' '■ ) Corrado detto in nelle cronologie degli imperatori in Italia era allora detto Corrado il, spe- cialmente in molte delle monete della repubblica di Asti. (2) Il Grassi (Storia della Città d’ Asti. Asti 1817, Voi. i, pag. 178) ed il Grandi (Repubblica d’Asti. Asti 1851, pag. 247) vogliono che la casa di rifugio non molto lontana dalla cima dell’ alto monte sovrastante al Cenisio detto Roccia Melone, la quale anche oggi porta il nome di Casa di Asti, sia stata eretta in segno di giurisdizione dagli Astigiani verso la metà del secolo xiii, quando essi tenevano prigione il conte Tommaso di Savoia. Ma il Cibrario (Valli di Lanzo e di Usseglio nei tempi di mezzo, pag. 8), ed il Garetta (Atti della Società di Archeologia di Torino, fase. 2) credono, e forse con miglior fondamento, questa casa costrutta da Bonifacio Rotario o Roero di Asti, il quale verso il 1358 avrebbe costrutta la cappella sul Rocciamelone. Carlo d'Angiò, sceso nel 1259 in Italia, cominciò ad impossessarsi di terre in Piemonte, e nel 1260 imprese lunghe guerre con Asti, che ebbe a sottostare a gravi sacrifici pecuniali per ottenerne diverse tregue negli anni successivi. Nel 1289 Guglielmo marchese di Monferrato tentò con poderoso esercito la con- quista d’Asti e di Alessandria, ma invece egli stesso fu preso e tenuto prigione fino alla sua morte. Non mancarono pure nei tempi, dei quali parliamo, lotte con altri minori signori vicini, e colle contigue città di Alessandria, Alba, Chieri, ed altre. Verso la metà del secolo xm cominciarono le fatali lotte delle fazioni interne, che dovevano trarre anche la repubblica d’Asti a rovina. I Solari guelfi, ed i de Ca- stello (') ghibellini riuscirono a dividere gii animi e le famiglie in due parti. Le contese non ebbero dapprima effetti troppo funesti, ma, nel principio del xiv secolo, il furore cittadino si accese per modo , che furono chiamate le armi di fuori. I Solari che nel 1303 erano stati cacciati dalla città dai marchesi di Saluzzo e di Monferrato, ai quali i de Castello l’avevano consegnata, volendo rientrarvi e cacciarne alla lor volta gli avversari, chiamarono in aiuto Filippo di Savoia principe d’Acaia, il quale, nomi- nato capitano del popolo, fin d’allora tentò, sebbene invano, di farsi signore della città. Nel 1310 l’imperatore Enrico vii, venuto in Asti, restituì la pace fra i cittadini, ma, risorte le contese, donò nel 1313 il contado d’Asti ad Amedeo v conte di Savoia, sebbene la donazione non potesse per allora avere effetto. Nel 1314 i Solari diedero il dominio d’Asti a Roberto d’Angiò, ed i Ghibellini chiamarono nel 1339 il marchese di Monferrato; il quale, presa la città d’assalto, le sug- gerì la protezione di Luchino Visconti signore di Milano: questi riuscì nel 1342 a farsi ricevere signore d’Asti a vita, e vi edificò una cittadella, della quale ancora pochi anni fa si vedevano gli avanzi. Nel 1349, morto Luchino, Asti si assoggettò al suo fratello Giovanni Visconti Arcivescovo di Milano, personaggio che verosimilmente or- dinò il Codice, del quale ho l’onore di parlarvi. Nel 1356 cioè due anni dopo la morte dell’arcivescovo Giovanili, il marchese di Monferrato si impossessò nuovamente di Asti, e nel 1361 Galeazzo Visconti gli rinunciò, come dote di sua figlia, le ragioni che vi pretendeva. Nel 1379 ricadde Asti sotto i Visconti, da cui, nel 1387, passò per dote alla casa degli Orleans ; e da questa il dominio effettivo venne ai Visconti nel 1422, e tornò agli Orleans nel 1447. An- dava di poi nel 1512 agli Sforza di Milano, nel 1515 a Francesco i re di Francia, e nel 1516 nuovamente agli Sforza; nel 1526 passò all’Imperatore, per ritornare nello stesso anno ai Francesi, e nel 1529 all’Imperatore. L’Imperatore ne investì nel 1531 Beatrice di Portogallo, moglie di Carlo ni (*) duca di Savoia, da cui passò nel 1538 al figlio Emanuele Filiberto. Dopo la batta- glia di San Quintino, restituiti a questo principe nel 1559 gli aviti stati, Asti fu sgombrata dagli Spagnuoli nel 1575, e d’allora in poi, salvo l’intervallo della re- pubblica Cisalpina e della signoria straniera al fine dello scorso ed al principio di questo secolo, fu sempre sotto lo scettro di casa Savoia. O I de Castello avrebbero costituita, una sola famiglia, la quale poscia si suddivise nei tre rami dei Guttuari, degli Isnardi, e dei Turchi (Grassi 1. c. I. pag. 216). (2) Carlo detto in nelle genealogie del Cibrario, sebbene nelle monete e negli atti si intitolasse il. Ma tornando ai tempi della libera repubblica d’Asti, ben poteva essa assumere nelle sue monete la superba divisa: Aste nitet mundo. Il suo dominio si estendeva sopra una parte importantissima del Piemonte, e le fiere e potenti famiglie marchio- nali che Pattorniavano, le erano in parte vassallo. Il suo commercio fioriva negli Stati principali d’Europa. Sicché dice bene il Cibrario « niuna città del Piemonte potè contendere con essa nè di ricchezze nè d’armi, niuna ebbe maggior influenza sulle sorti d’Italia, niuna contò tra i suoi cittadini e vassalli più gran numero di ba- roni (')». Nel Piemonte alfine del secolo xn, secondo il Ficker, «forse per l’antica costituzione del paese, la autonomia delle città sembra meno sviluppata che in Lom- bardia. La maggior parte del Piemonte apparteneva a numerose famiglie marchionali, presso cui l’ imperatore trovava nel suo passaggio sufficiente appoggio dirimpetto alle poche città autonome, fra cui solo Asti era giunta a maggiore importanza (!) ». 2. Libro vecchio e Codice Ogerio Alfieri. Come parecchi altri Comuni liberi lo fecero a conservazione dei loro diritti, e con beneficio grandissimo della storia, così il comune d'Asti aveva raccolti in un volume gli atti più importanti relativi alla sua giurisdizione, i trattati pubblici, i diplomi e le lettere imperiali e papali, le confederazioni e le paci cogli altri Comuni retti come Asti a libertà, gli acquisti, le cessioni, le sottomissioni, e via dicendo. Già era noto, che nel 1292 esisteva una siffatta collezione dei titoli più im- portanti della repubblica astigiana, che aveva nome di Liber vetus, Codex vetus. In- fatti già si sapeva che, appunto nel 1292, Guglielmo de’Lambertini di Bologna pode- stà di Asti aveva ordinato a Guglielmo Passatore notavo del Comune di trascrivere in forma pubblica, ed in un nuovo volume, gli atti contenuti nel Libro vecchio. La nuova copia fatta dal Passatore non si sa che abbia avuto titolo speciale. La sna prima rubrica cominciava colle parole: De authenticatione priuilegiorum et instrumentorum communis astensisf). Essa venne spesso citata sotto il nome di Libro, Istoria, o Cronaca d’ Ogerio Alfieri (v). La stessa copia fu pure citata altre volte col titolo di Codice gotico (3) e di Libro verde (6), ma noi continueremo ad indicarla col nome di Codice Ogerio Alfieri , sotto il quale fu più comunemente nota. Forse tanto il Libro vecchio, quanto la Copia alfieriana, vennero gelosamente cu- stoditi, finché Asti serbossi libera e potente, come sacro deposito dei diritti del Co- mune, e caduta la sua libertà, se non dal Comune, almeno per cura di qualche famiglia cospicua, si conservarono come monumento insigne della passata grandezza del Comune. E come a monumento storico vi ricorsero i cronisti e gli scrittori, e più di tutti (>) Terre libere del Piemonte — Operette e frammenti storici, Firenze 1856, pag. 214. (2) Dr Ju- lius Ficker. Forscliungen zur Reichs-und Rechtsgeschichte Italiens. Innsbruck. 1868 - 74. Voi. li, pag. 204. (3) SaN Quintino. Osservazioni critiche sopra alcuni particolari delle Storie del Piemonte e della Liguria nell’ undecimo e dodicesimo secolo ecc. Parte li, pag. 72, in nota. Torino 1854. ( •) Monsig. Fr. Agostino della Chiesa. Descrizione del Piemonte, Voi. n, cap, 10, fol. 88, e capo 17, fol. 192, et alibi. (5) Serafino Grassi. Storia della Città d’Asti. Voi. i, pag. 11. Asti 1817. (c) Delfino Muletti. Memorie storico-diplomatiche appartenenti alla città ed ai Marchesi di Saluzzo, raccolte ecc. e pubblicate con addizioni e note da Carlo Muletti. Voi. li, pag. 263 e seg. Sa- luzzo 1829-33. — 9 — monsignor Francesco Agostino della Chiesa vescovo di Salnzzo nel secolo xvii , il quale in più luoghi della Descrizione del Piemonte, che lasciò manoscritta e si conserva nella biblioteca del Re in Torino, e della Corona Reale di Savoia, si ap- poggiò spesso all’autorità di quei documenti. Ma i preziosi monumenti dell’ antica grandezza astigiana non vennero lunga- mente conservati in Asti. Si direbbe che valga per le nazioni, come per le città e per le famiglie ciò che il poeta dice delle persone Nessun maggior dolore Che ricordarsi del tempo felice Nella miseria. E noi vediamo infatti spegnersi o riaccendersi in esse il culto delle antiche glorie, secondo che ne rovina, o risorge la fortuna, o si rialzano gli spiriti a prepararne il risorgimento. Verso la metà del secolo xvii, uno di questi codici dei diritti astigiani, molto probabilmente l’Alfieriano (poiché il della Chiesa dice che conteneva li dissegni degli antichi castelli dell Asteggiano) si trovava nella biblioteca dei Reali di Savoia (‘), e vi si doveva trovare ancora nel 1667 (2). D’allora in poi scomparvero , almeno per gli scrittori piemontesi, le traccie di questi codici astesi. 3. Frammento torinese del Codice Alfieri. Solo nel 1756, si scopre un frammento del Codice Alfieri presso gli eredi della famiglia Zoya in Asti. Questo frammento, raccolto da Giuseppe Maria Carlevaris abate dei canonici Jateranensi, passò in seguito presso il conte Cacherano Malabaila di Osasco, e quindi presso il conte Canefri di Alessandria: finalmente pervenne alla bi- blioteca della R. Università di Torino ove tuttora si conserva (3). Noi lo chiameremo perciò Frammento torinese. Questo Frammento consta di ventuno fogli (vi. xi. cccii. ccciv a cccix. cccxi. cccxii. ccclxxxxvii a cccci. cccciv a ccccvm). Dal poco rimastoci si vede che il Co- dice Alfieri era di oltre 408 fogli in pergamena, di centimetri 40 per 27, scritto ma- gnificamente a due colonne in bel carattere minuscolo. Nella prima pagina del fol. vi del Frammento si ha una mezza carta topografica, la quale, salve le proporzioni, è all’incirca la metà di quella di cui in appresso parleremo. A tergo del foglio sesto vi è una interessantissima miniatura, la quale dà idea deH'importanza che si attribuiva al novello Codice dei dritti del Comune. Vi si rappresenta il podestà Guglielmo de’ Lambertini con una bacchetta in mano, e dietro lui Giacomazzo C) Monsig. Della Chiesa. Catalogo degli scrittori piemontési. Carmagnola 1660, pag. 174. (-) PiOSSOTTi. Syllabus scriptorum Pedemontii. Monteregali 16(37, pag. 454. (3) Gio. Akdesco Molina. Notizie storiche profane della città d’ Asti. Voi. i. pag. xxviu. Asti 1774. — Serafino Grassi. Storia della città d’ Asti. Voi. i, pag. 11. — G. B. Adriani. Degli antichi signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone, pag. 361. Torino 1853. — San Quintino, op. c. pag. 72, in nota. — Manuel di S. Giovanni. Dei marchesi del Vasto, e degli antichi monasteri de’ SS. Vittore e Costanzo e di S. Antonio nel marchesato di Salnzzo, pag. 69-70. Torino 1858. 2 — 10 Bosio capitano elei popolo, portante in ispalla una lancia; poscia Ogerio Alfieri. Viene quin- di un gruppo di sette personaggi sovra cui stanno sei nomi, cioè quelli di Guglielmo de Lavezolis, Tomaino Rotario, Corrado Malabaila, Pietro Morando, Uberto Gambarello, Bonifacio de Ulisengo. Il podestà e tutte queste persone sono rivolte verso il notaio Guglielmo de Passatore il quale tiene a mano il sacchettino, distintivo del suo ufficio. Sotto la miniatura sta scritto quanto segue: Dominus Guillelmus de lambertinis bononiensis potestas astensis honorabilis miles. Videns in- strumenta comunis astensis in uno uolumine tantum scripta timens ne de predicto uolumine instru- mentum aliquod ammiteretur aut deterioretur vel eciam ipsum uoluminem prò honore et utilitate comunis astensis precepit Guillelmo de passatore notario civi astensi de burgo sancti pauli. Quatenus ipsa instrumenta debeat exemplare et in formam publicam redigere et in isto nouo uolumine plenius compilare. De autenticatione privilegiorum et instrumentorum comunis astensis. (Sigjium notar.) Anno domini millesimo ducentesimo Nonagesimo secando. Indinone quinta die sabati, nono mensis augusti. Presentia testium infrascriptorum Dominus Guillelmus de lambertinis potestas astensis a parte publica precepit mihi Guillelmo de passatore notario infrascripto quatenus omnia privilegia et in- strumenta comunis astensis et eciam ea que sunt in libro sive secretano comunis astensis autenti- carem et in formam publicam redigerem ut uim et robur et efficatiam plenius obtineant firmitatem. Videlicet tantam quantanr habent prima et principalia et ea que in ipso libro sunt contenta. Qui dominus potestas bis omnibus premissis suam prò comuni interposuit auctoritatem et decretum ut predicta omnia et singula ualeant et teneant et roboris firmitatem obtineant. Actum ast in domo illorum de sulbrico in qua inoratur dictus dominus potestas. Testes interfuerunt Dominus Jacomacius bosius mediolanensis capitaneus populi astensis. dominus Ogerius alferius. Guillelmus de lavezolis. Thomaynus rotarius. Couradus malabayla. Petrinus morandus notarius. Ubertus gambarellus notarius et dominus bonefacius de ulisengo. et ego Guillelmus de passatore notarius palatinus omnia infrascri- pta instrumenta uidi legi et exemplaui nichil addens vel minuens preter litteram sillabam vel punctum et sicut in ipsis instrumentis continebatur sic et in isto nouo libro siue autentico et exemplo ple- nius continetur, Et ut predicta melius credantur et ad maiorem cautelam meum signum apposui et precepto et uoluntate dicti domini potestatis sic scripsi. Il foglio xi contiene tre privilegi o lettere imperiali, ed un frammento di altro atto simile, e quindi la seguente autentica, la quale non sembra scritta lo stesso giorno, che il resto del foglio. (Sign. notar.) Et ego Guillelmus de passatore notarius palatinus omnia predicta priuilegia uidi legi et exemplavi. nichil addens vel minuens preter fore (forte) litteram punctum vel sillabam pai-cium tamen significatione retenta, et sicut in illis priuilegiis originalibus continebatur sic et in isto novo exemplo plenius continetur. Et precepto dominorum Ugonis de Salodo potestatis astensis et lombardi litte capitanei populi astensis nec non et Quatuor sapientum ciuitatis astensis. Videlicet. dominorum. maynfredi pellete. Jacobi layolii. Fulchi cazo , et Franceschini ysnardi tenentis locum ysnardini ysnardi. meum signum et nomen apposui et me subscripsi. Dopo ciò con inchiostro rosso è scritto: « Alia privilegia imperatorum que non « potueruut stare in titillo isto. Require in fol. ccclxxi ». Il che prova che, anche dopo la sostituzione di altro podestà al Lambertini, non era venuta meno la cura per la nuova trascrizione dei documenti astesi. Si deduce ancora dai fogli vi e xi, come vi fosse una parte del Codice Alfieri posta avanti alla carta topografica ed all’autentica; e poscia seguissero, per non più che cinque fogli, quelli dei diplomi o delle lettere imperiali, che non furono riferiti dopo il foglio CCCLXX. I fogli dopo l’xi contengono atti o frammenti di atti relativi a terre diverse. Sovra ! 11 — ciascun documento 'e scritta in rosso la sommaria indicazione dell’oggetto del documento. Inoltre gli atti relativi alla stessa terra sono aggruppati insieme, come in capitolo, sotto uno speciale titolo indicante la terra, alla quale gli atti susseguenti si riferiscono. Il nome della terra è anche scritto in testa di ciascun verso dei fogli costituenti ogni capitolo. Il foglio cccii è un frammento del capitolo, che, dalla indicazione a capo del foglio, si scorge essere relativo a Castiglione sovra Alba, e contiene un’atto e tre frammenti d’ atto. I fogli ccciv a cccvii contengono nove atti, costituenti il capitolo completo di Man- zano, e nel primo di detti fogli vi ha il titolo del capitolo, ed una miniatura rappre- sentante Manzano. II foglio cccxi contiene due atti, costituenti il capitolo di Novello, preceduti dal titolo del capitolo e dalla miniatura rappresentante questa terra. I fogli ccclxxxxvii a cccciv contengono sette atti o frammenti d’ atti riguardanti Cuneo, preceduti dal relativo titolo e miniatura. Al fine di ciascuno dei documenti riferiti nel Frammento torinese, vi 'e l’indicazione del foglio del Libro vecchio, dal quale sono stati tratti: Est in libro voleri in folio.... Non vi ha dubbio che il Frammento torinese appartenga al Codice Alfieri. In fatti esso è per l’appunto la copia autentica dei documenti astigiani fatta nel 1292 dal notaio Passatore, d’ ordine del podestà Lambertini, come ne fanno testimonianza la dichiarazione di autentica che il notaio vi appose, ed il suo segno tabellionale che vi tracciò nel foglio vt e nel foglio xi. I quali fogli per tutti i loro caratteri evi- dentemente spettano allo stesso codice, a cui appartengono gli altri fogli del frammento. Inoltre si ha la riprova desiderata dal Combetti. Questi pubblicò nei Monumenti di storia patria (‘) un manoscritto cartaceo del fine del secolo xvi, conservato nell’Ar- chivio di Stato in Torino, ed intitolato « Aliquid de historia civitatis Astensis prout « reperitur in libro Ogerii Alferii Civis astensis ». Esso contiene una cronaca della quale in appresso si dirà, ed un indice delle ragioni di Asti sopra i luoghi vicini, o delle terre finitime su cui il Comune vantava diritti, come pure di città colle quali esso aveva trattati. Questo indice o Lacinia (2), parlando di un atto di concordia fatto nel 1198 fra Asti ed i signori di Manzano, Sarmatorio e Monfalcone, dice, ut latius continetur in libro praedicto Alferii in folio 304. Ed a ragione il Combetti, che non conosceva il Frammento torinese, ma ne aveva avuto notizia dai citati autori, esclama: «Ubi enim « in fragmento supramemoratae collectionis eodem numero 304 signata, concordia ea- « dem relata fuisset, nulla amplius dubitatio remansisset, collectionem illam et Alferii « librimi, unum idemque opus fuisse ».• Ora il Frammento torinese al fol. 304 contiene per l’appunto l’atto di concordia del 1198. 4. Ogerio Alfieri. Non è senza importanza l’indagare chi fosse questo personaggio, che ebbe la ventura di dare ad uno dei Codici d’Asti il suo nome, che è quello di una delle piu illustri famiglie italiane; tanto più che la sua storia getta molta luce sovra quella dei docu- menti astigiani. (') Monumenta Historiac Patirne. Scriptovum III. (2) Loc. cit. col. 688. — Vedi pure Allegato n. 4 annesso a questa nota, ed ivi il n. 107. Il Napione (') consacrò un capitolo ad Ogerio Alfieri. Ivi gli dà lode di essere stato « il più antico scrittore piemontese, il quale fuor dei monasteri siasi accinto « a dare una cronaca » e lungamente ne discorre. Ma quanto alla sua biografia, si limita a dolersi della mancanza di particolari notizie sovra le sue vicende, i suoi genitori, e gli uffici che avesse sostenuto in Asti. Il Gitigliene (2) fé’ cenno di Ogerio Alfieri nell’esordio della notizia su Vittorio Alfieri, del quale egli dice, che probabilmente 1’ Ogerio fu uno dei progenitori; ma le notizie da lui date sono poco più estese di quelle del Napione: egli si limita a dire che Ogerio scrisse nel secolo xm una storia o cronaca d’ Asti, inserta nella grande collezione del Muratori. Ora specialmente dal Codice Malabaila, del quale par- liamo in questo scritto, e da altri documenti, possiamo raccogliere ulteriori notizie sovra questo importante personaggio. Nel 1277 Ogerio Alfieri, unitamente ai suoi fratelli e cugini, vende al comune d’Asti per 2000 lire astesi (3) la sua e la loro parte di signoria sovra Mombercelli. Dalla 0) Piemontesi illustri. Torino 1784. Tom. iv. Elogio dei cronisti piemontesi, pag. 187, 109. (-) Biograpliie universelle. Paris 1811. (8) Domenico Promis (Monele della Zecca di Asti. Torino, Stamperia Reale. 1853) studiò molte delle belle monete coniate in Asti, e per quelle anteriori al 1300 dà le analisi di tre gruppi, che diremo A, B, C e disponiamo per ordine di antichità nello specchietto seguente ; ove a ciascuna specie di monete poniamo di fronte il peso di argento puro in esse contenuto quale si deduce dalle determinazioni del Promis. I pesi sono espressi in grammi. A B C Argento fino contenuto Peso Titolo Peso Titolo Peso Titolo A B C Grosso tornese 4.060 0.95 36"\857 Doppio grosso 1.880 0.95 1.786 Grosso . . . lS'r.SÒO 0.940 lffr.050 0.884 1.020 0.85 D/r.175 0ó"\928 0.867 Denaro .... 0.790 0.332 0.700 0.260 0.650 0.20 0.262 0.182 Ó.130 Obolo 0.400 0.245 0.300 0.205 0.098 C.061 Se riteniamo col Promis, che abbisognassero quattro denari per fare un grosso , e tre grossi per fare un soldo, e supponiamo che la lira astese sempre si componesse di 20 soldi, il valore della lira astese per ciò che riguarda il rapporto tra l'argento in essa contenuto, e l’argento che vi ha nell’attuale lira italiana, sarebbe risultato dai suoi diversi spezzati come nel seguente specchietto : Valore dedotto dal in lire italiane A B C Grosso tornese . . 12.86 Doppio grosso . . 11.91 Grosso 15.67 12.38 11.56 Denaro 14.25 9.71 6.93 forma dell’atto apparisce l’importanza della famiglia. È ammesso un patto, che nei do- cumenti del Codice è assai raro, vale a dire che si debba introdurre negli statuti di Asti un capitolo speciale, che sancisca i privilegi mantenuti in Mombercelli agli Alfieri per le proprietà che vi conservavano, o come allodiali, o come feudi del comune di Asti (Cod. Malabaila, doc. n. 142). Nel 1277 ebbe con due altri cittadini l’incarico di procedere in Priocca alla con- fisca e vendita delle terre spettanti alle famiglie dei Discalchi, Matarazzi ed Obaudi, Nel precedente specchietto noi supponemmo che valesse quattro grossi il grosso tornese, magni- fica moneta coniata, a quanto pare, verso l'ultimo quarto del secolo decimoterzo, e che porta la epigrafe ASTE NITET MUNDO SANCTO CUSTODE SECUNDO. Il Cibrario (Economia politica del medioevo. Torino 1861. Tom. il pag. 168 e seguenti) dà per il valore del denaro d’ Asti centesimi di lira italiana 3.71 nel 1301, 3.08 nel 1305, 2.93 nel 1309, 2.63 nel 1310, 2.20 nel 1313, 2.17 nel 1327, 2.23 e 2.18 nel 1338, e 2.23 nel 1342, ove si tenga conto soltanto dell’argento contenuto. In un contratto del 1304, riferito all’allegato n. 2, è pattuito che, all’occorrenza, si sarebbero, per un certo prestito, restituiti in Asti 32 denari astesi per ogni grosso tornese vecchio del re di Francia: ora siccome, per esempio nel 1302, (Cibrario 1. c. pag. 168) il grosso tornese valeva 0.98 delle nostre lire, così ne sarebbe risultato, che in tale anno il denaro astese valeva 3.06 dei centesimi nostri. Nella ipotesi che sempre la lira constasse di 240 denari, ne consegue che la lira astese avrebbe valso nel 1301 lire italiane 8.90, e sarebbe successivamente an- data diminuendo, tanto da non valere più che lire it. 5.28 nel 1313. Lo specchietto precedente da cui risulta il valore della lira astese, desunto dalle diverse monete, somministra risultati abbastanza concordanti, meno che per il valore derivato dal denaro, ove la divergenza è troppo notevole perchè non si abbia a cercare qualche spiegazione. La lira astese non venne effettivamente coniata, ma era moneta nominale. Ora non potrebbe ammettersi che variasse il suo corso, vale a dire il numero dei diversi spezzati che si ricevevano per una lira ? Negli statuti di Asti (Rubrice Statutorum civitatis Ast. Per Franciscum Oaronum de Liburno, Àst. 1534) si legge quanto segue: « Et primo sciendum est quod denarii duo cum dimidio astenses faciunt unum imperialem et « novera imperiales faciunt solidum unum astensem et solidi viginti faciunt seu constituunt libram « unam astensem qua utiinur et sic libra una continet quartos decem et imperiales sex. « Itera notandum est quod. in scripturis maiorum nostrorum comperitur sicut de anno domini « 1295, moneta auri tunc currens valebat denarios 24, et quartos duos et sic successive crevit usque « ad 1342, quo valebat denarios 52. Quid autem valeret ili e denarius exploratum non habetur ». Parrebbe quasi che mutasse nei conteggi delle diverse epoche il numero di denari effetti- vamente coniati, che entravano a fare un soldo od una lira. Per il gruppo A del Promis sembre- rebbe che in effetto la lira si componesse di 240, od al più di 260 denari, giacche il valore della lira dedotta da questa ipotesi non è molto diverso da quello che si deduce dal grosso. Per il gruppo B sembrerebbe che fossero necessari circa 300 denari a fare la lira. Invece per il gruppo meno antico del Promis, cioè il C, si richiederebbero 420 denari a fare la lira, se questa si suppone avere il valore di 12.08 lire attuali, come è la media dei valori risultanti dal grosso, dal doppio grosso, e dal grosso tornese. Finalmente nel 1534 la lira valeva, secondo ciò che fu premesso agli Statuti di Asti, 450 denari. Ci sembra di trovare un’altra prova di una simile presunzione. Guglielmo Ventura nel suo Me- moriale de gestii cimurri astensium (Historiae Patriae Monumenta. Scriptorum ni col. 731) dice che. verso il 1290, il fiorino valeva 20 soldi astesi, ed il fiorino di buon peso secondo il Cibrario (1. c. pag. 166) valeva in quel tempo lire 11.81 delle nostre, mentre il fiorino di Firenze valeva lire it. 12.37. Ora tanto l’uno quanto l’altro di questi valori poco si scostano da quello che risulta per la lira astese dal grosso, dal doppio grosso, e dal grosso tornese del gruppo C del Promis. Da tutto ciò e dallo specchietto precedente, parrebbe quindi risultare che si lottava contro Tal- i quali, benché cittadini e vassalli d’Asti, avevano dato il castello e la villa di Priocca in mano a Carlo re di Sicilia, e per ben due anni, insieme agli uomini rimasti in Priocca e coi clienti del re Carlo, avevano guerreggiato contro Asti (Cod. Malab. doc. n. 867 verso il fine). Nel 1287 ai 22 di Maggio ebbe dal Comune l’importante incarico riferito nel preambolo del sovrastato documento (C. M. n. 867). Anno domini 1287 dominus Ogerius Alferius, cui cum ilio socio sive sapiente quem ad hoc elligere voluerit et secum habere, et ipsi socio quem elligerit ad illud una cum ipso domino Ogerio concessum est plenum arbitrium et generalis baylia auctoritas potestas et facultas, tantam videlicet quantam liabet vel liaberet generale consilium civitatis astensis discernendi et determiuandi et declarandi ac in scriptis ponendi et reducendi ab una parte prò se et seorsum a Juribus aliorum consorcium omnia iura ra- tiones dominium et segnoritum, tara in hominibus quam in omnibus alijs comuni Astensi pertinen- tibus in villa preoche , et que et quas babet comune astense in predicta villa quocumque modo vel titulo, et quacumque ratione vel causa. Ita quod liquide pateant bomines et omnia alia iura sint manifesta omnibus, quos et que comune astense babet in dieta villa preoche. Tali modo quod quicquid fecerint predictus dominus Ogerius et alius quem secum babere et elligere voluerit, ad predicta in discernendo et declarando iura et bomines comunis astensis in dieta villa preoche a iuribus et homini- bus ecclesie et aliorum Consorturn valeant et teneant et firma sint et attendi et observari debeant imper- petuum, quemadmodum factum esset per universum consilium civitatis astensis et etiam diete baylie. . . . Dal seguito del documento apparisce che l’inchiesta da lui eseguita fu un lavoro di molta importanza pel Comune, e durò dal Maggio al Settembre. Ai 13 d’Aprile del 1288, gli venne nuovamente affidato un altro incàrico, quello di comperare da chiunque diritti e giurisdizioni sovra Mombercelli, Malamorte (Bei- veglio) ed altre castella, con balìa di scegliersi un compagno a suo piacere, e con autorità e libero arbitrio pari a quelli dell’intiera Credenza, ossia del Consiglio comunale. tirazione delle monete aumentando praticamente il numero degli spezzati realmente coniati, che si ricevevano per la lira nominale, ma che il valore stesso della lira astese sarebbe andato diminuendo, e riducendosi, prima del 1300, all’incirca dalle 15 alle 12 lire odierne. Il cav. de Simoni, al quale abbiamo creduto nostro debito di esporre questa opinione, ci os- serva : essere un fatto generale da Carlomagno fino al fine del secolo scorso, che la lira valesse 20 soldi, ed il soldo 12 denari, e non potersi fare diversa ipotesi per la lira astese. Egli ammette che variasse il numero di denari equivalente ad un grosso anch’essa moneta effettivamente coniata, ed il numero di grossi equipollente al fiorino, ma non consente nella mutabilità del rapporto tra i denari, e la lira ed il soldo entrambe monete nominali. Egli nota che dei magnifici grossi tornesi coniati in Asti, sebbene di peso alquanto inferiori al tornese di Francia, ce ne doveva entrare soltanto dieci nella lira astese dal Ventura equiparata al fiorino. Onde nasce che la lira astese avrebbe nel periodo 0 del Proinis, contenuto grammi 38.57 di argento fino, ed avuto un valore di lire it. 8.57, quasi identico a quello di lire it. 8.90 risultante dai denari del 1301 di cui parla il Cibrario. Si trarrebbe un argomento in favore dell’opinione del de Simoni dalla seconda delle dichiarazioni sovracitate, che l’editore premise agli Statuti di Asti. Ammesso col Cibrario che il denaro del 1342 valesse 2.23 cen- tesimi italiani, e che la moneta d’oro, di cui si parla in detti Statuti , fosse sempre la stessa, ne con- segue che il denaro avrebbe valso cent, italiani 4.73 nel 1295: e ritenuto che la lira astese nel 1295 valesse 240 denari, ne conseguirebbe che il suo valore sarebbe stato allora di lire ital. 11.35; cioè all’ incirca quello da noi dedotto dal grosso e dal doppio grosso del gruppo C del Promis, e dal fio- rino. Ma il Promis (1. c. pag. 44) ci avverte di non potersi contare sul Garone. Indi è che in materia così intralciata volontieri noi cediamo alla grande autorità e dottrina del de Simoni. Secondo le sue vedute tanto più rapida e disastrosa sarebbe stata la caduta della lira astese specialmente nel fine del xiii e nel principio del xiv secolo, in cui la repubblica d’Asti era dalle fazioni interne precipitata in rovina. L'incontriamo perciò intento a tale operazione in compagnia di Tommaso d'Aliiano negli anni 1288-89 e 90. In questa occasione egli conchiuse 29 convenzioni; nelle quali spese 1049 lire astesi. Ricevette otto giuramenti di fedeltà ed accordò 9 cittadinanze. Ai 20 dello stesso mese di aprile 1288, veniva incaricato con Folchetto Asiuari di fare quanti acquisti potesse nella villa di Cossano. Ai due incaricati (Cod. Mal. doc. n. 513) concessum est plenum arbitrium et generalis baylia a consilio generali civitatis astensis Quod dictus dominus Ogerius et Fulchetus Asinavius habeant tantam bayliam quantam habet consilium generale civitatis Ast conveniendi se se de terris quas ceperint prò villa Coxani de terris ecclesie et hominum cuin ipsa ecclesia et hominibus tam in faciendo eis cartam quarn in solvendo pecuniatn, quam alio modo. Egli conchiuse in Cossano 15 contratti d’acquisto a nome del Comune, anche di pic- coli pezzi di terra, per l’ammontare in totale di 1. 82, sol. 15 e den. 7. Nel 1292 dopo il podestà ed il capitano del popolo figura, e spesso il primo, fra i quattro savi, « quibus concessa est baylia universorum negociorum comunis astensis ». (doc. n. 629, 720, 722, 725, 743, 927). Ai 20 dicembre 1292 sono già eletti quattro altri savi, ma nel 1293 il troviamo investito di altro ufficio come nel seguente passo (Cod. Mal. doc. n. 578, 579): Anno domini 1293. . . . dominus Simon maniavacha iudex et Vicarius dicti domini potcstatis pre- cepit miehi Guielmo de passatore notario infrascripto, quatenus ad postulationem domini Ogeri alferij sacriste comunis astensis, nomine et vice ipsius comunis recipiente infrascriptum instrumentum au- tenticarem, et in libro comunis astensis ponerem, et in formam publicam reddigerem, ut vim et robur publici obtineat instrumenti. Quale ufficio fosse quello di sacrista appare dagli Statuti di Asti, ove l’archivio Comunale è denominato Sacristia ( 1 ), e risulta anche da un documento del Codice. Malabaila ove l’archivio comunale è detto Sacratorium ( Nomina scripta sunt.... in quoclam cartulario .... quod in sacratorio communis poni debet. doc. n.° 259). Del resto la analogia delle parole sacrato e secreto come di sacristia, sacrato- rio, segreteria è evidente. Il cav. Antonio Bertolotti, archivista neH’Archivio di Stato in Roma, mi comunicò la copia di un documento membranaceo, da lui trovato nell’archivio del marchese Carlo Alfieri di Sostegno. Siccome esso è molto importante per la storia dei documenti astigiani, ne riferisco la prima parte : Anno domini millesimo dugentesimo nonagesimo quarto indicione septima die lune xir mensis aprilis. Actuin Ast in domo illorum de Sulberico in qua moratur dominus Ugo de Salodo potestas Astensis. Testes frater Albertus prior fratrum eremitarum et frater Alpinellus eiusdem ordinis, Guil- lelmus de gregorio, Obertus Carenzanus et Guillelmus Galeus notarius quorum presentia Cum statu- tum et ordinatum fuerit per generale conscilium civitatis Astensis quod rescripta sive privillegia olim data et concessa comuni Astensi sive nominatis in eis nomine et vice ipsius ab inclite recordacionis imperatoribus et regibus romanorunr quorum tenor infra describitur, que quidem din amissa fuerunt et nuper recuperata et reddita Jacobo vaibelle ad boc sindico et ambaxatori comunis Astensis pre- dicti nomine ipsius comunis per serenissimam dominam Margaritanl reginam Francie quo per magnimi tempus habuerat et tenuerat privillegia supradicta autenticavi et in pubblicam formam reddigi debere ne ammissione simili vel alia de (causa) facili deperire possit eorumdem et cuiuslibet eorum autoritas (t) Nel Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis ecc. Parisiis 1846, alla voce Sa- crislia si citano in parte i due seguenti articoli degli statuti d’Asti: — Teneatur Potestas sive judex maleficiorum tacere scribi et poni omnia nomina bannitorum in duobus libris quorum alius remancat ad Sacrisliam comunis. — Ordinatum est quod facto isto volumine Statutorum vetus volumen sive vetus libcr Statutorum ponatur et consignetur in Sacristia comunis Astae et ibi custodiatur. Nello stesso Glossario la voce sacrarium è detta adoprarsi per scrinum, labularium , archivum. et publiea fìdes, quod si contingeret quod absit esset enorme dampnum et preiudicium comunis Astensis predicti et sic in hac parte einsdem comunis ntilitate pensata cuius ordinamenti tenor talis est. Eodem anno et Indictione die xxx° mensis marcii. D ominus Ugo de Salodo potestas Astensis celebravit conscilium domini (domus) capitis et credendario rum prime et secunde credencie et rectoris societatis militum per campanas et nunc(ios) more solito congregatum super infrascriptis. In primis etc. Item super dandis privillegiis comunis Astensis ad custodiendum que aportavit Jacobus Valbella 110- tarius a domina regina Francie, In reformacione cuius conscilii placuit maiori parti de dicto con- scilio super facto privillegiorum facto partito per dictum dominum potestatem quod predicta privil- legia dentur ad custodiendum domino Ogerio Alferio, qui dominus Ogerius ipsa privillegia custodiat et custodiri faciat in domo sua secundum quod dicto domino Ogerio Alferio placuerit. que privillegia autenticentur et autenticati debeant per notarium domini potestatis et eius iudicem. Tali modo quod prò custodia predictorum privillegiorum predictus dominus Ogerius Alferius nicliìl possit habere a comuni Astensi. Ecce quod dominus Ugo de Salodo potestas Astensis voleus exequi ordinamentum predictum et indeinpnitati providere comunis Astensis predicti in conservatone ipsorum privillegio- rum et fidei et auctoritatis ipsorum auctoritate predicti ordinamenti et sue iurisdictionis , atque auctoritate qua fungitur et ornili iure et modo quo melius potuit precepit et iniunssit mihi Jacobo Carenzano notario palatino quatenus infrascriptutn privillegium ex predi ctis privillegiis autenticarem et in publicam formam reddigerem ad hoc ut antenticum sive sumptum einsdem seu ipsum autenti- catum et in publiea forma reddatum per me notarium supradictum et infrascriptnm auctoritate pre- dicta vini et robur publici obtineat Instrumenti et tantam vini et auctoritatem liabeat atque talem et tantam fidem faciat in omni foro et iudicio et in ornili curia et alibi ubicumque, qualem et quantam in omnibus et per omnia liabet et habere posset ipsum originale et auteuticura privillegium, nicliil tamen in eo addendo diminuendo, vel mutando preter forte literam vel silabam per quam non possit mutari intellectus in aliquo vel forma seu substancia eiusdem in toto vel prò parte et dictum pre- cepturn fecit dictus dominus potestas mihi predicto et infrascripto notario prò ut superius continetur presentibus et consencientibus dominis Maynfredus Pelleta, Jacobo Layolio, Fulchone Cazo et Ysnar- dino Ysnardo quatuor sapientibus generalem bayliam lubentibus universorum negociorum comunis Astensis. Tenor cuius talis est. etc. Segue un privilegio concesso ad Asti il 9 Giugno 1186 dall’imperatore Federico, il quale è contenuto al n. 11 nel Codice che oggi presento all’ Accademia, e fu già pub- blicato (*). Finalmente vi 'e l’autentica del notaio scrivente Giacomo Carenzano, e di altri due notai, cioè Guglielmo de Passatore e Oberto Carenzano. Dal quale documento si ritrae, che parte dei privilegi astigiani si trovava da un pezzo presso Margarita regina di Francia, e clic Asti deputò nel 1294 un ambascia- tore ad hoc onde farne ricerca. Se poi si osserva che ciò avvenne al tempo dello stesso podestà Ugo di Salodo, e consenzienti gli stessi quattro savi Pelleta, Layolo, Cazo, Isnardo, di cui si parla nel già citato foglio xi del Codice Alfieriano, pare ovvio dedurre che la mancanza di tali privilegi fosse avvertita, mentre si trascriveva il Co- dice Alfieri. Nè sembra fuor di proposito la congettura, che nel 1294 la trascrizione del Codice Alfieri fosse appunto giunta verso il foglio ccclxxi, a partire dal quale si sareb- bero cominciati a trascrivere i privilegi ricuperati. E chiaro inoltre che Ogerio Alfieri, a cui si davano a custodire in casa propria, secundum quod dicto domino 0. A. placuerit , i preziosi documenti riportati di Francia, e forse tutto l’archivio municipale, era un personaggio ragguardevole, nel quale il comune d’Asti riponeva tutta la sua fiducia. Laonde ben si spiega la miniatura del Codice Alfieriano. Il podestà, accompa- gnato dal capitano d’arme, è interposto fra il notaio Passatore e l’archivista Alfieri (i) Bohmer. Acta Imperli selecta pag. 146. N. 154, in atto di ordinare a quello il Codice, acciò lo rimetta a questo, mentre le altre figure della miniatura sono insieme aggruppate, quasiché fossero semplici testimoni. Ned è fuor di proposito presumere, che a suggerimento dell’ Alfieri fossero rac- colti e trascritti i documenti di Asti, talché agevolmente si spiegherebbe l’avere egli dato il suo nome al Codice. Se pure l’Alfieri non solo era ragguardevole e fidato magistrato, ma anche dotto personaggio, ecl anzi 1’ autore della cronaca colla quale, come in appresso si dirà, verosimilmente cominciava il Codice Alfieriano, cosicché il nome dell’autore della cronaca sarebbe poi stato attribuito all’ iutiero Codice. E che l’Alfieri avesse attitudine a fare il cronista, lo deduciamo dal doc. n. 867 contenente l’inchiesta da lui fatta nel 1287 in Priocea. Ivi infatti le vicende per cui passò Priocca dal 1274 al 1277, allorquando fu perduta e poscia ricuperata dagli Astigiani, sono descritte con ordine, accuratezza ed ampiezza, quali si possono trovare in chi abbia l’abitudine od il gusto degli studi storici, e che certo non si rinvengono negli ordinari atti notarili. È stato affermato (') che, dopo la distruzione della villa di Guaderabio per opera del marchese di Monferrato, fu edificata dagli Astigiani verso il 1290 una nuova villa, la quale dal nome di Ogerio Alfieri, sindaco o procuratore del Comune per questa costruzione, fu chiamata Castrum Alferii, ed ora dicesi Castellai fero. Ma queste asserzioni non sono confermate dal nostro Codice, il quale, con parecchi documenti (dal n. 747 al n. 753), dimostra che Castellalfero esisteva già un secolo prima, cioè nel 1189. Non sarà discaro al lettore il quadro genealogico allegato al fine di questa memoria (allegato n. 1), il quale venne dato dal senatore Cesare Alfieri al sig. Pietro Viarengo, e da questo potè essere fatto molto più completo per le notizie raccolte in parecchi documenti, e sopratutto per quelle somministrate dal Codice Malabaila: da questo quadro apparisce la relazione tra Ogerio e quel Vittorio, che rese il nome di Alfieri uno dei più popolari d’Italia. Ventisei de’ nomi raccolti in detto quadro genealogico sono citati nel Codice Mala- baila, spesso come testimoni, e parecchi come contraenti (ed in tal caso di solito per ragioni feudali), ovvero come pubblici ufficiali, e così, lasciando da parte i casi di citazioni come testimoni, sono indicati i seguenti con altre qualità: Antonio (u. 3), contraente; Bartolomeo (n. 4), figlio di Ogerio, sostituito di suo padre; Guglielmo (n. 9), contraente, savio, fidejussore, nuncio, sindaco, procuratore, ambasciatore del Comune, rettore della Società dei militi ; Enrico (n. 10), contraente, credendario, savio, arbitro, sindaco, vicario del Comune; Giacomo (n. 11), credendario; Giovanni (n. 12), contraente; Leone (n. 13), credendario e rettore del Comune; Ogerio (n. 20), con- traente, credendario, savio, ufficiale, facente le veci del Comune, sacrista; Raimondo (n. 21), credendario; Ruffineto (n. 22), contraente, credendario, rettore; Rolandino (n. 23), contraente: Simone (n. 24), canonico; Tommaso (n. 25), contraente, creden- dario, savio; Uberto (n. 26), credendario (2). Il feudo di Magliano era stato acquistato nel 1240-42 dai fratelli Guglielmo (') Pasini. Codices manuscripti. Bibliothecae regii Taurinense Athenaei. Taurini 1749. Voi. Il, col. 331 — Casalis. Dizionario geografico. Voi. IV, pag. 108. (2) Il doc. n. 652 del Cod. Mal. ci mostra nel 1277 Enrico, Facio, Giacomo, Nicola Alfieri qualificati come uomini dei signori di San- tavittoria. È più semplice supporre che si tratti di altra famiglia. i (n. 9) ed Alferio (n. 1), e nel 1259 Enrico (n. 10) si divideva dai cugini Tommaso, Ogerio, Uberto. L’Amari (‘) ci segnala un Alfieri tra i notabili della terra di San Marco in Sicilia nel 1136. Sicché la famiglia degli Alfieri era fino da quel tempo tra le più ragguardevoli dell’Astigiano. Avendo ragioni per credere, che la potenza delle ragguardevoli famiglie asti- giane traesse origine e vita, come nelle altre grandi repubbliche italiane, dalla indu- stria e dal commercio, ci chiedemmo se anche gli Alfieri vi avessero connessione. Il cav. Pietro Vayra soddisfece al nostro desiderio dandoci la copia di un’interessantissima pergamena del 1304 esistente nell’Archivio di Stato in Torino, la quale è una vera cambiale, con avallo di Gio.° Scarampo, e pagabile a Giorgio Alfieri, od a Gio. Tac- coni, vel eorum certo nuncio, in Bruxelles nel Belgio, dove gli Astigiani avevano commerci e sopratutto banche importanti. Ed un altro documento interessante ci fu pure comunicato, dal quale risulta, che nel 1289 gli Alfieri prestavano denaro, sebbene dalla ipoteca di terre, con cui il prestito va accompagnato, possa nascere dubbio, che si tratti di avviamento ad acquisto di terre, piuttosto che di intento commerciale. Le relazioni commerciali degli Alfieri nel Belgio sembrano avere durato lunga- mente. Un pregevole documento del 1456 ci dimostra un prestito di 2900 corone fatto nel 1452, in Lovanio, da Martino Pelleta a Bartolomeo Alfieri e Giovanni Madea, ed il cui atto fu, per smarrimento del precedente, rinnovato a Bruges nel 1456. Il prestito è rimborsabile nella somma e nei tempi stabiliti al Pelleta, vel latori dell’uno dei due strumenti, che erano stati fatti. Sicché lo strumento riesce un biglietto pagabile al latore. I tre documenti si possono vedere nell’allegato n. 2. 5 . Doglianze per la perdita dei Codici astesi. I pochi documenti e brani contenuti nel Frammento torinese fecero stimare gra- vissima la perdita dell’intiero volume. Gli scrittori subalpini la deplorano spesso ed altamente. Il Napione la disse grave e deplorabile disavventura. Angelo Paolo Carena (2) si lamentava della perdita di quel Codice famoso, e faceva voti perché una copia se ne rinvenisse. Serafino Grassi (3), dopo esposto che, salvo gli accennati 21 fogli, mancava il rimanente del Codice, soggiungeva «locchè mi riempie di rammarico mentre che se quest’opera si fosse conservata intiera, io ed i contemporanei avremmo notizia di molti fatti avvenuti prima del trattato di Costanza e dopo , i quali ci sono tutti ignoti ». E non meno si dolevano della perdita dei codici astesi gli autori dei Monu- menta IJistoriae Patriae ('*), il San Quintino (1. c.), il San Giovanni (1. c.), G. B. Adriani (1. c.), e gli altri cultori di storia subalpina, che ebbero a trattarne. La perdita della collezione dei documenti d’Asti era difatti veramente grave. Interessantissimi argomenti d’ indagine sono per lo studioso il modo con cui la signoria d’Asti dai suoi vescovi passò al Comune e tanto si ingrandì; il traffico di merci e di monete che gli Astigiani esercitavano con molta attività neH’Italia occidentale, in Savoia, nelPElvezia, in Francia, e nelle Fiandre (8), e che fu, come nelle altre repubbliche italiane, cagione precipua di ricchezza e grandezza; le relazioni (') Storia dei Musulmani di Sicilia. Voi. ni, pag. 221. (2) Discorsi storici del 1776. Sez. n § vi. Manoscritto della biblioteca degli Archivi di Stato in Torino. (3) Loc. cit. pag. 11. ('') Scriptorum. T. m. In fragmenta de gestis Astensium Monitum. (5) Cibrario loc. cit. — 19 — di Asti coll’Impero, colla Francia, con Carlo d’Angiò, coi vicini sovrani di Monferrato, Saluzzo, Savoia, e cogli altri minori marchesi; finalmente le consuete guerre coi fini- timi comuni liberi di Alessandria, Alba, Bra ed altri; e le fatali fazioni guelfe e ghibel- line che resero così animata la vita delle repubbliche e dei Comuni italiani, ma che ne rovinarono la libertà e la grandezza, imperocché, secondo la sentenza di Tacito, periculosiores sunt inimicitiae juxta libertatem (‘). Non era quindi soltanto per la storia domestica di un Comune che si lamentava la perdita dei codici astesi, perciocché ben si può dire che ne avesse danno la storia italiana dei tempi di mezzo. 6. Notizie di un Codice di Asti a Vienna. Tali erano le notizie che si avevano in Italia intorno a’ codici astesi, nei quali si fossero raccolti i diplomi, e gli atti interessanti la giurisdizione, le proprietà e le relazioni del comune d’Asti, quando dalle pubblicazioni di dotti Tedeschi si venne a sapere che esisteva nell’ I. e R. Archivio di Corte in Vienna un Codice chiamato ora Codex Astensis, ora Kommunalregister ed ora Copialbuch der Stadt Asti. Citeremo: Andreas von Meiller. Rcgesten zur Geschichte der Mcirkgrafen und Ilerzogen Oesterreichs aus dem Ilause Bobenberg. Wien 1850, in cui, a pag. 220, si citano due di- plomi imperiali contenuti in tal Codice, e relativi al dritto dato ad Asti di battere moneta. Pertz. Archiv. (x. p. 592). il quale cita i regesti predetti. Friederich Bòhmer. Acta Imperli selecta. Urkunden deutscher Kónige und Kai- ser ecc. Innsbruck 1866 - 1870, ove sono riportati 29 tra diplomi imperiali ed altri atti, che da Franz Kopetzky, L. Edelbaclier, Kraus e Schmidt vennero trascritti dal Codice astese conservato a Vienna. Dr Junus Ficker, nell’opera già citata trae molto partito dal Codice, del quale parliamo, per ciò che riguarda le relazioni fra Flmpero e l’Italia, e stampa 20 altri documenti tratti da esso Codice. E dicendo di essersi per la sua grande opera giovato fuori d’Italia specialmente dell’Archivio di Vienna, ivi cita in modo particolare (IV Voi. Vorwort pag. XXl) «das prachtvolle Munizipalregister von Asti aus welchem idi bereits in Bohmer’s Acta eine grossere Zahl von Stiicken zum Abdrucke braohte. Was sich fur die Beziehungen zum Reiche findet, wird damit ziemlich erschopfend veroffentlicht sein; fiir die Geschichte der Stadt selbst, und ihrer Nachbarschaft bietet sich hier noch eine Fiille unbekannten Materials, das doch wohl nur in der ursprunglichen Heimath seine rechte Verwerthung finden wiirde ». Finalmente Costantin Edler von Bòhm. Die Handschriften des Kaiserlichen und Kóniglichen Hans- Ho f- und Staats-Archivs : Wien 1873 consacra una mezza pagina alla descrizione del Codex Astensis ( Stadtbuch von Asti), ed indicando i fogli di cui si compone, la divisione del Codice stesso in cinque parti, ed il titolo di ciascuna di esse con altri pochi particolari, fa vedere che si trattava per lo appunto di una raccolta di diplomi ed atti come quella, che costituiva il Libro vecchio d’Asti, ovvero il Codice Ogerio Altieri. In Italia ne diedero contezza, sovra indicazioni date dal dott. Teodoro Wììsten- feld, i signori Belgrano e De Simoni nel Giornale Ligustico di Archeologia, Storia e belle arti nei fascicoli di Febbraio 1874, e di Settembre e Ottobre 1875. (i) De moribus G'ermaniae. — 20 — 7. Dono del Codice di Asti fatto all’Italia da S. M. l' Imperatore e Re d'Austria- Ungheria. Grande era quindi nei dotti italiani il desiderio di conoscere più addentro il Codice conservato a Vienna, non solo per accertare se fosse il Liber vetus , ovvero il Codice Ogerio Alfieri, poiché d’altri non si aveva traccia, ma sopratutto per poter compire gli studi, ai quali ci iniziavano i pochi documenti più o meno compieta- mente pubblicati per lo addietro, e che si dicevano tratti dal Codice Ogerio Al- fieri. Ed è perciò che uno dei più diligenti studiosi delle antiche cose nostre, il cav. Pietro Vayra archivista nell’Archivio di Stato in Torino, allorquando seppe ch'io mi dovevo recare a Vienna con una missione del Governo, mi pregò di esami- nare il Codice astese che colà si conservava, e mi diede gli opportuni elementi di confronto, che si potevano dedurre dal Frammento torinese. Recatomi quindi in Vienna all’Archivio di Corte presso il dottissimo e genti- lissimo suo Direttore, il nostro collega cav. di Arneth, lo pregai di esaminare se si potesse avere copia dell’ indice, ed occorrendo, di qualche parte del Codice astese. I miei colleglli facilmente comprenderanno la profonda commozione, colla quale alcuni giorni dopo io ricevetti il Codice astese colla seguente lettera. A Son Excellence M. le chevalier Sella plénipotentiaire de S. M. le Eoi d’Italie. Monsieur le Chevalier La place du Codex Astensis étant à Asti, dont il a conserve les glorieux souvenirs et non pas à Vienne, où il n’a qu’une valeur scientifique et artistique, l’Empereur et Roi, mon Auguste Sou- verain, a tenu à offrir à Votre Excellence l'originai mème du manuscrit dont Elle désirait taire prendre copie. Je me conforme en conséquence aux ordres de Sa Majesté en Vous transmettant ci-joint le Codex Astensis, et je ne doute pas que ce témoignage de sympathie pour l'illustre homine d'Etat et pour la Ville qui si souvent Lui a accordé ses suffrages, ne soit pour Votre Excellence un nouveau gage des lieus d’intimité qui unissent les Souverains d’Autriche-Hongrie et d’Italie, ai usi que Leurs deux pays. Recevez, etc. Vienne le 29 fe’vrier 1876. Andrassy. Io reputai mio dovere di rispondere come segue: A Son Excellence M. le corate Andrassy Ministre des affaires étrangères et de la Maison de S. M. l’Empereur et Eoi d'Autriche-Hongrie. Monsieur le Corate Je suis très sensible à l'honneur qui m’est fait par Sa Majesté l'Etnpereur et Roi en me chargeant de présenter en son auguste noni le Codex Astensis à la Ville d’Asti, et de téraoigner ainsi à Sa Majesté le Roi mon Auguste Souverain, à l’Italie et aux savants italiens ses sentiments de sympathie. Sa Majesté le Eoi et l'Italie apprécieront hautement ce témoignage, les savants italiens seront très-reconnaissants de ce document important pour l’histoire des communes italiennes, et quoique je ne sois pas le représentant d’Asti, je suis sur que cette ville sera trés toucliée par cet atte de mu- nificence impériale. Veuillez agréer etc. Vienne l.r Mars 1876. Q. Secca. — 21 Appena tornato in Italia mi feci un dovere di rendere conto a S. M. il Re ed al suo Governo, di sì importante e delicata dimostrazione di amicizia data da S. M. l’Imperatore d’Austria al Re ed all’Italia. Ed oggi è mio graditissimo ufficio presentare il magnifico dono imperiale agli scienziati italiani rappresentati da questa eletta assemblea. 8. Descrizione del Codice. Il Codice, che ho l’onore di presentarvi, si compone di 40 fascicoli contenenti 380 fogli in pergamena, di centimetri 43,5 per 30,5. La scrittura è bella, minuscola gotica sufficientemente accurata; pare opera di due copisti, e sembra della metà del xiv secolo, e non del 1292 o del 1294, come scrisse il Wiistenfeld (1). Infatti esso con- tiene un atto del 1353 scritto dalla stessa mano degli altri. I fogli sono numerati, e dalla numerazione appare che esistevano altri 55 fogli oltre i 380 rimasti. Ma dalla disposizione dei documenti e dall’indice delle materie si vede chiaro, che per la massima parte erano fogli bianchi, i quali vennero strappati dal codice per uti- lizzare la pergamena. Soltanto verso il fine del Codice manca un quinterno, il quale dall’indice si argomenta fesse assai importante. Oltre la numerazione oggi rimasta al Codice, in grandi lettere rosse, vi ha in capo di parecchi fogli una numerazione a piccole lettere nere, spesso poco o punto diversa dalla precedente, come se fosse stata la minuta della numerazione defini- tiva. In alcuni fogli vi sono per contro altri numeri rossi ed in lettere grandi, ma sbarrati per indicarne la cancellazione. Anche i vari fascicoli, di cui il Codice si compone, hanno una numerazione, che non corrisponde sempre al loro ordine attuale. Finalmente alcune parti del Codice portano in margine presso ogni documento un numero, del quale parleremo più tardi. La cucitura del Codice era doppia, una mo- derna ed una antica, la quale, secondo l’esperto legatore romano cui affidammo il Codice, doveva essere del secolo xvi. Taluni fogli sono sudici, come se i quinterni per un pezzo fossero stati slegati. Fu barbaramente lacerata una parte del foglio iv, evidentemente per istrapparne la miniatura. Del resto il Codice 'e così perfettamente conservato, come se invece di oltre cinque secoli, avesse a mala pena dieci lustri di età. Il Codice è ornato di sei belle miniature, sovrapposte a diplomi imperiali, a lettere papali ed episcopali, rappresentanti i personaggi dai quali è emanato l’atto, e ne manca una settima che fu lacerata, come si disse. Vi è poscia una rubrica od indice sommario dei titoli delle terre, e quindi una carta topografica, indicante grossola- namente la posizione di 164 luoghi circostanti ad Asti e dei principali torrenti. Come nel Codice Alfieri, a ciascun documento precede il sunto del suo oggetto, e gli atti relativi alla stessa terra od allo stesso signore sono aggruppati sotto il medesimo titolo. Al disopra del quale titolo vi ha pure una miniatura rappre- sentante la terra, ovvero il posto per dipingerla. Di consimili miniature rappresen- tanti le terre ve ne ha cento. Nei posti lasciati vacanti per la miniatura è talvolta scritta una frase significante: Qui si dipinga la torre del tal luogo, o il monte del tal p) Giornale ligustico di Archeologia eoe. Febbraio 1874, p. 74. Per errore di stampa, come seppi dalla cortesia del cav. de Simoni, è indicato il 1252 invece del 1292. Vedi id. Sett. Ott. 1875. p. 368. 22 — altro, o simili. In tutto il volume vi sono di frequente qua e là iniziali miniate, contornate di ricci e d’ornati, col gusto e le forme proprie del secolo xiv. 11 Codice contiene 991 documenti che si ripartiscono come segue: Documenti del 1065, 1095 e 1098 numero 3 » dal 1100 al 1149 » 16 \ » » 1150 a> 1189 » 47 j >168 » » 1190 » 1199 » 105 » » 1200 » 1209 » 174 ' » » 1210 » 1219 » 224 1 '577 » » 1220 » 1229 » 136 » » 1230 » 1249 » 43 i » » 1250 » 1269 » 45 » » 1270 » 1289 » 142 233 » » 1290 » 1295 » 46 ' » del 1296, 1310 e 1353 » n ' O Documenti senza data » 7 Totale 991 Non dobbiamo però tacere, che vi sono forse 37 duplicati. 9. Il Codice non è alcuno dei noti in Italia ; e può chiamarsi de Malabciila. Le prime domande, cui io desideravo soddisfare appena potei esaminare il Co- dice astese, erano le seguenti: È desso il Libro vecchio ? È invece il Codice Ogeiio Alfieri copiato dal Libro vecchio d’ordine del podestà Lambertini? Non fu piccola la mia meraviglia nel trovare, che non era nè l’uno nè l’altro. Non è il Libro vecchio, perchè i fogli del Codice portato da Vienna contenenti i documenti, che esistono nel Frammento del Codice Alfieri conservato nell’Università torinese, non portano i numeri in questo indicati come numeri dei fogli del Libro vec- chio, da cui detti documenti furono trascritti. Non è il Codice Alfieri, perchè il sesto o la scrittura non sono quelli del Fram- mento torinese, non vi mancano i fogli che abbiamo di quello, e vi sono compresi i do- cumenti che esistono in detto Frammento. Inoltre il Codice proveniente da Vienna non è autenticato, come doveva essere la copia ordinata dal Lambertini al notaio Passatore, e come è difatti il Frammento torinese. Finalmente contenendovisi atti scritti della stessa mano come gli altri, ma posteriori di non poco al 1292, nel qual tempo dal Lam- bertini era ordinato il Codice Alferiano, è da ritenersi che il Codice ora tornato in Italia sia meno antico: come del resto anche la diversità dei caratteri il fa palese. Il Codice giuntoci da Vienna è un terzo esemplare, che non pare fosse noto finora agli scrittori subalpini. Esso manca di titolo al principio, chiaramente apparendo dal posto riservatovi in bianco , che si intendeva miniarlo con eleganza; e così il meglio riuscì nemico del bene. Inoltre in principio della parte quarta del codice sta scritto: « Incipit quarta pars libri Comunis Astensis qui liber de Malabayla communiter nuncupatur». Finalmente ad un atto posto sotto il capitolo, che nel Codice è intitolato de Canalibus, e che, nell’ìndice o repertorio che riferiremo più innanzi, porta il num. 163, è apposta la nota seguente : « Iste contractus intitulatus est sub suprascripta rubrica de Canalibus non quia ipse contractus de Canalibus expressam faciat mentionein, sed quia in libro de Malabayla originali in margine huius — 23 contractus, scripta est eie nigro tamen, suprascripta Rubrica, scilicet, de Canalibus, ymrno iste con- tractus est etiam scriptus inferius, sub tractatu de estraordinariis capitulo svili ». Indi è che noi chiameremo Codice Malabaila il prezioso monumento che l’ Italia deve all’imperatore d’Austria, poiché si riferisce ad un originale, che nel 1353 si chiamava de Malabaila, sebbene, come più innanzi diremo, noi crediamo, che questo originale non sia altro che il Libro vecchio. Comunque sia, il nome di Malabaila, che noi proponiamo pel Codice oggi ricuperato dall’ Italia, ricorda una denominazione del secolo siv, ed è un tributo di lode a chi conservava in quel tempo il prezioso originale con tanta cura, che l’opinione pubblica aveva dato a questo il nome di quello. 10. Notizie sul Libro vecchio risultanti dai Codici Alfieri e Malabaila. Già si disse nel § 3, che appiè di ciascun documento del Frammento torinese del Codice Alfieri, è indicato il numero del foglio del Libro vecchio, ove il documento si conteneva. Il Mori ondo (‘) riferisce parecchi documenti come tratti dal Libro verde, o dal Sommario della causa sovra Rocchetta Tanaro, o dalle comunicazioni dello Sciavo: al fondo di alcuni di essi vi ha pure la indicazione, che nel Codice Alfieri è abituale: Est in libro veteri in folio. . . Taluni di questi documenti sono contenuti nel Fram- mento torinese, ed il numero del foglio del Libro vecchio indicato in tale Frammento concorda con quello riferito dal Moriondo. Altri undici documenti non sono invece contenuti nel Frammento torinese, eppure contengono il numero del foglio del Libro vecchio ove erano inserti. Inoltre, come già si disse, in alcune parti nel Codice Malabaila presso ciascun documento sono scritti senz’altra indicazione, ed in cifre arabiche, taluni numeri, che a prima giunta mal si saprebbe a che attribuire. Ma dal confronto coi numeri che per gli stessi documenti, nel Frammento torinese e nel Moriondo, sono attribuiti ai fogli del Libro vecchio, è facile arguire che anche i numeri sovradetti del Codice Malabaila indicano il relativo foglio del Libro vecchio. I numeri marginali, salvo un pajo di eccezioni in azzurro, sono tracciati in rosso ed in cifre arabiche (2). Inoltre chi guardi attentamente sotto la lettera iniziale, di solito non malamente miniata, colla quale comincia ciascun documento, vede scritto in piccola cifra arabica, ed in nero, lo stesso numero che è ripetuto nel margine. Il numero nero è spesso od in tutto od in parte coperto dalla lettera iniziale. Tutto ciò dimostra che il copista, quando scriveva questo documento, indicava il numero del foglio del Libro vecchio nello spazio lasciato per la iniziale. Il miniatore alla sua volta, prima di miniare la iniziale, ripeteva in margine il numero, che la lettera avrebbe coperto. Lo specchietto seguente che contiene tutti i numeri dei fogli del Libro vecchio, tratti dal Frammento torinese e dal Moriondo, ed i corrispondenti numeri scritti a lato dello stesso documento nel Codice Malabaila, dimostra la nostra affermazione. Nello specchietto aggiungiamo pure il numero d’ordine del capitolo, in cui il documento si trova negli in- dici (Lacinia e Repertorio) dei Codici Alfieri e Malabaila, dei quali in appresso parleremo. (') Monumenta Aquensia. Taurin. 1789-90. (2) In un caso le cifre sono miste. Dicontro al doc. ti.° 794 del Codice invece di 62 è scritto 6y. Codice Alfieri Libro vecchio Numero del foglio Codice Malahaila Titolo del Capitolo Num. Dal Codice Dal Codice N. d’ordine Num. del foglio Num. e Num. della Lacinia del foglio Alfieri Malafiaila (*) documento „ 1 Repertorio (2) odierno (3J anteriori (“) De Privilegiis Im- peratorum. . . . 11 279 13 6 » id. id. 14 id. » id. 280 16 7 » id. 281 20 id. De Casteglono de- super Albani. 50 302 16-17-47 46/4-47/1 910 357 355.335 172 » id. 14 14 696 242 242.397 113 De Manzano. 51 304-5 95 95 670 224 224 107 » 305 5 5 671 id. id. » 305-6 6 6/1 708 248 247 117 » 306 29 600 192-93 89 » id. 15 15 986 411 179 » id. id. id. 669 222 222 106 » 306-7 id. id. 663 221 221 id. » 307 59 — — » 307-8 60 261 88 47 De Novello. 68 311 103 257 86 45 » 311-12 147 260 87 46 De Cuneo. 98 397 48 48 717 255 254 123 » 397-99 151 151 950 386 384 177 * 399-401 152 152 951 387 385 id. » 401 — 153 952 388 386 id. » 404 154 154 955 389 387 id. » id. 163 163/3 719 255 254 123 » id. 65 65 971 396 372.404 178 Dal Moriondo 41-71 459 140 130.130 68 61-71 462 141 131.131 id. 158 461 id. id. 40 467 142 132 id. 41 468 id. id. id. 469 id. id. id. 470 143 133 id. id. 471 id. id. 117 473 id. id. 200 474 id. id. 110 110 918 361 359 173 (’) Il secondo numero talvolta indicato in questa colonna, con separazione dal primo per mezzo di tratto obliquo, è ne^Codice sotto il primo: parrebbe indicare la pagina o colonna del foglio, cui si riferisce. ('-) Il numero d’ordine del documento non esiste nel Codice. I nostri numeri d’ordine non vanno che al n. 990 per essersi introdotto un 421 bis. (3) Il numero scritto in questa colonna indica il numero oggi assegnato nel Codice a ciascun foglio, con grandi caratteri rossi. ('>) In questa colonna sono indicati i numeri scritti diversamente dal precedente, che talvolta si trovano in capo al foglio: prima si dà il numero che sul Codice è scritto in nero ed a caratteri minuti sovra parecchi fogli : poscia segue il numero che è scritto in rosso ed in caratteri maggiori sovra pochi fogli del Codice, ma che è poi sbarrato ad indicazione di cancellatura. (V. § 8). 25 — Dallo specchietto precedente si scorge come sovra tutti i 16 documenti, pei quali si ha indicazione o presuuzione del foglio del Libro vecchio in cui si trovano, avvi intiero accordo fra il Codice Alfieri od il Moriondo, ed il Codice Malabaila. Un’altra prova in favore della nostra opinione sui numeri, dei quali parliamo, si trae dal fatto che, tra i documenti del Codice Malabaila muniti di numeri mar- ginali, vi sono sei duplicati. Ora entrambi i duplicati portano lo stesso numero. Sovra i 954 documenti del Codice Malabaila (che a tanti si riducono ove si sottraggano i duplicati) si ha l’indicazione del posto che occupavano nel Libro vec- chio: per 323 nel Codice Malabaila. » 7 nel Frammento torinese ) senza ripetere quelli già aventi la desiderata » 10 id. nel Moriondo ( indicazione nel Codice Malabaila. Iti totale 340 Sarebbe quindi noto il posto occupato nel Libro vecchio da più di un terzo dei documenti del Codice Malabaila: ed anzi, ove piuttosto che il numero se ne consi- deri la estensione, siccome i documenti contenuti nelle ultime parti del Codice sono mediamente assai più estesi che quelli contenuti nelle prime, meglio della metà del conte- nuto del Codice Malabaila avrebbe nel Libro vecchio una disposizione da noi conosciuta. Nell’ allegato n. 3 si indicarono successivamente i fogli del Libro vecchio, in- torno ai quali qualcosa si sa o presume, e di fronte si notò il numero d’ordine dei documenti del Codice Malabaila, che si può ritenere vi fossero contenuti. Sarebbero così 151 i fogli del Libro vecchio, di cui qualcosa si sa o presume, e bene sta che si giunga così fino al foglio n. 289, vale a dire ad un pò meno del doppio dei fogli citati, poiché nel Libro vecchio vi doveva essere quasi due volte più ma- teria di quella, della quale si conosce il luogo. Nell’allegato n. 3 i fogli 279, 280, 281 del Libro vecchio contengono docu- menti che sono al principio del Codice Malabaila, e si riferiscono a diplomi impe- riali quasi tutti concernenti il castello d’Annone. Sarebbero per avventura i documenti, che Asti nel 1294 mandava a cercare per mezzo di Giacomo Vaibella dalla regina di Francia ('), e che vennero inseriti nel foglio xi e dopo il foglio ccclxxi del Codice Alfieri, quelli che sarebbero stati scritti al fine del Libro vecchio ? Nello stesso allegato n. 3 viene poscia il foglio 283 del Libro vecchio, nel quale sarebbe contenuto il doc. n. 990 che è l’ultimo del Codice Malabaila, ed ha la data del 1353, come avvertimmo nel § 8. Dobbiamo quindi concludere, che il Libro vecchio era ancora in Asti nel 1353 o poco dopo, cioè quando si scriveva il Codice Malabaila, e che anche nello stesso Libro vecchio, il quale non giungeva che al foglio 283, fu in quel tempo scritto il documento n. 990, che è un decreto di Giovanni Visconti arcivescovo di Milano, ed allora signore di Asti, come fu detto nel § 1. Pure nello stesso allegato n. 3 dopo il predetto foglio 283 sono ancora indicati cinque altri fogli dal 285 al 289, i quali contengono i documenti, ohe nel Codice Malabaila hanno i numeri dal 674 al 678. Ora egli è veramente singolare che, la- sciando da parte il documento del 1310 (v. § 8), che è un diploma imperiale (’), e dal (l) Vedi nel § 4 il documento comunicato dal cav. Bertolotti. (2) Non si conosce se questo documento esistesse nel Libro vecchio, o qual posto vi occupasse. 4 — 2G — decreto signorile sovrastato del 1353, questi cinque documenti sono per 1’ appunto i più recenti del Codice Malabaila. Si riferiscono tutti all’ importantissimo acquisto del marchesato di Ceva fatto sul finire del xni secolo dalla repubblica d’Asti, e sono i primi quattro del 1295, ed il quinto del 1296. Cosicché anche nel 1353, o circa, probabilmente chi scriveva il Codice Malabaila, aggiunse in appendice al Libro vecchio, e il decreto dell’arcivescovo Gio. Visconti del 1353, e poscia i cinque do- cumenti relativi a Ceva. Nel Codice Malabaila non vi sono documenti del 1294. Uno ve ne ha colla data 26 Dicembre 1293, ma ove si ricordi che l’anno in Asti cominciava in quei tempi col Natale, cioè col 25 Dicembre ('), vi si deve leggere 1292 per porsi d’accordo col calendario odierno. E di tal guisa i documenti anteriori al pochissimo, che nel Libro vecchio fu scritto dopo il decreto vescovile del 1353, non oltrepassano l’anno 1292. La collezione principe dei monumenti astigiani sarebbe quindi rimasta per beu sessant’anni quale era allorquando il podestà Lambertini ne ordinava con tanta solennità la trascrizione ! Curiosa coincidenza! Il timore della dispersione dei patrii documenti sarebbe sorto quando si abbandonava la savia tradizione di raccoglierli diligentemente. Ma forse era morto il virtuoso sacrista od archivista Ogerio Alfieri, alle cui previdenti cure è assai probabile fossero dovuti gli ordini del Lambertini e del suo successore Ugo de Salodo per la conservazione ed il ricupero de’ monumenti comunali, imperocché dopo il 1294 non si ha più notizia di lui. Forse le infauste discordie civili, le quali, appunto mentre Asti era giunta all’apogeo della sua grandezza, presero ad infierire con violenza così insana da rovinare ben presto la repubblica e condurla a schiavitù, sic- come avevano origine dalla prevalenza delle passioni individuali sull’amor di patria, così ebbero per primo effetto la totale trascuranza dei documenti di pubblico interesse. 11. Indici dei Codici Malabaila e Alfieri. Già si notò (§ 3) che il manoscritto cartaceo, fatto in sul finire del secolo xvi, e pub- blicato dal Combetti (1. cit.), oltre la cronaca di Asti, conteneva un indice di diritti o trat- tati di Asti sulle o colle terre e coi principi vicini. Indice che, nella pubblicazione citata, ebbe nome di Licinia certo per errore di stampa, e che noi correggeremo in Lacinia, constandoci avere il comm. Combetti inteso di qualificarlo come frammento. Che questa Lacinia fosse dal redattore del manoscritto compilata sul Codice Alfieri, già si poteva con molta probabilità presumere dal titolo del manoscritto: « Aliquid de historia civitatis « Astensis prout reperitili- in libro Ogerii Alferii». La probabilità si fa quasi certezza osservando nel Frammento torinese, che le intestazioni dei capitoli relativi ai so- vracitati luoghi di Manzano, Novello e Cuneo (s) sono precisamente identiche alle parole consacrate nella Lacinia a detti luoghi: salvochè è aggiunta una breve amplia - zione alla intestazione relativa a Manzano, nella quale ampliazione si cita appunto il foglio del Codice Alfieri, ove si tratta di Manzano. Da questa coincidenza per le tre terre di Manzano, Novello, e Cuneo è anzi (') Vedi il § 17. (2) Vedi i numeri 107, 46. 123 del Repertorio riportato nell’ allegato n. 4, ed i controstanti titoli della Lacinia. — 27 — lecito concludere, che la Lacinia stampata dal Combetti sia semplicemente la serie delle intestazioni dei capitoli relativi alle terre, delle quali si trattava nel Codice Alfieri. E maggiormente io sono indotto a questa conclusione dalle parole seguenti scritte al n. 65 della Lacinia, dirimpetto al n. 59 del Repertorio. « Veruni quia breviata non est « conclusio, ideo non transcripsi, et est in libro Alferii fol. 248 ». Dobbiamo però osservare, che l’ordine delle materie non era nel Codice Alfieri lo stesso che nella Lacinia, giacche nel Frammento torinese, dopo il foglio cccix con cui termina il titolo di Manzano, viene il foglio cccxi, con cui comincia il titolo di Novello, sicché gran cosa non vi poteva essere fra questi due titoli. Ora invece nella Lacinia del Combetti vi sono fra Manzano e Novello i titoli relativi a 17 terre diverse, che figurano di contro ai numeri 55, 59. 60, 79. 80, 79, 74, 75, 76. 73, 66, 81. 62, 59, 65, 71 del Repertorio. Inoltre nei titoli di due di coteste terre (quelli di contro ai numeri 74 e 59 del Repertorio) si indicano i fogli 238 e 248 del Codice Alfieri come quelli, nei quali si tratta delle terre medesime, dovech'e della terra di Manzano, che nella Lacinia 'e ad esse anteriore, si parla nel foglio 304 del Codice Alfieri. Il Codice Malabaila si divide in cinque parti indicate nello stesso preambolo : Dividitur autem liber iste in quinque partes. In prima continetur aliquid de cronica civitatis astensis. In secunda continentur privilegia imperatorum concessa communi Astensi. In tereia continetur tota terra que est ultra tanagrum tam in feudo quam in allodio et in civibus et terris ipsorum. In quarta continetur tota terra que est citra tanagrum tam in feudo quam aiodio ut supra. In quinta continentur alia diversa instrumenta et scripturc. La parte prima non è altro che la Cronaca Ogerio Alfieri, come si dirà in appresso. Nella seconda parte, a ciascun privilegio precede il titolo di esso privilegio, ma non vi ha aggruppamento in capitoli. Invece nelle ultime tre parti, oltre all’essere ante- posto a ciascun documento il relativo titolo, vi ha, in testa agli atti raggruppati perchè riguardanti la stessa terra o lo stesso signore, un titolo più generale che indica la terra, la città od il signore. Ed infine alla quarta parte precede un titolo relativo alla parte stessa, da cui abbiamo desunto il nome di Malabaila. Ci parve opportuno estrarre dal Codice Malabaila l’indice o Repertorio dei titoli relativi ai capitoli contenuti nella terza, quarta e quinta parte, e dare un numero d’ordine ad essi titoli, secondo il posto che occupano nel Codice. Di fronte ai titoli del Codice Malabaila contrapponemmo poscia quelli della Lacinia tratta dal Codice Alfieri, che si riferiscono alle stesse terre od agli stessi signori. Anche ai titoli della Lacinia apponemmo un numero d’ordine, sebbene aneli ’esso manchi nel testo, e ciò perchè sulla Lacinia da noi riprodotta, si possa ricomporre l’ordine, quale è nel testo pubblicato dal Combetti. Risultano in tal modo per i due Codici gli indici riportati nell’ allegato n. 4. Per giudicare le differenze fra questi due indici gioverà tenere conto dei fatti seguenti: Nella Lacinia è spesso avvenuto che, oltre al titolo generale della terra, si trascrivesse anche il susseguente titolo del primo atto ad essa terra relativo. E così nel titolo 43 della Lacinia che si contrappone al n. 1 del Repertorio, le parole: De donatione domini Octonis Boverii Marchionis : si riferiscono ad un atto particolare, il quale seguiva immediatamente il titolo generale del capitolo. — 28 — Nel Codice Malabaila, quando uno o piti atti si riferiscono a diverse terre, talvolta si trovano distinti i titoli di parecchie di esse, anche quando sotto il titolo delle sus- seguenti non ci sia altra cosa fuorché un rinvio al nome della prima terra, sotto il cui titolo fu riferito 1’ atto che tutte le comprende. Ma però non tutte le varie terre in- dicate in un atto danno luogo a titolo distinto; cosicché i titoli delle terre, né indicano tutte quelle di cui si parla nel Codice, nè indicano soltanto le terre di cui si parli in atti non compresi già sotto altri titoli. Nel Repertorio Malabaila indicammo colla let- tera a. i titoli di terre, sotto cui non vi ha alcun atto, ma solo esiste il richiamo di altro titolo, sotto il quale gli atti comuni ad entrambi si trovano. Ed è a presumere che un fatto simile sia accaduto nel Codice Alfieri, quando si confrontino i titoli dal n. 29 al 43 nel Repertorio coi corrispondenti della Lacinia. I titoli del Repertorio, sotto cui non si trovano atti, sono 41; di cui 39 nella terza, e 2 nella quarta parte del Codice. Talvolta i documenti non sono nel Codice Malabaila divisi tra i capitoli, come richiederebbero i loro titoli. Per esempio il cap. 5 de Serra Meceti contiene tre do- cumenti n. 101, 102 e 103, i quali riguardano invece il cap. 71 de Sancto Stephano de C'oxano. I molti documenti sotto il cap. 89 de Montenatali , ad eccezione del primo, non riguardano Montenatale; ed anzi nella rubrica, che in esso codice è interposta fra la parte seconda e la terza (si disse della sua esistenza nel § 8), i documenti che nel codice sono aggruppati sotto i titoli de Astixio, de dominis de Revello, de Mon- tenatali, e di cui ai cap. 87, 88 e 89 del Repertorio, sono singolarmente indicati, perchè relativi a terre e ad argomenti diversi. La discordanza è poi assoluta fra il titolo de Montenatali, e gli atti secondo e seguenti notati sotto il titolo stesso. Indi è che noi ci siamo indotti ad introdurre nell’ indice un titolo suppletorio, colla denomina- zione di Miscellanea e col n. di 89bis, onde ne consegua maggiore chiarezza nelle ci- tazioni. Del resto la rubrica esistente nel Codice è per numero ed ordine di capitoli identica al Repertorio, ove si eccettuino i cap. 71, 83, 92 e 53 del nostro Reperto- rio: i primi tre mancano nella rubrica, ed il quarto è spostato. 12. Analogie dei Codici Malabaila e Alfieri. Gioverà confrontare accuratamente il Codice Malabaila col Codice Alfieri, onde vederne le analogie e le differenze. a) A capo del Codice Malabaila si trova una breve cronaca di Asti. Ora questa cronaca, salvo le solite varianti dei copisti, e due capitoli dei quali si dirà in ap- presso, non è altro che la cronaca detta di Ogerio Alfieri, della quale esistevano anche copie separate, una del 1698 fatta dal monaco cirstercense Lorenzo Salvajo (‘), ed una pubblicata dal Muratori (2). Un’altra copia della cronaca Ogerio Alfieri scritta, come già fu osservato, sul finire del xvi secolo, si conserva nell’ Archivio di Stato in Torino, e venne pubblicata dal comm. Combetti (loc. cit.) con notevoli varianti, sì rispetto alla cronaca pubblicata (*) (*) Combetti. In Fragmenta de gestis Astensium ex Ogerii Alferii libro excerpta Monitum, Mon. Hist. Pat. Scriptorum III, ante col. 753. ('-) Rerum italicarum scriptores, Tom. xi, pag. 139 e seguenti. — 29 — dal Muratori, come alla copia già accennata del Salvajo. Ora il codice cartaceo pubbli- cato dal Combetti, come già si disse, porta in capo: Aliquid de Ustoria civitatis Astensis prout reperitur in libro Ogerii Alferii civis astensis. Nel Codice Malabaila la cronaca è in capo del volume. Il Frammento torinese del Codice Alfieri contiene una parte della carta topografica dell’Astigiano e l’autentica dei documenti al foglio vi; come se i fogli da i a v fossero stati consacrati alla cro- naca ed all’indice, il quale anche nel Codice Malabaila precede la carta topografica. b) Nel Codice Malabaila vi ha questa carta topografica dell’Astigiano, la cui metà è quasi identica a ciò che rimane della carta topografica nel Frammento torinese del Codice Alfieri. La disposizione dei nomi delle terre e delle tracce rappresentative dei torrenti è nelle due carte un po’ diversa, ma è chiaro che le carte sono grossolanamente dimostrative, e che non si intese di fare figure simili a quelle della natura. Invece sono identici i nomi di 80 località citate nel mezzo foglio della carta Alfieri, e nella parte corrispondente della carta Malabaila. La sola differenza sta in ciò, che 'e citato nella carta Alfieri un Calianum mancante in quella Malabaila, e che Meletum e citato tre volte in quella e due in questa. c) I diplomi e le lettere imperiali, nel Codice Malabaila, precedono gli atti rela- tivi ai luoghi su cui Asti aveva giurisdizione, e così pare che fosse nel Codice Alfieri, come fu detto parlando del Frammento torinese, salvo per quella parte dei diplomi imperiali, i quali furono riportati al foglio ccclxxi e seguenti. Se non che nel Codice Malabaila i documenti imperiali precedono la carta geografica dell’Astigiano, mentre le susseguono nel Codice Alfieri. d) Nel Codice Malabaila i titoli relativi ad una terra sono, come si disse, per lo più preceduti da una miniatura, la quale, ora con nn monte indifeso, ora con una, ora con più torri, forse indica se, e come, la terra fosse munita. Nel Frammento torinese del Codice Alfieri, a capo de’ fogli cecini, cccxi, ccclxxxxvii, in cui principiano gli atti relativi a Manzano, Novello e Cuneo, si hanno miniature esprimenti un monte, una torre con muro, due torri con muro. Nel Codice Malabaila manca il titolo di Manzano, e non fu fatta la miniatura sovra Cu- neo. Ma, sopra il titolo di Novello, vi è una torre merlata con un pezzo di muro merlato, sovra il quale sventolano due eguali bandiere di Asti, ed è il tutto pressoché identico a quanto si trova nel Frammento torinese. e) I documenti che sono nel Frammento torinese del Codice Alfieri si trovano tutti nel Codice Malabaila, eccetto un atto di procura di poca importanza, e del pari vi si trovano i documenti citati da monsignor della Chiesa come contenuti nel Codice Alfieri. 13. Differenze fra i Codici Malabaila e Alfieri. Non è meno importante il porre in rilievo le differenze fra i due Codici. a) L’ordine non è lo stesso nel Codice Malabaila come nella Lacinia, la quale già si dimostrò essere compilata con ordine diverso da quello dello stesso Codice Al- fieri. Però si trovano 15 titoli il cui ordine è lo stesso nei due indici, cioè quelli che hanno i numeri dal 29 al 43 nel Repertorio Malabaila, e dal 78 al 92 nella Lacinia Alfieri, il che mal si spiegherebbe senza una certa comunanza d’origine. Non solo è diverso l’ordine de’ capitoli, ma anche assai variato è raggruppa- mento degli atti sotto i diversi titoli, come risulta dallo specchietto del § 10. Gli atti, che nel Frammento torinese sono sotto il capitolo de Casteglono desuper Albam (n. 50 della Lac. dopo il n. 89 del Rep.) , si trovano nel C. Malabaila sotto il titolo de Saluciis (n. 113, 172. Rep.). Gli atti, che nel Frammento del C. Alfieri stanno sotto il titolo de Marnano (n. 51. Lac. dopo il n. 107. Rep.), si trovano disseminati nel C. Malabaila sotto i titoli de Montefalcono (107. Rep.) de Sarmatorio (117. Rep.) Miscellanea (89bis Rep.) de Alexandria (179. Rep.) de Fontanis et de Cerveriis (106. Rep.) de Salexeto (47. Rep.). Gli atti che nel Frammento torinese sono sotto il titolo de Novello (n. 68 Lac.), stanno nel C. Malabaila sotto i titoli de Castro Leuqui (45. Rep.) e de Novello (46. Rep.). Finalmente gli atti che nel Frammento torinese sono sotto il titolo de Cuneo (u. 98 Lac.), si trovano nel C. Malabaila sotto i titoli de Cuneo (123. Rep.) de d. Karolo comite provinole (177. Rep.) de Alba (178. Rep.). Tanta diversità nell’ordine dei documenti è da ritenersi come piu grave, che la diversità nell’ordine de’ capitoli, i quali, perchè meno numerosi e più semplici, facil- mente si aggruppano in pili modi. Ma se lo spostamento degli atti, rispetto ai titoli, fu nei due codici così diverso come nei quattro casi precitati, nasce ovvia la presun- zione che i due Codici Alfieri e Malabaila siano compilazioni molto distinte. b) A giudicare dal Frammento torinese si deve concludere, che vi fosse nel Codice Alfieri un frazionamento di documenti, il quale, o non esiste, o non è frequente nel Malabaila. Il foglio cccn di detto Frammento relativo al titolo de Casteglono desuper Albam contiene un documento e tre frazioni di documento. Nel C. Malabaila queste si trovano sotto il titolo Re Saluciis , al n. 172 del Repertorio, riunite in un solo do- cumento (n.910), molto più esteso, comprendente parecchi atti fatti negli stessi giorni e nel medesimo luogo da parecchie persone. Queste frazioni di atti parlano non solo di Castiglione, ma anche di Saluzzo e di Romanisio. Ora nel C. Malabaila manca il titolo de Casteglono desuper Albam , e sotto i titoli di Saluzzo e di Romanisio non si trovano le frazioni isolate, quali sono nel foglio cccii del C. Alfieri. c ) I titoli del Repertorio sono 183 (') e quelli della Lacinia 108 ; ma se si osserva, che nel Repertorio vi ha due volte il titolo de Saluciis (n. 113 e 172), in due titoli si parla di Gorzano (n. 161 e 175), e due altri titoli son relativi alla stessa terra Serra Meceti ovvero Mezzadio (n. 5 e 77): come del pari nella Lacinia vi ha due volte il titolo de Vallibus (n. 17 e 40 dirimpetto al n. 58 del Repertorio), e due volte quello de Neveis (n. 32 e 41 dirimpetto al n. 25 del Repertorio) si concluderà, che nel Repertorio Malabaila, non tenendo conto dell’ultimo capitolo di argomento inde- terminato, si hanno 179 titoli relativi a terre o signori diversi, mentre se ne hanno 106 nella Lacinia Alfieri: cioè sono assai più copiosi i capitoli del primo che della seconda. d) Confrontando la natura dei titoli di ciascun indice si trova, che dei 106 titoli diversi della Lacinia: 89 sono comuni, o si attengono alle stesse terre, di cui trattano analoghi titoli del Repertorio; (t) In questi confronti dei titoli dei due Codici, consideriamo solo i titoli quali effettivamente in essi sono, epperò prescindiamo dal titolo suppletorio di Miscellanea da noi aggiunto col n. 89 bis, — 31 — 7 non hanno eli fronte un corrispondente titolo del Repertorio, ma si riferi- scono ad una terra citata in qualche altro titolo del Repertorio o della La- cinia (n. 72, 38, 65, 57, 51, 99, 100 della Lacinia, che indicammo dopo i n. 27, 54, 59, 79, 107, 116 del Repertorio); 10 si riferiscono a terre non citate altrove (n. 5, 6, 7, 8, 9, 34, 42, 48, 50, 69 della Lacinia indicati dopo il n. 89 del Repertorio) dei 179 titoli diversi del Repertorio sono invece : 89 comuni od analoghi a quelli della Lacinia ; 12 relativi a terre altrove citate (n. 3, 4, 8, 13, 17, 19, 22, 61, 86, 91, 106, 115 del Repertorio); 78 relativi a terre non citate altrove (n. 48, 53, 82, 87, 89, 90, 92 a 103, 108 a 114, 120, 124 a 164, 166 a 171, 173, 174, 176, 177, 182). e) Confrontando invece la natura dei titoli per ciascuna delle tre parti, in cui è diviso il Codice Malabaila dopo ciò che si riferisce ai privilegi degli imperatori, si può fare lo specchietto seguente relativo al Repertorio Malabaila ed alla Lacinia Altieri. PATITE TERZA QUARTA QUINTA Rep. Lac. Rep. Lac. Rep. Lac. Titoli comuni 74 74 11 11 4 4 » citati 9 4 3 3 — — » non citati 5 10 67 — 6 — » duplicati 1 2 — — 2 — 89 90 81 14 12 4 Cioè a dire che, dei titoli dei capitoli contenuti nella terza parte del Codice Mala- baila, più dei nove decimi sono comuni a quelli della Lacinia, o si riferiscono a terre in essa citate. Invece, dei titoli dei capitoli contenuti nella quarta parte del C. Mala- baila, oltre gli otto decimi sono relativi a terre, delle quali non si fa menzione nella Lacinia Alfieri. f) Il confronto del Repertorio Malabaila e della Lacinia Alfieri, mentre dimostra la molta analogia della terza parte del Codice Malabaila colla corrispondente parte del C. Alfieri, fa vedere per contro quanto grande era la differenza per la quarta parte del Codice Malabaila, se la Lacinia pubblicata dal Combetti è veramente l’ indice completo del Codice Alfieri. La prima differenza sta nella forma dei titoli, i quali nella quarta parte del C. Malabaila constano del solo nome della terra, mentre per lo più contengono altre indicazioni nella parte terza. Del pari vi ha un divario nel numero dei titoli senza atti, che è solo di 2 sovra 81 nella parte quarta; mentre è di 39 sovra 89 nella parte terza. La differenza più grave sta poi nella circostanza già indicata, cioè che oltre gli otto decimi delle terre, cui si riferiscono i titoli del Repertorio, non sono neppure citati nella Lacinia, mentre per la parte terza più dei nove decimi delle terre sono citati nei due indici. Dobbiamo notare che nello stesso Codice Malabaila vi sono differenze non tra- scurabili fra la parte terza e le successive. La quarta parte del Codice Malabaila è la sola la quale abbia, come parte, il titolo speciale che già si riprodusse. — Dal titolo di Felizzano in avanti la numerazione dei fogli è fatta con lettere minuscole, laddove nella parte precedente del Codice è in maiuscole. — La scrittura è più stretta, — 32 — più acuta, meno accurata, più difficile. — Yi sono abbreviazioni e forme non con- suete nel resto del Codice. Vi sono più correzioni per postille. — Le iniziali in generale più grandi e meno proporzionate. — Men belle le miniature. — I quinterni hanno generalmente nell’ultima facciata una parola, che richiama il susseguente quinterno. Yi sono però due fascicoli (comprendenti i capitoli n. 165, 166, 167 del Reper- torio), i quali, salva la numerazione che è pure in minuscole, hanno tutti i caratteri dei fascicoli relativi alle tre prime parti del Codice. Onde risulta, che le ultime due parti del C. Malabaila, salvo detti due fascicoli, furono affidate ad altro copista. Finalmente vi è una ultima gravissima differenza fra la parte terza del Codice Malabaila e le successive. A margine di ciascun documento trascritto nella quarta e quinta parte del Codice Malabaila è indicato il numero del foglio del Libro vec- chio, ove il documento si trovava (vedi § 10). Ora questa indicazione nella terza parte del Codice non c’è: appena in tre documenti n. 67, 68, 104 si vede scritto a lato f. cii; f. cii; f. lxxiiii, e ciò potrebbe riferirsi al Libro vecchio, ma non osiamo affermare, non avendo noi, come si ebbe per la quarta e quinta parte del Codice, dati di confronto colla fogliazione attribuita al Libro vecchio dal Codice Altieri o dal Moriondo. La citazione del foglio del Libro vecchio manca però in sette documenti isolati ed in 31 documenti di seguito, anche nelle ultime due parti del Codice Malabaila, I documenti di seguito vanno dal n. 861 al n. 892, e corrispondono per l’appunto ai capitoli 165, 166, 167, ed ai due fascicoli che già dicemmo scritti dallo stesso copista, il quale aveva trascritte le prime tre parti del Codice. 14. Il Codice Alfieri o la sua Lacinia sono incompleti. Le differenze relative, fra le varie parti del Codice Malabaila e della Laci- nia, lasciano presumere con molto fondamento che: o la Lacinia pubblicata dal Com- betti è un indice incompleto del Codice Alfieri, ovvero il Codice Alfieri stesso è incompleto rispetto al Codice Malabaila, mancando m quello molto della quarta parte di questo. Certo ripugna il credere, che un Codice così importante come l’Alferiano, con tanta solennità dai podestà Lambertini e Salodo iniziato e continuato, sia rimasto incom- piuto. Un argomento non lieve per credere incompleta la Lacinia piuttosto che il Codice Alfieri, si deduce dall’osservare che, se in quella manca sì gran numero dei titoli che si trovano nella quarta parte del Repertorio Malabaila , ricompaiono invece, e nello stesso ordine, ed al fine ovvero pressoché al fine dei due indici, i titoli relativi alle città di Alba, Alessandria, Genova, Pavia ; titoli che ben si comprende venissero nei due codici dopo quelli relativi alle terre sotto il dominio di Asti. Sicché quasi par- rebbe mancasse nella Lacinia un foglio, ove dovevano trovarsi i titoli analoghi a quelli della quarta parte del Repertorio Malabaila. Al fondo della seconda pagina del foglio 312 vi è nel Frammento torinese il richiamo de Montezemulo, e ciò indicherebbe che dopo il capitolo de Novello seguiva nel Codice Alfieri il titolo de Montezemulo , il quale manca nella Lacinia pubblicata dal Combetti, mentre si trova nel Repertorio Malabaila (u. 82). Ciò tenderebbe pure a far credere incompleta la Lacinia piuttosto che il Codice Alfieri. Vero è che nel Codice Malabaila il capitolo de Montezemulo contiene un solo atto, il quale è analogo — 33 — ad altro contenuto nel susseguente capitolo de Miroaldo, e che gli atti in questo contenuti sono relativi a Montezemolo ed a Miroaldo. Potrebbe quindi il capitolo susse- guente de Miroaldo (83 Eep. 7) Adriani. Documenti Cheraschesi pag. 74 n. 289. — 38 — esistenza è rilevata dal nostro Codice, giacche in questo non si trovano i sovraindicati documenti del 1299. Ma non vuoisi dimenticare, che manca nel nostro Codice un quin- terno, del quale ignoriamo il contenuto. D’ un Codice astese si trova menzione nell’ opera ristampata col titolo : Cacsaris Carenae Cremonensis, I. C. Sacrae Theol. doctoris etc. Judicis conservatori, con- sultori et advocati fiscali S. Offìcii etc. Tractatus de Officio Sanctissimae Inqui- sitionis, et modo procedendi in causi fìdei etc. Lugduni. Sumptibus Laurentii Avisson. 1669. — - Vi è aggiunto il Tractatus de Strigibus dello stesso Carena. Al- l’opera è premesso un cenno sull’autore e sulla sua famiglia, che compilò Horalius Martinius Soc. I. Theol. et S. Offìcii Cremonae Consultor. Narra il Martini di avere ottenute le sue notizie dal Carena così: Laetus ad amicum ingredior : invenio sedentem atque antiquari™ scripturarum raassam non exiguam pervolventeni. Post salutationem: Ecquid operis? inquam : Maiorum meorum monumenta revolvo, ait, animum libenter applicui, nunquam enim alias, virum sapientissimum de sua progenie verba faeien- tem audiveram. Idem mihi fuit initium audiendi, legendi et admirandi ; nani e manuscriptis aucto- ritate publica firmatis atque liistoricis libris deprehendi eius familiam antiquissimam aeque ac nobilissimam. Etenim jam inde ab anno 1218 Ugo Carena Jacobi filins Astensi civitati partem quam possidebat feudorum Lanerii et Sancti Macharii ( Marciarli ) vendidit. Ab anno vero 1403 inter nobiles Casalenses Civitatis consiliarios Vasinus Carena censetur. E prosegue citando documenti posteriori. — Alla data 1218 è poi apposta la nota seguente: In quodam libro antiquo historiarum et privilegiorum Civitatis Astensis compilato per Ogerium Alferium fol. 17 a tergo et fol. 332. Ora, nel Codice Malabaila, nel doc. n. 549 al 12 Dicembre 1218, Ugo Carena filius quondam Jacobi , a nome suo e della sorella detta Damixela, vende al comune d’ Asti la loro parte Castri et ville et posse Lanerii, e similmente Castri et ville et posse con- tili et jurisdicionis Sancti Marciani. Tale documento è invece a fol. 171 (non 17) sotto il capitolo de Lanerio, mentre a fol. 132 (non 332), sotto il capitolo de Sancto Marciano, non si cita i Carena, ma a miglior dimostrazione della soggezione di San Mar- zano ad Asti si rinvia il lettore al capitolo de Lanerio. Se nei numeri 17 e 332 citati nel Carena o dal Martini, non vi ha confusione coi nu- meri 171 e 132 del Codice Malabaila, il libro che era sotto gli occhi di Cesare Carena, 0 da cui erano tratti i documenti che egli esaminava, non era il Codice Malabaila. 1 dati raccolti nel § 10, e nell’allegato n. 3 non permettono di confrontare questi numeri coi fogli del Libro vecchio o del Codice Alfieri. Inclino a credere, che il gesuita e l’inquisitore cremonese avessero sott’occhio docu- menti tratti da un codice, anziché un codice completo; perciocché nel Codice Malabaila si trovano ai n. 291 e 541 altri due documenti, i quali, provando che nel 1218 Ugo Ca- rena possedeva anche la nona parte di Masio e di Monteleucio, non valgono meno del sovraindicato n. 549 a dimostrare l’antica importanza dei Carena. Parendomi importante il conoscere come fosse il Codice Malabaila capitato a Vienna, ne feci domanda al dotto nostro collega di Arneth, ed ecco la sua risposta: Hochgeehrter Herr Dem mir vor Ihrer Abreise mundlich ausgesprochenen Wunsche gemàss beehre ich mich das Ergebniss der iiber die Provenienz de9 Codex Astensis gepflogenen Nachforschungen Eurer Excellenz in folgendeni mitzutheilen. — 39 — Im Iahre 1845 bat die damalige kon. sardinische Regierung um Auslieferung verscbiedener auf Monferrat bezuglicher Archivalien, welehe sicli in Mantua befinden sollten. Da jedoch, wie es wenigstens scheint, in dieser Stadt Niemand vorhanden war, dem man die Beurtheilung der Frage, welehe Archivalien an Sardinien auszuliefern und welehe zuruckzubehalten wàren, anheimgeben konnte oder wollte, da ausserdem die Absendung eines eigenen Sacliverstàndigen nach Mantua wohl zu kostspielig erschien, liess man diese Archivalien nach Wien kommen; unter ihnen befand sich auch der Codex Astensis. In Wien wurden sie von dem damaligen Vicedirector des Staatsarchives, Ioseph Chmel, gesichtet und auf seinen Vorschlag zum grossten Theile, (mit 744 Stiick) im Juni 1846 der hiesigen sardinischen Gesandtschaft ausgeliefert. Den Codex Astensis behielt man, wahrscheinlich weil dariu Diplome und Urkunden romisch-deutscher Kaiser entbalten waren, in Wien zurtick, und er wurde auch von der sardinischen Regierung nicht weiter reclamirt. In verehrungsvoller Gesinnung etc. Wien 7 Màrz 1876. Arneth. Il Codice Malabaila è dunque giunto nel 1845 a Vienna da Mantova, ove era fra i documenti provenienti dal Monferrato. È agevole comprendere come i documenti del Monferrato si trovassero a Mantova. AH’estinzione del ramo degli Aleramici, che vi dominava, il Monferrato passò nel 1305 alla casa dei Paleologi. Federico n Gonzaga duca di Mantova avendo sposata Margherita ultima dei Paleologi del Monferrato , ottenne questo da Carlo v nel 1536, ed è naturale che ne abbia portate le carte a Mantova. Resta a spiegarsi come il nostro Codice dai Visconti sia passato a Casale, ma non è difficile rendersene ragione, quando si consideri che nel 1356 il marchese di Monferrato riprese Asti, e che nel 1361 i Visconti gliene cedettero la signoria. Tutto concorre perciò a rendere probabilissime le nostre congetture: cioè che il Codice Malabaila sia una copia fatta verso il 1353 in Asti, d’ordine di Giovanni Visconti, sovra due Codici, l’Alferiano, ed il Libro vecchio allora denominato Origi- nale de Malabaila. Seguono gli Allegati della Parte Prima. Num. 1. Quadro genealogico degli Alfieri. » 2. Prestiti degli Alfieri. » 3. Ordine relativo del Libro vecchio e del Codice Malabaila. » 4. Indices titulorum Coclicis Malabayla, et Codicis Chartacei R. Tabularii Taurinensis. — 40 — QUADRO GENEALOGICO DEGLI ALFIERI Tominaso- 1152 Manuel - 1214 -Guglielmo(O)- 1236-84 -Enrico (10) — 1263-00 -Buffi neto 122) 1269-1306 — Martino- ( de Mula) -Alterino 1244-48 -Anseimo 1242 Alferio (1) — 1228-1248 Oberto (18) 1149 Alferius Alferiorum (2) 1189 -Tommaso (25)- 1259-80 -Ogekio (20)- 1249-94 -Uberto 1250 ir. - Mo- te E È», r- Gualla (8) I 1176-1206 Uberto (26) 1221-23 -Gioanni (12)- 1259-00 • — Ogerio (19) 1178 Giacomo (11) 1252-81 Raimondo (21) 1198-99 Manfredo (15) 1269 Sirnone Canonico (24) 1198 Leone (13) 1276-79 MS % a m. — 41 ! de ri co - 1 307-33 — . De sancto Mayolio, homines diete ville sunt de posse Castagnolarum. Et iuspiciatur in secundo capitulo contento sub rubrica de Castagnolis in quo capitulo continetur de alienatione et vendi- tione dicti loci factis per dominum Manfredum lanceam Comuni Astensi. a 7. De petino, homines diete ville sunt de posse Castagnolarum. Et inspiciatur (etc. ut in N. 6. lì.). a. 8. De castro paraxoli. Castrum paraxoli est feu- dum comunis Astensis, ut patet (etc. ut in N. 4. /?.). 43. De Casteglono de Tinella, de Laureto et comitatu, et Castagnolis et pertinenciis. De do- natone domini Octonis Boverii marchionis. 27. Castrum et villa Castagnolarum est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis habitantes in Ast, de pacto hominum Castagnolarum. 22. De villa et hominibus Serra Mezeti, quae vocatur Sancti Stephani. De venditione domini Maynfredi marchionis Lanceae de Serra Mezeti, quae vocatur Sancti Stephani. 28. De Sancto Mayolio. Homines dictae villae sunt de posse Castagnolarum, de veuditione domili Maynfredi marchionis Lanceae de Sancto Mayolio. 29. De Petino. Homines dictae villae sunt de posse Castagnolarum, de venditione domni Mayn- fredi marchionis Lanceae de Petino. — 48 — o. 9. De Farineriis, homines diete ville sunt de posse Castagnolarum. Et inspiciatur (etc. ut in N. 6. R.). alO. De Castro Matarelli. Castrum Matarelli est feudum comunis Astensis ut patet (etc. ut in N. 4. ff.). a 11. De Caburo. Inspiciatur (etc. ut in N. 6. P,.). a 12. De Saxo. Inspiciatur (etc. ut in N. 6. /?.). a 13. De Caprarolio, homines sunt in villa In- sule. Inspiciatur (etc. ut in N. 6. R). (V. 49. R. 10. Laciniae). a 14. De Paruzono. Inspiciatur (etc. ut in N. 6. R.). a 15. De Monte prevedere. Inspiciatur in secundo capitulo posito sub rubrica de Castagnolis. In quo capitulo continetur de venditione facta per domi- num Manfredum lanceam Comuni Ast consensu et voluntate domini Guilelrai Marchi onis Montisfe- rati de dicto loco Montis prevederij. a 16. De sparoeriis. Inspiciatur (etc. ut in N. 6. R.). a 17. De plebatu pontis. De hominibus liabitan- tibus in plebatu pontis. Inspiciatur (etc. ut in N. 6. R). 18. De Barbarischo. 19. De Viglano. (V. 49. R. 10. L.). 20. De Montebersario. Villa Montisbersarii est de locis novis comunis astensis et homines diete ville sunt cives astenses in omnibus et per omnia sicutalij cives civitatis astensis hahitantes in Ast. 21. De Malamorte. Castrum et villa Malemor- tis est de locis novis comunis Astensis et homines diete ville prò parte comunis Astensis sunt cives astenses in omuibus et per omnia sicut alij cives civitatis astensis habitantes in Ast ut patet etiara in titulo Encisie. 22. De Veneis. (V. 54. R.). 23. De villa pozolii. Villa pozolii est feudum comunis astensis ut patet sub rubrica do castro Montisbersarij. In quodam capitulo posito sub ru- brica de certis pactis et fidelitate prcstita comuni 30. De Farineriis. Homines dictac villae sunt de posse Castagnolarum, de venditione domni Maynfredi Marchionis Lanceae de Farineriis. 31. De Matarello. Homines dictae villae sunt de venditione domini Maynfredi marchionis Lan- ceae de Matarello. 26. De Caburro. De venditione Maynfredi mar- chionis Lanceae. 25. De Saxo. De venditione domni Maynfredi marchionis Lanceae. 23. De Parruzono. De venditione domni Mayn- fredi marchionis Lanceae de Parruzono. 44. De Monte Poedero. De venditione quam fecit dominus Maynfredus Lancea marchio, prae- cepto, consensu et voluntate domini Gulliermi marchionis Montisferrati comuni Astensi de Ca- stagnolis, Farineriis, Matarello, Peticio, et Lau- reto, et comitatu Laureti. 24. De Sparderiis. De venditione domni Mayn- fredi marchionis Lanceae de Sparderiis. 33. De Barbarisco. Comune Astense habuit partem in Barbarisco, et dictum comune permu- tationem fecit de dieta sua parte Barbarischi cum comune Albae prò parte quam dictum co- mune Albae habebat in Castro Nevearum, de sententia dominorum Barbarisci et.comune Albae. 18. Villa Montisbersarii est de locis novis co- munis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis habitantes in Ast, de pacto dominorum Montisbersarii. 14. Castrum et villa Malaemortis est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae prò parte comunis Astensis, sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis, habitantes in Ast, de donatione Ruffini Tibury, Octonis, Grignolae, et Alberti Sardi fra- trum, scilicet de quarta parte Montisbersarii et Malaemortis. 13. Villa Pozpli evat.comunis Astensis, et Guil- lelmus Rubeis de Montebersario tradidit in raa- nibus marchionis Montisferrati , qui destruxit eam. 49 — Astensi per certos homiues de Hontebersario oc- casione Montisbersarij et Malemortis. 24. De castro Trecij. Castrum Trecij videlicet sesta pars est comunis astensis. Et alie quinque partes sunt feudum comunis astensis et est civium astensium pars illius castri. 25. De Neveys. Castrimi et villa Nevearum est feudum comunis astensis. 26. De Casteno. Castrum et villa Castani est feudum comunis Astensis. a 27. De Bosea. Castrum et villa de Bosea est feudum comunis Astensis ut patet sub rubrica de castro et villa castani. In capitulo tercio posito sub rubrica de venditione facta comuni Astensi per dominum Ottonem de Careto Marchionem Sa- gone et ugonem eius filium de Castano Cortemi- lio, Bosea, Turre de burmea, Bergolijs, Turre de Uzone , Cagna, Ursarolia , Castelleto , Perleto, Ulmo, Rocha Vevrana, Denex, Montebaldono, Ponte, Massungio, Pezolio, Salegio, Gurino, Ve- cimo, Loesio etc. Et ut patet sub rubrica predicti castri Castani in capitulo posito sub rubrica de possessione quam dedit prefatus dominus Otto de Careto de dicto loco Bosee. a 28. De Yecimis. Castrum et villa de vecimis est feudum comunis astensis ut patet (etc. ut in N. 27. R.). a 29. De Salegio. Castrum et villa Salegii est feu- dum comunis astensis ut patet (etc. ut in N.27. /?.). a30. De Bergolijs. Castrum et villa de Bergolijs, est (etc. ut supra). a 31. De Pezolio. Castrum et villa pezolij est (etc. ut supra). a 32. De Turre Uzonij. Castrum et villa Turris de Uzono est (etc. ut supra). a 33. De Gurino. Castrum et villa Gurini est (etc. ut supra). De pacto aliquorum dominorum Montisbersarii et Malaemortis de villa Pozoli. 36. De Trezio. Prezzi videlicet sexta pars est comunis Astensis, et aliae quinque partes sunt feudum comunis Astensis, et est civium Asten- sium pars illius castri, de discordia dominorum Nevearum, Trezii, et Barbareschi, et comunis Albae. 32. Castrum et villa Nevearum est feudum co- munis Astensis, de venditione Petri Turchi de Neveis de sua vigesimaquarta parte Nevearum. 4L De Neveis. De donatione dominae Hasliae facta Baldraco Alio quondam Henrici de Neveis. 47. De Castano. Castrum et villa Castani est feudum comunis Astensis, postea Guttuarii, cives Astenses, emerunt dictum castrum a domino Ma- nuele de Castano. 73. De Bosea. Castrum et villa de Bosea est feudum comunis Astensis. 72. De Turre de Donnea. Castrum et villa Turris de Bonnea est feudum comunis Astensis, de feudo et venditione domini Ottonis de Carreto. {V. 27. R.) 75. De Vicimis. Castrum et villa Vicimis est feudum comunis Astensis, de venditione et feudo domini Ottonis de Carreto marchionis. 78. De Salegio. Castrum et villa Salegii est comunis Astensis. 79. De Bergolis. Castrum et villa Bergolis est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagone comuni Astensi de castro Bergolis. 80. De Pezolio. Castrum et villa Pezoli est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit comuni Astensi de Pezolio dominus Otto de Carreto marchio Sagonae. 81. De Turre de Auzano. Castrum et villa Turris de Auzano est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit comuni Astensi de Tur- re de Auzano dominus Otto marchio Sagonae. 82. De Gorino. Castrum et villa Gorini est feudum comunis Astensis, de venditione, quam 7 a 34. DeLocesio. Castrala et villa locesij est (etc. ut supra). a 35. De Cagna. Castrara et villa Cagne est (etc. ut supra). a 36. De Ursarolia. Castrala et villa de Ursarolia est (etc. ut supra). a 37. De Ulino. Castrala et villa de Ulmo est (etc. ut supra). a 38. De Perleto. Castram et villa Perleti est (etc. ut supra). a 39. De Rocha Vevrana. Castram et villa Roche Vevrane est (etc. ut supra). a 40. De Masungio. Castram et villa Masuugij est (etc. ut supra). « 41. De Montebaudono. Castrum et villa Mon- tisbaudoni est (etc. ut supra). a 42. De Denex. Castrum et villa de Denex est (etc. ut supra). a 43. De Ponte. Castram et villa de Ponte est feu- dum (etc. ut supra). 44. De Curtemilia. 45. De castro Leuqui. Castrum et villa Leuqui est feudum comunis astensis ut patet etiam sub titulo de Curtemilia capitulo primo. 46. De Novello. Castram et villa Novelli est fecit domiuus Otto marchio Sagonae comuni Astensi de Gorino. 83. De Loesio. Castrum et villa Loesis est feudum comunis Astensis. de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de Loesio. 84. De Cagna. Castrum et villa Cagnae est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de castro et villa Cagnae. 85. De Ursayroliis. Castrum et villa de Ur- sayroliis est feudum comunis Astensis, de vendi- tioue, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de castro et villa de Ursayroliis. 86. De Ulmo. Castrum et villa de Ulmo est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de castro de Ulmo. 87. De Perleto. Castram et villa Perleti est feudum comunis Astensis , de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de castro Perleti. 88. De Rochaveurana. Castrum et villa Ro- chaeveuranae est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit domiuus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de castro Ro- chaeveuranae. 89. De Masungio. Castrum et villa Masungii est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Astensi de castro Masungii. 90. De Monte Baudono. Castrum et villa Montis Baudoni est feudum comunis Astensis, de vendi- tione, quam fecit dominus Otto de Carreto mar- chio Sagonae comuni Astensi de castro Montis Baudoni. 91. De Denex. Castram et villa Denex est feu- dum comunis Astensis, de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae co- muni Astensi de castro de Denex. 92. De Pontibus. Castrum et villa de Poutibus est feudum comunis Astensis, de venditione, quam fecit dominus Otto de Carreto marchio Sagonae comuni Asteusi de castro de Pontibus. 74. De Curtemilia. Castrum et villa Curtismi- liae est feudum comunis Astensis. 49. De Leuquo. Castram et villa Leuqui est feudum comuuis Astensis. 68. De Novello. Castrum etiam Novelli est feudum feudum comunis astensis ut patet edam in titulo leuqni capitulo primo posito sub rubrica de fide- litate domini Jacobi de careto et de investitura in eum facta in rectum feudum per comune astense. 47. De Salexeto. Castrum et villa Salexeti est feudum comunis astensis ut patet etiam sub ru- brica Castri leuqui capitulo primo posito sub ru- brica de investitura in rectum feudum facta in dominum Jacobum de careto et de eius fidelitate. 48. De Cario. — 49AÌS Denuo de Cario. 49. De Insula. Villa Insule est de locis novis comunis astensis et bomines diete ville sunt cives astenses et etiam est feudum comunis astensis ut patet sub titulo et rubrica Maxij. 50. De Azano. Villa Azani est de villis vete- ribus comunis astensis et homines diete ville sunt homines comunis astensis solvendo fodrum rusti- cale omni anno comuni astensi semel. Et ut patet etiam sub titulo Maxij. 51. De Maxio. Castrum et villa Maxij est de locis novis comunis astensis. Et homines diete ville sunt Cives Astenses. 52. De Aglano. Castrum Aglani est feudum comunis astensis Et domini dicti castri tenent ipsum castrum in feudum a comuni astensi. 58. De Castro Montis. 54. De Maglano. Villa Maglani est de locis no- vis comunis astensis et homines diete ville sunt cives astenses in omnibus et per omnia sicut alij cives astenses, Et dieta villa facta fuit de horni- nibus fravearum vallium, venearum et Aulongi. 55. De Calocio. Villa Calocij est de locis novis comunis Astensis et homines diete ville sunt cives astenses in omnibus et per omnia sicut alij cives civitatis astensis habitantes in Ast. comunis Astensis, de fidelitate et investitura , quam fedi dominus Osa de Canevanova domino Iacobo de Careto de Castro Novelli (*). 71. De Salexeto. Castrum et villa Salexeti est feudum comunis Astensis, de pace et concordia, quam fecerunt comune de Ast, et marchiones de Guasto, et castellani, et de donatione, quam fecit dominus Gratapalea de loco Salexeti. 10. Villa Insulae- est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii ci- ves civitatis Astensis habitantes in Ast, de pacto comunis et hominum Insulae et Montisgrossi, de Caprayrolio, et homines sunt in villa Insulae, de Castro Viglimi, quod erat feudum comunis Asten- sis, et est in Montegrosso. 4. Villa Azani est de villis veteribus comunis Astensis, et homines dictae villae sunt homines comunis Astensis, solvendo fodrum rusticale omni anno comuni Astensi semel. 1. Castrum et villa Maxii est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses, de quantitate librarum, de pacto hominum et comunis Astensis. 21. Castrum Aglani est feudum comunis Asten- sis, et domini dicti castri tenent ipsum castrum in feudum a comuni Astensi, de concordia et pacto facto inter Astenses et Muccamgattam de Agliano, de venditione domni Maynfredi marchio- nis Lanceae de Paxolio. 39. De villa Mangani. Villa Mangani est de lo- cis novis comunis Astensis, et homines dictae vil- lae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis habitantes in civitate Astensi, et dieta villa fuit de hominibus Fravearum, Vallium, Venearum , et Alungi. 38. De Favreis. De pacto domini Reymondi Be- lengerii de Busca. 52. De Calozio. Villa Calozii est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis habitantes in Ast. (1) Idem titnlns ad liferam continetur in taurinensi Fragmento Codicis Alferianì. 56. De Castro vigiliti. Castrum vigiliti est de locis novis comunis astensis; Et liomines diete ville sunt Cives astenses de quantitate libra- rum LX. 57. De Castronovo de Calcea. Castrum novum de Calcea est de locis novis comunis astensis et liomines ville sunt cives astenses in omnibus et per omnia sicut alij cives astenses et est feudum . comunis ast ut patet etiam castri de vigiliti ti- tillo in pluribus capitulis. a 58. De castro Valium. Castrum et villa Val- lium prope viginti est feudum comunis astensis ut patet in titulo et sub rubrica Castri de vi- ginti in pluribus capitulis. Et ut patet in titulo et sub rubrica Encisie. 59. De Canelio. Castrum et villa eanellarum est de locis novis comunis Ast et liomines diete ville sunt cives astenses in omnibus et per omnia sicut alij cives astenses. 60. De sancto Marciano de aquoxana. Castrum et villa est de locis novis comunis astensis et ko- mines diete ville sunt Cives astenses, Et etiam est feudum comunis astensis ut patet in titulo canelli in capitulo II. posito sub rubrica de qui- tacione et dono etc, dominorum de canellis Et ut patet in titulo Lanerij sub rubrica de vendi- tione facta per dominum Nicolaum de canellis et in pluribus alijs capitulis. 61. De Castro Muascke. Castrimi et villa Mua- sche est feudum comunis astensis ut patet in ti- tulo canelli in capitulo secundo posito sub rubrica de quitatione etc, dominorum de Canelio et in quodam alio capitulo venditionis posito sub ti- tulo sancii Marciani. ( V. . 59. 60. /?.). 62. De Calamandrana. Castrum et villa Cala- mandrane est feudum comunis astensis et comune Alexandrie diruit dictum castrum et posuit ho- mines in villanova Nicie. Itera est feudum dicti comunis ast ut patet in titulo canelli in capitulo secundo posito sub rubrica de quitatione et do- no etc. dominorum de Canelio et in quodam alio capitulo venditionis in dicto titulo et in quodam alio capitulo posito in titulo sancti Marciani. 63. De Castro Serrami. Castrum et villa Sexami 16. Castrum Viginti est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses de quantitate librarum sexaginta, de pacto lioininum Viginti. 19. Castrum novum de Calcea est de locis no- vis comunis Astensis, et liomines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis kabitantes in Ast, de venditione Bodulfì Capre de Viginti de eius sep- tima parte Castri novi de Calcea. 17. Castrum et villa Vallium prope Viginti, scilicet partem illorum de Viginti, est feudum comunis Astensis, de venditione Bergognoni de Viginti, et Muruelli fratris sui de eorum parte Viginti et Vallium, et de Castronovo. 40. De Vallibus. Castrum et villa Vallium fuit de dominis de Covano, de captione castri et vil- lae Vallium. 53. De Canelis. Villa Canelarum est de locis novis comunis Astensis, et liomines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia si- cut alii cives Astenses kabitantes in Ast. 65. De Rocketa de Pelafea. De dono domino- rum de Canelis. Veruni quia breviata non est conclusio, ideo non transcripsi, et est in ipso li- bro Alferii, fol. 248. 54. De Sancto Marzano de Aquoxana. Castrum et villa Sancti Marzani de Aquoxana est de locis novis comunis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses. 64. De Calamandrana. Castrum et villa Cala- mandrauae erat feudum comunis Astensis, et co- mune Alexandriae diruit dictum castrum, et po- suit liomines in Villa nova Niciae. 77. De Sexamo. Castrum et villa Sexami est est feudum comunis astensis ut patet in titulo Caneili. (etc. ut in N. 62. R). 64. De Lovazolio. Castrum et villa Lovazoli est feudum comunis astensis ut patet etiam in titulo caneili (etc. ut in N. 61. R.). o. 65. De Castro Soyrani. Castrum et villa Soy- rani est feudum comunis astensis ut patet in ti- tulo caneili (etc. ut in N. 62. /?.). a 66. De Garbazola. Castrum et villa Garbazole est feudum comunis astensis, Et comune Alexan- drie diruit dictum castrum et posuit homines in villa nova nicie. Item est feudum comunis asten- sis ut patet in titulo Caneili (etc. ut in N. 62. /?.). 67. De Castro Eupis. Castrum Eupis appella- timi Eocha Aracij est de civibus astensibus de promissione domini Bonefacij astensis episcopi, de Maxio de Eupe et de Insula, Et de quarta parte Comitatus Serrelonge. 68. De Montaldo et Eupecula. 69. De Curticellis. 70. De Coxano. 71. De sancto Stepliano de Coxano. Castrum et villa Coxani est feudum comunis astensis. a 72. De Eocheta Coxani. Castrum et villa Eo- chete Coxani est de locis novis comunis astensis et homines diete ville sunt cives astenses in om- nibus et per omnia sicut alii cives habitantes in Ast, Item est feudum dicti comunis astensis ut patet in titulo et sub rubrica de Coxano. 73. De Encisia. Castrum et villa Encisie est feudum comunis astensis et domini dicti castri sunt cives astenses de quantitate faciendo pacem et guerram etc, prout alij cives astenses. a 74. De Castro novo desubtus Encisiam. Castrum feudum comunis Astensis, de venditione Canel- larum, Sexami et consortitus. 76. De Lavazolio. Castrum et villa Lavazoli est feudum comunis Astensis, de venditione Ca- nellarum, Lavazoli et consortitus. 66. De Soyrano. Castrum et villa Soyrani erat feudum comunis Astensis. 62. Castrum et villa Garbazoliae erat feudum comunis Astensis, et comune Alexandriae diruit dictum castrum, et posuit homines in Villa nova Niciae. 3. Castrum Eupis est de civibus Astensibus, de promissione doni domni Bonifacii Astensis epi- scopi, de Maxio, de Eupe, de Insula, de quarta parte comitatus Serraluugae. 2. Eupecula et Montaldum est feudum comunis Astensis de donatione Damicellae, uxoris quon- dam Alberti marchionis Incisiae et filiorum, de Eupecula. 15. Castrum Curtiscellarum, scilicet tercia pars, et quadragesima pars est feudum comunis Astensis. 45. De Coxano. Castrum et villa Coxani erat Marchionum de Busclia, qui erant cives et vas- salli comunis Astensis. 67. De Sancto Stepliano de Coxano. Castrum et villa Sancti Stephani de Coxano, medietas est feudum comunis Astensis, scilicet medietas castri tenent a comuni Astensi domini de Eevelo, et a castro inferius, scilicet villa et homines et posse tenebant domini de Buscha in feudum a comuni Astensi, et quia praedicti domini de Buscha fe- ceruut guerram comuni Astensi et proditionem, ideo dictum comune abstulit eis dictum feudum. 46. De Eocheta de Coxano. Castrum et villa Eochetae est de locis novis comunis Astensis et homines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives civitatis Astensis habitantes in Ast, et dictum castrum et villa erat de marchionibus Buschae, qui erant cives et vassalli comunis Astensis, et quia dicti domini de Buscha fecerunt guerram comuni Astensi et proditionem, ideo dictum comune abstulit ei dictum castrum. 61. De castro et villa Encisiae. Domini dicti castri sunt cives Astenses, de quantitate faciendo pacem et guerram, exercitus et cavalcatas prò co- muni Astensi. 58. Castrum novunr desubtus Encisiam. Domini noviun desubtus Encisiam est feudum comunis astensis ut patet iu titulo et sub rubrica Castri Encisie, Et domini dicti castri sunt cives astenses de quantitate faciendo pacem et guerram etc, prout alii cives astenses prò comuni Ast. a. 75. De Bergamasco. Castrum et villa Berga- maschi est feudum (etc. ut in N. 74. /?.). a 76. De Carentino. Castrum et villa Carentini. Domini dicti castri sunt cives astenses de quan- titate faciendo pacem et guerram Exercitus et ea- valcatas prò comune astensi , Item est feudum comunis astensis ut patet in titulo et sub rubrica Castri Encisie. 77. De Mezzadio (V. 5. /?). 78. De Monte Leucio. Monte Leucium, Horni- nes diete ville sunt in villa Montisgrossi. 79. De Lanerio. Castrum et villa Lanerij erat feudum comunis astensis, Et comune et homines Alexandrie diruerunt dictum castrum et posuerunt homines diete ville in villanova Micie. a 80. De Sancto Johane de Conchis. Sanctus Jo- hanes de Conchis sive villa fuit de consortitu la- nerij. Et est feudum comunis astensis, ut patet in titulo lanerij, Capitulo secundo posito sub rubrica de vendicione facta per dominum Nicolaum de ca- nellis comuni astensi de sexta parte lanerij Sancti Marciarli et Sancti Johanis de Conchi. 81. De Lintignano. Castrum Lintignani erat feudum comunis astensis et dominus Guido de Lintignano erat civis astensis de tota sua terra Et comune Alexandrie diruit dictum castrum et posuerunt homines in villanova Nicie. 82. De Montezemulo. 83. De Miroaldo. a 84. De Montaldo. Castrum Montaldi est feu- dum comunis astensis ut patet sub titulo et Ru- brica de Rupecula et Montaldo in pluribus capi- tulis. 85. De Monte grosso. Villa Montis grossi est de locis novis comunis astensis et homines diete ville sunt cives astenses in omnibus et per omnia dicti castri sunt cives Astenses, de quantitate fa- ciendo pacem et guerram, exercitus et cavalcatas prò comuni Astensi. De pacto et citaynatico marebionum de Incisia, prout apparet in f.° 238. 59. De castro et villa Bergamaschi. Domini dicti castri sunt cives Astenses, de quantitate faciendo pacem et guerram prò comuni Astensi. 60. De castro et villa Carentini. Domini dicti castri sunt cives Astenses, de quantitate faciendo pacem et guerram, exercitus et cavalcatas prò co- muni Astensi. 20. De Monte Lentie. Homines dictae villae sunt in villa Montisgrossi, de pacto domini Azonis de Castellino. 55. Castrum et villa Lanerii erat feudum co- munis Astensis, et comune et homines Alexandriae diruerunt dictum castrum, et posuerunt homines dictae villae in Villanova Niciae. 57. Villa Niciae. Pars eius facta fuit de terra Astensium per comune Alexandriae, scilicet de ca- stro et villa Latierii, de Sancto Iohanne de Con- chis, sive de villa, de Calamandrana, de Garba- zolia, et Lintignano. 56. Sanctus Iohannes de Conchis, sive villa, fuit de consortitu Lanerii. 63. De Lintignano. Dominus Guydo de Linti- gnano erat civis Astensis de tota sua terra, et co- mune Alexandriae diruit dictum castrum, et posuit homines in Villa nova Niciae. 70. De Miroaldo. De pace et concordia, quam fecerunt comune Astense, et marcliiones de Guasto, et castellani. 12. Castrum Montaldi est feudum comunis Asten- sis, de donatione domine Damicellae, uxoris quon- dam Alberti marchionis Incisine, et filiorum de Montaldo. 11. Villa Montisgrossi est de locis novis comu- nis Astensis, et homines dictae villae sunt cives Astenses in omnibus et per omnia sicut alii cives — 55 — sicut alii cives astenses habitantes in Ast et est feudum comunis ast ut patet eciam sub titulo et rubrica Insule. 86. De Serra longa. Castrum et villa serrelonge est feudum comunis astensis ut patet in titulo et sub rubrica Castri Insule in tercio capitulo. Et prout coutinetur etiam in titulo et sub rubrica Castri et terre Maxij. (F. 67. R.). 87. De Astixio. 88. De dominis de Revello. 89. De monte natali. 89>s Miscellanea (‘) civitatis Astensis habitantes in Ast, de pacto co- munis et bominum Insulae, et Montisgrossi. 37. Castrum et villa Niviliarum est de locis no- vis comunis Astensis, et bomines dictae villae sunt cives Astenses sicut alii cives civitatis Ast, habi- tantes in civitate Astensi, de citaynatico domino- rum de Revello , et de Neveis, Trezio, et Niviliis, et Barbarisco. 5. Villa Montis Marcidi est de villis veteribus comunis Astensis, et bomines dictae villae sunt bomines comunis Astensis. 6. Villa Nantearum est de villis veteribus co- munis Astensis. 7. Villa Sancti Marnili de Rupe Sclavina est de villis veteribus (etc. ut supra N. 5). 8. Villa Montisgardini est (etc. ut supra). 9. Villa Belengerii est (etc. ut supra). 34. De Tradiscio. De redditibus quos babebat domin us Maynfredus marchio Lanceae in Tra- discio. 42. De Cavazolio. Castrum et villa Cavazolii est de civibus Astensibus. 48. De Burgomalo. Castrum et villa Burgimali est feudum comunis Astensis, quia dominus Oddo de Carreto et eius liaeredes tenent in feudum a comuni Astensi totam terram, quam ipsi babent a Monte Cricino citra, et dictum castrum et villa est feudum dicti domini Oddonis et est feudum comunis Astensis. 