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I OBOGIRIANIO vari 1A 4A or Ù sparge PLATA sinti f magia Parigi te in AA hi, SRAAINI CAT Minist PICENO \ ibrdgi HEM (et i... ct i (Regi 3 Di. si. ni Li i potete E Mera Tk METTI Di vttvTerar Ezio nr } dia UA USAI IERCION IONI TITO N CO ITRLZIOI PNT i Tiaaprdidri ALATARINIOI n ini e pra CTD DINI MOCNE inte MIRA dd» sie CERI ti DIETSONI \pitimi gie Rini hat oli { i DITE Igt i si SU iianta sy; Di È, 3 (MII ton numeri Viet DR, RITA oro) ” RO RIDI -. I : TINI ifionie n ATI UTCOLISIOTA HILPTAL, UnA Saiu iti UG ppi: u Mr? Ori iena hei WAIT . ii Gioi. Mn LANUNE TCA API LRII La tok SENO } iui 1 (LO INFESTIMI ITITRSZZATI ttorcn: f9 14 Muti sale Puurtto poll fabggr je ; ARI I ter E \ Ù i \ tu and hd pepe tit Iiprpbaari Matt ici) ui HARMAN Wei RIiAziatI IRRTEIARONT] Magn PIERO ta } peste ni h . pa sit dra Hi ti pini i st AG Î piu cin Ù, LISI Lponta 4 LI ù IDOLI 3 LIT put di ERANIAI Md QINETI Ù Muzagei ka grid vai PRI ia ti inipritea pt 4) . URLS }i NIENTA] do Hi Hi pipagidtatigti Su Li Hi i "i so Sign o LEA . dun ni N) sinto fi AURIO ASINI RILTÙ HU pui DIVUIICANI TRIBAL du: IIETINTIZNIT Mambo } Di ‘ A) I vb Ag MIUIStotLito s0AfitE i HUREDY di Ninì a tali nia sui APRIRE ni 4 DADA DORIA EI bibi siga Ni RIA AF IRE VANTO LENTE TIRA AA Afai n gbetiet aa hi tibgriene H sui sola [oz] ZIONI per sl, DIGITI D ; RATA i ila portogoni fr ab i; Tino cb vue 3 DIR Matt potiito rapide uni nt RI MARI FUSI ARTT NI io ITRIUIRTASTItIAINI cina ia cas peli tan hi Mtep si dî cdi È Si ti Ù "i TIE i MULAI pu HI BRITA ‘[h? HA tpppi ii LIDIA) fi DISTIITRLI putin SIATE ROIO LHR) ni VII Wp i tare ' MANInnt phò ti i dine i ji Hi DI serepo vt 4t pal! dI tate ' Injat sale ny RR ei Digi LELLA Uicoe Mn il dl SR i | tal Ratio NE HILL lO Rate LI ttt RATTI ma, Hi HI QUO IRI SHIT at: MORE f) CORRA pit NRE R PRAGA PA] Del (IFVRCI SETTI Alf ea Mii LEMMA fatto , ito NNT IRRAZANITT Da) Mo rtitoe i ifLibitohte i If TRA HELL] VACIR MIO Gt URILIS I SOIA MURATE de IAN gt RENEE Ea OCA BAROLO SAVIO eri OLUIST ATENA Uni Li dEi nel) Vai i ì pa{lyh. Hi {NI i fit: I ihii ili ri ii NLG DICI fi ti lita bri NNT) Mic v IE Prg vil IRE) Vil, vba ti HATATE RUI, Li vi ir pAt i carraio cari “tà SETTE des ht" n 4 Di DI sera "TaT-r » apezetiiei LITA1 î è : . v pitt . è ' l vd 4 A u À , : i 7 “i i Ù ' bi y faje ' ìì i . i ' ut + DI " Ù » comi ' 4-4 î ’ 6 Ù Ù se ‘ ’ + ' vi va ‘wi 37 4} E CR O VA MANA TL dI lì NH LARE i Ò ni | si i) a u } 6] ‘OAV fi: ASTA pa Mii: (200 I ho xi ÙI HO ATTI R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DIL ROTREN O PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME TRENTATREESIMO 1897-98 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1897 PROPRIETÀ LETTERARIA OMIHOL LT Gip tal. d Da v% ELENCO DEGLI ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI AL 21 NOVEMBRE MDCCCXCVII. PRESIDENTE CarLE (Giuseppe), Dottore aggregato, Professore di Filo- sofia del Diritto nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, *, Comm. es. Vice-PRESIDENTE Cossa (Alfonso), Dottore in Medicina, Direttore della Regia Scuola d’Applicazione degli Ingegneri in Torino, Professore di Chimica docimastica nella medesima Scuola e di Chimica mi- nerale presso il R. Museo Industriale Italiano, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Ita- liana delle Scienze, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna e della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Berlino, Socio ordinario non residente dell'Istituto d’Incoraggiamento alle Scienze naturali di Napoli, Presidente della Reale Accademia di Agricoltura di Torino e Socio dell’Accademia Gioenia di Catania, Socio ono- rario dell’Accademia Olimpica di Vicenza, Socio effettivo della Società Imperiale Mineralogica di Pietroburgo, Comm. *#, €», e dell'O. d’Is. Catt. di Sp. IV l'ESORIERE Camerano (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali, Professore di Anatomia comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricol- tura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro della Società Zoologica di Francia, Membro corrispondente della Società Scientifica del Chilì e della Società Zoologica di Londra. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Direttore D’Ovipio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore or- dinario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Torino; Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Napoli e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, ono- rario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, ecc., Uffiz. #, Comm. ee. Segretario NaccarI (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Socio Corri- spondente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania e dell’Accademia Pontaniana, Uffiz. +, ee. ACCADEMICI RESIDENTI SaLvapori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chi- rurgia, Vice-Direttore del Museo Zoologico della R. Università «di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze Naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro Corrispondente della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della So- cietà dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze Naturali delle Indie Neerlandesi e del KR. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Ornithological Club, Socio Straniero dell’ American Ornithologist's Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordinario della So- cietà Ornitologica tedesca, Uffiz. e, Cav. dell'O. di S. Giacomo del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). Cossa (Alfonso), predetto. BeRrRuUTI (Giacinto), Direttore del R. Museo Industriale Ita- liano e dell’Officina governativa delle Carte-Valori, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Vice-Presidente del Con- siglio Superiore delle Miniere, Gr. Uffiz. es; Comm. &, dell'O. di Francesco Giuseppe d'Austria, della L. d’O. di Francia, e della Repubblica di S. Marino. D’Ovipio (Enrico), predetto. Bizzozero (Giulio), Senatore del Regno, Professore e Diret- tore del Laboratorio di Patologia generale nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e delle RR. Accademie di Medicina e di Agricoltura di Torino, Socio Straniero dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Socio Corrispondente del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, VI Lettere ed Arti, dell’ Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, ecc., Uffiz. & e Gr. Uffiz. em. NaccarI (Andrea), predetto. Mosso (Angelo), Dottore in Medicina e Chirurgia, Profes- sore di Fisiologia nella, R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Medicina di Torino, Uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Socio onorario della R. Accademia medica di Roma, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia me- dica di Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’ Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, della Società Reale di Scienze mediche e naturali di Bruxelles, della Società fisico-medica di Erlangen, Socio straniero della R. Accademia delle Scienze di Svezia, ecc. ecc., &, Comm. es. SpPezIA (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Direttore del Museo mineralogico della Regia Università di Torino, «es. GiseLLI (Giuseppe), Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro- fessore di Botanica e Direttore dell'Orto botanico della R. Uni- versità di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, +, es. Giacomini (Carlo), Dottore aggregato in Medicina e Chi- rurgia, Professore di Anatomia umana, descrittiva, topografica ed Istologia, Corrispondente dell’Accademia delle Scienze del- l’Istituto di Bologna, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino e Direttore dell’Istituto Anatomico della Regia Univer- sità di Torino, *, «es. CameRANO (Lorenzo), predetto. VII SeGRE (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geo- metria superiore nella R. Università di Torino, Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, e. Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Cal- colo infinitesimale nella R. Università di Torino, Socio della “ Sociedad Cientifica , del Messico, Socio del Circolo Matematico di Palermo. VoLtERRA (Vito), Dottore in Fisica, Professore di Meccanica razionale nella R. Università di Torino, em. JADANZA (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geo- metria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri, Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, «e». Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Patologica nella R. Università di Torino, Socio Nazio- nale della R. Accademia dei Lincei, Comm. es. GuarescHI (Icilio), Dottore in Scienze Naturali, Professore e Direttore dell'Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella R. Università di Torino, Direttore della Scuola di Far- macia, Socio della R. Accademia di Medicina di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Membro della So- cietà Chimica di Berlino, ecc., «e. Gurpi (Camillo), Ingegnere, Professore di Statica grafica e scienza delle costruzioni nella R. Scuola di Applicazione per gl'Ingegneri in Torino, e». Frueti (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario di Chimica generale nella R. Università di Torino, en. VIII ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI BrioscHi (Francesco), Senatore del Regno, Direttore del R. Istituto tecnico superiore di Milano, Presidente della R. Ac- cademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Reale Accademia delle Scienze di Napoli, dell'Istituto di Bologna, ecc., Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Geometria), e delle Reali Accademie delle Scienze di Berlino, di Gottinga, di Pietroburgo, del Belgio, di Praga, di Erlangen, ecc., Dottore ad honorem delle Università di Heidelberg e di Dublino, Membro delle Società Matematiche di Parigi e di Londra e delle Filosofiche di Cambridge e di Manchester, Gr. Cord. &, della Legion d’Onore; «s, £, Comm. dell'O. di Cr. ‘di Port. CANNIZZARO (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle ‘Scienze, ‘Socio Nazionale della R. Acca- demia dei Lincei e della Società Reale ‘di Napoli, Socio Cor- rispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Socio ‘Corri- spondente dell’Istituto di Francia, Socio Corrispondente dell’Ac- cademia delle Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera, della ‘Società Reale di Londra, della Società Reale di Edimburgo e della Società letteraria e filosofica di Manchester, Socio ‘ono- rario della Società chimica tedesca, di Londra e Americana, Comm. &, Gr. Uffiz. e», ©. SCRIAPARELLI (Giovanni), Direttore del R. Osservatorio astronomico di Milano, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio ‘del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’Accademia Reale di Napoli e dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Socio Corrispondente dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Astronomia), delle Accademie di Monaco, di Vienna, PERA, DI, E E E E E teen init ii din IX di Berlino, di Pietroburgo, di Stockolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Naturalisti di Mosca, della Società Reale e della Società astronomica di Londra, Gr. Cord. «=, Comm. «&; ig. Siacci (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Arti- glieria nella Riserva, Professore onorario della R. Università di Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato della Meccanica superiore nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, e dell’Accademia Pontaniana, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Uff. %, Comm. a». Cremona (Luigi), Senatore del Regno, Professore di Mate- matica superiore nella R. Università di Roma, Direttore della Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri, Membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, Presidente della Società Italiana delle Scienze (detta dei XL), Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio del R. Istituto Lombardo, del R. Istituto d’Incoraggiamento di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, delle Società Reali di Londra, di Edimburgo, di Gottinga, di Praga, di Liegi e di Copenaghen, delle Società matematiche di Londra, di Praga e di Parigi, delle Reali Accademie di Napoli, di Amsterdam e di Monaco, Membro onorario dell’Imsigne Accademia romana di Belle Arti detta di San Luca, della Società Fisico-medica di Erlangen, della Società Filosofica di Cambridge e dell’Associazione britannica pel pro- gresso delle Scienze, Membro Straniero della Società delle Scienze di Harlem, Socio Corrispondente delle Reali Accademie di Berlino e di Lisbona, e dell’Accademia Pontaniana in Napoli, Dottore (LL. D.) dell’Università di Edimburgo, Dottore (D. Sc.) dell’Uni- versità di Dublino, Professore emerito nell'Università di Bologna, | Gr. Uffiz. +, Gr. Cord. eo, Cav. e Cons. £. Bertram (Eugenio), Professore di Fisica matematica nella R. Università di Roma, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, X Socio effettivo del R. Istituto Lombardo e della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio estero della R. Ac- cademia di Gottinga, Socio Corrispondente della R. Accademia di Berlino, della Società Reale di Napoli, dell’Istituto di Francia (Accademia delle Scienze, Sezione di Meccanica), della Società Matematica di Londra, della Reale Accademia di Bruxelles, Comm. %; €, "hi, FeRGOLA (Emanuele), Professore di Astronomia nella R. Uni- versità di Napoli, Socio ordinario residente della R. Accademia delle scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della Società italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei, Socio residente dell’Accademia Pontaniana, Socio ordinario del R. Istituto d’incoraggiamento alle Scienze naturali, Socio Cor- rispondente del R. Istituto Veneto, Comm. %, «®. FeLici (Riccardo), Professore Emerito della R. Università di Pisa, Socio ordinario della Società italiana delle Scienze detta dei XL e della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente della Società Fisico-medica di Wiirzburg, del R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere in Milano, della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, della R. Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, &, Gr. Uff. es, =. ACCADEMICI STRANIERI HermTE (Carlo), Professore nella Facoltà di Scienze, Parigi. KeLvin (Guglielmo Thomson, Lord), Professore nell’Univer- sità di Glasgow. GeGENBAUR (Carlo), Professore nell'Università di Heidelberg. VircHow (Rodolfo), Professore nell'Università di Berlino. KoeLLiKER (Alberto von), Professore nell’ Università di Wiirzburg. BertrAND (Giuseppe Luigi), Professore nel Collegio di Francia, membro dell'Istituto, Parigi. KLEIN (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. E E XI CORRISPONDENTI SEZIONE DI MATEMATICHE PURE Tarpy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova . Cantor (Maurizio), Professore nell’Univer- sità di ScHwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di . Dini (Ulisse), Professore di Analisi superiore nella R. Università di . BertINI (Eugenio), Professore nella Regia Università di . DARBOUX (G. Gastone), dell’Istituto di Francia Porncaré (G. Enrico), dell'Istituto di Francia NortHER (Massimiliano), Professore nell’ Uni- | versità di BrancHI (Luigi), Professore nella R. Uni- | versità di Lie (Sophus), Professore nell'Università di JorDAN (Camillo), Professore nel Collegio _ di Francia, Membro dell'Istituto Firenze Heidelberg Berlino Pisa Pisu Parigi Parigi Erlangen Pisa Lipsia Parigi XII MirtAG-LeFrFLER (Gustavo), Professore a Picarp (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell’Istituto di Francia . SEZIONE Stoccolma Parigi DI MATEMATICHE APPLICATE, ASTRONOMIA E SCIENZA DELL'INGEGNERE CIVILE E MILITARE Tacc®inI (Pietro), Direttore dell’Osserva- torio del Collegio Romano FaseLLA (Felice), Direttore della Scuola na- vale superiore di . Hopkinson (Giovanni), della Società Reale di Zeuner (Gustavo), Professore nel Polite- cnico di . Ewine (Giovanni Alfredo), Professore nel- l’Università di . LorENZONI (Giuseppe), Professore nella Regia Università di CeLorIA (Giovanni), Astronomo all’Osser- vatorio di HeLmerT (F. Roberto), Direttore del R. Isti- tuto Geodetico di Prussia . nt Pie Frorini (Matteo), Professore della R. Uni- versità di Te ratio dici di Favero (Giambattista), Professore nella R. Scuola di Applicazione degli Ingegneri in . Roma Genova Londra Dresda Cambridge Padova Milano Potsdam Bologna Roma SEZIONE XIII DI FISICA GENERALE E SPERIMENTALE BLASERNA (Pietro), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di . KosirAvsotH{Federice), Presidente dell’Isti- tuto Fisico-Tecnico in Cornu (Maria Alfredo), dell'Istituto di Francia VicLarI (Emilio), Professore nella R. Uni- versità di Rorri (Antonio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in WiIEDEMANN (Gustavo), Professore nell’Uni- versità di Rigi (Augusto), Professore di Fisica spe- rimentale nella R. Università di . Lippmanw (Gabriele), dell'Istituto di Francia RayLEIGH (Lord Giovanni Guglielmo), Pro- fessore nella “ Royal Institution , di . TrHomson (Giuseppe Giovanni), Professore nell'Università di . BoLrzmanN (Luigi), Professore nell’Univer- sità di Mascart (Eleuterio), Professore nel Col- F legio di Francia, Membro dell'Istituto Roma Charlottenburg Parigi Napoli Firenze Lipsia Bologna Parigi Londra Cambridge Vienna Parigi XIV SEZIONE DI CHIMICA GENERALE ED APPLICATA PLANTAMOUR (Filippo), Professore di Chimica Bunsen (Roberto Guglielmo), Professore di Chimica . BertHELOT (Marcellino), dello Istituto di’ Francia . ParERNÒ (Emanuele), Professore di Chimica applicata nella R. Università di . KorNER (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola superiore d’A gricoltura in FriepEL (Carlo), dell'Istituto di Francia BaEYER (Adolfo von), Professore nell’ Uni- versità di WiLLiamson (Alessandro Guglielmo), della R. Società di . THomsen (Giulio), Professore nell’ Univer- sità di LieBeN (Adolfo), Professore nell'Università di MenpeELEJEFF (Demetrio), Professore nel- l’Università di . Horr (Giacomo Enrico van’t), Professore nel- l’Università di. FiscHer (Emilio), Professore nell’ Univer- sità di Ramsay (Guglielmo), Professore nell’Uni- versità di Ginevra Heidelberg Parigi Roma Milano Parigi Monaco (Baviera) Londra Copenaghen Vienna Pietroburgo Berlino Berlino Londra SEZIONE XV DI MINERALOGIA, GEOLOGIA E PALEONTOLOGIA Strùver (Giovanni), Professore di Minera- | logia nella R. Università di . RosenBpuscHa (Enrico), Professore nell’Uni- versità di NorpENsKI6LD (Adolfo Enrico), della R.Ac- cademia delle Scienze di “x fi ala ZirxeL (Ferdinando), Professore nell’ Uni- versità di CAPELLINI (Giovanni), Professore nella Regia Università di . TscHERMAK (Gustavo), Professore nell’Uni- versità di ArzrunI (Andrea), Professore nella Scuola tecnica superiore . KLern (Carlo), Professore nell'Università di Geixte (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica . IBM Fouqué (Ferdinando Andrea), Professore nel Collegio di Francia, membro dell'Istituto RammeLsBere (Carlo Federico), Professore nell’Università di . Scaraur (Alberto), Professore nell’Univer- sità di Roma Heidelberg Stoccolma Lipsia Bologna Vienna Aquisgrana Berlino Londra Parigi Berlino Vienna XVI SEZIONE DI BOTANICA E FISIOLOGIA VEGETALE CaruEL (Teodoro), Professore di Botanica Arpissone (Francesco), Professore di Bota- nica nella R. Scuola superiore d’Agricoltura in Saccarpo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di Hooker (Giuseppe Darrox), Direttore del Giardino Reale di Kew . DeLpPIno (Federico), Professore nella R. Uni- versità di PrrortA (Romualdo), Professore nella Regia Università di StRASBURGER (Edoardo), Professore nell’ Uni- versità di MartIROLO (Oreste), Professore di Botanica nell'Istituto di Studi superiori pratici e di per- fezionamento SEZIONE DI ZOOLOGIA, ANATOMIA E FISIOLOGIA De SeLvs LonecHAmPs (Edmondo) Paiuippi (Rodolfo Armando) GoLeI (Camillo), Professore nella R. Univer- sità di. Firenze Milano Padova Londra Napoli Roma Bonn Firenze COMPARATA Liegi Santiago (Chità) Pavia CPTEnT n HarckeL (Ernesto), Professore nell’Univer- sità di ScLaTtER (Filippo LurLEY), Segretario della Società Zoologica di . Fatto (Vittore), Dottore . KovaLewskI (Alessandro), Professore nel- l’Università di . Locarp (Arnould), dell’ Accademia ‘delle Scienze di CHAUVEAU (G. B. Augusto), Membro dell’Isti- tuto di Francia, Professore alla Scuola di Medi- cina di Foster (Michele), Professore nell’Univer- sità di WALDEYER (Guglielmo), Professore nell’Uni- versità di GueNnTHER (Alberto) FLower (Guglielmo Enrico), Direttore del Museo di Storia naturale . EpwaArps (Alfonso DE Membro dell’Isti- tuto di Francia SITR RARI Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. XVII Jena Londra Ginevra Odessa Lione Parigi Cambridge Berlino Londra Londra Parigi XVIII CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Direttore CLARETTA (Barone Gaudenzio), Dottore in Leggi, Socio e Segretario della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Membro della Commissione iconserva- trice dei monumenti di antichità e belle arti della Provincia ecc., Comm. &, Gr. Uffiz. ess. Segretario Nanr (Cesare), Dottore aggregato, Professore ordinario di Storia del Diritto italiano e Preside della Facoltà di Giurispru- denza nella R. Università di Torino, Membro della R. Depu- tazione sopra gli studi di Storia Patria per le Antiche Pro- vincie e la Lombardia, Uff. &, Comm. ess. ACCADEMICI RESIDENTI PeyRon (Bernardino), Professore di Lettere, Bibliotecario Onorario della Biblioteca Nazionale di Torino, Socio Corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Gr. Uffiz. *, Uffiz. es. CLarETTA (Barone Gaudenzio), predetto. Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d’Egitto- logia nella R. Università di Torino, Vice-Direttore del R. Museo di Antichità a riposo, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della Società per gli Studi biblici in Roma, «as. "VPI nes ani ita i. Mini crt DI XIX Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Con- | siglio degli Archivi, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tiibingen, Comm. *, Gr. Uffiz. «=, Cav. d’on. e devoz. del S. 0. M. di Malta. BoLLatI DI SAINT-PIERRE (Barone Federigo Emanuele), Dot- tore in Leggi, Soprintendente agli Archivi Piemontesi e Di- rettore dell'Archivio di Stato in Torino, Membro del Consiglio d’Amministrazione presso il R. Economato generale delle antiche - Provincie, Corrispondente della Consulta araldica, Vice-Presidente della Commissione araldica per il Piemonte, Membro della R. De- putazione sopra gli studi di storia patria per le Antiche Pro- vincie e la Lombardia e della Società Accademica d’Aosta, Socio corrispondente della Società Ligure di Storia patria, del R. Isti- tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Società Colombaria Fiorentina, della R. Deputazione di Storia patria per le Pro- vincie della Romagna, della nuova Società per la Storia di Sicilia e della Società di Storia e di Archeologia di Ginevra, Membro onorario della Società di Storia della Svizzera Romanza, dell’Ac- cademia del Chablais, e della Società Savoina di Storia e di Archeologia ecc., Uffiz. &, Comm. ess. Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Let- tere e Filosofia, Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, es. FerRERO (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore ag- gregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeo- logia nella R. Università di Torino, Professore di Storia militare nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Circondario di Torino, Consigliere della Giunta Superiore per la Storia e l’Archeologia, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le antiche Pro- vincie e la Lombardia, Membro e Segretario della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio Cor- | rispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Pro- vincie di Romagna, dell’Imp. Instituto Archeologico Germanico XX e della Società Nazionale degli Antiquarii di Francia, fregiato della Medaglia del merito civile di 1° cl. della Repubblica di S. Marino, «, «2. CARLE (Giuseppe), predetto. NAnI (Cesare), predetto. Coenerti De MartIs (Salvatore), Professore ordinario di Economia politica nella R. Università di Torino, Incaricato per l'Economia e Legislazione industriale nel Museo Industriale Ita- liano, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia dei Georgofili e della Società Reale di Napoli (Accademia di Scienze morali e politiche), #, Comm. es. Grar (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella R. Università di Torino, Membro della Società romana di Storia patria, Uffiz. & e «=. BoseLLi (Paolo), Dottore aggregato alla Facoltà di Giuris- prudenza della R. Università di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Università di Bologna, Vice-Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corri- spondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia patria di Savona, Socio onorario della Società Ligure di Storia Patria, Socio della R. Accademia di Agricoltura, Depu- tato al Parlamento nazionale, Presidente del Consiglio provin- ciale di Torino, Gr. Uffiz. &, Gr. Cord. «2, Gr. Cord. dell'Aquila Rossa di Prussia, dell'Ordine di Alberto di Sassonia, dell’Ord. di Bertoldo I di Z&hringen (Baden), e dell'Ordine del Sole Le- vante del Giappone, Gr. Uffiz. 0. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d’O. di Francia, e C. O. della Con- cezione del Portogallo. : CrpoLLa (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di | Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione XXI Veneta di Storia patria, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio Corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Uffiz. es. Brusa (Emilio), Dottore in Leggi, Professore di Diritto e Procedura Penale nella R. Università di Torino, Consigliere | superiore della Pubblica Istruzione, Socio Corrispondente del- l'Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), Presidente dell’ Istituto di Diritto internazionale, Socio Onorario della Società dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Acca- demiadi Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di Barcellona, della Società Generale delle Prigioni di Francia, di quella di Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Acca- demia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e di altre, Comm. e e del- l'Ordine di San Stanislao di Russia, Officier d’Académie della Repubblica francese, &. PerRERO (Domenico), Dottore in Leggi, Membro della R. Deputazione sovra gli Studi di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia. Anuievo (Giuseppe), Dottore in Filosofia, Professore di Pe- dagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio Onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo, della Accademia di S. Anselmo di Aosta, dell’Accademia dafnica di Acireale, della Regia Imperiale Accademia degli Agiati di Rove- reto e dell’Accademia cattolica panormitana, Comm. e, «. