ve rai LA III A pl e eno ipo " cage EERSIonE N wa I n. doseiuci n einer ME retata sete se papera ila rt oiran atene | qrenrtae sort | sdegta so ®» FOR. THE. PEOPLE FOR EDVCATION FOR SCIENCE LIBRARY OF - "THE AMERICAN MUSEUM oF NATURAL HISTORY BY GIFT OF OGDEN MILLS. THE NEW YORK ACADEMY OF SCIENCES. SOCIETÀ REALE DI NAPOLI ATTI SERIE SECONDA VOL. XV. GIONE ZITVANV'OLE NAPOLI TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DIRETTA DA B. DE RUBERTIS FU MICHELE 1914 ELENCO DEI PRESIDENTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE 1862. CosTA ORONZIO GABRIELE 1863. 1864. 1865. 1866. 1867. 1868. 1869. 1870. 1871. 1872. 1873. 1874. 1875. 1876. 1877. 1878. 1879. 1880. 1881. 1882. 1883. 1884. 1885. 1886. 1887. 1888. CAaPOCCI ERNESTO GASPARRINI GUGLIELMO PabULA FORTUNATO DE LUCA SEBASTIANO De GASPARIS ANNIBALE PALMIERI LUIGI TRUDI NICOLA De MARTINI ANTONIO PaDULA FORTUNATO GuISscARDI GUGLIELMO FERGOLA EMANUELE PALMIERI LUIGI PaDbULA FORTUNATO PANCERI PAOLO TRUDI NICOLA CESATI VINCENZO DE GASPARIS ANNIBALE Costa ACHILLE PaDULA FORTUNATO ALBINI GIUSEPPE TRUDI NICOLA De MARTINI ANTONIO FERGOLA EMANUELE Govi GILBERTO BATTAGLINI GIUSEPPE De MARTINI ANTONIO . PADELLETTI DINO . COSTA ACHILLE . FERGOLA EMANUELE . PALMIERI LUIGI . BATTAGLINI GIUSEPPE . TRINCHESE SALVATORE . FERGOLA EMANUELE . VILLARI EMILIO . StACCI FRANCESCO . ALBINI GIUSEPPE . FERGOLA EMANUELE . NICOLUCCI GIUSTINIANO . CAPELLI ALFREDO . DeLPINo FEDERICO . FERGOLA EMANUELE . PALADINO GIOVANNI . Pinto Luci . Bassani FRANCESCO . FERGOLA EMANUELE . PALADINO GIOVANNI . DEL PEZZO PASQUALE . BASSANI FRANCESCO . PINTO LUIGI . PALADINO GIOVANNI . DeL PEZZO PASQUALE . DELLA VALLE ANTONIO ir POT Pi A ELENCO DEI a GENNAIO DEL 1914 SOCI nil asa Hat i con la data della loro nomina * UFFICIO DI PRESIDENZA —_——_ Presidente — DELLA VALLE ANTONIO Vice-Presidente — TORELLI GABRIELE = Segretario — DE LORENZO GIUSEPPE 0 Tesoriere — OGLIALORO-TODARO AGOSTINO — SOCI ORDINARI —_ > SEZIONE DELLE SCIENZE ts1eaei "So Fedor 1. OGLIALORO- TODARO AGOSTINO; 12 agosto 1882. 2. BASSANI FRANCESCO; 10 dicembre 1887. 3. PALADINO Giatesna 10 giugno 1893. 4. GRAssI GuIpo; 20 febbraio 1897. 5. DeLLA VALLE ANTONIO; 12 febbraio 1898. 22 e V_- . DE LoRENZO GIUSEPPE; 12 novembre 1904. . PIUTTI ARNALDO; 12 novembre 1904. . CANTONE MICHELE; 17 giugno 1905. . CAvARA FRIDIANO; 12 gennaio 1907. . MoNTICELLI FRANCESCO SAVERIO; 13 novembre 1909. . Scacchi EUcENIO; 13 novembre 1909. . BAKUNIN MARUSSIA; 6 maggio 1911. Soci non residenti . TARAMELLI TORQUATO; 10 dicembre 1892. . PATERNÒ EMANUELE; 11 febbraio 1905. . CAPELLINI GIOVANNI; 17 giugno 1911. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE Soci residenti . FERGOLA EMANUELE; 19 novembre 1861. . Pinto Luci; 8 giugno 1889. . DEL PEZZO PASQUALE; 20 novembre 1897. . TORELLI GABRIELE; non resid. 12 dic. 1903; resid. 16 ott. 1907. . PASCAL ERNESTO; 20 novembre 1909. . MonTEsANO DOMENICO; 10 dicembre ‘190. Pe Pi da, - la i i dici nce pg | » + bi dr st ; tr (ia < A Ci i, e “H del! AL O a a DI 7% ‘è | - PI pito x uh ; n r a LAI A (Lea TM LA A NI DEE »” , Da nà Tu ME» bi RL E fa » 8 eg: > 10. Fig. 1. SPERA (fig. 1) e sul sinistro (fig. 2). — Calcare di Lecce (Cave sulla via di S. Ce- sario) [Esemplare conservato nel Museo di geologia e di paleontologia del- l’ Università di Napoli]. Id. — Squame della regione anteriore mediana del tronco (ingr.). IJa.— Margine ctenoide delle stesse (molto ingr.). IJa.— Squama cordiforme, presso l'inserzione delle pinne addominali (ingr.). Myripristis metitensis (gr. nat.). — Calcare di Lecce (Cave sulla via di S. Ce- sario) [Esemplare conservato nella Collezione De Giorgi in Lecce]. Ia. — Squama della regione anteriore del tronco (ingr.). Ia. — Raggio spinoso di una pinna addominale (ingr.). IJa.— Penultimo raggio della porzione spinosa della pinna dorsale (ingr.). Schema dell’apparato opercolare (impronta interna) dell’esemplare di Myr. metitensis proveniente dalle cave di Rosignano e riprodotto alla Tav. II, fig. 1 (grand. nat.). Tav. II. Myripristis melitensis (grand. nat.) — Calcare delle cave di Rosignano Pie- monte (Castello di Uviglie). [Esemplare di proprietà dell'avv. Candido La- vagno di Roncaglia (Casale Monferrato)]. Myripristis meltensis (*|, della gr. nat.).—Calcare di Malta. [Esemplare conser- vato nel British Museum di Londra. — Fotografia gentilmente comunicata dal dott. A. Smith Woodward]. Mes di Regi Pci (i i iaia ' np Tao Î L. Si 542 Ù st ‘ è, lt x . n detto! Pa ca Pi ‘ x . LI "I » t i ij è È i n. F. BASSANI, Sopra un Bericide, Tav. I. Atti d. R. Acc. di Sc: fis. e mat., vol. XV, ser. II, n.0 1 GISATL RO RE Re .‘ bj 2 Ni Ù | e "ci i ì riv Rm e Parte ns 6 =_=. ri F. BASSANI, Sopra un Bericide, Tav. II. Atti d. R. Acc. di Sc. fis. e mat., vol. XV, ser. II, n.0 1 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE RICERCHE SULLA INNERVAZIONE DEL CUORE I. — RETTILI E BATRACI MEMORIA del dottor MARCO FEDELE presentata nell'adunanza del dì 3 Dicemere 1910 Introduzione e Cenno storico. Limitarsi oggi a ricercare in questa o quella parte del cuore elementi nervosi ‘parmi opera vana, poichè non è più il caso di ricerche frammentarie e frazionate «ma di analisi complete ed esaurienti, per preparare all'esperimento una sicura base di fatto. Ed è certo la mancanza di questi lavori integrali che ha provocato tante contraddizioni e tante disparate ipotesi intorno ai numerosi fenomeni del miocardio. — Finanche le esperienze più classiche, non escluse le recentissime del Carlson, non _ sono esenti da un certo semplicismo; poiché, a voler essere esatti, molte particolarità Ù “anatomiche furono in esse o trascurate o ignorate; come p. es. il negare nel cuore di Limulus altre cellule all’infuori di quelle localizzate nel cordone medio dorsale «e al principio delle branche trasverse. Ca Esaminando col cloruro d’oro qualche cuore di Limulus mi riuscì agevole vedere che, oltre ai nervi e cellule descritti dal Carlson, trovansi alla superficie del cuore reti di fibre in cui sono intercalate cellule nervose, chiare, nette, evidenti cellule nervose che non han niente da vedere con i nodi del reticolo a cui l'illustre a americano accennò nei suoi lavori. Se le cellule che tanti ricercatori, e lo stesso Carlson nella Salamandra, si aticarono a scoprire disseminate nelle diverse parti del muscolo cardiaco hanno il dii significato e la loro importanza, non si vorrà negar certo a questi sparsi lementi cellulari del cuore di Limulus uno scopo, una funzione; specialmente se siamo che del compito del sistema nervoso intracardiaco noi non sappiamo i niti né potremmo ancora precisarli. Un altro inconveniente che deriverebbe dallo studio frazionato e saltuario dei rvi del cuore sarebbe quello di descrivere su preparati avuti col metodo dell’ar- ATTI — Vol. XV— Serie 22 — N. 2. 1 9 ld gento ridotto o con la colorazione vitale ciò che Lee e ciò che Remak ci hanno insegnato con lo scalpello od altri con metodi tecnici imperfetti ma con sicuro e sano discernimento critico. Non vi sono anche oggi autori che si affalicano a di- mostrare la esistenza di qualche ganglio nell’interno del miocardio dei Mammiferi quando, tin dal 1794, Scarpa ce ne aveva data la descrizione ? « Praecipui autem nervorum Cardiacorum trunci ad basim cordis, et inter majora vasa arteriosa intumescunt in vera et genuina ganglia; in Equo autem, et Bove etiam ex iis ramis Cardiacorum, qui per cordis superficiem reptant nonnulli olivaria corpora gignunt » (pag. 2, XII). Inoltre a Scarpa spetta il vanto di aver per primo dimostrato che i nervi car- diaci non erano destinati ai vasi, — come allora sosteneva il Behrends, allievo del Soemmering, — e che i nervi dai vasi si scompagnano e vanno al miocardio. Fu solamente nel 1844, cioè cinquanta anni dopo, che vennero le ricerche del Remak a cui a torto si altribuisce comunemente la scoperta dei gangli car- diaci. Egli studiò il cuore di vitello dimostrandovi nervi e gangli nel ventricolo nonchè i gangli che poi ebbero il suo nome. Che il ventricolo danque dei Mammiferi sia fornito di gangli ce lo dissero lo scalpello e l’acume di questi accurati osservatori; la conferma poi che questi gangli esistessero e sì allogassero fin nella profonda trama del miocardio la dobbiamo a Robert Lee il quale, riferendosi per la descrizione alle magnifiche tavole del suo lavoro, dice che esse non rappresentano che i gangli superficiali, cioè una picco- lissima parte di quelli da lui messi in evidenza con la dissezione « numerous ganglia being formed in the walls of the heart wich no artist can represent ». È vero che i risultati del Lee furono contestati dal Kolliker, dal Dogiel e dal Vignal, poichè si disse che questo ricercatore aveva scambiato degli ispessimenti della guaina congiuntiva per gangli; ma non è men vero che gli oppositori non usa- rono una tecnica impeccabile e che i lavori più recenti anche dello stesso Dogiel e i recentissimi del Waledinsky danno la conferma sicura, indiscutibile della pre- senza di numerosi gangli alla superficie e nell’interno delia trama ventricolare. Uno sguardo alie vicende degli studii sulla ricerca dei gangli del cuore ci farà vedere come la realtà della presenza di gangli, specialmente alla superficie e nel- l’interno del ventricolo dei Mammiferi, ha fatto il cammino di tutte le verità, e cioè, prima smentita, è ritornata poi più abbellita, più raffinata, ma sostanzialmente uguale a sé stessa. Si apre nel 1848 la serie di ricerche sulla Rana con quelle di Ludwig il quale seguì per un tratto il vago negli atrii descrivendone una parte dei gangli; ma la tecnica di allora non gli permise di andare oltre dietro le quistioni che egli si poneva. E venne nel 1852 Bidder il quale seguì i rami del vago sino al ventricolo, dandone la descrizione completa, ma senza vederne con esattezza i rapporti distali essendo la posizione di questi gangli anatomicamente atriale, e senza d’altra parte seguire le fibre che da essi vanno nella compagine ventricolare, poichè i rami che da essi partono mollo presto « dem Auge sich enlziehen ». Schklarewsky,— contrariamente al fisiologo Friedelànder che sosteneva trovarsi le cellule gangliari in ogni parte del muscolo cardiaco, — le localizzava ai SAR SO solchi atrio-ventricolare ed interatriale; e Dogiel, nelle sue prime ricerche pubbli- cate nel 1877, trovava che nel cuore di Rana, Testudo, Pesci, Uccelli, Mammiferi non escluso l'Uomo, havvi regolarmente cellule gangliari n sbocco delle grosse vene nel cuore- e nel solco atrio-ventricolare, ma che queste non penetrano però mai negli strati profondi della musculatura, restando fra i fasci superficiali del cuore. Ma lo stesso A. nel 1882, studiando sul ventricolo di Rana, — oltre a gran numero di fibre nervose a doppio contorno che vanno parte nella parete ventri- colare, sotto l’endotelio dell’endocardio, parte fra i fasci muscolari, — trovò anche gruppi di cellule per cui egli propone il nome di gangli ventricolari, per distinguerli dai gangli del Bidder che egli chiama atrio-ventricolari. In un terzo lavoro Dogiel studia nel 1890, insieme con Tumanzew, par- ticolarmente il cuore di Rana dimostrando la presenza di cellule ganglionari alla base del bulbo. Nell’ ultima parte del lavoro, -- che ne è anche la più superfi- ciale, — gli autori trovano delle analogie nel modo di innervazione del Tritone e della Rana che, come io dimostrerò, sono assolutamente insussistenti. D'altra parte Lowit già nel 1881 descrisse un ammasso ganglionare nel setto del bulbo con cellule a prolungamenti a T o Y, ma Engelmann, in un suo lavoro pubblicato l’anno dopo, smentiva l’esistenza di queste cellule che poi Tumanzew doveva riaffermare e Carlson dimostrare anche nella Salamandra. Klug trova, anche nel 1881, che nel cuore di Rana «in dem primàren Ge- flecht der Ventrikelwand findet man neben blassen auch doppelt contourirte Ner- venfasern, aber keine Nervenzellen » ; ed inoltre che non esiste unione diretta fra le fibre del vago proveniente dal centro e le cellule nervose del vago cardiaco. Le ricerche di Vignai, eseguite nello stesso anno su tulte le classi dei Ver- tebrati, gli fanno concludere che nel cuore dei Pesci si trovano dei gruppi di cellule nervose: uno appartenente al simpatico (cellule uninucleate), e il secondo, fatto di cellule bipolari e binucleate, e appartenente al sistema cerebrospinale. Ad ognuna delle due specie di gruppi cellulari Vignal attribuisce una fun- zione eccitomotrice o inibitrice e le cellule della prima specie le localizza nel ven- tricolo, quelle della seconda specie nell’atrio. Kasem-Beck nel 1885 cercò controllare le conclusioni di Vignal studiando Testudo caspica, cane, scimmia ed uomo; ma i suoi risultati non parlano in favore della presenza dei due gruppi cellulari negli animali studiati. Per Eisenlohr (1886) non esistevano cellule nervose nei muscoli del cuore umano. — Arnstein vide nella Rana e nel Coniglio delle cellule gangliari il cui prolungamento unico andava a mettersi in diretta relazione con i fasci muscolari. — Lahousse trovò nelle cellule del setto della Rana una capsula più o meno ricca di nuclei. Nel 1893 Berkley, in un lavoro per tanto imperfelto per quanto ne è pomposo il titolo, studia col metodo di Golgi il ventricolo del cuore di rana, sorcio e topo bianco. I suoi risultati sono, a confessione anche dell’autore, molto imperfetti, ma non pertanto egli descrive nel ventricolo, — oltre a dei rigonfiamenti arrotondati sul cam- mino di alcune fibre, da considerarsi come cellule bipolari a funzione probabilmente sensitive, — anche delle cellule nervose bi- o multipolari le cui terminazioni sfuggono alla osservazione. e 0 FASE L’anno dopo Heymans e Demoor non riconoscono in questi elementi al- cuno dei caratteri delle cellule gangliari ed inoltre credono che certe formazioni cellulari interfascicolari possano ritenersi analoghe alle cellule nevrogliche. Essi non ottennero risultati sicuri sopra la innervazione delle valvole cardiache, come li ebbe contemporaneamente Jacques. Studiando questi i nervi del cuore nella Rana e nei Mammiferi vi dimostrò numerosi piccoli gangli annessi al plesso sotlo- pericardico — principalmente a livello del solco interauriculare e auricolo-ventrico- lare — come pure alla superficie delle orecchiette e dei ventricoli, per una estensione variabile che raggiunge facilmente la metà superiore di quest’ultima parte. Questi gangli avrebbero come elementi predominanti cellule multipolari analoghe a quelle dei rigonfiamenti del cordone simpatico nel solco auricolo-ventricolare e nel ven- tricolo, mentre nel solco interauricolare predominerebbe la forma unipolare. Secondo Schmidt poi (1897) le cellule nervose dei gangli cardiaci sarebbero circondate da una rete o nido pericellulare, da cui si distaccherebbero almeno due fibre nervose ciascuna con direzione differente; la cellula gangliare si troverebbe così, supponendo una estremità in rapporto col cuore e l’altra con i centri nervosi, sotto una doppia influenza, l’una di origine periferica, di origine centrale Paltra. Fra i lavori più recenti quelli di Wilson (1909), per quanto da un lato non ag- giungono niente di essenzialmente diverso a quello che già conoscevamo sulla inner- vazione generale del miocardio, sono dall’ altro canto interessantissimi, poichè tol- gono ai miogenisti l’ argomento, in cui tanta importanza si poneva, della condu- zione miogena attraverso gli elementi muscolari del fascio atrio-ventricolare. Egli in due sue brevi Note in cui esponeva succintamente alcuni risultati e considera- zioni sul fascio atrio-ventricolare concludeva che: « considering the neurogenetic as oppused to the myogenic hypotesis from the anatomical standpoint, one must acknowledge that the very complex nerve constituents of the bundle indicate an important nerve path-way and are very suggestive of an intricate nerve mecha- nisme ». Nel suo lavoro completo, pubblicato poco dopo, egli fa uno studio accurato del fascio e vi descrive numerose cellule gangliari mono-, bi-, multipolari 1 cui processi sì distribuiscono tanto ai gangli adiacenti nel fascio quanto alle sue fibre, monchè altre cellule i cui prolungamenti attraversano tutto il fascio. Descrive quindi abbon- danti fibre correnti in fasci e con la stessa distribuzione di quelle originantisi dalle cellule ed infine un intricato plesso di fibrille varicose intorno ed in stretta rela- zione con le fibre muscolari del fascio. i Marie Imehanitzky (1909) studiando i nervi del cuore nella Lacerta ocellata vi trova che « cin bisher nicht beschriebenen Nervenplexus mit eingelagerten sehr grossen und kleineren Ganglienbhaufen verbindet die Vorhòfe der Eidechsenherzen mit der Kammer ». L’A. ritiene che questo plesso presieda alla coordinazione del ritmo cardiaco e appoggia la sua ipotesi sulla supposizione che non vi siano legami muscolari fra atrio e ventricolo. Jo spero di pubblicare fra breve i risultati di alcune mie ricerche sull’ anatomia del cuore in cui dimostrerò che non v'è discontinuità nella musculatura atrio-ventricolare sia nella Rana sia nei Rettili (fra cui la Lacerta inuralis) e che è tempo quindi per i neurogenisti di abbandonare questo argomento falso e del resto superfluo. e mi $ he De "a i La ‘Max Lixaver (1909), studiando il cuore umano, trova cellule nervose soltanto nella regione atriale e solamente nell’epicardio: « Meine Untersuchungen fiihrien zu dem Ergebniss, dass die von Schwartz an Rattenherzen gemachlen Beobachtungen ueber die Lage der Ganglienzellen auch fiir das menschliche Herz zutreffend sind, dass insbesondere das Gebiet der Ventrikel vollkommen frei ist von Ganglienzellen » (pag. 221). Anche Eiger (1909) trova che « in den Kammerwanden gibt es keine spezielle Ganglien » e che i pochi gangli che si incontrano qua e là nei tagli superficiali del ventricolo sono piccolissimi e pochissimo costanti. Ultimamente però il Waledinsky (1910), confortato anche dalla conferma del suo maestro Smirnow, studiando il ventricolo di vitello, pecora, uomo, cane, volpe trova in tulti gangli nervosi nelle pareti del ventricolo, e nella volpe fin nel setto ventricolare. « Wie aus dem Angefibrlen auf das deutlichste zu ersehen ist weisen die Herzen der von mir untersuchten Séugtiere unzweifelbaft und konstant Nervengan- glien auf, die im Epicard und zuweilen zum Teil im bindgewebigen Interstilium der oberflachlichen Schicht des Myocards liegen » (pag. 472). * * * Ma quali sono i rapporti degli elementi nervosi con il miocardio ? vi sono in- timi legami fra fibre nervose e muscolari? e quali sono questi rapporti? e che si- gnificato hanno ? Cercherò brevemente riassumere ciò che conosciamo intorno a questo interessanlissimo argomento. Ho già detto avanti come Bidder non potè seguire nella Rana le fibre nella com- pagine ventricolare; aggiungo ora che in un suo lavoro successivo |’A. cerca in certo modo colmare questa lacuna e che, contemporaneamente a lui, da una parte Krause affermava che « die doppelcontourirten Nervenfasern des Herzmuskels endigen mit motorischen Endplatten » e dall’altra Schweiger-Seidel estendeva ai Mammiferi la rele perimuscolare descritta da K6lliker nei fasci miocardici della Rana; ma dove cominciano veramente le ricerche sul modo di terminarsi delle fibre cardiache nel miocardio è nel lavoro di Langerhans su Salamandra, Leuciscus, Rana e Cane. I metodi però sono ancora primitivi ed in questo autore vedesi la tendenza che è durata parecchio di dare interpretazione di fibre nervose a piccoli filamenti attac- cati a fibrocellule muscolari isolate. Come vedesi mancando il maggiore, anzi l’unico argomento — i rapporti — per sostenere la natura di questi filamenti si cade nelle discussioni interminabilmente oziose. Del resto io dimostrerò in prosieguo che le fibre muscolari del cuore sono av- volte in una ricca rete di fibrille connettivali che faranno vedere come -Langerhans e Ranvier ed altri hanno avuto torto a basare le loro conclusioni sopra fatti di natura. così incerta. Cosi -Gerlach nel 1876, applicando per primo il metodo dell’oro, diceva: « Wenn wir nun an der gewonnen Resultate die drei genannten Muskelarten riicksichtlich des terminale Verhaltens ibrer Nerven mit eimander vergleichen so finden wir, | dass nicht mehr so bedeutende Differenzen vorliegen, wie friber allgemein ange- — nommen wurde, als man.den quergestreiften Muskelfasern plattenf&rmige motorische pese Ni Endorgane zuerkannt und die Nerven der glatten Muskeln in der Kernen der Zelle endigen lIiess ». Nel 1883 von Openchowski conclude fra l’altro 1) che dal plesso fonda- mentale descritto da Gerlach vanno fibre terminali sulle cellule muscolari e quivi terminano con rigonfiamenti, bottoni terminali, piastre motrici, 2) che ogni cellula possiede una terminazione, e che « der Kern der Zelle hat nichts mit den Nerven- enden zu thun » (pag. 418). Il sistema di giudicare dalle figure è forse arrischiato, ma trattandosi qui di dati puramente morfologici, mi par di poter dire che l’A. va nelle conclusioni molto più lungi che i fatti glielo conseutino, anzi parmi che egli crei addirittura. La incompletezza dei risultati di questo autore si vedrà meglio quando avrò esposto i miei risultati avuti con l’ istesso metodo (clor. d’oro) ed altri negl’istessi animali da lui studiati. Più tardi Ranvier, ripigliando alcune idee di Langerhans e fondandosi più sulle ipotesi che sui fatti obbiettivi, sosteneva che : « la fibrille nerveuse pénétre dans les travées musculaires, s’y divise, et les fibrilles nerveuses qui en resultent tra- versent les cellules musculaires au niveau de leur masse protoplasmique centrale ou marginale, de telle sorte que les cellales placées en séries longitudinales se trouvent enfilées comme les grains d’un chapelet ». La rete muscolare conterrebbe così dentro le sue travale un plesso nervoso che ne ripete esattamente la forma. Sembrando poi impossibile che dei nervi motori terminassero con un semplice plesso, all’A. pare verosimile, ma confessa di non esser riuscito a dimostrarlo, che dalle fibrille del plesso intramuscolare piccoli rami si stacchino per terminarsi liberamente. Anche Retzius ammette delle terminazioni molto simili a quelle delle più sem- plici forme di terminazioni dei muscoli volontari, per quanto egli neghi d’altra parte la presenza di placche terminali, che anche Ramon y Cajal nega. Le ammette però Barkley, ma i suoi risultati, debbo ripeterlo, non mi sem- brano molto sicuri, poichè egli oltenne più o meno complete impregnazioni in solo un centocinquanta sezioni. Del resto anche Jacques, a proposito delle complesse terminazioni descritte dal Berkley, dice che ha gran pena « à admettre la réalité de leur existence ». Jacques a sua volta descrive terminazioni a bottoni laterali voluminosi e ir- regolari, assimilandole al tipo delle terminazioni analoghe a quelle descritte da Ret- zius nei muscoli striati di diversi animali inferiori, e terminazioni a piccoli bottoni terminali, avvicinandole piuttosto a terminazioni sensitive. Lo stesso A. riconosce però che qualcuna delle terminazioni da lui descritte erano già state ritenute da Berkley come «imprégnation vicieuse au point d’en- trecroisement de deux fibres » (pag. 637). Smirnow, in due Memorie, descrive delle formazioni che egli ritiene termina- zioni sensitive e motrici, ma, a guardare gli esempi che dà specialmente per la Rana, nasce subito il sospetto che esse non siano dovute a difetto di colorazione; spe- cialmente poi se guardiamo i risultati che ha avuto a questo riguardo l’ Hofmann nel suo bel lavoro sulla Rana. Anche il lavoro di Mikailow, che studia le terminazioni dell’endocardio di cavallo, meriterebbe una conferma; e d’altronde, ammesso anche la esistenza in qualche, concediamo anche, in molti animali di terminazioni di questa o quella specie, di i | I dr (pa quanto si chiarirebbe per la loro presenza il problema del modo con cui i nervi fanno sentire la loro influenza sul miocardio ? Non in questa o quell’altra partico- larità istologica va fondata questa interpretazione, non su un fatto peculiare ad una o più specie, ma in ciò che vi è di comune, in ciò che vi è di essenziale, di im- mutabile, poichè essenzialmente uguale è il fenomeno del ritmo nel cuore di tutti i Vertebrati. Riassumendo e concludendo noi possiamo dire che, malgrado i dispareri e le contraddizioni, i fatti anatomici che si son raccolti in più di un secolo di ricerche sono tutti per la origine nevrogena del ritmo, e, anche prescindendo dalle semplici e dimostrative ricerche del Carlson sul Limulus, chi volesse oggi ancora sostenere la conduzione miogena nel cuore dovrebbe fare astrazione da troppi chiari ed oramai sicuri fatti anatomici. Forse un giorno sarà possibile sui Vertebrati dimostrare con la stessa chiarezza ciò che fu visto in un crostaceo, se noi però arriveremo a pos- sedere notizie anatomiche sicure e complete anche su poche specie. Tecnica e materiale di studio. Accennerò brevemente ai metodi che mi aiutarono in queste ricerche. Per lo studio dei gangli, oltre ai metodi ordinarii (fissazione sublimato ecc. e color. Biondi, Emateina IA ecc.) mi sono avvalso principalmente del cloruro d’oro e del metodo dell’argento ridotto del Cajal. Il cloruro d’oro fu usato previa azione dell’acido formico ad ‘, del succo di limone o senza; fu usato per le sezioni e per le dilacerazioni e mi riuscì prezio- sissimo per preparati in toto, con i quali potei stabilire con grande precisione la configurazione e la topografia dei gangli, dei nervi, e i loro mutui rapporti. Il metodo di Cajal mi fu utilissimo nelle sezioni e con il suo aiuto potei stu- diare, oltre a le più delicate reti del miocardio, anche i gangli del setto interatriale nei Rettili ed i gangli del tronco specialmente negli Ofidi dove, con delicatissime e riuscite reazioni, potei vedere fin la struttura neurofibrillare degli elementi gangliari più cospicui. Per la esecuzione di questo metodo ho seguito le indicazioni date dal Cajal e ho trovato che il tempo utile per la permanenza in nitrato d’argento, varia dai cinque ai sei giorni. Un’assoluta costanza nelle modalità non v'è, ed ho potuto notare che anche la costanza della temperatura non è indispensabile alla buona riuscita della reazione, poichè, con cuori tenuti nei diversi liquidi alle vicende della temperatura del labo- ratorio, ho ottenuto risultati ottimi per delicatezza e chiarezza di reazione. Per lo studio dei gangli con questo metodo, i cuori di Rettili ed Anuri mi hanno dato buonissimi risultati, mentre quelli di Tritone non si prestano ad essere studiati che col cloruro d’oro, certamente a ragione della posizione e delicatezza dei gangli cardiaci in questi animali. Gli animali su cui specialmente si sono rivolte le mie ricerche sono Lacerta muralis, Elaphis quadrilineatus, Zamenis viridiftavus, Triton cristatus, Rana esculenta, Bufo vulgaris, Bufo viridis. a EIA Ricerche originali. Volendo fare uno studio comparativo della distribuzione generale dei nervi nei Rettili e nei Batraci mi trovo costretto a raggruppamenti che non hanno niente di naturale, poichè debbo avvicinare ai Sauri i Batraci Anuri e staccare in un gruppo a parte gli Urodeli. i In tutti troviamo abbondanza di nervi e cellule nervose, ma i primi presentano un tipo nettamente gangliare a cellule raggruppate in pochi gangli ricchi di elementi e in cui vanno a perdersi fibre midollate provenienti dai centri (Fig. 2-4); mentre i secondi hanno elementi abbondantissimi e sparsi, fibre per lo più amieliniche e cellule isolate o pochissimo raggruppate, in modo da formare un punteggiamento ricchissimo di elementi cellulari intorno alla periferia tulta del muscolo cardiaco (Fig. 5). E ciò che dico per il raggruppamento relativo agli elementi nervosi fra loro, dico anche per questi elementi rispetto ai muscolari, poichè mentre nei Sauri e negli Anuri i gruppi gangliari sono circoscritti nei limiti auriculari — e pochi e poco im- portanti si estendono al ventricolo — negli Urodeli invece tutto il cuore ne è ricoperto e la superticie del ventricolo è invasa da una ricca costellazione cellulare che si estende fino all’estremo apice di questa parte (Fig. 16). Fo notare di passaggio la estrema importanza di questo fatto che fa vedere come anche l’apice del ventricolo può essere fornito riccamente di cellule nervose in alcuni animali e come è pericoloso estendere le disposizioni riscontrate in un gruppo ad un gruppo anche molto affine. Passando ora a descrivere sommariamente i falti che ho potuto riscontrare, li raggrupperò nei seguenti paragrafi: a) Rami nervosi e plessi fondamentali; b) Gangli e loro disposizione; c) Innervazione del tronco arterioso dei Rettili; d) Plessi e reti secondarie; e) Reti avvolgenti gli elementi muscolari del cuore; f) Innervazione intima degli elementi del miocardio. a) RAMI NERVOSI E PLESSI FONDAMENTALI. Nella innervazione del cuore dobbiamo distinguere due ordini di fibre: uno proveniente per mezzo del vago dai centri ed un secondo proveniente dalle cellule simpatiche raccolte in gangli intorno alle pareti cardiache o nella trama di esse. Per i Rettili descriverò le disposizioni riscontrate nella Lacerta muralis da cui poco sì discostano gli Ofidi. Un’assoluta costanza di particolari non potrei dire che vi esista e mi atterrò quindi alla descrizione delle disposizioni essenziali astraendo dalle va- riazioni accessorie e poco significalive. Al cuore della Lacerta arrivano dal vago generalmente quattro rami per lato. Un primo ramo che distaccasi in alto verso il ganglio (Fig. 1, /) segue per un certo tratto questo cordone poi si ripiega, e avvicinandosi a una delle radici aortiche vi si addossa e la segue, ramificandosi, sino all’anello bulbare. SU: Nell’areo che forma questo primo ramo nel ripiegarsi si stacca generalmente un nervetto anastomotico che va a fondere le proprie fibre col plesso che trovasi alla parte posteriore delle cave e degli atri. Questo plesso è formato dagli altri rami del vago (1, III, IV) ì quali, anastomizzandosi fra loro e dirigendo le fibre comuni verso lo sbocco della cava sinistra nel seno, incontrano qui, sulla cava una prima, e sotto lo sbocco della v. polmonare una seconda massa gangliare cardiaca. Questo dalla parte sinistra; poichè verso destra queste disposizioni sono generalmente più sem- plificate ed anche i gangli sopra nominati (Fig. 1, gs) non trovano il loro riscontro che in piccoli gruppi di cellule poste sul percorso dei rami nervosi sul seno. Un'altra particolarità del lato destro è l’anastomosi che partendo dal tronco va, percorrendo la superficie dorsale della cava e parte degli atrii, a passare per il ganglio presso la v. pulmonare e poi, progredendo, scende verso il solco atrio-ventricolare, dove si getta nella massa gangliare mediana (Fig. 1, Rd). Dai margini mediali del plesso descritto si staccano poi dei rametti (N) che vanno alla trachea. Come si vede quindi da quello che ho detto, noi abbiamo un certo addensa- mento di gangli più verso sinistra che verso destra, ma le fibre centrali che arrivano a queste cellule e quelle che arrivano ai gangli del solco sono distribuite con un certo equilibrio quantitativo, poiche se il plesso di sinistra può apparire più ricco, ciò è dovuto in parte alle tibre che vi si portano dalla destra. Dalle fibre nervose che arrivano e che partono dalla massa gangliare atrio- ventricolare sì distacca il nervo del selto (Fig. IV, Ns) che, percorrendo dalla parte dorsale alla ventrale la parete di questo, attraversa un piccolo ganglio interno agli atrii e va verso la parte ventrale del solco. Ho già detto che prima di fornire i rami destinati alla parte dorsale degli atrii, il vago distacca un ramo che, partendosi dal ganglio, scende verso il cuore, si addossa alla radice dell’aorta, dà un ramo discendente che va a fondersi con il plesso già descritto, mentre che con il ramo principale segue la curva della radice aortica e accompagna questo vaso sino al ventricolo, nel « bulbus ring ». Dà nel suo percorso dei rami e fibre alla parte anteriore del tronco arterioso e su questi noi troviamo degli aggruppamenti cellulari che, piccoli verso la parte cefalica, vanno di- ventando sempre più cospicui verso il ventricolo (Fig. 3). Da questi rami del tronco si stacca un rametto che, girando intorno al margine ventricolare di esso lungo l’anello bulbare, si porta nella parte dorsale, e qui, pro- seguendo lungo il fondo del solco atrio-ventricolare, si mette in comunicazione con i gangli. Se noi seguiamo ora i nervi che decorrono nel solco atrio-ventricolare, vediamo che un cingolo nervoso, serpeggiando fra i gangli che si trovano in questa parle, stringe l’istmo atrio-ventricolare e unisce fra loro le cellule gangliari poste in questo solco. La Fig. 4 mostra la esatta configurazione dei gangli e dei nervi che decor- rono nel solco atrio-ventricolare e nel setto atriale; configurazione ricavata non per ricostruzioni sui tagli ma da pazienti dissezioni di preparati al cloruro d’oro, solo metodo che permette mantenere con scrupolosa esattezza i rapporti. ATTI — Vol. XV— Serie 22 — N. 2. 2 SAVE Negli Ofidi riscontriamo essenzialmente le istesse disposizioni; anche in essi il tronco ha la sua innervazione come nella Laceria, salvo che qui al posto dei pic- coli elementi raccolti in nidi troviamo cellule nervose normali e alquanto più co- spicue di quelle degli altri gangli del cuore. Anche gli Olidi presentano il nervo del setto e ia rassomiglianza con la Lacerta va sì lungi che noi non sapremmo distinguere su una sezione trasversale della tenda valvolare, — fatte le eccezioni, naturalmente, per le dimensioni — un cuore di Zamenis o Elaphis da quello di Lacerta. In essi il nervo del setto decorre, come nei Sauri, generalmente presso l’angolo che forma il setto inserendosi sulla tenda, lo percorre tulto e va nella parte ventrale del cuore. Sul suo percorso troviamo un ganglio che presenta un numero di elementi più grande che nella Lacerta. Nei Balraci non si riscontra più questa omogeneità. Mentre negli Anuri troviamo nelle disposizioni descritte da tanti Autori ed anche recentemente da Hofmann qualche analogia con i Rettili, negli Urodeli niente di lutto ciò. In essi vediamo invece un ricchissimo plesso, sviluppato grandemente in iutta la estensione della superficie cardiaca e specialmente nel solco atrio-ventrico- lare e parti circostanti. Questo plesso fatto di un intreccio di sottili fibre amieliniche è ricchissimo di cellule nervose che si attaccano alle sue fibre in tutto il suo per- corso come i fiori pedunculati di una pianta rampicante. Esso invade tutta la peri- feria del muscolo cardiaco; e non ne resta sfornito nemmeno l’apice del ventricolo, dove, col cloruro d’oro, si possono vedere facilmente questi rametti nervosi con grappoli di cellule. La Fig. 5 mostra una piccola porzione del plesso descritto posta nella parte superiore del ventricolo; esso si continua con modalità poco o niente differenti su tutta la superficie del ventricolo, e la Fig. 16 mostra una branca del plesso posta proprio sulla punta ventricolare. Questa ricchezza magnifica si attenua sulle altre parti del cuore, per quanto le cose restino come conformazione essenzialmente lo stesso; e solo sopra le cave noi ci troviamo in presenza di tronchi individualizzati che poi giunti nei limiti atrio-ventricolari generano il plesso fondamentale suddetto, Come si vede dunque, sia per la topografia, sia per la configurazione dei nervi intracardiaci, noi non siamo in nessun modo autorizzati ad unire con uno schema- tismo eccessivo e falso gli Anuri agli Urodeli, come tentarono già nel 1890 Tu- minzew e Dogiel fondando le loro conclusioni su di un esame affrettato e par- ziale del cuore di Tritone. Non è certo l’aver comune l’origine e, per un tratto, comune il percorso dei rami principali — cose del resto ovvie e che vediamo anche fuori dei limiti de’ Batraci — ma è nello insieme, nella configurazione complessiva della delicata trama nervosa cardiaca che bisogna trovare i caratteri comuni, ed è qui invece che troviamo nei Batraci una netta differenza, poichè, a parte la natura e la topografia dei nervi, noi possiamo dire che negli Anuri abbiamo una disposizione a gangli atriali, mentre negli Urodeli è prevalentemente ventricolare e che mentre negli Anuri possiamo lo- calizzare dei netti centri cardiaci nei gangli, negli Urodeli ciò riesce impossibile data la grande dispersione e la omogeneità di distribuzione degli elementi cellulari nervosi sul cuore. TORE b) GANGLI E LORO DISPOSIZIONE. I gangli nel cuore dei Rettili si trovano distribuiti nella regione dorsale di esso addossati intimamente alle pareti dell’organo, nel setto atriale, nel tronco ar- terioso e in parte nel soico atrio-ventricolare. Essi sono rivestiti dal connettivo che è aderente al cuore e si trovano sul percorso dei nervi sopra descritti. Un primo ganglio lo troviamo verso il lato mediale della cava superiore di sinistra; ovalare con cellule densameute aggruppate, ed intimamente addossato alla parete del vaso. Un secondo ganglio giace nel piano mediale del cuore in quella parte corrispon- dente al punto in cui la cava di sinistra va a sboccare nel seno, si estende in parte anche un po’ sugli atrii ed è per esso che passa generalmente il ramo anastomotico che il plesso di destra manda a quello di sinistra, come ho già accennato. Nella parte inferiore poi del confluente delle cave nel seno si trova la massa di gangli più cospicua. Qui numerosissime cellule sono addensate in tre o quattro gruppi, ma lasciano fra loro un certo numero di cellule sparse, sì che non si pos- sono distinguere nettamente un numero corrispondente di gangli. Questa massa gan- gliare si approfonda nel solco atrio-ventricolare, mantenendosi però sempre nel piano mediale. In esso, come abbiamo visto, confluiscono le fibre che — originandosi da diverse sorgenti nel plesso — convergono in più rami verso il solco atrio-ventricolare. Non mancano poi piccoli gruppi di cellule sparse sul percorso dei nervi, ma essi.sono di pochissimo conto e molto meno costanti. Dei gruppetti relativamente più costanti si possono incontrare (Fig. 2 gd) alla parte dorsale del seno sul percorso del ramo proveniente dal vago di destra, ge- neralmente sul margine della cava, corrispondentemente a quelli molto più impor- tanti che si trovano nella parte sinistra. Altri gruppi cellulari si estendono anche lungo il solco atrio-ventricolare e se ne trovano, oltre che ai lati di esso, anche nella parte ventrale, in corrispondenza del margine ventrale del setto interatriale. La Fig. 4 mostra questi gangli del solco, che come tanti nodi del cingolo che ho dianzi descritto coronano la base ventricolare. Tutti questi gangli sono superficiali e risultano da cellule in maggioranza unipolari, piriformi, ma non mancano però elementi bi- o pluripolari. Da essi partono numerose fibre amieliniche che poi ra- mificandosi e anastomizzandosi alla superficie del ventricolo e degli atrii involgono queste parti in una rete continua. Nella Fig. 7 è rappresentata una disposizione di cellule nervose sulla parete dorsale degli atrii di L. murales poco comune, poichè, anche in territorii così ristretti come quello in cui son circoscritte queste cellule, non riscontriamo che raramente simili dispersioni di elementi gangliari; ma quello che è molto notevole in questa figura è che essa fa vedere il modo con cui si origina la rete nervosa ora ac- cennata. Difatti vediamo da cellule isolate e da cellule aggruppate su rami del plesso principale, partire prolungamenti che unendosi ad altre fibre — provenienti con ogni probabilità, per le vie del plesso, da cellule più lontane — formano rete. La struttura e la distribuzione di questa rete sarà descritta più appresso. Dai Sauri non si scostano essenzialmente gli Ofidi: in questi, come nei primi, gangli sulle cave, gangli sugli atrii e masse gangliari più cospicue nel solco atrio- ST ventricolare. La rassomiglianza nei due gruppi va anzi così lontano da restarne col- piti, come ho fatto già notare per il nervo del setto interatriale, per la sua posi- zione, e come vedremo, per il ganglio che vi sì irova. Anche per il tronco arterioso i due gruppi si rassomigliano, per quanto gli Ofidi posseggano su esso elementi gangliari normali, mentre i Sauri hanno elementi molto più piccoli e riuniti in caratteristici aggruppamenti; ma questo argomento, meri- tando una più lunga discussione, per non intralciare la descrizione di cui mi sto occupando, sarà trattato in un paragrafo a parte. Ma vi sono gangli nella musculatura del cuore ? Per la musculatura ventricolare posso rispondere di no, poichè dopo ripetute ricerche, usando sia le dissezioni che i tagli di interi cuori, applicando i diversi metodi che m’ hanno aiutato in questo studio, non ho mai riscontrato la minima traccia di cellule nervose nella compagine ventricolare. Questa medesima assenza di cellule nervose non si verifica per gli atrii poichè ho potuto mettere in evidenza nel setto, e delia Lacerta e di Elaphis e di Zamenis (Fig. 4, gs, 6 e 15) un piccolo ganglio posto sul percorso di un nervo proveniente dal plesso primario, formato da poche cellule e posto in comunicazione con i gangli principali del solco. Dunque in questi animali niente gangli interni ventricolari ma piccoli gangli atriali, niente cellule sparse nel miocardio ventricolare. Con ciò io non voglio escludere la presenza di gangli interni che ora, dopo gli studî del Waledinsky sono per alcuni Mammiferi indiscutibili, ma tengo an- cora una volta a far notare come da un animale a l’altro le disposizioni cambiano, e come lo sperimentatore non deve servirsi di nozioni generali a gruppi ma del- l’approfondita conoscenza dell’animale su cui sperimenta. Nella Rana e nel Bufo la localizzazione delle cellule nervose è sui rami prin- cipali degli atrii per la maggior parte e poi sui diversi rami che formano plesso sulle pareti e nel setto di questi. In alcuni di questi animali invero non mi sembra giustificata la netta distin- zione dei classici gruppi gangliari, poichè — come può vedersi specialmente nel Bufo — il rivestimento dei tronchi è fatto dalle cellule ganglionari quasi omogenea- mente nel loro percorso e solo un rigonfiamento lo troviamo nel ganglio di Bidder, Questi ultimi gangli d’altra parte sono inesattamente chiamati ventricolari, poiché essi non riposano direttamente sulla base del ventricolo ma invece su quella parte degli atrii che a guisa di istmo scende per un bel tratto — tanto nei Batraci quanto nei Rettili — nel cavo ventricolare. Per il Tritone ho già precedentemente descritta la disposizione cellulare e fatto vedere come questo animale si distingue da tutti gli altri quasi per una inversione di parti poichè qui è il ventricolo che è più ricco di cellule e ne possiede fino all’apice. Dunque gli elementi cellulari che vedeva Carlson nella Salamandra sulla punta del ventricolo, fanno parte nel Tritone di un complesso omogeneo che riveste tutta la superficie cardiaca. I miei risultati sono di una chiarezza indiscutibile e oramai — se in molti animali non è stato possibile mettere in luce elementi cellu- lari nervosi netti nell’apice od anche in altre parti del ventricolo — non è più lecito SS estendere questa mancanza al cuore dei Vertebrati in generale, poiché, come ho di- mostrato, non solo il ventricolo, ma fino l’estrema punta di esso può essere ricca- mente fornita di cellule nervose. Cc) INNERVAZIONE DEL TRONCO ARTERIOSO NEI RETTILI. Sludiando col cloruro d’oro l’innervazione del tronco arterioso nelia Lacerta muralis, mi accorsi che i rami dei nervi che arrivano su di esso erano ricchi di caratteristici gruppi cellulari, che avevano tutto l’aspetto e tutti i rapporti di masse ganglionari, ma fui subito colpito dalla piccolezza degli elementi e da una ricchezza particolare, che li faceva distinguere subito dai comuni gangli cardiaci dello stesso animale. La topografia e l’aspetto generale di queste formazioni son rappresentati nella Fig. 3; dove si vede che esse mai si scompagnano da tronchi e filamenti ner- vosi. Cominciano ad apparire fin sulle ramificazioni dei vasi del truncus arteriosus con pochi e piccoli gruppi e poi, progredendo verso il cuore, vanno aumentando sia i gruppi che gli elementi che li compongono. Possono osservarsi elementi sui tronchi nervosi principali o lontano, cellule isolate o riccamente aggruppate, ma sempre queste formazioni sono in rapporto con fibre partenti dai rami nervosi del tronco. Ho già descrilto precedentemente dove si originano i nervi del truncus arte- riosus, e le modalità del loro percorso ; dirò qui come essi, arrivati sui vasi, vi si addossano, penetrano nell’avventizia e cominciano a dar rami che vanno ai gruppi di cellule di cui ho parlato sopra. Si vede, esaminando molti di questi gruppi, che vi penetrano delle fibre midollate o non, e, dall’altra parte, si vedono partire sottili fibrille che, percorrendo le pareti del tronco, e anastomizzandosi fra loro e con le fibrille originatesi da altri gruppi, formano nelle pareti del tronco una delicatissima rete di fibre amieliniche. Già questa disposizione ricorda esattamente ciò che avviene per i gangli de- scritti altrove nella Lacerta, dove abbiamo visto come ai gangli arrivassero fibre midollate e come ne partissero, a formar rete, fibre amieliniche. Qui però, data la mole e la disposizione degli elementi ganglionari, fu facile vedere cellule dar diret- tamente filamenti ad arricchire la rete; ma anche nelle cellule del tronco, insistendo nei tentativi, mi riusci il dimostrare disposizioni analoghe. Nella Fig. 10, infatti, son rappresentati, fortemente ingranditi, alcuni gruppi di cellule trattate col cloruro d’oro. Si vedono per queste cellule essenzialmente gli stessi rapporti che prendono gli elementi ganglionari del Tritone (Fig. 5) e quelli della Lacerta (Fig. 6) con i rami nervosi, e vi si notano anche elementi con netti prolungamenti ed anche qualcuno con più ramificazioni — di cui una va a fondersi col nervetto —i quali in niente sapremmo distinguere da ordinarie cellule nervose se non per la mole. Prendendo a base questi fatti io m’ero convinto di trovarmi in presenza di veri gangli mervosi posti, come quelli delle altre parti del cuore, fra i nervi del centro e le reti cardiache. Leggendo però una nota del prof. Trinci « sulla esistenza di un paraganglio cardiaco nei Rettili » mi accorsi che il territorio che assegnava questo A. al paraganglio da lui accennato, corrispondeva nella Lacerta precisamente a quello delle formazioni da me studiate. Secondo il prof. Trinci difatti: « le cellule cro- sd | ge maffini, comprese in nidi di vario numero di elementi, già cominciano a mostrarsi in prossimità degli ostii arteriosi ventricolari, ma divengono particolarmente abbon- danti nel tratto intermedio fra la regione degli ostii stessi e quella distale in cui i singoli tronchi si separano l’uno dall’altro » ed anche: « I nidi alla periferia del truncus arteriosus giacciono nell’ avventizia di tutti e tre i vasi arteriosi ». Si vede quindi che, almeno topograficamente, tenendo anche conto che io non ho incontrato | in queste parti elementi cellulari -all’infuori di quelli che ho nominati, i nidi cro- È maffinici corrispondono ai gruppi di cellule da me descritti; per quanto, debba È confessare che io non ho altri ragguagli per la identificazione, poichè il prof. Trinci non da nella sua nota che fuggevoli indicazioni, nè io ho fatto delle ricerche spe- ciali in proposito. Ma, se le due formazioni sono la stessa cosa, ci troviamo noi in presenza di gruppi gangliari simpalici, come io ritengo, oppure di nidi cellulari secernenti? Non sarà forse vano che io spenda qui qualche parola, senza voler entrare però nel merito della quistione generale delle cellule cromaffini. ll prof. Diamare ritiene che: « senza dubbio è erronea l’opinione di coloro che vogliono riconoscere nelle cellule cromaffini degli elementi nervosi »; ma non può disconoscere che nel midollo delle capsule surrenali, possono trovarsi cellule ganglionari e nella cavia ne ha veduto anche egli di sparse. Anche nell'uomo sono riportati casi di gangli intramidollari e addirittura casi di veri « neuroni ganglionari » che occupano il posto del midollo, anzi proprio il prof. Diamare ha potuto esa- minare nell'uomo un caso in cui il midollo risultava quasi esclusivamenle di un com- plesso di caratteristiche cellule ganglionari. Ma i rapporti genetici ed attuali del tessuto cromaffine col simpatico, che anche le personali osservazioni dell’ A. confermano, sembrangli che destino soverchia preoccupazione e che, dinanzi alla evidenza, s’ im- ponga troppo «il pregiudizio che dai tessuti nervosi non possano sorgere che ele- menti nervosi »; e non sorprenderà che si ravvisi « un’evoluzione particolare del pri- mitivo epitelio neurale verso un ufficio diverso da quello a cui tendono la maggio- ranza dei suoi derivati ». Ma che questa evoluzione abbia una linea e un limite netto non è detto dall’A. né si poteva dire, poichè, volendo restare nello stesso ordine di idee, e ove noi pensiamo ai casi in cui parte o tutti gli elementi primitivi sì sviluppano completa- mente nel senso nervoso, possiamo anche immaginare che in qualche animale o in una parte di esso, l’epitelio neurale prenda, evolvendo, quasi una via di mezzo, e, pur acquistando dei caratteri che in qualche modo avvicini i suoi elementi a for- mazioni cromaffiniche, questi restino essenzialmente coerenti alla loro natura origi- naria e funzionino, secondo essa, da elemeuti nervosi. E questo caso — volendo rimanere, ripeto, sempre nello stesso ordine di idee — si potrebbe applicare preci- samente alle formazioni gangliari del tronco arterioso di Lacerta, facendo notare qui che, come dice lo stesso prof. Trinci: « gli elementi specifici del paraganglio cardiaco nei Rettili costituiscono un tipo cellulare alquanto distinto da quelli del paraganglio soprarenale ». i Nella Lacerta ci troveremmo davanti ad elementi che nello svilupparsi, invece È di acquistar nella mole, si sarebbero molto divisi, e pur non rimanendo eguali agli. } altri elementi ganglionari in qualche carattere, vi rimangono nella funzione. So E a queste considerazioni aggiungo il fatto che in Zamenis ed Elaphis io ho trovato nel tronco arterioso, corrispondentemente alle formazioni descritte nella La- certa, e sugli stessi nervi, gangli nervosi più poveri di elementi ma con cellule cospicue, nettamente ramificate e che sono sicuramente nervose, fino a quando i prolungamenti cellulari che vanno a formare un nervo od un plesso, e la struttura fibrillare del corpo cellulare saranno caratteri indiscutibili di una cellula ganglionare. La Fig. 12 dà l’aspetto generale di uno di questi gangli e la Fig. 11 riproduce delle cellule di essi viste a forte ingrandimento e la cui natura è di un’evidenza innegabile. Conchiudendo dunque possiamo affermare che, tanto nei Sauri quanto negli Ofidi, noi troviamo nel tronco aortico, oltre a nervi proprii con origine distinta, anche dei ricchi gruppi gangliari, ed una delicatissima rete che si distribuisce nelle sue pareti. d) PLESSI E RETI SECONDARIE. La distribuzione delle fibre che si nota nel miocardio è diversa nella natura di esse, e pare abbia una certa relazione con la grossezza delle pareti a cui son de- stinate. Così nella Lacerta i nervi con fibre a mielina non li troviamo che alla su- perficie e nella parete del setto e subito cominciano le reti di semplici fibre e non si vedono plessi interni come intermediarii fra la superficie e le estreme reti; nella Rana le fibre mieliniche si arrestano agli atrii, mentre nel ventricolo scendono, lungo la parete del foro atrio-ventricolare, numerosi fasci di fibre amieliniche che formano un plesso da cui si genererà poi la rete che percorre il miocardio. Quando la mole del cuore cresce, come nei grossi Bufi; allora lunghi rami, ricchi plessi mielinici percor- rono il miocardio in tutte le direzioni e presentano anche cellule gangliari negli interstizii dei fasci muscolari. Da questi plessi poi sì staccano fibre amieliniche che formano a loro volta plessi addossati più intimamente alle parti a cui si distribui- scono, e da cui poi si originano i rami che formeranno la rete ultima, più intima. Così, p. es., nella Fig. 19 vediamo una porzione di plesso di sottili fibre, poste sul bulbo arterioso, che poi, con i suoi filamenti si risolve in una rete. Per i Rettili ho già indicato il modo come si origina la rete sottopericardica, addossata intimamente alle pareti del cuore, e ho già fatto vedere — rimandando alla Fig. 6 — come nasce la rete atriale e come molte cellule ganglionari vi mandano direttamente o non i propri prolungamenti. Anche per le altre parti del cuore abbiamo una rete simile e continua e la sua origine è analoga a quella atriale. Così, guardando le masse ganglionari del solco atrio-ventricolare, vediamo irraggiarsi da esse numerose fibre che alla superficie delle pareti ventricolari ed atriali, si dividono in sottili filamenti i quali, anastomizzandosi, formano una rete che involge tulte le parti del cuore. Queste fibre, come vedesi nella Fig. 8, mostrano, verso la loro origine dai gangli simpatici, nettissimi nuclei posti di tratto in tratto e conservano per un certo per- corso un calibro costante. Si dividono poi e danno fibre più sottili che si anasto- mizzano fra loro e, talvolta, si raggruppano a formare fibre di calibro uguale alle originarie. Le maglie della rete non hanno nè forma nè dimensioni costanti. Esse GREP sono poligonali, con numero di lati variabile e presentano agli angoli e di tratto in tralto lungo le stesse fibrille dei rigonfiamenti ora triangolari ora fusiformi, che niente han da vedere con elementi cellulari. In ogni angolo non si riscontrano quasi mai più di tre fibre. La rete si vede più fitta sul ventricolo che sugli atrii dove mostrasi anche in certo modo più regolare. Nel Tritone pure abbiamo una disposizione analoga salvo che i centri da cui si arricchisce la rete hanno una ricca diffusione su tutta la superficie del cuore. Le reti, che si originano dal plesso che noi conosciamo, sono due, uguali di confor- mazione e di origine, ma decorrenti l’una più superficialmente del plesso principale e l’altra più profondamente addossata proprio alle fibre muscolari e fra esse. Nella Fig. 9 si vede un tratto della rete pericardica del ventricolo di Tritone che decorre più superficialmente del plesso principale, e nella Fig. 17 si vede come si forma, quasi per un graduale districamento del plesso, questa rete. Come nella Lacerta, notiamo anche nel Tritone la presenza di nuclei nelle fibre più vicine al plesso originario e anche qui vediamo la irregolarità delle maglie, che è anzi più accentuata, e nulla ha da vedere con la direzione delle fibre muscolari del miocardio. | nodi che ho segnalato nella Lacerta anche nel Tritone sono comuni ed anche qui dipendono dalla fasione delle tibre e non, in alcun modo, dalla pre- senza di nuclei o elementi cellulari. e) RETI AVVOLGENTI GLI ELEMENTI MUSCOLARI DEL CUORE. Ed ora dovrei parlare della innervazione intima delle fibre muscolari, ma voglio chiarire prima alcuni fatti, trascurando i quali ci sarebbe facile cadere in errore. Nel 1902, Veratti, studiando la struttura della fibra muscolare striata in molti animali, vide che ogni fibra era rivestita da una membrana la quale era ricca di un apparato reticolare che egli riteneva come produzione sarcolemmatica, confessando che non si avevano dati per fondare una ipotesi sul significato funzionale di questo reticolo. Ora, fin dal 1894, Heymans e Demoor, studiando col metodo di Golgi la innervazione del cuore dei Vertebrati, videro che le fibre muscolari cardiache erano rivestite da una guaina che assimilarono « à la gaîne conjonctive dans la- quelle se trouve toute fibre musculaire. La striation corresponderait à la texture de cette gaîne », e sembrò loro « éminemment apte à favoriser le courant de diffusion de la cellule musculaire ». Ci troviamo forse dinanzi alla istessa formazione descritta dal Veratti, ma la indeterminatezza di Heymans e Demoor è ben lungi dal darci la cognizione sicura e precisa di essa. Trattando le fibre muscolari del cuore col metodo di Cajal, potetti dimostrare nettamente una bellissima e ricca rete che rappresento nelle Fig. 13 e 14. Tutte le fibre che compongono la rete hanno, nella Lacerta, sui preparati avuti col metodo suddetto, un serpeggiamento caratteristico, a vicinissime curve di piccolo raggio, sì che la linea retta pare completamente bandita dal loro percorso, Nei preparati avuti per dissociazione, dopo trattamento col cloruro d’oro ed acido formico ‘, questo aspetto a brevi curve sparisce e le fibre diventano tese e senza ondulazioni ed anzi le fibre muscolari, troppo gonfiate dall’acido formico, appaiono come strozzate da esse. { i 4 * # (1 Re: Tp L’aspetto quindi dipende in parte dalla natura poco elastica del reticolo ed in parte dal metodo usato; mentre sul vivo, se esso potesse essere seguito, lo vedrem- mo cambiare con la contrazione o distensione del muscolo. Osservando questo reticolo, si vede che è fatto da fibre di grosso calibro unite a più numerose fibre sottili, queste non derivanti per divisioni di quelle, ma tutte saldandosi in una complessa rete, i cui rami più esili sono appena distinguibili con i più forti ingrandimenti. Spesse volte, su qualche fibra muscolare, grosse 0 piccole fibre vi arrivano da altre fibre muscolari, per mezzo dei rami anastomici di esse, siechè tutta la musculatura è avvolta in ogni sua fibra da una rete ininterrotta. Analoghe reti ho trovate negli altri animali studiati, e fin nei Mammiferi (Ve- spertilio), e, per quanto differenti in alcune particolarità di conformazione, esse rap- presentano essenzialmente la istessa cosa e cioè una struttura reticolare della guaina che riveste le fibre muscolari cardiache, sia essa sarcolemmatica o connettivale. Ma questa mia convinzione fu sicura soprattutto quando, ricercando i rapporti di con- tinuità con elementi nervosi di natura certa, non ne trovai alcuno. Ed è qui inutile che io ripeta come, nella massa degli organi, l’unico criterio sicuro per la distin- zione delle fibrille nervose da altre di natura estranea è appunto quello dei rapporti, poichè i metodi generalmente usati nel loro studio non sono soverchiamente am- maestrati e non hanno ancora imparato a distinguere elementi fibrillari nervosi e connettivali. Ora, se noi allentassimo un po” il freno alla fantasia e immaginassimo su queste reti arrestata la reazione in questa o quell’altra parte, non poche formazioni po- tremmo vedere da fare invidia alle « complex terminations » di Berkley, e se ag- giungessimo qui e là un bottone terminale (scherzo non infrequente nelle reazioni mal riuscite) potremmo creare e poi distinguere diverse specie di terminazioni! f) INNERVAZIONE INTIMA DEGLI ELEMENTI DEL MIOCARDIO. Ma quali sono i rapporti che prendono gli estremi rami nervosi con le fibre muscolari del miocardio? e quali ne sono le modalità ? Nel rispondere a queste domande bisogna essere molto cauti e bisogna sempre guardarsi dal non confondere e descrivere per fibrille nervose le fibre appartenenti al sistema perimuscolare che ora ho descritto. Qui, più che altrove, io ho preso sem- pre a supremo giudice il criterio dei rapporti e della continuità con elementi sicu- ramente nervosi. Dai miei risultati, se forse qualche rete perde una parte della tanta ricchezza che sfoggia anche in qualche recente autore, essa rimane però essenzialmente la reale e generale maniera con cui le fibre nervose si risolvono nel miocardio. Non bottoni, non placche, non terminazioni libere. Io ho sempre visto fusioni di fibrille di diversa origine ed ho sempre notato una continuità perfetta in questi elementi. La rele dunque domina nella innervazione intima del cuore ed io ho già fatto vedere che fin dagli strati superficiali degli elementi perdono la loro individualità e si saldano in una rete. Ed anche nell’intima trama cardiaca avviene lo stesso. Qui, intorno alle cellule muscolari, si vedono arrivare da diversa origine fibre, che si dividono, suddividono ATTI — Vol. XV— Serie 22 — N.2. 3 cs ARRE. continuandosi poi con altre fibrille che, per un processo analogo, si son generate da altri elementi. Il riscontrare dei sottili rami che sembrano terminare liberamente non può autorizzare a parlare di terminazioni libere, poichè, supposto che queste fibrille non siano incompletamente impregnate, e supposto che la loro apparente termi- nazione non sia dovuta alla interruzione della sezione, la rete, con la ricchezza delle sue maglie ha assoluto predominio, e fa scorgere chiaramente che in essa risiede la base strutturale per cui si esplica l'influenza del sistema nervoso sulle fibre muscolari del cuore. Anche io mi sono incontrato nello studio del miocardio in tante immagini che, ove fossi stato trascinato dal preconcetto della esistenza di terminazioni, mi avreb- bero spinto alla descrizione di apparati terminali di questa o quella specie; ma ad una critica serena è facile vedere in essa o accidentalità tecniche, o incompletezze di reazioni o formazioni puramente occasionali. Sento di dover qui ripetere che io non voglio escludere in modo assoluto la presenza di formazioni nervose di questa o quella specie in tutti i Vertebrati, ma solo ritengo che non è in formazioni accessorie speciali e forse proprie ad alcuni animali che bisogna cercare la spiegazione dei fenomeni essenziali del cuore, ma nelle dispo sizioni generali ed immutabili in tutti gli animali in cui i fenomeni si dimostrano eguali. E la rete perimuscolare mi pare questa disposizione generale, per lo meno negli animali che io ho studiato. Questa rete, del resto, dopo le ricerche eseguite recen- temenle con metodi perfetti, diventa una struttura innegabile dei nervi nel miocar- dio ed è con essa che noi più facilmente possiamo spiegarci non solo la coordi- nazione del ritmo ma tanti altri fenomeni cardiaci. Nella Fig. 18 è rappresentata una rete perimuscolare dell’atrio di Serpente e nella Fig. 20 un piccolissimo tratto di quelle del ventricolo di Rana. Qui si vede il modo di originarsi di questa rete, ma quello che è caratteristico nella Rana sono i rapporti molto intimi che le fibre di essa prendono con i nuclei muscolari. Generalmente si addossano ad essi, molti ne girano la periferia e si staccano da un punto opposto del nucleo, in modo che spesso si ha l’immagine che le fi- brille partano da questo. Così si spiega l’asserzione, del resto errata, di alcuni che fanno terminare le fibrille nervose nei nuclei muscolari. Certo questo addossamento fa sì che la fibrilla si trovi in quella parte della fibra mon differenziata e che ne senta meglio le vicende metaboliche sì che potrebbe credersi che pon sia estranea ad esse; debbo aggiungere però che la ricchezza straordinaria di nuclei nelle fibre muscolari del cuore di Rana rendono la probabilità dei contatti che ho sopra de- scritti grandissima, e forse questi vanno spiegati più come incontri fortuiti che come disposizioni con un significato funzionale. Un’ ultima questione: in questa rete che ho descritta si possono individualizzare dei campi più o meno limitati, o essa è un tutto continuo ? A questa domanda, che già si era fatta il Mikailow (1908°) parmi di poter rispondere che nel cuore ci troviamo in presenza di un complesso unico di fibrille che non ha limitazione di sorta. Io ho già fatto vedere come nella Lacerta, e come nel Tritone reti ne abbiamo fin negli strati sottopericardici e già da questo punto la suddivisione in territorii separati sarebbe impossibile. Alla superficie, nello spessore delle pareti cardiache, sulle fibre muscolari più intime, tulto un sistema complesso di fibre si distende, penetra e abbraccia il mio- cardio in tutti i suoi elementi in una rete ininterrotta. = CONCLUSIONI Riassumo qui i fatti più importanti che risultano dalle mie ricerche. 1) Esistono nei Rettili, oltre ad un plesso nervoso di fibre midollate sulla parte dorsale e seno-atriale del cuore, anche rami e plessi nervosi del tronco, un cingolo nervoso con gangli anche ventrali nel solco atrio-ventricolare, ed un nervo nel setto che lo percorre dalla parte dorsale alla ventrale, poco discosto dalla tenda valvolare, e che possiede sia nei Sauri che negli Ofidi un ganglio nervoso non molto ricco di cellule. 2) È impossibile dare un tipo di innervazione cardiaca nei Batraci e dob- biamo invece avvicinare gli Anuri ai Rettili e dividere in un gruppo a parte gli Urodeli. In tutti abbondanza di elementi nervosi, ma, mentre nei primi abbiamo un tipo a gangli raggruppati e topograficamente ben delimitati, nel Tritone invece ci troviamo dinanzi ad una ricca costellazione di cellule nervose che involge tutta la superficie del cuore e si estende fino all’estremo apice ventricolare. 3) Nei Rettili non vi sono cellule nervose nella compagine o alla superficie del ventricolo, salvo i gangli che ne coronano la base presso il solco atrio-ventri- colare. Il Tritone invece ha una distribuzione gangliare superficiale prevalentemente ventricolare. 4) Il truncus arteriosus dei Rettili è innervato da un ramo speciale e possiede proprî gangli nervosi posti nell’avventizia dei vasi. Questi gangli sono negli Otidi formati da cellule nervose di dimensioni normali mentre nella Lacerta hanno ele- menti di un aspetto caratteristico, di piccole dimensioni, e riuniti in nidi, Siano o non queste ultime formazioni della Lacerta analoghe a formazioni cromaffiniche, io ritengo che tanto le ramificazioni visibili in molti eiementi, quanto i rapporti che prendono con le fibre nervose e le modalità di essi, come pure la corrispondenza negli Ofidi di cellule ganglionari normali, sono argomenti sufficienti per giudicare della natura nervosa di esse; ritenendo che il loro aspetto, le piccole dimensioni e la ricchezza degli elementi siano dovuti a che questi, nella loro evoluzione, invece di crescere in mole, si sono riccamente moltiplicati. 5) Dai plessi principali si originano — con o senza l’intervento di plessi se- condarî — delle reti superficiali che involgono tutto il cuore: seno, atrî, ventricolo ecc. I rami di questa rete nascono o direttamente dai prolungamenti cellulari o indiret- tamente per mezzo di fibre del plesso provenienti probabilmente da altre cellule dei gangli cardiaci, 6) La guaina delle fibre muscolari cardiache possiede un sistema fibrillare reticolare che esiste in tulti gli animali che ho studiati ed è in essi formato essen- zialmente nello istlesso modo. Questa rete può facilmente essere scambiata per ner- vosa ove non si tenga conto scrupoloso dei rapporti con elementi che sono sicura- mente di tal natura. 7) Nel miocardio degli animali studiati non esistono terminazioni nervose, ma una ricca rete che avvolge i muscoli con le sue maglie irregolari. I rami di questa rete possono prendere contatto con i nuclei muscolari ma non vi terminano mai. Non abbiamo zone limitate ma tutto il miocardio è penetrato, percorso, stretto da questa rete e rialtaccato ai centri nervosi come un tulto continuo. Dall’ Istituto di Anatomia Comparata della R. Università di Napoli, diretto dal Prof. Antonio Della Valle. BIBLIOGRAFIA Bayliss W. M. & Starling E. H., 1892, On some points in the innervation of the mam- malian heart; in: Journal Phys., vol. 13, p. 407-418. Berkley H. J., 1894, On complex nerve terminations and ganglion cells in the muscular tissue of the heart ventricle; in: Anat. Anz., vol. 9, p. 33-42. Bidder F., 1852, Ueber functionnell verschiedene und riumlich getrennte Nervencentra im Froschherzen; in: Muller’s Arch. Anat. Phys.; p. 163-177, T. 6. — 1868, Die Endigungsweise der Herzzweige des N. vagus beim Frosch; ibidem, p: 1-50,.T. 1.B. Carlson A. J., 1904, The nervous Origin of Heart-beat in Limulus, and-the nervous Nature of the Co-ordination on Conduction in the Heart; in: Amer. Journal Phys., vol. 12, p. 67-74. — 1905”, Furster Evidence of the nervous Origin of the Heart-beat in Limulus; ibidem, p. 471-498. — 1905’, Die Ganglienzellen des Bulbus arteriosus und der Kammerspitze beim Sala- mander; in: Pflùger’s Arch., vol. 109, p. 51-62. — 1906, On the mechanism of co-ordination and conduction in the Heart with special reference to the Heart of Limulus; in: Amer. Journal Phys., vol. 15, p. 99-120. Cyon (De) E., 1910, I nervi del cuore. Versione italiana del Dott. Filippo Lussana, Bologna. Diamare V., 1902, Sulla costituzione dei gangli simpatici negli Hlasmenisaoli e sulla eroina dei nidi cellulari del simpatico in generale; in: Anat. Anz., vol. 20, p. 418-429. — 1903, Metaplasma ed immagini di secrezione nelle capsule soprarenali; in: Archi- vio Zool., vol. 1, p. 121-178, T. 6-7. Dogiel J., 1877, Die Ganglienzellen des Herzens bei verschiedene Tieren und beim Men- schen: in: Arch. mikr. Anat., vol. 14, p. 470-480, T. 28. — 1882, Die Nervenzellen und Nerven des Herzventrikels beim Frosche; ibidem, vol, 21, p. 21-25, T.2 — 1898, Zur Frage uber den feineren Bau der Herzganglien des Menschen und der Siugetiere; ibidem, vol. 53, p. 237-281, T. 12-14. * Eiger M. J., Die Topographie der intracardialen Nervenganglien des Meerschweinchens des weissen Maus und bei Menschen (citato secondo Waledinsky). Engelmann Th. W., 1882, Bulbus aortae des Froschherzens; in: Pfliger’s Arch., vol. 29, p. 425-468. Friedlinder C., 1867, Ueber die nervose Centralorgane des Froschherzens; in: Udtena: phys. lab. Wurzburg, p. 157-180. SLI Qi Fusari R., 1902, Alcune osservazioni di fina anatomia nel campo del sistema nervoso periferico; in: Giorn. Accad. Med. Torino, A. 65, n. 8-9, p. 426-428. Gerlach L., 1876, Ueber die Nervendigungen in der Musculatur des Froschherzens; in: Virchow’s Arch., vol. 66, p. 187-223, T. 11. Heymans I. F., 1893, Ueber Innervation des Froschherzens; in: Arch. Anat. Phys.; Phys. Abteil., pag. 391. 4 Heymans I. F. & Demoor L., 1894, Etude de l’innervation du coeur des vertébrés à l’aide de la méthode de Golgi; in: Archives biol., vol. 13, p. 619-676, T. 28-52. Hofmann F. B., 1898, Beitrige zur Lehre von der Herzinnervation; in: Pflùger’s Arch., vol. 72, p. 409-466, T. 7-8. — 1902, Das intracardiale Nervensystem des Frosches; in: Arch. Anat. Phys., Anat. Abteil., p. 54-114, T. 3-6. Imchanitzky M., 1909, Die nervose Koordination der Vorhòfe und Kammer des Eidech- senherzens; in: Arch. Anat. Phys., Anat. Abteil., p. )17-136, T. 6. Jacques P., 1894. Recherches sur les nerfs du coeur chez la grenouille et les Mammi- fèeres; in: Journal Anat. Phys., vol. 30, p. 622-648, T. 17-19. Kasem-Beck, 1885, Zur Kenntniss der Herznerven; in: Arch. mikr. Anat., vol. 24, BITEIO T'1B — 1888, Zur Kenntniss der Herznerven; in: Arch. Anat. Phys.; Anat. Abt., p. 325-352, T. 19, Klug F., 1881, Ueber die Herznerven des Frosches; in: Arch. Anat. Phys.; Anat. Abteil., p. 330-346, T. 13. Koplewsky, 1881, Modifications des ganglions cardiaques dans quelques affections du myocarde. Diss. inaug., Pietroburgo. Krause W., 1868, Anatomie des Kaninchens, Leipzig, p. 264. Lahousse P., 1886, Die Structur des Nervenplexus in der Vorhofscheidewand des Frosch- herzens; in: Arch. Anat. Phys., Phys. Abteil., p. 191-196, T. 8. Langerhans P., 1873, Zur Histologie des Herzens; in: Virchow’s Arch., vol. 58, p. 65-83, do Lee R., 1849, On the ganglion and Nerves of the Heart; in: Philos. Trans. R. S. London, pia0-18, 1 Jtd. Lissauer M., 1909, Ueber die Lage der Ganglienzellen des menschlichen Herzens; in: Arch. mikr. Anat., vol. 74, p. 217-222, T. 13. Lowit M., 1881, Beitrige zur Kenntniss der Innervation des Herzens; in: Pflùger’s Arch., vol. 25, p. 399-495, T. 8. Ludwig C., 1848, Ueber die Herznerven des Frosches; in: Muùller’s Arch. Anat. Phys., p. 139-143, T. 5. Michailow S., 1908%, Die Nerven des Endocardiums; in: Anat. Anz., vol. 32, p. 87-101. — 1908, Das intracardiale Nervensystem des Frosches und die Methode von Ramon y Cajal; in: Internat. Monatschr. Anat. Phys., vol. 25, p. 351-372, T. 20. Openchowsky (von) Th., 1883, Beitrag zur Kenntniss der Nervendigungen im Herzen; in: Arch. mikr. Anat., vol. 22, p. 408-419, T. 16. *Ramon y Cajal, 1890, Sobre las terminaciones nerviosas del corazon de los batrachios y reptiles; in: Gaceta sanitaria, Barcelona. — 1891, Terminaciones nerviosas en el corazon de los mamiferos, ibidem. Ranvier, 1889, Traité technique d’histologie, 2° Edit., Paris, p. 637-648. *Regnier, 1880, Des nerfs du coeur, Paris (citato da Jacques). Remak R., 1844, Neurologische Erliuterungen; in: Mùller’s Arch. Anat. Phys., p. 463- 472. 4. 12; Retzius G., 1892, Zur Kenntniss der motorischen Nervenendigungen; in: Biolog. Unters., Neue Folge, III Romberg & His, 1890, Beitrige zur Herzinnervation; in: Fortschr. Medicin, n. 10-11. Scarpa A., 1794, Tabulae Neurologicae. uao a Schkarewsky, 1872, Ueber die Anordnung der Herzganglien bei Vogeln und Sàuge- tieren; in: Gottinger Nachrichten, n. 20. Schmidt V., 1895-98, Zur Innervation des Herzens; in: Sitzungsber. Naturforscher Ge- sellsch. Dorpat, vol. 11, p. 10-16. Schweigger-Seidel F., 1871, Das Herz; in: Stricker’s Handb., vol. 1, cap. 7, p. 177-190. Smirnow A., 1895, Ueber die sensiblen Nervenendigungen im Herzen bei Amphibien und Saugethieren; in: Anat. Anz., vol. 10, p. 737-748. — 1900, Zur Frage von der Endigung der motorischen Nerven in den Herzmuskeln der Wirbelthiere; ibidem, vol. 18, p. 105-115. Trinci G., 1909, Sulla esistenza di un paraganglio cardiaco e di un paraganglio carotico (gl. carotica) nei Rettili; in: Monit. Zool. Ital., vol. 20, p. 286-290. Tumanzew & Dogiel, 1890, Zur Lehre ueber das Nervensystem des Herzens; in: Arch. mikr. Anat., vol. 36, p. 483-506. Veratti E., 1902, Ricerche sulla struttura della fibra muscolare striata; in: Mem. Ist. Lombardo Sc. e Lett. (Cl. Sc. mat. e nat.), vol. 19, fasc. 6. Vignal, 1880”, Système nerveux du coeur de la tortue moresque; in: Gaz. med. Paris, n. 45. — 1880’, Système nerveux du coeur du lapin; ibidem, n. 49. — 1881, Recherches sur l’appareil ganglionnaire du coeur des vertébrés; in: Archives Physiol., p. 186. Waledinsky A., 1910, Einige Erginzungen zur Frage nach der Gegenwart und der Verteilung der Nervenganglien in den Herzkammern einiger Sàugetiere und des Menschen; in: Anat. Anz., vol. 37, n. 17-19, p. 465-472. Wilson I. G., 1909”, The Nerves of the Atrio-ventricular Bundle; in: Anatomical Rec. Phyladelphia, vol. 3, p. 262. — 1909, Is the atrio-ventricular Bundle to be regarded as a neuro-muscular spindle?; ibidem, p. 263. — 19099, The Nerves of the atrio-ventricular Bundle; in: Proc. R. S. London, p. 151- 164, T. 4-6. finita di stampare il dì 22 Dicembre 1910 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE TAVOLA I. . . — Cuore della Lacerta muralis visto dalla parte dorsale ad un ingrandimento di circa 10 diam. A, atrii; V, ventricolo; Ci, cava inferiore; Cs, cava di sinistra; Csa, cava su- periore destra; I, II, III, IV, rami nervosi cardiaci; Nt, nervi destinati alla trachea; Ra, ramo anastomotico fra la parte destra e sinistra del plesso; gc, ganglio della cava sinistra; gs, ganglio atriale sinistro; gd, ganglietto destro; Gav, massa gan- gliare principale atrio-ventricolare; Vp, vena pulmonare. 2.—L. muralis, parte dorsale del cuore per mostrare la disposizione dei gangli ed | i loro legami. Ingr. 30 diam. circa. Ns, ramo nervoso del solco atrio-ventricolare; PZ, plesso e cellule del seno venoso. Le altre indicazioni come nella Fig. precedente. 3. — Truncus arteriosus di L. muralis per mostrare la disposizione generale dei nervi e gli aggruppamenti cellulari. Cloruro d’oro. Ingr. 30 diam. circa. Ap, arteria polmonare; As, aorta di sinistra; Ad, aorta di destra; Nt, nervo del tronco; Na, ramo anastomotico col cingolo nervoso del solco atrio-ventricolare; nc, gruppi cellulari. 4.— Base ventricolare del cuore di L. visto dalla parte cefalica. Ing. 30 diam. circa. V, ventricolo; Sa, setto interatriale; Tv, tenda valvolare; Cn, cingolo nervoso del solco atrio-ventr.; Nt, nervo del tronco arterioso; Ns, nervo del setto intera- triale ; gs, ganglio del setto; Gav, massa gangliare principale posteriore; g/, gangli laterali; ga, gangli anteriori; Fa, fibre amieliniche destinate al ventricolo. 5. — Plesso superficiale principale del ventricolo di Triton cristatus. Cloruro d’oro. Ingr. 90 diam. c. Np, nervo principale; G, gangli. 6.— Due cellule nervose del ganglietto del setto interatriale di L. muratis. Ingr. circa 600 diam. 7.— Plesso e gangli della parte dorsale degli atrii di Zacerta. Cloruro d’oro. Ingr. 300 diam. c. P, rami del plesso; P, rete nervosa; c, cellule nervose che danno direttamente rami alla rete. 8. — L. muralis. Modo con cui si origina la rete nervosa sottopericardica ventrico- lare. Cloruro d’oro. Ingr. 600 diam. Fn, fibre nervose amieliniche appena uscite dai gangli del solco; », loro nu- clei; Fs, fibre secondarie della rete; Nd, nodi di questa. 9. — Rete pericardica del ventricolo di Triton cristatus. Cloruro d’oro. Ingr. 60 diam. c. Nd, nodi posti nell’incontro delle fibre. ST ERE TavoLa II Fig. 10. — Gruppi cellulari e nervi del fruncus arteriosus di L. muratis. Cloruro d’oro. Ingr. 900 diam. N, nervo; a, cellula con prolungamenti di cui quello indicato con p va a fon- dersi col nervetto N; d, cellula piriforme; Cg, gruppi cellulari. Fig. 11. — Alcune cellule nervose del #runcus arteriosus di Elaphis quadrilineatus. Me- todo di Cajal. Ingr. 900 diam. c. Fig. 12. — Sezione di {runcus arteriosus di El. quadrilineatus passante per uno dei gangli ‘nervosi posti alla base di esso. Metodo Cajal. Ingr. 90 diam. c. i M, media vasale; A, avventizia; V, ventricolo; Gb ganglio posto presso l’anello bulbare; Gt, ganglio che segue il tronco art. verso l’alto; N, nervo. Fig. 13. — Rete fibrillare della guaina perimuscolare del ventricolo di L. muratis. Metodo Cajal. Ingr. 600 diam. Fig. 14. — Rete fibrillare come- sopra, ma mostrante il modo con cui, attraverso i ponti muscolari, si formano comunicazioni che permettono la formazione di una rete con- tinua intorno a tutto il miocardio. Metodo Cajal. Ingr. 600 diam. Fig. 15. — Taglio passante attraverso il setto interatriale di Zamenis viridiflavus e mo- strante il ganglietto posto presso la tenda valvolare. Sm, parte muscolare del setto; Sc, parte connettivale; 7, tenda valvolare; G, ganglio nervoso. Fig. 16. — Tronco nervoso e cellule gangliari dell’apice del ventricolo di Triton cristatus. Cloruro d’oro. Ingr. 330 diam. c. T, tronco principale; #7, rami secondarii che vanno a formare plesso; in a una cellula che da direttamente un prolungamento alla rete pericardica. Fig. 17. — Plesso e rete del ventricolo di Triton cristatus. Cloruro d’oro. Ingr. 100 diam. c. In questa figura si vede come si origina la rete che avvolge il ventricolo a guisa di un progressivo districamento del plesso principale. N, uno dei tronchi del plesso, portante ancora cellule ganglionari; %, tron- chicini privi di cellule e dopo cui si origina la rete £; in a si vedono i nodi di questa rete. Fig. 18. — Rete nervosa del miocardio di Elaphis quadrilineatus. Metodo Cajal. Ingr. 330 diam. c. In N un nervetto di pochissime fibre che contribuisce alla formazione della rete RR. Fig. 19. — Plesso amielinico del bulbo di Bu/o viridis. Cloruro d’oro. Ingr. 320 diam. c. In £ comincia la formazione della rete. Fig. 20. — Rete intima del miocardio di Runa. Metodo Cajal. Ingr. 250 diam. c. In questa rete sì vedono i rapporti che le fibre prendono con i nuclei N, senza terminarvi; a, db, c, fibre di diversa origine che vanno a formare la rete. Nella figura sono omessi la maggior parte dei numerosi nuclei muscolari, e conservati solo i pochi che presentano rapporti con le fibre nervose. SOMMARIO UZIONE E CENNO STORICO. . . .° .°. | Tor CA B MATERIALE miimgnto di (>, i renga ì iS - 3 x 5 5 è x : a) Rami nervosi e plessi fondamentali. . . ne Gangli e loro disposizione. . . a), b LA î 9 Innervazione del tronco arterioso nei Rettili . Me. 9 Plessi e reti secondarie . e + È : i e) Reti avvolgenti gli elementi muscolari del cuore i EE intima degli elementi del miocardio reginx 2 Ta, n Ù ho) se Lot i Ge tal e M. Fedele prep.e dis. i Lit A.Serino-Nape Vol. XV, Serie 2.3 i Ns ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE REAZIONI FOTOCHIMICHE DEI NITROFENILINDONI MEMORIA I. di M. BAKUNIN ed E. LANIS presentata nell'adunanza del di 3 Dicembre 1910 Raramente la configurazione nello spazio delle moleccle presenta tanto interesse, quanto nella serie dei composti acrilici e l’acido cinnamico ed i suoi derivati sono quelli, che più hanno richiamato l’attenzione degli studiosi. I cinque acidi truxillici, prima ritenuti della serie atropica, dettero occasione al Liebermann ‘) che li rinvenne nei prodotti secondarii della coca, di investigarne la natura, optando per l’ipotesi di una bimeria. Questi acidi truxillici hanno dato luogo a molte ricerche sia rispetto alle capacità di trasformazione dell’ uno nell’altro, sia rispetto l’azione dei disidratanti *), come più tardi vedremo, sia rispetto la loro costituzione *), sia rispetto alla loro sintesi, come tra l’altre quella del Rieber dell’acido « truxillico, ottenuto per ossidazione dell’acido cinnamiliden malonico polimerizzato dalla luce ‘), oppure per azione della luce sull’acido cinnamico *). Dall’insieme di queste ricerche risulterebbe che gli acidi truxillici avrebbero un peso molecolare doppio di quello dell’acido cinnamico, come lo dimostrano anche le determinazioni crioscopiche attuate per l’acido «,8,y, ® truxillico "). E secondo l'ipotesi del Liebermann ‘) sarebbero da considerarsi come derivati del tetrame- lilene, pel quale nel caso speciale, applicando la teoria del Bayer sull’esametilene, undici sarebbero gli isomeri, che per la posizione relativa rispetto il nucleo metile - ') Ber. d, d. chem, Ges., XXII, 124, 782, 2240. ?) Liebermann, l. c. *) Liebermann, Ber. XXIII, 2516, e Liebermann e Sachse, XXVI, 834; Lange, XXVII, 1410. *) Berichte, XXXV, 2411. 5) Ber. Bertram, Kiirsten, XXVIII, 4387; Rieber, XXXV, 2908; Ciamician Silber, XXXV, 4128. %) Liebermann, Ber. XXII, 2240. ?) Ber. XXIII, 2616. ATTI — Vol. XV— Serie 24 — N. 3. l Pi, DI nico degli atomi di H o dei gruppi sostituiti deriverebbero da queste due formule fondamentali C,H,HC-CH-"000H CH HG ni COOH c,H,_HC_CH_000H 000H-HU CH_C,8, Ma contemporaneamente altri corpi venivano rintracciati, che, per la loro com- posizione centesimale, per il loro comportamento ed il ioro peso molecolare, potevano essere definiti isomeri dell’acido cinnamico. Alla scoverta degli stessi si è giunti per due vie: dallo studio dei prodotti aio- geno sostituiti e dal rinvenimento naturale degli acidi isomeri. Pei prodotti alogenati, il cui numero e le cui proprietà non corrispondono a quanto si sarebbe dovuto avere, data esistenza di un solo acido cinnamico, pel quale erano possibili solo un « ed un 8 alogeno sostituito ed un solo bialogeno sostituito, è risultato infatti che vi è una coppia di « e una di B alogeno sostituiti e una coppia di bialogeno sostituiti. A queste ricerche hanno dedicato il loro lavoro molti chimici, il Glaser, il Barisch ‘), il Leukart ?), il Jutz °), il Plòch ‘), il Forrer °), l’Anschultz e Selden °), il Michael e Brown’), ’Erlenmegyer °), il Roser e Haseloff°), il Michaele Pendleton‘°), l’Aronstein e Hollemann “); ma quelli che hanno preso più vivace parte alle discussioni, che l’argomento ha deter- minato sono il Liebermann ‘“), il Michael ‘’), PErlenmegyer. L’ ipotesi fatta in seguito allo studio dei prodotti alogenati dell’acido cinnamico venne confermata dalla scoverta degli acidi dai quali i diversi alogeno-prodotti possono considerarsi come derivati, ma mentre a simiglianza delle serie fumaroidi e male- noidi erano da aspettarsi solo due isomeri l’uno rispondente alla formula piano si- metrica cis, l’altro alla assiale trans, il numero di tali isomeri è risultato di fatto superiore. L’acido cinnamico, che è stabile e che di solito si forma, è quello fondente a 133°, Gli acidi isomeri furono, sia trovati nei prodotti secondari della coca, sia sinteti- camente ottenuti. Nei prodotti secondari della coca il Liebermann ‘) rinvenne prima un acido Ber., XII, b. 2020. Ber., XV, 788. BerreXSvaza ni: Ber., XV, b. 1946. Ber., XVI, 854. Ber., XV, 2159. Ber., XIX, 1378; B. XX, 550; Journ. Pr. Ch., XXXV, 328. Ber., XIX, b. 1937; XXIII, b. 3130; Liebig Annal., 287. Ber., XX, 1576. JraBr, Cho XOEXA68; Ber., XXII, 1181. Liebermann, Ber., XXVIII, 135. J. pr. Ch. LIII, 250. Michael, J. Pr. Ch., XXXV, 357; XXXVIII, 6; XLVI, 412; LII, 289; LIV, 104. Berichte, XXIII, 141, 2510. 19 a_u - CH,5 quest’ultimo prodottosi per decomposizione con acido cloridrico concentrato dell’etere dell’acido o-cianidrocinnamico °) CN CH C0 CH, Si di > C=C < Per i rapporti che corrono tra l’acido feneniltribenzoico (dal Lanser ritenuto identico al trifeniltrimesinico) il tribenzoilenbenzolo, il truxone ed il truxene, bime- rizzati dovrebbero essere considerati il truxone ed il truxene, ciò che il Kipping °) ha anche ammesso pel truxene tenendo conto della sua derivazione per azione del- l’acido solforico diluito dal bisdichetoidrindene o anidro bisidrindone Su SO2h | i | CH,—CH, C0-C,A, senza formazione intermediaria di idrindone, che il Kipping dice avrebbe dovuto aversi per potere dalla forma bimerizzata passare alla trimerizzata. Il Lanser e l’Halvorsen °) confermano la formola del Lanser per il dife- niltetrendicarbonico gia trifeniltrimesinico studiandone anche l'anidride. Così da questo insieme di ricerche si sarebbero dovute ammettere formole bime- rizzale pel truxone, iruxene, acido feneniltribenzoico e pel tribenzoilbenzolo lasciando la trimerizzata per il trifenilbenzolo che è confermata dai varii autori. Ma il Michael *), ricordando i lavori da lui precedentemente fatti con B i - cher °) dimostra che l’anidride preparata dal Lanser per azione del POCI,, sul fenilpropiolico, fu già da loro ottenuta dallo stesso acido con l’anidride acetica e che l’acido che se ne ricava colla KOH chiamato difeniltetrendicarbonico è differente dal vero acido feneniltribenzoico ottenuto dall’acido ftalacetico o da altri corpi ed egli ritiene che sia non un tetrendicarbonico ma un 1-fenil 2-3 naftalindicarbonico. Sulla costituzione di questi ultimi acidi sono state pubblicate parecchie memorie dai Michael, dallo Stobbe, dal Bicher ma omettiamo per brevità tali discus- sioni, allontanandosi esse dall’argomento che c’interessa °). Dalla succinta esposizione della letteratura, che riguarda l’acido cinnamico, che abbiamo creduto di tracciare per l’affinità che può avere coll’argomento oggetto dei nostri studi, si può facilmente comprendere di quale interesse è dal lato teoretico la soluzione del problema, che riguarda la costituzione degli acidi della serie acrilica e dei loro derivati in rapporto alla loro costituzione speciale. Di composti, le cui isomerie hanno potuto abbastanza bene spiegarsi con le formole spaziali cis e trans, ve ne sono, com'è noto, parecchi come il maleico, il !) Wislicenus e Reitzenstein, Ann. 277-362 e Kostanecki Laczkowski, Ber. XXX, 2143. ?) Journ. Chem. Soc., 65, 497. 3) Ber. XXXV, 1407. *) Ber. XXXIX, 1908. ) Amer. Journ. Chem., 20, 92. °) Stobbe, Ber. XL, 3372; Michael e Biicher, XLI, 70; Journ. Am, Soc., XXX, 1244. pra fumarico ; il tiglinico e l’angelico ; il crotonico e l’isocrotonico ecc., ma meno nu- merosi sono quelli della serie fenilacrilica come l’acido cumarico ed i suoi derivati ; gli acidi B-arilcinnamici ; i farfuracrilici; gli acidi cinnamilidenacetici. A questa serie appartengono gli acidi dello studio delle isomerie dei quali uno di noi si è occupato. Sinleticamente hanno potuto essere preparati tre coppie di acidi fenilnitrocinna- mici orlo, meta e para ‘). Una coppia di acidi fenileinnamici ?). Oltre l’abito cristallino di questi acidi °) sono stati studiati i sali ed i derivati degli stessi; cosicchè si è potuto stabilire trattarsi non di forme dimorfe, ma di veri e propri isomeri, che conser- vano la differente loro configurazione nei varî derivati. Le formole cis e trans che per analogia agli acidi cinnamici possono darsi: CH,NO, gie C,H,NO,—C—H | | COOHE== 0 Ss CBC C008 chiedevano a loro conferma lo studio delle trasformazioni rispettive dei termini di ciascuna coppia degli acidi l’uno nell'altro, come la possibilità di determinare la posizione relativa del gruppo fenico rispetto il gruppo carbossilico. Due vie hanno permesso di giungere a dati di una certa importanza. Lo studio dell’azione della luce, e quella dei prodotti di disidratazione di questi acidi. Questi prodotti furono ottenuti discostandosi dai comuni metodi di trattamento diretto degli acidi con acido solforico o distillazione di essi con anidride fosforica o con altre anidridi, applicando un nuovo metodo che ha dato risultati veramente interessanti non solo per la preparazione dei prodotti di disidratazione di questi acidi e di acidi in genere, ma per la preparazione degli eteri ‘). Il metodo particolarmente descritto a suo tempo consiste nello sciogiiere i corpi in solventi differenti e opportunamente scelti in rapporto alla temperatura occorrente alla reazione, e nel far agire su quelle soluzioni |’ anidride fosforica, evitando per quanto è possibile l’evaporazione dei solventi. Ciascun termine della coppia di isomeri si è trasformata in un anidride pro- dottasi per eliminazione di acqua tra due gruppi carbossilici di due molecole ed entrambi i termini di ciascuna coppia hanno dato una medesima anidride interna, per eliminazione di una molecola d’acqua tra un carbossile ed un gruppo fenico, trasformandosi nei corpi indonici, | Ma mentre gli isomeri fenilnitrocinnamici orto f. a 146°, meta f. a 195°, para f. a 143° subiscono rapidamente la trasformazione in indoni; gli isomeri o. f. a 195°, m. f. a 181° e p. a 214° presentano maggiori difficoltà; ciò che permette dedurre di avere i primi isomeri la formola cis e i secondi la formola trans. Tale ipotesi viene anche confermata dal comportamento degli isomeri con anilina e con basi analoghe (v. I. c.) nonchè coi mezzi idrogenanti. L'identità dei fenilnitroindoni preparati dai due termini di ciascuna coppia fa supporre che l’isomero trans si trasformi nel cis. i) Rend. R. Acc. Sc. fis. e mat., 1890; Atti R. Acc. Sc. fis. e mat., 1901; Gazz. chim., XXV. 2) Gazz. chim. Ital., XXVII, b. e Atti R. Acc. Sc. fis. e mat., 1901. ?) Rend, Sc, fis. e mat., 1895, Scacchi. *) Atti R. Acc. Sc, fis. e mat., Vol. X, Serie II e Rend. Acc. Sc. fis. e mat., 1900, 1901, 1906. a Da uno solo dei fenilcinnamici si è avuto per ora il fenilindone. Tutti questi indoni, a differenza di quanto si ammette per i prodotti analoghi ottenuti dagli acidi cinnamici e bromocinnamici, sono non polimerizzati e hanno la formola semplice CH NO,—C,H, < mi CH cH,{- ScH Applicando il nuovo metodo per la disidratazione all’acido allocinnamico ‘) pareva aversi oltre il polimero dell’indone f. a 289° un corpo rosso f. a 170° forse l’indone, che dato il piccolo saggio di prova da uno di noi fatto, non si è potuto ben definire e che non si è avuto occasione di ripreparare, nè per quanto sappiamo fu da altri tentata col nuovo metodo la preparazione. Ma il fatto non privo d’interesse, e che nel corso delle esperienze si è osser- vato, è che alcuni di questi indoni subivano per azione della luce °) un cambia- mento dovuto con ogni probabilità ad una polimerizzazione. Così per potere possi- bilmente chiarire la costituzione di questi importanti corpi della serie indenica e dei eomposti della serie acrilica si sono intraprese una serie di esperimenti fotochi- mici, che saranno gradatamente pubblicati. L’azione della luce fh già da uno di noi sperimentata sugli acidi fenilnitrocin- namici e venne constatato *) che l’isomero cis f. a 142° del para i ps C,H, C—C00H si trasforma nel trans i C,H,NO,—C-—H I Ou LECH0H non solo, ma che si ha una trasformazione del cis nel trans e viceversa per gli isomeri meta, e tale metamorfosi si ha per azione diretta della luce, senza inter- vento di I, che o non giova, se pur non nuoce alla reazione, mentre l’azione ca- talittica del carbone pare giovare. L’azione della luce su composti della serie etilenica è stata sperimentata da parecchi autori su composti derivati dal difeniletilene del tipo (C,H,R)(C,H.)C=C(2)H x=alogeno *); sui composti del tipo C,H,R (C,H.)C=C(H)COOH dallo Stoermer e Friderici”); dal Paal e dallo Schulze °) sul cis e trans dibenzoiletilene; dal Perkin 7) sugli acidi metilcumarici e dallo Stoermer in una recente memoria °) su isomeri di questo tipo ed è stato dimostrato che non solo può aversi la trasfor- !) Atti R. Ace. Sc. fis. e mat., 1901. ?) Atti R. Acc. Sc. fis. e mat., 1900-901. *) Gazz. Chim. Ital., XXVII, p. II. *) Stoermer, Kippe e Simon (Dis. Rostok 1904, Ber. XXXVII, 4163). *) Ber. XLI, 327. 5) Ber. XXXV, 168. *) Jour. Chem. Soc., XXXIX, 409. *) Ber. XLII, 4865. ATTI — Vol. XV— Serie 2° — N. 3. 2 ae mazione dell’isomero labile f. a bassa temperatura cis nell’isomero stabile f. a più alta temperatura trans, ma anche l'inverso e questo senza catalizzatori di sorta, alla luce del giorno in alcuni casi, alla luce di una uviol-lamp che secondo lo Stoermer attuerebbe le condizioni richieste per la trasformazione dei composti stabili nei labili. L'azione della luce agevolata dal bromo trasforma *) l’acido isocrotonico in crotonico, l’angelico in tiglinico, il maleico in fumarico, per quanto la presenza del bromo è atta a determinare la reazione inversa, così la trasformazione del dibro- motiglinico in dibromoangelico; l'a dibromotolanico in 8 dibromotolanico. L’acido maleico si è trasformato per quanto lentamente in fumarico per azione della luce solare *) e la trasformazione inversa colla uviol-lamp si ebbe dallo Stoer- mer:(l. c.). Sull’acido allofurfuralerilico, allocinnamilidenacetico, alloisocinnamico ha speri- mentato il Liebermann *) trasformandoli negli isomeri stabili per azione della luce e servendosi dell’iodio come catalizzante. La trasformazione inversa dell’acido cinnamico stabile f. a 133° in soluzione ac- quosa nell’iso f. a 58° fu attuata dallo Stoermer colla uviol-lamp, né è improbabile che si fosse formato prima l’iso f. a 42°, trasformatosi poi per varî trattamenti nell’iso- mero f. a 58°. L’isomero f. a 68° si trasforma nell’identica condizione in acido cinnamico f, a 133°. Questo comportamento dell’acido cinnamico in soluzione è diverso da quello dell'acido cinnamico allo stato solido che per le osservazioni fatte dal Bertram e Kirsten ‘) e dal Rieber ’) subisce una polimerizzazione trasformandosi in acido truxillico. Una polimerizzazione simile ") è stata osservata per lo stilbene, che anche in soluzione si bimerizza e la cumarina che in soluzione alcoolica, benzolica e in paraldeide ed anche allo stato solido si trasforma in un polimero, questo parrebbe dovere avere la formola doppia, che potrebbe essere 000 COSO / YcH C.H FARI "A epc een 4 Per la sua struttura la cumarina ha molte analogie coll’indone nel caso del- l’indone si tralta di un prodotto di eliminazione di H,0 tra il gruppo carbossilico e il fenilico, qui di un eliminazione di H,0 tra OH sostituito nel fenile e il gruppo carbossilico. Per quanto ci risulta non vi sono esperienze della luce sull’indone, perciò queste ricerche dovevano riuscire di speciale interesse. | I due indoni sui quali abbiamo attuato le prime esperienze sono il fenilorto- nitroindone e il fenilparanitroindone. !') Wislicenus K. S. ges. Wissensch. zu Leipzig, 1895, 489. *) Ciamician e Silber, Gazz. Chim. Ital., 1904, b 147. *) Ber. XXIII, 2510; XXVIII, 1438 e 1443; XLII, 1027. *) Ber. XXVIII, 387. ) Ber. XXXV, 2908. *) Ciamician e Silber, l. c. 148, 145. £ ibra Wadi, Cs Ie Il primo dei due è stato ottenuto dall’acido fenilortonitrocinnamico disciolto iu cloroformio e bollito con anidride fosforica. In questa preparazione abbiamo speri- mentato di lasciare bollire lungo tempo l’acido coll’anidride fosforica in cloroformio, senza osservare la formazione dei corpo rosso, il fenil 0. n. indone, pure avendo con- statato la formazione dell’anidride fenil-ortonitrocinnamica. Invece basta dopo aver per breve tempo scaldato la soluzione cloroformica con una non grande quantità di anidride, riversarla in un becker di porcellana e ag- giungere altra anidride provocando con una bacchetta |’ intima miscela della parte liquida colla solida, perchè si abbia una mescolanza che ha tulto l’aspetto di una poltiglia abbastanza fluida, che è l'indice della trasformazione in indone. Bisognerebbe ammettere o che si determina per l'anidride fosforica uno stato fisico paragonabile allo stato colloidale dei metalli nelle soluzioni, o che si formi un vero e proprio composto tra l’anidride fosforica e l’anidride dell’acido, che rappre- senti il termine di passaggio per la trasformazione in indone. Per quanto si siano tentati dei mezzi meccanici e dei mezzi chimici per isolare questa forma di passaggio, non si è ancora giunti a precisare il fenomeno. Assieme col fenil-ortonitroindone f. a 139° si forma in piccola quantità una sostanza gialla, meno solubile in benzina dell’indone e che fonde tra 200°-257°, Ricristallizzatala frazionatamente dal cloroformio, lasciandone le soluzioni a lenta spontanea evaporazione, si ebbe un deposito costituito da una polvere cristallina gialletta che fondeva a 286°. La sostanza è insolubile in carbonato sodico, nè si modifica per azione della barite. Per combustione si ebbe: da gr. 0,156 di sost. gr. 0,3996 di CO, e gr. 0,0596 di H,0. C=69.85 H= 4.24 Questi risultati si avvicinano più alla composizione dell’anidride che dell’indone. (C,H,N0,),0 C—=692 H = 3.88 N=5.38 CH, NO, el H=358 N=5.57 Ma è bene ricordare che delle anidridi dei due acidi f. o. nitrocinnamici una quella corrispondente all’acido f. a 147° non fu isolata ‘'), l’altra corrispondente all’acido f. a 195°-96° fu isolata e analizzata ?) e fondeva a 126°. Purtuttavia sia perché non reagisce col Ba(OH),, sia per il suo punto di fusione più alto dell’acido saremmo piuttosto indotti a credere ad una forma polimera di una delle due anidride. Per altro ne occorrono quantità maggiori per una ulteriore purificazione e per ulteriore esame, determinandone il peso molecolare. !) Atti R. Acc. Sc. fis. e mat., 1900. 2) Atti R. Acc. Sc. fis. e mat., 1900 e Rend. R. Acc. Sc. fis. e mat., 1906. re Azione della luce sul fenil-ortonitroindone. L’azione della luce su questo composto fu sperimentata prima di tutto sul corpo allo stato solido, esponendolo al sole in recipienti di vetro variamente colorati. In questi primi sperimenti di saggio non abbiamo creduto dover ricorrere alle soluzioni colorate ‘) bastandoci come direttiva il complessivo differente comporta- mento rispetto quei raggi che traversano i vetri colorati, salvo poi a specificarli in seguito con determinate soluzioni. Si sono usale: una boccia di vetro nero, atta a preservare il nitrato di argento da ogni alterazione, un recipiente azzuro cupo, un recipiente di vetro giallo, un recipiente fatto in modo che la luce filtrasse attra- verso una soluzione di carminio, un recipiente di vetro ordinario incolore. L'esposizione al sole fu fatta lasciando le sostanze al sole per 4 mesi circa, dal 15 luglio all’8 novembre; si parli da un grammo di ciascuna di esse e si ripre- sero ad esposizione finita con le uguali quantità di cloroformio, che scioglie benis- simo il fenilnitroindone non trasformato e assai poco l’indone trasformato. Nel recipiente nero lindone si mantenne inalterato. Nell’azzurro la trasforma- zione avvenne per %; circa della sostanza. Nel rosso e nel giallo per ‘/ circa. Nei recipienti bianchi per ‘/;. Dobbiamo però osservare, per quanto si agitassero ogni giorno i recipienti, le condizioni migliori di esposizione sono realizzate, quando la sostanza viene esposta al sole in strato sottilissimo in recipienti scoverti; in queste condizioni non in mesi, ma in poche ore nei mesi caldi di luglio o di agosto si ha la trasformazione quasi completa. La trasformazione è resa evidente dal mutamento di colore del fenilnitroindone, che da rosso caratteristico diventa bianco leggermente giallognolo. Il coefficiente di solubilità del nuovo prodotto nei varî solventi è minimo e in questo ricorda il truxone dell’acido cinnamico. Cristallizzato dal cloroformio o dal benzolo nei quali è pochissimo solubile, si ha per raffreddamento la separazione degli aghelti micacei. È difficile precisare il punto di fusione delerminalo coi termometri ad azoto compresso, si osserva che alla temperatura di fusione questo corpo tende a decomporsi, e perciò con riscal- damento lento la sostanza si decompone senza fondersi carbonizzandosi lentamente, con un riscaldamento rapido fonde decomponendosi attorno 320° 325°. Quando si scalda in tubo da saggio si osserva sulle pareti del tubo una distil- lazione del prodotto, e la piccola parte sul tubo assume un colore rosso, ma la cen- nata tendenza del prodotto ad annerirsi e decomporsi non permette bene di con- trollare le modificazioni. Avendo una volta scaldato rapidamente in tubo da saggio a fiamma diretta questo corpo fino a fusione, s’'isolò una sostanza bruna solubile in acido acetico e rimase indisciolta in questo solvente una parte, che aveva l’apparenza cristallina e si comportava per fusione come la sostanza primitiva. Per combustione del prodotto di trasformazione alla luce dell’indone si ebbe : 1) Gazz. Chim., XXXII, b, 585. at, Da gr. 0,2525 di sost. gr. 0,6611 di CO, e gr. 0,0902 di H,0. 71.40 3.96 Cifre corrispondenti alle percentuali richieste per il nitrofenilindone. Tutto porta a credere si tratti di un polimero, ma quale è la sua grandezza molecolare ? Una determinazione crioscopica in veratrolo falta per l'o. f. nitroindone e tre determinazioni ebolliscopiche in cloroformio hanno confermato la forma molecolare semplice. Costante 64 Solvente Conc. Abbass. Coeff. d’abb. Peso mol. tr. Peso mol. cale. per C,;H3 NO, Veratrolo 0.97 0.235 0.24 266 251 Costante in volume 26 Solvente Concentr. Innalz. osserv. Coeff. d’innalz. Peso m. tr. CH Cl, 2.14 0.2 0.093 279 1.61 0.15 0.093 279 2013 0.22 0.103 253 Ma la poca solubilità del prodotto trasformato alla luce ha reso inutile i tenta- tivi di determinazione per il suo peso molecolare. La sostanza bollita in soluzione benzinica con fenilidrazina, dette un deposito di aghi micacei con l’aspetto e con il punto di fusione della sostanza primitiva. Avendo bollito in soluzione benzolica il prodotto col PCI, e precipitando col- l’etere di petrolio, si ebbe la sostanza immoditicata e immodificata rimane, se si fonde col PCI,, anzi essa tende a sublimare prima ancora che la massa si fonda, ma anche facendo cadere il PCI, nella massa mentre tende a fondersi, non si è isolato che prodotto immodificato o semplicemente abbrunito. Invece il f. o. nitroindone primitivo f. a 139° non si clorura se scaldato in sol- vente col PCI,, ma fuso con lo stesso si trasforma nel prodotto biclorurato f. a 260°; sì ebbe per contenuto in Cl: Da gr. 0,0927 gr. 0,0651 di Ag. pari a gr. 0,02139 di CI; e per cento CI 23,07: calcolato per C,,H,NO, CL i==2320 Parrebbe dunque che le proprietà chetoniche del prodotto di trasformazione sono per lo meno notevolmente attenuate, se non completamente scomparse, cosa che non si ha pel truxone, che si combina con la fenilidrazina, e si clorura per azione del PCI,. Azione della luce sul fenilortonitroindone sciolto in soluzione. Ancora più complessa è la reazione se il fenilinitroindone viene esposto al sole dopo essere stato disciolto in solventi. I solventi sperimentati sono stati l'etere, il benzolo, il cloroformio, il tetracloruro di carbonio, l'alcool, l’acetone. ERI PO Per tutti questi solventi furono fatti dei saggi di prova. Si constatò così che appena le soluzioni sono messe al sole dopo breve tempo cominciano a lasciar se- parare dei depositi il cui coefficiente di solubilità verso i solventi è minimo. Da una soluzione benzinica di 8 gr. d’indone si raccolse dopo sette giorni {16-23 agosto 1909) gr. 1,8 di un deposito costituito da granuli cristallini f. a 218°-19° d’un giallo lievemente arancione, di cristalli più grossi di un giallo più chiaro f.a 260-270° e di una polvere non fondente a 300°. Essendosi rotta la boccia con le acque madri si rimise a reagire un gr. di f. n. indone in benzolo e si ebbe dopo tre giorni, dal 27 agosto al 30 un deposito costituito da granuli cristallini fondenti verso 200° e da cristalli micacei non fon- denti a 300°. Per ulteriore esposizione al sole durata fino al 28 settembre, (durata di esposizione che è per altro inutile) si ebbero delle mescolanze polverose gialle f. a 210-250°. In com- plesso quantitativamente la sostanza depositata corrispondeva a quella messa a reagire. In soluzione cloroformica essendo stato disciolto un gr. si ebbe un primo de- posito cristallino giallo di circa 0,4 gr. fondenti verso i 210° un secondo e terzo polveroso gialletto, fondenti verso i 220° con un tempo di esposizione pari a quello ricordato per la soluzione benzolica. In un altro saggio in cui 3 gr. d’indone erano stati disciolti in cloroformio dal 15-23 agosto si depositarono gr. 1,5 di sostanza cristallina giallelta f. attorno 229°, Il resto della sostanza in parte si depositava in parte si ricavava per distillazione del solvente con punti di fusione non buoni, fondendo verso i 226° e sopra i 300°. Anche nel deposito ottenuto dal cloroformio si osservava la presenza di cristallini non uniformi per colore e per aspetto. In soluzione acetonica un gr. d’indone dopo la esposizione al sole dal 19 al 23 Agosto lasciò depositarsi delle masse cristalline giallette di gr. 0,5 f. a 218°-219° e il resto della sostanza 0 si depositava per ulteriore azione del sole o sì ricavava per distillazione del solvente e si ebbero masse cristalline e polvere fondenti at- torno i 219°. Dalla soluzione alcoolica si ebbero depositi polverosi gialletti fondenti verso 220°. Dalla soluzione eterea mescolanze polverose cristalline che in massima fondevano attorno i 220°. Dall’insieme di questo esame si potette argomentare, che in tutti i solventi si attua la trasformazione dell’indone non in unico corpo, ma in una mescolanza di corpi di difficilissima separazione, data la loro poco solubilità nei vari solventi e la: poca differenza di solubilità tra i costituenti le mescolanze. i Occorreva perciò operare su quantità maggiore e circoscrivere la scelta dei solventi. _ Si scelse l'etere, il benzolo e il cloroformio, dai quali, avendo dalle prove di saggio, avuto delle sostanze meglio cristallizzate, pareva più possibile il realizzare anche una separazione meccanica, - A RS Azione della luce sulla soluzione eterea del f. o. n. indone.. Dall’etere si ebbe dal 22 dicembre fino al 16 gennaio 1910 prima un deposito di sostanza finemente cristallina fondente verso 222°, eliminato il quale, se n’ebbe un secondo, costituito da cristallini lamellari fondenti a 215-18° e da cristalli più scuri arancioni fondenti verso 280°. Il tutto misto a polvere fondente tra 210°-240". I cristalli lamellari isolati meccanicamente non sono cristallograficamente deter- minabili, perchè presentano delle facce laterali pieni di solchi e corrosioni; essi appaiono come tavole a contorni esagonali, alquanto allungate secondo una direzione. Estensione retta rispetto la direzione di allungamento. Pleocroismo insensibile. Da gr. 0,2074 di essi si ebbero gr. 0,5515 di CO, e gr. 0,0773 di H,0 e per cento: è C= 72.52 leg percentuali che si avvicinano a quelle richieste dall’ indone. I cristalli gialli-arancione, che accompagnano i lamellari presentano general- mente delle facce a parquet, per cui le misure si rendono assai malagevoli e non tali da poter fondare su di esse un criterio sicuro. Malgrado ciò si è tentato la mi- sura di un cristallo probabilmente monoclino. Pleocroismo dal giallo arancione al quasi incolore. Analizzati, mescolati ancora a frammenti di cristalli lamellari si ebbe: Da gr. 0,2211 di sostanza gr. 0,5835 di CO, e gr. 0,0847 di H,0 Da gr. 0,1310 di sostanza LS ce 61=\|_55 cc. di N zo: 71313) di: 7 (6/0) i e per cento C= 71.97 H= 425 N= 5.25 Per quanto si siano tentate le cristallizzazioni frazionate da varî solventi, le mescolanze restano sempre tali, nè questo reca meraviglia, perchè tutti questi pro- dotti sono pochissimo solubili negli ordinari solventi, come lo dimostra il modo della loro formazione. Abbiamo perciò pensato di ricorrere ad un altro mezzo, alla fu- sione, avendo constatato un differente comportamento alla stessa dei componenti questa mescolanza. Infatti i cristalli tabulari f. a 218° si trasformano nell’indone primitivo ed anzi a tal proposito si constatò una certa oscillazioue di qualche grado nella temperatura di fusione, perchè a secondo il modo col quale si procede al riscaldamento la fu- sione, che strettamente parlando è da considerarsi come la trasformazione del corpo avviene più o meno rapidamente. I cristalli arancioni f. a 280° non pare subiscano alcuna trasformazione. Attuata sulle mescolanze la fusione tutta la sostanza f. a 218° si è trasformata in f. o. nitroindone facilmente eliminabile. data la sua solubilità in cloroformio. Nelle porzioni meno solubili si sono ritrovati due corpi diversi: l’uno f. a 280°, che può => ese ricristallizzarsi dal CH CI, o dal C,H,, l’altra meno solubile in questi due solventi. che fonde attorno 320°. Quest ullimo corpo è perfettamente identico a quello che si ha per l’esposizione dell’indone allo stato solido al sole. Invece il corpo f. a 280°, se ricristallizzato dalla benzina, vi si addiziona, ma tende addizionandovisi ad eliminarla in quantità diversa, come sarà meglio detto appresso. Infatti da gr. 0,1572 di una porzione si ebbero gr. 0,4266 di CO, e gr. 0,0772 di acqua per cenio: = 4.01 5.45 | C H Per un’altra porzione invece precipata con etere di petrolio dal benzolo si ebbe da gr. 0,2229 di sostanza gr. 0,5887 di CO, e gr. 0,0986 di H,0 e per cento: C=#203 H=9491 Le tre sostanze isolate sono dunque l’una f. a 218° e l’altra attorno 320°, la terza a 280°. Quest'ultima alta ad addizionare benzolo. Per C,.H,N0,+ C,H, C= 76.59 H= 4.55 In alcune combustioni si ha un eccesso di idrogeno forse per la necessità di pro- lungare la corrente di O per la completa combustione del prodotto; o perchè i pro- dotti non sono stati a sufficienza seccali per tema di variarne la composizione. Avendo tentata la combinazione con fenilidrazina della parte f. a 218° e di quella f. a 280°, e di quella f. attorno 320°, i punti di fusione rimasero immutati e la sostanza pare non sì combini. Azione della luce sulla soluzione benzolica del F. o. n. indone. Anche in benzolo si misero a reagire 12 gr. dell’indone sciogliendoli in mezzo litro di benzolo. Dal 22 dicembre al 31 si ebbe deposito di cristalli micacei fondenti al di sopra di 300° e di granuli giallo-arancione f. attorno 220°, che costituiscono in buona parte il deposito ed in seguito si andarono formando altri cristalli micacei e cristalli giallo-arancioni con polvere cristallina. Attraverso stacci a reti diverse si potettero anche da queste mescolanze isolare dei cristalli arancioni f. tra 275°-280°. Dobbiamo qui osservare che in altra esposizione alla luce si potettero avere dei cristalli fondenti attorno 270°, cristalli che presentavano la caratteristica di mutare il loro splendore vitreo in porcellanico, se lasciali a loro stessi. I cristalli micacei f. verso 320° con decomposizione appaiono come tavolette rettangolari con splendore sericeo, con estensione retta rispetto la direzione di allurigamento. Analizzati hanno dato da gr. 0,1830 gr. 0,4878 di CO, e gr. 0,0717 di H,0. e per cenlo: C= 72.69 H= 4.35 tg OR Liberti al ben E MATT BO most Th TALI Eb i LN » 1] à CA Il cristalli granulari f. a 220° non sono che aggruppamenti di piccolissimi cristalli ; nel fondere si trasformano nel primitivo indone. Da gr. 0,2017, sr 0,5331 di CO, e gr. 0,0755 di HO. Da gr. 0,1375 20 CE: e cc. 6,9 di N. 756.3 760 C= 72.08 BRZ45 N= 6.27 I cristalli f. a 275° devono avere la proprietà di addizionare la benzina e par- zialmente eliminarla col tempo come lo dimostra l’opacità, che assumono i cristalli che sono in principio di splendore vitreo. Analizzate alcune porzioni di esse si ebbe: Da gr. 0,2075, gr. 0,5618 di CO, e gr. 0,0860 di H_0. Da gr. 0,2118, gr. 0,5667 di CO, e gr. 0,0918 di HO. Da gr. 01438, gr. 0,3849 di CO, e gr. 0,0597 di H_0. Ricristallizzati questi cristalli dal benzolo e analizzatili, quando conservavano il loro splendore si ebbe: Da gr. 0,0842, gr. 0,2361 di CO, e gr. 0,0426 di H,O e per cento: i II III IV C 73.83 72.96 72.99 76.47 H 4.60 4.81 4.61 5.62 Per C,,H,N0,.C,H, G= 70,50 Hi== 4.55 Così viene confermata l’addizione e l’eliminazione della benzina a questo pro- dotto, che è simile a quello già ottenuto dall’etere. Pel punto di fusione il 280° deve essere considerato come quello della sostanza priva di benzina, perchè la stessa viene perduta dal corpo prima di fondersi, come si rileva dallo scoppiettio e dal- l’appannamento dei cristalli per riscaldamento. Anche per i depositi della benzina come per quelli dell’etere, la fusione tra- sforma la sostanza f. verso 218° in indone, che viene eliminato con cloroformio, lasciando immodificata la sostanza f. a 280° e quella f. a 300°, che si separano tra loro col trattamento già ricordato per l’etere, cioè colla cristallizzazione frazionata con benzina o con CHCI,. Per combustione il prodotto f. attorno 320° isolato per fusione, cristallizzato dalla benzina dette Da gr. 0,1772, gr. 0,4650 di CO, e gr. 0,0598 di H,O per cento: C=71.56 He 8.74 In conclusione dai depositi della soluzione benzolica del f. o. n. indone si sono separate 3 porzioni. L'una fondente a 218°, l’altra a 280°, e la terza attorno i 320°. Atti — Vol. XV— Serie 2‘ — N. 3. 3 Psi Tse F. O. N. indone in cloroformio. L’o. n. f. indone si scioglie abbastanza in cloroformio, cosicchè i 200 ce. di solventi sono sufficienti per gr. 12 di prodotto tuttavia si diluì la soluzione ; già nei saggi fatti precedentemente si era osservato la separazione di una massa cri- stallina costituita da cristalli più chiari e più giallognoli f. tra i 210°-220°; la massa fusa non era perfettamente limpida, come si è di solito constatato nelle fusioni delle mescolanze, se portate non oltre i 220°. In quest’ultimo saggio il deposito raccolto dopo un esposizione alla Ince in soluzione di cloroformio, durata dal 22 dicembre fino al 7 gennaio, ha dato per combustione questi risultati : Da gr. 0,2256 gr. 0,5865 di CO, e 0,0852 di H_0. Da gr. 0,1721 gr. 0,4529 di CO, e gr. 0,0651 di H_0. Da gr. 0,1428 32 ce. 7=|22 ce. 6,3 di N. e per cenio: C=70.9 71.76 Hi=t415 4.20 N=5.52 La cristallizzazione frazionata non permette la separazione dei prodotti costi- tuenti questa mescolanza, ma ricorrendo alla fusione verso i 230° una parte della massa si trasforma in indone eliminabile al solito con un trattamento a freddo con CHCI,. La parte meno solubile in CHCI, per cristallizzazione frazionata dalla ben- zina dette nelle porzioni più solubili il corpo f. a 280° nelle meno solubili il corpo fondente attorno 320°. Non si potettero avere cristalli misurabili. Le tre porzioni isolate corrispondono per le loro proprietà pei punti di fusione alle porzioni isolate dalle soluzioni eteree e benziniche. I risultati analitici per la mescolanza ne confermano la composizione. O. N. F. indone in CCI,. Anche dal CCI, per esposizione alla luce si hanno mescolanze di cristalli al- lungati giallo-chiaro con splendore vitreo f. a 280°, cristalli che una determinazione cristallografica fa supporre siano monoclini, e granuli cristallini non determinabili opachi f. a 225°. La mescolanza analizzata dette percentuali basse in carbone. Da gr. 0,1810 di granuli f. verso 225° gr. 04496 di CO, e gr. 0,068 di H,0: | Da gr. 0,1826 della medes. porz. gr. 0,4505 di CO, e gr. 0,0656 di H,0. Da gr. 0,1756 di cristalli f. a 280° gr. 0,4129 di CO, e gr. 0,0590 di H,0. I II III C 67.74 67.28 64.12 H 3.91 3.99 3.73 dor, |> pù Un saggio qualitativo mostra che tutte le porzioni contengono cloro, ma trat- tandosi di mescolanze o di porzioni non bene isolate non si può per ora dire del contenuto in CCI,, che probabilmente si collega con qualcuna delle sostanze costi- tuenti i depositi e forse coi cristalli f. a 280° così come già si è osservato per la benzina. Anche dalle soluzioni alcooliche del o. n. f. indone si ha come già si è detto per azione della luce la metamorfosi della sostanza con formazione di mescolanze di corpi f. attorno 220°, ma di questi, come dei depositi ottenuti con CCI, e acetone, sarà il caso di parlarne quando le esperienze saranno compiute. Azione della luce sul F. p. n. indone. Questo corpo, come è stato già detto altrove, si prepara con maggiore faciltà dall’isomero f. p. n. cinnamico f. a più bassa temperatura (142°) e con minor faciltà dall’altro isomero fondente a 214°. Fonde a 217° e si presenta in tavolette romboidali, di un bel colore scarlatto. Esso non pare subisca moditicazioni di -sorta, se esposto alla luce allo stato solido. Se invece se ne fa la soluzione in benzina, in cloroformio, in acetone, o in altri solventi, per azione della luce si ha il graduale passaggio della sostanza rossa in sostanza bianca, poco solubile nei solventi, così, come si è constatato per |’ iso- mero orto. La nuova sostanza o per dir meglio la mescolanza delle nuove sostanze, che costituiscono i depositi della esposizione alla luce in solventi del f. p. n. indone, fondono attorno 227-30°, rimanendo la sostanza fusa sempre un po’ torbida. Dalla soluzione benzinica si ebbero dei piccoli prismi vitrei misti a cristalli setosi f. a 227-29°. I cristalli vetrosi fondono verso 280°. Si ebbero mescolanze che hanno una percentuale piuttosto alta in carbone, corrispondente pel C a 74 e per lPH a 4, questa percentuale alta è dovuta al fatto, che anche qui per deposito della benzina si hanno corpi addizionati ad essa; infatti la combustione dei cristalli vetrosi, purificati ricristallizzandoli dalla benzina e fondenti sopra 300° ha dato: Per gr. 0,0958 di sost. 0,2674 di CO, e gr. 0,0485 di H,0 pari a ©7012 H=:; 56 Invece gli aghi setosi f. a 229° hanno dato per gr. 0,1194 di sost. gr. 0,3118 di CO, e gr. 0.0479 di HO per cento: C=712 H= 44 Dal saggio nell’acetone ed in CHCI, si ebbero anche depositi fondenti attorno 229° costituiti da mescolanza di corpi che assai probabilmente sono i medesimi tro- vati già nei depositi benzinici. Peraltro questi studî sono ancora in corso. Data la costituzione del fenilortonitroindone e paranitroindone ci troviamo in agi presenza di un corpo, che è caratterizzato da una costituzione ciclica 7 CR MoZ sa dalla presensa di un gruppo CO, dall’esservi un doppio legame etilenico ed infine dall’avere nel nucleo benzinico sostituito un gruppo NO, Chi sa quanto e variamente agisca in virtù di queste varie funzioni la luce sui corpi ‘), comprenderà quanto difficile riesca la determinazione della costituzione dei prodotti finali, sopratutto quando essi sono molteplici, come nel caso in esame. Infatti, come composto ciclico con e senza doppio legame, può subire per idrolisi un’apertura di anello con formazione di acidi e di aldeidi come per il men- tone °) pel cicloessanone *) per il diidrocarvone *) per la canfora ed il fencone *) idrolisi che potrebbe essere determinata tra le molecole dello stesso corpo, con formazione di prodotti complessi, e per azione di alcuni solventi come l’alcool, 0 dalla presenza di piccole quantita di acqua nei solventi. Nel caso del Carvone si ha per azione della luce la formazione di un isomero, così come si ha un polimero nel caso, già ricordato, della cumarina, esempi entrambi di reazioni determinantisi nella molecola o tra le molecole del corpo reagente. La reazione del gruppo CO è una di quelle forse meglio studiate in rapporto ai corpi reagenti alla luce. I chetoni aromatici e le aldeidi fatte reagire tra loro e con acidi, eteri, alcooli, idrocarburi °) mostrano le proprietà di ridursi trasformando il gruppo CO in gruppo HO—T—Ct, acquistando così una capacità additiva che si esplica tra le molecole del chinone o dell’aldeide ridotti come avviene per il benzofenone e per l’aldeide benzoica rispettivamente mutantisi in benzopinacone ed idrobenzoino o tra essi ed i residui dei corpi disidrogenati, esempi per gli acidi con il gruppo —CH, dal benzofenone col fenilacelico il trifenilattico e coll’acetato di benzile il derivato ace- tilico del trifenilglicol ‘). In alcuni casi il gruppo CO mutandosi in ces O — da luogo a composti nei quali il tramite intramolecolare di unione è rappresentato dall’ossigeno, come sembra provato con gl’ idrocarburi non saturi del tipo dell’amilene *) ed è ammesso con altri corpi, non escluso gli eteri ‘). Non meno complessa è la reazione con gli idrocarburi saturi e con gli omo- loghi della benzina °) che disidrogenandosi dan luogo alla riduzione del chinone i) Paternò, Gaz. Chim. ital., 1909, a, 287. ?) Ciamician e Silber, Ber. XL, 2415. *) Ciamician e Silber, Ber. XLI, 1071. *) Ciamician e Silber, Ber. XLI, 1928. 5) Ciamician e Silber, Ber. XLIII, 1840. 5) Ciamician e Silber, Gaz. Chim. ital., 1902, a, p. 218 e 1904, b, p. 129. *) Paternò-Chieffi-Forti-Forli, Gazz. Chim. ital., b, 1910, p. 821-382. *) Paternò e Chieffi-Traetta-Mosca, Gaz. Chim. ital., 1909, a, p. 841 e 449. °) Paternò e Chieffi, Gaz. Chim. ital., 1909, b, p. 415. CIAI ed i residui o danno olefine, o si polimerizzano o si addizionano al chetone per dar luogo ad un alcool terziario, come risulta anche dalle esperienze del Ciamician e Silber ‘). Il gruppo NO, tende a trasformarsi iu gruppo nitroso, ciò che fu dimostrato per la nitrobenzaldeide anche a secco e in soluzione benzinica dando acido nitroso benzoico *). Quando non subisce una riduzione maggiore come nel caso dei nitro- benzoli e omologhi che si trasformano in soluzione alcoolica in anilina o basi analoghe. Dalla esposizione delle nostre esperienze compiute colla luce sul fenilortoni- troindone sciolto in varii solventi è risultato che senza dubbio sia in soluzione eterea, sia in soluzione benzinica, sia in soluzione cloroformica si separano tre corpi, tutti bianchi allo stato puro, tutti con temperalura superiore a quella di fusione dell’in- done dal quale derivano (218°-280°-320°), tulti poco solubili negli ordinari solventi, perciò difticili a cristallizzarsi per quanto abbiano notevole tendenza a prendere belle forme cristalline. Per quel che riguarda la loro azione sulla fenilidrazina, pare che essi non vi si combinano e tanto meno si è potuto avere la sostituzione con due atomi di cloro all’ossigeno. Mentre è noto che il truxone ottenuto dall’acido « truxillico e dall’acido allo- cinnamico si comporta con tutte le proprietà di un chetone, dando il cloruro del truxone ed il fenilidrazone e l’anilide del truxone ?). Questo fatto potrebbe in certo modo fare ammettere che l’ossigeno chetonico abbia assunto altra funzione nella modificazione alla luce del fenilnitroindone. Uno dei prodotti che si ottiene dalla esposizione alla luce in solventi, si ottiene anche esponendo alla luce il fenilortonilroindone a secco, in tal caso si forma un solo prodolto. Tutte queste sostanze hanno mostrato di avere ia stessa composizione cente- simale con risultati sufficientemente esatti, per quanto lo ha permesso la purezza dei prodotti, che hanno dovuto essere spesso esaminati, così come si depositavano per essero sicuri di non indurre modificazioni con l’uso dei solventi e con il ri- scaldamento. Uno solo dei tre corpi ha mostrato di addizionarsi alla benzina e forse non è improbabile abbia ad addizionarsi ad altri solventi. Dei tre corpi i due fondenti a più elevata temperatura hanno mostrato di essere più stabili, l’altro quello fondente a 218° ha mostrato di trasformarsi nell’indone primitivo per fusione. In virtù di tale proprielà si è poluto attuare la separazione dei tre corpi. Se siano dei polimeri non è possibile affermarlo con sicurezza non conoscendosi il peso molecolare difficile a determinarsi, data l’insolubilità nei solventi. Ma è bene ricordare che dal fenilindone preparato da uno di noi dall’acido fenilcinnamico isomero, si è avuto per azione della luce una trasformazione analoga a quella del fenilortonitroindone, isolandosi un corpo fondente al disopra di 300°, 1) Ber. XLIII, 1536. ?) Ciamician e Silber, Gaz. Chim. ital., 1903, a, p. 364. *) Ber. XXII, p. 784. BS RI che dette risultati col metodo Raoult, corrispondenti al peso molecolare di un dimero. Non è improbabile che qualcuno dei prodotti nuovi sia un bimero, e che tale forse sia il prodotto di trasformazione f. attorno 320° del fenilortonitroindone esposto alla luce allo stato solido e che analogamente al truxone dell’acido cinnamico ed al polimero della cumarina, possa considerarsi come derivato del tetrametilene. Ma sia il fatto che la formula del truxone è ancora sub iudice, sia la man- canza dei caratteri dell’ossigeno carbonilico, fanno accettare con riserva tale ipotesi. L’analogia con il fenilindone escluderebbe l’intervento del gruppo NO,, tanto più che la trasformazione del gruppo nitrico nel nitroso avrebbe dovuto generare per ossidazione del CO sostanza con proprietà acide, ciò che non è confermato dalle reazioni dei corpi isolati, d’altra parte una trasformazione di tal genere è poco pro- babile data la natura dei solventi e la matura dei gruppi costituenti l’indone. Resta allora da ammettersi una polimeria con l'intervento dell’ossigeno carbo- nilico e forse con la contemporanea scissione del doppio legame, in tal caso si avrebbero dei composti, nei quali le due valenze messe in libertà dal carbonile, saturerebbero le valenze non sature del gruppo etilenico di un altra molecola d’in- done, comportamento che ricorderebbe quello del benzofenone con l’amilene (I. c.). Una riduzione nel seno stesso della molecola è difficile ad ammettersi, perchè i gruppi in essa contenuti mal si prestano a tale funzione. In ogni modo visto che si hanno composti diversi occorreva prima di tutto trovare il modo di isolarli e purificarli, ciò che è stato non lieve compito. Isolatili la constatazione delle singole reazione specifiche, ci permetterà venire rapidamente a delle conclusioni sulla costituzione di questi corpi così interessanti, che potranno permettere di risolvere il problema della costituzione dei composti fin’ora conosciuti di questo tipo. L’indone dal quale si parte è intensamente colorato, mentre lo sono ben poco gli acidi dai quaii questi indoni derivano, e non lo sono affatto i prodotti dopo l’esposizione alla luce. Nel primo caso la chiusura dell’anello tra il gruppo CO ed il gruppo fenico determina la colorazione, nel secondo la scissione del medesimo anello o la satu- razione delle doppie valenze o la metamorfosi dell'ossigeno del gruppo CO possono spiegare il cambiamento del colore. Nulla giova in questa difficile quistione come gli studii comparativi. Ci proponiamo perciò di esaminare contemporaneamente tulti quegli indoni, che ci riuscirà prepa- rare, di sottoporre essi nonchè le anidridi degli acidi di questa serie all’azione della luce, completando le esperienze colla luce di una lampada a mercurio, che potrebbe dare dei risultati speciali sugli acidi di questa serie, se le supposizioni dello Stoermer sono giuste. Napoli, Dicembre, Istituto chimico della R. Università. finita di stampare il di 25 Febbrajo 1911 Vol. XV, Serie 2.° N.° 4. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE EESCONFIGURAZIONI RICERCHE GEOMETRICHE di GENEROSO GALLUCCI Memoria premiata nel concorso dell'anno 1910. Geometrica geomeltrice. Dirò brevemente del contenuto di questa monografia. La prima parte contiene soltanto la bibliografia, che credo senza gravi lacune. Nelle altre due parti trovasi il contributo personale. Chiamo figura + un gruppo di 9 rette che si possano disporre come elementi di un determinante del terz’ ordine in modo che le rette delle tre orizzontali come anche delle verticali rappresentino tre triangoli a 2 a 2 tri-omologici. Trovo questa figura nell’esagramma di Pascal e nella configurazione armonica ed ottengo un gruppo di proprietà, che, a differenza di quelle già note, sono puramente planime- triche. Per mezzo delle figure w si può studiare la distribuzione dei punti binari (ove concorrono due sole rette) delle delte configurazioni. Alla fine della 2* parle sono studiate due nuove configurazioni, le cui proprietà sì riconnettono alla figura delle 8 rette ed alle figure y. Nella terza parle mi occupo della genesi delle configurazioni n, mediante figure più semplici (le figure @); le operazioni geometriche «,,w, mi permettono di de- durre dalle figure « altre figure @ il cui gruppo non è che una facile estensione del gruppo delle prime. Composta una configurazione mediante figure a se ne deduce il gruppo in modo molto facile dai gruppi delle stesse figure a. Segue la generalizzazione delle figure « nel piano e nello spazio; si stabili- scono quattro identità fondamentali che permettono di classificare le Cfr. n, in un numero limitalissimo di tipi, che vengono dedotti da una figura nucleare. ATTI— Vol. XV— Serie 2a — N, 4. 1 dg IST . Dai risultati già ottenuti si può prevedere che l’applicazione allo spazio. ed agl’ iperspazii non sarà senza frutto, tanto più che il metodo del Martinetti Sa duzione delle n, dalle (n —1),) non è stato ancora esteso allo spazio. In quanto Ia teoria dei gruppi siamo ben lontani dalla possibilità di una teoria generale delle configurazioni in connessione coi gruppi di sostituzioni. In questo campo ho fatto quanto ho potuto. Ed a tale proposito ardisco richiamare l’attenzione del lettore su questi due punti: J 1° La nuova deduzione del gruppo della configurazione armonica (parte 2°), 2° La risoluzione del problema di determinare per un dato valore di n delle configurazioni il cui gruppo sia di ordine dato, della forma 2" (£=1,2,3,4,5e 6) oppure 3.2* (£—=0, 1,...,7) (parte 3°). PARTE PRIMA CENNO SINTETICO SULLO STATO PRESENTE DELLE RICERCHE SU LE CONFIGURAZIONI GEOMETRICHE, S1. Definizioni, primi esempii. 1. Configurazione piana (#,,,) è un insieme di m punti e di n rette tali che per ognuno dei punti passino p retle e su ognuna delle rette si trovino q punti. Si ha evidentemente mq = np; se m=n è pure p=qQ ed allora la contigu- razione si indica col simbolo: Cfr. my. Es. 1° la Cfr. 9, individuata da un esagono semplice inscritto in due rette. v. 1. Pappo, Collezioni matematiche (libro 7°, prop. 139?). Es. 2° L’n° completo è una Gîr. (n,_,, (2)); n° completo è una Cîr. ; dA ((2),2,.)- i Es. 3° Una notevole Cfr. (m,,n,) con p e q diversi da 2 è la Cfr. (16, 12,) che sì può intendere costituita da tre quadrilateri a due a due prospettivi ') in 4 modi con gli assi di prospettività nei lati del terzo (duale della Cfr. (12, 16,) armonica): v. 2. J. Steiner, Geometrische Séitze (Giornale di Crelle, Vol. 1°, p. 44 nota). Es. 4° Un mezzo per ricavare da figure spaziali infinite Cfr. (m,,7,) fu trovato da A. Cayley, il quale si occupò specialmente delle figure determinate secando un n° gobbo e un n° con un piano. v. 3. A. Cayley, Sur quelques théorèémes de la géométrie de position (Giornale di Crelle, Vol. 31°, p. 213-226, 1846; Vol. 34, p. 270-275; Vol. 38, p. 97-106, 1847 e Vol. 41, p. 67-72, 1850. 2. Nello spazio, col simbolo Cfr. m, si rappresenta un insieme di m punti e di m piani tali che per ogni punto passino m piani e su ogni piano giacciano m punti. Più generalmente Cfr. (m,,n,) rappresenta un insieme di m punti, m piani ed » rette disposte in modo che ad ogni piano appartengano q punti e p rette, per ogni punto passino g piani è p rette ed ogni retta appartenga a p piani ed a p punti. Es. 1° La Cfr. 8, di punti e piani costituita da due tetraedri reciprocamente inscritti e circoscritti (tetraedri di Mobius): v. 4. Moòbius, Kann von zwei dreiseitigen Pyramiden eine jede in bezug auf die an- dere um-und-ein geschrieben zugleich sein? Giornale di Crelle, Vol. 3.° !) Due quadrilateri si diranno prospettivi quando sono riferiti in modo che le coppie di lati corrispondenti s’ incontrino in 4 punti in linea retta (Collineare Lage secondo Schròter)a a Es. 2° La Cfr. (12,,16,) di punti, piani e rette, formata da tre tetraedri a due a due telra-omologici con i centri ed i piani di omologia nei vertici e nelle facce del terzo (tetraedri desmici): v. 5. Poncelet, Traîté des propriétés projectives des figures, p. 409, 1822. v. 6. Staudt, Geometrie der Lage, ultima parte del n. 102, 1847. In Poncelet la configurazione apparisce come costituita dai 12 centri di si- militudipe di 4 sfere, dai 12 piani di similitudine e dai 16 assi. Invece nell’ Opera di Staudt la figura è costruita tagliando un tetraedro con un piano e costruendo su ogni spigolo il coniugato armonico del punto d'incontro con i due vertici; ge- nesi comune della configurazione desmica, la quale, perciò, va attribuita a Staudt. Es. 3° La Cfr. (15,,20,) individuata da due tetraedri omologici : Cfrtvi 60M 892: 82 L’esagrammo di Pascal. 3. La prima occasione per lo studio delle configurazioni fu fornita dai « Geo- metrische Lehrsàtze und Aufgaben » che Jacob Steiner pubblicò successivamente sugli « Annales de Math. » di Gergonne e nel « Journal fir Math. » di Crelle e che poi riprodusse nella sua opera fondamentale: Systematische Entwikelung ... Questi teoremi, dati senza dimostrazione e che il Poncelet designava sprezzante- mente con la frase: « géometrie combinatoirie de M. Steiner », attirarono ciò non pertanto |’ altenzione di matematici del più alto valore: Jacobi, Pliieker, Hesse, Staudt, i quali non disdegnarono di occuparsene, e si ebbe una lunga serie di articoli sul Giornale di Crelle dedicati alla dimostrazione delle più importanti fra le proposizioni steineriane. La più notevole fra le figure, il cui studio fu proposto da Steiner ai geo- metri del suo tempo, è senza dubbio quella costruita dalle 60 rette di Pascal cor- rispondenti ai 60 esagoni semplici, che si possono formare con 6 punti di una conica non degenere. Queste 60 rette s’ incontrano a 3 a 3 in venti punti i quali a 4 a 4 stanno su 15 relte: v. 7. Steiner, Théeorémes dà démontrer et problèemes à résoudre. Annales de Math. de Gergonne, Vol. 18°, p. 389 (1828). v. 8. Pliùcker, Veber ein neves Princip der Geometrie und den Gebrauch allge- meiner Symbole und unbestimmter Coefficienten. Giornale di Crelle, Vol. 5°, p. 268-286 (1829). v. 9. Steiner, Systematische Entwikelung der Abhaengigheit geometrischer Gestalten. Edizione del 1832, Aufgaben und Lehrsàtze, n. 54. Veramente lo Steiner, nella v. 7 afferma erroneamente che i 20 punti stanno a 4a 4 su 5 (non 15) rette. L’errore fu corretto da Plicker (v. 8) e la corre- zione fu accolta da Steiner (v. 9). Nuove dimostrazioni e nuovi sviluppi furono dati da Jacobi e dallo stesso Pliicker. v. 10. Jacobi, Au/losung und Beweise einer Reihe von Aufgaben und Lehrsdtzen- der ebenen Geometrie. (Giornale di Crelle, Vol 31°, p. 40-84 e 93-110, specialmente p. 72-73 (1846). — 93 — LOLA Plicker, Anazytisch-geometrische Aphorismen. Giornale di Crelle, Vol. 10°, p. 217-227, 293-299 (1832); Vol. 11°, p. 26-32, 117-129, 356-360. La dimostrazione dei teoremi di Steiner condusse Plivcker alla scoverta del metodo analitico della notazione abbreviata così fecondo nella trattazione analitica della geometria di posizione (v. 8 e ». 11). v. 12. Plicker, Note sur le théoréme de Pascat. Giornale di Crelle, Vol. 34, p. 337-340 (1846). 4. Otto Hesse si occupò anch’egli dell’ esagrammo di Pascal e pervenne a dimostrare che i 20 punti di Steiner sono a 2 a 2 coniugati rispetto alla conica fondamentale : v. 13. Hesse, Veber das geradlinige Sechsech auf dem Hyperboloid. Giornale di Crelle, Vol. 24°, p. 40-43 (1842). In questa memoria la dimostrazione è dedotta da considerazioni su figure spa- ziali, motevolissimo metodo che doveva poi esser seguito da Cayley, Cremona, Caporali ecc. Hesse dimostrò inoltre che la figura dei 20 punti di Steiner e delle 15 rette di Plicker è identica a quella formata da tre triangoli a due a due prospettivi, con un medesimo centro : v. 14. Hesse, Hine Bemerkung zum Pascal’schen Theorem. Giornale di Crelle, Vol. 41°, p. 269-271 (1850). Il teorema di Hesse del v. 13 ed ulteriori sviluppi formano |’ argomento di allre due notevoli memorie : v. 15 Grassman, Veber eine neue Eigenschaft der Steiner'schen Gegenpunkte des Pascal’ schen Sechseck. Giornale di Crelle, Vol. 58°, p. 174-178 (1860). v. 16. Staudt, Veber die Steiner’'schen Gegenpunkte. Giornale di Crelle, Vol. 62°, p. 142-150 (1863). 5. Nel 1849 Kirkman dimostrò che le 60 rette di Pascal concorrono a 3 a 3, oltre che nei 20 punti di Steiner, ancora in altri 60 punti. v. 17. Kirkman, Manchester Courrier, 27 giugno 1849. Il Cayley (v. 3; Crelle 41) fece conoscere ai geometri tedeschi il teorema di Kirkman ed aggiunse altri risultati, contemporaneamente al Salmon trovò che i 60 punti di Kirkman sono a 3 a 3 su 20 rette. v. 18. Cayley, Note sur quelques théorémes de la géométrie de position. Giornale di Crelle, Vol. 41°, p. 84 (1850). v. 19. Salmon, Geometria analitica del piano tradotta da Fiedler, 3* ediz., n. 284 (1873). Salmon dimostrò di più che le 20 rette passano a 3 a 3 per 15 punti (v. 18 e 19). Quasi tutta ia memoria v. 3 di Cayley è dedicata allo studio dell’ esagrammo; notevolissima è l'osservazione del $ 8° in cui nota che i 20 punti di Steiner for- mano una figura che può considerarsi come proiezione dei 20 vertici di un esaedro completo. Questo esaedro fu scoverto poi dal Cremona. 6. Gli studii sull’esagrammo furono ripresi da Hesse il quale trovò una certa corrispondenza fra le 60 rette di Pascal ed i 60 punti di Kirkman. Se dei 15 lati dell’esagono completo inscritto nella conica si tralasciano quelli di un esagono semplice, restano ancora 9 lati che determinano altri 3 esagoni le cui Pascal s’in- contrano in un punto di Kirkman, che si fa corrispondere alla retta di Pascal del 1° esagono semplice. La corrispondenza è tale che i 3 punti di Kirkman cor- alta rispondenti alle tre rette di Pascal concorrenti in un punto di Kirkman K, stanno sulla retta di Pascal, che corrisponde a K,; a tre rette di Pascal che s’incon- trano in un punto di Steiner corrispondono 3 punti di Kirkman situati su una retta di Cayley ecc. Anche Bauer e Schròter si occuparono di questa corri- spondenza: v. 20. Hess, Veber die Reciprocitàt der Pascal-Steinerschen una Kirkman-Satmon- Cayley'schen Sdtze von dem Hexagrammum mysticum. Giornale di Crelle, Vol. 689, p. 193-207 (1868). v. 21. Hess, Eine analytische Erweiterung des Pascal’schen Theorems. Giornale di Crelle, Vol. 75°, p. 1-12 (1872). v. 22. Bauer, Veder das Pascal’sche Theorem. Abhandl. der k. bayer. Ak. Miùnchen, p. 109 (1874). v. 23. Schròter, Steiîner’sche Vorlesungen, edit. del 1876, p. 217-218. 7. Nè Hesse, né Bauer e Schréler avevano potuto determinare |’ intima natura della corrispondenza fra le rette di Pascal ed ì punti di Kirkman. Fu il Veronese che risolvette la quistione dimostrando che con le 60 Pascal e con i 60 punti di Kirkman si possono formare sei ligure costituite ciascuna da 10 rette e 10 puuti tali che per ogni punto passano tre rette e su ogni retta giacciono 3 punti (ligure ©): v. 24. G. Veronese, Nuovi teoremi sull’ hexagramma mysticum. Atti dell’Acc. dei Lincei, serie 3*, vol. 1°, aprile 1877. In questa memoria, mediante semplici considerazioni sui triangoli omologici, sono rilrovale le proprietà già note e moltissime altre nuove. Ad essa seguì imme- diatamente un’altra importantissima memoria del Cremona, nella quale è dimostrato che tutte le proprietà già note e quelle aggiunte dal Veronese, si deducono dalle proprietà del sistema di quindici rette nello spazio situate a 3 a 3 in 15 piani: v. 25. Cremona, Teoremi stereometrici dai quali si deducono le proprietà dell’esa- grammo di Pascal. Atti dell’Acc. dei Lincei, 1877. In intima connessione con i lavori del Veronese e del Cremona sono i se- guenti: v. 26. C. Ladd, The Pascal hexagram. American Journal, Vol 2°, p. 1-13 (1879). v. 27. E. Caporali, Sullesaedro completo. Rend. Acc. Napoli, 1881 e Memorie di Geometria, p. 135-151 (1888). v. 28. E. Caporali, Studio sull’esagramma di Pascal. Memorie di Geometria, . 236-251. v. 29. E. Caporali, Frammenti sull'esagrammo di Pascal. Memorie di Geometria, p. 252-258. v. 30. H. W. Richmond, A symmetrical system of equations of the lines on a cubie surface which has a conical point. Quarterly Journal, Vol. 28°, p. 170-179 (1886). v. 31. H. W. Richmond, On Pascal’s Hexagram. Trans. of the Cambridge Philos. Soc., Vol. 15°, p. 267-302 (1894). v. 32. L. Klug, Die Configuration des Pascat’schen Sechseck. Kolozsvar, edit. Albert K. Ajtai, 1898. Volume di 182 pagine con due tavole. Cfr. anche Monatshefte f. Math. Vol. 10° (1899). Di tutti questi lavori i più notevoli sono quelli del Caporali, che, non solo portò un considerevole contributo allo studio della figura, (v. 27) ma arrivò a trovare la notazione più semplice e più adatta. Un lato dell’ esagono completo è incontrato da altri 6 lati in 6 punti diversi dai vertici (punti D); nella figura vi sono 45 punti D che si distribuiscono come vertici di triangoli A i cui lati sono lati dell’esagono e Aid ge contengono tutti e sei i punti fondamentali. Due triangoli A formano una coppia quando non hanno lati comuni, tre triangoli formano una terna quando a 2 a 2 non hanno alcun lato comune. Presa una coppia, coi 9 lati dell’ esagono si può in una sola maniera formare una terna; l’ insieme dei 5 triangoli costituisce una figura di triangoli A, di queste, nell’ esagrammo ve ne sono 6 che vengono indicati con i numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6. Allora ogni A può essere indicato per mezzo dei nu- meri delle due figure a cui appartiene, ecc. Adottata questa notazione, tutte le pro- prietà dell’ esagrammo risultano dalla forma dei simboli dei suoi elementi. 8. I lavori che seguono contengono dettagli di non molto interesse : v. 33. F. Graefe, ZHinige Notizen veber das Pascal’sche Sechseck. Zeitsch. Schlò- milch, Vol. 25°, p. 215-216 (1880). V. pure Crelle, Vol. 93°, p. 184-108 (1882). v. 34. F. Graefe, Erweiterungen des Pascal’schen Sechsecks und damit verwandter Figuren. Wiesbaden ed. Limbarth (1880). v. 35. L. Wedekind, Lagenbeziehungen bei ebenen perspectivische Dreieckhen. Math. Annalen, Vol. 16°, p. 209-244 (1880). v. 36. 0. Dziobeck, Neue Bettrige zur Theorie der Paschalschen Sechseck. Berlin ed. F. Dùmmler, 1882. v. 37. G. Lazzeri, Nuovi teoremi sull’esagrammo di Pascal. Atti dell’Ist. Veneto, 6% serie, Vol. 3°, p. 481-500 (1885). (Proprietà riguardanti i punti doppi delle involuzioni determinate dai punti D). v. 38. F. Palatini, Sopra i triangoli formati con i laii dell’esagrammo. Palmi, Tip. G. Lopresti, 1891, pagine 10. (Il massimo numero di triangoli A che si possono ri- durre ad un punto è sei). v. 89. R. Moskwa, Paschal’sches Sechseck und Brianchon'sches Sechsseît. Pr. Droho- biez, 1% parte, 1892; 2 parte, 1893. v. 40. V. Snyder, On the Steiner points of Paschal’s hexagon. Boll. American Math. Soc., 2* serie, Vol. 4°, p. 441-442 (1898). Cfr. v. 15 e 16. 2. Ben maggiore interesse hanno gli studii sugli esagoni iperspaziali che sono la generalizzazione naturale del metodo di Cremona e che pongono in nuova luce le proprietà dell’ esagrammo, sia dal punto di vista analitico, sia dal punto di vista geometrico e della teoria dei gruppi: v. 41. G. Veronese, Interprétation géométrique de la theorie des substitutions de n lettres, particuliérement pour n= 8, 4, 5, 6, en relation avec les groupes de Vl Hexa- gramme mystique. Annali di Matem., 2* serie, Vol. 11°, p. 93-236 (1862). v. 42. H. W. Richmond, The figure formed from six points in space of four di- mensions. Mat. Ann., Vol. 53°, p. 161-176 (1900). Cfr. pure Quarterly J., 1899, p. 125-160. v. 43. A. Zoukis, Sur lhexacoryphe complet. Journal de Math. Liouville, 5* serie, Vol. 8°, p. 135-168 (1902). v. 44. E. Ciani, Una interpretazione geometrica del gruppo totale di sostituzioni sopra sei elementi. Annali di Matem., serie 3%, Vol. 16° (1908). 10. E finalmente, per completare la bibliografia dobbiamo far cenno di altri tre importanti lavori: v. 45. V. Martinetti, Sopra un gruppo di configurazioni regolari contenuto nel- l'esagrammo di Pascal. Ace. Gioenia di Catania, 4* serie, Vol. 5°, p. 20 (1891). Si tratta delle Cfr. (12,16,)B di De Vries contenute nell’esagrammo (Cfr. il $ seguente). v. 46. E. Study, Veber das Pascat’sche Sechseck. Leipz, Ber. 47, p. 532-552 (1895). Connessione fra la teoria dell’esagrammo e le sostituzioni ternarie ortogonali. v. 47. F. Lindman, Ueder das Paschat’sche Sechseck. Mùnch. Ber. 1902, p. 153-161. Gruppi di triangoli formati da rette Pascal e prospettivi a triangoli A. 11. Le proprietà dell’ esagrammo si possono distinguere in due gruppi: 1° pro- de prietà che discendono dalle figure spaziali connesse con |’ esagrammo (proprietà Veronese-Cremona v. 42), 2° proprietà puramente planimetriche. Mentre le pro- prietà del 1° gruppo sono state ampiamente studiate, quelle del 2° gruppo sono rimaste quasi completamente nell’ombra (eccetto nella v. 47). Ora, vi è un filo con- dultore anche per ie proprietà del 2° gruppo ed è dato dalle figure v di cui si oc- cupa il $ 1° della 2° parte di questa monografia. 83, La configurazione armonica. 12. 1 primi accenni alle configurazioni armoniche si trovano in v. 2, 4, 5 e 6. Hermes in un suo sludio su l’esaedro trattò in modo esplicito del sistema desmico di tetraedri: v. 48. Ausdehnung eines Satzes vom ebenen Vierseit auf raumliche Figuren. Gior- nale di Crelle, Vol. 56°, p. 210-216 (1859). v. 49. Ueber homologe Tetraeder. Giornale di Crelle, Vol. 56°, p. 218-246. v. 50. Das allgemeine Sechsflach. Giornale di Crelle, Vol. 100°, p. 258-285 (1886). Lo stesso sistema si può anche ricavare dalla figura delle 15 rette di Cre- mona (v. 25). La trattazione dettagliata della figura fu fatta contemporaneamente da Stephanos e da Veronese: v. 5I. Stephanos, Sur les systemes desmiques de troîs tetraédres. Bull. Darboux, 1879. v. 52. Veronese, Sopra alcune notevoli configurazioni... Atti dei Lincei, transunti 1880 e memorie 1881. 13. Nel 1882 Reye richiamò l’attenzione dei geometri sul problema delle con- tigurazioni e diede il primo |’ esempio trattando con grande profondità della confi- gurazione desmica e del suo gruppo: i v. 53. Reye, Das Problem der Configurationen. Acta Mathem., Vol. 1°, pag. 93-96 (1882). v. 54. Reye, Die Hexaeder und Octaeder Configuration. Acta Mathem., Vol. 1°, p. 97-108 (1882). Ancora del gruppo della configurazione trattò il Victor: v. 55. Victor, Die harmonische Configuration. Freiburg, Ber. Vol. 8°, 1882. Ma fu il Feder che partendo dalle ricerche del Reye arrivò a determinare l’inlima costituzione di quel gruppo: v. 56. J. Feder, Die Configuration (12,16,) und die zugehòrige Gruppe. Math. An- nalen, Vol. 47°, p. 375-407 (1896). Lo studio più esauriente, dopo quello del Veronese, è stato fatto da Hed - mund Hess in due ponderose memorie nelle quali tratta anche delle configura- zioni connesse con la configurazione armonica (configurazione di Klein, di Kum- mer ecc.). v. 57. E. Hess, Beîtrige zur Theorie der riumlichen Configuratiunen: Ueber die Kiein'sche Cfr. (60,30,) und einige bemerkenswerte aus dieser ableitbare riumliche Con- figurationen. Nova Acta Leop. Carol. Akad., Vol. 55°, p. 97-167 (1890). v. 58. E. Hess, Wezlere Beitrige zur Tneorie der riumlichen Configurationen. Nova Acta Leop. Carol. Akad., Vol. 75°, p. 1-482 (1899). i SI Anche molto importante è un lavoro di Schròter nel quale applica la teoria dei tetraedri desmici alla curva del 4° ordine e di 1 specie: » 59. Schròter, Veber eine Raumcurve vierter Ordnung erstes Species. Giornale di Crelle, Vol. 93°, p. 132-176 (1882). 14. Ulteriori studii, ma che non contengono nulla di veramente essenziale sono : v. 60. Vaàlyi, Zur Lehre der prospectiven Tetraeder. Arch. Grunert, 2* serie, Vol. 3°, 1884. v. 61. Klug, Mehrfach perspective Tetraeder. Arch. Grunert, 2* serie, Vol. 6°, 1887. Cfr. anche Berichte Math. u. Nat. Ungarn, p. 95-112 del Vol. 17° (1899). v. 62. Steigmùller, Die hRarmonische Configuration. Diss. Tùbingen, IV (1886). v. 63. Sechroòter, Elementare Construction der Figur dreier in dermischer Lage befindlichen Tetraeder. Giorn. di Crelle, 109, p. 341-357 (1892). v. 64. K. Spindeler, Ein Beitrag zur Einfuhrung in das Gebiet der raumli- chen Configurationen. Propr. Gymn. Diedenhofen n.i 510 (1894), 518 (1896) e 553 (1898). v. 65. C. Hossfeld, Ueder die mit der Losung einer Steiner'schen Aufgabe zu- sanumenhingende Configuration (12, 16,). Zeitschr. Schlomilch, Vol. 29°, p. 305-306 (1884) e 30° p. 116-119. 15. La conligurazione armonica piana è stala profondamente studiata da J. de Vries e Schréòter; essa può intendersi costituita dai 12 punti di contatto delle tangenti condotte ad una cubica da 3 suoi punti in linea retta. II De Vries di- mostrò che, oltre al caso dei quadrangoli anarmonicamente tetra-prospettivi sono da considerarsi i quadrangoli ciclicamente tetra-prospettivi (Cfr. (12,16,)B), i quali furono studiati anche da Schréter e Martinetti (». 45) il quale ultimo ne deter- minò anche il gruppo di sostituzioni. v. 66. Hesse, Veber Curven dritter Ordnung. Giornale di Crelle, Vol. 36, p. 153 (1848). v. 67. Caporali, Sulla figura costituita dai punti di contatto ecc. Memorie di Geo- metria, p. 338-343 (1888). v. 68. J. de Vries, Veber gewisse ebene Configurationen. Acta Math., Vol. 12°, p. 1 (1888). v. 69. Schròter, Die Hesse’sche Configuration (12, 16,). Giornale di Crelle, Vol. 180°, p. 269-312 (1891). Cfr. pure: ì v. 70. E. Hess, Bemerkungen zu der Abhandlung von H. Schròter: « Die Hess'sche Configuration ». Giornale di Crelle, Vol. 111°, p. 53-58 (1893). v. 71. L. Klug, Desmische Vierseiten und Kegelschnitts Systeme. Monatshefte f. Math., Vol. 14°, p. 74-91 (1908). v. 72. J. de Vries, Over de harmonische Configuratie. Acc. de Amsterdam, 3* serie, Vol. 5°, p. 210-219 (1886). Tradotta in francese in Archives Néerl., Vol. 23°, p. 93-14 (1886). v. 73. J. de Vries, Over vlakke Configuraties. Acc. di Amsterdam, 3* serie, Vol. 5°, p. 105-120 (1886). v. 74. J. de Vries, Nieuwe eigenschappen der harmonische Configuraties. Acc. di Amsterdam, 3 serie, Vol. 7°, p. 177-191 (1890). Tradotta in Archives Néerl., Vol. 25°, p. 57-69. 16. Un nuovo insieme di proprietà si ricava dalla considerazione dei tetraedri biomologici e dalla figura costituita da due quaderne incidenti projettive di rette di una quadrica. v. 75. G. Gallucci, Studio sui tetraedri biomologici con applicazione alla con- figurazione armonica ed alla configurazione di Klein. Rend. Acc. Napoli, 1898. Cfr. pure Giornale di Battaglini, Vol. 37° della 2* serie, 1899. Ed infine accenniamo ad una nuova notazione degli elementi della configura- AtTI— Vol. XV — Serie 20 — N. 4. 2 2 e zione. 1 punti si possono indicare con A,,,, edi piani con a,,,, ove mpn ? nmp 9 ‘pnm Cayley ch CONiugata all’altra cÈ map ® 4. In modo analogo si tratta il determinante (II) tenendo presenti i punti D compreso in (a') e si conchiude che: i 1 termini negativi dello sviluppo di (1) ed i termini positivi dello sviluppo di (11) danno due terne di punti di Kirkman situate su due rette di Cayley È. » Chom coniugate; i termini positivi dello sviluppo di (1) dànno una terna di triangoli a due a due prospettivi con l’asse comune c* map e con i centri di prospettiva nei 3 punti di Kirkman di c',; i termini negativi dello sviluppo di (II) dànno un'altra terna di triangoli a due a due prospettivi con l asse comune c'* mpn e con i centri di prospet- tiva nei tre punti di Kirkman di c*. mrp* 5. Anche in una memoria del Veronese (v. 41) i punti di Kirkman si fanno corrispondere ai termini dello sviluppo di un certo determinante, però gli elementi di questo non sono rette di Pascal, come in (I) e (II), ma triangoli 4. I determinanti da noi considerati forniscono una nuova notazione per gli elementi dell’ esagrammo, notazione un po’ più complicata di quelle di Veronese e Capo- i IE rali (v. 27) ma che pone in evidenza non solo le proprietà già note, ma tutto un gruppo di proprietà nuove. d 6. L'insieme delle 9 rette (1) e (II) gode della seguente proprietà : do Le orizzontali rappresentano i lati di tre trilateri a due a due triomologici; lo stesso dicasi per le verticali. n} Consideriamo prima le 3 orizzontali di (I). Le prime due rappresentano trilateri | omologici nei due modi seguenti : ihl kli lik mnp mnp mmnp lik ihl kli | \npm npm np ihl 0) lih mnp mnp mnp kli lik ihl npm npm npm)_ e quindi omologici nel 3° modo: / 0019) kli lik mnp mnp mnp ihl kli li npm npm npm La 2° e la 8° orizzontale rappresentano due trilateri omologici nei due seguenti : asse d’omologia c@,,5 centro By ANUIAN( MN do) (E) mn)"; centro C,, asse a,,, centro À,, I( ikl ) ( kli ) - lik DO» npm n nom > si A e ci; centro B,, lik Loi pmn secca sa ) (ome) | npm pm npm asse (4 a) o =np; centro Cy kli lik dRI pmn pmn pmmn Ta e quindi omologici anche nel 3° modo: ih _lik np npm x asse a,,; centro A,, ikl kili (i i Mi \pmn} \pmn} \pmn «VON kli npm ——T —r———+——_ rr... Mio La I° e la 3° orizzonlale rappresentano due trilateri omologici nei due modi: ikl kli ( lik mnp mnp) \snnp e cR kli ) lik îikl 1 ta pmn pimn pmn ( ikl ) ( 5) Do )| mnp 23) Sep Los ik kh ti) no) ( lik îkl ) Da) mpj/j \1np pmn pinn o) ;.centro B,, =mp; centro C,, e quindi omologici anche nel 3° modo: ikl kli x \mnp mnp = DÉ kli lik \l pimn pinn} | "7 FIRNA per le verticali: La 1° e la 2° danno due trilateri omologici nei tre modi: ihl îhl hl \| Pe ! 3) (n) va) ASSE Cmnp \( Rli hli Rli at? | x) Co) O: pecntro Bu ihl pa ikl \| ihl i îk lc bo) C; sen) si la (vano) 4) (Co) VA kli kti Ai kli kili Eli \| te k o) to) CE), ' centro C,, (9 Da) 298] CRA La 2° e la 3° dànno due trilateri omologici nei tre modi: kli kli Ree\| 0.03 (i) ice) to) ASSO Cronp tik lik lik | Ga) to) Csi | centro Bi kli kli kli kli kli kli (oe) (on): fas). Fa Mera) Gil) Conn) asse -@'y3 tik tik lih lik tik Uk \ RAT to) (0) a centro c, ILE) a) A) centro A’,, La 1° e la 3° danno due trilateri omologici nei tre modi: ihl ihl ia io) de) Coal SEI na lik li lîh \| di da E) di) centro Bi, iRl ik ik e 6; ih ih ih mnp 5) (a) sno I) boni) (ona) ASSO Gua tik tik lik \ e | Uk lik lik \ | TAI ben) (one) (0) ae Vi + So n) sn | | centro A ja asse a,3; centro A,, ei Tar dg Come per le orizzontali, la terza omologia in ciascuna coppia di triangoli è conseguenza delle prime due, in virtù del teorema di Rosanes-Schréter. 7. Chiameremo figura + un gruppo di nove relle che godono delle proprietà delle nove rette del determinante (1) (n. 3, 4 e 6). ì ì Questa figura si presenta non solo nell’esagramma di Pascal, ma anche, come vedremo in seguito, in altre configurazioni; essa ci permette di ricavare la distri- buzione degli elementi di tali-configurazioni in terne cicliche di triangoli (Cfr. 9, di Pappo). 