50. De Casteglono desuper Albam. Castrum et villa Castegloni est feudum comunis Astensis. 69. De Palodio. De pace et concordia, quam fecerunt comune de Ast, et marchiones de Gua- sto, et castellani. Quarta Pars — Castra terrae el loca dira Tanagrum. 90. De Felizano. 91. De Quatordeo. (F. 116. R. 101. L.). 92. De Fonte. 93. De Cerro. (1) Titulum lume perspicuitatis causa nos adiocimus: in Codice abest. 94. De Nono. a 95. De Kivofrancoris habetur suprascripto pro- ximo capitulo. « 96. De Foresto habetur suprascripto proximo capitulo. 97. De Quarto. 98. De Govono. 99. De Castagneto. 100. De Maglano. 101. De Gaurena. 102. De Santa Victoria. 103. De Paucapalea. 104. De Brayda. 105. De Clarasco. 106. De Fontanis et de Cerveriis. 107. De Montefalcono. 108. De Ce va. 109. De Caballario maiori. 110. De Fossano. 111. De Cargnano. 112. De Vigono. 113. De Salucijs. 114. De Carmagnola. 115. De Romanisio. 116. De Bovisio et certis aliis locis ut infra. 94. De Clarascoto. De venditioue Gulienui et Robaldi filiorum domini Nicolay de Brayda de eo- rum parte Brayde et Sifredi. 93. De Clarascho. Villa Claraschi facta est quae- dam pars de terra Astensium, scilicet de quadam parte hominum Braydae. hominum Fonlancarum, hominum Cerveriarum hominum Claraschoti, ho- minum Montisfalconi et hominum Manzani. 95. De Montefalcono. De pacto dominorum de Marnano, de Sarmatorio et de Montefalcono, et de citaynatico ipsorum dominorum, ut infra. 51. De Marnano. Caslrum el villa Manzani el consorlilum eral de civibus Astensibus, et domìni dicli castri erant cives Aslenses de quantilate , poslmodum comune Albae dindi dicium caslrum , el posuit homines in Villanova Claraschi. De cilaynalico dominorum de Manzano et Sar- ma torio, el de Montefalcono. Anno Domini MCLXXXIVIIL , indie lione prima , die mercurii decimo kalendas madii. Haec est forma concordiae , quam domini de Manzano , Sarma- torio , el de Montefalcono fecerunt cum hominibus de Aste (‘) et ut latius continetur in libro praedicto Alferii in folio 304. 101. De Bovesio. De dono et investitura facta comuni Astensi per comitem Ubertum, scilicet de Sanclo Dalmacio, Bruxaporcello, Bovesio , Sum- maripa, Romanisio , et Qualordeo. 99. De Burgo Sancti Dalmacii. De dono et investitura facta comuni Astensi per comitem Ubertum, scilicet de Sancto Dalmacio, Bruxapor- cello, Bovesio et Romanisio, ut infra. 100. De Bruxaporcello. De dono et investitura facta comuni Astensi per comitem Ubertum, sci- licet de Sancto Dalmacio, Bruxaporcello, Bovesio, Summaripa et Romanisio. (1) Ilic titulusad literam in taurinensi Fragmonto Codicis Àlferiani continetur, ubi in ipso fol. 304 est instrumentum con- cordiae dominorum de Manzano. ] 17. De Sarmatorio. 118. De Sanctoalbano. 119. De Plocio. 120. De Savilliauo. 121. Locus Montisregalis aliter Muiitisvici. 122. De Morocio. 123. De Cuneo seu de Pizocunei. In Valle Verse. 124. De Castagnoli de ultra Versam. 125. De Montemagno. 126. De Cunico. 127. De Tongo. 128. De Caliano. 129. De Casurcio. 130. De Castroalferio. 131. De Yineali. 132. De Montilio. In Riasclia. 133. De Cochonato. 134. De Albugniano. 135. De Pogliano. 136. De Castro novo et veteri Fereriarum. In Valle Rivilati. 137. De Corsembraudo. 138. De Mouteclaro. 139. De Montibus sive Seravalle. 140. De Cortansero. 141. De Camayriano et de Cinalio. 142. De Casascho. 96. De Sarmatorio. De pacto dominorum de Manzano, de Sarmatorio, et de Montefalcono, et citaynatico ipsorum dominorum, ut infra. 97. De Sancto Albano. De fidelitate hominum Sancti Albani. 104. De Plozio. De pacto hominum de Plozio. 103. De Monteregali. De citaynatico comuni et hominum Montisregalis. 102. De Morocio. De citaynatico comuni et hominum Morocii. 98. De Cuneo. De paolo hominum Cunei , el de cilaynatico ipsorum (‘). In Valle Playc. 143. De Playa. 144. De Cortandono. 145. De Cortasono. In valle Trevezie el Plana Astensi. 146. De Montafia. 147. De Ducino. 148. De Musanzola. 149. De Sulberico. 150. De Castronovo de Rippaalba. 151. De Supponito. 152. De Stoherda. U) Hic titulus ad literam in Frammento taurinensi coutinetur. 8 — 58 — 153. De Rippa. 154. De Bulgaro. 155. De Villanova. 156. De Curtevetula. 157. De Valfenaria. 158. De Prekalormo. 159. De Cellarengo. In valle Burburis. 160. De Sanctodamiano. 161. De Castronovo de Gorzano. 162. De Marcellengo. 163. De Canalibus. 164. De Stella. 165. De Preocha. 166. De Castro Ayn aldo. 167. De Montefiali. 168. De Monteacuto. 169. De Montealto. 170. De Anterisio , Desaya , Ceresolis et Pre- kalormo. Quinta Pars — Diversa inslrumenla el scriplurae. 171. De Sakaudia. 172. De Saluciis. (F. 113. R.). 173. De Monteferrato tractatus. 174. De Careto. 175. De Dominis de Gorzano. (F. 161. /?.). 176. De Taurino. 177. De Domino Karolo Filio domini Regis Francorum Comite provincie. 178. De pacto et concordia facta inter Astenses et Albenses. 179. De Alexandria (’). 180. De Janua. 181. De Papia. 182. De comitibus de blandrato. 183. De certis extraordinariis. 35. De Montrexino. De acquisitione Montrexiui videlicet anni 1226, de permutatione castri Mon- trexini prò castro Priochae. Nota quod comune Astense dedit comuni Albae castrum montrexini, et libras octingentas Astenses prò cambio castri Priochae, postea de voluntate Albensium, comune Astense ipsum combussit ac distruxit , quod ca- strum erat Grafagnorum. 105. De pacto et concordia facta inter Astenses et Albenses. 106. De Alexandria. De quodam pacto , sive provisione facta, et facto ab ambasatoribus Me- diolani, quod attendi facient comuni et homini- bus Astensibus a comuni Alexandriae capitula et ordinamenta infrascripta. 107. De Ianua. Literae de pedagio Gavii. 108. De Papia. De concordia et amicitia civi- tatis Papiae et Civitatis Astensis, et de pactis earumdem. (1) Titulos, qui sequuntuv, ex brevi rubrica secundae partis Cotlicis deduximus; t'olia enim, quibus contenti erant deper- dita sunt. — 59 — PARTE SECONDA. DEI DOCUMENTI CONTENUTI NEL CODICE. 16. Sulla Cronaca Ogerio Alfieri. Il Libro Alfieri era, secondo alcuni, una cronaca illustrata da’ documenti (')• Il Combetti (1. c.) con ragione combatteva questa opinione, ma a torto credeva cbe la cronaca, trascritta nel manoscritto da lui pubblicato, fosse una serie di note storiche dis- seminate fra i documenti contenuti nel Libro Ogerio Alfieri. La cronaca è un brevissimo sunto della storia di Asti indipendente dai documenti che compongono il libro, e non è inverosimile che sia stata redatta dallo stesso Alfieri. Non 'e senza interesse il rileggere detta cronaca. Allorquando vi parlerò degli antichi documenti di Biella vi mostrerò che nel libro degli statuti di Biella del 1245 venne inserito lo statuto dei drappieri come di arte predominante; invece nella cro- naca astese si legge: Civitas astensis ornata est vino bono et optimo. Anche qui l’industria oggi predominante è antica. È degno di attenzione che nella cronaca del Codice Malabaila mancano i due seguenti capitoli, contenuti nelle copie posteriori della cronaca, stampate dal Muratori e dal Combetti. De civibus aliquibus plenis falsilalc, ignavia et dolo. Item in civitate Astensi sunt et habitant alieni homines sapientes, homiues satis divites, pieni falsitate, astucia et dolo; quorum astucia et ignavia est vertendi bonum in malum, et malum in bonum, falsum in verum, et veruna in falsum; isti aliquando fingunt se se tacere aliquod bonum prò utilitate comunis, et tamen hoc faciunt ut melius possint rapere et liabere de avere comunis in magna quantitate; isti sunt illi qui capiunt servicia magna ad dampnum et detrimentum comunis Astensis, de istis etiam talibus multi venerunt ad malum finem et filii eorum post eos venerunt ad raalam conditionem et in maxima paupertate ». De civibus populi lalronculis. Item in civitate Astensi habitant aliqui latronculi populares, frequentantes conscilia, affectan- tes rectorias, procurantes liabere officia prò comuni, ad hoc ut melius possint rapere de avere comu- nis, et capere servicia ad dampnum et detrimentum comuuis Astensis. Et de istis talibus multi sunt in egestate, quia diligunt vinum et pinguia et magna fercula, et multi venerunt ad malum finem, et filii eorum post eos venerunt ad malam conditionem et inopiam ». Ci pare lecito sospettare che detti capitoli siano una postuma e maligna aggiunta alla cronaca del 1292. L’ ardore delle passioni fra i due partiti guelfo e ghibellino che dilaniavano la città, spiegano come, anche in una cronaca sobria, tutta amore per la gloria d’Asti, sia stato più tardi intromesso così virulento biasimo contro i suoi magistrati. (*) (*) Napione. Elogio dei cronisti piemontesi nell’opera: I Piemontesi illustri. Torino 1784. Tom. iv, pag. 190. — 60 — 17. Date dei documenti. Nella maggior parte dei documenti del Codice Malabaila, la data è determinata non solo dall’anno e dai tanti del mese, ma anche dall’indizione e dal giorno della settimana. Questa esuberanza di notizie ci fornisce preziosi elementi di riscontro, sovra cui credemmo non inutile qualche indagine, sia per verificare la esattezza del Codice, sia per determinare il modo di computare le date che era seguito in Asti. È noto che nel medio evo vi era non poca diversità nell’ inizio dell’ anno : lo cominciavano taluni al 1° gennaio, altri al 1° marzo, altri al 25 marzo, altri a Pasqua, ed altri al 25 dicembre : inoltre 1’ èra volgare partiva nei primi quattro casi da quello di detti giorni, che secondo alcuni precedeva, secondo altri susseguiva la nascita di Cristo. La indizione cominciava secondo i più coll’anno 313 dell’èra volgare, ma per taluni cominciava col 312, per altri col 314, ed anche col 315: inoltre la indizione detta costantinopolitana o greca cominciava il 1° settembre, quella detta imperiale il 24 settembre, e la romana il 25 dicembre od il 1° gennaio secondo che l’anno aveva principio coll’uno o coll’altro giorno. Da quanto stiamo per dire risulta che in Asti l’anno cominciava col 25 dicembre, e la indizione coll’anno 313 dell’èra nostra (l). Lasciando da parte i duplicati, abbiamo nel nostro Codice; 18 documenti senza indicazione dell’anno cui appartengono, sebbene per alcuni se n’è potuto fare ragio- nevole congettura; 86 documenti la cui data con un’ eodem die od altra locuzione, si riferisce a quella del documento precedente; 14 documenti colPindicazione della data, ma non della indizione o del giorno della settimana. Sicché per questi 118 documenti non vi sono elementi di riscontro. Nel Codice vi sono, come già si disse, 37 duplicati. Tra questi 3 sono senza data, cioè i numeri 58, 59, e 531 del pari che il n. 102 di cui esso è copia. Per 29 documenti invece vi è concordanza perfetta di data. Finalmente per 5 documenti vi ha discordanza, e sono i numeri 54, 57, 76, 132, 813. — Il n. 54 è duplicato degli identici numeri 56 e 61; ma mentre questi hanno la data del 12 Kalendas marcii 1149, quello ha la data del 12 marcii 1149. Manca la indicazione del giorno della settima- na, ma tuttavia possiamo ritenere più probabile la omissione del vocabolo Kalendas (l) Sia proposto di calcolare la indizione ed il giorno della settimana corrispondenti alla data di un documento, cioè all’anno, mese e tanti del mese (1; 2; . . . . 31 del mese), indicati nel documento. L’Indizione abituale partendo dall'anno 313 di Cristo, se diciamo: a l'anno della data che si propone ; i la indizione che gli corrisponde ; h un numero intiero il cui valore risulta all’evidenza dalla equazione seguente: sarà, come tutti sanno: i = a-+- 3 — 15 li. Inoltre abbiasi alla mano il calendario di un anno c, sul quale si vogliano trovare i giorni della settimana corrispondenti a date determinate. Siano po , pa i giorni della settimana, con cui comincia il marzo degli anni c ed a , intenden- dosi che p — 1 ; 2 .... 7, significa lunedì, martedì .... domenica. Siano (/c, cja i giorni della settimana, che negli anni c ed a corrispondono ai tanti, del mese indicati dal documento che si esamina: Siano h, li, l, m , numeri intieri, il cui valore risulta all’evidenza dalle equazioni seguenti; Suppongasi inoltre «<^ 1582, giacché in tale anno si fece la riforma gregoriana del calendario giuliano, vale a dire si passò dal giovedì 4 ottobre 1582 al domani venerdì colla data 15 ottobre 1582. — 61 nel n. 54, che una sbagliata aggiunta dello stesso vocabolo nei n. 56, 61. — I docu- menti n. 57 e 132 sono attribuiti all’anno 1148 e 1198, mentre i n. 62 e 129, di cui sono copia, indicano 1’ anno 1149 e 1148 ; ora la indizione contenuta in questi documenti paragonata con quella dedotta dall’ipotesi del principio della indizione col- l’anno 313, discorda per i primi, e concorda per i secondi documenti, ed inoltre le ci- tazioni dei consoli meglio corrispondono alle date di questi che di quelli , sicché possiamo ritenere esatte le date dei documenti n. 62 e 129. — I documenti n. 76 e 813 sono attribuiti al gennaio, mentre i n. 34 e 812, di cui sono copia, spettano al giugno ed all’ agosto : ma vi ha tutta la ragione di presumere che siavi errore nei primi anziché nei secondi, giacché il giorno della settimana in essi indicato corrisponde, se- condo i calcoli consueti, alla data degli ultimi e non dei primi. I duplicati ci ammaestrano quindi che è da attendersi nelle date qualche errore di notaio o di copista. Le date errate sarebbero 5 sovra 34, ossia in una proporzione poco lontana dal 15 per cento. E non é inutile notare; che dei cinque errori trovati, due riguardano 1’ anno, due il mese, ed uno il tanto del mese; e che i due errori d’anno sono l’uno di 1 anno, e l’altro di 50 anni. Lasciati poi in disparte i documenti, o senza data propria, o senza indicazione di indizione e di giorno di settimana, o duplicati, rimangono 836 documenti. Con- frontando per questi la indizione ed il giorno della settimana indicati nel documento, con quelli risultanti dal calcolo fatto secondo l’ ipotesi dell’inizio dell’indizione col- l’anno 313, e dell’inizio dell’anno col 25 dicembre, si possono verificare le concordanze e discordanze di data occorrenti nel Codice. Dicemmo doversi ritenere che, nei documenti del nostro Codice, l’anno comincia col Natale. Sono tredici i documenti, la cui data va dal 25 al 31 dicembre, ma sol- tanto in sei si trova anche la indicazione del giorno della settimana. Essi hanno i numeri 728, 614, 642, 902, 713, 928, e sono i primi due del 1198, gli altri del e non sono più bisestili gli anni secolari posteriori al 1500, pei quali il numero dei secoli non sia divisibile per quattro. Si ponga a — 4 (7 h-^k)-*-l (1) ove l > 5 » meno Si può trovare la ragione di tanta ineguaglianza di differenze. Il grande nu- mero di casi , in cui la differenza è di un anno in più, dipende probabilmente in parte da un diverso modo di computare le indizioni. — I quattro documenti n. 3, 10, 14, 30 sono del 1220, posteriori al 24 settembre, e tutti diplomi dell’imperatore Federico. In Sicilia si seguiva l’indizione costantinopolitana, che cominciava il 1° settembre ('), e secondo questa norma si può ammettere che fosse conteggiata la indizione in detti diplomi. — Ed a simile congettura si potrebbe inclinare pel documento n. 280 re- datto in Torino da Guglielmo Vercellese nell’ottobre 1199, giacche il giorno della settimana calcolato sulla data concorda con quello del Codice, come pure per il do- cumento n. 281 redatto in Chieri nello stesso anno e mese, dal medesimo notaio. Oltre il sovrastato documento (n. 280), ve ue sono altri cinque per cui, discorda la indizione e concorda il giorno della settimana calcolati, sulla data contenuta nel Codice. — Per tre di èssi, cioè per i n. 248, 364, 739, vi è ogni ragione di credere che ci fu sba- glio nello scrivere la indizione. — Infatti dal doc. n. 248, detto di indizione 10a, si ritrae che il doc. n. 250 fu redatto lo stesso giorno; ora il doc. n. 250 è dichiarato di indizione 12a , la quale ben corrisponde all’ anno a cui si riferiscono entrambi i documenti. Parimenti il doc. n. 349 redatto nello stesso luogo , dallo stesso notaio, davanti agli stessi podestà e testimoni che il n. 364, porta la stessa data di questo, ma colla indizione 15 che è esatta, invece della 14a riferita nel n. 364. Finalmente il doc. n. 739 redatto dallo stesso notaio, nello stesso luogo ed anno, e nell’intervallo dei due giorni tra cui furono compilati gli altri documenti dal n. 738 al 741 , si riferisce alla stessa quistione , e debbesi perciò intendere della stessa indizione di questi ultimi, la quale ben corrisponde all’anno comune. — Per gli .altri due docu- menti, che sono nella stessa condizione di concordanza di giorno e discordanza di indizione (n. 297, 812), si può presumere un errore nella indizione, ma non è con sufficiente sicurezza dimostrata la natura dello sbaglio, e tanto meno la correzione da farsi. L’atto n. 812 è datato da Piacenza. Oltre ai sovracitati n. 3, 10, 14, 30, 281 vi sono cinque documenti (n. 52, 122, 707, 891, 949), per cui vi è discordanza tra l’indizione del Codice e quella calco- lata, ma non essendo indicato il giorno della settimana, manca un dato prezioso per riconoscere se, ed in qual modo, sia avvenuto errore. Però il doc. n. 891 attribuito all’anno 1208 ed all’indizione la, è evidentemente contemporaneo del doc. n. 890, che è (l) Il nostro Codice contiene un documento (n. 19) del 4 settembre 1219, pure dell’ impera- tore Federico, al quale è attribuita la indizione settima, mentre la indizione costantinopolitana avrebbe dovuto essere la ottava. E ciò non è d’ accordo con quanto risultava all’ Huillard Bréholles (1. c. Introduction. xli), cioè che l’imperatore Federico, dopo il suo arrivo in Germania al 12 set- tembre 1218, avesse fatto soltanto uso dell’ indizione costantinopolitana, mentre prima si serviva indifferentemente della indizione imperiale e della costantinopolitana. — (54 — dell’anno 1108 e di indizione la. In questo caso l’errore avvenne nella trascrizione dell’anno, e l’errore è di cento anni. Osserveremo ancora che il doc. n. 949 è datato da Foggia, e non riguarda il modo di computare le date nell’Astigiano. Vi sono finalmente 15 documenti, per i quali vi è discordanza tra il Codice ed il calcolo, tanto nella indizione, quanto nel giorno della settimana. Ne facciamo due gruppi nel seguente specchietto, ove sono indicati il giorno della settimana e l’indi- zione quali sono nel Codice, e quali risultano dal calcolo consueto sulla data del documento. Doc.° Nel Codice Dal Calcolo Anno di con- cordanza n.° Data Indizione Giorno Indizione Giorno 60 1207. 8 Novembre 9 Mercoledì 10 Giovedì 1206 125 1163. 29 Luglio 6 Domenica 11 Lunedì 1173 291 1208. 12 Dicembre 6 Mercoledì 11 Venerdì 1218 468 1200. 12 Ottobre 13 Martedì 3 Giovedì 1210 542 1197. 26 Maggio 1 id. 15 Lunedì 1198 581 1252. 3 Settembre 15 Mercoledì 10 Martedì 1242 616 1194. 31 Gennaio 7 Giovedì 12 Lunedì 1174 763 1183. 10 Dicembre 11 Venerdì 1 Sabbato 1193 836 1290. 11 id. 7 Mercoledì 3 Lunedì 1219 871 1210. 9 id. 15 Domenica 13 Giovedì 1212 940 1255. 15 Gennaio 14 Sabbato 13 Venerdì 1256 981 1282. 13 Febbraio 11 id. 10 id. 1283 117 1161. 20 Giugno 4 Domenica 9 Martedì 1171 816 1186. 15 Febbraio 5 id. 4 Sabbato 1187 982 1203. 18 Settembre ■ 11 Martedì 6 Giovedì 1268 Si può sempre trovare una correzione sola nell’ anno del documento , la quale tolga le due discordanze, cioè nell’ indizione e nel giorno della settimana (’). Anzi si trovano più soluzioni talvolta non lontanissime, le quali sempre soddisfanno al (') Se la indizione indicata nel documento supera la calcolata di s, detto a' l'anno, che posto al luogo di quello contenuto nel documento darà, col calcolo, e indizione e giorno quali sono nel docu- mento, e detto r un numero intiero da determinarsi, dovrà essere : a! = a -+- e -+- 15 r .... (1). Si faccia a" — , e si calcoli il giorno della settimana che corrisponde nell’ anno a" al giorno del mese indicato nel documento. Se a ” non soddisfa ancora, dovrassi cercare un r che intro- dotto in (1) dia un a\ il quale somministri pel dato giorno del mese il giorno della settimana in- dicato nel documento. Sia 0 la differenza nei giorni della settimana, fra quello che si trova nel documento, e quello che corrisponde ad a" () — ga, — gair — pa> — pa", se si fa uso delle notazioni adottate nella nota a pag. 60, e si ha 1’ avvertenza ivi indicata per i mesi di gennajo e di febbrajo. — 65 proposito di togliere le due discordanze con una correzione sola. Abbiamo indicato, nel- l’ultima colonna dello specchietto precedente, la più vicina correzione che si potrebbe introdurre nell’ anno attribuito nel Codice al documento, onde togliere ogni discrepanza. Certo questo non basta per giustificare la correzione , ma è buon’ indizio per utili indagini. Infatti per i primi dodici documenti indicati nel quadro precedente si trovano altri dati, i quali dimostrano che veramente vi fu sbaglio nell’anno, e che questo deve essere corretto come è indicato nell’ ultima colonna. Nel doc. n. 60 Lantelmo de Landriano agisce come podestà di Asti. Ora da altri documenti consta che nell’agosto, ottobre e dicembre del 1207 era podestà Osserviamo poscia che crescendo una data di 60 anni ossia di quindici quadrienni, il giorno della settimana cresce di 75, ossia di 5 giorni, ovvero diminuisce di 2 giorni. Supponiamo ora che a" sia bisestile, e che gli si aggiungano 15, ovvero 2 X 15; 3 X 15; 4X15 anni; è facile vedere che il giorno della settimana crescerà rispetto a ciò che era in a" di 4; 2; 0; 5. Sicché nel caso di a" bisestile per ?■=!; 2; 3; 4 sarà 0 — 4; 2; 0; 5. Considerando quindi r = 5; 6 ; 7 ; 8 che corrispondono alle aggiunte di quattro quindicenni sovra quello rappre- sentate dai precedenti r, si troveranno i relativi b aggiungendo 5 ai precedenti 0. E così proseguendo si potrà fare il seguente specchietto, ove se si ritiene r = t, si ha il valore di b corrispondente ai successivi valori di r, nell'ipotesi di a" bisestile. t 0 1 2 3|4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 1 23 24 25 26 27 28 0 0 4 2 0 5 2 0 5 3 0 5 3 1 5 3 16 3 1 6 4 1 | 6 1 4 2 6 4 2 O A t = 28 ricomincia una serie come la precedente, e per l negativo si avrebbe, a sinistra di 9 = 0 corrispondente a < = 0, una serie come quella che si ha a sinistra di 0 — 0 corrispon- dente a (=23, e così indefinitamente a destra e sinistra. Se a ” non è bisestile, sia, come nella pag. 61, a" = Ak" -+- 1 ", ove l" è positivo, e <; 4. Lo specchietto precedente ci mostra 0 = 0 per 1 = 3. Ora se a" è bisestile, a" h- 45 è un anno non bisestile, in cui l”= 1. Indi lo specchietto serve anche per i casi in cui a"= Ak” -t- 1 , purché si intenda r = t — 3. Parimenti osservando nello specchietto, che 0=0 per / = 6 ; 9 corrisponde ad anni a"=Ak"-+- 2; Ak" ■+- 3, ne consegue che lo specchietto serve anche per loro, purché si intenda r = t — 6; t — 9. Ed in generale se a"=Ak'-4-l", cercando b nella linea inferiore dello specchietto, si troverà nella linea superiore il corrispondente l. Si avrà quindi il valore di r da porsi nella forinola (1) mediante la relazione r = t — 3 l". Dall'esame dello specchietto precedente emerge: (a) che nell' intervailo di 28x15 = 420 anni si trova quattro volte lo stesso 0, ed a distanze di 45 anni l’uno dall’altro. L’ultimo di questi 0 è poi a 285 anni dal primo O della successiva serie di 420 anni. (b) che la distanza a percorrersi onde trovare ogni spostamento nel giorno della settimana, non è maggiore di 9x15 anni; Ciò che si disse vale per tempi anteriori all’ottobre 1582: dopo si dovrebbe tener conto dello spostamento di dieci giorni allora avvenuto, e degli anni secolari non bisestili. L’intervallo di quasi 150 anni, a cui bisogna talvolta giungere per togliere le discordanze con una correzione sola, è spesso così ragguardevole da rendere del tutto inverosimile la soluzione che si troverebbe. Per contro si trovano talvolta parecchie soluzioni abbastanza vicine. Così per il doc. n. 616, che sarebbe secondo il Codice del 1194, si otterrebbe la correzione dell’ indizione e del giorno della settimana supponendolo del 1219, del 1174, del 1129, oppure del 1084. Avvertenza. Si può dare al contenuto di questa nota, veste algebrica assai semplice. 9 — 66 — l’ Olivero Isembardo, mentre il Lantelmo de Landriauo fu podestà nel febbraio, aprile, maggio, giugno, novembre, dicembre del 1206. — Parimenti tre consoli del comune ed un console di giustizia indicati nel doc. n. 125, si trovano anche fra quelli compresi in altro documento del 1174. Sicché sembra piu verosimile l’ammettere gli stessi consoli per il 1173-74, anziché quattro consoli identici a dieci anni di di- stanza. — Il doc. n. 291 si riferisce a venditore, podestà, testimoni, luogo, identici a quelli di cui si tratta nei n. 541, 549 del 1218, evidentemente redatti lo stesso giorno. — Nel doc. n. 468 si parla dell’anno 1203, ed era podestà Guglielmo Rabbia, il quale da altri documenti si rileva essere stato podestà di Asti nel 1210. — Nel doc. n. 542 si trova podestà l’Alberto de Fontana, che da altri documenti risulta investito di questa carica almeno dal 29 novembre 1197 al 28 settem- bre 1198. Era quindi, non diremo impossibile, ma non molto probabile che lo fosse anche il 26 maggio 1197. Consta poi dal doc. n. 292 del 26 maggio 1198. che il podestà non doveva trovarsi quel giorno in Asti, giacché la importante inve- stitura di alcune terre, fatta dal Vescovo a favore del Comune con quell’atto, è rice- vuta dal giudice del podestà e non dal podestà stesso: ora il doc. n. 542 è redatto fuori di Asti. — Nel doc. n. 581 agisce come nuncio del Comune Obertono de Isola, che dal doc. n. 586 si scorge essere stato nel 1242 deputato agli atti, che fa col doc. n. 581. — Due consoli del Comune, ed un console del popolo sono nel doc. n. 616 gli stessi che per il 1174 nel doc. n. 563. — Nel doc. n. 763 s’indica Giacomo Strictus come podestà di Asti, mentre solo nel 1190 cominciarono i podestà in Asti, e detto Giacomo ebbe tale ufficio anche nel 1193. — Resonato Zazio era podestà Tutte le lettere rappresentino numeri intieri, e quelle già adoprate abbiano il signiticato pre- cedente. Posto : a = 4k •+- l ; ove l<4 e AO, sarà, come è noto: pa — 1 ■+- l — 7 m (1) Sia poscia: a' — a s - 1- 15r = 4 (k-+- 3 r) -+- 3 r -t — s -t— /. Se si fa 3r h- e -+- 1 — 4x y *, ove y elementi sovradetti: vi sarebbero poi quattro modi di sbagliare insieme tre elementi; ed infine non è neppure impossibile, sebbene le probabilità di questi errori multipli decrescano in ragione rapidissima col loro numero, lo sbagliare contemporaneamente tutti e quattro gli elementi (‘). Fatti gli opportuni calcoli secondo le ipotesi le più semplici sulla distribuzione degli errori, se si considera la proporzione delle discordanze nelle indizioni (la quale fu, come si disse circa del 4 per °/0), si argomenta, che la probabilità di errore nello scrivere ciascuno dei due elementi sarebbe prossimamente di 2, 1 per % per ciascuno. (l) Facciamo le ipotesi le più semplici, sebbene per molti rispetti non siano in ogni parte le più plausibili. Supponiamo, che la probabilità di errare nello scrivere o trascrivere un elemento della data, sia la stessa tanto per l’anno, come per l'indizione, ovvero pel mese, o pei tanti del mese, oppure pel giorno della settimana; e che la probabilità dell'errore non dipenda dalla grandezza dell’errore stesso. Tale probabilità dicasi p, La probabilità di discordanza nella indizione .... » Di, » » nel giorno della settimana » Dj. La probabilità di errare nell’indizione essendo p, e quella di non errare nell’anno essendo 1 — p, la probabilità di avere giusto Tanno, ed errata la indizione sarà p(l — p). Ma se Tanno è giusto, ed è errata la indizione avvi sicuramente discordanza, sicché la probabilità di discordanza, dipendente dal caso che si considera, sarà p(l — p) La probabilità di errare nell’anno, e di non errare contemporaneamente nell’ indizione, sarà pure p(l — p ): ma siccome ogni 15 anni la indizione si ripete, se, come si suppose, la probabilità di errare nell'anno non muta colla grandezza dell’errore, la probabilità di discordanza, dipendente dal 14 caso che si considera, sarà — p (1 — p) 15 La probabilità di errare contemporaneamente nell’anno e nell’indizione sarà p2, e la probabilità 14 di discordanza per questi due errori simultanei sarà 15 r Sarà quindi: Ossia: D, = p(l— p) -+- p(l— p) •+- p2 15 . 29* B D‘ (1) La probabilità di errare nel giorno della settimana essendo p, e la probabilità di errare nella data (nell’anno, nel mese, nei tanti del mese, od in una qualunque combinazione loro) essendo sup- posta q, la probabilità di errare nel giorno della settimana e di avere giusta la data, sarà p (1 ■ — q). La probabilità di discordanza sarà anche p (1 — q). Siccome nel determinare la data entrano tre elementi (anno, mese, e tanti del mese) la probabilità di errore essendo sempre per ciascuno di essi p, la probabilità di non sbagliare nessuno dei tre ele- menti sarà (1 — p)s. Sarà quindi 1— q = (l — p)3, onde q = 3p — 3p2 -+-p3 La probabilità di errare nella data, e di avere giusto il giorno della settimana sarà q (l — p). Ora se noi supponiamo egualmente probabili i successivi errori di data, i quali diversificano di un giorno, siccome ogni 7 giorni successivi vi ha una concordanza, così, pel caso che si considera, la 0 probabilità di discordanza sarà ~q (1 — p) La probabilità di errare contemporaneamente nella data e nel giorno della settimana sarà p q, e la probabilità di discordanza sarà Sarà quindi: e posto per q il suo valore in p, sarà: r . 6 , 6 -=p (i — 25 D? 25 25 (2) Fatti gli stessi calcoli relativamente alla proporzione delle discordanze nel giorno della settimana (la quale trovammo all’incirca del 9 per %), si deduce che la proba- bilità di errore nello scrivere ciascuno dei quattro elementi sarebbe prossimamente del 2, 6 per °/0 per ciascuno. Il quale coefficiente è abbastanza vicino al precedente, sebbene, come era da aspettarsi, di alquanto lo superi. La differenza dei due coefficienti sarebbe anche maggiore, se si deducessero dalle indizioni sconcordanti quelle dei diplomi dell’imperatore Federico, delle quali si parlò. In conclusione se si osserva la piccolezza dei coefficienti di errore, con cui le discordanze si spiegano ; se si nota che per l’ indizione, ove i riscontri sono più facili sopra 31 discordanze, si trovarono : Posto in (1) e (2), D(- = 0,04; D3 = 0,09, si ricaveranno i valori seguenti: da (1), p — 0,021 ; e da (2), p — 0,026. Si potrebbe obbiettare, che la ipotesi di eguale probabilità nelle diverse specie di errori sembra troppo lontana dal verosimile, potendovi essere maggiore ampiezza e facilità di errore nell’anno che negli altri elementi. Ed infatti, sebbene si possano spiegare per la maggiore facilità delle verifica- zioni, è da notarsi che gli sbagli, alla cui correzione siamo pervenuti, riguardano sopratutto l’anno. Siano pa, pp Pmi Pp Pg le probabilità di errore nell’anno, nell' indizione, nel mese, nei tanti del mese, e nel giorno della settimana. Si trascurino le potenze dei vari p superiori alla prima, giacché è facile vedere dalle equazioni precedenti quanto poca influenza esse abbiano sui risultati: e si sup- ponga sempre la probabilità di errore indipendente dalla grandezza dell’ errore stesso. Indagando ora le concordanze, che tuttavia si hanno nei diversi casi di errore isolatamente con- siderati, si troverà che le probabilità di concordanza sono mediamente: 1° per gli elementi della indizione: 0p{; — pa come già fu detto; 2° per gli elementi del giorno della settimana 0 pg ; pa ; pm ; 12 Sarà quindi: r 1 108 UT*4 1 i°0 1 { ( 1 92 1 84 VI 1° 1 co ; 29 30 4 ' ( 28 29 27 28 jj : 0,1 1536/?, — ap(. il 15 6 „ Pg-+-—P"d p' = D ” a t 10 11 (l-«) P,-= Vo- se ora considerando che probabilmente vi è minore differenza nella facilità di errore per gli altri elementi che per l’anno, noi supponiamo pi — pm—pl—pyi le due equazioni predette si con- vertono nelle seguenti: p'a H- L07 p'j— = 0,043; p"a - 3,2 Qp". = S- Dg = 0,105. Le quali equazioni rappresentano, rispetto a due assi JPt- , Pa , due rette le quali: l°per pt = 0 tagliano l'asse delle ordinate alle distanze p'a — 0,043 ; p" = 0,105, il cui rapporto è p”a : p'a — 2,45: 2° col crescere di p; si vanno avvicinando, cosicché p"a :/>’ =1,2 allorché pi — pai e finalmente si ha p'a=ip"a allorché p; — 2,3 pa . Ora siccome è assai verosimile che /q, pm, pt, p siano cia- scuno > 0 e < p , così possiamo ritenere per confermate le seguenti conclusioni : (a) Il maggior numero di elementi che entrano nella determinazione del giorno della setti- mana rende probabile una quantità di discordanze relativamente maggiore nel giorno della settimana che nella indizione : (b) Gli errori del nostro Codice sono probabilmente in numero relativamente alquanto mag- giore negli elementi concernenti il giorno della settimana, che non in quelli riguardanti la indizione. — 71 4 documenti imperiali in cui la indizione si computava diversamente. 4 » diversi non datati dall’Astigiano, 14 » nei quali l’errore venne dimostrato nell’anno, 1 » nel quale l’errore si può presumere nell’anno, 3 » nei quali l’errore venne dimostrato nell’ indizione, 2 » nei quali l’errore si può presumere nell’indizione; e che rimangono soltanto tre documenti sui quali non ci vennero sott’occhio elementi di riscontro, ben si può concludere che è pienamente dimostrato il modo di contare le date nell’Astigiano. Una sola limitazione vorremmo porre a questa conclusione, ed è che dal nostro Codice essa è dimostrata seriamente soltanto a partire dal primo quarto del secolo xn. Sono 8 i documenti anteriori al 1136; sovra 7 di essi, che danno l’ indizione, 4 discordano. Ed anche corretto l’anno del doc. n. 891 di cui si parlò, si avrebbero ancora 3 discordanze sovra 7 casi. Invece dal 1140 in avanti le con- cordanze sono più che prevalenti. 18. Novità ed importanza dei documenti del Codice Malabaila. Dei 26 documenti o frazioni di documenti contenuti nel Frammento torinese l’Adriani ne pubblicò otto (‘). Come già ho detto, il Bòhmer, ed il Ficker pubbli- carono l’uno 29, l’altro 20 documenti del Codice Malabaila, concernenti l’impero. Una ventina, più o meno completamente, ne inserì o citò monsignor della Chiesa nella sua manoscritta Descrizione del Piemonte. Un certo numero di documenti, o tratti dal manoscritto del della Chiesa, o comunicati dallo Sciavo e dal Meyranesio, che ne citava come fonte il Libro verde della città d’Asti, o derivati da altre sorgenti, fu pubblicato, per quanto noi sappiamo, dal Moriondo (2), dal di San Quintino (*), dal Muletti (l), dal Durandi (3), da Huillard Bréholles (6), dal di San Giovanni (7). Altri, che per brevità non novero, pubblicarono o citarono qualche singolo documento del Codice Malabaila. Ma più dei nove decimi dei documenti contenuti in questo Codice sono tuttora inediti. Il della Chiesa riferì nei suoi manoscritti un brano del trattato del 25 novem- bre 1228 fra i. marchesi del Vasto e gli Astigiani, come estratto dal Codice Alfieri. Il Moriondo lo pubblicò più completo (8) citandolo come comunicazione dell’abate Ga- spare Sciavo tratta dal Libro verde, che così dicevasi anche il Codice astese; e parimenti lo pubblicò il Muletti (9). Un altro documento del 1098 fu pubblicato dal Muletti (10), che lo indicò dato dal teologo Giuseppe Francesco Meyranesio come estratto dal Libro verde. Bastarono i nomi, certo sospetti, dello Sciavo e del Meyranesio per far riget- tare come apocrifa l’aggiunta al primo documento (M) e per eccitare le più gravi (i) Mon. Hist. Patr. n. Chart. Col. 1183, 1319, 1320, 1356, 1357, 1358, 1360 — Degli antichi signori di Sarmatorio ecc. pag. 363. (2) Monumenta Aquensia. Taurini. 1789-90. (3) Dei Marchesi di Busca. Memorie dell’ Accademia delle Scienze di Torino. Serie il, Voi. 15. — Osservazioni critiche sovra alcuni particolari della Storia del Piemonte ecc. (4) Memorie sulla città di Saluzzo ecc. (5) 11 Pie- monte cispadano antico. Torino 1774. — Dell'antica libertà dei Lombardi ms. (6) Historia diploma- tica Friderici n. (7) Dei Marchesi del Vasto ecc. (8) Op. cit. ii, col. 423. (9) Op. c. li, pag. 263. (l0) Op. c. i, pag. 398. (n) San Quintino, op. c. ii, pag. 219, 221. — 72 — diffidenze contro il secondo. Ora nel Codice Malabaila (n. 261 e 707) si trovano i documenti supposti apocrifi o dubbi. Tant’è, che ai bugiardi od a quelli che sono reputati tali, non si crede neppure quando dicono la verità. E non solo i documenti del Codice Malabaila sono in tanta copia inediti, ma non trovandosi per la massima parte neppure manoscritti nei nostri archivi, non poterono essere consultati dai nostri storici. Indi è chiaro quanta debba essere per noi Firn- portanza dei nuovi documenti che ora tornano in Italia, ove si consideri che si rife- riscono, e a tempi per cui scarseggiano le sicure notizie, ed alla più grande delle re- pubbliche piemontesi. Per ciò che riguarda le relazioni fra Asti e l’Impero, il Ficker trasse già dal Codice quel che vi era di più importante, e segnalò specialmente l’intervento del- F Imperatore come giudice supremo. Se ordiniamo cronologicamente i relativi docu- menti, possiamo riassumerli come segue. Nel 1140 l’imperatore Corrado ni concede ad Asti il diritto della zecca (n. 5, 25). Nel 1159, cioè a dire poco dopo la presa ed il saccheggio di Asti, Federico Bar- barossa assume direttamente la giurisdizione di Asti e del suo distretto (n. 6), c \i nomina tre podestà. Con atto senza data, ma forse dopo che Asti riprese le parti dell’imperatore, Federico limette ad essa 100 marche, e riconferma la facoltà di coniare moneta (u. 26). Lo stesso Federico i concede ad Asti, nel 1163-64, privilegi sovra sei terre circo- stanti (n. 15), nel 1178 un accordo sopra Annone (n. 636), e nel 1186 il giudizio di appello per le cause di valore non eccedente quello di 25 lire astesi (n. 11). Nel 1194 Enrico vi dichiara i possessi di Asti di concessione imperiale (n. 1). Ottone iv conferma, nel 1210 i privilegi d’Asti (n. 7), e nel 1211 una sentenza pronunziata sulle controversie fra Asti, e Yiviano e Eobaldo de Fonte (n. 8). Nel 1214-15 Federico n nomina arbitri per la causa fra Alba e Ottone de Bar- barico astese : quindi minaccia Alba per la sua resistenza contro il giudizio da essi pronunciato (n. 27, 28). Inoltre cede Annone ad Asti, prima finche a lui piaccia, poscia, meglio determinando le condizioni della cessione, finche egli avrà restituito 1000 marchi d’argento ricevuti da Asti (n. 12, 13). Nel 1219 novello intervento dell’Imperatore nella controversia con Alba per ragione di Barbarisco (n. 29, 963), e nuova conferma della giurisdizione e dei pri- vilegi d’Asti (n. 2, 19). Nel 1220 Federico n concede al Vescovo d’Asti di rivocare alla Chiesa i feudi di questa alienati senza il suo consenso (n. 3), ma un mese dopo, forse per distruggere l’effetto di tale atto, conferma i privilegi d’Asti (n. 10, 30), e ricevuti altri 800 marchi di argento dà Annone ad Asti per 10 anni, ed ordina al castellano di rimetterlo tosto agli Astigiani (n. 14, 20). Nel 1226 Federico n assolve Asti dalle pene in cui fosse incorsa, e poscia pone al bando Milano e le altre città della Lega lombarda (n. 16, 22). Finalmente si ha il proclama di Federico ii fatto nel 1227 'in occasione del suo passaggio in Palestina per la sesta crociata (n. 21). Assai più peregrine sono le notizie che il Codice Malabaila ci dà intorno ai pub- blici ufficiali, ed alle famiglie astigiane, come pure intorno ai modi con cui si estese il dominio della Repubblica, alle relazioni sue colle dinastie vicine, ed in genere allo stato di questa parte d’Italia in quei tempi. Crediamo quindi opportuno accennare qualche punto, sul quale i nuovi documenti portano indubbiamente nuova luce. Nelle relative indagini avemmo intelligentissimo aiuto dal sig. Pietro Vayra, al quale, come già fu indicato, dobbiamo il suggerimento delle ricerche intorno al Codice di Asti nell’Archivio di Vienna, e dal sig. Pietro Viarengo diligentissimo indagatore di tutto ciò che si attiene alla sua città nativa. La singolare operosità spiegata da questi nostri collaboratori ci dimostrò una volta di più, quale potente stimolo siano presso gli animi elevati il puro amore della scienza e la carità cittadina. Dobbiamo parimenti esprimere la nostra gratitudine ai colleglli Amari, Cantù, Mariotti, ed ai signori de Simoni, e Nicomede Bianchi, i quali con squisita cortesia ci furono larghi di ogni aiuto. 19. Sui pubblici ufficiali di Asti: Consoli e Podestà. I documenti del Codice Malabaila essendo atti per lo più dettati da pubblici ufficiali nell’interesse del Comune, è chiaro che forniscono abbondanti notizie per cono- scere i cittadini, a cui la repubblica astigiana dovette la sua grandezza. Noi ci limi- teremo qui a far cenno dei consoli e dei podestà, ai quali il pensiero tosto ricorre, come alle autorità con cui si consolidò la costituzione dei comuni nel medio evo. II Durandi, parlando del trattato tra gli Astigiani ed Umberto n di Savoja del 1098, aveva fatto rilevare l’esistenza dei consoli in quell’anno, e notare che quello «era forse il primo documento in cui i consoli compaiano investiti di quella pubblica autorità, che poi li distinse in tutti i comuni d’Italia» (‘). La stessa importanza attribuirono al documento del 1098 il Casalis (s), il Grassi (3), ed il Cibrario (**) il quale vi antepose solo la notizia dei consoli di Biandrate, che si trova in un documento del 5 febb. 1093. Il Cantù (“) passando in rassegna fatti numerosi del x, xi e xn secolo, che dimostrano la formazione dei comuni italiani, cita consoli del comune di Monte Ca- stelli in Toscana nel 1004, ed un console a Venezia nel 1017; e per il Piemonte, dopo indicate una vendita ed una donazione che presuppongono un’amministra- zione comunale in Biella nel 1090, ed in Saorgio nel 1092, cita pure i consoli di Biandrate del 1093. Ora il documento del Codice Malabaila del 28 marzo 1095, n. 635, contenente l’atto con cui il Vescovo di Asti investì il Comune di tutti i diritti sul borgo di Annone, parla dei consoli, che Asti aveva già in quell’anno: esso riporta adunque a tre anni indietro le notizie sul consolato in Asti. Nò l’importanza di tale documento sfuggì al Ficker, il quale lo citò dopo quello di Biandrate (G). L’allegato n. 5 contiene l’elenco dei consoli, che ci vennero sott’occhio percorrendo il Codice. La loro maggiore importanza va fino al 1190, nel quale anno si iniziarono i podestà in Asti con Guido di Landriano, di cui si legge, nella Cronaca di Ogerio Alfieri, che fu « primus potestas astensis bonus et legalis et multa bona fecit ». Nel nostro Codice, non troviamo più traccia dei consoli dopo il 1224. Nella (') Il Piemonte cispadano ecc. pag. 345-47. ('-) Dizionario geografico storico statistico com- merciale degli stati di Sua Maestà il Re di Sardegna. Torino I, pag. 458. (a) Op. c. I, pag. 05. (*) Storia della Monarchia di Savoia. Torino 1840. Voi. i, p. 158 — Econ. poi. Torino 1861. i, pag. 65. (5) Storia degli Italiani. Torino 1858. Voi. ri, p. 296, 301, 310. (6) Op. c. Voi. ni, pag. 315-16. 10 seconda metà del secolo xm, vediamo le faccende del comune condotte, dal po- destà, e dai quattro savi ( sapientes ), unitamente alla credenza. Ed infatti nel Ven- tura (’) e nel Grassi (2) ricompaiono i consoli nel 1305 ed in qualcuno degli anni successivi, quando il principe d’Acaia, allora capitano del popolo in Asti, volendone avere la signoria, mal soffriva la nomina di un podestà, e gli Astesi per non spiacergli nominavano consoli mensili. Monsignor Agostino della Chiesa nei suoi manoscritti (3) lasciò un elenco assai esteso dei podestà di Asti. I nuovi documenti del Codice Malabaila aiutano a rendere quasi completo questo elenco, che diamo nell’ allegato n. 6, ove lasciammo in cor- sivo le maggiori indicazioni, o le varianti che trovansi nel della Chiesa. Dei podestà nominati nel Codice Malabaila ve ne ha 13, i quali non erano noti al della Chiesa (4). Per essere noti e pubblicati gli statuti di Asti (s), è conosciuta la costituzione del comune; ma pure percorrendo il Codice si osserva con molto interesse come real- mente procedessero le assemblee comunali, quanti e quali credendari vi prendessero parte, e quali altri pubblici ufficiali fossero incaricati della amministrazione della repubblica. Gli atti sono per lo più trascritti in modo completo, sicché non mancano le dichiarazioni di autenticazione, che il notaio soleva apporre in fine dell’atto, e si ha perciò nel Codice una serie molto numerosa di notai. Nè soltanto sovra i pubblici ufficiali di Asti dà il Codice Malabaila preziose no- tizie, ma anche sovra quelli dei vicini comuni e città, con cui si hanno molti patti, convenzioni e trattati. Sono specialmente copiose le notizie intorno ai credendari di Alba. 20. Sulle famiglie astigiane. Il gran numero degli atti, che si contengono nel Codice Malabaila, ci somministra grande quantità di nomi non solo di pubblici ufficiali , ma anche di contraenti , di testimoni, di cittadini, e di uomini addetti alle terre delle quali si tratta. Allor- quando si cedeva la proprietà o la signoria di una terra, erano per lo più indicati i nomi degli uomini che si vendevano colla terra stessa, sicché trovansi nel nostro Co- dice, ben più di diecimila nomi. Ognuno intende quanta copia di notizie sia così messa a disposizione di coloro, che volessero studiare le vicende delle famiglie di una parte d’ Italia. Noi ci permettiamo solo di notare che sono in grandissima copia cognomi simili agli odierni, quasiché non si fossero moltiplicati cogli abitanti, e la razza di poco avesse mutato. Aggiungiamo che dal Codice si trae notizia di moltissime famiglie, le quali erano investite di. ragioni feudali o dal comune di Asti, o dai vicini marchesi, o per liberi acquisti. Finalmente ci si consenta di esprimere un pensiero, ed è che la serie dei nomi tratti dal nostro Codice merita speciale confronto con quelli tuttora vigenti di parecchie famiglie siciliane, giacché mediante quelli si può forse avere più esatta contezza delle relazioni che correvano in quei tempi fra il Piemonte e la Sicilia. (*) (*) Mon. Hist. Patr. Script, m, col. 749. (2) Op. c. i, pag. 232. (s) Descrizione del Piemonte v, pag. 338. C) Nell’elenco dei podestà furono aggiunte alcuno poche ulteriori indicazioni, le quali parvero attendibili, e che sono contenute nel Molina (o. c.), nel Grassi (o. c.), e nel Cibrario ? (Storie di Chieri. Torino 1827). (r') Liber statutorum civitatis Ast. Per Franciscum Garonum de Liburno. Ast. 1534. — Sclopis. Storia dell’antica legislazione del Piemonte. Torino 1833, pag. 156 e seg. — 75 — Veramente di solito si parla di paesi siciliani, in cui sono traccie di origine lombarda, ma è noto che in quei tempi il Piemonte era compreso nella parte d’Italia che si denominava Lombardia, di che lo stesso Codice Malabaila ci somministra parecchie prove. Il marchese Manfredo Lancia, cedendo nel 1196 al marchese di Monferrato il contado di Loreto e le altre sue terre (doc. n. 53), le dice collocate in Lombardia. In una serie di documenti (n. 291, 299, 300, 301, 304) relativi a prestiti fatti da Asti ai signori di Maxio si rimette, a titolo di pegno e di interesse, la signoria della stessa terra, ed è pattuito che, per il rimborso, non debbano codesti signori. farsi prestare le somme ad essi mutuate da alcun castellano, marchese, o città Lombardie , e certo non si intendeva alludere ad altri che alle città, ed ai marchesi e castellani contigui. Inoltre tanti Astigiani, che tenevano numerose ed importanti banche in diverse parti di Europa, erano anch’essi compresi fra quei Lombardi, ai quali sembra dovuta la origine del movimento bancario in tanta parte d’ Europa, e le cui traccie si trovano ancora oggi nella denominazione data alle strade ed ai quartieri consacrati agli affari, in taluna delle più importanti città estere. 21. Sulla famiglia Aleramica. Ma vi ha una famiglia tra le più notabili della storia d’ Italia, sulla quale traggonsi notizie preziose dal nostro Codice, ed è quella degli Aleramici. Famiglia di cui ben possiamo occuparci trattando di un codice di Asti, sia perchè essa aveva il suo dominio nella stessa regione, sia perchè le sue relazioni ora di inimicizia ora di amicizia con Asti furono attivissime, sia perchè molti e cospicui membri della famiglia stessa si ascrissero fra i cittadini di questo potente Comune. È noto agli studiosi che vive controversie insorsero, e parecchi dotti e voluminosi lavori furono pubblicati intorno alla unità o pluralità di origine delle famiglie mar- chionali, le quali imperavano dal Monferrato a Savona. Le quistioni attinenti alla costituzione delle Marche dopo i Carolingi hanno grande importanza. Vero è che si trovano nei tempi di mezzo marchesati, il cui ter- ritorio aveva limiti ben definiti, dove i marchesi avevano a vassalli conti, vescovi e comuni con una certa giurisdizione propria: si hanno marchesi i quali non eserci- tavano giurisdizione che sovra un loro contado: e si trovano famiglie marchio- nali i cui membri, pur ritenendo la qualificazione di marchesi, non esercitavano giurisdizione che sovra i feudi od aliquote di feudi in loro effettivo possesso. Ma per poter trarre qualche induzione sulla antica storia di paesi, intorno ai quali si hanno pochissimi documenti, importa assai assodar bene, se una o più famiglie diverse ne avessero la signoria. Non è improbabile che laddove sovra una zona non disconti- nua si trovasse avere imperato una sola famiglia, ciò avvenisse per unica ed antica concessione od usurpazione determinata, o da analogia di razze di abitanti, o da più antiche circoscrizioni, le quali si fossero poi sminuzzate per la divisione della marca in contadi e feudi tra i membri della famiglia marchionale. Ecco come pone la quistione il San Quintino nella sua eruditissima opera, in due volumi, consacrata a questo argomento ('). (*) (*) Osservazioni critiche ecc. i, pag. 3 e 4. — 7 G — I nostri infelici scrittori del xiv e xv secolo sono stati i primi a trattarne (delle circostanze dei rivolgimenti dell' Italia subalpina prima della metà dell’ XI secolo) ma erano già troppo lontani da quei tempi illitterati e tenebrosi per poterne avere certa notizia: ebbero quindi ricorso alle po- polari tradizioni.... Nelle loro tradizioni Aleramo è rappresentato quale un gran principe operatore di magnanime imprese.... Dalla Sassonia avrebbe tratta la sua origine. Il re Witichindo sarebbe stato colà il suo progenitore, e suo suocero il magno Ottone. E da lui sarebbero derivati non i soli signori del Monferrato,.... ma la maggior parte ancora di quei tanti marchesi che nei due secoli seguenti si videro sorgere e divenir presso di noi potenti tanto di qua come di là dell’ Apennino, fra la destra sponda del Po ed il mare Ligustico. Vero è che a’ dì nostri non vi è più chi presti fede a tali racconti, ma che da Aleramo come da ceppo comune sieno discesi fra gli altri i mar- chesi conti di Savona, i marchesi del Vasto conti di Loreto, e più tardi quelli del Bosco, di Sa- luzzo, di Busca ecc. è opinione che pel corso di cinque secoli non è mai venuta meno, ed ha tut- tora gran numero di fautori. I primi spargitori di tali opinioni sovra Aleramo ed i suoi discendenti sembra che siano stati principalmente fra Jacopo da Acqui nel suo Chronicon imaginis mundi , scritto verso la metà del secolo xiv, e poi Gioffredo della Chiesa nella sua Cronaca di Saluzzo scritta quasi un secolo dopo (‘). Nel secolo decimosettimo due scrittori saluzzesi, il senatore Lodovico ed il vescovo Francesco Agostino della Chiesa, si adoperarono il primo nella Storia del Piemonte (') ed il secondo nella Corona Reale di Savoia (3) e nella Descrizione del Piemonte (:‘) a sceverare la storia dalle antiche favole (5). Essi però ritennero che detti marchesi discendessero da Aleramo, fondandosi sopra congetture e senza ad- durre documenti che lo provassero (6). Dopo i della Chiesa, ed anzi dopo la seconda metà dello scorso secolo, si oc- cuparono nuovamente di quella stirpe di marchesi, Giovanni Tommaso Terraneo e Jacopo Dimandi, i quali, con documenti in gran parte somministrati dallo Sciavo e dal Meyranesio, credevano provare quanto era stato congetturato dai due ultimi della Chiesa, e dar apparenza di vero anche a taluni racconti dei cronisti (7). Di quegli stessi documenti si valsero in seguito il Moriondo (8) e Delfino Muletti (B) per fondarvi i loro sistemi genealogici, che furono poscia accettati senza difficoltà dalla maggior parte degli scrittori (10). Tutti questi scrittori avevano ritenuto come fondata congettura, corroborata poi dai nuovi documenti, che il più lontano ascendente di tutti gli accennati marchesi, ossia stipite comune delle case dei marchesi di Savona e di Ceva non che di Saluzzo e di Busca, fossero l’Aleramo e quindi il marchese Bonifacio, creduto di- scendente di Aleramo. « Nè dei molti autori sì antichi che moderni, i quali ne ave- vano trattato, pare che alcuno avesse pur solamente sospettato che la cosa potesse essere altrimenti (“) ». II San Quintino (12) giudicò tutto questo inverosimile, e credette invece di potere col SUO dotto lavoro dimostrare (13) soverchia ed imaginaria la parte.... assegnata al Mar- chese Aleramo ed alla supposta sua discendenza.... che i domimi feudali di quel principe e dei primi (’) Manuel ri S. Giovanni, o. c. pag. 7 e 13. (2) Torino 1608 e 1777.. (3) Cuneo 1655-1657, e Torino 1777. (*) Manoscritto della Biblioteca del Re in Torino. (5) Manuel S. Gio. o. c. (6) Ibid. pag. 13. (7) Ibid. pag. 8. (8) Monumenta aquensia. (9) Memorie storico-diplomatiche sulla Città ed i marchesi di Saluzzo. (,0) Manuel S. Giov. o. c. pag. 8, 9. (l ') Id. o. c. pag. 37. (t2) San QuiNT. Osservaz. critiche, x, pag. 4-7. (,s) 0. c. pag. 6, 7. — 77 — suoi successoti non si estesero mai oltre i limiti di quella parte del moderno Monferrato che è fra il Tanaro ed il Po, e su qualche terra delle Ganghe ; e che il rimanente del Piemonte posto sulla destra del Po come pure la maggior parte della Liguria occidentale ubbidirono già allora ad altri conti e marchesi.... indipendenti e affatto diversi dagli Aleramici.... intendo parlare specialmente dei conti marchesi di Savona, di quelli del Vasto e di Loreto, e dei numerosi loro discendenti. Il San Quintino aggiunge ancora (‘) che: le due famiglie del Vasto e di Savona ben- ché l’una e l'altra avessero avuto per ceppo un marchese dello stesso nome Bonifacio, questi non era però lo stesso individuo, ma erano due diversi, ambidue egualmente estranei alla progenie degli Ale- ramici ; e per quanto i loro figli per un raro fortuito accidente, quasi tutti portassero ad un tempo i medesimi nomi personali, sicché col volgere degli anni e dei secoli poterono facilmente essere scam- biati e confusi gli uni cogli altri, con tutto ciò essendo essi.... talvolta distinti per certi aggiunti ovvero soprannomi.... non fu a me difficile il conoscere che tutti non potevano appartenere ad una famiglia sola. E per conclusione esplicita dell’opera sua egli dà un quadro genealogico delle due supposte diverse famiglie, il quale si può riassumere nella maniera seguente (2): Liguri marchesi, conti di Savona Bonifacio marchese vivente nel 1084-1097-1125 suoi figli noti: 1. ° Guglielmo 2. ° Manfredo 3. ° Ugone 4. ° Anseimo 5. ° Enrico 6. ° Ottone detto Boverio Signori del Vasto, conti di Loreto Bonifacio marchese vivente nel 1079-1125 suoi figli noti : 1. ° Bonefacius Incixie 2. ° Magnifredus 3. ° Uuilielmus de Vasto 4. ° Ugo magnus marchio 5. ° Anselmus 6. ° Enricus Wercius o Guercius 7. ° Bonefacius minor 8. ° Odo Al sistema genealogico adottato dal San Quintino si oppose il barone Manuel di San Giovanni (3), il quale si ingegnò di dimostrare che « l’antica sentenza dell’esi- « stenza di un solo marchese Bonifacio ceppo comune di tutte le suddette stirpi « di marchesi (di Savona e del Vasto) dovevasi rimettere e tenere nel novero dei « fatti meglio accertati ». Vi si oppose anche un nostro accuratissimo ed ingegnosissimo indagatore, il cav. De Simoni il quale, in una lettera al prof. Michele Amari (4), opina che colla ele- zione del re Berengario n (anno 950) siano sorte tre marche attigue, le quali dai nomi dei loro stipiti egli chiama Obertenga (marca di Genova, Tortona, Milano), Aleramica (marca di Savona, Acqui, Monferrato), Arduinica (marca di Albenga, Bre- dulo LMondovì], Auliate ISaluzzo e CuneoJ, Asti, Torino). Inoltre, dopo lunghe con- ferenze e carteggi col prof. Teodoro Wiistenfeld, egli crede di poter stabilire il seguente quadro della famiglia aleramica. C) 0. c. parte ir, pag. 280. (-) 0. c. parte li, pag. 282-283. (s) Dei marchesi del Vasto ecc. pag. 126. Si attribuisce la denominazione elei Vasto assunta da questi marchesi da taluni ad un an- tico castello presso Mondovì, da altri alle guaste e sterili terre, delle Langhe fra il Tanaro e gli Apennini. Per distinguerli dall’altra omonima illustre famiglia dell'Italia meridionale, il San Quintino intitolò il secondo libro delle 3ue osservazioni critiche, « Degli antichi marchesi del Vasto in Piemonte ». (') Nuova Antologia 30 settembre 1866. — Vedi pure dello stesso autore: Sulle Marche d’ Italia e le loro diramazioni in Marchesati, lettere cinque al C. D. Promis. Genova 1868, 1869. Rivista Universale. Voi. vili e ix. s-gug.2- ss. o I g,2!s\j > t= IH ~ ? co 3 £ ig co SS p =■£? ~:SS~ e a.g 5 "mw I -“i'o s S a gio- 8 O (K O ff Ep O Cj - M O Ìe=E. «£?“ 3 sh p p sr* © tr* -W = o &0 i$g- O C> tì -r »— • . < 0 O b» e °! ■ 5 o^g c^c» fT p *cJ S- 5 © h j;- tr* w 03 — jzj p p o O © o e* g*?* © O- ® o M H Oco3 ECg p >3 w - sSsags 3 ag r © o' © “S.w Od o o o t-y 2*3 © -P 3 cu t> tgS-Q S'O ° ALERAMO I. di legge salica, conto dal 934 al 48 almeno, marchese 961-07 -j* 991, moglie Gerberga del re Berengario. — 79 Però, a distruggere intieramente gli argomenti del San Quintino, il quale si fondò sovra oltre un centinaio di documenti pubblicati nella sua opera, e forse altret- tanti ivi citati, non sarà del tutto inutile esaminare i documenti nuovi, che somministra il Codice Malabaila. Cause precipue della distinzione delle due famiglie di Savona e di Loreto, im- maginata dal San Quintino, furono le seguenti : 1. ° L’Ottone della casa di Savona aveva il soprannome di Boverio, ma l’Ottone della casa del Vasto e di Loreto, no. 2. ° L’Enrico del Vasto, famoso per la sua influenza presso Federico Barbarossa, e per la parte presa ai negoziati per la pace di Costanza, sempre si qualificava Wercio o Guercio, dovechè l’Enrico di Savona non aggiungeva al suo nome simile qualificazione. Il San Quintino trovò un Ottone che, negli anni 1140 e 1155, dimorava nella Liguria con altri suoi fratelli, e firmando accordi coi Genovesi aggiungeva al proprio nome il soprannome di Boverio ('). Lo stesso nome d’Ottone, ma senza aggiunta, gli si presentò in un documento del 1188 contenente una investitura data ad Asti (2), e così in altro documento del 1153 (3), ed in altri ancora: onde il San Quintino conchiuse: se l’Ottone di Savona si trova sempre denominato Boverio dopo il 1140 in tatti i documenti senza alcuna ecce- zione, quando all'incontro l’altro Ottone conte di Loreto nelle tre o quattro carte dianzi citate, nelle quali di lui si fa certamente parola, non si presenta mai con un tale soprannome; come dopo tutto ciò potremo ancora mettere in dubbio la conseguenza già da me le tante volte replicata, alla quale ten- dono principalmente tutte queste mie osservazioni questa cioè, che quei marchesi non appartenessero a due famiglie diverse e ben distinte fra di loro, comecché tutti similmente fossero conti e marchesi in questi nostri paesi, contemporanei e per lo più anche omonimi ? (4). E posta ben in sodo que- sta distinzione ogni qual volta, si può dire, gli occorreva nominare l’Ottone di Loreto non tralasciava di avvertire che questo, « a differenza dell’altro omonimo di Savona, « non appare per alcun documento che abbia mai avuto soprannome veruno, tanto « meno quello di Boverio (s) ». Faceva però ostacolo alla teoria del San Quintino l’affermazione di monsig. Ago- stino della Chiesa che, nella Descrizione del Piemonte (°), parlando del contado di Loreto, diceva che era stato lasciato da Bonifacio ai suoi figli, « dei quali il mar- chese Ottone Boverio, che n’ebbe la metà, si sottomise con essa nel 1149 al comune « d’Asti, facendo lo stesso gli altri suoi fratelli e successori, come di tutto si vedono «atti in diversi tempi e nella cronica di Asti dell’Alfero registrati (7) ». Ma il San Quintino spiegava l’epiteto di Boverio, dato dal della Chiesa all’Ottone del Vasto, col dire, che il della Chiesa era fermo nel divisamente di confondere l'Ottone di Lo- reto coll' Ottone Boverio di Savona. Anzi ciò lo conduceva a tale diffidenza verso il della Chiesa che affermò: « doversi andare a rilento ad accettare per vero e ben di- mostrato tutto ciò che sta scritto in quel libro ( Corona Beale di Savoia) troppo più del dovere tenuto in pregio finora (s)». Ora nel Codice Malabaila sotto la rubrica di Loreto troviamo: nei documenti ( 1 ) San Quintino, i, pag. 124. (-) 0. c. pag. 12], 122. (’) 0. c. pag. 124. (*) 0. c. pag. 144 (5) 0. c. pag. 178. (r>) Della Chiesa. Voi. i, cap. 36, pag. 262. (7) San Quint. o. c. pag. 121. (s) 0. c. pag. 230. — 80 n. 54, 56. 58, 61 quattro copie con lievissime varianti di un atto in data 18 febbraio 1149, con cui dominus otto boverius marchio investivit et dedit Astensibus . . de sua parte que est medietas de castro laureti et comitatu et curte: nei documenti n. 57, 62 due copie di un atto 16 febbraio 1149 con cui donat dominus otto boverius me- dietatem castri et ville laureti, et medietatem comitatus comuni Astensi,... et ipse marchio debet recipere ab eis f Astensibus J prò feudo., tempore guerre debet manere marchio in civitate Astensi per tres mense s, in tempore pacis per unum mensem in feslivitate sancti secundi ad honorem marliris et tocius civitatis cum cereo ipse Marchio debet interesse: nei documenti n. 59 e 63 due copie di un atto 8 maggio 1194, con cui Asti notifica a Bonifacio marchese di Monferrato la donazione, quam quon- dam dominus otto boverius marchio fecerat comuni astensi de medietate Laureti. Tutto ciò dimostra chiaramente non fondata la distinzione sostenuta e voluta provare dal San Quintino, sicché il suo argomento si ritorce contro di lui. Veniamo ora al secondo caso, quello dell’Enrico. Il San Quintino ci presenta un marchese Enrico senz’altra aggiunta, in un atto di promesse reciproche seguite tra i Genovesi ed i marchesi liguri pel castello di Noli nel 1155 (‘), quindi Enrico marchese di Savona in un altro atto in relazione a Noli ed ai consoli di Genova nel 1170 (2), poi in un altro lo stesso Enrico, che nel 1179 viene ad accordi col comune di Savona (3) di cui era marchese; ed in un altro atto ancora dello stesso anno in cui si fanno tra esso ed i consoli di Savona nuove promesse e giuramenti ( K ). Da quest’ atto specialmente si vede eh’ egli conservava tuttavia intatta fra gli apennini l’antica contea del Cairo e ne abbiamo la prova nelle seguenti parole che sono in questa reciproca sua convenzione coi Savonesi, — pedagium quod capiebamus in saona super liomines de Cairo decruxferrea et de dego et de altari tolum dimillimus (r>). E che il contado del Cairo, in cui era la terra detta Cruxferrea ora Cosseria, fosse assegnato al marchese Enrico, è pure pro- vato da una sua donazione nel 1179 (c) ad un ospedale ivi vicino. Sempre lo stesso Enrico compare in più altri documenti, e il San Quintino non ne trasandò alcuno, nel quale sia fatta menzione di questo nostro primo marchese di Savona. E ciò a line di sempre più confermare quanto ho già detto altre volte, . . vale a dire come non si trovi che il detto marchese Enrico nelle sue pubbliche scritture si sia mai intitolato marchese del Vasto, nè abbia mai preso il soprannome di Guercio; uè sia mai stato così denominato dai consoli del comune di Genova nelle con- venzioni con lui stesso e coi suoi fratelli stipulate negli anni 1148, 1151, 1155 (')• Il San Quintino contrappone a quest’Enrico di Savona l’Enrico Guercio suo con- temporaneo, il favorito di Federico ecc., e ce lo mostra sempre coll’ aggiunta di Guercio o Wercius, nel 1167 presente ad una investitura data dall’ Imperatore (8), poi in una sentenza da lui pronunziata nel 1164 (9), quindi in altro atto dellTmperatore del 1162 (10), ed in altri diplomi ancora del 1178 (“), nei quali lo vediamo sottoscri- versi non solo Henricus Wercius, ma aggiungere ancora il titolo feudale proprio della sua famiglia Marchio De Wasto (12). Ond’ egli concluse: (ri 0. cit. i, p. 190, doc. xxx. (2) 0. c. pag. 194, doc. xxxi. (3) 0'. c. pag. 199, doc. xxxin. (D 0. c. pag. 201, doc. xxxiv. (5) 0. c. pag. 203. (6) 0. c. pag. 205, doc. xxxv. (7) 0. c. pag. 210. (s) Op. c. n, pag. 63, doc. lvi. (9) 0. c. ir, pag. 66, doc. lvii. (l0) 0. c. pag. 68, doc. LViir. (”) 0- c. li, pag. 79, doc. lix - pag. 81, doc. LX-pag. 82, doc. lxi, ecc. ecc. (l2) 0. c. pag. 70. — 81 — Fu quindi errore derivato certamente dal non essere mai stato ben addentro esaminato questo punto oscuro, intricatissimo della nostra storia, quello dei nostri predecessori tutti, cred’io, senza eccettuarne uno solo, i quali non facendo conveniente differenza fra i due Enrici contemporanei di Savona e del Vasto a quello piuttosto che a questo vollero attribuire l’epiteto di Guercio. Errore che facilmente avrebbero evitato se avessero posto mente a ciò che già abbiamo avvertito nella nota al precedente 36° documento vale a dire che il mentovato Enrico dei conti di Savona non solamente in alcuna carta sincera dei suoi tempi non si vede mai intitolato marchese del Vasto, ma neppure distinto mai col detto soprannome di Guercio ('). Ora nel doc. n. 608 del Codice Malabaila noi troviamo che, nel 1171, l’Enrico Guercio, detto con leggiera variante Henricus Strabo, faceva concessioni commerciali, e stipulava altri patti cogli Astesi su quel territorio-appunto, che era nei domimi del- l’Enrico di Savona, cioè sovra Savona stessa e sopra Cosseria. Perchè poi non rimanga dubbio che V Henricus Strabo del documento è veramente l’Enrico Guercio, il favorito dell’Imperatore, osserveremo che tra i patti più importanti è quello, con cui esso Enrico giura sul vangelo di aiutare Asti ad habendam gratiam imperatori et ejus bonam voluntatem; ed infatti pochi anni dopo, cioè nel 1178, lo troviamo testimo- nio dell’atto (n. 636), con cui l’Imperatore fa pace con Asti relativamente al castello di Annone. Sono poi frequenti nel Codice Malabaila gli atti di un Enrico, qualificato ora marchese di Savona ora di Careto, ed ora di entrambi, il quale in alcuni documenti (n. 254 e n. 929 nel 1191, n. 696 del 1224) si dice Marchio Sagone filius quon- dam Marchionis henrici Vercij. Si ha finalmente nel Codice Malabaila una riprova della unità d’origine di tutti questi marchesi di Saluzzo, di Busca, di Ceva, di Clavesana, del Carretto, di Sa- vona, di Cortemiglia, per le suddivisioni della signoria del contado di Loreto , le quali si possono ora constatare in modo pressoché compiuto. Ma perchè più chiari riescano i ragionamenti intorno al frazionamento della si- gnoria di questo contado, e più perspicua idea si abbia di questa importantissima fa- miglia aleramica, abbiamo pregato l’egregio sig. Pietro Viarengo di compilare i quadri genealogici dei principali rami della medesima. Veramente il Moriondo, diligentissimo storico, già diede codeste genealogie nella sua opera più volte citata. Ma nello spazio di 90 anni, i quali ormai ci separano dall’opera del Moriondo, furono fatte molte indagini da parecchi scrittori, e fra questi piacemi notare il nostro collega Amari, il quale, nella storia dei Musulmani di Sicilia, ebbe più volte occasione di citare i rampolli della famiglia aleramica. Parecchie notizie sono eziandio somministrate dal Codice Malabaila; cosicché non solo opportuna, ma necessaria ormai si fa, una nuova edizione rettificata di queste genealogie, le quali riescono assai utili a chi volesse studiare il Codice Malabaila, imperocché ivi si accenna a quasi un centinaio di Ale- ramici, e sono pressoché trecento i documenti, nei quali si fa menzione di questa famiglia. L'allegato n. 7. contiene queste genealogie del sig. Viarengo divise in sei quadri. I. Connessione delle diverse linee aleramiche , e marchesi di Monferrato: i dati principali sono tratti dal Moriondo, dal de Simoni, dal Codice Malabaila, dal Litta, dal Giffart, dall’Angius, e dal San Giorgio. II. Marchesi di Incisa: dal Moriondo e dal cav. Massara Previde (2). (') 0. c. pag. 70-7]. (2) Spogli genealogici esistenti in Torino nella biblioteca del Ee. 11 III. Marchesi di Salirne: dal Muletti. IY. Marchesi di Busca e Lancia : dal Massara Previde e da A. della Chiesa. V. Marchesi di Ceva e di Clavesaua: dal Moriondo e dalle tavole dell’Olivero ('). VI. Marchesi del Carretto e di Savona: dal Moriondo e dal Bricherio (a). Nelle note annesse a ciascun nome abbiamo indicato i numeri dei documenti del Codice Malabaila, che si riferiscono a ciascun personaggio. Può essere che la pubblicazione di questi quadri provochi aggiunte e correzioni, imperocché l’azione della famiglia aleramica essendo stata importante in Piemonte, in Liguria, in Sicilia, nel Napoletano, e presso la Corte imperiale, è cosa malagevole l’avere da un punto solo notizie complete. E noi ce ne rallegreremo, perchè, a chiarire la storia di quei tempi, giova assai 1’ avere conoscenza dell’ampiezza e della natura delle relazioni delle precipue famiglie. Accennavamo alla importanza del Codice Malabaila per le genealogie aleramiche. Infatti non è solo la controversia sollevata dal San Quintino, che è decisa definitiva- mente dal Codice Malabaila; ma importanti modificazioni ne conseguono per il quadro del de Simoni, come è facile riconoscere esaminando il quadro 1 dell’allegato n. 7. Il documento più antico del Codice (il n. 52 , che è del 1065 (3)) consiste in una donazione fatta alla chiesa di s. Maria d’ Asti dalla vedova e dai figli di Ottone o Tetone avolo degli otto fratelli, fra cui si divisero i marchesati di Incisa, Saluzzo, Ceva, Savona e Carretto, e Busca. Ivi si apprende che moglie di detto Ottone era la contessa Berta, e che Ottone aveva un altro figlio oltre quelli indicati nel qua- dro del de Simoni. Questo documento del nostro Codice fu esaminato dal prof. Teo- doro Wùstenfeld di Gottinga, il quale nel comunicarlo al cav. de Simoni (”) ne trasse anche la conclusione che la contessa Berta era figlia di Odolrico Manfredi marchese di Torino, epperciò sorella della famosa contessa Adelaide. Della quale afferma- zione il de Simoni trovò una prova diretta nella donazione al monastero di s. Siro in Genova fatta dalla contessa Berta (r’). Quanto ai figli di Ottone, soltanto Bonifazio, Anseimo, e Manfredo, sono nominati nel quadro genealogico del de Simoni. Invece nel documento n. 52 del Codice Malabaila parlando di questi figli si dice anzitutto: Manfreclus et Bonifacius atcjue Anselmus Marchiones et henricus et Otto Germani , e poscia Manfredus et Bonifacius atque Anselmus et Otto alricus germani. Al fine dell’ atto, a lato dei relativi segni di croce, si hanno i nomi: Manfredus et Bonifacius. Atque Guilelmus (certo per errore di copista invece di Anselmus) et Otto Alricus germani. Da queste parole si dovrebbe arguire, che vi erano altri due figli di Ottone e Berta, cioè un Ottone, ed un Enrico. Ma il de Simoni gentilmente mi avverte che probabilmente debbe leggersi Otto clericus, come è scritto nella sovracitata originale donazione al monastero di s. Siro in Genova; cosicché soltanto quattro sarebbero C) Memorie storiche della città e marchesato di Ceva, con note e tavole, del cav. D. A. Bosio. (-) Bricherius. Tabulae genealogicae gentis Carrettensis, et marchionum Savonae Finarii Clavexa- nae etc. Vindobonae, 1741. (3) È questo uno dei documenti, in cui vi ha discordanza fra l'indizione e l'anno indicato. La indizione data nel documento è la V, mentre all’anno 1065 corrisponde la indizione ili. ('■) Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti. Genova 1875. Aun. n, fase, ix e x, pag. 368 e seguenti. (5) Cartario Genovese. Atti della Società Ligure di storia patria. Voi. il, parte i, pag. 169. — 83 — i figli della contessa Beila. Questa correzione del de Simoni al doc. n. 52 del Co- dice Malabaila spiegherebbe altresì perchè il titolo di marchese sia soltanto attribuito agli altri tre fratelli, i cui nomi precedono quello di Ottone. È poi degno di nota che nel titolo del documento n. 52, la donazione si dice fatta per Marchionisam eie lancia de Salucia : questo prova che al tempo della compilazione del Codice Malabaila, e forse anco del Libro vecchio o del Codice Alfieri, si riteneva la origine dei marchesi Lancia e dei marchesi di Saluzzo comune a quella degli altri discendenti di Tetone. Un’altra ben più importante correzione è introdotta nel quadro genealogico de) de Simoni dal doc. n. 622 del Codice Malabaila, con cui Ardizzone n d:na ad Asti nel 1135 la sua parte di Felizzano, ed il castello di Caliano. Nel quadro del de Simoni, Oddone n, qualificato Marchio et Comes Monferratensis, figura avere tre figli, Guglielmo in, Enrico n, ed Ardizzone i. Invece dal documento n. 622 risulta che Enrico n era non fratello, ma tìglio di Guglielmo ni, ed aveva sopranome di Balbo. Ciò modifica non poco il quadro genealogico più volte citato, come si può scorgere dal confronto del quadro del de Simoni col quadro 1 dell’al- legato n. 7. Detto documento n. 622 giova anche a confermare la comune origine dei mar- chesi di Monferrato, e di tutti gli altri già citati marchesi di Incisa, Saluzzo, Busca, ecc. Ivi è detto che il padre del donatore, cioè Ardizzone i, ed il fratello Guglielmo ebbero parte tra loro eguale in Felizzano ; che il marchese Bonifazio (Bonifazio i, detto stipite del Vasto nel quadro de Simoni) diede la sua parte contro la parte che Ardizzone i aveva in castrum quod dicitur de (ed il de Simoni, cui co- municai questo documento ingegnosamente mi avverte, che deve leggersi dei (‘) cioè di Dego) et in coltro quod dicitur signo (Segno nel Savonese), et in castro quod dicitur Turris augzuno (Torre d’Uzzone sovra uno dei confluenti della Bormida). Ora, siccome bene spesso queste parti di dominio si avevano per eredità, vi ha un argo- mento per dedurre la comune origine delle due famiglie di Monferrato e del Vasto, sebbene il parentado loro nel 1135 già fosse lontano. Colla scorta dell’ allegato n. 7 possiamo ora tornare sulla storia della signoria di Loreto, e sulla prova diretta della unità d’origine dei marchesi del Vasto e di Savona , che somministra il Codice Malabaila. Verso il finire del secolo xi, Loreto (veggasi nell’allegato n. 8 l’importanza di questo contado) apparteneva a Bonifacio del Vasto, morto il quale, nella divisione tra i suoi figli, toccò in sorte al suo ultimogenito Ottone Boverio (2), ma solo per metà, giacché nei documenti n. 54 e 32 del Codice Malabaila si parla de sua parte que est medietas de castro laureti et comitatu et curte ecc. L’altra metà dovette toccare a Bonifacio di Cortemiglia, come in appresso si dirà. Nel 1149 (3) il marchese Ottone Boverio donò la signoria di questa metà di Loreto (l) La ingegnosa interpretazione del de Simoni è tanto più probabile, inquantochè nel Codice la contrazione di dei in de si trova altre volte, per esempio de domo de , omode invece di de domo dei , omodei. (2) Della Chiesa. Spogli genealogici. (3) Dei due documenti identici n. 57 e 62, l’uno ha la data del 1148 e l’altro del 1149: già dicemmo (pag. 61) perchè crediamo che quest’ultima data sia la vera. 84 — ad Asti, ricevendo poscia da Àsti la stessa metà di Loreto in feudo, cogli obbli- ghi attinenti alla condizione di vassallo cui egli passava, come risulta dal breve recordaiionis riferito nel doc. n. 57 del Codice Malabaila. Nello stesso anno aveva luogo la formale investitura e cessione, come dal documento n. 54. È degno di nota che il documento n. 57, è riferito nel Codice anche un’altra volta al n. 62, ed il doc. n. 54 è riferito tre altre volte ai n. 56, 58, 61, mentre non vi ha altro caso di più di un duplicato. Forse la grande importanza dell’atto, od il ripetuto bisogno, che se ne ebbe per le contese sostenute da Asti a cagione di Loreto, avevano dapprima fatto moltiplicare le copie, ed i copisti posteriori non si avventurarono a trascrivere meno di ciò che avevano davanti. Erede di Ottone fu il suo fratello Bonifacio marchese di Cortemiglia, il quale ebbe contese cogli Astesi, che nel 1177 entrarono nei suo dominio, assalirono la terra di Castagnole prossima a Loreto e l’espugnarono ('). Nel 1188 dovette egli pure fare atto di sudditanza verso Asti, e riconoscersi vassallo per la metà di Loreto ceduta dal fratello (2). Mancato Bonifacio di Cortemiglia, la metà di Loreto per cui era vassallo di Astisi divise in parti eguali tra i suoi fratelli, Enrico del Carretto e di Savona (3), Anseimo di Ceva, Manfredo di Saluzzo, e Guglielmo di Busca, ovvero tra i loro eredi, come risulta dal seguente specchietto, nel quale parliamo solo dei figli di Boni- fazio, che ebbero parte nella signoria di Loreto. Bonifazio I. Manfredo I. Guglielmo Anseimo Enrico m.c di Saluzzo m.e di Busca m.e di Ceva m.e del Carretto \ Manfredo II. 1 1 T ì s s | Manfredo 1 Berengario 1 Guglielmo 1 Bonifacio 1 Oddone 1 Enrico Lancia | 1 di Cla vesaua ì 1 16 1 ì 1 16 i 16 16 16 Anseimo Molle -4 Wà jp 16 Bonifacio Ottone marchese Boverio di Cortemiglia s. p. s. p. La metà della signoria di Loreto, che nel 1148 non era stata ceduta ad Asti, passa invece a Manfredo Lancia, il quale possedeva inoltre la sua aliquota dell’eredità di Bonifacio, vale a dire l’ottavo della metà od un sedicesimo. Infatti nel 1196 Man- fredo di Busca vendè per 5000 oncie d'oro (k) a Bonifacio marchese di Monferrato (‘) Ventura. De Gestis civium Astensium. Cap. xxv. (2) Durandi. Il Piem. cisp. pag. 203 — San Quintino, ii, pag. 277 — Della Chiesa. Descrit. del Piem. ì, pag. 136 — Morlondo. Mon. Aq. Il, col. 351 — Cod. Malab. n. 32. (3) La denominazione di Del Carretto sembra che co- minciasse ad assumersi soltanto dai figli di Enrico; noi la estendiamo anche al padre, per meglio designare lo stipite di questa famiglia. ( * ) Cod. Malab. doc. n. 53. Il San Quintino, ii, pag. 195, ed il Moriondo dicono oncias D auri, ma nel nostro Codice è a tutte lettere quinque millia uncias auri. 85 — la signoria di tutta la terra elle ha in Lombardia, fra cui la sua parte del contado di Loreto, indi la riceve da lui in feudo e gli diventa vassallo. Poscia nel 1197 (‘), col consenso del marchese di Monferrato, impegna a favore di taluni suoi creditori di Alba medietatem comitatus Laureti, che gli era venuta da Bonifacio di Corte- miglia. Nel 1192 Berengario di Busca fratello di Manfredo cede pure al marchese di Monferrato la sua parte di Loreto, dichiarandola di l/l6 (*), la quale aliquota pre- suppone, che altrettanta ne fosse spettata al fratello Manfredo sulla metà di Loreto proveniente da Ottone Boverio. Infatti nell’ atto già citato del 1197 (*) Manfredo Lancia, oltre la metà che, come già si disse, impegnava col consenso del marchese di Monferrato a favore di taluni creditori, dichiara di averne già impegnata a favore di un altro creditore la quarta parte; molto probabilmente il quarto della metà, che risul- tava dai due sedicesimi provenienti da Ottone Boverio, l’uno di sua spettanza, e l’altro di suo fratello. Il Manfredo, come possessore, di tanta parte di Loreto, assume in parec- chi atti il titolo di conte di Loreto. Nel 1197 (3) Anseimo detto il marchese Molle, del ramo di Ceva, vende a Lan- franco Niello il quarto della metà, ossia ’/8 di Loreto , aliquota che dice essergli pervenuta dalla parte toccata al suo padre Guglielmo di Ceva ed al suo zio Boni- facio di Clavesana sulla eredità di Bonifacio di Cortemiglia. Lanfranco Niello nel 1202 cedeva poi ad Asti ciò che aveva comperato nel 1197 da Anseimo il Molle, e per il prezzo di acquisto, cioè per 130 lire astesi ('’). 0) Cod. Mal. doc. n. 46. (-) Totani partem meam quam habeo in comitati! Laureti .... que pars scilicet in decima sexta totius comitatus. San Quintino, o. c. ii, pag. 157. (*) Cod. Mal. doc. n. 33 e 47. (4) Avvi nel nostro Codice mi atto del maggio 1190 (n. 256), in virtù del quale Guglielmo mar- chese di Ceva, in publica conlione del comune di Asti, dona a questa città tutta la terra che gli viene o verrà sulla eredità di Bonifacio di Cortemiglia. Non è detto di quali terre si tratti, e forse i com- pilatori del Codice Malabaila collocarono questo atto sotto il capitolo di Coitemiglia a cagione del titolo di Bonifacio. Con atto dello stesso giorno (n. 560), fatto nello stesso luogo, dallo stesso notaio, e davanti agli stessi consoli e testimoni, il predetto marchese Guglielmo dona ad Asti Montezemolo e Miroaldo e inoltre tutta la terra che gli venne o verrà dalla eredità di Bonifacio di Cortemiglia. Con altri atti dello stesso giorno (n. 559, 561) il Guglielmo di Ceva è investito in feudo di Montezemolo, di Miroaldo e delle terre da lui donate, e sono regolate le condizioni del suo vassallaggio. Si potrebbe credere che tutti questi atti si riferiscano a Guglielmo di Ceva detto i nel quadro V dell’allegato n. 7. Infatti egli non era già morto nel 1174, come crede il San Quintino (o. c. i, pag. 231), Nel doc. n. 33 del Codice Malabaila è detto che la metà di Loreto già di spettanza di Bonifacio di Cortemiglia era toccata in parte a Guglielmo ed a Bonifacio di Clavesaua, e che questi sono l’uno padre, P altro zio di Anselmo il Molle. Indi Guglielmo i di Ceva e Bonifacio i di Clavesana so- pravvissero a Bonifacio di Cortemiglia, il quale nel 1188, si riconosceva vassallo di Asti per la metà di Loreto. Inoltre negli atti sovraeitati del 1190 si parla della eredità di Bonifacio di Cortemiglia senza accennare che questa eredità fosse passata ad altri prima di appartenere al Guglielmo marchese di Ceva donatore in essi atti della sua parte ad Asti, mentre Anseimo il Molle, vendendo nel 1197 a Lanfranco Niello (doc. n. 33) la sua aliquota della eredità di Bonifacio di Cortemiglia, indica che passò prima nelle mani di suo padre e di suo zio. Finalmente, mentre il Guglielmo di Ceva do- natore negli atti del 1190, non è ivi mai nominato senza essere qualificato marchese di Ceva, il doc. n. 194 del 1191 ci fa sapere che era allora podestà di Asti un Guglielmo di Ceva, ma che non è — 86 Nel 1209 (‘) Otto de Careto Marchio Sagone unitamente a suo figlio Ugo dona ad Asti Vie di Loreto. Nel 1191 (2) Ilenricus Marchio de Sagona quondam filius marchionis henrici verdi dona ad Asti Vie di Loreto, aliquota che nell’atto è detta la sua parte della terra che fu di Bonifacio di Cortemiglia. Finalmente che 1/8 di Loreto fosse toccato anche ai marchesi di Saluzzo non sembra da dubitare. Nel 1202 (3) Manfredi ipotecava per le doti di Maria figlia del Giudice di Torres, sposa a suo figlio Bonifacio, partern quae ei accìdit ex successione patrui sui Bonifacii Marchionis de Curtemilia. Nel nostro Codice si trova al n. 576 un documento del 1226, per cui Giacomo, Corrado, Uberto, Manfredo di Canale figli del fu Guglielmo, ed i figli di Goffredo di Bassignana, ed Ottone di Cocconato, consorti di Loreto promettono di farsi citta- dini d’Asti, e questa aìla sua volta promette difenderli. Guglielmo, Bonifacio o Bo- nino, e Buffino di Loreto figli del fu Goffredo di Bassignana, offrono anzitutto al loro qualificato di marchese, come se nel 1191 fosse ancora marchese di Ceva il Guglielmo i, e fosse invece podestà di Asti il suo figlio Guglielmo il. Senza dichiarare del tutto inammissibile la precedente ipotesi, noi incliniamo però a credere che nel 1190 Guglielmo i di Ceva già fosse morto, e che gli atti sovracitati di tale anno si rife- riscano a Guglielmo li. Nell’ atto n. 560 si parla esplicitamente di Montezemolo e di Miroaldo, e ci sembra che se coll’atto n. 256 si fosse voluto comprendere una aliquota del contado di Loreto, che per la sua vicinanza era per gli Astigiani di grande importanza, e fu oggetto di guerre accanite, se ne sarebbe fatta menzione esplicita. È più naturale il presumere che morti, fra 1’ agosto 1188 ed il maggio 1190, prima Bonifacio di Cortemiglia, e poscia Guglielmo i di Ceva, la parte dell’ eredità di quello toccata a questo, siasi divisa tra i figli di Guglielmo per modo, che al suo primogenito Guglielmo ir spettassero Montezemolo e Miroaldo non molto discosti da Ceva, e che la aliquota del lontano contado di Loreto pervenisse invece al secondogenito Anseimo il Molle. Guglielmo II colfatto n. 560, e coi connessi n. 559, 561 avrebbe esplicitamente donata ad Asti la sovranità di Monteze- molo e Miroaldo, pure ritenendone il possesso a titolo di vassallo d’ Asti. L’ atto n. 256 può indicare che non essendo la divisione tra i fratelli di Guglielmo il del tutto definita, il comune di Asti per buona prudenza, oltre la donazione specifica di Montezemolo e Miroaldo, si era procurata per atto a parte una donazione generale delle terre toccate o che venissero a toccare a Guglielmo II, e le quali già fossero state di Bonifacio di Cortemiglia: e così il Comune era meglio guarentito nel caso che nuove terre od altre invece di Montezemolo e Miroaldo, fossero state definitivamente attribuite a Guglielmo il. Ben s' intende poi come negli atti relativi a queste terre si parlasse sopratutto di Bonifacio di Cortemiglia come quegli che ne era stato così lungamente il possessore. Finalmente nello stesso Codice nostro abbiamo parecchi esempi in cui il podestà non è indicato col suo titolo signorile, allorquando la sua partecipazione agli atti si connette col suo ufficio e non colla sua signoria. Del resto anche ammesso che gli atti del 1190 si riferiscano a Guglielmo i, ed il n. 256 com- prenda perciò Loreto, è da osservare che tale atto è, salva la indicazione di Montezemolo e Miroaldo, identico al n. 560, e che coll’ atto n. 561 Asti investe in feudo il Guglielmo di ciò che esso aveva donato. Il dono si limitava quindi all’ alta signoria, ed ai vincoli di vassallaggio, ma i dritti e le proprietà feudali rimanevano al de Ceva. Ora per la parte di Loreto già posseduta dal Bonifacio di Cortemiglia, e prima di lui dall’Ottone Boverio, non guari diverse erano le condizioni del possessore, sicché nella ipotesi che ora si fa, il n. 256 sarebbe in sostanza un equivalente della ricognizione degli atti n. 32 e 57. Neppure in tale caso vi ha perciò contraddizione se Anseimo il Molle vendette nel 1197 le sue ragioni sopra Loreto. C) Cod. Mal. n. 248. (-) Id. n. 254. (S) Moriondo, o. c. n, col. 641, — Muletti, o. c. ii, pag. 140. — 87 — fratello Castellano la loro parte nell’Astigiana (n. 585), poscia avendo questi dichiarato di mancare dei mezzi necessari per l’acquisto, al 3 settembre 1242 fanno la cessione ed inve- stitura ad Asti (n. 580) di un terzo e di un ottavo di due parti di Loreto. Nello stesso giorno Giacomo, Manfredo, e Liberto di Loreto fanno la cessione ed investitura ad Asti (n. 579, 580) di due parti di un ottavo di Loreto, e di ciò che possa ad essi spettare dopo la morte di Ottone di Cocconato. Finalmente nello stesso 3 settembre 1242 Manfredo e Rodolfo di Loreto figli del fu Enrico de Saluciis (n. 66) ratificano la vendita ed investitura di Loreto fatta ad Asti dai predetti Giacomo e fratelli di Loreto, Guglielmo e fratelli di Lo- reto. A prima giunta potrebbe parere che l’ottavo di Loreto da casa Saluzzo passasse, prima del 1226, ai consorti di Canale, di Bassignana, e di Cocconato, e venisse ad Asti nel 1242 col consenso dei Saluzzo. Ma le aliquote sovracitate sembrano doversi leg- gere 1/3 -4- 1 /g ~/3 -+- 2/3 78 = Va* Enrico di Saluzzo non trovasi fra i membri finora conosciuti della famiglia marchionale di questo nome, giacche nè egli, nè i figli suoi sono qualificati nel doc. n. 66 per marchesi, o per domini , come di solito accade. Nè vogliamo tacere come creda il Yiarengo, secondocliè si scorge nell’allegato n. 8, che si tratti qui di un altro Loreto presso Canale ('). Sicché sembra che manchino i docu- menti comprovanti il ritorno ad Asti dell’aliquota del contado di Loreto presso Asti, toccata ai marchesi di Saluzzo. Tuttavia rimane fuori di dubbio la comunanza di origine di tutte queste famiglie dette in generale dei marchesi del Vasto, i quali nel 1228 si trovarono insieme a far pace con Asti (*). 22. Relazioni fra il Piemonte e la Sicilia. Le relazioni fra le parti estreme d’Italia, cioè fra il Piemonte e la Sicilia eb- bero nei tempi odierni, effetti così decisivi per l’unità italiana, che non sappiamo trattenerci dal raccogliere con affettuoso interesse qualche fatto che accenni alla loro antichità, riquadro n. i dell’allegato n. 7, ci mostra gli Aleramici di Monferrato in (l) Si obbiettò contro la opinione del Viarengo: che una volta dimostrate sorelle la contessa Adelaide e la madre di Bonifacio del Vasto, è probabile che sia lo stesso il Loreto al quale si rife- riscono le loro donazioni del 1065: che gli atti in discorso, se relativi al Loreto presso Canale, si troverebbero nel Cod. Mal. sotto il titolo 163 de Canalibus , e coi capitoli relativi a paesi posti a sinistra del Tanaro, e non fra i documenti relativi a paesi a destra del Tanaro: che 1’ atto n. 66 essendo per giunta sotto il capitolo riguardante il Loreto a destra del Tanaro, è pericoloso il sup- porre così grave errore nei redattori del Codice Malabaila. Ma il Viarengo osserva: che la donazione della Adelaide oltre Loreto comprende san Stefano Roero, Canale, san Michele, La Vezza, Govone, Valleplana, Cereaglio, Pralormo, tutti paesi vicini tra loro e a sinistra del Tanaro, e tre paesi di situazione ignota, mentre la donazione della Berta, oltre Loreto, comprende Castagnole, Montaldo, Rocha de Flexio, anche prossimi tra loro, ma a destra del Tanaro; che i trascrittori del Codice Ma- labaila non sembra usassero troppa diligenza nell’ ordinare i documenti, od avessero molta conoscenza delle località a cui si riferivano; imperocché chiamarono Messedio ora Serra Meceli (cap. 5) ora Messadio (cap. 77); posero Chieri tra i paesi a destra del Tanaro; confusero nel cap. 54 Mangano (Mango) poco lontano da Calosso, di cui nel cap. 55, con Mugliano a sinistra del Tanaro, di cui al cap. 100; dopo il cap. 135 relativo a Pogliano collocarono Fervere, mentre ci avrebbe dovuto essere Castelnuovo di Rivalba che si trova al cap. 150; ecc: finalmente che le regioni citate negli atti in quistione come attinenze del castello di Loreto, stanno presso Canale fra Canale, Govone, Priocca, s. Damiano, Fervere, Monta. (2) Cod. Mal. n. 261 — Moriondo. ir, col. 423 — Muletti, ir, p. 263 e seg. 88 — Oriente, ove essi grandemente si illustrarono colle valorose loro gesta ed ardite im- prese, ed a cui essi diedero imperatrici, regine, e re. A dare idea del conto in cui i marchesi di Monferrato erano tenuti in Oriente, il nostro collega Amari mi comunica il seguente estratto del Codice arabo Ambrosiane Et. 197. sup. fog. 8. verso, trascritto per cortesia dell’illustre P. A. Ceriani, prefetto di quella biblioteca. Fon crediamo questo documento, senza interesse per noi, sebbene esso si riferisca ad un marchese di Monferrato, il quale soltanto per madre appar- tiene agli Aleramici. Si tratta infatti di Teodoro Paleologo secondogenito di Andronico imperatore di Costantinopoli, e di Iolanda di Monferrato figlia di Guglielmo vii e sorella di Giovanni marchesi di Monferrato, il quale Teodoro ebbe questo marchesato poco dopo la morte dello zio Giovanni avvenuta nel 1305, e lo tenne il resto della sua vita, cioè fino al 1338. Il documento che riferiamo indica il titolo da darsi a detto marchese, ed è compreso colle altre formole della cancelleria dei Sultani Mamluki di Egitto. ( J \ aU-2 jijrc Lti— 1— *0 ' * 0^0 yo JsXj'l jJs. li cXsao ^Vc Owj yt*> ^Alj\ cIL 9 ' .... G òtìjj zzSij (l. òlzz òjkA (,ò'3j ^\ò\j Asb &X\ JlWi . 0 ^ * XÌ'\ .. ^ \ .. .. \ *9' 9 o Ìb\x^ à-.xj'l U-oSo ijSL^ y Li'òsì'u ( O^So l5'i Xjoj* Lt ilo ^$0 Malie Munfirad ('). Egli è il figliuolo del Sovrano dì Istanbul ed ha per nome Turtus Markaz (’"). La forinola con la quale gli si scrive, che risulta essere stata adoprata sino alla fine dell' anno 733 (1332-3 della nostra èra) è la seguente: Ci rivolgiani noi alla maestà (3) del re illustre, onorando, valoroso, V eroe, il lione (l) Malik ordinariamente significa re. Però nel medio evo gli Arabi davano questo titolo an- che ai grandi baroni cristiani. (-) Markàz significa marchese. (3) fladrah letteralmente presenza , ma non si adoprava nel secolo xiv che nel dir dei grandi principi. 89 — terribile, Turtus Markdz , gloria della Cristianità, vanto del popolo di Gesù, colonna dei figliuoli del battesimo, ornamento delle due nazioni, romana e franca, re di Monferrato, erede della corona, sostegno del papa ; così Iddio prolunghi la sua vita, continui a proteggerlo , e gli faccia ereditare il trono, la corona ed il reame del padre. * Si inseriscano ì nomi proprii di esso (principe). * Questo è quanto io ho trovato scritto nella formolo del dispaccio dianzi citato ; ina a questo principe non si è scritto nulla in tutto il tempo dacché io sono in ufizio; nè so il nome (del principe attuale) nè in che sorta di carta gli si debba scrivere. Mi sembra che gli si debba scrivere nella carta solita (') e che si abbia a mettere (senz’altro) il titolo di Malie Munfiràd. Ma forse oggi sono anche più interessanti le attinenze degli Aleramici coll’Italia meridionale. Il nostro collega Amari (2) ha posto in luce la importanza delle relazioni della famiglia Aleramica colla Sicilia. Ruggero de Hauteville, quando andò alla conquista della Sicilia, era accompagnato da parecchi baroni di diversi luoghi. Fra essi Enrico degli Aleramici, figlio di Manfredo fratello di Bonifazio stipite dei marchesi del Vasto, ebbe a feudi in Sicilia Paterno e Bufera, e giunse a grande potenza. Ruggero sposò nel 1089 Adelaide sorella di Enrico, diede sua figlia in isposa ad Enrico, e due altre sorelle di Enrico si ebbe, l’una a sposa di Giordano, l’altra a fidanzata di Goffredo suoi figli. Adelaide fu donna di alti spiriti e di grande senno, la quale resse molto bene la Sicilia durante la minorità di suo figlio Ruggero n, che prima ne fu conte, e poi re. L’Amari non sa se Ruggero favorisse Enrico perchè fratello di Adelaide, o se invece sposasse Adelaide perchè sorella di Enrico (3). 11 fatto si è che « forse altri « rampolli di casa Aleramica erano venuti in Sicilia a combattere sotto le insegne dei « normanni; di certo molti nobili uomini della Marca Aleramica vi tennero feudi (’) ». Le relazioni di parentado tra gli Aleramici ed i regnanti in Sicilia si estesero poi dai Normanni agli imperatori di Casa Sveva, che a quelli succedettero, come dimostra il quadro i dell’allegato n. 7. Esse si accrebbero allorché l’ imperatore Federico n sposò Isabella di Brienne, la cui madre era figlia di Corrado di Monferrato, e sopratutto quando pose, e lungamente mantenne amore a Bianca Lauda della famiglia dei mar- chesi di Busca. Nel quadro iv si tenne in evidenza anche la discendenza materna di Bianca, onde meglio apparisca perchè fu talvolta detta Bianca di Agliano. Non è quindi a far meraviglia se gli Aleramici, e specialmente quelli le cui vicende erano meno fortunale in Piemonte, compaiano in alto stato, e non di rado, in Sicilia, nel Napoletano, ed anche presso la corte imperiale, tanto più che gli Ale- ramici furono pressoché sempre strenui e fedeli ghibellini. Bonifacio, lo stipite dei marchesi di Incisa, venne, perchè ribelle (5), diseredato (') Nella cancelleria dei Sultani Maraluki la carta era grossa quistione. I trattati si scrivevano in una colonna che occupava il terzo del foglio, e con grandi caratteri e con larghe interlinee. Le cerimonie si accorciavano, ed i caratteri si rimpicciolivano col grado di quegli cui si scriveva. La carta solita forse non era nè la più grande, nè la più piccola. (") Storia dei Musulmani.di Sicilia. Voi. m. Firenze 1868-72, pag. 195 e seg. (") 0. c., p. 302. (4) 0. c., p. 200. (6) Il testamento di Bonifacio del 5 ottobre 1125 contiene la disposizione seguente relativa al suo figlio Bonifacio di Incisa: « Bonefacium vero incixie no- « minatim, exhercdavit per as (has) ingratitudines, quia, eum violente!- cepit, atque in carcere cum « sua familia tenuit usque dum ah eo ut a mortalibus inimicis se se redemit ; et quia cum suis morta- « libus inimicis suam amiciciam cum sacramento firmiter copulavit: et quia grave damnum cum suis « inimicis intulit; tria enim castra de melioribus que posidebat sibi cum suis inimicis ahstulit silicet 12 — 90 — dal padre Bonifacio ; e difatti non troviamo il suo casato fra i possessori di Loreto. Ora l’Amari (') ci ricorda Alberto di Incisa conte di Gravina, Arrigo d’incisa cit- tadino di Sciacca combattente alla battaglia di Ponza il 14 giugno 1300, Giovauni ed Aloisio d’incisa feudatari al principio del xiv secolo, Simone d’incisa nominato nelle carte siciliane del 1309-19. Da altri si ricorda Oddone d’incisa feudatario di Corleone. Federico d’ Incisa fu lungamente cancelliere di Sicilia, e tale il trovammo in un documento del 1313 da noi altra volta pubblicato (2). Gli Incisa sono talvolta detti nelle carte siciliane Insisa od Ansisa. Manfredo i marchese di Busca, e che si intitolava anche conte di Loreto, del quale parlammo in occasione della divisione di questo contado, era detto il marchese Lancia probabilmente per essere stato in gioventù lancifero o paggio dell’imperatore Fe- derico i (3). In occasione della guerra che nel finire del secolo xii sorse fra Asti unita ad Alessandria, ed il marchese di Monferrato collegato ai Lancia, agli Incisa, ai conti di Biandrate, e ad Acqui, Manfredo Lancia venne fatto prigioniero nel 1198 nel castello di Castagnole ove erasi rifuggito (“). Sconfitto poi in vari scontri il marchese di Mon- ferrato, questi ed il Lancia rinunciarono nel 1206 a tutte le loro pretese sovra Loreto (5). Nel 1211 ei rieonoscevasi ancora, vassallo di Guglielmo di Monferrato, e da esso riceveva investitura come quella avuta da Bonifacio di Monferrato nel 1196 (6). Ma prima del 1217 egli moriva, quasi intieramente spogliato del suo retaggio (7). Quanto ai suoi figli, Bianca fu amante e poi moglie dell’imperatore Federico n (8), e madre del re Manfredi. — Galvano Lancia fu nel 1241 vicario imperiale in Toscana, nel 1242 podestà di Padova, nel 1246 stratigoto di Messina: morto l’imperatore Fe- derico assistette in Napoli Manfredi che governava a nome del fratello Corrado re dei Romani, e Manfredi gli diede Bufera ed altre terre: fu poscia bandito dal re Corrado per gelosia di Manfredi; ma alla morte di quello rientrò in Italia e fu uno dei più intrepidi campioni, e dei più fidi consiglieri di Manfredi e poscia di Corra- « rnontaldum et montemclarum et boues, per has eiiim suprascriptas ingratitudines filium suum Bone- « facium incixie ut supra dictum est nominatim exheredavit ; » Sommario della Causa di Ferrania. Parte in, pag. 21. — Durandi. Il Piero. Cispad. p. 348. — MORIONDO, o e. il, col. 320. — Muletti-, o. c. i, 429. — San Quintino. Osserv. etc. 1, 99. Il documento originale è nel R. Archivio di Stato in Torino. Saluzzo. Cat. in, n. 4. (') Storia dei Musulmani in, pag. 226. La guerra del Vespro siciliano 1876, ii, pag. 160,164. (3) Sella. Pandetta delle gabelle e dei diritti della Curia di Messina. Miscellanea di Storia italiana edita per cura della regia Deputazione di storia patria. Tomo x, Torino 1870, pag. 133. (3) Si narra che in un suo viaggio Federico affidasse a Manfredo tuttora giovanetto imberbe la sua lancia, onde la serbasse asciutta, e che avendola Manfredo riportata intatta malgrado le pioggie dirotte che erano cadute, questi ne riportasse il nome di Lancia, ed il favore dell’Imperatore. Grassi, op. cit. i, pag. 161. — Fra Jacopo di Acqui. Mon. Hist. Patr. Script, in, col. 1574. (4) Schiavina. Annales Alexandrini. Mon. Hist. Patr. Script, iv, pag. 97. — Grassi. Storia d’Asti. i, pag. 134. (s) Cod. Mal. n. 31, 34,76. — Du- randi. Il Piem. Cispad. pag. 203. — Alfieri. Chron. Ast. — Della Chiesa. Descriz. ecc. i, f 166. (“) San Quintino, ii, pag. 199. — Manuel, op. c., pag. 148. — Della Chiesa, i, fol. 166. (7) Nel 1217 suo figlio Manfredo n trattava anche a nome dei suoi fratelli con Alba per Neive e Barbarisco. San Quin- tino. ir, pag. 207. — Manuel, pag. 136. (s). Fu lungamente disputato se Bianca fosse moglie legittima ovvero soltanto concubina di Federico. L’Huillard Bréholles (per citare uuo dei recenti autori) crede fuor di dubbio che le relazioni tra Federico e Bianca fossero legittimate da matrimonio, mentre Bianca era prossima a morte. Op. cit. Introd. pag. Clxxxiii e seg. Questa opinione è confermata dallo SCHIRR- MACHER, Kaiser Friedrich il, voi. IV, 488. 91 — dino; venne fatto conte di Fondi, conte del principato di Salerno, maresciallo del regno ed anche capitano generale; prese parte precipua alla battaglia di Benevento nel 1266; fu nel 1267 in Germania col fratello Federico a cercarvi Corradino; si trovò iu prima fila a Tagliacozzo nel 1268, ed anche nella fuga seguì l’infelice ed eroico giovane Svevo, col quale venne fatto prigione per il tradimento di Frangi- pane: Galvano ed il figlio Galeotto furono decapitati, ed il genero Corrado appeso al patibolo (*). — Manfredo n vicario imperiale e capitano dell’impero nell’Italia superiore, podestà di Alba, di Alessandria e per tre anni di Milano (s), fonda Cherasco, costi- tuisce Fossano in comune; ha in dono dall’Imperatore le avite terre, ed altre ne prende al marchese di Monferrato; è costretto a riconfermare nel 1246 ad Asti la cessione del contado di Loreto (3), ma nuovamente se ne impossessa, e dopo la morte di Federico n quasi tutto riperde: è dichiarato ribelle dal re Corrado nel 1253: finalmente nel 1255 ritenta la fortuna coi Cheriesi, che il fanno loro capitano, e si legano al conte Tommaso n di Savoia, ma è con essi disfatto e viene ucciso presso Moriondo nel 1256 (’*). — Federico unitamente al fratello Galvano seguitò valorosamente e fedelmente il re Manfredi e Corradino: conquista per Manfredi la Calabria e Messina, fu suo viceré in Sicilia ed in Calabria; nel 1268 comandava la flotta Pisana, e dopo la morte di Corradino com- battè nel 1270 sotto la bandiera del Re di Tunisi contro i Crociati comandati da s. Luigi. Manfredo in, figlio di Manfredo n Lancia seguitò anch’esso il re Manfredi, a cui favore combattè in terra d’Otranto. L’anno susseguente ai vespri siciliani, cioè nel 1283 assediava il castello di Malta per il re Pietro di Aragona, e fu con Gio. di Procida ambasciatore del re Federico di Aragona presso Bonifacio vili. Corrado Lancia, figlio del mentovato Galeotto dopo la decapitazione del padre e del nonno si rifugiò in Ispagna, ove fu ammiraglio di Pietro d’Aragona: con esso tornò in patria, poi fu cancelliere di Sicilia nel 1296 ('), indi mastro di giustizia: ebbe parecchi feudi in Sicilia, e da esso provengono due delle più illustri attuali famiglie siciliane, quelle dei di Brolo, e dei principi di Trabia. Fra i del Carretto l’Enrico Guercio, di cui già parlammo, trovasi nel 1162 presso l’imperatore Federico i alla distruzione di Milano, nel 1175 è suo cancelliere alla pace di Costanza, nel 1183 trovasi nuovamente presso di lui ai preliminari di pace in Piacenza. Nel Codice Malabaila, e più precisamente in un documento di quasi un secolo dopo, cioè del 29 dicembre 1268 (ò) (n. 949), il re di Sicilia. Carlo d’Angiò, denuncia agli Astigiani Manfredo del Carretto, per avere condotto Corra- dino di Svevia per terram suam in servicio saracenorum de luceria ... cuna suo exércitu venientem et receptando eundcm, onde non diano favore ed aiuto nè a lui, nè ai figli di Giacomo del Carretto, i quali erano pure stati favorevoli all’ infelice Corradino: mentre invece raccomanda alla loro attenzione Guglielmo e Bonifacio del (') Fedebico Lancia. Galvano Lancia. Studio biografico. Archivio storico siciliano. Nuova serie. Anno 1, 1876. {") San Quintino, o. c. ii, pag. 208 e seg., 220 e seg. (3) Id. ib. pag. 231 — Della Chiesa, o. c. i, fol. 161. (') Ventura, cap. xvi. — Cibkario. Storie di Chieri, lib. ii, cap. ix.— Tenivelli. Biografia piemontese. Decade nr. (’) Sella, op. c., pag. 131. (') 11 doc. n. 949 è del 29 dicembre 1268 col calendario odierno, ma con un calendario, nel quale l’anno e l’indizione abbiano principio col 25 di- cembre sarà del 29 dicembre 1269, e di indizione duodecima. Però nel paragrafo 17 di questa nota il doc. n. 949 venne per errore annoverato fra quelli in cui vi è discordanza di indizione e mancanza di giorno, e deve invece essere posto fra quelli per cui vi è concordanza di indizione e mancanza di giorno. — 92 Carretto, i quali erano stati di parte sua. Malgrado ciò i figli di Giacomo del Car- retto, e Manfredo del Carretto vennero introdotti, tanto per parte di Asti che del re Carlo, nella tregua tra essi pattuita l’il dicembre 1269 ('). Ci siamo fermati sovra queste considerazioni per confermare quanto bene si appo- nesse il nostro collega Amari nel rilevare la importanza delle relazioni fra gli Alera- mici e la Sicilia, e per invogliare gli studiosi dell’ Italia meridionale ad estendere codeste ricerche. Tanto più opportuno ci parve il farlo, giacche il Codice Malabaila somministra moltissimi dati sulle famiglie piemontesi di quei tempi. Già il de Guber- natis (2) ha dimostrata l’affinità del dialetto di Piazza, Nicosia, Sanfratello e Aidone col monferrino: ci sembra che si dovrebbero ora fare indagini simili sui nomi delle famiglie private, e non ci meraviglieremmo se si ottenessero risultati analoghi a quelli che si ebbero mediante le ricerche sulle famiglie principesche. Ci siamo chiesto qualche volta se la emigrazione piemontese in Sicilia che tenne dietro alle ardimentose iniziative degli Àleramici, non dovesse dar luogo ad una con- trocorrente, se non di emigrazione propriamente detta, almeno di parziali invii di prodotti e di persone dalla Sicilia in Piemonte. E ricordando a questo proposito come nel percorrere le Alpi piemontesi, laddove si trovano antichissimi lavori di miniere, spesso ci venne fatto di udire che secondo le tradizioni locali quelli erano opera dei Saraceni , ci domandammo se dalla Sicilia fossero stati mandati al Settentrione, per insegnare certe arti, taluni di quei Musulmani che l’Amari così dottamente ed ele- gantemente ci dipinge, per molti rispetti, quali maestri di civiltà. Invece dobbiamo noi ritenere col Raverat (3) che l’epiteto di Saraceni che spesso si trova nei nomi di località della Francia meridionale, derivi dal Celtico Caer, Cer, Sar, Ser, vale a dire Roccia, e significhi più che altro roccioso , montagnoso, e dobbiamo anzi traspor- tare l’epiteto alle persone? Il certo si è lavori di lunga lena ed aleatori come quelli delle miniere mal si connettono colle scorrerie che da Frassineto facevano nelle Alpi i Saraceni dall’ 887 al 970. Ma troppo lungi dal Codice Astese si andrebbe ove si volesse entrare nella controversa quistione dei Saraceni nelle Alpi dai quali si vuole oggi derivare nientemeno che la dinastia di Savoia (5). 23. Relazioni fra Asti e la Casa di Savoia. L’argomento che, mentre percorrevamo il Codice, maggiormente eccitò la nostra curiosità, fu quello delle relazioni della dinastia Sabauda con la repubblica di Asti. Locchè avveniva non tanto per la nota importanza dei fatti, che vi si connettono, quanto per l’interesse che vi ha nel rintracciare le cause per le quali, mentre la potente repubblica piemontese, dopo breve tempo traeva a rovina, l’augusta famiglia chiamata dalla sua virtù a condurre l’Italia all’ unità ed alla libertà, cresceva il suo dominio e la sua azione al di qua delle Alpi. Il codice Malabaila somministra alla storia dei principi Sabaudi un ragguarde- vole contingente di documenti, che avemmo cura di completare nell’ appendice con (’) Cod. Mal. doc. n. 946. (2) Politecnico di Milano, giugno 1867, pag. 609 e seg. (’) Maures et Sarrasins. Mémoires de la Société littéraire historique et archéologique de Lyon 1874-75, pag. 329. (‘) Vedi una bibliografia abbastanza completa nella Memoria del prof. Richter: Die Saracenen in den Alpen. Zeitscluift des Deutschen und Oesterreichiscben Alpenvereins. Redigirt von Th. Tvantwein. Iahr. 9, 1880, Hest. 2, pag. 221. (’) Dionisotti. Storia della Magistratura Piemontese. 1881. Voi. i, p.14. altri atti, che il cav. Yayra trasse dagli archivi di Torino e di Moncalieri, e che ci volle con la consueta sua cortesia comunicare. In 27 documenti del Codice si tratta o si fa menzione della Casa di Savoia; di essi 21 sono, per quanto noi sappiamo, inediti (i numeri 7, 266, 271, 623, 656, 657, 658, 660, 687, 688, 689, 904, 906, 907, 927, 928, 931, 940 a 943), 5 fu- rono già pubblicati (i numeri 4, 264, 707, 903, 905), ed uno (il n. 696) fu pub- blicato solo in piccola parte. Sono 22 i documenti raccolti nell’Appendice, e relativi alla casa di Savoia (i numeri 1011, 1013, 1016, 1018, 1019, 1026 a 1034, 1039 a 1044, 1050, 1051): essi sono tutti inediti, e solamente tre (i numeri 1018, 1019, 1026) erano già stati ricordati da altri autori. Per dare idea più chiara della parte della storia della Casa di Savoia, che 'e illustrata dal Codice e dall’Appendice, ed anche perchè nell’Indice delle persone men- zionate nel Codice e nell’Appendice vennero, per ciò che riguarda i Sabaudi, com- messi molti errori, indichiamo nel seguente estratto dell’Albero genealogico del Cibrario (‘) i principi Sabaudi, a cui si riferiscono i nostri documenti, ed i numeri dei documenti in cui se ne fa menzione. Umberto II il Rinforzato Cod. Mal. n. 707 f 19 ottobre 1103. Amedeo III n. 1095 30 marzo 1148 b Umberto III il beato n. 1129 circa Cod. Mal. n. 623 f 4 marzo 1189. b Tommaso I Vicario imp. in Italia n. 1178 circa Cod. Mal. n. 7, 1011, 656, 657, 688, 696, 658, 060, 689, 931, 1013, 904 t 1 marzo 1233. 1 Pietro II il piccolo Carlomagno conte di Savoia dal 1263 Cod. Mal. n. 905, 1018, 1019 f 16 maggio 1268. Amedeo IV Cod. Mal. D. 656, 658, 687, 1016, 903, 904 + 13 luglio 1253. Tommaso II Vicario imp. in Lombardia conte di Fiandra Cod. Mal. n. 1016, 903, 904, 15c, 940 al 943, 905, 1018, 1019. 906 t 7 febbraio 1259 M. (a) Giovanna c.a di Fiandra (b) Beatrice Fiescbi Cod. Mal. n. 906. Bonifacio n. 1244 circa Cod. Mal. n. 904, 264, 266 T 7 giugno 1263. Tommaso III Cod. Mal. n. 271, 907. f 16 maggio 1282. Amedeo V il Grande conte di Savoia dal 1285 Cod. Mal. n. 1026 al 1034, 927, 928, 1039 al 1043, 4 f 16 ottobre 1323. Filippo principe di Acaia n. 1278 Cod. Mal. n. 1050, 1051, 1039 al 1041, 4, 1043, 1044. t 23 settembre 1334. Odoardo conte di Savoia + 1329. Aimone conte di Savoia t 1343. b Amkdeo VI il Conte verde Filippo I eletto di Lione poscia conte di Savoia dal 1268 Cod. Mal. n. 1018, 1019, 271 f agosto 1285. T Ludovico I sire di Vaud + 1302. Ludovico II t 1350. Sono undici i principi ed una la principessa Sabauda, più o meno direttamente menzionati nei documenti del Codice o dell’Appendice, cioè : C) Origine e progressi delle istituzioni della Monarchia di Savoia 1869. — 94 (A) Umberto n nel 1098. (B) Umberto in tra il 1154 ed il 1159. (C) Tommaso i dal 1210 al 1232. (D) Amedeo iv dal 1224 al 1252. (E) Tommaso n dal 1245 al 1257. (F) Bonifacio dal 1255 al 1261. (G) Beatrice Fiescbi vedova di Tommaso n, nel 1268. (H) Pietro il nel 1257. (I) Filippo i dal 1257 al 1278. (K) Tommaso ni nel 1278. (L) Amedeo v dal 1290 al 1311. (M) Filippo d’Acaia dal 1301 al 1311. (A) Il documento più antico, che a noi si presenta, è il trattato concluso dagli Astigiani col conte Umberto n ai 25 luglio del 1098 (doc. n. 707). Di questo atto importantissimo si conoscevano già due testi poco dissimili: F uno, conservato da Monsignor Della Chiesa nella sua manoscritta Descrizione del Piemonte, venne pubblicato ed illustrato dal Durandi ('), e ripubblicato dal San Quintino (5); l’altro, pubblicato dal Muletti (3), eragli stato comunicato dal Meyranesio come estratto dal Libro verde della città d’Asti. Quasi tutti i nostri storici fanno menzione di questo documento, ma se taluno come il Cibrario (’*) l’accolse come degno di fede nelle varie sue opere, il San Quin- tino lo giudicò sospetto, e di poca, o minore autorità per la storia (2). Il nuovo testo, che si presenta nel Codice Malabaila, mentre ha . il pregio di essere più corretto, ne cresce d’assai l’autenticità, e toglie fede alle dubbiezze, con cui se ne voleva infirmare il valore storico. (B) Secondo i patti tra Asti ed il marchese di Monferrato stabiliti nel docu- mento n. 623, che è senza data, il Marchese deve ricuperare i carcerati astigiani che tiene il conte di Moriana, ed inoltre aiutarli a riavere ciò che vi hanno perduto. Per ciò che concerne il marchese di Monferrato, il documento si riferisce indub- biamente a Guglielmo iv il vecchio (m. 1183), giacche vi si fa non solo il nome suo, ma anche quello di due dei suoi figli Corrado (m. 1192) e Guglielmo v (m. 1179). Si parla inoltre della venuta in Italia dell’imperatore Federico, il quale venne sei volte in Italia, 1° nel 1154; 2° nel 1158; 3° nel 1163; 4° nel 1166; 5° nel 1174; 6° nel 1184 (°). Il nostro documento è quindi compreso tra il 1154 ed il 1179, e si riferisce perciò ad Umberto ni, che fu conte di Savoia dal 1148 al 1189. A termini dei patti del documento n. 623, il marchese Guglielmo debbe pro- cacciare ad Asti la grazia dell’Imperatore. Ora questa città fu rovinata da Barba- rossa nel 1155, e si mise poscia dalla parte sua, tantoché da lui ottenne nel 1159 importanti concessioni (c). Nel 1164, secondo il Grassi (7), Asti avrebbe avuto danni gravissimi dall’esercito imperiale, ma questa notizia deriva da fonti troppo sospette (') Piemonte cispadano antico, pag. 346. (") Osservazioni critiche ir, 33. (’) Storia di Saluzzo I, 398. (') Storia di Chieri i, 27, 479. Storia della monarchia di Savoia i, 171, 172. Delle Istituzioni della Monarchia di Savoia il, 14. Economia politica del medioevo i, 65. (s) Ficker, Forschungen zur Reichs und Reelitsgeschichte Italiens in, 524. (') Cod. Mal. doc. n. 6. (7) Grassi, Storia d’Asti i, 108. — 95 — ed il Bòhmer (') attribuisce al 1163 od al 1164 una concessione di Barbarossa ai fedeli Astigiani per il preclaro ed onesto servizio da loro frequentemente reso. Nel 1168 Asti si associò alla lega lombarda, e nel 1174 dopo brevissimo as- sedio fu ripresa da Barbarossa, ma la gagliarda resistenza di Alessandria, e poscia la battaglia di Legnano nel 1176, per qualche tempo posero termine ai travagli delle città italiane. Sicché Asti può aver cercata la grazia dell’Imperatore dal 1155 al 1159, o dopo il 1164. Nel 1154 il marchese di Monferrato ebbe guerra con Asti, o terga ver tit con- fusus (2). Forse che il conte Umberto in ebbe parte in questa guerra? il Grassi (3) narra che il Conte, quando il Barbarossa venne la prima volta in Italia, era in Pie- monte, e rimase offese come lo furono i Torinesi, per le concessioni imperiali al vescovo di Torino. Aggiunge che Asti e Chieri aiutarono in quella circostanza i To- rinesi, ma dai nostri storici nulla si sapeva di conflitti tra il conte Umberto ni e gli Astigiani. (C) Molto più numerosi ed importanti sono i documenti che si riferiscono a Tommaso i, il quale fu indubbiamente uno dei piu notevoli personaggi della sua di- nastia, come quegli, che potentemente contribuì a ristorarne la fortuna, le procurò l’affetto dei popoli con molte largizioni di franchigie comunali, ed efficacemente si adoperò ad estendere la sua azione al di qua delle Alpi. Ed è appunto sovra le sue opere in Italia, che il codice Malabaila getta nuova e preziosa luce. Narrano i cronisti ('*) come il conte Tommaso con buon nerbo di armati muo- vesse contro Pinerolo, che, mal soddisfatta della signoria dell’ Abate di S. Maria, senz’ altro gli aprì le porte. Munito Pinerolo, cavalcò contro Yigone, e presolo di forza, pose l’assedio a Carignano, che dapprima resistette, ma poscia capitolò. Edi- ficata una rocca presso al ponte di Carignano, portò l’assedio a Moncalieri, che dopo lunga difesa si arrese. Si rivolse ariora il Conte contro Torino, e l’assediò invano, cosicché eretta nei suoi pressi una bastita onde tagliare il passo ai soccorsi del mar- chese di Monferrato, il quale era alleato dei Torinesi, si ritrasse nuovamente a Moncalieri, ove morì. Alle narrazioni dei cronisti contraddisse il Guichenon (“), osservando; che Pi- nerolo già faceva parte del marchesato di Susa posseduto dal conte di Savoia: che Yigone fu acquistato da Tommaso non per conquista, ma a titolo di permuta nel 1212 : che Carignano non poteva appartenere al conte di Savoia, mentre spettava ai mar- chesi di Romagnano ; finalmente che Moncalieri in quel tempo non era peranco edi- ficata. Per ciò che concerne Pinerolo, prima del Guichenon, Monsignor Agostino Della Chiesa (6) aveva affermato, che solo nel 1242 essa era stata ceduta dai monaci di S. Maria al conte Amedeo iv, figlio di Tommaso. Lo Sclopis, che studiò accuratamente la vita di Tommaso i (7), e si propose « di accertare alcuni punti principali della vita di lui » cercò di chiarire le imprese (') Acta imperii selecta,153 Cocl. Mal. doc. n. 15. (:) G. Ventura , Memoriale de gestis civium astensium : antiqui actus Lomhardorum, ap. Murat. Rer. Ifcal. T. xi, col. 190 e Mon. hist. pat. Script, in, col. 733. — Grassi, 1. c. i, 100. (’) L. c. i, 102. (’) Chroniques de Savoye, Mon. hist. pat. Script, i, 139-40. (s) Histoire génóalogique de la R. Maison de Savoye i, 247 e seg. (s) Corona Reale. Cuneo i, 191. (7) Considerazioni storiche intorno a Tommaso i conte di Savoia, con aggiunte di documenti inediti. Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino xxxiv, 57 e seguenti. — 96 — guerresche con cui « s’adoprò per tutto il corso del viver suo » per far trionfare il disegno clic aveva concepito di « procacciarsi più fermo stato in Italia (') ». A vincere gli ostacoli che gli opponevano il marchese di Monferrato e le repubbliche circostanti, ebbe precipuo ausilio dal suo grande valore ed accorgimento, e dalle divisioni dei Comuni, i quali dovettero « temer sovente il suo sdegno, e talvolta implorare la di lui protezione (2) ». L’illustre scrittore pose anzitutto in rilievo la spedizione del 1215 taciuta dai cronisti (3), allorché il conte Tommaso alleato dei Milanesi assediò e prese Casal S. Evasio, ma quanto agli altri fatti si attenne piuttosto ai cronisti che ai loro con- tradditori. Egli notò che comunque Pinerolo avesse fatto parte del patrimonio della contessa Adelaide, ciò non toglieva che tosse poscia occupata dai monaci di S. Maria, e che del resto la opinione del Della Chiesa era contraddetta dagli statuti di Pinerolo del 1220, dai quali risulta che il conte Tommaso ne aveva allora la signoria. Sopra Tigone osservò, che l’averlo egli avuto nel 1212 non impediva ulteriori ribellioni; anzi uno dei cronisti attribuiva taluna delle calate di Tommaso in Italia, all’essersi i suoi popoli di Piemonte levati a rumore. Notò che Carignano, se feudo dei Eomagnani e dei Provana, poteva ancora essere sotto la suprema signoria del conte Tommaso, e che l’espugnazione di Moncalieri era avvenuta nel 1233, dopo che distrutta Testona, quella città già era sorta. Intorno all’assedio di Torino tutti concordano. Lo Sclopis (4) chiamò l’attenzione sopra un fatto importante, al quale gli storici avevano troppo brevemente accennato, cioè il trattato concluso il 10 giugno 1225 tra il conte Tommaso ed i Genovesi alleati degli Astigiani, per la loro guerra contro gli Alessandrini ed i Vercellesi. Trattato che lo Sclopis per la prima volta pubblicò con altri pregevoli documenti. Il conte Tommaso prometteva di venire in servizio dei Genovesi con centottanta uomini d’arme, borgognoni (3), armati di tutto punto, forniti ciascuno di quattro o più, od almeno di tre cavalli, e dei necessari scudieri. Ottanta di questi uomini sarebbero fra breve in Asti condotti da tre capitani; il Conte stesso li avrebbe senza indugio seguiti con gli altri cento, e rimarrebbe a guerreggiare per tre mesi. Il comune di Asti si rendeva mallevadore pel Conte, obbligandosi in suo difetto di restituire ai Genovesi il denaro che gli avessero pagato. Il soldo era di cinquanta lire genovesi al mese per i capitani, e di dodici pei cavalieri coi loro servienti. Al Conte si darebbe ciò che il podestà di Asti avrebbe giudicato conve- niente. Il Conte avrebbe i cavalli e le armi dei nemici presi in guerra, e rimette- rebbe i prigionieri al Comune, che li pagherebbe cinquanta lire per ogni podestà, e dieci soldi per ogni altro. Il Conte mandò le genti assoldate, ma non potè capitanarle, perchè infermo. Il Cibrario trattò pure con molta diligenza di Tommaso i, e ne espose le gesta per ordine di tempo. Dopo avere accennato ad una sua lega con Chieri e con Te- stona coutro Torino verso il 1200 (c), egli espone i fatti, che, per quanto riguarda l’Italia, brevemente riassumiamo. Nel 1207 ottiene dall’imperatore Filippo la investitura di Chieri e di Testona (7). (') Considerazioni storiche, cit. 59. (s) L. c. 60. (“) L. c. 65. (*) Ibid. 68, 69, 89. (5) Borgognoni dicevansi allora gli oltramontani di Savoia e Svizzera per memoria dell’ antico reame di Borgogna. Cibkario. Storia della Monarchia di Savoia i, 282. (6) Storia della Monarchia di Savoia i, 243. (/) Ibid. 253. — 97 — Nel marzo del 1210, va ad incontrare fino a Ferrara l’imperatore Ottone iv, e nel luglio lo accompagna a Torino (’). Nel 1212 dall’Abate di S. Giusto ottiene Vigono in cambio di altre terre e diritti (2). Nel 1213 col marchese di Saluzzo fa lega contro tutti, salvo l’Imperatore, ma nel 1215 essendosi la vedova Alasia di Saluzzo e il marchese di Monferrato rivolti a favore di Federico n e contro Ottone iv, Tommaso i fa lega coi Milanesi e Vercellesi, espugna Casale, costringe nel 1216 la tutrice del marchese di Saluzzo a venire a patti, e si fa da essa restituire l’alta signoria di Barge, Koncalia e Fontanile (3). Nel 1217 rende suo vassallo il marchese di Busca, per i castelli di Busca e di Scarnafigi (4). Nel 1220 Pinerolo gli apre le porte, non appena egli vi si accampa. Espugna Vigono che dopo il 1212 gli si era ribellata e gli si arrende pure Carignano. Promulgò uno statuto per Pinerolo con quella larghezza, che, fin dall’inizio del suo regno, aveva dimostrato per Aosta e per Susa (s). Nel 1222 Torino ed il suo vescovo fanno lega col marchese di Saluzzo, ed alcuni castellani del Piemonte, perlocchè il conte Tommaso adirato si portò con le sue genti a Borgo S. Daìmazzo e se ne impadronì, mentre Vignolo e Bernezzo si accostavano alla parte sua. Fatta poscia la pace nel 1223, il marchese di Saluzzo gli prestò omaggio per gli antichi feudi e per Busca e Bernezzo (G). Nel 1224 il Cibrario altro non indica del conte Tommaso, che la sua guerra col vescovo di Sion, e la sua gita a Lione nel dicembre, onde comporre le differenze coi signori di Thoyre e di Villars (7). Nel 1225 nota il trattato coi Genovesi pubblicato dallo Sclopis. Nel 1226 il conte Tommaso è da Federico n nominato vicario imperiale per tutta l’Italia: ed in questa qualità ha poi la signoria temporanea di Savona e di Albenga, ove personalmente si recò (8). Nel 1228, Torino, Pinerolo, Testona ed il Delfino viennese aderiscono alla Lega lombarda, per le contese tra l’Imperatore ed il Pontefice risorta a novella vita, e si propongono di far passare i mercatanti di Genova , Chieri ed Asti per Testona , Torino e Pinerolo. Gli Astigiani ed i Cheriesi presero e distrussero dalle fonda- menta Testona, paurosamente abbandonata dai suoi abitanti, i quali edificarono poscia Moncalieri. Ad Asti e Chieri si collegarono il conte di Savoia, ed i marchesi di Monfer- rato e di Saluzzo. L’ anno seguente i Milanesi, e le ventitré città loro alleate, mandano un forte esercito, capitanato da Uberto da Ozino, che fa guasti nel Monferrato, nell’Astigiano e nel Saluzzese, ma venuto alle mani col conte di Savoia, perde la battaglia ed il suo duce (9). Nel 1232 tornò il conte Tommaso in Piemonte, pose il campo a Moncalieri, che forzò alla resa, e tentato l’assedio di Torino, dovette rifugiarsi infermo a (’) Storia della Monarchia di Savoia i, 256. (5) Origine e progressi della Monarchia di Savoia ir, 25. H Storia della Mon. cit. 256-59. ('“) Ibid. p. c. (5) Ibid. 263-69. (s) Ibid. 270-74. (7) Ibid. 275-80. 