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI CarutTI DI CanToeno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Membro dell’Istituto Storico Ita- liano, Socio Straniero della R. Accademia delle Scienze Neerlan- XXII dese, e della Savoia, Socio Corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ecc., Gr. Uffiz. & e es, Cav. e Cons. =, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell'O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. Rermonp (Gian Giacomo), già Professore di Economia po- litica nella Regia Università di Torino, %. Canonico (Taneredi), Vice Presidente del Senato del Regno, Professore, Presidente di Sezione della Corte di Cassazione di Roma, Socio Corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, della Società Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere del Contenzioso Diplomatico, Comm. %, e Gr. Croce es, Cav. £, Comm. dell’Ord. di Carlo IN di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant’Olaf di Norvegia, Gr. Cord. dell'O. di S. Stanislao di Russia. VILLARI (Pasquale), Senatore del Regno, Vice Presidente del Senato, Professore di Storia moderna e Presidente della Sezione di Filosofia e Lettere nell’ Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, Vice-presidente della R. Deputa- zione di Storia Patria per la Toscana, l'Umbria e le Marche, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio Straordinario della R. Accademia di Baviera, Socio Straniero dell’Accademia di Scienze di Gottinga, della R. Accademia Ungherese, Dott. On. in Legge della Università di Edimburgo, di Halle, Dott. On. in Filosofia dell’Università di Budapest, Professore emerito della R. Università di Pisa, Gr. Uffiz. & e es, Cav. ©, Cav. del Merito di Prussia, ecc., ecc. CompArETTI (Domenico), Senatore del Regno, Professore. emerito dell’Università di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, dell’Accademia della Crusca, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero dell'Istituto hs rete < Cip» XXIMI di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e cor- rispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di Vienna, di Copenhagen, Uff. *, Comm. e, Cav. £. ACCADEMICI STRANIERI Mowmwsen (Teodoro), Professore nella Regia Università di Berlino. MiiLLer (Massimiliano), Professore nell'Università di Oxford. Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Diret- tore dell’Ecoles des Chartes, Parigi. Paris (Gastone), Professore nel Collegio di Francia, Parigi. BontLINGK (Ottone), Professore nell'Università di Lipsia. ToBLer (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di' Francia, Parigi. WatLLon (Enrico Alessandro), Segretario perpetuo dell’Isti- tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere). Bruemann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. XXIV CORRISPONDENTI SEZIONE DI SCIENZE FILOSOFICHE Renpu (Hugenio) “. . . . ... ...- Pe BonarteLLI (Francesco), Professore nella Repia Università: di. CU... 0 E PinLocHe (Augusto), Professore nella Uni- versità dit nat ra onde dee Tocco (Felice), Professore nel R. Istituto di Studi Superiori pratici e di perfezionamento di Firenze Cantoni (Carlo), Professore nella R. Uni- O TO ee e CaiappeLLi (Alessandro), Professore nella RIU were adi tI E TA e AE SEZIONE DI SCIENZE GIURIDICHE E SOCIALI LampertIco (Fedele), Senatore del Regno . Vicenza SerpA PimenteL (Antonio di), Consigliere di STAR La e e, A Ropricuez DE BerLAaNGA (Manuel) . . . Malaga ScHuPreR (Francesco), Professore nella Regia Università di . GaABBA (Carlo Francesco), Professore nella R. Università di . Buonamici (Francesco), Professore nella R. Università di . DarEsTE (Rodolfo), dell'Istituto di Francia SEZIONE DI SCIENZE STORICHE AprianI (P. Giambattista), della R. Depu- tazione sovra gli studi di Storia Patria . PeRRENS (Francesco), dell'Istituto di Francia HAULLEVILLE (Prospero de) . WiLLems (Pietro), Professore nell’Univer- sità di BircH (Walter de Gray), del Museo Bri- tannico di Capasso (Bartolomeo), Sovrintendente degli Archivi Napoletani CHEvALIER (Canonico Ulisse) De Simoni (Cornelio), Direttore del R. Ar- chivio di Stato in UT Lan n Ducgzesne (Luigi), Direttore della Scuola Francese in. XXV Roma Pisa Pisa Parigi Cherasco Parigi Bruxelles Lovanio Londra Napoli Romans Genova Roma XXVI BrycE (Giacomo) PaTETTA (Federico), Professore nella R. Uni- versità di SEZIONE 'DI ARCHEOLOGIA Parma di CesnoLa (Conte Luigi), Direttore del Museo Metropolitano di Arti a LatTES (Elia), Membro del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere SRAGAE Al SEO Poesi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a . PLEYTE (Guglielmo), Conservatore del Museo Egizio a . Parma DI CesnoLa (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquarii di Londra Mowar (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia 99101 Naparac (Marchese I. F. Alberto de) Brizio (Eduardo), Professore nell’Univer- sità di BarnABEI (Felice), Direttore del Museo Nazionale Romano GATTI (Giuseppe) Londra Siena New- York Milano Savona Leida Firenze Parigi Parigi Bologna Roma Roma SEZIONE XXVII DI GEOGRAFIA ED ETNOGRAFIA KieperT (Enrico), Professore nell’ Univer- sità di PicorInI (Luigi), Professore nella R. Uni- versità di Dara Vepova (Giuseppe), Professore nella R. Università di . MARINELLI (Giovanni), Professore nel R. Isti- tuto di Studi superiori pratici e di perfeziona- mento in. SEZIONE Berlino Roma Roma Firenze DI LINGUISTICA E FILOLOGIA ORIENTALE KreHL (Ludolfo), Professore nell’Univer- sità di Sourinpro MoHun TAGORE . Ascori (Graziadio), Senatore del Regno, Pro- fessore nella R. Accademia scientifico-letteraria di WeBER (Alberto), Professore nell’ Univer- sità di KeRBAKER(Michele), Professore nella R. Uni- versità di MARRE (Aristide) Dresda Calcutta Milano Berlino Napoli Vaucresson (Francia) XXVIII OpperT (Giulio), Professore nel Collegio di FRECCE RP ONERE SO RA Guipi (Ignazio), Professore nella R. Uni- DOTI i NO IO, CULI Ci NARA AIN AweLinEAU (Emilio), Professore nella “ Ecole des Hot Biudes di; TOMO enti Parigi Forerster (Wendelin), Professore nell’Uni- vergttà. divi se dre peo dI Mat re SEZIONE DI FILOLOGIA, STORIA LETTERARIA E BIBLIOGRAFIA BrfAL (Michele), Professore nel Collegio di Eifancia: o Se IL a i ECT AIA TEO D'Ancona (Alessandro), Professore nella R. Univarsità.di; pai da far st ANTE] NI Nigra (S. E. Conte Costantino), Ambascia- oro @WTtalia a; So et eo, rio nt Up a ETA RAJNA (Pio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento in. . Firenze DeL Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca ‘. /. 0.0... Firenze etere de 7° > XXIX MUTAZIONI AVVENUTE nel Corpo Accademico dal 80 Novembre 1896 al 21 Novembre 1897. ELEZIONI SOCI KLEIN (Felice), Professore nella R. Università di Gottinga, eletto Socio Straniero della Classe di Scienze fisiche, matema- tiche e naturali nell'adunanza del 10 gennaio 1897 ed approvato con R. Decreto 24 gennaio 1897. PrcAarD (Emilio), Professore alla Sorbonne e Membro del- l’Istituto di Francia a Parigi, eletto Socio Corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Matematiche pure) nell'adunanza del 10 gennaio 1897. Fiorini (Matteo), Professore nella R. Università di Bologna, id. id. (Sezione di Matematiche applicate, astronomia e scienza dell’ingenere civile e militare), id. id. Favero (Giambattista), Professore nella R. Scuola di Appli- cazione per gl’Ingegneri in Roma, id. id. Mascart (Eleuterio), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell’Istituto a Parigi, id. id. (Sezione di Fisica generale e sperimentale), id. id. XXX Fiscner (Emilio), Professore nell’ Università di Berlino, eletto Socio Corrispondente (Sezione di Chimica generale e ap- plicata), nell'adunanza del 24 gennaio 1897. Ramsay (Guglielmo), Professore nella Università di Londra, id. id. RammeLsBEr& (Carlo Federico), Professore nell'Università di Berlino, id. id. (Sezione di Mineralogia, geologia e paleonto- logia), id. id. Scaraur (Alberto), Professore nella Università di Vienna, id. id. WaLLOoN (Enrico Alessandro), Segretario perpetuo dell’Isti- tuto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere), eletto Socio Straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 31 gennaio 1897 ed approvato con R. Decreto del 14 febbraio 1897. Bruamann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia, id. id. Nan (Cesare), eletto alla carica triennale di Segretario della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche nell’ adu- nanza del 20 giugno 1897, ed approvato con R. Decreto del 20 luglio 1897. eat, ir E i TASTI XXXI MORTI 10 Luglio 1896. Bonsean (Giuseppe), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Chimica ge- nerale ed applicata). 1 Febbraio 1897. GENNARI (Patrizio), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). 7 Febbraio 1897. FeRRARIS (Galileo), Socio residente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 19 Febbraio 1897. SOHIAPARELLI (Luigi), Socio residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 19 Febbraio 1897. WerERSsTRASS (Carlo), Socio straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. 15 Marzo 1897. SyLvEsTER (Giacomo Giuseppe), Socio straniero della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. XXXII 8 Aprile 1897. Trévisan DE SAInT-Lfon (Vittore), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). 22 Aprile 1897. Berti (Domenico), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 8 Maggio 1897. Des CLorzeAuUx (Alfredo Luigi Oliviero LeGRAND), Socio corri- spondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e natu- rali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). 15 Maggio 1897. SERAFINI (Filippo), Socio corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze giuri- diche e sociali). 29 Maggio 1897. Sac®s (Giulio von), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale). 11 Giugno 1897. Fresenius (Carlo Remigio), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata). 30 Luglio 1897. ArnerH (Alfredo von), Socio straniero della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. XXXIII 2 Settembre 1897. VALLAURI ('l'ommaso), Socio nazionale residente della Classe ‘di Scienze morali, storiche e filologiche. 20 Settembre 1897. WATTENBACH (Guglielmo), Socio corrispondente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Scienze storiche). 24 Settembre 1897. Tosti (Luigi), Socio nazionale non residente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. 13 Ottobre 1897. HemENHAIN (Rodolfo), Socio corrispondente della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata). Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 3 PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 13 Giugno al 21 Novembre 1897. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Abhandlangen der k. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1896; 4°. ** Abhandlungen der k. Preussischen geologischen Landesanstalt. N. F., Heft 22, 28. Berlin, 1897; 8°. * Abhandlungen herausg. von der Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft. Bd. XX, Heft I; XXIII, III, IV. Frankfurt a. M., 1897; 40. * Abhandlungen der Kénigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen, Mathematisch-Physikalische Klasse. N. F. Bd. I. Nro 1. Goòttingen, 1897; 49. * Acta Societatis scientiaram Fennicae. T. XXI. Helsingforsiae, 1896; 4°, * Acta et Commentationes Imp. Universitatis Jurievensis (olim Dorpa- tensis), vol. 5°, n. 2. Juriew (Dorpat), 1897; 8°. ** Allgemeine Deutsche Biographie. Bd. XLII, Lfg. 209-211. Leipzig, 1896; 8°, * American Chemical Journal. Vol. XVIII, n. 7-10; XIX, n. 1-3. Baltimore, 1896-97; 8° (dall Università John Hopkins di Baltimora). * American Journal of Mathem. Vol. XVIII, n. 3-4; XIX, n. 1-3. Baltimore, 1896-97; 4° (Id.). * Awales de la Sociedad Cientifica Argentina. Entrega V, VI, t. XLIII; I-IV, t. XLIV. Buenos Aires, 1897; 8°. * Anales del Museo Nacional de Buenos Aires. 2* Ser., t. II. Buenos Aires, 1896-97; 8°. Anales del Museo Nacional de Montevideo, VI. 1897; 4°. * Annales de la Société d’Agriculture, Sciences et Industrie de Lyon. 7ème série, t. IV, 1896. Lyon, 1897; 8°. * Annales de la Société Linnéenne de Lyon. Nouvelle sér., t. 43°. Lyon, 1896; 8°. * Annales des Mines. 9° série, t. XI, livr. 4°-6%; t. XII, livr. 7°, 8°. Paris, 1897, * Annales de l’Observatoire Météorologique du Mont-Blane. T. I. Paris. 1893; 4° (dal Direttore M* J. Vallot). Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. A II . PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Annales de la Faculté des Sciences de Toulouse, t. XI, année 1897. Paris, 1897; 4°. à * Amnali dell'Ufficio centrale meteorologico e geodinamico italiano. Serie 2*, v. XIV, p. II; v. XVI, p. I, 1894. Roma, 1896; f°. * Annals of the New York Academy of Science late Lyceum of Natural history. IX, n. 4 and 5. New York, 1897; 8°. * Annual Report of the Board of Regents of the Smithsonian Institution dI for the year ending june 30, 1894; Report of the U. S. National Museum. Washington, 1896; 8°. * Archives Néerlandaises des sciences exactes et naturelles publiées par la Société hollandaise des sciences è Harlem. Serie II, t. I, 1 livr. Harlem, 1897; 8°. * Atti della Società Italiana di Scienze naturali, vol. XXXVII, fasc. 1°. Milano, 1897; 8°. * Atti della Società dei Naturalisti di Modena; serie III, vol. XIV, anno XXIX. Modena, 1897; 8°. * Atti della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli. Anno LI; N.$., n. 3, 4. Napoli, 1897; 8°. * Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. IX, f.2°. 1897; 8°. Atti della Società toscana di Scienze naturali residente in Pisa; Memorie, vol. XV. Processi verbali, vol. X, 14 marzo al 9 maggio 1897; 8°. * Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconto dell’Adunanza solenne del 7 giugno 1897; 4°. * Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Anno L, sess. V e VI Roma, 1897; 4°. * Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti; t. LV, disp. 72-10*. “Venezia, 1896-97; 8°. Australian Museum. Report of Trustees for the year 1896. Sydney, 1897; 4°. * Bericht iber die Senckenbergische naturforschende Gesellschaft in Frankfurt am Mein, 1897; 8°. * Berichte iber die Verhandlungen der k. Sachsischen Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig. Mathem.-Phys. Classe. 1897, I-III. Leipzig, 1897;,8°. * Berichte der Bayer. Botanischen Gesellsch. Bd. V. Miinchen, 1897; 8°. Bibliographie des Travaux scientifiques (Sciences mathématiques, physiques et naturelles) publiés par les Sociétés Savantes de la France, dressée sous les auspices du Ministère de l’Instruction publique par J. Deniker. Tome TI, 2° livr. Paris, 1897 (dono del Governo Francese). * Bihang till Kongl. Svenska- Vetenskaps- Akademiens Handlingar. Bd. 22. Afdelning LIV. Stockholm, 1896-97; 8°. Boletin de la Academia Nacional de Ciencias en Cordoba. T. XV, entr. 2* y 3*. Buenos-Aires, 1897; 8°. * Boletin del Istituto Geolégico de México. N. 7-9. México, 1897; 4°. * Bollettino del R. Orto Botanico di Palermo. Anno I, fasc. II, 1897; 8°. Bollettino della Associazione “ Mathesis , fra gl’Insegnanti di matematica delle scuole medie. Anno II, n. 1. Torino, 1897; 8°. * E e i j | Î ) * - PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA III * British-Museum (Natural History): Catalogue of Welwitsch'Africa Plants, Pt. I; Catalogue Fossil Cepha- lopoda, Pt. III; Catalogue of Tertiary Mollusca, Pt. I. Guide to Fossil Manuals and Birds; Guide to Fossil Reptiles and Fisches; Guide to Fossil Invertebrates and Plants. London, 1896-97; 6 vol. 8°. sg ‘Bulletin de la Société d’études scientifiques d’Angers. XXV° année, 1895. Angers, 1896; 8°. * Bulletin de la Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydro- logie. Tom. IX; X, fasc. 1. Bruxelles, 1395-96; 8°. * Bulletin de la Société Belge de Microscopie. XXIII® an., 1896- 97, n. V-X. Bruxelles, 1897; 8°. * Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXXI, n. 1-3. Cambridge, 1897; 8°. * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. Copenhague, 1897, n. 2, 3; 8°. * Bulletin of the Scientifie Laboratories of Denison University. Vol. IX, part 1. Granville, Ohio, 1895; 8°. * Bulletin de la Société des Sciences naturelles de l’Quest de la France. T. VI, 4° trimestre 1896; VII, 1° trimestre 1897. Nantes; 8°. Bulletin of the Agricultural Experiment Station of Nebraska. Vol. IX, n. 47-49. Lincoln Nebraska, 1897; 8° (dall’Univ. di Nebraska). * Bulletin du Muséum d’histoire naturelle. Année 1896, n. 7, 8; 1897, n. 1-3. Paris, 8°. * Bulletin de la Société géologique de France. 3° série, t. XXIV°®, 1896, n. 8-9; XXV, 1897, n. 1-3. Paris, 1897; 8°. Bulletin de la Société Philomatique de Paris. 8° série, t. VIII, 1895-1896, 2,4; 1896-1897, 1; 8°. * Bulletin de la Société zoologique de France pour l’année 1896. T. XXI. Paris; 8°. * Bulletin de l’Académie Imp. des Sa de St-Pétersbourg. V° sér., T. III, n. 2-5;.IV, n. 1-5; V, n. 1-5; VI, n. 8. St-Pétersbourg, 1897; 8°. * Bulletin on the United States National e n.47. Washington, 1896; 8° (dalla Smithsonian Institution). * Bulletins du Comité géologique de St-Pétersbourg, 1896; t. XV, n. 5; suppl. au t. XV. St-Pétersbourg, 1896; 8°. * Bullettino delle sedute dell’Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. 1897; fasc. 47-49. Catania; 8°. * Catalogus der Bibliothek van de K. Natuurkundige Vereeniging in Neder- landisch-Indié. Batavia, 1884; 8°. * Ceskà Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, slovesnost a Uméni. III. Bulletin international. Résumé des travaux présentés. Sciences ma- thématiques et naturelles. 1896; 8°. Rozpravy. Tiida Il (Mathematiko-Prirodnické). 1896; 8°. Foraminifery vrstev bélohorskych. Sepsal D' Jaroslav Perner. Trida II 1897; 4°. VySSi geodesie. Napsal D" V. Léska. 1896; 8°. Véstnik. Rocnik V. 1896. Praze. IV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Chicago (The) Academy of Sciences. Bulletin No. I of the Geological and Natural History Survey. Thirty-Ninth Annual Report for the year 1896. Chicago, 1896-1897; 8°. Coasts and Geodetic Survey of the United States. Bulletin No.36. Washington, 1897; 4°. Colorado College Studies. Vol. VI. Colorado Springs, 1896; 8°. * Comité international des Poids et Mesures. Procès-Verbaux des Séances de 1875-76 à 1892, 1894, 1895. Paris, 1876-1896, 19 vol. 8°. * Compte-Rendu des séances de la Société géologique de France. An. 1896, 3° sér., t. XXIV, n. 1-19. Lille; 8°. * Comptes-rendus de l’Académie des Sciences de Cracovie. Avril. Cracovie, 1897; 8°. * Denkschriften der k. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur.- wissenschaftliche Classe. Bd. 63. Wien, 1896; 4°. Den Norske Nordhavs-Expedition 1876-1878. XXIV. Botanik: Protophyta: Diatomacae, Silicoflagellata og Cilioflagellata. Christiania, 1897; 4° (dal Meteorologiske Institut). * Documents & Rapports de la Société Paléontologique et Archéologique de l’Arrondissement judiciaire de Charleroi. T. XX, 2° liv. Maline, 1895; 8°. * Field Columbian Museum. Report series, vol. I, n. 2; Anthropological series, vol. I, No. 1; Bota- nical series, vol. I, No. 3; Geological series, vol. I, No. 2; Ornitho- logical series, vol. I, No. 2; Zoological series, vol. I, No. 6-7. Second annual exchange catalogue for the year 1897-98. Chicago, 1896-97; 8°. * Foòldtani K6zl6ny kiadja a Magyarhoni Foldtani Tarsulat. Vol. XXVII, n. 5-7. Budapest, 1896; 8°. #* Fortschritte der Physik im Jahre 1891, XLVII Bd., 2, 3 Abt., LII (1896), I u. III Abt. Namenregister, Bd. XXI (1865) bis XLIII (1887); I. Hilfte. Braunschweig, 1897; 8°. * Giornale della R. Accademia di Medicina. A. LX, n. 5-9. Torino, 1897; 8°. Informe del Museo Nacional de Costa Rica 1896-97. San José, 1897; 8° (dal Governo della Rep.). Internationale Erdmessung. Das Schweizerische Dreiecknetz herausg. von der Schweizerischen geoditischen Kommission. Siebenter Bd. I Teil. Zirich, 1897; 4°. * Jahrbuch iber die Fortschritte der Mathematik. Bd. XXVI, Heft 1, 2. Berlin, 1897; 8°. i * Jahrbuch der k. k. geologischen Reichsanstalt zu Wien. Jahrg. 1897. XLVII, 1-2 Heft. Wien, 1897; 8°. Jahresbericht des Direktors des k. Geodàtischen Instituts fiir die Zeit von April 1896 bis April 1897. Potsdam, 1897; 8° (dal sig. Dr. Helmert Direttore dell'Istituto). * Jahreshefte des Vereins fiir vaterlàndische Naturkunde in Wiirttemberg. 53 Jahrgang. Stuttgart, 1897; 8°. * Jenaische Zeitschrift fir Naturwissenschaft herausg. von der medizinisch- naturw. Gesellschaft zu Jena. N. F. Bd. XXIV, Heft I-II. Jena, 1897; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA V * Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LVI, Part II, Natural Science, n. 1. Calcutta, 1897; 8°. * Journal of Morphology. Edited by C. O. Whitman, .....with the co-ope- ration of Ed. Ph. Allis. Vol. XII, n. 3; XIII, n. 1-3. Boston, 1897; 8°. * Journal of the College of Science Imperial University Japan. Vol. X, part II. Tokio, 1897; 4°. * Journal of the R. Microscopical Society, 1897, part 3-5. London, 1897; 8°. * Journal of Linnean Society. Botany, vol. XXXI, n. 218, 219; XXXII, 220- 227; XXXIII, 228. Zoology, vol. XXV, n. 164, 165; XXVI, n. 166, 167. London, 1896-97; 8°. * Journal and Proceedings of the R. Society of New South Wales. Vol. XXX, 1896. Sydney, 1897; 8°. * Kongligà-Svenska Vetenskaps-Akademiens. Handlingar Ny Fòljd. Bd. 28. ; Stockholm, 1895-96; 4°. * List of Linnean Society of London, 1896-97. London, 1896; 8°. * List (A) of the Fellows and honorary, foreign, and corresponding Members and Medallist of the Zoological Society of London. London, 1897; 8°. Magnetische und Meteorologische Beobachtungen an der k. k. Sternwarte zu Prag im Jahre 1896. Prag, 1897; 4°. * Memorias y Revista de la Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. T. X (1896-97), N.1y 4. Mexico, 1897; 8°. * Mémoires de la Société Royale des Sciences de Liège. 2" série, t. 19°. Bruxelles, 1892, 95; 8°. #* Mémoires de l’Académie des Sciences et des Lettres de Danemark. 6° sér. Section des sciences, t. VIII, n. 4. Copenhague, 1897; 4°. * Mémoires de l’Académie des sciences, arts et belles-lettres de Lyon. Sciences et Lettres, 3ème série, t. IV. Lyon, 1896; 8°. * Memoires de l’Académie des sciences et lettres de Montpellier: Section des sciences, 2° sér., t. II, n. 8, 4. Procès-verbaux pour 1894, 2° sér., t. II, n. 2. Montpellier, 1895-96; 8°. * Mémoires de la Société zoologique de France pour l’année 1896. Tome IX. Paris; 8°. * Mémoires de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. Classe physico-mathématique. VIII série, vol. III, n. 7-10; IV, n. 2-4; V, n. 1-2. St-Pétersbourg, 1896; 4°. * Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. XIV, n. 2, 4. St-Pétersbourg, 1896; 4°. * Memoirs ofthe American Academy of Arts and Sciences. Vol. XII, n. II, III. Cambridge, 1896; 4°. * Memoirs of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XIX, No. 2; XX, XX and XXI (Plates) XXI. Cambridge U.S. A., 1896; 3 vol. 4°, * Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Serie V, tomo V, 1895-96; t. VI, fasc. 1, 2; 4°. Memorie del Museo' civico di storia naturale di Milano e Società italiana di scienze naturali. T. VI (II della N. S.). Fasc. I. Milano, 1897; 4°. VI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXVI, Dai 3-98. Roma, 1897; 4°. * Memorie del R. Istituto veneto di Scienze, SRO ed Arti. Vol. XXVI, n. 1,2. Venezia, 1897; 4°. abbia Botanical Studies. Bulletin N. 9, Part II-XI, 9 fasc. Minneapolis, Minn. 1894-97; 80 ci ni logical and Natural History Survey of Minnesota). * Mittheilungen aus dem Jahrbuche der kén. ungar. geologischen Anstalt. Bd. XI, Heft 4, 5. Budapest, 1897; 8°. * Mittheilangen aus dér Zoologischen Station zu Nea peli 12 Bd. 4 Heft. Berlin, 1897; 8°. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVII, n. 7-9. London, 1897; 8°. * Nachrichten von der kònigl. Gesellschaft der Widesnbehaften zu Gottingen. Mathematisch-physik. Klasse, 1897, n. 1: Geschtiftliche Mittheitungen, 1897, n. 1. Gottingen; 8°. * Natuurkundig Tijdschrift voor Nederlandsch-Indié uitgegeven door de k. Natuurkundige Vereeniging in Nederlandsch-Indié. N. S. Deel III, Afl. 1-vi; IX, Afl. v et vi; Derde Serie, Deel IV; Vijfde Serie, Deel V. Batavia, 1854-1863; 8°. North American Fauna. N° 13. Revision of the North American Bats of the family Vespertilionidae by Gerrit S. Miller. Washington, 1897; 8° (dall U.S. Department of Agriculture, Divis. of Biological Survey). * Nouvelles Archives du Muséum d'’histoire naturelle. 3° série, tome VIII, 1°, 2° fasc. Paris, 1896; 4°. * Nova Acta Regiae Societatis Scientiaruam Upsaliensis. Seriei. tertiae, vol. XVII, fasc. 1°. 1896; 4°. * Observations made at the magnetical and meteorologica] Otisberalidtà at Batavia. Vol. XVIII, 1895. Batavia, 1896; f°. * Observations météorologiques suédoises publiées parl’Acad. R. des Sciences de Suède. Vol. 34 (1892). Stockholm, 1897; 4°. €Euvres complètes d’Augustin Caucny publiées sous la direction sciaidifiarie et sous les auspices de M. le Ministre de l’Instruction Publique. Jère série, t. IX. Paris. 1896; 4° (dono del Governo francese). * €Euvres complètes de Christiaan Huygens publiées par la Société hollan- daise des sciences. Vol. VII. La Haye, 1897. * Ofversigt af Finska Vetenskaps-Societetens Forhandlingar, XXXVIII, 1895- 1896. Helsingfors, 1896; 8°. * Ofversigt of Kongl. Vetenskaps Akademiens Fòrhandlingar. Vol. 53, 1896. i Stockholm, 1897; 8°. ** Palaeontographica. Beitrige zur Naturgeschichte der Vorwelt. Suppl. II, Sechste-Achte Abth. Stuttgart, 1897; 1 fasc. 8° con 1 Atl inf. Peabody Institute, of the city of Baltimore. Thirtieth Annual Report. June 1, 1897. Baltimore, 1897; 8°. * Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 1893. Vol. 186, A, part 1* e 2*; B, part 1° e 2*; Ser. A e B, vol. 187: Ser. A, 188. London, 1895; 4°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA VII ** Poggendorff’s biographisch-literarisches Handwérterbuch zur Geschichte der exacten Wissenschaften. III Bd., Lief 10 u..13. Leipzig, 1897; 8°. * Prace matematyczno-Fizyezne. T. VIII. Warszawa, 1897; 8° (dalla Società . ... di scienze matematiche e fisiche). * Proceedings of the Asiatic Society of Bengal. N. I-IV, 1897. Calcutta; 8°. * Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. New Series, vol. XXXII, No. 5-15; XXXIII, No. 1-4. Boston, 1896; 8°. * Proceedings of the Boston Society of Natural history. Vol. XXVII, pag. 75-330; XXVIII, pag. 1-115. Boston, 18397; 8°. * Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol.IX, p. 5*, 6%, 1897. * Proceedings of the Royal Irish Academy. Third series, vol. IV, n. 2,3. Dublin, 1897; 8°. Proceedings and Transactions of the Nova Scotian Institute of Science. Session of 1895-96, 2° series, vol. II, part 2*. Halifax N. S., 1896; 8°. * Proceedings of the Linnean Society of London. From November 1895 to June 1896. London, 1896; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LX, n. 368; LXI, 375-380. London, 1897; 8°. * Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1897. Part I, III. London; 8°. * Proceedings of the Academy of Natural Science of Philadelphia. Part III, 1896. Part I, 1897. Philadelphia; 8°. * Proceedings of the American Philosophical Society held at Philadelphia. Vol. XXXV, No. 152; XXXVI, No. 154. Philadelphia, 1896; 8°. Proceedings of the American Association for the Advancement of Science for the forty-fifth Meeting held at Buffalo, N. Y. August, 1896. Vol. 44. Salem, 1897; 8°. * Programm der Grossherzoglich Badischen Technischen Hochschule zu Karlsruhe fir das Studienjahr 1897/98; 8°. * Programmi dei Concorsi scientifici e dei premii d’incoraggiamento pro- posti dal R. Istituto Veneto e dalle fondazioni Querini-Stampalia, Cavalli e Balbi-Valier per gli anni 1897, 1898, 1899, 1900. Venezia, 1897; 8°. * Quarterly Journal of Geological Society. Vol. LIII, Part 3, n. 211. London, 1897; 8°. * Records of the Geological Survey of India. Vol. XXX, p. 2, 3. Calcutta, 1897; 8°. * Register (Alphabetisch) op Deel I-L van het Natuurkundig Tijdschrift voor Nederlandsch Indie. ’Sgravenhage, 1871-91. Idem. Naamregister. Deel I-XXX. ’Sgravenhage, 1871; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXX, fasc. 12-16. Milano, 1897; 8°. * Rendicouti del Circolo matematico di Palermo. Tom. XI, fasc. IV, V. Palermo, 1897; 8°. * Rendiconto delle Sessioni della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. N. S., vol.I(1896-97), fasc. 3°, 4°. 1894; 8°. VIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Rendiconto dell’Accademia delle Scienze fisiche e IAS HE di Napoli. Serie 3, vol. III, fase. 5°, 7°. Napoli, 1897; 8°. Report (17° Annual) of the United States Geological Survey to the Secre- tary of the Interior 1895-96 (In three parts). P. III. Washington, 1896; 2 vol. 8° gr. Report of the Superintendent of the U. S. Coast and Geodetic Survey showing the Progress of the Work during the fiscal Year ending with June, 1895. Washington, 1896; 4°. Reports of the Survey Botanical serie, I. Minneapolis, Minn. 1892; 8° (dal Geological and Natural History Survey of Minnesota). * Revue sémestrielle des publications mathématiques redigée sous les auspices de la Société mathématique d’Amsterdam. Tables des matières contenues dans les cinq volumes 1893-1897. Amsterdam, 1897; 8°. * Rozprawy Akademii Umiejetnosci wydziat Matematyczno-Przyrodniczy. Ser. II, t. X. Krakowie, 1896; 8°. * Sitzungsberichte der k. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin. XXVI, 13 Mai-XXXIX, 28 Juli, 1897; 8°. * Sitzungsberichte der physikalisch-medicinischen Societàt in Erlangen. 27 Heft, 1895; 28 Heft, 1896. Erlangen, 1896-1897; 8°. * Sitzungsberichte der mathematisch-physikalischen Classe der k. b. Aka- demie der Wissenschaften zu Miinchen. 1897, Heft I-II; 8°. * Sitzungsberichte der K. Akademie der Wissenschaften. Mathem.-natur.- wissenschaftliche Classe. Jahrgang 1895. CV Bd., I Abth. 1-10; Il a. Abth. 1-10; II b. Abth. 1-10; III Abth. 1-10. Wien, 1896; 8°. * Smithsonian Institution. Smithsonian Contributions to Knowledge. 1034; 4°. Smithsonian Miscellaneous Collections 1035, 1038, 1039, 1047, 1071-1073, 1075, 1077. Washington, 1896-97; 9 fasc. 8°. Spelunca. Bulletin de la Société de Spéléologie. 2° année, n. 9-11. Paris, 1897; 8°. * Thitigkeit der Physikalisch-Technischen Reichsanstalt in der Zeit vom 1 Februar 1896 bis 31 Januar 1897. Berlin, 1897; 4°. (dall’Istituto Fisico- Tecnico in Charlottenburg). * The Royal Society. 30th. November 1896; 4° (Elenco dei Soci). * Transactions of the Royal Society of South Australia. Vol. XXI, Part I. Adelaide, 1897; 8°. * Transactions of the Linnean Society of London. Botany, vol. V, p. 5-6. — Zoology, vol. VI, p. 6-8; VII, 1, 3. London, 1896-97; 4°. * Transacetions of the Zoological Society of London. Vol. XIV, par.4. 1897;4°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXV, n. vin-x1, 1897; 8°. * Transactions of the New York Academy of Sciences. Vol. XV. 1895-96; 8°. * Transactions ofthe American Philosophical Society held at Philadelphia. Vol. XIX, N. S., Part I, 1896; 4°. # Upsala Universitet 1872-1897. Festskrift med anleduing af Konung Oscar II: S tjugofemàrs regeringsjubileum den 18 september 1897. Upsala, 1897; 4° (dono dell'Università di Upsala). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA IX * Verhandlungen der Naturforschenden Gesellschaft in Basel. Bd. 11, Heft 3. Basel, 1897; 8°. ** Verhandlungen der physikalischen Gesellschaft zu Berlin. 16 Jahrg., i mero 1897; 8°. * Verhandlungen des naturhistorisch-medicinischen Vereins zu Heidelberg. N. F. V Bd., V Heft. 1897; 8°. * Verhandlangen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung N. 6-10, 1897. Wien; 8°. * Vierteljahrsschrift der Naturforschenden Gesellschaft in Zurich. 42 Bd., II Heft, suppl. Zurich, 1897; 8°. * Wissenschaftliche Meersuntersuchungen herausg. von der Kommission zur wissenschaftlichen Untersuchungen der deutschen Meere in Kiel und der biologischen Anstalt auf Helgoland. N. F. II Bd., Heft I, Abt. 2; Heft 2. Kiel u. Leipzig, 1897; 4°. » * }KypHaxb pycckaro pusmro-xmMngecgaro O6mecrsa ipa HmnepaTopcroMmE C. IIerep6yprctome VanBepenterb; t. XXIX, n. 5-7. 1897; 8°. * Dall’ Università di California: Appendix e to the biennal Report of the Board of State Viticultural Com- missioner for 1891-92. Wine. Classification — Wine tasting — Qualities and defects. Sacramento, 1892; 8°. Balletin of the Department of Geology. Vol. I, No 12-14; II, No 1-3. Berkeley, 1896-97; 8°. Grape Syrup. Appendix A to the annual Report of the Board of State Viticultural Commissioners for 1893. Sacramento, 1893; 8°. Howison (G. H.). On the correlation of elementary Studies; 8°. Register of the University of California 1895-96. Berkeley, 1896; 8°. Report (Annual) of the Board of State Viticultural Commissioners, for 1887. Sacramento, 1887; 8°. Report of Work of the Agricultural Experiment Stations of the University of California for the Year 1894-95. Sacramento, 1896; 8°. Report (Biennal) of the President of the University of California on behalf of the Board of Regents, to his Ex. the Governor of the State. 1894- 1896. Sacramento, 1896; 8°. Report of the Viticultural Work during the Seasons 1887-98 with data regarding the vintages of 1887-93. Sacramento, 1896; 8°. The Vine in Southern California; being Reports by Commissioners Bichowsky and Shorb on the present State of the vineyards. Sacra- mento, 1892; 8°. The Vineyards of Southern California; being the Report of E. C. Bichowsky Commissioner for the los Angeles District, to the Board of State Viti- cultural Commissioners of California. Sacramento, 1893; 8°. The Vineyards in Alameda County; being the Report of Ch. Bundschu Commissioner for the S. Francisco District, to the Board of State Viti- cultural Commissioners of California. Sacramento, 1893; 8°. X PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA The White Wine Problem. S. Francisco; 8°. . University of California. Agricultural experiment Station. Bulletin No 110, 111, 113-115. Berkeley, Cal. 1896-97; 8°. University of California Studies. Vol. 2. No 1. Berkeley, 1897; 8°. * Dall’ Università di Giessen: Bach (H.). Zur geographischen Verbreitung und Statistik des Trachoms in der Provinz Oberhessen und den angrenzenden preussischen Provinz im Vergleich zu anderen Gegenden Deutschland und Europas. Giessen, 1897; 8°. Barth (W.). Ueber den angeborenen Verschluss des Ureter mit cystenartiger Vorwòlbung desselben in die Harnblase. Giessen, 1897; 8°. Bauer (E.). Ueber die Electrolyse von Acetaten verschiedener Metalle. Giessen, 1897; 8°. Bernhardt (L.). Zur Kenntniss des Toluylendiaminikterus. Giessen, 1896; 8°. Bostròm (H.). Casuistische Beitriàge zur Kenntnis der epibulbiren Neubil- dungen. Giessen, 1897; 8°. Briickner (P.). Ein Fall von doppelseitiger homonymer Hemianopsie mit Erhaltung eines kleinen Gesichtsfeldes nach complicirter Schidelfractur in der Gegend des Hinterhauptbeines. Giessen, 1896; 8°. Fink (I.). Ueber die Einwirkung von Brom auf Allylalkohol. Giessen, 1890; 8°. Fuchs (F.). Ueber Achylia Gastrica. Giessen, 1897; 8°. - Haas (C.). Ein Fall von Sarkom der Thrinendriise. Giessen, 1897; 8°. Hausch (0.). Zur Casuistik der Mediastinaltumoren. Giessen, 1896; 8°. Heckmann (J.). Ueber das Verhiltnis des Kopfes des Neugeborenen zum Kopf.der Mutter. Viernheim, 1896; 8°. Kolb (G.). Beitrige zu einer geographischen Pathologie Britisch Ost-Afrikas. Giessen, 1897; 8°. Krieg (P.). Ein Beitrag zu den angeborenen Beweglichkeitsdefekten der Augen. Giessen, 1896; 8°. Kiichel (W.). Zur Prognose der Zangenoperationen nach den Erfahrungen an der geburtshiilfliichen Klinik zu Giessen. Giessen, 1896; 8°. Markert (F.). Die Flossentacheln von Acanthias. Jena, 1896; 8°. Mayr (F.). Ueber den Ammoniakgehalt der Exspirationsluft. Wiirzburg,1896;8°. Mayr (J.). Ueber die Entwickelung des Pankreas bei Selachiern. Wiesbaden, 1897; 8°. Mudford (F. G.). Versuche iiber die Einwirkung einer Mischung von Chlor und Wasserdampf auf gliihende Kohle. Giessen, 1897; 8°. Pfannmiiller (W.). Ueber das meningeale Cholesteatom. Giessen, 1896; 8°. Ploch (K.). Ueber das Giessener Dammschutzverfahren. Giessen, 1897; 8°. Reuscher (C.). Bericht iber einen Fall von totaler halbseitiger Kérper- hypertrophie verbunden mit symmetrischer Polydactylie an Handen und Fiissen. Giessen, 1897; 8°. Rimbach (R.). Zur Casuistik der Enterokystome. Giessen, 1897; 8°. Schwarzmann (M.). Reciproke Krystallformen und reciproke Krystallpro- jektionen. Leipzig, 1897; 8°. ii niatiro SÉi PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XI Smits (A.). Untersuchungen mit dem Mikromanometer. Utrecht, 1896; 8°. Stotz (A.). Zur Aetiologie der Amaurose. Giessen, 1897; 8°. Stroh (K.). Beitrag zur Genese der sacrococceygealen Teratome. Giessen,1897; 8°. Thielmann (H.). Ammoniak und Chlornatrium im Speichel Gesunder und ‘Kranker. Limburg, 1897; 8°. Zacharias (H. C. E.). Die Kopfschilder-Phylogenese bei den Boiden. Jena, 1897; 8°. * Dall’ Università di Erlangen : Arcularius (R.). Ein Fall von Wurzelkropf bei Abies Pichta; zugleich als Beitrag zur Kenntniss der Maserbildung bei Coniferen. Leipzig, 1897; 8°. Arnold (W.). Ueber Luminescenz. Erlangen, 1896; 8°. Baumann (E.). Ein Porro-Kaiserschnitt bei Carcinoma cervicis uteri ino- perabile nebst Statistik der Porro-Operationen v. J. 1889-1894. Minchen, ‘ 1896; 8°. Bayer (A.). Beitrag zur Diagnostik des otitischen Hirnabszesses. Erlangen, 1896; 8°. Becker (J.). Zur Kenntnis des Thiobiazole und tiber die Einwirkung von salpetriger Sure auf Diphenylsulfosemicarbazid und Diphenylsemi- carbazid. Erlangen, 1896; 8°. Bessler (Ch.). Untersuchungen iiber alimentàre Glykosurie. Leipzig, 1896; 8°. Bessler (G.). Ein Fall von Fibrosarcom der weichen Gehirnhaut in der hinteren Schàdelgrube mit Compression der Oblongata und des Cere- bellum. Erlangen, 1896; 8°. Bettinghaus (A.). Geognostische Beschreibung des Rathsberget Hohenzuges. Erlangen, 1896; 8°. Burkhardt (E.). Beitràge zur Kenntnis des Honigs und der Dextrine. Erlangen, 1897; 8°. Biittner (B.). Beitràge zur Kenntnis der Cortex Mururé. Erlangen, 1896; 8°. Demeler (K.). Ueber aa’ Diphenylpyridin, aa' Diphenylpiperidin und zwei isomere Diphenacylbromide. Erlangen, 1897; 8°. Diehl (G.). Ueber Gummiknoten in den Lungen. Erlangen, 1896; 8°. Donath (E.). Beitràge zur Kenntnis der Umlagerung stereoisomerer Oxime. Erlangen, 1896; 8°. Eckhard (P). Beitrag zur Redabita der Rosinduline. Erlangen, 1897; 8°. . Ehrismann (R.). Beitrige zur Kenntnis des Pulegons. Erlangen, 1897; 8°. Eickelberg (H.). Beitrag zur Kenntnis des Menthons und Pulegons. Erlangen, 1897; 8°. Eisen (K.). Studien iber das Verllalten der Reflexe bei gesundem und krankem Nervensystem. Weissenburg a. S., 1897; 8°. Eversbusch (0.). Kurzsichtigkeit und Schule. Trlalita, 1894; 4°. Fraenkel (M.). Zur Kenntniss des Trimethylen-p-tolyldiamin nebst Anhang tiber Y-Jodropylamin. Berlin, 1897; 8°. Fritsch (C.). Ueber das electrolytische Leitvermogen fester dibviizen. Leipzig, 1896; 8°. Fréòlich (H.). Ueber hysterische Gehstòrungen. Erlangen, 1897; 8°. XII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Fuchs (L.). Statistit der in den letzten 10 Jahren in der Erlanger Uni- versitàts-Frauenklinik vorgekommenen engen Becken und ihre Therapie. Wiirzburg, 1896; 8°. Fahrmann (L.). Ueber Roteln. Erlangen, 1896; 8°. Fiillner (E.). Beitrag zur Kenntnis der Elektrisiermaschine. Erlangen, 1896; 8°. Gallinek (E.). Der obere Jura bei Inowrazlaw in Posen. St. Petersburg, 1897; 8°. Gareis (P.). Ein Fall von Lymphosarkom im vorderen Mediastinalraum. Erlangen, 1897; 8°. Geigenberger (A.). Zur Geognosie, Agronomie und Hydrographie des Ober- und Untergrundes der Stadt Erlangen und ihrer nàchsten Umgegend. Niirnberg, 1895; 8°. Gessner (A.). Beitràge zur Physiologie der Nachgeburtsperiode. Stuttgart, 1897;°8°. Giesen (C.). Ueber einige Abk&mmlinge des Aposafranins. Miinster i. W., 1896; 8°. Gordan (P.). Ueber Faulnisbakterien in Obst und Gemiise. Leipzig, 1897; 8°. Graf (F.). Ueber die Einwirkung von primiren aliphatischen und aroma- tischen Monaminen auf o-Oxybenzylalkohol. Erlangen, 1897; 8°. Grommes (F.). Die Bestimmung der Kohlehydrate (Zucker, Stàrke, Dextrin) in beliebten Nahrungs- u. Genussmitteln vermittelst einer leicht aus- fihrbaren Methode. Erlangen, 1897; 8°. Giinther(E.). Beitrag zur mineralischen Nahrung der Pilze. Erlangen, 1897; 8°. Gantram (H.). Ueber den Einfluss intramolekularer Verhiltnisse auf die Bildung von Stickstoffalkyloximidoverbindungen. Erlangen, 1896; 8°. Haas (H.). Ueber einen merkwiirdigen Fall von Geschwiirsbildung am Oesophagus. Erlangen, 1897; 8°. Hirtel (F.). I Ueber Derivate des Diacetyl- und Dibenzoylbernsteinsàu- reesters. Il. Beitrag zur Kenntnis der sterischen Hinderung chemischer Reaktionen. Erlangen, 1897; 8°. Hartmann (H.). Ueber Oxime des Benzfurils und des Benzfuroins. Erlangen, 1896; 8°. Heineke (H.). Zur Kenntniss der hypertrophischen Lebercirrhose. Erlangen, 1897; 8°. Hoepfel(W.). 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Discorso inaugurale pronunziato 1’8 set- tembre 1897 a Crevalcore. Roma, 1897; 8° (dall’A.). Trinchera (B.). Nuovo sistema per rendere più facile ed attuabile anche nei profondi abissi dello aperto mare l’antico metodo di fondare con calcestruzzo dato in opera per immersione e progetto di un doppio bacino di carenaggio nel porto di Napoli. Napoli, 1897; 8° (Id.). Villari (E.). Intorno alle azioni delle diverse cariche elettriche sulla pro- prietà scaricatrice destata nell'aria dai raggi X. Napoli, 1897; 8° (Id.). — Sullo stato elettrico dei prodotti elettrolitici dell’acqua e sulla con- densazione dei vapori d’acqua per le scintille. Napoli, 1897; 8° (Id.). — Delle azioni dell’elettricità sulla virtù scaricatrice indotta nell’aria dai raggi X. Roma, 1897; 8° (Id.). ** Vinci (Leonardo da). Il Codice Atlantico; fasc. XIII. Milano, 1897; fo. Waldeyer (W.). Das Trigonum vesicae. Berlin, 1897; 8° (dall’A.). Weinek (L.). Ueber das feinere selenographische Detail der Focalen Mond- Photographien der Mt. Hamiltoner und pariser Sternwarte. Prag, 1897; 8° (Id.). XXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Dal 20 Giugno al 28 Novembre 1897. * Abhandlungen der Konigl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen. Historisch-Philologische Klasse. N. F., Bd. I, N. 6, 8; II, n. 1-3. Gottingen, 1897; 4°. * Abhandlungen der philologisch-historischen Classe der k. Sàchsischen Gesellschaft der Wissenschaft. Bd. XVII, n. 4. Leipzig, 1897; 8°. Achtunddreissigste Plenarversammlung der historischen Kommission bei der kgl. bayer. Akademie der Wissenschaften. Bericht des Sekretariats. Miinchen, 1897; 4°. Agriculture (L’), l’élevage, l’'industrie et le commerce dans la province de Buenos Aires en 1895; 8° (dal Bureau général de Statistique de la prov. de Buenos-Aires). * American Journal of Philology. Vol. XVII, n. 1-8. Baltimore, 1896; 8° (da2- V Università John Hopkins di Baltimora). * Analecta Bollandiana. T. I-XVI, fasc. 1-2. Paris-Bruxelles, 1882-1897. * Analele Academiei Romane. Seria II, Tomulu XVIII. Memoriile Sectiunei istorice. Partea administrativà si desbaterile. Tomulu XVII, XIX; 1895-97. Bucuresci, 1896-97; 4°. * Anales de la Universidad (Republica Oriental del Uruguay). VIII, Entr. 5°, 6%; t. IX, 1°, 22. Montevideo, 1897; 8°. Aneedota ex codicibus hagiographicis Johannis Gielemans Canonici Re- gularis in Rubea valle prope Bruxellas ediderunt Hagiographi Bollan- diani. Bruxelles, 1895; 8°. * Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. XI, liv. I-IV, 1896-97. Bruxelles, 1897; 8°. * Annali della R. Scuola Normale superiore di Pisa. Filosofia e Filologia, vol. XII. Pisa, 1897; 8°. + * Annali dell’Università di Perugia. Pubblicazioni periodiche della Facoltà di Giurisprudenza. N. S. Vol. VII, fasc. 2°-4°. Perugia, 1897; 8°. * Annuaire de la Société d’Archéologie de Bruxelles, 1896, tome huitième. Bruxelles, 1897; 8°. Annuaire statistique de la ville de Buenos-Ayres. VI° année, 1896. Buenos- Ayres, 1897; 8° (dalla Direzione Gen. di Statistica municipale). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXIII Annuario statistico italiano 1897. Roma, 1897; 8° (dono del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). * Annuario demografico de la Repiiblica Oriental del Uruguay, Aîio VII-1896. Montevideo, 1897; 8°. * Archiv fir osterreichische Geschichte. Herausg. von der zur Pflege vater- landischer Geschichte aufgestellten Commission der k. Akad. der Wis- , Senschaften, LXXXIII Bd., Zweite Hilfte. Wien, 1897; 8°. * Arsskrift, Upsala Universitets, 1896. Upsala (1896-97); 8:0. * Atti e Rendiconti dell’Accademia di scienze, lettere e arti dei Zelanti di Acireale. Nuova serie, vol. VII. Acireale, 1896-97; 8°. * Atti della R. Accademia economico-agraria dei Georgofili di Firenze, 4* serie, vol. XX, disp. 2, 1897; 8°. Atti della R. Accademia di scienze, lettere e belle arti di Palermo. 3° ser., a. 1896, vol. 4°, 1897; 4°. * Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Sc. mor., stor. e filol., ser. V, vol. V. Notizie degli Scavi: Marzo-Ottobre 1897; 4°. * Biblioteca (La) comunale e gli antichi archivi di Verona dal 1° luglio 1895 al 31 dicembre 1896. Verona, 1897; 4°. ** Bibliotheca Philologica Classica. Vol. XXIV, 1897. Trimestre secundum et tertium. Berlin; 8°. * Bibliotheca hagiographica graeca seu elenchus vitarum Sanctorum graece typis impressarum ediderunt Hagiographi Bollandiani. Bruxelles, 1895; 8°. * Bibliotheca Indica: A Collection of Oriental Works published by the Asiatie Society of Bengal. New series, n. 886-900; 8° e 4°. The index of the Magsir-ul-Umara, vol. II, fasc. XII. Calcutta, 1897; 8°. * Boletin de la Real Academia de la Historia. T. XXX, cuad. VI; t. XXXI, cuad. I-IV. Madrid, 1897; 8°. * Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Anno III, fasc. I, II. Perugia, 1897; 8°. * Bulletin de la Société d’'Études des Hautes-Alpes. II° série, n. 21. 1° trimestre 1897. Gap; 8°. * Bulletin et Mémoires de la Société Nationale des Antiquaires de France. VI© série, t. V. Mémoires 1894. Paris, 1895; 8°. * Bulletin de la Société Nation. des Antiquaires de France, 1895. Paris; 8°. * Bulletin de la Société de Géographie. 7®° série, t. XVIII, 1° et 2"° tri- mestre 1897. Paris; 8°. Bulletin de la Société pour la conservation des monuments historiques d’Alsace. II sér., t. XVIII, 2®© livr. Strassburg, 1897; 8°. * Camera dei Deputati del Regno d’Italia. Raccolta degli Atti parlamen- tari della XIX Legislatura. Disegni di Legge e Relazioni. 10 vol., 4°; Documenti, 2 vol., 4% Discussioni, 7 vol.; 4°. Mancini. Discorsi parlamentari, dal vol. 4° all’8° ed ult. vol.; 5 vol.; 8°. Catalogo metodico, parte 1*, “ Scritti biografici e critici ,, 8° Sup- plemento, 1 vol.; 8°. Manuale ad uso dei Deputati per la XX* Topino 1 yol;8% Pars-Serra. Relazioni della inchiesta sulla Sardegna. 1 vol.; 4°. XXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Catalogus codicum hagiographicorum graecorum Bibliothecae Nationalis Parisiensis ediderunt Bollandiani et Henricus Omont. Bruxellis-Parisiis, 1896; 8°. * Catalogus codicum hagiographicorum latinorum antiquiorum saeculo XVI qui asservantur in Bibliotheca Nationali Parisiensi, ediderunt Hagio- graphi Bollandiani. Vol. I-III et Indices. Bruxellis, 1898; 8°. Cause di morte. Statistica dell’anno 1895 e notizie sommarie per l’anno 1896. Roma, 1896; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). * Ceskà Akademie Cisare Frantiska Josefa pro védy, Slovesnost a Uméni. Almanach. Rocnik VII. 3 Archiv pro Lexikografii a Dialektologii. III Tifda: Cislo I, Svazek prvni, druhy. 1896-97; 8°. Historicky Archiv. Cislo 8,9. 1896; 8°. Rozpravy. Ttida I (Pro védy filosofické pràvni a historické). Rotnik V, 1896; 8°. Rozpravy. Tifda III (Filologick4). Rotnik V, 1896; 8°. Sbirka Pramentuv ku Ponznéni literirniho Zivota v techich, na mo- n rave a v Slezsku. Cislo 3. 1897; 8. Zivot a spisy Vaclava Bolemira Nebeskeho. Sepsal D" J. Hanus. 1896; 8°. Zivot Cirkevni v céchich. Sepsal Zikmund Winter. 1896; 8°. Frisinské pamatky jich vznik a vyznam v slovanském pisemnictvi. Praze, 1896; 4°. * Comercio exterior y movimento de navigacion de la Repiiblica Oriental del Uruguay y varios otros datos correspondientes al aîio 1896 com- parado con 1895. Montevideo, 1897; 4° (dal Governo della Repubblica). Concorso per lo svolgimento del tema dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia, indetto col Manifesto pubblicato nella “ Gazzetta Ufficiale , del 23 gennaio 1896, n. 18. Roma, 1897 (dai Relatori). * Denkschriften der k. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-histo- rische Classe. XLIV Bd. Wien, 1896; 4°. * Eranos. Acta philologica suecana. Edenda curavit Vilelmus Lundstrém. Vol. I, fasc. 2-4, 1896; vol. II, fasc. 1, 1897. Upsaliae; 8°. * Foutes rerum austriacarum. Esterreichische Geschichts-Quellen. Herausg. von der Commission der k. Akad. der Wissenschaften in Wien. XLIX Bd., Erste Hilfte. Wien, 1896; 8°. * Fòrelisningar och éfningar vid Kongl. Universitetet i Upsala hòst- terminen 1896. Upsala, 1896; 8:0. — — var-terminen 1897. Upsala, 1897; 8:0. * Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. Anno XIX, fasc. III. Genova, 1897; 8°. * Grada zu povjest knizevnosti hrvatske. Na svijet izade Jugosl. Akad. znanosti i umjetnosti. Kniga 1. Uredio Milivoj Srepel. Zagrebu, 1897; 8°. * Institut de France: ‘ Annuaire pour 1897; 8°. Mémoires de l’Académie des Sciences morales et politiques, t. XX. agi mie cant mn a i e aL pre nr; n ho to EI RA PE E POTE, E PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXV Catalogue des Actes de Frangois I°, publiés par l’Académie des Sciences morales et politiques, t. VII*, 2% Suppl. Paris, 1896-97. Mémoires présentés par divers savants à l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. 1° sér., t. X. Inventaire sommaire des Archives Départementales antérieur à 1790: Charente, Archives civiles; sér. E. Seine et Oise, Archives civiles; sér. E. Deux-Sèvres, séries C, D, E, F, G,H. Nord, Archives Communales antérieures à 1790. Ville de Thuire, Archives Communales antérieures à 1790. Ville de Bordeaux, Archives Municipales; Période révolutionnaire (1789, an. VIII). Angouléme, Bordeaux, Lille, Melle, Perpignan, Versailles, 1896-97, 6 vol.; 4° (dal Governo della Rep. Francese). * Johns Hopkins University Studies in Historical and Political Science. Fourteenth Series, VIII-X; Fifteenth Ser., I-II; XI, XII. Baltimore, 1896; 8°. * Journal of the Asiatic Society of Bengal. Vol. LXV, Part III, 1896, Special Number; Vol. LXVI, Part I, History Literature. Calcutta, 1897; 8°. * Ljetopsis jugoslavenske Akademije znanosti i umjetnosti za godinu 1896. Jedanaesti svezak. Zagrebu, 1897; 16°. * Mémoires de l’Académie des sciences et lettres de Montpellier; Section des lettres. 2ème série, t. 1", n. 5-7. Montpellier, 1895-96; 8°. Mémoires publiés par les Membres de la Mission Archéologique frangaise au Caire. T. VI, 5° fasc.; X, 4° fase. Paris, 1897; 4° (dal Ministero del- l'Istruzione Pubblica e di Belle Arti di Francia). * Mémoires et Documents publiés par l’Académie Chablaisienne. T. X. Thonon, 1895; 8°. * Mittheilungen der pràhistorischen Commission der k. Akademie der Wissenschaften. I Bd., n.4, 1897. Wien; 4°. ** Monumenta Germaniae historica. Libelli de lite Imperatorum et Pon- tificum saeculis XI e XII. Conscripti, Tomus III. Legum Sectio II. Capi- tularia regum Francorum. Tomi II, pars tertia. Hannoverae, 1897; 4°. Movimento commerciale del Regno d’Italia nell'anno 1896. Roma, 1896; 4° (dal Ministero delle Finanze, Direzione generale delle Gabelle). Movimento della navigazione 1896. Roma, 1897; 4° (dal Ministero delle Finanze, Direzione generale delle Gabelle). * Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. | Philologisch-historische Klasse, 1897, Heft 2. Gottingen; 8°. ** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. 1897, dalla p. 401-2799; 8°. * Rad jugoslavenske Akademije znanosti 1 umjetnosti. Knjiga CXXX. Razredi filologijsko-historijsky i filosofijsko-juridicki. XLVII. Zagrebu, 1897; 8° * Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. S., Anno XI, gennaio-maggio 1897. Napoli; 8°. XXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Revue de l’histoire des religions. XVII année, t. XXXIII, n. 3; t. XXXIV, n. 1-3; XVIII année, t. XXXV, n. 1. Paris, 1896-97 (Annales du Musée Guimet). * Rozprawy Akademii Umiejetnosci wydziat Filozofieczny. Ser. II, t. X. Krakowie, 1897; 8°. * Rozprawy Akademii Umiejetnosci wydziat Historyezno-Filozoficzny. S. II, t. VIII, IX. Krakowie, 1896-97; 8°. 1 * Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen. 1897, Heft I-III; 8°. * Sitzungsberichte der k. Akademie der Wissenschaften. Philosophisch- historische Classe. CXXXIV, CXXXV Bd., Jahr. 1895, 1896. Wien, 1896-97; 8°. Statistica giudiziaria penale per l’anno 1895. Roma, 1897; 8° (dal Mini- stero di Agricoltura, Industria e Commercio). Statistica della Istruzione elementare per l’anno scolastico 1894-95. Roma, 1897; 8° (dalla Direzione Generale della Statistica). Statistica giudiziaria civile e commerciale per l’anno 1895. Roma 1897; 8° (dal Ministero delle Finanze). Statistica delle Opere Pie. Vol. X ed ultimo, Abruzzo e Molise, Puglie, Basilicata e Calabrie e Riassunto generale per il Regno. Roma, 1897; f° (dalla Direzione Generale di Statistica). Statuto della Società Italiana per la diffusione e l’incoraggiamento degli studi classici. Firenze, 1897; 8°. * Tabulae codicum manu scriptorum praeter graecos et orientales in Bi- bliotheca Palatina Vindobonensi asservatorum. Edidit Academia Cae- sarea Vindobonensis. Vol. IX (Codicum musicorum, pars I), Cod. 15501- 17500. Vindobonae, 1897; 8°. The Whitney Memorial Meeting. A Report of that Session of the First American Congress of Philo- logist, which was devoted to the memory of the late professor William Dwight Whitney, of Yale University; Held at Philadelphia, Dec. 28, 1894. Boston, 1897; 8° (dalla American Oriental Society). vt Transactions of the American Philological Association, 1896. Vol. XXVII. Boston, Mass.; 8°. * Transactions of the Royal Society of Literature. 2. Series, vol. XIX, p. I. London, 1897; 8°. * Trei-Deci de ani de domnie ai Regelui Carol I cuvîntàri si acte. T. I, 1866-1880; II, 1881-1896. Bucuresci, 1897, 2 vol.; 4° (dall’Academieî Romdne). Uebersicht der Akademischen Behòrden Professoren, Privatdocenten, Lehrer, Beamten etc. an der k. k. Leopold-Franzens-Universitàt zu Innsbruck fir das Studienjahr 1897-98; 8°. Vorlese-Ordnung an der k. k. Leopold-Franzens-Universitàt zu Innsbruck im Winter-Semester 1897/98. Innsbruck, 1897; 4° (dall'Università di Innsbruck). Yearhoock of the United States Department of Agriculture 1896. Washington, 1897; 8° (dal Governo degli S. U. d’ America). n re dae die e RI PRA ta e? N ESPE E RETTO - PIE TOR PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXVII * Dall’ Università di Erlangen: Abegg (W.) Der Einfluss des beneficium cedendarum actionum auf die Haftung des Biirgen nach ròmischem und gemeinem Recht. Berlin,1896;8°. Ahles (M.). Die sozialen Wirkungen der bayerischen Heimatgesetzgebung. Miinchen, 1897; 8°. Ahrens (H. E.). Das Blanko-Accept. Erlangen, 1897; 8° Amon (G.). Ueber die Erfiillung schwebender Rechtsverhiltnisse im Kon- kurse. Miinchen, 1896; 8°. Auffenberg (0.). Der Fruchterwerb des Pàchters nach gemeinem Rechte und nach der deutschen Rechtsentwicklung insbesondere dem biirger- lichen Gesetzbuch fiir das deutsche Reich. Frankfurt am Main, 1897; 8°. Baer (B.). Die Mvglichkeit des Strafprozesses gegen die Erben der Steuer- defraudanten nach Reichs- und Landesrecht. Diisseldorf; 8°. Behrend (F.). Zur Lehre von der condictio causa data causa non secuta. Hannover, 1897; 8°. Bellebaum (K.). Staats- u. Reichsangehòrigkeit, Staats- u. Reichsbirgerrecht in Deutschland. Siegen, 1897; 8°. Benscher (A.). Eigentumserwerb an Friichten. Berlin; 8°. Bergenthal (M.). Entstehung und Schutz der Wegservituten mit Beriick- sichtigung des nach dem biirgerlichen Gesetzbuche geltenden Rechts. Berlin, 1897; S°. Bergmann (P.). Der Erlass bei Correal und Solidarobligationen. Freiburg i. Br., 1896; 8°. Best (H.). Darlehn und depositum irregulare. Bonn, 1896; 8°. Biltz (0.). Der Phido Platos und Mendelssohns. Berlin, 1897; 8°. Blumenstein (K.). Der Frbschaftsanspruch nach dem birgerlichen Gesetz- buche. Miinchen, 1896; 8°. Brambach (H. W.). Begriff und Wesen des Geschàftsanteils und Geschàfts- guthabens in der eingetragenen Genossenschaft nach dem Reichsgesetz vom 1. Mai 1889. Dillenburg, 1897; 8°. Braun (E.). Finden die Grundsàtze des Kaufes auf die emtio spei Anwendung? Leipzig, 1896; 8°. Brehmer (E.). Rechtliche Bedeutung der Willenserklirung im Scherz nach gemeinem Rechte. Erlangen, 1897; 8°. Brill (A.). Die zur Sicherung einer Vertragsobligation vorgenommenen be- dingten Eigentums-iibertragungen und das Verbot der pfandrechtlichen lex commissoria. Bonn, 1896; 8°. Brockhues (F.). Rechte und Pflichten des zahlenden Birgen beziiglich der vom Schuldner oder Dritten gestellten Pfànder. Kòln, 1896; 8°. Brann (P.). Die colonia partiaria. Berlin, 1897; 8°. Briiss (J.). Der Belagerungszustand als Rechtsinstitut. Ciistrin, 1897; 8°. Buchmann (W.). Ausiibung des an einem Forderungsrechte bestehenden Pfandrechtes. Wesel a. Rhein, 1897: 8°. Biicklers (K.). Unterschied zwischen Leistungsbereitschaft und Leistung. Diisseldorf, 1897; 8°. XXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Biiren (C.). Die Hypothek und die Grundschuld des preussischen Eigen- tumserwerbsgesetzes. Darstellang und Vergleich der beiden- Verpfàin- dungsarten. Kéln, 1897; 8°. Biiren (M.). Die subsidiàre Haftung fir Geldstrafen, zu denen andere verurteilt worden, nach den Gesetzen des Deutschen Reichs. Gummersbach, 1896; 8°. Cafpari (D. W.). Rede gehalten bei der Beerdigung der Herrn Dr. phil. et theol. August Kébhler..... Erlangen, 1897; 4°. Canto (A.). Die Herabsetzung des Grundkapitals der Aktiengesellschaft mittels Zusammenlegung von Aktien und die Rechte des Einzelaktionàrs. Koln, 1897; 8°. Claussen (H.). Die Haftung des Erben fiir die Nachlassverbindlichkeiten nach dem biirgerlichen Gesetzbuche fiir das Deutsche Reich. Altona, 1896; 8°. Coppel (C.). Korrespektives Testament und Erbvertrag. Hirschberg i. Schl., 1896; 8°. Cramer (E.). Die Krediterkundigung nach der civilrechtlichen Seite. Wiirz- burg, 1896; 8°. Daxer (G.). Ueber die Anlage und den Inhalt der transscendentalen Aesthetik in Kants Kritik der reinen Vernunft. Halle a. S., 1897; 8°. Dehn (R.). Die Actio Redhibitoria in ihrer Funktion als Schadensersatzklage nach gemeinem Recht. Miinchen, 1896; 8°. Deus (P.). Die Vertragsstrafe nach dem biirgerlichen Gesetzbuch. Berlin, 1896; 8°. Egelkraut (P.). Der Finfluss des Daniel von Bliihenden Tal vom Stricker auf die Dichtungen des Pleiers. Leipzig-Reudnitz, 1896; 8°. Eickhoff (K.). Die Prioritàtseinràumung nach gemeinem Recht. Paderborn, 1896; 8°. Epping (H.). Die Gewàahrleistung wegen Mingel der Kaufsache nach biir- gerlichem Gesetzbuch. Altenburg, 1897; 8°. Eulitz (G.). Der Verkehr zwischen Vives und Budaeus. Chemnitz, 1897; 4°. Eyermanu (K.). Die Stellung der offenen Handelsgesellschaft im Prozesse. Wirzburg, 1897; 8°. Farnbacher (F.). Der Begriff des sogen. fortgesetzten Verbrechens und seine juristischen Konsequenzen. Bayreuth, 1896; 8°. Feichtinger (E.). Die rechtliche Natur der Primien-Geschifte: Erlangen, 1896; 8°. Fischer (H.). Kann sich derjenige auf Nothwehr berufen, dem die Mvglichkeit der Flucht offenstand? Kéln, 1896; 8°. Flechtheim (J.).. Die Beweisbedeutung der Privaturkunde nach Reichscivil- prozessrecht. Disseldorf, 1897; 8°. Folkmann (I.). Ausgewàihlte nestorianische Kirchenlieder iber das Mar- tyrium des heil. Georg von Giwargis Warda. Kirchhain N.