8. È facile vedere che i 3 assi d’omologia a,,,1,,,4, concorrono in un punto | O' ed i 8 altri assi: a,,,0,,,0,, in un altro punto O. Infatti: ; . . {RI \{ îhi kli kli lik lîk CVS O ED eo (i (Oa) (a) Ri Di R u irl il hli kli ) lik lik 20 mnp] \pmn mnp]\pmn mnp]\pmn d; > $ ikl ihl { hii fe Uk \{ lik n npm]\pmn npm npm]\pmny Ora, i due trilateri rappresentati dalle verticali 1% e 2* di (1) sono omologici nel modo: îRL îRL tRL MNP nNpm pmn kli Rli Rli MNnp npm pmn Ù con l’asse d’omologia a’,, e col centro d’omologia : îkl ( îkl kli kli ninp]\mnpm}" \mnp}\mnpm = îhl ikl kli kRli —\\mnp}\pmn}" \mnp}\pmn} iRl ikl kl kli npm]\pmn npm) \pmn Dunque le 3 rette @,,,,,,0,, passano per il punto A‘,,. Considerando invece la 1° e la 8° verticale si troverebbe come punto d’incontro A',, e considerando la 2° e la 3° verlicale si troverebbe come punto d’incontro A',,. Se ne deduce che i 3 punti A‘,,, A‘,,, A, coincidono in un punto O' ove concorrono i 3 assi d,, , 4; > dg Similmente si dimostra che i 3 punti A,,, A,;; A,, coincidono col punto O di incontro dei 3 assi a,,,0,,,0,, @ si conchiude che: 1 triangoli rappresentati dalle orizzontali di (1) sono riferiti in modo da risultare omologici a due a due secondo tre assi d'omologia concorrenti in un punto che è il centro d'omologia comune dei tre triangoli rappresentati dalle verticali e viceversa: î triangoli rappresentati dalle verticali di (1) sono riferiti m modo da risultare a due. a due omologici secondo tre assi concorrenti in un punto, che è il centro d’omologia comune dei tre triangoli rappresentati dalle orizzontali. 23 | IDE, NRE 9. Il determinante (II) si tratta come (1) e si trova che: Le orizzontali danno 3 trilateri a 2 a 2 tri-omologici; gli assi d'omologia sono: 4° ci. ; 2° i lati del triangolo map; 8° tre rette (a,,) concorrenti in un punto (0°) nel quale coincidono i 3 centri d'omologia dei trilateri rappresentati dalle verticali. Le verticali danno 3 trilateri a 2 a 2 tri-omologici; gli assi d’' omologia sono: 12 cè; 2.° i lati del triangolo ikl; 3.° tre rette (a',) concorrenti in un punto (0) nel quale coincidono i 8 centri d'omologia dei trilateri rappresentati dalle orizzontali. 10. Le figure y rappresentate dai determinanti (1) e (II) si diranno coniugate. Le relazioni fra i due gruppi di nove rette sono espresse dal teorema del n.° 4 e dall’ altro: Una orizzontale di (I) e la corrispondente di (II) rappresentano due triangoli tri-omologici; lo stesso per le verticali. Una orizzontale di (I) ed una non corrispondente di (Il) rappresentano due tri- angoli semplicemente omologici; lo stesso per le verticali. Infatti, tenendo presenti i quadri (a) ed (a’) si osservano le seguenti omologie: 1.° Per le orizzontali corrispondenti: _ îkl kli lik o îkl kli lik a - e) io) fa) eo n) o) CÈ SSSSZICA kili Kd îhl li \ ( ikl hlî mpn mpn mpn) \mpn} \mpn e quindi la 3° ihl gi GR RA mnp mnp mnp SERE îkl kli lik mpn} \mpn} \mpn îRl kli lik A |/ dkl kli TN] v Con) tigeg (ea) | METE don) (5) bi cai ile 1 Sed DE) È VARE îhl hti nmp nmp nmp | \mmp nimp nimp e quindi la 3° ihl kli lik È (am) (nom) lan pr? ihl kli lîk nmp nimp nmp îkl kli tîk ihl kli lik De) A) (a) asse mp a) Gia) Gra) asse np Gn) (im) Com) = > Gt) Ci) Ge e quindi Ja 3* ih kli lik o) Ca) E n) ehi DA kli lik pnm} \pnm} \pnm Arti — Vol. XV—Serie 2a — N, 4. 4 ; na Kale. LEMBI 2.° Per le verticali corrispondenti: sd ikl ikl È ikl ikl îkl È pì o; (a) ASTE (0 (8) (0 uo ikl pa ikl ; ikl di irl ; nmp mphn pnm mM ninmp e quindi la 3° ikl ikl è ikl ; (ito) (5) Cd) SENZA aL îkl îkl mpn nmp pnm |/ kli kli kli > kli kli kli [fa (5) (a) te es (E, 9 e > asse 7h kli kli \ ( kli i NE, pa lr i nmp pnm mpn Mm e quindi la 3° kli kti kli ; | bee li i) (ST) DIL fa E ap kli % Go, pnm} lik lik lik lik lik lik Do) (5) a PERSA fs) (0 (3 aeE0 lik ik lik : lik lîk lik È nNnmp pnm mpn pnm mpn npm U e quindi la 3* lik lik UN ; (o) (0) (2) SO lik lik lik 5 mpn nimp Pnmn 3.° Per le orizzontali non corrispondenti: ihl kli lik il khli lik mnp ea Di) i (pe mnp mnp peso ihl kli lik ; îkl kli lik NMP nmp nmp pnm pnm nm ihl kli IRATES ihl ki lik uo: (i) ft) ASS Lina npm (i ARR ikl ( kli lik ; ikl kli lîk : mpn mpn mpn pnm pnm DE îhl kli lik LIETA il kli ik O) Mai Di ce nt) 0) da) a md ihl ( kli lik | ? ihl kli lik î mpn impn mpn nmp nMmP nmp i 9. e leeds Vene 1 ri te HÉ ba ho a / - 0 Dee 4.° Per le verticali non corrispondenti: ikl ikl ikl ikl ( îhl ikl ) Gase 9, i) CES i MNP npm pmn asse kli kli kli i ; lik ) (6 lik bi nmp pnm mpn nmp pnm kli kli Eli \l kli kli Eli fond 65) na) EE i mnp Cal dA) dSSEAi îkl iBl iRl i lik, . ( Uk lik mpn nmp pnm mpn nmp pnm lik lik Lik lik lik lik fedi Rue de) AASex& Mi) (5,) a) SERRA îRl îhl îkl i | Eli ( Eli ) Eli mpn nmp pnm | mMpn nmp pnm 11. Consideriamo i 6 trilateri rappresentati dalle 6 orizzontali dei determinanti (I) e (II), così come sono disposti, risultano omologici a due a due. I 15 assi di omologia sono: 1.° le 3 rette: a,,,0,,,4,, concorrenti in 0'; 2.° le 3 rette: (a,,),(4,,); (@,,) concorrenti in (0°); ue ie acrette: r, ,.f,,F, e gli altri 6 coincidono a 2 a 2 con i lati del trilatero mnp. Similmente, i 6 trilateri rappresentati dalle 6 verticali, così come sono disposti, risultano a 2 a 2 omologici. I 15 assi d’omologia sono: RiNlevatcrette:d,,,0,,,4,, concorremi in 0; 2.° le 3 rette: (a’,,),(a,,), (a,,) concorrenti in (0); uede delle: r,,7,,7, e gli altri 6 coincidono a 2 a 2 con i lati del trilatero kl. | Dunque: Le figure y coniugate danno due gruppi formati ciascuno da sei tri- | angoli a due a due omologici. 12. Poichè con le 60 rette di Pascal si possono formare 10 coppie di de- i terminanti come (I) e (I1) ed ogni coppia dà luogo a 4 terne di triangoli a due a due tri-omologici, risulta che: | Con le 60 rette di Pascal dell'esagrammo si possono formare 40 terne di tri- i angoli a 2 a 2 tri-omologici; ad ognuna delle 20 rette di Cayley sono associate due terne siffatte. E ricordando i risultati dei n. 8 e 9 si ha pure che: Fra i punti d'incontro di due sole rette di Pascal dell’esagrammo ve ne sono 860 che risultano dall'incontro di elementi corrispondenti di orizzontali e verticali nelle 10 coppie di determinanti in cui si possono raggruppare le 60 rette; questi 360 punti stanno a 3 a 3,su 4120 rette a, le quali a 3 a 8 passano per 40 punti 0. Gli stessi 360 punti sono î vertici delle 40 terne di triangoli tri-omologici, che st possono formare con le 60 rette di Pascal. Ogni terna di triangoli a 2 a 2 tri-omologici dà luogo a 83 configurazioni 9, di Pappo, costituita: ciascuna da una terna ciclica di triangoli; una delle coppie, 28 2g che si possono formare con i 3 triangoli di una terna va associata ad un terzo triangolo i cui lati sono i 3 assi d’omologia, cioè una retta di Cayley, una retta a ed una delle congiungenti due punti ;,k,/,m,n,p. Dunque: Le 60 rette di Pascal, le 20 rette di Cayley, le 15 congiungenti i punti fon- damentali a 2 a 2 e le 120 rette x costituiscono 120 Cfr. 9, di Pappo. 13. I punti d’incontro di tutte le rette di (1) con quelle di (II) e che non cadono in punti D si distinguono in-due gruppi: 1° i punti d’incontro delle coppie di lati corrispondenti nei trilateri rappresentati da due orizzontali o da due verticali omo- loghe; questi 9 punti sono a 3 a 3 sulle 6 rette r, ,r,,r,;T ft (0.10); 2°i punti d’incontro delle coppie non corrispondenti di lati di trilateri rappresentati da orizzontali o verticali non omonime. Poichè i 6 punti d’incontro dei lati non cor- rispondenti in due trilateri prospettivi sono su una conica, i 36 punti di cui si tratta stanno a 6 a 6 su 12 coniche, le quali a 2 a 2 passano per i 36 punti. Inoltre, le coppie di orizzontali o verticali omologhe danno triangoli omologici in 3 modi, gli assi d’omologia essendo due lati dei triangoli «47, mnp ed una retta r ed r. Si conchiude quindi che: Dei punti d' incontro di due sole rette di Pascal dell’ esagrammo ve ne sono 360 situate a 6 a 6 su 120 coniche, le quali a 2 a 2 passano per i 360 punti; le 60 rette di Pascal, le 15 congiungenti i punti fondamentali a due a due e le 60 rette r,t danno 60 configurazioni 9, di Pappo. 14. La rappresentazione delle 60 rette di Pascal in coppie di determinanti come (1) e (II) ci dà anche il mezzo di dedurre molto semplicemente il gruppo G., di Veronese (v. 41) ed i suoi sottogruppi. Osserviamo che la sostituzione S= (mnp) opera lo scambio ciclico delle oriz- zontali e l’altra T= (4!) opera lo scambio ciclico delle verticali. Così otteniamo i primi sottogruppi del gruppo delle figure y: G,=(1,9;8%) ; Gi=@:7T;D) G,=(1,$,8',T,T,. Sh, SCiSTosii La sostituzione Q= (im) (kr) (70) muta le orizzontali di (I) nelle verticali, e lo stesso per (II). In tal modo si ha il gruppo G,,=(G,,Q) che muta in sè stesso l'insieme delle rette di ciascuna delle due figure $ coniugate. i La sostituzione R= (7m) (4pIn) muta le orizzontali di (1) nelle verticali di (II) e viceversa, e si ottiene il gruppo G,,=(G,,; R). Finalmente, la sostituzione R'= (np) muta le orizzontali di (1) nelle orizzontali di (II), e così si ottiene il gruppo G_,=(G,,R) del Veronese. Questo gruppo, non solo muta in sè stessa una coppia coniugata di rette di Cayley, ma ancora tutta la figura costituita dalle 18 rette (I) e (11). 15. | punti D, che si trovano sulle rette di (I) e (II) si distinguono, come ab- biamo visto (n. 1) in due categorie: quelli della prima categoria sono raggruppali nei determinanti (a) ed (a') e quelli della seconda nei determinanti (0) e (0). I primi sono stati già utilizzati nello studio delle figure (1) e (II); restano quelli di deter- ' =— ino — minanti (db) e (b’) cioè: e) MOMO] (0) ) DD) (o (2) (69. (5) (2) mo (e) (e © © Or bene, questi 18 punti costituiscono due figure v coniugate (figure di punti, mentre (I) e (II) sono figure di rette). I termini positivi dello sviluppo di (è) sono: im - knp Su) (2) (i D,) sulla retta di Pascal mali. kp lm » » kpm n ip Sea nli Di » » kmn Ha pli Queste 3 relte di Pascal corrispondono ai 3 esagoni semplici: mink pi ni pkml pimknal e perciò passano per un punto di Steiner, che si può indicare col simbolo G,.,., (gl’indici superiori restano fermi e gl’inferiori si permutano ciclicamente). I termini negativi invece danno tre triangoli a 2 a 2 omologici: ia) 1) in) (2) It) 2) tot, : Di: : ‘hmn kpm kn I vertici corrispondenti sono nelle tre rette di Pascal: 4g 9 do): 9) , x il che sono precisamente quelle ora trovate e che passano per il punto G,.np + I tre assi d’omologia del 1° e 2°; 2° e 3°; 1° e 8° triangolo, sono rispettiva- mente le rette di Pascal (7) o) A (nn) che corrispondono ai 3 esagoni pli nli mli semplici : pinkml nimk pl mi pk nl RISE T MEA in j in e quindi concorrono nel punto di Steiner G,,» coniugato all’altro Gynp » e 3 Similmente si dimostra che: I termini negativi di (0°) danno tre punti D situati nelle rette di Pascal pas- dl santi per il punto di Steiner Gy. I termini positivi invece dànno 3 triangoli a hl due a due omologici col centro d’omologia comune in Gp e con i 8 assi d’omo- logia passanti pel punto di Steiner Cos coniugato al primo. Così rimane veriticata la prima proprietà delle figure y coniugate. 16. Le orizzontali di (b) rappresentano tre triangoli a due a due tri-omologici : Infatti si hanno le seguenti omologie : Per la 1% e la 2* orizzontale: (38) (E) (8) | eno, (38) (£ 2) (6) Celen |G) 2) (1)| centro pe n) (ia) e quindi la 3° 2) centro G,, (E) (4) (K n) si, (È asse Yi Per la 1* e la 8* orizzontale: tn) (in) (fa) | centro On. |(t) (&) (49, (9) asse Co) e quindi la 3° (i) (£) (a in) (1) (£0) ee za Per la 2* e la 3* orizzontale: (2) (; ) centro n (FR) (10) | asse hr po) centro G,, km m im il hm lm im (7 (20) (17) centro Gmnp_ (#7) n) (0) centro n în kn DA kn (7) (17) n) AT in) n) (77) PERS a e quindi la 3° km tm im A (i ) 5) +0) centro (x,, sor) VELO DD) (2 ASSO VIZI ONITO } et — 31 — Le verticali di (b) rappresentano tre triangoli a due a due tri-omologici. Infatti si hanno le seguenti omologie: Per la 1° e la 2* verticale: kp km kn ikl (6 PI (o) CA i ( s) ( ts) ( 1) centro G,,,, 4 tp centro 7 tp l (È D) (0) (; 4 Lu da (2) ( .) ( ip asse & 12 e quindi la 3° kn km kn , DI i) Z) centro G',, im (i; %, (25) (889) d9SS 913 Per la 1° e la 8° verticale: kp km kn hp km 2) €) Dì 5%) ua Sa (o u/ ) in tp\.{im | SS im (im) (#5) (in) | asse GIOIE 2) | asso Rn e quindi la 3° centro k n ip lm ip tin in TATA k 3, Rp ) DA) SA, Per la 2* e la 3° verlicale: (82) (88) (E) | seno o% (28) (3) (ER) cento (59) (i sa) (6) asse #33 9 (2) (k0) | 35 e quindi la 3° DÌ a n) centro (',, , Rss Gia) (1) (fn) | contro im O 4 tin n) (17) e vt 17. Poichè h,,, f,,,%,, sOnO assi d’omologia corrispondenti allo stesso centro ikl Gn CONcorrono in un punto; lo stesso per R,, Wa ,Pu- I 3 centri d’omologia G,,,G,,,G,, stanno su una relta 0' =g,,=9,,=9,- 12? 13) Infatti ì triangoli delle prime due verlicali sono omologici nel modo: n) (o 5 kn im, a 14 14 129 SE col centro d’omologia G,, e con l’asse d’omologia: n 1): (2) (oe ve 2a n) (e) (= 4 È A Sicchè g',, contiene i tre punti G,,,G,;,G, Considerando invece la 1% e la 3* verticale si trova g’,,=G,,G,,G,, e conside- rando la 2° e la 3° verticale si trova g'’,, = G,,G,,G,;- Allo stesso modo si dimostra che G’,,G,,G,, stanno su un’altra retta: 0=9Y,,=Y;= 93: Dunque: I triangoli rappresentati dalle orizzontali di (b) sono a due a due prospettivi secondo tre centri che sono su una retta, asse di prospettiva comune dei tre triangoli rappresentati dalle verticali, e viceversa. 18. Il determinante (b') si tratta come (bd) e si trova che: Le orizzontuli costituiscono 3 triangoli a due a due tri-omologici; i centri d'omo- logia sono > 1.° LA 2° i tre punti m,n,p; 3. è tre punti (G,) situati su una retta (0') nella quale coincidono i tre assi d'oniol ini dei tre triangoli ONPIeSERO dalle verticali. Le verticali costituiscono tre triangoli a due a due tri-omologici ; î centri di omo- logia sono: 1. iste 2° i tre punti i,k,1; 3° è tre punti (G',) su una retta (0) nella quale coincidono i tre assi d' Simolagia dei triangoli rappresentati dalle orizzontali. 19. Due orizzontali o verticali omonime di (b) e (b') rappresentano triangoli tri-omologici. Due orizzontali 0 verticali non omonime rappresentano triangoli sem- plicemente omologici. Infatti, tenendo presente i determinanti (6) e (5) si osservano le seguenti omologie : 1° Per le orizzontali corrispondenti : (8) (2) (18) | etna |(38) (RR) (£2)| cn iO, mie ni | | (38) (2) ()] sumo n) (10) (8 (3) | ceo o (3) (13) (1) | to m (in - T(É2) (în) Ga | DIOIOIENI (Re) (O (i) (7) (o CIC i En) (20) (22) | contro ni (‘ n) (10) (i (2) (EDGE (i) (im) (47) | centro 0, (AAC 2° Per le verticali corrispondenti : (E) (27) (dr) | contron [(6) (10) (ce) | centro e im) (1) ni: (i) (i I D) (i) (i) (1a) centro O', ») centro È ; se centro 7 3 ) (in) i) (î centro 0', ©) m) (im o ( (in) centro 7 1) (R0) (im i) (30) (im centro 0’, centro & Da in) (#0) (in (in) (i) (fn) Tanto per le orizzontali quanto per le verticali, le prime due omologie si ve- rificano immediatamente, la terza se ne deduce in virtù del teorema di Rosanes- Schréter. 3.° Per le orizzontali non corrispondenti : (a) (£) (4) i) IR) (a) (i) tn) ATTI — Vol. XV— Serie 24 — centro n n) centro ? , (i) (4 (in) (3) ti VIE (Ch) centro p n) (7) (2) : (f alesgeiiniii. I/Rkn sa) centro / | 43) ; n (i) centro m kp DD) (66 za (4) lm centro mm DI) Rn lm în) (i) (im) ») (#) (kr 4° Per le verlicali non corrispondenti: km kn E >) #4, centro / (E Di) (CE 7) (i) centro & tp (a ” (CÈ (de Dee 3 im in, km ) ) si) i) (15) centro / RITO DE) Go) SRI n) (1) (ta) 21) © (0 ) ) ip kn 17 (i) (22)| centro 4 | 2) (77) (5) | controa CC A) 20. Con i 45 punti D si possono formare 10 coppie di determinanti come (b) e (0); ogni coppia dà luogo a 4 terne di triangoli a due a due tri-omologici ed a due sestuple di triangoli a due a due omologici; dunque: Con i 45 punti D dell'esagrammo si possono formare 40 terne di triangoli a due a due tri-omolugici e 20 sestuple di triangoli a due a due omologici. E ricordando i risultati dei numeri 16 e 17: Fra le rette congiungenti due soli punti D ve ne sono 360 che risultano dall'in- contro di elementi corrispondenti di orizzontali e verticali nelle dieci coppie di deter- minanti nelle quali si possono raggruppare i 45 punti D; queste 360 rette concorrono a tre a tre in 120 punti, che a tre a tre stanno su 40 rette o. Le stesse 360 rette sono i lati delle 40 terne di triangoli, che si possono formare con i 45 punti D. 21. Ogni terna di triangoli a due a due tri-omologici dà 3 Cfr. 9, di Pappo; una delle coppie, che si possono formare con i 3 triangoli viene associata ad un terzo triangolo i cui vertici sono i tre centri d’omologia, cioè un punto di Steiner, uno dei 6 punti fondamentali ed un punto G,. i Da ciò risulta che: /45 punti D, è 20 punti di Steiner, i 6 punti fondamen- tali ed i 120 punti G, costituiscono 120 configurazioni 9, di Pappo. 22. Disposte le 60 rette di Pascal ed i 45 punti D nelle 10 coppie di deler- minanti come (1) e (II), oppure (0) e (0°), dal paragone delle figure 4 appartenenti a coppie diverse, si possono ricavare allre moltissime proprietà, che riguardano le rette di Steiner-Plicker, i punti di Salmon, le figure ® del Veronese ecc. inca frana aigst 82 Le figure y nella configurazione armonica. 23. La nuova notazione degli elementi della configurazione armonica (v. 76 e 77) ci permette di ricavare un insieme di proprietà nuove, che si connettono alle figure y. Le 32 rette a sulle quali a tre a tre giacciono i punti fondamentali, si possono distribuire nei due determinanti : 0,1093434, a''at’a'at* pe A5,0r30330v a al'aaa?* |ICACIPOZIOIA alal A,,0,,43tx ata aa! I 12 termini positivi dello sviluppo di 4 rappreseutano i 12 punti d’incontro delle rette a, a quattro a quattro (vertici del 1° sistema desmico): Ajsn = A,149304334,, Agts = A,34,,43,4,3 Asus = Ax34,,43,4,3 Asa = A, 43343944 Ajsis = A,,43343,4,3 Assi = A,34,;4334,1 Asus = A,349,4394,, Arsa = A,,Ag94314,3 A,sss = A,14,,A394,3 Asst = VAPILZICATIZATI Asma = A y3I9943,4 1 Bits = A,,I3,4334,3 La permutazione dei primi indici delle a è la permutazione principale, le per- mutazioni dei secondi indici sono le 12 permutazioni pari, compresa la principale. I 12 termini negativi dello-sviluppo di A’ rappresentano i 12 punti d’incontro delle rette a” a qualtro a quattro (vertici del 2° sistema desmico): Bata = at'a’a3a*8 Ai = attatta3g** Ai = alata ta TAI = attaaa* Axim = a!!a? aa? ded=ata aa” Aug=atartata” As = a! 'ala”a* RN = at'aaa* IA == ataza ta» Aia = aaa a* Ars, == ataa8a* La permutazione dei primi indici è 1234, le permutazioni dei secondi indici sono le 12 permutazioni dispari. In tal modo i 24 punti fondamentali sono rappresentati mediante le 24 permu- tazioni di 4 elementi. Partendo dai 3 punti: A,,,, A, Aus ed operando sugli indici le sostituzioni del gruppo anarmonico si hanno i 3 tetraedri (o quadrangoli) desmici del 1° sistema (punti disposti sulle 3 orizzontali). Partendo dai pùuti: A,,,,, Aso: Ag, SI ricavano in maniera analoga i 3 tetraedri (o quadrangoli) desmici del 2° sistema. 1 24 punti A e le 32 rette a”, a; costituiscono una Cfr. (24,32,) di punti e rette. Ad ogni sottogruppo del gruppo totale di sostituzioni su 4 elementi corrisponde un raggruppamento notevole degli elementi della configurazione armonica. Per esempio, operando le sostituzioni di un sottogruppo ciclico sulla permutazione di un punto Ann SÌ Ottiene il gruppo armonico dei 4 punti situati su una delle 18 rette, spigoli dei tetraedri dei due sistemi desmici, e così via. Cig , si LS I 18 spigoli dei tetraedri dei sistemi desmici (rette diagonali della configura- zione) sono: 1 = AjssiAgisaAgsasA4s12 4= Assia AzsarAgass Ass T = AssaAggsniAgsabion 2= AsasiAzgssAgsiaAss0s 5 = AggirAzgisAgiszsAssss 8 = AsasAsiziAgassAasia 3 = AsassAgsisAguoAgsa 6 = Assia A 0194 Agia: 213 9 = AssasAsgssAganiAgis0 10 = A,s49As1g0AggiaA sa 13 = A,s3rAgg4sAgiasA 043 16 = Aysri Agus AgassAgis2 11 = A,sisAgsgiAgisiAuis0 14 = AvssrAg149Aga14Agg21 17 = AsrAgisrAstaAirsa 12 = A,z43Agss:Ag1asAis12 15 = A,ssrAgzi4AggsiA 93 18 = AgsazAgnizAgsarAsssa I 12 punti pari ed i 12 punti dispari con le 18 rette precedenti formano due Cfr. (12, 18,) coniugate. Aggiungiamo ancora il quadro delle rette a,,: A, = Ass: AssssA 1103 Ax = AsuusAsssiAisso Aya = Asus Assia, A33 = AssiAsssrA ins A,3 = AgssrAsisiAsa A33 = Asus AsssAiss1 A, = A sar Ais1sAu193 Aa, = A sas AnisiAgss A31 = AssuA VESTE A = AsssrAzriAiss 439 = A vas Assanas0 UZE = A sssAssrbarss A33 = A as: AgiriA us A,3 = Astana azis Ag, = Ava dates Ai = AsgrAsguA 124 Per avere i 3 punti situati su una retta a,, basta trovare pari di 4 elementi quelle che hanno È all’ é”° posto. 24. Premesso questo, dimostreremo che: la figura di nove da un minore del 3° ordine di A 0 A' costituisce una figura y. A tal uopo consideriamo il minore: A334334g, A, = A3343343, dy304,34 4 aggiunto di a,, in A. 1.° i termini positivi dello sviluppo di A,,, cioè: A334334,, Ag, Ag34,3 Ag3A3449 rappresentano tre terne di rette concorrenti rispettivamente nei A, Situati su a,, . 1342 fra le permutazioni rette a rappresentate puuti s Ain ’ Agi ’ Sg. pei 2° I termini negativi : Ag,A334;3 As94,,033 A,343343, danno tre trilateri a due a due prospettivi, con l’asse comune a,,. 3.° I trilateri rappresentati dalle orizzontali sono a due a due tri-omologici : A330334,, | ASSE Axy A3303303, | ASSO Aya È A3304334,, | ASSE S23 11 Lt DIRO) Az34,,43, | centro A,, Ata: | centro A,, Gz3434, | centro S., A3303343, | ASSE Agg A934334,, | ASSE A, x 03303302, | ASSE Say (31) > Le Gist 4a | Centro A,, A, ,Es0,s | centro A,, Gidiid | CELtrO Sy Az343343, | asse Qy A39043343, | ASSE Ag È 03303343, | ASSO Sg, 41 (21) >» centro A,, centro A,, A,z34,,4,3 U A,,A,30,3 A,34,34,, centro Da 4.° I trilateri rappresentati dalle verticali sono a due a due tri-omologici: , A3304330,3 | ASSE A; A330320,3 | ASSE A % A390330A,9 | ASSE S 33 S 11 ’ 21 334,343 | centro (A,,) | 4,3423433 | centro (A,,) A,34330,; | centro S',; 9943904 ,3 | asse Az | Ar0A34 | asse dA, \ Ay30z30,, | ASSE Sy, 13 ’ 11 ’ Az,4,0, | centro (A,,) a,,A,,4;, | centro (A,,) d,,0,,4,, | centro S',, < SI I > , Az304330,3 | ASSE A, f A334z30,3 | ASSE dg . As3A330,3 | ASSE Sa, LN > 12 , Ag,4,,4,, | centro (A,,) a,,0,,0;, | centro (A,,) Grida lu | centro S'u tanto per le orizzontali quanto per le verticali le prime due omologie sono di ve- rifica immediata e la terza se ne deduce per il solito teorema di Rosanes-Schréter. 25. Anche qui è facile dimostrare che i 3 centri d’omologia S',,,5,,,S,, coin- cidono in un punto S' ed i 3 centri S,,,$,,,S, in un altro punto S. Infatti : Sii icontiene: I punti @G.,z; ; Ar30x3.) Gul da » “Uan ii dia Sai » » Az3449 > A334,3 > Agli ] triangoli rappresentati dalle prime due verticali sono omologici : sana Ag333 * Ag3433 2277327743 .u asse s'.3 > CENtro< 434,3" dg,4,,=S A339334a A3,4,3° A334,3 98 Ove S'=S,,=5S,,=5S, I i ApconinI delle s i Similmente si dimostra che S,3:5, 55, CONcorrono in un punto S=S, = Dunque: Le 3 rette 8,35, > Sx concorrono in un punto S' centro d' omologia comune dei 3 trilateri rappresentati dalle verticali; le 3 rette s,,,5,,,5, COncorrono in un punto S centro d'omologia comune dei trilateri rappresentati dalle orizzontali. 26. Consideriamo le due coppie di trilateri omologici : 23) Sn 5,- CATUZIZZE A,3A,341, A31493433 A394334g,, appartenenti alle due figure 4 associate agli elementi di a,,,@,,. I due assi d’omo- logia hanno due punti comuni a,,0,,,0,,4,, € quindi coincidono. Cioè i 4 punti d'incontro delle rette corrispondenti delle prime due orizzontali di A stanno in linea retta. Ripetendo lo stesso ragionamento per le altre cinque coppie di orizzontali di A si deduce che: I quattro punti d’incontro delle rette corrispondenti in ciascuna delle 6 coppie possibili di orizzontali di A stanno in linea retta. Si hanno così 6 rette s5,,, 5,33 5 43/9 43/1 4 $. 35,55 Che sono lati di un quadrangolo completo i cui vertici sono il punto S' (v. 25) e gli altri 3 punti analoghi che si ottengeno considerando le altre figure corrispondenti agli elemeuti della 2°, 3%, 4% orizzontale. Analogamente: i4 punti d'incontro delle rette corrispondenti in ciascuna delle 6 coppie possibili di verticali stanno in linea retta. Si hanno così 6 rette s,,,5,, S,01 835 Sa: 88, lati di un quadrangolo completo i cui vertici sono il punto S e gli altri 3 punti analoghi, che si ottengono considerando le altre figure w corrispon- denti agli elementi della 2%, 3° e 4* verticale. 27. I) determinante 4’ si tratta come A, però le figure $ che' se ne ricavano non sono coniugate alle figure 4 di A. Ogni coppia di triangoli di una terna di una figura y$ dà luogo ad una Cfr. 9,; il 8° triangolo (dei 3 assi d’omologia) è formato da due rette a,, e da una retta s, oppure da due rette a* e da una retta (s). Ogni aggiunto di un termine a, di 4 dà 6 contigurazioni 9,, ma.ogni coppia di triangoli appartiene agli aggiunti di due termini di A 0 A', dungue 4 Le 33 rette a, ,a* e le 24 rette s dànno 96 configurazioni 9,; 48 per la figura formata dalle 4, ed 0 48 per la figura formata dalle a* 28. Fissato l’elemento a, di 4 si considerino le altre 3 rette della orizzontale i” e le altre 3 rette della verunale k": si avranno due trilateri tangenti ad una stessa conica H, (nella figura spaziale si avrebbero due terne incidenti di rette di un’ iperboloide). Così si hanno 32 coppie di trilateri, che corrispondono, nella figura spaziale, ai 32 iperboloidi H, del Veronese (v..52). Ogni coppia è associata ad una figura 4, quella costiluita dall’aggiunto di a, in A 0 di a* in A. Per esempio, alla figura 4 già studiata, cioè A,,, si associa la coppia di trila- teri 4,,0,,0,, 4,,4,,4,, Circoscritti ad una stessa conica. Formiamo i due determinanti dg (1) e (Il) relativi a questa coppia : ( a ( La Co ES) ( o) ( 0 Il Ag,43,4,, A3,43,41 CETETIZNI CETUZIOLTI A3,0,,034 dg,A,3034 a) asi a) ‘rig (II) Sr Hei po») CATUZIONII A344,4g1 Ag,A 4, CETRZIIZIE A31424,4 A3103,41 fi) price) do) ( ea) (a (ea) A,1494431 CIFIUZIONITI UETOETIZITI A,4431491 A,,03,14,4 COVICETCIT Essi rappresentano due figure 4 coniugate, costituite da 18 punti di Brianchon dall’esalatero formato dai due triangoli @,,0,,0,, ,4,,0,,9,,- Tali figure ci fornirebbero tutto un gruppo di proprietà suove della configurazione armonica. Sono però più interessanti le proprietà che si ricavano considerando le figure y costituite dalle rette d (duali dei punti D), che danno le due rette di Steiner coniugate (duali dei punti di Steiner). Formiamo perciò i determinanti (6), (6) corrispondenti ad (1) e (II): "Sata Segr aa i (Son Re A344,, A344 49 A310 3: VAPIZZAI Ay34,1 A34,1 (5) bi) i io) (0) (9) Ra, (300) o A,,A A, 30,2 A, 104,3 UZIPAZZTI \A,34g, A,34g1 (05) perse) [eS) (i) e) (0) UZFIZATI VETUZE d3:4 13 VAVIZZTI A,343, VAVIZATI Ora, si vede subito che il determinante (6) ha per elementi le rette a, dell’ag- ; a,,0 4,0 O 3's1)— = (0001) = = giunto di a,, in a[( 9 So T)A A Sa, ecc. |. Dunque (0) coincide col determinante A334334 2 A,,=| 42343343 AgyAz,4y4 Da ciò risulta che la figura 4 coniugata a 4,, non è 4‘, ma la (0), che ha per elementi nove delle 18 rette diagonali, cioè Asgrahigia Agno Aaapii Asretassi Agira A ao Parati: Armada E ricordando la notazione del n. 23: 10. 17 15 i erio =s. 13 11 18 L= RD se si scambiano gli indici inferiori in superiori si trova che la figura $ coniugata alla: i aaa A!'! = aaa*3 alata è formata dalle altre 9 rette diagonali w D = di 29. Abbiamo visto (v. 24) che i termini positivi di A,, rappresentano 3 terne di rette concorrenti nei punti: A,,,, A,gia > Aus di a,, e che i 3 trilateri rappresen- tati dai termini negativi sono a 2 a 2 omologici con l’asse comune a,,; ora pos- siamo aggiungere che i 3 centri d’omologia sono i punti in cui concorrono le terne di rette di è,, rappr. dai termini negativi, cioè i punti A,,;, , A,3,3» Ax», Situati su a''. Reciprocamente, i 3 trilateri rappr. dai termini positivi di è,, sono a 2 a 2 prospet- tivi con l’asse a'' ed i 3 centri d’omologia A,,,, , Au: » Ausg Situati su a, - Le rette di a,,, a'' sono dunque rette di Steiner coniugale corrispondenti alla coppia di triangoli: @,,0,,4,, ,@,,4,4,,. Similmente si prova che le stesse a,,, a! sono rette di Steiner coniugate corrispond. all’altra coppia di triangoli : a'*a!’a! alata 30. Ripetendo per tutti gli elementi di A e A' le considerazioni fatte per a,, ed a'' si conchiude che: Le 18 rette diagonali della configurazione armonica si di- stribuiscono in 16 modi diversi come elementi di due figure y. Queste coppie di figure 4 si possono raggruppare nei seguenti due quadri : 1 LI TOMI 107-905 L'IS9A001 150 LN mal 14 12 ali 6a vu La N6So7 ©; = Mosca LIST 1990588 L'INCESCTNZÀ Teena TOM 70615 106965 IIC 15 bai Bi 4-88 ru 4 18 il ru 8 18 18 S,=| SO | Zio TOL2O4 2012 #16 6 14 16 (A) ( ) \ Bi 14 12 1662 14° 607 12020607 Bia j è ASI a 8 18 18 8, = 11 13 | 15 09 157 DINT IO 172610 13 11 18 l8: CBheg lil: 48 4| 18 8 4 "RR e AO TI cun 712 14 ti = eri Bu 14 16 159 lb. 89 15 10 17 10 5 5 15 10 9 17 10 2 | 2 12 " d“=| 6 14 16 8 8 18 13 3 11 13 5 5 15 10 9 17 10 Se Mi e dai TG Sd DE=puMm 8 I O2s= | 187 8° 4 16 14 12 ie. 2 lia 67 12 2 7 (8) | 126 7 12 14 2 12 16 GIOSiGi d'=|18 11 i val 3 8| s*=l|1 8 | s»=|18 8 4 10 17 15 10 9 CO asta d*gf.:8 4 18 11 8 18 13 3 11 13 di=|16 14 a vali 6.2 s=|14 6 i s“=|12 7]| 10 17 15 I gt imicola 1551 31. La prima verticale di (A) e la prima verticale di (B) sono formate dalle figure v: d,,9,,3,0, ; 08°"; i trilateri delle orizzontali di queste ligure sono in eo) 2,6; 4,8,3; 13,11,8 ; 10,17,15 ; 16,14,12 esi dividono in 3 coppie: nr SI A _& 8 È 17 = } 14 Da È 11 35 I triangoli di ogni coppia sono triomologici ai quattro altri triangoli della se- stupla. Inoltre, così come sono disposti, gli stessi 6 trilateri sono a 2 a 2 omologici e con lo stesso centro. Infatti i 3 trilateri di è,, così come sono scritti risultano a 2a 2 omologici con lo stesso centro, e più propriamente le 3 terne di vertici: 10.17, 16 14, 13.11 ; 10.15, 16.12, 13 18 ; 17.15, 14.12, 11.18 sono su tre relte a, d, c e concorrenti in un punto S'. Consideriamo allora le coppie : l6 14 12 1901. 18 MOR AO 1715 |16 14 12 1311 (18 La 1° si trova in 8%, dunque anche i vertici dell’altro triangolo 1.5.9 si trovano su a,b,c. La 2* si trova anche in 8*, dunque i vertici dell’altro triangolo 4.8.3 si trovano su a,b, c; e la 8° coppia trovandosi anche in 8%, i vertici del triangolo 7.2.6 dovranno pure trovarsi su a,d,c. Ne risulta che i 18 vertici dei 6 triangoli stanno a 6 a 6 sulle 3 rette a, d,c concorrenti in S'. Allo stesso modo si può verificare che : 1.° I triangoli rappresentati dalle orizzontali delle figure 4 disposte nelle se- conde verticali di (A) e (B) si riducono a 6 ed hanno i vertici situati a 6 a 6 su 3 rette d,e,Cc passanti per un punto S°*, Att — Vol. XV— Serie 20 — N. 4. 6 a 2.° ] triangoli delle orizzontali delle figure w disposte nelle terze verticali di (A) e (B) si riducono a 6 ed hanno i vertici situati a 6 a 6 su 3 rette f,e,d passanti per un punto S'. 3.° I triangoli delle orizzontali delle figure % disposte nelle quarte verticali di (A) e (B) si riducono a 6 ed hanno i vertici situati a 6 a 6 su tre rette f,d,@a passanti per un punto S'. In tutto si hanno 6 rette a, b,c,d,e,f che sono lati del quadrangolo com- pielo: S3SASESr Se si considerano le figure disposte nelle orizzontali omonime di (A) e (B), si trova che le verticali di queste figure costituiscono altre quattro sestuple di triangoli analoghe alle precedenti. Riassumendo si hanno le seguenti proprietà : Le 18 rette diagonali della configurazione armonica si distribuiscono in otto se- stuple di trilateri; ogni triangolo di una sestupla è tri-omologico ad altrî quattro della stessa sestupla ed è semplicemente omologica al rimanente; di più i 6 triangoli di ogni sestupla sono a 2 a 2 omologici con lo stesso centro d’omologia. Le stesse 18 rette s' incontrano a 2 a 2, oltre che nei 24 punti fondamentali e nei 9 punti diagonali dei quadrangoli desmici, ancora in altri 72 punti î quali sono i vertici dei trilateri precedenti. Questi 72 punti stanno a 6 a 6 su 12 rette: a,b, c, d,e,f e le altre 6 analoghe ottenute considerando le orizzontali di (A) e (B). La disposizione dei 72 punti a 6 a 6 su 12 rette è stata notata da Schréter (v. 69); ora possiamo aggiungere che queste 12 rette costituiscono due quadrangoli completi (S*S®S°S* ed il quadrangolo analogo che si ricava dalle orizzontali di (A) e (B)). 83. Nuova deduzione del gruppo della configurazione armonica. | d 4 Be) ì î 32. Premettiamo la deduzione del gruppo della Cfr. 9, di Pappo. Arriveremo allo scopo mediante ovvie considerazioni su determinanti del 3° ordine. Adottando la notazione della fig. 1%, la Cfr. 9, si può rappresentare mediante il determinante : Le nove rette saranno rappresentate così: 1° le tre orizzontali A, A, A, AgA,,A,,; 2° i 6 termini dello sviluppo di @, civè: e. ATALA ATASA:, ACNCAC ATA 23° 32 2883 198° agli: Siccome vi sono 3 terne di rette a due a due estranee, si avranno altri due determinanti, che, come «, rappresentano la configurazione, cioè . a A n Agi An Ax Ass An Asr Ass | a=| Ag Ass As a'=| As As Ass Asi An As Ass Ar As a, I triangoli rappresentati dalle verticali di «, «' od @" sono gli stessi e formano la terna di triangoli triomologici della configurazione. Le altre proprietà si possono pure dedurre dalla forma di questi determinanti. 33. Preso il determinante « come rappresentante della configurazione si possono immediatamente trovare le sostituzioni, che operando sui 9 punti trasformano in sè slesso ciascuno degli aggregati costituiti dalle 3 rette estranee: A,,A,,A,3, AA, À A, AA, e dalle altre 6 rette. Sia S la sostituzione, che si ottiene permutando ciclicamente le orizzontali di a, cioè: 23? S= (Ag, AzzAga) fia) (TR: Sarà Sa=(A,AyA,) (AgAgA,.) AA a) ed'Si=1. Il sottogruppo G,=(1, S, S°) permuta ciclicamente ciascuna delle 3 terne di relte estranee. Sia T=(A,A,Ag)(A,A,A,,) (A,A,;A,,) la sostiluzione che si ottiene permu- tando ciclicamente le verticali di a, sarà T°=(A,,A,,A,;) (A,ApA,) (AgAgAn) è T°=1. Il sottogruppo G,=(1 ,T,T°) lascia inalterate le rette della prima terna e permuta circolarmenie le rette delle altre due. Mediante S e T formiamo le altre sostituzioni ST, ST°,S°T,S°T°, che insieme alle precedenti danno un gruppo abeliano G, . Indichiamo ora con U, la sostituzione, che lascia inalterata la? orizzontale di « mentre permuta le altre due e con W, quella che lascia inalterata |’ ver- ticale permutando le altre due. È facile vedere che le U,, W, sono legate alle S,T dalle relazioni : \ UU, =U,U, =U,U, =S° COUS wW,=W,W,=W,W,=T? WwWWwW,=W,W,=W,W,=T. Moltiplicando le U, per le W, si hanno le altre nove sostituzioni U,=U,W,, anch’ esse del 2° ordine. I prodotti UW, sono permutabili e dalle relazioni prece- denti risulta che: UWw = Discs pe Gi U,.T oppure U,T? se jt- & i \ W, se i=Rk UU, = | SW, oppure S°W, se 7 FK. Anche i prodotti U,T, U,T° ,SW, ed S°W, sono permulabili. In tutto si hanno 86 sostituzioni: le 9 di G,; le 6 sostituzioni U,, W,; le nove U,, e le dodici TU,, T'U,,SW,,£°W.. Aggiungiamo le altre relazioni : SU, =U, U,S=U,g SU,=U, U,S=U, SU,=U, us =D ed inoltre : SU, =(SU)W,=U,W,= U,, i | TU, =(TU)W,=(TW)U,=U, U,s=UWs=(USW,=U,; U,T=U,WT=U;(W,T)=Uy Se ne deduce che G, è invariante in G,,, ma non invariante massimo. Fra G,, e G, vi è un altro sottogruppo : G,=(1,$,ST,T3 ST, ST? ST, ST} W,, W,S,W,S) che è anch’esso invariante in G,, e rispetto al quale è invariante G, . Sicchè una serie di composizione di G,, è (Ga ’ Gis ’ Gy ’ Gi ’ Gi con gli indici di composizione (2,2,3,3). Un'altra serie di composizione si ottiene considerando un altro sottogruppo : Gi=(1 8,89 0A) invariante in G,, e rispetto al quale è invariante G,. Si trova così la seconda serie. di composizione: (Ca; ? Gis ’ Gr; ? Gs ’ G,) con gli indici (2,3,2,3). Un’ altro sottogruppo di G,, è G,,=(1,8,8*,U,,U,,U,,W,, W,S,W,S?, W,U,, W,U,, W,Ua) ma questo non è invariante in G,,. Infatti la T muta W, in W, non compresa in GA T-WI=T'WT=TTW)T=TWI=WI=W Si conchiude quindi che le due serie di composizione ora trovate sono le sole possibili. 36. Per completare la ricerca del gruppo della Cfr. 9, dobbiamo tener conto delle sostituzioni con le quali dal determinante « si passa agli altri due: «' ed a", Perciò poniamo 0 EA, (AA AA AO 0 (A) (An) (Az) (AssAgrAgo) (A,gAgAg,) = 0. — 45 Le 6 e 6 sono distinte dalle sostituzioni di G,, perchè, mentre queste trasfor- mano A,,A,,A,, in un’altra retta della 1° terna di rette estranee, 6 la muta in A,,A,.A,, e 6 la muta in A_,A_,A 44:32:23" Dunque il quadro di Cauchy: g,= 1 Ia Ig... Gia —> Gi 6 dog 09, 0' guai 0g fornisce sostituzioni tutte diverse, che costituiscono il gruppo G,,, della Cfr. 9,. Si vede pure facilmente che G,, è invariante massimo in G dunque si hanno le due serie di composizione: 108? (G,08 Gros Gis Gy G, G,) (G,08 Gso Gis G; G; G,) s 35. Lo studio del gruppo della configurazione armonica si trova nella memoria del Feder (v. 56) nella quale sono anche trovate, ma molto laboriosamente, le due serie di composizione. Noi dimostreremo che il gruppo G.., della configurazione armonica è meriedri- camente isomorfo al sottogruppo invariante massimo G,, del gruppo G,,, della Cfr. 9, e da ciò dedurremo con la massima semplicità la costituzione intima di G,.,. Disponiamo i 12 punti del 1° sistema desmico nel seguente quadro : 2143 As1s Assu 4324 Aus Azz | 3412 Agus Ava (A) > > P P 1234 Ass» Ass La 1° verticale si ottiene eseguendo sugli indici di A,,,, le 3 permutazioni del gruppo anarmonico diverse dall’identità; analogamente la 2* e la 3° verticale si ricavano da A,,,,, A,;s3° Allora, i 6 termini dello sviluppo di A danno le 6 rette a,,,0,,,0,,50,, 4,4; la a,, contiene i tre punti A,,,, A,ga o Aus e le altre 9 rette sono i lati dei trian- goli rappresentati dalle orizzontali e che passano a 3 a 3 per i 3 punti precedenti. Queste nove rette si possono distribuire così Agg Az, Ag Az dg Ago | - (a) A33 Ass Agg Le rette della 1% orizzontale passano per A quelle della 2% per A,,,, e quelle della 3* per A,,,;- Eseguendo sul determinante (A) gli stessi scambii di linee e colonne, che hanno 1234? 1342 AE dato luogo al gruppo G,, (n. 38) si hanno 86 sostituzioni del gruppo della Cfr. ar-- monica. Esse lasciano inalterata la relta a,,, scambiano ciclicamente le rette delle. due terne a,,4,,0,, ,4,,4,,0,, ed operano nelle 9 rette del determinante (a) gli stessi scambi di linee e colonne operati su (A). ; 798 In tal modo abbiamo trovato il sottogruppo G,, della configurazione armonica, che lascia inalterata una delle 16 rette a,. Siccome il gruppo è transitivo, il suo ordine sarà 16 X 36, cioè 576. È Le sostituzioni fondamentali di G,, sono: 36 SE (AzssAsaiAg012) (AsassAginAsi01) (AgasrAzgnAs192) (Asa0e) (Ag42) (Asso) T=(AznaAga49Ag041) (AsanrAgiziAsg10) (AguirAz4a1A 192) (Aso A1912A 1129) U,=(A3143) (A,019) Ass) W,=2(A143) (Ai304) (Agi10) (A4094) (Assin A 1103) (AsassAg241) (Asini Az014) (Anuni A 102) 36. Consideriamo ora il sottogruppo G,, le cui sostituzioni corrispondono alle 16 collineazioni che lasciano fermi i 3 tetraedri del sistema ed anche quelli del sistema coniugato (Feder v. 56). Esso si può generare pel seguente modo : Poniamo : Vs = (A,334) (As143) (Asia) (A,ss1) (A 3092134) (ALs19Ag194) (A,cssAsesa) (Air) Sarà: STTa9 = [CR] (A) (A) (où (EV) (Aa (e) (Ai = Ys S-!13S = (Ag) (Ax) (Ago) (@t49) (Ania) Agia) (AA) Augsià) = Ta darte Così sì ottengono i primi due sottogruppi (1,v,),(1,t,,t;,t,). Altre 6 sostituzioni si ottengono trasformando le precedenti mediante T : | Lot = (Ao) (AO (na (fe) (Adua) (Agia) (Aa) (An = Ys | dardo = (AT) (A (0) (Aa (fard (Anno (Aia (Agno = Ye \ er Ys Ya ) | Tot = (Ania) (Asss1) (A,s19) (As4s4) (A,334A 2149) (AgsisAisn:) (A issAs00a) (A,cssAs00) = Ya | n = (A,523) (A,139) (Agnza) (A,z1) (AraggAg1s3) (AssanAi301) (A 13491013) (AsssiAsgsa) = Ts Ai pi == Ya ’ | deri (AzsnAini) Ani) Aria 0 e | CIO E 0 (AsssiAisa0) (AgsirAn) Ani) A IE L'insieme di tutte queste y è mutato in sè stesso dalle S,T,U, e W, le quali. per conseguenza muteranno prodotti di y in altri prodotti di y. Siccome da questi PCS 17 Ala risultano altre 6 sostituzioni 1,,,Y,3»Y,3:Yu:Y € Y,, Che insieme alle prime costi- tuiscono il sottogruppo G,,, si deduce che questo G,, è mutato in sè stesso da tutte le sostituzioni di G,, cioè si ha: Vila=9IxN; » Di più G,, è formato da sostituzioni che mutano a,, in a,, (identità) e nelle 15 rette a,. Difatti: y,,v,,v, mutano a,, rispettivamente in a,,,4,,,0, € ‘889 ((22/> 44 CES = An . = Ang =i An . _ {un CHIATTI bi =| dg Li An, * = da SER ABC OTR E posa Ag, ed inoltre le allre 6 y mutano a,, rispettivamente in @,,,0,;,0,3 4,44 Dunque si potrà formare il quadro di Cauchy dei gruppo G,.,: 1 AMO E AREE Va > Vada > Ya3--- T2a936 Vs > Ys92; Ya9a--- 3936 Vis ’ YVioDa ? YVie93 DA VisA36 a Facciamo corrispondere all’identità di G,, il sottogruppo G,, delle y ed alla sosti- luzione g, l'insieme di sostituzioni 9, , 1,9; Y39;: ---,T9;- Poichè 1g,= 9; resta definito l’isomorfismo meriedrico fra il G,, ed il G,,,; ad ogni gruppo G, di G,, corrisponderà un gruppo G,,, di G.,- Ora, le due serie di composizione di G,, sono: (G,,G,,G,G,G,) e (G,G,G,G,G,); la serie di composizione di G,, è (G,,G,G,G,G,), quindi le due serie di composizione di G,,, saranno } lo) (Gare ’ Cero ’ Gos ? Gis ? Gio ’ Gg ’ G, ’ Gy Ù G,) 2° (Gsrs ? Goss ’ Gy ? Gus i Gis » Ga G,, Gy, G,) < ss Corrisponde in G,,, il gruppo G come il G,, non è invariante in G,,. Al gruppo G,, di G invariante in G il quale però non è 192 576) v° Ped 1 CA GIRIZ i 9 "RR ra n: ES PEI Mica pica di LE peri E Dn RTLA r: RES : - 9? SR si» LS A ì O LARE È $ 4. È La configurazione iperboloidica (24,32,) A. sO 37. Chiameremo Cfr. (24,32,) A la configurazione costituita dai punti d'incontro. dei 6 spigoli di un tetraedro con le facce di un secondo tetraedro anarmonicamente tetra-iperboloidico al primo (v. 90). Essa è E dalla fig. 2° (segnata a parte, Le 32 relte sono: a, =A,sAgAy GEA, AA a, =AgAzgAy OZA ghia ag =AzAgz Ag, ATA AA: a,=A,AgA,s OA Aa, at, = AAMA" a = AAA! ag = AAA! a,3= ALAMA®* a = ALZAVA! a=A,AVA di = AGFASSAZE OR, = A ATA dai = AMARA i o = A a AE a, =A,APA" a3!= A, AA” at = AAA! a =A,APA" a AAA” a =A,AMA” at, AAA” a = A, ASA! a = ALAPA! a, = AAA” i a =ALAPA! a = AAA” a, =AA"A" a t= ALAMA" . I 24 punti sono: A, =0'4,a',,0,°! A,,=0°0,0* ,30,"° A,==a'a, 4 Sn A,=a'az0' 0,3" A,=0°030*3303"° A,=0°2,0%,34,"° A, =2'4,0',,0,°* A,=a'aya',,0,° A,=0,0° 4," A, =0°a,a*,30,"° A,=a'a,a' 03" A?*!=9!, aaa Ap? pt 3=g3 150° 2a, E) A'=a",0, 0,0,” 1 3g dano LE: nOi A se 28=g3 Fei 293 ua Veg aa a A'=a!',,a,°a',,a,* ‘’==q?, aus 3055 o Piela \E=70 or laati A“=a' 0a 03° Se ilm è una permutazione qualunque dei 4 indici 1,2,3,4 si pone: A'ZAxAgAim A = Ax AA Ù= Arbuba a; ih = A, ASA SA AN — (i Pig (7 Mil oo dI — nl L kl Ay=0 a, d0 0070 oi 38. Per costruire la configurazione si parte da una figura delle olto rette co- stituita cioè da due quaderne incidenti di rette: a'a’a’a', a,a,4,0,; sia 1234 un te- dl Re9, traedro annesso a questa tigura e propriamente il tetraedro che ha per facce i piani determinati dalle 4 coppie di rette aa day, d'a. Si ponga: A,,=34-a' ; Ay=34-a? A,,=13-a' ; A,,=13-a? A,=24-0° ; A,,j5=3=24-a!' A,,=932-a'* ; A,5=32-a' A,,=14-0% ; Ay=14-a? A,,=12-0*% ; A,=12-0' Di modo che: a,=A,A,,A,, ecc., a =A,A,,AÀ, ecc. Scelto su 12 un punto arbitrario A‘ si trovino i punti: A'*=(13). A!”A,,; A'“=14.A/A,,; è facile vedere che AYA" passa per A,,. Inoltre si ponga succes- sivamente; A° = AA,,.23 ; AU=ASA,,.34; A“=A"A,,.24; AU=A”A,,.23; A°=A°°A,,.12 ; AS==A%A,,-13 ; AU AUA, 14 ; AU=A“A,,.94; A"= ASA. .42; si dimostra che A°A,, passa per il primo punto A". In seguito si ve- rificano gli allineamenti: A°A"A,,; AVA" A, AVANMA, LI AMAMA LG AMAPA,GAFA”A,,; AVASA,GAUA”A,,; come pure gli altri: AAA, AVA”A,,GAVAUA,,. La configurazione così costiluita si comporta allo stesso modo rispetto a tulti i punti A* donde si ricava una prima proprietà: fissato uno dei punti A" questo forma con altri due un triangolo e con gli altri nove un decagono semplice; escluso A”, gli altri 11 punti formano un ottagono semplice ed un triangolo della confi- gurazione. Le 6 rette, lati dei due triangoli, le 18 rette, lati del decagono e dell’ottagono e le 8 rette a’, a, dànno precisamente le 32 rette della configurazione. 39. Disponiamo le 32 rette come elementi dei due determinanti: aj at at a, aaa, 5 al a, a a n at, a As da ai a a al d's, a A° d'g |a as a a, | CE a RO Le verticali rappresentano altrettanti quadrilateri completi i cui vertici sono punte della configurazione : a, aaa ,*=A,AgA,*(A'UANSA!")=B, as'a, a, ta,g'= A, AzA,"(A?AA")=B, astasa, ag =A,AssAag* (AMA"A")=B, aanta,ta, =AgA by (AMAA*)=B, at ata a, = AMAVA (AAA) =B A 30° 0 ,,0%,,== AAA (AgAnA,)=P A 300 30° a = AAA" (AsAgA,,) =B" a' 0,0 0° RR ARANAT (AAgAg) = Atti — Vol. XV— Serie 24 — N. 4. > — asso -P—. ei — 50 — È 40. Le 8 rette di due orizzontali omonime stanno in un piano e formano d quadrilateri desmici. »: Consideriamo p. es. le due quaderne a,a”,a”,a*',, a'a?,,a*,,0%,;; esse si trovano sul piano «, che coincide con la faccia 234 del tetraedro 1234 annesso alla figura delle 8 rette. 4 Per i quadrilateri si hanno le 8 prospettività : 21 31 #17] a, a, ag dy ENTO - È = . 34/A% È : punti d’incontro dei lati corrispondenti: A,,A,,A"A* sulla retta 34. 2 1 4 3 a 100 a 144 413 a, al'tazia,;8 de 3 A g de » » » » An APAGIATI sulla retta 24 3 4 1 2 a 134 144 a 12 a, Ta PR Pagg Pa | dae | » » » » Arg AASEROE sulla retta 23 A'40° 30 304, | : dunque si ha anche la quarta prospettività : È ni sa alata |. ae 1 21,,2 3453 bah “N i i punti d’incontro: a,a!, a,°!a*,,, as''a?,,,@,''a',, sono su una retta 7,. a' a*,0°30*, Si può ripetere lo stesso per le seconde, terze e quarte orizzontali e si ha: =. = FIERO Ie on n (1 249ì Up 24=a,=a, aasag ni Rag SRI) 1 (a.'°) @; (oa, (II) dis a ds 00% a (Ax) a (a,'?) a's dn das (a,*) as (a). d'a Ra Le 8 verticali sono formate ciascuna da 4 rette complanari, cioè formanti un quadrilatero completo; i vertici di questo sono punti della configurazione (271 sn Volare ( a) ag Agla (AFSASTAZII ( ( Ù ct vi (a2°) = A,,AgsAg,* (ASAPMA) De B, B, Bs 09) a, =AgAgAg *"(AVAMA"”)=B, ) Gad = AAA GI DIA) talia di ASA AA = p* ) È Ada RA ARA di a',,0 ue nidi ARI (AnAnAn 48. Le stesse 32 rette si distribuiscono ad 8 ad 8 nelle facce a,2,a,a, del le traedro 1234 e propriamente : d, a, (a,°) ax (a,*) ; a' A 30° Il (e ,=(0,* cd (Re PT EI PEPATE ISO Fed Ri a,= a, (a) a, (ay); @al0 du Il dc, (2,'*) a, (@3°*) a, ; adidas I due quadrilateri situati su una stessa «, sono ciclicamente tetra-prospettivi ed insieme ai 4 assi di prospettività costituiscono una Cfr. (16,12,) di punti e rette duale della Cfr. (12,16,)B del De Vries (». 68). vi Infatti, per i quadrilateri siluati su «1 si hanno le 3 prospettività : asse: A,ASA"A,,=23 la, (a) ax (a,"!) a, (a) ate) se dd, a a | As AAyA"=24 A ‘4 3 2 1 (VARVALZATT RECANTI a, (a,')a," (0,8!) i} i 4 3 dgg3509 A, dg asse: AA, A"A"=34 AGRA «e quindi anche la quarta : a, (2,4) a," (a) a' au Me ia As Per i quadrilateri situati su «, si hanno le 3 prospeltività : asse: AgA,AA'=34 asse: ANA_A"A,,=13 (a.'°)a, (a3’’) a," (4,3), (43) a," 3 a als 4 oi 2 A Ag, 4g d'gg Ag Ly, 030 (elle, (aa, |'asse: mibiartatcat,, | ASA_A_,A4=14 e quindi anche la quarta: ; | lean aa) | lt 3 2 LI 2 | da a aa | Per i quadrilateri situati su @, si hanno le 3 prospettività : a, (a)a, (a,"°) d'a Psa | ASA 4A A =14 asse: aa), (a,°) |-asse: I 3 2 1 4 a A 39 A 3,0 34 asse! AAA, A,;=12 a (4,33) dg (a,**) 2 1 4 3 dg d3, 43,0 e quindi anche la quarta: ell (a,?°) dg (2,8?) ax d'a a (A E per i quadrilateri situati su «, si hanno le 8 prospettività : ea(a,*)a,. | asse: ASARA_A,,=12 (ata ia)a, asse: a',, a a',s A',s | ATA ANA 2=13 2 1 4 3 dd, d' 3 (e (A, ) a; asse: A,APA"A,,=32 ORE TIE Ad d,gd,34y e quindi anche la quarta: amata) a) | Li | 3 2 LI 4 Ad,3 9,3354504 49. Anche nella Cfr. (24,32,)B lc 32 relte si distribuiscono in 4 figure delle 8 rette: la dest a'ataras | D'iMiIliva e le altre tre : (a,'*)(a,*!) (a,*°) (a,'°) (a,t*) (a,”*)(a,*”*)(a,*!) | 1 2 d'a CAETI as a', 1 2 3 N d'a Ras da | A pat Si verifica facilmente che in ognuna delle ottuple precedenti le quattro rette della prima quaderna si appoggiano alle 4 rette della seconda. 50. Si deduce allora che: è tetraedro a,a,a,x, è ciclicamente tetraiperboloidico agli altri due B,8,B,B,, B'B°B°B*. Ed infatti, per a,a,a,a, , B'B°8°B' si ha: Iperboloide delle faccie: (4,4) (a,°°) (a,**) (a,*) Iperboloide delle faccie: CIC PRA B, Bs P, B, a, a, a, a, B, B. B Bi wa d,4,034, Iperboloide delle faccie: (a,*) (@,!°) (a,°°) (04°) Iperboloide delle faccie: x PE: as'a,a,"a,?* 188.88 CU, €, A, &, B, B, Ri Ba e per gli altri 2,a,a a, ,B'B°°8' si ha: 2940 [ARCAICA I IRA 5 . 41y2,80% . . 2 3 4 1 . pepe e %, %, L, cy, UN, e A, dd Ri B° p' pi 8° aa Onan 5 | B' p' 8° p' 3 d'a . PARTE TERZA CONTRIBUTO ALLA TEORIA GENERALE DELLE CONFIGURAZIONI. Studio sulle figure a SC Le figure «n, per i più piccoli valori di n. 1. Chiameremo figura «n, un gruppo di n punti situati a 3 a 3 su n—l rette, in modo che su ogni relta, senza eccezione, stiano 3 punti, e per ogni punto, eccetto che per tre (punti eccezionali), passino 3 rette; per i 3 punti eccezionali passano due rette invece di tre. Queste figure possono essere di cinque tipi diversi: 1.° I tre punti eccezionali sono a due a due estranei (fig. 3°), 2.° Una sola coppia di punti eccezionali è congiunta (fig. 4°). 3.° Due coppie di punti eccezionali sono congiunte (fig. 5°). 4.° 13 punti eccezionali sono a 2 a 2 congiunti senza essere in linea retta (fig. 6°). 5. I 3 punti eccezionali sono a 2 a 2 congiunti ed in linea retta (fig. 7°). 2. Per le fig. «n, del 1° tipo il valore minimo di n è 7. La fig. «7, corri- spondente è costituita dai 6 vertici di un quadrilatero completo, dai 4 lati e da due delle 3 diagonali, col corrispondente punto d’intersezione (fig. 3°). Il gruppo della figura è un G,, in isomorfismo meriedrico col gruppo totale delle sostituzioni su 3 elementi (i 3 punti eccezionali). Le sostituzioni che mutano in sè stessa la terna di punti eccezionali 5, 6, 7 mutano anche in sè stessa la quaderna dei rimanenti punti 1, 2,3, 4. Vi sono 4 sostituzioni, che lasciano inalterati i 3 punti eccezionali, cioè: Lo=1 , L,=(12)(34) , L,=(13)(24) , L,=(14)(23). Esse costituiscono un soltogruppo G, . I tre punti eccezionali sono scambiati ciclicamente da 8 sostituzioni: M,=(1)(234) (576) M,}=(1) (243) (567) M,= (2) (143) (576) M,°=(2) (134) (567) | M,=(3) (412) (576) M,° = (3) (421) (567) M,="(4)(321) (576) M,° = (4) (312) (567) Atti — Vol. XV— Serie 24 — N. 4. 8 — 58 -- | È: Queste, insieme alle precedenti, costituiscono il sottogruppo G,, corrispondente è al gruppo ciclico su tre elementi 5, 6, 7. 4 Altre 12 soslituzioni mantengono fisso un punto eccezionale scambiando gli altri due. Esse si ottengono moltiplicando le 12 sostituzioni precedenti per la nuova sostituzione N= (4321) (56) (7): i N= (4321) (56) (7) NM,=(12)(3)(4)(5) (67) { NM,®=(1342) (6) (67) \ xL.=(13) ©4691 \ NM, = (1324) (5) (67) NM," = (1) (23) (4) (6) (57) | NL, = (1234) (56) (7) | NM, =(1) (2) (84) (5) (67) ) NM=(1243) (6) (57) NL,=(1) (24) (8) (56) (7) NM, = (1423) (5) (67) NM, = (14) (2) (3) (6) (57) Così si ottiene il gruppo G,, la cui serie di composizione è (G,,;G,,;6G,; ;,=(1,L);6,=1). PE 3. Per le fig. «n, di 2° tipo il valore minimo di n è 8; la fig. «8, corrispon-. dente si ricava dalla fig. «7, nel seguente modo: Si considerano le due rette passanti per uno dei 3 punti eccezionali, p. es. e di questo 7 non si tiene più conto; per uno dei rimanenti punti eccone p. es. 5 si conduca una retta che incontra le due precedenti in 7, 8 (fig. 4%). 1 3 nuovi punti eccezionali sono 6, 7, 8. Il gruppo di questa figura è i soltanto dalle 4 sostituzioni: due di esse L, ed L, lasciano inalterati i 8 punti eccezionali 6, 7, 8, le altre due lasciano fisso il punto 6 e scambiano fra loro gli altri due. 4. Il valore minimo di n per le fig. «n, di 3° tipo è 10; corrispondentemente si hanno due tipi di fig. «10, rappresentate dalle figure 5° (a) e 5° (0). Il gruppo della fig. «10, tipo (a) è costituito dalle due sostituzioni: Lo=1 L,=(13) (56) (2) (4) (7) (8) (0.10) . Il gruppo della fig. «10, lpo (6) è pure formato da due sostituzioni, le quali, per la notazione usala, coincidono con le precedenti. 5. Il valore minimo di » per le fig. am, di 4° tipo è 10. La fig. «10, corri- spondente si può ottenere dalla «7, conducendo tre rette arbitrarie per i punti ec- cezionali; i punti eccezionali della nuova figura saranno i punti d’ incontro 8, 9, 10, di tali rette a due a due (fig. 6°). Il gruppo di questa fig. «10, è oloedricamente isomorfo al gruppo G,, della dI, Le sue sostituzioni sono: 1° ,=1;1,=(12)(34);/,=(13)(24);/,=(14)(283), che lasciano inalte- rati i 3 punti fondamentali 8,9, 10 e nello stesso lempo gli altri 3 punti 5, 6, Cie cia e ARG) e 2.° Le otto sostituzioni: m,= (234) (576) (8109) m,} = (243) (567) (89.10) m,= (143) (576) (8109) my = (134) (567) (89.10) m,= (412) (576) (8109) ms = (421) (567) (89.10) m, = (321) (576) (8109) m,} = (312) (567) (89.10) che permutano circolarmente i 3 punti eccezionali 8, 9, 10, e che, nello stesso tempo operano la stessa permutazione sugli altri 3 punti 5, 6, 7. 3.° Le 12 sostituzioni che si ottengono moltiplicando le 12 precedenti per la nuova sostituzione n = (4321) (56) (810): nl,= (4321) (56) (810) i nm,=(12) (67) (89) nm} = (1342) (57) (9.10) \ nl, = (13) (56) (810) nm, = (1324) (67) (89) CARE (57) (9.10) nl, = (1234) (56) (810) nmy=(34) (67) (89) nm = (1243) (57) (9.10) | nl,= (24) (56) (810) nm,= (1423) (67) (89) ma, = (14) (57) (9.10) Esse lasciano fermo un punto eccezionale permutando gli altri due; lo stesso scambio operano rispetto a 5, 6, 7 6. Per le fig. «n, del 5° tipo il valore minimo di n è 9. La corrispondente fig. «9, è costituita da un quadrilatero, dalle sue 3 rette diagonali e da una ottava relta arbitraria; i 3 punti eccezionali sono i punti d’incontro di quest’ultima retta con le 3 diagonali (fig. 7°). Il gruppo di questa fig. «9, è oloedricamente isomorfo al gruppo G,, della «7,. Le sue sostituzioni sono: 1° x,=1;2,=(13) (56); ,=(13) (42); 2, = (42) (56). 2.° Otto sostituzioni che permutano circolarmente i 3 punti eccezionali 7, 8, 9: p, = (164) (235) (798) p, = (146) (253) (789) 1, = (162) (354) (798) p,2 = (126) (345) (789) p, = (152) (364) (798) p = (125) (346) (789) — p, = (154) (236) (798) p,° = (145) (263) (789) Queste, insieme alle precedenti costituiscono il gruppo G,, isomorfo al sotto- gruppo G,, di G,,. 3.° Dodici sostituzioni, che lasciano fermo uno dei punti eccezionali, per- mutando gli altri due: v= (1432) (56) (78) (9 { vp,==(1)(26)(3) (45) (7) (89) ( vp,’ =(1635) (24) (79) (8) vi, = (14) (23) (5) (6) (7 ti ) vp, = (13) (26 no ) (89) rina 36) | vd 79) (8) vi, = (1234) (56) (78) (9) vp, = (13) (2546) (7) (89) va, = (16) (2) (35) (4) (79) (8) vi, = (12) (34) (5) (6) (78) (9) \ va, =(1)(25) ( 3) (46) (7 ) (89) vp, = (1536) (24) (79) (8) 7. Indicheremo con fig. «(n — 1), la figura duale della fig. «n, , cioè una ti- gura formata da n—1 punti ed n rette tali che per ogni punto, senza eccezione, 20 d; passino tre relte e su ogni retta, eccetto che su tre, giacciano 3 punti; sulle 3 rette eccezionali si trovano due punti invece di 3. Ve ne sono di cinque tipi, duali di quelli esaminati. Si trovano così le 5 figure: 26, , ,9, (tipo a 0 bd), «9, (IV tipo) ed a8,. I gruppi di queste figure sono FS isomorfì ai gruppi di 2, 4 0 u sostituzioni che mutano in sé stesse le figure « corrispondenti. NI 82. fi Operazioni w, ed w,. 8. Per i 3 punti eccezionali a,b ,c di una fig. «n, si conducano 3 rette ar- bitrarie che formino il triangolo ABC; si avrà una fig. «(n + 8), con i punti ecce- zionali A,B,C. Questa operazione geometrica, con la quale, da una fig. am, qua- lunque si ricava una, fig. «(n +3), di 4° tipo, la chiameremo operazione w,. Essa gode della seguente proprietà fondamentale: s Il gruppo della fig. «(n +3), è oloedricamente isomorfo al gruppo della figura an, primitiva. Per dimostrarlo segneremo i punti A,B,C in modo che AB passi per CP BC per a e CA per Db. In questa ipotesi è ole vedere che: 1.° Se A,B,C restano fermi, anche a, b,c restano fermi e viceversa. 22 Se A,B,C si permutano dda anche a,b ,c si pecni e cicli- clamente nello stesso modo, e viceversa. A 3.° Se un punto eccezionale A resta fermo e gli altri due si scambiano fr: di loro, il corrispondente punto a resta fermo e gli altri due si SCAMIEO fra loro, e viceversa. i Dunque, per passare dal gruppo della fig. an, con i 3 punti eccezionali @, db, € al gruppo della fig. @(n + 3), con i punti eccezionali A,B,C basta aggiungere i cicli delle sostituzioni del primo, i cicli che si ollengono inatgnde ae rispetti vamente in A,B,C. 9. dia 1.° Tre rette concorrenti in 5 si sechino con ie due rette 12 d, 43 @ e sia c=(1.4)(2.3); risulterà la fig. «8, (fig. 8°) con i 3 punti eccezionali a,b,6. Una facile discussione condurrebbe a questo risultato: la fig. «8, minima del 2° tipo e la nuova fig. «8, di 1° tipo sono le sole fig. «8, possibili. La 1° ha il gruppo di 4 sostituzioni (n. 3); l’altra ha il gruppo composto dalle 6 sostituzioni seguenti: fe vii I,== (5) (13) (24) (ab) (c) , 9,= (3) (15) (24) (ac) (6) , I,== (1) (24) (35) (be) (a) , 9I,="(2) (4) (153) (acd) , 9 = (2) (4) (135) (ade) Applichiamo l’operazione w, ed avremo la fig. all, rappresentata dalla fig. 8° bis; AES gt questa avrà il gruppo formato dalle 6 sostituzioni: 9,=1, 9,== (5) (13) (24) (ad) (c) (AB) (C) , 9z==(3) (15) (24) (ac) (6) (AC) (B) , g,== (1) (24) (35) (de) (a) (BC) (A) , 9;==(2) (4) (153) (acb) (ACB) , Is = (2) (4) (135) (ade) (ABC) . EsemPIo 2.° La fig. 9° rappresenta una fig. «10, di 1° tipo; il suo gruppo è costituito da 3 sostiluzioni: | g,=1, 9,= (4) (123) (567) (ade) , 93z= (4) (132) (576) (acd) . Applicando l’operazione w, avremo la fig. «13, rappresentata dalla fig. 9* bis, che ha il gruppo costituito dalle 3 sostituzioni: iS I) DE (4) (123) (567) (abc) (ABC) , (4) (132) (576) (ac) (ACB) . Nel n.° 5 abbiamo trattato un altro esempio; la fig. 10, ivi considerata si ottiene dalla minima fig. «7, mediante l’operazione è, . 10. Partendo dalla fig. 27, , mediante l’applicazione successiva dell’operazione w, Si ottengono le figure di 4° tipo «10,, «13, , «16,... col gruppo di 24 sosti- luzioni. Dalla «8, di 2° tipo si ottengono le figure del 4° tipo «11,,014 gruppo di 4 sostituzioni. Dalla «10, di 3° tipo (a o b) si ottengono le fig. del 4° tipo (a 0 db): «13 «16,,... col gruppo di due sostituzioni. Dalla «9, di 5° tipo si ottengono le fig. del 4° tipo «12,, «15 di 24 sostituzioni. E finalmente, dalla fig. «10, del 4° tipo si ricavano le stesse figure dedotte da «7,, eccetto n «10, stessa. Dunque: Le fig. «n, del 4° tipo, che si deducono dalle minime fig. an, mediante l'applicazione successiva dell'operazione w, hanno il gruppo costituito da 2, 4 oppure 24 sostituzioni. Di più, dalle fig. «n, del n. 9 si ricavano delle fig. « col gruppo di 3 oppure di 6 sostituzioni. 11. Per i 3 punti eccezionali a,b, c di una fig. «n, qualunque si conducano tre rette concorrenti in un punto Dj; poi si conduca un’ altra retta arbitraria che incontri Da in A, Db in B e De in GC; si otterrà una fig. «(n + 4), del 5° tipo, con i punti eccezionali A,B,C. Questa operazione la diremo operazione è, . Licol 39°* bieb; 33. Col gruppo NEI Per passare dal gruppo di «n, a quello di «(n +4), basta osservare che il punto D resta fermo e che A,B,C si permutano come i punti eccezionali a,b, e della figura primitiva. Quindi da ogni sostituzione del gruppo di n, sì ricava una sostituzione del gruppo di a(n +4), aggiungendo (D) ed i cicli che si ottengono | dai cicli formati con a,d,c mutando questi punti rispettivamente in A ,B,C. B; E si conchiude anche. qui che: Le figure an, del 5° tipo, che si deducono dalle. minime fig. an, mediante l'operazione w, hanno il gruppo costituito da 2, 4 oppure 24 sostituzioni. 5 12. Sia «n, una figura « qualunque; se si applicano successivamente, prima. l’operazione w, e poi la w, si ha una fig. a(n + 7),; se invece si applica prima la w, e poi la è, si ha un’altra fig. @(n + 7),, la quale è distinta dalla prima. Si deduce da ciò un metodo per ricavare, per ogni valore di n, tutte le fi-_ gure «n, del tipo qui studiato. 1 Alla fig. «7, applichiamo successivamente # volte |’ operazione w, ed y volte l'operazione ©,; otterremo una fig. an, se x,y soddisfano all’ equazione indeter- _ minata È 3c+4y=n—-7. i Da cui si ricava: cr=—(n_-7)+4k y= (Nn_-7)—3k. Perchè le soluzioni siano intere e positive dev'essere: n_-T n E( 4 )sa A! . por Agna Alu "Pea (m+1) (m+1) =RAONI eps, ti pui prio La figura risultante è una fig. a«[w(m + 1)], con i tre punti eccezionali Ay, Messa, (Cir.cla.fig. 13, in.coop-4,m=2). Componendo questa figura con la «6, si ottiene la configurazione richiesta. La fig. @[p(m+1)), ammette per gruppo l’identità, quindi la Cfr. [p(m+1)--6], ha il gruppo di 4 soslituzioni le quali permutano soltanto i punti della «'6,, in modo però che ognuna delle 3 rette eccezionali rimanga fissa (n. 16), delle 24 so- stitluzioni bisogna prendere soltanto le /,,/,,7,%, che mutano in sè stessa cia- scuna retta eccezionale. 22. Se la figura «[p(m + 1)], si compone con la figura «7, si ha la Cfr. [u(m + 1) + 7], che conliene la stessa serie di poligoni ed ha il gruppo di 2 so- stituzioni. Componendola invece con le fig. «8, od «9, (tipo a o b) si hanno altre configurazioni che ammettono per gruppo |’ identità. Per p=3 si hanno le Cfr. (3m -- 9), , (3m + 10), ,(3m + 11), contenenti cia- scuna una serie di m triangoli successivamente inscritti; la mn/ma è la Cfr. (3m+9),. Viceversa: se 8 è la parte intera del quoziente di n—9 per 3, B sarà il nu- mero dei triangoli della massima serie che può essere contenuta in una Cfr. n, com- posta mediante figure a. Infatti, se n — 9=88 si costruisca la fig. «(38 + 8), col procedimento esposto nel n. 21 e poi la si componga con la a’6,; si avrà una Cfr. n, contenente una serie di g triangoli. Se n—-9—=38+1, la fig. «(38 + 3), verrà composta con la 7, esen—-9=38+2 con la a8,. SR Nella Cfr. n, non vi può essere una serie di 8 + 1 triangoli, perchè la minima configurazione contenente tale serie è una Cfr. [3(8 + 1) + 9], il cui ordine 38 +3 + 9 è maggiore di n (= 38 + 9 oppure 38 + 10, oppure 38 + 11). Si comprende che in questo procedimento non si liene conto delle serie ci- cliche di triangoli successivamente inscritti e che dànno configurazioni regolari. Applicando ad una fig. «7, m volle successivamente l’operazione w, si ottiene una fig. a(3m + 7), che contiene una serie di m triangoli; componendola con una fig. x'6, si ha una Cfr. (3m + 183), che contiene la detta serie e che ha il gruppo di 96 sostituzioni. Però la Cfr. (3m + 183), che contiene la massima serie di triangoli è diversa dalla precedente, perchè si ottiene componendo una fig. a[3(m+ 1) +3], con la fig. «7, e contiene per conseguenza m + 1 triangoli successivamente in- scritti; il gruppo è un G,. 23. Il problema risoluto nel n. prec. si può generalizzare: qual’é la massima serie di poligoni chè può appartenere ad una Cfr. n, composta mediante fig. «. Sia 8 la parle intera del quoziente di n — p — 6 per n, cioè sia n—-p—-6= 83.p+r(r=0,1,2,...1— 1); 8 sarà il numero dei poligoni di p vertici costi- tuenti la massima serie che può essere contenuta in una Cfr. n,. Infatti si costruisca (n. 21) la fig. @[p(8 + 1)], contenente una serie di 8 po- ligoni successivamente inscritti e la si componga con una fig. «'[6 + r],; si avrà una configurazione [B: + n + r + 6],, cioè una Cfr. n, del tipo richiesto. Anche qui escludiamo naturalmente, le serie di poligoni formanti cicli e che danno configurazioni regolari. Osserviamo in fine, che se si toglie la restrizione che la Cfr. n, debba essere composta mediante figure «, il numero dei poligoni della massima serie può essere — maggiore di 8. 24. CONFIGURAZIONI IRREGOLARI ATRIGONE. Le figure «n, finora considerate con- tengono tutte dei triangoli; proponiamoci di trovare la minima fig. «n, atrigona. Siano r,r' (fig. 14) le rette passanti per il punto eccezionale 15 ed r° una delle due reite passanti per il punto eccezionale 14. Gli altri due punti di r siano 1 e 6, quelli di 7° siano 4 e 5 e quelli di r”, 2 e 3. Il massimo numero di coppie di punti congiunti, che si possono formare con i detti sei punti, se si tiene conto della condizione dell’assenza di triangoli, è dato dalle coppie 1.2; 6.3 ;5.2; 3.4. Per 1,6,4,5 si conducano le terze relte a,,0,,0,;0,. La retta 1.2 può essere congiunta solo ad a, dando il punto 9, perchè se fosse congiunta ad a, 0 a, la figura conterrebbe triangoli. La a, può essere congiunta a 3.4 dando il punto 12 e ad a, dando il punto 7; la a, può essere congiunta ad a, (punto 10) ed a 2.5 (punto 11); a, può es- sere congiunta solo a 8.6 (punto 8). Il sistema dei 13 punti 15,1,2...12 ora costruito è quello che si ottiene imponendo la condizione di avere il massimo numero di congiunzioni compatibili con la condizione che la figura risulti atrigona. Premesso ciò, i punti per i quali passano soltanto due rette sono 7,10 ; 8,9; 11,12. Il punto 7 può solo essere congiunto a 10, 8 a 9 ed 11 a 12. Posto perciò 14=r".(7.10) e 13=(8.9).(11.12) si otterrà precisamenta la minima figura an, atrigona: La minima figura an, atrigona è una «15, di 1° tipo. 22:09 = Se i tre punti eccezionali 13,14,15 risultano in linea retta si ha invece la Cfr. 15, atrigona del Martinetti (v. 170). n. 25. Il gruppo della fig. «15, ora costruita è meriedricamente isomorfo al gruppo I totale di 6 sostituzioni su 3 elementi e risulta composto dalle seguenti 48 so- stituzioni : 1.° Otto sostituzioni, che lasciano inalterato ciascun punto eccezionale : | } L=! | D L,=(2.7)(3.10)(8.11)(9.12) | L,=(1.6)(2.10)(3.7)(4.5)(8.12)(9.11) | Je L,=(1.4)(2.10)(3.7)(5.6) È L,=(1.4)(2.3)(5.6)(7.10)(8.11)(9.12) i 1 L,=(1.5)(2.7)(8.10)(4.6)(8.9)(11.12) ba L,=(1.6)@.3)(4.5)(7.10)(8.9)(11.12) | ‘Ly =(1.5)(4.6)(8.12)(9.11). 2.° 16 sosliluzioni che permutano ciclicamente i 3 punti eccezionali M,=(1.8.10)(2.5.11)(3.4.12)(6.9.7)(13.14.15) M,=(1.8.2.6.9.3)(4.12.7.5.11.10)(13.14.15) M,=(1.9.10.6.8.7)(2.4.11.3.5.12)(13.14.15) : M=(1.9.2)(8.6.8)(4.11.7)(5.12.10)(13.14.15) 5 M=(1.11.7.6.12.10)(2.5.8.3.4.9)(13.14.15) i SI © M=(1:11.3)(2.6.12)(4:9.10)(3.8.7)(13.14.15) M,=(1.12.7)(12.4.8)(3.5.9)(6.11.10)(13.14.15) M,=(1.12.3.6.11.2)(4.8.10.5.9.7)(13.14.15) edi loro quadrati. 3.° Le 8 sosliluzioni che lasciano inalterato il punto eccezionale 15 permu- «tando gli altri 2; esse si ottengono moltiplicando la sostituzione: N=(2.9)(3.8)(4.5)(7.12)(10.11)(13.14) CDI 6 NCR Fas 4° Le 8 sostituzioni che lasciano inalterato il punto 14 permutando gli altri 2 punti eccezionali; esse si ottengono moltiplicando N per le 8 sostituzioni MMM... M. 5.° Le 8 sostituzioni che lasciano inalterato il punto eccezionale 13 permu- tando gli altri due; si ottengono moltiplicando N per le M,°,M,,...M}. La serie di composizione di G,, è (G,,,G,,,G,,G,,G,,G)) Il G,, è coslituito dalle 8 sostituzioni L,,L,,...L, e dalle altre 16 M, ed M;}; feno LL. L,; G, dalle L'LL,L, e G, da L, ed L,. È: (a LI 26. La figura «' duale della sla alrigona ed ha il gruppo di 48 sostituzioni oloedricamente isomorfo al G,, del n.° precedente. Se si compone la fig. 215, con la duale «'14, si ha una Cfr. 29, atrigona, che ha il gruppo di 384 (488) sostituzioni. Questo si ottiene dai due gruppi delle «15,,'14, come il gruppo G,, della 13, del n. 16 si è ottenuto dai due gruppi G,, delle tig. «7, ed «'6,. 27. Se si richiede che due punti eccezionali siano congiunti, la fig. «n, atrigona minima non è più la fig. «15,, che è del 1° tipo, ma una fig. «17, che ammette per grappo la sola identità. Essa si costruisce facilmente mediante considerazioni analoghe a quelle del n. 24, e si ha la fig. 15°. Componendo questa con la figura duale «'16,, che è pure atrigona si ha una Cfr. 38, atrigona avente per gruppo |’ identità. rd se si compone la fig. «17, con la duale di «15, si ha una Cfr. 31, atri- gona, col gruppo di 8 sostituzioni. Analogamente si potrebbero costruire fig. an, atrigone, dei tipi 3° e 5° dai quali si dedurrebbero altri tipi di Cfr. n, irregolari atrigone. 28. CONFIGURAZIONI CON I GRUPPI DI 3,2* sostTITUZIONI. Il procedimento dei n. 16 e 17 ci dà il mezzo di costruire per ogni valore di n non troppo piccolo, delle Cfr. n, con i gruppi G,,G,,G;,G,,0,,G,y- Ora, a questi gruppi possiamo aggiungerne altri. Se si compone la fig. «9, del n. 9, che ha il gruppo G,, con la figura duale — a'8, si ha una Cfr. 17, col gruppo di 3 sostituzioni. Risolvendo l’equazione inde- terminata 3x + 4y = n — 17 si troveranno, per valori non troppo piccoli di n, pa- recchie configurazioni n, col gruppo G,. Similmente, componendo ta fig. «8, del n. 9, avente il gruppo G, con la figura duale «7, si ottiene una Cfr. 15, col gruppo di 6 sostituzioni; se invece la si com- pone con la fig. a'7, duale della figura a8, minima di 2° tipo si ha una Cfr. 15, col gruppo di 4 sostituzioni, e componendola con la fig. a'6, duale della «7, si ha una Cfr. 14, col gruppo di 24 sostituzioni. Una Cfr. n, col gruppo di 12 sostituzioni si ottiene componendo la fig. «9, col gruppo G,, con la fig. «'6,. Una Cfr. n, col gruppo di 32 sostituzioni si ottiene componendo la fig. «15, atrigona con la «7, duale della minima «8, di 2° tipo. Se la fig. «8, col gruppo G, si compone con la fig. a'14, duale della «15, atri- gona si ha una Cfr. 22, col gruppo di 48 sostituzioni. E finalmente, componendo la fig. «15, atrigona con la &'6, si ha una Cfr. 21, col gruppo G,,,. Riassumendo: è sempre possibile, mediante le figure a già costruite ed estese op- portunainente con operazioni w, od w, formare per ogni valore di n (esclusi soltanto î più piccoli) delle configurazioni n, con un gruppo di ordine dato m, ove m è della forma 2° (k-=1,2,3,4,5) oppure della forma 3 .2* (k=0,1,2,3,4,5,6,7). Data la grandissima difficoltà della risoluzione del problema generale, questo risultato non riuscirà forse privo d’interesse. ie DIRI ec p ra greto È È cHe Vv n i pra I & n » e î] > Ale T.29 se Paga So d nnt a À RISO i SNTBCN PI 9; però, come ora vedremo, le dette figure si dividono in un numero limitato di classi; ciascuno degl’individui di una classe si ricava facilmente da un nucleo comune. 381. Non tenendo conto dei’ sei punti eccezionali, restano n — 6 punti i quali si distinguono in 3 categorie: &, punti per i quali passa una sola relta, %, punti per i quali passano 2 rette e Z, punti per i quali passano 3 rette; sono escluse le rette che passano per uno solo degli n — 6 punti e per due punti eccezionali (rette che si possono condurre arbitrariamente quando siano dati gli n—6 punti e le. rimanenti rette). Sicchè anche le rette si possono distinguere in 3 calegorie: /, rette passano per uno solo degli # — 6 punti, 7, rette congiungono due di questi punti, ì, rette contengono tre dei punti medesimi. Esempio. La fig. 21% (a) rappresenta una fig. «,n, con i punti cccezionali: 6, 7, 8, 9, 10, 11; le rette 7, sono 1.10.11 7578098400068 Le rette rimanenti ed i5 punti 1, 2, 3, 4, 5 formano la fig. 196, dalla quale si vede che x; =0.;&=3; Ao Dalla fig. 196 si passa alla 19 a conducendo le tre rette arbitrarie /,. Chiameremo nucleo della fig. @,n, la figura che se ne deduce trascurando i 6 punti eccezionali e le rette /, che contengono uno solo dei rimanenti n — 6 punti. Noi ora abbiamo scartato il caso in cui il nucleo contenga punti separati cioè punti per i quali non passa nessuna retta del nucleo (fig. 22). Non vi possono essere due punti siffatti, perchè se ciò fosse i 6 punli ecce- zionali si otterrebbero conducendo due terne di rette e poi trovandone le interse- zioni come nella fig. 17; allora il rimanente del nucleo dovrebbe costituire una Cfr. n,, ciò che noi escludiamo. Dunque di punti separati ve ne può essere uno solo (p. es. il punto 5 della fig. 22); ma allora, nel nucleo vi debbono essere soltanto 6 relte contenenti due soli punti; tutte le altre rette ne debbono contenere 3, cioè gli altri #—7 punti del nucleo debbono costituire una figura duale di una «n, e propriamente una fig. a, (n — 7), formata da n— 7 punti e da n—5 relte. Possiamo adunque, in ciò che segue, limitarci alle fig. a,n, il cui nucleo non ha punti separati. 32. Col simbolo &, indicheremo nello stesso tempo i punti per cui passano è rette ed il loro numero; lo stesso dicasi del simbolo /,. Si hanno evidentemente le due eguaglianze : n_-6=k,+k,+%, (1) n_-2=1,th,+4%-. (2) Poiché per ogni punto X, si possono condurre 2 rette 7, mentre per un punto &, se ne può condurre una sola si ha pure ,=2%8,+R, . (3) al'gei - fa a: — Inoltre »—2—/, è il numero delle rette del nucleo nelle quali già vi sono 2 o 3 degli n—6 punti &,,%,,&,. Se teniamo conto non solo dei punti &, segnati, ma anche di quelli da segnarsi sulle 7, per completare la figura, 3(n-2—/,) sarà il numero dei punti segnati e da segnarsi sulle n — 2 — /, rette considerate come staccate le une dalle altre. Ogni &; assorbe 7 di questi punti; su ogni /, si deve segnare un altro punto, dunque un’altra espressione del numero precedente è 3%, + 2%. +8, +-/,, e perciò si ha ancora: 3(n-2—1,)=3%k,+22,+k,+4. (4) Queste 4 eguaglianze sono fondamentali nello studio delle figure a. 83. Sommando (3) e (4) si ha In-6—-2,=3(k+E,+k)+L-. Ma per la (1): z,+4,.+z4,="— 6, dunque: n—6—-2,=3(nT—6) +7, ossia : U,=12—% = È fra (5) donde il teorema generale : Il numero delle rette del nucleo di una fig. a,v,, contenenti due punti è sem- pre pari. Di più /, + 2, è divisibile per 3. 34. Dalla (2) si ricava 3n—-6=31, +35,+ 34 SEE (02%) - Ora, per la (5): 2, +1,=12 dunque : sn 6) =1,+22,+3, . 35. Dopo ciò possiamo caratterizzare tutti i possibili tipi di nuclei di fig. a,n,. Per la (5) il numero /, dev essere < 6. Riunendo in una classe tulti i nuclei per cui 7, ha lo stesso valore potremo distinguere 7 classi: ,7=0;1;2;3;4;5;6. um classe: = 0 Perla (5) sarà L=12 e per la (2): ,==n- 14. Per determinare £, e &, facciamo uso della (4) che si può scrivere così : R,+2k,+3%,=3n—6— 34, — 1, =3n-6—(2,+4)—4 e per essere 2), + /,=12: R,+2k,+ 3k,=3n- 18—2,, ATTI — Vol. XV— Serie 2‘ — N. 4. 10 AA fe ea ma per la (1) i 3k, + 3%, + 34, = 3n — 18 dunque dWt+hk,=l. (6) Poichè ,,=0 dovrà pure essere: z,=0 e 2,=0 ed allora ,=n—-6. Dunque per le figure a,n, della 1% classe si deve avere: ,=12 h,=0 L u=n_-14 Testi si O ki=n_-6 2° classe: ,,=1. Per la (5) sarà ,=10 e per la (2) ,=n—13. La (6) dà subito &, =0,k4,=l ela (1) da z,j=n—-7. Dunque per le figure a,n, di 2° classe si deve avere: - \&=1 2=10 2° tipo kh,j=0 k,=1 do classe =: Si trova /,=8 ed , =n— 12 e 4, + 24,=2, che è verificata da due coppie di valori o è rr =0 ez,=2 (4=n— 8) oppure ,=1, k,=0 (=a-%. Dunque vi sono due tipi di fig. «,n, di 3° classe ,=n — 13 Ri=n—-T 4 ,=2 l,=8 4G=n-2 3° tipo > k,=0 k,==2 k,=n—8 == aio A tipo VO! 5 È k,=1 k,=0 k=%—7 A; Classes) Si trova ,,=6 ed , =n— 11. La &,+ 24,=], ossia &, + 24,=8 è verifi- cata da due coppie di valori X,=0,X,=3 (=n—9)}Xefkf=da= (A4=n — 8). Così si hanno due altri tipi : SR ,=3 t=6 &gy=n-1l kR,j=0 k,=3 k=%—-9 lL,;=3 ,,=6 Q=%—-11 6° E, i ii l:,=1 k&,=1 k=n—-8 a o. classe: ,=4. I,==4,1,=n—10. La #,+ 24,=4 è verificata da 3 coppie di valori: &,=0, hi=4 (Q,=n — 10); ,=1,%,=2 (=n—-9); ,,=2,4&,=0 (=n—-8) e si hanno 3 tipi: essi el di Apo z . (r,=0 k,=4 4 2 8° tipo VU ue: la,=1 k,=2 i,=n— 10 ks=n— 10 ,=n—-10 hg=n—-9 I,=n—10 hg=n —-8 i C@Ink= 0. classe: = 0. ,=2,1g, =n—-9; la k,+ 2x,=9 è verificata da 3 coppie di valori: ,=0, enne) Va, =3 (=n — 10); ,,=2,kz.=1(4=n_-9) e si hanno i 83 tipi M=5 Mi = 2 in —=-9 10° tipo! x x ’ (rR,=0 k,=5 k,=n—-1l . \2,,=5 4=2 L=n—-9 11° tipo 5 k,=1 Rk,=3 k,=n—10 TÈ 9 — 12° tipo u=95> l,=2 ly=n—-9 R,j,=2 ipa == kRg=n—-9 Misvglasse:.i) = 6. L,=0,1,,=n —8; la &,+ 24,=5 è verificata da 4 coppie di valori: 2,=0, me=sbi@a,=n—12);x,=1,k,=4(k,.=n—-11); ,=2,k4,=2 (4=n—10); k,=3,hk,=0 (G4==Nn — 9), e si hanno i 4 tipi: {= “Soa Mei, —=0 dv =n=-8 14° tipo hj=1 .kh,=4 k,y=n—1l ATM —=006e=n—=S 15° tipo} | ; i k,=2 kh,=2 kh, =n—10 — eee ON 16° tipo ; : i In tutto si hanno 16 tipi fondamentali di fig. @,n,. 36. Per i valori più piccoli di n si presentano solo alcuni di questi tipi. Per esempio per n= 11 i nuclei delle fig. @, appartengono a 7 dei 16 tipi, v. fig. 23. La fig. a,n, con ,,=5,/,=2 è possibile solo per n= 18 ecc. Dato il nucleo di una fig. @,%, appartenente ad uno qualunque dei 16 tipi lo si può in varii modi completare sì da avere una fig. a,. Si sa il numero delle rette I, e sì sa che gli ulteriori punti da trovare sono 6; quindi sarà facile esaminare tutti i casi possibili. Per esempio, il n.° (1) della fig. 23 si può completare in 4 modi diversi, rappresentati dalla fig. 24. La costruzione dei nuclei delle fig. «,m, si può facilmente ricavare direttamente dalle condizioni imposte ai numeri x,,; ma si potrebbe pure ottenere col metodo di riduzione. Alcune di queste figure possono costruirsi in modo che ne risulti una configu- razione; ciò risulta dall’arbitrarietà delle rette /,. A prescindere dalla costruzione sì può, appena completato il nucleo in uno dei modi possibili, scrivere lo schema Sie della corrispondente configurazione. Vi sono delle figure «,n, che non possono dar luogo a nessuna configurazione e sono quelle nelle quali i 6 punti eccezionali non sì possono raggruppare in due terne di punti a 2 a 2 estranei: es. la fig. 25. Sicchè le fig. a,n, sono più numerosi delle cfr. n,; ciò non pertanto il loro studio facilita quello delle configurazioni le quali si possono in base alle figure a, distin- guere in 16 tipi qualunque sia n (esclusi naturalmente i valori più piccoli). 37. L’intimo legame fra le configurazioni n, e le fig. a,n, è stabilito da questo fatto: Soppresse due rette estranee rimane una fig. a,, con i sei punti eccezionali nei punti delle due rette. Determinati allora tutti i tipi di fig. a,, risultano anche determinati tutti i tipi di Cfr. n,. Per determinare la fig. a si comincia col costruire il nucleo; poi, servendosi opportunamente dell’arbitrarietà delle relte /, lo si com- pleta in modo che i 6 punti eccezionali stiano a 3 a 3 su due rette; la quistione, in ognuno dei 16 tipi è ricondotta a facili problemi di geometria proiettiva, quasi tutti suscettibili di costruzione lineare. Rimangono in fine le configurazioni per le quali /ulte le figure « sono dotate di un punto separato (n.° 31). Queste si possono afiche facilmente costruire osservando che il problema è ricondotto a quello delle figure a, (n — 7),. Dopo ciò sarebbe facile ripigliare l’analisi dei varii tipi di Cfr. 9,,10,,11, e condurla a termine basandosi su le fig. a,. Nolerò soltanto le configurazioni 11, i cui nuclei hanno un punto separato. Basterà costruire soltanto le due fig. a, corri- spondenti (fig. 26). La (1) ha il gruppo di 24 sostituzioni e la (2) il gruppo di 4 sostituzioni. Sarebbe inoltre interessante trovare il carattere delle fig. @, di configurazioni. regolari, di configurazioni atrigone ecc. 38. Le figure a,,(n,). Con lo stesso ragionamento del n.° 32 (posto v al posto di 2) si ricavano le 4 relazioni fondamentali che legano i numeri &;,/ nel caso generale delle fig. @,,(n,): ( n_-3v=k,+k,+k, (1) \ n_-v=l,+4,+4 (2) ,=2k,+k, (3) 3n-v—-1,)=3%k,+2k,+k,+%- (4) Da queste si ricavano, come nei n.' 33 e 34 le altre due: ; l t,=3v— + (5) n 3(n—- 3v)= +24, + 34 . Il nucleo di una figura @,, ha sempre un numero pari di rette che contengono due punti. 39. Per un dato valore di n qual’è il massimo di v? Dalla (4) si ricava m_3v—-3,=3h, +2, +Rt4 dn (3h, + 2h, +R)-3v—-(1+24,)=4, Zina 4; (gp ma per la (5): /, + 2,,=6v dunque 3n— (38, + 28, + k,)—3v— 6v=/, e poichè /,= 3v si ha: 3n— (3R, + 2kR, + AR) — WE 3v 3n — (38, +24, + k,) 12v m_n+t3v— 2%, — Rk,= 12v (per la 1) 2n— (2834 kR,) = 9 e per essere 2n — (2k, + 4,) <2n: si ha il segno eguale per ,=3v e &,=4,=0. Le configurazioni le cui figure a, hanno il nucleo privo di punti separati non possono avere più di E(2) rette a due a due estranee. Ma vi sono, come si sa, configurazioni con più di E(3) relle a 2 a 2 estranee, dunque queste configurazioni debbono avere figure « col nucleo dotato di punti se- parati oppure col nucleo ru//o, quando la Cfr. sia formata da 3 punti situati su 7 relte a 2 a 2 estranee; es. la Cfr. 9, di Pappo. E si ha il seguente teorema ge- nerale : Se una Cfr. n, ha le sue figure « prive di punti separati, e possiede più di E(7) rette a due a due estranee, ne possiederà E(3) i 8 6. Le figure « nello spazio. 40. L'importanza del metodo delle figure « consiste nel fatto della possibilità di una estensione allo spazio ed agl’ iperspazii. Consideriamo un gruppo di n punti ed m piani tali che su ogni piano stiano 4 punti, per X degli n punti passino 3 piani e per i rimanenti n — x ne passino quattro. Come nel n.° 29 si dimostra che: Am=3k+4(nT— RK) ossia R=4(n_-m). ER Il caso più semplice si ha per n —m==1 ed allora x —=4 e si hanno le figure an, formate da n punti ed n — 1 piani tali che in tutti i piani giacciano 4 punti, per 4 punti passino 3 piani e per i rimanenti n — 4 punti ne passino 4. Sarebbe facile procedere ad uno studio delle fig. «2, analogo a quello del $ 4. In generale, posto n—-m==v si hanno le fig. a,,(n,) di punti e piani, analo- ghe alle fig. a,,(n,) di punti e rette. 41. Scartati i 4v punti eccezionali rimangono n — 4v punti che si dividono in 4 categorie: X,,k,,%,,z,. Con R, indichiamo i piani che contengono i punti ed anche il loro numero. Si avrà dunque la 1* relazione n—4v=k,+h,+k,+h,- (1) Con 7, indicheremo i piani che contengono uno solo degli n—4v punti &, (piani che si possono condurre arbitrariamente quando sia data la figura dei punti &, e degli altri piani che contengono più di uno dei punti x;). Con l,, l,,L, indicheremo i piani che contengono due, tre o quattro dei punti #,. La figura formata dai punti ky, Ry,Bs,h, e dei piani 2,,7,,/, sarà il nucleo della figura «. Anche qui si può scartare il caso in cui il nucleo possegga punti separati. Ciò premesso, si stabilisce subito la 2* identità n_-yv=l1,bt4%2+4%t1T% - Poichè di piani /, se ne possono condurre 3 per ogni X,, due per ogni &, ed uno solo per ogni ky si ha ancora 2,=3k,+2%,+k; - i (3) Di più, n—v—/, è il numero dei piani del nucleo sui quali già vi sono 2 o 3 0 4 punti %,; se teniamo conto, non solo dei punti segnati, ma anche di quelli da segnarsi sui piani /, per completare la figura «,4(n—v — /,) sarà il numero dei punti segnati e da segnarsi sugli n — v — /, piani considerati come staccati gli uni dagli altri. Ogni &, assorbe ? di questi punti; su ogni /, se ne debbono se- gnare due e su ogni Z, se ne deve segnare 1, dunque un’altra espressione del numero precedente è 4%, + 32, + 22, +%,+4 25,4 /, e si ha la 4* identità 4(n—-v—=9=4k, 4 3ky 2A 20000 (4) Sommando (8) e (4) si ha An — 4v — 31, = 4h, + 4ky + 4k, +4k,+-25,+4 e per la (1) An—-A4yv—-3l,=4(n—4v)+227,+/; 3,,=12v— (24, + 23) 22 id ATA È (5) Dunque 21,4 I, è sempre divisibile per 3. o (0 O a A questo punto si potrebbero risolvere le seguenti quistioni : 1 Determinare tatti i possibili tipi di figure a,(n,) ed a,(n,); si troverebbero classi di fig. a, e 9 classi di fig. «,. Gt i ‘Costruzione di questi varii tipi; deduzione delle configurazioni n, di punti 3.° Sludio delle configurazioni n, che si possono ritenere composte da fig. a,n, azioni analoghe alle è,,w,; deduzione dei gruppi relativi alle dette configu- onì. À E 48 Le figure « nelle configurazioni 7, appartenenti a delerminate categorie (configurazioni regolari n,, coufigurazioni n, prive di tetraedri, configurazioni del tipo Mobius ecc.): di 5.2 Estensione delle figure a agl’iperspazii ecc. 1 risultati già ottenuti nei paragrafi precedenti e | enunciato di queste qui- ioni, per le quali vi è un avviamento alla risoluzione, dimostrano che lo studio lle configurazioni col metodo delle figure « costituisce un nuovo e forse non in- finita di stampare il dî 20 Dicembre 1911 a” A PI. - ue al ras Re e E re , sp e Cai Cfr (2%, 32,)A \ LA : crei Mater. VoLAV Ser: 2° N° 4. fi PA | r 4 A Ta | LR FRENA AI o na = id return dl 91, AI e » . È; 1 Nt 5. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SOPRA ALCUNI AVANZI DI PESCI CRETACEI DELLA PROVINCIA DI LECCE MEMORIA del dott. GEREMIA D’'ERASMO presentata nell’ adunanza del dì 4 Marzo 1911 Nella penisola salentina i terreni mesozoici sono rappresentati, com’è noto, da un calcare dolomitico bigio-scuro o leggermente rossastro, talora nero, duro, omo- geneo e compattissimo, di estensione poco conosciuta e con scarsi fossili caratteri- stici, e da un calcare compatto, talvolta bianco, ma più spesso tendente al grigio, stratificato, sonoro, meno duro del primo, a frattura irregolare, il quale costituisce tutta l’ossatura del sistema collinesco della Terra d’Otranto. Poche sono le località fossilifere; e gli avanzi sinora determinati appartengono tutti agl’invertebrati (mol- luschi, echinodermi, corallari e protozoi). Lo studio di essi ha dimostrato, in base alle ricerche successivamente compiute dal Dainelli ‘), dal De Franchis °), dal De Giorgi ’), dal Di Stefano ‘), dal Flores "), dal Parona °), dal Virgi- 1) Dainelli G., Appunti geologici sulla parte meridionale del Capo di Leuca, in Boll. Soc. Geol. It., vol. XX (1901), pag. 639. —Id., Vaccinites (Pironaea) polystylus Pirona nel Cretaceo del Capo di Leuca, loc. cit., vol. XXIV (1905), pag. 119. ? De Franchis F., Ricerche sui terreni del bacino di Galatina, in Boll. Soc, Geol. It., vol. XVI (1897), pag. 122 e seg.—Id., Molluschi della Creta media del Leccese, loc. cit., vol. XXII (1903), pag. 147. 3) De Giorgi C., Note geologiche sulla provincia di Lecce (1876), pag. 48 e seg. — Id., Note stratigrafiche e geologiche da Fasano a Otranto, in Boll. d. R. Comit. Geol. d’It., vol. XII (1881), pag. 189. — Id., Cenni di geografia fisica della provincia di Lecce. Lecce, 1884, pag. 45. — Id., La serie geologica dei terreni nella penisola salentina, pag. 57 (Mem. d. Pont. Acc. Romana dei Nuovi Lincei, vol. XX. Roma, 1903). *) Di Stefano G., Sulla presenza dell’ Urgoniano in Puglia, in Boll. Soc. Geol. It., vol. XI (1892), pag. 681. 3) Flores E., Appunti di Geologia pugliese, in Rassegna Pugliese, 1899, fasc. 9, pag. 10 e seg. ©) Parona C. F., Sopra alcune Rudiste senoniane dell’Appennino meridionale, pag. 4 (Mem. d. R. Acc. d. Sc. di Torino, serie II, tomo L, 1900). — Id., Le Rudiste e le Camacee di S. Polo Matese (ibidem, 1901), pag. 199 e seg. —Id., La fauna coralligena del Cretaceo dei monti d’Ocre nell'Abruzzo aquilano, pag. 25 (Mem. per servire alla descr. d. carta geol. d’It., vol. V, Roma, 1909). ATTI — Vol. XV— Serie 24 — N. 5. 1 RO pes lio ‘) ecc., che nella provincia di Lecce è rappresentata buona parte dei piani del Cretacico; spettando i calcari dolomitici scuri compattissimi con Toucasie, Requienie e Monopleure all’Urgoniano, e i calcari bianchi compatti con Rudiste e i calcari dolo- mitici grigi con Acteonelle, Nerinee ed Apricardie al Sopracretacico. Non vi sono dunque accenni a vertebrati, se si fa eccezione di quanto ebbe a scrivere nel 1810 l’abate Giuseppe Maria Giovene °) a proposito di due mal conservali frammenti di pesci fossili trovati nelle vicinanze di Barbarano (frazione del comune di Salve), e che gioverebbe soltoporre ad uno studio accurato, tanto più che la descrizione data è insufficiente e le figure lasciano molto a desiderare, se non lo vietasse l’impossibilità di esaminarli direttamente, ignorandosi se e dove siano conservati. Gli schizzi del Giovene, affatto rudimentali, permettono soltanto di esprimere il dubbio che i due avanzi in questione, e specialmente quello alla tav. V, possano riferirsi alla fam. Pycnodontidae, come inducono a credere la man- canza di un vero asse vertebrale, il forte sviluppo degli archi neurali ed emali e la forma molto alta del corpo. Ogni ulteriore induzione sarebbe arrischiata. In tanta scarsezza di conoscenze, avendo recenti scoperte in varie località della provincia di Lecce fornito alcuni avanzi di pesci cretacei, m’è sembrato utile farne oggetto di esame, tanto più che il risultato di questo, mentre da un lato presenta un interesse paleontologico con la istituzione di una specie nuova, tende a confer- mare dall’altro le conclusioni cronologiche ottenute con l’esame degl’invertebrati. Infatti gli avanzi di pesci studiati da me, essendo già rappresentati in ittiofaune cenomaniane (Scombroclupea macrophthalma Heckel sp., riscontrata pure a Comen, Lesina, ecc.) o avendo le maggiori affinità con altre specie di questo piano (Halec Bassanii n. sp., somigliante ad H. Haueri di Comen, Malidol, Lesina, isola di Brazza, ecc.; e Coelodus sp. vicino a Coel. Muraltii Heckel del calcare di Pola e di Pa- renzo, nell’Istria, e a Coel. cantabrigiensis A. S. Woodward del Cenomaniane di Cambridge, in Inghilterra), inclinano, benchè in numero ristretto, ed alcuni anche frammentari, a far ritenere che il calcare dolomitico che li contiene debba essere riferito al Cenomaniano. Questo risultato, mentre appoggia l’idea già espressa dal prof. C. F. Parona, cioè che la faczes dolomitica non si arresti ai soli calcari urgo- niani, come sì era dapprima creduto, ma invada i piani più recenti del Creta- cico *), porta un nuovo argomento per dimostrare |’ esistenza del Cenomaniano nel Leccese, finora stabilita dal Parona, dal Dainelli e dal De Franchis in base alla presenza dell’Apricardia carentonensis d' Orbigny sp. (riscontrata sulla via da Lecce a Léquile e nelle località: Pindaro, la Vita, la Scisciola, lo Schito, il Pede-grosso, il Basilico, del bacino di Galatina) e dell’Apricardia laevigata id. (trovata sulla detta via Lecce-Léèquile) ‘). Degli esemplari studiati in questa nota |’ Zalec Bassani si conserva nel Museo !) Virgilio F., Geomorfogenia della provincia di Bari. Trani, 1900, pag. 68. °) Giovene G. M., Notizie geologiche e meteorologiche della Japigia, in Mem. della Soc. It, delle Scienze, tomo XV, parte II. Verona, 1810, pag. 278, tav. V e VI. *) Parona C. F., Sopra alcune Rudiste ecc., nota a pag. 4. ') Le altre forme raccolte dal Dainelli nel calcare dolomitico sulla strada Lecce-Léquile non permettono utili confronti con le malacofaune cenomaniane, perchè nuove o specificamente inde- terminabili. perg geologico dell’ Università di Napoli, gl’individui di ,Scombroclupea macrophthalma appartengono alla collezione paleontologica del R. Ufficio geologico, e dei due avanzi di Coelodus sp. uno è di proprietà del Gabinetto di Storia naturale dell’ Istituto tecnico di Lecce, l’altro fa parte della ricca collezione del prof. Cosimo De Giorgi, in Lecce. AI prof. Francesco Bassani, che aveva raccolto molte indicazioni relative ai fossili che formano oggetto di questa nota, dei quali ha voluto gentilmente affi- darmi lo studio, e che mi è stato sempre largo di aiuti e di consigli, esprimo la mia gratitudine. Halec Bassanii n. sp. Fig. 1-6. L’individuo, basso e di forma slanciata, misura 125 millimetri nella totale lun- ghezza; in questa è compresa circa sei volte la massima altezza del tronco, presa un po’ dopo l’arco toracico. Le linee che segnano i profili superiore e inferiore del tronco, alquanto arcuate nella metà anteriore, diventano pressoché diritte nella re- gione codale, e il corpo si assottiglia gradatamente fino al pedicello della coda, alto nove millimetri. La testa, grande e triangolare, è contenuta (insieme con l’apparato opercolare) tre volte nella lunghezza del pesce, esclusa la coda, e più di cinque volte vi è compresa la sua altezza. Le ossa che la compongono, screpolate, rotte e alcune anche spostate (per es., il frontale) sono mal definibili; assai poco si può dire dello squarcio boccale, nella metà posteriore del quale si riesce a intravedere appena i margini del mascellare e un frammento di sopramascellare: anteriormente rimane solo l’espansione terminale, in forma di piccolo triangolo, del premascellare. Quasi nulla resta dei denti: con l’aiuto della lente si riesce a scorgerne due o tre, al- l'estremità del muso, piccoli, conici, evidentemente appartenenti al dentario, il quale doveva essere robusto, ma non permette, per il suo cattivo stato di conservazione, di stabilirne con sicurezza i confini. L’orbita, ampia, arrotondata, alta, è traversata dal presfenoide nel suo quarto inferiore : il suo diametro uguaglia l’altezza del pe- dicello codale. L’apparato opercolare ha la superficie leggermente striata. Si contano una diecina di raggi branchiosteghi. La colonna vertebrale è composta di trentasei vertebre, anteriormente un poco più alte che lunghe, delle quali sedici sono codali. Le apofisi spinose, assai forti presso la base, sono quasi diritte nella metà posteriore del tronco (fig. 4), note- volmente arcuate verso l’ indietro in quella anteriore (fig. 3). Le neurapofisi delle vertebre addominali hanno quasi tulte (eccettuate le ultime), in vicinanza dell’estre- mità distale, delle appendici secondarie, pure arcuate; le coste sono robuste. Le pinne pettorali distano dall’estremità del muso di un tratto corrispondente allo spazio tra l’ultimo raggio dorsale e il pedicello della coda; si contano nove raggi, appuntati, semplici, dei quali i maggiori raggiungono una lunghezza di sei vertebre. Le ventrali, la cui origine è a 38 millimetri da quella delle pettorali, sono in- DES serite a metà del tronco, a livello del settimo interspinoso della dorsale, e sorrette da ossa pelviche molto sottili, solcate, terminate in punta e lunghe 8 millimetri. I raggi che le compongono sono in numero di otto, probabilmente divisi all’estremità, la quale non è ben conservata : la loro lunghezza doveva essere di poco inferiore a quella dei raggi peltorali. La pinna dorsale, quasi opposta alle ventrali, comincia un po’ prima di queste ed ha una estensione di nove millimetri, corrispondente alla lunghezza di cinque vertebre codali. Risulta di 12 o 13 raggi, che si vanno lievemente accorciando verso l’in- dietro; il primo è inserito a metà della lunghezza totale : molli e semplici nel tratto che è conservato, essi mostrano verso l’estremità pallide tracce di suddivisione. Sono portati da interapofisari quasi diritti, i quali decrescono, eccettuato il primo, assai breve, dall’avanti all’indietro. La distanza tra l’inserzione dell’ ultimo raggio dorsale e il pedicello codale corrisponde al triplo dell’altezza di questo. La pinna anale, piccola e remota, pare costituita da otto o nove raggi, divisi distalmente e diminuenti successivamente in altezza ; il primo di essi, inserito ad uguale distanza dalle ventrali e dal pedicello della coda, è a livello della decima vertebra codale (contate dall’indietro). La codale, compresa cinque volte e mezza nella lunghezza totale del pesce, è forcuta, ma non conservata bene sino all’estremità. Ciascun lobo è costituito da circa 15 raggi (fig. 5), dei quali i nove interni sono divisi, gli altri semplici; fra questi il primo è lungo, i quattro o cinque successivi, esterni, si abbreviano rapidamente. Eccettuati i più piccoli, tutti gli altri sono articolati; le linee di divisione tra un articolo e i contigui sono ondulate (fig. 6). L’esemplare testè descritto, che mostra all’evidenza i caratteri della fam. Encho- dontidae, deve, per la posizione delle pinne, per le particolarità della testa e per la mancanza di scudi dorsali o laterali, essere ascritto al gen. Halec Agassiz, il quale comprende specie del Sopracretacico della Boemia, dell'Inghilterra, della Siria, della Dalmazia e della Westfalia. Neltamente distinto dalle specie Z. Sternbergî Ag. e Z. eupterigius (Dixon) per il minor numero di vertebre, il fossile del Leccese, che può considerarsi il più piccolo fra gli ZZalec conosciuti, avvicinandosi per la sua stalura solo all’ Zalec aff. Haueri Bassani sp. ‘), proveniente dal Sopracretacico di Monte S. Agata, nel Friuli austriaco, sì differenzia d’altra parte dall’ 7. microlepis (Davis) principalmente per la proporzione tra l’altezza e la lunghezza, per il numero maggiore di vertebre e per la posizione della pinna anale. Notevolmente diverse nell’aspetto sono pure le specie Z. Laubei Fritsch e 77. guestphalicus (von der Marck), per quanto esclu- sivamente rappresentate l’una dalla sola testa, |’ altra dalla testa e dal tratto ante- riore del tronco di un grande individuo. L’esemplare di cui ci occupiamo presenta invece le maggiori affinità con Zalec Haueri (Bassani), riscontrato a Comen, a Lesina, a Malidol e all'isola di Brazza (?). Un caraltere che fa distinguere subito il nostro fossile da questa specie, e che lo allontana ancor più dalle altre fin qui nominate, è dato dalla inserzione più remota !) Bassani F., Ueber zwei Fische aus der Kreide des Monte S. Agata im Gòrzischen, in Jahrbuch d. k. k. geol. Reichsanst., 1884, Band 84, Heft 5, pag. 408, tav. IX, fig. 1-2. fio e delle ventrali, opposte ad essa. La pinna dorsale infatti, che nel- ebre circa, è nella nostra di ben venti vertebre '). Così pure le vertebre, che esemplari di Lesina e Comen sono distinte in 21 o 22 addominali e 14 codali e nel fossile dell’isola di Brazza sono rispettivamente 16 e 18, nel pesce leccese si suddividono in 19 addominali e 16 codali. Finalmente vi è pure differenza nell’altezza x el pedicello codale, la quale tanto nell’. Zaueri di Lesina quanto nell’esemplare da me studiato è di nove millimetri, mentre il primo dei fossili è lungo quasi il pio dell’altro. "Tutte le ragioni suaccennate m’inducono a ritenere che il pesce testè descritto i possa considerare come rappresentante di una specie nuova, che chiamo ZZulec santi, in segno di riconoscenza verso il Maestro che è stato mia prima guida negli sl li paleontologici. Detto fossile proviene da Acquàrica del Capo, presso Presicce; vi fu trovato mel 1897 dal maestro muratore Gabriele Panese, tra le pietre che si scavano solto U perno vegetale, a trenta centimetri o poco più di profondità, nel preparare le fosse per i magliuoli. Scombroclupea macrophthalma (Heckel) Pictet et Humbert Fig. 7. 43, Clupea macrophthalma, J.J. Heckel, Abbitdungen und Beschreibungen der Fische Syriens, pag. 242, tav. XXIII, fig. 2. Wien. . Scombroclupea pinnulata, R. Kner, Ueber einige fossile Fische aus den Kreide- und Tertiùrschichten von Comen und Podsused, in Sitzungsb. k. Akad. Wiss., math.-naturw. Cl., vol. XLVIII, parte I, pag. 132, tav. II e tav. III, fig. 1. 1866. Scombroclupea macrophthalma, Pictet et Humbert, Nouvelles recherches sur les poissons fossiles de M. Liban, pag. 71. tav. IX, Wenève. . Scombroclupea pinnulata, R. Kner, Neuer Beitrag zur Kenntniss der fossilen __——ische von Comen bei Gòrz, in loc. cît., vol. LVI, parte I, pag. 187, tav. I, fig. 2 1882. Scombroclupea macrophthalma, F. Bassani, Descrizione dei pesci fossili di Le- »e sina ecc., in Denkschr. k. Akad. Wiss., math.-naturw. C1., vol. XLV, pag. 225, 261 e 265, tav. VII, fig. 7-13, tav. X, fig. 3, e tav. XI, fig.3. 6. Scombroclupea macrophthatma, D. Gorjanovic-Kramberger, Palaecichthyo- “ol logische Beitrége, in Soc. Hist. Natur. Croatica, vol. I, pag. 131. 18 9) Scombroclupea macrophthalma, D. Gorjanovic-Kramberger, Palaecichthyolozki È | —Prilozi, Dio II, in Rad Jugoslaw. Akad., vol. CVI, pag. 65, tav. I, fig. 10. 190 . Scombroclupea macrophthalma, A. S. fia Catalogue of the fossil fishes în the Br. Mus., parte IV, pag. 135, tav. VI, fig. 1. L'esemplare figurato, privo della parte posteriore del tronco e delle pinne anale ale, doveva nella lunghezza complessiva misurare più di cinque centimetri : In questa è compresa cinque volte la maggiore altezza del tronco. o L’avanzo proveniente dal Sopracretacico di Monte di S. Agata e descritto dal Bassani ( 0 cl) corrisponde, per l'inserzione della dorsale e delle ventrali, con la specie Malec Haueri. SN Nella testa, lunga quattordici millimetri e alta dieci, si notano specialmente : l'impronta de! caratteristico mascellare, con orlo orale convesso e ricoprente in parte il dentario; l’orbita, alta, arrotondata; l’apparato opercolare, discretamente svilup- pato, e sei o sette raggi branchiosteghi, spostati e rotti. La colonna vertebrale, che doveva complessivamente essere costituita da una quarantina di vertebre, ne ha conservate circa trenta, delle quali le anteriori hanno il diametro verticale quasi uguale a quello longitudinale; le successive invece si fanno più lunghe che alte. Nella regione addominale le neurapofisi sono molto delicate, diritte o leggermente arcuate in avanti e provviste di appendici secondarie; nel tratto caudale invece tanto le neurapofisi che le emapofisi sono più robuste e notevolmente piegate verso l’indietro : le coste si mostrano sottili e lunghe. Delle coste sternali restano deboli impronte soltanto nella parte anteriore. Le pinne pettorali, la cui inserzione è più vicina all'origine della dorsale che all’estremità del muso, sono costituite da circa dodici raggi, divisi all’estremità, dei quali i meglio conservati sono lunghi sei millimetri. Le ventrali, opposte alla metà della dorsale e distanti quindici millimetri dalle precedenti, risultano di cinque raggi, lunghi tre millimetri. Della pinna dorsale, che comincia a livello della tredicesima vertebra, riman- gono soltanto ollo o nove raggi, anch’essi non completamente conservati. Il fossile testè descritto, avuto gentilmente in comunicazione dal prof. Giovanni Di Stefano, proviene dal calcare di Nardò, il quale somiglia molto a quello di Hakel (M. Libano). Vi fu trovato anche un altro esemplare, privo della parte poste- riore del tronco: benchè piccoli e mutilati, si possono con grandissima probabilità ascrivere entrambi a Scombroclupea macrophthalma (Heckel) Pictet et Humbert per le strettissime analogie che presentano con questa specie. La Scombroclupea macrophthalma, riscontrata a Comen, Lesina, Crespano, Tolfa e Hakel, è distinta dalla Scombr. Gaudryi (Pictet et Humbert), proveniente da Lesina, Hakel ecc., per le diverse proporzioni fra l’altezza e la lunghezza, e dalla Scombr. scutata A. S. Woodward ‘) del Cretacico del Brasile per la mancanza di squame solcate all’anale e per il numero dei raggi delle pinne. Coelodus sp. (Cfr. Coel. cantabrigiensis A. S. Woodward e Coel. Muraltii Heckel) Ascrivo al gen. Coelodus due frammenti di dentatura spleniale. Uno, proveniente dai calcari affioranti tra Monteroni e Copertino, e conservato nel Gabinetto di Storia naturale deil’ Istituto tecnico di Lecce, mostra cinque denti, appartenenti al mascellare destro, ellittici trasversalmente e a superficie liscia e convessa: due di essi, molto allungati, col diametro longitudinale più che doppio di quello trasversale, appartengono alla fila interna, comprendente i denti più grandi ; gli altri tre, pure ellittici, ma a diametri meno disuguali, sono della serie di mezzo. i) A. 8. Woodward, On fossil fishes from the Cretaceous formation of Bahia (Brazil), in Quarterly Journal of the Geological Society, vol. LKIV, 1908, pag. 3860, tav. XLIII, fig. 8 e 4. o e denti offrono grandi analogie con quelli provenienti dal Cenomaniano di Cam- ilmente (data la loro lunghezza) a queste ultime.— La forma assai caratteristica, n lascia alcun dubbio sulla determinazione generica, li fa avvicinare ai fram- descritti dall’ Heckel *) e dal Bassani *) col nome di Coe/. Muraltii, e nienti dal calcare di Pola e di Parenzo, nell’ Istria. Napoli, Istituto geologico dell’ Università, Dicembre 1910. finita di stampare il dì 10 Maggio 1911 logical Magazine, anno 1895, pag. 208, tav. VIII, fig. 2, 2a. . J. Heckel, Ueber den Pycnodus Muraltii von Pola (Berichte iiber die Mittheilungen nden der Naturwiss., vol. IV, pag. 184. Wien, 1848). — Id., Beitrige zur Kenntniss der ische Oesterreichs (Denkschr. d. k. Akad. d. Wiss., math.-naturw. C1., Band XI, pag. 225, tav. e. 2. Wien, 1856). Bassani, Note paleontologiche (Atti Soc. Veneto-Trent, di Sc. nat., vol. VII, pag. 26-28, lav. C, fig. 5. Padova, 1880). 3 N Cd Fig. 1. Halec Bassanii n. sp., di Acquarica del Capo, presso Presicce, in gra Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4. Fig. 5. Fig. 6. Fig. 7. Ta; Id., Tax Ta.. Id., Scombroclupea macrophthatma (Heck.) Pict. et Humb., di Nardò SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA turale (Museo geologico dell’ Università di Napoli). (Controparte). Ice Vertebra della metà del tronco, molto ingr. Vertebra della regione anale, molto ingr. Ricostruzione schematica della codale, molto ingr. Articoli di un raggio codale, a più forte ingrandimento. dezza naturale (Collezione paleontologica del R. Uffi d’Italia). Atti d. R. Acc. di Sc. fis. e mat. di Napoli, serie II, vol. XV, n.9 5. G. D'ERASMO, Pesci cret. prov. Lecce. Vol. XV, Serie 2.° N. 6. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Fs EROTRICHI DEL LAGO-STAGNO CRATERICO DI ASTRONI MEMORIA della dott.sa INES MARCOLONGO presentata nell'adunanza del dì 4 Marzo 1911 INTRODUZIONE I Gastrotrichi delle acque dolci italiane non hanno formato mai oggetto di speciali ricerche, nè figurano negli indici faunistici di coloro, che si sono occupati di limno- logia biologica e fisica tanto in passato quanto in tempi più o meno recenti; solo il Maggi (1878, pag. 4) fa menzione dell’/chthydium podura 0. Fr. Mùller e del Chaetonotus larus O. Fr. Miller nel suo elenco dei Sistolidi della Valcuvia ; lo Zacharias cita il Chaetonotus Chuni Voigt nella Lanca Rottone presso Pavia (1905, pag. 268), e l’Issel jun. (1901, pag. 30; 1906, pag. 40) nota il Lepidoderma ocel- latum F. Metschnikoff nelle acque termali euganee. Il Perty poi (1849, 1852) ri- porta il Chaetonotus maximus C. G. Ehrenberg, il Chaetonotus Schultzei F. Met- schnikoff e il Chaetonotus larus 0. Fr. Miller nella fauna di Lugano, e dalla Griinspan (1908, pag. 246) si trova citato nel suo elenco sistematico geografico il Lepidoderma squammatum F. Dujardin nella microfauna di Trieste. Infine voglio rammentare il « peloso animaluzzo molle » che Bonaventura Corti rinvenne a Modena (1774, pag. 87, tav. 2, fig. XI) e che l’Ehrenberg crede di potere iden- tificare con il suo Chaetonotus mazimus. Convinto che l’esplorazione sistematica delle acque dolci italiane, riguardo alla microfauna in genere e a quella dei Gastrotrichi in specie, avesse dovulo condurre a risultati positivi, il Prof. Fr. Sav. Monticelli, alla cui iniziativa si deve lo studio in corso della microfauna del lago-stagno di Astroni, volle affidare a me, sotto la guida del suo Aiuto al Laboratorio Dott. Giulio Tagliani, la ricerca e la identificazione dei Gastrotrichi viventi in questo isolato laghetto d’acqua dolce dei Campi Flegrei ‘). Le specie trovate dal novembre 1909 a tutto luglio 1910 — periodo nel quale !) Delle presenti ricerche venne fatta comunicazione al Convegno Zoologico Italiano tenuto l’anno scorso a Napoli (v. Bibliografia). ATTI — Vol. XW—Serie 20— N. 6. 1 iena ho potuto eseguire le ricerche — sono state 17, di cui 8 nuove, e di queste 6 ap- partenenti al genere Chaetonotus : Chaetonotus laroides » hirsutus » minimus » nodifurca i » decemsetosus » paucisetosus. 1 appartenente al genere Dasydytes: Dasydytes paucisetosus 1 al nuovo genere Anacanthoderma : Anacanthoderma punctatum. Delle forme già conosciute, 2 non erano state fin'ora notate in Europa: Chaetonotus enormis Stokes. » acanthophorus Stokes. I metodi da me usati per lo studio tassinomico dei Gastrotrichi non sono im- prontati a nessuna tecnica speciale, perchè, non avendo potuto mai disporre di un materiale molto abbondante, ho dovuto rinunciare alla ricerca della loro minuta or- ganizzazione e mi sono perciò limitata al riconoscimento e alla accurata identifica» zione delle forme. Dapprima ho esaminato gli animali viventi, neppure ricoperti da vetrino coprioggetto, cercando di fissarne la forma quale realmente è e non quale si presenta dopo l’azione dei fissativi o la pressione del coprioggetto. Per evitare, quanto più era possibile, la deformazione, che segue all’azione brusca di qualsiasi liquido fissativo, ho lentamente anestesizzato gli animali, aggiungendo all’acqua in cui si muovevano una o più gocce di acido acetico glaciale in soluzione molto di- luita (%); quando i movimenti dei nastri ciliari cominciavano 2 rendersi appena sensibili, coprivo l’animale molto delicatamente con il vetrino coprioggetto, facendo poi passare Ira questo e il portaoggetto — tra cui il Gastrotrico era contenuto — una corrente di liquido dell’ Hermann (aceto-osmio-platinico), liquido, che ho preferito a quello dell’ Hertwig (aceto-osmico) adoperato dallo Zelinka, per la presenza del cloruro di platino, che in certo modo limita l’annerimento prodotto dall’acido osmico applicato a solo e non ingiallisce di troppo il preparato. Ho tenlato di av- valermi del sublimato in soluzione acquosa satura, del liquido sublimato-picrico del Rabl, del liquido del Perenyi, dell’alcool assoluto, ma con minor risultato favo- revole della miscela dell’ Hermann. E pure poco adatto ho trovato il liquido del Flemming, usato dal Voigt, che, similmente al liquido dell’ Hertwig, ingialliva troppo l’animale, rendendo meno chiari i minuti particolari del tegumento. Poco van- taggio ho potuto ritrarre dalle colorazioni in toto. Come eccellente anestetico, o meglio paralizzante, ho più tardi sperimentato nel corso delle ricerche il rosso-meutro in soluzione diluitissima (1:10000). Io aggiungevo di questa soluzione una goccia a quella in cui si trovava l’animale; dopo pochi secondi l’intestino era colorato in rosso, e l’animale rimaneva completamente disteso, muovendosi per breve tempo con grande lentezza, e restando poi del tutto paralizzato, mentre solo i due nastri ciliari con- linuavano a muoversi con rapidità e per lungo tempo. Quando però, raggiunte queste condizioni, cercavo di fare agire il liquido dell’ Hermann o un altro qualsiasi fis- RETTA die è > VI satore, l’animale si disgregava quasi istantaneamente: e di questo fatto non ho ‘saputo mai darmi ragione. Dopo averli fissati in liquido dell Hermann, ho conser- vato i preparati per solito in glicerina purissima. Il balsamo del Canadà, per il suo alto potere rifrangente, si adatta poco allo studio di questi animali, i quali vengono rischiarati tanto fortemente da essere resi del tutto trasparenti e non lasciano quindi vedere la loro intima organizzazione. Mi ha dato ottimi risultati ’euparale, che evita ‘alcune manipolazioni e, rendendo meno trasparente il preparato, mette in evidenza particolari minutissimi quali ho potuto riconoscere nello studio del Lepidoderma rhomboides Stokes. Nella descrizione delle specie ho seguito per la sistematica essenzialmente lo Zelinka, secondo l’ordine segnato nel seguente breve prospetto : Ord. EurcHTHYDINA, C. Zelinka, 1889. Estremità posteriore del corpo intaccata e provvista di due appendici forcali più Ì «© meno lunghe. Fam. lchthydidae, C. Zelinka, 1889. Tegumento liscio o squamato, ma privo di spine. Gen. Ichthydium, C. G.-Ehrenberg, 1830. Gen. Lepidoderma, C. Zelinka, 1889. Fam. Chaetonotidae, C. Zelinka, 1889. Tegumento provvisto di spine. Gen. Chaetonotus, C. G. Ehrenberg, 1830. Ord. ApPoDINA, C. Zelinka, 1889. Estremità posteriore del corpo per lo più arrotondata e costantemente priva di appendici forcali. Fam. Dasydytidae, E. v. Daday, 1905. Corpo provvisto di spine o di setole. Capo ben distinto dal corpo e senza tentacoli. Estremità posteriore del corpo arrotondata o lievemente intaccata. Gen. Dasydytes, P. H. Gosse, 1851. Fam. Anacanthodermidae, I. Marcolongo, 1910. Corpo completamente sprovvisto di spine, setole e squame. Capo distinto dal tronco e privo di tentacoli. Estremità posteriore del corpo nettamente arrotondata. Gen. Anacanthoderma, I. Marcolongo, 1910. Tr ELENCO DESCRITTIVO DELLE SPECIE STUDIATE Ordine — EUICHTHYDINA, C. Zelinka (1889) Famiglia Ichthydidae, C. Zelinka (1889) Genere Ichthydium, C. G. Ehrenberg (1830) 1) Ichthydium podura, O. Fr. Muller, 1773. SINONIMIA — Cercaria podura, O. Fr. Mùller (1773) tom. 1, pag. 66; (1786) pag. 124, tav. 19, fig. 1-5, escl. fig. 3. Furcocerca podura, I. B. Lamarck (1815) pag. 447. Euchelys podura, Chr. L. Nitzsch. (1817) pag. 6. Diurella podura, Fr. W. Hemprich et C. G. Ehrenberg (1820) tav. I, fig. XI (nel testo però si ha la denominazione di /chthydium podura). Furcocerca triloba, 1. B. Bory de St. Vincent (1824) (citato da Ehren- berg). Ichthydium podura, C. G. Ehrenberg (1829) pag. 8, 16; (1830) pag. 44; (1831) pag. 50, 121; (1888) pag. 388, 389, tav. 43, fig. 2. —F. Dujardin (1841) pag. 270.— P. H. Gosse (1864) pag. 392, 393.—H. Ludwig (1875) pag. 214- 218, tav. 14, fig. 1-4. — C. Zelinka (1889) pag. 296-299, tav. 14, fig. 15, 16. — Th. Grùunspan (1910) pag. 244-256 fig. 8. Chaetonotus podura, A. C. Stokes (1887) pag. 150. Note. —Ho trovato frequentemente questa specie, sopratutto in maggio e giugno, tra le Lemna e il detrito organico in vicinanza della riva, in compagnia di parecchie specie di Rotiferi e di numerosi Infusori ciliati. Parecchi individui erano sessualmente maturi: tra essi qualcuno possedeva due uova bene sviluppate, uno dal lato destro, e un altro da quello di sinistra. Lunghezza degli esemplari da me esaminati 74-78 p. Genere Lepidoderma, C. Zelinka (1889) 2) Lepidoderma rhomboides, A. C. Stokes, 1887. Tav. 3, fig. 20-23. SINONIMIA — Chaetonotus rhomboides, A.C. Stokes (1887) pag. 561, 562, tav. 2, fig. 31-35. Lepidoderma rhomboides, C. Zelinka (1889) pag. 309, 310, tav. 15, fig. 4 a-d. Th. Grunspan (1910) pag. 258-255, fig. 12 a-c. Chaetonotus tongicaudatus, F. G. Tatem (1876) pag. 251, 252, tav. 10, fig. 1.— C. Zelinka (1889) pag. 447, 448, fig. 10—Th. Grùnspan (1910) pag. 347, 348, fig. 60. . Descrizione — È uno dei Gastrotrichi di maggiori dimensioni, misurando poco meno di 0,4 mm. Il corpo è nastriforme, relativamente sottile, e molto slanciato ; presenta quasi da per tulto la medesima larghezza, meno un lieve restringimento nella regione del collo e un lieve rigonfiamento a metà del corpo, il cui massimo diametro trasverso (42 pw) non sorpassa la massima larghezza del capo (42 p). ee Malgrado il suo aspetto svelto, questo animaletto è relativamente torpido: si avanza con movimenti serpenlini piuttosto lenti, quasi trascinasse a falica il lungo corpo e le due gracili ma lunghe appendici forcali. Il corpo è del tutto privo di spine, ma ricoperto di squame, carattere costante di tutti i rappresentanti del genere. Osservando l’animale vivo e a debole ingrandimento, esso presenta una delicatissima e serrata anellatura (fig. 20), così come si rileva anche dalla figura d’insieme di Lepidoderma elongatum data dal Daday nel 1905; quando però l’animale è morto, l’anellatura 0 strialura trasversale diviene meno appariscente e il tegumento sembra piuttosto pun- teggiato, punteggiatura, come ora dimostrerò, corrispondente agli apici liberi delle squame, di cui è ricoperto tutto il corpo. Ma quando l’animale è stato conveniente- mente fissato (trattato prima con debole soluzione acetica, per anestesizzarlo, e poi con la miscela dell’ Hermann), disidratato e chiuso in euparale, i caratteri del tegu- mento (adoperando lenti a immersione omogenea) si presentano nitidissimi e con le particolarità più minute. Dalla regione anteriore del capo fino alla base delle due ap- pendici forcali si nota una successione ininterrotta di squame embriciate , disposte in serie lrasverse e in modo che le squame di una serie si alternano con quelle della serie successiva (fig. 21). È proprio questa speciale disposizione, che mentisce l’anellatura del tegumento, anellatura, che è più evidente ai lali del corpo, ove pure meglio si dimostra l’embriciatura delle squame, avendosi in complesso quell’aspetto, che il Voigt ha riprodotto in una delle figure del suo Aspidiophorus paradozus (1905, tav. 6, fig. 45a). Ed è anche una pura apparenza la disposizione a losanga descritta e raffigurata dallo Stokes (1887, pag. 572, tav. 2, fig. 32-33) e riprodotta dallo Zelinka (pag. 310, tav. 15, fig. 4c), e che pure si osserverebbe secondo il Daday ‘ (1887, pag. 29, 30, fig. 11) nel suo Lepidoderma biroi. Queste squame sono delle la- melle triangolari lievemente arcuate, lunghe 3 p, con i lati liberi un po’ con- vessi — ciò che pure lo Stokes ha osservato (pag. 562, nota) — e con l’apice ri- volto in alto ; alzando e abbassando il tubo del microscopio, si arriva a colpire un momento in cui le squame, che si trovano nel piano inferiore, più non si distinguono in totalità, ma invece risaltano i loro apici incarvati in alto, che meno illuminati assumono l’aspetto di rilievi neri, trigoni, acuminati, simili a corte e tozze spine, apici che dallo Stokes vennero interpretati, sebbene con un certo riserbo, come scaglie triangolari supplementari. Tali rilievi apparenti, a debole ingrandimento, conferiscono all’animale morto l'aspetto punteggiato già sopra notato, aspetto, che forse il Tatem era riuscito a sorprendere nel suo Chacetonotus longicaudatus, esagerandolo però, e forse anche ad arte, per dare un certo effetto plastico al disegno dalla linea troppo semplice. Le squame nella parte posteriore del capo e sul collo hanno dimensioni alquanto minori, e si stenta anche più a metterle in evidenza. Il capo (fig. 23) del Lepidoderma rhomboides è subgloboso, misura in lunghezza 48 » e in larghezza 42 p. A ciascun lato si notano due linee oscure, che lo Stokes, (1887, lav. 2, fig. 35) seguito dallo Zelinka (tav. 15, fig. 4a), interpreta come due incisure o incavi abbastanza distinti. Il capo è ricoperto dorsalmente da uno scudo, derivante dal tegumento, e distinto in due porzioni: quella anteriore è fusa col tegu- mento cefalico, e si potrebbe considerare come un semplice ispessimento dello stesso, quella posteriore rappresenta una duplicatura del tegumento ed. è libera e, fino ad un certo limite, mobile. Quando l’animale procede in linea retta, lo scudo cefalico aderisce BR IA tutto alla superficie dorsale del capo, il quale si presenta allora completamente globoso, nè si possono vedere in tal caso le due linee oscure anteriori; quando però l’animale incurva il capo, o lateralmente, o ventralmente, per l’allontanarsi della porzione mobile dello scudo a mo” di una cocolla che si sollevi o sì abbassi nei movimenti del capo, si mostrano le due linee oscure laterali anteriori, e le due posteriori si allargano, si rischiarano, e si forma una specie di seno più o meno ampio, che corrisponde allo spazio tra capo e porzione mobile dello scudo cefalico. In questa posizione, il capo può mentire, a una osservazione superficiale, l’aspetto trilobato descritto dallo Stokes (1887, pag. 561). Mancano assolutamente occhi o altri così detti corpi rifrangenti. Ai lati della bocca si trovano due ciuffi di peli tattili, alcuni dei quali lunghissimi ; e più indietro ne esistono altri due, con peli molto più corti, ma più numerosi. Lo Stokes descrive dietro l’anello orale un solco trasverso, stretto e profondo, lungo circa la metà della lunghezza del capo. A me sembra invece di poter interpetrare questo preteso solco, data la sua posizione, la sua corrispondenza in larghezza al faringe ed il suo aspetto discoidale come un setto faringeo, perchè nel movimento del capo non muta di posizione, mentre si sposta, senza mutar forma, nei movimenti del faringe. Il collo è cilindrico, lungo appena 15 p e largo 30 p. Il corpo lungo 217 » è percorso dall’intestino; anteriormente largo 30 pw, va lentamente allar- gandosi fino a raggiungere a metà lunghezza 42 p, per poi restringersi di nuovo a poco a poco fino a riguadagnare il diametro trasverso di 30 p in corrispondenza della forca codale. La forca codale (fig. 22) è rappresentata da due pezzi basali triangolari lunghi 9 pw, separati tra loro da una insenatura semilunare del diametro di circa 7 p. All’apice tronco e arrotondato di ciascun pezzo basale si fissa un appendice forcale lunga 110 p, rappresentata da uno strettissimo tubo cavo che va assoltigliandosi gradatamente verso l’estremo libero e che è suddiviso in circa 20 segmenti, determinati da ispessimenti nodiformi delle sue stesse sottilissime pareti. Le branche della forca non sono immobili: quando l’animale procede in linea retta, esso suole tenerle distese per lungo; non raramente le divarica più o meno, talvolta disponendole ad angolo retto col corpo: questi movimenti sono favoriti dalla speciale maniera di altacco dei pezzi basali sul tronco, e dalla stessa insenatura interforcale, che, con lo spianarsi, agevola il divaricamento delle due appendici forcali. L'ostio boc- cale circolare, guarnito di corte setole, immette in una piccola cavità boccale cra- teriforme; il faringe muscoloso e largo occupa tutta la lunghezza del capo e del collo, mentre l’intestino ha la lunghezza del corpo. Note. — Questo Gastrotrico appartiene certamente alle forme più rare del gruppo, poichè dopo lo Stokes, che lo scoperse a New Jersey (Trenton) nel Nord-America, fu ritrovato soltanto nel 1901 dal Lauterborn nelle acque principali (A/twésser) del Reno. Il fatto di averlo notato nel piccolo lago-stagno di Astroni, ci permette indurre che questa specie debba avere un’area di distribuzione geografica molto estesa, entrando così a far parle di quelle forme cosmopolite, le quali, pur presentandosi raramente alla nostra osservazione, debbono ritenersi come tali per le modalità stesse del loro habitat in regioni tra loro così distanti. lo escludo dal genere Lepidoderma il Zep. hystriv Daday, giacchè esso è un vero Chaetonotus. A questo ullimo genere va pure riferito il Lepidoderma (Ichthydium) Entzii Daday, considerando che anche esso presenta spine non solo sul corpo, ma ASI pae altresì a quasi tutti gli articoli delle appendici forcali. E qui, a proposito delie specie del genere Lepidoderma, voglio far notare, che mentre nel testo il Daday afferma essere il __Lep. elongatum privo di spine, ve le disegna intanto al capo e al collo (tav. 6, fig. 2), «edipiù, il Daday recentemente nel mettere in evidenza i caratteri differenziali tra il Lep. hystrix e il Lep. elongatum, scrive che nei suoi ullimi studi comparativi sulla cu- «_‘’licola anellata dell’ultima specie, ha osservato spine piccolissime ripiegate fortemente —_—n basso, le quali spine aveva prima riguardato come linee della cuticola. Conseguente- «mente anche il Lep. elongatum andrebbe escluso, se così fosse, dal genere Lepidoderma. Ma le osservazioni superficiali contradittorie del Daday lasciano sempre il dubbio sulla precisa identificazione delle forme da lui descritte. Che se venisse provato fossero real- mente forme di Lepidoderma, cerlo a parer mio sarebbero molto affini, e qualcuna (Lep. elongatum e Lep. biro?) anche identica al Lep. rhomboides. Contrariamente alle conclusioni dubitative che trae lo Zelinka dalie sue argomentazioni teoriche sulla interpetrazione del Chaetonotus longicaudatus del Tatem, io sono convinta che questa forma è senza dubbio un Gastrotrico e va riferito al genere Lepidoderma. La probabile interpreta- zione dei Tatem delle linee oscure anteriori e posteriori per occhi, i ciuffi o pennelli di peli tattili per una corona ciliare cefalica, l’esagerazione nella punteggiatura del tegumento, hanno contribuito certamente a deviare i ricercatori posteriori, meno lo Stokes — che poi ignorava anche il lavoro del Tatem — dalia precisa identifica- i ‘zione di questo Chaetonotus longicaudatus. Alla stregua di queste considerazioni | È. criliche, tenuto conto che l’autore stesso afferma essere il tegumento del Ch. longi- «_—’1‘caudatus liscio, e altenendomi inoltre all’aspetto del piccolo animale dal corpo na- | striforme e slanciato e dalle lunghe appendici forcali, così come si vede riprodotto (‘nel disegno stesso del Talem, io ritengo senza dubbio trattarsi di una forma di Lepidoderma molto probabilmente identica al Zep. rhomboides 0 per lo meno a quesio È molto affine. ——— I: a Famiglia Chaetonotidae, C. Zelinka (1889) n Genere Chaetonotus, C. G. Ehrenberg (1880) 3) Chaetonotus maximus, C. G. Ehrenberg, 1831. i $ Sinonimia — Chaetonotus maximus, C. G. Ehrenberg (1831) pag. 153, tav. 3, fig. 6; (1838) “9 pag. 389, tav. 43, fig. 3.—P. H. Gosse (1864) pag. 396, tav. I, fig. 4-5.—C. | Zelinka (1889) pag. 312-317, tav. 12, fig. 4, 10, 12, tav. 13, fig. 1-4, 6-9, 11-13. Th. Gruùnspan (1910) pag. 263-266, fig. 14 a, db, c. Chaetonotus squammatus, F. Dujardin (1841) pag. 569, tav. 18, fig. $a. Chaetonotus squamosus, M. Schultze (1853) pag. 247. Chaetonotus gracilis, P. H. Gosse (1864) pag. 399, tav. I, fig. 8. Chaetonotus maximus, larus, brevis, E. Metschnikoff (1865) pag. 451, tav. 35, fig. 5. Ichthydium maximum, H. Ludwig (1875) pag. 219. | Nota. — Ho seguito senz’altro lo Zelinka nell’attribuire al Ch. maximus Eh- — renberg il Ch. gracilis Gosse, non avendo potuto consultare direttamente il lavoro di quest’ultimo autore. E sono d’accordo ancora con lo Zelinka nel riportare alla | sinonimia della specie in questione, le diverse tre forme (Ch. mazimus, larus, brevis) ao: - GE. che il Metschnikoff ha raggruppate in un’unica specie (Ch. mazimus). Il Ch. squam- matus Dujardin è stato riferito dallo Zelinka al genere Lepidoderma; però la breve descrizione del zoologo francese e una delle figure annesse indicano abbastanza: chiaramente che si tratta del Ch. mazimus Ehrenberg, ciò che del resto aveva già intuito lo stesso Dujardin, ed è stato in seguito ritenuto dallo Schultze, dal Metschnikoff e dal Ludwig. Ho escluso dalla sinonimia il Ch. larus del Bitschli (nec Miller) essendo questo il tipo di una specie ben distinta, che io ho denominato Chaetonotus laroides. Alla diagnosi ed alle osservazioni dello Zelinka non ho nulla da obiettare e da aggiungere; gli esemplari di Ch. maximus, che ho esaminato, rispotidevano perfettamente alle caratteristiche differenziali stabilite da questo autore. Ho trovato il maggior numero di esemplari nel cuore dell’inverno: gli animali sono andati poi scomparendo di mano in mano; dall’aprile non m’è stato più pos- sibile ritrovarne uno solo. 4) Chaetonotus laroides, I. Marcolongo, 1910. Tav. 1, fig. 4-6. SINONIMIA — Chaetonotus tarus, O. Bùtschli (nec Mùller) 1876, pag. 386, 387, tav. 26, fig. 7-9. Chaetonotus laroides, I. Marcolongo (1910) pag. 315. Descrizione. — Questo grazioso animaletto, che somiglia molto al Chaetonotus maximus Ehrenberg, misura in lunghezza 186-200 p, di cui 27-30 » spettano alle appendici forcali. Il capo è nettamente quinquelobato, con lobi molto arrotondati ; di cui il mediano — trasversalmente—è circa il doppio di ciascuno dei lobi laterali, la sua larghezza massima è di 29-30 w in corrispondenza dei due lobi posteriori. Il collo è relativamente ristretto, lungo 36 p e largo 19 p. L’esofago è circa il terzo della lunghezza totale dell’animale. L’intestino è lungo 75 p. Il dorso e i lati del- l’animale sono ricoperti di spine semplici, arrotondate, disposte al collo in 11 serie longitudinali, e in 15 sul tronco. Le spine delle singole regioni sono tra loro tutte uguali, ma mentre quelle del capo misurano 12 p., e quelle del collo 15 » le altre del tronco vanno gradatamente aumentando in lunghezza da 20 a 22 x; verso l’estre- mità del corpo esistono 9 spine, che sono le più lunghe di tutte e misurano 32 p; 3 sporgono nel mezzo della forca e sono attaccate dorsalmente poco più sopra del margine interforcale e misurano 84», e le altre 6 sono disposte a tre a tre sim- metricamente di lato e poco in sopra della base delle appendici forcali. Tutte le spine partono dal centro di una squama, che ha forma rotondo-ovata, troncata po- sleriormente, e che sembra costituita da tre piani triangolari, lievemente inclinati, i cui apici s incontrano nel punto basale d’impianto della spina. La forma delle squame, che ho riprodotta (fig. 5, 6), corrisponde esattamente a quella figurata dal Bitschli (1878, tav. 26, fig. 9a, bd), quindi trovo ingiustificata l’obiezione fatta dallo Zelinka, che la dichiara non corrispondente ai vero. Note. — Gli esemplari da me studiati sono stati pochissimi, avendone trovato ogni tanto uno & a nolevole intervallo dall’ altro. Erano però tutti adulti, contenendo: ELIO NESS ciascuno nell’ interno del corpo uova bene sviluppate. Lo Zelinmka ha ritenuto il Ch. larus del Bits chli come identico al Ch. maximus Ehrenberg, nella cui sinoni- mia lo ha incluso. Senza dubbio la forma, descritta dal Bittschli e indentificata al Ch. larus, non corrisponde alla forma, tipica scoperta da Fr. Miller e poi individua- lizzata con esattezza dal Ludwig per le sue spine trigone (1875, tav. 14, fig. 12-13). La forma da me descritta, pur avendo punti di contatto molto più numerosi con il Ch. maximus Ehrenb. che non con il Ch. larus Miller, riguardanti specialmente la forma, la lunghezza e la disposizione delle spine, ha due caratteristiche costanti che la separano dal primo, cioè la forma del capo e la forma delle scaglie. Queste differenze morfologiche mi hanno indotta a riguardare la forma in discorso come una specie nuova, abbastanza bene caratterizzata. 5) Chaetonotus hirsutus, I. Marcolongo, 1910. Tav. 1, fig. 1-3. SinoNIMIA — Chaetonotus hirsutus, I. Marcolongo (1910) pag. 316. Descrizione. — La lunghezza totale di questo animale è di .230 p, quindi su- pera alquanto quella del Ch. maximus Ehrenberg — che secondo l’Ehrenberg oscilla fra 121 e 218 p, e secondo lo Zelinka tra 112 e 205 » — e anche quella del Ch. Zelinkai Grùvspan, che raggiunge 224 p. Il capo presenta 5 ‘lobi, i quali sono meno prominenti di quelli del Ch. muzimus Ehrenberg e del Ch. laroides, e tutti quasi della medesima grandezza. La larghezza massima del capo, misurata tra i punti più prominenti dei due lobi laterali posteriori, è di 34 p, mentre la sua massima altezza è di 29 p: esso trapassa senza nolevole strozzamento, nel collo, che infatti nel suo punto più ristretto misura 29 p. La massima larghezza e la massima altezza del tronco si uguagliano, misurando entrambe 44 p. La faccia dor- sale dell’animale è ricoperta da 13 file longitudinali di spine con disposizione alterna. AI collo sì hanno soltanto 11 file. Queste spine sono semplici, cilindriche e partono dal centro di scaglie che per la loro conformazione differiscono moltissimo da quelle del Ch. laroides, perchè sono appuntite e mitriformi (fig. 3). Le spine al capo e al collo misurano fra i-12 e i 15 p, quelle sul tronco fra i 20 e i 22 x; poco in sopra del margine interforcale si notano 3 spine più lunghe, misuranti 33 p, alternanti con 4 spine molto più certe, lunghe quanto quelle del capo e del collo. Notevoli sono due spine poste esternamente, alla base delle appendici forcali, una a destra ed una a sinistra; queste spine superano con i loro 50 », la lunghezza delle appen- dici forcali, che misurano solo 43 p. Note. — Per la forma del capo e per le due lunghe spine questa specie si di- stingue abbastanza bene dalle due precedenti; la forma delle scaglie costituisce un altro importante carattere differenziale tra la specie e il Ch. mazimus Ehrenberg e il Ch. laroides. Ho esaminato soltanto due esemplari: erano entrambi maturi, con- tenevano cioè uova, e li ho trovati tra le lemne e le spirogire nel mese di aprile. } (oi ei o x ATTI — Vol. XV—Serie 2a — N. 6. 2 ce 6) Chaetonotus brevispinosus, C. Zelinka, 1889. Tav. 1, fig: :9;010; SinoNIMIA — Chaetonotus brevispinosus, C. Zelinka(1889) pag. 328-331, tav. 14, fig. 11-14. Th. Grinspan (1910) pag. 274-277, fig. 19a-c. Descrizione. — Presenta un corpo tozzo, la cui lunghezza oscilla tra i 140 e i 150 p: il corpo è insensibilmente trilobo, grosso, quasi globoso, e si continua senza apprezzabile restringimento nel collo. Le spine sono cilindriche e partono dal centro di scaglie quasi circolari, tagliate ad angolo posteriormente; sono disposte in 11 serie longitudinali e sono quasi tulle uguali; quelle posteriori sono un po’ più lunghe delle anteriori. Notevoli sono due spine quasi diritte, sopra al margine interforcale — Zelinka ne disegna di più in due serie (tav. 14, fig. 11-18) — e altre quattro, due a destra e due a sinistra, laterali alle due appendici forcali, molto incurvate, con la punta rivolta in basso e in dentro; queste 6 spine misurano poco più del doppio delle altre maggiori spine del corpo. Malgrado un’ attenta ricerca non mi è stato pos- sibile, nè pure con le leuti a immersione, di rintracciare quei corpi speciali riempiti di granuli neri, che lo Zelinka scrive che esistono al margine anteriore del corpo. Note.— Di questa specie ho trovato pochissimi individui verso la fine di feb- braio, e di essi, due con un organo speciale, che il Ludwig (1875, pag. 208, 209, 217) presume sia il testicolo; uno dei due (fig. 10) racchiudeva pure un uovo molto grosso (fig. 27). Lo Zelinka, in ciò seguito dalla Griinspan, ha ascritto alla sinoni- mia del suo Ch. brevispinosus, il Ch. larus del Fernald e il Ch. larus dello Stokes. La forma del Fernald deve per me essere attribuita al Ch. m0ultispinosus Grù n - span, e perché presenta il capo a 5 lobi distinti, e per la forma e distribuzione delle spine, poichè mancano all’estremità posteriore quelle speciali spine, che sono poi la caratteristica fondamentale del Ch. brevispinosus Zel. In quanto al Ch. larus dello Stokes, tanto la breve e incompleta descrizione, che ne dà l’autore (1887, pag. 153), quanto il frammevto di figura (1887, tav. 1, fig. 11), non autorizzano in alcun modo a trovargli un posto qualsiasi tra le specie di Chaetonotus conosciute ; ma se la si volesse, malgrado la mancanza di dati ben definiti, identificare con un’altra specie qualunque, questa dovrebbe essere quella del Fernald, cioè il Ch. multispi- nosus Grùnspan. 7) Chaetonotus multispinosus, Th. Grùnspan, 1908. SINONIMIA — Chaetonotus multispinosus, Th. Grùunspan (1908) pag. 225, 226, tav. 18, fig. 4 e 5. — (1910), pag. 303-304, fig. 42 a, d. Chaetonotus tarus, Ch. H. Fernald (1883) pag. 1217. — A. C. Stokes (1885) pag. 80, tav. 1, fig. XI. Chaetonotus brevis, C. . Ehrenberg (1838) pag. 390; tav. 43, fig. 5. Chaetonotus tesselatus, E. Metschnikoff (1865) pag. 451, tav. 35, fig. 8. Ichthydium jamaicense, C. Sechmarda (1861) pag. 8, tav. 17, fig. 148 a, d. Note. — Il Ch. multispinosus Grinspan ha molta somiglianza con il Ch. brevi- spinosus Zel., come la stessa Grinspan ha rilevato, e ancora più con il Ch, mé- nimus. Ho già messo in rilievo a proposito del Ch. brevispinosus Zel., le diffe- mq» — 1- | renze caratteristiche tra questa forma e quella, di cui ora mi occupo; dirò fra breve delle differenze con la specie seguente. La Gritnspan dà del Ch. multispi- nosus la seguente descrizione, che coincide esattamente con i due individui da me osservati: « Corpo raccolto, grosso e tozzo ricoperto sul dorso da 1742 serie longitudinali di spine semplici corte, tutte uguali, che partono da squame circolari. Capo ingrossato nettamente quinquelobato, largo 31 p, collo anche grosso ma un po’ meno largo. Esofago corto e grosso, lungo circa 38 p e largo posteriormente 15,5 p. Spazio tra i nastri ciliari coperto da scaglie delicate, a cui si attaccano spine con disposizione seriale alterna, 5 spine al punto più largo ». Per quanto il Fernald non dia alcuna notizia sulla presenza e aspetto delle scaglie, tuttavia è qui che deve porsi la forma da lui descritta per Chaetonotus larus, come si può rilevare dalla figura dataci dall’autore medesimo. Ho già detto a proposito del Ch. brevispinosus Zel., perchè meglio al Ch. multispinosus che non al Ch. brevi- spinosus debba riferirsi, con le dovute riserve, la forma, che lo Stokes ha erronea- mente indicata come Ch. Zarus. Forse nella sinonimia della specie dovranno com- prendersi il Ch. brevis Ehrenbg, il Ch. tesselatus Metschnikoff e |’ Ichthydium jamaicense Sechmarda; su queste tre forme non si può dare un giudizio esplicito, perchè le descrizioni relative sono insufficienti, e le ligure mon tanto dimostrative da poter ritrarre dalle une e dalle altre caratteri differenziali tali da distinguere e delimitare tassinomicamente le specie. 8) Chaetonotus minimus, I. Marcolongo, 1910. Tav. 2, fig. 14. SINONIMIA — Chaetonotus minimus, I. Marcolongo (1910) pag. 317. Descrizione. — È forse la specie più piccola, che si conosca, dalla forma piùt- tosto sottile, dal portamento svelto. La lunghezza totale del corpo, compresa la forca codale è di 105 p. Il capo è corto, ma relativamente largo; la sua massima lar- ghezza, posteriormente, misura 18 p. Esso presenta tre distinti lobi arrotondati: quello di mezzo — il frontale — alquauto più piccolo degli altri due e questi — i laterali — sono più arrotondati e più prominenti. Mancano macchie pigmentarie e Speciali corpi rinfrangenti colorati al margine del capo. Esistono quattro ciuffetti di corti peli tattili. Il collo, ben distinto dal capo, digrada invece quasi insensibilmente nel tronco; è largo 18 p. Il tronco sottile presenta la sua massima larghezza verso il terzo posteriore, misurando 80 x, poco più della larghezza massima del capo. La forca codale misura circa 11 p. Il corpo, dalla testa in giù è ricoperto di numero- sissime spine tutte uguali, assai corte, semplici, lievemente arcuate, disposte in 18 serie longitudinali, serrate, ciascuna di circa 40 spine; ogni spina parte dal centro di una piccola e sottile scaglia circolare. Esistono ventralmente due soli nastri vi- bratili. La bocca si apre nel lobo mediano frontale del capo; è circolare e contor- nata da una corona di setole corte. L’esofago è lungo appena 22 p, ed è lieve- mente strozzalo nel mezzo. Intestino quasi rettilineo, lungo 65 p. È una specie rara, avendone trovato due soli esemplari, muotanti con agilità fra le piccole lemna, in compagnia di qualche Rotifero e di alcuni Ciliofori. 290t= Note. — Il Ch. minimus sì avvicina per l'uniformità e la brevità delle nu- merosissime spine al Ch. multispinosus Griinsp., e per tal fatto anche alle forme erroneamente determinate dal Fernald e dallo Stokes come Ch. /arus Ehrbg; si distingue intanto da essi perchè non ha il capo quinquelobato, perchè ha forma più gracile e portamento più svelto. Ma la specie, che è più vicina al Ch. minimus D. sp., è veramente il Ch. formosus Stokes (1889, pag. 50-51), ritrovato recente- mente dal Dada y (1900, pag. 58, tav. 3, fig. 10 16), però il capo di questo, sebbene trilobo anch’esso, differisce alquanto da quello del primo; infatti lo Stokes dice che nel Ch. formosus il lobo anteriore è appiattito frontalmente e porta uno scudo cefalico e il Daday scrive essere il capo di questo animaletto, trilobo, con lobo mediano molto più sviluppato dei due laterali, che somigliano a tubercoletli spor- genti; tali caratteristiche non si riscontrano mai nel Ch. minimus. Un altro elemento differenziale si trova nelle dimensioni: il C%. minimus misura nella lunghezza totale 105 ®, e non può certo superarla di molto, trattandosi di misura di animale già adulto, perche maturo; per il Ch. formosus lo Stokes indica una lunghezza di 182 ®, e il Daday una anche maggiore, variante da 220 a 240 p. Altro carattere differenziale importantissimo esisterebbe nel Ch. formosus, secondo le indicazioni concordi dello Stokes e del Daday, che allontanerebbe questa specie da tutte le altre forme conosciute di Chaetonotus e quindi anche dal Ch. minimus, nella co- slituzione delle spine: lo Stokes (1888) nota che ogni spina deriva dalla cuticola direttamente, senza che sia impiantata su d’una scaglia, e il Daday non si ac- contenta di affermare che la cuticola non ha scaglie, ma aggiunge che verificandosi tale fatto pure nel suo Lepidoderma hystrix (1910, pag. 37, tav. 3, fig. 11, 12) — che per me è un Chaetonotus bello e buono — le due specie potrebbero riguardarsi come i rappresentanti di un nuovo genere. Se si pensa alle difficoltà, che si in- coutrano tanto frequentemente nel poter mettere in rilievo le scaglie e la loro forma, specialmente nelle piccole specie, si comprenderà che non è permesso negare con tanta faciltà la presenza di scaglie alla base delle spine nei Chaetonotus, solo perchè non si è riusciti a metterle in evidenza. Intanto, in attesa di più precise e decisive osservazioni in proposito, è bene eliminare dai caratteri differenziali delle due forme in questione le note relative alle scaglie, giacchè bastano i connotati desunti dalle dimensioni degli animali e quelli ricavati dalla forma del capo. 9) Chaetonotus nodifurca, I. Marcolongo, 1910. Tav. 2, fig. 11-13, SINONIMIA — Chaetonotus nodifurca, I. Marcolongo (1910) pag. 317. Descrizione. — È tra le forme di Chaetonotus una delle maggiori, misurando 395 » nella sua lunghezza totale. Il suo corpo è molto allungato, nastriforme, ea primo aspetto rammenta il Lepidoderma rhomboides Stok., dal quale si differenzia per le numerosissime spine, che ne rivestono il dorso e i fianchi. © Lee] Il capo (fig. 12) è subgloboso, largo 45 p, € presenta a destra e a sinistra‘ una lieve incisura che lo rende trilobo; da queste incisure partono due ciuffetti' di ‘peli ia a tattili. Esiste uno scudo cefalico molto ben visibile (fig. 11) quando l’animale viene osservato di profilo. Il collo, largo al massimo 32 p trapassa gradatamente nel tronco. Il tronco presenta trasversalmente ovunque la stessa larghezza di 45 p.,, e si assottiglia solo in prossimità immediata della forca codale. Le due appendici forcali sono molto lunghe, misurano ciascuna 102 », e riproducono interamente, nella forma e costituzione, le appendici forcali del Zepidoderma rhombordes Stok: esse sono formate da due tubi esilissimi, leggermente ricurvi in fuori alle loro estremità, con pareti molto sottili, che presentano di tanto in tanto degli ingrossamenti nodiformi, i quali si vanno al- lungando e rendendo meno bene visibili verso le estremità assottigliatissime delle due medesime appendici. Il numero di queste nodosità, come a proposito del Chaeto- notus nodicaudus giustamente fa rilevare il Voigt (1904, pag. 134), non si può de- terminare sicuramente, anche perché il loro numero non deve essere costante per tutti gli individui, essendo ora di 20, ora anche più. Tutto l’animale, a cominciare dalla festa e persino sul primo tratto delle appendici forcali (tig. 13), è rivestito dorsalmente e lateralmente di numerose spine semplici, tutte uguali, che vanno a grado a grado rendendosi più lunghe (fig. 11, 12): quelle al capo e al collo misu- rano 8-10 p, e quelle sul tronco 15-18 #; le più lunghe si trovano alla base delle appendici forcali e nei due esemplari da me esaminati misuravano 21 p, poco meno di quanto indica il Voigt per il suo Ch. nodicaudus {1904, pag. 135). Non mi è stato possibile in alcun modo mettere in evidenza le scaglie, per notarne i rapporti di forma. La bocca si apre anteriormente, proprio in solto dello scudo cefalico, e presenta una corona marginale di cirri, nettissima (fig. 11). L’esofago è relativa- mente corto. Note. — Al Chaetonotus nodifurca si avvicinano parecchie altre forme di Chae- tonotus, le quali tutte presentano il medesimo carattere delle appendici forcali molto lunghe e nodose. La prima forma è stata descritta dal Daday (1881) solto |’ ap- pellativo di /chthydium Entzii, che lo Zelinka non ha riportato nella sua classica monografia. Jo ho avuto tra mani il lavoro del Daday, ma non ho potuto tenerne tutto il debito conto, essendo esso redatto in lingua magiara, tuttavia posso affermare che l’/cht. Entziîù non può identificarsi con la mia specie, dopo aver confrontato le fi- gure relative, che ne riproducono i particolari, e aver tenuto conto delia breve dia- gnosi latina, che dice: « species ez Ichthydium familia elegantissima, corpore elongato ; fronte obtusa supra orem appendiculo semilunari; pseudopodio furcato articulis multis ; dorsi selis inaequalibus; epidermidis tabulis tetragonis ».. Al Ch. nodifurca manca Vappendice frontale, mancano le scaglie rombiche, e mancano pure le spinelte laterali a ciascun articolo delle appendici forcali, carattere dell’/chthydium Entzii (v. Voigt, 1904, pag. 137); e tutto ciò non volendo anche tener conto della diversa forma generale delle due specie. La seconda forma nota è quella descritta sommariamente dal Lauterborn (1893) col nome di Ch. macracanthus; la descrizione di questo autore potrebbe servire per tulte le forme di Chaetonotus a lunghe appendici forcali nodose. In fatti il Lautler- born dice della specie da lui rinvenuta che: « Il Ch. macracanthus si distingue per avere due lunge appendici codali articolate, quali con la medesima conformazione occorrono solo nel Lepidoderma rhomboides Stok.; che il corpo svelto è ricoperto Ui spine gracili, verso il dietro gradatamente allungantisi; misura in totalità la' lun- — Je ghezza di 297 p, di cui 81 per le appendici codali. La deficienza di diagnosi e la completa mancanza di illustrazioni non mi permettouo una più lunga discussione in merito, per tentare di identificare possibilmente con precisione la specie del Lau - erborn. La terza forma è rappresentata dal Ch. nodicaudus Voigt, con cui il Ch. no- difurca avrebbe le maggiori somiglianze, ma non può ad esso identificarsi e per la forma del corpo, molto diversa, e per lo scudo cefalico, che nel primo è tripartito e pell’altro è intero. Non essendo riuscita a mettere in evidenza Ie scaglie, malgrado tutti i tentativi fatti, non posso dedurre se nelle caratteristiche delle stesse esistono punti in pro o contro un maggiore ravvicinamento delle due forme in parola. La quarta ed ultima forma a me nota, che ha dei punti di contatto molto ri- levanti con il Ch. nodifurca è quella che recentemente il Da day (1900) ha descritto come Lepidoderma hystrix, e che io non esito a riferiro al genere Chaetonotus, come ho già detto innanzi (v. pag. 6), per il suo corpo tullo rivestito di spine. Il Daday fa rilevare che la cuticola tanto al dorso che ai lati e al ventre ha aspetto uniforme, cioè non è divisa nè in scaglie nè in anelli, e ripete che alla base delie spine la cuticola è più spessa che negli altri punti, ma non differenziata in lamelle, perchè le basi ispessite delle spine trapassano direttamente nella sottile membrana cutico- lare. Questo falto ho io pure osservato nel Ch. nodifurca, e, ripeto, il non aver potuto mettere in evidenza le scaglie, non è un motivo sufficiente per negarne as- solutamente l’esistenza. Se | aspetto generale dell’ animale, quale si rileva da una delle figure (1910, tav. 3, fig. 11) del Daday, è stato ritratto con fedeltà, io non dubito che il Lepidoderma hystrix e il Chaetonotus nodifurca siano forme ben di- stinte. Se poi volessi prescindere da questo fatto, e tener conto piuttosto della se- conda figura (tav. 3, fig. 12), che ritrae l’animale di profilo, e mi volessi attenere alle due descrizioni, la mia e la sua, che tanto bene collimano nei più minuti par- ticolari, meno che per le misure, dovrei allora ritenere che le due specie in di- scussione sono la stessa identica forma. Il Daday vorrebbe anche nel suo Lep. elongatum aver trovato delle spine minutissime, che aveva prima considerate come strie culicolari; in tal caso anche questa forma entrerebbe a far parte del genere Chaetonotus, e sarebbe anch’esso molto prossimo al Ch. nodifurca. Affine a questo, e firse anche identico potrebbe essere il Ch. macrurum Collins, ma di questo autore, malgrado tutte le ricerche fatte, non ho potuto consultare direttamente il lavoro, nè trarre altrove un qualsiasi cenno riassuntivo. 10) Chaetonotus decemsetosus, I. Marcolongo, 1910. Tav. De: 07058! SINONIMIA — Chaetonotus decemsetotus, I. Marcolongo (1910) pag. 317. Descrizione. — È una graziosa e caratteristica specie di Chaetonotus, che con tutta la forca misura in lunghezza 107 p. Il capo è distintamente quinquelobato , e i lobi sono tutti uguali e prominenti: negli angoli delle insenature interlobari si trovano quattro ciuffetti di peli tattili. Il massimo diametro trasverso del capo è di 23 x»; il capo trapassa insensibilmente nel collo e questo, a livello del punto di Dal. passaggio dall’esofago nell’intestino, è largo solo 16 p. Il ironco è un po’ tozzo, dai fianchi molto larghi, e misura trasversalmente nel suo punto più largo 30 p. L’esofago misura 27 p, e l’intestino 58 p. Tutto l’animale, sul dorso e anche un po’ ai lati, è rivestito di spine molto corte, tutte uguali, incurvate in basso, disposte sul capo e sui collo in 9 serie, e sul tronco in 11 serie. Sono notevoli 10 lunghe Spine, che si attaccano alla regione mediana del dorso, 8 più in avanti e 2 — le più lunghe — più caudalmente. Le 8 spine del gruppo anteriore misurano 35-40 p, le due posteriori 45 p, e sorpassano per un buon tratto le appendici forcali, ve- nendo a sporgere ai lati di queste, quando la forca è ben distesa per lungo. Tulte le spine, tanto le piccole quanto le grandi, sono a sezione circolare, e semplici, senza alcuna spina accessoria. Note. — Non mi è stato possibile mettere in rilievo la forma delle scaglie, avendo di questa specie esaminato un solo individuo a metà marzo. Jl Ch. decemsetosus e il Ch. succinctus Voigt (1904, pag. 141-142, tav. 6, fig. 46a-d, lav. 7, fig. 50a-b) segnano il termine di passaggio tra le forme a spine semplici, che hanno spine tutte uguali, lunghe e numerosissime, e quelle a spine con spinette accessorie, nelle quali accanto a numerose corlissime spine ne esisle un numero più o meno grande di notevole lunghezza e con speciale disposizione. 11) Chaetonotus paucisetosus, I. Marcolongo, 1910. Tav.2; fig: 15, 16. SINONIMIA — Chaetonotus paucisetotus, I. Marcolongo (1910) pag. 318. Descrizione. — È una forma piccola, che misura in totalità 95-100 p. Il capo è arrotondato e presenta a ciascun lato due incisure' lievissime, quella anteriore un po’ più accentuata, risultando così una divisione del capo in 5 lobi, uno mediano meglio individualizzato e più esteso trasversalmente, e 4 laterali piccoli, di cui quelli posteriori si continuano insensibilmente nel collo. La larghezza massima del capo è di 18 p., la minima del collo è di 13 p. Il tronco è poco giù largo del capo; quando non contiene uova, il suo massimo diametro trasverso è di 21 p; e quando esistono uova è appena di 23 p. L’esofago occupa tutta la lunghezza del capo e del collo, ossia 28 p. Il capo e il collo sono ricoperti di spine molto corte, scarse, di- sposte in 7 serie longitudinali, e si continuano anche sul tronco, e sono quasi tulle ugualmente lunghe, circa 4 p. Nella regione mediana del dorso si notano 8 lun- ghissime spine trigone, di 30 32 p, 4a destra, 4 a sinistra, disposte a ciascun lato in due serie longitudinali, e in modo che le due della fila anteriore e le due della terza fila sono più vicine alla linea mediana, e le altre più vicine al rispettivo mar- gine laterale del tronco. Ogni spina (fig. 16) porta non molto lontano dall’estremo libero, circa a ‘/; della lunghezza totale, una spinetta accessoria, ed essa stessa è impiantata non direttamente sul tegumento, ma per mezzo di una scaglia obovala, tronca posteriormente e qui ancora intaccata ad angolo acuto. Note. — Ho trovato pochissimi esemplari alla fine di maggio, qualcuno con uova abbastanza grandi. Per il numero delle lunghe spine dorsali questa nuova specie si — 16 — avvicina al Ch. longispinosus Stok. (1887, pag, 565, tav. 1, fig. 8-10) e al Ch. oc- tonarius Stok. (1887, pag. 564, tav. 1, fig. 4) ritrovato dalla Griinspan (1908, pag. 218, 219, tav. 18, fig. 6, 9); ma dall’uno e dall’altro si allontana Mii Las per la diversa disposizione e conformazione «delle spine. 12) Chaetonotus enormis, A. C. Stokes, 1888. SinoNnIMIA — Chaetonotus enormis, A. C. Stokes (1888) pag. 19, tav. 1, fig. 12. — C. Ze- linka (1889) pag. 333, 334, tav. 15, fig. 16. Di questa specie, nuova per la fauna europea, scoperta dallo Stokes negli Stati Uniti (Trenton), ho trovato soltanto due esemplari. 18) Chaetonotus acanthophorus, A. C. Stokes, 1888. SinoniMia — Chaetonotus acanthophorus, A.C. Stokes (1888) pag. 20, tav. 1, fig. 13-14. — C. Zelinka (1889) pag. 332, tav. 15, fig. 11. È una specie nuova essa pure per la fauna europea. Fu scoperta dallo Stokes nel Trenton. Note. — Ho rinvenuto un solo esemplare a fine aprile tra le lemne. 14) Chaetonotus persetosus, C. Zelinka, 1889. SINONIMIA — Chaetonosus persetotus, C. Zelinka (1889) pag. 337, 339, tav. 14, fig. 1-6. — Th. Grinspan (1910) pag. 281-282, fig. 27 a, d, 28, 29. Note.— Di questa forma ho avuto occasione di esaminare parecchi esemplari e in epoche diverse, alcuni senza uova, altri con uno o due uova bene sviluppate. Alla de- scrizione minuziosa dello Zelinka non ho nulla da aggiungere; noto scltanto che uno degli esemplari misurava 92 », quindi era alquanto più lungo di quelli osser- vali dallo Zelinka, la cui lunghezza oscillava tra i 77 e gli 81 p. 15) Chaetonotus macrochaetus, C. Zelinka, 1889. SINONIMIA — Chaetonotus macrochaetus, C. Zelinka (1889) pag. 335, 337, tav. 16, fig. 7-10. — Th. Gruùunspan (1910) pag. 279-281, fig. 250, d e 26. Note. — Un solo esemplare alla fine di maggio tra le lemne. ST Ordine Apodina, C. Zelinka (1889) Famiglia Dasydytidae E. v. Daday (1905) Genere Dasydytes, P. H. Gosse (1851) 16) Dasydytes paucisetosus, I. Marcolongo, 1910. da. fig. 18. SinoniMIa — Dasydytes paucisetosus, I. Marcolongo (1910) pag. 318. Descrizione. — É una specie molto piccola, che non oltrepassa in lunghezza 83 p. Il capo è globoso-ovale, largo 19 pw, e trapassa insensibilmeute in un collo, che nel punto più ristretto misura 16 «. Il corpo è piuttosto corto, quasi globoso, con una larghezza massima di 36 x»; l'estremità di esso è nettamente arrolondata e non presenta appendici di sorta. Sul dorso esistono presso il margine del corpo 13 setole tutte uguali, brevemente arcuate, disposte con ordine simmetrico e lunghe 20:p.; nella regione centrale si notano allre 3 setole, più lunghe, misuranti 30 p. Tutte le setole sono direttamente attaccate al legumento, senza intermediarietà di sca- glie. Mancano posteriormente peli tattili. Ai lati del capo e del collo si scorgono le ciglia vibratili, appartenenti ai nastri ventrali. La bocca è apicale; l’esofago, trasver- salmeute striato, lungo 15 È è distintamente strozzato — carattere questo che con- divide con la Sty/ochaeta fusiformis Spencer e con lAnacanthoderma punctatum |. Marcolongo. Note. — Un solo esemplare il 19 febbraio, con un grosso uovo dorsalmente. Famiglia Anacanthodermidae, I. Marcolongo (1910) Capo distinto dal tronco e privo di tentacoli. Estremità posteriore del corpo nettamente arrotondata. Tegumento affatto privo di appendici (spine, setole e squame). Genere Anacanthoderma, I. Marcolongo (1910) Capo subgloboso distinto dal tronco, senza tentacoli. Faringe strozzato nel mezzo. Estremità posteriore del corpo uniformemente arrotondata. Mancano assolutamente setole e squame. Due peli tattili dorsalmente quasi all’estremo del tronco. 18) Anacanthoderma punctatum, I. Marcolongo, 1910. Pavws23, figo17. SINONIMIA — Anacanthoderma punetatum, I. Marcolongo (1910) pag. 318. Descrizione. — É una forma graziosa, lunga 115 p, abbastanza svelta nel- l’aspetto e nelle movenze. Il capo è arrotondato, largo 24 p, e non presenta nè tentacoli, nè peli tattili. Il collo è breve, e nel punto più ristretto ha un diametro ATTI — Vol. XV—Serie 2a — N. 6. 