce S, bisognerà calcolare: (abe) (abd) (acd) (bed) a, b,c,d, . x 3373 3 I termini diversi da zero sono quelli nei quali ciascuno dei simboli 4, 5,6, 4 compare con due e due soli fattori 2,,c,4,; dobbiamo perciò fare che lo sviluppo del prodotto dei determinanti abbia sempre per fattore 2,5,c,2,. Se nel primo de- terminante si considera il termine in «,, negli altri bisognerà considerare in tutti i modi possibili i termini in 5,c,4,; ciò dà: (be) } (ad)? (bc) — (ad) (ad) (cd) | a,b, cd, dove con questi determinanti binarii intendiamo quelli relativi ai soli indici 1,2; essi possono intendersi determinanti formati con simboli equivalenti di ; ed espressioni a questa equivalenti otterrò se considero il termine in 4, nel secondo determinante o nel terzo; ottengo dunque tre volte la precedente espressione , la quale, collo scambio di 5 con e nel secondo termine, diventa : 3 È = (ad)? (be) a, bc, di LIL see e moltiplicando per 3 e osservando che (ad)'a.°d:° = (be) bc: corrisponde all’ in- variante (rr) =% di y, si ha DR Dunque e perciò abbiamo infine: (7) s=z (1-4). Vogliamo ora calcolare il contravariante indicato con 7 da Maisano (v. $ 1) e che è: = gii P d'agi dove 7 è il contravariante calcolato nel $ 9. Faremo quindi la seconda polare di u;" col polo v, e indi muteremo le « nei coefficienti di 7, e le v nelle w. Così facendo si ha (per le notazioni v. il $ 5 e seg.): panini fatti (0 +T (0,0 +, }- Fatman + + | Folli + parita Zeta Pale, B— Fato, a+ 7 (0. (ra +7 fo)" — Am? | È bene notare che nelle varie spinte che quì compariscono si intendono le 2, , 2, sostituite da u, e — u,. Per ottenere la precedente formola definitiva è bene inoltre tener it le relazioni seguenti (ottenute cogli ordinarî metodi del calcolo simbolico): (AB)? (GB (Pr) (BY) = (GB) (28) (B')* — S (AB) (08) (BR) (a) =((p;8)r)} — + (Wa, vr)? (AB) (ap)? Pr)r. =((@, Br) 1 (Ba) (aB) (om)? (By)}a, =((a;8), ri (a, DIE nea 2 (apl'a, - Oo)? (PB)° (PR) B)*P_ = —(Q, n° — Ss (BB) (B8”) (88) (BM). =—_- (Qi; nell’ultima formola il secondo termine è identicamente zero, come si vede permu- tando circolarmente i tre simboli equivalenti f, 8, 8" e sommando. ia Ai Passiamo infine all’ invariante B= (330°). Per trovare B basta mutare in s le variabili 2 nei coefficienti di o=(abu), "cioè mutare: *; in su + soi Pinta in vigna o xe, in sp (Palin 28 L E, in Zia è; in (aa) ‘ Si hanno quattro categorie di termini: 1) termini senza 8, e questi con opportune modificazioni, come diremo più | sotto, devono coincidere con quelli calcolati da Brioschi, il quale al solito si limitò al caso di 8=0; 2) termini senza « e questi si riducono ad uno solo; 3) termini senza y e anche questi si matonono ad uno solo; 4) termini in 2,8, Si ha, eseguendo i calcoli e le riduzioni: B= 12a° Mesia. i.e, +484.J.h- — 144 (% sY)+h+ 432[(e, PP + 72.0.4° + + 144.0. (2,0?) +11. 144 [(w,y)}]}— 1560. sacri «ie (w)}+264a. (67) — 1704 — 7 (218) — 16820). (ar — — 2 (00, a e asti vi Per giungere a questa espressione definitiva di B mediante gli invarianti compresi nelle tabelle dei $$ 5 e seguenti, occorrono alcune formole che noi stabi- liremo per comodità dei lettori. Prima di tutto, dalla prima delle (4) in cui si sia mutato y in w, si deduce: (8) (ay)' (aa)? (BB)? (a B)(a 8) = (Mw), Et (Cool Inoltre un altro termine che si presenta è: 7 Imi , ’ mIo » 1 2 (9) (aB)” (aB)° (a) (aY) (BY) =((p1 0) — + (MM). Ora la prima di queste formazioni non fa parte delle tabelle del $ 6 perchè — (2, %) non fa parte del sistema di Gundelfinger, potendosi esprimere mediante | i covarianti quadratici del sistema medesimo. Cerchiamo allora una tale espri- mibilità. i Scambiando nel primo membro di (9) in cui si sia mutato y in #, « con AB a',8 con 8 e aggiungendo e togliendo un termine, possiamo scrivere: + (0) (GB) (0a) [(aP)a,, — (@Ba,B, + (@B)a,B, — («B)a,,] 1 (2a) (08) (AB) PP. — 5 (60) (BA) (08) (BY aa, = (na) 0A) @BYPE,— (00) (08), (op) (CP) — (0A) EI 0) (P)+ (08) I = (aa) (ab) (#8) 8.8, — 7 (2a) (BBY GB) (@B)Aa, Intanto (Bm)= (aa)? (aB)' (a'8) (84) 8° = — (aa)? (aB)* (018° 8,8, — (aa) (AB)? (48) (BB) 8, onde scambiando nel secondo termine B con 8, a con «, aggiungendo e togliendo un opportuno termine, come abbiamo fatto di sopra, e riducendo si ha: (Em) = — (0a)? (ap)? (a BB, + > (00) (BR) (0) (AP)aa — Lio ; e inoltre } (tu) = (aa) (BB) (08) (a Baza, +2 i. fi Combinando fra loro queste formole si ha: Ò 1 PP OSE IN SR (10) (po)=— Em— (+ pi. Infine, per una nota identità simbolica, possiamo scrivere: (BY)? (BY)? (av”)? (a) (Ba) = > (BB)? (a)? (Ba) (B'@) - (1°1)? + (Br) (EM (Br) (B'7) (Ba) (B'a) (ay)? 1 “ 3 (0, 2), y)° «a — + (BY) (81) (BR)? (nr)? (or + + (By) (BY) (82) (BY)? (ar)? . Ma si calcola facilmente: , ” 1 9 9\ 2 2 (10 + B, 1°) = (Ba)? (BY)? (Br) (BY) (nr) + (Gata (PB); va, onde infine si ha una formola che occorre per il calcolo di B: | mm (BY)? (BY)? (ay)? (Ba) (Ba) = — (0, a, 1). — pra (ar +(w-B,r)" + . (11) i 2 pa +7 (Ba. I NO, ie L fivarianie B della quartica ternaria quì calcolato non è quel noto inva- riante di 6° grado che, secondo le ricerche di Liroth *), ha intimo rapporto ì Falla rappresentabilità della quartica ternaria come somma di quarte potenze di forme lineari, e che, sempre per il caso assai più semplice di 8 = 0, fu calcolato da Brioschi (Op. Mat. II, p. 148) espresso per gli invarianti di a,y, e da lui chiamato E; noi però chiameremo quest’ultimo B,, per non confonderlo con un altro del S$ seguente. ì Si presenta quindi opportuno di trovare la relazione fra B e B,, e ciò faremo | servendoci della seguente osservazione. L’invariante B,, come si sa, si esprime mediante le derivate quarte di f; è cioè un determinante di 6° ordine i cui elementi sono le derivate quarte di f, (divise per 4! , disposte in modo che su ciascuna linea o colonna sieno sempre fissi due degli indici delle variabili rispetto cui si deriva. Ora ponendo ,f sotto la nostra solita forma, è chiaro che un elemento solo del determinante risulta eguale ad 4, e nello sviluppo non potrà riuscire alcun ter- — mine in «°, mentre che B contiene un termine in e°. D'altra parte poichè di invarianti di 6° grado non ne esistono che due, cioè — B ed A', così B, non potrà che essere della forma: B,=cB+ CA «e una relazione fra c,c', si trova subito facendo che la combinazione del a — membro non contenga termini in 4°, il che dà servendosi poi senz’ altro della formola di Brioschi per il valore di B,, e pa- ragonando i coefficienti del termine in «.J.% (che, tenendo conto dae diverse | notazioni nella formola di Brioschi, viene ad avere il coefficiente 3 si ha: E 1 tO == — 12 | e quindi infine 12 B lg PALLA po 1 943 ie S 12. —I TRE INVARIANTI DI 9° GRADO DELLA QUARTICA TERNARIA. DIMOSTRAZIONE DELLA LORO INDIPENDENZA. Alla fine del $ 3 del lavoro più volte citato (v. $ 1) il Maisano trova il risultato che di invarianti indipendenti di 9° grado ne esistono 4 più tre e cioè: ai 2 LS (G=-—3 a, %y BA 3 D=Az'4, E=(@e)' ; «ma mon dimostra che tali invarianti sono veramente indipendenti. #) Math. Ann. I, p. 37-53. "i Art — Vol. XII— Serie 22—N.° 13. % 60 In questo $ ci proponiamo di fare questa dimostrazione. Teniamo presenti i A valori, già calcolati nei $$ precedenti, di c,p,A,s,A,B, e facciamo în essi B=0e (oa =® Si ha allora: f =axry' + 6-2} + a o=i.u, 4 2a (au) + 6(10)? (Vu)? 1 sl 1 p =|F 4-3] us + dote (fu) A=8ah.2,5 — 9.0, + [Zak 412%. a]o, + 8kevy =[4a®.7-4 240° ]x,' {-[4a.j.a + 12:X}] A=3a «4 B— 12a°.i° + 48aJ.h1+ 72h. & Con questi valori sì calcola facilmente: 1 1 3 C—=_-a?.J°+_-a'.i.h.J_ — a-+13.h° 25 25 100 DI 6 39 D=—-a*.J}+T-a°.i.h.Jt nes 25 5 50 E—= 480}. 3 _ 2884 . Pi . h? . Se quindi supponiamo che sussista una relazione lineare fra C, D,E ei due invarianti decomponibili di 9° grado che si possono formare con A e B, cioè A° e AB: cA'+4+c0,AB+c6C+c,D+cE=0, paragonando i coefficienti dei termini simili si avrebbero le equazioni: 9e, + 12c, + 16c,=0 C+ 2e,=0 1 6 Vide, ode n G 13 3 (2e, — ET a pi: Per trovare un’altra relazione fra i coefficienti numerici c, facciamo un’altra. diversa specializzazione della 7 fondamentale; poniamo cioè a=0,r=0 esi ha: f =ax' + 4B.2, A=124.w.2,° o=— 12(wu?u, e 4 P = —_ 5 Ru,” s = 24w Hi be: 9° Ri gel e quindi facilmente si calcolano Li 16 (8. ra = aR? 9 12.16 D= —_ aR? 25 E= 24.16 aR? onde si ha l’altra relazione 1 ata e, +-24o, 0. e poichè il determinante delle cinque trovate equazioni lineari nelle c è: 91 0 O 16 |=255,35.5* ico 1 aria 10 ori ao 0 7200 —1 —18 9600 P 0 1 12 600 | diverso da zero, ne viene che le c,,...,c, non possono che essere tutti zero, e resta così dimostrata la indipendenza dei tre invarianti di 9° grado. - Possiamo utilizzare i risultati precedenti per alcune facili deduzioni. Possiamo cercare qual'è il sistema completo degli invarianti della speciale | ternaria biquadratica j f= ax 4a. _ —Un invariante di / di grado 3p, deve essere di grado x in 4, e di grado 2y | nei coefficienti di « (v. formole (3) del $ 3). Di invarianti di « ne esistono solo due e cioè è (di 2° grado) e J (di 3° grado); quindi ogni invariante di 7 di grado » deve essere il prodotto di 4* per una fun- zione di de di J°. Ora dalle precedenti formole, per x=0, si ha “n vAr—:dat ., capa x onde possiamo conchiudere : d n Il sistema completo degli invarianti della quartica f=ax, + a risulta solo dei DUE i invarianti A e C di 3° e 9° grado. Similmente considerando l’altra quartica speciale /= «2, + 48-#,, un suo invariante di grado 3p non può essere che il prodotto di una potenza di 4 per una Mr SITYO RI ali, SU: ER SE ì . A Vs potenza dell’ unico invariante R di 8, e propriamente il numero p deve essere di- visibile per 3 (vedi la formola (4) del $ 3), il grado in R deve essere Zu ( es- i 1 : 1 : sendo R di 4° grado in #) e il grado in < deve essere ri: (vedi le formole (3) del $ 3): onde ogni invariante di ,f deve essere una potenza di 4R’. Ricordando l’espressione già calcolata di C si ha dunque: La quartica ternaria speciale ax, + 48 - x, ha un solo invariante fondamentale ed è di 9° grado; può scegliersi per tale l’invariante C=aa,°. $ 13.— SUI 3 COVARIANTI DI 6° ORDINE E 6° GRADO DELLA TERNARIA BIQUADRATICA. RETTIFICA AI RISULTATI DI Marsavno. Una quistione importante che merita di essere studiata in modo decisivo è quella che riguarda i tre covarianti di 6° grado (che sono anche tutti di 6° ordine) da noi indicati con Q,,9,,0, nel $ 1. Il Maisano nel lavoro più volte citato (in Giorn. di Batt., t. XIX) aveva trovato fre covarianti della indicata specie, di cui i due primi sono quelli da noi chiamati 9, e A,, e il terzo era N=(00x)a, 43 d94,0,° e di questi tre egli presunse, ma non dimostrò la indipendenza. Senonchè in una breve Nota in Rend. Circ. Mat. di Palermo, I, p. 56, lo stesso Autore tornò dopo poco sulla medesima quistione e, avendo considerato due altri covarianti di 6° grado e ordine, e cioè quello da noi chiamato ©, nel $ 1, e l'altro: (abc) (def)? (abd) (ace) (bef)a bc, d,e,Fs + e avendo trovato che fra £, e questo covariante sussiste una relazione lineare, a meno di altri covarianti decomponibili, dedusse senz’ altro e troppo affrettatamente che i tre primitivi covarianti erano fra loro dipendenti, a meno, s'intende, di covarianti decomponibili, e cioè che di covarianti indecomponibili e indipendenti di 6° grado e ordine ve n’ era due e non tre. Il Maisano non esprime esplicitamente il suo ragionamento, il quale non può certamente fondarsi sulla dipendenza fra loro dei due nuovi covarianti, giac- chè è evidente che può darsi che questi si esprimano mediante gli antichi con coefficienti rispettivamente proporzionali, il che è quello che appunto accade nel nostro caso. Noi dimostreremo in questo $ che, contrariamente all’ asserzione della se- conda Nota di Maisano, di covarianti della indicata specie ne esistono tre indi- pendenti e non due, e per tali possiamo assumere gli 0,,9,,9, del $ 1. Per dimostrare ciò ci serviremo dei varii risultati ottenuti nei $$ precedenti, e calcoleremo le tre © per il caso in cui la forma fondamentale sia del tipo ri- dotto : f= ax, + 612, + a in cui sia (cp: =0 , già considerato nel $ 12, e per il quale abbiamo già cal- colato le espressioni di alcune forme invariantive, che ci saranno utili. Il covariante A, = 2,5,0,'5, lo calcoleremo nel seguente modo: faremo il qua- . drato della prima polare di ,/, col polo (y), e indi muteremo y in p, e in luogo di: Pa' 1 PaPi r PsPa 3 Pi 3 PiPs ; Pi porremo rispettivamente i coefficienti del contravariante già calcolato nel $ pre- cedente ; cioè : 1 E pop Tal dae (Fe) 000, part, — air pare. Così facendo, e dopo facili riduzioni, si trova: Il covariante 9, lo calcoliamo partendo dall'espressione di (29u)?2.°8.° trovata nel $ 9, facendovi le convenienti riduzioni relative a B=0 e (ay)a,=0, indi moltiplicando per s.°, mutandovi « in s, e infine sostituendo per i coefficienti s;', Ss'81,... i valori che risultano dall’espressione trovata per s nel $ precedente. Si ha: Q,=[4a%h + 248° ]2,5 + 160222,' + [ 12a%% 4- 24#°%k 4 Sala] x, + Saîky — Bilya . In quanto al covariante £, esso può calcolarsi agevolmente servendoci della | espressione già trovata di ) nel $ 9, e osservando che (a meno dello scambio delle u nelle 2) l’Q, è formato mediante i coefficienti di c (che nel nostro caso ha la forma : co=a'uy' + a, dove a'=?,a,= 24 + 6y°) come 7 è formato mediante i coefficienti di f. Basta dunque, per trovare Q, porre in /, Si trova così: A = (0,0) (aa) (aa) + Bi (aa) at 4,03 e calcolando queste forme invariantive della binaria biquadratica «, per mezzo di quelle di « e y, si ha infine Q,= [8087 — 240% + 482°] 2," + [ 124% — 24aiha + 3671? | 0° Osserviamo ora che, come risulta dalla tabella del $ 1, di covarianti decom- pomibili di 6° grado e 6° ordine ve n'è solo tre e cioè sila quindi la dimostrazione della indipendenza delle tre N, ,0,,0, si riduce a far ve- dere che non può sussistere alcuna relazione identica del tipo (1) m,D, + 2,0, + mA, + SC + mf +rAA4=0 in cui le m sieno coefficienti numerici. Resta perciò a calcolare Il primo di questi si calcola moltiplicando l’espressione di w,° trovata nel $ precedente per .° e indi mutando « nei coefficienti di f; si ha così: Il secondo si calcola poi facendo la seconda polare di A,° col polo #, e indi mutando le y nei coefficienti di wo'. | Osservando che dall’ ipotesi che sia (ar)a.° =0 si ha: (pk, = — e oe A Lesa Lui (ky) (ke = — u ih si trova, dopo alcune riduzioni : 21 C,= Baka, — sa hi 4+-2aJy . Sostituendo questi valori nella (1) ed eguagliando a zero il coefficiente di ,', si osservi che tal coefficiente risulta di una parte in 4° e di una parte in 4, e che tali due parti devono essere separatamente zero perchè 4 è una quantità ar- bitraria, onde si ha l’equazione: 1 (2) 12m, + Fm +2m,=0. Similmente eguagliando a zero il coefficiente di x," e per esso la sua parte in 4° e quella in 2°, si hanno le due altre equazioni 1 8 —m, + 8my,=0 4 3) (9) mp2 =0. E infine eguagliando a zero il coefficiente di #,° e per esso la sola sua parte in 4, si ha 1 1 (7 m, + 2m,) Ja + (- 10 m, - 8m, + în) ik= 0 er m il Dr aa, = ; K on ch resta dimostrata la indipendenza dei tre covarianti 0,,0,,0,. PARTE SECONDA Le condizioni per le decomposizioni in fattori della quartica ternaria. Sulle decomposizioni in fattori delle forme ternarie è stato finora molto poco studiato. Del caso della cubica ternaria il Brioschi si occupò in due Note, in una delle quali (Annal di Mat., (2), t. VII, 1875-76, p. 189; Op. Mat., IL, p. 137) trattò della decomposizione in tre rette completando quanto aveva già scritto Sal- mon sul medesimo soggetto, e nella seconda (Att Zincei, (2), t. III, 1875-76, p. 89; Op. Mat., III, p. 345) trattò della decomposizione in una retta e una co- nica. Delle decomposizioni della cubica ternaria si occuparono poi ancora Thaer, Math. Ann., t. XIV, p. 545, e Bes, Math. Ann., t. LIX. p. 77. Lo stesso Brioschi infine in una terza breve Nota (Att Zincei, (2), t. III, 1875-76, p. 91; Op. Mat., t. III, p. 849) trattò della riduzione della ternaria biquadratica in una conica doppia. Il metodo che il Brioschi adopera in questi tre lavori è uniforme e prende il punto di partenza dallo studio dell’ Hessiano della ternaria, il quale come è noto, nei casi indicati, acquista speciali forme. All’illustre Autore però forse sfuggì che per il caso della decomposizione della biquadratica ternaria in conica doppia, si può giungere alle condizioni da lui ot- tenute in un modo affatto elementare ed ovvio, e senza ricorrere all’ Hessiano, e gli sfuggì anche l’osservazione che le condizioni da lui trovate, devono essere surrogate da altre in un certo caso particolare (v. più sotto $ 18, nota). Nei paragrafi che seguono, noi studieremo altre decomposizioni della biqua- dratica, e lo faremo servendoci dello stesso metodo dell’ Hessiano adoperato dal Brioschi; premetteremo perciò un teorema generale sull’ Hessiano di una ter- naria che si scinda in fattori, teorema che comprende quelli adoperati da Brio- schi nei tre lavori succitati. La condizione necessaria e sufficiente perchè una ternaria di ordine qualunque si scinda in fattori tutti lineari fu studiata nel 1893 da Brill (Got. Nach., Dic. 1893) e indi da Gordan (Math. Ann., t. 45, p. 410), ma tale condizione è espressa naturalmente sotto una forma involuta , il cui calcolo nei casi speciali presenta difficoltà che bisogna superare volta per volta. Io ho pensato di adoperare il risultato generale di Brill per giungere, sotto forma definitiva, alla condizione per la scomponibilità della biquadratica in quattro . si Mn » fattori lineari, e giungo infatti ad esprimere, dopo riduzioni non sempre agevoli, tale condizione per mezzo dei covarianti e invarianti del sistema completo di Maisano. i Della stessa quistione, cioè della scomponibilità della biquadratica in quattro fattori lineari, mi occupo anche coll’ altro metodo sopraindicato, cioè col metodo dell’ Hessiano; ottengo così la richiesta condizione sotto due forme di natura af- fatto diversa l’ una dall’ altra, ma di cui ciascuna non è priva d'’ interesse e di vantaggi. S 14.—L'HESSIANO DI UNA TERNARIA SPEZZATA. Il teorema generale che vogliamo dimostrare in questo $ è il seguente: Se una ternaria qualunque f di ordine n si spezza in due fattori, il suo Hes- — siano si scinde in tre parti di cui una ha per fattore la forma stessa, e le altre due contengono per fattori rispettivamente l Hessiano di uno dei due fattori mol- tiplicato per il cubo dell'altro fattore. Questo teorema si conserva vero, come faremo vedere, anche quando uno dei fattori in cui f si decompone sia di 1° ordine, purchè s’ intenda che allora in luogo dell’ Hessiano di questo bisogna porre zero. Sia simbolicamente : # \l f=0,"= Py d=P-1; (r+s=n) in cui p,g sieno i coefficienti simbolici di due forme di ordini 7,s rispettiva- mente. — —’Formando le successive polari si ba: 1 astay=— (mp, Pl +21 4) 4, fa al= Tr ni n(n— 1) ent e 1)py Per * 2rep.'p,d. ‘9, + s(8 “dt 19 7 SAC Po Na i 1 "m s- r- se r _ fn aa,= ubi a) pre 1)p-p,p.45+ rp PAIA a+ 61111 donde (1) A,= (beta e * siga n(n 1) jrle Ce 1) (pre)? tor ds ata s B na 4 2re(pbo) (gbe)pg,t' ato + + 8(8 sw 1) (gbe)? Pa LA) da fa o gen i | e mediantele precedenti polari calcolando i tre termini del secondo membro, si trova : À pia. “aa E Sr Pri r(r — 1) (ppofg2 + 2rs(pp'e) (pa')Pel2 + n(n ii + 8(8 hd 1) (pg) (23 {pa tati A (a Ga Att — Vol. XII — Serie 21 — N. 13. 8 ite de Lari vene SPE IR Pasta “ia srrroy PIYERZo SEA — 58 — fi 9 dip dt} r(r1)[re-1)(ppP"}9"2"+2re(ppP")(Pp'd")p"d" AU +6 Dda +9 + 2rs. [rr — 1) (pp?) (pap)9' 2° + »s8(PP9°) (PID) -D'20'-+ 78 (PPP)(P19')P'edl'a to + s( —1) (pp'9”) (p99)p"2 ]P'ad= + ; + s(s — 1)[r( — 1)(p9p") g'2° + 2rs(p9P")(P99")D'ad'=4 86 —1)(p99)°P"2 "]p2| . 3 LEI 1 Pr-2 sata n° (n — 1) Pr qa Pa Sui 10 termini quì segnati osserviamo che il 6.° è zero perchè muta di segno con lo scambio di p' con p'; il 3.° è simile all’8.°, il 2.° è simile al 4.°, e il 7.° è simile al 9.° Teniamo inoltre conto delle seguenti riduzioni ottenute coi noti me- | todi del calcolo simbolico: Wr-Ag! s-1 [ANIA i_n ! re 1 1! r ”" Ha (PPP) (PP) Pa (I0PLPIO Pt pie g / rr "n AE e i ” 1 LARE, r Ù 2! p_2 (PIp") (Pepe dp A, (pa pY perda p'I-*q— 1 "_ n U U r: , s (i Tale PPP TT U Ra. s-1g" sti Ù 1 " " x da dra i — e (PP? YP: r_2 DI p sana q— "ri (pp'a')(pap")pr' pap" cai — (09) v4 po PS TP In tal modo si ha che il primo termine del secondo membro della formola (1) è: — rr—1) | r°ets—-1)(0r+s—-8) -—-—— (P.P:Pù+9 + 2rs(s — 1)(r+s—1)(p;Pp:9°-po9+ n'(n— 1) 3 + s°(6— 1° (p34,9+p®+q — 2rs*(r + 28 — 2) (p»'9) (PP'9)per Pa dad ped(- Scambiando in questo, » con s e le p con le 9, si ha l’ultimo termine di (1); di questo resta così a calcolare solo il secondo termine, il quale con riduzioni — analoghe a quelle di sopra diventa: rs r(r-1)(r+s8s— 33°(8 — —1 sol DES. EIA AI re(r — 1)(s — rs(r — 1) (s 1, per il teorema precedente A, avrà per fattore p. Se poi w non è li- neare, allora per ‘la (2) ripetutamente applicata, A, si comporrà di m + 1 termini di cui i primi # sono tutti eguali a A,.6"”-" e l’ultimo ha per fattore p. Ma per m >1, è 3m —3 >, e quindi anche i primi hanno per fattore w” cioè 7. Se ora si suppone che ,/ abbia per fattore p =", allora poichè A, ha per fattore p, per la (2), A, avrà anche per fattore p. Si potrebbe dimostrare, come ha fatto Segre (loc. cit.) che è casi dn cui p sé scinda in v fattori lineari, ovvero sia la potenza m"* di una forma w, sono i soli in cui A, abbia per fattore p. È bene osservare che i quattro termini dei quali si compone il 9 della for- mola (2) non sono fra loro indipendenti, perchè quadrando ambo i termini del- l’ identità : (14P)P'a — (99D')pa=(PP'9)dx — (PP'9)1'> e moltiplicando per opportune potenze di ,,9,,9,:9,, si ha una relazione li- neare fra i quattro suindicati termini. *) V, p. es. Segre, Le molteplicità nelle intersezioni delle curve piane ece. Giorn. di Batt. t. XXXVI, n — 61 — , Come casi particolari delle precedenti formole, sarà bene stabilire alcune delle formole per la quartica ternaria scissa in fattori. Se una quartica sì scinde in una conica w,* e due rette distinte: /—=p,9,w?, | il suo Hessiano, dopo facili riduzioni, si riduce alla forma: 1 USI DI 1 UNE DI 1 , ’ 1 , , O A=| go (tz Con 7g (0) (pa + gg (Pt | + 1 — “i (uu'u").p'.g° . e se 9 diventa eguale a p cioè se la quartica si scinde in una conica e in una retta doppia, allora il fattore che moltiplica / in A, diventa un quadrato perfetto: i 1 (5) A,—— (pap f+- (wu) p° 5 Se la quartica si decompone in quattro rette distinte F cea PrleUgVr il suo Hessiano acquista la forma (dopo alcune riduzioni): a 2 SE 2,2 2.9 1 È Ei, miro pifi 1 (ese) -(uop)'o' + (spo) lf of. Se le quattro rette passano per uno stesso punto, allora tutti i determinanti (p9u),(guv),... sono zero, e si ha H,.=0, come si sa, perchè allora la f è ri- ducibile ad una forma binaria. Se invece tre delle rette p. es. 7,%,v, passino per un punto in modo che — (gu0)=0, allora si può mostrare che 2 fattore che moltiplica £ si scinde im due — fattori lineari. 1 Infatti essendo allora (pqu)vz + (vvp)q. — (vpg)u,=0 , sì ha: 1 (pqu) e + (uvp)’g® + (vpg)?u' = (pqu)e® + n; [(pqu)v + 2(wvp)g]}} = = Da [(pqu)v + 2(uvp)a +V =3(29u)v] [(p9u)0 + 2(w0p)a — V —3(290)v] onde infine 1 — 192 [2(uvp)g + (1 +V—=3)(pq0)v] [2(wp)g + (1 -— VE) (pqu)v]f . MILA; questa espressione non è però simmetrica in 7,%,v, mentre che evidentemente — A,lo deve essere; permutando 7,%,v, circolarmente s1 hanne altre tre espres- | sioni di A,. Ro Ra È bene osservare che la condizione che la quadratica che moltiplica ,f in A,, È sì scinda in due fattori lineari, è non solo necessaria, ma anche sufficiente perchè — tre delle quattro rette in cui si scinde /=0 passino per un punto. Giacchè se teniamo presente la formola generale (6) e poniamo la condizione che la quadratica: p = (pqu)'v° + (quo)’p° + (wop)"a° + (vpg)"u? sì scinda in due fattori lineari, e perciò che il suo Hessiano sia zero: (p;9,9)°=0 troviamo che tale Hessiano è (a meno di un fattore numerico) (pqu)* (quo)? (vp) (vpg) =0 e perciò almeno uno dei quattro determinanti deve essere zero. Se in particolare supponiamo che due delle rette, 7,v,v sieno coincidenti, p. es. q ew, si ha: 1 (8) Ar= ja (Pao) + d°-F cioè le due rette in cui si divide il fattore che moltiplica f, sono in tal caso coincidenti. Anche questa condizione è, non solo necessaria, ma sufficiente perchè due delle rette in cui si scompone ,/ sieno coincidenti. Giacchè supposto nella formola (7) che i due fattori che moltiplicano .f pas coincidenti, dovrà essere o (uvp)=0 lo) (pqu)=0 , ma non ambedue, e poichè è già (guv) = 0, e non potendo le quattro rette passare per un punto unico, perchè sarebbe A.==0, contro l'ipotesi, ne viene che almeno due delle tre rette 7 ,,v devono coincidere, non potendo © coincidere con p, per- chè allora sarebbe, oltre (uv»)=0, anche (p9qu)= (vpu)=0, e quindi daccapo Ar=0. Se poi nella (8) si suppone che le tre rette distinte p,9,v passino per un punto si ha A,=0, cioè l’Hessiano di f è zero quando delle quattro rette in cui si scompone f, due sono coincidenti e le tre distinte passino per un punto. Delle varie formole di questo $ ci serviremo a più riprese nei $$ seguenti. S 15.— It cRITERIO DI BRILL, PER LA DECOMPOSIZIONE DI UNA TERNARIA IN FATTORI LINEARI. Il criterio trovato da Brill per la decomposizione di una ternaria qualunque in fattori lineari è dato sotto una forma simbolica concisa e che richiede poi na- turalmente, caso per caso, speciali e laboriose calcolazioni. I — 63 — Per a —=3 da quel criterio si deduce non difficilmente la nota condizione in- variantiva per la decomposizione di una cubica in tre fattori lineari, ma appena per il caso seguente n —=4, i calcoli si complicano in modo rilevante. E noi ci proponiamo appunto nei $$ seg. di studiare in modo completo il caso di n=4 e di trovare le richieste condizioni sotto forma definitiva, partendo dal criterio di Brill. Per la letteratura su questo criterio, si vegga Brill, (Got. Nach. Decemb. 1893; Zahresb. der Dentsch. Math. Vercin., . V, 1897; Math. Ann., t. L), Junker (Math. Ann., t. XLIII) e Gordan (Mat. Ann., t. XLV, p. 410). Sia f= 4," e poniamo (20, — a)" io + e + .e.) + Sl avrà di —1)Y} /n kr ar= ( ) ( ) a Caf Ta sà fi È 3 e sieno s,5, -:. $, le somme delle potenze simili delle radici della precedente equa- - Poe | zione in À. ì Se ora si pone simbolicamente: bo: n 1 nn : pj= x (a,”) 5, I il criterio di Brill è che: /a relazione È (apu)" =0 (22 cui le u sono variabili indeterminate) è condizione necessaria e sufficiente per- chè £ sia decomponibile in n fattori lineari. ! Ii Gordan fece a ciò un'interessante aggiunta, facendo vedere che (274)» con- tiene sempre per fattore «:°, e con lunghe e laboriose calcolazioni riuscì a trovare «il quoziente di (2p«)° per &.°. Noi però preferiamo di compire direttamente, per il caso nostro, questa riduzione, insieme all’altra che ci fornirà il covariante misto, espresso mediante le forme del sistema completo di /, e che eguagliato a zero, rappresenterà le condizioni necessarie e sufficienti perchè la quartica si scinda in quattro rette. Eseguiamo pertanto il calcolo per n =83. Essendo: Rain 3 G € ss=— a, + 3a,a, — da, si ha 3 y P,, = 9a, a, «bb, «6,6, — 9a, + bb, «0,6, +4 è be c } . . . . . . «onde, supponendo che le 4 sieno simboli equivalenti alle 4,2,e, si ha ; ; (dpu)* = 9a, dc, (dau) (dbu) (deu) — 9a," b,,° c,(dbu) (deu)? . Il primo si trasforma in 2a, bc, (Abu) (deu) [(cau)d, + (deu)a, + (dac)u, | MES” "dot È e la prima parte è zero perchè muta segno scambiando « con 5 e c con 4, la se- | conda parte si distrugge col secondo termine di (dpu)°, e resta: i (dpu)> = 9(dbu) (deu) (dac)a," bc, +, fo = u, * (ade) (ddu) [(cdu)a, — (adu)c., ]a,bx} €, 9 2 u, * (ade) (bdu) [(cau)d, + (cda)u, ] ad Cs + Ma il primo termine è zero, perchè permutando circolarmente 4,2,c,4 e sommando si ha per fattore la nota identità simbolica, onde resta 9 (dpu)> = — a uz » (ade)? (bdu)a, bc, . Resta così posto in vista il fattore «,° in accordo con quanto ha dimostrato Gordan in generale, e resta trovata la richiesta condizione sotto la forma (ade)? (bdu)a,b," ec, =0 , cioè (A,f;}u=0, il che è noto *), e non dice altro se non che l’Hessiano A differisce per un fattore costante dalla cubica stessa 7. Ma non più così semplice è il caso di n=4, che passeremo ora a considerare. $ 16. — IL cOovARIANTE DI BRILL PEL CASO DELLA QUARTICA. CALCOLO FER PORRE IN VISTA IL FATTORE %W.°. Si ha, come è noto, pere s co 2 ss=a, -— 4a, 4 4a,a, (2a, — 4a, , onde p, = 644,0, cd a,b, 0,4, — 9605° ba 0° db, + 160,*B,t02*d,c,d," —+180,‘8,*02*ds0,"d, — — ag'by'c'd,* e (epu)' = (1) = 64 (aeu) (deu) (ceu) (deu) a,® db, 02° d,° — (2) — 96 (deu) (ceu) (deu) dc, d° a,° + (3) + 16 (ceu) (deu) c.d, + 4° da + (4) + 18(ceu) (deu) c.d, + and, — (5) — (deu) +," dc, . *) V. p. es. Clebsch-Lindemann, Lecons sur Za Geéometrie, Paris, 1880, t. II, p. 350. RR è Questa espressione deve contenere per fattore w.*; tolto questo fattore, resta un covariante misto del tipo (5,10,2), che deve potersi esprimere mediante le formazioni della tabella del $ 1. Poichè in tale tabella non esiste alcuna formazione del tipo indicato, così ogni termine deve essere decomponibile in fattori di cui uno potrà anche essere We 0 Ua'. Dall’ esame della tabella del $ 1, si vede che non potrà aversi che una com- binazione lineare delle otto formazioni seguenti: IO ff f'uA: A. Per mostrare ora in che modo facciamo la trasformazione simbolica dei cinque termini (1) ...(5), disporremo il calcolo come segue: scriveremo uno sotto l’altro i varii termini che otterremo da ciascuno dei cinque, numerandoli in ordine succes- sivo, e scrivendo accanto a ciascun gruppo di termini i numeri di quelli dai quali si ottiene quel gruppo, intendendo naturalmente che con l’introduzione dei termini di ciascun gruppo si debbano sopprimere quelli dai quali essi derivano. Per brevità di scrittura si potrà limitarsi a segnare in ciascun termine i soli fattori simbolici determinanti, intendendo naturalmente che i simboli di cui son formati quei determinanti. debbano poi completarsi, ognuno al grado 4, con op- portuni fattori lineari simbolici IO MP Si ha così con successive trasformazioni : (6) (64 — 96) (deu)? (deu) (ceu) + f \ (7) + 64 (adu) (deu) (ceu) (deu) da (1) e (2) (8) + 64 (aed) (deu) (ceu) (deu). wu, } (9) + 32 (deu) (bdu) (ceu) . f (10) + 32 (ddu) (ceu) (deu) Se 4, (11) (16 — 32) (deu)? (ceù) . f (12) — 32 (deu) (bed) (ceu). f. u, (13) (64 — 32) (deu)? (aed) (ceu). f + u, (14) + 96 (bau) (ceu) (deu) (ded) + uz (15) + 64 (aed) (bed) (ceu) (deu) + u,° la a (7) \ | \ (16) + 96 (adu) (ceu) (deu) (aed) + f+ w, i da (6), (9), (3) da (8), (10), (12) (17) + 96 (Lav) (ceu) (deu) (aed) . (18) + 96 (dda) (ceu) (deu) (aed) . è (19) + 96 (bau) (beu) (deu) (aed)-f. u, xX20) + 96 (bav) (cdu) (deu) (aed) + u, (21) + 96 (Bau) (ced) (deu) (acd) + u,° ATTI — Vol. XII— Serie 22— N° 13. 9 da (14) da (17) iL pit ring A ni ivi» La o dh dis; e PET È 5; È tie; Gp a a va ii Ò)Ìà @2) — 48 (cu) (den) (aed) + | cs G (23) +48 (bac) (chu) (deu) (aed) « u,? iva (4) + 16(cbu) (aed)' . u,? } da (22) (25) -—-16(deu)'(aed).f*. u, | SE (6) + 16 (deu) (ced) (ced) -$-u»° | CD lb mate lai (6) Gi) es (28) + 8(deu)' (bed). /*.u, i e a) (29) + 96 (Bdu) (deu) (deu) (aed).f.u, Ì (30) + 96 (bad) (deu) (deu) (ced). f- un (31) = + 82(bdu) (Geu) (deu) (bed) ./*.ux } da (29) da (16), (19) (2) + 18(deu) (cem). S* (83) + 18(deu)' (ceu) (edu) .f* da (4) (34) + 18 (deu) (ceu) (ced). f* + wu, (35) + 9(deu) (ced). f* + u, Ì da (34) (36) = + 9(dew) (ced fut ( | (8) + 9(deut.f* (88) + 9 (deu) (ced).f?.uz (89) + 6(deu)(ceu)(cdu)(dec)-f?.u, } da (83) (40) +26 (bdu) (deu) (deu) (bed). f*.u,, } da (31), (39) (41) = -+26(deu) (Bed).f?.u, } da (28), (35), (38) (42) — 26 (dec) (deu).f?.u,3 (43) = — 78(ced) (deu) (ceu)-f?. u,? da (27), (32) | da (40), (41) Inoltre i due termini (23) e (24) si distruggono fra loro, come si vede, per- — mutando in (23) 4,c,4, circolarmente, sommando e dividendo per 3. È Per intendere in che modo dai termini (40),(41) si ottengono i termini — (42), (43) si osservi che dalla identità: (deu)c, — (ceu)d, — (deu)e, = (dec)u, quadrando e moltiplicando per (dev) (ced)e, e osservando che: 1 (ced) (deu) (ceu)° cd, = ta (ced) (deu) (ceu)c,d, - [(cdu)e, + (ced) uz] si ha: { (deu)? (ced)c,* — (deu) (ceu) (deu) (ced)c,d,ez = — (dec)" (deu)c,.u,° — 3 (ced)? (deu) (ceu)cr dpr - Restano così gli otto termini: (15); (18), (21), (26), (30), (36), (42), (43) i quali contengono tutti per fattore :°. «Al dog SO € 3 Tolto questo fattore, resta il covariante misto richiesto, e che ora con nuove | trasformazioni simboliche cercheremo di esprimere mediante le formazioni del si- stema completo del $ 1. $ 17. — IL covaRIANTE DI BRILL ESPRESSO PER MEZZO DELLE FORME DEL SISTEMA COMPLETO, Il covariante ottenuto nel $ precedente, diviso per #»° si è ridotto ai seguenti otto termini: (1) 64 (aed) (bed) (ceu) (deu)a_*b_*c_*d ec «e a ‘ae (2) + 96 (dda) (ceu) (deu) (aed)a_?b_*c_*d_e (3) + 96 (bau) (ced) (deu) (aed)a,° bc, de, (4) +16 (deu) (aed) (ced)a,*b,*.f (5) + 96 (bad) (deu) (deu) (aed)a, b_ dt, f (6) + 9(deu) (ced)*c.°. f? (7) — 26 (dec)? (deu)c_ + f° + u, (8) — 78 (ced)? (deu) (ceu)c_d, «f° . Trasformeremo ora consecutivamente ciascuno di questi termini nell’ intento di ridurli alla forma desiderata. Il termine (1) diventa: 32 (aed) (ded) (deu) a_° db, è f + 32 (aed) (ded) (ced) (deu)a_ db, Cz +U, di cui il primo ha per fattore il covariante e della tabella del $ 1, ed il secondo ha per fattore l’altro covariante w. Si ha così: (1)=32.£e.7f — 32.p.. Un . Il termine (2) si trasforma consecutivamente in 48 (abd) (ceu) (deu) a,b, cd, [(abd)e, + (ae0)d, ] = 48 (abd)? (ceu) (deu) ad, c, d,e, + + 24 (abd) (deu) (aeb)a," bc, ed, [(deu)c, + (ced)u, | = 24 (abd)? (ceu)a_b_ 0, 4,0, [(ceu)d, + (dec)u,] + + 24 (deu)? (abd) (aeb)a_"b_ e,d,°S+t + 24 (add) (aeb) (ced)a_" bc, 0,42 (ceu)d, + (dec)u]U, - Il termine segnato con * è zero, come si vede permutandovi circolarmente a,b,d, e sommando. Prima di procedere oltre è bene trasformare prima (3). ; i . sat. È à N, , AS Bi e. 0) - Ba i Si ha: ì (3) = 48 (ced) (deu) (aed)a_ da "a E [(beu)a, + (dac)u, | = 24 (ced) (aed) (beu)a_"b_ c_ de, {(dau)e, + (dea)u] + + 48 (ced) (deu) (aed) (bac)a_° bc, A, 5° e trasformando il primo termine con (ceb) (dau) e (cdb) (eau) — (cab) (deu) = (aed) (beu) e osservando, come sopra, che l’ultimo termine è zero come quello segnato di sopra con *, si ha infine: (2) + (3)=82.4.0— (9) — 48 (aed)? (bee) (deu)a_ bd, Cc, Ad, ey°U, + (10) + 24 (deu)? (abd) (aeb)a_?b, d,@,° du (11) + 24 (dec) (abd) (abe)a_"b_ ec, d,t,%U e bisognerà ridurre i termini (9) (10) (11). Sviluppando (4ed)'5.° colla formola che si ottiene quadrando una delle solite identità simboliche in cui si sia isolato il termine (4ed)b,, si ha: (9) = — 96 (ded)? (bce) (beu)c_ d,e,* ran — — 48 (abd) (bce) (beu)a cd, e, Un t 2 Cn do 0, s 192 (bce) (deu) (ded) (bad) ac d, e, +, + n x 2 lo 96 (Bce) (deu) (ded) (bea)a_ cd, e3°U, + Dal terzo scambiando e con 4, sommando e dividendo per 2, si ha un termine simile al secondo, col coefficiente + 96. Scambiando nel secondo termine e con 6, sommando dividendo per 2, e adoperando una identità simbolica, si ha dal 2.° e 3.° termine: 24 (abd)? (bee)a cd, e, [(ecu)b, + (bee)u,]u, ma il primo di questi due termini è daccapo 3 (9), onde infine abbiamo un valore più ridotto di (9), cioè: (9) = — 192 (bed)? (bce) (deu)e, de, .f.u, + + 48(abd) (bee) ae. d, i w, + + 192 (dee) (deu) (Led) (dea) a Se .U C,° dr €, x = — 96(ded) (bee)e, d,° [(0eu) c, + (bee) u, ].f.w, + + 48(abd) (bce) ae. d, e, «u, + + 96 (dee) (ded) (dea) a," c,"d,° [(beu)c, + (bee)u, ]u, - e nai A cn ua AO er ti rs da Sd ld fas u SARI — 69 — di dla 00-19 : =(c0x) = (ab) (ab, — ab) =24,°0, — Saga, bb + 6a ab, ba, per cui si ha la formola: 2 cia A.f + 6(acd) (bed) a, bh, lche è la relazione (12) del $ 3 della Memoria di Maisano citata al $ 1. Similmente dalla formola (13) dello stesso $ del lavoro di Maisano otte- niamo : pi (11) v=— + (ade)? (bde) (cde) a bc, + Si sof — 3 A E infine possiamo trovare un'altra formola che ci servirà in seguito. Cal- colando col solito metodo delle spinte si ha: vestab A) ab A» — - (abd)? (bee)? a" cd, e, + cr e x + = (tb) (ade) (bee)? a,? b_c_d,} e nin e, e questo secondo termine si trasforma successivamente in: 4 : Ta (adb) (bce) a," cd, e, [2(abc)d, 4 (adb)c, | = ; (bce)? (abe)a,d,° e, [(cdb)a, + (acb)d, |] + + = (ad)? (beef ad ec, dea 3qd 36? FRA (bee)? (abe) (cdb) a, de, — 4 2 Ros NÉ (bce)? (abc)? a, e_° +.f t 4 db)? (bce)? e ?d Ze ? sg le h)} (bee) a," c,, E @ trasformando colle formole (I), (II) si ha infine la nuova identità : fl 1 io 4 (HI) (adb)? (bce)? dn” co d,° C,° = bv 6 807 dr sli ASI > 1 WS (bee)? (adb) (ade) a, b,,c,d, €, ma f- * 1.0) LD Con queste identità si ha: (9) = 968.7.u, — 240.v.u,° — 16A.f°.u + 128.f-u, — 96h, . Il termine (10) è: (10) = 24 (deu) (bda) (aeb)a_*b_d,e, [2 (deu) a, + (deb) u,]f e nel primo scambiando 4 con 4, sommando, dividendo per 2, e applicando una identità simbolica si ha (10) = 24 (deu) (bda) (eda) + 24 (deu) (dda) (aed) (deb)a_ "ded, +f.u,, ma il primo termine del secondo membro è ancora eguale a — (10), onde (10)= 12 (deu) (dda) (aed) (deb) a, b_e,d,+f.U, LL = 12 (deu) (aed)(ded)a_ bd, [(eda)b_ + (dea)ad, + (bde)a, }f. u, . Il primo termine è zero, e resta (10)= — 12 (dea)? (deb) (deu)a_° b_d, .f-u, + + 12 (dde)? (deu) (aeb)a_S bd +feu, = — 6(dea) (deb)a *d_° [(beu)d_ + (deb)u_].f-.u, + + 6(bde) (deu)a_*b_[(deb)a, + (aed)b_].f.u, - Il primo e quarto termine si distruggono e resta: (10) =— 6 (dea) (ded) a °d_° .f.u,° + 6 (bde) (deu)b + f°.u, di cui il secondo, scambiando circolarmente 5,d,e, sommando e dividendo per 3,. diventa 2A ./°. ws. Mediante la (I) si ha allora infine (10)=TA.S.ut meu. Mediante la (IV) si ha poi (11) =v fu DAL Sat cioè (10) + (11)= 0, onde infine: (2) + (3) =32.4.0 + 96.d.f.u, — 240.v.u," — 16.A.f*.u," + 12.0.f.u,} — 96. ped e Si ha inoltre (4) —16.£ sifi >, —71- 3 » | Nel termine (5) scambiando 4 con 3, sommando, dividendo per 2 e ridu- cendo si ha n: (5)=—2(10), onde: È = FA Sar fat Si ha inoltre: (6)=9.w.f? 3 26 (1)= — + (deo)? [(deu)e, — (ceu)d, — (deu)e,]-f*.u, ERRE È i a (8) = — 89 (ced)? (ceu) d,, [(ceu)d, + (dec)u, |. f ESITI RO PESTE FL VON Raccogliendo, cioè sommando (1),(2),...(8), si ha infine che è covariante di Brill, diviso per u, ed espresso per i covarianti fondamentali del sistema completo della quartica ternaria è: ° (- 30.0.f? + 48.e8./+32.4.0)+(96.8./— 128p)u, + (- AS+ L4sf— 240v)u,*. L'annullarsi identico di questo covariante misto è condizione necessaria e suffi- ciente perchè la quartica ternaria si scinda in quattro fattori lineari. $ 18. — ALTRA FORMA DELLE CONDIZIONI PER LA DECOMPOSIZIONE DELLA QUARTICA TERNARIA IN QUATTRO FATTORI LINEARI. Nei $$ precedenti siamo partiti dal criterio di Brill; ora vogliamo prendere le mosse da un punto di vista completamente diverso, e propriamente dalla pro- | prietà dell’Hessiano di cui abbiamo trattato estesamente nel $ 14. Se come abbiamo fatto nella prima Parte di questa Memoria, assumiamo . la 7 sotto la forma (1) f= a423' + 61. 