-L., 1896; 8°. Fourman (L.). Das pactum de mutuo dando. St. Johann a. d. Saar, 1896; 8°. Freimann (A.). Die Isagoge des Porphyrius in den syrischen Uebersetzungen. Berlin, 1897; 8°. Freitag (0.). Die Besitzverhiltnisse an der gefundenen Sache. Halle a. $., 1896; 8°. ia eci i A PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXIX Gallinger (J.). Die Rechtstellang des Konkursverwalters und der Glaiubiger bei Feststellung einer Konkursforderung. Niirnberg, 1896; 8°. Gehring (J.). Die Religionsphilosophie J. E. von Bergers. Leipzig, 1897; 8°. Gercke (M.). Kann der Miteigentiimer eine Servitut an der gemeinsamen Sache haben? Berlin, 1896; 8°. Gildemeister (M.). Die Kompensation zwischen Forderungen der Handels- gesellschaft und Forderungen an einen Gesellschafter, sowie zwischen Gesellschaftsschulden und Privatforderungen eines offenen Gesell- schafters. Erlangen, 1896; 8°. Glaum (R.). Gehòrt die Lebensversicherungssumme zum Nachlasse des Ver- sicherten ? Kéln, 1897; 8°. Glier (L.). Die Advocatia ecclesiae Romanae Imperatoris in der Zeit von 1519 bis 1648 mit besonderer Berticksichtigung der Entwickelung der advocatia ecclesiarum Germanicarum. Passau, 1897; 8°. Graumann (L.). Haftung des Nichtbenefizialerben gegentiber den separie- renden Erbschaftsglàubigern. Nirnberg, 1896; 8°. Greeven (G.). Die Siglen DM auf altchristlichen Grabschriften und ihre Bedeutung. Rheydt, 1897; 8°. Grommes (P.). Bezieht sich der Schutz des $ 198 Strafgesetzbuchs auch auf den Fall der verleumderischen Beleidigung, $ 187 St. G. B.? Bonn a. Rh., 1897780. Giitermann (E.). Die rechtlichen Grundlagen der Widerspruchsklage. Minchen, 1896; 8°. Gutfeld (W.). Die legislative Stellung des deutschen Kaisers. Berlin, 1897; 8°. Haase (F.). Die rechtliche Stellung der Geschàftsfiihrer einer. Gesellschaft m. b. H. Berlin, 1896; 8°. Haber. Welches Gesetz findet Anwendung auf die Dienstvergehen der preus- sischen, bei einem Gerichte beschàftigen Gerichtsassessoren? Dresden, PROTO Hasenkamp (A.). Die gemeinrechtlichen Grundsàtze iber den Verkauf mit lex commissoria und ihre Modificierung durch das Reichsgesetz betreffend die Abzahlungsgeschifte vom 16 Mai 1894. Bonn, 1896; 8°. Heinze (A.). Die Pflichten des Emphyteuta gegeniber dem dominus. Berlin, 1896; 8°. Heppe (0.). Aufbewahrungspflicht von unbestellt Zugesendetem. Dortmund, 1896; 8°. Herkersdorf (W.). Wie ist ein Urteil zu vollstrecken, durch welches der Beklagte zur Stellung einer Sicherheit verurteilt wird? Milheim a. d. Ruhr, 1896; 8°. Hertzsch (B.). Der amtsrichterliche Strafbefehl. Dresden, 1897; 8°. Hesse (M.). Die staatsrechtlichen Beziehungen Aegyptens zur Hohen Pforte auf Grund der Fermane. Berlin, 1897; 8° — Heymann (M.). Der Niessbrauch an Forderungen. Bonn, 1896; 8°. Hiekmann (J.). Die Behandlung des von einem vollmachtlosen Stellvertreter abgeschlossenen Rechtsgeschiftes nach gemeinem Rechte und nach Handelsrecht. Berlin, 1897; 8°. XXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Hilgers (M.). Die rechtliche Natur der remuneratorischen Schenkung, Kéln, 1897; 8°. 3 Hieronimi (J.). Die Haftung des Eigentiimers fiir seine Tiere nach ròmischem Recht. Erlangen, 1897; 8°. Hollender(J.). Der Eisenbahnfrachtvertrag iiber Passagiergut und die Haftung aus demselben. Kéln, 1897; 8°. Holtkòtter (H.). Retentio Gordiana. Rheydt (1897); 8°. Holtzapfel (R. H.). 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Roma, 1897; 8°. * Revue de l’Université de Bruxelles. Bruxelles, 1897; 8°. ** Revue archéologique. Paris, 1897; 8°. | i i i | | i I PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLIX _** Revue de Linguistique et de Philologie comparée. Paris, 1897; 8°. | _** Revue des deux Mondes. Paris, 1897; 8°. _* Revue géographique internationale. Paris, 1897; 4°. . ** Revue numismatique. Paris, 1897; 8°. | ** Rivista di filologia e d’istruzione classica. Torino, 1897; 8°. _* Rivista italiana di Sociologia. 1897. Roma; 8°. * Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie. Roma, 1997: 8°. ** Rivista storica italiana; pubblicazione trimestrale. Torino, 1897; 8°. Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XIV, n. 3-9. Valle di Pompei, 1897; 8°. . Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute, Woking; England, Vol. XXVI, No. 6-11, 1897; 8°. _** Séances et Travaux de l’Académie des Sciences morales et politiques. Compte rendu, Paris, 1897; 8°. __* Stampa (La). 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Tom. 2*, livr. 1ére, Nouvelle-Orléans, 1898; 8°. * Nachriehten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Philologisch-historische Klasse, 1897, n. 3. Gòttingen; 8°. Relazione sull’ Amministrazione delle Gabelle per l’ esercizio 1896-97. Roma, 1898; 4° (dal Ministero delle Finanze). Statistica degli Scioperi avvenuti nell’Imdustria e nell’Agricoltura durante l’anno 1896. Roma, 1898; 8° (dal Minist. di Agrie., Industr. e Comm.). # Vocabolario degli Accademici della Crusca. 5* impressione. Vol. VIII, fasc. 4°. Firenze, 1897; 4°. Battaglia (G.). Dell’ordinamento della proprietà fondiaria in Sicilia sotto i Musulmani. Catania, 1893; 8° (dall A.). — I Diplomi inediti relativi all'ordinamento della proprietà fondiaria in Sicilia sotto i Normanni e gli Svevi. Palermo, 1895; 8° (Zd.). — L'ordinamento della proprietà fondiaria nell'Italia meridionale sotto i Normanni e gli Svevi ecc. Palermo, 1896; 8° (Jd.). — Studi sulla origine della feudalità. Palermo, 1897; 8° (Zd.). 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Methode, undeutliche und selbst bis zur vollkommenen Unsichtbarkeit abgeschliffene Prigung von metallischen Gegenstiinden wieder deutlich sichtbar zu machen. Halle, 1896; 8° (Zd.). Berichtigungen zu M. Verworn’s Mittheilung IV: Ueber die polare Erregung der lebendigen Substanz und zu einigen anhangsweise bespro- chenen entwickelungsmechanischen Thematen. Bonn, 1897; 8° (Za.). . W. Pfeffer, Pflanzenphysiologie, ein Handbuch der Lehre vom Stoff- wechsel und Kraftwechsel in der Pflanze. Leipzig, 1897; 8° (Z4.). Wilhelm Haacke, Grundriss der Entwickelungsmechanik. Leipzig, 189706" 423: i R. S. Bergh, Vorlesungen iber allgemeine-Embryologie. Leipzig, 1898; 8° (Id). Anpassung, functionelle. Wien; 8° (I4.). Segre (C.). Su alcuni punti singolari delle curve algebriche e sulla linea” parabolica di una superficie. Roma, 1897; 8° (Id.). Le moltiplicità nelle intersezioni delle curve piane algebriche con al- cune applicazioni ai principii della teoria di tali curve. Napoli; 4° (Jd.). Zapalyezai de Korompa (G.). Studiis in circuli quadraturam; 8° (I4.). È Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Dal 24 Aprile al 22 Maggio 1898. * Anales de la Universidad. T. IX, Entrega 4. Montevideo, 1898; 8° (dal Governo della Republica Orientale dell’ Uruguay). * Annuario della R. Università degli studì di Padova per l’anno accade- mico 1897-98; 8°. Atti della Società Ligure di Storia patria. Vol. XXVIII, fase. II; XXIX, fasc. I. Genova, 1897-98; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXV * Atti della R. Accademia dei Lincei. Serie V. Classe di Sc. mor., stor. e filol., ser. V, vol. VI. Notizie degli Scavi: Febbraio 1898; 4°. * Boletin de la Real Academia de la Historia. T. XXXII, cuad. 4, 5. Madrid, 1898; 8°. * Bollettino della Società Umbra di Storia Patria. Anno IV, fasc. IL Perugia, 1898; 8°. * Bulletin de la Société de Géographie. 7° série, t. XVII, 4° trimestre 1896; t. XIX, 1" trim. 1898. Paris; 8°. * Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie; n. 18, 19, 20, 1897; 1, 2,3, 1898. Paris, 8°. * Nachrichten von der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Philologisch-historische Klasse, 1898, Heft 1. Gòttingen, 1897; 8°. ** Raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti del Regno d’Italia. Indice e parte supplementare. 1397; 8°. Report (Third Annual). The John Crerar library. For the Year 1897. Ehicago, 1898; 8°. * Sitzungsberiehte der philosophisch-philologischen und der historischen Classe der k. b. Akademie der Wissens. zu Miinchen, 1897, Bd. II, Heft III. Miinchen, 1898; 8°. Basile (M.). Latifondi e poderi, ragionamenti economici fra proprietari, contadini e politici. Messina, 1898; 16° (dall’A.). Bosio (A.). Nuovo alfabeto; 4° (Id.). Dalla Vedova (G.). I recenti lutti della Società geografica italiana. Roma, 1898; 8° (Zd.). La Mantìa (Francesco) e (Giuseppe). Consuetudini di Linguagrossa ora per la prima volta pubblicate. Palermo, 1898; 8° (dagli AA.). Nésustroîeff (A... YKA8ATE.Ib Kb PYCCKHIMB IOBPEMEHHbIMB U3HKAHISIMB HU CBOPHIURAMB 8A 1703-1802 r. r. x gb MCTOPH- UECKOMY POS8bICRAHIO 0 HUX'. C.-IIETEPBYPIB, 1898; 8° (dall A.). Roversi (L.). Luigi Palma di Cesnola e il Metropolitan Museum of Art di New-York. New-York, 1898; 8° (Zd.). Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Dal 15 al 29 Maggio 1898. Anales del Museo Nacional de Montevideo, t. II, fasc. 8, 1898; 4°. * Annales des Mines. 9° série, t. XII, 12° livr.; t. XIII, 1°-3° livr. Paris, 1897-98; 8°. * Atti della R. Accademia dei Fisiocritici in Siena. Vol. VIII, n. 9, 10 (1897); IX (1898). Processi verbali delle adunanze 1-3 (1897-98); 8°. LXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Atti e Rendiconti dell’Acc. Medico-chir. di Perugia; vol. IX, f.4°. 1897; 8°. * Atti e Rendiconti dell’Accademia di scienze, lettere e arti dei Zelanti di Acireale. Nuova serie, vol. VIII, 1897-98. Acireale, 1898; 8°. * Bulletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXXII, No. 1, 2. Cambridge, Mass., 1898; 3°. # Carta geologica delle Alpi Apuane. Scala di 1 a 50.000 e Cenni relativi. Roma, 1897; f° (dal R. Ufficio Geologico). ** Fortschritte (Die) der Physik im Jahre 1892, II. Braunschweig, 1898; 8°. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVII, No. 5. London, 1898; 8°. | Osservatorio meteorologico nel Seminario vescovile di Sarzana. Anno III. Osservazioni fatte dal 1° dicembre 1896 a tutto novembre 1897. Sar- zana, 1898; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LXIII, No. 394. London, 1898; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Vol. XXXI, fasc. 8, 9. Milano, 1898, 8°. * Transactions of the Kansas Academy of Science (1895-96). Vol® XV. T'opeka, 1898; 8°. * Verhandlungen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 3 u. 6, 1898. Wien; 8°. Cantor (M.). Vorlesungen iber Geschichte der Mathematik. Leipzig, 1898; 8° (dall’A.). Macchiati (L.). Sui pretesi granuli d’amido incapsulati dei tegumenti se- minali della Vicia narbonensis L. Modena, 1898; 4° (Id.). Stossich (M.). Filarie e Spiroptere. Trieste, 1897; 8° (Zd.). — Note parassitologiche. Trieste, 1897; 8° (Id.). Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Dal 22 Maggio al 12 Giugno 1898. #* Allgemeine Deutsche Biographie. Bd. XLIV, Lfg. 216. Leipzig, 1898; 8°. Annali della R. Università di Torino dal 1884 al 1898. Sommario storico- statistico. Torino, 1898; 4°. Annuario Accademico della R. Università di Siena per l’anno 1897-98; 8°, * Berichte iiber die Verhandlungen der k. Sàchsischen Gesellschaft der Wissenschaften zu Leipzig (Philolog.-hist. Classe), 1898, I. Leipzig, 1898; 8°. * Cosmos. Ser. II, vol. XII, 1894-96, fasc. VI-VII. Roma, 1898; 8°. Elenco delle Società di Mutuo Soccorso. Roma, 1898; 8° (dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXVII * Memorie dell’Accademia di Verona. Vol. LXXIII, serie IIT, fase. I-II. Verona, 1897; 8°. ** Monumenta Germaniae historica. Auctorum antiquissimorum, t. XIII, pars IV. Chronica minora saec. IV, V, VI, VII edidit Theod. Mommsen. Berolini, 1898; 4°. * Publications de l’École des Lettres d'Alger. Bulletin de Correspondance Africaine. Légendes et Contes merveilleux de la Grande Kabylle; Que partie. Paris, 1898; 8°. * Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti della Società Reale di Napoli. N. $S., Anno XII, Gennaio-Febbraio 1898. Napoli; 8°. * Sitzungsberichte der philosophisch-philologischen und der historischen Classe der Akad. der Wissenschaften zu Miinchen. 1898, Heft I; 8°. De Feis (L.). Storia di Liberio Papa e dello scisma dei semiariani. Roma, 1894; 4° (Inviato per il premio Bressa). Nani (C.). Istromenti sigillati e stile sigillato: contributo alla storia del- l’antica legislazione Sabaudo-Piemontese. Torino, 1898; 8° (dall’A.). Pizzi (I.). Storia della poesia persiana. Torino, 1894; 2 vol.; 8° (Inviato per il premio Bressa). *#* Sanuto (M.). I Diarii. T. LI, fase. 218, 219. Venezia, 1898. Vaggioli (F.). Storia della Nuova Zelanda e dei suoi abitatori. Parma, 1891-96, 2 vol.; 8° (Inviato per il premio Bressa). ** Yandini (R.). Appendice seconda al catalogo dei codici e manoscritti già posseduti dal marchese Giuseppe Campori. Modena, 1895; 8°. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. Dal 29 Maggio al 19 Giugno 1898. * Abhandlungen der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gòttingen. Mathem.-Physikalische Classe. N. F. Bd. I, No. 2. Berlin, 1898; 8°. * Abstract of Proceedings of the R. Society of New South Vales, No- vember 3; December 1, 1897; 8°. * Anales de la Sociedad Cientifica Argentina. T. XLV, Entrega II-IV. Buenos Aires, 1898; 8°. *# Annales de la Société Entomologique de Belgique; t. 41°, Bruxelles, T997 ;189, * Annales de la Société géologique de Belgique. T. 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Venezia, 1897-98; 8°. * Berichte der Naturforschenden Gesellschaft zu Freiburg I. B., X Bd., 1897-98; 8°. Boletin mensual del Observatorio Meteorolégico central de Mexico; Octubre- Diciembre 1897; Enero 1898; Resumenes mensuales de las Observac. meteorolég. correspond. à los aîios de 1891 y 1892. Mexico, 1897-98; 4°. Boletin mensual demografico de Montevideo. Aîio VI, n. 59-64. Monte- video, 1897-98. Boletin del Observatorio Astronémico Nacional de Tacubaya. Tom, II, n. 3. Mexico, 1898; 4°. * Bollettino delle sedute dell’Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania; fasc. L (1897); LI-LII (1898); 8°. Bollettino statistico mensile della Città di Milano. Anno XIII, dicembre 1897 e Notizie riassuntive dell’anno 1897; XIV, gennaio-aprile, 1898; 4°. Bollettino quindicinale della Società degli Agricoltori italiani. Anno II (1898), n. 1-12. Roma; 8°. # Bollettino demografico della Città di "Torino. Anno XXVII, n. 1-14, 1898; 4°. * Bollettino mensuale della Società meteorologica italiana. Serie 2*, v. XVII, 1-2; XVIII, 1-4. Torino, 1897-98. Bollettino dell’Associazione “ Mathesis , fra gl’Imsegnanti di matematica, delle scuole medie. Anno II, n. 4-5. Torino, 1897-98; 8°. ** Bohrregister nebst Bohrkarte zur geologischen Specialkarte von Preussen und Thiiringischen Staaten. LXXIV Lief., Gradatheilung 14, No. 49-51, 55-57. Berlin, 1897; 8° e carte f°. * Bulietin of the Johns Hopkins Hospital, vol. IX, No. 82-86. Baltimore, . 1898; 4°. * Bulletin de la Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydro- logie. Tom. X, fasc. I-II; XI, fasc. II-III. Bruxelles, 1897; 8°. Bulletin mensuel de Statistique Municipale de la ville de Buenos-Ayres. XI° année, n. 11 (1897); 1-4 (1898); 4°. \ PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXIX * Balletin of the Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Vol. XXVIII, No. 4; XXXI, No. 7; XXXII, N. 3-5. Cambridge, Mass., 1898; 8°. Bulletin de la Société Philomatique de Paris. $° série, t. IX, 1896-1897, DZ; (8°. * Bulletin de la Société Belge de Microscopie. XXII° an., 1896-97, n. 11. Bruxelles; 8°. * Bulletin de l’Académie Royale des sciences et des lettres de Danemark. 1898, n. 2, 3. Copenhague; 8°. * Bulletin de l'’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. V® sér., T. VI, neo; VII, n. 1. 1897; 4°. * Bulletin de la Société impériale des Naturalistes de Moscou. Ann. 1896, n.4; 1897, n. 1. Moscou, 1897; 8°. * Bulletins du Comité géologique de St-Pétersbourg, 1896; t. XV, n. 6-9; XVI, n. 1-2. St-Pétersbourg, 1897; 8°. * Comptes-rendus de l’Académie des Sciences de Cracovie, décembre, 1897; janvier-mai, 1898; 8°. * Field Columbian Museum. Report Series, vol. I, No. 3. Zoological series, vol. I, No. 8. Chicago, 1897; 8° * Foldtani Kòzlony havi Folyéirat kiadja a Magyarhoni Féldtani Tarsulat. Vol. XXVIII, n. 1-4. Budapest, 1898; 8°. * Giornale della R. Accademia di Medicina. A. LXI, n. 4. Torino, 1898; 8°. Istituto Geografico Militare. 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Copenhague, 1898; 4°. * Mémoires de l’Académie Imp. des Sciences de St-Pétersbourg. Classe physico-mathématique. VIII série, V, n. 3-5. St-Pétersbourg, 1897; 4°. * Mémoires du Comité Géologique de Russie. T. XIV, n. 5. St-Pétersbourg, 1896; 4°. * Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze matematiche e naturali. XVIII, fasc. V. Milano, 1898; 4°. LXXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXVII, disp. 1*-5*. Roma, 1898; 4°. 4 * Mitteilungen des Vereins fiir Erdkunde zu Leipzig, 1897. Leipzig, 1898; 8°. * Mittheilungen aus dem Jahrbuche der kgl. ungar. geologischen Anstalt. Bd. XI; Heft 8. Budapest, 1898; 8°. *# Mittheilungen aus der medicinischen Facultàt der kaiserlich-japanischen Universitàt zu Tokio; Bd. III, n. III. 1897; 4°. * Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Vol. LVIII, n. 8. London, 1898; 8°. #* Morphologische Arbeiten. Herausg. von D' G. Schwalbe. 8 Bd., 1 Heft. Jena, 1898; 8°. * Proceedings of the American Academy of Arts and Sciences. Vol. XXXIII, No. 5-8. Boston, 1897; 8°. * Proceedings of the Cambridge philosophical Society; vol.IX, Part VIII. 1898; 8°. * Proceedings of the Zoological Society of London for the year 1898. Part I. London; 8°. Proceedings of the Royal Institution of Great Britain. Vol. XV, Part IL n. 91. London, 1898; 8°. * Proceedings of the Royal Society. Vol. LXIII, 395-398. London, 1898; 8°. * Proceedings of the Academy of Natural Science of Philadelphia. Part II, 1897. Philadelphia; 8°. * Procès Yerbaux des Séances de la Société R. Malacologique de Bel- gique; 8 juin 1895-4 novembre 1896; vol. XXIV-XXV. Bruxelles; 8°. * Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere. Vol. XXXI, fasc. X-XII. Milano, 1898; 8°. * Rendicouti del Circolo matematico di Palermo. Tom. XII, fasc. III-IV. Palermo, 1898; 8°. Rendiconto dell'Ufficio d’Igiene della Città di Torino. Anno XXVII, n. 1-5, 1898; 4°. * Rivista mensile del Club alpino italiano. Vol. XVII, n. 1-5. Torino, 1898: 8°. * Sehriften der Physikalisch-Oekonomischen Gesellschaft zu Kònigsberg in Pr., XXXVIII Jahrg., 1897. Konigsberg; 4°. * Sitzangsberiehte der Kén. Preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, (6 Januar) I (21 April 1898) XXIII. Berlin, 8°. Sitzangsberichte der physikalisch-medicinischen Societàt in Erlangen. 29 Heft, 1897. Erlangen, 1898; 8°. i Stazioni sperimentali agrarie italiane. Vol. XXX, fasc. 8-9; XXXI, fasc. 1-2. Modena, 1897-98; 8°. * Transactions of the Manchester Geological Society. Vol. XXV, No. xv, xvi. 1898; 8°. * Transactions of the Zoological Society of London. Vol. XIV, part 6, 1898; 4°. ** Verhandlungen der physikalischen Gesellschaft zu Berlin. Jahrg. XVII, N* 2-5. 1898; 8°. * ‘ PU»BLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXI * Verhandlongen der k. k. geologischen Reichsanstalt. Sitzung. N. 7,8, 1898. Wien; 8°. Yearbook of the United States. 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ACCADEMIA LXXXIII Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. Dal 12 al 26 Giugno 1898. * Abhandlungen der k. Akademie der Wissenschaften zu Berlin, 1897; 4°. * Acta Borussica. Die Behérdenorganisation und die allgemeine Staats- verwaltung. Zweiter Bd. Berlin, 1898; 8° (dalla R. Accad. d. Scienze). * Analecta Bollandiana. T. XVI, fasc. IV. Bruxelles, 1897; 8°. * Annales de la Société d’Archéologie de Bruxelles. T. XII, liv. L Bruxelles, 1898; 8°. * Annuaire de la Société d’Archéologie de Bruxelles, 1898, t. IX°. Bru- xelles, 1898; 8°. * Atti della R. Accademia dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filolog.; serie V, vol. VI. Notizie degli Scavi: marzo 1898; 4°. * Atti della Reale Accademia di Scienze morali e politiche della Società Reale di Napoli; vol. 29°. Napoli, 1898; 8°. ** Bibliografia italiana. Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Vol. 32. N. 1-11. Milano, 1898; 8°. #* Bibliotheca Philologica Classica. Vol. XXV, 1898. Trimestre primum. Berolini; 8°. Bollettino della Associazione italiana per l'incremento della scienza degli Attuari. N. 1, 1898. Milano; 8°. * Bollettino di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XIV, Ottobre-Dicembre 1897. Roma; 8° (dal Ministero delle Finanze). * Bulletin of the New York Publie Library Astor Lonox and Tilden Foun- dations. Vol. II, No 1-5, 1898; 8°. * Bulletin de l’Université de Toulouse; fasc. 1-4, juillet 1897-Février 1898. Toulouse; 8°. * Comptes-rendus de l’Athénée Louisianais. 6° sér. Tom. 2°, livr. 2ème, Nouvelle-Orléans, 1898; 8°. * Comptes-rendus des séances de la Société de Géographie; n. 4, 1898. Para; 8°. * Consiglio Comunale di Torino; sedute 3 gennaio-23 maggio 1898; N. I MIX: 4°. * Giornale della Società di letture e conversazioni scientifiche di Genova. Anno XX, fasc. II, 1898; 8°. * Mémoires de l’Académie des Sciences et des Lettres de Danemark. 6° sér. Section des lettres; t. IV, n. 4. Copenhague, 1898; 4°. * Miscellanea di Storia italiana, pubblicata per cura della R. Deputazione sovra gli studi di storia patria per le antiche provincie e la Lombardia, serie 3*, t.IV. Torino, 1898; 8°. LXXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Notulen van de Algemeene en Bestuurs-Vergaderingen van het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Deel XXXV, Af. 1,2. Batavia, 1897; 8°. * Rendiconto delle Tornate e dei Lavori dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società R. di Napoli. Anno 36°. Napoli, 1897; 8°. Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Anno XIV, quad. X-XII; XV, quad. I-VI. Valle di Pompei, 1897-98; 8°. Sanskrit Critical Journal of the Oriental Nobility Institute; Vol. XXVI, No. 12, 1897; XXVII, No. 1-5, 1898; Woking, England, 8°. Statistica del commercio speciale di importazione e di esportazione, dal 1° gennaio al 31 maggio 1898. Roma; 5 fasc. 8° (dal Ministero delle Finanze). * Studi e Documenti di storia e diritto. Anno XIX, fasc. 1°, 2°. Roma, 1898; 4° (dall'Accademia di Conferenze storico-giuridiche). * Tijdschrift voor Indische Taal-, Land- en Volkenkunde, uitgegeven door het Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen ete.; Deel XL, Aflev. 1, 2. Batavia, 1897; 8°. Transactions and Proceedings of the American Philological Association, 1897. Vol. XXVIII. Boston, Mass.; 8°. # Université catholique de Louvain: Annuaire: 1898. Thèses de la Faculté de Théologie: 702-718. Programme des cours de l'année académique 1897-98. Legrand (G.). L’impòt sur le capital et le revenu en Prusse. Namur, 1894; 8°. Nerinx (A.). Du régime légal de l’enseignement primaire en Angleterre. Gand, 1895; 8°. Moyersoen (R.). Du régime légal de l’enseignement primaire en Hol- lande. Gand, 1895; 8°. Mélot (A.). Des impòts sur les valeurs mobilières en France. Louvain, 1895; 8°. Genart (C.). Les syndicats industriels. Louvain, 1896. Kerchove d’Exaerde (H. de). De l’enseignement obligatoire en Allemagne. Gand, 1897. Kerby (W.-J.). 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Li bad. arri sio Quasi afigalfi tanasgalaTA si citate ri Bi 1 È ti 'ob} rash ovitonaag P (1) " | ae fa (0,01, a) ove tutte le variabili sono essenzialmente reali. Una dimostrazione dell’esistenza dell’integrale del sistema proposto è dovuta a CAUcHY; essa si riduce ad integrare per ap- prossimazione, con una poligonale, le equazioni date, e poi passare al limite. Ma ciò che su questo soggetto ha pubblicato il Moreno, Lecons de Calcul différentiel et intégral, a. 1844, p. 385 e segg., è solo un abbozzo di dimostrazione; le condizioni restrittive non sono punto analizzate; il passaggio al limite è incompletamente fatto. Il LipscHirz (“ Bulletin de Darboux ,, t. X, p. 149, a. 1876; “ Annali di Matematica ,, t. II, p. 288) diede la dimostrazione dell’esistenza dell’integrale, quando, oltre alla continuità dei se- condi membri delle (1), si supponga verificata una condizione sui rapporti incrementali di questi membri, condizione che suolsi indicare col nome dell’A., e di cui discorreremo in seguito. In una Nota “ Sull’integrabilità delle equazioni differenziali di primo ordine ,, pubblicata negli “ Atti ,, di quest’Accademia, a. 1886, limitandomi al caso di n= 1, cioè all’equazione 10 GIUSEPPE PEANO ne dimostrai l’integrabilità, supposto puramente continuo il se- condo membro. L’integrale si presentava come limite inferiore, o superiore, delle funzioni soddisfacenti ad una delle disegua- glianze differenziali da dx io de fa] In un lavoro successivo “ Démonstration de l’intégrabilité des équations différentielles ordinaires ,, pubblicato nei “ Mathema- tische Annalen ,, t. 37, a. 1890, dimostrai l’esistenza dell’inte- grale del sistema generale (1), supposta puramente la conti- nuità dei secondi membri. Dedussi come casi particolari i risul- tati del Lipschitz, e quelli da me ottenuti nella Nota precedente. Tutte le proposizioni sono ivi espresse coi simboli della Logica matematica, e tutte le dimostrazioni sono fatte colle regole di questa scienza. La mole di questo scritto è dovuta in parte alla lunga serie di teoremi sui limiti di gruppi di punti variabili, su cui basa la dimostrazione. Essa fu, nelle parti principali, tra- dotta in tedesco dal sig. Mie nei “ Mathematische Annalen ,, t. 43. Il prof. C. Arzerà ottenne lo stesso risultato, come conse- guenza dei suoi teoremi “ Sulle funzioni di linee , nella Memoria “ Sull’integrabilità delle equazioni differenziali ordinarie , pubbli- cata dalla R. Acc. delle Scienze di Bologna nel 1895; e per nuova via vi arrivò pure in un’ altra Memoria pubblicata ivi nel 1896. Mi sono arrestato alquanto su questi lavori, i quali sono d'un reale vantaggio alla scienza, poichè dall’ enunciato d’un teorema fondamentale fanno sparire le condizioni restrittive inutili e complicate, lasciando solo quelle che sono evidenti. Il sig. Prcarp, nel 1891 (“ Bulletin de la Société mathém. de France ,, vol. XIX, e “ Nouvelles Annales de Mathém. ,, t. X), per dimostrare l’esistenza dell’integrale, adottò un pro- cedimento, che chiamò delle approssimazioni successive. Ma per questa via l’A. riuscì solo a provare l’esistenza dell’ integrale nelle precise ipotesi del LrescHIrz. In una breve comunicazione da me fatta ai “ Nouvelles Annales ,, t. XI, p. 79, a. 1892, feci notare come già prima si era arrivati a risultati più com- GENERALITÀ SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 1] pleti di quello trovato dal sig. Picard; ed esposi, in forma breve, e usando le stesse sue notazioni, come, nelle ipotesi del Lip- schitz, si dimostri anche l’unicità dell’integrale, di cui son dati gli elementi iniziali; unicità che il Picard dimostrò poi nel 1893, nel suo “ Traité d’ Analyse ,, t. 2, p. 299, facendo l’ipotesi inutile della continuità delle derivate. Limitandoci per un momento alle equazioni differenziali lineari, la questione fu già da tempo completamente risolta, poichè nella Nota “ Integrazione per serie delle equazioni diffe- renziali lineari ,, presentata a questa Accademia il 20 febbr. 