3 CRE di 20 ». Il tronco è obovalo con grossa estremità posteriore, e presenta una lar- ghezza massima di 42 p. ; Mancano spine e scaglie, ma la cute è tutta punteggiata, come se fosse zigri- nata; la punteggialura è molto evidente sul tronco, meno al collo e meno ancora al capo. Dorsalmente, sulla linea mediana, poco in sopra dell’estremità posteriore si notano due peli tattili lunghi 30 p. L’esofago lungo 29 p, presenta una evidentissima strozzatura, che lo fa sembrare come costituito da 4 lobi, due anteriori un po’ più corti, e due posteriori alquanto più robusti, muscolosi e striati per trasverso ; una struttura quasi identica è stata notata fra i Gastrotrichi solo nella Sty/ochaeta fusi formis dallo Spencer (1890, pag. 59, tav. 5) e dallo Hlava (1904, pag. 332, fig. 1-2) e da me nel Dasydytes paucisetosus. L’intestino percorre solo i *, della lunghezza del tronco, e sbocca ventralmente con un foro circolare: esso è ripieno di grosse granulazioni giallastre e presenta nel tratto anteriore quattro grossi granuli traslucidi. Non mi è stato possibile vedere i nastri ciliati ventrali, per cui non posso dare di essi alcun connotato. Note. — Un solo esemplare nei primi di marzo 1910. PARTE GENERALE Il iago-staguo di Astroni alberga una microfauna essenzialmente neritica. Tutti i Gastrotrichi, che vi ho trovati, fanno parte di quell’ associazione di microscopici viventi, che il Lauterborn chiamò sapropelici, i quali abbondano insieme a taluni Rotiferi e Ciliofori sul fondo dello stagno e raramente si sollevano fino alla superficie tullta ricoperta da un denso strato di lemna minor, quando lo spessore dell’acqua soprastante misura appena qualche decimetro. Ciò è dovuto al fatto che i Gastrotrichi si nulrono essenzialmente di detriti organici vegetali e forse anche animali. Le specie trovate sono state 17: 1 del genere /chthydium Lo» » Lepidoderma 13 » » Chaetonotus l.> » Dasydytes Po » Anacanthoderma. Il tempo ristretto, di cui ho potuto disporre per la ricerca di questi graziosi esseri, appena otto mesi, dalla metà del novembre 1909 alla metà del luglio del 1910, non mi ha permesso di determinare in quale epoca dell’anno le diverse specie rag- giungono la loro massima frequenza, per potere oppugnare o confermare i dali dello Zelinka e del Ludwig. Un fatto però voglio far notare: due anni fa, mentre la mia collega Dott. Isa- bella Iroso studiava i Rotferi della stessa regione, faceva meraviglia il gran nu- mero di Gastrolrichi, che si trovavano in ogni goccia d’acqua; l’anno scorso, invece, non solo i Gastrotrichi sono stali abbastanza rari, ma pure gli stessi Roliferi erano molto più scarsamente rappresentali. A che cosa ciò sia dovuto, io non oso indagare, perchè le condizioni fisico-biologiche del laghetto — che appena ora comincia ad gi jo ge essere studiato — ci sono affatto ignote, e anche perché le condizioni metereologiche invernali e primaverili, sebbene variabili, sono state eccezionalmente miti, per pen- sare che abbiano esse causato questa relativa diminuzione. In linea generale. posso asserire che l’inverno, sopratutto se freddo, è poco propizio alla vita dei Gastrotrichi, la quale si esplica con un notevole torpore, e anche le uova impiegano un tempo insolitamante lungo a svilupparsi, così che non è possibile seguirne l'evoluzione sotto il microscopio. Nelle piccole vaschette del Laboratorio di Zoologia, da cui nei giorni invernali miti si potevano pescare un certo numero di Chaefonotus mazimus Ehren- berg, Chaetonotus brevispinosus Zelinka, e di Ichthydium podura 0. Fr. Miller, un semplice abbassamento di temperatura, specialmente brusco, bastava a fare scom- parire tutte Je forme per qualche giorno, le quali di mano in mano ricomparivano appena la temperatura si andava sensibilmente elevando. Ho potuto occuparmi assai poco della organizzazione e della biologia di questi piccoli esseri, ma posso nelle linee generali confermare quanto in merito ha riferito lo Zelinka e riassunto la Griinspan. Su due punli mi voglio intanto brevemente fermare: uno riguarda le uova, l’altro il preteso testicolo. Il Metschnikoff (1864, pag. 454) aveva creduto di trovare nei Gastrotrichi, così come esistono nei Rotiferi, due specie di uova, quelle invernali con guscio spesso, che vengono deposte all’esterno, e quelle estive, senza guscio, che si segmentano e si sviluppano nella cavità viscerale dell’animale adulto. Questa opinione, benché non suffragata da positive osservazioni, venne accettata dal Ludwig (1876, pag. 208; 1886, pag. 281). Coloro, che si sono posteriormente occupa dei Gastrotrichi, il Biùtschli, lo Stokes, lo Zelinka (1889) non hanno mai ritrovato queste volute uova estive, anzi già lo Schultze (1853, pag. 248, 249) aveva affermato che uno sviluppo delle uova nell’interno della madre pon si avverava mai. lo stessa ho ve- duto uova con i caratteri delle uova d’inverno in tutti i mesi dell’anno, anzi con relativa maggiore frequenza in giugno e in luglio, e quindi credo che l'affermazione del Metschnikoff, come ha già osservato lo Zelinka, si fondi su di una errata interpetrazione; non è possibile intuire che cosa il Metschnikoff abbia equivocato con uova in segmentazione, di cui ha trovato in qualche individuo fino al numero di 15; probabilmente si tratta di protozoi in fase di moltiplicazione. L’uovo deposto ha sempre nel profilo la forma di un’ellisse, ma l’asse maggiore supera talvolta di poco l’asse minore. La membrana, che lo riveste, assai flessibile, è però poco resistente ed è ora affatto liscia (fig. 19), ora tutta ricoperta di rugosità granulari (fig. 24), ora, più spesso, rivestita di spine (fig. 26 e 27), di papille cilindriche più o meno lunghe (fig. 28) o di peli (fig. 25); queste diverse ornamentazioni alcune volte si riscontrano per tutta la superficie dell’uovo (fig. 24, 25, 28), e perciò è esagerata l'affermazione dello Stokes (1887, pag. 83), secondo cui uno dei lati della mem- brana è costantemente privo di difesa; altre volte le spine o le altre produzioni protettrici sono limitate ad un sol lato (fig. 26, 27), 0, secondo lo Stokes, ai due poli, ciò che lo Zelinka nega a torto (1889, pag. 279). Io non ho potuto de- terminare con sicurezza a quale specie appartenessero le diverse uova da me trovate e sopra riportate; sono convinta che le diverse modalità enumerate debbano avere carattere costante rispetto alla specie, alla quale appartengono, per cui sono daccordo con lo Zelinka nel ritenere inesatta l’osservazione dello Stokes, il quale vorrebbe ai (pag. 83) far credere che la stessa specie possa deporre uova, la cui ornamentazione varii grandemente, come un reticolo di linee sporgenti o di papille pentagonali cave, o di lunghe spine con estremità triforcata o quadripartita. Il Ludwig ritiene (1875, pag. 218) che lo sgusciamento del piccolo Gastrotrico non abbia luogo in modo regolare, ossia con il meccanismo di uno speciale opercolo; l'uovo si lace- rerebbe in uno dei poli, ove trovasi il capo dell'animale, unicamente perchè la mem- brana resasi quivi più debole verrebbe lacerata dalle spine dorsali nei movimenti del piccolo animaluccio a termine di sviluppo. Questo è vero, ma non in tutti i cast: io ho assistito alla fuoriuscita di un piccolo Chaetonotus (fig. 19), probabilmente il Chaetonotus macrochaetus Zelinka, il quale, dopo di aver con la bocca lambito tut- t'intorno il polo corrispondente dell’uovo, falta una pressione col capo, era riuscito a distaccare e sollevare una piccola calotta polare, una specie di opercolo, non com- pletamente separato dal rimanente dell’uovo, sgusciando immediatamente fuori e per- dendosi a nuoto in mezzo al detrito organico e minerale e all’intreccio delle oscillarie della goccia d’acqua in esame. L’Ehrenberg aveva in via ipotetica ammessa come possibile l’esistenza di un testicolo nei Gastrotrichi (1838, pag. 387). A questa ipotesi avevano creduto dare un fondamento obiettivo lo Schultze (1853, pag. 249) e il Metschnikoff (1874, pag. 454) e il Bi lschli (1876, pag. 369); ma ciò che hanno veduto e descritto questi studiosi è così problematico da non potersi in nessun modo accellare come dimostra- zione di fatto per l’esistenza della gonade maschile. Il Ludwig (1878, pag. 208, 209, 217; 1886, pag. 821) ha descritto nel Chaetonotus larus Ehrenberg e nell’Zchtydium podura Mueller un organo speciale in prossimità della porzione posteriore dell’ inte- stino, che per posizione e forma corrisponderebbe a quanto io ho veduto (fig. 9, 10) nel Chaetonotus brevispinosus Zelinka (= Chaetonotus larus Stokes), ove era stato già notato dallo Stokes. Un organo identico è stato visto dallo Zelinka (1889, pag. 279, 280) nel Chaetonotus persetosus Zelinka e nel Lepidoderma squamatum Dujardin e non soltanto in individui giovani, ma anche in quelli porlanti un grosso uovo, ciò che io posso pienamente confermare (tig. 10), e aggiungo che la presenza dell’organo problematico è affatto indipendente dalla fase evolutiva, in cui si lIrovano gli ovarii. Naturalmente la questione del testicolo ha messo anche in campo il problema dei sessi nei Gastrotrichi : lo Schultze aveva parlato di ermafrodilismo, ma il Metsehni- koff sostenne la separazione dei sessi, iu altri termini il dimorfismo sessuale, che è stato pure accettato dal Ludwig e anzi riguardato come di natura proterandra. Non è possibile allo stato delle nostre conoscenze affermare se i Gastrotrichi siano o no ermafroditi, e quale sia la nalura «li questo ermafrodilismo, o se essi siano sessualmente dimorfi. Già come fa notare lo Zelinka, la proterandria ver- rebbe per sè stessa a cadere, non essendo raro che si trovino insieme in uno stesso animale l'uovo ovarico a completo sviluppo e il preteso testicolo; però è arrischiata l’attribuzione di testicolo ad un organo, sulle cui proprietà e funzioni nulla assolutamente si conosce, che in qualche caso si ritrova, ma che per solito è assente. lo credo che questo strano organo — notato per la prima volta dal Ludwig, e sul quale hanno portato la loro attenzione lo Stokes e lo Zelinka — non ap- partenga affatto alla normale organizzazione dei Gastrotrichi, e sia piuttosto qualche ESSO} ta dal di fuori, in altri termini un parassita. Il Bertram (1892), il Bil- 1894), lo Zacharias (1893), il Fritsch (1895, 1901), il Przesmycki il Rousselet (1902), il Cohn (1902), il Voigt (1905) hanno avuto agio 5, fig. 7 b), sporozoo, che ebbe dallo Zacharias (1903) l’appellativo di Asco- lium Blochmanni, e dal Voigt (1905) — conformandosi alle norme della no- atura zoologica — quello di Ascosporidium asperospora Fritsch. Se sia la stessa di parassita non oso affermare, certamente però sarebbe una forma assai Pr: I Pac a 1838. 1909. INDICE BIBLIOGRAFICO Apstein C., Das Susswasserplankton. Methode und Resultate der quantitativen Untersuchung. Kiel u. Leipzig. Bertram A., Beitràge zur Kenntnis der Sarcosporidien, nebst einem Anhange ùber parasitische Schltuche in der Leibeshòhle von Rotatorien. Z. Iahrb. (Anat. Ont.) pi Bd. 5, pag. 581-604; tav. 38-40. Bilfinger L., Zur Rotatorienfauna Wuùrttembergs. 2 Beitrag. Iahresh. Ver. vaterì. Naturk. Wuùrttemberg. 50 Iahrg.; pag. 35-65; tav. 2-3. Blochmann Fr., Die mikroskopische Tierwelt des Siùsswassers. Braunschweig. Bory de St. inch I. B., Encyclopédie méthodique des vers. Paris. -— — Essay d’une classification des animaux microscopiques. Paris. Butschli O., Untersuchungen uber freilebende Nematoden und die Gattung Chae- tonotus. Z. w. Z. Bd. 26; pag. 363-413; tav. 23-26. Collin A. Rotatorien, Gastrotrichen und Entozoen Ost-Afrikas. Deutsch. Ost- Afrika, Bd. 4. (Citato da v. Daday e Grùnspan). Cohn L., Protozoen als Parasiten in Rotatorien. Z. A. Bd. 25; pag. 497-502. Corti B., Osservazioni microscopiche sulla Tremella. (Citato da Ehrenberg). Daday I., Ichthydium Entzii, mihi, a kolozsvàri édesvizi fauna egy iy alakia. Termész. filzetek, vol. 5; pag. 230-252; tav. 3. Daday E. v., Beitrige zur Kenntnis der Mikrofauna der Tàtra-Seen. ibid., vol. 20; pag. 149-196. — — Uj Guineai Rotatoriàk, (Rotatoriae Novae Guineae). Mathem. term.-tud. Értes. vol. 15; pag. 131-148. -— — Mikroskopische Sùsswasserthiere ans Deutsch-Neu-Guinea. Termézs. fuù- zet. vol. 24; pag. 1-56; tav. 1-3. — — Mikroskopische Sùsswasserthiere. Zool. Ergebn. der 3 asiat. Forschungs- reise d. Grafen Zichy. Bd. 2; pag. 375-470; tav. 14-28. — — Untersuchungen ùber die Sùsswasser-Mikrofauna Paraguays. Zoologica. Bd. 18; Heft 44, pag. 1-374, tav. 1-23. — — Die Susswasser-Mikrofauna Deutsch-Ost-Afrikas. Zoologica, Bd. 23; Heft 59. Dujardin F., Histoire naturelle des zoophytes. Infusoires. Paris. 9. Ehrenberg C. G., Die geographische Verbreitung der Infusionsthierchen in Nord- Afrika und West-Asien, beobachtet auf Hemprich und Ehrenbergs Reisen. Phys. Abh. k. Akad. Wiss. Berlin a. d. I. 1829; pag. 1-20. — — Beitrige zur Kenntnis der Organisation der Infusorien und ihrer geogra- phischen Verbreitung besonders in Sibirien. ibid. a. d. I. 1880; pag. 1-88. — — Ueber die Entwicklung und Lebensdauer der Infusionsthiere nebst ferne- ren Beitr:igen zu einer Vergleichung ihrer organischen Systeme. ibid. a. d. I. 1831; pag. 1-154. — — Die Infusionsthierchen als vollkommene Organismen. Ein Blick i in das tie- fere organische Leben der Natur. Nebst Atlas. Leipzig. Eyferth B., Einfachste Lebensformen des Tier-und Pflanzenreiches. Naturge- schichte der mikroskopischen Silsswasserbewohner. Braunschweig. 1895. 1894. 1897. 1901, 1904. 1904. 1851. 1864. 1877. 1908. 1910. 18831. 1904. 1885. 1886. 1891. 1901. 1906. 1841. 1815. 1910. lp > Fernald C. H., Notes on the Chaetonotus larus. Americ. Naturalist vol. 17, pt. 2; pag. 1217-1220. P Forel, F. A., Faunistische Studien in den Sùsswasserseen der Schweiz. Z. w. Z. Bd. 30 Suppl. pag. 383-391. Fritsch A., Ueber Parasiten bei Crustaceen und Raederthieren der sussen Ge- wiasser. Bull. internat. Acad. sc. de l’empereur Francois Ioseph I. CI. sc. mathém. et nat. II KI., vol. 4; 7 pgg. Fric A. u. Vavra, V., Untersuchungen ùber die Fauna der Gewasser Bihmens. IV. Die Thierwelt des Unterpocernitzer und Gatterschlager Teiches als Resultat der Arbeiten an der ùbertragbaren zoologischen Station. Arch. Naturw. Lan- desdurschf. Bohmen, Bd. 9, n. 2, 124 pgg. — — — — Untersuchungen ùber die Fauna der Gew:isser Bohmens. Unter- suchung zweier Bohmerwaldseen, des schwarzen und des Teufelsees. Arch. Na- turw. Landesdurschf, Bòohmen. Bd. 10, 74 pgg. — — — — Untersuchungen ùber die Fauna der Gewisser Bohmens. 5. Un- tersuchung des Elbeflusses und seiner Altwisser durchgefuhrt auf der ùber- tragbaren zoologischen Station. ibid. Bd. 11. Giard A., Sur une faunule caractéristique des sables à diatomées d’Ambleteuse. II. Les Gastrotriches normaux. C. R. soc. biol. vol. 56, pag. 1061-1063. — —. Sur une faunule caractéristique des sables A diatomées d’Ambleteuse. III. Les Gastrotriches aberrants. lbid., pag. 1063-1065. Gosse P. H. A catalogue of Rotifera found in Britain, with descriptions of five new genera and thirty-two new species. Ann. Mag. nat. hist. (2) vol. 8, pag. 197-203. — —- The natural history of the hairy-backed animalcules (Chaetonotidae). In- tellectual Observer, vol. 5; pag. 387-406: tav. 1, 2. (Citato da Zelinka). Grimm O. A., Zur Kenntuis der Fauna im baltischen Meere und deren Entste- hungsgeschicte. [in lingua russa]. Arb. St. Petersb. Naturf. Ges. Bd. 8; Grùnspan Th., Beitrige zur Systematik dar Gastrotrichen. Mit besonderer Be- rucksichtigung der Fauna aus der Umgebung von Czernowitz und der marinen Gastrotrichen. Z. Iahrb. (Syst.) Bd. 26; pag. 214-256; tav. 18-19. — — Fauna aquatica Europeae. Die Sùsswasser-Gastrotrichen Europas. Ann, biol. lac. tom. 4; pag. 215-365. Hemprich Fr. W. et Ehrenberg C. G., Symbolae physicae. Pars Zoologica. Ser. I. IV. Animalia Evertebrata, exclusis insectis (recensuit Dr. C. G. Ehren- berg). Berolini. L’atlante venne pubblicato prima del testo nel 1828]. Hlava St., Ueber die systematische Stellung von Polyarthra fusiformis Spencer, Z. A. Bd. 28; pag. 831-336. Imhof O. E., Faunistische Studien in 18 kleineren und gréòsseren ésterreichi- schen Sùsswasserbecken. Sitz. Ber. Akad. Wiss. Wien, math.-naturw, CI. Bd. 91, Abt. 1; pag. 211-225. — — Neue Resultate ùber die pelagische und Tiefsee-Fauna einiger im Fluss- gebiet des Po gelegener Sùsswasserbecken. Z. A. Bd. 9; pag. 41-47. — — Ueberdie pelagische Fauna einiger Seen des Schwarzwaldes. Z. A. Bd. 14; Issel R., Studi sulla fauna termale euganea. (Nota preventiva) Atti Soc. ligust. sc. nat. geogr. vol. 12; 7 pgg. — —. Sulla termobiosi negli animali acquatici. Ricerche faunistiche e biologiche. ibidiyolzdta pae 173; .tav. 1. Kutorga S., Naturgeschichte der Infusionsthiere, vorzùglich nach Ehrenberg”s Beobachtungen. Mit 1 Atlas. Carlsruhe. Lamarck I. B. P. de, Histoire naturelle des animaux sans vertèbres. tom. 1. Paris. Lampert K., Das Lsben der Binnengewiisser. Leipzig. 1865. 1865. 1773. 1817. 1827. 1896. 1849. 1852. 1861. 1901. 1902. 1902. 1886. 1861. 1853. 1878. 1890, PI PENE Lauterborn R., Betràge zur Rotatorienfauna des Rheins und seiner Altwasser. “A Z. Iahrb. (Syst.) Bd. 7; pag. 254-273; tav. 11. 3 — — Die sapropelische Lebewelt. Z. A. Bd. 24; pag. 50-55. Ludwig H., Ueber die Ordnung Gastrotricha Metschn. Z. w. Z. Bd. 26; pag. 193- 226; tav. 14. Leuckart R., Bericht iber die Leistungen in der Naturgeschichte der niederen — Tiere wihrend der Iahre 1848-53. Arch. Naturg. Iahrg. 20; Bd. 2; pag. 289-473. Maggi L., Primo elenco dei Rotiferi o Sistolidi della Valcuvia. Atti Soc. Ital. sc. nat. Pavia, vol. 21; pag. 320. Studj Laborat. Anat. Fisiol. comp. Pavia, ann. 1878, n.° 7. Marcolongo, I., Primo contributo allo studio dei Gastrotrichi del lago-stagno craterico di Astroni. Monit. Zool. ital., vol. 21, pag. 315-318. 5 Mecnicow E., Ueber einige wenig bekannte niedere Tierformen. Z. w. Z. Bd. 15; pag. 450-465; tav. 35. Mueller O. Fr., Animalcula infusoria, fluviatilia et marina, quae detexit, syste- matice descripsit et ad vivum delineari curavit; op. posthum. cura O. Fabri- cii. Hafniae et Lipsiae. — — Vermium terrestrium et fluviatilium, seu animalium infusoriorum, hel- minthicorum et testaceorum, non marinorum succineta historia, vol. 1. Havniae et Lipsiae, Nitzsch Chr. L., Beitrag zur Infusorienkunde oder Naturbeschreibung der Zer- karien und Bazillarien. N. Schr. naturf. Ges. Halle Bd. 3, Heft 1; 6 tav. — — Cercaria, in Erscherisch u. Gruber’s Allg. Encycl. d. Wiss. u. Kunste, Leipzig. Theil 16, pag. 66-69. Parsons F. A., Report of excursion Committee. List of objects found on the ex- cursions. Iourn. Queck. mier. Club London (2) tom. 6; pag. 391. Perty M., Mikroskopische Organismen der Alpen und der italienischen Schweiz Mittheil. naturf. Ges. Bern a. d. I. 1849; pag. 153-176. — —. Zur Kenntnis kleinster Lebensformen mit Spezialverzeichniss der in der Schweiz beobachteten. Bern. Pritchard A., A history of Infusoria, including Desmidiacea and Diatomacea, 4 edit. Przesmycki A. M., O paru rodzajach pierwot niakéw, pasozytujacych we wrot- kach (Ueber parasitische Protozoen aus dem Inneren der Rotatorien) Bull. in- ternat. Acad. sc. Cracovie, C. rend. d. séances de l’année 1901. Cl. sc. mathém. et nat. pag. 358-408; tav. 16-18. Rousselet Ch. Fr., The genus Synchaeta a monographie study, with descriptions of five new species. Iourn. r. micr. soc. 1902; pag. 269-290, 393-411; tav. 3-8. Saizeff Ph., Kurzer Bericht ùber die Tatigkeit der biologischen Siùsswassersta- tion zu Bologoje im Iahre 1901. Trav. Soc. imp. nat. St. Pétersbourg. C. R. d. sèances. ) Schimkewitsch W. M., Ueber eine neue Species Ichthydium (in russo). Nachr. K. Ges. Freunde Naturw. Moskau, Bd. 50, Protok. Zool. Abt. pag. 148-150. Schmarda L. K., Neue wirbellose Thiere beobachtet und gesammelt auf einer Reise um die Erde 1853 bis 1857. Bd. 1 (Turbellarien, Rotatorien und Anneli- den). Leipzig. Schultze M., Ueber Chaetonotus und Ichthydium Ehrb. und eine neue verwandte Gattung Turbanella. Arch. Anat. Physiol. wiss. Med. Iahrg. 1853; pag. 241-254; tav. 6. Slack H., Marvels of pondlife or a year's microscopic recreations among the Po- lyps, Intusoria, Rotifers, etc. 3 edit. London. Spencer T., On a new Rotifer. Iourn. Quek. micr. club. (2) vol. 4; pag. 59; tav. 5, fig. 7-9. . ea 4 si “è RI Tie Sa LIA “Ue DI a IL Ma 447 a } “i R n i PRSL7 vo CIR SA x 9 PEA pi DI È L'IRGARE 11 Li A? Stewart F. H., Rotifer and Gastrotricha from Tibet. Rec. Ind. Mus. Calcutta, vol. 2; pag. 316-323. Stokes A. C., Observations sur les Chaetonotus. Iourn. microgr. tom. 11; pag. 77-85, 150-153, 560-566; tav. 1, 2. - — — Observations sur les Chaetonotus et les Dasydytes. ibid. tom. 12; pag. 19-22, 49-51; tav. 10. Tatem T. G., New species of microscopic animals. Q. journ. micr. sc. (2) tom. 7; pag. 251-253; tav. 10. Thompson P. G., A new specis of Dasydytes. Order Gastrotricha. Science Gossip ann. 1891; pag. 160-162. Voigt M., Ueber einige bisher unbekannte Sùsswasserorganismen Z. A. Bd. 24: pag. 191-195. — — Diagnosen bisher unbeschriebener Organismen aus Plòner Gewdissern. ibid. Bd. 25; pag. 35-39. — —. Drei neue Chaetonotus-Arten aus Ploner Gewzissern. Ibid. pag. 116-118. — —. DieRotatorien und Gastrotrichen der Umgebung von Plon. ibid. pag. 673-681. — — Eine neue Gastrotrichenspecies (Chaetonotus arquatus) aus dem Schloss- parkteiche zu Plòn Forschungsber. biol. Stat. Plòn, Bd. 10; pag. 90-93. — — Die Rotatiorien und Gastrotrichen der Umgebung von Plòn. ibid. Bd. 11: - pag. 1-180; tav. 1-7. . — — Nachtrag zur Gastrotrichen-Fauna Plòns. Z. A. Bd. 34; pag. 717-722. Wagner, F. v., Der Organismus der Gastrotrichen. Bicl. CIbl. Bd. 13, pag. 223-238. Zacharias O., Die niedere Thierwelt unserer Binnenseen. Sammlung gemein- verst. wiss. Vortr. Heft. 90. Hamburg. — — Die Thîer-und Flanzenwelt des Sisswassers. Leipzig. — —. Faunistische und biologische Beobachtungen am Grossen Plòner See. For- schungsber. biol. Stat. Plon. Teil. 1, pag. 3-13. — — Beschreibung der neuen Formepn. ibid. pag. 13-26. — — Fauna des grossen Ploner See. Biol. Clbl. Bd. 13; pag. 377-382. — — Allerlei uber Wirmer. Forschungsber. hiol. Stat. Plon. Teil 2; pag. 60-62, 69, 83-87. — — Untersuchungen ùber das Plankton der Teichgewisser, ibid. Teil 6; pag. 137. — — Zum Capitel der wurstfirmigen Parasiten bei Raderthieren. Z. A. Bd. 25; pag. 647-649. — — Ueber die Infektion von Synchaeta pectinata Ehrb. mit den parasitischen Schliuchen von Ascosporidium Blochmanni. Forschungsber. biol. Stat. Plon, Teil 10; pag. 216-222. — — Hydrobiologische und fischereiwirtschaftliche Beobachtungen an einigen Seen der Schweiz und Italiens. ibid. Teil 12; pag. 169-302. Zelinka C., Die Gastrotrichen. Eine monographische Darstellung ihrer Anato- mie, Biologie und Systematik. Z. w. Z. Bd. 49; pag. 209-384; tav. 9-15. finita di stampare il dì 17 Ottobre 191f ATTI — Vol. XV—Serie 20 — N. 6. (e 23. 24-28. Uova di Chaetonotus sp. x 750. DPOLIUAWONE SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE TAVOLA l. Chaetonotus hirsutus I. Marcolongo visto dal dorso. x< 750. Lo stesso visto di lato. x< 750. Scaglia con spina dello stesso. >< 1500. Chaetonotus laroîdes I. Marcolongo visto dal dorso. x< 750. 6. Scaglie e spine dello stesso. >< 1500. Chaetonotus decemsetosus I. Marcolongo visto dal dorso. >< 700. Lo stesso visto di lato. < 700. + Chaetonotus brevispinosus C. Zelinka col preteso testicolo. >< 500. RL Regione posteriore dello stesso con un grosso uovo e il preteso testicolo. x 750. TAVOLA 2. Chaetonotus nodifurca I. Marcolongo visto di lato. >< 500. Lo stesso visto dal dorso. x< 500. Estremità forcale dello stesso con le omonime appendici. >< 700. Chaetonotus minimus 1. Marcolongo visto dal dorso. x< 750. Chaetonotus paucisetosus I. Marcolongo visto dal dorso. x< 750. Scaglia con spina dello stesso. x< 750. Anacanthoderma punctatum I. Marcolongo visto dal dorso. x< 750. e Dasydytes paucisetosus I. Marcolongo visto dal dorso. x 750. SL Uovo di Chaetonotus (macrochaetus Zelinka?) con il piccolo in atto di sgu- sciare. X< 750, : TAVOLA 3. Lepidoderma rhomboides A. C. Stokes visto dal dorso. x< 350. Segmento posteriore dello stesso molto ingrandito, x 1200. Appendici forcali dello stesso. < 700. Capo dello stesso. x 700. / \ VIA, Ò rai 5 AE de S0A ana I Ut ii TONER 4A PARE: cr L'ceniiiai ari + DAGTA e Ferrari-Favie Lit Tacchinardi FAUNA DEGLI ASTRONI (Gastnotnichi ) n » » x» O % DA VAAV Sr HW N È Giri 23 4) =— =_= > VA NI a N 7 i go NS N NS b, Ò 7, Y Ì = d7 ì \ \NL DN N FAUNA DEGLI ASTRONI Lit. Tacchinardi e Ferrarì Favia (Gastrobnichi) Vol. XV, Serie 2. N° 7. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE I GRUPPI CREMONIANI DI NUMERI MEMORIA del s. o. DOMENICO MONTESANO presentata nell'adunanza del dì 1° Aprile 1911 Ab imis fundamentis. Per poter dare base più sicura e svolgimento più ampio alla teoria generale delle trasformazioni birazionali piane è necessario innanzi tutto studiarne metodica- mente il sostrato aritmetico. È noto che in ogni corrispondenza birazionale fra due piani si presentano due reti omaloidiche del medesimo ordine n, una in ogni piano. Gli ordini di multi- plicità dei punti base di ciascuna delle due reti soddisfano alle relazioni : Sr=3-1) , 2r=n—-1; essi cioè costituiscono — come per ragione di brevità stabilisco di dire — un gruppo cremoniano geometrico di ordine n. Di fianco a questi gruppi geometrici vi sono gruppi cremoniani semplicemente aritmetici di ordine n, gruppi cioè costituiti da numeri interi e positivi che, pur soddisfacendo alle predette relazioni, non risultano essere gli ordini di multiplicità dei punti base di una rete omaloidica. Ora una prima quistione fondamentale, che occorreva risolvere, era di determi- mare un criterio uniforme e sicuro per distinguere i gruppi cremoniani geometrici da quelli semplicemente aritmetici. Questa determinazione doveva sembrare opportuna specialmente nelle ricerche fatte con indirizzo aritmetico, nelle quali la questione geometrica delle trasformazioni era ridotta ad un semplice problema di analisi in- determinata. Invece si preferì sempre far uso di criteri intuitivi non ben determinati. ATTtI— Vol. XV— Serie 204 — N. 7. Il TS Roia Si la solution... cherchée, dice il De Jonquières ‘), doit étre géo- métrique, on devra, une fois la solution arithmétique obtenue, vérifier si elle satisfait a des conditions que la thèorie générale des courbes fait connaître avec précision, par un controle dont la théorie des transformations Cremona fournit le moyen facile et presque intuitif » parole queste che nella loro indeterminazione non dànno alcuna | luce sull’argomento. i Nella Memoria Su le reti omaloidiche di curve *) io indicai un criterio molto semplice per riconoscere se un dalo gruppo cremoniano sia geometrico *), criterio che ha origine dal noto procedimento di Clifford per ridurre una qualsiasi rete oma- loidica ad una rete di rette mediante successive trasformazioni birazionali quadra- liche, di cui ciascuna produce il maggiore abbassamento possibile nell'ordine della rete ‘). Questo criterio che indicai brevemente nell’introduzione della mia Memoria, si fonda esclusivamente sulla proprietà che: Dato un gruppo cremoniano geometrico G'=r,rtt,...r, di ordine n>1, se dai tre maggiori termini del gruppo si toglie la differenza e=(r,4r,tr) —D, che pel teorema di Noether °)- Rosanes “) è maggiore di 0, il nuovo gruppo G°* che ottienesi, è anche esso un gruppo cremoniano geometrico di ordine n'=n—e. Questo gruppo G*" di ordine n'0, 0 del simbolo eni. agli... al per a>0. Ogni numero «,> 0 si dirà che è un coefficiente del gruppo G,. 1) Ad esempio, la sig.r® Larice nella Nota: Sulle trasformazioni cremoniane (Atti del R. Isti- tuto Veneto, Tom. LXVIII, 1908-1909) nell’applicare il suo metodo alla determinazione dei varii | tipi di reti omaloidiche di 14° e 15° ordine, non ottiene tutti i tipi possibili e propriamente dei 51 tipi di 14° ordine ne ottiene soltanto 48 e dei 63 tipi di 15° ordine ne ottiene soltanto 54. Vegg. la nota del $ 18 della presente Memoria. Nè certo la duplice proiezione di una superficie di Veronese fatta su due piani generici dello iS ambiente da due piani, di cui ciascuno contenga una conica o una terna di punti della super- fici è preferibile all’uso diretto della ben nota corrispondenza birazionale che ne risulta fra i due | piani iconici. “sa Per le reti omaloidiche di ordine < 13 sarà opportuno ricordare che tutte quelle di ordine La. 3,..., 10 furono ottenute da Cremona, esclusa soltanto la rete corrispondente al gruppo e, =34 3/2 3/1 che fu indicata da Cayley (Not. cit., $ 64). Le reti omaloidiche di ordine 12 e 13 furono indicate da De Jonquières (Not. cit.), mentre | quelle di ordine 11 e le corrispondenti jacobiane sono indicate nel $ 18 della mia Memoria già gitata. È L’elenco dei 17 tipi di reti omaloidiche di ordine 10 dato da Cremona è completo, epperò non ha ragione di essere l'affermazione di Kantor che nel predetto elenco manchi la rete corri- — spondente al gruppo G,,=1/5 3/4 2/3 2/2 (Vegg. Kantor, Premiers fondements pour une théorie des transformations périodiques univoques. Atti di questa Accademia, Serie II, vol. I, pag. 204). sd | Anteriormente Ruffini nell’applicare il metodo generale da lui esposto (Sulla risoluzione delle due quazioni di condizione delle trasformazioni cremoniane delle figure piane. Memorie dell’Accademia delle o Scienze dell’ Istituto di Bologna, Serie III, tomo VIII, 1877) alla determinazione dei varii tipi di reti maloidiche di ordine n = 10 già ottenuti da Cremona, dopo calcoli assai laboriosi (pag. 477-487) znò 18 soluzioni geometriche delle equazioni cremoniane per n= 10, mentre una di queste ioni, e propriamente la 15%: G,,= 1/6 1/4 5/3 2/1 (pag. 483) è semplicemente aritmetica, e I numeri r,,7,,...7, si diranno rispettivamente 1°,2°,...p®° termine del gruppo. : Il gruppo caratteristico di una rete omaloidica di ordine n, il gruppo cioè co- stituito dagli ordini di multiplicità dei punti base della rete, è un gruppo cremoniano di ordine n. La proposizione inversa non è vera; ad es. il gruppo G,=2/3 6/1 è cremo- niano di ordine 5; mentre non esiste alcuna rete omaloidica che abbia per gruppo caratteristico il gruppo in esame, non esistendo alcuna linea non degenere di 5° or- dine che presenti due punti tripli. Perciò un gruppo cremoniano di ordine n si dirà geometrico o semplicemente aritmetico, secondochè esiste o no una rete omaloidica che abbia per gruppo carat- teristico il gruppo dato. In generale un gruppo cremoniano di ordine n, nel quale i due termini di maggior valore diano somma maggiore di n, è semplicemente aritmetico. Il maggior termine di un gruppo cremoniano di ordine n non è superiore ad n—1; perciò esiste un unico gruppo cremoniano di 1° ordine ed è il gruppo co- stituito da zeri. Così in un gruppo cremoniano di 2° ordine ogni termine maggiore di zero è uguale ad 1. Il numero di questi termini è fre; cioè esiste un unico gruppo cre- moniano di 2° ordine, ed è il gruppo G,= 3/1. In generale, se il maggior termine di un gruppo cremoniano G,=fMf,...F, è n—1, per i restanti termini r,,...r, del gruppo si hanno le seguenti relazioni : P +, t:--4,=2(e—-1), ra 4+r+...+r, =n-(n_-1}°—1=2(n—-1); onde è necessariamente Dunque l’unico gruppo cremoniano di ordine n che comprende il numero n—1l, è il gruppo G,=ln—-1 2(n—-1)1. Esso si dirà zsologico. 2. Un gruppo cremoniano G,=r,...r, si dice simmetrico se i numeri che lo costituiscono sono tutti fra loro eguali. Indicando con r il valore di uno di tali numeri, si avrà che pr=3(nT—1), pro=n*—1; onde nas IPS Ponendo questo valore nella prima eguaglianza, si ha: n_- 1 18 n= 9 = eee o RS 0 LI onde il numero n 4-1 deve essere un divisore di 18; e però non tenendo conto del gruppo di 1° ordine, i casi possibili sono i seguenti : n+1=3, cioè n=2, nel qual caso è So edo sr ME ei dd» » AI i senior 8,0» » p=7 » r=3; Sedia 17,_» >» » p= pene 007 cioè £ gruppi cremoniani simmetrici di ordine superiore ad 1 sono i seguenti : fiale 0/20, G,=7/3°, G,=8/6 '). Ne segue che un solo gruppo cremoniano è costituito da termini tutti eguali ad 1, ed è il gruppo di 2° ordine. Un gruppo cremoniano di 3° ordine, per quanto ora si è detto, deve contenere almeno un termine eguale a 2, e però è necessariamente isologico. Dunque esiste soltanto un gruppo cremoniano di 3° ordine ed è il gruppo iso- logico G,=1/2 4/1. In generale un gruppo cremoniano di ordine n nel quale ogni termine sia eguale ad 10adn— 1, è isologico. 3. In un gruppo cremoniano G=r,...r, di ordine n>1, il numero p dei ter- mini non è superiore a 2 — 1, e raggiunge tale limite soltanto se il gruppo è isologico. lufatti, dalle due eguaglianze: Mr=3(—-1) ; ELET moltiplicando la prima per n e sottraendo la seconda, si deduce che Mrn—-r)=n—-1)2n-1). 1) Il primo che si propose di determinare i vari tipi di gruppi simmetrici G,=p/r fu il Ruffini, Mem. cit., pag. 462. n—_1 E 2 Ponendo n= 31 — 1, Ruffini mutò la relazione p=9 "mm nell’altra p= 3(3 —_ n) e ne n concluse che pw, potesse avere soltanto i valori 1,2. Le reti omaloidiche corrispondenti agli altri due valori possibili 3,6 di p, erano già state anche esse ottenute, l'una da Cremona (Mem. cit., pag. 279), l’altra da Bertini, Sopra una classe li trasformazioni univoche involutorie. (Annali di Matematica, Serie II, vol. 8, 1877, pag. 11, 146, 244). Vegg. pure: Salmon, Analytische Geometrie der héòheren ebenen Kurven (Leipzig 1882, pag. 397). 8a Ora ogni prodotto r,(n — r,) è uguale o maggiore di 2 —1, secondochè r, è 3 o no eguale ad 1 o ad n— 1. Perciò è (n_b)os(n_-1)(n_-1), cioè DPDE2M-1, Il caso dell’eguaglianza si ha soltanto se ogni termine del gruppo è eguale ad 1oadn—1, cioè si ha soltanto pel gruppo isologico; e ne segue il teorema. Ulteriormente può notarsi che: Fra i gruppi cremoniani di ordine n>2, il solo che presenti 2(n — 1) termini eguali ad 1, è V'isologico. Tutti gli altri ne hanno I un numero minore !). Infatti un gruppo cremoniano G di ordine n>2 che comprenda 2(n —1) termini eguali ad 1, non è costituito esclusivamente da tali numeri ($ prec.), sicchè necessariamente esso ha il massimo numero di termini e quindi risulta isologico. 4. Dati p numeri r,,...7,, indicando con S la loro somma e con Q la somma dei loro quadrati, si ha che dra =S-Q. i1 — e d’ora in avanti, salvo esplicita dichiarazione in contrario, si supporrà che tale condizione si verifichi — sarà sgferd f 2) nH 1 = p '8) Cfr. Cremona, Mem. cit., pag. 363. !*) Vegg. Memoria Sw le reti omaloidiche $ 6. In tutti i teoremi riguardanti il numero dei ter- mini di un gruppo cremoniano s’ intenderà sempre di parlare dei termini maggiori di zero. - Mer- eg rn ; ter Puea “i 3) il caso dell’eguaglianza si avrà soltanto per i gruppi simmetrici. Si è già visto che per n=2 è p==3. Ora dalla 3) si deduce che: Msc n >2 è p>3, — » m>5 o sen—=5 senza che il gruppo sia simmetrico, » p>6, Men > >» n_=8 » » » » » Ip, e > n =17 » » » » » di pr 86: _ E si conclude che: Ogni gruppo cremoniano simmetrico ha un numero di termini tore a quello di qualsiasi gruppo cremoniano di eguale o maggiore ordine. Il teorema del $ 3 e quello dato dalla relazione 2) possono riunirsi nella se- nie proposizione : Il numero dei termini di un gruppo cremoniano di ordine n è compreso fra i 5 n—l eni le 6 1, n+1l° gruppo sia isologico 0 simmetrico. A questa proposizione sono da aggiungere le seguenti : Il maggior termine di un gruppo cremoniano G,=r,...t, è compreso fra i limiti e raggiunge rispettivamente questi valori soltanto nel caso che x LI e raggiunge rispettivamente questi valori soltanto nel caso che il gruppo isologico 0 simmetrico. ne che GS LIE hi ’ sa 1)r,2n—-1, È È Il caso dell’eguaglianza si ha sollanto se r, =r,=...=f,, Se cioè il gruppo è simmetrico, e però ne segue il teorema. In un gruppo cremoniano esistono al più 8 termini fra loro eguali che hanno maggior valore dei rimanenti '). 105). Cfr. Kantor, Mem. cit., pag. 12. La dimostrazione di Kantor si fonda sulla proprietà 3 n sufficientemente chiarita che per determinare una curva piana di ordine 3,4,5 occorrono ettivamente almeno 7,8,9 punti. 1%) Cfr. Noether, Zur Theorie der eindeutigen Ebenen trasformationen. (Mathematische Annalen, vol. 5°, pag. 636). A x Vegg. pure: Salmon, Analytische Geometrie der hoheren ebenen Kurven. (Leipzig, 1882, P: a ch 396). |‘) Vegg. Memoria Su le reti omaloidiche $ 1, 4°. Tenendo conto della definizione data di coeffi- e di un gruppo cremoniano, si può anche dire che: Il primo coefficiente di un gruppo cremoniano euperiore ad 8. Questa proposizione fu dimostrata da Ruffini soltanto per i gruppi semisim- ci, per i gruppi cioè del tipo: G,=a/r, a/r" Mem. cit., pag. 464. ATTI— Vol. XV — Serie 20 N. 7. 2 4 dee Pn Call n ) SATIRO EZA rs è) es ii x Ù la pa: 7 hi — 10 — He Infatti si supponga che nel gruppo G,=r,...7, sia r,5=r=...=f,. mr Allora innanzi tutto sarà si l s(n—-1)2pr, - . E siccome ai sarà anche sm-naptto, ossia ii kh e e ne segue il teorema. Inoltre è ARE Perciò un gruppo cremoniano che presenti 8 termini fra loro eguali di maggior valore dei rimanenti, se non è simmetrico, è di ordine maggiore di 17. 5. In un gruppo cremoniano la somma dei primi tre termini supera l'ordine n del gruppo e risulta eguale ad n + 1 soltanto se il gruppo è isologico 0 simmetrico. Infatti, se il gruppo G,=f,...r, (M=2r,=...27r,>0) è isologico, sarà Fall ne=n=tl er == se è simmetrico, sarà : sicchè in entrambi i casi sarà rrtr,t+tr,=n+41. Inoltre, qualunque sia il gruppo, si avrà: Ta bra dog n= ro +} ++ rr Moltiplicando ambo i membri della prima eguaglianza per 7, e notando che Pan PP. RR si deduce che nr, —Incrnrcrrza lrn, ovvero che re +ri +17, -BnnZU(Nn_-3r,), e il caso dell’eguaglianza si avrà soltanto se r,=r=...=f,. DS 3 A Ora si papponga che sia i n+12r, tnt". Sarà anche eri rari -9 Ae 2=1) 1) <{ ove il caso dell’eguaglianza si avrà soltanto se ryg=r,=...=7F 2) rrtrtr=nt1. 3) Fatti i calcoli, la 1) si riduce a Ur — rr tr tr —27)20, (rm 1°—(r,—-1)(r,—-1)20. Ora il caso della diseguaglianza è assurdo, perchè PAZSZSIZIOAZIE — mentre il caso della eguaglianza può aversi soltanto o se r,=r,=7r,, se n per la 2), il gruppo è simmetrico, o se r,=r,=1, nel qual caso, per la 3), r=n—l, cioè il gruppo è isologico. In ogni altro caso è assurda ul che sia n+t l=r,+r,+r, e però ne segue il teorema ‘*). 6. Dato un gruppo di numeri |nr,...r,| se a quattro suoi termini n, r,,6,,1, SÌ aggiunge la e e n — (ntr la r) e si lasciano immutati gli aliri numeri, nuovo gruppo |n'r, r,| che ottienesi, è ligato al precedente dalle relazioni: sn— Yr=3n — Mir 7 m_Yr=n-Yr®. 1) Infatti dalle relazioni ole — e: (per #£#,k,!) en a=r,—=Y,-="} «si deduce che Di Se —Mr=3e=3(n — n) 7 7? Drt—=2e(m +e tm) +3 =2e(m—e) +3 =e(2n+)=(0 n) (n+n)=n°—n0 PI e ne segue il teorema. Lo 18) Per la prima parte del teorema cfr. Clebsch, Lecons sur la Géometrie. Paris, 1880, tom. 2°, == Pi un Se il gruppo |n r,...r,| è cremoniano, e se, essendo r,>r,2r20, è n2r,th, i nuovi numeri “ r,=Tte=n_-(nt n) r,=thte=n_-(n+ n) rrente=n_(mnt 7) i a non sono minori di 0, epperò per le 1) il nuovo gruppo |n'r?,...7| è anche ct moniano. i Disponendo i termini r,,...,7°, nell’ordine indicato nel $ 1, si potrà supporre che i nuovi termini vengano ad “Giga i posti designati dai numeri h', 7,7, e s potrà affermare che: Dato un gruppo cremoniano G,="t,.. alinea 4a Mel quale gli ultimi tre a termini siano nulli, se in esso si assumono tre numeri r, ,v,,v,(perr=r=h=0) se disfacenti all’unica condizione che sia AZ ’ e si pone e=n_-(Mnt rt): sostituendo nel gruppo G ai numeri r,,r,,F, î numeri Put te , ty=nte o, rante; si ottiene un nuovo gruppo cremoniano G' di ordine v\'=n+ s. Questo gruppo G' si dirà che è dedotto da G operando sulla terna r,r,r, . E giacchè n_-(ut+ ruta) -j perciò, viceversa, i! gruppo G si deduce dal gruppo G' segni sulla terna rt, + Brevemente si dirà anche che i due gruppi |nr,...r,|, | r,...7,| sono dedu- | cibili VV uno dall’altro con /o scambio delle quaterne n rr, 'r, te, ol In un gruppo geometrico |nr,...7,| si può operare su di dda qualsiasi terna T,7,",, perchè si ha sempre n= r, ta: In particolare nel gruppo di 1° ordine si può operare sulla terna 000 e su questa soltanto, e il gruppo che ne risulta è quello di 2° ordine G,=111. Perciò viceversa 7! gruppo G, è deducibile soltanto dal gruppo G, e lo si ottiene operando in G, sulla terna 111. 7. Se in una corrispondenza birazionale quadralica e=0 0.0; fra due piani > k' rispettivamente degli ordini n, 2°, delle quali la a risultano omologhe le linee €, , €,» prima nei punti fondamentali 0,,0,,0, abbia punti multipli degli odia rtl el la seconda nei punti fondamentali 0',,,0,,,07,, cocrdinati rispettivamente ai prece- denti, abbia punti multipli degli ordinì r,,,r,st,=20, fra i due gruppi di numeri nr, |n'r,7,7,| si hanno le relazioni: nente, n=S?"wv+%, nov t+e.5 nese a Rò (pae essendo s=n_(mtnt). Perciò se si assumono nel piano della c, un gruppo di punti O,,. ..0, che com- prenda la terna 0,0,0, e nel piano della c',, il gruppo dei punti 0,,...0°, omologhi o coordinati ai punti 0,,...0,, designando con r,, 7" gli ordini di multiplicità per le linee c , c dei punti 0,,0,, per é==1,2...p,i due gruppi di numeri |rr, ...r,}, \n'#,...r,| che ne risultano, si trovano nelle condizioni indicate nel primo teorema del $ precedente. Ora se esiste una rete omaloidica R costituita da curve c,=0;!...0y?, esi- sterà del pari una rete omaloidica R, omologa della precedente nella @, costituita da curve c,=0/7...0?. I gruppi caratteristici delle due reti sono i gruppi |nr,...r.j, er... rl, che si deducono l’uno dall’altro con lo scambio delle quaterne n r,r,r,,W0 My, epperò : Ogni gruppo cremoniano deducibile da un gruppo cremoniano geometrico è anche esso geometrico. Ne segue che: Due gruppi cremoniani deducibili l'uno dall'altro sono della me- desima natura: o entrambi geometrici o entrambi arilmetci. 8. Dato un gruppo cremoniano G=r,...r, di ordine n>1, nel quale sia r,+r,s<", il gruppo G di ordine minimo che può dedursi da G, è quello dovuto alla terna dei maggiori numeri r,,7,,7, di G. Questo gruppo G' si dirà gruppo di origine di G. Indicando con e la differenza (r,+r,+r,) — n, lordine n° di Gè n— e. St+S+s—2n 2 siccome per ipotesi è s, 1, ove il caso dell’eguaglianza si ha soltanto se il gruppo G è isologico o simmetrico. Dunque: Un gruppo cremoniano G di ordine n>1, nel quale la somma dei primi due termini non superi il numero n, ammette un gruppo di origine G' ben determinato. L'ordine n' di questo gruppo è sempre minore dell’ordine n del gruppo G da cui si parte, e risulta uguale ad n—1 soltanto nel caso che il gruppo G sia isologico 0 sim- metrico. dell’eguaglianza si ha soltanto, per n pari, se r,=r,=73= e Enfo RE è n 5 ’ . ’ Se i primi tre termini del gruppo G sono eguali ad 5, (per n pari), l'ordine w' del Mata dC 2 5 , n gruppo G' è —. In ogni altro casoè n> 3. 9. Un gruppo cremoniano non ha gruppo di origine soltanto nel caso che il suo ordine sia minore della somma dei primi due termini. In tale caso il gruppo è semplicemente aritmetico. SZ AA Ora, avendo un gruppo cremoniano G° =r,....r,, St n>rtr,, se ne assuma il gruppo d’origine G°"=r,...fy. Tale gruppo sarà di ordine n,r,+r,, ammetterà a sua volta un gruppo di origine G*° di ordine n, 2 (i= 0), pel fatto che questo gruppo G°* non ammetta gruppo di origine, 0 la serie termina col gruppo G*" d’ordine n,=1, nel qual caso il pe- nultimo gruppo della serie è necessariamente il gruppo G, che è l’unico da cui può dedursi il gruppo G, ($ 6). In entrambi i casi i gruppi G°, G7#",...,G,, sono tali che ciascuno di essi, a partire dal secondo, è deducibile dal precedente, sicchè risultano della me- desima natura di G- ($ 7), cioè sono semplicemente aritmetici nel primo caso, e geometrici nel secondo. Ciò accade, in particolare, pel gruppo dato Gra epperò: La condizione necessaria e sufficiente affinchè un gruppo cremoniano sia geometrico, si è che la sua serie di origine termini con i gruppi di 2° e 1° ordine; 0, come diremo brevemente, si è che tale serie sia completa. 10. Applicando il criterio ora stabilito è agevole riconoscere che: a) 1 gruppi cremoniani simmetrici G,=3/1,G,=6/2,G,= 7/3, G,,=8/6 sono geometrici. Le loro serie di origine sono rispettivamente le seguenti : 1° G,=3/1,G,. 2° G,=6/2, G,=3/2 3/1,G,=3/1,G,. 3.° G,=7/3 , G,=4/3 3/2,G,=1/3 3/2 3/1,G,=1/2 4/1,G,=83/1,G,- 4° G,,=8/6 ,G,=95/6 3/5, G,=2/6 3/5 3/4,G,=2/5 3/4 2/3 1/2 G,=2/4 2/3 3/2 1/1,G,=1/3 3/2 3/1,G,=1/2 4/1,G,=3/1, G,. Le ultime tre serie dovute a gruppi di ordine 5, 8, 17 comprendono rispetti- vamente 4, 6, 8 gruppi. b) Ogni gruppo isologico G, è geometrico. La sua serie d’ origine è costituita dai gruppi isologici degli ordini n—-1, n—-2,...,2 e dal gruppo di 1° ordine, cioè in tutto comprende n gruppi. Questa proprietà è caratteristica per i gruppi isologici; vale a dire che: Un gruppo cremoniano geometrico G, non isologico, di ordine n, ha la serie originaria costituita da gruppi in numero inferiore ad n. Se il gruppo G è simmetrico, si è visto che il teorema si verifica. ’ Sat 11 eta Se il gruppo G non è simmetrico, il suo gruppo d’origine, G*7", è di ordine n0, == o un gruppo G,__,,=1/n—-x—1 1/2 y/1 di ordine maggiore di 2, che per lo stesso teorema sarà isologico e di ordine 3; sicchè in entrambi i casi sarà e«=n—2, — y=3. E ne segue il teorema. Si è ora al caso di determinare i gruppi cremoniani geometrici di 4° e 5° ordine. In un gruppo geometrico di ordine n=4, che non coincida col gruppo iso- logico G,=1/3 6/1, il primo termine, essendo minore di 3 e maggiore di 1 ($ 2), risulta essere 2(=n — 2). Sicchè il gruppo in esame è il gruppo G,=3/2 3/1. Perciò £ gruppi cremoniani geometrici di 4° ordine sono î gruppi : G,=1/3 6/1. , G=3/2 3/1. Così, in un gruppo geometrico di ordine n=5, che non sia nè il gruppo isologico G,=1/4 8/1, nè il gruppo simmetrico G.= 6/2, il primo termine es- sendo minore di 4 e maggiore di 2 ($ 4) risulla essere 3(=n—2). Sicchè il gruppo in esame è il gruppo G,=1/3 3/2 3/1. Perciò 7 gruppi cremoniani geometrici di 5° ordine sono î gruppi : G,=1/4 8/1, G,=1/3 3/2 6/1 , G,=62. 12. Un gruppo cremoniano geometrico F,=p,...g, ed il suo gruppo di origine G, differiscono soltanto in questo che al posto della terna p,p,e, di T si presenta in G la terna 7 formata dai numeri: Ty =V Pa Ps 3 Ty — Pia Me 1) pei quali si ha Si dirà che la © è una terna di derivazione nel gruppo G e che I è +0 gruppo discendente da G dovuto alla ©. Se » numeri della 7 sono nulli (p <3), i termini del gruppo G maggiori di 0 sono i rimanenti 3 — p_ termini della © ed i numeri p,,...,£,; cioè, in lutto, il gruppo G presenta (G—-p+(a_-3)=7—w lermini maggiori di zero, Dunque: 1 numero dei termini di un gruppo geometrico TL non è inferiore a quello del gruppo di origine. La differenza fra i due numeri è uguale al numero degli zeri che si presentano nella terna di derivazione relativa al gruppo T . Ora occorre determinare quale condizione debba verificarsi affinchè tre numeri ©, 7,7, del gruppo G,(r,=r,27r,=0) formino una terna di derivazione in tale gruppo. Se r, è il maggior termine di G, diverso da r,,r tale condizione si è che At T,, = i tre numeri eni TT PMT siano maggiori od uguali ad r,, e siccome è Pi ZPrT Ps: perciò la condizione richiesta si è che p, non sia minore di r,, ossia che 293 E In particolare le terne di derivazione r,r,r, formate da numeri minori di r, sod- disfano all’unica condizione che I = Tn “ha TP,» 2) Perciò, se la differenza n — r, viene chiamata #ndice del gruppo G,, si ha che: In un dato gruppo geometrico G,=t,...T,41"pxa",4s We numeri minori di r, co- stituiscono una terna di derivazione, se t Do maggiori fra di essi danno somma mi- nore dell’ indice del gruppo. Restano ora a determinarsi le terne di derivazione r,r,r, nelle quali è r,="r,. In una di queste terne non può essere r,=r, ed r,=r,, perchè non è pos- sibile che di due gruppi G,,T, ciascuno sia origine dell’altro, non potendo ciascuno dei numeri n,v essere maggiore dell’altro. Nè è possibile che sia r,=r, ed r, r put numeri minori di r,. Per ottenerle si assumano tutti i termini del gruppo inferiori ad r,. Essi sono i numeri ada N93 39) 3-0. 1) Aggruppando a due a due tali numeri, escluso lo 0, si riterranno soltanto le coppie formate da termini la cui somma non superi l'indice, cioè le coppie 42,33,32, 22. Ad ognuna di queste coppie si aggregherà ciascuno dei numeri del sistema 1) susseguente al secondo termine della coppia, e si otterranno le terne richieste : 422,420, 332,330, 322,320, 220. 2° Si parta dal gruppo cremoniano geometrico G,=4/6 3/4 3/1. L’indice del gruppo è 8, ed è (>r,tr,. Perciò esistono terne di derivazione speciali che comprendono r,(= 7,). Per ottenerle si assumano tutti i numeri del gruppo non superiori ad n—-r,—7,, cioè i numeri 1,1,1,0. Aggregando il termine r,=6 ad ogni coppia formata dai predetti numeri, si ottengono le terne richieste 611,610. I termini del gruppo minori di r, sono ik 1b,1,1,0 1) Le coppie che possono formarsi con due di questi numeri, escluso lo 0, che diano somma non superiore all’indice, sono le 44,41,11. Aggregando a ciascuna di queste coppie ogni termine del sistema 1) che sus- segua al secondo termine della coppia, si otterranvo le terne di derivazione speciali 444,441 440 411,410, 111,110 formate da termini minori di r,. 3° Sia dato il gruppo cremoniano geometrico G,=1/6 6/5 1. Ie L’indice é# del gruppo è 8, ed è 7=r,+r,. Perciò esistono terne: di deriva- zione speciali che comprendono r, 0 r,. Esse sono le $ 630,530. Fra i termini r,,...,7, del gruppo soltanto l’ultimo è minore di r,, epperò non esistono altre terne di derivazione speciali oltre quelle trovate. 14. Dalle proprietà già stabilite sulle discendenze di un dato gruppo cremoniano si deducono ulteriormente le seguenti proposizioni: In un gruppo cremoniano geometrico T,= Pp,p.P,,---P: la somma del primo, del terzo e del quarto termine è maggiore dell'ordine del gruppo. Infatti il gruppo di origine G, di M, comprende i numeri p,,...,P5, pei quali è p,=p., 2. «=iPr, ed digamen der Vi Pa es 3 05 ai Oa ENER pei quali è rita Igo Ora se fosse VESPA 1) sarebbe AZ? he), cioè nel gruppo G, la terna di derivazione r,r,r, relativa al gruppo I comprende- rebbe i due maggiori termini r,,r, del gruppo, il che è assurdo. Perciò è assurda la 1) e ne segue il teorema. Il maggior termine r, del gruppo Goè p, oèé r=v—f,— p;- Perciò p,26% e propriamente il caso dell’eguaglianza si ha soltanto se p.=p,=;=f,, Del qual caso è n= 2v—3p, i d=2v—4p, rem R . E viceversa. Dunque: Il maggior termine di un gruppo gcometrico T non è inferiore al maggior ter- mine del gruppo di origine G. Il caso dell’equaglianza si ha soltanto se la terna di derivazione del gruppo I è formata da numeri eguali alla metà dell'indice del gruppo G. Questa proposizione è completata dall’altra che: L'indice di un gruppo geometrico T non è inferiore all'indice del gruppo di origine G. Il caso dell'equaglianza si ha soltanto se la terna di derivazione del gruppo L° comprende il maggior termine del gruppo G. Infatti nel gruppo I, è v=n — e e py=7,— €, epperò l’indice + del gruppo èén—_r,. L’indice < di GGèn—r,, epperò retd=?fj=xb e ne segue il teorema. Ed è notevole il fatto che: Fra è gruppi discendenti da un gruppo dato G, quello dovuto alla terna 000 è îl gruppo in cui l'ordine, il numero dei termini, l'indice ed il primo termine hanno il maggior valore. i de Ulteriormente si ha che: In un gruppo geometrico I° l'indice è minore, eguale 0 maggiore della meta dell'ordine, secondochè la terna di derivazione del gruppo ha il primo termine maggiore, equale o minore della somma degli altri due. Infatti pel gruppo F, si ha elio, —p, + v_p,—p)=29,—%, epperò secondochè la differenza r, — (r, + r,) è maggiore, eguale o minore di 0, p, 3 = . Lic x » x ; 9 è maggiore, eguale o minore di DO corrispondentemente l’indice t==v — p, è ». ; . v minore, eguale o maggiore di —. Nel primo caso p, è maggiore di p,, nel secondo caso i termini del gruppo ‘eguali a p, possono essere al più p,,, ($ 12); nel terzo caso possono essere eguali Mieal più i termini p,,.-.,0, ($ 4). 15. Sei termini r,,...,7, di un gruppo geometrico G, formano y sottogruppi dei quali ciascuno comprenda tuiti i termini aventi uu medesimo valore, le terne di derivazione ordinarie che si presentano in G,, sono y+ 1; nè esisteranno terne di derivazione speciali se è n 2 presenta soltanto tre gruppi discendenti dovuti alle terne di derivazione n—1 00, 100,009. Essi sono il gruppo isologico di ordine n4 1 ed i gruppi G,,_,=1/n 8/n-1 2n—3/1 , G,,=3/n Yn—-1 2(n-1)/1. Questi ultimi due gruppi hanno rispettivamente l’uno 2n + 1 e l’altro 2n + 2 termini ($ 13), sicchè in ciascuno il numero dei termini supera di 2 unità l'ordine. Se si pone m= 2n — 1 pel primo e m= 2% pel secondo, i simboli dei due gruppì risultano essere im+ 1 im_l Lat 0, = / _ b 3 G,=1/ 9 3 9 m_- 2,1 (m dispari > 8) Gi= 15 us m— 2/1 (m pari > 2). 1°) I valori dei numeri n,p,r sono stati indicati nel $ 2. Per n= 2, si hannno i due gruppi ,==1/2 4/1 , G,=3/2 3/1. _ 2 — Un gruppo G, si dirà semisimmetrico , se è costituito soltanto da due sottogruppi. È: Ora da ciò che si è detto in generale pel numero dei gruppi discendenti da un dato gruppo G,, segue che tale numero è 2 soltanto pei gruppi simmetrici, ed è 3 soltanto pei gruppi semisimmetrici che non abbiano terne di derivazione speciali. Si è visto che in queste condizioni si trova ogni gruppo G, nel quale sia r=f,=:-.="f. Ora anche se in Ger, red Ra sere n—(r,+r,+r,)<0 ($ 13) segue che è n 2 ed ogni gruppo G,=1/n—-2 n—2/2 3/1 di ordine > 4 sono di modulo 2; ogni gruppo simmetrico diverso da G, è di modulo 0. In generale p. Se il gruppo G, è di modulo p=2, sarà r=r,=—r, ed s=n—-f,, onde sarà e > » se si esclude che la differenza n — r, sia 1 0 2, se si esclude cioè °°) Ad esempio, i gruppi semisimmetrici G,,=1/6 7/3, G,,=1/12 9/4, G,,=2/6 6/4, G,,= 2/14 7/8 sono del tipo indicato. ‘serie discendente completa. Se questa termina col gruppo G Vaso | Je che il gruppo G, sia isologico (per n > 2), o sia il gruppo G,>1/n—2 n—2/2 3/1 (per n> 4). Infine se il gruppo G, è di modulo p=3, sarà rer=r=5, ed ==, epperò sarà e> p, se si esclude che »' sia 1, 2, 3, se si esclude cioè che il gruppo G, sia uno dei tre gruppi G,=83/1, G,=3/2 3/1, G,=3/3 1/2 4/1 di modulo 3, che hanno per origine i gruppi di 1°, 2° e 3° ordine, Essendo e-pa=(nT-p)—(n—D) sarà n—p>n —p'’, se è e>p, e viceversa. Perciò dal confronto ora fatto risulta che: In un gruppo cremoniano geometrico la differenza fra l'ordine ed il numero dei termini è maggiore della differenza analoga che si ha pel gruppo di origine, esclusi soltanto i gruppi isologici, i gruppi G,=1/n—-2 n—2/2 3/1 ed il gruppo G,=3/3 1/2 4/1. 17. Due o più gruppi geometrici pensati in un determinato ordine si dirà che costituiscono una serze discendente, se ciascuno di essi, a partire dal secondo, ha per origine il precedente. La serie si dirà completa se ha principio con i gruppi b:7G,. Per ogni gruppo G, resta determinata una serie completa che comprende G, e sì arresta a tale gruppo. Essa è costituita dai gruppi che formano la serie di ori- gine di G, presi in ordine inverso. I gruppi comuni a due serie discendenti complete costituiscono a loro volta una > @ ciascuna delle serie date presenta almeno un altro gruppo susseguente a G,, si dirà che una delle serie date si stacca dall’altra nel gruppo G,. Fra le serie complete hanno speciale importanza la serie zsologica costituita dal gruppo G, e dai gruppi isologici di ordine 2, 3, 4,..., e le serie £,, 2, formate l’una dal gruppo G, e dai gruppi G,=1/n—-2 n—2/2 3/1 degli ordini 2, 4, 6,..., l’altra dai gruppi G,,G, e dai gruppi G,=1/n—2 n—2/2 3/1 degli ordini 3, 5, 7,... Queste serie possono dirsi di #2d:ce 2 al pari dei gruppi che le costituiscono, a partire da quello di 6° (o di 5°) ordine. Ora si assuma ad arbitrio una serie discendente completa che non coincida con alcuna delle tre precedenti, e dei tre gruppi in cui tale serie 2 si distacca dalle 2,,2,,Z,, si consideri quello che sussegue agli altri due. Se tale gruppo G° appartiene alla £,, il gruppo G, che gli sussegue nella X, 419 per n pari sarà del tipo 6,=3/3 pia n—2/1 ($ 15, 2°), nè apparterrà alla 2,, 9 i 1 —1l 1 cioè sarà n>4; per n dispari sarà del tipo c=1/"3 3/3, n—-2/1, nè ap- parterrà alla 2,, cioè sarà n> 5. In entrambi i casi pel gruppo G, è èo=n_-p=—-2. 1) Inoltre per tutti i gruppi G'”, G®,...G®,... della £ che susseguono a G,, vale e il teorema del $ precedente, cioè se si designa con è, la differenza n, — p, fra l'ad dine ed il numero dei termini di un siffatto gruppo G°, è 0,3%} REA 2) A È Invece nel caso che il gruppo G' apparlenga alla serie 2, o alla X,, cioè ri- sulti del tipo G,=1/n—-2 n—2/2 3/1 per n>83, vale per esso la 1), mentre le relazioni 2) valgono pei gruppi G'*,G°,...,G,... che susseguono a G, nella E. In ogni caso dalle 1), 2) segue che i valori minimi delle d,,9,,%,,.-.%;,...0 sono —1,0,1,...i7—2,..., sicchè la è, può essere eguale a e oa 00 es- sere maggiore di 0; la è, può essere 0, quando la è, sia eguale a —1, o risul- tare maggiore di 0; mentre le è,,3,,...,,... sono tutte maggiori di 0. Se si suppone che p dei tre termini della terna di derivazione del gruppo G° siano nulli e che la somma dei tre termini sia il numero s, sarà n=2—-s , p=(n+2)t+k; epperò è, sarà eguale a — 1 0 a 0, se s+p+1=n o se s+p+2=n. Analogamente se p' termini della terna di derivazione del gruppo G'’ sono nulli e se la somma dei tre termini della terna è s', sarà 3,=0, se è, = ed S+p+1=n,. D'altra parte i gruppi G° discendenti da G,=1/n—2 n—2/2 3/1 (per n>3) sono dovuli alle terne di derivazione 111, 200, 110, 100, 000 ; **) 21) Essi sono i gruppi: 10 G,= 4/7 nato per m=2n—3 (mdispari > 5) De g,=1/2t sfez® cla 3/1 » m=2n—-2 (m pari > 8) 30 R 2 se a 1/1 >» m=2n—2 (mpari> 6) ° G, =1 + afro I fn ela 2/1 >» m=2n—1 (mdispari>7) 5° G,=3/2 [ei aeSla 3/1 >» m=2n (m pari > 8). Il 1.° ed il 3.° di questi gruppi sono stati esaminati sommariamente in una breve Nota dalla sig.t® Larice che li ritiene nuovi. (Due nuove soluzioni generali, soddisfacenti al problema geometrico, delle equazioni di condizione delle trasformazioni Cremoniane. Periodico di Matematica, Serie II, Vol. VI, Anno XXIV: 1908-1909. Fase. 4-6; p. 234-237). Invece i due gruppi furono ottenuti sin dal 1877 da Ruffini assieme agli altri tre gruppi G,_, ora indicati. Mem. cit., pag. 499 e 501. E le jacobiane delle corrispondenti reti omaloidiche, che la Larice indica nella sua Nota, erano già state determinate da Ruffini. m_l m_-1 Speciale importanza ha il gruppo G,,=4 fer e 2, gruppo semisimmetrico di ordine dispari > 5. Esso ben può chiamarsi gruppo di Ba ffini. (Vegg. la Memoria su le reti omaloidiche $ 16 in nota). #00) Vai qu pelli discendenti da G, =3/5 1/2 È + Vail terne anco n_-2 ’ 2000 ’ alle terne stat, n_- l 3 0 MI, 05 % 2°) Essi sono i gruppi: Ù _ ArtI— Vol. XV— Serie 24— N. 7. 111 3. ELOP, 100 , 000 . Î —_4 1 2m—10 In_2 vw LG 1/2 sa E = fi per m= 2, 2m m m_—3 2m—-6 sn : 0 —_ St MS, nol L e sa et ssi sera 2m—-3 m+-3 m 2Qm—-9 dn SÒ =1 ua 4/— ni » =_ ;r | 3 3 ra do j2m—-2 m+2 m_l 2m—-8 In|2 LO = a, SES ESS AEESZA i | SA 2/ 3 3/ SHORE / i 2 5.0 G = sft if Be » m=2n—-3 ss 2 4 4 RC 6. o,=2/2 9 ot ) pena ei oli » m=2n-2 2 2 i 4 4 ca _ —5 7° G = ft i . peli je si » m=2n—1 8° G,=8/5 st 1 ni pr » m=2m 23) Essì sono i gruppi: 2Qm+1 m_1l 2m—-5 Inl * = EA = == ii CA = 1 3 5/ 3 3 per m 7 2m—-1 m+1 m_-2 2m—-1; Intl 0) = L pa Il = i G,=1/ a >] ni i 2 3.° G_=8 el; SEO sfzt LCA » m=2n—-3 Li 2 DI m m_2 md (2 m_-6 Sa A G,=2/7 1 if s/2 oli > mam? 37 So8 = rai pes (La si —=2n_1 5. Gelli 2 1 7 3 nl 3 » m o = mt2 fari I Il m=2n ft =3/5 AE i LR WE i 100 , 000 ; 2) (m=8, 11 (m=9,12,.. (m=9 , 12 (GEO Bnc0p (m=9,13,.. (me 1081490 (m=1114b-. (m=12,16,..., (= 1018525 (m=11,14,... (m=11,15,... (m=12,16,.; (m=13,17,... (m=14,18, 3 n—2/1 (per n pari > 4) sono dovuti alle a) quelli discendenti da G,=1/2t° 3fe=- n—2/1 (per n dispari > 5) sono dovuti Ora fra tutte le terne indicate, quelle nelle quali la somma s+p+1 è eguale op BL BE) , 94-34). sen +36). 10-+-3%). ,9+41). , 10-+-4%). 11440). 12-44). 10-+3%). ,11+-3k). , 11444). 12-+-4%). ,138-+-4%). sue y 14448). 4 = +agge® all'ordine n del gruppo di origine, sono le 111, 110, 100, 000 per n=4, la 200 per n=5, la "00 per zn=6, la i 1 per n=7. Corrispondentemente si hanno 7 gruppi G (1) r=62, r=2/3 42 1/1 , 1=1/4 28 32 2/1, r=8/4 3/2 3/1, r,=1/5 3/8 2/2 3/1, r=1/6 48 12 41053 r,=1/7 53 5/1, | in ciascuno dei quali l'ordine è inferiore di una unità al numero dei termini. Analogamente, fra le terne innanzi indicate, quelle nelle quali la somma s4p+2 è eguale all’ordine n del gruppo di origine, sono le 111, 110, 100, 000 per n=5, n_- 1 n nt 1 la 200 per n=$6, la Sai 00 per n=7, la 5 90 per nr=8, la 3 Corrispondentemente si hanno è gruppi G'" 00 per n=9. 4/3 32, I, =2/4 2/3 3/2 11, =1/5 2/41/33/22/, 3/5 1/3 3231, ,=1/63/43/23/1, W=1/458 24, 1/5 1/44/33/1, W.,=1/6 2/43/2341, ,=1/7 93/4238 5/1, r,=18 441861, =195471 I" E Tr II 7 , 10 ' 9 in ciascuno dei quali l'ordine è eguale al numero dei termini. Infine, se si determinano le terne di derivazione dei singoli gruppi T, già ot- tenuti, pei quali è è, =—l1, si riconosce agevolmente che fra le dette terne quelle nelle quali la somma s'+p + 1 è eguale all’ordine v del gruppo di origine, è la (v—-3 00) per ciascuno dei gruppi I, escluso soltanto il gruppo 1,=3/4 3/2 3/1. Corrispondentemente sé hanno i gruppi G° r,=1/5 2/73 5/2, mr, = 1/6 3/3 4/2 1/1, ,=1/7 473 3/2 2/1, r°,==1/8 5/3 2/2 3/1, T,,==1/9 6/3 122 4/1, T,=1/10 73 5/1, nei quali l'ordine è eguale al numero dei termini. Ora se si escludono i gruppi F, I e quelli della serie isologica e delle serie 2,,Z, o delle loro associate formate rispettivamente dai gruppi pu .jn-2 bas Ai nb la 1g 3/ ga Gn Il si ha che in qualsiasi altro gruppo G, l’ordine è maggiore del numero dei termini, Perciò : In un gruppo cremoniano geometrico l'ordine n è sempre superiore al numero p dei termini, esclusi soltanto: i gruppi isologici, nei quali è p_n=n—1, î gruppi delle due serie di indice 2 e delle loro associate, pei quali è p—-n=2, î gruppi V, pei quali è p_n=1, i gruppi UV, pei quali è p=". tre ce zia Si AO ‘derivazione in tutti i gruppi Gradi], ---,6 2 SR Ne segue che: Un gruppo cremoniano geometrico di ordine n con p termini è necessariamente isologico, se la differenza p—n è maggiore di 2; 0 appartiene ne- cessariamente ad una serie di indice 2 o alla serie associata, se la differenza p—n è equale a 2. Inoltre si ha che: Fra i gruppi geometrici che presentano un dato numero p di termini, quelli di ordine minimo sono: se p è dispari e > 1, il gruppo isologico di ordine n= SS se pè pari e > 4, i gruppi a =Un—-2 n—-22 3/1, G,=3/5 un nT—- 2/1 di ordine n=p — 2. Se p è dispari e >3, i gruppi non isologici con p termini di ordine minimo sono i gruppi G,=l/n_-2 n—-22 3/1 , G = USE n_-2/1, per n=pt—2.. 18. I gruppi cremoniani geometrici di ordine » si presentano, ciascuno una sola cia epperò risultano completamente determinati quando siano state costruite le terne di Anzi questa costruzione può essere volta, fra i gruppi discendenti da quelli degli ordini [ n-1° arrestata ai gruppi di ordine n—2, perchè i soli gruppi di ordine n che discendono da quelli di ordine n—1, sono il gruppo isologico ed eventualmente il simmetrico, i cui tipi sono noli. Sia proposto, ad esempio, di determinare i gruppi geometrici di 6° ordine. Basterà tener presente il quadro che qui appresso è trascritto, nel quale sono segnate le terne di derivazione dei gruppi discendenti da quelli degli ordini 1, 2, 3, 4; e di fianco al simbolo di ogni terna è scritto come indice l’ordine del cor- rispondente gruppo. 1° G,=p/0 (000), . 2° G,=3/1 discendente dal 1°. (100), , (000), 3.° G,=1/2 4/1 discendente dal 2°. (200), , (100), , (000), . 4.° G,.=1/83 6/1 discendente dal 3°. (300); , (100), , (000),. ESE 5.° G,=3/2 3/1 discendente dal 2°. (111), , (200), , (110), , (100), , (000). Le terne che in questo quadro hanno per indice il numero 6, sono la 000 del 3° gruppo e le 200, 110 del 5°. Corrispondentemente i gruppi geometrici di 6° ordine sono l’isologico ed i gruppi G,=3/3 1/2 4/1, G,=1/4 4/2 3/1 , G,=2/3 4/2 1/1 che discendono l’uno dal 3° e gli altri due dal 5°, dovuti rispettivamente alle terne indicate 000, 200, 100. Così per determinare i gruppi geometrici di 7° ordine, basta estendere il quadro di derivazione ai gruppi di 5° ordine ($ 11) con la seguente aggiunzione: 6.° G.=1/4 8/1 discendente dal 4°, (400); (100), (000) 7° G,=1/3 3/2 3/1 discendente dal 3°. (300), , (111), , (200), , (110), , (100), , (000). 8.° G.= 6/2 discendente dal 5°. (200) , (000),, . E così di seguito. Per uniformità di procedimento i gruppi di un medesimo ordine si disporranno sempre con una medesima legge di successione, e propriamente fra due gruppi G,=r,...r,,G,==r,...Y, si darà sempre la preferenza al primo se è r,>r, 0 se, essendo r,=r',,,ij=fye ie eat Con ciò se si segnano successivamente i gruppi di ordine 1,2,..,wn—-1,#,.., nella serie che ne risulta, ad ogni gruppo G, spetterà un posto ben determinato ed un corrispondente numero di ordine. La costruzione effeltiva col metodo ora indicato di tutti i gruppi geometrici di un dato ordine n è stata fatta per n=14 e 15 dal Dott. A. Tummarello **) (anno 1908), per n=16,17,18,...23 dal Dott. Marrazzo °°). ?*) I gruppi non ottenuti dalla sig.t® Larice sono i gruppi di 14.° ordine 23.° 1/8 1/6 1/5 83/4 2/3 1/2 36.° 2/7 1/6 3/4 3/2 1/1 46.° 4/6 2/4 2/3 1/1, ed i gruppi di 15.° ordine 25.° 1/9 9/6 1/5 5/4 2/1 41° 1/8 1/7 4/6 2/2 8/1 42° 1/8 1/7 8/6 1/4 2/3 2/1 8.° 1/8 1/7 8/5 4/8 44,° 1/8 1/7 2/6 8/4 1/3 1/2 51° 8/7 1/5 8/4 4/1 52.° 8/7 1/5 1/4 4/3 57.° 2/7 4/5 1/4 1/8 1/1 60.° 6/6 1/2 4/1, nei quali i numeri progressivi si riferiscono all'ordinamento indicato nel testo. 2°) Tesi di laurea (anno scolastico 1909-1910). — 09 Speciale importanza hanno i gruppi geometrici che presentano meno di 9 ter- mini. Di tali gruppi ve ne è uno solo di 17° ordine ed è il simmetrico: tulti gli altri sono di ordine minore ($ 4). I gruppi in quistione formano un sistema chiuso, nel senso che ogni gruppo del sistema ha per origine un gruppo del sistema stesso. Ciò permette di costruirli con grande facilità. Basta partire dal gruppo di 2° ordine e dai suoi discendenti. Per ciascuno di questi ultimi gruppi che abbia p termini, si assumeranno tutte le terne di deriva- zione nelle quali il numero degli zeri non è superiore ad 8—p , e si costruiranno i relativi gruppi discendenti. Per ognuno di questi gruppi si terrà lo stesso proce- mento, e così di seguito sino a che sarà possibile. I gruppi che ne risultano sono i seguenti: °°) pz6 G,=3/l, G,=1/2 4/1, G,=6/2, p=7 G,=13 6/1, G,=1/3 3/2 3/1, G,=4/3 3/2, G=73, =8 G=1/4 42 3/1, G,=3/3 1/2 4/1, G,=2/4 2/3 3/2 1/1, G,=1/5 2/3 5/2, 6, =4/4 4/2; G,=1/5 1/4 3/3 3/2, lia 3/4 2/3 Sia G=1/67/3, G=95/4 2/3 1/1, G,= 1/6 3/4 473. e. =4/5 1/4 3/3, G,=3/5 4/4 1/2, 6. 0/6 6/4, = 1/6 3/5 3/4 1/3, G,=1/6 6/5 1/3, G,=3/6 4/5 1/4, G,=8/6 G, =38/2 3 n G,=2/3 4/2 1/1, 1/402/003/2 2/1 1/4 5/3 2/1, 3403/301201 2/55/0013, 3 225 3/4 2/3 1/2, =1/6 1/5 4/4 23, si, 3/34, G,=5/6 8/59 , ’ DONLNOO Il Il Il ll Il Sino ad n=283 si presenta un solo gruppo asimmetrico, ed è il gruppo G,=12 1098765432 già ottenuto nell’ullimo $ della Memoria su le reli omaloidiche. Questo è dunque il gruppo asimmetrico di ordine minimo °). 19. In qualche caso per designare un gruppo G,” che abbia per origine il 28) Cfr. Kantor, Mem. cit., pag. 19. 27) Fra i gruppi di ordine 23 vi è il seguente: Gil 109,876 54. Una sua terna di derivazione è la 654, el il gruppo discendente dovuto a tale terna è # gruppo G,,=14 13 12 1110987 6 costituito da 9 numeri susseguenti. Vari altri gruppi asimmetrici si trovano nei quadri di Kantor nella Memoria già citata. Boe gruppo G,'- e sia dovuto alla terna (a,_,B,_,Y._,), può riuscire utile il simbolo Gi SG ESRI analogo a quello di Clifford usato da Cayley (Not. cit., $ 69 e seguenti). Con ciò, se Gy = e sì potrà anche scrivere ei Così procedendo, si avrà G,=G,(2,P,7,) (4,8,7.) . (0, Bota)» nel quale è a, =8,=Y,=0, e in forma più compendiosa si potrà scrivere 6, =G,(000)îl (2.87). 1) Questo simbolo indica chiaramente quali siano i gruppi G,,G,,G”,...G! che nella serie di origine di G,, computata da G,, precedono G, ‘*). Il numero £—1 si dirà grado di discendenza di G, . Evidentemente è n=2'— 27 (44847), i=2 ed il numero dei termini del gruppo G, è eguale al numero degli zeri che si pre- sentano nel simbolo 1). 20. In un gruppo geometrico G, si fissi ad arbitrio un termine r=0, e si in- dichino con r' i rimanenti termini del gruppo. Si ponga e=n—r e si considerino i gruppi G,(r00) =G_, "+e ;2/e,r; G,,e(M-+00) =G,,,=T+20,4/6,1; Grsse(f + 2e 00)=G,,,, ="+88, 6/e,r'; tutti d’ indice e. La serie discendente che ne risulta, sarà detta uniforme di indice e; e sì dirà che la serie è dovuta al gruppo G, ed al termine r di tale gruppo. 2R . . . . . . . DES . Co ) Ad esempio, i simboli dei gruppi asimmetrici G,,, G,, sono i seguenti: G,, = G, (000) (100) (100) (100) (210) (421) , G,, = G, (000) (000) (100) (210) (321) (482) (654) . RI —- 31 — Il suo gruppo generico è espresso dal simbolo GG, Li (+ he 00)=r+ 42,28%, 1°. Ogni gruppo geometrico G,=v—e,4/e;r di modulo 2 0 3 appartiene ad una siffatta serie 2 dovuta al gruppo G,==n—e,r di ordine mite, se h è pari, si. se h è dispari. Le serie uniformi di indice 1 o 2 sono rispettivamente la serie isologica £, € le serie £,,2, del $ 17. Esse sono dovute rispettivamente ai gruppi G,,G,,G, ed ai termini 0,0,1 di tali gruppi, sicchè i gruppi generici delle tre serie sono espressi rispettivamente dai simboli o al gruppo G,=n—e,e,r di ordine n=v — h_k—-1 h_hk_—1 hk-1 G, la (h00), G, Lui (2h+200), G, Lu (2h+100). Nel gruppo G,,,,="+ ke, 2k/e,r di una qualunque serie uniforme i primi due termini r+ ke, e dànno somma eguale all’ordine. Perciò nel gruppo non esiste al- cuna terna di derivazione speciale che comprenda l’uno o l’altro dei detti due termini, epperò ogni terna di derivazione speciale, se esiste nel gruppo, è formata da tre nu- meri r° di cui i primi due dànno semma minore o eguale ad e. Ciò vale qualunque sia il numero &, epperò si ha che: Tutti i gruppi di una serie uniforme hanno le stesse terne di derivazione speciali. Lo stesso può dirsi delle terne di derivazioni ordinarie, se per ogni gruppo G... Si esclude la terna (r +e 00) che è quella relativa al gruppo susseguente della serie. Ora occorre notare che fra i gruppi discendenti da un gruppo dato G,=,...7,, ha ordine minimo quello dovuto alla terna di derivazione r,00, se il gruppo G, non presenta terne di derivazione speciali, o se ciascuna di queste terne è costituita da numeri che danno somma minore di r,. In base a questa osservazione, è agevole riconoscere che se i gruppi della serie 2 non hanno terne di derivazione speciali, ciascuno di essi a partire dal se- condo è il gruppo di ordine minimo fra quelli che discendono dal precedente, cioè la 2 è una serze minima dovuta al gruppo G,,.; mentre nel caso che i gruppi della serie hanno terne di derivazione speciali, la Z sarà una serie minima a partire dal primo gruppo G,,,, Del quale il primo termine r +e supera la somma dei numeri di ogni terna di derivazione speciale. Di fianco a queste serie minime si ha la serie massima dovuta ad un qualsiasi gruppo geometrico G,, costituita dai gruppi G,=? ; G,(000)_=G,,=3/n,r ; G,,(000)=G,,=3/2n,3/n,r ; . di cui ciascuno, a partire dal secondo, è il gruppo di ordine massimo fra quelli che discendono dal precedente. < SSA ll gruppo generico della serie è espresso dal simbolo G_(000)'=G,,=39/2*'n,3/2"n,.:.3/n,r.") Maggiore importanza hanno alcune serie discendenti costituite ognuna da gruppi di cui ciascuno a partire dal secondo ha per terna di derivazione la terna degli ultimi tre numeri >0 del gruppo precedente. Tali sono, ad esempio, la serie formata dai gruppi G.=3/4 32 3/1, G,=3/6 3/4 3/2, G,,=3/9 3/6 3/4, G,,=3/12 3/9 3/6, G,=3/16 3/12 3/9, G,=3/20 3/16 9,2000 e la serie costituita dai gruppi G_=14 13 12701 10.9 8 7 6 G,,=18 17 16 14 13 12 Il 10 9 G,,=22 21 20 18 17 16 14 13 12 18 17 16 G,,=27 26 25 22 21 20 Quest'ultima, che ha per origine il gruppo asimmetrico G,, del $ 18, è special- mente notevole pel fatto che tutti i suoi gruppi sono asimmetrici. °) Una qualunque delle serie ultimamente indicate è costituita da gruppi che hanno tutti lo stesso numero di termini; ed i due esempi addotti mostrano che esistono gruppi geometrici con 9 termini, di ordine maggiore di un qualunque numero dato. 21. La proprietà dimostrata net $ precedente che i gruppi discendenti da un qualsiasi gruppo G° di una serie uniforme — diversi dal gruppo G*’ che nella serie sussegue a G° — sono dovuli alle stesse terne di derivazione, rende più sem- plice il procedimento indicato nel $ 18 per determinare i gruppi geometrici di un dato ordine n, perchè riduce notevolmente la ricerca preliminare delle varie terne di de- rivazione dei gruppi di ordine Es; siiinT%. Senza scendere in ulteriori deltagli, segneremo qui appresso il quadro della discendenza dei gruppi cremoniani geometrici di ordine 1,2,...11. Ogni gruppo è indicato dal numero che gli compete nell’ ordinamento esposto nel $ 18, giusta l’elenco che sussegue; e graficamente di ogni gruppo sono indicati i discendenti. °°) 2°) Per n= 1, la serie è costituita dai gruppi Ga = 3/24 8/2>-*...3/1 ottenuti per la prima volta da Cayley, Not. cit., $ 64 e 65. ?°) Cfr. Kantor, 2* Memoria cit., pag. 30, quadro II. ?!) Altre serie analoghe alla precedente si ottengono partendo da un qualsiasi gruppo Gy = 3/21! 3/2'-?...3/2 3/1, o da uno qualunque dei gruppi G,,="8/5 6/2, G,,=8/8 7/8, G,,=3/17 8/6 di modulo 3 che discendono dai gruppi simmetrici di ordine > 2, ecc. ?) Ofr. col diagramma della deducibilità che è nella Memoria su le reti omaloidiche. In tale diagramma sono state omesse le linee P,P,;, PsP,s- bi DIGA _ Quadro della discendenza N dei gruppi cremoniani geometrici degli ordini 1,2, ...11. fo DI MES SS 4) 40 49\ 53 45 5/ Ur 52 | bs 56 68° 61 64 59. 72 60 66 65 7 57 Elenco dei gruppi cremoniani geometrici degli ordini 1,2,... pag. 26 rig. 19, 20 » PAAOQLeLLLpLorrprorcorroppooloQQo QLL I_LLQQOLILNNO mi x LO Vico Equense, Ottobre 1910. 28 d p/0 3/1 1/2 4/1 1/3 6/1 3/2 3/1 1/4 8/1 1/3 3/2 3/1 6/ 1/5 10/1 1/4 4/2 3/1 3/3 1/2 4/1 2/3 4/2 1/1 1/6 12/1 1/5 5/2 3/1 1/4 3/3 5/1 = 1/4 2/3 3/2 4/3 3/2 1/7 14/1 1/6 6/2 3/1 1/5 3/3 2/2 1/5 2/3 5/2 3/4 1/3 6/1 3/4 3/2 3/1 2/4 2/3 3/2 1/4 5/3 2/1 7/3 1/8 16/1 1/7-77233/1 1/6 4/3 1,2 1/6 3/3 4/2 1/5 3/4 7/1 1 2/1 8/1 4/1 1/1 1/5 1/4 4/3 3/1 i ll Il Il Il ù L Il Il Il I Ii I 1 MI Li II I Il il Il Il Il Ul I il Il Il LU RAAILU ULIL /4 33 12 1/1 /5 2/4 1/3 3/2 2/1 o 1/4 3/3 3/2 ages ERRATA-CORRIGE è la v—300 per ciascuno dei » © in nota 25.° 1/9 9/6 1/5 5/4 2/1 | 97. ‘| 98. 39. 40. 4l. | 42. i 43. o 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. Dl. PRE LL Ra n) 1/9 1,8 = 1/7 _ > -_ CS °-° ° (-) > [ RATTI [ Il ° | G,=1/9 18/1 8/2 3/1 5/3 5/1 4/3 3/2 3/4 3/2 2/4 3/3 2/4 2/3 7/3 o 1/4 8/1 1/3 3/2 5 672 2/4 4/2 1/4 3,8 5/3 1/2 3/4 2/3 5% 58. 54. 56. 56. 57. 58. 59. 60. (S6L | 62, (=tog | 64 65. 66. 67. 68. 69. 70. 100 7a; POAPPLLAALILPLPLPLELAOLALP: i, ICH NOD SMN HONUO NMO MNMMO | G,=6/4 3/1 G,,=5/4 2/3 1/1 G. 2710 20/1 G,,=1/9 9/2 3/1 CS (e 1/8 1/7 4/3 5/2 3/4 2/3 3/4 1/3 2/4 3,3 1/4 6/3 3/5 9/1 2/5 1/4 2/5 3/3 2/5 2/3 1/5 2/4 5/4 4/1 3/4 4/3 5/2 di CS) - - fd "a De ] da (e [ni li a (e (ar (er) - -_ Sì > (= -_ bd pd ride Ci Dì Di a > = 1/6 1/6 4/5 3/5 1/4 3/3 2/5 4/4 1/2 2/5 3,4 2/3 1/8 5/3 2/2: 11; 5/1 3/2 2/1 3/2 1/1 4/2 2/1 1/2 3/1 4,2 2/3 2/2 1/1 2/1 2/4 1,2 sono le terne v—300 per i singoli 25.° 1/9 1/6 1/5 5/4 2/1 -& 4 { di. " du c ERRTO0A CERRI p” PREPPRE ver «i, Pi bi ali * ‘ . » S ATTI DELLA R. ACCADEMIA 2 fe DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE I COMPLESSI BILINEARI DI CONICHE NELLO SPAZIO MEMORIA del s. o. DOMENICO MONTESANO presentata nell'adunanza del dì 4 Novembre 1911 Les doctrines de la pure Géométrie offrent souvent, et dans une foule de questions, cette voie simple et naturelle qui, pénétrant jusqu’à l'origine des vérités, met à nu la chaîne mystérieuse qui les unit entre elles, et les fait connaître individuellement, de la manière la plus lumineuse et la plus complète. CHasLrs, Apercu historique, p. 3. «In una Nota letta nel Congresso internazionale dei Matematici in Roma nel- l'aprile 1908 *) indicai sommariamente i risultati ottenuti nelle mie ricerche su i A complessi bilineari di coniche. Bb Queste ricerche sono svolte completamente nella presente Memoria. Esse si — fondano quasi esclusivamente sulla teoria delle superficie di 3° ordine, al pari delle — precedenti mie investigazioni sulle congruenze bilineari di coniche **), di cui queste : Pei i complessi sono un naturale proseguimento. «_—La presente Memoria è divisa in quattro parti: nella prima studio la genesi _ del complesso, i suoi enti singolari, la configurazione e le corrispondenze deter- — minate da questi enti, le superficie e le congruenze contenute nel complesso; nella seconda parte mi occupo dei sistemi generatori del complesso ed indico i modi più iS: emplici per determinarlo; nella terza parte esamino il gruppo costituito dai com- plessi bilineari aventi la stessa superficie fondamentale e studio la notevole configu- | razione di 120 punti tripli di questa superficie; infine nella quarta parte esamino i vari 1 tibi eeeticotari del complesso dovuti all’acquisto di linee direttrici o di punti singolari. *) Atti del IV Congresso internazionale dei Matematici. Volume II, p. 231-233. Roma, 1909. | #%) Su di un sistema lineare di coniche nello spazio. Atti della R. Accademia delle Scienze di To- Pie vol. XXVII, 1892. _ Arti — Vol. XV—Serie 2a — N. 8. 1 du CR LA tai Tai ie a Ce) RARE ia ROAD AA O SEN sa CIME Come pei complessi di rette, così in generale per qualsiasi complesso di curve | di ordine arbitrario, hanno speciale importanza quelle corrispondenze biunivoche fra | le curve del complesso ed i punti dello spazio, nelle quali ogni curva passi pel punto corrispondente. i Nella presente Memoria dimostro che il complesso bilineare di coniche nel caso più generale non è capace dell’anzidetto riferimento. sd Invece ho costruito speciali corrispondenze birazionali involutorie nello spazio ligate al complesso in modo che in ciascuna di esse le coppie di punti coniugati sì distribuiscono una ad una sulle singole coniche del complesso. Ho ottenuto con ciò notevoli tipi di corrispondenze birazionali involutorie nello. spazio, già da me indicati in precedenti ricerche *). I procedimenti tenuti in questa Memoria possono estendersi in generale, ai com- plessi bilineari di curve piane di ordine arbitrario. Ogni complesso F di questo tipo nel caso più generale è collegato ad un com- plesso di rette K e ad una rappresentazione birazionale e prospettiva del complesso K sullo spazio di punti, nel senso che agli inviluppi di rette del complesso K situati nei singoli piani dello spazio corrispondono nell’anzidetta rappresentazione le curve del complesso FT situate in quei piani; sicché la teoria dei complessi bilineari di curve piane non è sostanzialmente diversa dalla teoria delle rappresentazioni biuni- voche e prospettive sullo spazio di punti dei complessi di rette capaci di tali rappre- senlazioni. Ho già falto cenno altrove di ciò che è stato scritto da altri su lo stesso argo- mento della presente Memoria **), e qui come in seguito non ripeterò le osservazioni fatte in proposito. *) Vegg. la mia Nota: Su la trasformazione involutoria dello spazio che determina un complesso te- traedrale. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. V, aprile 1889. **) Vegg. la mia Nota: La théorie des complexes bilinéaires de coniques de l'espace. Proceedings of Akademie van Wetenschappen te Amsterdam. 1911. CAPITOLO PRIMO st I complessi F,M,K. | 1. Fissato nello spazio un sistema lineare triplamente infinito di quadriche a atto arbitrario, e data un’omografia @ fra i piani dello spazio e le quadriche del sistema, resta determinato un complesso di coniche T costituito dalle intersezioni Hiegi elementi omologhi nella omografia 2. «Le coniche del complesso sono una ad una nei singoli piani dello spazio, e quelle Che si trovano nei piani di un fascio arbitrario (r) costituiscono una superficie di 3° ordine 9,=r generata dal fascio (r) e dal suo omologo nella Q. Si dirà che la o, è la superficie del complesso T dovuta alla retta r. 3 La @ sarà delta omografia generatrice del complesso e si supporrà del tutto ar- — bitraria. ‘e in essa ad una stella (0) e ad un fascio (r) di piani corrispondono rispet- — tivamente nel sistema 2 una rete avente per base i punti O,,...0, ed un fascio | avente per base la curva r,, si dirà anche che nella @ al punto O corrispondono i punti 0,,...0, ed alla retta r la curva r, del sistema E. Con ciò ad ogni punto O, corrisponde nella inversa della £ un punto ben de- | terminato O, centro della stella di piani omologa alla rete del sistema X formata — dalle quadriche che passano pel punto O.. _ Se il punto O descrive una retta 7 od un piano x, il corrispondente gruppo «di punti 0,,...0, descrive la curva r, o la superficie 7, di 2 che nella £ corri- — spondono ad r, . E viceversa. «_—‘—’Fissato nello spazio un punto generico 0, se a questo nella 27 corrisponde il punto O_,, la retta o=0_,0 ha per corrispondente nella 9 una linea 0, del si- n stema Z che passa per O, sicché le coniche del complesso situate nei di piani del fascio (0) contengono tutte il punto O. Viceversa se una conica del complesso SF passa per 0, la quadrica ©, a cui — è dovuta, appartiene alla rete del sistema 2 che ha uno dei punti base in 0, onde il piano della c,, omologo della ©, nella 27, passa pel punto O_, già indicato | epperò contiene la relta o=00 _,. Perciò: Le coniche del complesso TP che passano per un punto generico O dello spazio, sono nei piani di un fuscio (0). «La superficie g,=0 luogo di tali coniche si dirà che è Za superficie del com- | plesso dovuta al punto O. Essa ha in O un punto doppio. 4 «Dalle cose delte segue che il complesso I è bilineare, nel senso che i due nu- meri caratteristici del complesso: numero delle coniche che sono in un piano ge- nerico dello spazio, classe del cono inviluppo dei piani delle coniche del complesso | che passano per un punto generico dello spazio, sono entrambi eguali ad 1. ti La retta o comune ai piani delle coniche del complesso che passano per un 22M punto 0, col variare di questo punto nello spazio descrive un complesso K, che può essere definito come l'insieme delle rette o che si appoggiano alle corrispondenti — curve 0, del sistema X. E come ad un punto generico 0 si coordina nel modo ora indicato un solo raggio o del complesso K, così viceversa ad un raggio generico o del complesso K si coordina un solo punto O che è quello in cui la 0 si appoggia alla curva omo- loga 0, del sistema E. Due elementi corrispondenti 0,0 si appartengono, e però la corrispondenza biunivoca che ne risulta fra lo spazio di punti ed il complesso K, è prospettiva. Due elementi omologhi 0,0 si diranno anche coordinati fra di loro, e così ogni linea od ogni superficie luogo di punti O e la rigata o la congruenza dei cor- rispondenti raggi o del complesso K si diranno coordinate fra di loro. Con ciò si può riconoscere innanzi tutto che: In un piano generico è dello spazio la conica c, del complesso © e l'inviluppo dei raggi del complesso K sono coordinati fra di loro. Infatti ad un punto O della c, si coordina un raggio o del complesso K che appartiene a tutti i piani sostegni delle coniche del complesso FP uscenti dal punto 0 ed in particolare al piano , E viceversa ad un raggio o del complesso K che sia nel piano ©, si coordina un punto O che appartiene a tutte le coniche del complesso I situate nei piani del fascio (0) ed in particolare alla c,, donde il teorema. 2. Due superficie ®,,g, del complesso F dovute a due relte incidenti r,r° hanno in comune la conica c, del complesso situata nel piano a =rr" ed una curva gobba o, di genere 5, che passa pel punto O=rr' e si appoggia in 6 punti alla c,.. Un punto P della 0, si trova su due coniche del complesso situate rispettiva- mente nei piani p=Pr,p =Pr; onde il raggio p del complesso K coordinato al punto P è la relta PO= pp. Ne segue che se si assume un’altra retta r" della stella (0), la conica del complesso situata nel piano Pr", passa per P, il che equivale a dire che la super- licie 9", del complesso F dovuta alla 7” passa anche essa per la linea 0,. Perciò la superficie del complesso FP dovuta ad una retta arbitraria r” del fascio (0 — w) coincide con la superficie del fascio 9,9, che passa per la r”, e si ha il teorema che: Le superficie del complesso 1 dovute alle rette di un fascio (0 — w) costituiscono un fascio (€,0,). Se poi la retta r varia nella stella (0), la corrispondente superficie 9, varia in una rete che ha per base la linea 0,, in modo che ogni fascio di tale rete ha per base variabile una conica c,= 0°, del complesso situata in un piano x della stella (0), e_ viceversa. Si presenta in tale modo la congruenza delle coniche del complesso situate nei piani della stella (0). Questa congruenza bilineare, che ha per direttrice la 0,, è generata dalla stella di piani (0) e dalla rete omologa del sistema 2 *). *) In generale date due reti omografiche di superficie degli ordini n, ,n, rispettivamente, le superficie generate dai fasci omologhi delle due reti costituiscono anche esse una rete, la quale o | | OR Ad ogni punto P della 0, è coordinato il raggio p= OP del complesso K. Vi- | .ceversa se p è un raggio del complesso K uscente dal punto O ed è P il punto coordinato a tale raggio, per questo punto passano co' coniche della congruenza formata dalle coniche del complesso I situate nei piani della stella (0), perciò il punto P appartiene alla linea direttrice della congruenza. Dunque # cono del complesso K che ha per vertice un punto generico O dello spazio, è coordinato alla curva direttrice 0, della congruenza bilineare formata dalle coniche del complesso V situate nei piani uscenti dal punto 0. Questo cono si ottiene perciò proiettando la 0, dal punto 0, epperò risulta di 6° ordine. Dunque è complesso K è di 6° grado. Ogni punto O determina nel modo indicato una curva 0, tale che un qualunque piano che passi pel punto O sega la curva oltre che in 0, in 6 punti della conica del complesso I situata in quel piano. Si dirà che la 0, è dovuta al punto O, polo della curva. Ogni punto P della o, è proiettato dal polo 0 secondo il raggio coordinato al punto P. Perciò ?a tangente in O ulla 0, è il raggio del complesso K coordinato al punto 0. Variando il punto O nello spazio, la curva 0, descrive un complesso I. Le relazioni che intercedono fra il complesso K ed i complessi FP, 1, sono espresse dalle proposizioni già stabilite che : all'inviluppo dei raggi del complesso K si- al cono di raggi del complesso K che ha tuati in un piano arbitrario w, si coordina per vertice un punto arbitrario O, si coor- la conica c, del complesso F che è nel dina la linea 0, del complesso F° che ha piano w. per polo il punto O. Da queste proposizioni si deducono le altre che: La superficie coordinata alla "congruenza dei raggi del complesso K appoggiati ad una retta generica r dello spazio è il luogo delle coniche c, del complesso Tè il luogo delle curve 0. del complesso situate nei piani del fascio (r). T che hanno per poli i punti della r. Essa per la proposizione a sinistra è la superficie 9, dovuta alla r, sicchè a tale superficie compete anche la definizione espressa dalla proposizione a destra. Se la retta r coincide con un raggio o del complesso K coordinato al punto 0, la corrispondente superficie g,= 0° risulta essere il luogo delle linee dell'uno 0 dell’ altro complesso uscenti dal punto 0. Ne segue che due punti O, 0' situati su di una medesima conica del complesso PD sono del pari su di una medesima curva del complesso T', e viceversa. Ciò in sostanza dipende dal fatto che due punti situati su una medesima linea di uno qualunque dei complessi ©, I sono coordinati a due raggi incidenti del com- plesso K, e viceversa. E si può senz'altro affermare che: Se una conica c, del complesso led una curva 0, del complesso I" hanno più di un punto in comune, il piano èw della prima linea passa per il polo O della seconda, sicchè le due linee si segano in tutto in 6 punti. ammette una curva base di ordine n,° + n,° + n,n,. (Cfr. Cremona, Mémoztre de geometrie pure sur les surfaces du troisièéme ordre. Giornale di Crelle, tom. 68, 1868, n.° 22). La congruenza lineare costituita dalle curve sezioni delle superficie omologhe delle reti date coincide con la congruenza formata dalle linee basi variabili dei fasci della terza rete. La congruenza ha per linea direttrice la curva di ordine n,° + n,° + »,n, innanzi detta. 8 II i: La congruenza A. 3. Il complesso D presenta un sistema doppiamente infinito di coniche degeneri, dI situate nei piani dello spazio che nell’omografia @ generatrice del complesso risultano — tangenti alle corrispondenti quadriche del sistema £. i Una retta c che faccia parte della conica degenere cc’ del complesso I, è asse di un fascio di piani, a cui nell’omografia £ corrisponde un fascio di quadriche (c,) | che fra le altre comprende la superficie ®, = cc’ omologa del piano r= cc, onde la linea c, base del fascio si appoggia alla c in due punti 0,,0,, a ciascuno dei quali si coordina la retta c (n.° 1), sicché questa è raggio doppio del complesso K. Viceversa un raggio doppio c del complesso K deve incontrare la linea c,, che gli corrisponde nella A, in dae punti 0,,0,, onde nel fascio (c,) esiste una qua- drica ©, che contiene la c; e nel piano 7 omologo della ®, nella £7* Ja conica del complesso I si spezza in due rette di cui una è la c. Ciò in sostanza equivale a dire che la superficie del complesso I dovuta alla € ha i punti doppi 0,,0,, onde una delle sue coniche si scinde nella retta c= 0,0, e nella relta c' ulteriore sezione della superficie col piano tangente lungo la retta c. Tanto le coniche del complesso 1 che sono nei piano del fascio (c), come le linee del complesso f' che hanno i poli sulla c, passano tutte per i punti 0,,0,, onde la coppia 0,0, è singolare per ciascuno dei complessi I, I, se si stabilisce di chiamare singolare per un complesso di curve nello spazio ogni coppia di punti che appartenga ad co' linee del sistema. I complessi Fr, IM non hanno altre coppie singolari oltre quelle dovute ai raggi doppi del complesso K. Perciò : La congruenza delle rette che formano coniche degeneri del complesso DL, coincide con la congruenza dei raggi doppi del complesso K, ed è costituita dalle congiungente le coppie di punti singolari dei complessi I, I. Questa congruenza sarà designata costantemente col simbolo A. Per un punto generico O dello spazio passano 5 raggi della A. Ed in vero la superficie @,= 0° dovuta al punto O contiene 6 rette uscenti da O. Una di esse è il raggio o coordinato al punto 0; le altre 5 sono le rette indicate nel teorema. Esse sono i raggi della stella (0) che incontrano in altri due punti la curva 0, dovuta al punto 0. In un piano generico dello spazio vi sono 10 raggi della congruenza A. Infatti l’inviluppo dei raggi del complesso K situati in un piano è è razionale al pari della linea coordinata c,, e però ammette 10 raggi doppi. Essi sono i raggi irdicati nel teorema. Dunque /a congruenza A è di 5° ordine e di 10° classe. La congruenza A contiene la rigata 3,,= 0°, formata dalle trisecanti di una qualsiasi linea 0, del complesso N°. SS, gp - Ed in vero nel piano è che dal polo O della 0, proielta una generatrice ar- - bitraria £ della S,,, la conica del complesso F si spezza nella # ed in una seconda generatrice £ della 3,,, e però ne segue il teorema, Col variare della generatrice £ sulla 3,,; il piano = inviluppa un cono x; di 5° classe e di genere 6 — che è la sviluppabile bitangente della 3,, — ed il Bronio D=t descrive una curva di 10° ordine e di genere 6, che è la linea doppia della 5,, *). Tutto ciò che si è detto, vale per un punto generico O dello spazio. SI Re 8 II. I punti fondamentali dei complessi lr, ', K. 4. Dalla proprietà già dimostrata che le superficie 9, del complesso FP dovute alle rette di un fascio (0 — w) costiluiscono un fascio do segue che le superficie del complesso dovute alle rette r di un piano © costituiscono una rele R, omo- grafica al sistema delle relle r. La conica c, del complesso I° situata nel piano © è linea base della R,, ed «in questa ogni fascio Po ha per base variabile la curva 0,=c°, dovuta al punto 0. Una siffatta curva 0, sega una superficie arbitraria 9, della rete, che non ap- partenga al fascio ®o, oltre che nei 6 punti di appoggio alla c,, nei punti base isolati della rete R,,. Si hanno con ciò 15 punti U,,...U,,, di cui uno qualsiasi U, trovandosi su — ogni superficie 9, dovuta ad una qualunque retta r del piano è, appartiene ad ogui conica c, del complesso F situata in un piano p=U,r della stella (U)). Viceversa se un punto X appartiene a tutte le coniche del complesso I che | sono nei piani della stella (X), esso si troverà su tutte le superficie @, del complesso «Te però arche su tulte le curve c, del complesso I, sicchè sarà un punto base isolato di ogni rete R, . Dunque: Esistono 15 punti eccezionali U,,...U,, comuni a tutte le superficie ©, del complesso I ed a tutte le curve c. del complesso ©. Nei piani che escono da un punto eccezionale U,, le coniche del complesso I° passano tutte per tale punto. Tutto ciò che si è detto, vale sempre nell’ipotesi che il sistema Z e l’omografia generatrice del complesso T siano affatto arbitrari. In questa ipotesi si ha pure che i punti U,,...U,, risultano a due a due distinti fra di loro. Ai punto U, Na aria appartenente ad una qualunque linea c, del a | I è coordinato nel complesso K il raggio che l’unisce al polo O della c, Per l’arbitrarielà di questo punto si ha che: i Il complesso K contiene le 15 stelle di raggi (U,),...(U,;). Ciascuna di queste stelle è coordinata al proprio centro. I punti U,,...U,, si diranno fondamentali per ognuno dei tre complessi I, P, K. or Id *) Su di un sistema lineare di coniche, $ 2, 3. Fee SO e de fg Essi sono i punti uniti nella corrispondenza | fi del n.° 1 *), sicchè le |0,.. | superficie del complesso PF dovute alle rette della stella (U) sono monoidi col verlice in U, aventi in comune una curva 0,° che in U, ha un punto triplo **) e passa semplicemente per gli altri 14 punti fondamentali. x Questa è la curva del complesso I" che ha per polo il punto U,, diguisachè | in un piano w uscente da U, ‘la conica c, del complesso I passa per U, e per glio altri quattro punti di sezione con la curva 1008 i Se il piano © contiene una trisecante £ della 0,°%, la conica c, degenera in l tale trisecante e nella retta g che da U, proietta l’ultimo punto di sezione del piano con la curva, e viceversa; vale a dire cbe la rigata 3,, del caso generale si spezza. nella superficie 3,,= U,"0,°* luogo delle trisecanti della 0,‘ e nel cono S, che pro- ielta la 0,” dal punto U,. Le 3,,,5, sono riferite fra di loro con corrispondenza biunivoca in modo che due generatrici omologhe g,g costituiscono una conica degenere del complesso P in un piano è della stella (U)). I piani w=gg inviluppano il cono x, di genere 3 che proietta da U, la d,,- Il cono S,, al pari della rigata $,,, appartiene alla congruenza A. Esso contiene le 14 rette che da U, proiettano i restanti punti fondamentali. Ad ogni generatrice del cono S, si coordinano il punto U, ed il punto di ap- poggio alla curva 0,°. In particolare alla retta che unisce i punti fondamentali U,,U,, si coordinano questi due punti, mentre ad una qualunque delle tre rette ,,,,, tangenti in U, alla 0," si coordinano il punto U, ed il suo infinitamente prossimo sulla retta. Quest’ ultima proprietà equivale all’altra che nei piani dei tre fasci (4,) , (4), (4) le coniche del complesso P risultano tangenti rispettivamente alle (,,t,,é, nel punto U,. Perciò la conica del complesso F che è nel piano di due qualunque dei tre raggi t,,t,,t,, dovendo essere tangente in U, a questi raggi, si spezza in due rette concorrenti in U,. In sostanza i raggi £,,/,,t, edi piani che essi determinano a due a due, sono uniti neil’omografia che intercede fra i piani # della stella (U;) ed i piani = tan- genti in U, alle quadriche 7, del sistema 2 omologhi ai piani a nella omografia generatrice del complesso, sicchè ognuno dei tre piani 0,6, , 66, , 6,4 risulta tangente. in U, alla quadrica omologa del sistema 2, e però è sostegno di una conica dege- nere 22° del complesso l formata da rette concorrenti in U,. Le #,' appartengono tanto al cono 3, come alla rigala 3,,, ed ognuna di esse CRISI all’altra nella corrispondenza già indicata che intercede fra le due su- perficie. Perciò il piano za è doppio pel cono inviluppo y, generato da tale cor-. rispondenza; questo cono cioè presenta tre piani doppi nelle facce del trispigolo LALA Le superlicie 3,,%,, Oltre alla 0," ed alle tre coppie di relte 22, hanno in comune una curva c,=U,, luogo dei punti doppi delle coniche degeneri gg' in- nanzi dette. *) In generale dati due sistemi lineari triplamente infiniti di superficie rispettivamente degli ordini n,,n,, esistono (n, + n,) (n° + »,°) punti di cui ciascuno fa parte dei gruppi base di due reti omologhe dei due sistemi. (Cremona, Mem. cit., n.° 34). #*) Su di un sistema lineare di coniche, $ 15. CAPITOLO SECONDO 8 IV. La superficie fondamentale dei complessi l, 1, K. 5. La superficie o inviluppata dai piani sostegni delle coniche degeneri del complesso I, sarà detta superficie fondamentale del complesso. I piani tangenti alla o che passano per una retta r dello spazio, sono i piani del fascio (r) tritangenti alla superficie 9, del complesso F dovuta alla retta r, se questa non appartiene al complesso K, o sono i piani che la r determina con le altre 5 rette della superficie g,= 0° che escono dal punto O coordinato alla r, se questa è un raggio del complesso K. In entrambi i casi il numero dei piani in qui- stione è 5: epperò: La superficie fondamentale o è di classe 5. Il cono circoscritto alla e, che ha per vertice un punto generico O dello spazio, è il cono y, indicato nel n.° 3. Questo cono inviluppo non presenta alcun piano doppio, epperò /a superficie c può avere soltanto un numero finito di piani tangenti doppi. Se il punto O coincide con un punto fondamentale U,, il cono inviluppo %, acquista i tre piani doppi t,t,, t,6, , 6,‘,, sicchè questi piani risultano tangenti alla o nel punto U,, il quale perciò è triplo per la superficie. Ciò in sostanza dipende dal fatto che la superficie 9,= U del complesso I dovuta ad una retta uscente da U, e situata in una faccia dell’angolo trispigolo i,t,t,, contiene la conica xx' di tale piano (n.° 4); c però dei 5 piani che la r de- termina con le altre rette della @, che escono dal punto U,, due coincidono nel piano 7, vale a dire che dei 5 piani tangenti alla o che passano per una qualunque retta del fascio (U, — 7), due coincidono sempre col piano t, epperò questo piano è tangente in U, alla o. 6. I cinque piani tritangenti di una superficie di 3° ordine che passano per una retta ordinaria r della superficie, sono fra loro distinti, se la superficie non presenta alcun punto doppio fuori della relta r; mentre nel caso che un siffatto punto D esista, due o tre dei cinque piani indicati coincidono nel piano è =rD, secondochè il punto doppio D è conico o biplanare *). #) Rappresentando la superficie su di un piano in modo che le immagini delle sezioni piane siano curve cg=P,...P, e l’immagine della retta r sia la c, = P,P,, le cinque coppie di rette ce' della superficie situate in piani del fascio (r) sono rappresentate rispettivamente dalle coppie di lati opposti del quadrangolo completo P,P,P,P,, dal punto P, e dalla c, =P,P,P,P,P,, dal punto P, e dalla c=P,P,P,P,P,- Se la superficie presenta un punto doppio conico avente per immagine la c,=P,...P,, le ultime due coppie ce’ coincidono in un’ unica rappresentata dai punti P,,P,; e così se la super- ficie presenta un punto doppio biplanare avente per immagine le c, =P,P,P,,c=P,P;P; la ATTI — Vol. XV—Serie 2a — N. 8. 2 ds ge Ciò posto, si assuma ad arbitrio un piano tangente della superficie: fonda- mentale, e sia il piano èw sostegno della conica degenere ce’ del complesso P. Le superficie @, = cc del complesso dovute alle singole rette del piano w ri- sultano tangenti a questo piano nel punto D=cc', e però nella rete R, costituita da siffatte superficie esiste un fascio Po di monoidi aventi il vertice nel punto D. La curva 0, base di questo fascio passa con due rami pel punto D, incontra ancora in due punti ciascuna delle rette c,c', e sega ulteriormente il piano è nel proprio polo O. Le superficie g,=D'° del fascio do sono dovute alle singole relte del fascio (0 — w)j; e siccome per ciascuna di queste rette due dei 5 piani tritangenti alla corrispondente superficie 9, = D', 0, ciò che é lo stesso, due dei 5 piani tangenti alla superficie o coincidono in è, così il piano è è tangente alle e nel punto 0. Viceversa se un punto O è polo di una curva 0, dotata di un punto doppio D, le superficie @,=0, del complesso I dovute alle rette della stella (0) hanno lo stesso piano tangente nel punto D, sicchè nella rete costiluilta da siffalte superficie vi è un fascio ®, di monoidi aventi per vertice il punto D. Essi hanno ulteriormente in comune le due relte c,c che escono dal punto D e si appoggiano in altri due punti alla 0,; sicchè queste rette formano la conica del complesso P nel piano w della stella (0), sostegno delle rette della stella a cui sono dovuti i monoidi in esame. E giacché per ciascuna di tali rette due dei 5 piani tritangenti al corrispon- dente monoide coincidono nel piano è, perciò il punto O è il punto di contatto della superficie o col piano w. Dunque: La superficie fondamentale del complesso © è il luogo dei poli delle curve del complesso IT" dotate di punto doppio. coppia rappresentata dai punti P,,P, conta per tre fra le cinque coppie ce' del caso generale. Ciò giustifica quanto si è detto sopra. Cfr. anche Cayley, A Memoîr on cubic surfaces (Philoso- phical Transactions of the R. Society of London, vol. CLIX) diagrammi II =12—C, (pag. 256) e III =12—B, (pag. 263). Se la 9, presenta due punti doppi distinti rappresentati rispettivamente dalle rette c,=P,P,P,, c.=P,P,P,, il piano è tangente alla superficie lungo la retta d=D,D, conta sempre per due fra i piani tritangenti che passano per la retta r ulteriore sezione della superficie col piano. Questa retta » è rappresentata dalla c, = P,P,, e le tre coppie di rette ce' della superficie che sono nei piani tritangenti del fascio (r) diversi da $, hanno per immagini le cc= BP, = E cr =P,P,;0,=P,Py; il punto P, e la c,.=P,P,P,P,P,. Ofr. Cayley, Mem. cit., diagramma IV=12—2C, (pag. 269). Invece se i punti doppi D, D' della superficie coincidono sulla retta d in unico punto O rap- presentato dalla retta c,=P,P,P,, nel qual caso i punti P,,P; risultano infinitamente prossimi ai punti P,, P, su rette ben determinate #,t' rispettivamente, il piano È tangente alla 9, lungo la d conta per tre tra i piani tritangenti che passano per la retta r ulteriore sezione della super- ficie col piano. Questa retta r è sempre rappresentata dalla c, = P,P,; e le due coppie di rette cc' che sono negli altri due piani tritangenti del fascio (7) sono rappresentate rispettivamente dalle t= P,P,, t=P,P,, dal punto P, e dalla c,= P,P,P,P,P,- Cfr. Cayley, Mem. cit., diagramma V=12—B, (pag. 275). È bene inteso che per ragion di brevità un piano che contenga tre rette r,c,c' di una su- perficie di 8° ordine si dirà tritangente anche nel caso che il punto D==cc' sia doppio per la su- perficio. PESI i TS Perciò questa superficie si dirà fondamentale anche pel complesso T. Inoltre dal ragionamento fatto segue anche che: Un punto arbitrario O della superficie fondamentale ed il piano w tangente nel punto O alla superficie godono la proprietà che la conica cc' del complesso E situata nel piano w e la curva o, del complesso I° che ha il polo nel punto 0, hanno lo stesso punto doppio D. Le due curve si diranno fra loro associate. Se la o, è tangente nel punto D alle rette w,w, i monoidi del fascio ®, che nel punto D hanno un punto doppio biplanare e che non contengono la retta d= DO, sono quelli che nel punto D risultano tangenti l’uno ai piani cu, cu’, l’altro ai piani cu, cu. Essi sono dovuli alle due rette £, del fascio (0 — è) per ciascuna delle quali re piani tangenti alla superficie fondamentale coincidono nel piano ww. Le relte £,é coincidono soltanto nel caso che le w,w' 0 le c,e coincidono fra di loro. 7. |] raggi del complesso K che giacciono nel piano w= cc’, costituiscono due inviluppi j ,j coordinati rispettivamente alle rette cc. Per un punto generico P del piano w passano tre raggi di ciascuno dei due inviluppi. e sono quelli che pro- lettano le terne dei punti di appoggio delle c, c' alla curva 0, del complesso I° che ha il polo nel punto P; perciò i due inviluppi j,j sono entrambi di 3° classe. Essi hanno rispettivamente per raggi doppi le c,c ed, oltre al raggio d= DO coordinato al punto D, hanno in comune altri 8 raggi che con le c,c° formano il grappo dei 10 raggi della congruenza A situati nel piano w Il raggio d è doppio tanto per l’inviluppo (j,j,) del complesso K situato in ®, come pel cono del complesso cdi vertice 0, che è il cono proiettante da 0 la 0,=D°, e però il punto O ed il piano è sono rispettivamente punto e piano tan- gente della superficie singolare del complesso K, e la retta d è il raggio singolare del complesso K dovuto agli elementi 0, ©. Le proprietà inverse sono senz'altro evidenti, sicchè può affermarsi che: La superficie singolare del complesso K coincide con la superficie fondamentale dei complessi LD, Sv Le coniche del complesso FT formate da rette coincidenti. 8. 1 piani dello spazio che nell’omografia generatrice del complesso 1 hanno per omologhi i coni del sistema 2, inviluppano una superficie di 4* classe y,. I piani tangeuti comuni a questa superficie x, ed alla superficie fondamentale c, godono la proprietà che ciascuno di essi contiene il vertice del cono del sistema 2 che gli corrisponde nella omogratia anzidetta, epperò fra tali piani ve ne sono alcuni, in numero finito, che segano i coni omologhi secondo coppie di generatrici coincideulti. Perciò: // complesso V presenta un numero finito di coniche formate ciascuna da rette coincidenti. Ora, se in un piano è la conica del complesso F è costituita dalla retta d con- 219 tata due volte, ogni superficie 9, del complesso dovuta ad una qualunque retta r di è risulta tangente al piano è lungo la d, e però presenta due punti doppi D,,D, sulla dj sicchè nel fascio (r) due piani tritangenti alla superficie @, coincidono in è. Facendo variare la retta r nel piano è, non può accadere che uno qualunque dei punti doppi D,,D, della 9, resti fisso, non può accadere cioè che la rete R, de- scritta dalla @, abbia un punto base doppio D sulla d. Perchè, se così fosse, due punti fondamentali U del complesso FP coinciderebbero in D, il che non è. Perciò, assunto ad arbitrio un punto D sulla d, si ha che le superficie della rele R, che hanno in D un punto doppio, costituiscono un fascio ®*p, che può supporsi abbia per base la conica degenere formata du rette uscenti da D, sicchè questa conica pensata nel modo ora detto si associa alla curva c,=D° del com- plesso I, ulteriore base del fascio ®*p. Il polo O di questa curva c, col variare del punto D sulla d, descrive nel piano è una conica 0,. Ed in vero ogni retta r del piano contiene due punti 0, poli delle curve basi 0,=D,°,0,=D,° dei due fasci ®*,,®*, che contengono la superficie g,=(D,D,) dovuta alla r. Se la r è tangente alla conica 0,, i punti doppi D,,D, della 9, coincidono, e però nel fascio (r) tre piani tritangenti alla 9, coincidono in è *). Perciò il piano è è un piano tangente doppio della superficie fondamentale, è la conica o, ne è la linea di conlaltto. Inversamente in un piano tangente doppio è della superficie fondamentale la conica dd' del complesso I è costituita da relte coincidenti. Infatti per ogni retta r del piano è due piani tritangenti della corrispondente superficie @, del complesso P debbono coincidere in è; e però se le d, d' fossero distinte, la superficie 9, avrebbe un punto doppio nel punto D= dd, sicchè la rete R, avrebbe un punto base doppio in D, e due punti fondamentali U coinciderebbero in D il che non è. Dunque: Le coniche del complesso l formate da rette coincidenti sono nei piani tangenti doppi della superficie fondamentale. Per calcolare il numero di queste coniche occorre determinare | ordine della superficie fondamentale. A ciò valgono i ragionamenti che seguono. 9. Le curve o, del complesso I" che hanno i poli su di una retta arbitraria r dello spazio, costituiscono un fascio sulla superficie @, dovuta alla r (n.° 2). Ogni curva 0, forma la base di un fascio di 3° ordine che comprende la g,, con ogni conica di questa superficie situata in un piano del fascio (r). Perciò la 0, si appoggia alla r soltanto nel polo, ha per trisecante ogni retta della 9, appoggiata alla r e per corda ogni retta della superficie sghemba con la r. Ed in una rappresentazione piana della superficie @,, nella quale le sezioni piane abbiano per immagini curve c,=P,...P, e la retta r sia rappresentata dal punto P,, le immagini delle curve 0, sono linee CAP PRE 4A di un fascio ®, nel quale i punti base U' sono immagini dei punti fondamentali U. *) Veggasi la nota a pag. 10. In ognuno dei punti P,,. RESGI, | ES ..P, le tangenti alle c, variano da curva a curva, e però il numero delle linee del fascio ®' che presentano un punto doppio fuori del gruppo base, è 9.5 5.7=40 *), Corrispondentemente si ha che sulla retta r esistono 40 punti poli di linee c, dotate di punto doppio. Questi sono i punti di sezione della r con la superficie o (n.° 6); e però: La superficie fondamentale o è di ordine 40. Siccome la o è di classe © e presenta soltanto un numero finito di piani tan- genti doppi ordinari, perciò il numero di tali piani è Dunque: Nel complesso T esistono 20 coniche costituite ciascuna da due rette coincidenti. Un cono circoscritto alla superficie fondamentale nel caso più generale è di ordine 20. Ne segue che una sezione piana generica della superficie è di ordine 40 40.39 — e di classe 20, e però presenta 3 punti doppi. 2 Questo numero è l’ordine della curva doppia della superficie, della curva cioè luogo dei poli delle curve o, del complesso I° dotate di due punti doppi. La curva passa con tre rami per ogni punto triplo della superficie. $ VI. I punti tripli U, della superficie fondamentale. 10. Data nello spazio una linea x di ordine n, la quale passi pei punti fonda- mentali U, con r, rami, per r,=>0 ed :=1,...15, la rigata $ del complesso K che oltre alle stelle (U,) è coordinata alla linea x, risulta di grado 3n — 2r,. Infatti i raggi della & che si appoggiano ad una retta generica r dello spazio, sono quelli coordinati ai punti di sezione, diversi da U,, ...U,» della linea 2 con la super- licie g, del complesso I dovuta alla retta r (n.° 2), onde il loro numero è 3n—Zr,. Il genere della & è eguale a quello della linea . In un piano w che contenga una ge- neratrice arbitraria p della &, la conica c, del complesso I si appoggia alla @ nel punto P=p@ coordinato alla p, e vi- ceversa; cioè la superficie & è l’inviluppo dei piani sostegni delle coniche del com- plesso P_ appoggiate alla linea x. Un punto O di una generatrice ar- bitraria p della & è polo di una curva o, del complesso T, che si appoggia alla linea @ nel punto P= pe coordinato alla p, e viceversa; cioè la superficie & è il luogo dei poli delle curve 0, del complesso I appoggiate alla linea x. * Cremona, Sopra alcune questioni nella teoria delle curve piane. Annali di Matematica, tomo VI, 1864, p. 166. = d4 = Ogni piano che contenga due (o tre) generatrici della rigata &, è sostegno di una conica del complesso I che si ap- poggia in due (o in tre) punti alla linea T, e viceversa. E così ogni piano che contenga due generatrici infinitamente prossime della £, è sostegno di una conica del complesso MC tangente alla linea 2, e viceversa. La rigata $ riducesi ad un inviluppo piano soltanto se la # è una conica del complesso PF o se fa parte di una siffatta conica, se cioè è un raggio «della A. Ogni punto comune a due (0 a tre) generatrici della rigata & è polo di una curva del complesso I che si appoggia in due (o in tre) punti alla linea x, e viceversa. E così ogni punto dal quale escono due generatrici infinitamente prossime del- la é, è polo di una curva del complesso I" tangente alla linea 4, e viceversa. La rigata & riducesi ad un cono soltanto nel caso che la # sia una curva del complesso I o faccia parte di una siffatta curva. 11. Dai ragionamenti fatti si deduce innanzi tutto che: Ad una retta x che contenga v punti fondamentali, per v=0,1,2, è coordinata nel complesso K una rigata & di grado 3 — v, la quale riducesi ad un inviluppo piano di raggi soltanto nel caso che la retta x appartenga alla congruenza A, nel qual caso la È appartiene al piano della conica degenere del complesso 1 che comprende la x. Perciò al raggio w, della congruenza 4 che unisce i punti fondamentali U, , U,, sì coordina un fascio di raggi del complesso K situato nel piano della conica de- genere uu, di T. Il centro U, di questo fascio è polo di una curva del complesso I° che com- prende la relta w,, e però si spezza in tale retta ed in una curva gobba c, di 6° ordine e di genere 3, che si appoggia alla u, in tre punti *). Questi sono doppi per la curva completa, e però il punto U, è triplo per la superficie fondamentale. Nella rete di 3° ordine che ha per base le w,,C;, i monoidi che hanno il vertice in un punto D=w,6,, hanno ulteriormente in comune i due raggi della stella (D) che si appoggiano in altri due punti alla c,. Si hanno con ciò tre coppie di siffatti raggi. Essi costituiscono le coniche del complesso P associate alla (,6,) e però appartengono ai piani tangenti in U, alla superficie o. Nel complesso I" non esistono altre curve degeneri oltre le (w,,), perchè ogni altro caso di spezzamento è incompatibile con le ipotesi fatte sull’ arbitrarietà del sistema £ e dell’omografia generatrice del complesso P. E può affermarsi che: La superficie fondamentale presenta 105 punti tripli U, as- sociati alle rette U,U, che uniscono a due a due i punti fondamentali, in modo che alla punteggiata (U,U,) è coordinato nel complesso K il fascio che la protetta dal corrispondente punto U,. i *) Vegg. la mia Memoria: Su ? vari tipi di congruenze lineari di coniche nello spazio (Rendiconti di questa Accademia. Serie 3%, vol. 1°, 18965, pag. 156). È noto che i punti U, e le trisecanti u, di una curva gobba c, di 6° ordine e di genere 3 si corrispondono biunivocamente in modo che ogni conica c, che contenga 5 punti della curva, incontra la trisecante u, coordinata all’ ultimo punto di sezione della curva col piano w della c,, sicchè tenendo fisso questo punto U,, e facendo variare attorno ad esso il piano w, la conica e, descrive una congruenza bilineare, che oltre alla c, ha per direttrice la trisecante w, coordinata al punto U,. Questa notevole corrispondenza fu indicata per la prima volta da Sturm (Synthetische Un- tersuchungen ueber Flichen dritter Ordnung. Leipzig, 1867, pag. 232). CAPITOLO TERZO 8 VII. Le rigate del complesso K coordinate alle rette dello spazio. 12. Ad una retta @ che non appartenga ad alcuna stella fondamentale (U,), è coordinata nel complesso K una rigata £, di 3° grado (n.° 11). Se la x non fa parte della congruenza 4, ogni piano è del fascio (2) contiene due generatrici 9g,,9, della $,, coordinate ai punti P,,P, della 2 situati sulla conica c, del compiesso Pl che è in w. Col variare del piano è nel fascio (2), la conica c, descrive la superficie 9, do- vuta alla retta 2, e però la coppia P,P, descrive un’involuzione J, ordinaria o de- genere secondochè la x è fuori del complesso K o appartiene al complesso. Corrispondentemente la seconda direttrice rettilinea y della &, nel’primo caso è distinta dalla #, mentre nel secondo caso è infinitamente prossima a tale retta. In entrambi i casi le due superficie &, ,@, in ogni punto P, della < risultano tan- genti allo stesso piano w=x9,= c,, e però nel secondo caso le rette 2,7 coin- cidono sulla @,, la quale perciò può anche riguardarsi come dovuta alla seconda delle due rette. Ora anche nel primo caso la superlicie 9,7 del complesso I dovuta alla retta y passa per la @, giacchè in generale una linea x giace sulla superficie 9,f del complesso TL dovuta ad una retta y, se la rigata del complesso K coordinata alla x ha per direttrice la y *), e viceversa (n.° 2). Perciò: per una retta generica x dello spazio passano soltanto due superficie ©, del complesso 1, dovute rispettivamente alla x ed alla seconda direttrice y della ri- gata coordinata alla x. Con ciò viene ad aversi una corrispondenza @ fra le rette dello spazio, nella quale due relle omologhe #,%, in generaie, sono in queste condizioni: la retta y è direttrice, diversa dalla 2, della rigata $, del complesso K coordinata alla 2; e viceversa la x è una retta, sghemba con la y, della superficie @,f del complesso T dovuta alla y. Perciò nella @ ad una retta generica y corrispondono 16 relle x. E se alla relta generica y si sostituisce un raggio y del complesso K coor- dinato al punto 0, al posto del gruppo (,...,,) formato da rette sghembe con la y, si presenta sulla g,*f=0° il gruppo formato dalla retta @ infinitamente pros- sima alla y, dalle 5 rette #,,..., che incontrano la y nel punto doppio O della superficie, e dalle rette #,,,...%,, sghembe con la y; cioè nel caso in esame 5 raggi omologhi della y nella ©7' risultano incidenti alla y. Essi appartengono alla congruenza A, nè hanno altro legame con la retta y *) È bene inteso che per direttrice di una rigata si intende una retta che incontri tutti i raggi della rigata. AR fuorchè l’incontro nel punto O coordinato a tale retta, il che prova che ad un raggio qualunque , della A sono omologhi nella @ i raggi y coordinati ai singoli punti 0 della z,. Questi raggi y formano un inviluppo piano j;=: (n.° 7). Ad un raggio generico x di una stella fondamentale (U,) è coordinata una schiera rigata $, e però al raggio x corrisponde nella ®@ tuita la schiera rigata £' opposta alla $. Se la x è una generatrice arbitraria del cono S, di vertice U, della congruenza A, la £ si riduce ad un inviluppo piano di 2° classe, e la schiera opposta £', omo- loga della 2 nella @, coincide con la £. Infine, se la retta @ unisce due punti fondamentali U,,U, — nel qual caso il corrispondente inviluppo $ si spezza nei fasci (U,),(U,) del piano UUU, — oltre ai raggi di questi due fasci la 2 ha per omologhe nella @® tutte le rette della stella (U,), giacchè la superficie 9*, del complesso I dovuta ad una qualunque di tali rette passa per la 2 (n.° 11). La corrispondenza @® non presenta altre rette eccezionali oltre quelle della con- gruenza A e delle stelle fondamentali. | E dai ragionamenti fatti si conclude che: // sistema delle rette x che incontrano le omologhe nella corrispondenza ®, è la congruenza A. Il sistema delle rette y che incontrano le omologhe nella 07°, è il complesso K. ll sistema delle rette unite della corrispondenza è il complesso K. $ VIIL Relazioni di tangenza fra le curve dei complessi 1, I" e le rette dello spazio. 13. Data ad arbitrio nello spazio una retta x che non appartenga al complesso K, la retta y omologa della # nella corrispondenza ® è il luogo dei poli delle curve o, del complesso I che hanno per corda la « (n.° 10). E propriamente se una curva o, incontra la #2 nei punti P,,P,, questi si trovano su di una medesima conica €, del complesso lF; e la 0, ha il polo nel punto di sezione del piano della c, con la y, nel qual punto concorrono le generatrici coordinate ai punti P,,P, della ri- gata €, coordinata alla 2. E viceversa. Dal fatto che le coppie P,P, costituiscono un’involuzione I, non degenere, se- gue che: Una retta x dello spazio che non appartenga al complesso K, risulta tangente a due coniche distinte del complesso Te a due curve distinte del complesso I°. I punti di contatto delle prime due linee coincidono con i punti di contatto delle ultime due. Essi sono i punti doppi E,F dell’involuzione I,; e propriamente se a questi punti si coordinano le generatrici e,f della £&,, le coniche del complesso P lan- geuti alla z sono nei piani ze, ef che toccano la $, lungo le rette e, f rispettiva- mente; e le curve del complesso I tangenti alla 2 hanno i poli nei punti ye, yf che sono i punti doppi cuspidali della &, . Se la retta % è un raggio generico del complesso K coordinato al punto 0, le curve del complesso I che hanno per corda la @, sono tulte e sole quelle che banno i poli sulla @#. Una di esse sega la « nel proprio ‘polo e nel punto O, e SR) e però l’unica curva del complesso I tangente alla # è la curva o, che ha il polo nel punto O. Essa tocca la # in questo punto. Analogamente una conica c, del complesso IT che abbia per corda la #, sega questa retta nel punto fisso O ed in un punto variabile O. E la rigata €, coordi- nata alla # sega il piano ® della c, nella retia fissa 4 ed in una generatrice va- riabile 2’ coordinata al punto 0°. Perciò esiste una sola conica 0, del complesso I tangente alla 4, ed è quella situata nel piano è, tangente alla superficie &, lungo la #, che è l’unico piano nel quale le generatrici 2,2 della $, sono infinitamente prossime fra di loro. La co- nica 0, tocca la # nel punto O. Il piano è che contiene i due raggi infinitamente prossimi 4, ' del complesso K concorrenti nel punto 0, è tangente lungo la # al cono del complesso di ver- ticee 0, e però oscula la curva o, nel punto O (n.° 2). E la #, infinitamente prossima alla 2, che nel piano w sega la 4 nel punto di contatto con la 0,, è anche essa tangente a questa conica, sicchè può dirsi che: Una conica 0, del complesso I se è tangente ad un raggio 2 del complesso K, è anche tangente ad un raggio #' dello stesso complesso infinitamente prossimo ad. Fissata ad arbitrio la conica 0,, il numero delle coppie #2’ è 6, vale a dire che: Ogni conica non degenere del complesso I è tangente a 6 coppie di raggi del complesso K costituite ciascuna da raggi infinitamente vicini. Un raggio # della congruenza A, coordinato a due punti distinti 0,,0,, è tan- gente soltanto alla conica degenere #2’ del complesso P di cui fa parte; ed il punto di contatto è un qualunque suo punto. Invece per ogni punto Q che sì assuma sulla #, resta determinata una curva C, del complesso I", tangente alla # nel punto Q; e la c, varia col variare del punto. Infatti le curve del complesso I° che si appoggiano alla retta #, hanno i poli nei singoli punti del piano 0=zz'; e propriamente una qualunque di tali linee che abbia il polo nel punto P del piano w, incontra la # nei tre punti coordinati ai raggi uscenti da P dell’inviluppo $, coordinato alla # (n.° 7). Se si vuole che due di questi punti d’incontro siano due punti dati Q,Q' in- finitamente prossimi sulla #, basta assumere per polo il punto di sezione dei raggi q,9 del complesso K coordinati ai due punti, basta cioè assumere per polo il punto di contatto della g con la curva aderente all’inviluppo $,. Perciò la curva richiesta è unica, e varia col variare del punto Q sulla %. In particolare le curve del complesso I tangenti alla 4 nei punti 0,,0, ri- speltivamente, sono le linee del complesso che hanno i poli in questi due punti. Infine se i due punti 0,,0,, coordinati al raggio #, sono infinitamente prossimi fra di loro, — e ciò accade per i raggi di una rigata della congruenza A — tutte le coniche del complesso I situate nei piani del fascio (2), e tutte le curve del complesso I che hanno i poli sulla #, risultano tangenti a questa retta nel punto 0,=0,. Inoltre il cono del complesso K che ha per vertice un punto arbitrario P della , essendo il cono proieltante da P la curva c,=0,0, che ha il polo in tale punto, ha il raggio doppio stazionario #; e così l’inviluppo dei raggi del complesso K si- ” ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 8. 3 TRES tuati in un piano arbitrario del fascio (2), essendo aderente ad una curva che tocca — la 2 nei punti 0,,0,, ha il raggio doppio stazionario %. Le proposizioni inverse sono senz’altro evidenti, e si conclude che i raggi in esame formano la rigata dei raggi doppi stazionari del complesso K. 14. Le coniche del complesso 1 e le curve del complesso I che passano per un punto generico O dello spazio, formano rispettivamente due fasci sulla superficie g,= O°or, ...r, dovuta al punto O (n.° 1), e però in questo punto risultano tangenti alle singole generatrici del cono x, tangente in O alla 9,, che è del tulto determi- nato dal raggio 0 coordinato al punto 0 e dai raggi r,,...r, della congruenza 4 uscenti dal punto 0. Più propriamente la conica del complesso F che è in un piano arbitrario v del fascio (0), è tangente nel punto O alla retta £ sezione variabile del cono y, col piano v; come la curva del complesso 1 che ha il polo in un punto arbitrario N della o, è tangente nel punto O alla generatrice variabile £ del cono x, situata nel piano tangente lungo la o al cono del complesso K di vertice N. In questo piano v=ot due raggi del complesso K uscenti dal punto N, coincidono in 0, sicchè questa retta tocca nel punto N la curva inviluppata dai raggi del complesso K situati nel piano v. Con ciò si ha il modo di determinare la conica c, del complesso F e la curva €, del complesso I° che nel punto O risultano tangenti ad una generatrice £ del cono %, fissata ad arbitrio. Col variare della £ sul cono y,, il piano v della c, ed il polo N della c, va- riano corrispondendosi nella proiettività caratteristica dovuta al raggio o del com- plesso K *). Se il punto O è doppio per una conica degenere r,r, del compiesso FP, il rag- gio o giace nel piano r=r,m,; ed il cono che in O è tangente alla superficie g,= O0°or,...r,, si spezza nel piano a=o0r,r, ed in un secondo piano 7 =r,ff,. Questo piano passa auche esso pel raggio o soltanto nel caso che vi sia una se- conda conica degenere r,r, del complesso Pr formata da rette segantisi nel punto 0, nel qual caso il raggio o conta per due nel gruppo delle 6 relte della 9, uscenti da 0. Viceversa se la superficie 9, = O°or, ...r,, dovuta ad un punto 0, ha in O un punto doppio biplanare, uno almeno dei due pian? tangenti ®, ' conterrà il raggio o e segherà ulteriormente la 9, in una conica degenere del complesso I avente in 0 un punto doppio. Se ciò accade soltanto pel piano n= or,r,, questo piano ® ed il punto P, polo della curva 0,=0* associata alla conica r,r, (n.° 6), presenteranno rispetto al com- plesso K la particolarità che in un qualunque piano v del fascio (0), diverso da r, la curva inviluppata dai raggi del complesso K tocca la 0 nel punto Pj mentre ogni punto N della 0, diverso da P, è vertice di un cono del complesso K tangente lungo la 0 al piano x (n.° 7). Per la prima proprietà la curva del complesso I" tangente nel punto O ad una *) È la proiettività intercedente tra i punti ed i piani che i raggi del complesso K. infinita- mente prossimi ed incidenti alla 0 determinano con questa retta. Vegg. fra gli altri: Sturm, Liniengeometrie, II Th. n. 290. PI | sibi PEA A 0° ROSE " ignaro <£ VASO Aso (SEI qualsiasi retta £ del fascio (O—) risulta essere la 0,=0*; mentre per la se- conda proprietà la tangente nel punto O ad ogni altra curva del complesso I uscente da O, giace nel piano x. Inversamente ogni retta / del fascio (O— x) risulta tangente nel punto O alla conica degenere r,r, del complesso T, che è nel piano ot=, mentre le altre co- niche del complesso PF uscenti da O risultano tangenti in questo punto ai singoli raggi del fascio (0— rr). Invece nel caso che i piani 7, passino entrambi pel raggio 0, ciascuno di essi contenendo una conica degenere del complesso P formata da rette concorrenti nel punto O, risulta tangente in questo punto alla quadrica che gli corrisponde nella omografia generatrice del complesso, e però anche il raggio 0, sezione dei due piani, sarà tangente nel punto O alla curva omologa 0,, sezione delle due qua- driche; sicchè la o sarà un raggio doppio stazionario del complesso K e risulterà tangente nel punto O ad ogni curva generica dei complessi I, I che passi pel punto O; mentre una relta qualsiasi del fascio (0 — 7) (o del fascio (0 — r’)) risulta tan- gente nel punto O alla conica degenere r,r, (o alla r,7,) del complesso F ed alla curva del complesso I" associata alla r,r, (0 alla r,r,). inversamente ogni raggio doppio stazionario o del complesso K risulta tan- gente nel punto coordinato O alla curva 0, che gli corrisponde nell’omografia ge- neratrice del complesso P; e nella proiettività che questa determina fra i fasci (0), (0,) vi saranno due piani del primo fascio tangenti alle quadriche omologhe del secondo, sicchè il punto O sarà doppio per due coniche degeneri r,r,,7,7, del complesso F e per due curve 0,,0°, del complesso I situate sulla superficie 9, generata dai due “fasci, la quale avrà due punti doppi 0,0' infinitamente vicini sulla o. La superficie luogo dei punti doppi delle linee dei complessi 1, I sarà detta superficie nodale dei due complessi. Con ciò potrà affermarsi che: Alla rigata dei raggi doppi stazionari del complesso K è coordinata la curva doppia della superficie nodale dei complessi ©, I. Le coniche del complesso I (o le curve del complesso I") che passano per un punto semplice della superficie nodale, sono tangenti in questo punto ad un medesimo piano n’ (0 n); mentre le linee dei due complessi che passano per un punto della curva doppia della superficie, sono tangenti in questo punto ad una medesima retta. Inoltre è evidente che: La superficie nodale è il luogo di un punto dal quale escono tre raggi complanari della congruenza A. Restano ora a determinarsi le relazioni intercedenti fra le curve dei complessi MT," che escono da un medesimo punto fondamentale U,, e le relte tangenti a queste curve nel punto U,. Come per un raggio generico del complesso K, così per un raggio arbitrario 0 della stella (U,) esiste una sola conica del complesso I tangente alla 0. Essa trovasi sulla superficie g,=U; dovuta alla 0, ed è tangente a questa retta nel punto U,. Nel $ seguente saranno prese in esame le curve del complesso I tangenti alla retta o nel punto U,. Per ora i risultati ottenuti in questo $ possono riassumersi nel seguente teorema: La corrispondenza che intercede fra le tangenti ed i punti di contatto delle sin- gole coniche del complesso ©, coincide con la corrispondenza analoga dovuta al com- plesso T. In siffatta corrispondenza prospettiva = Ie ad una retta generica dello spazio sono omologhi due punti. Le rette eccezionali sono i raggi della congruenza A, di cui ciascuno corrisponde a tutti î suoi punti. Le rette sulle quali î punti omologhi risultano infinitamente vicini, sono i raggi del complesso K. Un punto ed un raggio tali che ciascuno di essi conti per due fra gli elementi | omologhi dell'altro, appartengono rispettivamente alla curva doppia della superficie nodale ed alla rigata dei raggi doppi stazionari del complesso K. | $ IX. Le omografie caratteristiche nelle stelle in FA, 15. Le schiere rigate del complesso K covrdinate ai singoli raggi di una stella” È fondamentale (U,) formano un sistema doppiamente infinito X,. . -% 2 Un raggio generico o del complesso K che sia coordinato al punto 0, trovasi. i sull’unica schiera € del sistema dovuta alla retta 2 = U0. ei Se il punto O varia sul raggio x della (U,) tendendo ad approssimarsi inde- > il corrispondente raggio o varia sulla schiera $ appessticsni mandosi indefinitamente alla generatrice 0° che esce dal punto U,. Nt Perciò questa retta 0' si può dire che sia il raggio del complesso K coordinate al punto O infinitamente prossimo al punto U, sulla «. lu generale la proprietà earatteristica del punto P coordinato ad un raggio ar bitrario 2 del complesso K, si è che lulte le superficie 9, del complesso T' dovute hanno in comune il punto P oltre ai punti fondamentali — finitamente al punto U,, alle relle appoggiate alla @, Upi Perciò, a conferma di quanto si è detto per la 0’, occorrerà RARA che tutte le superficie 9, del complesso P dovute alle rette appoggiate alla 0’, risultano genti nel punto U, alla . A ciò basta osservare che una relta generica r dello spazio si appoggia. alle generatrici g,,9, della & coordinate ai punti P,,P, la retta 2. Perciò se la retta r si appoggia alla 0, È generatrici 9,,9,, e corrispondentemente uno dei punti P,,P, viene a cadere — cioè la superficie 9, risulta tangente in U, alla relta 2, come si voleva di- alla r sega, oltre che in U,, in U,, mostrare. Le superficie 9, dovute a tutte le rette r che escono da uno stesso punto g ge = hanno in comune soltanto la curva 0, che ha il polo nel punto 0. È ten curva passa con un solo ramo pel punto U;; e però le anzidette superficie » hanno una sola tangente comune nel punto LA i curva 0,, sicchè la £ coincide con la 2; questa cioè è tangente in U, a tutte le curve 0, del complesso I che hanno i poli nei singoli punti della 1 diversi da U nerico O della 0’, ad un punto gener. ico dello spazio son ( I punti eccezionali sono i punti f pi : mentali U,, di cui ciascuno corrisponde a tutti i raggi della stella di cui è centro 1 punti pei quali i coni omologhi r = sultano degeneri, costituiscono la superfè- cie nodale dei complessi I, F. A > ros [eri ma Li da E "i in cui la superficie 9g; dovula id questa viene a:l essere una delle i Mi ed è la tangente £ in U, alla — SEM spondenza che si ha fra i raggi 2, 0' della stella (U,), sarà designata lo H,. | determinare completamente questa corrispondenza basta la seguente 0s- de di superficie @, del complesso 1° dovute alle relle r di un piano generico e spazio, formano una rete omografica tanto al sistema delle rette r, come al dei piani tangenti nel punto base U, alle superficie medesime. Perciò fra il sistema piano (0) e la stella (U,) viene ad aversi una omografia al nella quale ad una retta 7 e ad un punto 0 di o corrispondono rispettivamente dt tangente in U, alla superficie 9, del complesso I° dovuta alla retta r e la » tangente in U, alla curva 0, del complesso I che ha il polo nel punto O. " Proîettando questo punto O da U, si oltiene il raggio o omologo del raggio & ®, perciò la H, Por al pari della = è una omografia. in essa sono omologhi i piani 7,7, i singoli punti O di una retta generica sono poli di curve 0, tangenti in U, alle singole rette # del fascio (U, — 7). le curve 0, si trovano sulla superficie 9, dovuta alla r, e però la 9, è tangente De Ufcakpiano; vi, Dunque: Le superficie 9, del complesso I dovute alle rette di un piano 7 della (U) sono tangenti nel punto U, ad un medesimo piano ©. I piani 7, © si cor- dono nella omografia H,. Questa sarà delta omografia caratteristica della stella fondamentale (U;). Se la retla 2 si trova sul cono 3) =0, della congruenza A di vertice U,, il spondente raggio o' sarà la ISS rella uscente da U, dell’inviluppo $, coor- “alla CA In particolare al raggio U,U, è omologo nella omografia H, il raggio UU, (n.° 11). Così è agevole riconoscere che nella omografia H, sono uniti i piani tangenti superficie fondamentale nel punto U, . - Infatti uno qualunque 7 di questi tre piani è sostegno di una conica degenere ? del complesso P formata da relle concorrenti nel punto U,, sicchè ogni super- , dovuta ad una retta del piano 7 contiene le #,z' e però risulta tangente nel punto U, allo stesso piano t'. E viceversa. Ne segue che: Nell’ omografia H, sono unite le tre tangenti in U, alla curva 0, " ‘omplesso PT, che ha il polo nel punto U,. _ Una Bensbatrice arbitraria g del cono 3° essendo coordinata al punto U, ed l ondo punto d’appoggio P alla curva 0,°, è un raggio gorsie stazionario del Dlesso K se coincide con una delle tre tangenti in U, alla 0, Nvece per un punto qualunque P della 0,°, che non sia fondamentale nè infi- lente prossimo al punto U,, il raggio doppio g=U,P del complesso K non è lazion ario, e però il punto P_non si trova sulla curva doppia della superficie nodale. “a 16. pala ag ene, una curva 2 di nazio n ce cRassi con r, rami per i li) .15) , la rigata È del a K coordinata alla curva x contiene in a della stella (U;), e sono le r, relle cgolaglta nella La pale H, alle DDR : Fissata ad arbitrio una retta o nella stella (U,), le generatrici della & che a appoggiano a questa retta in punti diversi da U,, sono coordinate ai punti in cu li la superficie @,=U-0,°” dovuta alla 0, sega la linea « al di fuori della CA e però il loro numero è + xa, =8n-2r,—r—s,, ove la somma Z' è estesa a tutti i numeri r diversi da r,. E siccome l’ordine della £ è (n.° 10) a=3n-2r , ove la somma Z è estesa a tulti i numeri r, perciò: L'ordine di multiplicità o-d del punto U, per la rigata & è r,+-s,. po: La dbalo e dei raggi doppi stazionari del complesso K contiene le tre tangeni ti in U, alla 0,°. Queste sono unite nella omografia H,, e però la curva doppia « dell: superficie dodo che è Corsa alla p, è ingenio in U, alle stesse tre rette, sicchè si appoggia alla curva 0,°, oltrechè nei punti fondamentali, nei tre punti Q, in- finitamente prossimi ad U,, cioè per la x è r,=3,s,=8; e però: Kai L'ordine di multiplicità del punto U, per la rigata dei raggi doppi stazionari del complesso K è 6. ho Le generatrici della rigata che escono dal punto U,, sono le tre tangenti Pi U, alla curva 0,° e le rette infinitamente prossime alle precedenti nei tre piani oscu- si latori in U, alla curva. 4 sali» #0 0 — CAPITOLO QUARTO Sx La superficie nodale dei complessi PD, 1 e) ©“ 17. Per individuare due coniche c,,c, del complesso I infinitamente prossime “fra di loro, basta dare la prima di tali linee e la relta r secondo cui il suo piano è segata dal piano dell’altra. — Con ciò resta determinata la superficie 9, che contiene le due coniche, che è quella dovuta alla r; e però restano del pari determinate la congruenza delle rette ‘appoggiate alle due coniche, che è formata dalle tangenti alla supercie 9, nei punti - della C,, € l’inviluppo dei piani tangenti ad entrambe le coniche, che è formato dai | piani tangenti alla @, nei punti della c,. «Come nel caso generale, così nel caso in esame le due coniche c,,c, non — hanno punti in comune, o ne hanno uno solo o due, secondo che la retta r co- «mune ai loro piani non appartiene al complesso K, o ne è raggio semplice o doppio. È Se la conica c, si spezza nelle rette c, c' concorrenti nel punto D, e se la retta cr passa pel punto di contatto O del piano w=cc con la superficie fondamentale, toa piano è' della c', risulla anche esso tangente a questa superficie, sicchè la co- | nica e’, si spezza anche essa in due rette c,,c, infinitamente prossime alle c,c' ri- | spettivamente; e le due congruenze di raggi che hanno per direttrici l’una le c,c,, l’altra le c‘,c,, risultano essere le congruenze lineari formate dalle tangenti nei punti delle c,c' alla superficie g,=D° dovuta alla r. I fasci di raggi delle due congruenze che hanno per centro il punto D, sono — nei piani 7, ' tangenti lungo le relte c,c' al cono x, che nel punto D è tangente alla superficie 9,. Perciò i piani 7,7 coincidono con i piani che dal punto D pro- | iettano le rette c,,c,, € però hanuo in comune la congiungente i punti infinita- — mente prossimi D=cc', D,=c,c, della superficie nodale, cioè la retta £="tT è tan- gente nel punto D all’anzidetta superticie. Se si tiene fissa la conica ce' e si fa variare la retta r nel fascio (0 — w), la | superficie g, descrive il fascio che ha per base la conica ce' e la curva 0, = D' che ha il polo nel punto O; il cono x, descrive il fascio che ha per base i raggi c,c' e le tangenti wu, w' nel punto D alla curva 0,; e la retta £ — che è il raggio polare — del piano w=cc' rispetto al cono x, — descrive il piano 7 determinato dai raggi =cu—cu ,t'=cu—cu. Dunque: // piano 7 tangente in un punto generico D alla superficie nodale è completamente determinato dalle due linee dei complessi Pr, che hanno il punto doppio D, e propriamente se la prima linea si scinde nelle rette c , c', e la seconda ha | per tangenti in D le rette u, u', il piano © passa per le rette V=cu—c'Uu', l=cu—cu. 3 Queste rette sono le posizioni che assume la tangente / quando il cono g, si | scinde nei piani cu,cu' o nei piani cu', cu. e. Anche nel caso che le u,w' (o le c,c) coincidano fra di loro, il piano 7, che Pet, — DES è reciproco al piano cc’ rispetto a tutti i coni y,, risulta determinato, e contiene retta «, (0 la c;) in cui coincidono le wu, u' (o le c,c). ne” A conferma dei risultati ottenuti può farsi la seguente osservazione. Se rispetto ad una data superficie di 3° ordine 9, affatto arbitraria si assumo le prime polari dei punti di una retta r della superficie, si ottiene un fascio di qu driche che ha per base la r ed una cubica gobba c,, appoggiata in due punti alla luogo dei poli di questa relta rispetto alle coniche della superficie situate nei sing piani del fascio (r). Perciò la cubica gobba c, passa per i punti doppi D,,...D, delle coniche degeneri della g, situate nei piani del fascio (r), ed è tangente alla superficie nei punti di appoggio alla r. Tè Se la superlicie g, presenta un punto doppio D, e se in questo punto è ben gente ad un cono ordinario x,, la quadrica polare di un qualunque punto P della | passa per D ed in esso è langente al piano t polare del punto rispetto al cono nali sicchè col variare del punto P sulla r, nell’ipotesi che questa non passi pel punto | _ D, il piano 7 descrive il fascio che ha per asse il raggio polare £ del piano Dr rispetto al cono y,. Perciò la cubica gobba c, passa pel punto D ed è tangente in sa questo punto al raggio /; e dei 5 punti D,,...D, del caso generale due coincidono | nel punto D sulla curva c, e però anche sulla retta {. si Questo conferma ciò che per altra via si era oltenuto. Sempre rell’ipotesi che la retta r non passi pel ul D, può accadere che il cono y, si spezzi in due piani x,y. In tale caso la tangente £ nel punto D alla — cubica c, viene a coincidere con la retta yy, e dei 5 punti DX D, tre coincidono nel punto D sulla cubica c, e due sulla retta (. i Infine se la retta r passa pel punto D, e se il cono y, si scinde in due piani i x,%, il primo dei quali contenga la retta r e seghi ulteriormente la superficie 9, se condo le rette a, a’, la cubica gobba c, sì scinde nella retta r°, coniugata armonica della r rispetto alle a,a, ed in una conica c,. E siccome il fascio di quadriche che ha per base le r, r', 6,, comprende la quadrica degenere yy, polare del punto D, perciò la c, giace * piano x e nel punto D è tangente alla retta {= yy, sicchè | dei 5 punti D,,...D, tre coincidono nel punto D sulla c, e due sulla {. va Da eso proprietà riesce agevole dedurre che la superficie nodale dei complessi E, I° è tangente in un punto fondamentale U, ai piani uniti della omografia — OE Ho “gl Infatti in un piano unito y la conica del complesso TC si spezza in due rette. a,a' uscenti da U,, e però la superficie @,=U:raa'o,, dovuta ad una retta arbi- traria r del fascio (U,— x), ha un punto doppio biplanare in U,. Ve Dei due piani tangenti uno è il piano y; mentre l’altro passa per la renga in U, alla curva 0,° situata fuori del piano x, e col variare della retta r nel fa- scio (U.—) descrive il fascio che ha per asse l’anzidetta tangente. Perciò la retta £ sezione dei due piani, col variare della retta r, descrive anche essa tutto il fascio (U, — x); @ siccome in ogni sua posizione contiene, per quanto si è detto, due punti della superficie nodale coincidenti in U,, perciò il piano x è tangente in U, alla superficie. 18. Resta ora a determinare l’ordine della superficie nodale. A_ ciò occorrono i ragionamenti che seguono. N ®» 4 SIR 1; (porta Nel complesso I" vi sono due curve c, tangenti in un punto dato 0 ad un piano dato ® che passi pel punto. I poli P,,P, delle due curve sono sul raggio o coordinato al punto 0; e seconlochè questo punto è o no sulla conica c, del complesso I situata nel piano ©, il raggio o giace o no su tale piano, e la curva o, che ha il polo nel punto O, la quale in questo punto è tangente al raggio 0, è o no tangente in O al piano ©. Corrispondentemente il punto O nel primo caso coincide con uno dei punti P,,P.,, mentre nel secondo case è diverso da questi due punti. Tenendo fisso il piano ® e facendo variare il punto O su di una retta x di tale piano, resta determinata una curva c luogo dei poli delle linee del complesso I tangenti al piano ® nei punti della 2. Questa curva c si trova sulla superficie rigata £ coordinata alla retta 2, e pro- priamente incontra in due punti P,,P, ciascuna generatrice o della É. Inoltre essa incontra la direttrice semplice # della rigata nei due punti di sezione con la conica del complesso PT che è nel piano 7, onde risulta di 6° ordine e si appoggia in quattro punti alla direttrice doppia della superticie. Due di questi punti sono i punti doppi cuspidali D, E della superficie, poli delle due curve c, tangenti alla retta 2; mentre ciascuno degli altri due punti è polo di una linea c, bisegante della retta #2 e tangente al piano x in uno dei punti di sezione. Tenendo fissa la retta 2 e facendo variare il piano @ attorno a questa retta, la curva c, varia descrivendo un fascio sulla superficie &, coordinata alla . Infatti per un punto generico P della $,, che sia polo di una curva c, appog- giata alla retta 2 nel punto O, passa soltanto la curva c, del sistema che si ottiene assumendo nel fascio (2) come piano x quello che contiene la tangente in 0 alla c,. Fanno eccezione soltanto i punti doppi cuspidali D,E innanzi detti e i poli delle curve c, che hanno un puuto doppio sulla x. Tutte le curve c, passano sem- plicemente per questi punti. Ora in una rappresentazione piana della superficie &,, nella quale il sistema rappresentativo sia costituito da coniche aventi in comune un punto Q, ogni curva c, ha per immagine una curva c,=Q°, sicchè il numero dei punti base del fascio delle c, è 12, e però il numero delle curve del complesso F che hanno un punto doppio sulla retta x è 10. Dunque: La superficie nodale dei complessi T, I è di ordine 10. Se la relta 2 passa per un punto fondamentale U,, per ogni piano mr del fa- scio (2) resta sempre determinata una curva c, luogo dei poli delle curve c, che si appoggiano alla #, oltre che in U;, in un secondo punto O e che in questo punto risultano tangenti al piano ©. Come nel caso generale la curva c si appoggia in due punti ad ogni gene- ratrice o della schiera & coordinata alla #. Di più nel caso in esame ogni genera- trice 2’ della schiera opposta alla $ si appoggia del pari alla curva in due punti. Infatti la superficie 9, dovuta alla 2° passa per la #, e però risulta tangente al piano ® in due punti. I raggi coordinati a questi punti segano la 2° nei punti di appoggio della 2’ alla curva. ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 8. tI ASS Uno di questi punti coincide col punto U,, quando la x' coincide con la 2, sicchè la c è una curva di 4° ordine e di 1° specie che passa semplicemente per U,. Col variare del piano x attorno alla retta 2, la curva c, varia sulla quadrica sostegno della schiera £, descrivendo un fascio che oltre al punto U, ha per base i poli delle curve del complesso I che hanno un punto doppio sulla retta 2 di- verso da U,. Ciò prova che: Ogni punto fondamentale ‘U, è triplo per la superficie nodale. La retta u, che unisce i punti fondamentali U,, U,, sega ulteriormente la su- perficie nodale nel punto d’appoggio alla retta wu, che con la wu, forma una conica del complesso 1, e nei tre punti d’incontro con la curva c,” che con la u, forma una curva c, del complesso T. Infine è evidente che la superficie nodale contiene le 20 rette c che contate due volte formano coniche del complesso FP. 19. L’ordine della curva doppia della superficie nodale si determina facilmente nel seguente modo. Si assuma un punto generico O deilo spazio e si consideri il complesso di rette H formato dalle tangenti aile coniche del complesso FP che sono nei piani della stella (0). Il cono del complesso che ha per vertice un punto generico P dello spazio, è circoscritto alla superficie 9, dovuta alla retta r= OP, e però risulta di 4° ordine ed ha la generatrice doppia r. Se il punto P si trova su una conica degenere cc’ del complesso I situata in un piano della stella (0), la superficie 9, dovuta alla retta r= OP contiene l’anzi- delta conica; sicchè il cono circoscritto alla superficie che ha il vertice nel punto P, oltre alla r ha per generatrice doppia quella delle due rette c,c, che passa pel punto P. Perciò # complesso H è di 4° grado ed ha per raggi doppi le rette della stella (0) e le generatrici della superficie %,, formata dalle coniche degeneri del com- plesso T che sono nei piani dell'anzidetta stella *). Le generatrici della 3,, sono raggi semplici della congruenza A, e però la ri- gata comune al complesso H ed alla congruenza A comprende la S,,, contata due volte, ed una rigata p di ordine 4(10 +5) —15.2—=30. Ora è agevole riconoscere che questa rigata p è costituita dai raggi doppi sta- zionari del complesso K. Infatti una generatrice arbitraria 4 della p non fa parte della conica c, del complesso I situata nel piano 0x, ma risulta tangente a tale conica; e però i suoi punti coordinati coincidono nel punto di contatto. Viceversa un raggio z della congruenza A che sia stazionario pel complesso K, risulta tangente alla conica del complesso I situata nel piano w=0z, e però fa parte del complesso H senza appartenere alla S,,. Dunque: 1 raggi doppi stazionari del complesso K costituiscono una rigata p di grado 30. Alla p è coordinata la curva doppia % della superficie nodale. Questa curva ha un punto triplo in ogni punto fondamentale (n.° 16); e però se è di ordine n, sarà (n.° 10): 30=3n—-3.15. *) Cfr. Not. cit. Su di un sistema lineare di coniche nello spazio, n.° 4. ts60o p gprcra Perciò: La curva doppiu della superficie nodale è di ordine 25. Un piano w che sia sostegno di una conica degenere del complesso 1 formata da rette coincidenti cc’, contiene altri 8 raggi doppi r, del complesso K coordinati rispettivamente alle coppie di punti r,(cc'). Perciò gli 8 raggi risultano stazionari; ed i punti in cui segano la c, appartengono alla curva £. Dunque: Una retta c che contata due volte formi una conica del complesso TL, incontra la curva doppia della superficie nodale in 8 punti. Un piano 7 che passi per la retta c, sega ulteriormente la superficie secondo una curva di 9° ordine che incontra la c negli 8 punti di appoggio alla curva doppia, ed in un ultimo punto, nel quale il piano © risulta tangente alla superficie. Perciò: La corrispondenza che intercede fra i punti di una retta © ed i piani tangenti in questi punti alla superficie nodale, è proiettiva. SXL Le congruenze del complesso K. La superficie singolare dei complessi FP, 1. 20. Duta nello spazio una superficie arbitraria y di ordine n, la quale nei punti fondamentali U, abbia punti multipli di ordine r,, per r,=0, la congruenza è del complesso K che, oltre alle stelle (U,), è coordinata alla superficie x, risulta di classe n=2n e di ordine m=7n—Zr, Infatti i raggi della congruenza situati in un piano generico dello spazio sono coordinati uno ad uno ai 2n punti di sezione della superticie y con la conica del complesso I situata in quel piano; e così i raggi della congruenza che escono da un punto generico dello spazio, sono coordinati uno ad uno ai punti non fondamentali sezioni della superficie y con la curva del complesso I che ha il polo in quel punto. In generale sulla superficie y esiste un numero finito di coppie singolari dei complessi 1, I (n.° 8). Corrispondentemente vi è un numero finito di raggi doppi del complesso K, che risultano doppi per la congruenza &. Dal punto fondamentale U, escono m' — 2r, raggi della congruenza, coordinati ai punti non fondamentali sezioni della superficie x con la curva 0,°. Inoltre, se r.>Q0, esiste nella congruenza un cono di ordine r, avente il vertice nel punto U,, omologo nella omografia caratteristica H, al cono tangente in U, alla superficie x (n.° 15). Intine dalla costruzione data pei raggi della congruenza che escono da un punto o giacciono in un piano, segue che: La superficie focale della congruenza E è l'inviluppo dei piani sostegni delle co- niche del complesso T tangenti alla superficie y, ed è il luogo dei poli delle curve del complesso I" tangenti alla y. I piani focali ed i fuochi di un raggio generico o della # si ottengono consi- derando il piano tangente alla superficie y nel punto O coordinato al raggio 0, ed il cono tangente nel punto O alla superficie 9, dovuta alla o. Le due rette comuni al piano ed al cono determinano con la o i due piani focali t,7; edi punti T,T omologhi di questi due piani nella proiettività caratteristica dovuta al raggio 0 del complesso K (n.° 14), sono i fuochi corrispondenti. E Ogg La superficie focale della congruenza è tangente nei punti T,T' ai piani 9',@ rispettivamente *). E per ciascuno dei fasci (T —©),(T—7) si ha che la conica del complesso I che è nel piano del fascio, e la curva del complesso I che ha il polo nel centro, risultano tangenti nel punto O alla superficie y senza toccarsi in tale punto, sicchè le superficie 9, del complesso IF dovute alle singole rette del fascio, contenendo le anzidelte due linee, risultano tangeuti nel punto O alla superticie x. Viceversa se la superficie 9, dovuta ad una retta r risulta tangente alla superficie x in un punto O, la retta r è tangente alla superficie focale della congruenza E nel punto (e nel piano) che essa determina col raggio o coordinato al punto O. Perciò la proprietà caratteristica di una tangente della superficie focale della congruenza E, si è che la superficie 9, dovuta a tale retta, risulta tangente alla superficie y. Per determinare la classe della superficie focale basta rappresentare su di un piano la superficie 9, dovuta ad una retta generica r dello spazio. Se le linee piane della g, hanno per immagini curve c,=P,...P, e la retta r ha per immagine la conica c,=P,...P,, la linea 4,, sezione della 9, con la su- perficie y avrà per immagine una curva c,,=(P,...P.;)"U/, e le coniche della g, tangenti alla superficie x situate in piam del fascio (7) avranno per immagini le rette uscenti dal punto P, che toccano altrove la curva c,,, sicchè il numero di tali coniche è 3n9 n'=3n(3n-1)—-n'—n—Snn—-1)—Zr(r-1)=n(8nt+1)Zr:(r-1). Questa è la classe della superficie focale. La rigata costituita dai raggi della congruenza & appoggiati alla retta r è coordì- nata alla curva £,,="9,% , € però ha lo stesso genere p della curva c,,=(P ... PY°U" im- magine della £,,. Ed è _(8n—1)(8n-2) n(n—1) r(r--1) _In(a_1) Zr.