23° + 48.2, 4a potremo allora ottenere le richieste condizioni sotto la forma di covarianti e inva- rianti del sistema delle tre binarie «,8,y, e tal forma mentre perderà il vantaggio | d’essere invariantiva rispetto al campo ternario, conserverà però sempre l’invarian- tività nel campo binario, e propriamente per tutto il gruppo di quelle trasformazioni lineari che lasciano inalterata la variabile #,, o al più la moltiplicano per un fat- | tore, e acquisterà a sua volta il gran vantaggio d'essere assai più semplice, e più | facile ad essere adoperata nelle applicazioni. Sappiamo che quando si scinde in quattro fattori lineari si ha (v. $ 14) (2) A=%g.f Sea in cui 9 è una forma di 2.° ordine, che potremo porre sotto la forma (3) g=P,x,° + 20,2, +R, essendo P, una costante, ce Q,,R, due binarie degli ordini 1, 2. Si sa inoltre (v. $ 14) che la (2) è anche sufficiente per la indicata scom- ponibilità, purchè si escluda il caso che £ sia un quadrato perfetto, cioè che la quartica rappresenti una conica doppia. Ma in tale ultimo caso devono aversi le condizioni necessarie e sufficienti *) B==0 | ae="97?=0% 40/0420 I h=0 , 3ax—-28°=0 , se a=0 onde possiamo dire che le condizioni che troveremo da (2) saranno necessarie e sufficienti per la decomposizione di f in quattro fattori lineari, purchè esse non equivalgano solo alle (4). Sostituendo nella (2) a A il suo valore riportato nel $ 9, e ad f e g i va- lori (1), (3), ed eguagliando i coefficienti delle medesime potenze di #, si hanno le sette relazioni (5) aP, = 3ah (6) aQ, = 6am (7) aR, + 6YP,= 12aw + 6an — 9 (8) 3YQ, + BP, = 3aw — 9my + 348 (9) aP, + 88Q, + 6YR, = 3ak — 9yw + 12%a — 18fn — 6mB (10) aQ, + 2BR, = 6ma — 6n8 — 3uB (11) aR, = 3{k + 3aw — 686 . *) Le condizioni perchè la quartica f si riduca ad una conica doppia furono considerate da Brioschi (Atti Accad. dei Lincei, (2), t. III, 1875-76, p. 91; Opere Matem., t. III, p. 349) però per il solo caso di a +0 e servendosi delle proprietà dell’ Hessiano, il che costrinse quell’ illustre Autore a fare dei calcoli più lunghi, laddove avrebbe potuto ottenere il risultato finale e più com- pleto con una considerazione affatto elementare. Se infatti poniamo f= (Le; + 2Mx, +. N)}, dal paragone dei coetticienti delle potenze di 2,, otteniamo L*=a , LM,=0, i 2M,° +LN,=8f , MN=B , N}=a 1 , dalle quali, se a 0, otteniamo M,=0, e quindi B=0 , aa-%°=0 e se a=0, otteniamo L,=0, donde si ha che yY è un quadrato perfetto, e quindi R=0, e inoltre Baf—28*=0 . 3 / È si # d “s ni ù -—W#+- Consideriamo prima il caso di @ e 8 diversi da zero. Dalle (5) e (6) si ha allora È Pri 2 Q, = 6m (12) ; M=9ym_—-aw=0; Pa (10), tenendo conto che 8 è diverso da zero, 2R, + 6n+3w=0 : e ftiando il valore di R, ricavato di quì, in (7), (9), (11), si hanno le tre relazioni: (13) N= 6h — 2an — Baw=0 (14) S=3ah — 183m + ak=0 (15) U=2yk 4 3aw + 2an — 480w=0 . Fra i primi membri M, N, S, U, di queste quattro relazioni sussiste la | relazione identica (16) 2BM — aN + 2yS—-aU=0 È la quale mostra che, se @ è diverso da zero, basta che sieno soddisfatte solo le tre condizioni perchè sia soddisfatta anche la quarta U=0. Supponiamo ora B=0, ma sempre « diverso da zero. Si ha allora e le (5)...(11) danno P,=3% , Q,=0 aR, = 6an — 27hy 2xR,= ak + 3ha — 6yn aR,= dk ed eliminando R,, e tenendo conto delle notazioni introdotte colle formole (13) (14), si hanno le due 9N -L aSs= È XN-p-aS=0 aN -- S= 0 | . donde, supposto che sia 4a — 9y° diverso da zero (il che è appunto d’accordo con quanto abbiamo detto di sopra che sussistendo le (4), la quartica si scinde in 0 Arti — Vol. XII— Serie 2>— N° 13. 10 RE | E generale in una conica doppia, e 20% in quattro rette) si deduce : che sono le stesse condizioni di prima; si osservi che la M=0 in questo caso, | è identicamente zero perchè n=0,w=0. Se poi è aa — 9° =0 si calcola facilmente e le (17) restano identicamente soddisfatte. La 7 diventa il quadrato di (Vax, +37) e perchè questa sia decomponibile bisogna e basta che sia y un quadrato, cioè h=0. Ora nel caso in cui sia B=0 e qa= 9° le N=0,S=0 danno appunto ambedue 74 =0, onde questo caso rientra nel precedente. Possiamo dunque dire in modo complessivo : Se a è dwersa da zero le condizioni necessarie e sufficienti perchè la quartica f sì scinda in quattro fattori lineari sono le tre: 61h — 2an — Baw= 0 (di 2° ordine) (18) i In — aw= 0 (di 3° ordine) dah — 188m + alk=0 (di 4° ordine). Consideriamo ora il caso di a=0. Le (5), (6) sono allora soddisfatte; se è x+0, da (7) si ha p=—th e sostituendo questo valore nelle restanti, ed eliminando Q, ed R, si ha che deve essere zero la matrice: | Qma — ki; — vb 0» BB RS — 3yw + _ dr — 6yn- 2mB , 88 , 6r yk ti aw— 280 tdi, Sa | — nr +3 18 Sale ALA LI Se è +0 l'ultima linea non è composta di elementi zero; eguagliando a zero i determinanti ottenuti sopprimendo ora la prima linea, ora la seconda, sì hanno due relazioni che (se è x+0,a=+0) basteranno per l’annullarsi della ma- se a trice, e possono mettersi sotto la forma: È r*[2ra + 3aw + 2an — 4800 | ta [sera Ra 2 axh— 6Bym |= 0 " (19) | Br|Byt + Bow + dan — if] +a"[ Ba — erm]=0. La parte racchiusa nella prima parentesi è, come si vede, la stessa espres- | sione indicata di sopra con U; eliminando questo U fra queste due ultime equa- zioni, si ha: (3ra — 2B°)(3ym — 2BA)=0 . Faremo vedere più sotto che l’annullarsi del primo fattore porta con sè l’an- nullarsi del secondo. Supponiamo prima che sia: restano allora le due condizioni (20) dm —-2Bh4=0 , U—- > ah=0% e alle medesime si giunge anche se è a=0. Infatti in tal caso la terza linea della precedente matrice è composta di ele- menti zero, e il determinante risultante si riduce a 8°(3rm — 284)=0 cioè in ‘ogni caso a 3ym — 284=0, perchè da 8=0 si ha m==0 e quindi daccapo la precedente; la seconda delle (20) resta soddisfatta identicamente, e quindi pos- | siamo dire che le (20) valgono qualunque sia a. Supponiamo ora che sia (21) 3fa — 28*=0 ma X2+0 (v. formole (4)); osserviamo che questa condizione è da sè sufficiente per la scomponibilità richiesta di 7, e che perciò le (19) devono essere identica- mente soddisfatte. Che la (21) basti per la scomponibilità di / si vede osservando che, se 7 è diverso da zero, e quindi y non è un quadrato perfetto, dalla (21) si deduce che 8 deve avere per fattore y, e tolto allora un fattore y, resta poi dac- capo che anche « deve avere per fattore y. Ponendo allora (22) Bg lean in cui É, n sieno due binarie di ordini rispettivamente 1 e 2, si ha î } f=Y (623° + 462, 4- n) - | ed essendo per la (21) RC) 3— 28 =0 n'a il secondo fattore di 7 si scompone in due fattori lineari eguali, e poichè natu- ralmente anche y si scompone in due fattori, la Y resta scomposta in quattro fat- tori lineari, di cui due eguali. Si può verificare che le (19) sono soddisfatte; basta perciò dedurre da (21), le (22) e indi mediante queste calcolare X,w,2,w,m. Coi soliti metodi del calcolo simbolico si trova: 1 1 1 SS RARO" \pl: BEESA Mi LÀ 2.N. Poeta g (00% ACEA DAL X o=t ne Dr, 6fr 1 1 : NE IL 1 1 1 h w= him + (MEM Da m=-t-h.5 e inoltre dalla (23) si deduce che n è un quadrato perfetto e quindi (n, mn} =0, e che: (ra) Emr.=0 . Con questi valori e con (24) si trova che le (19) restano infatti identica- mente soddisfatte, ma è notevole che restano soddisfatte anche le (20) e quindi questo caso può includersi nel precedente. Con ciò resta anche dimostrata un’as- serzione fatta di sopra. Se poi, oltre (21), è anche 4=0 allora avendosi (v. formole (4)) la scom- ponibilità di 7 in una conica doppia, la (2) e perciò le (19) dovranno anche es- sere soddisfatte, ma non si ha allora (senza nuove condizioni) che la f si decom- pone in quattro fattori lineari, perchè da (21) non possono più dedursi le (22). In tal caso essendo #2=0 si ha che y è un quadrato perfetto (24) r=5 e quindi da (21) si ha: % 9 (25) pete Vea ta) in cui n sia una binaria quadratica ; la / diventa n{£ LI i, F== 6 st n) e per la scomponibilità di / è necessario e basta che il discriminante di SR LA ETS ri n hi A “66 CH 70 (26) M.8)°=0, - condizione che trasformeremo facilmente in modo da farvi comparire le sole a,B,v. Coi valori (24), (25) si calcola facilmente: 2 9 DI =7 Ma 2 2 a — 2)®. Tea \r. €? n 30,8) n g (M:) - m=(,5)°.$ 2 2)? 4 Li 2 w=— (08) +7 (MÈ 2 w= (Mn. 5-m 2 là 70105) «n-a=Yk+an=48w — 3aw . Di quì si vede che la condizione (26) si muta in una delle seguenti : (27) m=0 , xk+an=0 , 3aw—-4Bw=0 una delle quali è, come la (26), necessaria e sufficiente, perchè sono esclusi i - casimn=0, o é&=0 che porterebbero a=0 0 B=0. Chese ppiè a—=0 08=0 — sî ha da (21) anchef=0 0 a=0, ela decomponibilità c'è allora sempre, qua- lunque sia 7. Intanto colle (27) insieme ad # —=0 si soddisfa anche alle (20), quindi questo | caso può anche includersi nei precedenti. ° Abbiamo dunque: __Seè a=0,yr+0, Ze condizioni necessarie e sufficienti per la decompomibilità di f in quattro fattori lineari, sono : Di. PA \ Sym — 2B4=0 < 1 x[Eyt + Saro + 2an — 4Bw] — Ba'h=0 . Le condizioni evidenti | rientrano nelle precedenti. 4 vR Se ora passiamo a considerare il caso di a=0,y=0, che abbiamo escluso | di sopra, le equazioni (5)...(11) danno gP,=0, e da P,=0 si deduce Q,=0, | ed infine, eliminando R,, si ha l’unica condizione n Ù\ (29) Zaw — 4Bw== di Se poi fosse 8—=0, non si può più dedurre P,=0, ma allora la decompo- nibilità sussiste in modo evidente, e d'altra parte la condizione 8=0 rientra come caso particolare in (29). La (29) non può dedursi dalle (17) o (20) per yx=0 perchè queste sono state dedotte dalla solita matrice a quattro linee, considerando sempre determinanti con- tenenti l’ultima linea la quale si annulla per y=0, che se invece si considera il determinante delle tre prime linee di quella matrice si ha proprio la (29). Se alla seconda delle (20) sostituiamo la condizione ottenuta eguagliando a zero il determinante delle tre prime linee della matrice, e che è: 2U (Bay — 88°) + 9a? (4Bm — ah) =0 abbiamo un sistema di condizioni che comprende anche il caso di y=0. Concludendo abbiamo così: Le condizioni necessarie e sufficienti perchè la quartica È sia decomponibile in quattro fattori lineari sono rappresentate da uno dei seguenti gruppi di relazioni fra è covarianti del sistema delle tre binarie a ,B,v: 61h — 2an — Zaw= 0 (30) Im am= 0 ato Zah — 188m + ak=0 (31) = 2[2fk + 3aw + 2an — 4B0][Bay — 88°] +4 9a (4ABm — ah) =0 . A questa ultima, se x è dwersa da zero, può sostituirsi la relazione più sem- phee : (32) 2[2Yk + 3aw + 2an — 4fw]) — 3ah=0 . S 19. — DEDUZIONE DELLE CONDIZIONI RELATIVE AL CASO DELLA CUBICA TERNARIA SCOMPONIBILE IN TRE FATTORI LINEARI. (OMPLETAMENTO DEI RISULTATI DI BrIOSCHI. Sarà bene fare un’ applicazione e verifica di queste formole, ed esaminare come da esse si possano ricavare quelle trovate da Brioschi e relative alla de- composizione della cubica ternaria (Ann. di Mat., (2), t. VII; Opere Matem., II, p. 138). Se in / facciamo a=0, in essa si stacca un fattore lineare 2,, e resta ( 1) ax, 4. 61, + 4B e dalle condizioni precedentemente trovate dobbiamo passare a quelle relative alla .cubica (1). Per a=0 si ha #=0, n=0, w=0, e dalla seconda delle (30) si ha yn=0, donde deduciamo m=0 che comprende anche il caso di y=0. La bititiatenietis< ttt mn ct A tin dari È MB, | Fe terza delle (30) resta allora identica, e la prima dà (2) 2h — aw=0 ed essendo identicamente (2,8) =0 come si sa dalla teoria della cubica binaria, si ha di quì #(r,8) =0 cioè /m=0; onde se 7-+0, dalle (2) si deduce n=0, e perciò basta la (2). Ora, salvo la diversità di notazione, la (2) è precisamente la condizione trovata da Brioschi, e donde poi questo Autore deduce delle altre fra i soli invarianti. Questa analisi ci mostra però che il risultato di Brioschi non è completo, rchè trascura altri casi in cui per la decomposizione della cubica (1) non basta più la sola condizione (2). Ed infatti se è 4=0, la (2) dà w=0 (essendo per ora 4 +0, come suppone sempre Brioschi) e di quì non si deduce più m=0, condizione che bisogna perciò aggiungere. Se poi è 4==0 (caso che Brioschi non considera) allora è (secondo (31) ) (3) Sym — 2Bh=0 condizione che comprende anche quella di 8= 0. Completando il risultato di Brioschi possiamo dunque dire: Ze condizioni necessarie e sufficienti perchè una ternaria cubica generale della forma (1) sia scindibile in tre fattori lineari sono 0 (4) Qh—- aw=0 aio STZ0 ovvero h=0 (5) m= 0 aE!0 w= 0 ovvero infine (6) \ a=0 | Sym — 2BL=0 . $ 20. — APPLICAZIONE DEI PRECEDENTI RISULTATI ALLA DETERMINAZIONE DELLA FORMA GENERALE DI UNA QUARTICA DECOMPONIBILE IN FATTORI LINEARI E AVENTE ALTRE SPECIALI PROPRIETÀ. 4 Vogliamo determinare la forma generale di una quartica, che sia scindibile in fattori lineari, e per cui sia zero l’ Hessiano 7 della binaria cubica f. Consideriamo prima il caso di 4 #0. Essendo :=0 si ha che 8 deve essere un cubo esatto (1) g=9° | in cui g è una forma lineare; dì quì: m=(P VM +1 et ag a onde le (30) del $ 18 diventano 3yh—-an=0 (2) YMY, q°) — ala, q°) =0 Zah — 18(1;9)°.qobak=0. ten è Li SP Dall’ultima di queste, facendo la quarta spinta con «, e ricordando i signi- ficati di i,J (v. $ 5), si ha: (8) Shi + aJ=9 (19) (ag)* . Inoltre l’ ultima delle (2) dice che ha + ak è una binaria biquadratica quarta potenza esatta di una forma lineare 7, quindi il suo Hessiano deve essere zero. Calcolando questo Hessiano (p. es. colla formola data a pag. 142 dell'Opera di Clebsch, 7%. der bin. alg. Formen, Leipzig, 1872) si trova (8) a(Bhi + aJ)a + (544° — a)k=0 . Se i coefficienti di questa espressione non sono zero, fra « e il proprio Hes- siano % sussiste una relazione lineare a coefficienti costanti e quindi (Clebsch, cit., p. 163) « può essere solo il quadrato di una quadratica, e inoltre deve essere (6) Ja — ik=0 e perciò, con (5), - a(3hi +- al) 548° — ali i AD donde ai? + 1845=0 ed essendo zero il discriminante di a, i — 63°=0 si ha infine (7) Bhi+aJ=0. Nel caso poi che i coefficienti di (5) sieno da sè zero si ha subito questa medesima relazione, la quale dunque in ogni caso si deduce da (5). Da (3) si ha allora che (19) (ag) = 0 e quindi o y 0 a hanno per fattore q. SO A Da (5) e (7) si ha che o % è zero identicamente e allora « dovrebbe essere la quarta potenza di 7 come risulta dalla terza delle (2), ovvero è BAR — a'i=0, ed eliminando 4 fra questa e la (7), si ha che il descriminante di a è zero, onde a in ogni caso ha almeno una radice doppia , la quale perciò, come si sa (vedi Clebsch, cit., p. 162), deve essere doppia anche per %, e quindi, come risulta dalla terza delle (2), non può essere che 7, almenochè non sia (rg° =0. C’è da considerare dunque due casi, cioè o (17) =0, ovvero « ha per fat- tore 7°. Se (r2))=0, dalla terza delle (2) risulta daccapo che fra « e % esiste una relazione lineare a coefficienti costanti e quindi « è il quadrato di una forma qua- dratica. Ma la seconda delle (2) dà (aq)a, =0 È la quale dice che « contiene per fattore 7°; ma dovendo poi essere un quadrato, si ha daccapo che essa non potrà essere che 9°, a meno di un fattore costante. , In quanto a y osserviamo allora che, dovendo anch'essa avere per fattore 7, la sua seconda spinta con «, cioè n, sarà zero, e quirdi dalla prima delle (2) si deduce h=0, cioè y è, a meno di un fattore costante, il quadrato di 9. d Resta ora a discutere il caso in cui (9) sia diverso da zero, cioè y non abbia per fattore 9, nel qual caso, abbiamo già visto, « deve avere per fattore almeno i g°. Ma questa ipotesi non è possibile, perchè ponendo : d ; a = q eU ) risulta P dA "OO: DANA (aq), nia (vg) è e quindi dalla seconda delle (2) Sa x 4 IC. Riario, (vg)?g®=0 , © ° IL Bi dalla quale si vede che, se (rg)? è diverso da zero, y ha per fattore 9°, il che è in contraddizione coll’ ipotesi che (rg)* sia diverso da zero. Il risultato della discussione è dunque : La forma più generale di una ternaria biquadratica een TI ax, PR 612, + 4a, st a i in cui sia a +0, che sia scomponibile in quattro fattori lineari e per cui sia cero — l Hessiano di 8 è quella del tipo ax, | 6c.9° + 2,3 + 4c'g'x, +4 e"9° în cui q sia una forma lineare, e c,c,C, sieno costanti. ATTI— Vol. XII— Serie 22— N° 13. ul SSA Il risultato è diverso se 2 =0. Allora bisogna tener presenti le condizioni — (31) del $ 18, le quali possono darci per 7 una forma diversa. In effetti, ponendo sempre #=%° (A+ 0) ed essendo allora m=(19 _nm_-- 0-7 dI_ M Rd O LI onde sostituendo si ha: (39) Qym — amw=0 e questa è precisamente la seconda delle relazioni (30) del $ 18. Infine dalla seconda delle (35). separando il termine in « e indi eguagliando «gli Hessiani dei due membri, si ha: F LU i AMI h°k= 24°} 13 (n°, mix)? + da (my, mt)? I (| Arti— Vol. X4/— Serie 2°—N< 13. 13 BRR Ma si calcola facilmente: : È iS aj La lE x x A 34 (my = rh — — me (m) = hm + my (por (84) (n°y,m')=-—--m, onde: 1 ak = 36 =" mU ; e questa combinata colle (35) dà: (40) 3ha — 18Bm + ak=0 la quale è precisamente l’ultima delle (30) del $ 18; così sono state ritrovate tutte le condizioni trovate nei $$ precedenti. $ 24. — LE CONDIZIONI DI DECOMPOSIZIONE DELLA QUARTICA IN UNA CONICA E RETTA DOPPIA PEL CASO DI A=0. Se a=0, il c della formola (1) del $ 23, può o essere diverso da zero, e al- lora, ponendolo eguale a 1, valgono le formole (2) ...(8); oppure può essere c=0. Nel primo caso, fatto 2 =0 in (2), risulta 5=0, e ricordando che 5 è l’Hes- siano del fattore quadratico di /, se ne deduce che tal fattore quadratico deve scin- dersi in due lineari; onde in #27 caso non è possibile la scissione di £ in una conica propria e in una retta doppia. Dalla (4) del $ precedente si ha: 2gf= — 3h cioè gqg=— 3 ha Da (5) si ha allora: rQ, = — B +2 e adoperando le (9) donde si deduce per a=0: (1) P,=0 ’ R,= 6Y ’ 3Q,Y=B 7 6Q,°r=a ’ si ha: DA (2) Letra: 3 cioè si ha proprio ciò che si avrebbe dalla (12) per g=-i1, ma che però non può dedursi con tale apposizione perchè la (12) non vale più per a=0. Sostituendo eee 1 i Bi . L'UBOCES il il valor (2) nelle due ultime delle (1) si hanno le pe Im — 248 =0 È @ | Bur — 20 d | my 2n'a=0 Ni le quali sono le due condizioni necessarie e sufficienti per la decomposizione nel caso x mn esame. Passiamo ora al caso di 2g =0,c=0. Il fattore doppio di f sarà: 2 “UU si (4) f= Q,(L,0,° + 2M,z, 5a N,) | onde le condizioni necessarie e sufficienti in questo caso semplice devono esprimere ‘ solamente (se v+0) che a e B devono avere per fattore x, il quale deve essere un quadrato perfetto. Ze condizioni per ciò sono semplicemente ke mEz== (nY) My xc == 0 Ù Posto infatti (essendo 4=0): ei. le —- q si ha: i t m=(84)°8, 4 e l’annullarsi di questa esprime che 8 ha 9 per fattore doppio; mentre te” (ay) mata = (ga, +4 bl e l’annullarsi identico di questa (senza che naturalmente si annulli il 9 e quindi in esprime che « ha 9 per fattore lineare doppio. Se popiè r=0, cioè .in (4) è L=0, allora /e condizioni necessarie e suffi- Bar sono quelle che esprimono che 8 e a hanno un medesimo fattore lineare doppio comune. Le condizioni per ciò sono pe (6) (vw) =0 , (av) (aw)a,0,=0 di cui anche il secondo è un covariante fondamentale della tabella del $ 5 Infatti, essendo (7220) =0, la # sarà il quadrato di una forma lineare &, e Pf, “come si sa, conterrà per fattore w. Essendo poi zero la terza spinta (a, 70°)", cioè (x, €), la « conterrà due volte il medesimo fattore £. | —Abbiamo dunque infine: Se è a=0, le condizioni per la decomponibililà li £ in una conica e retta — 100 — doppia sono o le: © \ 3mi — 24B =0 | 83m — M'a=0 e allora la conica è una comica spezzata; ovvero le hi==0 (10) (8) m= (ev) nt, =0 o infine le: SU (9) Toe (ww)? i, (a) = —_— ERRATA-CORRIGE p. 34, riga 9* da sotto: Rito leggi : $9 p. 40, riga 11% da sopra: denti leggi : de” p. 47, riga 4" da sotto: (p,v), leggi : aiutate Ue N INDICE . Introduzione PARTE PRIMA . Sul sistema completo della quartica ternaria $ 1 — Tabella delle formazioni ottenute da Maisano . 7 - : È 2. — Risultati di Gordan per la quartica generale e per la Sc quartica auto- morta È È 7 x E ° ; : 3. — Le forme invariantive della aa ternaria espresse sigionia dal di tas forme binarie degli ordini 2, 3, 4. Equazioni differenziali per gl’ invarianti . 5 4. — Le equazioni differenziali per i covarianti misti . , : 5. — Sistema completo di Gundelfinger, per una inieaicn e e una "colica bi- narie 3 x : 5 x è : È 6. — Introduzione al Pa di una Liguiadigiba: di una cubica, e di una cd saiada binarie. Aggiunte ad alcuni teoremi di Clebsch. Formazioni lineari in Y T.— Formazioni di 2° grado in Y 5 n ‘ x 8. — Formazioni di 3° e 4° grado in y e nia del sistema PIE : 9. — Espressioni, mediante le torme invariantive del sistema delle tre binarie, duel invarianti, covarianti e contravarianti di 2° e 3° grado della quartica SCA I 8 10. — Relazioni, trovate mediante i risultati del $ precedente, fra le forme invariantive del sistema di Gundelfinger e di quello delle tre binarie a, B,Y Es 11. — Espressione, mediante &,f8,Y, del covariante s, del contravariante p, e dell’ in- variante B del sistema di Maisano . 8 12.—I tre invarianti di 9° grado della quartica sani Timiorisazione della = in- dipendenza 3 c o $ 13. — Sui tre covarianti di 6° ordine e ‘6° A; A ternaria bignairiune Rettifica 1 ai risultati di Maisano. è c ò î 3 : . PARTE SECONDA Le condizioni per le decomposizioni in fattori della quartica ternaria $ | 14. — L’ Hessiano di una ternaria spezzata . ° 3 15.— Il criterio di Brill, per la decomposizione di una ternaria in fattori lineari Mio —l rare di Brill pel caso della quartica. Calcolo per porre in vista il fat- o tore u, . . 5 ° . S 17. — Il covariante di Brill a per mezzo delle SORA iu sistema completo pag, » » » 64 67 CDD RI I Pe ARI Le vi ‘ Pad re z Rat una’ 1 ui a pu Jo "RO : Na Vr, n Peng Pa $ 18. — Altra forma delle condizioni per la decomposizione della quartica ternaria in quat- tro fattori lineari . 5 6 o : - î . È $ 19. — Deduzione delle condizioni RE mi caso della gii ternaria scomponibile in tre fattori lineari. Completamento dei risultati dì Brioschi, 3 “4 $ 20. — Applicazione dei precedenti risultati alla determinazione della forma generale di una quartica decomponibile in fattori lineari e avente altre speciali proprietà. $ 21. — Condizioni di decomposizione della quartica ternaria in quattro fattori lineari di cui tre rappresentino rette concorrenti in un medesimo punto è î . $ 22. — Condizioni di decomposizione della quartica ternaria in quattro fattori lineari di cui due eguali , vi $ 23. — Condizioni di decomposizione di una quartica in una conica e in una retta dop- pia. Caso a 70 - È : 3 ì - . : $ 24. — Le condizioni di decomposizione della a in una conica e retta fr Da caso di a—=00% finita di stampare il dì 80 Agosto 1905 Pia daga: pag. TL » 78 > 79° » 84° » ‘—(B600 » 88 » I 098 N° 44. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE IL MANTELLO CEREBRALE DEL DELFINO (DEZPAINUS DELPHIS) RICERCHE ISTOLOGICHE + per il dottor VINCENZO BIANCHI Assistente neil'Istituto d'Istologia e Fisiologia Generale della R. Università di Napoli diretto dal Prof. G. PaLapino presentata nell'adunanza del dì 21 Gennaio 1905. Ei I cetacei, meglio ancora di molti altri mammiferi, hanno un mantello cere- brale che sa due grossi e tozzi emisferi. La superficie di questi è ricca di i circonvoluzioni che danno alla sostanza grigia, che riveste la bianca massa cen- — trale, l' apparenza di un ricco cresp). «I rilievi ed i solchi hanno le più differenti direzioni: si ripiegano, si ana- | stomizzano, si approfondano, si perdono nel complesso intreccio che ne risulta. Il | Flatau e l’Jacobson ne hanno dato, per quanto era possibile, una minuta e | chiara descrizione '). Lo studio del pallium o mantello di questi animali diventa | molto più interessante quando dalla semplice descrizione si passa ad illustrare il i Bbporto tra i lobi in cui si dividono gli emisferi cerebrali, la loro struttura e le | relative funzioni psichiche. Ho scelto di proposito il cervello del delfino dappoichè non vi è corrispon- denza, nei cervelli di questo ed altri simili animali, tra la ricchezza delle cir- convoluzioni ed il grado di manifestazioni psichiche degli stessi. iù A mia disposizione ho avuto parecchi delfini fornitimi quasi tutti gentil- | mente dalla stazione zoologica di Napoli. Il pallium del delfino, visto nell’insieme, ha una figura abbastanza caratte- ristica, come si può facilmente rilevare dalle figure 1, 2 e 3. Gli è così che vi- È sto dall'alto presenta una superficie convessa circoscritta da quattro linee: una | anteriore, due laterali, ed una posteriore. L'anteriore (fig. 1, a) quasi vertical mente taglia in avanti i due emisferi, indicandone la laut Delle due la- terali leggermente curve (fig. 1, 8-8), una ha direzione da dietro in avanti e da | destra a sinistra; l’altra pure da dietro in avanti, ma da sinistra a destra, en- ') Flatau u. Jacobson, Mandbuch der Anatomie und Vergleichenden Anatomie des Centralner- ”% vensystems der Sciugetiere. Band 1 Makroskopischer Teil, Berlin 1899. | Avti— Vol. XII— Serie 21— N. 14. ì Coe trambe convergenti verso il piano mediano. Quella posteriore (fig. 1, y) si divide — in due uguali, una per ciascun emisfero, situate l'una accanto all'altra, come due metà di una stessa sfera; entrambe vanno, all'esterno, a riunirsi coll’estremo posteriore della linea laterale sopra descritta, ed all’interno vanno a continuarsi con le linee fra loro parallele limitanti la scissura interemisferica. Le lettere e-e (fig. 1) stanno ad indicare i punti d'incontro delle linee late- rali con le posteriori. Visto da uno dei lati, il cervello si presenta limitato in avanti ed indietro da due linee (fig. 3, «-x°) quasi parallele che si portano dal basso in alto e da avanti indietro; il cui limite superiore si prolunga nella convessità superiore (fig. 3, 3) molto accentuata degli emisferi. La linea di base presenta nel mezzo una insenatura che si prolunga in alto (fig. 3, n. 1), limitando uno spazio che è la scissura di Silvio. Al davanti, questo cervello, visto di prospetto, piuttosto che avere i lobi frof- tali, presenta una superficie appiattita, della forma di un quadrilatero irregolare, col lato maggior dal basso in alto e con la linea inferiore più breve della su- periore. La superficie basale del cervello si contiene nelle stesse linee di quella su- periore, tranne nelle laterali (fig. 2, 8-8), che appaiono più curve, e nelle poste- riori respinte in avanti (fig. 2, y); nella curva di queste ultime si colloca il cervel- letto, ben sviluppato in questo animale (fig. 2, 3). Quanto alle circonvoluzioni ed ai solchi, lo esame di questo cervello, vinta la confusione che di primo acchito fa nascere la grande complicazione dei solchi secondarii e terziarii, dimostra che il piano di loro morfologia si avvicina essen- zialmente a quello dei carnivori. Invero sono rintracciabili sulla superficie esterna degli emisferi tre profondi solchi paralleli, l’ectosilvico (fig. 1, n. 1), il soprasilvico (fig. 1, n. 2), ed il lateralis (fig. 1, n. 3), i quali, a loro volta, separano quattro circonvoluzioni, di cui tre grosse, e la quarta più piccola. Queste circonvoluzioni, pel loro estendersi at- torno alla scissura di Silvio, si presentano come arcuate. Sicchè la prima circonvoluzione (fig. 1, 4) gira intorno alla scissura di Silvio ed è separata dalla seconda a mezzo della fessura ectosilvica (fig. 1, n. 1). La seconda {seconda circonvoluzione arcuata) (fig. 1, 3) sta tra la fessura ecto- silvica (fig. 1, n. 1) e la soprasilvica (fig. 1, n. 2), la terza (terza circonvolu- zione arcuata) sta tra la scissura soprasilvica (fig. 1, n. 2) ed il solco lateralis (fig. 1, n. 3). La quarta (quarta circonvoluzione arcuata) (fig. 1, 4) sta tra la fessura laterale (fig. 1, n. 3) e la scissura interemisferica. (fig. 1, n. 5). Queste circonvoluzioni di cui io, per ragione di comparazione con quelle dei carnivori, inverto l’ordine descrittivo, chiamando prima circonvoluzione quella che il Flatau ed altri hanno chiamata quarta, e seconda, terza e quarta circonvo- luzione, rispettivamente la terza, la seconda e la prima, sono solcate da fessure longitudinali il più delle volte, ma è agevole persuadersi che quei solchi sono se- condarii, e che le circonvoluzioni della superficie esterna degli emisferi del delfino sono solamente quattro (fig. 1, 4, 3, c, 4), tre delle quali grossissime, come vedesi nella figura riportata (fig. 1, «, 5, c). È I _3 —- Per la stessa ragione della direzione antero-posteriore dei solchi primarii , — mancano precise delimitazioni dei vari lobi emisferici. Questi, del resto, negli e- | misferi cerebrali in esame, si possono ridurre a tre. Uno, che è pure il più "Tasti | costituisce il lobo parieto-occipitale, il secondo al davanti del primo, accennato | appena allorquando si guarda dall’alto, ma che si abbassa perpendicolarmente per avvicinarsi al lobo temporale, ed è quello frontale; 1’ ultimo, piccolo, ma ben di- stinto dal resto dell’emisfero, è il lobo temporale. Il frontale, adunque, si accentua appena in avanti e lascia vedere, venendo in contatto con l’estremo della più grande circonvoluzione del lobo parieto-occipitale (fig. 1, e), un solco che ricorda quello cruciato dei carnivori (fig. 1, n. 6). Sulla superficie basale del cervello (fig. 2) più importanti sono la fessura spleniale (fig. 2, n. 3° che divide i lobi occipitali dal cervelletto, e la fossa di Sil - vio con la omonima fessura (fig. 2, n. 1, 2) che separano il lobo temporale dal parieto-occipitale. Degno di nota è pure in questa superficie il poco sviluppo del lobo temporale e del girus hippocampi (fig. 2, n. 4) e la mancanza dei tratti olfattivi. È Sono rimarcabili, oltre il ch'asma dei nervi ottici, il tronco del VII ed VIII paio di nervi cranici, molto sviluppato in confronto del quinto '). dr ai II ISTOLOGIA DELLE CIRCONVOLUZIONI. A. questo accenno macroscopico facciamo seguire lo studio della intima strut- tura della corteccia cerebrale fermandoci principalmente sulla stratificazione, sul “numero delle cellule nervose, su quello dei corpuscoli di nevroglia, e sulla gran- __dezza degli elementi nervosi. i Le regioni prese in esame sono quattro: f; 1. Frontale. 2. Parieto-occipitale (porzione anteriore). 3. Parieto-occipitale (porzione posteriore). 4. Ippocampo. Della regione frontale ho esaminato la circonvoluzione che si trova alla base del quadrilatero anteriore dell'emisfero, e ad un centimetro circa in fuori della | scissura interemisferica. È Della regione parieto-occipitale ho esaminato: a) Della porzione anteriore, la circonvoluzione che si trova tra il lobo parieto- occipitale ed il frontale, e propriamente quella che ricorda la branca posteriore del giro sigmoide dei carnivori. 5) Della porzione posteriore, quella circonvoluzione che trovasi nel punto della | maggiore convessità della superficie emisferica occipitale ed in dentro della scissura | soprasilvica. Della circonvoluzione dell’ippocampo ho esaminato varii punti. î 1) Altrettanto ho potuto constatare in un cervello di Delphinus Tursio che si conserva nel Museo | di Anatomia Comparata ove potei osservarlo, grazie alla cortesia del prof. Della Valle. lg lo Il materiale fu indurito in sublimato, soluzione satura. Il blu di metilene per la colorazione delle cellule nervose e dei corpuscoli nevroglici fu adoperato in soluzione allungatissima, come consiglia il Donaggio '). La molibdanizzazione dei pezzi fu fatta con soluzione al 4°/, come il Bethe ?) prima, ed altri dopo, hanno consigliato. I tagli dello spessore di 10 microm. hanno una direzione perpendicolare al maggior asse delle circonvoluzioni. Per lo studio dei rapporti tra cellule nervose e nevroglia ho seguito il me- tolo del Paladino alla rubina acida, dallo stesso autore brevemente descritto in una nota presentata all’ Accademia Reale di Napoli °). Per le osservazioni sui rapporti tra i prolungamenti protoplasmatici ed i vasi, mi son servito della reazione nera del Golgi (metodo lento). Pei rapporti tra i protoplasmatici delle cellule nervose ho adoperato il metodo dell’Heidenhain, all’ Ematossilina ferrica. Il conteggio degli elementi nervosi l’ ho fatto con oculare 3 ed obbiettivo 4 (tubo alzato) e micrometro oculare a rete. La grandezza degli elementi fu rilevata con oc. 2, obb. 8 e micrometro ocu- lare lineare (tubo alzato). Questa ultima osservazione fu assoggettata al controllo del micrometro ob- biettivo. Lobo frontale (/îg. /0) Innanzitutto fermiamoci sulla disposizione degli strati della corteccia cere- brale che qui non sono più di quattro, e che dall'esterno all’ interno si susse- guono così: i 1) Lo strato molecolare (A) che è largo, con corpuscoli di nevroglia ab- bondanti, e rare cellule nervose. 2) Il secondo strato (2), costituito di cellule relativamente grosse, in mas- sima di forma fusoide intramezzate da elementi irregolarmente triangolari, quasi piramidali, di media grandezza, variamente orientati. 3) Il terzo (C), costituito di elementi più distanti tra di loro, di forma poco differente da quelli del precedente strato, ma evidentemente più rari e distribuiti in uno spazio due volte più largo. Queste cellule hanno un corpo relativamente piccolo dal quale partono prolungamenti lunghi e sottili, in numero di due o tre *), dei quali uno sempre più grosso e più lungo degli altri. 4) Il quarto (2), è formato di clementi della stessa forma di quelli dello strato precedente, ma semplicemente un po’ più piccoli e più ravvicinati tra loro. 1) Donaggio, Sulla presenza d'un reticolo nel protoplasma della cellula nervosa. Rivista speri- mentale di Freniatria, Vol. XXII, 1896, pag. 862. ?) Bethe, Archiv. fiir mikrosk. Anatomie u. Entw. 1895. — Zeitschrift fiir Wissenschaftliche Mikroskopie und tiir Mikroskopische Technich, 1900. *) G. Paladino, R. Accademia delle Sc. Fisiche e Matem. di Napoli. Fasc. 8-12, Agosto-Di- cembre 1900. *) S'intende con i metodi da me usati che sono gli stessi per le quattro regioni prese in esame. i, moi ST ® ia APRE in questa regione la uniformità del tipo di cellule che si man- tiene quasi invariato in tutti gli strati delle relative circonvoluzioni. Soltanto nel fondo dei solchi, le cellule diventano più rare, più piccole, i i prolungamenti cellulari più scarsi. Il numero delle sellale nervose riscontrate in questa regione fu di 308 in una superficie larga î di mm. e lunga 2 millimetri, col maggiore asse perpendi- colare a quello della circonvoluzione. ; Delle 308 cellule nervose, 133 se ne contarono nei primi di mmq. a co- — minciare dall’ esterno della circonvoluzione, 127 nei secondi LI di mmq. immedia- È do) dopo, e 48 se ne contarono nella rimanente superficie larga è di mm. € È lunga ;, di mm. | CERA si enumerarono 1031 corpuscoli di nevroglia, divisi ana- logamente e successivamente, come le cellule nervose, in 354 nel primo spazio, 447 nel secondo e 230 nell'ultimo. L'altezza dello strato molecolore in questa regione oscilla tra i 595,20 mi- cromillimetri nel punto più alto della circonvoluzione, ed i 478 microm. in quelli | più bassi. i Le cellule del secondo strato si trovano lungo un'altezza di 232,50 microm; | ognuna di esse misura col solo corpo cellulare una lunghezza che varia dai 17,76 | microm. ai 22,20 microm.; vale a dire che la lunghezza media di ciascuna cellula di questo strato è di 19,98 microm. Le cellule del terzo strato invece misurano ciascuna da un minimo di lun- ghezza di 18,60 microm. ad un massimo di 55,80 microm. } La distanza che in questo strato passa tra i varii elementi non è uguale per tutti: questi si presentano in gruppi di due o tre cellule lasciando tra loro uno spazio di circa 90 microm. In questo stesso strato ini è stato dato qua e là di no- tare qualche cellula che si distingueva dalle altre, sia per la conformazione del «suo corpo un po’ più sviluppato di quello delle altre, sia per la straordinaria lun- ghezza del prolungamento apicale. Cellula e prolungamento misuravano una lun- ghezza di 125 microm. il nucleo di essa misurava un diametro di 6,66 microm. «ed il nucleolo 2,22 microm. Nel quarto ed uitimo strato le cellule sono per la forma quasi identiche a quelle del secondo strato, sebbene un po’ più piccole. Lobo parieto-occipitale (porzione anteriore) (fig. 17) È; Qui la stratificazione diviene più complessa. Gli strati principali non sono — meno di sei, che si presentano come segue: 1) Lo strato granuloso (A) è meno spesso, poco meno della metà del corrispon - dente del!a precedente regione: ricco di corpuscoli nevroglici, specie verso la pe- — riferia; non mancano cellule nervose di varia forma e dimensione. MIO St: 2) Il secondo strato (2) è costituito di cellule piccole, molto ravvicinate tra di loro, di forma irregolarmente triangolari ed alcune piccole piramidali, con, in massima, un prolungamento orientato verso la superficie superiore. 3) Il terzo (C) ha cellule situate ad una maggiore distanza tra di loro; un po’ più grosse di quelle dello strato precedente, di forma irregolarmente triango- lare, e qualcuna di forma che si avvicina alla piramidale, unitamente a molte di forme fusoide. Il numero dei prolungamenti è maggiore (in numero di tre) ed essi sono più grossi e più lunghi. 4) Il quarto strato (2) è costituito da cellule grosse, delle quali molte hanno la forma triangolare e altre piramidale. Sono le cellule di questo quarto strato e di questa regione quelle che rag- giungono, fra tutte le cellule nervose del pallium del delfino, la maggiore gran- dezza e relativamente la forma più decisa. Nelle cellule triangolari, in massima, uno è il prolungamento che si sviluppa a preferenza e che si va assottigliando man mano che si allontana dal corpo della cellula: in qu»lle piramidali oltre il proluugamento apicale, che è ben sviluppato, ve ne sono altri due alla base della piramide, anch'essi abbastanza grossi e lunghi. 5) Il quinto strato (£) è costituito da cellule di grandezza un ro’ mag- giore di quelle del terzo strato, ma la loro forma è assai varia. Ve ne sono di rotondeggianti, di triangolari, di media grandezza e piccole, di fusoidi, di piramidali, ed in ultimo qualcuna multipolare. L'orientamento di esse è assai vario. Il quinto strato si potrebbe suddividere in due minori. In un primo («) con- secutivo al quarto strato che sarebbe costituito da elementi di forma prevalen- temente triangolare, fusoide e piramidale, ed in un secondo (8), con cellule di va- ria forma e dimensione. 