0 Ibid. 283. H Ibid. 293, 296. 13 98 Moncalieri, ove morì nel 1233. Nota però il Cibrario, che di questi ultimi fatti consta non da documenti, o dalle narrazioni dei contemporanei, ma dalla tradizione dei cronisti ('). Esaminiamo ora le notizie, che ci somministra il nostro Codice. Nel giugno del 1210 il conte Tommaso si trova in Alba coll’ imperatore Ot- tone iy (doc. n. 7); ed è singolare che Tommaso è qualificato dux Sabaudie, mentre solo nel 1414 la Savoia fu eretta a ducato , e solo nel febbraio del 1238 ebbe il conte di Savoia titolo di duca per la erezione del Ciablese in ducato accordata dal- l’imperatore Federico n (2). Nel 1224, mentre gli storici d’altro non sanno, che della guerra del conte Tom- maso nel Vallese, e della sua gita a Lione nel dicembre, risulta dal Codice che egli era in Asti il 19 maggio, il 13 settembre, ed il 3 ottobre, e vengono in luce fatti importanti intieramente ignorati. Un primo documento del 19 maggio (n. 696) ci mostra il conte Tommaso pre- sente alla stipulazione del trattato di pace tra Asti ed il marchese di Saluzzo, il quale ne giura l’osservanza per autorità, precetto e volontà del vescovo d’Asti e del conte Tommaso che se ne rendono garanti. Il principio di questo trattato esi- stendo nel frammento torinese del codice di Ogerio Alfieri, venne pubblicato dal Moriondo e dal Muletti, ma egli è solo nella parte ivi deficiente, che si parla del conte Tommaso, sicché gli storici non ne poterono sospettare l’intervento. Con questo trattato il comune d’Asti reclama, dal marchese di Saluzzo, il pagamento di fodri non soddisfatti da trentatrè anni, e 1’ osservanza di antichi patti trascurati ; inoltre il Marchese non solo si rimette nella antica condizione di vassallo per Saluzzo, B,o- manisio, Castiglione, Lequio, per i fodri o le albergane, ma cede la sovranità di Carmagnola, che riceve da Asti come vassallo in feudo. Per quali cause il marchese di Saluzzo torna a riconoscere, sovra tanta parte del suo dominio la sovranità d’Asti sebbene da tanti anni tenuta in non cale, ed anzi cede la signoria di una terra im- portante come era quella di Carmagnola? Una domanda analoga dovremo farci tra poco relativamente allo stesso conte Tommaso. Ai 13 settembre dello stesso 1224 (doc. n. 656) Tommaso conte di Savoia e marchese in Italia, interviene in Asti ad una pubblica concione, che si tenne nel mercato del Santo. Ivi si pattuisce quanto segue: Il conte Tommaso dona e trasmette a Pagano di Pietrasanta, podestà di Asti, e ricevente a nome del Comune, il dominio e la proprietà di Bra e di Fontane, con ogni diritto e giurisdizione, e con tutti gli uomini appartenenti a detti luoghi, 'e specialmente la fedeltà dei signori e degli uomini che ivi possiede, senza obbligo al Comune di ridarli in feudo al Conte, il quale si impegna anzi di far rinunziare Gratapaglia ad ogni dritto che abbia in Fontane (vedi doc. n. 657,659). — Parimente cede e dona al Comune il dominio e la proprietà di Carignano, di Tigone e di (’) Cibkakio. St. della Mon. i, 301. (’) Id. o. c. li, 30. Del titolo eli duca dato a’ principi della Casa di Savoia, come titolo di onore anzi che di dominio si hanno però già due esempi anteriori. S. Pier Damiano chiamò dux la contessa Adelaide ed Umberto u è detto magnus dux nella con- venzione con Asti del 1098. — 99 — Cumiana, con tutti i diritti, le giurisdizioni, gli onori, e coll’ obbligo di far giurare ad Asti fedeltà dai castellani e dagli uomini di Tigone (vedi doc. n, 689) e dai si- gnori e dagli uomini di Carignano e di Cumiana. Il Comune per contro investe il Conte di questi luoghi in feudo gentile, sicché i signori di esso dovessero giurare fedeltà al Conte, salva la fedeltà ad Asti, e gli uomini giurando fedeltà ai signori avessero obbligo di far salva la fedeltà ad Asti. Promette il Conte di far giu- rare quei di Carignano fra tre anni, o prima se potrà, ed intanto avrebbe fatto prestar giuramento di fedeltà ad Asti dai suoi uomini di Cavour e di Miradolo, i quali ne rimarrebbero vincolati fino al giuramento di quei di Carignano. Avvenuto il quale Asti avrebbe prestato man forte ai signori di Carignano, onde i loro uomini non ne abbandonassero le terre e non avrebbe senza il consenso del Conte e dei si- gnori tollerato, che Carignano crescesse oltre cinquecento fuochi (Temevano forse che diventando una terra troppo cospicua si ordinasse a maggior libertà, o paven- tava il Conte che Asti avesse l’alta signoria di una troppo grossa terra a sinistra del Po?). Inoltre il conte Tommaso giura e promette di ricevere in feudo gentile da Asti tutta la sua terra del contado e marchesato, la quale è o fu sua o dei suoi prede- cessori, che egli ora non tiene, od i cui possessori gli sono od appaiono contrari, e specialmente gli alleati dei Torinesi al di qua dei monti. Sicché quando egli dopo la attuale donazione ricuperasse Cirié ( Ciriatd ), Piossasco, Barge, Bagnolo, Pinerolo e tutte le altre terre che ora non tiene, ma spettano al contado e marchesato, debba farne fedeltà ad Asti salva la fedeltà all’ abate di Pinerolo per questa città. Pari- mente niun nuovo luogo si erigerà in detto contado e marchesato senza volontà del Conte e di Asti, ed erettolo deve il Conte tenerlo in feudo da Asti e giurargliene e far- gliene giurare fedeltà. — Se il Conte colla volontà ed aiuto d’Asti facesse al di là del Po, e verso i monti, acquisti non compresi nel contado e marchesato, la metà di essi gli sarebbe concessa dal Comune in feudo, e l’altra metà rimarrebbe di proprietà assoluta d’Asti. Non deve poi il Conte nulla acquistare al di qua del Po verso la città ed il vescovado d’Asti, né verso il marchesato di Saluzzo, senza consenso del Comune, salvo i dritti dei contraenti in Boves. Come parimente Asti nulla acqui- sterà nel contado e marchesato senza volontà del Conte. — Egli non potrà far pace o tregua con Torino, senza che Asti vi sia inclusa, anzi dia il suo consenso. Inoltre esso conte Tommaso, o suo figlio Amedeo, dovrà essere cittadino d’Asti, e fra sei mesi comprarvi una casa di valore non inferiore a lire duecento, con obbligo di non venderla, e di pagarne ove occorra il fodro valutato sovra le suddette due- cento lire. Sono stabiliti patti , che per il commercio d’Asti avevano grande importanza , relativamente alla strada da Susa ad Asti ed alla condotta del Po in Asti, ma se ne parlerà nel paragrafo relativo alle strade. — Il Conte dovrà difendere gli Astigiani e le cose loro, e quando non siano debitori o fideiussori, non dovrà lasciarli mole- stare da chicchessia sotto qualunque pretesto, e specialmente con quello che gli Asti- giani non osservassero i patti stabiliti. Come pure nel caso che qualcuno di essi venisse a morte nel contado o marchesato dovrà il Conte far sì che i beni vadano libera- mente agli eredi, malgrado ogni contraria consuetudine. 100 Finalmente il Conte, ecl i suoi figli laici maggiori di quindici anni, ed i suoi baroni che ne fossero richiesti da Asti, ed i suoi uomini al di qua dei monti, giu- reranno gli uni di osservare, e gli altri di dare aiuto e consiglio perchè sia osser- vata la convenzione stabilita (vedi doc. n. 658, 660). Secondo il doc. n. 656 il Conte giura di osservare, e Guglielmo di Villetta giura di dare aiuto e consiglio, perchè sia osservata tale convenzione. Vi ha poscia il testo letterale del giuramento prestato lo stesso giorno dal Conte (doc. n. 688), allorquando il podestà d’Asti, in plenaria credenza e pubblica conclone tenuta pure nel mercato del Santo, gli dà la investitura di Vigone, di Cariguano e di Cumiana. — Giura sui vangeli esso Conte di essere in perpetuo fedele al Comune ed agli uomini d’Asti, come vassallo al suo signore, di non partecipare ad atto o consiglio per cui alcun Astigiano perda la vita, un membro, la libertà, o riceva molestia; di distornare ogni danno che agli Astigiani si minacciasse, e non potendolo di farne avvertiti i rettori del Comune : di aiutare Asti a tenere le terre di cui è o venisse in possesso , ed a ricuperarle in caso di perdita , specialmente per Vigone , Carignano e Cumiana ; di far pace o guerra di tali località col Comune o senza, contro chiunque, in qual- siasi luogo, ed in qualunque tempo Asti vorrà; di non vietare detti luoghi guarniti 0 sguarniti al Comune od a chi per esso, anzi di consegnarli ogni qualvolta esso Comune li vorrà. Questi atti sono di tale gravità, e ci fanno vedere il conte Tommaso i sotto un aspetto così diverso da quello che appariva sin qui dalla storia, che al lettore desi- deroso di essere anzitutto premunito contro ogni sospetto sulla loro autenticità sarà gradito il conoscere che vi sono nel Codice e nell’Appendice altri documenti inediti, 1 quali indubbiamente li confermano e ne costituiscono il complemento. Ai 3 di ottobre del 1224 (doc. n. 657) il podestà d’Asti richiede il conte Tom- maso di far giurare fedeltà al Comune da Ottone Boverio (del quale lungamente si parlò nel § 21), per tutto ciò che in Bra egli tiene dal Conte di Savoia. Sembra pure doversi attribuire al 1224 un documento trovato dal cav. Vayra nell’archivio torinese (Appendice n. 1011), per cui Alba si lagna che il Comune di Asti non osservò i patti in parecchi acquisti da esso fatti, e segnatamente nell’acqui- sto di Carmagnola, Lequio e Castiglione (sarebbe per lo appunto l’acquisto di cui si parla nel trattato col marchese di Saluzzo del 19 maggio 1224 (doc. n. 696), che testé ricordammo), et in acquisto comitis Sabaudie. Ai 27 marzo del 1225 il conte Tommaso era già di ritorno da oltralpi, ed alla sua presenza nella pubblica credenza tenuta in Asti nella chiesa di S. Giovanni, e per sua volontà, Nicola di Bernezzo, castellano di Vigone, giura fedeltà ad Asti per Vigone, quale nobile vassallo al gentile suo signore (doc. n. 89). Ai 6 di maggio dello stesso anno (doc. n. 658), nella pubblica credenza di Asti tenuta nella chiesa di S. Giovanni del Duomo, Amedeo, figlio del conte Tommaso di Savoia, giura di osservare i patti stabiliti dal suo padre il 13 settembre 1224. In tal modo si adempie uno dei patti importanti stabiliti in tale convenzione (doc. n. 656) e del quale abbiamo a suo luogo fatto cenno. Nel successivo 16 maggio, e nei campi di Torino, presso la Chiesa di S. Gosmario: 1. Aimone e Uberto di Seysello, e Uberto di Villetta giurano di dare aiuto - 101 — e consiglio al conte Tommaso ed ai suoi figli per l’osservanza della suddetta con- venzione del 13 settembre 1224 (doc. n. 660); ed in tal modo riceve nuova appli- cazione la promessa fatta dal Conte di far giurare i suoi baroni. 2. Gratapaglia, ed il suo suocero marchese Enrico del Carretto rinunciano ad ogni loro diritto ed azione sovra Fontane (doc. n. 659); rinuncia che era anche tra i patti della convenzione del 13 settembre 1224. Per completare l’ordine cronologico dei fatti, ricorderemo che al 10 giugno 1225 ebbe luogo in Asti il trattato tra il conte Tommaso ed i Genovesi, che lo Sclopis pose in tanto rilievo. Avvi poi nel Codice un documento (n. 931) del 1° dicembre 1225, per il quale il conte Tommaso ed altri sono nominati arbitri sulle divergenze tra Asti, ed En- rico (n) marchese di Savona. Il complesso di questi documenti, e segnatamente la convenzione del 13 set- tembre 1224, non ci raffigurano nel conte Tommaso, il potente signore dipinto dallo Sclopis (*) del quale i Comuni piemontesi avevano dovuto temere sovente lo sdegno e talvolta implorare la protezione (2), ed al quale la repubblica di Genova era ricorsa per aiuto (3). Nel suo trattato con Asti, salvo qualche reciprocità di non grande mo- mento, tutte le condizioni sono a suo carico, come se si trattasse di una resa a discre- zione. Egli si fa vassallo di Asti, cittadino del Comune soggetto alle sue taglie, impegna la sua fede di evitare ogni danno ad Asti, ne ammette i pedagieri nel suo dominio, cede l’alta signoria d’ importanti terre sotto la sua giurisdizione, e di quelle che ne facevano parte non appena ne avrà ricuperato il possesso. Approva e forse consiglia la soggezione del marchese di Saluzzo, l’anno prima da lui vinto, ed in- duce altri Aleramici ad arrendersi alle pretese di Asti. Si apprende inoltre che molti gli si erano dovuti levare contro nelle sue terre cisalpine, come Torino, Ciri'e, Pios- sasco, Barge, Bagnolo, Pinerolo, ed anche Carignano, che egli vuol dare ad Asti appena potrà. Per verità ai nostri storici più illustri non era sfuggito che il trattato del 1225 coi Genovesi, non corrispondeva all’idea che si erano fatta dell’alto stato del conte Tommaso. Lo Sclopis osserva che taluno avrebbe potuto meravigliare « che così « potente signore quale era il conte di Savoia si fosse messo ai gaggi del Comune « di Genova (l)». Ma egli cerca di spiegare il fatto colla consuetudine di quei tempi, col ritenere che « l’accordo coi Genovesi non eccedeva i limiti di una alleanza offen- « siva », e col credere che « ciò fosse al fine di procacciarsi l’amicizia di quella re- « pubblica che per lui era di gran riguardo, sì per il potere che essa aveva già di tanto « accresciuto, e sì perchè operando in tal modo metteva freno agli Astigiani, i quali « non avrebbero osato, come era loro usanza, macchinare contro del Conte, mentre « egli stava unito coi Genovesi loro principalissimi amici (3) ». Rimaneva a spiegare l’esiguo numero d’uomini d’arme promessi dal Conte. Lo Sclopis s’ingegna di mostrarne l’importanza relativamente ai tempi, e pel seguito che ogni cavaliere menava seco (6). Il Cibrario confessa che sarebbe parso strano « un (’) Considerazioni storiche intorno a Tommaso i cit. p. 70. (*) Id. ibid. 60. (a) Id. ibid. 68. 0 Id. ibid. 70. (s) Id. ibid. 70. (e) Id. ibid. 77. — 102 — « soccorso di centottanta cavalieri chiesto o promesso con tanta solennità da una « repubblica potente ad un principe potente (’) », e lo spiega notando la scarsità della popolazione nel medioevo, il frastagliamento degli stati feudali, e la sconnessione delle loro parti, la valentia dei cavalieri di quel tempo, ed i modi di guerreggiare d’ allora, per cui i feudatari, pochissimi uomini, e per breve tempo, potevano levare dalle loro terre. Per noi restano anzitutto a spiegare le cause per le quali nel 1224, il mar- chese di Saluzzo ripigliava per terre così importanti la condizione di vassallo d’Asti, dopo essersi per oltre un trentennio dispensato dairadempirne i doveri, e contem- poraneamente il conte di Savoia faceva così gravi concessioni ad Asti, ed era in ciò coadiuvato, per quanto li riguardava, dai marchesi Ottone Boverio, ed Enrico del Gar- retto. Ebbero essi a patire qualche solenne disfatta di cui i cronisti non ci abbiano conservato memoria? Ovvero era tutto questo, corrispettivo di un soccorso in uomini ed in danari concesso al conte Tommaso per aiutarlo a ricuperare la parte del suo contado o marchesato che gli si era levata contro, e segnatamente Torino? Oppure perdute parecchie sue terre, e sconfitto dagli Astigiani si sottomise egli a questi, onde ricuperare quelle? Nei nostri documenti non vi è traccia che del proposito di riavere le sue terre. Infatti nella convenzione del 13 settembre 1224 è riserbata ad Asti P alta sovranità delle terre del contado e marchesato che Tommaso ricuperasse, e pel- le terre non comprese in detto contado e marchesato che egli venisse coll’aiuto di Asti ad acquistare in quei paraggi, 'e riserbata al Comune non solo la sovranità ma anche metà della signoria completa. Inoltre nei documenti n. 659, 660 si vede che nel maggio del 1225 si trovarono ai campi di Torino, presso la chiesa di S. Gfosmario, il podestà di Asti, Kolando Cazo e Guglielmo Careocio i cui nomi piu volte si tro- vano nel Codice, come di cittadini e credendari di Asti, e Tommaso de Curia che nel 1227 fu chiavaro di Asti; inoltre il marchese Enrico del Carretto, e Gratapaglia; finalmente i Seysello, ed Uberto di Villetta, baroni del conte Tommaso. Erasi forse in quell’anno impreso dai Sabaudi, dagli Astigiani e dai del Carretto un attacco contro Torino? Dovrassi perciò concepire il sospetto che nel 1225, e non nel 1232 avesse luogo il tentativo di assedio contro Torino, di cui come prudentemente osserva il Cibrario, non documenti, o scrittori contemporanei, ma le tradizioni raccolte dai cro- nisti ci hanno tramandata memoria ? E dovrassi pensare che toccato un insuccesso in Torino, si recasse il conte Tommaso nel giugno in Asti, onde trarre partito delle soldatesche da lui raccolte, ponendo s'e ed esse per tre mesi agli stipendi di Genova? Uomo di attività indomita doveva essere il conte Tommaso, se in un anno di tempo induceva il marchese di Saluzzo ai patti con Asti, faceva egli stesso la con- venzione lungamente commentata, guerreggiava oltralpi nel Vallese, componeva a Lione importanti divergenze, e tornato in Piemonte imprendeva l’assedio di Torino, e poi si assoldava per Genova. Ma in ogni caso la sua fortuna era allora assai modesta, o grandemente gli premeva accattare le grazie delle grandi repubbliche di Asti e di Genova. Imperocché mentre da un lato ei si faceva vassallo e cittadino d’Asti, e ne accettava la sovranità su terre importanti dei suoi aviti domini, dall’ altro, o (’) Ciekaeio St. della Monarchia i, 283. 103 — per intolleranza dell 'ozio, o per angustie finanziarie, o per cacciarsi in armi tra le due repubbliche, ei si poneva come capitano di ventura ai gaggi di Genova, che in ricompensa dei servigi suoi e de’ suoi uomini, null’altro accordava che soldi e prede. Ed è da notare che il comune d’Àsti si fece in termini assai recisi mallevadore pel conte di Savoia, giacche il suo podestà prontisti facere clictum comitem observare ut supra ('), cioè la convenzione coi Genovesi del 10 giugno. Però il Conte, o perchè non volle, o per infermità, non servì personalmente la repubblica genovese, ma vi mandò le sue genti. In ogni caso i documenti del Codice Malabaila ci conducono ad una estimazione della relativa potenza della dinastia Sabauda, e della repubblica di Àsti del tutto diversa dai giudizi dei migliori nostri storici. Le repubbliche italiane della prima metà del secolo xm, comunque fra loro in perpetua lotta, erano formi- dabili potenze rispetto agli imperatori, e non è a meravigliare che il capo della Casa di Savoia apparisse così piccino davanti alla repubblica d’Asti. Ma la virtù, la per- tinacia ed il senno politico di quella, come i vizi ed il poco elevato ideale di questa, in meno di un secolo mutarono del tutto la loro relativa posizione. Nel 1226 il conte Tommaso, che aveva più corde al suo arco, fu nominato da Federico n vicario imperiale in Italia, ma non riuscì a ricuperare tutte le sue terre in Piemonte, giacché un prezioso documento trovato dal cav. Yayra nell’archivio di Moncalieri (App. n. 1013) ci dà il testo di una lega difensiva stipulata il 19 luglio 1232, tra Asti, e tra il vescovo ed il comune di Torino ed i lóro alleati, cioè Moncalieri, Pinerolo, Piossasco, Bagnolo, Barge, Ciriè, ed i marchesi di Romagnano (2), vale a dire, salvo Moncalieri, precisamente le terre del suo contado di cui Tommaso indi- cava nominativamente la perdita nella convenzione del 13 settembre 1224. Asti, una volta salvi i diritti del marchese di Monferrato in Ciriè, si impegna contro tutti, fuorché contro il conte di Savoia, ma a condizione che per le sue controversie colla chiesa e col comune di Torino, e per le quali si trattava di pace da delegati del Conte e da delegati di Torino, esso Conte si rimetta per la parte sua al giudizio di Asti. La posizione del conte di Savoia non è quindi ancor mutata nel 1232 nè rispetto ad Asti, nè rispetto a Torino ed alle terre sue alleate, sicché l’importante documento posto in luce dalle diligenti ricerche del cav. Yayra, conferma pienamente la veri- dicità e P importanza dei documenti del codice Malabaila. Nel trattato del 1232 Torino vuol salvi i suoi amici del 1228, che già abbiamo ricordato, cioè i Milanesi, i Vercellesi, e gli Alessandrini, come pure la società di Lombardia (Lega lombarda), mentre Asti vuol salvi i marchesi del Vasto ad ecce- zione di quei di Saluzzo, i castellani di Manzano, Montefalcone, e Sarmatorio come anche i Pavesi, i Tortonesi, ed i Genovesi. Ma l’alleanza sembra sovratutto diretta contro Chieri, a cui nel 1228 Asti si era collegata contro Torino ed i suoi amici per distruggere Testona. Forse Asti ingelosiva dei frutti ehe Chieri trasse dalla distru- zione di Testona, allorché i signori di parecchi castelli, onde erano coronate le colline circostanti a Chieri, ne riconoscevano la signoria, ed il conte di Biandrate si (') Sclopis. Considerazioni cit. Doc. in, pag. 89. (’) I marchesi di Romagnano possedevano in molte provincie del Piemonte grosse terre e castella, fra cui Romagnano, Carmagnola, Pancalieri. L’ordinaria loro residenza era Carignano. Cibrario, Storia di Chieri i, 106. — 104 pacificava con tale Comune cedendo a prezzo di danaro le sue ragioni sovra parec- chie terre ('), In questa guisa i più cospicui Comuni piemontesi non solo dovevano lottare contro le dinastie Sabauda ed Aleramiche, che le volevano dominare, ma erano tra loro in una continua alternanza di lotte fratricide, e di brevi e malfide alleanze, senza un costante concetto politico, il quale indicasse la coscienza del pericolo della servitù, che tutti li minacciava. Non molte volte debbesi esser vista famiglia così numerosa, e così ricca di valore e di bellezza, come quella che lasciò Tommaso i, sicché il lettore ci per- donerà se dovendo parlare di alcuni dei suoi membri, ce ne mettiamo sott’occhio il quadro (5). Tommaso i ebbe due figlie ed otto figli : I. Margarita sposò nel 1218 Artmanno, conte di Kibourg potente sovrano in Svizzera. II. Beatrice, mirae pulchrìtudinis mulier (3) sposò nel 1219 Raimondo Beren- gario, conte di Provenza e « Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina (“) », cioè : a) Margherita sposa nel 1234 a S. Luigi ix re di Trancia. b ) Eleonora virgo speciei venustissimae (s) sposa nel 1236 ad Enrico ni re d’ Inghilterra. c ) Sancia sposa nel 1244 a Riccardo, duca di Cornovaglia, e poscia re dei Romani. d) Beatrice sposa nel 1245 a Carlo i d’Angiò che fu poi re di Sicilia. III. Amedeo iv dal 1233 al 1253 conte di Savoia, che ebbe dalla sua prima moglie a) Beatrice, sposa nel 1233 al marchese di Saluzzo, e nel 1247 a Manfredi che fu poi re di Sicilia. b) Margherita sposa nel 1235 a Bonifacio iv marchese di Monferrato. IV. Umberto morì prima del 1233, combattendo, fra i cavalieri dell’ordine Teutonico, gli idolatri prussiani. V. Aimone, signore del Ciablese, morì verso il 1238. VI. Tommaso n fu investito il 19 aprile 1235, da Amedeo n della parte del Piemonte da Avigliana in giù spettante a Casa Savoia, e fatto suo luogotenente gene- rale: nel 1237 a mediazione di suo cognato il re di Francia, sposo della contessa di Fiandra, ove visse fino al 1244; nel 1248 vicario dell’imperatore Federico il in Italia fino al Lambro; nel 1251 sposo di Beatrice Fieschi nipote del papa Innocenzo iv; nel 1251 in guerra contro Asti; nel 1257 prigione dei Torinesi e degli Astigiani; muore nel 1259. VII. Guglielmo, verso il 1225 vescovo di Valenza, più guerriero che prelato, fu preso in Assisi, ed avvelenato nel 1239 dai nemici del Papa, che aveva in animo di porlo alla testa dei suoi eserciti. (’) Cibrakio. Storia di Chieri i, 12. (’) Esso è iu gran parte dedotto dal Cibrario, St. della Mon. di Savoia. (") Mathei Paris. Hist. mai. 287. (') Dante. Par. vi. — 105 — Vili. Pietro il destinato in gioventù alla chiesa, nel 1226 si sottoscriveva canonico di Losanna, dal 1227 al 1233 preposto della cattedrale d’Aosta, nel 1229 canonico della cattedrale di Ginevra ('). Ma alla morte del fratello Amedeo lasciò del tutto la chiesa, e si diede alle armi ed alla politica con tanto valore, attività e capa- cità, che ebbe ai suoi tempi il nome di piccolo Carlomagno, lasciò di se perenno memoria nelle tradizioni locali, e fu anche ai giorni nostri, oggetto di profondi studi (2). In Inghilterra gli fu data la contea di Richmond, ed una serie di 329 feudi, ma- nieri, città e castelli (3), e prese parte importante alle travagliate vicende del regno di Enrico ni. Contemporaneamente Pietro, a cui dopo la morte del fratello Alinone era rimasto il Ciablese, guerreggiava o trattava coi conti di Ginevra, col vescovo di Losanna, coi conti di Gruyères, con parecchi signori del paese di Vaud, coi signori della Tour du Pin, con Friborgo, coi signori di Beaujeu, coi conti di Kibourg, col vescovo di Sion, e molti altri, ampliando grandemente i suoi domini. Nel 1263 per la morte di Bonifacio, figlio di Amedeo iv egli diventò conte di Savoia, continuò le sue conquiste, e tra gli altri vinse dal 1264 al 1265 Rodolfo di Absburgo, il famoso fondatore della dinastia imperiale. Morì nel 1268. IX. Bonifacio, già eletto vescovo di Belley, ed alla morte di Guglielmo, anche amministratore di Valenza, nel 1243 fu nominato arcivescovo di Canterbury e Pri- mate d’Inghilterra. Egli fu da Gregorio xvi elevato agli onori degli altari. X. Filippo resse dal 1245 il vescovado di Valenza, e dal 1246 l’arcivescovado di Lione, ma nel 1267 lasciò la chiesa e prese moglie. Succedette a Pietro n nel contado di Savoia fino al 1285, in cui morì. (D) Amedeo iv non si occupò gran fatto delle cose del Piemonte, giacche come fu testò indicato, il 19 aprile 1235, egli cedette al fratello Tommaso n quanto vi pos- sedeva da Avigliana in giù. Questa cessione non deve essere stata vista di buon occhio in Asti, imperocché Tommaso per tale dominio si riconosceva come vassallo di Amedeo iv, mentre per il trattato del 1224 con Tommaso i, il signore di parecchie terre in essa comprese doveva essere vassallo di Asti. Ciò avrà indotto la repubblica a stringere meglio i suoi patti con Carignano e ad obbligarlo piu strettamente, come risulta dagli atti del 13 e del 20 maggio 1235 (doc. n. 687) e può avere determinati altri provvedimenti tutorii, ma non si venne a rottura. Anzi se nel sovrastato docu- mento (n. 687) non si parla affatto di Tommaso li, tuttavia si eccettua espressamente il conte di Savoia da quelli contro cui Carignano era obbligato a far pace e guerra per Asti, e da quelli contro cui Asti si impegnava a difendere quei di Carignano. Nuovi malumori deve avere eccitata la pace fatta il 19 novembre 1235 tra il contedi Savoia, Torino e Pinerolo; imperocché quantunque gli Astigiani fossero in esso trattato salvi dalle offese di entrambi i contraenti, tuttavia non risulta che fosse stipulato col consenso di Asti, come ne faceva obbligo la convenzione del 1224, che ai 6 maggio di quell’anno era stata giurata da Amedeo ìv in persona (doc. n. 658). (’) Cielo Vassallo. Pietro n di Savoia, detto il piccolo Carlomagno. Asti 1873 pag. IO. (5) Oltre all'accennata opera del Vassallo, vedi L. Wurstemberger , Peter der Zweite Graf von Savoyen , Markgraf in Italien. Opera in 4 volumi. Berna , Zurigo 1856-58. (a) Cioè Yhonour di Richmond con 43 località, un maniero nel Hertfordshire, 99 località e 23 feudi nel Lincolnshire, 41 loca- lità del Norfolt 111 feudi nel Yorkshire, 11 feudi nel Nottinghamshire. — Wurstemberger, o. c. ii, 256- 14 — 10(3 Anche peggio sarà stato per l’obbligo fatto nel 1239 a Federico di Piossasco di vietare in Beinasco la strada ai mercatanti che vi volessero passare per evitare il pedaggio di Torino (‘). Ma la pace tuttavia reggeva, anzi un importante documento, scoperto dal cav. Vayra nell’ archivio di Moncalieri (n. 1016) ci lascia credere che il 29 maggio 1245 i due fratelli Amedeo iv e Tommaso ir, come pure Bonifacio n mar- chese di Monferrato, intervenissero in Asti ad un consiglio segreto del Comune. Dopo ciò, durante la vita di Amedeo iv non troviamo più traccia di lui nel Codice, fuorché nella pace fatta il 28 luglio 1252 tra Asti e Tommaso ii (doc. n. 903). È primo articolo della medesima che Tommaso debba ottenere da Amedeo la rinuncia alla fedeltà fattagli sulla terra al di qua dei monti e la facoltà di farla invece ad Asti, per tutta detta terra, fuorché per Torino, pel ponte di Torino, e per la Motta che sarebbe l’odierno monte dei Cappuccini. Locché dimostra che Asti riteneva l’ inve- stitura concessa da Amedeo a Tommaso nel 1235, come una infrazione agli antichi patti e profittava della prima occasione per richiamare il possessore di quelle terre alla primitiva sua condizione di vassallaggio. (E) Tommaso n, perduta nel 1244 la sua prima moglie, la contessa di Fiandra, se ne tornò in patria, al dire degli storici, seco portando ragguardevoli ricchezze. Non deve avere messo gran tempo in mezzo per tentare di allargare i suoi domini. Non sembra che ad alcun risultato conducessero i segreti consigli con Asti del 1245 menzionati nel sovracitato documento (n. 1016). Da esso rilevasi, che Àsti sosteneva quei di Moncalieri', e che vicario di Tommaso durante la sua assenza dall’Italia era stato l’abate di Susa. Il favore mostrato a Tommaso prima dall’ im- peratore nel 1248 e poi dal papa, di cui nel 1251 aveva sposata la nipote, avranno probabilmente cresciuto il mal animo di Àsti o l’ardire di Tommaso. Il fatto é che la guerra scoppiò. Non ne son note le vicende, ma che non abbia avuto esito felice per il Conte è fatto chiaro dal trattato di pace da esso concluso in Asti il 28 luglio 1252 (doc. 903) già reso di pubblica ragione f) e commentato dagli storici (3). La pace però non durò lungamente, la guerra fu ripresa ed ebbe termine con una ca- tastrofe che fu dichiarata «uno dei fatti più memorabili del secolo (l) »; cioè colla prigionia di Tommaso ii, che levò mezza Europa a vendetta contro Asti e Torino. Gli storici non sono d’ accordo nè sul tempo, nè sulle cause di questi avvenimenti. Ogerio Alfieri (u. 15 c.) narra che Tommaso il cominciò la guerra nel 1255 levando ad Asti il borgo di Chieri. L’Astesano dichiara la guerra dovuta alle istiga- zioni di Innocenzo iv, Guglielmo Ventura (5) dice che una notte del 1255 cavalcando gli Astigiani contro Moncalieri, si scontrarono prima coi Cheriesi che batterono, ed il mattino seguente espugnarono Moncalieri facendo prigione l’abate di Susa, che vi si trovava. Il conte Tommaso raccolte tutte le sue forze corse a combattere gli Àstesi, che incontrò a Montebruno, ma fu da essi completamente disfatto. Tornato il Conte a Torino, i cittadini gli si rivoltarono e l’imprigionarono al grido: Vogliamo i nostri prigionieri! Narra ancora il Ventura che gli Astigiani essendo poscia caduti in un’im- boscata tesa presso Moriondo dai Cheriesi capitanati dal marchese Lancia, nuova- (') Cibeario. Storia della Mon. di Savoia ir, 13, 16, 20. (2) Mon. hist. patr. i, Chartarum. 1415. (a) Cicrario. Storia della Mon. di Savoia li, 58, 59. (*) Idem ibid. 176. (5) Cron. Cap. xxiv. — 107 — mente li sbaragliarono facendo molti prigioni; finalmente che i borgognoni venuti d’ oltremonte , accampatisi sul Sangone, fuggirono vilmente, ed allora gli Astigiani si pacificarono con Tommaso e con Chieri. Gli storici stettero all’ uno od all’altro dei cronisti. Il Cibrario scrisse dap- prima (') che la prosperità di Tommaso e la di lui confederazione con la repubblica di Chieri determinarono nel 1256 gli Astigiani a muovergli guerra, e salvo il primo scontro coi Cheriesi, che egli non ammette, si attiene al racconto del Ventura. Ma più tardi (2), dopo accennato che probabilmente coll’ aiuto degli Alessandrini e dei Cheriesi, il conte Tommaso aveva ricuperato Moncalieri, narra che nel dicembre 1255 gli Astigiani prima sconfissero presso Moriondo i Cheriesi capitanati da Manfredo Lancia, poi presero Moncalieri, quindi batterono Tommaso a Montebruno. Il Vassallo nel suo accurato libro sopra Pietro n torna all’ordine del Ventura: crede che in due giorni consecutivi del novembre 1255 ebbero luogo, la prima vit- toria sui Cheriesi, la presa di Moncalieri e la disfatta del conte Tommaso, il quale sarebbe stato carcerato il 23 novembre. Il codice Malabaila contiene sei documenti relativi a questi avvenimenti , V uno del 1255 (u. 904), quattro del 1256 (n. 940, 941, 942, 943) ed uno del 1257 (n. 905), tutti inediti fuorché quest’ ultimo (3). Nell’Appendice abbiamo dato il testo di due documenti del 1257 (n. 1018 e 1019) già noti al pubblico (l), ma solo per sunto. Il primo di questi atti (n. 904) è stipulato il 26 novembre 1255 a Moncalieri coll’abate di Susa che vi era stato fatto prigione pochi giorni prima, ed è impor- tante perchè ci rivela tutti i propositi degli Astigiani. L’abate pattuisce con questi un trattato di pace che si riserva di far approvare da Tommaso n, giurando che in caso di insuccesso tornerà a costituirsi nelle carceri d’Asti. Questo Comune essen- zialmente richiede che il conte Tommaso gli ceda Moncalieri, Lavoretto, Montosolo, e quanto ha di qua del Po, e s’impegni in perpetuo a nulla acquistare in avvenire in codesta regione. La repubblica evidentemente aspirava a tenere Casa Savoia al di là del Po ! Tommaso ii deve cedere ancora Carignano e le sue pertinenze , liberare i prigionieri ed ostaggi di Moncalieri, fra cui Bastardino di Monferrato, e liberare e far liberare gli Astigiani detenuti nelle terre sue ed in quelle del contado di Sa- voia. Non dovrà levare alcun pedaggio sugli Astesi nelle terre che tiene da loro in feudo, ed altrove dovrà limitarsi agli antichi e soliti pedaggi, ed ottenere che al- trettanto faccia il conte di Savoia. Dovrà far condonare una taglia di 3200 lire tornesi, imposta agli Astesi oltremonte, e nominerà il podestà ed i quattro savi di Asti ad arbitri nelle sue controversie con Torino. Ratificherà nuovamente e giurerà i patti altra volta fatti da Asti con Tommaso i suo padre. Per contro Asti si impegna a farlo liberare dalle carceri di Torino ed a fare guerra viva ai Torinesi, se non lo rilascieranno. Asti s’impegna pure a far liberare Tommaso i, marchese di Saluzzo, il quale contro ciò che fin qui si credeva sull’affermazione dei cronisti di Savoia (°) fu prigione dei Torinesi prima del tentativo di liberar Tommaso n fatto dai suoi fratelli e dalle truppe savoine e borgognone. o Storia di Chieri i, 170. (~) St. della Mon. di Savoia n, 82. St. di Torino 1,243. (’) Mon. hist. patr. ii, Chart. 1550. (') Cibrario. St. della Mon. di Savoia il, 91. — Wurstenberger, o. c. iv, 237. (’) Cibrario. St. della Mon. di Savoia ir, 88. 108 Il documento sovrastato dimostra errate le date del dicembre 1255, ovvero dell’almo 1256, assegnate dal (librario alla presa di Moncalieri ed alla rotta di Mon- tebruno. Diventa invece verosimile, od una data anteriore, o quella del 23 novem- bre 1255 assegnata dal Vassallo alla prigionia del conte Tommaso. In questa seconda ipotesi vuoisi supporre che gli Astigiani facessero diligenza grandissima per profittare degli avvenimenti, e che l’abate di Susa fosse così al corrente delle faccende di Tommaso n e talmente ne godesse la fiducia, da far ritenere cosa seria un trattato provvisorio con lui stipulato. Il 15 gennaio 1256 (doc. n. 940) il podestà di Asti per volontà delle due Credenze e dei rettori delle società, ed i credendari ed i rettori stessi a nome del Comune, nominano Guglielmo di Crena, podestà della società di s. Secondo, Guglielmo Alfieri , Ruffino Garretti e Corrado Pulsavano a sindaci d’Asti per far la pace con Torino, col conte Tommaso, e coi conti di Savoia i quali probabilmente già si erano messi in moto per liberare il fratello. A codesti sindaci è fatta facoltà di ricevere per Asti le ragioni ed i diritti di Torino e dei conti Sabaudi sulle terre cispadane, e specialmente sopra Moncalieri, Cavoretto, Montosolo, ed anche sopra Carignano. Il 18 gennaio 1256 (doc. n. 941), il podestà e la credenza di Torino nominano Ottone Pelizzone a sindaco di Torino per trattare la pace con Asti, ed a nominare questo Comune ed i suoi sindaci quali arbitri per parte loro nelle controversie vertenti o che potessero sorgere tra essi, ed il conte Tommaso ed i suoi fratelli. 11 plenipotenziario torinese ha facoltà di cedere Cavoretto e Montosolo. Lo stesso giorno (doc. n. 942) si fa il trattato di pace fra Torino ed Asti. 1 Torinesi saranno cittadini di Asti, e dovranno fare per questo Comune pace e guerra contro tutti, somministrando, ove occorra, 60 militi armati di tutto punto, ciascuno con due cavalli ; dovranno considerare come nemico loro ogni nemico d'Asti, il quale potrà sempre esser preso e sostenuto prigione in Torino e nella sua giurisdizione. Sceglieranno a podestà un antico ed originario cittadino d’Asti. Gli Astigiani saranno esenti da ogni pedaggio in Torino e nel suo distretto, ovvero, a loro scelta, parte- ciperanno per un terzo ai pedaggi ed alle maletolte, come se il transito che avveniva nel territorio torinese fosse per un terzo dovuto agli Astigiani. Torino rinuncia ad ogni ragione sopra Cavoretto e Montosolo, darà agli Astigiani la strada tanto fran- cigena che lombarda, e così Asti la darà per luoghi di sua scelta ai Torinesi. Sarà rimesso ad Asti il marchese Tommaso di Saluzzo, ut de eo suam voluntatem faciat , per contro Torino terrà prigione il conte Tommaso fino a pace conchiusa. Il comune d’Asti sarà arbitro per Torino onde concludere la pace col conte Tommaso e coi conti di Savoia. Con atto dello stesso anno ed evidentemente dello stesso giorno (doc. n. 943) il podestà ed i credendari di Torino nominano i plenipotenziari di Asti ad arbitri nelle questioni tra Torino ed il conte Tommaso ed i suoi fratelli. I frutti delle vittorie degli Astigiani non furono però facili a raccogliersi, giacche la cattura di Tommaso n fatta slealmente dai Torinesi, di cui gli Astigiani erano ritenuti per complici, sollevò contro di essi i re di Francia e d’Inghilterra, cognati di Tommaso, i suoi fratelli Pietro u, Bonifacio, Filippo, ed anche l’imperatore ed il papa Alessandro, il quale si adoprò attivamente a loro danno. In Francia, secondo — 109 l’Ogerio Alfieri (n. 15 c.) furono presi circa 160 Astigiani con tutte le loro robe e mandati a Lione, ove furono sostenuti per circa sei anni tantoché Asti ebbe per questa guerra un danno valutato nella ragguardevole somma di 800000 lire astesi. 0 per il tentativo fatto nel frattempo dai fratelli di Tommaso per liberarlo a mano armata o per altre cause, il progetto di pace stipulato coll’ abate di Susa il 26 novembre 1255 (n. 904) non sembra esser stato definitivo. Il documento n. 905 del codice Malabaila contiene: a) Un trattato di pace fatto il 5 novembre 1256 dal marchese Giacomo del Carretto a nome del conte Tommaso tuttora prigione in Torino; b) Il giuramento prestato, secondo che ne aveva preso impegno il del Carretto, da Nicoloso e Tisio Fieschi di fare osservare il trattato precedente (’) ; c) Il trattato del 16 febbraio 1257 fatto a nome del conte Tommaso da Gia- como marchese del Carretto, da Martino precettore della casa di sant’Antonio e da Oberto di Monmelliano. Evidentemente cresce la preoccupazione degli Astigiani per la carcerazione e la spogliazione dei loro concittadini oltremonte, giacche si aumentano le guarentigie richieste per la liberazione di essi e per la restituzione delle cose loro; d ) Trattato del 31 maggio 1257 fatto in Asti col coute Tommaso in persona, che i Torinesi avevano nel frattempo (2) rimesso ad Asti. Sono confermati gli atti precedenti, e si aggiungono novelle e più gravi guarentigie per la liberazione degli Astigiani, presi oltr’Alpe. e) Determinazione fatta il 3 giugno 1256 delle persone e dei salari di quelli che occuperanno per Asti i castelli dati da Tommaso ii in guarentigia. f) Aggiunta stabilita il 25 giugno 1257, del castello di Gorzano agli altri dati in guarentigia. Non entreremo in particolari sovra questo documento già reso di pubblica ragione e commentato dagli storici. Solo osserveremo che gli Astigiani non pote- rono attuare il loro alto divisamente di ricacciare Casa Savoia al di là del Po, giacche secondo il trattato del 5 novembre 1256 Tommaso n terrebbe Moncalieri e Cavoretto, come ora li tiene, e secondo il patto del 14 febbraio 1257, Moncalieri non farebbe fedeltà ad* Asti. E nell’atto del 25 giugno 1257 è dichiarato che Cari- gnano non sarà impedito da alcun trattato fatto coll’abate di Susa. Aggiungeremo ancora che gli storici hanno visto a torto nei trattati del 1256 e del 1257 un abuso della condizione in cui Tommaso n era stato posto dalla sollevazione dei Torinesi. Per fermo, se essi avessero conosciuto i trattati di Asti con Tommaso i, per la prima volta messi in luce dal codice Malabaila, avrebbero visto che Asti nuli’ altro faceva che difendere la posizione fin d’ allora acquisita. Anzi il complesso dei documenti che abbiamo sottocchio dal 1224 al 1257 lascia in noi la impressione che in quest’ultimo tempo Asti si preoccupò maggiormente dei suoi concittadini carcerati oltremonti e dei loro averi, che dei suoi divisamenti politici e dell’ avvenire della repubblica. Il conte Tommaso ci sembra invece aver (') Non è ben chiara la data di questo giuramento, che si dice del 24 novembre e di lunedi, mentre il 24 novembre 1256 era di venerdì. (’) 11 Cibrario (St. della Mon. di Savoia il, 87) dice: pochi giorni dopo il 14 di febbraio. — 110 — tutto sofferto bravamente, pur di non ledere, o di ledere il meno possibile l’avvenire della signoria della sua Casa. Ogerio Alfieri si lagna che Tommaso n male osservasse i patti, ed infatti il 17 novembre 1257 (doc. n. 1018) Tommaso ir, già fuori di prigionia, e nella terra di Carmagnola, non parla piu di pace, ma solo di tregua stipulata il 9 novembre a nome del conte Emanuele di Biandrate e dei suoi amici, con Asti, con Torino e coi Piossaschi, e promette che la farà confermare da Filippo e da Pietro di Savoia, se sarà al di qua del Rodano, prima del nuovo anno. E l’abate di Susa il 17 di- cembre 1257 (doc. n. 1019) scongiura Filippo, arcivescovo di Lione, acciò egli, ed il suo fratello Pietro di Savoia, osservino i patti stabiliti dagli Astigiani col conte Tommaso, essendo essi penitus desperati , perchè di tanti trattati da loro fatti coi fratelli di Savoia, nessuno viene ad effetto. Abbiamo inserito nell’Appendice i sovra - citati due documenti, sebbene già indicati dal Cibrario e dal Wurstemberger, per maggior comodo di chi fosse dalle tante novità venute in luce, indotto a novello studio sopra questo interessante periodo della nostra storia. L’infelice Tommaso n uscì rovinato dalla sua lunga prigionia. Egli si trascinò fino a Londra nel 1258, onde accattare danaro, e morì in Aosta nel febbraio del- l’anno seguente. (P) Dopo la morte di Amedeo iv avvenuta nel 1253, il contado di Savoia fu retto da Pietro n a nome del minorenne Bonifacio che il Cibrario si lagna non fosse neppure qualificato di conte, allorquando Rodolfo di Ginevra riconosceva di ritenere da lui alcuni feudi (‘). Invece nel sovracitato progetto di pace del 26 novembre 1256 stipulato tra l’abate di Susa ed Asti (doc. n. 904) è dichiarato che i pedaggi do- vranno essere ridotti alle antiche consuetudini da suo nipote, il conte di Savoia, figlio del fu Amedeo. Nel trattato del 24 marzo 1260 (doc. n. 926) tra Asti ed il marchese di Mon- ferrato, questi s’impegna di fare, ove ne sia il caso, guerra per Asti contro tutti, fuorché contro Pavia, il marchese di Saluzzo ed i conti di Savoia senza indicar quali. Non li potrà aiutare ad altro che a difendere la loro terra e non li potrà soccor- rere che di 25 militi e 200 fanti. Intanto le relazioni tra Asti ed i conti di Savoia non dovevano essere amiche- voli. Il 18 giugno 1260 fu fatta tra Asti e Chieri una pace, come ben si comprende, onerosa per questo ultimo Comune. Il nostro Codice contiene tre documenti relativi ad essa (n. 264, 265, 266), di cui i due ultimi sono complementari del primo, che già venne pubblicato e commentato dal Cibrario (*). In due di questi documenti (n. 264, 266) si prevede il caso che Asti entro un biennio faccia pure la pace con Carlo d’Angiò, e col conte di Savoia, senza indicare se per tale si ritenga Bonifacio od altri. Ma se non pace, si ebbe presto uno stato di tregua effettiva. Il documento n. 906 ci fa sapere che ai 3 di aprile del 1261 furono riformate le tregue fatte, altra volta, tra i sindaci di Asti per il loro Comune, e per quelli di parte loro e specialmente per i Torinesi e per quei di Piossasco, e tra Giacomo, abate (') St. della Mon. di Savoia il, 92. (5) St. di Chieri il, 116; i, 180. - Ili di Susa nomine comìtatus Scibaudie. Nella riforma del 1261, oltre al riconfermare le precedenti tregue, si stabiliscono essenzialmente due arbitri, che debbano decidere colla massima semplicità di forma intorno ai danni recati alle varie parti. Allorquando si giunge alla designazione degli arbitri, gli Astesi cavallerescamente deferiscono all’Abate la nomina di quello per Asti ed egli sceglie uno dei loro sindaci, Gia- como Monaco: l’Abate risponde con altrettanta cortesia, ed i sindaci d’Asti eleggono Ugo Beltramo, castellano di Rivoli ad arbitro per il contado di Savoia. Dal testo dell’atto risulta che in quel tempo Torino, quegli che teneva la bastita di Torino, i signori di Piossasco, ed il castellano di Cavour erano tutti dalla parte di Asti. La qualità assunta dall’abate di Susa di rappresentante il contado di Savoia dimostra che n'e Bonifacio, un giovinetto il quale moriva due anni dopo, nè Pietro n reggente allora il contado di Savoia, nè Filippo i, che governò le terre d’Italia du- rante la prigionia di Tommaso ('), si occupavano gran fatto del Piemonte. (G) Una novella prova che anche più tardi i principi Sabaudi poco si occupa- vano delle loro terre cisalpine ci è data dal già citato documento n. 906, che è una riforma, conferma e rinnovazione delle tregue tra Asti e Casa Savoia fatta colla contessa Beatrice Fiescbi vedova di Tommaso n, la quale contrae prò se ipsa et filiis suis et prò dominis de Sabaudia et prò universis et singulis de comitatu Sabaudie. Per contro i sindaci ed ambasciatori di Asti trattano per il loro Comune e distretto e per tutti quelli dalla parte di detto Comune, specialmente per i Torinesi e per quei di Piossasco. Essenzialmente si aggiunge un terzo arbitro quando i due nominati in virtù dei trattati precedenti, non siano d’accordo: si stabilisce che la tregua duri di volta in volta un anno e poscia un mese se al fin di esso sarà dis- detta: si provvede alla restituzione dei prigionieri. I signori e gli uomini di Piossasco, di Collegno e di Grugliasco sono nella tregua come quei di Torino. Il comune di Rivoli ed i comuni ed i castellani, di Cumiana, Pinerolo, Villafranca, Vigone, Cari- gnano e Moncalieri, se richiesti, giureranno di osservare la tregua e di dare aiuto e consiglio alla contessa perchè la osservi. Locchè proverebbe che queste terre erano sotto il suo dominio. Oltre i contraenti, giurano la convenzione anche il castellano di Susa e di Avigliana e Aimone di Lucerna. (H) Sappiamo elio Pietro n nel 1257 accorse di Savoia con buon nerbo di truppe, e con Filippo arcivescovo di Lione, come pure con Bonifacio primate d’Inghilterra, onde tentare, sebbene invano, la liberazione a mano armata del fratello Tommaso. Troviamo menzione di lui nei documenti n. 905, 1018, 1019 nei quali si richiede la sua approvazione dei patti tra Tommaso n ed Asti, od il suo intervento per la liberazione degli Astesi prigionieri. Il Cibrario (2) ci informa che nel 1265 promise ai mercatanti d’Asti, purché senz’armi, la strada da Rivoli al ponte di Lione sul Rodano ed a Pietracrispa, mentre gli Astigiani per sé, per i Torinesi, e per i signori di Piossasco, assicuravano ai sudditi di Savoia il cammino da Rivoli ad Asti per Moncalieri. Pietro li evidentemente non volse le sue cure all’Italia, non sospettando l’av- venire che vi avrebbe avuto la sua dinastia. Ma forse le giovò non poco non solo (') Cibrakio. St. della Monarchia di Sav. il, 92. (2) Idem ibid. 132. — 112 1 er l’acquisto di potenza che le procurò al di là delle Alpi, ma anche per aver fre- nata quella che vi stava prendendo la rivale dinastia di Absburgo. E siccome in uomo di tanto valore e di tanto senno tutto si vorrebbe perfetto riesce rincrescevole che egli non abbia avuto chiaro concetto della necessità dell’ unità del dominio nell’interesse dello Stato e della dinastia. Infatti egli iniziò la splendida sua carriera levandosi in armi contro il maggior fratello Amedeo iv, onde avere una maggior porzione del dominio paterno, e la terminava lasciando alla sua unica figlia, sposa al delfino di Vienna, il Genevese, il paese di Yaud, e ciò che possedeva nell’ Elvezia alemanna. E siccome per giunta Agnese sua moglie, che lo aveva fatto erede del Fossigny, rifece dopo la di lui morte il testamento e lasciò la intera sua successione alla figlia, ne avvenne che i delfini viennesi possedessero un importante dominio, il quale si introduceva dentro lo stato di Savoia. Indi nacquero lotte e dissensi, i quali con brevi intervalli durarono quasi ottant’ anni ('). Pietro li fu il primo conte di Savoia che dettasse uno statuto avente forza di legge generale, ed egli lo fece per abbreviare le liti e provvedere alla tutela dei poveri e dei deboli. Fu egli il primo Sabaudo che invece dell’ aquila adottata dal suo padre, inalberò un’insegna con carattere popolare, cioè quella gloriosa croce bianca in campo rosso che è ora parte integrante della bandiera nazionale (2). Il suo lungo soggiorno in Inghilterra, ove avea visto nel 1252 suo fratello Bonifazio, arci- vescovo e primate d’Inghilterra, intimare, nella cappella di s. Caterina a Westminster, la scomunica al Re, ed a chiunque altro fosse per violare la Magna charta (3), do- veva aver convinto Pietro n che la prima condizione per la grandezza, la prosperità e la stabilità degli stati è il buon accordo tra il principe ed il popolo. (I) Filippo i, come sopra accennammo, prese parte attiva alla liberazione di suo fratello Tommaso n, ed a lui furono a quanto pare consegnati gli Astigiani allora incarcerati in Francia. Noi lo troviamo perciò menzionato nei documenti del Codice ad essi relativi. Nel 1267, aggravandosi la malattia di Pietro ii, Filippo, al quale, era inteso, che dopo la morte di Pietro sarebbe passato il contado di .Savoia, lasciò l’arcivesco- vado di Lione che aveva retto per ventuu anni, e gli altri benefici ecclesiastici di cui era investito senza avere assunto i maggiori ordini della chiesa, e condusse in moglie la contessa palatina di Borgogna. Nel Codice abbiamo cenno di lui allorquando fu conte di Savoia. Nel trattato di alleanza stipulato il 18 giugno 1278 (doc. n. 271) tra Asti, Chieri, ed i pro- curatori di Tommaso in di Savoia, questi promettono che all’occorrenza egli aiuterà le due città colla terra sua e con quella del conte o dei conti di Savoia oltre il Cenisio e contro chichessia, salvo il romano impero, e Filippo di Savoia. (K) Dei sei figli di Tommaso i il solo che lasciasse famiglia duratura, fu Tom- maso ii. I primi due figli di questi, cioè Tommaso ni ed Amedeo v, quando furono in età da trattare le armi e gli affari, scesero in Piemonte nel 1272, onde ricupe- rare l’avito dominio. Essi vennero a quanto pare con forze formidabili, giacché senza (’) Cibraeio, 1. c. 135, 137. (5) Idem, Orig. e progr. della Mon. di Savoia il, 58. (’) Idem, ibid. 35. — 113 che si sappia di alcun fatto d’armi, i Piossaschi lungamente ribelli chiesero mercè, ed altre terre tra il Sangone ed il Po loro si arresero ('). Narrano gli storici che Tommaso ni nel 1280, e nelle terre del vescovo di Valenza, sorprendesse il mar- chese Guglielmo vii di Monferrato che andava in Spagna con sua moglie, e fattolo prigione non lo rilasciasse finche gli ebbe accordata la restituzione di Torino, della bastita, del ponte sul Po, di Collegno e di Grugliasco. Ci dicono ancora che lo stesso anno Tommaso ni venisse in Torino ed assediasse Cavoretto. A queste scarse notizie il codice Malabaila aggiunge quella dell’alleanza difensiva con Asti e Ohieri nel 1278, di cui abbiamo teste fatto cenno (doc. n. 271). In virtù di questo trattato stipulato nei prati di Bulgaro f) per dieci anni, Tommaso ni con 200 uomini armati sopra cavalli buoni e convenienti alle armi, e colla terra sua e con quella dei conti di Savoia, dovrà venire in aiuto di Asti e di Chieri o dei loro amici e coadiutori giurati, che sono Alba, Cherasco, Mondovì, Cuneo, Savigliano, Possano, i vescovi d'Asti e di Alba-, ed i vassalli di Asti, eccetto i marchesi di Monferrato e di Saluzzo. Viceversa Asti e Chieri ed i loro amici difenderanno in buona fede e con tutte le forze Tommaso in, i suoi amici ed il contado di Savoia, i loro averi, uomini e diritti contro tutti, eccetto contro il romano impero. I procuratori di Tommaso ni promettono che egli verrà in persona al di qua delle Alpi, entro la prima metà dell’ottobre, onde ratificare e giurare P alleanza da essi stipulata a nome suo. Ed infatti ai 25 di ottobre dello stesso anno Tommaso in nel pieno Consiglio di Asti giurava di osservare fedelmente il trattato sovradetto (doc. n. 907). In questi atti Torino non figura più tra gli amici d’Asti, e forse Tommaso in aveva per scopo di prepararsi ad agire contro il marchese di Monferrato, come egli potè poi fare sorprendendolo nel vescovado di Valenza. Ma una morte prematura nel 1282, tolse non solo a lui, ma anche ai suoi figli, il contado di Savoia, che, alla morte di Filippo i, avvenuta nel 1285, passò al secondo figlio di Tommaso n, cioè ad Amedeo v. (L) Il cronista Ogerio Alfieri succintamente narra nella sua cronaca (dal n. 18 al n. 23 ), che nel 1289 Guglielmo marchese di Monferrato, iniziò una memorabile guerra contro Asti facendo sorprendere dal conte Emanuele di Biandrate la villa di Butti- gliera; che il 19 marzo 1290 con un esercito di 900 cavalieri, e di 15000 fanti devastò per tre giorni l’ agro Astese presso Isola, Caprarolio, Nante, Castagnole e Blonice; che il 28 marzo tornò con 1000 cavalieri e 35000 fanti bruciando e de- vastando la pianura di Quarto fino alla valle Giovenale ; che il 24 maggio s’accampò a Montemagno, devastando per cinque giorni ivi, a Quarto, ed a Noceto; che ai 10 di settembre egli fu fatto prigione in Alessandria dagli abitanti, i quali lo posero in una gabbia di legno, ove miseramente morì il 6 febbraio 1292. Relativamente a questo episodio che ebbe gravi conseguenze per T Italia setten- trionale minacciata dalla potenza e dal prestigio del marchese di Monferrato, il co- dice Malabaila somministra due documenti inediti di grande importanza, nel primo dei quali si fa menzione di Amedeo, conte di Savoia, e nel secondo del conte di (') Cibrario. St. della Mou. di Savoia il, 167, 168. (!) Bulgaro è tra Moncalieri e Carmagnola. Cibrario. St. di Chieri i, 162. 15 — 114 — Savoia, in genere, come di un amico giurato di Asti. E sono: il trattato di pace sti- pulato il 12 giugno 1292 in Moncalvo tra i sindaci di Asti ed i plenipotenziari di Giovanni, marchese di Monferrato (doc. n. 927), ed il trattato complementare fatto in Nizza marittima in presenza di Carlo n, che si intitola re di Sicilia e di Geru- salemme, tra il predetto marchese Giovanni e gli ambasciatori di Asti (doc. n. 928). Il cav. Yayra ci ha comunicato altri nove documenti da lui trovati nell’archivio di Torino, i quali si riferiscono a questo periodo storico, e che vennero stampati nel- l’Appendice (dal n. 1026 al n. 1034). Essi ci dimostrano che non appena seriamente minacciata dal marchese di Monferrato, Asti cercò il valido aiuto di Amedeo v. Il trattato del 25 aprile 1290 (doc. n. 1026) ci fa vedere che i delegati di Asti furono in Savoia a Bourget, ed ivi ottennero dal Conte che egli promettesse di trovarsi in Asti nella prossima ottava di Pentecoste, di starvi tre mesi e quel di più che si sarà d’accordo e di condurvi 400 uomini d’arme a cavallo oltre quelli che deve sommi- nistrare per le convenzioni precedenti. Asti darà al Conte un soldo mensile di 1000 lire viennesi che il Cibrario, il quale brevemente menzionò questo trattato (') valuta in 40,344 delle nostre lire attuali. Si tien conto del tempo voluto per l’andata e per il ritorno, e per la prima si presumevano occorrere dieci giorni. Lo stipendio d’ogni milite, cioè cavaliere addobbato, sarà di 10 soldi viennesi (20,17 delle nostre lire) al giorno, e quello d’ogni donzello o scudiero di soldi 8. Se i militi o donzelli sa- ranno bandaricci , se ne duplicherà il salario; se il Conte condurrà seco dei baroni, sarà a questi dato oltre al soldo loro spettante, quella maggiore somma che verrà stabilita d’accordo tra il Conte e il podestà di Asti. Si pattuisce finalmente che siano tutti indennizzati per i cavalli che si perdessero o danneggiassero in servizio del Comune. In questo modo Asti richiamava il conte di Savoia all’osservanza degli antichi patti, per cui era obbligato ad inviar gente in difesa di Asti, e si procurava l’aiuto della sua valorosa persona e dei suoi gagliardi commilitoni. Amedeo v non disde- gnava di seguire l’esempio dato da suo nonno Tommaso i nel 1225, e poneva se, ed il fiore delle sue genti al soldo della repubblica d’Asti, con un intento che mera- vigliosamente conveniva alla politica della sua Casa, giacche si trattava di abbassare la potenza della rivale dinastia dei marchesi di Monferrato. Amedeo v scese presto in Piemonte, e l’esercito confederato sconfisse Emanuele di Biandrate che combatteva per il marchese. I nostri documenti n. 1027, 1028 dimostrano che il conte Amedeo era iu Asti ai 5 ed ai 15 agosto. Il podestà ed i quattro savi di Asti sostenevano che il conte Amedeo magne nobilitatis et potentie vir, a termini delle convenzioni precedenti, doveva tenere a sue spese 100 militi oltramontani curri centum destrariis et centum roncinis , i quali stessero nel territorio d’Asti o dei loro amici, per due mesi, dopo la richiesta fattane due mesi e mezzo prima a lui od al suo nunzio, o vicario di Piemonte. Asserivano ancora gli ufficiali astesi, che il Conte doveva dare ogni anno 200 militi oltramontani, cum ducenti s destrariis et ducentis roncinis , che stessero dalla metà di maggio alla metà di luglio nel territorio d’Asti o dei suoi amici, e dalla metà di luglio alla metà di agosto nelle terre cismontane del (') St. della Mon. di Savoia, n, 211. 115 — Conte a difesa degli amici o ad offesa dei nemici di Asti (‘). Amedeo v osservava per contro che egli aveva condotto e tenuto a sue spese nel distretto di Asti, ed a richiesta del Comune, per 17 giorni 12000 clienti per cui doveva chiedere la resti- tuzione delle spese. Il documento n. 1027 ci fa vedere che le domande per i 300 militi da un lato e per i 12000 clienti dall’altro furono giudicate valersi e compen- sarsi a vicenda. Avendo Amedeo v condotto seco ad Asti quamplures barones si sta- bilisce tra il Conte ed il podestà di Asti che il loro soldo supplementare previsto dalla convenzione del 25 aprile (n. 1026) debba essere per una volta tanto di 2000 lire viennesi, che corrisponderebbero secondo le valutazioni del Cibrario ad 80688 delle nostre lire. Questa cospicua somma sarebbe pagata al Conte, che la distribui- rebbe ai baroni avuto riguardo ad statura et magnitudinem personarum. Ai dieci di settembre gli Alessandrini, benché aderenti al marchese di Monfer- rato, stretti dalle sollecitazioni di Matteo Visconti e vinti dalla promessa di 35,000 fiorini d'oro fatta da Asti (2), insorgevano contro di lui, loro ospite e lo carceravano. In quei giorni l’esercito astese ed il conte di Savoia, erano nei pressi di Incisa. I documenti n. 1029, e 1030 ci dimostrano che il 13 settembre negli accampamenti ivi posti si faceva preghiera al conte di Savoia perchè liberasse quattro o cinque cittadini d’Asti fatti prigioni in Mombaruzzo da Albertino marchese della Rocchetta, e pagasse o si obbligasse per le 400 lire astesi necessarie al loro riscatto. La preghiera è fatta da alcuni congiunti od amici dei prigionieri, come pure dal podestà, dal ca- pitano del popolo e da tre dei savi d’Asti a nome anche del quarto. Sembra però che il Comune fosse più sollecito a promettere che a pagare. Ai 2 ottobre del 1290 (doc. n. 1031) gli ufficiali d’Asti ripromettono ad Amedeo v di pa- gare quanto è dovuto a lui ed ai suoi assoldati, ed egli garantisce a questi il paga- mento, facendosi promettere in caso di ritardo che il Comune avrebbe rimborsato i danni da stimarsi, senza altra prova, sulla semplice parola del Conte. Ai 13, 14 e 16 ottobre dello stesso anno (doc. n. 1032, 1033, 1034) Andrea de Nantiaco pro- fessore di leggi (3) a nome di Amedeo v di cui è procuratore, reclama ripetuta- mente e con vive istanze il pagamento delle 400 lire dovute per la liberazione dei prigioni di Mombaruzzo, facendo osservare, che son dovute ancora 13 lire per la liberazione di due altri prigioni, e 10 lire per le spese sostenute fino al giorno del reclamo. È da notare che per questi prigioni vi erano ancora controversie tra quelli di Mombaruzzo ed alcuni cittadini d’Asti, ovvero il marchese Albertino della Roc- chetta allorquando fu fatta la sovrastata pace dei 12 giugno 1292 (doc. n. 927), giacche fra le questioni per cui si nominano arbitri è citata anche essa. In occasione di questa sua venuta in Italia, Amedeo v conquista Pianezza, ed (') Vedi per ciò che riguardale convenzioni precedenti il trattato del 18 luglio 1278 (doc. n. 271) di cui si parlò discorrendo di Tommaso ili. (2) Così la cronaca del Ventura. Il S. Giorgio dice 80,000 (Cibrario. Stor. della Mon. di Savoia il, 218). La cronaca del Monferrato riferita dal Moriondo (Mon. Aq. il, 198) dice 85,000. (a) A quanto pare il conte Amedeo faceva esaminare da giurisperiti le sue convenzioni finanziarie, giacché al trattato del 15 aprile (doc. n. 1024) assisteva Nicolò de Billens, legum professor, ed alla convenzione del 15 agosto, erano presenti due militi, e quattro altri personaggi omnes iuris periti. 116 - altre terre fra la Dora e la Stura occupate dai Monferrini, sicché fece poi anch’egli nel 1292 un trattato di pace, anzi d’alleanza col novello marchese di Monferrato (*). Nel codice Malabaila il conte Amedeo non comparisce piu che quale testimonio della concessione fatta in Asti e ad Asti dall’imperatore Enrico vii l’8 dicembre 1310 (doc. n. 4). Ma nell’Appendice furono inseriti altri documenti che lo riguardano e di cui parleremo discorrendo di suo nipote Filippo, principe di Acaia. (M) Il contado di Savoia alla morte di Filippo i nel 1285 non passò a Filippo, primogenito di Tommaso in, allora fanciullo di sette anni, ma ad Amedeo v non senza contrasto per parte di suo fratello Ludovico i, al quale fu assegnato il paese di Vaud. Venne però lealmente riservata ai figli di Tommaso in la parte del Piemonte che era stata assegnata nel 1235 a Tommaso il Ai 24 maggio del 1286, sulle rive del Sangone presso Giaveno si tenne generale parlamento dei castellani e dei Comuni del Piemonte, onde riconoscere Amedeo v come luogotenente generale della vedova di Tommaso in e dei suoi figliuoli (2). Vero è che nei documenti, dei quali in addietro parlammo, si tratta del conte Amedeo non in questa sua qualità, ma come se reg- gesse il Piemonte per conto proprio. Però nel febbraio del 1294, Filippo, già sedi- cenne, visitò le varie parti dei suoi domini, ricevendo il giuramento di fedeltà dai suoi vassalli (3). L’atto di giudizio arbitrale sulle controversie tra Asti e Torino del 20 novem- bre 1297 (doc. n. 1050) termina colla dichiarazione: Ego Fr. notarius curie civi- tatis Taurini prò illustri viro domino Philipo de Sabaudia predictis omnibus et sin- gulis interfui. Nel 1301 Filippo sposò Isabella di Villehardouin, erede del principato di Acaia, la quale, essendosi costituito in dote questo principato, Filippo ne pigliò il titolo e ne ebbe la investitura da Filippo duca di Taranto, pretendente alla corona costan- tinopolitana, sicché d’allora in poi egli ed i suoi successori si intitolarono principi di Acaia (”) e talora principi di Morea. E cotesta qualifica gli é già data nell’atto del 30 novembre 1301 (doc. n. 1051) con cui é concessa per dieci anni metà della banca o casana di Torino a Leonardo Solaro. Filippo si mosse verso il suo novello principato nel 1301, ma riputando il Pie- monte più acconcio alla sua attiva ambizione, vi fece ritorno nel 1304 (5). E per verità se maggiori fossero state la sua virtù e la sua potenza, grandi risultati ei vi avrebbe ottenuti. Già da quarant’anni avevan fatto capolino anche in Asti le divisioni che rovi- narono le repubbliche italiane. Nel 1300 dominava in quella città la ricchissima e splendida famiglia dei Solari, forte del favore popolare e con carattere dal più al meno guelfo, a cui si contrapponeva la lega delle tre famiglie dei Guttuari, dei Turchi e degli Isnardi, detta dei de Castello. La uccisione di uno dei Solari per mano di uno dei Turchi fu la scintilla che pose fuoco alle mine. I Solari armarono i loro ade- renti, cioè i Garretti, i Malabaila, i Troia, i de Curia, i Falletti, i Ricci, i Perla, i Cassoni, ed alcuni dei Layoli, degli Asinari, dei Pelletta, dei Rotari. Alla lega (') Cibkario. Orig. e prog. della Mon. di Savoia ir, 70, TI. (a) Idem ibid. il, 67. C) Idem ibid. il, 72. (' ) Idem St. della Mon. di Savoia, n, 284. (6) Idem ibid. il, 284, 286. — 117 ghibellina, o dei de Castello, o allora o poi, si accostarono gli Alfieri, i Lunelli, gli Sca- rampi, i Yoglietti, i Yischi, i Testa, i Bertrandi, i di S. Giovanni, i Pallidi, i Catena, i Gardini, i Bergognini, i Garretti, i Cacherani, i Bnnei, e la maggior parte dei Rotari, dei Pelletta, degli Asinari, dei Laj oli ('). I quali nomi comprendono quelli delle prin- cipali famiglie astigiane e gli abbiamo voluti qui ricordare, perchè li troveremo più tardi, allorquando parleremo della vigorosa resistenza di Asti contro Carlo d’Angiò e quando ci tratterremo sul commercio bancario degli Astigiani. Nel maggio del 1303, i de Castello non si peritarono di associarsi ai secolari nemici della loro patria, ai marchesi di Monferrato, di Saluzzo, d’incisa, diedero l’assalto alla città, e presala saccheggiarono ed incendiarono le case dei loro avver- sari, e quanti ne poterono avere uccisero : sicché quei di parte Solare, se ne fuggii rono in Alba e Chieri. Ed intanto la repubblica perdeva Vignale, parte di Felizzano, di Riva, di Castelnuovo, di Rivalba, Cuneo, Castagnole, Calliano, che si rimettevano al marchese di Monferrato; Fossano e Cavallero che si cedevano al marchese di Sa- luzzo; parte di Canelli donata a Raimondo d’incisa. Ai 3 maggio del 1304 la fazione Solaro cogli aiuti del vicario del principe di Acaia e forse anche di re Carlo, e col favore del popolo sdegnato dello smembra- mento del territorio della repubblica, riprese Asti, rinnovando contro i de Castello i malanni che un anno prima ne avevano ricevuto. Alla loro volta i ghibellini abban- donano la città e si rifugiano nei numerosi castelli che possedevano nell’Astigiano. Nel dicembre dello stesso 1304, Filippo, reduce dall’Acaia, si recò in Asti ove fu ricevuto con grandi dimostrazioni, ed eletto capitano collo stipendio di 27,000 lire astesi. Egli provvide a combattere i fuorusciti ed i nemici d’Asti; ma cominciò ad adoperarsi ad acquistarne la signoria. Dapprima egli operò copertamente, ma poscia quando per una sconfitta degli Astigiani nel 1306 che gli venne attribuita a colpa, egli ebbe occasione di far venire in Asti le sue truppe, e quelle di Amedeo v, re- clamò senza ambagi la signoria perpetua d’Asti metà per se e metà pel coute Amedeo di Savoia. Bocche sollevò gli sdegni del popolo per guisa che lo si minacciò di farlo finire come il marchese di Monferrato in Alessandria. Perlocchè Filippo, che non si era procacciato sufficiente favore popolare, e non aveva abbastanza forza per domarne il furore, dovette fare le sue scuse e perdette la fiducia degli Astigiani. Agli 11 maggio del 1307 ei fece un trattato segreto col re Carlo n col fine di dividere con lui le città ed i territori di Asti e di Chieri, ma tuttavia simulando amicizia si portò in Asti nell’aprile del 1307 e fece proporre che gli fosse accordata ampia facoltà e pieno potere di pacificare i cittadini coi fuorusciti (2). La proposta sollevò i sospetti e gli sdegni popolari, sicché Filippo si ritirò da Asti coi suoi arredi. Lui (’) Queste e le susseguenti notizie vennero tratte dalla storia della città d’Asti dell’avv. Sera- fino Grassi (voi. i, pag. 214 a 281), il quale a sua volta le dedusse dai cronisti e da qualche raro documento. (s) Secondo il Cibrario (St. della Mon. di Savoia n, 290-295) Filippo d’Acaia fece un pieno trattato col siniscalco di re Carlo il 27 novembre 1305, ma senza che fosse eseguito: il 26 luglio 1306 stipulò per lo stesso fine dell'acquisto di Asti e di Chieri un trattato col conte Amedeo di Savoia, ma neppure questo condusse a risultato; sicché fallito il tentativo diretto fatto entro Asti, Filippo stipulò ITI maggio 1307 un novello trattato coll'Angioino. Per contro egli colloca nel 1309 il ten- tativo fatto da Filippo di imporsi come arbitro tra i fuorusciti ed i rimasti in città. — 118 — partito, il suo notaio assicurava di aver rogata la convenzione tra il Principe ed il siniscalco di re Carlo, per la quale si prometteva ai fuorusciti di ricondurli in Asti, e questi assicuravano loro il dominio della città. Filippo se ne andò a Chieri mostrando senza ritegno il suo favore ai de Ca- stello. Ma per una grave disfatta, che nel maggio del 1309 fu inflitta dai fuorusciti ai Solari e loro aderenti in Quatordio prevalsero più miti consigli. Ai 5 agosto Amedeo, conte di Savoia e Filippo principe di Acaia vennero nominati arbitri tra i rimasti in città ed i fuorusciti. I due prenci sabaudi pronunziarono il loro giudizio il 18 dicembre e la maggior parte dei fuorusciti rientrò in città. Però nel susseguente maggio del 1310, e secondo lo storico di cui seguiamo le traccie, ad istigazione di Filippo irato per non averlo i de Castello fatto signore della città, questi furono nuovamente cacciati da Asti. Intanto questa città era sol- lecitata dai messi di Roberto, figlio di re Carlo, e da quelli dell’ imperatore En- rico vii, che si disponeva a venire in Italia. Malgrado le minaccie di Filippo, si sti- pula un’alleanza col re Roberto, che il 9 agosto va in Asti con 400 militi e colla regina e vi dà splendido banchetto. Ai 10 di novembre Enrico vii giunge in Asti con grosso nerbo di milizie, con parecchi vescovi e coi due principi sabaudi (v. doc. n. 4). Ei fa occupare le fortezze dalle sue truppe ed immette in città i fuorusciti ghibellini senza cacciarne i guelfi, tentando qui come tentò in tante altre città italiane, di pacificare gli spiriti. Egli partì ai 12 dicembre traendo seco 100 militi e più di 1000 fanti astesi. La tran- quillità non durò lungamente, giacche gli agenti dell’Imperatore ed i ghibellini ri- pigliarono le persecuzioni contro i Solari ed i guelfi, e gli espulsi da Asti ricomin- ciavano le scaramucce, i guasti, gli incendi, le uccisioni nell’agro astese. Indispettito Enrico vii, con diploma del 22 febbraio 1313 donò la città ed il distretto d’ Asti al conte Amedeo di Savoia, suo cognato. Questi si recò in Asti per mettersene al pos- sesso, ma senza poter riuscire, secondo il Grassi, per l’invidia di Filippo, che gli suscitò contro i ghibellini allora preponderanti ('). Intanto re Roberto aveva preso forte piede in Piemonte, facendosi riconoscere sovrano da Cuneo, Mondovì, Fossano, Savigliano, Cherasco, ed Alba. Il suo valoroso siniscalco Ugo del Balzo si mosse con trecento militi e tremila fanti in aiuto dei fuoru- sciti guelfi. Al fine di marzo ed al principio d’aprile furono sconfitti i ghibellini ed i loro alleati, fra cui i Monferrini ed i Milanesi, sicché i de Castello dovettero nuo- vamente abbandonare Asti ai Solari. Narra il Grassi, che l’8 aprile del 1313, il principe di Acaia fece una conven- zione con Guglielmo Isnardi, per cui i de Castello lo riconoscevano loro diretto si- gnore e che con buon nerbo di truppe si avanzò verso Asti, ma che uditi gli appa- recchi ivi fatti da Ugo del Balzo, se ne ritornò nei suoi Stati. A chiarire la storia di questo doloroso periodo credemmo utile di riportare nel- l’Appendice sei documenti trovati dal cav. Yayra nell’archivio di Stato di Torino (doc. n. 1039 a 1044). (') Anche il Cibrario (St. della Mon. di Savoia il, 38) parla dei dissensi in quel tempo tra i due principi sabaudi, i quali furono presto accordati il 29 ottobre 1313 da autorevoli arbitri, tra cui Lodovico di Savoia, fratello di Amedeo v. — 119 — Il primo di essi (doc. n. 1039) è il testo, per quanto noi crediamo non prima d’ora pubblicato, della deliberazione sopra ricordata del 5 agosto 1309, con cui il conte Amedeo di Savoia e Filippo principe di Acaia sono nominati arbitri per com- porre le differenze tra i rimasti in città ed i fuorusciti. Sembra che nel frattempo Filippo muovesse per conto proprio dei reclami pecuniari alla città d’ Asti, giacche il 31 ottobre 1309 (doc. n. 140) il conte Amedeo come arbitro decide che il Comune debba pagare sul suo erario a Filippo 3000 lire astesi minute ogni anno, oltre 4500 lire di cui a quanto pare egli era in credito. Il 18 dicembre 1309 i principi Sabaudi pronunciarono la sentenza arbitrale di cui gli storici d’Asti danno il sunto. Il documento n. 1041 ci mostra che il 19 marzo 1310 il procuratore di Filippo si reca in Rionale, onde far nota ufficialmente detta sentenza arbitrale nella parte che riguardava tanto Rionale come Agliano, Castelnuovo di Calcea, Muasca, Eocca di Azzano, Neive, Corsembrando, Corseono, Corcavagno, Settime i cui uomini e fuochi si dicevano esser stati nei tempi trascorsi tolti a cittadini d’ Asti. Sicché fino a quel momento si dovrebbe credere che Filippo lealmente si adoperasse per la esecuzione della sentenza arbitrale. Già fu detto che l’Imperatore partendo da Asti nel dicembre del 1310, si con- dusse dietro militi e fanti astigiani. Ai 28 gennaio 1311 (doc. u. 1042) il suo vicario in Asti ed il consiglio dei savi della città deputano un guelfo (Aimone de’ Solari) ed un ghibellino (Guglielmo Isnardi) a sindaci del Comune presso l’ Imperatore, ed il conte di Savoia suo vicario in Lombardia, onde pattuire quanto occorrerà per gli stipendi dei militi e dei fanti di esso vicario ed il salario di lui. Inoltre essi sin- daci potranno promettere ed obbligare il Comune per un debito di 10,000 lire verso il Conte, cioè di 4000 verso lui e di 6000 per le quali egli si era obbligato per il Comune a B. Asili ari ed a G. Malabaila. Assai importanti sono i documenti n. 1043, 1044 per cui i de Castello si fanno vassalli di Filippo d’Acaia per i loro castelli, ville, luoghi e uomini. Costoro promet- tono che, quando venga a morire l’Imperatore Enrico vii, faranno tutto il possibile per opera loro e dei loro aderenti, acciò il principe d’Acaia ed i suoi eredi abbiano la signoria di Asti, dei suoi castelli, delle sue ville, e di tutto il suo distretto. Si pattuiscono perfino i limiti delle attribuzioni del Principe e di quelle del Comune. Il Principe salva l’Imperatore ed i signori di Savoia da ogni ostilità, e si impegna a difendere costantemente i de Castello ed i loro amici contro i Solari e quelli che ad essi aderiscono, anzi a combatterli ove occorra, e ad espellerli. La prima con- venzione fu fatta in Torino l’8 aprile 1311 tra Guglielmo di Monbello, procuratore di Filippo e Guglielmo Isnardi de Castello a nome suo e come procuratore di Gu- glielmo Turchi, e di dieci dei Guttuari. La convenzione é poi confermata, il 18 aprile in Asti da diversi Guttuari e da un altro Isnardi, ed il 22 aprile nel castello di Frinco da Domenico Turco e Giacomo Guttuario. Contemporaneamente all’ approva- zione della convenzione in discorso, gli Isnardi, i Guttuari ed il G. Turco, giurano fedeltà a Filippo. La sottomissione dei de Castello al principe di Acaia si fece adunque quando essi erano in Asti e vi tenevano la somma delle cose, e non, come narra il Grassi, dopo la loro cacciata dalla città nell’aprile del 1313. E quindi una favola che Filippo, __ 120 — una volta stipulato l’accordo coi de Castello marciasse su Asti, ed udito che eran stati accordati estesi poteri ad Ugo del Balzo, se ne tornasse con tutta fretta Dei suoi stati, senza più nulla imprendere (1). Le asserzioni dei cronisti d’Asti intorno a Filippo debbono essere accolte con qualche riserva, giacche essi erano quasi tutti guelfi, e questi mentre nel 1304 avevan riposte le loro speranze in Filippo, più tardi trovarono in lui uno dei più potenti fautori dei ghibellini. La fortuna non fu così amica al principe di Acaia che l’Imperatore Enrico vii mancasse mentre in Asti dominavano i de Castello, imperocché morì a Buonconvento ai 24 di agosto del 1313. Nè Filippo ebbe per sè accortezza, ardimento, potenza occorrenti alla grande impresa della conquista d’Asti. La repubblica era moralmente spenta, giacche i vizi dei suoi cittadini 1’ avevano resa impossibile , ma la signoria di quella città toccò agli Angioini e non ai Sabaudi; la fazione Solara tornata pa- drona della città nel principio di aprile si affrettò a concedere ed agli 8 aprile sti- pulo la cessione di Asti al re Roberto col suo siniscalco Ugo del Balzo. Il 1° agosto 1313 il gran consiglio d’Asti approvò la cessione. Il 4 marzo 1314 re Roberto la accettò, e la repubblica d’Asti fu finita. Rimasero i sindaci, i consoli, il gran con- siglio, ma al dire del Grassi (2) non avevano maggiore autorità di quello che aves- sero a Roma i senatori sotto Tiberio! 11 principe Filippo acquistò in Piemonte parecchie terre: prima del 1310, Balan- gero, Ciriè e valli attigue, Gassino, Settimo: nel 1313 Ivrea e il Canavese che vera- mente furono donati dall’Imperatore ad Amedeo v, ma al cui dominio fu poi anche associato Filippo d’Acaia; nel 1314 Fossano, Riva, Cavallennaggiore: nel 1320 Savi- gliano, Bra ed altre terre circostanti. Vero è che di taluni di questi luoghi egli perde, e talvolta ricuperò il dominio ('’). Ma per ciò che riguarda Asti, vi fu bensì qualche tentativo di far valere la concessione imperiale del 1313: ma la dinastia Sabauda potè solo aggregare ai suoi stati questa città due secoli dopo, e per una singolare coincidenza, grazie al dono di un imperatore cognato ! Carlo v ne fece un presente a sua cognata Beatrice di Portogallo, duchessa di Savoia, il 3 aprile 1531. Dicemmo che la fortuna, la virtù e la potenza di Filippo d’Acaia non furono pari all’arduo compito dell’acquisto della maggior repubblica piemontese come non ebbe l’abnegazione di aiutare Amedeo v a trar frutto della concessione imperiale, ma ci sembra assai probabile, che l’ impresa sarebbe riuscita, se la monarchia di Savoia fosse stata fin d’allora più fortemente costituita. Invece, sebbene il sentimento delle necessità di Stato spesso si manifestasse e si cercasse di accontentare i cadetti coi benefici ecclesiastici, i Sabaudi avevano talvolta divisa la loro signoria tra i figli e dotate le figlie di parte di essa, per guisa che al principio del secolo decimoquarto, lo stato Sabaudo era diviso tra Amedeo v conte di Savoia, Filippo principe d’Acaia, e Ludovico signore di Vaud. Ma Amedeo v, meritamente chiamato il grande dagli storici, per fortuna della sua dinastia e d’Italia, pose termine a tanto disordine. Egli dispose tutte le cose perchè lo stato rimanesse indinnanzi una unità politica f) Grassi, o. c. i, 266. (s) St. d’Asti cit. ir, 7. (s) Cibrario. Origine e progresso delle isti- tuzioni li, 106. — 121 — da non dividersi a comodo di principi o di principesse, ma da rimanersi intatta per la forza della dinastia e la felicità del popolo (’). Alla estinzione del ramo di Acaia (anno 1432) il Piemonte si riunì alla Savoia, e già nel 1347, Chieri, quando fe’ atto di dedizione alla dinastia Sabauda (5), stabilì che la signoria della repubblica spettasse in perpetuo e per indiviso a Jacopo principe di Acaia, e ad Amedeo iv conte di Savoia. 24. Sui conti di Biandrate. Intorno all’importanza di questa famiglia, che ebbe così ragguardevole signoria nell’ Ossola, nella Yalsesia, nel Novarese, nel Canavesano, nel Cheriese, discorsero tutti gli storici che toccarono di queste terre, ed anche di recente il Bianchetti nella sua pregevole e coscienziosa opera sull’Ossola (3) pubblicò parecchi documenti, ed un quadro genealogico dei conti di Biandrate. Non ci sembra inutile il considerare quali ulteriori notizie sovra questo casato vengono somministrate dal nostro Codice. Come consta dall’ Indice del medesimo, nel quinternetto che ivi manca, era incluso il ca- pitolo clxsxii De comitibus de Blandrato , e rimase soltanto il titolo di un docu- mento : De quibusdam iuramentis factis per Ubertum Comilem de Blandrato de juvando Astenses prò eis quamplura f adendo. Tuttavia si raccoglie un discreto contingente di notizie, per quanto sappiamo, non conosciute ancora. Non ci tratterremo sovra un Lamberto di Biandrate (anno 1172, doc. n. 282) ed un Ardizzone Major di Biandrate console della Società di S. Stefano di Vercelli (anno 1194, doc. n. 991) i quali fanno da testimoni, e non consta che appartenessero alla famiglia comitale (4). Sono trentasette i documenti del Codice o dell’Appendice nei quali si parla dei conti di Biandrate: tre già noti in parte o per sunto (n. 261, 1000, 1018), cinque già pubblicati (n. 23, 282, 670, 905, 944), sette estratti dal nostro Codice e fatti di pubblica ragione dal Ficker e dal Bòhmer, ma per quanto noi crediamo, non considerati sotto il punto di vista dei conti di Biandrate (n. 12, 19, 635, 814 a 816, 919), e ventuno inediti (n. 182, 762, 798, 803 a 808, 810, 893, 899, 900, 902, 913, 918, 927, 928, 945, 946, 977, 1035). Essendovi non poche incertezze nella genealogia di questa famiglia, diamo un quadro della medesima relativo alle persone indicate nel Codice, mostrandone la figliazione quale risulta dagli alberi genealogici del Bianchetti e di P. Salvai (5). (') Cibrario. St. della Mon. di Savoia il, 336. (’) Id. St. di Chieri i, 391. (3) L'Ossola infe- riore. Notizie storiche e documenti, 1878, 2 volumi. (’) Questi due nomi non compariscono nelle varie genealogie dei Biandrate, però Lamberto figura già come testimonio nella conferma dell’impe- rator Federico (1158) dell' infeudazione di Chieri fatta dal vescovo di Torino. Cfr. Benvenuto S. Giorgio. De origine gentilium suorum et rerum successibus ; ms. della Biblioteca del Re in To- rino, fol. 9. (5) Cfr. Angius. Famiglie nobili della Monarchia di Savoia. Voi. iv, pag. 1304-1305. 16 122 — Guido III Guido Cod. Mal. n. 635. Alberto I 1093 t av. al 1119. Alberto II Guido IV 1152-1167. Guido Cod. Mal. n. 132. Bianchetti Salvai Codice Malabaila Ubekto I 1196 f av. al 1209 Oberto I Cod. Mal . n. 282, 814 a 816, 893 (Conti di B.), 918, 919, 670 (Conti di B.) 1000 (id.). Ottone III 1209-35 t av. 1240. Ottone 1202-20. Uberto III 1240-73. Alberto 1242-60. Gotofredo I 1201-29 t av. 1237. Goffredo Cod. Mal. n. 913, 19 Pietro I 1229. Uberto II 1201-34. Oberto II 1202-29 Coi. Mal. n. 12, 23 (Conti di B.) 261 (Uberto e figli) Oberto Guido Cod. Mal. n. 798. Guglielmo IV 1268-80 Cod Mal . n. 807 e 808. Bonifacio 1263-80 Cod. Mal. 807 e 808 Pietro III Otto VI 1268 Alberto II 1268 Emanuele Cod. Mal. n. 899, 900, 902, 905, 1018, 944, 945, 946, 804 a 808, 977, 18c, 810, 1035, 927, 928. Guglielmo Cod. Mal. n. 899, 900, 902, 944, 945, 943. Federico Guido Benedetto Cod. Mal. n. 899, 900,902, 944, 945, 496, 803 a 808 . Antonio Cod. Mal. n. 810, 1035, 927, 928. Avvertiamo che per distinguere gli omonimi, nelle nostre considerazioni segui- remo la numerazione adottata dal Bianchetti. Un Wido conte di Biandrate assiste il 28 marzo 1095 all’ atto (doc. n. 635) con cui il vescovo d’Asti dà a questa città la investitura di Annone. Secondo il quadro del Bianchetti non potrebbe essere che il Guido ni poiché il Guido ii già era mancato ai vivi nel 1083. Guido iv il grande, quegli che fu capitano delle milizie di Milano, nel 1152 ottenne dall’ imperatore Federico la conferma in termini amplissimi dei numerosi suoi feudi (’), tra cui figurano Cessole, Kipa, (Riva di Chieri), Purcile, Yaldemax (Valle di Masio ) , e Monteacuto (Monteu Roero ). Sembra che dopo conseguita, verso il 1158, dal vescovo di Torino la cessione dei diritti che questi van- tava sopra Chieri, ed ottenuta dalPImperatore la conferma di tale infeudazione in termini che implicavano la più alta signoria (2), Guido facesse o minacciasse guerra (') Bianderate, Guilengo, Caraare, Ceredo, Cavalianum, Bellenzago, Olegium, Medium, Marrigum, Comnagum, Rovexlate, Agredate, Iboreum superius et Iboreum inferius, Briga, Quirezo, Casali, Briona, Pedrorio, Sezianum, Rocham de valle Siccidae, Montrigone, Agnona, Sessia etc. in valle Siccidae, Medolium cum omni comitatu de valle Ossulae, Sanctum Georgium, Cesoie, Riva, Porcillo, Valde- max, Casamnovam, Lentam, Calpinianum, Camodegiam, Montagutum, Castano, ripara Ticini a Sesto usque Ceredanum. Vedi Bianchetti, 1. c. n, 15; e Benvenuto S. Giorgio, 0. cit. fol. 2 e segg. Il testo però riferito da quest'ultimo varia in qualche parte da quello riferito dal Bianchetti. (5) Cibrario. Delle Storie di Chieri i, 44. — 123 — ad Asti (1). Infatti il 22 febbraio 1160 (doc. n. 182) (’) Asti pattuiva coi signori di Mombercelli una alleanza decennale, per cui costoro si obbligavano ad aiutare Asti contro il marchese di Monferrato ed il conte di Biandrate : notiamo però che il nome di questo Conte non è indicato. Il quadro del Bianchetti ci mostra che Guido iv era ancora in vita nel 1167. Il doc. n. 815 del nostro Codice ci fa sicuri che più ei non viveva nel 1186, ma egli non era ancora mancato nel 1172, tuttoché in tale anno suo figlio Uberto sti- pulasse trattati senza parlare del padre. Infatti ai 26 di agosto del 1172 Guido coi figli Uberto e Raineri donava alcuni beni posti in S. Giorgio Canavese alla Chiesa o Mansione di Ruspaglia (3). Anzi secondo l’Angius (") egli non sarebbe morto che tra il 1175 e 1176. Uberto i, figlio di Guido iv, combattè contro Asti e Chieri in una grossa guerra che si terminò a vantaggio delle due repubbliche col trattato di pace del novembre 1172 (doc. n. 282) già riferito dal Cibrario (3). Ivi egli giura di non levare alcun pedaggio nec vidam nec curayam dagli Astigiani andanti a Torino, e li salverà dal grano. Per Porcile sarà fatto ragione da un arbitro eletto in comune, e per Stoerda dal vescovo di Asti. Il Conte farà giurare il castellano di Porcile di non imporre pedag- gio agli Astigiani. La repubblica di Asti poneva in prima linea i suoi interessi com- merciali, e si comprendono i frequenti suoi attriti coi conti di Biandrate, i quali possedevano terre e castelli sulla via da Asti a Torino. Il Benvenuto S. Giorgio poi riferendo questa pace del 1172 (1. c. fol. 34-35) vi prepose una nota per avvertire che i castelli di Cbieri e di Porcile della valle di Masio ed altri luoghi vicini a Chieri e ad Asti erano toccati ad Uberto nella divisione coi fratelli il che è incon- ciliabile col fatto che ancora fosse in vita il padre Guido iv, ma spiegherebbe però come in un atto della sua speciale signoria, Uberto non ne facesse menzione. La convenzione del 1172 non fu l’ultima che Uberto i stipulasse con Asti, Ben- venuto S. Giorgio ne riferisce un’altra assai importante conchiusa tra il conte Uberto e gli Astigiani il 20 dicembre 1178 (c), nella quale fra le altre cose il Biandrate si obbliga di abitare per un mese ogni anno in Asti a meno che ne fosse espres- samente dispensato dai consoli del comune o dalla maggior parte di essi. Uberto i ebbe nel 1185-86 una controversia colla badessa del monastero di s. Fe- lice in Pavia, relativamente alla signoria di Villanova, ove egli pretendeva un terzo della metà della giurisdizione, del distretto e del fodro, e cinque generalia placito. La questione fu sottoposta alla curia dell’imperatore Federico Barbarossa, della quale curia erano in Italia vicari Bonifacio, vescovo di Novara, e mastro Metello (7) assistiti da alcuni (') Con un diploma dei 7 di febbraio del 1159 l’imperator Federico concedeva a Guido il privi- legio che non potesse invocarsi a suo pregiudizio la prescrizione nè di trenta, nè di cinquanta, nè di cento anni « quia patre eius in servitio imperii defuncto infantem, et qui sua tueri non posset, reli— ctum cognovimus » (V. il diploma in Benvenuto S. Giorgio, op. cit. fol. 18). Questo privilegio si prestava sicuramente per fare delle rivendicazioni ed è molto probabile cbe Guido ne avesse a far valere contro Asti. (5) Nell’indice delle persone citate nel Codice, il doc. n. 182 fu per errore attri- buito ad Uberto di Biandrate. (3) La donazione è riportata dal Benvenuto S. Giorgio, op. cit. fol. 32-33. (‘) Famiglie Nobili cit. Voi. IV, p. 1262. (s) L. c. i, 54; II, 16. (6) L. c. fol. 35-36. (’) Metello era di Brescia. Ficker, Forschungen etc. i, 334. 124 — giudici. Venne fatta una inchiesta sovra testimoni uditi in Piacenza il 10 luglio 1185 (doc. n. 814) ed in Pavia il 15 febbraio 1186 (n. 815). Essi depongono contro il conte Uberto. Affermano che in Villanova egli non aveva diritto ad altro, che a due comandarie consistenti in due pani ed altrettanti polli o capponi in due ospizi, cioè dei Revello e dei Guajtafuoco, e depongono che da venticinque a trentanni prima il fu conte Guido, e poscia suo figlio Uberto cominciarono a levare fodri, banni ed alber- gane, od almeno a pretenderne una.parte. Un’altra parte era riscossa da Uberto de Ripa, e sembra che i de Biandrate non avrebbero insistito sulla loro pretesa, se i de Ripa avessero fatto altrettanto. Uno dei testimoni asserisce che nell’ anno in cui i Milanesi entrarono in città, e prima che vi entrassero, il vescovo di Asti levava un esercito, ed allora venne in Villanova per aiutarne gli abitanti, a quanto diceva, un uomo del Conte qui habet nasum argenti, ma la badessa Cicilia lo mandò via. Il Conte col naso d’argento, o che mandava degli agenti in questa condizione, sembra essere Uberto i, giacche nei documenti in discorso, si parla della badessa Cicilia dal 1169 al 1174: inoltre l’episodio riferito ha tratto a tempi di guerra, epperciò verso il 1174, quando Asti fu assediata dall’imperatore Federico. Un altro testimonio depone che lo stesso mar- chese di Monferrato disapprovando la condotta del conte di Biandrate verso il mo- nastero, dichiarava che faceva male, anzi operam dyaboli. La sentenza è data nel chiostro di San Salvatore presso Pavia il 15 febbraio 1186 (doc. n. 816), ed è favorevole al monastero. Ai 24 ottobre dell’anno seguente (doc. n. 817, 818) i giudici della curia dell’imperatore Enrico vi, visto che Roggero de Ripa citato per mostrare le sue ragioni sovra Villanova non era comparso, mandano immettere la badessa in possesso del fodro e della giurisdizione di Villanova. Il Ficker (') trasse dal nostro Codice questi documenti, onde riportarli tra quelli, che dimostrano in quei tempi l’azione effettiva della curia imperiale in Italia. Verso il fine del secolo xn e l’inizio del xm Asti ebbe col marchese di Mon- ferrato lunghe lotte, o, come dice Ogerio Alfieri (n. lOc.) una guerra di quindici anni con tre alternanze di pace e di ostilità. I conti di Biandrate, dei quali si parla nei nostri documenti si tenevano sempre o quasi sempre a lato del marchese di Monferrato qua- siché ne fossero satelliti, e contro la repubblica. L’anno susseguente alla famosa rotta degli Astigiani avvenuta in Montiglio, cioè nel 1192 ai 22 dicembre (doc. n. 893) gli Astigiani fanno una alleanza con alcuni signori di Montaldo diretta specialmente contro i marchesi Bonifacio di Monferrato, Manfredo di Saluzzo e Berengario di Busca, e contro i conti di Biandrate senza in- dicazione di nomi. Nel trattato di pace dell’ 11 aprile 1193 doc. (n. 918) tra il mar- chese di Monferrato ed Asti, il conte di Biandrate sempre senza indicazione di nome è tra i partigiani del Marchese, coi quali il Comune fa anche pace: è stabilito che quei di Castelnuovo faranno atto di fedeltà verso il Marchese o verso il Conte. Ci sembra fuor di dubbio che si tratta ancora di Uberto i, il quale al dire del Bianchetti (2) nel 1196 non solo era ancora in vita, ma unitamente al suo fratello Rainerio riceveva da Enrico vi (’) L. c. IV, 194, 206, 209, 215. (!) Op. cit. Quadro genealogico dei C. di Biandrate. — 125 — la conferma dei possedimenti paterni ('). Agli 11 febbraio 1197 doc. (n. 919) il conte Uberto di Biaudrate assiste alla promulgazione della sentenza arbitrale tra Asti ed il marchese di Monferrato pronunziata in Alba per mandato dell’ Imperatore da Tom- maso castellano di Annone. Nel 1198 ai 22 aprile (doc. n. G70) Asti fa alleanza coi signori di Manzano, Sarmatorio e Monfalcone specialmente contro i marchesi di Monferrato ed i conti di Biandrate. Non è indicato quali siano costoro, ma siccome anche dei marchesi di Monferrato non ve ne era che uno, non si può dedurre che si parli di parecchi Conti. E parimente nella pace fatta nel 1201 o poco prima con Alba (doc. n. 1000) questo Comune si impegna ad aiutare Asti contro parecchi pre- senti e futuri marchesi Aleramici, e contro i presenti e futuri conti di Biandrate, ma non si può concludere che si tratti d’altri che del conte di Biandrate prò tempore il quale signoreggia le terre che interessano i transiti degli Astesi. Secondo il Bian- chetti, la morte di Uberto i avvenne avanti al 1209 (2): se puossi ritenere che fosse poco prima di tale anno, i documenti n. 919, 670 e 1000 si riferiscono a lui, ma in caso diverso essi potrebbero riferirsi ad Uberto n, sovra il quale al dire del Bian- chetti si hanno notizie dal 1201. Gotofredo i figura nel Codice come testimonio, nel 1206 a Caliano ove è col marchese di Monferrato (doc. n. 913) e nel 1219 a Aygunove alla Corte imperiale (doc. n. 19) (3). Poiché secondo il quadro del Bianchetti Uberto i mancò ai vivi prima del 1209, non vi ha dubbio che Uberto n fosse quello che il 3 marzo 1214 (doc. n. 12) si trovava alla Corte imperiale a Gielenhusen. Nella lettera del 29 gennaio 1227 (doc. n. 23) di Papa Onorio sulla Crociata, oltre parecchie città della Lega lombarda sono citati anche il marchese di Monferrato ed i conti di Biandrate come quelli, con cui l’impe- ratore Federico farà pace, e che riceverà nella pienezza della sua grazia. Non è detto di quali Conti si parli, e non vi è ragione sufficiente per limitarli ad Uberto n. Invece nel trattato di pace fatto tra Asti ed i marchesi del Vasto il 25 novembre 1228 (doc. n. 261) è stabilito che essa debba estendersi anche al conte Uberto di Biau- drate, ed ai suoi figli, se il Conte lo vorrà. Quindi nel 1228 Uberto n aveva figli in tale condizione, che se ne dovesse parlare in un trattato così solenne, anche in assenza di ogni rappresentante della famiglia. È però singolare che negli accordi stretti dal conte Uberto cogli Astigiani ai 27 di settembre del 1233 riferiti da Ben- venuto S. Giorgio (”) egli parli solo a nome suo e dei suoi fratelli e mai dei suoi figli. Nel 1237 un conte Obertinus di Biandrate possiede unitamente ad altri il terzo di una delle Torri di Stoerda (doc. n. 798). Il diminutivo accenna ad un giovane, e non ad Uberto li il quale non è designato a questo modo neppure in documenti (') Questa conferma è riportata da Benvenuto S. Giorgio a fol. 44-46 dell’ op. citata. (s) Tanto Uberto che suo fratello Raineri erano già morti al primo di settembre del 1209, ma nun doveva essere da molto tempo perchè soltanto a quella data l’imperatore Ottone concedeva ai loro figli la conferma delle precedenti investiture e li prendeva sotto l’imperiale protezione per la costante devozione dei loro padri. Benvenuto S. Giorgio, 1. c. fol. 54-55. (a) Benvenuto S. Gior- gio riporta due atti in cui si parla di Gotofredo i; l’uno è la convenzione da lui conchiusa con Chieri il IO giugno 1210, l’altro è un lodo tra i Biandrate e Chieri del 8 febbraio 1209, 1. c. foli. 55 e 74. (•) L. c. fol. 75-76. — 126 — anteriori di un ventennio, e che nel 1237, se pure ancora in vita, (il Bianchetti non ne ha notizia che fino al 1234) certamente non era più giovane. Stando al quadro del Bianchetti noi dovremmo dire che si tratta di Uberto in figlio di Ottone in, tanto più che egli afferma (') essersi nella divisione dei beni della famiglia dei conti di Biandrate attribuiti ad Uberto ili quelli che essa possedeva in Chieri. Noi riteniamo invece che si debba in questo punto introdurre una aggiunta al quadro genealogico del Bianchetti, e tener conto del quadro del Salvai. Secondo questi, Uberto n ebbe a figli Uberto, Guido ed altri quattro che non c’interessano (2), e noi riteniamo perciò che l’Obertino del documento n. 798 altri non sia che il primogenito di Uberto n (3). Che Uberto n avesse figli, e più di uno ci fu dimostrato dal documento n. 261 del 1228. È naturale che ad essi od a qualcuno di essi passassero le terre che egli possedeva. Ed ove si potesse ritenere che la divisione di beni della famiglia dei conti di Biandrate, a cui accenna il Bianchetti si riferisse non ad Uberto in, ma ad Uberto n il di cui speciale dominio certo, interessava in particolar modo Asti ed i marchesi del Vasto, poiché fu incluso nel loro trattato del 1228, si avrebbe da Guido iv ad Uberto i, ad Uberto ii, ad Obertino una serie non interrotta da padre in figlio di quat- tro feudatari la cui potenza riguardava Asti. Argomento assai più grave si deduce dalla considerazione dei discendenti. Se- condo il quadro del Salvai dei due primi figli di Uberto il, il nostro Obertino non ebbe prole conosciuta, e Guido ebbe invece due figli Emanuele e Benedetto. Ora il conte di Biandrate, di cui maggiormente si parla nel nostro Codice è per lo appunto questo Emanuele, che non si trova nel quadro del Bianchetti. Il nostro Codice mostra che Emanuele e Benedetto avevano un fratello di nome Guglielmo non conosciuto al Salvai, ed in parecchi documenti si accenna a Benedetto ed al suo figlio Antonio, il quale è indicato anche nel quadro del Salvai. Ammettendo che il conte Emanuele ed i suoi fratelli direttamente dipendessero da Uberto ii è naturalmente spiegato come fosse loro toccata la parte del dominio dei de Biandrate, che più concerneva gli interessi della repubblica d’Asti. La discendenza di Uberto n non era però il solo ramo della famiglia, che avesse azione in questa parte del Piemonte. Il Cibrario (!‘) narra che nel 1260 vi fu guerra tra Chieri ed Alberto, Guglielmo, Oddone e Bonifacio conti di Biandrate (5). Nel quadro (’) L. c. i, 189. (a) Secondo B. S. Giorgio sarebbero stati Bertolino, Guifredo, Oddino e Petrino, ]. c. fol. 81. Invece secondo mons. Della Chiesa i figli di Uberto ni sarebbero stati sette. (3) Questa opinione verrebbe pure confermata da un documento del 25 agosto 1240, pubblicato da Claretta [Un docum. inedito del secolo xm sui conli di Biandrate. Archivio stor. ital. 1881) nel quale Obertino conte di Biandrate ed i suoi fratelli Guido e Bartolino a nome anche degli altri loro fratelli si dichiarano tenuti a restituire Tegerone al marchese di Saluzzo quando siano loro restituite 800 lire ricevute dalla loro madre per l’investitura di quel feudo. ('“) L. c. i, 185. (s) Se non proprio guerra, questioni certo vi furono. Benvenuto S. Giorgio reca infatti alcuni atti relativi a quelle contro- versie cioè: una procura del 3 gennaio 1260 passata da Guglielmo, Oddone ed Alberto di S. Giorgio al loro fratello Bonifacio per addivenire ad un compromesso sulle questioni vertenti, ed una sentenza o lodo fra i conti di Biandrate che sono precisamente Guglielmo, Bonifacio, Oddone ed Alberto in data 8 novembre e 2 dicembre pure 1260, alla quale sentenza fa seguito un terzo atto del 1 gennaio 1261 da cui risulta che in quel giorno Bonifacio a nome suo e dei fratelli aveva giurato habilacu- lum , pacem perpetuata et viciniscum Comuni Carli; 1. c. fol. 115 e segg. 127 — del Bianchetti troviamo quattro fratelli con questi nomi, i quali discendono da Gotofredo i. e costituiscono lo stipite dei signori di San Giorgio. Sono gli stessi fratelli che figu- rano nel trattato di alleanza fatto nel 1268 (l) tra il marchese di Monferrato altri signori Canavesi contro i conti di San Martino e contro Ivrea. Nel nostro Codice in due documenti del 1271 relativi ad Emanuele e Benedetto di Biandrate (doc. n. 807, 808), troviamo come testimoni i fratelli Guglielmo e Bonifacio di San Giorgio conti di Biandrate. Esaminiamo ora i documenti del Codice relativi ad Emanuele di Biandrate ed ai suoi fratelli. Agli 11 ottobre del 1252 (doc. n. 899) Emanuele conte di Biandrate a nome anche dei suoi fratelli Guglielmo e Benedetto, dovendo a Berrono e Tebaldo di Ce- resole 1350 lire di denari astesi per la cessione dei dritti che Berrono e Tebald > potevano avere in Anterisio ed in Desaya, dà il castello, la villa ed il territorio di Ceresole in pegno, ed alcuni ragguardevoli personaggi a difensori e conservatori del pegno. Il debito si deve pagare per 500 lire al Natale, per 400 al 15 successivo agosto, e per 350 al San Martino del 1253 (2). Trascorsi detti termini, sovra ogni somma in ritardo si pagheranno ex causa pure donationis inter vivos due denari per lira e per mese di ritardo. I frutti del pegno vanno in deduzione del debito per il dono dei due denari e poscia del capitale. Ai 25 dicembre Guglielmo fratello di Ema- nuele conte di Biandrate (3) giura l’osservanza di tali patti. Ai 22 marzo del 1253 (doc. n. 900) il conte di Biandrate ossia di Purcile (nel corso dell’atto è chiamato Emanuele), e suo fratello Guglielmo a nome anche del fratello Benedetto ricevono dagli stessi di Ceresole 300 lire in mutuo, e danno ad essi Tegerono in pegno della restituzione, che dovrà esser fatta entro un mese. I debi- tori pagheranno tanto entro questo mese come dopo il medesimo tre denari per ogni lira e per ogni mese. Finalmente (doc. n. 902) il 30 dicembre 1255 ('“') i de Ceresole vendono ad Asti tutte le ragioni che hanno sovra ì suddetti paesi per i loro crediti verso Ema- nuele conte di Biandrate ed i suoi fratelli Guglielmo e Benedetto. I crediti erano di 830 lire di capitale e di 122 lire de lucro curso usque ad hunc diem dipendenti dal credito di 1350 lire di cui al documento n. 899, e di 200 lire di capitale e di 18 di lucro dipendenti dal credito di 300 lire di cui al documento n. 900, ossia in totale di 1170 lire, che i venditori dichiarano di avere ricevute dal Comune. In tal modo per la potenza pecuniaria della repubblica, e per i dissesti finanziari dei principotti, la signoria di quella si ampliava, ed il dominio di questi si restringeva. Nel trattato di pace del 31 maggio 1257 (doc. n. 905) tra Asti ed il conte Tommaso di Savoia è stabilito che Asti debba far pace anche con un conte Ema- nuele, di cui non si indica il casato. Ma nella tregua del 17 novembre dello stesso (’) Moriondo. Moti. Aq. il, 573. f) La somma non s’accorda col totale sovrindicato. (3) Dei tre fratelli Emanuele è il solo che assuma questo titolo sino al 1270, dopo il quale anno anche Benedetto è detto conte di Biandrate. (*) Nel Codice è detto 1256 per il diverso cominciamento dell’ anno. 128 — anno (doc. n. 1018) tra gli stessi contraenti, il conte Emanuele è dichiarato di Bian- drate. E questo bellicoso conte Emanuele noi troviamo schierato contro il Comune di Asti non solo quando esso era in lotta coi conti Sabaudi, e, come in appresso si vedrà coi marchesi di Monferrato, ma è perfino dalla parte francese nelle tregue tra Asti e Carlo d’Angiò. Nella loro tregua del 1260 (doc. n. 944) è detto che, se Sismondo naturalis avunculus del conte Emanuele (senza indicazione di casato) facesse guerram de Varnono (') o di altro luogo, e dopo che il conte Emanuele od altri di tal parte incominciasse guerra, siano fuori della tregua quelli elio gli daranno aiuto o consi- glio. Essendo nello stesso documento dichiarato che Emanuele conte di Biandrate, ed i suoi fratelli sono posti nella tregua pei’ parte del conte d’ Angiò, la identità della persona non sembra dubbia. La clausola sovraindicata si trova ancora nella tregua del 1263 rinnovata e riportata in quella fatta nel 1266 (doc. n. 945) allor- quando Carlo d’Angiò era già re di Sicilia, ed è ripetuta nella tregua del 1269 (doc. n. 946). Iu questi due documenti il Sismondo è detto naturalis patruus del conte Emanuele, ed è esplicitamente dichiarato che la guerra prevista pel fatto di Yarnono sarebbe diretta contro Asti. Nella tregua del 1266 si fanno alcune aggiunte a quella del 1263, fra cui vi è la nomina di Bonifacio marchese di Cravesana, e di Enrico Alfieri ad arbitri tra Asti ed il conte Emanuele di Biandrate ed i suoi fratelli, onde decidere sopra le terre, i luoghi, i castelli, gli uomini, i possessi che furono tolti ai de Biandrate dal comune di Asti. Ma non se ne fece nulla, giacche nella tregua del 1269 si ripete la stessa clausola, e si stabilisce che da un lato il Comune, e dall’altro il Siniscalco dell’An- gioino debbano obbligare ciascuno l’arbitro di parte sua a definire le qnistioni insorte. Dopo il 1269 non si parla più di Guglielmo. Anzi il documento n. 973 che è un duplicato del n. 945 sovracitato in qualche punto (non in tutti) delle aggiunte fatte nel 1266 alla tregua del 1263 si trova Emanuele et frater anziché et fratres come è in tutto il documento n, 945, jiel n. 946 del 1269, e nel n. 974 che ne è un duplicato. Nel febbraio del 1271 (doc. n. 803) Benedetto che è qualificato conte di Bian- drate, è uno dei consignori di Riva, allorquando tale Comune nomina un procura- tore, acciò proceda alla elezione del marchese di Monferrato e del podestà d’Asti ad arbitri nelle controversie tra il Comune ed i signori di Riva. Negli altri atti dello stesso anno esistenti nel Codice (n. 804, 805, 806, 807, 808) intervengono o sono menzionati Manuele e Benedetto entrambi qualificati conti di Biandrate, e detti fratelli nel documento n. 807. Risulta che i de Biandrate avevano allora la metà della signoria di Riva, spettando l’altra metà ai signori di Castelnuovo e di Playa, e che i de Bian- drate erano ligii del marchese di Monferrato, ed i signori di Castelnuovo e di Playa del Comune d’Asti. Secondo un arbitrato del 25 febbraio (n. 807) i vassalli di detti due gruppi di feudatari debbono avere ciascuno un terzo dei consiglieri ed ufficiali di Riva, spettando l’altro terzo alla società di Riva. Ma nello stesso giorno gli (’) Vernone apparteneva nel 1231 ai signori di Veregnano, e nel 1290 spettava in parte ai signori di Moncucco. Vedi Cibrario, 1. c. i, 113, 215. 129 - arbitri si pentono di questa liberalità, e coll’atto n. 808 stabiliscono, che non debba esservi più in Eiva alcuna società vel conjuratio , e che gli ufficiali e consiglieri comunali spettino per metà ai vassalli dei conti di Biandrate, e per metà a quelli dei signori di Castelnuovo, e di Playa. Avevano i feudatari paura degli uomini liberi, ovvero aveva la Società di Riva sinistri propositi ? Tardi si erano accorti i partigiani dello straniero, che non ad aiutarli nelle loro lotte fraterne egli intendeva, sibbene a soggiogarli tutti, sicché dal 1270 al 1275 il marchese di Monferrato, ed altri Aleramici si unirono ad Asti, e strenuamente pugna- rono finché le genti dell’Angioino furono ricacciate in Provenza. Anche i conti di Biandrate dovettero essere allora dalla parte nazionale. Infatti nella pace del 1276 (doc. n. 977) tra Asti ed Alba, la quale fu in quel doloroso periodo il più fido propugnacolo dei Francesi, Asti si incarica di pregare e di indurre in buona fede il conte Manuele ed i suoi nipoti a restituire ciò che era stato tolto agli antichi possessori di S. Stefano. Allontanato lo straniero, le lotte intestine ripresero vigore, e cresciuta nel frat- tempo la potenza e l’ambizione del marchese di Monferrato, surse nel 1289 guerra gravissima tra Asti, ed il marchese di Monferrato ed il conte Emanuele di Biandrate, il quale é ricordato anche da Ogerio Alfieri (n. 18 c.). Il di Biandrate fu il primo sopra cui si gettarono gli Astesi. Egli fu rotto, e mortogli il figlio (’) dovette posare le armi e far pace con Asti. Secondo il Salvai (2), figli di Emanuele erano Federico e Guido. Il primo fu giovane di singolare valore, e venne trafitto da lancia nel com- battimento presso Sommariva del Bosco. Al qual colpo restò il misero padre così abbattuto di spirito, che nulla più sperando diede agli Astesi sé stesso ed i suoi domini col trattato del 1290. Il nostro Codice (doc. n. 809, 810) mostra che, ai 5 e 6 novembre del 1290, Riva si rimise all’arbitrio di Asti, e furono attribuiti a questa città tutti i dritti signorili che dapprima spettavano al marchese di Monferrato, od al conte Emanuele ed al suo nipote. Un preziosissimo documento tratto dall’Archivio di Stato di Torino dal cav. Yayra, e che riferimmo nell’Appendice al n. 1085, dà il testo del trattato di pace concluso il 10 dicembre 1290 tra Asti, e tra il conte Emanuele di Biandrate, i suoi figli, ed il suo nipote Antonio. I conti di Biandrate dovranno essere cittadini astesi, e fare unitamente ad Asti pace, guerra e tregua colle loro persone e terre, contro qualunque persona o Comune: terranno in Asti due milizie ogni qualvolta esse saranno richieste, ed al caso paghe- ranno fodro, prestito o taglia sopra 600 lire astesi. Non saranno astretti ad abitare in Asti, fuorché per aiuto in caso di guerra, ed avranno la libera disponibilità delle loro biade, ma non potranno condurle ai nemici d’Asti. Ritengono le loro terre e giurisdizioni, né si potranno levare uomini, costrurre fortilizi, acquistare dritti nelle loro terre senza loro licenza. Non compariranno davanti ai tribunali d’Asti che per loro atti o contratti relativi ad Astigiani. Per i casi di guerra terranno a disposi- zione d’Asti il castello di Monteacuto (Monteu Roero), e quello di S. Stefano di Astisio. Rinunciano definitivamente ad ogni pretesa di giurisdizione sovra Castelnuovo di Ri- valba, Riva, Pogliano, Buttigliera, Poirinò, Castiglione presso Poirino, Stoerda di Te- gerono, Castelletto di Astisio, Canale superiore ed inferiore, Monterainaldo ossia (') ClBRARIO, 1. C. I, 217. (5) V. ANGIUS, 1. C. 17 — 130 Montatafango, Desaya, Belvedere, Anterisio, Ceresole, (sembra che i conti di Biandrate prima del 1290 avessero perduta la signoria di fatto di quasi tutti questi paesi). Però terranno o riceveranno a titolo di restituzione le terre, le vigne, i ponti, i boschi, i gerbidi che avessero in Riva con esclusione dei pedaggi, delle rosie, e di tutto ciò che, riferendosi a dominio od impero, deve restare ad Asti. Cedono ancora a titolo di pace e di transazione il castello, la villa e gli uomini di Purcile, abbandonando ogni specie di giurisdizione, e ritenendo solo i possedimenti privati, fra cui si com- prendono le acque ed il molino. Con un altro atto del 19 dicembre, riferito dal Benvenuto S. Giorgio (') , il podestà d’ Asti ricevette il conte Emanuele e suo nipote Antonio in cittadini d’Asti e da ambe le parti furono ratificati gli accordi stabiliti; Dopo così grave sottomissione, il ramo dei conti di Biandrate, di cui parliamo, figura nel Codice tra i ligii ad Asti. Nel trattato di pace del 1292 tra Asti ed il marchese di Monferrato (doc. n. 927) Emanuele ed Antonio conti di Biandrate sono compresi tra gli amici di Asti, che potranno ratificare la pace, quando ne siano adempiute le condizioni. Ed anche nel trattato del 1293 (doc. n. 928) il conte Ema- nuele di Biandrate e suo nipote, sebbene figurino tra gli amici del marchese di Monferrato, sono pure annoverati tra gli amici di Asti. È da notare che nel trattato del 1293, tra gli amici del marchese di Monferrato, oltre il conte Emanuele di Biandrate e suo nipote, sono indicati in genere i conti di Biandrate, ma separatamente dal conte Emanuele, anzi essi hanno posto tra la città di Ivrea ed i conti di Valperga. Probabilmente si allude al ramo dei signori di San Giorgio, il quale anche in questo tempo aveva possedimenti nel Cheriese. Il Cibrario (s) ci fa sapere che Chieri aveva pretensioni sopra Avuglione, Baipas- sano, Sciolze, e Cessole, e che un arbitro decretò la vendita di Andezzeno e di Cessole a Chieri pel prezzo di 2000 lire astesi piccole, e P aggregazione di Pietro di Biau- drate e dei suoi fratelli alla cittadinanza di Chieri. Ed infatti Pietro (Pietro in colla numerazione del Bianchetti) figlio del conte Bonifacio da noi in addietro mentovato, fece nel 1290 la vendita ordinata dall’arbitro. Però i Biandrate sopportavano a malincuore la soggezione ad Asti loro imposta colla pace del 1290 ed il Benvenuto S. Giorgio c’informa che morto Emanuele, Guido di Porcile, Obertino di S. Giorgio e Guglielmo di Valle Sesia conti di Bian- drate recatisi dall’imperatore Enrico vii che era all’assedio di Brescia portarono lagnanze contro gli Astigiani e contro quegli onerosi patti « de Astensibus deque bis « quae quondam Manuel Comes eorum consanguineus agere coactus fuerat vehemen- « ter questi sunt; quapropter Imperator memoratam transactionem, alienationesque, « pactiones, promissiones et obligationes per Astenses a praefato Comite per eorum « potentiam et contra jus extortas, per duo sequentia privilegia delevit et annulla- « vit ». I due privilegi riportati integralmente dal Benvenuto (3) sono in data 10 luglio 1311. Ma quel rimedio giungeva troppo tardivo per rialzare ancora la for- tuna dei Biandrate dal colpo portatole dalla repubblica d’Asti. (’) Ms. cit. fol. 135. (s) L. c. I, 217. (") Ibidem fol. 137. — 131 — Le vicende della famiglia dei conti di Biandrate nell’Astigiana, ci dimostrano che la loro potenza si andò dileguando, in parte per i dissesti finanziari che deter- minavano l’impegno or di questo, or di quell’altro lembo della loro signoria, ma soprattutto per la divisione e suddivisione della medesima tra i diversi rampolli dello stesso casato, donde nascevano facilmente cagioni di attriti e d’intestine di- scordie (*), ed è anche a credere che vi abbia influito il mal animo dei sottoposti paesi. Del resto un dominio così sparpagliato non aveva ragione e possibilità di con- tinuare man mano che progrediva l’ordinamento e la unificazione degli stati, e si faceva sempre più distinta la differenza tra la sovranità e la proprietà della terra. 25. Relazioni tra Asti ed i marchesi di Saluzzo. Abbench'e la città ed i marchesi di Saluzzo abbiano avuto nel Muletti (J) uno storico diligentissimo, tuttavia il codice Malabaila fa conoscere non pochi fatti , che per difetto di documenti o di notizie erano sfuggiti al diligente scrittore. Cin- quantotto sono i documenti del Codice e dell’Appendice che trattano di Saluzzo o dei suoi marchesi, o di essi fanno menzione. Di codesti documenti: 41 sono inediti (n. 7, 258, 259, 271, 591 a 593, 656, 691 a 695, 697 a 702, 704, 713, 892, 893, 904, 909, 911, 912,923, 926, 928, 934, 942, 945, 946, 955, 960, 980, 981, 996, 1013, 1023): sei furono integralmente pubblicati (n. 53, 670, 905, 637, 919, 920) ed anzi i due ultimi vennero tratti dal nostro Codice per cura del Ficker (3): ed undici furono pubblicati solo parzialmente o per sunto (n. 261, 690, 696, 908, 910, 918, 944, 950, 951, 1000, 1018). Si comprende perciò che non poche notizie prima sconosciute vengano ora in luce. (A) Uno di questi documenti riguarda Manfredo i marchese di Saluzzo, figlio se- condogenito del marchese Bonifacio del Vasto, ed ha nel nostro Codice il n. 892. Esso ci fa sapere che Anseimo, vescovo di Asti, essendo in guerra col marchese Manfredo e Guglielmo, si pattuisce tra il vescovo ed i consoli d’Asti una alleanza per ogni guerra intrapresa di comune accordo, e specialmente per espugnare il castello di Monteacuto (Monteu Boero) e difendere Montaldo (Montaldo Boero). Monteacuto sarà diviso per metà tra il vescovo ed i consoli. 