(r,—1) isa Gi gt) STO 1) La classe della congruenza è n'=2%; perciò si ha anche n'=2(n+p—1). 2) Questa è la nota relazione che intercede fra la classe di una congruenza di rette, la classe della superficie focale ed il genere della rigata sezione della con- gruenza con un complesso lineare **). Dalla formola duale m'=2(m+p—1), 3) *) Sturm, Liniengeometrie. II Theil, n.° 290, 291. #*) Vegg. ad es. Fano, Lezioni di Geometria della retta. Roma 1896, ni 71 e 66. = Sugre sostituendo ad m' ed a p i valori già trovati, si deduce che l'ordine m della super- ficie focale della E è m=n(3n+11)—Zr.(r.+1). Con ciò restano determinati tutti i numeri caratteristici della congruenza &. La classe della £ è un numero pari. Ciò si verifica anche per la congruenza 4 dei raggi doppi, e però: Tutte le congruenze del complesso K sono di classe pari. La congruenza A è l’unica che non è riferita con corrispondenza biunivoca alla superficie coordinata o’, e però è l’unica che non soddisfa alle proposizioni ge- nerali ora stabilite. Le coppie di punti coordinate ai suoi raggi sono le coppie singolari dei com- plessi P, I (n.° 5); e però la superficie o, luogo di queste coppie, si dirà super- ficie singolare dei due complessi. Essa è segata da una conica del complesso I in 10 coppie, e da una linea del complesso I, oltre che nei punti fondamentali, in 5 coppie. Inoltre nel punto fondamentale U, la o' è langente al cono di 4° ordine che nell’inversa della omo- grafia caratteristica H, corrisponde al cono della congruenza A di vertice U,. Perciò: La superficie singolare dei complessi T, N° è di 10° ordine e nei punti fondamen- tali ha punti quadrupli. Nella corrispondenza involutoria determinata sulla o' dalle coppie singolari, ogni punto U, ha per corrispondente la curva 0,°=U), mentre la linea dei punti uniti è la curva # del $ prec. Ogni superficie 9, dovuta ad una qualunque retta r dello spazio sega la o' se- condo una curva unita nell’anzidetta corrispondenza, e propriamente l’involuzione i, che ne risulta sulla curva, ha le coppie di punti coniugati sui singoli raggi della congruenza A appoggiati alla r. Ora la curva, per la 1) è di genere 46; sicchè la rigata p,, degli anzidetti raggi, pel teorema di Zeuthen, risulta di genere 16. Cor- rispondentemente dalle 2), 3) si ha che: La superficie focale della congruenza A è di ordine 40 e di classe 50. 21. Ad un piano generico y dello spazio è coordinata una congruenza E di classe 2 e di ordine 7. | raggi r,,...r,, della congruenza A situati nel piano x sono doppi per la congruenza #, nè questa ammette altri raggi multipli. Gli inviluppi piani della £ sono l’inviluppo j,=(7, ...r,) del complesso K che è nel piano x; e gli inviluppi j," =r,° coordinati ai raggi r,,...T,- La superficie focale della congruenza E è di classe 4 e di ordine 10. Questa superficie y è l’inviluppo dei piani delle coniche del complesso I° tangenti al piano %, ed è il luogo dei poli delle curve del complesso I" tangenti allo stesso piano. Per ogni relta generica r del piano y esistono due coniche del complesso I° tangenti alla r. I piani delle due coniche appartengono alla superficie inviluppo x, nè questa coutiene altri piani del fascio (r), oltre il piano x. I due piani indicati coincidono fra di loro se la retta r appartiene all’inviluppo j,, mentre uno di essi coincide col piano x, se la retta r è tangente alla conica c, del complesso I che è nel piano v. <> age Da quest’ultima proprietà segue che la superficie x è tangente al piano doppio x nei punti della conica c, . Considerazioni analoghe possono ripetersi pel piano 7, dell’inviluppo j,”. La superficie 9, dovuta ad una retta r di questo piano, contiene la conica degenere r,r,, e però sega il piano y oltre che nella r, secondo una conica r,. I due piani tangenti a questa conica che passano per la retta r, appartengono alla superficie inviluppo x; né questa presenta altri piani del fascio (r) diversi dal piano x,. Uno dei due piani indicati coincide col piano 7, se la conica r, è tangente alla r,. Ora col variare della retta r nel piano 7,, la conica r, varia omografica- mente in una rete; e però le coniche r, tangenti alla r, hanno per omologhe le rette r di un inviluppo di 2* classe. La conica aderente a questo inviluppo è linea di contatto della superficie y' col piano x,. Tutto ciò che si é detto, vale nel caso che il piano x non contenga alcun punto fondamentale. Senza difficoltà si determinano le particolarità che acquista la congruenza E quando il piano y passi per uno, due o tre punti fondamentali. Così senza difficoltà si determinano i numeri caratteristici del complesso P, es- sendo già stata determinata la classe dell’inviluppo dei piani sostegni delle coniche del complesso Pl soddisfacenti ad una data condizione elementare. 22. La congruenza # sezione del complesso K con un complesso di rette K' di grado v, è di classe 6v. Perciò la superficie y coordinata a siffatta congruenza è di ordine 3y. L’ordine di multiplicità per la superficie del punto fondamentale U, si ottiene notando che una retta generica della stella (U,), alla quale sia coordinata la schiera rigata p, sega la superficie, al di fuori del punto U,, nei punti d’incontro con i raggi del complesso K' situati sulla p, diversi dal raggio della schiera che passa per U;, e però il numero dei detti punti d’incontro è 2v—a,, se la stella (U,) è costituita da raggi maltipli di ordine , pel complesso K' (per «,=0). Perciò l’ordine di mul- tiplicità del punto U, per la superficie x è v+-a,. Con questi numeri restano determinate tutte le caratteristiche della congruenza &. In particolare le congruenza E, sezioni del complesso K con i complessi lineari di rette dello spazio hanno per immagini superficie di 3° ordine formanti un sistema lineare co°, che ha per base i punti U,,...U,;. Dunque : / 75 punti fondamentali di un complesso bilineare di coniche costitui- scono il gruppo base di un sistema lineare &° di superficie di 3° ordine. Questo sistema comprende quello 004 e di indice 2 costituito dalle superficie 9, dovute alle singole relte dello spazio (n.° 2). Qualunque sia la congruenza # del complesso K, il suo studio può farsi di- pendere da quello della corrispondente superficie y. In particolare la E è razionale se la superficie x è omaloidica, e propriamente una rappresentazione piana della x fornisce una rappresentazione piana della con- gruenza, nella quale le rigate sezioni della congruenza con i complessi lineari hanno per immagini le linee immagini delle curve di sezione della x con le su- perticie g,=U,...U 15° $ XII. La superficie focale della congruenza A. 23. I fuochi ed i piani focali di un raggio arbitrario c della congruenza A si determinano nel seguente modo. Alla conica degenere del complesso FL che comprenda la c, si associa una linea c,=D° del complesso I che, oltre al punto doppio D=cc', ha in comune con la € due punti Q,,0, (n.° 7). Perciò le superficie 9, dovute alle rette del fascio che ha per sostegni il piano «© della cc’ ed il polo O della c,, avendo in comune queste due linee, risultano tan- genti nei punti Q,,0Q, ai piani x,, x, che la c determina con le tangenti alla c, nei detti due punti. Di conseguenza nel fascio costituito dalle superficie in discorso, ve ne sono due che, oltre al punto D, hanno un secondo punto doppio, l’una nel punto Q,, l’altra nel punto Q,, e che perciò risultano tangenti lungo la c l’una al piano x,, Valtra al piano y,; sicchè due rette della prima superficie appartenenti al fascio (Q,—%,) e due rette della secenda situate nel fascio (Q,—,) coincidono nella c. Le rette indicate essendo diverse dai raggi 0,0, 0,0 coordinati ai punti Q,,0,, appartengono alla congruenza A, sicchè in questa i punti Q,,0Q, e i piani Y,,% sono i fuochi e i corrispondenti piani focali del raggio c. La superficie focale della A risultando tangente nei punti Q,,Q, ai piani x, ,% rispettivamente, risulta del pari tangente in questi punti alla curva c,=D'. Quel che si è detto pel raggio c, può ripetersi pel raggio c, e si conclude che: Le due congruenze costituite dalle linee dei complessi T, I° dotate di punto doppio hanno la stessa superficie focale; e propriamente due linee dei due complessi aventi il medesimo punto doppio risultano tangenti a tale superficie negli stessi quattro punti. Come nel caso generale le superficie 9, dovute alle rette dei fasci (Q,—x,), (Q.—x,) risultano tangenti alla superficie o' coordinata alla A, in uno qualunque dei due punti coordinati al raggio c. In tale modo restano determinati i piani tangenti alla superficie o° nei singoli suoi punti. Le cose dette valgono anche nel caso che la c sia un raggio doppio staziona- rio del complesso K, nel qual caso la c risulta tangente alla superficie o nel punto coordinato 0. Essa è del pari bitangente alla superficie fondamentale dei complessi P, I, e propriamente tocca la superficie nei piani delle due coniche del complesso I che hanno un punto doppio nel punto O, e rispettivamente nei poli delle due curve del complesso I associate alle predette linee (n.° 7). Da tutto ciò si conclude che: La rigata dei raggi doppi stazionari del com- plesso K è circoscritta alla superficie singolare ed alla superficie fondamentale dei complessi TP, I. Delle due linee di contatto la prima è coordinata alla rigata, l'altra ha per corde le singole generatrici della superficie. CAPITOLO QUINTO $ XIII. I sistemi generatori di un complesso bilineare di coniche. 24. Dato un complesso bilineare di coniche nello spazio, le linee del complesso che sono nei piani di un fascio, costituiscono una superficie di 8° ordine, perchè una sola di esse passa per un punto generico dell’asse del fascio. Quando questa retta r varia in un piano , la corrispondente superficie @, varia in una rete R,, giacchè la superficie del sistema che passa per due punti dati in posizione generica, è quell’unica dovuta alla retta del piano @ che si ap- poggia agli assi dei due fasci formati dai piani delle coniche del complesso che passano rispettivamente per quei due punti. La rete R, risulta riferita omograficamente al sistema delle rette a cui è dovuta. Essa ha per linea base la conica c del complesso che è nel piano ©. Ora si assuma ad arbitrio una quadrica non degenere g, che passi per la €, e si considerino le tre curve di 4° ordine e di 1° specie ulteriori sezioni della 9, con tre superficie o, o', 0" della rete R, dovute a tre rette 2, del piano @ non concorrenti in un medesimo punto. I tre fasci di quadriche A,A',A" che hanno per basi le lince indicate, hanno in comune la quadrica 9,, nè si trovano in una medesima rete, sicchè apparten- gono ad un sistema lineare 00° 2. Inoltre i tre fasci sono riferiti proiettivamente ai fasci di piani (/),(2),(2") rispettivamente in modo da generare la superficie o, 0, o”. In ciascuna delle tre proiettività al piano x corrisponde la quadrica 9,, e però esiste una omografia 2 fra le quadriche del sistema 2 ed i piani dello spazio, nella quale ai fasci A, A, A" corrispondono rispettivamente i fasci (2) ,(7),(2") con le tre pro- iettività indicate. Si consideri il complesso di coniche P generato da tale omografia. Le tre superficie 9, del complesso 1 dovute alle rette /,/," coincidono rispet- tivamente con le o, 0,0"; sicchè la rete delle superficie 9, del complesso PF dovute alle rette del piano ® coincide con la rete R,, e di conseguenza in un qualunque piano © dello spazio la conica del complesso dato e quella del complesso I coin- cidono nella conica di sezione del piano ©’ con la superficie ®, della rete R, dovuta alla retta r, =. Perciò i due complessi coincidono in un unico; e si ha il teorema che: Un complesso bilineare di coniche può sempre riguardarsi generato da una omo- grafia intercedente fra i piani dello spazio e le quadriche di un sistema lineare tri- plamente infinito. I Inoltre dal ragionamento fatto risulta che: Una rete di superficie di 3° ordine che abbia una conica base e che nel piano di questa linea non abbia altri elementi base, determina un complesso bilineare di coniche, costituito dai fasci delle singole superficie della rete, che comprendono quella conica. è è Porter “i Bia: PS “# casi > SR Inoltre pel fatto che una rete di superficie di 3° ordine avente per base una conica puo. è determinata quando se ne conoscano ulteriormente 10 punti base, si ha che: Un complesso bilineare di coniche è univocamente determinato quando ne sono "dati i 40 punti fondamentali ed una conica, in posizione generica fra di loro. «_—‘25. Dato un complesso bilineare di coniche P, si è visto che per determinarne un sistema generatore basta assegnare la superficie e, del sistema che passa per & una conica c, del complesso. Nel sistema 2 che in tale modo risulta determinato, la quadrica 9, è l’omologa del piano © della c, __ Perciò fissate ad arbitrio due coniche c, se, del complesso, fra i due sistemi di quadriche che hanno per basi queste due linee, viene ad aversi una corrispon- denza biunivoca quando si riguardino omologhe due quadriche ,,g, che appar- tengano ad un medesimo sistema generatore del complesso PF, due quadriche cioè he corrispondano rispettivamente ai piani 7, delle c,,c, in una medesima omo- | grafia Q generatrice del complesso. È; In questa omografia i fasci omologhi (r)=r, (c.)=9,9, generano la superficie 3 Po del complesso dovuta alla retta r, asse del primo fascio; sicchè questa superficie contiene anche la curva c, base del secondo fascio, vale a dire che le @,,9, se- gano la 9,, oltre che nelle linee fisse c,,c, rispettivamente, secondo la medesima — curva c,, la quale varia sulla @, col variare delle due superficie. - Perciò la corrispondenza in esame è una omografia. La superlicie generata da due fasci omologhi (0,03) , (c,€,) Oltre la 9, comprende un piano w. Questo contiene le linee basi e, ed appartiene alla coppia di su- perficie omologhe rw, 7'w dei due fasci. Infine dal falto che la superficie @, passa per i punti fondamentali U,,...U,, del complesso IF, segue che nell’omografia in esame ad una quadrica 9, che con- A tenga un punto U,, corrisponde una quadrica g, che contiene lo stesso punto. ‘Assumendo 4 punti fondamentali si riconosce che: Le quadriche che passano | per le singole coniche del complesso © e per 4 punti fondamentali fissati ad arbitrio costituiscono un sistema lineare generatore del complesso. Da questa proposizione segue l’allra che: Un complesso bilineare di coniche è | univocamente determinato quando ne sono dati 5 punti fondamentali e 4 coniche in | posizione generica fra di loro. Infatti escludendo il punto dato U,, le 4 quadriche che passano per gli altri punti dati e eplramente per le coniche dale a, ,b,,c,,d,, determinano un si- È stema lineare co. Ora esiste una omografia fra questo sistema e quello dei piani - dello spazio che alle quattro quadriche innanzi dette fa corrispondere rispettiva- — mente i piani delle coniche a,,0,,C,,d,, e che alla rete del sistema che ha un punto base nel punto U,, fa ci la stella di piani che ha il centro nello | stesso punto. E Il complesso generato da questa omografia è quello indicato nel teorema. Infine occorre far cenno della corrispondenza che viene ad aversi fra due si- | slemi generatori del complesso T quando si riguardino omologhe due superficie dei ] due sistemi che determinino la medesima conica del complesso. |’ Ammi— Vol. XV— Serie 2a —N. 8, 5 Ca Lg Questa corrispondenza è una omografia. Due superficie omologhe ZERZIO oltre — r ad una conica c del complesso, hanno in comune una seconda conica c. Quando | le 4,,4, variano rispettivamente in due fasci F,F', la c descrive una superficie CAR : e però la c' varia in un piano w. Questo è del tutto determinato da una coppia di | superficie omologhe. Perciò se i fasci F,F' variano rispettivamente in due reti RSS il piano w non varia; e così se le reti R, R' variano rispettivamente nei due sistemi, il piano w resta immutato, È Si dirà che il piano è è il piano di prospettiva dei due sistemi. SA Fissato ad arbitrio un piano w nello spazio, i sistemi generatori del complesso P si distribuiscono in fasc? in modo che due sistemi di un medesimo fascio rata i come piano di prospeltiva il piano . Le quadriche dei sistemi di un fascio dovute ad una medesima conica € dell complesso, formano un fascio che comprende la quadrica degenere rw, essendo n È il piano della conica c. $ XIV. La determinazione del complesso I mediante condizioni elementari. 26. Le condizioni più semplici che possono imporsi ad un complesso bilineare _ di coniche FT, consistono nell’assegnarne una linea od un punto fondamentale. Già sono stati indicati nel $ prec. due casi in cui il complesso è univocamente determinato mediante siffatte condizioni elementari. : Ora in questo $ saranno esaminati i vari casi in cui il complesso è determi- nato univocamente da un gruppo di punti fondamentali e di coniche, quando cia- — scuna di queste linee passi per tre dei punti dali. Ma innanzi tutto occorre stabilire le seguenti proprietà fondamentali: 1.° Due complessi bilineari di coniche che abbiano in comune i punti fonda- mentali, coincidono. Supponendo che i punti fondamentali comuni siano i punti U, ,...U,,, si con- siderino le due congruenze formate dalle coniche dei due complessi situate nei piani della stella (U;). i Le due congruenze coincidono. Ed in vero se così non fosse, le loro linee di- rettrici c, = UU,, c,=U/U, risulterebbero distinte (per i+#/=1,2,...15); ed una superficie generica 9,= UU, della rete che ha per base la prima linea, segherebbe la seconda in un solo punto variabile; sicchè la c, potrebbe essere riferita con corrispondenza biunivoca alla superticie di un foscio generico di quella rete, il che è assurdo. Le superficie 9, dei due complessi dovute ad una medesima relta r dello spazio hanno in comune, per quanto si è detto, le coniche situate nei piani rU,,...tUj» e però coincidono; siechè coincidono del pari i due complessi. 2.° Due congruenze bilineari di coniche formate rispettivamente da linee situate nei piani di due stelle distinte (0),(0') appartengono ad un medesimo complesso bi- lineare, se hanno in comune le coniche situate nei piani comuni alle due stelle. Infatti la superficie 9, costituita da queste coniche, ed altre due superficie g,,,, luna della prima congruenza, l'altra della seconda, dovute rispettivamente o a a due rette incidenti delle due stelle, hanno in comune una conica nel piano delle e relte; e però la rete a cui appartengono, determina un complesso bilineare di coniche che contiene le due congruenze. F Questa proposizione equivale all’altra che: b Due curve gobbe di 7° ordine e di genere 5 che siano su di una medesima su- | perficie di 8° ordine ed abbiano la stessa relta unisecante su questa superficie, si se- gano în 15 punti. Questi costituiscono il gruppo dei punti fondamentali di un com- | plesso bilineare di coniche. ». 3.° Due sistemi lineari o° di quadriche prospettivi rispetto ad un piano w (riferiti cioè fra di loro omograficamente in modo che due quadriche omologhe ®, , 9°, se- | ghino il piano è secondo una medesima conica variabile) sono sistemi generatori di un complesso bilineare di coniche. Infatti la conica c, ulteriore sezione delle 9, ,g, giace in un piano , che col — variare della 9, in un fascio, varia a sua volta in un fascio; sicchè la corrispon- — denza che ne risulta fra le quadriche @, del primo sistema dato ed i piani @ dello | spazio, è una omografia. «__—’‘‘7. Ciò posto, si hanno i seguenli teoremi: 1.° Un complesso bilineare di coniche è univocamente determinato quando ne sono dati 11 punti fondamentali e la conica che è nel piano di tre di questi punti. i Infatti se sono dati i punti U,,...U,, e se è data la conica c, che è nel piano — dei tre punti U,,U,,U, e che perciò passa per essi, fra le superficie di 3° ordine che hanno in comune la conica c, ed i puuti U,,...U,,, ve ne sono tre ben deter- —— minale che hanno rispettivamente due punti doppi nei punti U,,U,;U,,U,;U,,U,. «Esse determinano una rele cosliluita da superficie di 3° ordine che oltre ad avere «in comune la c, ed i punti U,,...U,,, risultano tangenti fra di loro nei punti __U,,U,,U, della c,, sicchè il complesso di coniche individuato da tale rete sod- — disfa alle condizioni indicate nel teorema. % 2° Un complesso bilineare di coniche è univocamente determinato quando ne «sono dati 9 punti fondamentali e le 4 coniche situate nei piani di un tetraedro avente «è vertici in 4 punti dati. Infatti se sono dati i punti U,,...U, e le coniche c, ,c,,C,,C, circoscritte ri- | Speltivamente ai triangoli del tetraedro U,U,U,U,, restano determinate le superticie ® ee, = UU c6,U,...U,, 9° =U UU, ...U, ; e ragionando su queste come nel caso precedente si dimostra il teorema. 3.° Un complesso bilineare di coniche è univocamente determinato quando ne _sonodati 7 punti fondamentali e le 7 coniche situate nei piani di due tetraedri aventi __® vertici in 5 punti dati, i primi tre comuni, gli ultimi distinti. iaia tli se sono dati i punti U,,...U, e le coniche c;c,,6,,0,10,,0,,0,, la prima circoscritta al triangolo U,U,U, e le altre circoscrilte rispettivamente ai re- Stanti triangoli dei due tetraedri U,U,U,U,, U,U,U,U,, basterà ragionare come nei | asi precedenti sulle superficie eee = UU cc, UU, , e, = UU cc, UU, . Pa JE . 4° Un complesso bilineare di coniche è univocamente determinato quando sono dati 5 punti fondamentali e le 40 coniche situate nei piani dia: dai punti dati presi a tre a tre. x Infatti se sono dati i punti U, ,...U, e le coniche c,,, circoscritte rispetliva- mente ai triangoli U,U,U,,, fissati ad arbitrio tre punti dati, ad esempio i punti U,, U,,U,, restano determinate tre reti R,,R,,R, costiluite rispettivamente la R, da superficie 9, =U*,U° c,,,C,,30 3123423 523 ? () TT? TT? » R, » » ; =U abita ’ 2 » R, » » e Ural 4 Due qualunque di queste reti: le R,,R,, risultano riferite fra di loro con una | omografia Q, (per é,/,m=1,2,3 in qualsiasi ordine) in modo che due superficie | omologhe segano ia cbnica data Cin Negli stessi punti fissi U,,,U,,U, (il primo. contato due. volte) e nella SA coppia di punti variabili. Con ciò nel fascio determinato da due superficie omologhe, vi è una superficie che contiene la co- V. nica C,,,,° NE Nella omografia 9, si corrispondono i fasci F,,F, costituiti rispettivamente dalle — superficie degeneri delle due reli che comprendono il piano U,U,U,, € propriamente due superficie omologhe dei due fasci sono costituite dal piano U,U,U, e da due quadriche 9,‘ =C,,,.Can:9 > Cinlsim Che Ssegano la conica c,,,, mei punti fissi U,,,U,,U, e nello stesso punto variabile. Perciò nelle tre reti R,,R,,R,, fuori dei fasci F,,F,,F, a due a due omo- loghi nelle omografie 2,,9,,9,, esiste una sola terna di ‘superficie a due a due. omologhe nelle anzidette omografie. Esse determinano una rete R, che ha per base la conica c,,, e che contiene tre superficie, le quali passano rispettivamente per le coniche €,,; , €; 0,5 - Perciò la rete R determina un complesso di coniche soddi- — sfacenti alle condizioni indicate nel teorema. = In tutti i casi esaminati si è sempre supposto che i punti PRI dali | siano in posizione generica. «SAR: 7, gita CAPITOLO SESTO $ XV. E. I complessi F,,...F,, aventi la medesima superficie fondamentale. È 28. Dato un complesso bilineare di coniche Il affatto arbitrario, si è visto che «nel complesso di rette K che risulta determinato col complesso T, esistono 15 si- di schiere rigale, costiluiti rispettivamente dalle schiere rigate coor- linate alle Tolle “che passano per i punti fondamentali U,,...U,, (n.° 15). Di una qualsiasi schiera p del sistema X, la direttrice r° e la generatrice r che stella (U,) la direttrice r° o la generatrice r. È Sa E la corrispondenza biunivoca che intercede fra i raggi del complesso K ed i punti dello spazio, può costruirsi mediante il sistema X,, pel fatto che un raggio i erico o del complesso che appartenga alla schiera p del sislema, è coordinato _La proprietà caratteristica di una direttrice di una schiera p si è che la super- cie 9, del complesso P dovuta a tale relta contiene un raggio r' della stella (U,). è pr le schiere p' incidenti alle schiere p costiluiscono un complesso di rette K, ‘alterizzato dalla proprietà innanzi detta. Questo complesso K, può essere riferito allo spazio di punti mediante il sistema delle schiere p, in maniera analoga a quella con la quale il complesso K è ri- ito allo stesso spazio mediante il sistema X, delle schiere p. Basta cioè assumere _ com e omologo di un raggio generico o’ del complesso K, che sia sulla schiera p' del | sistema X,, il suo punto d’incontro con la direttrice r della g' che passa pel punto U, . o . La fpindenza che con ciò viene ad aversi fra i raggi del complesso ed i punti dello spazio, è biunivoca e prospettiva. Essa è ligata alla corrispondenza ana- Beloga che si ha pel complesso K, per la proprietà che due raggi o, 0' dei due com- plessi che appartengano a schiere rigate incidenti dei sistemi X,,X',, sono coor- — dinati a due punti situati su due raggi della stella (U,) omologhi nell’ omografia - caratteristica H, . Ora in un piano generico w (o in una stella generica 0) dello spazio ad ogni | raggio o del complesso K si associa un raggio o' del complesso K,, e viceversa, in modo che due raggi associati appartengono a due schiere incidenti dei sistemi FAT Perciò le curve c,c' coordinate ai due inviluppi di raggi dei complessi K , K, situati nel piano w (o le curve g,g coordinate ai coni dei complessi K, K, che : hanno il vertice nel punto 0) vengono proiettate dal punto U, secondo due ci oni omologhi nella omografia H,. Ne segue che la curva c' è "di ordine 2 come la c; e la linea g che al pari — della g ha un punto semplice nel punto U,, è di 7° ordine e di genere 5, come È ag di 8822 Col variare del piano w e del punto O nello spazio, le due linee c', g' descri- vono rispettivamente due complessi P,, 1, che si comportano fra di loro e rispetto al complesso K, nello stesso modo col quale i complessi 1, 1, descritti dalle linee C,9, Si comportano fra di loro e rispetto al complesso K. In particolare il complesso F, risulta bilineare; e propriamente le coniche del complesso che passano per un punto generico P' dello spazio, sono nei piani del fascio che ha per asse il raggio o' del complesso K, coordinato al punto P. 29. Le coniche dei complessi Fl, FM che sono in un medesimo piano generico dello spazio, trovandosi su due coni omologhi nella omografia H,, risultano pro- ieltivamente della stessa natura: una di esse cioè è degenere, se è degenere l’altra. Perciò 7 complessi T,F, hanno la medesima superficie fondamentale. Il punto U, è fondamentale per entrambi i complessi. Inoltre è. restanti punti fondamentali del complesso LP, sono i punti tripli U,, della superficie fondumentale, associati nel complesso TC alle rette che da U, proiettano gli altri punti fondamentali U, di P; e viceversa questi punti U, sono associati nel complesso ©, alle rette che da U, proiettano gli altri punti fondamentali U, di P, . 3 Iofati la relazione che intercede fra la retta che unisce i punti fondamenti U,,U, del complesso P, e il punto U, associalo in tale complesso all’anzidetta con- giungente (per /=2,...15), consiste in questo che in ogni piano w della stella (U,,) la conica del om pieso Tsi appoggia alla UU, (n.° 11). A questa retta nella omografia H, corrisponde il raggio U,U,, (n.° 15), e però nel piano w la conica del complesso SF, passa pel punto U,, sicchè questo punto è fondamentale per FP, . Viceversa in un qualunque piano è della stella (U,) la conica del complesso I passa pel punto U,, e però nello stesso piano la conica del complesso FP, si ap: poggia alla retta U,U, omologa nella omografia H, alla U,U,, sicchè nel complesso I, È alla retta che unisce i punti fondamentali U,,U, è associato il punto U,. E ne segue il teorema. È Infine per ogni altro punto triplo U,, della superficie fondamentale si ha che le curve dei complessi I, I, che hanno il polo inetale punto, sono proiettate dat punto U, secondo due coni omologhi nella omografia H,; e siccome la prima linea si spezza in una curva di 6° ordine che passa per U,, e nella retta U,U,,, così la seconda si spezza del pari in una curva di 6° ordine che passa per U,, ed in una retta situata nel piano U,U,U,, omologo nella H, del piano U,UU,. La retta in discorso deve unire due punti fondamentali del complesso P, diversi da U,, e però risulta la U,U,,,. Perciò nel complesso IF, ul punto U,,, (per l&m=2,...15) è associata la retta U,U,,,. Tutti i risultati ottenuti provano che nel punto U, i complessi P, PF, si com: portano | uno rispetto all’ allro nel medesimo modo. Essi si diranno conzugati nel ‘ punto U, Ripetendo per gli altri punti fondamentali del complesso F quel che si è dello pel punto U,, sé hunno in tutto 15 complessi bilineari di coniche L, che hanno tutti la medesima superficie fondamentale del complesso PL. E ad ogni complesso PF, si associano con le note relazioni un complesso di rette K', ed un complesso di curve di 7° ordine I, . Ora occorre ripetere pel complesso F, quel che si è detto pel complesso P. done i ici Ia, omplesso coniugato a PF, in un altro punto fondamentale U, ha in comune questo punto fondamentale U,; e i restanti suoi punti fondamentali sono i sociati in I alle rette U,U,,U,U,, che da U, proiettano gli altri punti s9E i U,, Un di F,, cioè sono i punti U,, Un; sicchè il complesso in di- A iù l'indice 16 ai simboli dei complessi 1, F, K ed ai simboli dei i fondamentali U,,...U,,, i risultati ottenuli potranuo riassumersi nel se- e leorema: in gruppi costituiti ciascuno da 16 complessi F,,...T,, aventi la medesima su- cie fondamentale. Una coppia di complessi P.,F, di un medesimo gruppo ha in comune un solo fondamentale U,, il quale varia col variare della coppia. Dal punto U, i re- punti fondamentali U,,,,U,, dei complessi FF, vengono proiettati secondo due i di raggi omologhi in un’omografia stellare H,. I piani uniti di questa omo- sono i piani tangenti nel punto U, alla superficie fondamentale. Le coniche dei complessi L,, T, situate in un medesimo piano dello spazio sono e coni omologhi nell ‘omografia H,; e così nei complessi I, I, collegati ai pre- ti, le due curve che hanno il polo in un medesimo punto dello spazio, si tro- 9 Su due coni omologhi nell’anzidetta omografia. CAPITOLO SETTIMO si S XVI. I complessi bilineari di coniche dotati di linee direttrici. 30. Un complesso bilineare di coniche 1 può presentare una linea direttrice; 5 può accadere cioè, in casi particolari, che esista una linea c di ordine , ARE cibile o costituita da due o più linee algebriche, che sia incontrata in x punti. da ogni conica del complesso TP. i Se questo fallo si verifica, una qualsiasi curva 0, del complesso I che abbia. 3 il polo in un punio generico 0 dello spazio, si spezza nella c, ed in una curva o che passa semplicemente per 0; e corrispondentemente il cono del complesso Ko che ha il vertice nel punto O, si scinde nei due coni che proiettano la c, e. la ds o rà: Perciò, non tenendo conto della linea c,, il complesso I risulta costituito da dalle seganti della c,, il complesso K risulta di grado n=6—<. Ne segue che #<5. i linee di ordine 7—; e così, non tenendo conto del complesso speciale costituito Ora l’esistenza del complesso 1 soddisfacente alla condizione indicata, dipende — dalla esistenza di una rete di superficie di 3° ordine che abbia per base la linea c, ed una conica c, appoggiata in x punti alla c,, e che non presenti altri elementi | base nel piano della Cia Perciò riesce agevole determinare i vari casi possibili. Ricorrendo all’uopo alla rappresentazione piana di una superficie ©, del com- p Pal @ plesso, e supponendo che i punti base del sistema rappresentativo siano i punti 100 P, e che la retta a cui è dovuta la superficie, abbia per immagine il punto P,, le linee c', 0‘, immagini della linea direttrice c, e di una curva o della super- — ficie, prese assieme costiluiscono nna linea Gi =(Po: Apo P.;il-puntosPsssi trova sulla linea 0", e queste linee o' cosliluiscono un To Sono questo soltanto le condizioni che debbono verificarsi per |’ esistenza ddlÈ complesso, sicchè riesce facile determinare i vari casi possibili. In ogni caso la rappresentazione della superficie 9, fornisce immediatamente io genere delle curve 0, il numero dei punti fondamentali del complesso, che sono i punti comuni a due curve 0, ed il numero dei punti di appoggio della o alla linea c,. I Un punto O della linea c, è punto semplice di tutte le superficie gs dei com- plessi Pr, I, e però è coordinato ai raggi di un fascio (O —w) del complesso K. Questo fascio fa parte del cono di raggi «del complesso di vertice 0; e se il grado n de! complesso è maggiore di 1, l'ulteriore parte è il cono proiettante la curva 0 dovuta al punto 0. Questo è doppio per la 0, e le tangenti sono nel piano ®, Ad una retta che si appoggi in un punto o in due punti alla c,, corrisponde nel complesso K una schiera rigata od un fascio; mentre una trisecante £ della €, appartiene al complesso K ed è coordinata ad ogni suo punto. Quest’ ultima pro- | | g # P % prietà è conseguenza del fatto che in ogni piano w del fascio (£) la conica del c,=P.- 90): ' Le curve o sono di 5° ordine e di genere 1, hanno 5 punti comuni U,,.. UE e si appoggiano a ciascuna delle rette c,c' in 8 punti. Il complesso K è di 4° grado: la congruenza A è di classe 3 e di ordine 2. |. Le rette c,c' sono basi di un sistema generatore del complesso P. | Nella corrispondente omografia @ le quadriche del sistema che degenerano in piani, hanno per omologhi i piani tangenti di una superficie inviluppo di 2° classe. Questa fa parte della superficie fondamentale. L’ ulteriore parte è l’inviluppo dei. piani sostegni delle coniche degeneri del complesso, costituite ciascuna da una | retta appoggiata alle c,c° e da un raggio della congruenza A. 4° Le superficie 9, dei complessi PL, I° hanno in comune una retta c e si toc-. cano nei singoli punti di questa retta. (c-c',=P,...P,, 0+c,=P,,8U). Le curve o sono di 5° ordine e di genere 0, hanno 8 punti comuni U,,U,,U, e si appoggiano alla c ciascuna in 4 punti. Il complesso K è di 4° grado; la congruenza A è di ordine e classe 3; la superficie fondamentale è una superficie unica di classe 5. Una superficie generica g, del complesso ha un punto semplice in ogni punto della c. Invece, una superficie 9, dovuta ad una retta r' appoggiata alla c, ha per linea doppia la c. Infatti il punto O=r"c è doppio per la g,, nè gli altri punti della c possono essere semplici per la 9,, perchè se così fosse, le due congruenze delle tangenti alle 9,,9, nei punti della c dovrebbero coincidere, mentre esse non risulterebbero del medesimo ordine. Ne segue che la retta c contata due volte forma conica del complesso in un | piano generico del fascio (c), e la superficie 9, del complesso dovuta alla € si spezza nei tre piani cU,,cU,,cU,. i 5.° La linea direttrice è una curva gobba c, di 4 ordine e di 2° specie. (c- c,=(P,P.P,)°P.P,, 0--0,=P,P.P.U). Le curve o sono cubiche gobbe, hanno un punto comune U, e si appoggiano alla curva direttrice c, in 6 punti *). Il complesso K è di 2° grado, contiene la stella di raggi (U), ed ha per su- perficie fondamentale la superficie 9, = U°c, inviluppata dai piani sostegni delle co- niche degeneri del complesso P formate da corde della €, . *) Se la curva c, si spezza in tre rette T,,T3,7z a due a due sghembe ed in una retta s ap- poggiata alle precedenti, una trasformazione birazionale }g,=+°,3r;y,=s',3P { dello spazio muta il complesso I° in un complesso tetraedrale di rette, avente per tetraedro fondamentale quello che ha per vertici i tre punti fondamentali P della trasformazione ed il punto U' omologo del punto fondamentale U del complesso T. i Perciò nel caso in esame le singole coniche c, del complesso I° determinano fasci di superficie di 3° ordine g,=s*,3r,c,, nei quali i gruppi costituiti ciascuno dalle tre superficie degeneri che compren- — dono i piani sr, ,sr,, sr, e dalla superficie che passa pel punto fondamentale U, sono protettivi fra di loro. PEG: — 43 — l Le rette doppie della 9, sono le corde uscenti dal punto U della linea diret- trice c,. Esse costituiscono la curva 0, dovuta al punto U. In un piano generico w della stella (U) la conica c, del complesso T è coor- dinata al fascio di raggi (O—)} del complesso K che non appartiene alla stella (U), sicchè la c, sega la superficie 9,, oltre che nel punto U e nei 4 punti di appoggio alla c,, nel centro O dell’anzidetto fascio. Viceversa se si parte da una superficie di Steiner @,=U?’,30° e su questa si assume una curva gobba c,, le coniche c, che passano pel punto U e si ap- poggiano alla c, in 4 punti costituiscono una congruenza bilineare *). Ogni conica c, sega la superficie 9,, fuori del punto O e della c,, in un solo punto 0, sicchè facendo corrispondere al piano w della c, il raggio UO, ne risulta una reciprocità birazionale nulla nella stella (U). E siccome in questa corrispondenza sono fondamentali le tre rette doppie o della superficie @,, perciò il fascio di raggi (0—), col variare del piano è nella stella (U), descrive un complesso di 2° grado che contiene la stella di raggi (U) ed ha per superficie fondamentale la 9,. E se ai singoli raggi del fascio (0—w) si fanno corrispondere i loro punti variabili di sezione con la c,, la corrispondenza che ne risulta fra i raggi del complesso ed i punti dello spazio, è del tipo in esame **). #) Vegg. Mem. cit. Su è vari tipi di congruenze bilineari di coniche, pag. 157. ##*) Con costruzione affatto analoga alla precedente può determinarsi una notevole corrispon- denza biunivoca e prospettiva fra i raggi del complesso K e le coppie di punti di un’involuzione J dello spazio. Basta partire da una superficie di Steiner g,=U, 30° e costruire su questa una curva c, di genere 3, che contenga gli 8 punti di sezione della @, con una conica c, assunta ad arbitrio nello spazio. La e, è segata in 4 punti da ciascuna delle tre rette doppie o della superficie, e però essa con le tre rette o e con la conica c, costituisce la base di una rete di superficie di 4° ordine | aventi in comune il punto doppio U. Le linee basi variabili dei fasci di questa rete sono cubiche piane c, che passano pel punto U e si appoggiano in 8 punti alla e, ed in 2 punti alla c,. Esse costituiscono una congruenza bi- lineare; e propriamente le linee c, che sono nei piani di un fascio generico (r) della stella (U), costituiscono una superficie g, della rete; e questa superficie, col variare della retta r nella stella (U), varia nella rete omograficamente alla retta. Ogni linea c, della congruenza sega la superficie g,, fuori del punto U e della c,, in un solo punto O diguisachè facendo corrispondere al piano w della c, il raggio UO, ne risulta una reci- procità birazionale nulla nella stella (U). Nella corrispondenza sono fondamentali le rette doppie o della @,, e però il fascio di raggi (0— &), col variare del piano w nella stella (U), descrive un complesso di 2° grado che contiene la stella di raggi (U). E se ai singoli raggi del fascio (O — w) si fanno corrispondere le coppie di punti in cui essi segano, oltre che in O, la c,, ne risulta una corrispondenza prospettiva (1, 2) fra i raggi del complesso ed i punti dello spazio, del tipo indicato. Le due corrispondenze ora stabilite sono da aggiungere a quelle esaminate nella mia Memo- ria: Su le trasformazioni univoche dello spazio che determinano complessi quadratici di rette (Rendiconti del R. Istituto Lombardo, Serie II, vol. XXV, Maggio 1892), sopprimendo il ragionamento fatto a pag. 800 e SOLl che non vale pel caso più generale, e la conclusione relativa. Le due corrispondenze in discorso, dopo la pubblicazione dell’anzidetta mia Memoria, furono ottenute con considerazioni iperspaziali da Pieri (Sulle trasformazioni involutorie dello spazio deter- minate da un complesso Hirstiano di rette. Rendiconti del R. Istituto Lombardo, Serie II, vol. XXV, Luglio 1892). ca 5.° La linea direttrice è una curva gobba di 5° ordine e di genere 1. (c- c;=( CEL oi): ; Il complesso K è di 1° grado, ed i complessi 1, I coincidono in un unico completamente determinato dalla linea direttrice c, . Tutte le proprietà che si presentano in questo caso per i complessi C,K, si trovano svolte ampiamente nella mia Memoria: Su la curva gobba di 5° ordine e di genere 1 *). i L’unica proposizione che può aggiungersi a quelle ottenute nella predetta Me- moria, è questa che riguarda i sistemi generatori del complesso LP: Sopra una curva gobba di 5° ordine e di genere 4 vi è un'involuzione fonda- mentale I',, nella quale ogni gruppo P,...P, è base di un sistema lineare co’ di quadriche che ad una ad una passano per le coniche dello spazio appoggiate in 5 punti alla curva, sicchè la corrispondenza che ne risulta fra i piani sostegni di queste coniche e le quadriche del sistema a cui esse appartengono, è una omografia. 8 XVIL I complessi bilineari di coniche dotati di piani singolari. 32. Nella omografia generatrice di un complesso bilineare di coniche FP può accadere che una quadrica degenere del sistema generatore abbia per omologo uno dei due piani da cui essa risulta coslituila. Se ciò si verifica pel piano 7, per ogni retta r di questo piano la superficie 9, del complesso I si spezza nel piano stesso ed in una quadrica @,, la quale col variare della retta r nel piano 7, descrive evidentemente una rele 2, omografica al sistema delle rette r. In sostanza, nel caso in esame uno dei sistemi generatori del complesso P si riduce alla rete 2, e la corrispondenza £ relativa a tale sistema si riduce ad una omografia 9, intercedente fra le quadriche della 2, e le rette di un piano singolare mr, nel senso che ad ogni quadrica @, della 2, corrispondono tulti i piani del fascio che ha per asse la retta r del piano ® omologa della e, nella Q, . La proprietà caratteristica del piano ® si è che in tale piano esiste una rete di coniche del complesso F, sezione della %, . Inoltre tutte le coniche del complesso che sono nei piani di una retta r del piano ©, trovandosi su una quadrica 9, della Z2,, segano la r nella medesima cop- pia di punti, sicchè la r appartiene alla congruenza A. Fra le coniche indicate due soltanto risultano degeneri, onde il piano ® è triplo per l’inviluppo fondamentale 9, . *) Rendiconti di questa Accademia, Serie II, vol. II, 1887. Le superficie 9, del complesso I" dovute a due rette r,7' coniugate rispetto al complesso K, coincidono in un’ unica, che contiene le 5 triseganti della curva c, appoggiate alle due rette. Delle altre 20 rette della superficie, 10 sono corde e 10 seganti semplici della c,; e propriamente le prime 10 con le triseganti formano le coniche degeneri del complesso I° che sono nei piani dei fasci (r),(r'). A pag. 182 dell’anzidetta Memoria vi è un semplice errore di stampa sul numero delle rette in discorso, già rettificato negli estratti. Cfr. la Nota di Colpitts: On twisted quintie curves (Amer. Journ. ot Math., vol. XXIX, 1907), nella quale sono riportate le prime proposizioni da me stabilite sulla curva c, di genere 1 (Cap. II, pag. 337, 342). da Infine la curva del complesso I° che ha il polo in un punto generico 0 del piano ©, si spezza in una cubica c, di questo piano ed in una curva 0, della rete E, . La c, è quella generata dal fascio di rette (0) del piano e dal fascio di quadriche della rete 2, omologo del precedente nella omografia £,, e la 0, è la base di questo secondo fascio. Le due curve hanno in comune 4 punti. Corrispondentemente il cono del complesso K che ha il verlice nel punto 0, si scinde nel piano r contato due volte e nel cono che dal punto O proietta la 0, . Rignardando questa linea come omologa del punto 0 nella omografia Q,, è complesso K risulta costituito dai coni che dai singoli punti O del piano x proiettano le curve omologhe o, dellu rete. Ogni cono è coordinato alla corrispondente curva 0, . I punti fondamentali del complesso FP sono gli 8 punti base della rete Z,; ed i 7 punti del piano ® che appartengono alle corrispondenti curve della rete. 33. Pei vari casi particolari che si presentano pel complesso T', basteranno le seguenti indicazioni sommarie: 1.° La rete 2, può presentare una linea base c, (per “=1,2,3). In tale caso la c, risulta linea direttrice del complesso FT; le linee o basi va- riabili dei fasci della rete 2, risultano di ordine 4—; ed il complesso K risulta di ordine 6— z. I punti O del piano ® che appartengono alle linee omologhe o della rete £,, sono in numero di 7— . Essi formano il gruppo dei punti fondamentali del com- plesso Fl assieme ai punti base isolati della rete 2,, il cui numero è 6 — 2x. Per 2z=3, si presenta l’unico tipo di complesso bilineare di coniche avente per direttrice una cubica gobba. 2.° Se il piano ® contiene un punto base O della rete %,, può accadere che una retta del piano e la quadrica omologa della rete 2,, seghino sempre nel me- desimo punto variabile una retta fissa c del fascio (O — x) *). In tale caso la retta c risulta direttrice del complesso FP. Nel piano esistono, fnori della c, 3 punti che appartengono alle corrispon- denti curve o, della rete 2,. Questi punti ed i 7 punti base diversi da O della rele S, costituiscono il gruppo dei punti fondamentali del complesso P. 3.° Se il piano ® contiene due punti base 0,,0, della rete 2,, può acca- dere che una retta del piano e la quadrica omologa della rete £, seghino sempre nella medesima coppia di punti variabili una conica fissa c, che passi pei punti SRO, +*). In tale caso la conica c, è linea direttrice del complesso P. Le quadriche della rete 2, che contengono la retta s= 0,0, , costituiscono un fascio. La cubica gobba ulteriore base di questo fascio sega il piano x fuori della s in un punto O tale che in un piano generico è della stella (0) la «conica del com- *) A ciò basta assegnare di due fasci F,,F, della rete Z i corrispondenti fasci (0,),(0,) del piano , soddisfacenti all’ unica condizione che il raggio 0,0, seghi la e nello stesso punto in cui questa è segata, oltre che in O, dalla quadrica comune ai fasci F,,F,. Infatti l’omografia 0, soddisfacente alla condizione voluta è quella nella quale ai fasci F,,F, corrispondono rispettiva- mente i fasci (0,), (0,) con corrispondenza prospettiva rispetto all'asse c. **) A ciò basta dare a priori la c, che non sia su alcuna quadrica della rete, e riguardare emologa di ogni retta r del piano la quadrica 9, della rete che contiene i punti re,. 402 plesso I si scinde nella relta r = wr ed in una corda dell’anzidelta cubica gobba. Perciò il punto O è fondamentale pel complesso PF. Gli altri punti fondamentali sono i 6 punti base della rete Z, diversi dai punti 0,,0,. 4. Un complesso bilineare di coniche F può presentare piani singolari m,,...T, (per e=2,3,4,5); può accadere cioè che in un sistema generatore del complesso vi siano x quadriche degeneri, di cui ciascuna abbia per omologo uno dei due piani che la costituiscono. In tale caso si presentano « reti 2, generatrici del complesso. Nell’omografia 2, che intercede fra una rete 2, ed il piano rigato (,), la retta r,=",©, (per i+/=1,...%) è l’omologa di una quadrica degenere della 2, che comprende il piano 7,. Nè si presentano altre particolarità per la 2,; sicchè si ha una costruzione assai semplice del complesso. 5.° Può accadere che un sistema generatore 2, del complesso P si riduca ad un fascio di quadriche, nel qual caso l’omografia 9, si riduce ad una proietti- vità fra il fascio ed una punteggiata (s), mel senso che ogni quadrica del fascio ha per corrispondenti tutti i piani di una stella, avente per centro il punto della (s) omologo della quadrica nell’anzidetta proieltività. Il complesso 1, così determinato, ha per linea direttrice la curva base del fascio 2, . Inversamente ogni complesso bilineare di coniche che abbia per direttrice una quartica gobba di 1° specie, è del tipo in esame. In ogni piano w che passi per la retta singolare s esiste un fascio di coniche del complesso I, sezione del fascio 2, ; sicchè per ogni retta r incidente alla s la superficie g, del complesso si scinde nel piano w=rs e nella quadrica 9, del fa- scio 2, omologa del punto 0= rs. I due punti di sezione della r con la 9, formano una coppia singolare del com- plesso T; onde il complesso K si riduce al complesso delle seganti della s contato due volte, e le curve o. del complesso I si spezzano tutte nella curva base del fascio 2, e nelle cubiche piane c, che i singoli fasci di raggi (O —) prospettivi alla punteggiata (s) generano col fascio 2, proiettivo alla punteggiata. Ogni cubica c, sega la retta s nei punti fondamentali U,,U,,U, del complesso, nei punti, cioè, della s che appartengono alle quadriche omologhe del fascio %, . I piani sostegni delle coniche degeneri del complesso l inviluppano una su- perficie unica di 5° classe. I piani del fascio (s) sono tripli per tale inviluppo. Il complesso FP è del tutto determinato quando ne sono dati il fascio genera- tore 2, ed i punti fondamentali U,,U,,U, sulla retta s. Ora può accadere che il fascio 2, contenga una quadrica degenere nr’, e che il punto fondamentale U, sia su tale quadrica, ad es. sul piano ©. Allora questo piano risulta singolare pel complesso T, e propriamente la su- perficie 9, dovuta ad una retta qualsiasi del piano si spezza nel piano stesso ed in una quadrica 9, che passa per gli altri due punti fondamentali U,,U, del com- plesso e per la conica base del fascio 2, che è nel piano 7. Perciò il complesso nel caso in esame oltre al fascio 2, presenta una rete generatrice di quadriche. a 8 XVIII I complessi bilineari di coniche dotati di punti singolari. 34. Un punto fondamentale U di un complesso bilineare di coniche è singo- lare se in ogni piano della stella (U) la conica del complesso si spezzi in due rette che si seghino nel punto U. Questo fatto si verifica quando in un sistema £ generatore del complesso ogni quadrica della rete R, che ha un punto base nel punto U, risulti tangente in questo punto al piano corrispondente della stella (U). In tale caso la stella di piani (U) fa parte dell’inviluppo fondamentale del com- plesso TP. Inoltre la rete delle superficie @, del complesso dovute alle singole rette della stella (U), è costituita dai coni di 3° ordine che passano pei 7 raggi r,,...7, che dal punto U proiettano gli altri 7 punti base della rete R,, sicchè due raggi della stella che costituiscano una conica del complesso, sono coniugati nella invo- luzione di classe 1 che ammette per coni uniti i coni dell’anzidetta rete. I raggi base r,,...r, formano la linea c. che ha il polo nel punto U, e però gli altri 14 punti fondamentali U,, U, (per i=1,...7) sono i punti in cui le T,,--.T, Segano, oltre che nel punto U, un’altra qualsiasi superticie 9, del complesso. La curva c, del complesso I° che ha il polo in un punto generico O dello spazio, si trova sul cono x, dovuto al raggio OU, e però questo raggio è doppio ‘pel cono che proietta la curva dal punto 0. Ne segue che i raggi della stella (U) sono doppi pel complesso K, sicchè l’or- dine della restante congruenza A sì riduce a 4. Con considerazioni analoghe alle precedenti si determinano i complessi F, che presentano 2, 3, 5 0 co' punti singolari. 1.° Partendo da un fascio ® di coni di 2° ordine che abbiano in comune il verlice O e le generatrici s,s,,5,,5,, si assumano due reti di quadriche R,R che contengano entrambe il fascio ®, senza presentare ulteriori particolarità. Le due reti appartengono ad un medesimo sistema lineare 00° 2. Ognuna di esse ha due punti base su ciascuna delle rette 5,5, ,5,,5,- Assumendo sulla s un punto base U della R ed un punto base U' della R', resta delerminata un’ omografia Q fra le quadriche del sistema £ ed i piani dello spazio, nella quale le reti R,R' hanno per omologhe le stelle (U),(U'), in modo che ogni quadrica dell’una o dell’altra rete risulta tangente al piano omologo. Il complesso P generato dall’anzidetta omografia Q, ha i punti singolari U,U. Viceversa ogni complesso I dotato di 2 punti singolari ha la genesi ora in- dicata. Le linee del complesso I° che hanno i poli nei punti U,U, sono costituite l’una dalle rette s,u,,v;,, l’altra dalle relte s,u,,v, (per î=1,2,83) che dai punti U,U' proiettano rispettivamente i restanti punti base delle reti RR. Le due coppie w,v,, uv, appartengono al piano c,=ss, e però si segano in LI 4 punti fondamentali U,. — 48 — . L’ultimo punto fondamentale U del complesso si trova sulla retta U,U, . Nella omografia @ ad ogni cono del fascio ® corrisponde il suo piano tangente lungo la s; perciò in un piano generico del fascio (s) la conica del complesso si riduce alla retta s contata due volte, mentre i tre piani 0,,0,,9, risultano singolari. La rele generatrice 2, dovuta al piano e, ha per base gli 8 punti fondamen- tali U,,U, (per é,/,m=1,2,3 in qualsiasi ordine), e nella corrispondente omo- grafia Q, ai coni i d,=0,0,U, UU, , X,=U0,U,0,0;, YEWO WU, , XEU 0,0; mmoi m'm'i corrispondono rispettivamente le rette w,,0;,4,,0,. Ciò prova che il complesso I è completamente determinato dai tre quadrilateri completi w,0,u,0,, nou complanari, aventi in comune i vertici opposti U,U. 22 Partendo da una coppia di piani o, T, se si assegnano tre fasci di coni di 2° ordine ®,,®,,®, che contengano tutti il cono degenere ot, resta determi- nato un sistema lineare co° di quadriche che comprende i tre fasci. E se il gruppo base del fascio ®, è costituito dalle due coppie di rette s,$,, 6,0, Si- tuale rispettivamente nei piani o, € e concorrenti nel punto O, della relta r=oT, è possibile riferire omograficamente l’anzidetto sistema di quadriche e lo spazio di piani in modo che ai coni dei fasci ®,,®,,®, corrispondano i piani tangenti agli stessi coni lungo le rette s,,s$,,5, rispettivamente, sicché al cono degenere ot cor- risponda sempre il piano o. Con ciò le reti R,, R,,R, del sistema che comprendono rispettivamente le cop- pie di fasci d,d,, 9,9, , 9,9, hanno per omologhe le stelle di piani che hanno i centri nei punti U, = s,8,, U, = $,8, ,U, = s,5,, in modo che ogni quadrica di una qualunque R, delle tre reti ha per omologo il suo piano tangente nel punto U,. Perciò il complesso 1 generato dall’ anzidetta omografia ha i punti singolari UG Ufo Viceversa ogni complesso F dotato di 8 punti singolari ha la genesi indicata. Da tale genesi segue innanzi tulto che nel complesso, oltre al piano e, risul- lano singolari i piani o,="s,5,,0,=5,0,5 9,535 035 S3l,390,=Sk, 9,80 Inoltre il gruppo base della rete R, è costituito dalle due quaterne sezioni l’una delle coppie s,$,,$,,5,, del piano o, l’altra delle coppie (,,, 6,6, del piano 7. Perciò se i vertici del trilatero s,8,8, sono i punti V,,V,,V,, la linea 0, dovuta al punto U, si spezza nelle rette s,,s,,, U,V, del piano o e nelle rette comuni alle due coppie di piani 0,9,,0,,7,,; edi puuti fondamentali del complesso LF sono: i punti U,,U,,U,; il punto U, comune alle rette U,V,,U,V,,U,V,, centro dell’omologia, di asse r=ot, che intercede fra i trilateri 5,555 5,525,5 i punti U,,U,,U, nei quali le U,V,, U,V,, U,V, segano rispettivamente le s,,5,,5,5 e gli 8 puuti comuni alle tre coppie di piani 0,9,,0,9,,%%;- La rete generatrice del complesso dovuta al piano o comprende le tre quadriche degeneri 0,9,,9,7,,9,7, che nella corrispondente omografia Q hanno per omologhe le relle s,,5,,5,; Mentre al fascio deila rete che ha un punto base nel punto U,, corrisponde il fascio di rette che ha il centro nello stesso punto. 3 2? SÉ Ciò prova che il complesso I è completamente determinato dalle tre coppie di piani 0,9,,0,9,,0,9, uscenti dalle rette s,,5,,s, del piano o e dal punto U, di tale piano non situato sulle rette s. 3.° Se il punto U, si assume sulla retta o che unisce i due punti base U,=0,9,09,,U,=0,0,9, della rete R, il complesso PF acquista altri due punti sin- golari nei predetti dui EisUure Infatti l’omologia armonica dello spazio che ha il piano fondamentale e ed il centro nel punto 0, coniugato armonico del punto U, = 00 rispelto ai punti U, , U,, muta in sè stessa ognuna delle tre coppie di piani 0,5,,0,9,,0,9,, è però tra- sforma la rete R in sé stessa; onde gli 8 punti base della rete si distribuiscono in coppie situate su 4 rette della stella (0), e queste rette costituiscono il gruppo base di un fascio di coni di 2° ordine appartenente alla rete. Una delle 4 rette è la o= U,U,. Rispetto ad ogni quadrica %, della rete il punto O è polo del piano 0; e se alla g, si fa corrispondere la retta r del piano o comune ai piani tangenti alla @ nei punti U,,U,, l’omografia che ne risulta fra la rete R ed il piano rigato (0), coincide con | omografia £ generatrice del complesso, perchè in entrambe alle quadriche degeneri 0,7, ,0,9,,9,9, edal fascio di quadriche che passano pel punto U,, le quali risultano essere i coni innanzi detti, corrispondono le relte s,,5,,s, ed i raggi del fascio (U,). Perciò le coniche del complesso I situate nei singoli piani U,r, U,r delle stelle (U,) , (U,) si spezzano in coppie di raggi di queste stelle, sicchè i punti U,,U, sono singolari pel complesso. Viceversa se un complesso P che abbia i punti singolari U,,U,,U,, acquista un altro punto singolare U,, esso avrà ancora un quinto punto singolare U,, e ‘sarà del tipo ora costruito. Il complesso è del tutto individuato dai 5 punti singolari U,,...U, dati in posizione generica nello spazio. Gli altri suoi punti fondamentali sono le sezioni di ogni retta che unisce due dei predetti punti col piano che passa per i restanti tre punti. Questi piani sono singolari pel complesso. Inoltre in ogni stella singolare (U,) l’ involuzione costituita dalle coppie di rette che formano coniche del complesso, è l’ involuzione di 2° ordine e di 1 classe che ammelte per raggi uniti i 4 raggi che da U, proiettano i restanti punti singolari. Perciò il complesso in esame è il complesso di Humbert dovuto al penta- gono gobbo completo U,...U, *). 4.° In un complesso bilineare di coniche possono risultare singolari tutti i punti di una retta s, può accadere cioè che in qualsiasi piano generico è dello spazio la conica del complesso si scinda in due rette w,w segantisi sulla s. In tale caso le superficie del complesso dovute alle rette del piano w sono su- perficie gobbe di 3° ordine aventi a comune la direttrice doppia s e le due ge- neratrici u,u, sicchè nella rete che esse costituiscono, vi è una superficie dege- nere che si spezza nei piani su, su ed in un piano © che contiene i tre punti base Mie, U., U, della rele. *) Sur un complexe remarquable de coniques..... Journal de l’ Ecole Poiytechnique, Cahier LXIV, 1894. ATTI — Vol. XV — Serie Qa — N. 8. 1 e Questa superficie è dovuta alla retta sezione dei piani r,w, sicché il primo di questi piani è singolare pel complesso, e propriamente per ogni sua retta r si ha che la superficie 9, dovuta a tale retta è una coppia di piani pp” del fascio (s), la quale col variare della retta r in un fascio, descrive un’imvoluzione e viceversa. In particolare alle involuzioni paraboliche del fascio (s) corrispondono nel piano x fasci di rette aventi i centri su di una conica c,, sicchè ne risulta una proiettività fra i piani del fascio ed i punti della c, in modo che ad una retta r del piano corrisponde la coppia di piani pp° omologa neli’anzidetta proiettività della coppia di punti RR" sezione della r con la c,. Perciò il complesso è completamente determinato quando sia data la proiet- tività in discorso, perché allora per un qualunque piano è dello spazio, che seghi il piano 7 secondo la retta r, resta determinata la conica «w(pp°) del complesso situata in quel piano. In particolare i tre punti fondamentali U,,U,,U, del complesso sono i punti della conica c, che si trovano nei piani corrispondenti del fascio (s). Inoltre ie coniche del complesso che passano per un punto generico O dello spazio, si trovano nei piani che passano pel punto 0 e pel punto R' della conica c, omologo del piano p = s0, sicchè il complesso K è costituito dalle seganti della conica c,; e propriamente ogni relta che si appoggi alla c, in un punto R' è coor- dinata al suo punto di sezione col piano p' del fascio (s) omologo di R' nella pro- lellività assegnata. In particolare le rette coordinate ai punti di una conica w(ep°) del complesso costituiscono i due fasci (R),(R") del piano w che hanno i centri sulla conica €, ; e così la curva del complesso I che ha il polo in un punto generico O dello spazio, è la cubica gobba generata dalla corrispondenza proiettiva che viene ad aversi fra le rette che dal punto O proiettano i punti della c, ed i piani del fascio (s) omo- loghi di questi punti. Perciò la cubica in discorso passa pei punti 0,U,,U,,U, e pei due punti di sezione della retta s col cono che dal punto O proietta la €, . Se la retta s e la conica c, si segano in un punto, può accadere che ogni piano del fascio (s) passi pel corrispondente punto della c,. In tale caso ogni conica del complesso T è costituita da due raggi complanari della congruenza di rette, di 1° ordine e di 2* classe, che ha per direttrici le s,c,; sicchè le coniche del complesso che passano per un punto generico 0 dello spazio, hanno in comune il raggio o della congruenza che passa per O, e perciò giacciono nei piani del fascio (0). È questo l’unico caso in cui le rette o dovute ai singoli punti O dello spazio non costituiscono un complesso ma una congruenza. site r" sd SI DER CAPITOLO OTTAVO S XIX. Sri Le involuzioni dello spazio collegate ad un complesso bilineare di coniche. 2 3 35. Le proprietà fondamentali stabilite nello spazio pei complessi bilineari di ;oniche si estendono assai agevolmente ai complessi bilineari di curve piane di or- arbitrario. Qui basterà notare che dato nello spazio un complesso bilineare P,, per ogni o generico O resta determinato un raggio 0 uscente da 0, comune ai piani so- ni delle curve c, del complesso che passano pel punto O. Col variare di questo ato nello spazio, il raggio 0 descrive un complesso K il quale in generale dalla esì ora indicata risulta riferito con corrispondenza biunivoca e prospettiva allo zio di punti. Non è escluso però che in casi particolari la corrispondenza in discorso sia una ispondenza |]1,m], non è escluso cioè che in casi particolari le curve c, del plesso uscenti da un punto generico 0, abbiano tutte in comune altri m—1 punti 0,,...0,, Situati col punto O, su di un medesimo raggio o del complesso _K, pern=m>1. N: Viceversa se un complesso di rette è riferito con corrispondenza prospettiva allo spazio di punti in modo che ad ogni raggio generico o del complesso corrì- ondano m suoi punti 0,,...0,, per m=1, mentre un quaiunque punto gene- 0 O, dello spazio risulti l'’omologo di un solo raggio o del complesso, le linee c Perciò nello spazio la teoria dei complessi bilineari di curve piane di ordine ar- bi rio n, coincide con la teoria dei complessi di rette riferibili con corrispondenza | prospettiva allo spazio di punti. Questa teoria può essere stabilita con procedimenti affatto analoghi a quelli tenuti | pel caso di n=2. Intanto per i risultati già ottenuti possono ritenersi noti tutti i tipi di complessi di rette riferibili con corrispondenza prospettiva allo spazio di punti, in modo che le ; € urve omologhe degli inviluppi piani del complesso siano di 2° ordine. «Per tutti questi complessi è m=1, escluso soltanto il caso indicato nel numero 3 5°, nel quale il complesso K è costituito dalle seganti di una retta fissa s, e la ispondenza |1,2| che lo liga allo spazio di punti, è ottenuta riferendo pro- vamente la punteggiata (s) ad un fascio di quadriche, e riguardando omologhi di un qualunque raggio del complesso, che incontri la s nel punto P, i due punti in cui esso sega la quadrica del fascio omologa del punto P. ; Pel caso più semplice di n=1, si ba il teorema che: L'unico complesso di i; O rette non singolare che sia riferibile con corrispondenza biunivoca e prospettiva allo RETE spazio di punti in modo che ai raggi del complesso situati in un qualsiasi piano ge- nerico dello spazio corrispondano î punti di una retta, è il complesso tetraedrale. Infatti in un complesso K soddisfacente alla condizione indicata, i raggi che corrispondono ai punti di una retta generica s dello spazio, costituiscono una rigata che in un qualsiasi piano è del fascio (s) ha una sola generatrice, omologa del punto di sezione della s con la retta c luogo dei punti omologhi dei raggi del com- plesso situali nel piano w. Inoltre la rigata ha per direttrice semplice la s, e però risulta di 2° grado. Corrispondentemente ogni superficie g, omologa di una congruenza del complesso K costituita dai raggi che incontrano una relta generica r dello spazio, è di 2° ordine. Col variare della retta r in un piano w, la superficie 9, descrive una rete Rj; che ha per base la retta c del piano è, in modo che le superficie della rete do- vute alle rette r di un fascio (0) costituiscono a loro volta un fascio, il quale ha per base variabile la curva 0 omologa del cono del complesso K di vertice O. Ora nel caso più generale la rete R, presenta soltanto 4 punti base U,,...U, fuori della c, sicchè la curva o è una cubica gobba che passa per ì punti U, ed il cono che la proietta dal suo punto O è di 2° ordine e contiene i predetti punti. Perciò il complesso K è un complesso tetraedrale che ha i punti fondamentali Ue rUE Inoltre se su di un raggio o del complesso si fissa ad arbitrio un punto 0' di- verso dal punto 0 omologo del raggio, resta determinata nello spazio una omo- grafia 2, nella quale al punto 0 è omologo il punto 0, e sempre due punti omo- loghi P, P' sono sul raggio p del complesso K omologo del punto P. Infalti le superficie 9, dovute alle rette r' della stella (0°) hanno tutte in co- mune la cubica gobba 0’, dovuta al punto 0’, e però esse passano per le singole relte r che escono dal punto O di tale cubica; e propriamente la superficie 9’, do- vula alla retta r' della (0’) contiene la retta r deila stella (0) omologa della r' nella omografia generatrice della cubica 0',. Ora per due rette omologhe r,r' si ha anche che la schiera rigata. p del com- plesso K omologa della punteggiata (r) ha una seconda direttrice nella retta 7°, sicchè le punteggiate (r),(r') risultano riferite fra di loro proieltivamente in modo che due punti omologhi sono su di un medesimo raggio della rigata p. Col variare delle rette r, 7° nelle due stelle, le anzidette proiettività determinano una corrispondenza birazionale 2 nello spazio, nella quale al punto 0 è omologo il punto 0), e sempre due punti omologhi P,P' sono sul raggio p del complesso K omologo del punto P. Se il punto P varia su di una retta generica a dello spazio, il punto P varia sulla quadrica sostegno della schiera a del complesso K omologa della punteggiata (a). Ogni raggio della « contiene un solo punto P', nè questo viene mai a cadere sulla a che non appartiene al complesso. Perciò il punto P' descrive una retta a', e la corrispondenza Q è una omografia. Si ottiene così la più semplice corrispondenza che possa stabilirsi fra i raggi di un complesso tetraedrale ed i punti dello spazio *). *) Vegg. ad es. Reye, Die Geometrie der Lage. Dritte Abteilung. Leipzig, 1910, pag. 9. “gd A questa corrispondenza si associa quella intercedente fra i piani èw dello spazio e le rette c che sono i raggi del complesso K sezioni dei piani w con i loro omo- loghi nella inversa della omografia 0. Le relazioni che intercedono fra le due corrispondenze si invertono dualmente, scambiando in particolare i vertici del tetraedro fondamentale con le facce del te- traedro stesso. Le cose dette non mutano se la rete R,, presenta una retta base s' appoggiata alla c e due punti isolati U,U'. Per altro in tale caso ogni cubica 0, si spezza nella s' ed in una conica 0,= UU, onde il complesso K si scinde nel sistema delle rette o appoggiate alla retta s= UU' e nel sistema delle rette c appoggiate alla retta s'; e ciò dipende dal fatto che nell’omografia Q, determinata nel modo innanzi detto, risultano uniti i piani dal fascio (s) e i punti della retta s'. Gli ulteriori elementi uniti della corrispondenza sono i punti U,U' della s ed i piani sU,sU' del fascio (s). Inoltre vi è una speciale omografia £ che riducesi ad una proiettività ©, fra il fascio di piani (s') e la punteggiata (s), in modo che il raggio o coordinato ad un punto generico O dello spazio che sia sul piano del fascio (s'), è il raggio che unisce il punto O al punto P della retta s omologo del piano r nella Q,, come la retta c omologa di un piano generico è dello spazio che seghi la s nel punto P, è la sezione del piano è col piano del fascio (s') omologo del punto P nella 9. 36. Avendo nello spazio un complesso bilineare di coniche del tipo più ge- nerale, non è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca e prospettiva fra le coniche del complesso ed i punti dello spazio, perchè se questa corrispondenza esi- ‘stesse, ad una congruenza costituita dalle coniche del complesso situate nei piani di una stella (0) corrisponderebbe una superficie, la quale avrebbe in comune con una qualsiasi conica della congruenza, al di fuori della curva direttrice 0,, l’unico punto corrispondente a quella conica, ciò che è assurdo perchè i 6 punti comuni a questa linea ed alla 0, contano per un numero pari o nullo di punti di sezione. Invece è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca e prospettiva fra le co- niche di un complesso bilineare TL e le coppie di punti coniugati in una corrispon- denza birazionale involutoria dello spazio. Per determinare il tipo di una siffatta involuzione J occorre la seguente osser- vazione. Per ogni conica o, del complesso I che abbia per omologa la coppia di punti coniugati 0°0" della J, si riguardino corrispondenti il piano è della 0, e la retta 0, che unisce i predetti punti 0,0" della o, . Si viene con ciò a stabilire una corrispondenza biunivoca e prospettiva fra i piani w dello spazio ed i raggi o, che congiungono le coppie di punti coniugati nell’involuzione J. Ora si supponga che nel complesso K costituito dalle anzidette congiungenti , ì raggi che escono da un punto generico O dello spazio, corrispondano ai piani w di un inviluppo di classe n della stella (0). Le coniche del complesso 1 che passano pel punto O sono nei piani di un fascio, e però fra di esse ve ne saranno ® situate nei piani del predetto inviluppo. E Una qualunque di queste n coniche avrà per corrispondente una coppia della involuzione J, che contiene il punto 0. Ma per l’ipotesi fatta sulla J, vi è una sola di tali coppie, onde è n=1, e però nel caso più generale il complesso K è un complesso tetraedrale, ed il raggio 0, del complesso omologo di un piano «. dello spazio può riguardarsi come sezione di questo piano col suo omologo in una data omografia Q,. Dunque: Esiste nello spazio un unico tipo di involuzione J che può essere rife- rita ad un complesso bilineare di coniche del tipo più generale, in modo che le coppie dell’ involuzione appartengano una ad una alle coniche del complesso. L’involuzione J è costituita dalle coppie di punti sezioni delle singole coniche c, del complesso con i piani w omologhi dei piani «w delle c, in una data omografia spaziale. Ne segue che involuzione J può riguardarsi determinata da tre sistemi li- neari co°, due di piani ed uno di quadriche, a due a due omografici; nel senso che ogni coppia di punti coniugati nella J è la sezione di tre superficie omologhe dei tre sistemi. Si ricade con ciò in un tipo di involuzione già da me altrove studiato *). Nel caso particolare che l’omografia Q, presenti due relte s,s', l’una di punti, l’altra di piani uniti, l’involuzione J può ottenersi anche con la seguente costruzione : È data una protettivilà ©, fra un fascio di piani (s) ed una punteggiata (s). Segando un piano n del fascio con le singole coniche del complesso © situate nei piani della stella che ha il centro nel punto omologo del piano x nella data protet- tività, otlienesi un'involuzione, la quale col variare del piano n nel fascio descrive la involuzione spaziale I. E se la proiettività ©, , indicata nella precedente proposizione, è prospettiva, ogni retta « appoggiata alle s,s' risulta unita nella J, e propriamente nella J risultano coniugati due punti della v situati su di una medesima conica del complesso. Per ragione di brevità non è il caso di scendere in ulteriori dettagli per i vari casi particolari che si presentano pel complesso. ERRATA-CORRIGE A pag. 8 in nota dopo le parole degli ordini n, , n, si aggiunga la frase fra loro omografici. finita di stampare il dì 12 Aprile 1913 *) Su la trasformazione involutoria dello spazio che determina ‘un complesso tetraedrale. Rend. Ac- cademia Lincei, vol. V, aprile 1889. Cfr. anche Wimmer, Uebder eine allyemeine Classe von ein-zwei- deutige Raumtransformationen. Zeitschritt fiir Mathematik und Phisik, 36 Jahrgang, 4 Heft. INDICE .PITOLO PRIMO. al pi I. I complessi F,I,K . ° = _ $ II. La congruenza A x _ $ III. I punti fondamentali dei asi r, r, K TOLO SECONDO. | $ IV. La superficie fondamentale dei complessi , I, K . __‘— V. Le coniche del complesso I" formate da rette coincidenti . s E e” I punti tripli U, della superficie fondamentale Ai VII. Le rigate del complesso K coordinate alle rette dello spazio iL no. SMI VIII. Relazioni di tangenza fra le curve dei complessi L, I" e le rette dsliora spazio. ‘aa & IX. Le omografie caratteristiche nelle stelle fondamentali TOLO QUARTO. : [pd La superficie nodale dei complessi BE 3 AR XI. Le congruenze del complesso K. La superficie WiÉalare. dei sissi r, r. > XII. La superficie focale della congruenza A . ; n 3 È 3 Sa QUINTO. me % XIII. I sistemi irriorgloni di un complesso bilineare di coniche FORI — $ XIV. La determinazione del complesso I mediante condizioni elementari TOLO SESTO. __$ XV. I complessi F,,...F,, aventi la medesima superficie fondamentale TOLO SETTIMO. & XVI I complessi bilineari di coniche dotati di linee direttrici . 2 - e $ XVIII. I complessi bilineari di coniche dotati di punti singolari . : 5 ITOLO OTTAVO. po $ XVII. I complessi bilineari di coniche dotati di piani singolari . - 1 o 1 37 40 44 47 bl ri dll 4? re Di rel A Vol. XV, Serie 2.' N.° 9. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE ANALISI CHIMICA DELL'ACQUA MINERALE “ MINERVA,_, IN TORRE ANNUNZIATA (NAPOLI) MEMORIA di A. PIUTTI ed E. COMANDUCCI (presentata nell’adunanza del dì 4 Maggio 1912) DESCRIZIONE DELLA SORGENTE La sorgente si trova in Torre Annunziata nel lato Nord del Molino a Cilindri con Pastificio del Sig. Jennaco Antonio fu Salvatore ed è costituita da un pozzo ‘| quadrangolare, cementato internamente, profondo undici metri, nel quale l’acqua si rinnova in quantità abbondante di 15 metri cubi all’ora ed il livello si mantiene quasi costantemente a m. 1,30 dal fondo. L’eccesso dell’acqua trova un’uscita at- traverso il sottosuolo di Torre che, intorno all’Opificio Jennaco, è formato di lapilli e scorie, e nel lato verso il mare, di sabbia marina, ciottoli arrotondati e conchi- gliette di piccoli molluschi, la cui presenza fa supporre che in tempi remoti quella regione fosse in riva al mare. Quel pozza venne costruito nel 1886, dopo quattro anni che si erano fatti gli scavi per le fondamenta di detto opificio, durante i quali fu scoperta una impor- tante falda acquifera. In quegli scavi « furono rinvenute delle vasche di marmo, dei « tubi di piombo e, fra tante allre cose di poca importanza, due statue di marmo «una delle quali di squisita fattura greca, che gli archeologi rilennero rappresen- « tasse la dea Minerva. Non mancarono mosaici ed affreschi, ma nella quasi tota- « lità distrutti » ‘). Molto probabilmente quei ruderi rimontano a qualche terma dell’antica città di Oplunto. L’acqua viene estratta dal pozzo mediante una pompa ed oltre l’uso dome- stico ed industriale, al quale fu d’allora impiegata, da poco venne messa in com- mercio come acqua minerale da tavola, col nome « Minerva » in omaggio alla sta- tua di quella dea rinvenuta nel costruire le suddette fondamenta. 1) Terra Nostra — Conferenza letta nella sala della Scuola Tecnica G. Parini di Torre An- nunziata il 26 Maggio 1907 dal Dr. Gaspare Gargiulo (Torre Annunziata, Prem. Stab. Tip. Enrico Prisco, 1907, pag. 18). ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 9. 1 OSSERVAZIONI ED ANALISI FATTE ALLA SORGENTE PROPRIETÀ FISICHE ED ORGANOLETTICHE Temperatura dell’aria e dell’acqua. Venne determinata il 13 Settembre 1911 calando con una corda un termometro a massimi e minimi e lasciandolo immerso nell'acqua per ‘/, d’ora. La temperatura era di 24°5, mentre quella dell’ ambiente era 25° C. — Il 20 Gennaio 1912 la temp. dell’acqua era 23°, e quella dell’ am- biente 10°. Colore e limpidità. L'acqua in esame paragonata all’acqua distillata entro tubi di vetro lunghi 75 cm. e largbi 2, si mostrò limpida e quasi incolora. Reazione. Le carte di tornasole rosse e neutre diventano leggermente azzurre e poco dopo nettamente azzurre. (Presenza di bicarbonati alcalini). Sapore e odore. È inodora e di sapore gradevole, acidulo. SAGGI QUALITATIVI. [a) Positivi]. Anidride carbonica libera, carbonati alcalini e bicarbonati. Dibattuta con poca acqua di calce, preparata di recente e limpida, dà prima un lieve precipitato che scompare agitando, poi un intorbidamento, infine un precipitato bianco abbon- dante. Carbonati e Bicarbonati. Trattata con acido cloridrico diluito svolge molta ani- dride carbonica. Calcio e Magnesio. Con carbonato sodico fornisce una lieve opalescenza e dopo aggiunta di idrato sodico, un precipitato bianco abbondante. Ferro. Trattata con soluzione di acido gallico ed acido tannico da lievissima colorazione rossa. (Tracce). Nztriti. Con acido solfanilico, ac. solforico conc. e cloridrato di «-naftilamnina, dà, dopo una mezz'ora, lievissima colorazione rossa (tracce minime). La prova in bianco riuscì negativa. Ripulita la sorgente e ricementata, queste tracce persistet- tero. (20 Marzo 1912). Ammoniaca. Trattata con carbonato e idrato sodico e lasciata a sè per 2 ore, dette abbondante precipitato, voluminoso. Dopo decantazione del liq. limpido, que- sto, per aggiunta del reattivo di Nessler dette una lievissima colorazione ranciata solo dopo ‘/, ora (tracce minime). Ripulita la sorgente e ricementata, queste tracce scomparvero. (20 Marzo 1912). [B) Negative]. Acido solfidrico. Le carte all’acetato di piombo non annerirono, non si scolorò la soluzione diluita di iodio, né ingiallìi il carbonato di cadmio. Solfuri. Trattato con carbonato e idrato sodico e filtrato rapidamente, il liq. non si colorò con nitroprussiato sodico. ga 1. Idrotimetria L’analisi idrotimetrica venne fatta alla sorgente col metodo Boutron e Bou- det, e per la durezza totale si diluì con tre volte il volume di acqua distillata. — 23 gradi idrotimetrici francesi, corrispondevano a 40 cc. della soluzione di cloruro di calcio al 0.25 ‘o. Ecco i risultati: 1. 40 cc. dell’acqua diluita (10: 40) richiesero 35 gradi francesi. 2. 100 ce. dell’acqua in esame, bollita per tre quarti d’ora e riportata a vo- lume con acqua distillata e bollita precedentemente, venne filtrata. 40 cc. del li- quido richiesero 14 gradi francesi; 50 cc. dello stesso liquido, vennero trattati con ossolato ammonico e filtrati ; 40 cc. di questo filtrato richiesero gradi 9,5. 3. 50 cc. dell’acqua in analisi vennero trattati con ossalato ammonico e fil- trati; 40 cc. (10:40) del filtrato richiesero gradi 13,5. Da queste determinazioni, calcolando per 40 cc. dell’acqua in esame, ab- biamo : 1. Durezza totale (tutti i sali di calcio e magnesio) eguale a gradi francesi 140. 2. Durezza permanente (dei sali di magnesio e di calcio non carbonati) eguale a gradi 14 -3= 11. ‘3. Durezza dei sali di magnesio (carbonato e non carbonato), gradi 54. 4. Durezza del magnesio diverso da carbonati, gradi 9,5. Da cui si calcola: Durezza totale . È : : 7 . gradi francesi 140,0 » permanenza . È : > : » » 11,0 » temporanea . È = n , » » 129,0 » dei sali di magnesio (carbonati e non) » » 54,0 » » d» » » (non carbonati) » » 9,5 » >» >» » calcio (carbonati e non) » » 86,0 ANALISI ESEGUITE IN LABORATORIO I. ANALISI QUALITATIVA Una prima analisi qualitativa venne fatta il 15 Novembre 1904, seguendo il trattato di R. Fresenius (11° edizione francese $ 247-249) nell’acqua contenuta in una damigiana inviataci dal Sig. Antonio Jennaco fu Salvatore, ben tappata e suggellata. Quest’analisi ripetemmo alla fine del 1911 con acqua prelevata da uno di noi. I risultati furono i seguenti: A. Corpi che si trovano in notevole quantità. (Ricerca fatta con tre litri di acqua filtrata, bollita per un’ora, conservando il livello con acqua distillata calda, e fil- trando). e 1. Precipitati coll’ebollizione: Acidi Basî Carbonati (abbondanti) Calcio (abbondante) Solfati (piccolissima quantità) Magnesio (discreta quantità) Ferro (tracce) 2. Rimasti in soluzione dopo l’ebollizione: Acidi Basi Carbonico (discreta quantità) Calcio (piccolissima quantità) Solforico (abbondante) Magnesio (discreta quantità) Cloridrico (discreta quantità) Sodio (abbondante) Nitrico (tracce minime) 1 Potassio (discreta quantità) Silicico (poca quantità) Ferro (tracce) Alluminio (piccolissima quantità) La ricerca dei metalli pesanti fu negativa, quelle dell'acido mnitroso col reat- tivo del Griess, dell’ammoniaca col reattivo di Nessler e dell’acido fosforico prima col molibdato ammonico e poi con la mistura magnesiaca svelarono la pre- senza di tracce di questi corpi. L’analisi del 20 Marzo 1912 per i nitriti e ’ ammoniaca, confermò la presenza di tracce minime dei primi ed escluse quella della seconda. B. Corpi che si trovano in piccola quantità (Per questa ricerca vennero impie- gati 20 litri di acqua). 1. Insolubili nell'acqua dopo ebollizione ed evaporazione fino a secco a ba- gno maria: Acidi Basi Carbonico (abbondantissimo) Calcio (abbondantissimo) Solforico (discreta quantità) Magnesio (abbondante) Fosforico (tracce) Alluminio (piccola quantità) Silicico (piccola quantità) Ferro (tracce) Bariow® a 2. Solubili nell'acqua dopo ebollizione ed evaporazione a secco: Acidi Basi Carbonico (abbondante) Sodio (discreta quantità) Nitrico (tracce) Potassio (discreta quantità) Borico ( >» ) C. Corpi che si trovano in piccolissima quantità. (Si impiegarono litri 107 di acqua). Acidi Basi Iodidrico (tracce) Litio (tracce) Titanico ( » ) Manganese (tracce) Nitroso ( » ) Ammoniaca ( » ) (nella ricerca del 20 marzo 1912, non vi erano più) pe (ela i dani mr 19 È ro Ù TEMA Riassunto della Composizione qualitativa dell’ acqua in esame DÈ, Anioni — Cloro . . : . + discreta quantità Iodio . A 3 e . piccolissime quantità (tracce) Solforico . " : . discreta » i Nitrico . . : F . piccola » Nitroso a : ; . piccolissima » (tracce minime) ‘) Carbonico . , : . abbondante Fosforico . i, è . piccolissime quantità (tracce) Titanico . 3 È - » » (Po Pnenreieo ie » » 3-0) Silicico la = . mediocre » Cationi — Calcio. . . : . abbondante quantità Magnesio . 2 È ; » » Sodio . " : P . discreta » Potassio . : : È » » Ferro . . 2 x . piccolissima » Manganese . i : » » (tracce) Iitio e 5 È z È » » (29) Ammonio . E : - » » ( » minime) ‘) 5 Alluminio . è 2 . mediocre » Bario . 3 è È . piccolissima » (tracce) II. ANALISI QUANTITATIVA «campioni di acqua per le analisi quantitative vennero prelevati personalmente — da uno di noi il 13 Settembre 1911, dentro botliglie da uno e due litri di vetro Schott e Genossen di Jena e dentro damigiane nuove, ben lavate con gli acidi solforico e cloridrico, indi ripetute volte con l’acqua d’analizzare. Il riempimento delle bottiglie e dei palloni per Vl analisi dei gas venne fatto con acqua estratta b dalla sorgente, con un secchio di ferro zincato. Le damigiane si riempirono con — acqua tirata su con una pompa. 2. Peso specifico ve Ve anita cabina Ca n i A Rin 9 Venne determinato con un palloncino graduato da 100 cc. e con un picno- metro di 50 ce., riempiti alla sorgente e turati bene con tappo di vetro. Le deter- « minazioni furono fatte a 24°, temperatura dell’acqua alla sorgente. I TRL Palloncino + acqua in esame 150 — 14,2300 80 — 4,8250 » + » distillata 150 — 14,3765 80— 4,9604 » vuoto ed asciutto 150 — 115,4350 80 — 54,8326 Peso specifico . LIA " 1,0014 1,0027 _— ————+———_ CIARA 1,0020 Me) IL NH? nella ricerca fatta il 20 marzo 1912 con acqua prelevata alla sorgente da uno di no , non fu più ritrovata, ma persistettero le tracce di acido nitroso. - 6- 3. Residuo fisso In capsula di platino tarato si evaporarono a secco a b. m. separatamente i liquidi delle due determinazioni di peso specifico. Il residuo venne seccato prima. a 100°, poi a 120°, ed a 180°, indi al rosso e di nuovo a 180°, dopo ripetuto trallamento con acqua carbonica. I risultati, riferiti a 1000 gr. di acqua, furono i seguenti: al rosso a 180° 100° 120° 180° TICA dopo trattamento incipiente carbonico I 2,8788 | 2,8737 | 2,8433 2,0624 2,8413 II 2,8794 | 2,8784 | 2,8506 | 2,0660 2,8449 Media | 2,8791 | 2,87605 | 2,84695 | 2,06420 2,8431 Da questi dati si calcolano le seguenti perdite : il II Media Perdita da 100° a 120° . È 5 3 . gr. 0,0051 0,0100 0,00305 » ».120° a 180°. 5 : É ; . >» 0,0304 0,0270 0,02910 » » 180° al rosso incipiente . . » 0,7809 0,7846 0,78275 » >» 100° » » . > 0,8164 0,8134 0,81490 » a 180° dopo trattamento carbonico » 0,0020 0,0057 0,00385 La Radioattività del residuo a 100°, eseguita appena ottenuto, fu zero. 4. Gas disciolti I gas disciolti vennero ricercati nell'acqua contenuta in due palloni riempiti alla sorgente. Erano della capacità di circa 1000 cc., chiusi con tappi di gomma ad un foro pel quale passava una squadra di vetro chiusa nella parte che penetrava nel pallone e munita di un foro laterale nella stessa parte. Il gas sviluppato durante il riscaldamento venne raccolto con una disposizione speciale in un cilindro graduato di 1000 ce., ripieno di una soluzione satura di cloruro di sodio, in modo che il gas non vi gorgogliasse e non vi potesse entrare minimamente l’aria dell’ ambiente. I gas vennero analizzati con gli apparecchi Hempel, assorbendo l’anidride carbonica con la potassa caustica, l'ossigeno col fosforo ordinario e il residuo non assorbito venne analizzato con l'apparecchio Piutti per la ricerca e determina- zione dei gas rari, I risultati avuti con i due campioni d’acqua, furono i seguenti: ia, CP" i Volume Volume corretto Volume dei gas | in cc. del gas 5 a 0 e 760mm riferiti a 24° e 760mm o [i (>) e —.—rr;r-E”rPr 3 fo) i darla = © ji E 3 1) in 1000 gr. di acqua = E = esi 5 [a a —r —_P 3 E COEBEGEsE: 8 |a3| e Re Mu | a5) e A Sal © 9 Se | £ 9 25 È o |.n CA a ale o ® È EI gg o) A n Aa Filo 8 ‘a È ° gl © 2 E E SB a PO lt: i E 8 È ds gr. SI È È | 38 1085 | 789| 100] CO? |96,30| 22° |767,97/87,41|716,22} CO? |689,65| 779,30] CO* | 750,40 O 0,45) >» » 0,40) » | (0) 3,19) >» (0) 3,47 .nonass.| 3,25| >» » 2,96] » |g.nonass.| 23,38! » |gnonass.| 25,43 1092 |805|100| CO? |96,30| 23° |761,67|86,25|720,97| CO? |694,33| 781,90) CO? | "755,50 O 0,40| >» » 0/33» O 2,66)» (0) 2,70 g.nonass.| 3,30| >» » dl’ eo g.nonass.| 23,98 » g.non ass.| 23,70 100] CO? |96,05| 22° > |86,32| » CO? |697,10|786,90| CO? | 758,50 O 0,45| » » 0,39| » (0) 99 (0) 3,10 .nonass.! 3,50! » » 3,09] » gnonass.| 25,57 » |g.nonass.! 25,30 100| CO? |96,60| » » |86,87) » CO? |695,26| 781,97| CO? | 756,50 O 0,40) >» » 0,33| >» (0) 2,66)» O 2,83 g.nonass.| 3,00] » » 2,66] >» |g.nonass.| 21.28] » |g.nonass.| 22,64 N. B. Nell’ CO? così ottenuta vi è compresa anche l’ CO? semicombinata. Da queste determinazioni si calcola la seguente media per 1000 gr. d’acqua: In volume, cc. In peso a 24° e 760mm _—.r*"* *=-rr—-_ a 0° e 760mm a 24° e 760mm CO? 694,10 755,23 ORI 137229 O 2,92 3,025 » 0,00430 Gas non assorbiti 23,55 24,27 » 0,03035 4) Analisi spettrale dei gas non assorbiti dal fosforo e dall’idrato potassico Per la ricerca dei gas rari contenuti nel residuo inassorbito dal fosforo e dalla potassa caustica venne adoperato l'apparecchio Piutti, altrove descritto °). I gas, preventivamente seccati con anidride fosforica venivano introdotti me- diante una speciale disposizione, in quantità misurata, nell’apparecchio allorchè si era raggiunto il vuoto catodico mediante il carbone di noccioli di ciliegie raffreddato con aria liquida. Dopo l’assorbimento operato dal carbone, gli spettri residui venivano confron- tati con altri ottenuti nelle stesse condizioni mediante Varia del laboratorio, sino ad avere la medesima intensità delle righe. I risultati ottenuti sono riuniti nella seguente tabella : 1) Considerando la parte non assorbita come tutto azoto. 2) Rend. R. Accad. Scienze Fis. e Mat. di Napoli 1909, p. 203; Gazz. Chim. Ital. XLI, 447 (1910). SE e da Volume Aria di Napoli t non assorbito Corrispondente asia os ioni vali t rvazioni s dalla KOH, e dal P di aria delle fg ce sa stesse intensità ce. 1.784 2.283 10.704 Splendido spettro dell’ Argo e del Neo, visibile la riga gialla e la verde dell’Elio. 3.568 4.557 17.840 Gli spettri dell’Elio e del Neo si rafforzano, ma la D’ del Neo è più brillante della D? dell’Elio. 5.352 6.851 23.192 id. 12.488 15.984 57.088 La D* dell’Elio è più brillante della D* del Neo. 16.056 20.550 10/4250 Compajono le righe rosse del- 10. Dall’ esame di questi risultati si scorge che nei gas disciolti nell’acqua « Mi- nerva » l’Elio vi è contenuto in quantità circa quattro volte maggiore che nell’aria di Napoli. 5. Anidride carbonica libera, semicombinata e combinata Quest’analisi venne fatta seguendo il metodo Pettenkofer e Trillich mo- dificato da Sutton, con acqua contenuta in una bottiglia di vetro S. e G. di circa 1000 cc. riempita alla sorgente. Siccome l’acqua in esame contiene molta anidride carbonica, per la determi- nazione fu necessario adoperare 50 ce. di acqua, 10 cc. di soluzione di cloruro di bario al 10 °/ e 90 cc. di soluzione baritica titolala con soluzione di acido clori- drico tale che 1 cc. corrispondeva a mgr. 1,0161 di anidride carbonica. Ecco ì risultati di tre determinazioni: | 50 ce. liquido limpido, richiesero ce. 9, di acido cloridrico li altri 50 cc. » » » Pi E + » >» 50 cc. » più precipitato » » 127,9 » >» » 50 ce. » limpido » d'L8,74 Ei II altri 50 cc. » » » »i LIRIO ei » BO cc. » più precipitato » » 127,9 cl » 50 cc. » limpido » è SOA » III altri 50 cc. » » » » Gi aa » » 50 cc. » più precipitato » » 1272 » a » SP fre Da cui si calcola la seguente media: 50 cc. liquido limpido, richiesero cc. 8,9 di acido cloridrico altri 50 cc. » » » » 9,16 » >» » » 50 cc. >» più precipitato » » 127,48 » » » Ora 8,40 cc. della soluzione baritica richiesero cc. 10 di HCI all’1,6838 °/», da cui si calcola che 10 cc. di barite richiedono cc. 12,094 di acido cloridrico al- 1,657 ‘o (corrispondente per ogni cc. ad 1 mg. di CO”), ossia mg. 12,094 di CO?. Dalle medie surriferite si calcolano questi dati: cc. HCI (1 cc.= mgr. 1,0161 CO?) necessari per 50 cc. liquido limpido = 9,03 de. >» » » » tutta la barite libera =27,09 quindi 27,09 x 1,0161=27,528 sono i mgr. di CO? corrispondenti alla barite libera per ogni determinazione. Ma 10: 12,094 :90:% x = 108,847 mgr. CO? corrispondente alla barite impiegata perciò 108,847 — 27,528 = 81,319 mg. CO? lib. e semicomb. + CO? corrisp. dell’ MgO Ora 1’Mg0 trovato è di gr. 0,2308 per 1000 gr. di acqua, quindi in 50 cc. di acqua vi saranno gr. 0,011527 di Mg0, corrispondenti a mg. 0,012566 di CO?; e l’CO° libera e semicombinata sarà 81,319 — 12,566 = 68,753 mgr. Inoltre abbiamo : 127,48 — 9,03= 118,45 cc. HCI (1 cc. = mgr. 1,0161 CO?) per CO? totale e dell’ MgO quindi: 118,45 x 1,0161 = 120,342 mgr. CO? totale e dell’ MgO per 50 cc. acqua da cui 120,342 — 12,566 = mgr. 107,776 dell’ CO* totale per 50 cc. acqua, allora 107,776 — 68,753 = mgr. 39,023 CO* comb. per 50 cc. acqua e 107,776 — (39,023 x 2) = mgr. 29,73 CO? Zib. per 50 cc. acqua. Riassumendo e calcolando per 1000 gr. di acqua, abbiamo: CO? libera gr. 0,59339 CO? combinata » 0,77890 CO? semicombinata » 0,77890 CO? totale » 2,15119 da cui si calcola il CO combinato per 1000 gr. di acqua gr. 1,06215. ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N, 9. 2 Mt 6. Anidride carbonica totale Si fecero tre determinazioni seguendo il metodo Kolbe e l’apparecchio Fre- senius, adoperando tre prove preparate alla sorgente con palloncini turati con tappo di gomma nei quali furono introdotti 260 cc. di acqua e un piccolo eccesso di cloruro di calcio ammoniacale. L’anidride carbonica venne raccolta su potassa caustica contenuta in una bolla Liebig, seguita da due tubi ad U riempiti di calce sodata e cloruro di calcio secco. I risultati furono i seguenti: i aumento peso aumento peso aumento peso 3 9 ce 2048! tubo Liebig | 1° tubo ad U |-2° tubo ad U | 9" eee | i 260 | 0,5396 0,0204 0,0006 0,5606 2 25M 0,5255 0,0310 0,0040 0,5605 0,5604 3 260 0,5383 0,0210 0,0012 0,5601 Calcolando per 1000 cc. d’acqua e poi per 1000 gr., abbiamo : per 1000 cc. per 1000 gr. CO? totale gr. 2,1555 2,1512 7. Azoto albuminoideo Questa determinazione venne fatta col metodo Wankly, Chapmann e Smith, sopra 1 Kg. di acqua concentrata a circa 200 cc. in presenza di potassa caustica, addizionando 5 cc. di soluzione di carbonato sodico, 50 ce. di soluzione alcalina di permanganato potassico (8 gr. di KMn0*, 20 gr. KOH e 100 ce. di H°0) e raccogliendo circa 120 ce. di liquido in 50 ce. di H°SO' N/100. L’eccesso di acido venne determinato con soluzione N/100 di soda caustica, della quale ne occorsero cc. 36,2. Da questo dato si calcola che l’NH' corrispondente ail’ N albuminoideo è di mgr. 2,346 per 1000 gr. di acqua. 8. Sostanze organiche ed ossigeno consumato Non avendo notato nella calcinazione del residuo solido alcun imbrunimento, questa determinazione venne fatta col metodo Kubel e Tieman impiegando 500 gr. di acqua contenuta in una bottiglia di vetro S. e G. I risultati furono i se- guenti: AM 10 ce. soluz. acido cossoluz di KMn0®*| © ossig. consumato gr. acqua ossalico (corrisp. ad CONE: Si mediace dalle Mer 1 mgr. di Oss.) |con acqua-+10 cc. | È | |Bostanze organiche richiesero Acida'osszlico 5 | KMn0* di 1000 gr. di KMn0', cc. = d’ acqua 500 8,75 9,90 1,15 1175 02 9 500 8,75 9,95 0 rn N90 9. Alogeni Siccome l’iodio si trova solo in tracce minime ed il bromo è assente, così ven- nero fatte solamente le determinazioni del cloro. I. gr. 245 di acqua fornirono gr. 0.4363 di AgCI IE» 170 > » » » 0,3034 » » III. » 100 » » » AUT Dunque per 1000 gr. di acqua, si ha: AgCI gr. 1,78276 corrispondente a Cl gr. 0,44088 10. Silice Gr. 1907 di acqua vennero evaporati completamente a b. m. in una capsula di platino larga 14 cm. e profonda 7, il residuo venne ripreso varie volte con acido cloridrico concentrato, poi evaporato a secco a b. m. e quindi scaldato un poco a 120° in stufa Meger. Ripreso il residuo con ac. cloridrico dil. e filtrato, venne lavato bene con acqua bollente, seccato e calcinato in un crogiuolo di platino e dopo pesato venne trattato tre volte con fluoruro di ammonio ed acido solforico concentrato, indi cal- cinato, per eliminare tutta la silice. Il piccolissimo residuo rimasto, analizzato, mostrò essere solfato di bario e non contenere titanio, Per i 1907 gr. di acqua si ebbero gr. 0,1505 di silice, quindi per 1000 gr. ne abbiamo gr. 0,07892. Altra prova con gr. 1912 di acqua dettero gr. 0,1444 di SiO0*?, cioè per 1000 gr. di acqua, gr. 0,07552. La media di queste due determi- nazioni forni gr. 0,07722 di Si 0* per 1000 gr. di acqua. 11. Acido solforico La soluzione cloridrica della determinazione precedente, addizionata di cloruro di bario dette un abbondante precipitato bianco cristallino, che filtrato e lavato bene con acqua calda, venne seccato e calcinato. Per i 1907 gr. di acqua in esame si ebbero gr. 0,5350 di solfato di bario, cioè: per 1000 gr. di acqua, gr. 0,28056 ; da cui si calcolano gr. 0,11543 di SO' per 1000 gr. di acqua. 31922 12. Ferro ed Alluminio Separata la silice e l’acido solforico nel modo indicato nelle determinazioni precedenti, il liquido venne addizionato di cloruro ammonico e di ammoniaca, scal- dato leggermente, filtrato e lavato bene con acqua calda. Questo precipitato sciolto in acido cloridrico diluito e filtrato, si precipitò con carbonato ammonico. Nell’idrato ferrico e di alluminio seccati e calcinati, venne determinato il ferro volumetrica- mente con soluzione N/10 di KMnO*, sciogliendo il precipitato in acido solforico diluito e riducendo con zinco. Si tenne conto del ferro dello zinco titolandolo nella stessa maniera. Per i 1907 gr. di acqua si ebbero gr. 0,0875 di Al°0* + Fe?0*, mentre l’ana- lisi volumetrica forni gr. 0,001456 di Fe= gr. 0,00208 di Fe'0*. Per 1000 gr. di acqua si calcolano gr. 0,04588 di Al°O° + Fe'0* e gr. 0,00109 di Fe'0*, quindi gr. 0,04479 di Al°O”. Allora si calcolano gr. 0,00237 di AI e gr. 0.00076 di Fe. 13. Calcio (totale) Separati il ferro e l’alluminio, nel liquido alcalino venne precipitato il calcio con cloruro ammonico, ammoniaca ed ossalato ammonico. Il precipitato filtrato e lavato bene con acqua ed acido acetico diluito, venne sciolto con acido clori- drico diluito filtrato e portato a 150 cc. In 50 cc. di questo liquido venne ripre- cipitato l’ossalato di calcio con ammoniaca, indi filtrato e lavato bene con acqua acidulata con acido acetico, seccato e calcinato fino a peso costante. Per i 50 cc. di liquido si ebbero gr. 0,3145 di Ca 0, cioè gr. 0,49483 di Ca 0 per 1000 gr. di acqua, da cui si calcolano gr. 0,35378 di Ca. 14. Magnesio (totale) Per questa determinazione vennero adoperati gr. 1130 di acqua, dalla quale venne eliminata la silice con acido cloridrico, il ferro e l’alluminio con cloruro di ammonio ed ammoniaca ed i metalli alcalino-terrosi con carbonato ammonico. Il magnesio venne precipitato con fosfato ammonico. Si ebbe un abbondante precipi- tato il quale filtrato e lavato bene, venne risciolto in acido acetico e riprecipitato con ammoniaca indi rifiltrato, lavato bene con acqua calda, seccato a 100° e cal- cinato in un crogiuolo di platino fino a peso costante. Per i gr. 1130 di acqua si ebbero gr. 0,7173 di Mg*P°O'” corrispondenti a gr. 0,15692 di Mg. Da questi risultati si calcolano per 1000 gr. di acqua, gr. 0,63476 di Mg°P*'O' e gr. 0,13887 di Mg. SER 1 SI 15. Sodio e Potassio Il residuo a 100° di gr. 1912 di acqua, venne sbarazzato dalla silice, trattan- dolo ripetute volte con acido cloridrico conc., dagli altri corpi, aggiungendo alla soluzione cloridrica del cloruro di bario ed un eccesso di latte di calce, e poi dai metalli alcalino-terrosi, filtrando ed al liquido aggiungendo ammoniaca, carbonato ed ossalato ammonico. Eliminato il precipitato, il liquido venne evaporato a secco e calcinato, il residuo trattato di nuovo coi predetti sali ammoniacali per togliere le ultime tracce di calcio e bario, indi di nuovo filtrato ed il liquido, addizionato di poche gocce di acido cloridrico, venrie evaporato a secco e scaldato a fusione fino a peso costante. In questi cloruri venne determinato il potassio, sciogliendoli in 150 cc. di acqua distillata ed a 10 cc. di questa soluzione aggiungendo cloruro di platino, evaporando a secco a b. m. e seccando a 180° il residuo, lavato ripetute volte con alcole metilico. I risultati per i 1912 gr. di acqua presi in esame, furono: Cloruro di sodio e potassio gr. 2,5210 Cloroplatinato potassico » 2,2410 Cloruro potassico corrispondente » 0,6876 dai quali, calcolando per 1000 gr. di acqua, abbiamo: Cloruro di sodio gr. 0,95887 Sodio » 0,37783 Cloruro di potassio » 0,35963 Potassio » 0,18873 16. Alcalinità del residuo seccato a 180° (Carbonati alcalini) Gr. 0,2840 di residuo vennero posti sopra un filtro Berzelius, lavati con acqua distillata bollente ed il liquido venne titolato con soluzione N/10 di acido solforico usando come indicatore l’arancio di metile. Occorsero cc. 8,75 di solu- zione titolata, quindi per il residuo a 180° di 1000 gr. di acqua, si calcolano cc. 53,36. Riferendo l’alcalinità in CO? si hanno gr. 0,19499 ed in Na°CO' gr. 0,46552. 17. Alcalinità dell’acqua dopo ebollizione (Bicarbonati alcalini) Gr. 400 di acqua furono bolliti entro la ricordata capsula di platino e poi fu ripristinato il volume primitivo con acqua distillata e filtrato. 200 gr. del liq., tito- lato come sopra, richiesero cc. 17,55 di acido solforico N/10. Calcolando l’alcali- nità in CO? per 1000 gr. di acqua, si hanno gr. 0,19305; in Na”CO* gr. 0,46552 ed in NaHCO' gr. 0,73761. SAS 18. Calcio e Magnesio solubili dopo ebollizione dell’acqua Gr. 400 di acqua furono fatti bollire a ricadere per 1 ora, indi filtrati e su 100 cc. del liquido venne eseguita la determinazione del calcio e del magnesio, precipitando il primo con ossalato ammonico ed il secondo con fosfato ammonico. I risultati furono: Ossido di calcio gr. 0,0011 Pirofosfato di magnesio » 0,0112 quindi per 1000 gr. di acqua, si calcola: Ossido di calcio gr. 0,01100 Calcio » 0,00786 Pirofosfato di magnesio » 0,11200 Magnesio >» 0,02450 19. Calcio e Magnesio solubili in acqua, del residuo a 180° (Cloruri e solfati) Gr. 0,3866 di residuo a 180° vennero lavati parecchie volte con acqua calda e sul liquido determinati il calcio ed il magnesio nel modo solito. I risultati furono: Ossido di calcio gr. 0,0150 Pirofosfato di magnesio » 0,0152 Calcolando per il residuo di 1000 gr. di acqua, abbiamo: Ossido di calcio gr. 0,01105 Calcio » 0,00790 Pirofosfato di magnesio » 0,01120 Magnesio » 0,02450 Facendo la media di queste due ultime determinazioni pel calcio ed il magne- sio nell'acqua e nel residuo, abbiamo: Ossido di calcio 210,010. UValcio gr. 0,00788 Pirofosfato di magnesio » 0,1120 ; Magnesio » 0,02450 20. Alcalinità dell’acqua 200 gr. di acqua in esame vennero addizionati di poche gocce di soluzione di arancio di metile e di 75 cc. di soluzione N/10 di H°SO*. Dopo ebollizione per pochi minuti e raffreddamento, venne titolato l’eccesso di acido con soda caustica N/10. Di questa ne occorsero cc. 3.7. Quindi abbiamo: 71,3 cc. H*SO* N/10 per 200 gr. di acqua 56,5 » » (LOO0O cora n ni I e per ciò 356,5 x 0,0022 = 0,7843 gr. CO* per 1000 gr. di acqua. È Ù SR (16) Sg Gal RIASSUNTO DELL’ ANALISI QUANTITATIVA per 1000 gr. di acqua I. DATI ANALITICI (medie) (2) Peso specifico a 24°.C . Sostanze sospese . (3) Residuo a 100° e» > 120° Mo) > » 180° (3) » al rosso incipiente. 5 3)» dopo trattamento carbonico ed a , 180° Perdita di peso a 100°. » » » al rosso incipiente » » » da 180° al rosso incipiente » » » a 180° dopo trattamento carbonico. (4) Gas disciolti a 24° e 760mm (volume totale) cc. 782,51 (5) Anidride carbonica È : RR CE55:23 Ossigeno . a z » ‘3,025 Azoto e gas rari Gicolgi come N) » 24,27 (5) Anidride carbonica libera . (5) » » semicombinata (5) » combinata. (5). » totale (metodo El icatoron: ich) (6) » » (metodo Fresenius-Kolbe). 4% dei carbonati alcalini (nel residuo a 180°) (17) » » » » » (nell’acq. boll. e filtrata) (20) » » combinata e semicombinata (nell’acq. naturale) (8) Sostanze organiche espresse in ossigeno consumato (7) Azoto albuminoideo espresso in ammoniaca (9) Cloruro di argento (dal cloro) (11) Solfato di bario lario solforico). Mugsilce. . — . (13) Ossido di calcio (totale) (18, do)» » (dal cloruro 0 solfato) (14) Pirofosfato di magnesio (totale). — (18, 19) » » (dal cloruro 0 solfato) (12) Ossido di ferro (12) » di alluminio (15) Cloruro di sodio (dal sotto) ; (15) » » potassio (dal potassio) . (1) Durezza totale . 3 : SATO see gradi irancesi (1) » permanente . ; : A È , : » » (1) » temporanea . ò ; % È ; % » » Acido titanico » borico » fosforico » nitrico » nitroso in tracce » iodidrico: Bario ._ Manganese Litio 1,00200 assenti 2,87910 2,87605 2,84695 2,06420 2,84310 0,00305 0,81490 0,78275 0,00385 1,37229 0,00430 0,03035 0,59339 0,77890 0,77890 2,15119 2,15120 0,19499 0,19305 0,78430 0,26860 2,34600 1,78276 0,28056 0,07722 0,49483 0,01103 0,63476 0,11200 0,00109 0,04479 0,95887 0,35963 140,0 11,0 129,0 3 RIETI GI Pesto (e II. DATI DEDOTTI DAI PRECEDENTI (5, 6) Anidride carbonica totale (media) | (n° rr eee ai 2,15119. ) » libera (> ji Ut. PA (10) Silice. . EE E e I) DÉ Ione carbonico iotale CN : î SER ci Pi rita “COR » 2,91072 » bicarbonico totale . 7 ì * ; . HCO*. » 2,950 (Te » dei bicarbonati alcalini «. ++.» HCO è (0266655 (5) » carbonico combinato PBI rg ea PRE VT » 1,06215 (9) » eloro. ii (a CETO RAIN SOI » 0,44088 (11) <> solforico erat ; È ; aa aL PESI . SO » 0,1154383 — (15): > 80d10: Ore RIA: 2 : ; Piga » 0,37781, (15) » potassio . : è , È - , x 7 PARO cS » 0,18873 (13) » Calcio (totale) . : - : x ; ; Ca » 0,35378 (18,19) 0» » (dal solfato 0 cloruro). 3 : , ; “Ada » 0,00786 (14) » magnesio (totale) . . Mn » 0,13887 ri (18, 19) » » (dal solfato 0 cloruro) | i LO » 0,02450 (12) >» ferto. 4 fade MIAO » 0,00076 (12) è». alluminio .;. TER A » 0,02370 III. CALCOLO PER LA COMPOSIZIONE PROBABILE a) Ione carbonico dei carbonati alcalini (16, 17) . x c . 0,26325 Sodio corrispondente . È È . a ; 5 À 5 . 0,20226 Carbonato sodico = 0,46551 = Na?C0* b) Sodio trovato (15). ì 5 0) SaR A : . 0,37781 » combinato col CO* (a) MS le Differenza = 0,17554 c) Sodio rimasto (0) . . nat ig ar tt VA NA Cloro corrispondente . : R : 3 7 î i, : . 0,26998 Cloruro di sodio = 0,44552 = NaCl d) Cloro trovato (9) . È ; à È È : x . 0,44088 » combinato al sodio (c) . : 5 : È . 0,26998 Differenza = 0,17090 e) Cloro rimasto (d) . ; : 5 i Ù / . 0,17090 Potassio corrispondente, trovato (15). eg Tae Mido Se Joi RA NN IAA Cloruro potassico = 0,35963 = KCI 7) Calcio solubile dopo ebollizione o solub. nel residuo (18, 19). . 0,00786 Ione solforico corrispondente . ; 5 ; 5 E : . 0,01882 Solfato di calcio = 0,02668 = CaSO* 9) Magnesio solub. dopo ebollizione o solub. nel residuo (18, 19) . 0,02450 lone solforico corrispondente . % . È : : . . 0,09661 Solfato di magnesio = 0,12111 = Mg S0* 4 Da I 09 Nic» » » ne solforico trovato (11) = sio trovato (13) x — combinato all’SO* (7 ) cio rimasto (7) RE gnesio totale trovato (14) gnesio rimasto (72) . e carbonico corrispondente » » » » » Tone carbonico combinato À » trovato (5) » potassio o di calcio . » magnesio . onato di sodio » calcio | >» magnesio » 0,12111 Na?CO* » 0,46552 Caco* » 0,86312 MgC0* » 0,39607 Fe?0* » 0,00108 AI°03 » 0,0441469 Sio? > 0.07722 % gr. 2,80064 Trovato direttamente (3) » 2,84695 differenza » 0,04631 8 ed il residuo, dopo essere umettato con acido solforico, venne evaporato a secco e scaldato al rosso, in presenza di carbonato ammonico. I solfati rimasti ammounta- rono a gr. 0,9262. Calcolando in solfati gli elementi trovati, in ossidi il silicio ed il ferro, abbiamo: | Trovato: Sodio gr. 0,37781 Calcolato in solfato di sodio È 3 . gr. 1,16506 Potassio » 0,18873 » » » » potassio . E . >» 0,42027 Calcio » 0,35378 » » » > calcio i . >» 1,20061 "A Magnesio » 0,13887 » » » » magnesio. è . >» 0,68645 Ferro » 0,00076 » » ossido di ferro. È A . >» 0,00108 Alluminio » 0,02370 » » solfato di alluminio. = . 70,407 Silice » 0,07722 » » Sio? È È 2. t0:070722 ? Totale gr. 3,70040 gie V. CONTROLLO Trovati direttamente (V. a) » 3,70480 Differenza » 0,00440 È b) Anidride carbonica combinata e semicombinata espressa in acido solforico normale: Carbonato di sodio gr. 0,46552 . e : ; 7 ; ce. H°SO*N 8,775 © » » calcio » 0,86312 . ; - E s ; x en: » <->» 124055 » » magnesio >» 0,39607 . ì - 4 : - i Le » >». 9,30006 » » ferro » 0,02066 . x a d È " & MOD >» + » .0,0308 » » alluminio » 0,10232 . » » » 0,260 VI. COMPONENTI DELL'ACQUA MINERALE CALCOLATI COME IONI PER 1000 cc. DI ACQUA * Cationi in 1000 ce. grammi mm-molecola mm-equivalenti Sodio (cloruro) (Na'/) 0,1759 7,6480 7,6480 » (carbonato) (Na/) 0,202676 8,8117 8,8117 Potassio (cloruro) (K'). 0,189110 4,8303 4,8303 Calcio (solfato) (Ca”) 0,007876 0,1963 0,3926 Magnesio (solfato) (Mg") 0,02455 1,0078 2,0156 Calcio (carbonato) (Ca") 0,346608 8,6373 17,2746 Magnesio (carbonato) (Mg”). 0,1146 4,6527 9,3054 Ferro (carbonato) (Fe”) 0,0007685 0,0068 0,0136 Alluminio ( » )U(AI”) 0,023742 0,29203 0,8761 51,1679 Anioni in 1000 cc. Cloro (Cl°) 0,44235 12,4783 12,4783 Ione solforico (S0O*") . 0,115660 1,2041 2,4082 » bicarbonico (HCO*) 2,213173 36,28140 36,2814 51,1679 Acido silicico libero (H?Si0?) 0,094752 1,2082 Anidride carbonica libera (CO*). 0,5946 13,29 cc. H?3SO*N 356 Trovato dirett. (20) » » » 35,65 s Reng | RES : si: VII. COMPOSIZIONE PROBABILE dei costituenti disciolti in 1000 gr. dell’acqua in esame (temperatura 24° C — Densità a 24° = 1,002) ii... . . . . CO gr. 0,59339 UM. . ._ _ . _. N » 0,03035 Me. . . . _. 0 » 0,00430 x < = 4 È è 4 3 £ = . È SO. >» 0,07722 e. . .. ati, sie GIS » 0,02667 to di magnesio . : A a 2 ; È 3 1 . MgSo* > 0,12111 Jloruro di sodio. a > n ; E : 5 . È - Naci » 0,44552 >» di potassio . 4 È ; i: 2 È n x . SROI > 0,35963 *bonato sodico . = “ È i c 3 : . NaHCO? » 0,73761 _di calcio & a - x : , 2 A -«0alH603)?> >»: (1:35290 di magnesio . . e ? h - 5 2 . Mg(HCO*)? » 0,50407 di ferro . a 2 3 È x 5 : È .- FeHCO*)°? » -0,00242 di alluminio . e La SA ene AKNHCO?) . .* -0,10372 in piccolissima quantità titanico bario lì manganese di litio nze organiche (ossigeno consumato) . G a a - 5 . mgr. 0,2686 o albuminoideo (espresso in ammoniaca) LL... » 2,346 VIII. CoxcLUSIONE ci Da tutti i risultati analitici riferiti in questa relazione, si può considerare l’acqua inerva» da noi analizzala, come un’acqua minerale gradevole, frizzante, del tipo : LINA, MAGNESIACO, CALCAREA, FORTEMENTE CARBONICA, LEGGERMENTE LITIACA E A, e che contiene inoltre piccolissime quantità di AcIDO BORICO e manganese. i Istituto Chimico Farmaceutico R. Università di Napoli. Aprile 1912. finita di stampare il dì 31 Agosto 1912 n DA e 00 rs o a Vol. XV, Serie 2.* N° 10. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE UN CONTEMPORANEO DI GALILEO: GIUSEPPE BALLO MEMORIA di RAFFAELE GIACOMELLI presentata nell'adunanza del dì 4 Maggio 1912 In una lettera del P. Riccati al suo amico P. Cavina in data 26 ottobre 1770, sì legge quanto segue: « Giuseppe Ballo in un’operetta stampata a Padova l’anno 1635 che ha « per titolo: Dimostrazione del moto naturale dei corpi, per quanto io sappia, è il « primo che abbia sostenuto la vera sentenza, cioè che il corpo conserva in per- « peluo il movimento che ha, quando non wabbia una cagione che lo minori o lo « accresca. Di questo principio si son pure serviti i due sommi uomini Galileo e « Cartesio, seguitati concordemente da tutti i matematici fioriti di poi ». Capitata questa lettera, che è la prima di un breve epistolario del Riccati, pubblicato sotto il titolo di « De’ principi della meccanica » (Venezia 1772), sott’oc- chio al Cerruti ‘) il quale, nei brevi momenti di riposo soleva riandare eon culto di storico e di bibliofilo le opere degli antichi; rimase talmente sorpreso dall’asser- zione del Riccati e dal nome di questo igroto, che si dette a ricercarne notizie sull’opera e sulla persona. E pensò che, trattandosi d’un contemporaneo, se ne dovesse trovar qualche traccia nell’epistolario di Galileo; ma da questo non ven- gono mai menzionati nè il Ballo, nè la sua opera. Ne trovò però notizia nei dizionari biografici del Riccardi e del Poggen- dorf, anzi dal primo potè sapere che un esemplare dell’opera nominata dal Ric- cati era depositata alla biblioteca universitaria di Padova. Nella quale infatti, dopo alquante ricerche, fu ritrovato da Antonio Favaro a cui il Cerruti s’era rivolto per le opporlune indagini; e ritrovato appunto in calce ad un libro dello stesso autore, ma di tull’altro argomento: d’ argomento teologico e intitolato « De foecun- ditate Dei», !) Nello stesso modo, cioè rileggendo le lettere del Riccati, apprese l’esistenza del libro del Ballo anche il Prof. R. Marcolongo, alla cui benevolenza verso di me debbo la presentazione all'Accademia di questo mio scritto, pel quale m°è stato largo d’aiuto e di consiglio. ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 10. 1 AS o È Potè così il Cerruti avere tra mani il dimenticato scritto del Ballo, e, tro- vatolo, dal punto di vista storico, interessante, lo proponeva a me come argomento per uno studio critico-storico. Il Vailati, al quale ben tosto lo mostrai, approvava. l’idea, non solo, ma mi consigliava di curare addirittura una ristampa del li briccino. “A Ciò avveniva nel 1907; ed è soltanto ora, passati cinque anni, e dopochè i miei due venerali maestri son morti, che m’accingo a farlo. È * * * Questo suo scrilto sul molo naturale, che nel linguaggio dell’epoca non signi. ficava altro se non il movimento di gravità, fu dal Ballo dedicato ad un santo, a S. Dionigi Areopagita, e per una considerazione abbastanza bizzarra. Giacchè gli _ parve che assai bene convenisse dedicare un libro sul moto naturale, a S. Dionigi, il quale, per grazia divina, era stato esperto di moto soprannaturale. La tradizione infatti racconta come S. Dionigi, allorché in martirio gli fu mozzato il capo, pro- seguisse miracolosamente a camminare tenendo questo tra le mani. Del resto, a parte tali bizzarrie, che rientravano però pienamente nei gusti del- | l'epoca, certo è che la breve opera del Ballo — non oltrepassa, comprendendovi. una lunga citazione d’altro autore, 13 pagine a stampa — offre un indubbio inte- resse come perentoria e decisiva prova della prontezza immediata con cui dai con- temporanei furono generalizzate ed estese le idee di Galileo. Infatti se finora le | opere riconosciute come quelle che generalizzarono e elevarono a principio fonda- mentale ia persistenza del movimento, da Galileo sempre mantenuto in ristretti limiti, furono, a parle i brevi cenni del Cavalieri (1632), opere tutte sorte 0 poco prima o dopo la morte di lui (1642): Gassend (1641), Descartes (1644), Mer- senne (1644) e Baliani (1646): ecco che ora col Ballo assistiamo alla comparsa — di un’opera che, non inferiore a quelle per generalità e ampiezza di risultati, ap- parliene per altro ad un’ epoca in cui Galileo non aveva ancora pubblicato i suoi secondi dialoghi. I primi dialoghi sui « Massimi sistemi » avevano infatti visto la luce nel 1632, i secondi su «Due scienze nuove» nel 1638 e fra gli uni e gli altri nel 1635, nella stessa Padova, in cui era ancor tanto vivo il movimente di idee suscitato da Galileo, usciva la dimostrazione di Ballo. Lo scopo che con questo scritto il Ballo si propose è da lui esposto in una breve introduzione: è quello di dare una dimostrazione del movimento accelerato. dei gravi ricorrendo ad una ragione non mai tentata per l’innanzi. Ricorrendo cioè al principio della persistenza delle velocità acquisite, come per altro aveva già tre anni prima brevemente accennato di fare il Cavalieri nelle sue « Settioni coni-. che » ‘). Principio che noi troviamo qui nel Ballo, e sebbene con assai minor dif- — fusione di particolari anche nel Cavalieri, enunciato con tutta generalità ed am- ') « Perchè dunque i gravi partendosi dalla quiete vanno ad ogni momento acquistando nuovo « grado di velocità (avendo il motore assistente che sempre opera, cioè la gravità) quale non perdono | « per non ripugnargli nè essergli tolto dall'’ambiente..... perciò gli spazi scorsi da quelli in tempi — « uguali, cresceranno conformemente l’incremento dei numeri dispari dall'unità » (pag. 162). Bolo- — « gna 1632. > pato ai Mr Lg: p cla prima volta in opere pubblicate a stampa. Dico in opere pubblicate Migiz:che fin da molto tempo prima è noto come Descartes avesse già Piden consimili, ma solamente in lettere private. Delle quali la prima ‘e esser questa, citata già dal Duhem, e che Descartes scriveva il 13 novem- pre 1629 al P. Mersenne: — « Premièrement je suppose que le mouvement qui est une fois impriméè en quel- < que cors y demeure perpéluellement, s’il n’ en est pas osté par quelque autre cause, si E dire que quod in vacuo semel incipit moveri, semper et aequali celeritate movetur ». î, cu seguito alla quale il Duhem osserva che, « questo principio, che non è altro la legge d’inerzia, enunciata, per /u prima volta, solto una forma netta ed | te da ogni restrizione, l’ammetteva anche Beeckman nou meno di De- ‘scartes». E difatti in un’altra lettera successiva del 18 Dicembre dello stesso anno, cosi scarles scriveva a Merseune riguardo all'idea condivisa anche dal suo amico Bee, :kman: i e” « Suppovit, ut ego, id quod semel moverì coepit, pergere sua sponte, nisi ab « al va vi externa impediatur, ac proinde in vacuo semper moveri, in aére vero (ab aéris resistentia paulalim impediri ». Ma anche Descartes del resto, differentemente forse da quel che possa ap- e dall’interessante esposizione del Duhem (De l’accé!ération produite par une ;e constante, Genève 1904), nella quale i fatti son prospettati in modo da dar 4 lea che quegli fosse giunto di per sè, e indipendentemente da ogni altro, alla della persistenza del movimento; anche Descartes ebbe in vero chi lo elle. Non solo; ma chi gli fornì addirittura, un bel giorno, la nozione che il rimento persiste: nozione della quale per l’innauzi egli era del tutto ignaro. "in dal 1883-84 aveva infatti il Wohlwili, nella sua celebre « Scoperta della d’inerzia » ‘), richiamalo a questo proposito l’attenzione degli storici sopra un , composto da Descartes durante le sue peregrinazioni in Germania e in da, intitolato « Cogilationes privatae » e che fu pubblicato soltanto nella metà I secolo scorso: nel quale, il giorno 23 Settembre 1620, cioè nove anni prima lettera a Mersenne cilata dal Duhem, Descartes, allora giovinotto di 24 anni, segnava la seguente nola : « «Or sono alcuni giorni mi sono incontrato con un uomo assai sottile di in- 0, il quale m’ha posto la seguente questione: una pietra cade in un deter- rita dalla attrazione precedente — egli pensa cioè che ciò che si muove nello > vuoto si muova sempre — si domanda in qual tempo la pietra traverserà o dato » È). Che Fis incoguito personaggio abbia da sé stesso trovato tale principio, Stra giunto alla scoperta della continuazione del movimento una volta Io Spena iniziato, non pare probabile. Basta considerare col Wohlwill il lungo sforzo che tale conquista costò a Galileo, sebbene la storia di essa non sia ancora del tutto nota, per trovar difficile che vi fosse pervenuto, così senz’altro, anche l’incognito | personaggio di Descartes. Molto più naturale è allora la supposizione dello stesso — Wohlwill che l’incognito l'abbia direttamente o indirettamente appresa da Gali- leo; di cui potrebbe anche esser stato scolaro a Padova o comunque esser stato in relazione con scolari di lui. pi È nota infatti la prodigalità con cui Galileo dalla cattedra comunicava ai suoi discepoli risultati di indagini che non pubblicò a stampa se non trenta o quaranta anni più tardi. Mentre questi scolari, accorrenti in folla da ogni parte d’Europa, si. facevano poi al loro ritorno in patria, divulgatori delle scoperte e delle novità del | maestro. Tantochè a riprova di questa diffusione delle idee di Galileo in Europa, — prima assai che esse fossero divulgate con i libri, riporta il. Wohlwill il caso in-. teressante d'una lellera del conte Daniello Antonini, capitano di ventura in Fiandra e antico scolaro di Padova, il quale, nell’aprile 1611, s’intratteneva con Galileo per lettera da Bruxelles sopra una proposizione della teoria del moto che questi pubblicò solo nei dialoghi del 1638 *). Che del resto Galileo fin dai primi anni del 1600 fosse in possesso — in quei limiti s'intende in cui sempre la mantenne — della nozione di persistenza delle velocità acquisite, mentre nel « De motu » composto a Pisa (1590) sosteneva ancora ’affievolimento graduale del moto; è un falto su cui non può esservi ora più nes- sun dubbio. Giacchè, oltre alle ragioni ed ai falti addotti dal Wohlwill, fra cui la divalgazione che ebbero le lettere di Galileo sulle « Macchie solari » (1612), nelle — quali l’indelebilità del movimento è neltamente e diffusamente espressa *), c'è la celebre lettera che a lui indirizzò il 1° aprile 1607 un altro antico scolaro di Pa- dova il P. Benedetto Castelli: lettera pubblicata nel 1883 dal Favaro. Nella quale il Castelli informava il suo maestro delle strane deduzioni che taluni trae- vano in campo metalisico, e precisamente riguardo alla questione della esistenza di Dio, dalla « dottrina di V. S. che a principiare il moto è ben necessario il mo- « vente, ma che a continuarlo basta il non aver contrasto ». Parole che provano come la dottrina di Galileo dovesse già da qualche tempo esser nota, per trovarsene nel 1607 applicazione di essa presso i teologi. E non solo conosciuta e discussa, ma concepita forse con maggior larghezza di quel che la concepisse il suo slesso autore. Come mostra abbastanza | espressione del Ca- stelli, priva, nell’enunciare la persistenza del movimento, di quelle limitazioni e restrizioni alla sola direzione orizzontale, da cui Galileo non riuscì mai a liberarsi. Poichè bisogna pensare che un ostacolo insormontabile s’opponeva a che Ga- lileo attribuisse alla sua dottrina quel carattere di generalità che senza sforzo le attribuirono invece i suoi contemporanei: ostacolo costituito appunto da una im- possibilità fisica c metafisica ad astrarre i corpi dal peso. ') Dell’Antonini così scriveva Galileo nella sesta giornata dei Dialoghi: Discorsi e dimo- strazioni matematiche intorno a due nuove scienze [| Edizione Nazionale, v. 8, giornata sesta, p. 322]. « .... il Sig. Daniello Antonini, nobilissimo d’ Udine, d’ingegno e di valore sopraumano, il quale per difesa della Patria e del suo Serenissimo Principe gloriosamente morì, ricevendo onori condegni al suo merito dalla Serenissima Repubblica Veneta ». ?) Edizione Nazionale, v. 5, p. 134. CL Ricordiamo a questo proposito, come la concezione galileiana dell’ universo fosse, alla pari di quella copernicana, in stretta relazione, non ostante profonde modificazioni, con quella di Aristotele e, come questa, riconoscesse dominare nel mondo un principio d’armonia e d’ordine. Armonia ed ordine, per conservare, e man- teere ì quali, aveva Iddio, secondo Galileo e Copernico, fornito tutti i corpi del- l'universo d’un «istinto » a tener strelte ed unite al proprio insieme 0 « tulto » le singole loro parti. In modo che, se violentemente distaccate ed allontanate, ad esempio, delle parli terrestri dalla terra, o delle lunari dalla luna, o delle solari dal sole, dover queste ritornare immancabilmente, per impulso irresistibile, da qualunque più remoto punto dell’universo, rispettivamente alla terra, alla luna ed al sole, per la via più breve, cioè per la rettilinea. Tale impulso è il peso. Qualità, dunque, ed attributo essen- ziale per Galileo della materia, e che, sebbene non costituisse più per lui, come per Aristotele, l’unica causa di tutti i movimenti possibili; fu nondimeno posto da lui, in mancanza d’ un’altra nozione dinamica più generale, a fondamento d’opera- zioni ed effetti meccanici, coi quali non ha, nè può avere, a dir vero, alcuna relazione. Da ciò ne venne che pensare i corpi al di fuori del peso, come era pure ne- cessario raffigurarli per poter ad essi applicare la nozione di persistenza del mo- vimento lungo una direzione qualunque dello spazio; non dovè apparire a Gali- leo altrimenti dal pensar l'universo non più regolato in tutte le sue parti dal prin- cipio dell’armonia e dell’ordine. Il che repugnava assolutamente al suo sentimento della natura. Né l’ipotesi di corpi senza peso, anche se falla a semplice titolo di esperimento mentale, gli dovette apparire di qualche utilità per la conoscenza dei fenomeni; nè, se pur una volta gli venne formulata '), su essa s’indugiò; quasi che ciò gli paresse un mettersi fuori della realtà. Glì parve all'opposto di ben rimanere nella realtà vera dei fatti, ricorrendo al mezzo materiale e concreto d’un piano orizzontale per compensare ed eliminare, !) Si trova infatti nel dialogo dei Massimi sistemi giornata 2* questo punto in cui Sagredo domanda a Simplicio: « Ma quando l'artiglieria si piantasse non a perpendicolo, ma inclinata verso qualche parte, < qual dovrebbe essere il moto della palla? andrebbe ella forse, come nell'altro tiro, per la linea « perpendicolare, e ritornando anco poi per l’istessa? ». A cui Sim plicio risponde: « Questo non « farebb’ ella, ma uscita del pezzo seguiterebbe il suo moto per la linea retta che continua la di- « rittura della canna, se non in quanto il proprio peso la farebbe declinar da tal dirittura verso « Terra ». Onde Sagredo conclude: « Talchè la dirittura della canna è la regolatrice del moto « della palla, nè fuori di tal linea si muove, o muoverebbe, se ’l1 peso proprio non la facesse de- « clinare in giù.... » [Elizione Nazionale, v. 7, pag. 201). Passo che, se con altri pochi potessimo isolare da tutto il resto, potremmo senz'altro ritenerli col Mach come assolutamente probatori del possesso pieno e completo della nozione di persistenza del movimento in ogni direzione da parte di Galileo. Mentre, se lo confrontiamo con altri passi consimili del Cavalieri appartenenti allo stesso anno, troveremo in questi espressa con tale ge- neralità la continuazione eterna del movimento lungo qualunque direzione, come indarno noi cer- chiamo in Galileo: « Dico ancora, che quel proietto non solo anderebbe per dritta linea nel segno opposto, ma « che in tempi uguali passerebbe per spazi uguali della medesima linea, mentre quel mobile fosse « a tal moto indifferente; e mentre ancora il mezzo non gli facesse qualche resistenza, poichè non « ci sarebbe causa nè di ritarlarsi nè di accelerarsi: si che il grave, mercè della istessa gravità, « non anderà se non verso il centro della terra, ma quello mercè della virtù impressagli, potrà « incamminarsi verso ogni banda, » Cavalieri, (loc. cit., pag. 155). e «e mediante opportuna resistenza, l’azione della gravità nei corpi su di esso collocati. — Sui quali finalmente, per esser posti realmente in condizione da non risentire gli effetti disturbatori del peso, era possibile affermare, prescindendo soltanto dalla re- sistenza dell’aria e dall’attrito, che un movimento, una volta iniziato, non sarà mai più per cessare. "SJ Quali siano stati ora i fatti, le considerazioni e le esperienze che condussero Galileo ad affermare in tali condizioni, la persistenza del movimento nei corpi, non è, come s’ è detto, ancora del tutto noto. Esiste invero nell'esposizione e negli scritti di Galileo un salto brusco, per cui, dall’ opinione antica della estinzione spontanea del movimento, lo vediamo esser passato alla dottrina nuova, senza po- ter noi trovare nessuna notizia sul momento e sulle fasi di questo passaggio. Sta il fatto però che nella formazione di questa idea nuova debbono aver avuto gran parte le considerazioni ed esperienze descritte nel « De Motu» di Pisa (1590), le quali lo avevano convinto dell’assoluta indifferenza dei corpi a qualunque grado e qualità di movimento. Supposizione che acquista tanta maggior probabilità, in quanto che vedremo su questo stesso principio dell’indifferenza, fondare anche il Cava - lieri, il Ballo ed in certo modo anche il Baliani, più di tutti gli altri, pros- simi a Galileo, la loro nozione dell’eternità del movimento ‘). Ma, a parte ciò, su cui più diffusamente ci tratterremo a pag. 17, riservandomi per altro di farne prossimamente argomento di espressa trattazione in un altro la- voro, e tornando per ora al piano orizzontale di Galileo, bisogna osservare, e l’osservò egli stesso, che dovendo ad esso piano risultare sempre perpendicolare la direzione della gravità, anzi che con un vero e proprio piano s’avesse a che fare con una superficie sferica, concentrica alla terra. Onde ecco che il solo moto eterno possibile in natura, conciliabile con la pesantezza della materia, risultava essere in fondo un vero e proprio moto circolare. Il che, mentre si riconnetteva molto bene alle elucubrazioni platoniche e aristoteliche sul moto in cerchio e su! carattere di elernità che a questo, per ragioni puramente di figura, doveva competere; tornava pure assai a proposito della supposta armonia e regolarità dell’universo. Giacché , mentre parve a Galileo che con l'ordine prescritto da Dio ai corpi celesti, trovas- sero assai convenientemente luogo, accanto alla quiete, anche dei movimenti circo- lari attorno a determinati centri, non altrettanto gli parve di poter pensare dei mo- vimenti rettilinei, i quali, se prolungati oltre un certo limite e adibiti ad altro scopo che a quello di riportare al posto, in virlà del peso, le parti dei corpi ce- | lesti eventualmente disordinate, pensò che non potrebbero riuscire se non affatto inconcepibili ed assurdi in un universo perfettamente ordinato. Affermando che un movimento eterno in linea relta mirerebbe piuttosto al sovvertimento che al man- tenimento dell'ordine, allontanando e disperdendo sempre più i corpi tra di loro e dirigendoli « dove è impossibile ad arrivare ». Auzi, proseguendo Galileo in tale ordine di idee, e riflettendo bene che, an- che i movimenti i quali a noi sembrano retti, come quelli di caduta, in realtà non lo sono, partecipando i corpi cadenti del movimento terrestre; finì col concludere che tutti assolutamente i moti possibili in natura, debbono essere circolari; così ') Vedasi a tal proposito anche il Wohlwill loc. cit., fasc. XV, pag. 79 e seguenti. e, YI come ammetlleva, secondo la antica opinione, esser circolari anche le orbite dei pianeti. Tanto da concludere per bocca del Sagredo, nella seconda giornata dei « Massimi Sistemi », con queste parole : « Ma io, Sig. Salviati, vo pur ora considerando un’altra cosa mirabile: e questa « è, che stanti queste considerazioni, il moto retto vadia del tulto a monte e che « la natura mai non se ne serva, poichè anco quell’uso che da principio gli si con- « cedette, che fu di ridurre al suo luogo le parli de i corpi integrali quando fus- « sero dal suo tutlo separate e però in prava disposizione costituite, gli vien le- « valo, ed assegnato pur al moto circolare » ‘). E nelle aggiunte ai dialoghi, Galileo pone a maggior dichiarazione del suo pensiero queste ulteriori considerazioni : « lo dico che nissuna cosa si muove na- « luralmente di moto retto. Cominciamo a ricercar discorrendo: i moti di tutti i « corpi celesti son circolari; le navi, i carri, i cavalli, gli uccelli, tutli si muovono _« di moto circolare intorno al globo terrestre; i moti delle parti degli animali son « lutti circolari: ed insomma noi ci riduciamo a non trovar altro che gravia deor- « sum el levia sursum sembrino muoversi rettamente; ma né di questi siamo si- « curi, se prima non si dimostra che il globo terrestre stia immobile » °). Ecco come tullto un complesso di sentimenti invincibili e di prevenzioni radi- cate vielasse a Galileo d’estendere a principio generale la sua dottrina del moto eterno orizzontale. Mentre non è esatto pensare che egli a tal generalizzazione non giunse, o perchè la sua doltrina non sarebbe stata altro che una pura continua- zione delle fantasie degli antichi sull’eternità del moto in cerchio; o perchè egli fosse effettivamente incapace, secondo la nota critica di Descartes, d’elevarsi dalla «cognizione di fatti particolari a principii e leggi generali. Osserviamo infatti per la prima parte che, sebbene di tali considerazioni degli antichi egli si sia realmente servito, tanto come spunlo e come premessa al principio, quanto come opportuna citazione e punto d’appoggio in seguito, per convalidare e rafforzare con |’ auto- revole testimonianza di Platone i suoi proprii risultati; non si possa tuttavia fare a meno di riconoscere che tali risultati sulla dottrina del movimento Galileo li ri- cavò e li fondò personalmente. Mentre per la seconda parte osserviamo come sia molto più probabile, non che consentaneo all'altezza del suo genio, ammettere che egli abbia volontariamente esclusa ogni ulteriore estensione della sua idea, per- chè non accordabile con la sua concezione metafisica della natura, anzichè pensare che Galileo non si sia accorto e della facilità d’una tale estensione e dei van- taggi che l’uso d’un principio generale avrebbe portato alla trattazione dei feno- meni del moto. Tanto che non direi più col Wohlwill che quel passo della ce- lebre lettera a lui inviata dal Baliani il 19 agosto 1639 °), in cui questi gli do- mandava se polesse ammettersi per principio ciò che si trova scritto a pag. 207 dei suoi « Discorsi », che cioè ogni grado di velocità impresso dalla natura è inde- lebile: principio — aggiungeva — da cui potrebbero ricavarsi tante belle conseguenze Specie per il moto dei proietti; non direi più che tal domanda gli sia passala inos- Servata e senza fare su lui nessuna impressione, quasi non avendone compresa la !) Edizione Nazionale, v. 7, p. 193. ?) Edizione Nazionale, v. 7, p. 545. *) Edizione Nazionale, v. 18, p. 86. o Rete importanza. Cosa che il Wohlwill arguiva dal fatto che Galileo, rispondendo a tutto il resto della lettera '), lasciò questo punto senza risposta. Ma direi piuttosto che Galileo su tal questione non intese pronunziarsi essendo per lui incertissima e imbarazzante. Perchè, pur non potendo forse disconoscere in cuor suo i vantaggi dell'uso d’un tal principio rimarcati dal Baliani, non poteva d’altra parte ammet- terlo per ragioni d’altra indole, ma che per lui non erano meno solide e meno po- tenti delle scientifiche. Tanto più che, così l’opera del Ballo, dove già 11 anni prima del Baliani troveremo messi in evidenza l’uso e la convenienza d’un tal principio, come l’opera anteriore del Cavalieri, la quale fu nota a Galileo; mo- strano chiaramente e inoppugnabilmente come tal questione non potesse essere stata assolutamente per lui nè nuova, nè ignota. Concludendo, non diremo che Galileo abbia ignorato la possibilità di esten- dere a principio generale la sua idea del moto eterno lungo l’ orizzonte, rimanendo così a mezza strada sul cammino che fu poi percorso per intiero dai suoi discepoli; ma diremo invece che Galileo non volle tale estensione deliberatamente. E non la volle per le ragioni già dette di sopra: ragioni d’ordine metafisico; ma a cui conviene aggiungerne forse un’altra ancora; e questa d’ordine prettamente fisico, benché in fondo dipendente dalle altre. Bisogna infatti pensare che Galileo, non avendo mai, come s’è già dello, riconosciuto nei corpi un’altra facoltà dinamica di- versa e più generale del peso, cui riportare la causa del loro vario comportarsi mec- canico, non avrebbe mai poluto, a meno di non voler costruire a vuoto, rappre- sentarsi dei corpi in cui — conforme a quanto era necessario per applicare ad essi la persistenza del movimento in una direzione qualunque — fosse sospesa, anche in via puramente ipotetica, l’attività del peso. Una volta che il peso costituiva per lui, come per Aristotele, ogni facoltà e caratteristica meccanica della materia, che senso si sarebbe potuto più ammettere, dal punto di vista meccanico, ad una rappresentazione di cerpi, che, per esser pri- vati del peso, venivano con questo ad essere spogliati d'ogni possibile facoltà di- namica d’agire e di resistere? Che uso e che valore poteva essere riserbato in mec- canica a tali, non più corpi fisici, ma pure finzioni della mente, prive di qualsiasi fondamento e consistenza dinamici? Non andiamo ora a ricercare le ragioni intime per cui Galileo non sentì la necessità di distinguere nei corpi una facoltà dinamica nuova, preludente in qual- che modo alla nostra « massa », moderna *): ragioni che in fondo rientrano nella 1) Edizione Nazionale, v. 18, p. 93. 2) Eppure Galileo ebbe chiarissima e perfetta la nozione d’ una resistenza, varia da corpo a corpo, ad assumere una certa velocità in seguito ad una stessa forza, e d’una varia resistenza nello stesso corpo ad assumere una stessa velocità in seguito all'azione di forze diverse: « Ma non è già che qual si voglia gran mole, che galleggi nell'acqua stagnante non possa « esser mossa da qualunque minima forza, e solo è vero che minor forza più lentamente la muo- SIVE Lit i navili più larghi più lentamente si muovono che i più stretti, spinti da forze eguali, « e’] medesimo vassello tanto maggior forza di vento o di remi richiede, quanto più velocemente dee essere spinto ». Discorso intorno alle cose, che stanno in su l’acqua, o che in quella si muovono (Ediz. Naz., v. 4, p. 106]. Con tutto ciò non sentì Galileo il bisogno di ricavare da questa nozione di resistenza il concetto d’una facoltà dinamica con cui sostituire nei corpi quello di peso. Anzi seguitò a valersi esclusivamente di questo nello studio dei più diversi fenomeni del movimento. è è ui Pest | RSS sua impossibilità metafisica a scindere la materia dal peso, — al quale era riserbata îanzione ordinatrice e regolatrice tanto essenziale nell'economia della natura — ; ma constatiamo soltanto che, non sostituita nei corpi in luogo del peso questa qualche altra cosa dinamicamente attiva cui riporlar la ragione del loro vario com- portarsi dinamico, era con ciò vietato a Galileo d’astrarre i corpi dal peso e di | estendere di conseguenza a caso generale la persistenza del movimento orizzontale. ———Differentemente invece andarono le cose per i suoi discepoli e contemporanei, che, o per non aver un armonico e profondo sistema metafisico e cosmologico da b ‘connettere con i risultati dell’indagine scientifica particolare, o per aver più o meno modificata l’antica idea di peso, riconoscendo in luogo suo nella materia qualche altra facoltà dinamica più intima e generale; non ebbero più i motivi di Galileo per contenere entro gli stretti limiti da lui fissati il principio della persistenza del | movimento. Or che in tale epoca, contemporaneamente a Galileo, si fosse giunti ad una | profonda rivoluzione nell’idea di peso è un fatto di cui noi ci accorgiamo subito studiando l’opera di Kepler, il quale, condottovi da considerazioni astronomiche, arrivò alla conclusione che i corpi celesti dovessero possedere una specie di peso | che spiegasse il loro diverso comportarsi dinamico rispetto al sole, dal quale Kep- ler supponeva che essi venissero mossi mediante effluvii magnetici. Peso per altro ben differente da quello ordinario e che egli venne chiamando «inerzia » o resi- stenza al movimento. Inerzia che estese anche ai corpi terrestri e a tutta la materia | in genere. La quale appunto in questa resistenza al movimento, veniva a racchiu- — dere ogni sua facoltà e capacità dinamica in luogo del peso, ridotto al grado d’una — semplice forza magnetica d’attrazione fra corpo e corpo. __—Baconmn condivise le medesime idee e così pure Descartes; per quanto questi ascrivesse il peso dei corpi all’effetto d’una pressione dell’etere anzichè ad un’attra- zione; similmente Mersenne e Gassend. Onde tanto Descartes quanto gli altri «due non ebbero naturalmente alcuna difficoltà a riconoscere sui loro corpi senza peso, = ma non per questo dinamicamente inetli, la possibilità di continuare elernamente un $ — moto iniziato in linea retta. Nè tale abitudine di scindere omai la materia dal peso inaugurata da Kepler, le cui opere nessuno ignorò ai primi del 1600, mancò di far sentire la sua influenza sugli stessi discepoli italiani di Galileo, così come aveva fatto su Descartes e sugli altri nel rimanente di Europa. Onde, per quanto non si voglia escludere che anche da loro stessi e con osservazioni proprie non vi sarebbero egualmente giunti; fatto sta che anche qui in Italia, nello stesso tempo che fuori, si venne determinando una corrente di pensiero volta a scindere la ma- —_—teria dal peso: riconoscendo alla prima una consistenza ed un'esistenza dinamica | a sè, sulla quale appunto potersi esercitare l’azione del peso e delle altre forze. fi Quale sia stata per questi scrittori prima di Newton e dominati dalla duplice — influenza di Kepler e Galileo tal nozione dinamica della materia non è possibile | esprimere chiaramente, perche la nozione stessa da loro posseduta non fu chiara. | Sentirono, chi più chi meno, esser nella materia una certa resistenza al moto e alle variazioni; ma, pur non annettendo più a tal resistenza il senso kepleriano di _ una vera e propria ripugnanza al movimento, esclusa dalle lucidissime considera- zioni di Galileo sull’indifferenza dei corpi al moto e alla quiete; furono ben lon- Ì ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 10. 2 la — 10 — "3 tani per altro dal formulare questo sentimento d’una resistenza della materia in no- zione completa e chiara involgente tulto l’aspetto dinamico della materia, come fa | ora il nostro concetto moderno di massa. E se Descartes, che più degli altri pe- nelrò profondamente nella questione, senti la necessità di fiportare ad up’unica no-- zione o proprietà fondamentale meccanica tutti indistintamente i vari fenomeni ed effetti dinamici ‘); gli altri invece, come lo provano il Ballo, il Baliani, Gas- send ecc. dovettero ricorrere per spiegarsi l’ attività dinamica dei corpi ad im-_ maginare che gl’impulsi del peso e l’azione del movimento suscitassero e faces- sero sorgere nella materia degli sforzi, degl’impeti e delle tensioni atti a produrre gli svariati effetti dell’urto, delle trazioni, pressioni ecc. °). Eravamo ben lontani insomma con tali rappresentazioni di azioni e attività di- namiche suscitate e risvegliate nella materia, in cui stavano allo stato latente, in. seguilo all’azione del movimento, dalla nostra nozione di « massa»; ma, a parte la lunga storia dello sviluppo di questo concetto, di cui non è qui il luogo di occuparsi, sta il fatto che i nostri contemporanei italiani di Galileo, pur essendo più assai di Descartes lontani da una nozione dinamica soddisfacente della materia, erano nondimeno giunti a distinguere nettamente questa dal peso. Uno dei passi che finora erano considerati fra i primi in cui tal distinzione fosse marcata fortemente, essendo alla materia riconosciuta una consistenza dina- mica indipendente dal peso, anzi da servire come sostegno ed appoggio all’azione di questo; è quello celebre del Baliani, che, per la prima volta, fu messo in evi- denza dal Vailati in uno studio storico-didattico *) sul concetto di « massa ». Il passo è il seguente : | « E fui condotto a pensare che, mentre il peso si comporta come un «agente», « la « materia » si comporta invece come un « paziente », e che quindi i gravi si « muovano secondo la proporzione dei loro pesi alla loro « materia », onde, se ca- « dono senza impedimento verlicale si devono muovere tulti con la stessa velocità, « poichè quelli che hanno più «peso » hanno anche più «materia» o «quantità di « materia » ‘). Ma già prima del Baliani troviamo ora noi nella « Demonstratio » del Ballo espressa chiaramente e con un’immagine anzi assai caratteristica la esistenza a sè della materia nei corpi. Rimane un ultimo punto a cui deve finalmente giovarci la breve opera del Ballo. ') Così infatti Descartes conchiudeva le sue ricerche sulla causa dell’ urto: « Oltre ciò bi- « sogna notare che la forza con cui un corpo agisce contro un altro o resiste alla sua azione « consiste in questo soltanto che ogni cosa persiste a rimanere nello stesso stato finchè può...». Facendo cioè della proprietà meccanica dei corpi di persistere nel proprio stato una vera e pro- pria attività dinamica, origine e causa d’ogni capacità d’agire e di resistere della materia. Oeuvres de Descartes publiées par Ch. Adam et P. Tannery, t. VIII, Principia philosophiae, Pars IL ° 43, p. 66. ?) Vedasi riguardo a queste idee a pag. 15 e 19. ?) G. Vailati, «Sul miglior modo di definire la Massa in una trattazione Siorabntala della meccanica ». Nuovo Cimento. Vol. XIV, 1907. Scritti di G. Vailati, pag. 799-804. *) De Motu gravium solidorum-liber primus, p. 7, anno 1638. Nell'opera del Baliani il primo libro è dell’anno 1638, gli altri del 1646. ia) Ge Deve essa servirci a chiarire definitivamente una questione su cui s’indugiò il Wohl- will e che, mentre riguarda la posizione del Baliani rispetto a Galileo, servirà pure a determinare sempre meglio le nostre conoscenze su un periodo di tempo tanto importante per la storia e lo sviluppo della meccanica. Si domandò in fatti il Wohlwill, nel suo classico lavoro già citato, come potessero conciliarsi le con- tinue ed esplicite dichiarazioni del Baliani sull’assoluta indipendenza dei suoi ri- sultati sulla dottrina del movimento, da qualunque altro autore, col fatto innegabile che egli fu sempre in rapporti con Galileo, da cui potè direttamente apprendere quanto questi era venuto man mano scoprendo. Domanda a cui il Wohlwill pensò non potersi altrimenti rispondere che ammettendo nel Baliani la più completa malafede: la più completa malafede in questo « nobile genovese », che, quattro anni dopo la morte del maestro, sarebbe venuto fuori, attribuendo ignobilmente a sè stesso idee e scoperte sul movimento che, se pur aveva egli indubbiamente ge- neralizzate ed estese, aveva non pertanto ricevute nella parte più essenziale da Galileo. Del resto così, come verso Galileo si comportò il genovese Baliani, s'era già undici anni prima comportato il palermitano Ballo; dal quale, mentre si parla e d’indifferenza dei corpi al movimento e di persistenza in questo, non vien mai fatto il nome di Galileo. Né differentemente dal Baliani e dal Ballo vediamo comportarsi Descartes, il quale, nei suoi «Principia » (1644) enunciava la per- sistenza dei corpi nel proprio stato, come se fosse stala ricavata da lui stesso per via puramente deduttiva dalla contemplazione della natura di Dio e delle sue ope- razioni. Mentre ben sappiamo noi ora, come e da chi, ebbe Descartes, al principio, comunicazione di quest idea. Ma d’altra parte neanche Galileo fece mai nei suoi dialoghi il nome del Be - nedetti che fu pure suo immediato precursore in tante questioni. Nè il nome del Benedetti, per quanto anche lui avesse spiegata l'accelerazione dei gravi con l’accumularsi dei successivi impulsi del peso — senza però pensare ad una persi- stenza delle velocità acquisite, che a lui, come ad ogni altro predecessore di Ga - lileo fu completamente ignota — fu mai menzionato neppure dal Ballo; il quale sì era pur presa cura di citare tutte le opinioni degli antichi sul problema dell’acce- lerazione. Tanto che possiamo ben dire col Duhem d’esser qui in un’epoca in cui fu completamente ignoto ogni principio d’onestà intellettuale; non sfuggendo forse, soggiunge il Duhem, a questa triste maniera, se non |’ onesto Mersenne. Al quale però, almeno a questo proposito della persistenza della velocità e dei prin- cipi sull’indipendenza e indifferenza dei movimenti, possiamo aggiungere anche il Cavalieri; che, dopo aver brevemente ragionato di queste cose a proposito delle Sue ricerche sulla curva descritta dai proietti, così conclude rimandando onesta- mente il lettore a Galileo: « Queste cose però siano da me dette, come per un passaggio, che perciò non « mì sono spiegato con figura, nè con quella chiarezza, che bisognerebbe, poichè « rimetto il lettore a quello che la sottigliezza del signor Galileo c’insegnerà nel- « l’opera del moto, che ci promette nei suoi dialoghi. » (Loc. cit. pag. 162). Ma, anche dovendo ammettere una indiscutibile disonestà nei contemporanei e successori di Galileo, i quali s'appropriarono impunemente più volte i risultati del A 7 VSS suo pensiero — come egli stesso diceva a proposito della sua teoria sul flusso e riflusso del mare, la quale « volando per le bocche degli uomini, aveva trovato pa- « dri caritativi che se l’adoltavano per prole di proprio ingegno » ‘) — ; non si po- t>] trà tuttavia negare che le idee di Galileo, diffusesi oralmente da trenta o qua- ran’ anni in Europa, erano talmente penetrate per le più diverse vie nei cervelli dei contemporanei e divenute di dominio tanto comune, da potersi considerare perduto ogni contatto fra esse e il suo primo autore. E se pensiamo che Galileo si ri- dusse a racchiudere i suoi pensieri nel monumento dei dialoghi, solo negli ultimi anni della vita, quando già le sue idee avevano fruttificato ed erano state in alcuni punti già sorpassate, essendogli mancato dapprima l'opportunità e il tempo *); po-. tremo in parte anche giustificare la frase di Descartes il quale, avuti in pre- stito da Beeckmann per sole trenta ore i Massimi Sistemi, ebbe ad esclamare di avervi trovato delle cose sue proprie ed altre che non poteva ammettere intera- mente, per quanto dovesse pur riconoscere che Galileo filosofava assai bene sul movimento *). Ne differentemente da Descartes avrebbero potuto forse esclamare con una certa ragione anche gli altri: Cavalieri, Ballo, Gassend, Mersenne, Baliani ecc.; in quanto che tutti rappresentavano la continuazione e quindi uno stadio superiore del pensiero di Galileo. Conlinuazione ed ulteriore sviluppo di quello che, mentre in Descartes, Mersenne e Baliani prendevano corpo in opere pubblicate dopo la morte del maestro e in Gassend uu anno appena pri- ma di questa; uscivano invece, pubblicati a stampa per opera del Ballo e del Cavalieri, durante quel periodo appunto in cui Galileo era occupato nella com- posizione dei suoi dialoghi. Avvenendo così, coll’opuscolo del Ballo ed i brevi cenni del Cavalicri, il fatto singolare che uscissero a luce per le stampe, conseguenze e sviluppi di idee che Galileo non aveva per intiero ancor pubblicate. Ed ora ritorniamo alla nostra questione: ciò che possa pensarsi del Baliani dopo il rinvenimento di quest opera di 11 anni alla sua anteriore. Che il Baliani, pur pervenendo a quei medesimi risultati sul movimento e a quelle medesime esten- sioni del pensiero galileiano a cui era già pervenuto 5 anni prima il Gassend (1641), avesse nondimeno con ogni probabilità proceduto indipendentemente da questo; è un falto che il Wolhwill ammette senza discussione. Ma può ora dirsi lo stesso '‘) Dialogo sui massimi sistemi. Introduzione: Al discreto lettore. [Edizione Naz., v. 6, p. 80]. ?) Si pensi che fin dal 1609 sollecitando il suo ritorno in patria adduceva a motivo il biso- gno di un impiego tranquillo per poter attendere alla compilazione e pubblicazione dei suoi pensieri : « ... havendo hormai travagliato 20 anni, et i migliori della mia età, in dispensare, come si dice, « a minuto, alle richieste di ogn’ uno, quel poco di talento che da Dio et da le mie fatiche mi è stato « conceduto nella mia professione; mio pensiero veramente sarebbe conseguire tanto di otio et di « quiete, che io potessi condurre a fine, prima che la vita, 3 opere grandi che ho alle mani, per « poterle publicare, et forse con qualche mia lode, et di chi mi havesse in tali imprese favorito, < apportando per avventura a gli studiosi della professione et maggiore et più universale et più « diuturna utilità di quello che nel resto della vita apportar potessi ». (A. Favaro — Galileo Galilei e lo studio di Padova, vol. I, pag. 453) [Edizione Nazio- nale, v. 10, p. 232]. *) Lettera di Descartes a Mersenne da Amsterdam il 14 Agosto 1684. Oeuvres de De- scartes publiées par Ch. Adam et P. Tannery. Correspondance, t. I, p. 303. 2 ti A SI08 VI " n Pan ® », È LL ì x » aaa x — 13 — mei riguardi del Baliani col Ballo? Certo che ora, tulto quanto si diceva fin ad i del Baliani, rispetto alla sua opera di continuatore ed erede di Galileo, può dirsi altrettanto bene del Ballo. Il che per altro non vieta di supporre che anche il Ballo, come il Gassend, possa essere stato sconosciuto al Baliani; tanto più avendo il Ballo sempre vissuto in altro ambiente da quello scientifico dell’epoca. 