6) Il sesto strato finalmente (77), è costituito da piccole cellule che vanno diventando sempre più rare a misura che ci avviciniamo alla sostanza bianca sottostante. Ripetono presso a poco le forme predette, ma sono più piccole e più raramente disposte l’una accanto all’altra. Il numero delle cellule riscontrate in questa regione fu di 514 su una su- perficie larga DI di mm. e lunga 2 mm., sempre col maggiore asse perpendicolare a quello della circonvoluzione. Delle 514 cellule nervose 288 se ne contarono nei primi di mmq. a comin- Ò i è . : +. 8a ciare dall’esterno della circonvoluzione, 213 nei secondi 3 di mmq. che vengono immediatamente dopo, e 13 se ne contarono nella rimanente superficie, larga ai di 4 10 i Contemporaneamente nello stesso spazio si enumerarono 1760 corpuscoli di nevroglia, distribuiti così nei tre spazii sopra indicati: 661 nel primo, 571 nel secondo, e 528 nell’ ultimo. mm. e lunga — di mm. Pa —7- L'altezza dello strato molecolare in questa regione, è pressochè uguale in tutti _ i suoi punti, ed è in media di micromillimetri 196,80. Le cellule del secondo strato occupano per tutta l'altezza dello strato una media di 195 microm.; le cellule di questo strato misurano una lunghezza che per ognuna varia dagli 8,88 microm. ai 13,32 microm.: vale a dire che la lunghezza media di ciascuna cellula è di 11,10 microm. i Le cellule del terzo strato invece misurano ciascuna una lunghezza di un «minimo di 18 microm. ad un massimo di 18,80 microm. Quelle del quarto strato si presentano più sviluppate. Ciascuna di essa varia da un minimo di grandezza di 44,40 microm. ad un massimo di 66,60. Tra le altre cellule, in questo strato, ho potuto rilevarne qualcuna a più prolungamenti (ne aveva cinque) disposti in giro. Il corpo della cellula misurava un diametro di 39,90 microm., i prolungamenti si seguivano in media per 22,20 microm. Le cel- | lule dì questo strato sono anch'esse aggruppate in numero di tre o quattro per volta. La distanza Ira le più vicine è di 83 o 4 microm. tra i diversi gruppi di 144-145 microm. Il quinto strato è costituito da cellule più piccole; la loro grandezza varia dai 14,36 ai 17,63 microm. Il sesto strato contiene cellule che scendono ad un minimo di 11-10 microm. Lobo parieto-occipitale (porzione posteriore od occipitale) (fig. /2) Anche in questa regione troviamo sei strati: 1) Lo strato granuloso (A) è poco alto, ricco di corpuscoli nevroglici, nonchè di abbondanti piccole cellule nervose rotondeggianti ed anche qua e là qualcuna di piccolissima forma piramidale. 2) Il secondo strato (8) è costituito da una fitta palizzata di cellule nervose piccole,, per lo più di forma triangolare provviste di sottili prolungamenti. ; 3) Nel terzo strato (C) le cellule si presentano meno addensate, più piccole, «un po’ rotondeggianti. 4) Nel quarto (2) troviamo i grossi elementi nervosi, di forma allungata, con due, tre, quattro prolungamenti protoplasmatici di cui uno solo più grande __ degli altri. È Le cellule nervose di questo strato presentano in questa regione, un maggior numero di prolungamenti protoplasmatici, che non nello strato corrispondente delle altre regioni. 5) Il quinto strato (7) è costituito di piccole cellule come piramidali, di cellule di forma quasi fusoide, e di altre rotondeggianti. 6) Nel sesto ed ultimo strato (7°) le cellule divenute più piccole, si vanno diradando e prendendo la forma triangolare ecc. Le cellule riscontrate in questa regione hanno raggiunto il numero di 682, queste, nella regione di cui ci occupiamo, non occupano se non una superficie 0 larga ; sl di mm. e lunga mm. 1,600. Di ip 444 appartengono ai primi (a co- minciare dall’ esterno della circonvoluzione) ;7 Sdi mmgq. e 238 ai secondi. Il numero dei corpuscoli di nevroglia è di 1195 da attribuirsi rispettivamente 478 ai primi I di mmq. e 717 ai secondi. Lo strato molecolare in cima alla circonvoluzione misura 144p; in basso 222. I corpuscoli di nevroglia sono numerosi: abbondanti le cellule, che si presen- tano come quelle del secondo strato, ma un po’ più piccole e senza prolungamenti. Il secondo strato è costituito di cellule che presentano un corpo cellulare di 15 a 30 microm., con prolungamenti che da un estremo all’altro misurano una lunghezza di 30 a 33 microm.; il corpo cellulare adunque è piccolissimo, lunghi i prolungamenti. Tra queste cellule ve ne è qualcuna molto più grande delle al- tre, e che misura una lunghezza di circa 180 microm., ma di cui appena 18 spet- tano al corpo della cellula. Il nucleo di queste è relativamen‘e grande. In una cellula di diametro trasversale di 18 microm. ben 13 seno presi dal nu- cleo, intorno al quale sottili zone di protoplasma completano il corpo della cellula. Ma in genere le cellule di questo strato si RE quasi tutte oblunghe e tutte orientate verso l’ esterno. Il terzo strato differisce poco dal precedente. In massima gli elementi cellulari non mutano per forma, ma si diradano soltanto, tra essi cominciano però a farsi notare elementi più grandi, forniti di prolungamenti più sviluppati di quelli dei precedenti. Qua e là si trovano cellule della forma di piccole piramidi : di queste ne ho misurate alcune più grandi che raggiungono 99,30 microm. da un estremo all’ altro. Nel quarto strato le cellule sono molto ravvicinate tra loro, di forma allun- gata, con parecchi prolungamenti lunghi e sottili, che si vedono dicotomizzarsi fino a due volte. Queste cellule hanno un corpo cellulare che varia dai 10 ai 15 microm. mentre nel loro maggior asse dall’estremo dei prolungamenti arrivano a misurare dagli 85,60 ai 110,00 microm. Le cellule di questo strato fanno vedere in media tre a. Seguono altri due strati nei quali le cellule vanno man mano diventando più piccole e più rade, pur conservando fino all’ ultimo i prolungamenti. Ippocampo (ig. 13) Questa regione si presenta costituita di cinque strati: 1) Lo strato granuloso (4) è abbastanza alto, poco meno del corrispondente strato della regione frontale: discreto relativamente il numero dei corpuscoli ne- vroglici, scarsissimo quello delle cellule nervose. 2) Il secondo strato (2) è costituito da cellule che in massima hanno la forma che le ravvicina alle piccole piramidali, orientate nel modo più diverso. 8) Il terzo (C) ha cellule di forma più varia (piramidali, fusiformi e trian- golari) situate ad una distanza maggiore di quelle dello strato precedente. Il nu- il a —_9—- — mero dei prolungamenti protoplasmatici per ciascuna cellula si mantiene invariato (sono in numero di tre per quasi tutte). 4) Il quarto strato (2) è costituito di cellule solo un po’ più grosse delle precedenti. In quanto alla forma si ha che, mentre nel terzo ed anche nel secondo erano in maggiore numero quelle di forma piramidale, in questo strato sono in più quelle di forma triangolare. 5) In ultimo vi è il quinto strato costituito da rare cellule, piccole, di forma o allungate, o pluripolari. Il numero delle DE nervose riscontrate in questa regione fu di 432 | una superficie larga È di mm. e lunga due mm. sempre col maggiore asse per- | pendicolare alla 7250 Delle 432 cellule 210 se ne contarono nei primi si di mmq. a cominciare dall’ esterno della circonvoluzione; 200 nei secondi SI di mmq., e 22 se ne conta- cd rono nella rimanente superficie larga È di mm. e Se) Contemporaneamente si enumerarono 1317 corpuscoli di nevroglia, 523 nel primo spazio, 543 nel secondo, 251 nel terzo. L'altezza dello strato molecolare in questa regione è di 533» nel punto più alto della circonvoluzione, 399,80 in quello più basso. Il secondo strato occupa un’ altezza di poco più di 200 microm. Le cellule di questo, con corpo cellulare abbastanza piccolo, presentano in cambio prolungamenti esili, che misurano circa 30 microm. Le cellule del terzo strato sono poche ed hanno prolungamenti protoplasmatici | sottili. La loro grandezza in massima non varia da quella delle cellule dello strato — che precede. Le cellule del quarto strato hanno un corpo cellulare più grosso che misura circa 28,33 microm. Esse si trovano più ravvicinate di quelle del terzo strato. Il quinto ed ultimo facilmente è costituito da piccole e rare cellule di poco più di 11 microm. * * * Tutti gli autori, ad eccezione di qualcuno, furono di accordo nell’ ammettere | una differente costituzione della corteccia del cervello nelle sue varie zone. Il Meynert ammise 5 tipi di stratificazione, tra cui principale quello a 5 strati, lo Schwalbe, lo Stieda, il Boll ed altri ne ammisero quattro; il Krause ne considerò sette, il Golgi tre (escludendo da questo numero lo strato molecolare che considerò come nevroglico) Cayal ed altri l’elevarono a 9 in certe | regioni. Inoltre l’Edinger, l’Obersteiner, il Débierre e molti altri seguirono su per giù la divisione del Meynert. La descrizione della corteccia cerebrale del delfino paragonata con le descri- zioni date dai prececenti ricercatori sul cervello dei mammiferi, e a preferenza Atti — Vol. XII — Serie 20 — N. 14. 2 — 10 — 4. dell'uomo, riesce in una certa guisa caratteristica. Il lobo frontale si distingue da — tutti gli altri per povertà di elementi, e per minore complessità di aggregazione degli stessi, nonchè per la loro forma. Da quanto si è detto e da ciò che dimostrano le figure, la corteccia cerebrale del delfino presenta una relativa uniformità nella configurazione degli elementi ed una aggregazione degli stessi chiaramente diversa nelle diffeyenti regioni esaminate. Come si desume dalla descrizione già fatta, illustrata dalle figure, il numero delle cellule e dei prolungamenti, la disposizione delle stesse, la loro grandezza, devono essere prese in molta considerazione quando si passi a considerare l'ufficio che possono esercitare le circonvoluzioni nei differenti lobi della massa centrale dell’ animale in esame. Lo specchietto seguente raccoglie in sintesi il numero delle cellule nervose e dei corpuscoli nevroglici e la loro distribuzione nelle differenti altezze della so- stanza grigia del mantello. LOBO PARIETO-OCCIPITALE | | | REGIONI FRONTALE | - IPPOCAMPO ! (POLO ANT.) | (PoLO POST.) cd E A dt er a ed reti i Ì A ; ì Cellule nervose Î Cellule asi Cellule "RAT. Cellale | I Cellule fan è Corpuscoli di voi psi ca nevroglia SLI nevroglia pardeveti | nevroglia pg nevroglia EMETTE EE AS e n | per 8/10 di mmq. 133 354 288 661 444 478 210 523 id. successivi | 1927 447 213 571 238 717 200 543 per 8/10 X 4/10 di mm. ultimi 48 230 13 528 _ _ 22 251 PA) | Totale \ 308 1031 514 1760 682 1195 432 1317 Ì i Il RAPPORTI TRA CELLULE NERVOSE E NEVROGLIA. Nelle mie ricerche sul cervello del Delphinus delphis il metodo alla rubina — acida del Paladino mi ha dato risultati soddisfacenti. La fig. 4 della tav. I, riproduce una cellula nervosa del quarto strato della — regione parieto-occipitale (porzione anteriore). La nevroglia forma prima una rete | intorno, poscia penetra nella cellula nervosa e si estende lungo i suoi prolunga- menti. Il suo comportamento però è diverso, e nel corpo della cellula e nei pro- 4 a” lungamenti. I fili di nevroglia che penetrano nel corpo della cellula si assotti- | ggliano per formare una rete che giunge fino in prossimità del nucleo (fig. 4); D quelli invece che circondano i prolungamenti, formano alla loro volta un reticolo — che va a continuarsiì nella rete della guaina mielinica. Lungo la rete di nevroglia non mancano marcate gliacellule. La fig. 5 mo- stra una cellula nervosa attraversata fin in prossimità del nucleo da sottili fili che provengono da alcune gliacellule situate al lato di essa. Dai diversi lati rami di nevroglia raggiungono la cellula. r Di rapporti veri tra nevroglia e cellule nervose nessuno aveva fatto parola prima che il Paladino nel 1893 non vi avesse richiamata l’attenzione degli os- | servatori. Solo qualcuno, prima di quel tempo, come il Kòlliker ‘), aveva visto qualche sottile fibrilla passare dalle cellule alla nevroglia circostante, ma tali fi- brille furono dallo stesso (Kéolliker) attribuite piuttosto a speciali emanazioni protoplasmatiche che la cellula nervosa emetteva. Il Paladino col valido aiuto del suo metodo all’ ioduro di palladio °), potè per il primo dimostrare gli intimi rapporti tra questi due tessuti mostrando in alcuni mammiferi prima, e nei selacei dopo, la continuazione della nevroglia inter- stiziale nello scheletro mielinico delle fibre nervose, la costituzione nevroglica di questo, e la presenza di gliacellule in questo istesso scheletro mielinico. Rapporti altrettanto intimi dimostrò con la cellula nervosa sulla cui superficie la nevroglia con le sue fibrille forma una rete a rami sottili. Dimostrò in seguito che questa rete era da una parte in continuazione con la nevroglia interstiziale, e dall’altra dava rami che andavano a formare una rete intra-protoplasmatica od intracellulare. Anche il Golgi °) attorno alle cellule nervose dimostrò una rete che chiamò neurocheratinica. In seguito il Bethe *) con il suo metodo ha pure visto una rete ‘che ha ritenuto invece nervosa. In questi ultimi tempi l’ Held °), dopo aver ri- tirata una sua prima opinione ed in seguito a nuove ricerche, ed il Donaggio ‘), hanno dichiarato di ritenerla di natura nevroglica. Volendo qui fare una digressione sulla genesi, si andrebbe incontro a molte difficoltà perchè è sempre allo studio la questione della pluricellularità o unicità cellulare originaria delle cellule nervose. Ad ogni modo il nevroblasto che dalla cellula germinativa volge al suo destino o è una cellula che poi diventerà cellula nervosa, o si unirà ad altri nevroblasti per formare una cellula nervosa. Questa, adunque, è il risultato o di un ulteriore sviluppo dell’ elemento embrionale. o di 1) Kélliker, Sitzungsbericht der Wurzb. Phys. Med. Gesellschaft, 1890. ®) Dei limiti precisi tra il nevroglio e gli elementi nervosi del midollo spinale. Estratto Boll. della Ace. Medica di Roma, Anno XIX, fase. IL ®) C. Golgi, Opera omnia. Vol. II, pag. 655. *) A. Bethe, Ueber die Neurofibrillen in den Gangliengellen von Wirbelthieren und ihre Beziehun- gen zu den Golginetzen. Archiv fiir mikroskopische Anatomie und Entvicklungsgeschichte, 1900, Band 55, Hett 4. 5) H. Held, Ueber den Bau der grauen und weissen substan:. Archiv fiir Anatomie und Physio- logie-Anatomische Abtheilung, V-VI Hett, 1902. $) A. Donaggio, Per il problema dei rapporti tra vie di conduzione intercellulari e periferia della cellula nervosa. Rivista sper. di Freniatria, Vol. XXIX, fase. IV, 1903. a una formazione per avvicinamento e fusione di parecchi nevroblasti. Tutto quanto troviamo nella cellula adulta è l’effetto di un ulteriore sviluppo o formazione che si avvera tra le maglie nel neurospongium che, in fondo poi non è, se non una parte di quel che, nel tessuto adulto, chiameremo nevroglia. Ora sia che il protoplasma della cellula tragga la sua origine dal nucleo della stessa o si formi dall’esterno ecc., la primitiva nevroglia sì troverà di essere pene- trata dal protoplasma nel primo caso o inglobata nel secondo. Senza dubbio però, queste sono quistioni ardue nelle quali molto bisognerà atten- dersi dalle ricerche embriologiche che sappiamo proseguite con alacrità presso noi. DE. RAPPORTI TRA LE CELLULE NERVOSE. Assai raramente nelle mie ricerche sugli emisferi cerebrali del delfino ho ri- scontrato anastomosi di cellule nervose a mezzo di tronchi protoplasmatici. La fig. 7 riproduce due cellule nervose coi rispettivi nuclei e nucleoli molto grossi, cir- condati da poco protoplasma, ma unite assieme da un grosso tronco protoplasma- tico. La osservazione è stata oggetto di minuta analisi per acquistare la sicurezza che il tronco protoplasmatico, che unisce i due elementi, si trovava nello stesso piano delle due cellule: ininterrotti si vedono i fasci di fibrille protoplasmatiche passare da una cellula all’ altra. i 11 problema delle anastomosi a mezzo di tronchi protoplasmatici è tuttora oscuro, per quanto in questi ultimi tempi i procedimenti per la colorazione delle neurofibrille abbiano, in un certo modo, ancora più facilitate le indagini in pro- posito. L'Owsianikow ‘), il Foerster*), il Remak:)ed altri molti descrissero anastomosi tra tronchi protoplasmatici di cellule nervose. Il Vignal *) non avendo potuto riscontrarle nelle sue ricerche, fu piuttosto incline a diminuirne la portata, l'His” le negò addirittura sostituendovi il suo neuropilema. Il Gerlach *) nel 1871 dimostrò il reticolo nervoso costituito dalle ultime ramificazioni dei prolungamenti protoplasmatici di tutte le cellule nervose, stabilendone il generale reciproco rapporto di continuità. Le ricerche embriologiche dell’ His nel 1883 e di altri negli anni susseguenti, favorirono la ipotesi della indipendenza della cellula nervosa : secondo essi le terminazioni dei prolungamenti protoplasmatici e delle loro ramificazioni avvenivano sempre a mezzo di terminazioni libere ed indipendenti. Il Cayal ‘‘ Owsianikow, Disquisitiones microscopica. Dorpach. i) Foerster, Atlas der mikr. path. Anatomie. 1854. * Remak, Observationes microscopicac. 1858. *) Vignal, Sur le développement des éléments de la moèlle. Archiv de Physiologie normale et pa- thologique, 1884. ?) W. His, Histogenese und Zusammenhang der Nervenelemente. Archiv tir Anatomie und Phy- siologie. Supplement, 1890. *) Gerlach, Veber die structur der grauen substanz des menschlichen Grosshirns. Medie. Cen- tralblatt, 1872. 1 = Vrîni il Kolliker, il Van Gehuchten, von Lenhossek, Retzius, Pedro- Ramon, Cl. Sala poi, cui si associarono, l' His, l’Edinger, il Valdeyer, lo Iper sofer, il Kuppfer ed altri, sostennero la stessa tesi ‘). In questi ultimi pi il Joris *) ha posto innanzi la ipotesi che la rarità del reperto dell’ anasto- per tronchi protoplasmatici nel tessuto adulto, sia l’effetto della maggiore tanza che le cellule nervose in questo stesso acquistano. Ma anche questa spie- fer incontra moltissime difficoltà. Na PROLUNGAMENTI PROTOPLASMATICI E VASI. Il Golgi colla sua reazione argentica addivenne a conclusioni opposte a quelle del Gerlach: per lui solo i prolungamenti nervosi emettevano rami ana- | stomizzantisi tra loro, e davano origine alla sua rete nervosa diffusa: mentre i | protoplasmatici o dendritici non avevano se non funzione trofica. Sia il Cayal che il Kolliker, il Van Gehuchten, il Martin, il Retzius dimostrarono che i protoplasmatici non avevano se non funzione ner- vosa. In questi ultimi tempi, dopo le ricerche sulle reti periferiche delle cellule | nervose e loro prolungamenti, si è da alcuni accennata alla possibilità che la rete che riveste i dentriti sia il mezzo attraverso il quale possa effettuarsi la nutrizione | della stessa cellula. Ad ogni modo nelle mie ricerche ho potuto rilevare che i pro- . toplasmatici passando di sopra e di sotto i vasi li comprendono nelle loro branche continuandosi di là da essi per seguire il loro corso (fig.8 e 9). D'altra parte le . cellule nervose si trovano frequentemente circondate da capillari, anzi, non di rado, capita di vedere rami capillari fin nelle cellule nervose. VL PESO DEL CERVELLO. Nei delfini la media tra il peso del cervello e quello del corpo risulta di 1:76 (su una media di lunghezza del corpo di metri 1,60). Il Flatau al delfino assegna un rapporto che oscilla da 1:38 a 1:102 °). : 1) Tutte queste ricerche ebbero per epilogo la teoria del Neurone o della contiguità tra gli 3) Joris, L’Histogénèse du Neuron. Bulletin de l'Académie royale de médécine de Belgique, IV® Série, T. XVIII, N.° 6. E 3) A proposito di rapporti tra peso del corpo e quello del cervello il Leuret ed il Gratiolet | ricordano le seguenti cifre nei vertebrati: Classi Peso del cerv. Peso del corpo Pesci 1 - 5668 Rettili 1 — 1321 Uccelli 1 2 212 Mammiferi 1 - 186 Vedi Leuret et Gratiolet, Anatomie Comparée du Système nerveuse considéré dans ses rapports avec l’intelligence. Paris. Sii La elasticità di queste cifre non solo è dovuta al mutare del rapporto tra peso del cervello e peso del corpo da un individuo ad un altro, ma anche al differente periodo di vita nel quale l’animale si trova al momento della osservazione. Nei neonati, più sviluppato è il cervello: è da esso che l’organismo attinge la maggiore capacità all’ adattamento nell'ambiente in cui passa a vivere. In seguito, quando cioè tutte le parti del corpo si sviluppano più rapida- mente, il cervello aumenta relativamente di poco; la maggiore attività evolutiva sì esplica nel suo intimo completamento. È chiaro così che, i suaccennati rapporti mutano col variare del periodo di sviluppo dell’ animale, nè i tentativi sperimentali sinora fatti, sono riusciti a su- perare le difficoltà per definire il rapporto tra peso del cervello e peso del corpo, nelle diverse fasi di sviluppo. Tale peso relativo adunque si trova tanto più alto quanto più piccola è la massa del corpo. Così, mentre nel piccolo delfino troviamo un peso relativo di l a 76, in un piccolo balenottero, da me stesso esaminato, il rapporto fu di 1:288. Il Brehm ‘) accenna ad una balena lunga metri 5,70, e di 5500 kg. di peso, alla quale non si trovò più di 2 kg. di cervello, poco più di quello dell’ uomo di cui tutto il corpo, in massima, pesa meno di 100 kg. Uno studio particolareggiato dello sviluppo del cervello non solo relativo al peso del corpo, ma anche all'età, metterebbe gli osservatori probabilmente nella condizione di trovare il rapporto relativamente più costante tra le due variabili cifre. i VII. CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA MORFOLOGIA DEI CENTRI NERVOSI IN RAPPORTO ALLA INTELLIGENZA. Paragonato il telencefalo del delfino a quello degli altri vertebrati troviamo che nei pesci i lobi cerebrali sono rotondeggianti; negli anfibi sono ovali; nei rettili la forma degli emisferi si va modificando nelle varie famiglie, predomina però il pronunziarsi del polo anteriore pel grande sviluppo dei bulbi olfattivi rispetto agli emisferi del telencefalo (Edinger *); negli uccelli, specie se di rapina, il forte sviluppo del polo occipitale allunga gli emisferi nel senso antero-posteriore. Nel genere felis, e specialmente nel cane, si trova il lobo frontale che sovrasta al bulbo olfattivo. Negli antropoidi e nell’uomo finalmente si accentua sempre più lo sviluppo dei lobi frontali relativamente a quello dei lobi occipitali e temporale. Nell’ uomo il maggiore o minore sviluppo dei lobi frontali ha dato luogo a molte osservazioni nel campo dell’antropologia. La fronte bassa, stretta, fuggente, le anomalie in genere della scatola cranica, sono state oggetto di studio, specie in rapporto alle degenerazioni ed, in particolar modo, alla delinquenza. Nel delfino sono immensamente ridotti, come abbiamo visto innanzi, i lobi frontali, poichè il cervello finisce con un piano verticale poco al davanti dell'estremo ) A. E. Brehm, La vita degli animali — Mammiferi. Vol. IL ?) Edinger, Vorlesungen ib:r den Bau den nervòsen Centra'ongane des Menschen und den Tiere. Leipzig, 1896. 2 ee @ — della maggiore circonvoluzione parieto-occipitale, e manca altresì di bulbo olfattivo. . Tale mancanza, con lo sviluppo minimo di lobi frontali, spiega il brusco finire del cervello al davanti. î Nelle figure 1, 2, 3, appare chiara la superficie piana che tronca in avanti lo sviluppo dei lobi anteriori del cervello di fronte a quello relativamente note- vole dei lobi parieto-occipitali. Questi, però, a loro volta non coprono che una ‘parte soltanto del cervelletto che si trova di essi. Questo fatto appare meno quando il cervello è visto dall’ alto, nel quale caso scorgesi un forte allargamento in fuori . della parte posteriore del cervello. Anche piccolo è il lobo temporale. La maggiore superficie della corteccia cerebrale resta così addebitata alla zona | parieto-occipitale, che comprende tutta la vasta area superiore ed esterna di ciascun emisfero. Se la dottrina di Flechsig avesse salda base anatomica, il delfino, per il . grande, eccezionale sviluppo della zona parieto-occipitale, dovrebbe essere tra i mammiferi più intelligenti. Secondo la dottrina del Flechsig, (fondata nel periodo di mielinizzazione _ delle fibre nervose) la corteccia del cervello sarebbe divisa in zone di proiezione e di associazione. Le zone associative, quelle cioè destinate ad associare i prodotti delle aree ricettive, sarebbero l’ anteriore o frontale, l’ insula, la parieto-temporo- | occipitale. da lui detta anche grande zona associativa posteriore: questa sarebbe l’area più importante pei prodotti di alto valore psichico. i Lo esame degli emisferi di delfino, foggiati come sono, non suffraga la dot- trina secondo la quale quella zona sarebbe associativa e però di alto valore intel- lettivo, poichè è stridente il contrasto tra la estensione di questa zona posteriore e la miseria di risorse intellettive del delfino. i Benchè non sempre chiaramente si possa trovare il rapporto tra la massa e la intelligenza in generale si può dire che la intelligenza più forte si trova presso quelli animali che presentano una maggiore massa emisferica, complicatezza e ricchezza di circonvoluzione. I delfini seguono a frotte i bastimenti per giorni e notti intere, attendendo a nutrirsi dei rifiuti gettati dall’ alto dei piroscafi. Voraci, mangiano pesci, mollu- schi e quanto loro può capitare in bocca, e la loro voracità è tale che non mancano di dividersi il proprio compagno non appena questi, meno fortunato degli altri, ab- bia a morire. Questa loro voracità pertanto è stata giustificata col fatto che l’ani- male sente un gran bisogno di nutrirsi, anzi si racconta che un delfino tenuto in uno stagno di un giardino zoologico morì per essergli mancato per solo 24 ore il cibo. La loro vita si prolunga allo stato libero fino a 130 anni, da prigioniero raramente supera i 20 o 30. Il giudizio in questi animali manca a tal segno che, quando in una frotta di essi, qualcuno è preso e rimorchiato verso la spiaggia, gli altri della comitiva seguono il primo senza accorgersi di andare incontro alla morte, se non quando giunti sulla spiaggia, viene a loro meno l’acqua (Brehm) '). 1) A. E. Brehm, La vita degli animali — Mammiferi. Vol. II. CONCLUSIONI 1.° Da tutto ciò che precede, chiaro risulta uno spiccato accordo tra la di- sposizione macroscopica degli emisferi del cervello, la struttura intima della cor- teccia cerebrale e le manifestazioni psichicho del delfino. Quella contraddizione esistente tra la ricchezza delle circonvoluzioni del detto animale e la relativa stupidità sua non ha più ragione di ripetersi senza gran- dissima riserva, o senza incorrere in una inesattezza. 2.° Gli emisferi cerebrali del delfino conservando il tipo e la disposizione macroscopica degli emisferi dei carnivori, hanno di singolare lo sviluppo minimo dei lobi frontali sicchè fa ricordare qualcuno dei cervelli di microcefalo. 3.° La struttura della corteccia cerebrale si differenzia da quella dei mam- miferi più intelligenti, oltre che per altro, per una certa uniformità di elementi, per la rarità delle cellule piramidali giganti, e per la povertà di prolungamenti di quelle poche che si possono rinvenire senza predilezione di strato. 4.° Nella corteccia cerebrale del delfino risultano chiari i rapporti tra ne- vroglia e cellule nervose, presentandosi quella sia come rete peri-cellulare, sia come rete intracellulare od intra-protoplasmatica. 5.° Tali risultati messi in rapporto con le cognizioni che oggi si posseggono quale frutto di ricerche sperimentali negli animali. o di osservazioni cliniche sull'uomo, controllati col rigore della sottile analisi isto-patalogica, restano grandemente illustrati, e ci autorizzano a dire che il delphinus delphis è così misero di attività psichiche per il pochissimo sviluppo dei lobi frontali, sede principale dei poteri associativi (Bianchi), e per una tal quale uniformità di elementi co- stituenti la corteccia cerebrale e la rarità delle cellule piramidali giganti. Napoli, Istituto d' Istologia e Fisiologia generale. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE _ FIG. 1— 1. Fissura ectosylvica. Cee) suprasylvica. 3. » lateralis. 4. Sulcus ectolateralis. 5. Scissura interemisferica. 6. Solco cruciato. c. 1.* Circonvoluzione. [IPO Ra » CIS » PA » Branca anteriore del giro sigmoide. pa a ® . Branca posteriore » » Linea anteriore. Linee laterali. ® g Linee posteriori. mm Punto d'incontro delle linee post. e later. Fe Fossa di Sylvio. so Scissura di Sylvio. bai Fissura spleniale. ® Girus hippocampi. x Chiasma dei nervi ottici. D . 7.° paio di nervi cranici. ". Nervo acustico. 8. Piramidi. 9. Olive. 10. Midollo spinale. a. Linea interiore del piano anteriore. 8. Linee laterali. "(- Linee posteriori. d. Cervelletto. _ Fia. 3— 1. Scissura di Sylvio. 2. Scissura ectosylvica. 3 a'a”. Linee anteriore e posteriore. Scissura suprasylvica. . B. Linea curva superiore. . Linee inferiori. a d. Cervelletto. C » Vol. XII— Serie 2a — N. 14. e" Do Mg Pe Th DLE 2 Ml 90 5 Z x no —T iBS Fic. 4— a, Corpo della cellula. b. Fili di nevroglia. c. Corpuscoli di nevroglia. d. Rete nevroglica. Fi. 5-6 — a. Corpo delle cellule. b. Fili di nevroglia. e. Corpuscoli di nevroglia. e. Nucleo della cellula (fig. 6). f. Nucleolo » » (fig. 6). Fi. 7 — a-a. Corpi delle cellule. b. Tronco protoplasmatico che unisce le due cellule. e. ce. Nuclei delle cellule. d. d. Nucleoli, Fi&. 8-9 — a. Corpo della cellula. b. Prolungamenti protoplasmatici. e. Vasi. F1G. 10 — Regione trontale. A-B-C-D — 1.°, 2.°, 3.%, 4.° strato di cellule. FIG. 11 — Regione Parieto-Occipitale (porzione anteriore). A-B-C-D-E-F — 1.°, 2.°, 3.°, 4.9, 5.9, 6.° strato. a-B strati secondarii. Fic. 12 — Regione parieto-occipitale (porzione posteriore). A-B-C-D-E-F — 1.°, 2.9, 3.9, 4.°, 5.°, 6.° strato. Fic. 13 — Girus hippocampi. A-B-C-D-E — 1.°, 2.°, 3.9, 4.9, 5.° strato. ha finita di stampare il di 10 Giugno 1905 VBianchei-{l mantello cerebr ele. lavL ccaddSfis.e materni di Napoli. 00 AVA 14 é SRL Pa: et [a Ù e sal % HIeo afi199 Aa Rai è IPS, Pay 3 è, ì LI ipa Fig. tl VECI TIE Z3 Cit = ; A (N DA È h — a . es d fi Cla % { 3 BE. Ci ° CS) CI \ fi = .. Bè \ (Graf 3 4 ® [ DS) ì \ d # £ IN è d voi vg s | Ì a 1 N jo a i DE A Li it è è Vr A) [I N l'i È peso SCALA SerenoNapele 2 re Cia made di Napoli 00 AIN { VBianchi-Ml mantello corebr ete. lav: ML Fig.1IL. Fig. 13 ui A i si fa dk ata I Se VCI À o Da Li d è i e F sea # eé » Ro D. n & È , y è cara è è e d° / » . Poe e i è . E y : le ii sto ur: . è' A . D) Ra le: 3 » Br 3 Ji LI _ $ - > dal o 9 + 3 %: sE na #i AE # ni Vol XII, Serie 2 da Vo 45 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE REMARQUES SUR LA COURBE DE VON KOCH PAR ERNEST CESARO Membre de l’Académie (Memoria presentata nell'adunanza del dì 18 Marzo 1905) .... the will is infinite and the execution confined, the desire is boundless and the act a slave to limit. (SHAKESPEARE) M. Helge von Koch vient de signaler *) une courbe continue sans tan- gentes, qu'il obtient par des moyens géométrigues d'une grande simplicité. En 4 exposant la construction de von Koch aux élèves de mon Cours de Calcul infi- mitésimal, j'ai été conduit è la transformer de manière è la rendre plus frap- | pante, ce qui m'a permis de découvrir d’autres propriétés de cette courbe remar- quable. Soit AB un segment de droite, que je désignerai par L,: c'est, pour ainsi dire, la courbe naissante, dont nous connaissons, pour le moment, deux points, È A et B. Après avoir divisé AB en trois segments égaux AD, DE, EB, rempla- | cons le segment du milieu par deux a _ autres DC,CE, formant avec DE, è gauche d'un observateur qui se dépla- A | cerait de A vers B, un triangle équi- Ì. . latéral. La ligne L, se trouve ainsi o | changée en L=ADCEB. En opé- SA - = en rant sur chaque còté de L: comme on l'a fait sur L,, on remplace ensuite L, par une autre ligne L,; puis, en conti- « nuant de méme, on voit qu'on peut déduire de L, une suite indéfinie de lignes | polygonales: la nè a 1-+ 4° sommets (parmi lesquels se trouvent les 1 ta i sommets de la ligne précédente), et 4" cotés “7402, dont la longueur est 3” sì d f | *) Dans l'Arkiv for Matematik, Astronomi och Fysik, publié par l’ Académie des Sciences de Stock- | holm (1904, pp. 681-702). MN i Vol XII Serie 9° N69 15, 1 Ms sera l’on prend AB comme unité de longueur. Lorsque » croît indéfiniment, L vers une ligne £, qui est la courbe de von Koch. Pent-on dessiner cette courbe? Dessiner une courbe plane c'est marquer, ew la reduisant autant qu'on le peut, la partie du plan qui renferme les points de la courbe. Une exécution de plus en plus soignée ne pourra nous donner qu’une image de moins en moins grossière de la courbe; mais ce sera toujours une ima- ge, falite pour nous montrer la courbe matérialisée, la courbe idéale ne compor- tant pas de représentation géométrique visible. Nous matérialisons habituellement les courbes douées de tangentes en nous les représentant comme des bandelettes de papier aux bords para//èles, extrèmement rapprochés; et nos tire-lignes ont été construits tout justement pour tracer ces dexz bords, limites de la région occupée par la courbe. Une courbe sans tangentes ne saurait ètre dessinée de cette ma- nière; mais cela n’empéche pas qu'on puisse en avoir une représentation gra- phique par une limitation convenable de l’espace qui la renfe»me. On y parvient , dans le cas de la courbe £, en remplacant le trait uniforme habituel par un trait à bords non parallèles, aux renflements périodiques, et cela sans se donner la peine d’inventer (comme on le pourrait) un tire-ligne spécial. Remarquons d'abord que la ligne L,,,, se trouve toujours, par construction, à gauche de L,,. Ici, comme dans la suite, on entendra constamment par gauche et droite d'une ligne quelconque, passant par A et B, la gauche et la droite d’un observateur qui se déplacerait sur la ligne, en allant de A vers B. Cela posé, si l’on voulait découper une bande de papier renfermant £, on devrait commencer par enlever tout le demi-plan è droite de L,, on supprimerait ensuite ce qui reste à droite de L,, c’est-à-dire le triangle CDE; etc. On tendrait de la sorte è se rap- procher indéfiniment du coté droit de £. D'autre part il est aisé de voir que, par raison de similitude de triangles, il y a dans toute ligne L,, toujours de nouveaux sommets qui tombent sur AC et BC, mais que tous les autres sommets tombent è droite de la ligne L, = ACB. On peut donc supprimer aussi tout ce ce qui se trouve à gauche de cette ligne: puis, en réfléchissant que £ se dae sO compose de quatre parties égales, con- o struites sur les còtés de L, comme la tg *à courbe entière a été construite sur L,, to I on voit qu'on peut encore enlever les D E B ; parties centrales des triangles ADC, CEB, ce qui revient è appliquer (è droite) la construction fondamentale de von Koch è la ligne L,. Celle-ci se trouve alors remplacée par une ligne L,, dont on peut semblablement déduire une ligne L,; ete. Par la construction de cette se- conde série de lignes polygonales il est clair qu'on s'avance indéfiniment vers le coté gauche de £. Cette courbe est donc la limite des lignes L,, L,,L,, Ly; .»; mais il importe de remarquer qu' elle est toujours comprise entre deux lignes consécu- tires. Nous représenterons dorénavant par T, la région limitée par les lignes L, et L,,: c'est l'ensemble de 2” triangles isoscèles, ayant leurs bases sur L,, les autres cotés sur L,,,, et tous leurs sommets sur £. Remarquous encore que les lignes L, se succèdent d’après une loi unique: que # soit pair ou impair, L, a toujours tend 2» c ie i FI _3 — ” 1+2° sommets, et chacun de ses 2" cotés a la longueur (V3)". La seconde série | de lignes polygonales constitue donc un complément naturel de la première. D'ail- leurs les deux espèces de ligaes ne different pas essentiellement l’une de l'autre; car toute ligne d'une espèce se compose de deux lignes de l’autre espèce. par- — courues dans le sens contraire, comme on le voit sans peine dans les deux fi- | gures qui précèdent. C'est en réunissant ces deux figures complémentaires, c'est-à- . dire en construisant ensemble les lignes des deux espèces, qu'on est amené à rem- | placer la construction de von Koch par la suivante, qui présente de nom- breuses facilitations au point de vue de l’exécution graphique. On part d’un . triangle isoscèle ABC, ayant les an- | gles è la base égaux è 30°: c'est la | région T,, qui renferme la courbe en- 4 | tière. On élève par C les perpendiculaires aux còtés, et l’on divise ainsi ABC en | trois parties équivalentes. On considère les deux parties latérales ACD, BCE (con- — stituant T,), qui sont, comme ABC, des triangles isoscèles, ayant è la base des angles de 30°. En opérant sur ces triangles comme sur ABC on obtient quatre triangles (T.), puis Aut (T,); ele. Lorsqu'on passe de ABC aux deux triangles, en supprimant la partie centrale, l’aire de ABC se $rouve réduite aux *,. Par | conséquent, si l’on pousse la division jusqu’à ce qu'on obtient 2° triangles (1°), B hi i 2 A ù 9 n { ; | il se trouve que ceux-ci occupent une aire égale aux (5) de ABC, dire qui tend'vers 2éro lorsque n croît indéfiniment. Il suffit donc de prendre n assez grand | pour réaliser une représentation graphique satisfaisante de cette courbe : Ce qui doit surtout nous frapper dans la courbe de von Koch c'est qu' elle est dans îoutes ses parties semblable è elle-méme. Pour essayer de se la figurer d'une manière aussi complète que possible il faut penser que dans chacun des “A triangles de la figure ci-dessus on enchasse la figure toute entière, réduite dans un rapport convenable; puis que dans chacun des triangles réduits on insère de nouveau toute la figure, et ainsi de suite, è l’infini. Cet emboîtement sans fin — d’une figure en elle-méme nous donne bien l’ image de ce que Tennyson ap- | pelle, quelque part, l’infini vers l'intérieur, qui est, Lan tout, le seul infini qu'il nous soit donné de concevoir dans la Nature. C'est cette similitude entre | letout et ses parties, méme infinitésimales, qui nous porte è considérer la courbe ESE de von Koch comme une ligne vraiment merveilleuse entre toutes. Si elle était douée de vie, il ne serait pas possible de l'anéantir sans la supprimer d’'emblée, car elle renaîtrait sans cesse des profondeurs de ses triangles, comme la vie dans l’ Univers! Par le seul fait de la similitude entre £ et ses parties on peut s’expliquer aisément quelques-unes des propriétés trouvées par von Koch. Il est d’abord pres- que évident que Za longueur de la courbe, entre deua points quelconques, est infi- nie; c'est ce qu'il suffit de démontrer pour l’arc AB. Si la longueur de cet arc pouvait étre mesurée par un nombre fini /, les longueurs des arcs AC et CB se- raient mesurées par //V3, d’où il suit qu'on aurait (2—V3)/=0, c'est-à-dire Z=0, cequi est absurde, puisque />1. Done / ne peut étre fini. Quant è l’aire c comprise entre l’arc AB et sa corde, il suffit de remarquer, pour la calculer, que les aires analogues pour les ares AC et CB sont égales è ‘/,0, et qu’elles constituent avec o l’aire V3/12 du triangle ABC. L’aire cherchée est donc les '/. de celle de ABC, c'est-à-dire o =V3/20. Je vais maintenant m'occuper de la représentation arithmétigue des points de £ en employant le système de numération è base 2. Je remarque d’abord que les 2" triangles, constituant la région T,. peuvent avoir douze orientations diffé- rentes, définies par langle de la base avec AB. Cet angle sera un multiple pair ou impair de 30° suivant que » est pair ou impair. Je dirai, pour abréger, que le triangle est pair ou impair, respectivement. Tout triangle pair donne naissance à deux triangles impairs, dont j appelle premier celui qui se trouve à gauche, second celui qui se trouve à droite d’un observateur, placé è l’intérieur de la partie centrale, et tournant le dos è la base. Au contraire tout triangle impair donne naissance è deux triangles pairs, dont il convient d'appeler premier celui qui est è droite, second celui qui est è gauche d'un observateur situé comme on vient de le dire. Il arrive ainsi, lorsqu’on partage un triangle de T,, que le premier des deux triangles latéraux est toujours celui dont la base serait par- courue la première par un observateur qui se rendrait de A en B le long de L,,,- Cela posé, distinguons entre eux les triangles (impairs) ACD, BCE, en dési- gnant le premier par 0, le second par 1; puis, lorsqu’on partage è son tour cha- cun de ces triangles en deux triangles (pairs), distinguons ces derniers entre eux en écrivant 0 pour le premier triangle, 1 pour le second, après le chiffre du trian- gle qui leur a donné naissance. Si l'on continue de méme jusqu’à un triangle quelconque, ayant ses cotés sur L, et L,,,, on le trouve représenté par une suc- cession de x chiffres 0 et 1, exprimant l’un des nombres 0,1,2,3,...,2*—1 dans le système binaire. De cette facon les 2" triangles, qui constituent la région T,, se distinguent les uns des autres, et il est aisé de voir qu’ils se trouvent nu- mérotés dans l’ordre méme où ils seraient traversés par un point, qui se rendrait de A en B en parcourant la courbe. Il nous convient de représenter chacun de ces triangles par une cofe 7, qu'on trouve en posant un 0, suivi d’une virgule, devant les chiffres obtenus. La cote du triangle occupant la v°"* place dans la région T, sera donc égale au quotient de v—1 par 2"; et il est évident qu'elle conserve sa valeur pour le premier des deux triangles produits par la suppression de la partie centrale, tandis qu'elle s'accroît de 1/2" pour le second. Les deux RE de 2" triangles, au moyen de cotes égales aux quotients par 2'#' des excès de . leurs numéros d’ordre 2v—1,2y, sur l’unité. On s’explique ainsi la conserva- .; : sori i da ne | _ tion de la loi exprimée par l’égalité n=. De méme, pour représenter un point quelconque de £, j écris, après un 0 suivi d’une virgule, le chiffre 0 ou le chiffre 1 suivant que le point se trouve dans le premier (ACD) ou bien dans le second triangle (BCE). J'écris ensuite 0 ou 1, è la deuxième place après la | virgule, selon que, dans la division suivante, le point considéré reste dans le premier ou dans le second triangle, respectivement. En continuant de la sorte, indéfiniment, on parvient è représenter le point par un nombre de l’intervalle . (0,1). Réciproquement è tout nombre ? de cet intervalle, écrit dans le système binaire, correspond un point de £, qu’on peut construire en faisant successive- «ment les opérations indiquées par les chiffres après la virgule. Il suffit, en effet. . de prendre d’abord un seul chiffre, puis deux, puis trois, efe., pour obtenir une | succession de nombres 7,,7,,7,,..., Cotes de triangles de plus en plus petits, qui se resserrent indéfiniment autour du point défini par le nombre t=limr,. no Soit maintenant la cote de l’un des triangles qui constituent T,. On obtient la cote # de tout point situé dans ce triangle en écrivant, au hasard, une infi- ° nité de chiffres 0 et 1 après les chiffres de 7. Il en résulte que les cotes de tous les points du triangle sont comprises entre 7 et t + 2 , de sorte qu’elles tendent, avec t, vers une limite unique, lorsque » croît indéfiniment. On parvient au point t= en prenant constamment le premier triangle dans chaque division, ce qui conduit évidemment au premier sommet, c’est-à-dire au sommet par lequel on pé- — nètre dans le triangle en parcourant £ de A vers B. On a {=Tt+ > à l’autre extrémité de la base (premier sommet du triangle suwant), et t= È P gle suwant), et t=7t+ Gar au x troisibme sommet (opposé è la base), qui devient è son tour, lorsqu’on passe de T.