11 documento 'e senza data. Anseimo resse la chiesa d’Asti dal 1147 al 1169, epperciò il marchese Manfredo, di cui si parla, è indubbiamente Manfredo i, il quale dal quadro genealogico del Viarengo ci apparisce marchese di Saluzzo dal 1125 al 1175. (•) Che tali discordie avessero incominciato di buon’ ora a minare la coesione e la forza di resistenza del casato dei Biandrate appare da un documento riportato dal Benvenuto S. Giorgio (op. cit. fol. 91-95), il quale contiene la pacificazione fattasi ai 25 di aprile del 1247 fra Guidone figlio di Raineri ed Uberto figlio di Ottone da una parte e Ruffino, Guglielmo e Goifredo figli del fu Gozio dall'altra. Atto che incomincia con questo significantissimo esordio: « Cum inter Comitem « Guidonem de Blandrato et Comitem Ubertum filium quondam Comitis Ottonis de Blandrato ex « altera odium verteretur propter offensiones, et iniurias quas ambe partes ad inviceli! una adversus « alteram fecisse dicebatur, quod non leve detrimentum hospitio Comitum de Blandrato trabere vide- « batur » (’) Memorie storiche diplomatiche appartenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo. (’) Acta Imperii selecta, pag. 820, N. 1133 e pag. 621, N. 911. — 132 — È da credere che il Guglielmo contro cui è pure dichiarata guerra, sia suo fratello , il marchese di Busca, di cui si hanno notizie nel 1155, e si presume già fosse morto nel 1160. Non sono indicati i nomi dei consoli, ma figurano come testimoni sei perso- naggi, che tutti furono consoli d’Asti, cioè: Robaldo Gardino che fu console nel 1149 e nel 1152 (doc. n. 755, 566, 756), e podestà imperiale d’Asti nel 1159 (doc. n. 6); Robaldo Giudice, console nel 1149 (doc. n. 54, 57, 755) e testimonio nel 1152 (doc. n. 756); Merlo Curiale e Azzone de Curia consoli nel 1152 (doc. n. 298, 566, 756); finalmente Guglielmo Culoro e Manfredo Rastello pure consoli nel 1152 (doc. n. 566, 756) e testimoni nel 1149 (doc. n. 755). Il libro verde della chiesa d’Asti (’) ci fa sapere che il 2 maggio 1153 i conti di Biandrate cedettero Monteacuto al vescovo di Asti. Indi è che l’ alleanza tra il vescovo ed il comune d’Asti per far guerra ai marchesi di Saluzzo e di Busca, onde con- quistare Monteacuto, è sicuramente tra il 1147 ed il 1160: ed è del 1154 o di poco anteriore, se i detti marchesi difendevano i conti di Biandrate: ovvero è po- steriore al 1154, se dopo la cessione di Monteacuto fatta dai de Biandrate, i mar- chesi ripresero questa terra o non la volevano rimettere al vescovo. (B) Molto più numerosi souo i documenti del Codice che riguardano Manfredo il Sul finire del secolo xii ed al principio del xiii, vi furono frequenti guerre tra Asti ed il marchese di Saluzzo. Le condizioni della pace conclusa il 28 maggio del 1191 erano conosciute solo in parte per il sunto di due documenti rimasti nel frammento torinese del codice Ogerio Alfieri (2). Ma il Codice Malabaila offrendocene il testo completo (n. 690, 908) ne dà minuto ragguaglio. Manfredo n, il quale evi- dentemente era stato il vinto, anzitutto si obbliga a non levare alcun pedaggio sugli Astesi, oltre l’antico e consueto, tocche lascia credere che causa della guerra fossero i gravami sui mercatanti di Asti. Poscia egli cede la signoria di Saluzzo, Castiglione e Romanisio che riceve da Asti in feudo coll’ obbligo di pagare annualmente per essi, a titolo di fodro 10, 3 e 25 lire susine o rinforzate, oltre a due albergarle per venticinque militi in Romanisio: egli promette di far giurare l’osservanza di tali patti a sua moglie Alasia (di Monferrato). Il marchese deve ancora essere cittadino d’Asti, acquistarvi casa, in occasione di guerra abitarvi per tre mesi con altri tre militi e quattro clienti a cavallo, ed ove chiamato, deve accorrere all’ esercito astese con dieci militi e dieci arcieri a cavallo. Le condizioni della pace debbono essere sembrate dure al marchese di Saluzzo, od egli volle profittare delle difficoltà nelle quali si trovava Asti per la sua guerra col Monferrato, giacche nell’anno seguente Manfredo n, collegatosi con altri, si levò nuovamente contro Asti (3). Anche la repubblica cercò aiuti, ed il 22 dicembre 1192 (doc. n. 893) si alleò ai signori di Montaldo, specialmente contro i marchesi di Mon- ferrato, di Saluzzo, di Busca, i conti di Biandrate e gli Albesi. L’esito di questa nuova guerra rimase sconosciuto ai nostri storici, ma il codice Malabaila ne dà chiara contezza. (’) Fol. 10. (!) Molina. Memorie storiche della città d’Asti, lib- 9, cap. 2. — Muletti, cp. cit. il, 109, 110. (') Id. 1. c. Ili, 112. — 133 — Nel trattato di pace tra Asti col marchese di Monferrato dell’ 11 aprile 1193 (doc. n. 918), di cui una parte fu inserita nella descrizione del Della Chiesa (') e pub- blicata dal Moriondo (2), Asti dichiara di far pace anche coi partigiani del Monferrino, tra i quali si indica, senz’altri particolari, il marchese di Saluzzo. Ai 26 maggio dello stesso anno (doc. n. 691) negli accampamenti degli Astigiani a Strepete lungo la Varaita, il marchese Manfredo giura fedeltà ad Asti, come vas- sallo al suo signore, per Saluzzo, Romanisio e Castiglione. Il giorno susseguente (doc. n. 692) Manfredo n e sua moglie Alasia, pongono il podestà di Asti in possesso di Saluzzo, facendo elevare il vessillo del Comune sulla torre, e rimettendo al podestà una pietra della medesima. E più tardi a Romanisio Manfredo n pose il podestà di Asti in possesso di detto luogo colla mano destra e con una pietra. Ai 3 di giugno (doc. n. 909) gli arbitri di comune accordo a tale ufficio delegati, risolvono alcune minori controversie vertenti tra Asti ed il marchese di Saluzzo, tra le quali decidono che il fodro da pagarsi dal marchese in Asti, sia valutato sovra un estimo di 300 lire. Agli 11 di giugno (doc. n. 693) donna Alasia rinunzia ad ogni diritto sovra Saluzzo, Castiglione e Romanisio. Questo intervento della signora Alasia prova che essa od aveva avuta in dote dalla sua famiglia dei marchesi di Monferrato una aliquota della siguoria di Saluzzo, Romanisio e Castiglione, o che sovra di essa era stata ipotecata la sua dote. Ai 21 di giugno (doc. n. 701) sotto il suo padiglione, tuttora presso alla Va- raita, il podestà di Asti riceve la rinunzia di Manfredo n alla fedeltà degli uomini e dei militi di Romanisio, e cinque di codesti militi ivi presenti giurano fedeltà ad Asti, e parecchi altri di Romanisio altrettanto fanno nello stesso luogo il giorno susseguente. Un mese dopo un gran numero di uomini di Romanisio giurano pure fedeltà ad Asti. Sono in totale quasi 250 quelli di Romanisio che prestano giura- mento. Sembra che la repubblica desse molta importanza a questo luogo, il quale pare avesse allora un valore economico maggiore di Saluzzo, giacchi?, come fu detto, il fodro che Romanisio doveva pagare, era due volte e mezza quello di Saluzzo, senza contare le due albergane per venticinque militi. La serie dei documenti inediti a cui abbiamo accennato, dimostra che Manfredo n nella guerra del 1193 sicuramente non vinse gli Astigiani, i quali più saldamente e con maggiori guarentigie consolidarono i vantaggi importantissimi da essi conse- guiti coi trattati di pace del 1191. Il documento n. 53 del 1196 venne già pubblicato, e d’altronde Manfredo n non vi comparisce che come testimonio, sebbene il Muletti creda che il marchese di Saluzzo desse in quella occasione il suo assenso alla cessione di Dogliani e di parte di Loreto fatta dal marchese di Busca al marchese di Monferrato (3). Anche il documento n. 919, che è dell’ll febbraio 1197, già venne reso di pubblica ragione dal Ficker (l), e del resto Manfredo di Saluzzo non vi figura che (’) Descrizione del Piemonte. Parte I, eap. 39. (’) Mon. Aq. il, 364. (’) L. c. il, 122. (') L. c. il, 116, 125, 126. — 134 come uno degli arbitri, i quali stabilirono le condizioni della pace tra Asti ed il marchese di Monferrato. Il documento n. 670 che è del 1198, è parimente già noto ('); inoltre relati- vamente al marchese di Saluzzo non vi è detto altro, se non che ove a lui si associ Berengario di Busca, i signori di Monfalcone, di Mauzano e di Sarmatorio non siano più tenuti al giuramento che fecero a Berengario. Questi già si era col- legato col marchese di Saluzzo nel 1193, ed ora, al dire del Muletti, si pone sotto la sua protezione la quale era tanto più efficace, che gli stava alleato anche il co- mune di Alba. Finalmente nel documento inedito, n. 996 che è del 1199, Manfredo n non è ricordato che come uno degli arbitri, i quali dettarono il trattato del 1197 (doc. n. 919) contro la cui violazione per parte degli A stesi, ora lagnasi il marchese di Monferrato. Le ostilità tra Asti ed i marchesi di Saluzzo si riaccesero in sul finire del 1197 (2) e si protrassero alcuni anni. Ai 7 agosto 1201 (doc. n. 702) i con- soli, ed alcuni cittadini di Romanisio promettono di fare quanto per loro si possa acciò Asti riscuota sugli uomini, che ivi ha il marchese di Saluzzo, il fodro delle 25 lire rinforzate, e le due annuali albergane, ciascuna per 25 militi (vedi doc. n. 690): e non desisteranno dai loro sforzi anche quando risultasse che tali fodri ed albergane debbano percepirsi in comune dal marchese di Saluzzo e da Asti sovra tutti gli uomini di Romanisio. Ed è pure a ritenersi che nel 1201 o di poco prima sia l’accordo fatto dagli Astigiani cogli Albesi (doc. n. 1000 dell’appendice al Codice), acciò questi aiutino quelli contro i presenti e futuri marchesi di Monferrato, di Sa- luzzo e Lancia e contro i presenti e futuri conti di Biandrate. Nel 1202 si venne ad una tregua tra i marchesi di Monferrato, di Saluzzo e di Busca (3), ed il nostro Codice ci somministra al numero 923 una solenne promessa fatta in Pavia il 9 ago- sto 1202 del marchese Bonifacio di Monferrato, di tenere per valida ogni pace o tregua che suo figlio Guglielmo facesse con Asti od Alessandria, e quanto conve- nisse col suo suocero Bonifacio di Cravesana, con Manfredo di Saluzzo e coi suoi zii, i marchesi del Bosco. Lo storico di Saluzzo (l) narra che nel settembre del 1204 fu stretta una lega poderosa contro Asti, la quale ebbe origine dai sospetti destati dall’alleanza della repubblica astigiana con Mondovì e poscia con Fossano. Ma che una importante lega fosse stata ordita contro Asti, e che le ostilità fossero scoppiate prima del tempo indicato dal Muletti, ci è dimostrato dal nostro Codice. Il 9 luglio 1204 (doc. n. 920) il podestà di Milano ed i consoli di Piacenza prescrivono una sospensione di offese fino alla metà di agosto, e la intimano da un lato ad Asti, e dall’altro ai mar- chesi Guglielmo di Monferrato, Manfredo Lancia di Busca e Manfredo di Saluzzo detto Punasio, al podestà di Aquosana, ai consoli dei castellani di Astisio, ed al podestà di Alba, tutti collegati contro Asti. Lo stesso precetto è rinnovato dagli (') Pubblicato da Adriani, degli antichi signori di Sarmatorio, ecc. pag. 367 e nei Mon. Hist. pat. Chart. il, col. 1183; menzionato da Muratori, St. di Possano, Loderà, delle antichità di Vico e Sclopis, Stor. dell’antica legislaz. del Piena. (!) Muletti, op. cit. li, 123. (3) Muletti, op. cit. il, 133, 134. (*) L. c. il, 152. — 135 — ambasciatori di Milano e di Piacenza il susseguente 20 agosto (doc. n. 960); essi ordinano alle due parti, ed alla parte del Monferrino si è aggiunta Yalenza, di stare in tregua per due anni, e di non erigere, finche non sarà pronunziata la sentenza definitiva, alcuna opera difensiva nei luoghi sui quali havvi contesa. La elezione dei pacieri avvenne il 28 giugno per parte del Marchese di Monferrato (doc. n. 916) ed il 5 luglio per parte di Alba (doc. n. 959). Lo storico Saluzzese (') segnala il 1206 come anno di successi per Manfredo ii, il quale in quel tempo avrebbe acquistato Cuneo. Meno ottimista sarebbe stato lo scrittore, se avesse conosciuto il testo completo del trattato di pace tra Asti ed il marchese di Saluzzo, concluso il 16 maggio 1206 (doc. n. 910), mentre egli altro non ebbe sott’occhio che i brani contenuti nel frammento torinese del Codice Alfieri, i quali per essere difettivi di data vennero da lui attribuiti al 1191 anziché al 1206. Il documento conservato nella sua integrità dal nostro Codice dimostra che nel 1206 Manfredo n, in attitudine tutt’ altro che trionfale, solennemente giurava di essere indi innanzi fedele vassallo di Asti per Saluzzo, Romanisio e Castiglione, e di aiutare gli uomini d’Asti contro chiunque, salvo l’ Imperatore, ed i suoi signori per ciò che ad essi spetta, onde gli Astigiani possano conservare tutta la terra di cui sono o fossero investiti o si fossero impadroniti con ragione; di impedire, e non potendolo, di denunciare agli Astigiani ogni danno che loro si minacciasse ; di dare in buona fede ogni consiglio, e di conservare ogni secreto che i rettori d’Asti gli chiedessero o confidassero. Asti dovrà avere sovra Saluzzo, Romanisio e Castiglione i tributi, i redditi e le albergane stabilite dagli antichi patti. Per ciò che riguarda Cuneo è determinato, che ogni controversia la quale sorgesse tra Cuueo ed il Mar- chese, per l’applicazione del trattato tra essi fatto sarà portata a conoscenza dei rettori di Asti, e che questi la decideranno entro quaranta giorni. Nel giugno del 1210 Manfredo n è in Alba presso l’imperatore Ottone (doc. u. 7) ed è l’ultima volta che comparisce nel nostro Codice. Egli morì nel 1215. (C) Bonifacio di Saluzzo essendo morto nel 1212, cioè prima di suo padre Manfredo ii, a questi succedette Manfredo in, figlio di Bonifacio. Nel 1217 si compì un fatto di importanza per la storia di Saluzzo, e quindi dei suoi marchesi, il quale è per la prima volta messo in luce dal Codice Malabaila coi documenti di numero 691 e 695. Ai 15 di giugno i fratelli Guglielmo, marchese di Busca, Ottone Boverio e Raimondo di Busca promettono di fare, ed ai 21 dello stesso mese fanno le seguenti cose. I tre fratelli de Busca, che posseggono un terzo della signoria del castello e della villa di Saluzzo, ne fanno cessione o donazione ad Asti e rinunziano alla fedeltà dei loro uomini in detto luogo, e donna Emilia loro madre rinunzia a favore d’Asti ad ogni diritto che per ragione di dote, od altrimenti le spettasse sopra la signoria ceduta dai suoi figli. Il podestà di Asti a nome del comune infeuda poscia a Guglielmo marchese di Busca, ed ai suoi due fratelli per indiviso il terzo di Saluzzo, ed i tre fratelli fanno al Comune rappresentato dal podestà, atto di fedeltà come deve un vassallo al suo signore. Ed in tal guisa accrescevasi notevolmente (’) Muletti, ib. 153. — 136 — l’azioue di Asti in Salnzzo. Parlando di Tommaso i, conte di Savoia, già ricordammo che appunto nel 1217, egli rese suo vassallo il marchese di Busca per i castelli di Busca e Scarnafigi, mentre nell’anno precedente egli aveva costretta la tutrice del marchese di Saluzzo a restituirgli l’alta signoria di Barge, Koncalia e Fonta- nile. L’azione del conte di Savoia e del Comune di Asti contro i marchesi di Busca nel 1217 fu dessa collettiva, ovvero la sconfitta patita dai marchesi lottando contro l’ uno li pose anche in balia dell’altro ? La pace tra Asti ed il marchese di Saluzzo non sembra in questo tempo essere stata mai molto salda, e Manfredo in poco dopo raggiunta la maggiore età, sembra, come altrove si notò, avere provocate le ostilità del conte di Savoia, e ripresa la guerra contro Asti : però egli dovette far pace, nel 1223 col conto di Savoia, e nel 1224 con Asti. Che nel 1223 non vi fosse buon accordo tra Asti ed il marchese di Saluzzo consta da un documento del nostro Codice (n. 934). Ai 3 dicembre alcuni dei signori di Gorzano i quali maggiormente stringono i loro vincoli di cittadinanza e suddi- tanza con Asti, si obbligano di far pace e guerra, eserciti e cavalcate per Valfe- nera in favore di Asti, nello stesso modo che dovevano prima che detti signori di Gorzano avessero ricevuto Yalfenera in feudo dal marchese di Saluzzo. Parlando del conte Tommaso i di Savoia già notammo la gravità e le condi- zioni principali del trattato del 19 maggio 1224 (doc. u. 696) tra Manfredo m di Saluzzo ed Asti, e rilevammo che esso era per la massima parte inedito. Il brano di tale documento che esiste nel frammento torinese del Codice Ogerio Alfieri, e fu pubblicato dal Moriondo (’) e dal Muletti (2) fa conoscere solo una parte delle domande che Asti fa al marchese di Saluzzo. « Ma come siansi poi convenuti su queste pre- « tese il comune d’Asti ed il marchese di Saluzzo, non si può sapere, perche si « trova a questo punto mancante di più fogli il Codice , e neppure Gioffredo « Della Chiesa ce ne lasciò scritta parola, quantunque nella sua cronaca abbia poi « detto che ai 18 giugno si condussero gli Astesi a far pace col marchese (3)». Il codice Malabaila non solo dà il testo integrale del trattato del 19 maggio, ma con altri otto documenti pone in chiara luce questo importante punto storico rimasto impenetrabile agli storici di Saluzzo e di Asti. Il 19 maggio Manfredo m dopo riconosciuta la sovranità di Asti sovra Saluzzo, Romanisio, Castiglione, Lequio cedette quella di Carmagnola e fu dal podestà di Asti investito in feudo di dette terre (doc. n. 696). Ai 21 di maggio, recatosi in Carmagnola, immise l’ambascia- tore d’Asti in possesso di quella terra facendo alzare la bandiera d’Asti sulla torre e rinunciando alla fedeltà dei militi e degli uomini di Carmagnola (doc. n. 700). Il giorno seguente tornato in Saluzzo d’accordo colla sua avola, la contessa Alasia, immise pure in possesso di Saluzzo il delegato del comune d’Asti, e ne fece anche alzare la bandiera sulla torre (doc. n. 697). Nello stesso 22 maggio la contessa Ala- sia avola di Manfredo m, come era stato prescritto nel trattato del 19 maggio (“), rinunciò ad ogni sua ragione sopra Carmagnola e Lequio, ed approvò formalmente (') Mon. Aq. n, 421. (a) Op. cit. n, 251. (a) Muletti, ib. 251, 252. (‘) In tale trattato è pat- tuito che anche là moglie di Manfredo (Beatrice figlia di Amedeo iv di Savoia) debba fare la stessa rinuncia quando sarà giunta all’età di 12 anni. — 137 — i trattati fatti da suo nipote (doc. n. 698); ci è pure conservato il testo del giura- mento di fedeltà prestato dai militi e dagli altri uomini del marchese di Saluzzo, che erano a Saluzzo, Carmagnola e Lequio (vedi i documenti n. 259 e 699 che sono identici). Ai 24 maggio il marchese Manfredo recatosi in Eomanisio rinunziò alla fedeltà dei militi e degli uomini di quella terra, e loro ordinò di farne omaggio agli ambasciatori di Asti (doc. n. 704). Ai 25 di giugno Manfredo m presente in Lequio immise gli ambasciatori di Asti in possesso di questa terra facendo pure alzare la bandiera d’Asti sulla torre; e sotto un noce davanti alla chiesa, egli e Guercio Conradengo a nome anche dei loro soci nella signoria di Lequio, rinunciarono alla fedeltà degli uomini di questa terra, e loro ordinarono di prestarla ad Asti (doc. n 258). Ai 13 di settembre del 1224 nel famoso trattato tra Asti ed il conte Tommaso di Savoia (doc. n. 656) è stabilito che questi non possa far nuovi acquisti al di qua del Po verso le terre del marchese di Saluzzo, se non vi è il consenso di Asti. Ma forse questa condizione mirava più ad assicurare Asti che il Marchese. Ci sembra importante il rilevare che nel trattato con Manfredo in del 19 mag- gio 1224, il podestà di Asti reclama le annuità di 10, 25 e 3 lire susine o rin- forzate, non pagate da trentatrè anni per i fodri di Saluzzo, Rotnanisio e Castiglione nonché P equivalente delle due albergane per 25 militi ciascuna che Asti doveva avere in Romanisio nei trentatrè anni decorsi ed i fodri sopra 300 lire in Asti non pagati nei trentun anno passati. Vale a dire che sui fodri e sulle albergarle pattuiti da Manfredo n il 28 maggio 1191 (doc. n. 690), e da lui implicitamente riconfermati il 26 maggio 1193 (doc. n. 691), nonostante il tentativo fatto diretta- mente dagli Astigiani coi consoli e con taluni di Romanisio il 7 agosto 1201, per ciò che concerneva il fodro e le albergane di detto luogo (doc. n. 902), e mal- grado la rinnovazione del diritto d’Asti ai tributi stabiliti dalle carte precedenti solennemente pattuita con Manfredo n il 16 maggio 1206 (doc. n. 910), dal 1191 al 1224 non venne mai pagato neppure un obolo ! E parimente il fodro sulla casa che il marchese di Saluzzo doveva avere in Asti, stabilito in principio tra i patti del 28 maggio 1191 (doc. n. 908), e determinato poscia sovra un estimo di 300 lire nella convenzione del 3 giugno 1193 (doc. n. 909) non venne mai in alcuna benché minima parte soddisfatto. Era forse l’abitudine dei tempi di stipulare trat- tati e di non osservarli? Oppure era Manfredo n uomo di insigne malafede il quale pattuiva e giurava convenzioni senza osservarle? Ovvero è da cercarsi la causa del- l’accaduto nell’astuta politica della doviziosa repubblica, la quale non curando di reclamare le dovutele annuità, attendeva pazientemente una occasione propizia per reclamare un grosso arretrato, che il marchese di Saluzzo, ricco come parecchi altri Aleramici, più di potenza e di prepotenza che di danari, non avesse modo di poi sal- dare altrimenti che colla cessione della signoria di qualche terra importante? Non è questo nè il primo nè l’ultimo caso in cui si vede Asti estendere il suo dominio con un accorto impiego dei suoi mezzi finanziari. Il fatto si è che nel trattato del 19 maggio 1224 è esplicitamente dichiarato, che il condono dell’arretrato per i fodri e le albergane dovuti dal marchese di Saluzzo è fatto per il datum et conces- sionem di Carmagnola e di Lequio. Vero è che quest’ultima terra era reclamata, perchè 18 — 138 — altra volta essa' era tenuta in feudo da Asti, ed il feudatario, cioè il marchese Enrico di Savona, la vendette contro il volere del Comune. Invece per Carmagnola non vi è altro titolo alla cessione che il saldo del debito del marchese di Sai uzzo per i fodri e le albergane non pagati per un terzo di secolo. La pace del 1224 sembra essere stata più efficace. Essa ebbe una conferma il 4 giugno del 1228 (’) alla quale tenne dietro la memoranda lega contro Alba ed Alessandria, stipulata il 25 novembre 1228 tra Asti, e parecchi castellani ed i marchesi del Vasto, tra i quali per mezzo di un suo nunzio figurava anche Man- fredo ni. Il codice Malabaila non solo ce ne dà (doc. n. 261) un testo più completo di quelli che vennero infino ad ora pubblicati Q ma ci mostra che Asti il giorno dopo nominò due procuratori o sindaci onde ricevere i giuramenti di adesione al trattato fatto coi marchesi del Vasto, e col marchese di Monferrato a nome del marchese di Saluzzo (doc. n. 912). Ed infatti il 12 dicembre 1228 Manfredo ni, avutane licenza dalla sua avola donna Alasia (3), promette l’osservanza del sovradetto trattato ed altrettanto promettono e giurano, nello stesso giorno il marchese Guglielmo di Busca, ai 23 dicembre Ottone Boverio, ed al 27 dicembre i Carutti ed altri signori di Monfalcone, Sarmatorio e Manzano (doc. n. 911). Parlando del conte Tommaso i di Savoia già avevamo avvertito che nel 1228 per combattere contro Torino, Pinerolo, Testona, il Delfino viennese, Milano ed altre città della Lega lombarda egli si era collegato colle città di Asti e di Chieri, e coi marchesi di Monferrato e di Saluzzo, sicché quest’ultimo era allora in pace con Asti. Ma nel 1232 dovevano essere insorte novelle discordie tra Asti e Manfredo ni, giacche nel trattato di alleanza tra Asti e Torino del 19 luglio (doc. n. 1013), Asti dichiara suoi amici giurati i castellani di Manzano, Monfalcone e Sarmatorio, ed i marchesi del Vasto, ad eccezione del marchese di Saluzzo. Dopo ciò non è più menzione nel Codice o nell’Appendice di Manfredo in il quale morì nel 1244. (D) A Manfredo in succedette nel marchesato di Saluzzo Tommaso i, ed a lui si riferiscono tutti i posteriori documenti del Codice o dell’Appendice, che parlano dei marchesi di Saluzzo. Egli ebbe a tutore il conte Tommaso ii di Savoia zio di sua madre Beatrice di Savoia. Era naturale che il giovinetto marchese tenesse le parti del zio tutore, ed infatti nel 1255 lo troviamo compreso nella catastrofe che colpì il conte Tommaso, e come questo, egli è carcerato dai Torinesi ed è poscia prigione degli Astigiani. Parlando del conte Tommaso n di Savoia già abbiamo osservato che i cronisti e gli storici errarono credendo il marchese di Saluzzo fatto prigione dagli Astesi (') Muletti, op. cit. ii, 259 — Gioffredo della Chiesa. Cronaca, pag. 63, 64. (2) Della Chiesa. Déscriz. del Piemonte ir, cap. xvii, fol. 192 — Moriondo. Mon. Aq. il, 423 — Muletti. Op. cit. ir, 263 — S. Quintino. Osservazioni critiche, ecc. il, 212 — Molina. Mem. stor. Asti n, 186 — Grassi. Storia d’Asti i, 148 — Adriani. Degli antichi signori di Sarmatorio, ecc. 386; Documenti cheraschesi 29 — Manuel di S. Giovanni. Dei marchesi del Vasto, 158. ("j.Non è quindi esatto che essa partecipò per l’ultima volta al governo l’8 dicembre 1228 come afferma il Muletti nella sua opera il, 268. — 139 — quando respinsero i Borgognoni e i Savoini venuti d’oltr’ alpi coi fratelli del conte Tommaso n, onde tentare di liberarlo. Ora aggiungeremo che il Muletti neppure fa cenno della prigionia del marchese Tommaso i. Da un consegnamelo del 17 no- vembre 1254 egli arguisce che solo da pochi mesi fosse allora uscito di tutela, e notando una pia donazione da lui fatta nel 1257 lamenta la scarsità delle notizie durante quel tempo. Il De- Conti storico del Monferrato ('), sulla menzione trovatane nelle memorie del barone di Villars, accenna che il marchese di Saluzzo cadde pri- gioniero degli Astesi e fu da essi condotto in Asti. Come fu notato parlando del conte Tommaso n di Savoia, la convenzione sti- pulata il 26 novembre 1255 coll’abate di Susa dimostra che il marchese di Saluzzo venne fatto prigioniero dai Torinesi e che gli Astigiani si impegnavano a farlo porre in libertà, non appena la convenzione fosse debitamente convalidata, locch'e non si avverò. Il trattato tra Asti e Torino del 18 gennaio 1256 (doc. n. 942) ci fa sapere che Torino si impegnò allora di dare immediatamente il marchese Tommaso di Sa- luzzo agli Astesi, ita quod comune Astense de eo suam voluntatem faciat. Non consta dal nostro Codice come e quando egli sia stato posto in libertà. Il documento n. 905 che già fu reso di pubblica ragione (2), ci fa vedere che il 5 novembre 1256 tra Asti e Giacomo marchese del Carretto stipulante a nome del conte Tommaso n , fu pattuito tra le altre cose, che Asti debba far pace coi mar- chesi di Monferrato e di Saluzzo, col conte di Biandrate e coi castellani di Astisio, che debbano essere rilasciati i prigionieri delle terre di detti marchesi e conti, e liberati da ogni responsabilità gli ostaggi e fideiussori dei prigionieri, e quanti po- tessero pel fatto dei medesimi venire molestati. È parimente dichiarato che i custodi del marchese di Saluzzo debbano essere assolti da ogni condanna ed immediatamente liberati essi, ed i loro fideiussori. Questo linguaggio veramente lascia sospettare, come avverte il Cibrario (3), che prima del 5 novembre 1256 o per fuga o per riscatto il marchese di Saluzzo fosse tornato in libertà. Il documento n. 1018 dell’Appendice al Codice ci fa vedere il marchese di Saluzzo in compagnia di Tommaso n di Savoia, il quale tornato finalmente in libertà il 17 novembre 1257 si trova in Carmagnola. I documenti del codice Malabaila relativi a Carlo d’Angiò non gettano molta luce sul contegno del marchese di Saluzzo nel primo periodo di quel fatale mo- mento storico. Nella prima e già nota (’*) tregua tra Asti ed i delegati di Carlo d’Angiò, che è del 21 febbraio 1260 il marchese di Saluzzo è posto in essa tregua tanto per parte degli Astesi che per parte del Conte (doc. n. 944). Nel trattato fatto nello stesso anno, ai 24 febbraio tra Asti ed i marchesi di Monferrato che viene ora pub- blicato per la prima volta (doc. n. 926), il Monferrino si impegna a far pace e guerra per Asti contro tutti, salvi Pavia, i conti di Savoia, i propri vassalli e uomini, ed il marchese di Saluzzo al quale potrà dare aiuto per difendere la sua terra contro Asti, eccetto che si tratti di feudo astese, nel quale il marchese di Saluzzo non 0 Notizie storiche della città di Casal Monferrato li, 237, 341. (!) Monum. liist. patr. Chart. il, 550. (’) St. della Mon. di Savoia il, 88. (') Mon. hist. patr. Chart. ir, 1G00. — 140 — facesse verso Àsti tutto ciò a cui è tenuto. Asti per contro salva dalle ostilità che facesse per il Marchese, Pavia, Aimerico de Crusinaria ed i cittadini e vassalli astesi. Indi parrebbe che il marchese di Saluzzo fosse in relazioni se non ostili, certamente poco cordiali, col comune di Asti. Nella seconda ed inedita tregua tra Asti ed i delegati del conte d’Àngiò che è del 17 luglio 1263, il marchese di Saluzzo figura pure tra gl’inscritti nella convenzione tanto per parte di Asti, come per parte del conte d’Angiò, n'e vi ha sopra di ciò variazione nella rinnovazione ed aggiunta a detta tregua fatta il 14 agosto 1266 tra Asti ed i delegati di Carlo allora re di Sicilia (doc. n. 945). Però si afferma dal Gioffredo che nel 1265 (’) e dal Muletti che nel 1266 (2), il marchese di Saluzzo si alleò con Carlo d’Angiò. Anche nella quarta tregua che fu dell’ 11 dicembre 1269 (doc. n. 946) il marchese di Saluzzo ancora è compreso nei patti tanto per parte di Asti che per parte di re Carlo. Porse la inscrizione di un personaggio nella tregua per parte dell’uno o dell’altro o di entrambi gli stipulanti, piu che dall'amicizia o dall’ostilità, talvolta dipendeva dalle pretese di sovranità sovra parte delle sue terre. Però nell’ultima delle sopradette tregue che si sottoscrive iu Alba, tra i testimoni, che sembrano tutti agenti di re Carlo, o del suo siniscalco, o del vescovo d’Alba pure angioino dichiarato, figura per il primo il nobil uomo Tommaso, marchese di Saluzzo, locchè ci sembra chiaro indizio della parte che il Saluzzese aveva sposata. Del resto gli storici (3) dimostrarono già che nel 1269 Tommaso i era ancora tra i saguaci di Carlo d’Angiò. Ma anche prima che i Siciliani si levassero contro l’Angioino nei famosi Vespri, i Piemontesi si andavano man mano collegando contro di lui specialmente per ini- ziativa d’Asti. Tommaso i, o perchè temeva gli alleati o perchè fatto persuaso che la signoria francese minacciava la libertà di tutti, nel 1274 si accostò anch’ esso ad Àsti e l’alleanza venne conclusa nel luglio del 1275. Gioffredo Della Chiesa (”) già aveva fatto conoscere i punti principali della convenzione fatta tra Asti e il marchese di Saluzzo, ed altri storici (3) li riprodussero. Ed ora il Codice Malabaila ce ne dà notizie complete per mezzo di tre documenti assai importanti. Ai 17 luglio 1275 il Consiglio delle due credenze e dei rettori delle società e dei ducento capi di casa d’Asti convocati in campis Saviliani elesse a suoi pleni- potenziari i quattro savi d’Asti, cioè Bertramo de Comentina, Tommaso Alfieri, Ema- nuele Guttuario e Giribaldo Bergognino, il podestà Guido Scarso, ed il capitano del popolo Oberto Spinola. Questi ed i plenipotenziari di Tommaso i, trovatisi in un campo presso Saluzzo, a nome loro, e dei loro distretti e vassalli, fra cui sembrasi accen- nare per parte d’Asti a Bonifacio de Ripa ed ai suoi nepoti Giorgio de Ripa e fra- telli, e si indicano Robaldo di Bra e Pietro Daniele di Revello per parte del mar- chese di Saluzzo, nominano Guglielmo vii marchese di Monferrato ad arbitro, cui danno absolutissimam facultatem di decidere tutte le controversie esistenti tra loro, e stabiliscono due mila marche d’argento di multa a chiunque contravvenisse alla sentenza dell’arbitro (doc. n. 591). (’) Cronaca, pag. 16. (-) Op. cit. ir, 359. (s) Gioffredo della Chiesa. Cronaca, pag. 69, 80. — Muletti. 1. c. pag. 377. (') Cronaca, pag. 88. (l) Lodovico della Chiesa. Storia del Piemonte, lib. ii, 11. — Muletti, op. cit. ii, 396. 141 — Nello stesso giorno in Saluzzo il marchese di Monferrato pronunzia la sua sen- tenza arbitrale (doc. n. 592). Egli ordina anzitutto che Asti ed alcuni Astesi che possedevano Revello rinuncino ad ogni reclamo contro il marchese di Saluzzo e contro gli attuali possessori di Revello per i diritti che potevano vantare sovra questo castello e luogo, e per i danni che avessero patiti nella sua espugnazione (la quale parrebbe avvenuta per opera di Tommaso i, di Pietro Daniele di Revello). Decide pure che a Robaldo di Bra sia condonata ogni ingiuria che avesse fatta ad Asti, e comunque vassallo del marchese di Saluzzo, sia di nuovo ricevuto cittadino d’Asti. Ordina poi l’arbitro che tra Asti ed il Saluzzese abbia ad esservi lega perpe- tua, e che intanto Asti debba tenere per due mesi 150 militi coi cavalli e muniti a spese del Comune, sotto gli ordini del marchese di Saluzzo, il quale difenderà le terre sue e quelle d’Asti, secondo le istruzioni che avrà dall’arbitro. Asti darà a Tommaso i trentacinque lire al giorno per tenere detti cavalieri; lo aiuterà con tutte le sue forze a far guerra viva contro il re di Sicilia ed i suoi complici, non dovrà far pace o tregua col Re senza accordo del marchese di Saluzzo e viceversa; ciascuna delle parti restituirà all’ altra ogni terra a questa spettante, che riuscisse a togliere al nemico. Asti dovrà far giurare l’osservanza della sentenza arbitrale, alla pubblica concione ’ d’Asti, ed a trecento altri Astigiani, non presenti alla con- clone, che iRmarchese di Saluzzo eleggesse, come pure ad ogni novello rettore che entrasse in^ufficio. Ordina che le due parti debbano ottenere che Chieri guarentisca a ciascuna di esse l’osservanza della sentenza arbitrale, sotto pena di 2000 marchi d’argento. La sentenza dovrà essere confermata entro due giorni dal console d’Asti e dall’ arengo (arringa, assemblea) degli Astigiani che sono nell’esercito, e quindici giorni dopo il ritorno dell’esercito in Asti dovrà il Consiglio che regge la cosa pub- blica nominare un sindaco il quale ratifichi tutto ciò che fu fatto, e dovrà l’uni- versità di Asti direttamente o per mezzo di un suo delegato obbligarsi alla esecu- zione di ogni cosa. Le due parti cureranno perchè altrettanto si faccia in Chieri entro sei settimane dopo il ritorno dell’esercito in Asti. Il giorno susseguente cioè il 21 luglio 1275 in un prato di Saluzzo i pleni- potenziari di Asti e Tommaso i giurano l’osservanza della sentenza pronunciata dal marchese di Monferrato (doc. n. 593). Un documento molto importante trovato dal cav. Vayra nell’archivio di Torino, e stampato nell’Appendice al n. 1023 ci dimostra che il 30 luglio 1275 essendo l’esercito astese accampato sulla riva di Quaranta presso Cuneo, venne ivi a voce di banditore, e suono di tromba convocato il Consiglio d’Asti. Intervennero il po- destà di Asti, il capitano, i quattro savi e centotrentasei consiglieri o credendari maiores (maggiorenni?) et turati, i quali unanimi ratificarono ed approvarono a nome del Comune di Asti la sentenza arbitrale del marchese di Monferrato, ne promisero l’osservanza, obbligando a tale effetto tutti i beni del Comune. I documenti sovracitati ci fanno vedere che l’esercito astese il 17 luglio era nei campi di Savigliano ed il 30 luglio si trovava nei pressi di Cuneo. Essi ci mostrano ancora che nell’uno e nell’altro luogo il podestà, il capitano del popolo ed i quattro — 142 — savi del Comune tennero Consiglio presso l'esercito nè più nè meno che se fossero stati in Asti e secondo l’appello nominale conservato dal documento n. 1023 assi- steva al Consiglio un numero di credendari non minore che se si fosse stati in Asti. La composizione di questa assemblea politica e militare ci sembra meritevole di qualche attenzione. Sono novantaeinque le famiglie che in essa figurano. È rappresentata da sette individui la famiglia Solaro. Sono rappresentate da quattro individui le famiglie Alfieri, Bergognino, Mignano, Pallido, de Ripa, Rotario (Roero). Sono rappresentate da tre persone le famiglie Asinari, Pelletta, Saracco, Testa. Sono rappresentate da due persone le famiglie Bulla, Cacherano, de Castagnolis, Gazo, Cortesio, de Curia, Faletto, Gardini, Moro, Nazari, Pessino, di S. Gio- vanni, Toma. Non assiste che un individuo solo per le seguenti famiglie: Agosto, Aicardengo, Albrico, Aliano, Alione, de Antignano, de Arazzo, de Asti, de Azzano, Badea, Ba- iardo, Barbero, Barleto, de Bayenis, Bertaldo, Bertramo, Boccanegra, Bovicolo, Bruno, Buino, (Buneo) Carpino, Casseno, de Castiglione, de Catena, Cavazzone, de Comentina, della Croce, Damino (Duniono), de Fonte, Fornari, Fusnello, Gainerio, Galamano, Galio, Garreto, Gorbaro, di Gorzano, Grasverdo, de Grazano, Guttuario, Lajolo, Maclarando, Malbecco, Manzinella, Monaco, de Moncalvo , de Monteliucio, de Montevecchio, de Monti, Moralia, Nano, Ottino, de Palazzo, Pedagerio, Pennazzo, Pilo, Porretta, Rasparello, Re, de Regina, de Rocca, Rolla, Salinari, di S. Maurizio, Scaccia, Sca- rampi, Secondo, de Septimo, Speciale, Tabolerio, e Vacca. In tale elenco figurano quasi tutte le famiglie più distinte di Asti. Era con- suetudine della repubblica che quando il suo esercito si muoveva, tutte le famiglie vi prendessero parte personalmente? Ovvero l’amore del natio loco e l’ira contro lo straniero che minacciava l’indipendenza di tutta Italia trasse in questa circo- stanza l’eletta degli Astigiani sotto il patrio vessillo? Checché ne sia, stupendo esempio diede allora la repubblica d’Asti, e tanto più mirabile quando lo si confronti col doloroso spettacolo che presentò qualche lustro dopo. Nel 1275 erano gli Astigiani tutti uniti, e valorosamente pugnavano contro l’Angioino e si segnalava per il maggior numero dei combattenti la casa Solaro. Trentanni più tardi queste famiglie si di- laniavano tra loro nel modo il più atroce, e nel 1313 proprio i Solari divenuti guelfi, coi loro aderenti fra i quali erano anche al governo della città un Allione, un de An- tignano, un de Curia, un di Moncalvo, tutti nomi che onoratamente figurano tra i valorosi combattendo contro Carlo i d’Angiò, danno senza lotta e senza necessità la signoria d’Asti in preda al figlio del suo tìglio, a Roberto d’Angiò!!! Il codice Malabaila ci dimostra che dopo la lega del 1275 le faccende di re Carlo precipitarono in questa parte d’Italia rapidamente in mina. Il 19 settembre del 1276 si distacca dall’Angioino il Comune d’Alba, che ne era stato il più fido ed il più importante propugnacolo, e coi suoi vassalli fa lega con Asti (doc. n. 977). Ai 29 dicembre dello stesso anno (doc. n. 713) Asti fa alleanza con Savigliano e coi signori e cogli uomini di Moretta (*): si pattuisce la libertà reciproca delle strade, e la piena (') Il documento porta la data 29 dicembre 1277 , ma siccome l’anno allora cominciava col Natale, essa corrisponde al 29 dicembre 1276 del nostro calendario. — 143 — facoltà a quei di Savigliano di portar vettovaglie e mercanzie alle terre del marchese di Saluzzo, ma non di esportarle senza il di lui consenso. Il mutamento completo delle condizioni in cui si trovava in Piemonte la signoria di Carlo d’Angiò nel 1277 è fatto anche più chiaro da altri due documenti del Co- dice (n. 950, 951) dei quali per la loro esistenza nel Frammento torinese del codice Ogerio Alfieri già vennero pubblicati i sunti (‘), ma di cui gli storici di Saluzzo non indicarono i particolari (2). Il 13 settembre 1277 gli aderenti all’Angioino, per quanto risulta dal docu- mento n. 950, si riducono a poco più di Cuneo e Busca. Imperocché in tale giorno i delegati di Cuneo stipularono in Fossano, coi plenipotenziari di Asti due conven- zioni: l’una (doc. n. 950) è una tregua pattuita a nome del re Carlo e subordinata alla sua approvazione avanti il primo susseguente gennaio: l’altra (doc. n. 951) è un trattato di pace tra Cuneo, Busca ed i loro amici da una parte, e tra Asti ed i suoi amici dall’altra, il quale è alla sua volta subordinato al rigetto della tregua suddetta per parte di re Carlo. Il marchese di Saluzzo figura nominativamente nell’uno e nell’altro dei due trattati come principale amico e coadiutore d’Asti. Secondo la progettata tregua, i prigionieri di parte astigiana che sono detenuti in Provenza si dovranno restituire e liberare sino alla fine della tregua sotto una cauzione di 25,000 lire astesi; e similmente quelli di parte d’Asti e del marchese di Saluzzo che sono detenuti dai Comuni (probabilmente Cuneo e Busca) saranno resi mediante idonea cauzione: gli uomini di Cuneo e Busca potranno tenere le terre che hanno sotto la giurisdizione di Asti, del marchese di Saluzzo, e dei loro aderenti, ed inversamente gli uomini e vassalli di costoro terranno le terre che hanno in Cuneo e Busca: se il marchese di Saluzzo vorrà che i banditi della terra sua possano tuttavia godere i beni che ivi hanno, i banditi di Cuneo che sono vassalli del Marchese potranno pure godere i beni che hanno nella giurisdizione di Cuneo salvo i fortilizi. Invece per il trattato di pace che deve tener luogo della tregua, se questa non sarà approvata dall’Angioino, le questioni tra Cuneo ed il marchese di Saluzzo sa- ranno decise da quattro arbitri, eletti due per parte, ed in caso di disaccordo il Comune d’Asti sarà l’intermezzo per risolvere ogni controversia. Però il marchese di Saluzzo dovrà prima assolvere Asti da ogni giuramento e patto, acciò il Comune possa giudicare imparzialmente. Si ripetono le condizioni della tregua per ciò che concerne i possessi di beni nei territori delle due parti, e finche tutte le loro quistioni non saranno terminate, Asti terrà in sequestro Centallo, Castelmagno, e Roccavione. Il documento n. 952, ci dimostra che re Carlo non volle ratificare la tregua fatta a suo nome dal Comune di Cuneo, e che perciò agli 8 gennaio del 1278 si venne ad una solenne ratifica della pace stipulata direttamente tra Asti e Cuneo il 13 settembre. Sicché l’Angioino perdette in Piemonte anche l’alleanza di Cuneo. Appena cessato il timore di servitù straniera sembra che l’amicizia tra i col- legati siasi presto raffreddata. Nel trattato di pace fatto il 18 luglio dello stesso 1278 (') Mokiondo. Mon. Aq. n, 438, 439. — Grassi, op. cit. i, 188. — Novellis. Storia di Savi- gliano , 54. ["') Lodovico della Chiesa. Delle storie del Piemonte u, 77. — Muletti, op. cit, n, 596. — 144 tra Asti, e tra Chieri ed i delegati del conte Tommaso in di Savoia (doc. n. 271), Asti enumera tra i suoi coadiutori ed amici giurati tutti i suoi cittadini e vassalli, ma fa eccezione dei marchesi di Monferrato e di Saluzzo. Dopo i Vespri siciliani (1282), Carlo d’Angiò, od almeno i suoi agenti smisero alquanto della loro tracotanza, e si mostrarono più disposti ad accordi cogli Astigiani e coi loro alleati. Il 13 febbraio 1283 (doc. n. 981) a Aix in Provenza venne sti- pulata una tregua tra Asti ed il siniscalco di Provenza. Tra gli aderenti a Carlo d’Angiò ed il suo figlio, il principe di Salerno e signore di Monte Sant’Angelo, non sono più citati altri che Morozzo, Montemale, Caraglio e i Grafagnini ossia i fuo- i usciti di Alba, ed eventualmente il marchese di Cravesana. Il marchese di Saluzzo è compreso nella tregua per parte di Asti tra i vassalli di questo Comune, ma è dichiarato, che egli è in questa condizione per la metà di Saluzzo (tenendosi l’altra metà dagli eredi di Ottone di Rossana pure vassalli d’Asti), e per il castello e la villa di Carmagnola e di Lequio. Si aggiunge poscia che la parte regia (pars curiae ) non potrà acquistare alcun diritto in alcuna terra o luogo tenuto da quelli di parte astese, ma limitatamente ai luoghi per cui sono in tregua. E perchè non sia alcun dubbio sul significato di questa restrizione, è dichiarato che il Re od il Principe suo figlio non possono fare alcun acquisto per se, o per quelli di parte loro da Cuneo in giù verso Asti excepta terra marchionis Salutiarum et excepta terra Cunei. Sicché questo trattato di Asti col siniscalco di Provenza, per ciò che concerne il marchese di Saluzzo non fa altro che guarentire la signoria di Asti sovra Saluzzo, Carmagnola e Lequio, ma non è punto favorevole al Marchese, che per le altre sue terre si abbandona agli Angioini, come se egli non fosse alleato di Asti. Nè maggiori riguardi si hanno a Cuneo, ed anche ad Alba, come altrove si vedrà. Si usano maggiori riguardi al marchese di Saluzzo il 30 giugno 1290 (doc. n. 980) allorquando il Comune d’Asti fece un trattato di alleanza coi fuorusciti o Grafagnini d’Alba. Asti promette di non far pace coi nemici di questi fuorusciti, finché siano tornati in Alba e siano rientrati in possesso dei beni immobili che avevano quando uscirono da Alba, ma si fa eccezione di ciò che tengono il marchese di Saluzzo, Enrico del Carretto, il Comune e la Chiesa di Asti. Però finché questi beni non saranno restituiti, i Grafagnini non saranno obbligati a far pace e tregua col marchese di Saluzzo e con Enrico del Carretto, ed Asti venendo a nuovi patti coi sovradetti Mar- chesi, non potrà impegnarsi a guerreggiare per essi. Ben si comprende del resto, che Asti, avendo in quel momento sulle spalle la grave e pericolosa guerra che gli mosse il marchese di Monferrato, se desiderava guadagnarsi l’aiuto dei fuorusciti d’Alba, tuttavia tenesse preziosa l’amicizia od almeno la neutralità del marchese di Saluzzo. La cronaca di Ogerio Alfieri (n. 24 c), ci fa sapere che il 7 marzo 1291 il marchese Tommaso di Saluzzo, mentre Guglielmo vii di Monferrato era prigioniero in Alessandria, ad istanza dei castellani del Monferrato condusse il di lui figlio Gio- vanni nella sua terra presso Revello, e poscia nel Deificato presso il Delfino, e che questi lo mandò in Provenza alla corte dell’Angioino. Ed ivi il troviamo il 26 di- 145 — cembre 1293 allorquando il marchese Giovanni ratifica le tregue stipulate dai suoi rappresentanti col Comune d’Asti. Il marchese Tommaso di Saluzzo vi figura per parte del Monferrino, sia per il feudo che da lui tiene, che per essere suo consanguineo, e si trova pure nella parte d’Asti per il feudo che tiene dal Comune. Il Codice Malabaila illustra con molti novelli documenti le relazioni del Comune d’Asti coi marchesi di Saluzzo, e ce le dimostra incerte, malfide, e salve alcune ec- cezioni, tra cui quella veramente splendida della lotta contro gli Angioini, non soste- nute da altro concetto politico costante, che la assicurazione del transito per il commercio astigiano, e la perpetua e sterile rivalità dei piccoli Stati di quel tempo. E non fu la repubblica quella che vi guadagnò giacche delle terre marchionali di Saluzzo, Lequio, Carmagnola, Castiglione e Romanisio, di cui Asti ha l’alta signoria parziale o totale nel 1224 (doc. n. 696), non si parla più che delle tre prime nel 1283 (doc. n. 881). 26. Relazioni di Asti coi d'Angiò. La lotta piemontese contro il dominio straniero degli Angioini, della quale Asti fu il principale campione, è il fatto più memorabile e più glorioso nella storia di quella repubblica ed è titolo di alto onore per le terre subalpine l’avere iniziato quel moto d’indipendenza ventidue anni prima che scoppiasse all’altra estremità d’Italia la grande reazione nazionale del Vespro siciliano e di averlo poscia proseguito con grande tenacia fino alla totale cacciata dello straniero. Si è già accennato a questi fatti trattando delle relazioni di Asti coi marchesi di Saluzzo, ma la mente corre tuttavia a rintracciare con interesse nel Codice tutti i documenti che si riferiscono a questo punto di storia ed a raccogliere in un quadro le nuove o maggiori notizie che da essi scaturiscono. Le vicende dell’ ostinata guerra di Asti contro gli Angioini furono raccontate dai due primi cronisti astigiani, Ogerio Alfieri e Guglielmo Ven- tura, amendue testimoni dei fatti, ed anzi il secondo non solo spettatore ma attore avendo egli militato fra le schiere del Comune. Queste furono le fonti alle quali attinsero tutti gli storici posteriori i quali ritenendo, com’era naturale, complete ed esatte le narrazioni dei due cronisti, ripeterono senza più quanto da essi era stato raccontato. Ma sono numerosi ed assai importanti i nuovi documenti che il nostro Codice fornisce al riguardo ; essi sono non meno di ottantasette (n. 944, 926, 264, 266, 945 a 949, 267, 269, 270, 268, 673, 867, 591 a 593, 845 a 847, 935 a 937, 260, 842, 887, 888, 977, 713, 661, 479, 480, 650 a 652, 709, 950, 951, 848, 952 a 954, 271, 907, 939, 978, 955, 481 a 500, 528, 501 a 512, 849, 852, 853, 719, 466, 981) ai quali se ne aggiunse uno nell’Appendice (n. 1023). Di questi documenti alcuni sono affatto sconosciuti e molti non furono peranco adoperati dai nostri storici. Giova quindi mettere questo rilevante numero di documenti del Codice in raffronto coll’ esposizione dei fatti quale si legge negli storici piemontesi. Narrano essi (’) che sceso Carlo di Angiò in Piemonte nel 1259 sotto colore (') Grassi. Storia della città d'Asti, i, pag. 178 e segg. — Muletti. Storia di Salazzo, il, p. 351 e seg. — Cibrario. Storia di Cbieri, p. 188 e seg. e Storia della Monarchia, il, pag. 164. 19 — 146 — di vendicare Tommaso n di Savoia, suo zio, della cui sconfitta toccata dagli Asti- giani già si è parlato, aprì la guerra contro Asti. Le armi angioine non tardarono a togliere ad Asti Cuneo, ed al marchese di Saluzzo la valle di Stura, quindi col favore dei guelfi s’impadronirono di Savigliano, di Cherasco e di Alba, poi entrate nel contado di Asti occuparono Bene al Vescovo ed altre castella. Per far fronte al grave pericolo, la repubblica astigiana strinse lega nel 1262 con Chieri, Torino, Fossano, coi marchesi di Saluzzo, di Ceva, del Carretto e di Busca e ne seguirono diversi fatti d’armi con varia fortuna fino al 1265, nel qual anno Carlo, chiamato da Urbano iv al regno di Napoli e di Sicilia, i cronisti e gli storici dicono che si acconciò cogli Astesi, non si sa bene a quali condizioni ('). Soffermandoci a questo primo periodo dell’ invasione e delle prime conquiste angioine in Piemonte, abbiamo nel Codice quattro documenti del 1260 i quali deter- minano un po’ meglio l’ordine dei fatti e diradano alquanto le tenebre in cui sono tuttora involti. Il primo, in data 21 febbraio 1260 (doc. n. 944) ò una tregua sti- pulata dagli Astigiani con Carlo d’Angiò; il secondo delti 24 marzo (doc. n. 926) è la lega contratta col marchese di Monferrato onde far argine all’invasione angioina; il terzo del 18 giugno (doc. n. 264) è la pace conchiusa allo stesso fine con Chieri; il quarto del 21 giugno (doc. n. 266) è la lega pure contratta con Chieri con più larghe concessioni a questo Comune, onde averlo indissolubilmente fedele nell’impresa. Raccogliendo quanto viene a risultare da questi primi documenti ci si rivela innanzi tutto il fatto della tregua conchiusa già nel febbraio del 1260 mentre Ogerio Alfieri incomincia solo a parlare della guerra col d’Angiò all’anno 1261 e gli storici che gli vennero dopo lasciarono indeterminata l’apertura delle ostilità e mostrarono di credere che solo nel 1262 Asti avesse, per premunirsi, strette leghe coi vicini. Dai nostri documenti ora invece risulta che nello stesso anno 1260, e dopo una prima tregua, essa si collegò con Monferrato e con Chieri onde rafforzarsi contro il Provenzale. Dal che, evidentemente appare che Io scoppio della guerra tra Asti ed il d’Angiò era stato vicinissimo all’invasione e che perciò il racconto degli storici deve essere anticipato. Il documento del 21 febbraio 1260 era per vero già conosciuto essendo stato inserto da Monsignor Della Chiesa nella sua Descrizione manoscritta del Piemonte dalla quale fu poi ricavato e stampato nei Monumenti di storia patria (2), ma in quella lezione s’incontrano molte omissioni che sono colmate dal testo del nostro Codice. Questo documento è assai importante per chiarire a quali patti i belligeranti sospendessero le offese e come si disegnasse lo stato delle rispettive alleanze. La tregua doveva durare un anno a queste condizioni; una parte doveva in- dennizzare l’altra dei danni che si facessero i rispettivi aderenti: una parte non ri- cetterebbe i berrovieri , cavalcatori o malfattori, anzi li impedirebbe a recar danno all’altra parte e se faranno offesa a questa vi è impegno di non tenerli più finche non abbiano emendato il danno. Il campo delle alleanze era così diviso: Stavano con Asti Torino, Chieri, Piossasco, Fossano, i marchesi di Ceva, di Saluzzo, Gia- como marchese del Carretto, i de Castino (si dicti marchiones voluerint esse in dieta (') Grassi. L. c., pag. 179. (’) Chartarum ii, col. 1600. — 147 — treuga), Giacomo di Busca, de Castelnuovo di Rivalba, de Moutaldo, de Torrexana, Ottone de Rosanna. Erano col conte di Angib Alba, Cherasco, Cuneo, Savigliano, Cornegliano, Bene, il Conte di Biandrate, il marchese di Saluzzo, marchese di Ceva, Giacomo del Carretto (si dicti marchiones voluerint esse in dieta treuga), i marchesi di Cravesana, il Vescovo d’Alba, gl’Abbati di Breme e di Borgo S. Dalmazzo, i signori di Borgomalo, de Montaldo, Giacomo di Busca (se si riconoscerà che questi debbono prestar fedeltà al conte, Asti non lo impedirà), di Sommariva di Perno, Ottone de Roxana. (Vi erano questioni fra Ottone de Roxana ed i signori di Som- marmi. Se quei di Sommariva assalgono i primi, Asti può aiutare Ottone nella sua terra e viceversa Alba per quei di Sommariva; Asti potrà offendere quei di Somma- riva quando passano sul suo territorio. Questi i termini nei quali avvenne la prima tregua tra Asti e il d’Angiò. Da un altro documento del 14 agosto 1266 (n. 945) abbiamo notizie di una seconda tregua conchiusa ai 17 di luglio 1263, in prorogazione, a quanto pare, di altra già anteriore, quando non sia stata protratta la prima del 1260 fino al 1263, la quale a sua volta fu rinnovata alla scadenza del 1266 col documento conservatoci dal Codice. Le condizioni però alle quali furono conchiuse le diverse tregue men- zionate in quest’atto non furono le stesse; giova quindi tenerne conto perchè gli sto- rici, come abbiamo visto, non seppero quali fossero e sono di non lieve importanza per la storia della dominazione angioina in Piemonte. Le condizioni della tregua che sembra anteriore al 1263 sono: 1° non recarsi danno, 2° restituzione dei prigionieri con malleveria, 3° non acquistare i beni del- l’altra parte, 4° indennità dei danni recati dai berrovieri e impegno di non tenerli. Lo stato delle alleanze era il seguente. Dalla parte d’Asti, Torino, Chieri, Piossasco, Fossano, marchese di Ceva, mar- chese di Saluzzo, Giacomo e Manfredo del Carretto, Manuele de Castino, Giacomo di Busca, i signori di Castelnuovo di Rivalba, signori di Montaldo , de Torexana, Girbaldengó, Ottone de Roxana, il Vescovo di Asti (è pattuito ciò che il Conte gli deve dare su parecchie terre), l’Abbate di Breme. Questi signori per le terre che tengono da Asti e se voluerint esse in treuga. Dalla parte del conte d’Angiò Alba, Cherasco, Cuneo, Savigliano, Cornegliano, Mondovì, Montaldo, Roburento, Frabosa (eccetto i redditi del Vescovo d’Asti), Bene, Conte Manuele di Biandrate, Marchese di Saluzzo, marchesi di Ceva, Giacomo del Carretto, se essi marchesi vorranno essere nella tregua, marchese di Cravesana, Ve- scovo d’Alba, Giacomo e Manfredo di Busca, Abbate di Breme, Abbate di Borgo S. Dalmazzo, signori di Borgomalo, di Montaldo, Girbaldenghi (se vorranno), signori di Moretta, signori di Sommariva di Perno (solite questioni tra Ottone de Roxana ed i signori di Sommariva e relative riserve e storia analoga coi de Moretta e de Troya). Nè le condizioni della tregua, nè gli aderenti delle parti sono più identica- mente gli stessi che vengono presentati dalla convenzione del 1260; giova perciò credere che spirata quella prima tregua di un anno siasene conchiusa un’ altra con questi nuovi patti nel 1261. Fu essa stabilita per tre anni o solo rinnovata di anno in anno fino al 1263? Alla tregua anteriore al 1263 e che noi riferiamo al 1261 seguono altri patti riguardanti i berrovieri. Il conte d’Angiò ed Asti si riservano — 148 di tenerli e di adoperarli purché non offendano l’altra parte ed i suoi aderenti detti valitores, e si eccettuano i loro prigionieri nella restituzione. Queste aggiunte di- mostrerebbero che la tregua del 1261 dovette rinnovarsi dopo di anno in anno piut- tosto che per un triennio, certo essa subì delle modificazioni. Seguono poscia i patti aggiunti nella vera tregua del 1263 che consistono es- senzialmante negl' impegni verso gli aderenti o valitores. Finalmente vengono le aggiunte proprie della tregua del 1266 stipulate tra il siniscalco di Provenza Guglielmo Stendardo pel re di Sicilia ed Enrico Alfieri per Asti. In essa si stabiliva la libertà delle strade e dei commerci, però non con tanti armati da poter fare violenza, si pose Barbaresco nelle mani di Bonifacio marchese di Cravesana che lo dovrà consegnare ad Asti se la tregua è rotta per parte del re, o al re se è rotta per parte di Asti. Si nominano arbitri per le questioni col conte Manuele (di Biandrate) per le terre toltegli da Asti. In fine Asti deve pagare lire 1000 fra cinque giorni ed altre 2000 fra quindici. Da ciò che siamo venuti rilevando da questo importante documento si può scor- gere facilmente quanto debba essere aggiunto e rettificato nei nostri storici riguardo alla dominazione angioina in Piemonte nei suoi primordi. La tregua che fu creduta da essi del 1265 risulta invece del 1266, essa non fu la seconda, ma forse la quarta, di più mercè il nostro documento conosciamo in quali condizioni di forze ed a quali patti i belligeranti stessero l’uno di fronte all’altro dal 1260 fino al 1266. Dalle prime guerre , proseguono gli storici , i Provenzali erano restati padroni di quasi tutte le terre del Piemonte e del Monferrato. Essi avevano nelle loro mani Mondovì, Torino, Ivrea, Alessandria ed Acqui: inoltre si erano alleati a Carlo di Angiò il marchese di Saluzzo, i marchesi di Cravesana e non pochi altri signori, cosicché con queste forze l’Angioino nel 1270 aveva concepito il disegno d’impadro- nirsi di tutta la Lombardia. Gli Astigiani venuti a patti con lui ottennero una tregua per tre anni mediante il pagamento di tremila fiorini d’oro (’). I quattro documenti che abbiamo nel Codice degli anni 1269, 1270 e 1271 non sembrano andar troppo di accordo col racconto degli storici. Il primo ci presenta una tregua conchiusa alli 11 dicembre 1269 (doc. n. 946) ed è evidente che gli storici la posero fuori di luogo portandola al 1270. Questo documento è importantissimo e ricco di particolari per la storia degli Angioini in Piemonte; vi sono dichiarati con esattezza gli alleati e aderenti di Asti e del re Carlo, vi è provveduto alla de- finizione di speciali questioni vertenti tra i contendenti e vi sono stabiliti alcuni punti toccanti il diritto della guerra per quanto riguarda le ostilità che potevano essere commesse dai berrovieri durante la tregua. Un’altra disposizione importante in questo trattato è l’ammissione degli Astigiani a commerciare nel regno di Sicilia, nel principato di Capua e di Puglia con applicazione come ora si direbbe della ta- riffa generale. La tregua doveva durare per tre anni con riserva di proroga alla sca- denza e gli Astigiani promettevano di pagare diecimila lire astesi con tutto il 15 gen- naio prossimo e di più trecento lire ogni anno finché avrebbe durata la tregua, dal che si scorge quanto sia lungi dal vero la cifra indicata dagli storici. Nel secondo e terzo (’) Grassi Storia cit., pag. 179-180. — 149 — documento del IO ottobre 1270 (n. 947) e 29 settembre 1271 (n. 948) abbiamo la prova che quella convenzione ebbe esecuzione giacche vi troviamo due ricevute per trecento lire cadmia. 11 quarto documento, del 29 dicembre 1270 (n. 949), contiene una lettera di Carlo di Angiò ad Asti colla quale eccita il Comuue a prender l’armi contro Manfredo del Carretto, colpevole d’aver dato soccorso a Corradino, nel che si appalesano le ragioni per cui il Provenzale aveva fatta tregua nell’alta Italia donde gli potevano venire gravi ostacoli alla sua impresa di Sicilia e si scorge la connes- sione storica tra gli avvenimenti dell’ima e dell’altra parte d’Italia. Seguitiamo il corso degli avvenimenti secondo gli storici piemontesi. Nel 1273, essi raccontano, la tregua fu rinnovata e gli Astigiani pagarono per essa undicimila fio- rini d’oro, se non che mal sicuri, per tutelar meglio la loro indipendenza, strinsero segreta lega con Pavia, con Genova e col marchese di Monferrato. Durava tuttavia la tregua quando un inopinato accidente fece d’improvviso nuovamente scoppiare la guerra. Nel marzo del 1273 alcuni mercanti di Asti recavano a Genova venti balle di panni francesi ed altrettante di tele, ma giunti a Cossano, Giacomo e Manfredo di Busca che n’erano signori li fermarono e tolsero loro i panni sotto pretesto che apparte- nessero ai Genovesi loro nemici. Riusciti vani i reclami del Comune per la restituzione dell’ingiusta preda, l’oste astigiana coi collegati Cheriesi marciò contro Cossano per darvi il guasto. Ma in quella, ai 24 di marzo, sopraggiungevano le forze dei Proven- zali accorsi in aiuto dei marchesi di Busca loro aderenti ed, attaccatasi battaglia, gli Astigiani furono sconfitti con grandissime perdite rimanendovi morto il podestà e fra i prigionieri il cronista Guglielmo Ventura. Accorsero in soccorso di Asti le armi dei Pavesi e si tentò intanto un’ ambasciata di Tommaso Alfieri al siniscalco del re Carlo di Angiò, ma questa riuscita vana, gli Astigiani assoldarono 1500 berrovieri ed il marchese di Monferrato venne in Asti con 200 spagnuoli e con queste forze unite a quelle dei Pavesi, ruppero al Sangone Tommaso in di Savoia, marciarono verso Alba, espugnarono e diroccarono il castello di Neive, infestarono i Garetti di Gorzano e di Ferrere ed i signori di Priocca ribelli ad Asti ed alleati di Carlo di Angiò e distrussero Tuerdo appartenente pure ai Garetti. I collegati, ricevuto nel 1274 un rinforzo di 300 militi dal re di Spagna, man- dati ai Pavesi, marciarono su Alessandria, diedero il guasto a quel territorio e fatta pace cogli Alessandrini li spiccarono dall’alleanza di Carlo, quindi, nel giugno, raccolte poderose forze marciarono su Alba saccheggiandone il paese. Indi incalzando i Pro- venzali occuparono Cervere, poi Savigliano, espugnarono Saluzzo e Revello a danno di Tommaso marchese di Saluzzo confederato del d’ Angiò e finalmente agli 11 di novembre riportarono una grande vittoria sbaragliando completamente i Provenzali in Val di Roccavioue. Nel 1275 continuarono le ostilità, ma gli alleati del d’Angiò abbassavano presto le armi. Ai 21 di luglio si conchiudeva la pace con Tommaso di Saluzzo, che si staccava dal partito angioino e si accostava ad Asti. Dopo gli alleati andarono a Fossano e lo soccorsero di biade, si volsero quindi contro Alba ultimo baluardo dei Provenzali, e, dato il guasto a S. Francesco, ai 10 di agosto in disprezzo dei nemici corsero il palio sulle porte stesse di Alba come solevasi fare in Asti il dì di S. Secondo. 150 — Nell’anno seguente 1276 ai 4 di febbraio anche Arrigo e Guido del Carretto che pare si fossero staccati dagli Astigiani per aderire a Carlo d’Angiò, si rappacificarono con Asti. Intanto nel corso delle vittorie degli anni 1275 e 1276 gli Astigiani non dimenticarono di trarre vendetta dell’affronto fatto dai marchesi di Busca ai loro mer- canti nel 1273, il castello e la villa di Cossano furono da essi espugnati cacciandone i signori i quali si rifuggiarono in Puglia presso il re Carlo di cui erano sempre stati alleati. Gli Astigiani diedero ugualmente il guasto alla terra ed alla villa di Ferrerò o del Fabbro (così gli storici tradussero la villa Ferraridrum) ed a Priocca i cui signori emigrarono pure in Puglia. I castelli di Gorzano, di Lavezzole, di Mar- cellengo e di Castelnuovo appartenenti alcuni ai Garetti di Ferrere furono anch’essi diroccati in quelle fazioni e gli abitanti di quei luoghi obbligati a trasportarsi a S. Damiano costrutto dagli Astigiani i quali, di piu, fecero un decreto per cui Gorzano e Castelnuovo non potessero più riedificarsi, in odio dei Garetti (’). Sovra questo periodo abbiamo nel Codice una messe abbondante di documenti. Dell’anno 1273 ne rimangono però meglio chiariti due soli fatti, cioè la lega con Chieri della quale abbiamo i nuovi patti dei 22 e 27 marzo (doc. n. 267, 269, 270, 268) e l’accettazione nella lega del marchese Nano di Ceva fatta ai CO di novembre di quél- ranno 1273 (doc. n. 673). Ma un numero ben maggiore ne doveva contenere il Codice, se non che mancandovi gli ultimi fogli nei quali dovevansi trovare i trattati con Pavia, una parte importante andò perduta. Riguardo però alle defezioni di alcuni feudatari di Asti per aderire a Carlo d’Angiò, avvenute nel 1273, trovansi precise notizie, non accennate dagli storici nell’importante atto della inchiesta eseguita nel 1287 da Ogerio Alfieri (doc. n. 867), della quale già si è parlato nel § 4". Nella quale inchiesta è distesamente riferito come gli Obaudi, i Materazzi ed i Discalchi vassalli di Asti avessero nel 1273 defe- zionato ponendosi dalla parte del re Carlo al quale ai 30 di aprile dell’anno se- guente 1274 consegnarono il castello, la villa, la torre et posse di Priocca facendogli prestar fedeltà dagli uomini rimastivi e giovandosi di quella terra per far guerra ad Asti coi berrovieri del Re fino ai 14 settembre 1276 in cui la repubblica ricuperò Priocca ricevendola da Alba che la teneva e dando ad essa in cambio il castello e la villa di Montrexino ed una somma di danaro. I Discalchi, i Materazzi e gli Obaudi fuggirono e furono banditi in perpetuo e tutte le loro terre confiscate (pubblicate) al Comune d’Asti e vendute a Tomayno Roero il 16 marzo 1277. Per l'anno 1274 non si hanno documenti che direttamente si riferiscano a quegli avvenimenti, ma per contro abbondano quelli del seguente 1275. Vengono in primo luogo il compromesso nel marchese di Monferrato tra Asti e Saluzzo in data del 20 luglio per lo stabilimento della pace (doc. n. 591) ; il pro- nunziato del marchese, che ne seguì (doc. n. 592) e gli atti di ratifica e di pace defi- nitiva e ad un tempo di lega, del 21 luglio (doc. n. 593) e 30 luglio (doc. n. 1023 del- l’Appendice). Di questi atti già si è parlato a lungo discorrendo delle relazioni di Asti col marchese di Saluzzo; qui noteremo solo come la straordinaria solennità con C) Grassi. Storia cit. Voi. il, pp. 181, 182-83, 184-85, 186-87 a 190. — Cibrario. L. c. passim. — Muletti. L. c. passim. — 151 — cui si statuì che la lega dovesse essere ratificata dal Consiglio e da un gran numero di cittadini delle due parti dinota che quelle stipulazioni si reputavano di somma gravità e si stimava molto pericolosa l’impresa. A questi documenti fanno seguito le sottomissioni di alcuni dei Garetti e di alcuni dei Barrachi colla rinunzia ad Asti dei loro uomini di Lavezzole, Serra, Alcello e Castelnuovo per edificare e popolare S. Da- miano, in data 26 agosto 1275 (doc. n. 845, 846, 847). Dai quali documenti viene ben determinato il tempo in cui le ire degli Astigiani dovettero scatenarsi sui feudatari che avevano defezionato dal loro partito e fu da essi intrapresa la fondazione di S. Da- miano. In ultimo si presentano gli atti coi quali fu stabilita la pace coi signori di Gor- zano ai 5 e 28 di settembre ed ai 12 di ottobre 1275 (doc. n. 935, 936, 937). Tutti questi atti collocano al loro posto avvenimenti che gli storici astigiani avevano dovuto lasciare indeterminati e senz’ordine. Di quanto accadde nel 1276, gli storici notarono solo la rappacificazione con Ar- rigo e Guido del Carretto dei 4 di febbraio. Noi abbiamo nel Codice questo trattato di pace (n. 260), la conoscenza del cui testo integrale giova alla miglior intelligenza di quei fatti. Ma altri avvenimenti l’avevano preceduto, ed in primo luogo la pace con alcuni dei signori di Gorzano e di Valfenera stipulata ai 21 di gennaio che pure abbiamo nel Codice (doc. u. 842), alla quale teneva poi dietro ai 5 di giugno la paci- ficazione e la riammessione alla cittadinanza dei signori di Castellinaldo (doc. n. 887-88) , e finalmente ai 19 di settembre la pace con Alba (doc. n. 977) già menzionata nel § 25 delle relazioni coi marchesi di Saluzzo. Quest’atto è di una capitale importanza per- la storia della lotta contro gli Angioini; per esso Alba si distaccava dal partito di re Carlo ed entrava nella lega che con straordinaria costanza ne combatteva la do- minazione. Il trattato ci offre un quadro esatto dello stato delle due parti bellige- ranti quanto alle aderenze su cui si appoggiavano, sanciva la riunione degli sforzi di Asti e di Alba contro Bra, Clierasco e Savigliano che tuttora rappresentavano il partito regio in Lombardia. Questo era un successo per gli alleati di ben maggiore importanza che non il fatto di aver corso il palio sulle porte di Alba sul quale gli storici astigiani si arrestarono con troppo leggiera compiacenza. L’anno 1276 terminò con un altro fatto pure importante; ai 29 di dicembre fu conchiusa la pace e la lega con Savigliano e Moretta (n. 713) merc'e la quale il par- tito che si potrebbe chiamare nazionale capitanato da Asti si andò sempre più raf- forzando contro i pochi aderenti degli Angioini, rimasti in Piemonte. Le storie astigiane proseguendo il racconto delle declinanti sorti degli Angioini narrano ch’essi si ritirarono in Provenza, il qual fatto diede luogo ad una conven- zione stipulata il 13 di settembre 1277 tra Cuneo ed i suoi aderenti dall’ima e Asti ed i suoi collegati dall’altra, colla quale fu stabilita una tregua per dieci anni e sei mesi con riserva di farta ratificare dal re Carlo. Con altro atto dello stesso giorno fu conchiusa un’altra convenzione contemplando il caso di non ratifica per parte dell’Angioino; infatti il re non ratificò la tregua e perciò i contraenti nel 1278 diedero esecuzione al trattato di pace ('). Alla scarsità di notizie date dagli storici per questi due anni 1277 e 1278 (’) Grassi. L. c., pp. 189-190. — Voerzio. Storia di Clierasco; Mondovì 1618, p. 114. 152 supplisce in parte il Codice con parecchi documenti. Il primo che si affaccia è la pace stipulata con Cherasco ai 9 di marzo 1277 (doc. n. 661). Di questo documento avevano già dato cenno alcuni scrittori (') e fu anche pubblicato (2), ma giova tuttavia far notare l’errore nel quale caddero gli storici astigiani che posero fra gli alleati di Asti quei del Cairo , mentre il documento fa vedere che erano invece quei di Chieri. Ed è pure a correggersi il giudizio ch’essi portarono di quest’atto dicendo che nulla conteneva d’importante (3) mentre invece sono di non poco rilievo i fatti che vi si contengono. Un secondo documento delli 12 di maggio (n. 479) ci fa cono- scere l’importante dedizione ad Asti degli uomini di Cossano e di Bocchetta ai quali colla concessione della cittadinanza astigiana vennero accomunati gli obblighi di far pace e guerra col Comune, riservate le proprietà dei marchesi di Busca che n’ erano signori, che il Comune si obbligò di pagar loro. Ciò si accorda poco coll’asserzione degli storici che Cossano già fosse stato espugnato ed occupato dagli Astigiani fin dal 1275 cacciandone i marchesi di Busca che sarebbero perciò emigrati in Puglia. La cacciata di baroni piemontesi per parte della repubblica di Asti e la loro emigra- zione nell’Italia meridionale è un fatto molto interessante; se però sembra accertato in altri casi, può tuttavia essere accaduta qualche confusione nei nostri storici e pare pei signori di Cossano la loro affermazione debba essere accettata con riserva. Infatti da un altro documento dello stesso giorno 12 maggio (n. 480) apprendiamo che Ma- nuele figlio di Oddone marchese di Cossano interveniva a confermare la convenzione passata tra Asti e gli uomini di quel luogo ed i patti speciali che lo riguardavano; se pertanto lo spatrio di quei signori avvenne, dovette forse aver luogo almeno in altro tempo da quello assegnato dagli storici nostri. Il fatto che in questi due anni 1277 e 1278 la fortuna degli Angioini andò ra- pidamente scadendo fu affermato dai nostri storici in modo generico, ma sarà sempre interessante per la storia il poter conoscere nei particolari i modi con cui questo fatto si compì e distinguere le cagioni che concorsero a produrlo. Uno dei principali di questi fattori fu l’allargarsi delle aderenze del comune di Asti, epperciò la riunione di forze sempre maggiori contro la dominazione angioina. Questo si disegna chiaramente in alcuni documenti che il Codice fornisce. Ai 29 di maggio anche i signori di S. Vit- toria facevano pace con Asti aderendo al suo partito (doc. n. 650); quell’atto veniva ratificato lo stesso giorno (doc. n. 651) ed ai 30 di quel mese prestavasi dagli uomini di quei signori il giuramento ad Asti (doc. n. 652). Ai 27 del successivo mese di giugno aveva luogo la sottomissione ad Asti degli uo- mini di S. Albano coll’obbligo di concorrere alla guerra contro i Provenzali, consenziente a quest’atto il Vicario del Vescovo (doc. n. 709). Alla data del 13 di settembre ab- biamo nel Codice (doc. n. 950) la tregua con Cuneo ed i suoi aderenti e l’altra con- venzione della stessa data accennataci dagli storici (doc. n. 951). Dei quali importanti documenti si è già discorso nel § 25, dei marchesi di Saluzzo, rilevando com’essi dimo- strassero stremato di forze e povero d’aderenti il partito angioino in Piemonte. (') Della Chiesa. Descrizione ms. del Piemonte, parte 2a, cap. 12 — Voerzio. L. c. — G. B. Adriani. Degli antichi sig. di Sarmatorio, p. 81 e 245. (s) Stampato a Cherasco per G. Mentone e poscia nei Mou. hist. pai., Chart. II, col. 1652. (") Grassi. Storia cit., p. 167. — 153 — Un documento del 14 di ottobre (n. 848) fa vedere come Àsti non lasciasse passare senza opporvisi nessun atto che potesse anche alla lontana turbare lo stato di cose che il Comune con attento lavorio aveva predisposto ai suoi fini politici, quel documento contiene l’intimazione fatta ai canonici di Asti per parte del Comune di nulla acquistare nel territorio di S. Damiano e di Canale ove esso aveva diritti, diffidandoli che se succedesse qualche cosa in loro danno lo dovrebbero imputare a propria colpa. L’anno susseguente 1278, mediante la nuova convenzione conchiusa tra Asti e Cuneo ed i rispettivi alleati agli 8 di gennaio (doc. n. 952) secondo le riserve del trattato del 13 di settembre dell’anno antecedente, si stabilì definitivamente la pace, quest’atto benché si fosse pure conservato nel frammento del Codice torinese fu citato in modo vago dai nostri storici senza precisare il tempo nel quale era avvenuto. Essi dissero, come già abbiamo accennato, che il trattato del 13 settembre 1277 portava la condizione che il re Carlo ratificasse quei patti, in difetto del che Asti e Cuneo avrebbero fermata la pace indipendentemente dal d’Angiò e che così avvenne nel 1278. Ma in fatto trattavasi di qualche cosa di più che una semplice conferma od acces- sione per parte di Carlo d’Angiò. Vediamo dal nostro documento che egli doveva per parte sua eseguirne i patti, fra i quali principalissimo la restituzione dei prigio- nieri che erano ritenuti in Provenza, il che non era stato eseguito. Il Codice ci mostra poi la piena accettazione di questa convenzione dell’ 8 gen- naio coi due atti di ratifica passati dalle parti il giorno seguente (doc. n. 953, 954), dei quali gli storici non fecero più menzione. In fine tra gli atti per cui la grande confederazione subalpina affermò maggior- mente la sua potenza nel 1278 devesi pure annoverare il trattato di lega tra Asti, Chieri e loro alleati ed il conte Tommaso di Savoia delli 18 luglio (doc. n. 271), ratificato poi dal Conte ai 25 di ottobre (doc. n. 907), del quale già si è parlato nel § 23, delle relazioni di Asti colla Casa di Savoia. Al quale fatto deve altresì ag- giungersi l’acquisto che Asti fece del castello e della giurisdizione di Gorzano ai 3 di settembre di quel medesimo anno 1278, in forza di una sentenza arbitrale (doc. n. 939). Dopo l’anno 1278 le storie astigiane taciono sulle relazioni degli Angioini con Asti, esse raccontano solo la cacciata di Carlo dalla Sicilia, la sua morte, la prigionia del figlio, Carlo n, il di lui riscatto, l’andata a Parigi ed il suo ritorno in Italia nel 1289, per dire che fu in questa occasione, o poco dopo il ritorno a Napoli, che fu conchiuso il trattato di pace definitiva con Asti, colla restituzione dei prigionieri mediante ottomila fiorini. Trattato importantissimo che il Ventura si limitò a men- zionare senza per altro precisarne neppure la data (‘). Ma parecchi documenti del Codice, degli anni 1279 e 1280, vengono ad aggiun- gere nuove notizie sullo stabilimento della pace del 1278 ed a disegnare un quadro compiuto dei fatti che furono il naturale svolgimento dei precedenti avvenimenti della guerra angioina e come tali pur degni di essere notati nelle memorie di essa, o che almeno vi hanno rapporto. Troviamo innanzitutto che ai 22 di settembre del 1279 (n. 978) fu ratificata la (') Grassi. Storia di Asti cit., n, p. 201. 20 — 154 — pace e la lega del 1276 dagli Albesi solennemente, e prima che l’anno spirasse, agli 8 di dicembre vennero ratificati nuovi patti concimisi con Cuneo, diretti a mantenere sempre più salda la lega stabilita (doc. n. 955). Sono molto notevoli i patti di questa convenzione. In forza di essa Asti avrebbe costrutto in Cuneo due castelli in servizio di quella città ed acciò Cuneo rimanesse in perpetua fratellanza; Asti assumerebbe la difesa di Cuneo, senza tuttavia costringerla ad alcuna servitù od a spese per detti castelli fuorché pei mattoni e legnami e per le case degli Arduini e dei Gastaldi distrutte. I detti Arduini e Gastaldi ed i loro seguaci sarebbero banditi da Cuneo e da Asti e dai rispettivi domini. Così Asti veniva finalmente a metter piede si può dire da padrone nella città che era stata l’ultimo baluardo della dominazione angioina in Piemonte. Pel seguente anno poi 1280 abbiamo una serie numerosa di atti che basterà ad enumerare sommariamente giacche presentano fatti che non toccano direttamente le relazioni coi d’Angiò ma ne furono però la conseguenza, come abbiamo detto. Questa serie di atti incomincia con trentatre sentenze colle date 28 febbraio, 26 marzo, 8, 16, 17 e 19 ottobre 1280, in forza delle quali il Comune di Asti paga i crediti che alcuni avevano sui signori di Cossano, consolidando per tal modo in se i relativi diritti (doc. n. 481-500, 528, 501-512), segue un’altra sentenza pure in data 28 febbraio contro Roberto di Gorzano colla quale souo aggiudicati al Co- mune di Asti gli uomini di Canale, Caraglone, Bruna e Tuerdo o Stoerda trasportati in S. Damiano (doc. n. 849). Quindi due altre della stessa data, l’una (doc. n. 852) prescrivente al Comune di Asti la restituzione agli eredi di Emanuele di Gorzano dei beni che gli spettavano in proprietà nella metà di Castelnuovo e Lebeto, luoghi distrutti per l’edificazione di S. Damiano, e l’indennizzo della perdita fatta nella somma di lire 600; l’altra (doc. n. 853) pure nello stesso senso a favore dei Solari ai quali Rodolfo di Gorzano aveva venduto la metà degli accennati luoghi. Vengono dopo due istromenti di acquisto di diritti, il primo in data 13 aprile fatto da Asti pei diritti sovra Busca degli Scarampi nei quali si erano consolidati per crediti insoddisfatti verso il Comune di Cuneo (doc. n. 719); il secondo pei diritti sul ca- stello della Rocchetta dei quali Asti faceva parimente acquisto da un tale Bertaldo il quale li aveva avuti dai marchesi di Busca (doc. n. 466). Nelle storie di Asti non vi ha più memoria di alcuna convenzione cogli Angioini fino al 1289, però il Codice ce ne rivela una stipulata ai 13 di febbraio del 1283 eli’ è di non lieve importanza. Essa è la tregua conchiusa da Asti col siniscalco di Provenza a nome del re Carlo d’Angiò e suo figlio il principe di Salerno ed i loro aderenti da durare per quattro anni (doc, n. 981). In essa sono dichiarati gli alleati di ciascuna delle due parti, sono determinati i limiti entro cui ognuna poteva agire senza turbare lo stato di tregua e sono prestabiliti i termini di proroga alla sca- denza con molti altri particolari dai quali la storia della dominazione e della deca- denza degli Angioini in Piemonte in questo periodo viene pienamente chiarita. Si è già notato nel § 25, dei marchesi di Saluzzo, come in questo fatto siasi pure risentito l’effetto del Vespro siciliano. Singolare e provvidenziale accomunamento di patriottismo e dello spirito nazionale delle due estreme parti d’Italia; i Subalpini avevano mossa guerra alla dominazione straniera dei d’Angiò fin dal suo principio in Piemonte — 155 — nel 1260, i Siciliani cacciandoli dalla loro isola nel 1282 venivano a porgere aiuto al trionfo della stessa causa per cui si combatteva in Piemonte da ventidue anni. Il nostro documento ci fa vedere a quanta poca importanza si riducesse a quei tempi la potenza dei d’Angiò in queste parti. Come aderenti dei Provenzali si citano appena Morozzo, Montemale, Caraglio, i Grafagnini fuorusciti cV Alba ed eventualmente il marchese di Cravesana, mentre stavano contro di essi Asti (il Comune e la Chiesa), Chieri, Savigliano, Fossano, Mondovì, Cherasco, coi rispettivi vassalli, il marchese di Ceva, il marchese di Saluzzo, i figli di Giacomo del Carretto, Manfredo del Carretto, i figli di Manuele de Castino, i signori di Castelnuovo di Rivalba, i signori di Montalto di Toresana, i figli di Nicola di Montalto già Gribaldengo, gli eredi di Ottone di Rosana, l’Abbate di Breme, i signori di S. Stefano di Cossano. Insomma gli Angioini erano pressoché esclusi dal Piemonte. Mancherebbe nel Codice il trattato cui accennò il cronista Ventura e che il Grassi menzionò come avvenuto nel 1289 se pure il cronista non intese parlare della tregua del 1283 della quale abbiamo discorso e lo storico Grassi non prese abbaglio nella data. L' ultima volta che il nome dei d’Angiò compare nel Codice, è nella tregua stabilitasi tra Asti ed il marchese di Monferrato ai 26 di dicembre 1293, non già perchè l’Angioino entrasse in quella stipulazione, ma solo perchè 1’ atto fu rogato a Nizza, nel palazzo reale ed alla presenza del re Carlo n. Dalla rassegna che abbiamo fatto si può scorgere facilmente quanto i docu- menti del Codice giovino a rischiarare la storia di Asti in relazione a quella dei d’Angiò. La storia della dominazione angioina in Piemonte non è ancor fatta e merita di esserlo, è un periodo sotto più aspetti interessantissimo; chi un giorno impren- derà a trattarlo, troverà nei documenti del Codice di Asti un nuovo ed im- portante sussidio. 27. Relazioni di Asti con Alessandria. Le relazioni di Asti con Alessandria risalgono ai primordi di questa città. Nell’anno stesso della sua fondazione 1168, ai 25 di settembre il Vescovo d’Asti stipulò una convenzione col Comune di Alessandria in forza della quale il Vescovo concede 40 uomini di Quargniento per popolare la nuova città e le sottomette gli altri abitanti di quel luogo, ed Alessandria per contro promette di difenderlo (’). Pretendesi poi dagli storici che Asti concorresse a formarne il territorio cedendole tutto il paese che giace di là del Tanaro verso Alessandria e di là della Bormida (2), ma questo fatto non è ben certo (3). Sono invece sicure le relazioni tra i due Comuni nell’anno seguente 1169. Ai 24 novembre di quest’anno si conchiudeva un trattato tra il Comune d’Asti e quello (’) Schiavina, Annales Alexandrini, in Mon. hist. pai. Script, iv, col. 12-13. — Molina. Noti- zie Stor. della città d’Asti, n, 59. — Grassi. L. c., i, 112. (!) Malabaila. Clypeus civit. ast., p. 19. — Molina. L. c., 59-60. — Grassi. L. c., 113. (3) Il Malabaila che primo accennò a 'questa cessione può troppo facilmente averne attinto la notizia alle note fonti adulterate della storia astese. — 156 — di Alessandria con cui Asti prometteva di difender quella città dal marchese di Monferrato e dai Biaudrate, di aiutarla con armati e di tenerla esente dai pedaggi e lo stesso si impegnava di fare Alessandria verso Asti (‘). L’unione che già doveva esistere tra le due repubbliche che facevano amendue parte della Lega lombarda diventava così più stretta di fronte ad un comune nemico. La buona intelligenza fra i due Comuni durò fino al 1174 nel qual anno sceso l’imperatore Federico in Italia prima di rivolgersi contro Alessandria cinse d’assedio Àsti, la costrinse ad arrendersi ed a staccarsi dalla Lega lombarda. Da quel punto Asti come apparte- nente al partito imperiale intervenne alla tregua colla Lega lombarda del 1177 ed alla pace di Costanza nel 1184, e di necessità dovette essere nemica di Alessandria. Non troviamo tuttavia memorie di fatti in cui si appalesi l’ostilità dei due Comuni. I documenti che abbiamo nel Codice sulle relazioni tra Asti ed Alessandria sono posteriori a questi avvenimenti, il primo è lontano di ventun’anni dalla con- venzione del 1169 colla quale si inaugurarono le relazioni tra i due Comuni e ce li fa vedere nuovamente collegati. È questo la sottomissione dei terrieri di Masio ad Asti e ad Alessandria in comune, fatta ai 26 di settembre del 1190 (doc. n. 293), mercè la quale quegli uomini oltre la soggezione giurata ai due Comuni, promisero di contribuire con un dato numero di armati per la loro difesa, di pagare il fodro e di tenerli esenti da nuovi pedaggi. In quest’atto Alessandria in omaggio alle sue nuove sorti è chiamata Cesarea. Esso non ci rivela però un fatto nuovo per la storia delle relazioni tra le due città, giacche la dedizione di Masio era già nota agli storici (2). Nel giugno dell’anno seguente 1191 gli Astigiani intraprendevano la famosa guerra contro il marchese di Monferrato che durò ostinata per quindici anni. È noto che nello scontro col marchese avvenuto a Montiglio ai 19 di giugno gli Astesi ebbero la peggio (3); dopo questo fatto non ebbero gli storici notizia di alcuna in- terruzione delle ostilità fino al 1194 nel qual anno dissero essere intervenuta la prima tregua (3). Ma un documento del Codice in data 25 agosto (doc. n. 194) ci presenta la prima tregua in quel dì stabilita col marchese dopo il combattimento di Montiglio. Parleremo di questa tregua quando si discorrerà delle relazioni di Asti col marchese di Monferrato, ma qui dobbiamo notare che da quest’ atto apprendiamo un fatto rimasto sconosciuto, cioè che anche gli Alessandrini avevano combattuto cogli Astigiani contro il marchese giacche ivi si fa cenno di essi come alleati di questi e di loro prigionieri. La guerra non aveva tardato a riardere onde agli 11 di aprile del 1193 si conchiudeva una n uova pace col Marchese. Questa pace (doc. n.918) preter- messa dagli storici astigiani era già nota pel frammento pubblicatone dal Moriondo (5), ma noi ne abbiamo ora il testo integrale nel Codice. L’A. Valle nei suoi commen- tari agli annali dello Schiavina citò questo documento dal quale si accontentò di cavare il nome del podestà di Alessandria (6); però assai più importante è la notizia (') Schiavina, Ann. aless. L. c., col. 14-15. — Molina. L. c., 60. — Gkassi. L, c., 113. (’) Molina. L. c., 74 e segg. — Grassi. L. c., 121. — Schiavina. Ann. aless. L. c., col. 68-69. (3) Oger. Alf. Cron. n. 10. f') Molina. L. c., 87. (s) Monumenta aquensia, li, 364. (°) Annali di Alessandria di Guglielmo Schiavina, tradotti, annotati, abbreviati, continuati da Carlo A. Valle. Alessandria, 1861, p. 86. — 157 — che da esso risulta e che qui merita di essere rilevata, che cioè Alessandria è men- zionata come prima alleata di Asti con cui essa doveva sicuramente aver preso parte alla guerra contro il Marchese giacche egli, ivi è detto, dava pace agli alleati degli Astigiani, maxime hominibus de Alexandria, di tutte le offese ed ingiurie che gli avevano recate. Pare che la pace del 1193 fosse di breve durata giacche gli storici registrano una nuova rottura tra Asti ed il marchese nel 1194 (‘) seguita da una nuova tre- gua (2). Finalmente ai 28 di marzo del 1197, Asti ed il marchese di Monferrato deferirono all’arbitrato dei Comuni di Milano e di Piacenza le loro questioni (3). Intanto, sia che gl’interessi degli Alessandrini fossero stati offesi nella tregua del 1194 0 che altre complicazioni fossero sorvenute, sembra che guerra fosse sorta tra Asti ed Alessandria stessa (l). Quando poi, non avendo approdato il compromesso dei Milanesi e dei Piacen- tini, fu ripresa la guerra col Marchese, Asti riannodò l’alleanza con Alessandria. Ciò avvenne col trattato del 30 ottobre dello stesso anno 1197 col quale si rinnovarono 1 patti della lega del 1169 con aggiunta di nuovi (5). Nel periodo di tempo trascorso dalla pace del 1193 a tutto il 1197 il Codice non ha documenti che riguardino le relazioni tra Asti ed Alessandria, ma è invece più abbondante per l’anno che seguì 1198. In quest’anno continuava la guerra col marchese di Monferrato, e gli storici riferiscono in proposito le seguenti notizie che giova di riassumere. Ai 15 di marzo, Asti, Alessandria e Vercelli si stringono in lega pervent’anni contro i marchesi di Monferrato ed i loro aderenti (c) ; ai 2 di aprile i collegati con- traggono alleanza con quei di Paciliano contro gli stessi Marchesi (7); ai 16 dello stesso mese gii alleati avendo tolto ai nemici Castagnole appartenente al marchese Lancia alleato di quello di Monferrato e fatto prigione lo stesso marchese Lancia, fecero una convenzione per regolare il possesso in comune della conquista e la divi- sione del bottino (8) ed ai 5 di maggio contraggono alleanza cogli uomini di Lanerio per vieppiù rafforzarsi contro il marchese di Monferrato ed i di lui aderenti (°). I documenti del Codice aggiungono nuovi dati alle notizie ora riferite, e in primo luogo sotto la data del 17 di gennaio 1198 troviamo la fedeltà giurata ad Asti dagli uomini di Messedio e da quelli di Monteleucio (doc. n. 536 e 537), nei quali atti i si- gnori di quei luoghi, pei loro uomini, promettono pure di salvare e di difendere gli uomini di Alessandria, donde appare fin dal principio di quell’ anno inaugurata la solidarietà politica tra i due Comuni alleati. In secondo luogo viene il trattato di (') Grassi. L. c., 132. — De- Conti. Notizie storiche della città di Casale del Monferrato, i, 258, cita una lega tra Asti e Vercelli per difendersi dal marchese di Monferrato e ne riporta il testo a nota 44, p. 371. [’) Molina. L. c., 88. (3) Benvenuto San Giorgio, Cron. p.,44. — Molina. L. c., 88. — Grassi. L. c., 133. (4) Molina. L. c., 95. (5) Schiavina, L. c., col. 86-89 — Molina. L. c., 95. — Grassi. L. c., 133. (6) Molina. L. c., 108. — Grassi. L. c., 134. — De-Conti. L. c., 276 e nota 47, p. 384 — Schiavina. L. c., ad ann. (7) Molina. L. c., 109-10. — Grassi. L. c., 134. — Schiavina. Annal. L. c., col. 96. (8) Molina. L. c., 105. — Grassi. L. c-, 134. — Schiavina e Ghi- lini. Ann. aless. L. c., col. 97. (9) Molina. L. c., 106.— Grassi. L. c., 134. — Schiavina. L. c., col. 99, però alla data 26 maggio. — 158 — alleanza tra Asti, Alessandria e Vercelli del 15 di marzo, contro il marchese di Mon- ferrato, i Casalesi, quei di Paciliano e di Cavagnolo, compreso nell’Appendice al Codice (doc. n. 993). Questo importante documento, come si è detto, era già noto, ma rimaneva tuttavia inedito; il testo che ora fa seguito al Codice giova non solo a darne piena contezza, ma ne determina anche la vera data sulla quale vi è discre- panza tra gli scrittori patrii che lo citarono (’). Il Codice fornisce pure il testo della convenzione tra Asti ed Alessandria per Lanerio già sovracitata. Questa convenzione (doc. n. 542) trovasi egualmente inserta nel Libro della Croce di Alessandria e di là ne trasse notizia lo storico astese Molina, se non che avendo egli rilevato che la data 6 di maggio non concordava col giorno della settimana, pure indicato, assegnò l’atto ai 5 di quel mese, ma ora dal Codice rileviamo che anche in esso era corso un errore quanto all'anno, indicandosi il 1197 invece del 1198, però esservi concordanza nel giorno per la data del mese, cioè il 26 di maggio ('). II. Codice somministra pertanto qui non solo un’autorità a risolvere il dubbio del Molina, ma decide anche le discrepanze tra di esso e gli altri scrittori che sotto date diverse citarono lo stesso documento (3). Ai 28 di giugno (doc. n. 417) Asti ed Alessandria congiuntamente facevano lega coi terrieri di Cassine e di Canelli. Final- mente abbiamo in Appendice al Codice (doc. n. 994) Tatto 10 settembre 1198 col quale alcuni Casalesi si dànno in ostaggio agli ambasciatori di Asti e di Ales- sandria (4). Abbiamo già visto che il trattato del 15 marzo stabiliva l’alleanza di Asti, Alessandria e Vercelli contro il marchese di Monferrato ed altri fra cui i Casalesi, questi ai 9 di settembre si erano sottomessi agli ambasciatori di Asti e di Ales- sandria di venire a pace con Vercelli colla condizione di dare ostaggi ( 5 ) e coll’atto succitato del 10 settembre davasi appunto esecuzione a quella clausola. Mantenendosi così in stretta unione ed operando concordi gli alleati andavano avanzando la loro causa, quando nel 1199 s’interposero i Comuni di Milano e di Pia- cenza per ricondurre la pace fra i belligeranti. Nel mese di marzo le parti compro- misero le loro ragioni in quei due Comuni e conferirono ai loro legati i poteri necessari (G), ai 2 di maggio il marchese di Monferrato rimise ai Milanesi ed ai Pia- centini i diritti che aveva sui prigionieri di Asti e di Alessandria (7) ed ai 13 di giugno, salve le ulteriori decisioni che gli arbitri avrebbero emesse, si stabilì una concordia tra i belligeranti, Milano e Piacenza (8). Ma rimanevano tuttavia indecise le questioni di Asti e di Alessandria col Marchese; essi addivennero ad una pace nell’ottobre dell’anno seguente 1200, la quale per altro fu di breve durata come vedremo (3). (’) Il Molina da una conferma del 2 marzo esistente nel Libro della Croce e che certamente deve riferirsi ad altra convenzione argomentò che questo trattato dovesse essere anteriore. Lo Schia- vina riporta la conferma di Vercelli colla data 30 marzo ed il Ghilini del 2 dello stesso mese. (') V. § 17 di questa Memoria, Date dei documenti, e la correzione fatta per questo documento nella tabella. (a) Ghilini. Annali d’ Alessandria, lo assegna al 25 maggio e lo Schiavina al 26. (*) Questo documento fu riportato dal De-Conti, 1. c. sotto la nota 47 a pag. 387 ma abbreviato e così scorretta- mente che a ragione potè comprendersi nell’Appendice fra gli inediti. (5) De-Conti. L. c., nota 47, pag. 386. (c) Idem. L. c., 279-280. — Molina. L. c.. 111. — Grassi.L. c. (7) De-Conti. L. c., 180. (8) Molina. L. c., 112. — De-Conti. L. c., 279. — Schiavina, annal. L. c., col. 107-109, colla data 12 giugno. (9) Idem. L. c., 285. — 159 — Dell’anno 1199 abbiamo nel Codice un solo documento in cui si accenni alle relazioni con Alessandria ed altri due si aggiunsero nell’Appendice. Il documento del Codice (n. 403) ha la data del 7 di gennaio e contiene la lega fatta dal Comune di Asti con quei di Vinchio; in questa lega Alessandria è contemplata quale amica e collegata di Asti, ma se per questo riguardo il documento ci dice una cosa già conosciuta, merita sotto un altro rapporto di essere specialmente notato giacche l’unione di Vinchio fu il germe di una più tarda alterazione dei buoni rapporti tra i due Comuni alleati, della quale parleremo. L’uno dei documenti posti in Appendice è senza data del mese, ma pare ragionevolmente una conseguenza del compromesso fatto in marzo nei Milanesi e Piacentini e lo riteniamo quindi posteriore a quel mese. Esso (doc. n. 996) contiene le pretese e le domande messe avanti dal marchese di Mon- ferrato verso Asti ed Alessandria. L’altro (doc. n. 997) è l’atto già sovra accennato del 2 maggio mediante il quale lo stesso Marchese rimette ai Milanesi ed ai Pia- centini le sue ragioni sui prigionieri di Asti e di Alessandria ('). Affermano gli storici senza saperne precisamente la cagione che il compromesso nei Milanesi e nei Piacentini non valse a ricondurre stabilmente la pace tra Asti ed il marchese di Monferrato e che fu ripigliata la guerra, che ignorano però quando ricominciasse, additandocene solo il termine che fu nel 1206 (2). Ma prima di que- st’anno Alessandria aveva fatto separatamente la pace col Marchese ai 12 di agosto del 1203 (3), pel qual fatto xAIessandria trovossi in campo opposto ad Asti, con cui per tanto tempo era stata collegata. Ma se questa era stata la rottura decisiva della lunga alleanza tra Asti e Alessandria, altre cagioni di dissapori l’avevano preceduta e forse determinata. Fin dal febbraio 1203 si agitavano questioni tra i due Comuni per le terre di Acquosana e di Vinchio. Ai 9 di quel mese i terrieri di Acquosana ed ai 20 quelli di Vinchio si erano dati ad Alessandria ('*). Non risulta quali ragioni avesse Asti in Acquosana, ma certo doveva avervi interessi che si trovarono lesi dalla dedizione fatta ad Alessandria; quanto a Vinchio, già abbiamo accennato di sopra l’atto 7 gen- naio del 1199 (doc. n. 403) in forza del quale i consoli di quella terra avevano promesso di salvare e difendere Asti e specialmente Alessandria sua alleata e di far esercito col Comune astigiano. Sul finire poi del 1202 Asti aveva acquistati nuovi titoli su quel luogo; ai 2 di dicembre quei di Vinchio erano stati aggregati alla cittadinanza Astigiana cogli obblighi inerenti (doc. n. 404) ed ai 12 dello stesso mese Manfredo Monaco di Vinchio ed Enrico di lui nipote avevano fatta donazione ad Asti della loro parte del castello nei modi ed alle condizioni con cui gli avevano già ceduta la loro parte in Corticelle (doc. n. 335). Dal che ben si scorge quanto dovesse Asti ritenersi lesa nei suoi diritti dalla dedizione del 20 febbraio 1203. Al 21 febbraio di quest’anno si tentò un accomodamento amichevole deferendo le que- stioni insorte per quei luoghi ad arbitri (“), ma questi ai 5 di maggio fecero una (’) Anche questo documento fu riportato dal De-Conti, 1. c., alla nota 49, pag. 395, ma non meno scorrettamente degli altri, sicché era conveniente riprodurlo, come fu nell'Appendice al Codice. ("-) Molina. L. c.,113. — Grassi, L. c., 136. (3) Molina. L. c.,118. — Schiavina. Annali d’Alessandria ad ann. colla data dei 21 agosto. (*) Molina. L. c., 117. — Schiavina. Annali d’Alessandria ad aun. (5) Molina. L. c. ,115, dal documento del Libro della Croce. — 160 — protesta di non poter emettere il giudicato, evidentemente perchè non avevano potuto accordarsi sui punti da giudicare ('). Dalla pace di ottobre 1200 a questi avvenimenti non abbiamo nel Codice che un documento, che faccia menzione delle relazioni con Alessandria, portante la data delli 9 agosto 1202 (doc. n. 923). In esso si contiene la promessa fatta dal mar- chese Bonifacio di Monferrato a Guglielmo suo figlio di tener per valide e ferme le paci e tregue che conchiuderebbe con qualche città e specialmente con quelle di Alessandria e di Asti. Con questo documento constatiamo che alla data dei 9 ago- sto 1202 1’ unione tra Asti ed Alessandria non era ancora rotta giacche si trattava di far pace insieme col marchese di Monferrato; il che ci determina chiaramente la causa della rottura, i nuovi diritti cioè acquistati da Asti in Vinchio nel dicembre di quell’ anno e le dedizioni ad Alessandria del febbraio successivo, causa accennata dagli storici senza poter penetrarne chiaramente le ragioni (2). Al documento ora accennato, altri due si aggiunsero nell’Appendice, del 21 feb- braio e 5 maggio 1203 (doc. n. 1002 e 1003), e sono gli atti di arbitrato per la questione di Acquosana e di ricusa degli arbitri di addivenire ad una decisione, ai quali documenti si è già qui sovra accennato. Che poi, dopo questi tentati accordi Asti e Alessandria venissero effettivamente in guerra pare non potersene dubitare giacché nella lega che gli Alessandrini fecero con Alba ai 23 di settembre di quell’ anno 1203 si fa menzione della guerra già incominciata tra i due Comuni (3). Ma da questa data fino alla guerra del 1225 i cui successi furono narrati da Ogerio Alfieri gli storici astigiani non ebbero più no- tizie di che cosa si passasse tra Asti ed Alessandria sulle cui relazioni taciono ugualmente gli annalisti alessandrini. Il Molina notando la mancanza di ogni no- tizia al riguardo osservò « non essere credibile che quei due popoli dopo d’averla rotta tra di loro nel 1203, venuti mai non siano ad alcun fatto d’armi sino al 1225 » (4). Si trova bensì menzione di guerra e di un combattimento cogli Alessan- drini presso Valenza, il qual fatto, narrato dal Turzano sotto la data del 1118, il Molina opinò potersi riferire al 1218 od al 1318, ma questo scrittore più accorto del Grassi che scrisse quasi un mezzo secolo dopo, rilevò giudiziosamente l’anacronismo del Turzano e non accettò senza riservo quegli avvenimenti fra i successi del 1218 (3). Sicché noi che ben conosciamo quanto siano legittimi i sospetti sulle così dette cronache astesi divulgate dal Pasini (6), ove comparvero i frammenti attribuiti al Turzano, non esitiamo a ripudiare quella notizia. Sono alquanti i documenti che abbiamo nel Codice dai 1203 al 1225, essi non valgono però a colmare la lunga lacuna delle storie astigiane ed alessandrine, gio- verà tuttavia spigolarvi le poche notizie che se ne possono ricavare. Ai 9 di giugno del 1204, i legati di Milano e di Piacenza si trovavano sul territorio di Masio ed ivi, presenti il marchese di Monferrato, il marchese Lancia, il podestà di Alessandria e di Asti ed altri, intimavano alle parti di osservar la tregua (*) Molina. L. c., 116, dal documento nel Libro della Croce. (s) Molina. L. c., 117. (3) Do- cumento del Libro della Croce cit. e negli annali dello Schiavina, 1. c. col. 125, colla data 3 settem- bre. — Molina. L. c., 117. (') Molina. L. c., 169. (5) Idem, L. c., 169-171. — Grassi. L. c., 142. (c) Cathalogus Codicum manuscriptorum Taurinensi Atbaenei. — 161 fino alle calende di settembre, secondo le loro promesse di stare alle decisioni che essi avrebbero date sulla tregua e sulla resa dei prigionieri ed ordinavano inoltre che il marchese di Monferrato e quelli di parte sua dovessero trovarsi al termine ivi prefisso in Alessandria e quelli della parte d’Asti in questa città per sentire gli ulteriori precetti che i rettori delle dette città di Milano e di Piacenza avessero a fare (doc. n. 920). Fra i presenti menzionati dalla parte del Marchese e di Alessandria vi era pure il podestà di Alba e di più dicendosi che l’atto è rogato in un prato sulla sponda del fiume anche presentibus quampluribus aliis militibus et peditibus è le- cito dedurre che veramente i nuovi alleati, il marchese di Monferrato, Alessandria ed Alba stessero in campo contro Asti. Ai 10 di luglio il marchese di Monferrato si trovava in Alessandria e faceva ai legati di Milano e di Piacenza una dichiarazione riguardo ai prigionieri sui quali essi avevano facoltà di statuire (doc. n. 917). Ed ai 20 di agosto i legati di Milano e di Piacenza erano nei campi fra Felizzano e Quattordio ed alla presenza di mol- tissimi militi e popolani ordinavano sulle discordie e sulla guerra che era stata ed era tra il marchese di Monferrato, il Comune di Alba, i castellani dell’Astigiano e d’Acquosana, il marchese Lancia e di Saluzzo ed il Comune di Valenza dall’ima ed il Comune di Asti ed ì suoi partigiani dall’altra, l’osservanza di una tregua fino alla festa di S. Michele e di là per due anni dopo, prescrivendo pure che ciascuna parte dovesse astenersi dal metter mano a continuare alcun fortilizio od opera di difesa ed assegnarono intanto alle parti di comparire nel luogo di Frassineto, dove i legati si sarebbero trovati, per sentire le loro determinazioni (doc. n. 960). Fino al finire di agosto gli arbitri milanesi e piacentini non erano adunque riusciti a comporre le questioni e le cose si trascinavano avanti tra le rinnovazioni di tregue e le mosse dei contendenti. In quest’ ultimo precetto degli arbitri non si parla di Alessandria, si accenna bensì a Valenza e non possiamo credere che Alessandria non stesse cogli altri nemici di Asti, tanto più che, come già sappiamo, essa era alleata di Alba e dagli annali di Alessandria si apprende che nell’anno seguente 1205 con- tinuava ad essere in accordo col marchese di Monferrato ('). Nel 1205 abbiamo un altro documento in cui si fa menzione di Alessandria ed è l’aggregazione alla cittadinanza astigiana dei Muccagatta d’Agliano data nel mese di dicembre (doc. n. 311). In questo atto è detto, fra le altre clausole, che sarà lecito ai Muccagatta di difendere il territorio di Alessandria nel caso che Asti vi facesse scorrerie, però colle sole forze proprie e non con altri. Da questa condizione non possiamo arguire in quali rapporti stessero tra loro i due Comuni giacche quella clau- sola poteva essere una pura conseguenza di vincoli di dipendenza da cui i Muccagatta fossero legati verso Alessandria. Da questo punto non abbiamo più altro documento fino al 1212 giacche dalla pace conchiusa tra Asti ed il marchese di Monferrato il 30 aprile 1206 nulla possiamo rica- vare riguardo ad Alessandria. Ma nel 1212 c’imbattiamo in un atto che ci dà aperta- mente indizio di mali umori tra Asti ed Alessandria; ai 16 di ottobre di quell’anno gli ambasciatori di Asti si presentavano ai consoli ed alla credenza di Alessandria ed (') Schiavina. Annali d’Alessandria ad ann. L. c., col. 135. 21 — 162 — intimavano loro di non far acquisti per compera od in altro modo in Masio (doc. n. 295). Ma come vedremo Alessandria tenne poco conto di quel divieto sicché non tardò il possesso di quella villa a diventare un campo di contese. Intanto nello stesso anno 1212 gli Alessandrini avevano rotto guerra al marchese di Monferrato col quale, dopo la pace del 1206, gli Astigiani avevano ristabilite buone relazioni, questa potè pertanto essere una circostanza da dividere sempre più Asti da Alessandria o forse meglio a maggiormente rinfocolare le già esistenti dissensioni. E che veramente i due Comuni stessero l’uno verso l’altro ostili lo vediamo da un documento dell’anno seguente 1213 dei 21 maggio (doc. n. 625). Con quell’atto il marchese di Monfer- rato cede ad Asti la metà di Felizzano colla clausola di poter però sempre valer- sene per far guerra ad Alessandria, la qual condizione non gli sarebbe stata accon- sentita se anche Àsti non le fosse stata nemica. E bensì vero che nel trattato di pace del 10 di maggio dell’anno appresso 1217 tra i Piacentini , i Pavesi, i Mila- nesi ed altri della Lega lombarda, inserto nell’Appendice al Codice (doc. n. 1004), vediamo stabilita l’ammessione alla stessa pace degli Astigiani da una parte e degli Alessandrini dall’altra, ma questo fatto prova anzi maggiormente che i due Comuni seguivano parti contrarie e d’ altronde non risulta eh’ essi abbiano acceduto a quel patto, dal quale li alienavano le loro particolari questioni. Di qual natura fossero queste questioni ce ne dànno indizio cinque documenti del Codice tutti del 1218. Ab- biamo visto che nel 1212 Asti aveva fatto intimare ad Alessandria di astenersi dal fare acquisti in Masio, ma ciò nullameno è a credersi che gli Alessandrini poco si cu- rassero di quella proibizione giacche vediamo che nel 1214 si appigliava ad un altro mezzo per escluderne Alessandria. Infatti ai 20 di gennaio di quell’anno (doc. n. 297) Asti si procurava la dedizione del luogo, castello e villa di Masio dai consoli del luogo. Questo mezzo non aveva però bastato a far desistere gli Alessandrini i quali ricorsero allo spediente di acquistarvi i diritti signorili da alcuni dei feudatari; allora Asti pose in gioco la sua potenza pecuniaria e seguì gli avversari anche su questa via. Ciò è quello appunto che ci dimostrano i cinque documenti del Codice del 1218 nei quali si fa espressa menzione di Alessandria ed altri nei quali è taciuta ma che però contengono atti che tendono allo stesso fine e che pure citeremo. Ai 7 di marzo 1218 (doc. n. 304) Corrado figlio di Alberto Ardanese a nome suo e dei fratelli dichiara di aver ricevuto dal Comune di Asti 100 lire in mutuo da restituirsi fra sei anni e dà in pegno agli Astigiani la nona parte del contile, ossia giurisdizione signorile eh’ egli ed i suoi fratelli hanno in Masio, cosicché il Comune d’Asti possa tenerla liberamente e farne uso a piacimento. Sono apposte al contratto alcune condizioni che meritano di essere notate. I mutuatari non potevano riscattare i diritti impegnati che alla scadenza del termine prefisso, lo potevano bensì dopo i sei anni ma lo dovevano fare con danaro proprio senza procacciarselo per mutuo od in verun altro modo da alcun castellano o marchese o città di Lombardia od altra supposta persona e durante i sei anni non potevano parimente impegnare o vendere od infeudare a chicchessia i loro diritti. Con atto poi separato dello stesso giorno 7 marzo (doc. n. 305) lo stesso Corrado Ardanese a nome anche dei fratelli prometteva al podestà d’Asti, che, a volontà del Comune, gli avrebbe passata tale obbligazione quale altri di Masio avevano fatta al Comune di Alessandria. Ai 16 — 163 — di marzo (doc. n. 294) il Comune di Asti veniva messo in possesso della parte di giurisdizione datagli in quel modo in pegno. Ai 4 di ottobre del medesimo anno 1218 il Comune d’Asti dava in mutuo (doc. n. 300) ad Alberto e Ottino di Lanerio quaranta lire contro pegno della metà della nona parte del contile di Masio alle stesse condizioni che abbiamo già vedute e colla obbligazione di passargli tale scrittura quale altri di Masio avevano fatta ad Ales- sandria. Ai 5 di ottobre (doc. n. 301) un uguale contratto si conchiudeva con Orando di Qnattordio col prestito di cinquanta lire pure per la metà della nona parte della giurisdizione di Masio. Ai 5 di novembre Asti otteneva agli stessi patti da Sivoleto ed Anseimo fratelli di Lanerio, il terzo delia nona parte della giurisdizione di Masio mediante il prestito di 30 lire e 7 soldi meno quattro danari (doc. n. 299). Final- mente ai 12 di dicembre (doc. n. 291) si conchiudeva un eguale contratto con Ugone Carena per un nono dello stesso contile di Masio con un prestito di 100 lire. Il possesso di Masio che Asti ed Alessandria avevano conquistato in comunione nel 1190 col primo atto che abbiamo trovato nel Codice nel quale i due Comuni appaiono stretti in intimo accordo si era così scambiato in una causa di aperta inimicizia. Ciò che siasi passato nel 1219 non lo possiamo conoscere da alcun documento del Codice, ma da un atto però dell’anno seguente viene constatato che i due Comuni continuavano ad essere tra loro ostili. È questo (doc. n. 983) la revoca fatta dal Comune di Alessandria ai 3 dicembre 1220 di certe lettere di rappresaglia concesse ad un suo cittadino contro gli Astigiani. Nè il fatto per se della revoca basta ad indurci a credere che in quest’anno le relazioni fra i due Comuni si fossero migliorate : molt’ altre ragioni potevano averla determinata e d’altra parte il Codice ci sommi- nistra la prova che le cause di dissensi non erano state eliminate. Infatti nel 1221 Asti continuava attivamente ad estendere i suoi diritti in Masio. Agli 8 di giugno (doc. n. 286), Asti si accordava col Vescovo e si conveniva che questi darebbe al Comune quanto aveva in Masio, concedendogliene l’infeudazione; ai 10 dello stesso mese (App. doc. n. 1005), ne riceveva l’ investitura ; ai 17 (doc. n. 24), l’Arcivescovo di Milano confermava l’investitura; nello stesso giorno (doc. n. 285), Asti ne riceveva il possesso; ai 26 (doc. n. 303), il Vescovo prometteva al Comune che i suoi vassalli gli avrebbero giurata fedeltà (doc. n. 287-288-289), il Vescovo di Asti immetteva il Comune in possesso, di tutti i diritti della Chiesa Astese in Masio, rinunziava alla fedeltà dei vassalli ed ordinava loro di prestarla al Comune e finalmente il Comune stesso ne investiva Federico de Conti e certi altri. Così ancora nell’anno appresso 1222 ai 22 di ottobre (doc. n. 302), il Comune di Asti faceva emettere una dichiarazione a Corrado Ardanesio e ad Alberto Moicio eh’ essi erano pronti a far fedeltà ad Asti. La questione di Masio non doveva poi essere la sola che tenesse accesa la face della discordia tra i due Comuni; dai numerosissimi documenti che abbiamo nel Codice riguardanti Vinchio scorgiamo che a cominciare dal 1212, non ostante la dedizione di quel luogo, già notata, ad Alessandria avvenuta ai 20 di febbraio del 1203 ed anzi evidentemente per distruggerne gli effetti, Asti si diede ad estendervi le sue ragioni con numerosi acquisti e sudditanze. La quale impresa continuata poi — 1(34 — con persistenza negli anni successivi 1213, 1215, 1217, 1218, 1219 e 1221 (') do- vette naturalmente essere un’altra causa d’inimicizia con Alessandria. Fin qui non ci fu dato che di raggranellare scarse e minute notizie per colmare la grande lacuna che si riscontra nelle storie astigiane dal 1203 al 1225, dal poco tuttavia che il Codice ci ha somministrato pare venga abbastanza chiarito che le relazioni tra Asti ed Alessandria guastatesi in quel primo anno, andassero in se- guito sempre più peggiorando, e non 'e certo escluso che nel frattempo i due Comuni siano venuti a qualche fatto d’armi ancorché ciò non risulti dai nostri documenti. Ma giunti al 1223 il Codice ci fornisce più importanti e nuove notizie. Ai 18 di settembre del 1223 (doc. n. 982), gli ambasciatori di Milano promi- sero agli Astigiani di far osservare da Alessandria i capitoli allora allora ( nuper ) concordati dai cinque commissari di Alessandria in unione ad altri quattro di Asti sulle questioni vertenti tra i due Comuni riservati i punti da essi deferiti per compro- messo al giudizio di Milano ed eccettuato che Asti non dovesse pagare pel fatto di Masio se non 700 lire. I capitoli sui quali i commissari erano caduti d’accordo erano i seguenti. Una stretta lega, cittadinanza ed unione era stabilita tra Asti ed Alba da una parte ed Alessandria dall’altra, sicché gli uomini di un Comune fossero cittadini dell’altro ad indurre maggior amore ed amicizia tra di loro, nel modo che avreb- bero ordinato sei savi d’Asti e d’Alba eletti da Alessandria e sei di Alessandria eletti dai due primi Comuni. Gli acquisti che Alessandria ed Asti avevano fatti in Canellì, Calamandrana, Lanerio e Yinchio sia per compera, per donazione od in qua- lunque altro modo dovevano stare a chi li aveva fatti salvo l’acquisto che gli Asti- giani avevano fatto da Ottone del Carretto. Se si facessero ulteriori acquisti in detti luoghi dovevano essere comuni. Il Comune di Alessandria doveva rendere ad Asti gl’istromenti di cittadinanza e fedeltà che i signori, i consorti ed i loro uomini di Canelli, Calamandrana, Lanerio, Yinchio, Calosso e Agliano avessero prestata a quel Comune, cioè Alessandria. E se in quegl’ istromenti si contenesse alcun patto o contratto fatto con Alessan- dria o con altri dovessero cassarsi quanto ai signori di Canelli, Calamandrana, Lanerio, Calosso e Agliano a volontà di Asti, nel resto quegl’ istromenti stiano fermi. Asti non poteva fare acquisti verso Spigno nè verso Acqui ed il Vescovado Acquese nè dal territorio di Calamandrana verso Acqui ed il Vescovado. Alessandria non po- teva fare acquisti in Cossano ed in S. Stefano nè di là in su, nè nel quartiere (in quar- taricio ) di Cortemiglia specialmente, il qual quartiere si dichiarò non essere acquistato da Asti. Alba non poteva fare alcun acquisto dal territorio di S. Stefano verso Savona per linea retta inferiormente, verso Acqui ed il Vescovado nè verso Spigno, salvo ciò che ivi acquistò in passato oche alcuno tiene quivi per gli Astigiani. li comune di Alessandria doveva dismettere e lasciare ad Asti ogni diritto che avesse in Castagnole e nel con- tado di Loreto. Alessandria doveva far cedere ad Asti da Giacomo Lanzavecchia ogni (’) Per Panno 1212, V. i documenti n. 349, 350, 352, 358, 360 a 364, 368 a 372, 374, 375, 379, 381 a 383, 385, 386, 387 a 390,392 a 397, 398, 399, 400, 408, 409, 416. — Pel 1113 V. i nn. 337, 365 a 367. — Pel 1215 i nn. 338, 342 a 344, 401, 402. — Pel 1217 i nn. 376 a 378. — Pel 1218 i nn. 339, 345 a 348, 353 a 355, 357. — Pel 1219 i nn. 340, 341. — Pel 1221 il n. 336. — 165 — diritto che egli od altri per lui avesse acquistato in Bionzo a giudizio di un giudice di Asti. Alessandria non poteva fare alcun acquisto in Montemagno, nè in Yiarigi, nè di là in su, salvo ciò che le era stato dato da Arnaldo Zabaudone. Gli Astigiani non pote- vano acquistar nulla in Altavilla, nè di là in giù salvo ciò che vi avevano. Gli Alessan- drini dovevano dare e vendere ad Asti qualunque diritto che avessero in Masio salvo che quei di quel luogo fossero tenuti a far pace e guerra per Alessandria contro tutti eccettuato contro Asti e che gli Alessandrini non vi pagassero pedaggio; ciò mediante pagamento di 700 lire pavesi delle quali il Lanzavecchia doveva averne cento per fìtto di Bionzo. Se Asti muovesse guerra ad Alessandria non poteva farle guerra di Masio, ma sì se la guerra fosse da Alessandria mossa ad Asti. Gli Astigiani non potevano far acquisti dal territorio di Lanerio in giù e gli Alessandrini superiormente a quello. Gli Ales- sandrini non potevano pure far acquisti da Corticelle in su, nè in Monbersario, nè in Malamorte, nè in Agliano e nel consortito di esso. Nessuno dei Comuni contraenti poteva fare alcun trattato di lega e d’amicizia con altri senza il consenso delle altre parti eccetto coi Genovesi, e se Asti volesse accordarsi con Milano lo potesse libera- mente. Se accadesse che gli Alessandrini venissero a guerra contro Ottone ed Ugone del Carretto e li offendessero sulle loro terre, che gli Astigiani non possano dire per ciò che gli Alessandrini hanno rotti i patti e far loro guerra per questa causa. Asti ed Alessandria dovevano eleggere ogni anno due savi ciascuno, i quali si sarebbero accordati per definire le controversie che insorgessero tra di loro ed ognuna delle parti dovrebbe stare al giudicato di essi. I capitoli che il Comune di Asti aveva deferito alla decisione dei Milanesi erano questi : Che Milano decidesse come di ragione e di diritto la questione del battifredo edificato da Sivoleto nel luogo di Montefredo fra tutto il prossimo S. Martino. Che la tregua si prorogasse fra Sivoleto ed il suo partito e Ruffino Crosa e quelli della sua parte fino a quindici giorni dopo il prossimo S. Michele. Che se alcun lavoro di fortificazione si facesse per parte di Sivoleto o di Ruffino Crosa nel tempo della tregua si debba totalmente distrarre e demolire da Asti e da Alessandria. II Comune di Asti si rimise pure all’arbitrato di Milano per un’altra questione che era in questi termini: Asti domandava che se guerra gli venisse aperta da Alessandria, potesse farle guerra di Masio, e che per contro Alessandria chiedeva che Asti non potesse servirsi di quel luogo da qualunque parte la guerra fosse nata, e che l’uguale dovesse fare Alessandria rispetto ad Asti. In fine Alessandria domandava che se accadesse che questo Comune venisse in guerra con Ottone e con Ugone del Carretto pel fatto di Montechiaro e li offendesse sulle loro terre, Asti non potesse dire ch’essa aveva rotto i patti stabiliti e non potesse farle guerra per ciò. Da questo importantissimo documento rimasto sconosciuto agli storici vengono partitamente messe in chiaro quante e quali questioni si agitassero fra Asti ed Ales- sandria ed il modo in cui vennero risolte nel 1223. Un altro importante documento inserto nell’Appendice del Codice (n. 1010) già — 166 conosciuto ('), ma del quale però non fa tratto partito a profitto della storia di Asti e di Alessandria ci mostra che ai 28 di settembre di quel medesimo anno 1223, la completa pacificazione tra i due Comuni aveva fatto non solo un gran passo, ma che essi si erano anzi legati con strettissimi vincoli di concordia e di unione. I patti che con questo nuovo trattato di lega, concordia ed amicizia stabilivansi erano questi. 1 Comuni di Asti e di Alba ed i loro cittadini ed abitanti da una parte si co- stituivano e si facevano cittadini di Alessandria e così gli Alessandrini diventavano cittadini di Asti e di Alba, perciò i rispettivi podestà, previo consenso e volontà dei loro Consigli, dovevano giurare di difendere le altre città come la propria. Chi era podestà, console o rettore dell’ una lo restava pure delle altre. Il podestà d’ un Co- mune doveva reggere soltanto quello che lo aveva eletto, ma se occorreva che il podestà di Alessandria andasse in Asti per qualche discordia, sia tenuto ed abbia autorità di dar consiglio ed aiuto al podestà di Asti e di Alba a comporre la dif- ferenza e così quelli dei due altri Comuni, ma se non si trovasse in Asti il podestà allora il podestà di Alessandria debba reggere la città ed i cittadini siano tenuti obbedirgli come al proprio e così viceversa. Quanto alla comunione della cittadi- nanza doveva intendersi che ogni città facesse le sue spese a propria volontà. Asti ed Alba dovevano mettersi in armi quando ne fossero richiesti da Alessandria e far guerra per essa con tutto il loro sforzo finche la guerra durasse e non far pace nò tregua senza il consenso del Consiglio di Alessandria regolarmente convocato nel quale intervenissero almeno trecento consiglieri, ossia cittadini. E se alcuna guerra fosse intrapresa da Asti e da Alba per Alessandria o venisse loro aperta, Alessan- dria non potesse far pace senza consenso del Consiglio di Asti al quale intervenis- sero almeno cento capi di casa, eccettuati i consiglieri di campana, e senza consenso di quello di Alba in cui intervenissero similmente cento capi di casa. La guerra che Asti ed Alba dovevano fare per Alessandria s’ intendeva così, che essi vi fossero tenuti se Alessandria venisse ad essere assalita fra quindici giorni dopoché essa ne avesse fatta a quelli richiesta, se poi Alessandria la muovesse per danno od ingiuria propria allora Asti ed Alba fossero tenute a far guerra quando ne fossero richiesti dal podestà o rettore di quella. Se poi Alessandria muovesse guerra ad alcuno senza consiglio degli altri due Comuni, in tal caso questi fossero tenuti non più a far guerra nelle loro città e case, ma solo aiutar Alessandria sul suo territorio. Le stesse obbligazioni aveva Alessandria verso Asti ed Alba. Ogni anno i podestà di Asti e di Alba dovevano eleggere tre cittadini di Ales- sandria i quali sotto giuramento dovrebbero ricevere tutte le domande e lagnanze sì civili che criminali che i cittadini delle due città avessero da proporre contro cittadini di Alessandria e definirle per composizione od a termini di diritto fra qua- ranta giorni dal dì della mossa questione, dando dieci giorni di termine al condan- nato, trascorsi i quali, neH’undecimo giorno siano tenuti di far giurare il condan- nato a manifestare i propri beni e mandare ad esecuzione la sentenza. La quale si (’) Moriondo. Mon. aquen., n, 651. — Adriani. Doc. Cherasch., p. 25. — 167 eseguirà prima sui mobili e quindi sugli immobili da stimarsi dagli estimatori del Comune il che tutto si debba fare fra altri dieci giorni e sia lecito al creditore convenire prima il debitore od il fideiussore a sua scelta. Se il debitore non avesse di che pagare in mobili od immobili, i tre cognitores dovevano mettere il condan- nato in bando e il podestà o rettori espellerlo dalla città, il bando cessava pagando il creditore. Il debitore condannato poteva riscattare i beni aggiudicati al suo cre- ditore nel termine di un anno. Quando i tre non potevano intervenire ad una deci- sione vi procedevano gli altri due, aspettando l’assente per due giorni. I tre giu- dici dovevano avere per censiva o giudicatura dodici denari da ciascuna delle parti contendenti, per lira della moneta domandata, dei quali denari una metà doveva andare al Comune e l’altra ai giudicanti. Per lo stesso fine Alessandria doveva eleggere tre altri cittadini, due di Asti ed uno di Alba i quali eseguirebbero per l’altra parte lo stesso mandato. I Comuni di Asti e di Alba non dovevano prendere n'e permettere alcun cambio o rappresaglia sulle persone e sulle cose degli Alessandrini, salvo si trattasse d’un principal debitore e del suo fideiussore e se venisse preso lo dovranno far rilasciare e restituire fra tre giorni dacché ne fossero richiesti dal podestà o rettore di Ales- sandria. E lo stesso doveva eseguire Alessandria per rispetto ad Asti ed Alba. Quelli che erano banditi da una città dovevano pure tenersi per banditi dalle altre e venire espulsi fra tre giorni dalla notificazione avutane dai rispettivi podestà ed anche consegnati dietro speciale richiesta. Ciò doveva però aver luogo pei ban- diti che fossero delle città e della loro giurisdizione e solamente pei futuri. I podestà di Asti e di Alba dovevano eleggere ogni anno due cittadini di Ales- sandria i quali in unione a due cittadini di Asti eletti da Alessandria dovevauo co- noscere e definire tutte le questioni che insorgessero tra l’una e l’altra parte nel termine di quaranta giorni dal dì della mossa questione nell’esercizio del qual uffi- cio i rispettivi podestà non potevano far loro alcun precetto od ingiunzione riguar- dante la questione che doveva decidersi. Se poi i quattro dissentissero circa la sentenza, la società, unione e cittadinanza tra i Comuni contraenti doveva tuttavia star ferma ed inalterata. Quando l’esercito di Asti e Alba con cavalieri e pedoni si trovasse coll’esercito di Alessandria in guerra, i due primi Comuni avrebbero la metà del luogo e delle prede e specialmente degli uomini che fossero presi; se si trovava la sola milizia ne avrebbero avuto il quarto e quando solo alcuni militi vi avessero preso parte allora pertecipavano ai guadagni a rata d’uomini. Così a sua volta Alessandria quando si trovava con Asti con cui fosse o non fosse l’esercito di Alba. Se accadesse che un cittadino di Alessandria e della sua giurisdizione cadesse prigioniero in servizio di Asti o di Alba queste erano tenute a dare ad Alessandria in cambio prigionieri nemici competenti coi quali essa potesse riscattare i suoi citta- dini presi; anzi Asti ed Alba dovevano in tal modo procurare la liberazione dei prigionieri alessandrini prima dei propri a meno che Alessandria avesse in sua mano dei nemici tanti prigionieri da far il cambio coi suoi cittadini presi. Lo stesso do- veva osservare Alessandria con Asti e Alba. Se il cittadino d’ un Comune uccidesse, ferisse, percuotesse, offendesse o danneg- — 168 giasse il cittadino di un altro, doveva essere punito come se offendesse un proprio concittadino; in ogni caso però l’omicida astigiano andava solo soggetto alla pena dello statuto di Asti per questo delitto. Quando alcuno delle dette città a nome del proprio Comune chiedesse consiglio per campana ad altro, questo era tenuto ascoltare la proposta che voleva fare e dargli risposta in Consiglio se ciò volesse il postulante. I detti Comuni non potevano contrarre alcuna società o lega che fosse contraria a questi patti e senza espressamente dichiararli salvi. Si dichiara intanto che il marchese di Monferrato non era cittadino ne di Asti, nè di Alba, nè di Alessandria e che queste città non avrebbero mai ricevuto nè lui, nè i suoi figli in loro cittadini. Ciascuna delle città contraenti s’impegnava di destinare due ambasciatori alle altre quando si sarebbe nuovamente mutato regime, i quali ambasciatori avrebbero portato il presente trattato affinchè i nuovi rettori ne giurassero l’osservanza. Tutti i cittadini di Asti, di Alba e di Alessandria dai quindici anni ai settanta, eccettuati i religiosi, dovevano giurare di non impedire nè lasciar impedire i citta- dini delle altre città della lega nell’esportazione dalla loro città di qualunque mer- canzia eccettuata la biada la cui esportazione sarebbe stata regolata a loro giudizio. Gli Alessandrini non dovevano levare nè lasciar levare sugli Astigiani e sugli Albesi venienti da Asti e da Alba maggior pedaggio se non nel modo infra in- dicato: Per una soma, trosello o carico solo dodici denari pavesi se le merci fossero comperate in Alessandria, se si conducessero ad Alessandria ed ivi restassero altret- tanto, se si condurranno altrove due soldi pavesi, dell’asino ed asina tre denari pa- vesi di pedaggio, degli uomini ( stirpis ?) od a cavallo nulla, per la procuradia nulla, del bove che si conduceva a vendere due denari pavesi; del cavallo condotto a ven- dere dodici denari pavesi; ogni trentina di pecore dodici denari pavesi. Per contro Asti ed Alba non leverebbero pedaggio dagli Alessandrini se non nella misura seguente : Per ogni soma, trosello o carico solo otto denari astesi sulle merci comprate in Asti ed in Alba, se si conducessero in queste città e vi restassero altrettanto, se condotte altrove sedici denari astesi. Dell’asino e asina caricati due denari; degli uomini (stirpis?) od a cavallo nulla ; per procuradia nulla. Del bove condotto a vendere un denaro e mezzo; del cavallo condotto a vendere otto denari; d’ogni tren- tina di pecore otto denari. Tutti gli Astigiani, Albesi ed Alessandrini dovevano giurare di far inserire e scrivere nel giuramento dei rettori di far osservare infallibilmente questa società, confederazione e cittadinanza, di farla giurare dai rettori successivi in perpetuo ad ogni rinnovarsi di essi. Dovevano pure giurare di rinnovare e di far rinnovare in capo ad ogni triennio il giuramento della stessa società, confederazione e cittadinanza. E se qualche capitolo si trovasse inserto nel giuramento del podestà, rettore o rettori di Asti, Alba e Alessan- dria il quale fosse contrario a questo trattato, si dovesse considerare cassato. Tutto ciò dovevasi osservare dai tre Comuni confederati e quanto sarebbe stato — 1G9 — aggiunto in seguito per consenso dei loro Consigli regolarmente adunati nel numero competente già sovra designato. Per parte di Asti si riservavano salvi il Vescovo di Asti e di Milano e salvi i patti di concordia con Cliieri, Testona e Savigliano. Per parte d’Alba il Vescovo di Alba e l’imperator Federico. Per parte di Alessandria l’imperator Federico ed i trattati di concordia coi Vercellesi, con Tortona, con Milano ed il Vescovo di Ales- sandria. Tali furono i patti fermati in S. Maria di Masio alla presenza dei legati di Milano. Ma nonostante tanta unanimità di concordia che s’era fatta ispiratrice di questi nuovi patti, la stessa convenzione del 18 settembre nella quale se Aerano gettate le prime basi incontrava difficoltà a realizzarsi. Ai 25 di ottobre dello stesso anno 1223 (doc. n. 984) il podestà di Milano avendo domandato a quello di Asti che facesse giurare i credenzieri di stare alle ordinazioni del Comune di Milano riguardo alla concordia tra Alessandria, Asti ed Alba, il podestà di Asti dichiarò se era ben inteso che quanto si conteneva nella promessa passata dai Milanesi sarebbe man- tenuto ad Asti che altrimenti gli Astigiani non volevano esser tenuti ad osservarla. Al che il podestà di Milano rispose che era dello stesso sentimento e che avrebbe procurato che le promesse fatte agli Astigiani sarebbero state mantenute. Ai 30 di ottobre però le difficoltà dovevano essere appianate; vediamo infatti che a quella data (doc. cit. n. 1010) il podestà di Alessandria in pieno Consiglio dava esecuzione al trattato del 28 settembre costituendosi cittadino di Asti e di Alba e ri- cevendo in cittadini di Alessandria i podestà di Asti e di Alba con promessa di osservare e far osservare integralmente il trattato stesso. Che cosa accadesse nell’anno seguente 1224 non lo sappiamo, conosciamo però che nel 1225 tanta solennità di promesse di pace e di concordia perpetua era già andata in fumo e che i due Cornimi di Asti e di Alessandria si erano, alla metà di quell’anno, nuovamente rotta guerra. Il cronista astigiano Ogerio Alfieri racconta che nel 1225 gli Astesi intrapresero guerra contro Alessandria ad istanza e con danaro dei Genovesi e circa la metà di giugno cavalcarono a bandiere spiegate presso Quat- tordio dove si diede battaglia, nella quale gli Astigiani avendo voltate le spalle, circa 100 di essi caddero prigioni ed altri si ridussero nel castello di Quattordio e 50 si diedero in ostaggio ai Milanesi che quivi si trovavano per ambasciatori i quali li consegnarono agli Alessandrini. Questi 150 stettero nelle carceri di Alessandria circa due anni e mezzo e patirono molti mali e vituperi nelle persone e nelle robe del che molti morirono (‘). Lo stesso scrittore narra pure che nello stesso anno ai 7 di settembre nella vigilia della natività della Vergine, il Comune d’Asti cavalcò presso Calamandrana ed ivi vi fu battaglia cogli Alessandrini nella quale gli Asti- giani avendo di nuovo voltate le spalle ne furono presi circa 800 i quali stettero nelle carceri di Alessandria circa due anni e mezzo soffrendo molti danni dei quali molti ne morirono. Il Comune poi sopportò un danno di 200,000 lire e più (2). Dopo questi fatti gli storici dicono che s’intromisero i legati di Milano e quelli (') Oger. Alfieri. Cron., cap. 11. (') Idem, ibid-, cap. 12. 