6 Pur ammettendo dunque che il Baliani, indipendentemente tanto da Gassend ‘e da Descartes, come pure dal Ballo e dal Cavalieri, abbia rifatto per proprio conto lo stesso cammino di costoro ; resta sempre questo fatto fondamentale su cui moi abbiamo voluto principalmente richiamar l’allenzione prendendo argomento dal- l'opuscolo del Ballo: del sorgere, cioè, più o meno simultaneo, in quest'epoca, di — opere simili in cui veniva immediatamente generalizzata ed estesa alla stessa ma- piera la dottrina galileiana del movimento. Resta insomma provalo il fatto che il lievito potente di Galileo, fermentando nei più diversi cervelli, determinava in cia- «scuno di essi, simultaneamente ed indipendentemente l’uno dall'altro, la formazione quasi automalica e spontanea delle stesse idee: idee da cui Galileo stesso, per un complesso di ragioni e condizioni speciali, dovè rifuggire. * * * L’opuscolo del Ballo si compone di tre parti. La prima è una breve introdu- zione in cui espone lo scopo della sua trattazione che è quello di portare una muova soluzione all’antichissimo problema sulla causa dell’accelerazione dei gravi — cadenti. Alla qual soluzione premette, allo scopo di farne risaltare vieppiù la no- vità, la citazione di lutto un capitolo d’un’opera allora molto in voga, in cui erano esposte lutte le spiegazioni dale dai filosofi dell’antichità e del medioevo Ta | que- Slione. î L’opera citata è il « De comunibus omnium rerum naturalium principiis et af- _fectionibus» libro XIV, cap. III; l’autore Benedictus Pererius. (Roma 1576 e 1585, Venezia 1586). E questa lunga citazione costituisce appunto la 2° parte. La terza finalmente covsiste nella trattazione vera e propria. La quale comin- | cia con alcune considerazioni sulla gravità e sul movimento : considerazioni cou le ì “ — quali, riconoscendosi nei corpi, in quanto cadono liberamente, un’assoluta assenza del peso, vien tin dal principio chiaramente marcata la distinzione fra questo e la ma- . leria. Nota infatti il Ballo come il movimento d’un corpo, mentre cade liberamente, ed il peso del medesimo, finchè gli è impedita la caduta da un opportuno sostegno, Siano due effelti diversi d’un medesimo privcipio: il quale è la tendenza dei corpi ad accorrere verso una determinata direzione. Così come — seguitava il Ballo — il calore e la luce del sole sono due diversi effetti d'un medesimo principio risie- dente nel sole stesso. Sia infatti questa tendenza totalmente impedita, ed il corpo peserà; sia invece lasciata libera di estrinsecarsi, e il corpo, cadendo, si muoverà; sia finalmente ostacolata soltanto in parle, come è il caso d’un corpo poggiante pra un sostegno che ne assecondi in certa misura il movimento di caduta, ed co che il corpo, in tanto scemerà di peso in quanto il sostegno ne seconderà il movimento. Da questo scambio e compensazione reciproca di movimento e di peso il Ballo vuol trarne una teoria d’un vero e proprio passaggio e trasformazione del- SE se l'uno nell’altro: trasformazione del peso in movimento allorchè, tolto il sostegno, un corpo cade, e viceversa del movimento in peso, allorchè, incontrando un osta- - colo, il corpo cadente è costretto a cessare il suo movimento. Il grande effetto, che da questa cessazione improvvisa del movimento ne consegue, costituisce l’ urto, che il Ballo, conforme alla dottrina del tempo, considera come un grande peso. Dot- — rina che sostenne anche Galileo e che costitui, come egli stesso riferisce, una delle più penose fatiche della sua vita, senza esser arrivato pertanto a dar della causa della « grande potenza della percossa » una spiegazione soddisfacente. E che Galileo non potesse mai arrivare a risolvere tal questione è spiegabilissimo: giac- chè mancava d’una nozione dinamica generale della materia e diversa dal peso. Onde col peso s’ostinò a voler render ragione dell’urto, tanto stabilendo analogie tra il caso dell’urto e quello dell’ equilibrio delle macchine ‘), quanto supponendo che nei gravi cadenti, durante gl’infiniti istanti di cui si può considerar costituita | la durata di cadula, s’andassero accumulando e sommando, per non esser distrutti | da nessuna opposta resistenza, i successivi impulsi del peso, generando finalmente un peso tanto grande da superare infinite volte il peso normale dei corpi stessi da fermi, o, come egli stesso lo chiamava, il loro « peso morto ». Aumento del peso a cui egualmente ammise, ricorrendo alla nozione medioe- vale da lui conservata di « forza impressa », che potessero eventualmente contri- buire anche forze trasfuse ed impresse nel corpo cadente dal di fuori. Si ricordi a questo proposito il classico esempio che rimonta alle antichissime « Questiones me-. chanicae » attribuite ad Aristotele e che fu sempre ripetuto da tutti gli scrittori di quest'epoca: l’esempio cioè della scure e del legnaiuolo. La quale, essendo da questo vibrata sul legno, accumula in sè durante il tempo di caduta tanto i successivi im- pulsi del proprio peso, quanto la forza impressale dal braccio dell’uomo *). AI contrario il Ballo, e dopo di lui il Baliani, non più costretti a far del ') Nella sesta giornata infatti dei secondi dialoghi (che tu pubblicata postuma), faceva dire al Salviati che, a rifletter bene sui vari tentativi fino allora fatti per risolvere il problema della grande potenza della percossa « pare che il nodo principale della difficoltà batta qua, che non bene È « si comprenda come l'operazione della percossa, che sembra infinita, non debba di necessità proce- « dere per mezzi diversi da quelli di altre macchine, che con pochissima forza superano resistenze « immense : tuttavia io non dispero di poter esplicare come in questa ancora sì procede nella me- desima maniera...... » [Edizione Nazionale, v. 8, p. 329]. Fu il primo il Borelli nella sua « De vi percussionis » (1666) a far notare l'equivoco in cui A era caduto Galileo confondendo il caso dell’ equilibrio con l’ urto e a metter chiaramente in vista l’insufticienza del concetto di peso nello studio del fenomeno dell’ urto. *) « Il momento di un grave nell’atto della percossa altro non è che un composto ed aggre- « gato di infiniti momenti, ciascuno di essi eguale al solo momento, o interno e naturale di sè « medesimo (che è quello della propria gravità assoluta, che eternamente egli esercita posando « sopra qualunque resistente), o estrinseco e violento, qual'è quello della forza movente. Tali mo- « menti nel tempo della mossa del grave si vanno accumulando di instante in instante con eguale « additamento e conservando in esso, nel modo appunto che si va accrescendo la velocità di un grave « cadente; chè siccome negl’infiniti instanti di un tempo, benchè minimo, si va sempre passando da & un grave per nuovi ed eguali gradi di velocità, con ritener sempre gli acquistati nel tempo precorso, così anche nel mobile si vanno conservando di instante in instante e componendosi quei « momenti, o naturali o violenti, conferitigli o dalla natura o dall’arte, ecc. » Galileo Galilei, f Dialogo su due nuove scienze, giornata sesta [Edizione Nazionale, v. 8, p. 344]. PA (VI peso il costituente essenziale dinamico della materia, nè più dominati dalla vecchia rappresentazione di « forza impressa », ma nemmeno forniti d’una nozione dinamica della materia tale da poter spiegare con essa l’urto e gli altri effetti meccanici; si trovarono costretti, avanti a tali fatti, ad immaginare nella materia, come già abbiamo accennato, il sorgere, per l’azione del peso o del movimento, di energie e di atti- vità dinamiche, dapprima latenti nei corpi. Il Baliani infatti esprimeva abbastanza chiaramente questo risveglio d’energie nei corpi, ad esempio nei corpi cadenti, nei quali, iniziata la caduta, avviene che «l’impeto il quale stava dapprima latente, « sorge nel grave per opera del movimento; vale a dire, ciò che era prima in po- « lenza, passa in atto, donde ne viene un accrescimento del moto...» ‘). Similmente il Gassend, nel quale è esclusa, tanto quanto nel Baliani e nel Ballo, qualunque ricorso alla rappresentazione di forza impressa per render ra- gione della continuazione. Ma di tale esclusione ci occuperemo espressamente a pag. 19, e ritornando per ora a questi tali effetti o attività dinamiche sorgenti nei corpi in virlù del movimento, notiamo come il Ballo li qualificasse col nome di « ef- felti avventizi ». Avventizi perchè, essendo un qualche cosa che sorge nei corpi e che in essi può in varia misura accumularsi, a seconda dell’ intensità e della durata del movimento da cui sono stati generati; sono non pertanto soggelti ad esser di- Strulli da eventuali reazioni e resistenze; mentre invece l’attività del peso è indi- struttibile, riformandosi sempre di nuovo spontaneamente. Se indistruttibile, non per questo però sarà vietato, aggiunge il Ballo, di immaginarla momentaneamente annullata 0 sospesa nei corpi, così come può pensarsi sospesa qualsiasi altra pro- prietà fisica. Anzi — soggiunse — ci converra per l’ appunto, in vista della nostra dimostrazione, figurare dapprima i corpi privi di qualunque proprietà e quindi ve- nirneli man mano rivestendo. Or le proprietà, di cui il Ballo riconosce esser forniti i corpi materiali sono le sei seguenti: la tridimensionalità, |’ impenetrabilità , l’ indifferenza a qualunque stato e grado di movimento, la persistenza nel medesimo, il peso e finalmente l’aumentabilità illimitata della velocità. Prima proprietà. — Un corpo materiale consta di tre dimensioni. Questa tridi- mensionalità, osserva il Ballo, è la prima proprietà dei corpi ed è indipendente, lanto dalla impenetrabilità, quanto da ogni altra proprietà che si riferisca al movi- mento. Essa è monpertanto comune, tanto ai corpi fisici, quanto ai geometrici; onde l’epiteto di materiale sta ad indicare appunto che è dei primi che s'intende e non dei secondi. Seconda proprietà. — Fra le proprietà di un corpo materiale c’è la solidità im- penetrabile: consistenie nel fatto che da un corpo deve occuparsi tanto spazio quanl’è il suo volume, con esclusione di qualunque altro corpo. Non voglio per altro en- trare nell’ardua questione, soggiunge il Ballo, se in natura si dia effettivamente la penetrazione dei corpi. Giacchè mi contento di parlare d’impenetrabililità secondo l’uso corrente di negare ai corpi solidi la possibilità di penetrarsi, e, per quel tanto appunto che occorre nei riguardi del movimento. Terza proprietà. — « Nel corpo materiale c’è un’attitudine passiva ad esser ') De Motu, liber IV, pag. 98, anno 1646. ui MS « mosso, e la natura ci mostra esser questa lanto illimitata che tutto ciò che pur « ha della resistenza ad esser penetrato, non ne offre invece nessuna ad esser mosso « 0 a ricevere qualunque più alto grado di velocità. Il che intendo per quanto ri- « guarda il corpo in sè, poichè, sebbene sembri che ogni corpo resista alquanto « ad un contrario motore, non dipende tultavia questa resistenza dal corpo stesso, « così come lo considero ora, spogliato di qualsiasi tendenza verso un luogo de- « lerminato: tendenza che considererò in quinto luogo ». « Di tale attitudine passiva a muoversi, c'è una prova splendida ....» Prova consistente nel celebre argomento di Galileo del battello situato su un’acqua quieta, il quale è mosso da qualunque minima forza. Argomento che fu ripetuto anche dal Descartes, Baliani, Borelli ed altri. Un’ altra prova che adduce il Ballo è quella d’un disco rotondo d’argento poggiante pel centro sopra una punta, il quale, an- corchè leggermente mosso in cerchio, seguiterà a girare per tanto tempo « da sem- « brare appena credibile ». « Si ferma finalmente per le reazioni sia del peso, sia dell’attrito, sia dell’aria, « le cui parti si trascina dietro. Avviene così che per la resistenza del proprio peso, « dell’ attrito e dell’aria, a poco a poco si venga vuotando del concepito movi- « mento ». Ma, una volta astratta nei corpi la materia dal peso, non c’era più ragione per non estendere ad ogni direzione dello spazio quella indifferenza 0 « mobilità passiva », come la chiama il Ballo, che Galileo aveva dimostrato e asssodato spe- rimentalmente per quell’unica direzione in cui a lui era stato possibile eliminare l’azione perturbatrice del peso. Ed infatti il Ballo lo dichiara espressamente : « Con- « sideriamo ancora esser il mobile disposto a muoversi verso qualunque direzione « ove sarà diretto dal movente. Giacchè, finchè si tratti d'un corpo, così come io « ora lo considero, privato di qualsiasi tendenza, tanto verso il centro, quanto verso « qualsiasi altra direzione, mon ci sarà maggior ragione d’ammetltere questa pas- « siva mobilità piuttosto per l’ingiù che per l’insù, o per qualunque altro verso. « Anzi da questa considerazione, potrebbe trarsi che non s’abbia da parlare nè « d'un in su, nè d’un in giù: onde più facilmente si formerà l’idea d’un indiffe- « renza del mobile verso qualunque direzione ». Quarta proprietà. — Da questa indifferenza dei corpi verso qualunque direzione nello spazio, ne viene, deduce immediatamente il Ballo, similmente a ciò che aveva fatto anche il Cavalieri ‘) che anche il movimento debba persistere inde- finitamente lungo qualsiasi direzione: '‘) « Hora nel grave che spiccandosi dal proicente, viene indirizzato verso qualsiasi parte, per « esempio, mosso per una linea elevata sopra l'orizzonte, vi è bene la gravità che opera, ma « quella non fa altro che ritirare il mobile dalla dirittura della suddetta linea elevata, non ha- « vendo che far niente coll’altro moto, se non per quanto viene il grave allontanato dal centro « della terra, astraendo adunque nel grave la inclinatione al centro di quello come anco ad altro « luogo, egli resta indifferente al moto conferitogli dal proiciente, e perciò se non vi fosse l’ im- « pedimento dell’aria, quello sarebbe uniforme: ragionatamente adunque si potrà supporre che i « gravi spinti dal proiciente verso qualsiasi parte, mercè della virtù impressa, camminano unifor- « memente non avendo riguardo all’impedimento dell’aria (Loc. cit., pag. 157). Un altro passo simile in cui dalla indifferenza si deduce la continuazione del movimento, lo abbiamo già citato nella nota ') a pag. 5. Cig 5 AIR 6° j È: 9 ” . . . . «Donde segue direttamente che il mobile, al quale non conferii ancora nessuna 71 U «« lendenza, acquistata che abbia una volta una velocità, non sarà capace di ridursi «da sè stesso in quiete, finchè non incontrerà contrari impedimenti. Onde avverrà «che esso conserverà perpetuamente quella velocità e grado di movimento; allo «stesso modo che qualunque altra qualità persiste senza fine nel proprio soggetto « finchè non sopravvenga azione contraria e purchè questo non abbia contro di lei « nessuna opposizione, bensì ogni attitudine a mantenerla ». fio Deduzione dunque puramente razionale della persistenza del movimento dalla indifferenza, che, per essere compiuta tanto dal Ballo che dal Cavalieri getterà, “unitamente alle chiare considerazioni del Baliani sul legame da lui stabilito fra due principi ‘), ancora molta luce sulla via che forse battè Galileo. Del resto ab- biamo già dello prima, come, nell’oscurità che avvolge la scoperta della persistenza del movimento da parte di Galileo, paia di dover fissar l’attenzione su quelle "considerazioni ed esperienze, le quali condussero Galileo alla constatazione della più completa indifferenza dei corpi al movimento e della più assoluta indipendenza d più movimenti tra di loro, essendo i corpi situati sul piano dell’orizzonte. In nessun miglior modo credo Soa che, in mancanza d’una vera e propria dichia- razione di Galileo stesso, possa provarsi la giustezza di quest’ipotesi, riguardo al procedimento da lui tenuto per arrivare alla certezza che il movimento persiste, quanto mostrandone la coincidenza col modo tenuto da coloro che più gli furono vicini, _— Dimostrata l’indifferenza sul piano orizzontale, sarebbe Galileo passato — co- me mostra assai chiaramente di fare nelle celebri lettere sulle Macchie solari — ?) per semplice deduzione alla persistenza del movimento sul medesimo; così come i suoi discepoli dalla indifferenza ammessa per qualunque direzione passarono, per dedu- zione immediata, alla persistenza del movimento in generale. |‘) « Più volte avevo pensato che fosse assai consentaneo alla natura che dai più semplici prin- | <« Gipii s'avessero a produrre i più mirabili effetti.... e mi sembrò probabile che ai mobili fosse «fornita tal natura da potersi da una semplice proprietà immediata, derivare tutte le altre. E | « poichè or fu detto potersi muovere un mobile senza motore, pare da ciò potersi inferire che lo «stesso movimento produca altro movimento e che, per così dire, questo da se stesso si estenda «e continui. Tanto che una volta mosso un mobile, questo sia capace di sempre seguitare a muo- ha a versi nella medesima maniera: da che venni in idea che tale fosse la natura dei mobili da po- Lx tersì questi comportare ‘ndifferentemente tanto verso la quiete che verso il movimento » (De | Motu, liber IV, pag. 97, anno 1646). ?) Nelle lettere sulle Macchie solari che sono il più antico documento di Galileo in cui ap- sE; paia espressa la persistenza del movimento è infatti questa, appunto. in tal modo, derivata: «... ad «alcuni movimenti (i corpi) si trovano indifferenti, come pur gl’ istessi gravi al movimento ori- _ «zontale, al quale non hanno inclinazione, poi chè ei non è verso il centro della terra, nè repu- | «gnanza, non si allontanando dal medesimo centro: e però, rimossi tutti gl’impedimenti esterni, «un grave nella superficie sferica e concentrica alla terra sarà indifferente alla quiete ed a i mo- |< vimenti verso qualunque parte dell’orizonte, ed in quello stato si conserverà nel qual una volta | «sarà stato posto; cioè se sarà messo in stato di quiete, quello conserverà, e se sarà posto in « movimento, V. g. verso occidente, nell’istesso si manterrà: e così una nave, per essempio, avendo una sol volta ricevuto qualche impeto per il mar tranquillo, si muoverebbe continuamente intorno «al nostro globo senza cessar mai, e postavi con quiete, perpetuamente quieterebbe, se nel primo < caso sì potessero rimuovere tutti gli impedimenti estrinseci, e nel secondo qualche causa mo- « trice esterna non gli sopraggiugnesse ». Lettera 2%, 14 agosto 1612 [Edizione Nazionale, v. 5, ce v | dai mo i \ ago STA n Livia pa n A "4 lo tri z D T) 4 ni ? DIVO D'IONYSHO AREOPAGITAE POST MARTYRIUM FELICISSIME CONSUMMATUM MOTU SUPERNATURALI PROLIXA VIA SPONTE PROGRESSO, PAUPERCULUS SERVUS, MIRACULI EXCELLENTIAM, SAPIENTIAE MAGNITUDINEM, | —‘’©ONTEMPLATIONIS PROFUNDITATEM | ANIMO DEMIRANS, ET SILENTIO VENERANS, | TRACTATIONEM n PUSILLAM, DE MOTU CORPORUM NATURALI SUBSTERNIT, DICAT, CONSECRAT IOSEPAUS BALEUS. DE MOTU CORPORUM NATURALI NONDUM AUDITA RATIO DEPROMITUR, AC DEMONSTRATUR 1. — Resolulio quaestionis de molu corporum naturali, salis ambiguae, et opi- nionum varietale celebris, adhuc desideralur. Quae enim ingenia antiquorum soler- lissima exagitavit, non mirum si minus acuta recentiorum torqueat. Certe, non prop- lerea quod res diu agitata est, et doclissimorum quidem iudicio censetur nondum soluta, iccirco ulteriorem perquisitionem ita negligere debemus, ut, insuperabilem lantes, postmittere velimus. Euimvero si universam doctrinam ab alijs suggeren- im praestolamur, el non quid ultra propria defatigalione, ac studio adipisci au- mus; in scriplorum autem monimentis nil de ea re firmum, certoque resolutum pscimus, necesse omnino erit in quaestionis caligine perpetuo versari. Porro rem, “manifesta opera nalurae oculorum obtutui, sensuumque contrectalioni exposi- operae pretium esset nos denuo lentare, novisque studijs aggredi; si forte da- or doclrinae huius mica potiri; et pudor non sit, in re philosophica, ac prope- lum familiari, cousque praeceptorum ingestionem expetere, ul ea destituti segni- ter lorpeamus. Satagant ergo interdum studiosi iter ambiguum fidenter arripere, quod majores ad doctrinae metam, residuum reliquerunt. Mihi itaque, id ipsum experiri enti, novissimamque ralionem de praedicto motu promere cogitanti, libet prae- | Mittere peculiarem discursum, quem circa hane materiam habet B:nedictus Pererius. _ Unde, lector, excipias tum quod negotium adeo urserit philosophos, ut eorum ali- pe ad futilia cogitandum adegerit; tum quod, quae a me demostranda est reso- lulio (cuius praecipua fundamenta ab Aristotele non discrepant) nullorum sit re- ionibus consonans. Nolo autem ad oppugnationem opinionum, defensionemque pnis diffundi; quatenus stullum est pulare, posse opiniones, et argumenta in- veniri, quae demonstrationi praeiudicent. Quare el opiniones satis impugnatas, et Ù sitionem salis defensam esse constabit; si demonstratio constabit. n Motus est effectus pro- pendentiae non impedi- tae. Gravitas est etfectus propendentiae impeditae. Pondus solutum evadit in motum. Motus impeditus evadit n pondus. Effectus recepti in mo bili dicunwr adventi). = 995 Segue la citazione per cinque pagine. Finita la quale così riprende : Hactenus Pererius. Volo autem quandam studij mei sententiam aperire, studiosorumque examini proferre; et ut vitetur aequivocatio, praemoneo, quod sub nomine, motus, aliisque forte verbis, quae promiscue significant molus genere diversos, audiri debet motus localis, juxla subieclam materiam. lamque sic philosophor. 3. — Intelligo quod aclivum principium motus, et aclivum principium gravitatis secundum rem identificentur; ut unum idemque sint re ipsa. Principium dico pro- pendentiam in actu primo tendendi aliquo versus: motus autem et gravitas, actus secundi, diversificantur, tanquam effectus ab illo uno principio, eo feremodo quo in via peripatelica lumen et calor producti a sole sunt diversi effectus unius principii in sole. Enimvero molus est effectus propendentiae non impeditae; gravilas au- tem est effeclus eiusdem propendentiae impeditae; ideo enim corpus gravat; quia propendel aliquo versus, et moveri impeditur: si enim omnis propendentia depone- retur, profecto omnis gravitas cessaret. Documentum (dummodo intelligatur cum praedicla ratione impedimenti) est Aristotelis, quod Pererius $ Verum opinionem, et proxime ad relatum discursum in fine capitis, innuit, et eludisse putat vana, quam contestatur, experientia: siquidem ea resolutionem fert plane diversam a viri proposito. Porro quodeumque propendens in eadem statui, et in eodem actu, tam si solutum currit, quam si impeditum graval. Verbigratia, arcus, qui erat tensus, tanta vi sagillam primo relaxatus impellit, quanta impeditus obstaculum premebat; et ea- tenus corpus ponderat super suslentamentum, quatenus ultra progredi impeditur. Huius veritatis habentur experientiae; vidilicet, et quod, resecato impedimento pon- dus evadat in motum; et quod impedimento posito, motus evadat in pondus. Expe- rientia de primo. Nam si id, quod sustinet, et gravatur, secundabit sustentati pro- pendentiam, procul dubio tantundem pressione levabitur, quantam adhibebit secun- dantem motum; eatenus ut videatur grave, totum id, vel partem ejus, quod erat gravare, refundere in tolum id vel partem ejus, quod est moveri. Experientia de secundo. Nam corpori minoris gravitatis, si denuo addatur motus velocior, quam sit, quem fert propendentia naturalis, et occurrat impedimentum; tune constabit, corpus ita essa gravitate auctum, ut aequetur in ponderando corpori maioris gravilatis, et superet. Exempli gratia, sit libra, in cuius altera lance locetur assipondium, eaque lanx subsideat suffulta sustentaculo; altera vero lanx vacua pendeat nulla suffulta inferiore sustentamento; et in hanc cadat triens, vel sexstans, e debita distantia deor- sum veniens, seu cum sufficiente impulsu proiectum, cuius cursui vacua lanx occur- rat; lunc enim videbitur sextans sursum attollere assipondium, atque ideo prepon- derare; donec adventitium motum remittat. Sunt enim in corporibus formationes, seu effeclus motionis, seu, respective ponderositatis, et hi abundant ab activa, ac genuina propensione; eosque appello, adventitios; non proplerea quod oporteat habuisse prin- cipium extrinsecum; abstrahunt enim a principio; sed quia adveniunt corpori, et sunt in corpore praeter congenilam, naturalemque propensionem: iique solent inter se consolidari, atque intendi eo fere modo, quo plures luminosi effectus, et aliae qua- litates consolidantur, et intenduntur in uno, eodemque subiecto. Porro naturalis pro- pensio, cum aliquo consequente cffeclu, semper viget, et non est a quopiam con- ? È CT‘ og trario naturali agente impedibilis: formationes autem seu effectus recepti in mobili, quos appello adventitios (quodeumque habuerint sive externum sive internum prin- cipium) sunt a contrario agente corruplibiles; prout infra num. 8 considerabo. Sed operae pretium est, in huius tractationis gratiam, corpus mobile objicere prius omni virtute spoliatum; postmodum paulatim induere; unde sumam demobstrationis prin- cipia, quae attente considerari propono. 4. — Primo considerandum. Corpus materiale constare trina dimensione: el quo- niam eadem dimensio competit quoque corpori mathematico, iccireo addidi particu- lam, materiale, quia est adducenda oratio ad corpus mobile. Eiusmodi corpus intel- ligo privatum virtute locum occupandi; proindeque virtute tam ad moveri quam ad movere; iuxta fere id, quod doctores nominales audiunt esse qualitates corporum; nimirum illae locum non occupant; sed sunt penetrabiles, et penetrativae; itemque non movent, neque moventur per se, nisi ratione solidorum, in quibus subiectan- tur; a quo nunc abstraho. Corpus itaque materiale tale esset, quotiescumque a Deo eiusmodi potestate spoliaretur. 5 — Secundo considerandum. Inter virlutes materiali corpori tributas unam esse solidilatem impenetrabilem; cui consequens est occupari a corpore tantundem spaltii, cum exclusione aliorum corporum, quanta est propria, constrictaque dimensio, seu moles. Nolo autem ingredi arduam quaestionem, an detur penetratio corporum in natura; sed nomino impenetrabilitatem, prout solilum est negari penetrationem de solidis corporibus; quam audio hic crasso modo, in ordine ad motum de quo tan- tum agere inlendo. 6. — Tertio considerandum. Corpori materiali esse passivam aptitudinem ad mo- | veri, eamque ltaliter illimitatam esse natura nobis ostendit, ut, quod resistentiam om- nimodam habet ad penetrari, nullam habeat ad moveri, seu ad recipere quamitum- Vis maiorem formationem motus; quod intelligo, quantum est ex ipso corpore: nam licet videatur omne corpus aliquantum resistere motori contrario, illa tamen resi- stentia non est a corpore, ita simpliciter considerato, sicut nunc considero; nisi sit aliqua contraria propensione indutum; sicut quinto loco erit considerandum. Talis passivae apliludinis, ad moveri, insigne est argumentum; quoniam onerata magna navis in humido, levi attractione hominis, in terra positi, imo minori, levissimoque momento dimoveatur. Illud etiam est rei ferme evidens argumentum; si punctum medium rolundae, et aequilibralae argentae patinae, quod designatum est patinae cen- trum, insistat super cuspidem aliquam; et patina non multa vi, neque per magnam circuli portionem, sed levi quodam impulsu, ex brevi ductione ingesto, moveri inci- piat: quippe eveniet, patinam ita pluries, et pluries volutari, ut absolutarum circulatio- num numerum praeler exislimalionem multiplicari videamus; incredibile quippe videa- tur posse palinam, ita leviter ductam, tot circulationes absolvere, quot vere absolvil: sistitur tandem ob reactiones, quas patilur tum ex fricato fulcimento, tum ex circum- fuso agre, cuius plures succedentes partes, quae quiescebant, aliqua vi rapit: et sic, proprio pondere, sustentaculo, el aére reagentibus, paulalim evacuatur ingesta motio. Considerabimus etiam huiusmodi mobile paratum esse, quoquoversus a mo- vente dirigilur, eo versus moveri; quoniam, dum corpus mobile considerandum pro- pono, quod sit absque naturali quapiam propensione sive ad centrum, sive alio ver- sus, iam non erit de praedicta passiva mobilitate maior ratio ad deorsum, quam ad Adventitij effectus in mobili sunt a contrario agente corruptibiles. Corpus materiale cou- stat trina dimensione. Soliditas impenetrabiì- lis est virtus tribuita cor- pori materiali. Corpus mobile nullam habet resistentiamad mo- tum. Reactiones causa sunt sistendi motus in mobile. Mobile indifferentiam habet ad quoversus mo- veri Mobile, accepta forma- tione motus, nunquam valebit seipsum ad quie- tem adducere Experientia de sagitta a» arcu erumpente Aer quia est naturae fiuidae, gravia minus aptus est corpora movere, gg = sursum, et ad reliqua: imo, ex tali consideratione, non esset nominare sursum, au deorsum; quo facilius de quoquoversus mobilis indifferentia praesens consideratio astruatur. 7.— Quarto considerandum. Inde recte sequi, ipsum mobile, quod nondum dedi aliqua tendentia indutum, acquisita semel formatione motus, dum nullum contra- rium occurit, et impedit, non valere seipsum ad quietem sistere; unde est, quod eam formationem, ac ralionem motus perpetuo retinebit; perinde ut quaelibel qua- litas in subiecto proprio, quod nullas dispositiones contrarias, sed omnimodam ap- liludinem ad eam qualitalem sustentandum, nullo occurrente contrario, perpetuis se- culis in illo subiecto residebit. In hanc veritatem cunetae experientiae conveniunt, et nullae ei refragantur. Ecce sagiltam, per palmale duntaxat spatiam a nervo arcus impulsam, servare videmus eandem penetrationem temporis, et motus, qua primum expulsa est; unde fit, quod intervallum maximum ictu oculi pertransit, donec con- traria naturalis propensio, aliave predicto motui contraria adventitiam formationem, paulatim reagendo, evacuabunt. Quippe concedi oportet sagiltam, a nervo arcus de- stilutam, procedere ulterius absque alio motore, per aliquod spatium; quod si sic, certe non erit ratio, quin acceptam primo formationem molus servabit per aliud, et semper per aliud spatium, nulla data resistentia, aut agente contrario, quod esse posset, receptae formationis corruptor. Si vero ab adversariis negarelur posse sa- giltam perlransire quiequam spalii absque novo succedente motore; considerent hi velim, quod in negatum liquido reciduut, dum aliud corpus, puta aérem, itidem im- pulsum, nedum aptum esse volunt ad se ferendum, verum etiam ad impellendam sagiltam assumunt, et nervi quasi vicarium, constituunt; maxime cum talis aér sit, qui propter fluidam, cedentemque naturam minus aptus est tam violenter gravissima corpora movere: etenim si sagitta, formatione motus accepta, se ulterius ferre non valet, ei haec, secundum adversarios est conditio impulsorum utique neque aliud, quod similiter impellitar, se, et alia corpora ferre valebit; unde continget, quod tum aér, tum sagitta non longius movebuntur, quam sit associatio nervi; quod est contra experientiam. Insuper nervus est, qui immediato contactu sagittam recta im- pellit, aér vero polius a latere dividitur, quam directe motor sufficitur; et nihilomi- nus plerique talem aéri potestalem faciunt qualem nec mille simul perculientibus malleis tribueremus. Nimirum pila, quae e tormentis bellicis excutitur, si in ipsa ad turrim appulsione amplius impelli ab aére destitueretur; mille simul malleis acta non efficeret totum, quod (iuxta adversarios) facillime exequitur favore duntaxat aégris, a tergo quidem rarefacti, et non recta secundantis, sed ad globum transverse, et a latere succedentis. Quippe globi rotunditas recta moveri non patitur, impetumque ferientium facile eludit, nisi directe impetatur: et utcumque fluida, cedensque aéris natura motum, impetumque alio diverteret ubi minorem resistentiam nullo negotio est inveniri; quemadmodum constat validissimos ventorum flalus immotas tegulas praetergredi. Quinimo tam impossibile est, quod, aér sagiltam, pilamve impellat, quam certum esse debet quod reactione retardet: oportet enim sagittam, pilamve, ratione impenetrabilitatis corporum, rationeque replendi vacui, immotum aérem a fronte dividere, el a tergo quasi raptare. Quod si oculis non constat illa raptatio, unde area facta est plura confingendi, eaque tanquam bona, ac vera oscitantibus, venditandi. Ecce quam perspicue aliud solidius, ac visibile elementum hujus negoti) veritatem de- È TS: pie claral: scilicet, in quieto mori, nulla ventorum, et similium agitatione commoto, quo- liescumque actuaria navis, validissimo remigio ducla, et statim remigio destituta, ferlur transcurrere aliquod spalium, tune oculis concernimus quod nullus aquae globus, aut unda puppim ferit; imo quod ipsi aquae globi vi rapiuntur et quasi raptan- lur; adeoque sequentes fluctus videntur minus posse mavem prosequi, et minus praesto esse ad replendum maris vacuum, ut fere semper foveae, et quasi hiatus maris retrorsum appareant; tantum abest, quod in feriendo, et impellendo fluctus abun- dent et navim feriant. Evidens quoque habemus experimentum; corpora scilicet, motu formala, motore desistente, moveri seipsis. Nam cymba, per quietum sta- gnum fune attracla, ei secus ripam velociler ducta, in qua cuncta sane interius quiescunt, (quippe homo in ea veclus, et ab ea, lanquam a casula, undequaque cir- cumteclus ne dum moveri se sentit, verum nec circum se fusum aérem aliqualenus moveri cognoscit: levissimumque filum ibi pendens, stat penilus immotum) si forte arenam offendit, fit protinus ut corpora, quibus a circumfuso aére nulla vis infe- rebatur, partem antrorsam cum impetu feriant, seu concidant; quod si adversarii id aéri mordicus imputabunt; ad aérem orationem convertam; quid nam ibi fuerit movens aérem? Nec dissimilem, et magis vulgarem experientiam habemus; cum quis madefaclis digitis, et in formam arcus tensis, indeque laxalis, aquae guttas ia- culatur; etenim gultae e digitis tune primo erumpunt nullo aére impellente (con- ligua mempe digito gutta est) digiti vero se continent: oportet igitur fateri guttarum excursus causam esse eam formalionem molus, quam gultae a digitis primo acce- perunt. Firmum igitur stet propositum, quod ratio dictat, quod cunctae experienliae comprobant, quodque, etsi nullis experientijs probaretur, tamen, pro decentissima arduae ambiguitalis resolutione, assumendum, concedendumque esset: tali namque usus est probatione quandoque Aristoteles, quod sua positio esset bona; quia vete- rum ambiguitates, resolvebat. Persistendum itaque est in hoc, quod mobile, semel accepto molu, nunquam eum deserat, quandiu per vim aclionemve contrariam ea formatione non privatur: instar corporalis qualitatis in subiecto apto nato, quae post sui produclionem non egeal iugi assistentia, et aclione agentis. Quod axioma, tan- quam communiter, et sat rationabiliter acceptandum in praecipuum demonstrationis principium assumo. 8. — Quinto considerandum. Corpus aére solidius, imo (quod vera ratione asseri debet, quicquid plurimi cogitent de levilate quorundam elementorum). Omne corpus materiale cerlam propensionem tendentiae ad mundi centrum obtinuisse a Structore naturae; ut mundi centrum perpetuo affeclet, eaque talis est, ut cum mobili, in quo stat, semper aclu vigeat, mobileque ipsum, cui semper intime praesens est, assidue manu quasi premente, adigat ad moveri, aut ad gravare: cui propensioni nil adeo sive blanditur, sive adversatur, ut quandoque ab operari desistat, tam si mobile sit i quiete compositum, quam si sit violenter raptum: non enim. privari potest mo- bile naturali sua aclivitate cum necessarie inde aliquo consequente effectu; etiam sì maxime violenta contraria raptione impetatur, quemadmodum sextans in libra nun- quam desinit lancem gravare, tam si subsideal; quam si a praeponderante in altera lance assipondio sursum feraiur; unde regula sit, nullis exceplionibus obnoxia; cur- pus positum extra centrum, aut non impeditum moveri, aut, respeclive, impeditum ‘gravare; addidi, respective, propter debile, quod saepe occurrit, impedimentum; quippe ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 10. 5 Experientia de navi ac- tuaria, currente in quieto mari. Experientia de cymba arenam olfendente. Experientia de aquae guttis, quas digiti lacu- lantur. AristotelesI phys. prout ex cont. 71 comprobat Franc. Piccolominus Motus in mobili est si- cut qualitas in subiecto apto nato ad conservan- dum, ut non indigeat per- petua conservatione &- gentis. Corpus materiale pro- pensionem habet tenden- tire ad mundi centrum. Tendentia mobilis ad centrum, cum suo effec- tu. nullo pacto remitti potest ex quovis contra- rio motu, ant qu ete. Mobile quandoque si- mul movetur, et gravat. Adventitii effectus in “mobili sunt natura extin- guibiles ab agente con- trario Velocitas motus ha- betur per concurrentein temporis et spa ati) men- suram. SS tune mobile pro parle gravat, el pro parte movetur. Secus vero sentiendum est de adventilie receplis motionis, et gravitatis effectibus, hi nanque a contrariis agentibus tum in partem, tum in toltum extinguuntur, et facta exlinctione, nulla de eis in mo- _ bili residua formalio remanet. Quocirca videtur mobile se habere tanquam baiulum qui farcinam pluries recipit, ac deponit, molem vero proprij corporis neutiquam. 9. — Sexto, et ultimo considerandum. Maiorem motus velocitatem esse, ac di- scerni in mobili, quando ipsum mobile percurrit aequale spatium minori tempore, seu maius spatium, aequali tempore. Illud quoque exploratissimum est; motum au- o geri posse in infinitum, si adsit virlus motiva, adeo ut per mobile non stet (iuxta lerliam considerationem) quin aliquod designatum spalium posset semper in minori, et minori tempore percurrere. Tempus nempe est divisibile in infinitum, sicut quae- libet alia continua quantitas. i 10. — His consideratis, ac positis, demonstrabo maiorem velocitatem debere esse corpori mobili in fine, quam in principio, aut in medio sui motus naturalis. lamque nullam habebo rationem de medio, quod suppono plenum corpore unifor- miter fluido, et quod se aptum praebeat uniformiter dividi a cadente mobili: quae- cumque enim ex medio occurrunt, cum sint estrinseca, et solum per accidens aut iuvent, aul relardent, sunt in demonstratione negligenda. 11.— Sit spatium, A, B, percurrendum a mobili motu naturali; ipsumque spa- tium dividatur in partes aequales, C, D, E, F, dimittaturque mobile a loco A. Certe deorsum ex naturali propensione primo ferri debet per parlem AG spatij C. In primo autem cursu dicamus velocitatis gradum ipsius mobilis debere esse ut unum, et sie in ipsa parte spatj C, non minutius dividentes, dicamus mobile possedisse gradum velocitatis ut unum. lam vero, si in puneto G, fingamus mobile spoliari tan- tum, ac praecise sua propensione tendenliae ad mundi centrum, utique non proplerea (secundum id, quod quarto loco considera- tum est) molum, formationemque motus semel acquisitam, nullo occurrente impedimento, dimittet, sed perpetuo servabit, perindeque se habebit, ac si nunquam eam propensionem naturalem habuis- set, verum ab alio quopiam semel impellente, et cessante, per id spatij, cum eadem velocitate, el eo versus dimolus fuisset. At re vera mobile mon spolialur propensione naturali, sicut in demon- strationis gratiam spoliari confingendum dixi: igitur per spatium, D, ingenita quoque propensione, iugi quasi stimalo agitabitur: nam, praeter adventitiam motus formatlionem, semel acquisitam, viget interna illa naturalis propensio, quae (secundum quintam consi- derationem) assidue stimulat, ac quasi manu impellit. Qua propter, quoniam illa stimulatio, vendicat sibi effectlum, quemadmodum nova. F addita candela causat lumen intensius in illuminato cubiculo (quippe in mobili adest capacitas receplandi quantumvis maiorem forma- lionem motus, iuxta tertiam couvsiderationem ) iccirco ipsum mo- B bile motu formatum, ac naturali stimulo agitaltum, percurret partem spacij D, minori tempore, quam, si ex sola tune acquisita forma- lione percurrisset, atque ideo absolvet cum maiori velocitatis gradu (iuxltam sextam fu < e Ma o bc POSI SRO OE ionem) partem spatij, D, quam absolverat partem spacii, C. Qui veloci- s dicatur esse, ut duo. Itaque, non impeditum, debet velocitatem, ut rvare per spatium, E, et deinceps perpetuo (iuxta considerationem quar- E° in fine spati), D, mobile spoliaretur propensione sua naturali: sed ra non spolialur, sequilur, per eandem rationem, quod corpus, naturali m prop ensione agitatum, minori tempore percurret a spati). E quam per- ‘at partem spatij, D. Parique ratione, minori tempore partem spalij, F. Et sic s, et deinceps in infinitum, minori, et minori tempore; atque ideo (iuxta ‘consideralionem) velocius, et ia: Quod erat Demonstrandum. . — Ex demonstratione conspicua via aperitur ad tractalionem de proiectis, ellicorum tormentoram ratione valde conferentia corollaria a priore ducun- piliterque, de alitibus in volatu confodiendis, et de pluribus aliis ad localem a Lectorque, bene demonstratione instructus, examinel; an ne- m sit ad caelestium orbium motionem intelligentias perpetuo insistere ; dum orbibus impedimentum occurrat, nullaeque ab eis sint reactiones superan- sati. com iugi remigio aos ada sunt ab actuaria navi: cn recogitet SUPERIORUM PERMISSI). finita di stampare il dì 8 Luglio 1912 ERRATA-CORRIGE Lea a 10, invece di « quantunque non dimostrata da nessuna esperienza tuttavia può gasi « se pure non fosse dimostrata da nessuna esperienza tuttavia potrebbe ecc. » Facta demonstratio viam aperit ad plura val- de utilia quae sunt ad motum localem pertinen- tia. ol. XV, Serie 2.* N° 11. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE ICERCHE SULLA CERCARIA SETIFERA DI JOH. MULLER MEMORIA del socio ordinario Fr, Sav. MONTICELLI presentata nell’ adunanza del dì 6 Luglio 1912. Rc Sommario ntroduzione. | 1. Aspetto esterno. 2. Struttura anatomica ed istologica. - 1. Rivestimento cutaneo, muscolatura, mesenchima. — 2. Apparato della digestione. — 3. da n Organi escretori. — 4. Sistema nervoso. — 5. Differenziazione sessuale. TS 8 Biogenesi. 53 fi Etologia. 5. Identità e sinonimia della Cercaria setitera di Joh. Miiller. INTRODUZIONE Nel 1888 ho riassunto in una nota preliminare le osservazioni fatte, durante ni anni di permanenza nella Stazione Zoologica di Napoli, su di una Cercaria na del nostro golfo che ora si incontra liberamente nuotante, ora, e più di fre- le, si trova annidata in tutti, indistintamente, gli animali pelagici. In questa Cer- Muller nel 1850; e, fissatane ia sinonimia con la Macrurochaeta acalepharum del ) di Napoli, descritta da A. Costa nel 1864, nonchè con altre Cercarie marine mente, questa Cercaria nei principali tratti della sua organizzazione così da migliore e più completa conoscenza {p. 196). Tentai, inoltre, di ricostituire, induzioni, il ciclo biologico di delta €. setifera, che non mi era riuscito di ire sperimentalmente. Fondandomi da una parte sopra una certa somiglianza che iis paiora "eat con alcuni distomi raccolti dal Prof. Paolo AL sulle Biato e delle Beroe fosse una Cercaria setifera, più avanzata nello sviluppo (essendo questo - distomide già provvisto degli organi genitali, per quanto non del tulto a termine; e quindi, per conseguenza, che la C. selzfera, potesse riguardarsi come la forma giovane del D. contortum Rud. Secondo questa mia induzione il ciclo sarebbe stato rico- struito completamente, avendo potuto, per la identificazione della Cercaria echinocerca del De Filippi conla C. setifera Joh. Miller, «concludere che quest’ultima proviene da una Redia che vive nei molluschi (Gasteropodi) marini, e dopo aver vagato libe- ramente per un certo tempo penetra negli animali pelagici...» (4, p. 197). Della C. setifera ho dato pure notizie anatomiche e biologiche nei corrispon- denti capitoli del «Saggio di una Morfologia dei Trematodi» (2, p. 77-80) pubblicato nello stesso anno 1888. Nel dare alle stampe la sopra citata nota preliminare riassuntiva mi auguravo di poterla presto far seguire da un lavoro completo sulla Cercarzia setifera, che, purtroppo, per una serie di contingenze varie e diverse non vede la luce che solamente molto tempo dopo. Nel frattempo, pertanto, avendo avuto opportunità di esaminare largo materiale del Distloma delle Beroe innanzi ricordato, da me raccolto nel 1891 nella Beroé ovata D. Ch. del Golfo di Napoli, lo studio a fresco e sul vivo, confortato da quello condotto su preparati in toto e sopra serie di sezioni, mi fecero certo « che la mia induzione del 1888 era erronea; perchè la Cercaria setifera ha, difatti, nulla di comune col Di- stoma delle Beroe », che, invece, « appartiene al ciclo biologico di altro Distoma che spero di essere in via di rintracciare» (3, p. 1, nota e p. 125, nota); speranza purtroppo rimasta delusa. Ma se la suddetta ipotesi cadeva, mi era possibile, per contro, di meglio identificare la Cercaria echinocerca De Filippi con la C. setifera e confer- mare, anche con osservazioni personali, l'origine della C. setifera da Redie e seguirne lo sviluppo dalla loro origine da queste. Avendo, difatti, rinvenuta una Cercaria in un Conus mediterraneus corrispondente a quella con questo nome indicata dal De Filippi (C. coni-mediterranei), della quale egli ha trovato una sola volta delle Redie che non contenevano ancora Cercarie, potetti stabilire che le due Cercarie del De Fi- lippi (C. echinocerca e C. coni-mediterranei), sono la stessa cosa; e, quindi, dallo siudio diretto della C. echinocerca del De Filippi confermare in modo definitivo la identità di questa forma con la C. setifera: studio che mi permise, per conseguenza, di seguire l’origine prima della C. setifera, la cui Redia, come avevo dedotto fin dal 1888, alberga, difatti, in Gasteropodi marini [ Conus mediterraneus, Buccinum Lin- naei, & forse anche altri] (3, p. 1-2, nota 1). Queste osservazioni sulla Cercaria setifera e diverse altre Cercarie mi avevano fatto abbandonare il pensiero di pubbli- care l’annunziato lavoro completo sulla Cercaria setifera e mi avevano messo invece nell’animo quello di raccoglierle tutte insieme in un’altra serie dei miei « Studii su Trematodi endoparassiti» dedicato alla illustrazione comparativa delle Cer- carie marine e loro sviluppamento (2, p. 2, nota); che purtroppo neppure mi è riuscito finora di concretare per non aver potuto, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, continuare la pubblicazione della serie dei detti studii sui distomidi, che giacciono tuttora inediti. Cosicchè, dalle ricerche sulle altre Cercarie stralciando quelle sulla Cer- caria setifera, pubblico ora queste solamente, sciogliendo il vecchio impegno; tan- toppiù che altre salluarie osservazioni, che mi è capitato di fare nel frattempo sulla delta Cercaria setifera, mi permettono di meglio integrarne lo studio e darne una, per quanto possibile, particolare illustrazione. caos gel Difatti, se da un lato la sinonimia della C. setifera si è accresciuta, per ulte- riori indagini di altre forme a questa da riferirsi, alcune delle quali già ricordate altrove (2, p. 1 e p. 124, nota), dall’altro mi è occorso, per nuovo materiale rac- colto, di poter, in seguito, constatare anche nella C. setifera la presenza di organi genitali, per quanto in istato più o meno iniziate di sviluppo: fatto che, affermato dal Leuckart per le Cercarie in genere, ho già detto, in altra occasione (3, p. 123-24, nota 2) di poter confermare per personali ricerche sulle medesime. Mi spingono ancora a non tenere più oltre inedite queste da anni iniziale e con- dotte, e più volte riprese ricerche sulla Cercaria setifera oltrecchè le suesposte conside- razioni, anche quella di non lasciar infruttuoso il materiale raccolto, al quale l’in- giuria del tempo, purtroppo, di già attenta; e perchè lo studio da me seguito nei limiti di quello che esso porta di contributo di fatti, possa essere utilizzato dagli studiosi di Cercarie marine. I. Aspetto esterno. I diversi aspetti che assume il corpo della Cercaria setifera, secondo le differenti condizioni di distensione o contrazione, sono rappresentati nelle fig. 1-4 ritratte dal vivo, can la lente, a piccolo ingrandimento, da animali esaminati su fondo nero a luce diretta. Nella fig. 1 è rappresentato un individuo fornito della caratteristica coda che distingue questa forma, provvista per tutta la sua lunghezza di ciuffi di setoli- formi appendici laterali. Come il corpo, anche la coda di quest individuo è in piena distensione, e ben permette così di rilevare il rapporto di lunghezza della coda ri- ‘spetto al corpo, del quale essa è all’incirca due volte e mezzo più lunga. In tutte e tre le figure si constata la trasparenza del corpo della Cercaria, che è di colorito biancastro tendente al gialletto pallidissimo per diffusione del colore di due macchie o chiazze giallastro-bruniccie che si trovano ai due lati della parte anteriore del corpo, occupandola tutta, e sì estendono dalla ventosa posteriore alla estremità an- teriore: queste chiazze appaiono più o meno distinte l'una dall'altra (fig. 1) o fuse insieme (fig. 2 e 4), e più o meno estese e diffuse nel colorito, o raccolte e rad- densate, e quindi più intense di tono di colore (fig. cit.), secondo lo stato di disten- sione o contrazione maggiore o minore del corpo. I due estremi, di grande con- trazione e di massima distensione, sono rappresentati dalle fig. 4 e 3: nel primo caso il corpo si appiattisce sempre maggiormente, nel secondo tende ad assumere con maggiore o minore accentuazione la forma subterete. La grandissima sua mobilità fa perciò variare moltissimo nei limiti dall’appiattito fogliforme ad allungato e terete, l'aspetto del corpo della Cercaria setifera. In tutte le sopra descritte figure si notano lungo la linea mediana dei globuletti, che spiccano in opaco nella trasparenza del corpo, ora messi in fila e più o meno addossati l'uno all’altro o fra loro distanti (fig. 1, 2, 3), oppure raccolti irregolarmente in massa secondo che il corpo trovasi in distensione od è contralto (fig. 4). Esaminando poi la Cercarza setifera, sempre a fresco e dal vivo, ma col micro- scopio a discreto ingrandimento e per luce riflessa, essa presenta l'aspetto raffigurato nella fig. 6, ritratta da un individuo senza coda ed in normale distensione, e nella fig. 7 ricavata da un individuo in quello stadio che potremmo, per analogia, dire di se der normale contrazione, fornito di coda anch’essa contratta normalmente. Osservando, difatti, molti individui di Cercaria setifera sì può, seguendone i movimenti, colpire il momento che, nel continuo contrarsi o distendersi del corpo, evvi come uno stadio di riposo 0 di tregua, se posso così esprimermi, nel quale la forma del corpo si delinea costantemente la stessa, ora più, ora meno raccolta secondo che il corpo è moderatamente disteso o contralto, come si può constatare dalle fig. 6-7, che ri- velano appunto queste due condizioni di essere del corpo che ho innanzi indicate per normale distensione e normale contrazione. Dalle due fig. 6-7 si può, perciò, ricavare la forma generale del corpo della Cercaria setifera che, appiattito o subappiattito, si mostra all’ingrosso a forma di lancia, la punta subacuta della quale è rappresentata dalla parte posteriore del corpo, mentre per così dire la parte ba- sale, o manico, corrisponde all’estremo anteriore: figura di lancia breve e tozza (fig. 7), o lunga e ristretta (fig. 6), secondo che il corpo è in normale distensione 0 contrazione. In breve, per riassumere, la C. setifera si mostra ristretta anteriormente, slargata nel mezzo e di nuovo ristretta posteriormente da oltre la ventosa posteriore all'estremità terminale del corpo. Il colorito che a luce riflessa sotto il campo del microscopio presenta la Cer- caria in esame è riprodotto nelle citate fig. 6-7; nelle quali sono rappresentate fe- delmente come esse si mostrano le macchie pigmentarie giallo-brunastre anteriori innanzi ricordate, il loro aspetto, la costituzione loro ed il modo di comportarsi nei due stati di essere del corpo raffigurati nelle dette immagini (fig. 6-7): in queste si constata una diffusione di coler gialletto verdognolo che dall’area delle chiazze pig- mentarie si estende per la regione anteriore e media del corpo. Lungo la linea mediana, nelle dette figure 6-7, si riconosce per trasparenza un sacco allungato che, con decorso ondulato, si estende dallo estremo posteriore del corpo molto oltre in avanti, sorpassando il livello della ventosa posteriore; esso con- tiene delle grosse sferule rifrangenti colorate in verde scuro, che sono appunto i globuletti opachi dei quali ho innanzi falto cenno. Anche per trasparenza, lungo i lati del corpo, e particolarmente disegnati nella fig. 7, si intravvedono i due ca- naletti maggiori del sistema escretore, tortuosi nel decorso, e descriventi ondulazioni. Oltredicchè, a traverso le pareti del corpo, si delineano anche le altre parti della in- terna organizzazione, che sono poi meglio visibili nei preparati in toto della Cercaria in esame osservati con maggiore ingrandimento: ciò che dimostra la fig. 15. La superficie del corpo della Cercaria si presenta finamente e nettamente striata per traverso e le striature mettono capo, sui margini, a piccole punte sporgenti: sono, difatti, per l'appunto le serie trasversali di questi aculeetti che impersonano le strie innanzi dette. Queste, più fitte fra loro ed appariscenti, per sviluppo degli aculei, nella parte anteriore e media del corpo, vanno poi distanziandosi alquanto fra loro e si fanno meno evidenti, per riduzione degli aculei, verso l'estremità posteriore del corpo (fig. 17 e 51). La fig. 10 mostra un pezzetto marginale della superficie della regione anteriore del corpo, dove più fitte sono le strie e più grossi gli aculei, vista di fronte: in essa risalta l'aspetto e la forma d’insieme degli aculei suddetti dalla base larga, circolare, che si risolve in un cono puntuto: ciò che è dimostrato poi anche meglio dalla fig. 9, che integra e completa la citata figura 10, mostrando gli aculei quali essi si rivelano se si esamina il margine del corpo, alquanto schiacciato per com- PERS gra pressione, a più forte ingrandimento. Dove gli aculeii raggiungono maggiore e massimo sviluppo è verso l’estremo anteriore del corpo ed in particolare sulla ven- tosa anteriore ed intorno alla bocca (fig. 8). La ventosa anteriore, quasi del tutto terminale, è molto caratteristica per la forma ad imbuto che presenta (fig. 15, 33, 34). Poco proeminente all’esterno intorno alla bocca, essendo essa di frequente invaginata per contrazione dell’ estremo anteriore del corpo (fig. 8, 31, 62), quando protrude allo esterno, quasi per rimboccatura contro, sopra ed intorno la superficie dell’ estremità terminale anteriore del corpo, essa assume la figura di un cercine più 0 meno grosso e sporgente (fig. 33, 34); che si risolve nella forma di una vera ciambella quando manifesta il consueto aspetto delle ventose anteriori; cioè, per meglio esprimermi, quando essa è interamente sva- ginata (fig. 6, 7, 15). La ventosa posteriore bene appariscente e di mediocre gran- dezza, sporge dalla superficie del corpo poco oltre la metà della lunghezza di questo, nel modo come, meglio di una più particolare descrizione, mostrano le fig. 1, 6, 7, 15, 31, 33, 47, 62, 93. La coda non si attacca proprio all’estremo posteriore del corpo, nè fa con- tinuilà con questo: essa appare come una parte appendicolare, propagine e dipen- denza del corpo della Cercaria, dal quale fuoresce dorsalmente, come pare, restringendosi a pedicello breve alla sua origine per presto allargasi e prendere le normali proporzioni di larghezza della coda. Ciò è messo chiaramente in evi- denza dalla fig. 51 confortata e completata dalla fig. 17, chè mostrano entrambe il modo di attacco, o di sporgere, della coda dal ‘corpo della Cercaria: essa nasce da questo subterminalmente lasciando perciò libero l’estremo terminale del corpo (fig. 17). L’aspetto della coda, come si presenta all’osservazione col microscopio a luce diretta, può facilmente desumersi dalle fig. 1 e 7: larga nella sua porzione iniziale, si va gradatamente restringendo verso l’ estremo dove termina a larga punta. Per tutta la sua lunghezza essa presenta una finissima striatura trasversa eclo- dermica (fig. 7, 16, 17) e nei margini una zona scura periferica fatta di granelli scuri: per trasparenza mostra come un asse centrale di color gialletto molto pallido fatto, all’apparenza, di una granellatura o macchiettatura più scura del fondo (fig. 7). Come facevo notare fin dal 1888, da alcuni osservatori è stata descritta un anellatura nella coda della Cercaria setifera che, in realtà, non si constata normalmente: difatti nello stato di distensione della coda tale aneilatora non si riconosce affatto, ed in quello di normale contrazione neppur si manifesta; non osservandosi altro, in tal caso, che delle leggere infossature in corrispondenza delle inserzioni dei ciuffi di appendici (setole) che determinano delle piccole gobbe nello spazio intercedente; ma queste si accentuano in corrispondenza e per conseguenza delle più forti infossature sud- dette che si determinano per il forte contrarsi e raccorciarsi della coda, la quale piglia allora l’aspetto anellato descritto dagli autori surriferiti. Il che non è, quindi, un falto normale, ma derivato dalle contrazioni della coda, che, negli individui esaminati dai detti A., era rattrapita per forte accorciamento da contrazione. Lungo i due lati della coda si osservano quei gruppi d’appendici disposte a coppie ed in tante paia quante ne capono, ad uguale distanza fra loro, nella lun- ghezza della coda, che comunemente s’indicano come setole, perchè ricordano molto Tra nell'insieme all’aspetto le setole degli anellidi: il numero delle coppie di fasci di queste appendici varia perciò col variar di lunghezza della coda (fig. 7,11, 12, 16, 51, 60). I fascetti o ciuffi di setole sono formati da quattro, d’ordinario, ma talvolta di cinque o sei, al massimo, di queste formazioni ectodermiche (setole Auct.) rigide, di aspetto cuticuloide che sono riunite alla base convergendo in un tratto unico, del quale, forse più propriamente, invertendo i termini, sembrano delle lacinie che da esso si sfioc- chino. Come che sia, il pezzo, o porzione basale, forma come un manico corto e largo, appiattito, concavo-convesso, inserito, 0, forse meglio si direbbe, sporgente tra- sversalmente lungo il margine della coda ed obliquamente dal ventre al dorso, da avanti in dietro: cosicchè ciascun gruppo di queste appendici (setole) può rasso- migliarsi, alla grossa, ad un ventaglio con le stecche aperte ed attaccato per la base; od anche, secondo qualche Autore, ai raggi di una pinna natatoria. Claparéède, difatti, colpito dalla descritta caratteristica disposizione, credette che queste appendici (setole) fossero dei raggi destinati a sostenere una membrana fra esse intercedente come nelle pinne: membrana della quale pel primo il Bitschli (p. 400 nota, tav. 25, fig. 16 a-c) smeuti l’esistenza; ciò che fu da me confermato, in base a personali ricerche, nei miei precedenti scritti su questa Cercaria (1-2). Il modo di com- portarsi di questi ciuffi di setole (Auct.) può ben desumersi, oltrecchè dalle fig. 1,7, 17, anche, e più particolarmente, dalle fig. 11 e 16. Staccando o tagliando le setole dalla loro base, queste, isolate, si mostrano leggermente ristrette nella loro porzione infe- riore e media; si allargano poi a clava presso l’estremità e finiscono a punta più o meno acuta e talvolta subacuta (fig. 12), ricordando così per la loro forma in genere il comportarsi della parte terminale delle setole degli anellidi, alle quali queste formazioni della Cercaria setifera, e di all'e che ne sono ugualmente fornite (Cercaria Velloti ecc.), come ho detto, sono stale perciò, appunto rassomigliate. A completare la descrizione generale della Cercaria selafera torna opportuno l'esame di un preparato in toto, previa colorazione, di un individuo fissato rapida- mente in modo da fermar la forma del corpo della Cercaria setifera che nella sua linea generale, è conforme post mortem, a quella innanzi riconosciuta in vita: del che fa fede il confronto fra le fig. 6e 7 e la fig. 15. In quest’ultima, ricavata da un esame a più forte ingrandimento dell’ animale fissato, come ho già detto, si delineano le caratteristiche differenziali anatomiche che impersonano questa Cercaria nei suoi at- tributi specifici. Nella detta figura, difatti, appare manifesta quella che diremo armatura cutanea innanzi descritta dal vivo; si delineano nella loro forma e rapporti di dimensione ed inserzione, le due ventose, l’anteriore (boccale) e la posteriore (ventrale); e si disegnano le aree delle due chiazze o macchie pigmentarie laterali: fra le quali si nascondono dorsalmente, nella loro parte anteriore, in corrispondenza del livello del faringe e prefaringe, due piccoli organi visivi, dei quali sarà data a suo luogo descri- zione. L'apparato digerente si rivela fatto di un prefaringe, cui segue un faringe, dal quale si origina brevissimo esofago, che presto si divide in due brevi braccia inte- stinali. Risalta nel mezzo del corpo la vescicola del sistema escretore, i cui grossi tronchi, come è detto innanzi si riconoscono per trasparenza, ripiena delle sfe- rule già ricordate; vescicola che termina nel forame codale. Questo nella Cercaria a gi in esame non sbocca direltamente all’esterno nella estremità del corpo, ma in fondo “ad una infossalura od invaginamento di essa, a forma di largo imbuto, come ben lo sì riconosce nella figura 16, e che, per comalo di descrizione, distinguo col nome di infossamento gcioderinico, La Cercaria setifera misura, dal vivo, nel corpo: in lunghezza normalmente da 0.50 a 0.83 millimetri in distenzione e da 0.35-0.58 mill. in contrazione: in larghezza da 0.25-0.33 mill. in distenzione ed in contrazione all’incirca 0.20 mill. La coda può raggiungere normalmente la lunghezza di circa un millimetro o poco più; in contrazione sì riduce a 0.55-0.70 mill. La totale lunghezza del corpo e della coda può calcolarsi in media di mill. 1.80-1.90. Queste misure, data la grande mobilità del corpo, rappre- sentano, s’ intende, sempre la media approssimativa ricavata da una serie di misure. Gli esemplari conservati in alcool misurano in media: nel corpo da 0.58-0.66 mill. in lunghezza per 0.21-22 mill. in larghezza; nella coda 0.55-80 mill. di lunghezza. 2. Struttura anatomica ed istologica. 1. — Rivestimento cutaneo, muscolatura, mesenchima. Rivestimento cutaneo. — L’ectoderma (culicola Auct.) si presenta striato superfi- cialmente (fig. 52): esso, di mediocre spessore, è limitato inferiormente dal paren- chima da una distinta membrana basale che può intravvedersi anche sul vivo (fig. 9), ‘e si presenta più intensamente colorata nelle sezioni (tig. 48, 49). L’aspetto ed il comportamento dell’ ectoderma, oltrecchè dalle citate figure, si rileva anche dalle fig. 15, 31, 34, 55, 63-74, 84-93. A fresco e sul vivo l’ectoderma si mostra trasparente, a contorno esterno netto: meno trasparente, specialmente nella metà basale, appare nei preparati in toto ed assume un aspetto assai finamente granelloso (fig. 49), che si constata anche meglio nelle sezioni dove esso appare di più intensa colorazione. Gli aculei innanzi descritti, che rivestono il corpo, sono dei coni rigidi subpuntuti ad estremità subricurva e ad apice rotondato. Essi sono impiantati con la loro base sulla mem- brana basale e sporgono dall’ ectoderma per poco meno di metà di loro lunghezza, come si scorge nettamente nella fig. 9, dove appaiono per trasparenza attraverso l’ectoderma: un poco più corti si rivelano nei preparati in toto dove pure si distin- guono nella loro inserzione e nel loro comportamento attraverso l’ectoderma. Nelle Sezioni essi non si mostrano così come lascerebbero supporre a primo esame le osservazioni a fresco e sui preparati in toto, nei quali solo la parte di detti aculei spor- gente oltre l’ectoderma sembra essere più scura della restante parte immersa nel- l’ectoderma, o più forte colorata (fig. 49); ma si rivelano come dei coni pieni incuneati nell’ectoderma, che si lingono ugualmente in ispessore, coi coloranti, assai più forte- mente del circostante ectoderma in mezzo al quale spuntano (fig. 48, 52): più intenso ancora è il colorito che essi assumono nella loro porzione basale dove si adagiano sulla membrana basale dell’ectoderma alla quale aderiscono (fig. 48). L’ectoderma di rivestimento della coda appare anch'esso striato trasversalmente come è descritto innanzi (fig. 7): esso è alquanto meno alto di quello del corpo della ant e e Ed - RIE Cercaria (fig. 31, 55, 61) e non si riconoscono, nemmeno nelle sezioni, le piccole sporgenze coniformi come quelle innanzi descritte nell’ectoderma del corpo. Dall’ecto- derma la coda si elevano, invece, da ciascuno dei due margini, a regolari di-. stanze, delle eminenze che si allargano a palette concavo-convesse per formare la. parte basale del ventaglio delle setole, innanzi descritte, che nel loro insieme costi- tuiscono una derivazione fanerica dell’ ectoderma esterno, dal quale, come tutto lascia desumere, sono prodotte. Muscolatura. — Bene sviluppata è la muscolatura del corpo della Cercaria: il sacco muscolare cutaneo è rappresentato dai due sistemi di fibre che ordinariamente entrano a costituirlo, e cioè fibre longitudinali e circolari, che si scorgono anche per trasparenza lungo il margine del corpo nei preparati a fresco, e meglio ancora in quelli in toto (fig. 9, 49). I rapporti reciproci, la disposizione e lo spessore delle fibre mu- scolari sono messi in evidenza dalle sezioni, come si rileva dalla fig. 48. Molto svi- luppata e robusta è la muscolatura dorso-ventrale, specialmente, come pare, nell’area centrale della larghezza del corpo; fra ie fibre della quale se ne scorgono di quelle in via di sviluppo (fig. 62). La struttura intima delle dette fibre si appalesa costituita, come ho descritto ed è nota per altri Trematodi e nei Dactylodi, da una zona periferica con- irattile intensamente colorabile, che forma la maggior parte dello spessore della fibra nel cui interno si osserva un’area che rimane quasi incolore (fig. 48, 62, v. pure fig.54). La muscolatura della coda richiede una particolare descrizione. La muscolatura longitudinale del corpo che si continua nella coda, passando attraverso la strozza- tura che costituisce il punto d’altacco di questa, acquista un considerevole sviluppo, e decorre lungo tulta la lunghezza della coda con fibre fra loro distanziate, ma ag- gruppate, come appare, irregolarmente in fascetti più o meno numerosi. Le fig. 51 e 61 valgono a dare un’immagine del suddescritto comportamento della muscola- tura longitudinale nel suo insieme: mentre nei particolari esse sono completate dalle fig. 56 e 60. Da queste più nettamente si constata, ciò che del resto si de- sume anche dalle figure 51, 59 e 61, che le fibre longitudinali della coda sono molto più forti di quelle del corpo e presentano una caratteristica struttura. Questa, meglio che una particolare descrizione, ben rende palese la serie dei diversi aspetti che di essa ho desunto dalla osservazione del modo come le fibre si presen- tano nelle sezioni della coda: in quanto, se in alcune la fine struttura appare esser quella innanzi ricordata delle fibre del corpo (fig. 58, in basso), nella massima parte di esse sembra, invece, che la zona coutrattile periferica non omogeneamente co- lorabile, sia rappresentata da una serie di punti più intensamente colorati ed irrego- larmente disposti alla periferia della fibra (fig. 55, 56, 57, 58 in alto, 60). Descrivo e disegno ciò che mi fu possibile di vedere a forte ingrandimento circa questa pe- culiare struttura delle fibre muscolari longitudinali della coda, che non mi è riuscito di più oltre particolarmente investigare. Se la muscolatura longitudinale ha così notevole sviluppo, per contro, molto ri- dotta è quella circolare che non sempre riesce agevole di ben riconoscere: essa si può scorgere nella fig. 17 da un preparato in toto che la mette sufficientemente in evidenza. Robusta è bene individuata è la muscolatura delle ventose, come si può desu-. e ere dalle figure d’insieme e si scorge dalle sezioni (fig. 31, 62, 93); nelle quali riconoscono i varii sistemi di fibre e lo sviluppo dalla muscolatura radiale fra i di fibre della quale si vedono le note caratteristiche cellule descritte dagli * Mesenchima. — Esaminando a fresco un esemplare di giovane Cercaria setifera ‘molto compresso, mi fu dato di riconoscere, con forte ingrandimento, nel punto del ‘corpo che era sotto il campo del microscopio, nella loro integrità le cellule del me- senchima del corpo (parenchima Auct.) disgregate dallo schiacciamento, alcune delle lì, come si presentavano all’ osservazione, ho disegnate nella fig. 53; mentre che, nelle sezioni, la forma ed aspetto delle medesime non riesce agevole di riconoscere (v. tutte le figure della Tav. 4 e 5, e le fig. 31, 46, 47, 48, 62). Anche del mesenchima della coda non si riconoscono le cellule nei loro contorni; ma nella massa del tessuto i scorgono numerose lacune, dalle quali si potrebbe desumere che le cellule sieno forte- lente vacuolari. Pertanto, di tratto in tratto, e molto di rado, così che non è facile sem- re di osservarne, si appalesano nel mezzo del mesenchima della coda alcune cellule s ibstellate con grosso nucleo, dell'aspetto di quella disegnata nella fig. 59, così come sì dimostrava nel preparato. Nel mezzo della coda, per la sua lunghezza, ed in alcuni preparati in foto molto evidente, si osserva la caratteristica struttura, che direi fibriliare, rappresentata nella fig. 19: nella mia nota preliminare, a pag. 196, riferendomi a «quanto mi parve di analogo vi fosse con ciò che aveva osservato lo Schwarze in Cercaria armata ho infatti ritenuto che la parle mediana della coda, che ha un ‘aspetto scuriccio e granelloso sia costituita da sostanza contrattile. 2. — Apparato della digestione. Nel fondo della parte posteriore imbutiforme della ventosa anteriore si apre la bocca;. essa immette in un tratto cilindraceo prefaringeo in continuazione con la | ventosa dalla quale si origina: questo tratto si presenta più o meno allungato, secondo - che la Cercaria è contratta od in distensione, e rappresenta e corrisponde al prefaringe 3 ed alla tasca prefaringea che si osserva in alcuni distomi. Il tratto prefaringeo si continua nel faringe, che ha forma di bulbo ovoidale molto schiacciato ai due estremi: dal faringe nasce, mercè un breve esofago, il tubo digerente bifido, a figura di ferro "di cavallo, le cui due braccia, nelle quali si continua l’arco iniziale dell’ intestino, sì prolungano posteriormente, nua quasi a raggiungere il bulbo terminale del sistema 3 set (fig. 33). Esse sono relativamente di grosso calibro conforme a quello del- co, con largo lume interno e vanno diminuendo gradatamente di diametro nel loro so posteriore, per lerminare a cul di sacco ristretto e subpuntuto, mentre il lume !) Nel chiudere questo primo capitolo mi torna opportuno di ricordare, che, nell’ usare la pa- ectoderma esterno mi riferisco sempre alla interpretazione che credo, dai fatti obbiet- nte considerati, si possa e debba dare al rivestimento cutaneo dei Trematodi (e Cestodi); cioè elio trasformato in un sincizio anucleato cuticuloide (3, 5-14 e p. 202). Ciò malgrado anche recenti argomentazioni in contrario che, per mio vedere, non soffragano la tesi della non ia dell’ ectoderma dei platelminti con quello degli altri vermi (v. ad es. il Pratt nella sua a sulla cuticola e sottocuticula dei Trematodi e Cestodi). _ Attt— Vol. XV — Serie 22 — N. 11. bo TOS interno si restringe corrispondentemente (fig. 31, 33, 46-47, 67-70, 79-81). Nei preparati in toto di individui alquanto contratti, le braccia intestinali si presentano | più brevi e di calibro pressocchè uguale per tutta la loro lunghezza (fig. 15). Nella mia citata nota preliminare (4, p. 196), avendo data una non troppo conforme interpretazione della ventosa anteriore, ho ritenuto che la parte imbutiforme di questa rappresentasse il faringe; considerando, perciò, come un bulbo esofageo interposto lungo il decorso dell'esofago, quello che in realtà, come risulta dalla descrizione prece- dente, è il vero faringe. La struttura del faringe nei sistemi di fibre radiali, longi- tudinali e circolari, esterni ed interni, che lo costituiscono, si può rilevare dalla fig. 50, che rappresenta una sezione oltica (alquanto schematizzata) del faringe, quale, diversamente focalizzando, mi è riuscito desumerla da un preparato a fresco molto compresso. Questa figura è integrata da quelle ricavate dalle sezioni (fig. 31, 62, 92) e particolarmente dalle fig. 85-86: nella prima delle quali ben si riconoscono le fibre circolari e longitudinali che circondano all’esterno il faringe e si addossano verso la parete che ne limita il lume; mentre, nella seconda (fig. 86), fra le fibre radiali, che in entrambe le figure bene si riconoscono nelle loro inserzioni periferiche e nel loro decorso e comportamento, si scorgono grossi nuclei delle cellule che si trovano fra di esse nello slroma del faringe, come in quello delle ventose. L’ecloderma sinciziale esterno, che ripiegandosi nel cavo della ventosa lo ri- veste, si continua a sua volta nel tratto prefaringeo e tapezza anche le pareti del lume del faringe (fig. 31, 85, 86, 95), dove si presenta abbastanza alto con distinta mem- brana basale (fig. 85, 86). L’aspelto ed il comportamento di questo sincizio si ri- conosce assai bene nella fig. 31, specialmente nel tralto prefaringeo. i Nella fig. 45, che rappresenta un tratto di un braccio intestinale come si pre- sentava alla osservazione in una Cercaria esaminata a fresco sotto forte compres- sione, si riconosce la struttura istologica del tubo digerente, le cui cellule epiteliali viste di fronte, dalla base, si distinguono nei loro limiti e confini poligonali, come nei loro nuclei; mentre alla periferia del tubo intestinale si intravvede la tunica mu- scolare, particolarmente riconoscibile nei muscoli longitudinali (fig. 45). L’osserva- zione a fresco è confortata da quella dei preparati in toto, i quali, se pur non lasciano più riconoscere i limiti cellulari, permettono di intuirli dalla disposizione dei nuclei con- forme a quella che si vede nella fig. 45; come ciò chiaro si manifesta nelle fig. 46-47. Dalle sezioni si ricava che l’epitelio intestinale forma continuità col sincizio anucleato del rivestimento del faringe che passa direttamente nell’epitelio nucleato dell’intestino (fig. 31). Questo non è molto alto (fig. 31, 62, 71, 80, 83, 92-93); ma le cellule che lo costituiscono sono relativamente grandi, poliedriche (fig. 62, 88-89, 92), con grosso nucleo (fig. 54), allogato nella porzione basale delle cellule, dove il protoplasma è più denso e granelloso (tig. 83): la superficie cellulare limitante il lume intestinale è or- dinariamente, come si dimostra, piana; ma in certi individui si presenta anche a limite non nello e come sfrangiata o smangiata, in ispecie lungo il tratto medio e posteriore delle braccia intestinali: ciò probabilmente è in relazione con le diverse condizioni di funzionalità nelle quali detto epitelio si trovava nel momento della fissazione della Cercaria (fig. 83, 87-94). Del modo come si presenta nelle sezioni |’ epitelio intesti- nale danno immagine oltre le già citate, anche le fig. 67-71, 75-82, 87-93; dall’e- same comparativo delle quali si può rilevare come nell’epitelio intestinale, a misura i Ò aa SES I pd che si va verso il cul di sacco terminale delle braccia e nel fondo di queste, i limiti cellulari tendono a scomparire, per dar luogo ad un epitelio sinciziale nucleato, come sì mostra nelle sezioni che passano pel fondo cieco delle braccia intestinali, giusta quanto è riprodolto, p. es., nelle fig. 69-71, 75-81 sopra citate. La tunica muscolare esterna del tubo digerente innanzi detta è messa chiaramente in evidenza dalla fig. 54 ricavata da un tratto periferico della sezione di un braccio intestinale; nella quale oltre a riconoscere i sistemi delle fibre che la costituiscono, sì constata anche la minuta struttura di queste. 3. — Sistema escretore. Nella immagine d’insieme ritratta nella fig. 33, è rappresentato il sislema escre- tore della Cercaria setifera quale esso si appalesa, nelle sue linee generali, dalle pre- parazioni a fresco per schiacciamento, completata, nei particolari, da osservazioni singole e parziali fatte sopra molti e diversi altri preparati a fresco per compressione; da ciascuno dei quali fu desunto quanto intorno al sistema escretore, secondo che lo permetteva la riuscita del preparato, veniva meglio messo in evidenza. Caratìeri- stica del sistema escretore della Cercaria in esame, che si afferma a prima giunta e si riconosce, come ho detto, anche a piccolo ingrandimento, è la grande vescicola terminale, che, spostata alquanto verso il dorso, occupa la parte mediana del corpo, e dall’estremo posteriore si estende anteriormente fino all’altezza del faringe (fig. 33). Questa vescicola è un sacco allungato che si termina anteriormente a fondo cieco largo e rotondato, e sì restringe posteriormente ad imbuto tozzo e breve per im- ‘© mettersi in un peculiare organo terminale, che fin da ora propongo di distinguere col nome di bulbo terminale del sistema escretore, del quale dirò più oltre par- ticolarmente (fig. 33, 41-43). La vescicola terminale varia moltissimo di aspetto e figura secondo le contra- zioni ed i movimenti del corpo: ora appare larga e raccorciala, ora ristretta ed allungata con calibro tubulare; ora più o meno ondulata (fig. 7,15, 33), ora ser- peggiante lungo la linea mediana del corpo (fig. 6). Nelle citate figure sono rap- presentati alcuni degli aspetti che più comunemente assume, ma essa, naturalmente, come sì può constatare a fresco e sul vivo, può deformarsi spostandosi in tanti e diversi modi nel mesenchima; ciò che maggiormente si constata nelle sezioni, per effetto della contrazione subita dall’ animale nell’atto della fissazione. Negli schizzi di A. Costa della Macrurochaeta acalepharum (==C. setifera), ho trovato appunto il disegno di un particolare aspetto (a rosario) assunto dalla detta vescicola per strozzamento avvenuto di tratto in tratto nella sua lunghezza ; disegno che ho voluto, perchè assai caralteristico e peculiare, riprodurre nella fig. 44. Nelle deformazioni della vescicola in parola fanno grande giuoco, come spe- cialmente si può costatare nel caso del surriferito schizzo del Costa (fig. 44), le grosse sferule trasparenti di color verde che occupano l’interno della vescicola (fig. 6, 7, 15, 29, 33, 41, 42-44). Queste, sballozzolate dai movimenti dell’animale, si urtano a Vicenda e si spingono reciprocamente fra di loro, e, l’una contro l’altra scivolando, battono contro le pareti della vescicola, mentre si muovono ritmicamente da dietro in avanti e viceversa; determinando così ernie, avvallamenti, costrizioni e dilata- Rsa; RC zioni, ondulazioni ed anse della vescicola, cui son dovuti gli aspetti più diversi da questa assunti. Le sferule in esame sono molto resistenti, e sotto forte pressione scop- piano in pezzi (d’ordinario cinque) nel modo rappresentato nella fig. 35. Come esse si presentano al taglio nelle sezioni di Cercaria si desume dalle fig. 69-70, 72, 77-82, 87-88, 93, nelle quali si vede che esse mostrano una parete esterna ed un raccolto nodulo centrale diffusamente colorato, di minor diametro del contorno esterno, dal quale è separato per un’area chiara od alone vuoto, e che contiene talvolta anche un qualche granulo più scuro: mentre il nodulo centrale ha contorno circolare (è sferoi- dale), la parete esterna ordinariamente si mostra deformata, o più o meno rattrappita, assumendo forme poliedriche irregolari. La vescicola escretoria è rivestita da un tenuissimo epitetio sinciziale nucleato, come ben dimostrano le fig. 71, 72, 88; nelle quali, oltre i nuclei, si scorge |’ esile straterello sinciziale di rivestimento che poggia sopra una sottile membranella basale che lo limita dal mesenchima. In una sezione mi è sembrato di potere riconoscere anche una tenue muscolatura longitudinale esterna della vescicola; ciò che si desume dalla fig. 83. Richiamo alla mente, nella descrizione che segue, la fig. 33 per la disposizione e decorso dei grossi tronchi escretorii. Dal dorso della grande vescicola escretoria di cui innanzi è detto, verso la sua parte imbutliforme terminale, prima che essa metta capo nel bulbo terminale del sistema in esame, si diparte (o s’immette) un breve troncolino comune, di discreto calibro; dal quale presto si originano due tronchi di- sposti orizzontalmente, che potrebbero anche, inversamente, ritenersi, come costituenti un tronco unico trasversale dal mezzo del quale, infero-posteriormente, si diparte il già descritto breve tronco comune di sbocco nella vescicola escretoria (fig. 33-43). Quanto si osserva nelle preparazioni a fresco trova conferma nelle sezioni trasversali, in alcune delle quali mi è riuscito di colpire lo sbocco del tronco unico comune suddetto nella vescicola terminale, poco innanzi l’immettersi di questa nel sunnomi- nato bulbo escretorio, nel modo come si vede disegnato nelle fig. 76-77. I due tronchi orizzontali ora descritti, che rappresentano il tratto iniziale dei grossi canali escretori, ben presto, alla lor volta, si biforcano ciascuno in due altri dello stesso calibro: dei quali gli anteriori risalgono innanzi e costituiscono le braccia anteriori ascendenti dei grossi canali escretori laterali; mentre i posteriori, le braccia posteriori, si rivolgono verso dietro posteriormente e si risolvono in canali che non mi è riuscito di più oltre seguire in modo da ben completare il disegno (fig. 33-43); sembra pertanto che diminuendo di calibro questi si terminino direttamente in canalicoli ad im- buti cigliati. Le braccia anteriori raggiungono, con decorso ondulato e serpeggiante, l’altezza della ventosa anteriore e formano, ciascuno dal corrispondente lato del corpo, diminuendo di calibro, un’ansa che si rivolge posteriormente per continuarsi nel corrispondente tronco discendente dei canali anteriori di minore diametro dell’ ascen- dente: questo tronco discendente va sempre ancora diminuendo di calibro a misura che tende a raggiungere la parte posteriore del corpo, dove finisce per ramificarsi in pic- coli canalini terminali ad imbuti cigliati. Lungo tutto il decorso del braccio discen- dente, ora descritto, mettono capo troncolini minori che raccolgono ì canalicoli ad imbuti cigliati delle varie parti del corpo dove essi si ramificano. Lungo i grossi tronchi anteriori ascendenti non di rado si osservano nel lume interno, ciò che ho I già ricordato nella nota preliminare del 1888, dei ciuffi, vibranti, come quelli che sono disegnati nelle fig. 38-39. Come si presentano gli imbuti cigliati della Cercaria setifera si desume bene dalle fig. 36-37 ricavate da preparati a fresco, le quali dispensano, perciò, da par- ticolare descrizione. Nel decorso dei grossi canali escretori, esaminando a fresco, mi è occorso una volta di osservare, in uno di essi, come un’ ernia laterale, che conteneva una piccola sferula simile a quelle della vescicola terminale innanzi descritte, ma più piccola e di colorito verdiccio assai sbiadito: dallo schizzo preso di questo reperto ho ripro- dotta la fig. 40. Ho detto innanzi che la vescicola escretoria sbocca nel bulbo terminale: quest’organo assai caratteristico e peculiare di forma ovoidale, presenta, visto di fronte, la figura grossolana di una piccola botticella o di barilotto, perchè esso sì mostra come fatto a spicchi, che ricordano all’ aspetto le doghe di una botte, per la presenza di solcature meridiane convergenti ai poli dell’ovoide (fig. 42). Come esso si presenta nei preparati a fresco e visto di fronte — di sopra in solto, o da sotto in sopra — chiaro appare dalle fig. 33, 41-43. Nella fig. 42 è ritratto l'aspetto del bulbo in questione visto da sopra in sotto che mostra al polo anteriore dell’ o- voide, in mezzo al convergere dei solchi meridiani, lo sbocco della parte ristretta, imbutiforme, terminale della vescicola escretoria. Nella fig. 41, invece, si scorge l'estremo opposto dell’ovoide del bulbo escretorio col suo sbocco nel forame codale limitato da un cercine che ne circonda l’apertura circolare, che può dilatarsi e contrarsi, variando così il diametro dell’oritizio. La struttura di quest’organo si ri- “cava ancora meglio nei suoi particolari dall'esame delle sezioni che ho rappresentate nelle fig. 63-69 e 75-76: nelle quali si vede che gli interspazii fra i solchi me- ridiani esterni (gli spicchi) corrispondono ad altrettante creste sporgenti nel lume interno del bulbo. Le pareti del bulbo sono costituite da un sincizio anucleato, cu- ticuloide che si continua attraverso il forame codale con quello esterno ectodermale del quale è rivestito l’infossamento posteriore del corpo (fig. 31, 33, 41, 43); mentre anteriormente passa e si continua nel rivestimento epiteliale della vescicola escretoria innanzi descritto (fig. 69, 77-78). Tutto intorno allo sbocco del bulbo terminale nel fo- rame codale, che trovasi, come ho descritto nel fondo dell’ infossamento ectodermico posteriore del corpo, si osserva una muscolatura radiale molto sviluppata, le cui fibre partono dall’orifizio escretore e seguendo la curva del detto infossamento, si continuano con la muscolatura del sacco somatico. Ciò chiaro si vede nelle preparazioni a fresco (fig. 41); mentre dalle sezioni vengono in luce maggiore le particolari disposizioni delle fibre muscolari che, riunite a fascetti nella loro inserzione intorno all’ estremo terminale del bulbo nel forame codale, si sfioccano poco alla volta a ventaglio, a misura che le fibre muscolari si irraggiano contro le pareti dell’infossamento ectodermico, per sperdersi fra le fibre longitudinali del sacco muscolare cutaneo (fig. 64, 65, 73, 74). — RS 4. — Sistema nervoso. Ho già ricordato (41, p. 196), nelle sue linee generali, il sistema nervoso di questa Cercaria selifera: ora posso completare l’accenno allora dato con una particolare de- scrizione del suo modo di comportarsi, come sulla traccia delle osservazioni a fresco mi è riuscito di ricostruirlo da serie di sezioni; nelle quali la parte cerebrale del sistema nervoso si mostrava in modo differenziata da permettermi di rappresentarlo nello schema geverale riassuntivo che si vede disegnato nella fig. 33. Basta, difatti, esa- minare, per i rapporti topografici, le due sezioni di una serie, che ho rappresen- tate nelle fig. 84-85, per rendersi conto delle favorevoli condizioni di studio offerto dalle dette serie di sezioni; dalle quali sì riconoscono ancora molto maggiori parti- colari che non sieno rappresentati nella fig. 33. In questa, pertanto, va osservato che, per la distensione dell’animale, il cervello si trova, nel disegno, alquanto spostato in avanti; mentre nelle sezioni, per la contrazione del corpo esso è, invece, più del normale spinto verso il faringe. La commessura nervosa dei gangli anteriori non è larga, ma breve: essa si trova dorsalmente al prefaringe e si estende per un tratto in corrispondenza dell’i- nizio del faringe: i due gangli cerebrali sono relativamente grandetti, di figura appros- simativamente piriforme disposti, per la base l’uno contro l’altro e, per questa, riuniti fra loro dalla descritta commessura dorsale. Essi, allogati dai due lati del faringe, si volgono verso il ventre per la loro parte ristretta e si ripiegano da sopra in sotto, da dietro in avanti per prolungarsi, gradatamente restringendosi, a formare il tratto co- mune iniziale dei nervi laterali ventrali (fig. 33-81). Tutto il cervello si presenta nelle sue linee generali come un ferro di cavallo che abbraccia obliquamente dal-dorso al ventre e da sopra in sotto il prefaringe ed il faringe per continuarsi nel nervo prin- cipale laterale (ventrale) esterno (fig. 33,84, 85, 92): questo grosso al suo inizio, presto si assottiglia e lo si può seguire per un certo tratto nel suo decorso ventrale nelle serie di sezioni. Da ciascuno dei due nervi principali ora descritti alla loro origine dalla parte ristretta del rispettivo ganglio, si diparle un altro nervo di minor calibro: il nervo ventrale laterale interno, che decorre, pel tratto che lo si può seguire, parallelamente quasi al nervo laterale esterno (fig. 33). Questa disposizione generale del sistema pervoso si uniforma a quella tipica fondamentale dei trematodi in ge- nere, con le caratteristiche proprie che, nella serie di variazioni di maggiori o mi- nori complicazioni del tipo comune, ciascuna specie presenta. Dalla parte ante- riore del cervello, nella parte dei gangli più rigonfia, verso la commessura dorsale, si origina un primo nervo anteriore dorsale interno, che, isolandosi dalla massa gan-. glionare, si dirige in avanti verso la ventosa anteriore: un secondo nervo parte dal ganglio corrispondente alquanto esternamente al primo, dirigendosi obliquamente anch'esso innanzi, e rappresenta il mervo anteriore laterale esterno. Questi due nervi anteriori, nella loro origine e nel loro comportamento, sono schematizzati nella fig. 33 e si riconoscono nei loro reali rapporti coi rispettivi gangli nella fig. 84. In questa sezione (che la precedente e la seguente completano) si vede ancora come, oltre ar due nervi principali già descritti, lungo la superficie anteriore dei gangli ed esterna- mente ai primi, si dipartono altri piccoli nervini rivolti anch'essi innanzi: si nota, DONE inoltre, come da ciascun nervo anteriore interno si diramano esternamente dei ner- vini; mentre il detto nervo nel suo decorso in avanti ad un certo punto si biforca per dar origine a due piccoli nervi: si può infine anche scorgere che, verso la parte ristretta terminale di ciascun ganglio, dove esso si continua nel nervo ventrale principale, dalla superficie anteriore, parte un nervelto ricorrente che, curvandosi, risale in avanti (fig. 84). Il cervello, come appare nelle sezioni, è circondato tutt'intorno dal pigmento giallastro descritto innanzi, che si trova ai due lati della parte anteriore del corpo, diffuso nel mesenchima, nella massa del quale sembra immerso: ciò è messo in evidenza dalle fig. 84, 85, 92; nelle quali si riconosce il comportarsi di detto pigmento fatto di piccoli granelli o di flocculi ora sparsi, ora aggruppali, ora rac- colli insieme in masse o macchie a contorni irregolari (fig. 84, 85, 86, 92). Ho accennato nella descrizione dell’aspetto esterno della Cercaria alla presenza di organi visivi in corrispondenza appunto delle delte macchie pigmentarie anteriori : questi in numero di due, uno per lato, sono rappresentati ciascuno da un corpo rifrangente (cristallino) situato dorsalmente, all'altezza del ganglio cerebrale del cor- rispondente lato del corpo. L’osservazione a fresco per compressione mi ha per- messo di constatare che il corpo rifrangente, subsferico all’ aspetto, è inglobato a metà in una capsula a coppa, calottiforme di pigmento bruno-scuro compalto e di tono di tinta molto più intenso delle macchie pigmentarie anteriori (fig. 14); le quali, talvolta, come in altro esemplare mi ha mostrato la osservazione a fresco per com- pressione, si raccolgono e si raddensano intorno ed ai lati del corpo rifrangente, che Spicca netto, ìn chiaro, trasparente frammezzo le masse pigmentarie che lo circon- dano: ciò è messo in luce dalla fig. 13, riproduzione fedele di ciò che mi riuscì di constatare. Nelle sezioni si può meglio precisare la topografia del corpo rifran- gente e del suo contorno pigmentato rispetto al cervello, al quale l’ organo visivo sembra addossato e collegato per brevissimo e largo tratto peduncolare; ma nelle sezioni non si scorge la capsula pigmentaria così chiaramente come appare nel pre- parato in toto che è rappresentato nella fig. 14: per contro sulle sezioni si ricono- scono nella parte di detto cristallino prossimale al cervello delle cellule nervose che lo investono da questo lato, costituendo, insieme raccolte, un piccolo ammasso cel- lulare nervoso che, come pare per la sua contiguità al corrispondente ganglio in- legrerebbe il tratto pedancolare di connessione dell’ organo visivo col cervello che innanzi ho indicato. Questa struttura lestè descritta dell’ organo visivo trova riscontro ed una certa corrispondenza in quanto di recente (1910) ha osservato intorno agli occhi del Polystomum integerrimum V Audré, che ha riassunta la letteratura dell’ argo- mento degli occhi dei Platelminti. 5. — Differenziazione sessuale. Nella maggior parte delle Cercarie che si raccolgono, ospiti di differenti ani- mali pelagici che le albergano, non vi è traccia di organi genitali. Pertanto, non di rado, come ho innanzi ricordato, se ne rinvengono di quelle che presentano degli accenni di gonadi, che talvolta assumono uno sviluppo relativamente considerevole e mostrano una differenziazione sessuale già ben definita in testicoli ed ovario. In = db questi esemplari si possono riconoscere più o meno distinti i condotti genitali rap- presentati da cordoni cellulari pieni, ora più ora meno evidenti, che presentano so- venti diverso grado di sviluppo l'uno dall’altro: questi cordoncini negl’ individui molto innanzi nella differenziazione sessuale, cominciano anche a scavarsi di un canale (fig. 90). Negl’individui nei quali tali cordoni sono ben delineati, s’intravvede lo sbocco esterno dei genitali, rappresentato dal punto dove i detti cordoni si terminano contro la parete del corpo, come si rileva da favorevoli preparati in toto (fig. 47); ma negli in- dividui sezionali in serie non mi è riuscito, sui tagli, di riconoscere alcun infossamento corrispondente dell’ectoderma. Questo sbocco si trova verso sinistra della faccia ventrale, di poco innanzi la ventosa posteriore, come è dimostrato dalla fig. 47 (apg), nella quale, pertanto, va osservato che per errore del litografo il trattolino indicatore non raggiunge proprio il punto sopradescritto di attacco all’ectoderma dove si terminano i cordoni rudimentali dei condotti genitali: al che il lettore, in base alla descrizione, esaminando il disegno, può facilmente supplire. Esaminando le fig. 46 e 47 si possono in esse facilmente riconoscere, visti di fronte e di sbieco, in due diversi individui che presentano appunto un considerevole sviluppo degli abbozzi dei genitali, il comportarsi di questi. Lungo i lati del corpo si delineano gli acini dei vitellogeni (v//9) che si possono anche riconoscere nelle sezioni di altri individui in stadio corrispondente di sviluppo (fig. 62, 64-68, vt/9). Nel mezzo del corpo, fra le hraccia intestinali, si scorgono i due testicoli, ed innanzi a questi l’ovario: tulte e tre le gonadi sono quasi equivalenti in grandezza (fig. 16, 47, t, 0v): talvolta l’ovario sembra di poco maggiore. Nell’ individuo rappresentato nella fig. 49 si vede dipartirsi dall’ovario il condotto genitale femminile, che risalendo in avanti va a terminarsi nel punto dello sbocco esterno dei genitali innanzi indicato. I cordoncini cellulari efferenti dei testicoli non si scorgono; ma di tratto in tratto pos- sono riconoscersi evidenti le tracce del deferente come nel caso dell’ individuo raffi- gurato nella’ fig. 46. Quanto rivelano le preparazioni in toto confermano e completano le serie di sezioni di individui con abbozzi di genitali meno o più differenziati ehe sieno (fig. 87-91, 94-95); ed in questi ultimi, naturalmente, meglio s’individualizza la dif- ferenza delle gonadi come dimostrano particolarmente le fig. 90, 94-95. In queste si può, difatti, vedere lo sviluppo raggiunto dall’abbozzo femminile integratosi in un vero ovario (fig. 94, 95, 00), nel quale ha cominciato anche ad iniziarsi la produzione delle uova: esso ha già assunto ia sua tunica propria ed ha differenziato, all’origine del- l’ovidotto dall’ovario (fig. 90, ovd), un ben distinto sfintere ovarico nei muscoli che lo costituiscono come chiaro si scorge nella fig. 94 (sfo). Nelle suddette figure è messo anche in evidenza in che modo si appalesano nelle sezioni le gonadi maschili anch’ esse alquanto innanzi nel differenziamento istologico dei testicoli; mentre, in alcuni indi- vidui, il deferente appare nettamente distinto per essersi gia più o meno, e talvolta anche in maniera definitiva e concreta, individualizzato, nel cordone cellulare iniziale primitivo, il lume interno del deferente. CRE 3. Biogenesi. Come è detto nella introduzione, in altro mio studio, sui Distomi (3, p. 1, 2, nota), ho accennato di aver potuto seguire, nella Stazione Zoologica di Napoli, la biogenesi della Cercaria setifera, con la quale allora identificai le numerose Cercarie pro- venienti da Redie che infestavano il fegato di Conus mediterraneus: Redie che riferii, per tutte le caratteristiche loro, alla forma trovata dal De Filippi appunto nel detto Gasteropode (Cercaria coni-mediterranei), riconoscendo la corrispondenza delle Cer- carie da me rinvenute in questa Redia — nella quale il De Filippi (2, p. 14, fig. 21) non trovò Cercarie perchè « malheureusement ne contenaint que des germes » —, con la C. echinocerca dello stesso De Filippi (del Buccinum lnnaei); donde trassi la conclusione che le suddette due Cercarie del De Filippi fossero la stesa ed unica forma. Sul fatto di cui sopra richiamò la mia attenzione, nel corso del 1891, il Dott P. Schiemenz, allora anch’esso nella Stazione Zoologica, per lo studio dei Gasteropodi marini del goifo di Napoli, che cortesemente mi offrì in esame il materiale che gli era capitato solto mano. Occupato in altre ricerche per condurre a termine il primo contributo di osservazioni sui distomidi (3), presi non pochi ap- punti delle osservazioni fatte, ritrassi molti schizzi e figure ed approntai differenti preparazioni microscopiche conservando il resto del materiale in alcool per le ulte- riori indagini; limitandomi, allora, per prender data, a riassumere solamente le mie osservazioni nella sopra ricordata nota a piè di pagina del citato studio sui Distomi. Riprendendo dopo molti anni in esame il materiale raccolto, ho dovuto pur- troppo constatare che molti dei preparati approntati nel 1891 erano sciupati, e la parte conservata in alcool non è più in favorevoli condizioni: ond’è che ho do- vuto in gran parte rinunziare a quelle ulteriori e più particolari indagini sulla intima struttura delle Redie e delle Cercarie che in seguito mi proponevo condurre sul detto materiale per uno studio comparativo richiesto dalle recenti ricerche in proposito (v. p. e. Rossbach, Roewer). E non essendomi riuscito di procurarmi l’altro mate- riale fresco, devo, perciò, circoscrivere la esposizione dei fatti, per la maggior parte, alle osservazioni compiute nel 1891; che valgono, pertanto, per le figure che le accom- pagnano, ad integrare nelle sue linee generali, la morfogenesi della Cercaria in esame. Dalle indagini fatte non mi riuscì di riconoscere che solamente Redie nel fegato dei Conus mediterraneus esaminati; ciò in conformità delle osservazioni del De Filippi (2, p. 14, fig. 21) che coincidono con le altre dello stesso autore per la C. echinocerca (4, p. 17, fig. 20) il che lascia ritenere una derivazione diretta delle Redie dal Miracidio. Di Redie ne ho osservate dalle piccolissime (giovani) ed in uno stadio primitivo di sviluppo, evidentemente da poco individuatesi, a quelle che potremo dire a termine; chè mostravano nell’ interno le Cercarie, e queste così nello stato iniziale che in quello a termine e fornite di coda; pronte, perciò, a farsi libere: di tali Cercarie già fuoriuscite dalle Redie, se ne trovavano non poche frammiste alle Redie, evi- dentemente sul punto di abbandonare il Gasteropode per guadagnare il pelago. Per non moltiplicare figure mi sono limitato a darne due solamente, fra quelle disegnate (fig. 23-24), che rappresentano l'insieme dell’aspetto esterno della Redia: ATTI — Vol. XV — Serie 2a — N. 11. 3 € 1805 una molto giovane, ed un altra assai evoluta con dentro Cercarie in via di sviluppo. Da queste figure si ricava la forma caratteristica di tali Redie, a sacco allungato e terminante posteriormente ristretto a punta. Sacco a pareti di mutevolissimo contorno per le contrazioni e distensioni del corpo della Redia che fanno a questa assumere aspetti diversi. Il corpo di queste Redie più svelto, più allungato ed a punta terminale più ristretta nelle forme giovani (fig. 28), si sfianca, si rigonfia e si fa alquanto tozzo in quelle gestanti Cercarie (fig. 18). La superficie del corpo delle Redie si presenta forte striata trasversalmente come mostrano le figure 18-23: in esse si distingue bene l’ectoderma esterno come anche il sacco muscolare cutaneo bene sviluppato. La bocca, anteriore, terminale, mette capo in un faringe che è più appariscente, perchè molto grande rispetto alle dimensioni delia Redia, in quelle giovani; meno grande nelle Redie a termine, dal corpo molto sviluppato (fig. 20, 23 e 18). Dal faringe, nel quale si con- linua la bocca, pende un sacco intestinale impari, a forma di pera allungata, come è raffigurato nelle fig. 18, 21, 28, che, ben distinto ed assai sviluppato nelle giovani Redie (tig. 18), si riduce di molto in quelle a termine (fig. 18, 21). La forma del sacco inte- stinale è mutevole nelle sue linee ed assume aspetto diverso secondo i movimenti del corpo della Redia: il collo della pera ora più, ora meno distinto dal resto del sacco in- testinale, può considerarsi come il tratto esofageo. Nelle Redie giovani |’ intestino tra- sparisce molto nettamente attraverso le pareti del corpo pel colorito scuriccio e l'aspetto granelloso dovuto, come pare, al contenuto: ciò che non si constata nel sacco intesti- nale delle Redie a termine, nelle quali esso è, perciò, meno appariscente. Osservando le fig. 19-23, scelte fra quelle che rappresentano alcuni degli aspetti caratteristici che assume il faringe nei movimenti di contrazione e distensione della Redie, sì ricava come dalla forma ovoidale-globosa o sferoidale, che esso piglia quando il corpo si contrae, si va fino a quella allungata, subtubulare, nella sua grande distensione, rap- presentata nella fig. 19. Più frequentemente il faringe assume la forma di coppa 0 calice, o ad imbuto molto slargato anteriormente: dalla bocca che, per questo allar- garsi del faringe si fa ampia e beante, fuoriesce la parte anteriore di questo ripie- gandosi a colletto contro le pareti esterne del corpo formando cercine, come una ciam- bella, intorno alla larga bocca, simulando così l’ aspetto di ventosa che ne circondi |’ o- rifizio (fig. 20, 28). La bocca si restringe, per contro, col contrarsi del faringe fino a ridursi ad un piccolo forame circolare, che quanto maggiore è il raccogliersi a palla del faringe, tanto diventa più piccolo (fig. 19, 21, 22): forame che può, nella massima contrazione del faringe, chiudersi affatto tirando seco in dentro la estremità anteriore del corpo che resta invaginata ad imbuto (fig. 18). Seguendo lo sviluppo delle Cercarie nell’interno delle Redie nelle sue varie fasi, sì possono colpire i diversi stadii attraverso i quali questa si va successivamente delineando a misura che si differenzia la figura della Cercaria dal primo ammasso cellulare che ne rappresenta l’inizio embrionale, con l’apparire, cioè, di una strozza- tura all’incirca poco ollre la metà del corpo: costrizione che segna il limite fra la parte che si trasformerà gradualmeute nella Cercaria e quella che diventerà, modi- ficandosi successivamente, la coda. Nelle fig. 24-29 ho riassunto tutto lo sviluppo morfologico della Cercaria impersonato in un certo numero di stadii caratteristici, salluariamente successivi, della intera serie, fino alla Cercaria quasi a termine; figure dia o — 19 — inno immagine delle principali fasi ontogenetiche che essa attraversa. Cosicchè la nza delle figure mi dispensa da una particolare singola descrizione; tantoppiù corrisponde in genere a quanto ho già precedentemente descritto per altra (0. cymbuliae Gràffe, 2, p.81), e trova riscontro in analoghe osservazioni di tori antichi (p. e. La Valette St. George) e moderni (p. e. Pelsener). Dalle igure si rileva, difatti, il graduale individuarsi della coda da come essa dap- si mostra nella fig. 24— cioè già ben distinta dal corpo nello stadio successivo arire della strozzatura che ne segna il differenziarsi iniziale —— fino al momento i, col continuo allungarsi di essa (fig. 26-28), cominciano a comparire, lungo i prime paia di fasci di appendici laterali, le setole degli autori (fig. 29): questi, apprincipio radi si fanno più fitti fra loro per raggiungere poi, con il graduale pecessivo accrescimento della coda, il numero, !e dimensioni, l’aspetto e figura che i presentano, per l’insieme e la forma delle loro appendici, nu Cercarie a termine. — Esaminando in ordine progressivo numerico le suddette figure si può, d’altra e, seguire il delinearsi della forma del corpo della Cercaria che si va gradatamente mando: con l’aspelto cuticoloide che assume l’ectoderma esterno delimitante il j; con la comparsa della bocca e delle ventose (anteriore e posteriore) che dap- ipio appaiono come dei semplici bottoncini pieni sporgenti dalla superficie del po (fig. 26) ed acquistano in seguito la loro forma e struttura definitiva (fig. 28); e con il manifestarsi di tulte le altre caratteristiche proprie per le quali si deli- figura di Cercaria a termine con le macchie pigmentarie anteriori (fig. 29); \lre essa si va integrando nella interna organizzazione con il differenziarsi del tubo ente, che appare già ben distinto nello stadio rappresentato dalla fig. 28, e del- arecchio escretore, la cui vescicola terminale assume l’aspetto che impersona o la caratteristica vescicola della C. selifera, come si scorge nella fig. 29; che senta appunto uno stadio più prossimo alle Cercarie a termine, cioé, pronte si libere dall’ospitatore. no 4. Etologia. Zi La Cercaria setifera quando non s'incontra liberamente nuotante nel plankton, come ho detto innanzi, non è troppo frequente, si trova comunemente annidata massa del corpo di I iritissimi e diversi animali pelagici. Sarebbe, perciò, senza ale importanza il redigere un elenco particolareggiato di tutti gli animali nei è stata finora constatata la presenza della C. setifera, sia da me personalmente 1885 ad oggi), sia, prima, da altri (così per osservazioni dirette sulla detta Cer- ria che sulle forme a questa identificate), come da coloro che, in seguito, hanno to agio di ritrovarla dopo la mia nota preliminare del 1888. Celenterati ‘), Ctenofori ?), Vermi *), Molluschi *) e Tunicati ‘) pelagici così __*) Idromeduse, Sifonofori, Scifozoi (Acalefi). | 3) Tentacolati ed Euristomi. 3) Anellidi, Chetognati. Gasteropodi (Eteropodi, Pteropodi, Nudibranchi) ed anche Cefalopodi pelagici (una volta ) rinvenuta sulla Cirrotheuthis Verany D’Orbigny (= Doratopsis vermicularis Jatta. Monografia opodi) forma rara nel nostro Golfo (v. Lo Bianco, 2, p. 645 e nota). lpe, Pirosomi. ho / al PL ia PRi vas ae ( ba Se dlli wu Lal . ì Se adulti, che allo stato larvale, come pure le forme pelagiche larvali in genere ‘) che si pescano nel golfo di Napoli, ospitano questa Cercaria, che si può trovare anche nelle masse di uova pelagiche di Teleostei, come io stesso ho ricordato (2, p. 78) per aver trovate, nel 1885, delle C. setifera su di un gruppo di uova galleggianti pro- babilmente di Scorpaena sp. Che, anzi, in alcuni anni a periodi questa forma è così comune e frequente da infestare tutti gli animali pelagici del Golfo, tanto che il Lo Bianco (4, p. 480; 2, p. 571) diceva «esservi talvolta epidemie » di Cercarie: mentre vi sono altri periodi di anni nei quali può, per contro, scarseggiare a segno di trovarne solo di rado degli esemplari, come ho già ricordato (3, p. 1, nota 1). Caratteristica è la maniera di nuotare di questa Cercaria quando, emigrata dalle Redie generatrici, lascia il primo ospitatore, vagando liberamente nel plankton in cerca d’animali nei quali imbattersi: il che ho già altrove ricordato, per avere di proposito segunili i movimenti di nuoto in alcune Cercarie caudate, messe in libertà in vaschette d’acqua (2, p. 79), a controllo di quanto avevo osservato su Cercarie liberamente nuotanti, pescate nel plankton. Cogliendo un rapido istante di arresto nel nuoto si vede come la Cercaria cerca orientarsi verso una data direzione, che il corpo impone a sè stesso, contraendosi a forma di pera o di piccola palla, mentre la coda rapidamente dimenandosi con moto ondulatorio e vibratorio spinge innanzi fa Cercaria. D’ordinario essa nuota parallela- mente alla superficie dell’acqua: in questo caso la coda descrive delle semplici larghe e violente ondulazioni a ciascuna delle quali corrisponde un movimento delle appendici (setole) della coda che, per la loro medesima disposizione, aiutano il progredire della Cercaria, perchè sembra funzionino come piccoli remi automatici che accompagnano e secondano i movimenti della coda. Alle volte la Cercaria nuota, invece, in posi- zione verticale rispetto alla superficie dell’acqua, cioè col corpo in giù, che si con- trae quasi a palla, e la coda in alto: questa allora descrive delle ondulazioni spirali assai strette, frequenti e veloci e turbina tanto rapidamente che l’animale pare giri vertiginosamente su stesso come una trottola e, così, ratto si sposta da un punto all’altro. Nel nuotare, il corpo della Cercaria, come si può osservare, resta passivo ai movimenti della coda: il corpo segna ed imprime solamente la direzione che l’animale vuol seguire spostandosi; ma le spinte gli vengono dale dalla coda che, evidentemente, nel caso, è l’organo principale di nuoto: essa agisce come un propulsore che, vibrando a guisa di una frusta, imprime al corpo un movimento oscillatorio che sì risolve nella linea retta che segue la Cercaria rapidamente filando nell’acqua. Il movimento nuotatorio, è nel caso, ancora intensificato dalla presenza delle appendici laterali della coda (setole) per i loro movimenti così attivi, che passivi. La Cercaria quando incontra l’ospitatore pelagico, nel quale nuotando s’imbatte, vi penetra con l’estremità anteriore del corpo che, come una trivella, perfora la pelle dell’ ospitatore facendosi strada fra i tessuti di questo. La coda, come ho descritto (2), vien sempre perdula dalle Cercarie nell’atto di penetrare nell’ospitatore: ciò avviene per bruschi movimenti a tratti o strappi, quando i) Come verbalmente mi informava il Dott. S. Lo Bianco (il compianto conservatore della Stazione zoologica di Napoli) per notizie desunte da suoi personali appunti. 1230) a ercaria, essendo già tutta penetrata nell’ ospite, la coda ne resta fuori: talvolta, per- >, le Cercarie la trasportano con sé e con essa si incapsulano. Infatti ho trovato a massa gelatinosa del cappello di differenti meduse, Cercarie provviste ancora di a; ed una volta, in un Cestus veneris Less. ho osservato delle Cercarie, e ne con- o i disegni, che nella capsula trasparente che si formano, se ne stavano con la oda in caratteristico modo ripiegata intorno al corpo; mentre nella maggior parte d ei casi la Cercaria incapsulata è senza coda e più o meno contratta: per queste osservazioni sono stato indolto a dedurre che la coda quando non va perduta può anche semplicemente disfarsi od essere riassorbita durante il periodo d’incapsulamento. La coda quando si stacca dal corpo continua da sola a muoversi per alcun tempo, più eno lungo, e ciò si può osservare tenendo in favorevoli condizioni una Cercaria tto il mieroscopio. Dopo una lunga serie di sforzi, che consistono in ailungamenti e iirazioni del corpo, ad ognuno dei quali corrisponde un forle tratto dato alla coda, ta comincia a staccarsi dal corpo: seguitando questo a dar tratti alla coda essa si acca maggiormente, finchè la Cercaria, spingendosi con maggior violenza innanzi, con ul brusco movimento a slrappo se ne libera. Avvenuto il distacco tanto la Cercaria, quanto la coda restano, come sembra, in riposo: la Cercaria ripiglia subito a con- rarsi e distendersi ritmicamente, mentre dall’altro canto la coda a muoversi verti- osamente come prima, come se fosse ancora altaccata al corpo. Questi movi- iti della coda durano così lungo tempo, che, una volta, ho potuto osservare una “coda, già separata dalla Cercaria, i tessuti della quale erano mezzi disfatti nella parle posteriore di essa, che nella sua parte anteriore si muoveva ancora rapidamente. fasci di setole possono venire facilmenie perduti, così quando la coda è attac- — Gata ancora al corpo, come quando se ne è staccata; il che non rallenta il movimento ella coda. La perdita delle setole sembra sia determinata da scatti troppo violenti a coda nei suoi movimenti di contrazione ed estensione non seguiti ed accompa- g subito da quelli delle appendici (setole), ì cui fasci, per lo sforzo al quale, nel caso, non resistono si rompono alla base e si staccano. Fa fy re LI La C. setifera può trovarsi isolata od in piccol numero di esemplari sporadici — negli animali pelagici che infesta, oppure in grandissimo numero d’individui sparsi e | diffusi per tulto il corpo dell’ospitatore: cosicchè questo, come ho osservato in certi casi, sembra punteggiato di macchioline bianche opache che sono appunto le Cercarie delle quali l’animale è cosparso. La Cercaria non ha, quindi, luogo di elezione nell’0- | Spitatore, ma si annida nel punto dove è penetrata dall’esterno facendosi strada nella massa del corpo (p. e. Celenterati, Molluschi), o sotto la pelle a nello spessore di Questa (p. e. Vermi, Tunicati). Evidentemente queste infezioni multiple si devono al | fatto che gli ospitatori pelagici si sono imbattuti in un branco di Cercarie liberamente auti che li hanno aggrediti per trovarvi albergo. Ciò facilmente lascia desumere caso innanzi riferito delle numerose Cercarie che avevano, come sembrava, tutte eme aggredita la capsula delle uova di Scorpaena; e mentre alcune senza coda no già allogate nella massa capsulare, annidate tra uova ed uova, altre avevano ‘a la coda fuori ed in atto di disfarsene, ed altre, infine, erano in via di pene- e nella membrana della capsula. «Non mi consta che nell’ospitatore si determini una vera e propria formazione di — dae cisti intorno alla Cercaria, la quale d’ordinario s’incastona nei tessuti dell’ospile: per- tanto talvolta, mi è occorso di constatare che le Cercarie si trovano allogate in una sorla di cavità sferoidale, scavata nel tessuto dell’ ospitatore nel punto dove sono in esso penetrate le Cercarie, le cui pareli sono rappresentate dalla superficie cicatriziale, dirò così, del tessuto stesso che ha reagito alla lesione limitando la cavità in esso pro- dotta dalla Cercaria: ciò ho potuto constatare, p. e., in alcune sezioni di pezzi di Beroé ovata D. Ch. di Cestus veneris Less. e di Carmarina hastata E. H., contenenti Cer- carie incapsulate, a conforto delle osservazioni fatte in proposito a fresco e sul vivo. Di tanto ho data immagine nella fig. 5, che mostra appunto una Cercaria con la sua coda ravvolla e ripiegata su sè stessa racchiusa in questa sorta di capsula, o cisti, se pur si vuole così indicarla, scavata nel tessuto gelatinoso di una Carmarina ha- stata E. H. Secondo alcuni A. le Cercarie possono trovarsi anche nei canali gastro- vascolari delle meduse e nell’asse dei Sifonofori (Vogt) in esso liberamente reptando. La C. setifera spazia nei pelago nuotando indifferentemente dal fondo, donde si parte, fattasi libera dalle Redie viventi nei Gasteropodi, alla superficie, vagando alla ventura inconiro all’ ospitatore da infestare. Come è probabile le Cercarie, dapprima nuotano in branchi, se molte insieme iniziano la vita libera, il che spiega il loro numeroso infestare il primo ospitatore nel quale per caso s’imbaltono: successi- vamente si spargono e disperdono nel plankton. Ciò è provato dal fatto che la €. setifera si trova indifferentemente in animali pelagici di differenti profondità: fra gli ospitatori, infatti, si riconoscono tanto forme di superficie, come di fondo; e cito ad es. l’Olindias Millerit E. H. che di rado viene alla superficie (Lo Bianco). Così dalle mie osservazioni personali, per più annì seguite, come da quelle con- dotte sul plankton per molti anni dal compianto amico Dott. S. Lo Bianco, si desume che le C. setifera in Novembre cominciano ad apparire libere nel plankton ed a trovarsi già frequentemente ospiti degli animali pelagici: esse, pertanto, si incontrano anche più frequenti in questi ospitatori nel decembre ed abbondantissime sì constatano in generale in inverno: in alcuni anni specialmente, esse, come ho detto innanzi, sono numerosissime infestando un gran numero di animali pelagici, così che quasi tutti, più o meno, ne ospitano qualche individuo. Nella primavera l'invasione delle C. setifera diminuisce e dirada negli ospiti l’ infezione, che cessa del tutto nella estate per ricominciare di nuovo la curva di frequenza nell’ autunno seguente. Questo rilmo biologico di comparsa nel plankton e di frequenza negli animali pelagici della C. setifera e susseguente scomparsa è in evidente corrispondenza con quello degli animali pelagici, in genere, suoi ospitatori abituali; i quali appunto dall’autunno alla primavera appariscono alla superficie (Lo Bianco, 1, p. 452; 2, p. 524-530). Gli animali pelagici che le Cercarie infestano sono senza dubbio da conside- rarsi nella economia della speeie come un mezzo di disseminazione nel pelago onde agevolare ioro la via per giungere all’ ospitatore definitivo; perchè le Cercarie, da essi ospitate e protette dagl’incerti e dalle contingenze della vita libera, possono in favorevoli condizioni, aspettare il loro fine ultimo, di raggiungere lo stato adulto. Questo deve, con ogni probabilità di certezza, compiersi in un predatore di animali pelagici e verosimilmente in un vertebrato (Pesce), che finora non mi è riuscito possibile di identificare, nel quale la Cercaria assolve, nella sua forma adulta, il compito di perpetuare la specie di distomide tuttora sconosciuta cui essa appartiene, e che rimarrà + rp Pr } | — 23 — 5 più che altro, il caso per favorevoli contingenze non condurrà a ricono- . Difatti non potendo ieri del tulto She il Distoma adulto di questo ea 0 facile lo SIT in una ricerca sulla possibile sua o la una Gullo amai già così numerose specie presentemente note di distomidi: ricerca difficile non o, nella quale è prudenza andar più che mai cauti per evitare quei non conformi ‘imenti (nei quali sono incorsi vari A., me compreso [1888] proprio per questa rcaria) cui tale ricerca, malgrado larga conoscenza di forme di Distomidi, può ‘condurre ‘). | Mi La questione dell’ignoto ospitatore si connette evidentemente con quella della ‘identificazione della specie cui appartiene la C. setifera, il cui ciclo biologico è certo in rapporto e relazione con la etologia dell’ospilatore, per la stagione, il modo, ed il mpo d’infezione di questo: nel che non poco gioca il ritmo di comparsa e scom- parsa dalla superficie degli animali pelagici ospitatori intermedii in relazione alle " condizioni etologiche e corologiche degli ospitatori definitivi che di quelli cibandosi possono infestarsi della C. setifera. 5. Identità e sinonimia della Cercaria setifera. Jh. Muller nel 1850 (pag. 496) ricordando la Cercaria inquieta di O. Fr. , trovata libera nel mare, scrive di aver osservata a Marsiglia liberamente nuo- tando nell'acqua del mare « eine eigenthiimliche Cercaria, welche sich durch einen geringelten mit Borsten gefiederten Schwanz auszeichnete » e soggiuuge «und ich 1 sab auch das davon stammende Distoma nach dem Verlust des Schwanzes frei in Meerwasser erkennbar als identisch mit der Cercaria sowohl in der Form und Grosse — des Korpers als noch mehr in den mit der Cercaria gemeinsamen beiden schwarzen Flecken auf dem vorderen Theil des Kérpers ». Descrive poi in seguito brevemente così la suddetta Cercaria « Bei unserer Cercaria stehen die Borsten des Schwanzes in regelmàssigen querreihen, 12 Bundeln auf jeder Seite der hinteren Hàalfte des — Schwanzes bildend, an andern Exemplaren waren nur die hintersten Biindeln erhalten ». Il Muller aggiunge di aver data notizia di questa Cercaria nel 1849 alla « Gesell. — Naturfor, Freunden di Berlino » e che essa fu « gelentlich mit noch einigen andere larven von niedern Thieren abbilden ». Scrive inoltre il Miller, a pag. 497, che i l Distoma Beroes Will — trovato dal Busch anche nel tubo digerente delle Sa- | gilla — « ist uns bei Triest sehr haufig frei in Meerwasser vorgekommen und ganz in derselben Gròsse und form wie Sie in der Kleinen Sagilta lebt ». —_—’—È bene pertanto subito ricordare che questo Distoma beroes del Will (p. 343, tab. 10, fig. 10-13) —D. papillosum Diesing (4, p. 381) — trovato dal Busch fico 1) Durante la stampa del presente scritto, avendo avuta occasione di incontrarmi col collega Do . Odhner a Monaco, nello scorso marzo 1913, in occasione dell’ultimo Congresso Zoologico internazionale, discorrendo di questa Cercaria del Miller (della quale gli mostrai i disegni qui prodotti), dai mi espresse il dubbio che la Cercaria da me illustrata potesse riferirsi al Distomum Stossich (p. 4, tav. 15, fig. 8); specie tipo del genere Lepocreadium Stossich, che appunto A, secondo i caratteri che Odhner riassume (1, p. 35), una grande vescicola terminale « nach orn bis zum Pharynx reichend ». Ma così dall'esame del disegno originale di Stossich sopra ci- 9 ho voluto consultare, come da quello di esemplari della specie provenienti dalla SE i DALE (p. 99) a Trieste nell’ intestino delle Sagitta, ed anche liberamente nuotante ed in diversi animali marini — al quale accenna il Muller è una forma giovane di Apoblema come ho dimostrato altrove (3, p. 123 e nota 1): erronea è quindi |’ identificazione del Miller della sua Cercaria del mar di Trieste con il distomide del Will: ciò che è provato di fatto dalla figura di questa Cercaria di Trieste data dallo stesso Miller (riportata dal La Valette St. George), che la rappresenta fornita di coda con setole laterali; figura dalla quale si rileva la nessuna corrispondenza di detta Cercaria col Distoma beroes Will. In questo suo scritto Joh. Miller non illustra con figure le dette Cercarie di Marsiglia e di Trieste: ma gli schizzi ed i disegni da lui presi, come si rileva dal testo sopracitato, sono stati riprodotti dal La Valette St. George nella sua opera sulla evoluzione dei Trematodi. Difatti questo A. (p. 38) riporta nella tav. 2 tre figure di Cercarta riferite al Mùller che sono evidentemente quelle disegnate dallo stesso Muller, come si deduce dal passo innanzi riportato. Secondo la spiegazione delle tavole di La Vallette St. George una di queste figure (fig.Il) rappresenta la « Cer- caria setifera Joh. Miller ex mari prope Tergestum », Valtra (fig. II) rappresenta la « Cercaria elegans Joh. Miller ex mari prope Massiliam », l’ultima (fig. IV) « Eadem cauda dejecta ». Per meglio richiamare alla mente queste figure nella identificazione della Cer- caria setifera di Joh. Muller riporto qui questi disegni del Mùller editi dal La Valette St. George nella citata opera. Fig. III Fig. 1.— Riproduzione (rimpiccolita) delle figure delle due Cercarie di Joh. Miller (di Trieste e di Marsiglia) date da La Valette St. George. Da essi si ricava che la Cercaria del golfo di Trieste (fig. II) per avere il corpo alquanto compresso lascia vedere il complesso della organizzazione interna: la coda evidentemente è molto contratta e perciò deformata e con i fasci di appendici (setole) - fra loro ravvicinate. La fig. III-IV (Cercaria di Marsiglia) rappresentano i due aspetti diversi della stessa specie descritti dal Miller quello a corpo proteso fogliforme ico fornito di coda e quello allungato e subterele senza coda: nell’ individuo codato . (fig. III) sono solamente accennati alcuni fascetti delle setole laterali ed è evidente — a giudicare dalla distanza intercedente fra i gruppi di setole, che |’A. si è limitato a disegnare, in rapporto alla lunghezza della coda — che molti di questi gruppi a coppie dovevano occupare, numerosi in serie, i lati della coda. Devo pertanto osservare che, per il numero dei fasci di setole della coda (12) assegnati dal Joh. Miiller alla sua Cercaria (di Marsiglia), nessuna delle figure delle due Cercarie riprodotte dal La Valette, che presentano coda con setole (fig. Il, III), corrisponderebbe, pel numero delle coppie di setole, alla descrizione del Muller. Come si può facilmente constalare da quanto sopra ho esposto La Valelte St. George ha indicato come Cercarza setifera quella che Joh. Miller ha trovata libera nel mar di Trieste, ed appone il nome di Cercaria elegans ai due disegni rap- presentanti la Cercaria rinvenuta liberamente nuotante a Marsiglia; che è poi proprio quella, come chiaro si rileva dalla leltura del testo di Miiler innanzi riportato, che egli particolarmente descrive come portante setole (setifera) nella coda. Il Muller, dunque, non ha dato nome alla Cercaria nuotante (mit Borsten gefiederte Schwanz) da lui trovata nel mar di Marsiglia, che ricorda poi di aver trovata pure nel Golfo di Trieste: la designazione di C. setifera, perciò, è del La Valelte St. George, che ha attribuito questo nome, con la paternità del Joh. Miller, alla Cercaria di Trieste, ed ha apposto un altro nome (C. elegans) alla Cercaria di Marsiglia. Il Diesing nella sua Revisione delle Cercarie (2) ha senz'altro seguito il La Valette St. George: difatti egli registra, fra le specie del genere, una Cercaria (Gymnocephala) setifera Joh. Miiller (pag. 250) — alla quale riferisce la Cercaria trovata a Trieste da questo A., secondo il La Valette St. George (tig. II)—, e, fra le ZHistrionella, una Z. elegans Diesing (attribuendosi il nome specifico, v. pag. 269), che riferisce alla C. elegans di La Valette St. George (fig. III-IV). Dalla premessa esposizione storica dei fatti si ricava che La Valette Sr. George ha crealo di fatto un equivoco intorno alla Cercaria che deve realmente impersonare la Cercaria setifera di Joh. Miller: equivoco che ha dato luogo, da parle di varii A., ad erronee identificazioni di Cercarie marine a coda fornita di setole, da essi studiate, con la C. setefera. E ciò sia per lo scambio facile a verifi- carsi fra le due Cercarie del Miller distinte dal La Valette con due nomi diversi sulle figure di questo A., stando, invece, alla descrizione originale del Mùller (in base alla quale la C. setifera è evidentemente quella di Marsiglia), sia ancora per la identicità ammessa di fatto dagli A. fra le due Cercarie di Marsiglia e ci Trieste del Mùller ritenute distinte dal La Valette, ma non dal descrittore (Joh. Mùl- ler): identicità alla quale il testo del Mùller lascia per vero facilmente adito. Ciò posto a me pare, da quanto precede, di poter concludere — per ben stabilire i fatti e procedere oltre nella identificazione della Cercaria del golfo di Napoli — che il nome di C' setifera spetti senza dubbio a quella forma descritta da Joh. Muller fornita di setole alla coda, trovata nel golfo di Marsiglia, e non alla forma di Trieste (come vuole il La Valette); lasciando impregiudicata la questione se il nome specifico di setifera, non imposto dal Miller nel descrivere la specie di Marsiglia, come risulta dal testo, spetti proprio al Miller od invece al La Valette St. George, che, pubblicando il nome specifico di setifera , del Anti — Vol. XV— Serie 2a — N. 11. ; — 2:— quale egli pel primo fa uso, ne sarebbe, in fondo, il vero autore. Conseguentemente il nome di C. (Zistrionella) elegans attribuito dal La Valette St. George alla detta ‘ Cercaria di Marsiglia cade in sinomia di C. setifera [identificata come sopra]. Resla ora per conseguenza ad esaminare se la Cercaria trovata a Trieste da Joh. Muller e da lui non distinta dalla Cercaria di Marsiglia (C. setifera propriamente delta), ma ritenuta, invece, da questa differente dal La Valette St. George (che la distingue col nome di C. setifera Joh. Miller), è realmente una forma differente dalla vera C. setifera, e, nel caso, quale nome debba portare. Né della Cercaria di Marsiglia e tanto meno di quella di Trieste, solamente nominata, il Joh. Miller ha data alcuna notizia della interna organizzazione. Nelle figure (del Muller) riportate dal La Valette St. George è tracciata l’ana- tomia della sola Cercaria di Trieste (fig. II): dal che, pertanto, non potrebbe in fatto ricavarsi alcuna differenza essenziale dalla Cercaria di Marsiglia (v. fig. III-IV) della quale è ritratta la sola forma esterna: nè questa da sola potrebbe esser sufficiente a far ammettere una differenza fra le due Cercarie, perchè quanto di diverso presenta il disegno della Cercaria di Trieste si potrebbe facilmente interpelrare osservando che in esso, essendo l’animale schiacciato dalla compressione (ciò che spiega anche la differenza di forma del corpo), si scorge la interna organizzazione, che, per contro, non si può vedere nelle figure della Cercaria di Marsiglia che rappresentano l’animale in condizioni normali. Nè più valido argomento fornirebbe la coda della Cercaria di Trieste contratta e rattrappita e deformata dallo schiacciamento, pur presentando essa le caratteristiche essenziali della Cercaria di Marsiglia nei ciuffi di setole della coda: deformazione questa analoga a quelle, varie e diverse, che si possono consta- tare anche nella Cercaria di Marsiglia (Cercaria setifera propriamente detta), nello esame di numeroso materiale di questa. Infatti, indotto da tali considerazioni, ritenni nella mia nota preliminare del 1888 (p. 194) che le tre figure di Miller, riportate da La Valette St. George, dovessero riferirsi ad un’unica e sola forma: la C. setifera: nella quale rientrava, per conseguenza la €. elegans (Histrionella elegans). Natural- mente tralasciai per allora la questione che ho innanzi trattata: cioè, quale, delle due Cercarie, secondo il La Valette St. George dovesse propriamente impersonare la C. setifera di Miller (di Marsiglia). Questione d’ altra parte nonchè inopportuna in una necessariamente breve nota preliminare, anche del tulto inutile, vista la con- clusione cui era pervenuto, che si trattasse, cioè, di un’unica e sola specie e proprio di quella più comunemente nota come C. setifera di Joh. Miller, che avrebbe do- vulo, a mio avviso, impersonare appunto la Cercaria di Marsiglia. Alla Cercaria setifera (Mùller) di La Valette St. George (fig. II) il Cia pa red (pag. 12) ritenne molto probabilmente identica una Cercaria liberamente nuotante da lui trovata nel golfo di St. Vaast ed identificata con quelle da lui rinvenute anche nelle meduse. Di questa Cercaria Claparède descrive la coda nello aspetto e struttura e disposizione dei fasci di setole che egli trova in nnmero di 19, mentre ricorda che questi sarebbero 12 secondo il Muller. Si badi però che questa osservazione di Muller riguarda la Cercaria di Marsiglia, la vera C. setifera c. s., non quella di Trieste—C. setifera secondo La Valette fig. Il—alla quale, appunto, il Claparède rassomiglia la sua Cercaria. II Claparèéde accenna al sistema escretore fatto di «zwei breite Aeste... die mittelst eine gemeinschéftlichen Stammes in eine die MISE, eten Wurzel des Schwanzanhanges einnehmende Blase munden », del che non si trova traccia nella figura di Mùller (C. setifera secondo La Valette St. George fig. II). Ricorda ancora il Claparède la presenza in questa sua Cercaria di un faringe che egli constata solo negli individui senza coda trovati in diverse meduse craspedote; ed osserva che « sehr constant war der Wurme rechts und links von hinteren Theile des gewaltgen Mundnapfes braunlich geflecht ». Ciò che non si osserva nel disegno della Cercaria di Trieste del Miller (C. setifera di La Valette St. Geor- ge, fig. Il); ma, invece, è evidente nelle due figure della Cercaria di Marsiglia (fig. III-IV, C. elegans del La Valette St. George). Nella forma di Cercaria che ho trovata libera nelle acque del golfo di Napoli e su gli animali pelagici, descritta nelle precedenti pagine, ho riconosciuta, nel 1888, la Cercaria del Golfo di Marsiglia descritta dal Miller nel 1850 (p.496) e figurata dal La Va- lette St. George (fig. IN-IV) sotto il nome di C. elegans: di che possono facilmente - far fede le figure che ne ho dato (fig. 1, 2, 3, 6, 7) se si comparano con le figure del Miller riprodotte dal La Valette St. George (e qui riportate). E rife- rendomi a quanto innanzi è esposto, ho ritenuto dovesse considerarsi la vera e tipica Cercaria setifera del Miùller, ammettendo, inoltre, che la Cercaria di Trieste del Miller fosse la stessa cosa di quella di Marsiglia [C. setifera La Valette (Trie- ste) = C. elegans La Valette (Marsiglia)]. Lasciando per ora da parte la discussione di questa identificazione, sulla quale ritornerò più oltre, mi fermo alla costatazione di fatto, in base alle serie di indagini e deduzioni suesposte, che: la Cercaria del golfo di Napoli è identica a quella trovata a Marsiglia dal Muller e perciò, come ho dimostrato, essa è la legittima C. setifera di Joh. Miller 1850 (=C. elegans La Valette St. George, 1855, fig. III-IV). La Cercaria marina da me così identificata nel 1888 (4, p. 193), perchè comu- nissima nel nostro Golfo, era già da molti anni nota agli studiosi, frequentatori della Stazione Zoologica di Napoli; ma non era stata bene identificata : essa era indicata comunemente, per comodo, come Cercaria pelagica, quand’ io ne intrapresi lo studio nel 1886, come allora mi comunicava il compianto amico Dott. Salvatore Lo Bianco. Questi cortesemente volle procurarmi alcuni schizzi della Cercaria in parola preceden- iemente presi da altro studioso e rimasti inediti fra le carte della Stazione Zoologica, per darmi agio di constatare la corrispondenza della Cercaria che andavo esaminando con quella della quale era stata già da tempo constatata la frequenza sugli animali pelagici del Golfo. Da questi disegni ho ricavata la riproduzione di due dei più caratteristici che qui riporto (Frg. 2.) a fine di permetterne il confronto con i disegni da me dati della C. setifera, a migliore conferma di quanto sopra affermo. Una delle figure più ac- curalamente disegnata rappresenta la Cercaria pelagica munita di coda con la grande vescicola escretoria ripiena delle sferule rifrangenti, in uno degli aspelti che questa può assumere, e con la ventosa anteriore invaginata: l’altra figura, alquanto schema- tizzata, raffigura la Cercaria priva di coda con beante ventosa boccale. Ed è precisamente, come ho già dimostrato (1, p. 193), questa stessa Cercaria pelagica, che, identificata nel 1873 dal Lankester con la C. echinocerca di De Filippi, fu poi trovata nei Ctenofori del Golfo di Napoli nel 1880 dal Chun ME (pag. 243, fig. 133), che la riferì, invece, alla C. Thaumantiatis del Graeffe; e, più — tardi venne ritrovata anche dal Daday (1888), che la descrisse sotto il nome di istrio- nella setosicaudata (p. 84, fig. 11, 13, figure per vero non molto conformi) su di un esemplare (preparato in toto) trovato liberamente nuolante nel plankton dei Golfo di Napoli, ritenendola differente dalla 7. elegans Miller, secondo La Valette St. George, non senza però far no- tare le rassomiglianze che la sua Cercaria pre- sentava anche con la C. setifera Joh. Miller (secondo La Valette) e con la C. echinocerea di De Filippi. Dalle indagini e ricerche bibliografiche fatte sulle Cercarie marine per la identificazione della Cercaria pelagica del nostro Golfo fui condotto a riconoscere, dalla descrizione datane da A. Costa (1864), la corrispondenza della sua Ma- crurochueta acalepharum, Wovata sugli Acalefi del Golfo di Napoli, con la Cercaria che avevo in esame e, conseguentemente, a concludere Rip 2: Riproduzione deva che la specie pelagica del Costa doveva ri- gni della C. setifera esistenti nella entrare fra i sinonimi della C. setifera Miller Quesste zoologica di Napoli (rimpic- (forma di Marsiglia). coliti): a con coda, d senza. Avendo avuto in seguilo agio di esaminare i manoscritti del mio predecessore (A. Costa) nella cattedra di Napoli, che si con- servano in questo Istituto Zoologico, ho rinve- nuto un fascicolo di appunti e di molti schizzi e disegni inediti che servirono al Costa per la redazione della sua nota sulla Macrurochaeta acalepharum, dei quali ho già fatto cenno a pag. 11, a proposito della riproduzione di un disegno riguardante un peculiare aspetto as- sunto della vescicola terminale del sistema escre- tore. Da questi disegni tolgo, scegliendole fra le altre, le due figure che qui riproduco (Fig.3.) rim- piccolite dall’originale, a maggior conforto della piena e completa conferma che essi mi hanno fornita delle mie precedenti conclusioni (1888) sulla identicità della Macrurochaeta acalepha- rum A. Costa con la Cercaria setifera Joh. Muller, mentre comprovano, nello stesso tem- po, la corrispondenza della specie del Costa con le figure della Cercaria conosciuta come Fig. 3.— Riproduzione di due dei dise- pelagica dagli studiosi della Stazione Zoologica. gni inediti della. Maorurookazia Mal a ur lepharum Costa (rimpiccoliti): a con Una delle figure quì riprodotte rappresenta Ja coda, è senza. M. acalepharum fornita di coda provvista delle caratteristiche setole, col corpo alquanto in distensione e con le ventose figurate forse Ser un poco esageralamente beanti: da questa figura oltre a tutte le caratteristiche della C. setifera (identificata c. s.), risulta evidentissimo anche il particolare organo ter- minale del sistema escretore: il caratteristico bulbo, che sbocca nel forame codale innanzi descritto nella C. setifera (pag. 13), al quale mette capo, come chiaro si scorge nella figura del Costa, la vescicola terminale del sistema escretore conte- nente le grandi sferule rifrangenti. Nell’ altra figura del Costa è rappresentata la M. acalepharum senza coda con la ventosa anteriore contratta e quella ventrale pro- trudente come talvolta si presenta in C. setifera. Con la Cercaria del Golfo di Napoli (C. setifera Joh. Miller) ho pure iden- tificata nel 1888 la C. eckinocerca De Filippi proveniente da Redie del Buccinum Linnaei Payr. del Golfo di Genova che il De Filippi (1, 433, fig. 19-20) credeva possibile appartenesse al ciclo del Dist. Ristriz Dujard. della mucosa boccale dei Pieuronettidli, che, a sua volta, rappresentava, probabilmente, la forma incistata di un D. appendiculatum. Ora, per meglio stabilire l’affermata identicità delle due Cercarie, riproduco la figura (19) del De Filippi (Fig. 4.) dalla quale la corrispondenza della O. echinocerca con la C. setifera risalta evidente, specialmente per chiunque abbia familiarità con numerosi esemplari della Cercaria di Miller e ricordi tutti gli aspetti ‘che essa assume: ciò dico specialmente per quarto riguarda la coda della C. echinocerca (v. figura), che è molto con- tratta e rattrappita e si presenta proprio come talvolta accade di osservarla in C. setifera; te- nendo pur conto che il disegno della coda dato dal De Filippi non è molto curato, e succinta è la descrizione nei particolari di essa. Dalla comparazione della figura e della descrizione della €. echinocerca del De Filippi con le fi- gure della Cercaria setifera da me date (fig. 1-4, 6-7, 15) risulta abbastanza evidente la di- mostrazione della assunta identicità della C. se- #9. +—Riproduzione rimpiccolita del- ) È N i la figura originale della C. echinocerca tifera e C. echinocerca; nella quale si riscon- di De Filippi. rano, infatti, tutti i tratti caratteristici della prima, e fra questi, ad esempio, risalta quello che aveva colpito il De Filippi: cioè, la peculiarità delle macchie pigmentarie anteriori (con cristallino) ed il particolare aspetto e sviluppo della vescica terminale escretoria contenente « de grands globules fort refringents ». Nella figura di De Filippi dietro la ventosa posteriore si osser- vano due corpi sferici dei quali, pertanto, l’A. non fa parola nel testo: all’aspetto essi lascerebbero - logicamente dedurre che possano rappresentare gli organi genitali (te- sticoli) che abbiano già fatta assai precoce comparsa, ma lo sviluppo dei detti corpi, non troppo conforme allo stadio della Cercaria, lasciano molto dubbio su questa possibile interpetrazione. Non è fuori luogo, a questo proposito, tener conto, a conforto della conclusione di cui sopra, il riferimento innanzi ricordato, da parte del Lankester, della Cer- caria pelagica di Napoli appunto alla C. echinocerca De Filippi. = Ses Con la C. echinocerca più tardi (3, p. 2 nota) ho identificata anche la Cercaria proveniente dalle Redie trovate e descritte nel Conus mediterraneus dallo slesso De Filippi (Cercaria? coni mediterranei, 2, p. 14, fig. 21); forma riportata dal Die- sing (3, p. 282) fra quelle insufficientemente note sotto il nome di Cercariaeum Coni-mediterranei: perchè, come ho detto, queste Redie, che rassomigliano a quelle di Buccinum, producono delle Cercarie che ho seguite nel loro sviluppo evolversi in C. setifera. i Alla detta Cercaria pelagica di Napoli corrisponde anche quella trovata libera- mente nuotante dal Bitschli (ubi?) con coda fornita di setole, della quale que- sto A. descrive e disegna la sola coda (p. 400 nota, tav. 25, fig. 16); perchè per l'aspetto e comportamento e struttura questa rivela di appartenere alla C. setifera. Sono ancora da identificarsi con la propriamente detta Cercaria setifera di Miller — come per molte di esse ho già da tempo affermato (1, 3) — le seguenti altre Cercarie marine con e senza coda (evidentemente perduta), nonchè alcune forme giovanili asessuate (del tutto?) di distomidei : a) La C. Thaumantiatis trovata dal Graeffe a Nizza su di una Thauman- thias (Eucope secondo Odbner) e da lui descritta e figurata (pag. 49-51, tav. 10, fig. 10-12), a proposito della quale lo stesso Graeffe scrive: « Als sehr &hnliche unwollkommene distomum Arten betrachte ich: 1) die von Joh. Miller aus dem hohen meer beobachtete Cercarie (Mullers Archiv, 185, p. 496); 2) die von K61- . liker aus Pelagia noctiluca *) und 3) die von C. Vogt in Hippopodius luteus gefun- denen Enlozoon ». Il che mostra come egli sia stato subito colpito dalia rassomi- glianza con la Cercaria di Marsiglia del Joh. Miller, la sola delle due che questi descrive appunto alla pagina (496) citata dal Graeffe (l’accenno all’altra Cercaria, rinvenuta a Trieste trovasi, invece, a p. 497). Confortano il mio assunto la comparazione delle figure di Graeffe che qui riproduco (Fig. 5 ) con quelle da me date della C. selifera, perchè la identicità delle due forme risulti evidente; per quanto la descrizione non sia troppo conforme per er- ') Riferimento erroneo; perchè questa forma del Kélliker, come ho dimostrato (3, p. 1283), deve riferirsi all’Accacoelium calyptrocotyle Montic. (cioè il Distoma della Beroe da me illustrato, 3). Se- condo l’Odhner (3, p. 525, nota 22) « kann also keinen Zweifel unterliegen dass Orthagoriscus den Endwirt fur diese Form Angibt»: conclusione che, emendata nel riferimento della specie, è fonda- mentalmente conforme alla ipotesi da me messa innanzi nel 1888 (1, p. 198) che il Distoma delle Beroe raggiungesse appunto nell’ Orthagoriscus la torma adulta che supposi allora potesse invece es- sere l’Accacoelium contortum Rud.; dal quale, come più tardi potetti dimostrare (8), differisce specifica- tamente il Distoma della Beroe (che distinsi, perciò, col nome di Accacoelium calyptrocotyle). A questo proposito la possibilità ammessa dall’ Odhner (loc. citato) che il Dist. foliatum Linton (p. 522, 5 fig.) dell’Orthagoriscus possa rappresentare la forma adulta dell’Acc. calyptrocotyle, parmi non privo di fondamento; perchè analogo giudizio venne fatto di formulare anche a me, non appena esaminata la descrizione e le figure del Linton. Ma d'altra parte queste e quella, considerate comparati- vamente con Acc. calyptrocotyle, non permettono di escludere del tutto che il D. foltatum Linton possa essere una specie diversa dal primo per quanto molto affine. E per specie diversa dal Acc. calyptro- cotyle la considera di fatto il Looss (2, p. 644) che, per le rassomiglianze di entrambi con il D. dè vergens Looss e D. Planci St0s8ss, esprime l’opinione che anch'essi possano incorporarsi nel n. genere Orophocotyle da lui creato per i due suddetti distomi (forma tipica O. planci). | =D ronea osservazione e le fisure non molto curate: dalle quali, pertanto, conoscendo la organizzazione di C. setifera per esame di largo materiale, si rilevano le caralte- ristiche di questa Cercaria, come la struttura del tegumento, l’aspetto e disposizione delle macchie anteriori, il comportamento della coda, |’ anatomica disposizione dell’ apparato dige- rente, e la caratteristica vescicola terminale del sistema escretore contenente le grandi sfe- rule rifrangenti. Caratteristiche tutte che hanno certamente indotto il Chun a riferire a questa Cercaria del Graeffe Ja Cercaria pelagica del Golfo di Napoli: fatto che, a mio avviso, è un argomento ancora a conforto dell’asserita iden- ticità delle due forme (C. Thaumantiatis= C. setifera). L’Odhner (2, p. 115, fig. 8) descrivendo il Lecithostaphylus retroflexus Molin scrive: «Die hierher geh6rende Larvenform erkennt man auf den ersten Bliek in der von Graeffe (1858, S. 47, T. X) beschreibenen borstensehwanztra - genden Cercaria thaumantiatis aus der Schei- ‘in er } 5 ; Fig.5.—Riproduzione rimpiccolita del- be einer Hydromeduse dei Gattung Eucope (Niz- A RO NT REA za) ». Non so rendermi conto come l’Odhner (fig. 10, 11). abbia così recisamente affermato questo rife- rimento: basta difatti esaminare la sua fig. 8, che rappresenta il Lecithostaphylus retroflezus Molin di Belone acus per convincersi che questo distoma nessun carat- tere manifestata della C. (haumantiatis (la pelle non presenta armatura cutanea di aculei; manca il lubo prefaringeo, le braccia intestinali sono più brevi, manca la ca- ratteristica vescica escretoria). È pur vero, però, che lo stesso Odhner (3, p. 529) si rimangia, molto diplomaticamente, questo precipitato (voreilig) giudizio scri- vendo «ich halte diesem Identitàt fur recht warscheinlich, auf die sehr primitive Figur von Graeffe kann doch nicht mehr als ein Vermulhung gebaut werden » : il che è ben lungi dall’apodittica affermazione sopra riportata. Ma le figure del Graeffe (qui riprodotte) non sono poi così primitive — come l'Odhner, a sua giustifica, le definisce — per appoggiare l’erroneo suo riferimento; perchè esse, per chi con mo- desto criterio di esame obbiettivo le esamina, sono sufficienti a provare, come ho sostenuto fin dal 1888 (l’Odhner lo ignorava forse), che la C. Thaumantiatis di Graeffe si identifica con la C. setifera del Miller. b) Il Distomum hippopodii Vogt, 1853 (pag. 91-98, tav. 15, fig. 13) trovato dal Vogt nei peduncoli dei gastrozoidi deli’ ZZippopodius luteus Quoy et Gaymard a Nizza; perchè così dalla descrizione, per quanto sommaria, come dalle figure al- quanto primitive (qui riprodotte, F/g. 6.), si può, dalla presenza della grande vescicola eseretoria ripiena delle sferule rifrangenti, che è un carattere saliente della C. setifera, con tutta probabilità di certezza, ritenere che questo distoma del Vogt sia proprio la C. setifera. 90 c) Quella forma giovanile di distoma sconosciuto del quale parla il Leuckart 1886 (p. 88 nota), da lui trovato incapsulato nella massa del corpo (in der Leib- shohle) della Phy/rhòe bucephala, come ho fatto già osservare (4, p. 195): e ciò, oltrecchè per l’ analogia di rinvenimento da parte mia della C. setifera sulle Phyl- lirhòe del Golfo di Napoli, anche per quello che posso dedurre da quanto scrive it Leuckart. Questi, difatti, la descrive « mit machtig entwickeltem Pharynx zigehérig, der bis zum Darm schevkeln reicht (osservazione evidentemente inesatta circa l’'e- stensione del faringe che per PA. fa tutt'uno col prefaringe), zwei Augenflecke von so betrachtlicher Grosse ecc. ». Fig. 6.— Riproduzione conforme della Fig. 7.— Riproduzione conforme della figura del Vogt del Distomum hip- figura del Distoma della Carinaria popodii. di Delle Chiaie. d) Il Distoma della Carinaria descritto e figurato da Delle Chiaie 1841 (p. 139, tav. 109, fig. 20), trovato nella Carinaria mediterranea, nella Pterotrachea sp. e nella Cassiopea borbonica (= Cotylorhyza tubercolata) del Golfo di Napoli. La descrizione di Delle Chiaie è molto primitiva ed incerta; ma nella tigura qui ri- prodotta (Fig. 7.) si riconosce facilmente la Cercaria setifera in uno degli aspetti che assume — da me appunto rappresentato nella fig. 3 — come si può constatare compa- rando la figura di Delle Chiaie con la mia. Va pure ricordato, per analogia di rin- venimento, che anche io ho trovata la C. setifera nei suddetti animali elencati da -Delle Chiaje. e) La Cercaria « with Caudal Setae » descritta dal Fewkes (p. 134, figura), da quanto credo poter dedurre dall’esame comparativo della descrizione e della figura data dal Fewkes nella quale campeggia la grande vescicola del sistema escretore della Cercaria selifera. f) Il Distomum physophorae Philippi 1843 (p. 66, tav. 5, fig. 11) della P. tetrasticha; perchè dalla figura, più che dalla brevissima ed insufficiente descrizione parmi si possa desumere che questa forma rappresenti la C. setifera del Mùller in uno degli aspetti che questa assume, esaminata s’ intende a piccolo ingrandimento *). 9g) Il Distomum ed il Monostomum — che come ho dimostrato (3, pag. 124, nota 2) è poi un Distoma — descritti da Leuckart e Pagenstecher (p. 591, ') Il Philippi ricorda pure un altro distoma da lui rinvenuto .molto frequente nello sto- maco di Velella spirans (p. 66-67, tav. 5, fig. 12): ma dalla descrizione e dalla figura sono indotto a concludere che si tratti di forma differente dalla (€. setifera Miller e sarei, invece, quasi per avanzare il dubbio che, detto distoma, potesse riferirsi all’ Acc. (= Orophocotyle) calyptrocotyle Montie. per l’aspetto generale e per la ventosa ventrale. SIGLE tav. 21, fig. 8-9) per averli rinvenuti ad Helgoland nella Sagitta germanica (S. bi- punctata Quoy et Gaymard, secondo Grassi: I. Chetognati); perchè, data pure la primitività del disegno, parmi si abbiano sufficienti dati per identificare le dette due forme con la C. setifera. Tantoppiù che questi A. scrivono di avere uno di essi 0s- servato delle forme, simili a quelle da loro descritte, negli Eteropodi, Salpe ed Acalefi del mediterraneo, che evidentemente non possono essere altro che la comunissima Cercaria pelagica del Mediterraneo: la C. setifera '). Ma se da un canto un certo numero di forme sono da riferirsi, come risulta da quanto sopra, alla C. setifera, dall’altro ve ne sono di quelle, da questa differenti, che devono distrarsi dalla sinonimia della detta Cercaria. Nella mia nota preliminare ho dimostrato infatti (1, p. 194) che la C. setifera Villot (1875), proveniente da sporocisti trovate nella Scrobicularia tenuis dal Villot (pag. 33, tav. 10, fig. 1-8), è una forma diversa dalla C. setifera del Muller, come allora ho intesa la sino- nimia di questa Cercaria (Cercaria di Marsiglia = C. elegans + Cercaria di Trieste = C. setifera, come è detto innanzi); tantoppiù che lo stesso Villot, mentre riferisce la sua Cercaria alla C. setifera Miller secondo La Valette St. George (fig. Il), scrive: « Je serais lenté de croire que la C. elegans Miller (La Valette, fis. III) n’est qu’un C. setifera ayant perdu la grand partie de ses soies). Proposi perciò, con- seguentemente, che la Cercaria del Villot portasse altro nome: quello di C. Villoti: nome accolto e riprodotto nei trattati. Difatti, comparando la C. Villoti con la C. se- tifera (come lho identificata in questo scritto) in base alle descrizioni ed ai disegni del Villot e mici, le differenze risultano evidenti: per ricordarne solo alcune no- terò l’assenza di macchie pigmentarie, la mancanza della grande vescicola escre- toria — molto diverso essendo il comportamento del sistema escretore °) — e la diffe- rente organizzazione dell'apparato digerente nella C. ViZloti. Ancora si distingue questa Cercaria del Villot dalla setifera per la sua origine da Sporocisti. Recentemente il Pelsener (1906) ha rinvenuto nella Syndosmia alba a Boulogne (p. 164, tav. 8, fig. 5-6) una Cercaria proveniente da Sporocisti che egli riferisce alla C. setifera di Muller (secondo La Valette, fig. Il) trovata «libre en mer, à Trieste, Miller ». Secondo il Pelsener, da una comparazione che egli istituisce con la C. Villoti Montlie. (=C. setifera Villot) egli « doute donc qu? il n°y ail pas identité » fra le due Cercarie, quella da lui descritta e quella studiata dal Villot. Evidentemente, consul- tando la descrizione e comparando le figure del Pelsener, nulla vi è di comune fra la Cercaria da questo A. riferita alla C. setifera e la vera C. setifera, come risulta dalla descrizione che di questa ho dato nelle precedenti pagine. Come, d’altra parte, la Cercaria di Pelsener è differente da quella del Villot per molti caratteri: ricordo ‘) Con le suddette forme di Distomi non hanno nulla di comune quelle trovate dal Bush nelle Sagitta (S. cephaloptera) a Trieste. Una di queste, da lui riferita al D. Beroes Will (p. 99), è perciò un Apoblema (v. innanzi a p. 23-24 ed il mio lavoro 3, p. 123); l’altra, D. fimbriatum (p. 99, tav. 15, fig. 12), non è possibile di ben identificare; la terza D, crassicandatum (p. 99, tav. 15, fig. 13) è con molta probabilità anch’essa un Apoblema. *) Ricordando che, in ogni caso, è erronea l'osservazione del Villot che la vescicola escretoria si prolunghi nella coda. ATT — Vol. XV — Serie 2a — N. 11. na — 34 — Z ad esempio la disposizione dell’apparato escretore, la presenza di glandole (cisto- gene ?) anteriori, disegnate (fig. 5) ma non illustrate dall’A. Cosicchè a mio avviso la Cercaria della Syndosmia, descritta dal Pelsener, dovrebbe rappresentare il tipo di una forma diversa e distinta oltrecchè dalla C. setifera Joh. Mùller (La Val- lette fig. III-IV), anche dalla €. Villoti che proporrei di indicare col nome. di | C. Pelseneri. e. è 1 Non mi consta di riferimenti ulteriori, a quelli innanzi citati, o da ritenersi come tali — in conseguenza di questo mio scrilto — di Cercarie marine con coda fornita di setole, e da questa diverse, alla C. selifera di Joh. Miller (quella trovata a Marsiglia) quale è stata da me identificata. Che se per avventura vi fossero delle forme sfuggitemi nello spoglio della letteratura delle Cercarie marine, non sarà dif-_ ficile, allo stato, per i dati che fornisco con la presente memoria, di procedere ad | una identificazione di tali forme con la C. setifera, 0, per contro, alla distrazione delle medesime dalla sinonimia di questa Cercaria. Mi tocca ora di esaminare la questione innanzi posta se, cioè, la Cercaria di Trieste del Muller è la stessa cosa della Cercaria di Marsiglia: differenza che non avevo ammessa nel 1888 ritenendo, come ho ricordato innanzi, che le due forme rappresentassero entrambe un’unica e sola specie: la C. setifera Joh. Muller. Su questa conclusione m’ induce ora a ritornare, per ulteriore disamina, lo studio più particolareggiato che sono venuto facendo e la migliore identificazione, che la esposizione della storia di queste Cercarie del Muller, quì riassunta, mi ha permesso della tipica Cercaria selifera del Miller quale essa risulta individuata nel suo aspelto, organizzazione e biogenesi. Da tale studio, difatti, sono condotto a concludere che, mentre il Miller 1850, p. 497, riferiva alla Cercaria setifera di Mar- siglia anche quella da lui ritrovata a Trieste, negli schizzi di questa ultima, dise- gnandone l’ anatomia interna a più forte ingrandimento (ciò che non fa per quella di Marsiglia), mette in rilievo delle caratteristiche che rivelano differente la Cercaria di Trieste da quella di Marsiglia. Tali differenze come esse mi risultano dallo studio di questa forma, in base alle identificazioni della Cercaria pelagica del Golfo di Napoli — con la Cercaria selifera, diremo vera e propria di Joh. Muller, giustificano la diffe- renza riconosciuta dal La Valette St. George fra le due Cercarie di Marsiglia e di Trieste errando solo nell’invertire l’attribuzione dei nomi del Miller, come ho cercato di provare da quanto innanzi è detto. Perché, considerando il disegno della | Cercaria di Trieste, dato da La Valette St. George (fig. II), comparativamente — con quelli della organizzazione di C. setifera quale risulta dalle mie indagini, emer- gono alcune differenze che mi sembrano sufficienti a distinguere la Cercaria di Trieste da quella di Marsiglia: differenze che ‘acquistano maggior valore anche pel fatto che, le maggiori conoscenze che ora si possiedono sulle Cercarie marine, hanno dimostrato come vi possono essere più forme di Cercarie con setole alla coda (per es. _ C. Villoti, C. myocercoides, C. pectinata Pels.), ma che presentano organizzazione diversa dalla C. selifera di Miller; la forma, pel passato, più nota fra le Cercarie, che i | ) == presentava tale carattere; alla quale perciò si era proclivi a riferir quelle con la coda for- nita nello stesso modo di setole. Secondo il disegno (fig. II) riprodotto da La Valette St. George, che non è poi cosi sommario come vorrebbe il Pelsener (il quale non so sopra di che fondi il suo sospetto che cioè « lube digestif et organe excreteur ont elé confondus en unseul appareil ») si rileva, difatti: a) che mancano le macchie pigmen- - tarie anteriori, la cui assenza anche in altre Cercarie codate con setole (p. e. C. pectinata Pels.) escludono il dubbio che m’era sorto, che queste fossero state possibilmente dimenticate nel disegno di Miller, o ad arte soppresse per mettere in evidenza la organizzazione interna; d) che il comportamento del tubo digerente è diverso, perchè nou risulta la presenza del tubo prefaringeo di C. setifera — nè potrebbe ritenersi questo fatto dovuto alla contrazione del corpo, che avrebbe determinato il ravvici- namento del faringe alla ventosa boccale — e sembra anche diverso l’aspetto che presentano le braccia intestinali; c) |’ assenza della grande vescicola escretoria della Cercaria selifera, che non poteva sfuggire alla osservazione e che pur manca in altre Cercarie marine con setole alla coda, nelle quali tale vescicola si comporta, invece, di- versamente, come si rileva dalle figure che ne hanno date gli studiosi di queste Cercarie: a meno che il Miller avesse a bello studio omesso di disegnarla, cosa poco probabile ad ammettersi. Ad ogni modo pur non potendo giudicare di questa Cercaria di Trieste, indicata solamente dal Miller, da altro elemento che da come essa è stata disegnata dal Muller senza alcuna illustrazione o dichiarazione scritta che l’accompagni, credo che si possa, in base a questo solo dato, per le progredite co- noscenze delta organizzazione di allre Cercarie marine a coda setoluta, ritenere che questa Cercaria di Trieste rappresenti una forma diversa dalla vera C. setifera Miller in questo scritto illustrata: forma che, per distinguerla, ad evitare ulteriori equivoci di nomenclatura, confusioni di specie, o scambi di denominazione, proporrei di di- stinguere con un nuovo nome, che potrebbe essere quello di C. Mileri '). Ciò posto possono forse identificarsi con questa Cercaria Milleri la Cercaria” Villoti e la Cercaria Pelseneri, riferite entrambe dai rispettivi due Autori alla forma di Cercaria trovata da Muller a Trieste (C. Mulleri)? Da quanto ho innanzi detto per ciascuna di queste due Cercarie nei loro rap- porti reciproci, e per quanto risulta dalla comparazione della C. Villott con la figura riprodotta dal La Valette della €. M/leri, mantengo per questa Cercaria la mia precedente conclusione, che ora estendo, per conseguenza, anche alla C. Pel- seneri. Esse sono forme distinte così dalla C. setifera, come dalla C. Milleri e vanno ad ingrossare con la C. myocercoides Pels. e la €. pectinata Pels. il numero delle Cercarie marine a coda fornita da appendici (setole). L’Odhner (2, pag. 108) mette innanzi la congettura (Vermuthung) che « die von Joh. Muller bei Trieste gefischte freischwimmende Cercaria selifera, wovon La Va- lette (1855, Tab. 11, fig. II) eine Abbildung ohne Beschreibung veròffentlicht hat auf Proctaeces maculatus Looss zu beziebn ist », ed espone le considerazioni che 1) La sinonimia di questa Cercaria risulterebbe quindi la seguente: C. Mi/leri Monticelli (n. nov.)