à T,,,, le second sommet du premier triangle et le premier du second trian- gle. On voit par là que les sommets de toute ligne L, sont représentés par les nombres 0,1,2,3,..,2", divisés par 2”, et qu’ils se suivent dans l’ordre méme indiqué par ces nombres. Dans tout triangle, de cote 7, les cotes de deux points assoczés, c'est-à-dire symétriques par rapport è la médiatrice de la base, sont liées par une relation fort simple: leur moyenne arithmétique est égale è la cote du sommet opposé è la base. Parmi toutes ces couples de points il y a lieu de signaler celles qu'on obtient en prenant constamment les triangles è gauche, dans les divisions succes- | — sives, ou bien constamment les triangles è droite, et qu'on pourrait appeler les . . . , i RI 1 poles du triangle: leurs cotes divisent en trois parties égales l’intervalle (* srt ) entre les cotes extrèmes des points du triangle. Pour en connaître la position dans un triangle quelconque il suffit de savoir comment les poles de ABC(£='/,,t=/) sont situés dans ce triangle. D’après la construction indiquée il faut d’abord, pour atteindre le premier pole de ABC, élever par D la perpendiculaire à AB, jusqu’è la rencontre en P, avec AC. Il faut ensuite élever par P, la perpendicu- RT NES laire è AC, jusqu'à la rencontre avec CD, en P,. On peut ainsi construire, en continuant indéfiniment, une succession de points P,,P,,P,,..., tels que P,,, se trouve toujours aux °/, du segment P,_,P,_,, sur la perpendiculaire élevée par P, à P,_1P,_.- Ces points tendent évidemment vers le pole cherché P. Or il est clair que la ligne polygonale BACDP,P,..., ayant tous ses angles égaux è 30°, et ses còtés décroissants en progression géométrique (de raison 1/V3), est in- scrite dans une spirale logarithmique, dont le pole est P. On sait d’ailleurs que tout coté de la ligne est vu de P sous un angle supplémentaire de 30°. Il en résulte que le point P appartient è la circonférence, qui touche les còtés de ABC aux extrémités de la base, et qu'il se trouve aussi sur les circonfé- rences analogues, relatives aux trian- gles CAD, DCP,, ete. Nous avons là beaucoup plus qu’il ne faut pour la dé- termination de P cet de son associé Q, et pour trouver aussi d’autres propriétés de ces points, qu'on pourrait utiliser pour leur construction. Ainsi, par exemple, il est facile de voir que P et Q se trouvent sur les médianes issues de B et de A, et qu'ils les partagent dans le rapport de 1 è 6, è partir des còtés. Il est d’ailleurs aisé de trouver d’autres spirales logarithmiques, rencontrant £ en une infinité de points, et qui s’enroulent asymptotiquement autour de P. Il suffit de considérer P comme limite des points P, è indice impair ou pair, séparé- ment, pour obtenir deux autres lignes polygonales BCP,P,..., ADP.P,..., ayant ‘tous leurs angles égaux è 120°, et leurs còtés décroissants en progression géo- métrique, de raison ‘'/,. On peut également considérer P comme pile des spirales définies par les lignes polygonales rectangulaires BDP,P,..., AP,P.,P...., dont tous les còtés sont vus de P sous un angle droit , ce qui permet de retrouver que P est la projection orthogonale de D sur BP, (médiane de ABC, issue de B), ou bien de P, sur AP, (médiane de CAD, issue de A); eze. Enfin il est évident que, si l’on prend de six en six les sommets de la figure initiale BACDP,..., on obtient des droites. Ces sommets sont donc distribués sur six droites, qui se croi- sent au point P. Après avoir construit les pòles P et Q de ABC, on obtient ra- pidement ceux des triangles ADC et CEB en adjoignant è P et Q leurs associés dans ces triangles; puis, lorsqu’on passe de T, è T,, on trouve semblablement quatre autres pòles, associés aux précédents dans les quatre triangles dont se com- pose T,; et ainsi de suite, indéfiniment. De points tels que P on peut done en avoir tant qu'on en veut sur tout arc de £, si rapprochées que soient, dans le plan, les extrémités de cet arc; et il est sans dotte remarquable qu’ on puisse toujours diviser l’ espace angulaire, autour de chacun d eux, en douze régions égales, par des droites qui rencontrent la courbe en une infinité de points. Du reste ceux-ci ne sont pas seulement des som2ets; on verra sous peu qu’ il y a aussi, sur les six droites, une infinité d’ autres poles. D’après ce que nous avons vu plus haut, la correspondance univoque exi- stant entre les points M de la courbe de von Koch, et les points £ du segment rectiligne AB(01), est telle que deux points, infiniment voisins sur ce segment, È DI VI U a 7 Ka correspondent è deux points de £, infiniment voisins dens /e plan, quoique infi- niment éloignés sur la courbe. Celle-ci est donc une courbe continue, et il doit | étre possible d’exprimer les coordonnées 7,7 de tout point M en fonction conti- nue de %. Je me propose de determiner ces coordonnées en supposant connus les chiffres &,,%,,%,,-.. du nombre #, écrit dans le système binaire. Soient 4,2, &,2 les affixes des points C, M, et de leurs conjugués C, M. Soient, plus gé- néralement , 2, l’affixe du point M,, défini par la valeur 0,4, Cs3%,,3* de t, et 2, l’affixe de son conjugué. Je suppose d’abord «, = 0. Dans ce cas M appartient au triangle ACD, et les opérations è faire sur ce triangle, pour trouver M, ne | different pas de celles qu'on devrait faire sur ABC' pour trouver le conjugué de DM. Or oa transforme le triangle ABC' en ACD en multipliant par # les affixes de tous ses points. Il en résulte z=kz,. Si a, =1, il suffit de considérer le point défini par 1—-#, dont l’affixe est évidemment 1—". On a done l-2=%(1—-z,), _ d'oùoz=4+%47,. On peut réunir les deux résultats en une seule formule 2a=ka, 4-k,, en convenant de prendre 4, —=%, ou bien # _=?7/, suivant que n + @, est impair ou pair. Lorsqu'on passe de M à M, la relation précédente devient 2, =#2, +4, et l’on en déduit 2, ==%'x, + #,2,. Done z=ka, +-kka,+4kkx,. Cette relation est déjà suffisante pour le calcul des coordonnées d’une infinité de | points remarquables de £, tels que ceux qui correspondent aux valeurs 2 =0,010101010... , n = 0,001100110... , — =0,011001100... w|H | — de &. Ainsi, par exemple, si l'on veut les coordonnées du premier de ces points (premier pole de ABC), on doit prendre a =0,a,=1,%,=4,=4,2,=2, et l’on trouve k,k kl k V3+: Ike 1-# O 1+E o sy34+i Z eso Va i 370 Va il suffit de faire a, =a,=0,4,=4,4,=4',z,=1—% pour trouver :='/,(1—-z), Pour connaître la position du point défini par la cote ‘/, et, par suite, z ='/,(1— 2), d’où st; c’est-à-dire s=7,9=0. De méme, pour avoir les coordonnées du point défini par la valeur °/, de #, on doit prendre Mai=0,a,=1,%3,=4,=4,z,=1—z, ce qui donne => + 4°(1— 2), puis V3 P 5 +#"(1 CRE” 2), d’où = SRL | 34°), et enfin HA —l »Y 8 Pour un point quelconque on trouve z=ka, + ka, +kkyka, + kkkka,t.... RIS OS On voit donc que z dépend exclusivement des nombres qui marquent le rang des chiffres 1 dans la représentation binaire de #. Si l’on désigne par n, lorsque # est paîr, l’excès du nombre des chiffres 1 de rang pair, parmi les chiffres qui précèdent le n°”, sur le nombre des chiffres 1 de rang impair, ou bien, lorsque i È Ù i 1 È n est impair, le méme excès, augmenté de 5: on trouve facilement que le n°m° a i DE LS terme de la série précédente est égal, pour a, =1, è (44)}(4/2)}=e */(V3). Done Re la somme devant étre étendue è toutes les valeurs de , pour lesquelles on a a,=1. Si n,,%,,%,,... sont ces valeurs, fa valeur du nombre n; correspondant LI à n,, est n n, n 1-(— 1)” p=(- +++ ent I, . et l'on peut écrire, avec plus de précision, 2% COS Mi; r=z% sin ea) 3 £ XLE= a ’ de TRIO \n rr (3) (V3) La continuité de ces fonctions résulte du fait mème qu’elles sont représentées par des séries convergentes, dont le 7°”° terme ne dépend, comme on voit, que des # premiers nombres de la succession %,,%,,%,,...; car toute variation infiniment petite de ? ne peut altérer que les nombres infiniment éloignés dans cette succes- sion, et, partant, elle ne peut atteindre que les termes infiniment éloignés (infi- niment petits) dans les séries exprimant < et y. Il est vrai que, si la succession N, 3%, ,N,,...S' arréte è un certain nombre 2, ou bien, au contraire, si ses ter- mes finissent par étre consécutifs dans la série des nombres entiers, il n'est pas possible de diminuer ou bien d’augmenter, respectivement, le nombre correspon- dant 7, si peu que ce soit, sans que l’altération des chiffres remonte vers la vir- gule, jusqu’au chiffre de rang x. Mais le deux circonstances mentionnées ne se présentent que pour les valeurs de # (cotes de sommets) susceptibles de deux re- présentations différentes dans le système binaire. Elles se présentent alors simul- tanément, de sorte que, le point correspondant < étant unique, on reste libre d’é- crire chacune de ces valeurs d’une manière ou de l'autre, en remplacant # par n+1,n4+2,n+3,.... Cela revient è considérer le point comme sommet de l'un ou de l’autre des deux triangles qu'il réunit. La continuité de 2 est done une conséquence de son unicité. Celle-ci résulte d’ailleurs des considérations géo- métriques précédentes; mais on pourrait en trouver la preuve directe dans l’exa- men des deux séries ci-dessus, comme je le montrerai plus loin au moyen d’une série plus simple. Une seule application va me suffire pour montrer l’utilité des dernières for- i + PSI" _mules. Je me propose de chercher tous les points de £, situés sur AB. La question ne semble pas facile, au premier abord, puisqu’il s'agit de trouver tous les systèmes de rombres #,,,,%,,..., tels que y=0. Cependant, si l’on réfiéchit que dans les opérations è faire sur ABC pour atteindre un point de AB on n'est pas tou- | Jours libre de choisir indifféremment le premier ou le second triangle, on s'aper- goît que les conditions nécessaires et suffisantes pour que le point représenté par la valeur 0,,2,x,... de # tombe sur AB sont a, =a,,a,=2,,a,=a,.... Il faut done que #, soit impair, que n, soit égal è 2,41, que n, soit impair, que n,=,+ 1, ete., et, par suite, que la cote du point ait la forme TA — m,,@M,,m,,... étant des nombres entiers quelconques, positifs et croissants, en nombre limité ou illimité. or en faisant n,+1=n=2m,, n+l=n=2m,, etc., on trouve p,='/, pour ; impair, et f = — 1 pour r pair; puis Di si 1 Ga 1 1 ai die 4 4° % 7 E r=z0%0 ® s=(Vi.e "he 3)N a i pesi 3 — C'est-à-dire pi On pourrait construire une infinité de courbes, telles que £, en opérant sur d’autres figures comme on l’a fait sur le triangle ABC. Il faut cependant, è | chaque division, avoir soin d’enlever une partie de la figure, de manière que — l’aire de la partie restante tende vers zéro, sans quoi on trouverait une de ces | courbes continues, occupant une aire, dont on doit le premier exemple è M. Pea- no #). Il y a donc une liaison étroite entre les deux questions. On dirait que la courbe de von Koch, par le fait d’avoir une longueur infinie entre deux quel- «| conques de ses points, montre déjà sa tendance è occuper une aire. Il suffit d'ail- leurs de ne pas contrarier cette tendance par la réduction continuelle des aires | successives, pour voir paraître une courbe de Peano au lieu d'une courbe de von Koch. Prenons, par exemple, un triangle isoscèle ABC, rectangle en ©, et par- | tageons-le en deux triangles égaux, au moyen de la médiane CD. En opérant — de méme sur les triangles ACD, BCD, on trouve quatre triangles, puis huit, e/e. On partage ainsi ABC en 2° triangles égaux, semblables à ABC, # pouvant ètre «aussi grand qu'on le veut. Supposons qu'on numérote ces triangles comme on a fait précédemment pour les triangles constituant T,, et imaginons un point M, qui passe du premier au dernier triangle en traversant tous les triangles inter- 29 médiaires, dans l’ordre indiqué par leurs cotes. Si, lorsque n croît, le point M est obligé de refaire chaque fois son chemin de A vers B, sa route tendra, pour n . infini, vers la courbe cherchée, qui passera évidemment par tous les points de ABC. *) Mathematische Annalen, t. 36, p. 157 (Peano); t. 38, p. 459 (Hilbert). ATTI— Vol. XII—Serie 2°— N° 15. ZE ea On détermine cette courbe avec la plus grande facilité au moyen du système de coupures, représenté dans la figure ci-contre. Après avoir coupé le triangle ABC c suivant la médiane CD, è lexception du point C, on opère de méme sur les deux triangles obtenus, puis sur les quatre nouveaux triangles, et ainsi de suite. Ces VaLUASYA YA vu coupures peuvent étre considérées aussi comme autant DITO SUR de cloisons, dans une chambre triangulaire, qui em- Pra ASPASIA 128 péchent le point de passer d'un triangle è l’autre è travers le còoté commun. Il est clair que la détermi- nation géométrique de la ligne inconnue tend par ces opérations, répétées è l’in- fini, è devenir parfaite. On verra sous peu que la détermination analytique n'est pas moins simple et facile. Remarquons d’abord, pour nous rendre compte de la manière dont la courbe remplit l’aire ABC, que si l’on opère avec des ciseaux sur un triangle de c papier, et que l'on tire ensuite la figure par les deux bouts, A et B, on voit paraître une série de triangles isoscèles égaux, dont les bases peuvent étre alignées sur une droite. On peut développer autrement, dans le plan, la série des triangles, par exemple en n’ou- vrant que fort peu les fentes produites par les coupures; mais c'est pour une ouverture . de 30° que la figure obtenue rappelle le plus, dans certains détails, la courbe de von Koch. Un procédé analogue, qui ne diffère pas essentiellement du procédé employé par M. Hilbert dans sa note des Mathe- matische Annalen, permet de développer un carré en une file de carrés égaux, en rendant visible, autant qu'il se peut, une courbe qui tend è remplir tout le carré. L'opération fondamentale è faire se compose de trois coupures: la première allant du milieu A d’un còté au milieu B du còté opposé, ces deux points devant D D N étre exclus; la deuxième depuis le milieu D d'un autre coté jusqu’au centre C; la troisième depuis C, exclus, jusqu'au milieu E du qua- trième còté. Ces coupures doivent étre répétées sur les carrés de plus en plus petits qu'on obtient, en opérant de la manière indiquée dans la figure ci-dessus. Je reprends la courbe qui remplit le triangle ABC. Pour tout point ? du seg- ment rectiligne AB on a un point (2,y) de l’aire ABC, dont la position est fixée au moyen de deux séries, tout è fait semblables è celles qui ont été trouvées plus haut pour la courbe de von Koch. Il faut seulement tenir compte du change- dd Picteti Koby . Br Mat | n 6 | Eugyra interrupta From. + “Mate 7 » Cotteaui From. . +t | a “* | 8 » digitata Koby. | SESTO | t 5 9 » pusilla var. pauciseptata de Ang. | ice e cs 10 | Cryptocoenia Picteti Koby . . . . | a 8h | + + è 11 | Enallohelia Rathieri d' Orb. . . . . 0 + nafta | 12 | Pleurosmilia neocomiensis From. . . . + + . +? 2 1) 7 3 Specie caratteristiche per ciascun piano n 2 3 | 0 Numero complessivo dell’ Infracretacico LI Iii è — 7T- ‘rai generi vi ha il gen. Eugyra, il quale finora è ritenuto come caratteri- stico del Cretacico: altrettanto può affermarsi del gen. Heterocoenia preso in senso | ristretto. i Il gen. Hydnophora ripete le sue lontane origini in formazioni mai anteriori al Cretacico. Il gen. Acanthocoenia abbraccia una sola forma del Neocomiano francese. Ho però menzionato ì gen. Amphiastraea ed Aulastraea solo noti nel Giuras- | sico superiore: ma le forme e la varietà che io vi ascrivo sono diverse dalle cono- sciute. Del resto a questi rari generi appartengono pochissime forme, quindi non reca meraviglia rinvenire degli esemplari anche nel tipico Infracretacico. Dalla precedente tabella si ricava che delle 72 specie sicure, con valore cro- nologico determinato, ben 77 furono raccolte in sedimenti dell’ Infracretacico (Va- langiniano, Neocomiano, Urgoniano, Aptiano); mentre 7 sola è turoniana. La fauna corallina non couliene elementi sicuri di piani anteriori al Cretacico ; solo i generi Amphiastraea ed Aulastraea conferiscono all’assieme una fallace apparenza di ha- bitus titonico. La distribuzione delle specie caratteristiche nei piani dell’ Infracretacico è la seguente : Aptiano. a 5 2 NCS#O Urgoniano . : - » 8 Neocomiano . - > » 2 Valanginiano. z 2 > Li Le forme presenti in ciascun piano, sono: Aptiano. 3 È - N° 3+1(?) Urgoniano . - 2 >» Neocomiano . - 3 » 5 Valanginiano. 2 - pa Le specie del de Fromentel attribuite al Neocomiano debbonsi riferire al- l’Urgoniano, come pure osserva il Koby nella monografia sopra i coralli cretacici della Svizzera ; quindi i risultati cambiano e si ottengono i seguenti che si possono considerare come finali, cioè: Aptiano. = : : N° 3+1(2) Urgoniano . 5 - = SIA) Neocomiano . î n » 2 Valanginiano. - 3 » 2 Dunque il riferimento della fauna corallina caprense all Urgoniano rimane as- sicurato, anche per il fatto della pertinenza del nominato piano a parte dell’Aptiano. Così è dimostrato che il calcare di Venassino è sincrono alla formazione di Orgon ( Vaucluse). Alla facies speciale di Orgon fu assegnato dal d’Orbigny (1850) il nome di Urgoniano; piano a cui ora non si attribuisce un esclusivo e determinato valore cronologico ; ma solo di facies. Invero fu poi chiaramente dimostrato che il giaci- i mento corallino di Orgon aveva avuto principio nel Barremiano, e che il termine era da fissarsi nell’ Aptiano inferiore. In questo senso la fauna corallina caprense potrebbesi chiamare urgoniana; mai però urgo-aptiana, perchè questo piano (1869 Leymerie) indica un’ alternanza di faune aptiane ed urgoniane, come si verifica alle Corbiéères. Gargasiano (Kilian) Aptiano Bedouliano (Toucas) i» Urgoniano Barremiano Ora faccio profitto delle determinazioni dei fossili di Venassino eseguite dal Parona e dall’Airaghi, per meglio conoscere e precisare il valore cronologico dei calcari in istudio. I molluschi, i molluscoidi e gli echinodermi di Venassino così sono ripartiti dallo stesso Parona (/. c., pag. 66). . Phylloceras infundibulum (d’Orb.) . Matheronia Virginiae (A. Gras.) » transversa Paquier. 1 2 3. Toucasia carinata Math. = 5. Pachytraga paradora Pict. e Camp. sp. 6 (Barremiano) » erratica Pict. e Camp. sp. . Terebratula moutoniana d° Orb. 1 (ee) » faba Sow. (?) Urgoniano inferiore I We) . Salenia prestensis Desor. 10. Pseudocidaris cfr. clunifera (Agass.) 1. Haploceras Grasi (d’ Orb.) Neocomiano 2. Valletia Tombecki Munier-Chalmas. 3. Rhabdocidaris tuberosa (A. Gras.) { 1. Nerinea cfr. carpathica Zeuschn. Titonico o. » Scloenbachi Gemm. vo » quinqueplicata Gemm. (?) La pertinenza della nominata fauna all’ Infracretacico è ben chiara ed è pure indicato il piano Urgoniano, specialmente se lo si intende nel senso sopra esposto. Le tre Nerineae del Titonico non ostacolano il riferimento all’ Infracretacico, dacchè due di esse sono determinate dal Parona con dubbio, ed intorno alla terza così sì esprime (/. c., pag. 61): « Nerinea Schloenbachi Gemm. Un esemplare incompleto, un modello in gesso « e la fotografia di un altro esemplare ben conservato, sono somigliantissimi ad una « delle figure (16) colle quali Gemmellaro illustra questa nerinea del Titonico st ‘ La i 3 pa _« di Sicilia ». Laonde elementi faunistici ineccepibili del Giurassico non si trovano a | Venassino. | ; Si acquista la medesima convinzione se sì riuniscono tutte le specie conosciute nel calcare in esame (Numero 28) e se si distribuiscono nei rispettivi loro piani, — come nella tabella seguente : e ——________________———_—___- { Piani N.° delle specie | Rapporto percentuale 10 PELA IIRI AC ISPA | | Aptiano. . . .| 3 I 10,70 °/, | : I | Urgoniano . 18 | 64,28 » | | Neocomiano 5 | 17,80 » | Valanginiano . . | 2 | 01 » ; | IMitonico: 0... 1 I 3.50 » | 31 A A I | I rapporti divengono più chiari e convincenti se si rappresentano graficamente, come nella figura che segue: ] Aptiano pn 3 VEE ee ai] 393 Urgoniano Pr —__—_—________—____—_..+» Ì i ! N CTZE Neocomiano 77 pi 7 Valanginiano nia Titonico lai Con quanto ho esposto non intendo affatto negare la presenza di elementi fau- nistici del Titonico nel calcare caprense, ciò che affermano |’ Oppenheim, il di Stefano, il Parona, ecc.; ma solo cerco di dimostrare che la fauna di Venassino è schiettamente infracretacica. Ritengo che lo studio separato delle singole faune locali del calcare di Capri, frutterà finalmente il sicuro riferimento della roccia ad uno o più piani; ciò che non si otterrà facilmente se si esaminano i fossili nel loro complesso. A chiarire la stratigrafia e la tettonica del calcare caprense mi lusingo che serviranno alcune osservazioni intorno alle condizioni fisiche, topografiche e biono- miche che governarono la formazione del giacimento. I fossili a Venassino si trovano in uno stato identico ai residui organici che presentemente costituiscono i KoraZenriffe. Già si è osservato che il materiale ce- mentante è una vera sabbia corallina di natura zoogena. I coralli più abbondanti sono i massicci; ma non mancano i cespitosi. Sono però questi ultimi i costruttori dei banchi corallini. È l'urto frangente delle onde che rompe le braccia, che le erode e che le riduce in sabbia. Per la maggior re- sistenza i coralli massicci, che nel banco vivente sono scarsi, divengono frequentis- 9 ArTI— Vol. XII-— Serie 22- N° 16, < —*19. = simi nella scogliera morta o fossile. Nullameno pure i massicci (Tav. II, fig. 31) sono arrotondati e profondamente corrosi. Può nascere la supposizione di fossili traspor- tati; ma essa cade, perchè nello stesso giacimento i polipieriti od i polipai della stessa specie talora sono conservati, tal’altra ridotti a ciottoletti. Anche le vere co- rallofile, le camacee, non furono estranee alla formazione. Tutto adunque testifica l’ origine corallina del calcare di Venassino. 1 banchi corallini presentano una fisonomia loro propria, che deve essere ri- conosciuta nei banchi fossili per allontanare cause di erronei apprezzamenti crono- logici. Invero una scogliera in formazione deve ergersi isolata dal fondo marino sino quasi alla superficie. Allo stato fossile il banco rassomiglia ad una irregolarissima lente calcarea, con spalti spesso dirupati fra strati sedimentari clastici della più sva- riata natura litologica. La mancanza di stratificazione è un carattere dei banchi corallini. Invero i co- ralli cespitosi raccolgono con le braccia il materiale elaborato dall’ azione frangente delle acque, il quale così non può allontanarsi e deporsi in forma di strato. Solo per eccezione, in una zona non battuta, può aver luogo una regolare, ma ristretta, stra- tificazione. In genere sono i rami corallini che crescendo fra la sabbia, come le erbe nella formazione del /oess, impediscono la individualizzazione degli strati. Le tempeste però strappano il fango corallino e lo distribuiscono a distanza, specialmente verso il mare aperto. Le riferite osservazioni possono dileguare parecchi dubbi che legittimamente an- cora si nutrono intorno ai fossili, alla stratigrafia ed alla tettonica del calcare ca- prense. DESCRIZIONE DEI CORALLI FOSSILI Menziono le forme seguendo l’ordine adottato dall’ Ogilvie e specialmente dal Felix nella revisione del materiale di Gosau. Nelle disquisizioni riguardanti ì ge- neri e le specie, — per amore alla chiarezza ed alla brevità — cercherò tenere sem- pre la stessa successione. Passo senz’altro alla descrizione della fauna corallina di Venassino. TABULATA Fam. Chaetetidae Subfam. Chaetetinae Gen. CHAETETES Fischer von Waldheim 1837=PSEUDOCHAETETES Haug. 1883 Già lo Steinmann nel 1889 aveva riconosciuto, nel calcare di Capri, fossili simili a Chaetetes, ciò che poi confermò l'Oppenheim. Nella Collezione in istudio trovo parecchi polipai che, per le caratteristiche che presentano, appartengono sicu- ramente a questo genere. Il comportamento generale dei polipai, le sezioni longi- tudinali e trasversali rassomigliano anche nei più delicati particolari al Chaetetes ra- dians, forma del Carbonifero di Miagkovo, lungo la Moscova, sopra la quale fu fon- SE e dato il genere. I confronti li ho istituiti con abbondante materiale raccolto da me stesso nella nominata località. Lo studio di tali importanti avanzi mi ha condolto a considerare il gen. Psew- dochaetetes di Haug (Ueber sogenannie Chaetetes aus mesozoischen Ablagerungen. Neues Jahrb. f. Min. ete., 1883, 1) stabilito specialmente sul Chaetetes polyporus Quenstedt (1843, 58, 67, 77-78, 80) del Malm superiore di Schwaben e della Champagne. Dalla squisita gentilezza dell'amico prof. A. Fucini ho avuto esemplari calabresi riferiti a questo genere, ritenuto come buono. Alcune sezioni sottili del materiale ca- prenuse corrispondono a meraviglia, nella costituzione anatomica, agli esemplari ca- labresi ed alle figure dell’Haug. Ma quale fu la mia sorpresa quando in una se- zione dello stesso polipaio trovai riuniti individui dei generi Chaetetes e Pseudochace- tetes? Intrapresi uno studio minuzioso e sistematico di ricerca da cui ne ricavai la convinzione della inesistenza del gen. Pseudochaetetes e della spettanza degli esem- plari di quest’ultimo genere al gen. Chaetetes. Le appareuti diversità si debbono at- tribuire allo speciale modo di fossilizzazione, come è dimostrato dall’esemplare che porta individui riferibili ai due generi. Tale persuasione nacque altresi dal modo di presentarsi dei polipai che subirono una delicata erosione, la quale aveva messo in evidenza interessanti particolarità. Artificialmente sono riuscito ad ottenere simili ri- sultati lasciando soggiornare a lungo i polipai in una soluzione acida diluitissima. Secondo la mia ipotesi la fig. 6 della tavola X di Haug riproduce le traverse con errore, dacchè queste dovrebbero pure attraversare lo strato chiaro che secondo il citato’ autore rappresenterebbe la teca, mentre per me deve considerarsi come primo materiale secondario depostosi nell’ interno dei polipieriti. Similmente dicasi dei cerchietti chiari della figura 5 della stessa tavola X. Invero ecco quanto si osserva in una sezione longitudinale attraverso la parte del polipaio appartenente al Pseudochaetetes. Fig. 1.:— 1. Teca comune, vera, di color grigio. — 2. Materiale chiaro, se- condario, di primo riempimento. — 3. Materiale che ha poi ostruito com- pletamente il tubo interno; di colore oscuro. Non oso affermare l’ inesistenza del gen. Pseudochaetetes, non avendo studiato gli esemplari originali; tuttavia, tenendo conto di tutto quanto rilevasi dal lavoro dell’Haug e dai materiali calabresi, ecc. ritengo che il genere dell’Haug non ab- bia ragione di esistere e per questo lo metto in sinonimia nel gen. Chaetetes. Le ME ge forme del gen. Pseudochaetetes, con tutta probabilità, entrano a far parte del genere Chaetetes. Per lo stesso motivo perdono qualunque valore tutte le osservazioni in- torno alla sistematica, cui diede luogo il gen. proposto dall’Haug. Non meraviglia trovare il gen. Chaetetes in un calcare dell’ Infracretacico ; dac- chè lo stesso Haug (2. c., pag, 178), dopo aver menzionate le tre forme di Chae- tetes del Michelin, cioè il flabellum (Michelin, Jcon. zooph., pag. 306, tav. 72, lig. 9 e non fig. 2) del Cretacico delle Corbières e di Mazaugues, l’arregularis (Id., ibid., pag. 306, tav. 73, fig. 2) del Cretacico di Martigues, Carante e Mazaugues ed il Coquandi (Id., ibid., pag. 306, tav. 73, fig. 3) del Cretacico di Mazaugues; s0g- giunge: « Die drei letztgenannten Arten sind vielleicht wirkliche Chaetetes ». E per mo- strare che non vi ha interruzione ricorderò il liasico Ch. Beneckei Haug ed il tria- sico Ch. Semseyî Vin., ecc. Nel calcare di Venassino sono stati trovati sicuri resti del gen. Chaetetes; essi appartengono certamente a due specie. Non avendo esemplari delle specie del Mi- chelin e questi avendole troppo sommariamente descritte e figurate poco chiara- ramente, non potrò mai riconoscere se le forme di Capri siano nuove o già cono- sciute. In questa condizione di cose non mi rimane che descrivere dettagliatamente le due forme, figurarle il meglio possibile e confrontarle con le specie cretaciche del Michelin; lasciando a chi potrà studiare il materiale della Collezione del Miche- lin la soluzione della questione. Non do nuovi nomi; ma le chiamerò, seguendo in parte un nuovo metodo di origine inglese, col nome dell’isola, nella quale furono raccolti gli esemplari. Chaetetes Capri 1. Tav. I fig. 1-4. Polipaio massiccio, molto convesso; i polipieriti irradiano allontanandosi e cre- scendo in numero come nel Ch. radians. Polipieriti relativamente lunghi, basaltiformi. La teca, ben sviluppata in relazione alle dimensioni, non perforata, semplice. Calici subpoligonali; diversi nelle dimensioni, svariati nella forma. I setti non sono assolutamente rappresentati. Traverse abbondanti, sottili; non corrispondono quelle di un polipierite con quelle dei vicini individui. Dimensioni. Diametri del polipaio . - 5 = mm. I9D Se RINRIZ0 Diametro dei calici : i o seIT A 0,2 — 0,6 Numero delle traverse in 2 . £ è » NI Rapporti e Differenze. Per quanto può indursi, più che constatare, la presente specie corrisponde in parte alla Coquandi Mich.; però le dimensioni non corri- spondono. Gli esemplari non si possono mai riportare nè alla @rregularis Mich. nè al flabellum Mich., perchè la prima delle nominate ha i calici irregolari, distanziati ece.; e la seconda li presenta subrotondi e con teca relativamente spessa, ecc. La diversità della forma e della dimensione dei calici deriva dal modo di mol- CR | \iplicazione degli individui, come spiegano chiaramente le seguenti figure più che , un lungo discorso (fig. 2°). A B Cc Località. Venassino. Collezione. Musei geologici R. Università di Roma e di Napoli. Collezione privata dott. Cerio (Capri). Chaetetes Capri 2. Too L'"iigsa<05 647, 7a: Polipaio massiccio, molto convesso. I polipieriti irradiano come nella forma pre- cedente, ma più sensibilmente, forse a causa delle maggiori dimensioni loro. Polipieriti lunghi, basaltiformi. Teca semplice, non perforata, non molto sottile rispetto alle dimensioni dei polipieriti. Calici poligonali, irregolari, di diversa grandezza. Gli angoli non sono distin- tissimi. I setti mancano del tullo. Le traverse sono sottili, non molto abbondanti, non si corrispondono negli individui vicini; diversamente distanti nello stesso polipierite. Dimensioni. Diametri del polipaio . > 2 . mm. 30 X 40 X 19 Diametro dei calici 3 3 : sy» 0,6 — 1,2 Numero delle traverse in 2 . È a 3 Rapporti e Differenze. Specialmente per le dimensioni si differenzia dalla prece- dente forma. Per le stesse ragioni innanzi addotte la Capri 2 si avvicina più alla Co- quandi, fatta astrazione dalle dimensioni, che non alle specie: è@rregularis e flabellum. Località. Venassino. Collezione. Museo geologico R. Università Roma. Coll. priv. Cerio (Capri). BABA HEXACORALLA Haeckel PERFORATA E. H. Fam. F'unsgsidae Dana |) Subfam. Thamnastraeinae Frech. Tribus REGULARES Pratz. Gen THAMNASTRAEA Lesauvage emend. Pratz. Sinonimia — Ogilvie M. M., Die Korallen der Stramberger Schichten, pag. 219. Thamnastraea cfr. Favrei Koby 1897. Koby, Polyp. crét. Suisse, pag. 81, tav. XVII, fig. 5, ba; tav. XIX, fig. 3, 3a. Alcuni esemplari, non bene conservati, li riferisco, con qualche esitazione, a questa forma, anche perchè il Koby ha descrilto troppo sommariamente la specie che non ha neppure molto chiaramente figurata. Però |’ aspetto generale corrisponde, come convengono con le figure le irregolarità dei calici, quasi tutti poligonali. La fossula è profonda; il numero dei setti però» sembra alquanto maggiore di quello che fissa il Koby. Mancano i raggi setto-costali e la columella. Le dimensioni cor- rispondono. Ma chi osa affermare la sicura specificazione in questo genere ricchis- simo di forme polimorfe, quando non si hanno buoni esemplari? Il Koby non parla della struttura anatomica dei setti; nè della presenza delle traverse che negli esemplari caprensi sono numerosissime. Corologia, Cronologia. Morteau in Svizzera, nel piano Urgoniano. Località. Venassino. Collezione. Museo Geologico R. Università Roma. Collezione Cerio. Gen. DIMORPHASTRAEA d’Orb. 1850 Dimorphastraea Lorioli K 0 by Tav. I, fig &: 1897. Koby, Polyp. crét. Suisse, pag. 72; tav. XVII, fig. 1, la, 4. Polipaio di forma non conosciuta; ma quanto si vede permette congetturare una forma allargata, con superficie superiore pianeggiante, in cui però non mancano irregolarità, i) Gli scarsi. materiali appartenenti alle Fungidae mi dispensano dal tenere presente il recen- tissimo tentativo di' classificazione proposto dal Vaughan T. W., A critical review of the literature on the simple Genera of the Madreporaria Fungida, with a tentative classification. Proceed. Unit. Sta- tes Natural Museum., vol. XXVIII, pag. 371-424. Washington, 1905 (Smithsonian Institution). £ — 5 — I calici non sono chiaramente distinti, donde il valore relativo delle dimensioni che loro si attribuiscono; sono di forma circolare, spesso allungati, con una fossula che par distinta, ristretta, profonda ed alquanto allungata nel senso della direzione delle serie dei calici, le quali fanno corona all’ individuo mediano, che è il mag- giore. Non mancano irregolarità. I setti non sono molto numerosi, per dimensioni poco diversi; tuttavia ve ne sono intercalati di quelli più sottili. In una sezione longitudinale si dimostrano non completamente interi. I raggi setto-costali sono il prolungamento dei setti; essi quasi costantemente confluiscono. La teca manca. Le traverse sono sottili, abbondanti, tanto fra i setti che fra i raggi selto-co- stali. Non si osservano: columella, epitecio comune. Una parvenza di columella ri- sulta dall’incontro dei setti principali nell’ asse centrale dei polipieriti. Dimensioni. Distanza dei calici secondari dai centri calicinali è . mm, 8-11 Distanza delle serie dai centri calicinali . 