1887, e riprodotta nei “ Mathematische Annalen ,, a. 1888, io diedi lo sviluppo dell’integrale in serie sempre convergente. Il teorema dimostrato in questa Nota è il seguente: “ Siano le equazioni differenziali lineari da 7a ir Pr ’(0) dan di = Tnt Xi + seo + Tnn Vans ove le r;; sono funzioni reali e continue della variabile #, in un determinato intervallo pg. Si sostituiscano nei secondi membri di queste equazioni alle x, delle costanti arbitrarie a, @s ... @,, e moltiplicati per dt, si integrino fra # e t. Si otterranno » funzioni di t: a, 9 ... an. Nei secondi membri delle equazioni proposte alle x si sostituiscano le a', e si integri fra £, e t; si otterranno le nuove funzioni a,” a,” ... an". Da queste, collo stesso proce- dimento, si dedurranno le a," ... an", e così via. Le n serie = U " ALI "rr sata, + a +.., 1...) I Pata 0) sono convergenti per ogni valore di #; le loro somme sono gli integrali delle equazioni proposte, che per t=f, assumono i valori iniziali @, ... @, ». Il metodo con cui qui si formarono queste serie è quello 12 GIUSEPPE PEANO stesso che il sig. Picard nella Nota citata del 1891 chiamò metodo delle approssimazioni successive, e che io preferirei chia- mare delle integrazioni successive. Ma che questo metodo con- duca al nostro caso a serie (8) sempre convergenti, fu dai sigg. Lindelòf e Picard ritrovato solo nel 1894; vedasi la Me- moria pubblicata nel “ Bulletin de la Société Mathém. ,, p. 52, avente per titolo “ Sur la méthode des approrimations successives, et les équations differentielles ordinaires ,. I teoremi ora enunciati sulle equazioni differenziali lineari o non, furono da me trovati coll’uso dei numeri complessi d’or- dine qualunque, e delle loro sostituzioni; il che ne semplifica anche l’esposizione. La teoria dei q,, o numeri complessi d’ordine n si può ri- tenere sufficientemente nota. Essa è contenuta ad es. nel For- mulaire de Mathématiques, t. I, parte V, $ 4 (Torino 1895). Le sostituzioni dei numeri complessi sono una estensione delle sostituzioni finite studiate in Algebra; e sono meno note. Ne esposi la teoria nell’ultimo capitolo del mio “ Calcolo Geo- metrico , (Torino 1888), e varie proprietà nei lavori citati sulle equazioni differenziali. Qui mi limiterò a richiamare le defini- zioni principali. Dicesi sostituzione (o trasformazione lineare) dei q,, e in- dicheremo con S,, ogni operazione da eseguirsi sui qn, il cui risultato è pure un q,, ed avente la proprietà distributiva. x Questa proprietà distributiva è espressa dalle proporzioni TED 0} VEGLIE yY) =TL 1 ty: reS,.ceqnkeq.g).r(ka)=k(r2), delle quali la seconda si deduce dalla prima per % razionale; ma si deve fare qualche altra ipotesi, p. e. la continuità, per dedurla per £ irrazionale; onde è più semplice darla come defi- nizione. La definizione simbolica di S, è Li Sn=(gn £ qn) nrel2,yeQn.Oxy-:re+y)=re+ry: LE Q-keq.da-r(ko)=Kk(r2)]. Df. Una S, è data dando le n? coordinate degli n elementi cor- GENERALITÀ SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE TS x rispondenti agli n elementi fondamentali; cioè è rappresentata dalla matrice d’un determinante d'ordine n. Si definisce la somma e il prodotto di due sostituzioni: 2. r,S€S,.CEQ-A.-(r+S)a=rrx + sa Df. x 3 ener (#2). Df. Si dimostra che la somma di due S, è pure una S,, e così pure pel prodotto; e continuano a sussistere le proprietà com- mutativa e associativa della somma, le proprietà associativa e distributiva del prodotto; ma questo non ha la proprietà com- mutativa, potendo essere rs diverso da sr. Nelle nostre questioni, e in tutte quelle in cui si passa al limite, è conveniente introdurre la definizione del modulo d’una sostituzione r. Esso è il massimo dei valori del rapporto (mod rx) /(mod x), ove x è un q, qualunque. In simboli: 4. reS,.9.modr= max}[(mod rx)/(mod x] x qu Df. e si dimostra l’esistenza di questo massimo, e le proprietà: De r,s€S,.9.mod(r + s) < mod r + mod s 6. » .9.mod(rs) < modr X mod s. I q, sono anche detti punti nello spazio ad » dimensioni, e le Sn, delle quali in Geometria si considera il solo prodotto, ne sono le proiettività. È noto che ogni S, ha » invarianti, dei gradi 1, 2, ... n negli elementi suoi. Ci basta, per queste ri- cerche, ricordare quello di grado massimo, che è detto il suo determinante, poichè è il determinante della matrice che rap- presenta la sostituzione, e che indicando con [x}.x3...,] il prodotto progressivo degli n complessi d’ordine n, x; 22... %» secondo Grassmann, e con î,, ..., î, gli elementi di riferimento, viene espresso da: Wire... determr=|rt,.7i2..... Palla ca ih 14 GIUSEPPE PEANO Gli altri invarianti sono i coefficienti delle successive potenze del numero reale % nello sviluppo di determ (r + 4)". È interes- sante l’ultimo, di 1° grado, che indicheremo con inv r, e che è la somma degli elementi che stanno nella sua diagonale principale: 8. reS,.)-Invre=i[Fd;.ta.. cin] 4 -<-+-[d1od9 0 <«Tnkt) ESSI Ciò premesso, dicasi x il complesso (x, x2 ... &,); e r la sostituzione i cui elementi sono i coefficienti r;. Allora le equa- zioni date sono espresse da dx , — =r% (o dt è) ( ) e l'integrale da e (14 frdt+frdtfrdt+frdt{rdt{rdt+...)a, (8) ove gli integrali sono presi fra to e #, ed « è il valore iniziale del complesso «x. Nella mia Nota sta pure dimostrato che se si pone m= mod r (£ — to), i termini della serie entro parentesi sono minori dei corrispondenti termini della serie esponenziale mi mi LA an aaa onde si deduce la convergenza assoluta della serie (8'), e la sua convergenza equabile sia variando t in un intervallo finito, sia variando la sostituzione r in un campo, in cui il limite superiore dei valori del suo modulo sia finito. Pongasi E(r,t, )=1+frdt+{rdtfrdt+... allora l’integrale x della (a'), che per t=% ha il valore a, sarà dato da CSF, t05 6) d: E (r, to, t) è una nuova sostituzione, le cui principali pro- prietà sono enunciate nella mia Nota del 1888 (“ Math. Ann. ,, t. 32, p. 456). Qui basti ricordare che se n= 1, e più in ge- nerale se i varii valori di x sono commutabili fra loro, E (r, to, 8) vale eS74!, Si ha poi sempre Determ E (r, to, 1) = e inve? GENERALITÀ SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 15 Ritornando ora alle equazioni differenziali in generale, mi propongo di far vedere come, seguendo la via indicata, si pos- sano studiare facilmente altre proprietà degli integrali, le quali furono oggetto di recenti ricerche. Le equazioni (1) si possono ridurre all’equazione unica SE cef(159), (1)) ove x è un complesso d’ordine », ed f una funzione complessa della variabile reale # e del complesso «. La condizione introdotta dal Lipschitz, di cui già si è par- lato, è che esistano n? quantità positive c;, in modo che per ogni valore di #, di x e di x" nel campo considerato, si abbia sempre MOod|f;(f;% 0) — fill. %)] ci mod (x) — x) + cia mod (x9' — co) +... + ca mod (2, — x). Essa, introdotti 1 numeri complessi, equivale all’esistenza d’un numero positivo p tale che si abbia mod|(f,t, x) — f(t,2)]=< pmod(x— a). (2) Ciò posto, siano x ed x’ due integrali della (1’). Si avrà d(x—-2') nr bi 7° 2) Sf; a'). Prendiamo i moduli d’ambo i membri; tenendo conto che la derivata d’un modulo è minore o eguale al modulo della deri- vata, e tenendo conto dell'ipotesi di Lipschitz, si avrà dmod(e— a) 3 to, si deduce mod (x — 2') < el) mod (xo — 0), (4) ove x, ed xy' indicano i valori di x ed x’ per t="tp. Atti della RP. Accademia — Vol. XXXIII. : 4 16 GIUSEPPE PEANO Se ora i due integrali x ed x' hanno lo stesso valore ini- ziale, sarà 40 = x0/; onde, dalla (4), si ha a=x'; così risulta provata l'unicità dell’integrale, datone il valore iniziale. (Nel mio lavoro del 1892 questa dimostrazione è tradotta in modo da non far uso dei numeri complessi). Se invece nella (4) suppongo o fisso, ed xy variabile ten- dente ad x, sarà lim (xo — %0)= 0, onde anche lim (er—2')=0; cioè l'integrale x è funzione continua del suo valore iniziale xo. Quest'ultimo risultato è dovuto al D" O. NiccoLetTI, il quale, nella Nota “ Sugli integrali delle equazioni differenziali ordinarie, considerati come funzioni dei loro valori iniziali , (Rendiconti Ace. Lincei, 15 dicembre 1895), lo dedusse dalla menzionata dimo- strazione del Picard sull’esistenza dell’ integrale. Si vede che esso si poteva ottenere pure facilmente dalla mia del 1890. Il D" Niccoletti si dimostra, nei suoi scritti, giovane di molto ingegno e valore; e questa è la ragione che mi spinge a pubblicare questa Nota, per riesaminare le sue proposizioni. L’A. in seguito studia la derivabilità degli integrali delle equa- zioni differenziali proposte, rispetto ai loro valori iniziali. Ma, oltre al supporre l’esistenza e la continuità delle derivate par- ziali dei secondi membri delle equazioni date, l'A. è ancora stato obbligato, dal procedimento seguìto, a supporre che queste de- rivate parziali soddisfino a condizioni analoghe a quelle che il Lipschitz aveva supposte per le funzioni; mentrechè l’ esame diretto della questione non solo ci fa vedere non necessarie queste condizioni, ma ci fornisce equazioni che determinano le derivate cercate. Infatti, suppongasi che il valore iniziale x, di x dipenda da una nuova variabile reale «, ed abbia derivata dx, /du. Anche l’integrale x dipenderà da u. Dato ad « un incremento 4, e detto Ax l’incremento di x, si avrà LETLI —f(,64 Aa). (5) Sottraendo la (1) ‘oe fot Aa)—f(,2) (6) GENERALITÀ SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 7 Chiamasi D f (#, x) la derivata del complesso f(t, x) fatta rispetto al complesso x. Cosa si intenda per derivata d’un com- plesso rispetto ad un complesso variabile è detto nel mio “ Cal- colo Geometrico ,, a. 1888, p. 151. Qui basti osservare che con Df(t, x) si può intendere la sostituzione rappresentata dalla matrice formata colle derivate di fi fs ... f, rispetto ad xi... x. Pel teorema di calcolo, sull’incremento d’una funzione, esteso ai numeri complessi, la (6) si trasforma in die dt = [Medio Df(t,x + 0Ax)] Ax, (7) poichè l’incremento d’una funzione complessa si ottiene molti- plicando l’incremento della variabile per un valore medio fra quelli assunti dalla derivata (che non sempre è un valore della derivata). Dividendo per Aw si ha: SIM RETI, x -+0Aa)]} ZE x (8) 2 3 3 : . : Sarri a Questa è un’equazione differenziale lineare in ZIA, il coefficiente dipende ancora da Ax. Quindi si avrò ZE = E [Medio Df(t,.r +942), 1 L° To. Facciasi tendere Au a 0; Ax,/Au ha per limite da, /du per ipotesi. Ax tende a zero, come si è già dimostrato; Medio D f (t,x + 6Ax) tende a Df(t, x), e vi tende uniformemente, qua- lunque sia #, a causa della continuità di questa derivata. Nella serie E si può passare al limite prendendo il limite dei singoli termini; quindi esiste il limite di ci, che vien dato dalla for- mula = E[Df(t,0), 6, ] e. Dicasi variazione di x, e si indichi con dx, la derivata di x rispetto ad . Il considerare le variazioni come derivate pre- senta alcuni vantaggi sul metodo ordinario di considerarle come 18 GIUSEPPE PEANO — GENERALITÀ SULLE EQUAZIONI, ECC. incrementi infinitesimi. (Vedansi le mie “ Lezioni di Analisi in- finitesimale ,, a. 1893, $ 447). Allora si ha che le variazioni degli integrali dell’ equazione differenziale (1') soddisfano all’e- quazione lineare TE _[Df(t, a] da (9) da cui, per n="1, si ricava dx con una quadratura (cfr. “ Ma- them. Annalen ,, t.. 37, p. 288). Sopprimendo la nomenclatura dei numeri complessi, si ha il teorema: “ Siano le equazioni differenziali (1), ove i secondi membri hanno derivate continue rispetto ad x, ...x,. Se agli elementi iniziali si dà una variazione, anche gli integrali corrispondenti ricevono variazioni, determinate dalle equazioni differenziali lineari: cri = dla +... + dh da TÀ, dia da, dt © dx, . . . . . . . . . (139) dben _ dfa dfi se a Se, oltre al dare una variazione ai valori iniziali degli in- tegrali, si dà pure una variazione alla forma delle equazioni differenziali stesse, cioè se i secondi membri sono funzioni d’un parametro, che pure varia, allora le variazioni degli integrali sono date dalle equazioni che si ottengono dalle (9') aggiungendo ai secondi membri i termini òfi, ..... Ds; Questi risultati sono la generalizzazione dei noti teoremi sulla derivazione di un integrale; e sono a notarsi per la loro semplicità; poichè si possono compendiare nella proporzione. “ Si ottiene la variazione degli integrali d’un sistema di equazioni differenziali facendo le variazioni di queste equazioni stesse ,. CORRADO SEGRE — SU UN PROBLEMA RELATIVO, ECC. 19 Su un problema relativo alle intersezioni di curve e superficie; Nota del Socio CORRADO SEGRE. Ad uno scritto (*), in cui io mi difendevo da alcune cri- tiche che il prof. Del Pezzo (**) aveva mosso ad una mia me- moria (***), questi ha fatto seguire una replica (****). Pel modo com'essa è fatta io preferirei astenermi dal rispondere altro. Ma ciò non è possibile: qualche spiegazione può ancora esser utile ai lettori. Il Prof. Del Pezzo ripete l’accusa che già mi aveva fatta di non aver io citato in quella mia memoria un suo scritto in- torno ai punti singolari delle superficie algebriche. Nella prima risposta che gli avevo dato io mi ero giustificato, senza entrare nell'esame di quel lavoro, pensando così di usargli un riguardo. Ma poichè egli ribatte, interpretando come gli fan comodo le mie espressioni cortesi, e vuole che io attribuisca a lui la di- mostrazione del fatto che con una successione finita di trasfor- mazioni Cremoniane (monoidali) si scioglie qualunque singolarità di una superficie, io non posso più astenermi dal rispondere: che per quel risultato egli non ha alcun diritto di esser citato, perchè quel risultato non è punto stabilito nel suo scritto. In fatti egli trasforma le curve singolari in curve di minor singolarità (come (*) Intorno ad una mia memoria sulla scomposizione dei punti singolari delle superficie algebriche. “ Atti Accad. Torino ,, t. 32. (**) Osservazioni su una memoria del Prof. Corrado Segre e risposta ad alcuni suoi appunti. “ Atti Accad. Pontaniana ,, t. 27. (*#*) Sulla scomposizione dei punti singolari delle superficie algebriche. “ Annali di matematica ,, (2) 25, 1896-97. (#4) Replica ad una nota del Prof. Corrado Segre in risposta ad alcune mie osservazioni. “ Atti Accad. Pontaniana ,, t. 27. 20 CORRADO SEGRE già altri avevan fatto), ma senza badare che la trasformazione stessa può produrre un certo numero di punti eccezionali, od isolati, cioè di punti dotati di singolarità superiore a quella dei punti generici delle linee su cui stanno. D'altra parte egli crede di mandar via ogni punto singolare isolato mediante una trasfor- mazione che lo abbia per punto fondamentale, e lo muti in una o più linee singolari. Ma che il passaggio alternato che così si verrebbe a fare da linee singolari a punti singolari isolati, e da questi punti a nuove linee singolari, abbia per effetto, dopo un numero finito di trasformazioni, di ridurre la superficie ad aver sole singolarità ordinarie, non è in alcun modo dimostrato dai suoi ragionamenti. La risoluzione delle singolarità con un numero finito di trasformazioni non gli può esser attribuita, perchè nel suo lavoro non è fatta! Un'altra cosa, che può apparire molto strana ai lettori di questa polemica fra due matematici, e sulla quale dovrò trat- tenermi alquanto per mia difesa, è una disputa fra un 9 ed un 10! Il prof. Del Pezzo, allo scopo d’infirmare una formola con cui io calcolavo la multiplicità d’intersezione di una curva ed una superficie, aveva enunciata la seguente proposizione: “ Sia “0 un punto doppio uniplanare di una superficie F ed w il suo “ piano tangente; sia y un ramo di terz’ordine con l’origine in “0 ed osculatore in O al piano w; il numero delle intersezioni “ assorbite in O fra y ed F è 10 ,. Io gli ho risposto che in- vece quel numero vale 9, proprio come dà la mia formola, ed ho soggiunto che egli poteva accorgersene subito ricorrendo alla rappresentazione parametrica del ramo Y mediante sviluppi in serie... Non ho dato quel calcolo, perchè lo ritenevo tale che chiunque potesse rifarlo in un momento. Ma siccome il profes- sore Del Pezzo, insistendo sul suo numero 10, mi domanda se io l'ho fatto quel calcolo (!), eccolo qua. Assumiamo il punto 0 come origine delle coordinate, w come piano x = 0, la tangente a Y come asse x=y=0. La superficie F sarà F=ad®+9o +9 +.., indicando le gp forme di xy degli ordini indicati dai loro indici; SU UN PROBLEMA RELATIVO ALLE INTERSEZIONI, ECC. 21 ed il ramo y del 83° ordine si potrà rappresentare con serie di potenze intere crescenti di un parametro # così (*): dale iu Mao e Phi ove c==0. Per avere la multiplicità d’intersezione di F e y in 0 sostituiamo queste serie in F. Allora, se si rappresenta con pz il termine di ®; contenente la sola 2, il termine più basso rispetto a t nel risultato della sostituzione sarà pc. Si con- clude che la multiplicità d’intersezione è veramente 9 in gene- rale; e sarà maggiore di 9 solo quando p=0, cioò quando la tangente in O a y sia una tangente singolare (quadripunta) di F. È strano che il sig. Del Pezzo non abbia fatto egli stesso questa verifica; e quindi abbia ripetuto, e tentato di dimostrare, che quelle intersezioni sono 10: attribuendo invece il mio ri- sultato ad una strana ‘allucinazione (così egli si esprime!), che m’avrebbe fatto danzare costantemente innanzi agli occhi quel fatale numero 9!! Ben è vero che egli ammette ora che effet- tivamente in un certo caso quel numero d’intersezioni si riduca a 9: si tratta, in sostanza, del caso che il ramo di terz’or- dine y abbia col piano osculatore w un incontro, non solo 5-punto come in generale, ma 6-punto (il coefficiente a di sopra sia = 0). Ma come mai non s'è egli accorto della assurdità di questo suo risultato, che la multiplicità d’intersezione possa diminuire pas- sando dal caso generale a quel caso particolare? Se ora ci facciamo a ricercare il difetto del ragionamento con cui egli ottiene il numero 10 pel caso generale, osserviamo che egli, applicando ad F e y una trasformazione quadratica, le riduce ad una superficie F' toccata da un piano w' lungo una retta s', e ad una curva y' che passa semplicemente per un punto T' di s' toccandovi questa retta ed osculando il piano w'. E poi si basa su ciò che, secondo lui, F' e y' avranno al- lora in T' quattro intersezioni. Orbene quelle intersezioni invece sono soltanto tre! Nè vale l’invocare, come fa il sig. Del Pezzo, una cert’altra proposizione; la quale sarebbe applicabile se y' giacesse nel piano w', ma non nell’attuale caso, più generale. (*) V., ad esempio, Harpuen, Sur les singularités des courbes gauches algébriques. “ Bulletin Société mathém. de France ,, t. 6 (1877). 22 CORRADO SEGRE Occorre al mio contradittore che, come prima ho dimostrato l'errore del 10 invece di 9, gli dimostri ora distesamente l’er- rore del 4 al posto di 3? Ma questo è anche più evidente; e si verifica subito in casi particolari tanto ovvî (*). Del resto, per trattare la questione completamente, faccia una nuova trasfor- mazione quadratica col punto T' come fondamentale, ed otterrà una superficie F'" ed una curva Y” con incontro bipunto..... 0, se preferisce che facciamo di nuovo uso di serie, sia w' il piano x=0, ed s' la retta «=y=0; sicchè sarà E'=%0+9+....t+t7Ww+w+.), dove le p e le y sono forme degli ordini indicati dai loro in- dici, ed è @,==0 se l’origine delle coordinate è punto semplice per F' (il punto T”) (*#*); ed il ramo lineare y' si potrà rappre-. sentare così: er=a+.., y=b+.., 2=06+.. (*) Così, prendiamo una superficie ® d'ordine x composta del piano W' e di una superficie residua d'ordine x —1 non passante per T': la sua mul- tiplicità d’intersezione in T" con Y sarà 3, com'è quella fra w' e Y. Un'altra superficie d’ordine n tangente a w' lungo la retta s' determinerà con ® un fascio di superficie tangenti a w' lungo s': la multiplicità d’intersezione in T' di una superficie generica del fascio con y° non potrà essere 4, poichè è solo 3 per ®. — Ancora: vogliasi la multiplicità d’intersezione in T' di y' con un cono tangente a w' lungo la generatrice s. Essa, mediante proiezione dal vertice del cono (supposto diverso da T'), si riduce alla mul- tiplicità d’intersezione di una curva piana (proiezione di y) in una sua cuspide con un’altra curva che passi semplicemente per questo punto toc- candovi la tangente cuspidale: questa multiplicità d’intersezione è 3, se la cuspide è di 1° specie, cioè se Y ha in T' incontro solamente tripunto col piano osculatore w'. (*#*) In un nuovo scritterello diretto contro di me il sig. Del Pezzo vuol insinuare (pare) che nel caso suo sia Po = 0: vale a dire che il punto I" sia doppio per F'. Ora non solo ciò è falso, ma non è neppur possibile che il sig. Del Pezzo lo creda od abbia creduto : giacchè nella sua citata Replica ad una Nota ecc.; a pag. 5-6, diceva esplicitamente che F' passa semplice- mente per la retta s, e poi su s' prendeva il punto T' senza dire di volerlo doppio per F' (e trattandolo in seguito effettivamente come punto semplice). E doppio, in verità, non poteva essere T' per F': perchè il sig. Del Pezzo non aveva messo l’ipotesi che la tangente in O a Y sia una tangente sin- golare (quadripunta) di F in O! (Nota aggiunta in novembre 1897). SU UN PROBLEMA RELATIVO ALLE INTERSEZIONI, ECC. 23 Sostituendo queste serie in F', il termine più basso rispetto a t sarà aggt°. Dunque veramente la multiplicità d’ intersezione è 3; e sarà maggiore di 3 solo quando a=0, cioè quando Y' avesse in T' incontro più che tripunto col piano w'. — Si noti poi che questo caso particolare non può presentarsi nel ragio- namento del prof. Del Pezzo; se no il ramo iniziale Y sarebbe d’ordine superiore al terzo. Per conseguenza l’asserzione di lui che v' ed F' hanno nel punto semplice T' quattro intersezioni non è vera in nessun caso. — In conclusione, volendo dimostrare che una mia formola è errata, il prof. Del Pezzo non ha fatto altro che dire e ripetere con insistenza cose erronee. Stabilito ciò, io non intendo fare altre discussioni. Tanto pei dubbi da me esposti intorno a certi lavori del sig. Del Pezzo, quanto per la difesa dalle critiche che questi mi ha mosso, nulla ho da modificare e nulla voglio aggiungere a quanto ho già detto. Il prof. Del Pezzo interpreti pure a suo piacere (come già accenna a fare nella sua Replica) il mio silenzio. Io dichiaro che non risponderò altro! Torino, 27 Giugno 1897. Quand'è che due curve piane dello stesso ordine hanno le stesse prime polari? Nota del Socio Corrispondente EUGENIO BERTINI. Si tratti prima l’analogo problema per i gruppi di elementi di un ente razionale. La corrispondenza fra i poli e i primi . gruppi polari rispetto ad un gruppo fondamentale di » elementi, cessa di essere biunivoca (proiettiva) allora e allora soltanto che questo gruppo è un elemento n"P°, nel qual caso i primi gruppi polari sono tutti i possibili gruppi di n — 1 elementi. L’essere infatti la prima polare di un elemento indeterminata, x significa che il gruppo fondamentale è quell’elemento n". Se 24 EUGENIO BERTINI invece due poli hanno lo stesso gruppo polare, questo è gruppo polare di qualsiasi elemento e quindi anche, quando il gruppo fondamentale non fosse un elemento n", di ogni suo elemento rubo (1 < x < n); e siccome tale elemento sarebbe pure r°!° per il gruppo polare, si avrebbe l’ assurdo che a questo gruppo apparterrebbero tutti gli elementi del gruppo fondamentale. Adunque, esclusi gli elementi n", rispetto a qualsiasi altro gruppo fondamentale di » elementi, la corrispondenza fra i poli e i gruppi polari è una proiettività non degenere. Segue che, se due gruppi fondamentali ammettono la stessa involu- zione (non indeterminata) di gruppi polari, fra i due poli di ognuno di tali gruppi rispetto ai due gruppi fondamentali, sus- siste pure una proiettività non degenere. Se tale proiettività ha due elementi uniti distinti, si rappresenti colle formole y;=" 021; Ya= bz3. Allora, indicando f= 0, g=0 i due gruppi fondamentali di n elementi, dovrà essere identicamente Pipe IO 100 ea 0 DEA Sa i i ie 4 dra” donde (a — b) =“ i Escluso a = d, che condurrebbe alla coincidenza dei due gruppi d°® dr dr2 o= Ax + Ba. fondamentali, rimane = 0, e quindi deve essere Che se la suddetta proiettività è con un solo elemento unito, si hanno invece le formole: È) dP ò ò Y= 42, Y2= N 429; ma Ta nai PRE dalle quali (escludendosi che sia o al; sn =0 e però p=x1(Ax, + Bas). nigra è evidente ani vi due forme trovate, qualsiansi A, B, hanno gli stessi gruppi polari. Si può quindi affermare che negli enti razionali (forme binarie) possono darsi tre soli casi, in cui gruppi fondamentali dello stesso ordine » abbiano gli stessi gruppi polari: e cioè quando i elet QUAND'È CHE DUE CURVE PIANE DELLO STESSO ORDINE, ECC. 25 1° I gruppi fondamentali sono gli elementi »®P! dell'ente. 2° I gruppi fondamentali sono i gruppi di una involuzione di 1? specie con due dati elementi "Pl! (cioè i gruppi ai quali è apolare una data coppia di elementi). 3° I gruppi fondamentali sono costituiti da un dato ele- mento (n — 1)" e da un altro qualunque. IR Passiamo alle forme ternarie. Qui pure si può notare che la corrispondenza fra i poli e le prime polari rispetto ad una curva fondamentale non è biunivoca nel solo caso che la curva sia il sistema di » rette passanti per un punto. Ciò accade infatti se la prima polare di un punto è indeterminata. Se in- vece due punti e però tutti i punti della retta r che li con- giunge hanno la stessa prima polare C,_, rispetto ad una curva fondamentale C, di ordine n, ed » non contiene un punto n°! di questa curva, i punti comuni ad r, C, (colle loro molti- plicità) devono manifestamente appartenere a C,-1; cioè r deve appartenere a C,_, e quindi a C,. Ma allora la polare di ogni punto di r rispetto a C, si compone di r e della prima polare C,_» del punto rispetto alla curva residua, d'ordine n —1, che fa parte di C,; cosicchè, se questa curva residua non ha un punto (n — 1)"P° sopra r, dovrà r staccarsi pure da essa. Continuando, si con- clude che C, è composta della retta » n", se non è formata di n rette concorrenti in un punto di r (fra le quali figuri even- tualmente la stessa r una o più volte). Adunque, escluse le curve fondamentali d’ordine n che hanno per prime polari tutte le curve d’ordine n —1 del piano, le quali curve fondamentali sono tutte e sole quelle dotate di punto n", la corrispondenza fra i poli e le prime polari è un’omografia non degenere. Si può dedurne di passaggio una osservazione relativa ad una rete di coniche. Una tal rete, quando è generica, si può sempre pensare come rete di prime polari rispetto ad una certa cubica (*), anzi si può costruire facilmente una equazione sim- (*) Cremona, Sopra alcune questioni nella teoria delle curve piane (“ Annali di Matematica pura ed applicata ,, t. VI, 1864), n. 21. 