= C. di Trieste di Joh. Miiller 1850, p. 497=C. setifera Joh. Miiller secondo La Va- lette St. George, p. 38, tav. 2, fig. II=C. (Gymnocercaria) setifera Diesing, 2, 1855, p. 250 = C. setifera Monticelli, 1888, p. 193, 195 = C. setifera Braun 1913. — 36 — conforlano tale sua congettura. Poiehè nel detto lavoro dell’Odhner non è raffi- gurata la specie del Looss, ho voluto consultare la memoria originale (4, p. 402, fir.3, Distoma maculatum n. sp.) per rendermi conto del suddetto riferimento. Per vero dalla comparazione della figura della C. Mulleri (setifera La Valette fig. 9a con l’immagine data dal Looss del D. maculatum, non so rendermi conto della | surriferita congettura del’Odhner; non foss’altro, per non dire di tutto l’ insieme dell’aspetto e della organizzazione, pel fatto del grande sviluppo della ventosa po- steriore quasi il doppio dell’anteriore che non trova riscontro nella ventosa poste- riore di C. M&lleri, nella quale, da quanto si ricava dal disegno riportato da La Valette — che rappresenta, allo stato, il solo elemento di giudizio — le due ven- tose sono uguali. Son certo che anche per questo riferimento, che parmi non meno corrivo dell’altro. riguardante la C. Thaumantiatis, l)'Odhner sarà per ricredersi in altra occasione. Per quanto si abbia larga conoscenza di forme è consigliabile essere molto cauti nel riferimento a Distomi delle Cercarie, delle quali solo da poco si è intrapreso di proposito una particolareggiata illustrazione (v. ad es. gli studii di Pelsener, Labour ecc) che possa permettere di meglio identificarle. In una nota (16) a piè di pagina della sopra ricordata opera (2) lo stesso Odh ner, a proposito della da lui citata C. selifera Miller di Trieste (che è poi come si vede la C. Màlleri come ora va distinta), riassumendone sommariamente la storia, scrive: « Von spàteren Verfasseren (Claparéde 1863, Villot 1879, Monticelli 1888) ist dieser name dann fiir eine andere borstens sehwanzhagende Cercarie verwendet worden » e spiega perchè queste Cercarie si distinguono dalla €. setifera (= 0. Miillerî) di Miller. In questa osservazione, in effetti, le cose innanzi dette gli danno. in parte ragione: perché, se si eccettua la Cercaria di Claparède che, come si è — visto, entra nei sinonimi di C. setifera Miller, tanto la Cercaria da me nel 1888 riferita alla Cercaria di Trieste del Miller (C. setifera= C. Mulleri,—per averla iden- ‘tificata con quella di Marsiglia (la C. setifera di Joh. Muller propriamente detla)_— quanto quella del Villot sono forme diverse dalla C. M&Weri: pertanto l Odhner poteva ricordare che, quanto alla Cercaria del Villot, la differenza di questa dalla forma di Miller era stata già da tempo da me dimostrata. de E, — MT pr Da quanto sono venuto esponendo risulta che la sinonimia della Cercaria se- tifera di Joh. Miller, come l’ho identificata per le ragioni esposte nelle precedenti pagine, può comporsi nel modo seguente ‘) : Cercaria setifera Joh. Miller 1850 ?) (La Valette St. George, tav. 2, fig. III-IV) 1841. Distoma Carinariae Delle Chiaie, p. 139, tav. 109, fig. 20. 1843. Distomum Physophorae Philippi, p. 66, tav. 5, fig. 11. 1850. Cercaria con setole (setifera?) Joh. Miller, 1850, p. 496. 1850. Distomum geniculatum Diesing, I, p. 373. 1853. Distomum hippopodii Vogt, p. 97, tav. 15, fig. 3. 1855. Cercaria elegans (Joh. Miller) De La Valette St. George, p. 38, tav. 2, fig. 3-4. 1855. Cercaria echinocerca De Filippi, 4, p. 483 (Estratto p. 17), fig. 19-20. 1855. Histrionella echinocerca Diesing, 2, 267. 1855. Histrionella elegans Diesing, 2, p. 269. 1857. Cercaria? coni-mediterranei De Filippi, 2, p. 212 (Estratto p. 14), fig. 21. 1858. Cercaria Thaumantiatis Griffe, p. 49, tav. 10, fig. 10-11. 1858. Cercariarum coniì-mediterranei Diesing, 3, p. 282. 1858. Distoma (della Sagitta) Leuckart-Pagenstecker, p. 599, tav. 21, fig. 9. 1858. Monostoma (della Sagitta) Leuckart-Pagenstecker, p. 599, tav. 21, fig. 8. 1863, Cercaria setifera (Joh. Miller, secondo La Valette St. George) Claparède, p. 12. 1864. Macrourochaeta acalepharum Costa, p. 86. 1873. Cercaria echinocerca Lankester, p. 95. 1880. Cercaria Thaumantiatis (Gràffe) Chun, p. 243, fig. 133. 1882. Cercaria (with Caudal Setae) Fewkes, p. 134, con figura. 1885. Distomum carinariae Carus, p. 133. 1885. Cercaria elegans Carus, p. 133. 1) Fissata così, come ora risulta, la sinonimia della Cercaria setifera, ad evitare equivoci d’inter- petrazione nel riferimento, alla detta Cercaria, di altre forme larvali o giovanili di Distomidi trovate su animali pelagici, e che appartengono invece ad altre specie o rappresentano forme distinte, ricor- derò che: a) Il Distoma beròes Will 1844 (pag. 12) della Berde rufescens (= Berde forskalii secondo Chun)= Distoma papillosum Diesing (4, p. 381), come ho innanzi detto (v. p. 23-24), è una forma giovane di Distoma appendicolato (Apoblema). bd) Il Distoma Velellae Philippi 1843 (p. 66, tav. 5, fig. 12) della Velella = D. megacotyle Diesing (4, p. 379); il Distoma Rhizophysae Studer della Rhizophysa conifera (p. 12, tav. 1, fig. 7), ed il Distoma pelagiae Kolliker 1849 (p. 53, tav. 2, fig. 5-6) =D. Pelagiae Diesing (1, p. 395)= D. kollikerii Cobbold (p. 30), come ho dimostrato (3, p. 123), corrispondono all’Ac- cacoelium calyptrocotyle Monticelli; e se non proprio tutte le dette forme a questa specie, certo esse appartengono al genere Accacoelium. Difatti secondo Odhner (3, p. 525, nota 22) il Distoma Rhizo- Physae Studer, in base alle sue indagini, sarebbe la forma immatura di Acc. macrocotyle Diesing. c) Il Distoma Cesti-veneris Vogt (1 Bd. pag. 299, citato dal Linstow, p. 333) come ho già espresso il dubbio (3, p. 124, nota 2), può, forse, anch'esso riferirsi all’Acc. calyptrocotyle; col quale dovrebbe, forse, anche identificarsi il Distoma della Velella di Philippi (come ho accennato a p. 32). ?) Per una strana coincidenza di nome specifico e di omonimia del descrittore, che voglio qui ricordare per notizia storica, esiste nella letteratura una C. setifera O. Fr. Miller 1786, che questo autore descrive a pag. 27 e raffigura nelle fig. 14-16, tav. 19 della sua opera (Animalcula infusoria ecc.). Evidentemente non si tratta di una Cercaria, ma di un Protozoo che non mi è riuscito di identificare. Nell’ Ehrenberg (Die Infusionthierchen ecc.) non trovo fatto cenno di questa forma fra tutte le Specie del O. Fr. Miiller che egli riporta; sia da riferirsi ai Protozoi, che da escludersi da questi. 1885. Cercaria (Histrionella) echinocerca Carus, p. 133. 1885. Cercaria Thaumantiatis Carus, p. 133. 1885. Cercaria (delle Redie in Cono-mediterraneo De Filippi) Carus, p. 134. 1886. Distoma sp. (della Phyllirhéòe) Leuckart, p. 88. 1888. Histrionella setosicaudata Daday, p. 84, tav. 3, fig. 11, 13. 1885-93. Cercaria setifera Monticelli, 4, p. 195; 2, p. 78-80; 3, p. 1 nota, p. 122-125. 1898. Cercaria elegans Braun, p. 831. Questo elenco cronologico delle varie forme di Cercarie marine, con coda for- nita di setole, liberamente nuotanti (pelagiche), come di quelle, con o senza coda, 9 ospiti di animali pelagici, ed ancora delle forme giovanili di distomidi, o ritenute per tali dagli A. che le hanno rivvenute su animali pelagici, da riferirsi ed iden- tificarsi — per le ragioni esposte in questo studio — alla €. setifera di Joh. Muller, come questa dalle presenti ricerche deve essere intesa edindividuata, non rappresenta una vera e propria enumerazione sinonimica dal punto di vista della sistematica agli effetti della legge di priorità del pome che, per le identificazioni fatte, spetterebbe alla Cercaria marina di Joh. Miller. L’elenco suddetto, non va, quindi, diversamente inteso che come un indice, per ordine di data di ritrovamento e di de- scrizione, di tutte le forme note, prima e dopo la individualizzazione della Cercaria setifera, fatta da Joh. Muller, che .a questa si possono riferire e con essa identi- ficare: ciò allo scopo di comporre una lista di tutte le dette forme che attualmente registra la sistematica dei distomidi, Che se pure alcune delle identificazioni di cui sopra, per la incompleta illustrazione delle forme in esame da parte degli A. (spe- cialmente antichi), possono sembrare non del tutto pienamente giustificate, vagliando questa condizione stessa di cose, in rapporto al fatto che dette forme non sono state più ritrovate appunto per la insufficienza medesima del modo di riconoscerle — co- sicchè la loro identificazione riesce assai difficile, se non del tutto impossibile —, a me pare che le rassomiglianze, anche talvolta superficiali ed incerte, che queste forme lasciano riconoscere od intravedere con la C. setifera (la meglio nola di tutte), sieno elemento sufficiente a permettere, confortandola, la identificazione con la detta Cercaria; tenuto pur conto del vantaggio, che dalla loro eliminazione può derivare alla sistematica, della quale continuerebbero sempre a costituire una ingombrante zavorra. Dal passo innanzi citato di Joh. Mùller (v. p. 28), si rileva come questi, nel de- scrivere la Cercaria liberamente nuotante da lui trovata nelle acque di Marsiglia, ricor- resse con la mente ad un altro, analogo, assai antico, precedente rinvenimento di una Cercaria caudata liberamente nuotante nel mare (in Danimarca), dovuto ad O. Fr. Muller; ricordando, egli, appunto, come fa, la Cercaria inquieta da questo A. trovata «in aqua marina semel et unicum eremplar» e descritta e figurata nel 1786 nella sua opera « Animalcula Infusoria ecc. » a pag. 121, tav. 18, fig. 3-7. Ciò mi ha fatto nascere il dubbio ed il sospetto che il Joh. Muller avesse potuto pensare, rievo- cando la delta Cercaria inquieta, non solo alla analogia del caso, ma fors’anco ad una possibilità di corrispondenza delle due forme di Cercaria; tantoppiù che egli non si ferma a rilevare le differenze della sua Cercaria con coda fornita di setole da quella Pest pia di O. Fr. Miller, nè distingue, individualizzandola con un nome proprio, come innanzi ho messo in rilievo, la sua Cercaria di Marsiglia (ciò che ha fatto poi La Valette). Ho voluto, perciò, rendermi conto de visu della possibilità, o meno, del dubbio sortomi ed ho consultata Ja descrizione ed esaminate le figure della C. inquieta di O. Fr. Muller. Per vero se non fosse l’assenza di appendici alla coda (setole) che non si riconoscono nelle figure dale da questo A., e non sembra verosimile sieno esse per avventura sfuggite all’osservazione del Miller, questa Cercaria nel suo in- sieme per la forma del corpo e per le macchie oculari ricorda molto (nelle fig. 6-7), a prima giunta, la Cercaria setifera, come questa si presenta a piccolo ingrandi- mento. E debbo ancora dire che le fig. 3-4, che evidentemente rappresentano la C. inquieta nell’atto di nuotare, mi hanno forte colpito per la completa rassomiglianza che in esse ho riconosciuto con quanto ho osservato nella €. setifera circa il modo come questa si comporta nei movimenti del nuoto; ciò che la breve ed incisiva de- serizione di O. Fr. Muller dei cambiamenti di forma del corpo e dell’agitarsi della coda in moto di C. inquieta mi ha confermato. Questa Cercaria inquieta di O. Fr. Muller, che io mi sappia, e per quanto a conferma rilevo da particolari indici bibliografici (Stiles- Hassal, p. 128) non è stata più da altri rinvenuta, nè meglio identificata e descritta da Autori posteriori. Diesing (1, p. 300) enumera la detta Cercaria fra le specie inquirende del genere Histrionella Bory (1823) — erroneamente attribuendo al Bory de St. Vincent la specie:(Z. inquieta Bory), che, invece, va rivendicata nel suo nome specifico ad O. Fr. Muller — riportando in sinonimia notizia degli A. che avevano ricordata nelle loro opere la C. inquieta di O. Fr. Miùller. Lo stesso Diesing registra ancora questa Cercaria così nella Revisione delie Cercarie, come nel Supplemento di questa (3, p. 268), fra le formae minus cognitae del genere Zistrionella: e talora col nome di C. in- quieta, tal aitra con quel di 77. inquieta tale Cercaria è stata, in seguito, ricordata, o citata dagli Autori posteriori al Diesing. Come si vede, di questa Cercaria non si ha perciò altra conoscenza che da quanto si ricava dalla descrizione e dalle figure originali di O. Fr. Miller: le quali, come ho accennato, se non confermano il dubbio, certo non escludono del lutto il sospetto (infirmato validamente solo dall'assenza di appendici, o setole alla coda) che la Cercaria inquieta di O. Fr. Miller possa essere unum et idem con la Cercaria trovata a Marsiglia da Joh. Miller (C. set/fera); e ciò per le grandi rassomiglianze sopra notate, che difatti non sfuggirono a quest’ A., come si legge fra le linee del suo scrilto. La C. inquieta, evidentemente, è una di quelle forme che ingombrano la sistematica, e che sarà molto difficile se non del lutto impossibile di identificare, finchè il caso, mon presenlatosi finora, non farà ritrovare una Cercaria marina liberamente nuo- tante che corrisponda in tutto e senza lasciar dubbio di allre rassomiglizuze alla descrizione ed alle figure di O. Fr. Miller. Ma ciò non è facile per la semplicità, del resto conforme al tempo, della succinta illustrazione di questa Cercaria che non eselude del tutto il dubbio possa essere incompleta, come innanzi accennavo, nella osservazione mancata di appendici alla coda; che è poi il solo caraltere che può lasciar dubbio sulla possibile identificazione di C. inquieta con C. setifera, 0 meglio, inversa- mente, di questa con quella in ordine di precedenza per la priorità del nome specifico. VR Ato Tar: (ISTE a es paia PL — » x 3 Di (A Le, n È; De, Te IPS x RE » E - Pest TEA Allo stato, dunque, resta pur troppo, per la epurazione della sisionnotica Cercarie, una questione ancora aperta: se, cioè, la C. inguieta di 0. Fr. Miller sia forma propria e distinta dalle altre, o per avventura, sia, invece, da identificarsi c altre; ed in questo caso presumibilmente, per quanto ho detto, con la Cercaria Marsiglia di Job. Mùller (C. setifera, 1850) che passerebbe, per ie sinonima di C. inquieta O. Fr. Miller (1786). Napoli, Istituto Zoologico, R. Università. ingl® 00 fà x i Aa SIAE Me EI OPERE CONSULTATE 0. Andrè J., Zur Kenntniss des Nervensystems und der Augen von Polystomun inte- gerrimum: Zeit. Wiss. Z. 95 Bd. p. 191, con figure. 98. Braun M., Vermes. Abtheitung Trematoda; Bronn’s Klassen u. Ordnungen d. Tierreich., 4 Bd. Leipzig. ;usch W., Beobachtungen ‘ber Anatomie und Entwicklung einiger wirbettosen — Seethiere: Berlin. 6. | Butschli O., Untersuchungen ber freilebenden Nematoden und die Gattung TRASI Zeit. Wiss. Z. 26 Bd. p. 363, Taf. 23-26. arusJ. V., Prodromus Faunae Mediterraneae : Vol. I, Stuttgart. un U., Die Ctenophoren des Golfes von Neapet: Fauna u. Flora d. Golfes Neapel, Cat: STA Leipzig (Parasiten, p. 243). goa glap arède E., Beobachtungen rber Anatomie una Entwicklungsgeschichte Wir- | belloser Thiere an der Kiste von Normandie angesteltt: Leipzig, 1863. 59. Cobbold T. S., Synopsiîs of Distomidae: Journ. Linn. Soc. Vol. 13, p. 1, Plt. 10 di (estratto). Cc sta A., Di alcuni crostacei degli Acalefi e di un Distomideo parassita: Rend. Accad. Sc. Napoli, Anno 3, p. 86. . Daday E., Eine neue Cercaria-form aus dem Golf von Neapel: Természetrajzi Su Hicoisk, Magyar Nemzeti Museum, Vol. 11, N. 2, p. 84, Taf. 3. elle Chiaie S., Descrizione e Notomia degli animati invertebrati della Sicilia citeriore : Tomo 3, Napoli. a de en F., 1. Deuxiéine méemoire pour servir 4 V histoire génétique des Tré- i pe ilodì: Accad. Sc. Torino (2) Tomo 16, p. 419, 2 Tav. (Estratto, 26 pp. mecartav.) *). 7. — 2 Troisieme mémoire pour servir à l histoire genétique des Trématodes: Mem. Accad. Sc. Torino (2) Tomo 18, p. 201, 3 tav. (Estratto, 26 pp., 2 tav.). sing. C. M., A. Systema Hetminthwvn: Vindobonae, Vol. I. — 2. Revision der Cercarie: Sitzungsb. Akad. Wien, 15 Bd. p. 239. n= Fo Berichltigungen und Zustitze zur Revision der Cercarien: aa Akad. | Wien, 31 Bd. p. 269. È ala 4 Revision der Mhyzhetminthen-Abtheilung Trematoden: Sitzungsb. Akad. Vien, 32 Bd. p. 307, 2 Taf. Tata und Verbesserungen zur Revision der Myzhelminthen : Sitzungsb. ad. Wien, 35 Bd. p. 421. $ #A W., A Cercaria with Caudat Setae: Amer. Journ. Sc. (3) Vol. 23, p. 134, 1858. 1878. 1898. 1899. 1909. 1901. 1902. 1888. 1398. 1893. 1850. 1786. 1905. 1911. 1911. 1906. 1843. 1909. 1906. 1906. 1885. 1904. . Graeffe E., Beobachtungen iber Radiaten und Wirmer in Nizza: Denk. Schweiz. J . Kolliker A., Ziwvei neue Distomen: Distoma pelagiae «nd D. Okenii: Bericht. Z. . La Valette St. George A., Symbote ad Trematodum evolutionis nistoriam: . Lankster E. Ray, Summary of Zoologicats observations made at Naples in the . Lebour Marie V., A review of the british Marine Cercarie : 7 Vol. 4, . Leuckart R., Die Parasiten des Menschen: Zweite Aufiag. 2 Bd. (Trematoden), ubre Natur. Ges. Zurich, 17 Bd. (Estratto, 59 pp., 10 Taf.). Zool. Anst Wurzburg, 1847-48, p. 52, Taf. 2, fig. 5-6. Berolini. winter 1871-72: Ann. Mag. Nat. Hist. (4) Vol. 11, p. 81. NS di DIsdl5; Pit. 25-29. 8 Lief. Leipzig. Leuckart R.— Pagenstecher A., Untersuchungen uber niedere Seethiere: Muller’s Arch. Anat. Phys., p. 558, Taf. 18-23. Linstow O., Compendium der Helminthotogie: Hannover. Linton Ed., Notes on Trematode parasites of Fishes: Proc. U. S. Nat. Museum, Vol. 20, p. 507, Plt. 40-54. Lo Bianco S., 4. Notizie biologiche riguardanti specialmente il periodo di matu- rità sessuale degli animali det Golfo di Napoti: Mitth. Z. Stat. Neapel, 13 Bd. p. 448. — 2. Idem: Ibid., 19 Bd. p. 513. Looss A., 41. Veber einiger Distomen der Labriden des Triester Hafens: Centralbl. Bakt. Parasit. Orig. 29 Bd., p. 398. — 2. Zur Kenniniss der Trematodenfauna des Triester Hafens. — I. Ueber die Gattung Orophocotyle x. g.: Centralbl. Bakt. Parasit. Orig. 81 Bd. p. 637, 4 fig. Monticelli Fr. Sav., 1. Sua Cercaria setifera Muzler—Breve nota pretimina- re: Boll. Soc. Nat. Napoli, Vol. 2, p. 193. iN — 2. Saggio di una Morfologia dei Trematodi. Tesi di privata docenza: NaEO E, Stamperia FIl. Ferrante. i — 3. S/tudii su î Trematodi endoparassiti.— Primo contributo di osservazioni sui Distomidi: Z. Jahrb. Suppl. 3., 230 pp., 8 Tav. Muller Jh., Veder cine eigenthumliche Wurmlarve aus der Ciad der Turbellarien und aus der Familie der Planarien: Arch. Anat. Phys. Jahrg. 1850, p. 485. Muller O. Fr., Animalcuta infusoria, fluviatilia et marina, quae detexit, syste- matice descripsit et ad vivum delineari curavit. Opus posth.: Hafniae et Lip- siae, 1786. (V. pure: Journal de l’Institut, 1852, p. 62). Odhner T., 4. Die Trematoden des Arktischen Gonioiese Fauna Artica, 4 Bd., 2 ‘9 Lief. usccori Jena. — 2. Zum naturtichen System der digenen Trematoden III: Z. Anz. 38 Bd., p. 97. — 3. Zum naturlichen System der digenen Trematoden IV.: Z. Anz. 38 Bd., p. 513. Pelsner P., Trematodes parasites des Moltusques marins: Bull. Sc. France Bel- gique, Tome 40, p. 161, Ple. 8-12. Philippi..., Veber den Bau der Physophoren una eine neue Art derselben (Phy- sophora is tossiche Muller’s Arch. Anat. Phys. Jahrg. 1843, p. 58, Taf. 5. Pratt S., The cuticula and subcuticulta of the Trematodes and Cestodes: Amer. Natur., Vol. 43, p. 705. ” Roewer C. Fr., Beitrige zur Histogenese von Cercariaeum helicis: Jena Zeit. Naturwiss. 41 Bd. p. 185, Taf. 14-15. zosbach E., Beilroge zur Anatomie und Entwichlungsgeschichte der Redien:. Zeit. Wiss. Z., 84 Bd. p. 361, Taf. 16-19. Schwarze W., Die postembrionate Entwicktung der Trematoden: Zeit. Wiss. Z.- 43 Bd. p. (41, Taf..3. Sinitzin Th., Veber cinige neue una wenig behkannte Organe der digenetischen Tre> matoden : Z. Anz. 27 Bd., p. 767. : CAR s C.—Hassal A., Index Catatogue of Medical and Veterinary Zootogy. — Tre- maloda and i giloda disease: Hygienic Lab., Bull. N. 37, U. S. A. DICASUTE Department, Washington, 1908. ossich M., Brani di Etmintotogia tergestina : Boll. Soc. Adriatica Sc. Nat. Vol. TO (Estratto 9 pp., Tav. 15-16). Studer T., Ueber Siphonophoren des Tiefen Wasser: Zeit. Wiss. Z., 31 Bd. p. 1, RS TAL 1-3. E A., Trematodes endoparasites marins: Ann. Sc. Nat. (6) Tome 8, 40 pp., EGP. 5-10. l “o C., Recherches sur tes animaux inferieurs de la Méditerranee : I. Memoire.— | Sur les Siphonophores de ta mer de Nice: Mem. Inst. Genevois, Tome 1, 163 PP» ‘Ple. 21. Ocean una Mittelmeer-Reisebriefe : 2 Bd., Frankfurt a/M '). 344 Will 1, , Ueber Distoma berées: Arch. Naturg., 10 Jahr. 1 Bd. p. 343, Taf, 10. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE 1-5 Lettere comune a tutte le figure delle tavole. aculei. attacco della coda. arco dell’intestino. apertura genitale. bocca. braccia intestinali. bulbo terminale del sistema escretore. cervello. coda della Cercaria. anse discendenti dei grossi canali escretori laterali. braccia anteriori » » » » » braccia posteriori » » » » » Cercarie in via di sviluppo. sbocco del tratto impari dei tronchi comuni dei grossi canali escretori nella vescicola terminale. tronchi comuni dei grossi canali escretori. tratto impari dei tronchi comuni dei grossi canali escretori. commessura nervosa. cellule nervose. corpo della Cercaria. capsula pigmentaria del cristallino. cristallino. canalicoli del sistema escretore. ciuffo di setole. deferente. esofago. ectoderma. epitelio di rivestimento della vescicola terminale del sistema escretore. epitelio intestinale. faringe. forame codale. fiamma di ciglia vibratili. — gangli laterali del cervello. i infossamento ectodermico posteriore del corpo in fondo al quale si apre il fo- rame codale. imbuto terminale a fiocco di ciglia vibranti dei canalicoli del sistema escretore. mesenchima. muscoli circolari. 4, — mdv;, muscoli dorso-ventrali. miep, muscoli raggianti dell’infossamento ectodermico posteriore del corpo. ml, muscoli longitudinali. mbe, membrana basale dell’ectoderma. mpa, macchia pigmentaria anteriore. mr, muscoli radiali. n, nuclei. nai, nervi anteriori. nle, nervi laterali anteriori ricorrenti. , nlve, nervi posteriori laterali ventrali esterni. nlvi, nervi » » » interni. ov, ovario. ovd, ovidutto. DÎ, prefaringe. PI, pigmento. sfo, sfintere ovarico. sfr, sferule rifrangenti. sir, sacco intestinale delle Redie, t, testicoli. Va, ventosa anteriore. vise, vescicola terminale del sistema escretore. Vp, ventosa posteriore. i vtig, vitellogeni. Tutte le figure — eccetto le Fig. 1, 6, 8, 33, 36, 39, 44, 50, 53 eseguite a mano libera — sono state ritratte con la camera chiara Abbe: tavolino di disegno all’altezza di quello del Microscopio. Sistemi adoperati: Zeiss e Koristka. Gl’ingrandimenti apposti alle figure sono quelli reali approssimativamente calcolati. TAVOLA 1. I Fig. 1-4. Diversi aspetti, ritratti dal vivo, a luce diretta della Cercaria setifera con e senza coda: questi ultimi (Fig. 2-4) in diverso stato di distensione o contra- zione. del corpo. x 12 circa. - Ng. 5, Mostra una Cercaria setifera ospite di Carmarina hastata racchiusa in una sorta di capsula o cisti: dal vivo, alquanto ingrandita. Fig. 6. Figura d’insieme della Cercaria setifera senza coda, in distensione: ritratta dal vivo col microscopio. x 50. Fig. 7. Figura d’insieme di altro individuo con coda, ma in contrazione: ritratta come la precedente. x 50. In entrambe le figure 6 e 7 si scorge per trasparenza tutta la organizzazione generale della Cercaria setifera nelle sue caratteristiche proprie. Fig. 8. Estremità anteriore di un individuo alquanto schiacchiato: dal vivo. x 200. Fig. 9. Sezione ottica longitudinale del rivestimento cutaneo ritratto a fresco da individuo schiacciato col compressore. >» 600. Fig. 10. Aspetto del rivestimento cutaneo visto di superficie da un preparato a fresco per schiacciamento. »< 600. Fig. ll. Porzione basale di attacco alla coda di un ciuffo delle appendici (setole) codali, 200. Fig. 12. Una setola isolata distaccata dalla base. >< 180. Fig. 13. Ammasso di pigmento delle macchie oculari laterali anteriori che circondano il corpo rifrangente (cristallino): da un preparato a fresco per schiacciamento. Xx 180. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. . 14. Cristallino circondato dalla capsula di pigmento: da un preparato a fresco per i . 15. Figura d'insieme di tutta la organizzazione della Cercaria setifera: da un indi- — g. 16. Un tratto marginale di coda esaminato a fresco, da un preparato per schiaccia- . 17. Estremità posteriore di un individuo preparato in toto, visto dal ventre, che lascia . 18. Una Redzia della Cercaria setifera proveniente da Conus mediterraneus contenente . 28. Altra Redia molto giovane nella quale non si è ancora iniziata la produzione . 24-27. Quattro stadii diversi dello sviluppo di una Cercaria: in essi si segue il modo . 28. Uno stadio più avanzato dei precedenti nello sviluppo della Cercaria nel quale si scorgono già bene appariscenti le ventose e l’apparato digerente nel suo . 29. Una giovane Cercaria setifera al completo nella organizzazione generale e nel- g. 34. Estremità anteriore di altro individuo: da un preparato a fresco. > 120. g. 35. Modo come scoppiano, sotto compressione, le sferule rifrangenti contenute nella . 36-37. Due gruppi di canalicoli terminali ad imbuti cigliati: visti a molto forte inci g. 38-39. Due tratti di uno dei grossi canali del sistema escretore, con ciuffi vibranti g. 40. Un tratto di grosso canale del sistema escretore che presenta un ernia laterale — 46 — schiacciamento. > 395. viduo preparato in toto (colorazione col carminio boracico). x 120. mento, per lasciar vedere come i ciuffi di setole s'impiantano lungo i lati di essa. Si scorge distinta la striatura trasversale della coda, quale sì vede nelle Fig. 7 e 17. x<150. scorgere il modo come la coda si inserisce dorsalmente al corpo della Cerca- ria (colorazione con carminio boracico). x< 120. Cercarie in formazione: ritratta dal vivo da un preparato a fresco. x< 70. 19-22. Diversi aspetti che assume la estremità anteriore delle dette Redie ritratti da preparati a fresco (Fig. 19. >< 70, Fig. 20-22. x 140). delle Cercarie. >< 70. come si va gradualmente disegnando ed individualizzando la coda: figure ri- tratte dal vivo. x< 300 circa. disegno generale: la coda incomincia ad allungarsi, ma non ha ancora acqui- stato ì ciuffi di setole. x 350. l’aspetto della coda, in via di raggiungere le ordinarie dimensioni ed il de- finitivo aspetto organico dello stadîo di Cercaria a termine che rivelano le Fig. 6-7. Figura ritratta anche essa dal vivo da un preparato leggermente schiacciato. x 400 circa. 380. Alcune setole della coda del medesimo individuo isolate, staccatesi dalla base del proprio ciuffo: a fresco, fortemente ingrandite. TAVOLA 2 31. Sezione longitudinale, dorso-ventrale di una Cercaria (colorazione col paracar- minio). > 200. 82. Faringe ritratta da un esemplare preparato a fresco per schiacciamento. x 35Ò. 33. Figura d’insieme di tutta la organizzazione della Cercaria setifera ricavata da varii preparati a fresco e dal vivo; ricostruita sullo schema di un esemplare esaminato a fresco moltissimo compresso, nel quale si scorgeva il comporta- mento del sistema escretore nel suo aspetto generale. Questo è stato com- pletato, nella figura, da osservazioni singole e parziali desunte da altri indi- vidui anch’essi esaminati a fresco sotto forte compressione. La disposizione del sistema nervoso è in massima parte la ricostruzione di ciò che si ricava dalle sezioni (Tav. 5, fig. 84, 85; 92). >< 150. vescicola terminale del sistema escretore. x 400. grandimento da un preparato a fresco moltissimo compresso. lungo le pareti, fortemente ingranditi. contenente una sferula rifrangente, ritratto a fresco: fortemente ingrandita. “e î "da 7 Fig. Dè. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. AL . 1. . 43. . 44. . 45. . 46. . 47. 48. 49. 60. 61. 62. 4 Parte terminale dell’apparato escretore e suo sbocco all’esterno nella estremità posteriore del corpo: vista dal ventre e spostata verso il dorso per la compres- sione: da un preparato a fresco. x 35. Altro aspetto della suddetta parte, vista dal dorso e spostata verso il ventre: ri- tratta come sopra. x 300. Estremità posteriore del corpo di un individuo esaminato dal dorso, a fresco, per compressione, che lascia vedere la parte terminale dell’apparecchio escretore in posizione normale: sì scorge ben distinto l’infossamento ectodermico, nel quale si apre il forame codale, lo sbocco in questo del bulbo terminale, e come in esso mette capo la estremità della vescicola terminale, nonchè l’im- missione (dal dorso), nella detta vescicola, del tronco impari, derivante dai tronchi comuni dei grossi canali laterali del sistema escretore. x 300. Aspetto caratteristico, per stiramento, assunto dalla vescicola codale di un indi- viduo in grande estensione (da uno schizzo inedito del Prof. A. Costa). x 300. Un tratto di un braccio intestinale esaminato a fresco da un preparato molto compresso. x 375 circa. Metà posteriore del corpo di un individuo visto di sbieco da preparato in toto: si scorgono già distinti gli abbozzi degli organi genitali e dei condotti escre- tori di questi (colorazione con carminio boracico). x 180. Metà posteriore del corpo di altro esemplare visto di fronte: gli abbozzi dei genitali sono meglio definiti e sì è integrato del tutto il condotto genitale (ovi- dutto) femminile, che raggiunge il punto del suo sbocco all’esterno (colora- zione c. s.). x< 180. TAVOLA 3. Sezione trasversale della parte periferica del corpo e del rivestimento cutaneo (trattamento con ematosillina ferrica). x 700. Sezione ottica longitudinale del rivestimento cutaneo di un esemplare preparato in toto (colorazione con carminio boracico). > 700. . Sezione ottica del faringe di un esemplare esaminato a fresco per schiaccia- mento. x 230. . Mostra come si attacca al corpo la coda nella sua inserzione dorsale, da un pre- parato in toto colorato con paracarminio. x 360. . Sezione tangenziale dell’ectoderma sfiorante la superficie, alquanto obliqua (trat- tamento con ematosillina ferrica). x< 1220. . Alcune cellule del mesenchima fortemente ingrandite, come si mostrano in un preparato a fresco per schiacciamento. . Sezione obliqua subtangenziale di una delle braccia intestinali (trattamento con ematosillina ferrica). x 670. . Sezione longitudinale (frontale) della coda sfiorante la muscolatura (trattamento Cc. S.). >< 900. . Altra sezione della coda come sopra (trattamento c. s.). x 900. . Una fibra muscolare di quelle rappresentate delle figure precedenti fortemente ingrandita. . Sezioni trasversali ed oblique delle dette fibre a molto forte ingrandimento. . Un altra sezione, frontale obliqua della coda per lasciar vedere il comportamento generale della muscolatura (colorazione con paracarminio). >< 360. Altra sezione come sopra della coda (trattamento con ematosillina ferrica). x 550. Un tratto di coda ritratto da un preparato in toto per mostrare il decorso della muscolatura (colorazione con paracarminio). »< 500. Sezione dorso-ventrale di un esemplare alquanto contratto (trattamento con ema- tosillina ferrica). >< 330. __r4:9C= TAVOLA 4. Fig. 63-70. Una serie successiva quasi continua (mancano solo una o due sezioni fra cia- scuna di quelle disegnate) dell’estremità posteriore del corpo per lasciar vedere la caratteristica struttura del bulbo terminale del sistema escretore e la ori- — gine da questo della vescicola escretoria terminale (colorazione con emal- lume). x 600. Fig. 71. Sezione trasverso-obliqua di una Cercaria, che taglia quasi tangenzialmente la vescicola escretoria terminale. > 360. E Fig. 72. Altra sezione come la precedente che la completa e conforta nel dimostrare la fine struttura di detta vescicola (colorazione con paracarminio). x 360. Fig. 73. Sezione trasversa obliqua della estremità posteriore che taglia di sbieco, subtan- genzialmente l’infossamento ectodermico posteriore del corpo (trattamento con l’ematosillina ferrica). x 600. Fig. 74. Altra sezione alquanto più in alto verso il fondo del bulbo terminale (colorazione con emallume). >< 600. Fig. 75-79. Una serie consecutiva di sezioni che valgono a dimostrare l’originarsi della ve- scicola escretoria dal bulbo terminale e lo sbocco dorsalmente alla vescicola, poco oltre la sua origine dal bulbo, del tratto impari dei tronchi comuni dei grossi canali del sistema escretore (colorazione con emallume). > 600. Fig. 80-82. Sezioni trasversali della stessa serie che tagliano più in alto la vescicola escretoria terminale (colorazione c. s.). x 600. $ Fig. 83. Sezione longitudinale della vescicola escretoria terminale (colorazione con para- carminio). x 600. ; TAVOLA 5. Fig. 84. Sezione latero-frontale della parte anteriore del corpo di una Cercaria che inte- ressa il cervello e dimostra l’origine dei nervi che da esso si spiccano (colo- razione con emallume). x 600, Fig. 85. Sezione trasversale all'altezza del faringe che interessa il sistema nervoso centrale (cervello) nel suo tratto che abbraccia dorsalmente il faringe (trattamento con ematosillina ferrica). x 500. Fig. 86. Parte dorso-laterale di una sezione trasversale condotta all’altezza del faringe che mette in mostra la lente cristallina (colorazione con emallume). >< 560. Fig. 87-91. Sezioni trasverso-oblique condotte dorso-ventralmente all’altezza dei genitali (colorazione con paracarminio). x 200. l Fig. 92. Sezione frontale della parte anteriore del corpo che interessa i gangli laterali del sistema nervoso (colorazione con carminio boracico). >< 280. Fig. 98. Sezione trasversale all’altezza della ventosa posteriore (colorazione con carminio boracico). >x< 310. ; Fig. 94-95. Parte di sezioni trasversali che interessano l’ovario, i testicoli ed i condotti ge- nitali, ritratte a maggiore ingrandimento (colorazione con paracarminio). <600. - 9a nrare finita di stampare il dì 24 Gennaio 1914 ERRATA-CORRIGE 2, linea 1, (essendo ;, essendo che, invece ed invece (2, p. 2, nota) (3, p. 2, nota) (2, p. 1 e p. 124, nota) (3, p. 1 e p. 124, nota) la coda si elevano dalla coda si elevano dell'argomento sull’argomento l’altro materiale altro materiale , Olindias Miillerii Olindias Mauilleri 31, Beroes Berdes della nota, non privo non priva 5, en unseul en un seul 4 della nota, C. setifera Monticelli, 1888, p. 193, 195 = C. l'888; p- 193, 195; p. p.=@i 1%, Cercariarum Cercariaeum Attid RAccad di Se fis e Matemat. VAAVSGMNII P_i edi Pe ed. l7 SS Lil luckinard P. lav 1 dl, RZALA. dI 0 Ca LEI n Fas "d i COL: se ©» a * ea dele fi e Matemat. VAbAVSCeMI NHL De 5” AZ vp Lava %: Are de I $ Sad 265 )) ul LE Ireckinard è Ferrare-f Jie Sd 4 DI tip de Eee i i i 9; È pifi i S Plcoadi di Lo Fisse Matemizt: VGLIV-S NH Lil Iacokenared Cd ferraro [ani » lol. XV, Serie 2.* N 12. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE APPENDICE ALLA MINERALOGIA VESUVIANA MEMORIA del s. c. FERRUCCIO ZAMBONINI presentata nell’ adunanza del dì 6 Luglio 1912 Il Monte Somma ed il Vesuvio riserbano continue e gradite sorprese al mine- a che con amore studia i loro prodotti. Grazie alla cortese benevolenza del amico e collega Prof. Eugenio Scacchi, io ho potuto, anche dopo la mia nza da Napoli, continuare ad osservare, ad intervalli, i minerali vesuviani che vengono al Museo Mineralogico della R. Università di Napoli, e mi è stato, , possibile di aumentare in modo notevole le conoscenze che si possedevano no ad alcuni di essi, e nello stesso tempo trovarne anche di nuovi per il o vulcano. È così che nella presente Appendice alla mia Mineralogia vesu- na, io dimostro per la prima volta l’esistenza, al Monte Somma od al Vesuvio, ben cinque minerali, e, cioè, la baddeleyite, l’idrargillite, la cancrinite, la pe- yskite e l’alunite, e faccio conoscere un nuovo ed importante minerale, la ri- , che ho dedicato ad un caro e valoroso scomparso, Carlo Riva, che amò isamente ed illustrò da par suo questa terra, mirabile per la sua singolare bel- a e per la grandiosità e l’imporlanza dei fenomeni che offre allo studioso della più specialmente richiamato la mia attenzione in questi ultimi due anni, O opportuno intraltenermi alquanto su un notevole blocco di sanidinite, che offre certo interesse per lo studio della genesi di alcuni minerali del Monte Somma. — Nella sanidinite in questione si osservano parecchi inclusi, due dei quali sono entati dalle Fig. 1 e 2, che riproducono appunto due frammenti del blocco di le. Che si tratti Adnaniente di inclusi e non di segregazioni della sani- dinite risulta in modo evidente dal semplice esame delle figure, le quali fanno vedere “ ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 12. - 1 FORO A come questi inclusi sì presentino con contorno nettamente delimitato, e talvolta anche in parte distaccati dalla sanidinite involgente, in modo perfettamente iden- tico agli inclusi di calcare metamorfizzato che si rinvengono nel tufo campano. Tra gli inclusi e la sanidinite è avvenuta senza dubbio una reazione, come risulta dal Fig. 1. fatto che, in vicinanza degli inclusi stessi, la sanidinite presenta caratteri molto di- versi da quelli normali, perchè la struttura, infatti, cambia, diventando assai più minuta e distintamente conformata a palizzata, ed inoltre in quest’orlo a palizzata, che ha uno spessore variabile da 3 a 4 mm., ma che può estendersi anche molto di più, si rinviene dell’ augite verdastra, della mica ed anche, in qualche punto, dell’idocrasio. La parte degli inclusi che giunge in contatto con la sanidinite è formata da DAREI SS - augite verdastra, ora quasi sola, ora commista prevalentemente ad un po’ di ido- crasio, talvolta in forma di nitidi cristalli: la massa interna dell’incluso si compone principalmente di mica, nella quale si trovano dei cristallini di amfibolo nero, al- cuni dei quali misurano fino 6-7 mm. secondo l’asse c. In uno degli inclusi, di piccole dimensioni, l’orlo pirossenico è più esteso del solito, e nella sua parte cen- trale è occupato dal sanidino. Gli inclusi descritti somigliano moltissimo a dei riempimenti geodici dei bloc- chi calcarei: specialmente notevole, sotto questo punto di vista, è la zona pirosse- nica che li circonda, perfeltamente corrispondente a quella che costituisce la pa- rete delle geodi dei blocchi calcarei. È certo che, trovando quegli inclusi isolati nei tufi del Somma, li si riferirebbero senz’altro ai noti riempimenti di geodi dei bloc- chi calcarei, divenuti liberi per essere stato disciolto il carbonato di calcio. Le os- ‘servazioni riferite mostrano, invece, che essi possono essere del lulto indipendenti dai blocchi calcarei, e trovarsi, invece, legati alle sanidiniti. FLUORITE L’unica forma osservata da A. Scacchi e da me in questo minerale è l’ot- taedro {111}. In alcuni punti del blocco di sanidinite nel quale ho rinvenuto la baddeleyite (vedasi a pag. 5) ho trovato dei cristallini di fluorite presentanti la combinazione }111}}100}. L’ottaedro domina fortemente, mentre il cubo ha piccole facce, in alcuni cristalli conformate a tramoggia, in altri, invece, piane e regolari. CLOROCALCITE Nella Mineralogia vesuviana (pag. 50) io ho mostrato che la clorocalcite è un composto definito K Ca CI, e non, come generalmente si trova indicato nella lette- ratura, in base agli stadî di Arcangelo Scacchi, cloruro di calcio od una soluzione solida di questo con i cloruri alcalini. Lo scorso anno i miei risultati furono confermati da 0. Menge ‘), il quale, mediante l’analisi termica del sistema KCI — CaCl,, accertò l’esistenza del com- posto K Ca CI, . Nei suoi preparati, però, il Menge trovò i cristalli di K Ca CI, co- stantemente birifrangenti, mentre la clorocalcite è stata rinvenuta in forme apparen- temente cubiche, con sfaldatura secondo tre direzioni normali tra loro. L’anisotropia della clorocalcite è stata constatata anche da 0. Renner *) nel materiale della sa- lina Desdemona. Già nella Mineralogia vesuviana io avevo osservato che il cristallo analizzato presentava un habitus rombico assai spiccato, ma i pochi frammentini che potei esa- minare al microscopio, e che con grandissima rapidità si trasformarono in goccio- line, data la loro igroscopicità, mi sembrarono sensibilmente isotropi. Nella colle- !) Zeitsch. fiir anorg. Chemie, 1911, LXXII, 197. 2) Centralbl. fiir. Min. Geol. etc., 1912, pag. 106. Il Renner, ignorando le mie ricerche, aveva ereduto di avere a che a fare con un nuovo minerale, che egli propose di chiamare baeumlerite, ma io ho già dimostrato (Centralblatt fiir Min. Geol. etc., 1912, pag. 270) l'identità della baeum- lerite con la clorocalcite. SARE zione mineralogica della Università di Palermo io ho trovato un campione di clo- rocalcite, donato da A. Scacchi, conservato in un tubo chiuso. Con'questo ma- teriale io ho eseguito alcune nuove osservazioni, che comunico qui brevemente. I cristalli di clorocalcite ora studiati si distinguono nettamente da’ quelli che ebbi occasione di esaminare quando compilai la Mineralogia vesuviana, mon sol- tanto per le loro dimensioni minori (non superano, in genere, i 3 millimetri), ma anche per il fatto che essi sono, per lo più, bianchi ed opachi, mentre i primi erano di colore roseo o gialliccio chiarissimo, e semitrasparenti. Una gran parte dei cri. stalli rinvenuti qui a Palermo ha il solito aspetto cubico, già descritto da A. Scac- chi, mentre altri sono allungati secondo un asse quaternario, in modo da simu- lare la combinazione tetragonale }100} }001{. In alcuni cristallini molto rari ho osservato qualche faccia di }110}, e questi sono veramente interessanti, perchè il loro habitus è ben diverso da quello dei cri- stalli appartenenti al sistema cubico. Due di questi cristalli sono rappresentati dalle Fig. 3-4. Il primo potrebbe essere considerato come la combinazione rombica }100} |010{ {011{ e l’altro come la combinazione }001} {110} }100}. Questi due cristallini sono stati protetti contro |’ umidità del- l’aria mediante una soluzione etereo-acetonica di gomma gulta, e misurati. I valori angolari trovati concordano perfettamente con quelli teorici del sistema cubico, sicchè è certo che se la clorocalcite non è cubica, le sue costanti cristallografiche non possono differire che di pochissimo da quelle dei cristalli cubici. Frantumando dei cristallini [—isai fra due porta-oggetti, ed esami- Fig. 3. nando al microscopio polarizza- Fig. d tore le lamine di sfaldatura ot- i tenute, si scorge subito come esse non presentino struttura omogenea: al contrario, vi sono parti a birifrazione debole, associate ad altre a birifrazione notevolmente più forte. Estinzione completa della lamina non si ha mai, e le parti più debol- mente birifrangenti presentano estinzione ondulata ed imperfetta. In molte lamine si vedono, specialmente verso l’orlo esterno, plaghe presso-. chè isotrope. Benchè raramente, capita anche di rinvenire dei frammentini del mi- nerale quasi isoiropi. La fortissima igroscopicità della clorocalcite rende pressochè impossibili osservazioni precise, perchè le laminette si coprono di. goccioline con grande rapidità. Estinzione parallela rispetto agli spigoli del pseudocubo non ne ho mai osservata: invece, spesso ho potuto constatare che le direzioni di massima estin: zione sono fortemente inclinate sugli spigoli anzidetti. Siccome erano ancora in mio possesso due cristalli identici a quello analizzato, ma meno puri, ho creduto opportuno di eseguire su di essi qualche osservazione. Ho, così, potuto notare che le tre direzioni di sfaldatura perpendicolari tra loro non possiedono lo stesso grado di perfezione, ma, al contrario, una di esse è notevol mente più facile e perfetta delle altre due. Se si frantumano dei pezzetti del mine- rale fra due vetrini, e si esaminano i frammentini sottili al microscopio, se ne scor- IT-e gono parecchi che si comportano come una sostanza isotropa: esaminando, invece, delle lamine di sfaldatura più spesse, l’anisotropia della clorocalcite risulta eviden- tissima in tulti i casi. Con debole ingrandimento, in tutte le lamine di sfaldatura ho osservato una parte centrale, molto estesa, a struttura apparentemente omoge- nea, che presenta estinzione netta, parallelamente agli spigoli del pseudocubo, men- tre lulta la parte esterna possiede una struttura polisintetica finissima, molto somi- gliante a quella della leucite vesuviana del 1855, tagliata parallelamente ad una faccia di cubo, ed illustrata da Hans Hauswaldt nella Fig. 2, Tav. 49 della nuova serie delle sue /nterferenz-Erscheinungen im polarisirten Licht (Magdeburg 1904). Le linee di contatto delle varie lamelle polisintetiche sono sempre parallele ad uno degli spigoli del pseudocubo. L’ omogeneità della parte centrale delle sezioni è, però, soltanto apparente: con ingrandimento più forte, si scorge subito, a nicol in- crociati, la sua struttura polisintetica. In luce convergente è facile riconoscere che la clorocalcite è biassica: sembra che il piano degli assi ottici sia parallelo ad una delle facce del pseudocubo. La mancanza di sufficiente materiale e la sua igroscopicità non ha permesso altre 0s- servazioni più precise. La clorocalcite è, in base a quanto si è detto, da considerarsi come un mi- nerale spiccatamente pseudocubico, probabilmente appartenente al sistema rombico. BROOKITE H.J.L. Vogt (Zeitsch. fur pr. Geologie, 1895, II, 483) ha posto tra i pro- dotti diretti di sublimazione e gli altri che hanno origine. pneumatolitica più com- plessa, particolarmente studiati al Vesuvio, anche la brookite. Questo minerale, però, non è stato, finora, trovato nè al Vesuvio, nè al Monte Somma: probabil- mente per una svista, il Vogt ha citato la brookite invece della pseudobrookite, rinvenuta effettivamente al Vesuvio dal Krenner. BADDELEYITE Questo raro ed interessante minerale, che costituisce la fase monoclina, natu- rale del biossido di zirconio, è stato da me osservato per la prima volta in una sanidinite del Monte Somma lo scorso anno ‘). Il rinvenimento della baddeleyite in una sanidinite presenta una notevole importanza, non soltanto perchè finora quel minerale non era stato mai trovato nei blocchi rigettati dai vulcani, ma anche per- chè, come costituente di rocce, sembrava limitato ai magmi poveri in silicio, men- tre invece le sanidiniti sono molto ricche in questo elemento. Finora, infatti, la baddeleyite si era osservata nelle sabbie provenienti dal disfacimento della jacupi- fangite del fiume Jacupiranga (E. Hussak) °), in quelle, ricche in pietre pre- ziose, di Rakvana nell’isola di Ceylon (L. Fletcher) *), nelle segregazioni oli- !) Una breve Nota preliminare in proposito comparve nei Rendiconti della R. Accad. dei Lin- «cei, 1911, 2° sem. pag. 129. ?) Tschermak’s min. petr. Mitth., 1895, XIV, 395. *) Mineral. Mazaz., 1894, X, 148. di: 1 -_ 6- pi vino-magnetitiche della sienite eleolitica di Aln6 (E. Hussak) ‘), e, finalmente, po chi mesi or sono, in una sienite corindonifera con aspetto gneissico, dello stato di Montana (A. F. Rogers) °). lo La sanidinite del Monte Somma nella quale si è trovata la baddeleyite presenta dei caratteri particolari, che la fanno facilmente distinguere dalle altre che spesso. si rinvengono nei tufi del Monte Somma. La sanidinite in questione, composta di sanidino abbondantissimo, di nefelina tipica col suo solito aspetto, di anfibolo, di biotite, di fluorite, di orlile, è particolarmente ricca in magnetite ed in zircone, che non ha il solito colore azzurrastro, che è quasi costante nello zircone vesu- viano, ma si presenta, invece, quasi sempre di colore verde chiaro o giallo-verda-. stro. Nella sanidinite si aprono numerose geodi, con le pareti tappezzate da cri- stalli bellissimi dei minerali ricordati, ed anche di baddeleyite e di pirrite. y La baddaleyite si rinviene sotto forma di cristallini tabulari molto piccoli, iso- lati ovvero raggruppati in fascettini, impiantati, di solito, sui cristalli di sanidino, quasi esclusivamente sulle facce del pinacoide }010}, e solo molto raramente su quelli di magnetite. I cristallini di baddelesite sono, per lo più, attaccati a quelli di sanidino per una estremità dell’asse c, più di rado, invece, essi sono adagiati sulle facce }010{ del sanidino per mezzo dello spigolo [(110): (110)] o dell’ altro [(110): (110) ], e penetrano alquanto nell’interno del cristallo di sanidino sul quale | riposano. ; I cristallini di baddeleyite sono sempre allungati nella direzione dell’asse €, nella quale possono eccezionalmente raggiungere i 3 mm: il pinacoide }100} è sem- pre tanto dominante, che i cristalli sì presentano costantemente come tavolette esi- lissime. Le forme da me osservate sono le seguenti: a}100}, c}001|, m}110}, r}101}, d}021}, 0}221}, seguendo l’orientazione di Hussak. Accettando, invece, l’orientazione proposta da Groth, che melte meglio in luce il carattere pseudo- cubico del minerale, le forme indicate acquistano i simboli a}100}, c}001|, m LAO r}102}, d)011}, 0}111}. Di queste forme 0 è nuova per la baddeleyite. i Sempre presenti in tutti i cristalli sono a, m e c 0 d: rarissime volle manca c, meno di rado, invece, d: anche 0 è molto frequente. La grandezza relativa di c e di d è variabilissima: da cristalli nei quali c manca del tutto, si va, per gradi successivi, a quelli nei quali, al contrario, è d che è assente. Non di rado le due | facce di d presenti all’estremità libera del cristallo hanno grandezza assai diversa: o possiede sempre faccelle piuttosto soltili, r è stata riscontrata in un solo cristallo, — con un'unica faccetta, esile, ma splendente e piana. Le Fig. 5-9 danno un’idea dei differenti aspetti osservati nei cristalli studiati. ri Molto frequenti sono i geminati di contatto secondo la legge: asse di gemi- nazione la normale a }100}. Anche questi geminati sono fortemente tabulari secondo }100|, come si vede dalla Fig. 7. Non di rado su una faccia di }100} di uno dei geminati descritti si trova impiantato un altro geminato secondo la stessa legge, di solito di dimensioni più piccole, in modo che le sue facce di {100{ risultino quasi. normali a quella di }100} dalla quale si ederge. Le misure hanno dato, per gli an- ') Neues Jahrbuch fiir Min. Geol. u. s. w., 1898, II, 228. ?) Amer. Journal Science, 1911, XXXIII, 64. 0A ESRI gprs tra le facce di }100} dei due geminati, dei valori di 91°30' e 88°30' circa. Ciò dimo- che i due cristalli sono geminati, alla loro volta, l’uno rispetto all’altro, secondo legge: asse di geminazione la normale ad una faccia di }110}. Infatti, in base “costanti di Hussak ‘), i valori teorici per gli angoli anzidetti sono 91°25' e % | Fig. 5. Fig. 6. i Fig. 7. Fig. 8. Fig. 9. MS Le due leggi di geminazione ricordate sono frequentissime sia nella badde- Jeyite del Brasile, che in quella di Alnò. Frequente è, anche nella baddeleyite del nie Somma, una struttura polisintetica secondo luna o l’altra od ambedue quelle : specialmente frequenti sono le lamelle di geminazione che seguono la prima esse. Questa struttura complessa fa sì che le facce dei cristalli della nostra badde- eyite sieno spesso ondulate, profondamente striate, ecc. Ciò si verifica ecialmente in quelle della zona [001], e particolarmente in quelle di 0}. Esaminando al microscopio delle tavolette di baddeleyite poggiate una delle due facce di }100{, si vede come queste costantemente pre- nlino una striatura più o meno fitta, più o meno profonda, che corre rallelamente all’asse c. Molto di rado, oltre questa striatura se ne osserva anche uw’altra, parallela all’asse d (Fig. 10). -_ Frequentissime sono le associazioni parallele tra numerosi cristallini tre nell’allro tipo di associazione parallela accade, invece, che su una e clue facce di }100| di un cristallo più grande ne sono impiantati parecchi , i i) a;bie=0,9871:1:0,5114; B= 98%5 ‘/,". y nad 3 n E ga va più piccoli, isorientati e posti l'uno accanto all’altro (Fig. 9). È notevole il fatto che, mentre il cristallo più grande, sul quale sono cresciuti gli altri, presenta sempre d}021}, questa forma manca nei cristallini isorientati sul primo. Una sola volta ho osservato un altro esempio, pure interessante, di accrescimento parallelo: un’esilissima tavoletta di baddeleyite, limitata dalle forme acm, era inclusa in un cristallo più grande, offrente la combinazione amdo. i Alcuni dei cristalli studiati hanno dato delle misure abbastanza precise e con- > cordanti, alquanto diverse, specialmente per i due angoli (001) :(100) e (100) : (021), — dai valori calcolati da Hussak per la baddeleyite del Brasile, tanto che io mi pro- ponevo di calcolare delle nuove costanti per il minerale, visto che due degli an- goli fondamentali di Hussak [(100):(110) e (001):(100)] oscillavano entro limiti abbastanza forti !). Ulteriori misure e l’esame approfondito dei risultati ottenuti, mi, hanno, però, presto mostrato che i cristalli di baddeleyite ‘del Moute Somma non sì prestano per determinare le costanti del minerale, poichè presentano in grado eminente quelle perturbazioni geometriche, così note e frequenti in altri minerali pneumatolitici e dei blocchi rigettali. Così, per esempio, in un geminato secondo la legge: asse di geminazione la normale a (100), ho misurato: (001) : (021) = 45°%4 (001): (021) 45 18 (001):(021) 45 5 (001): (021) 45 16 Ad onta delle anomalie angolari constatate, si hanno delle differenze così nette specialmente per certi angoli, tra la baddeleyite del Monte Somma e quella del Brasile, da rendere necessario, per la prima, il calcolo di costanti apposite, per quanto soltanto approssimative. Quelle che io propongo sono le seguenti: a:b:c=0,9872:1:0,5097 B=99°%71/7. Nella tabella che segue ho riunito gli angoli misurati e quelli calcolati sia con le costanti mie, che con quelle di Hussak a:b:c=0,98717105114 B= 98°%45 1/4 ‘) (100) : (110) tra 44°9' e 44°36'; (001):(100) tra 80°56 1// e 81°%42 BR» = * ? VERO RESA Calcolati Angoli Limiti delle misure Media Zambonini Hussak (100) : (110) 44°9' — 44°19' 44°16" 44°16" 44°%7 4) (110) : (110) 88 27 — 88 36 88 32 88 32 88 35 (001) : (100) 80 51 — 80 54 8052 ‘/, 80521, 8114 (001):(021) 45 4—45 18 45 11 AD Le 4518410 (100): (021) 8321 — 83 37 8329 83 35 1/, 83 51 (110) : (021) ie 55 10 5452 1/, 55 2 (110) : (021) 65 23 — 65 24 65 23 1/, 65 28 65 104), (100) : (101) —. — 70 4 70 5 69 41 (100) : (221) 57 58 — 58 17 58 7 58 12 57 59 (001) : (001) o — 18 16 18.15 17 31 (021) : (021) 1254—13 1 19:57‘), 12494), 12 18 4 = Uno sguardo su questa tabella mostra subito che gli angoli della zona [001] pno sensibilmente gli stessi valori nella baddeleyite del Monte Somma ed in quella iliana, mentre lo stesso accordo non si verifica nelle altre zone. Specialmente angoli (001):(100) e (100) : (021) differiscono in modo considerevole nei cri- «dei due giacimenti. Questo fatto, però, è di carattere generale. Così, nella bad- eyite. di Alnò, Hussak ha trovato per (110):(110) 91°18 (cale. per la badde- leyite del Brasile 91°25'), mentre (001) :(100) scende molto al di sotto dei valori 0 ppervali nei cristalli del Monte Somma, e, cioè, a 80°30', Mediante aleune misure eseguite in due cristallini di. baddeleyite di Jacupiranga ì potuto accertarmi dell’ esattezza delle costanti proposte per loro da Hussak. lo due cristallini, infatti, io ho ottenuto : (110) : (110 CERA e 88°%41' mis. 88°35' calce. Hussak (001): (111) 3751 e38 4 » 37594), > ; 01): - 8341!) e 8340 » 8344//, > 100):(111) 7147 » 71454), >» Ambedue i cristallini presentavano numerose lamelle polisintetiche secondo (100) @ (110), come si osservano, del resto, anche nella baddeleyite del Monte Somma. possono, perciò, ascriversi alla struttura polisintetica le differenze osservate nei ri angolari tra la baddeleyite del Monte Somma e quella del Jacupiranga: si piuttosto, a che fare con lo stesso fenomeno già osservato nella titanite, nel- fibolo, ed in altri minerali, nei quali pare che le costanti cristallografiche sieno Iquanto diverse a seconda delle condizioni di formazione e di giacitura. La baddeleyite del Monte Somma è di colore bruno-verdastro chiarissimo: delle te molto esili appaiono di colore verdolino debolissimo. Rari sono i cristalli olore verde scuro. Al microscopio, la maggior parte dei cristallini, poggiati su una faccia di }100}, strano pressochè incolori, ed il pleocroismo è quasi insensibile. In quelli più — Vol. XV — Serie 24 — N. 12. : 2 AE intensamente colorati il pleocroismo è netto, e si ha: || e verde olio ||® bruno rossiccio. Invece, nei cristalli del Brasile, Hussak ha osservato, sempre su (100): || e bruno rossiccio scuro || verde olio ossia i colori degli assi appaiono invertiti rispetto alla baddeleyite del Monte Som- ma. Mediante l’esame di alcuni cristallini di Jacupiranga ho potuto perfettamente | confermare le osservazioni di Hussak. Lo stesso Hussak, però, nella badde-_ leyite di Aln6 ha trovato, su (100), il pleocroismo come segue: i || e verde olio || bruno rossiccio precisamente come nei cristalli del Monte Somma. Sembra, perciò, che nella baddeleyite i colori degli assi possano scambiarsi, come accade, del resto, in qualche altro minerale. Devo notare, però, che i cristal- — lini del Moute Somma con pleocroismo ben distinto oltre all’essere rari non erano | ben misurabili, e si presentavano riuniti in fascetti, sicchè non si può escludere in modo assoluto un errore di orientazione. Bisognerebbe, però, ammettere che essi, contrariamente a quanto accade costantemente nella baddeleyite del Monte Somma da me studiata, fossero stati allungati secondo b, anzichè nelia direzione di c, cosa poco probabile. Anche Hussak dovrebbe, poi, aver sbagliato le sue osservazioni nei cristalli di Alnò. Su (100) si ha sempre estinzione parallela alla direzione di allungamento, che. è negativa. Frequente è la struttura zonata, a zone alterne pressochè incolore e tor- bidiccie in alcuni cristalli, quasi incolore e verdognole in altri. La birifrazione è forte. La sfaldatura è discretamente pronunciata secondo }001{, meno parallelamente | a }010}. La durezza è 6: il peso specifico superiore a quello dello ioduro di metilene. La baddeleyite del Monte Somma al cannello non fonde: i cristallini intieri sono attaccati dall’acido solforico concentrato, a caldo, con difficoltà estrema, poi- chè soltanto con l’azione prolungata si riescono ad ottenere delle minute figure di corrosione. La polvere del minerale, che è bianca, si scioglie mediante fusione col bisolfato potassico. Con la reazione di Ruer ho potuto riconoscere la presenza del. zirconio nel minerale, Tutti i caratteri indicati combinano perfettamente con quelli della baddeleyite. È notevole il fatto che l’habitus cristallografico della baddeleyite è abbastanza variabile. I cristalli brasiliani e di Aln6 sono tabulari secondo il pinacoide }100} ed pg e allungati quasi costantemente nella direzione dell’asse d: quelli del Monte Somma, invece, pur essendo tabulari per il grande predominio di {100}, sono allungati se- condo c. Parecchi anni or sono, il Rinne ‘) richiamò l’attenzione degli studiosi sulle interessanti relazioni cristallografiche che esistono tra certi metalli e gli ossidi, sol- furi, idrati e composti alogenati che ne derivano. Sembrò al Rinne di poter de- durre dalle sue osservazioni che in quei composti si ritrova la forma cristallina del metallo in essi contenuto, e propose di distinguere col nome di isolipia il ripetersi di taluni determinati tipi cristallini. Le idee del Rinne non ebbero fortuna. In realtà, alcuni degli avvicinamenti cristallografici da lui tentati erano veramente artificiosi, ed il Retgers ?) mostrò, poi, che i fatti constatati dal Rinne, quando non rappresentavano delle semplici casualità, si potevano spiegare facilmente con quella che egli, il Retgers, chia- mò legge della semplicità cristallochimica, e che si identifica, in fondo, con la co- siddetta legge di Buy-Ballot. Più recentemente, il Rinne °) ha preso occasione dalla scoperta della chal- mersite Cu,S.Fe,S., che offre strette relazioni cristallografiche con la calcocite e con la pirrotina, per ritornare sulla sua isotipia, definita come il falto spesso os- servabile, del ripetersi di forme cristalline «tipiche», che si trovano negli elementi, specialmente nelle sostanze con composizione semplice e talvolta anche in quelle chimicamente più complesse. Non va, per altro, taciuto che l'esempio della chal- mersilte non parla davvero molto in favore dell’isotipia, perchè quel minerale si può considerare come un sale doppio, ed allora diventano naturali le sue somiglianze cristallografiche con la calcocite e la pirrotina, perchè è noto da tempo che i salì doppî presentano relazioni morfotropiche spiccate con almeno uno dei loro com- ponenti. In relazione con l’isotipia di Rinne, intesa, però, in un senso più preciso, come ripetizione dello stesso tipo cristallino in diversi derivati di un elemento o di un composto, sta un fatto notevole, che non mi sembra sia stato già da altri reso di pubblica ragione, e che consiste nella grandissima somiglianza cristallografica che passa fra la baddeleyite e parecchi minerali che contengono lo zirconio come elemento essenziale, quali la lavenite, la wé&hlerite, la hiortdahlite. La lavenite e la Wohlerite sono, come la baddeleyite, monocline. Quanto alla hiortdahlite, triclina, è noto ‘) che preseuta intimissime relazioni cristallogratiche con la wéhlerite. I cri- stalli di tutti i minerali indicati sono spesso tabulari secondo un pinacoide, al quale si dà il simbolo }100}: frequentissima nella baddeleyite, nella lavenite e nella wéh- lerile è la geminazione polisintetica, che ubbidisce alla legge: piano di geminazione e di unione (100). Anche nella hiortdahlite triclina si ha struttura polisintetica, ma principalmente secondo la legge: asse di geminazione [001], piano di unione pa- rallelo a (100). ') Neues Jahrbuch fiir Min. Geol. u. s. w., 1894, I, 1 2) Zeitsch. fiir phys. Chemie, 1894, XIV, 1; XV, 579. 3) Centralblatt fir Min. Geol. u. s. w., 1902, 207. *) Cfr. W. C. Brégger, Zeitsch. fir Kryst., 1890, XVI, 370. e DI Nella zona [001] l’isogonismo è quasi perfetto, come risulta dalla seguente | tabella : i Baddeleyite Hiortdahlite Luvenite Wobhlerite (100) : (110) = 44°%54' (100): (110) 4459, (100) : (120) 63 18'/, (100) : (120) 6325 (100) : (110) = 44°17 !/y (100) : (110) = 45°%48' (100) : (110) = 44%3" (100) : (120) 6252 — (100) : (120) 6321 Somiglianze notevolissime si verificano anche in altre zone, quantunque meno spiccate di quelle ora viste. Interessante è il fatto che i due angoli (100) : (101) È) (100): (111) della baddeleyite concordano moltissimo con gli angoli (100) :(001) e (100):(011) della lavenite e della wshlerite, come pure con i due (100:(101) | e (100):(111) della hiortdahlite. Si ha, infatti: Baddeleyite Hiortdahlite Lavenite Woblerite (100) : (101)=69%1'(100):(101)=70%4" (100):(001)=69°%2'/7 (100) :(001) = 70%5" | (100) : (111) /7145‘/, (100):(111) 7114/, (100):(011) 7316 -. (100); (00) RA Per rendere ben paragonabili fra loro le costanti di questi quattro minerali, è conveniente prendere nella baddeleyite 101} e }111} rispettivamente come 1001} e _ 011}, ed accettare per la hiortdahlite |’ orientazione somigliante a quella della wohlerite, proposta dal Brògger. Si ha, allora: a ib e B & "E Baddeleyite 1,0403:1:0,5114 110°%19' 90° 0° 90% Hiortdahlite 1,0583:1:0,7048 10849‘, 9029 908 Lavenite 1;0964.: 107152 (. 11017 900 20000 Wohlerite 1,0549:1:0,7091 10915 90 0900 Come si vede, nei quattro minerali i tre assi cristallografici formano fra loro angoli pochissimo differenti, e pressochè identici sono i valori del rapporto a:d. Sol- — tanto per c:d si ha una netta distinzione fra la baddeleyite e gli altri tre minerali. Anche fra la baddeleyite ed il zircone esistono delle somiglianze nei valori angolari di alcune zone, ma meno notevoli di quelle ora illustrate. È degno di at- tenzione il fatto che molti dei minerali, nei quali il zirconio è un elemento essen- — ziale, sono o pseudocubici (come la hiortdahlite, la wohlerite, la lavenite, ecc.) 0 si esagonali e ipoesagonali (come la catapleite, l’elpidite, ecc.). Orbene, delle mo- dificazioni del biossido di zireonio una, ia baddeleyite, è pseudocubica ed intima- mente legata cristallograficamente ai minerali di zirconio pseudocubici: un’altra, ottenuta artificialmente da Michel-Lévy, è esagonale. Di quest’ ullima, però, non. sono note le costanti, e non si può, quindi, sapere se presenti relazioni cristallo- grafiche con la catapleite. ì sr ZIRCONE Nella sanidinite con baddeleyite, ortite, ecc. è molto abbondante il zircone, in bei cristalli che raggiungono, benchè di rado, fino 5 mm. nella loro maggiore di- mensione. Da questi cristalli di grandezza eccezionale si va a quelli piccolissimi, quasi microscopici. I cristalli più comuni non misurano che circa un millimetro, frequenti sono anche quelli che raggiungono i 2 mm. Il colore è quasi sempre il verde-giallastro chiaro: rari sono i cristallini grigio-bluastri. Alcuni sono quasi in- colori, con una punta leggerissima nel giallognolo o nell’azzurrastro. I cristalli di vario colore sono intimamente associati insieme: da uno verdastro ne ho visto spor- gere uno grigio-azzurrastro. L’habitus cristallografico comune è il solito bipiramidale del zircone vesuviano. I cristalli presentano la bipiramide }111}, alla quale spesso si associano le facce del prisma }110{ esilissime, ed in qualche caso quelle ancora più esili di }331{. In alcuni rari cristalli il prisma }110{ acquista uno sviluppo alquanto maggiore, e si ba allora l'habitus della Fig. 1 del System of Mineralogy di E. Dana (6* ed. 1892, pag. 483). Rarissimi sono, poi, dei cristalli nei quali le facce di }110| sono ancora più estese, e veramente eccezionale è un cristallo che offre la combinazione }110| }100} {111} {311}, che ha l’abitus della Fig. 3 del Dana ‘). Le facce della bipiramide }111| sono pressochè costantemente spezzate in due che formano fra loro uno spigolo parallelo all’asse della zona [(111):(110)] ed ‘analoghe, sicchè nelle misure si hanno sempre almeno due immagini, a distanza variabile luna dall’altra. Le misure danno, perciò, valori molto oscillanti. Il zircone, oltre che nella massa della sanidinite, sì rinviene spesso nelle geo- dine, ed i suoi cristalli, specialmente quelli nei quali }110| è più esteso, sono so- vente impiantati sulle tavolette di sanidino. IDRARGILLITE Questo minerale non era stato finora osservato nè al Monte Somma, nè al Ve- suvio: io ho rinvenuto per la prima volta insieme alla bassanite di alcune fuma- role del cratere, nell’estate del 1911 ?). L’idrargillite formava in mezzo alla bassanite dei minuscoli aggregati fibro-la- mellari, di colore bianco, dotati di birifrangenza abbastanza forte, con potere rifran- gente, invece, debole. Molto più spesso, però, la idrargillite era rappresentata da cristallini tabulari, a contorno esagonale, con le proprietà ottiche caratteristiche del minerale: l’angolo degli assi ottici appariva molto piccolo. Frequentemente le la- minette di idrargillite erano riunite insieme in un certo numero, e si trovavano !) Un cristallo di zircone allungato secondo [001] è stato già figurato da Monticelli e Co- velli nel Prodromo (Fig. 29). 2) Per i dettagli sulle condizioni di giacitura vedasi alla bassanite. Una breve comunicazione intorno al rinvenimento della idrargillite al Vesuvio fu inserita nel processo verbale della seduta del 4 novembre 1911 della R. Accademia delle Scienze Fis. e Mat. di Napoli. =SWT45SS impiantate sui fascetti di bassanite, sicchè pare certo che si sieno formate dopo . questo minerale. Per mezzo del tetrabromuro di acetilene diluito col toluolo ho potuto isolare dalla bassanite alquanta idrargillite. Il suo peso specifico è risultato oscillante tra 2,39 e 2,42: per l’idrargillite della Nuova Caledonia Lacroix ') dà 2,397 e per quella di Arò Brogger °) 2,420. Nel tubo chiuso si é avuto svolgimento di acqua : con nitrato di cobalto, sul carbone, si è ottenuta la colorazione azzurra deli’ allu- mina. Il minerale era solubile nell’acido solforico. Tutti questi caratteri, e la ana- lisi quantitativa delle miscele di bassanite e di idrargillite, tolgono ogni dubbio sulla natura del minerale studiato. L’idrargillite vesuviana descritta è, evidentemente, un prodotto di alterazione dei feldspati e della leucite, che sono costituenti essenziali dei materiali dai quali è for- mato il gran cono vesuviano. È noto, che la idrargillite si rinvenne spesso nella laterilte, come prodolto di alterazione dei feldspati: mentre, però, nella laterizza- zione si ha a che fare con trasformazioni atmosferiche di roccie di paesi tropicali, nel nostro caso |’ azione prevalente, se non esclusiva, è dovuta ai gas delle fu- marole. CALCITE I cristalli nitidi di calcite sono, come è noto, molto rari nelle geodi dei bloc- chi del Monte Somma. Recentemente, io ne ho veduti alcuni, che raggiungevano i 4-5 mm. nella loro maggiore dimensione, nelle geodi di un blocco calcareo, ricco in solfuri metallici, specialmente blenda ed anche galena. Uno di essi, meglio con- formato, fu distaccato e misurato. Fu trovato, così, che è schiacciato secondo la base, e presenta la combinazione c}111{ dominante, r}100{ grande, f}111} meno estesa. Ottime misure dettero: (111) :(111)= 63° mis. 63°%7" cale. ‘(100) 4440 » 4436!/, » LITIDIONITE e NEOCIANITE Questi due minerali erano stati da me posti, nella Mineralogia vesuviana (pag. 354), tra quelli imperfeltamente definiti. Non avevo mancato fin da allora di notare che fra la neocianite e la litidionite esisteva una certa analogia, ma il fatto che della prima era ignota la composizione chimica anche qualitativa, e per la seconda mancava ogni notizia intorno alle proprietà eristallografiche ed ottiche, mi impedì di giungere a conclusioni precise, quantunque le osservazioni che avevo avuto agio di fare, e che non ritenni opportuno di pubblicare perchè troppo incomplete, mi avessero convinto della probabile identità dei due minerali. Avendo, in seguito, il Prof. E. Scacchi messo a mia disposizione tutto il materiale di litidionite esistente nel Museo, ho potuto completare le mie ricerche, e stabilire in modo sicuro la identità della litidionite e della neocianite. 1) Minéralogie de la France et de ses colonies, 1901, III, 363. ?) Zeitsch. fiir Kryst., 1890, XVI, 48. ARE (e Come è noto, il nome di litidionite fu dato da E. Scacchi a dei lapilli di colore azzurro, rinvenuti sul cratere del Vesuvio nel mese di giugno 1873, costi- tuiti da opale, ricoperta da una incrostazione vitrea o smaltoidea azzurra, che è appunto la litidionite. In realtà, però, la litidionite non rappresenta un « vetro », come è detto in varî punti della descrizione pubblicata da E. Scacchi, ma, al contrario, una sostanza nettamente cristallina, birifrangente, biassica, come si scorge esaminandone dei fram- menti al microscopio polarizzatore. In un campioncino ho poluto anche ritrovare alcuni dei piccoli cristallini, già ricordati da E. Scacchi. Essi sono molto mal conformati ed imperfetti, e fortemente tabulari secondo un pinacoide. Queste tavolette al microscopio appaiono limitate da quattro spigoli, due a due paralleli, e costantemente allungate secondo una delle due coppie di spigoli. Una direzione di massima estinzione, positiva, forma con gli spigoli più lunghi un an- golo variabile da 18° a 24° nell’ angolo acuto determinato dagli spigoli che limi- tano le tavolette di litidionite, e che misura da 64° a 67°. In luce convergente si ha emersione di un asse ottico all’orlo del campo. Il pleocroismo è pressochè in- sensibile. Se si confrontano queste proprietà della litidionite con quelle che ho già descritto, a pag. 355 della Mineralogia vesuviana, per la neocianite, è facile porre in luce l’identità dei due minerali. In ambedue, i cristalli sono fortemente tabulari se- condo la stessa coppia di facce (}010} nella neocianite), ed allungati secondo la ‘stessa direzione ([001] nella neocianite). L’altro spigolo più breve delle tavolette di litidionite corrisponde a quello che nella neocianite si è preso come [100]. Anche la orientazione ottica è la medesima nei due minerali. L’unica differenza da me notata, è che, mentre le tavolette di neocianite appaiono costantemente delimitate, oltre che da [001], da due coppie di spigoli che si considerarono come [100] e [101], nella litidionite si osserva generalmente soltanto [001] e [100], e solo ecce- zionalmente anche [101]. Sulle tavolette di lilidionite si scorgono, ai microscopio, anche le tracce di una sfaldatura abbastanza facile secondo una forma apparte- nente alla zona [001], e che è, probabilmente, }110{. Di questa sfaldatura io non mi accorsi quando esaminai la neocianite, il che si spiega facilmente con la picco- lezza estrema dei cristallini di questo minerale. In alcuni frammentini di litidionite ho potuto misurare qualche angolo, ottenen- do, per altro, dei valori oscillanti, e puramente approssimativi. Nella zona [001] io non ho potuto osservare, oltre 010}, che una sola fac- cia, alla quale ho dato il simbolo {110): in un solo cristallo ne ho trovato due, (110) e (110), ugualmente inclinate su (010). Infatti, Ie misure dettero : (010) : (110) = 67°1' (010) : (LIO) 66.57. Sembra, perciò, che la litidionite sia davvero monoclina, come aveva ritenuto A. Scacchi per la neocianite. Va, però, ricordato che di facce terminali io ne ho rinvenuta sempre una sola, formante con la faccia più vicina di }010{ un angolo di circa 70°, ed alla quale ho assegnato il simbolo (011), il che farebbe pensare piuttosto al sistema triclino, a meno di ritenere la litidionite come monoclina sfe- ze noidica. Il materiale del quale ho potuto disporre non mi ha permesso di appro- fondire e di risolvere la questione. Gli angoli: misurati in diversi cristalli sono i se- guenti: (010): (110)=66%57" , 67° l’, 67°58', 68°35’ Media 67°38' (010): (011) 68:21 ,, 69101, /60 52.30 3027158 » 6957 (011): (110) »- Le 103 Eere Supponendo la litidionite monoclina, dalle medie riferite seguono le costanti: a:b:c=0,4506: 1:0,3997 B= 11493’ che vanno ritenute come soltanto approssimative. Per 8 le misure di angoli piani avevano. dato 118° nella neocianite, ma la dif- ferenza è ben naturale, se si pensa che sia il valore di B calcolato, che quello di- rettamente trovato nella neocianite non sono esatti. D'altra parte, i cristallini di neo- cianite sono così piccoli, che le misure degli angoli piani, che si devono eseguire con ingrandimenti piuttosto forti, riescono necessariamente imprecise, e danno ri- sultati up po’ oscillanti, a causa anche della cattiva conformazione dei cristallini. Il valore calcolato di 8 si avvicina a quello da me trovato per l’angolo piano [001]:[101] nella neocianile, ma la coincidenza è puramente causale. Alcuni cristallini di litidionite di colore azzurro intenso mi hanno dato, per il peso specifico, determinato col metodo della sospensione, 2,56: E. Scacchi aveva trovato un valore molto prossimo, e, cioè, 2,535. Il nome di litidionite è più antico di quello di neocianite, sicchè quest’ ultimo deve passare in sinonimia. RIVAITE Nel lapillo, in vicinanza della strada delle Due Fave, è stato rinvenuto lo scorso anno un minerale di colore azzurro pallido, sotto forma di una specie di nodulo rotto, irregolare, del peso di circa 50 grammi. Per il sno aspetto, questo minerale si distingueva nettamente da tutte le altre produzioni del Vesuvio e del Monte Som- ma che avevo avuto occasione fino allora di vedere. Tentai invano, però, di rin- tracciarne altri frammenti, sicché quello che. mi accingo a descrivere è rimasto, finora, unico. Il minerale in questione forma, come si è detto, una specie di arnione irrego- lare, è nettamente cristallino, e possiede struttura fibro-raggiata: i singoli ciuffi di fibre si intersecano fra loro in tutti i sensi. Gli aghetti del minerale sono esilissimi : cristallini alquanto più spessi si rinvengono nella parte superficiale del minerale, che essendo stata esposta all’azione degli agenti atmosferici è imbianchita, un po’ alterata ed alquanto corrosa. SCI Il colore del minerale varia dall’azzurro di lavanda pallido all’azzurro più cupo, sempre che lo si osservi in massa. Gli aghetti sono di colore chiarissimo, e non mancano nemmeno degli aghelli MEA: (7 RL o delle scaglie quasi incolori o biancastri. Nelle sezioni sottili, il minerale appare azzurro chiarissimo, e non presenta pleocroismo sensibile. Gli aghetti estinguono parallelamente alla loro direzione di allungamento: in generale, domina in essi una faccettina sulle altre, ed esaminando i cristallini poggiati su questa faccia, si ha che la direzione di allungamento è positiva. In luce convergente si osserva emer- genza di un asse ottico all’orlo del campo. Molto probabilmente i cristallini sono monoclini ed allungati nella direzione dell’asse bd. Anche nelle sezioni sottili degli aggregati fibro-raggiati la direzione di allungamento dei singoli aghetti è positiva, e soltanto molto di rado negativa. La birifrangenza è debole ‘). Durezza 5: peso specifico (determinato col metodo della sospensione) 2,55-2 56 (a + 20°). Al cannello, il minerale fonde facilmente, in un vetro alquanto bolloso, colo- rando la fiamma intensamente in giallo. Dall’acido cloridrico non è attaccato, al- meno completamente. La polvere è di colore bianco-celestognolo. La composizione chimica è la seguente: Rapporti molecolari Si 0, 66,38 1,100 l 1,101 2,02 TO, 0,10 0,001 AI,0, 0,79 0,008 Fe 0 0,30 0,004 | Co 0 0,38 0,005 NiO tr. _ Mn0 dr _ 0,546 1 Ca 0 18,45 0,329 Mg0 0,74 0,018 Na, 0 10,96 0,177 K,0 1,20 0,013 | H,0 1,39 0,077 100,69 La presenza nel minerale di tracce di nichelio addirittura minime fu accertata col reattivo di Tschugaeff. Il ferro è stato considerato tutto come esistente allo stato ferroso. Con H, 0 è indicata la perdita di peso a 950°: la polvere riscaldata a quella temperatura fu trovata fusa, sotto forma di un vetro molto spugnoso, di colore azzurro-celeste pallido. Dall'analisi surriferita si calcola la formola (Ca, Na,) Si,0,: una piccola quan- lità del calcio è sostituita dal ferro ferroso, dal cobalto, dal magnesio, ed alquanto sodio dal potassio. L'acqua non appartiene alla costituzione del minerale, e viene espulsa in gran parte già a temperature relativamenle basse. La formula (Ca, Na,) Si, 0, richiede, ammettendo che Ca 0 e Na, O si trovino 1) Per mancanza di mezzi adatti non ho potuto eseguire altre determinazioni ottiche. ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 12. 3 MISE nel rapporto di > Ca0 per gNa,0, i valori seguenti Si O, 67,51 Ca 0 20,92 Na, 0 11,57 100,00 i quali sono in buon accordo con i risultati dell’analisi, qualora si riuniscano in- sieme Fe 0, Co 0, Ca 0, MgO da un lato, Na, O e K, 0 dall’altro. Sull’ufficio dell’alluminio nel minerale è difficile farsi un giudizio sicuro. Si può, tuttavia, con un certo grado di probabilità, ammettere che si trovi disciolto nel silicato (Ca, Na,)Si,0,, che costituisce Ja quasi totalità del minerale, allo stato di Al, Si 0,. Come è noto, Groth ‘) ritiene che le titaniti contenenti elementi trivalenti sieno delle soluzioni solide dei due composti Ca Ti Si 0, e (Al, Fe,Y),(Si,Ti) 0,. Com- posti analoghi si rinvengono nella. uhligite di O. Hauser ?), che ha la formula 3,3 Ca (Th, Zr)y;0;- ATO Per la titanite, le analisi non suffragano, come ho mostrato altra volta, le idee di Groth, ma diverso è il caso nel minerale vesuviano studiato. In esso, infatti, trascurando l'alluminio, il rapporto RO:Si0, è uguale a 1:2,02, il che mostra la presenza di un leggero eccesso di silice: togliendo, però, dalla quantità totale di quest ultima, quella necessaria per formare con l’allumina il silicato AI, Si O, , il rapporto RO: Si O, diventa esattamente 1:2. Non è stato ancora descritto, che io sappia, un minerale con la composizione e le proprietà di quello vesuviano ora studiato. Si tratta, perciò, di un minerale nuovo, per il quale io propongo il nome di Rivaite, in segno di mesto omaggio alla memoria di Carlo Riva, il giovane e valorosissimo mineralista e petrografo che il fato avverso ha tolto tanto presto agli studî nei quali primeggiava. Sono assai pochi, finora, i minerali che si possono considerare con certezza come sali di calcio o di sodio (o di ambedue questi metalli), degli acidi H, Si, 0,, H, Ti,0,,H,Zr,0, ed analoghi. Qualora la titanite dovesse davvero considerarsi co- me il sale di calcio di un acido H, (Si, Ti),0,, la rivaite verrebbe a collocarsi na- turalmente presso la titanite, della quale rappresenterebbe il composto analogo pu- ramente silicico, con una parte notevole del calcio sostituita dal sodio. D’ accordo con questo avvicinamento starebbe anche il fatto che la rivaite è molto probabil- mente monoclina. Una decisione in proposito potrà prendersi, però, soltanto quando nuove ricerche avranno stabilito quale, fra le varie ipotesi avanzate intorno alla costiluzione della titanite, è la più verosimile. È Il nodulo di rivaite è stato rinvenuto libero, nel lapillo profondamente tormen- tato dalle lave di fango dopo l’eruzione dell’aprile 1906. Non si può, perciò, nulla dire intorno alla sua origine. Non è, però, da tacersi che analoghi aggregati cri- stallini, costituiti da sola wollastonite, e rappresentanti il riempimento, divenuto poi libero,, di geodi di blocchi calcarei, si trovano non di rado nei tufi del Monte Som- ma, sicchè non appare improbabile un’origine analoga per la rivaite descritta. !) Tableau systématique des minéraux, 1904, pag. 160. ?) Zeitsch. fiur anorg. Chemie 1909, XLIII, 340. RS (o jp LEUCITE P. Franco (Bollettino Società Naturalisti di Napoli 1896, X, 410) ha studiato, nei cristalli della lava del 1895, la struttura lamellare della leucite, giungendo alla conclusione che i pseudoicositetraedri del minerale sono costituiti da lamelle tricline, geminate se- condo leggi di ordine superiore !). Come è noto, la leucite si rinviene nelle geodi dei blocchi calcarei del Monte Somma in due varietà ben distinte: una grigia, opaca, ricca in inclusioni vetrose, con scarso splendore piuttosto grasso, l’altra bianca od incolora, con splendore vi- treo. Specialmente la prima varietà si presenta spesso con un aspetto tale, da far pensare che abbia subito almeno un principio di fusione. Per stabilire se la fu- sione era davvero avvenuta, io ho pensato di determinare l’indice di rifrazione di leucili con l'aspetto che possiamo dire normale, e di quelle che sembrano fuse: se queste ultime fossero davvero tali, dovrebbero presentare, per l’indice di rifra- zione, dei valori ben diversi da quelli delle prime. La ricerca presentava anche un certo interesse, per il fatto che, finora, non si conosce che una sola determinazione dell’indice di rifrazione della leucite vesuviana quella, cioè, eseguita da Zimanyi, che dette ny = 1,5086. lo ho studiato quattro leuciti provenienti da geodi di blocchi calcarei, e cioè: a) leucite grigia accompagnante la meionite; b) leucite in piccoli cristallini incolori; c) leucite grigia di apparenza fusa; d) \eucite in cristalli affumicati, quasi neri in alcuni punti, associati con leu- citi grigiastre. Questa varietà è molto rara. I risultati ottenuti impiegando dei prismi con angolo rifrangente di circa 44°, sono i seguenti : Li Na TI Cu ?) neu —Nti ‘ a) Leucite grigia accompagnante la meionite 1,5043 1,5076 —?*) 1,5143 0,0100 b) Leucite incolora 1,5045 1,5078 1,5101 1,5147 0,0102 ec) Leucite grigia di apparenza fusa 1,5050 1,5080 1,5107 1,5143 0,0093 a) Leucite affumicata 1,5061 1,5091 1,5119 1,5156 0,0095 Come si vede, la leucite grigia che sembra aver subito un processo di fusione ha, per le varie lunghezze d’onda, un indice di rifrazione pressoche identico a quello della leucite incolora in netti cristallini. Ciò dimostra senz’altro che l’aspetto particolare della leucite grigia in questione non può dipendere da fusione, ma da altre cause. È molto probabile, esclusa la fusione, che esso sia dovuto a fenomeni di soluzione, per i quali, in seguito all’arrotondamento degli spigoli ed alla scom- parsa delle originarie faccie piane dei cristalli, è risultata quell’apparenza speciale ') Di questo lavoro del Franco mi ero dimenticato, quando compilai la Mineralogia vesuviana. ?) Soluzione di solfato di cuprammonio. i *) Causa la minore trasparenza del prisma, l’immagine rifratta per la luce del tallio non si è potuta puntare con esattezza. a agizi di certe leuciti grigie, che, come in quella studiata, fa pensare naturalmente, a pri- ma vista, ad una fusione, per lo meno parziale. Anche per il peso specifico que- ste leuciti grigie particolari non si distinguono da quelle normali, il che conferma che non sono fuse, perchè il Douglas ha osservato che il vetro della leucite pos- siede, come del resto accade di solito, un peso specifico nettamente inferiore a quello della fase cristallina. _ Le tre leuciti a, d e c hanno per l’indice di rifrazione dei valori così prossi- mi, da far pensare che la composizione chimica deve essere sensibilmente la stessa in tutte e tre. La leucite affumicata d presenta, invece, dei valori nettamente più elevati di quelli delle altre tre leuciti, e la differenza può dipendere sia dalla so- stanza disciolta nella leucite d ed alla quale questa deve il suo colore, sia da un diverso tenore in sodio, o da ambedue le cause. La soluzione della questione |’ ho ricercata in una leucite bianca, trovata nella collezione di Napoli in cristalli isolati }211} {110}. Questa leucite, esaminata in la- mine sottili, appare più birifrangente delle quattro prima studiate, e presenta la solita complicata struttura lamellare. L’immagine rifratta da un prisma di circa 29°30' (an- golo vero) non è, però, sdoppiabile. Le determinazioni sono state eseguite con la luce del sodio e con alcuni dei filtri di Wratten e Wainwright, e si è avuto il seguente risultato : À DI À 667 Na 538 453 n= 1,0067 1,5098 1,5120 1,5178 Questa leucite contiene, secondo una determinazione eseguita dal Dr. F. Stella- Starrabba, 19,34°//K,0 e 1,62°/, Na, 0. Le altre leuciti studiate hanno lasciato scorgere, con i saggi microchimici, soltanto quantità sempre più piccole di sodio, man mano che diminuiva il valore dell’ indice di rifrazione, sicchè sembra che dalle mie esperienze possa dedursi che l’indice di rifrazione della leucite del Monte Som- ‘ ma va aumentando col tenore in sodio. Valori molto prossimi ai miei sono stati ottenuti nella leucite dei tufi della Cam- pagna romana da F. Rinne e R. Kolb ‘). GRUPPO NEFELINA In una Nota presentata alla R. Accademia delle Scienze di Torino il 29 dicembre 1867, G. Struùver descrisse un cristallo di nefelina del Monte Somma presentante la combi- nazione {0001} {1010} {1120} {21304 {1012} {1122} (orientazione della nefelina). Lo Struùver scrisse in un’epoca nella quale tutti i minerali del complesso gruppo nefelina che si trovano al monte Somma venivano considerati come «nefelina» senz’ al- tro. Mancando ogni notizia sulla presenza o meno della sfaldatura secondo il prisma {1010} non può, ora, sapersi a quale minerale del gruppo nefelina è da riferirsi il cristallo stu- diato dallo Struver. Nella speranza di poterlo esaminare, e di risolvere, così, la que- ') Neues Jahrbuch fiir Miner. ete., 1910, II, 156. CE: tl stione, non parlai delle osservazioni dello Strùver nella Mineralogia vesuviana: lo fac- cio ora che ogni speranza è perduta, perché quel cristallo, come mi ha cortesemente co- municato il Prof. Sacco, non sì e potuto rinvenire nè nella collezione mineralogica ge- nerale, nè in quella speciale vesuviana del R. Politecnico di Torino, dove si trovava nel 1867. E probabile che il cristallo in questione sia stato di davyna-microsommite, come sembra possa dedursi dal fatto che l’unico {#0//} esistente era {1012}, e dall’habitus del cristallo, molto somigliante a quello di certi cristallini di davyna con facies cavolinitica del Monte Somma che io ho descritto nella Mineralogia vesuviana. CALIOFILITE Finora, soltanto Covelli e Breithaupt avevano avato a loro disposizione cristalli di caliofilite con facce di bipiramide esagonale adatte per misure precise. Io, all’epoca della pubblicazione della mia Mineralogia vesuviana, non potei studiare che cristalli molto imperfetti, che mi permisero di confermare | omeomorfismo della caliofilite con la nefelina, già posto fuori di dubbio dalle misure del Co - velli, ma non di eseguire misure esatte, tanto che per il calcolo del rapporto as- siale fui costretto a servirmi del valore trovato nel 1826 dal Covelli per l’angolo (0001) : (1011). In questo stato di cose, appariva vivamente desiderabile il control- lare, su materiale adatto, le misure del Covelli e del Breithaupt, tanto più che la rarità estrema dei cristalli ben conformati di caliofilite poteva far sorgere il dubbio che quelli misurati dai due studiosi ricordati fossero stati di nefelina, ma la verifica mi è stata possibile solamente negli ultimi tempi. Il Prof. E. Scacchi ebbe occasione di rinvenire alcuni antichi esemplari dimenticati, non facienti parte della collezione vesuviana, e me li affidò per lo studio. Potei, così, identificare con la caliofilite alcuni fascetti di cristalli e degli aghetti isolati, che Arcangelo Scac- chi aveva interrogalivamente riferito alla humboldtilite: due di essi presentarono facce nellissime e perfettamente misurabili della bipiramide 1011}. Questa forma fu osservata in ambedue i casi con una parte soltanto delle faccelte richieste dalla simmetria della classe alla quale appartiene la caliofilite: erano, inoltre, molto su- bordinate rispetto alla base. Uno dei due cristalli (I) non misurava che circa 2 mm. nella direzione dell’asse principale, ed è rappresentato, completato, nella Fig. 11. L’altro (II) è più grande, poichè raggiunge quasi i 5 mm. nella stessa direzione, ma si compone di due individui accollati in posizione parallela, ciascuno con lhabitus della Fig. 11. Come di solito accade nella caliofilite, le facce del prisma }1010} sono in combinazione oscillatoria. Nei due cristalli si poterono misurare esattamente i seguenti angoli : I (0001):(1011)=44%4" da cui a:c=1:0,83826 BRUNI (1010) : (1011). 45158» » » ‘1:0,83729 » = (O110):(O111) 4554‘, >» » » 110,83899. Come valore medio si ha, perciò, a:c=1:0,8382 e (0001) :(1011) = 44°4 cale. Dalle misure di Covelli si deduce, per questo angolo, 44°5 e da quelle di Breithaupt 444. ca Le mie nuove costanti sono, forse, data la precisione delle misure e la loro concordanza, da preferirsi a quelle che ho calcolato in base all’angolo fondamen- tale di Covelli: resta pur sempre veramente degna di ammirazione l’esatlezza che seppe raggiungere il Covelli già nel 1826, nella prima ricerca cristallografica eseguita in Italia col goniometro a riflessione. Il nuovo materiale rinvenuto ha permesso anche di eseguire delle ricerche più complete sulla sfaldatura basale della caliofilite. Avendo io osservato che questa sfaldatura nella pseudonefelina di Capo di Bove non esiste, emisi già il dubbio (Mt- neralogia vesuviana, pag. 180) che quella riscontrata nella caliofilite rappresenti, più che una vera sfaldatura, una direzione di scorrimento. I risultati delle nuove indagini possono riassumersi nel modo seguente. In pa- recchi lunghi aghetti isolati, costituiti da pochi individui in accrescimento paral-.. lelo, ho potuto constatare l’esistenza di una sfaldatura basale abbastanza nitida. In molti grossi fasci di cristalli, invece, questa sfaldalura può dirsi assolutamente man- cante, poichè le superficie di rottura perpendicolari all’asse principale sono irrego- larissime. In altri fasci, invece, essa appare, ma molto imperfetta. Finalmente, in alcuni fasci appaiono assai evidenti quelle specie di fenditure incipienti, che furono già descritte dal Covelli col nome di giunte: sulle facce di }1010} esse sono sensibilmente parallele agli spigoli di combinazione con la base, ma il loro decorso non è molto regolare, e se si provoca la rottura in corrispon- denza di quelle giunture, si ottengono delle superficie piuttosto irregolari. Quanto si è detto, dimostra che si ha a che fare non con una vera sfaldatura, ma con una direzione di scorrimento, ora più, ora meno pronunciata, e che può anche non es-, sere manifesta. Le osservazioni che precedono sono state eseguite sulla caliofilite tipica, leg- germente giallognola, corrispondente al materiale originale di Covelli, di E. Scacchi, di Mierisch. Di aspetto molto diverso è la caliotilite che si rinviene. in alcune geodi di blocchi calcarei, come prodotto di trasformazione della leucite. La trasformazione della leucite in caliofilite è stata da me già descritta nella Mineralogia vesuviana (pag. 134), ma non avendo io potuto, per l’insufficienza del materiale disponibile, determinare né la composizione chimica quantitativa, nè, me- diante le figure di corrosione, la classe cristallina del minerale formatosi a spese della leucite, poteva tuttora sussistere il dubbio che, invece di vera e propria ca- liofilite, si fosse trattato di un minerale della serie davyna-microsommite, che pre- senta termini tanto svariati. Grazie a nuovi studî che sono stati resi possibili dal recente rinvenimento di materiale più abbondante, sono ora in grado di piena- mente confermare quanto avevo esposto nella Mineralogia vesuviana. Lo scorso anno è stato, infatti, trovato un blocco calcareo, una grande geode del quale era occupata da grossi noduli di leucite grigio-scura, bucherellati e corrosi, trasformati, nelle parti superficiali, in un minerale bianco, con splendore setaceo, dello stesso aspetto di quello già da me descritto, e somigliante, senza dubbio, assai, alle varietà a facies cavolinitica della serie davyna-microsommite, ma che fu rico- nosciuto appartenere alla caliofilite, Io. vicinanza delle masserelle più abbondanti di quest’ultima, la leucite prende spesso un colore nerastro, e si arricchisce in cristallini di augite verde nerastra che è IR n si rinvengono abbondantemente nelle masserelle di caliofilite. Rara è la meionite, in gruppi di cristallini per lo più freschi e splendentissimi, avvolti dalla caliofilite. In tutta la massa dei noduli di leucite si vedono, poi, aghetti e ciuffettini di caliofilite intima- mente legata alla leucite, ed è possibile seguire la trasformazione in tutti i suoi dettagli. La caliofilite si presenta in masserelle di colore bianco, con splendore setaceo pronunciato, costituite da fascetti di cristallini aghiformi confusamente intrecciati. I singoli fascelti risultano talvolta formati da cristallini riuniti in associazione più o meno esattamente parallela, ma più spesso, invece, si ha una disposizione a covone o a fibre divergenti da un punto. Qua e là, specialmente nelle minute cavità delle quali è cosparsa la leucite, si ‘ osservano anche dei cristalli isolati di caliofilite, incolori e trasparenti. Gli aghetti che costituiscono i fascetti raramente superano i 5-6 mm. di lunghezza: il loro spessore è veramente minimo. Esaminando al microscopio gli aghetti liberi, o quelli che si possono facil- mente isolare dai fascetti, che si suddividono per la semplice pressione delle dita, si vede come essi non presentino traccia di sfaldatura prismatica, ma, invece, non di rado quelle fenditure corrispondenti alla separazione basale, che abbiamo visto oc- correre spesso nella caliotilite tipica. Nei cristallini meno minuti ho potuto ottenere nitide figure di corrosione, sia con l’acido cloridrico che col fluoridrico : esse sono identiche a quelle che Baumhauer e Traube hanno descritto per la nefelina. Quelle da me studiate corrispondono specialmente alla Fig. 10 e 2c del lavoro di Traube. È, così, dimostrata anche per la caliofilite in questione | appartenenza alla classe eni - piramidale del sistema esagonale. Gli stessi risultati io ho ottenuto, ora, anche su facce di 10101 della caliotilite tipica, della quale non avevo prima studiato che facce }000]{. ll peso specifico della caliofilite bianca, setacea della quale ci stiamo occu- pando è 2,56, alquanto inferiore al valore da me trovato per la caltofilite giallo- gnola (2,628). Ciò dipende, evidentemente, dal fatto che il mostro minerale è, a dif- ferenza di molte delle varietà giallastre, pressochè privo di calcio. La birifrazione è debole, negativa. L’analisi chimica ha dato i seguenti risultati : Rapporti molecolari SO, 38,53 0,639 2,02 A1,0, 32,20 0,315 | Fe, 0, 0,12 G.001 | to È Ca 0 0,28 0,005 Mg0 . tr. TE K,0 26,62 0,283 |. 095 LS0rà) Na, 0 2,12 0,034 CI 0,14 0,004 Augite insolubile 0,15 100,16 O equiv. 2 CI 0,03 100,13 1) Questo valore si ottiene deducendo dalla somma dei rapporti molecolari di Ca 0, Na, 0, K,0 la quantità di alcali corrispondente al cloro (0,002). ME La caliofilite studiata è, perciò, assai pura, e corrisponde esaltamente alla for- mula K AISi 0,: una parle molto piccola del potassio è sostituita dal sodio, ed una piccolissima dal calcio. ni Notevole è la presenza nella caliofilite analizzata di una piccola quantità di cloro, che non può dipendere da inclusioni liquide con cristallini di cloruro sodico, perchè l’esame microscopico si può dire che non ne ha quasi lasciato scorgere, Degno di attenzione è il fatto che anche la caliofilite da me osservata come. pro- dotto di trasformazione della leucite nella collezione Johston-Lavis mi ha dato una netta reazione per il cloro, sicchè sembra che questo elemento si rinvenga co- stantemevte nella caliofilite originatasi a spese della leucite, mentre il residuo sol- forico SO, pare mancare completamente, se non è presente in tracce minime, sia nella caliofilite della coll Johnston-Lavis, che in quella ora descritta. La presenza del cloro nelle calioliliti in questione può essere spiegata in due modi: ammettendo, cioè, che il composto KAI Si 0, possa dare soluzioni solide col clorosilicato della serie davyna-microsommite, ovvero che si abbia a che fare con una miscela meccanica di caliofilite e di microsommite. Contro la prima ipo- tesi potrebbe, forse, obbiettarsi che caliofilite e davyna-microsommite appartengono a due classi cristallografiche diverse, il che potrebbe costituire un impedimento alla formazione di cristalli misti tra i due minerali. In realtà, l’obbiezione non ha va- lore, perchè non soltanto sono noti varî casi di formazione di soluzioni solide tra composti appartenenti a classi diverse dello stesso sistema cristallino, ma già nella serie davyna-microsommite si hanno delle soluzioni solide dei due allumosi- licati Na ALSO, e KAISIO, con i cloro-solfato- e carbonalosilicati caratteristici, ap- punto, di quella serie. In favore della seconda ipotesi parla il fatto che Lacroix ed io abbiamo osservato abbastanza spesso, nei blocchi rigettati dal Vesuvio spe- cialmente durante l’eruzione del 1906, la trasformazione della leucite in microsom- mite. È, però, da osservare che la formazione di caliofilite a spese della leucite può considerarsi avvenuta, come ho mostrato nella Mineralogia vesuviana, molto sem- plicemente, per eliminazione di biossido di silicio KAISij0, >, KAESIO SE il quale, reagendo cen gli ossidi di calcio e di magnesio del calcare dà origine al piros- seno, Per passare, invece, dalla leucite alla microsommite, occorre apporto di calcio, di sodio, di cloro e di solfo (allo stato di residuo solforico ) in quantità notevoli. I due processi di trasformazione, in caliofilite ed in microsommite, sì distin- guono, perciò, nettamente l’uno dall’altro, e sembrano, anzi, escludersi a vicenda, perchè nei numerosi blocchi del 1906 esaminati, sia da Lacroix, che da me, non si è mai accertata l’esistenza della caliofilite accanto alla microsammite, nelle leuciti trasformate più o meno completamente. Per cercar di risolvere la questione, ho determinato con la lamina di gesso il carattere ottico della direzione di allungamento di un gran numero di aghetti della caliotilite analizzata, ma ho in tutti, costantemente, osservato che quella direzione è asse di massima elasticità. La presenza della microsommite, che è otticamente positiva, resia, quindi, esclusa. pt aa Non può, invece, negarsi in modo assoluto la presenza di termini negativi di davyna: tuttavia, non deve dimenticarsi che le davyne pegative finora studiate pre- sentano birifrangenza debolissima, mentre nel mio materiale io non ho potuto os- servare differenze nella birifrangenza dei vari cristallini. A meno che alla caliofilite fosse associata una davyna negativa con una birifrazione molto prossima a quella della caliofilite, deve ritenersi accertato che, nel nostro caso almeno, ci troviamo di fronte ad una soluzione solida del clorosilicato della davyna-microsommite nel composto K AISI O, . Questa constatazione non è priva di interesse, perchè finora non era stato ac- cerlato che il caso opposto: solubilità allo stato solido, cioè, della caliofilite nei cloro-carbonato- e solfatosilicati della davyna-microsommite. Poteva, perciò, sorgere legittimo il dubbio che, analogamente a quanto è stato osservato dal Bruni prima, e dal Tammann e dai suoi allievi, poi, in moltissime coppie di sostanze, la mi- scibilità non si verificasse che in un senso solo. La caliofilite clorifera studiata ci mostra, ora, che la solubilità allo stato solido dei composti indicati è scambievole. In base a quanto mi è finora noto sembra, però, che la caliotilile non possa scio- gliere che una quantità relativamente piccola del clorosilicato. NEFELINA Lo scorso anno è stato trovato al Monte Somma un blocco molto notevole, composto in gran prevalenza da nefelina, accompagnata da augite verde-nera, da idocrasio e da wollastonite. Specialmente nella massa del blocco, l’idocrasio si pre- senta in alcuni punti profondamente alterato, e trasformato in un minerale bianco, che forma dei cristallini tabulari, molto allungati, riuniti in fascetli, che è facile riconoscere per wollastonite. La forma dei cristalli di rdocrasio in generale non è conservata: molle volte, però, è ancora riconoscibile. In questi casi, le tavolette allungate di wollastonite, intramezzate da un po’ di calcite, e separate qua e là luna dall’altra da spazî vuoti, sono raggruppate in modo da avere gli assi d sen- sibilmente paralleli tra loro ed all'incirca all'asse c dell’idocrasio dall’alterazione del quale provengono. Nell’interno dei cristalli così trasformati, esistono tuttora par- licole più o meno alterate di idocrasio. Che il minerale formatosi a spese dell’ido- crasio sia effettivamente wollastonite risulta dalle proprietà ottiche e chimiche, iden- tiche, appunto, a quelle della wollastonite. La nefelina si presenta in due varietà ben distinte, Una di esse costituisce quasi da sola una parte cospicua del blocco, e forma un aggregato di grossi cristalli }1010} }0001{, che misurano fino a 20 mm. di lunghezza (nella direzione dell’asse verticale), per 12-13 mm. di larghezza e di spessore: un cristallo ora rotto doveva, anzi, raggiungere i mm. 30 X 20 X 20. Questa varietà di nefelina è di colore un po’ biancastro, con splendore vitreo pronunciato, ed ha lo stesso aspetto della ne- felina tipica. In alcuni punti dei blocco, invece, si ha una pasta, ora quasi com- patta, ora nettamente cristallina, composta di nefelina, di idocrasio e di pirosseno con poca wellastonite. La nefelina di queste parti del blocco è generalmente un po’ grigiastra, ha uno splendore particolare, somigliante alquanto a quello del vetro lavato, e si distingue nettamente dall’altra descritta. Qua e là si aprono delle geodi, ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 12. 4 - dt fe deo Mi Ro metti Ai e” a v E x — 26 — î tappezzate da bellissimi cristalli di nefelina (sui quali sono spesso impiantati dei cristallini di augite verde-nera), da augite, da idocrasio, e spesso anche da wol-l lastonite in fascetti di aghi molto alterati. La nefelina delle geodi è identica alla seconda varietà grigiastra che si è ricordata. SY I cristalli di nefelina lievemente grigiastra delle geodi non superano, di solito, i. 5 mm. nella loro maggiore dimensione, e presentano habilus variabilissimo. Le forme. osservate in questi cristalli sono c}0001}, m}1010}, a}1120}, p}1011{, 3}2021{, s}1121}. Nella maggior parte dei casi corrispondono alla Fig. 12, con l'avver- tenza, però, che spesso 2 manca, e che non rare sono — alcune faccelline di s ed altre, esilissime, di a. Altri cristalli, specialmente quelli più piccoli, sono schiac- ciali secondo la base, e somigliano alla Fig. 39 della Mineralogia vesuviana, mentre non ne mancano di allun- gati nella direzione dell’asse verticale, in modo da tendere. ad avvicinarsi alla Fig. 40 della Min. Ves. Lo sviluppo Fig. 12. delle varie forme è molto irregolare, e sia p che 3 spesso non hanno che una parte delle loro facce, e quelle. esistenti in uno stesso cristallo possono possedere grandezza diversissima. Viceversa non sono rari i cristalli con sviluppo quasi modello. I valori angolari sono quelli | della nefelina tipica. “ Le sezioni basali della nefelina delle geodi non presentano anomalie ottiche, | si mostrano, però, molto ricche in inclusioni. Assai diffuse sono le inclusioni di augite verde-scura, che nelle sezioni sottili appare verde-pallidissima, con pleo- croismo quasi insensibile. Frequenti sono le inclusioni liquide con libella, che si rin- vengono sopratutto concentrate in alcuni punti, specialmente in vicinanza dell’orlo. esterno dei cristalli. Molte sono rotondeggianti ed ovaloidi, ma parecchie invece, presentano contorno esagonale, con due lati paralleli di gran lunga più estesi degli altri: questi lati più lunghi sono paralleli allo spigolo [0001 : 1010) più vicino alla inclusione. Quando diverse di queste inclusioni a contorno esagonale sono ravvi- cinate, si dispongono tutte parallelamente fra loro. Spesso contengono uno o due cubetti, perfettamente conformati, di alite o di silvite, che possono raggiungere. fino ‘so di millimetro di lato. La quantità e la grandezza delle inclusioni liquide è molto variabile. In alcuni cristalli ne esistono relativamente poche e piccolissime, mentre in altri sono abbondanti e, per giunta, grandi, poichè talune arrivano a misurare, quantunque eccezionalmente, poco meno di ‘/,, di millimetro di lunghezza. Gli indici di rifrazione di questa nefelina delle geodi sono stati determinati in un prisma ad angolo rifrangente (vero) di 44°6', per la luce del sodio e per al- cune altre lunghezze d’onda mediante i filtri di Wratten. " I risultati ottenuti sono i seguenti : \—= 667 Na 533 453 w= 153143 1,5376 1,5398 15474 @&,;3 — %yg,=0,0131 e= 15308 1,5339 1,5356 1,5430 esa — War=0,0122. wT_Te= 0,0035 0,0037 0,0042 0,0044 O CRON Secondo il Dr. F. Stella-Starrabba, la composizione chimica della nefe- lina studiata è la seguente: >» Rapporti molecolari TOA 42,73 0,709 2,14 O. 33,62 0,329 0,332 I Fe, O, 0,51 0,003 Ca 0 1,08 0,019 Na, 0 17,00 0,274 È 0,350 1,05 . K,0 5,40 0,057 100,34 Traltando il minerale con acido cloridrico, si ha netto odore di idrogeno solforato. — Le nostre cognizioni sulle proprietà ottiche della nefelina sono così scarse, che è sembrato opportuno eseguire delle determinazioni degli indici di rifrazione per ie lunghezze d’onda anche in altre varietà. i 2 Ho fatto tagliare un prisma con angolo rifrangente (vero) di 30° *// da un bel cristallo di nefelina tipica staccato da una geode del blocco di sanidinite nel quale ho rinvenuto la baddeleyite. I risultati ottenuti sono i seguenti : (12 667 Na 533 458 w= 15384 = 1,5376 15392 15452, — 0,,==0,0118 fe= 15303 15345 15361 1,5421 e, — &o,==0,0118. w-—-e= 0,0081 0,0081 0,0031 0,0031 Da una microsienite nefelinica a hiortdahlite ho isolato dei bei cristallini di ne- na, limpidi e trasparenti, in alcuni dei quali oltre }1010} e }0001{ ho osservato anche qualche faccetta di 1011}. «Mediante un prisma con angolo rifrangente di 30°6' ho trovato per gli indici i 667 Na 533 453 w= 1,5338 1,5374 1,5390 15459 ©, —t6y,=0,0121 e= 15302 1,5341 1,5357 1,5439 e,,3— &=0,0137. w—-e= 0,0036 0,0033 0,0033 0,0020 fc-La composizione chimica di questa nefelina, determinata dal Dr. F. Stella - arrabba, è la seguente: Rapporti molecolari Si O, 44,29 0,734 2,19 AI,O, 33,82 0,331 | 0,385 1 Fe, 0, 0,61 0,004 Ca 0 0,94 0,017 Mg 0 0,06 0,001 I 0,336 1 Na, 0 16,89 0,272 \ K,0 4,29 0,046 100,90 PERE EE Le tre nefeline studiate appartengono senza dubbio alla nefelina tipica, come risulta in modo sicuro per due di esse dalle analisi del Dr. Stella-Starrabba, e per l’altra dal suo aspetto, dalla mancanza di ogni sfaldatura, ecc. Queste tre nefeline presentano, per gli indici «di rifrazione, dei valori molto vicini, ma diversi notevolmente da quelli che erano stali finora osservati nella nefelina del Monte Som- ma. Le determinazioni di Des Cloizeaux, di Wolff, di Wadsworth e di Zimanyi, già riportate nella Mineralogia vesuviana (pag. 185) e quelle più recenti di Wilfing ‘') hanno dali i risultati seguenti (per la luce del sodio): Des Cloizeaux Wolf Wadsworth Zimangyi W ùlfing w= 1,939 — 1,542 1,5416 1,5427 1,5424 1,5417 e= 1,534 — 1,537 1,5376 1,5378 1,5375 1,5378 wT—-e= 0,005 0,0040 0,0049 0,0049 0,0039 I valori da me osservati sono nettamente più bassi, e si avvicinano a quelli che K. Zimaàunyi °) ha trovato per l’eleolite di Laurvik, e, cioè: Wwxya = 1,5364 Exa DI 1,5322 (w a Elna _- 0,0042 . Anche le determinazioni di K. Hlawatsch ?) nella cleolite del Monte Mulatt presso Predazzo Wya = 1,539 exa = 1,534 si avvicinano alle mie. In base ai risultati da me ottenuti deve ammeltersi l’esistenza al Monte Somma di due tipi di nefelina: uno con w = 1,537 — 1,538 e = 1,584 circa (per la luce del sodio), l’altro, invece, con w= 1,542 e«=1,588 circa, pure per la luce del sodio. E assai probabile che i due tipi sieno legati da termini di passaggio. Infatti, nella nefelina che accompagua la cancrinite, e che verrà in seguito descritta, io ho trovato Osa = 1,5404 (© — e)yxa= 0,0032 . esa = 1,5372 Se e quali relazioni esistono, dal punto di vista della composizione chimica, fra i due gruppi, non è possibile, ora, saperlo, non essendo state analizzate le ne- feline studiate da Wolff, da Wadsworth, da Zimanyi e da Wilfing, che hanno fornito i valori più elevati per gli indici di rifrazione. Se noi esaminiamo le due analisi eseguite dal Dr. Stella-Starrabba, vediamo che esse corrispondono a due tipi ben diversi di nefelina: quella grigia è più ricca in potassio e più povera: in silice, e segue la formula (Na, ,K,, Ca) 0. AI,0,.2,14 Si0,, mentre quella della microsienite a hiortdahlte contiene meno !) Ueber die Lichtbrechung des Kanadabalsams. Sitzungsber. der Heidelberger Akademie der Wis- sensch., 1911, 20. Abh. ) Zeitsch. fir Kryst., 1894, XXII, 333. ®) Tschermak's min. petr. Mitth., 1901, XX, 42. LSIY0) — v iis e più silice, e le spetta la formula (Na,,K,,Ca)O.Al s0,,2,10 Si0,. Ad onta di queste differenze cospicue, gli indici di rifrazione per la luce del sodio delle due nefeline analizzate sono quasi identici, il che fa pensare che l’effetto ottico pro- « dotto da una maggiore quantità del silicato K AI Si O, viene in certo modo neutra- lizzato da quello dovuto ad una diminuzione dell’allumosilicato più ricco in silicio di quello espresso dalla formula Na AI Si O,. Questo fenomeno ci lascia compren- dere come, a differenze relativamente piccole nella composizione centesimale, ma | determinanti rapporti diversi dei silicati K AISiO,, Na AISIO, , Na, AI, Si 0, ‘'), (c>2) possano corrispondere variazioni considerevoli negli indici di rifrazione ?). La ricerca delle relazioni intercedenti fra le costanti ottiche delle nefeline e la loro composi- | zione si presenta, perciò assai difficile, ed è anche certo, come vedremo fra poco, che sui diversi valori degli indici di rifrazione influiscono altri fattori, come accade nella serie davynamicrosommite, nella quale riesce impossibile, enon per ora, il trovare una relazione qualsiasi fra le proprietà ottiche e la composizione. Se le tre nefeline da me studiate presentano valori molto vicini degli indici di rifrazione per la luce del sodio, merita grande attenzione il fatto che nelle loro co- | Slanti ottiche si notano anche differenze importantissime. Mentre, infatti, nella ne- felina grigiastra delle geodi del blocco di nefelina Vindice èw ha una dispersione notevolmente più forte di e, precisamente il contrario accade nella nefelina della | microsienite a hiortdahlite: la nefelina della sanidinite con ortite, baddeleyite, ecc. possiede, invece, nei limiti della precisione raggiungibile, una dispersione presso a poco eguale per è e per e. Da questo singolare comportamento ne segue che nella nefelina delle geodi del blocco di nefelina dal rosso al violetto la birifrangenza au- « menta, non subisce variazioni apprezzabili nelle mie condizioni sperimentali nella — nefelina della sanidinite, e diminuisce, invece, in quella della microsienite *). I Mi è sorto il dubbio che l’azione prolungata di una temperatura elevata po- tesse esercitare una influenza apprezzabile sul valore degli indici di rifrazione della nefelina. L'esperienza ha confermato pienamente la mia supposizione. Io ho riscal- — dato per un’ora alla temperatura di 810° in un forno elettrico per crogiuoli di He- raeus il primo prismetto di nefelina della sanidinite con ortite, ecc., nel quale si pirs I 1) Come è noto, mentre Morozewicz assegna la formula R, Al, Si,0,, al silicato più ricco in silicio di RAI Si 0, (0 R, AI, Si, O;) esistente nella nefelina, W. T. Schaller e N. L. Bowen — hanno recentemente proposto di considerare la nefelina come una soluzione solida dei silicati _ Na AISiO,, Na AI Si, 0, e KAISIO,. 2) Nelle due analisi eseguite dal Dr. Stella-Starrabba il contenuto in calcio è pratica- | mente identico, ed il confronto delle proprietà ottiche delle due nefeline alle quali si riferiscono | è possibile. Se fosse stato altrimenti, il confronto non sarebbe stato plausibile, perchè il Bowen (Am. Journ. Sc., 1912, XXXIII, 551) ha dimostrato che i cristalli misti esagonali di Na A Si O, e Ca AI, Si,0, presentano una arininfizione della birifrangenza al crescere della quantità del se- | condo bsosto, diventano isotropi quando essa raggiunge il 23 Uni ed aumentando ancora si ha i nto del segno ottico, che da negativo divieno positivo. ‘ Do) Questi risultati sono stati da me ripetutamente controllati. Le differenze tra i valori della | birifrazione per le varie lunghezze d'onda sono piccole, ma non può esservi dubbio sul senso della variazione, avendo le numerose letture eseguite in tempi diversi condotto sempre allo stesso ri- “sultato. BE | det erano eseguite le determinazioni dianzi riferite. Il prismelto era stato messo nel forno freddo, ed occorse circa un’ora per portarlo alla temperatura di 810°. Il raf- freddamento avvenne in modo, che la temperatura in mezz’ ora scese da 810° a 200°. Allora il prismetto fu tolto dal forno e messo in un tubetto di vetro. In se- guito al riscaldamento così energico, il prismetto non ha presentato che qualche piccola fenditura, ma una delle due facce ha dato al goniometro immagini meno buone di prima, sicchè le misure presentano un grado di esattezza alquanto infe- riore a quelle eseguite prima, ma l’incertezza non supera quattro unità della quarta cifra decimale. I risultati ottenuti sono i seguenti : A= 667 Na 533 458 o= 1,5357 1,5395 1,5412 1,5478 0,3 — 0,==0,0121 e= 15316 1,5362 15381 15453 e, — &,==0,0137. o —-e= 0,00410,0033 0,00310,0025 L’effetto prodotto dal riscaldamento è interessantissimo: i due indici w ed e hanno acquistato un valore più elevato, e, ciò che è davvero molto notevole, mentre prima del riscaldamento la birifrangenza era sensibilmente la stessa per le varie lunghezze d’ onda, ora diminuisce dal rosso al violetto, come nella nefelina della microsienite a hiortdahlite. Ed anche la dispersione di w e di e ha assunto i valori osservati in quest’ultima. Questo risultato dimostra che, effettivamente, nella nefelina gli indici di rifra- zione non ‘dipendono soltanto dalla composizione chimica, ma anche in modo sicuro . dalla temperatura alla quale il minerale è stato esposto, dopo la sua formazione, per un tempo più o meno lungo. È assai probabile che quanto ho constatato ac- cadere nella nefelina si verifichi anche nella davyna-microsommite ‘), il che con- tribuirebbe a spiegare perchè nei minerali di quel gruppo non esiste nessuna re- lazione sicura fra la composizione chimica e le proprietà ottiche. Volendo controllare i risultati ottenuti, ho fatto tagliare un altro prisma da un cristallo di nefelina della sanidinite con baddeleyite. I valori ottenuti per gli indici di rifrazione sono notevolmente diversi da quelli trovati nel primo prisma, il che mostra che nei cristalli di nefelina di uno stesso blocco possono aversi variazioni notevoli negli indici di rifrazione. Ho, infatti, avuto: = 667 Na 538 453 w= = 15323 1,5359 15377 15439 to,g3 —©yg,=0,0116 e= 1,5287 1,5323 15344 1,5408 e, — &e,=0,0121. w-—-e= 0,0038 0,0036 0,0033 0,0031 Questi valori sono più bassi di quelli trovati nell’altro cristallo, e pressochè identici a quelli dati da Zimanyi per l’eleolite di Laurvik, che furono riferiti a pag. 26. Anche nel nuovo prisma la birifrangenza subisce variazioni minime al va- ') Io mi riserbo di eseguire delle indagini in proposito e di estenderle anche ad altri minerali. — 31 — tiare della lunghezza d’onda: sembra aversi, tultavia, una lieve diminuzione dal rosso al violetto. Dopo il riscaldamento a 810° si ha: mo c. © + Wya = 1,5364 Exa = 1,5329 (w— e)xa=0,0035 . __—“Si ha pure, perciò, un innalzamento nel valore degli indici di rifrazione, ma molto più tenue che nel primo prisma. : Anche negli altri prismi studiati l’azione prolungata di una temperatura elevata produce lievi variazioni negli indici di rifrazione. Le modificazioni prodotte appaiono, però, abbastanza irregolari, e mostrano la natura molto complicata del fenomeno, che sembra manifestarsi in modo diverso a seconda della composizione della nefelina che si riscalda. Sai CANCRINITE Io ho riferito alla cancrinite (Mineralogia vesuviana, pag. 201) un minerale del | Monte Somma analizzato dal Rammelsberg, e considerato generalmente come un prodotto di alterazione della nefelina. La vera natura del materiale originale del _ Rammelsberg è rimasta, tuttavia, dubbiosa, perchè se da un lato le mie argo- . mentazioni rendevano assai verosimile la possibile esistenza della cancrinite nei blocchi del Monte Somma, dall’altro lato restava il fatto che nè Lacroix, nè io, per non | parlare di tanti altri studiosi meno recenti del nostro vulcano, avevamo mai avuto «occasione di osservare, nell’abbondante materiale studiato, un minerale cop i ca- — ratteri della cancrinite, Soltanto negli ullimi mesi, l'esame approfondito di certi cri- 4 stalli che a prima vista potevano scambiarsi per della sodalite o della nefelina rico- | perle di calcite, mi ha permesso di porre fuori di dubbio la presenza reale della | cancrinite al Monte Somma, non solo, ma, grazie alle proprietà del materiale dispo- nibile, ho potuto anche determinare, con sufficiente esattezza, le costanti cristallo- grafiche, che per la cancrinitte erano, finora, conosciute soltanto con grossolana ap- | prossimazione. ” Il minerale in questione è stato rinvenuto in due frammenti di un blocco di calcare melamorfosato, in ciascuno dei quali si apriva una grande geode, tutta tap- Tia da mica di colore verdognolo chiaro, da idocrasio di colore giallastro, da — calcite nelle solite forme gocciolari ed anche in nitidi cristalli, e da un minerale — bianco, opaco, in prismi esagonali, che si riconobbe appartenente alla cancrinite. «—_—La cancrinite del Monte Somma si presenta in cristalli costantemente allungati — nella direzione dell’asse verticale, ora quasi aghiformi, ora, invece, tozzi. 1 primi i — misurano fino circa 8 mm. di lunghezza per ‘/, mm. di larghezza, gli altri, invece | Faggiungono circa 5 mm. nelle tre dimensioni. Frequenti sono anche i gruppi costituiti da varî grossi cristalli confusamente iti. I cristalli di cancrinite appaiono bianchi, opachi, con le facce quasi sempre e di splendore: essi sono quasi costantemente ricoperti da un velo di calcite, lo più esilissimo, e che talvolta costituisce appena una velatura sottilissima, = — 32 —. dalla quale è allora facile liberare i cristallini. 1 cristalli ed i gruppi di cancrinite: si frantumano abbastanza facilmente. La causa di questo fenomeno non è da ricercare in un processo di alterazione al quale sia stato sottoposto il minerale, ma all’esistenza di due sfaldature, una se- condo le facce di un prisma esagonale, l’altra parallelamente alla base. La prima è la sfaldatura tipica, ordinaria della cancrinite, nella quale di solito quella basale è meno pronunciata : nella can- cripite del Monte Somma la sfaldatura basale è più facile di quella prismatica, e nei cristallini più nitidi e sottili si vedono benissimo numerose fenditure interne, parallele alla base (Fig. 13). I cristallini aghiformi, liberati dall’involuecro superficiale di calcite, appaiono limpidi, incolori, trasparenti. I cristalli più grandi, tozzi, se ven- gono rotti si presentano sempre un po’ biancastri in massa, con splendore alquanto perlaceo, mentre i frammenti sono perfettamente incolori. Nell’interno dei gruppi di cristalli si rinvengono talvolta dei cristallini con splendore vitreo , incolori e trasparenti. Sulle 18. facce di sfaldatura parallele alla base lo splendore è sempre tendente al madreperlaceo. Nell’ interno dei gruppi di cristalli di cancrinite ho osservato lalvolta inclusi dei cristallini di idocrasio, di colore giallo-vino chiaro, presso a poco altrettanto lunghi, che larghi, offrenti la combinazione }001{ {110} ;100{}111}: uno di essi raggiungeva i tre millimetri. Gli stessi cristallini di ido- crasio si trovano anche impiantati sulla cancrinite. I cristalli di cancrinite non presentano, per lo più, altre forme che il prisma esagonale m}1010}, limitato dalle facce basali di sfaldatura. Non di rado al prisma }1010} si unisce l’altro, sempre subordinato, di secondo ordine «}1120} e rara- mente, invece, anche alcune faccette del prisma dodecagono 7}2130}. Sia a, che n fornirono buone misure : (1010) : (1120) = 30°0' , 29°57 mis. 30° cale. (1010): (2130) 19 17 IE O In un cristallo ho osservato anche una bipiramide }h0 kh, con parecchie delle sue faccette ben misurabili: la base mancava completamente. Delle esalle misure hanno dato: (1010) : (hONI) = 64%42'., 64°43' , 61°944//), 64°46 Media 61°44'. La bipiramide in questione corrisponde, perciò, a quella già osservata da A. E. Tornebohm ‘) nella cancrinite della sienite di Elfdalen e da W. C. Brògger °) in quella di Barkevik, ed alla bipiramide g della serie davyna-microsommite. Nella Mineralogia vesuviana ho già esposto le ragioni per le quali alla bipiramide g della davyna-microsommile è da darsi il simbolo }1014{, contrariamente all’uso generale, ') Geol. Féren, i Stockholm Férhandl., 1803, VI, 390. *) Zeitsch. fiir Kryst., 1890, XVI, 244. E o QUA secondo il quale si prende come fondamentale. Date le intime relazioni che pas- sano fra cancrinite, nalrodavyna e davyua-microsommite, è opportuno dare a tutti questi minerali una orientazione corrispondente. In base al valore trovato nella can- crinite per l'angolo (1010): (1014) si calcola a:c=1:1,6350 . Considerando, invece, la bipiramide osservata nella cancrinite come fondamen- tale, si ha: acsge=170;4088. Tòérnebohm e Brògger avevano ottenuto rispettivamente a:c—=1:0,4224 ea:c=l1:0,4409, dei valori, cioè, notevolmente diversi dal mio, che è, però, indubbiamente più esatto. L’angolo mq era stato dal Tòrnebohm misurato in sezioni sottili al microscopio, da Brògger, invece, in cristalli non adatti per mi- sure precise, tanto che i valori da lui trovati oscillano tra 60° e 66° ‘). Nel cristallo studiato ho misurato anche alcuni altri angoli, ottenendo accordo quasi perfetto con i valori calcolati in base alla costante surriferita : (1010) : (0114) = 77%40' , 77°%40' , 77°%0 ‘/y , 77°41', 77°%42 Media 77°%4l' mis. 77°%0 ?/7 cale. (1014) : (1104) =24°36" , 24°38 ‘// , 24939" Media 24°38' mis. 2438 ?/, calc. Per la sua costante cristallografica, ia cancrinite si distingue nettamente non soltanto dai minerali del sottogruppo nefelina, ma anche da quelli, più affini, che, come la natrodavyna e la davyna-microsommite, sono stati, appunto, da me riuniti, con la cancrinite, in un unico sottogruppo. Si ha, infatti : 2c Caliofilite 1,6764 Pseudonefelina 1,6736 Nefelina 1,6778 (6) Davyna-microsommite 1,6832 — 1,6709 Natrodavyna 1,6720 Cancrinite 1,6350 Mentre nei primi cinque minerali c (0 2c) ha quasi lo stesso valore, nella can- crinite, invece, é notevolmente più piccolo. Ho già mostrato (Mineralogia vesuviana, pag. 207) che nel sottogruppo cancri- Nite non è possibile riconoscere alcuna netta relazione fra la composizione chimica e le proprietà ottiche. Altrettanto accade per la costante cristallografica. In base i) Non è inutile notare che, come osservò lo stesso Brégger, le misure migliori dettero i valori più elevati, più prossimi, pertanto, a quello da me ottenuto, La costante di Tòrnebohm è calcolata da mq = 64°. ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N, 12. Li Meno, alle determinazioni esistenti, e prendendo per i silicati costituenti i minerali del sottogruppo cancrinite le formule più semplici Na Al Si 0,, Na. (AI. CI) Si O, ete. si ha: Na AI Si O, Cl-silicato —SO,-silicato CO,-silicato e Cancrinite 0,63 0,02 —_ 0,22 1,6350 Natrodavyna # ‘0048 0,26 0,04 0,26 1,6720 Davyna dei blocchi del 1906 0,53 0,26 0,21 _ 1,6755 Questi minerali sono veramente comparabili tra loro, perchè in tutti e tre il rapporto Ca 0 :(Na,K),0 è poco diverso: ad onta di ciò, non si riesce a vedere quale relazione passi tra i valori di c e la composizione chimica, e sembrerebbe, anzi, che non ve ne sia nessuna. La cancrinite del Monte Somma esaminata al microscopio in sezioni soltili si mostra purissima: calcite non si scorge altro che all’ orlo esterno, ed in quantità piccolissima qualche volta lungo taluna delle fenditure corrispondenti alla sfaldatura prismatica o alla basale. La doppia rifrazione è energica e negaliva. Esaminando delle sezioni basali di cristallini nitidi non si scorge traccia di anomalie ottiche. In uno di questi cristal- lini, servendomi di due facce del prisma }1010} formanti fra loro un angolo vero di 60°030"”, ho oitenuto, col metodo della deviazione minima, i seguenti valori per gli indici di rifrazione : \= 633 \= 570 \= 475 w= 1,5128 1,5156 1,5207 e = 1,4887 1,4911 1,4955 w-—e=0,0241 0,0245 0,0252 . Le due immagini rifralte erano nitidissime, ma troppo poco brillanti per per- mettere una determinazione sicura con le fiamme del litio, del sodio e del tallio. Mi sono servito, perciò, dei filtri cemeniati 8,0 e mn di Wratten, per i quali de- terminai accuratamente la lunghezza d’ onda corrispondente al massimo del campo di trasparenza. I valori da me trovati sia per la rifrangenza, che per la birifrazione sono al- quanto inferiori a quelli finora noti per le cancriniti di Mias e di Lichtfield, nelle quali, ibfatti, si ha: ,0244 e,= 14955 ©, —-&=0,0289 A. Osann !) 1922 e = 1,499 w —e =0,028 (misura diretta) A. Michel- Lévy e A. Lacroix *) Miask O. = 9) l Lichtfield i Le lievi differenze riscontrate tra gli indici di rifrazione della cancrinite del Monte Somma e quella di altre località dipende dal fatto che la composizione chi- ') In H, Rosenbusch: mikroskopische Physiographie der Mineralien, 1905, pag. 114. ?) Les minéraux des roches, 1888, pag. 164. SERI 17 pina mica della prima differisce alquanto, come ora vedremo, da quella tipica delle va- rietà finora analizzate, specialmente per un maggior tenore in calcio. Sembra, per- ciò, che il valore degli indici di rifrazione e quello della birifrangenza diminui- scano al crescere del calcio, il che andrebbe d’accordo con le osservazioni già ri- cordate di Bowen sulle soluzioni solide esagonali di Na Al Si 0, e Ca AI, Si, 0, . La nostra cancrinite ha un peso specifico oscillante tra 2,43 e 2,44: alcuni frammentini dei cristalli limpidi e trasparenti dei quali si è parlato hanno dato 243 a + 22°C. (le determinazioni furono eseguite col metodo della sospensione). Con l’acido cloridrico anche diluito si ha effervescenza, che si prolunga fino a che il minerale non si è completamente disciolto. Oltre all’anidride carbonica, si sviluppa anche una lievissima quantità di idrogeno solforato, che si percepisce di- slintamente già con l’olfatto: una carta all’acetato di piombo esposta all’azione dei gas che si svolgevano si imbrunì nettamente. Mi sono accertato che l’anidride car- bonica fa parte integrante del minerale e nou è dovuta ad inclusioni od a prodotti di alterazione, facendo agire a freddo l’acido cloridrico su frammentini purissimi di cancrinite, e seguendo l’azione dell’acido col microscopio. Ho potuto, così, con- statare che l’anidride carbonica si sviluppa da tutto il minerale uniformemente, e tino a quando non è del tutto decomposto. L’analisi, eseguita come quella della cancrinite di Mias ‘), e su materiale purissimo, liberato completamente dalla calcite, delle i seguenti risultati : Rapporti molecolari Si 0, 35,00 0,580 A1,0, 29,24 0,286 | 0,289 Fe,0, 0,51 0,003 | Ca 0 9,77 0,174 Mgo vr. 0,449 Na,0 16,37 0,264 K,0 1,03 0,011 CI 0,54 0,015 COP. 6,52 0,148 H,0 1,51 0,084 100,49 Se si confronta questa analisi con le altre note della cancrinite, si scorgono subito delle differenze sensibili. Sopratutto notevole è l’elevato tenore in ossido di calcio, che nelle cancriniti delle rocce eruttive antiche raramente arriva al el, Anche interessante è la presenza nella cancrinite del Monte Somma del potassio in quantità alquanto maggiore del solito: infatti, nelle cancriniti tipiche questo ele- mento non si rinviene che in quantità molto piccole, ad eccezione della cancrinite i) F. Zambonini, Contributo allo studio dei silicati idrati. Atti R. Accad. delle Scienze Fis. e Mat, di Napoli, 1908. db, Pali =. SE di Ditrò, che contiene, secondo A. Koch ‘), 5,23 °/ K,0. Interessantissima è, poi, la scarsezza dell’acqua: questo fatto conferma mirabilmente quanto io ho sostenuto sull’ufficio dell’acqua nella cancrinite, poichè mostra che variazioni considerevo- lissime nel tenore in H,0 non modificano che pochissimo le proprietà fisiche del minerale. Nè meno importante è la presenza del cloro nella cancrinite. vesuviana °), che dimostra in modo inoppugnabile la parentela tra davyna-microsommite e can- crinite, già da me sostenuta nella Mineralogia vesuviana. Dall’analisi surriferita segue la formula approssimativa : 14 Na AI Si 0,.5 [Na, (Al. Na CO,) Si 0,]. 0,5 Na, (Al. CI) Si 0, +-2,80H,0 , supponendo il calcio ed il potassio riuniti nel sodio. Raddoppiando le formole dei singoli silicati costituenti, il che appare giustificato dalle ragioni da me esposte nei precedenti lavori, si ha che la composizione della cancrinite del Monte Somma può esprimersi nel modo seguente : 7 Na, Al,Si,0, - 2,5 Na, (AI. Na CO}), Si,0, - 0,25 Na, (AI. C1), Si,0,-1,4H,0 . Le analisi del minerale analizzato dal Rammelsberg, e che io ho riferito alla cancrinile, sono le seguenti : Il II III Si O, 38,76 36,81 36,96 AI,O, 28,10 28,66 28,31 Ca 0 9,32 10,33 + 9,39 K,0 1,10 121 e Na,0 15,72 15,86 = CO, 5,63 6,01 IL E°0 1,96 - _ (031 tr. <> pa 100,59 Comparando queste analisi con quella da me eseguita, risulta senz'altro |’ in- tima parentela fra il materiale di Rammelsberg e quello da me studiato. Anche per quel che riguarda l’aspetto esteriore si ha identità quasi completa, soltanto la mia cancrinite non era così facilmente polverizzabile, come quella analizzata dal Rammelsberg ‘), il che fa pensare che il minerale di Rammelsberg doveva essere in via di alterazione, e nemmeno così puro come quello da me sottoposto all’analisi. La prova migliore di questa mia affermazione risiede nel fotto che il Rammelsberg ha trovato, per il rapporto Si 0, : AI, 0, valori oscillanti tra 2,33 : 1 ') Neues Jahrbuch fiir Min. Geol. u. s. w., Beil-Bd. I, pag. 144, 1880. ?) Finora questo elemento non era stato rinvenuto nelle cancriniti che in tracce. ?) Il materiale di Rammelsberg era « so miirbe, dass er sich leicht zu Pulver reiben lisst ». —————E-È...E,E:hEgGGGBBBEBEIE D MOR: gs e 2,18:1, mentre nelle buone analisi di cancrinite si hanno valori molto più pros- simi a 2:1. I risultati da me ottenuti tolgono, ad ogni modo, ogni dubbio, sul- l'appartenenza reale alla cancrinite del minerale studiato dal Rammelsberg. Nello scorso anno, il Thugutt ‘) ha pubblicato un notevole lavoro sulla chi- mica della cancrinite, nel quale egli insiste, modificandole lievemente, sulle idee che egli stesso aveva già altra volta manifestato intorno alla composizione ed alla cosli- tazione della cancrinite, Secondo il Thugutt, a questo minerale spetterebbe la formula 8 Na, Al, Si, 0,, - 3 Na, AI, 0, . 5 Ca CO, . Na, C0,.9H,0. Ma la formala del Thugutt non è, evidentemente, accettabile, perchè richiede che il sodio ed il calcio si trovino nel minerale in un rapporto costante. Ora, dalle analisi già note, e dal fatto che il Lemberg ha oltenuto artificialmente una cancrinite puramente sodica ed ha descritto un minerale del Monte Somma che è probabilmente una cal- ciocancrinite, risulta con assoluta certezza che nella cancrinite il rapporto Ca 0: Na, 0 è variabile. La varietà del Monte Somma, col suo elevato tenore in calcio, co- stituisce, poi, la prova migliore che non e possibile accettare per la cancrinite una formula che richieda un valore costante per Ca 0: Na, 0. Altrettanto è da osservarsi per le proporzioni fisse che il Thugutt ammette esistere tra i carbonati ed il si- licato, mentre, come ho già notato altra volta e ia cancrinite del Monte Somma conferma, le analisi note ci mostrano accadere precisamente il contrario. Infine, deve ancora tenersi conto del falto che anche la quantità di acqua contenuta nella can- crinite è soggetla a notevoli oscillazioni, come è confermato in modo indubbio dalla varietà del Monte Somma, che ne è quasi priva. L’analisi che Thugutt ha eseguita della cancrinite rosea di Brevig, l unica, a suo stesso giudizio, istituita su materiale sufficientemente puro, si calcola assai bene con i composti che, secondo me, entrano nella costituzione della cancrinite. Si ha, infatti, per l’analisi di Thugutt la formula 2,60 [Na, (Al. Na CO,), Si,O,] . 6,15 Na, A1,Si,0, - 1,8 Na, Al,Si,0,, + 8,8.H},0 . Quanto alla origine della cancrinite in genere, è noto che questo minerale è considerato come un coslituente primario di molle rocce profonde e filoniane foyai- liche e teraliliche, mentre in molte allre rocce non è che un prodotto di trasfor- mazione della nefelina (o della eleolite). Secondo il Thugutt, invece, non esiste- rebbero cancriniti primarie: anche per quelle in individui idiomorfi non dovrebbe porsi in dubbio la formazione secondaria dalla nefelina o dalla sodalite. Le can- criniti originatesi a spese della nefelina sarebbero potassifere, quelle, invece, pro- venienti dalla sodalite non conterrebbero, per lo più, il potassio. Nelle condizioni nelle quali è stata rinvenuta la cancrinite al Monte Somma, nelle geodi, cioè, di blocchi calcarei, insieme all’idocrasio giallastro ed alla mica verdognola, si osserva spesso la sodalite, ma la forma sicuramente esagonale dei cristalli impedisce di con- siderare la cancrinite studiata come una pseudomorfosi su sodalite. La presenza del potassio nel nostro minerale sarebbe, in base all’opinione del Thugutt, la prova migliore della sua origine da nefelina preesistente. Veramente, io non credo che alla 1) Neues Jahrbuch fiir Min. Geol. u. s. w., 1911, I, 25. — 38 — presenza o meno del potassio si possa dare tanto valore come fa il Thugutt, perchè, se nella quasi totalità delle analisi note di sodalite il potassio o è assai scarso 0 non figura affatto, ciò si deve sopratutto al fatto che questo elemento non è stato ricercato e dosato. Il Dott. F. Stella-Starrabba ha accertato recente- mente, con accurate ricerche eseguite nell’Istituto da me diretto, |’ sistenza, al Monte Somma ed al Vesuvio, di sodaliti con tenore in potassio notevolmente superiore a quello massimo prima osservato. Appare, perciò, evidente che, specialmente al Monte Somma, non può trarsi alcuna conclusione, intorno alla genesi della eancrinite, dall’esistenza o dalla assenza in essa del potassio. Nel caso speciale da me studiato, è molto probabile che la cancrinite si sia formata a spese della nefelina. Questo minerale, quantunque piuttosto raramente, si trova talvolta in condizioni di giacitura identiche a quelle nelle quali è stata rin- venuta la cancrinile. L’ aspetto stesso dei cristalli, costituiti ora da cancrinite, è quello di un minerale trasformato. Se si esaminano i cristalli tozzi, che hanno anche l’habitus della nefelina, nel loro interno si scorge come essi spesso sieno formati da un aggregato di molti cristallini confasamente disposti, il che costituisce un buon indizio della natura secondaria di questi ultimi. Nella trasformazione della nefelina in cancrinite si formano, però, anche cri- stalli nitidi, perfettamente delimitati e distinti, di cancrinite, e sono precisamente quelli molto allungati nella direzione dell’asse verticale. Non si hanno, dunque, sol- tanto pseudomorfosi complete di canerinile su nefelina, ma si ha anche, invece, for- mazione di cristallini idiomorfi del nuovo minerale, precisamente come accade nel passaggio da nefelina a sodalite, scoperto e descritto dallo Striùver ‘). I cristal- lini di cancrinite misurati appartengono, perciò, effettivamente a questo minerale, e non rappresentano delle pseudomorfosi su nefelina. La trasformazione deve essere avvenuta per azione di soluzioni ricche in calcio, come è dimostrato non soltanto dalla quantità notevole, superiore alla solita, che di questo elemento si rinviene nella cancrinite dei Monte Somma, ma anche dalla abbondanza di calcite neo- formata. i La cancrinite è stata da me rilrovala, in seguito ad un nuovo esame dei cam- pioni di nefelina vesuviana della grande collezione del Museo di Napoli, in altri due frammenti di blocchi calcarei. Uno di essi, che contiene forsterite, humiti e spi- nello, presenta una piccola geode, riempita da grandi lamine di mica verdastra, da scarsa cancrinite e da nefelina più abbondante. La canerinite è di colore bianco, pressochè opaca nei cristalli interi, a differenza della nefelina, che è incolora od appena gialliccia, e perfettamente limpida e trasparente, Di cancrinite vi sono due cristalli con nette facce della bipiramide }1014{: uno di essi, alquanto schiacciato secondo due facce parallele del prisma }1010{ è molto bello, e misura circa 6 mm. nella direzione dell’asse senario. Alcune misure prese senza staccarlo dalla roccia concordano perfettamente con quelle già riferite. La nefelina si presenta in cristal- lini allungati secondo l’asse verticale, che possono diventare quasi aghiformi: in essi ho riconosciuto le forme mj1010}, c}0001}, g}1012}, p}1011}, 2}2021} (orien- tazione della nefelina), delle quali g è esilissima e può anche mancare. L’habitus ') Atti R. Accad. Scienze di Torino, VII. Adunanza del 14 gennaio 1872. a pa dei cristalli ben terminati somiglia a quello della Fig. 40 della Mineralogia vesu- viana (pag. 184): soltanto generalmente si ha un’estensione alquanto minore nel senso dell’asse verticale. Delle misure molto esatte hanno dato: cp=44°3 1/1 ca=602 40 Per cg si è trovato 26° circa. Quanto alle relazioni che passano tra nefelina e canerinite nel campione descrit- to, non mi sembra possa dubitarsi della indipendenza dei due minerali, dei quali la cancrinite appare spesso avvolta dalla nefelina, nelle parti più interne della geode. Ancor più notevole è l’altro blocco, più ricco in spinello del precedente, il quale presenta un riempimento geodico costituito da nefelina, cancrinite,. augite verde chiara e mica verdastra, disponendo questi minerali in ordine di quantità decrescente. In questo riempimento geodico si aprono delle piccole geodine con stupendi cristalli di nefelina ed altri molto graziosi di augite verde chiara. La cancrinite è bianca, e non presenta cristalli nettamente terminati: nella zona verticale ho riconosciuto le forme }1010}, }1120}, }2130}. Le dimensioni dei singoli cristalli sono notevoli, perchè alcuni raggiungono i 7 mm. di lunghezza per 3,5 di larghezza: un grande cristallo rotto misura 20 mm. nella direzione dell’asse verticale e circa 9 in larghezza. La nefelina della massa del riempimento geodico forma un aggregato di piccoli cristallini, tozzi, di colore alquanto giallognolo: quella delle piccole geodi offre dei cristalli magnifici, incolori, vivamente splendenti, molto allungati secondo l’asse verticale, con le stesse forme, habitus ed angoli di quelli del blocco già descritto ‘). Cancrinite e nefelina sono completamente indipendenti l’una dall’altra, e pre- sentano contorni nettissimi anche quando vengono in contatto. I due minerali sem- brano essere all’incirca di formazione contemporanea. Infatti, in una gran parte del riempimento geodico è la nefelina che si trova in contatto con le pareti della geode, ma in un’altra parte vi si trova, invece, la cancrinite, che si rinviene, poi, anche nell’interno del riempimento. In complesso, i due blocchi ora descritti mostrano che la cancrinite non deve essere sempre considerata come un prodotto di trasformazione della nefelina o della sodalite, ma che essa può anche, al contrario, costituire un minerale del lutto in- dipendente, con una forma cristallina sua propria, precisamente come aveva soste- nuto Brògger ?). DAVYNA PSEUDOMORFA DI NEFELINA In un blocco di calcare profondamente metamorfizzato del Monte Somma si apre una geode abbastanza grande, le pareti della quale sono formate da augite di colore variabile tra il verde chiaro e il verde scuro, quasi nero. La cavità è pressochè riempita da grossi cristalli esagonali di nefelina, che raggiungono i 13 mm. di lun- ghezza, per 6 di larghezza, e che sono completamente trasformati in un aggregato granulare di piccoli cristallini di davyna. !) Gli indici di rifrazione di questa nefelina sono stati già riferiti. *) Zeitsch. fir Kryst., 1890, XVI, 245. A) Questi cristallini sono abbastanza netti, quantunque in generale non superino . 1 mm. nella loro maggiore dimensione. Presentano le forme m)1010}, a}1120}, n}2130}, g}1014}, e}1124}, c}0001}: di queste n e c talvolta mancano. I cristallini sono molto tozzi. 1 valori angolari sono i soliti della serie davyna-microsommite : (1010) : (1124)=56°%12" mis. (1014): (1104) =25 15 » Questa davyna, nella quale si è trasformata la nefelina, è notevole per le sue proprietà oltiche: essa, infatti, è otticamente negativa e possiede debole birifran- genza. Appartiene, perciò, alle varietà rare di davyne negative. ORTITE In cristalli macroscopici questo minerale era stato osservato in un blocco di sanidinite del Monte Somma dal vom Rath. Recentemente, il Lacroix lo rin- venne come costituente microscopico, accessorio, di alcune microsieniti nefeliniche e sodalitiche ad idocrasio. La provenienza del blocco studiato dal vom Rath non poteva dirsi assicurata, perchè non era stato raccolto dal vom Rath stesso al Monte Somma od acquistato sui luoghi dalle guide, ma era stato, invece, trovato fra altri minerali nella collezione Krantz, sicchè uno scambio di località (per esempio col lago di Laach) appariva non improbabile, pensando che quel campione era rimasto unico. Sono, ora, in grado di porre fuori di dubbio l’esistenza della ortite in cristalli macroscopici nelle sanidiniti del Monte Somma. Nelle geodi di quel grande blocco di sanidinite che ho già descritto nel capi- tolo dedicato alla baddeleyite, ho rinvenuto due cristalli di ortite, uno che acciden- talmente si staccò dalla roccia, l’altro, più grande e più bello, che misurai attac- cato come era stato scoperto ad un frammento del blocco in questione. Per quante ricerche abbia fatto, non ho potuto ritrovare altri cristalli macroscopici di ortite nei numerosi pezzi che sono passati per le mie mani di quella sanidinite importantis- sima, ed anche in alcune sezioni microscopiche della roccia non ho osservato la minima traccia di ortite. Come quelli già descritti da vom Rath, anche i due nuovi cristalli di ortite del Monte Somma somigliano molto all’ antibolo nero che li accompagna, ma se ne distinguono, però, facilmente, non soltanto per la loro forma, ma anche perchè presentano uno splendore molto minore di quello dei cristalli di anfibolo. Il cristallino più piccolo, distaccatosi dal blocco, supera appena un millimetro nella sua maggiore dimensione. È di colore perfettamente nero e poco splendente. Presenta le forme 7|100}, M}001}, m}102|, i}102|, r}101{, 2110}, 0}011}, n}111}, y\211}. Di queste forme }102{ è nuova per l’ortite del Monte Somma. È stata osservata con una stretta faccelta, ma piana e regolare, che ha fornito buone misure: (001) : (102) = 22°%2' mis. 22936 ‘/y' cale. ') (100) : (102)= 4229 » 4222'/, >» !) Per i calcoli si sono adoperate le costanti proposte da vom Rath per l’ortite di Laach a:b:c=1,5509:1:1,7691;B= 115°1’ (Pogg. Ann., 1861, CXIII, 281). AR Interessante è l’habitus di questo cristallo, del tutto diverso da quello dei cri- stalli del monte Somma descritti da vom Rath e da me. Il nuovo cristallo è ca- ratterizzato dal fatto che }001} e }100} hanno grandezza poco diversa, mentre l’ortite tro- ga vata da vom Rath presenta }100} fortemente e a dominante e }001} con piccole facce. Nel cri- a) stallo in questione è anche notevole il fatto che j011} ha grandezza poco inferiore a }110f. (Fig. 14). Ancor più notevole è l’altro cristallo, il quale misura 2,5 mm. nella direzione dell’asse b, 1,75 mm. in quella di c e un millimetro lame? secondo a. Le forme osservate sono le se- Fig. 14. guenti: 7T}100}, M}001{, mj}102}, ej10]}, i}10, r}101}, 2}110}, 0}011}, n}111}, {}114{, yj211{. Almeno per quanto io so, t}114} è nuova per l’ortite in genere. Smussa con una faccia stretta, ma piana e splendente, lo spigolo [(001):(110)], ed ha permesso esatte misure (001) : (114) = 23°20' mis. 23° ma cale. (310): (114)=52.35 » 52 45 4/, >» Il nuovo prisma t}114} è interessante, perchè completa la serie dei prismi }h 4} già noti per l’orlite, e, cioè, d}111{, ©}112f, V}115|. La differenza abbastanza sen- sibile tra gli angoli misurati ed i calcolati dipende dal fatto che le costanti di vom Rath non valgono rigorosamente per l’ortite del Monte Somma, i cui cristalli pre- sentano, come ora vedremo, notevoli oscillazioni nei valori angolari. Il simbolo della nuova forma }114} è, ad ogni modo, da considerarsi come sicuramente stabilito. Quando ho compilato la Mineralogia vesuviana, di ortite del Monte Somma io non ho potuto studiare che un solo cristallo, che il vom Rath aveva donato ad Arcangelo Scacchi. Dai valori angolari più esatti che ottenni da quel cristallo calcolai le costanti a:b:c=1,5681:1:1,7926;B= 114°%0' che differiscono notevolmente da quelle che vom Rath ha proposto per l’ ortite in genere. Le costanti da me calcolate non valgono, però, per i due nuovi cristalli: gli angoli che ho potuto misurare in essi con tutta esattezza sono, in complesso, più vicini ai valori teorici di vom Rath che ai miei, come risulta dalla seguente tabella : Misurati !) Calcolati il II vom Rath Zambonini (100) : (001) = 65°1' Gold ti 64°59' 65°20' (001) : (011) = 57 54 - 658 3 58 27 (0015. (110)=7554 70 53 !/, 75 48 !/, 761,8 (110) : (110) = 70 47 — 70 52 10.07 1) I è il cristallo della Fig. 14, II quello rappresentato nella Fig. 15. ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 12. , 6 “deg Sembra, quindi, che al Monte Somma esistano due distinti tipi di orlite: uno, quello scoperto dal vom Rath, con costanti cristallografiche proprie, l’altro, tro- valo ora da me, prossimo al tipo di Laach, studiato dallo stesso vom Rath. Alle differenze nei valori angolari se ne accompagnano non poche altre, notevoli, nell’ habitus cristallografco e nelle forme osservate. I cristalli di vom Rath sono, a differenza dei miei, sempre fortemente tabu- lari secondo il pinacoide }100}: fra i pinacoidi }h0/ domina nei primi ;201}, che non si è rinvenuto nei nuovi cristalli , nei quali, invece, è presente }102}, non osservato in quelli di vom Rath. Per quel che si riferisce alla coesione, |’ or- title di vom Rath possedeva due direzioni di sfaldatura pa- rallelamente alle facce del prisma {110{: quella ora descritta, invece, possiede la solita sfaldatura secondo |001{, ma non quella prismatica ‘). Quanto alle condizioni di giacitura, l’ortite di vom Rath fu trovata in una sanidinite con melanite, mentre questo mi- nerale manca completamente nel blocco dal quale proven- gono i nuovi cristalli studiati. vo Alcuni minutissimi frammentini staccati dal cristallo della Fig. 14 si sono mo- strati, al microscopio polarizzatore, fortemente birifrangenti, con pleocroismo molto distinto a= bruno verdastro molto chiaro b= bruno castagno chiaro c= bruno sepia. Per il suo pleocroismo, la nuova ortite del Monte Somma si avvicina moltissimo all’ortite della Valsavaranche, descritta dal Novarese °). Il cristallo più grande dell’ortite studiata si trova in una piccola cavità della sanidinite, debolmente allaccato alle pareti per una estremità dell’asse d, e poggia poi, su alcuni cristallini di sanidino. Secondo ogni probabilità, si tratta di una for- mazione pneumatolitica. GRUPPO HUMITE In un lavoro di importanza veramente fondamentale per lo studio delle forma- zioni di contatto, V. M. Goldschmidt °) si è occupato brevemente dei minerali del gruppo humite, che egli ha considerato come sali doppi dei due composti Mg, Si 0, e Mg, Si 0, F,, sicchè la loro formula generale si potrebbe scrivere nMg, Si 0, + m Mg, Si 0, F,, dove n e m rappresenterebbero due numeri intieri. Se questa ipotesi è corretta, soggiungeva il Goldschmidt, in base alla regola delle fasi non possono essere stabili contemporaneamente che tutt'al più due dei minerali del !) Le osservazioni sono state eseguite nel cristallino rappresentato nella Fig. 14. ?) Bollettino R. Comit. geol. d’Italia, 1894, N. 3. ?) Die Kontaktmetamorphose im Kristianiagebiet. Videnskapsselskapets Skrifter. I Mat.-Naturv. Klasse, 1911, N. 1, pag. 201, Nota !). CE gruppo humite, dato che essi risultano da due soli componenti. Dalla mia Minera- logia vesuviana (pag. 288) il Goldschmidt ebbe occasione di aver notizia dell’os- servazione di Eugenio Scacchi, che trovò in uno stesso blocco humite, condro- dite e clinohumite, ed allora si rivolse a me (lettera del 25 aprile 1911) perchè venissero precisate le caratteristiche di quel blocco. Data l’importanza della que- stione, e perchè tulli possano essere messi in grado di sapere esattamente in quali condizioni si rinvengono al Monte Somma contemporaneamente le tre humiti che vi sono conosciute, credo opportuno dirne qui qualche parola. Le tre humiti sono state osservate in un unico blocco, che è stato rotto in varî frammenti, che hanno anche diverso numero di inventario, ma perfettamente identici, sicchè non può esistere il minimo dubbio sulla loro appartenenza ad un unico blocco. Nelle geodi di alcuni degli attuali frammenti non esistono che due humiti, in uno, però, vi sono tutle e tre. Si tratta di un blocco pirosseno-micaceo, con numerose geodi, ripiene alcune di humiti e di calcite, con delle lamelle di mica di colore variabile dal bruno al verdognolo. Quasi sempre, però, le humiti sono ac- compagnate da bei cristalli, tabulari secondo }010}, di forsterite gialla pallidissima. Nelle geodi di quella porzione del blocco che presenta attualmente le tre humiti, la forsterite è più abbondante, frequente è anche laugite verde scurissima in pic- coli cristallini, la cuspidina, che si trova anche nella massa del blocco, sotto forma di masserelle cristalline rosee, ed il pirosseno giallo in bei cristalli, diffuso anche nel blocco, specialmente in vicinanza delle geodi humitifere. Condrodite, humite e clinobumite presentano cristalli di dimensioni variabili fra poco più di 1 mm. e 7-8 mm., con colore bruno intenso, presso a poco identico in tutti. Anche l’habitus cristallogratico è molto somigliante, tanto che senza misure riesce quasi impossibile distinguere |’ uno dall’altro i tre minerali. I loro cristalli sono assolutamente freschi, e non è possibile distinguere in essi alcuna traccia di corrosione, che starebbe ad indicare la mancanza di un equilibrio. Riunendo le osservazioni eseguite nei varî frammenti, si può dire che dei tre minerali del gruppo humite in essi esistenti, la clinohumite è la più abbondante. Segue, in ordine di importanza quantitativa, la humite, mentre la condrodite è la più rara, quantunque occupi da sola alle volte delle grandi geodì. È importante il notare, che, almeno secondo le numerose misure da me ese- guite, in ogni geode sembra presentarsi una sola specie di humite. Le diverse geodi, però, sono l’una vicina all’altra, sicchè non può dubitarsi che le tre humiti sì sieno formate in uguali condizioni. Il blocco descritto dimostra in modo inoppugnabile non soltanto la possibilità della coesistenza delle tre humiti più importanti ‘), ma anche quella, insieme ad esse, della forsterite. Considerando le humiti come costituite da due componenti , uno dei quali sarebbe la forsterite, non potrebbe, in base alla regola delle fasi, aversi l’associazione descritta: è evidente, perciò, che le humiti vanno considerate altrimenti. 