5 3 . » 9-18 Numero dei raggi all’ esterno per 5 . - 7 7 RARI, Tod $ Non si possono dare le altre dimensioni, le quali del resto, come ho detto, go- dono di un valore molto relativo, quando non si abbiano esemplari eccezionalmente conservati. Tultavia si può ritenere che le dimensioni proporzionalmente corri- spondano. Rapporti e Differenze. Qualche piccolo dubbio sulla determinazione potrebbe na- scere dalla incompletezza degli esemplari; ma l'esame attento finisce per dirimere le difficoltà. ] Sono molte le forme cretaciche e giurassiche che presentano analogie con la D. Lorioli; ma pur se ne distinguono. Gli esemplari caprensi non si potevano riportare alle due forme vicine, cioè: D. crassisepta d'Orb. (Fromentel e Ferry, Paléont. frane. Crét., pag. 556, tav. 144, fig. 1. Dimorphocoenia. — Koby, L c., pag. 69, tav. XVI, fig. 1, 2, 3). D. Waehneri Felix (Die Anthozoèn der Gosauschichten in den Ostalpen, pag. 214, tav. XXIII, fig. 14), per le maggiori dimensioni di queste, per il più vistoso nu- mero di setti, per la disposizione e per il maggiore spessore delle lamelle, ecc. La D. Haueri Reuss ( Beitroge und Charakteristik der Kreideschichten in den Ostalpen, besonders im Gosauthale und am Wolfgangsee, pag. 116, tav. XIX, fig. 11) ha un minore numero di setti, i quali sono più flessuosi e genicolati. Le coste, per la stessa lunghezza, sono in numero maggiore. ‘La D. sulcosa Reuss (4. c., pag. 117, tav. XVII, fig. 2) e la sua var, minor Felix (4. c., pag. 212, tav. XIX, fig. 10) ha la fossula calicinale maggiore, minore la distanza dei calici della stessa serie, ecc. Non è poi difficile tenere separato la D. Lorioli dalle specie congeneri descritte dal de Fromentel e Ferry, sempre però ricordando che molti caratteri specifici si possono solo riconoscere negli esemplari ottimamente conservati. = ig Corologia e Cronologia. Villers, Travers, probabilmente Valanginiano. Località. Venassino. Collezione. Museo Geol. R. Univ. Roma. Collez. Cerio. Un frammento di corallo impigliato nella roccia non fa riconoscere altro che una superficie pianeggiante con coste raggiate, costituite da granulazioni, ed una por- zione con strultura trabicolare caratteristica delle Fungidae, tanto ben conosciute per il lavoro del Pratz (Ueber die verwandtschaftlichen Beziehungen einiger Korallengat- tungen, 1881). APOROSA Fam. Amphiastraeidae Ogilvie 1897 Questa famiglia racchiude parecchi generi che descrisse il Koby sopra esem- plari del Giurassico della Svizzera e l'Ogilvie con i materiali di Stramberg. Mentre il Koby (/. c., pag. 419 e seg.) riferisce tali generi alle Madreporaria rugosa, alia famiglia delle Cyathophyllidae ed alle tribù: Cystiphylliae (gen. Cheilo- smilia Koby), Axrophylliae (gen. Lingulosmilia K., Sclerosmilia K., Pseudothecosmi- lia K., Thecidiosmilia K., Amphiastraea Etallon, Schizosmilia K.), la Ogilvie in- vece li riunisce nelle Amphiastraeidae, unendovi i suoi generi: Au/astraea 0., Opi- sthophylIum O. Secondo la stessa autrice la famiglia (vedasi pure il Felix /. c., pag. 173) Amphiastraeidae è la prima fra le Hexacoralla aporosa. Ciò è dimostrato spe- cialmente con lo studio dell’ordinamento dei setti; quantunque le apparenze giu- stifichino abbastanza l'opinione del Koby. La differenza principale si ricava dalle seguenti diagnosi che riporto dall’Ogilvie (2. c., p. 160) « Zaphrentiden. Septa sich paarmeise einschiebend, bilateral und fiederstelling. » « Amphiastraciden. Septa sich paariveise einschiebend, bilateral, aber nicht fiederstelling. » Da quanto osserverò si comprenderà facilmente che lo studio dei nominati ge- neri interessantissimi sotto il punto di vista filogenetico, è lontano dall’essere ulti- mato. Ciò del resto potevasi prevedere dacchè alcuni generi sono fondati sopra un esemplare o sola specie non sempre in buono stato di conservazione. I generi ora ricordati sono specialmente del Giurassico, ma non mancano al- tri della stessa famiglia che passano nel Cretacico e nelle altre formazioni più re- centi. Laonde non recherà meraviglia, anche per lo scarso materiale corallino co- nosciuto nel Cretacico, se troviamo delle specie più recenti del Titonico. Gen. AMPHIASTRAEA Etallon 1858 Dopo quanto è stato scritto dall’Ogilvie (Stramb. Korallen), sia intorno alla famiglia che al genere nominato, è molto difficile potere dire qualche cosa di nuovo specialmente quando non si possiede un abbondante e ben conservato materiale, come è il mio presente caso. Ricordo però che la sistemazione del genere è ben diversa da quella che gli avevano attribuito: Etallon, de Fromentel, Zittel, Duncan e Koby. Similmente è da considerarsi il significato da dare alle parole del Koby (Po- lip. Jurass., pag. 432), quando parla di ben due muraglie: « Calices possédant deux : i i 9 Sorta murailles, une externe polygonale, une interne elliplique ou circulaire », giacchè ciò sarebbe di un grande interesse per lo studio dell'anatomia comparata dei coralli ri- spetto al loro sviluppo. L’Ogilvie però ritiene in base allo studio delle due dette muraglie che l'esterna realmente sia tale; mentre all’altra interna assegna una diversa origine; Ella scrive: « Ich konnte indess aussen am Kelch eine-ihrer Straktur nach- c ichte Maner beobachten, wàhrend die sogenannte innere Wand Koby”s eine Er- « scheinung ist, hervorgerufen zum Theil durch die nahezu senkrechte Stellung der « Traversen in der Randzone, hauptsàchlich aber durch rasche Randknospung, ver- «bunden mit nachtràglicher Contraction und Abtrennung des Mutterkelches ». La fi- gura del Koby dell’ Amphiastraea basaltiformis Étallon (tav. CXV, fig. 1, 1a) e la descrizione della specie non concordano colle osservazioni dell’Ogilvie; io, dal canto mio, per quanto ho potuto osservare trovo che i miei esemplari corrispondono ai falli esposti dall’Ogilvie. Riguardo poi alla spiegazione proposta faccio una di- chiarazione, dacchè non convengo pienamente alle idee della illustre scrittrice, quando soggiunge: «Ich halte Taschenknospung ‘') fur eine friihere und alterthiimlichere « Vermehrungsart als Selbsttheilung; von dieser letzteren unterscheidet sich die phy- «logenetisch friihere Methode hauptsàchlich durch den langsameren Verlauf der En- « twicklungsstadien in dem knospenden Theile des Mutterkelches ». Invero general- mente si ritiene come primitiva la riproduzione per scissione rispetto a quella per gemmazione, per quanto al caso presente, essa sia intracalicinale e marginale. Accetto pienamente la distinzione fra il gen. Amphiastraea e Phymastraea, col- limando a cio le osservazioni che feci quando descrissi la Ph. Capellinii (Coral. terr. terz. Ital. sett., pag. 55); quantunque in quella circostanza trascrivessi i due generi come sinonimi seguendo nella classificazione il Duncan (Revision of the Families and Genera of Madreporaria, 1885). Il gen. Amphiastraea sinora è conosciuto, con pochissime forme, nel Giurasico superiore; ora però passa anche nel Cretacico. Ciò non stupirà dacchè la stessa Ogilvie fa sapere che l’apogeo, per generi e forme, della famiglia Amphiastraeidae fu raggiunto nel Giurasico superiore e nel Cretacico. Gli avanzi di Capri che appartengono a questo genere sono frequenti e rag- giungono notevoli dimensioni. Sopra questi forse il Pratz formulò il suo giudizio, quando dichiarò i coralli di Capri di aspetto giurasico. Passo a descrivere le forme dopo aver fatto osservare che le diagnosi dei ge- neri di questa famiglia sono soverchiamente particolareggiate ed incerte. Ciò devesi ripetere dal fatto che i generi sono fondati sopra una o poche specie : le difficoltà della specificazione per questo motivo ingigantiscono. Amphiastraea Waltheri n. sp. Tav. I, fig. 9-10. Riferisco a questa nuova forma parecchi frammenti di una grossa colonia, cui il Dott. Cerio attribuisce circa 80 centm. di altezza per centm. 60 di larghezza. Sgrazialamente lo stato di conservazione non è perfetto; tuttavia però si riconoscono 1) Intracalycinale marginale Knospung. ATTI — Vol. XII— Serie 22—N.° 16. eso 7° peo! tutte le particolarità anatomiche. Anzi a primo esame pensai al gen. Thecidiosmilia Koby (4 c., pag. 430); poi però riflettendo alla caratteristica, — che negli esemplari in istudio non si riscontra, — della muralle simple (ibid., pag. 572), o meglio del- l’ aderenza dei sette alla teca, mi decisi a riferirla a questo genere. Poichè nel gen. Amphiastraea non si può parlare di due teche, credo che |’ esistenza del gen. The- cidiosmiliv, che racchiude la sola forma Th. valvata Koby, sia molto compromessa. Non avendo esemplari della nominata specie non posso dire altro in proposito. Fig. 8 — A. Sagoma e rapporto dei polipieriti, in sezione trasversale, Grand. nat. — B. Sezione trasversale di un polipierite. Ingrandita */,. — C. Sezione longitudinale di un polipierite. Ingrandita °/,. Polipajo cespitoso, con individui generalmente a contatto, altra volta si allon- tanano, mentre che raramente si piggiano da assumere la sezione poligonale. I polipieriti sono di svarinte dimensioni, si prolungano direttamente, solo lo- calmente si riscontrano alquanto flessuosi. Il loro diametro cambia notevolmente a distanze irregolari. I calici generalmente subrotondi, alquanto ovali, eccezionalmente subpoligonali e poligonali. I setti non partono tutti dalla teca, ma dalla seconda falsa teca, la quale si unisce alla vera per mezzo di un tessuto lasso vescicoloso. Essi sono pochi in numero e relativamente spessi, subeguali, ve ne ha uno maggiore (setto principale) che ol- trepassa la metà; uno piccolo, opposto: gli altri sono disposti in numero vario, ma sempre limitato, lateralmente. Si ha quindi la fossula eccentrica. Le traverse grosse, equidistanti, estese, simulano a meraviglia i tavolati dei coralli rugosi. dor L’ epitecio, quando è visibile, è spesso, ricoperto di anelli e strie notevoli per grossezza e distinzione. Questo epitecio nasconde le strie sottilissime che incidono minutamente e longitudinalmente la teca. I rapporti che intercedono fra il perimetro da cui partono i setti e la vera teca rappresentano uno stadio che collega le disposizioni che si riscontrano nelle specie del gen. Amphiastraca e del gen. Opisthophyllum. Dimensioni. Diametro dei calici . 5 . L î .etom. i 13 Diametri del polipaio 3 a n A +. > 600x800 (Fide Cerio) Numero delle coste in 2 mm . c " . Circa 15 Numero delle traverse per 1 centimetro. - » 10 Numero dei setti . 5 5 . 3 act 16 Non posso, a causa della cattiva conservazione degli esemplari, assicurare i due ul- limi numeri. Rapporti e Differenze. Quando |’ interno dei calici è stato asportato dalla ero- sione, rimane spesso un setto, più forte degli altri ed in relazione colla teca vera. A questo spesso fanno compagnia anche altri pochi di non minori dimensioni. Nei calici non è difficile assistere alla gemmazione intracalicinale e marginale di nuovi individui. Le sezioni calicinali somigliano molto alla figura schematica dell’ Am. cylindrica Ogil. (2. c., pag. 106, tav. XII, fig. 8-10); ma la nuova forma facilmente se ne al- lontana per molti altri caratteri, come: le dimensioni, il numero dei setti, ecc. Per le slesse ragioni si differenzia dalla Am. gracilis Koby c., pag. 434). È vicina invece l’Am. basaltiformis Etallon (Koby, l. c., pag. 433, tav. CXV, fig. 1-2); ma pur ne differisce per molti caratteri, come: la costanza dei polipieriti a sezione poligonale, le relative minori dimensioni, la costanza dei setti non aderenti alla teca vera, ecc. Non meno intimi sono i rapporti con il gen. Thecidiosmilia e con la specie unica, Th. valvata (Koby, /. c., pag. 431, tav. CXV, fig. 4 a-c). Ricordo special- mente come distintivi: le forti traverse, |’ aderenza non costante dei setti alla teca, la mancanza dell’ epitecio comune con epiteca pieghettata, ecc. Località. Venassino. Collezione. Musei geologici delle R. Università di Roma e di Napoli. Collezione Cerio, Amphiastraea gracilis K 0 by 1889. Koby, Polyp. juras. Suisse, pag. 434, tav. CXV, fig. 3. 1897. Ogilvie, Xor. Stram., pag. 105, tav. XII, fig. 17, 18, 19. n. var. coespitosa Tav. I, fig. 11. Un esemplare deve essere riportato a questa specie, ma per i peculiari caratteri che presenta costituisce una ben distinta varietà, che denomino coll’ aggettivo di coespitosa, perchè si presenta soventi con un polipajo a foggia di cespuglio, senza però annettere importanza a questo modo di essere. In qualche punto però i polipieriti e sono molio vicini e persino compressi da assumere la forma poligonale, come è re- gola nella specie. L’ Ogilvie dubita che la gracilis possa essere solo una varietà della basaltiformis Étallon (Koby, 4 c., pag. 433, tav. CXV, fig. 1, 2); ciò dimostra la difficoltà della specificazione in generi con specie tanto polimorfe. Polipajo cespitoso, con polipieriti vicini e spesso a contatto: solo raramente compressi e poligonali. Il carattere adunque della lontananza, vicinanza e compres- sione degli individui non è importante, riscontrandosi le tre modalità ben distinte nello stesso polipajo. Fig. 4 — A. Sagoma e rapporto dei polipieriti, in sezione trasversale. Grand. nat. — B. Sezione trasversale di un polipierite. Ingrand. °%/,. —C. Sezione trasversale di un polipierite in gemmazione. Ingrand. °/,. I polipieriti sono di diversa grossezza , non procedono direttamente, essendo talvolta tortuosi: però non si allontanano mai molto fra di loro. I calici sono subrotondi, solo raramente subpoligonali e poligonali. Essi sono al- quanto maggiori di quelli della gracdlis tipica. Il centro calicinale, o fossula, è eccentrica. I setti sono disposti come li descrive minutamente 1° Ogilvie. Si distinguono bene il setto principale, l'opposto ed i laterali, tra i quali sono altri quattro quasi delle medesime dimensioni, rimanendo così costituito il primo ciclo con 8 setti. Tra i primi otto ve ne hanno altrettanti del 2° ciclo, solo raramente vi sono setti che appartengono al 3° ciclo. Queste diverse condizioni si osservano secondo |’ età degli individui. I setti però del 3° ciclo mancano costantemente dalla parte del setto op- posto. Solo incertamente ho riconosciuto le spine settali aderenti alla vera teca. L’epiteca ricopre gl’ individui, quando questi sono liberi allora quella forma anelli irregolari. Essa riveste la teca ornata di strie non ben distinte, sottili, da oc- cupare con 3 o 4 un millimetro. Tali strie sono le coste del Koby ed i Septaldornen dell’ Ogilvie. Dimensioni. Diametro dei calici . = i ; È . mm. 3 — 6 Diametri del polipaio. È 2 ; sa » 60x75 Rapporti e Differenze. Le particolarità del modo di riproduzione tanto ben figurate dall’Ogilvie si rispecchiano tutte nel nostro esemplare; similmente avviene per i rapporti dei nuovi individui con la vera teca. Ù * i — 21 — PA Per la forma che assumono i selli, per il numero , ecc. si distingue bene la presente specie dall’ A. cylndrica Ogilvie (2. c., pag. 106, lav. XII, fig. 8, 9, 10). Corologia e Cronologia della gracilis. Soyhières, Corallien blanc (Koby); Stram- È berg, Kotzobenz, Koniakau (Ogilvie). Località. Venassino. Collezione. Cerio. Gen. AULASTRAEA Ozilvie 1897. Ogilvie, Kor. Stramberg, pag. 107. Aulastraea Bassanii n. sp. Tav. I, fig. 12-14. Polipajo massiccio, costituito da individui compressi: rimane però sempre visi- bile, nelle sezioni trasverse, la separazione delle ieche; ma in grado diverso. Polipieriti con calici poligonali di svariata forma, con diametri che oscillano fra mm. 4-10 raramente sino a 12. Fig. 55— A. Sagoma e rapporto dei polipieriti, in sezione trasversale. Grand. nat. — B. Sezione trasversale di un polipierite. Ingrand. */,. — C. Sezione trasversale di un polipierite in gemmazione. Ingrand. °,. — D. Sezione longitudinale di un polipierite. Ingrand. ‘/,. I setti non arrivano alla teca che in piccola parte; mentre gli altri sono trat- tenuti da una falsa teca interna, la quale per mezzo di una formazione grossolana- ‘mente cellulosa si unisce alla vera teca. JI centro calicinale o fossula è molto allun- (09) ge. gato quasi costantemente, ed intorno ad esso sono disposti i setti con simetria bila- terale. Dalla parte del setto principale si riconoscono fra gli altri da 5 a 7 setti più spessi, quasi uguali e subparalleli; gli altri però, almeno alcuni, non sono di molto più sottili. Dalla parte opposta ve ne ha un numero maggiore; ma più corti. I soli setti principali verso il centro s’ ispessiscono alquanto. Le pareti laterali dei setti sono ornate di granulazioni. Non manca il tessuto endotecale fra i setti e nello spazio non occupato da questi; quivi è grossolano, celluloso, Jà costituito da sottili traverse. Spesso dentro i calici materni si osservano le nuove gemmazioni. La teca è in genere compalta; ma in un campione vi ho potuto distinguere la speciale struttura che l’ Ogilvie riconosce nell’Amph. gracilis (tav. XII, fig. 19, 19 a). I polipieriti quando sono separati mostrano, in conseguenza del carattere ora de- scritto, sottili strie, molto numerose. La teca è relativamente spessa. Dimensione. Diametro dei polipieriti. - - A . mm. 4T—10 Diametri del polipaio maggiore . : 3 » | 53 Xx 90 Rapporti e Differenze. Non v ha dubbio che la nuova forma abbia delle intime analogie con |’A. conferta Ogilvie (4. c., pag. 110, tav. XIII, fig. 1, 1a, 10); tut- tavia però rimane chiaramente distinta. Non sono riuscito invero a trovare neppure traccia di quell’ epitecio comune che racchiude il polipajo della conferta, da cui essa prese il nome. I calici della nuova specie sono più allungati, non possedendo diametri pressochè uguali come la conferta (mm. 8-10): la teca è più spessa, ecc. Molto più facilmente si allontana dalla Schaferi Ogilvie (2. c., pag. 107, tav. XII, fig. 1-7) specialmente per il comportamento generale, per le dimensioni, per il nu- mero dei selli ecc. i Non faccio osservazioni anatomiche e filogenetiche perchè |’ Ogilvie già le ha magistralmente sviluppate parlando e del genere e della specie Schdferi. Località. Venassino. Collezione. Museo Geologico della R. Università di Roma, Collezione Cerio. Gen. HETEROCOENIA E. H. A questo genere, — che ormai fa parte della famiglia Amphiastraeidae O gi |- vie, — riporto parecchi esemplari, i quali a primo esame, si riconoscono come appar- tenenti ad una specie del gruppo della He. dendroides e propriamente alla verrucosa. Il gen. Heterocoenia è ritenuto come esclusivamente cretacico e tale lo dichiara il Milne Edwards. Il de Fromentel però (Étud., pag. 182) descrisse la He. crassa del Coralliano (Chatel-Censoir). Questa stessa forma fu poi illustrata dal Koby (Cor. juras. Suisse, pag. 460, tav. CXXIHI, tig. 5) coll’ altra He. Rutimeyeri Koby (ibid., pag. 460, tav. CXXVI, fig. 6; tav. CXXVIII, fig. 2), tutte e due del Coralliano bianco svizzero. Però lo stesso autore (ibid., pag. 539) scrive: « Les deux espèces « de ce genre me paraissent différer considérablement des congénères des terrains « crétacés ». Enumera le molte differenze e finisce collo scrivere: « Chez les deux i ì È E « espéces jurassiques, les six cloisons primaires sont absolument semblables; il en « est de méme des six secondaires, de sorte qu'il n°y a aucune raison d’admettre « pour ces espèces un système cloisonnaire triméral ». Eppure è questa una carat- teristica che il Koby stesso riporta nella diagnosi del genere a pag. 460. Dunque possiamo ancora affermare che il gen. Heterocoenia, str. sensu, è del Cretacico. Heterocoenia verrucosa Reuss. Tav. I, fig. 15-16. 1554. Reuss, /. c., pag. 101, tav. X, fig. 7, 8. 1857. M. Edwards, Mist. nat. Cor., vol. II, pag. 285. 1858-61. De Fromentel, Etud. polyp. foss., pag. 182. 1903. Mel'incsbtt.e pap. 297. Nel comporlamento generale questa forma offre molte somiglianze con la He. den- droîdes; tanto che il Felix dichiara quasi impossibile la distinzione quando si ab- biano solo frammenti pigcoli. Tenendo però conto delle differenze che stabilisce il Felix stesso e specialmente delle dimensioni dei calici e del numero dei setti ecc.; sì può esser quasi sicuri della determinazione. Solo un dubbio rimane. Il d’ Orbigny (Prod. Il, pag. 207) parla della He. minima; descrivendola con le sole seguenti pa- role, dopo aver nominato la Ze. provincialis: « espèce dont les cellules sont la moitié «de celles de |’ espèce précédente ». Sgraziatamente, come pur lamenta il Felix, non abbiamo la figura di questa specie e quindi rimane qualche dubbio che non è dato poter dissipare. Del resto tutti gli altri caratteri corrispondono, per quanto lo stato di conservazione lo permette, alla He. verrucosa, cui attribuisco gli esemplari di Capri; quantunque presentino qualche differenza con gli esemplari del Turoniano di Marseille, cui è stato dato tale nome. Queste variazioni però le attribuisco allo stato diverso di fossilizzazione ed alle condizioni probabilmente diverse di vita. Dopo ciò passo a descrivere brevemente gli esemplari in istudio. Polipajo dendroide, a rami piuliosto sottili. Cenenchima finemente granulato; le sezioni microscopiche non mi hanno fatto riconoscere la sua costituzione anatomica. Calici rilevati sulla massa generale; spesso cercano allontanarsi dal cenenchima, con un angolo molto acuto. L’ orlo calicinale è ingrossato. I calici misurano dimen- sioni molto piccole; nel lume non raggiungono quasi mai un millimetro di diametro ; mentre che i più stretti non oltrepassano il ‘/, millimetro, Le dimensioni adunque corrispondono perfettamente alla verrucosa. Spesso |’ orifizio calicinale è regolare, ciò dovendosi attribuire specialmente alla persistenza di qualche setto; generalmente uno o tre sono meglio conservati; ciò che accenna al tipo trimerale. Talvolta i calici sono molto ravvicinati, altra volta lontani; mai però tanto quanto nella dendroides. Qual- che esemplare ha i calici disposti regolarmente; altri li portano disseminati confu- samente. I setti, quando permangono, sono sei (3 + 3); dei quali tre sembrano mag- giori e di questi uno più vistoso degli altri due. Nelle sezioni longitudinali ho trovato Reg pre qualche stria settale fra i primi 6 setti; ma non oso affermarlo positivamente, causa lo stalo di conservazione. Quest’ ullimo caratterè riunirebbe la verrucosa con la dendroides. Dimensioni. Ì î TERE F A H Fa Rat | | È | He. verrucosa He. dendroides CAPRI. | | Ù I i Reuss | Felix È Reuss | Felix | i | I Ì Diametro calicinale . .|mm. 0,8—1,5! mm. 1—1,3 | mm. 0,7—1,5 mm. 1,5—2 Ì mm. 1,5—8 | Numero dei setti. . . 6 e rud. (?) 6 6 12 Rapporti e Differenze. L'unica forma che somiglia alla verrucosa è la dendroides, da cui l’ ho separata nella descrizione della prima. Del resto la determinazione delle specie di questo genere, sin per la loro semplice struttura anatomica, sia a causa del loro polimorfismo, facilmente può essere erronca; specialmente quando non si sottopongono allo studio esemplari ben conservati. Corologia e Cronologia. Fu raccolto presso Gosau: St. Gilgen, St. Wolfang e Scharergraben; località appartenenti al Turoniano. Località. Venassino. Collezione. Musei geologici delle R. Università di Roma e di Napoli. Collezione Cerio. Fam. Astraeidae Subfam. Astraeinae Trib. MONTLIVAULTIACEAE Generi THECOSMILIA — RHABDOPHYLL!A ed affini Nel calcare caprense si raccolgono frequentemente avanzi, anche vistosi, di po- lipai cespitosi. Essi presentano, senza dubbio, molti caratteri ben chiaramente, mentre altri appena si riconoscono, pochi invece sono del tutto obliterati e sgraziataménte quasi sempre sono questi ultimi quelli chè servono alla distinzione generica. Mentre in un polipaio si riscontrano dei calici che non hanno la columella; in altri dello stesso polipaio pare di osservare quest’ organo talora rudiméntale, tal’ altra ben svi- luppato. In certi casi sembra riconoscere tutte le caratteristiche anatomiche nei setti come appartenessero a specie del genere Montlivauitia; cioè la dentatura del bordo superiore dei setti, l'integrità del bordo interno; l’ornamentazione speciale riguardo alle traverse ed alle granulazioni; mentre che mai si giunge ad acquistarne la per- suasione. Quando si è per dichiarare la spettanza del polipaio al gen. Thecosmilia, osserviamo che i setti non sono liberi nel centro e che si fondono per dar luogo ad una incerta columella. Molto più difficile è la constatazione dei caratteri esterni, & — 25 — sì la presenza 0 mancanza dell’epiteca, come pure la natura e |? ornamentazione della medesima. Non solo è ardua la distinzione generica; ma anche più incerta riesce la specificazione; dacchè, questi generi ricchissimi di forme hanno caratteri specifici quasi sempre relativi e quindi difficilmente constatabili. “i In ogni modo tutti i polipai pare che debbano essere riferiti, tenendo conto specialmente delle dimensioni, a quattro forme distinte; due appartenenti al gen. Thecosmili: e due al gen. Rhabdophyllia. In attesa di migliori esemplari non oso per ora più precise determinazioni. À (i î ( Trib. MAFANDRINACEAE Gen. HYDNOPHORA Fischer de Waldheim i Le forme che appartengono a questo genere sono molto polimorfe; come lo di- | mostra, fra le altre, la Z#y. Styriaca Mich. sp. di Gosau. Le caratteristiche specifiche | sono quasi tutte relative e specialmente riguardanti il comportamento generale e le «dimensioni e subordinatamente il numero dei setti. Solo alcune forme hanno caratteri | assoluti di un indiscutibile valore differenziale. Le ricerche anatomiche e specialmente le ultime istituite dal Felix (/. c., pag. 279, fig. 40) hanno dimostrato che le specie cretaciche, cioè le più antiche del ge- | nere, a ragione fanno parte del gen. Zydnophora. Vi Già il Reis (Kora/len der Reiter Schichten, Cassel 1889), parlando del suo nuovo — genere Zydnophyilia, fece conoscere i rapporti genetici e cronologici del genere —_ Hydnophora, rivelandone i caratteri di consanguineità ed il parallelismo nella siste- | matica con altri generi. Ebbi già occasione di rilevare quanto espongo serivendo intorno ai coralli terziari (Corallaréî terz. Ital. sett., pag. 62). Hydnophora crassa Fromentel Tav. II, fig. 30, A. 1862. Fromentel in Sc. Gras., Descript. géol. depart. Vaucluse, pag. 430. 1875. Id. e Ferry, Paléont. frane. Crét., pag. 401, tav. CXV, fig. 2. 1896: Koby, Poly. Crét. S., pag. 44, tav. II, fig. 12, 12 a; tav. VIII, fig. 2. Un frammento di polipajo, che si trova commisto a molti altri residui organici, lo riferisco a questa forma; quantunque non sarebbe stato difficile rilevare delle differenze quantitative, ciò che sappiamo occorrere non solo nei diversi polipai della | stessa forma, ma pure nello stesso polipajo. Sono visibili solo poche colline che © hanno un comportamento simile a quello della specie. @ Le colline sono mediocremente elevate, corte, di grandezza diversa ; sembrano | parallelamente disposte. 4 ] setti piuttosto spessi, di numero variabile; in una piccola collina se ne contano appena olto principali; invece nella collina più grande ve ne hanno di questi ben - dodici: fra i nominati setli spesso se ne scorgono degli altri più sottili. Con sicu- ; rezza non si può affermare nulla sulla ornamentazione della superficie dei setti. | Arti— Vol. XII— Serie 2°— N° 16. 4 ida Cc Le valli sono strette e relativamente profonde; la loro larghezza varia. | o, Abbondanti sono le traverse che riuniscono i setti della stessa collina e questi con quelli delle altre. sd Dimensioni. Secondo Koby Venassino Altezza delle colline. È . » 8—-5 » s—- 5 Larghezza >» : 3 2 Pe 3 » 3-4 Distanza delle creste. » 4—-5 » 3,0 — 5,5 frange. Crét., pag. 469, tav. 120, fig. 1); ma se ne distingue facilmente come già fe- cero notare gli autori (7. c., pag. 472). Vedremo come la presente forma si allontani dalla Picteti Koby. - Corologia e Cronologia. Sault nel Neocomiano; Morteau, Kasernalp nell’ Ur- goniano. Località. Venassino. Collezione. Collezione Cerio. Hydnophora Picteti Koby Tav IL: fig 132; 1896. Koby, /Polyp. crét. Suisse, pag. 45, tav. VIII fig. 1, 2. Riferisco a questa specie due campioni raccolti a Capri, intesa però con confini non troppo ristretti e determinati. Il polipajo è massiccio e convesso. Le colline, a causa della erosione, sono più o meno elevate sulla superficie ge- nerale, piuttosto corte in un punto, quasi coniche altrove e dove più lunghe: sono differenze che si riscontrano sopra lo stesso polipaio. Le colline all’ ingrosso affettano un andamento parallelo. I setti sono relativamente spessi, regolarmente posti specialmente nelle parti la- terali. Che siano i setti alternativamente ineguali si riscontra solo in qualche punto; tale circostanza devesi certo attribuire al modo di fossilizzazione. Il loro numero varia moltissimo in limiti più larghi di quelli stabiliti dall’ autore della specie; ciò deve di- — pendere dal fatto che negli esemplari in istudio vi sono anche le colline coniche. Le valli non sono molto profonde e mantengono, con relativa costanza, la loro larghezza. Le traverse si riconoscono bene nelle sezioni naturali; sono molte, alcune sottili, altre più spesse: non ho riconosciuto veri sinatticoli. Dimensioni. Secondo Koby Venassino Altezza delle colline. é . mm. 1T—-1,5 mm. l Lunghezza » : a o » 2-17 » 1—-4,T Larghezza » > : II, 2 » 1-2 Distanza delle creste 5 3 » 2-3 » 1,3 — 2,5 Numero delle traverse in 2 mm. A s = 5 i © — 27 — __—Rapportie Differenze. Gli esemplari di Capri evidentemente presentano dimensioni | più piccole; ma tali diversità si riscontrano pure nello stesso polipaio, per modo che non credo di essermi allontanato dal vero col presente riferimento. Non v'ha dubbio _ che la distinzione di questa specie fra le congeneri mesozoiche è specialmente riposta Ri: nelle minori dimensioni e quindi riesce inutile qualsiasi confronto. Non si può però nascondere l’analogia di questa forma con la Styriaca; però questa è di maggior mole, ecc. ‘). Corologia e Cronologia. Kàsernalp, Reignier; Urgoniano. Località. Venassino. Collezione. Museo geol. R. Univ. Roma. Collezione Cerio. Hydnophora Oppenheimi n. sp. Tav. II, fig. 3, 4. Con tutta sicurezza la presente nuova specie è la più piccola di tutte le altre mesozoiche dello stesso genere. Quantunque non sia conservata la superficie supe- riore del polipaio, pure merita di essere descritta per la sua eleganza veramente notevole. Polipaio massiccio, globoso. Colline coniche e pressochè equidistanti; piccolissime. Non posso dire di quanto esse fossero sporgenti. Setti molto sottili, alcuni però più spessi, frequentemente si suddividono allon- tanandosi dalla collina per attaccarsi a quelli delle colline vicine. Il numero è diverso e varia entro limiti abbastanza estesi, ciò però può dipendere anche dal modo di | fossilizzazione: in genere sono 12. : Le valli fra i conì sono strette e, sembra, poco profonde. Si scorgono le traverse sottilissime. Dimensioni. Altezza delle colline . 3 « enene €" 0;b:(2) Lunghezza >» . È : .- >» 04—- 0,6 Larghezza Dale i 2 +. >» 04—-0,6 Distanza delle creste . , : » 1-12 Maggior diametro del polipajo . >» 26 Minore » » - SA PE. 13 Rapporti e Differenze. Le dimensioni eccezionalmente piccole fanno subito ricono - scere questa specie dalle congeneri. Il comportamento generale si avvicina alla Hy . Styriaca, già menzionata; ma da questa se ne allontana per moltissimi caratteri , oltre alle differenti proporzioni, come per il numero dei setti e peri diversi rapporti fra i setti di una collina e la vicina, ecc. ecc. Località. Venassino. Collezione. Collezione Cerio. 1) Michelin, Icon. Zooph., pag. 295, tav. LXVIII, fig. 2 (Monticularia); Paléont. frang. Crét., pag. 468, tav. CXX, fig. 2; Felix, /. c., pag. 279, tav. XXIV, fig. 14, fig. testo, 41 a 42. LAVLE Subfam. Eusmilinae Trib. STYLINACEAE Gen. STYLINA Lamark (1816) Sinonimia in Ogilvie, Z. c., pag. 168. Il presente genere, — tanto ricco di forme giurasiche e cretaciche e differente- mente inteso dai diversi autori che se ne occuparono —, è pur rappreseniato nella fauna corallina di Capri. In esso rimane difficile specificare appunto a causa della moltitudine di forme; ma tenendo conto dello sviluppo maggiore di sei setti prin- cipali si assicura la pertinenza degli esemplari in istudio alle Zezastylinae. Per questo possibile riferimento l'impresa diventa molto più facile, specialmente a causa delle somiglianze alle forme del grappo delle Occostylinae. Si esclude la spettanza del materiale caprense al gen. Zolocoenia per le coste ben svilappate. HEXASTYLINAE Stylina Paronai n. sp. Tav. II, fig. 5-10. Polipaio massiccio, in lamine più o meno spesse, talvolta dendriforme, irrego- lare; di non vistose dimensioni: polimorfo. Calici di diversa grandezza, piuttosto piccoli, alquanto rilevati nel bordo; non “I ugualmente distanziati; quasi sempre circolari se adulti; poco schiacciati e quasi ellittici in altri casi. Le coste sono ben chiare e confluenti; in taluni punti sembrano raggi setto- costali; spesso però l’ erosione le canceila. I setti sono ben distinti è forti in numero di 6; questi arrivano e si fondono — con la columella; tra essi ve ne sono altri sei più piccoli, più o meno sviluppati a seconda dell’età dell'individuo; ma quasi sempre riconoscibili; nel massimo del loro sviluppo stanno per toccare la columella. La columella è stiliforme, pare superiormente arrotondata, relativamente grande; ma bisogna però considerare le deposizioni secondarie che soventi fanno ritenere la columella più grande di quello che sia realmente. Nelle sezioni longitudinali si riconosce il rapporto fra i setti e la columella. Il tessuto esotecale , visibile nelle insenature esterne che separano i calici, è diversamente abbondante. Dimensioni. Diametro dei calici. À : . mm. 0,8— 1,3 Distanza dei centri calcinali . x » 1,5 — 3 135] sil Rapporti e Differenze. Per molti caratteri si avvicina questa nuova specie alla S. micropora Koby (Polyp. crét. S., pag. 25, tav. V, fig. 3-4; tav. VI, fig. 1, 1a); tanto che a primo esame a questa riferi gli esemplari di Capri. Ma poi rilevai parecchie differenze: 1° la nuova forma porla calici di maggiori proporzioni, irregolarmente di- stribuiti e più distanziati; 2° le coste sono confluenti. La columella alquanto massiccia in alcuni esemplari mi ha fatto pensare alla S. pachystylina Koby (. c., pag. 26, tav. V, fig. 6, 6a); ma la nuova se ne allon- tana per minori dimensioni e del calice e della columella e sopratutto perchè essa è di tipo esamerale e non octomerale. Un’ altra forma che ha molte analogie con la nostra è la S. regularis From (Paléont. frang. Terr. crét., pag. 514, tav. 135, fig. 2), ma da questa si allontana per le diverse distanze che separano gl’individui, per il numero minore dei setti, ecc. Alla nostra non corrisponde nessun’altra forma nè cretacica, nè giurese; avendola confrontata con tutte le specie, a tipo esamerale, descritte dal d’Achiardi, dal Fromentel, dal Koby, dall’Ogilvie ecc. ecc. Località. Venassino. Collezione. Museo geologico R. Università di Roma e di Napoli. Collezione Cerio. Stylina Steinmanni n. sp. (?) Tav. II, fig. 11, 12. A Venassino fu pure raccolto un esemplarino, a forma di ramo schiacciato con divisione dicotomica, con calici estremamente piccoli; invero essi non raggiungono neppure mm. 0,8. I calici sono regolarmente distanziati un millimetro; portano setti sottili, il cui numero non può precisarsi a causa delle deposizioni calcaree secondarie. La colu- mella è chiaramente stiliforme e reiativamente robusta. Le caratteristiche riconosciute allontanano l’esemplare da tutte le numerose specie del gen. Stylina; ma nor oso affermare sicuramente che la forma sia nuova, per il cattivo stato di conservazione dell’unico rametto da cui è finora rappresentata. Località. Venassino. Collezione. Cerio. Stylina sp. Un frammento di poiipaio poco ben conservato, con tutta probabilità, deve essere riferito a questo genere; ma non posso specificarlo dacchè in questo numerosissimo genere è cosa facile |’ errare, come chiaramente lv dimostra la storia delle specie che vi appartengono. Non debbo però celare le analogie che offre questa specie mas- sime con le due congeneri giurasiche; cioè: S. tmax Ètallon, 1862. Lethea Bruntrutana, pag. 371, pag. LII, fig. 6.