22 — 170 — della Lega lombarda per metter fine alla guerra che continuava tra Asti alleata con Genova dall’ una e Alessandria coi Tortonesi e Albesi dall’ altra ('). Ai 9 di novembre del 1227 le parti fecero un compromesso nei Milanesi ed in altri depu- tati della Lega lombarda e questi pronunziarono in questa forma: Asti restituirebbe tutti i castelli, fortezze e luoghi al di là del Belbo ad Alessandria, cioè Garbozola, Calamandrana e consortile, Rocchetta Palafea, Sessame, Lovazzolo, Soirano con quanto teneva in Bubbio e Cassinasco eccetto quanto spettava ad Ottone del Carretto ed a suo figlio. Nel restituire detti castelli, fortezze e luoghi coi loro uomini assolverebbe questi da ogni giuramento di fedeltà e per contro Alessandria nel riceverli li assolverebbe da ogni pena e bando in cui fossero incorsi per aver preso parte con Asti alla guerra contro Alessandria. Alessandria restituirebbe ad Asti S. Marzano, Calosso, Castelnuovo, Agliano, Lanerio e Yinchio, quanto teneva in Castagnole delle Lanze e nel contado di Lo- reto, Muasca e quanto restava di qua dal Belbo dal castello di Yinchio verso Asti eccetto Canelli. Gli uomini di questi luoghi che avessero militato cogli Alessandrini contro Asti sarebbero sciolti da ogni pena come quelli che avevano militato con Asti contro Alessandria. Masio spetterebbe metà ad Asti e metà ad Alessandria per indiviso. Asti procurerebbe la ratifica dell’arbitrato dal suo Vescovo a cui spettava metà di Masio. Nè Luna nè l’altra parte potevano giovarsi di Masio per le guerre che insorgessero tra di loro. Gli Astigiani avessero libero il transito con ogni mercanzia sulla strada di Francia da Asti ad Alessandria e che sui rispettivi territori si esigessero solamente i pedaggi consueti. Giacomo Lanzavecchia levasse dodici denari per salmata sulle merci degli Asti- giani fino a che avesse esatta la somma di 100 lire pel diritto che aveva in Bionzo il qual diritto egli doveva cedere al Comune di Asti. Asti desse pace ad Alessandria, Alba, Tortona e Torino e loro alleati condo- nando tutti i danni. I prigionieri eh’ erano presso le due parti fossero posti in libertà. Se fosse nato dubbio o controversia riguardo all’arbitrato, il Comune di Milano lo avrebbe sciolto. La parte che contravvenisse all’ arbitrato soggiacesse alla pena di dieci mila marche d’argento, ed inoltre Milano avrebbe dato man forte alla parte che l’osser- \asse contro l’altra. Asti e Alessandria eleggerebbero caduna due cittadini l’uno giudice e l’altro no i quali nel termine di quattro mesi deciderebbero su tutte le domande di risarci- menti di danni che i cittadini dell’ uno o dell’ altro Comune proponessero , intanto tutte le prede fatte dovessero restituirsi (2). Ma anche questo nuovo arbitrato fece naufragio giacché, dicono gli storici, il laudo non era riuscito di soddisfazione dei Genovesi e degli Astigiani (3). Il fatto (’) Caffaro. Annal. Genuens., lib. 6, ap. Muratori. Rerum italie. T. 6. — Molina. L. c., 176. (') Documento nel Libro della Croce cit., ed in Schiavina, 1. c., col. 195-207 — Molina. L. c., 177 a 180. — Grassi. L. c., 144 a 148. (3) Caffaro. Annal. Gen. cit., 1. 6. — Molina. L. c., 181. 171 — è che nel 1228 i delegati di Milano ed i rettori della Lega lombarda notificavano ad Alessandria essere gli Astigiani incorsi nella pena di duemila marche d'argento per non aver nel termine prefisso aderito ai patii e li mettevano in bando (*), co- sicché un’ altra volta ricominciò la guerra. Nel 1229 gli eserciti mossero l’un contro l’altro; stavano da una parte gli Astigiani ai quali avevano aderito il marchese di Monferrato ed i marchesi del Vasto e dall’ altra gli Alessandrini spalleggiati dai Milanesi. Finalmente ai 6 di maggio dello stesso anno 1229 si venne alle mani presso Vignale nel qual fatto d’armi toccò la peggio agli Astigiani che vi perdettero mille prigionieri (s). Mal sopportarono questa sconfitta gli Astigiani ed il marchese di Monferrato ed irritati contro i Milanesi cercarono di suscitar loro contro l’imperator Federico, del che adirati i Milanesi fecero propria la guerra alla quale erano prima concorsi solo come alleati di Alessandria e mossero contro il marchese di Monferrato e contro Asti, tratti potenti aiuti da altre ventitré città della Lega. Posero l’assedio a Momba- ruzzo, quindi tra il S. Giovanni e la festa di S. Pietro diedero il guasto e posero in fiamme le terre dell’Astigiana (3). Questi fatti avvennero nel 1230. Intanto il mar- chese dì Monferrato preso dallo spavento o battuto capitolò da solo coi Milanesi e rinunziò alla lega degli Astigiani (w). Finalmente gli Alessandrini stanchi della guerra vennero a pace, nello stesso anno 1230, coi Genovesi i quali come alleati di Asti cui avevano dato soccorso contro i Milanesi, procurarono anche la pacificazione degli Astigiani con Alessandria (6). Ora è tempo che rifacendoci alquanto indietro diamo un’occhiata ai documenti del Codice compresi nel periodo dal 1225 a quest’ ultima data del 1230 per rilevarvi quanto essi possano conferire alla storia d'elle relazioni tra Asti ed Alessandria. Dobbiamo innanzitutto notare la mancanza nel Codice di ogni traccia dei fatti d’arme del 1225 riferiti da Ogerio Alfieri e, ciò che è meno spiegabile, dell’arbitrato dei Milanesi del 1227. Il primo documento di questo periodo che faccia menzione di Alessandria è il diploma di Federico del 1226 (n. 22) diretto ai suoi fedeli , il Comune e Consiglio di Asti, col quale poneva al bando le città della Lega lombarda tra le quali era Alessandria. Questo documento, già conosciuto (6), mette solo in evidenza i due par- titi opposti in cui si trovavano le due città. Lo stesso devesi dire della bolla di papa Onorio del 29 gennaio 1227 (doc. n. 23) la quale era d’altronde già nota. Ma ai 19 di aprile dello stesso anno 1227 il Codice ci presenta un documento nuovo di una certa importanza. È questo il trattato di lega (doc. n. 914) che Asti conchiu- deva col marchese di Monferrato sotto quella data nell’espresso intento di far guerra ad Alessandria ad ignem et sanguinerà, ad totum posse. La qual lega fu poi con- fermata ai 21 di maggio (doc. n. 915). Questa lega offensiva stretta da Asti col marchese di Monferrato dimostrerebbe (’) Schiavina. Annal. Alessandr. L. c., col. 208. (°) Astesano. Lib. 3, cap. 6°. — Cfr. Molina. L. c., 192-193.— Gbassi. L. c., 150. (3) Ogerio Alfieri. Cton. 14. — Molina. L. c., 194. — Grassi. L. c., 151. (4) Galvano Fiamma. Annal. Mediol., c. 263. ap. Muratori. Rer. Ital. T. 15. — Cfr. Mo- lina. L. c., 193. (5) Molna, 1. c., 195. — Grassi. 1. c., 152. (“) Ghilini. Annali d’Alessandria et alibi. — 172 — pertanto le disposizioni poco favorevoli alla pace colle quali Àsti acconsentiva al compromesso nei Milanesi della fine di quell’anno e lascia intravedere le ragioni per cui il giudicato del 9 novembre non sortì buon effetto. Appare dalla stessa alleanza col marchese che Asti fin d’allora era legata con Genova, sicché con questi due po- tenti appoggi ben si comprende eh’ essa non si acconciasse facilmente ad una pace che desse meno completa soddisfazione alle sue pretese. E che veramente Asti procedesse di mala voglia e forse cercasse pretesti ne abbiamo indizio in un atto delli 11 gennaio 1228 (doc. n. 987) nel quale troviamo la protesta degli ambasciatori astigiani di essere pronti ad eseguire la sentenza dei Milanesi ma pretendere che prima gli Alessandrini vi dessero esecuzione specialmente per quanto riguardava i prigionieri. Sia però che le difficoltà nascessero dall’una o dall’altra parte, vero è che Asti si adoperava attivamente ad estendere le alleanze ed a procacciarsi nuove forze. Ai 25 di novembre 1228 il Codice ci presenta la pace ed alleanza conchiusa coi marchesi del Vasto (doc. n. 261) al fine ivi dichiarato di far la guerra ad Alessandria. Questo importante documento, come già abbiamo al- trove avvertito, era solo in parte noto agli storici e per la prima volta compare ora nel Codice nella sua integrità. Una curiosa disposizione di questo trattato può darci un’idea del modo con cui si conducevano allora le guerre. Asti si obbliga di far esercito di almeno 200 militi contro Alba due volte all’ anno (bis in anno) a ri- chiesta dei Marchesi e Castellani e quattro cavalcate all’anno di 100 militi ed allo stesso si obbligavano i Marchesi e Castellani. Ciò spiegherebbe come le guerre du- rassero lungamente e forse più che altro dovessero essere scorrerie. Ed ai 14 di di- cembre dello stesso anno (doc. n. 986), troviamo la promessa che Asti si procurò da Giacomo Brizio di concorrere alla guerra contro Alessandria ed Alba, trattato già noto agli storici (*). Dei fatti di guerra del 1229 gli storici non ricordano altro che la rotta toccata agli Astigiani ed al marchese di Monferrato ai 6 di maggio presso Vignale, ma le loro armi non erano sempre state sfortunate ed avevano anzi ottenuto qualche successo. Ne abbiamo la prova in un atto del 4 novembre 1229 (doc. n. 307) dal quale risulta che Asti ed il Marchese erano entrati insieme in Masio e se ne volle perciò regolare il possesso in comune, convenendo le condizioni alle quali il Marchese avrebbe tenuto per indiviso con Asti la parte che Alessandria aveva in quel luogo, salva la questione di diritto riservata ad un arbitrato. E fu pure una conseguenza di quella conquista, la promessa fatta da Asti ai consoli di Masio ai 6 di dicembre del medesimo anno, che abbiamo nel Codice (doc. n. 308), che accordandosi col marchese di Monferrato per la parte che egli vi aveva, avrebbe ricevuto quegli uomini in suoi cittadini concedendo loro speciali capitoli e libertà. Sulle scorrerie dei Milanesi nel 1230 i documenti del Codice non aggiungono nulla a quanto ci apprende la cronaca di Ogerio Alfieri. Ma per contro il Codice ci rag- guaglia a puntino della pace conchiusa cogli Alessandrini che il Molina arguì solo aver dovuto seguire quella tra Genova e Alessandria (2) ed il Grassi accennò bensì ma in modo affatto sommario e senza neppure indicare la data in cui avvenne (3). Le (') Moriondo. Mon. aquen., ir, 425. — Mon. hist. J'pat. Chartarum, n, 1360. — Molina. L. c., li, p. 183. - Gì? Assi. L. c„ p. 150. (*) Molina. L. c., 195. (3) Grassi. L. c., 152. — 173 — questioni tra Àsti e Alessandria furono risolte colla sentenza dei giudici del podestà di Genova del 16 dicembre 1231. Abbiamo nel Codice questo atto (doc. n. 985), e da esso risulta che le parti si erano rimesse all’ arbitrato di quel Comune ai 25 di no- vembre. Il Comune di Asti domandava a quello di Alessandria la restituzione della villa di Lanerio e sue dipendenze e gli arbitri suddetti pronunziarono che Alessan- dria la restituisse nel termine di quindici giorni senza deformazione o distruzione alcuna del castello o della villa salve le ulteriori decisioni che sarebbero state date dal Comune di Genova sulle altre domande fattesi o da farsi dalle parti contendenti per altri riguardi. Da questo punto fino allo spirare del secolo xm sono scarsissime e fra loro affatto slegate le notizie che gli storici astigiani ci lasciarono sulle relazioni tra Asti ed Alessandria, vi aggiungeremo le poche che s’incontrano negli annalisti ales- sandrini e brevemente tutte le riassumiamo. Della pace stabilita coll’arbitrato dei Genovesi ai 16 dicembre 1231 fino al 1248 manca ogni notizia, ma da quest’ultima data sino al 1290 i due Comuni furono tra loro discordi e spesso in aperta guerra. Nel 1248 gli Astigiani uniti al marchese di Monferrato facendo causa comune coi Lanzavecchia e gli altri fuorusciti Alessandrini infestarono con scorrerie il ter- ritorio di Alessandria (’). Nel 1252 molti Astigiani mentre tendevano insidie agli Alessandrini presso Borgoglio furono presi e gettati in carcere (a). Nel 1255 gli Asti- giani vengono contemporaneamente attaccati dagli Alessandrini, dal marchese Lancia, dai Cheriesi e da Tommaso di Savoia (3). Nel 1268 Alessandria si sottomette a Carlo d’Angiò col quale gli Astigiani erano in guerra e rimane perciò sempre più in campo nemico d’Asti (“). Nel 1271 gli Astigiani cogli aiuti dei Pavesi e del marchese di Mon- ferrato invadevano il territorio Alessandrino, devastando ed incendiando ogni cosa, poi nel 1273 nuovamente vi irrompevano e per quindici giorni lo mettevano a sacco e ruba; quindi nell’anno successivo 1274 gli Alessandrini per vendicarsi assalivano l’Astigiano e vi davano il guasto (5). Questi fatti del 1271-73 e 74 sono registrati da altri scrittori, tutti sotto quest’ ultimo anno, e se ne attribuisce la causa all’essere Alessandria del partito Angioino dal quale fu finalmente obbligata a staccarsi in seguito a questi fatti d’arme (6). Nel 1275 continuò tuttavia o si rinnovò la guerra tra Asti e Alessandria (7). Nel 1278 il marchese di Monferrato s’ impadroniva di Alessandria cacciatone il presidio Angioino pel qual fatto ad un nemico di Asti si sostituiva colà un altro nemico (8). La potenza del marchese di Monferrato era an- data crescendo in modo ch’egli dal largo stato di cui era signore aspirò al dominio di tutta la Lombardia; nel giugno del 1289 resosi assoluto padrone in Alessandria, aprì le ostilità contro Asti che ricusava sottometterglisi, così le due città combat- terono in contrarie schiere (9). Intanto la formidabile lega costituitasi per abbattere la potenza del Marchese della quale Asti era uno dei capi era cresciuta in forza e (’) Schiavina. Annali d' Alessandria ad ann. (’) Clìri. Cronaca d’Alessandria, ap. Moriondo. Mon. Aquen. — Lomellt. Cron. d’Alessandria, ibidem, ad ann. (*) Grassi. L. c., 171. (4) Schiavina. An- nali cit. ad ann. (s) Idem, ibid. ad ann. (s) Grassi. L. c. 183-184. — Lumelli. Annali d’ Alessandria cit. ad ann. (7) Schiavina. L. c., ad ann. (8) Idem, L. c. ad ann. (9) Ogerio Alfieri. Cron. n. 18. — Schiavina. L. c., ad ann. — 174 — s’apparecchiava a combatterlo. Nel marzo del 1290 il Marchese, aperta la guerra ai confederati e specialmente ai Comuni di Milano e di Asti, invadeva il territorio asti- giano e dava il guasto alle campagne. A questo tempo gli Alessandrini ancor fedeli al Marchese presero parte alle fazioni contro Asti, ma prima che l’anno finisse, le cose mutarono. Ai 10 di settembre gli Alessandrini ribellatisi al Marchese lo fecero prigione e rinchiusolo in una gabbia di legno lo tennero cattivo fino al 6 febbraio del 1292 nel qual giorno morì ('). Asseriscono alcuni storici che la ribellione di Alessandria fosse stata promossa dagli Astigiani con una ingente somma di danaro (2), ma sia che così avvenisse o che quella ribellione fosse 1’ effetto di aver prevaluto in Alessandria il partito guelfo gli è però certo che in quella occasione Astigiani e Alessandrini divennero da nemici, amici. Ci rimane ora di dare un’ occhiata ai documenti del Codice compresi in questo ultimo periodo delle relazioni tra Asti ed Alessandria. Essi sono assai scarsi e si stendono dal 1232 al 1292. Abbiamo visto che le questioni tra Alessandria ed Asti furono definite con un arbitrato dei Genovesi nel dicembre del 1231, ma quella soluzione non indusse certo la pace tra i due Comuni; l’arbitrato precedente dei Milanesi era tuttora una cagione persistente o di pretese per parte di Alessandria a cui quel laudo era stato favo- revole o di timori per parte di Asti che se ne teneva pregiudicata. Gli Astigiani non tralasciarono pertanto di premunirsi a quel riguardo sollecitando dall’ impera- tore Federico 1’ annullamento di quell’ arbitrato. La cosa era naturale giacche Asti era del partito imperiale e per contro Alessandria e Milano nemici dichiarati dell’im- pero. Con diploma adunque del mese di aprile 1232, Federico cassò il giudicato dei Milanesi con cui Asti era condannata a restituire ad Alessandria Canelli e Calaman- drana e dichiarò nullo ogni diritto che in dipendenza del laudo dei Milanesi potesse spettare ad Alessandria sul castello di Masio non meno che ogni ragione di proprietà e di possesso derivante dalla conquista fatta di quel luogo sugli Astigiani (doc. n. 17). In un altro documento del medesimo anno 1232, aggiunto nell’Appendice, tro- viamo menzione di Alessandria. È l’importante trattato conchiuso ai 19 di luglio da Asti con Torino, Moncalieri ed altri (doc. n. 1013). Ma in quest’atto Alessandria è solo riservata e tenuta salva dai Torinesi coi quali era unita colle altre città della Lega lombarda nò pare che per questo siansi dovuti migliorare i rapporti con Asti. Dal 1232 il Codice non ci somministra più documenti che riguardino i due Co- muni fino al 1237. Ai 21 marzo di quest’anno gli Astigiani stipulavano una conven- zione coi signori di Calamandrana e di Canelli (doc. n. 418), in forza della quale quei feudatari facevano condono e pace di tutti i danni ed ingiurie, patiti dal Co- mune di Asti, si obbligavano a rendere tutte le obbligazioni che avevano dei prigio- nieri Astigiani che erano in Alessandria e specialmente gl’istromenti d’ obbligo per trecento lire rilasciati da taluni di quei prigionieri nel 1227, cedevano ad Asti quanto essi possedevano nei castelli di Canelli, Muasca e S. Martino, Sessame, Soirano, Calamandrana, Garbazola e Lovazolio mediante il pagamento di quattrocento lire, (') Ogerio Alfieri. Cron. n. 22, 24, 23. (2) G. Ventura. Cron. Rer. Ital. script. Voi. xi. — Mon. List. pat. script, ih. — B. San Giorgio. Cron. ad ann. et alibi. — 175 — secondo il giudicato di Ottone del Carretto, al cui arbitrato le parti si erano rimesse ed ogni e qualunque ragione ed azione che potessero avere contro il Comune e gli uomini di Alessandria. Cedevano pure ad Asti il castello e la villa di Rocchetta Palafea. Per contro il Comune di Asti non sarebbe tenuto a far guerra ad Alessandria se non a sua volontà, ma se gli Alessandrini assediassero alcun luogo spettante a quei feu- datari Asti doveva aiutarli a fare sciogliere l’assedio e se alcuna cosa conquistasse sui nemici Alessandrini doveva concederlo in feudo a quei signori. I quali patti fanno chiaramente vedere che se la guerra con Alessandria non era rotta, si preparava però e dimostrano che di lunga mano prima delle ostilità del 1348, le sole menzionate dagli storici, si agitavano e si rinfocolavano le inimicizie tra i due Comuni. Fra il 1248 ed il 1252, ai quali anni gli storici notano scorrerie degli Asti- giani contro Alessandria, il Codice aggiunge la notizia di un importante trattato conchiuso ai 5 di marzo del 1250 tra Asti ed Alba (doc. n. 969) ed i loro collegati appunto per far guerra ad Alessandria. Con quest’atto le due città terminavano di- verse questioni tra di esse vertenti, facevano pace e stringevano alleanza accomu- nandosi reciprocamente la cittadinanza, ma, ciò che a noi qui importa specialmente di rilevare, stabiliscono « quod homines Ale xandrie, Cunei, Savilliani, Fossani, Mon- tisregalis et communia ipsorum locorum non com,putentur nec contineantur inter vassallos vel cives alicuius ipsarum civitatum, immo contra ipsos una civitas prò alia pacem et guerram facere teneatur totis suis viribus ». Dal qual patto vediamo anche quali fossero i nemici di Asti confederati con Alessandria. Dal 1250 i documenti del Codice riferentisi al nostro argomento saltano al 1276. Sotto il 19 di settembre di quest’anno troviamo una nuova pace ed alleanza tra Asti ed Alba (doc. n. 977), diretta specialmente al ricupero di Cberasco per parte degli Albesi, ma nella quale è pure notevole la clausola che Alba non possa contrarre alcuna lega o fare alcun trattato con Alessandria salvo l’esprèssa volontà di Asti. Il che dimostrerebbe come dopo la pace che seguì i fatti d’armi del 1271, 1273 e 1274, notati dagli storici, come già abbiamo accennato, erano di nuovo scoppiate le ostilità con Alessandria e che lo stato di guerra menzionato dagli annalisti alessandrini all’an- no 1275 perdurava ancora nel seguente 1276. Da quest’ultimo anno saltiamo al 1288, ai 24 di gennaio del qual anno abbiamo nel Codice un documento (n. 100) in cui occorre menzione di Alessandria. A questo tempo le relazioni tra Asti ed Alessandria dovevano aver avuto un miglioramento del quale non troviamo ricordo negli storici, infatti nell’atto succitato vediamo il sin daco di Asti nel Consiglio di Alessandria addivenire col consenso di esso ad un’im- portante transazione coi Lanzavecchia di tutte le antiche differenze per il luogo di Blonice (Bionzo). I Lanzavecchia erano stati investiti di quel luogo dal marchese di Monferrato nel 1205 e dal marchese Manfredo Lancia nel 1240. Insorte questioni per quel luogo Alessandria aveva rilasciato lettere di rappresaglia contro Asti per mille cinquecento lire nel 1246, ed altre lettere di rappresaglia per trecento lire nel 1258. Ora transigendo su tutte quelle questioni i Lanzavecchia cedevano ad Asti tutti i loro diritti sul luogo contestato e le davano pace di tutte le offese e danni patiti mediante lire trecento ed Alessandria acconsentendo rinuuziava pure a tutte — 176 — le ragioni e pretese che potesse avere in quel luogo, salve le ragioni ed azioni che le competessero verso Asti per altre questioni pendenti. Questo ravvicinamento delle due repubbliche rivali era per avventura stato de- terminato dalla minaccia del pericolo, che ad amendue sovrastava, del marchese di Monferrato, ma se tale era stato il movente esso non tardò a venir meno giacche in giugno dell'anno seguente 1289, il Marchese s’impadroniva del potere in Alessan- dria e questa si trovò ridotta a non ispirarsi più ai particolari suoi interessi nelle sue relazioni esteriori, ma a ricevere legge dalle convenienze del dominatore straniero finche nel 1290 si unì nuovamente ad Asti per scuoterne il giogo. Sui famosi avvenimenti del 1290 e fino alla morte del marchese di Monferrato in mano degli Alessandrini avvenuta il 6 febbraio del 1292, il Codice non ci ha serbato documenti ; perciò l’importante questione se gli Alessandrini si fossero mossi contro il Marchese perchè corrotti dall’oro degli Astigiani o per nobile desiderio di indipendenza, così dibattuta dagli storici, non riceve nuovo lume dai nostri documenti. La convenzione del 1288 è l’ultimo dei documenti astesi del Codice che parli di Alessandria non contando per tale la nota sottomissione ad Asti degli Incisa del 20 dicembre 1292 (n. 533), nella quale Alessandria è solo nominata incidentalmente. 28. Relazioni di Asti con Cliieri. La storia dell’antica repubblica di Chieri si trova in condizioni non dissimili da quelle della Casa di Savoia e dei marchesi di Saluzzo. Ebbe cioè la fortuna di essere stata ampiamente trattata con un’opera speciale da uno scrittore competente, il Cibrario ('), il quale non risparmiò nè diligenza nè fatica per rintracciarne i do- cumenti e le memorie, che valessero ad illustrarla, negli antichi cronisti, nei patri scrittori, in biblioteche ed in archivi sì pubblici che privati, i quali tutti, a comin- ciare da quello del Comune, furono aperti alle sue accurate indagini. Nè lo storico di Chieri si tenue pago di giovarsi nell’opera sua dei numerosi documenti clieriesi rinvenuti, ma i più importanti di quelli fece testualmente di pubblica ra- gione nel secondo volume della sua storia. All’opera del Cibrario fece ancora delle aggiunte il Casalis (2). Dopo tutto ciò doveva credersi che quanto poteva dirsi sulla storia di Chieri fosse stato detto e che le fonti di essa fossero totalmente esaurite, ma tuttavia il Codice di Asti arreca ancora il suo contributo di notizie alla storia cheriese nei suoi rapporti col Comune astigiano. Questo fatto non è degli ultimi a dimo- strare l’ importanza del nostro Codice e perchè Chieri fu, dopo Asti, la maggiore repubblica che sia stata in Piemonte ci parve interessante raccogliere le nuove notizie che ad essa si riferivano. Il Codice Malabaila e l’Appendice contengono trentaquattro documenti che riguar- dano le relazioni tra Chieri ed Asti (n. 282, 283, 263, 993, 279, 278, 281, 280, 715, 277, 982, 1010, 663, 669, 1013, 264, 944, 926, 265, 266, 945, 946, 267, 269, (’) Delle Storie di Chieri, libri quattro con documenti. Tomi 2. Torino 1827. (2) Dizionario geo- grafico-storico-statistico degli Stati di S. M., all'articolo di Chieri. — 177 — 270, 268, 592, 661, 950, 271, 981, 789, 927, 928). Di tutti questi documenti sette sono già editi (n. 282, 283, 663, 669, 264, 944, 661) ed uno pubblicato solo in parte (n. 950). Vediamo ora quali nuove notizie ne scaturiscano. Fin dalla seconda metà del secolo su le due repubbliche subalpine si trovavano unite nel far la guerra ad uno dei più potenti feudatari, al conte Umberto di Bian- drate. Favorito dall’imperatore e congiunto col marchese di Monferrato il conte di Biandrate era salito in tanta potenza, da mettere in sospetto le città di Alessan- dria e di Asti sì che, come già abbiamo altrove accennato, le due città avevano nel 1169 stretta lega giurando di sostenersi contro l’ambizione di quei trapotenti vicini. Gli Astigiani avevano avuto nuove cagioni d’inimicizia contro il Conte per le gra- vezze e gli impedimenti che i suoi officiali ponevano ai loro traffichi nelle terre del Conte e specialmente nel luogo di Purcile e per altre differenze insorte circa un piccolo villaggio, ora distrutto, chiamato Stoerda. Ciò indusse Asti a porger la mano a Chieri che già contendeva col Biandrate per la signoria del castello e per scuoterne il giogo. Ne seguì guerra i successi della quale sono ignoti, ma dagli accordi ai quali il Conte dovette calare nel novembre del 1172 chiaro apparisce che la fortuna era stata propizia ai due Comuni ('). Infatti il Conte dovette concedere agli Astigiani intiera franchezza da ogni dritto di transito da Asti a Torino e far rinunzia ai Cheriesi di ogni ragione sul castello di Chieri e di restringere le sue pretese di sovranità (2). L’atto di pace ci fu conservato dal nostro Codice, benché senza data (doc. n. 282), però questo importante documento non era sfuggito al Cibrario dal quale fu anzi pubblicato (3). Lo stesso Cibrario trovò ancora citato in una storia manoscritta di Chieri un altro trattato dei Cheriesi e degli Astigiani col conte di Biandrate dell’anno 1176 ch’egli non potè trovare in nessun luogo. Questo documento manca pure nel nostro Codice (’’). Da quel tempo i documenti non offrono più traccia per vent’anni delle relazioni tra Asti e Chieri, ma è fuori di dubbio che la prima deve essersi trovata unita alla seconda nella guerra mossa da Chieri a Testona nel 1179 essendo comuni gl’interessi commer- ciali che avevano fatto scoppiare quella guerra, come è certo che furono unite nelle contese per Torino a favore di Savoia ed all’ alleanza d’ Asti devesi specialmente attribuire se Chieri non rimase oppressa nella guerra contro il vescovo di Torino del 1195 spalleggiato dai Biandrate e da altre potenti alleanze (5). Tuttavia il più antico trattato fra Asti e Chieri del quale il Cibrario abbia avuto notizia è quello del 22 luglio 1194 col quale i due Comuni si concedevano vicendevolmente franchezza di pedaggio e di commercio nei respettivi territori e contraevano il vincolo di non far guerra nè pace l’una senza il consenso dell’altra. Però, come pure rilevò il Cibrario e come lo dice esplicitamente il documento stesso, questa convenzione non è che un melioramentum, articoli addizionali o conferma di altra stipulazione antecedente (6). Quale sarà stata questa convenzione e quando stipulata? Il documento pub- blicato dal Cibrario dice che gli Astigiani ed i Cheriesi avevano giurato di tener (') ClBRAKlO. Storia di Chieri cit-, i, p. 54-56. (=) Id. ibid. (3) Id. ibid., n, p. 16. (4) Id. ibid., i, p. 57 in nota. (s) Id. ibid., p. 72. (c) Id. ibid., i, p. 74 e li, 32. 23 — 178 — ferma la loro concordia sicut in cartis modo factis continetur. Dunque quella convenzione era affatto recente, così appunto suonando l’espressione, ora, 0 teste fatta. Noi abbiamo lo stesso documento nel Codice (doc. n. 283), però colla data dei 31 invece dei 22 luglio 1194. Quale delle due date è la giusta? In amen- due i testi è detto il giorno della settimana die dominico ; ora ai 31 di luglio 1194 era domenica, e non ai 22 che era invece venerdì. Rimane da ciò stabilito che la data giusta è quella del Codice. Possiamo quindi legittimamente supporre che il testo datoci dal Codice sia più corretto e giova rilevare un’altra variante tra le due lezioni; alla locuzione in cartis modo factis il Codice sostituisce invece quella di in cartis inde factis , facendo così scomparire la specificazione di recente at- tribuita alla precedente convenzione ora confermata ed ampliata col nostro docu- mento del 31 luglio 1194. Anche in questo la lezione del Codice è l’esatta ed errata invece quella del Cibrario; ne abbiamo la prova in un altro documento del Codice del 17 agosto 1192 (doc. n. 263) il quale contiene la promessa dei rappresentanti di Asti e di Chieri, di osservare in perpetuo la concordia sicut in cartis olirà inter eos. . . . factis continetur. Se pertanto la concordia od alleanza tra Cheriesi ed Asti- giani si diceva già fatta tempo addietro ( olim ) nel 1192, non poteva essere recente nel 1194; e che veramente si tratti della stessa concordia od alleanza in amendue i documenti, lo dimostra il modo identico con cui viene designata e l’ indicazione sì nell’uno che nell’altro del notaio Guidone che aveva ricevuto l’istromento di quella precedente concordia. Il notaio Guidone fu quegli che ricevette l’atto della pace di Asti e di Chieri col conte di Biandrate nel novembre del 1172 e di lui abbiamo no- tizia nel Codice dal 1161 fino al 1179. Bisogna adunque risalire a quelle date per collocarvi la concordia tra i due Comuni cui si riferiscono i due documenti del 1192 e 1194, se pure la convenzione in essi citata non è lo stesso trattato del no- vembre 1172 il quale era tutt’altro che recente e ben si poteva indicare come olim fatto. Il documento del 17 agosto 1192 che ora abbiamo citato rimase sconosciuto al Cibrario ed anticipa così di due anni il più antico trattato, che ci sia rimasto, fra le due repubbliche. Le storie di Chieri taciouo sulle relazioni di quel Comune con Asti dal 1194 al 1200. Era i documenti raccolti nell’Appendice al Codice quello del 15 marzo 1198 (doc. n. 993) contenente il trattato di lega tra Vercelli, Asti ed Alessandria contro il marchese di Monferrato ci fornisce la prova sicura che a quella data con- tinuava la stretta unione tra Asti e Chieri, infatti in quell’importante trattato il podestà d’Asti riservava l’ alleanza di Chieri. Già abbiamo accennato che sullo scorcio del secolo xn il Comune di Chieri unito a quello di Testona si trovò impegnato in una fiera lotta col Vescovo e colla città di Torino e coi Biandrate. Oggetto della contesa erano il castello di Monte- solo e varie altre questioni. Il Cibrario dichiara che « sopra gli accidenti e la du- razione della guerra che divampò fra quei baroni e que’ Comuni mancano affatto le memorie » (') sicché egli passò ad esporre che la mediazione di Asti e di Ver- celli, amici di Chieri, pose fine a quella guerra colla pace del 10 febbraio 1200 (2). (’) Cibrario. L. c., i, p. 79. (2) Ibicl., p. 80-82 e n, p. 35. — 179 — I documenti del Codice non ci danno modo di rompere il velo che si stende su quei fatti di guerra, però non tralasciano di far qualche luce sulle fasi e sui particolari di quella mediazione, non privi di interesse. Quattro documenti abbiamo nel Codice relativi tutti ai preliminari dell’accordo, del mese di ottobre del 1199 (doc. n. 279, 278, 281, 280), rimasti fin qui sconosciuti agli storici. Il primo dei 13 di ottobre (doc. n. 279) contiene il solenne giuramento pre- stato dal Giudice del podestà di Chieri e da settantun consiglieri ai quali il giorno appresso si aggiunsero altri otto, di osservare quanto Terrebbe deciso dai deputati di Asti e di Vercelli nelle contese col Vescovo e col Comune di Torino. Col secondo del 14 di ottobre (doc. u. 278) Guglielmo Amicone podestà di Chieri promette di tenere indenne il Comune d’Asti della liberazione dei prigionieri cheriesi presi nella città di Torino sia per le spese di alimenti che di custodia come per la loro even- tuale ricostituzione in carcere. Nello stesso giorno 14 di ottobre (doc. n. 281), in pieno Consiglio tenuto come i precedenti nel palazzo della canonica di S. Maria, il podestà di Chieri rinunziò ai deputati di Asti e di Vercelli ogni diritto e ragione che Chieri potesse avere sui prigionieri torinesi che teneva in carcere rimettendoli in loro forza e potere con facoltà di disporne. Finalmente ai 16 di ottobre (così nel quarto doc. n. 280), nella chiesa di S. Dalmazzo di Torino, quattro prigionieri cheriesi che erano Bongiovanni Primo, Pagano di Monfalcone, Bongiovanni dei Benzi e Baiamondo Zama, e cinque di Testona, cioè Filippo Panzono, Cumberto Moliuerio, Ubertino de Castello, Guioto de Guiando e Ardizzone Negro giurarono di stare ai comandi dei deputati di Asti e di Vercelli e specialmente di osservare gli ordini e le decisioni di quelli che furono delegati per giudicare della custodia e del mante- nimento non che delle sicurtà date e dei riscatti. Dopo del che i deputati di Vercelli consegnarono ai deputati d’Asti tutti quei prigionieri di Chieri e di Testona che avevano giurato, insieme ad un Giovanni e ad un Manfredo di Truffarello, Martino di Testona e Giovanni di Baldissero i quali non avevano giurato quia non multurn divitts erant, e i deputati d’Asti ricevendoli promisero di restituirli a quelli di Vercelli nel caso non si conchiudesse la pace. Similmente i deputati di Vercelli di- chiararono di aver ricevuto da quelli d’Asti in consegna nove prigionieri di Torino che erano nelle carceri di Chieri cioè Pietro Gibuino, un Giovanni di cui non è chiaramente indicato il cognome, Pietro Fumeria, Adalberto e Martino de Peregnano, Martinoto di Gassino, un altro non chiaramente nominato, col figlio, e Girardo Ga- liciano colla stessa promessa di restituzione in caso di non conchiusa pace. Tali fu- rono gli atti che precedettero il trattato di pace di Chieri e Testona del 10 febbraio 1200. Il Cibrario che ne espose le condizioni nella sua storia e ne pubblicò il testo fra i documenti credette di aver avuta piena conoscenza di quelle stipulazioni, ma gli restò sconosciuto un fatto che risulta da un documento del nostro Codice ed è che di quella stessa pace, oltre l’atto del 10 febbraio, se ne stipulò un altro il giorno seguente forse con capitoli addizionali. Quest’atto era rimasto in Asti cogli altri della mediazione degli Astigiani e dei Vercellesi ed ai 20 di maggio del 1221 il Comune d’Asti li dava tutti in comunicazione a Chieri. Ciò appare dall’obbligo di restituzione passato dal podestà di Chieri appunto a quella data (doc. n. 277). Nel 1204 ai 4 di marzo Chieri si confederava con Torino e con Testona in — 180 — termini così stretti d’unione da congiungere indissolubilmente in uno i loro inte- ressi e le loro sorti (’). Però i Ckeriesi non si dipartivano con ciò dall’antica ami- cizia degli Astigiani. Ne abbiamo la prova nel trattato che Asti e Mondovì con- chiusero ai 24 di giugno di quel medesimo anno 1204 (doc. n. 715), nel quale Cliieri e Testona sono annoverati fra gli amici di Asti. Nelle storie ckeriesi manca traccia di relazioni di quel Comune con Asti fino ad una data assai lontana da questa, però il Codice Malabaila ce ne dà qualche segno. Un documento del 1223 ci fa vedere che i buoni rapporti tra i due Comuni si mantenevano inalterati in quell’ anno: nell’importante promessa fatta dagli am- basciatori di Milano ad Asti di procurare l’osservanza dei patti da parte degli Alessandrini, in data 18 settembre di quell’anno (doc. n. 982), nel novero di quelli coi quali Asti poteva stringere o mantenere alleanza è appunto contemplato il Co- mune di Ckieri. Ed ugualmente nella confederazione di Asti ed Alba con Alessandria del 28 dello stesso mese di settembre, il cui atto fu inserto nell’Appendice al Co- dice (doc. n. 1010), si fece espressa riserva dell’alleanza tra Asti e Ckieri. Ma prima che spirasse un decennio da questa data l’antica amicizia tra le due città, consa- crata dal ricordo di essere cadute unite per la stessa causa sotto il ferro di Bar- barossa nel 1155, cementata da una ormai secolare unione d’intenti e d’imprese doveva sciogliersi. I due Comuni congiunsero ancora le loro forze nella guerra fra- tricida mossa a Testona per ragioni d’interessi commerciali la quale cadde misera- mente distrutta nel 1228 dal ferro e dal fuoco degli Astigiani e dei Ckeriesi, ma nel 1232 già erano nemici. Di quella crudele impresa e poco gloriosa vittoria non rimase memoria nei documenti del Codice; due soli atti possono avervi relazione e sono i documenti n. 663, e 669 del 26 e 27 settembre 1228 contenenti la sotto- missione dei signori di Monfalcone, antichi alleati dei Testonesi travolti nella stessa disgrazia, e la cessione ch’essi dovettero in conseguenza fare agli Astigiani del loro castello e villa di Fontane. Tale fu il premio che Asti raccolse dalla distruzione di Testona. Gli storici astigiani e cheriesi passarono sotto silenzio l’alterazione dei rapporti tra le due città pochi anni dopo la guerra di Testona e ne ritardarono la prima menzione fino ai tempi della guerra col conte Tommaso di Savoia. Ma ciò avvenne nel 1232, come risulta in modo indubitabile da un importante documento inedito e finora ignorato dagli storici che abbiamo compreso nell’Appendice al Codice al n. 1013. Questo documento contiene il trattato di lega offensiva e difensiva con- chiuso ai 19 di luglio di quell’anno fra gli Astigiani, il Comune ed il Vescovo di Torino, Moncalieri, Pinerolo, Piossasco, Bagnolo, Barge, il marchese di Eomagnano, ed il conte di Savoia qualora avesse voluto accedere alla lega ed accordarsi con Torino sulle questioni tra essi vertenti. La confederazione era specialmente rivolta contro Ckieri. Si è già parlato di questa lega nel paragrafo delle relazioni di Asti colla Casa di Savoia e con Torino, ma qui giova notare quanto più particolarmente riguarda i rapporti tra Asti e Ckieri. In forza di questo trattato gli Astigiani s’impegnano di sostenere e ditendere il (’) Cibrario. Storia di Chieri cit. i, p. 90 e n, pag. 56. — 181 — Comune e la Chiesa di Torino specialmente contro Chieri, si vincolano a non ricevere i Cheriesi in abitatori od alleati siano anche solo uomini o vassalli di quel Comune, a non riconciliarsi in alcun modo od accordarsi con essi, a non contrarre alcuna unione, patto o promessa d’amicizia con essi in avvenire sotto qualunque colore e neppure in dipendenza di qualche antica concordia od altro patto qualsiasi stipulato tra Asti e Chieri. E se accadesse che i Cheriesi intraprendessero guerra contro la Chiesa e gli uomini di Torino o questi contro quelli, Asti dovrà prender parte alla guerra ed offendere i Cheriesi con ogni suo sforzo e non calare a verun patto o tregua se non di consenso dei Torinesi. A questo fine gli Astigiani dovranno mettersi in armi fra quindici giorni dalla richiesta fattane dai Torinesi. Uguali obbligazioni as- sumevano questi coi loro alleati verso Asti. Erano alleati di Torino ed entravano perciò nella confederazione i Milanesi, i Vercellesi, gli Alessandrini e la Lega lombarda « ea videlicet que est ex parte me- diolanensium ab Aste et doria baltia inferius ». Sul punto importantissimo della viabilità commerciale si stabiliva che il Comune e la Chiesa di Torino dovessero dare agli Astigiani la strada grossa solita passare pel ponte sul Po a Torino, come potranno purché faccia capo a questa città e per dove piacerà agli Astigiani da Torino in là. Come si vede, da questo trattato subiva una profonda mutazione il sistema delle alleanze tra i grandi Comuni ed i signori feudali del Piemonte. In sostanza Asti il più potente di tutti spiccavasi dal partito imperiale al quale apparteneva ancora nel mese di aprile del 1232, come ne fa prova il diploma dell’imperatore Federico di quella data (doc. n. 17), ed entrava nella Lega lombarda undici anni prima di quanto abbiano affermato gli storici, secondo i quali gli Astigiani Don sarebbero ritornati alla lega dei Comuni che nel 1244, al passaggio di Papa Innocenzo IV (’). Questo fatto di gravissima importanza non dovette procedere da lievi ragioni. La mancanza di altre notizie sugli avvenimenti di quei tempi non ci lascia penetrare se Asti si inducesse ad entrare in quella via guidata da nuovi concetti politici, deviando dalle tradizioni della sua politica commerciale, ovvero astrettavi da necessità di Stato. Ad ogni modo appare che nello stringere la confederazione del 1232, Asti poteva forse avere in vista futuri vantaggi che però con quella in allora non realizzava. Infatti per quanto riguardava gl’interessi commerciali, costante obbiettivo della politica asti- giana, il trattato era poco favorevole alla repubblica. Due anni innanzi essa era concorsa alla distruzione di Testona per affrancarsi dagli impedimenti che i Testonesi ponevano ai suoi mercatanti costringendoli ad avviarsi per la strada che metteva a Torino dove nuovi pedaggi e gabelle li aggravavano ed ora accettava dai Torinesi la strada grossa che ad ogni modo doveva far capo alla loro città, libero solo agli Astigiani di battere quella che loro piacesse al di là delle sue mura. Quali effetti partorisse la lega contro Chieri non è detto dalla storia ed alcun documento del Codice non ci dà il mezzo di chiarirlo. Nel 1235 il conte di Savoia era in guerra col Comune e col vescovo di Torino e con Pinerolo e nella pace che (') Y. il § i, Importanza di Asti nel medio evo. — 182 — si conchiuse tra essi ai 18 di novembre di quell’anno troviamo che Pinerolo teneva salvi fra gli altri suoi alleati gli Astigiani dal che parrebbe potersi arguire che le alleanze strette nel 1232 stessero ancora ferme e che quindi Asti e Chieri continuas- sero a trovarsi in campi opposti. Non consta per notizie sicure che nella guerra poco fortunata fatta da Tommaso n di Savoia agli Astigiani nel 1251 (') Chieri tenesse le parti del Conte ma è assai probabile se si considera la strettissima unione con cui i Cheriesi erano legati a lui pochi anni dopo. È ben vero che Ogerio Alfieri racconta che nel 1255 il conte di Savoia ruppe guerra ad Asti e le tolse il borgo di Chieri (Cronaca n. 17), la quale affermazione non si potrebbe spiegare a meno di supporre che dopo l’infelice guerra del conte Tommaso del 1251 Asti si fosse im- padronita di quel Comune, se pure il cronista non usò quell’espressione per dire che il Conte vincolando più strettamente a se i Cheriesi avesse violato le ragioni o le pretese degli Astigiani su Chieri. Nè il Cibrario, diligente storico di Chieri e dei principi di Savoia, nè altri fra i nostri scrittori rilevò l’affermazione di Ogerio Alfieri e tentò di spiegarla, il che dimostra come rimangano tuttavia dei punti nella nostra storia comunale meritevoli d’essere ristudiati. Gli è però certo che nella guerra riaccesasi nel 1255 tra Tommaso di Savoia ed Asti il Comune di Chieri combatteva pel primo, sicché la memorabile sconfitta di Savoia fu pure sconfitta dei Cheriesi i quali dovettero perciò calare agli accordi dopo l’infelice sperimento di soccorrere lo sfortunato principe caduto prigioniero e la nuova rotta toccata presso Moriondo. La pace fu conchiusa tra i due Comuni il 18 di giugno 1260. Questo trattato già noto al Cibrario che lo pubblicò anche testual- mente (2) trovasi pure nel Codice (doc. n. 264). Le gravose condizioni della pace erano queste: Chieri doveva accorrere in difesa ed aiuto d’Asti con tutte le sue forze ogni qualvolta Asti avesse guerra, e gli Astigiani erano soltanto obbligati a venire in aiuto di Chieri nel caso in cui fosse violato il suo territorio. Chieri cedeva ad Asti la metà di Villastellone e di Bolgaro i quali luoghi sarebbero posseduti per indiviso ma governati però da un delegato Astigiano; i Cheriesi davano in pegno Marentino e la bastita di Serra per due anni colla riserva che se prima si facesse la pace col conte di Savoia e col conte di Provenza, sarebbero i due pegni restituiti. Finalmente i due Comuni si condonavano reciprocamente le offese, e le ingiurie recatesi durante la guerra. A questo documento il Codice Malabaila ne aggiunge altri quattro relativi alla medesima pace. Il primo è in data del 21 febbraio (doc. n. 944) ed in forza di esso i Cheriesi venivano compresi nella tregua conchiusa da Asti con Carlo d’Angiò. Questo documento non fu conosciuto dallo storico di Chieri, ma vide più tardi la luce (3). Il secondo è del 24 di marzo (doc n. 926) e con esso si fa divieto al marchese di Monferrato di fare acquisti in Chieri. Il Marchese, come abbiamo altrove esposto, era stato in guerra con Asti e addivenendosi allora alla pace gli Astigiani si premu- nivano precludendogli la facoltà di allargarsi da quella parte. Il terzo documento è dei 14 giugno (n. 265) e contiene la nomina dei commissari cheriesi per la conclusione (’) Cibrario. Istituzioni della Monarchia di Sav., il, p. 39. — Stor. della Monarchia, il, p. 57. 0 Storia di Cliieii cit. r, 180-81 e n, p. 116. (3) Monumenta Hist. pat. Chart. li, col. 1600. — 183 — del trattato di pace. I deputati erano Michele Balbo e Uberto Porcello e furono mu- niti di ogni più ampio potere di concbiudere, di assumere obbligazioni, di far ces- sioni e quant’altro il Comune di Chieri dovesse fare per aver la pace, il che se da un lato fa vedere in quali male condizioni versasse la repubblica, dimostra altresì che nelle condizioni impostele, sebben gravose, Asti non aveva abusato troppo della vittoria n'e potevansi quelle chiamare inique come le disse il Cibrario. L’ultimo del 21 di giugno (doc. n. 266), contiene la promessa o sottomissione che si voglia dire passata dai deputati al governo dei castelli dati in pegno dai Cheriesi, di tenerli e restituirli all’evenienza secondo i termini del trattato di pace pochi giorni innanzi conchiuso. 11 dotto scrittore della storia di Chieri stimò che da quelle condizioni non re- stasse diminuita la libertà di quella repubblica e nè anche considerabilmente alterata la sua potenza. « Ma, soggiunge, ne fu bene oscurata in qualche parte la dignità, poiché raccontano che il Comune d’Asti usando con l’insolenza d’un vincitore il suo diritto, ogni volta che aveva bisogno dei soccorsi di Chieri mandava un araldo, il quale salito sopra il campanile di S. Giorgio e toccate le campane, gridava che l’oste dei Cheriesi dovesse adunarsi ed accozzarsi iu termine di tanti giorni con quello degli Astigiani (‘) ». La stessa cosa è pure riferita dal Grassi il quale afferma che quella era una delle condizioni della pace ed aggiunge ch’essa « spiacque non poco alle genti di Chieri, ma vi si dovettero accomodare per forza » (2). La variante che si nota tra il racconto dell’uno e dell’altro storico deriva dall’aver essi attinto a fonti diverse. L’esposizione del Cibrario è calcata sulla Cronaca di Guglielmo Ventura ( Memoriale , cap. 16), quella del Grassi invece sul carme di A. Astesano (De varietate fortuna e, libro 4, cap. 4). Quale delle due autorità dobbiamo preferire? Abbiamo già accen- nato che il Ventura era presente ai fatti e merita piena fede, ma vi ha di più: noi sappiamo ora con sicurezza che se quel fatto è vero, lo deve essere nel modo in cui lo racconta il Ventura e non altrimenti. I due testi del trattato di pace con Chieri, del Cibrario e del Codice d’Asti sono conformi e sì nell’uno che nell’altro non è inserta quella condizione, essa è dunque solo un’aggiunta poetica dell’Astesano. Quanto però alla verità del fatto in sè vi si fa chiara allusione nel Codice e ne troviamo in esso un’indiretta conferma. Nel disegno rappresentante una città posto a capo del capitolo dei documenti di Chieri si vede infatti sovr’ una delle torri più eminenti un araldo in atto di suo- nare il corno, nella quale immagine trasparisce l’intenzione dell’artista d’indicare il singolare diritto di Asti in Chieri (V. tav. Vili, n. 2). La celebrità poi del campanile di S. Giorgio avrà facilmente fatto scambiare con quello una delle torri del Comune. Vuoisi infatti che fosse dalla cima di quel cam- panile, su cui era stata collocata come segno di trionfo una delle campane della di- strutta Testona, che gli araldi del Comune levavano il grido di S. Giorgio , motto e grido di guerra della repubblica e del popolo Cheriese per chiamare i cittadini atti alle armi in difesa della patria (3). (') Cibrario. Storia di Chieri cit., i, p. 181-82. (s) Grassi. Storia della città d’Asti, i, p. 174. (3) Bosio. Memorie storico-religiose di Chieri. Torino, 1880, p. 167. — 184 — In buon punto avvenne la pacificazione dei due Comuni, giacche mentre essi an- cora si battagliavano, un pericolo comune era sorto sull' orizzonte che minacciava la libertà di amendue, la venuta di Carlo d’Angiò ed il progresso delle sue armi in Piemonte. Prima ancora che la pace fosse fermata tra Asti e Chieri e mentre ap- pena la si stava negoziando, Asti nella prima tregua da essa conchiusa coll’ Angioino ai 21 febbraio 1260 (doc. n. 944) faceva comprendere fra quelli di sua parte i Che- riesi e sia che ciò facesse come mostra ed affermazione delle sue pretensioni verso quella città o per già prese intelligenze e con suo consentimento, certo è che agiva con retto senso della convenienza per non dire necessità di averla alleata e compagna nelle lotte che si andavano preparando. Nel 1266 Asti si assumeva l’obbligo di far ratificare dal podestà e dai consi- glieri di Chieri in pubblico parlamento di quella città, la tregua conchiusa ai 14 di agosto di quell’anno (doc. n. 945), dal che apparisce che Chieri militava con Asti contro gli Angioini e la stessa cosa si ripeteva nel 1269 in occasione dell’altra tregua stabilita agli 11 di dicembre (doc. n. 946). Il Grassi riferisce che in una generale riunione tenutasi nel 1262 da Asti con Torino, Possano, i marchesi di Saluzzo ed altri feudatari, nella quale fu deliberata la resistenza a Carlo d’Angiò, convenisse pure Chieri come alleata degli Astigiani (’), ma nel nostro Codice non troviamo traccia di questo fatto nè nel documento che ab- biamo aggiunto nell’Appendice delli 8 febbraio 1262 (doc. n. 1021) contenente una siffatta deliberazione presa da Asti si fa alcuna menzione di Chieri. Afferma pure lo stesso storico che nel 1270 Asti rinnovò con Chieri la convenzione del 1260 della quale abbiamo sopra parlato (2), ma neppure di questo fatto abbiamo notizia nel Codice. Dal 1269 non incontriamo più altri documenti riguardanti le relazioni tra i due Comuni fino al 1273. Quest’anno è uno dei più memorabili della storia d’Asti giacche in esso, come abbiamo altrove esposto (nel paragrafo delle relazioni con Carlo d’Angiò) dall’inci- dente di certi panni staggiti a Cossano a mercatanti astigiani divampò fierissima guerra colPAngioino. Gli storici riferiscono che all’impresa di Cossano presero parte cogli Astigiani le milizie dei Cheriesi i quali diedero aiuto di duecento fanti con corazze di ferro e di alquanti militi (3), ma essi non dissero in forza di quali patti i Cheriesi avessero ciò fatto e quando fossero quelli stati conchiusi. Non certo in vigore della convenzione del 1260, che quella era una pace e non una lega offensiva, nè parimente pei patti del 1270 citati dal Grassi, se quella convenzione fu, com’ egli asserisce, una semplice rinnova- zione della precedente. Il Cibrario, forse tratto in inganno dal Grassi, mostrò pure di credere essere stato circa quel tempo che « Chieri, sciolta dei patti di cui gli Astigiani l’avevano aggra- vata dopo la sconfitta di Moriondo, tornò a comparire come volontaria alleata dei medesimi partecipando a tutti i casi delle fazioni che ebbero a sostenere » (*). Ma quattro documenti del Codice Malabaila ci fanno vedere che tutto ciò avvenne solo tre anni dopo, proprio alla vigilia dell’impresa di Cossano ; ci dimostrano che il (’) Storia d’Asti cit., i, p. 179. (’) Id. ibid., p. 175. (3) Cibrario. Storia di Chieri, i, p. 195. — Grassi. L. c., 181. (s) Storia di Chieri cit., i, p. 194. 185 — proscioglimento di Chieri dalle gravose condizioni impostele da Asti e la stretta alleanza con questa ebbero due fasi, l’una precedente e l’altra posteriore alla sconfitta di Cos- sano, e ce ne divisano i termini precisi e l’importanza. Dal primo di questi quattro documenti (n. 270) risulta che ai 22 di marzo 1273 Pietro de Gerbo rettore del popolo di Chieri ed Obertino Eascheri rettore della società dei militi avevano fatto proposta di convocare il Consiglio per la nomina dei sindaci che dovevano trattare col Comune d’Asti. Dal secondo (doc. n. 269) apprendiamo che nello stesso giorno il Comune di Chieri, in pieno e generale Consiglio adunato nella chiesa di S. Guglielmo, costituiva in suoi sindaci e procuratori Federico di Mercadillo e Oddone Pilo per conchiudere un trattato con Asti munendoli di pieni poteri. Dal terzo (doc. n. 267) appare che pure nello stesso giorno e nella medesima chiesa di S. Guglielmo di Chieri, Tommaso Boviculo sindaco del Comune di Asti, conve- nuto coi rappresentanti cheriesi, conchiudeva con essi una convenzione di questo tenore. Il Comune d’Asti restituirebbe a quello di Chieri i patti e convenzioni stipulati con esso e rinunzierebbe ad ogni diritto competente agli Astigiani contro i Cheriesi. Se gli stromenti degli antichi patti e convenzioni non si potessero trovare si dichiare- rebbero cassati e di nessun valore sì che niun danno o pregiudizio possa venirne a Chieri facendo totale abolizione di quei diritti. Gli Astigiani rinunzierebbero ad ogni diritto sovra S. Martino di Stellone annullando e cassando i relativi istromenti che sarebbero restituiti ai Cheriesi. Uguale rinunzia farebbero per Montaldo e Toresana se così vorranno i signori di quei luoghi. Se qualcuno intraprenderà guerra contro i Cheriesi od arrecherà ad essi ingiuria od offesa, gli Astigiani dovranno porger loro aiuto, con ogni loro sforzo e far guerra per Chieri ai nemici ed offensori di essa, salvo che questi fossero cittadini o vassalli d’Asti, nel qual caso il Comune intime- rebbe ad essi di fare restituzione dei danni e, ciò non effettuandosi fra quindici giorni, Asti prenderebbe le armi coi Cheriesi contro di quelli. Una tale intimazione si sarebbe dovuta fare fra tre giorni dalla notificazione avutane da Chieri ed una volta inco- minciata la guerra dai due Comuni non si potesse più fare n'e pace nè tregua senza il consenso ed il concorso di tutti due. Parimente Asti non potesse fare pace nè tregua con alcuno senza farvi comprendere i Cheriesi. In riscontro Chieri a tutto suo potere farebbe per Asti pace , tregua e guerra a chiunque con cui gli Astigiani la facessero e non la farebbe senza di essi. Se chi muoveva guerra ad Asti era borghese o vassallo di Chieri allora si procederebbe come nell’ ugual caso contemplato per Asti. Se accadesse che i Comuni di Asti e di Chieri avessero guerra e gli Astigiani facessero esercito di quattrocento militi i Cheriesi dovranno farne uno di cento e se Asti lo facesse di maggior numero, Chieri non sarebbe tenuta di più, ma se Asti l’avesse fatto minore dei quattrocento, i Che- riesi potevano diminuire la loro forza armata in proporzione. Questa la somma del trattato del quale Chieri molto si avvantaggiava. Due giorni dopo questo trattato aveva luogo l’impresa e la sconfitta di Cossano. È egli possibile che vi partecipassero le milizie Cheriesi? Per ciò fare dovevano già essere in suH’armi nel momento in cui si conchiudeva solo il trattato; ad ogni modo, se il contingente di Chieri fu secondo la convenzione, dovrebbe ridursi il numero di ducento militi indicato dagli storici alla sola metà. 24 — 186 — L’ultimo di quei documenti è di tre giorni dopo la sconfitta, cioè del 27 di marzo (doc. n. 268) e contiene la solenne promessa e conferma del sindaco o procura- tore del Comune d’Asti di tutte le condizioni comprese nella convenzione del 22, fatte in presenza del Consiglio generale, ratificate e giurate dal podestà, dai credenzieri della prima e della seconda credenza e dai rettori della società. In quest’atto è espres- samente specificato che i diritti ai quali Asti rinunziava a favore di Chieri erano principalmente quelli stabiliti nel trattato dei 18 giugno 1260, del quale abbiamo più sopra parlato. Apprendiamo ancora da questo documento che Asti aveva fatto speciale statuto riguardante il trattato ora citato e prescrivente che il podestà nè alcuno della sua famiglia, vale a dire dei suoi dipendenti, potesse proporre in Con- siglio l’abrogazione o la diminuzione di quella convenzione coi Cheriesi sotto pena di cinquanta lire, e per ogni consigliere che facesse tale proposta od arringasse in quel senso di dieci lire e che tuttavia il consiglio si considerasse come non avve- nuto. Ma ora la forza delle cose faceva cassare lo statuto ed abrogare la famosa convenzione eh’ esso doveva difendere con sì gravi minaccie. Il solo Casalis accennò a due trattati conchiusi tra Asti e Chieri nel 1273 (*), ma egli lo fece in modo così poco determinato da suscitare la curiosità di conoscerli e da farne sempre più desiderare il testo eh’ egli certo non conobbe. Le amicizie contratte in mezzo ai pericoli e fra le dure prove di comune sven- tura sogliono essere le più salde e le più durature. Così fu 1’ amicizia tra Asti e Chieri stretta davanti alla minacciante potenza di Carlo d’Angiò e cementata dall’av- versità di una prima sconfitta. Da quel tempo Chieri rimase fida alleata degli Asti- giani, le loro forze unite proseguirono, come ci narrano gli storici, e noi abbiamo toccato nel paragrafo delle relazioni con Carlo d'Angiò, la grande impresa contro la do- minazione straniera finché la fortuna non ebbe assicurato il trionfo della loro causa. E quando toccata l’alta meta di questa impresa un altro pericolo sorse a minacciare la libertà delle due repubbliche, nella strapotenza e nella ambizione del marchese di Monferrato, i due Comuni continuarono a tenersi uniti accomunando le loro sorti. I documenti che incontriamo di qui innanzi nel Codice ci offrono la riprova della costante alleanza di Asti e Chieri pel corso di venti anni, essi segnano si può dire tutti i passi più rilevanti degli alleati, li chiariscono con nuovi particolari, ne fermano stabilmente le date togliendo dalla nostra storia oscurità e dubbiezze. Ai 20 di luglio del 1275 il marchese di Monferrato pronunziava sentenza come arbitro sulle differenze tra Asti ed il marchese di Saluzzo il quale parteggiando per gli An- gioini era stato sconfitto dagli alleati. In quell’atto (doc. n. 592) i Cheriesi sono considerati talmente uniti e cointeressati con Asti che sono chiamati a rispondere per essa ed a garantire l’osservanza delle condizioni dell’accordo. Nel 1277 Asti unitamente ad Alba mosse guerra a Cherasco, della quale poi si fece la pace ai 2 di marzo. In questa (doc. n. 661) interviene pure Chieri come alleata di Asti e di Alba, sul qual fatto, come già fu notato, gli storici d’Asti caddero nell’errore di scambiare Cairo con Chieri attribuendo agli abitanti del primo invece del secondo dei due Comuni la partecipazione alla guerra ed alla pace (2). Nello stesso (’) Dizionario storico-statistico cit. all’art. Chieri. (’) Grassi. Storia cit., i, p. 167. — 187 anno ai 13 di settembre (doc. n. 950) Asti conchi udeva tregua con Cuneo e col partito angioino ed in essa faceva comprendere Chieri come principale sua alleata. Nell’ anno seguente 1278 ai 18 di luglio stringevasi tra Asti ed i suoi alleati ed il conte Tommaso in di Savoia l’importantissima lega rivolta contro il marchese di Monferrato (doc. n. 271) della quale si è già parlato nel paragrafo delle relazioni colla Casa di Savoia, ed in quella accanto ad Asti figura pure Chieri. Così questo Comune entrava in un’altra importante combinazione politica. Cinque anni dopo Chieri continuava a militare con Asti contro gli Angioini ed ai 13 di febbraio dell’ anno 1283 i due Comuni uniti segnavano col siniscalco di Provenza la tregua (doc. n. 981) che fu si può dire il tramonto della dominazione angioina in Piemonte. Fatto il piu grande e il più glorioso che sia nella storia dei due Comuni, premio degno a virtù di concordia ed a costanza di generosi sacrifizi. L’aura corrompitrice della prospera fortuna non aveva ancora affievolito la loro unione nel 1288. Ce lo dimostra la convenzione fatta da Asti ai 3 di novembre di quell’anno (doc. n. 789) coi signori di Castelnuovo colla quale concedendo ad essi la cittadinanza astigiana dichiarava espressamente di tener salvi e riservati i diritti di Chieri e tutte le convenzioni ed i patti con essa vigenti. A mantenere vie meglio stretti i vincoli di alleanza fra gli Astigiani ed i Che- riesi sorgeva frattanto ' una nuova ed imperiosa ragione. L’abbassamento della potenza Angioina era stato frutto della lega ordita dal Comune d’Asti , diretta e governata coi suoi consigli e sostenuta insieme a Chieri con grandi sacrifizi di danaro, tuttavia il marchese di Monferrato Guglielmo vii ne aveva ritratto il maggiore vantaggio sì che in breve, atterrato il pericolo degli Angioini, un altro spuntava nell’ambizione e nel predominio del Monferrino, temibile rivale perchè uomo procacciante, valente in sulle armi, forte di aderenze e ben voluto dalla fortuna. Nel 1288 scoppiava l’inimicizia cui teneva dietro aperta guerra tra Asti ed il Marchese. I casi di questa guerra fino al suo scioglimento avvenuto nel 1290 per l’incarcerazione del marchese Guglielmo fatta dagli Alessandrini furono esposti da Ogerio Alfieri (Cron., cap. 19, 20 e 21) e furono già accennati più sopra. Per quanto ha rapporto a Chieri basterà di notare ch’essa, strettamente unita ad Asti nella guerra, le fu pure compagna nel raccoglierne i frutti i quali , al dir del Cibrario , furono quelli « che suol partorire agli Stati di mediocre potenza il successo di una guerra terminata felicemente, e fu il confermare gli animi dei novelli sudditi, che ad ogni minacciare di tempesta vacillavano nella divozione, e guadagnarne, or sia con la forza delParmi, or sia col solo timore, degli altri » ('). Ma forse non si limitarono a questi indiretti benefizi i vantaggi che Chieri ritrasse dalla partecipazione con Asti alla guerra contro il marchese di Monferrato e fra gli altri bisogna sicuramente mettere in conto quello grandissimo di aver salvata la propria libertà. Abbiamo nel Codice due documenti che si riferiscono a quest’ultimo periodo delle relazioni di Asti con Chieri, e sono il trattato di pace conchiuso coi governatori del Monferrato il 12 luglio 1292 (doc. n. 927) ed una tregua stipulata col marchese Giovanni il 26 di- cembre dello stesso anno (doc. n. 928). In amendue questi atti Chieri comparisce (’) Storia di Chieri cit., I, p. 215, 188 non solo come alleata di Asti, ma nella conclusione della pace 'e tra le condizioni che i Cheriesi avrebbero accettata, ratificata, giurata e garantita al Marchese 1’ os- servanza dei patti. 29. Condizione degli nomini. Gli acquisti fatti da Asti per ingrandire il suo dominio per solito non compren- dono soltanto i diritti signorili, e la designazione delle persone, le quali essendo soggette alla signoria prestano giuramento di fedeltà, ma non infrequentemente ri- guardano anche le proprietà allodiali, i fitti, i canoni e gli uomini che vi sono con- nessi. Accade quindi parecchie volte di trovare nel Codice la penosa forinola: nomina hominum quos vendiderunt sunt hec. . . Non sembra però che la soggezione di questi uomini ai loro padroni fosse tanta, quanta apparrebbe a prima giunta dall’aspra for- inola testé citata. Nella importante inchiesta sulle ragioni di Asti in Priocca fatta nel 1287 da Ogerio Alfieri e Tommaso de Alfiano (doc. n. 867) sono indicati alcuni fatti, i quali possono dar lume sull’importante quistione. Asti aveva acquistato in Priocca, a quanto sembra nel 1221 e nel 1242, la ali- quota di signoria spettante ad una quindicina di famiglie, le quali erano quindi pas- sate allo stato di vassalle. Nelle guerre con Carlo d’Angiò, ed anzi nel 1274, taluni di questi vassalli, cioè i Discalchi, i Materazzi, e gli Obaudi, si posero dalla parte del nemico, e gli consegnarono Priocca; ma ripresa Priocca nel 1276, gli Astesi esigliarono i traditori e ne confiscarono e pubblicarono i beni, che furono venduti a Tomayno Roero nel 1277, eccetto per gli uomini, contitu et segnorito et jurisdi- cione ipsorum , che il Comune volle ritenere per sé. E l’inchiesta si propone appunto di riconoscere le ragioni del Comune rispetto a quelle della Chiesa di Asti e del Tomayno Roero, e di altri ; e sembra preoccuparsi in special modo della pertinenza degli uomini. Gioverà dare qualche esempio di ciò che ne dice. Si enumerano gli uomini di questi vassalli di Asti con locuzioni come le se- guenti. — Anselmus Tirellus quondam erat homo et tenebat a Guilfredo de Laureto , a quo Anseimo descenderunt , e si indicano figli, nipoti e pronipoti. E terminata la enumerazione degli uomini di detto Guilfredo, conchiude: Omnes homines supra- scripti qui fuerunt de feudo Laureti effecti fuerunt cives astenses (anno 1269) et debent dare fodrum de hbris cc astensibus. Ed in qualche altro punto è detto es- sersi trovato per gli uomini di un dato vassallo esse cives astenses seu ad comune astense pertinere. Potevasi anche essere uomo di parecchi signori. Petrus Chinus erat homo et te- nebat a Guilfredo de Laureto e figura tra gli altri uomini di questo signore: ma ricompare anche tra coloro quos aliqui voluerunt dicere della Chiesa di Asti, come si esprime il prudente Sacrista: Petrus Cliinus tenebat ab ecclesia astemi, et a co- muni astemi prò feudo Laureti , et a Discalciis , sed prò qua parte non invenerunt . . . remansit in Preocha tempore guerre... et comune astense vendidit totum illud quod habebat in Preocha (1277). Parimente potevano codesti uomini porsi in libertà come dall’esempio seguente: Oddo Dinellus se recatavit a domino Jacobo de ecclesia vassallo comunis astensis, — 189 et lune quando se recatavit non habebat dominum aliquem in Preocha, et postea ipse Oddo effectus fuit homo illorum de Solario per cartam. Illi de Solario . . . in permulatione . . . dederunt inter alios homines Odonem binellum prò eo quod ha- bebat in govono predictis discalci is. Potevano vendere le cose loro. Rodulfus Bezius homo domini Nicolai de Lave- zolis vendidit ea que habebat. Sono anche indicati nell’inchiesta i nomi di alcuni -uomini, i quali non habebant aliquem dominum. Da questi esempi, e dai casi di prestazioni e di fitti che già indicammo, sa- rebbe da concludersi che, senza volere escludere la possibilità di uomini tenuti a prestazioni personali senza possedere terre, si tratta sopratutto di coloni i quali erano bensì affissi alla terra e con essa si vendevano, ma avevano il carattere di censuarii, possessori di determinate terre, su cui pagavano o determinate aliquote, o certi fitti, ovvero corrispondevano talune prestazioni in natura od in opera. Essi erano tenuti ad aiuto e fedeltà verso il padrone, ed a leale e fedele sudditanza verso il signore, di cui il padrone era vassallo. Però non sembra mancasse loro la facoltà di liberarsi da ogni soggezione verso il padrone, e neppure intieramente quella di mutare il domicilio, quantunque assai gravi ne fossero le conseguenze. Noi troviamo infatti qualche documento, per cui Asti si impegna a non dare la cittadinanza ad uomini di qualche suo vassallo, od a non permettere che si faccia con essi qualche nuovo paese. Per esempio: nel 1209 (doc. n. 250) promette a Ottone del Carretto marchese di Savona di non fare villa nuova de terra vel de hominibus che esso Ottone tenet prò ipso comuni: nel 1224 (doc. n. 682) si inibisce a quei di Savi- gliano di portar gente di Cavallermaggiore ad abitare in Savigliano : nel 1260 (doc. n. 926) Asti non fa luogo nuovo nelle terre del marchese di Monferrato, o facen- done non vi riceve uomini del medesimo: nel 1288 (doc. n. 789) se qualche uomo abi- tante in Monterotondo andrà ad abitare in Castelnuovo, od inversamente, ne sarà espulso: nel 1237 il Vescovo di Asti chiede l’aiuto del Comune per impedire a Cuneo di trasportare ivi abitanti di Morozzo (App. doc. n. 1015): nel 1292 nella dedizione di Calliano è pattuito che Asti non potrà trasportare Calliano (doc. n. 743). Ma per lo più si stabilisce che gli uomini abbandonando una terra per andare in altra, perdono nella prima gli immobili che vi hanno, ed è sovente esplicitamente dichiarato che perderanno anche i mobili saxiti dal loro padrone o dal signore della terra. Se ne possono vedere esempi in documenti del 1201 (n. 770, 778), 1202 (n. 779), 1206 (n. 933), 1218 (n. 794), 1224 (n. 883, 898), 1226 (n. 797), 1251 (n. 971), 1252 (n. 903), ecc. Per la pace con Alba del 1250 (n. 969) gli uomini di Bra e Fontane abitanti Cherasco possono tornare colà coi loro mobili, ed Alba non li impedirà, ma se noi fanno Asti s’impossessa di ciò che hanno in Bra e Fontane, ed essi riterranno ciò che hanno in Cherasco, Cervere, Pollenzo od altrove, fuorché sotto la giurisdizione di Asti. Invece se tornano in Bra o Fontane perdono ciò che hanno in Cherasco, Cervere, ecc. ossia sotto la giurisdizione di Alba. Però se qualche cittadino od abi- tante di Alba, prima della costruzione di Cherasco ebbe terre e possedimenti in Bra e Fontane, tuttora li conserva. 190 — Da tutto ciò si rileva quanto poca fosse la libertà del domicilio, e quale im- portanza si attribuisse alla scelta del medesimo. Quando si conferiva la cittadinanza di Asti a qualcuno, assai spesso era richiesto l’obbligo di avervi casa e di portarvi domicilio ('). Nell’Appendice (doc. n. 1017) abbiamo riprodotto un documento abba- stanza curioso del 1250, il quale mostra che Giacomo del Carretto, probabilmente per soddisfare all’impegno di avere casa e domicilio in Asti, che già aveva contratto suo padre fino dal 1191 (doc. n. 929), si limitava ad avere una casa nella quale egli potesse entrare quando si recava in Asti, ma dove abitualmente dimorava altri. La cittadinanza parrebbe anzi che implicasse di regola l’obbligo del domicilio, giacché nell’atto di cittadinanza d’Asti concessa nel 1225 a Milano Benso di Cheri (Appendice doc. n. 1012) esplicitamente si dichiara che pure essendo egli tenuto a pagare in Asti il fodro e la colletta, non abbia obbligo di starvi se non in quanto il voglia. Milano è figlio di Uberto Benso anche cittadino d’Asti e già nel 1201 (App. doc. n. 999) è accordata la cittadinanza di Asti a donna Benzia di Chieri. Sicché sin dall’inizio del secolo xm era iscritta alla cittadinanza di Chieri e di Asti la famiglia da cui venne quel Benso di Cavour al quale tanto deve l’Italia odierna. Parimente pel trattato di pace del 1290 (App. doc. n. 1035) i conti di Biandrate si fanno cittadini d’Asti con obbligo di fodro, prestiti, taglie e dazio sovra 600 lire astesi e di due milizie, ma non hanno obbligo di domicilio in Asti fuorché in caso di guerra. I Conti non prenderanno ad abitatori delle loro terre gente d’Asti, e reci- procamente. Non mancano certamente casi in cui la cittadinanza implica solo egua- glianza di diritti e di protezione. Nella lega del 1223 tra Alessandria, Asti ed Alba (App. doc. n. 1010) i cittadini dell’una città sono pure cittadini delle altre due. Ed è anzi stabilito che il podestà, il console, il rettore di una città andando in qualcuna delle altre ed ivi mancando chi copra l’omonimo ufficio, eserciti colle leggi di questa città lo stesso ufficio di cui è investito nella città sua. Ma prescindendo da questi casi è evidente che Asti cercava di accrescere la sua popolazione, e forse anco di tenere sotto mano i circostanti signorotti, obbligan- doli al domicilio in città. Vi è nel Codice qualche traccia delle difficoltà che si tro- vavano nel fare un nuovo paese. Nel 1200 si edificava Montechiaro (doc. n. 771); si lascia al novello comune discreta autonomia, e potrà avere podestà proprio, ovvero mandato da Asti quando non lo si voglia del luogo. Sono indicate le terre dalle quali si possono trarre gli uomini, ma non vi potrà andare altri di Asti o de virtute astemi senza licenza. Ed il podestà di Asti aiuterà cum carusis quelli che vi possono andare, a portare le loro cose alla nuova terra. Nel 1275 (n. 845-47, 937) si acquistano uomini in Lavezolio, Serra, Azelio, Castelnuovo di Gorzano dai loro signori onde popolare S. Damiano. Sorgono poi con- testazioni nel 1280 (doc. n. 849, 852, 853) dalle quali anche meglio si vede come siasi proceduto per fondare questo nuovo paese. Sovra L. 3500 ancora richieste per gli uomini condotti in S. Damiano, i giudici ne attribuiscono 1200 ai richiedenti. (’) Vedi ad esempio i seguenti documenti del 1173 (n. 723), 1190 (n. 559), 1191 (n. 908, 929), 1198 (n. 717, 932), 1202 (n. 654, 779), 1206 (n. 933), 1207 (n. Gli), 1216 (n. 851), 1223 (n. 934), 1224 (d. 883, 898), 1237 (n. 718), 1276 (n. 842). — 191 — La mancanza di libertà di domicilio doveva certo essere una delle più nocive, e condurre la repubblica a corruzione e non a progresso, imperocché in questo modo mancava la possibilità della concorrenza del lavoro. La mezzadria pura e semplice sembra fosse sistema non infrequente. Vedremo più innanzi qualche caso del 1242, in cui taluni degli uomini possedenti terre davano metà del loro prodotto al padrone. Altri analoghi se ne potrebbero citare. Ricor- diamo un atto del 1199 (doc. n. 172), che nella intestazione è detto come fatto in occasione massaricii , per cui Asti dà ad un tale i suoi possessi in Mombercelli, conchè esso dia la metà dei prodotti, ed abbia anche l’obbligo di condurli in Asti, ogni qualvolta il Comune non voglia la sua parte di messe in Garba. Parimente nel 1212 (doc. n. 205) due venditori si impegnano a lavorare le terre vendute, ed a dare la metà dei frutti della terra e degli alberi. I tributi dei quali di consueto si parla sono il fodro e l’obbligo di aiuto in caso di guerra. Il fodro era una tassa di quotità, sebbene sia talvolta determinata in contingente per i paesi aggregati alla cittadinanza di Asti. Nel 1198 (doc. n. 276) gli uomini di Monteleucio, Mezadio, Vigliano daranno un censo di 12 denari de unoquoque jugo, e di 4 denari de unoquoque manuali , ovvero pagheranno il fodro quando ci si addiviene, salvo che si recassero ad abitare in Asti. Nel 1282 la quota del fodro fu di 22 denari per lira, ossia di 9,2 per °/o per lira di registro. Il fodro era deliberato od appaltato ad un collettore, ed un col- legio di giudici decideva sommariamente sui richiami (doc. n. 618). Nel 1290 (doc. n. 980) si raccoglieva un fodro o presto di 2 e di 4 denari per lira (0,83 e 1,67 per °/o). L’ammontare del registro o catasto di Asti sul finire del xm secolo ci è poi dato dalla cronaca di Ogerio Alfieri (capit. n. 48, 49) ; secondo la versione del nostro Codice era di 500,000 lire per le terre e possessioni, 2,000,000 lire ed oltre per la proprietà mobiliare (de mobili). Un documento del 1291 (n. 621) dà luce sulla distinzione fra la proprietà mo- biliare ed immobiliare per quanto riguardava le tasse, e sui costumi di quei tempi. Oberto de Serra di Genova ammetteva di pagare le taglie sugli immobili che aveva in Asti, ed il Comune pretendeva che pagasse anche sovra i suoi mobili. Il Serra procuratasi da Genova una carta cambii sive lauclis faceva arrestare gli Astesi e le loro robe. Un arbitrato decide poi che il Serra paghi sugli immobili che ha nella giurisdizione di Asti, e sovra 400 lire a titolo di beni mobili. Ove poi il Serra an- dasse ad abitare Asti, per cinque anni pagherà sulle 400 lire per quanto riguarda i mobili, ma dopo pagherà come tutti gli altri. — Vale a dire che il soggiorno necessario a dare la equiparazione agli altri cittadini, era di cinque anni. II fodro era pagato all’autorità sovrana del Comune, ed aveva il carattere di vera imposta generale di Stato. Oltre a ciò vi erano poi tutti i diritti particolari provenienti dalle condizioni giuridiche speciali di ciascun paese, ed anzi di ciascun cittadino del paese rispetto ai vassalli o signori del medesimo. Per avere idea dell’andamento di queste condizioni speciali citiamo due docu- menti relativi allo stesso paese, ma ad epoche lontane l’una dall’altra di 16 lustri. Nel 1211 (doc. n. 189) Mubilia e Ascherio de Malamorte per 25 lire vendono ad Asti la sedicesima parte castri et ville et posse Malemortis et de omni eo qucd 192 habebant, tenebant et pcssidebant ipsi vcl olii prò eis juste vel injuste in predicto loco, et de omni eo quod ibi acquifere poterint in aliquo tempore cum omni honore et comitatu quod hab'ent in predicto loco et in pertinenciis , videlicet in hominibus feudatis et infeudatis , in drictis, in fictis , in terris cultis et incultis, in cerbis, in pratis , in rupibus et in ruinis , et in nemoribus , in ecclesiis et in capellis , in pa- scmi, in acquatu et ripatu , in venationibus et in piscationibus , in furnis et in mo- lendinis, in fontibus et in omnibus comunibus aliis rebus Malemortis cum omni honore et comitatu , et cum districtu et posse que habebant et habere hactenus visi sunt in Malamorte in castro et villa et posse , aliquo modo. Nel 1290 (doc. n. 195) Corrado e Albertino de Mongarello per 40 lire vendono la metà del sedicesimo di Malamorte con una formola analoga alla precedente, ma oltre i dritti surriferiti vi si specifica ancora che si vendono pedagia, deci mas, roàcias , caregia , spio, yr olia , et omnia alia ad dominium et segniorium pertinentia et spedali - eia . . . omnia jura pertinentia eisdem venditoribus . . . in fodris , prestitis , taleis successionibus, aconzamentis, exercitibus et cavalcatis, rosiis et caregiis, guaytis, scharaguaytis , fossatis atque spinatis et quibuscumque clausuris et castellagiis , ca- pellaniis, jure patronatus et generaliter eisdem et cuilibet eorum spectantibus . .. tam actionibus supradictis quam feudi seu feudorum et fidelitatum et generaliter omnia alia pertinentia ad segnoritum , contitum et dominium in Malamorte. E la stessa formola si trova nei doc. n. 196 e 197 dello stesso anno, con cui Asti acquista da due persone il loro sesto di sedicesima parte di Malamorte per L. 10 in un caso e L. 4 nell’altro. Sembra quindi che i gravami della feudalità nel secolo decimoterzo andassero crescendo col tempo e di natura e di denominazioni. 30. Condizione delle donne ('*). Il dominio di Asti essendosi, come vedremo, sovratutto ingrandito per un pa- ziente lavorìo di successivi acquisti di piccole e parziali signorie sulle terre circo- stanti, così ne consegue che il libro dei dritti del Comune, quale è il Codice Mala- baila, si compone in molta parte degli atti per cui i vicini signorotti donavano o vendevano le terre loro ad Asti, e ne erano poi investiti in feudo dal Comune stesso. In codesti atti si parla sovente delle ragioni delle donne, sicché se ne può tirare qualche illazione sulla condizione giuridica fatta in quei tempi alla donna nelle fami- glie feudali dell’Astigiana. Assai numerosi sono gli atti di vendita o di donazione al comune di Asti, i quali contengono ed implicano la approvazione della moglie del venditore, o della madre sua o delle nuore, ed anche la esplicita rinuncia delle ragioni loro sulla signorìa o terra che si cede. Si hanno approvazioni e rinuncie di questa fatta in tutti i tempi ai quali si estende il Codice, trovandosene dal 1108 al 1290 (2), ed ove si eccettuino (') Paragrafo presentato alla K. Accademia dei Lincei nella seduta del 28 aprile 1878. (’) Veggansi ad esempio di codeste approvazioni e rinuncie, gli atti seguenti: n. 891 del 1108; n. 939 del 1135; n. 615 del 1179; n. 748 a 753 del 1 185 ; n. 690 del 1191; n. 692, 693 del 1193; n. 958 del 1194; n. 614 del 1198; n. 128 del 1200; n. 321, 679, 681 del 1202; n. 324 del 1203; n. 176 del 1208; n. 136 del 1209; n. 361, 364, 370, 372, 382, 389, 393, 397, 409, 873 del 1212; — 193 — i massimi casati dei marchesi di Monferrato e dei conti di Savoia, in ogni ordine di famiglia. Citeremo qualche esempio relativo alle famiglie aleramiche. Nel 1191 Manfredo n marchese di Saluzzo cede quanta signoria ha in Roma- nisio, Saluzzo e Castiglione al comune di Asti, e questo ne investe in feudo lo stesso Marchese. Nell’atto relativo (doc. n. 690) il Marchese si impegna di farne giurare l’osservanza a sua moglie Alasia di Monferrato. Nel 1193 ai 26 maggio, Asti investe in feudo il marchese Manfredo di quanto spettava al Comune in Saluzzo, Romani- sio e Castiglione (doc. n. 691), e nel giorno seguente Manfredo e la sua consorte Alasia immettono il Podestà di Asti in possesso del castello di Saluzzo (doc. n. 692). Ma tutto ciò non bastando ancora, l’il giugno donna Alasia rinuncia con atto for- male (doc. n. 693) a tutte le ragioni che le potessero spettare per la sua dote sovra Saluzzo, Castiglione e Romanisio ceduti ad Asti da suo marito col patto del 1191, che essa giura solennemente di osservare. Ma il Marchese di Saluzzo trascurò di pagare ad Asti il fodro che doveva per Saluzzo, Romanisio e Castiglione, ed inoltre acquistò da Enrico marchese di Savona la terra di Lequio della Langa senza licenza di Asti, da cui il marchese Enrico teneva detta terra in feudo. Onde nel 1224 fat- tasi la pace fra Asti ed il marchese Manfredo in di Saluzzo, si convenne che questi dovesse riconoscere la signoria di Asti non solo in Saluzzo, Romanisio e Castiglione, ma ancora in Carmagnola e Lequio. Nell’atto di pace (doc. n. 696) il marchese Man- fredo m si impegna di far rinunciare e giurare sua nonna Alasia, e sua moglie quando avrà 12 anni (’). La signora Alasia detta nei doc. n. 697, 698 contessa di Saluzzo, prende parte col marchese Manfredo alla immissione di Asti in possesso del castello di Saluzzo, e con atto speciale approva i patti stretti da suo nipote e rinuncia ad ogni ragione sulle località sovracitate la quale dipenda dalla sua dote od altrimenti. Nel 1202 Berengario i marchese di Busca donando ad Asti ogni sua signoria in Cavallermaggiore promette di fare rinunciare a sua moglie ed alle sue nuore al dritto ipotecario, al senatusconsulto Velleiano, e ad ogni altro aiuto di leggi di cui potessero valersi sovra tale donazione (doc. n. 679). Ed infatti una settimana dopo Imilia moglie di Berengario e Alda e Metilde mogli dei figli suoi Guglielmo ed Ot- tone rinunciano per atto formale (doc. n. 681) ad ogni loro ragione sovra l’avve- nuta donazione. E la stessa signora Imilia allorquando nel 1217 (doc. n. 695) i suoi figli Raimondo, Guglielmo ed Ottone Boverio, già essendo morto il padre Berenga- rio, cedettero ad Asti la loro parte, che era di un terzo, della signoria di Saluzzo, rinuncia ad ogni ragione che le potesse spettare sovra tale donazione a titolo di dote od in altro modo. n. 366 del 1213; n. 223, 230, 231, 421^, 695 del 1217; n. 291, 540, 345, 348, 546 a 549 del 1218; n. 119 del 1220; n. 866 del 1221fn. 696 a 698, 881 del 1224; n. 330, 332 del 1228; n. 798 del 1237; n. 939 del 1278; n. 163 del 1289; n, 156, 161, 195 a 197 del 1290. (') Il Muletti, Mem. storico diplom. di Saluzzo Tom. ni, pag. 285, non crede all'esattezza della notizia del Della Chiesa che il matrimonio di Manfredo ni di Saluzzo con Beatrice di Savoia fosse avvenuto nel 1223, ritenendolo invece col Guichenon avvenuto nel 1233. Il nostro Codice dimostra che nel 1224 già era adempiuta la promessa fatta nel 1223, e Beatrice era moglie di Manfredo seb- bene non ancora dodicenne. 25 194 — Ed analoghe rinuncie di diritti femminili od approvazioni di cessioni fatte dai mariti, dai figli, dagli suoceri si osservano negli atti relativi alle più modeste fami- glie aventi qualche porzione di dritti feudali. Però le approvazioni o rinuncie delle quali si è sinora tenuto discorso, sem- brano dipendere per la maggior parte da ragioni dotali. Potrebbero è vero anche avere origine dalle liberalità, contradoti o dagli antefatti donati dal marito nello spo- salizio, oppure dai doari od usufrutti in quella circostanza assicurati alla donna. Come non sarebbe impossibile che vi fosse tra marito e moglie comunione degli aumenti di patrimonio fatti durante la convivenza per guisa che vi fosse dei due coniugi una specie di condominio generale, finché o per morte o per separazione non si venisse a divisione. Indi è che i documenti citati provano soltanto che i feudi ed i diritti feudali spesso, o per fatto esplicito o per disposizione di leggi e di consuetudini, erano proprietà sulle quali si guarentivano le doti delle spose, od i loro antefatti, doari, o condomini negli acquisti. E la serietà della guarentigia è dimostrata dai due casi seguenti. Nel 1239 (doc. n. 664) Maria vedova Piola vende i suoi dritti verso i beni del fu suo marito, e specialmente sul castello e sulla giurisdizione di Fontane in occa- sione della sua dote di 80 lire re forti a forum, e la vendita è fatta di consenso delle figlie (ed una maritala noi dà che d’accordo col marito) e del figlio, e per consiglio e volontà del fratello della venditrice. ■ — Nel 1280 (doc. n. 504) Margherita Sibona moglie di Enrico figlio di Giacomo marchese di Busca, ricevendo da Asti 100 lire, rinuncia ad ogni ragione che, per atto del 1253, le proveniva sopra Cossano dalla sua dote di L. 700. Ma vi sono nel Codice Malabaila documenti dai quali si scorge come le donne avessero dei diritti sulla eredità paterna anche quando consistente in ragioni feudali. Nel 1205 (doc. n. 328) Bruno di Calosso a nome del padre Ottone Papino per L. 75 vende ad Asti la sua parte di signoria di Calosso che era di 3/i6. Approvano l’atto il padre Ottone, altri tre suoi figli, e due figlie. Inoltre tre di questi figli promettono di far giurare la loro adesione a detta vendita a due altri fratelli e ad una sorella minorenni quando saranno pervenuti in età. — Nel 1212 (doc. n. 388) Arnello di Yinchio per 53 lire pavesi e 21 lira astesi vende ad Asti la sua parte di proprietà e signoria di Yinchio, Vaglio e Castelnuovo di Calcea, e poscia (doc. n. 389), sua sorella Balsema rinuncia alle sue ragioni sopra detta vendita. Qualche giorno dopo (doc. n. 391) il Podestà di Asti investe Arnello a nome suo e della sorella Balsema della parte di Vinchio, Vaglio e Castelnuovo di Calcea, che da loro aveva acquistata. Ed analoghe rinuncie delle sorelle del venditore si trovano per vendite di fra- zioni di signoria sulle stesse località fatte nel 1212 da Ascherio di Yinchio per 53 lire pavesi e 21 lire astesi (doc. n. 379, 409) e nel 1212-13 da Rodolfo de Capra per 40 lire pavesi (doc. n. 364, 366). — Nel 1217 (doc. n. 233) Guglielmo Sclasso di Agliano ed il suo figlio Anseimo (assai sovente intervengono col padre anche i figli in simili atti) vendono la loro parte di signoria di Neive che è di 1/n più 1/18 ; Gatto di Agliano vende del pari la sua aliquota di 1/18 , ed a nome degli eredi Manfredo Presbitero l’aliquota loro pure di ’/is ; il tutto per 288 lire astesi. Di questi eredi 195 — di Manfredo Presbitero il figlio Giacomo giura di mantenere la vendita, e Gatto promette sotto pegno dei suoi beni che farà pure giurare le figlie di età maggiore di 12 anni, e le altre quando perveranno a tale età. — E parimente i fratelli Viale di Vinchio quando nel 1218 (doc. n. 353) vendono la lóro parte di Vincliio, Vaglio e Castelnuovo di Calcea per 198 lire, 6 soldi, 8 denari pavesi e 74 lire astesi, promet- tono di far rinunciare ad ogni ragione la loro sorella Agnese quando sarà pervenuta all’età di 12 anni. — Finalmente nel 1220 (doc. n. 119) Aicardo di Vigliano per L. 40 si dichiara soddisfatto dei danni recatigli da Asti, e le vende le ragioni ed azioni signorili che ha nei castelli di Vigliano e Paruzzone. Inoltre promette che le sue sorelle rinunzieranno ad ogni diritto che avessero sovra le sudette ragioni ed azioni per eredità paterna o materna. Ma codeste adesioni o rinuncie potrebbero avere origine dall’obbligo dei fratelli di dotare le sorelle. Ed infatti che potendosi si dotassero le sorelle con beni mobili piuttosto che immobili sarebbe provato dal documento seguente. Nel 1213 (doc. n. 876) Guglielmo de Montaldo tutore di Baiamondo e Giacomo de Castelleto a nome di questi prega il vescovo di Asti, il quale ha l’alto dominio del luogo di cui si tratta, di permettere la vendita della parte di signoria che i suoi pupilli hanno in Castellinaldo, e ciò perchè costoro possano maritare la sorella. Egli asserisce che detti minori non hanno mobili unde predictam possent expellere neces- sitatemi e la signoria in quistione si venderà più comodamente di ogni altra cosa, ed infatti Asti ne fa tosto acquisto per 33 lire, 6 soldi, 8 denari. Però anche nel nostro Codice non mancano esempi, i quali dimostrano il pos- sesso diretto di ragioni feudali nella donna. Già abbiamo detto (§ 21) che nel 1065 la contessa Berta Arduinica unitamente ai suoi figli fece una donazione alla chiesa di S. Maria di Asti. — Nel 1202 (doc. n. 318) Robaldo Manteacio dona ad Asti la sua parte di Calosso che è di y8, quella che ebbe per sua moglie che è di 1/lc, e quella che acquistò per sua moglie dagli im- peratori ed è di 1/32, e si impegna di far giurare alla moglie la sua adesione alla vendita. — Nel 1211 (doc. n. 189) donna Mubilia di Malamorte ed Asclierio di Mala- morte vendono 1/16 di Malamorte, ed il figlio ed i nipoti di Mubilia rinunciano alle loro ragioni. — Nel 1212 il marito, la moglie ed il loro figlio vendono la loro parte di signoria in Vinchio, Vaglio e Castelnuovo di Calcea (doc. n. 382 a 385'. — Nel 1213 (doc. n. 310) Belda di Agliano vende la signoria di Agliano per L. 550, ed il ma- rito approva la vendita. — Nel 1221 (doc. n. 862) Agnese e Metilde sorelle di Priocca donano ad Asti V12 del castello, della villa e della giurisdizione di Priocca di volontà dei loro mariti fratelli Rolando e Nicola de Lavezollis, i quali cedono ogni ragione e signoria che loro spettasse jure dationis dotis. Talvolta è chiaro che la comproprietà feudale della donna trae origine dalla sua compartecipazione coi maschi alla eredità della signoria dei genitori, ma potendo questi diritti femminili avere origine dalla mancanza di successori maschi, hanno più importanza gli esempi seguenti. Nel 1212 (doc. n. 361) Enrico Grullo per la metà e Bonifacio e Corrado e Giacoma e Beninca, fratelli e sorelle per l’altra metà, vendono la loro parte di si- gnoria in Vinchio. — Nel 1218 (doc. n. 291, 541, 549) Ugo Carena e la sorella Damicella vendono temporariamente la loro parte (’/g) di signoria sopra Masio per 196 un prestito di L. 100 da non riscattarsi prima di sei anni; fanno quitanza della loro parte di signoria di Monte Leucio per L. 25; e vendono Vis di Lanerio e la loro parte di S. Marzano per 66 lire, 13 soldi, 4 denari. Nel 1239 (doc. n. 130) Aicardo e Imelda fratello e sorella, e questa col con- senso del marito, vendono la loro parte di Vigliano. — Nel 1250 (doc. n. 436) Gia- colino e Metilde fratello e sorella Ardanengo possedono Ve del terzero di S. Marzano. — Nel 1290 (doc. n. 156) i figli del fu Ascherio Sbarato e quelli della fu Pavesia sorella di Ascherio vendono Vie di Mombercelli ed Vie di Malamorte per 160 lire. Finalmente non mancano casi dai quali apparrebbe che la parte delle femmine era eguale a quella dei maschi anche nella divisione ereditaria dei dritti feudali. Od almeno, se non avendosi sottocchio gli strumenti di divisione nulla si può dire di certo sull’eredità intiera, si trova l’eredità di certe ragioni feudali divisa in parti eguali tra maschi e femmine. Nel 1209 (doc. n. 136) Merlo di Mombercelli vende per 19 lire, 10 soldi la sedicesima parte di Mombercelli, e sua sorella Giulia approva per la sua parte, che si dichiara essere la metà di tutta la vendita. Nel 1237 e nel 1243 il marchese di Monferrato ebbe in prestito da Baiamondo e Raimondo fratelli Peletta lire 700, per le quali egli aveva dato loro in pegno il castello di Vignale. Nel 1291 Asti rimborsò gli eredi dei fratelli Peletta per acqui- starne tutte le ragioni sopra il castello di Vignale, e vennero stipulati quattro atti : due coi quattro figli (o loro successori) del Baiamondo Peletta, i quali se ne dichia- rano eredi ciascuno per la quarta parte (doc. n. 760, 761); e due cogli eredi di Rai- mondo Peletta; l’uno (doc. n. 758) coi due suoi figli che se ne dichiarano eredi cia- scuno per la terza parte, e l’altro (doc. n. 759) colla di lui figlia Sicheta, la quale si dichiara pure erede di suo padre per la terza parte. E però curioso che il pagamento, il quale si compie mediante iscrizione del creditore sul libro dei creditori di Asti, è fatto in capo ad Oppezino Asinari marito della Sicheta, e non alla venditrice stessa. Il concorso della donna nella proprietà o comproprietà delle ragioni feudali è poi dimostrato da molti atti nei quali Asti dopo acquistata la signoria di una terra, ue investe in feudo lo stesso venditore. Qualche rara volta la investitura è fatta in recto feudo senza parlare nè di maschi nè di femmine (') ma per lo più la investi- tura si fa nomine recti feudi in filios et filias , masculos et feminas o con qualche altra forinola equipollente (2) e così fatta disposizione si applica anche alle famiglie aleramiche: al marchese di Ceva nel doc. n. 561 del 1190, al marchese di Savona nel doc. n. 254 del 1191 e ad altri marchesi del Carretto nei doc. n. 250 del 1209, e 261 del 1228, al marchese di Saluzzo nel doc. n. 910 del 1206, ai marchesi di Incisa nel doc. n. 470 del 1210, al marchese della Rocchetta nel doc. u. 474 del 1291. (') Vedi ad esempio i documenti n. 169 del 1189; n. 98, 99 del 1207; n. 77 del 1216; n. 836 del 1219; n. 246 del 1242 ecc. (’) Vedi ad esempio i documenti che seguono: n. 135 del 1189; n. 559, 561 del 1190; n. 254 del 1191; n. 121 del 1192; n. 434 del 1200; n. 323, 680 del 1202; n. 325 del 1203; n. 329 del 1205; n. 910 del 1206; n. 250 del 1209; n. 470 del 1210; n. 190 del 1211; n. 352, 381, 387, 391, 400, 871 del 1212; n. 313, 315 del 1213; n 342 del 1215; n. 877 del 1216; n. 226,236 del 1217; n. 514, 549 del 1218; n. 239 del 1219; n. 120 del 1221; n. 882 del 1224; n. 261 del 1228; n. 406, 407 del 1246; n. 448 del 1274; n. 464 del 1277; n. 405 del 1280; n. 474 del 1291. — 197 — Nel 1295 (doc. n. 677) Nano marchese di Ceva è investito da Asti del mar- chesato di Ceva, comprendente Ceva, ed altri 22 paesi, la cui alta signoria era stata nello stesso anno acquistata dal medesimo Nano, in recium nobile et gentile feudum prò se et fìliis suis et aliis eorum heredibus seu successoribus tam ma- sculis guani feminis , fratribus , collateralibus (doc. n. 675). Oltre a quelli che si citarono si trovano esempi di donne le quali compiono mansioni autonome. Nel 1221 (doc. n. 215) una vedova a nome suo e dei suoi figli dona ad Asti un sedime acquistato da suo marito nel 1218. — Vi sono donne le quali giurano la cittadinanza di Asti (vedi ad es. il doc. n. 774 relativo al 1198). — Nel 1215 11 monastero di S. Felice in Pavia volendo contrarre prestiti sulle sue proprietà fuori di Pavia nomina sua procuratrice la suora Faustina, e questa combina con Asti la promessa di vendita di Villanova per 600 lire pavesi: promessa che appro- vata dal capitolo delle monache del monastero, e dal preposto e dai canonici della chiesa di Pavia a nome anche del Vescovo assente per essersi recato al Concilio, è poi tradotta in atto formale di vendita per parte del capitolo delle monache, del- l’avvocato, e di due vassalli del monastero. Vi ha però nel Codice un atto che non indicherebbe una consuetudine di rispetto alla donna, quale apparrebbe dalle precedenti citazioni. Nelle cessioni fatte dai ma- riti si dice di consueto che le mogli approvano sponte , e spesso si aggiunge non coacte , frase che sembrerebbe una semplice ampliazione del concetto della sponta- neità. Ma all’atto del 1221 (doc. n. 866) con cui Manfredo e Bartolomeo Mataracio vendono la loro aliquota (la sedicesima parte) della signoria di Priocca, ne sussegue un altro di quasi due mesi dopo, con cui le loro mogli Agnese ed Alasia eorum sponte et non coacte ut confesse fuerunt neque verberate rinunciano ad ogni loro ragione sulla vendita fatta dai mariti. 81. Misure delle terre ('). Pochi lustri prima dell’introduzione del sistema metrico decimale, le misure agrarie adoprate in buona parte del circondario di Asti (2) erano abitualmente quelle del rimanente del Piemonte propriamente detto, ed il loro valore, prima della corre- zione introdotta nel 1818, era il seguente: Una giornata = 100 tavole — 8 A stari — are 38,009; dividendosi la tavola in 12 piedi di tavola, ed il piede in 12 onde. Però in alcuni paesi (Azzano, S. Marzano, Portanze, Mombercelli, Vinchio, Monte- grosso, Agliano, Montaldo Scarampi) la giornata si divideva in 8 stari, e lo stara era di 12 \ tavole. In altri paesi la giornata, pur rimanendo di 8 stari, si componeva di sole 96 ta- vole, cosicché lo stara riesciva ancora di 12 tavole. E finalmente parecchi luoghi del circondario di Asti, e dei finitimi, vi erano, nei quali vigeva pure una unità agraria di 8 stari e di 96 tavole, ma col nome di moggio. (') Questo paragrafo venne letto alla E. Accademia dei Lincei nella seduta del 28 aprile 1878. (:) Tavole di ragguaglio degli antichi pesi e misure degli stati di S. M. in Terrafenna, pub- blicate dal Ministero di Agricoltura e Commercio. Torino; Stamperia Eeale, 1849. — 198 — 11 valore di questo moggio, o giornata di 96 tavole, era il seguente. ' In Rocca di Arazzo, Rocchetta Tanaro, Belvedere, Tigliole, Frinco la giornata variava da are 35,16 a 34,41, ed era in media 34,70. In Annone, Cerro, Castelnuovo Calcea, Cisterna, Moasca, Quattordio, nel Mon- ferrato, in Felizzano, in quasi tutto il mandamento di Cassine, il moggio variava da are 35,09 a 31,36, ed era in media 33,21. Solo in Masio, Cassine, Refrancore si trovava un grosso moggio di are 53,45. Una giornata o moggio di 96 tavole, quali esse erano in vigore in Piemonte nel 1818, sarebbe stato di are 36,49. Nel Codice Malabaila troviamo quindici documenti (dal n. 513 al 527), tutti del 1288, con cui si vendono ad Asti 21 appezzamenti di terra in Cossano, per uso di edificazione ('). Abbiamo riassunto nello specchietto seguente la natura, l’estensiene degli appezzamenti di terra, il prezzo pattuito in ciascun contratto, ed il valore del moggio che ne risulterebbe nell’ipotesi, che anche in quei tempi fosse il moggio di 8 stari, lo stara di 12 tavole, e la tavola di 12 piedi. Le monete, di cui si parla così nei contratti come nello specchietto, sono la lira astese ed i suoi spezzati. j N. del documento [ APPEZZAMENTO DI TERRENO VENDUTO VALORE DEL MOGGIO NATURA ESTENSIONE PREZZO Moggi Stari Tavole 'S £ «D Soldi Denari Lire Soldi Denari 517 Vinee et sediminis 1 8 3 11 8 17 4 520 Sedimi nis — — 4 9 — 18 8 18 17 10 519 Orti — — — 8,5 — 3 2 21 9 2 522 Orti — — 5 9 1 5 11 21 12 8 513 Orti sive canevalij — 1 10 — 5 — 10 22 — — 514 Sediminis et orti — 11 — 2 10 5 22 — — 515 Id. id 8 — 1 16 8 22 — — 521 Vinee — 1 4 9 3 16 9 22 - — 524 Orti — — 7 — 1 12 1 22 — — 525 Terre — — 3 2 — 14 6 22 — — 526 Orti — 2 — 2 5 10 8 22 — — 518 Terre et sediminis 1 _ 7 128 8 4 22 1 7 Terre — 1 8 527 Sediminis 2 l — 2 2 8 18 14 11 : 3 5 7 Terre et orti — 4 — 8 523 Terre — — 3 2 \ 14 — — 4 5 Id — — 1 IO V 13 10 9 24 4 10 Orti — 1 10 4 Terre — 1 10 — 516 Orti — — 4 1 — 7 24 14 — (') In qua pecia terre conslruilur et aedificalur villa burghi Goxani. Doc. n. 513. 199 — Dalla fatta ipotesi consegue : che per sette contratti il valore del moggio è esat- tamente di lire 22; che per gli altri otto contratti il valore del moggio va da 17 lir. 4 sol., a 24 lir. 14 sol.; che per tutti i 15 contratti il valore medio del moggio è di 21 lir. 16 sol. 9 den. con variazioni che non eccedono il 23 per cento in meno e l’il per cento in più. Se ora si considera che i contratti si riferiscono a diverse specie di terre, cioè orti, terre in genere, vigne, sedimi ('), orti e sedimi, se ne dovrà concludere, che la denominazione e la divisione delle misure agrarie era in quei luoghi, e sei secoli fa, quale ve la trovò l’introduzione’del sistema metrico decimale in questi ultimi tempi. Non è certo facile decidere, se lo stara fosse di 12 piuttosto che di 12 \ tavole, ed anche peggio il decifrare, se non si adoprassero stari delle due specie. Infatti l’au- mento di valore, proveniente dalla ipotesi di 12 \ tavole, non sarebbe che di un ven- tiquattresimo, e nel nostro quadro non si presenterebbe per nulla assurdo un valore di 22 lir. 18 sol. 4 den., anziché di 22 lire per una superficie di 8 stari. Ma nel caso nostro, non ci sembra probabile che nello stesso paese di Cossano si avessero due specie di stari, e non ci sembra combinazione fortuita, che in sette contratti sopra 15, si trovi l’identico valore per lo staro, ammettendolo di 12, piuttosto che di 12 \ tavole. È degno di nota che la qualità di sedime non accresca valore alla terra, proba- bilmente perla miseria dell’abituro che talvolta vi stava sopra, o che vi si poteva edificare. E ciò non deve far meraviglia, poiché la stessa città di Asti, secondo la cronaca di Alfieri, nel 1190 era solo cinta da siepi, ed in essa non vi erano case di mattoni nuovi (’). La costanza e la semplicità del valore del moggio risultante per quasi la metà dei contratti esaminati, sebbene relativi a terre diverse, oltre all’essere importantis- simo argomento per riconoscere la suddivisione delle misure agrarie, prova che, nel 1288, e per terre nelle condizioni di quelle acquistate da Asti, il prezzo ordi- nario, per estensioni medie di quasi 1 1 stari, era realmente di L. 22 il moggio, ossia di 2 lire, 15 soldi lo stara. Nel 1189, Asti fece in Castellalfero 7 contratti per acquisto di terre (doc. dal n. 747 al n. 753), i cui dati risultano dal quadro seguente, nel quale, per determinare il valore del sestario, si suppose ancora che esso si componesse di 12 tavole, e questa di 12 piedi. Nura. del documento TERRA VENDUTA VALORE DEL SESTARIO ESTENSIONE PREZZO Sestari Tavole Piedi Soldi Denari 1 Soldi 747 5 — — 15 6 3.10 748 5 8 1,5 17 1 3,01 749 — 9 — 2 3 3 750 4 5 — 13 — 2,95 751 2 7 8 8 — 2,94 752 13 — — 39 — 3 753 3 4 — 10 — 3 Totale 34 9 9,5 104 10 3,01 (’) Sedime da sedes ossia luogo vuoto idoneo alla fabbricazione; in questo senso sta in parecchi casi addotti dal Du Cange e fra gli altri negli Statuti di Vercelli e d'Asti. Altre volte sedime sta per casa dove alcuno sta (sedet) ed anche con questo significato occorre negli Statuti d’Asti al cap. 78, fui. 3-3v0 ove è detto dumus live sediminis. Sedimen super quo erat domus nel doc. n. 520. (2) N. 27 Chrouic. — 200 — I risultati, che si ottengono per il valore del sestario, sono anche concordanti in modo da lasciar credere, che la divisione dello stara in tavole e piedi era nel 1189 a Castellalfero la stessa, che nel 1288 a Cossano. Il valore medio del sestario risulta di soldi 3,01 cou divergenze minori del 3%. È notevole che tre contratti sovra sette conducono ad un valore di 3 soldi esatti per stara, ossia di 1 lira, 4 soldi per moggio. È naturale supporre anche qui, che codesto fosse il valore normale delle terre della estensione media di quasi 5 stari. Nel Codice Malabaila si parla ancora di altre misure agrarie: assai spesso della (l 'tornata , qualche volta di clisnaoyra ( clisnaora terre, dimar oa t., disnaoyra t., disnayora t. nel doc. n. 578; disnaoria orti nel doc. n. 580; disnarium nel doc. n. 667), e di scayricia ( scayricia prati nel doc. n. 578) ('). In qualche documento più antico si parla anche di jugum ( jugia nel doc. n. 52 del 1065). Ma non ci cadde sott’occhio alcun dato, da cui desumere il valore di queste misure. Abbiamo esaminato qualche altro documento che ci venne indicato dal cav. Vayra, e specialmente un atto di divisione tra i fratelli de Ricci del 1344, ed il notulario del 1356 di Giacomo Meglino notaio di Asti, ove si trovano trenta contratti relativi a fitti o vendite di terre. Da entrambi si sarebbe indotti a credere, che anche in quelle epoche il moggio, lo stara, la tavola, il piede, l’oncia si componevano come fu detto. Per esempio nella divisione Ricci è detto esplicitamente, che la metà di una terra di 2 moggia, 3 stari, 9 tavole, 10 piedi, è di un moggio, 1 stara, 10 tavole, 11 piedi. Lo specchio seguente indica per le terre date in affitto o vendute cogli atti contenuti nel notulario Meglino, la estensione loro, il loro fitto o prezzo totale, ed il fitto o valore di ciascuno stara. Dati due di questi numeri, il terzo è determi- nato. In qualche caso tutti tre i numeri sono indicati nell’alto, ed essi giovano ad accertare la suddivisione delle misure agrarie. Per lo più son dati l’estensione ed il fitto o prezzo della terra, ed indicammo nello specchio colla lettera c il fitto o valore dello stara, che se ne dedusse. Avvi per contro qualche atto, in cui si do- vette calcolare il prezzo, od anche la estensione della terra, per mezzo degli altri due dati. La lettera p nella colonna degli anni di fitto, indica che esso è perpetuo. Il nu- mero contenuto nella prima colonna indica l’ordine con cui si susseguono nel notu- lario i trenta contratti esaminati, prescindendo dagli altri atti in esso contenuti. (') Anziché proprie e vere misure, la disnaoyra e la scayricia potrebbero essere designazioni generiche di porzioni di terra ora più ora meno grandi. Come (lenairata , denariala e denarala terre fu adoperato per indicare la porzione di terreno pel quale era dovuto un denaro di censo (V. Du Cange Gloss.), così la disnaoira potrebbe indicare un quantitativo di terra il cui censo era un disnarium; parrebbe dimostrarlo l'uso della parola disnarium nel documento n. 667. Scarna significa porzione e particolarmente cuneo; scarrire e scarrilio, dividere in parti. La nostra scayricia non potrebbe essere una porzioncella? Di siffatte designazioni generiche di pezzi di terra si fa anche uso oggi nel dialetto locale. Un gaion di prato o di campo p. e. significa una porzione di terra generalmente allungata a forma di cuneo e di poca importanza, quasi uno scampolo. — 201 — Num. d’ordine LUOGO NATURA DELLA TERRA ESTENSIONE Fitto anni 1 I FITTO [ 0 PREZZO DELLA TERRA FITTO 0 VALORE DELLO STARA Moggi 1 Stari Tavole Piedi ! ® ! '-1 I 3 Soldi I Denari © Soldi Denari 1 Distretto d'Asti .... Sedime con muro — — 3 — P- — — — (2) — — — 19 Sessanto Terra e Vigna . 1 — — — P- — 8 — — 1 — c 17 Canelli Vigna — 5 6 — P- — 9 — — 1 7,6 c 18 Id Id — 5 6 — P- — 9 — — 1 7,6 c 15 Id Id — 5 3 — 29 — 10 6 — 2 — 16 Id Id — 5 3 — 29 — 10 6 — 2 — 22 Asti Id — 4 — — P- — 8 4 — 2 1 c 27 Id Terra e Prato . — 20 — — P- 3 — — — 3 — c 21 Eevigliasco Terra — 6 » Id Id 5 10 — — — 51 5 — 3 8,6 c » Id. (presso la villa) . Ajrale — 2* 2 Territorio d’Asti . . . Terra e Prato . — 20 — — 29 4 — ~(3) — 4 — 3 Nantea Vigna — 25 — — P- 5 — ~(4) — 4 — 24 Asti Terra e Vigna. — 8 — — P- — 33 — — 4 1,5 c 6 S. Marzanotto Terra — 4 4 6 20 1 10 >U5) — 7 — 26 Asti Orto e Prato . — 6 — — 3 6 15 — i 2 6 c 7 S. Marzanotto .... Terra — 1 6 — P- 1 14 — i 2 8 c 25 Asti (fuori le mura del borgo) Orto — 3 6 — 12 4 6 7(8) i 5 — 14 Id. borgo S. Martino. Sedime con casa(1) — — 6 — P- — 27 — 2 14 — c 8 Panelli . • Terra 4 6 13 10 — (7) 3 c 20 Antignano Terra — 4 2 — 18 15 V / 4 10 — c 4 Nantea Vigna e Prato. 16 2| — 83 — 3 12 8,4 c » Id Terra — 6 8Ì 9 Id Terra e Gorreto 2 4 6 6 98 15 — 4 16 1,7 c 30 Castiglione de romano (del Tanaro?) . . . Terra — 4 6 — 30 7 6(8) 6 15 — 23 Villanova Terra — 14 — — 378 2 6 7 10 — 29 Id Terra — 2 4 5 > 28 10 — 12 — 8,4 c 12 Id Terra e Vigna con Ajrale e casa 5 7 3f ° 122 5(10) 12 7 0,2 c 13 Id Terra e Gerbido — 4 4 3 28 S. Marzanotto Terra — 1 — — 19 — — 19 — — 10 Villanova d’Asti . . . Aja — — 11 3 39 7 6(u) 42 — — c 11 Id Id — — 11 3 39 7 6(H) 42 — — c (') Devesi però avvertire che la casa non era del proprietario del fondo ma bensì del conces- sionario il quale l’aveva comprata il giorno innanzi di questo contratto per il prezzo di 35 fiorini d’oro coll’onere del fitto qui indicato, al proprietario del terreno, che era un altro. Quindi qui non si tratterebbe di un vero e proprio fitto. Il concessionario non potrà vendere la casa e i diritti sul sedime senza offrirli e darli al proprietario del fondo a due soldi meno per lira o se vendesse ad altri, pagare due soldi per lira di acconzamento. Di simile contratto vi è altro caso in borgo S Martino, 26 202 — La suddivisione delle misure è dimostrata dai contratti n. 6, e 5, ove il prezzo indicato nell’atto concorda col prodotto dell’estensione della terra per il valore dello stara dichiarato nell’atto stesso. Il contratto n. 23, relativo alla vendita di una terra in Villanova, dice che essa è di 14 stari, ed il prezzo di 98 lire, e così in ragione di 56 lire per giornata di 100 tavole. Indi risulta che ivi erano la giornata di 100 tavole , e lo stara di 12 \ tavole. Cosicché almeno nel 1356 si avevano già nell’Astigiana screzi nelle misure analoghi a quelli che vi trovò il sistema decimale, poiché lo stara, se mostrasi negli altri luoghi di 12, è in Villanova di 12 \ tavole. Le variazioni di valore nelle misure da terra a terra, o da città a città risul- tano anche dal Cadice. Nel 1207 venne fatta una inchiesta dei diritti che spetta- vano ad Asti in parecchie terre acquistate dal Marchese di Busca. Vi si parla di moggi di annona ad rninam Albensem (doc. n. 84, 86), e ad minam Astensem (doc. n. 85). Ed Asti, nello estendere la sua giurisdizione, si occupava anche di fare adot- tare le sue misure. Per esempio nel loro atto di cittadinanza del 1201, quei di Stella (doc. n. 859) si obbligano ad adottare la misura del pane e del vino, i pesi, e le monete di Asti. Il valore dello stara risultante dai contratti rogati nel 1356 dal Meglino, varia notevolmente sia nei fitti come nelle vendite. Si possono però mettere fuori conto gli ultimi quattro contratti ove si vedono fìtti molto elevati, giacché uno riguarda un sedime con casa, due si riferiscono ad orti, ed altrettanto si può presumere del quarto. E del pari si possono omettere le ultime due vendite, le quali riguardano aje, che si intende possano avere un valore speciale. Il valore medio risultante per lo stara dagli altri contratti è di 3 soldi, 6, 8 denari per il fitto, essendo la esten- sione media di poco più di 8 stari; e di 6 lire, 10 soldi, 9 denari (pari a 52 lire, 8 soldi per moggio) per l’acquisto. Il rapporto fra i prezzi medi del fitto e dell’acquisto corrisponde al tasso assai modico del 2, 7 per %. Ma tornando alla quistione delle misure, i dati che ci vennero sott’occhio pro- vano, che laddove si parla di moggi, lo stara si divide in 12 tavole; ma non pos- siamo affermare altrettanto dei luoghi ove si parla di giornate, poiché nel solo caso in cui si ebbe conoscenza dei suoi sottomultipli, e, ssa si compone di 100 tavole, e lo stara è di 12 \ tavole. Ma questa differenza non sarà molto ragguardevole rela- tivamente alle considerazioni che in appresso faremo, giacché la si riduce al 4 per cento. Indi possiamo ritenere che il moggio e la giornata presumibilmente erano in cui il fìtto è detto anche pensiona ed i concessionari sono chiamati enfiteoti. (2) Il fìtto è stabi- lito in un cappone ed in un pollastro. È apposta la condizione che se l’affittuario volesse vendere i diritti derivanti dal presente contratto debba prima offerirli al proprietario e venderglieli per un soldo meno per lira dcd giusto prezzo. Dopo un mese dall’offerta può venderli a chi vuole, meno a qualche chiesa, o persona ecclesiastica o di ospizio (società) , ma dovrà però pagare un soldo per lira a titolo di acconzamento. Questa clausola è quasi apposta a tutti gli affittamenti. (3) Il fitto della terra è calcolato sul fitto della tavola indicato nell’atto. (k) Id. id. (5) Più un cappone, che sembra tener luogo del mezzo denaro da aggiungersi al prezzo perchè corrisponda a 1 soldi lo stara. (6) Il fitto della terra è così espresso nell’ atto. (7) Il prezzo è indicato in 6 fiorini d’ oro, ed il fio- rino si suppone di 2 lire e 5 soldi. (8) L’ estensione è calcolata. (9) È indicato il prezzo della giornata di 100 tavole, in lire 56. (I0) Invece di !/3 di piede, nel contratto è detto 4 oncie. (") Il valore è indi- cato in 3 lire e 10 soldi la tavola, il prezzo in 17 | fiorini d’oro, onde risulta il fiorino = 2 lire e 5 soldi. — 203 circa un terzo di ettaro, con qualche probabilità che la giornata fosse un po’ più grande del moggio. 32. Estensione degli appezzamenti di terra ('). Gli atti che abbiamo sinora esaminati, riguardano soltanto appezzamenti di pic- cola estensione. Gioverà indagare a quale conclusione conducano gli altri documenti del Codice relativamente all’importante quistione della grandezza della proprietà. Ed in questa indagine non ometteremo taluni particolari, i quali contribuiscono a dare idea della condizione delle cose e degli uomini in quei tempi. Nel 1242, secondo i documenti dal n. 666 al 668, per 100 lire si vendono ad Asti la signoria e le terre che spettavano in Fontane ad Ottone Piola. La vendita comprende 20 appezzamenti di terra della estensione minima di 1 giornata, massima di 10, totale di 53, e quindi media di 2, 6 giornate; un disnarium (vedi § 31), un ayralium (aja) (2), un cellarium (cantina) nel castello di Fontane, ed i diritti sopra 26 uomini. Questi giurano fedeltà e dichiarano i loro debiti e fitti che am- montano in totale a 22 soldi, 3 denari, inoltre a 4 spalle (3), e per 7 di essi al quinto del provento delle loro terre. Nello stesso anno 1242, da un lato Giacomo e Manfredo, e dall’altro Guglielmo e Bonifacio di Loreto donano ad Asti i loro dritti giurisdizionali e possessi allodiali in Loreto (4) e Belvedere, e quanto hanno in Canale, Priocca, Calliano, Castelletto ed in genere nell’Astixio, per 4000 lire i primi, e 1650 i secondi. Si stipularono quattro atti, che nel nostro Codice hanno i numeri dal 578 al 581. Esaminiamo i documenti n. 578 e 579 relativi a Giacomo e Manfredo di Loreto, tanto più che dànno un quadro abbastanza interessante delle relazioni sociali di quei tempi. Dal documento n. 578 risulta, che i venditori possedevano in Canale: 8 pezze di terra, 6 della estensione singolare da 2 a 16 giornate, e complessiva di 49 gior- nate, e 2 di 5 scayricie di prato, un mulino, circa 50 homines de fodro et hanno et succe ssionibus: inoltre parecchi diritti, che nell’atto sono indicati con sufficienti particolarità, sovra 42 persone possidenti dette terre, de’ quali parecchi sono anno- verati tra i sovradetti uomini di fodro e banno. Questi diritti, in due casi constano di determinate quantità di frumento, ma nel resto consistono in una aliquota del provento delle terre, la quale è talvolta di un ottavo, di un terzo, di una metà, ma è per lo più del quarto. Yi sono 19 casi in cui l’estensione della terra per la quale si paga una aliquota è determinata: cioè 6 casi, nei quali l’aliquota pagata al signore è del quarto, e la superficie varia da 1 a 3 giornate, da 1 a 2 disnaoyre : 10 casi in cui l’aliquota è del terzo, e la estensione della terra di 1 disnaoyra , e da 1 a 5 giornate : 3 casi coll’aliquota della metà, e con estensioni da 1 a 3 gior- (’) Paragrafo letto alla R. Acc. dei Lincei il 28 aprile 1878. (") Così interpreta il Du Cange (Gloss.), ma credo che più esatta sia l'interpretazione data dal Muletti (St. di Saluzzo II. 278), il quale crede si debba intendere una casa rustica con aia per battere le messi ; la parola ajral in dialetto piemontese ba ancora adesso questo significato. (8) Si trova frequentemente nel Codice questo tri- buto di una spalla , o spatula come dell 'ancha\ spesso annoverato con quello di galline, capponi ecc. Intendesi parlare di una spalla di bove, di agnello ecc.? Il suo valore pecuniario risulta di 12 denari nel 1207 (spatulam unam vel denarios xn nel doc. n. 91) e di 6 denari nel 1242 ( denarios sex prò una spalla nel doc. n. 578). (4) Loreto presso Canale. Vedi allegato n. 8. — 204 — nate. Ed è da notare, che anche di questi piccoli appezzamenti sono indicate le coe- renze, le quali ne determinano la posizione. Non riassumiamo le ragioni dei venditori in Priocca, Govone, Calliano, Castel- letto, Yalves, Cisterna, delle quali consta nello stesso doc. n. 578, perchè non è specificata la estensione delle terre alle quali si riferiscono. Il documento n. 579 fa vedere che i venditori possedevano in Loreto %-Vs del castello villa e giurisdizione, tutta la torre nuova, 2/3 — ’/s della torre vecchia; quindi 8 terre della estensione singolare da 4 a 21 e complessiva di 92 moggi, un castagneto ed un bosco di 200 moggi; più di 60 uomini; inoltre 10 diritti e fitti consistenti in aliquote del provento della terra come le sovracitate, ed in qualche caso per giunta di una determinata somma di denaro. La estensione di queste 10 terre varia da 1 a 10 moggi, ed è complessivamente di 48 moggi. Oltre le terre posseggono un mulino, due albergarle , e la avvocheria di tre chiese. Finalmente i cedenti rimettono ad Asti anche i diritti acquistati dai signori di Belvedere; dritti che vertono sovra una sessantina di persone, e consistono per ciascuna in pochissimi denari, in un piccolo numero o quantità di oggetti, come capponi, polli, pani, pepe, un’ anca, una spalla e simili, nell’uso di una certa quantità di terra, ed in deter- minate prestazioni di lavoro. Il dritto più ragguardevole è pagato dai consorti di Monrainaldo, che danno: Spallavi unam , duos capones, duos starios annone, quatuor rosias (') cum bobus , unam ad fcnum, unam ad campum , unam ad mcssem et unam ad granum , tres carrosatas brobarum (2), unum sectorem ad pratum, et trahere vinum de torculari et implere de aqua et ducere vinum et loi/ram (3) in caneva, unum stringitorem, unam gallinam ad festum S. Agathe, unum agnellum ad pascham, et omni tercio anno prò circulis (4) solidos quatuor. In riassunto, sovra 41 proprietà di cui è data la superficie in giornate o moggi, ove si eccettui il bosco di Loreto che è di 200 moggi, la estensione complessiva delle altre 40 è di 221 tra giornate e moggi, e perciò è in media di circa 5 % gior- nate o moggi. Abbiamo messi insieme moggi e giornate, perchè non li supponiamo molto diversi; è però da osservare che non si parla di moggi in Canale, e non si discorre di giornate in Loreto. I documenti n. 580, 581 relativi a Guglielmo e Bonifacio di Loreto presentano un quadro identico di complicazioni di diritti, e di sminuzzamento di proprietà. Non diversa impressione produce il doc. n. 901 per cui Tebaudo e Berrone di Ceresole nel 1254, per L. 1000, vendono ad Asti; la loro quarta parte della signoria di Ceresole; 52 uomini, capi di famiglia, dei quali ciascuno facit focum et stallum (’) Forse qui Rosia sta per roida , servizio di carreggio: tanto più che è specificato che si debba fare con buoi, cioè uno al raccolto del fieno, uno pei lavori del campo, uno alle messi ed uno per la seminagione (?) del grano. (:) Bropa, Broba, Propa vale secondo il Du Cange (Gloss.) virgultum, ramusculus, ed in italiano ramo. Incontrasi con questo significato negli statuti di Saluzzo, Mondovì, Perugia, Asti. Bropa in dialetto piemontese vale Brancone, Palo grosso con traverse da capo dette cornetti o cornicelli, o senza, ad uso di sostenere le viti nel mezzo dei campi, secondo il S. Albino. Tro- vasi carosata ed anche bigala broparum (doc. n. 581). (") ... Omnes vendentes vinum in grosso, quod vinum appellatur vinum myxlum si \e Loyram. Stat. civit. Ast, in Du Cange, Gloss. (4) I cerchi (di botte) servivano nel medio evo d’insegna alle taverne, ed a tutti i luoghi ove si vendeva vino al minuto. Su di essi gravava generalmente un tributo, che prese nome dai cerchi ( circologium e circu- lorum census e Malatolta (V. Du Cange, Gloss.). — 205 — per se , ed i loro fitti e dritti sovra 36 persone, delle quali 15 sono citate fra i predetti 52 uomini. Dritti e fìtto, che consistono in tributi di denaro (3 lire, 19 soldi, 7 denari in tutto), raramente in qualche oggetto, talvolta nel decimo o frazione di decimo delle bestie che nascono nella stalla, spesso in una aliquota di terra, la quale è per lo più del decimo, od almeno è chiamata decimo. In 17 casi la estensione di questa terra è determinata, varia da 2 a 12 giornate, ammonta in tutto ad 84, ed è però in media di 5 giornate. In due casi la decima è chiaramente determinata in un denaro per giornata. Il fitto sembrerebbe essere di 1, 1 -f-, 2 denari; ■$-, 1, 1 1 soldi per giornata, ma non è ben chiaro se il fitto riguardi la stessa estensione di terra alla quale si riferisce la decima. Il fitto di uno sta/io va da 6 denari a 2 soldi, ed è per lo più di 18 denari, quello di una cantina di 4 denari ('). Nella grande inchiesta sulle ragioni di Asti in Priocca fatta nel 1287 da Ogerio Al- fieri (doc. n. 867) sono citate le estensioni di 15 pezze di terra, le quali singolarmente variano da 1 stara a 3 moggi, sono in complesso di 71 stari, ed in media di quasi 5 stari. Da alcuni contratti di vendite di terre relativi all’Astigiana, esistenti nell’Ar- chivio di Stato in Torino, abbiamo tratto i dati seguenti, cui aggiungiamo il valore, che ne risulta per il moggio. ANNO LUOGO NATURA ESTENSIONE PREZZO VALORE DEL MOGGIO Moggi Stari Tavole | Piedi Oncie © 3 Soldi Denari © 3 Soldi l Denari 1235 Asti : In cortinis da- vanti la casa dei frati minori. . . Terra 3 42 112 1246 Praalia Terra e prato . Terra 9 1 6 6 84 11 9 3 n 1249 Presso Asti in Vallan- done) 1 6 — 1 » Id Terra con canneto — 4 — 5 — — 21 16 4 1251 Id. id., ed in cam- pagna Vigna e gerbido 12 4 216 15 18 1253 Asti, in pralia .... Terra e prato . 8 3 7 6 — 159 11 6 18 17 7 » Id Prato — 2 8 6 — 6 15 — 19 18 9 1254 Asti, in Monte raynerìo verso Yallendone. Vigna — 1 1 1 6 17 IO — 128 — (2) Se si prescinde dal primo contratto, che si riferisce ad un terreno entro Asti più che probabilmente fabbricabile, e dall’ultimo che sembra anche in condizioni (') I venditori si obbligano di dare ad Asti 100,000 mattoni ben cotti. Sembra che la industria de’ mattoni non fosse dappertutto libera. Nell'atto di cittadinanza di certi di Mirabello del 1246 (doc. n. 640) essi hanno la facoltà di fare in Quarto una fornace per le loro case soltanto. Nel 1292 (doc. n. 743) Asti s’impegna di non fare fornaci in Calliano senza il consenso di questa terra. (s) In questo contratto si dà la lunghezza di una parte del perimetro dell’appezzamento in trabucchi, co- sicché è provata la esistenza di questa misura anche a quell'epoca. Però non si hanno dati sufficienti per poter affermare, che la tavola fosse fino da quel tempo di 4 trabucchi quadrati. Nella divisione dei fratelli Picei del 1344, si parla delle larghezze delle strade prossime al castello di S. Paolo, e le si dicono di 1 £ trabucchi, trabucchi 3 piedi 2, trabucchi 1 piedi 9 dal che parrebbe doversi dedurre che il trabucco si dividesse in 12 anziché in 6 piedi. 