1) Come è noto, esiste anche un quarto minerale del gruppo humite, finora rarissimo, la pro- lectite, Ale MINERALE SOMIGLIANTE ALLA CUSPIDINA Sotto il nome di « Cuspidin-ahnliches Mineral » G. vom Rath ha descritto +) un minerale del Monte Somma, rinvenuto, sotto forma di granuli cristallini e di cri- stalli decomposti, in un blocco granelloso, con biolite verde prevalente e sodalite bianca. Il colore del minerale in questione, appartenente probabilmente al sistema rombico, variava dal gialliccio chiaro al rossiccio, pure chiaro. I cristallini, spesso coperti da calcite neoformata, offrono, secondo vom Rath, una serie di prismi ihk0} (m)110}, n}470}, 2}120{ , r}270}), fortemente striati parallelamente a [001], ed una bipiramide 0}111{, nella quale il vom Rath misurò (111):(111)=37, (111) :(111) = 69°. Da questi valori egli calcolò le costanti a:b:c=0,560:1: 0,417. Sfaldatura secondo }010}. vom Rath e A. Scacchi (come riferisce il primo), avvicinarono questo minerale alla cuspidina, ed anzi lo Scacchi si mostrò proclive a riunirlo a questa specie, mentre vom Rath notò che l’habitus cristallografico dei due mi- nerali è del tulto diverso, e che anche la direzione di sfaldatura è situata diffe- rentemente. Non mi è stato possibile di esaminare i cristallini studiati dal vom Rath, che sembra non si trovino nel Museo Mineralogico dell’Università di Bonn, ma ad onta di ciò credo di poter asserire con sufficiente sicurezza che essi dovevano apparte- nere alla humite. Si può, infatti, istituire il seguente confronto tra le misure di vom Rath e gli angoli teorici della humite: Humite Minerale di vom Rath (001);::(107) =:=30%3! (100). (L10)='29%/08 (001): (104) 45 32 !/, (100): (470) 45 (001) :(102) 6352 (100) :(270) 63 (001) :(126) 58 16 (100) (LTD) 55071 (100): (126) 69 4 (COL ALEZIO (010): (126) 3928 !/, (010):(111) 40//, Tenendo conto del fatto che le misure di vom Rath sono soltanto approssi- malive, l'accordo può considerarsi come soddisfacente. È da notare il fatto, che la bipiramide }126{ si presenta spesso con facce estese nella humite del Monte Somma, ed addirittura predominanti in quella della miniera Ladu. Con la mia interpretazione, il prisma 2 di vom Rath non trova il suo corri- spondente tra le forme note della humite, ma è da osservare che /}120{ e n}470| costituiscono, in realtà, un’unica forma, con le facce spezzate in due, come si ve- rifica, per esempio, quasi costantemente nella zona [001] dell’idocrasio del Monte Somma. L’angolo (120) :(470) non misura che appena 3°. Devo ancora notare che il pinacoide secondo il quale vom Rath ha constatato aversi distinta sfaldatura ') Zeitsch. fiir Kryst., 1884, VIII, 45. si Ma nel minerale da lui studiato, viene a corrispondere a }100} della humite, mentre la sfaldatura in quest’ultima avviene parallelamente a }001}. Non è, però, da esclu- dersi la possibilità di una vista o di un errore di stampa nella indicazione di vom Rath. Del resto, il minerale di vom Rath presenta evidenti somiglianze, per il co- lore e le condizioni di giacitura, con certe varietà di humite granulare, e fu ap- punto per questo che mi indussi a ricercare se era possibile identificare le forme osservate da vom Rath con quelle della humite. SCOLECITE Issel (Bollettino del R. Comitato Geologico d’Italia, 1879, n. 9-10) dice, de- scrivendo la datolite e la scolecite del territorio di Casarza (Liguria), che quest’ul- timo minerale «si trova, coi suoi caratteri tipici, nelle lave pirosseniche dell’Etna e del Vesuvio e certamente in altre rocce vulcaniche italiane ». Per quel che ri- guarda il Somma-Vesuvio devo far osservare, a scanso di equivoci, che nel 1879, quando scriveva il Prof. Issel, l’esistenza della scolecite nei proietti lavici del Monte Somma non era stala ancora accerlata dal Freda, che fece conoscere i risultati delle sue indagini soltanto nel 1885. E vero che il nome di scolecite si trova già nella Mineralogia vesuviana di Monticelli e Covelli (pag. 224), ma semplice- mente come sinonimo di thomsonite. PEROWSKITE Questo minerale non era stato, prima di me, osservato nè al Monte Somma, nè al Vesuvio: del suo rinvenimento in un blocco calcareo del Monte Somma detti notizia verbale nella seduta del 17 ottobre 1911 della sezione di Mineralogia e Geo- logia della Società italiana per il Progresso delle Scienze (Convegno di Roma). La perowskitle è stata da me trovata nelle geodi di un blocco calcareo del Monte Somma, sotto forma di piccoli cubetti, assai rari, che da dimensioni quasi microscopiche possono raggiungere fino i * di millimetro di lato. La perowskite è accompagnata da numerosi ottaedri raggruppati di spinello, di colore variabile dal violaceo chiaro al quasi nero, da abbondante calcite in cristallini imperfetti e da aghetti di apalite. La massa del blocco è costituita in gran prevalenza da calcite, gremita di forsterite e di spinello: è presente anche, ma molto rara, la periclasite, talvolta avvolta da un orlo di idromagnesite. La perowskite è, poi, rarissima. I cubetti di perowskite delle geodi hanno colore nero deciso, possiedono un vivo splendore alquanto volgente al metallico. Le facce sono molto irregolari e spez- zeltate, in grado diverso nello stesso cristallo. Nei cristallini più regolari si scorge sulle facce cubiche una striatura parallela agli spigoli. Alcuni dei cubetti sono un po’ schiacciati secondo una coppia di facce parallele. La scarsezza del materiale disponibile mi ha impedito di eseguire indagini ottiche approfondite. Mi son dovuto limitare a far assolttigliare un cristallino paral- lelamente ad una: coppia di facce del cubo. La lamina che ne è risultata per il suo Spessore eccessivo era poco trasparente: ho potuto, tuttavia, riconoscere nettamente PI. ES che anche la perowskite del Monte Somma è birifrangente, e che essa appartiene, . per la sua struttura, al tipo degli Urali e di Zermatt. Infatti, si scorge benissimo, esaminando la lamina al microscopio polarizza- tore, che essa è costiluita da due sistemi di lamelle perpendicolari tra loro e pa- rallele agli spigoli del cubo, che estinguono secondo le diagonali della sezione. La perowskite del Monte Somma al cannello non fonde: la polvere sottile è decomposta dal bisolfato polassico. Nella soluzione acquosa della massa fusa, acidificata con H,SO,, si ottiene con acqua ossigenata una forte reazione del titanio, ed è anche facile riconoscere microchimicamente la presenza del calcio. La perowskite del Monte Somma somi- glia molto alla disanalite da me descritta nel 1908 ‘'), ed ho, perciò, cercato in tutti i modi conciliabili con la scarsezza del materiale, di mettere in luce l’esistenza del niobio e del tantalio nei cristalli descritti. Le reazioni colorate di L. Lévy °) mi hanno dalo, però, costantemente risultato negativo, dimodochè è certo che si ha a che fare con vera e propria perowskite. Così è accertata l’esistenza, nei blocchi calcarei del Monte Somma, sia della perowskite, che della disanalite. È, del resto, assai probabile che i due minerali sieno legati da termini di passaggio, perchè la disanalite non è che una soluzione solida di Ca Ti 0, prevalente e di un miobato di calcio subordinato ed in quanlità variabili. O. Hauser *) considera la disanalile semplicemente come una perowskite im- pura: per la confutazione di questa opinione mi rimetto a quanto ho scritto nello Handbuch der Mineralchemie di Doelter, articolo Disanalite. PIRRITE La identificazione di questo minerale, che è nuovo per il Monte Somma ed anche per l’Italia, avendo il Corsi *) riconosciuto la identità della cosiddetta pir- rite elbana con la microlite, non è assolutamente sicura, ma tuttavia mollo pro- babile. La pirrite è stata da me osservata insieme alla baddeleyite, solto forma di mi- nutissimi cristallini di colore bruno rossiccio, di dimensioni piccolissime, perchè solo i più grandi ed eccezionali arrivavano ad un terzo di millimetro. Essi erano impiantati sulle facce di }010{ dei cristalli di sanidino, ovvero intimamente legati alla baddeleyite. I cristallini di pirrite non presentano altra forma che l’ottaedro. Molto rara- mente sono unici: quasi sempre sono composti di parecchi cristallini confusamente intrecciati. Anche nei cristalli apparentemente unici si osservano notevoli anomalie geometriche ed irregolarità: le facce riflettono, di solito, due immagini ciascuna, che distano di circa un grado, In un cristallino particolarmente adatto si è trovato, per |’ angolo (111):(111), 70°40' (cale. 70°32)), il che dimostra che si ha a che fare con un ottaedro regolare. '‘) Rendiconto R. Accad. Scienze Fis. e Mat. di Napoli, 1908, pag. 134. ?) Compt. rend., 1886, CIII, 1074. *) Zeitschrift fiir anorg. Chemie, 1908, LX, 287. *) Bollettino del R. Comitato geol. d’Italia, 1381, 564. — Nella maggior parte dei casi, però, si hanno valori notevolmente distanti dal teorico, e questo fatto è una conseguenza della complicata strattura dei cristallini della nostra pirrite, formati da varî individui in accrescimento non perfettamente parallelo. i I cristallini di pirrite. appaiono per trasparenza di colore giallo arancio scuro, ed a nicol inerociali si comportano come una sostanza rigorosamente isotropa. La scarsezza e la piccolezza dei cristallini non mi hanno permesso di eseguire delle ricerche precise sui loro caratteri fisici e chimici, La loro durezza è alquanto inferiore a 6, poichè vengono rigati da una punta di acciaio: il potere rinfrangente è elevato. I cristallini interi evengono attaccati lentamente dall’acido solforico a caldo. Tutti questi caratteri col- limano perfettamente con quelli della pirrite delle sanidiniti di S. Miguel (Azorre), accuratamente descritta da Osann ‘). Interessante è il falto, che, assai spesso, i cristalli od i fascetti di baddeleyite hanno una delle estremità del- l’asse c, e precisamente quella per la quale sono im- piantati sulle tavolette di sanidino, avvolta da un gruppo di cristallini di pirrite. Pure molto sovente si osservano cristallini di pirrite sulle facce }100} della baddaleyite e talvolta in numero abbastanza considerevole. Le Fig. 16 e 17 danno un’idea dei due diversi tipi di associazione della pirrite con la baddeleyite. È noto che Hayes ’) ha considerato la pirrite delle Fig. 17. Azzorre come essenzialmente costituita da niobato di zir- conio, mentre Osann non potè porre fuori di dubbio la presenza del zirconio. L’intima associazione della pirrite con la baddeleyite, constatata ora al Monte Somma, rende sempre più probabile la reale esistenza del zirconio nel minerale. Va ricordato il fatto che Hussak ricorda la microlite (pirrite?) in piccoli cri- stallini di un millimetro, da bruno chiaro a bruno scuro, con splendore cereo, tra i minerali che accompagnano la baddeleyite del Brasile. BASSANITE Nell'estate del 1911, in alcune fumarole poste circa cinquanta metri più in basso dell’orlo del cratere, di fronte alla punta del Nasone, fu trovato abbastanza abbondante un minerale in cristallini imperfetti, di colore bianco, opachi, ora privi di ogni splendore, ora, invece, dotati di uno splendore tenuissimo, alquanto sericeo. Questi cristalli, riuniti in fascetti od in ciocche raggiate, che possono raggiungere anche poco meno di un centimetro di lunghezza, sono talvolta colorati in verdastro pallidissimo da tracce di sali di rame: più spesso, invece, sono superficialmente rossicci: colore, questo, dovuto all’ossido di ferro, che si rinviene anche in minuti !) Neues Jahrbuch fir Min. etc., 1888, I, 126. Come è noto, la pirrite si rinviene anche nelle Sanidiniti del lago di Laach. ?) Amer. Journ. Sc., 1850, IX, 423. Dl ie e distinti granuletti bruno-rossicci, che si trovano disposti specialmente all’ estremità — libera dei ciuffetti del minerale bianco, del quale si hanno, perciò, dei fascetti per- fettamente bianchi in tutta la loro lughezza, meno all’estremità libera, nella quale sono brunicci. Il minerale in questione somiglia molto al gesso delle fumarole ve- suviane, ma l’esame microscopico mostra subito la scarsezza del gesso. Mettendo dei frammenti dei ciuffetti bianchi apparentemente omogenei nel tetrabromuro di acetilene, diluito successivamente con toluolo, si osserva che essi sono formali in assoluta prevalenza da un minerale che ha il peso specifico = 2,73-2,74, da fa- scetti e laminette abbastanza numerosi con peso specifico compreso tra 2,39 e 2,43, da minutissime laminette, rare, con peso spec. 2,38, da cristallini, pure poco fre- quenti, con peso spec. 2,27. Il minerale più abbondante si è riconosciuto essere bas- sanite, i fascetli e le laminette ricordate appartengono all’idrargillite, mentre i cri- stallini con peso spec. 2,27 seno di gesso. In alcuni punti speciali non mancano delle plaghe di anidrite. Le proporzioni nelle quali questi varî minerali sono asso- ciati sono abbastanza variabili, come si può constatare con l’analisi microscopica e con i saggi chimici qualitativi. Alcuni campioni sono costituiti da bassanile quasi pura, mentre in altri l’idrargillite sale al 12-13 °/. Questi risultati sono confermati dalla seguente analisi quantitativa, eseguita su fascetti di colore bianco puro : SO, 47,90 Ca 0 33,42 ALO, 9,06 H,0 9,51 99,89 Da questa analisi si calcola la formula 7 Ca SO, . A1,0,.3H,0+3H,0 la quale richiede SO, 48,17 Ca 0 33,75 A1,0, 8,79 H,0 9,29 100,00 Come si vede, la composizione trovata presenta un eccesso d’acqua rispetto a quella calcolata per una miscela di sette molecole di bassanite Ca SO, e di una di idrargillite AI, 0,.3H,0. L’eccesso è dovulo in piccola parle a gesso inquinante il materiale analizzato, in properzione più considerevole ad acqua igroscopica (te- nendo la sostanza sottoposta ad analisi per 12 ore sull’acido solforico concentrato si è avuto una perdita di peso di 1,24 °/,, che sale a 1,81 °, mediante cinque ore di riscaldamento a 108°), ed infine al fatto che la bassanite doveva avere assorbito una piccola quantità di acqua. É opportuno ricordare, a questo proposito, che la En |. RE bassanite originale dei blocchi rigettati del 1906 da me descritta ‘), tenuta lunga- mente all’ aria, condensa l’umidità atmosferica: in un cristallo che era stato circa due anni all'aria io trovai 2,80°/,H,0, eliminabile in gran parte già sull’acido solforico. Potrebbe pensarsi che, invece della bassanite, si trovasse come costituente prin- cipale della sostanza bianca studiata l’idrato Ca SO,. ba H,0, ma questa possibilità si esclude facilmente, perchè, togliendo dall’acqua totale rinvenuta quella elimina- bile a 108°, si ha che il solfato di calcio, l’allumina e l’acqua residua vengono a trovarsi nel rapporto di 7:1:5. Tolte, quindi, le tre molecole d’acqua necessarie per l’idrargillite, resta 7 Ca SO, .2H,0, ossia una composizione nettamente diversa da quella dell’ idrato Ca SO, . . H. 0 La bassanite descritta presenta le proprietà già da me indicate nella Minera- logia vesuviana (pag. 327). Il peso specifico oscilla, come abbiamo veduto, fra 2,78 e 2,74, mentre quello della bassanite originaria varia tra 2,69 e 2,76, ma la mag- gior parte dei valori si avvicinano a quest’ultimo. Frantumando i nuovi fascetti ed esaminando i frammentini al microscopio, si osserva che essi, come la bassanite tipica dei blocchi del 1906, sono costituiti da tanti aghelti, con estinzione paral- lela alla direzione di allungamento, che è costantemente in tulti positiva. 1 singoli aghetti sono, di solito, disposti in accrescimento parallelo. La birifrangenza è piut- tosto debole. Riscaldata su una lampada Mecker, anche la nuova bassanile si trasforma in anidrite, ben riconoscibile non soltanto per le sue proprietà oltiche, ma anche per il peso specifico, che sale a 2,94. Portando di colpo a 250°-260° delle lastrine di gesso sfaldate secondo }010| ho potuto preparare i cristalli di Ca SO, esagonale, positivo, già descritti dal La - eroix°), e constatarne la identità con la bassanite. Il peso specifico è alquanto più elevato, e, cioè, 2,79-2,80, il che può dipendere in parte dalla presenza della mo- dificazione triclina, pure fatta conoscere dal Lacroix, ma più probabilmente deve ascriversi all’essere gli aggregali di aghetti di bassanite meno compatti di quelli ottenuti artificialmente, sicchè il loro peso specifico finisce col risultare alquanto inferiore al vero. Nella Mineralogia vesuviana, io avevo già accenuato alla probabile identità della bassanite con la modificazione esagonale del solfato di calcio studiata da Lacroix: avevo, però, fallo notare che questa modificazione, come pure quella triclina, si tra- sformavano in contalto dell’acqua rapidamente in gesso, il che non avviene, almeno con uguale rapidità, per la bassanite. Dopo la pubblicazione del mio lavoro, il La- croix °) ha precisato il suo concetto, dicendo che quelle due modificazioni si idratano «molto più facilmente dell’anidrite ». Altrettanto accade per la bassanite. Da alcune esperienze preliminari che ho eseguito, mi risulta che la rapidità con la quale le modificazioni esagonale (bassa- !\ Mineralogia vesuviana, pag. 328. *?) Compt. rend,, 1898, CXXVI, 360 e 553. %) Minéralogie de lu France et de ses Colonies, 1910, IV, 171. ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 12. 7 LEE nite) e triclina del solfato di calcio si idratano, qualora vengano immerse nell’acqua,, è influenzata dal tempo durante il quale esse sono state tenule a temperatura elevata. Poichè nella bassanite naiurale questo tempo è sempre molto più lungo di quello molto breve richiesto per la trasformazione pura e semplice del gesso in Ca SO, esagonale, come si pratica in laboratorio, così si spiega anche come la bassanite presenti una velocità di idratazione minore di quella del prodotto artificiale, che non ha subito l’azione a lungo prolungata di una temperatura piuttosto elevata. Groth ‘) ha considerato i cristalli esagonali di Lacroix come appartenenti all’emi-idrato Ca SO, . 1 H,0. L’inesattezza dipende dal fatto che il Lacroix nella sua prima nota °) aveva espresso il dubbio che essi potessero essere quell’ emi- idrato, ma in seguito °) riconobbe esplicitamente che erano anidri, come risulta, del resto, già dal fatto che essi si formano in quantità notevole porlando il gesso direttamente a 255°, ad una temperatura, cioè, superiore a quella della sua disi- dratazione completa, e che rimangono inalterati anche se si riscaldano a tempera- tura più elevata, purchè non si raggiunga il rosso vivo. Come già si è detto, i fascetti di bassanite somigliano molto, per il loro aspetto, a certe varietà di gesso delle fumaruole vesuviane. E poichè negli anni decorsi, dopo l’eruzione del 1906, nella parte del cratere vesuviano nella quale la scorsa estale è stata raccolta la bassanite, sono state osservate numerose fumarole che hanno fornito gesso in abbondanza, così è molto probabile che la bassanite debba la sua origine ad un aumento di temperatura verificatosi più recentemente, e che ha disidratato il gesso preesistente. ALUNITE Nella Mineralogia vesuviana (pag. 53) io ho ricordato che Johnston-Lavis ha rinvenuto nell’ ottobre 1906 sul cratere vesuviano un blocco rigettato, fortemente alterato dalle fumarole, mel quale si trovarono dei cristalli gialli, ed una sostanza incrostante dello stesso colore, che furono considerati come cloromanganocalite com- pletamente metamorfosata. Lo Spencer *) eseguì su questa sostanza giallastra delle ricerche, che non condussero ad alcun risultato positivo. Grazie alla cortesia del Dr. Johnston-Lavis, ho potuto esaminare una pic- cola porzione della ricordata sostanza giallastra, ed ho, così, potuto porre in chiaro che essa non è altro che alunite sodifera. L’alunite non era stata finora ricordata tra i minerali del Somma-Vesuvio. Al microscopio, la sostanza gialla studiata si mostra composta essenzialmente da un minerale uniassico, positivo, mescolato ad alite, a silvite, a gesso; a particole di eritrosiderite (quest'ultime visibili già ad occhio nudo per il loro colore) ed a prodotti torbidicci indeterminabili, in parte igroscopici. Il minerale prevalente non si scioglie nell’acqua, e si può, così, purificare, almeno parzialmente : non è solu- ') Chemische Krystallographie, TI, 397. 2?) Compt. rend., 1898, CXXVI, 362. ?) Compt. rend., 1898, CXXVI, 553. *) Min, Mag., 1908, XV, 54. PSrz 3) Cna bile nemmeno nell’acido cloridrico, mentre si scioglie nell’acido solforico concen- trato e caldo. Fondendo il minerale con carbonato sodico, è facile constatare, nella soluzione della massa fusa, l’esistenza di una grande quantità di acido solforico e di allu- minio. Con i saggi microchimici, nella sostanza gialla liberata con l’acqua dai clo- ruri alcalini si pone in evidenza la presenza del potassio e del sodio: di questi elementi il primo è alquanto prevalente sul secondo, dimodochè il nostro mine- rale deve considerarsi come una alunite sodifera e non come una natronalunite. L’alunite del Vesuvio deve la sua origine a dei fenomeni di pneumatolisi : l’acido solforico delle fumarole ha decomposto la leucite ed i feldspati del blocco di leucotefrite raccolto da Johnston-Lavis, in condizioni tali da dar luogo alla formazione dell’alunite, anzichè a quella, di tanto più comune, dell’allume e del- l’allumogeno. È molto probabile che una temperatura più elevata sia stata quella che ha determinato la produzione della prima. finita di stampare il dì 31 Agosto 1912 ERRATA-CORRIGE ALLA MINERALOGIA VESUVIANA pag. riga si legga invece di 18 2 dall’ alto linarite licorite 183 5 » 0,8385 8,8385 237 8 dal basso svista vista 344 11 dall’ alto potassio sodio ù . n nd ecs Toys Sf Avi = i na a a Py CIFRE I dei iù FLO E ; N Rea ngi «Ad n *3 SI dvrirt dlleai Lae MII L t : +44, - Uta uti i ” Lai FA (PR fa * É D'ORTA) Ue dTPRIE , 4 coli LL SE TILT ; s ; f n Vr I Ì =» Pea PI +19 al P ‘ x Vil? 10, «È va ù o 1°) a î LES 4 e fui tini RARITÀ i ; i Rei i SER 36 SPALLA ”, ” he vale fi h, 3 ” td) A ' f Pref] Tad 7 x Tg i fe E, » Ù rie } i vt Por } pi trai Pa fa è a ” x ° Ù da ti) a n, 4 lo - Ù ì Pa LI) ® b x x ” 5 LI x 2 Me * ” - a sea Pa ‘ ' la A ee * LI I i 4 * Pi è ' > _ » Ù Da x LI . 4 » Vol. XV, Serie 2.' N:°"13: ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DEI RAPPORTI TRA LE CELLULE NERVOSE E LO STRATO INTERNO DELLE CAPSULE IN CUI SONO COMPRESE NEI GANGLII CEREBROSPINALI E SIMPATICI MEMORIA del Dott. ALESSANDRO CHIEFFI (presentata nell'adunanza del dì 1 Febbraio 1913) Fin dal 1892 il prof. Paladino ha richiamato l’attenzione degli osservatori sulla minuta struttura del sistema nervoso centrale, specialmente in riguardo al ne- vroglio ed ai rapporti che questo assume con le cellule e le fibre nervose. Prima delle sue ricerche il nevroglio era considerato come semplice tessuto in- terstiziale, formato di cellule a caratteri morfologici ben distinti (astrociti di Dei- ters, cellule aracniformi, Spinnenzellen, di Jastrowitz, cellule raggiate di Golgi), alla cui conoscenza massimamente contribuirono, dopo il Virchow che pel primo le vide, il Deiters ed il Golgi; però da tutti i ricercatori furono completamente trascurati i rapporti intimi che corrono sia tra gli stessi elementi nevroglici, sia tra essi e le cellule e le fibre nervose. Il Paladino in una serie di ricerche, mercè )’ applicazione di particolari me- todi, ha potuto mettere in evidenza come gli elementi nevroglici non solo assumono tra loro mutui rapporti di continuità sia prossimali che distali, ma che: formano coi loro prolungamenti una rete pericellulare (ragnatelo nevroglico) ed una intracellulare negli elementi nervosi; si continuano nella midolla delle fibre nervose formandone lo scheletro mie- linico; ed inoltre si continuano in superficie con la piameninge e con lo scheletro mielinico delle fibre delle radici spinali. Tali ricerche sono state confermate da numerosi ricercatori nazionali ed esteri. Il van Gehuchten, a proposito del trofospongio di Holmgren, rivendica al Pa- ladino la descrizione di un reticolo nevroglico che non solo circonda la cellula nervosa ma l’altraversa (rete intracellulare), restando in continuazione col nevroglio ATTI — Vol. XV — Serie 2a — N. 13. ! I Og periferico; Prenant gli riconosce di aver descritto pel primo una rete nevroglica peri ed endocellulare, ed Held ne mette in rilievo l’importanza per la migliore conoscenza della costiluzione del sistema nervoso centrale. Halvar von Fieandt ha confermato la natura nevroglica della rete pericellulare; il Nemiloff della rete della guaina mielinica, e nelle fibre periferiche la mette in rapporto con le cellule della guaina di Schwann. Apertosi così un vasto campo d’indagini agli studiosi per la esalta conoscenza della struttura del sistema nervoso, io ho voluto estendere tali ricerche sul tessuto nervoso periferico, e propriamente sui gangli cerebrospinali e simpatici dell’ uomo ed in generale dei mammiferi. Le mie ricerche come ho già dello si sono rivolte per ora esclusivamente ai mammiferi, ed in esse ho portato massimamente l’attenzione sulla costiluzione della capsula che circonda le cellule gangliari. La capsula pericellulare nei gangli cerebrospinali fu notata fin dai primi ricer- catori (Valentin, Schwann, Hannover), ed è stata oggelto di molto studio da parte degli autori per poterne stabilire esattamente la costituzione. Secondo Kolliker nei mammiferi sarebbe stata costituita da una semplice mem- brana anista; per Arnold invece da elementi schiacciati, a protoplasma granuloso, che si continuavano nella guaina della fibra nervosa. Fraentzel pel primo la descrisse formata da una membrana a struttura striata con nuclei ellittici nel suo spessore, rivestita internamente da uno strato unico di elementi piatti, forniti di mucleo. Tale struttura fu confermata da Merkel, ed in seguito quasi tutti i ricercatori hanno confermato i due strati dell’involucro peri- cellulare (Retzius, Cajal, Ho!mgren, Lenhossek, ecc.) Per Key e Retzius, Erik Muller la membrana esterna è anista: secondo Acquisto è formata da due o tre lamelle in continuità col connettivo. Cajal descrisse una membrana di fibre collagene con uno strato di cellule endoteliali all’interno; più all’interno Cajal e Oloriz trovarono delle cellule stel- late fusiformi, che abbracciano le cellule gangliari e terminano liberamente con va- ricosità alla loro superficie. Lenhossek distingue la capsula propriamente delta e le cellule capsulari che chiama anficiti; questi hanno con la capsula semplici rapporti di contiguità, e sono addensati in corrispondenza del glomerulo del neurite: la capsula manca nei ganglii del cavallo e nell’ acustico dell’ uomo. Per Dogiel la capsula, formata da una membrana anista riveste immediata- mente la cellula: all’esterno di essa vi sono cellule stellate, fusiformi, che infossano alquanto la capsula. Levi infine, che si è occupato dei ganglii cerebro-spinali in tutte le classi ani- mali, la descrive formata da connettivo a sottili tibre intrecciate, concentriche alla cellula, con qualche nucleo nel suo spessore; alla superficie interna si trova uno strato di cellule appiattite. Nelle mie ricerche come materiale oltre che dell’uomo mi sono servito del co- niglio, gatto, agnello, vitello, bue. Cura speciale ho avuto di procurarmi materiale LI e freschissimo ; a questo scopo per gli animali di gran mole quali il vitello, il, bue, mi son recato al macello pubblico, in modo da poter mettere i pezzi nei liquidi fissatori pochi minuti dopo l’uccisione dell’animale. Per l’uomo mi son dovuto ac- contentare di ciò che potevano offrirmi le sale anatomiche non avendo trascurato di tener d'occhio qualche operazione sul vivo che avesse potuto offrirmi materiale opportuno. Dei ganglii cerebrali ho preso in esame il ganglio di Gasser, degli spinali a preferenza quelli appartenenti ai rigonfiamenti cervico-dorsale e dorso-lombare. Varii sono stati i metodi di cui mi sono servito per fissare e colorare: come fissatori ho usato il liquido di Zenker, il bicromato potassico al 2 ed al 4 %, il sublimato acetico in soluzione al 4 ‘%, il liquido di Flemming: ho dato però a quest’ultimo la preferenza. Per la colorazione sulle sezioni ho adoperato la rubina acida ed il miscuglio di ematossilina e scarlatto (Paladino) dal quale specialmente ho avuto risultati molto soddisfacenti. Quali metodi d’ impregnazione ho inoltre adoperati: il metodo di Paladino al joduro di palladio ; Il metodo di Cajal al nitrato d’argento ridotto ; i diversi me- todi al cloruro d’oro secondo Ranvier, Lòwit, Ruffini, Apathy. Come ho già innanzi detto ho principalmente rivolta l’attenzione alla costitu- zione dell’ involucro pericellulare. Nei ganglii cerebro-spinali esso risulta costituito di due strati nettamente di- stinti tra loro: uno strato esterno, la capsula propriamente detta; ed uno strato interno, posto tra la capsula e la cellula gangliare (rivestimento cellulare della cap- Sula), strato che pei rapporti che assume con la cellula gangliare ed il suo neurite possiamo considerare di natura nevroglico. Lo strato esterno della capsula è costituito da elementi connettivali schiacciati, appiattiti, che hanno tulto |’ aspetto d’ un endotelio ; in essi appare molto distinto il nucleo ovolare o bastonciniforme, che si colora bene coi colori basici: il proto- plasma ha struttura fibrillare a fibrille piuttosto grosse (fig. 1 a 12). Queste cellule sono giustaposte fra di loro in modo da formare un involucro continuo, interrotto solo all’ uscita del neurite, sul quale si prolunga continuandosi con la guaina di Schwann. Il numero di esse che occorre per formare la capsula varia con la grandezza delle cellule gangliari: nelle grosse cellule di vitello, di bue si veggono in una sezione concorrervi fino a dodici, tredici di tali elementi ed anche più. All’esterno la capsula è in rapporto col connettivo interstiziale, all’ interno con gli elementi endocapsulari. Questi formano lo strato interno dell’ involucro pericellulare : interessantissimo ne è il loro studio, sia dal punto di vista morfologico, sia per i rapporti che assu- mono con la capsula e specialmente con la cellula gangliare ed il suo neurile. La loro forma è varia: triangolare, stellata, fusiforme; a volta si presentano rotondi od anche lamellari: sono forniti di un grosso nucleo circondato da poco protoplasma. La struttura del protoplasma è nettamente filare a tibrille piuttosto fini e sottili (fig. 1 a 12). ZIA Il nucleo più o meno vescicolare contiene nel suo interno un nucleolo: la - cromatina forma un fine reticolo, od è anche raccolta in piccole masse o granu- lazioni. La grandezza di questi elementi non varia di molto, anche nelle diverse spe- cie di animali da me prese in esame; nè ho notato alcun rapporto costante tra il volume della cellula gangliare -e la loro grandezza. Il numero al contrario è molto vario, specialmente in rapporto alle diverse specie di animali; da tre o quattro che si osservano circondare una sezione di una cellula d’agnello (fig. 4 e 10) poco più nel gatto (fig. 3, 5), raggiungono nelle grosse cellule del vitello e del bue il nu- mero di venti, venticinque ed anche più (fig. 1, 2, 9,11, 12). Nell'uomo si osserva del pari tale abbondanza. La loro disposizione all’ interno della capsula è in un unico strato; nel vitello e nel bue, però, non è raro vederli più addensati in alcuni punti e disposti in due ed anche più strati (fig. 2, 11): nell’ uomo tale disposizione mi è sembrata più fre- quente (fig. 6). Caratteristico è il loro addensamento in corrispondenza del neurite, che ne è interamente circondato in tulta la sua estensione (fig. 10, 11, 12). Alle volte essi stanno molto dappresso all'elemento gangliare, e vi si addossano addirittura, tanto da lasciarvi una marcata impronta sul suo contorno (fig. 5, 6, 7). I rapporti che questi elementi assumono con la capsula sono di semplice con- tiguità: nelle sezioni sottili tale condizione vien messa chiaramente in evidenza. La fig. 1 rappresenta una cellula gangliare di vitello: in essa si veggono appunto i due strati dell’involucro pericellulare nettamente distinti tra loro, aventi semplici rapporti di contiguità. Ben più importanti ed interessanti sono i rapporti che assumono con la cellula gangliare che circondano. Dalla loro periferia partono dei prolungamenti in numero vario e di diversa lunghezza e spessore: alla loro origine tali prolungamenti sono più spessi e manifesta- mente filari; subito dopo si ramificano, divenendo più sottili e, talora, lungo il loro percorso si presentano varicosi. Si originano per lo più irregolarmente, alle volte paralleli tra loro come i denti di un pettine. Dalla cellula da cui prendono nascenza si dirigono verso l’elemento gangliare con un decorso irregolare, sinuoso, e divi- dendosi ed anastomizzandosi tra loro, formano una rete più o meno intricata a maglie irregolari (fig. 1 a 12): talora nei punti d’incrocio dei diversi rami non è raro vedere qualche corpuscolo 0 piccolo nucleo (fig. 11 e 12). La rele così costituila circonda interamente la cellula gangliare. Le diverse fi- gure lasciano chiaramente vedere simile disposizione; anzi nella fig. 7 si osserva l'estremo polo di una cellula, situata ad un fuoco più basso, tutto avviluppato dalla rete pericellulare, posta ad un fuoco più alto; la stessa figura lascia inoltre notare, addossata alla cellula gangiiare, una delle cellule endocapsulari, che coi suoi pro- lungamenti anastomizzati a quelli di altre cellule, concorre a formare l’intricata rete. Nè qui si arrestano i rapporti tra questi etementi e la cellula gangliare, poichè dal descritto reticolo pericellulare partono rami più sottili che si addentrano nella cellula, ove, continuando a dividersi ed ad anastomizzarsi tra loro, formano una seconda rete, intracellulare, che si estende fino in vicinanza del nucleo. Essa vien messa in evidenza molto chiaramente con il metodo al cloruro d’oro ii secondo Apathy: nell’usare questo metodo però ho trovato opportuno prolungare il bagno nel cloruro d’oro fino a dodici, diciotto e più ore, per pezzi della gran- dezza di circa un mezzo centimetro cubico; ed usare per la riduzione una soluzione d’acido formico al 4 0 5 %. La fig. 9 (cellula di ganglio spinale di vitello, trattato appunto secondo il me- todo da Apathy con le modifiche dette) mostra tale rete interna allo stesso livello del nucleo, fatto che lascia cadere ogni dubbio che essa possa essere extracellulare : anche le altre figure lasciano vedere frammenti del reticolo intracellulare. Inoltre la fig. 8 fa notare due reticoli, esterno l’uno, a fuoco più alto, l’altro interno ed a fuoco più basso; che anzi alcuni rami del reticolo pericellulare, chia- ramente si veggono penetrare nell’interno della cellula e concorrere con le loro diramazioni a formare la rete interna. Del pari interessanti sono i rapporti degli elementi endocapsulari col neurite della cellula, comunque esso si disponga. Già precedentemente ho detto come essi si addensano in sua corrispondenza (fig. 10, 11, 12). I prolungamenti che ne par- tono circondano il neurite fin dal primo inizio (fig. 10 e 11) avvolgendosi intorno ad. essi in modo da formare degli anelli concentrici (come meglio si osserva nelle sezioni dove il neurite appare tagliato trasversalmente), e con le loro divisioni ed anastomosi concorrono a formare un reticolo perineuritico: spesso anche in corri- spondenza del neurite notansi dei piccoli nuclei, dai quali partono rami che con- corrono anch’ essi alla formazione della rete (fig. 11, 12). Questo comportamento delle cellule endocapsulari intorno al neurite, si osserva lungo tutto il decorso del neurite, ed in effetti in sezioni dove questo è venuto tagliato in più punti si vede sempre circondato dalla sua rete (fig. 12). La fig. 11, in cui è raffigurata una cellula di ganglio lombare di agnello, mostra il neurite sia alla sua origine dalla cellula, sia, dopo essere stato interrotto nelle sue volute, in sezione longitudinale per un tratto abbastanza lungo, ed in tutto il suo non breve decorso si osserva la ricca rete che lo circonda. Tale rete evidentemente è in connessione con lo scheletro mielinico della fibra nervosa che si origina dal neurite, e per mezzo delle radici posteriori anche col nevroglio centrale del midollo spinale. In tutte le specie animali che ho esaminate io ho sempre riscontrata la stessa disposizione, come del resto si osserva dalle figure annesse, e non ho notate diffe- renze notevoli dall’ una all’ altra specie. Solo voglio richiamare |’ attenzione sulla ricchezza della rele pericellulare e degli elementi che concorrono a formarla negli animali di mole più grande, di fronte a quelli più piccoli: evidentemente questo è in istretto rapporto col processo di nutrizione, di modo che si spiega come essi abbondano là dove la cellula ha raggiunto un maggior volume in relazione alla lunghezza del neurite, e forse anche in relazione all’ estensione del territorio che essa, per mezzo della fibra cui dà origine, è destinata ad innervare (Pierret, Do- naldson, Cajal). Il Daae nel 1888 descrisse nel cavallo tra le cellule normali delle cellule ati- piche, il cui neurite si divideva in diversi rami che, per mezzo di fibre sottili ed amieliniche, si anastomizzavano tra loro non solo, ma anche col corpo cellulare. LE Cajal nel 1905 confermò tale struttura e considerò la rete come un fenestramento - della cellula: descrisse anche altre forme atipiche, quali le cellule clavate, le cel- lule corrose. Le ricerche di Cajal furono generalmente accettate, anzi, specialmente per opera di Levi, Dogiel ed altri si iniziò tutta una serie di studii su queste cel- lule atipiche. Il Levi ne distingue diversi tipi: cellule fenestrate ; cellule con lobulazioni, con appendici a clava; cellule con plessi pericellulari fatti da fibre che si originano dalla cellula stessa; cellule con prolungamenti terminali simili a dendriti. Sia alla zona fenestrata che alle altre strutture assegna una funzione nutritiva; servirebbero a facilitare gli scambi nutritivi. Gli anficti di Lenhossek (anche secondo Cajal) contraggono intimi rap- porti con la zona fenestrata, insinuandosi nelle maglie della rete; ed in orthago- riscus anche fibre collagene dello strato esterno della capsula penetrano nell’ interno della zona fenestrata, nello spazio limitato dalle trabecole (Levi). Dogiel a sua volta distingue anch’ egli diverse specie di cellule atipiche, ma non accetta la denominazione di cellule fenestrate. Inoltre afferma che nell’ interno della capsula di ogni cellula terminano fibre simpatiche formando delle reti peri- cellulari, che sarebbero a loro volta tutte connesse tra loro per mezzo di sottili fili in modo da formare una rele continua. Donaggio, fondandosi sul fatto che nei preparati trattati coi suoi metodi 1, 2 e 7 la zona fenestrata ed il cilindrasse si colorano con tinta diversa dalla parte centrale della cellula, crede che il cosiddetto fenestramento sia un sistema di pro- lungamenti cellulari della stessa natura del prolungamento cilindrassile. Dal punto di vista istopatologico si sono occupati di tali cellule atipiche il Nageotte ed il Marinesco; il Nageotte trovò grande aumento di fibre clavate nei ganglii dei tabetici; esse sarebbero organi riparatori e chiama il fenomeno ri- generazione collaterale; in ganglii di coniglio trapiantati sotto la cute osservò anche la comparsa di abnormi prolungamenti, che raggruppa in sei tipi. Marinesco vide cellule fenestrate in casi di polinevrite e di rabbia, e si occupò anche lui delle mo- dificazioni dei ganglii trapiantati sotto la cute. Oltre queste reti e plessi pericellulari il Babes ed il Kremnitzer descrissero canestri pericellulari provenienti da fibre amieliniche, che sì originano da cellule radicolari posteriori, già viste da Lenhossck. Cajal e Oloriz notarono pure delle terminazioni periglomerulari che circon- dano il neurite nel suo tratto intracapsulare. Riguardo a tali cellule atipiche, nella lunga serie di preparati da me osservati, debbo confessare di non averne notate mai, anche nei preparati trattati col metodo di Cajal: debbo anche dire che nelle specie da me prese in esame, tranne che nell’ uomo, le cellule atipiche non sono in gran quantità. A volle ho notato dei vacuoli, e, specie in materiale apparleneute a soggetti vecchi (uomo, bue) anche, come del resto dimostrano le figure 2 e 6, il contorno della cellula più o meno irregolare, sinuoso, forse per fenomeno di senescenza, ma mai delle cellule fenestrate. ELI e In pezzi trattati col cloruro d’oro secondo il metodo di L&wit, ho ottenuto delle immagivi raffigurate nella fig. 13: forse in esse si potrebbe vedere un certo fenestramento : ma se si pon mente che lo stesso materiale da me traltato col me- todo di Lòwit, cioè ganglii spinali di vitello, e che mi ha dato simili immagini, fu anche trattato con gli altri metodi della fissazione in liquido di Flemming e successiva colorazione in ematossilina e scarlatto, dandomi le immagini che si veg- gono nelle figure 1, 8, 9, 11, 12, bisogna riconoscere come in questo caso tale zona periferica sia tutto un artefatto dipendente dal melodo usato, e falto appunto a spese dello strato endocapsulare pericellulare. Col metodo di Cajal non si pone in evidenza la rete pericellulare, ed anche in questo caso mi son potuto convincere che si tratti di artifizio di tecnica; poiché in alcuni preparati non riusciti, non essendo avvenuta interamente la riduzione, ho potuto benissimo osservare il reticolo pericellulare, reticolo che non si osserva più nei preparati in cui la riduzione è venuta completa. Fo notare che il materiale era sempre del medesimo animale. Di modo che dalle ricerche da me eseguite, risulta come tale fenestramento, e le altre strutture atipiche bisogna nei mammiferi attribuirle ad artefatti dovuti ai metodi usati, ed anche collegarle a fenomeni di senescenza cellulare: in ogni modo bisogna in massima riportarle allo strato di elementi cellulari, che si trovano distesi sulla faccia interna della capsula, ed a sviluppo esagerato dei prolungamenti che da essi partono: come anche a questo strato bisogna riportare tutte le reti descritte intorno alle cellule gangliari e diversamente interpetrate dagli osservatori. Tutto ciò osservato nei ganglii cerebrospinali mi indusse a ricercare se altret- tanto s’ avvera neì ganglii simpatici. Anche per essi le mie ricerche si sono rivolte esclusivamente ai mammiferi ed oltre che dell’uomo mi son servito del coniglio, gatto, asino, cavallo. Come pei ganglii cerebrospivali ho avuto massima cura di procurarmi materiale freschissimo : per il materiale di cavallo e di asino mi sono rivolto alla Scuola di Medicina Ve- terinaria. Dei diversi ganglii ho esaminato a preferenza il cervicale superiore, il cervi- cale inferiore, il celiaco (semilunare). I metodi usati sono stali gli stessi di quelli adoperati per i ganglii cerebrospi- nali detti innanzi. Data | indole delle mie ricerche anche nel simpatico ho rivolto principalmente l’attenzione alla costituzione della capsula pericellulare. Essa non è stato oggetto di molto studio da parte dei ricercatori, come nei ganglii spinali; fu ritenula come in questi, essenzialmente costituita da fibre con- nettivali rivestite all’ interno da uno strato di cellule piatte (Fraentzel, Lòwen- tahl, Dogiel). Secondo Biondi nel ganglio sottopalalino dell’ uomo è poco evidente; inoltre questi vi ha riscontrato dei nuclei che riporta agli anficiti di Lenhossek. Terminazioni nervose pericellulari a guisa di nidi, provenienti da diverse vie furono nel simpatico dei mammiferi descritte da varii autori: Aronson, Retzius, o S29 van Gehuchten, Smirnow, Kélliker, Cajal, Sala. Pitzorno ha inoltre de-. scritto nei selacei e nei chelonei cellule con appendici a clava, e cellule con fene- stramento formato da due occhielli; cellule con cavità occupate da connettivo, ed anche degli elementi che presentano una cavità in cui è annidata una cellula più piccola. Voglio anche qui ricordare la rete di canalicoli intracellulari descritta da Holmgren e confermata da Henschen, che però non accetta la concezione del trofospongio di Holmgren. Io nella struttura della capsula pericellulare delle cellule simpatiche ho riscon- trato in massima la stessa cosliluzione che si osserva nei ganglii spinali. Anche nel simpatico bisogna distinguere due strati: lo strato esterno e lo strato interno : lo strato esterno forma la capsula propriamente detta. Essa è meno differenziata che nei gangli cerebrospinali; risulta costituita da fine fibrille connettivali concentriche che limitano lo spazio in cui è annidata la cellula gangliare col suo rivestimento. Nell’ uomo tale disposizione è più evidente (tig. 14 e 15); nel cavallo al contrario la capsula è ancora meno differenziata, tanto che a volta lo strato pericellulare endocapsulare sembra in diretto rapporto col con- netlivo interstiziale (fig. 16, 17). Lo strato interno è costituito da cellule che sia per la loro struttura, sia per il loro comportamento ricordano perfettamente quelle dei ganglii cerebrospinali. Nel simpatico però esse sono un po’ più piccole, ed in numero di molto inferiore; re- lativamente numerose sono neil’ uomo e nel cavallo dove possono raggiungere il numero di sei, sette, ed anche più (fig. 14, 15, 16, 17, 18). Sono in genere disposte in un unico strato lungo la parete della capsula, alle volle più dappresso alla cellula gangliare tanto da addossarsi addirittura ad essa, In alcune sezioni ne ho veduta qualcuna situata in una specie di nicchia formata dal protoplasma, che in certo modo la circondava quasi interamente (fig. 14). in un caso ho anche notato due cellule endocapsulari annidate in due vacuoli della stessa cellula (fig. 21). Tale disposizione è da mettersi in rapporto alla com- penetrazione del nevroglio nel corpo della cellula descritta dal prof. Paladino, compenetrazione che egli, nei lobi elettrici della torpedine, ha visto raggiungere proporzioni eccezionali, nei casi di vacuolizzazione per senescenza, o anche per con- dizioni patologiche. Tralascio d’ indagare se si tratti di un fenomeno della cosidetta neurofagia (Marinesco, Metehnicoff, Valenza) non rientrando ciò nel fine delle mie ricerche. I prolungamenti che partono dagli elementi pericellulari sono nel simpatico molto sottili e fini e formano una delicata rete a maglie più strette che nei gangilii cerebrospinali (fig. 14 a 18) e che si continua anch’essa in una rete endocellulare (fig. 20). Negli elementi del simpalico ho ottenuto in qualche taglio le cosidette imma- gini negative della rele intracellulare nevroglica (Paladino). La fig. 19 rappresenta appunto tale immagine negativa intracellulare che nell’assieme può ricordare il tro- fospongio di Holmgren: esse sono dovute al rapidissimo e completo indurimento A ted: pat del protoplasma da una parte, e dall’altra alla incompleta colorazione dei rami del nevroglio (Paladino), fatto che si verifica nella zona periferica dei pezzi trattati col liquido di Flemming per l’azione dell’ acido osmico, zona dove appunto si notano di solito tali immagini. Con i prolungamenti della cellula gangliare, gli elementi endocapsulari non as- sumono alcun rapporto diretto ; sia il prolungamento cilindrassile che i dendritici sono nel loro breve tratto intracapsulare circondati dalla rete pericellulare, che non assume intorno ad essi nessuna disposizione speciale (fig. 14, 16, 18). Dai risultati da me ottenuti posso concludere: L’ involucro pericellulare sia nei ganglii cerebrospinali che nei simpatici è co- slituito di due strati: uno esterno, la capsula propriamente detta, ed uno interno, formato da cellule che assumono mercè i loro prolungamenti speciali rapporti con la cellula gangliare. I due strati suddetti hanno tra loro semplici rapporti di contiguità. Lo strato esterno è formato nei ganglii cerebrospinali da elementi appiattiti, endoteliformi ; nei ganglii simpatici da fibre connettivali. Lo strato interno coi suoi prolungamenti forma intorno alla (one gangliare un reticolo pericellulare, che si continua in uu altro reticolo endocellulare. Nei ganglii cerebrospinali esso contrae rapporto anche col neurite, formando intorno ad esso una rete. Tale rete periveuritica si continua con lo scheletro mielinico della fibra ner- vosa che si origina dal neurite, e, per mezzo delle radici posteriori, probabilmente è anche in rapporto col nevroglio centrale del midollo spinale. Istituto d’Istologia e Fisiologia generale dell’Università di Napoli. (SS) ATTI — Vol. XV — Serie 2a — N. 13. Cent. î da : i i 4 10 ni pI, parltoeriaii ,, î Pai 4 b É salt PROTO RA 6 Zia 7495,” Lo x Lx a AR Ae FASI Pr e a i raid e ce BIBLIOGRAFIA DU NI Di Acquisto, Suda struttura delle cellule nervose dei ganglii spinali dell’uomo. Mon. Ùi zool. Ital., Vol. X, 1899. » Arnold Julius, Bemerkungen eines Beiteilingten ber Spiralfarsen una pericellu- lire Fadennetze an den Ganglienzellen des Sympathicus. Anat. Anz., Bd. 14, 1880. p e Ueber die sympathischen Ganglienzellen der Nager. Arch. f. Mikr. nica Bd. 47, 1896. Bi anchi V., ZI mantello cerebrale del delfino. Atti della R. Accad. di Sc. Fis. e Mat. di : Nagohi 1908. _ Bruchner, Note sur la structure de la cellule simpatique chez l'homme. C. R. Soc. i: . Biol., Paris, Vol. V, 1898. —_ Sicura Simpaticului. Thèse de Bucarest, 1901. Biondi, Sulla fine struttura dei ganglii annessi al simpatico craniano dell’uomo. Ri- rs. cerche fatte nel Lab. d’Anat. norm. d. R. U. di Roma, ece., Vol. XVI, 1912. | Capobianco e Fragnito, Nuove ricerche sulla genesi e sui rapporti mutui degli ele- menti nervosi e nevroglici. Ann. di Neur., 1898. _Carazzi D., Artefatti, pigmento e vacuoli nelle cellule dei ganglii spinali dei mammi- i feri. Mo. zool. ital., 1907, Vol. XVIII. Measa Bianchi, Di una particolarità di struttura nella cellula nervosa dei ganglii ca fr nati. Mon. zool. ital., Vol. XVII, 1906. — Le inclusioni del protoplasma della celluia nervosa gangliare. Arch. ital. di Anat. ed Emb., Vol. VII, 1907,. | — Alcune osservazioni alla Nota « Artefatti, pigmenti e vacuoli, ecc. ». Mon. zool. + ital., Vol. XVIII, 1907. Daae, Zur kenntniss den Spinalganglien bei einem Sdugethière. Arch. f. Mikr. Anat., È Bd. 31, 1888. . De Berardinis, Ricerche sul nevroglio del nervo ottico. Mon. zool. ital., Vol. VI, 1895. Dehler Adolf, Beitrag zur kenntniss vom feinere Bau der sympathischen Ganglien- DI, zellen des Frosches. Arch. f. Mikr. Anat., Bd. 46, 1896. Dogiel, Zur frage uber die Ganglien der Darmgeflechte bei den Stiugethieren. Anat. ID Anz., Bd. 10, 1895. _ — Zwei arten sympathischer Nervenzellen. Vorlaùfige Mittheilung in Anat. Anz., Q Bd. 11, 1896. ‘— Der Bau der Spinalganglien des Menschen und der Stiugethieren. G. Fischer, MU Jena, 1908. Don aggio, Sui rapporti tra capsula pericellulare e vasi sanguigni nei ganglii spinali E. dell'uomo. Riv. spec. di Fren., Vol. XXVI, 1900. __— Nuovi dati sulle propaggini nervose det citoplasma e sulle fibre collagene dei ganglit Cafe spinali. Riv. spec. di Fren., Vol. XXXVII, 1911. Cia Donaldson, On a law determining the number of medullated Nerve-fibers in the ven- tral roots of the spinal Nerves in the growing withe Rat. Journ. of. compar. Neurol., Vol. XIII, 1903. Fraentzel, Beîtrag zur henntniss von Struktur der Spinalen und sympathischen Gan- glienzetlten. Virch. Arch., Bd. 38, 1867. Golgi, Opera Omnia. Halvar von Fieandt, Eine neve Methode zur Darstellung des Gliagewebes nebst bei- triigen zur kenntniss des Baues und der Anordnung der Nevroglie des Hunde- hirns. Arch. f. mikr. Anat., Vol. LXXVI, 1910. Held H., Veber den Bau der grauen und Weissensubstanze. Arch. fur Anat. und. Phy- siol., 1903, anat. abt. — Kritische Bemerkungen zu der Verteidigung der Neuroblasten und der Neuronen- theorie durch Ramon y Cajat. Anat. Anz., Bd. 30, 1907. Henle, Traite d' Anatomie generale. Tome II, 1843. Henschen, Veber Trophospongienkandilchen sympathischer Ganglienzellen beim Men- schen. Anat. Anz., Bd. 24, 1903. Holmgren, Beitrage zur Morphologie der Zelle 1° Nervenzellen. Anat. Hefte, H. 59, 1901. — Ivi 2° Verschieden Zellarte. Anat. Hefte, H. 75, 1904. Jonnesco e Bruckner, Structure du simpatique cervical. C. R. 13. Cong. intern. de Med., 1900, Sect. d’hist. et d’Embr. Key e Retzius, Studien în der Anatomie des Nervensystems. Arch. fur. Mikr. Anat., Bd. 9, 1873. — Studien in der Anatomie des Nervensystems und des Bindegewebes. Stockholm, 1876. Kolliker, Handbuch der Gewebelhere des Menschen. Bd. 2, 1896. Laignel-Lavastine, Citologie normale des ganglions solaires. Arch. de Medic. exper. et d’Anat. path., Année 16, 1904, Lenhossek M., Veber den Bau der Spinalganglienzellen des Menschen. Arch. f. Psyc., Bd. 29, 1891. — Bemerkungen vber den Bau der Spinalganglienzellen. Neurol. Centrabl., Bd. 17, 1898. — Zur kenntniss. der Spinalganglienzellen. Arch. f. Mik. Anat., Bd. 69, 1906. — Das Ciliarganglien der Reptilien. Arch. f. Mik. Anat., Bd. 80, 1912. Levi, / ganglii cerebrospinali. Arch. ital. d’Anat. ed Embr., Vol. VII, 1908. — Appunti alla pubblicazione di Donaggio « Nuovi dati sulle propaggini nervose ecc. ». Mon. zool. ital., Vol. XXII, 1911. Loòowentahl, Veder eigentimliche Zellengebitde in Sympathicus des Frosches. Monat- schr. Anat. un Physiol., Bd. 11, 1887. Marano, Contributo alla migliore conoscenza delle fibre del Mauthner. Atti della So- cietà ital. per il progresso delle Scienze, 1910-191). — l1rapporti del nevroglio con le cellule e le fibre nervose nel midollo spinale dei Teleostei. Ann. di Neur., 1911. Marinesco, La cellule nerveuse. O. Doin. et fils, Ed. Paris. Merton, Veder ein intracellultires Netzwerk der Ganglienzellen von Tethys leporina. Anat. Anz., Bd. 30, 1907. Nageotte, Reégeneration collaterale des fibres nerveuses terminées par des massues de croissance. Nouv. Iconog. de la Salpetriere, 1906. — Note sur la régeneration amielinique des racines posterieurs dans le tabers et sur les massues d’accroissement qui terminent les fibres. C. R. d. 1. Soc. d. Biol., Tom. LX, 1906. — Variation du neurone sensitif periferique dans un cas d'amputation de la partie superieure de la cuisse. C. R. d. 1. Soc. d. Biol., Tom. LXIII, 1907. Ma adi Pet bilia ve inediti ta uiù & Di lia Nageotte, E/ude sur la greffe des ganglions rachidiens: variation e tropisme du neurone sensttif. Anat. Anz., Bd. 81, 1907. Nemiloff, Beobachtungen iber die Nervenelemeni bei Ganoiden und Knochenfischen. i Teil I. Der Bau der Nervenzellen. Arch. f. Mikr. Anat., Bd. 72, 1908. — Ueber die Beziehung der sog. « Zellen der Schwannschen Scheide zum Myelin in . den Nervenfasern von Stiugethieren ». Arch. f. mikr. Anat., Bd. 76, 1910. Paladino, De la continuation de la nevroglie dans le squelette myélinique des fibres nerveuses et de la constitution pluricellulaire du cylindraxe. Arch. it. d. Biol., Tom. XIX, 1892. — Contribuzione alla migliore conoscenza dei centri nervosi mercé il joduro di pal- O ladio. Rend. della R. Accad. di Sc. Fis. e Mat. di Napoli, 1892. È. — Dei limiti precisi tra il nevroglio e gli elementi nervosi nel midollo spinale e di alcune quistioni istofisiologiche che vi si riferiscono. Boll. della R. Accad. Med. di Roma, Anno XIX, 1893. — Uteriori studi sui rapporti tra il nevroglio e le fibre e le cellule nervose nell’asse cerebro-spinale deî vertebrati. Rend. della R. Accad. di Sc. Fis. e Matem. di Na- poli, 1900. — Su alcuni punti controversi della struttura intima dei centri nervosi. Mon. zool. ital., Anno XII, 1901. — Ancora sui più intimi rapporti tra i nevroglio e le cellule e le fibre nervose. Rend. della R. Accad. di Sc. Fis. e Mat. di Napoli, 1908. — La dottrina della continuità nell’organizzazione del nevrasse nei vertebrati, e i mutui ed intimi rapporti tra il nevroglio e cellule e fibre nervose. Rend. della R. Accad. di Sc. Fis. e Mat. di Napoli, 1911. — Instituzione di Fisiologia, 8* edizione, A. Morano e figli, editori, Napoli, 1904. Pitzorno, Sulla struttura dei ganglii simpatici nei selacei. Monz. zool. ital., Anno XXI, 1910. . — Su alcune particolarità delle cellule del cordone simpatico deî chelonei. Monz. zool. ital., 1910. — Uiteriori studiîi sulla struttura dei ganglii simpatici nei selacii. Monz. zool. ital., Anno XXI, 1911. — Su alcune pretese anastomosi tra le cellule dei ganglii simpatici. Monz. zool. ital., Anno XXIII, 1912. Prenant, Bouin et Maillard, Traîté d’ Histologie. Vol. II, Paris, Reinwald, 1911. Ramon y Cajal S., Sobre la existencia de terminaciones nerviosas pericellulares en los ganglios nerviosos raquidianos. Barcelona, 1890. — Las cellulas del gran simpatico del Hombre adutto. Trab. del Labor. de Investig. Biol., Tom. IV, 1891. — Pequenas contribuciones al conoscimiento del sistema nervioso. Barcelona, 1891. — Algunos detalles mas sobre las cellulas simpaticas. Barcelona, 1891. — Notas preventivas sobre la retina y gran simpatico de los mamiferos. Estraido de la Gaccta Sanitaria, 1891. — Los ganglios y pleros nerviosos del intestino de los mamiferos. Estraido de la Ga- ceta Sanitaria, 1903. — Die Struktur des sensiblen Ganglien des Menschen una der Thiere. Ergebn. der Anat. und, Entw. kerausg von Merkelund Bonnet, Bd. 16, 1907. Ramon y Cajal e Oloriz, Los gianglios sensitivos corneales de los mamiferos. Rev. trim. microg., Vol II, 1907. Ranson S. Walter, The structure of the spinal ganglia and of the spinal nerves. The Journ. of the comp. Anat., Vol. XXII, 1912. Ranvier, Traité tecnique a’ Histotogie. Paris, 1889. Retzius, Untersuchungen iber die Nervenzellen der Cerebrospinal ganglien und der ubrigen peripheren Kopfganglien ecc. Arch. f. Anat., 1880. CA I na o n % dA; Det «ASS SRI mae — 1.4- : ; Retzius, Zur Renntniss der Ganglienzellen des Sympathicus. Biol. forenin., Forhandl., — 1890. i — Zur kenniniss der Ganglienzellen des Spinal ganglien. Biol. Unters. N. F., Bd. 4, 1892. .-— Ueber den Typus der Sympathischer Ganglienzellen der Lohren Wibelthiere. Biol. Unters. N. F., Bd. 4, 1892. — Wetteres zur Verne von der Freien Nervendigungen una anderen Strukturve- rhéiltnissen bei den Spinalganglien. Biol. Unters. N. F., Bd. 9, 1900. Schwalbe, Lelrbuch der Neurologie. Erlangen, 1881. Smirnow, Die Struktur der Nervellenzen in Sympathicus der Anfibien. Arch. f. nikri Anat., Bd. 35, 1890. — Zur kRenniniss der sympathischer ganglienzellen beim Frosche. Anat. Hefh. I Abth., Bd. 14, 1900. — Einige Beobactungen uber den Bau der Spinalganglienzellen bei einen viermo- nattischen menschlichen Embryo. Arch. f. mikr. Anat., Bd. 59, 1911. Valentin, Traiîté de Neurologie. Encyclopedie Anat., Paris, 1843. Van Gehuchten, Anatomie du systeme nerveuse de l homme, 4% edition, Louvain, Paris. x finita di stampare il dì 28 Febbraio 1913 Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. i: do NO Ch 9. 10. Al, 12. 13. 14 16 18. T9. 20. 21. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE — Cellula di ganglio spinale di vitello. I due strati dell’involucro pericellulare con la rete pericellulare e frammenti di rete intracellulare a livello del nucleo oc. 3 Kor. obb. ‘/,, imm. Reich., tubo 16. .— Cellula di ganglio spinale di bue. I due strati dell’involucro pericellulare con la rete pericellulare. Idem. .— Cellula di ganglio spinale di gatto. Idem. Idem. .— Cellula di ganglio spinale di agnello. Idem. Idem. — Cellula di ganglio di Gasser di gatto. Idem. Idem. — Cellula di ganglio spinale di uomo. Idem. Idem. .— Cellula di ganglio spinale di bue. I due strati dell’involucro, rete pericellulare che avviluppa l’estremo polo di una cellula: osservasi anche una delle cellule endocapsulari addossata alla cellula gangliare. Idem. .— Cellula di ganglio spinale di vitello: rete pericellulare che circonda l’estremo polo di una cellula, e rete intracellulare (a diverso fuoco). Alcuni rami della rete extracellulare penetrano nella cellula e concorrono alla rete interna. Idem. — Cellula di ganglio spinale di vitello. Rete intracellulare in continuazione della pericellulare a livello del nucleo. Idem. — Cellula di ganglio spinale lombare di agnello. Rete perineuritica lungo tutto il decorso del neurite. Idem. — Cellula di ganglio spinale di vitello. Rete pericellulare e perineuritica: sia nella rete pericellulare che in corrispondenza della rete perineuritica, notansi corpuscoli o nuclei di nevroglio. Frammenti di rete intracellulare. Idem. — Cellula di ganglio spinale di vitello. Rete perineuritica intorno al neurite ta- gliato trasversalmente in più punti. Notansi dei corpuscoli di nevroglio. Fram- menti di rete intracellulare. Idem. — Cellula di ganglio spinale di vitello trattato col metodo di Lòwit. Idem. e 15. — Cellule di ganglio cervicale superiore di uomo. I due strati deli’ involucro. Nella fig. 15 si osservano anche frammenti di rete intracellulare. Idem. e 17.— Cellule di ganglio cervicale superiore di cavallo: lo strato interno è in rapporto col connettivo interstiziale. Idem. — Cellula di ganglio celiaco (semilunare) di cavallo. Rete pericellulare che cir- conda l’estremo polo della cellula; un elemento endocapsulare addossato alla cellula. Idem. — Cellula di ganglio cervicale superiore di cavallo. Immagine negativa della rete intracellulare. Idem. — Cellula di ganglio cervicale superiore di asino. Rete intracellulare a livello del nucleo. Idem. — Cellula di ganglio celiaco di cavallo: cellule dello strato endocapsulare conte- nute in vacuoli della cellula gangliare. Idem. Tav. I. Mi ica & Se. Fis. e Matem. Vol. XV. Ser. II. N. 13. TIP. DE RUBERTIS Tav. IL Atti R. Accad. d. Sc. Fis. e Matem. Vol. XV.Ser. IL, N. 13. TIP. DE RUBERTIS o | | Vol. XV, Serie 2.' N.° 14. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE IL PERIODO DI RIPOSO DEL VESUVIO INIZIATOSI NEL 1906 STUDII MORFOLOGICI di 0. DE FIORE presentati nell'adunanza del dì 7 Giugno 1913. Dopo il catastrofico parossisma eruttivo del 1906 il Vesuvio, spossato dall’ im- mane sforzo, tacque e tutte le sue manifestazioni. d’attività si ridussero a deboli esalazioni di vapori, i quali elevandosi in tenui fili dagli orli della grande voragine craterica testimoniavano l’assopimento e non la morte del vulcano. Ora, dopo circa 7 anni di riposo, si annunzia un prossimo risveglio: le esalazioni si fanno più ener- giche, dei fremiti sempre più frequenti scuotono la massa poderosa del monte e tutto un complesso di fatti accenna ad un non lontano ridestarsi del vulcano, il quale nel suo lungo riposo ha di già accumulate ed accumula ancora le forze ne- cessarie a manifestazioni novelle. Si rinnoveranno dunque i fenomeni che caratterizzano i periodi eruttivi Vesuviani : intanto è opportuno esaminare quelli che preludiano e conducono al risveglio. In generale si studiano le manifestazioni eruttive dei vulcani e si trascurano quelle dei periodi di riposo: in queste pagine mi propongo di raccogliere, sislematica- mente, quanto più è possibile sullo stato d'un vulcano durante la sua calma e ciò avrà il duplice scopo di colmare una lacuna nella storia del Vesuvio ed, illustrando i fenomeni che in esso si sono svolti e seguiranno in rapporto al periodo eruttivo passato ed al futuro, di formulare delle conclusioni generali che forse si potranno estendere ad altri vulcani di simile meccanismo. Purtroppo però tali studii per varii motivi indipendenti dalla mia volontà, sono parziali ed estesi con più cura specialmente a certe categorie di fenomeni. Man- cano infatti delle numerose e periodiche osservazioni termiche ed analitiche sulle fumarole ed i loro prodotti, ma ciò è specialmente compito di chi ha l’agio di soggiornare sui luoghi e dispone dei mezzi adeguati allo scopo. Mancano oltre esatti ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 14. 1 = rilievi periodici del cratere, i quali permettano di seguirne le variazioni, ma per ciò sono necessarî strumenti e mezzi che io attualmente non posseggo. Malgrado tali difficoltà ritengo utili le ricerche compiute ed i risultati ottenuti. Prima d’incominciare l'esposizione dei fatti avvenuti dopo l’ultima eruzione, credo opportuno esaminare quel parossisma e specialmente il meccanismo esplosivo al quale devesi la forma attuale del cono Vesuviano che ha influito notevolmente sui fenomeni del periodo di riposo ed influirà forse su quelli del futuro periodo eruttivo. Esaminerò poi dettagliatamente le modificazioni prodotte dai fenomeni eso- geni sulla forma esistente immediatamente dopo 1’ eruzione per studiare le trasfor- mazioni avvenute, le quali possono, in linea generale, influenzare la futura attività del vulcano. In questa prima memoria dunque esporrò esclusivamente il meccanismo eruttivo che. trasformò l’edificio vulcanico dandogli l’aspetto posseduto all’inizio del periodo di riposo e le successive modificazioni delle forme ad opera degli agenti esogeni. Ringrazio qui vivamente tutti coloro che hanno contribuito con aiuti e consigli al completamento del presente lavoro e specialmente l'Ing. F. A. Perret, il quale m’ha fornite varie informazioni e molte belle fotografie che illustrano queste pagine. » 17. 18. II BIBLIOGRAFIA DELL’ERUZIONE VESUVIANA DEL 1906 E DEL PERIODO DI RIPOSO 1906-1913. Alfano G. B., L'incendio vesuviano dell’ aprile 1906. Riv. Fis. Mat. Sc. Nat., VII, N. 84; Pavia, 1906. — Sullo stato della questione circa la causa dei fori circolari nei vetri etc. Idem, VII, N. 96; Pavia, 1906. — Sulle cause che determinano la traiettoria dei detriti del Vesuvio du- rante le eruzioni. Nuovi Lincei, XXIX; Roma, 1911. . Anonimo, The eruption of Vesuvius. Nature, LXXIII, 565, 588; London and New Jork, 1906. . Bassani F. e Galdieri A., Notizie sull’ attuale eruzione del Vesuvio (aprile 1906). Rend. Acc. Sc. Fis. Mat., (3), XII, 123; Napoli, 1906. — Sulla caduta dei proiettili vesuviani in Ottajano durante l’eruzione del- l’aprile 1906. Idem, (3), XII, 321. — Sui vetri forati d’Ottajano nella eruzione vesuviana dell’ aprile 1906. Idem, (3), XII, 230. . Baratta M., L’eruzione del Vesuvio. Aprile 1906. Riv. Geogr. It., XIII, 321; Firenze, 1906. Baroni I., / fasti-del Vesuvio. Lettura, VI, N. 5; Milano, 1906. . Bellini R., Spuren von Selen auf der Vesuv-lava von 1906. Centralbl. fiir Min. Geol. und Pal., Jahrg. 1907, 611; Stuttgart, 1907. . Brun A., Quelques recherches sur le volcanisme (II Part.) | Vesuv 1906). Archiv. Sc.. Ph. et Nat., XXII; Genéve, 1906. — Recherches sur l’exhalaison volcanique. Paris et Genéve, 1911. . Brunhuber A., Beobachtungen iber die Vesuveruption im Aprily1906. Beilage zu den Berichten des naturwissen-Schaftichen Vereins n ua RA - I ( » Regensburg, X; Regensburg, 1906. . Bruttini A., Sulla cenere vulcanica caduta in Puglia. Boll. Soc. Agric. It XI 9 Roma, 1906. . Casoria E., Sulla composizione chimica delle ceneri vesuviane cadute in Portici nei giorni 9 e 10 aprile 1906. Annali della R. Scuola Sup. d’Agricoltura, VII; Portici, 1906. — Le sabbie e le ceneri vesuviane cadute in Portici nell'Aprile dell’anno 1906. (2.2 Mem.), Idem; Portici, 1906. — La lava di Boscotrecase ed il lapillo di Ottajano. Idem ; Portici, 1908. Ciaramella G., Osservazioni di un profano sull'eruzione dell'aprile 19006. Nel numero unico: «Il Vesuvio e la grande eruzione dell’aprile 1906 », 61; Napoli, 1907 1906. 19. 20. » 23. 24. COLA Mago ngdo: i ato Ciaramella G., / paesi vesuviani nell’eruzione. Idem, 39. — [Relazione sulla quistione de’ vetri forati]. Atti del Congresso dei Naturalisti in Milano (Sett. 1906), 295. . Comanducci E. ed Arena M., Analisi chimica della cenere caduta in Napoli la notte del 4-5 aprile 1906. Rend. Acc. Sec. Fis. Mat., (3), XII, 267; Napoli, 1906. . Conforti L., Alla bocca del Cratere. Secolo XX, Anno V, N. 5; Milano, 1906. — Il Vesuvio nella sua storia. Napoli, 1906. Contarino F., Sull’altezza delle polveri vesuviane cadute in Napoli dopo le eruzioni del 22 ottobre 1822 e dell’aprile 1906 e sull’abbassamento subito dal cratere per le stesse eruzioni; da misure fatte dall’Osser- vatorio di Capodimonte. Rend. Acc. Sc. Fis. Mat., (3), XI, 333; Napoli, 1906. 5. Cosyns, Analyse des cendres du Vésuve. Bull. de la Soc. Belge d’ Astro- nom., Mai 1906; Bruxelles. i. De Lorenzo G., L’eruzione del Vesuvio. Aprile 1906. Nuova Antologia, 16 aprile 1906; Roma. — L’eruption du Vésuve et les Volcans. La Revue du Mois, I, 385; Paris, 1906. — The eruption of Vesuvius in April 1906. Proc. Geol. Soc., 1905-06, 100; Q. Journ. Geol. Soc., LXII, 426; London, 1906. — Come cresce il Vesuvio. Natura, I; Milano, 1906. . De Luise L., Notizie sull’eruzione vesuviana nell’Aprile 1906. Portici, 1906. — Sull’altezza della vetta vesuviana. Portici, 1906. . De Marchi L., Una visita al cratere del Vesuvio dopo l'eruzione. Mondo sotterraneo, III, N. 12; Udine, 1906. . Deprat J., Modifications apportées au Còne vesuvien par l’éruption d'Avril 1906. B. Soc. Geol. Fr., (4), VI, 2035 Paris 1906; 4. Doelter C., Ueber einige Beobachtungen bei der Vesuveruption 1906. Anz. k. Akad. Wissensch., 295; Wien, 1906. 5. di Paola G., Fenomeni elettrici nell’ Eruzione del Vesuvio dell’ Aprile 1906. Boll. Soc. Nat., XX; Napoli, 1906. , L’eruption du Vesùve. Bull. Soc. Astr. de France, Mai 1906; Paris, 1906. . Friedlaender B. ed Aguilar E., Su di alcuni problemi ed osserva- zioni di Vulcanologia. Boll. Soc. Nat., XX; Napoli, 1906. — Un'ipotesi per spiegare le eruzioni del tipo 1872 e 1906. Nel numero unico: « Il Vesuvio e la grande eruzione dell’ Aprile 1906 »; Na- poli, 1907. 9. Galli I., Turbine grandinoso e vetri forati a Velletri. Roma, 1907. . Gargiulo F., N Vesuvio attraverso i secoli e l'eruzione del 7-8 aprile 1906. Napoli, 1906. Il Vesuvio e le sue eruzioni in rapporto a Torre Annunziata. Torre Annunziata, 1906. Gill H. V., On a possible connection between the eruption of Vesuvius and the Earthquake at S. Francisco in April 1906. Sc. Proc. R. Dublin Soc., (n.), XI, 107; Dublin, 1906. 3. Goldschmit V., Salmiak von Vesuv. Zeitsch. f. Krist., XLV, 221, 1908. 1906. 44. » » » » » 45. 46. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. NS Grossouvre A. (de), Analyse quantitative des Gaz occlus dans les laves des derniéres Eruptions de la Mont. Pelée et du Vesuve. C. R. Paris, CXLVII, 991; Paris, 1909. Hobbs W. H., The grand eruption of Vesuvius in 1906. Journ. of Geol., XIV, 651; London, 1906. Johnsen A., Vesuvasche von April 1906. Centralb. f. Min. Geol. and Pal., Jahrg. 1906, 385; Stuttgart, 1906. . Johnston-Lavis, The eruption of Vesuvius in April 1906. Sc. Trans. of the Royal Dublin Soc., (2), IX, 139; Dublin, 1909. — A New Vesuvian Mineral. Cloromanganokalite : Kel , NaCl, MnCI, ; Na- ture, LXXIV; London and New York, 1906. 9. Kernot, Analisi chimica delle ceneri vesuviane dell’ aprile 1906. Rend. Ace. Sc. Fis. Mat. Napoli, (3), XII, 449; Napoli, 1906. . Kolderup C. F., Vesuvs Verksombed vaaren 1906. Naturen, XXXI, 47; Bergen, 1907. . Lacroix A., L'éruption du Vésuve en Avril 1906. Revue gén. des scien- ces, 150; 30 nov. 1906; Paris, 1906. — Sur l’éruption du Vésuve et en particulier sur les phenoménes explo- sis CoRe Paris, CXLEII, 941; -1906. — Theeruption of Vesuv in April 1906. Ann. Rep. Smith. Inst. etc., 1907, 223; 1907. — Pompei, Saint-Pierre, Ottajano. Revue scient.; Paris, 1906. — Les derniers jours d’ Herculanum et de Pompei. La Géographie, XVIII, 281; Paris, 1908. — Contribution a l’étude des bréches et des conglomérats volcaniques. (An- tilles 1902-03, Vésuve 1906). Soc. Geol. Fr., (4), VI, 635; Paris, 1906. — Les avalanches sèches et les torrents boueux de l’ éruption récente du Vesuve. C. R. Paris, CXLII, 1244; 1906. — Les conglomerats des explosions vulcaniennes du Vésuve, leurs miné- raux, leurs comparaison avec les conglomérats trachitiques du Mont Doré. Idem, 1020; 1906. — Les produits laviques de la récente éruption du Vésuve. Idem, CXLII, 13; 1906. — Étude minéralogique des produits silicatés de l’ éruption du Vésuve. (Avril 1906). (Conséquences a en tirer a un point de vue géneral). Nouvelles archives du Museum, (4), IX; Paris, 1907. — Sur une espece minérale nouvelle des fumerolles ad haute temperature de la récente éruption du Vésuve. C. R. Paris, CXLIV, 1398; 1907. — Les minéraua des fumerolles de l’ éruption du Vésuve en avril 1906. Bull. Soc. Franc. de Min., 1907; Paris, 1907. — Les cristaux de sylvite des blocs rejetés par la récente éruption du Vésuve. C. R. Paris, CXLII, 1249; 1906. Martinelli G., Notizie sui terremoti osservati in Italia durante l’ anno 1906. Soc. Sism. It., Appendice al XII; Modena, 1910. Matteucci R. V., Nasini R., Casoria E., Fiechter A., Appunti sull’eruzione vesuviana 1905-06. B.S.Geol. It., XXV, 846; Roma, 1906. Mercalli G., Notizie vesuviane. (1906, gennaio-aprile 4). S. Sism. It., MII, 193; Modena, 1908. gie 1906. 67. Mercalli G., L’eruzione vesuviana dell’Aprile 1906. Natura ed Arte, XV, 763; Milano, 1906. 68. — La grande eruzione vesuviana cominciata il 4 Aprile 1906. Mem. Nuovi Lincei, XXIV; Roma, 1906. 69. — La grande eruzione vesuviana dell’Aprile 1906. Rassegna Nazionale; Firenze, 1906. 70. — Le fasi dell'eruzione vesuviana dell’Aprile 1906. Nel numero unico: «Il Vesuvio etc. », 5; Napoli, 1906. 71. — Ottajano e le eruzioni vesuviane posteriori al 1631. Idem, 35. 72. Meunier St., Sur l'origine vésuvienne du brouillard sec observé à Paris dans la matinée du mercredì, 11 avril 1906. C. R. Paris, CXLII; 1906. 73. Michael R., Ueber Beobachtungen wàahrend des Vesuv-Ausbruches im April 1906. Zeitschr. deutsch. geol. Gesell., LVII, Monatsb. 121; 1906. 74. Montà C., I Vesuvio e le sue eruzioni. Torino, 1906. 75. Nasini e Levi, /tadioattività di alcuni prodotti vulcanici dell’ ultima eruzione del Vesuvio (aprile 1906) e confronto con quella di altri più antichi. Lincei, (5), XV, 2° sem. 391; Roma. 76. Oglialoro A., Poche notizie sulle sabbie emesse dal Vesuvio. Rend. Acc. Sc. Fis. Mat., (3), XII, 135; Napoli, 1906. 77. Paris G. e Roncati F., La pioggia di sabbia caduta l 8 aprile 1906. Giornale di Viticultura ed enologia, XIV, N. 8; Avellino, 1906. 78. Pastore A., Eruzione del Vesuvio (aprile 1906). Napoli, 1906. 79. Perret F. A., Notes in the electrical phenomena of the Vesuvian eruption april 1906. Am. Journ. Sc.; Brooklin, 1907. 80. Philipp H., Beobachtungen itber die Vesuveruption on Marz-April 1906. Briefliche Mitteill anden Oberrheinischen Geologischen Verein, 1906. 81. — Veber die Vesuveruption April 1906. B. Oberrhein. Geol. Ver., XXXIX, 16, 1907. 82. — Einige Bemerkungen itber seine Beobachtungen an Vesuv in April 1906. Idem, 143, 1906. 83. Pirro R., Il Vesuvio e le sue eruzioni. Napoli, 1906. 84. Prinz W., L’éruption du Vesuve d’avril 1906. Ciel et Terre. N. 5-7; Bruxelles, 1906. 85. Quensel P. D., Untersuchungen an Aschen, Bomben und Laven des Aus- bruches des Vesuv 1906. Centralbl. f. Min., Geol. u. Pal., Jahrg. 1906, 497; Stuttgart, 1906. 86. Ricciardi L., Il Vesuvio ed il Vulcanismo. Napoli, 1906. 87. Sabatini V., Sull’eruzione del Vesuvio 1906. B. Com. Geol. It., (4), XXXVII, 158; Roma, 1906 — (Nota prelim.). 88. - L’eruzione vesuviana dell’Aprile 1906. Idem, 169, 1906, Roma. 89. I vetri forati di S. Giuseppe e d'Ottajano durante l’eruzione vesuviana del 1906. Idem, (4), XXXVIII, 277. 90. I diversi modi di attività dei vulcani italiani e l’ultima eruzione vesu- viana. Atti Soc. Ligustica etc., XVIII; Genova, 1907. 91. Sasso G., Cronaca dell'eruzione del Vesuvio, aprile 1906. Portici, 1906. » 1907. » » a 92. Scarpa O., La lava del Vesuvio è radioattiva? Nel numero unico: «Il Vesuvio e la grande eruzione nell’aprile 1906 », 34; Napoli, 1906. 93. —. Sulla radioattività delle lave del Vesuvio. Lincei, (5), XVI, 1° sem., 44; Roma, 1908. 94. Sjògren H., The eruption of Vesuvius. Nature, LXXIV, 7; London and New York, 1906. 95. Stoklasa J., Ueber den Ursprung des Ammoniaks in den Producten der Vesuveruption in April 1906. Centralbl. f. Min. Geol. u. Pal., Jahrg. 1907, 161; Stuttgart, 1907. 96. Szthmary (von) L., Chemische und petrographische Untersuchung des lavastromes des Vesuv. Foldst. Kéòzl., XXXVII, 131, 180; 1907. 97. Toniolo A. R., L’eruzione del Vesuvio. Aprile 1906. Riv. Fis. Mat. Sc. Nat:, VII N. 77; Pavia, 1906. 98. —. Studio orometrico sulle variazioni del cono vesuviano dopo l’eruzione del 1906. Idem, X; Pavia, 1909. 99. Zambonini F., Notizie mineralogiche sull’eruzione vesuviana dell'aprile 1906. Atti Acc. Sc. Fis. Mat., (2), XIII; Napoli, 1908. 100. — Sulla galena formatasi nell'ultima eruzione vesuviana dell'aprile 1906. Lincei, (5), XV, 2.° sem.; Roma, 1906. 101. — Sulla radioattività della cotunnite vesuviana. Idem, 975. 102. — Mineralogia vesuviana. Atti Acc. Sc. Fis. e Mat., (2), XIV; Napoli. 103. — Appendice alla Mineralogia Vesuviana. Idem, (2), XV; Napoli. 104. Zinno S., Analisi della cenere caduta nei giorni 5, 6, 7 aprile corrente dalla eruzione vesuviana. Acc. Pontaniana, XXXVI; Napoli, 1906. 105. Wegner Z., Die Beohactungen iber den Ausbruch des Vesuv im april 1906. Centralbl. f. Min. Geol. u. Pal., Jahrg. 1906, 506, 529; Stutt- gart, 1906. Dopo l'eruzione. 106. Aguilar E., Escursioni al Vesuvio. Soc. Nat., XXI; Napoli, 1906. 107. Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. N. 1, Aprile, 1908 (notizie sui fenomeni del periodo di riposo). 108. Mercalli G., I! Vesuvio dopo l'eruzione del 1906. Natura ed Arte, XVII; Milano, 1908. 109. — Le frane interne. Nel numero unico: «Il Vesuvio etc. », 27; Na- poli, 1906. 110. Perret F. A., Vesuvius: characteristics and phenomena of the present repose-period. Am. Journ. of. Sc., XXVII; Brooklin, 1907. 111. Alfano G. B., I fenomeni geodinamici della Sorgente minerale in Valle di Pompei. Riv. Fis. e Sc. Nat.; Pavia, 1909. Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. N. 1, Apri- le, 1908 (notizie sui fenomeni del periodo di riposo). 112. Baratta M., Il nuovo rilievo del cono Vesuviano. Riv. Geog. It., MV; Firenze, 1907. 113. — La nuova carta del Vesuvio (1:25,000) dell’ Istituto geografico mi- litare. Soc. Geogr. It., XV, 862; Roma, 1908. Mercalli G., I! Vesuvio dopo l’eruz. 1906. Op. cit. Perret F. A., Vesuvius. Op. cit. 1908. 1909. I9II. 114. 116. 118. +19: 124. REG Le Alfano G. B., / fenom. geod. Op. cit. Bollettino Meteor. Sism. dell’ Oss. Pio X in Valle di Pompei. Anno I, N. 1-8. Lacroix A., Sur les minéraux des fumerolles de la récente éruption de l'Etna et sur l’existence de l’acide borique dans les fumerolles actuel- les du Vésuve. C. R. Paris, CXLVII, 161; 1908. Mercalli Si , Il Vesuvio. Op. cit. Perret F..A., Vesuvius. Op. cit. 5. Zambonini SEE Su alcuni minerali non osservati finora al Vesuvio. Rend. Acc. Sc. His, Mat., (3), XIV; Napoli, 1908. Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. Anno II, N. 1-12; Anno III, N. 1. Meli R., Escursioni geologiche al Vesuvio e nei dintorni di Napoli etc. nell’anno 1909. Roma, 1909. Perret F. A., Vesuvius. Op. cit. Remedios: La profondità del Cratere vesuviano nel giugno 1909. Riv. i It..--XVI;, Birenze. 1909. Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. Anno II, N. 2-12; Anno IV, N. 1 Sieberg A., Streifzitge in siùditalienischen Erdbeben- und Vulkangebie- ten, mit besonderer Bericksichtigung des Atna und seiner letzten Eruption. Aus der Natur; Leipzig, 1909. Agamennone G., Lo stato attuale del Vesuvio. Riv. d’ Astronomia e Sc.«aff:; VIS ET orimo 1912: Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. Anno IV, N. 2-12. . Friedlaender I., Der Crater des Vesuv in Marz 1911. Naturviss. Woch., (neue), X; Jena, 1911. — Carte del cono eruttivo e del cratere del Vesuvio. Napoli, 1913 (in italiano, tedesco, inglese e francese). . Malladra A., Il fondo del cratere vesuviano. Rend. Acc. Se. Fis. Mat.; Napoli, 1912. . Relazione sulla delimitazione della zona pericolante del Vesuvio. Napoli, 14 agosto 1911 (dattilografata). Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. Anno V, N. 1-12: Malladra A., Il fondo del cratere. Op. cit. Bollettino Meteor. Sism. dell’Oss. Pio X in Valle di Pompei. Anno VI, N. 1-6. Mercalli G., I riposo attuale del Vesuvio., Rend. Acc. Sc. Fis. Mat.; Napoli, 19183. TELE CENNI SULL’ERUZIONE DEL 1906. I periodi d’attività del Vesuvio sono inevitabilmente chiusi da una eruzione parassimale, catastrofica: dopo un tempo variabile di riposo, rincomincia l’attività del vulcano. Allora lo svolgersi dei fenomeni è essenzialmente il seguente, soggetto a lievi variazioni attribuibili a cause diverse: Innalzamento del magma nel condotto centrale e sua estuberazione, con esplo- sioni di materiale coevo incandescente (esplosioni stromboliane ‘). Loro effetto im- mediato è il colmarsi del cratere di esplosione e sprofondamento prodolttosi col parossisma precedente e ciò avviene in un lasso di tempo direltamente propor- zionale all’ attività eruttiva ed inversamente all’ampiezza del cratere. Ai fenomeni esplosivi si aggiungono, specialmente dopo un certo tempo dall'inizio dell’ attività, gli efflussi lavici intracraterici che contribuiscono molto efficamente al riempimento del cratere ed all’accrescimento del nuovo cono inclusovi. Dopo un certo tempo, variamente lungo a seconda dell’attività, il nuovo cono supera i bordi del vecchio cratere, che vengono così coperti dai nuovi materiali, e fondendosi con esso forma un edificio conico unico e quasi regolare. Durante questi fenomeni d’accrescimento e spesso anche quand’ essi non sono ancora molto avanzati, s’inizia la fase degli efflussi lavici, di modo che fenomeni esplosivi centrali e fenomeni effusivi laterali e centrali si verificano contemporanea- mente. Si formano delle fratture radiali sul cono; ad altezze variabili, precedute da varî fenvmeni premonitori, quali: tremiti del suolo sempre più accentuantisi, frane, aperture di nuove fumarole e fenditure. Le fratture danno luogo alla produzione 1) Farò notare come presentemente s' imponga una nuova classificazione e nomenclatura delle manifestazioni eruttive e di tutti i fenomeni vulcanici in generale. Le vecchie distinzioni delle esplosioni, le moderne classificazioni dell'attività non solo non sono basate su caratteri naturali inva- riabili, ma cadono invece nell'errore fondamentale di considerare tutti i vulcani come aventi lo stesso meccanismo eruttivo, mentre invece è noto come questo varî profondamente da vulcano a vulcano. Bisogna dunque distinguere varie categorie di vulcani e per tutti essi stabilire una scala d'attività uniforme e costantemente crescente, basata specialmente: a) sulla costituzione e dimensione dell’ edi- ficio vulcanico; è) sulla natura chimica e fisica del magma; c) e sul modo e forma con cui questo è emesso. Ma di tale questione così complessa e difficile non è il caso di occuparsi in queste pagine: qui mi limiterò solo a dire che, per non ingenerare in seguito confusione nella descrizione dei fenomeni che esporrò, non mi attengo alla nomenclatura tutt’ ora in vigore e specialmente a quei termini usati da diversi autori con vario significato, usandone invece una che discuterò altra volta. Fra parentesi indico i termini attualmente in vigore. ATTI — Vol. XV — Serie 29 — N. 14. LS di bocche d’efflusso lavico, le quali si comportano in modo diverso a seconda delle loro posizioni potendo fluire per tempi e portate variabili. Spesso l’efflusso dura degli anni. In ogni caso costantemente si verificano due fenomeni: 1) coll’ apertura di nuove bocche in posizione più bassa, cessano d’agire quelle in posizione più ele- vata; 2) ostruendosi le inferiori si rimettono in attività le più alte. Questi due feno- meni hanno la spiegazione in due leggi idrauliche ben conosciute: nel primo caso infatti Ja produzione di sgorghi a valle fa cessare l’efflusso a monte; nel secondo, l’ostruirsi degli sbocchi a valle produce rigurgito a monte. Intanto l’azione costruttrice delle esplosioni e degli efflussi ha riedificato il cono il quale allora raggiunge un’altezza considerevole e si verifica perciò l’ultima fase dei periodo: la catastrofe, nella quale i fenomeni succedonsi rapidamente nel modo che segue: a) accresciuta altività centrale con forti proiezioni di materiale coevo (esplo- sioni stromboliane), tremiti del suolo, frane ed altri fenomeni concomitanti. b) squarciamento del cono, secondo le sue generatrici, con un sistema di fratture che si propagano verso il basso e dalle quali, da bocche sempre a livello decrescente, sgorga la lava fluidissima. Le cause che determinano lo squarciamento del cono, in proporzioni tali come mai per lo innanzi durante il periodo erasi ve- rificato, sono essenzialmente le seguenti, comuni a tutti i vulcani a magma molto fluido e condotto elevato : — il peso della colonna lavica che occupa il condotto centrale; (tale peso nel 1906, secondo Mercalli, fu a 600 m. d’altezza pari a 1.885.000 kg. x m°); — la tensione dei vapori contenuti nel magma e riscaldati ad altissima tem- peratura, i quali aggiungono una forza incalcolabile a quella precedente ; — la temperatura del magma capace di fondere od almeno di rammollire le rocce con cui esso viene a contatto ; — l’energia chimica decompositrice dei gas ad altissima temperatura, la quale deve molto favorire l’azione precedente con una serie di reazioni, certo in parte a noi sconosciute, sulle rocce circostanti. Da questo complesso di cause, e forse per altre che ancora ignoriamo, il cono centrale si squarcia: ciò poi avviene alla fine del periodo perchè allora è raggiunta la massima altezza dell’edificio vulcanico, condizione necessaria perchè s’ abbia un condotto lungo ed una colonna lavica molto elevata, la quale eserciti sulle pareti del cono una pressione sufficiente a fenderle vincendone tutte le resistenze. Ciò succede dunque solo quando le forze interne superano e vincono quelle opposte dell’ edificio vulcanico. Contemporaneamente all’ efflusso seguono i fenomeni esplosivi e per l’azione combinata dei due fattori si svuota il condotto centrale. c) Lo svuotamento del condotto centrale produce una cessazione delle esplo- sioni con materiale coevo (stromboliane) le quali vengono sostiluite da quelle che rigettano i frammenti del cono terminale (ultra-vulcaniane) che così, più o meno rapidamente vien demolito. Quando poi lo svuotamento del condotto è molto avan- zalo avviene: d) la distruzione del cono a causa di un fenomeno, forse comune a tutti i vulcani, che sarà esposto in seguito. Ed allora l’efflusso lavico e le esplosioni con materiale antico autogeno raggiungono la massima violenza. Distrulta tutta quella esa i a parte recente del cratere formatasi durante il periodo d’attività moderata, incomincia la demolizione del vecchio cratere le cui pareti crollano in parte nell’abisso e ven- gono respinte frantumate, polverizzate, sotto forma di violente esplosioni di ma- teriale antico (ultra-vu!caniane) le quali formano i maestosi pini, disseminatori di terrore e morte, coi quali si raggiunge l’acme della fase esplosiva. Il meccanismo della demolizione è essenzialmente dovuto ad esplosioni e frane e più specialmente alle prime; esso verrà deltaglialamente esposto in seguito. Tale fase dura per un tempo variabile e chiude inevitabilmente il parossisma; soltanto proseguono spesso i crolli e le emissioni di vapori che possono dare l'illusione di un prolungamento dell’attività. Prodotto di tutti questi grandiosi fenomeni esplosivi è un grande cratere la cui ampiezza è proporzionale all'intensità esplosiva dell’eruzione e nel quale dopo un certo lempo avverranno i nuovi fenomeni del periodo d’altività successivo. * * * Questi sono a grandi linee i fenomeni che si succedono al Vesuvio: tali farono essenzialmente quelli del periodo eruttivo iniziatosi nel 1875-XII e chiusosi col parossisma del 1906 del quale è opportuno dare qualche cenno. Dopo una lunga serie di fenomeni ai quali si dovette più volte la costruzione e la demolizione parziale o totale del conetto centrale, questo crollò nel 1903 dando luogo alla formazione di un piccolo cratere di sprofondamento (vedi carta: tav, 1°) che si andò riempiendo completamente negli anni seguenti per una moderata attività esplosiva: così, malgrado qualche franamento interno, il conetto terminale, costruito ‘nel cratere del 1903 verso la fine del marzo 1906 era alto 1335 m., e tale si mantenne fino al giorno del parossisma, rendendosi ben visibile a Napoli. La sera del 27 maggio 1905 si aprirono due bocche nel cono, a NE: una a 1245 m. e l’altra a 1180 m. s. |. d. m. La superiore dopo circa un mese cessò di funzionare, l’altra invece proseguì il suo efflusso fino al 4 aprile 1906, giorno in cui l'emissione si fece più copiosa. Il giorno 3 aprile le esplosioni centrali di materiali piroclastici coevi, accom- pagnati da fortissime detonazioni, divennero violente. Il giorno 4 alle h. 5.30 c. il cono cedette a SE a circa 1175 m. s. |. d. m. e sulla nuova frattura laterale si formò una bocca messasi subito in attività effusiva, mentre ancora funzionava l’altra sul versante opposto. Alle b. 15 incominciò la di- struzione del conelto terminale, il cui materiale costituente venne rigettato sotto forma di blocchi frantumati (esplosioni ultra-valcaniane ). Intanto la nuova frattura laterale si propagava verso il basso, fra i commovimenti del suolo, dando luogo alla formazione di una novella bocca effusiva ad 800 m. s. 1. d. m. dalla quale incominciò l’efflusso alle h. 24. Quasi subito, il giorno 5, cessò l’attività della bocca del 1905 posta a NE del cono. Contemporaneamente se ne apriva una a N, che cessò d’agire poco dopo. Il giorno 6 ad h. 8 si squarciò ancora il suolo, a 600 m. s. |. d. m. in lo- calità Boscocognoli poco ad E dalle bocche precedenti ed anche da qui sgorgò fluidissima ed abbondantissima la lava. Durante la notte 6 7 le proiezioni di ma- teriale coevo erano fortissime. S]1BES Il giorno 7, dalle h. 12 alle h. 16 s’ebbe una leggera calma, ma dopo le h. 19 le detonazioni divennero formidabili, e le esplosioni producevano una vera fontana di fuoco innalzantesi a circa 1-2 km. sull’orlo del cratere, il cui cono era rivestito da un manto ardente. Alle h. 21 le esplosioni variarono leggermente di natura poichè ai materiali incandescenti coevi si aggiunsero quelli provenienti dalla rinco- minciata demolizione del cratere (esplosioni miste). Tali esplosioni, veramente gran- diose, durarono fino alle h. 22.45: subentrò una leggera calma che segnalò l’inizio del massimo effusivo. Infatti fra le h. 22 e le h. 23 sul tormentato suolo si formò ancora una bocca, a 750 m. s. |. d. m. e ne sgorgò fluidissima la lava, mentre il magma che occupava il condotto centrale fino alla sommità traboccava sotto forma di colata da una profonda slabbratura dell’ orlo craterico a NNE ‘). Ciò durò per poco poichè ii condotto fu rapidamente svuotato. Allora gli efflussi diminuirono di portata ed il sopravvento fu dei fenomeni esplosivi iniziandosi la fase parossimale e distruttiva dovuta a fenomeni che si esamineranno in seguito. Il giorno 8 ad h. 0.30 e poi ad h. 2.30 furono avvertite nei dintorni del vul- cano 2 scosse di terremoto violente, che secondo il Mercalli furono concomitanti allo sprofondamento della parte superiore del cratere. È dubbio se tale sprofonda- mento sia realmente avvenuto, in ogni caso esso è stato effetto e non causa del commovimento sismico *). Le esplosioni intanto avevano demolita la parte del cratere costituita dai materiali recenti del periodo 1875, XII-1906, IV; distrutta la quale venne attaccata l’altra formata dai materiali del vecchio cratere del 1872 (esplosioni ultra-vulcaniane). Le esplosioni, formidabili, lanciavano in alto, fino a 4-5 km. d’al- tezza al minimo, enormi conipidî dai quali cadeva una continua pioggia di ceneri e lapilli che ricovrì d’un triste manto grigio-rossiccio le campagne circostanti. Si ripetevano insomma i terribili fenomeni che resero celebre l’eruzione del 79. Dopo la caduta dei lapilli autigeni antichi e coevi, nelle prime ore del giorno 8, verso le h. 9 incominciò l’emissione delle ceneri. !) Questa fu detta « Echancrure » dal Lacroix. È naturale che questo autore abbia usata una parola della propria lingua per indicare tale accidentalità topografica, ma non vedo la ragione per cui questa parola debba essere usata anche da autori italiani, quando « slabbratura » indica esattamente la formazione in questione. Alcuni sostennero e tuttavia sostengono che questa slabbratura sia stata la causa della distru- zione di Ottajano e di altri paesi vesuviani, perchè essa costrinse i materiali detritici a seguire la direzione verso la quale si apriva. Io non credo che la slabbratura sia stata causa dell’incli- nazione del getto vulcanico, ma piuttosto effetto di questo fenomeno. Se si fosse trattato di una feritoia aperta in una parete, essa avrebbe potuto regolare la direzione del getto, così come un rubinetto d’acqua regola la direzione del fluire di questa a seconda della propria posizione. Ma nel caso della slabbratura io non comprendo come essa posta inferiormente al getto abbia potuto farlo inclinare sull’orizzonte. Piuttosto tu prodotto degli effetti di tale inclinazione poichè le pareti del cono bombardate dai proiettili furono demolite da questi ed erose profondamente dalla colata lavica che traboccò da quel punto del cratere. L’inclinazione delle proiezioni dovette essere causata da quelle delle bocche esplodenti e forse dal vento. Non si tratta infine che di una delle tante depres- sioni degli orli craterici frequenti in molti vulcani. La formazione fu forse agevolata dal fatto che il cono in quel luogo essendo costituito da banchi di materiale incoerente più abbondanti che altrove e corrispondendo ad una frattura radiale, sono meno solidamente compaginate da altrove. *) Ciò per l'ampiezza della zona scossa che testimonia una certa profondità dell’ipocentro e pel fatto che mai una scossa che avviene su un’altura, qualsiasi la causa che la origina, si propaga oltre la base di questa. "a SI 113 Nei giorni 8-9 queste furono fine e grigio rossiccie; dal 10 al 13, abbondan- tissime, più fine ancora delle precedenti, color rosso mattone ed infine impalpabili, grigio-chiare: furono queste ultime che diedero al vulcano uno strano aspetto nevoso, Nella notte 10-11 s'ebbe un ultimo sgorgo lavico dalla bocca di Boscocognoli. Le esplosioni di materiale antico proseguirono con intensità sempre decrescente, ma con varie alternative, fino alla fine di aprile con recrudescenze nei giorni 13, 415, 20, 24. L’eruzione poteva dirsi terminata e con essa chiudevansi il periodo eruttivo 1875, XII-1906, IV, incominciando così quello di riposo che continua tutt'ora. us Tralasciando l’esame del materiale coerente (lave in colate) credo opportuno dare qualche cenno sulla natura e distribuzione dei prodotti incoerenti, poichè ad essi sono dovuti in parte la variazione di configurazione del cono ed una serie di fenomeni che esporrò in seguito. I risultati dello studio di tale materiale possono nelle linee generali riassumersi in quanto segue. Riguardo alla natura : I materiali ejettati variarono profondamente nelle diverse fasi dell’ eruzione sia per l'aspetto fisico che per la composizione chimica, ed a seconda delle esplosioni che li originarono. Nelle prime esplosioni (stromboliane) dei giorni 6-7 consistevano in frammenti molto vetrosi, con parziali sliramenti della massa, che impartivano loro un aspetto fibroso ed una notevole leggerezza e fragilità. Questi proiettili erano di materiale coevo. Naturalmente questo materiale rimase sepolto sotto lo strato dei prodotti delle esplosioni successive. In queste, essendo il magma coevo unito a frammenti delle roccie provenienti dall’impalcatura del cratere formatosi dopo il 1875, i materiali erano costituiti da grandi blocchi di lave compatte o scoriacee, non incandescenti, proiettati, quale formidabile mitraglia, a costituire i conglomerati caotici che ora possono osservarsi in qualche sezione naturale sui fianchi del cono o nell’Atrio del Cavallo. Nelle esplosioni del giorno 8 questi materiali dell’impalcatura recente presero il sopravvento, aumentando la loro proporzione su quelli coevi. Infine venne altaccala la parte antica dell’impalcatura e precisamente quella formante le pareti del cratere d’esplosione e di sprofondamento del 1872 ed allora incominciò l'emissione delle ceneri, nei giorni 8-21, costituenti i grandi pini di materiale successivamente più fino e: grigio-rossiccio, rosso-mattone, grigio-chiaro, bianchiccio. Tale colorazione e la progressiva diminuzione di grossezza delle ceneri fu dovuta forse al fatto che procedendo il lavoro demolitore erano espulsi materiali sempre più alterati, perchè costiluenti le parti più interne del cono soggette ad azioni chimiche alteratrici più prolungate ed energiche ‘). ') Sarebbe molto interessante stabilire se le ceneri furono espulse colla colorazione osservata O se questa fu acquisita nell'aria. Nel primo caso si tratterebbe di un fenomeno di ossidazione interna, nel secondo esterna dovuta ad agenti atmosferici. Le osservazioni del Perret, teste oculare dell'eruzione, fanno inclinare a questa seconda supposizione. AE Riguardo alla distribuzione i fatti principali sono i seguenti: Il materiale diminuì in grossezza in rapporto diretto della distanza dal centro erullivo. L’accumulo avvenne specialmente sul settore NE del vulcano a causa di cir- costanze non ben definite: per l’inclinazione delle bocche esplodenti e forse pel vento; o meglio ancora e più probabilmente per le due cause riunite. L'azione del vento è stata indubbiamente la causa per la quale il materiale più fino, così ab- bondante in ogni luogo, predominasse specialmente nel fianco NE del cono. La distribuzione a NE avvenne a ventaglio, su una vastissima superficie. I valori degli spessori misurati in diversi luoghi, e riportati nella tabella che seguirà, di- mostrano che oltre ad una diminuzione progressiva dello spessore degli strati in ragione diretta alla distanza dal centro eruttante, s’ebbe anche, come è logico, una diminuzione di spessore nei due lati del ventaglio. Lo spessore massimo s’ebbe alla base NE del M. Somma, nei dintorni d’ Ot- tajano, mentre le ceneri più fine, trasportate dalle correnti atmosferiche si distribuirono su una enorme zona, spingendosi fino all’Europa del N., alla Dalmazia, al Monte- negro ed in Sicilia. Nell’Atrio del Cavallo ed in Val d’Inferno lo spessore medio secondo le misure eseguite raggiunse circa il mezzo metro, però tale spessore è stato in seguito molto aumentato dalle numerose valanghe scivolate dai fianchi del cono e dalle pareti interne del M. Somma durante e dopo l’eruzione. A questa causa devesi aggiungere: l’azione idrica di trasporto manifestatasi dopo la fine dell’ eruzione e ciò può spiegare la straordinaria polenza attuale degli strati detritici alla base del cono e specie fra questo ed il M. Somma ed il completo livellamento del fondo delle valli prima così accidentato. Spessore dei materiali incoerenti secondo: | MERCALLI JoHNSTON-LAVIS = oso cn Località | po Località art S. Giovanni a Teduccio i 0.05 Atrio del Cavallo (Colle Umberto) | 0.45 Pugliano | 0.10 Cancello Cook 0.20 Torre del Greco 0.20 Eremo | "O2Z Osteria Eremo | 0.20 Punta del Nasone 0.67 Hotel Eremo-Cook 0.22 Lagno Purgatorio 0.47 Oltre 1’ Osservatorio 0.25 Lagno S. Patrizio 0.18 Strada Cook. Mezzo kilometro | Ottajano 0.51 dopo il Cancello i 0.40 S. Giuseppe d’Ottajano 0.51 Castello del Principe d’Ottajano | 1.25 Casili 0.35-0.64 Ottajano 0.80 Terzigno 0.12 S. Teresa 0.70 Napoli | 0.025 PV: IL MECCANISMO DI DISTRUZIONE ED I SUOI EFFETTI. Prima del parossisma già descritto il cono Vesuviano, per lo speciale mecca- nismo d’accrescimento che si verifica nei lunghi periodi di moderata attività esplosiva ‘ed effusiva, presentavasi costituito dal vecchio edificio rimasto dopo l’eruzione 1872, includente nel suo cratere di esplosione e sprofondamento il materiale del periodo 1875, XII — 1906 (vedi fig. 3°). Perciò tutta la parte che sopravanzava in altezza gli orli del vecchio cratere 1872 era costituita da materiale recente, il quale aveva inoltre formato un mantello sui pendii del cono con i proiettili espulsi e rotolati durante le più forli esplosioni terminali. In alto il gran cono presentava un anello pianeggiante costituito dall’orlo craierico antico, nel mezzo del quale sorgeva il conetto terminale in perenne attività. Questo, colle sue continue projezioni, pro- seguiva ininterrottamente l’opera di riunione delle linee di pendio proprie con quelle ‘del gran cono, separate fra loro dali’anello di cui sopra. Esternamente il cono ‘oltre che essere coperto dai materiali recenti incoerenti sovrapposti agli antichi, era rinforzato da colate laviche di varia potenza, provenienti dagli efflussi terminali e subterminali. Altre colate e delle cupole, dovute agli efflussi radiali lenti (1891-92; 1894-99), rinforzavano l’ampia base riposante sul piano dell’antico Somma. Questo stato di cose perdurò fino alla vigilia del parossisma: poi avvenne la distruzione di tutta la parte interna dell’edificio descritto e la produzione della forma altuale, molto simile per origine e per aspetto, malgrado lievi differenze, a quella del 1872. La forma attuale è dovuta all’azione di fenomeni endogeni ed esogeni: questi agirono dopo i primi ed agiscono tutt'ora, modificando continuamente gli aspetti del cono e del cratere. I fenomeni endogeni si riducono quasi esclusivamente alle esplosioni. Quelli esogeni provocarono frane, valanghe, erosioni e colate lutee. Le esplosioni a materiale coevo non produssero sensibili fenomeni di distru- zione neppure durante il loro acme: testimoniavano invece non solo che la colonna lavica aveva raggiunta la sommità del condotto centrale (fig. 2% A), ma che le forze le quali determinano i parossismi erano ormai al loro massimo e che preste erano le condizioni necessarie allo svolgersi del fenomeno. Le esplosioni a materiale autogeno recente non coevo iniziatesi il giorno 4 aprile CA alle h. 15 palesano che il magma ebbe un movimento di discesa nel condotto per l’efflusso che producevasi alla bocca formatasi a SE ad h. 5.30 c. Forse il livello della colonna lavica raggiunse i 1200 m. circa s. I. d. m. Le esplosioni erano allora deter- minate dai vapori che violentemente sprigionavansi dal magma e che, non trovando sfogo sufficiente nello stretto orificio del conetto terminale, lo demolivano frantu- mandolo e proiettandone i frammenti nello sforzo di aprirsi un varco verso l’ esterno. Conlemporaneamente tali vapori portavano in alto, per circa 100 metri lungo il con- dotto, dei brani di magma coevo che mescolati al vecchio materiale davano luogo alle esplosioni miste (fig. 2° B). Il prolungarsi delle fratture verso il basso produsse un discendere progressivo del livello del magma nel condotto: così non avvenne essen- zialmente nessuna variazione nella natura delle esplosioni, ma forse diminuì la per- centuale di materiale coevo (tig. 2* C). Ciò durò soltanto fino a che, nella notte 6-7, il magma fu risalito alla som- mità del condotto: allora le esplosioni ridivennero a materiale coevo (stromboliane) e furlissime, rimanendo tali fino al giorno 7, b. 12. Dalle h. 12 alle h. 16 seguì una lieve calma relativa, alle h. 19 le esplosioni si fecero novellamente formidabili e raggiuusero il massimo assoluto dell'eruzione (fig. 2° D). Poco dopo inizio di questa nuova ripresa di violenta attività, alle h. 21, prosegui la demolizione del cono, verificandosi delle esplosioni di materiale coevo ed autogeno recente (miste) dovute però ad un meccanismo essenzialmente differente da quello delle manifestazioni esplosive precedenti. Iufatti, il magma che era risalito (notte 6-7) nel condotto, produceva delle energiche esplosioni nelle quali si mesco- lavano i prodotti recenti ed i frantumi della parte più elevata dell’ editicio vulcanico ; non erano insomma i vapori che si sprigionavano dal magma a basso livello nel condotto i quali producevano le esplosioni, sibbene il magma stesso che aveva rag- giunto l’oriticio craterico e distruggeva il cono (fig. 2° E). Queste esplosioni durarono fino a quando si verificò il massimo assoluto dell’at- tività effusiva, il giorno 7 ad h. 22.55 circa ed un conseguente novello abbassarsi, del magma nel condotto. Tale fenomeno fu appunto quello che determinò la cata- strofe colla demolizione del cono, che credo sia dovuta ad un fenomeno costante in tutte le eruzioni. Alla fine di queste i gas del magma restante nel vulcano si espandono liberamente e violentemente per la mancata pressione esercitata fin” al- lora dalla colonna lavica già fluita dal cratere centrale e dalle bocche laterali: si forma così un’ impetuosa colonna di vapori e ceneri che ascende turbinando nel condotto ed è capace di produrre i fenomeni distruttivi e le conseguenti formidabili espulsioni di ceneri che caratterizzano la fine delle eruzioni tanto al Vesuvio che all’ Etna ed altrove. Per l'eruzione del 1906 s’è generalmente ammesso che la di- struzione sia stata causata da uno sprofondamento del cralere dovuto al mancato s0- sleguo della colonna lavica abbassatasi nel condotto. Ho già accennato al fatto: non le ritengo probabile perchè credo la solidità dell’edificio vulcanico tale da non es- servi bisogno del sostegno delle lave nel condotto perchè il cono centrale non crolli. Tale supposizione è anche suffragata da molte osservazioni di casi consimili in altri vulcani. Oltre, se la causa del crollo fosse quella, questo sarebbe dovuto avvenire al primo abbassarsi della colonna lavica nel condotto, veriticatasi il 4 aprile. Con ciò non intendo escludere assolutamente i crolli: però essi furono soltanto parziali, li- E ap mitati a pezzi di pareti che precipilavano nel cratere per effetto delle scosse di ter- remoto, streltamente locali, causate dalle esplosioni. Tali crolli dunque sono piuttosto uva varietà di frane, anzichè degli sprofondamenti. Le due scosse di terremoto più forti furono dovute forse ad interni moti del magma: in ogni modo, come già ho fallo notare, non effetto, ma causa dei crolli e ciò per le ragioni esposte. Crolli e distruzione furono molto agevolati dall’indebolimento subìto dall’ edificio a causa delle esplosioni precedenti e delle numerose fratture radiali prodottesi durante leru- zione. Il meccanismo di queste esplosioni a materiale autogeno antico era forse il seguente: dal magma a livello molto basso si sprigionavano i gas che formavano una poderosa corrente ascendente; gli orli del cratere venivano strappati e lanciati in alto: parte si sollevava stritolata col pino, il resto rototava sui fianchi del cono e formava delle valangbe ‘). Il materiale franante dalle pareti del cratere che si sfa- sciavano sotto gli sforzi riuniti dei movimenti del suolo, delle esplosioni, del calore che le sgretolava (e tulta questa opera di demolizione era agevolata dall’ alterazione profovda delle rocce) si trovava in opposizione colla forza suddetta e veniva da essa ricacciato verso l’ esterno, polverizzato, a formare i grandiosi pini (fig. 2* G, H). Col progredire deli’ eruzione le ceneri si rendevano sempre più fine e più chiare e ciò era dovuto quasi esclusivamente al fatto che la demolizione, estendendosi nelle regioni sempre più interne e profonde dell’edificio vulcanico, incontrava materiale progressivamente più alterato dalle azioni chimiche. Le esplosioni divenivano sempre più deboli e corrispondentemente meno vistose erano le emissioni di ceneri. Questo proveniva del fatto che le frane si producevano più raramente ed in minore scala perchè si raggiungeva, coll’andare del tempo, un certo grado d’assestamento delle pareti e perchè i gas provenienti dal magma diminuivano sempre più in quantità: alla fine del mese di maggio erano quasi in- teramente cessate. La diminuzione di forza delle esplosioni si poteva arguirla anche dalla sola osservazione del loro modo di presentarsi. Nei primi giorni si sussegui- vano rapidamente, incalzando velocemente l'una l’altra; dopo si sollevavano mae- stosamente, con un caratteristico movimento «di globi roteanti e rotolanti l’uno sull’altro; infine salivano con grande lentezza restando qualche minuto sospese sul cratere fino a che non le disperdesse il vento. In ogni caso le nubi cineree si sollevavano verticalmente. Non furono osservate con certezza esplosioni tali da potere costituire le vere nubi ardenti peleane, ed il Lacroix stesso parlando del Vesuvio dice: « Dans aucun cas, il ne s'est produit ') Una dimostrazione sperimentale del fenomeno può ottenersi usando l'apparecchio della fig. 1. Un conetto di sabbia umida mescolata a poca argilla, Viene forato dal vertice alla base ed allo imbocco del foro corrispondente a questa si fa giungere un tubo A che dà una caduta continua di sabbia secca e, più in basso ancora, un altro tubo B che fornisce un getto di gas od aria a forte pressione. Questo fa ascendere la sabbia secca nel foro che simula le pareti del condotto e si vede che gli orli del foro stesso si staccano a brani mentre quello si allarga gradatamente per tutta la sua lunghezza. Se l’esperienza è ben condotta si potrà ri- produrre soddisfacentemente il fenomeno del quale ci occupiamo. ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 14. 3 LA EA de nuées suffisamment denses pour affecter la forme péléenne;..... les nuées..... partant du cratère restaient immobiles sur ses bordes, affectant parfois un lèger mouvement de descente qui n’a jamais été complet ». In conclusione non si verificò tale fenomeno e l’autore lo spiega dicendo che: « Il semble que, dans ces cas, il eùt suffi d’une densilé un peu plus grande pour déierminer la production de nuées péléennes ». Potrebbe piuttosto dirsi che tale fenomeno non poteva verificarsi Fig. 2.4 — Il meccanismo di distruzione del cono. A. fino al 4 aprile — B. dal 4 aprile, h. 15 — C. il 6 aprile — D. dalla sera del 6 alle h. 12 del 7 — E. giorno 7 dalle h. 21 alle h. 22 — F. giorno 7, h. 22.55 — G, H. fine dell’ eruzione. La parte nera del disegno rappresenta il magma ed il suo livello nel condotto. al Vesuvio durante la parte finale del parossisma, poiché le nubi ardenti sono esclu- sivamente composte di maleriale coevo, incandescente, qualunque sia il loro mec- canismo d’espulsione e d’avanzamento, ì Il Sabatini crede che le esplosioni salienti con lentezza (alle quali diede il nome di e sbuffi pesanti »} potessero produrre le nubi peleane, ammettendo che ao la formazione di queste dipenda « non dalla natura del magma eruttivo, ma dal rapporto tra le quantità di sostanze solide e di vapor d’acqua del fumo emesso e forse dal modo di apertura della bocca ». Non è qui il caso di discutere sul modo d’emissione, d’avanzamento e sull’espansione delle nubi ardenti: è certo però che esse sono costituite da materiale coevo. Questa sola considerazione basterebbe dunque ad accertare il fatto che nella fase esplosiva del parossisma vesuviano del 1906 non vi furono nubi ardenti. Ma un altro ne viene a suffragare questa dimostrazione. Il 10 aprile, lo stesso Autore constatò « diverse volte il faticoso sollevarsi delle volute di fumo al disopra del cratere, e il loro lentissimo riversarsi di poco all’esterno dell’orlo, rotolaudo intorno a sè stesse e sulle altre che di sotto le sospingevano. Tale lentezza di movimento dava tempo alle volute stesse di dissociarsi e ne cade- vano valanghe di ceneri e di blocchi che con velocità vertiginosa, discendevano sui fianchi del cono ». In questa descrizione non è difficile riconoscere le valanghe che il Lacroix descrive così bene (e che io includo nella prima categoria delle valanghe verificatesi durante l’eruzione) dovute secondo questo a proiezioni deboli che avevano appena la forza di lanciare i loro materiali sugli orli del cratere, dai quali 0 ricadevano nell'interno di questo o rotolavano sugli esterni pendii del cono. Il « riversarsi di poco all’esterno dell’orlo » è dovuto ad un fatto che si verifica costantemente in tutte le eruzioni esplosive, tanto a materiali coevi che a materiali antichi e che ho poluto osservare e fotografare varie volte all’ Etna ed allo Stromboli. Tendendo naturalmente i gas ad espandersi, appena il materiale eruttivo giunge all'orlo (la densità comples- siva della massa di gas e solidi che costituisce la proiezione non influisce sul fe- nomeno) la colonna da quello formata assume un diametro maggiore di quello del cratere: da ciò il fatto delle nubi di vapori e di ceneri che coprono, sia pure per poco spazio, gli orli esterni di questo. Le nubi però, mai rotolano sui pendii del cono. Tale fenomeno d’espansione si può con facilità riprodurlo sperimental- mente, facendo uscire un getto di vapore acqueo non molto violento e con lentezza da un tubo di vetro o di metallo. Del resto, lo stesso Lacroix riconobbe che al Vesuvio nel 1906 non vi furono nubi ardenti: egli che ne ha osservate tante e così bene, poteva giudicare sulla natura del fenomeno in modo tale da non lasciare alcun dubbio in proposito. Le esplosioni del Vesuvio in quei giorni erano quasi esclusivamente di mate- riale autogeno antico, non incandescente, benchè riscaldatissimo. In conclusione non si ebbe la produzione di brecce di materiali incoerenti, di diversissimo calibro, caoti- camente sparsi, costituiti da materiale autogeno coevo, caratteristiche delle nubi pe- leane; ma solo la formazione di valanghe di materiali fini, di calibro quasi uniforme, composti da prodotti autogeni antichi, Immediatamente dopo le esplosioni, riguardo al modellamento del cratere, ven- gono per importanza le frane interne. Non si può dire con precisione quando cessarono le vere esplosioni e ad esse subentrarono le emissioni di ceneri dovute alle grandiose frane interne che si ve- rificavano senza interruzione. Probabilmente fra i due fenomeni non vi fu un vero distacco, ma solo graduali passaggi dall’uno all’altro. Negli ultimi giorni dell’eru- zione furono numerosissime ed imponenti e spesso scambiate, per le emissioni di PAS"; pa ceneri che le accompagnavano, con vere esplosioni: ciò à contribuito a rendere difficile la precisazione della fine dell’eruzione. Avevano luogo dapprima con mag- gior frequenza ed imponenza; in seguito raramente ed in più piccole proporzioni: si verificava dunque una diminuzione continua del numero e del volume. Le frane furono uno dei fenomeni più caratteristici e salienti del periodo di riposo e perciò più diffusamente se ne dirà in seguito. Altre frane, non meno notevoli delle precedenti, furono quelle che interessarono l'ossatura esterna del cono, e precisamente il materiale preesistente all’eruzione. Ad esse è dovuto in parte il modellameunto dell’edificio attuale. Incisero quello più o meno profondamente in diversi luoghi ma specie a SE e a S. L’ossatura della montagna fu in tali regioni messa a nudo dagli smollamenti ed essi si distinguono nettamente dai canali d’erosione secca od idrica formatisi nel materiale recente. Il franamento principale si verificò, come si disse, sui pendî S-SE del cono da dove furono asportati, secondo il Sabatini, 300.000 m' di materiali che formarono un grandioso conoide di deiezione, ancora visibile sotto lo smottamento. L'origine di questa frana credo che bisogui ricercarla nel fatto che appunto in quel radiante del cono si apri- rono le bocche laviche del 4 aprile, che: minarono il suolo. Il risultato precipuo di tali franamenti fu quello d’ indebolire notevolmente l’edificio vulcanico. La discesa di valanghe di detriti dal sommo alla base del cono diede origine alla formazione di grandi canali radiali, molto caratteristici, ai quali fu dato il nome di Barrancos. I pendî del cono erano ricoperti da una enorme quantità di detriti per un considerevole spessore: in essi, molto mobili, si formarono i profondi canaloni d’erosione secca dovuti al discendere di valanghe formatesi per varî meccanismi. La cenere, costituente in massima parte il mantello che ricopriva il cono, era fortemente riscaldata, sebbene non incandescente, e si trovava accumulata in uno speciale stato di semi fluidità dovuto al calore. Questo si conservava molto lunga- mente e tale falto messo in rapporto all’altro, cioè, che le ceneri depositate sul suolo si vedevano abbassare, i loro strati diminuendo di spessore col raffredda- mento, fanno supporre che quelle fossero intimamente mescolate ai gas molto caldi, che perdevano il loro calore con gran lentezza a causa del cattivo potere condultore delle ceneri. Ad ogni modo è certo il fatto che tanto più calde erano queste, tanto maggiore era la loro mobilità. Ciò posto, la formazione delle valanghe avveniva per tre meccanismi principali e differenti. ( Il primo, che si dovette verificare specialmente quando le esplosioni proietta- vano materiale di grosso calibro, è dovuto alla caduta di questo sui pendî del cono, i quali venivano così incisi dal rotolio dei blocchi rigettati. In questa categoria rien- trano le esplosioni che il Lacroix ritenne « dues à la chute de paquets de ma- (ériaux lourds et sans doute de grand taille, lancés sans force du cratère, retomband sur ses bords, puis roulant ensuite sur les pentes du còne ». Può essersi verificato tale fenomeno: però, queste esplosioni « senza forza », la parabola dei proiettili delle quali era talmente piccola da raggiungere solo gli orli del cratere, sono poco probabili SEO EE mettendole in rapporto alla violenza formidabile del getto continuo di materiali che usciva dal condotto. È più facile che i blocchi che il Lacroix ritiene prodotto delle esplosioni siano dovuti al feromeno che originava le valanghe della categoria seguente. Un secondo modo di formazione delle valanghe era dovuto alla distruzione dell’edificio ad opera delle esplosioni parossimali. Si disse già che durante l’acme dell'eruzione gli orli erano asportati dalle esplosioni: parte del materiale che li co- stituiva, polverizzato, era lanciato in alto assieme al pino; il resto, in blocchi di varie dimensioni, rotolava sui pendî del cono: erano appunti quelli che incidevano questi e che visti a distanza potevano anche essere scambiati con proiettili prove- nienti direttamente dalle esplosioni. Il terzo modo fu quello detto dal Lacroix « par decollement ». Presentando il cono, come tutti gli edifici vulcanici, un pendio più accentuato presso l’orlo su cui le ceneri erano in equilibrio instabile, al menomo urlo esse scivolavano sui fian- chi, formando delle maestose cadute di detriti, velocissime. Secondo il Mercalli una di queste, il 13 aprile, a SW del cono aveva la velocità di circa 300 m. al mi- nuto. Le cause che mettevano in moto le ceneri potevano essere: o i tremiti del suolo che accompagnavano i fenomeni esplosivi, o l'urto dei proiettili rigettati dalle esplo- sioni od un aumento di peso che rompeva l’ equilibrio della massa cinerea sul pendio. Specialmente queste valanghe erano quelle che avevano l’apparenza di nubi peleane. Effetto di tali valanghe secche fu la formazione di profondi canali radiali. Questi all’inizio doveltero formarsi o pel rotolio di grandi blocchi i quali tracciarono un solco nella massa dei detriti o per lo scivolare di piccole quantità di ceneri, le quali aumentavano progressivamente di volume. In ogn’uno de’ due casi il risultato fu la produzione di solchi che poi si trasformarono in canaloni, raggiungendo delle profondità notevoli (fino a 50 m. circa) sicchè, una volta tracciati, naturalmente tutte le valanghe successive s’incanalavano in essi approfondendoli sempre più. Alla base del cono, in corrispondenza ai canaloni, si formavano delle conoidi di dejezione alla loro volta solcate da altri canali dovuli però all’erosione idrica e formatisi in seguito. La mirabile regolarità dei canaloni nel lato NNW (vedi fig. 6, sezioni e tav. I, tig. 2, carta) è dovuta al falto che là il materiale incoerente s’accumulò in maggior copia e con una certa uniformità di calibro, mentre negli altri fianchi l'accumulo era meno potente ed omogeneo: in varî luoghi le frane, mettendo a nudo | ossa- tura del cono, disturbavano naturalmente e molto la regolarità della formazione. Mi LO STATO DEL VESUVIO ALL’INIZIO DEL PERIODO DI RIPOSO. Molte misure riguardanti le dimensioni del cratere furono eseguite dopo it parossisma ed i fenomeni descritti, da varî operatori e in diverse date: i risultati sono poco concordanti ed oscillano fra limiti. molto ampî; si vedrà però in seguito come in alcuni casi le differenze sieno più apparenti che reali. Ad ogni modo tali dati devono essere accettati con riserva e bisogna loro dare un valore esclusiva- mente relativo: 1) perchè ottenuti da diversi operatori, con svariati sistemi di misura per lo più poco precisi (a stima) i quali perciò non sono certamente esenti da notevoli errori; 2) perchè le misure furono eseguite in epoche diverse mentre mu- tava continuamente il profilo del cratere e da ciò derivava il fatto che spesso nel medesimo luogo variavano valori successivamenti trovati; 3) perchè per valutare gli abbassamenti avvenuti dopo l’eruzione non è stato sempre accettato lo stesso valore per la quota d’altitudine del conetto terminale prima dell’ eruzione. Infine il calcolo della cubatura del materiale asportato all’edificio ad opera delle esplosioni e degli sprofondamenti, è quasi sempre affetto, oltre che dagli errori comuni ed inevitabili, da uno dipendente dal fatto che si diede generalmente al cono un profilo regolare, non corrispondente alla realtà né prima nè dopo l’eru- zione come si può agevolmente constatare nel profilo (vedi fig. 3°). I valori riguardanti la profondità del cratere,.i suoi diametri minimo e massimo, le varie altitudini degli orli, i dislivelli causati dall’abbassamento dopo l’eruzione, sono compendiati nella tabella che segue, dove sono elencati cronologicamente se- condo la data di osservazione, col nome dell’operatore che eseguì le misure: = 932 ‘9061 [0p euorznie .] odop 0]gorgq —_ (90015306 TR0)10M0 919 RO gO3 e ‘€067 [0u eqeuruniog 0u00 [op o]goIq nen ‘(EIIOUSIETT 01100) F6-[68I Vorae] epodno eTTop o1go1q ea ‘ZL8T [0p euoIznie ] odop ojgoxag o ------- ‘00093 T eTBOS “4 9 IT ‘94 ‘] ‘AVI e]pou eggopordia ouer]eI] Q10I3SEN 098IS OI[9p euogeaisodo) eg1eo ejjns egeIooear ,K,0 ‘CO 9 A, ‘AV 00uI] e] opuoses eqnfeso ouos IUOIZ0s 9] ‘euorznIe ] odop e ewitId ouo9 [op o]yoad [I — »°8 ‘St AC 3VoIHITO _———__ 000'S7i1 vaws ‘wpra 4’ 009 | Diametro | Altezza Dislivello Data Osservatore Prafolo | | | | "ai dità mass. (min ‘mi n e: * 16 0132000 [In | CEE n __ Matteucci V.R. | 600-700 | 720 “li 40 cdi | 220 EENE | | Da | \102 |WWSW | Wegner Z. 200-300 e 20 IV 22 |Sjògren Hj. 300 900 | | 1128 | 207 V| 2|De Loczy L. 200 | | | 11123 | 103 3| Lacroix A. 300 650 | E-W |610| N-S 4|Mercalli G. 250 c. | 500 | (CRA | 85-90 Rit; | | Miei | 100 SE | | | 180-19) NNE 5 |De Marchi L. |300epiù| 600 | 1500. 90 'VI[fine| Sabatini V. 400 | 700 | W,,S |500 1158| NE | 177 | (1210) ESE | 125 | 1250] SW |85 De Luise L. | | | 1245| W | NE fa gi WSW Deh IX Fiechter | | 720 Sl 620 ESE LO, N \1190| S | 1140) E | | | 1218) W | 1134| NE | 1155| SE 1200) SW | 1200) NW | | | 1185| NNW x Ber È | Una delle quistioni più controverse è stata quella riguardante |’ entità dell’ab- bassamento del cono. Ammettendo che prima dell’eruzione l’altezza assoluta di questo fosse di 1335 m., dalle misure eseguite dai vari autori e dianzi riportate risulta che il valore del- l’abbassamento oscillava fra 85 e 207 m. Apparentemente può sembrare che tali valori siano compresi fra limiti troppo ampî: però i massimi che sembrano esagerati si devono attribuire al fatto che l'orlo del cratere presentava dislivelli molto notevoli, a non essendo in ogni luogo della medesima altitudine, ma più basso a NE in cor- rispondenza della slabbratura della quale già si disse. Secondo le misure del Fie- chter, le quali servirono alla costruzione della Carta topografica (vedi Tav. I), i valori dell’abbassamento oscillavano fra 232 m. e 117 m.: ben maggiori dunque di quelli trovati dagli operatori precedenti. Sui risultati di quel topografo non può cadere alcun dubbio ced essi in parte confermano gli altri ottenuti in precedenza: bisogna però pure notare che era decorso molto tempo fra le prime misure e quelle del Fiechter e che perciò, date le profonde e continue modificazioni della con- figurazione del cono, i valori dovevano necessariamente variare, crescendo. In conclusione, l’entità del lavoro di distruzione e dei suoi effetti non fu così grande come apparve immediatamente dopo l’eruzione, ma aumentò gradatamente e sensibilmente in seguito. La parte distrulta del cono era tulta quella recente, costruita dal 1875 in poi e parle di quella anteriore al 1872. Infatti orlo dell’antico cratere 1872, visibile ancora parzialmente nel luogo detto « il piano delle fumarole » posto a SW e S del cono terminale, col parossismo esplosivo dell’aprile scomparve completamente, perchè era stato espulso assieme a tutto quanto gli sovrastava (vedi fig. 3% e 4%). UICE, Seui ' DIS ' ' ONEFIORE NEL. Fig. 4.4 — Cono Vesuviano visto dal M. Somma dopo l'eruzione del 1906. Profilo tratto da una fotografia del Johnston-Lavis. ———— Profilo nell’ ottobre 1903. —__ Profilo nel maggio 1906. | I pendî esterni del cono aumentarono generalmente di spessore: poco in alto, molto in basso, sollevando il livello del suolo in taluni luoghi fino a qualche decina di metri. Questo massimo accumulo si verificò specialmente alla base del cono, dove il trasporto delle enormi masse di materiale fu dovuto alle frane ed alle valanghe secche avvenute dopo l’eruzione, di modo che tutta quella pianura anulare che circonda il cono centrale (formata dall’antico Somma, nella quale sorge eccentricamente il giovane cono, che la riveste di prodotti storici) ‘) ebbe il livello sollevato ed il cono acquistò così una forma più tozza e schiacciata, dovuta al fatto che il rive- Slimento di detriti non fu uniforme su tutta la superficie dell’edificio, in alto ed in ') Questa piattaforma, sulla quale sorge il giovane cono, riceve i seguenti nomi: Atrio del Cavallo, Gli Atrî, Valle dell’ Inferno, Pedementina e Piano delle ginestre, a seconda dei varî luoghi. ATTI — Vol. XV — Serie 29 — N. 14. 4 a basso. Oltre non su tutti i punti della base l’accumularsi del materiale fu uguale in spessore, poichè, per le cause esposte di già, i detriti provenienti dalle esplosioni si ammassarono a preferenza a N e NE negli Atrî. La conseguenza più importante di tale fatto è la parziale fusione del recinto ancora visibile del Somma col cono Vesuviano, causato dal riempirsi degli Atrî e della Valle d’Inferno: in complesso è stato mosso un passo verso l’unificazione dei due edifici in una sola forma conica. Il cono non si presenta così regolare come dovrebbe perchè il materiale costi- tuente è stato rimosso ed asportato ed i suoi fianchi sono stati profondamente incisi. Le frane, oltre i prodotti recenti, scavarono anche la massa antica del cono interessando tutta l’ossatura del vulcano e mettendo a nudo i vecchi tufi e le lave allernantisi in banchi. Ecco dunque una prima causa di dissimmetria. Ma oltre le frane un allro agente esercitò vigorosamente le proprie forze sul- l’edificio e precisamente l’erosione secca seguita poi da quella idrica ed, in minor quantità, da quella eolica. Delle cause che determinavano le valanghe che costituirono il maggior fattore dell’ erosione secca, si disse altrove. Il prodotto di queste furono lunghi e profondi canali radiali i quali dipar- tendosi dall’ alto del cono s’estendevano verso il basso. I canali presentavano una prima parte poco profonda, iniziantesi inferiormente all’orlo esterno del cratere; se- guiva la parte più accentuata la quale scendeva molto in basso sul cono; infine succedeva una conoide di dejezione molto notevole. La morfologia di tali canali ne spiega bene la genesi. Nella prima parte avevano origine le frane, di poca entità all’inizio, ma rapidamente crescenti di volume e velocità. Esse nella seconda parte scavavano i materiali sui quali scorrevano e questa era così profonda perchè una volta formatasi, naturalmente tutte le valanghe sus- seguenti percorrevano la medesima via incidendola ognor più. Oltre, da questo tratto erano tolti i materiali che assieme ai precedenti costituivano la terza parte della formazione, cioè la conoide di dejezione, la cui superficie aveva l'inclinazione propria dei materiali detritici umidi o secchi. Queste conoidi alla lor volta erano solcate da canali minori d’erosione secca, ma per lo più d’erosione idrica, la quale contribuì notevolmente ad ingrandire tutti i canali preesistenti ed a formarne dei nuovi. L’esterno del cono, specie sugli orli, era rivestito da una fanghiglia tenace, lubrica, coperta d’efflorescenze multicolori, dovute ai sali solubili contenuti nelle ceneri che la formavano. Era originata dalle pioggie che riducevano in fango le ceneri ed era del tutto simile a quella che in generale trovasi su tutti i coni vul- canici ‘). Pu Gli orli della voragine craterica erano frastagliati irregolarmente: talvolta ter- minavano con spigoli netti, ma è notevole il fatto che nei primi giorni dopo |’ eru- zione, a causa dell’azione livellatrice delle ceneri, gli angoli e gli spigoli erano altenuati in linee di profilo curve. ') Vedi: De Fiore O., /l periodo hawaiano dell’ Etna nel 1910-11. Riv. Geogr. It., Firenze, 1911. SR, L'altitudine assoluta s. |. d. m. variava notevolmente presentandosi maggiore a NW anzichè altrove ed abbassandosi a NNE a formare la slabbratura della quale s'è detto. La slabbratura era lunga circa 80 m. e consisteva in un ripiano di qualche metro di larghezza, solcato da fratture che continuavano nel pendio esterno del cono e sulle pareti interne del cratere. Su queste fratture si localizzarono delle fumarole. Tutto l'insieme dava all’edificio l'aspetto d’un cono obliquamente tronco colla parte più bassa a NE. La profondità del cratere, elemento molto controverso, non fu misurata nei primi giorni dopo l'eruzione a causa dei vapori che ne occultavano il fondo. In seguito, per il continuo crollar delle frane, questo si risollevò ed il valore primitivo fu alterato. Dalla profondità minima di 250 m. (Mercalli) si giunse ad una massima di 600-700 m. Ma, come dissi, nessuna di tali misure essendo stata fatta con stru- menti, non si può accettarne come rigorosa alcuna ‘). S'è ammesso che dopo l'eruzione si sia sollevato il livello del fondo e così deve essere stato per l’azione delle frane: allora, conoscendo la profondità di circa 300 e più metri che esso aveva varî anni dopo l’eruzione, bisogna ammettere che quella fosse immediatamente dopo questa superiore ai 300 m. D'altro canto la quota superiore ai 300 m. osservata in questi ultimi anni si riferisce non al livello medio del fondo, ma a puuli nei quali erano avvenuti sprofondamenti parziali. In conclusione non può assegnarsi con sicurezza una cifra che denoti ia pro- fondità del cratere: altenendoci al valore più probabile si può dire che esso fu di circa 350 m. Le pareti del cratere presentavano prima una scarpata fino alla profondità di circa 80-100 m. con l'inclinazione di 40°-50°, poi scendevano a picco fino al fonde, ‘) II De Marchi, dal fatto che i vapori delle fumarole si sollevavano lentamente dal fondo senza la caratteristica di un’emissione violenta, credette di poterne arguire che « il camino cra- terico si sprofondasse centinaia di metri ancora al disotto del punto più basso (300 m.) cui giungeva lo sguardo ». Ma se per camino s’intende il condotto ciò non può essere poichè per le frane esso fu ostruito; se poi si chiama camino la voragine craterica, l'osservazione dello svolgersi lento dei vapori dice nulla, perchè è molto raro che le fumarole, anche quando siano ad emissione violenta spingano con forza i vapori a più di 50 m. circa d’altezza. Viste dall’alto, specialmente quando sono molto numerose, possono ben facilmente indurre in errore e far credere che le volute di vapori si sollevino dal protondo. Il De Marchi basa anche la supposizione che il cratere si sprofondasse a molte centinaia di metri sul tatto che ii fondo avrebbe dovuto essere almeno al livello delle bocche efflusive, tanto più che le lave emesse (10 milioni di m*) corrispondono esat- tamente (?) alla cubatura del cilindro rappresentante il cratere. Credo che tale supposizione sia insostenibile perchè: 1) ignorando la vera forma del condotto e le sue dimensioni interne, non sì può stabilire una cubatura del cratere; 2) le lave emesse non erano soltanto quelle che occupavano il condotto da 700 m. circa a 1335 m. perchè molti fatti ci inducono a credere che le ultime emissioni siano state dovute ad efflussi provenienti dal profondo: in ogni caso si sa che il magma s'abbassò e risollevò nel condotto e-ciò contraddice il meccanismo di semplice svuotamento am- messo dal De Marchi; 3) non è necessario che il fondo fosse esattamente al livello delle bocche efflusive perchè le imponenti frane avevano dovuto riempire in parte il cratere sollevandone il fondo. RSRI formando così un lungo tubo, mentre la parle superiore rappresentava un imbuto (vedi Tav. JI, fot. 5-6). Secondo il Mercalli, questa era la parte originatasi per sprofondamento ed esplosione, mentre quella inferiore cilindrica erasi originata per semplice collasso. La struttura delle pareti era simile a quella che si osserva nell’interno dei cra- teri di tutti gli strato-valcani. Grandi banchi di lave, compatte o scoriacee, s’alter- navano a strati di prodotti incoerenti e tutto questo complesso di materiali era traversato qua e là da diechi, fra i quali notevoli alcuni vuoti e riempiti parzial- mente da successivi sgorghi magmatici, osservati dal Johnston-Lavis. * * * Le fumarole ‘) attualmente in attività si misero in vigore poco dopo l’eruzione: cioè quando ebbero forato lo strato compatto e spesso di detriti che le soffocava. Un esempio molto interessante di tale evoluzione è dato dalla batteria craterica degli orli di SW. Dapprima, immediatamente dopo l’eruzione, non venivano vapori alla luce nel luogo ove essa ora esplica la sua grande attività. In seguito le esalazioni incominciarono qua e là Inngo una determinata linea orizzontale poco al di sotto dell’orlo craterico; proseguendo nel tempo le fumarole aumentarono di numero ed intensità fino a che, avendo minato il suolo in cui si svolgevano, produssero la grande frana del 1911, III, dopo la quale le fumarole furono in piena attività. A causa della scomparsa di gran parte della parete loro sovrastante, si vennero a trovare più vicine all’orlo. In tale stato rimasero in seguito: anzi nuovi spiragli esalanti si aprirono più in basso; ciò del resto è naturale, poichè tendendo i vapori ad uscire dai punti più vicini al loro luogo di produzione, tentano di aprirsi un vano presso il fondo del cratere, senza prima attraversare lalla parete per venire alla luce. Questa serie di fatti può essere studiata bene esaminando le fotografie, eseguite in epoche successive, della Tav. II, che mostrano l'evoluzione del fenomeno. !') Per non causare confusione negli studî che seguiranno e per spiegare i termini usati nel presente, credo opportuno esporre una classificazione ed una nomenclatura delle fumarole che si possa applicare a tutti gli edifici vulcanici. Una prima distinzione molto importante è quella, già dovuta al Perret, che divide le fumarole in primarie e secondarie. Modificandola, io credo che la classificazione possa essere così delineata: Primarie sono tutte quelle che si sviluppano da fessure dell’edificio vulcanico, dalle lave ri- siedenti nel cratere e dalle bocche esplosive ed effusive laterali od eccentriche. Secondarie quelle che si producono nelle lave già estuberate, fluenti od in via di raffreddamento. A seconda della loro posizione sull’edificio vulcanico: Centrali sono quelle che si sprigionano direttamente dal condotto centrale, suddividendole in: crateriche interne se sul fondo o nell’interno del cratere; esterne, se sui pendî esterni del cono centrale. Laterali sono quelle distribuite sui fianchi dell’edificio principale, ad eccezzione di quelle del cono centrale e più propriamente sono tutte quelle in relazione alle eruzioni omonime. Eccentriche, sono quelle che si sviluppano all’imbasamento dell’ edificio vulcanico, là dove non si formano più eruzioni laterali, radiali o no. A seconda dell’associazione divido le fumarole in: isolate. a gruppo, se irregolarmente distribuite sul suolo. in batteria, se disposte linearmente in senso orizzontale o verticale o radialmente sul cono. cal RESTI? “i I° ef ATA est a C Ft Altre fumarole si aprirono nelle pareti del M. Somma, durante l’attuale periodo di riposo. Attualmente la distribuzione delle fumarole è la seguente : Fumarole centrali : Interne : Nello sprofondamento semi-anulare (anello) formatosi nel 1911 esisteva una batteria di fumarole notevolmente attive, le più vigorose delle quali erano sul fondo a N, là dove incominciava l’avvallamento. Nel 1912 (21 gennaio) il frana- mento avvenuto soffocò questa batteria e di essa sopravvisse solo il gruppo a N, cioè dove l'emanazione era prima più forie. Ora le fumarole sono novellamente attive a N e SE. Nel centro del cratere esisteva una fumarola che fu soffocata dalla stessa frana. Altra molto notevole è quella chiamata comunemente « gialla » a circa 950 m. ecld. mm. a,S, Un altro gruppo, attualmente attivo, esiste nelle pareti a SW, nell’ interno. Un gruppo trovasi sulle pareti del cratere, circa a metà della loro altezza a S. È costituito da fumarole acide. Presso gli orli del cratere si allineano le seguenti batterie: quella di SW, at- tualmente la più imponente, con uno sviluppo lineare di circa 500 m. e della quale s’éè descritta l’origine; la batteria di NE sviluppata quasi come la precedente; poi le due batterie di S e NW più piccole delle due descritte. Proprio sull’orlo di NNE trovasi un gruppo ubicato sulla slabbratura: questo rappresenta la congiunzione fra le batterie interne e le fumarole esterne. Esterne: Un gruppo molto notevole ed interessante è quello che dalla slab- bratura s’eslende radialmente sui pendî NE del cono circa fino alla sua base, verso l’Atrio del Cavallo. Queste sono attualmente più sviluppate ed attive fra NNE e NE. Fumarole laterali: Sul prolungamento della linea radiale dalla quale si sviluppano le fumarole precedenti, sorgono due gruppi esterni nell’Atrio del Cavallo. Incominciano all’ inter- sezione del pendio del cono col piano dell’Atrio e s’ estendono fino alla base delle pareti del M. Somma. Tutte sono spiccatamente solfidriche e molto notevoli per la loro costituzione. Sono formate da un conetto soffiante delle lave del Colle Marghe- rita, ricoperto da uno strato spesso di ceneri che, qua e là essendo abraso delle pioggie, mostra sottostante la roccia. A NE da queste sorgono poche fumaro!e acquose sulle pareti del M. Somma, che si misero in attività nella primavera del 1910. Dall’esame dell’ubicazione dei gruppi si rileva subito che le fumarole sono distri- buite da SW a NE, forse lungo una frattura che taglia biradialmente il cono cen- trale in tale direzione e forse più precisamente in quella NNE-SSW. Oltre l’atti- vità maggiore è localizzata a SW colla batteria che sorge sulle pareti del cratere in quel luogo. VI. I FENOMENI DEL PERIODO DI RIPOSO. Anno 1906. V. Un temporale con produzione di torrenti fangosi si verificò nei giorni 27 e 28. Le colate discesero fra Ottajano e Cercola e sul loro percorso distrussero varî ponti della ferrovia Circumvesuviana. V. Nella notte 17-18 dopo un violento temporale si formarono dei torrenti lutei che discesero verso i dintorni di Resina dove demolirono una casa rurale, produ- cendo due vittime umane. Queste colate avevano le loro origini sullo spiazzo della Stazione inferiore della Funicolare, dove convergevano varî canali radiali del cono. Il 20-21 nuovi torrenti lutei si formarono nell’Atrio del Cavallo e discesero pel fosso della Vetrana dirigendosi verso Cercola, S. Sebastiano e Massa dove giunsero verso il mattino, producendo gravi danui. Una cava di pozzolana profonda circa 18 m. e con 80-100 m. di lato fu colmata totalmente in 15 minuti. In taluni luoghi il fango era alto 1.40 m. Contemporaneamente a queste colate lutee un’altra scendeva su Pollena e dintorni ed una terza, originatasi al Colle Umberto, minacciava la strada dell’Osservatorio. VI. Frane interne nei giorni 4, 5, 8 ed 11. VIiI. Nei giorni 5 e 14 avvenuero delle frane interne. Nei giorni 20 e 22 da Napoli vedevasi sollevare sul cratere della cenere proveniente quasi con certezza da frane interne. X. Nei giorni 3, 17 e 30 si verificò ancora il sollevarsi di nugoli di ceneri dovuti & frane interne. Negli ultimi del mese dei torrenti lutei si diressero verso Torre del Greco. XI. Il giorno 10, in concomitanza ad una scossa di terremoto, notevole frana in- terna. Altre frane avvennero nei giorni 13, 14 (h. 16.0), 25 (h. 15.35) 26, 27. Le più forti furono quelle dei giorni 14 e 24; tutte causarono emissione di ceneri. Nei primi del mese alcune colate lutee discero verso Torre del Greco ed altre verso Boscotrecase. XII. Il giorno 20 ad bh. 16.30 grande frana con caduta di ceneri in quasi tulti i paesi vesuviani e fino a Napoli dove giunse ad h. 21. Il 21 nuova frana e nuova pioggia di cenere a Napoli alla stessa ora del giorno precedente. Anno 1907. I. 7. Violenti torrenti lutei verso Resina. VIII. 30. Frana molto notevole le cui ceneri si sollevarono, per pochi minutà fino a 400 m. d’altezza circa. AIRBA TE | e TR, mile’ Meo‘ pet X. 9-10. Colate lutee verso Resina e Torre del Greco. 27-28. Nuove colate verso Resina, S. Sebastiano, Cercola, Pollena. Presso S. Ana- stasia fu abbattuto il ponte Sarlo e presso Torre del Greco una casa. XI. Il giorno 6 alle h. 12 dal cratere si sollevarono delle ceneri dovute forse a frana. Il 27 e 28, nelle ore pom. nuove frane con sollevamento di ceneri. XII. JI 27, un’altra frana interna, simile a quella dell'VIII, 30. Anno 1908. IV. 21. Boati provenienti dal cratere. V. 16 (h. 22.30) 19 (h. 22.30); boati provenienti dal cratere uditi fino a Valle di Pompei e Ponticelli. VII. 8 (h. 8.45); boati uditi a Napoli, Barra e Torre Annunziata. Contempora- neamente registrazione sismica a Valle di Pompei. X. Il giorno 13, scosse di terremoto al cono centrale registrate a Valle di Pompei. IV. 14. Nelle ore pom., le colate lutee giungendo a Resina e Torre del Greco, yi produssero danni. “ V. 28. Piccola frana interna. VI. Nei giorni 7, 10, 16 altre piccole frane interne. VII. Durante il mese le frane furono pochissime. IX. Nei giorni 9, 10, 16, 17, 20, 21, 22, 28 fu notevole il fenomeno del sol- levarsi di nubi cineree, provenienti da frane interne. X. Il medesimo fenomeno il giorno 13. ll 24 violenti torrenti lutei discesero fra S. Giovanni a Teduccio e Torre del Greco e fra S. Sebastiano e Pollena. Vi fu- rono danni ingenti e vittime umane. Fra Portici e Torre del Greco il fango fu alto 25 cm. circa: alla Chiesa dell’Ospedale Incurabili fa di m. 1.10; sulla via di cir- convallazione di Torre del Greco di m. 1.25. In varî luoghi furono sradicati gli alberi. Il 29 nube cinerea sul cratere. Anno 1909. l. Nei giorni 11 e 15 alle h. 15 colonne di ceneri dovute a frane interne a SW. Il 12 ‘nuove frane con forte emissione di ceneri, Il. 1 giorni 1 e 18 le cenerisi sollevarono da NE; il giorno 26 da NE e SW in gran quantità. VI. 11-12. Ceneri sollevantesi da SW. VII. 31. Colonna di cenere ad h. 17. XI. 3. Colala fangosa (verso dove?) Il giorno 8 giugno il Revelli stimò la profondità del cratere pari a 160 m., calcolando come tale la differenza di livello fra il piano del fondo ed il culmine dell’orlo. La stessa profondità nell’aprile era stata stimata pari a 200 m. dal Meli: le misure successive indicano come tali stime sieno state errate. — SOLE Anno 1910. V. Nel giugno il Perret fotografò sul fondo del cratere a SW un conetto di ceneri a doppio recinto, dovuto cerlamente ad una piccola esplosione. Sull’ origine probabile di questa sì dirà altrove. Essa deve aver avuto luogo forse nel maggio. VII. 9. Grande frana che causò una caduta di cenere abbondante a S. Giuseppe ed Ottaiano. Il 25 ad h. 9.25 una nuova frana fece sollevare le ceneri a circa 200 m. d’altezza. VIII. 3, h. 15.5, frana imponente con ceneri elevatesi ad 800 m. Il 19 ad h. 14.51, frana a SSW con piccola colonna di ceneri. XI. Forse nella stessa località o ad W avvenne una nuova grande frana. Anno 1911. II. Il giorno 12 ad h. 15.20 circa si staccò una zona di suolo per una lun- ghezza di circa 300 m. ed 80 di larghezza dell’orlo SW del cratere, la quale precipitò nell'interno di questo. La stazione superiore della funicolare venne così a trovarsi sull'orlo e nelle sue mura si formarono delle fenditure di 10-30 cm. di larghezza. Il suolo fu scosso nell’ istante dal franamento e si abbassò di circa 50 cm. nelle vi- cinanze della zona crollata, la quale corrispandeva al punto dell’orlo craterico rimasto Fig. 5.% — Profilo del cratere da SW a NE, nel 1911, VIII. ———— aa. Profilo prima della frana del 1911, III, 12. bb. Materiali del talus della frana. c. Valle semianulare (anello). —__ Profilo dopo la trana del 1911. Nota. Per errore la quota più alta è segnata 1123, mentre deve leggersi 1223. più alto dopo l’eruzione del 1906. Il materiale franato formò una conoide di deje- zione immensa il cui apice truvavasi a */ d’altezza delle interne pareti del cratere da SSW ad W, mentre la base si estendeva forse fino alle opposte pareti dove si allineavano altre conoidi di dejezione che in taluni punti venivano a contatto colla nuova, I pendî esterni del cono nelle vicinanze della zona franata erano solcati da fenditure che interessavano anche i muri di sostegno dei binarî della funicolare, le cui rotaie erano smosse, Le fenditure più profonde erano a circa 90 m. dall’ orlo un poco ad E della funicolare in prossimità di una fumarola esistente da molto rece EM wr è we ro” arl e» <> Ya tempo. Ma in numero e larghezza aumentavano ancor più ad W della Stazione in prossimità del centro della zona franata. Nella parte dell’ orlo corrispondente a lal luogo avvenivano di continuo frane e molto spesso in gran numero e notevoli per volume: le ceneri sollevantisi ad opera loro si vedevano molto spesso da Napoli. Il suolo aveva in quella regione dei lievi movimenti che perduravano nel mese di giugno. Le ceneri della grande frana si sollevarono a circa 500 m. d'altezza. Nello stesso giorno ad h. 17.15 avvenne una nuova frana e contemporaneamente fu re- gistrata una scossa di terremoto a Valle di Pompei. Nel primo semestre il centro del cratere aveva la profondità di 217 m., cal- . colando: l’altezza massima a SSW =1185 m. s. 1. d. m.; il centro del cratere = 968 m. s. |. d. m. Però, secondo il Malladra, tale cifra non rappresentava la profondità massima del cratere, perchè si riferiva ad un punto ubicato sul pendio della grande frana. È IX. Nel settembre la profondità era di 241 m. alla base delle pareti di SSE. La notte dal 21 al 22 una violenta tempesta si produsse nel golfo di Napoli : le abbondantissime pioggie produssero una grande quantità di colate lutee che di- scesero da tutti i pendî del Vesuvio nei paesi sottostanti, dove raggiunsero l’al- tezza di due o tre metri, causando danni enormi e vittime umane. XI. Verso la fine di questo mese forse avvenne una modificazione del fondo del cratere perchè o per sollevamento a SW o per abbassamento a NE si formò una valle semianulare che incominciando a N passava per E e giungeva a S. La sua maggiore profondità fu stimata dal Malladra pari a 30-40 m. a ENE. Lo stesso autore opina che sia stata opera di un lento sprofondamento senza bruschi moti del suolo ‘). XI. 1. Frana interna con sollevamento di ceneri. RO ESCE POP » alte > Anno 1912. I. Il giorno 21 verso le h. 11.50 s’avverti sull'orlo del cratere e sui suoi pendî una forle scossa sussultoria, la quaie si propagò fino all'Osservatorio Vesuviano, dove si mossero i sismoscopi, a Valle di Pompei dove fu ampiamente registrata ed a S. Vito, dove fu avvertita. Contemporaneamente tutta la grande frana del 12 marzo 1911 erasi abbassata in massa per circa 30 m. d’altezza e 200 m. di lunghezza, mentre nella parte in- feriore del suo pendio s’era formato un enorme avvallamento imbutiforme tagliato nel materiale di frana, del diametro di 100 m. circa e della profondità di almeno 1) Questa valle doveva certamente esistere nell'agosto, perchè essa figura nella carta topo- grafica levata dal Castiglione in quell'epoca. Questa carta ed il profilo da essa ricavato lo di- mostrano a sufficienza (vedi fig, 5°). Riducendo il profilo del Malladra, alla scala del 10.000 risulta subito una proporzionalità fra le orizzontali e le verticali, che non può osservarsi nel di- | segno originale, la quale si accorda molto bene con quello ottenuto dalla carta del Castiglione. Le differenze non sono nè molte, nè notevoli. La profonda insenatura dell’ « anello » esiste anche în questa: muta solo il profilo della frana del 1911 a causa dei fenomeni che avvennero nel gennaio 1912. Da ciò si deve dedurre che la valle in questione già parzialmente esisteva nel È 1911, VIII e che altri sprofondamenti l’accentuarono. ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 14. agi 20 m. Un grande fracasso di pietre cadenti, soffi e boati, accompagnarono il gran- dioso fenomeno, Oltre le moditicazioni descritte se ne produssero altre nella distri- buzione delle fumarole. Infatti una fumarola esistente nel centro del cratere scomparve; la fumarola gialla fu coperta e, per così dire, soffocata dai detriti in modo tale che solo dopo un certo tempo riprese il suo solito vigore; le fumarole della valle semi- anulare del 1911 (anello) le cui più attive erano a N, diminuirono di forza ed attività E e ne sopravvisse solo un gruppo nel punto nel quale, a N, incomincia l’ayvallamento. Anno 1913. V. Il giorno 9 nei materiali della frana del 1911 e precisamente nello stesso — luogo od in prossimità di quello, in cui erasi formato lo sprofondamento del 1912, — si apri un nuovo imbuto, dal quale sgorgarono grandi fiolti di nebbie, VII. LE MODIFICAZIONI AVVENUTE DURANTE IL PERIODO DI RIPOSO E LE LORO CAUSE. Nel capitolo IV s’ è detto dei mutamenti prodotti dall’eruzione sul vecchio edificio vulcanico e nel capitolo successivo si sono descritte le forme, quali erano al prin- cipio del periodo di riposo. Queste fureno però modificate notevolmente da allora e presentano ora profondi mutamenti dovuti sovratutto all’azione delle forze distrut- trici esogene. Non esporrò qui dettagliatamente tutto il lavorio che produsse le modificazioni, nè le cause che le hanno originate: mi limiterò soltanto a descrivere, nelle linee generali, le categorie più importanti di variazioni. Le modificazioni più notevoli sono state prodotte dalle frane e dall’ erosione idrica. * * %*% Durante l’eruzione molte e numerose furono le frane esterne ed interne, ma specie degli orli, provocate dai fenomeni eruttivi, le quali contribuirono validamente a plasmare le forme recenti distruggendo il vecchio edificio conico in gran parte. Dopo l’eruzione le frane continuarono quasi ininterrottamente e spesso imponenti. Furono originate da varie cause. Le più interessanti sono state quelle prodotte dal lavoro di disfacimento delle fumarole nel complesso di banchi rocciosi costituenti le pareti del cratere, indebolite già dalle: violenze dell’eruzione. Trattando delle fumarole e precisamente della ori- gine della batteria craterica di SW, ho accennato al fatto che essa abbia potuto influire sulla formazione della frana del 1911. Jo credo che molte frane abbiano avuta la stessa origine. In tal caso il loro meccanismo di formazione sarebbe il seguente. Le fumarole s’infiltrano attraverso i banchi tufacei porosi a quelli lavici fratturati, aprendosi un vano verso l’esterno. Naturalmente il calore, la pressione esercitata dai gas, le loro azioni chimiche alteratrici indeboliscono le rocce già poco solidamente compaginate ed aprono per lunghi tratti delle zone interne di distacco fra le due parti di una medesima serie di banchi. Una di queste viene così separata dall’altra su cui s’appoggia: quando il lavorio di decomposizione sarà molto avanzato la parle esterna o superiore, scivolera (se il piano di separazione è inclinato) 0 precipiterà (se tale piano è verticale) verso il fondo del cratere, abbandonando il proprio sostegno. Da ciò i grandi franamenti delle pareti dove esistono batterie di —iaBze fumarole o fumarole molto vigorose. Le frane che anno tale origine sì distinguono perchè la superficie rocciosa lasciata allo scoperto dal crollo è imbiancata e disfatta dell’alterazione chimica. Ma per lo più l'origine delle frane non è questa: spesso si formano perchè dei banchi lavici perdono il loro sostegno costituito da uno strato di lapilli o ce- neri sottostanti, erosi dal vento o dalle pioggie. Altre volle larghi pezzi dell’orlo s’ina- bissano per il proprio peso che ha servito a creare delle sottili fenditure continua- mente allargantesi soito l’azione di scosse od infiltrazione lenta di acque e vapori. Nei casi precedenti per lo più le frane sono voiuminose; v'è però il caso in cui il franamento avviene su vasta scala rispetto allo spazio, ma con caduta di poco mate- riale: talvolta è il vento che determina questo franare lento e continuo, ma più spesso è il sole. Il calore irraggiato da questo asciuga le rocce frammentarie che incontra (banchi di ceneri, di lapilli etc.), le quali perdendo la loro coerenza, dovuta all’u- midità che le impregna, si sgretolano e cadono. Si verifica spesso perciò un migrare delle frane a seconda del volgere del sole, poichè le pareti soleggiate sono sog- gelte al franamento, mentre le altre rimangono immuni. Naturalmente tale fenomeno si verifica a preferenza nei giorni caldi e sereni e specialmente durante l'estate. Poco o nulla v'è a dire sul meccanismo delle frane. Una caolica valanga di massi che piombano nel vuoto o balzano sui pendî con formidabile fragore ed un crepitio incalzante dovuto all’urto dei blocchi fra loro; un rimbalzare di sassi che raggiungono velocemente il fondo del cratere; dense nubi di ceneri che scivolano sui pendî delle pareti o delle conoidi di dejezione e poi risalgono verso l’alto: ecco il modo di presentarsi di una frana. Interessanti sono le forme assunte dalla polvere che si solleva dal materiale cadente. Si formano prima dei globi densi che rag- giungono il fondo e poi s’espandono lentamente innalzandosi e simulando delle esplosioni; intanto altre nuvole di polvere si sollevano da tutta la zona percorsa della frana. Le nubi cineree si sollevano in volute, s’ espandono, raggiungono e su- perano l’orlo, dando, quando sono molto vistose, l'impressione di nubi dovute ad esplosioni eruttive. Negli ultimi giorni dell’eruzione le frane su larga scala con pro- duzioni di grandi volute di ceneri erano molto frequenti e taluna di esse poteva veramente trarre in ìÎnganno circa la propria natura. Per il sollevarsi di queste nubi non v'è assoluto bisogno di supporre che esse siano prodotte dalla spinta verso l’alto che l’aria compressa dalla frana nel fondo del cratere comunica ai materiali di queste. Come anche non è giusto il termine di « esplosione » applicato a questo fenomeno ‘). Riguardo alla distribuzione delie frane nel tempo: per quelle dovute all’azione delle fumarole non si può stabilire un massimo, il quale dovrebbe però coincidere colla fine di un prolungato periodo di energica attività di queste; mentre che v°è un massimo estivo per quelle causate dal soleggiamento ed un massimo invernale poco sicuro per le frane originate dall’ infiltrazione delle acque nel suolo, dall’ ero- sione di banchi incoerenti e cause simili esogene. Però, dato l’alternarsi ed il so- ') Il Mercalli chiama queste frane col nome di esplosioni « adinamiche ». Non credo che il nome possa andare, perchè non so immaginare delle esplosioni « senza forza ». ì ] ; I g P vw 0, ll yrapporsi di tulte queste cause, non può stabilirsi un massimo assoluto od un an- damento generale del fenomeno. Solo può dirsi che nei primi tempi dopo l'eruzione le frane erano più numerose che oggidì: cioè si verificò una diminuzione col pro- cedere del tempo, dovuta al fatto che i materiali assunsero una posizione d’equilibrio ognor più stabile e definitiva. Effetti principali delle frane sono quelli di demolire le pareti del cratere e spe- cialmente l’orlo; scavare nelle pareti interne di quello dei lunghi canali che si diri-- gono verso il centro di questo, dovuti all’erosione secca; formare alle basi di tali canali grandi conoidi di dejezione disposte lungo la linea d’intersezione delle pa- reti del cratere col fondo ed infine risollevare questo. * * %* Un agente che contribuì molto validamente a modellare le attuali forme, mo- dificando le antiche, è stata l’erosione idrica che si esercitò specialmente all’esterno del cono sui materiali recenti. Durante l'eruzione si formarono i canali d’erosione secca le cui linee generali vennero seguite da quella idrica successiva. Questa ap- profondì, modificò, distrusse alcuni di quelli e così, pur restando intatte le primitive linee generali, vennero alterati i particolari. Fig. 6.2? — Sezioni di canali d’erosione secca ed idrica. Dal vero. a, b,c: canali d’erosione secca prodotti dalle frane durante l'eruzione. d: serie di canali contigui d’ erosione secca nei pendî NW del cono, dopo l’ eruzione. e,f: canali d’erosione idrica a pareti verticali o convesse. Valle d’ In- ferno. g: canale con terrazzamento interno. Valle d’ Inferno. h: confluenza di due canali con lame d’erosione. Valle d’ Inferno. L'effetto dell’erosione fu duplice: distruzione dell’edificio ed asportazione dei materiali in alto, formazione di conoidi di dejezione o colate lutee in basso. L’erosione s’esercitò specialmente sui materiali recenti incoerenti composti da strati ad elementi di grossezze diverse, spesso disposti caoticamente. Non è raro il caso in cui per effetto dell’erosione si possa vedere non solo tutta la serie dei ma- leriali emessi dall’ultima eruzione, ma anche quelli sottostanti. Nelle parti elevate del cono i canali sono poco profondi, diventano però tali verso metà altezza; in basso seguono le conoidi di dejezione. Queste si producono solo quando il materiale è grosso o il fango è poco liquido: col variare della grossezza RR (SOA e fluidità dei materiali varia anche l'angolo d’ inclinazione della superficie e det fianchi delle conoidi. Numerosi canalicoli secondari le solcano in tutte le direzioni, assumendo specialmente una disposizione pennata rispetto all'asse maggiore della conoide. Quasi sempre il fango costituente dà luogo alla formazione di efflorescenze alla superficie, secondo un meccanismo speciale. I canali solcano anche le parti pianeggianti dell’edificio e perciò ne. troviamo un ampio sistema nelle due pianure conosciute col nome di Valle d’Inferno ed Atrio del Cavallo ed in tutti quei tratti piani o leggermente inclinati che circondano il cono e dai quali esso sorge. I canali degli Atrî, per la maggior parte, sono la continuazione di quelli che discendono dal gran cono, ma non ne mancano dovuli all’azione delle acque che scorrono giù dal Colle Umberto e dal Colle Margherita. Presso gli sbocchi degli Atrî i sistemi si confondono ed uniscono, ma nell’interno si possono individuare e se- guire, spesso per lunghi tratti, dei profondi canali. Generalmente sono scavati nei materiali recenti tagliandoné e mettendone a nudo gli strati, individuando i quali si può avere un’idea del meccanismo che accumulò quegli immensi depositi in fondo alle valli. Nella Valle d’Inferno i canali hanno la profondità maggiore. Si presentano come corridoi tortuosi: le pareti ed il fondo sono di materiali recenti; ma talvolta s’in- contrano quelli preesistenti all’eruzione. Il maggiore dei canali che io abbia visto e misurato aveva circa 8 metri di profondità e quasi la stessa era quella di un altro scavato fra il Colle Umberto ed il cono centrale. Il primo era praticato fra i materiali fini, il secondo fra quelli caotici a grossi elementi. Credo che questi non siano i più profondi: è certo però che i più imponenti devono trovarsi nei tre punti di sbocco delle valli, dove le acque raccolte sulle vaste superficie dei pendî NE-N-NW del cono, delle pareti interne del M. Somma e delle pianure degli Alrî, passano ac- cumulate in grande quantità e con forza e velocità notevoli. Questi canali, malgrado che varî l’inclinazione del suolo sul quale si formano, sono morfologicamente simili a quelli del cono centrale. Dapprima una parte poco profonda, poi un caîions ed infine, non la produzione di distinte conoidi di dejezione, ma di vaste superficie ricoperte di detriti, blocchi e fango. Notevole è il ricoprimento delle colate laviche recenti per opera di queste masse detritiche. In questi canali sono interessanti la formazione di lame molto simili a quelle dei canons dei terreni argillosi ed il crollo di banchi lavici compatti pel mancato sostegno del terreno incoerente sottostante, abraso. La distribuzione topografica di tali canali è regolata dalle accidentalità del suolo. Descrivendo i sistemi che solcano | edificio ed intagliano ì materiali recenti, è bene avvertire che spesso uso la parola canale non per indicare proprio le for- mazioni che vanpo distinte con questo nome, ma piuttosto le direzioni dal fluire delle acque, tracciate spesso sul suolo da lievi strie o da piccoli rilievi sabbiosi pa- ralleli, che somigliano a minuscoli canali forniti di argini, Dal cono centrale discendono radialmente dei sistemi semplici che ne raggiun- gono la base: verso questa essi sono complicati da altri secondarî ed i canali minori aumentano sempre più in una certa regione del cono, dove il pendio si fa meno ESSO accentuato, nella quale se ne vedono alcuni veramente in miniatura. Come già s’ è notato, molti solcano le conoidi di deiezione. Là dove le forme del cono intersecano il piano su cui esso giace, i canali ridiventano più semplici e molto larghi, o per meglio dire, il suolo è eroso e sconvolto su tutta la superficie: ciò è dovuto alla fusione dei sistemi superiori ed ivi si formano quei canali che poi si dirigono verso gli sbocchi degli Atrî e quelli che discendono giù dal grandioso cono formato dal- l’edificio principale (M. Somma, rivestito dai prodotti del Vesuvio). I canali compresi nei settori SE-S-SW-W del cono, discendendo da questo generalmente proseguono mantenendo inalterata la direzione primitiva; perdono però le loro caratteristiche di profondità e di essere scavati nei materiali recenti perchè ivi. lo strato di questi è poco spesso e riveste delle vaste superficie laviche che oppongono una notevole resistenza all’azione erosiva. Su quei settori del cono, scorrono solchi vasti e pro- fondi dei quali i maggiori sono in prossimità del grande franamento esterno di S prodottosi durante l’eruzione, I canali che discendono dal pendio di NW, giungendo alla base del cono subiscono una deviazione poichè urtano contro il massiccio del Colle Umberto: alcuni volgono verso VW ed altri verso il N-NW; i primi scendono sulla pianura dove ora sorge la Stazione inferiore della funicolare ed unendosi a quelli provenienti dai pendî W del cono danno origine alle colale lutee che si di- rigono verso Resina (vedi 1906, V); gli altri girando attorno al Colle Umberto, passano fra questo ed il Colle Margherita dapprima e fra quello e le pareti di M. Somma di poi, dirigendosi verso il fosso della Vetrana, dove si formano le grandi colate lutee che scendono su Cercola, Massa, S. Sebastiano, etc., per ostacolare le quali furono costruite le grandi dighe che formarono a monte dei grandi laghi di . fango. Non tutte le colate lutee, però, discendono pel fosso della Vetrana, perchè alcune, d’origine strettamente locale, passano fra il Colle Umberto ed il Colle del Salvatore, nel quale poco sotto l’Osservatorio Vesuviano, si sono prodotti dei grandi e profondi canali d’erosione idrica, che hanno in taluni luoghi tagliata la strada, scavali in gran parte fra i materiali antichi. I canaloni che discendono dai pendî del cono compresi nel seltore che incomincia a NNW e passando per N e NE ter- mina ad E, si riuniscono nell’Atrio del Cavallo e nella Valle dell’ Inferno e le loro acque sboccano in piccola parte dai canali già descritti verso il fosso della Vetrana, il resto, quantità ben maggiore della precedente, a SE della Valle d’Inferno. Questo enorme volume di acque e materiali fluitati scava dei profondi solchi d’erosione nei banchi antichi del M. Somma ed è appunto in tal luogo che si.può osservare il fenomeno di una colata lavica crollata pel mancato sostegno dei banchi sottostanti abrasi e le più belle sezioni di questi. Da questo sbocco esce la quantità maggiore di acque perchè esso è come il canale di sfogo di tutte quelle che cadono nel vasto bacino collettore compreso fra la cerchia interna del M. Somma, il luogo ove PAtrio del Cavallo confina colla Valle d’Inferuo presso il Colle Margherita, l'orlo del cratere ed il limite SE della Valle d’Iuferno. Però i sistemi di canali non sono così semplici come ho descritto fin'ora, se non nelle linee generali, perchè al sistema principale bisogna aggiungere altri tre Sistemi minori. Il primo è quello che solca le pareti interne del M. Somma: i canali non sono distinti poiché le rocce che le compongono offrono una valida esistenza all’erosione: vi è però una grande denudazione della compagine rocciosa e fluilazione — 9° di materiali. Altro sistema, molto secondario, è quello che discende dai pendî del Colle Margherita. Per la sua forma speciale, i canali sono numerosi, ma piccoli verso NW e N e si uniscono a quelli che passano fra il Colle Umberto e M. Somma per- correndo la strada seguente: dapprima scendono fra il Colle Margherita e M. Somma, poi fra questo ed il Colle Umberto, allora si congiungono ai principali e si dirigono verso il fosso della Vetrana. L’ullimo sistema, e più importante del precedente, è quello del Colle Umberto. 1 canali scendono radialmente dal vertice della cupola lavica verso la periferia e così si ricongiungono nel modo che segue con quelli che provengono dal cono centrale: quelli di SE e S si uniscono ai canali di W del cono; gli altri di SW ed W scendono direttamente dai pendî del colle ed intine gli ultimi di NW, NNE ed E sboccano nei canali del Colle Margherita che poi finiscono nel fosso della Vetrana. In conclusione, tutte le acque che si raccolgono nello spazio compreso fra l'orlo del cratere e la cresta del M. Somma producono profonde erosioni nella regione degli Alrî ed i canali hanno tre sfoghi priucipali: uno ad E SE, il secondo a SW, l’ullimo a NW. * * * Siccome da questi sbocchi non discende sola acqua, ma un complesso di so- stanze fluitate che forma per lo più le colate lutee conosciute col nome di torrenti di fango, così questi provenendo da tre punti principali, naturalmente si distribuiscono a preferenza su tre regioni, con lievi variazioni dovute alle accidentalità del suolo. Si spiega così la maggiore frequenza delle alluvioni fangose su cerli paesi. Sul meccanismo delle colate lutee v'è poco da dire. Anzitutto devono certa- mente considerarsi come l’equivalente delle conoidi di dejezioni: la differenza prin- cipale consiste, come si disse, nella fluidità delle masse. Riguardo all’origine essa è così semplice e chiara che non credo opportuno soffermarmici. Sarebbe molto in- leressante avere dati sicuri sulla velocità e sul modo d’avanzata di queste colate. lo ho potuto esaminarne alcune già ferme, ma di una certa importanza, nelle alte e nelle basse regioni del cono, e da quanto vidi credo che il loro moto varî un poco a seconda della fluidità. La struttura delle colate non può essere oggetto di speciali ricerche, data la sua semplicità. Per lo più è composta di materiali di calibro omogeneo che portano blocchi di varie dimensioni, e talvolta enormi. La distribuzione del materiale nello spessore della colata è tale che il volume degli elementi di quello diminuisce verso l’alto. Le colate lutee originano in tal guisa i cenglomerati, mentre le valanghe secche e le frane danno luogo alla formazione di brecce. La sezione latitudinale della colata è tanto più breve quanto più la colata è densa. A causa di questo fallo spesso la colata si presenta come un rigonfiamento emicilindrico adagiato sul suolo: considerandone la fronte non saprei meglio para- gonarla per la forma che ad un colaticcio di cera o di pece disposto orizzontalmente. Le sezioni si appiattiscono coll’aumentare della fluidità ed in certi casi si formano delle morene laterali poco più alte del centro della colata. Questa non sempre ha forma convessa: talvolta si nota una tendenza alla concavità. Infine è notevole nelle AL 2 colate non molto fluide nè troppo dense, la produzione di una serie di cordoni pa- ralleli, curvi, con la convessità verso la fronte delle colate, che si estendono da un. lato all’altro di questa. Sono identici alle conosciute forme delle lave a corde ed _ avendo la medesima origine meccanica, le une possono a servire alla spiegazione del modo di formazione delle altre. Essendo i fenomeni erosivi e le formazioni delle colate lutee in rapporto colla precipitazione atmosferica, ho creduto opportuno mettere quelli in relazione a questa, durante il periodo 1906 aprile-1913 aprile. Per ciò ho usati i dati delle stazioni meteorologiche della regione vesuviana. . Ho dovuto escluderne qualcuna o per mancanza di dati sicuri ed in serie completa, _ 0 perchè, e ciò specialmente per l'Osservatorio Vesuviano, i valori misurati della precipitazione non sono quelli reali perchè a causa del vento la pioggia cade in- clinata e non è raccolta come dovrebbe esserlo dal pluviometro: in linea generale si nota un difetto sui dati delle stazioni circonvicine. Esaminando i valori assoluti mensili ed annui, le somme complessive pel periodo 1906-1913 ed infine, mettendo in rapporto questi coi valori normali, stabiliti precedentemente da varî autori ‘), ho trovato che: 1) il massimo lavorio di erosione e di trasporto si è verificato nei primi tempi dopo l’eruzione: in seguito s’ è raggiunto un progressivo assestamento e ciò pel ve- nire a mancare delle ceneri e specialmente di quelle fine che costituivano gli strati | più superticiali dei prodotti dell’ eruzione ultima; 2) a parità di condizioni il lavorio maggiore di demolizione, accusato dalla formazione delle colate lutee, era nei mesi di maggiori pioggie. Nel caso che l’an- . damento mensile della precipitazione non seguisse i valori normali, anche la for- mazione delle colate lutee subiva delle variazioni. In conclusione nel lavoro di demolizione e di trasporto s'è avuto una continua e progressiva diminuzione, non uniforme, ma con delle variazioni in correlazione a quelle delle quantità di pioggia cadute. + x Altro effetto dell’erosione idrica è stata la produzione di minuscole piramidi di sabbia sormontate da un piccolo sasso o da una scoria, richiamanti alla memoria i funghi alpini e le analoghe formazioni dei terreni argillosi o sabbiosi. Però nel « nostro caso questi prodotti dell’erosione piovana sono di dimensioni molto ridotte e modeste. i; Notevole invece è stata la rubefazione dei materiali recenti. Secondo le idee del Brun questa dà luogo alla formazione delle cosidette « rocce morte ». Sarebbe È. | molto interessante stabilire se la rubefazione delle ceneri delle ultime esplosioni sia | avvenuta nel condotto 0 dopo l’emissione, come pare risultare da alcune osservazioni. 1) Alberti A., Sul clima di Napoli. Ist. Incoraggiamento, (5), III, Napoli, 1902. Eredia F., Le precipitazioni atmosferiche in Italia. Ann. Uff. Centr. Met. Geod. (2), XXVII, Roma, 1908. ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 14. 6 VELE CONCLUSIONI Credo opportuno riassumere, molto brevemente, le conclusioni principali alle quali sono pervenuto nel corso del presente studio. Le forme dovute al lento ed ininterrotto lavorio di costruzione del periodo erut- tivo 1875-1906, vennero demolite dal parossisma che termina tutti i lunghi periodi d’attività vesuviana. La distruzione fu dovuta quasi esclusivamente alle esplosioni che si producono alla fine delle eruzioni a causa della violenta espansione dei gas contenuli nel magma ai quali è tolto il peso della colonna lavica sovrastante. Tali gas, che asportavano al serbatoio magmatico una certa quantità di particelle minuta- mente suddivise e frantumate, salendo nel condotto si caricavano delle ceneri pro- venienti dalla demolizione dell’ edificio e formavano una violenta corrente ascendente, la quale strappava gli orli del cratere e li lanciava polverizzati o frantumati in alto. Questi in parte ricadevano sui pendî del cono e formando delle valanghe incidevano i materiali recenti dando luogo alla produzione di canali d’erosione secca, la cui sezione era simile ad un V. Dall’esame dei fenomeni del parossisma risulta che il condotto eruttivo si sprofonda inclinato verso SSW e perciò volge la bocca a NNE. Ciò spiega molte particolarità dell’ eruzione e specialmente la caduta delle ceneri predominante in un dato settore, la formazione della slabbatura di NNE ed infine, come dimostrerò altrove, alcuni fenomeni che devono considerarsi come premoni- torî di un futuro risveglio. In conclusione, la distruzione dell’antica ed il modella- mento della nuova forma fu dovuto quasi esclusivamente ad esplosioni e solo in minima parte e come fenomeno accessorio, a sprofondamenti. Effelto delle esplosioni fu la produzione di un vasto cratere, di profondità sconosciula, scavato nel cono sveltato e solcato esternamente da numerosi canali radiali. Esaminando tutta la. serie dei fenomeni verificatisi al Vesuvio dal 1906 fino al 1913 credo che nel periodo di riposo studiato si possono distinguere varie fasi prin- cipali, ognuna delle quali è caratterizzata dal predominio di taluni fenomeni. È da notare che le accennate fasi non sono nettamente delineate e costituite da una sola categoria di fenomeni, ma che vi sono tra loro graduali passaggi; che in ognuna si riscontrano, con varia intensità, i fenomeni delle altre ed infine che la caratteristica è il predominio d’una data categoria di manifestazioni. Tralasciando le altre due fasi, delle tre che distinguo; e cioè quella dell’attività fumarolica e Pallra degli spro- fondamenti premonitori delle manifestazioni eruttive principali; la prima è caratte- rizzata dai fenomeni esposti nel corso del presente studio. Più precisamente la caratteristica di questa fase è la distruzione prodotta dagli Pe * sue ste bmp LANZI agenti esogeni sulle forme recenti, la quale si esplicò con le seguenti categorie di fenomeni: frane, erosione e trasporto di materiali recenti. Per azione delle frane d’assestamento, prodotte dall’instabilità dei materiali, il fondo del cratere si andò sollevando, rapidamente in principio, più lentamente in seguito. Le frane erano causate dagli agenti endogeni e da quelli esogeni. Fra i primi ho segnalate quelle dovute all’azione delle fumarole e che ritengo comuni a tutti i vulcani in riposo ed attività fumarolica. Furono però frequenti quelle causate dalle scosse urlanti l’edificio ed altre di speciale origine, costituite da parziali inabissa- menti del fondo del cratere costituenti quei tali fenomeni premonitorî del risveglio ai quali ho accennato ed il cui studio dettagliato e completo sarà esposto altrove. Caratteristiche della prima fase furono le frane dovute agli agenti esogeni prodotte dal soleggiamento, dal vento, dall’erosione idrica e dalle variazioni termiche: tutte queste cause per lo più agirono riunite. Ma le modificazioni esterne del cono più notevoli si devono all’erosione idrica la quale approfondi i canali d'erosione secca e ne formò dei nuovi con una sezione simile ad un U. I materiali asportati dalle alte regioni del cono vennero distribuiti sulle falde inferiori e sulle basi di questo, le quali così furono sollevate di livello. Tale trasporto assunse le forme di conoidi di deiezione o colate lutee, geneticamente equivalenti. Questo assestamento non venne operato uniformemente nè nel tempo, nè nello spazio: Infatti il massimo lavorio di distruzione erosione e trasporto s’è verificato nei primi tempi dopo l’eruzione: in seguito l’entità delle distruzioni è andata dimi» nuendo, nou uniformemente, ma con variazioni in rapporto, entro certi limiti, agli ‘agenti esogeni che la producevano. Oltre, tale lavorio non è stato rigorosamente proporzionale agli agenti produt- tori durante tutto il periodo, poichè v’è stata una sensibile diminuzione degli effetti verso la fine di questo. L’assestamento è stato limitato quasi esclusivamente al cono vesuviano propria- mente detto ed a quei settori del M.° Somma ricoperti dai prodotti dell’ultima eru- zione. Cioè s’è verificato il plasmarsi di forme nuove, limitato alle regioni ricoperte di materiali recenti. Concludendo, dopo la fine dell’eruzione s’ebbe solo un lavorio continuo di di- struzione, causato specialmente dagli agenti esogeni. Gli effetti sull’ edificio furono di demolizione degli orli del cratere, i cui materiali riempirono in parte la voragine d’esplosione sollevandone il fondo, e di denudazione dei pendî esterni ai quali vennero asportati altri materiali distribuiti alle basi del cono. finita di stampare il dì 26 Settembre 1913 SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE havi I: Le variazioni topografiche del Cono centrale. Fig. 1. — La regione vesuviana (Somma, Atrî e Cono centrale) prima dell’eruzione del 1906. Rilievo al 10.000 dell’Istituto geografico militare eseguito nel 1900, colle re- cognizioni generali del 1904, ridotto fotograficamente dall’autore alla scala approssimata dell’ 1:25.000. In questo rilievo manca il conetto che si inco- minciò a formare nel cratere di sprofondamento del 1903, perchè l’opera di co- struzione s’ iniziò dopo la levata topografica. Brig 2.—La stessa regione dopo l’eruzione del 1906. Rilievo all’ 1:10.000 dell'Istituto geografico militare eseguito nel settembre 1906 dal Topografo Fiechter e ridotto come il precedente alla scala approssi- mata dell’ 1 :25.000. dre. 3. — La stessa regione nel 1911. Rilievo all’ 1 :10.000 del Topografo Castiglione per incarico del sig. Fried- laender, eseguito nell’agosto 1911, usando del precedente rilievo militare. No- tevolì le variazioni del cratere centrale. Nota. Il rilievo non è molto preciso poichè è stata dimenticata la corre- zione della declinazione magnetica. Così molti punti e specialmente le fuma- role dell’Atrio del Cavallo non sono al loro vero posto. Tav..II: Le trasformazioni interne del Cratere dopo l'eruzione. _ Fig. 1. — L’orlo SW immediatamente dopo la fine dell’eruzione. Notevoli le forme arro- tondate dall’azione livellatrice delle ceneri che le rivestono. Assenza di fumarole distinte. Fot. Perret. | Fig. 2: — Lo stesso orlo SW nel 1909. La coltre di ceneri fine è scomparsa: apparizione delle sottostanti lave e tufi. S'è iniziata l’opera di degradazione idrica ed eolica. Comparsa delle prime fumarole in batteria; 1909, VI, 5. Fot. Perret. Nota. Il dorso molto accentuato che si vede nel campo delle due precedenti Me, fotografie è parte dell’orlo scomparso colla grande frana del 1911. Fig 3. — Dopo la frana del 1911, III, 12. La batteria di SW è in piena attività e su grande , estensione. Si vede, fra le nebbie delle fumarole all’orlo, la Stazione superiore della funicolare, abbandonata; 1911, III, 21. Fot. Perret. 4.— Dallo stesso punto: le fumarole disposte antecedentemente in batteria aumentano L di numero verso il basso, nelle pareti interne; 1912, V, 12. Fot. De Fiore. IVA GI Fig. 5. — L’interno del Cratere subito dopo l’eruzione. Dall’alto in basso: la cerchia di M. Somma, in fondo; l’orlo del Cratere con una scarpata verticale di banchi lavici e tufacei, alla quale segue quella inclinata; infine le pareti del pozzo craterico a picco. Non si può vedere il fondo. Le forme sono rivestite di ceneri. Nel centro la fotografia è più chiara per nebbie diffuse salienti dal fondo del cratere; 1906, VI, 1. Fot. Perret. Fig. 6.— Dallo stesso punto: è stata asportata la cenere ricoprente le pareti i cui banchi costituenti sono ora visibili. Inclinazione quasi uniforme delle pareti poichè della scarpata, già distrutta, rimangono solo le ‘vestigia. Si vede il fondo, ri- sollevatosi. Nelle linee d’intersezione di queste colle pareti s'appoggiano grandi conoidi di deiezione, i cui canali di scarico si vedono sovrastare a quelli; 1908, HI. Fot. Perret. Tav. III Le variazioni degli orli del Cratere e le frane. Fig. 1.— Le variazioni dell’orlo del Cratere. Dalla Punta del Nasone (M.° Somma). A, Prima dell’eruzione del 1906. Il Cono centrale col Cratere di sprofonda- mento del 1903 ed il conetto terminale inclusovi. 1905, V, 22. B, Dopo l'eruzione del 1906. 1906, V, 31. Cela: id. id. 1909, VIII. Di Ia id. id. 1911; 105 "21: E, Ud id. id. 1913, “V, 13, Fl id. id. 1918, VAR Da un punto immediatamente sottostante ad W alla Punta del Nasone. a, Prima dell’eruzione del 1906. Il Cono centrale col Cratere di sprofonda- mento del 1903 ed il conetto terminale inclusivi. 1905, V, 22. b, Dopo l’eruzione del 1906. 1906, V, 31. G-MId: id. id. 1909, VIII dd id. id. TO 1MSVINES2:R ea «Idi id. id. T013%: Lg [ie (o): MASSA EQUANA 1:25000 _* EBGEIETRE «341 M. RELLALBA Glusso! VICO fQUENSE Bò viLLA AJELLO > VALLONE + 9653 1544556 1: 12500 Sono questi i luoghi nei quali il tufo affiora. Inoltre negli scavi abbastanza pro- fondi che sono stati fatti e si vanno facendo nell’altipiano su cui sorge Vico Equense, sia per porre i fondamenti a nuovi edificii, sia per fare pozzi o cisterne, sì è rin- venuto spessissimo tufo campano. Così, per esempio, nella proprietà Manniello, a Nord della piazza di Vico, approfittando dei lavori in corso per la costruzione di ‘una casa, abbiamo potuto constatare che ad una profondità di circa 9 metri si trova Lee tufo, il quale ha uno spessore di 4 metri ‘). Pure tufo è stato rinvenuto ad Est della piazzetta situata a Sud-Est della piazza principale di Vico, ad una profondità che non abbiamo potuto determinare con certezza. Inoltre, sempre nel sopra detto altipiano, si trovano qua e là parecchie tufare delle quali riparleremo in seguito. Questi fatti ci autorizzano a ritenere che l’altipiano di Vico presenta a poca profondità un deposito di tufo campano di cui quello che affiora nelle sezioni naturali da noi rilevate lungo i due valloni sopra nominati costituisce i margini. Il giacimento di tufo così delimitato è quello che abbiamo specialmente studiato nel presente lavoro. Esso però non deve ritenersi isolato, ma più o meno direltamente collegato ad altri giacimenti, che si trovano, taluno ad altezze quasi uguali, a Nord-Est, a Sud-Est e a Sud-Ovest. Infatti a Nord-Est si incontra tufo campano lungo la strada rotabile Castellammare-Vico Equense, a sinistra e circa a mezzo chilometro prima di arrivare al ponte di Aiello. Ivi esso si trova in una vallecola scavata nel calcare; appoggia su una base molto inclinata e ha uno spessore di circa 4 metri. Questo deposito sfuggi allo Scacchi, il quale osservò solo i tufi gialli su cui esso poggia. A Sud Est si incontra il potente deposito di Pacognano citato dal Puggaard °) e descritto da Scacchi nell’opera citata sui vulcani fluoriferi. A Sud-Ovest si trova tufo: nella villa Cilento, presso la spalla sinistra del ponte di Sejano; ad Ovest della via Fornacella (che si stacca dalla rotabile Vico-Sejano partendo dalla sinistra di questa e dirigendosi verso Sud); e negli orti di Sejano fino alla falesia, ad una quota di circa 60 metri. Tulti questi giacimenti di tufo hanno rapporti più o meno stretti con quelli che costituiscono il deposito di Vico Equense, e taluno di essi deve forse aver formato con questo, in epoche lontane, un deposito unico. STRATIGRAFIA DI VICO EQUENSE Studiando il deposito di tufo campano di Vico Equense abbiamo trovato alcune sezioni naturali ed altre artificiali che ci hanno permesso di rilevare la giacitura e di determinare lo spessore del tufo medesimo. In pari tempo abbiamo così potuto confermare lo smembramento dei tufi vulcanici della Campania, già tentato da uno di noi *); argomento interessante, perchè prima non si avevano che scarse ed im- precise conoscenze sia intorno ai tufi vulcanici inferiori a quello pipernoide, che perciò veniva invece, in generale, a torto ritenuto sottostante a tutti gli altri, sia ') Ringraziamo vivamente coloro che ci hanno facilitato questo studio, sia permettendoci di visitare i loro orti o giardini, sia dandoci delle indicazioni, come il Prof. Savastano, il Sacerdote D. Manniello di Vico Equense e il capomastro Aniello Esposito, pure di Vico; dobbiamo però notare che in parecchi fondi non ci fu permesso di entrare: motivo per il quale non pos- siamo, come avremmo voluto, fornire maggiori dati di fatto sulla presenza del tufo pipernoide nel sottosuolo dell’altipiano di Vico. 2) Puggaard C., Notices sur les calcaires plutonisés de la péninsule de Sorrento. Bull. de la Soc géol. de France, 1859-60, pag. 93. ') Galdieri A., Le terrazze dell'alto Picentino. Boll. Soc. geol. it., XXIX, 1910; Galdieri A. in Kranz W., Vulkanismus und Tektonik im Becken von Neapel. Petermanns geog. Mitteilungen, 1912, pag. 260. L, SME intorno alle formazioni quaternarie sulle quali si appoggiano per solito i tufi vulca- nici della Campania. Il tufo pipernoide a Vico Equense riposa su tufi gialli incoerenti, ed è ricoperto da altri tufi, pure gialli e incoerenti. I tufi gialli inferiori alla loro volta riposano ora direttamente sul calcare, ora su banchi di conglomerato. Per cui, procedendo dall’alto al basso, a Vico Equense si ha la seguente serie stratigrafica: 1. Tufi gialli superiori, 2. Tufo pipernoide, 3. Tufì gialli inferiori, 4. Conglomerati, 5. Calcare. Questa successione si osserva frammentariamente in parecchi punti, per esempio : ad un centinaio di metri a Nord-Ovest del ponte di Sejano, dove si hanno calcare e conglomerati (fig. 3 della tav.); di fronte alla spalla destra dello stesso ponte, dove si vedono conglomerati puri, conglomerati alternati con tuti gialli inferiori e luli gialli inferiori schietti; sotto la villa Cilento, dove la serie ora descritta si com- pleta in alto con il tufo campano ed i tufi gialli superiori. Daremo prima qualche cenno sulle rocce che accompagnano il tufo campano, e poi cì intralterremo brevemente su quest'ultimo. Galcare. Il calcare costituisce la base dell’altipiano di Vico Equense; esso affiora lungo tutto il fondo del vallone di Sejano, e forma quasi da solo l’intera falesia con la quale termina, verso il mare, l’altipiano. Di calcare risultano anche i monti che limitano l’altipiano ad Oriente. Questo calcare presenta avanzi indeterminabili di ru- | diste, ed è con molta probabilità la continuazione di quello che, poco più a Nord, ha fornito la nota ittiofauna di Capo d’Orlando, probabilmente cenomaniana. Com'è noto, i calcari della Penisola sorrentina pendono in generale verso N.0., cioè verso il centro del bacino di Napoli. Però appunto nel blocco di Vico Equense si trovano notevoli eccezioni. Così nelle alture a N.E. dell’altipiano di Vico, a S. Maria, a Bonea e a S. Andrea, e lungo la falesia anzidetta gli strati pendono di 20°-35° verso S.0., e nel vallone di Sejano, a monle del ponte, pendono di altrettanto verso S.E. Ma si tralta di piccoli disturbi locali, e già a poca distanza tutt'intorno: a S. Salva- tore, a Paltierno, a Ticciano, alla Sellarola, a Pacognano, a Fornacella, a Petrignano gli strati ripigliano la solita pendenza, tra 15° e 40°, verso N.0. Conglomerati. Sono per lo più in grossi banchi, e risultano di ciottoli varia- mente arrotondati, mai a piastrella, costituiti dalle stesse varietà di calcare che af- fiorano più a monte e più o meno fortemente cementati. Inferiormente, e talora anche superiormente, al di sotto dei tufi, questi materiali alluvionali presentano a volte dei lembi di terra rossa analoga a quella che Galdieri ha trovato fra i conglomerati terrazziali ed i tufi piperuoidi nelle terrazze dell’alto Picentino, nelle valli della Sòr- dina, del Grancano (Salernitano), dell’alto Sabato ed altrove. La superficie di ero- sione sulla quale poggiano il conglomerato e, qua e là, la terra rossa presenta an- cora chiaramente i caratteri morfologici del letto di un corso d’acqua, e talvolta mostra dei bellissimi Strude//òcher : se ne vedono per es. a Sud di Vico, presso il ponte di Sejano. Superiormente i detti conglomerati, che vanno senza dubbio ascritti al Quaternario, si alternano coi banchi più profondi dei tufi gialli inferiori. Mei ate Tufì gialli inferiori. I tufi gialli inferiori sono costituiti da banchi di lapilli, pomici, pozzolana e ceneri più o meno alterate. I banchi hanno uno spessore vario, qualche volta perfino di alcuni metri. Una bella sezione naturale di questi tufi si osserva lungo la strada carrozzabile tra Vico e Sejano, prima di giungere al ponte di Sejano (tig. 4 della tav.). Un’altra se ne vede al disotto del castello del conte Giusso. Quest’ ultima si continua, attraverso il vallone omonimo, nel piccolo sperone che si trova tra questo vallone e quello di Aiello e su cui sorge la villa Aiello. In molti punti, come: solto il castello Giusso; lungo il valloncello che scende da Le Pietre; lungo la strada rotabile Casteliammare-Vico Equense; nella tufara delta Grotta del prete, ed in altri luoghi, i tufi gialli inferiori presentano in alto, quasi immediatamente al di sotto del tufo pipernoide, uno strato, spesso da 15 a 30 cm., di cenere vulcanica di natura chiaramente vetrosa, per solito pochissimo alterala, mista a qualche pomice. Questa speciale pozzolana era già stata notata da Galdieri nell’alta e nella bassa valle del Sabato, in quelle del Grancano e della Sòrdina (nel Salernitano) ed altrove, spesso associata a pomici chiare, leggerissime, straordinariamente bollose, talora a pa- reti dei vacuoli esilissime, e paragonabili meglio che le ordinarie pomici ad una spuma solidificata. Evidentemente sia la cenere che le pomici anzidelte derivarono da un magma fluidissimo e ricchissimo di gas, la cui esplosione precedette di poco quella del magma pipernino. Questo strato, di natura dunque sempre nettamente vetrosa, ora prevalentemente pumiceo, ora prevalentemente sabbioso, in grazie della sua co- stante posizione, quasi immediatamente al di sotto del tufo piperuoide (quando sono entrambi presenti), potrà servire alla suddivisione dei tufi nei luoghi ove quello pi- peruoide manca, Solto il castello Giusso, tra la pozzolana vetrosa, là un poco alterata superfi- cialmente, ed il soprastante tufo campano, abbiamo notato uno straterello di lapillo assai scuro, di spessore variabile. Anche questo straterello trova molto spesso il suo equivalente negli altri depositi di tufi vulcanici della Campania in un sottilissimo stralerello di sabbia nerastra, pesante, racchiuso fra le base del tufo pipernoide e lo strato di pomici leggerissime o di pozzolana vetrosa dianzi menzionato. Talvolta esso si riduce ad un po’ di sabbia scura sparsa tra le pomici chiare più alte, al contatto col tufo piperioide. Questi tuti gialli inferiori, per il fatto stesso che sottostanno al tufo pipernoide, il quale, come risulta dagli studii di Johnston-Lavis, Deecke e De Lorenzo, è da sincronizzarsi al piperno, devono ritenersi corrispondenti per età ed origine alle formazioni vulcaniche flegree sottostanti al piperno; e quitidi, per una parte, corrispondono anche, fra l’altro, al tufo verde d’Ischia ed alle più antiche lave di quell’ isola. Tufi gialli superiori. Anche i tufi gialli superiori risaltano di banchi di lapilli, pomici, sabbie e ceneri, per solito però meno alterate di quelle sottostanti al tufo campano. Superiormente essi passano a terreno vegetale. Parlando dell’estensione del tufo campano, abbiamo detto che ‘esso, lungo il margine Sud-Ovest dell’altipiano di Vico, affiora come una striscia quasi continua in direzione N.0.-S.E. dalla quota di 75 metri alla quota di 140 metri. Dobbiamo ora aggiungere che le poche e trascurabili interruzioni sono dovute al fatto che in corrispondenza di esse il tufo giallo supe- 3 vr. A riore ricopre in discordanza il tufo campano sottostante eroso ed i tufi gialli infe- riori. Abbiamo potuto osservare ciò in due sezioni naturali, che si trovano a S.0. di Vico: l’una nella proprietà Guidone e l’altra nella proprietà Tobiosi. Questi tufi gialli superiori, analogamente a quanto abbiamo detto a proposito di quelli inferiori, sono da ritenersi equivalenti alla breccia museo, ai tufi gialli ed ai tufi grigi dei Campi Flegrei: cioè, in generale a tutti i prodotti vulcanici che si sono avuti nella nostra regione dopo l’emissione del piperno. Come abbiamo già detto, il tufo giallo superiore, con la sua parte più elevata, costituisce il terreno vegetale. Questo ha proprietà fisiche e chimiche favorevolissime allo sviluppo delle piante; anzi è principalmente a questi tufi vulcanici che la Pe- nisola sorrentina, come del resto tutta la Campania, deve la sua straordinaria ferti- lità. Infatti alla costituzione dei tufi gialli superiori della superficie contribuiscono anche materiali di origine vesuviana, perchè, come si sa, le ultime eruzioni dei vulcani flegrei si sono alternate con quelle del Vesuvio; ed è nota la eccezionale fertilità dei tufi vesuviani, notevolmente superiore a quella dei tufì flegrei. Ne ri- sulta dunque un terreno agrario tra i più feraci. Tale terreno, di natura prevalen- temente sabbiosa, ma per altro leggermente argilloso, è per solito poverissimo di scheletro, risultando quasi interamente di terra fina, è ricco di potassa, è ben for- nito di fosforo, è mediocremente sciolto, poroso, permeabile, facilmente aerabile ; offre pochissima resistenza agli strumenti agricoli e migliora straordinariamente con le abbondanti concimazioni. Esso è perciò diligentemente sfruttato, e costituisce, non ostante la sua scarsa estensione, coltivato sopratutto ad agrumeto, una delle prin- cipali risorse di quell’amena contrada. Tufo campano. Il tufo campano di Vico Equense è della stessa nalura ed ha la stessa origine di quello degli altri depositi della Campania. Anche i suoi caratteri sono perciò simili a quelli dei tufi pipernoidi comuni. Infatti anch’esso presenta la nota configurazione in grossi prismoidi (fig. 1 della tav.), ed è coslituito da una massa fondamentale in cui si trovano incluse scorie, pomici, geodi fluorifere, lapilli e cristalli di minerali diversi. La massa fondamentale ha varia compattezza: per solito è molto compatta, tanto da somigliare talvolta al piperno, specialmente nella parte inferiore dei depositi, mentre nella parte superiore di questi è non di rado facilmente disgregabile. Il suo calore è generalmente grigio-bruno, ma talora, in seguito a diversi processi di alte- razione, è anche violaceo, rossastro, 0 gialliccio. Nella massa fondamentale si trovano, come ho detto, parecchie inclusioni: prima di tutto sono da notare le scorie di colore bruno-nero, di natura vetrosa, a volle con Peleés hairs, e di grandezza molto variabile; ve ne sono alcune di pochi mm. di diametro, mentre altre giungono a 20 e anche a 30 centimetri. Sotto il castello Giusso ne abbiamo veduta una che misurava appunto 30 centimetri di lunghezza e 15 di larghezza. Le più piccole si trovano nei tufi più compatti; le più grosse nei tufi meno coerenti. Le geodi fluorifere in qualche punto, come per es., nel tufo che si trova sotto la villa Cilento, sono abbondanti, in qualche altro luogo sono scarse, e talora sembra che manchino completamente. Non raramente si presentano come cavità tappezzate da una sostanza biancastra o bianco-gialliccia più o meno alterata ; la loro grandezza ATTI — Vol. XV — Serie 2a — N. 15. 2 =; oscilla da quella di una nocciuola a quella di un uovo di gallina. Secondo lo Scacchi queste geodi derivano da frammenti di rocce sedimentarie e più specialmente da frammenti di calcare, espulsi anch’ essi dagli spiragli eruttivi che avrebbero dato origine al tufo, e metamorfosali in seguito per l’azione dell’acido fluosilicico. Ma si ammette dai più che i detti ciottoli calcarei derivino dai monti circostanti e siano stali rotolati dall’acqua insieme con gli elementi del tufo. Ed anche noi siamo di questo parere, avendo fra l’altro osservato che essi hanno per solito la forma rotondeg- giante o almero gli spigoli arrotondati come i ciottoli, e che abbondano special- mente là dove anche ora se ne trovano sia nei tufi soprastanti sia nei pendii a monte di essi. I lapilli sono di varia grandezza, più o meno numerosi nei diversi luoghi e per solito sparsi irregolarmente nella massa fondamentale; però talora, per es. sotto il castello Giusso, formano anche, come abbiamo detto sopra, uno strato continuo, di spessore assai veriabile, tra il tufo campano e la cenere vulcanica di natura vetrosa soltoslante. Infine nella massa fondamentale si trovano pomici per lo più scure, cristalli di sanidino, di augite e talvolta laminette di biotite. Lo spessore del tufo di Vico Equense è molto vario; generalmente esso va au- mentando mano a mano che dal mare si sale verso i monti, Così sotto il castello del conte Giusso, che è prossimo al mare, il tufo ha la potenza di circa 4 metri; lo stesso spessore si riscontra a poca distanza, nel sottosuolo di Vico, nella pro- prietà Manniello sopra nominata. Più a monte invece, verso .il ponte di Aiello, esso supera già i sei metri. Nella tufara detta Grotta del prete, che si trova ancora più a monte, alla quota di 85 metri, la potenza del tufo è di metri 12, e nella tufara Parascandolo , situata alla quota di 130 metri, alle falde di M. Bellalba, è di 26 metri. A Pacognano infine, che si trova in luogo più elevato di Vico, alla base di monti anche più alti, il tufo ha uno spessore ancora maggiore. ORIGINE ED ETÀ DEL TUFO CAMPANO Riferendo ciò che i diversi autori hanno scritto sul tufo campano abbiamo già accennato alle diverse ipotesi fatte per spiegarne l’origine. Le stesse ipotesi valgono naturalmente anche per il tufo di Vico Equense; ricordiamole ed esaminiamole bre- vemente. Esse possono ridursi alle seguenti: 1.* Natura lavica ed origine sottomarina del tufo (Breislak). 2. Provenienza del tufo dai vulcani di Roccamonfina (Pilla e Abich). 3.° Provenienza dai vulcani flegrei in seguito ad eruzioni subaeree (1° ipotesi «di A. Scacchi). 4.° Eruzioni fangose numerose e indipendenti (2% ipotesi di Scacchi). 5.° Provenienza da un punto determinato dei Campi Flegrei situato alla base dei Camaldoli (Lavis, Deecke, De Lorenzo). 1. ipotesi: natura lavica ed origine sottomarina del tufo. Oggi veramente non ve più alcuno che sostenga la natura lavica del tufo campano. Noi addurremo an- cora tuttavia molte e valide ragioni contro tale ipotesi. Prima di lutto esso ha tutti ER 1) Apo i caralteri dei tufi; è poroso e leggiero, ma mai bolloso; ingloba pomici e lapilli senza mostrare intorno a questi struttura fluidale, e si trova disposto in banchi. Inoltre se fosse stato emesso allo stato di lava, esso avrebbe determinato alterazioni nei lufi sot- tostanti, dovrebbe presentare una superficie scoriacea superiore ed una inferiore e uno spessore maggiore verso le parli più declivi che alle falde dei monti. Questi caralteri e queste condizioni invece non si verificano mai. Infine, se si trattasse di lava, essendo i depositi di questa roccia numerosi e sparsi per tutta la Campania, si dovrebbero trovare qualche volta i crateri o i residui di crateri da cui la lava sa- rebbe dovuta uscire. Invece di crateri non si è mai trovata alcuna traccia. Per tutti questi motivi il tufo pipernoide è da ritenersi un vero tufo. Senza dubbio sorprende il fatto che esso è compatto, mentre non solo i tufi gialli sopra- stanti, ma anche quelli sottostanti sono incoerenti. Ciò però si spiega ammettendo che, fin dall’epoca in cui cadevano, i materiali vulcanici che poi formarono il tufo campano fossero suscettibili di potersi consolidare, a differenza degli altri. È noto infatti che da uno stesso vulcano possono essere emessi prodotti incoerenti capaci di cementarsi e consolidarsi e prodotti privi di questa proprietà. D'altra parte in parecchi luoghi si trova tufo campano pochissimo coerente e avvicinantesi molto, per questo caraltere, ai tufi gialli incoerenti che lo comprendono. Riguardo all’origine sottomarina del tufo pipernoide essa non è facilmente ac- cettabile, perchè bisognerebbe ammettere che, durante l’epoca in cui si depositava, il mare ricoprisse quei luoghi nei quali ora il tufo si trova. E siccome se ne in- contra fino a 600 metri (per es., a Calvanico, nel Salernitano), e poichè da noi il mare ha lasciato simili altezze in epoca lontanissima, così il tufo dovrebbe necessaria- mente supporsì assai più antico di quello che è realmente. Un altro fatto, che, se non basta da solo a fare escludere |’ origine sottomarina del tufo pipernoide, fa però dubitare di essa, è la assoluta mancanza nel tufo ed alla sua base di fossili marini. 2. ipotesi: provenienza del tufo dai vulcani di Roccamonfina. A questa ipotesi si può fra l’altro obbieltare che nel tufo mancano i cristalli di leucite caratteristici dei prodotti di Roccamonfina, e che questi ultimi sono più antichi di quelli che co- stituiscono il tufo campano. Ciò è dimostrato dal falto che esso, là dove è associato ai conglomerati di Roccamonfina, appare quasi sempre sovrapposto a questi ultimi. 3. ipotesi: provenienza del tufo pipernoide dai Campi Flegrei in generale. Fu ammessa dallo Scacchi nelle sue prime pubblicazioni, poichè nel tufo pipernoide trovò quasi costantemente granelli o cristalli interi di sanidino, che sono propri dei prodotti dei Campi Flegrei, mentre non vi rinvenne cristalli di leucite. Questa ipotesi, come vedremo tra poco, è quella che in fondo oggi è accettata dalla maggior parte dei geologi. 4° ipotesi: eruzioni fangose indipendenti. Questa ipotesi, sostenuta dallo Scacchi negli ultimi anni della sua vita, non è accettabile per le seguenti ragioni: a) per la somiglianza straordinaria del materiale in tutti i pretesi centri eruttivi, Db) per l’assenza assoluta di crateri e di apparati eruttivi di ogni genere. c) perchè il tufo pipernoide si trova non solo in tutta la pianura campana ma anche nelle valli che sboccano in essa ed in altre da essa indipendenti, la maggior parte delle quali non sono valli di frattura, ma di erosione. Ciò è dimo- strato dai residui di terrazze rilevati da Galdieri che esse presentano fino a note- vole altezza. ea, |, feto 5. (ipotesi: eruzioni subaeree da un punto determinato dei Campi Flegrei, cioè dalla base dei Camaldoli (Lavis, Deecke, De Lorenzo). Questa ultima ipotesi è da considerarsi come la più probabile, perché a favore di essa stanno i se- guenti fatti: a) l'analogia della composizione mineralogica e chimica del tufo campano con quella dei prodotti dei Campi Fiegrei: la prima messa in evidenza da Scacchi e da Deecke, la seconda dal Ricciardi. b) la giacitura, che dimostra che ìl tufo pipernoide è di origine prevalente- mente eolica; c) l’analogia di giacitura coi tufi soprastanti e sottostanti che sono certa- mente di origine eolica; d) lo spessore del tufo campano, maggiore alle falde dei monti che vicino al mare; la qual cosa è dovuta al fatto che i depositi prossimi ai monti sono stati resi più potenti dal tufo trasportato in basso dall’acqua, mentre quelli più vicini al mare, giaceuti in una regione più pianeggiante e più lontana dai monti, sono co- stituiti solamente dai materiali caduti in posto. Ci rimane a dire qualche cosa sull’età del tufo campano. Si è ritenuto finora che le manifestazioni erultive dei Campi Flegrei siano avvenute tra la fine del Plio- cene e il principio del Plistocene. Però, se saranno confermati i recenti studii di Galdieri, bisognerà invece ritenere che esse siano molto meno antiche. Infatti dalle osservazioni di Galdieri risulta che i tufi pipernoidi si sono depositati anche sulle terrazze più recenti, già precedentemente erose, le quali apparterrebbero all’età wur- miana. Perciò i lufi pipernoidi, che occupano un posto notevole fra i tufi che rico- prono quelle terrazze, dovrebbero considerarsi postwurmiani. Giunti così alla fine di questo modesto lavoro sentiamo il dovere di rivolgere vivi ringraziamenti al Prof. Bassani, che con la consueta gentilezza ha messo a nostra disposizione i mezzi necessari e si è efficacemente interessato alle nostre ricerche. Napoli, Istituto Geologico della R. Università. INDICE I. Introduzione e bibliografia (V. Paolini). : : ; x " - 5 ». pag. Il II. Estensione del tufo campano di Vico Equense (A. Galdieri) A : ° Mar dt III. Stratigrafia di Vico Equense (A. Galdieri) . . : È . : x AFRO IV. Origine ed età del tufo campano (V. Paolini) . : ° : ° a finita di stampare il dì 29 Settembre 1913 a 7 VWOU - ISTNVA ‘ouefas Ip ajuod jI po ODIA V1} LOLI9JuI I]peid IMI = “6 ourfas Ip Quod jap ‘ON! 1 001 22415 E nEes2U0]3 ) DIPD|ED) — ‘f / -paano sen» rev | La sù pra ‘asuonbq ODIA Ip oueId n] |YW - ‘o[|9fw .p QUO][EA ]9u ouredwued Ojn} |9p O}U2URIOL] KW = *I Re ri e) 1 ti sa ii Mit ttt” 77 ERA nre, T'a7 _auas ‘AV TOA ‘nodent IRIS ‘192 19IV SI My è a LI s“ A $ l A i » ) Ul e i Ò " di î x o' ie ' Dl Î dr. ì x la 4; - n"; ne » x at ; ia T| _ e” pil du a DE Pt Ù % % Vol. XV, Serie 2.* N.° 16. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE I MIEI INTEGRAFI PER EQUAZIONI DIFFERENZIALI MEMORIA del socio ordinario ERNESTO PASCAL presentata nell'adunanza del dì 5 luglio 1913 INTRODUZIONE I matematici puri hanno avuto sinora, a mio parere, il torto di non rivolgere sufficiente altenzione agli apparecchi per |’ esecuzione meccanica delle operazioni analitiche. Essi hanno forse creduto che tali problemi non entrassero nell’ ambito di quelli a cui deve rivolgersi la speculazione matematica, e che il loro studio dovesse la- sciarsi al pratici di professione. E così è avvenuto che, lasciate queste ricerche a coloro che o per le loro abitudini mentali o per la ristrettezza degli studii, o per la mancanza di quello spirito indagatore e generalizzatore che è proprio dei mate- matici puri, non sono i più adatti ad assurgere a dei principî generali, esse non hafino falto quei progressi che avrebbero potuto conseguire. L’antico integrafo di Abdank-Abakanowicz ideato più di quaranta anni fa, si è infatti diffuso per le scuole di matematica assai lentamente e assai meno di quanto si sarebbe dovuto aspettarsi; inoltre lasciato in mano ai pratici e agli ingegneri, questi non hanno saputo fare altro che modificarne al più i dettagli, e la perfezione del funzionamento, ma si son ben guardati dal modificarne i princi- pii, e dall’ampliarne la portata, in modo da dedurne, come ho avuto la fortuna di fare io negli ultimi tempi, tutta una numerosa famiglia di apparecchi di cui esso può ben riguardarsi come il capostipite e coi quali possano eseguirsi operazioni analitiche di carattere più elevato e più complesso. Eppure a me pare che questo campo, che può chiamarsi della rappresentazione cinematica dei problemi analitici, sia un campo ben degno d’essere coltivato e mie- tuto e che possa in molti casi irraggiare sui problemi dell’analisi una luce nuova, nello stesso modo col quale le rappresentazioni e le concezioni geometriche portano nuova luce su certe ricerche analitiche, al punto che oramai molte di queste non possono più intendersi senza di quelle. ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 16. 1 SI ADI Ogni operazione analitica ha sempre certamente per corrispondente una rap- presentazione cinematica; qual'è questa rappresentazione? Ecco un problema che volta per volta gli analisti non dovrebbero più trascurare, e che potrebbe aprire orizzonti nuovi, facendo forse anche intravedere classificazioni di nuova specie. Per le operazioni dell’analisi finita i congegni cinematici sono semplici in quanto al loro principio direttivo; ma per le operazioni dell’analisi infinitesimale (quadra- ture, equazioni differenziali) quei principii non bastano più, perchè mentre quelli sono fondati sulla discontinuità, qui invece bisogna introdurre un congegno che dia la continuità; e a ciò provvede la rotella girante che figura in tutti gli inte- grafi. Ma questa rotella girante, come base di un congegno cinematico, non basta a sua volta più per quelle altre operazioni analitiche più elevate che sono rappre- sentate dalle risoluzioni delle equazioni integrali, giacché con esso non può attuarsi cinemalicamente quella specie di doppia continuità (la cosiddetta eredità) che il pro- blema richiede; onde ne viene il problema: Quale dovrà essere la base del con- gegno cinematico che corrisponde al legame rappresentato dalle equazioni integrali ? Ho delto tulto ciò onde mostrare che lo studio dei problemi di cui parlo può anche assurgere ad avere una portata assai maggiore che non quella di costruire dei congegni aventi uno scopo puramente pratico, e che forse ben maggiore im- portanza, anche teorica, è ad essi destinata in avvenire. In questa Memoria mi propongo di esporre la teoria di tutti i miei integrafi, tracciandone una trattazione ordinata e sistematica, completata poi a sua volta da nuove considerazioni e dalla descrizione di altri apparecchi, fra cui di uno per l’e- quazione lineare a coefficienti generali, e di un altro per l’integrazione dell’equa- zione di Riccati, che io feci già costruire in modello da alcuni anni, ma che non ancora ho pubblicato. Gli apparecchi descritti in questo lavoro sono stati, in massima parte, già da tempo costruiti, sulle mie indicazioni, dal valente meccanico del R. Osservatorio astronomico di Capodimonte Sig. Pasquale Moreno, e funzionano egregiamente. Essi sono tutti conservati nel mio Gabinetto di Analisi Superiore della R. Univer- sità di Napoli, e di qualcuno di essi sono state fatte anche varie riproduzioni per conto delle Università e delle Scuole di Torino (Gabinetto di Geometria pratica del R. Po- litecnico), Genova (R. Scuola Navale Superiore), Padova (Gabinetto di Geometria Su- periore della R. Università), Roma (Gabinetto di Fisica Matematica della R. Univer- sità), Palermo (Gabinetto di Geodesia della R. Scuola d’ Applicazione per gli Inge- gneri, e di Calcolo infinitesimale della R. Università), e dei Gabinetti di Meccanica razionale e di Calcolo infinitesimale dell’Università di Napoli. / Essi hanno trovato già posto in monografie e libri stranieri; se ne occupò Fr. A. Willers nella Nota: Zum Integrator von E. Pascal (Zeitschrift fir Math. und Physik, Bd. 59, 1911) e se ne discorre ampiamente in apposito capitolo nel recente volume del Prof. A. Galle: Mathematische Instrumente, Leipzig, Teubner, 1913. E ricorderò infine che uno di questi miei apparecchi fu anche esposto fra gli oggetti del Gruppo II (Classi 9, 10, 11) dell’ Esposizione internazionale di Torino del 1911, e vi conseguì # diploma di onore. PARTE I. INTEGRAFI CARTESIANI $ 1.— Preliminari e classificazione. Una prima distinzione che ci si presenta è quella che risulta dal diverso sistema di coordinate cui vogliamo riferire la curva integrale dell'equazione differenziale, e cioè dal diverso modo col quale vogliamo interpretare le variabili che compaiono nell’ equazione medesima. Se queste si interpretano come coordinate cartesiane ret- tangolari di un punto del piano, gli apparecchi corrispondenti possono chiamarsi integrafi cartesiani; se invece esse sono interpretate come coordinate polari, i cor- rispondenti apparecchi sono gli integrafi polari. Tratteremo prima degli uni e poi degli altri. La figura schematica di quasi tutti gli integrafi cartesiani di cui vogliamo trat- tare è sostanzialmente costituita da un robusto rettangolo ABCD di ottone e acciaio poggiato su due pesanti ruote eguali, e sostenuto poi da un terzo punto di appoggio rappresentato da una piccola rotella di acciaio a margini acuminati (/a rotella gi- rante) che, congiunta al rettangolo mediante un carrello mobile, può mutare a pia- cimento la orientazione del suo piano. Mediante le due ruote il rettangolo ABCD può muoversi sul foglio orizzontale da disegno da sinistra verso destra e viceversa, parallelamente a sè stesso. Due dei lati AC, BD de! rettangoio (quelli che durante il movimento scorrono su sè stessi) rappresentano la direzione dell’asse cartesiano delle @, gli altri AB, CD, la dire- zione dell’asse delle 7. AI lato CD (quello verso destra) del rettangolo sia adattata una rotaia rettilinea sulla quale scorra un carrello (è carrello differenziale) che porti una punta verso il foglio di disegno, e un manubrio col quale se ne possa dirigere il movimento. All’ altro lato AB (quello a sinistra) è adattata un’altra rotaia, la quale però potrà anche non essere rettilinea e non seguire il lato AB, ma essere piegata a curva secondo una determinata forma, e su essa scorra un altro carrello (7 carrello integrale) che poggia sul foglio orizzontale mediante la rotellu girante. I perni dei due carrelli sono poi riuniti fra loro con un congegno variabile nei modi più diversi in dipendenza della forma dell’ equazione differenziale che vuole integrarsi o dell’ operazione analitica che vuole eseguirsi, congegno che serve a fare in modo che la direzione del piano della rotella girante sia costantemente secondo quella della tangente alla curva integrale che deve tracciarsi. sE4gr® Questa figura schematica subisce solo una moditicazione per quel tipo di inte- grafo che chiamerò a vettore costante, in cui resta abolito il carrello differenziale; ma di ciò diremo in seguito. Ciò posto, un’altra distinzione che ci si presenta è naturalmente la seguente: la rotaia a sinistra sulla quale scorre il carrello integrale può essere rettilinea e nella direzione del lato AB, ovvero no. Nel primo caso avremo gli integrafi che diremo a quida rettilinea, e nel secondo quelli che diremo a guida curvilinea. Secondo poi la diversa natura del congegno che lega il movimento del car- rello differenziale a quello del carrello integrale, abbiamo le più diverse specie di integrafi. Gli integrafi cartesiani restano così distinti nelle seguenti classi e sottoclassi : A — Integrafi a guida rettilinea. a) integrafi a riga curvilinea (fra questi è da notarsi quello relativo ad una forma canonica dell’ equazione di Riccati); b) integrafi a riga rettilinea (fra questi v'è quello relativo ad una forma ca- nonica dell’equazione linenre); c) integrafi a perno fisso (caso particolare di questi è l’ integrafo per qua- drature di Abdank-Abakanowicz); d) integrafo a due perni fissi (con questo si può integrare un’altra forma canonica dell'equazione di Riccati); e) integrafi a perno mobile (fra questi sono specialmente interessanti quello relativo all’equazione dell'odografo relativo al movimento dei proiettili in un mezzo comunque resistente, e quello col quale può ottenersi la risoluzione di un’equazione integrale del tipo di Volterra); f) integrafo a vettore costante (è una trasformazione del cosiddetto planz- metro a scure). B— Integrafi a guida curvilinea (con questi possono integrarsi, fra altre, le equazioni differenziali del tipo ay =Q(2+e(%)), e quelle più generali del tipo y=Q(c+e(y))F(), fra le quali si presenta di nuovo quella dell’odografo relativo al movimento dei proiettili. Dei particolari di tutti questi integrafi e delle principali loro applicazioni a nu- merosi problemi di analisi, tratteremo con molti particolari nei seguenti paragrafi. $ 2.— Integrafi a riga curvilinea. Equazioni differenziali del tipo vedo: I perni dei due carrelli, il differenziale e l’ integrale, sieno congiunti da una riga piegata a curva, e in maniera che la deviazione di questa riga porti con sè quella del piano della rotella girante. Ciò può ottenersi in due modi: a) o si fa che la riga sia girevole per un suo punto fisso intorno al perno del carrello differenziale, è) o che invece essa sia ri- gidamente connessa, per un suo punto fisso, al perno della rotella girante unita al *) E. Pascal, Sopra alcune classi di integrafi per equazioni differenziali (Rend. R. Acc. delle Sc, fis. 8 mat. di Napoli, (3) v. 17, 1911); Sul mio integrafo a riga curvilinea (ibid., (8) v. 18, 1912). 20 a carrello integrale. In ambo i casi bisognerà fare che il perno dell’altro carrello sia scorrevole in una scanalatura praticata nella riga medesima, ma nel primo caso bisogna anche fare che col mutare la direzione della tangente alla riga nel punto che rappresenta il perno del carrello integrale, muti in corrispondenza anche la direzione del piano della rotella; il che può ottenersi con congegni di facile co- struzione. Nell’altro caso ciò resta evitato, ma pur avendosi un altro vantaggio, può poi presentarsi viceversa un altro inconveniente, come diremo più sotto. Passiamo ora ai calcoli relativi al dispositivo a). C'è da distinguere, prima di tutto, due unità di misura; Vuna è l’unità di misura assoluta e cioè quella colla quale intendiamo misurate tutte le lunghezze sul foglio da disegno; e l’altra è l’unità di misura dello strumento, ed è rappresentata dalla proiezione sull’asse delle 2, della distanza fra i perni dei due carrelli H e G dello strumento. Sia EF la riga curvilinea colla quale sono congiunti i perni dei due carrelli (v. fig. 1). Il piano della rotella girante sia tangente in H alla curva EF; esso verrà a for- mare coll’asse delle 2 un angolo che è la differenza di due, di cui uno « è l’angolo che la retta congiungente i perni H, G dei due carrelli fa coll’asse delle 2, ed esso ha per tangente trigonometrica ni (dove Q(@) è l’ordinata della curva differen- ziale, y la ordinata della curva integrale ed a è l’unità di misura dello strumento), e l’altro angolo B è quello che la tangente alia curva EF fa colla corda HG. Si ha così tga — tg B y=tg(a—8)=;0 = [Q(@) —v]— atgB — 1+igatg8 a+[Q(e)—y]tg6 bad ee AT SAGRE Essendo fra loro parallele le due righe su cui scorrono i carrelli, l'angolo $ dipenderà solo dalla differenza delle posizioni di altezza sull’asse delle 2, dei due | carrelli, e cioè sarà funzione di [Q(@) — g]: (1) tgB=F(Q(a)—y), onde sarà i | () = [Q(a)—y] -aF(Q(e)—y) l — a+[Q(0)—y]F(Q(2)—y) che possiamo scrivere (3) y=®(Q(2)—y) e questo è il tipo dell'equazione differenziale che si integra coll’ indicato dispositivo ; la Q è una funzione arbitraria rappresentata da una curva qualunque tracciata sul foglio di disegno e che si farà percorrere dalla punta differenziale, e ® è una fun- zione che dipende dalla natura della curva EF; ma per qualunque data ® si può trovare la EF corrispondente, e quindi per qualunque equazione differenziale del tipo (3) sî può costruire il corrispondente inlegrafo. Riferendo la curva EF a coordinate polari p , 6, e scegliendo come polo il punto G, l’angolo 8 della corda GH colla tangente in H è l’angolo della tangente col rag- gio vettore p= GH, ed è quindi dato da (4) ent. Poniamo (5) Qa)—y=t e osserviamo che si ha (6) a'+t=pà; si ha quindi, mediante (1), (7) co nFU=F(Vea) Data perciò la funzione ®(t), se ne deduca F(t) colla formola (8) F(t})= — e indi colla quadratura (9) n= fre i p si dedurrà l'equazione polare della curva della cui forma devesi foggiare la riga che collega i due carrelli dell’integrafo. Per F=0, si ha 6==cost. e la curva EF è la retta GH; la (2) diventa (10) ay =Q(x)—y , e si ha l'integrafo a riga rettilinea che serve per le equazioni differenziali lineari di 4. ordine. SER de DIO Per F(©f = —m==cost. si ha 6= — mlogp,g=e ”; la curva EF è un arco di spirale logaritmica, e la (2) diventa (11) ne am+ Q(e)—y —a—m[Q(e)—y]” e si viene ad integrare la stessa equazione che, come vedremo più avanti, può in- tegrarsi anche coll’integrafo a riga rettilinea. Per F(t)= si ha per equazione della curva EF : <* Te a (12) o=f ——_ao=Ve—-a’'—a.arccos— , p p mentre che la equazione che viene ad integrarsi diventa : 4 ;_(1-@{[Q(e)—y] 5: "a +[Qe;=yP in cui Q(2) è una funzione arbitraria, ed a è una costante. Nell’integrafo ora descritto bisogna fare che la deviazione della riga in H porti con sè la deviazione del piano della rotella, piano che deve conservarsi sempre tangente in H alla riga EF. Ad ottenere ciò si può adoperare ii seguente congegno: Tracciata su di un foglio la curva C secondo cui deve essere foggiata la riga EF, si disegnino per punti i luoghi di due punti situati sulla tangente a C, da parti opposte del punto di contatto ed equidistanti da questo della quantità costante s. Si costruisca indi una lamina di acciaio contenente tali due curve scanalate, e per queste scanalature si facciano scorrere i perni situati agli estremi di una spranghetta orizzontale di lunghezza 2s e che sia rigidamente legata al perno H del carrello integrale e disposta nella medesima direzione del piano della rotella. È chiaro che scorrendo la lamina lungo i due detti perni, il perno H percorrerà la curva C, e la rotella sarà sempre nella direzione della tangente a C. Invece di fare che il piano della rotella sia sempre nella direzione della tangente alla riga EF, si potrebbe facilmente fare che esso faccia con tale direzione un angolo costante; in tal caso la equazione che viene ad integrarsi non è più la (2), ma un’altra che potrebbe agevolmente trovarsi; ma su ciò non vogliamo fermarci. Passiamo ora al dispositivo db). Invece di fare che la riga sia fissata in G e scorrevole in H, facciamo che essa sia rigidamente congiunta al perno H della rotella girante unita al carrello integrale, e scorrevole con una scanalatura intorno al perno G del carrello differenziale (v. fig. 2). La costruzione dell’apparecchio risulta così più semplice, ed è resa anche più facile la ricerca della forma della riga per una data equazione differenziale, giacchè mentre col dispositivo a) la equazione della curva secondo cui deve essere foggiata la riga è data da una quadratura (v. la formola (9)), qui invece tale equazione è data sotto forma finita e inoltre può anche con molta facilità disegnarsi per punti. 31 Ed infatti assumendo come polo il punto H, e come asse polare la direzione HS del piano della rotella girante (direzione che è rigidamente connessa colla riga scanalata EGF), l'angolo 8 diventa l’angolo 8 del raggio vettore HG coll’asse polare, Fig. 2. e avendo presenti le formole (4) (5) (6), si ha tg0=F(Q(0)—y)=F(0) =F(Vp°—a?) , (14) e questa relazione fra p e 6 rappresenterà l'equazione polare della curva richiesta C, data che sia la funzione F legata alla data funzione ® di (3) dalla formola (8). Per costruire per punti la C, data che sia la F, non c’è però neanche bisogno di servirsi della (14), ma si può procedere in un modo assai più semplice. Ed invero si costruisca (v. fig. 3) il cerchio di raggio a (unità di misura dello Fig. 3. strumento, cioè proiezione su 2 della distanza dei perni H,G dei due carrelli), e sì assuma HS come direzione del piano della rotella. 051) PIE Assunto un angolo qualunque w = RHP, si conduca in P la tangente al cer- chio. Quando sullo strumento è HP parallela all'asse delle x, la rotella è nella di- rezione HS, e quindi la tangente y' dell’angolo della tangente alla curva integrale a SP con « è go==—; onde, posta la (5), ed essendo y=®(Q(a)—y)=®(t) l'equazione differenziale data, sarà: (15) SP=a®(1). Perciò se sulla retta PS, a cominciare da P, stacchiamo un segmento PG eguale ad uno dei valori di ? ricavati dall’equazione (15), otteniamo un punto G che ap- parterrà alla curva richiesta, la quale così resterà descritta facilmente per punti. La costruzione riuscirà più spedita se in precedenza si è già disegnata la curva (16) VWe@.d), in modo da potere, volta per volta, per ogni valore di Y trovare la corrispondente lunghezza {. Possiamo anche facilmente trovare, in base a questa costruzione, l’ equazione in coordinate cartesiane della curva luogo di G. Assumendo come assi HS e la sua perpendicolare HT, si trovano, per le coordinate £,m di G, le formole: E= cosw + fsenw (17) 2 n={tcosw— senw essendo poi (per (15)) (18) igo=®(t) . Il dispositivo b) avrebbe così dei reali vantaggi sul dispositivo a), se non avesse però anche un inconveniente di una certa importanza, che è il seguente: facendo scorrere il carrello differenziale sulla sua guida, tutto il piano rigido HEF (vedi fig. 2) terminato con righe di metallo, deve rotare intorno H di un angolo positivo o negativo secondo la forma della riga FE. Ora può avvenire che la forma della riga sia tale che non basti la spinta fatta colla mano sull’apposito manubrio legato al carrello differenziale, per far av- venire questa rotazione del piano HEF intorno H, ma che occorra aiutare questa rotazione; è necessario allora; per certe forme di righe (e di ciò daremo esempii più avanti) aggiungere un manubrio in un punto del piano HEF, in maniera da potere fare, colla combinazione delle due spinte, che in ogni istante la riga e i car- relli stieno nelle dovute posizioni. «Applicando il metodo esposto possiamo trovare le forme delle righe per alcune speciali equazioni differenziali. Per la equazione lineare (10) la riga, come abbiamo visto, è rettilinea; invece ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 16. 2 Pas, pr per la (19) ay -y=Q(2), che può scriversi: ay=vy—(—Q(2)), la forma è quella rappresentata dalla fig. 4. Per ogni punto P di angolo w sul cer- chio, si conduca la tangente al cerchio, indi si stacchi PG = PS dalla parte opposta Fig. 4.8 di S rispetto a P: si ha così la curva disegnata. La curva che bisogna percorrere colla punta del carrello differenziale è però la curva di ordinate — Q(2). Similmente nelle fig. 5, 6, 7, sono disegnate le curve relative alle equazioni: 1 (20) o = == i : y—-Q(x) (21) ay =log(Q(2) — y) (22) ay'= e Fig. 6.2 Fig. € È da notare che le equazioni (19) e (20) sono della specie di quelle cui ab- biamo di sopra accennato, per le quali cioé la forma della riga è tale che la rota- zione del piano HEF (fig. 2) intorno H non può compiersi automaticamente, ed è perciò necessario aiutarla mediante un manubrio collocato opportunamente in un punto del piano HEF, onde renderla compatibile collo scorrimento del carrello diffe- renziale sulla sua guida. LIT $ 3.— Caso della riga rettilinea ma eccentrica. Equazione differenziale corrispondente. Abbiamo visto che per la equazione differenziale lineare (10) la riga è rettilinea e passante per il perno H del carrello integrale. Supponiamo ora che la riga sia anche rettilinea, ma non passante per H, cioè eccentrica, e vediamo qual’è l’equazione differenziale che viene allora ad integrarsi Sia p la distanza della riga da H, e « la sua inclinazione sulla direzione n piano della rotella girante. Indicando con p,6 le coordinate polari di un punto G della retta (l’asse polare essendo HS; si tenga presente la fig. 2), si ha: (23) psen(a+ 0)=p, e ponendo, come al solito: PS= avremo una curva CS tangente all’ asse delle 2; se fis- È i! = ’ 7 i Sgr siamo ira otteniamo una curva CR che non taglia l’asse (perchè le radici sono immaginarie), e se infine prendiamo e otteniamo fa curva CP che taglia l’asse in due punti U e V equidistanti da S, e 0,U,0,V (essendo O, il piede dell’asse 7,) rappresentano le due radici richieste. $ 9. — Integrazione dell’ equazione pra TE 402): Se poniamo ad a=arc tgm l'angolo che nell’apparecchio il piano della rotella fa colla riga, si viene ad integrare, come abbiamo visto nel $ 5, l’equazione (37) che è quella scritta nel titolo di questo $. Vogliamo mostrare come, con tale dispositivo, possa costruirsi con tracciamento continuo la parabola. Infatti, per Q(2)=0, cioè ponendo la punta differenziale sull’ asse delle 2, e ponendo a= 90°, cioè m=00, la precedente equazione diventa: che ha per integrale: Cosicchè, se noi poniamo a 90° il piano della rotella (quest angolo si legge su di un apposito quadrante), e, reso immobile il carrello differenziale sulla sua guida, 19932 facciamo scorrere tutto lo strumento sulle sue ruote (meglio riesce l’operazione se tale scorrimento si fa avvenire da destra verso sinistra), la punta integrale dise- gnerà un arco di parabola coll’asse parallelo a quello delle 2, e tendente verso il vertice della parabola medesima, punto cui però non potrà mai giungere perchè il piano della rotella, procedendo lo strumento da destra verso sinistra, tende a .porsi perpendicolarmente all’asse delle .72, e quindi da un certo momento in poi si rende praticamente impossibile l’ ulteriore movimento dello strumento medesimo. La indicata costruzione della parabola ci sarà utile nel $ seguente. Prima di terminare questo $ vogliamo osservare ancora che per m=c0 la «equazione differenziale diventa: 1 Yy Questa equazione colla trasformazione y=-1+00) si riduce a: (59) z'=Q'(2)-23— 33 È e possiamo perciò dedurre che coll’inlegrafo a riga rettilinea, posto a 90° il piano della rotella, può integrarsi anche la equazione differenziale (59). $ 10. — La curva delle probabilità. Ponendo a 14 cm. l’unità di misura a dello strumento e prendendo a anche come unità di misura assoluta, tracciamo la esponenziale AA'A” (fig. 20) di equazione (60) y= e passante per A tale che OA sia eguale a 14 cm. Poniamo indi a 7 cm. l’unità di misura dello strumento e a 90° il piano della rotella, e facciamo scorrere la punta differenziale sullo stesso asse # della costru- zione precedente. Si avrà, secondo quanto si è detto nel $ 9, la bo BBB" di equazione e 1 (essendo in questo caso a=-): (61) vi=a. Riportando allora, come indica la figura, sulla parte a sinistra del foglio, le ordinate di ambo le curve, in modo che quelle di (61) diventino le ascisse di SION quelle di (60), si viene a disegnare facilmente per punti la curva PP' di equazione: (62) yet che è la cosidetta curva delle probabilità. Essa ha un flesso nel punto P' di ascissa Di cioè nel punto che corrisponde 2 a quella dell’ esponenziale che ha per ascissa Lo Di Fig. 20.2 La costruzione di questa curva può farsi anche mediante l’integrafo di Abdank- Abakanowicz, tracciando similmente le due curve A e B; ma coll’integrafo a riga rettilinea la costruzione di tali due curve ausiliarie è più semplice perchè ambedue si oltengono senza far muovere sulla sua guida il carrello differenziale, ma col solo scorrimento sul foglio di tutto |’ apparecchio, dopo aver posto una volta a 0° e un’altra volta a 90° il piano della rotella girante. $ 11.— Integrafi a perno fisso. In ogni integrafo la posizione del carrello determina la direzione del piano della rotelia girante. Questa determinazione può variare nei modi più diversi, e ad ogni modo cor- risponde una diversa specie di equazione differenziale. Immaginiamo un piano orizzontale che passi per l’estremo del perno G del carrello differenziale, e che si muova insieme a questo; mediante il movimento di questo piano ideale e il legame di questo col carrello integrale possiamo caratte- rizzare la dipendenza fra la posizione del carrello differenziale e la direzione del piano della rotella. Supponiamo che il movimento di questo piano orizzontale sia la rotazione in- torno ad un suo punto fisso 0; questo punto lo chiameremo allora perno fisso, € i corrispondenti apparecchi li chiameremo integrafi a perno fisso. E 9002 L’integrafo di Abdank-Abakanowicz è di questa specie. Infatti in esso c’è un perno fisso O e il piano della rotella è mantenuto, mediante un parallelogrammo articolato, costantemente parallelo alla direzione della retta OG. Se si fa in modo che il piano della rotella sia mantenuto invece costantemente ad un angolo a=arcigm colla direzione di OG (cosa che può farsi agevolmente rendendo mobile sul suo asse il perno del carrello integrale e adattandovi un opportuno cerchio graduato) si ha una variante dell’ integrafo di Abdank-Abakanowicz degna della maggiore at- tenzione, e che non dovrebbe oramai essere più trascurata dai costruttori di questi apparecchi *). Indicando con a l’unità di misura dello strumento, cioè la distanza di O dalla riga a destra su cui scorre il carrello differenziale, la curva tracciata dallo strumento è, con questo dispositivo, quella di equazione i amt+ Q(x) 63 d :0SÌ , (63) p= fila) x + cos se y= Q(2) è, al solito, l'equazione di quella descritta dalla punta differenziale. Per a= 90°, questa formola diventa: (64) y=—40@ pi e quindi per Q(7)=< (cioè facendo descrivere alla punta differenziale la retta bi- seltrice dell’angolo degli assi) si ha la curva: y=_—aloga, e si viene a descrivere così in allro modo la logaritmica (v. $ 6). Posto a=l e integrando daccapo la curva ora ottenuta, sempre collo stru- mento a 90°, si ha l’integrale: (65) Jh di log che, come si sa, ha molta importanza in Analisi; esso ha relazione colla funzione integrallogaritmo di Soldner, e si può, come fece Gauss, rappresentare, con molta approssimazione, con esso, esteso da 2 ad , il numero dei numeri primi com- presi fra 2 e 2. 2É l x Posto l'angolo « a 0°, si integri la retta Q(2)=2; si avrà la parabola yYZT: Si ponga ora l’angolo « a 90° e.si integri la parabola così ottenuta; si avrà la iperbole equilatera di equazione @y= a’, avente per assintoti gli assi. L'apparecchio, così adoperato, diventa dunque anche un compasso iperbolico. *) E. Pascal, Sopra una semplice ma notevole variante nella costruzione dell’ integrafo di Abdank- Abakanowicz (Rend. della R. Accad. di scienze fis. e mat. di Napoli, (3) v. 17, 1911). ale Nell’integrafo di Abdank-Abakanowicz il piano della rotella passa costan- temente per il punto all’infinito della retta 0G; colla modificazione sopra descritta tal piano fa invece un angolo costante « con una retta che passa per tal punto all’ infinito. Immaginiamo ora un dispositivo alquanto diverso; facciamo che il piano della rotella passi, invece che per il punto all’infinito di 0G, per un punto fisso della retta medesima, 0, più generalmente, per un punto fisso P del piano orizzontale rotante intorno 0, connesso rigidamente alla retta 0G. Più generalmente ancora può farsi, col solito mezzo della mobilità del perno del carrello integrale attorno al suo asse, che il piano della rotella faccia sempre un angolo fisso colla retta passante per P. Abbiamo così il dispositivo rappresentato dalla fig. 21. Il perno fisso è in 0; in G è al solito il carrello differenziale e in H quello integrale. L'angolo POG è costante per modo che scorrendo G sulla riga CD, il punto P descrive un cerchio intorno 0; l’angolo SHP è anche costante e HS è la direzione del piano della rotella. Le aste HP e OG sono naturalmente scanalate in modo da permettere che i perni G e P scorrano nelle scanalature. Poniamo : OE=a , KO=d _, OP=c POG=%w , GOE=% , SHP=a , PHM=%y tga=m , igo=". Sia KE l’asse delle 2; supposta allora al solito Q(2) l’ ordinata GE della curva descritta da G, e y quella HK della curva che in conseguenza verrà a descrivere H, abbiamo : y=tg(f+a) (66) _mttgy I =mtgd PF=csen(g + w) OF=ccos(g + w) __ QU) tg 9 n % onde: __PF—NF_ ce(sengcosw + cosg sen w) — y — KO+0F 5+c(cosg cosw — seng senw) ig$ __e[Q() + na) —yV(1+ n° )(a' + Q*(0)) cla —nQ(x)]+0V(1+ n*)(a2 +Q°(@)) e sostiluendo questa espressione in (66) e riducendo, si ha infine la relazione: (67) tata (mb — y)V1+nVa: +Q°(@)+c(1— mn)Q(e) + ac(m+ n) — 0+myVI+niVa" +@(w)— c(m + n)Q(2) + ac(1 — ma) che è l'equazione differenziale integrata dall’integrafo che abbiamo descritto. La Q(@) è una funzione qualunque, e le costanti a, d, c, m, n, sono anche arbitrarie. Per a=0, o=0, b=0, a=1si ha la equazione differenziale lineare: _Vil+2 Y è e per c=%, cioé trasportando P all’, si ha di qui naturalmente la disposizione: dell’ integrafo di Abdank-Abakanowicz. $ 12. — Integrafo a due perni fissi. Integrazione di un’altra forma canonica dell'equazione di Riccati. I due perni fissi in questo nuovo dispositivo sieno i punti E ed O allineati. sulla riga a sinistra dello strumento, perpendicolare all’asse delle # (v. fig. 22). In G e H sieno, al solito, le posizioni dei due carrelli, differenziale e integrale, e l’asse delle z sia la retta Oz nella parte dello strumento più vicina all’ operatore. L’asta ES si conservi costantemente, mediante uno dei soliti parallelogrammi articolati, parallela alla HG, e HS sia la direzione della rotella girante. La HS è costantemente la diagonale di un trapezio che ha in E un vertice fisso, ma che varia al variare delle posizioni H,G dei due carrelli Un congegno cinematico di questa specie si può costruire con molta facilità, e già da tre anni ne feci costruire: un modello, che, insieme agli altri integrafi da me fatti costruire, è conservato nel mio Gabinetto di Analisi Superiore della R. Università di Napoli. Un piccolo carrello in S scorra sull’asta OG e il perno verticale di questo car- rello sia adaltato alle scanalature delle aste ES ed HS; inoltre con un parallelo-- aa grammo articolato di cui un lato abbia E per punto medio e sia fissato in E perpendicolarmente ad ES, e il lato parallelo porti perpendicolarmente nel suo punto medio un manicotto dentro cui scorra Vasta HG, si conserva costantemente il pa- rallelismo fra le due aste ES ed HG. Esaminiamo ora a quale relazione analitica corrisponde il congegno cinematico indicato. Poniamo: Ue=a060 007,67 = Si può far vedere che la retta HS è tangente costantemente ad un’iperbole variabile di cui uno degli assintoti è fisso, ed è OA, e altro assintoto è OG; que- sta iperbole ha per equazione: a*b (69) xc(ay— Qx)= 1 riferita agli assi Oz (asse delle 2) e OA (asse delle 7). Infatti se P_è un punto di tale iperbole ed è quindi PN=y,PT=%, e se indichiamo con &,a le coordinate di P riferite agli assi OG, 0A, cosicchè sia Ubhi= OM=, si ha: xc=É£così ; y=PR+RN=n+ sen? a II consgy= = , Viat+ Q* Va? +0? ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 16. 5 send = Si onde infine, sostituendo in (69), si ha: b 22 L NE (70) en= +0 lp, cosicchè l’iperbole (69) ha per assintoti OA , OG. Intanto dal parallelismo di ES e HG si ha: 0H-0S=0E-0G=dbVa* +Q*=48°, onde, sapendo che la tangente all’iperbole (70) taglia sugli assintoti due segmenti il cui prodotto è proprio 4°, risulta che effettivamente HS è tangente all’iperbole. Supposta allora la rotella dell’integrafo nella direzione di HS, esaminiamo l’equa- zione differenziale della curva descritta da questa rotella. Da (69) abbiamo, derivando: PIRRO Y VETRO 2Q n Tia: dg0I8o a così _VTALESIO wp af Intanto essendo, come si sa, P punto medio di HS, sarà M punto medio di HB, onde, indicando con y, la ordinata OH del punto della curva descritta da H, sarà oM=n=1y,; perciò da (70) sarà anche: Vai contea Va +Q? vò al“ Gp Intanto la derivata y, di y, è la stessa y' ora calcolata, perchè la tangente alla curva descritta dalla rotella è precisamente HS, onde abbiamo: e se soslituiamo y ad y, e poniamo in vista la dipendenza da < della ordinata Q del punto G (perno del carrello differenziale), abbiamo infine la equazione differenziale : (71) ay + Tsao forma canonica, come si sa, della equazione di Riccati. Le costanti a,b sono po- sitive e possono assumere qualunque valore; potrebbero assumersi anche eguali ad 1. Abbiamo così un molto semplice integrafo per l'equazione differenziale di Riccati. Se si fa, col solito congegno, che il piano della rotella faccia colla direzione HS un angolo a=arctgm misurabile su apposito quadrante graduato, l'equazione differenziale che verrà a integrarsi è la seguente molto più complessa : (72) s abm + bQ(a)— y° ix = > ab— mbQ(x) + my? $ 13.— Integrafi a perno mobile. L'equazione differenziale dell’odografo relativo al movimento di un proiettile in un mezzo comunque resistente. Gli integrafi descritti nei $$ precedenti sono a perni fissi; in questo $ e nei seguenti descriveremo degli integrafi in cui c'è un perno che si muove in corri- spondenza al movimento di uno dei due carrelli, o il differenziale o |’ integrale. Si hanno allora dei congegni cinematici nuovi e che corrispondono ad altri tipi di equa- zioni differenziali. Facciamo prima che il movimento del perno dipenda da quello del carrello inte- grale; possiamo così avere l’integrafo per l’equazione differenziale dell’ odografo relativo al movimento di un proiettile in un mezzo comunque resistente. È un problema celebre della Meccanica classica, e che interessa specialmente i cultori di Balistica, quello della determinazione del movimento di un proiettile in un mezzo che resiste con una legge qualunque. Con i principi elementari della Meccanica si-giunge facilmente a stabilire |’ equa- zione differenziale intrinseca del movimento (la cosiddetta equazione differenziale del- l’odografo), cioè la relazione differenziale fra l'angolo « di inclinazione all’orizzonte, e la velocità del mobile; ma, stabilita questa equazione, si vide, sin dai tempi di D’Alembert, che essa non potea integrarsi, se non ricorrendo a speciali forme della legge di resistenza. E così, prima D’Alembert *), ed in epoca recente Siacci #*), Appell ***), Quivet ****) elc., cercarono i cosiddetti casi di integrabi- lità, cioè quelle leggi di resistenza per le quali l'integrazione dell’equazione dell’ odo- grafo possa ridursi alle quadrature. Ma l’equazione generale è rimasta sempre insoluta. Lo strumento, che presentai alla R. Accademia dei Lincei nella seduta del 4 maggio 1913 *****) e che era stato costruito sin dall’agosto del 1912, risolve grafica- *) J. L. D’Alembert, Traité de l’équilibre et du mouvement des fluides, Paris, 1744, p. 359. **) F. Siacci, Comptes Rendus de l’Acad. des sciences de Paris, t. 132, 1901, p. 1175; t. 133, 1901, p. 381. *#*) P. Appell, Archiv der Mathem. und Physik, (3) v. 5, 1903, p. 177. *#*#) E. Quivet, Comptes Rendus de l’Acad. des sciences de Paris, t. 150, 1910, p. 1229. Vedi anche, T. Hayashi, Sur l’équation différentielle du mouvement d’un projectile sphérique pesant dans Vl’ air (Giorn. di Matematiche di Battaglini, (3) t. 49, 1911, p. 231). ##4#*) E, Pascal, Integrafo per l’equazione differenziale dell’odografo relativo al movimento di un proiet- tile in un mezzo comunque resistente (Rend. della R. Accad. dei Lincei, (5) t. 22, 1913, 1° sem., p. 749). ME mente il problema nella sua generalità; la legge di resistenza è rappresentata da una curva che si traccia arbitrariamente. Il che è tanto più notevole, anche per la pratica balistica, inquantochè in tal modo noi possiamo servirci di una legge sperimentale, il cui diagramma sia stato costruito per punti mediante opportune esperienze, e ottenere così un risultato che risponda esatiamente alla realtà fisica. Si può perciò fare a meno della analiticità della legge di resistenza, la quale potrà così anche non essere esprimibile con una Fig. 23.8 funzione analitica. Tentativi a tale scopo non sono mancati; e in un libro #) recente di L. Jacob, ingegnere generale dell’artiglieria navale francese, si accenna ad uno strumento di tale specie ma fondato su altri principii. Ma dopo aver detto che l’appa- recchio era in costruzione nell’officina di esperienze di marina a Gavres, e che se ne preventivava il costo nientemeno che a 6000 lire (il mio apparecchio non costa neanche la dodicesima parte), finisce col dire che gli è impossibile il dare una descrizione completa dell’apparecchio. *) L. Jacob, Le calcul mécanique (Paris, Doin, 1911). Cap. V. = 97 = L’equazione intrinseca del movimento del proiettile (equazione dell’odografo) è dv __v[sena + y(v)] id cosa la seguente: 73) rin te) da dove v è la velocità, « è l'angolo di inclinazione all’orizzonte, 4(v) è una funzione della velocità, che rappresenta la resistenza del mezzo, divisa per l'accelerazione di gravità 9g. Per il nostro scopo conviene di operare la trasformazione #): (74) gg | Di f(a)=%(e?) Ora l’integrafo per l'equazione (75) è facilmente costruibile. Immaginiamo il (76) solito rettangolo di acciaio (fig. 24) scorrevole sulle due ruote eguali M , N nel senso dell’asse delle 2, e portante scorrevoli, sui suoi due lati paralleli, i due carrelli H (carrello differenziale) e G (carrello integrale). *) È la trasformazione adoperata da Hayashi, loc. cit. QRS AI carrello G sia connessa rigidamente un’asta scanalata GL, parallela all’ asse delle 2, e su questa e su di una parabola anche scanalata PP sia mobile il perno K dell’asta rettilinea HK passante per il centro H del carrello differenziale e scor- revole in un manicotto S fissato perpendicolarmente al lato BC di un parallelogrammo articolato, mentre il lato parallelo AD sia fissato col suo punto medio al centro G del carrello integrale portante la. rotella girante. Un opportuno congegno permette di fissare il piano della rotella girante con un angolo arbitrario sulla direzione AD, e quindi sulla direzione KH a questa perpendicolare. La parabola, riferita all'asse delle 2 e all’asse perpendicolare passante per H, abbia per equazione: c=1—y?, essendo 1 la larghezza del rettangolo fondamentale. Nell’apparecchio costruito, si è assunta l’unità eguale a 15 cm.; e così l’altezza del rettangolo, che corrisponde, come si vede, alla massima apertura dell’ arco di pa- rabola, è di 30 cm. Lo KL è la tan- gente dell’angolo di inclinazione di KH sull’asse delle 2; ed essendo poi HL eguale evidentemente alla differenza delle ordinate delle curve descritte dai punti H e G, ordinate che indichiamo con f(@) e y, ed essendo KL eguale ad 1— 7° (ascissa del punto della parabola), ne viene che se il piano della rotella si dispone paral- lelameute a KH, cioè se si pone a 0° l’indice connesso alla rotella e che scorre sul quadrante unito al lato AD del parallelogrammo articolato, la curva descritta dalla rotella avrà in ogni punto la tangente parallela a KH, e cioè la derivata dell’ordi- nata rispetto all’ascissa di un punto di tale curva sarà: Dal triangolo rettangolo HKL risulta che il rapporto dei cateti dy f(a)—y da 1—-y° Se invece si dispone il piano della rotella perpendicolare a KH, cioè se si pone a 90° l’indice suindicato, allora si verrà ad integrare precisamente la (75). Se infine si fissa lo stesso indice ad un angolo 6 qualunque la cui tangente sia mm, m=tg0, verrà ad integrarsi l'equazione più generale: (78) dy (f(@) —y)+m(1—-y°) { == ua e=+=-+--:-: = ala de —m(f(@)—-y+(1—-y?) Ma di questa al nostro scopo non serve che solo il caso speciale di m= 0. A compendiare in poche parole la costruzione del nostro apparecchio possiamo dire che esso non è altro che una specie di integrafo di Abakanowicz, in cui però invece di fare che il perno sia fisso in un punto, si fa che questo perno si muova, in corrispondenza al movimento del carrello integrale, su di una parabola. di î 3 — lle Se, invece che su di una parabola, si fa scorrere il perno su di un’altra curva di equazione a=®(y), connessa rigidamente al rettangolo fondamentale dell’apparecchio, si ha l'integrazione di ogni equazione del tipo: (79) up TE) dx D(y) ovvero (ponendo, come sopra, il piano della rotella in modo da fare un angolo ® con KH): (80) dy __ (f(x) — y + n®(y) de —m(f(x)—y+®(y)" dove ®(7) è l’ascissa di una curva secondo cui è poggiata un’asta scanalata con- nessa rigidamente allo strumento, ed f(z) è l’ordinata di una curva arbitraria di- segnata sul foglio di disegno, e sulla quale si fa scorrere la punta del carrello differenziale. $ 14. — Costruzione della curva della traiettoria mediante quella dell’odografo. A completare quanto abbiamo delto di sopra, mostriamo come si può, tracciata che lo strumento ‘abbia la curva dell’odografo, costruire la curva della trazettoria. Indicando con X, Y le coordinate di un punto della traiettoria, si hanno, come si sa, le formole: gedX=— vda (81) gedY=—rviga-da , da cui, colle apposizioni (74), si hanno le altre: e*"dy ss Vi—-y? fl frena VI—-y? dove nella prima z e y si intendono legati dall’equazione dell’ odografo (83) y=F(2) ovvero 2_H.V)h e nella seconda y e X si intendono legati dall’equazione ottenuta colla integrazione della prima cioè da i. gX=9(y), ovvero y=g@(9X). SES | Cosicchè le (82) sono equivalenti a: gX= CAV VI F°,(Y) (85) x TA ge Gale VS ‘d V1+ g°,(9X) L’integrale della seconda è l’equazione della traiettoria (86) gY=w(gX), ovvero anche (87) X,= 0%) Ciò posto, sia data (v. fig. 25) la curva r= f(#) della resistenza, e mediante lo strumento se ne deduca l’odografo y=F(%). Fig. 25.? Sul medesimo foglio di disegno tracciamo la curva esponenziale servendoci dell’integrafo a riga rettilinea (v. $ 6), e sia la curva AE, essendo OE=1=15cm. Dalla curva F possiamo dedurre per punti la curva di ordinata e2F,) Vi=F,w) Y — 54 == procedendo nel seguente modo: Tracciale da un punto a di F le due coordinate aB, aC, si raddoppii 0C in D, e si trovi la corrispondente ordinata DA della curva esponenziale, e indi si riporti 14 A in M conuna retta parallela ad 4. Con centro B e con un’apertura di compasso eguale ad 1, cioè a 15 cm., si segni il punto N, cosicchè sarà ON=V1—, es- . sendo OB=y. Si congiunga NM, e da F, tale che sia OF =0E=1=15 cm., si conduca la parallela FP _a NM. Cou un arco di cerchio di centro O si riporti B in Q, e il punto a’ di coor- dinate OP, 00, sarà il richiesto punto trasformato di a. In tal modo possiamo co- struire per punti la curva di equazione 3=%@(Y), per la quale l’antico asse delle # figura ora come asse delle y, e l'antico asse delle y come asse delle 3. Coll’ integrafo per quadralure integriamo questa curva e otteniamo la curva di equazione gX=9(7) . Ciò fatto, passiamo all’altra tigura (v. fig. 26). Fig. 26. Da un punto a dell’ultima curva, tracciate le due coordinate aB, aC, si riporti B in D con un arco di cerchio di centro 0. l "Indi con centro C si faccia CA =0K=1=15 cm. e da K si conduca KE parallela a HC. dna Con un arco di cerchio di centro O si riporti E in F; OF sarà uguale a: Y | vi ; Il punto a’ trasformato di a sarà quello di coordinate OD, OF, e si otterrà così ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 16. b RI CI la curva ade, il cui integrale, ottenuto coll’integrafo per le quadrature, sarà la traiettoria Y== ®(X). Se la resistenza è zero, cioè se la curva delle resistenze è l’asse delle 2 della fig. 25, la curva a'd'e’ della fig. 26 deve risultare una retta, cosicchè il suo integrale risulterà precisamente una parabola. Quanto più la predelta curva ade differisce da una retta, tanto più la traiettoria differirà da una parabola. $ 15.— Integrafo per la quadratura del prodotto di due funzioni *). Facendo ora che il movimento del perno dipenda da quello del carrello diffe- renziale, possiamo costruire un integrafo per effettuare la quadratura del prodotto di due funzioni rappresentate da due curve, del che potrà poi farsi una importante applicazione alla risoluzione dell’equazione integrale del tipo di Volterra. Il principio che seguiamo per costruire tale integrafo è quel che deriva dalle seguenti considerazioni: nell’ integrafo per quadralure di Abdank-Abakanowicz, si fa in modo, mediante un parallelogrammo articolato, che il piano della rotella gi- rante sia sempre parallelo all’ ipotenusa di un triangolo rettangolo di cui un vertice sin un punto fisso sull’asse delle 2 (il perno dello strumento), il cateto uscente dal perno sia la lunghezza che si assume come unità di misura a, e l’altro cateto sia l’ordinata del punto della curva integranda f; in tal modo si viene ad ottenere: (88) fl f(2) ; € a vV Ma se noi facciamo che la lunghezza a sia variabile e varii come l’inversa dell’ordinalta dei punti di un’altra curva F, otteniamo precisamente | integrale richiesto: e a f(0) F (0)ax 0 Bisogna dunque fare che i carrelli differenziali sieno due, e che il perno sia mobile al variare della posizione di uno di essi. Teniamo allora presente il solito schema della figura dell’ integrafo. Sia ABCD (fig. 27) il solito rettangolo pesante di acciaio e ottone capace di muoversi parallelamente a sè stesso da sinistra a destra e viceversa, mediante le due ruote eguali M,N, sul foglio orizzontale da disegno; sia CD il lato su cui scorre il carrello differenziale e AB quello su cui scorre il carrello integrale. L'asse lito; x sia al solito a metà dell’altezza del rettangolo, sulla linea HG. Sul lato CD, sieno mobili, a diversa altezza, due punti rigidamente connessi a due carrelli scorrevoli su due aste parallele e vicine a CD (disposti naturalmente in maniera che i loro movimenti non si inceppino a vicenda). Di questi due punti uno sia f e l’altro F, ed essi descrivano le due curve di *) E. Pascal, L'integrafo per la risoluzione grafica delle equazioni integrali (Rend, della R. Ace. delle sc. fis. e mat. di Napoli, (3) t. 19, 1918). SIP O N n To RSI ordinate f(#),F(z). Ad ottenere il nostro scopo si deve fare che al movimento di F,, il perno E scorra su HG in modo che sia sempre EG= Fa: Ora ciò può ottenersi con estrema facilità se inseriamo nel rettangolo un arco di iperbole equilatera, costruito in ottone, e avente per equazione: cogli assintoti CG e FG, e obblighiamo, mediante un’opportuna molla, un’asta EF, scorrevole con una scanalatura intorno al punto F, e di cui il punto E scorra a sua Fi Cha a volta su di una scanalatura praticata su HG, a mantenersi costantemente tangente all’ iperbole. Il prodotto dei segmenti tagliati sugli assintoti da questa tangente è allora precisamente l’unità di misura che può prendersi eguale a 10 cm. Ciò fatto, se attorno al punto E facciamo rotare una riga che passi per l’altro punto f e a cui si faccia descrivere la curva di ordinata /(2), e se col solito paralle- logrammo articolato, si fa che il piano della rotella girante si mantenga costantemente parallelo alla direzione Ef, si sarà venuti a costruire l’integrafo che dà l'integrale del prodotto delle due funzioni f(2),F(%). Un’osservazione si-presenta qui immediatamente. Sarà utile nella costruzione di questo apparecchio di fare che la larghezza del rettangolo fondamentale, cioè la # È fe HG sia sensibilmente maggiore di quella degli altri integrati sopradescritti, e pei quali la larghezza dello strumento avea finora poca importanza. Ciò evidentemente per fare che il perno E abbia una corsa più ampia, e quindi il punto F possa dippiù avvicinarsi a G. Il rettangolo fondamentale degli integrafi delle altre specie da me fatti costruire ha le dimensioni da cm. 30 Xx 10 a 30 Xx 15. Per questo integrafo converrà invece giungere fino a cem. 30 Xx 25 o 30 X 30. Avvicinandosi il punto F a G, il perno D si allontana rapidamente, e quindi l’uso dell’apparecchio è limitato a quelle curve F le cui ordinale F(z) sieno tutte posilive (o se si vuole anche tulle negative) e non minori di una certa quantità dipeudente dalla lunghezza HG. Ciò però non costituisce una sostanziale limitazione, perchè se la curva F as- segnata altraversa l’asse delle #, la si può spostare parallelamente all’asse delle 7 di una certa quantità a, eseguire la integrazione, e indi dalle ordinate della curva oltenuta togliere quelle dell’altra ottenuta coll’integrazione di af(x), integrazione che si ottiene dallo stesso apparecchio fissando la punta F all’allezza « sull’asse delle x, e facendo descrivere nuovamente ali’altra punta f la curva di ordinate f(x). a 9 n 6 6 ; F(x)dx f 16. — Integrafo pel tracciamento continuo della curva y= ces ara: Vogliamo utilizzare lo strumento descritto nel $ precedente per una applicazione. Immaginiamo che allo strumento medesimo sia aggiunta una riga girevole sul perno del carrello integrale (v. fig. 27) e che passi con una scanalatura per il perno del carrello differenziale della punta f; questa riga si possa poi fissare con una vite in qualunque posizione attorno al perno del carrello integrale, in modo che col movi- mento di questo carrello, essa sia costretta a muoversi solo parallelamente a sè stessa. Se fissiamo questa riga nella posizione iniziale Hf (essendo H il carrello inte- grale sull’asse delle x che prendiamo anche come asse delle #, ed essendo fG=c), se lasciamo inoltre f libero a muoversi sulla sua guida DC, e se facciamo infine per- correre alla punta F la curva di ordinate F(z), la rotella in H, il cui piano, per effetto del solito parallelogrammo articolato, si conserva sempre parallelo ad Ef, deseriverà una curva le cui ordinate differiranno costantemente della quantità c da quelle della curva che descrive la punta f, il cui movimento automatico serve poi a sua volta, insieme a quello di F imposto da noi, a far deviare continuamente la direzione della rotella. La curva descritta dalla punta f (curva che potrà venir disegnata automatica- mente se al carrello f congiungiamo, nel solito modo, una matita scrivente) abbia per equazione : yv=f(x); quella descritta dalla rotella integrale avrà per equazione (in forza di quanto abbiamo detto nel $ 15): 13.) Yi = fx)F(a)da È 0 = @ intanto è: Yy_Y,=C, ‘cosicchè è soddisfatta la (90) fia) = A f(a)F(e)de + e «Con U)=G da cui si ha appunto la (91) I f(2) Do SF(2)ax Di ciò potrebbero farsi molte applicazioni. Così p. es. se poniamo c=1, ed F(2)= — 22, cioè se alla punta F facciamo percorrere la retta di equazione y=—-22, lo strumento descriverà direttamente la curva delle probabilità y=e* di cui ab- biamo trattato con metodo indiretto e più complesso nel $ 10. $ 17. — Integrazione dell'equazione differenziale lineare a coefficienti generali. Le considerazioni contenute nel $ precedente possono essere estese per ottenere sun altro risultato non privo di interesse. Abbiamo visto nel $ 5 che mediante l’integrafo a riga rettilinea si ottiene la integrazione dell’equazione differenziale lineare ridotta al tipo canonico ay +y=Q(2) . Ma può vedersi ora che con una semplice aggiunta all’apparecchio del $ pre- «cedente può integrarsi direttamente l’equazione differenziale 08) y=F(0)y+W(2), senza che vi sia bisogno, come nell’altro caso, di ridurre prima tale equazione alla Suddelta forma canonica. Poniamo, come nella fig. 27, ancora la riga H/ snodabile attorno al perno H «del carrello integrale, ma facciamo (v. fig. 28), inserendo al solito modo un pa- rallelogrammo articolato, che questa riga si conservi sempre parallela ad un’altra ‘figa Kg essendo K il punto medio del lato AB del rettangolo fondamentale e @ il perno di un carrello scorrevole su CD e a cui si faccia descrivere una curva di “ordinate 9 (2). A differenza della figura precedente, in questa l’iperbole è stata collocata nella parte inferiore dello strumento, al disotto dell’asse delle «, il che può farsi onde ‘evitare complicazioni e sovrapposizioni sia nel disegno che nella costruzione; ciò porterà naturalmente che il carrello F anzichè al disopra stia anch’esso al disotto dell’asse delle z, e che per curva F bisognerà adoperare la simmetrica della data rispetto all’asse delle #. Si avrà così il vantaggio di fare che il movimento del car- rello F non inceppa quello degli altri. È evidente che coll’indicato dispositivo si verrà, precisamente come nel $ pre- ‘cedente, a soddisfare una relazione come la (90), in cui alla lunghezza costante € si sia sostituita la data 9(#) variabile secondo <. Si avrà dunque: (93) f(x) con Di qui si ha, derivando: e ponendo: si ha precisamente la (92). Data dunque la (92), e cioè le due curve F e +, dalla curva $ si deduca, con Hio-928:5 un integrafo per quadrature, la curva 9, e indi coll’applicazione dello strumento si avrà la curva y= f(z), soluzione della equazione (92). Per y=0 e g=c, si ritorna al caso del $ 16. $ 18.— Risoluzione dell'equazione integrale del tipo di Volterra. Un'altra, più importante, applicazione dell’apparecchio descritto nel $ 15 sè quella relativa alla risoluzione dell’equazione integrale del tipo di Volterra. I L'operazione analilica rappresentata dalle equazioni integrali è un’operazione di natura più elevata di quelle rappresentate dalle ordinarie equazioni differenziali, giac- ché nelle equazioni integrali compare il fenomeno dell'eredità che non compare in queste. La rotella girante, che, adattata ad un opportuno congegno cinematico, può: fe ‘servire a risolvere le equazioni differenziali, cioè ad attuare quella continuità che è inerente all’operazione rappresentata dall’equazione differenziale stessa (continuità che da un certo punto di vista è anch’essa un’eredità, sebbene di specie inferiore, per- ‘chè le posizioni seguenti della rotella dipendono naturalmente dalle posizioni e dalle direzioni precedenti), la rotella girante, dico, non può più bastare per le equazioni integrali, giacchè per queste (se si vuol tracciarne con movimento continuo le curve che le risolvono) occorre qualcosa che possa cinematicamente attuare il fenomeno più complesso dell’eredità. Ma se invece noi ci contenteremo, adoperando la formola risolutiva delle equa- zioni integrali del tipo di Volterra, di trovare per approssimazione la curva f per punti, cioè di adoperare uno strumento che ci possa far trovare, per ogni assegnata ascissa, il punto corrispondente di f, allora basterà ancora la rotella girante. L’equazione integrale che considereremo è la seguente: 5 t (94) Sr == ; 0 in cui F è il nucleo, 9(6) è una funzione conosciuta ed f è la funzione incognita. Posto (95) ®({—-x)=F(f-x)+F,(f—x)+F.(t-2)+..., € È t È (96) F,(£) orafa. (2)F(t— x)dx_, 0 (1) Ja formola risolutiva della (94) è, come si sa: (97) f(t)= g(0) za. Immaginiamo allora fissato un valore £, di £, e disegnata la curva di ordinate F(z) e quella di ordinate F(— ). Se adaltiamo al perno F dell’apparecchio del $ 15 una spranghetta mobile per- pendicolare a CD e portante una punta che si possa fissare a varie distanze (mi- surabili su apposita graduazione) da CD verso destra, basterà descrivere con questa punta, fissata alla distanza #,, la suddetta curva di ordinate F(— 2), per ottenere lo stesso di ciò che si avrebbe lasciando fissa la punta su CD e spostando invece di {, verso sinistra la curva stessa sul foglio da disegno. Facendo descrivere alla punta f dello strumento la curva di ordinate F() è alla punta F, fissata alla distanza /,, quella di ordinate F(— x) e proluugando |’ in- tegrazione sino a z="{,, si verrà, per effetto di (96) per n=1, ad avere un punte della curva di ordinate F,(x) e propriamente il punto corrispondente all’ascissa £,. -Così potrà disegnarsi per punti la curva y=F,(t) (l’asse delle £ coincide con quello delle x dello strumento d'integrazione). Quindi coll’ applicazione ripetuta della stessa operazione si potranno disegnare prima le curve di ordinate F,,F,,... (e di queste basterà disegnare solo le prime perchè si sa che nello sviluppo infinito (95) basta limitarsi solo ai primi termini otte- ng SIT dn 'e Leo di nendo sufficiente approssimazione, essendo quello sviluppo rapidamente convergente), indi, costruita la curva di ordinate ®, costruire, mediante (97), la f. Questa f e le F,,F,,... restano costruite per punti e non con movimento continuo, perchè p. es., lo stramento descriverà bensì con continuità la curva di ordinate feed î per un £ fisso, ma di tal curva bisognerà però considerare solo il punto di ascissa: z=f, e questo è un punto dell’altra curva che si richiede al nostro scopo. $ 19. — Integrafo a vettore costante. Sopprimiamo la riga su cui scorre il carrello differenziale e lasciamo solo quella AB su cui scorre il carrello integrale e a cui è attaccata la rotella girante (v. fig. 29). Al perno C di questa fissiamo con un’ assegnata direzione (misurabile al solito. su apposito quadrante graduato) un’asta graduata L, portante una punta verticale che si possa fissare con una vite P_ad una qualunque data distanza da C. A questa punta si faccia descrivere una curva assegnata di ordinate Q(2); la rotella girante descriverà una curva che è l’integrale di una caratteristica equazione differenziale che ora vogliamo calcolare. In sostanza questo integrafo non è che una trasformazione del noto planimetro a scure di Prytz *), il quale è uno strumento semplicissimo, ma piuttosto rudi- mentale, che non può certamente essere annoverato fra gli strumenti di precisione. Questo planimetro è formato di un’asta di acciaio piegata ad angolo retto alle sue due estremità, e di queste due sue appendici (di eguale lunghezza e che insieme all’asta principale stanno in un medesimo piano) una termina a punta e l’altra ter- mina a scure. Facendo percorrere alla punta una curva disegnata sul foglio orizzon- tale, si può dalla curva che verrà a tracciare la scure sul foglio medesimo, dedurre: una determinazione approssimata delle aree piane, della posizione del baricentro, e la risoluzione di altri problemi pratici. Si può calcolare, come ha fallo recentemente il Prof. A. Scribanti **), l e- quazione differenziale che lo strumento, lasciato com’è, viene ad integrare; ma colle moilificazioni e col dispositivo accennato si viene ad avere qualcosa di ben più generale e completo. Nell’integrafo a riga rettilinea (v. $ 5) è, in tutte le posizioni, costante la pro- iezione sull’asse perpendicolare a quello dello strumento (sull’asse delle x), della distanza fra le due punte, la differenziale e l’integrale; in questo apparecchio è costante Invece la distanza stessa; ecco perché lo chiameremo integrafo a vettore costante. *) E. Pascal, /l planimetro a scure di Prytz trasformato in integrafo per una notevole equa- zione differenziale (Rend. della R. Accad. delle Sc. fis. e mat. di Napoli, (3) v. 19, 1913). **#) A, Scribanti, /l planimetro a scure considerato come integrafo per equazioni differenziali (Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, v. 48, 1912-13); Ancora intorno al planimetro a scure ap- plicato all'integrazione di equazioni differenziali (Ibid.), Altri lavori dello stesso Autore sul planime- tro a scure sono in Giorn. di mat. di Battaglini, (3) v. 51, 1913, e in Nuovo Cimento, (6) v. bl, 1913. % è dog Calcoliamo ora l'equazione differenziale che lo strumento riesce ad integrare. Assunto un qualunque asse come asse delle 2, e uno ad esso perpendicolare come asse delle 7, sia 0 l’angolo che il piano della rotella fa coll’asse delle x, sia « l’angolo che lo stesso piano fa coll’asta che va a terminare al punto della curva differenziale, sia / la lunghezza di quesVasta e sia infine: (98) ; Va Q (2,) equazione della curva differenziale. Se y è l’ordinata del punto della curva integrale si ha: Q(x,) —y=/sen(0— a) a =£X+/c0s(06 — a) donde (99) y+/sen(8B— a) = Q(x+/cos(09— a)). Ponendo ora lcosa=? (100) sena=S i SE Se (=) Vi+y? GE così = 2 A 14 y* la (99) diventa: vy — 1 rt sy 101) ESTRAE VI+y" VI+y? e questa è la richiesta equazione differenziale. Le costanti r,s sono qualunque, positive o negative; la somma dei loro qua- drati è il di della quantità 7; date r ed s possono dalle (100) dedursi subito la lunghezza / e l’angolo di deviazione a, ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 16. pai i SR] VS L'equazione (101) ha una forma caratteristica; per s=0 essa si riduce natu- ralmente a quella calcolata da Scribanti; inoltre ponendo la (101) può scriversi: (102) Ie ed appare subito una analogia fra la formazione del primo membro e quella del- argomento di Q. Mutando segno ad s (il che significa mular segno alla deviazione del piano della rotella), e indicando con P la funzione inversa di Q, cioè supposto che da (98) si deduca SUI, da (101) si ha: (103) 2 + gia (bs rt ) Vara TARE, che è dello stesso tipo della (101) stessa, solo che si è scambiato # con y. Se P=0Q, cioè se la equazione (98) è simmetrica in 2 e y, la (103) coincide colla (101), salvo lo scambio di 4 con y, cioè in tal caso le curve integrali otte- nute con un angolo di deviazione «, sono le simmetriche, rispetto alla bisettrice dell’angolo degli assi, di quelle ottenute coll’angolo di deviazione contraria — a. Poichè è arbitraria la posizione degli assi coordinati (a differenza dell’integrafo a riga rettilinea e degli altri integrati), lo stesso deve verificarsi non solo per una curva di equazione (98) che sia simmetrica in 2 e y, ma anche per una che, con un can- giamento di assi, possa ridursi ad essere tale. Dalla arbitrarietà della posizione degli assi coordinati, deriva una importante proprietà della equazione (101), ed è che questa conserva la medesima forma con una qualunque trasformazione delle coordinate ortogonali, come del resto può age- volmente verificarsi sull’equazione stessa, perchè con una rotazione degli assi x= Xcosw— Ysenw y=Xsenw+ Y cosw la (101) diventa: / VA da SY! fee o LES) sen VI + Y VIENE Y's \ VASTO ii. =) no +(X+ > EN: }cose | Vasa Vi4+Y? dalla quale si ha appunto: Nippon a (x det ) i Vir Vivi . e + 0 O i © LI Ù < L Soa Facendo percorrere alla punta differenziale una retta, cioè ponendo Qe)=—-ma,, si riconosce che con questo integrafo può integrarsi qualunque equazione differen- ziale del tipo | (104) IOUTDE =yb+ma V1+y? dove a,b,m sieno costanti qualunque. L’integrazione di siffatte equazioni differenziali si riduce facilmente ad una quadratura, perchè, assumendo la suddetta retta per asse delle 2, l'equazione deve ri- dursi al tipo: (105) PR pe AA eg ARI che corrisponde alla quadratura yVrr+s—y— rs — 8° la costante di integrazione è quindi additiva. Ne deduciamo che, collocando inizialmente in diverse posizioni la punta in- tegrale, e facendo ogni volta percorrere alla punta differenziale sempre la stessa retta, le curve che lo strumento viene a disegnare devono rappresentare le diverse posizioni di una stessa curva che si muove parallelamente a sè stessa, mentre la suddelta relta striscia su sé stessa. had e Pr, ve Dato l’angolo di deviazione « della rotella, la lunghezza / della riga, la curva Q, e la posizione iniziale della punta integrale, si possono naturalmente, come per ogni integrafo, eseguire sul foglio di disegno quelle costruzioni che valgono a far tracciare con maggiore o minore approssimazione la curva integrale R. Si divida la Q in tanti archetti nei punti a,6,c...; indi posto in a, la posi- zione iniziale della curva R, in modo cioè che sia a,a=/, si tracci la retta 4, facente l'angolo « con a,a e che sarà la tangente alla R in a,. der e Con centro d e raggio / si trovi su £, il punto d, e congiunto è, con d si con- duca da bd, la t, facente l’angolo a con bb. Così di seguito, la curva a,b,c, ... sarà la curva R con tanta maggiore approssimazione quanto più piccoli sono gli archetti nei quali si è divisa la curva Q. Questa costruzione ha naturalmente un carattere di discontinuità; non v’è che lo strumento che colla sua rotella girante possa ristabilire la continuità, dando come risultato finale una curva che si differenzia tanto più da quella tracciata con appros- simazione, quanto più ci allontaniamo dal punto iniziale. Ii disegno della fig. 30 rappresenta appunto, in scala ridotta, il risultato otte- nuto coll’apparecchio e quello ottenuto con un disegno d’approssimazione. Poichè nell’apparecchio la penna scrivente è ad una distanza fissa, in dire- zione fissa, dalla rotella girante, così la curva Q che si adopera per disegnare col- l’apparecchio la R, non può essere la medesima di quella che si adopera per di- segnare per approssimazione la R, ma deve essere questa trasportata di una quan- tità fissa nella direzione perpendicolare all’asse AB dello strumento che si è ado- perato. Ecco perchè nella figura appaiono due curve Q. $ 20.— Integrafi a guida curvilinea. — Equazioni differenziali dei tipi ay=Q(x+9(y)), e(y)y+y=Q(x+0(y)), e altre più generali *). Negli integrafi finora descritti le guide sulle quali scorrono i due carrelli, dif- ferenziale e integrale, sono rettilinee e nelle direzioni dei lati AB, CD del rettangolo fondamentale. Facciamo ora che la guida a sinistra (quella sulla quale scorre il carrello inte- grale), invece d’essere rettilinea, sia piegata secondo una curva EFB (v. fig. 31). Riferiamo questa curva a due assi ortogonali; uno sia l’asse delle X che coin- cida coll’asse delle 2 del fogiio di disegno, e l’altro, mobile collo strumento, sia il lato CD su cui scorre il carrello differenziale; sia X=9(y) l’equazione della curva EFB. Vediamo la relazione che c’è in ogni istante fra l’ascissa della punta del car- rello differenziale e quella del carrello integrale. Indicando con # questa e con 2%, l’ascissa di un punto della curva differenziale (cioè di quella che descrive la punta del carrello a destra), si ha evidentemente: r=X+tX=Xx+9(y), se ci si riferisce al medesimo asse y. Ciò posto, dobbiamo ora stabilire il modo di collegamento dei due carrelli, e qui naturalmente ci si presentano tutte le svariate distinzioni che abbiamo di sopra enumerate per il caso delle guide rettilinee. In primo luogo i due carrelli G,H sieno collegati con un parallelogrammo articolato in modo che la direzione della rotella girante sia sempre parallela alla *) E. Pascal, Sopra alcune classi di integrafi per equazioni differenziali (Rend. della R. Accad. delle scienze fis. e mat. di Napoli, (3) v. 17, 1911). de LIO ‘congiungente G con un punto fisso (perno) dell’asse delle x, distante della quan- tità a dalla proiezione di G su 2. La tangente alla curva y= (2) descritta dalla rotella girante avrà allora per coefficiente angolare in ogni istante: (essendo Q(z,) l’ordinata della curva differenziale e a l’unità di misura dello stru- mento) e perciò si verrà ad integrare l’equazione differenziale (106) ay =Q(r + 9(4)) , .dove Q è una funzione arbitrariamente data e 9 è anche una funzione arbitraria, ma ad ogni @ corrisponde un apparecchio apposito, o meglio una speciale guida .curvata, secondo la curva di equazione X = @(y), da adattare alla parte sinistra «dell'apparecchio. Può perciò costruirsi un solo apparecchio cop parecchie guide di ricambio. Se ora immaginiamo che alla rotella girante sia unito il solito congegno col «quale il piano di essa possa farsi girare e fissare di un angolo a=arctgm su di una posizione iniziale, si verrà ad integrare l’equazione differenziale più generale ,_am+ Qe + 9()) (107) y —a-mQ(e+9(y)) Colleghiamo in secondo luogo i due carrelli, anzichè col parallelogrammo ar- ticolato, colla riga rettilinea GH segnata nella figura. — ee Fissando il piano della rotella a 0°, si verrà ad integrare l’equazione sa gir Sesta (Y)) —y { S) ®(y) , e fissandolo invece all'angolo a=arctgm, si ha l’altra equazione più generale della (108) e della (37): mt+y (109) v= 90) 11: SE+90) che equivale a: (110) ,_—moly)+ [Qetoy))_v) 9(Y) +m[Q(2 + 9(y)—y] Vediamo finalmente quale equazione si viene ad integrare se si collegano i due carrelli con una riga curvilinea, come abbiamo fatto nei $$ 2 e seg. La curva secondo cui è foggiata tale riga, abbia per equazione in coordinate polari 6,p (preso per polo il punto G): sa (111) 0=/(p). Possiamo prendere in considerazione la formola (110) e supporre ivi variabile la quantità m che è la tangente trigonometrica dell’angolo che la direzione della rotella forma colla congiungente rettilinea dei due punti H e G; nel nostro caso la direzione della rotella è quella della tangente alla curva (111), e quindi m sarà eguale a tg8, essendo 8 l’angolo che la tangente a questa curva in H fa col rag- gio vettore p=GHy; onde pad = L = —T , m=tgB w Data la equazione (111) si calcola questo valore di m, e si ha: tn TE(pyr D'altra parte si ha: e=[Q(r+9(y))—y]}+e°(), onde infine m=F([(Q(2+9(4))—y}P +24), e sostituendo questo valore in (110) si ha l’equazione differenziale richiesta che risulta così del tipo at 2 2) (112) y=* Lia , PED 4-44) se si pone y4= Q(2 + 94)) —y o=9(Y). % La Q è la funzione arbitraria la cui curva rappresentativa si intende tracciata sul foglio di disegno e seguita dalla punta del carrello differenziale; la @ è la fun- e agi zione che ha relazione colla curva secondo cui è foggiata la riga su cui scorre il ‘carrello integrale, ed F è la funzione che dipende dalla forma della riga che con- giunge i perni dei due carrelli. Data una funzione F, la curva secondo cui deve essere foggiata questa riga ha per equazione (113) = fl i $ 21. — Integrafo per l’equazione differenziale y = f(x + g(y))F(x). Torniamo per un momento alle considerazioni fatte nel $ 15 e supponiamo che nello strumento ivi descritto, la guida del carrello integrale (cioè a sinistra) anzichè rettilinea come ivi si suppone, sia curvilinea come quella degli apparecchi consi- derali nel $ precedente. E evidente allora che si verrà ad integrare un’ equazione come la (106), ma in cuì a sia variabile, e propriamente il suo valore sia sempre eguale all’inversa ‘aritmetica dell’ordinata di una funzione F(@), rappresentata da una curva sul foglio di disegno. Mutando Q in f, abbiamo allora con questo nuovo semplice dispositivo, l’ inte- «grazione di ogni equazione del tipo (114) y=f(c€+e(y))F(), in cuì @ dipende dalla forma della guida, ed f e F sono rappresentate da due curve tracciate arbitrariamente sul foglio di disegno. Val la pena di osservare che nel tipo (114) rientra la trasformata dell’ equa- zione generale dell’odografo pel movimento di un proiettile in un mezzo comunque resistente, di cui abbiamo trattato nel $ 13. Infatti se nella (75) mutiamo x con y e f(2) con — g(y), abbiamo: e dy ì (115) ire che rientra nel tipo (114). L’apparecchio di questo $ può dunque risolvere un’altra volta il problema di «cui abbiamo trattato nel $ 13; ma la nuova soluzione, rispetto all’antica, ha però l'inconveniente che la funzione di resistenza @(y) non è qui rappresentata da una curva tracciata comunque sul foglio di disegno, come era nel $ 13, ma dalla curva secondo cui è foggiata la guida a sinistra dello strumento e quindi per ogni fun- zione di resistenza bisogna mutare lo strumento e adaltarvi una diversa guida. PARTE II. INTEGRAFI POLARI $ 22. — Preliminari. — Descrizione dell'apparecchio a riga rettilinea. Le quadrature polari *). La base schematica di tutti gli integrati di cui abbiamo trattato nella Parte I è un rettangolo i cui lati sono paralleli agli assi coordinati delle 2 e y cui si rife- riscono le curve che lo strumento disegna. La base di questo nuovo strumento è invece, come indica la fig. 32, un settore circolare AOB, i cui tre punti d’appog- gio sul foglio orizzontale di disegno sieno: una ruota M scorrevole sul piano, un Fig. 32.8 perno O intorno a cui può rotare tutto l'apparecchio e l’orlo della rotella girante del carrello integrale H. Sulla guida OB scorre nel solito modo un carrello (differenziale) G, e sulla guida OA scorre il carrello integrale. *) E. Pascal, Di un nuovo integrafo per quadrature ed equazioni differenziali (Rend. della R, Acc. dalle elle se. fis. e mat. di Napoli, (3) t. 17, 1911); /2 mio integrafo polare e le sue applicazioni (Giorn. li mat. di Battaglini, (3) t. 50, 1912). a E Li no O Rain o PL L’asta OA può fissarsi, mediante una vite E, in qualunque punto del qua- drante graduato BG; l’angolo è che. essa viene a formare con OB, e che si misura sul quadrante è una delle costanti dello strumento, variabile però, se si vuole, caso per caso. Rigidamente connessa all’asta OA è unita un’altra asta OL, su cui scorre un carrello L che porta una matita scrivente, e il cui movimento è sollecitato da un’asti- cella HL fissata rigidamente nel centro del carrello H in maniera da formare angoli eguali coi due lati HO, LO. In tal modo la curva descritta dalla matita L è la stessa di quella che descrive la rotella girante situata sotto H, salvo che è rotata intorno ad O di un angolo costante LOA , angolo che è un’altra delle costanti, ma fissa, dello strumento. I due carrelli possono ora riunirsi 0 con una riga rettilinea GH 0 con una riga curvilinea 0 con qualunque altro congegno cinematico, a simiglianza di quanto si è delto nella Parte I. Noi però ci limiteremo a trattare diffusamente solo il caso della riga rettilinea, tralasciando tutti gli altri. Una tal riga deve essere connessa rigidamente in H al perno del carrello in- tegrale in maniera da formare un angolo costante a col piano della rotella girante e da muoversi insieme a questa, mentre il perno G si muove in una scanalatura praticata lungo la riga slessa. Supposta dunque la riga rettilinea ed a==0, calcoliamo la curva descritta da H in corrispondenza ad una curva arbitraria descritta da G, la cui equazione in coordinate polari col polo in O e coll’asse polare Or, sia: (116) p,=Q(0). L’angolo polare della curva descritta da H è 0 + è, e la langente a tale curva è nella direzione HG. L’angolo g che ia tangente HK alla curva (tangente condotta nel senso del- l’angolo polare crescente) forma colla perpendicolare al raggio vettore p = OH {per- pendicolare condotta nel senso dell'angolo polare crescente), è dato da: irc. dp __ do ho” ‘EP pA0+ 0) — pad © mentre d'altra parte dal triangolo HOG si deduce: p, senw p, senw HG sen(GHO)= sen( 5 xe )= cose — = = : DEE Vp* + p°, — 2ep, cosw p—p,cosw seng= * V p° + pî, — 2pp, cosw p—p, cosw 118 PIA cd ED) 199 p,senw ATTI — Vol. XV — Serie 24 — N. 16. | 8 Saga onde infine con (116) e (117) si ha: da ha i p { ù EEE (o cil 5 fi 10 senw-Q0) PASS e questa, in cui Q è una funzione arbitraria di 0, e w è costante, è l'equazione diffe- renziale che si viene ad integrare col dispositivo assegnato, quando cioè la linea HG sia una retta, e la rotella girante sia nella direzione di HG. La (119) è del tipo detto di Bernoulli, trasformabile in una equazione lineare. Supponiamo ora, più generalmente, che la rotella girante sia disposta in modo da formare con HK un angolo costante a. Indicando allora sempre con @ l’angolo che la tangente alla curva descritta dalla rotella girante in H forma colla perpendicolare al raggio vettore OH, e con , l'angolo che HK forma colla stessa perpendicolare, si ha: | =, ta dp (120) 189=200 e- Q(0) cosw Be nsa Q(0)senw e quindi, eliminando ® e @,, si ha (posto lga=m): dp __p'+pQ(0)(112 senw — cosw) (121 —— —_—__e i d6 Q(0)(22c0s0 + senw) — 72p ovvero (indicando con p' la derivata di p): (122) DS O MR SIZE p'(Mcosw + senw) + p (72 senw — cosw) =), e questa è un'altra equazione (più generale della precedente) che resta integrata dal nostro apparecchio, quando l'asta HG è rettilinea. Per a=0 dalla (122) si ha naturalmente la (119), e per a=— ww si ha: (123) do ge cosicchè la (122) contiene anche come caso particolare direttamente |’ equazione lineare; per a= 90° si ha: (124) e I ICI, di coswQ(0)— p EGO) Facendo ora in (119) e (124) w= 90°, si hanno le equazioni : d - LIZ PRERO ia orse 10): e d SI (126) = —-Q(0) che corrispondono a delle quadrature polari della funzione Q 0 della sua inversa arilmelica. Il nostro apparecchio può dunque, solo col mutamento di angoli, servire indif- ferentemente per quadrature, per equazioni differenziali lineari, per equazioni di Bernoulli, o infine per altre più complicate equazioni differenziali. $ 23. — Prime operazioni che si fanno coll’integrafo polare a riga rettilinea. L’apparecchio suddescrilto è stato costruito da qualche anno per conto del mio Gabinetto di Analisi Superiore dell’ Università di Napoli ed è rappresentato in due diverse posizioni dalle fotografie qui intercalate (v. tig. 33 e 34). Nella pratica di un siffalto apparecchio è utile e interessante potere avere il mezzo di costruire coll’apparecchio stesso, senza uso di altri strumenti, tutte le altre curve elementari sussidiarie, quali rette, cerchi, etc. e tutti quegli altri elementi fon- damentali, quali misure di segmenti, di angoli, ele., che possono occorrere pel di- segno, in modo cioè che l’apparecchio possa bastare il più possibile a sè stesso. Mostriamo perciò quali operazioni preliminari possano eseguirsi collo strumento prima che sia adoperato come apparecchio integratore. Prima di tulto possono evidentemente disegnarsi le rette convergenti in O (v. fig. 35). Basta stringere la vite della ruota M (v. fig. 32), indi sollevato legger- mente il punto E in modo che la rotella girante non poggi più sul foglio di dise- — 60 — i | ct gno, fare scorrere il carrello H sulla sua guida; la matita L disegnerà una ret vergente in 0. Reda Il carrello H può fissarsi con una vile; strella questa vite, sollevato legger mente il punto E, e fatto rotare tutto lo strumeuto intorno ad 0, la matita L dese A Fig. 34.8 verà un cerchio di centro 0. Colla graduazione esistente sulla riga OA (fig. 32) s * può misurare un segmento di relta convergente in O e colla graduazione del qu drante si può misurare un angolo al centro, facendo opportunamente scorrere ici allargata la vite E, l’estremo A della riga OA sul quadrante. “RA Fig. 35.2 sul quale si può adattare Ja scanalatura della riga HG, staccata che sia stata q dal carrello G. Questo piccolo accessorio è necessario pel falto che per ragioni ma- Meta > Ps i rr teriali di costruzione non può farsi che G si avvicini, al disotto di un certo limite (che nel mio modello è di 7 cm.), ad O, il che per certi problemi sarebbe un inconveniente. In tai modo può anche farsi che la riga HG passi per O, e allora, posto l’an- golo « a 90°, e facendo rotare l’apparecchio, si ha un altro mezzo per fare che la matita L descriva un cerchio di centro 0. Posto invece l’angolo « a 75°, 60°,... si hanno in tal modo le spirali loga- ritmiche S,,S,,S;-.. della fig. 35. Ma si possono anche descrivere relte, cerchi, spirali col centro in un punto qualunque P. Si disponga la punta del carrello G sopra P (fig. 32), e indi, fissato il carrello ‘G su OB si giri lo strumento di un angolo negalivo eguale a LOH che è stato co- struito di 15°, Ciò fatto, si renda fisso lo strumento stringendo la vite della ruota M, e indi si rallenti la vite E e si faccia scorrere A sul quadrante. Secondochè l’an- golo a è uguale a 0° o a 15°, 30°,...90°, la matita L disegnerà rette convergenti in P, v spirali logaritmiche S,,S,,... di polo P, o infine cerchi di centro P (fig. 35). Il procedimento ora indicato può servire assai bene per uwaltra utile applica- ‘cazione. Supponiamo che si vada descrivendo una curva integrale qualunque, corrispon- dente cioè ad un angolo « e ad un angolo w qualunque. Se, giunti ad un punto P della curva si arresta il movimento dello strumento, si stringe la vite della ruota M, e, rallentata la vite E, si fa scorrere A sul quadrante dopo aver rimesso a 0° l'angolo «, la matita L descriverà una relta che sarà evi- «dentemente inclinata di un angolo « alla tangente in P alla curva integrale. Se quindi l'angolo « era già 0°, la retta che si viene così a tracciare è proprio la tangente alla curva; se cera a= 90°, si viene così a tracciare invece la normale. Nella lis. 36 (che riproduce il disegno originale a circa ' dal vero) queste ‘operazioni sono state eseguite, e si è così tracciata la tangente alla curva UV, che era l’integrale di un'equazione (121) in cui era a= 0°; è tracciata la normale alla ‘curva UV cui corrispondeva un angolo «= 90°; ed infine è tracciata così la retta inclinata di 45° alla tangeute della curva UV”, trovata come integrale di un’equa- zione (121) in cui era a= 45°. 2 pei Un’equazione differenziale lineare di 1° ordine in coordinate rettangolari, ha la proprietà, da noi già rilevata nel $ 5, che le corde degli archi delle curve di tutti gli integrali particolari di una medesima equazione e intercetti fra due rette fisse parallele all’asse delle ordinate, passano per un punto, il che porta che i segmenti intercetti sulle due rette dal fascio delle curve degli integrali particolari, sieno pro- porzionali. | Per un’ equazione differenziale lineare in coordinate polari, come è la (123), questa proprietà porta evidentemente a ciò che /e corde degli archi delle curve degli integrali particolari, archi intercetti fra due raggi fissi RS, R'S' (v. fig. 37), devono inviluppare una parabola tangente ai due raggi medesimi, e ciò per una nota ed Fi Sas o 5 elementare proprietà dei segmenti intercetti da una tangente variabile su due tan- genti fisse di una parabola. Nella fig. 37 sono stati disegnati sei integrali particolari (questa figura è la riproduzione a circa ‘/, dal vero del disegno originale) dell'equazione lineare (123), integrata col porre nell’apparecchio a= — w = — 80°, e facendo che la funzione 0(65) sia quella rappresentata dalla curva CD. $ 24. — Curve fondamentali e più semplici tracciate dall’apparecchio polare a riga rettilinea. La equazione differenziale (123) ha per integrale generale: - +0 (127) p=e"094f ssa Ue Q(0) 28 +C | che, per Q(09) = cost.=a, dà: 128 i ctgw.0 ca È ) P Ce + cosw La curva rappresentata da questa equazione è una concoide della spirale loga- ritmica, cui si ridurrebbe per a=0, cioè quando il carrello differenziale G fosse pligg 321 in O. Essa è rappresentata dalla curva A della fig. 38 ed è stata disegnata dal- l’apparecchio ponendo w=60°, a=—60°, Q(0)=a=20 cm. (Notiamo una volta per sempre, che tutte le figure sono state riprodotte dai disegni originali a circa ‘/, dal vero). i Lo stesso apparecchio può disegnare un’altra curva che per a=1, cioè as- sunta a come unità di misura, è l'inversa della precedente. Poniamo a= 0°, e allora dall’integrale generale di (119) che è — ctgu.0 5 1 __ ,etgw-0 Il e (129) ea [ sen wr YOR 10+0] si ha, per Q(09)=a=cost.: 1 ca ctgu.ì l (130) ros + deo e questa per a=l è la inversa di (128). Essa è rappresentata, per wv= 60° e a=20 cm., dalla curva B della fig. 38, 3 a Fig. 38. gira assintoticamente intorno ad un cerchio di centro 0 e di raggio acosw che ; 1 ara nel nostro caso è uguale a —, cioè 10 cm. 2 Passiamo ora alle curve C e D della medesima figura. Per w— 90°, a= 90°, e Q(0)=cost. =a, l’apparecchio, come risulta da (126), descrive la curva: (131) dead, che è una spirale d’ Archimede, e che è rappresentata dalla curva C; e se infine poniamo w= 90°, a—=0°, e Q(6)=a=-cost. abbiamo la curva (integrale di (125) ): (132) =-1uo0 1 P che è Za trasformata di una spirale iperbolica, e per a=1 è l’inversa della pre- cedente. Essa è rappresentata dalla curva D. = ara $ 25. — Costruzione grafica di n, e sezione di un angolo. L’integrafo polare si presta, meglio dell’ integrafo di Abdank-Abakanowiez alla costruzione grafica di m. Con quest’ultimo strumento infatti, per costruire il 7 bisogna far scorrere la punta differenziale lungo il contorno -di una circonferi coll’integrafo polare invece basta fissare coll’apposita vite il carrello differenziali un punto della sua riga, e indi, dopo aver messo a 90° gli angoli « e w, girare semplicemente tutto lo strumento sul suo perno, di un angolo commensi rabile con un angolo retto, p. es. dell’angolo di 45°, o di quello di 60°, ete. | La punta integrale descriverà la spirale (131), e l’incremento che riceverà raggio vettore p sarà commensurabile con x. 4 i sua Il raggio @ del cerchio descritto dalla punta differenziale potrà assumersi come unità di misura. ne» Nella parte a destra della fig. 39 sono tracciate (debitamente ridotte, al solito, S ad ', dal vero) le curve che si ottengono colle tre diverse unità di misura di 10, 15, 20 cm., partendo dal medesimo punto e girando rispettivamente degli angoli — di: :90%)760° 145°. a ia Alla fine dell’operazione la punta integrale deve trovarsi sempre alla medesima TS distanza da O, e la variazione subita da tale distanza è precisamente a on 19;7: Nella parte a sinistra della medesima fig. 39, la stessa costruzione è stala ese- guita adoperando l’unità di misura di 7 em. che è la minima che si può raggiun- gere coll’apparecchio da me usato (senza adoperare la staffa di cui è parola nel S$ 23) e girando di 90° nel senso posilivo degli angoli. Disegnando poi col mede- simo apparecchio il cerchio di centro O e passante per il punto iniziale della spirale, sì viene a costruire sull’asse principale passante per O, il segmento 5=ll CIS Nella fig. 40 è adoperato, con doppio metodo, lo strumento per risolvere gra ni ficamente il problema della sezione di un angolo in parti proporzionali a date quan- da titd MM DIabs i ERO Nella parte a sinistra della figura, dato l’angolo AOA', si è descritto prima il 5 cerchio AA per A, indi con una qualunque unità di misura a, si è descritta, a SIGG partire da A, la stessa spirale (131) che serve per il precedente problema, finchè abbia incontrato in B l’altro lato dell’angolo. Diviso indi AB in parti proporzionali alle date quantità, e descritto per i punti di divisione le circonferenze di centro 0, ì punti di incontro di queste colla spirale hanno determinato i lati delle sezioni $- richieste. IE Nella parte a destra della fig. 40, lo strumento è adoperato in modo diverso. is Si scelgano tante unità di misura a, d, c,... che stieno fra loro come Si 1 i l cia ur. mi nt+p+...n+p+... D+... È indi pel punto A si descriva prima l’arco di cerchio AA', e poi la spirale con unità 4 a finchè incontri in B l’altro lato dell’angolo dato. Fig. 40.% 250 Da B si traccino poi le altre spirali colle unità dD, c, .... Queste taglieranno di - l’arco AA' nei punti che, congiunti con O, danno le rette che risolvono il problema. cy Nel disegno si è assunto m=1,n=2, e la prima spirale è stata de- Ki scritta con unità eguale a 10 cm., mentre la seconda con unità eguale a Ci PAS Seal $ 26.— Le curve per gli integrali ellittici di 1° specie. L’integrafo polare si presta naturalmente assai bene per le quadrature di fun- zioni di un variabile che abbia il significato di angolo. E quindi in particolare per gli integrali ellittici di 1° e 2° specie. Nella fig. 41 sono tracciate, nel modo che ora spiegheremo, le curve per gli È: integrali ellittici di 1% specie. Assunta un’ unità di misura OA ==10 cm. si sono disegnate con un compasso ellittico le ellissi AA, , AA,,... AA, di equazioni (133) 1= PA V1— k?sen?0 : Noa p Oa 13 1 È fre RE 2 corrispondenti ai valori rato s—, 0 di # che sono indicati dai segmenti segnati sull’asse perpendicolare ad OA. ATTI — Vol. XV — Serie 20 — N. 16. Cv — 66 — a Queste ellissi hanno tutte per semiasse minore OA, e per semiasse maggiore LS ; la facile costruzione dell’estremo di tale semiasse maggiore è indicata nella. Vi—® i 0 ina aggio 1 si taglierà l’asse OA in figura. Facendo p. es. centro in #=-—-, con raggio l si taglie i un punto la cui distanza da O sarà V1—z?, e congiunto tal punto col punto k=1, e indi da A condotta la parallela a tale congiungente, l’ intersezione col- l’asse perpendicolare ad OA determinerà l'estremo del semiasse maggiore dell’ el- 3 lisse corrispondente a e La prima e l’ultima di tali ellissi sono rispettivamente una retta e un cerchio. Si ponga la base dell’integrafo polare nel centro 0, e fatto w= 90°, a= 90°, si integrino consecutivamente queste ellissi partendo ogni volta dal punto F (che è Fig. 41. il punto di massima distanza del carrello integrale da 0); si ha allora un fascio di curve F,,F,,...F, ognuna delle quali corrisponde ai valori dell’integrale ellit- tico di 1° specie i) (134) ra,g=f e x 7 V1— rîsen®0 Propriamente possiamo dire (trovandoci nel caso dell'equazione (126)) che i va- lori di questo integrale sono rappresentati dalle distanze, contate sui raggi vettori, del punto della curva dal cerchio passante per F; perciò nella figura sono state disegnate tutte le circonferenze di raggi differenti fra loro di 2 cm., e queste con tutti i raggi vettori formanti fra loro angoli di 10°, sono venute a costituire una rete colla quale si può riconoscere approssimativamente è valore dell’integrale per un dato k e per un dato 6. Il nostro apparecchio può dunque servire a costruire in modo meccanico quel- de gn l’abaco per leggere i valori degli integrali ellittici che può rendere dei buoni ser- vigi in più di un problema pratico *). Per le limitazioni imposte dalla costruzione dello strumento, alcune delle curve F,,F.,... non hanno potuto raggiungere il raggio inclinato di 9 = 90° al raggio OF, giacchè il carrello integrale ha raggiunto la sua minima distanza da O prima che lo strumento sia stato girato di 90°. Ma in tal caso, per continuare la curva, non c’è da fare altro che fermare lo strumento colla vite che frena la ruota M (v. fig. 32), rimettere il carrello integrale alla sua massima distanza da O, e far ripigliare allo strumento il suo cammino. In tal modo si ha p. es. dopo il primo ramo della curva F,, il ramo F', terminante all'angolo 6 di 90°. Il valore dell’integrale ellittico corrispondente ad un puuto di questo secondo ramo si calcola aggiungendo al numero che misura la distanza del punto della curva dal cerchio passante per F, il numero costante che è la differenza fra i raggi dei due cerchi passanti per le posizioni di minima e massima distanza da O del carrello integrale. Si intende poi naturalmente che queste lunghezze bisogna calcolarle in decimetri, essendo il decimetro l’unità di misura scelta per la costruzione delle ellissi. Se poniamo invece a 90° l’angolo w, e a 0° l’angolo «, e integriamo le stesse ellissi precedentemente descritte otteniamo le curve di equazione 6 (135) Dai -f VI — kisen?6 - d6 + cost. , e 0 la costante dipendendo dal punto iniziale in cui poniamo il carrello integrale. L’integrale del secondo membro è l’integrale ellittico di 2* specie È) (136) E(k,0) “i V1— k?sen?0 è dé ; 0 ma questo meglio potrà calcolarsi per via più diretta, come diremo nel $ seguente. $ 27.— Le curve per gli integrali ellittici di 2° specie. Le spiegazioni date nel $ precedente ci dispensano dall’entrare in molti altri particolari sulla costruzione della fig. 42. In questa, invece di disegnare le ellissi fondamentali della fig. 41, abbiamo disegnate le curve di equazione (137) p=V1— k?sen?6 prendendo un’unità di misura eguale a 16 cm. e per valori di £, ì valori 1, SI 1 7 4 ’ 2 ti 4 pre *) v. p. es. Benedicks, Constructions graphiques des fonctions elliptiques de Jacobi, I, 1I, (Arkiv for Matematik, Astronomi och Fysik, Bd. 7, 1912). — 68 — 3 Viù Il tracciamento per punti delle curve (137) è dei più semplici. er Si traccino i raggi vettori facenti fra loro angoli eguali, p. es. di 10 in 10 gradi, e i cerchi di centro O e coi raggi #. 22 2 Dal punto d’incontro del cerchio di raggio # col raggio vettore corrispondente A si tagli sulla circonferenza di diametro OA un arco di corda eguale a tale per- pendicolare; la distanza dell’ estremo di tale arco da O sarà V1—?%*sen0, e per- Fig. 42.8 ciò la circonferenza di centro O e passante per tale estremo, taglierà il raggio vet- tore nel punto della curva richiesta. i pie. Restano così disegnate le curve A, (che è la circonferenza di diametro OA), A, A,, A; A;, la quale ultima è a sua volta la circonferenza di centro O e raggio. 1=0A. i Posta allora in O la base dello strumento, e gli angoli w e « a 90°, si inte- grino le curve A, prendendo ogni volta le mosse dal medesimo punto E, e si Hara i il fascio di curve E, ,E,,...E,, di cui si disegneranno i secondi rami collo stesso metodo illustrato nel $ precedente. | SRI Queste curve rappresenteranno, al solito modo, gli integrali ellittici di 2° specie. — $ 28.— Calcolo di alcuni integrali che servono in Balistica. L’integrafo polare serve assai bene al calcolo degli integrali del tipo i 7) (138) B= ne Pes er) 7 ((] che si presentano in una quistione di Balistica, e propriamente nel calcolo del mo- vimento di un proiettile in un mezzo resistente proporzionalmente alla w”* potenza della velocità. cade — (139) ee Nei Trattati di Balistica vi sono delle tavole in cui sono calcolati i valori di questi integrali per varii valori di n, e propriamente per n= 1, 2, 3, 4 DO) La fig. 43 rappresenta l’abaco ottenuto dal nostro strumento e relativo ai valori del suddetto integrale pei citati valori di n. Le curve AA, di equazione 1 — cos”0 sono facili a costruire per punti; quella per n=1 è la retta AA, perpendicolare ad OA nel punto A distante da O di 10 cm. (cioè dell'unità di misura). Per costruire le altre conduciamo per O tanti raggi vettori, e troviamo su cia- scuno di questi, i punti delle varie curve (139). Uno dei raggi vettori, p. es. OBD, taglia AA, in un punto B; si riporti con un arco di cerchio il punto B in C sopra OA, e da C si conduca la parallela ad AB; questa taglia il raggio vettore in D che è un punto della curva AA,; si con- giunga ora D con A, e da Csi conduca la parallela ad AD; si ha così il punto E della curva AA,, € così di seguito, si può facilmente, su ogni raggio vettore, costruire la successione dei punti delle varie curve AA,, AA,,...AA,. Applicata in O la base dello strumento, e integrate le precedenti curve dopo avere, al solito, fissati a 90° gli angoli èw e «, si ha il fascio di curve uscenti dal punto M le quali si arrestano dopo aver girato di angoli 6 minori di 90° e sempre più piccoli. Ciò dipende dal fatto che, come si vede dalla parte a destra della fig. 43, le curve, al crescere di n, tendono a piegarsi verso l’asse OAC, e quindi la punta differenziale, seguendo una di queste curve, raggiungerà la sua posizione estrema, « ‘compatibile colla costruzione dello strumento, dopo aver girato di un angolo sempre 6 a 7 - i Pa più piccolo. *) v. p. es. Cranz, Lehrbuch der Ballistik, Band IV: Atlas fiir Tabellen, Diagramme und photograph. Momentaufnahmen, (Leipzig, 1910), Tabelle Nr. 10. Mr $ 29. — Risoluzione delle equazioni algebriche. ll nostro apparecchio, eseguendo l'integrazione polare (quando si pongono a 90° gli angoli © e «), si presta assai bene alla risoluzione delle equazioni algebri- che; la radice sarà rappresentata da.un angolo, che dovrà intendersi naturalmente misurato prendendo per unità di misura il radiante cioè l'angolo di 57°1744% Bisogna però cercare la maniera di applicare lo strumento a questo problema, perchè non può certamente presumersi di costruire (come si fa coll’integrafo di Abdank-Abakanowicz) la curva di equazione p= f(9) e cercare indi i valori di 6 per cui è p=0. Lo strumento non può avvicinarsi ai punti in cui è p==0, perchè il carrello integrale non può avvicinarsi alla base O dello strumento per più di una certa lunghezza che nel nostro modello è di 9,6 cm. Cercheremo allora di disegnare due curve, una di equazione: (140) p=/(0)4+-9(0) e l’altra di equazione: (141) p=9(0), le quali colla loro intersezione determineranno il valore di 6 per cui è: (142) f(0)=0. Data l’equazione algebrica (142) di cui si vogliano determinare le radicì reali positive, sarà bene trasformarla in modo che tutte le sue siffatte radici sieno minori di 1, e ciò perchè basti, per trovarle tutte, girare lo strumento di un angolo di circa 57°. Per far ciò evidentemente basta eseguire la trasformazione v2 20 es- sendo A un limite superiore delle radici reali positive dell'equazione, limite che si trova coi metodi elementari e semplici dell’ Algebra. Possiamo ora ideare un doppio procedimento per risolvere il nostro problema. Noi ricordiamo che, come risulta dalla (126), l’integrazione polare che viene ad eseguirsi, girando di un angolo 6 nel senso positivo della rotazione degli angoli (cioè nel senso opposto a quello del movimento dell’ indice dell’orologio), ha il segno negativo; girando quindi lo strumento nel senso opposto, l'integrazione risulta positiva. Se f(0) è: (143) f(0)= 4,06" + 0,0"! +...+0,_0+4, > sì formino le successive derivate: ; {f(0) nad... ai (144) de i a, fi (0) =n!% ; Ant) ELI e si integri il cerchio: (145) pena, , cioè si ponga la punta differenziale alla distanza n!a, dal centro O, e si faccia girare lo strumento in un senso o in un altro scegliendo, nel modo che diremo più sotto, la posizione iniziale del carrello integrale. Nella fissazione dell’ unità di misura per calcolare la distanza n!a, c’è una arbitrarietà; si sceglierà un’unità così piccola che tutti i numeri a n—-1 ? n n'a, (a—1)la,, (M_—-2)!a,,...,1!a risultino minori di quello che misura la lunghezza del cammino che, sulla sua guida, può fare il carrello integrale. Se così facendo la lunghezza n!4a, risulta minore di 7 cm. che è la minima possibile distanza del carrello differenziale da O, per eseguire la prima integra- zione si fisserà il perno differenziale a distanza n!a, da O mediante la staffa cui abbiamo accennato nel $ 23. Ciò fatto, consideriamo prima il caso in cui si voglia girare lo strumento in senso negativo, e sia A la posizione di minima distanza a del carrello integrale da 0. Fig. 44.3 Si ponga la posizione iniziale del carrello integrale in un punto « (sul raggio vettore II) distante da A di (n — l)!a,, se a, è positivo, e in A se a, è negativo, e si giri. Si verranno a descrivere le curve: (146) pen!a0+(n—1l)!a, ta (nel 1° caso) 0 (147) p=n!a0+a (nel 2° caso) e insieme a queste si immagini descritto il cerchio di centro O e di raggio a nel primo caso, o di raggio a + (n — 1)l|a,| nel secondo. Questo cerchio lo chiame- ottenule successivamente da esso con integrazioni, come diremo più & sol Si giri ora lo strumento sino a porre la punta differenziale sul pu della curva ottenuta, si integri questa ponendo inizialmente la punta in raggio III) in « distante di (n — 2)!a, da A se a, è positivo, ein A se tivo; e indi si integri la corrispondente curva satellite, ponendo la punta. reciprocamente in A 0 in «, (sul raggio vettore III) secondo i due casi. | APRO (148) ovvero (se a, è posilivo e a, è negativo): n! =—a,0° +-(nT_-1)!a,0604+a80+a p=a8+aT-(n—-2)!a, Similmente si procederà per gli altri casi. ca È chiaro che il punto d’intersezione delle due curve (148) o delle due (1 Fig. 45. corrisponde sempre esattamente a quell’angolo 6 per cui è zero la (n — 2)” zione derivata di f=0. Seguitando quindi sempre coll’ indicato procedimento veniamo a trovare le rad ici reali positive dell'equazione data. Il secondo procedimento, cui abbiamo di sopra accennato, è.fondato sulla r' zione dello strumento in senso positivo, anzichè in senso negativo. 30557 Italo" A patto I 425 LE ‘e è il medesimo, solo ci invece di contare i segmenti dal punto RT di minima distanza da 0, li conteremo dal punto B di massima distanza d da o inoltre la legge relativa ai punti iniziali delle curve principali e delle curve sa- n - telliti in rapporto al segno dei coefficienti di f, non è costante, ma alternata. a a In altri termini nella prima integrazione (quella che dà le curve analoghe alle a) o (147)) si cominci bensì la curva integrale da un punto 8 distante da B (verso O) della quantità (n —1)!a, (se a, è positivo) o da B (se a, è negativo), ea si comincino le curve satelliti rispettivamente da B o da 8; ma nella seconda | integrazione il punto iniziale della curva principale dovrà essere invece B se a, è SE | positivo, o un altro punto 8 distante da B di (2 — 2)!|a,], se a, è negativo, mentre 3 da curva satellite deve cominciare rispettivamente da B o da B; la legge precedente resta cioè invertita per la seconda integrazione. pi Nella terza integrazione si ritornerà poi alla legge precedente, e così seguitando, “p lutte le integrazioni di ordine pari la legge resta invertita, e resta la stessa in quelle di ordine dispari. La ragione di ciò è facile riconoscere nel fatto che girando «lo strumento in senso positivo l’integrazione risulta mutata di segno. Nelle fig. 44 e 45 è stata eseguita col doppio metodo l'integrazione dell’equa- zione cubica vu (150) i Se Do ha una radice reale eguale ad —, che infatti si è ritrovata molto esattamente rappresentala dall’angolo di 28°3852" da auino le parti, del raggio IV. Nel disegno si x FO assunta per unità di misura cm. ne si è fatto cioé che la mirima distanza «cale del carrello differenziale da 0, che è di È cm., rappresenti il numero 6. ERrRATA-CORRIGE p. 4, riga 22: relativo all’ equazione sî legga: per l’ equazione p- 36, riga 5 da sotto: Ma dopo » Ma l’Autore, dopo p. 39, riga 10: poggiata » foggiata. p. 40, riga 2 da sotto: oC » OC p. 43, riga 7: FG » HG p. 44, riga 8: il perno D » il perno E di d x p. 53, riga 4: @ == QUz,) » D DE dep p. 61, riga 17-18: applicacazione » applicazione p-162, riga b: sieno » sono. p. 63, riga 12: Essa è » Essa che è p. 64, riga ultima: una qualunque, » un’ arbitraria p. 65, riga 3: descritto » descritte “——. 65, riga 9 da sotto: un variabile » una variabile p. 65, riga 2 da sotto: di k che » di k, valore che p. 68, riga 4 da sotto: cos’r » cos” 6. b.0(2;. riga. 9: a’ » a, ATTI — Vol. XV — Serie 22 — N. 16. 10 4I INDICE . . . . . . . . . . . . . . . PARTE I.— Integrafi cartesiani 1. — Preliminari e classificazione . 2. — Integrafi a riga curvilinea. Equazioni differenziali del tia si ®(QUa) _ n $ 3.— Caso della riga rettilinea ma eccentrica. Equazione differenziale corrispon- dente . È î 5 c - È - È 5 2 > x $ 4.— Un integrafo per l'equazione di Riccati ed uno per l’equazione di Abel. 1° ordine . s . . . 5 - = 4 z a è < : 6. — Tracciamento della curva esponenziale e della catenaria . > - x _ $ 7 — Integrazione dell’ equazione differenziale lineare completa di ordine superiore pi a coefficienti costanti, ma col secondo membro variabile . c 8. — Risoluzione delle equazioni algebriche av l’integrafo a riga Sonia) j RE Integrazione dell'equazione y=a= — + Q(e) . È - $ 10. — La curva delle probabilità . 7 * È i 0 5 z J è $ 11. — Integrafi a perno fisso . ; i , 2 7 . $ 12.— Integrafo a due perni fissi, Ti coaigzione di i un’altra Fina canonica dell’ e- | quazione di Riccati . a - n + £ 2 3 5 $ 13. — Integrafi a perno mobile. L'equazione differenziale dell’odografo relativo al E movimento di un proiettile in un mezzo comunque resistente. . $ 14. — Costruzione della curva della traiettoria mediante quella dell’odografo : $ 15.— Integrafo per la quadratura del prodotto di due funzioni 5 — $ 16.— Integrafo pel tracciamento continuo della curva . : È 5 5 _ $ 17.— Integrazione dell’equazione differenziale lineare a Ssoliienti generali. s È $$ 18. — Risoluzione dell'equazione integrale del tipo di Volterra. : ; Vi 19. — Integrafo a vettore costante . F . . . $ 20. — Integrafo a guida curvilinea, Equazioni differenziali dei tipi aY '=Q( r+p(4)), A e p(Y)y +y=Q(e+ 9(Y)), e altre pi generali . ì : Be 21. — Integrafo per l'equazione differenziale y' = f(x + e()F@) < . E; 5. — L’integrafo a riga rettilinea centrata. L'equazione differenziale lineare di polari . È do 23. — Prime operazioni che si ‘fanno collin Dr Se a P tegr P riga rettilinea . - . . . + ; . . $ 25. — Costruzione grafica di 7, e sezione di un angolo n $ 26. — Le curve per gli integrali ellittici di 1% specie . No csi $ 27. — Le curve per gli integrali ellittici di 2% specie 2 SERE * $ 28.— Calcolo di alcuni integrali che servono in Balistica . $ 29. — Risoluzione delle equazioni algebriche . È S po finita di stampare il dì 21 Novembre 1913 THE NEW vOoRK —_&. _—‘’‘ ACADEMY OF SCIENCES. SOCIETÀ REALE DI NAPOLI ATTI DELLA REALE. ACCADEMIA DELLE. SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SERIE SECONDA VOL. XV. CON 25 TAVOLE NAPOLI TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DIRETTA DA B. DE RUBERTIS FU MICHELE 1914 x 40 i È sai = f. , da, Sw AGE ngn Ai re ,Z, i " À #h [A IMAMKNDI 100217182