— Koby, 1881. Pol. Juras., pag. 78, tav. XVI, fig. 1, 2, 2a. S, Valfinensis Étallon, Z. c., pag. 64. — Koby, /. c., pag. 77, tav. XV, fig. 2, 2a. Le analogie però sono più intime colla prima delle nominate forme. me GI Polipaio massiccio, a superficie irregolare, con calici alquanto rilevati, disu- guali, circolari e talvolta ellittici. Fossetta calicinale profonda. Setti debordanti, 12 maggiori, molto spessi sull’orlo calicinale, vanno verso il centro assottigliandosi : fra questi altri 12 molto sottili e non sempre riconoscibili: 24 coste, corte, pare confluiscano. Columella rilevata, talvolta stiliforme, tal’ altra un poco compressa... Dimensioni. i Diametro dei calici molto variabile mm. 2,5-4 Distanza tra i centri calicinali . » 4-7 Rapporti e Differenze. Mentre dalla succinta descrizione si ricavano molti ca- ratteri comuni alle due specie ricordate; pure se ne rilevano alcuni differenziali. Dalla prima se ne allontana il nostro esemplare per avere i calici più ineguali, per un minore numero di setti e di coste e per portare in qualche calice la columella stili- forme, ecc.; dalla Va/finensis si separa per le più grandi dimensioni dei calici, per la columella talvolta appiattita, per il minor numero dei setti e delle coste, ecc. Non devesi neppure celare la somiglianza del nostro esemplare con |’ Zeliastraea stylinoides del Turoniano francese (Michelin, Stylina striata. Icon. zooph., pag. 25, 292, tav. 6, fig. 5a, b; de Fromentel e Ferry, Paléont. frange. Crét., pag. 566, tav. 160, fig. 2); ma ne differisce per i caratteri del genere, per la mancanza del modo speciale di sviluppo, per i calici irregolari, ecc. ‘). Località. Venassino. Collezione. Cerio. Gen. ACANTHOCOENIA d’Orb. (1850) Questo genere fondato dal d’Orbigny (Revue et Magaz. de z0olog., pag. 175) racchiude secondo |’ autore una sola forma descritta con tante poche parole da non potersi in nessun modo identiticare: A. Rathieri (I. c., pag. cit.) « Belle espèce @ calices saillants et è 8 cycles. — Chenay (Yonne) ». Neocomiano. ll genere può, come pur dice il de Fromentel (Paléont. frane., Crét., pag. 518), rientrare nel genere Stylina, perchè l’unico carattere distintivo risiede nella presenza di cinque setti principali solamente. Quantunque il D’ Orbigny (4. c.) ed il Milne Edwards ed Haime riferiscano tale fatto all’atrofia del sesto setto prin- cipale; pure pare che il genere sia da tutti ritenuto come buono. Ed invero | Ogil- vie, nella disquisizione che tesse intorno alla famiglia delle Stylnidae , sicuramente vi ascrive il gen. Acunthocoenia ed il gen. Pentacoenia. Quest ultimo, che pur ha cinque setti principali, si distingue facilmente per la mancanza della columella. Ap - che il gen. Pentacoenia fu creato dal d’Orbigny nella stessa occasione; riferen- dovi la Pent. elegantula (1857, de Fromentel, Pol. foss. Néoc., pag. 51, tav. 7, fig. 6e 7; Id. e Ferry, Paléont. frane. crét., pag. 557, tav. 158, fig. 1), la P. pul- chella e la P. microtrema. Queste due ultime forme sono solo conosciute per poche parole. Tutte e tre provengono da Fontenoy (Neocomiano). Il Fromentel poi vi i) Intorno alla nominata specie vi è molta confusione come si rileva confrontando quanto dice il Michelin (l.c., pag. 25) dell’Astrea striata Goldf. (Petref., P.I, pag. 111, tav. 88, fig. 1), con ciò che scrive il Felix (2. c., pag. 320) della Columnastraea striata E. H. (Goldf. sp.). bo & — 31 — s | ascrisse pure la P. Tombecki (Pol. foss. Néoc., pag. 51, non esiste figura) di Saint- Dizier; Neocomiano. Non è questo il caso di entrare in discussioni, ma non è certo cosa poco in- teressante trovare un fossile di questo genere fra i nostri materiali, il quale quasi solo rappresenta il genere o la sezione del gen. Stylina. Corrispondendo 1’ esemplare solo a parte della brevissima descrizione dell’ A. Rathieri, mi credo autorizzato a riferirio ad una nuova forma. Acanthocoenia Cerioi n. sp. Tav. II, fig. 13, 14. Polipajo composto, subgloboso, aderente per un tenue peduncolo, donde irrag- giano gl’ individui, che non si trovano quindi sempre alla medesima distanza. Di- mensioni piuttosto piccole. Calici subcircolari, quasi regolari, il maggior numero subeguali; ma non man- cano alcuni molto più piccoli. Poco rilevati sulla massa generale : al sommo del mar- gine convergono i selti e le coste. Fossula alquanto profonda ; nel cui centro tro- vasi la Columella stiliforme, cui evidentemente giungono i setti principali. I setti, cinque principali, arrivano alla columella; fra questi 5 altri che pur si avvicinano alla columella, ma senza raggiungerla; talvolta sembra che ne siano lontani: fra i primi ed i secondi altrettanti più piccoli che sono-poco prominenti. I setti spessi vicino al tubo calicinale subito poi si assottigliano : talvolta sono ap- pena flessuosi. Coste abbastanza visibili e distinte, talvolta uniscono direttamente i calici; spesso però tale riunione è fatta dalla esoteca cellulosa che non manca. Le traverse tanto endotecali che esotecali pur si riscontrano. Dimensioni. Altezza del polipajo . È : : . mm. l4 Lunghezza massima del medesimo . Lp a to Diametro calicinale . È tusrate : » 2— 3; eccezionalmente 1,2 Distanza media fra i centri calicinali . » B_-4 Rapporti e Differenze. Non si può paragonare ad alcuna specie, perchè è l’u- nica descritta e figurata del genere. Solo ricordo che la presenza di una sicura co- lumella toglie la possibilità di riferire la nuova specie al gen. Pentacoenia; come il maggior sviluppo di 5 soli setti; non permette di pensare alle Stylinae a tipo de- camerale cioè alle Decastylinae; alle quali però la nuova forma sicuramente fa pas- saggio graduale. Località. Venassino. Collezione. Cerio. rie Lea e da Pt teme + nt 32 -_ SRI i Trib. EUGYRACFAE Gen. DEDROGYRA Ehrenberg (1834) Dopo quanto dottamente hanno seritto intorno a questo genere molti scrittori, | e specialmente, in questi ultimi tempi, il Koby (Po/yp. Juras., pag. 56, 537, 566) — e la Ogilvie (Kor. Stramberger Sch., pag. 98, 120, 124, 128, 131), poco o punto si può aggiungere, massime quando è rappresantato da un solo esemplare, come nel caso — presente. I caratteri anatomici che si descrivono chiaramente dimostrano che questa è la sua vera posizione generica. Non nascondo però il dubbio che può nascere sulia | «si columella; dacchè mentre da alcuni è ritenuta distinta ed indispensabile, da altri è ammessa come rudimentale: altri la dicono lamellare e regolarmente interrotta. Fro-- i mentel e Ferry, (P. f., pag. 438) La columelle est lamellaire et interrompue assez | regulièrement; altri invece: Milne Edwards ed Haime, (H. Cor. II, pag. 201) La columelle est formée par une série de renflements compactes ou par de petites lames interrompues, mais quelquefois est rudimentaire). Ben diversamente parla il Koby (La columelle chez nos espèces jurassiques est distinctement styliforme et non lamellaire — comme on la cru jusg' ici. On a confondu avec la columelle certaines cloisons qui, dans les séries, vont d'un calice è l’autre en restant dans le plan des columelles , et que j appelle cloisons columellaires). Finalente ricorderò l'’Olgivie che scrive: (S@ulchen meist durch die verdickten und rechtwinklig umbiegendei Septalenden gebildet. E par- È lando delia D. sinuosa scrive. In Einzelkelchen ist das Hauptseptum stark verléngert —— und an seinem inneren Ende verdickt, wodurch eine Art von Séiulchen zu Stande kommt. In den Kelchreihen dagegen biegen im centralen Theil alle die lingeren Septen senkrecht [zu ihrer Hauptrichtung] um und legen sich an einander, modurch eine Art verlàngertes, lamelléres Saùlchen gebildet mird). È Dopo tanti pareri discordi non recherà meraviglia se alcuni autori hanno du- bitato della giusta collocazione sistematica del genere. Le modalità che presenta la columella in questo genere sono subordinate alla individualizzazione degli elementi coloniali del polipaio. Rimando a quanto serissi (Il concetto di individuo nei Zoantari fossili, Boil. Soc. geol. ital., vol. XXIV, fasc. I, pag. 147-157) intorno a questo argomento, chi avesse vaghezza di conoscere le sin- pi golari particolarità che intercedono fra lo scheletro dei polipai e l’individualizza- zione dei polipieriti che lo costituiscono. Dendrogyra Kobyi n. sp. Tav..II, fig. 15, 16. 1905. de Angelis d’Ossat, // concetto di individuo nei Zoantari fossili. Bol. Soc. geol. ital., vol. XXIV, fasc. I, pag. 151, 158, fig. VL Polipaio allargato, con superficie grossolanamente pianeggiante. Colline semplici, a creste poco elevate, hanno subito evidentemente erosione. — Comunemente dritte, ma ora un poco flessuose, altre volte contorte; si vedono noci calici isolati. Le sommità erose talvolta fanno vedere lo sdoppiamento delle teche. — SM +8 se sr Re. bio seg pit I setti, più o meno aubeguali, si protendono verso il centro, dove si fondono con la columella. I setti spesso, verso la teca, si assotligliano rapidamente. Le traverse endotecali sono molte e sottili. Le valli relativamente larghe, poco profonde. La columella in certe valli è continua, in altre è interrotta; ma sembra ciò di- pendere specialmente dall’ erosione. È importante osservare gl’ ingrossamenli che essa d offre a distanze diverse e con svariata quantità. In questi punti sembra che si elevi e diventi stiliforme od almeno crestiforme, come già osservò il Koby per le specie | giurasiche della Svizzera; l’esemplare ricorda altresì le altre specie dalla columella | interrotta con regolarità; senza trovarsi nè nell’una, nè nell’altra delle forme cono- sciute. Non aggiungo nulla riguardo alla formazione delia columella dopo quanto hanno osservato il Koby e specialmente .l’Ogilvie rispetto alle particolarità ana- tomiche dello scheletro. . î Il polipaio pare che crescesse per strati sovrapposti; non sono riuscito a ve- dere nella superficie inferiore delle lamine l’epiteca, la quale quindi rimane scono- sciuta. Dimensioni. Larghezza delle valli x = È > . mm. 2—2,5 Numero dei setti per 5 mm. . È î DER 10 Numero delle traverse endotecali in 2 mm. . > 809 i Rapporti e Differenze. Specialmente per le dimensioni e per il comportamento generale la nuova forma offre fortissime analogie, specialmente con le due seguenti dalle quali però facilmente si allontana: Dalla D. ungustata d'Orbigny sp. (Meandrina) (Thurm. e Étal., Lethea Brun- trutana, p.-362, tav. L, fig. 12; Koby, Polyp. Juras., pag. 58, tav. IX, fig. 2; tav. X, fig. 1) si distingue per la forma della columella e per il comportamento ge- | nerale. Maggiori differenze riscontriamo se assumiamo per confronto la descrizione che ne porge il de Fromentel (Étud. pol. foss., pag. 158, D. elegans). Dalla D. Dumortieri Fromentel e Ferry (Paléont. frane. Crét., pag. 439, tav. 99, fig. 2) per la columella, la quale in questa forma è bien développée, inter- rompue et saillante; e per portare i setti alternativamente grandi e piccoli. Anche per le dimensioni e per la columella che s’interrompe regolarmente, la D. radiata Mich. sp. (Meandrina. Icon. zooph., tav. LXVIII, fig.3; Fromentel e Ferry, Paléont. frang. Crét., pag. 438, tav. 101, fig. 1; tav. 108, fig. 4) si distingue bene dalla nuova forma. Località. Venassino. Collezione. Cerio. Gen. EUGYRA de From. (1857) Parlando dei coralli infracretacici della Catalogna, già riportai parecchie osser- vazioni intorno a questo genere, il quale, per quanto mi è noto, visse esclusivamente nel Cretacico. Ora invece di ripetere molte cose già scritte; reputo necessario, per tissare il valore cronologico del calcare «di Capri, assicurare la determinazione ge- nerica agli esemplari in istudio. Atti — Vol. XII — Serie 2 — N. 16. 5 = BS L’aspetto generale, la presenza di traverse ed i setti interi assicurano il rife- rimento alle Eugyrinae. La mancanza di columella, i centri calicinali indistinti e le serie calicinali unite e quasi saldate per la teca, confermano la collocazione nel gen. Eugyra. La semplicità del comportamento dello scheletro di tal sorta di animali non permette una distinzione specifica fondata sopra caratteri anatomici di assoluto va- lore e si fu costretti a valersi delle differenze quantitative di relatività. Forse in pochi casi, come nel presente, è perdonabile tale modo di procedere e quindi più che por- tare delle nuove distinzioni di solo maggiore o minore valore soggettivo e che non producono altro fruito che la maggior confusione, stimo meglio attenermi a quanto fu stabilito da chi mi ba preceduto in tal sorta di studi. Gli esemplari di Capri debbono essere riferiti alle quattro seguenti specie, che passo brevemente a descrivere secondo l'ordine decrescente delle dimensioni. Eugyra interrupta de From. in Gras. Tav. IIg fig. 17. 1862. Gras S., Descript. géologique du départ. de Vaucluse, pag. 429. 1868. de Fromentel e Ferry, Paléont. frane. Crét., pag. 444, tav. CXV, fig. 3. Riferisco a questa specie due esemplari che mostrano le serie calicinali in una superficie pianeggiante, la quale però localmente è anche convessa; quindi il poli- paio è massiccio, ma allargato. Le valli generalmente sono corte, sinuose ed interrotte; talvolta però sono al- lungate e si mantengono parallele per lunghi tratti. Le valli sono molto profonde. I setti sono subeguali, si protendono verso il centro: talvolta dopo essersi al- lontanati perpendicolarmente dalla teca s’inflettono nella direzione della lunghezza della valle per costituire delle false e raccorciate columelle. Questo carattere è ac- centuato anche dalle deposizioni di materiali secondari. Ciò è interessante perchè costituisce un carattere che abbiamo veduto specialmente sviluppato nel gen. Den- drogyra. Le teche si fondono; ma talvolta non tanto intimamente da non lasciare vedere lo sdoppiamento, ciò che avviene quando sopra di esse le coste sono state abrase. Le coste a zic-zac si ammirano sul dorso delle colline. Non mancano le traverse endotecali. Nulla si può dire dell’epiteca. Dimensioni. Venassino De Fromentele Ferry Larghezza delle valli . . mm. 2,5 —8 mm. 2,5 —3 Numero dei setti in 5 mm. . 9 10 Rapporti e Differenze. Le dimensioni, le valli sinuose, profonde, interrotte, i setti subeguali distinguono bene questa specie dalle altre congeneri. Lo scheletro permette osservazioni importanti sul concetto d’ individuo. Nelle specie delle Eu- ig — gyrae generalmente le distinzioni individuali dello scheletro sono cancellate; ma 1° e- semplare di Capri presenta qua e là qualche estremità di setto che decorre secondo la lunghezza della valle. Tale fatto anatomico può intervenire per accennare alla se- parazione individuale. Cronologia e Corologia. Neocomiano di Sault (Vaucluse). Località. Venassino. i Collezione. Museo Geol. R. Univ. di Roma. Collezione Cerio. Eugyra Cotteaui de Fromentel E. 1857. de Fromentel, Descript. pol. foss. étage Néocomien, pag. 31, tav. III, fig. 4, 5. 1859. Id. Etude pol. foss., pag. 154. 1868. Id. e Ferry, Paléont. frang. Crét., pag. 443, tav. CIII, fig. 2. 1894. Koby, Polyp crét., pag. 20, tav. V, fig. 2. 1905. de Angelis d’Ossat, Fauna coralina del piso Aptense de Cataluha, pag. 8. Mem. R. Accad. Sc. Barcelona, vol. V, n.° 5, Ep. Terc. Polipaio a superficie irregolarmente pianeggiante. Le valli talvolta sono parallele, tal’altra alquanto irregolari, quest’ultimo caso pare si verifichi all’esterno ; verso il centro del polipaio sembra regni minor rego- larità. Nou sempre le valli sono molto lunghe. La larghezza delle valli corrisponde abbastanza a quella riferita dagli autori alla specie; lo stesso dicasi del numero dei selti. Le valli non sono molto profonde. Le colline, dove migliore appare la conservazione, terminano aguzze e risul- iano costituite dal dorso dei setti disposti a zic-zac. I setti sono di due ordini, fra quelli più grossi, subeguali, ve ne hanno altri più piccoli e rudimentali. Si dirigono, partendo perpendicolarmente dalla teca, verso il centro ove talvolta pare si pieghino nel senso della lunghezza delle valli. Le tra- verse endotecali riuniscono i setti. Le teche sono non ugualmente saldate fra di loro. L’epiteca non si riscontra. Dimensioni. Venassino Spagna Larghezza delle valli . È . mm. 2—2,5 rr. 3 mm. 2-83 Numero dei setti in è mm. È 10 circa 10 circa Numero delle traverse in 2 mm. bT—- 6 Rapporti e Differenze. Si distingue questa forma dalle altre specialmente per le dimensioni: dalla interrupta a causa dei setti di due ordini, ecc.; dalla digitata per il comportamento e dalla neocomiensis per il numero relativo dei setti. Corologia e Cronologia. La specie è conosciuta nel Neocomiano di Gy-l’ Èvéque (Yonne), nell’Urgoniano di Marteau (Svizzera) e nell’Aptiano di Catalogna (de Ang.). Località. Venassino. Collezione. Museo Geol. R. Univ. di Roma. Collezione Cerio . +96: = Eugyra digitata Koby Tav. II, fig. 18, 19. 1895. Koby, Polyp. Crétac. S., pag. 21, tav. VIII, fig. 4-7. Un piccolo polipaio massiccio, irregolare, lo riferisco a questa forma. Le valli sono irregolari, tortuose e corte. Hanno una distanza diversa; ciò di- pendendo dalle diverse curvature delle serie. I setti subeguali, in genere perpendicolari alle teche, talvolta però s’inflettono per seguire grossolanamente la curva delle colline. Raramente fra i setti subeguali se ne scorge alcuno rudimentale. Le teche, anche in questa specie, non presentano il medesimo grado di ade- renza. | i In alcuni punti, dove le valli si circoscrivono, i setti si toccano o si fondono; ciò che spesso è facilitato dalle produzioni endotecali. Le traverse endotecali sono numerose, inclinate, sottili; ma poco ineguali. Non si osserva l’epiteca. Dimensioni. Venassino Koby Larghezza delle valli Dept È . mm. 1,8 —-2,7 mm. 2-83 Numero dei setti in 5 mm. . È 5 da 12 Numero dello traverse endotecali in 1 mm. 304 Td Rapporti e Differenze. La rarità dei setti secondari ; le valli circonvolute e corte ecc.; distinguono questa dalle altre specie congeneri. Coro e Cronologia. Regnier, Urgoniano. Località. Venassino. Collezione. Cerio. Eugyra pusilla Koby 1895. Koby, Polyp. crétac. Suisse, pag. 22, tav. VIII, fig. 8-9. var. pauciseptata de Ang. 1905. de Angelis d’Ossat, Fauna coralina del piso Aptense de Catalona, pag. 8. Riporto a questa varietà della specie del Koby dell’Urgoniano di Morteau pa- recchi esemplari per i seguenti caratteri: Polipaio irregolare, probabilmente in lamine spesse, con superficie superiore irregolare. Le valli sono molto stipate, dove regolarmente parallele, ove molto irregolari : esse non sono profonde. Le colline sono piuttosto aguzze. tostere. AL Le teche sono intimamente fuse per quanto si può osservare sulla superficie esterna: l'erosione però talvolta fa riconoscere una certa distanza fra di loro. I setti subeguali, piccoli, lunghi presso la teca, subito dopo si assolttigliano. Traverse endotecali soltili. Non si riconosce l’epiteca. Dimensioni. Venassino Spagna Larghezza delle valli mm. l1—1!/, mm. 3),—1 Numero dei setti in 2 mm. bo 6 6 Numero delle traverse endotecali in 1 mm. 4 Rapporti e Differenze. Per le ragioni esposte nel mio citato lavoro ho descritto la presente nuova varietà; i cui caratteri corrispondono perfettamente a quelli che ci presentano gli esemplari di Capri: quindi non esito a riunirli. Corologia e Cronologia. (Specie) Morteau (Svizzera), Urgoniano. (Varietà) nell’ A- pliano della Catalogna. Località. Venassino. Collezione. Musei Geol. R. Univ. di Roma e di Napoli. Collezione Cerio. Gen. CYATHOPHORA Michelin 1897. Ogilvie, K. Stramberg, pag. 175 (Sinonimia). Nel lavoro sopra i coralli infracretacici della Spagna, ho fissato i caratteri diffe- renziali del’ presente genere, scrivendo intorno ai generi: Convezastraea e Crypto- coenia. Con quelle caratteristiche si presenta appunto un polipaio, per quanto non ottimamente conservato, e quindi al genere Cyathophora sicuramente lo riferisco. Poichè niuna specie conosciuta può accogliere |’ esemplare caprense, quindi sono costretio a farne una nuova, per quanto non la posso con tutta precisione nè descri- vere nè figurare. Cyathophora Delorenzoi n. sp. Tav. II, fig. 20-22. Polipaio massiccio, elevato, mammellonare, irregolare, di piccole dimensioni. Calici molto piccoli, ineguali, circolari, inegualmente distanziati, poco rilevati. Le coste ricoprono gli spazi intercalicinali; sono lunghe, sottili, vicine, con- fluenti, separate da solchi sottili più stretti sicuramente delle coste, le quali sem- brano taglienti e qualche volta alquanto flessuose. Le coste pare non raggiungano la sommità del calice, segnata da un sottile cordoncino che pare intero. Un tessuto speciale costituito da coste e traverse riunisce i calici; esso però è molto cancellato dalla fossilizzazione. I setti ridoltissimi; semplici strie solcano i tubi, non si riesce ad enumerarli. “Solo raramente ho riscontrato le traverse endotecali. La columella manca sicuramente. Fra i calici più grandi si vedono i nuovi più piccoli, i quali stanno di frequente SL sopra mammelloni, quasi a dimostrare la loro maggiore attività formativa dello scheletro. In una sezione trasversa sì vedono i polipieriti partire dal centro, come tanti raggi. Dimensioni. Altezza del polipajo - î î - È . mm. 23 Maggior larghezza . . " - . 5 HH ed. iù Diametro dei calici. x 5 È - - . > 0,6—1 Distanza fra i centri calicinali A 7 5 . >» Lb—-3 Numero delle coste. 5 - x ° : . circa 18 Rapporti e differenze. Questa nuova forma si differenzia da tutte le altre molto facilmente a causa delle piccolissime dimensioni dei calici. Perchè ciò appaia più chiaro riporto il nome di parecchie forme congeneri colle dimensioni dei calici; co- minciando dalle guirasiche : è C. Claudensis Étallon. Ogilvie, Z. c., pag. 176, tav. XVI, fig. 11, 12. Diametro mm. 5—T » Bourgueti Defr. sp. Koby, Pol. jur., pag. 99, tav. XXVI, fig. 1-3. » » 4-6 » tithonica Ogilvie, Z. c., pag. 177, tav. XVI, fig. 13. » » 2,5—9 » globosa Ogilvie, 2. c., pag. 178, tav. XVI, fig. 14, 14a. » » 3,0—-4 » Gresslyi Koby, l. c., p. 98, tav. XXVI, fig. 8, 8a; tav. XXIX, fig. 6. » » 3—6 » faucolata Koby, l. c., pag. 100, tav. XXV, fig. 6-7. » » 15-22 » magmistellata Becker, Kor. Natlheim, pag. 150, tav. XXXVII, fig. 6. » » 4-5 » Pratti E. H., B. f., pag. 108, tav. XXI, fig. 3. » » 5 » insignis Duncan (calici piccoli, ma vicini assai). » Pironae d'Ach., C. G., pag. 66, tav. XX, fig. 5. : » è CI » atempa Felix, Mexicanisch Jura u. Kreide, pag. 155, tav. XXV, fig. 8. » » 2,5 » Icaunensis d' Orb. sp., Paléont. frang. Crét., pag. 539, tav. CXLVII, fig. 3. > » 8,5 » regularis From., I. c., pag. 540, tav. CXLIX, fig. 2. » » 02,0 » neocomiensis d’ Orb. sp., P. f. C., pag. b41, tav. CXXVI, fig. 2. » » 3 » turonensis From., l. c., pag. 542, tav. CXLIX, fig. 4. » » 2 Cito poi brevemente le altre dubbie: Lucensis (mm. 8); brevis (mm. 2); Arcensis (mm. 1). Il Duncan cita pure la monticularia d’ Orb. sp. (?). Località. Venassino. Collezione. Cerio. Gen. CRYPTOCOENIA d’Orb. Sinonimia in Ogilvie, /. c., pag. 180. Cryptocoenia Picteti K0by 1896. Koby, Polyp. crét. Suisse, pag. 32, tav. II, fig. 11, lla. Riporto a questa specie un polipaio che mostra i calici solo sopra una ben ri- stretta superficie. Come gli esemplari dell’ Infracretacico della Spagna, pur questo presenta minori dimensioni rispetto ai campioni svizzeri, sopra i quali il Koby istituì la specie. Appunto per le sue dimensioni il polipaio di Capri presenta forti analogie con le due seguenti forme giurasiche del gruppo delle Hexacryptocoeniae: Fi GIA C. compressa Koby (Pol. jur. S., pag. 87, tav, XXXI, fig. 1 e 2) fossile pure a Stramberg (Ogilvie, /. c., pag. 180); C. Thiessingi Koby (4. c., pag. 86, tav. XXIX, fig. 2, 2a— Ogilvie, L c., pag. 181, tav. XVIII, fig. 10, 10 a); ma dalla prima si distingue per il minor sviluppo dei setti, ecc. e dalla seconda per la medesima ragione, per il minor numero delle coste, ecc. Molti altri confronti ho riportati nell’ altro mio lavoro sui coralli spagnuoli, in pubblicazione, al quale, per brevità, rimando. Corologia e Cronologia. Morteau nell’ Urgoniano. C. Pascual de Castelvi de la Marca, Catalogna, nell’ Infracretacico con Toucasia carinata. Località. Venassino. Collezione. Cerio. Fam. Qculinidae Gen. ENALLOHELIA d’Orb. (1849) Il Koby (Pol. jur. S., pag. 566, 1889) riporta il genere nella fam. Dendrohélidae. Enallohelia Rathieri d’Orb. dao.:-PI; fig. 28 1850. d’Orbigny, Prodr., tom. II, pag. 91. 1856. Milne Edwards ed Haime, ZHist. nat. Cor., tom. II, pag. 124. 1859. de Fromentel, Étud. Pol. foss., pag. 130. 1861. Id. e Ferry, Pal. frane. Crét., pag. 381, tav. LXXXIII, fig. 1. 1894. Koby, Pol. Crét. S., pag. 12, tav. VII, fig. 6, 6a. Un piccolo cespuglio deve ascriversi alla presente forma. I polipieriti sono poco elevati; più di quanto rappresenta la figura della Pal. frang. Crét., e meno delle figure del Koby. Sempre però la sporgenza è minore di quanto avviene nella vicina forma E. gemmans From. (Pal. frang. Crét., pag. 380, tav. 75, fig. 2); quantunque non si possa mettere in dubbio la grande rassomi- glianza delle due citate specie. Le coste si osservano solo presso i calici, i quali sono piccoli. Invero molti hanno un diametro che appena raggiunge il millimetro, alcuni però si avvicinano ai due millimetri. Si contano 6 setti grandi, i quali arrivano alla columella cilindrica, ed altri 6 più piccoli (2 cicli di tipo esamerale). Dimensioni. | | E. gemmans | E. Rathieri RE di rl Fromentel Koby Larghezza dei rami. . . . .| mm.3—4 mm. 4 — 5 mm. 3 — 4 mm. 83 — 5 » dei polipieriti . . . » 2 » 2 » — » — Diametro dei calici. . . . . » 1,5 6 » 2 ” 2 Altezza dei polipieriti. . . . _ » 804 _ E o Rapporti e Differenze. I caratteri differenziali fra la gemmans e la Rathieri, se- condo il de Frommentel ed il Ferry, sono la larghezza dei calici ed il poco svi- luppo dei polipieriti della seconda. Per il Koby la Rathieri «est fort voisine de « |’ E. gemmans, dont elle diféere uniquement par des branches moin épaisses et des « polypierites plus ‘courts ». Ora l’ esemplare di Venassino servirebbe acconciamente alla riunione delle due forme, ciò che non oso fare non avendo potuto osservare esemplari provenienti dalle località in cui si raccolsero i primi descritti. A questo avviso sono altresì condotto dalla troppo sommaria descrizione della gemmans. Riguardo alla larghezza dei calici bisogna ricordare che spesso essi sembrano minori a causa della deposizione di materiali secondari posteriormente soprapposti. Non si comprende, da quanto si conosce, la ragione per cui i due citati autori ab- biano potuto ritenere, come carattere sufficiente alla distinzione, una così tenue diffe- renza delle dimensioni. L’unico carattere che rimane, per quanto di relativo valore, è la sporgenza dei polipieriti rispetto ai rami, ed appunto per ciò ho riferito |’ esem- plare caprense alla Rathieri e non alla gemmans. : Corologia e Cronologia. Tutte e due le forme citate appartengono al Neoco- miano. La Rathieri è conosciuta a Chenay (Yonne) ed a Bannalp (Svizzera). Località. Venassino. Collezione. Cerio. Fam. Turbinocolidae Subtam. Trochosmilinae Trib. TROCHOSMILIACEAE (ren. PLEUROSMILIA From. (1855) Pleurosmilia neocomiensis il Frometiei Tav. II, fig. 24, 25. 1861. De Fromentel e Ferry, Paléont. frans. Cret., pag. 370, tav. 78, fig. I. 1895. Koby, Polyp. crét. S., pag. 16, tav. III fig. 4, 5, 6. Due giovani individui appartengono, con tutta sicurezza, al gen. Pleurosmilia, ciò che è reso manifesto specialmente nel maggiore, nel quale si scorge la colu- mella lamellare intimamente connessa con un setto principale che si trova nel suo piano. Più profondamente anche il setto opposto pare si unisca alla columella; ciò che poi ripetono gli altri anche più profondamente. I polipieriti sono trocoidi; ma la roccia che li racchiude non mi fa riconoscere la base; il più piccolo però pare inserito nella parte basale del maggiore. I caratteri specifici ricordano molto la specie, tanto che ad essa riferisco gli esemplari; rimanendo solo qualche dubbio a causa della non ottima conservazione. Nell’ aspetto somigliano specialmente al giovine individuo figurato nella Paleontologia francese sotto i numeri 1d, lc. Calzano di meno le figure del Koby; per quanto corrispondano bene le descrizioni. e ee Non si può assolutamente nascondere |’ analogia con la Plesiosmilia sessilis Milasch. (Palaeontographica, vol. XXI, pag. 191, tav. XLIX, fig. 7, 7a). I nostri esemplari però si allontanano dalla specie nominata specialmente per un numero molto minore di setti, per l’ isolamento della columella, ecc. Ciò non recherà mera- viglia, perchè sono conosciuti i rapporti intimi fra i due generi: Pleurosmilia e Ple- siosmilia (Koby, Polyp. lurass., pag. 535). Polipieriti, con «calice quasi circolare, con 12 setti maggiori e 12 minori; fra questi, solo nell’ individuo maggiore , se ne scorgono altri 24 più piccoli, appena riconoscibili. La columella è lamellare specialmente riunita ad un selto principale, essa doveva essere alquanto rilevata sul fondo della fossula calicinale abbastanza profonda. Epitecio abbondante, con forte linee di accrescimento; non raggiunge però il bordo calicinale. Corologia e Cronologia. Chatourupt (Haute-Marne), Neocomiano. Bannalp; Twann; Neocomiano, Valenginiano. Località. Venassino. Collezione. Museo Geologico R. Univ. di Roma. Collezione Cerio. Pleurosmilia Distefanoi n. sp. Tav. II, fig. 26-29. Un singolare polipierite lo riporto a questo genere, quantunque potrebbe, per le sue speciali particolarità anatomiche, dar ragione persino alla creazione di un nuovo genere. Ma non essendo ben conservato ed essendo unico reputo, per ora, migliore avviso riportarlo al genere presente, facendo però rilevare tutti i peculiari caratteri che presenta. Polipierite cilindro-conico; appena compresso; piuttosto corto. Calice quasi rotondo; appena schiacciato; superficiale. I setti sono pochi relativamente; ma molto robusti. Singolare è il loro numero e la loro disposizione, 10 grossi, spessi, debordanti; sono intercalati da altrettanti relativamente sottili e poco sviluppati. Uno che si trova nel piano della columella è fuso con questa, che giace lungo il diametro maggiore del calice. Gli altri nove setti, andando verso la columella, si assottigliano senza però raggiungerla. 1 più piccoli poi si protendono poco verso il centro calicinale. Il bordo superiore dei setti è intero. Lo stato del fossile non permette di riscontrare l’ornamentazione delle loro superficie laterali. La columella è lamellare, unita al setto, che chiamerò principale; è spessa ed elevata; è ben separata dagli altri setti principali. Le traverse, che riuniscono i setti, sono forti e frequenti. Non sono giunto a scorgere l’epitecio, che in questo genere deve essere sottile; ciò però può attribuirsi all’ erosione. Dimensioni. Altezza del polipierite . _ mm. 13 Diametri calicinali . î À >» 10xX9 Spessore massimo della columella » 1 a è ; Spessore massimo dei setti principali » 1,7 Misure prese presso il calice i % più sottili » 1 ATtti— Vol. XII— Serie 2°— N° 16. n Più Rapporti e Differenze. Il numero piccolissimo dei setti ed il primo ordiae costituito da 10 setti principali fanno distinguere a primo esame questa specie da tutte le altre congeneri. Solo la P. Renevieri Koby (1895, Pol. crét. S., pag. 18, tav. II, fig. 5, 5a) ha qualche relazione con la presente per la spessezza dei selti, che in essa però sono ordinati in 12 principali. Gli altri caratteri ancora allontanano la forma Urgoniana del Koby. i Il numero dieci dei setti assicura la presenza, se non ha a farsi con un caso patologico, nel gen. Pleurosmilia di specie esamerali e decamerali; ciò che è già riconosciuto in altri generi come nei generi: ,Stylina, Heliocoenia. Questo fatto ri- conduce non solo alla memoria quanto scrissero in proposito il de Fromentel, — in opposizione alle asserzioni di Milne Edwards ed Haime, — il Koby, l’O0- gilvie, per i fossili mesozoici e terziari; ma pure quello che osservò il Frech, specialmente quando istituì il gen. Decaphyllum (Zeitschrift D. geol. Gessellschafît , vol. XXXVII, 1885, pag. 69). Già si disse che questo caratiere poteva bastare, — secondo l’ idee del de Fromentel—, ad istituire un genere nuovo; come fece per il gen. Trismilia (1858, Étud. pol. foss., pag. 106; Paleont. frane., Jur., pag. 14, 1862). Osservando che il diverso ordinamento dei setti nei generi già ricordati, cioè: Stylina, Heliocoenia, Cryptocoenia, ecc.; non fecero scindere i generi stessi; ho cre- duto più saggio avviso riportare il fossile in questo genere; quantunque, in verità, non sia molto frequente tale disposizione nei polipieriti isolati che appartengono alla famiglia delle Turbinolidae (Sensu Ogilvie, Stramberg.,. pag. 134). Aspetto nuovi rinvenimenti di polipieriti meglio conservati per ritornare sopra questo argomento. Località. Venassino. Collezione. Cerio. Gen. PLATYCYATHUS From. (1861) Un piccolissimo ed elegante polipierite, discoide, che mostra la sola superficie esterna, avendo tutto l’interno spatizzato ed irriconoscibile, può appartenere al pre- sente genere. Questa collocazione generica ha una debole conferma nella corrispon- denza del polipierite in tutti i caratteri esterni al P. Orbignyi From. (Paléont. frane. Crét., pag. 182, tav. XXV, fig. 1). Anche le dimensioni calzano con la citata forma che proviene dalla Bedoule (Coll. d’Orbigny, n.° 5717). Non oso affermare nulla, non avendo potuto osservare i caratteri interni, i quali servono specialmente per la distinzione generica. . a 7 ; BIBLIOGRAFIA GEO-PALEONTOLOGICA DELL’ ISOLA DI CAPRI i Non sono pochi i lavori geologici, che più o meno direttamente , riguardano I’ isola di Capri. Il Furchheim pubblicò, nel 1899, una « Bibliografia dell’isola di Capri ecc. Napoli »; ma nei capitolo — Geologia e Mineralogia — non si trovano nominati più di dieci autori. Ora che i fossili scoperti dal dott. Cerio richiamarono l’attenzione dei geologi sopra quell’ isola, penso che non riuscirà discaro ed inutile il presente saggio di bibliografia geo-paleontologica. Rimando però alla bibliografia del Furchheim chi volesse conoscere i lavori che riguardano gli altri capitoli e cioè: Storia e Topografia — Statistica fisica, Cli- ‘matologia, Acque — Fauna e Flora — La grotta Azzurra — Iconografia, Opere illu- strate — Carte e Vedute. 1782. Pelliccia A. A., Ricerche istorico-filosofiche sull'antico stato del ramo degli Ap- pennini che termina di rincontro l'isola di Capri ecc. Napoli. 1798. Breislak S., Topografia fisica della Campania. Firenze. 1796. Pascale V., Descrizione storico-topografico-fisica delle Isole del Regno di Napoli. Napoli. 1816. Breislak S. in Romanelli D. Isola di Capri. Mineralogia dell'isola di Capri. Lettera del prof. Breislak diretta al signor Hadrava, pag. 111-122. Napoli. 1840. La Cava P. in Esercitazioni accademiche degli Aspiranti naturalisti. Vol. II, part. I. Napoli. Statistica fisica ed economica dell’ isola di Capri. Cap. I. Geologia. 1845. Ricci G., Sopra un nuovo corpo (anacaprico) che si raccoglie sulla superficie della grotta dell'Arco nell’isota di Capri. Atti, 6% riun. Scienz. Ital. Milano. Milano. 1856. Puggaard C., Description géoltogique de la peninsute de Sorrento. Bull. soc. géol. Franc., 2° ser., tom. XIV. Paris. 1866. Guiscardi G., Su'età degli scisti calcarei di Castellammare. Napoli. 1884. Mac Koven J. C., Capri. Napoli. 1886. Walther J., I vulcani sottomarini del golfo di Napoti. Boll. Com. geol. ital., anno XVII. Roma. 1886. Walther J. u. Schirlitz, Studien zu Geologie des Golfes von Neapel. Zeitsch. D. geol. Gesell., XXXVIII. Berlin. 1889. Steimann G., Veber das Alter des Apenninkatkes von Capri. Berichte der naturf. Ges. zu Freiburg i. B., vol. IV, fasc. 3. 1889. Oppenheim P., Bettrige zur Geologie des Inset Capri und der Habinsel Sorrent. Zeitsch. D. geol. Gesell., B. XLI. Berlin. 1889. De Amicis G. A., Eipsactinie nei dintorni di Salerno. At. Soc. tosc. sc. nat., Proc. verb., vol. VI, pag. 196. Pisa 1887-89. 1889. 1889. 1889. 1889. 1889. 1890. 1890. 1890. 1891. 1891. 1893. 1893. 1893. 1894. 1894. 1895. 1895. 1895. 1895. 1896. 1896. 1896. 1897. 1897. 1898. 1900. 1902. 1902. 1902. ti » SEC P SE TUNIT i A De Amicis G. A., Altri calcari ad Ellipsactinie nella provincia di Salerno. Ibid., pag. 238. Canavari M., Idrozoi fossili di monte Tiriolo in Calabria e dell’isola di Capri. Ibid., pag. 197. Walther J. an Hernn C. A. Tenne, Veber die Geologie von Capri. Zeitsch. D. geol. Gesell., Band. XLI, pag. 771-776, Berlin. Baldacci L. in Canavari M., Idrozoi foss. ecc. Ù Canavari M. (Traduzione, con note, del lavoro dello Steinmann 1889) Suzetà del calcare appenninico di Capri. Boll. Com. geol. ital., vol. XX. Roma. Bassani F., Il calcare a Nerinee di Pignataro Maggiore. Napoli. Oppenheim P., Die Insel der Sirenen von ihrer Entstehung bis zur Gegenwart. Con carta geologica di Capri, 1:25,000. Tip. Hermann Lazarus. Berlin. Oppenheim P., Die Geologîe der Insel Capri, eine Entgegnung an Herrn J. Wal- ther. Zeitsch. D. geol. Gesell., Bd. XLII, pag. 758-764. Berlin. Oppenheim P., Die Geologie der Insel Capri. Ein offener Brief. an Herrn Joh. Walther in Iena, Ibid., Berlin. Oppenheim P., UVeder das Alter des EMlipsactinien-kalkes îm alpinen Europa. Zeitsch. D. geol. Gesell., Bd. XLII. Berlin. Bassani F., De Lorenzo G., Per la geologia della penisola di Sorrento. R. Accad. Lincei, Rend. Estr., vol. II, 1° sem., ser. 5. Canavari M., /Idrozoî titoniani della regione mediterranea appartenenti alla fa- miglia delle Ellipsactinidi. Mem. Cart. geol. d’Ital., vol. IV, part. II. Roma. Mayer E., Relazione che accompagna il progetto per fornire di acqua potabile la popolazione di Capri. Napoli. Cuomo V., L'isola di Capri come stazione climatica. Con una carta geografico geologica dell’isola. Napoli. Di Stefano G., Osservazioni sulla geologia del Monte Bulgheria în provincia di Salerno. Boll. Soc. geol. ital., vol. XIII. Karsten Herm., Zur Geologie der Insel Capri. Neues Iahr. f. Mineral. Geol., vol. I. Stuttgart. Oppenheim P., Ancora intorno all'isola di Capri. Riv. ital. Paleont., anno I, fasc. IV. Bologna. De Blasio A., Gti avanzi preistorici della Grotta delle Felci nell’ isola di Capri. Boll. Paletnologia ital., anno XXI, n. 4-6. Parma. De Lorenzo G., Osservazioni geologiche nell'Appennino della Basilicata meridio- nale. Atti R. Accad. Sc. fis. e mat. di Napoli, vol. VII, ser. II, n. 8. Napoli. Bose E., Contributo alla geologia della penisola di Sorrento. Rend. R. Accad. Sc. fis. mat. di Napoli, ser. III, vol. II, fasc. 5. Napoli. Bose E., Per la geologia della Penisola di Sorrento. Atti R. Ace. Sc. mat., ser. IL vol. VIII, n. 8, con 6 profili. Napoli. De Lorenzo G., Studî di geologia nell’ Appennino meridionale. Memoria, vol. VIII, ser. II, n. 7, Atti R. Accad. Sc. fis. e mat. di Napoli. Napoli. Bellini R., Alcuni schiarimenti sopra una speciale produzione dell’ isola di Capri. Riv. ital. sc. nat., anno XVII. Siena. Oppenheim P., Neue Fossiufunde auf Capri. Zeitsch. D. geol. Gesell., Bd. XLIX. Berlino. Karsten Herm., Zur Geologie der Inset Capri. II (Neues Jahrb. f. Min. etc., Bd. II) Stuttgart. Di Stefano G., I Malm in Calabria. Riv. ital. di Paleont., anno VI, fasc. 1. Bellini R., Alcuni appunti per ta geologia dell’ isola di Capri. Estr. Boll. Soc. geol. ital., vol. XXI, fasc. I. Roma. Bellini R., Ancora sulla geologia dell’isola di Capri. Ibid., fase. II. Fischer T., Za penisota italiana. Torino (Landeshunde von Italien). coni dale pe "ZA PI ee POR A & — 4 — | 1902. Gunther R. I., Contrbutions to the study of Earth Movements in the Bay of Na- i ples. Oxford. 1904. De Lorenzo G., Geologia e Geografia fisica dell'Italia meridionale. Bari. | 1904. Parona C. F., Sulla presenza dei calcari a Toucasia carinata nell’ isola di Capri. Rend. R. Accad. Lincei, vol. XIII, 1° sem., ser. 5*, fasc. 4. Roma. 1904. De Lorenzo G., The History of Volcanic Action in the Phlegraean Fields. Quart. Journal Geol. Soc., vol. LX, pag. 296-315 con 3 tavole. Londra. 1904. De Lorenzo G., L'attività vulcanica nei Campi Flegrei. Rend. R. Accad. Sc. fis. e mat. di Napoli, ser. III, vol. X, pag. 203-221. Napoli. 1905. Parona C. F., Nuove osservazioni sulla fauna dei calcari con EMlipsactinidi del- l’isola di Capri. Rend. R. Accad. Lincei, CI. sc. fis. mat. e nat., vol. XIV, 1° sem., ser. 5*, fasc. 2. Roma. 1905. Airaghi C., Echinodermi infracretacei dell'isola di Capri. Riv. ital. di Paleonto- logia, an. XI, fasc. II, pag. 82-92, con 1 tavola. Perugia. Introduzione a a È INDICE Elenco delle specie coralline di Venassino. È - > i Valore cronologico del calcare di Venassino . - È È Il calcare di Venassino è un KoraWenriff fossile. È 3 Descrizione dei Coralli fossili . Ù Gen. Chaetetes A » Thamnastraea. » Dimorphastraea >» Amphiastraea. » Aulastraeca . » Heterocoenia . Thecosmilia — Hydnophora . Stylina . Acanthocoenia. Dendrogyra . Eugyra . . Cyathophora . Cryptocoenia . Enallohelia: . Pleurosmilia . Platycyathus . L'E I I PO I a | Bibliografia geo-paleontologica dell’ isola di Capri Rhabdophyllia . Anita di stampare il dì 11 Ottobre 1905 suv svsvvsvivuvvvvii . SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA I. Tutti gli esemplari provengono dal calcare di Venassino (Capri). Tutte le figure, meno pochissime disegnate, sono fotografiche. Figura 1-4. Chaetetes Capri 1, pag. 12, Collezione Cerio. 1. Fascio di prismi di riempimento dei polipieriti, ricavati dall’ erosione meteorica. Grandezza naturale. 2. Antecedente; parte, impicciolita. 8. Calici liberati dall’erosione. Grand. quasi naturale. 4. Sezione naturale longitudinale. Grand. nat. » 5-7. Chaetetes Capri 2, pag. 13, Coll. Cerio. 5. Fascio di prismi di riempimento, come nella fig. 1. Grand. quasi na» turale. 6. Sezione trasversale, pulimentata: poco ingrandita. 6a. Sezione trasversale, ingrandita. (Disegno). 7. Sezione obbliqua. Grand. nat. 7a. La stessa sezione obbliqua. Grand. nat. (Disegno). » 8. Dimorphastraea Lorioti Koby, pag. 14, Coll. Cerio. 8. Superficie superiore: poco ingrandita. » 9-10. Amphiastraea Waltheri n. sp., pag. 17, Coll. Cerio. 9. Sezione longitudinale naturale. Grand. nat. 10. Sezione trasversa, pulimentata. Leggermente impicciolita. » 11. Amphiastraea gracitis Koby var. n. coespitosa, pag. 19, Coll. Cerio. i 11. Polipaio eroso. Grand. nat. » 12-14. Av/astraea Bassanii n. sp., pag. 21, Coll. Cerio. 12. Parte polipaio, legger. impicciolito. 