206 — eccezionali, si trova per gli altri contratti dal 1246 al 1253 una estensione di appez- zamenti, in media di circa 5 moggi e 4 tavole, al massimo di 12 moggi, ed un valore medio di 15 lire e 12 soldi il moggio. Il documento n. 1022 dell’Appendice, indica 34 giornate, e piu, come l’esten- sione totale di 13 appezzamenti di terra, dei quali Pancia di Solaro è direttario nel 1266, a quanto pare in Govone, e per cui gli utilisti pagano un canone annuo di due pranzi, dei quali il documento determina tutti i curiosi particolari. Il 16 luglio 1344 venne stipulata nel castello di S. Paolo di loro proprietà la divisione definitiva, alla quale già abbiamo accennato (una provvisoria era stata fatta nel 1338) tra Giacobino de Riciis, ed i tre figli del fu suo fratello Manuele. Si tratta di un patrimonio assai ragguardevole, e per dare idea sempre più chiara dello stato della proprietà nell’Astigiana, crediamo valga la pena di farne un sunto. Nel lotto di Giacobino de Riciis cadono: In Asti — un palazzo con cortile ed edifizi annessi ; la metà di altro palazzo, cortile e case attigue; tre case ed edifizi dipendenti, in borgo S. Marco; una casa in altro punto; metà di altre case e sedimi, e di un orto. In S. Paolo — la torricella e metà del gran palazzo ; il castello vecchio ; metà della piazza del castello nuovo; un forno comune; la metà del ricetto ubi stant masuarii. Indi le terre indicate nello specchietto seguente. Nel lotto dei figli del fu Manuele de Riciis cadono: In Asti — un palazzo con cortile ed edifizi annessi; la metà del palazzo di cui sopra ; una casa a porta Torre ; case e giardino a porta Calmi ; una casa in altro punto; la metà di altre case, sedimi, ed orto di cui sopra. In S. Paolo — la metà del gran palazzo ; il palazzo vecchio ; la metà del ricetto di cui sopra. Indi le terre indicate nello specchietto seguente. È però da notarsi che per alcuni appezzamenti la proprietà spettante a ciascuno dei dividenti, non è che la metà. Giacobino IN POSSE o ® CD N a p ^ £ Moggi Stari | Tavole £ £ Onde Vallegiarum .... 5 47 — 11 8 — Nanthearum .... 2 3 6 7 6 — Cumignani .... 1 9 4 1 11 — Govonii 41 59 1 5 2 2 M. (') 11 8 3 11 6 6 Id- (2) 27 16 6 1 11 6 S- Pauli 130 433 4 3 6 6 id. H 7 18 6 5 — — Sulbrici 20 3 1 3 6 — Villenove 16 40 3 8 10 61 Podivarini 16 70 7 5 8 6 Totale. . . 276 738 6 6 4 Eredi del fu Manuele IN POSSE 1 Numero di pezze Moggi Stari Tavole Piedi Onde Vallegiarum .... 5 46 — 10 8 — Nanthearum .... 2 3 6 7 5 — M. Freoni 3 10 — 10 5 5 Id- (-) 1 1 4 3 9 3 Cellarum 11 46 7 6 3 8 Preoche 50 75 5 7 4 — S. Pauli 130 428 3 5 — Id- (2) 9 23 — — — Sulbrici 20 32 1 7 6 Villenove 19 39 7 7 — Podivarini 18 69 7 8 9 6 Totale . . 268 777 6 2 2 10 (') Dominio utile: Res de quibus redditur quartum: Cosi il testo. — (s) Dominio diretto : Res quas tenerli infrascripti homines, et de quibus reddunl quartum diclis de Riciis. id. 207 Furono inoltre divisi 12 sedimi della estensione media di 5 tavole, e 14 aje della estensione media di 2 stari. Ma tornando alle terre cui si riferisce lo specchietto precedente, noi troviamo che la estensione media degli appezzamenti è di 2 moggi, 6 stari. La grandezza mas- sima fu quella di 37 moggi, 5 stari in un appezzamento posto in S. Paolo. La quale picciolezza di appezzamenti, anche nell’asse di una famiglia certamente assai dovi- ziosa, lascia presumere, che ben anteriore al 1338 fosse lo sminuzzamento di quelle terre. E degno di nota che nella divisione dei fratelli Ricci, se si eccettuano Govone e Cumignano da un lato, Priocca, Celle ecc. dall’altro, ciascuno dei due fratelli ritenne la metà dei possedimenti paterni in ciascuno dei paesi ove si trovavano. Ed anzi si osserva nell’atto, e più d’una volta, una certa tendenza nel bipartire gli stessi appezzamenti. Non vi è chi non vegga quanto rapido dovesse essere l’effetto di cosi- fatto sistema sullo sminuzzamento della proprietà. Riassumiamo nello specchietto seguente i dati che risultano dai documenti presi ad esame, per ciò che riguarda la grandezza delle terre. LDOGH I ANNO ESTEÌS MASSIMA SIONE MEDIA NUMERO DI APPEZZAMENTI VALORE MEDIO DEL MOGGIO Moggi 0 giornate Stari Moggi 0 giornate Stari ESAMINATI 0) I-c 3 Soldi j Castellalfero 1189 1“ 5 5 7 J 4 Fontane 1242 10 g — 2 s 4 20 — — 16 e 5 g 4( Canale e Loreto id. 41 — — 200 s Grande bosco 112 - (') Presso Asti 1235-54 12m — 3“ 3 8 15 12 (2) 128 - (3) Asti 1250 — 6 — — 1 160 - (4) Ceresole 1254 12 s — 5g — 17 — — Govone ? 1266 — — 3 circa — 13 — — Priocca 1287 3m — — 5 15 — — Cossano 1288 lm 7 — 1,5 22 22 — Diversi. Divis. Ricci 1338 37“ 5 2“ 6 oltre 500 — — 52 8 (5) Diversi. Notul. Meglino . . . 1356 6“ 2| 1“ 2 30 336 - (6) (*) Terreno in Asti davanti la casa dei frati minori venduto nel 1235. (2) Prezzo medio di 6 appezzamenti della estensione media di moggi 5, tavole 4, venduti dal 1246 al 1253- (3) Terreno alla porta di Asti. (4) Terreno in Asti per fabbricare una casa. Vedi doc. n. 1017 dell'Appendice. (5) Valore medio di 12 appezzamenti della estensione media di moggi 1, stari 2 di terra in condizioni che sembrano ordinarie. (6) Valoce di 2 aje. — 208 — Yale a dire che sopra quasi 700 appezzamenti di cui si parla in atti dal 1189 al 1356, non si trova che un grande bosco di 200 giornate, cioè probabilmente di 76 ettari. Dopo questo si trova ancora un appezzamento di poco più di 37 moggi (pro- babilmente circa 14 ettari), e quindi si scende ad estensioni assai minori. La esten- sione media degli appezzamenti, sempre prescindendo dal bosco di 200 giornate, è nello specchio precedente per lo più inferiore ad un ettare, e non eccede due ettari. Sembra quindi lecito il concludere, che fino dal secolo xii e xra la proprietà agraria, sia diretta che livellaria, era nell’Astigiana assai divisa e sminuzzata. La co- stituzione sociale di questa parte del Piemonte, o le consuetudini non dando al primo- genito, e forse neppure ai maschi grandi privilegi, nemmeno intorno ai diritti fendali, non ponevano ostacolo alla divisione della proprietà. Ma ciò non avrebbe bastato per condurre alla piccola proprietà se la popolazione non fosse stata fitta, se i metodi di coltivazione non fossero stati acconci alle terre di non grande estensione, se i limiti di queste non fossero stati rigorosamente difesi dalle leggi, dai rettori della cosa pub- blica e dalle consuetudini, e se la sicurezza dei singoli lavoratori in aperta campagna non fosse stata sufficiente. Il periodo del pascolo errante e delle usurpazioni doveva essere finito da un pezzo, e l’Astigiana si trovava probabilmente in un grado di ci- viltà relativamente avanzato, perchè fosse possibile un frazionamento della proprietà come quello che risulta dai documenti sottoposti a disamina. 33. Valori delle terre, e di altri oggetti ('). Quantunque in un libro dei diritti di un Comune pochi siano i valori, prezzi, o salari di cui si discorra, epperciò meno sicure le conclusioni che se ne possono tirare, tuttavia non ci sembrano del tutto spregevoli i dati che ci vennero sott’occbio percorrendo il Codice, ed i pochi documenti con esso in relazione che si ebbero ad esaminare. Comincieremo dal valore delle terre di cui si parlò, ed indicheremo poscia alcuni altri numeri. Nelle nostre indicazioni, se non si parla di monete speciali, si riferi- scono i valori alla lira astese, la quale si suppone sempre di 20 soldi, ed il soldo di 12 denari, non tenuto conto della quistione di cui nella nota del § 4. Il valore delle terre appare dallo specchietto precedente ; se prescindiamo da quat- tro numeri assai grandi, i quali si riferiscono a terreni fabbricabili od in speciali condizioni, esso formerebbe la serie segueute, che sembra relativa a terre in condi- zioni ordinarie. Anno 1189 1250 1288 1356 Valore del moggio . . 1 lir. 4 sol. 15 lir. 12 sol. 22 lir. 52 lir. 8 sol. Facciamo seguire il valore di parecchi oggetti, pedaggi e stipendi. (’) Paragrafo letto alla R. Accademia dei Lincei il 28 aprile 1878. — 209 Cominciamo dal valore di diversi oggetti: (*) o & OGGETTO MISURA VALORE IN LIRE ASTESI DOCUMENTO ) 1292 Vino a prezzi elevati Staio — 5 1 N. 743 (?) 1356 Id. butallum unum boni vini puri el nitidi de star. VI, ad mens. Ast. (').... id. — 17 — Notulario Meglino 1267 Asina cum omnibus viciis 3 N. 506. 1356 Bove — 11 5 — Notulario Meglino » Manzo o bove — 13 10 — id. » Un bove, una vacca, un manzo. ...... — 34 — — id. » Pecora — 1 10 ! id. » Un cavallo ed una armatura — 39 7 id. 1207 Ferro da cavallo — — — 3 N. 84 1282 Mattoni in opera Migliaio 1 15 — (8) 1275 Fuoco (abitazione) in S. Damiano — 5 — N. 937 1201 Fitto per l’abitazione di uno in Asti . . . — 1 — " N. 672 (*) Questo vino era forse di Serravalle, distretto d’Asti, giacché il venditore ch’era di quel luogo promette di darlo delle sue vigne o di uguale bontà. In altro documento dello stesso notulario Meglino delli 29 maggio pure 1356 si danno in prestito sei sestaii di vino buono epuro de nebiolo, ma non se ne indica il prezzo. I sei sestari, calcolando il sest. a litri 75, sarebbero tornati litri 450 vale a dire forse la carrata di allora, che ora è comunemente di 5 ettolitri. (2) Tale rapporto tra il denaro pavese ed il denaro astese deriva dall’ipotesi, che i pedaggi sulla strada da Alessandria ad Asti ed Alba siano eguali per i cittadini di questi comuni, i quali nell’atto citato fanno lega di amicizia e di concittadi- nanza. (s) Il rapporto tra i valori per il 1305 del denaro grosso tornese, e del denaro astese, dati dal Cibrario ( Econ . poi. del medio evo, tom. II, pag. 169) darebbe 2 soldi, 7 denari e 89. (l) Il rapporto tra i valori del fiorino di piccolo peso per il 1358, e del denaro astese per il 1361, dati dal Cibrario (1. c. pag. 183) darebbe 2 lire, 6 soldi. (5) Nella tregua fra Asti e Carlo d’Angiò re di Sicilia, che allora possedeva Alba, è stabilito che se la biada vale 3 sobli o più per mina astese, se ne possa im- . pedire la esportazione dall’ una verso l’ altra città, salvo il transito di quella acquistata altrove. (6) A lire 3 si riduce un credito dipendente dalla vendita di 20 moggi di bel frumento cum benedi- cionibus , probabilmente a misura ricolma, ma non è ben certo che le tre lire rappresentino tutto il prezzo o niente più del prezzo. (') Nella dedizione di Calliano ad Asti è stabilito, che gli Astesi, creditori di quei di Calliano, si debbano contentare di questi prezzi. (8) Appendice n. 1025. 27 — 210 — Sussegue l’entità di alcuni pedaggi. ANNO STRADA LUOGO PROPRIETARIO PEDAGGIO DOCUMENTO 1171 Savona Cosseria M.se di Savona 8 denari astesi. N. 608 (l) 1224 Francia S. Ambrogio-Susa Conte di Savoia 18 den. susini prò trosello. N. 656 (-) 1279 id. Susa id. 23 den. forti per torsello di panni francesi. (3) » id. id. id. 6 denari per carica di frustagni. 1319 id. id. id. 32 denari escucellati per torsello di panni francesi. (*} » id. id. id. 40 den. id. per torsello di panni fiorentini. » id. id. id. 26 den. id. per carica sulla carta, mobi- li ecc. 1193 Monferrato M.se di Monferrato 40 den. sugli Astesi. 72 den. sugli stranieri. N. 918. 1206 id. M. Baruzzo id. 43 den. pavesi. N. 734 (5) 1223 i Alessandria ad Asti Alba 8 den. ast. per torsello o carica. 16 id. id. id. se conducesi il carico altrove che al Comune. 2 id. id. per asino. 0 per gli uomini, per chi cavalca o per procu- radia. 1 4 id. id. per bove che si vende. 8 id. id. cavallo id. 8 id. id. trentina di pe- core. App.n.l010(6) Terminiamo col dar conto di taluni stipendi. Milizie. Nel 1274 si danno lire 50 all’ anno, ed i soldi delle notti che passano fuori di casa, per ciascuna milizia de uno destrario et uno roncino cura coperturis (') Il marchese Enrico Guercio abbandona per gli Astigiani il pedaggio di Savona di 4 denari, e mantiene quello di Cosseria di 8 denari. (-’) Il torsello o balla costituiva una carica e mezza, ovvero due terzi di carica di cavallo o mulo secondo che grosso o piccolo. (3) Cibrario, loc. cit. pag. 112. Il denaro forte viennese valeva in metallo 24 centesimi della lira attuale, id. id. pag. 165. (") Id. loc. cit. Il denaro forte escucellato valeva in metallo 12 centesimi della lira attuale nel 1316, 1. c. pag. 174. (5) I denari del pedaggio saranno intanto genovesi, ma si ridurranno a pavesi dopo che sul pedaggio si saranno pagati certi debiti del marchese di Monferrato in Asti. (6) Vedi nel quadro precedente il rapporto tra il valore del denaro astese, e quello del pavese. 211 — et munitionibus seu armaturis competentibus militi , oltre a lire 80 per spesa di primo corredo. Le quali milizie devono entrare negli eserciti che Asti facesse, difen- dere e guidare i viandanti ecc., ed hanno il cavallo indennizzato dal Comune, quando si perdesse (doc. n. 448). Nel 1290 (') Amedeo conte di Savoia andando per tre mesi con 400 uomini al ser- vizio d7 Asti pattuisce la indennità de’ cavalli che si perdono o danneggiano, ed un salario per sè di 1000 lire viennesi al mese, contando in esso la venuta da Ciamberì ed il ritorno; Salario di un milite addobbato 10 soldi vien. al giorno » » donzello o scudiero 8 » » » » » milite o donzello banderese, il doppio del sovradetto. » dei baroni, oltre la suddetta diaria per ciascuno, lire 2000 da divi- dersi dal conte. Salario del Podestà di Torino nel 1256; 500 lire pavesi (doc. n. 942). » » » Cuneo » 1251; 300 » refortiatorum (doc. n. 971) (2). Riscatto » » Asti » 1193; 1100 » astesi 82 » pavesi Nella pace del 1257 tra Asti ed il conte Tommaso di Savoia (doc. n. 905), è stabilito il numero dei custodi dei castelli di Revello, di Cavour, di Cumiana e di Cavoretto da dieci a dodici o più, ed il salario di ciascuno è fissato in 12 denari al giorno. È pur detto che il potestà d’Asti avrà il suo tredecenum de omnibus (doc. n. 74.) (3) condemnationibus et bannis, datis, obbligati onibus .... que relaxantur . . . . per comune Astense. e più sotto è dichiarato che questo tredecenum è di lire 400 astesi. Nel documento 719 del 1280, è detto che lo stipendio di due castellani di Busca è di 4 soldi ogni giorno, e quello delle guardie di 1 soldo viennese ciascuna per giorno. Ostaggi. Nri 1198 Casale promettendo di far pace con Asti ed Alessandria, e di dare ostaggi, Uberto Cane ed altri si dichiarano pronti di andare in ostaggio a disposizione dei legati di Asti e di Alessandria. Alcuni fidejussori si impegnano di pagare, quando gli ostaggi non si rechino al posto loro assegnato, 500 lire per Uberto Cane, 50 lire per uno degli ostaggi, e 300 ovvero 200 lire per gli altri ('*). Nel 1211 due giudici nominati dall’imperatore Ottone per una causa fra il mo- nastero di S. Felice di Pavia, ed alcuni di Gorzano ed Asti, hanno dal monastero per salario lire 15 (doc. n. 829). Nel 1223 si stabilisce tra Alessandria, ed Asti con Alba, che tre Alessandrini eletti dai podestà di Asti e di Alba, giudicheranno le querele degli Astesi e degli Albesi contro gli Alessandrini ; viceversa Alessandria elegge due Astesi ed un Albese per giudicare le querele degli Alessandrini contro gli Astesi e gli Albesi. Sovra ogni censiva sive judicatura i giudici riceveranno da ciascuna parte 12 denari sulle lire di moneta reclamata, spettando metà della giudicatura ai giudici e l’altra metà al loro Comune (s). I creditori saranno soddisfatti prima coi beni mobili, e poscia cogli (’) Documento n. 1026 Appendice. (5) Per metà del salario, Cuneo può dare un terzo banna- rum et datarum. Il Podestà deve reggere il suo ufficio con un giudice ed un milite. (3) Il podestà Giacomo Stricto fatto prigione dal marchese di Monferrato. (4) App. n. 994. (5) App. n. 1010. * 212 — immobili; di questi valutati da uno stimatore si daranno Ires denariatas prò duobus denariis di debito ; ma con facoltà di riscatto entro un anno. Porse così si stimo- lava il riscatto degli immobili. Per apprezzare i valori di cui si parlò , converrà trattenerci sovra quello dei cereali. Le tavole di ragguaglio già citate, le quali indicano le misure trovate in Pie- monte dal sistema decimale, ci somministrano i dati seguenti per le misure di capa- cità delle materie secche. Per le materie secche si aveva in Ovada una mina di 4 stari, e di litri 122,5, ed in Bellino, Casteldelfino ecc. un sestiere di 2 emine e di litri 67,64: ma in Ales- sandria ed in paesi che adoperavano lo staro alessandrino, in Valenza, in Montechiaro, in Monferrato, in Cassine si avevano stari per lo più di 16 coppi, e mediamente di litri 16,65, ma che variavano da litri 17,77 a 15,70. L’emina pavese o lomellina era di litri 20,38. Invece l’antico staro di Torino e Pinerolo (‘) era di 2 emine, e di litri 41,23; quello di Carignano, Vigone ecc. di litri 27,49; quello di Pianezza di 37,11; quello di Ivrea di litri 82,47 (2). La confusione non potrebbe essere maggiore. Per i liquidi si aveva a Rocchetta Tanaro, Vinchio, Belvedere uno staro di litri 78,36; nei comuni delle Langhe un sestaro di 73,46; in alcuni comuni del cir- condario di Acqui di 66,67 e di 81,34 litri. La media di questi numeri sarebbe poco lontana di 75 litri. Non abbiamo elementi sufficienti per determinare la mina astese per il grano, e lo staro per il vino. Se volessimo ritenere i dati del Cibrario relativi ad altre parti del Piemonte in quei tempi sotto lo scettro di Casa Savoia, come estensibili anche all’Astigiana, si potrebbero fare i ragionamenti seguenti. Durante il decennio 1289-98 il valore medio del sestario di frumento di litri 41,23 fu, per tale parte del Piemonte, di lire 3,57 in moneta odierna (3). Ora siccome nel 1292 a Calliano il valore della mina astese si ridusse a tre soldi astesi, se diconsi: m il numero di litri contenuti nella mina astese del 1292, a il valore della lira astese del 1292 rispetto all’italiana odierna, per ciò che riguarda il metallo contenuto, 3 57 si può presumere m — 0,15 a. 41,23 Se poi si suppone la lira astese del 1292 pari, per l’argento contenuto, a 12 lire italiane (§ 4), ne risulterebbe m = 20,8 numero poco diverso da litri 20,61 come era, nella prima metà del secolo xiv, la mina in Torino, Pinerolo ecc. Stando al Cibrario ('") il rapporto tra il valore dell’argento nel decennio 1289-98, e quello dei tempi odierni per ciò che concerne la sua potenza di acquistare grano, (’) In un documento del 1312 (Appendice n. 1045) la nona parte di sette mine è di 12| sco- delle: vale a dire che la mina sarebbe stata composta di circa 16 scopelle. E negli ultimi tempi la mina si divideva in Asti in 8 coppi, in 16 mezzi coppi o piccoli coppi, ed in 192 cucchiai. Il Du Cange crede invece che scopella o scopellus sia lo stesso che scaphus, scapita , scaphula , i quali dagli esempi da lui addotti corrisponderebbero alla metà del moggio. Notiamo che al tempo dell’introduzione del metro la grossa mina di Bellino, Casteldefino ecc. si divideva in 72 Scodelle. (5) Cibrario, loc. cit. Voi. li, pag. 154. (a) Id. loc. cit. pag. 158. {') Id. loc. cit. pag. 158. — 213 — sarebbe = 2 — ■ Epperciò la lira astese supposta pari a 12 delle odierne per il suo contenuto di argento, equivarrebbe invece per l’acquisto del grano a 28 lire italiane spese oggi. Moltiplicando per 28 i prezzi trovati nel Codice o nei documenti esaminati, per il 1282-92, e supponendo l’antica mina astese di 21 litri, e l'antico staro di vino di circa 75 litri, si avrebbero i risultati seguenti. Per le terre di Cossano L. ast. 22 X 28 = L. it. G16 il moggio 0 15 Per il grano in Calliano » X 28 = » 20 l’ettolitro I i 0 25 Per il vino id » X 28 — » 9,33 id. 0,75 Per i mattoni in opera » 1,75 X 28 = » 49 il migliaio I quali valori sarebbero, rispetto agli odierni, troppo piccoli, sopratutto se si consideri che i prezzi del grano e del vino fatti in Calliano si possono ragionevolmente presumere relativi ad un valore elevato. Non è improbabile che stante le diverse condizioni di viabilità, di sicurezza e di lavorazione, le terre avessero in quei tempi un diverso valore relativo; come è del pari possibile che le monete e le misure fossero alquanto diverse da ciò che noi supponiamo. Checché ne sia, ammettendo che il moggio di terra si pagasse allora con tante lire astesi, quante occorrevano per rappresentare una relativa potenza di acquisto, quale oggi avrebbero 600 a 700 lire italiane, coi dati sul valore delle terre di cui nel pre- cedente paragrafo, si avrebbero in cifre tonde, i numeri seguenti. Anno Valore del moggio in lire astesi Moltiplicatori 1189 L. 1 soldi 4 X 500 = L. it. 600 1250 » 15 » 12 Il o X 624 1288 » 22 X 30 = » 660 1356 » 52 » 8 X 13 = » 681 Se l’antico moggio era poco diverso dall’odierno, si dovrebbero crescere i mol- tiplicatori almeno di metà per giungere a valori delle terre come gli attuali ('). Del resto nostro precipuo proposito fu di indurre altri a fare indagini sovra i docu- menti astigiani, cosicché determinati con migliore fondamento i valori delle misure e delle monete d’Àsti si possano meglio apprezzare i fatti economici relativi a questa importante repubblica. (*) (*) 11 Cibrario (loc. cit. pag. 9) attribuisce ai fondi allodiali di quei tempi un valore poco diverso da quello dei tempi odierni. Egli parla infatti della terra aratoria e del prato di Moncalieri, che nel 1350 avrebbero valso per giornata quanto per la potenza d’acquisto sarebbero oggi 1,000 e 1,500 delle nostre lire. — 214 — 34. Interesse del danaro. Nel trattare del valore delle terre si ebbe occasione di rilevare che, stando al prezzo medio risultante per i fitti e per le vendite dal notulario del Meglino, l’inve- stimento dei capitali in terre si sarebbe fatto mediamente al 2, 7 per cento. Per verità i casi di osservazione sono poco numerosi, piuttosto discordanti, e relativi a piccole esten- sioni di terra, sicché non si può fare grande assegnamento sopra questo risultato. Al più si può presumere, che non era ragguardevole il frutto dei capitali investiti in terre. Molto alto era per contro l’interesse dei prestiti come appare dai numeri seguenti. Anno Interesse Documento Anno Interesse Documento 1206 15 per % n. 933 (’) 1255 15 per °/o n. 502 ) 1208 15 » n. 820 f) 1258 15 » id. ji 1252 10 » u. 899 0 1262 26 » n. 506 ) 1253 15 » n. 900 0 1272 23,3 » id. ) Ad eccezione degli ultimi due casi, l’interesse risultante dai nostri documenti per l’Astigiana non è più elevato di ciò che il fosse di regola nel medio evo, giacché dalla ripetizione delle stesse forinole e dello stesso numero si può arguire, che nel- l’Astigiana l’interesse abituale del secolo xm salisse al 15 per cento. Pare che fosse ad una ragione più elevata nel secolo xn; infatti troviamo che nel 1161 ai 19 di agosto Guido conte di Biandrate cedette al vescovo di Asti i suoi diritti sui castelli di S. Michele e della Torre dopo avergli mutuato 140 lire pavesi all’usura di 4 danari per lira, ragione alla quale le aveva ricevute esso pure otto anni prima, vale a dire al 20 per cento (7). Nel 1190 poi ai 2 di maggio pure il vescovo di Asti si obbligava verso Manfredo Cavazzone a pagare il lucro di 6 danari per lira e per mese sopra un mutuo di lire 57 '/s? cioè uu interesse del 30 per cento all’anno (8). Ma dovevano correre grandi differenze nella ragione dell’ interesse del danaro da paese a paese e da un tempo all’altro. Filippo Augusto re di Francia con un’ ordinanza del mese di febbraio 1218 permise ai giudei di prestare all’interesse di 2 denari per settimana, cioè di 8 soldi (’) Nel trattato fra Asti ed i de Gorzano, è stabilito che il Podestà di Asti debba ridurre orarie debitum uxurarium (dovuto dagli uomini di Gorzano in civitale ) ad mensuram irium denariorum prò libra de capitali. (°) Debito di lire 140 fatto dalla priora del monastero di S. Felice di Yillanova, la quale promette dare prò premio et puro dono denarios tres prò qualibet libra singulis mensibus. (’) Debito del conte di Piandrate di lire 1350, il quale promette di pagare per ogni lira e per ciascun mese due denari nomine et ex causa pure donationis inter vivos. È dato in pegno Tegerone, e se i frutti, redditi e godie del pegno non eguagliano il pagamento sortis debili si terrà conto della differenza. ( ') Debito di lire 300 del conte di Biandrate e di suo fratello. (6) Debito di lire 1200 del marchese di Busca e dei suoi fratelli ed altro di lire 154, su cui l'interesse si paga prò lucro et nomine lucri. (e) Debito di lire 50 del marchese di Busca il quale pagherà lire 13 per ogni anno che terrà dette 50 lire. Pel debito di lire 6 da lui fatto nel 1267 è richiesto 5 anni dopo di pagare 7 lire prò pena sire guicrdono dicti debiti. (7) Mon. liist. pat. Cbarl. i, col. 824. (8) Ibidem, col. 962. — 215 — e 8 denari per lira all’anno, che vuol dire più del 43 per %, ('). Lo stesso re emanò un’altra ordinanza al riguardo nel 1222 nella quale limitò agli ebrei l’inte- resse a 2 denari per lira al mese, prescrivendo che incominciasse solo a decorrere un anno dopo che il capitale era stato imprestato (2). Nel 1228 Giacomo i di Aragona limitò l’interesse al 20 per % O- Nello stesso anno fu pure limitato a Verona al 12'7i, e nel 1270 a Modena al 20 per % ('*). Nel 1282 a Costanza saliva a 43 1/z; nel 1311 Filippo il Bello lo permise del 30. Luigi s fece una convenzione cogli ebrei in giugno del 1315 nella quale permise loro di prendere l’interesse di 12 denari per lira alla settimana, cioè fino al 258 per °/0 (3). Firenze fece un prestito nel 1330 al 15 per %, e la ragione di diversi prestiti della repubblica di Genova fu dal 7 al 10 per % (fi). Il Depping afferma che nel medioevo i banchieri fio- rentini prestavano di solito al 20 per °/o, non di rado al 30 e fino al 40 (7), e secondo un altro scrittore, il Leber, la ragione del 40 era il minimo a cui prestassero i giudei ed i Lombardi i quali talvolta non si fermavano a questa cifra (8). Nel 1348 l’imperatore Lodovico concesse ad Hall nel Vurtemberg il privilegio che i giudei non prendessero dai cittadini l’intiero 50 per °/« d’interesse ed accordò 2 heller per pfund a settimana, (2 heller per 52 settimane — 104 heller. Il pfund doveva quindi contenere almeno 208 heller) (9). Nel 1357 l’interesse era ad Ober- vesel del 65 per °/0; a Zurigo del 43 1/;ì al 54 1/2; a Laon in Francia del 40 ed in Inghilterra, in un caso, era salito fino al 240 per % (,0). Nel 1368 la città di Fran- coforte prese da un ebreo 1000 fiorini in prestito alla ragione del 43 x/3. Nello stesso secolo xiv nell’accordare il diritto di cittadinanza di Colonia agli ebrei, si stabiliva che questi non potessero prendere dai cittadini più del 36 1/ì per °/o d’interesse ("). Gli statuti di alcune città del Piemonte o dell’alta Italia forniscono dati pre- cisi ed interessanti sulla ragione dell’interesse del danaro nel medioevo, i quali com- pletano le notizie sull’argomento. Negli statuti di Novara l’interesse del danaro è fissato al 6 per % (’2); in quelli di Como del 1281 (I3), di Levanto ('*), di Casale ('“) è tassato al 10 per °/n l’interesse che si può domandare in giudizio. Nello statuto di Genova del 1336 (1P), e nel Breve della fine del secolo xm il limite dell’interesse è stabilito al 15 per%. Secondo gli statuti d’Ivrea (17), e di Moncalieri (,8) incorre in multa chi esige un (’) Leber. Essai sur l'apprécialion de la fortune privée au moyen age. Paris 1847, p. 26-27 in not. (’) Id. ibid. 289. (“) Du Cange. Gloss. Art. Usurarii. (’*) Hallam . Middle age. (5) Leber, 1. c. p. 26-27 e 289. (6) Depping. History of commerce. (’) Id. ibid. (8) Leber, 1. c. p. 26. (s) Amiet. Die franzòsischen und lombardischen Geldwucherer des Mittelallers nàmlich in der Schweiz. Jalirbuch fur schweizerische Geschichte, i, und il, Band, i, p. 186. (10) Id. ibid. p. 220. (") Id. ibid. p. 186. (”) « Quilibet debitor det suo creditori prò interesse denariorura suorum omni anno ad rationem librarum sex prò quolibet centenario ». (’3) « De usnris non solvendis ultra solidos duos prò libra in anno ». ('*) « De iure non redendo usurariis .... intelligatur usurarius quicumque acceperit ultra decem prò centenario ». (’5) « Aliquis usurarius vel prestator ad usuram audiri non debeat de aliquo debito nec ei ius reddatur ultra denarios duos prò libra ». ('“) « Aliquis usurarius non debeat vel possit mutuare ad usuram prò qua recipiat ultra denarios tres per libram in mense». (,J) «Nulla persona possit nec debeat dare pecuniam sub usuris ultra denarios un prò libra.... sub banno solido- rum xx, lx, c .... » secondo il mutuo giungesse a lire 10, 50, od oltre. ('*) « Creditor qui receperit usuras ultra vili denarios prò qualibet libra quolibet mense prò qualibet libra solvat prò pena solidos X ». — 216 — interesse superiore a 4 e ad 8 denari per lira, il che se si intende per mese, cor- risponde al 20 ed al 40 per cento. Contrapponendo questi dati a quelli che ci sono somministrati dai documenti del Codice d’Asti pel secolo sin ne emerge che la ragione dell’interesse del danaro si livellava si può dire a quello delle altre città d’Italia mentre era immensamente più bassa di quello che si prendeva dai pre- statori in Francia, Spagna e Germania, stando quasi nella proporzione da 15 a 43. Dal che possiamo argomentare lo stato di ricchezza degli Astigiani di quel tempo e l’abbondanza di danaro che dalla loro città doveva affluire sui mercati stranieri dove, come vedremo nel paragrafo delle Banche, essi avevano in gran parte in mano il lucrosissimo traffico della moneta. 35. Importanza del commercio di Asti. Del commercio degli Astigiani si fa già menzione in un diploma di Ottone ni del 992, in cui è detto « Concessimus ei (al Vescovo d’Asti) etiara ut negotiatores suae civitatis « ubicumque velint habeant licentiam negotiandi sine contradictione alicuius hominis etc. » (') Corrado il Salico nel 1037 annuiva pure alle domande del vescovo d’Asti il quale lo aveva supplicato « ut- suae civitatis astensis civibus per vallem Seuciensem (Susa) et per omnes valles « et per omnia montana et per vias asperas et planas et per transitus aquarum et per augiportus palu- « dium totius nostri regni per quas ceteri mercatores nostri imperij vitae praesentis solent conquirere « subsidium liberos concederemus exitus et reditus » {'). Gli storici astigiani affermano che Federico dopo la pace di Costanza volendo gratificarsi le città italiane concesse ad esse molti privilegi, e ad Asti accordò la facoltà di conoscere delle cause d’appello inferiori a 25 lire astesi, ed il privilegio di poter esercitare la mercatura dei panni, l’arte cambiaria ed il notariato senza oscurare la nobiltà, « mercimonia pannorum; artem cambiatoriam et notariam (3). Il privilegio per le cause d’appello è del 1186, e ci fu conservato nel Codice Malabaila (doc. n. 11), ma non così l’altro. Nel 1190, ai 15 febbraio Ugo duca di Borgogna concedeva ai Genovesi gli stessi privilegi di cui godevano i mercanti astigiani, che è a credersi fossero i più favo-, riti, .... « et si quod amplius convenimus Astensibus, tantumden et Januensibus observare debemus ('*). Dal nostro Codice possiamo desumere l’importanza delle relazioni commerciali di Asti, imperocché nei trattati coi Comuni e coi signori vicini spesso trovansi clau- sole relative alle strade ed ai pedaggi. Da altri documenti trarremo qualche notizia sulla industria bancaria la quale fu senza dubbio la più importante di quelle che fiorivano presso gli Astigiani. 36. Strade e pedaggi. Sicurezza. Per il secolo undecimo noi troviamo nel documento n. 707, che gli Astigiani, nel trattato concluso nel 1098 col conte Umberto n di Savoja, si fecero concedere l’esen- zione dei pedaggi pel transito nei di lui stati di qua e di là dei monti. « Insuper (’) Mon. Hist. Pat. Ch. i. col. 290. (s) Ibid. col. 513. (3) Grassi, i. pag. 121. — Molina 2. pag. 68, ed altri. (*) Mon. Hist. Patr. Lib. Jur. Reip. Jan. col. 355. — 217 « (dedit) pedagium et clusagium atque curadiam et quidqnid datur prò transitu iti- « neris omnem per terram quam habet et habiturus est ultra montes et ex hac parte « montium » . Per il secolo dodicesimo hannosi disposizioni che riguardano le strade verso il mare, il marchesato di Saluzzo, il Monferrato, e le vicine città di Alba e Chieri. Nel 1149 (doc. n. 54 e 57) Ottone Boverio marchese libera gii Astigiani dai pedaggi sulle sue terre. Nel 1171 (doc. n. 60S) il marchese Enrico Guercio concede agli Aslesi l’aboli- zione del pedaggio di Savona di 4 denari, e la limitazione di quello di Cosseria a non più di 8 denari. Nel 1189 (doc. n. 169) Roffino, Tiburo ed altri dei signori di Malamorte e Mombercelli esentano gli Astigiani da ogni pedaggio e curaya sulle terre di detti luoghi. Nel 1190 (doc. n. 293) nella dedizione che gli uomini di Masio fecero di quel castello e terra ad Asti e ad Alessandria si stabiliva che nè Asti nè Alessandria pagassero pedaggio nel podere di Masio ad eccezione del vecchio e giusto pedaggio delle navi. Nello stesso anno 1190 (doc. n. 559) gli Astesi si assicurano la esen- zione di ogni pedaggio sulle terre del marchese di Ceva, il quale si obbliga di ot- tenere loro lo stesso favore dai suoi consanguinei, e nel 1191 (doc. n. 929) rinno- vano col figlio del marchese Guercio la limitazione delle molestie commerciali al- l’antico e consueto pedaggio. Nel 1191 (doc. n. 908) si garantiscono contro ogni pedaggio, toloneo, guidonaggio, curayta, scufio, sulle terre del marchese di Saluzzo, che non fosse il vecchio e solito pedaggio. Nella pace del 1193 col marchese di Monferrato (doc. n. 918), questi si obbliga di pagare i suoi debiti a quei di Asti, ed anzi lascia nelle loro mani il pedaggio sulla sua strada, il quale era di 40 denari sugli Astesi, e di 6 soldi sugli estranei, onde ritengano rispettivamente 32 denari e 4 soldi fino ad estinzione dei debiti. Il che accaduto, rimarranno ad Asti un quarto ed al Marchese i tre quarti del pedaggio sulla strada, la quale Asti si impegna a condifendere. Il Marchese farà anche pagare ai suoi i debiti loro verso gli Astesi. Per il trattato di pace fra Asti ed Alba del 1193 (doc. n. 957) si stabilisce con piena reciprocità: che i cittadini dell’ima città adottino nell’altra le misure ed usanze di questa, se non che la vendita minuta dei panni e delle merci all’infuori delle vettovaglie non è concessa il sabato, quando non si abbia società di panni (’) : che gli uni non paghino maggiori pedaggi degli altri, e reciprocamente si facciano salva la strada, riservato il dividere la spesa in ragione dei negozianti di cia- scuna città. Inoltre nel 1194 (doc. n. 283) Asti e Chieri aggiungono ai loro trattati una convenzione improntata a spirito di liberale parità di trattamento, per cui gli Astesi (') Anche nel trattato del 1170 (doc. n. 956) era stabilito: Albenses debent negnciari sicut Astenses excepto die sabati. Qualche altra disposizione sui mercati si trova nel Codice Malabaila. Nel 1199 quei di Vinchio (doc. n. 403) danno agli Astesi il mercato ogni qualvolta loro sarà detto o mandato. Nella dedizione di Calliano del 1292 (doc. n. 743), questo paese conserva la facoltà di fare il mercato una volta per settimana- 28 — 218 — non pagano pedaggio, e negoziano in Chieri come i Cheriesi, ed altrettanto fanno questi in Asti. Nella nuova pace fatta nel 1197 (doc. n. 919) da Asti col marchese di Mon- ferrato fra le altre condizioni vi ha pure che il Marchese debba restituire il pedaggio che aveva levato in Mombaruzzo. Finalmente si hanno anche taluni patti relativamente al pedaggio imposto dai vicini signorotti, come ad esempio i de Revello, che nel 1198 (doc. n. 587) si impe- gnano a non eccedere il consueto, i signori di Manzano, Sarmatorio e Monfalcone che nello stesso anno 1198 (doc. n. 670) liberano gli Astigiani dai gravami sulle strade e dai pedaggi, il che promise ugualmente di fare Pipino di Vigliano (doc. n. 126). Nell’ammessione alla cittadinanza Astigiana degli uomini di Cuneo dei 23 di giugno del medesimo anno 1198 (doc. n. 717), Cuneo liberava ugualmente gli Astesi dai pedaggi, ed i Pocapaglia, nel 1202 (doc. n. 654) si obbligano a non levarne alcuno sugli Astesi. Parimente dalle convenzioni stipulate in quest’anno coi signori 0 Castellani dell’Astigiana (doc. n. 574 e 575) appare che gli Astesi vi dovevano andare esenti da pedaggio. Più copiosi sono i provvedimenti relativi ai pedaggi durante il secolo xm, e non sarà forse inopportuno darne qualche cenno. Per ciò che concerne le strade verso il Monferrato, nel 1206 (doc. n. 734) si rinnova l’ordinamento della tassa di Mombaruzzo col marchese di Monferrato, il quale assume sopra di sè la via da Rupecula a Vulture , e risponde dei danni che gli Astesi vi patissero. Nel 1290 (doc. n. 757), e nel 1292 (doc. n. 743) Vignale e Calliano posti sopra vie conducenti a Casale, non imporranno pedaggi sugli Astesi. E nello stesso anno 1290 (doc. n. 1035 dell’Appendice) i conti di Biandrate nella pace con Asti, fanno constare espressamente, che non sono obbligati a condurre ivi la loro biada, ma convengono che non la daranno ad un nemico del Comune. Nel trattato di lega, e di concittadinanza stipulato nel 1223 (doc. n. 1010 dell’Appendice) tra Asti ed Alba da una parte, ed Alessandria dall’altra, è pattuito che vi sia completa libertà di esportare dall’ima verso le altre di dette città ogni specie di mercanzia, ad eccezione della biada, sulla quale si riserva ciascun Comune di provvedere come crede. Vengono inoltre fissati i pedaggi tra Alessandria e le altre due città. Nell’alleanza di Asti con Enrico marchese di Savona contro Alba, del 1219 (doc. n. 603), i pensieri bellicosi non fanno scordare il commercio, e si rinnova l’antico patto di non imporre nuovo pedaggio, tolta, o supraposita, e nel 1224 (doc. n. 602) si stipula col fratello Ottone del Carretto un trattato formale relativo alla sicurezza della strada da Asti a Savona. Il del Carretto s’impegna a risarcire i danni, furti, od offese che venissero fatti agli Astesi sulla sua strada, a meno che egli avesse prima diffidati il podestà, ed i consoli negotintorum di non percorrerla. L’importanza per Asti della via verso il mare si dimostra ancora nel 1274 (doc. n. 448), quando 1 vassalli di Asti in Canelli e Calamandrana si obbligano a difendere la strada verso Cortemiglia ed il mare, come pure i mercanti, i viaggiatori, ed i vecturales , per i quali con lodevole larghezza di vedute è inteso che basti la condizione di non essere nemici di Asti. E finalmente nel 1292 (doc. n. 533) i signori di Incisa possono con- durre vettovaglie al mare, purché non destinate a nemici. — 219 Non minore è l’interesse che Asti dimostra per le sue comunicazioni verso oltremonti. Nel trattato del 1224 (doc. n. 656) col conte Tommaso i di Savoia, è pattuito che esso debba dare ad Asti una strada per i fanti ed i cavalli, la quale conduca da Susa ad Asti per S. Ambrogio, Yigone e Carignano, o per altro luogo con cui si fosse in pace, e quindi non per Rivoli e Torino. Il pedaggio sarà, sta- bilito d’accordo, e si bipartirà fra Asti ed il Conte, ma i castellani del pedaggio non avranno più di 18 denari susini nuovi per trossello (Y. § 23), in caso di rim- borso di spese fatte per custodire la strada, un pedagerio per Asti ed un altro per il Conte riscuoteranno il di più, che occorra a tal fine. I castellani e gli uomini dei luoghi circostanti hanno obbligo di tenere la strada, sicché vi si possa andar bene anche colle bestie. 11 Conte esenterà gli Astigiani da ogni malatolta nuova ed in- solita e non solo non la imporrà, ma non permetterà che altri la imponga in tutta la sua terra. Però gli Astigiani non avranno obbligo di seguire questa via (e ciò pro- verebbe che altre ve n’erano), ed il Conte venendo a far la pace con Torino, non la potrà stipulare che col consenso di Asti e dovrà assicurare la strada da questa Città a Susa. Chi perde qualcosa sulla strada deve essere indennizzato , anche, se occorra, coll’immissione in possesso del pedaggio fino a rimborso finito. Yi ha poi in questo trattato una disposizione veramente curiosa, ed è che il Conte si obbliga di dare ad Asti forza, aiuto, e consiglio ducendi Padum ad 'civitatem Astensem, si Astenses voluerint. Avrebbero mai gli antichi Astigiani concepito l’ardi- tissimo progetto di immettere il Po nella valle del Tanaro? (') La strada per Carignano interessò anche più tardi la città di Asti. Nel 1235 (doc. n. 687) Carignano si obbliga di fare e mantenere pontem vivum sul Po, e di non proibire il comune di Asti di passarvi con carri, carrozze, fanti, e cavalli. E dell’im- portanza attribuita alla strada verso Francia si hanno indizi significativi nella con- venzione del 1255 (n. 904) con cui l’Abate di Susa a nome del conte Tommaso n di Savoia libera gli Astesi da ogni pedaggio sulle terre che questi tiene in feudo da Asti: per le altre sue terre si accontenterà degli antichi e soliti pedaggi, e curerà di ottenere altrettanto dal conte di Savoia (Bonifacio). Finalmente nel trattato di pace con Torino del 1256 (doc. n. 942), si stabilisce che Torino debba dare ad Asti la strada tara francigenam quam lombardam ; inoltre che gli Astesi debbano essere immuni da ogni pedaggio o maltolta in Torino e nel suo dominio, ovvero abbiano a loro scelta il terzo del provento dei pedaggi. Alternativa la quale lascierebbe cre- dere che un terzo del transito per Torino fosse allora del commercio astese. La viabilità non solo era tenuta d’occhio dagli Astigiani, come importante acces- sorio dei suoi trattati, ma fu senza dubbio la causa che determinò, come già accen- nammo (§ 23), la guerra fatta nel 1228 da Asti e Chieri contro Torino ed i suoi alleati, e la distruzione di Testona. Si voleva vietare ai viandanti ed alle mercanzie che dalla Liguria, dall’Astigiana e dal Cheriese si portavano oltramonti di seguire (’) La immissione del Po in Tanaro sarebbe impresa ardua. Le altezze sul livello del mare sono di 228 metri per il Po presso Carignano, e di 110 metri per il Tanaro presso Asti. La distanza tra i due estremi è di circa 40 chilometri. 11 terreno sale dolcemente da Carignano fino al ciglio del bacino degli affluenti del Tanaro ; ciglio che per esempio a S. Paolo, si trova a 256 metri sul livello del mare. — 220 — una via diretta dal ponte di Testona all’entrata della valle di Susa, od a Pinerolo, ma si volevano obbligare a passare per Torino. Già più di un secolo prima Torino aveva ottenuto un diploma imperiale che la investiva della strada pubblica e della giurisdizione sovra i mercanti, e sempre si era mostrata gelosissima di questo diritto. Nel trattato del 13 luglio 1228 tra il Delfino Viennese, ed il podestà di Torino contraente anche a nome di Pinerolo e di Testona era stabilito ch’egli dovesse negare il passo ai Genovesi, Astigiani, Cheriesi se non fanno il loro cammino per Testona, Torino, Pinerolo ('). Indi Asti e Chieri non indugiarono a prendere le armi. Però nella lega del 1232 tra Asti e Torino contro Chieri (doc. n. 1013 App.) è stabilito che Torino darà ad Asti la solita strada grossa pel ponte sul Po, e dove piacerà a quei d’Asti, purché faccia capo in Torino. Un altro transito interessante per Asti sembra essere stato quello della Stura a Cherasco. Il trattato di pace fra Asti ed Alba del 1250 (doc. n. 969) stabilisce, e quello del 1276 (doc. n. 977) ripete, che quei di Cherasco e di Alba debbano fare sulla strada un ponte vel planchas sine forcia vel batefreclo , sul quale tanto que’ di Cherasco e di Alba, come quei di Asti, Fontane e Bra possano transitare liberamente. Si aggiunge poi che ciascuna delle due parti possa fare mulini, para- toria et batenderia et eorum astachamenta ciascuno sulla sua sponda, e quindi per Alba a destra, e per Asti a sinistra, purché non si danneggi l’altra parte. Final- mente sulla direzione di Saluzzo, Savigliano aveva già nel 1205 (doc. n. 711) e nel 1217 (doc. n. 712) stabilita con Asti l’uguaglianza dei pedaggi sui rispettivi territori e nell’anno 1277 diede piena apertura e libertà di strade ad Asti (doc. n. 713). Nel 1217 (doc. n. 605) nella convenzione che gli Astigiani fecero coi signori di Bra è stabilito di chiudere le loro strade ed i loro mercati a quelli di Alba previa denuncia tra loro. Parimente nel 1228 (doc. n. 261) nell’alleanza tra Asti ed i marchesi del Vasto è detto che essi proibiranno agli uomini di Alba e di Ales- sandria, contro cui fanno guerra comune omnes stratas et caminos quos et quas eis defendere et prohibere poterunt ; così pure non dovranno gli uomini di quelli dare agli uomini di questi aliquod guidonagium nelle loro terre e non dovranno nep- pure fare mercadendiam vel contractum cum hominihus de Alba vel de Alexandria. Ma poi nel 1251 (doc. n. 971) Asti ed Alba pattuiscono con Cuneo la reciproca esenzione dei pedaggi, al termine della loro locazione se fu fatta, e la divisione del prodotto dei pedaggi nel distretto di Cuneo a carico altrui ; i quali pedaggi non si potranno diminuire fuorché pel grano o biada, pel vino, pei frutti degli alberi e pei pesci. Nei trattati del 1266 e del 1269 con Carlo d’Angiò (doc. n. 945, 946), è pat- tuita la piena libertà di strade e di soggiorno con cose, persone, e mercimonii di qualunque specie, fuorché in Sicilia, nella Puglia, e nel principato di Capua, ove gli Astesi potranno andare, stare e tornare con cose e persone, ma pagando i pedaggi imposti agli altri. Anche là andavano gli Astesi, perchè l’angioino se ne preoccupasse ? Nella direzione di Alessandria, è stabilito dal trattato del 1292 (doc. n. 629) per cui Felizzano è assoggettato ad Asti, che gli Astesi non vi paghino pedaggio o (') Cibrakio, Storia di Chieri i. 107 e Stor. della Monarchia di Sav. i. 293. — 221 — dazio di sorta, e debbano avere la preferenza nell’acquisto dei medesimi, qualora Felizzano li esponesse in vendita. Da tutti questi atti emerge l’importanza che Asti attribuiva non solo alla li- bertà delle strade, ma anche alla entità dei pedaggi, e ben con ragione, giacche assai elevati essi erano. Per averne idea basti paragonare la entità dei pedaggi sulle vie di Savona nel 1171 e del Monferrato nel 1193, col valore delle terre in Castellalfero nel 1189. Per ciò che riguarda la sicurezza delle strade, due circostanze sono da avver- tire: cioè i cambi o laudi, ed i malfattori. Chi non poteva ottenere soddisfazione dal Comune o da un Astese entro la giu- risdizione da cui dipendeva, ottenuta da chi di ragione una carta cambii sive lauclis , sembra che afferrasse il primo Astese che gli veniva per le mani, e le robe sue. E reciprocamente ('). Nel 1191 (doc. n. 908) si pattuiva col marchese di Saluzzo che non sarebbe stato preso nessun Astese prò aliquo cambio, vel prò aliqua occasione, a meno che fosse il principale debitore o fidejussore. La stessa clausola si stabilisce tra Asti e Vercelli nel 1194 mediante apposita convenzione (doc. n. 992 dell’Appendice), ed è anche pattuita nella lega del 1223 fra Asti ed Alba da un lato ed Alessandria dall’altro (doc. n. 1010 dell’Appendice). Si hanno casi di arbitri per decidere sopra il fatto dei cambi, lodi e saximentorum (v. doc. n. 964 del 1250; 971 del 1251 ecc.). Nel 1256 (doc. n. 942) sarà lecito agli Astesi di arrestare in Torino quegli contro cui avessero carta di cambio, e quando gli Astesi venissero impediti oltremonti, anche tutti gli ultramontani tam clericos quam laycos che capitassero in Torino. Cessano cambia et pignorationes occasione laudum per la tregua con Carlo di Angiò del 1260 (doc. n. 944) e degli anni seguenti fino al 1283, in cui cessano pure cambia, pignorationes, concessiones seu represalie (doc. n. 981). Si pagano le carte dei cambi, ed intanto questi cessano per la pace col marchese di Monferrato del 1260 (doc. n. 926). Nel 1291 (doc. n. 621) Oberto de Serra, ottenuta da Genova una carta cambii sive laudis, arrestava gli Astesi finché Asti non gli fece ragione. A queste selvaggie rappresaglie si rimediava nelle diverse convenzioni, facendo ciascuna delle due parti facoltà all’altra di arrestare il debitore, o promettendole di farlo pagare. Quando l’Astese poteva ottenere pagamento del suo credito nel paese del debitore, era inutile che sequestrasse un compaesano del debitore (vedi doc. n. 656, 942, 969, 971 ecc. ecc.). Dei malfattori, non ne trovammo guari traccia nel Codice, che durante l’infausto periodo di Carlo d’Angiò. Nelle tregue tra Asti e gl’Angioini del 1260, 1263, 1266, 1269 (doc. n. 944, 945, 946) sono con molti particolari previsti i danni che possono recare i Berruarii vel cavalcatores seu ahi malefactores.La disposizione adottata è nella sua sostanza questa: se codesti berrovieri partono dalle terre di Asti o dei suoi alleati per offendere le (') La rappresaglia, o lettera di marca, o lettera di cambio, o notizia laudis vel lausi si con- cedeva, dopo che il Comune o Signore, da cui il creditore dipendeva, per lettera o legati aveva chiesto invano da quegli, a cui dipendenza era il debitore, che venisse fatta ragione. Pertile. Storia del diritto italiano. Tom. i pag. 254. _ 222 — terre o gli uomini del d’Angiò o dei suoi alleati e sono essi berrovieri aiutati dai partigiani d’ Asti, ovvero se riportano le loro prede sulle terre amiche d’Asti, in questo caso debba Asti indennizzare i danni prodotti dai berrovieri. E reciprocamente, se i berrovieri offendono le terre e gli uomini d’Asti partendo da quelle del d’Angiò. Inoltre ciascuna delle due parti si obbliga a non dare nè aiuto nè ricetto ai berrovieri che avessero danneggiata l’altra parte, ed anzi se potranno li prenderanno ed obblighe- ranno alla rifazione del danno. Però se uno dei contraenti è in guerra con altri che non sia l’altra parte contraente, purché questa non ne venga danneggiata, può esso tenere beroarios et se juvare de eis. Egli è chiaro che si tratta di veri briganti, che le due parti non hanno la forza 0 la volontà di distruggere, e che forse talvolta accarezzano o stipendiano come soldati di ventura per danneggiare i rivali ed i nemici. Essi erano il frutto della discordia fra le nostre città e le nostre famiglie, grandemente accresciuta per l’intervento del maledetto straniero, che tanto male doveva fare all’Italia. Infatti nessuna delle due parti contrae responsabilità di danni, allorquando non dette aiuto ai berrovieri nè ricetto alle loro prede. E nelle tregue posteriori a quelle del 1263, ai patti in questa stabiliti è fra gli altri aggiunto, che si debbano reci- procamente mallevare ( manulevari ) i prigionieri, ossia restituirli con idonea cauzione, ad eccezione di quelli che capti sunt per beroarios. ideila, tregua pattuita nel 1277 (doc. n. 951) con Cuneo a nome del Re di Sicilia, il quale poi non l’approva , è detto esplicitamente che codesti prigioni dei berrovieri, cavalcatori, o stipendiari in Cuneo e Busca, appartengono ad essi berrovieri. Per il trattato del 1283 (doc. n. 981) Carlo d’Angiò può liberamente transitare il dominio d’Asti. Se gli è fatto danno dagli Astesi o loro aderenti sarà indennizzato, e se i danneggianti non vogliono dare la indennità, il Re può guerreggiare e distrug- gere i luoghi da cui partirono le offese, ma non acquistarvi alcun diritto. Ed Asti lo aiuterà a prendere i malefattori sino a danno restituito, e richiederà i signori ed 1 Comuni dei malefattori a compellirli. Ma se le offese non sono recate da Astesi o loro aderenti, Asti non fa di più per il Re ed i suoi seguaci, di ciò che fa per i suoi cittadini. È però abbastanza curioso che nè prima nè dopo l’Angiò non si trovino nel Co- dice tracce di questi malfattori, il cui sviluppo sembra dovuto al malgenio dello straniero invasore, tra cui ed i popoli italici non vi era e non vi poteva essere verace affetto o simpatia. 87. Banche degli Astigiani. È noto che gli Astigiani ebbero parte non ultima nel risorgimento economico che gl’italiani determinarono in Europa sul finire del medioevo- Ben si comprende come ai primi albori della novella civiltà, gli Italiani per le storiche loro relazioni coll’Oriente, per la loro posizione nel Mediterraneo, per le ardite iniziative di talune delle loro città, fossero i primi ad impadronirsi del commercio marittimo. I mercanti solevano in quel tempo accompagnare in persona o con fidi messi le merci, fino a destinazione, e la anarchia nelle monete, il cui conio, il peso, il titolo erano diversissimi, mutabili, e talvolta falsificati, come le difficoltà ed i pericoli del — 223 — trasporto di metalli preziosi, dovevano render presto necessaria l’arte del cambista. Arte alla quale sembrano essersi particolarmente consacrati quelli dell’alta Italia, i così detti Lombardi, che si trovavano in posizione intermedia tra le città marittime e l’Europa occidentale e settentrionale. Arte in quel tempo complicata, e difficile tanto che un recente autore, il quale dottamente scrisse sovra questo argomento, e che spesso citeremo nel corso delle nostre considerazioni, cioè l’Amiet (')„ dichiara che i Lombardi erano quasi soli al corrente (fast ganz alleìn kundig) delle monete europee che allora avevano corso, e del loro valore relativo (2). Arte la quale diede occasione agli Italiani di fare le più sottili invenzioni in materia di contabilità, di forma di contratti, di ordini di pagamento, di cambiali e simili. All’arte del cambista, di leggieri si comprende come facilmente si associasse quella del prestatore di danaro. È noto che i legislatori greci partendo da Solone ammettevano la legittimità del- l’interesse sul danaro prestato, ed al più lo limitarono. Le dodici tavole di Roma lo ridussero al dodicesimo del capitale, ma nel 376 (ab U. c.) la legge Licinia, nel 397 quelle dei tribuni Duilio e Menio dovettero rivolgersi contro usure più elevate. Nel 406 l’interesse fu ridotto al ventiquattresimo del capitale. La legge Genutia nel 411 andò fino al divieto d’ogni interesse, ma negli ultimi tempi della repubblica fu per- messo l’interesse del 12 per cento, e si narra che Bruto prestasse in Cipro al 48 per cento, e Catone altrettanto facesse ad una ragione anche più elevata. L’imperatore Costantino fissò l’interesse al 12 per cento, e Giustiniano lo limitò al 4 per gli uomini illustri, all’8 per i mercanti, al 6 per gli altri, ed al 12 per le imprese marittime: ma determinò che gli interessi non soddisfatti non dovessero mai eccedere il capitale (3). Tali erano i principi del diritto romano, che sì lunga- mente continuò nelle tradizioni italiche. Per contro la legge mosaica ammetteva l’interesse verso lo straniero ma lo proi- biva tra gli ebrei (l). Sembra che più tardi sia stato proibito verso tutti (8), e si cre- dette che nel nuovo testamento esso fosse formalmente vietato (e). Sicché la Chiesa fino da’ primi tempi predicò il mutuum date nihil inde sperantes. Mala dottrina della Chiesa sull’interesse essendo in opposizione col diritto romano, ed in contraddizione colle naturali leggi economiche fu tarda a prevalere. Si cominciò col proibire ai chie- rici di far mutui ad interesse (Concili d’Arles nel 325, di Laodicea nel 343-381, di Cartagine nel 397, d’Arles nel 443-452). Il papa Leone Magno nel 443 estese anche la proibizione ai laici, ma non pare con grande frutto. Essa fu rinnovata nei capi- tolari di Carlo Magno, ne’Concilì di Costanza dell’814, di Parigi dell’825 eco. Ma non pare che tutto ciò bastasse, giacché si trovano ulteriori prescrizioni anche crudeli contro gli usurai, e si hanno esempi di contratti stipulanti l’interesse del prestito fatto da’ vescovi e da persone in fama di santità. (') T. I. Amiet. Die franzosischen und lombardischen Geldwucherer des Mittelalters nàmlichin dcr Schweiz. Iahrbuch fur schweizerische Geschichte, i. und ir. Band. (2) L. c. i. 215. (a) Camillo Pagliani e Cesare Arnò. Nuovo corso di Aritmetica analitica. Modena 1842. (‘) Deuteron. xxnr. 19. 20; Esodo xxn. 25; Levit. xxv. 35. 36. 37; Esdr. il. v. 7. (5) Salmo XIV. 5; Ezecli. xvili. 5. 8; IO. 13, xxii. 12. (6) S. Luca. vi. 34. 35. _ 224 — Alessandro in nel Concilio Lateranense nel 1179; Gregorio ix (1227-41); Gre- gorio x ed il Concilio di Lione nel 1274 fulminavano divieti sempre più recisi contro l’usura ('), e comincia a vedersi un’azione della podestà civile nello stesso senso. In Francia Luigi vm (1223-26) annullava tutti i contratti usurari: S. Luigi nel 1230 fissati i termini per i pagamenti di simili contratti in corso, li proscriveva intiera- mente per l’avvenire. Anche in Inghilterra il re Edoardo nel 1106 proibiva agli usurai di rimanere nel suo regno, ma poco dopo fiorivano più di prima, ed Enrico ni li ricacciava nel 1240 ma presto vi facevano ritorno (2). I glossatori però non si danno per intesi delle disposizioni della Chiesa, e si limitano al diritto romano: Accorso (1151-1229) non fa motto delle dottrine di essa (3). Ma i teologi, i sommisti, ed il più dotto ed il più potente di tutti, S. Tommaso d’Aquino sostiene il precetto della Chiesa, fondandosi anche sulle dottrine d’Aristotile che negava la legittimità dell’interesse sul denaro prestato. II nostro massimo poeta, come è noto, adottò per intiero le vedute di Aristotile e di S. Tommaso. Egli pone (canto xi) nel terzo girone del settimo cerchio i rei di malizia e d’ingiuria dovuta alla forza ed alla frode: Ma perchè frode è dell'uom proprio male, Più spiace a Dio: e però stan di sutto Gli frodolenti, e più dolor gli assale. Sotto gli incendiari, i predoni, i guastatori, gli omicidi, i suicidi, ei pone quelli che fanno forza nella Deìtade, Col cuor negando e bestemmiando quella, E spregiando natura e sua boutade. E però lo minor giron suggella Del segno suo e Soddoma e Caorsa. Virgilio spiega poscia come sia così nefando il peccato dell’usura. Egli osserva che l’arte umana segue la natura, che lo suo corso prende Dal divino intelletto e da sua arte. mentre l'usuriere altra via tiene, Per se natura e per la sua seguace .(l'arte) Dispregia, poi che in altro pon la spene. Il ragionamento era sempre quello di Aristotile : Nummus nummum non parit. f) È noto che si designava col titolo di usura, l’interesse sul capitale, qualunque ne fosse la ragione. Usura est premium pecuniae muluatac; est iniusta, contea legem nalurae et peccalum mortale dice S. Tommaso d’Aquino. Egli ammette il compenso del danno sive interesse , quando per esempio non si restituisce il mutuo alla scadenza stabilita, ma non ritiene come danno ricompensabile il fatto che il prestatore intanto non trae alcun lucro del denaro prestato. (Summa 22, 9, 78, 1, 2, 3). (’) Muratori. Antiq. ital. medii aevi i. 891. (’) W. Endemann. Studien in den Romanisch-Kanonis- tichen Wirtschafts- und Rechtslehre bis Ende des 17ten Jahrhunderts. i. Berlin 1874 pag. 18. I governi, ed i popoli ancora, quasi sempre od almeno spesso, resistono a dot- trine così severe ed antieconomiche. Nel nostro Codice vi ha qualche documento, in cui si stabilisce una differenza tra il capitale e l’interesse. — Nel 1224 (doc. n. 898) certi signori di Anterisio non possono essere obbligati dal podestà di Asti ad justiciam exhibendam dei debiti, che avessero in Asti, se non usque ad capitale. Non si dice se, ed in qual modo il creditore possa farsi rendere giustizia per ciò che concerne gli interessi. — Nella dedizione di Casorzo del 1290 (doc. n. 745) quei di Casorzo sono liberati ab omnibus et singulis usuris damnis et interesse verso gli Astigiani, e saranno liberati dai loro debiti, se pagheranno solummodo capitale. — Nella cittadinanza di Asti data nel 1292 a quei di Calliano (doc. n. 743), è stabilito che gli Astesi creditori del Comune o dei privati di Calliano, con carta o senza, debbano ciascuno accontentarsi sua sorte, (cioè del suo capitale), e non possano richiedere aliquod guierdonum vel aliqioam uxuram nec edam sortem fino al S. Giovanni dell’anno prossimo. Invece in parecchi altri documenti l’interesse del denaro è esplicitamente pat- tuito, od ammesso. — Nel trattato fra Asti ed i de Gorzano del 1206 (doc. n. 933) è stabilito che il podestà di Asti debba ridurre omne debitum uxurarium (dovuto dagli uomini di Gorzano in civitate ) ad mensuram trium denariorum prò libra de capitali. ■ — La priora del monastero di S. Felice di Villanova nel 1208 (doc. n. 820) promette dare prò premio et prò dono denarios tres prò qualibet libra sin- gulis mensibus. — Ed egualmente si pattuisce l’interesse in debiti fatti nel 1252 e nel 1253 dal conte di Biandrate (doc. n. 899, 900), e nel primo di tali atti, al quale assiste il vescovo di Asti, è ammesso nomine et ex causa pure donationis inter vivos ; come pure in debiti contratti nel 1255, 1258, 1262, 1272 dal marchese di Busca (doc. n. 502, 506), ove è ammesso prò lucro et nomine lucri , ovvero prò pena sive guierdono. Nel 1301 ('), i deputati a tale ufficio dal maggiore Consiglio di Torino, in con- formità delle convenzioni fatte con Filippo di Savoia signore della città, concedendo a Leonardo Solaro la casana di Torino, stabiliscono che il concessionario non debba prendere più di 6 denari per lira mutuata. Indi ordinano che fiat eidem Casanario vel mutuatori ius sive restitucio vel solucio ita bene de usura vel guierdono quem- admodum de sorte et tam ad solucionem usure predicte quam sortis faciendam traddere conpellatur debitor et conpelli possit sicut prò sorte per judicem sive Curiam Taurini aliquo capitulo loquente de non reddendo jure de usura non obstante et qui contra fecerit solvat prò pena prò quolibet et qualibet vice solidos lx. Vero è che nel Sinodo tenuto in Acqui dal vescovo Oddone nel 1308 (2) fu sta- bilito che, sotto pena di sospensione dai divini uffici, i sacerdoti non possano rice- vere od assistere alla sepoltura dell’usuraio, se non quando esso abbia restituito le usure, o fatta solenne promessa di restituirle con apposita cauzione. Il prete deve anzi farsi consegnare i quaderni e gli atti dei crediti onde tassare le restituzioni occorrenti. — E disposizioni analoghe devono essere state adottate o tentate da Guido vescovo di Asti, giacché si hanno due testamenti fatti secondo questi 'principi in (') Appendice al Codice Doc. n. 1051. (2) Moriondo. Mon. Aq. n. 61. 20 — 225 presenza del vicario del vescovo, l’uno nel 1304 da Leonardo Solaro, l’altro nel 1321 da Beneto de Solaro (doc. n. 1038, 1046), dei quali fra non molto parleremo. Ma tuttavia la resistenza alle dottrine chiesastiche sull’usura è ancora manifesta. Citeremo ad esempio le disposizioni dello Statuto delle arti e degli artefici di Firenze del 1312 (Rubi*, xx). Il sindico del collegio all’uopo riconosceva ciò che era dovuto per restituzione di danni, spese ed interesse (sive damili recompensatio nel senso tomista), da ciò che era lucro, rimunerazione, dono. Ma essendovi chi solleva la quistione che si pretende a titolo d’indennità e d’interesse ciò che è dono, lucro, rimunerazione, e non teme (quod orrendum est dicere ) di impetrare lettere papali, e simili, si statuisce bravamente: quod totum et quicquid scriptum appareret, vel apparebit in libro alicuius mercatoris vel habentis librum in quo solitus sit seri- bere data et accepta, se dare debere alicui personae vel loco, prò lucro seu dono prò aliqua remuner aliane, prò aliqua pecuniae quantitate quarn talis mercator teneretur, vel hactenus tenebatur alicui personae seu loco, illud intelligatur, quod dare tenebatur vel teneretur prò restituitone dampnorum et expensarum et inte- resse- prò tempore quo solvere cessavit creditori suo , licet scriptum apparenti in libro suo vel alterius quod prò lucro dono seu remuneratione dare tenetur : e sia il debitore costretto a pagar ciò di cui risulta debitore per lucro e simili, nè valga la scusa che si tratta d’usura, perchè secondo la buona consuetudine dei mercanti, è tenuto a dare questo per restituzione di danni ed interesse: e se si muove que- stione presso qualsiasi giudice ecclesiastico o laico, l’ufficiale della università dei mercanti debba farlo desistere da tale lite: e se non desiste, debba l’ufficiale di- chiararlo mercator em cessantem, fugitivum cum pecunia aliena , infamem, e non ammetterlo piu agli onori del Comune o delle arti (’). Nel 1339 in Siena è stabilito: « Che nessuna persona in Siena o nel contado « potesse prestare a usura per nessun modo, se prima non si facesse scrivere nel « libro detto usuraio di Bicherna a ciò deputato ». (2). Negli statuti di molte città italiane, come vedemmo allorché si parlò della ragione dell’interesse (§ 34), lo si ammetteva ma riducendolo a limiti determinati. Ma più tardi anche i giureconsulti si arrendono : nel secolo xiv Bartolo ammette e dimostra che oggi l’interesse sul denaro è proibito secondo il diritto canonico e civile e Baldo ed altri fanno altrettanto (3). Sicché l’arte del prestatore di denaro, se difficile per il cambio, diventava peri- colosa dirimpetto ai governi ed ai popoli, i quali ora tolleravano, ed ora o per scru- polo, o per ira contro gli eccessi degli usurai, o per avidità de’ loro denari inveivano contro di essi ('"). Non è quindi a far meraviglia che il commercio del denaro non (') Prof. D. Lastig. Beitrage zur Geschichte des Handelsrechts. Zeitschrift fùr gesammte Han- delsrecht. 23 Band. pag. 138. (!) Muratori. Antiq. ital. med. aevi, i. 8C3. (3) Endemann, 1. c. p. 27. (*) 11 principe dei prosatori italiani, così fa parlare due usurai in Borgogna : « Il popolo di « questa terra, il quale sì per lo mestier nostro il quale loro pare iniquissimo, e tutto il giorno « ne dicon male, e sì per volontà che hanno di rubarci,... si leverà a rumore, e griderà: questi Lom- « bardi cani, li quali a chiesa non sono voluti ricevere, non ci si vogliono più sostenere ; correranci « alle case, e per avventura non solamente l'avere ci ruberanno, ma forse ci torranno oltre a ciò le « persone ». Boccaccio. Decamerone i. 1. — 227 ~ fosse guari esercitato che dagli ebrei, e da pochi cristiani. Questi furono sopratutto francesi od italiani, e vennero detti secondo la loro origine Caorsini (') o Lombardi, e talora, indipendentemente dalla loro nazionalità, erano confusamente chiamati ora Caorsini ed ora Lombardi (!). Erano costoro meno credenti nella giustizia dei precetti della Chiesa ? Ovvero avevano trovato modo di accomodarsi con essa, del cui Capo supremo erano talvolta campsores ufficiali, ed ai cui alti dignitari spesso prestavano denaro, o pagavano tributo? 0 finalmente non erano gli abitanti dei paesi in cui esercitavano il loro non facile commercio, in grado di far concorrenza, o sdegnavano essi una industria ritenuta men dicevole a chi avesse i mezzi di esercitarla? Checché ne sia, l’ufficio di cambista spesso non era libero, ed in molte parti il vediamo con- cesso specialmente ai Lombardi con privilegi talvolta assai grandi. Tra questi Lombardi, gli Astigiani occupano un posto cospicuo, ed è fuori di dubbio che la banca fu l’arte che fece ricchi i cittadini e potente la repubblica. Gli storici di Asti dicono che prima di dedicarsi alla banca gli Astigiani esercita- rono su vasta scala l’industria dei tessuti di lana e di canapa, che il loro commercio di panni fu attivissimo con Genova, e credono che dai Genovesi essi apprendessero il modo di arricchirsi nei cambi e nelle usure (3). È molto probabile che le cose di fatti così stessero, e che iniziati i cambi tra Genova ed Asti, gli Astigiani poscia li proseguissero a settentrione ed all’ovest, od almeno si associassero ai Genovesi in tali commerci. Anche nella metà del secolo xm troviamo traccie dell’azione ban- caria degli Astigiani a Genova, giacché nella composizione che si fece li 20 giugno 1251, tra Asti e Genova delle controversie insorte per la mercatura dei panni e delle tele di canapa, si rinnovò agli Astigiani il diritto di tener banche in Genova ita quod dieta banca teneant ad modum et formam quo et qua solebant tenere Aslenses in Janua (4). Secondo Ogerio Alfieri (n. 13 c.) si fu nel 1226 che gli Astigiani cominciarono a prestare et facere usuras in Francia et ultramonta nis partibus ubi multam pe- cuniali lucrati sunt. Però come è noto, in seguito alla guerra che Asti ebbe col conte Tommaso di Savoia nel 1255, ed alla sua prigionìa, una grande rappresaglia si esercitò in Francia sui mercanti e banchieri astigiani : le loro casane furono ovunque sequestrate, e secondo l’Alfieri (n. 15 c.) il danno soffertone sarebbe stato superiore alla grossa somma di ottocento mila lire. Nel 1277 il commercio degli Astigiani in Francia doveva ancora essere molto attivo, giacché nei privilegi concessi in (’) Anche l’Amiet fa giustizia delle ipotesi che derivavano i Caorsini dai Corsini di Firenze, o da Caorso villaggio piacentino, o da Cavour, e segue i commentatori di Dante, il Muratori ecc. che attribuiscono la Caorsa dantesca alla città di Cahors, capitale del dipartimento del Lot. Il Caorsino era detto nei documenti latini Caorsinus, Catursinus con una serie di varianti indicate dall’Amiet, che si possono comprendere nella formola Cao (atu, au, awe, oli, onve, o) r? (c, sch) inus, nella quale al posto delle lettere in corsivo, si possono mettere le varianti tra parentesi. La formola compren- dente le varianti tedesche sarebbe: C (F, G) a (e) u (ue, uwe, ve, wa, we, wi, be,-) ri (r, t) sch (s, z, zsch,-) in (i, y, e, en, er, iner, an,-). Nei documenti francesi è detto C a (-) h u (o) rsi n (ns). (’) Il lombardo nei documenti tedeschi è detto Lamparter, Lamperte, Lombard Amiet, 1. c. i. 189. (a) Grassi, 1. c. 1. 167 — Molina, 1. c. 2, p. 171-75 — Vassallo. Pietro Secondo di Savoia, ecc. p. 55. (4) Mon. Hist. pat. Liber jurium reip. genuensis. I. 1082-1086. 228 quell’anno da Filippo in ai negozianti italiani che si recavano a Nimes, sono com- presi quelli di Asti: licebit etiam mercatoribus diete universitatis sibi preficere et habere Capitaneum sèu rectorem et consules in dieta civitale ('). Antonio Astesano nel suo carme (2) annunzia che cives astenses magna ex parte coeperunt foen erari , et casanas facere ultra montes anno 1226. Frigida tum primum coepit Germania numos Astenses et eis foenora magna dedit. Benvenuto da Imola (3) nel suo Commento sovra Dante dice che gli Alessan- drini fecero proditoriamente prigione il marchese di Monferrato, acceptis magnis pe- cuniis ab Astensibus , qui siont pecuniosores omnibus italicis , ceteris paribus , quia sunt maximi usurarii. Il Turzano di Castelnuovo dopo aver narrato che gli Astigiani facevano usuras pessimas in Francia ed in Fiandra, ove la maggior parte delle famiglie, e special- mente delle nobili, mandavano i loro figli ad esercitare quest’arte, esclama: audio ubique dici hoc dicturn: qui vult foenerari recurrat ad' Astenses et Cherienses (4). L’Amiet da ultimo c’ informa (s) che i Lombardi i quali esercitavano la banca nelle città del Keno ed in Svizzera, per quanto a lui consta, ed i suoi studi furono diligentissimi, erano quasi tutti di Asti e dei suoi dintorni. L’importanza di questa azione degli Astigiani sul movimento economico europeo, ci indusse a raccogliere dagli autori che ci vennero tra le mani, le notizie relative ai banchieri Astigiani ed alle loro banche o casone nei paesi a settentrione della repubblica d’Asti. Parimente pregammo il cav. Vayra di cercare negli archivi torinesi i documenti che vi si potessero riferire. Daremo ora un sunto delle notizie stesse ordinate per famiglie (f). Se non andiamo errati, esse danno qualche idea del modo di operare dei banchieri astigiani, e della importanza della loro azione, e forse indurranno chi possegga altri documenti a com- pletarle, cosicché si possa fare una storia del movimento bancario astigiano. Il lettore osserverà che nel nostro elenco dei banchieri, figurano i nomi più illustri nella storia d’Asti, ed ove si eccettuino gli Aleramici, quelli delle più antiche famiglie feudatarie. Ma di questo importante argomento tratteremo più tardi. Premettiamo che quando non è indicata la sorgente da cui fu tratta una noti- zia, essa proviene dalle diligenti ricerche del Vayra negli archivi torinesi. Alfieri. 1. A Friborgo troviamo come banchieri o prestatori di denari: nel 1295 Nicola Alfieri; dopo il 1303, e nel 1310 Manfredo Alfieri (vedi in tutti tre gli anni M. Toma). (') Mon. Hist. Patr. Lib. Jurium. 1451-55. (2) L. A. Muratori. Rerum italicarum Scriptores. Mediolani 1729. xiv. 1045. (3) L. A. Muratori. Antiquitates Italicae medii aevi. Mediolani 1738. i 1178. (‘) Cibrario. Storie di Chieri, i. 493. Ancorché il Cibrario ed altri abbiano accettato senza riserva il Turzano, dobbiamo avvertire che quanto si attribuisce a questo scrittore è di fonte molto sospetta. Quello però che gli si mette in bocca a questo proposito proverebbe ad ogni modo un’opi- nione generalmente ricevuta nel secolo xvii. (s) L. c. i. 204. (“) Abbiamo scelto le famiglie, i cui nomi figurano nellTndice delle persone del Codice e per le quali si trovò od una serie di indicazioni, ovvero qualche indicazione novella o poco nota, che desse idea della loro azione bancaria. — 229 — 2. Nel 1300 Martino Alfieri esercita con Beniamino Toma (vedi B. Toma) la zecca di Ginevra, e nello stesso anno presta 2000 fiorini al conte di Savoia pel suo viaggio in Koma ('). 3. Nel 1304 Giorgio Alfieri ha affari in Bruzelles (vedi de’ Guttuari). 4. Nel 1452, in Lovanio, Bartolomeo Alfieri e Gio. Madea del fu Biasio di Pelizzano, ricevono in mutuo da Martino Pelletta del fu Giacomo d’Asti, la somma di 2900 corone da restituirsi a detto Martino od al latore degli strumenti relativi a detto prestito (2). Però essendo detti istrumenti andati smarriti si rinnova l’atto di prestito in Bruges nel 1456. Sono ancora da restituirsi 1490 corone d’oro di conio del re di Francia, che verranno rimborsate 140 corone nel 1457, 140 nel 1458, 640 nel 1459, 570 nel 1460. I debitori impegnano le loro persone ed i loro beni in Magliano, Felizzano, Lovanio, Bruges, Damme (Danuii?), Sluys (Sciusi?), Mid- delburgo, ed in tutte le città o luoghi del Brabante, della Fiandra, dell’Artois, dell’Hainaut, dell’Olanda, della Zelanda, nelle città o curie di Tournai . . . (Morivensi civit.), Arras, Cambrai, Liegi, Amiens, Parigi, Asti, Torino, Vercelli (3). ni Antignano. 1. Giacomo d’Antignano ha una banca in Nésles prima del 1258 (vedi 0. Pelletta). 2. Nel Vallese apud Contegìum hanno banca Francesco e Giacomo di Antignano con altri, nel 1304 (vedi Manuele Toma); e nel 1314 Nicola di Martigny promette di tenere indenni i fideiussori, che erano stati compelliti a pagare un suo debito a F. e G. di Antignano e M. Toma nella casana di Conthey ('‘). 3. A Tenne, a Rossillon ed in altre parti della Savoia i di Antignano eserci- tano la banca dal 1344 al 1348, come dai documenti seguenti: 1344, 7 ottobre. Quitanza di Berardone di Antignano, lombardo, cittadino d'Asti a nome di Giorgio di Mongarello, lombardo, a Lodovico di Savoia per 680 lire e 10 soldi, moneta di Losanna, da questo sborsate a saldo del debito contratto dal nobile Francesco de la Serra, di cui Lodovico si era reso cauzionarlo. 1345, 10 gennaio. 11 sig. di Divonne promette quitanza al Conte di Savoia per quanto esso deve a sua madre Gina di Pontremoli. — L'atto è rogato in Yenna nella casa di Edoardo d’Anti- gnano dove abitano i Lombardi che tengono ivi la casana, ed erano presenti Gabriele Lajolo e Bar- tolomeo Garetti lombardi. 1346. Sandone (Secondone o Sandrone?) d'Antignano a nome e per conto dei lombardi tenenti la casana di Bossillo.i, paga all’ospizio del conte di Savoia, 25 soldi grossi tornesi per la censiva di quella casana di detto anno (Conto d'Ajmone Lupi). 1347. Il conte Amedeo di Savoia ordina al Consiglio residente in Ciamberì, di permettere a Sicndino di Antignano, lombardo, di dimorare e d’esercitare il commercio nei suoi stati, con che si astenga di aprire il banco feneratizio, insino a tanto che non sia altrimenti determinato. — 12 set- tembre. Sottomissione con cauzione passata da Siondino di Antignano, lombardo di costituirsi nella forza del Consiglio del conte di Savoia in Ciamberì. (') Cjbrario. Orig. e prog. della Mon. di Savoia, n. 76. (s) Si tratta di un biglietto al latore: se ne conosce in Italia dei più antichi assai (Perule. iv. 440. 653), nelle Fiandre (A. C. Hottius. Abhandlungen civilistischen und handelsrectlichen Inhalts-Uebersetz von D. S. Sturo. 1852. 208) e del 1355 se ne conosce uno relativo ai Lombardi (F. Hecht. Ein Beitrag zur Gescbichte der Inhaber- papiere in den Niederlanden. Erlangen 1859. 8). Vedi più avanti un biglietto al latore dato da Amedeo V di Savoia a M. Gutuario. (") Vedi documento C nell’Allegato n. 2. (*) Mémoires et documents publiés par la société d’histoire de la Suisse Romande, ili. 246. — 230 1348, 3 febbraio. Obbligo passato daBerardone di Antignano e da Domenico di Quattordio, lom- bardi astigiani, tanto a loro nome che quali procuratori di Giorgio di Mongarello, a favore di Giorgio Solerò cancelliere di Savoia, per 200 fiorini d'oro. Erano l’ammontare della cauzione prestata per il rilascio ad essi accordato dal conte di Savoia del banco feneratizio e di altri beni posti nel contado di Savoia, confiscati in occasione della guerra con Luchino Visconti signor di Milano e col marchese di Monferrato. Asinari. 1. A Friborgo troviamo Giorgio Asinari nel 1295, nel 1303, nel 1310 (vedi Man. Toma). 2. Verso la metà del secolo xiv gli Asinari esercitano un attivissimo commercio bancario in Svizzera ed in Savoia. A Ginevra. Nel 1346, 30 maggio, gii Asinari banchieri d’Asti nel contado di Ginevra regolano le loro partite col Conte. Parimente nel 1356, 31 maggio, si ha una quitanza generale di Giorgio ed altri quattro Asinari d'Asti, in favore del conte di Ginevra, d'ogni debito contratto da lui e dai suoi predecessori coi banchi da essi tenuti nel Genevese, ed una quitanza generale del Conte per le somme da essi riscosse ed amministrate (’). — Nel 1358 Aimone Asinari e Francesco de Medici hanno cittadinanza, e banca in Ginevra. Stavano in casa appartenente al Vescovo, malgrado il divieto del Concilio di Lione del 1274, che proibiva ai Vescovi, sotto pena di sospensione, di affittare le loro case ad usurpai per l’esercizio della loro usura (2). — Anche nel 1359 essi operano in Ginevra (vedi Fr. de Medici). A Aunecy troviamo Corrado ed Aimoneto Asinari nel 1349 (vedi Fr. de Medici). Nel 1350, Vivaudo Cravesana cittadino d’Asti rettore del banco feneratizio di Annecy, ed agente di Giorgio e Giovannino Asinari proprietari di detto banco, si obbliga a favore di Guglielmo di Boczosel commendatore di s. Antonio di Ciamberì per la somma di 100 fiorini d’oro, per i quali si era reso cauzionano del conte Amedeo di Ginevra verso il medesimo. — Nel 1351, 22 novembre, in Avigliana, i rappresentanti del conte Amedeo di Savoia dichiarano a Corrado Asinari lombardo d’Asti, di essere pronti a venire alla resa dei conti di quanto gli è dovuto per parte del predetto conte Ame- deo. E presente il lombardo Francesco de Medici. A Bourget, si trova Corrado A. nel 1352 (vedi Fr. de Medici). Nel Fossigny opera Giorgio A. nel 1353 e nel 1354 (vedi Fr. de Medici). A Ciamberì si trova P. Asinari nel 1358 (vedi Fr. de Medici). A Rumilly gli Asinari tengono casana nel 1358, giacché Enrico di Chàtillon castellano di Rumilly presenta al conte di Ginevra una lettera, in cui un certo Rolet /il Rol dichiara d’aver colpito ed ucciso certo Ybauz tenente della casana per gii 4si- nari, e ciò per guerra ch’egli aveva coi detti lombardi e loro agenti, e che niun altro deve esserne incolpato. A Friborgo gli Asinari ed altri Astigiani fecero molti affari di cui è rimasta memoria. Nel 1353 ai 16 di giugno, Aimoneto A. è ricevuto cittadino di Friborgo: paga 50 fiorini d’oro di Firenze, promette di pagarne 100 se lascierà o perderà la cittadinanza, e dà pegno sovra due case che possiede nella stessa città (’). Dal 1356-59, Aimoneto e Pietro Asinari, Andeloto Toma ed il suo figlio Mermeto, Giacomino di Saliceto, e Francesco de Medici, se uniti in una sola banca od in parecchie si ignora, operano in Fri- borgo: si sa però che Aimoneto Asinari, Francesco de Medici e Giacomino di Saliceto appartenevano (’) Cibrakio. Origin. e progress, della Monarchia ecc. 125. (!) Amiet, 1. c. li. 264. (3) Amiet, 1. c. li. 221. 293. — 231 alla stessa banca. Avvi nell’archivio di Friborgo un protocollo notarile con parecchi volumi, in uno dei quali vi sono 26 pagine sotto il titolo: Registrimi Lombardorum inceptum prima die marcii anno Lmo quinto (V35Q). Sono indicati il nome del debitore, l’entità e la scadenza del debito, il fide- jussore e la data. Non si parla d'interesse: forse esso era il consueto, e secondo l’usanza non partiva che dalla scadenza oppure era compreso nella somma indicata come capitale. L’Amiet, da cui togliamo questi dati interessanti, dà un sunto di 119 atti tutti ivi registrati, fuorché qualcuno che si tolse da altri protocolli. Si estendono dal 20 febbraio 1356 al 10 marzo 1359. 11 numero di prestiti non è egualmente ripartito col tempo: 75 si riferiscono al 1356, 22 al 1357, 12 al 1358, 10 al 1359. — L'ammontare medio di ciascun prestito dedotto dalla somma di ciascuna specie di moneta per sé, è di 10 fiorini, 9 lire, 19 scellini. Il massimo è di 133 fiorini, il minimo di 24 scellini. — Figurano tra i debitori persone di ogni qualità, ed anche ecclesiastici. Fra questi un priore del chiostro di Kueggisberg, il quale per pagare i debiti avendo venduto beni del chiostro è disapprovato dall’Àbate di Clugni, ed imprigionato. Un altro debitore è costretto a cedere per 26 lire la sua spezieria cogli utensili e le provviste. — Anche i lombardi prendevano denaro a prestito. Così nel 1357 Andeloto Toma ed il suo figlio Mermeto tolgono 15 lire a mutuo da Alberto Castella di Friborgo, e nel 1358 Aimoneto Asinari riceve in prestito 215 fiorini d’oro da Pietro di Chenens di Friborgo. — Alcuni di codesti astigiani si trattennero colle loro famiglie a Friborgo anche dopo il 1359. La moglie di Pietro Asinari aveva nome Agneteleta. Da Giacomo di Saliceto ebbe origine una ragguardevole famiglia di Friborgo (’). Nel 1357, 22 maggio. Geronimo di Montestuto lombardo, in nome di Aimonetto Asinari cit- tadino e mercante d’Asti, chiede a Pietro di Compeys il pagamento fra 15 giorni di 400 fiorini, già scaduti sul debito di 639 fiorini, del quale il detto Pietro si rese sicurtà per Ibleto di Gresy. 3. Da poco dopo l’ultima metà del secolo xiv sembra che gli Asinari esten- dessero le loro banche sul Reno. Nel 1357 si trovano Corrado Asinari e Folcardo Pallido mercanti lombardi a Oberwesel (’). — Nel 1365, 6 settembre: Tommaso Gardino, astigiano dimorante a Bavay nel contado di Hainaut, diocesi di Cambrai, fa testamento, nella casa dei lombardi di quella città e nomina esecutori testa- mentari Gabriele e Michele Asinari i quali verisimilmente erano suoi soci in quella banca. Nel 1376, l’arcivescovo di Treveri contro un'annua tassa di 180 fiorini, concede ai fratelli Tom- maso e Michele, a Monico de Asinara e ad Obertino de Montafia di soggiornare in Oberwesel per 9 anni, di vendere, comprare, cambiare, fare ogni specie di cambio, e procacciarsi il loro utile in ogni modo. Sono pure accordati molti altri favori. Ad esempio: un misfatto, salvo l’omicidio, è punito al massimo con 50 fiorini: in giudizio contro i loro servitori, si crede ai lombardi senz'altra prova: un deposito di roba rubata o male acquistata si restituisce solo contro restituzione della somma anticipata: un pegno non riscattato entro un anno e giorno (1 ann. 6 settimane) si può vendere tenendo il maggior prodotto: si crede alla parola dei lombardi senz’altra prova, a meno che il contrario sia dimostrai da tre testimoni validi: se arrestano un creditore o confiscano i suoi beni, saranno pagati prima di ogni altro: in caso di ostilità contro taluno, nel cui dominio fossero altri mercanti lombardi in re- lazione di affari coi concessionari, dovessero quelli, se in compagnia di questi, andare sicuri: non si può provocare i lombardi in duello: in caso di accusa per violenza o cognizione carnale contro vo- lontà della vittima, possono i lombardi liberarsene col giuramento, senz’altra prova giuridica (8). 4. Anche snl finire del secolo xiv non sembra che gli Asinari avessero smesso gli affari in Svizzera e li continuavano in Savoia. Nel 1383 il conte Amedeo vii confermò i privilegi dei banchi di prestito ai lombardi fra i quali erano vari Asinari (!). Nel 1397 Ottone de Berris di Ponzano è ricevuto cittadino di Biel per 10 anni col pagamento (') Amiet, 1. c. il. 222 a 245. (5) Amiet, 1. c. I. 213. (*) Amiet, 1. c. i. 213. 218. 221. ('“) Cibrario. Istituzioni della Mon. di Sav. 149. — 232 — annuo di 20 fiorini; colla facoltà di prestare all' interesse per i cittadini di 1^ pfenningen settima- nali per lira, e coi privilegi che si trovano in consimili concessioni le più favorevoli al banchiere (vedi ad esempio Maffeo Merlo a Soletta nel 1377). Era guarante Oddonino Asineir in quel tempo castellano di Murten, il quale aveva redatta la concessione, e che per tradizioni di famiglia ben doveva conoscere codeste quistioni ('). Nel 1403, il conte Antonio di Gruyère è debitore di 1500 fiorini verso Ottonino Asinari. D'ac- cordo col conte di Savoia suo sovrano nomina l’Asinari castellano di Aubonne e Coppet acciò in un triennio si paghi del suo credito. Scorsi due anni senza che l’Asinari abbia resa ragione della sua gestione, il conte di Savoia gli toglie le suddette castellarne. Si accomodano tutte le questioni nel 1411 (5). 5. Nella prima metà elei secolo xv, gli Asinari tengono molte banche nelle Fiandre. In Anversa Rassa e Guglielmo A. fratelli, Michele figlio di Rassa, e Matteo figlio di Guglielmo sono concessionari del banco dal 1416 al 1432, e pagano 100 lire all’anno. Guglielmo e Corrado A. fratelli, Matteo figlio di Guglielmo, e Luigi figlio di Corrado tengono lo stesso banco dal 1432 al 1447, e pagano 100 corone all’anno. Gli Asi- nari hanno ancora questo banco dal 1448 al 1452 e pagano annualmente 125 corone (3). In Bois le due, ed in genere nel Brabante, Rassa, Guglielmo e Giorgio fratelli A. con altri tengono banco dal 1418 al 1433 (vedi Montafia). A Bierre il banco è tenuto da Corrado e Luigi A. dal 1432 al 1447, ed essi pagano 20 fiorini all’anno. Gli Asinari tengono pure tale banco dal 1448 al 1452, pagando 32 fiorini all’anno. Ma per i loro malefizi la concessione è revocata, e nel 1455 subentrano Adriano e Oberto Villa di Chieri Q). A Nivelles, Corrado A. e suo figlio Luigi, Giovanni A. ed i suoi figli Pietro e Giovanni tengono il banco dal 1432 al 1447, e pagano 36 fiorini all’ anno. Corrado A. e suo figlio Luigi hanno ancora questo banco dal 1448 al 1452, ma nel 1454 esso è assunto da Stefano Bourgois mercante di Biella (“). In Herenthal Corrado A. e suo figlio Luigi, nel 1444 hanno concessione del banco per 20 anni, e pagano 16 fiorini del Reno, ma nel 1455 la concessione è revocata a cagione dei malefizi di Luigi, e passa ai Villa di Chieri ('*). De Beccariis. Nel 1286 al 30 agosto, Giacomo signore di Quarto (Aosta), premesso che ha ricevuto in mutuo da Pietro e Francesco De Beccariis cittadini di Asti, 1200 lire viennesi, e dato loro molti fideiussori ed ostaggi, prega il Conte Amedeo di Savoia di costringere alla scadenza del termine lui ed i suoi fideiussori al pagamento di detta somma. Questa curiosa istanza fatta dal debitore al Conte, di compellirlo al pagamento alla scadenza era evidentemente intesa a dare una più forte guarentigia pel pagamento, in mano del creditore e ciò forse era stato a lui domandato perchè egli, il sire di Quarto, non avesse poi con maneggi presso il Conte e con pretesti della sua dipendenza tentato di sottrarsi al pagamento, venuta la scadenza. Non sappiamo se si parli di un De Beccavi, o di un esercente la beccheria in un atto del 1357, nel quale Benedetto Niger (Magister?) lombardo di Zurigo, e (’) Ahiet, 1. c. i. 251-255; n. 246. 310-315. (') Amiet, 1. c. il. 251-253. (3) Gachard. In- vontfiire des Archives de la Delgique iv. (') Gaciiard, 1. c. iv. 233 — Musso lombardo residente in Tkurego devono Johanni dicto lombardo carnicci cit- tadino di Friborgo, 88 fiorini di Firenze per acquisto coriorum (*). Bergognini. 1. Bauduino Bergognini fin dal 1297 era con un Pelletta cauzionano di L. 500 tolte a mutuo dal conte Amedeo di Savoia (vedi Martino Grutuario), e poscia tro- viamo questa famiglia per più di mezzo secolo esercente di casane in Savoia, ed a Bard. 1310. I Bergognini ed i Pelletta tengono casane a Ciamberì, Montmeillan, St. Julien, St. Mi- chel, Aiguebelle, Evian, Bard (!). Nel 1312 il 13 agosto il conte Guglielmo di Ginevra si riconosce debitore di 200 lire forti di Savoia speronate, verso Bertrando Bergognini e Guglielmo Pelletta soci, cittadini d’Asti, abitanti a Ciamberì, per altrettante ricevute a mutuo e da restituirsi fra un anno dalla festa dell'assunzione di M. V. In caso di ritardato pagamento al termine prefisso, decorre la pena di due danari forti per lira, ogni settimana; e nel 1331 il conte Amedeo di Ginevra è ancora debitore verso Francesco B. ed E. Pelletta tenenti casane a Ciamberì (vedi E. Pelletta). 1335. Aliano e Francesco B. ed altri Bergognini hanno parte nelle casane di Ciamberì, Mont- meillan, Beley, Aix, S. Pietro di Albigny, Conflans, Salin, S. Maurizio, Ayme, Bard, Aiguebelle (vedi B. Pelletta); ed Aliano B. presta denari al vescovo di Moriana nel 1336 (vedi C- Lajolo). A Bard i Bergognini tengono ancora il banco di prestiti nel 1344 (3). Invece nel 1349 Gio- vanni B. ne era diventato creditore (vedi E. Pelletta) Nel 1345 Filippone B. a nome di Aliano B. e dei di lui figli tenenti la quarta parte delle casane di Ciamberì e di Aix e la metà di quella di Bard, ed a nome suo proprio e degli altri aventi l’altra metà della casana di Bard paga all'ospizio del conte di Savoia per censiva di quell’anno quarantasei fiorini e un quarto di buon peso. Nello stesso anno 1345 ai 16 di novembre Rolandino B. fu investito dal conte di Savoia di Vil- laralmese in feudo nobile. Nel 1369, poi ai 5 di gennaio il figlio di lui, Gandolfo ottenne il feudo di Cantogno. Sono ancora a Chiamberì Bolandino B. con E. Pelletta nel 1346 (vedi E. Pelletta), e proba- bilmente Giovanetto B. con E. e G. Pelletta nel 1348 (vedi E. e G. Pelletta). Giovanni B. vi fa il fideiussore nel 1349 (vedi P. Silvatici). Finalmente nel 1354 al 23 dicembre, Guglielmo Boni di Ciamberì famigliare del conte di Savoia dichiara di aver ricevuto 35 soldi grossi tornesi da Pietro Ber- gognini figlio del fu Aliauo Bergognini, tenente la quarta parte della casana di Ciamberì, la quarta parte della casana di Aix e la metà di quella di Bard nella Valle d’Aosta, in acconto dei 100 soldi tornesi grossi, o 100 lire viennesi, legategli dal fu conte Aimone sua vita durante a partire dal natale. Nel 1351 i Bergognini tengono ancora casana a Montmeillan, Conflans, Aiguebelle (vedi Pel- letta), ma si hanno del 18 dicembre 1358, i testimoniali di rinunzia di Filippo ed Antonio padre e figlio Bergognini lombardi all'esercizio dei banchi feneratizi di Aiguebelle e di St. Hippolite sur Aix, nelle mani del conte di Savoia, con dichiarazione che non sono più tenuti per l’avvenire al paga- mento della finanza pei medesimi. Il conte di Savoia aveva concesse le dette casane ai predetti Ber- gognini per dieci anni, colla clausola che se volevano dismetterle, dovessero notificarlo un anno prima e pagassero la pensione per quell'anno. 2. Nella seconda metà del secolo xiv, e nel principio del xv, troviamo a quanto ci sembra i Bergognini anche a Friborgo. I conti di Gruyère che nel 1357 figuravano nel protocollo notarile di Friborgo come contraenti 6 debiti coi Toma, di Saliceto, Asinari, e de Medici per un ammontare totale di 330 lire e 100 fio- rini si fanno prestare nel 1398, 2000 fiorini da Giacomo Barguein (Bergognino?) mercante e citta- dino di Friborgo, che l’Amiet crede senza dubbio lombardo (!). (’) Amiet, 1. c. il. 235. 276. (*) Cibrario. Orig. e progr. li. 83. (’) Cibrario, ib. 113. (‘) Ahiet, 1. c. il. 248. 30 — 234 — 1413. Qualche anno prima Roleto Barguein (Bergognino ?) e Ottone di Saliceto, Nicola de Porta, e Rodolfo de Ponte, ed altri cittadini di Friborgo reclamano dal conte di Gruyère 20700 lire, che vengono poi ridotte a lire 13700. È determinato che questa somma venga pagata sui redditi delle castellarne di Vanel e Oex. Nel 1413 i creditori reclamano perchè in 6 anni avevano riscossa una aliquota troppo piccola del loro credito. Il conte Amedeo di Savoia viene al castello di Morsee, e regola il modo di pagare mediante il reddito delle signorie di Vanel e Oex, il debito, che cogli interessi sale a 10220 lire (')• Bolla. 1247. 1° agosto. Ottone Bolla di Àsti e Oberto Porcelet di Chieri sono ammessi nella borghesia di Donai (4). Broglio. 1. Nella seconda metà del secolo siv abbiamo i Broglio sul Reno. 1353. Società commerciale in Bingen composta di Bernardo di Pomario e Giacomo e Martino Broglio (vedi la Società Rinaldo Ottini e C.). 1356. I soci sovraindicati, i loro fratelli e famiglie hanno dall'arcivescovo di Magonza la facoltà di abitare in Bingen per un decennio, pagando 150 fiorini d’oro all'anno, e di fare ivi il loro commercio. 1363. Lo stesso arcivescovo concede a Riccardo di Montemagno, Giorgio di Pomario, Martino di Broglio lombardi mercanti d’Asti, ai loro fratelli ed eredi naturali di abitare in Bingen per 15 anni, ed uniti o separati comprare, vendere, cambiare denaro, fare affari in ogni specie di moneta, e cer- care il loro utile in qualunque modo. E di regola i lombardi trovavano presso gli arcivescovi renani facile protezione, giacché riuscivano di forte sollievo alle loro sempre dissestate finanze (3). 2. E nella stessa epoca troviamo i Broglio in Savoia. Nel 1362 Guglielmo Broglio è socio nelle casane di Conflans, Montmeillan, S. Pietro d’Albigny (vedi P. Turchi). 1388-89. Bartolomeo Broglio o Broglia è socio coi fratelli De Catena nella casana di Rossillon. Cacherano. Prima del 1258 Percivalle Cacherano aveva con altri una banca in Nèsles (vedi 0. Pelletta). Calderari. 1449-1464. Antonio Calderari figlio del fu Bartolomeo; Giacomo e Matteo fra- telli figli del fu Tommaso di Yalfenera ed i loro soci, tongono il banco di Bois- le-Duc e pagano 120 fiorini di tassa. — 1465-1470. Bartolomeo Candrari (Calderari?), suo figlio Sebastiano, e soci tengono banco di prestito alle stesse condizioni (’’). Un Antonio Calderari acquistò nel 1448 Grinzano, Borgone, e Bambellino (5). di Frinco. 1344. Emanuele di Frinco tiene il Banco di prestiti di Aosta (6). (’) Amiet, 1. c. II.254. (’) TAILLAR. Recueil d'actes en langue romane-vvallonne. 143. (s) Amiet, 1. 211. (') Gachard , 1. c. iv. (5) CiBRARio. Notizie genealogiche di famiglie nobili. 89. (‘) Ci- brario. Orig. e progr. ir. 113. — 235 1345. Emanuele di F. paga all’ospizio del conte di Savoia per conto dei Lom- bardi tenenti le casane di Aosta nelle quali aveva parte, 100 fiorini d’oro di buon peso per le censive di dette casane. 1358. 5 maggio. Uno dei F. con altri lombardi fa sicurtà di 500 fior, pel conte Amedeo vi di Savoia. GARETTI. I Garetti tengono la casana di Thonon nel 1310 ('); partecipano a quelle di A illi, Thonon, St. Branchier, Syon, Martigny nel 1337 (vedi Turchi); Bartolomeo G. è a Yenna nel 1345 (vedi E. di Antignano); Perronodo G. ed altri tengono il banco di St. Branchier nel 1367 (vedi P. Turchi). Gioia. 1356. 7 luglio. Sottomissione con cauzione prestata da Guglielmo Gioia di Canale lombardo, dimorante in Ciamberì, di subire il giudicato della curia del Bourget sulle inquisizioni formate in suo odio. Guttuario. 1. Alla fine del secolo sm i Guttuari prestano denari a casa Savoia. Nel 1297 ai 14 settembre, il conte Amedeo di Savoia si riconosce debitore di 2000 lire di denari astesi verso Martino Gutuario cittadino d’Asti, ricevute in mutuo puro e buono absque aliqua usuraria pravitute. La qual somma promette di restituire al detto Martino od al portatore dell’obbligo, in Susa, Avigliana, o Rivoli fra un anno dalla metà d’aprile prossimo. È tra i patti che pagata tal somma, gli istromenti che il Guttuario ha da Filippo Scarampi per 300 lire, da Guglielmo Gardini per 200, da Bauduino Bergognini e da Roberto Pelletta per 500, da Giacomo e Corrado Malabayla fratelli per 700, e da Giacomo Layolo per 300, i quali tutti s’erano resi cauzionar] per tali somme, siano restituiti e annullati. L’obbligo è tagliato in segno di pagamento. 2. Al principio del secolo xiv hanno relazioni con Bruxelles. Nel 1304 ai 24 febbraio, Guttuario de Guttuari de Castello, e Guglielmo e Leone de Vegletis ricevono in denari astesi a nome di cambio, da Giorgio Alfieri e Giovanni Tavani, una somma da restituirsi al 1° maggio a Bruxelles in 8 lire di tornesi grossi vecchi del re di Francia di argento, ovvero in Asti il 1° luglio in 32 denari astesi per ogni tornese (!). 3. Per buona parte del secolo xiv i Guttuari hanno una banca molto impor- tante in Berna. 1324 si trovano in Berna Ottone Guattuario (Gutverius, Gutweri) de Castello con Stefano ed altri suoi fratelli. Hanno qualità di cittadini bernesi, ed Ottone sposa una gentildonna di Engli- sperg. Alla loro banca si associano nativi bernesi. Prestano importanti somme allo scudiere Pietro di Turn di Gestelen, hanno alta posizione, e rendono a Berna ed alla libertà svizzera un servigio di capitale importanza non per merito proprio, ma perchè la usura questo di buono aveva, che accele- rava la precipitazione degli imprevidenti nelPabisso. I potenti baroni di Weissenburg per far fronte a guerre infelici, alla costruzione di costosi ca- stelli ed allo splendore della vita nelle corti principesche avevano contratto debiti cogli usurai. 0 Cibrario. St. d. Mon. di Savoia, n. 84. (s) Vedi documento A nell’allegato n. 2. — 236 — Nel 1325 vendono l'Alpe Niederhorn al convento di Dàrstetten per 100 lire, di cui 80 vanno ai lom- bardi Ottone e Stefano. Alla morte di Gualterio di Wàdischwild, Pietro di Turn, ed i signori di Weis- senburg se ne disputano l’eredità ma Ottone Guttuario creditore di tutti s'impossessa del castello e della città di Mùlinen compresa nell'eredità. Accorrono i pretesi eredi, ma Berna viene a difesa del suo concittadino, e fa levare l'assedio. — Qualche tempo dopo un lombardo, di cui si ignora il nome, debitore verso la città fugge da Berna, e si ricovera presso i Weissenburg, i quali essendo suoi debi- tori gli danno ricetto. Berna prende le armi, e nel 1334 assedia ed assalta e conquista Wimmis, Felsen- burg, Uspunnen. I baroni capitolano. Gli usurai sono pagati per 2000 lire dai Weissenburg, per 7006 lire da Pietro di Turn, e Berna si libera dai nemici principali, estende ormai senza contrasto la sua signoria sovra tutto l'Oberland ('). Nel 1337, lo sculteto, il consiglio ed il comune di Thun, ed il conte di Eyburg ammettono cittadini per 20 anni, ed accordano protezione a Franco, Ottone, Bernardo, Secondo, Guglielmo Gutweri de Castello, Andrea e Pietro loro cugini. La porta di Thun vicina alla casa dei Guttuari era ancora detta nel 1469 Lampartertlior (5). Nel 1338, il lombardo Stefano e suo fratello Bernardo cittadini di Berna, e probabilmente de Guttuari, hanno una quistione con due cittadini di Friborgo che viene decisa da arbitri. Nel 1380 Stefano Guttuario è cittadino di Berna, ed ivi sono anche, un suo fratello Leone G. e Hantzmann figlio minorenne del fu Clewis altro suo fratello (’). 4. Sembrano avere con Francesco de Medici relazioni a Ginevra ed in Savoia, giacché Giacomo Guttuari uel 1357 si trova nella di lui casa (vedi P. Turchi), e nel 1358 è pure con lui a Ciamberì (vedi Fr. de Medici). ISNARDI. 1290. 12 febbraio. Bernardo arcivescovo di Lione dichiara di tener rilevato il conte Amedeo di Savoia da ogni danno eventuale per la fideiussione da lui pre- stata verso Daniele, Peerino e Ysnardino fratelli (sono degli Isnardi ?), cittadini e mercanti di Asti e di Lioue, delle somme di 3000 lire viennesi a lui prestate, e di 16000 lire tornesi per debito de’ suoi predecessori, ed anche per la guarentigia dello stesso conte prestata sovra certe convenzioni e concessioni da mantenersi ai detti mercanti nella terra e città di Lione. 1336. Il conte Enrico di Montbeliard riceve in Mompelgard una società di Lom- bardi, e dichiara non ammettere per un dato tempo alcun altro mercheant ypsain corsim prooenceal tusquain jaefs ne autres lombars ne nul autre qui prestoit sa pccune: Luigi di Neuenburg guarentisce i dritti concessi. I lombardi ammessi sono denominati Henrion, Bertholomey diz Vilains frères, Huot, Anthoinne et ses frères et Rolandim tour cosivi tous isnars dequestey (de Castello ), compagnons Lombars, citiains et mercheanz d'Ast (*). 1336. Il conte Corrado signore di Friborgo notifica che Friborgo in Brisgavia a sua preghiera ha ricevuto Wient Isnart, Toman Isnartz sun von Warfener e Gu- glielmo Cornelia di Wingnar lombardi (8). Lajolo. 1. Dal 1296 fin verso il 1333. Si trovano i Lajolo in Lucerna e nel Yallese. 1296. Galvano o Gelwalno de Lajoli, Raimondo Vellin e Leona Schefanin fratelli de Valete, ed i fratelli Tommaso e Siraone di Bruama mercatores italiani hanno quistioni con Lucerna che si (’) Amiet, 1. c. i. 234 a 239. (5) Id. ib. ib. 247 a 249. (3) Amiet, 1. c. i. 239. 240. (’) Amiet, II. 268. (5) Id., i. 210. 211. 237 — terminano col loro pagamento volontario di 240 lire. Nel 1298 Galvano L. qualificato Gauwurschin a Lucerna, e dieci cittadini di Lucerna, hanno quistioni con cittadini di Basilea per aver questi sor- presi alcuni di quelli e le loro merci. Nel 1304. Uberto L. in Conthey (vedi M. Toma). 1308. Galvano L. per motivi ignoti è sostenuto prigione a Zurigo, ed è liberato per l'inter- vento di Lucerna di cui è borghese. Nel 1333 Galvano L. era già morto, ed i beni dei duchi di Austria a Malters e Gersan che i Lajolo avevano avuto in pegno per denari prestati ai duchi, trovandosi li- beri per la sua morte [leiig worden sind von sinem Tod) sono concessi ad altri (’). 2. Nel 1297 Giacomo Lajolo è cauzionano del conte Amedeo di Savoia per lire 300 (vedi M. Guttuario) ma solo più tardi risulta dai documenti che questa famiglia avesse molti affari in Savoia. Nel 1336 ai 9 aprile si ha una quitanza passata da Corraono Lajolo come procuratore di Aliano (Bergoguini?), lombardo, a favore di Anteimo di Clermont vescovo di Moriana, e di Antonio suo fra- tello, per la somma di 80 fiorini d'oro in conto di 200, da quello a questo mutuati. Nel 1338, ai 18 febbraio Giovanni Bonjornet di Yenna dà in pegno una casa a Corradino Lajolo d'Asti abitante a Ciamberì ed a Gabriele di lui fratello, per un mutuo di 35 soldi tornesi d’argento contratto come tutore degli ivi nominati. Di lì a qualche tempo si trova per quasi 35 anni il Gabriele Lajolo a Yenna. Già egli vi è nel 1345 (vedi E. di Antignano). Egli esercita il banco feneratizio nel 1348, come risulta da un atto citato al nome di T. Solaro, e da un obbligo passato il 4 dicembre 1318 da Giovanni Donato, Umberto Amiguet e da Giovannetta sua moglie verso Gabriele Lajolo come socio ed agente del banco feneratizio di Yenna, per un fiorino ed un terzo preso a mutuo dai predetti coniugi sul detto banco per un anno. — Quitanza di Ga- briele Lajolo lombardo per sè e per i suoi soci tenenti banco in Yenna a Giovannetta vedova di Gio. Compagnon di quel luogo e moglie di Amiguet, per 10 soldi tornesi 'pagati dal di lei marito in saldo di debiti, per cui Stefano Compagnon s’era reso cauzione verso il predetto banco. Nel 1360 7 settembre, Pietro Gerbaix, tesoriere del conte di Savoia, si obbliga a nome di lui per 800 fiorini verso Antonio Braida del fu Bartolomeo d'Alba, e Gabriele Lajolo d'Asti abitante a Yenna lombardi, con promessa di restituzione ai termini ivi specificati. L’atto è rogato a Beley. Con altra scrittura dello stesso giorno i predetti lombardi promettono di dedurre dalla somma di 800 fio- rini, li 200 che il Gerbaix aveva rimessi all’Abate di Susa. Nel 1364 Gabriele L. si trova momentaneamente a Ciamberì, ma abita ancora a Yenna (v. A. Turchi). Nel 1365, 26 settembre a Bourget, il conte Amedeo di Savoia confessa di essere debitore verso i nobili uomini Gabriele ed Albasone dei Layoli e Buniono Pelletta cittadini d’Asti, di 1560 fiorini ricevuti a mutuo e da restituirsi alla festa di s. Giovanni Battista a Yenna. — 23 dicembre. Pal- merio de Sylis di Piacenza fisico del conte Amedeo di Savoia era principale debitore per Lioneto Putrito di Chieri, verso Gabriele Layolo lombardo, abitante di Yenna, di certa somma di cui restavano a pagare 340 fiorini, dei quali assegna il pagamento sul pedaggio di Villanova di Chillon, mediante il consenso di certi banchieri Cheriesi che avevano in mano detto pedaggio. Nel 1367 il 1° giugno, quitanza di Giacometo e Giorgio Bonier a Gabriele Lajolo, a nome anche della società bancaria esercita a Yenna, di quanto potessero ripetere dalla detta società e da esso agente per ragioni sociali del fu loro padre: e quitanza di Lajolo ai Bonier per le passività che potes- sero avere verso la stessa società. Finalmente nel 1370 5 dicembre. Gabriele Layolo lombardo, un tempo abitante a Yenna, fa donazione a Guglielmo Besson di un casale presso il detto luogo. Nel 1383 il conte Amedeo Vii conferma i privilegi dei banchi di prestito ai Lombardi fra i quali vi erano alcuni Lajoli (’). Dal 1385 al 1388. Gabriele e Lodovico Lajolo e soci pagarono al conte di Savoia 10 ducati d’oro all’anno per la casana di Yenna da essi tenuta. (’) Amiet, ii. 144. 145. (s) Cibrario. Orig. e progr. delle ist. d. Mon. di Sav. n. 149. - 238 — Malabaila. Nel 1297, Giacomo e Corrado Malabaila sono cauzionali di 700 lire per il conte Amedeo di Savoia (vedi M. Gutuario). Nel 1310 i Malabaila tengono una casana a Bourg en Bresse ed in altri luoghi ('). Nel 1350 Andreone e Pietro, Robaldo, Francesco e Uveto Malabaila lombardi a Bourg en Bresse sono (associati coi Dalpozzo, Loge ed altri d’Ivrea. Martini. Nel 1348 ai 17 marzo. Obbligo di Giacomo Martini lombardo procuratore degli altri lombardi esercenti banco feneratizio a Costa St. André, verso Giorgio Solerò cancelliere a nome del conte di Savoia, per 220 fiorini portati da transazione in seguito al sequestro posto d’ordine di detto Conte sui beni d’essi lombardi; più di altri 20 fiorini pei tutori del Conte e pel Consiglio prò drueliis faclis in concordia. L’atto fu rogato in Ciamberì, presente Bonifazio Cacho de Solario de Ast. de Medici (2). Per quasi trent’anni, e per lo più associati agli Asinari, si trovano alcuni de Medici in Savoia ed in Svizzera. 1. Dapprima essi appariscono in Annecy. Nel 1337 Percivalle de Medici abitante in Annecy paga ad Amedeo conte di Savoia septies vi- giliti et decem (150) lire dovute dal capitolo di S. Pietro di Ginevra (3). — Il 10 giugno 1319 il conte Amedeo di Savoia, per mezzo del suo cancelliere Giorgio Solerò, si riconosce debitore verso Francesco de Medici, lombardo, abitante in Annecy, di 200 fiorini d'oro avuti in mutuo. Nello stesso anno, Francesco de Medici lombardo, abitante ad Annecy, per Corrado ed Aimoneto Asinari lombardi di Asti, fa quitanza al conte Amedeo di Savoia di 1628 fiorini di buon peso, in conto delle somme dovute ad esso di 8217 fior. l/ì e di altri 343 fior, e l/k, e per disimpegno di gioielli del conte di Savoia. Il saldo non sembra cbe fosse compiuto neppur nel 1351, in cui per la resa dei conti si tro- vano in Avigliana C. Asinari (vedi Asinari), e Francesco de Medici. 2. Francesco de Medici si stabilisce poscia in Ginevra. Nel 1350 ai 6 luglio : Pietro Bastardo di Ginevra dichiara di aver ricevuto da Francesco de Me- dici lombardo, cittadino di Ginevra, la somma di 100 fiorini da questo pagatigli a nome del conte Amedeo di Savoia cbe li doveva. Francesco de M. è ancora qualificato cittadino di Ginevra nel 1357 (vedi P. Turchi), e nel 1358 è dichiarato anche avervi banco (vedi A. Asinari). In quest’ultimo anno ai 4 aprile in pelo Camberioci , e presenti Giacomo Gutuario e P. Asinari, egli intima a certo Gri- baudi di Ciriè d’andare all’ostaggio fissato a Ginevra, secondo che era stato convenuto tra di loro. 1359, 20 marzo. Obbligo passato da Mermerio Rovorea a Francesco de Medici lombardo di Chieri, cittadino di Ginevra, per 1500 fiorini avuti a mutuo e da restituirsi fra un anno dal prossimo natale. Furono fideiussori parecchi cavalieri, ed anche Pietro Gerbaix tesoriere del conte di Savoia, pel quale è supponibile fosse contratto il mutuo. — 29 marzo. Aimone di Monforte cavaliere si dichiara debitore verso Albricheto di Montouz di 49 lire ginevrine per mutuo, e in esonero del debito di 120 lire, che il detto Albricheto ha verso l’Asinari ed il de Medici, a nome di esso Aimone e di Giovanni e Ra- musio fratelli di Monforte, con obbligo di restituzione. — Albricheto di Montouz, donzello, si dichiara (') Cibrario. Orig. e progr. li. 83. (*) Questi de Medici non erano propriamente di Asti ma di Chieri, furono tuttavia compresi in questa rassegna perchè operavano in società con Astigiani, dei quali anzi qualcuno dei Medici era semplice agente. (3) Mómoires et documents de Genève xviii n. 92. — 239 — debitore verso Aimoneto Asinari e Francesco de Medici lombardi, soci, mercanti e cittadini di Ginevra (era scritto cittadini Astesi e fu corretto), di 20 lire ginevrine di buoni soldi vecchi avuti in mutuo, da restituirsi alla festa di s. Andrea apostolo, con danni, interessi e spese. — Giovanni di Monforte e Ramusio suo fratello, si dichiarano debitori verso Albricheto di Montouz di 71 lira di buoni den. di Ginevra, in sconto di un debito di 120 lire dovute da esso Albricheto a nome dei detti fratelli e di Aimone di Monforte ad Aimoneto Asinari ed a Francesco de Medici lombardi, cittadini di Ginevra, tenendolo rilevato da ogni molestia e domanda di codesti lombardi. 3. In Bourget, e nel 1352 ai 4 gennaio. Francesco de Medici lombardo di Chieri a nome di Corrado Asinari, lombardo d'Asti, fa qui- tanza al conte Amedeo di Savoia d’una certa quantità di fiorini mutuatigli sopra molte gioie dategli in pegno, delle quali è inserto l’inventario, tranne che per 2146 fiorini che rimangono a pagarsi, e pei quali restano ancora impegnate due corone d'oro a smeraldi, zaffiri, rubini e perle. Parecchie gioie erano state date in pegno all’ Asinari il 24 luglio 1347 per 7000 fiorini, ed il conte le ebbe in resti- tuzione, eccettuate le due corone, al 3 gennaio. — Ai 23 aprile, annotazione d’un ordine stato dato da Guglielmo della Balma a Bonifacio De Mota, di cancellare l’istromento, con cui Francesco Medici di Chieri confessa che Corrado Asinari di Asti è stato intieramente soddisfatto di tutte le somme dovutegli dal conte di Savoia. 4. Nel Fossigny Giorgio Asinari e Francesco de Medici nel 1353 davano 80 fio- rini cVintrogio per la concessione della casana. Essi tenevano ancora tale banco nel 1354 (*). 5. A Friborgo trovammo Fr. de Medici impegnato con Aimoneto Asinari (vedi questo nome) in una banca che faceva molti affari nel 1356-59. 6. I de Medici continuavano ancora nel 1367 il mestiere di prestatori ed ave- vano relazioni bancarie col conte di Savoia mentre il fisco di lui ne aveva con essi. 1367, 5 giugno. Il conte Amedeo condona a Giorgio fu Francesco ed a Gu- glielmo fu Percivalle de Medici la confisca sovra una eredità ad essi spettante, veri- similmente pretesa per causa d’usura, ed approva l’accordo tra essi intervenuto sopra detta eredità; fa quindi quitanza per 300 fiorini, detratti da 1500 dei quali Mermerio di Revoire si era obbligato per il Conte verso Francesco de Medici padre del Giorgio, con assegno pel pagamento dei restanti 1200 fiorini. Merlo. Una banca importante per gli affari, e per il tempo in cui durò, è stabilita dai Merlo in Soletta. Già dal 1359 il così detto Lombardo di Soletta era creditore dei nobili fratelli di Kienberg. Probabilmente lo stesso era nel 1364 creditore per 900 fiorini del conte Gio. (Hans) di Absburgo con guarentigia del barone Senn signore di Buchegg, che dall’Absburgo era stato raccomandato al Mar- gravio Gio. di Lorena. Nel 1372 i conti di Kiburg, insaziabili cercatori di denaro, debitori presso i Lombardi di Soletta di 700 fiorini, inducono lo sculteto, il consiglio ed i borghesi di Soletta a pagare il loro debito, ed essi diventano debitori della città dando in guarentigia i conti Rodolfo di Absburgo, di Neuenburg, di Thierstein, di Arberg e Valengin, ed il cavaliere Pietro di Griinberg, ciascuno per 100 fiorini, ed il conte di Friborgo landgravio di Breisgau per 200 fiorini. Il lombardo od i lombardi di Soletta di cui si ragiona in tali atti dovrebbero essere secondo l’Amiet (2) Maffeo Merlo nativo di San Salvatore, solo o con altri associati. Il nome di Maffeo si trova in un documento del 1374 relativo ad un vecchio debito del conte di Neuenburg di 500 fiorini di Firenze, che Maffeo nel 1375, da Asti ove allora si trovava, cede a due cittadini di Soletta. o Cibrario, 1. c. 121. (■) Amiet, 1. c. il. 166 a 173. — 240 — Tornato a Soletta il 19 gennaio 1377. Maffeo Merlo, ed il suo congiunto Pietromanno sono ricevuti cittadini per 10 anni con facoltà di prestare ad interesse, cambiare, mercanteggiare, comprare case. Essi pagano 300 fiorini, e per un quinquennio sono esenti da tassa: poscia pagheranno 20 fio- rini all'anno. L’interesse è stabilito in 2 pfenningen settimanali per lira. Mentre a Zurigo, a Lu- cerna, ecc. i lombardi dovevano prestare a tutti contro pegno, qui come a Biel prestavano solo a chi essi volevano. Se un cittadino di Soletta che nel torre a prestanza aveva dichiarato di non essere cittadino, muove querela contro i lombardi per la troppa altezza dell’interesse, credasi al giuramento dei lombardi sulla veridicità della dichiarazione. In altri casi credasi ancora al loro giuramento, a meno che il contendente dimostri il contrario con due testimoni fededegni. In caso di morte tutta la so- stanza passerà agli eredi, o soci, o procuratori : tutto il lucro che essi facessero sarà mantenuto libero a loro ed ai loro eredi davanti a Dio ed al mondo, davanti ai giudici spirituali o temporali : essi i loro eredi, soci e servitori saranno difesi contro qualunque ordine di papi, imperatori, re, duchi, vescovi od altri signori spirituali o temporali. Soletta non può ammettere altri lombardi, o simili prestatori, ma ebrei quanti se ne vuole (A quanto pare non se ne temeva la concorrenza!) (’). Nel 1382, Maffeo e Petermanno Merlo sono riconosciuti creditori di 82 l/2 fiorini d’oro verso lo scudiere Sachs di Deitingen, come pure verso lo sculteto di Burgdorf ed altre tre persone gua- ranti, che alla chiamata del creditore, si recheranno otto giorni dopo con un cavallo, e come ostaggi, in pubblico albergo di Soletta. È pattuito che dopo il saldo, si restituisca ai lombardi la cera dei suggelli (=). 1384. Maffeo e Petermanno Merlo prestano 2060 fiorini allo stato di Berna. Lo sculteto, il con- siglio, i duecento ed i borghesi si obbligano di restituire la somma entro un anno, decorso il quale si pagherebbe il consueto interesse di 2 pf. per lira. Sono garanti i contraenti, e parecchi ragguar- devoli cittadini di Berna e di Soletta (3). Maffeo lascia tre figli Alberto, Antonio, Francesco di cui si parlerà più avanti. 1396. Antonio Pavono de Guaschis è arrestato in Soletta, e poscia riconosciuto innocente è rila- sciato. Egli torna in San Salvatore ove egli, suo fratello (cognato ?) Bertolino Merlo notaio ed i Con- soli ed il Comune di San Salvatore per pubblico atto giurano di non molestare in alcun modo, neque barrare , arrestare nec sassinare, quei di Soletta pel fatto di tale prigionia (4). 1404. Alberto Merlo. Vedi Vincenzo de Troya. 1408. Alberto, Antonio e Francesco Merlo si trovano iscritti tra i cittadini di Soletta, e vi posseggono una casa (s). 1421. Alberto Merlo ha un figlio Benedetto, ed una figlia Elisabetta, che dà in isposa a Fa- cino Boba lombardo, assegnandole in dote una delle sue due case in Soletta. Lo sposo assicura alla sposa 50 fiorini del Beno per Morgengabe. A. Merlo possiede beni ze Lamparten, cioè nella sua patria ( 3 ). 1433. Gli eredi di Sachs di Deitingen, il quale nel 1382 aveva verso Maffeo Merlo il debito di cui sopra si parlò reclamano il possesso della metà di Deitingen, che Alberto Merlo aveva ven- duto probabilmente nel 1403 alla città di Soletta. Merlo si era impossessato della metà della signoria di Deitingen e di alcuni boschi onde pagarsi del debito di Sachs. I boschi erano da lui stati venduti a privati ed uno nel 1421 al comune di Subingen (7). 1436. Facino Boba e sua moglie Elisabetta Merlo comprano un giardino in Soletta, e del loro giardino murato si parla in atto del 1437 (*). DI Moncucco. 1344. Antonio di Moncucco tiene il banco di prestiti di Seyssel (9). 1345. Antonio di Moncucco lombardo, tenente la casana di S. Bamberto paga a nome di Bay- naudo Vilani che una volta teneva la stessa casana 20 fiorini di buon peso al conte di Savoia della C) Amiet, 1. c. il. 171. 173-179. (’) L. c. n. 181. 183. (s) L. c. ii. 183. (‘) L. c. n. 187. 309. O L. c. li. 188. 191. (s) L. c. II. 188. 192. 195. 196. 319-322. (7) L. c. il. 196-198. (*) L. c. il. 285. 286. (°) Cibeario. Orig. e progr. della Mon. di Savoia, li. 113. — 241 — qual somma gli era rimasto debitore per eensive. 1 quali 20 fiorini il Moncucco ha preso sui beni del Yilani rimasti a sue mani. Nel medesimo anno Antonio di M. pagò pure per la censiva dovuta dai Lombardi tenenti la casana di Seyssel 50 soldi grossi tornesi ed altri 20 sol. gr. tor. per censiva dovuta dai Lombardi tenenti le casane Vallonis et Aije. DI Mongarello. Giorgio di Mongarello è saldato nel 1344 di un suo credito da Lodovico di Sa- voia, che se n’era fatto garante, e nel 1348 è rimesso nel banco feneratizio e nei beni confiscatigli in Savoia in occasione della guerra col Visconti, e col Marchese di Monferrato (vedi B. di Antignano). di Montafia. 1. Si ha notizia di questa famiglia in città sul Beno e così di Giovanni di Mon- tafia in Bingen nel 1353 (vedi B. Ottini) e di Obertino de M. in Oberwesel nel 1376 (vedi Asinari). 2. Si trova poi la famiglia di Montafia per quasi un secolo nei Paesi Bassi. A Maestl'icht, i Montafia hanno banco per concessione a 12 anni della duchessa Giovanna morta nel 1369: dal 1408 al 1426 Oberto di M., Bauduino suo figlio e Bartolomeo Waruel tengono il banco e pagano annualmente 7 lire di vecchi grossi di Fiandra: dal 1427 al 1442 i fratelli An- tonio e Bauduino de M. continuano ad avere il banco ; e così l’ha con alcuni soci, dal 1443 al 1468, Goffredo de M. figlio di Antonio cavaliere, pagando 8 lire 10 soldi all’anno ('). In Bois le-Duc. Nel 1418-1433, Antonio e Bauduino di Montafia figli del fu Oberto, Bassa, Guglielmo e Giorgio figli del fu Giovanni Asinari, Giovanni e Matteo figli del fu Giovanni Barelli, tutti di Asti hanno la concessione di tener banco in Bois-le-Duc ed in ogni altro luogo del Brabante ove non siano altri lombardi, e pagano 8 lire di grossi. Nel 1434-48 Antonio e Bauduino de M. ten- gono il banco di Bois-le-Duc, e pagano 120 fiorini ('). De Monte o della Bocca. 1. Questa famiglia tiene per quasi mezzo secolo una banca importante in Lucerna. Nel 1349. In Lucerna oltre la banca Brandan Pelletta e soci, se ne stabilisce un’altra fondata da Tommaso de Troya e da Manfredo de Monte (vom Berg) della Bocca (de Bocha, Bocka) col suo figlio Federico, banca che dura almeno fino al 1393. I fondatori ottengono di abitare in Lucerna per 15 anni, e di fare prestiti ad interesse. Dai documenti posteriori trovati negli archivi svizzeri, oltre a Federico, si trovano i suoi fratelli Giacomo, Tommaso, Alberto, Manfredo, ed un Francesco figlio di Giacomo. Nel 1361 Federico de Monte apparisce capo della casa in Lucerna, e già non si parla più di Manfredo. Vi sono associati, fra cui un Vincenzo de’ Tum (Domo d’Ossola ?) , ed aiuti, fra cui nel 1365 un Antonio Penengo (s). Nei 1353, in una mostra d’armi in Lucerna i banchieri sovranominati appariscono possessori di otto armature, delio quali alcune sono prestate ad altri cittadini (3). Nel 1361, Gio. Budenz landamanno di Uri, suo fratello ed un suo nipote, essendo vassalli del duca Bodolfo d’Austria per la corte di Alpnach nell’Unterwald, debbono armarsi e seguirlo. Il 18 agosto si fanno debitori verso i nostri lombardi, di 87 fiorini d’oro e 10 scellini. Non decorre interesse fino al 30 novembre : dopo l’interesse è di 2 pfenninge settimanali per lira. Danno un garante, e due ostaggi. In caso di ritardo nel rimborso, uno degli ostaggi darà il nutrimento ad un controstaggio (') Gachaed, 1. c. 167, 168. C) Amiet, ii. 146-148. (3) L. c. 147. 31 — 242 — che i lombardi gli manderanno, ed il secondo ostaggio si recherà in persona o per mezzo di un delegato in un pubblico albergo di Lucerna. Gli stessi debitori, 14 giorni dopo la richiesta dei lombardi, deb- bono portarsi in Lucerna, pure in un pubblico albergo, e non partirsene prima del saldo. Le spese di questi ostaggi, che in caso di ritardo nel rimborso dovevano recarsi direttamente o per mezzo di delegati in una locanda, erano ragguardevoli. L’albergatore serviva a suo piacimento l'ostaggio di cibi costosi, ed accadde che gli passava due bagni e due Frauengelder per settimana ('). 1363. I potenti conti di Kiburg tra capitali, interesse e spese d'ostaggi dovevano ai lombardi di Lucerna 6000 fiorini. Per pagare i quali, ed avere altri denari cedono parte della loro signoria ai duchi d’Austria di cui si fanno perpetui vassalli (’). In documento del 1367, è designata come Cawertschin hus la casa dei lombardi in Lucerna: essa apparteneva fino a quel tempo al capitolo, che malgrado le prescrizioni del concilio di Lione del 1274, vi aveva alloggiato gli usurai ("). Nel 1371, Ulrico Wagen di Lucerna, ed Enrico Woltmann devono a Federico e fratelli de Monte de Eocba 53 fiorini d'oro e 5 scellini al consueto interesse di 2 pf. settimanali per lira (4). Nel 1374, il barone Francesco de Sax deve agli stessi lombardi 67 */» fiorini d’oro e 6 scellini, all’interesse consueto \ in caso di ritardo nel rimborso, i lombardi potevano porre un ostaggio in un albergo di Lucerna a spese del debitore e dei garanti (s). Nel 1383, la città di Lucerna tolse ai lombardi il lucroso cambio delle monete, e ne creò un privilegio a favore di suoi delegati, i quali operavano per conto e lucro della città (6). Nel 1385. Tommaso Pelletta promette di non prestar più denaro in Lucerna, finché dura la concessione accordata a Giacomo de Monte e fratelli, ai quali erano state accordate parecchie proroghe (7). Nel 1387. Ai tempi della guerra di Sempach, Tommaso de Monte venne sostenuto prigione mal- grado i suoi privilegi, e fu liberato solo dietro pagamento di una grossa somma. Egli e Manfredo valutarono a meglio di 10000 fiorini i danni sofferti. Gio. Galeazzo Visconti signore di Milano, nel 1387, a quanto pare, scrisse ai confederati Svizzeri chiedendo fosse fatta ragione ai nobili reclamanti (8). Il 1393 è l’ultimo anno in cui si ha traccia dei de Monte in Lucerna. Erauvi allora i fratelli Tommaso, Giacomo, e Francesco figlio di Giaco mo. Nel 1417 e nel 1456 si cercò aiuto dai lombardi in Berna e Basilea. Ma gli indigeni avevano appreso a prestare ad interesse. Fino dal 1385 cit- tadini di Lucerna prestavano somme importanti allo stato di Berna (8). Gli stranieri potevano an- darsene ! 