26 EUGENIO BERTINI bolica di questa curva (*). Se la rete acquista una sola o due sole rette doppie (distinte o successive) le coniche della rete non possono costituire più un sistema di polari. Che cosa di- venta allora la suddetta equazione? Siccome la detta impossi- bilità si dimostra coll’aiuto della corrispondenza biunivoca fra le coniche polari e i loro poli (**), si vede « priorî che quel- l'equazione, se non diviene indeterminata, si ridurrà a rappre- sentare il sistema di tre rette per un punto. Se due curve fondamentali d’ordine x f= 0, g=0 hanno le stesse prime polari (non indeterminate) sussisterà adunque, per ciò che si è detto, fra i loro poli una omografia non dege- nere. Suppongasi dapprima che tale omografia sia con tre punti uniti distinti. Assunti come vertici del triangolo di riferimento, si hanno le formole y, = a2,, ya = dz, Y3 = €83; dra po dx; i dra Te dra” 0x3 0x3 i dalle quali segue d°@ des dr Ta DL ppiodii sa ih) Pdl) dx dra xa dg e quindi p= Ax} + Bx3 + 0x3. Viceversa, queste forme, qual- siansi A, B, C, hanno le stesse prime polari. Che se a =, cioè si considera un’ omologia col centro esterno all’asse di omologia, dall’essere RAPE CONO RN dci dg dra deg ’ segue p= Ax3 + ,, ove «, è una forma binaria in 2;, €23; e analogamente f= A'x + «',. Ma, ritornando alle condizioni superiori, cioè alle ‘afiaota dpobusaf "leda! csf dle dai OT dr ta nda ie 1 I dint dr (*) Rosanes, Ueber Systeme von Kegelschnitten (@ Mathem. Annalen ,, B. VI), n. 12. (*#*) Cremona, l. c., n. 22 e segg. QUAND'È CHE DUE CURVE PIANE DELLO STESSO ORDINE, ECC. 27 si trova inoltre che deve essere identicamente wu’, = a%, e A'=cA. Dunque, dicendo punto d’ iperosculazione per una curva di ordine n un punto semplice nel quale la tangente ha un contatto nemo; | 1° Hanno le stesse prime polari le 00? curve di ordine n aventi sopra ogni lato di un dato trilatero (basta sopra due lati (*)) n punti d’iperosculazione, di cui le tangenti concorrono nel vertice opposto (ovvero, rispetto alle quali curve le coniche in- scritte nel trilatero sono apolari). 2° Hanno le stesse prime polari le oo curve di ordine n. che posseggono gli stessi n punti d’iperosculazione in linea retta ed ivi le medesime tangenti concorrenti in un punto. Per n= 3 il fascio di cubiche (equianarmoniche) definito nel 2° caso è contenuto nella rete (di cubiche pure equianarmoniche) definito nel 1°. Se l’omografia fra i poli ha due punti uniti successivi e uno distinto, si prendano in essi due vertici del triangolo di riferimento e il terzo vertice in un punto qualunqne della retta che congiunge i due punti uniti successivi. Allora le formole sono: y, = @21 + \zg, Ya = 422, Y3= baz; LR dote Lada, _df e dx em dx, ; dra DEA dr3 des ; Da queste seguono le ho) vs d°® A dp Rel 3) de” a dx dX3 4 da dL3 < per le quali si vede facilmente che deve essere pg= Ax+ Ca; e + Da ed analogamente fe No + x, + D'at. Riapplicando poi le formole superiori si trova, EM RI (*) Per n= 3 basta sopra un lato. 28 EUGENIO BERTINI La equazione p= Axz3 + Ca, + Dx3=0, qualsiansi A, C,D, è caratteristica di curve che hanno un punto (n — 1)"P° in xg=x3=0 coll’ unica tangente x, = 0 e un punto d’iperoscu- lazione sopra x3 = 0, la cui tangente, Cx, +Dx,=0, passa per x =x2=0. Dunque 3° Hanno le stesse prime polari le 00? curve dotate di un medesimo punto (n — 1)" colla medesima unica tangente e aventi ciascuna un punto d’iperosculazione, così che î punti d’ iperoscu- lazione giacciano in una retta per il punto (n — 1)P° e le tan- genti in quelli passino per un punto della tangente in questo. Esaminiamo qui il caso in cui si abbia una omologia fra i poli, di cui l’asse passi per il centro. Basta porre nelle for- mole precedenti a = d, cioè partire dalle rino logo ru dp Dfsza dr dei” dx dx, dara”. dra 0 onde ne seguono soltanto le e quindi si ha p= Axa, + Ba + 023 +... + Da} f== A'ea, + B'at + C'a'a3 +... + D'ag. Riprendendo le precedenti equazioni si trova poi che deve essere Mr Rina vena cp ie i aree 7 DI Lo A? (0 = e quindi che delle due forme f, @ una è arbitraria combinazione lineare dell’altra e di x}. Per conseguenza: 4° Hanno le stesse prime polari le 00! curve di ordine n (di un fascio), che posseggono un medesimo punto (n — 1)" colla medesima tangente e le cui ulteriori n intersezioni cadono pure nel punto (n— 1)" (cioè che hanno raccolte in questo punto tutte le n® intersezioni). Rimane da ultimo il caso in cui l’omografia tra i poli abbia tre punti uniti successivi, cioè, per opportuna scelta del trian- golo fondamentale, sia data dalle formole yi= @8,+.Neskt.M23, yo =@094V2s,. Ya =R00 dieta UAND'È CHE DUE CURVE PIANE DELLO STESSO ORDINE, ECC. 29 Q Si avrà Mi o dd E yi de 2 06 dea MAE NL da cui si ricava ne oa mi dx: dra Ria nda Î Dalle prime due di queste si ottiene p = Ax}, + «, (u, forma binaria in xs, %3) e dalla terza (escluso che sia diP vi POL: 0 dra dr3 dr? perchè p=0 risulterebbe un sistema di » rette per un punto) n =ba Caria + Data) colla condizione (n — 1)XA= 2vD. Dunque deve essere p=%7° (Axe + Bag 4 Cox + Da) Mie ag A, | d'a Cats | D'73); ove A Cpt Dee Se aa Se ora si ritorna alle equazioni primitive si trovano le relazioni A' D' C—aC (a-1)(C— @0) e nB—aB)—vC . u= A b) nelle quali è compresa la condizione suddetta, che nasce dal confronto della seconda e della terza e dalla prima; e che mo- strano potersi prendere arbitrariamente A, B, C, D, A', B', C, D' 4=Dh, giacchè allora le relazioni stesse determinano a, \, v, 4. Dunque: 5° Hanno le stesse prime polari le CO° curve di ordine n costituite da una data retta (n — 2)'M® e dalle coniche che la toc- cano în un dato punto ed ivi ne osculano tutte una fissata (cioè che hanno in quel punto il medesimo circolo osculatore). Così sono esauriti tutti i casi possibili. colla sola limitazione 30 ELIA OVAZZA Sul calcolo delle travature reticolari non piane; Nota dell'Ing. ELIA OVAZZA. La statica delle travature reticolari non piane può con vantaggio ridursi a quella di travature reticolari piane, ope- rando nel modo che indichiamo in questa Nota e da noi già applicato in casì pratici. 1. — Sulla superficie di un poliedro a faccie tutte triango- lari sì consideri una poligonale chiusa A formata di » spigoli consecutivi, che divida la superficie in due parti. I vertici di una di queste parti e gli spigoli sieno i centri dei nodi e gli assi delle aste di una travatura reticolare, i cui appoggi sieno agli x nodi collegati dalle aste corrispondenti ai lati della po- ligonale A. Una tale travatura diremo triangolare. 2. — Dei punti di appoggio uno sia fisso, un altro vincolato senza attrito ad una linea fissa, la quale per causa della estrema piccolezza delle deformazioni elastiche potremo sostituire con la sua tangente in corrispondenza della posizione media del punto ad essa vincolato; gli altri punti d’ appoggio sieno vincolati senza attrito ad altrettante superficie fisse, che pure potremo sostituire coi loro piani tangenti nelle posizioni medie dei punti ch’esse vincolano. Salvo eccezioni, dipendenti da speciali disposizioni degli appoggi e delle aste, una tale travatura è staticamente deter- minata (*). 3. — Supposto infatti per primo caso che la travatura sia soltanto caricata ai nodi, le equazioni utili di equilibrio sono in (*) Benchè la cosa sia notoria, crediamo non priva d’interesse la dimo- strazione che qui ne diamo. SUL CALCOLO DELLE TRAVATURE RETICOLARI NON PIANE S1 numero di 3N, cioè di 3 per ognuno degli N nodi. Detto « il numero delle aste, sono incognite le a tensioni nelle aste, più gli elementi determinanti le reazioni di appoggio, che sono evi- dentemente in numero di (n) 243. Quindi, tra forze interne ed esterne, le incognite sono atn+3. Ma se immaginasi alla porzione di superficie poliedrica, da cui partimmo per definire la travatura triangolare, attaccata, per l'orlo costituito dalla poligonale A di » lati, un’altra ana- loga superficie poliedrica a faccie tutte triangolari ed in eguale numero, la superficie che risulta dal complesso delle due avrà 2N — n vertici, 2a — n spigoli, e 3 (2a — n) faccie. Appli- cando ad essa il teorema di Eulero, risulta: 2 Ran +CN-n=@2—# +2, e quindi IN=a+n+3. (1) Il numero delle incognite è dunque eguale a quello delle equazioni utili di equilibrio, le quali, essendo di primo grado, valgono a determinare le incognite, salvo casi eccezionali in cui di tali equazioni qualcuna o dipenda dalle altre oppure sia con altre incompatibile. ? 4. — Il ragionamento fatto presuppone la resistenza delle aste a sforzi assiali. Qualora invece è carichi, oltrechè ai nodi, fossero anche applicati a punti intermedì degli assi delle aste; queste verrebbero pure cimentate a taglio ed a flessione. Ora, ammessa la resistenza delle aste anche a tali sorta di solleci- tazioni, non cessa per la diversa distribuzione dei carichi di essere staticamente determinata una travatura nelle suindicate Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 5) 32 ELIA OVAZZA condizioni di appoggio e di costituzione, sempre fatta riserva per casi eccezionali. È noto infatti che (*) la condizione di sta- tica determinabilità coincide con quella della stretta indefor- mabilità, la quale evidentemente non dipende dalla disposizione dei carichi. 5. — Direttamente ragionando del resto, se carichi sono applicati a punti intermedîì dell’asse di un’asta, o, più in gene- rale, se è nullo il momento del sistema dei carichi gravitanti sull’asta rispetto all’asse della medesima, è sempre possibile ridurre questo sistema in due forze F passanti pei centri dei nodi limitanti l’asta, e di queste sono determinate le compo- nenti normali all’asse dell'asta, mentre delle componenti secondo l’asse è solo determinata la somma algebrica. Se quindi si pren- dono per incognite le tensioni assiali delle singole aste ai loro estremi, le incognite fra reazioni e tensioni sono in numero di (a+n+3)+a=2a+n+3. Ma alle 3N equazioni d’equilibrio dei nodi si aggiungono a equa- zioni, una per asta, esprimenti che la differenza fra gli sforzi assiali alle estremità di ciascun’asta equivale alla somma delle proiezioni dei carichi diffusi lungo l’asta sull’asse di questa; con che si hanno tante equazioni quante incognite. Le compo- nenti, normali all'asse di ciascun’asta, delle reazioni dei nodi che la limitano devono per altro essere eguali ed opposte alle componenti normali delle forze F; son così determinabili stati- camente le reazioni delle singole cerniere contro le aste, ep- perciò anche le sollecitazioni per tutte le sezioni trasversali di tutte le aste. 6. — Ciò posto, riprendiamo a considerare le travature reticolari triangolari soltanto caricate ai nodi. Ad evitare considerazioni troppo generali, e perciò oziose per la maggioranza dei tecnici, e pur senza troppo nuocere alla (*) Cfr. A. FoppL, Das Fachwerk im Raume. Leipzig 1892. SUL CALCOLO DELLE TRAVATURE RETICOLARI NON PIANE 38 generalità della trattazione, supporremo che gli appoggi sieno tutti su uno stesso piano orizzontale — piano degli appoggi —, sicchè su questo piano combacino tutti i piani di appoggio e giacciano il punto fisso e la retta fissa. 7. — Proiettata sul piano degli appoggi la travatura trian- golare T, si immagini la travatura reticolare piana, t, che ha per nodi e per aste le proiezioni dei nodi e delle aste della trava- tura T, vincolata al medesimo punto fisso ed alla medesima retta fissa, sollecitata da carichi p eguali alle proiezioni sul piano di appoggio dei carichi P agenti sulla travatura T nello | spazio. Questa travatura piana t è staticamente indeterminata. In- vero si hanno in essa, tra tensioni e reazioni, incognite in nu- mero di 4 +3, essendo solo più 3 gli elementi determinanti le reazioni del punto fisso e della retta fissa; le equazioni utili della statica sono per altro in numero di 2N. Ma dalla (1) è a+3=3N— n; quindi nella travatura piana # considerata avremo GN—-n)--2N=N—-n incognite in più che equazioni. Occorrerebbero perciò equazioni di elasticità in numero di N — #; cioè tante quanti sono i nodi della travatura T nello spazio esclusi quelli di appoggio, cioè quanti sono i nodi interni. 8. — Qui però non è il caso di ricorrere alla teoria del- l'elasticità. Se infatti immaginiamo proiettati sul piano degli ap- poggi anche i poligoni storti d’equilibrio dei nodi della trava- tura T nello spazio, le proiezioni sono altrettanti poligoni chiusi; devono quindi equilibrarsi sulla travatura piana # le proiezioni p dei carichi P, le proiezioni c delle reazioni C di appoggio in- sieme con le proiezioni s delle tensioni S agenti lungo le aste della travatura T. 34 ELIA OVAZZA 9. — Si privi idealmente la travatura # di un numero i=N—n di aste in modo da ridurla staticamente determinata, cioè alla travatura principale (*), e si indichino rispettivamente con x,, X2, « .« X; le tensioni s nelle aste così scartate, che considere- remo come forze esterne applicate alla travatura principale, denotando con X,, Xs,... X; le tensioni S nelle aste della tra- vatura T dello spazio, che in quelle x si proiettano. Dalle equazioni d’equilibrio per i nodi della travatura #, di primo grado ed omogenee nelle quantità s, c, x, p, deducesi per ognuna delle s una relazione del tipo: sso + sr, + sro +... + S;, (2) ove con s, indicasi una funzione lineare ed omogenea dei soli carichi p, con s;; 82, ... Ss; dei numeri indipendenti dai p e dalle x. 10. — La quantità so misura la tensione nell’asta corri- spondente della travatura principale solo carica delle forze p, essendo nulle le x; uno qualunque, s,, dei numeri sj, $2,...$ìi misura invece lo sforzo nella corrispondente asta della trava- tura principale, scarica delle forze esterne p, ma sollecitata da due forze eguali ad uno applicate ai nodi collegati dall’asta la cui tensione è x,, e dirette lungo l’asse dell’asta ma in versi opposti, cioè per la sollecitazione x, = 1. Mediante tanti diagrammi Cremona quante sono le x più uno, cioè quanti sono i nodi interni della travatura T più uno (ovvero con qualunque altro metodo equivalente), si possono adunque ottenere le quantità so, 81, S2, ...s; relative a cia- scun’asta (**). (*) È il metodo adoperato per le travature staticamente indeterminate in generale. Cfr. MiLLer-BresLau, Die neueren Methoden der Festigkeitlehre. Leipzig, 1886.— Id., Beitrag zur Theorie des raiimlichen Fachwerks. Berlin, 1892. (#*) Si noti che anche per ognuna delle aste immaginate tolte dalla tra- vatura piana #, per ricavarne la travatura principale, sta un'equazione del tipo (2), potendosi scrivere per ognuna di esse: s=ar=040.2:+402,. +... +1. +...402 SUL CALCOLO DELLE TRAVATURE RETICOLARI NON PIANE 35 11. — Restano a determinare le quantità «,, %32,...%» Indicando genericamente con 0 l'angolo che una qualunque delle aste della travatura T fa col piano degli appoggi, e con ® l'angolo che con detto piano fa un carico qualunque P ap- plicato alla travatura T, per l'equilibrio alla traslazione verti- cale di uno qualunque dei nodi interni, dovrà essere => Ssena + 2Pseng=0, estese le sommatorie a tutte le forze agenti sul nodo. Ossia, introducendo le proiezioni s (inclusevi le ): 2 stga + =Pseng=0, od anche, in virtù delle (2): 2sotga-+x,.Sstga+x2..3sstga +..... ca + x;.Zs;tga + =Psenp=0. (3) Di tali equazioni potendosi scrivere una per caduno dei nodi interni, cioè quante sono le x, queste risultano determi- nate e di-conseguenza le s e le S. 12. — Le equazioni di equilibrio alla traslazione verticale dei nodi di appoggio della travatura T servono a determinare le componenti verticali c' delle reazioni d'appoggio. Sarà infatti per ognuno di tali nodi: c'+3stga=0, estesa la sommatoria a tutte le aste concorrenti nel nodo (in- cluse le x). Le componenti orizzontali coincidono con le reazioni pro- vocate dai carichi p sulla travatura #, od anche con le reazioni cy provocate dai carichi p sulla travatura principale dedotta dalla #, poichè per la sollecitazione generica x, = 1 non vengono cimen- 36 ELIA OVAZZA tati gli appoggi a reagire. Le reazioni co si determinano quindi insieme con le so mediante uno stesso diagramma Cremona (*). 13. — Nel caso speciale in cui tutti i carichi P sieno pesî, e perciò normali al piano degli appoggi, si annullano i carichi p e perciò le forze co ed so; sono allora sufficienti altrettanti dia- grammi Cremona quante sono le x, e le equazioni determinanti queste x riduconsi alla forma: >P+4+x,.2stga+..... + x;. 3stga=0. 14. — Suppongasi ora che carichi P sieno anche applicati a punti delle aste intermedîì tra i nodi, cioè si consideri il caso delle travature reticolari ad aste caricate. Ognuno dei carichi applicati a punti intermedì dell’asse di un’asta si decomponga in una forza Q' normale all’asse dell’asta ed in una Q" secondo l’asse medesimo. La Q' si decomponga in due parallele P' e P" ai nodi limitanti l’asta, mentre ad uno qualunque di questi nodi si applichi come forza esterna la Q'', il cui punto di applicazione, per quanto si riferisce alle condi- zioni necessarie di equilibrio, qui sole a considerarsi, può sce- gliersi comunque lungo l’asse dell’asta. Converrà per semplicità scegliere il centro di un medesimo nodo come punto di appli- cazione di tutte le forze Q" relative ai carichi gravanti una medesima asta. Si operi poscia sulla travatura reticolare come se fosse caricata ai soli nodi dalle forze determinate P', P", Q"” e dai carichi P agenti direttamente sui nodi. Le tensioni s (od x), che risultano, devono intendersi come proiezioni, fatte sul piano degli appoggi, delle tensioni nelle cor- rispondenti aste alle sezioni infinitamente prossime a quelle cer- niere limitanti le aste, a cui non si sono applicate le forze Q"”. La tensione assiale di cadun’asta varierà lungo l’asta per l’ad- dizione algebrica, alla tensione S (od X) delle componenti as- (*) Siccome per detta sollecitazione generica xr = 1 saranno di norma poche le aste cimentate, saranno pochi i termini delle sommatorie sopra scritte, e di conseguenza non troppo faticosa riesce l'applicazione pratica del metodo di calcolo da noi indicato. i SUL CALCOLO DELLE TRAVATURE RETICOLARI NON PIANE 37 siali Q", che appunto alla tensione S (od X) si sovrappongono in corrispondenza dei punti di applicazione dei relativi carichi. 15. — La maggiore complicazione, derivante necessaria- mente dall’essere parte dei carichi applicati lungo gli assi delle aste, trova in pratica un compenso nel minor numero di aste costituenti la travatura. Notevoli semplificazioni, che qui non è il luogo di indicare, si possono introdurre all’atto dell’applica- zione del metodo qui indicato ai casi singolari. 16. — La trattazione precedente facilmente estendesi al caso in cui le aste costituenti la travatura triangolare staticamente determinata, anzichè rettilineo, abbiano asse curvo comunque. Se infatti i carichi sono applicati ai nodi soltanto, ogni asta è in equilibrio sotto l’azione delle sole reazioni dei nodi che la limitano, epperciò queste reazioni agiscono secondo la congiun- gente detti nodi. Basterà quindi, per quanto riguarda il calcolo delle reazioni di appoggio e degli snodi, sostituire alla travatura con aste curve un’altra avente altrettante aste rettilinee e gli stessi nodi. Se invece i carichi sono anche applicati a punti intermedì delle aste, ma il sistema dei carichi sollecitanti cadun’asta ha momento nullo rispetto alla congiungente i centri dei nodi limi- tanti l'asta, si scomponga detto sistema, ciò ch’è possibile ed in un solo modo, in due forze passanti pei centri dei detti nodi, una delle quali sia normale alla congiungente i centri medesimi. Si operi quindi nel modo indicato sulla travatura così caricata ai soli nodi. Stanno per essa le cose dette pel caso di aste ret- tilinee, quando le forze X ed S si intendano agenti secondo le congiungenti i nodi limitanti le corrispondenti aste, e le com- ponenti Q' e Q" si intendano dirette normalmente a dette con- giungenti e secondo queste medesime. 17. — Non crediamo soffermarci a considerare travature staticamente determinate di tipo diverso dal triangolare, ovvie essendo le modificazioni che la diversità di tipo conduce ad in- trodurre. 38 ELIA OVAZZA — SUL CALCOLO DELLE TRAVATURE, ECC. 18. — Una ulteriore generalizzazione della trattazione si può fare al caso in cui gli attacchi delle aste fra di loro now sieno a snodo. Se gli assi delle aste sono rettilinei, per analogia con quanto si usa per le travature piane, nel caso in cui i carichi sieno applicati ai solî nodi si può fare astrazione dalla rigidità degli attacchi. Nel caso di aste caricate, fatta la scomposizione dei carichi nelle componenti Q' e Q" normale all’asse dell’asta e secondo l’asse, la Q" si applicherà al centro di una delle sezioni terminali dell’asta, mentre la Q' si spartirà in due tomponenti P' e P" ai centri di dette due sezioni, stimando in via di ap- prossimazione i cedimenti degli attacchi. I rapporti delle P'" e P" ai relativi carichi P si deducono mediante la teoria delle travi inflesse. 19. — Se poi'le membrature del sistema sono curve, oltre ad essere gli attacchi rigidi, purchè il complesso dei carichi gravanti cadun’asta abbia momento nullo rispetto alla retta dei centri delle sezioni estreme dell’asta, si farà la scomposizione ora indicata dei carichi in componenti Q" e Q' secondo detta retta ed in direzione normale. Ogni componente Q'" si applicherà al centro d’una delle sezioni terminali della membratura, ed ogni Q' si scomporrà in due applicate ai centri di dette sezioni, determinabili mediante la teoria delle travi ad arco. Eseguite tali scomposizioni, si procede come per travature con aste collegate a snodo. 20. — È noto che lo studio della resistenza delle trava- ture elastiche staticamente indeterminate riducesi coi moderni metodi della scienza delle costruzioni a quello di travi statica- mente determinate. Tali travi, nel caso ch’esse non sieno piane, possono con vantaggio calcolarsi secondo fu indicato nella pre- sente nota, con che diventa possibile l'applicazione dei metodi della statica grafica, i quali notevolmente semplificano i calcoli da eseguirsi. Torino, 21 Novembre 1897. VITTORIO BAGGI — SULLA FORMA PIÙ CONVENIENTE, ECC. 39 Sulla forma più conveniente da dare ai sostegni del cannocchiale nei teodoliti e nei livelli; Nota dell'Ing. VITTORIO BAGGI. Il problema di ridurre orizzontale l’asse di un cilindro me- diante una livella è assai frequente in pratica, ed esso inte- ressa tanto l’astronomo nelle sue delicate osservazioni, quanto il topografo nelle semplici operazioni di livellazione. Per albero di rotazione intenderemo il pezzo metallico ma- teriale al quale è fissato il cannocchiale di un teodolite : chiame- remo invece asse di rotazione l’asse della superficie di rivolu- zione secondo la quale è tornito l’albero di rotazione. Nei teodoliti, le due estremità dell’albero di rotazione del cannocchiale terminano ciascuna con un perno che appoggia sopra un apposito cuscinetto solidale ai montanti dell’alidada. Allorchè trattasi di un livello a cannocchiale amovibile, i perni prendono generalmente il nome di collari. Sono noti i procedimenti che si seguono in pratica per ren- dere orizzontale l’asse del cilindro costituito dalla superficie av- volgente i perni (oppure i collari) allorchè essi si suppongono cilindrici, a base circolare e dello stesso diametro. È anche noto che tale asse non può essere ridotto orizzon- tale per mezzo diretto della livella se la superficie avvolgente i perni o collari non forma un'unica superficie a generatrici parallele. I due perni o collari che devono far parte di uno stesso teodolite o livello si lavorano generalmente insieme, poscia si innestano alle estremità dell’albero, oppure si adattano al tubo del cannocchiale, e con una livella poggiante su di essi sì ri- toccano in modo che risultino soddisfatte le condizioni richieste 40 ; VITTORIO RAGGI per la loro esattezza, compatibilmente colla sensibilità della livella (*). i I cuscinetti d’appoggio dei perni, nonchè le estremità delle braccia della livella da sovrapporre ad essi, possono essere fog- giati in uno dei tre modi indicati nelle figure 1*, 2, 3?. Fig. 1. Fis. 2. Fig. 3. La disposizione indicata nella fig. 3° si applica raramente nei teodoliti; essa si trova invece applicata in alcuni livelli a cannocchiale mobile e livella mobile. Allorchè le livelle sono molto sensibili, succede che diffi- cilmente si raggiunge la correzione dell’albero in modo che la bolla rimanga centrata prima e dopo l inversione della livella sui perni, nonchè durante il lieve cullamento che si fa subire alla livella per la sua correzione laterale (**). Ed è appunto per questo fatto che nelle osservazioni astro- (*) Nelle livellazioni geometriche di precisione, nonchè nelle osserva- zioni astronomiche, si adoperano livelle di grande sensibilità. In alcuni strumenti universali le livelle hanno anche la sensibilità di circa 0",5. Quelle che fanno parte dei livelli a cannocchiale che si adoperano nelle livellazioni geometriche di precisione, hanno una sensibilità che general- mente non supera 2" (Per sensibilità intendiamo il numero dei secondi con- tenuti fra le due tangenti centrali alla bolla, allorchè questa si sposta di un millimetro lungo il tubo della livella). (**) Nell'ipotesi che i perni siano circolari, è noto che dopo aver fatta la correzione dell’asse di rotazione orizzontale di un teodolite, si culla la livella e si osserva se la bolla si sposta longitudinalmente. Se essa si sposta sempre da una medesima parte, comunque si culli la livella, si conchiude che la superficie avvolgente i perni è conica, in caso contrario si deduce che l’asse della livella e quello dei perni sono due rette sghembe fra loro. SULLA FORMA PIÙ CONVENIENTE DA DARE AI SOSTEGNI, ECC. 41 nomiche si procede alla correzione dell’albero sino a ridurre la bolla oscillante di poche parti dalla sua posizione media, finchè sì giudica opportuno di smettere le correzioni meccaniche. Dallo spostamento della bolla si deduce poi l’inclinazione î dell’asse dei perni che si traduce in secondi di tempo. Oltre all'errore dovuto all’inclinazione î, bisogna poi tener conto della correzione per l’ineguaglianza dei perni, inquantochè è noto che raggiungere l’eguaglianza dei perni è per il mecca- nico un problema più difficile di quello di costruire una livella molto sensibile capace di constatarla, perciò quando si aspira al massimo di precisione possibile, l'osservatore deve rimediare a questa residua deficienza o coll’ impiegare i noti metodi di misura i quali conducono all'eliminazione degli errori di cui è causa, oppure deve tenerne calcolo nel rilevare l’inclinazione dell'asse mediante la livella. Sappiamo che ]’ inclinazione che si rileva colla livella è quella della linea d'appoggio della livella stessa coi perni se trattasi della fig. 3*: è la generatrice superiore di contatto se trattasi della fig. 1%, ed è invece la retta che passa per i ver- tici dei due angoli corrispondenti ai due piedi della livella se trattasi della fig. 2?. Le formole adoperate dagli astronomi per queste correzioni sono generali, e servono per tutti i casi ora detti, inquantochè nel caso della fig. 2* gli angoli di apertura delle due faccie dei cuscinetti d’appoggio dei perni, nonchè quelli dei due piedini della livella, si fanno uguali fra loro, la qual cosa è facile con- seguire dal meccanico che lavora le due coppie di pezzi insieme (*). Un'altra condizione alla quale devono soddisfare i perni dell'albero orizzontale di un teodolite od i collari del cannoc- chiale di un livello, sappiamo essere quella di avere le loro sezioni rette perfettamente circolari. _ Se facendo muovere il cannocchiale in altezza e mantenendo fissa la livella, la bolla di questa indica che vi sono difetti di forma nei perni, bisogna esaminarli secondo diverse inclinazioni del cannocchiale, e trovare così, mediante la livella, un altro (*) Cfr. SaLmorragnI, Strumenti e Metodi moderni di Geometria pratica. Vol. I, pag. 584. 