13. Un calice con teca prismatica e con calice interno ovale. Grand. nat. 14. Calici prismatici; grandezza nat. » 15-16. Heterocoenia verrucosa Reuss., pag. 23, Coll. Cerio. 15. Polipaio. 16. Altro polipaio con divisione dicotomica. Tutte e due le figure leggere mente ingrandite. Figura 1-2. » » » » » » SA. 5-10. 11-12. 13-14. 15-16. dr: 18-19. 20-22. 23. 24-25. 26-29. 50, 31 ‘ SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA II. Tutti gli esemplari provengono dal calcare di Venassino (Capri). Tutte le figure, meno poche disegnate, sono fotografiche. Hyanophora Picteti Koby, pag. 26, Collezione Cerio. 1. Sezione longitudinale, naturale: leggermente impicciolita. 2. Superficie superiore; quasi al naturale. i Hyanophora Oppenheimi n. sp., pag. 27, Coll. Cerio. 3, 4. Polipaio: nella prima figura leggermente ingrandito; impicciolito nella seconda. Stylina Paronai n. sp., pag. 28, Coll. Cerio. 5, 6. Polipaio. i 7, 8. Altro polipaio. . 9, 10. Terzo polipaio. Le figure 5, 7,9 leggermente impicciolite; in grand. i naturale le 6, 8, 10. | Stylina Steinmanni n. sp. (?), pag. 29, Coll. Cerio. 11. Un calice ingrandito (Disegno). î 12. Polipaio, grand. nat. Acanthocoenia Cerioi n. sp., pag. 81, Coll. Cerio. 13, 14. Polipaio: nella prima figura leggermente impicciolito; ingrandito nell’ altra. Dendrogyra Kobyi n. sp., pag. 82, Coll. Cerio. 15. Polipaio, appena ingrandito. 16. Parte, ingrandita e schematizzata (Disegno). ‘ Eugyra interrupta From., pag. 34, Coll. Cerio. LA 17. Parte di polipaio quasi al naturale. Eugyra digitata Koby, pag. 36, Coll. Cerio. 18, 19. Polipaio. Nella 18 appena in grand.; nella 19 poco impicciolito. Cyathophora Detorenzoi n. sp., pag. 37, Coll. Cerio. 20, 21. Polipaio: 20 impicciolito appena; 21, poco ingrandito. 22. Calice ingrandito (Disegno). Enattohetia Rathieri d’ Orb., pag. 89, Coll. Cerio. 23. Polipaio, quasi grand. naturale. Pleurosmilia neocomiensis From., pag. 40, Coll. Cerio. 24. Calice di polipierite impaniato nella roccia; grand. nat. 25. Rapporto, in sezione ed in proiezione, dei due setti (principale ed opposto) e della columella, nello stesso piano. Ingrandito tre volte (Disegno). Pleurosmilia Distetanoi n. sp., pag. 41, Coll. Cerio. 26. Polipierite veduto di lato; grand. nat. 27. Calice del medesimo, alquanto ingrandito. 28. Superficie esterna presso il calice. Ingrandito tre volte. 29. Calice ingrandito. Le figure 28 e 29 sono disegni. Aspetto della roccia erosa dagli atmosferili. Si osservano molti avanzi coral- lini. Presso la lettera A si trovano parecchi calici di Hydnophora crassa. From. Grand. naturale, pag. 25, Coll. Cerio. Polipai arrotondati estratti dalla roccia insieme con esemplari ben conservati delle stesse specie, Coll. R. Univ. di Roma. G. DE ANGELIS D'OSSAT. | coralli di Venassino. Tav. | Mec. Se. fis. e mat. di Napoli, Ser. II, vol. XII. n.16. nuroT. Dame o G. DE ANGELIS D'OSSAT. | coralli di Venassino Tav. Il = NERONE FOTOT, Danger ROMA o feet ira tare a Wa Vol. MI, Serie 2? N° 47. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE LA MALACOFAUNA TRIASSICA DI GIFFONI NEL SALERNITANO MEMORIA del dottor AGOSTINO GALDIERI presentata nell'adunanza del dì 1° Luglio 1905. Nei monti che circondano Giffoni a Nord Est di Salerno 0. G. Costa rac- colse molti fossili consistenti in pesci, molluschi, un brachiopode e pochi resti di piante ‘). Egli descrisse e figurò questi fossili, ritenendoli per la massima parte come specie nuove ‘). Il prof. Bassani riesaminò i pesci e gli avanzi vegetali, ed avendo riconosciuto che i primi risultano quasi esclusivamente delle stesse specie di Seefeld e di Lumezzane, stabilì che i calcari dolomitici di Giffoni, creduti giurassici o cretacei ’). sono da ascriversi alla Dolomia principale *). I molluschi ‘) La maggior parte di questi fossili, che attualmente si conservano nel museo geologico del- l'Università di Napoli, furono raccolti dal nostro benemerito naturalista nel 1858 e 1859, quando, per disposizione del passato Governo, fece delle ricerche locali sulla probabile esistenza di qualche rieco deposito di combustibili fossili in quel di Giffoni 1) Le pubblicazioni nelle quali illustrò i molluschi sono le seguenti: Note geologiche e paleontologiche sui M. Picentini nel Principato citeriore (Atti Istit. Incor. Napoli, ser. 2.%, tom. I, 1864) e Note geologiche e paleontologiche sul Terminio o Montagnone di Serino (Atti Istit. Incor. Napoli , ser. 2.%, tom. II, 1865). *) L’Egerton e il Pilla li ascrissero al Liasico, A. Scacchi al Giurassico; poi tali opi- nioni caddero nell’ oblio, e questi calcari furono riferiti al Cretaceo. *) Bassani, Sui fossili e sull’età degli scisti bituminosi di M. Pettine etc. (Mem. Soc. it. d. se., tom. IX, ser. 3%, n. 3, Napoli, 1892), — Idem, La ittiofauna della Dolomia principale di Giffoni etc. (Palaeont. ital., vol. I, Pisa, 1895). In questa seconda memoria si trova l'elenco delle opere nelle quali il Costa illustrò i pesci e gli altri fossili di Giffoni, nonchè la bibliografia geologica di quella regione, alla quale devesi aggiungere la memoria posteriormente pubblicata dai prof.r Bòse e De Lorenzo: Zur Geologie der Monti Picentini ( Zeitschr. d. Deutsch. geol. Gesell., XLVIII, 1, p. 202). AttI— Vol. XII — Serie 20 — N. 17. 1 Sii furono oggetto di un esame sommario e parziale fatto dai professori Di Stefano ') e Bassani *), ma rimaneva a farsene la revisione completa. Tale compito è stato da quest’ ultimo gentilmente affidato a me, onde gli sono gratissimo, non meno che per i suoi preziosi aiuti e consigli. Ora, compiuta non senza difficoltà *) questa revisione, credo utile pubblicarne i risultati, perchè così si saprà come debbono essere interpetrati anche questi mol- luschi di Giffoni *), dal Costa riferiti a specie nuove o vissute in ere diverse, e si potrà utilizzarli per trarne qualche induzione di ordine cronologico. A questo scopo aggiungo alla fine del lavoro l’ indice alfabetico dei nomi dati dal Costa alle specie che hanno formato oggetto del presente studio ’), con le rispettive nuove determinazioni risultanti dalla mia revisione; e riporto qui l'elenco sistematico delle specie rivedute, con l'indicazione dei siti ove sono state raccolte e di alcune importanti località che le albergano altrove. , . ') Di Stefano in Bassani, Su? foss. e sull'età ete.; Idem, Sull° estensione del Trias supe- riore nella provincia di Salerno (Boll. Soc. geol. ital., vol. XI, 1892). Egli determinò le seguenti specie: Neritopsis aff. Waageni Laube, Cardita ctr. crenata Goldf., Fimbria aft. Mellingi Hauer sp., Mytilus cfr. Miinsteri Klipst., Ostrea aff. Montis Caprilis Klipst., Pecten aff. subalternans d' Orb., Pecten cir. Tommasii Par., Pleuromya cfr. lata Par. e Turbo solitarius Ben. ?) Bassani, Il. cc. e Fossili nella Dolomia principale di Mercato S. Severino etc. (Atti Accad. d. sc. fis. e mat. di Napoli, ser. 2.°, vol. V, 1892, n. 9). Questi vi riconobbe le specie: Gervil/lesa exilis Stopp. sp. e Megalodus ctr. triqueter W ulf. sp. 8) Lo stato di conservazione spesso deficiente e, per parecchie specie, la scarsezza di esemplari, condizioni rilevate anche dal Di Stefano e dal Bassani, furono invocate dallo stesso Costa in giustificazione della possibilità, già da lui prevista, di esser caduto in errore nel riferimento anche generico di qualche specie. *) Tutte le specie da me esaminate provengono dagli immediati dintorni di Giffoni, tranne la Myoconcha Maximiliani Leuchtenbergensis Klipst. sp. (Avicula decussata Minst. in Costa) e la Avicula falcata Stopp. (Avicula polymorpha in Costa), a quanto pare, trovate solo al Terminio, e la Pleuromya cir. lata Par. (Pachymya gigas Sow. in Costa), rinvenuta al M. Diecimari. Io ho in- eluse anche queste nel mio esame, perchè sono state raccolte in località non eccessivamente lontane da Giffoni (una decina di km. a Nord la prima ed altrettanto ad Ovest la seconda), assieme con altre specie frequenti in Giffoni, ed in calcari dolomitici, che probabilmente sono la continuazione di quelli di Giffoni, come è già ammesso pel M. Diecimari (Di Stefano, Il. c., p. 282). 5) In questa revisione non figurano, oltre i pesci ed i vegetali, neanche alcune altre specie dei dintorni di Giffoni, illustrate dal Costa nelle due citate memorie, parte perchè gli originali non sono pervenuti al museo ( Genere indefinibile, Pinna vetusta Costa, Avicula ventilabrum Costa, Cardium elatum Costa, Cardium obliquum Costa), e parte perchè certamente non sono triassiche, e saranno da me esaminate in altra pubblicazione. Vi ho poi incluso un brachiopode, per non farne una nota separata. to e “ ;-o-r».-@O O OR at SALERNITANO DOLOMIA PRINCIPALE RAIBLIANO | Colle Pagano Mandridauro Giffoni (I.ind Cerasuolo | Stellante | Cucùlo Î fTerminio | Diecimari : : : : 3 | Lombardia : > ei î | M.S. Severino I Zeanhoe | Basilicata I Calabria é | Lombardia | Veneto fe | S. Cassiano TRE - | schiem | Raibl GASTROPODA lostylina sp... . . . . . .{{+ ca zonata Costa . ritops i8 Costai Bass. . ritopsis decussata Minst sp. (2) phinulopsis Laudei Kittl . . || a acutecostata Klipst.. mela Sp... < . .... .||+|. ia coronata Minst sp. (?) D enta solitaria Ben. sp. | LAMELLIBRANCHIATA é uromya cfr. lata Par. pnodus Mellingi Hauer sp. . . .|+|+|+|+|+|+ egalodus complanatus Gimb. egalodus Giimbeli Sto p P 9 si ni +++! +++ + + infaii + + + + +++ | Mi Bgalodus triqueter Wulf.sp.. . .Ul.. ld... +] rata Beneckei Bittn.. .. . .jl... |... +[.L|+] irdita crenata Gold. “Sole ancen D'E | yophoria sp. i te AAC ARE (I % roplophora Miinsteri Wissm. sp. . da tirolensis Wohrm. 4 ucula strigilata Goldf. fodiola distorta Costa. . odiola gracilis Klipst. . . . ek [yoconcha aff. lombardica Hauer . + yoconcha Max. Leucht. Klipst. sp. 20 yoconcha parvula Wihrm.. . . + | nopsis fissistriata Winkl. sp. .{|... |... |a eee fore [ose |oso | cca | cre {foro [ace [oe | ileia esile Stopp.sp- +» «|+/+|+/+|+|+|+|+|+|+|+|+|+ eten Egidii Venanti Tomm. . SE ET i TI ATTI CTR ET COSO TOI RETCR | Da sii eula cassiana Bittn.. >. . . Lily]... |. [e [eee [ese [eee |eee 14+-fose [fee [ose [ose [eco [ore [ore [ose fe [en [o [e | icula falcata Stopp. . . . . . BRACHIOPODA rat acfr.carinthiaca Roth pl. sp. Ja nin Certo la spettanza degli strati di Giffoni alla Dolomia principale (Zauptdo- lomit) è indiscutibile dopo gli studii del Bassani su quell’ittiofauna ‘); però la mia revisione, mentre da un lato conferma, con la straordinaria abbondanza delle specie caratteristiche della Dolomia principale, tale riferimento, d'altra parte ci mostra la presenza in Giffoni di un numero notevole di forme raibliane; e chiamo così, in seguito alle più recenti ed accettate vedute sulla equivalenza degli strati di Raibl con quelli di S. Cassiano, anche le specie di quest’ultimo orizzonte. Tale presenza, già notata, sebbene in limiti più ristretti, quasi dappertutto ove affiora la Dolomia principale *), e rilevata dal Bassani e dal Di Stefano per Giffoni stesso, rende sempre più verosimile l’idea del Wòhrmann, ammessa dal De Lorenzo e dal Di Stefano, che la Dolomia principale rappresenti in molti luoghi, nella parte inferiore, anche il Raibliano. Però bisogna osservare che sulla distribuzione di questi fossili, anche in Gif- foni, come nel Trias alpino, in varie possibili zone, non si sa altro di certo, oltre le indicazioni poco precise del Costa °), se non che il Baldacci raccolse sopra gli strati a pesci una Cardita cfr. crenata Goldf. Rimane quindi pur sempre possibile che almeno parte dei fossili raibliani siano stati rinvenuti, e magari da soli, sotto a tali strati, tanto più che nell’ Appennino, come nelle Alpi, non è stata ancora trovata nella Dolomia principale una fauna relativamente così ricca con una rap- presentanza tanto forte di specie raibliane. In vista di tali considerazioni pro e contro, credo che non una minuta valu- tazione del presente materiale paleontologico, ma piuttosto un attento studio stra- tigrafico-paleontologico ci potrebbe forse illuminare sulla diversa estensione crono- logica o topografica della Dolomia principale del Salernitano, e dico forse perchè già pel Trias superiore calabrese il Di Stefano ‘) riferisce che è fallito ogni tentativo di separare un livello corrispondente al Raibliano, sulla quale separa- zione del resto, tanto per la Calabria che pel Salernitano, egli già precedentemente aveva fatto delle riserve ’). Napoli, Istituto geologico, 50 giugno 1905. !) Basti dire che delle 11 specie di pesci di Giffoni 6 si trovano anche a Seefeld, che non ne ha che dieci, e di queste sei 5 son comuni anche a Lumezzane, che in tutto ne ha sei. ?) Non così in Lombardia, dove però fu rilevato che la fauna ha grande rassomiglianza con quella di S. Cassiano (Tommasi A., Palaeont. ital., IX, p. 122). ?) Da tali indicazioni, riportate nel quadro precedente, risulterebbe che questi fossili sono stati trovati non localizzati, tranne che al Cerasuolo, ma sparsi qua e là in strati di cui nulla ancora sì sa sui reciproci rapporti. *) Di Stefano G., Osservaz. geol. nella Calabria sett. etc. (Appendice al vol. IX delle Mem. descritt. d. Carta geol. d’ Italia, p. 68). 5) Di Stefano G., Lo scisto marnoso ete. della Punta delle Pietre Nere ete. (Boll. Com. Geol. d'It., XXVI, p. 14). ARI SR GASTROPODA Gen. COELOSTYLINA Kitt1 Coelostylina sp. TRITON sp. — Costa O. G., M. Pie., p. 230, tav. V, fig. 6 !). Riferisco a questo genere un nucleo, costituito dagli ultimi quattro anfratti, in parte rivestito dalla conchiglia, incastrato nella roccia per il lato corrispon- dente all’ apertura boccale. Gli anfratti, l’ ultimo dei quali è alto tre volte il primo, sono a superficie liscia e tondeggiante, e separati da suture ben distinte e pro- fonde. Il nucleo in esame, per grandezza, forma, apertura dell’ angolo spirale, rapporto fra i varii giri e per gli altri caratteri visibili, corrisponde a parecchie specie di questo genere, comune nel Trias superiore. Il Costa credette di ricono- scere in esso un rappresentante del genere 7ritor, senonchè tal genere è fornito di rilievi trasversali e longitudinali, che mancano del tutto nel nostro esemplare, anche dove la conchiglia è conservata. Gen. NATICA Lmk. Natica zonata Costa Fig. 3. NATICA ZONAaTA Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 231, tav. V, fig. 5. Si tratta di due esemplari risultanti quasi del solo nucleo, entrambi incom- pleti, uno ridotto ad un frammento dell'ultimo giro, l’altro a poco più dell'ultimo, con ombelico marcato ben visibile. La porzione corrispondente all’apertura boccale manca in entrambi. Sulla superficie si nota qualche traccia longitudinale irregolare di colorazione rosso bruna. Il più grande, ricostruito, non poteva avere più di 8 mm. di larghezza. Dall’ assieme ritengo che si tratti di una Natica affine ad una di quelle effigiate dallo Stoppani, che lasciano ancora riconoscere tracce della pig- mentazione originaria; però l’ultimo giro è meno globoso, e tutta la conchiglia è di mole molto minore, onde non posso istituire alcun confronto specifico. D'altra parte non ho voluto rigettare questa specie del Costa, sebbene insufticientemente fondata, nella speranza che ulteriori ricerche la facciano rintracciare, sicchè se ne possa completare la descrizione. 1) Per brevità ho indicato con M. Pie. e M. Ter. le memorie del Costa già citate sui M. Pi- centini e sul Terminio. In quanto alla sinonimia, ho cercato di dare quella completa degli esem- plari di Giffoni, alla quale ho premesso l’ indicazione dell’ opera dove la specie fu per la prima volta descritta, e, quando mi è parso necessario, anche qualche sinonimia più recente. a Gen. NERITOPSIS Grat. Neritopsis Costai Bass. Bassani Fr., Atti Ace. sc. di Napoli, vol. V, ser. 2%, n. 9, p. 5, fig. 3. PYRULA CLATHRATA Costa [pars] — Costa O: 1G 60M Pie; p(931; Jpave Va ego NERITOPSIS AFF. WAAGENI Laube — Di Stefano G., in Bassani Fr., Mem. Soc. it. d. sc., tom. IX, ser. 3°, n. 3, p. 20. NerITOPsIs CostAaI Bass. — Bassani Fr., Atti Acc. se. di Napoli, vol. V, ser. 2%, DST, Questa specie, raccolta per la prima volta a Giffoni, fu descritta e figurata dal Costa col nome di Pyrula clathrata Costa. Il Di Stefano la riconobbe per Neritopsis affine alla N. Waageni Laube. Il Bassani ne illustrò un altro esemplare proveniente dalla Dolomia principale di Mercato S. Severino, e, pur ri- conoscendo la sua grande affinità con la N. Waageni e con altre, vide la necessità di tenernelo separato per i caratteri della ornamentazione, e, non potendo conser- vargli la denominazione specifica datagli dal Costa, perchè già esisteva una N. clathrata, diede a questa il nome di N. Costai. L’esemplare di Giffoni, risul- tante del nucleo incompleto con porzione della conchiglia, per la speciale caratte- ristica ornamentazione e per gli altri caratteri, conviene perfettamente con l’esem- plare di Mercato S. Severino, descritto e figurato dal Bassani. Neritopsis decussata Miinst. sp. (?) Munster G., Bertr. z. Petref., 1V, p. 102, tav. X, fig. 21-22 (Naticella decussata) — Klipstein A., Beitr. geol. Kennt. oest. Alp., 1, p. 199, tav. XIV, fig. 5 (Naticella cincta). — Kitt] E., Ann. naturhist. Hofmus., VII, p. 40, tav. VIII, fig. 22. PYRULA CLATHRATA Costa [pars] — Costa O. G., M. Pie., p. 231. Assieme con la specie precedente ho trovato in collezione un frammento di gasteropodo, che corrisponde all’ altro individuo di Pyrula clathrata menzionato dal Costa, ma dal quale però differisce specificamente. Infatti i caratteri generali riconoscibili, e più ancora la ornamentazione speciale, permetterebbero di determi- narlo per la Naticella cincta Klipst., forma che fu ritenuta dal Kittl una va- rietà della Ner:topsis decussata Miùnst. sp., distinta per il minore sviluppo della sua scultura. Però non oso dar per certa questa determinazione, perchè fondata solo su di una porzione dell’ ultimo anfratto. ST, LE (en. DELPHINULOPSIS Grat. Delphinulopsis Laubei Kittl. Fig. 1. Laube G.. Denkschr. Wien. Ak. Wiss, XXX, p. 80, tav. XXXIII, fig. 3 (De/phinulopsiz binodosa Miinst sp.) — Kittl E., Ann. naturhist. Hofmus., VII, p. 62, tav. XI, fig. 44. TurEeo TUBERCULATUS Costa — Costa 0. G., M. Pic., p. 232, tav. V, fig. 2. Questa specie fu descritta e figurata dal Costa col nome di 7urbo tubercu- latus Costa. Egli fa menzione di due esemplari, dei quali solo uno è pervenuto a questo museo, e deve essere il migliore, perchè corrisponde nell’assieme alla sua figura. La conchiglia è in parte ancora ricoperta dalla roccia, con la quale è imme- desimata. Diversamente da quanto è detto nella descrizione, si rileva, sebbene oscu- ramente, tanto dalla sua figura come dall’ originale, che esso è composto di tre e non di « quattro giri di spira ». I primi giri (due e non tre) sono poco elevati, distinti, carenati e non « lisci e rotondati ». L'ultimo, relativamente agli altri, dai quali è molto ben distinto, è assai sviluppato, più che non appaja dalla sua figura, e, per quella parte che non è nascosta nella roccia, mostra una superficie ir- regolare, globosa, percorsa da due ottuse carene longitudinali fornite di tubercoli; dei quali quelli della serie superiore, in numero di sei per mezzo giro, più svi- luppati, si alternano con gli inferiori, meno evidenti. Questo fossile ricorda molto la Stomatia (Delphinulopsis) Cainalli Stopp. '), ma se ne distingue per avere i primi anfratti molto più sviluppati. Per i caratteri della spira e l’ornamentazione ho potuto, quantunque incompleto, identificarlo con il Delphinulopsis Laubei Kittl. Questa forma fu prima inclusa dal Laube nella De/phinulopsis binodosa Miinst. sp. Poi il Kitt]l ne la separò col nome di De/phinulopsis Laubei perchè ornata da due e non da quattro rilievi longitudinali. A voler essere minuziosi, poichè il Costa l'aveva anche prima del Laube descritta e figurata, essa do- vrebbe andare col nome del Costa, ma, prescindendo da ogni altra considerazione di opportunità, nessuno avrebbe potuto riconoscere nella sua descrizione e figura il fossile in quistione, e quindi non è il caso d’insistere su tale discutibile priorità. Questa specie è stata finora trovata solo a San Cassiano, dove è rara come a Giffoni. 1) Stoppani A., Pal. lomb,, ser. 1°, p. 68, tav. XV, fig. 1-3. MS EA Gen. NATICELLA Munster Naticella acutecostata Klipst. Klipstein A., Beitr. geol. Kennt. ovest. Alp., p. 199, tav. XIV, fig. 4. — Kittl E., Ann. natur- hist. Hofmus., VII, p. 68, tav. IX, fig. 24. MACGILLIVRAYA sp. — Costa O. G., M. Pic., p. 233. È un esemplare unico, che dal Costa era stato unito ad altri di Macgilli- vraya (Naticella sp.), e dai quali è stato agevole separarla per la caratteristica scultura della sua superficie, che mi ha permesso, assieme agli altri caratteri, di determinarla per questa specie, quantunque l’ esemplare non lasci riconoscere i ca- ratteri dell'apertura boccale. Le coste trasversali, per la piccolezza dell'esemplare, che è alto appena 4 mm., non sono molto accentuate, sicchè corrispondono a quelle della forma tipica del Klipstein e non a quelle delle altre forme incluse in questa specie dal Kittl. Naticella sp. MACGILLIVRAYA Sp. — Costa O. G., M. Pic., p. 283, tav. V, fig. 7. NATICA EXCAVATA Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 231. Il Costa illustrò come MacgWlivraya sp. (genere a corchiglia cornea, finora trovato solo nella fauna attuale) molte minutissime conchiglie di gasteropodi, e, sembrandogli che la specie di Giffoni convenisse perfettamente con la I. pelagica Forb., aggiunse: « non mi farei scrupolo di crederla anche identica affatto alla specie vivente ». Senonchè queste conchiglie, ora indubbiamente calcaree, non sono sottili come quelle delle Macgillivraya e delle conchiglie cornee in generale, ed invece hanno lo stesso spessore, aspetto e colore delle altre indubbiamente calcaree, come la Naticella acutecostata, trovate con esse, sicchè si può anche escludere che si sieno calcificate posteriormente per pseudomorfosi. Inoltre esse non somigliano neanche per la forma alla Macgillioraya pelagica, nella quale i primi giri sono relativamente più sviluppati che in queste: vera- mente così appariscono nella figura del Costa, ma posso assicurare che così non sono negli originali, troppo piccoli per poter essere senz’ altro riprodotti esatta- mente. Questi invece somigliano alla NWVat:cella acutecostata Klipst., assieme alla quale sono stati raccolti, tranne che per le coste, perchè la loro superficie è liscia, e non fa vedere con la lente che solo le strie di accrescimento; non sono però, come si potrebbe supporre, nè uno stadio giovanile, nè nuclei di questa specie, perchè alcune di esse hanno le stesse dimensioni della N. acutecostata e mostrano bene la conchi- glia, aderente sul nucleo, senza tracce di coste. I caratteri dell’ apertura boccale non sono visibili, tuttavia la perfetta somi- glianza della forma mi fa ritenere che si tratti di una WVatice/la. Forse è la stessa naticide poco studiabile per la sua piccolezza trovata alla Marmolada e ad Esino ' e ed indicata rispettivamente dal Bihm come Neritaria cicer ‘) e dal Kittl come Neritaria ? cicer *), ed alla quale somiglia strettamente. Appartengono a questa stessa specie indeterminata anche i due esemplari de- scritti dal Costa col nome di Natica ercavata Costa. Essi sono piccolissimi , alti meno di 2 mm., incompleti, poco studiabili. Certo però non hanno « suture escavate », ma sembrano averle in un esemplare, perchè un anfratto evidentemente è saltato via nell'isolarlo. Essi non differiscono per nulla dalla sua Macqilli- oraya sp. (Vaticella sp.) e non possono esserne separati, sicchè la specie /Vatica excavata Costa non ha ragion d'essere. Si noti intanto che esiste, e già esisteva al tempo del Costa, una Natica ercavata Mich., con la quale però quella del Costa non ha nulla a vedere. Gen. WORTHENIA Konink Worthenia coronata Miinst. sp. (?) Miinster G., Beitr. 2. Petref., IV, p. 109, tav. XI, fig. 26 (Pleurotomaria coronata). Kittl E., Ann. naturhist. Hofmus,, VI, p. 184, tav. II, fig. 3-5. TrocHUs conrABULATUS Costa [pars] — Costa 0. G., M. Pic, p. 232. Tra gli esemplari riferiti dal Costa al suo Zrochus contabulatus ho trovato un modello esterno incompleto, che ha tutta l’aria di essere di Worthenia solitaria Ben. sp., ma, esaminandolo attentamente, si nota nel solco che corrisponde alla costa longitudinale superiore dell’ ultimo giro della conchiglia una serie di piccole cavità coniche, in numero di quattordici per mezzo giro, alle quali evidentemente dovevano corrispondere nella conchiglia altrettanti tubercoli conici lungo la detta costa longitudinale superiore. Non ho potuto rilevare la controimpronta del modello esterno, perchè è impossibile farlo con metodi che rispettino l’ originale, sia per la sua piccolezza, sia perchè la superficie da riprodurre è scabra; tuttavia si può ritenere, che, considerando la grandezza, la forma e gli altri caratteri del modello, e ricostruendo mentalmente la conchiglia che l’ ha generato, si viene a riprodurre una specie simile alla WorMenia solitaria Ben. sp. e caratteristica per l’ orna- mentazione surriferita, e questa è la Worthenia coronata Minst sp., la quale appunto ha la carena longitudinale superiore dell’ ultimo anfratto ornata da una ventina di tubercoletti conici. È vero che anche un’ altra forma, la Worthenia Me- riani Stopp. sp. *) ha questi stessi caratteri, ma appunto paragonando le descri- zioni e le figure della W. coronata e della W. Meriani non vi si riscontra differenza tranne che nel numero dei tubercoli, il quale, secondo il Tommasi ‘), è forse di 12 a 15 nella W. Meriani. Però questo numero nella stessa W. coronate non è costante: secondo il Laube ‘) è di 27 a 29, secondo il Kittldi 16 a 22; sicchè 1) Bihm J., Palaeontographica, XLII, p. 236, tav. X, fig. 13. ?) Kittl E., Ann. naturhist. Hofmus., XIV, p. 70. 3) Stoppani A., Pal. lonb., ser. 8°, p. 257, tav. LIX, fig. 19. *) Tommasi A., Palaeont. it., IX, p. 116, tav. XVIII, fig. 15. 5) Laube G., Denkschr. Wien. Ak. Wiss. XXVIII, p. 52, tav. XXVII, fig. 3. Att1— Vol XII— Serie 29 — N. 17. 2 VT TRAI ee ig in conclusione, sopratutto considerata la variabilità della W. coronata, già fatta rilevare dal Mùnster '), dal Laube e dal Kitt], sì può ritenere come molto pro- babile, che si tratti proprio della stessa specie. Però, anche ammesso ciò, trattandosi di un modello esterno unico ed incom- pleto, è sempre lecito dubitare della determinazione, che perciò inscrivo dubitati- vamente. Worthenia solitaria Ben. sp. Fig. 3. Stoppani A., Pal. lomb., ser. 3°, p. 255, tav. LIX, fig. l (Turbo Songavatit). — Benecke E., Geogn. pal. Beitr., I, p. 155, tav. II, fig. 4 e 5 (Turbo solitarius). TROCHUS CONTABULATUS Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 232, tav. V, fig. 4. 5° TROCHUS sTRIOLATUS Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 233, tav. V, fig. 3. TuRBO sOLITARIUS Ben. — Di Stefano Po Boll. Soc. geol. it., XI, p. 232. TuRBO soLITARIUS Ben. — BassaniFr., Rend. Acc. sc. Napoli, ser. 22, vol.VI, p. 178. GUIDONIA SONGAVATII Sto pp. sp. — Bassani Fr., Atti Acc. sc. Napoli, vol.V, ser. 2%, n. 9, p.-4 TurBo soLITARIUS Ben. — De Lorenzo G., Atti Acc. sc. Napoli, vol. VI, ser. 2°, nb. py db; PLEUROTOMARIA SOLITARIA Ben. sp. — Di Stefano G., Mem.Carta geol. d’It., App. al vol. IX, p.62. Di questa importantissima specie, caratteristica della Dolomia principale, il Costa raccolse in Giffoni molti esemplari, che illustrò col nome di 7rockus con- tabulatus Costa, e che il Di Stefano eil Bassani riconobbero doversi rife- rire alla specie sopra indicata. Assieme ad essi il Costa ne raccolse degli altri, che ritenne diversi specificamente dai precedenti, dubitando però che non ne fossero una varietà, e li figurò e descrisse come 7Yrochus striolatus Costa; ma fra le due dette specie del Costa nor vi è differenza, poichè la prima è il nucleo, e la seconda è il nucleo rivestito dalla conchiglia, od il modello esterno dello stesso gasteropodo. Infatti, siccome la conchiglia presenta dei rilievi lineari longitudinali ben visibili sulla superficie esterna, specialmente dell’ ultimo giro, e poco chiari sulla super- ficie interna, ne risulta che i nuclei appaiono lisci o quasi, ed egli li chiamò T. contabulatus, e le conchiglie ed i modelli esterni di solito appaiono striati, e li chiamò 7. striolatus. Per avventura qualche esemplare. attentamente osservato. serve a diradare l'equivoco, perchè mostra che dove il nucleo è nudo. è quasi liscio, e dove è rivestito dalla conchiglia, la sua superficie vedesi percorsa dai detti rilievi lineari. La conchiglia è conica, alta quasi quanto larga, a spira piuttosto elevata. I giri, in numero di quattro, sono carenati, gradiniformi, distinti da profonde suture. La superficie superiore degli anfratti è leggermente convessa, tranne verso la carena, — ove presenta un leggero solco parallelo a questa. La superficie laterale nei primi giri scende dritta dalla carena alla sutura, nell'ultimo è leggermente concava, ed è separata, mercè un'altra carena, dalla base, la quale è abbastanza convessa, e pare abbia un falso ombelico, profondo circa come il primo giro, per quanto si. puo vedere sui miei esemplari. ') Miinster G., Deitr. z. Petref., IV, p. 109, tav. XI, fiz. 26. Sa L’ ultimo anfratto a causa della leggera concavità, ora notata, della sua super- ficie laterale, nel modello esterno si presenta sotto la forma insolita di un anello | cilindrico guardato dal lato interno; e questa impronta, frequente nella Dolomia principale, è molto importante, perchè basta vederla, data la sua specialissima forma, per avere un indizio probabile sul riferimento cronologico di un terreno così scarso di fossili. La specie in discorso, che il Tommasi ‘) include nel genere Worthenia fu descritta e figurata dal Costa nel 1864, e nello stesso anno ne dette la din il Montagna °), che l'aveva raccolta in quel di Cava. Inoltre, sempre come specie nuova, la troviamo illustrata dallo Stoppani col nome di ?urdo Songavatit nel 1865 e da Benecke col nome di 7urbo solitarius nel 1866; dunque, per ragion di data, essa dovrebbe essere indicata col nome specifico del Costa, come fa in un punto il Parona °), e non con quello dello Stoppani, come fu proposto dal De Stefani *) o con quello del Benecke, come si fa generalmente; tuttavia io la indico col nome del Benecke, che pure la figurò pel quarto e la descrisse pel __ terzo, perchè , come a proposito di questa specie scrive il De Lorenzo, seguìto È dal Di Stefano, non è pratico distruggere d’un tratto un nome notissimo nella | ‘scienza per sostituirlo con uno quasi del tutto ignoto. LAMELLIBRANCHIATA Gen. PLEUROMYA Agass. Pleuromya cfr. lata Par. -Fig. 18 e 18a. Ss Parona C. F., Stud. mon. fauna raibl. Lomb., p. 143, tav. XIII, fig. 7. PACHYMYA GIGAS Sow. — Costa O. G., M. Pic., p. 235, tav. VI, fig. 7. PLEUROMYA CFR. LATA Par.— Di Stefano G., in Bassani Fr., Mem. Soc. it. sc., tomo IX, ser. 3, n. 3, p. 20. - Si comprenderà la incertezza del riferimento specifico, quando avrò detto che si tratta di un individuo unico, ridotto quasi al solo nucleo ed incompleto, mentre | d'altra parte vi sono parecchie specie, che poco differiscono da questa. L' esemplare | in esame fu descritto e figurato dal Costa come Pachymya gigas Sow., ma in ‘tale specie la conchiglia è più allungata e più rigonfia in mezzo, ed il profilo frontale è concavo, laddove è leggermente convesso nel nostro esempiare. Questo fu indicato dal Di Stefano come Pleuromya cfr. lata Par. Esso è lungo mm. 46, alto mm. 20, e spesso mm. 16. La valva destra proba- i) Tommasi A., Palaeont. ital., IX, p. 111, tav. XVIII, fig. 8 e 9 (Worthenia Songavatii ). | 3) Montagna C., Gener. d. Terra, p. 308, tav. XLVIII, fig. 4 (Straparollus). ?) Parona C. F., Tratt. di Geologia, p. 462. ') De Stefani C., Pubbl. Ist. stul. sup. Firenze, 1889, p. 19 e 20. CR, SU bilmente sporgeva un po’ più in avanti della sinistra, che forse era un po’ più convessa. Neanche posso indicare con sicurezza il contorno delle valve, perchè in più punti non è conservato, ma ricostruendolo, mercè le linee di accrescimento, esso si allontana pochissimo da quello della P/leuromya lata Par., e cioè solo per avere il margine boccale leggermente convesso. Sulla superficie esterna della conchiglia si notano delle pieghe di accrescimento grossolane. Gli umboni si tro- vano all’unione del quarto anteriore con i tre quarti posteriori della lunghezza, e da essi parte una robusta carena, che si dirige al punto d'incontro del margine posteriore con quello inferiore. L’area compresa fra la carena ed il margine car- dinale è discretamente concava. Gen. GONODUS Schaf. Gonodus Mellingi Hauer sp. Fig. 12. Hauer Fr., Sitzsb. Wien. Ak. Wiss., XXIV, p. 549, tav. III, fig. 1-5 (Corbis Mellingi) — Parona C. F., Stud. mon. fauna raibl. Lomb., p. 140, tav. XIII, fig. 3 e 4 (Fimbria [Sphaeriola] Mellingi). PHOLADOMYA RUGOSA Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 285, tav.-VI, fig. 16 e 19 e M. Ter., p. 123. FIMBRIA (SPHAERIOLA) AFF. MELLINGI Hauer sp. — Di Stefano G., in Bassani Fr., Mem. soc. it. sc., tomo IX, ser. 32, n. 3, p. 20. FIMBRIA (SPHAERIOLA) MELLINGI Hauer sp. — Bassani Fr., Atti Acc. sc. Napoli, vol. V, ser. 2%, n. 19, p. 13, fig. 22. Alcune valve e numerose impronte, in tutto ben 34 esemplari, rappresentano a Giffoni questa specie, che ora si ascrive al genere Gozodus, dopo le considera- zioni del Bittner ') e del Salomon ’) sui caratteri della cerniera. Questi fossili, prima descritti dal Costa come una specie nuova col nome di Pholadomya rugosa, furono poi determinati dal Di Stefano per /imbria aff. Mellingi Hauer sp. e dal Bassani per Zimbria ( Sphaeriola) Mellingi Hauer sp. Essi sono identici agli esemplari di detta specie provenienti da Mer- cato S. Severino descritti e figurati dal Bassani, con i quali li ho confrontati, ed i più grandi tra quelli di Giffoni, lunghi mm. 30 ed alti mm. 26, si avvi- cinano anche più di quelli di Mercato S. Severino, per le loro maggiori dimen- sioni, agli esemplari tipici illustrati dall’ Hauer, ai quali naturalmente corri- spondono per tutto il resto. 1) Bittner A., Jahrb. geol. R.-A., XLI, p. 115. ?) Salomon W., Palaeontographica, XLII, p. 168. i » A i i i DIA Gen. MEGALODUS Sow. Megalodus (Neomegalodus) complanatus Giimb. Gimbel C., Sitzsb. Wien. Ak. Wiss., XLV, p. 873, tav. V, fig. 1-6—Tommasi A., Palaeont. it, IX, p. 108, tav. XVIII, fig. 1-5. IsocarDIA AFF. cor L. — Costa O. G., M. Pie., p. 215 e 221. Riferisco a questa specie due esemplari allo stato di nuclei, riuniti in colle- zione con la specie seguente (Megalodus Gimbeli Stopp.), di cui uno più piccolo (altezza mm. 25) ed uno più grande (altezza mm. 30). Quello minore mostra più spiccatamente di quello maggiore i caratteri che diversificano questa specie dal M. Gimbeli Stopp., secondo quegli autori che non accettano l’ idea del compianto Stoppani ') di farne una varietà del M. Gimbeli, e ne fanno, seguendo il Giim- bel, una specie distinta. In omaggio a questa opinione, ora dominante, e per non ingenerar confusione, anche io ho seguìto questo modo di vedere, che è quello so- stenuto dall’ Hoernes *) ed accettato dal Tommasi, ma sul quale io ho i miei dubbii, come, recentemente, ne ha espressi anche il Dal Campana *. Infatti, mettendo in fila, solo per ordine di grandezza, tutti gli esemplari interi e fram- mentarii di Megalodus complanatus e Gimbeli da me esaminati (23), i quali pro- vengono, si noti, tutti dallo stesso sito, vediamo che essi hanno un’ aria di famiglia sorprendente, e formano una serie progressiva quasi continua, nella quale si può osservare che, mano a mano che si passa dagl’ individui massimi ai minimi, si accentuano i caratteri ben distinguibili che diversificano il M. Gumbeli dal I. com- planatus: il contorno si fa meno rotondeggiante, lo spessore relativo diminuisce, gli umboni si fanno proporzionalmente più piccoli e l’area più incavata. Sorge quindi spontanea l’idea che queste modificazioni, alle quali si vuol dar valore di caratteri specifici, sieno semplicemente variazioni individuali dovute all’ età; tanto più che nella stessa specie M. Gimbeli, data la sua grande variabilità, sono in- clusi individui, i quali differiscono l’uno dall’altro molto più che non qualcuno di essi dal M. complanatus, che quindi potrebbe con maggior dritto chiedere di es- servi ammesso. Ad ogni modo questi Megalodus di Giffoni, mercè i loro passaggi graduali coincidenti con la grandezza e quindi probabilmente con l'età, se non risolvono la quistione, mi sembrano un buon argomento in favore dell’ unicità di queste due specie. Inoltre essi valgono certamente a confermare ancora una volta l’asserzione dello Stoppani che queste due forme si trovino spesso assieme allo stesso livello, ciò che all Hoernes risultava ancora da dimostrarsi, perchè evidentemente gli era sfuggito un passo dell stesso Stoppani, dove erano indicati come raccolti insieme a Caino e a Songavazzo ‘). Aggiungo che anche Tommasi li ha ultimamente indicati entrambi per Clusone e Sarezzo. ') Stoppani A., Pal. lomb., ser. 3*, p. 258, tav. LVI, fig. 1-3, e tav. LVII, fig. 6. *) Hoernes R., Denkschr. Wien. Ak. Wiss., XLII, p. 101, tav. I, fig. 8. 