2. I de Monte o della Rocca ebbero anche casa importante a Zurigo, ma forse meno grossa, e per minor tempo che a Lucerna. Nel 1363, Alberto, Federico, Giacomo, Manfredo, Tommaso vom Berg, die Lamparter von Bacha , sono ricevuti cittadini di Zurigo per 10 anni. Pagano 1000 fiorini, e pel decennio sono esenti dalle tasse. Essi comprano per 400 fiorini la casa ove abitò il famoso borgomastro Rodolfo Bruns. Nello stesso anno già era stato ricevuto cittadino Francesco de Rocca, il quale non sembra fosse dei de Monte (’°). Nel 1365, il borgomastro, il consiglio ed i borghesi di Zurigo devono a Federico e fratelli de Monte 200 marchi di argento, e pagano in conto 1097 fiorini (”). Nel 1367, la città di Zurigo assume di pagare dem jromen Manne unserm lichen Burger (quanta cortesia, quando si aveva bisogno di credito !) Fridrich von Berg von Rocha dem Lamparter und sinen erhen ob er enwer und ir gesind die disen brief ime hand, il debito che era stato contratto dai signori di Landenberg di Greifensee, e che saliva a 1500 marchi d’argento, oltre a 43 marchi di interessi, 24 fiorini e 6 scellini di spese. Si fanno guaranti, ed occorrendo ostaggi, ragguardevoli personaggi della città. Decorso un certo tempo l’interesse è di 2 pf. settimanali per lira (,:). f) Amiet, ii. 149. 150. (s) L. c. 150. (") L. c. 159. (‘) L. c. 154. (6) Amiet, 1. c. n. 154. 155. (e) L. c. il. 160. (:) L. c. i. 228; li. 157. (8) Amiet, II. 148. 158. (9) L. c. ir. 158. 162. (") L. c. I. 227; li. 151. 277-280. (”) L. c. il. 152. (”) L. c. 152. 153. 274. 275. — 243 — Nel 1376 i Cawertschen sono mandati via da Zurigo ('). Nel 1380 Giacomo, Tommaso, Manfredo de Monte ed i loro soci che sono in Lucerna sono in aspettazione di querela per parte del borgomastro e del consiglio di Zurigo, giacche sono diventati cittadini indocili (’). Nel 1383 i fratelli de Monte vendono a Luigi Keller per, 150 fiorini la casa da loro comprata nel 1363 (3). 3. Federico de Monte verso il 1400 aveva pure affari, casa e cittadinanza in Berna, ove era con Vincenzo de Troya di Asti. Essi pagano 5 fiorini all’anno (*). de Montemagno. Nel 1332, l'arcivescovo di Colonia mediante annui 300 fiorini concede ad una società di lombardi di abitare in Colonia per 11 anni oltre ad un anno per la liqui- dazione dei loro affari, di avervi la sua protezione, di comprare case e proprietà, di fare affari in denaro tanto uniti che separatamente. Egli promette di non con- cedere nel frattempo ad altri lombardi od italiani di stanziarsi in Colonia. La so- cietà si componeva dei seguenti astigiani: Rophinus Nokarius et Mathias detto Cynet; Gabriele e Walrarn de Montemagno : Leone e Daniele Ottini, Riccardo e Percivallo de Montemagno, Domenico e Leone detto Stoil (5). Nel 1363, Riccardo de Montemagno è in una banca a Bingen (vedi M. di Broglio). Ottini. Nel 1332, Leone e Daniele Ottini sono in Colonia (vedi de Montemagno). Nel 1353, in Bingen vi sono due case di affari composte di Lombardi. L’ima comprende Reinardo Ottini, Giovanni di Montesia (Montafia?), il seniore e Leone Ottini che è qualificato mercante di Asti (vedi per la seconda Giacomo Broglio) (c). Pallido. Nel 1340, Robertone Pallio si trova in Ciamberì (vedi E. Pelletta). Nel 1357, Folcardo Pallido è in Oberwesel (vedi C. Asinari). Pelletta. 1. Questa famiglia, di cui troviamo per due secoli numerose tracce negli affari bancari, sembra aver cominciato ad operare in Francia. Prima del 1258, Oberto Pelletta, Percivalle Cacherano ed il fu Giacomo di Antignano avevano una banca o casana in Nésles. Mediante cessione della dote fatta nel 1258 i due primi quitanzano la vedova del terzo banchiere relativamente alle loro ragioni sulla somma di 640 lire parigine, che essa aveva ritirata dalla banca. Essi donano questa dote al monastero, ove la vedova si era fatta monaca, a titolo di restituzione male acquisitorum incertorum. Il guardiano dei frati minori per autorità speciale che avevano sovra codeste faccende dal Papa, assolve animam et filios dei due ban- chieri, ma soltanto fino alla concorrenza della dote ceduta al monastero. La contabilità dell'assolu- zione era, a quanto si vede, precisa (’). (') Amiet, l.c. 1.228. (*) L. c. li. 283. (3) L. c. II. 280. (*) L. c. I. 245; il. 188. 280. (5) Amiet, L c. i. 212. (6) Amiet, i. 211. (7).Vedi Appendice al Cod. doc. n. 1020. 244 — 2. Dal fine del secolo xin a pressoché tutto il secolo xiv, per quanto consta dai documenti dell’ Archivio torinese, i Pelletta ebbero parecchie ed importanti banche in Savoia e nella Valle di Aosta. Nel 1297 troviamo Roberto Pelletta unitamente ad un Bergognino guarante del conte Amedeo di Savoia per lire 500 (vedi M. Guttuario). Guarentigia che era forse un modo di entrare in rela- zione colla dinastia Sabauda, ed ottenerne poscia la concessione delle casane nei suoi Stati. Nel 1310 i Bergognini ed i Pelletta tengono casane in Ciamberì, Montmeillan, St. Julien. St. Michel, Aiguebelle, Evian, Bard ('). Nel 1312 Guglielmo P. anch’egli in Ciamberì, presta denari al conte di Ginevra (vedi B. Ber- gognini). Nel 1331, 8 luglio, Amedeo conte di Ginevra si riconosce debitore verso Enrico Pelletta e Fran- cesco Bergognini, Lombardi cittadini d’Asti, tenenti casana a Ciamberì, e verso gli altri lombardi loro soci, aventi parte in detta casana, della somma di 2100 fiorini d’oro vecchi e di 150 lire tor- nesi d’argento di Francia dall’O rotondo , ricevuta a mutuo e da restituirsi ad un quarto per anno. Furono fideiussori il conte di Savoia e parecchi altri baroni e cavalieri. Nel 1335, 6 gennaio, Aliano e Francesco Bergognini, e Robertone Pelletta lombardi, per sè e per gli altri Bergognini aventi parte nelle casane loro di Ciamberì, Monmelliano, Beley, Ais, S. Pietro d'Albigny, Conflans, Salin, S. Maurizio, Ayme, Bard, Aiguebelle, La Chambre e S. Michel, bruno com- posizione col conte di Savoia mediante 600 lire di grossi tornesi (14,400 lire circa) da pagarsi in parte subito ed il rimanente ai termini ivi stabiliti, super arrestatione et saysimento nuper facto de per- sonis et bonis ipsorum. La ricognizione di debito è fatta predictis nominibus et prò quolibet prò rata sua juxla quanlitatem quam habel in casanìs predictis. Nel 1340, 28 febbraio. Testimoniali di richiesta passata al Consiglio del conte- di Savoia resi- dente in Ciamberì, da Robertone Pallio, lombardo, gerente il banco feneratizio d’Enrico Pelletta in Ciamberì, per il rilascio e la rimessione a sue mani di certo Domenico Balbiano chierico, fatto arre- stare d’ordine del sig. di Miolans e consegnato al detto Consiglio. Nel 1341, Enrico Pelletta cittadino d’Asti esercita banco feneratizio in Ciamberì. 1346, 3 giugno. Giovanni Gioia di Canale, e Giacomo Rolandi, procuratori di Enrico Pelletta e Rolandino Bergognino e degli altri soci tenenti la casana di Ciamberì, promettono e si obbligano di riportare da Domenico Scarampi, alla festa di tutti i Santi, l’istromento di quitanza dei 100 reali d’oro dei quali il fu conte Edoardo gli si era dichiarato debitore per lettere datate da Parigi 24 novem- bre 1328, e ciò mediante obbligo di 120 fiorini d’oro che il conte Amedeo di Savoia passa ai detti lombardi. — Nello stesso anno il 6 luglio, Giacomino figlio d’Enrico e Aimone figlio di Daniele Pel- letta, tenenti banco in Ciamberì, prendono a mutuo da Giorgio Solerò d’Ivrea cancelliere di Savoia 300 fiorini d’oro da impiegarsi in speculazioni mercantili con partecipazione degli utili per metà al mutuante e da restituirsi fra un mese. La detta somma fu poi restituita ai 18 di dicembre dello stesso anno. Nel 1348. Enrico e Giovannone Pelletta, Giovanetto Bergognino lombardi, compongono col fisco sabaudo per inquisizione sull’esercizio dei banchi feneratizi. — Gli stessi rappresentati da Antonio di Cerretto e da Bartolomeo di Rivoli si obbligano verso Giacomo di Clermont per 1000 fiorini d’oro; di cui erasi reso loro cauzionano verso il conte di Savoia. Nel 1349, Rigodo Pelletta e Giovanni Bergognino avevano fatto porre un sequestro sul banco feneratizio esercito dai lombardi in Bard, per un prestito di 108 soldi e 5 denari di grossi. Nel 1351, i Pelletta lombardi d'Asti che tenevano casana in Aosta, avendo avute questioni con Pietro Seriod, barone Valdostano e canonico d’Aosta e di Syon, questi invase violentemente la loro casana e s’impadronì delle carte e dei mobili. Oltre queste offese recate ai lombardi, pesavano ancora sul canonico Seriod altre imputazioni: egli era pure trascorso a vie di fatto contro il sire di Quart ; aveva insultato il vicebalivo e le sue genti quando d’ordine del Conte voleva procedere al sequestro dei mobili dei lombardi ; aveva rotti i sigilli posti dallo stesso vicebalivo a parecchie arche (') LIBRARIO. Origin. e progr. delle ist. d. Mon. il. 83. — 245 — nella medesima casa dei lombardi e sottrattevi le scritture d'obbligo ed altri effetti; aveva combat- tuto nella stessa città d’Aosta innalzando bandiera propria; aveva dato l’assalto armata mano al campanile di Castelargento, e presivi alcuni suoi nemici li aveva tenuti prigioni in casa sua e spo- gliati; aveva ricettato malfattori in casa sua i quali depredarono il mandamento di Aimavilla ; aveva tenuto briganti presso Yillanova che commisero vari misfatti, e finalmente, aveva percosso un tale di Pondel siffattamente che era morto fra quattro giorni. In conseguenza di tutto ciò s’iniziò processo contro il Seriod. — Ai 19 settembre 1351, tre dei Sarrous o Seriod promettevano al conte di Savoia, sotto pena di 500 marchi d’argento, di far sì che Pietro Sarrodi o Seriod sarebbe stato a quanto avrebbe deciso esso Conte intorno a ciò su cui era accusato, non ostante il privilegio clericale. Nello stesso giorno componevano col fisco per lui, mediante 700 fiorini d’oro, e come fideiussori ne versavano 500 a mani del notaio. Ai 30 di settembre lo stesso Pietro Seriod si rimetteva al giudizio del Conte pel- le questioni che aveva coi lombardi. Al 1° di ottobre i lombardi d'Asti, Tomaino Pelletta a nome suo e di Panino Pelletta, figli ed eredi di Bernardo Pelletta, e Manfredo Pelletta rimettono anch’essi alParbitrato del Conte le loro questioni col Seriod, ed il Conte immantinente sentenzia; 1° doversi dal Seriod restituire la casa tolta ai lombardi, salve le ragioni di credito che le parti potessero avere l'una verso l’altra ; 2° che le parti nulla possano domandarsi davanti ad alcun tribunale, salvo che davanti al Conte al quale era riservata la decisione d’ogni cosa. I lombardi ratificarono il pronun- ciato, ma il canonico Seriod ricusò di acconciarvisi. Nel 1351, 5 gennaio, i Pelletta ed i Bergognini d'Asti tenenti casana a Monmeillan, Confians, ed Aiguebelle, essendo creditori di varie somme da Umberto de Villette, questi impegna loro il feudo di Chivrun. Nel 1355, 16 ottobre, obbligo di Tommaso Pelletta cittadino d’Asti dimorante ad Ayme, a favore di Guglielmo di Boczosel, commendatore di S. Antonio di Ciamberì, per 75 fiorini d’oro mutuatigli. Nel 1362, 8 agosto, Aimone di Savoia, sire di Confians, rimette al conte di Savoia ogni suo diritto di far giustizia di Galvagnino e Rigaudino Pelletta, lombardi tenenti casana a Confians, rei d’aver tentato d’esigere due volte un credito da certo Francesco de Marca. Guigoneto di BUforte castellano di Confians, nel fare tale rimessione come procuratore d’Aimone, confessa di essere stato negligente nel fare giustizia. Nel 1362, Rigaudino Pelletta è socio nelle banche di S. Pietro d’Albigny e Monmeliano (vedi P. Turchi). Nel 1363, Bonomo Pelletta teneva le casane di Ciamberì, Ais, S. Ippolito, Ayme, Salili, S. Mau- rizio, delle terre dell’arcivescovo di Tarantasia e pagava l’annuo censo di 69 fiorini d’oro, S}/4 den. (’). Nel 1365, Buniono Pelletta a Yenne e Bourget (vedi G. Layolo). Nel 1368, Rigaudone, Donadio, GalVagnone, Raimondino e Giacomino Pelletta erano in que- stione col Signor della Chambre per certe somme dovute a quest’ultimo, ed ai 7 di maggio addi- vennero a transazione a mediazione del conte di Savoia. Nel 13V9, Bernardo Pelletta, Antonio Pelletta figlio del fu Tommaso e gli eredi di Marchetto de Mandra, Lombardi cittadini d’Asti, tenenti la casana di Monmeliano e Confians mutuano al conte di Savoia 160 fiorini. Nel 1391, 3 luglio, Cortesone fu Daniele Pelletta d’Asti fa donazione al conte di Savoia della metà di tutti i suoi crediti in Francia ed in Piemonte e ciò in considerazione dei servizi resigli dal Conte e delle grandi cortesie ( magnani curialitatem) usategli. Quali fossero i benefizi che il Conte aveva fatti al Pelletta non è detto; sappiamo tuttavia che nell’aprile precedente l’aveva investito di parte del Castello di Valgorera. La donazione od era un compenso di ciò, o piuttosto era destinata a sopire od antivenire inquisizioni sul modo con cui erano stati fatti i crediti stessi? Nel 1413, 6 marzo, il conte di Savoia concede autorizzazione ai Pelletta di negoziare a Con- flans ed altrove. Da ciò si vede per quanto lungo tempo i Pelletta continuassero a trattar affari a Confians dove avevano già casana nel 1362. (’) Cibrario. Economia poi. del Medio evo. il. 109. — 246 Nel 1451 e 52, Giovanni Pelletta, Bonifacio de Guasclio, Antonio de Curia e Gandefello Pel- letta, Lombardi di Conflans pagano per censiva all'anno 17 fiorini, 10 grossi e l/k al conte di Savoia. Nel 1456 Giovanni Pelletta d'Asti abitante di Valgorera era stato accusato di contratti usu- rarii, falsificati e fittizi sì che alla di lui morte i suoi beni furono confiscati. In dipendenza di ciò Anna di Cipro duchessa di Savoia domandò quei beni al Duca per certe sue spese segrete ed egli le ne fece donazione ai 25 di ottobre di quell'anno. 3. Dalla metà del secolo xiv, fin quasi alla metà del secolo xv troviamo pure i Pelletta in Svizzera. A Lucerna, nel 1347, Tommaso figlio di Braudan Bellele, ebbe il servitore ingiustamente tratte- nuto prigione, e promette assieme a detto servitore di non trarre vendetta dell’accaduto. I Pelletta ave- vano una succursale in Lucerna, ma nel 1385 Tommaso P. lascia questa città (vedi Giacomo de Monte) (’). In Zurigo furono trovati più numerosi documenti, die provano l’azione dei Pel- letta in quella città per oltre 80 anni. Nel 1349, a Brandan P. in Zurigo vengono fatte determinate prescrizioni per la condotta dei suoi affali. 11 19 giugno il cavaliere Bodolfo Biber riconosce di dovere dem fromen manne Brandan Bclleten dem Lamparlcr von Ast, con un atto 110 e con altro atto 64 fiorini, senza interesse fino al dodicesimo giorno dopo Natale, e poscia coll'interesse di due pfenn. per lira alla settimana (5). Nel 1366, Brandan (Brantass) Pelletta è per causa a noi ignota sostenuto prigione dal borgo- mastro e dal Consiglio di Zurigo. Il barone Enrico di Bùssegg prese le parti del Pelletta, ed attaccò quei di Zurigo. Nel settembre dello stesso anno la controversia fu accomodata (3). Nel 1381 Matteo Pelletta è ricevuto cittadino in Zurigo (4), e nel 1384, i baroni Wolf e Enrico de Brandis devono 24 fiorini a Tommaso Pelletta (7). Nel 1385 Tommaso P. figura tra i cittadini di Zurigo (s). Nel 1405, Matteo Pelletta acquista per 120 fiorini da Gio. Scliwend cittadino di Zurigo una vigna con casa, e rivende ogni cosa nello stesso anno al canonico B. Keller per 141 fiorini (6). 1409, Zurigo riceve a cittadino den fromen man Marchio Pelletta figlio del fu Tommaso (7). 1429. I Pelletta vendono per 800 fiorini renani al cavaliere Gòtz Escher una casa e torre che possedevano in Zurigo. Questo fatto può essere in relazione colPammissione di alcuni ebrei alla cit— dinanza di Zurigo avvenuta nel 1424 colla proibizione agli altri cawrtschin di prestare denari (8). Erano gli usurai cristiani peggiori degli ebrei? 0 questi pagavano alla città più di quelli? La esclusione dei prestatori cristiani non durò lungamente. Nel 1432 si era ordinato che i Caor- sini i quali volevano operare a Zurigo dovessero prestare all'interesse di un denaro settimanale per lira, ed eransi cominciate le trattative per riconoscere quanto avrebbero pagato alla città. Infatti nel 1433 Tommaso Pelletta è ricevuto cittadino di Zurigo per 20 anni, e paga 1000 fiorini, ma di lì a qualche tempo essendosi deciso di trasportare i suoi affari a Ueberlingen, per intercessione di questa città gli fu rimessa la metà di detta somma (8). Gli ebrei furono cacciati da Zurigo nel 1436, e forse il Pelletta volontariamente se ne andava (l0j. Anche in Neuchatel agivano i Pelletta, giacché nel 1364 Brandan o Brankartz Pelletta presta una somma al conte di Neuenburg, che dà come ostaggi alcuni nobili personaggi, i quali per non avvenuto pagamento dovettero consegnarsi come tali ("). 4. Pinalmente anche nei Paesi Bassi troviamo i Pelletta. Nel 1373, 7 luglio, Giovanni Pelletta d’Asti per sé e soci, Tommaso de Villa, Francesco suo figlio e soci, Pelino del fu Nicolino de Villa e Martino Salomone di Cliieri compromettono in ar- bitri per la decisione delle questioni che hanno, per diversi interessi e specialmente per la casana che tenevano in Cambrai, chiamata la casana dei lombardi. Nel 1452, Martino Pelletta in Lovanio presta 2900 corone e perdutosi l'atto lo rinnova a Bru- ges nel 1456 (vedi B. Alfieri). (*) (*) Amiet, li. 146,291 ; I. 227. (’) Id. I. 237; II. 275. 291. (3) Id. il. 281. (‘) Amiet, il. 281- (5) Id. i. 227. (e) Id. il. 281. 282.316.317. (7) Id.ir.282. (8) Id. i. 228 a 230 ; II. 323. (9) Amiet. i. 229; il. 323. (’”) Id. II. 323. (”) Id. il. 268-281. 247 — Provana ('). I Pro vana tennero per oltre 40 anni le casane di Snsa e di Àvigliana. Nel 1303 Berteleto P. e fratelli (2) e nel 1344 Lionetto P. (3). Nel 1310 essi avevano anche la banca di Bnssolino (4). Per le loro relazioni con Genova nel 1367, vedi gli Scarampi. Ricci. In Léan, 1465-1472, Andino Lenet e Tadeo de Ritis (Ricci?) soci lombardi hanno la concessione del banco per 16 anni, e pagano 20 lire di grossi di Fiandra per gli anni sovra indicati (5). Roero. 1. Nel secolo xiv troviamo i Roero in relazione di grossi affari con casa di Savoia. Antonio Giusti ed Antonio Bartolomei di Susa nel 1347 erano stati presi presso Cavallermag- giore dalle genti di Luchino signor di Milano, ed avevano dovuto, per riscattarsi e per altro, sostenere molti danni. Onde il Giusti prese Catelano figlio di Manfredo Roero, ed il Bartolomei prese Benei- tino figlio di Emanuele Scarampi astesi, e questi richiesero il conte di Savoia di farli mettere in libertà in vigore della pace fatta con Milano : ma i Susini opponevano di non esservi tenuti se non erano rifatti i danni. Perciò a nome del Conte fu loro promesso il pagamento di 2500 fiorini, pel caso in cui la questione venisse decisa in loro favore, ed i Susini promisero di consegnare fra dieci giorni gli Astigiani o vivi o morti. — Il Consiglio del conte di Savoia nel 1348 ordina il rilascio dei prigioni, intimando al Giusti grave pena. 1363, 22 ottobre. Domenico Roero d’Asti figlio di Guglielmo, in proprio ed a nome del padre s’obbliga per 6000 fiorini buoni, fini, del conio di Firenze, verso gli ivi nominati cittadini di Lione ed altri dai quali li ricevette a mutuo, ed ai quali promette restituirli a Bruges in Fiandra alla prossima epifania, e se non pagherà di costituirsi ostaggio a Ciamberì ed a Beley con sei cavalli alla festa della purificazione di M. Y. Si resero fideiussori il conte Amedeo di Savoia e Giacomo di Savoia principe d’Acaja, i quali, oltre quanto sopra, promisero che, se loro non sarà notificata l’ese- cuzione del pagamento prima della scadenza del termine prefisso, manderanno e faranno presentare alla festa della Purificazione in Lione, il primo tre ed il secondo due cavalieri che stiano in ostaggio fino all’effettuato pagamento. I debitori e fideiussori si sottomettono inoltre essi ed i loro beni alle curie della camera, del camerario e marescalco del papa, del piccolo sigillo di Monpellier, del castel- letto di Parigi e delle fiere di Sciampagna, ed a qualunque altra curia ecclesiastica o secolare. 1364, 10 febbraio. Scrittura solenne d’obbligo del conte Amedeo di Savoia verso Domenico Roero d’Asti e Guglielmo di lui padre per 10000 fiorini ricevuti a mutuo e da restituirsi fra tre anni a Ciamberì od Àvigliana, con fideiussione di parecchi convenuti, nobili della corte di Savoia. 1369, 1 luglio. Domenico Roero cittadino d’Asti, unitamente a Guglielmo suo padre, dà in prestito 10000 fiorini di gran peso al conte Amedeo di Savoia con guarantigia di Guglielmo di Grandsson, Ajmaro di Seissel signore d’Aix, Lodovico Ravoire, Pietro di Montgella e Girardo d'Estres cancelliere di Savoia, che dichiarano di costituirsi ostaggi in Chieri, se il debito non si pagasse. Il giorno ap- presso 2 luglio, lo stesso Roero si obbliga di tener rilevato da ogni molestia il conte di Savoia, ve- nendogli da esso Conte pagata la somma di 11000 fiorini mutuatagli. 1379. Amedeo principe di Acaia si riconosce debitore di 2400 fiorini a Estorre Rotario (Roero) di Moncucco, e gli dà in pegno la signoria di Yigone. (') La famiglia Provana non era di Asti, ma tuttavia se ne tenne qui memoria perchè ebbe frequentissime relazioni bancarie cogli Astigiani. (*) Librario. Orig. e prog. della Mon. di Savoia, il. 78. (s) Ib. 113. (‘) Ib. 83. (s) Gacuaed, I. c. 165. — 248 — 2. Dal secondo degli atti sovrastati si riconosce che in quel tempo i Roero avevano importanti relazioni in Francia ed in Fiandra. 3. Al principio del secolo xiv troviamo i Roero in Friborgo, e vi sono tenuti in conto di potenti personaggi. Nel 3399, il conte Rodolfo di Gruyère vende nobili atque potenti viro Aymoneto Ruer astese, e signore di Padiovarino (Poirino), e nelle mani di suo figlio Percivalle in Friborgo le signorie di Oron e Palesieux con piena giurisdizione (’). Nel 1402, il donzello Percivalle Ruerij dominus de Orons et de Pallexue vende queste signorie a Gaspare di Montmajeur. Il conte di Gruyère tentò di impedire colle armi la presa di possesso, ma Amedeo conte di Savoia, ne guerre in sua pairia Wuudi et alibi orirentur , riduce i castelli in sua mano, e si fa arbitro (5). Nel 1403, a nome di Percivalle Roero sono pagate 1440 lire al Vescovo di Losanna per il quinto del valore di una terra compresa nelle predette signorie da lui vendute, che essendo nel vas- sallaggio del Vescovo, gli doveva il cinquennio in caso di passaggio di proprietà (3). de Saliceto. 1. Si trova anzitutto questa famiglia in Friborgo. Nel 1356-59 ivi è Giacomino de Saliceto (vedi A. Asinari): nel 1399 il conte Rodolfo di Gruyère prende 330 talleri d’oro a prestito da Ottolino de Saliceto in Friborgo (4). Nel 1413 vi sono contro- versie per il debito di detti Conti (vedi R. Bergognini), ed anche nel 1418 si hanno controversie fra Ottone de Saliceto ed i fratelli Champion guaranti del debito del conte di Gruyère come pure vi sono dissensi fra i fidejussori ed il Conte. Ogni questione è decisa da arbitri ('). 2. La si trova anche a Lucerna, giacché nel 1395 questa città riceve come suo cittadino il lombardo von Salizetto (G). Scarampi. 1. Dal 1292 al 1311 troviamo gli Scarampi in Francia. Nel 1292 al 3 settembre, Filippo il bello re di Francia con sue lettere patenti dichiara che Antonio Scarampi, Antonio di Quarto, Bartolomeo Scarampi, e Giacomo Spinelli devono quindi innanzi considerarsi come borghesi dei luogi ove risiederanno, e retti dalle leggi e consuetudini di quei paesi. « Nec substinebimus quod ipsi tamquam lombardi tractentur ». Queste lettere affrancavano i lombardi che le ottenevano dalle tasse ed esazioni cui erano soggetti; a questo genere di privilegi si fa allusione nella prima ordinanza di Filippo il bello per la compagnia dei lombardi del 7 marzo 1294. — Agli stessi Antonio di Quarto, ed Antonio Scarampi, come a Giacomo e Matteo figli di questo, Luigi re di Navarra, Sciampagna e Brie (poscia re di Francia col nome di Luigi X il pro- tervo) accorda lettere patenti. Per le lettere del 9 ottobre 1308 detti astigiani saranno trattati non come lombardi ma quali borghesi de’ borghi ove risiederanno. Per le lettere del 28 settembre 1310, ricordato il trattamento di borghesi accordato ai sunnominati astigiani, quantunque abbiano moglie e famiglia abitanti fuori dei reali dominii, si ordina ai custodi delle fiere e giustizieri di Sciam- pagna di non molestarli nelle persone e nei beni, di non recar loro impedimento, o lasciare che altri l'arrechi per causa di qualunque proibizione da essi uffiziali concessa o concedenda contro i cittadini di Asti, o della giurisdizione di Asti, ad istanza di chiunque e specialmente di Guioto Migliore e di Lappo Marini: perchè più liberamente possano viaggiare, stare, esercitare le loro mercature e con- durre le loro robe, il Re li pone sotto la sua salvaguardia, ed ordina agli stessi uffiziali di rilasciare loro gli occorrenti salvacondotti. — Il 22 marzo 1311 Filippo il bello rinnova il privilegio del 1292 (7). (’) Amiet, ii. 248. (’) Amiet, ii. 249. 250. (3) Id. il. 250. (4) Amiet, II. 249. (5) L. c. 256. (c) L. c. 285. (7) D’Arbois de Jubainville. Bibliothèque de Fecole des Chartes. li. 4e sèrie, p. 469. 465. 470. 471. — 249 2. Si conoscono affari tra gli Scarampi ecl i conti di Savoia. Nel 1297 Filippo Scarampi guarantisce 300 lire pel conte Amedeo di Savoia (vedi M. Gutuario).— Nel 1328 il conte Edoardo di Savoia si era fatto prestare 100 reali d'oro da Dumenico Scarampi a Parigi, e li fa restituire nel 1346 (vedi E. Pelletta). — Nel 1347 Beneitino figlio di Emanuele Sca- rampi è preso da quei di Susa (vedi C- Roero). Nel 1381, Giovanni ed Antonio de Catena Lombardi di Rossillon fanno un prestito al conte di Savoia e la somma viene pagata da Giovanni « Escarampi eorum factoris et familiari ». 3. Gli Scarampi avevano anche relazioni con Genova. Nel 1367, 8 settembre, Giacoto Provana milite confessa d’aver ricevuto da Sairaceno Dandela veneto, pagante a nome di Guglielmo Grandsson, al quale il Sairaceno li aveva prestati, 546 ducati e -/3. Questa somma esso Giacoto Provana mandò lo stesso giorno, facto escambio, a Genova a Gio- vanni Saco che deve pagarla a Giovanni Scarampi, e questo a Giovanni Espuollo. Costui volle che la somma fosse pagata colà al suo rappresentante, il quale avrebbe restituito l’obbligo stipulato dal Grandson, allorché l’Espuollo gli mutuò la somma in discorso nella città di Pera. Il Provana asse- risce che il tutto fu così eseguito, e promette di tener indenne il Grandsson. DE SEPTIMIS. Nel 1395, alla morte di Antonio de Septimis in Berna se ne sequestrano gli averi: più tardi è consegnata al figlio Hensli (Giovannino?) ogni cosa fuorché la metà, del denaro, che lo Stato aveva adoperato per i suoi bisogni. Finalmente gli fu dato in compenso nel 1395 una certa quantità di grano (‘). SlLVATICI. Nel 1349, il 30 giugno, Percivallo Stivatici d’Asti, consocio lombardo tenente casana a Ciamberì, si sottomette alla curia comitale, ed a subirvi il processo per ingiurie proferite contro il conte Amedeo di Savoia ed il suo Consiglio, il dì 28 giugno nella stufa (in peelo) del castello di Ciamberì. Si rese suo fideiussore Gio- vanni Bergognini lombardo, cittadino d’Asti. Solaro. 1. Tra le prime famiglie astigiane che esercitarono il commercio bancario, debbe essere quella dei Solaro, giacché fin dal 16 ottobre 1247 troviamo Giovanni del Solier, e Quitremio il Caorsino d’Asti ammessi alla borghesia di Douai (2). Nel 1300, 28 giugno in Bruxelles, nella casa di Bayamondo Peyla e socii, Manfredo Pipa si obbliga di pagare a Francescliino Solaro lire 60, moneta di Lovanio, stategli mutuate. 2. Troviamo poscia questa famiglia esercente l’usura in Piemonte. Nel 1280, 6 febbraio, Ansaldo Zelia potestà di Asti autorizza con suo decreto Raimondino Solaro di vendere i pegni da lui tenuti nella sua bottega e non riscattati dai proprietari nel termine prescritto. Nel 1301 ai 30 novembre Leonardo Solaro nobilis vir, nel maggior consiglio, ossia nella cre- denza di Torino, fa l’acquisto, e riceve la investitura per 10 anni della metà del presto o casana di Torino, ordinata l'anno precedente da Filippo di Savoia principe di Acaja e dal Comune. La conces- sione favorisce il banchiere assai meno di ciò che si facesse in talune delle concessioni d’oltremonte che abbiamo citate. Il Casaniere paga annualmente 60 lire bonorum aslensium , e tanto egli, quanto i suoi soci e famigliaci sono esenti da taglie, da spese pel Comune, dagli eserciti e dalle cavalcate. Egli ha il privilegio del prestito sovra pegno di beni mobili, ed il contravventore a questo privilegio (’•) Amiet, 1. c. i. 245; il. 307. (a) Taillar. Recueil d’actes en langue romane-wallonne 143- 32 — 250 - paga ogni volta una multa di 5 soldi, ma il prestito sovra pegno di cose immobili ad carlas et sub cartas et sine carlis , è libero. È determinato il limite dell’interesse in 6 denari per lira (2,5 percento), ma senza indicazione di tempo, come se questo fosse stabilito dalla consuetudine. In Svizzera era abitualmente di una settimana, nell'Astigiano lo trovammo di un mese ed in questa ipotesi il limite dell'interesse annuo sarebbe del 30 per cento. Il pegno si può vendere solo dopo un anno. Se il prezzo ottenuto dalla vendita non basta, si crede al giuramento del banchiere, ma si crede pure al giura- mento di ogni uomo di buona fama che si faccia accusatore, e gli sarà dato in premio il terzo della multa. Il pegno non si ricupera che dopo il saldo del prestito e dell’usura, nisi bora suspecla et a persona suspecta impignorala fuisset res. Nascendo quistioni o rappresaglie tra Asti, e tra Torino e Filippo di Savoia, il Solaro ed i suoi famigli potranno stare, andare o venire senza alcuna molestia (’). Nel 1304 ai 19 settembre Leonardo Solaro prossimo a morte confessa al Vicario del vescovo di Asti se fuisse peccalis suis exigentibus usurarium manifestimi et exercuisse per se et alios usurariam pravitatem ac extorsisse magnani quantitatem pecunie ex fucinare usurarie pravitatis. Interrogato dal Vicario risponde di non ricordare da chi egli abbia preso queste usure: solo rammenta, che ebbe dal Vescovo 300 lire a titolo di usura, e dagli altri in genere 5000 lire. Egli ordina con tutte le cautele atte a guarentire il legatario, che siano pagate al Vescovo dette 5300 lire, acciò questi, sine juris ordine et solempnitate indie io rum et causarum strepitu , e senza responsabilità alcuna verso il Solaro od i suoi eredi, si rimborsi delle 300 lire, e spenda le altre 5000 nella restituzione delle usure estorte dal Solaro, et in pios usus et inler pauperes prò remedio anime sue. Egli dispone pure che i suoi erediti siano ridotti al capitale prescindendo dall’usura che fosse pattuita. Sono presenti come testimoni, due sacerdoti, due frati, e Bonifacio de Solaro (:). Ma il Leonardo Solaro non morì allora. Nel 1305, volendo ancora provvedere alla salute della sua anima, dichiara di essere stato soddisfatto dal vescovo d' Asti del prezzo delle terre e dei diritti, che a lui spettavano in Govone, ed aveva venduti al vescovo, eccetto 444 lire, delle quali rimane ancora in credito (3). Infatti il Solaro nel 1300 aveva venduto per 6350 lire a Guido vescovo d’Àsti ed alla sua chiesa, quanto gli spettava in Govone, Caliano e Craviano, tanto in beni immobili, che in uomini, fitti, decime ecc., e che proveniva dall’eredità di Panza Solaro (4). — Nel 1302 egli fece pure quitanza al Vescovo per lire 300 mutuategli nel 1301 (3), sicché sembra che molte fossero le faccende da lui trattate col Vescovo. — Non sembra però che tutti gli affari suoi fossero molto chiari. Nel 1292 aveva fatta donazione pura, semplice, ed irrevocabile tra vivi, a Percivallo Solaro figlio del fu Baldracchino, di certi suoi beni in Vinchio, ma l’anno dopo il Percivallo dichiara che tali dona- zioni furono fittizie, simulate, non vere, non legittime, nè tali da creare alcun diritto (5). Nel 1321 ai 22 gennaio (6) Beneto de Solaro prossimo a morte confessa al Vicario del vescovo d’Asti, se fuisse usurarium manifestum, ed ordina la restituzione delle usure che ricorda. Esse si ri- ducono a quattro tolte a persone della Bocchetta, e consistono in 6. 12, e 12 staia di vino, ed in 60 lire astesi. Egli ordina pure la restituzione delle usure che non ricorda. Ed infatti ai 6 novembre del 1321 (;) Bainerio Cazo dichiara che Berengario e Manuele figli del fu Beneto Solaro gli restituirono tutte le usure, che il loro padre ebbe da lui. Nel 1339, Guglielmo Solaro, tenendo banco feneratizio aveva cagionato estorsioni e violenze a danno degli uomini di Ciriè, Lanzo e Caselle, ed il conte di Savoia per accertare i danni deputò commissari, i quali esigono che i Solari paghino 160 fiorini d’oro. Andreone dei Solari d’Asti presta, nel febbraio del 1363, a Giacomo e Filippo di Savoia padre e figlio, principi di Acaia, 10,000 fiorini di Firenze, e ne riceve in pegno il castello e la signoria di Cavallermaggiore. Nel settembre si fa nello stesso giorno quitanza dei 10 mila fiorini, e nuovo mutuo della stessa somma per un anno, ma con ipoteca e pegno del castello di Moncalieri. Nell’aprile del- l’anno susseguente si rifa una quitanza, ed un nuovo atto di mutuo per la stessa somma, sempre con pegno sovra Moncalieri. (’) Appendice al Codice doc. n. 1051. (s) Ib. doc. n. 1038. (3) Libro verde della Chiesa d’Asti fol. 53. (') Ib. fol. 50. (5) Ib. fol. 52. (“) Appendice al Codice doc. u 1046. (:) Ib. doc. n. 1047. — 251 3. Importanti sono le relazioni dei Solaro con i conti di Savoia ed i loro Stati al di là delle Alpi. Nel 1329, 21 agosto, in Ciamberì, Antonio Solaro lombardo confessa, ad istanza di Ajrnone Lupi, di dovergli 50 fiorini che promise pagargli pel Conte di Savoia, i quali 50 fiorini l’Ajmone Lupi a sua volta promise di pagare a Parigi a certe persone creditrici del Solaro. Nel 1330, 4 marzo, lo stesso Antonio Solaro cittadino d'Asti, fa quitanza a Biado de Macelli di Firenze castellano del Conte di Savoia in Moriana, per 10 lire di grossi tornesi e 25 fiorini d'oro, in conto di 30 lire di grossi tornesi che il fu conte Edoardo di Savoia aveva ordinato pagargli con due mandati 12 e 13 giugno 1329, in isconto d'un debito di 150 lire tornesi contratto col Solaro per mutuo. Nel 1341, 2 aprile, Girardo Curtile professor di leggi fa quitanza a Giorgio Solaro cittadino d'Asti di 10 fiorini d’oro ricevuti per Antonio Solaro castellano di Yenna fratello di esso Giorgio, o ciò in conto d’un debito di 50 fiorini, che l’Antonio Solaro aveva verso lo stesso Girardo Curtile, per sicurtà da lui fatta pei lombardi tenenti casana a S. Sinforiano. Nel 1344 Benentiuo Solaro tiene il banco di prestiti in Evian f). Nel 1341, 5 novembre: Quitanza di Tommasone di Solaro astigiano a Guglielmo Boni di Ciam- berì, per la sua tangente di credito derivante dal mutuo di 50 lire tornesi, fatto da esso e da suo fratello Antonio al medesimo Boni ed al fu Giovanni Bonnivard. Nel 1348. Cacho de Solaro in Ciamberì (Vedi G. Martini). Nel 1348, 4 aprile: Obbligo di Bartolomeo figlio, e procuratore di Stefanone di Solerò cittadino d'Asti, esercente banco feneratizio a Chàtelar en Bauge e Cusi, per 100 fiorini dovuti al conte di Savoia, in seguito a composizione seguita pel sequestro posto sui beni di detto Stefanone, e di altri 20 fiorini dovuti ai tutori del Conte ecl al Consiglio. Nel 1348, 9 ottobre: Quitanza di Gabriele Layolo astigiano per sè ed i suoi socii nel banco feneratizio esercito in Yenna, in favore di Tommasone Solaro d’Asti per 33 fiorini da esso pagati in iscarico del defunto suo fratello Giorgio. Era presente all’atto Leonardo di Caliano lombardo a Yenna. — 12 ottobre: Obbligo di Andreone Pellestorti di Riva a Tommaso Solaro lombardo d’Asti stabilito a Yenna, per 15 fiorini d’oro, prezzo d’un ronzino baio vendutogli da esso Tommaso. — Remissione o retrocessione fatta da Andreone Pellestorti di Riva a Tommasone Solaro d’Asti suo zio domiciliato a Yenna di tutti i crediti ed azioni al di là del Cenisio dal medesimo donatigli per atto di quello stesso giorno, con annullamento d’ogni disposizione contenuta nella stessa donazione. Questa era stata fatta al Pellestorti tamquam benemerito dello zio, ma era forse una semplice fin- zione fatta con altri fini. — 4 novembre: Quitanza di Tommasone Solaro lombardo cittadino d'Asti a Gugliotto Pellipari e ad Aimonetto Alegret che n’era mallevadore, per 14 fiorini d'oro. — Altra dello stesso Tommasone come successore di Giorgio suo fratello ad Aimone Alegret, per 9 fiorini d’oro. Nel 1353, 1° maggio: Obbligo di Albertino Solaro come procuratore di Stefano suo padre, a favore del tesoriere del conte di Savoia, per 30 fiorini d’oro ammontare dalla finanza dovuta per l’eser- cizio d’un banco feneratizio nei luoghi di Chàtelar en Bauge e di Cusi. Nel 1361, 1° marzo. Tobietto Solaro, lombardo abitante di Morges, s’obbliga di pagare al conte di Savoia 1400 fiorini per una composizione fatta per suo fratello Beneitone. Si rende fideiussore Giovanni Patri ti. Ai 4 maggio successivo paga li 1400 fiorini. 4. Anche nella Franca Contea, i Solaro aveano banca. Nel 1331. Albertino Solaro lombardo, cittadino e mercante d’Asti a Palma diocesi di Besan- zone, dispone dei beni suoi tanto acquistati che ereditari esistenti in Borgogna ed in Italia. Per lo studio dei costumi di quei tempi, il suo testamento sembra degno di essere ricordato. Il testatore istituisce eredi le sue due' figlie avute da Violante, figlia di Obertino Rouhier (Boero) cittadino e mercante d’Asti. sua moglie ; lega alla moglie in aumento di sue doti lire 100 di buoni astesi ragguagliati ad un tornese grosso d’argento per 40 denari astesi, e le fa dono di tutte le vesti ad eccezione di due e degli ornamenti; delega la tutela delle sue figlie ai suoi fratelli. Lega a Rogerio • 0 Cibrario, Origin. e progress, della Monar. di Sav. n. 113. — 252 — suo cognato 10 lire di piccoli tomesi; ad Obertino de septruit e ad Ubertino 0 . . . . alunni, 25 lire id. per ciascuno ; a Margarita ( alumpne mee ) de cbiabo de govon e a Nicolita alunna de fraxino sancii Marmelis, 20 gros. torn. d’arg. alla prima, e 20 lire di p. t. alla seconda ed aggiunge 100 sol. di p. t. alla costei madre de borgoignous pro-pe Karitatem; ed a 2 donne di servizio 20 sold. id. all'una e 40 all’altra. — Vi sono inoltre alcuni legati di carattere incerto: a Romeo di Gorzano, cittadino d'Asti grossi 5 torn. d’arg., a Pietro de fraxino 20 sol. di p. t., a Giovanni detto Bonetoux di Palma 10 id., al sig. de bello joco 100 id. e forse questi due ultimi lasciti sono per restituzione. Tutte le altre minute disposizioni del testamento riguardano le restituzioni (certamente per le usure) e le largizioni al clero. Sono specificate 8 restituzioni a determinate persone per valori di 50, 10, 10, 10, 10, 8 lire di p. t., di 100 sol. id., di 40 sol. grossi: in totale di circa 110 lire. Egli lascia poi 50 lire per resti- tuzioni, di cui non si ricordi, e quando non ve ne sia a fare, per elemosine a persone povere o per opere pie. Il testatore elegge sepoltura nella chiesa dell’ospedale di S. Spirito in Besanzone; ivi istituisce una , cappellata col reddito perpetuo di 6 lire di p. t. e coll’onere di due messe alla settimana, e lascia un reddito perpetuo di 20 sol. id. ai frati: lega per una volta tanto 20 sol. al maestro, ed inoltre nel giorno della sepoltura 8 grossi torn. a lui e 4 a ciascun frate, e, pei funerali della settima, della trigesima e dell’anniversario grossi 4 a lui e 2 ai frati: ai poveri dello spedale non lascia che 3 grossi prò piclancia sibi facienda. Pel clero di Palma dispone 100 sol., pel curato di S. Sulpizio e 40 per quello di S. Martino, oltre a 4 grossi per ciascuno di essi, ed a 2 per ciascun sacerdote di Palma nel dì del decesso, ed a 2 grossi per ciascun curato e 1 per ogni sacerdote nei tre uffici funebri susseguenti. Ai frati predicatori di Besanzone (per tutti o per ciascuno?) sono lasciati 3 g. t. e per i frati minori dello stesso luogo 20 sol. p. t. Al curato de fraxino sancii Marmelis , ed al prete Stefano de frecigneij sono lasciati 40 e 20 soldi. All’Arcivescovo di Besanzone sono legate 40 lire. Noteremo ancora che sono lasciate 10 lire agli ufficiali della curia e 10 sol. al sigillatore di Besanzone. Nomina esecutori testamentari i suoi fratelli, e Nicolino de Comariana e Percivallo Reus (Re) d'Asti lombardi dimoranti il primo a Palma, il secondo a Lilla. Era i testimoni è presente Franci- scono d’Asti anche lombardo. L'apertura e la pubblicazione di questo testamento, ebbe luogo il 23 giugno 1334, in Besanzone. In complesso ci sembra che l’usuraio disponendo alcune somme per la restituzione delle usure, e somme maggiori per il clero, cominciando dal Vescovo, si procurava una sepoltura con molto seguito di sacerdoti e frati, che non lasciava apparire il contrasto colle disposizioni della Chiesa. Ed evitava che come nel 1278, in civilate Basiliensi seppelierunt fralres minores cauwircinum in magnum suo- rum scandalum vicimrum (’). Toma. 1. Troviamo i Toma in Friborgo per 13 lustri. Nei 1295, Manuele Tonen, Giorgio Asinari e Nicola Alfieri ed i loro consorti dimoranti a Fri- borgo prestano 37 lire e 10 scellini, moneta di Berna a Cuno Muntzer e Gerardo de Grassbnrg bor- ghesi di Berna (*). Nel 1303, lo sculteto, i consoli, e la comunità eli Friborgo dichiarano che Manuello Toma e Giorgio Asinari soci cittadini e mercanti d’Asti comborghesi di Friborgo, avendo mutuato a detta città 100 lire di moneta di Losanna, gratuitamente e con vantaggio di essa, fino ad un anno, e volendo essi ricompensare in qualche modo i sunnominati ed anche Obertino Toma cittadino e mer- cante d’Asti loro comborghese, della grazia da essi fatta, condonano a Giorgio ed Obertino predetti le lire 15, che gli stessi mercanti devono per la borghesia che hanno in Friborgo per l’anno che comincia dalla’ festa di S. Giacomo di luglio, e così nei successivi finché non saranno loro restituite le 100 lire prestate (3). (’) Amiet, 1. c. li. 286. r (s) Karl ZeerlEdEr. Urkunden fiir die Geschichte der Stadt Bprn. 1858, il. 517. (3) Recueil diplomatique du canton de Fribourg. il. 22. — 253 — Questa banca si sviluppò rapidamente ed anche andò acquistando nuovi soci, fra cui Manfredo Alfieri ('). Nel 1310 l'imperatore Enrico vii, onde avere da Pietro conte di Gruyère, e da Guglielmo di Montenach 200 marchi d'argento, e la loro compagnia con 8 destrieri e 2 balestrieri, e ciò in oc- casione della sua spedizione in Italia, diede loro in pegno il tributo di 60 lire, che gli pagavano in Friborgo Manuele ed Alberto Toma, Giorgio Asinari, Manfredo Alfieri ed i loro colleghi. Nel 1336 Friborgo riscattò per sè questo tributo, e fece un passo importante verso la sua indipendenza ('). Dal 1356 al 1359 Andeloto Toma ed il suo figlio Merimeto fanno essi pure i banchieri a Fri- borgo (vedi A. Asinari). 2. Parimente si trovano i Toma in Ginevra e nel Vailese. Nel 1300 agli 11 agosto: Martino vescovo di Ginevra concede per sei anni a Beniamino Toma lombardo di Asti ed ai suoi soci, il diritto di battere moneta a Ginevra, cioè a 4 Q, di lega di ar- gento di Monpellier ed a 18 soldi di peso per marco con quattro denari di tolleranza. Inoltre gli dà in prestito 2,000 lire, moneta ginevrina, per un anno : gli condona 3 danari per i primi due anni, e 2 durante gli altri quattro, sui quattro denari di signoraggio ai quali il vescovo ha diritto. Per- mette di fare su 20 marchi, un marco di maglie ginevrine; 5 maglie valendo 11 denari. In fine il vescovo promette di dare alla moneta nuova corso esclusivo in tutta la diocesi, dacché l’emissione sarà cominciata (a). Al 9 dicembre il vescovo notifica ai deputati alla moneta la convenzione conchiusa con Beniamino Toma e dà le disposizioni pei pagamenti a farsi. • — Al 23 dicembre Beniamino Toma lombardo abitante in Ginevra fa quitanza ai deputati alle monete delle 500 lire promessegli colla convenzione per la battitura della nuova moneta, e ciò tanto a nome suo, che dei suoi soci, tra i quali nomina Martino Alfieri cittadino e mercante di Asti (a). Nel 1304, 16 giugno; Aimone di Morestel si confessa debitore verso Manuello Toma, Uberto Laiolo, e Giacomino de Antegn.... (Antegnauo) lombardi mercanti d’Asti e soci apud Contegium mo- rantibus. di 13 lire, 14 soldi e 1 denaro morianese, somma avuta in mutuo, che promette di resti- tuire alla festa di Santa Maria Maddalena. Dopo scaduto il termine il debitore deve pagare 29 de- nari per settimana (4). DE TROYA. Nel 1349-53, Tommaso de Trova è partecipe in mia banca in Lucerna (vedi M. de Monte). Nel 1400, Vincenzo de Troya è in una casa di affari a Berna (vedi P. de Monte). Nel 1404, Vincenzo de Troya di Asti, per 130 fiorini d’oro, vende una casa che aveva in Soletta. Fra i testimoni vi è Alberto Merlo (B). Turchi. 1. Questa famiglia tiene parecchie banche in Savoia per oltre un trentennio. (’) Amiet. n. 218 a 221. (!) Spon. Histoire de Genève 1730. Tom. n. Preuves n. 28, pag. 81- 83. Per quanto si riferisce alle condizioni suaccennate, la concessione si esprime letteralmente così : « Ce est a savoir a mi. d. e nielli de ley dargent de Monpeller, e a xvm. soz, e un. d. de bianchii de peis le march de tires, en tei condicion que se li march de xvm. soz e un. d. estoit ralliés a in. d. trop fors que autretant, quan en seroit fait de ceay fors puissont faire e retorner de foibles, e se des foibles, estoit fait de in. d. le march, que autretant deussont faire de fors. Apres nos volons e outroyons, que se ladite monea estoit faite e batue, a mais u. grans, que lon en puit faire a tant maihs, autres fois ensy quant il est acustume es autres monees » ecc. (3) Besson. Mémoires pour Thistoire ecclésiastique des diocèses de Genève, Tarantaise, Aoste, et Maurienne, et du décanat de Savoye. Nancy 1759. Preuves n. 74. 75, pag. 418. 420. (*) Mémoires et documents publiés par la Société d’Histoire de la Suisse romando. Tom. xxxr. Documents re’latifs à l’hist. du Vallai s par J. Giiemaud. Tom. iit, pag. 96. (s) Amiet, 1. c. u. 188. 192. — 254 — Nel 1337, i Turchi ed i Garetti banchieri d’Asti tengono banco ad Ailli, Thonon, S.1 Branchier, Syon, Martigny. Nel 1344. Palmerio Turchi tiene il banco di Thonon ('). Nel 1347 si ha l’inventario dei beni mobili ed immobili della casana dei Lom- bardi di S4 Branchier fatto per ordine del Consiglio del conte Amedeo di Savoia (!). Nell'inventario non è detto per qual ragione il Consiglio l'avesse ordinato, ma si può facilmente presumere che fosse la conseguenza d'un sequestro posto dal fisco comitale su quel banco. Nei conti del Tesoriere generale di Savoia del 13 48 si trovano notate parecchie somme di fiorini ricevute dai lombardi tenenti la casana di Saysello e di molti altri luoghi. « quos florenos dare convenerunl Do- mino per comp osi cionem prò bonis ipsorum, que saysila eranl prò eo quocl eranl de seygnoria Capitami Medyola ni qui faciebat guerram Domino ». Seia casana di SA Branchier era tenuta, come è credibile, dall’astigiano Turchi, essendo in quel tempo Asti sotto i Visconti di Milano e già inco- minciate nel 1341 le ostilità, dovette essa pure correre la sorte delle altre. Puossi ritenere che l'in- ventario di essa non abbia avuto altra origine. Nella mancanza quasi assoluta in cui siamo di notizie particolareggiate su tali banchi e sulle loro operazioni, quest'inventario è un documento d'una certa importanza, e merita che se ne dia un cenno. Esso occupa un fascicolo cartaceo di 32 fogli. Nel foglio 1° sono notati gli arredi, utensili ed altri oggetti mobili trovati nella casa, compresi i pegni; sui rimanenti 31 fogli sono registrati i cre- diti dei quali venne fatta la consegna o si avevano le obbligazioni o scritture, e sul verso dell'ultimo foglio sono notati gl’immobili. Ai fine d’ogni foglio è tirata la somma. Qui appresso diamo testual- mente la nota dei mobili e degli immobili ed un riassunto dei crediti. (Fol. 1) Primo inventa sunt in soteraneo domus xxv delia tam piena quam vacua et extimatur vinum quod est in ipsis circa x rnodia vini. — Item in domo predicta x lecti garniti. — Itera in granerio vi sichilini frumenti. — Item due mezane bancones (?). — Item tam magne quam parve vili arche. — Item in quoquina mi olle metalli; v caldere; il pattelle; mi landerii; il quoquipendia ; una duodena de piantis gannita; n ciphi argentei parvi; un chagne de stagno; il conchie. Et quedam alia minuta garnimenta coquine. — Item in stabulo unus roncinus albus. Item vili charatate feni novi. — Item vili mantilia et mi tuallie. — Item repertum fuit in ope- ratorio casane vili cartularia papirorum magni volurainis. Et un, parvi voluminis continencia debita {crediti) antiqua et laniata. — Item in dicto operatorio unum breviarium. — Item sunt in operatorio superiori minuta vadia continencia in cedulis in ipsis annexis xxn, libr. x, den. Maur. — Item sunt in quadam archa pignora continentia mi libr. xvm sol. — Item in operatorio inferius in minutis vadiis lviii sol. — Summa xxix lib., xvi sol., x den. (Fol. Ivo) Sequuntur possessiones casane de sancto brancherio. Primo domus in qua tenetur casana et in qua habitant lombardi estimata per probos homines, et extimatur minus quam valeat prò eo quod si esset venalis non reperirentur emptores, et dicunt quod domus sancti brancherii sunt modici valoris xxv libr. — Item tres grange retro domus predictam estimate vii id. — Item pratum et campum de Ayent et continent sex falcate prati et tria jugera terre contigua et extimantur xxv id. — Item pratum dicturn dou tornol continens duas falcatas Vili id. — Item unum curtile extima- tum. ix, sol. = Summa lxviii libr. Mobili c. s L. 29 sol. 16 den. 10 Immobili c. s » 68 » 0 » 0 Crediti come nel riassunto seguente .... » 2037 » 19 » 3 Capitale della casana . L. 2135 » 16 » 1 C) Ci erario. Orig. e progr. delle Istit. d. Mon. di Sav. II. 113. (s) Il banco di SA Branchier era tenuto dai Turchi e dai Garetti d'Asti già nell'agosto del 1337 ; non risulta che fosse ancora nelle loro mani nel 1347, quando se ne fece l’inventario, ma è più che presumibile, giacché sappiamo che nel successivo 1348 lo teneva Palmerono Turchi unitamente alle casane di Tonone e di Ailli, colle quali quella di SA Branchier era congiunta fin dal 1337. — 255 — Nei fogli dal n. 2 al n. 32 sono indicati i crediti. Il numero di debitori è di 719: l'ammontare del credito totale è di 2037 lire, 19 soldi, 3 denari. Il credito massimo è di 101 lira ed il minimo di 2 soldi. In media è di 11. 2. 16. 8. Tutti questi crediti sono a breve scadenza, eccettuati appena tre o quattro casi in cui essa è riportata ratealmente su due o tre anni; il termine non è mai maggiore di pochi mesi ; alcuni erano già scaduti, di taluni era già stata pagata una parte e la somma riportata nell’inventario è il residuo d’altra maggiore. Sui 719 debitori vi sono 85 donne, di cui 13 qualificate vedove; vi sono 3 comunità (Lides per lire 4 e 3 sol. — Orsier per lire 13 — Yilugio per sol. 10) il Curato eli Bagnes (42 fiorini e 41 sol.) e lo Spedaliere di Monte Giove. Non tutti i crediti erano pagabili alla casana di S4 Branchier; 41 dovevano essere pagati alla casana di Sallion; 11 a quella di Contey; 1 a quella di S. Maurizio; 1 a quella d’Ailli. Alcuni crediti furono dichiarati spettare in particolare a determinate persone cioè 15 a Gio- vanni Leone; 10 a Giorgio de Culticio; 4 a Carainono lombardo di Conthey; 4 a Mermeto Ogneys ; 1 a Giovanni di Verdone; 1 a Betordo Garreti; 1 a Francesco de Antegnan. D’alcune poche partite di credito si indica che derivano da vendita di fromento, di segala, di vino, d’un cavallo, di una vacca, ma tutto ciò poteva essere una forma di prestito usurario. L’inventario dei crediti non fu redatto sui libri, o sugli obblighi che si conservassero nella casana, ma per via d'inchiesta; i debitori od altri per essi dichiararono i loro debiti ed il notaio che aveva rogata la scrittura ; ciò però non è sempre espressamente detto e può essere che dei crediti si avesse anche altrimenti la consegna. Un tal Roleto nastrale de iurgo montis jovis ed un altro confessano di dover ai lombardi una somma di danaro che al momento non potevano dichiarare, e s'ingiunge loro di farlo nel termine di un mese. A quest'inventario si procedette davanti a due notai delegati dal Consiglio coll’assistenza di due consiglieri, Stefano di Compey, e Mermeto Rovorea; a farlo s’impiegarono quattro giorni. Nel 1347, gennaio. Palmerono Turchi mercante astigiano essendo stato spogliato nel Vallese da Giovanni de Mouz, il balio de! Ciablese a nome del conte di Savoia tratta col vescovo di Sion, perchè lo rifaccia del danno ed assicuri meglio per l’avvenire il cammino. Si conviene che siano dati al Turchi 4000 fiorini d’oro ('). Nel 1348, Palmerono Turchi cittadino d'Asti teneva le casane di Thonon, Ailli e S.* Branchier ed in quest’anno imprestava al conte di Savoia una somma di denaro sulle censive (Conto del Teso- riere generale di Savoia ad anno). Nel 1357, 15 giugno: Sentenza arbitrale del conte Amedeo di Savoia sulle questioni vertenti fra il sig. di Chivron e Palmerio Turchi de Castello cittadino d’Asti, per alcuni crediti di questo verso il primo. Il Chivron fu condannato a pagare 600 lire di buoni denari di Moriana fra sei anni. L’atto è fatto nella casa di Francesco de Medici di Chieri cittadino di Ginevra, presente Giacomino Guttuario (Gutueyr) d'Asti. Nel 1361, 22 febbraio : in Evian Tommaso Albi erasi reso fideiussore di Giovanni di Alinges per 56 lire di Ginevra verso Palmerono Turchi de Castello d’Asti, tenente casana a Thonon per certe ragioni da questo cedute al Giovanni d'Alinges, per mezzo di Raschieri di Chieri procuratore del Turchi. Il d’Alinges aveva promesso a Tommaso Albi di tenerlo salvo dai danni e spese della lite in appello vertente per quel riguardo col Turchi, ma avendo quest'ultimo chiamato di nuovo in giudizio l' Albi, e fatta istanza che i di lui beni gli fossero aggiudicati, egli nomina suoi procuratori Giacomo d’Alinges zio del suddetto Giovanni e Umberto Balena i quali assumono su di sè la lite e promettono di tenerlo indenne. Nel 1362, 15 settembre: Palmerono Turchi de Castello, Giovanni Meirani, Guglielmo Broglia lombardi, a loro nome ed a nome e come procuratori di Rigaudino Pelletta lombardo loro socio nelle casane di Conflans, S. Pietro d’Àlbigny e Monmeliano, danno scrittura d’obbligo a Pietro Gerbaix tesoriere di Savoia, per 900 fiorini pagabili a Ciamberì alle rate ivi stabilite sotto pena di 40 fiorini ogni giorno di ritardo, e ciò per rimessione di pena ottenuta. (') Cibrario. Orig. e progr. della Mon. di Savoia, li; 114. — 256 — 1367, 23 gennaio. Palmerono Turchi lombardo, ed Antonio de la Tour sire di Chàtillon in Vulesa, si rimettono all’arbitrato della contessa Bona di Savoia per la decisione in via amichevole delle loro questioni. — 19 febbraio. Transazione seguita tra Enrico signore di Quart, e Palmerio Turchi de Castello, per un credito che questi pretendeva d’avere verso il primo di duemila quattro- cento fiorini d’oro, mentre il di Quart pretendeva d’averli pagati al banco feneratizio esercito da Perronodo Garetti lombardo, in Società d'altri a S.t Branchier. 2. A. Turchi, e M. di Frassinelle» prestano una somma importante al Conte Verde per pagare i debiti verso il Conte di Namour. — Risulta da questi atti che i Turchi avevano casa ed affari nell’Hainaut. Nel 1360, 10 marzo : Martino di Frassinello di Monferrato, procuratore e agente di Antonio Turchi de Castello banchiere d’Asti fa ricevuta di 6000 fiorini a Pietro Gerbaix pel conte Amedeo di Savoia, la qual somma convenit exchambire in partibus citramontanis ipsi domino cornili, e per lui pagare alla prossima pasqua, apud Namur, alle genti ed a certi messi del Conte, cioè a Gaspardo di Monmaggiore cavaliere, ed a Giovannone Patriti di Chieri di lui famigliavi. — 30 luglio, il conte Amedeo di Savoia dichiara che i 9200 fiorini, pei quali i suoi buoni amici Antonio Turchi de Castello e Guglielmo di Frassinello lombardi, si sono obbligati verbo Simone del Cauchie, Jacquemard Ame- lia e Giovanni del Ponte di Pietra, della città di Valenciennes, dando in pegno una corona d’oro in cui sono molte perle e pietre preziose, sono stati presi per suo conto ed a sua preghiera, e promette di tenerli indenni da ogni danno e molestia. Parecchi baroni della corte del conte di Savoia dichia- rano di essere informati di quanto sovra e se ne rendono garanti. — 14 agosto. Gaspare di Mon- maggiore e Giovanni Patriti, quali procuratori degli ivi nominati baroni savoiardi, dichiarano d’aver ricevute in prestito da Antonio Turchi de Castello cittadino d’Asti, e da Guglielmo di Frassinello in Monferrato, la somma di 9200 fiorini per impiegarli nel pagamento di un debito che il conte di Savoia ha col conte di Namour, e promettono di restituire tale somma ai detti banchieri in Valen- ciennes, alla festa della Purificazione di M. V. L'atto è rogato in Villa Binlj. (Binch) nel contado di Hainaut diocesi di Cambrai, nella casa dei sig.ri Antonio e Turcoto de’ Turchi de Castello, pre- senti Alione de Alioni d’Asti, Lorenzo Berruto di_Vignale in Monferrato de Lombardia, ed altri di altri luoghi. — 22 dicembre. Avendo Antonio Turchi prorogato il termine fino al 1° di agosto al conte di Savoia pel pagamento dei 5200 scudi d’oro dovuti per la festa della Purificazione, il Conte, affinchè il banchiere non soffra danno, promette di pagargli, unitamente alla somma totale del suo debito, 1200 scudi d’oro che il Turchi stesso, come il Conte dice di sapere, aveva promesso d’inte- resse a certe persone per avere a mutuo quella somma. Lo che corrisponderebbe ad un interesse del 13 per cento per 6 mesi. Nel 1361, 16 dicembre il conte Amedeo di Savoia, premesso ch’egli era già debitore verso Antonio Turchi de Castello e Guglielmo di Frassinello di 9200 scudi d’oro, più di altri 1200, dei quali si erano fatte le scritture, e di altre somme di fiorini imprestategli senza scrittura, dichiara che fatti i conti egli risulta debitore di 18625 fiorini, riconoscendo il qual debito promette di pagarlo alle seguenti scadenze, cioè 3625 fiorini alla festa della Purificazione di M. V. ed i rimanenti 15000 al 1” dell’agosto venturo. Nel 1364, 31 marzo. Antonio Turchi e Martino di Frassinello per sè e pel fratello Guglielmo fanno quitanza al conte di Savoia dei loro crediti fino a quella data, già liquidati in 18625 fiorini e già scaduti, mediante 18000 fiorini che dichiarano di avere fino a quella data ricevuti. L’atto è rogato a Ciamboli e fra i presenti vi era Gabriele Layolo lombardo d’Asti abitante a Yenna. Vaevello. Nel 1408-26 Bartolomeo Warvel è in Maestricht (vedi 0. di Montafìa). Nel 1417-26 Giovanni e Federico fratelli Warewel o Warwel, figli di Martino di Castagnole diocesi d’Asti, tengono il banco in Tirlemont pagando 50 corone d’oro all’anno (’). (') Gachard, 1. c. 168, — 257 — Villa ('). Nel 1373 Tommaso, Francesco, Perino Villa, ed altri hanno una casana in Cambrai (vecìi. GL Pelletta). Nel 1455 Adriano e Oberto Villa di Chieri subentrano agii Asinari, cacciati per i loro malefici dalla banca di Pierre e di Herenthal (vedi C. Asinari). 3S. Libro del debito pubblico. Ma se le banche di alcuni Astigiani ancora prosperavano all’estero nel secolo xv, la patria città in preda alle civili discordie e quindi alla signoria altrui, la quale alla interna disorganizzazione sempre tien dietro, rapidamente decadeva sin dal secolo xiv anche nella potenza economica. Nel 1397, gli Astigiani chiedendo al duca Lodovico d’Orleans la riparazione d’un canale di derivazione, esponevano che Asti era una volta abitata da novanta e più mila abitanti, e che allora vi erano nella città ottocento telai di lana oltre gli altri di seta, di tela e di fustagni (’). Da tutto ciò, come dal complesso delle notizie che già si avevano chiaramente appare quanto sia stato grande lo sviluppo del commercio bancario degli Astigiani. Ma tornando nei limiti dei tempi ai quali si riferisce il nostro Codice, non sarà meraviglia di trovare anche negli ordinamenti o nelle abitudini della città, qualche traccia dello spirito commerciale dei suoi cittadini. Il primo monte o debito pubblico del quale parlò il Cibrario (3), è quello di Firenze del 1336. Ma una siffatta istituzione rimonta ad una data molto anteriore in altre città italiane. Il più antico debito della repubblica di Genova, di cui si abbia autentica me- moria, risale al 1148-49 e fu contratto per provvedere alle spese cagionate dalla guerra contro i Saraceni di Spagna. Siccome i mutuanti stipulavano in compenso o malleveria dei capitali da essi loro sborsati, l’acquisto o compera dei proventi che fossero per ritrarsi da certe gabelle ed imposte per un determinato numero di anni avvenire, così i debiti presero quind’ iunanzi il nome di compere e comperisti si dissero i mutuanti o creditori dello Stato. Dal secolo xn al xv furono molte le compere che si succedettero, ciascuna delle quali si distinse con particolare denominazione desunta dalla ragione del prestito, dall’interesse che fruttava ecc. Dopo il 1333 volendosi mettere alquanto ordine in quella farragine incondita, tutti i debiti esistenti si raccolsero e conglobarono in una sola compera che ebbe titolo di Compera magnae pacis. Però nel 1346 si riu- nirono le ventiquattro compere esistenti e si ridussero a sole cinque, cioè:l° Com- pera dei mutui vecchi del Capitolo; 2° compera del sale; 3° compera della grande pace; 4° compera di gazzeria; 5° compera di lire 180,000. Nel 1407 si fece un’al- tra notevole riunione di debiti colla istituzione delle compere di S. Giorgio ('*). (’) I Villa non erano famiglia astigiana ma bensì di Chieri, tuttavia come si vede, uniti ad Astigiani nel commercio bancario. (2) Vassallo, 1. c. pag. 58. Discorsi sopra li benefici dell'acqua corrente ecc. Ms. dell'idraulico Tommaso Bertone. (3) Economia politica del medioevo II, p. 23S. (') Da lettera del Senatore Boceardo al prof. Murpurgo. Cfr. Morfurgo. La critica storica e gli 33 — 258 Il Romanin (') ci fa sapere che Venezia sotto il doge Vitale Michiel n, per lottare contro Barbarossa, nel 1164 aveva contratto con parecchi cittadini un pre- stito di 1150 marchi di argento. Nel 1171 poi onde vendicarsi dell’imperatore Manuele di Costantinopoli che aveva fatto proditoriamente imprigionare tutti i Veneziani su cui potè metter mano e confiscare i loro beni o le loro merci, lo stesso doge aveva in cento giorni armate 100 galee e 20 navi. Onde provvedere ai mezzi fu ordinato un prestito ob- bligatorio delibino per cento sull’avere netto di ogni cittadino con promessa che in eguali rate semestrali, in perpetuo a ciascun creditore, e ai uoi eredi e i scen- denti, 'per ogni cerilo dei danari che avessero pagato, li dovesse esser data ogni anno dal popolo ovvero dal comune 4 per cento de utilità, come si esprime la vecchia cronaca. Fu anzi ordinata una Camera ( Camera de imprestali ), i cui offi- ciali dovessero riscuotere i prestiti e pagarne le utilità. La Camera dei prestiti durò ed una disposizione del 1291 ordinava che i titoli della medesima dati per restituzione di dote dovessero essere computati al corso della piazza (2). 11 primo debito pubblico però compiutamente ordinato e del quale si abbiano memorie seguitate fu il Monte vecchio costituito nel 1255; il capitale di esso ascen- deva nel secolo xvn a ducati 8,665, 613, grossi 14 (3). In altre città anche importantissime pel commercio, sembra che solo più tardi si avessero istituti simili. Il Comune di Pisa contrasse diversi prestiti con privati dal 1305 al 1311. Nel 1315 ne fece uno di 10,000 fiorini rimettendo la percezione delle gabelle del comune a due dei prestatori che avevano concorso nel prestito. Nel 1317 ne fu im- posto un altro di 12,000 fiorini d’oro ad ottocento cittadini assegnando pel paga- mento la gabella della dogana del sale di Pisa e della Decazia. Finalmente nel 1370 fu organizzata la Nuova Massa di Prestanze, che comprese la vecchia Massa di Pre- stanze del 1349 ed altre ('*). In Piemonte ebbe fama di molto saviamente regolato il monte che il comune di Chieri fondò nel 1415 il quale ebbe virtù di ristorare le finanze del Comune e dava il premio del cinque per cento (5). Ma Asti aveva da gran tempo preceduto Chieri in questa istituzione. Il lettore vedrà con interesse che Asti aveva fin dal 1291 il suo Libro del de- bito pubblico, ed una somma si riteneva pagata, quando era iscritta sovra detto libro. Infatti appunto nel 1291 (doc. n. 758 a 761), i Pelletta vendono ad Asti le loro ragioni sopra Vignale, che era stato dato loro in pegno dal marchese di Mon- ferrato per alcuni suoi debiti. 11 Comune, per comprare le loro ragioni, li rimborsa dei loro crediti verso il marchese di Monferrato, ma il rimborso si fa mediante iscrizione studi intorno alle istituzioni finanziarie, principalmente nelle repubbliche italiane del medioevo. Atti r. Accademia dei Lincei, Mera, di se. rnor. Ser. Ili, v. I, pag. 150. (') Storia documentata di Venezia 1853-61, voi. II, pag. 79. (2) Romanin, 1. c. pag. 84, 85. C) Da comunicazioni del comm. B. Cecchetti al prof. Morpurgo. Cfr. Morpurgo, 1. c. pag. 152. (') Da notizie fornite al prof. Morpurgo dal s. Clemente Lupi. Id. ibid. (9 Cjbrario, Econom. poli t. del medioevo II, pag. 239 e Storie di Chieri I, pag. 473 e segg. - 259 — di altrettanto credito sul libro del debito pubblico di Asti «... in eo momento et, in ea horct qua cesserunt et mandaverunt pr e dieta nera et actiones ut supra, scripti fuerunt inler creditores comunis Astensis in libris ipsius communis Astensis per factores rationis comunis Astensis ad hoc deputatos tanquam creditores comunis Astensis, in totidem summa denariorum , et [confessi fuerunt sese fore satisfaclos ad eorum voluntatem occasione dicti debiti, et pignoris ». Non troviamo nel Codice od in altri documenti memorie seguitate sul debito pubblico del comune di Asti ma tuttavia abbiamo la prova cb’esso sussisteva an- córa nel secolo xv. Nel 1430 ai 24 di agosto, Franceschina figlia del nobile Eai- naldo Solavo, nel suo testamento di quel giorno-, legala sua sorella Anastasia il red- dito di due luoghi scritti nei luoghi d’Asti, sua vita durante, disponendo che dopo il decesso di essa la meta di uno di quei luoghi dovesse andare alle monache di S. Catterina ('). E nel 1453 il convento e monastero di S. Marco dei Crociferi di Asti avendo fatta una permuta con Giovanni Amedeo Boero, questo cedeva fra le altre cose al primo tre luoghi (ex locis comunis Astensis ) che rendevano, dice il documento, il 7 per cento all’anno (2). L’investimento di capitali in fondi pubblici doveva essere un impiego del da- naro assai comune per gli Astigiani e le frequenti relazioni colla vicina Genova avevano pure reso famigliavi in Asti i titoli, o come allora si dicevano i luoghi del debito pubblico genovese. Documenti del secolo xiv dimostrano che sovente titoli del debito genovese erano in mano di cittadini d’Asti. Citeremo due esempi della fine di quel secolo. Nel 1391 ai 16 di febbraio Agnesina vedova di Parmerio Turco faceva il suo testamento ed in esso legava a favore delle monache di S. Catterina d’Asti il reddito proveniente 1° da luoghi 10 ossia di lire 1000 di genovini, scritti in luoghi 10 nelTufficio dell’assegnazione dei cambi vecchi del comune di Genova, ch’essa aveva comprati da Beatrice moglie di Bertramo de Comentina la quale ne aveva fatto acquisto da Beatrice vedova di Antonio Multa; 2° di luoghi 4 ovvero di lire 400 di Genova, già scritti nella compera della Pace del comune di Genova, che la stessa testatrice aveva comprati dagli eredi di un tal Bartolomeo medico; 3° di altri 2 luoghi scritti nella compera della Gran Pace del comune di Genova da essa pure acquistati dai predetti eredi fin dal 1371 (3). È notevole in questo documento il vedere che un capitale di appena 1600 lire era passato in mano di almeno sei possessori, sminuzzato in tre parti, e che la parte .maggiore cioè 1000 lire era stata oggetto di compra-vendita fra tre donne di cui una maritata e le al- tre due vedove, il che chiaramente dimostra quanto dovessero abitualmente correre sul mercato i titoli di rendita pubblica. Ma se questi erano famigliari ai privati cittadini, trovavansi poi in gran copia nei portafogli dei banchieri. Ne abbiamo la prova in un altro documento di poco anteriore al testamento dell’Agnesina Turco, che abbiamo già citato nel paragrafo precedente e sul quale ci pare interessante di ritornare più di proposito. Abbiamo veduto che la liquidazione della eredità del (') Collezione di documenti astigiani, già Soteri ora presso la E. Deputazione di storia patria in Torino ; voi. IY, documento n. 7. (s) Collezione cit., voi III, doc. n. 12. (’) Stessa collezione, voi. IV, doc. n. 5. — 260 — nobile Emanuele Asinari, banchiere astigiano morto nel 1387, aveva dato luogo a diverse questioni, fra queste una era pure sorta con Luchino Scarampi, aneli’ esso cittadino d’Asti, dimorante a Genova che era stato forse suo agente od olmeno fa- ceva operazioni di borsa per di lui conto. Lo Scarampi aveva fatto in più volte con- siderevoli acquisti di luoghi dei diversi prestiti della repubblica di Genova con danaro di Emanuele Asinari e siccome essi erano intestati allo Scarampi, gli eredi chiedevano l’ iscrizione dei detti luoghi a loro nome al che lo Scarampi si oppo- neva per sicurtà dei diritti di Valenza sua sorella, vedova di E. Asinari e di certe obbligazioni da lui contratte per l’ Asinari stesso. La questione fu transatta agli 8 di agosto 1383 e i luoghi furono lasciati allo Scarampi a suo rischio e fortuna me- diente il pagamento del prezzo di essi stabilito in 10,500 fiorini da darsi in parte alla vedova ed in parte agli eredi. Quello che a noi importa è la lista dei luoghi o fedi di credito che lo Sca- rampi aveva comprato, essa è inserta nel documento in questi termini: « Primo loca quinquaginta tria empta a (liversis personis et empta de mense octubris et mense novembris mccclxxviiij, que loca sunt de mutuis collectis per oddoardum lomellinum et gotiffredum cibo, assignata super regimento ad racionem de libris VIIJ, prò quolibet loco, Constant cum censaria lib. quinque millia cxxxxiij. sol. vij. Item loca xxiij, empta die x januarii mccclxxx in mutuo collecto per Guillelmum marruffura et socium assignata ad rationem de libris VIIJ prò quolibet loco, Constant cum censaria lihr. mdccclxxxiiij, sol. xij. Item loca xxxx empta die VIIJ februarii mccclxxx de mutuo collecto per petrum de spignano et socium assignata ad racionem de libi-, viij, prò quo- libet loco, Constant cum censaria iij M viij. Item loca xvj empta die quinto augusti mccclxxx de mutuo collecto per cassarium silvaticum et socium assignata ad racionem de libr. x prò quolibet loco, Constant cum censaria libr. mdxxxv, sol XIJ. Item loca xvj empta die supradicta de mutuo col- lecto per leonem gentilem et socium assignata ad racionem de libris x prò quolibet loco, Constant cum censaria libr. mdxxj, sol xij » ('). Questo documento ci fornisce alcuni dati interessanti sull’ altalena dei prezzi di borsa della rendita pubblica di quei tempi. Già sapevamo dal Rezasco che quan- tunque « i luoghi fossero pagati e descritti nel cartolario 100 lire, non però im- portavano tanto nelle contrattazioni private, così sempre variando in esse i prezzi di questi crediti secondo la sicurezza loro » (2). Che anzi essendovi allora come oggi speculatori che traevano profitto dal rialzo e dal ribasso, il gioco di borsa concor- reva esso stesso ad accrescere la variabilità dei prezzi. Il Rezasco per darne un saggio citò il fatto che nel 1350 (21 gennaio) i luoghi delle compere del sale non valevano più di lire. 71; nè più di lire 82,10 quelli delle Compere dei Mutui nuovi di S. Paolo; di lire 77 quelli della Compera vecchia dello stesso Santo; e di lire 25,10 gli altri delle Compere dell’assegnazione de’ Mutui vecchi, nell’anno 1398 (3 marzo). Questi dati però ci dimostrano solo che nel gennaio 1350 e nel marzo 1398, gli indicati titoli di rendita erano lontani dalla pari del valore nominale, ma rimanen- doci sconosciuta la ragione di emissione di quelle rendite e la ragione dell’interesse che davano, giacché alcune rendevano il 7, altre l’8 e il 10 per cento e d’altra parte (') Notnlario degli istromenti ricevuti dal notaio Petrino de Montibus, negli Archivi di stato di Torino, foglio 14. (’) Eezasco, Dizionario del linguaggio italiano storico ed amministrativo, alla voce Compere. — 261 essendo tali dati scompagnati da altre notizie di confronto, il significato loro rimane limitato e non risponde pienamente a quanto si richiederebbe per poter formarsi un’idea determinata dei prezzi della rendita sul mercato in quel momento. Il documento invece, cui abbiamo qui sopra accennato, somministra dati più completi che possono condurre a conclusioni concrete. Da esso infatti possiamo ri- levare il prezzo corrente a diverse date, di rendite determinate ed avere un saggio della variabilità dei prezzi in cifre precise. Nell’ottobre e novembre del 1379 lo Scarampi aveva speso lire 5143 e 7 sol., censaria compresa ('), per acquistare 53 luoghi o titoli della rendita 8 per °/o, quindi in quei mesi l’8 per »/o valeva in media . . L. 97,04. Ài 10 di gennaio dell’anno seguente 1380 aveva speso 1884 lire e 12 sol. per 23 luoghi della stessa rendita così che lo stesso 8 per % era sceso a » 81,93. Agl’otto febbraio di detto anno aveva pagato 40 luoghi pure 8 per °/o lire 3008. Il ribasso era dunque giunto a . • » 75,20. Ai 5 di agosto aveva speso 1535 lire e 12 sol. per 16 luoghi della rendita 10 per °/0 che perciò era al prezzo di » 95,96. E alla stessa data aveva pagati altri 16 luoghi della medesima rendita 10 per °/0 solo lire 1521, e 12 sol. la quale era nello stesso dì scesa a » 95,10. Come si vede la rendita genovese aveva subiti ribassi enormi nel corso di brevissimo tempo: dall’ottobre e dal novembre del 1379 agli otto febbraio 1380, in poco più di quattro mesi, l’8 per % perdeva 22 punti. Nell’agosto pare che vi fosse stato un rialzo giacché vediamo il 10 per °/o a 95,10 e 95,96 se pure esso non era stato innanzi superiore alla pari e non era anch’esso disceso a quel prezzo. Un ribasso così sensibile non era forse l’effetto dei soli giuochi di borsa e pen- siamo che esso dipendesse dalla guerra che allora appunto la repubblica di Genova sosteneva contro Venezia. Ad ogni modo il mercato dei fondi pubblici, non altri- menti che la borsa dei nostri tempi, era una fortunosa palestra di subiti guadagni e di rapide rovine. Lo Scarampi aveva mano mano comperato in un periodo di ri- basso ma a quanto sembra il corso della rendita genovese non si era di molto mi- gliorato dall’agosto del 1380 fino all’agosto 1383, e se l’operazione del banchiere astigiano non era stata in perdita non avevagli neppure fruttato un gran guadagno. Infatti nella compera dei 148 luoghi o titoli di rendita 1’ Asinari aveva investito un capitale di lire 13,094 e sol. 7 (circa lire 229,087,53 in valore odierno, secondo le valutazioni del Cibrario) (2), ora nella transazione fatta con lo Scarampi gli eredi 0 La Censaria o Ccnseria o Semaria era secondo il Rezasco la gabella genovese sulle me- diazioni nella vendita delle azioni del Banco di s. Giorgio. Qui si tratta di prestiti anteriori a quel banco quindi o la gabella era più antica ovvero nel nostro documento si deve intendere la parola censaria, pel diritto della mediazione percepito dai sensali. (") Il Cibrario, (Econoni. polit. del medioevo II, pag. 403) dà alla data 1384, 25 lire di genovini uguali a 20 fiorini == 437, 39; quindi 1 lira = 17,49,56 ed 1 fiorino = 21,86,95. Noi ci siamo attenuti a questo ragguaglio per espri- mere in valore odierno le due somme di lire e fiorini dateci dal documento, ma dal computo degli interessi di un semestre dei 116 luoghi della rendita 8 p. % e dei luoghi 32 del 10 p. °/0 che sarebbe stato di lire genovesi 624 epperciò = ai 474 fiorini, risulterebbe che o le lire devono ragguagliarsi a meno di L. 17, 49, 56 od i fiorini più di lire 21,86,95. Infatti le lire genovesi 624 rispondereb- clell’Asmari cedevano a lui gli stessi titoli per la somma di 10,500 fiorini (circa lire 229, 629, 75 in valore odierno) ritraendone solamente un maggior prezzo di lire 542, 22, in valore dei nostri giorni. Se, com’è presumibile, questo era il prezzo corrente del mercato, possiamo dedurne die il rialzo sui fondi pubblici di Genova era stato assai piccolo, quasi insignificante. Oltre il prezzo dei luoghi, convenuto nella somma suddetta lo Scarampi pro- metteva pure di pagare agli eredi Àsinari 474 fiorini e 13 soldi degli interessi da lui riscossi di quella rendita per le due scadenze passate di febbraio e di maggio, vale a dire pei due trimestri maturati ( « de proventibus dictorum locorum prò duobus termìnis pretentis videlicet februarii et madii anni prcsentis »). 39. Modo d’ingrandimento del Comune d’Asti. Al pari degli altri comuni italiani, Asti non stette a lungo rinchiusa nei modesti confini di quella quasi associazione di mutua guarentigia in cui era sbocciato il primo germe della vita comunale. Nel § 19 abbiamo già accennato che il documento n. 635 ci mostra Asti già ordinata a Comune nel 1095 , nè poteva tardare a ma- nifestarsi in esso quella forza d’espansione che era la conseguenza immancabile degli elementi che erano concorsi a costituirlo. La varia generazione d’uomini i quali s’ erano, come altrove, ridotti nelle mura della città, i valvassori minori, e gli uomini liberi che fuggivano la prepotenza dei grandi valvassori, i collegi di artefici che cercavano libertà di lavoro, la plebe minuta, i censuari o servi della gleba o coloni, che fug- givano la servitù e la miseria (‘), uomini tutti che portavano alla nuova patria ge- nerosità di sensi, acutezza di consigli, braccia laboriose e mente atta ad infiammarsi all’amore di patria (2), dovevano costituire in Asti un punto di attrazione ed un nucleo di forze da esercitare ben presto una grande influenza sui vicini per far sentire più tardi la voglia di cambiare le mura elevate a difesa in strumenti d'offesa e l’incitamento ad uscirne per sottomettere gli antichi dominatori e stendere all’ intorno la signoria del Comune. Infatti a tre anni appena di distanza dalla prima notizia del suo reggimento a consoli vediamo il Comune già entrato in questa via, dapprima con passi modesti e quindi con piede sfinirò aprirsi la strada con nuovi mezzi. I documenti che compongono il Codice Malabaila non sono altro in sostanza che bero a L. 10, 910, 25 di oggidì ed i 474 fiorini a L. IO, 366, 14 mentre le due cifre dovrebbero tornare uguali. Bitenendo che nei ragguagli da noi seguiti vi deve essere errore in più per le lire ed in meno per i fiorini ne conseguirebbe che la differenza tra il prezzo originario d’acquisto dei luoghi e quello di vendita e quindi il guadagno fatto dovrebbe essere maggiore di quanto fu da noi calcolato, superiore cioè alle L. 542,22. A rendere ragione della differenza risultante tra il ragguaglio delle lire e dei fiorini in valore odierno ed a farla scomparire nel calcolo degli interessi potrebbe supporsi che colla espressione proventi si fosse indicato piuttosto che l'interesse, un dividendo, ma a questa supposizione osta il significato preciso che, secondo il Kezasco, si attribuiva alla parola provento, cioè di un interesse fermo d'un tanto per cento, mentre il dividendo introdotto solo più tardi colla istituzione del Banco di S. Giorgio (1407) chiamavasi col nome di paga. Dobbiamo perciò lasciare il quesito insoluto ad altri più intendenti dell'intricata materia del valore delle antiche monete. (‘) G'ibrario, Storia della Monarchia di Savoia cit., i, 151. (2) Id. ibid. — 263 — la storia dei diritti acquistati dalla repubblica Astigiana , essi ci svolgono perciò davanti l' interessantissimo quadro del progressivo grandeggiare del maggiore fra i Comuni dell’ Italia superiore. Ma prima di fermarci a considerare il modo con cui Asti procedette nell’ estendere le sua signoria giova dare uno sguardo al terreno che doveva essere il campo delle sue conquiste. Tutto il territorio che si stendeva attorno ad Asti al suo crescere alla vita di comune libero era irto di castelli e disseminato di numerose signorie in cui la grande eredità del marchese Bonifazio si era sciolta frazionandosi in innumerevoli particelle di dominazioni feudali nelle quali era sparpagliata la numerosissima sua discendenza di conti e marchesi. Si aggiungevano inoltre le signorie di altri discendenti della stessa stirpe aleramica. Accerchiavano la giovine repubblica, i conti di Loreto, i marchesi d’incisa, i mar- chesi di Ceva, i marchesi di Busca, i marchesi di Saluzzo, i marchesi di Cortemiglìa, i marchesi del Carretto , i marchesi di Monferrato, i marchesi di Occimiano, i mar- chesi di Cocconato con una innumerevole progenie di altri conti, marchesi e signori, di Mombersario, di Lanerio , di Monfalcone , di Manzano , di Montezemolo ed altri parecchi ancora, signorotti a molti dei quali, nelle divisioni e suddivisioni non era rimasto per stato che un castello turrito od una modesta villa, ma che tutti alzavano stendardo di una particolare signoria. A compiere il quadro di questo intricato intrecciamento d’ infiniti piccoli Stati quanti erano i feudi si aggiungeva che col moltiplicarsi delle discendenze « le ra- gioni che ora sono inseparabili dalla sovranità erano andate scomposte allora in mol- tissime parti •-> (1), cosicché avveniva che nello stesso feudo l’uno possedesse il diritto di fedeltà e di omaggio, l’altro tutto o parte delle dogane, un terzo altri diritti , e peggio ancora accadeva che la sovranità stessa si scindesse in più particelle e che in un feudo solo vi fossero più signori, chi per un terzo, chi per un quinto, chi per un dodicesimo od un sedicesimo, se pur le parti non erano ancora più piccole, giacché si citano dei casi, per quei tempi, fino di cinquanta ed ottanta consignori di un me- diocre castello (2). Di questo sminuzzamento di signorie e di diritti feudali, parecchi documenti del Codice, alcuni dei quali già ci occorse di citare (§§ 21, 30, 32), offrono notevoli e curiosissimi esempi. In Barbaresco (torre, villa e castello), nel 1222 vi erano possessori di aliquote di signoria di yi2; y12 + y24; y6 (doc. n. 106, 107, 108) — in Mombercelli (villa) nel 1289, di ’/3- y12 cioè di y36 {contiti, segnoriti, domimi , jurisdictionis , meri et mixti impervi ecc.) ; nel 1288 di y48 ; nel 1208 di Vi. (doc. n. 150 , 165, 174, 180). E nello stesso luogo nel 1290 troviamo possessori di y4- y2- 1/16 cioè di ym (doc. n. 156). — In Malamorte nel 1290, aliquote di y2- y 2- yi6 cioè y64 (doc. n. 195) — In Neive nel 1217 di */4- L/2- yi2 = y96; e di y3- y2- y12 = y72 (doc. n. 223). — In Masio nel 1218, aliquote di (y4) • 1/3- y9 = yiog ; (J/2) ■ y2- 1/9 = y 36 ; y.- y9 = 1/i8; (ys)- y 9 =y27 (doc. n. 299, 300, 301, 304) e pure di yi8 nel 1225 (doc. n. 290) — In Calosso nel 1264 di l/20 — y86o = i2/s6o {vigesimam minus octocentenam et sexagesimctm mrtem castri contitus et segnoriti calocii cum 0) Cibrario, 1. c. i, 243. (2) Id. Storia di Chieri i, 200. — 264 — hominibus feudatis et infeudati^ et cum omni jurisdictione , mero et mixto imperio) (doc. n. 334) — In S. Marzano nel 1200, di 2/3 • y 18 (doc. n. 433, 434) e nel 1250, di 37/9() (doc. n. 436) — In Monte Leucio dal 1212 al 1221 di l/ 24 e yi8 (doc. n. 537) — In Lanerio nel 1218, di yig + y12 + Vi2 + Vis = 5/is (doc. n. 543-549) e nel 1218 e 1225 di y„ (doc. n. 544, 549, 554). Non mancano neppure esempi di diversa aliquota della signoria tra castello e torri di un medesimo paese. Rodino Ferraris nel 1237 vendette ad Asti y3 del castello e villa di Stoerda, y 2 della torre che ivi possedeva indivisa con quelli di Desaya, e y3 di altra torre pure indivisa col conte di Biandrate e con quelli di Desaya (doc. n. 798). A traverso questo labirinto di diritti e di poteri confusamente intrecciantisi, riuscito finora in gran parte inestricabile ai nostri storici, di castello in castello dominatore di un feudo, di torre in torre di uno stesso feudo, e di particella in par- ticella di una stessa signoria, doveva farsi strada il comune d’ Asti allargandosi su per questo reticolato di signorie molteplici, deboli taluna volta, ma di tratto in tratto più salde e resistenti ed anche formidabili quando tenute da alcuno dei potenti mag- giori baroni. Vediamo ora più da vicino il processo d’ingrandimento della repubblica Astigiana. La ricca serie dei documenti del Codice ce ne disegna il quadro interessantissimo, che se non è nuovo in ogni sua parte, si raccomanda però altamente agli studiosi come il primo che si abbia compiuto per la storia dei Comuni del Piemonte. I modi pei quali Asti dilatò il suo dominio furono : 1° le dedizioni volontarie ; 2° gli acquisti per moneta ; 3° le aggregazioni alla sua cittadinanza ; 4° le conquiste per forza d’armi. Di tutti questi modi, le dedizioni in quella forma che i giuristi chiamavano feudo oblato , e che consisteva nel dono che il signore di un feudo, per mettersi al riparo da sovrastanti pericoli e per acquistare la protezione della repubblica, faceva ad essa delle sue terre e castella assoggettandovisi e ricevendone l’investitura a titolo di vassallo, furono le prime e le più numerose , nel che si vede quale potente in- fluenza esercitasse Asti sui suoi vicini fino dai suoi primordii. Dal dono avuto nel 1098 dal conte Umberto , di Quattordio e di Romanisio (doc. n. 707), nel quale, ancorché manchi la successiva concessione in feudo, si scor- ge però chiaro il patto di una certa soggezione nelle altre condizioni di non dipartirsi di Lombardia senza il permesso dei consoli, di non far guerra e pace col marchese Bonifazio senza il loro assenso e di prestare aiuto al Comune, fino al 1150 Asti non fece acquisti per altra via che per quella di volontarie dedizioni. In tale modo il Comune di Asti faceva acquisto della terza parte del Castello di Montefiale nel 1108, per dedizione di un Roglerio, che professandosi amico del Comune, da signore indipendente diventava vassallo (doc. n. 890-91). Nel 1135, nello stesso modo Asti acquistava parte di Felizzano, il Castello di Calliano e diritti even- tuali sovra altre castella del Monferrato, mercè la soggezione del marchese Ardizzone fdelissimus amicus et donator (doc. n. 622) e le si sottomettevano ugualmente colle loro porzioni di giurisdizione e di diritti altri signori di Ferrere, di Dusino, di Val- fenera (doc. n. 839) e di Vigliano (doc. n. 122). Nel 1142, la signoria del Comune si estendeva di ufi altro quarto sul castello nuovo di Ferrere e sul castello vecchio — 265 dello stesso luogo (doc. n. 850); nel 1148 Asti faceva l’importante acquisto della metà del contado di Loreto col non meno importante vassallaggio del suo signore che non tardò a stringersi alla repubblica con più stretti vincoli aprendole sicura strada pel suo commercio sino al mare (doc. n. 57 e 58), ed ugualmente le diventavano sog- getti i signori Mombercelli per dono della metà del Castello di Vigliano (doc. n. 129); nell’anno successivo 1149 Asti estendeva la sua signoria sul Castello e villa di Vi- gnale colla soggezione dei marchesi di Occimiano (doc. n. 755). Dal 1152 in poi cominciano a comparire gli altri modi d’acquisto, ma non cessa quello per dedizioni o come abbiamo detto dei feudi oblati. Troviamo infatti che in tal modo diventarono ancora vassalli del Comune nel 1188, il marchese di Busca per la metà del Castello di S. Stefano (doc. n. 103), uno dei signori di Mombercelli per un dodicesimo dei castelli di Mombercelli e di Malamorte (Belveglio) (doc. n. 167). Nel 1189 altri signori di Mombercelli ne seguivano l’esempio per altre porzioni di giurisdizione in quel feudo (doc. n. 168, 169, 173, 139, 134, 135, 137). E così pure nel 1190 il marchese di Ceva pei Castelli di Cortemiglia, Monteze- molo e Miroaldo (doc. n. 256, 559, 560, 561); nello stesso anno la marchesa d’incisa pei Castelli di Rocchetta e Montaldo (doc. n. 459); nel 1191 il mar- chese Enrico di Savona per un sedicesimo di Loreto e per altri feudi (doc. n. 254), e così andando innanzi nel 1196 Alberto d’incisa pure per la sua parte di Rocchetta e d’ Incisa (doc. n. 462) e Manfredo di Busca per tutta la sua terra (doc. n. 53) ; nel 1197 Enrico bglio del marchese Ardizzone (doc. n. 856); nel 1202 alcuni signori di Calosso per le loro porzioni in quel Castello e villa (doc. n. 319, 318, 321, 323) ed altri di Corticelle (doc. n. 475-76). E per molti anni ancora s’incontrano dona- zioni e vassallaggi di tal fatta, come nel 1219 di diritti allodiali in Neive (doc. n. 237); nel 1242 per porzioni di signoria di Loreto (doc. n. 579-580), fino al 1292 incili si sottomettono alla repubblica Astigiana i signori di Castagnole (doc. n. 720-21-22) e quelli di Cunico (doc. n. 725). Al volontario assoggettarsi dei signori feudali bisogna aggiungere la dedizione dei comuni minori e delle ville che, non abbastanza forti a difendersi, cercavano la potente salvaguardia dell’amicizia e del patronato della vicina repubblica. Tra queste sono notevoli le dedizioni di Casorzo nel 1290 (doc. n. 745), quella di Galliano nel 1292 (doc. n. 743) e quella degli uomini di Masio datisi contemporaneamente a due comuni nel 1190, cioè al Comune di Cesarea (Alessandria) e ad Asti (doc. n. 293). Le circostanze e le ragioni che avevano indotto i signori di feudi ad abbassarsi davanti alla potenza del Comune Astigiano ed a sottomettersi al loro naturale ne- mico, erano simili e tutte d’una medesima natura ma non uguali, così dispari do- vettero pur essere le condizioni della sottomissione secondochè il signore era in posi- zione di esigerle meno dure o da dover subirle più gravi, ed al Comune conveniva concederle più o meno larghe secondo la qualità del nuovo vassallo ed il profitto che ne ricavava. Da principio, ed in seguito anche nei casi minori, gli atti di siffatte dedizioni non esprimono altro che il dono puro e semplice a titolo di allodio del castello o del territorio donato e la susseguente investitura al donatore in titolo di feudo col- l’obbligo della fedeltà che il vassallo deve al suo signore, la qual fedeltà importava 34 — 266 naturalmente l’obbligo di aiutar coll’ armi il Comune, di mettergli a disposizione il castello in caso di guerra e di sovvenirlo di date prestazioni. Ma non tardò che questi obblighi furono specificatamente espressi, altri se ne aggiunsero ed altre con- dizioni speciali si stipularono in favore e del Comune e del vassallo a tale da prendere talvolta le dedizioni, quando trattavasi di baroni maggiori, l' aspetto di confedera- zioni piuttosto che di soggezioni. Quando nel 1135 il marchese Ardizzone si sottomise ad Asti (doc. n. 622) colla parte sua di Felizzano, quanto al castello di Calliano e di Todengo, che pure donava, aggiunse la clausula se li potrei avere, ed ugual clausula aggiungeva pel resto di- cendo — quanto ha o potrà avere in Monferrato. Dal che appare evidente che il compenso promessogli dal Comune non era solo l’infeudazione e la difesa di quei suoi domimi ma forse ben anco l’aiuto per riconquistare quelli che i nemici gli occupa- vano. Così, quando si sottopose il conte di Loreto, Ottone Boverio, nel 1148 colla metà del suo contado (doc. n. 57 e 58), oltre gli obblighi inerenti alla qualità di vassallo, si convenne che in tempo di guerra avrebbe dovuto restare in Asti con quattro cavalieri, per tre mesi, ed un mese in tempo di pace, far taglia col Comune e per esso far pace e guerra del suo castello, concedere l’esenzione di pedaggi, far siciua la strada fino al mare col fratello Enrico, marchese di Savona, intervenire col cero alla festa di S. Secondo e mandare un rappresentante in caso di impedimento, in con- traccambio delle quali obbligazioni il Comime assumeva l’impegno di difenderlo non solamente come sarebbe spettato al proprio signore, ma di aiutarlo nella guerra che aveva col marchese Guglielmo. E similmente nella sottomissione del marchese Gu- glielmo di Ceva nel 1190 (doc. n. 559), colla cessione di Montezemolo e Miroaldo e di quanto gli spettava per la successione del marchese Bonifazio di Cortemiglia, si stipulò franchezza di pedaggi coll’ obbligo di adoperarsi presso i suoi consanguinei per uguale concessione, e di più, facoltà ad ogni Astigiano di prendere sulla terra di lui il nemico o debitore, l’obbligo di comprar casa in Asti del valore di cento lire per guarentigia dell’ adempimento dei doveri di cittadino e di far taglia di trecento lire col Comune; di stare in Asti in tempo di pace per due mesi con due compagni, e in tempo di guerra continuamente con dieci cavalieri, se Asti facesse esercito d’inter- venirvi una volta per anno con dieci cavalieri e duecento fanti e di starvi per un mese intiero, e similmente nei casi d’ assedio, facendo giurare quattro cavalieri e venti dei migliori uomini di Ceva ch’egli avrebbe tutto ciò osservato. Il Comune per contro promise di restituirgli in feudo tutta la sua terra, di difenderlo e di aiutarlo in caso di perdita e di assisterlo contro i nemici e di far oste con lui con venti cavalieri e duecento pedoni, giurando di mantenergli la promessa ed imponendosi l’obbligo di far di mano in mano giurare i venturi credenzieri in perpetuo. Nei quali patti si vedono i reciproci doveri e diritti di vassallo e di signore mescolati a quelli di propria e vera cittadinanza. Un caso simile si presenta pel marchese Enrico di Savona nell’anno dopo 1191 (doc. n. 254, 929), e pel marchese Manfredo di Saluzzo nello stesso anno (doc. n. 690 e 908), coi quali per altro, pare si proce- desse quasi per grado dal vassallaggio alla cittadinanza. Con un altro mezzo Asti cercò pure di rendersi vassalli i signori che le impor- tava di assoggettarsi e fu con una singolare applicazione del sistema feudale ai — 267 — valori mobiliari, per cui un capitale in danaro era cambiato in feudo. Ne abbiamo un curioso esempio in un documento del 1183 (n. 763), nel quale il conte Uberto Grasso di Cocconato è investito di un capitale, come feudo e giura fedeltà al Comune quale vassallo al suo signore. Egli riceveva ogni anno dal Comune lire quindici, rappre- sentanti il dominio utile del feudo, per otto anni fin tanto che il Comune non gli avesse acquistato tanto di terra cbe gli potesse dare quella rendita. Questo nuovo mezzo di acquisti è un indizio della nascente prosperità del Comune e mostra che l’abbondanza del danaro compariva a gravitare anch’ essa sulla bilancia a favorire l’ ingran dimento della repubblica Astigiana. Il danaro ammassato nei commerci fu il più potente nerbo dei Comuni e coni’ essi « comprarono da Cesare i privilegi, dai principi e dai vescovi tarde rinunzie di ra- gioni cbe essi già avevano d’ordinario per forza o per inganno occupate » (Q, così com- prarono dai castellani vicini ingrandimento di territorio. Già nel 1152, il Comune d’Asti comprava da Baiamondo di Manzano, dai suoi nipoti e consorti tutti i diritti eh' essi avevano sul castello e, contado di Serralunga per trentacinque lire di danari astesi (doc. n. 566). D’allora in poi il sistema degli acquisti per via di moneta andò poco a poco sviluppandosi e, seguendo il corso na- turale del progressivo arricchirsi del Comune e dell’ impoverirsi dei feudatari, cominciò a diventare d’uso più frequente sul finire del secolo xn e sul principio del xiii, finché prendendo il posto delle dedizioni volontarie divenne la via ordinaria delle conquiste del Comune. Fu allora specialmente ufficio di questo sistema il compir l’opera ini- ziata dalle volontarie soggezioni e far cadere nelle mani della repubblica Astigiana quelle porzioni di castelli e di feudi in cui qualche signorotto era riuscito a mante- nersi ancora indipendente anche dopo che il Comune vi aveva già posto un piede. Il Codice contiene un numero ragguardevole di tali acquisti fatti dal 1189 al 1295 nei quali il Comune spese considerevoli somme di danaro. Li riassumiamo nel se- guente specchietto. Anni Contratti Lire Astesi Lire Genovesi Lire Pavesi Lire Seco sine Marchi d’ argento Lire sol. deii. Lire sol. den. 1189-99 11 173 7 io 1200-10 18 10631 3 1893 — — — 1211-20 34 4649 2 7 — 1496 16 8 — 1800 1221-30 19 3734 — 18 — — 1231-40 3 600 — — 80 — 1241-50 3 5750 — — — — 1251-60 7 4462 9 — — 1225 — 1261-70 2 3481 — — — — 1271-80 3 5925 — — — — 1281-90 49 ' 18108 2 4 — — - — — 1291-95 3 103000 700 — — — Totale . 152 160514 4 9 2593 1514 16 8 1305 1800 fi) Cibrario. Storia della Monarchia di Savoia. I, 159. — 268 — Di questi 152 contratti per un ammontare di oltre lire 165 mila astesi, appena tre si riferiscono a compre di sedimi in Asti, anteriori al 1200, tutti gli altri si rife- riscono ad acquisti fuori di Asti, di allodii e per lo più di diritti di signoria, dal che chiaro apparisce quanto grandemente sia concorso questo mezzo delle compre all’in- grandimento del dominio della repubblica Astigiana. I primi acquisti fuori d’Asti di cui risulti dal Codice sono del 1189 e relativi a terre poste in Castellalfero (doc. n. 747-753). Ma questi acquisti si limitavano a terreni di una superfìcie totale di 34 stari, 9 tavole e 9{ piedi per un prezzo che varia da soldi 2,94 a soldi 3,10 al sestario. Però non tardarono di molto gli acquisti di maggiore importanza. Nel 1199 Asti comprò da Martino di Revello la metà di un dodicesimo del castello e villa di Santa Vittoria con tutte le giurisdizioni spet- tantigli per 31 lira astese (doc. n. 646); nel 1200 acquistava parte di Vigliano (doc. n. 128); nel 1201 il castello e villa di Calliano (doc. n. 730); nel 1211 comperava due parti del castello di S. Marzano (doc. n. 128) ; nel 1212 faceva i numerosi acquisti, di Monte Leucio (doc. n. 539), e da parecchi signorotti, delle rispettive porzioni del castello di Vinchio e di Castelnuovo Calcea (doc. n. 392, 395, 349, 358, 361, 363, 364, 368, 371, 379, 388, 382), non che della terza parte di Castellinaldo (doc. n. 872). Nei 1220 il Comune continuava a comprare altre porzioni di Vigliano (doc. n. 118-19); nel 1224 un altro dodicesimo di Castellinaldo (doc. n. 880); nel 1252 parte di Priocca (doc. n. 581) ; nel 1290 altre porzioni di Mombercelli (doc. n. 156, 160, 161), e nel 1295 il castello di Ceva ed i molti altri posseduti da quel marchese per la cospicua somma di 100,000 lire (doc. n. 674). Mentre la potente leva del danaro aveva da un lato efficacemente cooperato al compimento delle conquiste incominciate dall’ influenza morale e dalla forza di attra- zione, ch’era stato il primo nerbo degli ordini comunali, dall’altro lato l’oro non fu stru- mento di minor efficacia pel Comune di nuove conquiste, aprendogli le porte dei ca- stelli mantenutisi saldi ed altresì di alcuni Comuni liberi minori. Lo svolgimento di questa politica di conquista fu un lavorìo lungo e paziente nel quale il Comune impiegò spesso mezzi sottili ed espedienti indiretti. Uno di questi mezzi fu il comperare i debiti dei nemici per giungere a poco a poco a mettere le mani sui loro domimi. Ne citeremo due esempi fra i parecchi che s’ incontrano nel Codice. Nel 1197 Manfredo Lancia oberato di debiti aveva tolto a mutuo da certi Astigiani 1035 lire genovesi ipotecando a suoi creditori la metà dei ca- stelli e ville di Castagnole e di Loreto (doc. n. 46), ed Asti rilevando le loro ra- gioni nel 1201 e 1202 ne diveniva padrona (doc. n. 48, 49, 47, 67 a 73). Nel 1206 i debiti del marchese Lancia erano saliti fino alla somma di lire 4000, di cui 2096 verso il marchese di Monferrato, il Comune d’Asti pagò quei debiti e restò padrone del contado di Loreto, di Castagnole e Costigliole (doc. n. 35-45) sì che nell’anno seguente 1207 ne esercitava i diritti feudali e vi concedeva investiture (doc. n. 60, 77). Ed una volta poste le mani sopra un castello od un feudo era difficile che il Comune se lo lasciasse aifcora sfuggire. Raimondo di Busca aveva tentato di sollevare pretese e muovere reclami sull’acquisto del contado di Loreto e di Castagnole, ma fu costretto a riconoscerlo e a dichiarare che non chiederebbe più nulla (doc. n. 55). Nel 1279 il Comune di Cuneo toglieva a prestito da Filippo Scarampi ed altri suoi socii 646 lire — 269 — che si obbligava di restituire alla quaresima dando in pegno ai mutuanti la signoria e giurisdizione di Busca ed obbligando loro tutti i beni dei banditi da Cuneo. Al tempo prefisso però il debito non era soddisfatto ed ai 13 di aprile 1280 i creditori cede- vano al Comune di Asti Busca e le loro importanti ragioni (doc. n. 719). I molti acquisti poi di diritti e di giurisdizioni signorili che i privati cittadini fecero ed il Comune ebbe poscia da essi, furono il naturale effetto dell’oro che i commerci face- vano affluire nella repubblica e che adoperato in prestiti ai feudatari con pegno di castelli e di feudi, finiva per procacciarne l’acquisto. Un altro mezzo che spesso aiutava il Comune nei suoi acquisti e lo introduceva per vie coperte e quasi di soppiatto nei castelli dei circostanti signorotti era l'intermediario di privati cittadini i quali se ne facevano agenti, nella quale partecipazione dei cittadini all’incremento della repub- blica si vede quanta congiunzione di consigli fosse tra essi ed i reggitori del Comune, nel che stava sicuramente uno dei segreti della grandezza e prosperità di quei pic- coli stati. Quando il comparire del Comune poteva svegliare diffidenze e creare difficoltà, si procedeva d’ ordinario a questo modo. Un privato o di propria iniziativa o per se- greta intelligenza avuta coi rettori acquistava una porzione di diritti o di giurisdi- zione in un castello od in una villa feudale e talora anche solamente porzioni di terreno, quindi o per devozione agl’interessi della cosa pubblica o secondo le avute intelligenze ne faceva dono, prendendone l’investitura, o cessione al Comune il quale riusciva così a piantare la sua bandiera sovra nuovo dominio in cui la sua potenza gli assicurava la preponderanza e l’aiutava poscia ad allargarsi. In questo modo, un Vaca Cainasco comperava nel 1154 una parte di Vigliano e quindi ne faceva dono al Comune (doc. n. 123, 124, 125); nel 1197 un Ottone Rapa acquistava dal marchese di Monferrato il castello e villa di Calliano per 800 lire geno- vesi che poscia rivendette per lo stesso prezzo al Comune nel 1201 (doc. n. 727, 730), e similmente nel 1242 Ruffino Cappa cedeva al Comune i diritti e le ragioni da lui acquistati sul castello, villa, uomini e terre di Fontane (doc. n. 666). Nè mancano nel Codice altri esempi di simili cessioni. Un fatto della natura di quelli ora citati ricordò il Cibrario essere avvenuto nel Comune di Chieri nel 1252, nel quale anno quella repubblica riuscì a far sua una parte del castello di Bolgaro facendola comprare da alcuni cittadini che poscia si sco- persero averne fatto l’acquisto pel Comune ; nel qual procedere egli notò non piccola macchia della fede dei capi di quel governo e gravemente biasimò l'inganno (Q. Con- veniamo con lui se il contraente non si era riservata la facoltà di cedere ad altri, ma se era in buona fede libero di farlo ammiriamo la virtù di quegli antichi Asti- giani i quali prima che alla propria provvedevano alla grandezza del Comune. La terza via per cui il Comune di Asti crebbe la sua potenza fu quella delle aggregazioni alla sua cittadinanza. Ben per tempo dovette essere in uso nel Comune Astigiano questo mezzo di aumentare i suoi cittadini accomunando a dei nuovi, i pri- vilegi ed i diritti dei quali si godeva nella cerchia delle sue mura, giacché fu uno dei primi e più potenti mezzi per cui subitamente s’ elevò la fortuna dei liberi Comuni. f1) Cibrario. Storia di Chieri I, pag. 163 e segg. — 270 Un primo indizio di ammessione alla cittadinanza lo troviamo nella convenzione stipulata dal Comune nel 1171 col marchese Enrico di Savona, in cui fra gli altri patti si stabiliva che dovesse comprar casa in Asti ed abitarvi per un mese con cavalieri e pedoni (doc. n. 608), giacché l’abitazione ed il possesso d’una casa, il che impor- tava l’obbligo di concorrere nei pesi del Comune, costituivano le condizioni essenziali di cittadino. Ma più esplicita dichiarazione ne troviamo nel 1173, nel qual anno i signori di Montemagno venivano fatti cittadini, obbligandosi il Comune a comprar loro una casa mentre faceva lega con essi per la guerra col marchese di Monferrato (doc. n. 723). Fra i patti stabiliti nel 1190 col marchese Guglielmo di Ceva, dei quali abbiamo già parlato qui sopra (doc. n. 559), vi era pure l’obbligo di aver casa in Asti e di abitarvi per un dato tempo, come aggregazione effettiva alla cittadinanza. Nella nuova lega conchiusa nel 1191 col marchese di Savona egli veniva formal- mente ascritto alla cittadinanza coll’ obbligo di far taglia di 200 lire col Comune e di sottostare agli altri pesi inerenti a tale qualità (doc. n. 929) ; lo stesso stipulavasi nella convenzione col marchese di Saluzzo nel medesimo anno (doc. n. 908). Nel 1198 furono ammessi alla cittadinanza i signori di Revello (doc. n. 587), e stabilita o meglio imposta, nelle condizioni di pace con Ruffino di Gorzano (doc. n. 932). Nel 1202 giu- ravano la cittadinanza i signori di Busca (doc. n. 83); i fratelli dell’Isola, con esen- zione del fodro per diecianni (doc. n. 273); altri signori di Cameràrio (doc. n. 779) e veniva accordata ai signori di Pocapaglia (doc. n. 654). Nel 1206 venivano pure obbligati alla cittadinanza certi altri signori di Gorzano (doc. n. 933), coll’ onere del fodro e di far guerra, e pace col Comune. Nel 1207 erano fatti cittadini Rodolfo, Ardizzone ed Anseimo di Govone con parecchi altri (doc. n. 641); nel 1216, certi dei Peracchi (doc. n. 851). Nel 1224 s’incontrano altre cittadinanze come quelle dei signori di Solbrico (doc. n. 787), di Castellinaldo (doc. n. 883), e di Antensio, Desaia, Ceresole e Pralormo (doc. n. 898). Nel 1237 sono fatti cittadini d’Asti Gugliemo Guar- nerio ed i suoi fratelli di Cuneo (doc. n. 718); nel 1242 Manfredo e Rodolfo di Loreto (doc. n. 66); nel 1276 vennero restituiti nell’antica loro cittadinanza astigiana i nobili di Gorzano signori di Valfenera (doc. n. 812); nel 1290 sono ricevuti cittadini alcuni «ignori di Mombercelli (doc. n. 158-59) e nel 1292 i marchesi d'incisa (doc. n. 533). E non solo i signori di feudi solevano accomunare le loro sorti con quelle della repubblica d’Asti riducendosi a giurarne la cittadinanza o vi erano costretti dalle vicende della fortuna, ma qualche volta lo fecero anche Comuni minori, del che abbiamo esempi nelle cittadinanze giurate nel 1202 dai Consoli di Castelnuovo Calcea (doc. n. 410) e da quelli di Vinchio (doc. n. 404). Similmente furono fatti cittadini d’Asti gli uomini di Solbrico unitamente ai loro signori nel 1224 (doc. già citato n. 787), gli uomini di Vignale nel 1290 (doc. n. 757), e quelli di Felizzano nel 1292 (doc. n. 629). Non mancano neppure ammessioni alla cittadinanza di altri Comuni maggiori fra le quali citeremo quelle di Carignano nel 1235 (doc. n. 687), di Cuneo nel 1198 (doc. n. 717) e di Mondovì nel 1204 (doc. n. 715), in forza delle quali aggregazioni questi Comuni si obbligavano di comprar casa in Asti e di adempire tutti i doveri di cit- tadini. Altre volte la concessione reciproca della cittadinanza tra comuni e comuni era segno di strettissima lega. Ma ciò che era vincolo di strettissima unione tra comune e comune serviva talora anche come strumento d’inimicizia giacché s’usava talvolta di — 271 — aggregare alla cittadinanza i cittadini del Comune nemico che n’erano stati banditi e così dibatti avvenne nel 1290, allorché Asti riceveva la cittadinanza dei fuoresciti di Alba con essi collegandosi contro la patria loro (doc. n. 980). Non erano sempre uguali le condizioni a cui si facevano tutte queste aggrega- zioni ed ammessioni di novelli cittadini ma erano sempre grandi i vantaggi che il Comune ne ritraeva e, se non erano maggiori, ciò che spesso avveniva, questi erano immancabili, di acquistare nuovo nerbo di forza armata, di avere aperti a sua posta castelli, toni, ville e città per valersene in guerra, accrescimento di redditi e di amici, cui non era più lecito di spiccarsi dal Comune nè di voltarglisi contro senza perdita delle case che nella città stavano a garanzia dell’adempimento dei loro doveri. Ma forse al di là di questi utili recò maggiore vantaggio al Comune la cittadinanza dei circostanti signorotti in quanto che, come si disse più sopra (§ 29), esso otteneva di averli sotto mano obbligandoli al domicilio in città. Il quarto mezzo d’ingrandimento pel Comune d’Asti furono le conquiste per forza d’armi, ma queste furono di gran lunga minori che non quelle dovute al prestigio, che suol nascere daH’influenza morale che esercitano la libertà ed i buoni ordinamenti d’imo stato, ed alla grande prosperità economica prodotta dal commercio che fioriva nel Comune, cose, l’una e l’altra che poco si accordano col frastuono delle armi. Non mancarono però neppure questi acquisti e ad essi abbiamo già accennato di sopra discorrendo delle relazioni di Asti coi conti di Savoia, coi Biandrate, coi marchesi di Saluzzo, coi d’Angiò e coi Comuni di Alessandria e di Chieri (§§ 23, 24, 25, 26 e 27). Quelle che qui sopra siamo venuti indicando furono le vie per le quali il Comune d'Asti raggiunse il suo ingrandimento, ma se esse ce ne tracciano il corso non valgono per sé a darcene la compiuta spiegazione, giova spingere lo sguardo ad una causa prima che rese possibile lo svolgimento di quei mezzi con un così fecondo risultato. Essa è riposta in una condizione di cose grandemente favorevole alla costituzione comunale e merita tutta l’attenzione nella indagine storica che abbiamo istituita. Quando abbiamo mostrato di attaccare una speciale importanza alla storia delle grandi famiglie feudali e ci siamo lungamente trattenuti a discorrere delle varie discen- denze della Casa Aleramica, trattammo di cosa più che mai attinente al nostro sog- getto della storia d’Asti, anzi non abbiamo fatto che prepararci il terreno, per seguirne più dappresso le vicende, con una premessa necessaria. Ci sembra molto giudizioso ciò che scrisse a questo proposito E. Secretan nel suo dotto lavoro sul feudalismo (Q, quando dice che « l’histoire de la féodalité itali enne « se relie tellement à celle des cités, qu’elle en est, pour ainsi dire inséparable. La « raison en est que, dans le reste de l’Europe, au moyen àge, la prépondérance ap- « partint constamment à l’élément féodal; l’élément municipal naquit plus tard et « longtemps joua un róle accessoire. En Italie, l’élément municipal surgit plus tòt et « son infìuence devint de bonne heure prépondérante ; la féodalité est en Italie l’élément « subordonné. La mission de la noblesse féodale dans ce pays n’est pas de gouverner « les villes, mais tantòt de lem résister à la tòte de l’élément des campagnes, tantòt 9) Essai sur la Féodalité, introduction au droit féodal du Pays de Vaud par Edouard Secretan ecc. Lausanne 1858 pag. 179. 272 — « de prendre part comme classe urbaine, à lem- vie, à leurs discordes, à leur gouver- « nement ». È ancora nella storia delle famiglie feudali che dobbiamo ricercare la causa prima e precipua dei progressi del grande Comune piemontese. « L’une des principales causes (dice il citato scrittore) de l’abaissement des grandes « familles féodales de l' Italie, c’est-à-dire de celles qui étaient issues des anciens comtes « de l’ epoque carlovingienne et de l’ epoque intérimaire, était le système adopté pour « la succession des fiefs. Lorsque le comté était envisagé comme un emploi, l'office de « comte était exercé par un seni ; mais depuis le xie siede, le principe de l’hérédité des « fiefs s’étant appliqué aussi aux comtés, les droits du comte furent exercés en commun « par les fils du comte défunt, puis, plus tard, on en vint à diviser le comté entre « les diverses branches d’ayant-droit, car le droit d’ainesse n’ était pas admis dans la « succession des fiefs, mais seulement la préférence en faveur des enfants du sexe « masculin. Ainsi, les territoires ruraux laissés aux anciens comtes, après l’établisse- « ment du régime des immunités, se divisèrent et se subdivisèrent jusqu’au point de « disparaìtre complétement » C). La causa dell’ abbassamento delle grandi famiglie feudali fu la causa dell’ eleva- mento dei Comuni ; i documenti del Codice ci forniscono la dimostrazione più ampia ed evidente che mai si possa desiderare di questo fatto. Coll’ estendersi dei diversi rami della stirpe Aleramica il sistema di successione in essa seguito produsse lo sminuz- zamento dei feudi, che già abbiamo visto, il che pose il Comune d’Asti nelle più favo- revoli condizioni. E quando quello sminuzzamento giunse all’eccesso che abbiamo di sopra esposto, il Comune finì per trovarsi circondato di piccoli castellani coi quali gli riuscì possibile di lottare vittoriosamente ora colla sua influenza piena del vigore gio- vanile d’una nuova istituzione, ora colla potenza del danaro, nel modo appunto che abbiamo riferito. Ma senza questa condizione favorevole fattagli dal sistema di successione che scompose le grandi famiglie feudali non avrebbe il Comune d’Asti potuto adoperare quei mezzi nè con essi giungere a tanta grandezza. Ma in materia di successione, d’onde originò la divisibilità dei feudi, i documenti del Codice presentano ancora un altro fatto notevole il quale parrebbe essere concorso anch’esso a creare lo stato di cose cui abbiamo accennato. Vogliamo dire la compar- tecipazione delle femmine coi maschi all’eredità della signoria dei genitori. Discor- rendo della condizione delle donne (§ 29) abbiamo visto che il concorso della donna nella proprietà o comproprietà delle ragioni feudali è dimostrato da molti atti ; ab- biamo trovato delle donne aventi il possesso diretto di ragioni feudali, vi sono di quelle che compiono mansioni autonome, ed in parecchi casi la parte delle femmine è uguale a quella dei maschi anche nella divisione ereditaria dei diritti feudali. Il che parrebbe rivelare una condizione di diritto anormale in materia di successione, meritevole di essere notata. Lo stato giuridico della donna maritata, nel sistema feu- dale fu determinato principalmente dalle istituzioni germaniche. Presso i Germani come presso i primi Romani la donna è sempre in tutela ; essa passa dal mundium dei suoi (') E. Secretan. L. c. pag. 177, in noi — 273 — parenti sotto quello dello sposo ed il potere del marito è quasi così esteso come quello del padre di famiglia. Il rigore del potere maritale, già nella maggior parte delle leggi barbare, sotto l' influenza del cristianesimo, fu considerevolmente raddolcito, ma nel diritto feudale , tanto che dura il matrimonio , il marito è ancora, in virtù del mundiim , solo amministratore dei beni coniugali, solo proprietario rispetto ai terzi; la donna non può nè alienare, nè disporre senza il consenso del marito perchè essa è sotto tutela (1). Moltissimi documenti del Codice ci mostrano invece la donna in possesso di una azione diretta sui beni del marito, spesso di una vera e propria comproprietà. Vero è che in progresso di tempo l’idea che la tutela sotto cui la donna era tenuta, era anzitutto nell’interesse del tutelato, si era fatta strada ed aveva rettamente deter- minato in questo senso il carattere protettore del mundium germanico, così che il marito era il capo dell’associazione coniugale ma non ne era il padrone (2). E vero è altresì che « vi furono persino dei paesi nei quali la donna, considerata come erede dello sposo, doveva prestare il suo consenso, come gli eredi di sangue, alla vendita dei beni propri del marito » (3). Il quale è appunto il caso che si presenta in parecchi documenti del Codice; ma che in un’estensione di paese così considerevole quale era il dominio di Asti prevalesse siffatto uso, citato come un caso eccezionale, e servisse invece, si può dire, di regola generale è ciò che pare osservabile e grandemente notevole. Il diritto esercitato dalla donna sui beni del marito in qualità di presunta erede si riporta al sistema di successione, come al diritto di successione fanno ugualmente capo i diritti in forza dei quali, negli altri casi che abbiamo pure qui sopra rilevati, delle donne maritate e delle figlie contrattano come comproprietarie anche di beni feu- dali e talvolta per parti uguali a quelle dei maschi. Questo fatto ci è parso non meno notevole sia che lo si guardi dal punto di vista della successione ordinaria sia che lo si consideri sotto quello speciale della succes- sione feudale. Come è noto, nell’antico diritto romano le donne non erano fatte partecipi del diritto comune di succedere. Un tale divieto fu poscia abrogato, ma gli usi e la legisla- zione dei barbari venuti in Italia nell’ultima decadenza dell’impero e particolarmente le leggi dei Longobardi lo ristabilirono e sul loro esempio e per influenza di essi i diversi Comuni italiani rinnovarono nel medio evo con grande rigore nei loro statuti 1’eclusione delle femmine dalla successione degli agnati (4). Davanti ad un tale sistema che sappiamo essere stato seguito con grande rigidità in generale nei nostri Comuni , come gli statuti di Torino (cap. 38 e 328), di Ver- celli (lib. 2, cap. 6), di Saluzzo (coll. 8. cap. 223), ecc. ci dimostrano, riescono molto singolari i casi di una pratica tanto contraria che i documenti del Codice ci presen- terebbero. Riescono anzi quasi inesplicabili se pensiamo che le consuetudini dello stesso Comune di Asti, le quali benché redatte più tardi forse d’un secolo, cioè nel 1379 , non possono però a meno che riportarsi ad una condizione di cose precedente, sanci- scono formalmente che « qualunque donna della città o del territorio astigiano fosse (L Secret an, op. cit. sez. 3a, § 1. Condition de la femme, p. 342. (2) Iti. ibicl. pag. 342. (3) Iti. ibicl. p. 343. (4) Sclopis. Storia dell’antica legislazione del Piemonte. Torino 1833, p. 317. 35 274 — stata maritata per cura del padre, del fratello, o dell’avo paterno, non potesse con- seguire veruna parte di eredità legittima del padre o della madre, quando con essa concorressero i suoi fratelli od i loro eredi, dovendo ella accontentarsi di essere stata maritata » (cap. 65) (1). Se poi guardiamo il fatto presentatoci dai documenti del Codice dal punto di vista delle istituzioni feudali ci si affaccia coi caratteri di una anormalità ancor più spiccata. La differenza esistente, in principio, tra la successione feudale e la successione ordinaria e consistente in ciò che secondo la prima il diritto del successore non de- riva già dall’ultimo possessore, ma rimonta al primo concessionario, non si manifesta nella successione dei discendenti che è comune tanto nell’una quanto nell’ altra, ma per contro le esigenze del servizio militare motivano 1’ esclusione della donna dalla successione feudale e questa esclusione s’ incontra infatti nei più antichi documenti concernenti l’eredità dei feudi (2). Infatti la costituzione di Corrado il Salico del 1027 sancisce l’esclusione concedendo il feudo al figlio, al nipote in linea mascolina ed in mancanza al fratello di padre. Per la successione delle femmine, la consuetudine d’ Alemagna non aveva il rigore della legge lombarda ; le femmine escluse dai maschi dello stesso grado, erano ammesse allorquando esse erano in concorso con dei maschi d’un grado più lontano (3). Così pure in Francia le donne non erano escluse , in principio , dalla successione ai feudi ; ciò che prova come è erronea l’opinione che vuole invocare la legge salica riguardo al- l’eredità dei feudi. Esse erano solamente escluse da un maschio nello stesso grado, ma esse escludevano il maschio di un grado più lontano (4). L’esclusione delle figlie non essendo la conseguenza d'una incapacità legale, come nelle leggi barbare, ma sempli- cemente effetto della concessione, là ove la concessione ammetteva la figlia, essa suc- cedeva al feudo senza ostacolo come i discendenti. Il feudo che passava ai discendenti in linea femminina chiamavasi feudo femminino (5). Però in tutti questi casi di ammessione della donna alla successione feudale non trattavasi mai di concorso coi maschi, ma solo di vocazione in mancanza di essi e persino nel feudo femminino la figlia non ereditava, come i suoi fratelli, ma solo in difetto di essi. Che poi la moglie ed il marito non si succedessero nel feudo, non deve far meraviglia, giacché dove la parentela del sangue era respinta non sarebbesi saputo aver riguardo all’affinità (6). Mettendo quindi di fronte a questi principii i casi tanto discordanti rilevati nei documenti del Codice d’Asti non si saprebbe trovare una facile spiegazione. Può forse presentarsi il dubbio che quei fatti, in quanto si connettono anche da lontano agii antichi feudi Aleramici, abbiano potuto aver radice nella larghezza della concessione primitiva fatta ad Aleramo nel 967 da Ottone il Grande, che al dir dello Sclopis era come le altre antiche investiture imperiali che « non contenevano altro obbligo per gl’investiti se non quello della fedeltà e della ricognizione del supremo dominio » (7), 0) Sclopis, op. cit. pag. 315. (2) Secretan, op. cit. Sez. 3. §, 3. De la succession féodale pag. 353. (3) Id. ibid. pag. 3G0. (4) Id. ib. p. 362. (5) Id. ib. p. 354. (6) Id. ibid. p. 351, 358. (7) Storia dell’antica legislazione del Piemonte cit. pag. 393. 275 — potendo nel resto rinvestito fare del feudo quìdquid voluerit. E forse un modo par- ticolare di essere della feudalità prevalse in Asti , originata e determinata da altre cause ancora da studiarsi, al pari di una particolare condizione di diritto nelle suc- cessioni. I quali problemi non fu già qui nostro intendimento di sciogliere ma ci parvero degni di essere additati alla considerazione degli studiosi della storia del di- ritto feudale. Ma ritornando al nostro proposito degli effetti che, da questa compartecipazione della donna alla proprietà di signorie feudali, derivarono nelle condizioni generali fra cui si svolse l' ingrandimento di Asti , egli è indubitato che questa causa concorse grandemente non solo allo sminuzzamento delle signorie, ma altresì ad accrescere mobilità nelle parti e particelle che ne risultarono, il che pure contribuì potentemente a creare uno stato di cose favorevolissimo agli ingrandimenti del Comune. Riassumendo le nostre impressioni sili modo con cui Asti pervenne a grandezza non comune fra molti contrasti di potenti signori e città che l’ attorniavano, noi diremo. Asti come tante altre città italiane , allorquando i conti carolingi, al cui governo era affidata, vollero convertire in ereditario 1’ ufficio loro dapprima temporaneo , si capisce come passasse sotto l’alta giurisdizione dei suoi Vescovi e per le concessioni degl’ imperatori, i quali speravano maggiore docilità nei Vescovi da essi nominati, e forsanco per favore della popolazione la quale doveva reputare più civili e più umani gli ecclesiastici. Ma come avvenne in altre città, appena il Vescovo avrà voluto ren- dere più effettiva la sua signoria i cittadini avranno difesa la loro autonomia finché la elevarono a totale indipendenza. Ed intanto il buon governo e la sicurezza della città vi avranno chiamato uomini liberi e profughi dalle indifese terre circostanti. Consolidata la libertà e la sovranità del Comune si pensò ad ampliarne la po- tenza, del che è un primo segno l’acquisto di Annone fatto sin dal 1095. Il più grande ostacolo che vi si potesse opporre fu eliminato dalla divisione dei feudi, avvenuta nella famiglia Aleramica pel sistema di successione in essa invalso ; il danaro fece il resto infiltrandosi sottilmente in forma di prestiti ai bisognosi signorotti e conver- tendo a poco, a poco i pegni in cessioni od agendo scopertamente e procacciando al Comune l’acquisto di signorie direttamente per mano sua, o indirettamente per mezzo di benemeriti cittadini. A crescere la debolezza dei vicini e ad agevolare l’opera del Comune si aggiun- geva la confusione e la complicazione nascente dal trovarsi spesso nello stesso paese vassalli di diversi signori, tenuti verso questi non solo a prestazioni pecuniarie ma anche a certi obblighi di personale servizio militale, sì che in ogni caso di guerra, la lotta fratricida era per questi paeselli una necessità della loro costituzione politica. In una simile condizione di cose ben si comprende l’espansione e l’ingrandimento del territorio di una repubblica amministrata con saviezza e giustizia e guidata dal faro della libertà. Per queste vie Asti era pervenuta ad un alto grado di potenza ed aveva esteso largamente i confini del suo dominio, quando negli ultimi anni del secolo xm il fu- rore delle intestine discordie venne a troncare il corso dei suoi acquisti ed a preci- pitarla nella mina. Verso il 1296 le fazioni, che fin dal 1250 serpeggiavano in seno alla repubblica Astigiana, scoppiarono colla veemenza di un indomabile incendio. La — 276 città divenne irta di torri, rizzate l’ima contro l’altra a continua offesa, le case si cam- biarono in fortezze e le mima che cingevano una grande città non racchiusero più che un campo d’insidie e di stragi tra le fazioni dei Solari e dei de Castello. Il Codice che era il libro consacrato a serbare i titoli di conquista e dei diritti della repub- blica si chiude in questo punto in cui l’èra delle conquiste si chiudeva incominciando quella delle perdite, e sul glorioso Comune spuntavano i giorni lagninosi che il poeta scolpì coi versi che ogni popolo libero non dovrebbe mai dimenticare, I fratelli hanno ucciso i fratelli Giù dal cerchio dell’ Alpi frattanto Lo straniero gài sguardi rivolve Vede i forti che mordon la polve E li conta con gioia crudel. 