42 VITTORIO BAGGI termine da introdurre nel calcolo per valore dell’inclinazione # dell’asse, funzione della distanza zenitale della stella che si ha da osservare. Tali indagini sono ben note agli astronomi, che devono eseguire scrupolosi esami per i grandi circoli meridiani dei loro Osservatori. Poichè è impossibile lavorare i perni in modo che non vi siano irregolarità nella loro forma, vediamo di studiare la foggia da dare ai cuscinetti ed alle estremità delle braccia della livella di un teodolite, affinchè la irregolarità nella forma dei perni abbia da influire il meno possibile nei risultati delle osservazioni. Esaminiamo cioè quale delle tre forme presentate nelle fi- gure 1, 2% e 3? sia più conveniente da adottare in pratica. Se nelle loro sezioni rette i perni non sono circolari, è lo- gico ritenere che siano a sezione ellittica, ed appunto tali li supporremo nel ragionamento che segue. Allorchè detti perni vengono fissati alle estremità dell’al- bero di rotazione di un teodolite, si possono verificare i due seguenti casi: 1° I perni possono essere fissati all’albero in guisa che la superficie che li avvolge risulti a generatrici parallele, come Fig. 4. è indicato nella fig. 48. In questo caso, che è il più favorevole, i perni presentano le loro sezioni rette ugualmente orientate, vale a dire gli assi maggiori delle due ellissi, sezioni rette dei perni (ritenuti questi perfettamente uguali perchè lavorati in- sieme), risultano paralleli fra loro. SULLA FORMA PIÙ CONVENIENTE DA DARE AI SOSTEGNI, ECC. 483 L’irregolarità di forma nei perni non ha in questo caso in- fluenza nociva nei risultati delle osservazioni, inquantochè riesce sempre possibile rendere l’asse della livella parallela all’ asse 0, 0, dei perni. Il solo inconveniente che si manifesta in questo caso si è che movendo il cannocchiale in altezza per collimare a punti situati a distanze zenitali variabili una dall’altra, e supposto che la superficie avvolgente le due ellissi appoggi sopra di un piano AB orizzontale, l’asse 0,0, di tale superficie non rimane fisso, ma si sposta parallelamente a se stesso mantenendosi perciò costantemente orizzontale. Il massimo spostamento di tale asse sarà dato dalla diffe- renza dei due semidiametri dell’ellisse sezione retta dei perni, ed in pochissimi casi potrà riuscire nocivo nei risultati delle osservazioni (*). 2° I perni possono riuscire disposti colle sezioni rette non Fig. 5. ugualmente orientate fra loro (fig. 5) (questo è il caso più ge- nerale che si presenta nella pratica) e perciò della superficie (*) Infatti se indichiamo con 2 la distanza zenitale di un punto colli- mato situato alla distanza D dal centro del circolo verticale di un teodo- lite, e con € l’angolo formato dalle due rette che dall’oggetto vanno ai centri 0, e 03 si ha: (a— db). sena D.senl” E-= nella quale @ e d rappresentano i semiassi della ellisse che costituisce la sezione retta dei perni. Supponendo che sia a —b= 0%,0005; D= 100%; z= 90° si ha che e= 1,03. Però nelle osservazioni geodetiche ed astro- nomiche nelle quali si ha per D un valore quasi sempre grandissimo, il valore di € riesce per lo più trascurabile. 44 VITTORIO BAGGI che li avvolge sarà possibile ridurre orizzontale la generatrice superiore AB d’appoggio della livella sui perni, e l’asse 0, 0g risulterà inclinato all’orizzonte. Muovendo il cannocchiale in altezza per collimare a punti di differente distanza zenitale, l’asse 0, 0, si sposterà continua- mente variando la sua inclinazione; il che è quanto dire che non si riuscirà mai a mantenere centrata la bolla durante il cullamento della livella sui perni, inquantochè le successive ge- neratrici di contatto della livella coi perni non sono fra loro parallele, e non sarà nemmeno possibile dedurre con sicurezza se lo spostamento della bolla è dovuto all’essere l’asse della li- vella sghembo con quello dei perni oppure all’ essere questi a sezione retta non circolare. Perciò questo caso, che è il più generale in pratica, è anche il più nocivo. Evidentemente in entrambi i casi ora considerati, allorchè gli appoggi della livella sui perni (nonchè quelli dei cuscinetti) sono foggiati ad arco di circolo (fig. 12) oppure a faccie piane orizzontali (fig. 3), l’asse 0, 0, cambia di posizione per ogni in- clinazione del cannocchiale. Sì tratta di esaminare se è possibile far sì che nei due casi ora considerati l’asse 0,0, possa rimanere fisso per qualsiasi in- clinazione del cannocchiale, e nel caso 2° vedere se è anche possi- bile di rendere l’asse della livella parallelo all'asse 0,0, quando anche i perni abbiano sezioni ellittiche disposte in modo che la su- perficie che li avvolge non risulti a generatrici parallele. Consideriamo perciò la fig. 6%: le rette PM e PN rappre- sentino schematicamente l’estremità delle braccia di una livella mobile: l’ellisse segnata in figura indichi la sezione retta di ciascuno dei due perni dell’albero di rotazione di un teodolite. Le rette QR e QS rappresentino invece i sopporti dell'albero ora detto. Il problema che trattasi di risolvere consiste nel cercare il valore che devono avere gli angoli MPN = a e RQS=B af- finchè rotando comunque l’ellisse nel suo piano, e quindi il can- nocchiale attorno al suo centro 0, i vertici P e Q rimangano fissi, e viceversa movendo la forcella MPN mantenendo costan- SULLA FORMA PIÙ CONVENIENTE DA DARE AI SOSTEGNI, ECC. 45 temente le faccie:MP ed NP a contatto del perno, il vertice P si mantenga costantemente alla medesima distanza dal punto 0, cioò il vertice P descriva una circonferenza di centro 0. Fig. 6. Se indichiamo con a e d i semidiametri di una ellisse, e con n il coefficiente angolare di una tangente ad essa, si può esprimere l’equazione della tangente nel seguente modo: Y=nX+ Va?n® + 8. Se poniamo la condizione che la tangente passi per un punto P di coordinate x ed y dovrà essere: y=nx + Van + dè. Questa equazione può essere scritta anche così: ne(a? — 28) + 2ney + (0 — )=0 la quale rispetto ad » rappresenta un’equazione di secondo grado le cui radici dànno le direzioni delle due tangenti condotte al- l’ellisse per il punto P. 46 VITTORIO BAGGI Volendo che il punto P si mantenga costantemente sopra di una circonferenza di centro 0, dovrà essere d4+y?= costante. Si vede facilmente che affinchè sia soddisfatta questa con- dizione deve essere: HE sai i a_ x? =_—_lI od in altre parole gli angoli a e BR devono essere retti. In tale ipotesi si ha quindi: a+ y=a? + 8? il che significa che essendo retto l’angolo a, il vertice P ha per luogo geometrico una circonferenza di centro 0, circoscritta al rettangolo costruito sugli assi dell’ellisse. Ne segue che se gli angoli a o 8 sono retti, comunque si faccia girare l’ellisse nel suo piano attorno al centro 0, i punti P e Q non si spostano. Fig. 7. Se adunque i perni dell'albero di rotazione orizzontale di un teodolite non sono circolari, ma hanno per sezioni rette delle ellissi uguali fra loro, quand’anche essi non siano bene orientati sull’al- bero di rotazione (vedi fig. 7) si può fare in modo che l’asse 0, 03 SULLA FORMA PIÙ CONVENIENTE DA DARE AI SOSTEGNI, ECC. 47 risulti fisso e costantemente parallelo alle rette Vi, Va; Vz, V4 che uniscono i vertici delle forcelle d'appoggio della livella e dei sopporti, purchè queste forcelle abbiano ciascuna l'apertura di 90°. Se le sezioni rette dei due perni non sono circoli od ellissi, saranno delle ovali, ed in ogni caso le forcelle a V ora dette sono sempre da preferire a quelle circolari. Segue inoltre che sono da ritenere dannosi i mezzi mecca- nici applicati in molti teodoliti nei quali la correzione dell’ al- bero di rotazione orizzontale, nonchè quella della livella a ca- valcione sul detto asse, si fa alterando con viti a contrasto l'angolo delle forcelle che costituiscono i sopporti dei perni o le estremità delle braccia della livella. Sino ad ora si è supposto che i perni adattati a ciascuna delle due estremità dell’albero di rotazione di un teodolite aves- «| sero per sezione retta una medesima ellisse: ma quand’ anche ciò non fosse, adottando la disposizione delle forcelle a 90° tanto per la livella quanto per i sopporti dei perni, è evidente che facilmente si riesce a distinguere in qual caso l’ asse della li- vella e quello dell’ albero sono sghembi fra loro oppure sono compiani ma inclinati l’un l’altro. Infatti, se le sezioni rette dei due perni sono due ellissi differenti fra loro, quand’anche non risultino ugualmente orien- tati sull'albero di rotazione, la retta V, V, che unisce i vertici . delle forcelle che terminano le braccia della livella si potrà | sempre ridurre ad essere la generatrice della superficie avvol- gente due circoli situati in piani paralleli e normali all'asse 0, 0, | che unisce i loro centri, circoscritti rispettivamente ai rettan- Pe E n BRE goli aventi per lati gli assi delle due ellissi. A tal fine basterà agire sulle viti laterali che spostano la livella nella propria armatura, finchè la bolla si sposti costan- temente da una medesima parte comunque si culli la livella. Soltanto allora si potrà essere certi che l’asse della livella e quello dei perni giaciono in uno stesso piano, e lo spostarsi della bolla sempre da una medesima parte rispetto all’osserva- tore, indicherà con certezza che le sezioni rette dei due perni non sono uguali. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 6 48 G. B. RIZZO Tutto quanto si è precedentemente esposto è naturalmente applicabile anche ai livelli a cannocchiale amovibile, e siccome nelle livellazioni di precisione i livelli ritenuti migliori sono quelli a cannocchiale mobile con una livella fissa al cannocchiale ed un’altra mobile sul cannocchiale stesso (*), converrà anche in questi strumenti dare alle forcelle d’appoggio del cannocchiale, nonchè alle estremità delle braccia della livella mobile, la foggia a V ad angolo retto. Possiamo quindi concludere che adottando la disposizione ora indicata, l'esame dei perni dell'albero di rotazione orizzon- tale di un teodolite, che molto interessa gli astronomi, nonchè quello dei collari di un livello a cannocchiale adoperato nelle livellazioni geometriche, risulta di molto semplificato. Torino, 1° ottobre 1897. Sulle emanazioni vulcaniche dell'età presente nella campagna romana; Nota del Dott. G. B. RIZZO. On peut former une série unique, par des transitions nombreuses, depuis les sources chaudes, les geyser et les soffioni, jusqu’'aux solfatares et aux volcans proprement dits. A. DauBRÉE, Les eaux souterraines à l’époque actuelle, t. II, p. 216. È L'Italia possiede uno dei più attraenti distretti vulcanici che occupa la maggior parte della provincia romana e si estende fino alle parti meridionali della penisola. I geologi so- gliono dividere questo grande sistema in diversi gruppi, che pren- dono il loro nome dall’ antico vulcano di Bolsena, dal Cimino, (*) Cfr. VocLer, nella “ Zeitschr. fir Vermess. ,, 1877. SULLE EMANAZIONI VULCANICHE DELL'ETÀ PRESENTE, ECC. 49 da quello di Bracciano ecc. E questi si distinguono gli uni dagli altri non solamente perchè in ciascuno di essi le bocche vulcaniche sembrano veramente raggruppate fra di loro, ma perchè le massime intensità della potenza eruttiva si manifesta- rono successivamente nei diversi gruppi, dando origine a delle formazioni ben distinte. Ora questa attività non può dirsi affatto spenta, neppure nei sistemi più antichi, perchè in tutta la campagna Romana sono frequentissime le sorgenti termali e gasose; e si hanno qua e là dei veri getti di gas e di vapori che erompono dagli antichi crateri, oppure segnano il confine delle formazioni vulca- niche, ultime manifestazioni di quelle energie alle quali si devono gli eriormi ammassi di trachiti, di basalti, di lave e di tufi, che costituiscono buona parte del territorio di Roma e dei paesi vicini. L'esame di tali emanazioni gasose è pieno di attrattive per i fisici e per i chimici, ma interessa anche da vicino i geo- logi, perchè se ne possono trarre delle conseguenze importanti per la teoria generale del vulcanismo. Ed è notevole che ap- punto oggi, allorchè si fa più necessaria la divisione del lavoro scientifico, o come si dice, la specializzazione, vi sono dei campi di studio come questo, in cui la geologia, la chimica e la fisica concorrono insieme alla risoluzione dei più importanti problemi. In nessun’altra regione meglio che nella nostra risulta chia- ramente dimostrata la continuità dei fenomeni vulcanici. Quivi infatti le poderose eruzioni che nei tempi più antichi hanno ‘agitato i luoghi dove ora sorge il Monte Amiata, seguendo la grande linea di frattura parallela all’Appennino, hanno invaso successivamente il territorio di Bolsena, il Cimino, Bracciano, il Lazio; poscia giunsero agli Ernici e a Roccamonfina; ed ora il massimo dell'attività endogena occupa il territorio di Napoli e le adiacenze, dove ha la sua più grande manifestazione nel Vesuvio. E siccome le emanazioni di gas e di vapori e le sorgenti termali sono gli ultimi fenomeni dell’attività vulcanica, così lo studio comparativo di queste emanazioni serve a stabilire la relazione che passa fra i caratteri delle emanazioni medesime e l’antichità delle formazioni a cui appartengono, la qual cosa è molto utile per fare la storia dei fenomeni endogeni, e può anche fornire dei dati preziosi intorno alle attuali condizioni degli strati profondi della crosta terrestre, Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 6* 50 G. B. RIZZO Ma recentemente lo studio accurato delle sorgenti termali e delle emanazioni gasose del suolo ha raggiunto una nuova importanza sotto un aspetto diverso. Sul cominciare dell’anno 1895 il prof. Ramsay (1) aveva scoperto che trattando con acido solforico diluito la polvere di cleveite (un minerale d’uranio, varietà di uraninite, trovato in Norvegia dal Nordenskj6ld) si ottiene un gas, il quale, anzi che essere azoto, come prima aveva supposto 1’ Hillebrand (2); oltre ad una piccola quantità di argon, contiene ancora un gas che dà tra le altre, allo spettroscopio, una riga gialla, \= 587.49, coincidente colla D3 dello spettro solare: e concluse che quel gas doveva essere lo stesso helium dell'atmosfera del sole. La scoperta commosse vivamente tutti gli scienziati, i . quali, per non parlare della soddisfazione che reca sempre ogni nuovo progresso, erano lieti che si fosse trovato fra gli ele- menti che compongono la superficie della terra anche quel miste- rioso helium che fino allora erasi creduto appartenesse soltanto al sole. Ma se al chimico inglese spetta il merito di aver fatto co- noscere molte proprietà del nuovo gas, spetta senza dubbio al nostro compianto Palmieri la gloria di averne pel primo rivelato l’esistenza sulla superficie terrestre. Infatti in una nota da lui pubblicata nell’anno 1881 (3) egli scriveva: “ ..... raccolsi una sostanza amorfa di consistenza butirracea e di color giallo sbia- dito sublimata sull’orlo di una fumarola prossima alla bocca di eruzione. Saggiata questa sublimazione allo spettroscopio, ho . ravvisato le righe del sodio e del potassio e una riga lineare ben distinta che corrisponde esattamente alla D; che è quella dell’helium ,. Il Ramsay e il Lockyer fecero numerosissime ricerche in- (1) W. Ramsay, Helium, a gaseous constituent of certain minerals, © Proc. R.S.,, LVII, pag. 81, 1895. La Cleveite è propriamente un uranato di piombo contenente delle terre rare. (2) W. F. HrLeBranD, On the accurence of Nitrogen in Uraninite, “ Bull. of the U. S. Geological Survey ,, n. 78, p. 43. (3) L. PaLmrerIi, “ Rendic. dell’Accad. delle Sc. Fis. e Mat. di Napoli ,, t. XX, p. 283, 1881. SULLE EMANAZIONI VULCANICHE DELL'ETÀ PRESENTE, ECC. 51 torno al nuovo gas (1), e si trovò che, sebbene la cleveite sia finora il minerale più ricco di helium, perchè da un grammo di minerale se ne possono ricavare 7.2 cm.,, tuttavia in propor- zioni minori esso è molto diffuso: un grammo di broggerite ne contiene 1 cm.’, la samarskite 0.6, la fergusonite 1.1 cm. per ogni grammo. La columbite (una varietà di tantalite, che è un miscuglio isomorfo di niobato e di tantalato di ferro e di manganese) dà per ogni grammo 1.3 cm.ì di un gas che è quasi tutto helium. In generale all’helium non trovasi associato l’argon, se si hanno le precauzioni necessarie per non introdurne coll’aria; solo in un solfato di zirconio proveniente da Hitteroe in Nor- vegia se ne trovò una quantità notevole. Più ricche di argon sono le sorgenti termali, come hanno dimostrato il Ramsay stesso e il Bouchard (2). Le sorgenti mi- nerali degli alti Pirenei, e specialmente quelle che contengono dei solfuri, sono note per contenere molto azoto, ma vi si tro- vano eziandio in gran copia l’argon e l’helium. L’analisi spet- troscopica ha dimostrato che i gas svolti nelle acque della sor- gente di Eillère contengono dell’argon e sono ricchissimi di helium, così quelli della sorgente des Oeufs ne hanno ancora delle quantità notevoli, mentre nei gas delle sorgenti Espagnol e Caesar le righe gialle e verdi dell’helium si vedono più difficilmente. Appena si ebbe notizia delle ricerche del Ramsay e del Lockyer, il prof. Nasini incominciò tosto fra noi ad esaminare diverse emanazioni gasose d’Italia e sta ora compiendo un grande lavoro su questo argomento. Alla sua cortesia devo la notizia che nei gas dei soffioni boraciferi del Sarderello abbon- dano tanto l’argon quanto l’helium. Il rapido progredire di queste ricerche ne dimostra la sin- golare importanza; e certamente anche per lo studio dei feno- meni endogeni considerati in sè stessi riescono di grande inte- resse, perchè, come risulta specialmente dai lavori del Ramsay, i nuovi gas trovansi associati ai minerali che li contengono in (1) W. Ramsay a. M. W. Travers, The gaseous constituents of Certain Mineral Substances and Natural Waters, “ Proc. R. Soc. ,, LX, p. 442, 1897. — J. N. Locxyer, “ Proc. R. Soc. ,, LIX passim, 1896. (2) Dr. H. C. Boucaarp, “ C. R. ,, t. 121, p. 392, 1897. 52 G. B. RIZZO modo analogo a quello con cui l'idrogeno si trova associato a diversi metalli e in determinate condizioni l'ossigeno all’ ar- gento; laonde ogni progresso intorno all’argon e all’helium è un progresso per la chimica e per la fisica dell'interno del globo. II Mi sono proposto di studiare sistematicamente le emana- zioni gasose della provincia di Roma per cercare se vi siano l’argon e l’helium, per determinare quali relazioni passino fra le emanazioni appartenenti ai medesimi gruppi vulcanici, e in- fine per vedere se vi siano qui le tracce di quel gas non ancora scoperto, che secondo il Ramsay (1) dovrebbe avere il suo posto fra l’helium e l’argon, col peso atomico di 20 all’incirca. In questa breve nota rendo conto dei risultati ottenuti esa- minando i gas che si sprigionano dalle acque del Lago della sol- fatara presso Tivoli. Ho raccolto il gas occorrente per l’analisi riempiendone per spostamento un buon numero di palloncini di vetro, della capacità di 300 e di 250 ecm°, che poi chiudevo alla lampada sul posto; e nel laboratorio del prof. Cossa, alla Scuola d’ap- plicazione per gli Ingegneri in Torino, ne sottoposi alcuni ad un’analisi preliminare. Sopra 847 cm? di gas non ne trovai che 0,12 di acido solfidrico, cioè 0,14 per 1000; facendo quindi as- sorbire dalla potassa l'anidride carbonica, che è il maggior com- ponente dei gas raccolti, trovai una diminuzione di 732,2 cmî. Allora raccolsi senz'altro il gas residuo nella campanella destinata all’assorbimento dell’azoto. È una piccola campana, simile a quelle che si adoperano per eudiometro, e munita, presso l'estremità superiore, di due elettrodi di platino affacciati l’uno all’altro alla distanza di 0,75 cm. Quando si ha sotto la campanella una mescolanza di azoto e di ossigeno in presenza di potassa caustica, che può costituire lo stesso bagno idropneumatico, e si collegano i due elettrodi colle estremità polari di una macchina elettrica ad influenza, oppure (1) W. Ramsay; nel discorso tenuto all'apertura della Sezione B (Chi- mica) dell’Associazione Britannica in Toronto il 19 agosto 1897. sa e ii i “ee i SULLE EMANAZIONI VULCANICHE DELL'ETÀ PRESENTE, ECC. 53 coi poli di un rocchetto di induzione, l’azoto, al passaggio delle scintille, si combina direttamente coll’ossigeno. Di questo pro- cedimento si valsero già lord Rayleigh e il prof. Ramsay per isolare l’argon dall’azoto atmosferico, e, sebbene sia più lento, è per molti riguardi preferibile al metodo della combustione del magnesio. Facendo adunque passare nel tubo la scarica di un roc- chetto di Ruhmkorff di media grandezza, eccitato di tre coppie Bunsen, si incominciò tosto a vedere una diminuzione di volume nel gas, e continuando l’operazione fino a tanto che non fosse cessata interamente la concentrazione, cioè per 12 ore, alla fine si trovò una diminuzione di 18,21 cm*, dovuta alla combinazione dell'azoto con la piccola quantità di ossigeno che è contenuto nel gas esaminato. Il residuo gasoso rimasto sotto la campanella non doveva più esser altro che azoto associato con qualche altro gas che non aveva potuto venir assorbito. Per eliminare interamente l’azoto continuai ad applicare il metodo ricordato delle scintille, dopo aver aggiunto a quel residuo una quantità conveniente di ossigeno puro. Quando poi fu completa la combinazione dell’a- zoto con questo gas raccolsi l’eccesso di ossigeno, insieme con gli altri gas prima associati con l’azoto, in una pipetta conte- nente una soluzione alcalina di acido pirogallico. Da questa venne interamente assorbito l'ossigeno, lasciando un ultimo re- siduo gasoso di 0,95 cm', che venne liberato dal vapor acqueo sopra l’acido solforico concentrato e quindi raccolto sopra un bagno di mercurio. L'esame spettroscopico di questo gas presentava qualche difficoltà, poichè, essendo così piccola la quantità disponibile, non si potevano applicare i metodi ordinari per riempire dei tubi di Pliicker. E non credo neppure che si possa adottare sen- z'altro il metodo suggerito dal Berthelot (1), che consiste nel fare arrivare il gas da studiarsi in una specie di camera torri- celliana munita di elettrodi, perchè in tal modo riesce assai difficile liberarsi intieramente dall’aria atmosferica. Ma si può conciliare la grande semplicità di questo metodo (1) BerrmeLor, “ Ann. de Chim. et de Pbys. ,, ser. 7, t. XI, p. 43, 1897. 54 G. B. RIZZO — SULLE EMANAZIONI VULCANICHE, ECC. con una notevole precisione nel modo seguente. Si prende una canna barometrica, munita di una porzione capillare, vicino al- l'estremità chiusa, e senza aggiungervi elettrodi di sorta la si riempie di mercurio. Quindi la si riscalda lentamente con una lampada fino al punto da far bollire il mercurio, e ciò si può fare senza pericolo di rottura, non essendovi degli elettrodi saldati nella canna. Allora questa è priva affatto d’aria e ca- povolgendola sopra un bagno di mercurio si ottiene nella ca- mera torricelliana un vuoto quasi perfetto. Con una pipetta si introduce nella canna barometrica così preparata una bollicina del gas da esaminare, e questo va ad espandersi nella camera libera dove si può fargli acquistare la rarefazione che si desidera sollevando, oppure abbassando opportunamente la canna sul bagno di mercurio, il quale perciò deve essere alquanto profondo. A questo punto basta avvolgere sul tubo di vetro, al disopra e al disotto della parte capillare, due foglioline di stagnola e poi farvi arrivare i poli del rocchetto di induzione, perchè al passaggio della corrente, il gas si illumini di una viva luce che si può esaminare facilmente collo spettroscopio. L'esame spettroscopico del gas ottenuto dalle emanazioni del lago della Solfatara presso Tivoli, dopo che ne sono stati eliminati l’acido solfidrico, l’acido carbonico, l'ossigeno e l’azoto, dimostra che il residuo è argon; e non vi si osservano le linee ca- ratteristiche dell’helium, nè altre linee che rivelino la presenza di gas non ancora conosciuti. Sono lieto di poter tributare qui i miei più vivi ringra- ziamenti al signor Prof. Naccari, il quale mi ha dato i mezzi per fare questo studio, che spero di poter proseguire. L’Accademico Segretario AnpREA NAccARI. 5a) CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 28 Novembre 1897. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLARETTA, Direttore della Classe, PeyRon, BoLLaTI DI SAINT Pierre, Pezzi, FERRERO, COGNETTI pe MaRrtIs, Brusa e NANI Segretario. Aperta la seduta il Presidente dà comunicazione del Regio Decreto 20 luglio 1897, con cui venne approvata l’elezione del Socio NANI a Segretario della Classe per un triennio, in sosti- tuzione del Socio FERRERO, scaduto dalla carica per compiuto | sessennio, accompagnando l'annuncio con gentili parole riguardo ad ambedue. L’uno e l’altro ringraziano. Legge quindi il Segretario l’atto verbale dell’ultima seduta, che viene approvato. Lo stesso Segretario informa che numerosissime furono le pubblicazioni inviate in dono alla Classe durante le vacanze accademiche, e tra queste segnala in modo speciale le seguenti: I Reali di Savoia nell’esiglio (1799-1806); Torino, 1898, del Socio residente Domenico PeRRERO. — Foscolo, Manzoni, Leopardi. Saggi; Torino, 1898, del Socio residente Arturo Grar. — Con- tributo al Catalogo generale degli oggetti d’arte e d’antichità della 56 Liguria; fasc. I e II, del Socio corrispondente Vittorio Poeei. — Les mines d’or du Jucon - La fin de l’humanité - Unité de V’espèce humaine; del Socio corrispondente pe NapArLLAc. — The Whitney Memorial Meeting inviato dalla Società orientale americana. Il Socio FERRERO presenta, a nome degli Autori, Relazione del Prof. Giuseppe GATTI @ nome della Commissione archeologica comunale di Roma. — Histoire de la Princesse Djouher-Manikam, Roman traduit du Malais par A. MARRE; nonchè una comunica- zione fatta alla “ Société nationale des Antiquaires de France , (Séance 17 février 1897), dal sig. E. MicHon. Il Presidente offre, a nome dell’autore Prof. Lando LAnx- pucci, la terza ed ultima parte del 1° volume della Storia del diritto romano, contenente la storia del diritto penale, colle se- guenti parole: “ Ho già avuto l'onore di presentare alla Classe le due prime parti del 1° volume della 2* edizione della storia del diritto romano del Prof. Lando Landucci della R. Università di Padova. La prima parte si riferiva alla Storia delle fonti; la seconda alla Storia del diritto pubblico; ed ora di incarico del- l’autore presento alla Classe la terza parte ed ultima del primo volume, che contiene la Storia del diritto penale. “ Delle varie parti dell’erudita opera del Landucci, questa è certamente quella che ha dovuto costargli maggior studio e fatica. Mentre per le altre due parti egli aveva a sua disposi- zione una grandissima copia così di trattati generali, che di monografie, per la storia del diritto penale invece se erano ab- bastanza numerose le trattazioni monografiche, erano ben poche le trattazioni generali e complessive, che avessero tentato di coordinare la difficile ed intricata materia. “ Malgrado di ciò il Landucci è riescito a descrivere con ordine e chiarezza prima lo svolgimento storico del concetto del delitto presso i Romani, poscia quello della pena e da ul- timo ha anche delineato brevemente ma perspicuamente le configurazioni speciali dei singoli delitti, prendendo le mosse dalla distinzione fondamentale fra delitti privati e delitti pub- blici e discorrendo sopratutto di questi ultimi, perchè a suo 57 avviso la trattazione dei delitti privati deve essere attribuita alla storia del diritto privato, che farà parte di altro volume. “ Ha poi terminato opportunamente il suo lavoro con uno sguardo sintetico allo svolgimento del diritto penale in Roma, in cui, dopo aver accennato ai caratteri speciali dei varii periodi ed aver accennato alle cause per cui il diritto penale presso i Romani non giunse alla eccellenza del diritto privato e pub- blico, cerca tuttavia di mettere in rilievo l’influenza benefica che esercitarono su di esso i Giureconsulti e finisce per con- chiudere che anche coi suoi difetti il diritto penale Romano è sempre un punto non indegno di partenza per il diritto penale moderno, e che la conoscenza della sua storia è un preliminare indispensabile per la teoria e la pratica criminale, e deve perciò essere maggiormente curata, che non per il passato. “ Da ultimo vuolsi osservare che il pregio dell’intiera opera è accresciuto dalla limpida prefazione, in cui l’ autore spiega l'intento che egli si è proposto, dai copiosi indici sintetici, analitici e dagli autori citati, i quali, mentre agevolano le ri- cerche agli studiosi, dimostrano anche la copiosa sua erudizione e la ricchissima letteratura, a cui egli ha dovuto attingere per compiere l’opera sua ,. Il Presidente annuncia, oltre il decesso del Socio Tommaso VALLAURI, già commemorato nell’ adunanza delle Classi Unite, quello del Socio nazionale non residente, Mons. abate D. Luigi Tosti, avvenuto in Montecassino il 24 settembre 1897, e del Socio straniero Alfredo v. ARNETH, avvenuto in Vienna il 30 luglio 1897. Comunica che l'Accademia si associò alle onoranze rese al Prof. C. Francesco GaBBA, dell’Università di Pisa, Socio corri- spondente, in occasione del 35° anno del suo insegnamento, inca- ricando il Socio corrispondente Prof. Senatore Francesco BonAWMICI di rappresentarla; per il che ebbe una lettera di ringraziamento dello stesso Prof. GABBA. Comunica eziandio che, giusta la deliberazione presa dalla Classe, furono incaricati l’Accademico straniero Prof. Gastone 58 Maspero ed il Socio corrispondente Aristide MarRE di rappre- sentare l'Accademia all'XI Congresso degli Orientalisti, tenutosi recentemente a Parigi. Infine il Socio FERRERO legge una sua nota, da inserirsi negli Atti, intitolata: I titoli di vittoria dei figli di Costantino. Chiusa l'adunanza pubblica la Classe si costituisce in adu- nanza privata. Nell’adunanza privata la Classe nomina, in sostituzione del Socio NANI attualmente Segretario, il Socio FERRERO a delegato della Classe nel Consiglio d’Amministrazione. ERMANNO FERRERO — I TITOLI DI VITTORIA, ECC. 59 LETTURE I titoli di vittoria dei figli di Costantino; Nota del Socio ERMANNO FERRERO. Se scarse sono le iscrizioni, nelle quali al nome di Costan- tino seguono titoli di vittoria (1), scarsissime sono quelle, in cui i suoi figli fanno uso di titoli sì fatti (2). Esse si riducono a queste tre. sole: 1. [Z]mp(erator) Caes(ar) Constantinus maximus Guth(icus) (sic) victor ac trium|f]ator Aug(ustus) et Fl(avius) Cla(udius) Constan- tinus Alaman(nicus) et F|l(avius) I|ul(ius) Constantius n(0)b(ilis- simi) [C]aes(ares) ecc. — Alikjel (Orcistus nella Frigia). C. I. L., TU n852r0 = 7000 11. Editto del 30 di giugno 331. 