3) Dal Campana, Rend. Acc. Line., XII, 2° sem., p. 557. +) Stoppani, l. c., p. 222. — la — Megalodus (Neomegalodus) Gimbeli Stopp. Stoppani A., Pal. lomb., ser. 3%, p. 252, tav. LVI, fig. 4-10, tav. LVII, fig. 1-5 (Megalodon Giim- deli [pars]. — Tommasi A., Pàlaeont. it., IX, p. 106, tav. XVII, fig. 14, 16-18. ISoCARDIA AFF. cor L. — Costa O. G., M. Pic., p. 215 e 221. MeGALODON (Neom.) GimBeLI Stopp. — Bassatii Fr., Atti Accad. sc. Napoli, vol. V, ser. 2%, DI Uped 00249) Sono molti esemplari (21), tutti allo stato di nuclei, molti incompleti, nessuno perfetto: tuttavia la determinazione non è incerta avendoli confrontati e riscontrati ben rispondenti coi modelli dello Stoppani e con gli esemplari di Mercato San Severino illustrati dal Bassani, nonchè con le figure di questi autori e di altri. Dall'abbondante se non scelto materiale osservo che questa specie è molto va- riabile, come già ho detto a proposito del M. complanatus Gimb., e qui noto che anche il Costa, il quale in più punti menziona incidentalmente questi nuclei col nome di /socardia aff. cor, scrive, in ordine a tal variabilità, che « taluno isolatamente considerato potrebbesi ritener come tipo di una specie distinta », ma subito aggiunge che « la moltiplicità degli individui in un sol masso raccolti e tutti variabili dal più al meno persuade che la specie è la stessa ». In questi di Giffoni, come in quelli di Mercato S. Severino, è ben marcata la faccetta che trovasi sulla faccia anteriore dell’ umbone (lunula) marcatamente convessa dall’ alto in basso e da dentro in fuori, e ben limitata all’esterno ed al- l'interno da due margini ad angolo, specialmente l’esterno, quasi tagliente. Dippiù gli umboni, ricurvi, spesso hanno le punte piuttosto acuminate; sicchè, special- mente negli esemplari dove sono un po’ compressi, essi, per la presenza della fac- cetta anteriore convessa ad angoli taglienti, ricordano, per la forma, grossolana- mente un’unghia di felino. Megalodus (Neomegalodus) triqueter Wulf. sp. (non Giimbel) Fig. 21, 21a e 21b. Wulfen, Abh. Kéirnten. Phauenschweif. Helmintholith, Erlangen, 1798 (Cardium triquetrum). — Hoer- nes R., Denkschrift. Wien. Ak. Wiss., XLII, p. 110, tav. I, fig. 2 e 3. IsocARDIA cor L. — Costa O. G., M. Pic., p. 216. CoNCHODON INFRALIASICUS Stopp. — Omboni G., Geol. dell’ Italia, p. 346. MeGALODON (Neom.) crr. rrIQUETER W ulf. sp. — Bassani Fr., Mem. soc. it. se., IX, ser. 83, M:c9, pi. el: Vi sono in collezione sette nuclei di questa specie, raccolti dal Costa al M. Cucùlo a N.0. di Giffoni. Egli non li descrisse nè figurò; solo ne fece menzione come di modelli interni di /socardie cor. Tre di essi sono pervenuti al museo da moltissimo tempo, e sono quelli citati Sa È | — 15 — dall Omboni come Conchodon infraliasicus Stopp. e poi determinati dal Bas- | sani per Megalodon (Neom.) cfr. trigueter Wulf. sp.; gli altri quattro sono stati donati posteriormente da A. Costa. Veramente nell’ assieme questi nuclei rassomigliano all’ Zsocardia cor L., ma la forma della cerniera, la cui impronta, per quanto incompletamente ed imperfet- tamente, si può ancora vedere in alcuni di essi, nonchè altri caratteri escludono questo riavvicinamento del Costa. a nucleo di Conchodon infraliasicus Stopp. descritto e figurato dallo Stop- pani ) e riportato dall’ Hoernes *) al genere Mega/odus rassomiglia anche me- glio a questa specie; senonchè esso è più grosso, più globoso, ha gli apici relati- vamente un po meno sviluppati, convergenti e più ravvicinati che non i nuclei in esame, i quali quindi non gli si possono riferire. Si potrebbe supporre che essi debbano attribuirsi al J/eya/odus Gimbeli Stopp., poichè a questa specie ho pur riferito quasi tutti gli altri nuclei di Megalodonti che erano stati dal Costa ritenuti affini all’ Zsocardia cor L.. ma così non è, perchè lo stesso Costa avvertì che questi del Cucùlo erano da ritenersi distinti dagli altri almeno come una varietà; ed invero bisogna ritenerli distinti addi- rittura specificamente dal .J/. (rimbeli, perchè, sebbene gli somiglino, sono però più spessi, hanno la carena meno marcata e gli umboni più ricurvi ed a sezione ro- tondeggiante anzichè triangolare. «La forma invece alla quale rassomigliano strettamente è il Meyalodus triqueter — Wulf. sp. Ma su tale denominazione bisogna bene intendersi. . Questa specie, dal suo fondatore ascritta al genere Curdivim, fa trasportata dal v. Hauer *) nel genere J/ege/odon e poi inclusa dal Giimbel *) nel suo sotto- » genere Neomegalodon. Intanto il suo concetto, date le cattive figure del Wulfen «(riprodotte di seconda mano dallo Stoppani ’), poichè l’opera originale del W ul- i fen era divenuta introvabile), si era venuto troppo allargando, essendovi state in- L trodotte, specialmente dal Giimbel, una quantità di forme, che in parte corri- È spondevano alle figure e descrizioni del Wulfen, ma non più ai suoi originali. L’Hoernes ") ha il merito di avere, fino ad un certo punto, rimesso in ordine la cosa. Egli ridette le figure ed i caratteri di altri individui indubbiamente appar- tenenti alla stessa specie degli originali del Wulfen, e conservò solo a questa n forma il nome specifico originale chiamandola Meyalodus triqueter W ulf, Degli È intrusi, alcuni ritenne dover costituire non una varietà ma una specie a parte ; (M. pumilus), altri. che dal Giimbel vi erano stati fatti a torto rientrare, ne escluse (J sceutatus), cd altri riconobbe dover rientrare nel I. Gimbeli Stopp. Queste tre ultime denominazioni vennero così a diventare sinonime per molti autori di parte del M. trigueter, ma naturalmente non del I. triqueter originale del 1) Stoppani A., Pal. lomb., ser. 3°, p. 246, tav. XXXVIII, fig. 3-5 e tav. XXXIX, fig. 1-3. * Hoernes R., Denkschr. Wien. Ak. Wiss., XLII, p. 106. 3) Hauer Fr,, Jahrb. geol. R.-A., IV, p. 715 (Megalodon triqueter W ulf. sp.). CETO *) Giimbel C., Sitzsb. Wien. Ak. Wiss., XLV, p. 362, tav. III, fig. 7, 8 e 9 (Megalodon tri- __ queter Wulf. sp.). i | 3) Stoppani A., Pal. lomb., ser. 8*, p. 221, tav. XXXVIII, fig. 1-2. _ ——’‘Hoernes R,,l.c., p. 110 e 112, tav. I, fig. 2 e 3. LA Wulfen, dal quale invece i M pumilus, sceutatus e Gimbeli erano stati definiti- vamente sceverati, sibbene del //. trigueter Giimb., nome dato dall’ Hoernes a tutto il gruppo che il Giimbel comprendeva sotto l’unica denominazione di M. trigueter W ulf. sp.; e questo nome di M. triqueter Giimb., stabilito dall’ Hoer- nes, come ho detto, e non dal Giimbel, come parrebbe, male adoperato, incomin- cia a riprodurre l’ equivoco: meglio sarebbe abbandonarlo del tutto. Comunque sia, per Megalodus triqueter W ulf. sp. credo si debbano intendere tutti gl’ individui che corrispondono alle esatte figure e descrizioni datene dall’ Hoernes sotto tal nome e niente altro. . I I nostri esemplari, dicevo, rassomigliano appunto strettamente, come riconobbe il Bassani, al Megalodus trigueter Wulf. sp. Devo però spiegare che alcuni esemplari se ne scostano più o meno leggermente, perchè lo spazio tra gli umboni è relativamente più profondo. e l’area meno rientrante; però siccome questa e qual- che altra minima differenza, anche in questo caso, si fanno tanto meno lievi quanto maggiori sono le dimensioni dell'individuo (sicchè, mentre i due più piccoli non si differenziano assolutamente per nulla dal M. triqueter, il maggiore si avvicina invece al I. Haueri, dal quale però lo distingue la mancanza di una seconda ca- rena ben marcata), così credo che tutti gli esemplari vadano ascritti al M. trique- ter, e che questa specie sia piuttosto variabile con l’ età. A conferma di quanto notò il Parona ‘) sulla leggera diseguaglianza delle valve dei Megalodonti in generale, osservo che anche in quelli ben conservati di Giffoni l'apice della valva sinistra sormonta alquanto, più o meno, quello della de- stra. Lo Stoppani °) rilevò l'inverso nei suoi esemplari. Gen. CARDITA Brug. Cardita Beneckei Bittn. Fig. 11. Bittner A., Abh. geol. R.-A., XVIII, p. 39, tav. IV, fig. 18-20 e tav. XXIV, fig. 12. CARDIUM APICULATUM Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 236, tav. V, fig. 19-21. Riferisco a questa specie parecchi frammenti, che dal Costa sono stati de- scritti, ed alcuni figurati, col nome di Cardium apiculatum Costa. Fra essi vi sono gli originali delle fig. 19, 20 e 21 della tav. V, dei quali egli dice che pro- vengono dalla dolomia antracitifera del Cerasuolo e del Lieggio, cioè probabil- mente dagli strati a pesci, come lo indicherebbe pure il bitume di cui sono im- pregnati. Degli originali della fig. 10 della tav. VI e della fig. 11 della tav. V, pure i‘) Parona C, F., Atti Soc. it. sc. nat., XXX, p. 359. ?) Stoppani A., Pal. lomò., ser. 3°, p. 247. # — 17 —- indicati come Cardium apiculatum, il primo non è pervenuto al museo, il secondo, come dirò in seguito, è una Cardita crenata Goldf. Nei frammenti in esame, che a prima vista si giudica appartenere al genere Cardita, la porzione anteroinferiore delle valve prima scende ripidamente dalla carena e poi sì spiana come in un’aletta molto pronunziata. L’umbone, fortemente sporgente (di qui il nome specifico datogli dal Costa), è curvo verso dietro. Inol- tre le coste che decorrono lungo la carena sono a concavità in alto ed in dietro, come si rileva pure sulla figura del Bittner, e non leggermente in basso ed in avanti, come nella Cardita crenata. Perciò, avendo potuto riscontrare sugli esemplari in esame questi cospicui caratteri specifici, che differenziano la C. Be- neckei dalle altre affini, non sono dubbioso sulla determinazione, benchè essa sia fon- data solo su pezzi incompleti. Essi rassomigliano molto anche alla Cardita late- marensis Philipp ‘), ma se ne distinguono per avere il lato anteriore della ca- rena più ripido del posteriore. Cardita crenata Goldf. Fig. 9. Goldfuss, Petref. Germ., II, p. 185, tav. CXXXIII, fig. 6. CARDIUM APICULATUM Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 286, tav. V, fig. 11, 3 e tav. VI, fig. 10? CARDITA CFR. CRENATA Goldf. — Di Stefano G. in Bassani Fr., Mem. soc. it. sc., IX, ser. 83, n. 8, p. 20. CARDITA (PALEOCARDITA) CFR. CRENATA Goldf. — Bassani Fr., Atti Acc. sc. di Napoli, V, ser. 2*, : n. 9, p. 12, fig. 20 e 21. Sotto il nome di Cardium apiculatum Costa ho trovato in collezione, oltre gli esemplari della specie precedente, quattro nuclei incompleti, tra i quali l’ori- ginale della fig. 11 della tav. V del Costa, i quali, confrontati con i modelli e le valve di Mercato S. Severino, descritti e figurati dal Bassani nel 1893 con la indicazione di Cardita cfr. crenata Goldf., corrispondono loro perfettamente, onde non vi è dubbio che si tratti della medesima specie. E poichè tanto gli esem- plari di Giffoni quanto quelli di Mercato S. Severino non differiscono dalle nuove figure della Curdita crenata date nel 1895 dal Bittner *), così si può lasciare ogni riserva e riferire senz'altro a questa specie i resti in discorso. Alla quale probabilmente devesi ascrivere anche l’altro esemplare raccolto dall’ ing. Bal- dacci a Giffoni sopra gli strati a pesci, el indicato dal prof. Di Stefano come Cardita cfr. crenata Goldf. i) Philipp H., Zeitschr. Deutsch. geol. Gesell., LVI, p. 96, tav. VI, fig. 25-30. *?) Bittner A., Abh. geol. R-A., XVIII, p. 35, tav. IV, fig. 5-13. ATTI — Vol. XII — Serie 24 — N. 17. 3 de; SLA Gen. MYOPHORIA Bronn Myophoria Sp. NucuLa GREGARIA Goldf. — Costa O. G., M. Pic., p. 237. Tre esemplari, dal Costa riferiti assieme ad altri a Nucu/a gregaria Goldf., se ne distinguono per avere una carena molto ben marcata e delle linee di ac- crescimento appena discernibili. All’abito generale si riconoscono per Myophoria e l'ornamentazione lascerebbe supporre che si tratti della IMyophoria laevigata Alb. sp., ma, trattandosi di esem- plari molto incompleti, credo prudente limitarmi alla determinazione generica. Gen. ANOPLOPHORA Sandb. Anoplophora Miinsteri Wissm. sp. Fig. 7. Wissmann H., Beitr. z. Petref., IV, p. 81, tav. XVI, fig. 5 (Unionites Miinsteri. — Parona C.F., Studio mon. fauna raibl. Lomb., p. 126, tav. IX, fig. 18. LEPTODOMUS? PICENTINUS Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 237, tav. VI, fig. 6 e 13. Questa specie è rappresentata a Giffoni da 3 esemplari, che sono riuscito ad identificare per gli originali del Zeptodomus? picentinus del Costa, di due dei quali egli dette anche le figure. L'originale della sua figura 13, al quale è identico l'esemplare non dise- gnato, che è meno ben conservato, corrisponde precisamente alla figura pel profilo ed i particolari del frammento di roccia che lo sostiene, ma i particolari del fos- sile non sono riprodotti esattamente: così la carena è troppo accentuata ed il mar- gine posteriore troppo poco arrotondato. Il terzo esemplare, ricostruito e non ri- prodotto nella sua fig. 6, permette solo di ritenere, per la porzione che se ne vede, essendo in gran parte nascosto dalla roccia, che esso appartiene alla stessa specie degli altri due. La presenza in Giffoni, dubitativamente ammessa dallo stesso Costa, di co- desto genere Zeplodomus, sinora trovato solo nel Silurico, deve ritenersi assolu- tamente infondata, perchè l'originale della fig. 6, per quanto incompleto, pur lascia vedere che differisce da questo genere, e negli altri due poi, tralasciando le altre differenze, è evidente la mancanza di una lunetta posteriore concava, a lati pa- ralleli, lunga quanto la cerniera, dovuta all’ inflessione quasi ad angolo retto del margine dorsale, caratteri costanti del genere Zeptodomus '). ') Sedgwick and Mac Coy, Synopsis of brit. paleozoie. rocks a. fossils, p. 277. g È; | a i i 4 è — 19 — I fossili in esame corrispondono alla descrizione ed alle figure dell’ Anoplo- phora Minsteri Wissm. sp., ed ecco i loro caratteri riconoscibili - Conchiglia ovale, allungata trasversalmente, rigonfia, un po’ compressa nella parte posteriore; apici piccoli anteriori; lunula piccola concava ; area lunga e ristretta. Carena diretta verso dietro ed un poco in basso, ben distinta nel migliore degli esemplari (come nella fig. 23 del Bittner ')), meno evidente negli altri due a causa del loro stato di conservazione. Superficie ornata da strie e solchi concentrici di ac- crescimento. Gen. LEDA Schum. Leda tirolensis Wohrm. Wéohrmann S., Jahrb. geol. R.-A., XXXIX, p. 212, tav. VIII, fig. 15 e 16. GENERE INDETERMINATO — Costa O. G., M. Pic., p. 254, tav. VI, fig. 18. Non ho davanti che un solo esemplare di questa specie, leggermente incom- pleto, che era stato dal Costa figurato ed indicato come « specie di genere inde- terminato », ma non descritto. Esso permette di riconoscere i caratteri esposti dal Wéhrmann per questa sua specie, caratteri che si ripetono negli esemplari del Tommasi ‘), non però nell’Anoplophora ovalis Par. e nella Zeda subelliptica Par., che il W&hrmann ritiene sinonimi della sua specie. Sta in fatto che la descrizione del Wòhrmann non corrisponde a quelle delle due specie del Pa- rona, le quali evidentemente non vanno confuse con questa del Woshrmann, ed alle quali, comunque sia, non somiglia il mio esemplare. Conchiglia piccola, ovale, lunga mm. 10, alta 8, poco rigonfia, apice leg- germente anteriore, margine cardinale lievemente curvo, margine anteroinfe- riore ovale, margine posteriore un poco prolungato, a giudicarne dalle linee di accrescimento, che sono fini, regolari, più distinte verso il margine palleale. Gen. NUCULA Lmk. Nucula strigilata Goldf. Goldfuss A., Petref. Germ., II, p. 158, tav. CXXIV, fig. 18.— Parona C. F., Studio mon. fauna raibl. Lomb., p. 113, tav. IX, fig. 8. NucuLa GREGARIA Goldf. — Costa O. G., M. Pic., p. 237, tav. VI, fig. 17. Molte piccole valve, alcune appaiate, tutte aderenti alla roccia per la faccia interna furono dal Costa ascritte alla specie Nucula gregaria Goldf.; ma poichè in esse non si riscontrano alcuni cospicui caratteri della Nucula gregaria Minst. {non Goldf.), cioè l'avere la superficie posteriore declive, e separata dal dorso da 1) Bittner A., Abh. geol. R-A., XVIII, p. 9, tav. IV, fig. 22 a 25. î) Tommasi A., Ann. Ist. tecn. di Udine, ser. 2°, VIII, p. 36. Lion una acuta carena, innanzi alla quale trovasi un leggiero solco, visibile anche nella figura del Goldfuss, citata dal Costa ‘), così è chiaro che queste valve non possono riferirsi a tale specie. Esse vanno ascritte alla Nucula strigilata Goldf., con la quale concordano nei caratteri visibili; ed aggiungerò che per grandezza e contorno riproducono le forme più piccole e rotondeggianti di San Cassiano °), essendo meno grandi e meno allungate delle altre di tale località e della forma del raibliano lombardo descritta e figurata dal Parona °). Si distinguono dalla N. strigilata var. infata Gort. *), della quale sono più piccole, per avere gli umboni un po’ più in avanti e le valve meno rigonfie. Gen. MODIOLA Lam. Modiola distorta Costa Fig. 20 e 200. MopioLa DISTORTA Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 288, tav. VI, fig. 8. Questa specie fu fondata dal Costa su di un solo esemplare, costituito dal nucleo incompleto, al quale aderisce parte della conchiglia: tuttavia, siccome esso, per il vistoso carattere di essere curvo sul lato sinistro, si distingue dalle altre forme con le quali si potrebbe confrontare per gli altri caratteri, io credo che si debba continuare a tenerlo distinto come una specie a parte, e credo anche che si possa lasciarlo nel genere Modiola, poichè in fatti per l'abito generale non si dis- costa da questo genere. Conchiglia allungata, rigonfia, che per contorno e forma generale, a parte la notevole diseguaglianza delle valve, rammenta la Modiola gracilis, la M. raibliana e le altre forme vicine: non posso essere preciso per lo stato di conservazione de- ficiente. Umboni anteriori, grossi, dai quali si diparte una ottusa carena che si dirige verso l'angolo posteroinferiore, costituendo la linea di massima convessità. Margine inferiore tagliente, leggermente curvo con concavità a destra, margine posteriore leggermente curvo, margine cardinale ed anteriore non conservati. Valva sinistra molto convessa, sopratutto nel tratto anteriore, ornata da robuste linee ui accrescimento. Valva destra nell’assieme meno convessa della sinistra e leggermente concava nella sua porzione inferiore. Altezza dell’ esemplare mm. 19, lunghezza 35, spessore 16. !) Goldtuss A., Petref. Germ., II, p. 152, tav. CLIV, fig. 12. *) Bittner A., Abh. geol. R.-A., XVIII, p. 137, tav. XVII, fig. 1-17. *) Parona C. F., Studio mon. fauna raibl. Lomb., p. 118, tav. IX, fig. 8. *) Gortani M., Riv. it. di Paleont., VIII, p. SS, tav. IX, fig. 5. Modiola gracilis Klipst. Fig. 8. Klipstein A., Beitr. geo. Kennt. oest. Alp., p. 258, tav. XVII, fig. 2. — Parona C. F., Studio mon. fauna raibl. Lomb., p. 109, tav. IX, fig. 3. AVICULA POLYMORPRHA Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 239-243. Due valve, una sinistra ed una destra, probabilmente dello stesso individuo, aderenti alla roccia per la faccia interna, le quali furono dal Costa tenute assieme a varii esemplari di Gervi/leia ezilis Stopp. sp., laddove esse riproducono i carat- teri indicati per la specie sopraenunciata. In queste valve è visibile anche la de- bole carena che va dall’ apice al margine inferiore, rilevata dal Laube ') nel meglio conservato dei suoi esemplari, e della quale il Bittner *) dice che ricorda l’ultima costola careniforme della Myoconcha Marim. Leuchtenbergensis. Ad ac- crescere questa analogia aggiungo che sulle valve in esame si osservano pure delle debolissime coste irradianti dall’ apice, che noto anche, sebbene indistinta- mente, sulla figura 9 del Bittner, ma che non vedo rilevate in alcuna descri- zione. Gen. MYOCONCHA Sow. Myoconcha aff. lombardica Hauer Fig. 17. Hauer F., Sitzsb. Wien. Ak. Wiss., XXIV, p. 559, tav. VI, fig. 1-6. AVICULA POLYMORPHA VAR. Costa — Costa O. G., M. Pie., p. 252, tav. V, fig. 16. Due esemplari, risultanti di modelli interni di valve sinistre, di cui uno fi- gurato dal Costa come Avicule polymorpha var., corrispondono ai caratteri indi- cati dal Parona *) per la Myoconcha lombardica Hauer e precisamente alla sua fig. 5. Però, oltre ad essere più piccoli, il maggiore essendo lungo 25 ed alto 14 mm., hanno la porzione anteriore appiattita della valva un po’ più estesa in avanti. Noto nella parte dorsale dell’ esemplare migliore due coste poco visibili , che irradiando dall’apice si dirigono verso dietro, intersecate dalle strie di accre- cimento, come nella citata figura del Parona. 1) Laube G., Denkschr. Wien. Ak. Wiss., p. 46, tav. XVI, fig. 7. 3?) Bittner A., Abh. geol. R.-A., XVIII, p. 47, tav. V, fig. 9-11. *) Parona C. F., Studio mon. fauna raibl. Lomb., p. 129, tav. XI. fig. 1-7. init, - possi Myoconcha Maximiliani Leuchtenbergensis Klipst. sp. Fig. 5. Klipstein A., Bestr. geol. Kennt. cest. Alp., p. 256, tav. VII, fig. 1 (Mytilus Maxim. Leucht.). — Bittner A., Abh. geol. R.-A., XVIII, p. 41, tav. IV, fig. 1-3. AVICULA DECUSSATA Minst. — Costa O. G., M. Pie., tav. VI, fig. 20, e M. Ter., p. 122. Questa specie è rappresentata da una sola valva proveniente dal Terminio, in- completa, aderente alla roccia, che il Costa determinò come Avicula decussata : egli la figurò anche, ma la sua figura si avvicina più a quella, da lui citata in sinonimia, che il Goldfuss dà dell’Avicula decussata '), che non al fossile in esa- me, di cui invece non riproduce con esattezza che solo il contorno. L’ originale infatti non ha le costole così curve nè così rilevate, come nella figura, ed è legger- mente convesso, laddove l’Avicula decussata Miinst. ha la valva destra lieve- mente concava e la sinistra quasi globosa. Esso insomma, pur essendo incompleta, non può assolutamente confrontarsi a questa specie, ed invece, per la sua caratte- ristica ornamentazione, non meno che per gli altri caratteri visibili, corrisponde alla Myoconcha Marimiliani Leuchtenbergensis. L’ Hauer °), il Parona °), il Bittner e il Salomon ‘) hanno rilevato le analogie di questa specie con la Myoconcha lombardica, ed i primi due inclinereb- bero a credere che esse sieno varietà regionali della stessa specie. Credo quindi degno di nota il fatto della coesistenza in Giffoni della Myoconcha Maximiliani Leuchten- bergensis e di una forma affine alla Myoconcha lombardica, e somigliante più ancora di questa alla prima, a causa sopratutto della maggiore estensione della porzione anteriore appiattita delle valve. Myoconcha parvula Wéhrm. Fig. 10. Wéohrmann S. und Koken E., Zeitschr. Deutsch. geol. Gesell., XLIV, pag. 177, tav. VIII, fig. 10 e 11. AVICULA POLYMORPHA VAR. A, PLEUROPHORO ELONGATO STOPP. SIMILIS Costa — Costa 0. G., M. Pic., p. 243 e 252, tav. V, fig. 9. % Questa forma, finora trovata solo nel Raibliano dello Schlern ed a Giffoni, dove è rappresentata da un’ unica valva, aderente alla roccia per la faccia in- terna, fu dal Costa inclusa nella sua Avicula polymorpha; però egli riconobbe 1) Goldfuss A., Petr. Germ., II, p. 128, tav. CXVI, fig. 12. ?) Hauer Fr., Sitzsb. Wien. Ak. Wiss., XXIV, p. 661. *) Parona C. F., Studio mon. fauna raibl. Lomb., p. 131. *) Salomon W., Palaeontographica, XLII, p. 161. pa —_— 23 —- che « se ne discosta... tanto da persuadere ch’ esser possa una specie distinta . .. nella quale taluno ravviserebbe ... il Pleurophorus elongatus dello Stoppani » e nella spiegazione delle figure l’indicò perciò come « Avicula polymorpha var. 4, Pleurophoro-elongato Stopp. similis ». Ma la valva di Giffoni non solo non può confrontarsi alla Gervilleia ezrilis Stopp. sp., alla quale corrisponde la maggior parte degli esemplari di Avicu/e polymorpha Costa, perchè fra l’altro è molto lunga ed obliqua e sprovvista di orecchiette; ma non può neanche dirsi simile al Plewrophorus elongatus Moore ') (non Stopp.) perchè se ne distingue, fra l’altro, per Ja forma e per la mancanza della depressione, che in detta specie, incominciando innanzi all’apice, va slargandosi verso il margine palleale. La nostra piccola valva trova invece un riscontro perfetto nella descrizione e nella figura della Myoconcha parvula Wohrm., alla quale la riferisco: solo è un poco più piccola, misurando 12 mm. di lunghezza e 6 di altezza, laddove l’esem- plare figurato dal Wòhrmann è lungo 16 ed alto 8 mm. Gen. PLACUNOPSIS Morris et Lycett Placunopsis fissistriata Winkl. sp. Fig. 19. Winkler G., Zeitschr. Deutsch. geol. Gesell., XIII, p. 467, tav. V, fig. 10 (Anomia fissistriata). — Tommasi A., Ann. Ist. tecn. di Udine, ser. 2*, VIII, p. 14, tav. I, fig. 6. OsrREA crmBuLa Lmk. — Costa O. G., M. Pic., p. 244, tav. IV, fig. 7-9. OstreA AFF. Montis CapriILIS Klipst.— Di Stefano G. in Bassani Fr., Mem. Soc. it. sc., Disor333, 1:13, p- 20: Questa specie è rappresentata nella collezione di Giffoni da tre valve incom- plete, di cui due appaiate (gli originali della fig. 7 ed 8 del Costa), un modello della superficie interna di una valva superiore (l'originale della fig. 9) e qualche altro frammento. Il Costa illustrò questi fossili come Ostrea cymbula Lmk È), spiegando che egli riteneva doversi riferire a tale specie anche l’Ostrea hinnites Stopp. e l’Ostrea ventilabrum Goldf., alla quale « si accosterebbero meglio talune di queste ostriche ». Il Di Stefano rilevò la loro affinità con l’Ostrea Montis Caprilis, notando però, nel cartellino da lui scritto e annesso agli esemplari, che ne differiscono per le coste numerose e strette. La specie con la quale essi convengono ‘per i caratteri riconosciuti, e alle cui figure corrispondono è la Placunopsis fissi striata Winkl. sp. Gli esemplari di Giffoni infatti hanno conchiglia fortemente inequivalve a contorno irregolare subcircolare. La valva superiore è più o meno convessa fino a ln 1) Stoppani A., Pal. lomb., ser. 3%, tav. XXXY, fig. 18. Il Costa cita appunto questa *) Goldfuss A., Petr. Germ., II, p. 14, tav. XLVI, fig. 5. —_ ME globosa, l’ inferiore è irregolarmente concava. Entrambe sono percorse su tutta la superficie, tranne la regione apiciale, da numerose pieghe radiali, squamose verso i margini, poco flessuose, alcune delle mediane biforcate una o poche volte, interrotte in parecchi tratti, massime nella valva superiore, da numerose rughe di accre- scimento. Ciò premesso, facilmente può rilevarsi che l’Ostrea Montis Caprilis se ne di- stingue per aver le costole meno numerose, irraggianti dall’apice come due fasci e ripetutamente biforcate; mentre l’O. cymbula Lmk. e l’O. ventilabrum Goldf. se ne differenziano anche meglio per avere una delle valve sfornita di coste o (qualche volta la cymbula) ornata solo verso l’orlo di brevi pieghe spianate. L’O. hinnites Stopp. poi se ne distingue facilissimamente per aver costole numerosissime, lineari, flessuose, non interrotte da linee di accrescimento. Gen. GERVILLEIA Defr. Gervilleia exilis Stopp. sp. Fig. 15 e 16. Stoppani A., Pal. lomb., ser. 8°, p. 259, tav. LX, fig. 9-14 (Avicula exilis). AVICULA POLYMORPHA Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 239-243, tav. V, fig. 15 e 17, tav. VI, fig. 3. AVICULA AEQUIVOCA Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 253, tav. V, fig. 24. AVvICULA (GERVILLIA) EXILIS Stopp. — Bassani Fr., Mem. soc. it. sc., IX, ser. 3%, n. 3, p. 20. GERVILLEIA EXILIS Stopp. sp. — De Lorenzo G., Atti Acc. sc. di Napoli, VI, ser. 29, n. 15, p. b0 e passim. Che tra i fossili di Giffoni fosse rappresentata questa specie, rinvenuta poi abbondantemente in quasi tutti gli affioramenti anche poco fossiliferi ‘) del Trias superiore dell’ Italia meridionale, fu già detto dal Bassani. A me non resta che confermare la sua determinazione. Il Costa, pure riconoscendo nei fossili appartenenti a questa specie dei carat- teri del genere Gervi/leia, e, in qualcuno di essi, una grande analogia con l’Avi- cula exilis dello Stoppani, li descrisse minutamente e li figurò col nome di Avicula polymorpha Costa, avendone notato la grande variabilità; a causa ap- punto della quale egli però dette alla sua specie maggior comprensione che non sia stata data dagli altri alla G. ezilis. Egli infatti incluse nella sua A. polymor- pha — qualcuna veramente come varietà — anche delle forme, che tutti tengono di- stinte dalla G. ezilis, e che quindi anche io ho Qui separatamente riportate. Esse sono l’ Avicula falcata Stopp., l’Avicula cassiana Bittn., la Modiola gracilis Klipst., la Myoconcha pareula Wohrm. e la Myoconcha aff. lombardica Hauer. Ma, pure eliminate queste, la (Gervi/leia e.rilis si dimostra sempre una specie polimorfa anche a Giffoni non meno che in Lombardia ed altrove. Infatti gli esem- ') Cassetti M., Boll. Com. geol. d’ It., XXV, p. 162 (M. Massico). ; 1 | î A Ì È î a I PS plari di Giffoni variano molto. La lunghezza va da pochi millimetri a circa 5 cm., e la forma da subquadrata a leggermente allungata; varia è pure l’obliquità di tutta la conchiglia rispetto al margine cardinale. Anche la convessità delle valve non è costante, rimanendo però sempre più rigonfia la valva destra, laddove la si- nistra è più o meno appiattita nella sua porzione palleale. La superficie è ornata da strie di accrescimento abbastanza sensibili negli esemplari meglio conservati. Per ogni altro carattere non potrei che ripetere la esauriente descrizione che di questa specie ci ha dato il Tommasi '), le cui varie figure, aggiungo, trovano tutte riscontro nei numerosissimi esemplari di Giffoni. Ad essa va riferito anche l'originale della fig. 24 della tav. V del Costa, da lui indicato nella spiegazione delle figure come Aricula aequivoca Costa, ma non descritto. Gen. PECTEN Klein Pecten Egidii Venantii Tomm. Fig. 6. Tommasi A., Palaeont. it., IX, p. 96, tav. XVI, fig. 3. PECTEN SP. — Costa O. G,, M. Pic., p. 244. PECTEN AFF. SUBALTERNANS d’Orb.— Di Stefano G. in Bassani Fr., Mem. soc. it. sc., IX, ser. 3%, n. 3, p. 20. Una sola valva, della quale è a nudo solo parte della faccia esterna senza la regione apiciale, onde il Costa si limitò ad indicarla genericamente: tuttavia è | stato possibile determinarla anche specificamente paragonandola con la riproduzione eliotipica e la minuta descrizione di questa specie data dal suo autore, e confron- tandola con altre valve meglio conservate, raccolte nella Dolomia principale di La- gonegro; le quali, indicate dal De Lorenzo °) come affini al Pecten subalternans d’Orb., sono identiche a questa nuova specie posteriormente creata dal Tommasi. Anche sulla valva di Giffoni si notano, oltre le costole radiali di due ordini, inequidistanti, delle sottili linee di accrescimento e delle pieghette trasversali concentriche. Gen. AVICULA Klein » Avicula cassiana Bittn. Fig. 14. Bittner A., Abh. geol. R.-A., XVIII, p. 71, tav. VIII, fig. 6-8. AVICULA POLYMORPHA Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 239-243. AVICULA AFFINIS Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 253, tav. V, fig. 26. 1) Tommasi A., Palaeontogr. it., IX, p. 97, tav. XVI, fig. 4-9. ?) De Lorenzo G., Palaeont. it., II, p. 115. Arti — Vol. XII— Serie 22- N° 17. 4 i AvicuLA PoLyMoRPHA Costa [pars] — Costa O. G., M. Pic., p. 254, tav. VI, fig. 21. AVICULA POLYMORPHA VAR. Costa — Costa O. G., M. Ter., p. 122. Ascrivo a questa specie, fondata a spese dell’Avicula Gea d’Orb., quattro esemplari, tutti di valva sinistra e aderenti alla roccia per la faccia interna. Tre provengono da Giffoni, di cui due indicati dal Costa come Avicula polymorpha ed uno figurato come A. affinis e non descritto (Tav. V, fig. 25); il quarto pro- viene dal Terminio, ed è figurato come A. polymorpha (M. Pic., tav. VI, fig. 21), e descritto come A. polymorpha var. (M. Ter., p. 122). Anche parecchi altri esem- plari, determinati dal Costa come A. pol/ymorpha, appartengono forse a questa specie, ma non è possibile accertarlo, perchè sono nuclei incompleti, e quindi non si possono con sicurezza distinguere da quelli di altre specie vicine, pure presenti a Giffoni, come l’A. falcata Stopp. e la Gervilleia ealis Stopp. sp. Conchiglia piccola, inequilaterale, mediocremente rigonfia, alta quasi quanto lunga. Margine cardinale dritto, margine anteroinferiore perfettamente arroton- dato, margine posteriore intaccato da una insenatura tondeggiante poco profonda. Apice diretto in avanti. Orecchietta anteriore piccola triangolare. Orecchietta po- steriore espansa, acuta, distinta dal resto della valva da un solco diretto dall’ a- pice in dietro ed un poco in basso. Superficie ornata da fitte strie di accresci- mento concentriche. Tra le figure date dal Bittner quella che meglio corrisponde ai miei esem- plari è la fig. 6. Probabilmente però tanto la specie del Bittner quanto i miei esemplari dovrebbero riportarsi all’Av. Stoppani Tomm. ‘) a giudicarne dalla de- scrizione e dalla figura; ma me ne fa dubitare l’orecchietta anteriore, che, se è ben riprodotta nella figura, e di ciò dubito, è più larga che nell’A. cassiana. Ad entrambe rassomiglia anche molto l’Avicula mytiliformis Stopp. °), che però ha il seno ed il solco caratteristici meno accentuati. Avicula falcata Stopp. Fig. 13. Stoppani A., Pal. lomb., ser. 8°, p. 135, tav. XXXI, fig. 6. AVICULA POLYMORPHA VAR, Costa — Costa O. G., M. Pic., p. 254, tav. VI, fig. 22, e M. Ter., p. 122. i Di questa specie esiste in collezione un esemplare unico proveniente dal Ter- minio, che è stato dal Costa figurato nel 1864 e descritto nel 1865 come una varietà della sua Avicula polymorpha, che, come ho detto innanzi, corrisponde par- zialmente alla Gervilleia exilis Stopp. sp. Ma, per quanto quest’ ultima specie sia molto variabile, non è possibile farvi rientrare l’ esemplare in esame, il quale ripro- duce esattamente la forma di un'altra Avicula, che è tenuta separata dall’ Av:cu/g 1) Tommasi A., Ann. del R. Ist. tecn. di Udine, ser. 2%, VIII, p. 22, tav. II, fig. 1. ?) Stoppani A., Pal. lomb., ser. 1%, p. 91, tav. XVIII, fig. 16 e 17. RI. piper (Gervilleia) ewilis, forse anche con diversi nomi, e questa è l’Avicula falcata Stopp. Quantunque non si tratti che di una sola valva, neanche rigorosamente com- pleta, pure il caratteristico sviluppo dell’aletta posteriore e del relativo seno, assieme a tutti gli altri caratteri, mi fa esser certo che l’ esemplare appartiene proprio a questa specie. Conchiglia lunga mm. 27, alta 14, rigonfia, obliqua. Margine cardinale dritto, margine anteroinferiore rotondato, margine posteriore inciso da un seno profondo, stretto, acuto. La parte rigonfia della valva è distinta dall’ aletta poste- riore stretta ed appuntata mercè un solco, che dall’apice si dirige indietro ed appena un poco in basso. Superficie ornata da strie di accrescimento concentriche molto fitte. Credo sinonimo di questa specie l’ Avieula Sturi Bittn., perchè nè dalla descri- zione, nè dalle figure ‘) appare differenza specifica fra le due. Così pure l’ Avicula cfr. caudata Stopp. proveniente da Predazzo, descritta e figurata dal Philipp °), mi sembra che sia da confrontare piuttosto con questa anzichè con l’A. caudata Stopp. °), alla quale manca il seno stretto e profondo sotto l’orecchietta posteriore, che è carat- teristico dell'A. fa/cata secondo l’autore stesso di entrambe le specie, e che è così evidente nella fig. 15 del Philipp; e lo stesso direi per l’A. cfr. caudata Stopp. delle fig. 17 e 18 del Bittner ‘). Anche l’Avicula decipiens Sal. *) che il Bittner ritiene identica all’A. caudata Stopp., io credo, a giudicarne dalla descrizione e dall’ andamento delle strie di accrescimento, che dovrebbe piuttosto essere identi- ficata con l’A. falcata Stopp., la quale insomma mi pare immeritatamente la- sciata da parte a vantaggio della caudata. BRACHIOPODA Gen. CRURATULA Bittn. Cruratula cfr. carinthiaca Rothpl. sp. Fig. 4 e 4a. Rothpletz A., Palaeontographica, XXXIII, p. 116, tav. XV, fig. 2-3 (Terebratula Carinthiaca). — — Tommasi A., Ann. Ist. tecn. di Udine, ser. 2%, VIII, p. 64 (Waldheimia carinthiaca). TEREBRATULA BIPLICATA Br. — Costa O. G., M. Pic., p. 246, tav. V, fig. 10. Questa unica specie di brachiopodo di Giffoni è rappresentata da un solo esem- plare, ma perfettamente conservato, che fu illustrato dal Costa come Terebratula biplicata Br. Esso corrisponde alla figura da lui datane per l’assieme ma non per- fettamente per i particolari; così le pliche sono un po’ meno pronunziate, ed il solco mediano è dritto. 1) Bittner A., Abh. geol. R.-A., XVIII, p. 69, tav. VIII, fig. 1-4. *) Philipp H., Zeitschr. d. Deutsch. geol. Gesell., LVI, p. 60, tav. ll, fig. 13-15. 3) Stoppani A., Pal. lonb., ser. 1°, p. 92, tav. XVIII, fig. 18 e 19. +) Bittner A., Abh. geol. R-A., XVIII, tav. VIII, fig. 17-18. 5) Salomon W., Palaeontagraphica, XLII, p. 152, tav. IV, fig. 36. i — 28 — Questo fossile non trova riscontro nella Zerebratula biplicata Br. sp. (Anomia biplicata Id .); ma, poichè, oltre questa del Brocchi, esistevano già al tempo del Costa altre Zerebratula biplicata , che da alcuni sono tenute distinte, da altri ritenute in tutto o in parte come sinonime, e da altri riunite in gruppo, così ho voluto paragonare l’ unicum di Giffori anche a queste altre, nel dubbio che la indicazione, data dal Costa, dell'autore della specie non fosse esatta, come non lo è per la Nucula gregaria (Miinst. e non Goldf.) e pel Pleurophorus elongatus (Moor. e non Stopp.); ma nessuna di esse corrisponde al brachiopodo in esame, Questo si distingue da tutte le 7. beplicata principalmente perchè la sua commes- sura frontale forma una linea quasi dritta; nè, essendo assai piccolo, può ritenersi che si tratti di una Zerebratula biplicata molto giovane, perchè il Davidson ‘), il quale ritiene sinonime le predette specie, e ne ha avute per le mani più di tre- mila campioni, scrive che quando son giovani son perfettamente ovali e senza tracce di biplicature, laddove la nostra è grossolanamente pentagonale, e mostra delle leggere pliche Conchiglia alta mm. 7, iarga mm. 6, spessa mm. 4, a contorno subpentago- nale. La grande valva, discretamente rigonfia, mostra lungo la linea mediana, tra due pieghe ottuse indistinte, un solco debolissimo, più evidente in avanti. Apice robusto, troncato da un foro relativamente grande, rotondo. La valva brachiale, meno rigonfia dell’ altra, mostra lungo la linea mediana un leggero solco, tra due pieghe ottuse. Margine frontale appena leggermente concavo Commessura frontale appena ondulata, cioè leggerissimamente concava in alto in corrispondenza del solco, e in basso in corrispondenza delle pliche. Superficie ornata da fini linee di accrescimento. Il fossile in esame corrisponde quasi perfettamente alla Cruratula carinthiaca Rothpl. sp. ese ne allontana solo perchè il margine sinistro presenta una leggera insenatura, che rende le valve un poco inequilaterali. Forse questa è una variazione individuale, ma, trattandosi di un solo esemplare, non si può esserne certi, e questa sola considerazione mi fa stare dubbioso sulla sua esatta determinazione. ') Davidson Th., British fossil brachiopoda (Palaeontographical Society, 1851-54, p. 55). ‘193 px 20gn077 seedomumaiaI | * ° È : ‘+ 3'dp‘Acavr'888 don N|* , ; : " ' PIRO] FM7DMLIQNI 0Q4N], “de "UO VIDON DIUMYILOAA r z ti , ® (9) walt] HA ‘AU ‘83 *d ‘017 "IV . . . ®. . . 780 lo) fl CLVELZNA (d) "db *asUng Woo? VIUAYIOM | * è : . . . . * 883 d 87 N € “de *u0 gg vam7?708 VIYNOM | * ; . : ù pudg'a csv ‘388 d “a7T N . . . L : Pre50 enon ENRYI04 ], "RNDANO100 : SPZIZNNE, def ARA A BIEE ALTARI ORGA RIA ia + «ds uu] ‘ds *[dyg0og vIn?zuzimo “Ipo n7mImanII | * } : Ù lui ‘9 ‘A ul ‘9pg d “04 N |* 4 . . 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Milan Deer art Se que de E meo ; Mare ese “w. » wo) e pr 0 SL np £LRi mt a” Ni Ra dle e a ale '- gia b nile ea aan 0 Ta de AE MT sele dr La sano lo "4 "= SPIEGAZIONE DELLE FIGURE (tutte in grandezza naturale ) È pag. 7 — Delphinulopsis Laubei Kittl. 1 3 » 3, » 4de4a, » bi » fi, » Ti » S. » 9, » 10, » 11, » 12, » 13, » 4S » 15 e 16. » 17, » 18 e 180, » 19, » 20 e 200, - >» 21,214 0 21b, » 10— Worthenia solitaria Ben. sp. 5— Natica zonata Costa 27 — Cruratula cir. carinthiaca Rothpl. sp. 22 — Myoconcha Maximiliani Leuchtenbergensis Klipst. sp. 25 — Pecten Egidii Venantii Tomm. 18— Anoplophora Munsteri Wissm. sp. 21 — Modiola gracitis Klipst. 17— Cardita crenata Goldf. 22 — Myoconcha parvuta W 6rhm. 16 — Cardito Beneckei Bittn. 12— Gonodus Mettingi Hauer sp. 26 — Avicula falcata Stopp. 25 — Avicula cassiana Bittn. 24 — Gervilleia exitis Stopp. sp. | 21 — Myoconcha aff. lombardica Hauer 11— Pleuromya cfr. tata Par. 23 — Placunopsis fissistriata Winkl. sp. 20 — Modiola distorta Costa 14 — Megalodus (Neom.) triqueter W ulf. sp. finita di stampare il dì 10 Agosto 1905 Atti R. Acc. Sc. Napoli, Vol. XII, Ser. 2,8 N17 A 7 12 GALDIERI, Malacofauna trias. di Giffoni. ’ “| 1, u A, CAGGIANO FOT, 210 r vu si 4 Pe | È % o ea nf IP } Ù dl LUNI (UD 10021