40. Terre e Castelli soggetti al dominio d’Asti. Preziosissime sono le notizie date dal Codice sui paesi, sui castelli, e sulle terre posti sotto il dominio di Asti. Si tratta nel Codice di oltre 30 paesi, terre o castelli (25 nella terza e 9 nella quarta parte) che oggidì più non esistono. Di alcuni di essi una vaga tradizione ricorda appena il nome: di altri rimase il nome ad una regione di campagna, o ad una chiesetta campestre. Finalmente vi sono nomi di terre a quanto pare finora ignoti, alle quali il Codice consacra un capitolo, e le cui vestigia sembrano oggi scomparse. Un diligente studioso delle cose astigiane il sig. Pietro Viarengo volle segnare sopra una carta topografica l’estensione del territorio sovra il quale verso il finire del xiii secolo il Comune d’Asti, stando al Codice Malabaila, aveva giurisdizione. Questa giurisdizione non era da per tutto completa, così che la carta del territorio della repubblica d’Asti non deve dare lo stesso concetto che si avrebbe di uno Stato moderno. Yi erano ancora terre la cui signoria si ripartiva tra parecchi. Malgrado ciò la carta dà chiara idea della importanza e della potenza della repubblica d’Asti. Risulta infatti da detta carta che il paese, che nel 1300 più o meno compieta- mente obbediva alla Repubblica d’Asti, confinava: A levante, col Marchesato di Monferrato per Villadeati, Moncalvo, Guazzano, Viarigi e Rubine ; con Alessandria per Quargnento, Solere, ed Oviglio ; indi nuova- mente col Monferrato per Mombaruzzo, Acqui e Ristagno; e poscia coi diversi feudi imperiali dei Marchesi del Carretto, come Spigno, Dego, Cairo, Millesimo, e Calizzano. A mezzodì l’Appennino lo divideva dal littorale ligure, e dai provenzali, che iu allora possedevano il luogo d’Ormea. A ponente confinava con Cuneo, e con buon tratto del Marchesato di Saluzzo, il quale però trovavasi pressoché interamente in potere dei provenzali ; quindi toccava lo stato dei Principi d’Acaja a Racconigi ed a Carignano. A notte finalmente confinava col territorio del Comune di Chieri, avanzandosi da Villastellone fin quasi sotto le mura della città, e dopo Sciolze nuovamente incon- travasi collo stato del marchese di Monferrato. Solamente quasi nel cuore di sì estesa regione, stava la città d’Alba, con poche castella all’intorno, alcune infeudate alla possente famiglia dei Pailetti, altre proprie del marchese di Saluzzo, e di alcuni marchesi del Carretto, quali castella però assieme ad Alba, erano pure interamente sotto il potere del Luogotenente del Re di Napoli. Pur comprese le città di Mondovì, Fossano, e Carmagnola, il territorio della Repubblica d’Asti abbracciava 313 terre, le quali presentemente compongono 232 Comuni, distribuiti in 10 Circondari!, e con 446,611 abitanti, come appare dal seguente quadro: N." Circondami Comuni Abitanti 1 Asti 86 147,368 2 Mondovì 47 106,523 3 Alba 46 85,855 4 Acqui 21 27,358 5 Casale 14 27,334 6 Alessandria 6 12,163 7 Torino 5 12,981 8 Savona 4 3,359 9 Saluzzo 2 7,826 10 Cuneo [FossanoJ. . . . 1 15,844 Totale » 232 446,611 Alla carta il sig. Viarengo ebbe la cortesia di aggiungere un cenno sulle terre citate nel repertorio del Codice. È assai interessante il vedere le vicende dell’aggrup- pamento della popolazione in questa parte d’Italia, e lo studiare le cause della scom- parsa di castelli, e villaggi, i quali, alcuni secoli fa, non erano senza importanza ('). Seguono gli Allegati della Parte seconda. Num. » » » » » » » » 5. Consoli di Asti. 6. Podestà di Asti. 7. Quadro I. Genealogia generale degli Aleramici e dei marchesi di Monferrato. » » IL Genealogia dei marchesi d’incisa. » » III. Genealogia dei marchesi di Saluzzo. » » IV. Genealogia dei marchesi di Busca. » » Y. Genealogia dei marchesi di Ceva. » » VI. Genealogia dei marchesi del Carretto. 8 Luoghi soggetti ad Asti citati nel Repertorio del Codice Malabaila. (') Vedi la carta topografica, ed i cenni del sig. Viarengo in appendice alla presente nota, Allegato n. 8. — 278 — Allegato N. 5. CONSOLI DI ASTI 1095 — Lanfranchus Benzo; Bonebellus Bonesenior, bonus homo ; Ubertus Bulgarus ; Ubertus Judex; Cresencius Saracenus. 1135 — Petrus Calcaneus; Joseph Judex; Gualla (Wala) de Platea; Pepinus de Sancto Juliano. 1142 — Amedeus Buccanigra; Careoz; Henricus Judex; Henricus Pulmo. 1148 — Manfredus Balbus; Bartolomeus Judex; RayneriusMachaluffus; Azo Sancti Joannis ; Robaldus Soldanus ; Petrus Trossellus. Sine anno Manoses Balbus, Obertus Belbellus, Auctor Cavazonus, Guillelmus Culus aureus. 1149 — Bibaldus Curialis ; Bobaldus Gardinus; Bobaldus Judex ; Conradus de Platea (Piada) ; Henricus Pulmo ; Pipinus de Sancto Juliano. 1152 — Guilelmus Culus aureus ; Azo de Curia ; Merlo Curialis ; Gandulfus Durnasius ; Bobaldus Gardi- nus; Conradus de Platea; Manfredus Bastellus. 1161 — Ottobonus Crivellus; Valfredus Culorius; Guielmus Falzonus; Baynerius; Petrus Ville Abel loniorum. — Consules de justicia et populi: Calcaneus; Obertus de Curia ; Girbaldus ; Bartolomeus Judex; Bobaldus de Vivano. 1173-74 — Jacobus Bertramus ; Gandulfus Cavazonus; Bolandus Durnaxius; Girbaldus de Porta. — Consules de justicia: Valfredus Colorius; Bogerius de Curia; Bayamondus de Platea. — Consul populi: Bobaldus Maructus (Maruc). 1179 — Guielmus de Ast; Valla de Pusterna; Henricus Soldanus; Girardus Vola. — Consules de justicia : Bonefacius de Cario ; Guilelmus de moneta ; Bub revel. 1188 — Bolandus Balbus; Opizo Calchaneus (Calegarius) ; Jacobus de Curia; Opizo Judex ; Gribaldus de Porta; Alexander Sinistrarius ; Homedeus Torsellus (Trosellus); Rodulfus Vardalos. — Consules justicie: Opizo Calcaneus (Calegarius, Calcagnius); Opizo Judex; Giroaldus (Gir- baldus) de Porta. 1189 — Bolandus Berardensis (Berardengus); Rollandus Bergogninus ; Guilelmus Calvus; Opizo de Vi- vano; Oddo Vola. — Consules justicie : Rollandus Crivellus; Ubertus de Plathea; Petrus de Sancto Joanne. 1190 — Guielmus de Aste ; Bayamondus Carocius ; Obertus Cavalerius; Marchisius Cavicula (Cavigia); Rollandus Crivellus; Rodulfus Durnasus; Raymondus Layolius. — Consules de justicia: Guilelmus Cavalerius; Petrus Cicia; Guilelmus Miles; Guilelmus Silvaticus; Henricus Soldanus. 1191 — Jacobus Careocius; Rollandus Crivellus, Nicolaus Gardinus ; Girardus Ginorius ; Ubertus La- jolius; Henricus Soldanus; Homodeus Trosellus; Opizo de Vivano. — Consules de justicia: Girardus Ginorius (Girijorius Guiocius); Henricus Soldanus ; Homo- deus Trosellus. — Consules populi : Berardus Bertramus (Betramengus); Gribaldus de Fossato; Jacobus Palius; Arnaldus de Platea; Girbaldus de Porta. 1196 — Rollandus Bergogninus; Nicola Gardinus; Jacobus de Rohat. — Consules de justicia : Ardicio Bertramus ; Baiamondus de Plathea. 1197 — Ratio de Asinarijs; Bayamondus Careocius ; Petrus Cicia; Rodulfus Durnaxius ; Raymondus Layolius; Otto Monachus; Jacobus Pallidus; Guilelmus Ratio; Jacobus Thomas. 1200 — Ardicio Bertramus; Rollandus Gazo; Guielmus Ratio; Jacobus de Stoherda (Stoarda); Jacobus de Vivano. — Consules de justicia: Henricus Aytropus; Ruffinus de Ripa; Homodeus Trossellus. 1201 — Ut supra. 1202 — ( Consules comunis et justicie) Magister Petrus Beccarius; Baiamondus (Raymondus) Carocius ; Jacobus de Dormamandra (Mandra); Vivianus de Fonte (Fontana); Guilelmus Gardinus ; Ja- cobus Rohat (de Donnerohat); Manfredus de Solario ; Henricus Soldanus. 1203 — Henricus Soldanus; Raimundus Carrozius; Petrus Beccarius; Vivianus de Fontana. 1206 • — Consules de justicia: Azo Palius; Ubertus de Plathea; Mainfredus de Solario; 1224 — Bertramus Berardengus; Jacobus de Castegnolis; Raymondus de Solario. 279 — Allegato N. 6. PODESTÀ DI ASTI N. B. Abbiamo indicata la data del più antico e del più recente documento del Codice Malabaila, o dell’Appendice in cui si parla di ciascun podestà. Sono in corsivo le notizie complementari tratte da Agostino della Chiesa. Della descrizione del Piemonte. Voi. v, pag. 388, quindi le poche ulteriori indicazioni date dal Molina, e dal Grassi nelle loro opere già citate. Allor- quando nei nomi in corsivo non è citato alcun autore, si intende che la relativa notizia è data dal della Chiesa. Le diverse lezioni od aggiunte allo stesso nome sono fra parentesi. 1190. 30 sept Guido de Landriano mediolanensis 1191. 25 aug Guilelmus de Ceva (*). n Giacomo Strafa (2). 1192. a 17 aug. 1193 1194. ad 31 jul. 1195 1197. a 29 nov. 1198. ad 28 sept » a 19 oct.. . 1199. ad 29 mart » a 17 dee. 1200. ad 3 sept. 1201. a 12 jan. . 1202. ad 7 aug. 1203. a 1 febr. 1204. ad 4 febr. » 24jun. — 1205. a 26 maij. 1206. ad . . jan. n a 10 febr. » ad 17 nov. . 1207. a 20 aug. 1208. a 2 febr. . n 20 jul. — 1209. 2 mari. — aug. 22 aug. 19 dee. 1210. 12 sept. — 12 oct. 1211. 1212. 25 nov. — 3 dee. 5 aug. — 30 nov. » a 9 dee. . . . 1 1213. ad 17 oct. . . ) ’ 1214 1215. ab 11 1216. ad 2 ja n 17 apr. — 4 oct. . . 1217. 20 maij — 12 dee. 1 jun. . ) jan. . . ) Jacobus Strictus (2). Guglielmo Pusterla. Albertus de Fontana ( 'piacentino ). Petrus de Petrasancta {milanese). Nicolaus de Fodro (Foro; alessandrino). Guido de Pirovano ( milanese ) (3). Lantelmus de Landriano. Oliverius Avianus (Amanus). Ruffinus Georgius {de Georgi pavese). Lantelmus de Landriano (4). Oliverius Ysembardus {Isambaldo; pavese). Ruffinus Georgius. Henricus Zazius. Guilelmus Rabia {Rabbia) (5). Guilelmus Embriacus {genovese). Ugo {Marchese) de Careto. Otto Marchio de Careto. Aimerico da Cremona. Ubertus Buccafollius (Bucefollius-Bucchefollius-Buzefollius). Ruffinus de Olevano (Olevario -Olivano). Henricus Advocatus {vercellese). (1) Il Molina, op. cit. II, pag. 91, indica Lantelmo de Landriano come podestà d’Asti nel 1191 e ciò nel parlare dei do- cumenti che nel Codice Malahaila hanno i numeri 690 e 908. Ora siccome in questi documenti non si parla del podestà, è da temere che il Molina sia incorso in errore. (2) Coi nomi di Jacobus Strictus e Giacomo Strata si allude alla stessa persona. (3) Dal n. 318 al n. 323 vi sono nel Codice Malabaila documenti del 1202 trascritti d’ordine del podestà Olivero Isembardo. È chiaro che l’ ordine di trascrizione è posteriore alla compilazione dei documenti, e sino a prova contraria può ritenersi del 1207-1208. (4) Il Molina, op. cit. II, pag. 201, cita Aimondo Salamone, come podestà di Asti nel 1207, nell’atto che nel Codice Malabaila ha il numero 661. Ora questo atto ha la data del 1277. (5) Non solo nel della Chiesa per il 1221, ma anche nel Co- dice Malabaila, Guglielmo Rabbia figura podestà di Asti colla data 12 ottobre 1200, e potrebbe quindi essere creduto podestà nel 1200-1201. Ma la data del documento (n. 468) è sicuramente sbagliata, perchè in esso si cita la divisione dei marchesi di Incisa del 1203 ed il giorno della settimana e l’ indizione corrispondono al 1210, in cui altri documenti dimostrano podestà il Guglielmo Rabbia. Dal doc. n. 999 dell’ Appendice si scorge che Guido di Pirovano era già podestà di Asti al 12 gennaio del 1201, e deve quindi ritenersi come errata la indicazione del della Chiesa, che in tale anno Guglielmo Rabbia fosse podestà di Asti. - 280 — 1218. 26 febr. — 12 dee. . . . Girardus de Rollandino (Rolandino). 1219. 2 mart. — 11 dee Resonatus ( Rasanotto ) Zazius (Zacius) de Papix. 1220. 11 mart. — 12 nov. . . . Lafrancus de Mozo (Mozio-Mocio-Motio-Muzzo — Lanfranco di Mosso, vercellese). 1221. a 22 febr. . . . ) . ... 1222 'id °2 oct ) Ijuido de Jj^ndriSiiio \ì7iil(i7i6S6j. 1223. 30 mart. — 22 dee. . . . Girardus Manaria, Manneria (1). 1224. 4 mart. — 31 dee Paganus de Petrasancta (milanese). 1225. 10 apr. — 21 jun Nicolaus de Andito (Andeto). » 15 nov Hugo de Carreto (2). P226. 21 sept. — 11 dee Guielmus Amatus civis Cremonae. 1227. 21 maij — 8 oct Barocius (Barotius-itortmo) de Burgo. 1228. 2 jun. — 14 dee Percival de Auria (Percivallus-Percevallus — Doria genovese). 1229. 2 jun. — 6 dee Homarius ( Enrico ) Segaliola (Segaglolie-Segaglola) ('). 1230 Alberto Scoto piacentino (3). » 12 jul Rolandus Rubeus (4). 1231 Bernardo Rosso parmesano (4). 1232. 19 jul Guillelmus Amatus civis cremonensis (5). 1233. 6 aug Alerius de Millanno ( Alessio de Caivairo milanese). 1234. 6 jan Lo stesso, detto però Allerius de Mirano (6). » Nicolò d' Audito (7). 1235. 4-20 maij Ferarius Canis ( casalasco ). 1237. 21 mart. — 16 aug. . . . Ravaninus (Ravarinus) de Bellotis ( cremonese ). 1239. 25-30 aug Sturbaborius (Sturbabotus-rS'tt£ffr5«ro). 1241. 22 maij. — 11 dee. . . . Henricus Gravonus (Granonus). 1242. 10 mart. — 3 sept. . . . Guido Maracius de Sancto Nazario (Marracius-Manteacius-J/artafio). 1244 Guglielmo Cane casalasco. » Alberto Scoto. Grassi i, 164 (3). 1245. 29 maij Jacobus Zacius (8). 1246. 29 jul Opizo de Canevanova. n 21 aug Sylanus Niger. 1248 Turello Milone. Molina n, p. 209. 1249 Uberto Buccafollo (9). 1250 Amico di Strato. ioci a ^ rJ10V’ ’ ì Ossa (Osa) de Canevanova. 1251. ad 19 mar) . . . ) v ’ 1252. 28 jul Sigenbaudus de Opizonis (Sigibaldo de Oppezzi). 1253 Angelino de Campesio. 1254. 6 febr. — 23 aug Otto de Canevanova. 1255. 14 sept Michael Delaccota ( Michele della Crota). 1256 ^d^l^'jan j Albertus de Turricella (Turisella pavese). 1257. 9 mart. — 17 nov Jacobus (Guillelmus) Zacius ((Ihafhius). 1259 Enrico de Campesio. 1260. 21 febr. — 21 jun Rugerius Georgius (de Georgi pavese). 1261 Galeotto de Lambertini bolognese) (10). » 8 febr. — 2 apr Raynerius de Burgo. 1262 Reinero. 1263. 17 jul Fornarius Caresetus. (I) L'avv. Barberis nel Corriere Astigiano del 7 marzo 1877, indica Teobaldo come podestà nel 1223. Nel doc. n. 287 del Codice Malabaila trovasi per il 1223 un Tebaldo, ma giudice e non podestà. Parimente egli indica Ruffino de Sarmatorio come podestà di Asti nel 1229, ma nel n. 663 del Codice Malabaila lo troviamo invece podestà del consorzio del signori di Sar- matorio. (2) Vedi doc. n. 1012 nell'Appendice. (3) Alberto Scoto capitanò una felice sortita degli Astigiani, elle liberarono Asti dall’assedio con cui lo stringevano le milizie imperiali. Il Turzauo e l’Ughelli attribuiscono il fatto al 1230, ed il Grassi al 1244. (4) Rolandus Rubeus, Bernardo Rosso sono verosimilmente la stessa persona. (5) Vedi doc. n. 1013 nell'Appendice. (6) In una sentenza arbitrale di Mondovì a detta data (7). Nel Codice Malabaila si trova lo stesso podestà nel 1225. (8) Doc. n. 1016 nel- l'Appendice. (9) Nel Codice Malabaila si trova lo stesso podestà nel 1215-16. (10) Nel Codice Malabaila si trova lo stesso po- destà per il 1271. Vi ha forse sbaglio di data nel della Chiesa? — 281 1264. 6 jun Albertus de Malavolta. 1266. 20 oct Ctuillelmus de Sancto Nazario (1). 1268 Uberto Buccafollo (2). 1269. 2 apr. — 7 nov Galvagnu's de Campesio (Campexio). 1270. 20 nov Guilelmus Porchus. 1271. 16 febr. — 7 nov Galeotus de Lambertinis. 1272 Guglielmo de Lambertìni (3). 1278. 27 mart. — 30 nov. . . . Bonaventura de Vegys (Vegyo). » Ber godano detti Sisti che morì a Cossano. m4 a_i ’9j ocy • • • J Guilelmus de Sicheriis {pavese). 1275. 2-21 jul Guido Scarsus {dottore pavese). 1276. 21 jan. — 29 dee Manuel (Maynfredus) de Nigro {Negro genovese). 1277. 9 mart. — 1 oct Hosmondus Salamon (Solomon). 1278. 3 sept. — 25 oet Johannes de Bucino (Lucinus). 1279. 24 jan Paganus de Bucino (4). » 19 jun PiOgerius de Curie. » ab 8 dee ) ,, , T 1880 S ^ «ig&iius ciG Lucino. » 28 febr. — 19 oct Ansaldus Zeba (Ceba) {Ansaldo Ceva genovese). 1281 Guido da Caperona. 1282. 24 febr. — 15 nov Grumerius {Gmmerms-Gramero) de Rivola {Rivole). 1283. 20 jan PiOgerius de Curie {Roberto di Conte). 1284. 28 febr Guizardus {Girando) Zazius. 1285 Giacomo de Portalerba. 1287. 22 maij — 9 jun Galterius de Mangano. ioqo a | Antonius de Cerreta. 1288. ad 14 nov. . . . S » Rizar do Capra. 1289. 4 mari Kofinus de Becharia. 1290. 25 apr. — 15 aug Ottolinus Mandellus {milanese). 1^91 &ad 3 mari' | Henricus de Tangatinis {Tanghettini.) 1292. 22 apr. — 12 jul Guilelmus de Bambertinis (5). 1293. 8 oct Ugo de Salino (Salodo) (6). 1294 Raimondo di Ponterolio (7). 1295. 22 oct. — 21 nov Pmynaldus de Pontirolio (7). 1299. (ante) Guidotinus Vicecomes (8). » Rainaldo Spinola genovese Moriondo ii, col. 447. 1303 Manuele Spinola di Lucullo genovese. 1304 Albertone degli Spettini piacentino. 1305 Guglielmo di Monbello. 1306 Manuello I-simbardo (1305-1306. Grassi i, p. 234. 238). 1307 Uberto di Pietra pavese (anno 1306. Grassi i, pag. 240). » Manuello Isimbardo. Grassi i, p. 244. 1308 ^ ( Ber godano di San Nazzario pavese. 1309 Tolomeo Cortese pavese {da Cremona, Grassi i, p. 252). 1313 Giovanni dal Pozzo. Grassi i, p. 278. 1339 Antonio T ornielli novarese. 1341 Beccario de Beccaria (9). (1) Vedi doc. il. 1022 nell'Appendice. (2) Vedi ann. 1215-16 e 1249. (3) Nel Codice Malabaila si trova lo stesso podestà nel 1292. Vi lia forse sbaglio di data nel della Chiesa ? Ovvero avvi confusione di nome fra Guglielmo e Galeoto de Lambertinis il quale, secondo il Cod. Malab., era podestà nel 1217? (4) Doc. n. 1024 nell’Appendice. (5) Guglielmo de Lambertinis addì 9 agosto ordinò il Codice Alfieri. (6) Questo podestà dicesi de Sedino in due documenti del Codice Malabaila (n. 57S. 579), ed è detto de Salodo , senza data nel foglio xi del Codice Alfieri, e colla data del 30 marzo 1294 nel documento comunicatoci dal cav. Bertolotti , e riferito nel § 4. (7) Raimondo e Rainildo de Pontirolio probabilmente è la stessa persona. (8) Doc. n. 103O nell’Appendice. (9) Dagli archivi San Marzano : communicazione del sig. Pietro Viarengo. 36 (a) Conte nel 913 investito dai re Ugo e Lotario di dominio nel contado d Acqui e fra il Tanaro e la Boruiida. — Marchese nel 961, fa donazione al monastero di Grassano da lui fondato nel Monferrato. Nei 967 dall’ imp. Ottone I, ed a preghiera dell' imperatrice Adelaide i 919. Marchese di Monferrato. Tentò di avere la signoria d’Àsti, seguì l’imperatore Corrado nella seconda crociata, e prese parte per l’imperatore Federico I contro le città libere. (c) Adelaide od Adelasia nel 1089 sposa Ruggero Normanno conquistatore e poi gran conte di Sicilia morto nel 1101; durante la vedovanza governa benissimo, e porta in Pa- lermo la capitale della Sicilia. Nel 1113 si rimarita con Baldovino re di Gerusalemme, nel 1116 si scioglie il matrimonio e muore nel 1118. Oddone I. 961. Interviene alla dotazione del monastero di Grassano. 991. Non più in vita. Guglielmo Conte di legge salica con dominio neilTtaiia superiore. Aleramo M Guglielmo 961. Non più in vita. I Guglielmo I. 1004. Marchese, conte di Vado (Savona). 991. Dotazione del monast. di Spigno. 1014. Nominato in una donaz. a Staffarda. 1027. Donazione a Fruttuaria. 1031. 1 Riprando 991. Dotazione del mona- stero di Spigno. 0 BERTO I. 1004. Marchese, conte di Vado. 1014. Donazione a Fruttuaria. 1030. Fondazione di s. Giustina di Sezzadio (Sezzè). 1034. viv. Vesce 1 1 1# Uvassa .... ? Oddone li. 1040. Marchese e conte di Monferrato. Enrico 1042-1044. m. Adelaide Arduinica che poi sposò Oddone conte di Savoja. ObertcT II. 1030. Fondaz. di s. Giustina. 1061. Promette privilegi agli uomini di Savona. 1065. Non più in vita. i Akdizzone I. 1126. Non più in vita. Cod. Malab. n. 622. 1 Akdizzone IT. Cod. Mal. n. 622, 623, 856, 919. 1126. Donaz. a Lucedio. 1135. Cede ad Asti il luogo di Felizzano. Enrico Sig. di Occimiano. Cod. Mal. n. 623, 755, 856, 919. 1149. Cede Vignale. 1 0 BERTO Sig. di Monte- chiaro. 1101. 1119. I Enrico detto Balbo. Cod. Mal.n. 622. f av. 1126. Guglielmo II. detto di Ravenna. 1059. Giura in Savona. 1084. Non più in vita. Cod. Malab. n. 622. m. Otta di Ravenna. "1 Guido II. 1030. Fondazione di s. Giustina. 1100. viv. 1106. Già morto. I Beatrice m. Oldorico Manfredo march, di Romagnano, ramo Arduinico. Donella m. Oberto conte di Ventimiglia. Alberto II. detto Alemanno. 1106. Già morto. Adelaide di Sezzadio. . 1106. Erede del fra- tello, m. Brunone f. di Oddone. l'gi N [__J Guglielmo III. detto Rinforzato. 1101. Donaz. alla chiesa di Vercelli. 1085. Giura in Savona. Bernardo Cod. Malab. n. 622. 755. 1126. Donaz. a Lucedio. 1149. Cede Vignale. Bernardo March, di Occimiano. i — Matilde m. Guglielmo di Palodio. ! G IO ANNA m. Guglielmo di Normandia. 1 Eainero March, di Monferrato. Cod. Malabaila n. 622. 1101. Donaz. alla chie- sa di Vercelli. 1126. Do- nazione a Lucedio. m. Gisla di Borgogna. I .J 1 Isabella m. Guido conte di Biandrate. Guglielmo IV. il Vecchio (b> + 1183. m. 1. Sofìa? Beatrice? 2. Giulita d’Austria. Bonifacio Sig. d’incisa. 1125. f av. 1157. (Ved. Quad. II). ■A Manfredo di Saluzzo. 1125-1175. (Ved. Quad. III). M * Corrado Cod. Malab. n. 623. Combattè in Oriente e fu signore di Tiro. + 1192. m. 1. Teodosia sorella d’Isacco imp. 2. Isabella f. di Alme- rico re di Gerusa- lemme. Iolanda da alcuni detta Maria ed Isabella Erede del regno di Gerusalemme, m. Giovanni di Brienne re di Gerusalemme. I Isabella da alcuni detta Iolanda m. Federico II imp. Guglielmo V. Cod. Malab. n. 623. Longaspada. Conte di loppe , combattè da valoroso nella terza, crociata. + 1179. m. Sibilla f. di Almerico e sorella di Baldoino re di Gerusalemme, i -I Baldoino Re di Gerusalemme successe allo zio Bal- doino. -j- 1186. Federico Vescovo. Raineri Combattè in Oriente e fu creato Re di Tessa- lonica nel 1179. -J- 1183. m. Maria f. di Emanuele imp. d’Oriente. s. p. i Guglielmo VI. W Marchese di Monferrato, f 1225. m. Berta di Clavesana dei marchesi di Ceva. I Bonifacio ] Marcii, di Monferrato, creato nel 1204 Re di Tes- salonica. f 1207. m. 1. N. N ? 2. Margarita d’ Un- gheria. I I Al asia Agne! ni. Manfredo marchese di Saluzzo. m. Guido G|i- cont di Romani ì r \ Demetrio Alasia Agnese Re di Tessalonica. m. ni. *J* 1227. Alberto Mala- Enrico di Fiandr. m. spina. imperatore di C" Beatrice stantinopoli. di Vienna. la. Bonifacio II. Marchese di Monferrato, f 1253. m. Margarita di Savoia. _Ji__ Beatrice m. Enrico III. Del Carretto. Bastardino figlio nat. Podestà d’ Alessandria e Tortona. 1247-1280. Cod. Mal. n. 904. Beatrice m. Andrea Delfino «li Bnrgnen.i Alasina Guglielmo VII. (“) Nicolino detto il Magno. Marchese di ' figlio naturale. Monferrato. -J* 1292 prigio- Podestà niero in Alessandria. di Alessandria. m. 1270-1320. 1. Isabella d’Inghilterra. Cod. Mal. n. 927. 2. Beatrice di Castiglia. I 1 Raineri figlio naturale. Podestà d’Acqui. 1247-1273. Sig. di Gabiano. I i L~ — i Giacomo Tomaso Sig. di Gabiano. 1320. 1292-1320. Cod. Mal. n. 927. Matteo figlio naturale. 1303-1305. I Bonifacio figlio naturale. 1296-1311. D Margarita Alasia Gioanni di Castiglia. Poncello Orsini. Giovanni Marchese di Monferrato ultimo degli Aleramici. + 1305. Cod. Malab. n. 927, 928, 24 C, 25 C, 52 C. m. Margarita di Savoja. ‘ i 1359. s. p. i Iolanda m. Andronico imperato- re d’Oriente, che tra- smise iJ Monferrato a Teodoro Paleologu suo figliuolo. Franceschino Sic. di Gabiano. 1378. (d) io97. collo zio Bonifacio fa dotazione al monastero eli Ferrania, fu uno dei princi- pali capitani di Ruggero, e del re Ruggero II. Nel 1114 fu creato Conte di Butera, e Paterno. — m. Flandina figlia del conte Ruggero suo cognato. (e) Cocl. Malab. n. 10 C, 31, 33, 34, 46, 50, 51. 53, 59, 63, 74 a 76, 194, 417, 467, 542, 620, 626, 637, 670, 727 a 730, 7:34, 735, 737, 738, 741, 769, 780, 856, 893, 908, 913, 916, 918, 919, 922, 923, ' 925, 932, 959. (f) Cod. Malab. n. 10C. 2, 7, 10, 14, 19, 30, 31, 34 a 37, 41, 45 , 50 , 51, 64 , 65 , 76, 100, 140,141, 183, 184, i>6 a 188, 191, 193, 312, 314, 349, 358, 364 368, 371, 388, 395, 568, 625 a 628,727,730, 734 a 741, 910, 913, 916, 917, 920, 921, 923 a 925, 959, 960. (g) Cod. Malab. n. 23, 261, 307, 308, 556, 742, 758 a 761, 911, 912, 914, 915, 927. (Hi Cod. Malab. n. 17C a 24C, 533, 591, 592, 629, 673, 720 a 722, 724, 725, 743, 745, 757, 760, 803 a 808. 810, 905, 926 a 928, 950. Allegato N. 7 — Quadro I. GENEALOGIA GENERALE DEGLI ALE RAMICI E DEI MARCHESI DI MONFERRATO Axseljio I. ii. I izione del monastero di Grassano. >nda il mon-stero di s. Quintino resso Spigno. + 991. m. isla di Adalberto m. di Toscana. UGO I. etto Clerico. 1 Donaz. a Frut- tuaria. Ermengarda 996. Donazione al Vescovo d’Asti. m. Almengauso di legge lon- gobarda. 1 Anselmo IL 1014. Donaz. a Fruttuaria. 1017. Donaz. a Nonantola. 1047. Assiste ad un placito. 1055. Non più in vita, m. Adelgida f. di Alberto d’Azzo marchese Obertengo. i M.Bro Ugo II. ostoi ortona. 1055. Colla madre e col fra- ni qui. tello fa donazione alla chiesa dei ss. Pietro e Marziano di Tortona. !_ Sibilla m. Robaldo di Sarmatorio visconte Arduinico. 1 Anselmo III. 1055. Colla madre e col fra- tello fa donazione alla chiesa di Tortona. I ELP0 a 113 '■'.Ibis 3 KAK ‘li m e. Azzone Vescovo d’Acqui e quindi di Ver- celli. 1100-1132. ! Anselmo 1115 a 1136 stipite dei marchesi del Bosco. 1 Aleramo 1131 a 1135 stipite dei marchesi di Ponzone. r~ Ottone o Tete Marchese. 1062. Giura in Savona. 1065. Non più in vita, m. Berta Arduinica sorella della Adelaide Arduinica. 1065. Do- naz. alla chiesa di s.M. d’Asti. Cod. Malab. n. 52. Manfredo I. 1062. Giura in Savona. Anselmo IV. 1062. Giura in Savona Bonifacio del Vasto Cod. Malab. n. 52-622-707. 1065. Donaz. al Vescovo d’Asti. 1084. Giura in Savona. 1097. Dotaz. del mon. di Ferrania. 1125. Testamento in Loreto, m. 1. N. N. sua cognata. J2. Agnese del Maine. viv. 1125. 6 I 3 Otto Clerico Cod. Malab. n. 52. 1065. Donaz. al Vescovo d’Asti. r Anselmo V. Cod. Malab. n. 52. 1065. Donaz. al Vescovo d’Asti. 1079. Non più in vita. m. N. N. poi sposata dal fratello. i Manfredo Cod. Malab. n. 52. 1065. Donaz. al Vescovo d’Asti 1097. Non più in vita. fe OTSELMO !ù* di Ce va. •• 1125-1160. H)- ed.Quad.V). Enrico di Savona stipite dei Del Carretto. 1125-1183. (Ved. Quad. VI). * ! ! 1 r 1 Guglielmo Bonifacio minore Ottone Sibilla Adelaide di Busca. Sig. di Cortemiglia. C. di Loreto. 1125-1155. 1125-1188. 1125-1155. (Ved. Quad. IV). (Ved. Quad. VI). (V. Quad. VI). I "RD. m. «I, , all ( Ino da- Adelaide <°) N. N. promessa m. a Goffredo Gi rdano f. di Ruggero f. di Ruggero di Sicilia. di Sicilia. N. N. Enrico (d> ; >pe- Beatrice m. Guido conte d’Albone. Manfredo Lancia Marchese di Busca conte di Loreto. 1160 a 1215. [ Si mone n. 1093. Ì 1105. Gran conte di Si- cilia noi. 1 Ruggero II. n. 1095. + 1154. Gran conte 1105, poi re di Sicilia 1130. SlMONE potente signore nel regno di Sicilia r I i Bianca Lancia 1226 a 1241. Costanza n. 1154. + 1198. Erede del regno di Napoli e Si- cilia, dopo la morte del nipote, m. Enrico VI di Svevia imp. Cod. Mal. n. 21. Federico li. Imperatore f 1250. Cod. Mal. n. 2, 3, 10, 12 a 14, 16 a 20, 22, 23, 27 a 30, 109, 112, 297, 609, 610, 619, 969. Guglielmo I. il Malvagio re di Na- poli e Sicilia. -J- 1166. Guglielmo IL il Buono re di Napoli e Sicilia. *5* 1189. Senza prole. Ruggero dettò lo Schiavo f. naturale. 1161. Capo dei Lombardi ribelli al re Guglielmo I Manfredi Re di Napoli e Sicilia. -1- 4266. Corra dino 1268, Decollato a Napoli. I — Oddone Vescovo d’Acqui. JDOJN I FAC1U D INCISA Primogenito del marchese Bc nifacio e probabilmente nato da la vedova di suo fratello An^e mo da lui sposata. 1125. Per essersi unito ai ,i mici del padre, ed avec/o lab prigione, fu da esso d/seredat r Alberto 1. Marchese d’incisa. 1157. Si trova in Rimini presso l’ impe- ratore Federico I e nello stesso anno promulga un decreto inti- tolandosi Comes de Gravina. 1161. Acquista il luogo di Cerreto da Adalasia f. di Adarasto. 1173. Acquista un sedime in Cerreto. 1182. Ancor in vita. m. Domicella ? 1190. Dopo lite essa sottomette ad Asti Montaldo e Rocchetta. Cod. Malab. n. 459, 460, 463. Alberto II. Cod. Malab. n. 459, 461, 467. 1188. Rinuncia del marchese di Monferrato ai dritti cedu- tigli in Montaldo da Al- bertino. 1190. Sottomissione ad Asti. 1191. Sentenza 'dell’ imperatore Enrico VI. 1203. Non più in vita. Enrico Cod. Malab. n. 463, 468, 914. 1203. Divisione cogli zii. 1210. Conferma'divisione. 1227. Ancora in vita. Martina Cod. Malab. n. 459. 1190. Sottomissione ad Asti. Guglielmo I. Cod. Mal. n. 316, 459, 463, 468, 9C9. 1190. Sottomissione ad Asti. 1203. Divisione coi fratelli. 1210. Conferma divisione, m. Alasia. 1250. Podestà di Alba. Oddone detto il Guerriero. Cod. Malab. n. 534. 1292. Ancora in vita. I i Alberto III. Cod. Malab. n 533 a 535. 1292. Sottomissione di tutto il marchesato al co- mune d’Asti. 1305. Sottomissione al mar- . chese di Monferrato. -j Manfredo Cod. Malab. n. 533 a 535. 1292. Sottomissione ad Asti. 1305. Sottomissione al mar- chese di Monferrato. Giacomo Cod. Malab. n. 533 a 535. 1292. Sottomissione ad Asti. 1305. Sottomissione al mar- chese di Monferrato. , r 1 Giacomo Manfredo Guglielmo 1342. Permuta. Cod. Malab. n. 533. 1292. Sottomissione ad Asti, col padre. 1342. Permuta. i Guido Vescovo d’Acqui. 1344. Per la di lui be- nemerenza l’ impera- tore Carlo IV accorda privilegi ai marchesi d’ Incisa. ! -p | '“] -1 Giorgio Oddone Gioanni Francesco Giacomo 1344. Diploma Morì nel 1364. 1344. Diploma 1344. Diploma 1344. Diploma di Carlo IV. m. di Carlo IV. di Carlo IV. di Carlo IV. N. Scarampi. ’1 Raimondo Cod. Malab. n. 533 a 53 1292. Sottomiss, ad Ast] 1305. Id. al marchese < Monferrato ; ebbe di march, di Monferrato} feudo di Cardona dac prese il nome, passò Sicilia indi in Sardegi ove si fissò la sua fan glia (Angius.). 1322. Viv. Gioannardo 1344. Diploma di Carlo IV. m. 1. N.N. 2. Learda - - . o Lezarda. di a Conrino 1373. Fa atto di donazione in Incisa. 1390. Ancor in vita. Esso formò la linea primogenita dei marchesi d’incisa estintasi in Od- done e Badone suo figlio ambedue fatti strangola- re in Nizza dal marchese di Monferrato nel 1514. ■ 1 Ottone Vicario del Vescovo d’Acqui. i Giorgio 1398. Testamento. Da esso vengono i conti di Carne- rana e Gottasecca ancora esistenti. — — i Gioanni 1370. Vivente. Antonio Giuardino Eaimondino Giacomo Gugl 1415. Viv. 1415. Viv. 1415. Viv. LÌMI Sentenza arbitrale 1390, 24 novembre. ( Signori d’ Ilici il 1 Alberto Vescovo d’Acqui 1202. Corrado Vescovo di Savona 1250. [CO Allegato N. 7 — Quadro II. GENEALOGIA DEI MARCHESI D'INCISA. ! Enrico 1186. Assiste alla donazione di Mombercelli fatta dalla signora De Pi- scis al marchese di Monferrato. Raimondo ( . Malab. n. 459, 463, 468. ti9( ottomissione ad Asti. 120 «ivisione coi fratelli. 121( onferma divisione. Domicella Cod. Malab. n. 459, 460. 1190. Sottomissione ad Asti. Alberto 0 Malab. n. 473, 927. - Giurò fedeltà ** .ti. 1271. Senten- za comune d’Asti. ™ Tutore di Uber- te 1349. Vende una pa diMontaldo agli mpi. I Enrico Cod. Malab. n. 471, 473, 474. Marchese della Rocchetta. 1257. Giura fedeltà al comune d’ Asti. i — . Manfredo Cod. Mal. n. 338, 353, 401,402, 456, 459, 463, 468, 469, 471, 478. USO. Sottomissione ad Asti. 1203. Divisione coi fra- telli, con Pagano ebbe Rocchetta e Montaldo. 1210. Con Opizzo o Pa- gano suo fratello, presta fedeltà al comune d’Asti. I 1 Berta Cod. Malab. n. 459, 460. 1190. Sottomis- sione ad Asti. ! Giacomo Cod. Malab. n. 459, 462, 463, 468. 1190. Sottomis- sione ad Asti. Pagano Cod. Malab. n. 474, 674 a 677. 1291. Investito dal comune d’ Asti , di Rocchetta e Montai-, do. 1339. Vende una parte di Montaldo agli Scarampi. 1 Francesciiino 1339. Investe gli Scaram- pi di parte di Montaldo, acquistato dai suoi fra- telli e cugini. 1344. Diploma di Carlo IV. Giacomo Cod. Malab. n. 472. 1257. Giura fedeltà al comune d’Asti. m. Alasina ... ? 1281. Col figlio Ubertetto. Ubertetto 1281. Sotto la tutela della madre e di Albertino suo cugino. i s. p. Oppizzone o Pagano Cod. Malab. n. 459, 462, 463, 468 a 470, 914. 1190. Sottomissione ad Asti. 1196. Donazione al comune d’Asti. 1203. Divisione coi fratelli, ebbe parte di Mon- taldo e Rocchetta. 1210. Presta fedeltà ad Asti. 1227. Ancora in vita. Giacomo Marchese della Rocchetta. 1271. Non più in vita Tomaso Cod. Mal. n.454, 465. 1271. Non più in vita, è tu- tore dei suoi figli Enrico Alfieri suo cognato. Fi rico IH iploma < ) IV. ncelliere nel 1313. r Alberto Milite 1338. Viv. _L Enrico 1366. Non più in vita. — i O p Luigi Antonio Corrado 1355. Divisione col fratello. 1366. Divisione coi nipoti. r* _l H 1383. Transazio- ne tra di loro. Manfredo Melano Antonio 1366. Divisione, m. s. p. 1413. Investito di parte di Roc- chetta. La sua linea si estinse nel 1698. Bernardo 1344. Diploma di Carlo IV. 1355. Divisione col fratello. 1366. Non più in vita. i — “_i Francesco Bernardo 1366. Divisione di Rocchetta. i Gioannì Cod. Malab. n. 464, 465. 1271. Sentenza. 1339. Vende una parte di Montaldo agli Sca- rampi. 1366. Non più in vita. Opizzo 1271. Sentenza. 1339. Vende una parte di Montaldo agli Sca- rampi. Nicolosio Oddone Baudino 1366. Divisione di Rocchetta. Do Nicolosio ven- gono i marchesi della Rocchetta ancor esistenti. i 1 Gujetto Bonifacio 1380. Investiti di lor parte della Rocchetta. Questa linea- si estinse nel 1555. ÌCCI derivazione ) D’Incisa 'atte alla di Ponza. I Simone d’Inctsa Viv. in Sicilia dal 1309 al 1319. Gioannì ed Aloisio l’Incisa Feudatari in Sicilia al principio del secolo XIV. 36 * •Manuele 1330. (a) Cod. Maiali, n. 7, 53, 259, 670, 690 a 693, 699, 701, 702 , 893, 908 a 910, 918 a 920, 923, 960 , 996, 1000. (b) Cod. Maiali, n. 258, 259, 261, 656, 696 a 700, 704, 911, 912, 934, 1013. (o) Cod. Malab. n. 24c, 271, 591 a 593, 713, 904, 905, 926 , 928, 912, 944 a 916, 950, 951, 980, 981, 1018, 1023. I Bonifacio + 1212. prima del padre, m. 1202. Maria f. di Comita giu- dice di Torres in Sarde- gna, la cui dote fu assicu- rata sui beni ereditati da Bonifacio diCortemigiia. I Agnese Promessa ad Amedeo IV di Savoja. Manfredo Ilil* Marchese di Sai co. 1224, Pace con /ìi. f 1244. J m. Beatrice f. di Ame. Non più in vita ! — Berengario I. Marchese di Busca. Cod. Malab. n. 83, 103,532,670, 679, 680, 681, 695, 893. 1160. Col fratello Manfredo vende il luogo di Moretta. 1188. Fa sottomissione di Cossano agli Astesi. 1102. Sottomette al marchese di Monferrato 1 • « di Loreto ereditato dallo zio Boni- facio di Cortemiglia. 1210. Assiste aduna donazione dell’imperatore Ottone IV. 1211. Ancor in vita. m. Imilia ? Cod. Malab. n. 681, 695. Raimondo (®) Marchese di Busca. 1211. Col padre e coi fratelli, fa lega col marchese di Saluzzo. 1224. Si riconosce vassallo del marchese di Monferrato per Cossano, Roc- chetta ecc. 1229. Cede ad Asti suoi dritti su Loreto e Castagnole. 1215. Acquisto di fromento. 1247. 9 gennaio Viv. I Guglielmo II. Cod. Malab. n. 83,679,681,694 a 696, 911. 1202. Col padre giura citanatico ad Asti. 1217. Coi fratelli cede un terzo di Saluzzo ad Asti-. 1231. Col figlio Enrico e col nipote Belengerio conferma una donaz. al monast. d’Oulx. 1234. Non più in vita. m. Alda ? 1 Ottone 1. Et Marchese di Ls Cod. Malab. n.5! 55 685, 694 a 6' 91 1217. Cede col ftel terzo di SÙ2 Asti. 1227. Gli è res’iiH • comune vallermal 1231. Non più iipt n Matilde Manfredo I.Ms Cod. Malab. n. 466, 479, 502, 503, 505, 508, 509, 511, 528, 684, 944 a 946. 1248. Cede ai Ceva parte del fodro di Cossano. • 1273. In guerra co- gli Astesi. 1277. Ancor in vita. Giacomo m 1242. Fa mutuo su Cos- sano. 124S. Coi fratelli. 1271. Coi figli fa mu- tuo dai Guttuari d’Asti. 1273. In guerra cogli Astesi. 1277. Ancor in vita. J 1 Pietro : [ Berta Consignora d’Agliano. m. Enrico di Moncucco. 1213. Sottomette ad Asti sua parte d’Agliano. Cod. Malab. n. 312. 2. Belda Consignora d’Agliano. 1213. Sottomette ad Asti sua parte d’Agliano. m. Guglielmo di Moncucco. Cod. Malab. n. 310,754. Marchese di Busca, conte di Loreto. 1160. Col fratello vende il luogo di Moretta a Pasella di Saluzzo. 1197. Obbliga per mutuo i/o di Loreto ereditata dallo zio Bonifacio. 1196. Cede Loreto e Castagnole al marchese di Monferrato. 1206. Rinuncia Loreto e Castagnole agli Astesi. 1211. Fa nuova sommessione dei suoi feudi al marchese di Monferrato. 1212-1214. Convenzioni col Vescovo d’ Asti per Boves e Bene. 1204. Lega dei marchesi del Vasto contro Asti e Cuneo. : N. N. forse elei Maletta - Bonifacio Conti del Minio e di Trivento, come dicono Giannone e De Ce- sare. Galvano Lancia suo figliuolo fatto da Manfredo conte di Bu- fera, fu reintegrato del patrimo- nio di s. Filippo d’Argiro che gli spettava per dritto materno , e che gli era stato revocato da Cor- rado (Jamsilla), pare dunque che anche la madre di Bianca sia andata a Napoli. Signore d’Agliano. 1251. 11 Jamsilla dice che Cor- rado, morto il padre, fece partire dal regno tutti i parenti materni di Manfredi, tra quali Bonifaeius de Aliano prineipis avurieulus ; pare quindi che egli colla moglie siasi recato in Napoli presso Federico II. Galvano Vicario dell’ Imperatore in Toscana. 1242. Podestà di Padova: crea- to dal re Manfredi con- te di Fondi, principe di Bufera, gran marescial- lo del regno. 1253. 1268. Fatto decapitare da Car- lo d’Angiò dopo la bat- taglia di Tagliacozzo , ove combatteva. 1255. 1. Girolarna Fieschi. 1256. 2. Margherita ... ? Cod. Malab. n. 100. Manfredo II. Conte di Loreto, march, di Busca. 1217. Anche a nome dei fratelli cede Neive e Barbaresco ad Alba. 1238 a 1250. Capitano dell’impero, e vi- cario imperiale nell’Italia supe- riore, podestà d’ Alessandria. Podestà di Milano, dichiarato ribelle dal re Corrado, un suo feudo è dato a Bonifazio mar- chese di Monferrato. e di Annone. Federico Conte di Squillac'e. Vice re in Calabria ed in Sicilia per Manfredi. 1267. Si recò in Germania a cercarvi Corradino. 1268. Comandava la flótta pisana. 1270. Combatteva col redi Tunisi contro i Cro- ciati comandati da s. Luigi. 1 Bianca 1226. Conobbe l’im- perat. Federico II, dal quale fu spo- sata dopo il 1241. Fu detta dai cro- nisti di Agliano per via della ma- dre che in seconde nozze sposò Boni- facio dei signori d’Aaliano. Giordano detto Lancia. 1217. Andò in Napoli presso Federico II, e fu fatto conte di Montalbano, di Giovanasso e di s. Severino. Fu vicario di Man- fredi in Toscana, e vinse la bat- taglia di Montaperti. Dopo la battaglia di Bene- vento fu condotto in Provenza e mori di aspra morte. Astesi. iac 1 l 'RICE I n. do conte glio natu- ederico II rire dopo lia di Ta- ). I I Adenolfo f. del Conte di Acerra. p. 'd . F v du ! ' | NO arto a al ia di Galeotto I. Costanza Combattè a Ta- m. gliacozzo e fu fatto decapitare in pre- senza del padre da Carlo D’Angiò. m. Cubitosa d’Aquino f. di Tommaso conte di Acerra, che coi figli si ricoverò in Sicilia. Corrado 1277. Ammir. di Pietro d’Aragona. 1283. Uno dei 100 cavalieri che do- vevano combattere a Bordò contro i Francesi. 1296. Gran Cancelliere e mastro di giustizia in Sicilia. 1302. Barone di Longi, barone di Ficarra e signore di Calta- nisetta. m. N di Loria erede ai Ficarra. ì Bartolomeo f 1268 combattendo contro gli Angioini. [ — _ I. SOL DA m. Bertoldo mar- chese di Ho- kemburgo. Manfredo III. Fu a.1 seguito del re Man- fredi, per cui combattè in terra di Otranto. 1266. Pre- so da Carlo d’Angiò prima della battaglia di Bene- vento, dopo Tagliacozzo si ricovrò in Sicilia. 1296. Ambasciatore per il re Federico d’Aragona a Bo- nifacio Vili. i Costanza m. Gioanni Isacco Ducas Vattace imperatore di Nicea. 1 Manfredi n. 1231. Princ. di Taranto. 1258. Re di Napoli e Sicilia. + 1266 a Benevento. Bonifacio Conte di Montal- bano , consignore d’Agliano e di Ca- stelnuovo Calcea. Cubitosa Erede di 1/2 di Agliano. m. Gioanni di Saluzzo detto il Grande, signore di Do- gliani figlio del marchese Tomaso I. r Rìlmo Pietro Ugone {*'105. Conte 1322. Barone ■ neasi di di Longi 2' dopo Caltanisetta, e Castania. jpi, razio- Cesare Conte di Caltanisetta, m. Gioanna d’Aracona. Eleonora 1396. Contessa di Caltanisetta. + s. p. Galeotto IL Barone di Ficarra Galati e Brolo. I t — Giacoma m. Manfredo Orioles. Perucchio I. Barone di Brolo. 37 Galeotto III. Barone di Brolo. Morto av. 1391. Da esso discendono in Sicilia i Lancia duchi di Brolo e forse anche i principi di Trabia. I Guglielmo II. Marchese di Ceva. Cod. Mal. n. 194,256,261,559 a 561, 672, 715, 929. 1190. Donaz. ad Asti di quanto ereditò dal marchese Boni- facio di Cortemiglia. 1191. Podestà d’Asti. 1204. Concede immunità al mo- nastero di Casanova. 1204. Lega dei marchesi del Vasto contro Asti e Cuneo. ■ ! Giorgio I. 1222. Permuta coi fratelli il luogo di Mombasilio col Vescovo d’Asti. 1241. Divisione coi fratelli. 1245. Sentenza di Manfre- do Lancia. 1256. Transaz. con Alba. 1266. Viv. Bonifacio 1222-1245. Manuele Cod. Malab. n. 261. 1228. Nel consorzio dei marchesi del Vasto. 1222 a 1245. 1256. Trans, con Alba. 1261. Testamento, chia- ma erede Nano. Leone 1222 a 1241. Coi fratelli. 1256. Già morto. Cod. Mal. n. 258, 930. Benedetto 1222 a 1241. Coi fratelli. Raimondo 1222 a 1234. Coi fratelli. 1241. Non più in vita. Guglielmo III. Cod. Malab. n. 261, 528, 1222. Permuta di Mora silio. 1228. Nel consorzio marchesi del Va: 1248. Acquista parte fodro di Cossano. 1256. Trans, con Alba m. Sofia dei Carretto. I 1 Aloisia Giorgio II. Nano m. Cod. Malab. n. 592, 593, Tomaso 673 a 678, 928. marchese 1273. Invest. di 1 / ^ di Mon- di Saluzzo. tezemolo In lite coi suoi parenti nel 1295 sottomet- te tutti i suoi possessi ad Asti. I r~ Manuele Giacomo 1260. Capuccio. 1256. Transa- zione con Alba, 1270. Guglielmo IV. Cod. Mal. n. 928, 929. 1256. Transazione con Alba. 1299. Sottomette sua parte di Ceva a Nano. Tomaso 1288. GioegkT 111. Cod. Malab. n. 674 a 678. 1296. Approva la sottomissione fat- ta ad Asti, m. . Menzia Del Carretto. Guglielmo Cod. Malab. n. 674 a 678. 1296. Approva la sottomissione ad Asti. 1326. 20 Maggio 1328. 22 Aprile Balduino 1256. Transazione con Alba. 1270. Vivente. Consignore di Ceva e di Battifollo. Manfredo Cod. Mal .n. 500, 528, 848. 1280. Creditore del comune d’Asti. 1286. Col fratello. i Sofia m. Roberto di Laveno. I Paoluccio 1286. Convenzio- ne. 1305. Acquista Cavallerleo- ne dal mar- chese di Sa- luzzo. 1318. Ancor in vita. Bow Giuseppe Aimerico 1299. N.N. m. Guglielmo Del Carretto, di Ponti. Bonifacio 1323, 1324, 1342, Viv. Stipite dei signori di s. Michele e Bat- tifollo, estinti ver- so il 1650. r~ Oddone 1324-42. Stipite dei signori di Mombasilio, estinti nel 1350; di s. Michele, Ca- stellino e Niella, estinti nel 1697; di I gli ano, estinti nel 1560. ! Guglielmo Stipite dei signori di Lesegno, estinti nel 1634. "1 1299. Approva la cessione di Ceva al mar- chese Nano. F~ Manuele 1299. Leone 1292. Testimo- ne alla conven- zione tra Ge- nova ed il mar- chese Antonio Del Carretto. i Enrico 1292. Oddone 1292. Guglielmo 1324. Vivente. Stipite dei signori della Chiusa, Priero, Sale e Castelnuovo estinti nel 1550. 1328 a 1347. + S. p. Aimerico 1349, fu Antonio. I Manfredo, Agnesina Menzia Matteo m. r, 1 Guglielmo Aimone o Gabriel vaiperga. di morti s. p. Savoja-Acaja. Giorgino Francesco Corrado Antonio tì Francesco * Stipite dei signori di Bagnasco e Nuceto, ancora esi- stenti 1877; dei Nuceto e Battifollo, estinti nel 1875. Giorgino + s. p. I 1 l r~" ” 1 Giacomo Enrione Giacomo Gugliel) t s. p. ? 1356. Vendono Cavallermaggioi al Principe d’Acaja. Non ebbero discendenza. Allegato N. 7. — Quadro V, GENEALOGIA DEI MARCHESI DI CEVA. Anselmo Quintogenito del marchese Bonifacio. 1125. Nominato nel testamento del pacre. 1135. Coi fratelli fa donazione a Staffarda. 1140. Lega col comune di Genova. 1142. Conferma donazione al mo- nastero di Civitacula. , 1 — ; Guglielmo I. Carchese di Ceva. Co Mal. n. 33, 47, 253, 625. 1170. ìvenzione con Bonifacio ì > fratello ed il comune Jbenga. Coerede di Bo- ario di Cortemiglia. A 3LMO MOLLIS '.od. vlab. n. 33, 47, 625. .. Ve ai Nielli i /» parte di Lor ereditata da Bonifa- cio lortemiglia ed a lui la- sci: da Bonifacio suo zio e d Guglielmo suo padre. Puc ,à di Mondovì. Bonifacio Tagliaferro Marchese di Albenga. 1196. Coi figli. Convenzione col comune d’Albenga. ~] Oddone Marchese di Clavesana. 1225. Alleato degli Astesi. 1226. Divisione col fratello Boni- facio. 1228. Viv. m. Mabilia ... ? i i Bonifacio I. Marchese di Clavesana. Cod. Malab.n. 33,194, 929. 1170. Convenzione col co- mune d’Albenga. Coerede di Bonifacio di Cortemiglia. 1197. Non più in vita. Bonifacio II. 1174. Promette pri- vilegi ad Al- benga. 1204. Lega dei mar- chesi del Va- sto , contro Asti e Cuneo. Cod. Mal. n. 923. Oddone 1221 1245. Coi fratelli. 1261 ià morto. C ignore di Nuceto, & jotremo e Perlo. _L Michele 1222 a 1245. Coi fra- elli. Pagano 1222 a 1245. Coi fra- telli. 1261. Vende parte di Busano , e parte di Sca- gnello. r~ i - 1 Bonifacio Ottone Bonifacio IH. Manuele 1196. Col padre. 1196. Col padre. Sig. di Clavesana. 1233-1256. 1233. Non più in 1233. Non più in Cod. Mal. n. 945,946. Transazione vita. vita. 1233. Convenzione con Genova + s. p. ■}• s. p. con Genova. e con Alba. 1269. Assiste al 1293. Viv. trattato di pace Cod.Mal.n.92S tra Asti e Torino. ! 1 Pietro Francesco 1233. 1256. Transa- zione con Alba. 1233. Tratt. con Genova, m. Giacobina Spinola. T S. p. Berta m. Bonifacio marchese di Monferrato fini ELMO isione to afelio. ® eluso pace V sti lovì. 1 1 Oberto Francesco Oddone Gioanni 1265-1266. 1299-1341. 1299. Pace col Investito Vende march. Nano, di sua parte al quale coi Cavallerleonè diScagnello. fratelli sotto- e mette i suoi Polonghera. feudi. 1299. Petrina, Felicia, e ■Valeriana 1 1 1 Enrico Leone Guglielmo 1299. 1299. 1299-1340. Vende Battifollo a Michelone suo nipote. ir w ro Lancia ( >adre esclusi pace tra Asti j-1 dovi. Non eb- liscendenza. Antonio Michelone 1341. Col padre 1340. Acquista vende Battifollo. Scagnello. _J__ H Battista 2 j Oddone 1311. Investito dall’ imperatore Enrico VII. 1 Francesco 1311. Investito col fratello. Gioanni Marchetto Federico Violante 1341. Vende 1341. Vende Scagnello. Scagnello. il Bestiale. 1324. Erede della sorella, aveva allora 25 anni. f 1324. Nubile. Argentina Catterina 1323. Vivente. 1323. Nubile, m. Giacomo di Saluzzo signore di Dogliani. Oberto 2 Gioanni 1356. Investito I 1 -] 1 Oddone Bonifacio Manuele Francesco 1357. Investitura di Clavesana, che poi cedettero a Genova ed ai marchesi di Finale. i 1 ~i Carlo Antonio Cristoforo Non ebbero discendenza. (a) Vi ha qualche sospetto che nel doc. n. 930, ove si parla di Manfredo figlio q. d. Odotiis m. de Cardo vi abbia errore nel Codice, e debba leggersi Ugonis; in tal caso dovrebbe sopprimersi nel quadro il Manfredo figlio di Ottone I, ed il giuramento di fedeltà ad Asti del 1242 sarebbe da attribuirsi a Manfredo figlio di Ugo I. Ugo detto Magno Marchese del Vasto detto marchese di Clavesana. Quartogenito del marchese Bonifacio. Cod. Malab. n. 57. 1125. Nominato nel testamento del padre. 1135. Franchigie a Savona. Donazione a Staffarda. 1151 a 1167. Presso P imp. Federico I. i s. p. Enrico I. Guercio Marchese del Vasto. Sestoeenito del marchese Bonifacio. Cod. Malab. n. 57, 254, 608, 636, 6%, 929. 1125. Nominato nel testamento del padre. 1135. Donazione a Staffarda. 1140. Lega con Genova. 1148. Marchese di Savona. Giura abitacolo Genova. 1155. Convenzione con Genova. 1162. Presso l’imperatore Federico I. 1175. Cancelliere imp. alla pace dL'Costanz:, 1183. Presente ai preliminari di pace in Piacer r Ottone I. O) Marchese di Savona e del Carretto. Cod. Malab. n. 7, 53, 248 a 252, 255, 261, 310, 312 a 315, 337, 419, 42ibis, 602, 603, 625 a 627, 696, 871 ,915,929 a 931,982. 1209. Con Ugo suo figlio cede i/j r, di Loreto e tutto Cortemi- glia, ad Asti. 1213. Podestà d’Asti. 1228. Nel consorzio dei marchesi del Vasto. 1233. Con Ottone suo nipote ac- corda privilegi agli uomini del Cairo. Ambrogio Vescovo di Savona. + 1192. Ugo" I. M Cod. Malab. n. 248 a 250, 252, 261, 349, 352, 358, 360 a 364, 368, 371, 374, 375, 379, 381, 382, 386 a 388, 391, 392, 395, 400, 405,416, 539, 871, 872, 931, 982. 1209. Col padre cede i/lfi di Loreto e Cortemi- glia, ad Asti. 1212. "Podestà d’Asti. 1213. Podestà di Genova. 1225. Podestà di Asti. Manfredo m Cod. Malab. n. 930. 1242. Giura fedeltà ad Asti. Enrico III. 1228. Dona a Bonifacio suo Camerario il feudo di Gorino. 1240. Vicario di Mondovì, signore di Roccaverano. m. Beatrice di Monferrato. r Manfredo M Cod. Malab. n.928, 944 a 946, 949, 950, 981. 1269. Ammesso nella lega tra Asti e Carlo d’Àn- giò. 1270. Designato dall’ira di Carlo d’ Angiò, per avere accolto Corra - (lino di Svezia ed aiu- tatolo. i Basterio g. di Benevello 1310. 1 Opizzone 1273. Pretore in Milano. ! Alberto March, di Savona, del Carrettoni De- go e di Spigno. Cod. Mal. n. 927, 928. 1284. Investito dal comune di Ge- nova. 1300. Vivente, m. Tiburgia Fieschi. Ugo II. March, di Cairo e di Cortemiglia. Cod. Mal. n.927, 928. Viv. 1315. -j- s. p. r — ‘ ISOLDA m. Domenico Spinola. Eliana m. Giacomo Del Carretto. ì Francesco Marchese di Dego e di Spigno. Testò 1313, egli successe nei feudi di Spigno e Dego Giacomo Del Carretto suo cognato. m. Violentina Doria che in seconde nozze sposò Ste- fano Visconti. Tiburgina m. Alessandro Asinari. Stipite dei signori di Co- stigliele a cui portò in do- te Montechiari, Mal vici- no, Mombaldone e Car- tosio. r 1 Ottone II. Signore di Mombaldone. Cod. Malab. n. 261,418. 1228. Podestà del Consor- zio dei marchesi del Vasto. 1233. Coll’avo accorda pri- vilegi agli uomini di Càiro. 1234. Vicario dell’impera- tore Federico II. Guglielmo Cod. Mal. n. 949. 1269. Ligio a Car- lo d’ Angiò. Bonifacio Cod. Malab. n. 949. 1269. Ligio a Carlo d’ Angiò. Signoreàli Ponti. Testò 1285. m. Caracossa di Lavagna. Ottone III. Cod. Malab. n. 674 a 677, 927,928. 1284. Investito dal co- mune di Genova. Signore di Cairo e di Cortemiglia. 1295. Procuratore di Nano di Ceva, nella sua sottomissione ad Asti, m. 1. Agnese Fieschi. 2. Isabella Marucella. Manfredo 1307. Emancipato dal padre. Signore di Cairo. m. Alasia di Savoja f. del principe Filippo d’Acaja. 1323. Manfredino 1326. 1 — • Tomaso Signore di Castino e Torre. Viv. 1313. I 1 r— = i Francesco Guglielmo Ottobono f. naturale, Signore di Ponti. Vescovo d’Acqui Signore Viv. 1313. e poi nel 1304 di Brovida, m. di Ferrara, ebbe discen- N. N. di Ceva. 1 PESCI VALLE Viv. 1338. Vicario generale d’Acqui. denza. i Enrico 1328. Rodando 1328. 1 Giorgio 1328. Bonifacio Signore di Ponti. Viv. 1338. Da esso vennero i signori di Ponti estinti sul finire dello scorso se- colo. , Luchino Sig. di Cessole e di Loazzolo. + s. p. Allegato N. 7. — Quadro VI. GENEALOGIA DEI MARCHESI DEL CARRETTO Bonifacio i archese di Cortemiglia. Setti) >genito del march. Bonifacio, od. I] ab. n. 32, 33, 46, 47, 59, 63, 254, 256, 559 a 561. :.N inato nel testamento del padre. . 5 .omette ad Asti la metà di Lo- 1 :to ereditato da suo fratello : ddone. BO. più in vita. i" s. P* ; 1 Ottone Boverio Marchese, conte di Loreto. Ottavogenito del march. Bonifacio. Cod^Malab. n. 32, 54, 57, 59, 63. 1125. Nominato nel testamento del padre. 1135. Donazione a Staffarda. 1140. Lega con Genova. 1155. Convenzione con Genova. 1143-1149. Sottomette il contado di Lo- reto ad Asti. •h s. p. Bonifacio il. Vescovo di Savona ; indi d’Asti 1215. — , Isabella m. Enrico dei marchesi di Ponzone. Enrico IL Marchese di Savona e del Carretto. Cod. Malab. n. 250, 254, 26! , 419,602, 603, 659, 660, 696, 701, 929, 931. 1191. Fa lega col comune d’Asti. 1192. Vende i/o di Segno ai con- soli di Noli. 1204. Con Ottone suo fratello e coi marchesi di Ceva esercita giurisdizione in Cortemiglia. 1226. Investito dall’ imp. Federi- co II della marca di Savona, m. Agata dei, conti del Genevese. Sofia m. Guglielmo III di Ceva ! Coke a no Cod. Malab. n. 260, 262, 678, 928. 1269. Investito di Saliceto dal comune d’Asti. 1276. Capo del Terziere di Millesimo. Giacomo Marchese di Savona e del Carretto. Cod. Malab. n. 257, 905, 928, 944 a.946, 949, 950, 981. 1251. Investito di Lequio dal comune d’Asti. 1269. Non più in vita; am- messi i figli nella tre- gua tra Asti e Carlo d’Angiò. 1270. Designati i figli dal- l’ira di Carlo d'Angiò. m. N. N. creduta figlia nat. di Federico II. N1 N. Sposa di Gratapaglia. Cod. Mal. n. 261, 656, 659, 931. 1226. Abilitata alla suc- cessione del padre. Aureli a m. Francesco Grimaldi Signore di Monaco n Enrico Cod. Malab. n. 260, 928,980. 1276. Capo del Terziere di Novello, m. Eleonora f. di Tommaso marchese di Saluzzo. Luisina . ? i RANCESC0 | Con signore i i Millesimo. 4ore di Cengio, I iceto, Dego, ecc. ì ■ Avente 1316. Giorgio Enrico I- S. p. + S. p. Giacomo Viv. 1328. Signore di Novello, Gor- zegno, Pruneto, Bossola- sco e Spigno. 1315. Successe a France- sco Del Carretto si- gnore di Spigno. m. Eliana Del Carretto. I ! Manfreho Viv. 1314. ■J* avanti 1322. 1 Antonio Cod. Malab. n. 928. 1292. Convenzione con Ge- nova. Capo del Terziere di Finale. r Enrico Viv. 1341. Da esso vengono i mar- chesi di Mombaldone, che pure si dicono di Spigno. L’ultimo di questa linea vive (1877) ottuagenario in Mombaldone se'nza prole maschia. Giorgio Viv. 1341. Da esso discen- dono gli attuali marchesi di Ba- lestrino. 1 Antonio Viv. 1341 La di lui di- scendenza si trapiantò in Sicilia. | CORKADO — i i i 1 i i * 1010 Tomaso Antonio Alberto Enrico Manfredo i re Signore Ucciso Viv. 1355. Viv. 1355. Viv. 1355. Signore di Rocchetta, ; ùmo. tito da mpern- sso di- li signori i 'O.mar- Woncri- di Saliceto, Cengio e Camerana. Da esso vennero i sigg. di Camerana estinti verso il 1460. dai fratelli. Da cui venne- ro i signori di Novello , Gor- zegno e Mon- forte. T s. p. rn. Eleonora Bucanegra. Formò la linea dei sigg. di Bosso- lasco, estinti nel 1450 circa. Meirana e Spigno. Viv. 1350. Da esso vennero i secondi marchesi di Spigno, si- gnori di Pruneto, estinti nel 1508 con Catterina mo- glie di Marco Asinari che ereditò Spigno. — 294 — Allegato N.° 8. LUOGHI SOGGETTI AD ASTI CITATI NEL REPERTORIO DEL CODICE MALABAILA Sulla destra del Tanaro. I. De Laureto et comitatu Laureti et pertinenciis — Loreto stava sul colle, che è tra Costigliele d’Asti ed il torrente Tinella, dove oggidì ancora sussiste la borgata che ne conserva il nome, la quale è composta da una ventina di case rurali, distribuite attorno ad una chiesetta dedicata alla Beata Vergine Lauretana. Vivissima si mantiene tra i terrazzani la tradizione sulle vicende di questo luogo, sempre però confusa con racconti esagerati ed oscuri; sovra estesa superficie si scoprirono avanzi di antiche costruzioni, e tuttora alcune volte se ne scoprono smovendo il terreno. Se fosse possibile prestar fede alle fole da taluni divulgate sulla origine della città d’Asti, essa, Loreto ed Incisa, da lor detto Tre Lanze, sarebbero stati dei primi luoghi a venir abitati dai figli di Noè dopo il diluvio (1). Le prime sicure memorie che si hanno di Loreto non sono anteriori al xi secolo. Tuttavia si può ritenere che insieme alle altre terre sulla destra del Tanaro prossime ad Asti, Loreto abbia fatto parte del dominio del marchese Aleramo, poiché nella donazione dell’imperatore Ottone i del 967 oltre tutti i luoghi deserti posti fra il Tanaro e l’Orba, colle corti particolarmente nominate, tra le quali Cortemiglia, venne anche compresa quella di Ballangio, che è il Bellangero, castello ancora esistente, e posto fra Asti e Costigliele non lungi da Loreto (2). Infatti dal documento n. 52 del Codice Malabaila risulta che nel 1065 Loreto e Castagnole appartenevano ai figli di Ottone o Tettone pronipote di Aleramo. Il Muletti, sulla fede di un dubbioso documento, afferma che fin dal 1027, Tettone risedeva in questo luogo (3). Quivi pure avevano possessioni gli Allinei signori di Sarmatorio, e nel 1095 Alberto di Sar- matorio ed Elgarda sua consorte donarono alla chiesa di santa Maria d’Asti una massaria in' Loreto, che in questi ultimi anni ancor formava la dote di un beneficio canonicale (4). Verso il finire del xi secolo Loreto era posseduto dal marchese Bonifacio del Vasto, figlio del marchese Ottone o Tettone sovradetto e stipite dei marchesi del Piemonte, detti di Saluzzo, di Busca, di Savona o del Carretto, di Ceva, di Clavesana, di Cortemiglia, di Loreto, di Incisa. H mar- chese Bonifacio stendeva il suo dominio dalla sponda del mar ligustico sin quasi alle porte d’Asti. Dimorava abitualmente nel castello di Loreto, di dove si veggono datati molti atti da lui emanati e dove nel 1125 fece il suo testamento solenne, per cui devési ritenere che per essere la residenza di sì potente signore fosse luogo ben munito e di certa importanza (5). Morto il marchese Bonifacio, nella divisione fattasi tra suoi figli, Loreto venne in sorte ad Ottone detto il Boverio suo ultimogenito, ed era capoluogo di contado rurale o pagensis, con esteso territorio nel quale si comprendevano diverse castella e ville. .11 contado di Loreto come lo possedeva Ottone Boverio figlio del marchese Bonifacio del Vasto, doveva comprendere la più gran parte delle ville situate tra il Tanaro ed il Belbo, da Neive a Rocca d’Arazzo. Se si potesse prestar fede all’atto di divisione dei sette (non tenuto conto del diseredato Bonifacio d’incisa) fratelli del Vasto, del 1142, avrebbero composto il contado di Loreto le seguenti ville: (1) Molina. Notizie storiche profane d’Asti. i, pag. 19. — Molinari. Storia d’incisa, i, pag. 36. (2) Benvenuto S. Gioe- oio. Cronaca del Monferrato, ed. Vernazza, pag. 12. (3) Muletti, i, pag. 371. — S. Quintino, ii, pag. 253. (4) Adriani. Dei signori di Sarmatorio, Manzano e Montefalcone, pag. 303. (5) S. Quintino, i, pag. 99. — Muletti, i, pag. 429. 295 — Loreto, Neviglie, Barbaresco, Farinere, Matarello, Petino,. la Chiesa di s. May olio, san Stefano di Messedio, Bionzo, Cavorro, Sasso, Ponte, Sparoere, Cavairono, Paruzzono, Agliano, Castelnuovo, Mongardino, il Castello degli Arduini (?), Belangero, Azzano, Bocca d’ Arazzo, Utrolio (?), Castiglione Tinella, Canelli, oltre a diverse altre ville, il cui nome la carta che diceasi guasta in diversi tratti più non avrebbe lasciato conoscere. Confinava questo contado col Tanaro, col Belbo, col marchesato di Cortemiglia, col comune d’Asti e coi signori di Incisa (x). Già fu accennato nel § 22 alle lotte fra Asti, il marchese di Monferrato ed il marchese Man- fredo Lancia, che si terminarono nel 1206 colla loro rinuncia al contado di Loreto. Intanto gli astesi e gli alessandrini padroni del paese loro rinunciato, se ne disputavano a vicenda il possesso, e face- vano riconoscere il loro potere dai minori vassalli, e dagli abitanti delle terre conquistate, rinno- vando ad alcuni le precedenti investiture, affrancando mediante compenso in danaro quanto vi pos- sedevano altri, ed ascrivendone gli abitanti alla loro cittadinanza (1 2). Da questo nacque fiera lite fra le due città ; a comporre la quale si interposero Milano ed altre città italiane, che tentavano di ricostituire l’antica lega lombarda per opporsi all’imperatore Fede- rico ii. Nel 1227 Milano propose alle due. parti una transazione da essa formulata, che non venne accolta, onde ricominciò più accanita la guerra, che fu causa della rovina di molti luoghi di questa regione (3). Nel 1280 i milanesi guidati dal famoso condottiero Uberto da Ozzino, invasero questa regione, smantellarono al marchese di Monferrato il castello di Mombaruzzo, compirono la distruzione delle ville di Lanerio, Lintignano, Garbazzola, e san Giovanni delle Conche, già rovinate dagli ales- sandrini ed entrati nel contado di Loreto devastarono tutta la campagna sino a Neante presso Asti, ed attraversato il Tanaro si spinsero sino a Vaniglie a pochi passi dalla città (4). Ciò non pertanto gli astesi finirono per avere essi soli il dominio su questi luoghi che più non dismisero, e nel Codice Malabaila, si contengono gli atti di sottomissione che i vassalli e gli abitanti prestarono poco appresso. Fu ricordata nel § 22 la fortuna di Manfredo n presso Federico n, e come egli si imposses- sasse allora nuovamente delle terre del contado di Loreto. Ma scaduta la sua fortuna per la morte di Federico ir, gli astigiani ricuperarono ben presto ciò che avevano perduto. Essi assalirono sul finire del 1255 il luogo di Loreto e lo distrussero interamente trasportandone gli abitanti nella vicina villa di Costigliole, quindi marciarono contro Annone ove il Marchese erasi rifuggiate, e pure lo distrussero (5). Morto Manfredo alla battaglia di Moriondo nel 1256, Asti rimase incontrastata padrona del di lui dominio, e tutte le terre in esso comprese, poste fra il Tanaro ed il Belbo, riunì stabilmente al suo distretto. In tal guisa ebbe fine la serie dei conti di Loreto, e di questo luogo si perdettero fino le me- morie, che solo dalla tradizione furono vagamente tramandate fino a questi giorni. Ibis. Di Loreto presso Canale. Dai documenti n. 66, 576, 578, 579, 580, 581 del Codice Malabaila si conosce che esisteva un altro luogo pure chiamato Loreto, situato a sinistra del Tanaro presso Canale. Questo luogo prima d’ora non avvertito, anzi confuso col precedente, da un documento del 1261 trovato nell’ Archivio di stato in Torino dal cav. Vayra risulta essere stato un borgo o cantone della villa di Canale (6). A questo Loreto si riferiscono probabilmente le donazioni fatte da papi ed imperatori nel 1014, 1026, (1) Grassi. Storia della Chiesa di Mondovì. ir, pag. 5. — Muletti, ii, pag. 20. — Moriondo. ii, col. 317. — S. Quintino, i, pag. 72 in nota e ii, pag. 100 e pag. 253. (2) Schiavina. Annales Alexandrini Mon. H. Pat. Script, iv, col. 117-118, 120-164. (3) Grassi. Storia d'Asti. i, pag. 144. (4) Grassi ut snp. pag. 151. — Alfieri. Clivonieon. — Ventura, cap. xiv. (5) Ventura, cap. xvi. — Astesano. Lib. ni, cap. in nel Rerum Ital. Scrip. del Muratori al Voi. xiv, col. 1043. (6) 1261 18 Mai. Domi- nus Raynerius de burgo potestas astensis voluntate conscilio et consensu utriusque credendo et Rectorum Societatum etc., et ipsi credendarii et rectores nomine et vice comnnis Astensis vendiderunt etc. Pagano Curolio prò torcia parte suo nomine et nomine fratrum suorum Guillelmi et pancie de Solario et nomine nepotum suorum filiorum quondam Rollandi de Solario prò alia tercia parte et Guillelmo Aliono prò alia tercia parte molezium et jus habendi mole/.ium secundum quod capitur hominum Canalium qui nunc ibi habitant in posse et territorio locoruin unde dieta Villa constructa est scilicet de Laureto, de Anterisio, do Canalibus, de Castelleto etc. prò predo librarum quinquaginta astensium. 296 — 1048, 1210 al monastero di Breme 0) e l’atto con cui la contessa Adelaide di Susa donava nel 1065 alla chiesa d’Asti le proprietà da lei poco prima acquistate in esso Loreto, in Canale, in Pralormo, in Cellarengo, Cereaglio ? ( Geredallum nel documento), nella valle di Govone, alla Vezza ec. (1 2). Successivamente ebbe particolari signori, fra cui Alrico de Nono, il quale nel 1213 fece fedeltà di un quarto di questo luogo al Vescovo d’Asti (3). Giacomo e Guglielmaccio di Loreto che furono investiti di esso Loreto nel 1287 (4) e che sono mentovati nel § 21 e nei sovraddetti documenti del Codice Malabaila con altri di Loreto e di Saluzzo allorquando nel 1242 cedettero le loro ragioni sovra codesta terra al comune di Asti. E così si spiegherebbe come nel 1279 Asti abbia dovuto im- petrare l’assoluzione delle censure inflittegli dal vescovo Guidetto per ritenere senza il suo consenso questo luogo, e diversi altri, fra i quali Marcellengo, Gorzegno, Anterisio, Priocca, che il Vescovo pretendeva suoi (5). Il Loreto presso Canale non doveva essere di grande considerazione, ed i copisti del Codice Malabaila già l’avrebbero confuso col capoluogo del contado a destra del Tanaro, ponendo sotto il relativo capitolo il doc. n. 66, e sotto il capo de Astiselo gli altri documenti sovracitati. II. De Castagnoli — Castagnole delle Lanze, comune nel mandamento di Costigliele d’Asti. Abitanti 3150. Questo luogo fu chiamato delle Lanze per Manfredo i marchese di Busca e conte di Loreto, detto il marchese Lancia, che in esso faceva dimora, e dove nel 1198 venne fatto prigioniero dagli astesi e dagli alessandrini. I Morozzo ed i Nielli possedettero una parte di questo luogo che acquistarono dai marchesi di Ceva, e che poscia nel 1202 vendettero agli astesi (6). Nel 1206, come fu detto nel § 20, il marchese Lancia pur dovette rinunziare ad ogni suo diritto su questo luogo. III. De Casteglolis — Costigliole d’Asti. capoluogo di mandamento, del circondario d’Asti. Abitanti 6150. Quantunque, malamente interpretando il cronista Guglielmo Ventura, P Astesano ed altri dicano questo luogo edificato solamente dopo la distruzione di Loreto, già nel 1041, l’impera- tore Arrigo m lo comprendeva fra le terre da esso donate, o confermate al Vescovo d’Asti (7). Prossimo a Loreto, era compreso nel suo contado, ma tolto dagli astesani ai marchesi del Vasto, nel 1198 gli abitanti vennero ascritti alla cittadinanza astese. Distrutto Loreto nel 1255, Costigliole ne raccolse gli abitanti, così si accrebbe considerevol- mente di popolo, ed a Loreto successe in preminenza sulle vicine ville. Nelle guerre civili fu preso e ripreso diverse volte dalle fazioni dei Solari e dei Castelli, sino a che questi ultimi, che nel 1341 dominavano in Asti, lo vendettero agli Asinari, dei quali Giorgio ne era allora podestà, come lo era stato Sandrone di lui padre nel 1315 (8). Nel 1382, Antonio Asinari, resosi solo padrone di Costigliole spogliandone gli Asinari di Came- rano suoi consorti, si sciolse dalla dipendenza del comune d’Asti e fece omaggio de’ suoi feudi al conte Amedeo vi di Savoja, riconoscendolo per sovrano (9). D’allora in poi Costigliole fu sempre retto dalle leggi sabaude, quando ancora per secoli Asti, perduta la sua libertà, era soggetta ai Vi- sconti, ai Monferratesi ed agli Orleans. Pure riunito da Carlo v il distretto astese alla corona di Savoja, Costigliole venne sempre governato separatamente da Asti fino a tutto il secolo xvii. Nell’attuale territorio di Costigliole erano situati diversi castelli, dei quali si farà cenno in appresso, e tutt’ora sussistono i due antichi castelli, di Burio e della Motta. Burio — Euburius posto a poca distanza dalla borgata di Loreto, si crede dal Durandi, che sia l’antico capoluogo degli euburiati, tribù dei Liguri mediterranei, ricordati da Plinio e da Ploro (10). Questo luogo infatti ancora nell’835 conservava il nome di euburias in una carta del re Lotario, rila- sciata a favore di un suo fedele per nome Eremberto ex comitatu Astensi (u). I marchesi del Vasto lo (1) Terraneo. Adelaide illustrata, i, pag. 222. (2) Mon. Hist. Patr. Ckartarum. 1, col. 609. (3) Libro verde della Chiesa d’Asti originale presso il R. Archivio di Stato in Torino fol. 68. (4) Ibid., fol. 69. (5) Ibid., fol. 75. (6) Della Chiesa. Spogli genealog. manoscr. nella Biblioteca del Re ir. Torino. (7) Ushelli. Italia Sacra, iv, pag. 506. (8) Archivii Asinari di s. Mar- zano. (9) Archivii Asinari di s. Marzano. — Cibeario. Storia della Monarchia di Savoja. ni, pag. 265. (10) Durandi. Il Piem. Cispad., pag. 284 — Micali. L’Italia avanti il dominio dei Romani, i, pag. 162. (11) Muratori. Antiq. Hai. i, pag. 579. — 297 — avevano infeudato ai Pallidi astigiani, dei quali Drago e Boberto ne furono investiti dal marchese Lancia nel 1197 (1). I Pallidi possedettero Burio sino al fine del secolo xvi. La Motta — Mota T onagri, è un antico castello a poca distanza dal Tanaro, verso san Martino. Nel 1387 era feudo dei Lajolo, dai quali passò agli Ottina che nel 1435 lo vendettero agli Asinari signori di Costigliele che lo posseggono tutt’ora (2). IV. De Villa Blonearum — Bionzo nel territorio di Costigliele d’Asti verso Calosso. Il marchese Manfredo Lancia nel 1205, aveva investito di questo luogo Guglielmo Lanzavecchia di Alessandria (3). Nel 1230 i milanesi vi recarono molto danno ed il marchese di Monferrato nel 1290 lo distrusse quasi interamente (4). Oggidì dell’antico Blone non si scorgono più avanzi, e nel luogo dove sorgeva, si erge solinga la vetusta chiesa di san Siro di Bionzo, succursale della parrocchia di Costigliole che nel 1216 dipen- deva dai monaci di s. Michele della Chiusa (5). V. De Serra Meceti — Messedio in territorio di Montegrosso verso Costigliole, è lo stesso luogo di cui al Cap. lxxvii. de Mezadio, ed i documenti nel Cod. Malab. posti sotto questo Cap. si rife- riscono al san Stefano-Belbo di cui al Cap. lxxi. Bitiene il nome di Messedio (in dialetto Amsè) un poggio, tra Montegrosso e Costigliole, pros- simo alla chiesuola detta di san Stefanetto. Alcuni anni or sono quivi si scorgevano ancora gli avanzi del castello di Messedio. Era luogo antichissimo, e fin dal 988 la chiesa d’Asti vi possedeva alcuni beni, che il vescovo Bosone permutò con un Adalberto di Montaldo (6). Nel 1198 Giacomo di Mezadio si sottomise agli astesi, ma siccome questo luogo era dipendenza del contado di Loreto, così nel 1206 fu ancora compreso nella rinunzia che il marchese Lancia dovette fare agli astesi (7). Nel xiv secolo il supremo dominio di questo castello chiamato Mexeto, Mecedo, Messadio, spettava alla S. Sede, che lo diede in feudo ai Guttuari d’Agliano, e poscia tolto ai medesimi per caducità, fu venduto ai Eotari di Montegrosso, ed agli Asinari di Costigliole, che ancor nello scorso secolo da Boma ne prendevano le investiture (8). VI. De Sancto Majolio — San mauro (San Mò) in territorio di Castagnole delle Lanze, è indicato da una chiesuola su di un colle verso il Tanaro. Nel famoso atto di divisione dei sette marchesi del Vasto del 1142 sarebbe stata compresa nel contado di Loreto, la chiesa noviter constructa de Sancto Majolio (9). VII. De Petino — Era una villa probabilmente presso Castagnole, ma non si conosce dove fosse la sua posizione. Vili. De Castro Paraxoli — Pralissone. La sua posizione era nel territorio di Castagnole nella regione or detta Pralissone, ove però non rimangono vestigia del castello che già quivi s’innalzava. IX. De Farineriis — Earinere è una borgata di Castagnole-Lanze, su d’un’altura che domina la valle del Tanaro, dove havvi una chiesuola con diverse case rurali. X. De Castro Matarelh — Matarello è ancora il nome che resta ad un poggio presso Neive, ove pochi anni or sono si vedevano ancora rovine del castello dello stesso nome. XI. De Caburo — Cavorro in territorio di Costigliole d’Asti, su di un elevato poggio, or detto di san Martino. Quivi ancora verso il 1400 esisteva l’antica chiesa di San Martino de Caburro, una delle quattro antiche parrocchie di Costigliole e tutt’ora si trovano dei ruderi di antiche costruzioni (10). Nel 1467 questa chiesa non era più uffiziata, e probabilmente la villa era stata distrutta nelle guerre civili, molto tempo innanzi. Siccome Borgo di Cavorro chiamavansi le case poste a notte di Costi- gliole, poi dette di Villavecchia, e porta di Cavorro la porta che metteva alla volta del Tanaro, così (1) Della Chiesa. Spogli genealog. (2) Arcliivii Asinari di s. Marzano. (3) Della Chiesa. Spogli genealog. (4) Ven- tura, cap. xiv. (5) Bnlles de l'Abbaye de st. Michel de la Cluse. Torino, 1670 pag. 15. (6) Mon. H. P. Cliartarura. r, pag. 276. (7) Della Chiesa. Descrit. del Piemonte. (8) Arcliivii Asinari di san Marzano. (9) Muletti. Storia di Saluzzo. n, pag. 20. (10) Archivio della parrocchia di Costigliole. — 298 — fu male informato il Durandi, il quale disse che la villa di Cavorro era dove stavano le case di Villavecchia, mentre queste non erano che un borgo di Costigliele detto di Cavorro, perchè posto verso questa villa, come dicevansi borgo di Loreto, le case or dette di Berta, perchè poste verso Loreto. XII. De Saxo — Chiamasi tuttora il Sasso una regione posta presso l’attuale borgata di Sant’ÀNNA in territorio di Costigliele, e pozzo del Sasso una fonte pubblica che ivi si trova. La chiesa di sant’Anna ancor nel 1650 era detta Sancta Maria de Saxo, e fu pur essa sino al 1450 una delle quattro chiese parrocchiali di Costigliele. Essendo in rovina, fu demolita e nello stesso sito si costrusse la chiesa attuale dedicata a s. Anna (1). I canonici della cattedrale d’Asti possedevano in Loreto, in Cavorro, al Sasso, in Montegrosso, in Sparvere ed in Messedio diverse proprietà che loro furono confermate nel 1169 dal papa Ales- sandro iv (2). Xni. De Captar olio — Caprarolio era una villa con un castello detto degli Apostoli, che sor- geva sul monticello poco distante da Isola d’Asti, che oggidì ancora chiamasi il Castelvecchio. Pochi anni or sono quivi si vedevano ancora avanzi di antiche mura ed una edicola dedicata agli Apostoli, vestigia che scomparvero per essersi il terreno dissodato e da bosco ridotto a vigneto. Nel 1230 i milanesi devastarono questo luogo, e nel 1290 il marchese Guglielmo di Monferrato dopo d’essere stato per tre giorni ospitato nel castello degli Apostoli, distrusse quasi interamente la villa, per cui gli abitanti si trasferirono in Isola (3). XIV. De Paruzono — Probabilmente è lo stesso luogo detto Paraxoli, di cui al Cap. vili, in caso diverso la sua posizione non sarebbe nota, a meno che non fosse sul colle che domina le case dette di Parone in territorio di Costigliele presso la chiesa di Santa Margarita. XV. De Monte prevederlo — Monteprevello, che monsignor della Chiesa dice anche Monte- preveredo, stava sull’alto colle presso Costigliele, ove sorge la chiesetta di s. Michele. Quivi ancor verso il 1400, eravi la chiesa di S. Michele de Monteprevello, che fu pure una delle antiche quattro parrocchie di Costigliele (4). Questa chiesa dipendeva dal monastero di san Mi- chele della Chiusa, ed è nominata con quella di Blone, nella bolla pontificia di papa Innocenzo in del 1216 a favore di quel monastero (5). Monteprevello che faceva parte del contado di Loreto era infeudato ai Coradenghi, i quali dopo la rinuncia del 1206, fecero atto di fedeltà agli astesi. Al Durandi fu indicato pel sito di Monteprevello la regione Monteretto presso Castagnole dove non vi sono vestigia nè memorie che ivi provino possa aver esistito qualche castello o qualche villa (6). XVI. De Sparoeriis — Spargere, poggio poco distante da quello 'di sant’Anna verso il Tanaro in territorio di Costigliele d’Asti. Ne ritengono pure il nome diversi casolari sparsi sulle sue falde. Nel diploma del 1041 di Arrigo in alla chiesa d’Asti è detto : Sparvaria cicm castro . ... et mo- lendinis a duodecimo usque ad Camairanum, et omnem ripaticum ex utraque parte ; cioè il ripatico del Tanaro da sotto Govone sin oltre Variglie presso Asti, ed a questo ripatico si riferisce il docu- mento n. 597 del Cod. Malabaila, e per il medesimo sempre fuvvi lite da tempo immemorabile sino ai di presenti tra i comuni limitrofi di Costigliele, Govone, s. Martino, Antignano ed Isola. Questo luogo è nominato in una bolla del 1169 a favore della chiesa d’Asti (7), e pur con Lo- reto passò ad Asti nel 1206. XVin. De Plebatu Pontis — Ricorda un’antica pieve che stava nel territorio di Costigliole nella regione del Cioccaro o di S. Agnese, ancor detta nel 1307 Plebs de Ponte, e della cui chiesa si ve- devano i ruderi ancor pochi anni or sono. È ivi una regione detta Crossa ricordata in un docu- mento del 1307 conservato nell’Archivio di Stato in Torino. Il Durandi invece credeva fosse stata nella regione del Ponte Gallinaro in Val Tinella, od in quella del Ponte Olivero presso Costigliole (8). XVIII. De Barbarisco — Barbaresco, comune nel mandamento d’Alba è posto su di un’altura che si specchia nel Tanaro, e l’alta sua torre ne domina gran tratto della vallata. Abitanti 1560. (I) Archivio parrocchiale di Costigliole. (.2) Mon. H. P. Chartarura. 1, col. 859. (3) Ventura, cap. xiv. (4) Archivio parrocch. di Costigliole. (5) Bulles et Dee. loc. cit. (6) Durandi. Il Piem. Csip., pag. 205. (7) Mon. H. P. Chart. I; col. 859. (8) Durandi, ut sup. pag. 205. — 299 — Presso Barbaresco, nella regione Martinenga si trovarono ruderi di fabbriche, e monete romane, e dicesi fosse quivi l’antica Villa martis ove nacque l’imperatore Pertinace (!). XIX. Viglano — Vigliano d’Asti, comune nel mandamento di Costigliele d’ Asti. Abitanti 950. Fu sempre unito ad Asti. XX. Montebersario — Mombercelli, comune capoluogo di mandamento, circond. d’Asti. Abi- tanti 3,200. Fu sempre unito ad Asti. XXI. Malamorte — Belveglio, prima del 1860 chiamato Belvedere d’Asti, comune nel man- damento di Mombercelli. circond. d’Asti. Abitanti 1050. Posseduto dai Marchesi d’incisa, poi unito ad Asti. XXII. Veneis — Venere, luogo distrutto dove poscia venne edificata la villa del Mango o Mangano nelle cui vicinanze ritiene il nome di Avene un’antica torre, che segna il luogo di Venere. xxm. Pozolio — Pozzolo, castello ora scomparso, e già situato tra Belveglio e Montaldo- Scarampi, presso Mombercelli (2). XXIV. Trecio - - Trezzo-Tinella, comune nel mandamento di Alba. Abitanti 780. XXV. Neveis — Neive, comune nel mandamento di Alba. Abitanti 2,900. XXVI. Casteno — Castino, comune nel mandamento di Cortemiglia, circondario d’Alba. Abi- tanti 1,100; colle terre seguenti, sino al n. XLV, era nel distretto che i Marchesi del Carretto nel 1209 sottomisero ad Asti. XXVn. Bosea — Bosia, comune nel mandamento di Cortemiglia. Abitanti 450. Torre-Bormida — Turris Burmea, comune dello stesso mandamento. Abitanti 633. Castelletto d’Uzzone — Castelletum de Turre Uzonis, comune, stesso mandamento. Abitanti 529. XXVm. Vecimis — Vesime, comune nel mand. di Bubbio, circondario d’Acqui. Abitanti 1335. XXIX. Salegio — Saleggio, luogo dipendente da Castelletto di Uzzone. Scaletta — Scaleta, comune nel mandamento di Cortemiglia. Abitanti 351. XXX. Bergolio — Bergolo, comune nel mandamento di Cortemiglia. Abitanti 190. XXXI. Pezolio — Pezzolo, piccola borgata nel comune di Torre d’Uzzone, presso Bergolo. XXXII. Turre Uzzonij — Torre d’Uzzone; comune nel mand. di Cortemiglia. Abitanti 721. XXXIII. Arino — Gorino, comune nello stesso mandamento di Cortemiglia. Abitanti 650. XXXIV. Locesio — Lodisio, comune nel mand. di Dego, circondario di Savona. Abitanti 175. XXXV. Cagna — Cagna, comune nello stesso mandamento. Abitanti 298. XXXVI. Ursarolia — Serole, comune nel mand. di Spigno, circondario d’Acqui. Abitanti 601. xxxvn. Ulmo — Olmo, comune nel mandamento di Boccaverano. Abitanti 435. XXXVm. Perleto — ■ Perleto, comune nel mandamento di Cortemiglia. Abitanti 825. XXXIX. Rocha Vevrana — Boccaverano, comune cap. di mand., circond. d’Acqui. Abitanti 2142. XL. Masungio — Luogo che or più non esiste, e la cui situazione non è nota ; probabilmente stava presso Boccaverano. XLI. Montebaudono — Mombaldone, comune nel mandamento di Boccaverano. Abitanti 514. XLH. Denex — Denice, comune nello stesso mandamento. Abitanti 518. XLEI. Ponte — Ponti, comune nel mandamento di Bistagno, circond. d’Acqui. Abitanti 1040. XLIV. Curtemilia — Cortemiglia; capoluogo di mandamento, circond. d’Alba. Abitanti 3168. Contemporaneamente a Cortemiglia i marchesi del Carretto sottomisero ad Asti anche le terre seguenti : Bubbio — Bubio, comune capoluogo di mandamento. Abitanti 1410. Cod. Malab. doc. n. 928. Cassinasco — Cassinascum, comune nel mandamento di Bubbio, circond. d’Acqui. Abitanti 970. Borgomale — ■ Burgummalum, comune nel mandamento di Diano, circond. d’Alba. Abitanti 430. Monastero — Monasterium, comune nel mand. di Bubbio, circondario d’ Alessandria. Abitanti 1400. Benevello — Benevellum, comune nel mandamento di Diano, circondario d’Acqui. Abitanti 385. Santa Giulia — Sanctazilia, comune nel mand. di Dego, circondario di Savona. Abitanti 570. Monchiero — Monsclarus, comune nel mandamento di Monforte, circondario d’Alba. Abitanti 450. XLV. Leuqui — Lequio, comune nel mandamento di Diano, circond. d’Alba. Abitanti 825. XLVI. Novello — Novello, comune nel mandamento di La Morra, circond. d’Alba. Abitanti 1569. (1) Deabbate. Della Villa ili Marte. Alba 1818. (2) Della Chiesa. Descrit. del Piemonte, cap. 39. — 300 — XLVII. Salexeto — Saliceto, comune nel mand. di Monesiglio, circond. diMondovì. Abitanti 1680. XLVIII. XLIXbis. Cario — Chieri, città capoluogo, mandamento, circond. di Torino. H comune di Chieri, fece con quello d’Asti trattati d’alleanza e di pace. XLIX. Insula — Isola d’Asti, comune nel mandamento di Costigliele d’Asti. Abitanti 2800. L. Azano — Azzano, comune nel mandamento di Eocca d’Arazzo. Abitanti 554. LI. Maxio — Masio, comune nel mandamento di Oviglio, circondario d’Alessandria. Abitanti 2160. LII. Aglano — Agliano, comune nel mandamento di Mombercelli. Abitanti 2500. LIH. Castro Montis — Non è conosciuta la situazione di questo luogo. Probabilmente era lo stesso di cui al Gap. cxxxix. LIV. Maglano — Dev’essere Mangano, ora chiamato Mango, comune nel mandamento di san Stefano Belbo, circondario d’Alba. Abitanti 1200. Questo luogo venne costrutto colle rovine delle vicine ville di Venere ( Veneis), Fevere ( Fravearum ), Valle {Valium), ed Aulongi. Oggidì ancora presso Mango vi sono le borgate di Ailungi, Valle di Villa, e la regione di Frave, nonché le rovine della torre di Avena. Il documeato poi posto nel Codice Malabaila, sotto questo titolo, si riferisce al Magliano, sulla sinistra del Tanaro, di cui al Cap. c, ed è ivi ripetuto. LV. Calocio — Calosso, comune nel mandamento di Canelli. Abitanti 2264. LVI. Viginti — Vinchio, comune nel mandamento di Mombercelli. Abitanti 1232. LVII. Castronovo de Calcea — Castelnuovo Calcea detto anche castelnuovo bruciato, co- mune nel mandamento di Mombercelli. Abitanti 1602. L Vili. Valium — V aglio-serra, comune nel mand. di Nizza Monferrato^circond. d’ Acqui. Abit. 578. LIX. Canelio — Canelli, comune capoluogo di mandamento, circond. d’Asti. Abitanti 4072. LX. Sancto Marciano de Acquoxana — San marzano-oliveto, comune nel mandamento di Canelli. Abitanti 1461. Era detto san Marzano d’Acquosana, per distinguerlo da altro san Marzano presso Asti detto di Rocca Schiavina, ed or san Marzanotto. Chiamavasi Acquosana, non già una villa della quale non si avrebbero indizii, ma bensì una regione, che abbbracciava la valle del Belbo, da Calosso sin presso Incisa, e che diede il nome ad un consorzio di diverse ville, mentre duravano le guerre tra Asti ed Alessandria dal 1200, al 1237. Questo consorzio comprendeva le ville di Agliano, Calosso, Castelnuovo-Calcea, Vinchio, san Mar- zano, Calamandrana, Garbazzola, Lanerio, Lintignano, san Giovanni delle Conche e diverse altre, i principali proprietarii delle quali, ed anche coloro che vi possedevano ragioni feudali, e talune volte gli stessi rustici e contadini, durante lo sconvolgimento prodotto dalla disfatta del marchese di Mon- ferrato, e del marchese Lancia, e dalle discordie tra gli astesi e gli alessandrini, facevano aderenza chi all’una e chi all’altra delle due città. Nel 1204, diversi di Calosso, di Canelli, di Vinchio, di La- nerio, si raccolsero nella vetusta chiesa di s. Giovanni delle Conche, e fecero atto di dedizione ad Alessandria ; altri poi si sottomisero ad Asti. Il comune d’Asti arrivò poi ad essere solo padrone di queste terre, delle quali alcune dopo la dominazione dei Monferrini rimasero ai medesimi. LXI. Muasche — Moasca, comune nel mandamento di Canelli. Abitanti 450. LXII. Calamandrana — Calamandrana, comune nel mand. di Nizza Monferrato. Abit. 1730 (*). LXIII. Sexami — Sessame, comune nel mandamento di Bistagno. Abitanti 563. LXIV. Lovazolio — Loazzolo, comune nel mand. di Bubbio, circond. d’Acqui. Abitanti 1056. LXV. Soirano — Luogo che stava non lontano dall’attuale borgo di Nizza, ma ora più non esiste. LXVI. Garbazola — Garbazzola, borgata tuttora esistente nel comune di Calamandrana. Nel 1225 per le guerre tra gli astesi ed alessandrini, e dopo la disfatta degli astesi sotto Ca- lamandrana, quei di Alessandria distrussero le ville di Calamandrana, Garbazzola, s. Giovanni delle Conche, Soirano, Lanerio, Lintignano e Belmonte, e gli abitanti poscia si raccolsero al confluente del (1) Bonifazio di Calamandrana maestro degli Spedalieri di qua dal mare, uomo di guerra e di stato, venne mandato dalia corte di Roma, a firmare la pace tra gli Angioini e Giacomo di Aragona nel 1292, e quale attivo negoziatore presso il re Foderico di Sicilia e presso altri negli anni seguenti e nel 1296. Vedi Amari. Vespro siciliano, 1879. n, pag. 13, 36, 418. — 301 — torrentello detto il Nizza col Belbo, e quivi costrussero una nuova villa che prese il nome di Nizza della Paglia, denominazione che pur ebbe Alessandria, costrutta poco meno di un secolo innanzi. LXVII. Rocha Aracii — Rocca d’arazzo, capoluogo di mandamento, circondario d’Asti. Abi- tanti 2152. Il Grassi ed altri dissero che questo luogo chiamavasi Rupem Astisii , cosa non vera, mentre furono solamente i suoi castellani che dicevansi de Astisio, come lo eran detti quei di Montaldo Roero, di Isola, di Masio insomma tutti quelli dell’antico distretto astese. LXVIll. Montaldo et Rupecula — Montaldo-scarampi, comune nel mandamento di Momber- celli, circond. d’Asti. Abitanti 1247. Si chiamò degli Scarampi dopo il 1300 quando il comune lo vendette a questa famiglia, nel modo stesso che si chiamò Montaldo-Rovero la villa posta tra Canale ed Alba perchè infeudata ai Rovero (Cap. clxix.) Rocchetta Tanaro, comune nel mandamento di Rocca d’ Arazzo. Abitanti 3188. LXIX. Curticellis — Corticelle , e modernamente Cortiglione , comune nel mandamento d’incisa, circondario d’Acqui. Abitanti 1024. LXX. Coxano — Cossano-belbo, comune nel mandamento di san Stefano-Belbo. Abitanti 1865. LXXI. Sancto Stephano de Coxano — San stefano-belbo, comune capoluogo di mandamento, circond. d’Alba. Abitanti 2875. LXXH. Rocheta Coxani — Rocchetta-belbo, comune nello stesso mandamento. Abitanti 338. LXXni. Encisia — Incisa, comune capoluogo di mandamento, circond. d’Acqui. Abitanti 2813. LXXIV. Castronovo de Encisia — Castelnuovo-belbo, comune nel mand. d’incisa. Abit. 1597. LXXV. Bergamasco — Bergamasco, comune nello stesso mandamento. Abitanti 1567. LXXVI. Carentino — Carentino, comune nel mand. di Mombaruzzo, circond. d’Acqui. Abit. 578. LXXVII. Mezadio — Messedio, è lo stesso luogo che al Cap. v è detto de Serra Meceti. LXXVIII. Monte Leucio — Lù , poggio ridentissimo nel comune di Costigliele d’Asti tra Agliano e Montegrosso, ove ancor nel 1550 erano in piedi l’alta torre ed alcune mura del castello che ivi s’innalzava, delle quali tuttora si veggono vestigia. Chiamavasi Leuco, Lucio, Luco, ed anche Lui, come da diverse scritture degli Archivi dei marchesi Asinari di san Marzano, i quali ne pren- devano l’investitura feudale con Costigliole. Nel diploma di Arrigo in del 1041 è detto Mons leducii. Fu nella torre di questo castello che nel 1558 avvenne il fatto dei fratelli Cocito, che il chia- rissimo Vallauri attribuisce al Lù di san Salvatore, e riferisce all’anno 1523 ('). I documenti ripor- tati nel codice sotto questo titolo, finora non erano conosciuti, e neppure accennati da monsignor Della Chiesa, che forse non seppe trovare la situazione di questo luogo. LXXIX. Lanerio — Lanerio, stava presso la città di Nizza Monferrato, la di cui chiesa par- rocchiale di s. Giovanni ritiene il nome di Lanerio — Fu distrutto dagli alessandrini tra il 1225 e 1230 con Belmonte, Soirano, Lintignano e s. Giovanni delle Conche i di cui abitanti si riunirono nella piccola villa di Nizza — Belmonte stava pure in vicinanza di Nizza e ne conserva il nome la parrocchia di s. Ippolito. Nicia — Nizza era ancor nel 1221 una piccola corte , ora è città capoluogo di mandamento nel circondario d’Acqui. Abitanti 5950. LXXX. Sancto Johane de Conchis — San Cioanni delle Conche, è ancor chiamata oggidì una chiesa di antica costruzione, sita in territorio di Calatnandrana nella borgata detta la Valle di s. Gioanni, chiesa che però dipende da quella di s. Siro di Nizza. In essa il 6 febbrajo 1203 si riunirono i consoli del consorzio di Aquosana , cioè dei luoghi di Agliano, Lanerio, Calamandrana, Canelli, Calosso, Vincliio, Alice, Lintignano ed altri quando fe- cero atto di dedizione ad Alessandria. LXXXI. Lintignano — Lintignano, luogo distrutto, che sorgeva sul colle a notte di Nizza alle cui falde ora sta il convento già dei pp. Cappuccini, la cui chiesa è detta ss. Maria de Lintignano. LXXXH. Montezemulo — Montezemolo, comune nel mandamento di Priero, circondario di Mondovì. Abitanti 480. (1) Fasti della Monarchia di Savoja. Torino, 1845, pag. 81. — Miscellanea Patria manose. Biblioteca del Re in To- rino, pag. 44 — 302 — LXXXIII. Miroaldo — Murialdo, comune nel mand. di Millesimo , circondario di Savona. Abitanti 1984. LXXXIV. Montaldo — Montaldo Scarampi, già accennato al Cap. lxviii. LXXXV. Montegrosso — Montegrosso d’Asti, comune nel mand. di Mombercelli. Abit. 2728. LXXXYI. Serra longa — Non è ben sicura la situazione in cui era la villa di Serralunga presso Asti, capoluogo d’un contado rurale. Taluni credettero sia stato il luogo che or dicesi Cantarana , presso Baldichieri , altri invece dicono fosse nel territorio di Sessant a notte d’Asti, ove avvi una regione chiamata appunto Serralonga. LXXXVII. Astisio — Astisio era il nome del distretto astese, come oggidì si parla dell’Asti- giana per tutta la regione a sinistra del Tanaro, cominciando da Pocapaglia e da Poirino procedendo verso Asti. LXXXVIII. Domini de Revello — Erano signori che avevano proprietà feudali in diversi luoghi del distretto astese, cpme in Barbaresco, Neive e santa Vittoria. LXXXIX. Monte natali — Monale, comune nel mandamento di Baldichieri. Abitanti 935. Tutti gli altri documenti posti sotto questo cap. si riferiscono a svariati interessi del comune d’Asti, e la posizione di Monale, sarebbe invece fra il Bilate e la Triversa. Sulla sinistra del Tanaro. XC. Felizano — Felizzano capoluogo di mandamento, circond. d’ Alessandria. Abitanti 2450. XCI. Quatordeo — Quatordio, comune nel mandamento di Felizzano. Abitanti 1670. XCII. Fonte — Luogo ora non più esistente, e la cui situazione non è conosciuta. Non doveva esser lontano da Quatordio, se però non era semplicemente il cognome d’una famiglia. XCIII. Cerro. Cerro, comune nel mandamento di Felizzano. Abitanti 1150. XCIV. Nono — Castello d’Annone, comune nello stesso mandamento. Abitanti 2600. XCV. Rivofranchoris — Refrancore, comune nello stesso mandamento. Abitanti 1850. XCVI. Foresto — Villa non più esistente e di situazione ignota. XCVII. Quarto — Quarto, comune nel mand. di Portacomaro, circondario d’Asti. Abitanti 606. XCVIII. Govono — Covone, capoluogo di mandamento, circondario d’Alba. Abitanti 3295. XCIX. Castagneto — Castagneto, comune nel mand. di Canale, circond. d’Alba. Abitanti 1000. C. Maglano — Magliano d’Alba, comune nel mandamento di Govone. Abitanti 1807. CI. Gaurena — ■ Guarene, comune nel mandamento di Cornelliano d’Alba. Abitanti 2526. CII. Sancta Victoria — Santa Vittoria, comune nel mandamento di Bra. Abitanti 1202. CHI. Paucapalea — Pocapaglia, comune nello stesso mandamento. Abitanti 1864. CIV. Brayda — Bra, città capoluogo di mandamento, circondario d’Alba. Abitanti 13,200. CV. Clarasco — Cherasco, città capoluogo di mandamento, circond. di Mondovì. Abitanti 8866. Quantunque questo luogo sul finire del secolo xm si reggesse a comune autonomo, di fatto però era dipendente da Asti, avendone sempre seguite le vicende, e ricevendone le leggi. Sulla destra del Tanaro di prospetto a Cherasco verso La Morra, stava l’antico castello di Man- zano, residenza dei signori di Manzano, Sarmatorio e Montefalcone, distrutto nelle guerre tra Asti ed Alba, ed i cui abitanti si portarono ad abitare Cherasco. Il luogo dove sorgeva è indicato dalla antica chiesa di s. Pietro de Manzano. CVI. Fontanis et Cerveriis — Cervere, comune nel mandamento di Cavallermaggiore, cir- condario di Saluzzo. Abitanti 2254. Fontane, antico luogo situato fra Bra e Cherasco. CVII. Montefalcono — Montefalcone, antico luogo ora distrutto di spettanza degli Allinei signori di Sarmatorio, Manzano e Montefalcone, che già stava presso Cervere, dove ancora si trovano gli avanzi della sua antica torre. CVIII. Ceca — Ceva, città capoluogo di mandamento, circondario di Mondovì. Abitanti 5000. Agli astesi nel 1295 con Ceva furono pure sottomesse molte terre del suo marchesato cioè : Castel- linum, Castellino; s. Michael, san Michele; Pamparatum, Pamparato; Ventapanicia, Ventipeniva; Rivus frigidus, Rivofreddo ; Yglanum, Igliano ; Veolle, Viola; Niella (Tanagri), Niella-Tanaro ; Risii, — 303 — Lisio; Noxetum, Noceto; Bagnascum, Bagnasco; Murischi, Murosecco; Prohencha, Proenca; Gerexium, Garessio; Roaxi, Boasio ; Batifolium, Battifollo; Monasteyrolium, Monasterolo; Torexellae, Toricella, ora detto Torresina ; Prierii, Priero ; Malpotremi, Malpotremo ; Monzemullus, Montezemolo ; e Montis guardiae, Monte Guardia. Successivamente poi, i diversi marchesi di Ceva pure assoggettarono ad Asti Monastero, Priola, Mombasilio, Cigliò e Rocca Cigliò , Lesegno , Perlo, Cannerana e Scagnello. Ceva e le terre del suo Marchesato restarono poi sempre dipendenti da Asti sino al secolo xv, ed anche sotto Casa Savoia erano considerate come parte di una stessa provincia. CIX. Caballario majon — Cavallermaggiore , città capoluogo di mandamento, circondario di Saluzzo. Abitanti 5307. CS. Possano — Possano, città capoluogo di mandamento, circond. di Mondovì. Abitanti 15,844. I fossanesi nel 1251 si assoggettarono ad Asti, e vi durarono sino al 1305. CXI. Cargnano — Carignano , città capoluogo di mandamento , circondario di Torino. Abi- tanti 7500. Questo luogo e quello di Vigone che il conte di Savoja aveva sottomessi ad Asti, non furono però mai compresi nel suo distretto. CXH. Vigono — Tigone, città capoluogo di mandamento, circond. di Pinerolo. Abitanti 6637. CXm. Salucio — Saluzzo, città capoluogo di circondario. Abitanti 15,814. I marchesi di Saluzzo fecero con Asti patti di alleanza, assoggettandosi al pagamento di fodro. CXIY. Carmagnola — Carmagnola, città capoluogo di mand. circond. di Torino. Abit. 12,800. CXV. Romanisio — Bomanisio, villa d’origine romana, ed i cui abitanti concorsero alla fondazione di Fossano, esisteva nel territorio di Fossano, alla distanza di circa 9 chilom. nel luogo detto il Borgo. CXVI. Bovisio — Boves, capoluogo di mandamento, circondario di Cuneo, Abitanti 9550. Brusaporcello, luogo antico, ora distrutto, già esistente presso la città di Cuneo, ed alla cui edificazione concorsero i suoi abitanti. CXVn. Sarmatorio — Salmour, comune del mandamento di La Trinità, circondario di Mon- dovì. Abitanti 823. ' CXVm. Sancto Aliano — - Sant’ Albano, comune del mandamento di La Trinità. Abitanti 1895. CXIX. Plocio — Piozzo, comune nel mandamento di Carrù, circond. di Mondovì. Abitanti 1685. CXX. Savilliano — • Savigliano, città, circond. di Saluzzo. Contrasse con Asti trattati di alleanza. CXXI. Montis vici — Mondovì, città capoluogo di circondario. Fondato dagli uomini di Vico presso l’antico Bredulo, dovette come Vico riconoscere il dominio del Vescovo d’Asti. Riceveva ahi tualmente i suoi podestà e capitani dalla città d’Asti, alla quale, colle terre del suo distretto aveva giurata cittadinanza. — Queste terre erano : Torre, Rohurent, Montaldo, Frabosa, Roccaforte, Vil- lanova, Vasco, san Biaggio, Rocca de'Baldi e Carrù. CXXn. Morocio — Morozzo, capoluogo di mandamento, circond. di Mondovì. Abitanti 1966. CXXin. Cuneo — Cuneo, città capoluogo di provincia. Contrasse con Asti trattati di alleanza. Nella Valle della Versa. CXXIV. Castagnolis ultra Versam — Castagnole Monferrato , comune nel mandamento di Montemagno, circond. di Casale. Abitanti 2,320. CXXV. Montemagno — Montemagno, capoluogo di mand., circond. di Casale . Abitanti 2894. CXXVI. Cunico — Cunico, comune nel mand. di Montiglio, circond. di Casale. Abitanti 1093. CXXVn. Tongo — Tongo, comune capoluogo di mand., circond. di Casale. Abitanti 1900 (Q. Ponengho , nominato con Tonco è pure comune, or detto Penango nel mandamento di Tonco. Abitanti 1747. CXXVIII. Caliano — Calliano, comune nel mandamento di Tonco. Abitanti 2828. In terri- torio di Calliano presso la regione Montafarengo, sussiste tuttora il molino della pietra, e poco lon- tano quello dell’Ola o della 'punlenta che già spettava ai cavalieri del Tempio ; e si trova tuttora la fontana d’acquasolforosa citata nel Cod. Malab. al doc. n. 754. (1) Il Napione con buoni argomenti sostiene cbe il Gerardo do Tunc fondatore dell'Ordine gerosolimitano, sortiva dalla antica famiglia Tnrco, che aveva la signoria di questo luogo. 1 Francesi per farlo di loro nazione, non hanno altra autorità che una tradizione molto vaga. — 304 — CXXIX. Casurcio — Casorso, comune nel mand. di Ottiglio, circondario di Casale. Abit. 2018. CXXX. Castroalferio — Castellalfero, comune nel mandamento di Portacomaro. Abit. 2060. CXXXI. Vineale — Vignale, capoluogo di mandamento, circondario di Casale. Abitanti 2201. CXXXII. Montilio — Montiglio, capoluogo di mandamento, circondario di Casale. Abit. 3222. CXXXIII. Coclionato — Cocconato, capoluogo di mandamento, circondario d’Asti. Abit, 2643. CXXXIV. Albugnano — Albugnano, comune nel mandamento di Castelnuovo d’Asti. Abit. 955. CXXXV. Poglano — Pogliano, castello tuttora esistente nel territorio di Moncucco presso Albugnano. CXXXVI. Castronovo et veteri Fereriarum — Ferrere, comune nel mandamento di Villa- nuova d’Asti. Abit. 1830. Anticamente esistevano due castelli, uno detto vecchio, l’altro il nuovo, dei quali si veggono ancora gli avanzi. Questo luogo però doveva essere indicato nella Valle del Triversa, dopo il clvii, e fu quivi indicato confondendolo col Castelnuovo di Rivalba di cui al Cap. cl. Nella Valle del Rilato. CXXXVH. Corsembrando — Cossombrato, comune nel mand. di Montechiaro d’Asti. Abit. 761. CXXXVIII. Monteclaro — Montechiaro d’Asti , capoluogo di mandamento. Abitanti 2026. Questo cospicuo borgo venne costrutto sul finire dell’xi secolo dagli uomini di Pisenzana, Malesco, Meirano, ville ora non più esistenti, e da quelli del vicino Cortanze. CXXXIX. Montes sive Seravalle — Serra valle d’Asti, comune nel mand. d’Asti. Abit. 562. CXL. Cortansero — Cortanze, comune nel mandamento di Montechiaro d’Asti. Abit. 819. CXLI. Cannayrano et Cinalio. — Camerano or detto Camerano-Casasco , comune nel man- damento di Montechiaro d’Asti. Abitanti 1106. Eravi un altro luogo , ora distrutto pur detto Camayrano, in prossimità della città d’Asti tra il Tanaro ed il Borbore. I documenti posti sotto questo capo si riferiscono però al Comune presso Montechiaro. Cinaglio, comune nello stesso mandamento. Abitanti 1026. CXLII. Casoscho — Casasco, castello prossimo a Camerano, col quale fa un solo comune. Nella Valle di Piea or detta di Gortanzone. CXLHI. Plaga — Piea, comune nel mandamento di Montafia, circondario d’Asti. Abit. 1093. CXLIV. Cortandono — Cortandone, comune nello stesso mandamento. Abitanti 464. CXLV. Cortasono — Cortanzone , ed anche Cortazzone , comune nello stesso mandamento. Abitanti. 1504. Era feudo del Vescovo di Pavia, però sotto la dipendenza del comune d’Asti. Gio. Galeazzo Visconti se lo fece rimettere, e lo diede in cambio di Lodi a Francesco Novello da Carrara signore di Padova, il quale vi venne nel 1389, però fermandovisi pochi mesi. Nella Valle del Tri versa. CXL VI. Montafia — Montafia, capoluogo di mandamento, circondario d’Asti. Abitanti 1133. CXLVn. Bucino — Dusino, comune nel mandamento di Villanuova d’Asti. Abitanti 902. CXLVIIL Musanzola — Era una villa che stava nelle adiacenze dell’attuale Villafranca d’Asti, dove ancora chiamasi di Musanza il ponte che passa sul Triversa. Quivi presso era una casa degli Ospitalieri detta di Musanica. Su d’un poggio tra Dusino e Villafranca stava il borgo di Travszzola o Traversola, pure accennato nel Cod. Malabaila. V. al Cap. xciv. CXLIX. Sulberico — Solbrito, comune nel mandamento di Villanova d’Asti. Abitanti 407. CL. Castronovo de Rippa alba — Castelnuovo d’Asti, detto anche in passato Castelnuovo-But- tigliera, capoluogo di mandamento nel circondario d’Asti. Abitanti 3303. Chiamavasi pure Castelnuovo di Rivalba per la signoria che ne ebbero i Rivalba, vassalli della chiesa di Torino. — 305 — CU. Supponilo — Supponito, castello nel territorio di Villanova d’Asti detto and» e il Cioc- cherò, spettante alla famiglia Ferrerò della Marmora. In questo castello nacquero diversi dei fratelli La Marmerà, che si resero distinti in questi nostri tempi. OLII. Stoherda — - Stoherda, borgata nel territorio di Poirino, presso il torrentello Riverdo. Avvi ancora l’antico castello. CLIII. Rippa — Riva di Chieri, comune nel mand. di Chieri, circond. di Torino. Abit. 3097. CLIV. Bulgaro — Bolgaro, o Borgo Cornalense, castello posto nel territorio di Villastellone tra questa villa e Carignano, fu di recente grandiosamente ricostrutto dal Duca Laval-Montmorency che ne era il possessore. CLV. Villanova — Villanuova d’As-ti, capoluogo di mandamento. Abitanti 8552. CLVI. Curtevetula — Corveglia, antico castello, ora piccolo cantone nel territorio di Villa- nuova d’Asti. Ancor rimangono avanzi dell’antico castello. CLVII. Valfenaria — V alfenera, comune nel mandamento di Villanuova d’Asti. Abit, 2026. CLVm. Prehalormo — Pralormo, comune nel mand. di Poirino, circond. di Torino. Abit. 1507. CLIX. Cellarengo — Cellarengo, comune nel mandamento di Villanuova d’Asti. Abitanti 483. Nella Valle del Borbore. CLX. Sancto Damiano — San Damiano d’Asti, capoluogo di mandamento. Abitanti 7922. CLXI. Castronovo de Gorzano — Gorzegno, borgata del territorio di san Damiano d’Asti. CLXII. Marcellengo — Marcellengo, antica villa posta a poca distanza dall’attuale san Da- miano d’Asti, dove avvi una chiesa dedicata a s. Vincenzo. Era un’antica pieve dipendente dall’abate dei ss. Apostoli d’Asti e che il Della Chiesa ed anche il Durandi, dissero erroneamente fosse situata nel contado di Loreto a destra del Tanaro. Questa villa con quelle di Ferrere, Gorzegno e Lavezzole, venne distrutta dagli astesi in odio dei Garreti che ne erano signori, e gli abitanti si raccolsero dove ora sorge il cospicuo borgo di san Damiano. CLXIII. Canalibus — Canale, capoluogo di mandamento, circondario d’Alba. Abitanti 4576. CLXIV. Stella — • Stella, villa ora non più esistente e che sorgeva in prossimità di Priocca. CLXV. Preocha — - Priocca, comune nel mandamento di Govone. Abitanti 3156. CLX VI. Castro Arnaldo — Castellinaldo, comune nel mandamento di Canale. Abitanti 1440. CLXVII. MonteRali — Il documento posto sotto questo Cap. si riferisce al luogo di Montafia di cui al Cap. cxlvi. CLXVm. Monteacuto — Monteu-Roero, comune nel mandamento di Canale. Abitanti 2855. Il Durandi credette fosse il Mons Cumignanus nominato in una carta dell’Archivio del Cap. d’Asti dell’ 898 mentre invece tale carta si riferiva al Cumignano presso Celle ed Antignano CLXIX. Montealto — Montaldo-Roero, comune nel mand. di Cornelliano d’Alba. Abit. 1432. CLXX. Anterisio , Desaga, Ceresolis et Prehalormo — Anterisio e Desaya, luoghi già sog- getti ai conti di Biandrate ; il primo sorgeva in prossimità dell’ attuale borgo della Monta , la cui chiesa di s. Michele era detta De Anterisio; il luogo di Desaya, doveva pure essere non molto lungi dalla Montà, tra Pralormo e Canale. Ceresole d'Alba, è comune nel mandamento di Sommariva del Bosco. Abitanti 1739. Oltre i luoghi sovra indicati, le Cronache d’Asti, e particolarmente quella di Oggerio Alfieri, registrano il nome di molte altre ville che erano dette le ville antiche del Comune d'Asti : diversi luoghi sono pure accennati nei documenti del codice Malabaila, e qui si indicano brevemente, per dare il nome di tutte le terre che, sul finire del secolo xm, erano comprese nel dominio astese. Sulla destra del Tanaro. Rocca Schiavina ( Villa Sancti Marzani de Rupe Sclavina, n. 7 Lacinia dopo ir. 89 Reper- torio e Cod. Malab. doc. n. 6) presso san Marzanotto, ora piccolo casale ; San Marzanotto (ut supra), detto san Marzano di Rocca Schiavina; Neante ( Villa Nantearum, Cod. Malab. doc. n. 6, n. 6 Lac. 39 306 — dopo n. 89 Rep.), villa ora scomparsa già situata tra San Marzanotto ed Azzano; Monte marzo ( Villa Montis Marcidi, Cod. Malab. doc. n. 6, n. 5 Lac. dopo 89 Rep.), grossa borgata con parrocchia nel territorio d’Asti; Bellangero ( Villa Belengerii, Cod. Malab. doc. n. 6, n. 9 Lac. dopo 89 Rep.), castello tra san Marzanotto ed Isola detto anche Castrum Berengarii ; Il Castello degli Arduini ( Castrimi Arduinarum, Codice Malabaila doc. 34), già parte del contado di Loreto, e di cui si ignora la situazione; Mongardino ( Villa Mg ntisg ordini, Cod. Malab. doc. n. 6, n. 8 Lac. dopo 89 Rep.), nella valle del Tiglione ; Utrolio ( Utrolium ), luogo distrutto pure già parte del contado di Loreto; Coazzolo ( Cavazolio , n. 8 Lac. dopo 89 Rep.), nel mandamento di Costigliele d’Asti ; Castiglione-Ti- nella ( Casteglono de Tinello,, Cod. Malab. doc. 506, n. 43 Lac. dopo n. 1 Rep.), nel mandamento di san Stefano-Belbo ; Camo ( Camulum ), nello stesso mandamento; Cessole ( Cessole , unito al Mar- chesato di Cortemiglia), presso Bubbio (Cod. Malab. doc. n. 815) ; San Giorgio Scarampì (San- ctum Georghm), presso Roccaverano. Sulla destra della Versa. Rinco ( Ringuin , Carta topografica del Codice Malabaila), presso Tonco; Castelcebro ( Castrum Geberum, Cronaca d’Oggerio Alfieri n. 25 e 51 nel Cod. Malabaila), borgata di Rinco; Grana ( Granam , Cod. Malab. doc. n. 926 e 754, Cron. n. 49), comune presso Vignale ; Scursolengo ( Scrizolengus , Cod. Malab. doc. n. 6, 996 e 754, Cron. n. 35); Portacomaro ( Gurtis Cornarli, Cod. Malab. doc. n. 6, Cron. n. 35); Canaglie ( Ganayglarum , Cod. Malab. doc. n. 6, Cron. 35), borgata tra Castiglione e Portacomaro; Migliandolo ( Milledolium , Cod. Malab. doc. n. 6), borgata presso Quarto; Mirabello {Mirabellum, Cod. Mal. n. 6, Cron. n. 40), villa distrutta al cui posto fu edificato l’attuale Quarto. Fra la Versa ed il Rilato. Villa s. Secondo ( Villa sancti Secundi), presso Montechiaro; Corsione ( Corseonum , Cod. Malab. doc. 996 e 1044); Frinco ( Fringum , Cod. Malab. doc. 918, 919, 754 e 1044); Chiusano Glusa- num, prima del 1300 unito a Cossombrato) ; Montiglietto ( Montegletum , Cod. Mal. doc. n. 6, Cron. n. 32), luogo ora scomparso; Barche ( Barcas o Barcarum, Cod. Malab. doc. n. 6, Cron. n. 34), pure non più esistente ; Masio ( Maxium , Cron. n. 34), pure luogo distrutto da non confondersi col Masio sulla destra del Tanaro ; Callianetto ( Callianetum , Cron. n. 33), parrocchia nel territorio di Ca- stell’ Altero; Paderno o Perno ( Padsrno , Cod. Malab. doc. n. 6), piccola borgata presso Callianetto Villa-Valmanera ( Villa Vallis Manarie, Cron. n. 33), nella valle di tal nome, dove ora è la bor- gata di Valmasone; Rivarotta ( Rupe rupta, Cron. n. 32), villa che stava presso la città d’Asti, nella attuale regione di Viattosto. Fra il Rilato e la Triversa. Piova ( Pielata , feudo dei Cocconato), presso Montiglio; Cerreto ( Geretum , Cod. Mal. doc. n. 6); Mondonio ( Mondonicum , Carta topog.); Corfrancisco ( Gurtis Francisco, Cod. Malab. doc. n. 6), ora non più esistente; Capriglio ( Caprilium , Carta topog.); Viale {Vidi, Cod. Mal. doc. n. 6); Bagnasco ( Bagnascum , Carta topografica), presso Montafia; Maretto ( Meletum , Cod. Malab. cron. n. 51 e Carta topografica); Roatto ( Ruatum , dipendente da Montafia); Castellerò ( Castrum Vetus, Carta topografica, e nelle antiche scritture); Baldichieri ( Mons Baldicherius, Cod. Malab. doc. n. 6, e Cron. n. 31); Soglio ( Solum , Cod. Mal. doc. n. 6); Septime ( Septime , od anche Villa Septimarum, Cod. Malab. doc. n. 1011, Ventura Cap. ni); San Yorio ( Sanctus Yorius, Carta topogr.), che ora più non sussiste ; Sessant ( Sexant , Cod. Malab. doc. n. 6, e Cron. n. 32); Andonna ( Andona , Cron. n. 31), piccola borgata nella valle di tal nome; Monfrione ( Villa Montisfreoni, Cron. n. 31), di cui ancora conserva il nome la regione detta Montrione presso Asti; Borgoratto ( Villa Burgiratti, Cron. n. 32), piccola villa poco lontana dal luogo di Revignano, stata demolita. — 307 — Fra la Triversa ed il Borbore. Tonengo ( Thonengum ) Cod. Malab. doc. n. 622; Moransengo (. Moransengum , Carta topogr.) ; Aramengo ( Aramengum ), Cocconito; Bersano ( Bersanum ); Marmorito ( Marmoritum , Carta topogr.); Moncucco (. Monsacutus ed anche Jlons cuccus)-, Pino (Pinum , Carta topogr.); Primeggio ( Prime - lium, Carta topogr.), e Passerano ( Passeranum , unito a Primeglio), terre tutte proprie dei conti di Cocconato; Buttigliera d’ Asti (Butigleria, Cod. Malab. doc. n. 1035 e 927, e Cron. n. 51 e 18); Mercurolio (. Mercurolium , Cod. Malab. doc. n. 905, 713 e 1035); Mainito ( Mainitum , Cod. Malab. doc. n. 1035); Casaletto ( Casaletum , Cod. Malab. doc. n. 1035 e 927); Porcile ( Porcilis , Cod. Malab. doc. n. 282, 900 e 1035), e Tegerone ( Tegheronum , Cod. Malab. doc. n. 900, 902 e 1035), ville state distrutte nelle guerre coi conti di Biandrate, delle quali ora solo resta il nome alla regione ove erano edificate, ed i di cui abitanti andarono a stabilirsi parte in Poirino e parte in Buttigliera. San Paolo ( Sanati Pauli Astensium) ; San Michele (Planuni Sancii Michaelis, Cod. Malab. doc. n. 6), detto anche Piano san Michele; Isola Bella ( Insula Ducalis) ; Villafranca ( Villa franca Astensium), che probabilmente venne edificata dopo la distruzione diMusanzoIa; Cantarana (Can- tar and), che taluni vogliono fosse l’antica Serralunga; Tigltole (Telliolas , Cod. Malab. doc. n. 6, 893, 793 e Cron. n. 30), che formava due ville una detta Tigliole superiore, l’altra inferiore ; Terna- vasio (Ternavasium), castello ancor esistente e che fu pure dei Biandrate ; Monta ( Montata fungi, Cod. Malab. doc. 578, 1035, e Cron. n. 49), o Monta del fango, villa costrutta dopo la demolizione di Anterisio, Desaya e Belvedere, in odio dei Biandrate ; Sommariva del Bosco (Summaripa de Bosco, Cod. Malab. doc. n. 707, Cron. n. 49), grosso comune, capoluogo di mandamento ; Sanfrè (Castrimi Sigifredi , Libro verde della chiesa d’Asti), presso Sommariva del Bosco ; San Stefano Rovero (Sanctus Stephanus de Astisio), presso Canale, che il Durandi confuse con altro luogo che stava presso Bene detto in diploma di Arrigo in del 1041 (Sancii Stephani iuxta fontem Brobii , Cod. Malab. doc. 646, 969, 977, 1035 e 927); Baldissero ( Baudessetum ); Sommariva Perno (Summaripa de Perno, Cod. Malab. doc. n. 969, 899 etc. Cron. n. 49), e la Vezza (Vicia) Cod. Malab. doc. n. 899. Sulla sinistra del Tanaro. tra il Tanaro ed il Borbore. Mombonino ( Villa Montisbonini, Cron. n. 29), villa già posta nella regione ora detta Bombonino a poca distanza dalla città d’Asti; Camayrano ( Camay ranus , Cron. n. 29), che or più non sussiste, già situato presso Yariglie dove avvi la chiesetta di san Cristoforo; Variglie (Vallegias, Cron. n. 29), castello tuttora esistente; Vaglierano (Vagleranum, Cron. n. 29); Celle Villa Cellarum, Cod. Malab. doc. n. 6 e 933, Cron. n. 29); Castiglione ( Casteglonum de Romano, Cron. n. 29), detto di Celle o di Romano ; Revigliasco, Reviglascum, Cod. Malab. doc. n. 6, e Cron. n. 29); Antignano ( Antegna - num, Cron. n. 29); Villapiana (Villa piane, Cron. n. 29); Palazzo (Villa Palacii, Cron. n. 29); Cumignano (Cumignanus, Cron. n. 29), e Malegnano (Melegnanus, Cron. n. 29), luoghi questi già situati tra Antignano e Celle, e che or più non esistono; San Martino d’Asti (Sancti Martini. Astensium, Cod. Malab. doc. n. 597, e Carta topogr.) ; Tasseria (Taxeriasr Cron. n. 29), villa pro- babilmente già posta presso Govone, ed oggidì non più esistente, e finalmente il luogo dell’ antica Pollenza (Pollentia), della quale nel 1297 il comune d’Asti cedeva la proprietà materiale dei beni agli uomini di Bra riservandosi la totale giurisdizione, come la esercitava nel luogo di Era istesso, con patto che più non si potesse rifabbricare la villa 0). (Cod. Malab. doc. n. 1000, 241, 969, 945, 946, 977, e Cron. n. 25). Pietro Viarengo (1) -Sommario pel fendo di Pollenzo. Si LA REPUBBLICA D'ASTI NEL 1300 iT-liv • amami . /-p / . J' /^J> Wiisasid ,j0 ■^uA«; ^lugÀ f O IXlSSIIU’loi /lozfnly ' X^UX^K- h'i'imuij A. -l'.-l.is. [Ch?eri t xOvl/tiltt, ■ '/■ll/miy II//., ./ri/,, aaójnc y/.ac ojnirluiio f ,yx>, JVoasolf Jftew àVlitìcsàiStf arazàte inox/ // fv>/ori/,7r ■•: ^Mt1 •- *Vl^){vs£5SQ • r\ ■ ^ m$pm ;■ < 1 i"'"1" • ‘ ,:v TAVOLE INDICE SPIEGATIVO DELLE TAVOLE Oltre le tavole qui riunite , due si trovano già intercalate nel testo della Memoria e sono : 1° il Fac-simile della miniatura del Frammento torinese del Codice Alfieri, descritta a pag. 9-10; 2° la Carta topogràfica del dominio della repubblica d’Asti sulla fine del secolo xm, che va unita all’ Allegato N. 8 (vedi pag. 276). Tav. I. IL III. IV V. VI VII. Fac-simile, della grandezza dell’originale, della miniatura posta in testa al diploma del- l’imperatore Enrico vi, del 26 maggio 1194, stampato nel Codex Ast. Mon. n. 1, voi. ii, pag. 68 (vedi qui sopra a pag. 21). Fac-simile, in dimensione dell’originale, della miniatura posta al di sopra del diploma del- l’imperatore Ottone, del 14 giugno 1210, stampato nel Cod. Ast. Mon. n. 7, voi. ir, pag. 74 (vedi pag. 21). Fac-simile, c. s., della miniatura sovrapposta al diploma dell’ imperatore Federico n, del febbraio 1219, stampato nel Cod. Ast. Mon. n. 9, voi. n, pag. 76 (vedi pag. 21). Fac-simile, c. s. della miniatura posta in capo al diploma dell’imperatore Federico n, del 29 novembre 1220, stampato nel Cod. Ast. Mon. n. 10, voi. n, pag. 76 (vedi pag. 21). Fac-simile, c. s. della miniatura sovrapposta alla bolla di papa Onorio, del 29 gennaio 1227, stampata nel Cod. Ast. Mon. n. 23, voi. ii, pag. 94 (vedi pag. 21). Fac-simile, c. s. della miniatura che precede il decreto dell’Arcivescovo di Milano, del 17 giugno 1221, stampato nel Cod. Ast. Mon. n. 24, voi. n, pag. 96 (vedi pag. 21). Fac-simile della Carta topografica dell’Astigiana, menzionata nel Cod. Ast. voi. n, p. 103 (vedi pag. 21). III. Fac-simile, nella grandezza degli originali, delle miniature poste in testa dei seguenti quattro capitoli del Codice Malabaila (vedi qui sopra a pag. 21). (_V. B. Il numero arabico indica il numero della figura nella tavola. Il numero romano quello del capitolo del Codice). Num. 1. De Plebatu Pontis, xvn. » 2. De Cario, xlviii. » 3. De Clarascho, cv. » 4. De Alexandria, clxxix. » IV. Riproduzione in nero, in dimensioni ridotte , delle miniature poste in testa degli altri capitoli del Codice Malabaila. (Ar. B. Il numero arabico indica il numero della figura nella tavola. Il numero romano quello del capitolo del Codice). Num. 1. De Laureto, Cap. i. » 2. De Castagnolis, n. » 3. De Costeglolis, ni — De Calocio, lv. » 4. De Villa Blonearum, iv — De Cagna, xxxv — De Ursarolia, xxxvi. » 5. De Serra Meceti, v — De Bergamasco, lxxv — De Carentino, lxxvi. » 6. De Sancto Mayolo, vi — De Potino, vii — De Farineriis , ix — De Castro Matarelli, x. » 7. De Castro Paraxoli, vili. — 312 — Num. 8. De Caburo, xi — • De Saxo, xn — De Veneis, xxn — De Villa Pozolii, xxm — De Castro Valium, lviii — De Garbazola, lxvi — De Mezadio, lxxvii — De Monte Leucio, lxxviii — De Lanerio, lxxix — De Lintignano, lxxxi. » 9. De Caprarolio, xm. » 10. De Paruzono, xiv — De Sparoeriis, xvi. » 11. De Monte Prevederlo, xv — De Calamandrana, lxii. » 12. De Barbarisco, xvm — De Castro Trecii, xxiv — De Curticellis, lxix. ji 13. De Viglano, xix. » 14. De Montebersario, xx. » 15. De Malamorte, xxi. » 16. De Neveis, xxv. » 17. De Casteno, xxvi — De Bosea, xxvii — De Vecimis, xxvm — De Salegio, xxix — De Borgoliis, xxx — De Pezolio, xxxi — De Turre Uzonii, xxxn — De Gurino, xxxm — De Locesio, xxxiv — De Ulmo, xxxvii — De Perleto xxxviii — De Roclia Vevrana, xxxix — De Masungio , xl — De Mon- tebaudono, xli — De Denex, xm — De Ponte, xliii — De Castro Deli- qui, xlv — De Novello, xlvi — De Salexeto, xlvii — De Castro Vi- giliti, lvi — De Sancto Marciano, lx — De Castro Sexami, lxiii — De Lovazolio, lxiv — De Castro Soyrani, lxv — De Coxano, lxx — De Sancto Stephano de Coxano, lxxi — De Rocheta Coxani, lxxii — De Castronovo desubtus Encisia, lxxiv — De Montezemulo, lxxxii — De Montaldo, i.xxxiv — De Serralunga, lxxxvi. » 18. De Curtemilia, xliv. » 19. De Insula, xlix. » 20. De Azano, l. » 21. De Maxio, li. » 22. De Aglano, lii. » 23. De Maglano, liv. » 24. De Castronovo de Calcea, lvii. » 25. De Canelio, lix. » 26. De Castro Muasche, lxi. » 27. De Castro Bupis, lxvii. » 28. De Montaldo et Bupecula, lxviii. » 29. De Encisia, lxxiii. ii 30. De S. Jolianne de Conchis, lxxx. » 31. De Montegrosso, lxxxv. n 32. De Felizano, xc. » 33. De Quatordeo, xci. ii 3J. De Cerro, xeni. » 35. De Nono, xciv. » 36. De Rivofranchoris, xcv. ii 37. De Quarto, xcvn. ii 38. De Castagneto, xcix. » 39. De Maglano, c. » 40. De Sancta Victoria, cu. a 41. De Paucapalea, cui. » 42. De Brayda, civ. a 43. De Montefalcono, cvn. » 44. De Preoclia, clxv. Atti della H Accademia deJ Lincei Serie ?" volume IV. Tab. I CODEX MALABAYLA Alon. N. 1. Ann. 1194. VII0 Kai. Junii ■ fsiti olttwcr jcce' r^nSlttSlic Aratati acntc" ^msiruiVtr! mivn&xp xrrv^ttsyfc à^cinp comucuvf' cqttxmnjwi i$yep -ffic i ^crmrci &^$^ióm£m\ve tntcti&W* aiwa^Sìuino pScfli 7 . IrrA ttcwVìd^ ' uxé tm£ a|ón|wm£ c|5Rca^<7^oa^'^ìw . H,%xn xiru£r £t niJufeCw^ tu^o xéL c^\w^nd. / f ” . , T . . ‘Ctr Sv aB^o^UùììC ™T 5Umttivu\c pinete ct^a\^mv^u^t^iuvtiiu^^tiia|- j rOttc qvuivmtf^mnn pmcte c^tmna xcnxuxxxc^-^ Xnpdtev et- 4crn^ dtic5u|Vut' ^rrvpiiCiRt' cfbmn# ejTe^H^v^aÈi^/ d£ c^vn ncb m&co>Cp 7tìÉdàj>fit juttiSUup^tiaa# •,. a ì èr.wr tió^ag . W$ fi&fW Bcncpa^® oittixc • e$*j fnmvu* / enfi; tiuSìtuttri y!v& ymfe^t^yivc iK*ntv^ri^4ttsfenrc£^ njmcc^^Susr ttcìóc / talli jàSklW U4?|\vi^\ p-cr? * eh itorn c cc ' xixtxi umtv u&Sid ot4 {£wC*sh£v etn 'n^SliBittfcrtv ^ wviy^^^feéw^ ot? TCfc^t ^ roitio ht: J‘ni no, »S a/o ritorte r limo. % CODEX MALABAYLA Mon.N0 10 Ann. 1220. 3 kal . D ecembris Serie ?2 volume IV. Tab . IV fce&nns-cr, & fi&ttxinr ‘mvtTMti.- nctvtu^ " ftctnc- ^3BS®E2S& n aratiti fì .xncrzm>5 inm^lr^ur- tTyivcOc' acA>m^mi2'{l 0~aUttc*r> (v.rtC'^UTvitòrt>» Suu? ?cavm ìAeti t) "LU>£i Ajumcvnn ol>tm ctxà * tVi *? Sif *\mtt^v\c3 'pav»ec£t* jt itv fWpi<5£- cmmdAn «. naJoStife StJxuuiS oèm avztn. czm5> n A c*- Ai tv i-v Sbc joftcmrrtc Stlùjyniv cshr^; - ^Liun \Xr /nui> intvy iiitn» Atti della R Accademia de' Lincèi Serie ?a volume IV. Tab VI. rommis* p fornir* é? bm0 wpxmac mie eJV 11^0 fccactmn* awroit# jwBtmm JtccmiS concoi Ma putta [aedenttmi? f . TlSinC Si Iki^rwm# là^rmrniy tAiavnu- gtj?4 CODEX MALABAYLA Mon. N. 24. Ann. 1221. 17. Junii. 33* nmmvz ( rumo hi - Urnno. Salomon (ri urlo. i deiiAccadtiìà dei Lincei ■ Serie 2- Vol.M gravati IDiatmm ^i>4kn*au« Cafìsmwi? "\U*à C«5P«W»«> fumea (T^srumu \£c nu^otmn) «C&tmnoiui lanuti. d>nmÌD« JUfUla timo?# CODEX MALABAYLA TAB. VII A ifijXiuitiini raiuuU»? Miro» atolimi iCafhiimniìi Vici Live nero v nullfcn.iu btritó tir&nmnd JS= c ayunivztigzu CtI\TTH[S (Tafh-irni <£afbii cbtì «“Vil/a {rance* iCailuvro w Y^lrawHai AA\; _ US net torte (fytfXK n> f x)c vfcBvitu |vntu> "jJV _£ano CODEX MALABAYLA ■£Cìcv n_n_nJ' ;/////<#. WMiLtti iru lLLJLLÌlÌ J/- hi iil jfl 1 N? 3 3 N? 34 :nt ? +2 N ? N? 56 N ? 44 55 — 313 — CORREZIONI, AGGIUNTE, VARIANTI (') Pag. 9 linea 22 famiglia Zoya leggi famiglia Zola » 12 A destra del secondo specchietto si aggiunga il seguente quadro: Valore del danaro in centesimi A B C 5,36 4,96 6,53 5,16 4,82 5,94 4,05 2,89 » 17 linea 21 Alla fine di questa memoria . . . . leggi alla fine della prima parte eli questa memoria 33 55 33 22 (Allegato n. 1), il quale « (Allegato n. 1). Esso 37 55 33 23 e da questo potè essere fatto . . . . iì e questi lo potè rendere 33 35 37 24 e sopratutto per quelle somministrate dal » e sopratutto nel » 35 35 25 da questo quadro apparisce . . . n il quadro genealogico dimostra 33 22 35 5 dal 1100 al 1149 » 16 » dal 1100 al 1149 » 17 3? 35 35 6 » 1150 » 1189 » 47 » v 1150 » 1189 » 48 33 37 35 7 » 1190 » 1199 » 105 » 1190 » 1199 » 103 55 24 Nello specchio, tra le linee 8 e 9 della colonna prima, si aggiunga: || » | 304 | 163 | 163/3| 719 | 123 II 5? 25 linea 1 i 16 documenti . . leggi i 17 documenti » 75 57 9 per 323 nel Codice . . » per 330 nel Codice 55 55 35 12 In totale 340 . . » In totale 347 55 55 37 21 Sarebbero così 151 . . « Sarebbero così 153 55 35 33 ultima, diploma imperiale (1 2), e dal . . . . « diploma imperiale (2), ed il 35 30 Dopo la linea 28, si aggiunga : Chieri è due volte nel C. Malabaila cioè nei capi 48 e 49bis. Il Cap. 146 del C. M. de Montafia ed il 167 de Montefiali si riferiscono alla stessa terra. I cap. 54 e 100 Ci. M. sono entrambi intitolati de Maglano ed a Vagliano si riferisce il documento ripetuto sotto l’uno e l’altro capitolo. Ma il titolo n. 54 si riferisce a Mangano (oggi Mango), come dice correttamente il n. 39 della Lacinia, anche oggi sendovi in Mango le borgate di Ailungi, Valle di Villa, e la regione Favere. » 40-41 Guglielmo (9) 1236-84 . leggi Guglielmo (9) 1221-36-84 « » Enrico (10) 1263-90 . » Enrico (10) 1260-63-90 » 41 Obertino (17) 1289 . . » libertino (17) 1289-90 (1) Le correzioni, aggiunte e varianti a tutta la parte della Memoria, stampata vivente il Sella, cioè fino alla pàg. SS erano già state quasi tutte preparate dai lui e furono raccolte fra le sue note. -10 — 314 — Pag. 41 Rolandino (23) 1277-1307 leggi Rolandino (23) 1277-1311 » >? Giorgio (6) — Quaglieta » Giorgio (6) — ■ Gualeta (Quaglieta?) 1290 » » In fondo al quadro fra gli incerti si aggiunga: Provinciale 1275, (doc. n. 1023 App.) » 60 linea 12 62 63 65 66 74 133 155 158 164 165 175 207 215 223 236 280 cui valore risulta leggi il cui valore li, il massimo numero rende negativo il valore numerico dell’espressione seguente, 35 24 9 11 28 30 6 1 31 18 2 13 9 9 4 1 27 2 della nota: . . . il intiero, che non risulta Si aggiunga la nota — La stessa concordanza del giorno della settimana si verifica in un documento citato nel documento n. 911 colla data 1229, 28 di- cembre, indizione seconda, giorno di giovedì, infatti era di giovedì il 28 di- cembre 1228 del calendario odierno, rispondente al 1229 coll’anno incipiente al Natale. Al n. 949 si aggiunga la nota — Questo documento deve invece essere posto tra quelli per cui vi è concordanza di indizione e mancanza di giorno. Ri- guardo alla data di esso vedi la nota 6 a pag. 91. della nota : . . . specchietto precedente emerge leggi specchietto precedente, sup- posto indefinitamente esteso a destra ed a sinistra emerge della nota x -+- 79 correggi x — 79 nel Codice Malabaila ve ne ha 13 leggi nel Codice Malabaila ve ne ha 16 nel nostro Codice ben più di diecimila nomi correggi nel nostro Codice e nell’ Appendice 4866 cognomi di una parte d’ Italia leggi di questa parte d’ Italia Noi crediamo ... » ■ Non crediamo Nel trattato di pace tra Asti col marchese leggi Nel trattato di pace tra Asti ed il marchese • leggi Quargnento » l’atto 10 settembre Pel 1213 nè in Mombercelli delle ostilità del P248 E degno di nota namentlich in id. dallo stesso conte de Papia Quargniento . . . V atto 10 settembre . » della nota. Pel 1113 . » nè in Monbersario . . » delle ostilità del 1348 » E degno di nota . . » delle note: nàmlich in » della nota: nàmlichin » dello stesso conte . . » de Papix » 22 JUN 1839 )