2. Im|p(eratores) Caes(ares)] Fl(avius) Cl(audius) Constan- tinus Al[amann(icus) ma]x(imus) G[.......... (3) et] Fl(avius) Iul(ius) Constantius Sarm(aticus), | P]ersicus |max(imus) et] Fl(avius) Iul(ius) Constans Sarm(aticus) più felices Aug(usti) ecc. — Iglitza (Troesmis). Tocilescu, nelle Archaeol.-epigraph. Mittheilung. aus Oesterreich- Ungarn, XVII, 1894, p. 85 (4). (1) V. la mia nota: I titoli di vittoria di Costantino, negli Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, vol. XXII, p. 657 e segg. (2) Come per Costantino, così peri suoi figli nessuna moneta reca titoli di vittoria. (3) Nella lapide pare vi siano traccie delle due lettere XG. (4) Qualche leggera differenza vi è nell’ edizione di questo testo epi- grafico data dal Toutain nei M4. d’arch. et d’hist., XI, 1891, p. 243 (cfr. Dessau, Inser. sel., n. 724), da una copia non definitiva fornitagli dallo stesso Tocilescu. 60 ERMANNO FERKERO Questa iscrizione, che ricorda lavori di difesa sul confine della Mesia inferiore, fu posta tra la fine del 337 (i figli di Costantino assunsero il titolo di Augusti il 9 di settembre di quest'anno) ed il principio della primavera del 340, in cui perì Costantino II. 3. Imp(erator) Caes(ar) Fla(vius) Iul(ius) Constantius pius fellicr) Aug(ustus) viétor maximus, triumfator aeternus, Divi Con- stantini optimi maximique principis (f(ilius)), Divorum Maximiani et Constanti(i) nepos, Divi Claudi(i) pronepos, pontifex maximus, Germanicus, Alamamnicus (sic) maximus, Germ(anicus) max(imus), Gohticus (sic) maximus, Adiabin(icus) (sic) max(imus), tribuniciae potestatis XXXI, imp(erator) XXX, consuli (sic) VII, p(ater) p(atriae), proconsuli (sic) ecc. — Milliario. Mitrovic' (Sirmium). C. I. L., II, n. 3705; cf. p. 10617 ed Ephem. epigr., II, n. 746. Dopo il 1° gennaio 354, in cui principia il settimo conso- lato di Costanzo, e prima dell’8 di novembre del medesimo anno, in cui per questo principe ricorse la trigesimaprima sa- lutazione imperatoria. Costantino il giovane, ancora Cesare, nel 331 è detto Ala- mannicus. Costanzo è sprovvisto di titoli: Costantino padre usa quello di Gothicus. Padre e figlio hanno titoli diversi: quegli mai non fu detto Alamannicus, quantunque abbia dato sconfitte agli Alamanni; con tutta probabilità l’appellazione di Germa- nicus per lui, come per altri imperatori precedenti, servì a de- signare le vittorie su questo popolo e sui Franchi (1). È ignota l'impresa, che fece meritare al Cesare il suo titolo: di lui cono- sciamo la vittoria sui Goti del 20 di aprile 332 (2); conviene quindi anticipare il principio della sua vita militare, dappoichè, come sembra, in questo tempo, a differenza del passato, i titoli di vittoria non si assumevano più anche per trionfi di colleghi, ma si usavano soltanto per proprie imprese. Già Costantino, (1) V. Atti cit., p. 662. (2) Consul. Const., ad a., in Chron. min., ed. Mommsen, t. I, p. 234. I TITOLI DI VITTORIA DEI FIGLI DI COSTANTINO 61 che, in principio del regno, si attribuiva o si lasciava dare i titoli, che suo padre ebbe comuni con gli altri membri della tetrarchia dioclezianea, più tardi non adopra che quelli deri- vanti dalle sue vittorie. È però facile indovinare la parte di comandante solamente di nome, che il Cesare giovanetto (1) ha avuto in tali guerre: a Costantino premeva porre presto in vista i suoi figli non solo negli onori e nell’ amministrazione, ma anche nella guerra (2). L'iscrizione dei tre fratelli Augusti scoperta a Troesmis (n. 2) (3) doveva contenere un altro titolo di Costantino II, di cui resta solo l’iniziale, che, meglio di G[erm(anicus)], come propose l'editore, crediamo sia quella di G|otk(icus)], epiteto ricordante la vittoria del 332. In questa medesima iscrizione Costanzo è detto Sarmaticus, Persicus maximus, Costante solamente Sarmaticus. Quegli ha lottato coi Persiani sin dal principio del suo regno. E sebbene non si abbia memoria d’imprese delle sue armi e di quelle di Costante contro i Sarmati, tuttavia si può benissimo supporre che presto essi od i loro generali abbiano dovuto guerreggiare (1) Nel 331 egli aveva soltanto quindici anni; poichè sembra sia nato nel 316. Aurelio Vittore (Epît., XLI, 4) e Zosimo (II, 20) dicono che era appena nato, quando fu creato Cesare (1° marzo 317): conviene tuttavia collocarne la nascita nell’anno prima, poichè, il 7 d’agosto 317, sua madre generò un altro figlio, Costanzo, il cui anno di nascita si desume da Ammiano Marcellino (XXI, 15), che gli dà quarantaquattro anni e pochi mesi alla morte avvenuta sulla fine del 361, e il giorno si ha nei fasti Filocaliani (C. I. L., I, 2* ed., p. 255, 268; cf. p. 302), secondo cui si devono correggere quelli di Polemio Silvio (ibid., p. 269) e la c. 10 Cod. Th. (VI, 4). (2) Costanzo aveva sette anni quando fu fatto Cesare nel 824; Costante dieci (cfr. Aurelio Vittore, Epit., XLI, 9) o tredici (cf. Eutropio, IX, 9), allorchè fu assunto alla stessa dignità nel 333. Costantino giovane è console prima dei quattro anni (320) e Costanzo prima dei nove (326). Quando Costantino spartì il governo delle provincie tra i suoi figliuoli nel 335, il primo aveva diciannove anni, il secondo diciotto, e Costante quindici o appena dodici. Non sì sa la data della nascita di Crispo: certo egli era assai giovane quando già guerreggiava. contro i Franchi prima del 321 (Nazario, Paneg. X, 36) e giovanissimo quando divenne Cesare con Costan- tino II e con Licinio figlio. Cf. Seeck, Gesch. des Untergangs der antiken Welt, t.I, Berlin, 1895, p. 442. (3) Si noti che nell’editto di Spello del 333-337 (C. I. L., XI, n. 5265) i tre figli di Costantino non hanno titoli di vittoria, mentre ne ha il padre. 62 ERMANNO FERRERO con quelle popolazioni, che con significato assai largo i Romani chiamavano Sarmatae (1), e le quali appunto si trovavano presso i confini di provincie amministrate dai due fratelli. Costante in fatti aveva avuto l’Illirico, e nei nuovi accordi tra i fratelli, dopo la morte di Costantino e l’uccisione di Delmazio e di Anniba- liano, a cui erano pure toccate provincie da governare, sembra che la Tracia, già di Delmazio, sia passata a Costanzo (2). Nel 354 Costanzo ha cambiato i suoi titoli: nel milliario di Sirmio egli è Germanicus, Alamannicus maximus, Germanicus maximus, Gothicus maximus, Adiabenicus maximus: non più Sar- maticus e Persicus, salvo che il primo titolo si celi in uno dei due Germanicus: l’epigrafe è scorretta, ed un Germ(anicus) per Sarm(aticus) non è errore tanto straordinario. Nelle spedizioni contro i Persiani, che si ripetono ogni anno in Mesopotamia dal principio dell’impero di Costanzo sino al 350, per riprendersi alla fine di esso, è possibile qualche punta nell’Adiabene (8), onde il titolo di Adiadenicus sostituito a quello di Persicus. Nel 354 Costanzo ha riunito tutto l’impero sotto la sua potestà, obbligando Vetranione, che, alla morte di Costante, si era fatto gridare imperatore nell’Illirico, a rinunciare alla por- pora (350), e sconfiggendo Magnenzio (351-353), che si era im- padronito delle altre provincie dell’Occidente, già di Costante, e per difendersi si era valso pure di aiuti datigli da genti ger- maniche (4). Nella primavera di quest’ anno Costanzo ha con- dotto una spedizione contro Gundomado e Vadomario, re degli Alamanni, e concesso loro la pace (5). Di qui chiara la ragione (1) Cf. Mommsen, Ròm. Gesch., t. V, p. 221 e segg. (2) Schiller, Gesch. der ròmischen Kaiserzeit, t. II, p. 229. (3) Libanio (Or. III, p. 123 e seg.) parla di una città appartenente ai Persiani, sorpresa da Costanzo, che ne trasportò gli abitanti nella Tracia; ma non dice dove si trovava. Giuliano (Or. I, p. 22) accenna a passaggi del Tigri nella guerra del 333. Nei fasti di Polemio Silvio (C. I L., I, 2* ed., p. 257, cf. p. 309; man- cano in quelli di Filocalo, come pare, per sola ommessione di scrittura) sono indicati, al 31 di gennaio: circenses Adiabenis victis. Questi ludi sono stati istituiti per la vittoria adiabenica, a noi sconosciuta, di Costanzo II, ovvero commemorano le conquiste transtigrine nella guerra persiana con- dotta nel 297 da Diocleziano e da Galerio, che si dissero pure Adiabenici? (4) Giuliano, Or. I, p. 34 e seg. (5) Ammiano Marcellino, XIV, 10. RR a I TITOLI DI VITTORIA DEI FIGLI DI COSTANTINO 63 dei titoli di Germanicus e di Alamannicus mnell’iscrizione sir- miense; oscura rimane quella di Gothicus, non avendosi ricordo di guerre coi Goti combattute da Costanzo, il quale anzi, al principio del suo regno, li ebbe ausiliarii, nella guerra per- siana (1). (1) Libanio, Or. III, p. 126. — Il Mommsen, commentando il titolo sir- miense (Bull. dell’Inst. di corr. arch., 1868, p. 142; C. I. L., III, n. 3705), ha creduto che i titoli di Costanzo fossero disposti in ordine cronologico, ed attribuendo quello di Adiabenicus alla guerra di Mesopotamia nel 338 e quello di Gothicus alla vittoria del 332, ha giudicato gli altri appartenere a guerre non abbastanza note fra il 324 e il 332. Ciò, come si vede, è con- traddetto dall’epigrafe di Troesmis posteriormente scoperta. L’ Accademico Segretario CesARE NANI. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. Apa E SONO de 0 IDATA ALMOST di CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 5 Dicembre 1897. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: D’Ovipro, Direttore della Classe, SaLvapoRI, Bizzozero, Mosso, Spezia, CAMERANO, SEGRE, VoL- TERRA, JADANZA, Foà, GuarEscHI, FiLeri e NAccaRrI Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta. Il Presidente partecipa la morte del Socio corrispondente Alberto ScarAUF, Professore di Mineralogia nell'Università di Vienna. Il Presidente prega il Socio Spezia di fare in altra seduta un cenno commemorativo dell’illustre defunto. Il Socio SeGrE presenta una nota del Dott. Beppo Levi, sulla Risoluzione delle singolarità puntuali delle superficie alge- briche. Il Socio FrLeri presenta una nota del Dott. Giacomo Ponzio, intitolata: Sull’ossidazione delle idrazossime. Ambedue queste note saranno inserite negli Atti. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII 7 66 BEPPO LEVI LETTURE lisoluzione delle singolarità puntuali delle superficie algebriche; Nota di BEPPO LEVI, a Torino. In un lavoro recentemente apparso negli “ Annali di Ma- tematica , (*) ho studiato il modo di trasformarsi di un punto singolare di una superficie algebrica dello spazio ordinario per una successione di trasformazioni quadratiche, quando si assu- mano il punto stesso e i suoi trasformati successivi (o meglio i punti di una determinata — ma arbitraria — successione di trasformati del punto considerato) come punti fondamentali isolati delle trasformazioni successive: ed ho fissato quando e in qual senso si può dire che si ottiene in tal modo una riduzione della singolarità. Con ragionamenti analoghi a quelli usati quivi si può dimostrare la possibilità di risolvere tutte le singolarità puntuali d’una superficie con trasformazioni birazionali della medesima; di costruire cioè una superficie (dello spazio ordi- nario) che si possa riferire algebricamente e biunivocamente alla data, e che non abbia altre singolarità che una linea doppia biplanare con un numero finito di punti cuspidali ordinari (?) per la superficie e ordinari per la linea, e un numero finito di punti tripli ordinari (cioè a tangenti distinte) per la linea e tripli e triplanari per la superficie (e, si può anche chiedere, tale che (1) Levi, Sulla riduzione delle singolarità puntuali delle superficie alge- briche dello spazio ordinario per trasformazioni quadratiche. Memoria 1?. “ Annali di Matematica ,, (2), XXVI, 1897, p. 221. Mi permetterò di ricor- dare brevemente questa memoria con: A. (2) Cioè punti che siano cuspidi ordinarie sulle sezioni piane generiche della superficie, passanti per essi. RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 67 ai punti singolari della superficie data corrispondano solo punti semplici della nuova superficie) (*). Questo mi propongo di dimostrare nella presente nota. Adoprerò soltanto trasformazioni Cremoniane; quindi mi esimo dal ripetere l’aggettivo. 81 1. — Farò uso della seguente proposizione che mi riservo di dimostrare altrove (anche più completa): Si consideri una superficie F dello spazio (?) X e in essa un punto singolare A, (') Molti autori si sono già occupati di questo problema, o di quello equivalente (cfr. n. 3) di risolvere le singolarità delle superficie con trasfor- mazioni birazionali dello spazio. Ricordo, tacendo dei lavori in cui si ana- lizzano solo particolari singolarità, DeL Pezzo, Estensione di un teorema di Noether, “ Rend. Circ. Mat. Palermo ,, II, 1888, e Sui punti singolari delle superficie algebriche, id., VI, 1892. — Secre, Sulla scomposizione dei punti singolari delle superficie algebriche, È Annali di Matematica ,, (2), XXV, 1896. — Picarp et Smart, Théorie des fonctions algébriques des deux variables. T.I, p. 77. Paris, Gauthier-Villars, 1897. Nessuno però giunse alla completa dimostrazione della resolvibilità del problema. — Non è necessario ricordare che si può supporre la superficie data immersa in uno spazio qualunque, anche quando, come io farò, si ragioni soltanto su superficie dello spazio ordinario, poichè una proiezione riconduce dall’un caso all’altro; che inoltre ridotta la superficie ad una, dello spazio ordinario, con sole singolarità or- dinarie quali ho ricordate nel testo, risulta pure provata la possibilità di ricondurla ad una superficie iperspaziale (e precisamente di un $y) con soli punti semplici: determinata una trasformazione algebrica (non birazionale) dello spazio che muti la superficie data nella sua trasformata con sole sin- golarità ordinarie definita nel testo, basterà costruire il sistema lineare somma del sistema dei piani dello spazio di una di queste superficie e del sistema delle superficie di questo spazio, imagini dei piani dell’altro, e riferirlo proiettivamente al sistema degl’iperpiani di un conveniente spazio per ottenere definita in questo una superficie priva di punti multipli e biunivocamente riferita alla data (cfr., per un ragionamento analogo, il n° 4. — V. pure Prcarp et Simarr, l. c., p. 79). Una proiezione conduce da questa alla richiesta superficie in un Sg. Il ragionamento del n° 4 si applica d’altronde direttamente alla determinazione di questa superficie senza pas- sare per quella in Ss. (?) Il teorema si estende alle varietà qualunque immerse in uno spazio di dimensione qualunque: io ne farò uso per quanto si riferisce alle super- ficie e alle curve dello spazio ordinario e del piano. Per le curve valgono gli enunciati del testo (relativi alle superficie) mutandovi le parole “ un 68 BEPPO LEVI e per questo un ramo arbitrario Y tracciato su F: è definita una successione di numeri s, s', s", ..., multiplicità per F dei punti successivi di Y(!); dirò brevemente che s, s", s", ... sono le multiplicità di composizione di A su F lungo il ramo x (?). Or- bene, si assoggetti Z ad una trasformazione © (3) che lo muti nello spazio 2' in cui ad F corrisponda F' e a Y, vr: 1° A non sia punto fondamentale (isolato o non) della trasformazione, nè appartenga alle varietà fondamentali di questa; gli corrisponderà un unico punto A', origine di y', e le multi- plicità di composizione rispettivamente di A e di A' suFeF' lungo y e y' sono uguali (4); dirò, per brevità di linguaggio, che le singolarità di Fe di F' in A e A' sono simili (°); dirò inoltre ramo Y tracciato su F , in “ un ramo Y diF ,, ove si indichi ancora con F la curva. Si deve notare che nel piano è privo di senso l’ enunciato ana- logo al 3° del testo. (1) Cioè dell’origine di Yy e delle origini dei rami trasformati di Y con una successione di trasformazioni quadratiche aventi ciascuna il punto fon- damentale nell’origine del ramo ultimo trasformato e il cono fondamentale non tangente a Y in questo punto. Cfr. (anche per le curve dello spazio): Secre, Sulla scomposizione ecc., “ Ann. di Mat. ,, (2), 25-1896; per le curve piane: Noerner, Ueber die singuliren Werthsysteme einer algebraischen Function u. d. sing. Punkte einer alg. Curve, © Math. Ann. ,, 9-1875. (?) Locuzione che non differisce sostanzialmente da quelle usate già da altri autori. Cfr. p. e. SEGRE, l. c. (*) Potrebbe anche supporsi la trasformazione semplicemente algebrica (non birazionale). Detta allora A’ l'origine di y' dovrebbe, in generale, sup- porsi che nè A nè A' appartenessero alla Jacobiana della trasformazione (del rispettivo spazio), se A non è fondamentale; e che, se A è tale, Y non sia tangente alla Jacobiana stessa. (4) Questa parte della proposizione è implicitamente supposta vera in molti lavori precedenti, almeno per la forma sotto cui si presentano molti enunciati; perchè, quando si parla p. e. dell’influenza dell’insieme di più punti singolari p. e. sulla classe di una curva piana, si suppone implicita- mente che, mentre si trasforma un punto singolare, i rimanenti si mutino in altri aventi la stessa composizione, cfr. p. es. NoETRER, l. c. (*) Più volte, da vari autori, sono state paragonate le singolarità delle varietà algebriche con concetti diversi, e si è parlato di singolarità uguali e simili. Per le curve piane si tratta generalmente di paragonare le suc- cessive multiplicità di composizione e le diramazioni (cfr. p. e. De FrANCcHIS, Sopra una teoria geometrica delle singolarità di una curva piana, p. 48-49, “ Rend. Circ. Mat. Palermo ,, t. XI, 1897). Per le superficie sono state con- siderate singolarità uguali p. e. dai sigg. DeL Pezzo, Guccra, CAstELNUOVO; ma nè la definizione che il prof. DeL Pezzo dà dell’ugual singolarità di uno RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 69 simili rispetto a un ramo Y (0 a due rami y e y' trasformati l’uno dell'altro nel modo qui considerato) due trasformazioni 0 succes- sioni di trasformazioni che trasformino A, come origine di 1, (0 i punti A e A' di singolarità simili, come origini rispettivamente di Ye di x') in punti di singolarità simili. 2° A sia punto fondamentale isolato ordinario (!) di © e le superficie fondamentali per esso non siano tangenti a Y; ad A, come origine di y, corrisponda A', origine di y': le mul- tiplicità di composizione di A" su F' lungo y' sono s', s'", ... (2); e ogni altra trasformazione che abbia anch'essa A come punto fondamentale e le superficie fondamentali per A non tangenti a Y è simile a © rispetto a Y(?). stesso punto su due superficie (Sui sistemi di curve e di superficie, © Rend. Circe. Mat. Palermo ,, t. III, 1889), nè quella del prof. CasreLNUOvo ( Alcune proprietà fondamentali dei sistemi lineari di curve tracciati sopra una super- ficie algebrica, “ Ann. di Mat. ,, (2), 25, 1897) debbono essere ravvicinate a quella presente di singolarità simili. Piuttosto ricordo che il prof. SeerE (1. c., p. 46) assume come indice della complicazione di una singolarità di una superficie il numero X massimo per cui, fra i caratteri di composizione della superficie sui diversi rami pel punto (s, s, s”,...) vi sia una sl) diversa da 1. In questo senso due singolarità simili (secondo la definizione del testo) hanno ugual complicazione. Rilevo ad ogni modo che quanto è detto nel presente lavoro non richiede affatto che si analizzi il concetto di singola- rità simili o uguali: si accolgano le parole “ singolarità simili , come una semplice locuzione, come nel testo è detto; e si noti che non si potrà (nel significato presente) parlare di singolarità simili in due superficie che non siano riferite fra loro biunivocamente da una trasformazione Cremoniana. (') Cioè tale che a ogni direzione generica uscente da A corrisponda un punto e che, muovendosi detta direzione, si muova pure questo punto. (*) Questa parte della proposizione è, almeno in parte, provata dal prof. Seere nel citato lavoro (p. 50-51); anch’essa è implicitamente supposta vera in molti lavori, perchè tale ipotesi si fa quando si parla di multipli- cità di composizione, senza fissare le trasformazioni quadre:.che che ser- vono a determinarle (cfr. p. e. NoermEr e Seare, ll. cc.). Ne’ lavoro storico di Bric e NorrHer, Die Entwicklung der Theorie der algebrai chen Functionen in dilterer und neuerer Zeit (£ Jahresbericht d. deutschen Mr a.-Vereinigung ,, Bd. 3, 1892-93, p. 384), dopo che sono state definite le s:ìidette multiplicità (per le curve piane) con trasformazioni quadratiche s:eciali, è detto “ so “ sind... statt der speciellen auch die allgemeinen quadratischen Cremona- “ Substitutionen sogleich verwendbar und fiihren zu genau derselben Zusam- “ mensetzung der Multiplicitàt ,. (*) Nel piano, ammesso l’enunciato 1°, segue senza difficoltà questo 2°, per essere notoriamente ogni trasformazione Cremoniana piana, prodotto di trasformazioni quadratiche. 70 BEPPO LEVI 8° A sia punto generico di una linea fondamentale ordi- naria (!) di © e Y non sia tangente, fuori «di questa linea, alle superficie fondamentali per essa: ogni altra trasformazione che abbia la stessa linea fondamentale, soddisfacendo in A alle stesse condizioni di generalità imposte a O è simile a © rispetto a v. 2. — Riterrò come equivalenti una trasformazione T e la trasformazione TP, prodotto di T e di una collineazione P (?) (non però T e PT). Le denominazioni introdotte nel n° prec. di singolarità e trasformazioni simili permettono di enunciare alcune proposizioni che è utile porre in rilievo: Se A e A' hanno per Fe F' singolarità simili, ad ogni successione di trasformazioni dello spazio T,, T.,... applicata ad F ne corrisponde una T',, T'.,... applicata ad F', trasformata della prima per la trasformazione © che muta F in F', tale che le due successioni sono simili rispetto a due rami corrispondenti qualunque Y e x' tracciati rispettivamente su F e F' per A e A' (0, come breve- mente si può dire, sono simili rispetto ad A e A'). In particolare, se con una successione di trasformazioni si riesce ad abbassare la multiplicità di A, come punto di F e origine di vr, esiste una successione di trasformazioni (simile a questa rispetto y e al ramo y', corrispondente a y su una superficie F' avente nel- l'origine A' di y' singolarità simile a quella di F in A) la quale abbassa la multiplicità di A' come punto di F' e origine di vY'. Si assoggetti F ad una successione di trasformazioni COre- moniane T, T,, T,,... e ad una trasformazione © simile a T rispetto a y. Siano Y1, Y' i trasformati di y per T,0; T",, T",,... le trasformazioni trasformate di T,, T., ... per T-!0. Le succes- sioni T',, T',, ...e T,, T.,... saranno simili rispetto a Y' ef; quindi la successione 0, T",, T",,... è simile alla T,T;,T,... rispetto a y. Sia ora ©, una trasformazione simile a T”, rispetto av'e siano T”,, ...letrasformate di T",, ... per T'{!O,; sarà analogamente 0, 0,, T"'., ... simile a T, T,, T;, ... rispetto a Y. (') Cioè tale che a ogni giacitura uscente dalla sua tangente in A. (punto semplice della linea) corrisponda un punto, mobile con detta gia- citura. (?) Una collineazione (non degenere) muta ogni singolarità in una sin- golarità simile. è srt RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITA PUNTUALI ECC. 71 Il ragionamento si può proseguire finchè si siano esaurite tutte le trasformazioni T, e il risultato si può enunciare sotto questa forma: Sì considerino le due successioni di trasformazioni T,T,,T3,...; DOO, e siano Yi; Toi Vai iis Yi, Va, Va, <.. i rami suc- cessivi trasformati di y per la prima e per la seconda successione, e siano T e © simili rispetto ar, T, e O, simili rispetto a Yi e Yi, T, e ©, simili rispetto ava e 12 e così via: le due successioni sono simili rispetto a Y. 8. — Si trasformi lo spazio > di F con una trasformazione ©, a punti e linee fondamentali ordinari, nella cui determinazione esistano elementi arbitrari. Sia F' la trasformata di F per 0. Fra le singolarità di F' distinguo: a) i punti e le linee singolari di F' che corrispondono a punti di F appartenenti a linee fondamentali di O non generici su tali linee (in particolare tali che in essi queste non si com- portano come linee fondamentali ordinarie), ovvero che corri- | spondano alle origini di rami tracciati su Fe tangenti alle su- perficie fondamentali di 0, e che, variando gli elementi arbi- trari di O, scompaiono oppure persistono, corrispondendo però alle origini di rami tracciati su F diversi dai precedenti; per modo che, nella © che si ottiene per una tal variazione le ori- gini dei rami che erano per la O data nelle particolari posizioni, cessino di esser tali; i 5) i punti e le linee singolari di F' che corrispondono a punti e linee di F appartenenti alle superficie fondamentali di 0. Tutti questi punti e queste linee dirò, per brevità di lin- guaggio, di singolarità accidentale e dirò la loro multiplicità mwul- tiplicità accidentale. In seguito alla © si eseguisca una nuova trasformazione 0, a punti e linee fondamentali ordinari definita in funzione della © in modo che, per ogni © generica (relativamente alla scelta degli elementi arbitrari che compaiono nella sua definizione), esistano trasformazioni 0,, e nella cui definizione possono inoltre comparire elementi arbitrari. Dirò singolarità accidentali pel pro- dotto 0 6, le trasformate per ©, delle singolarità accidentali per O e le singolarità accidentali per O,. Relativamente alle va- rietà fondamentali ordinarie della trasformazione prodotto si vede facilmente che questa definizione concorda colla precedente. Ana- 72 BEPPO LEVI logamente si definiranno le singolarità accidentali per la tras- formazione prodotto di un maggior numero di trasformazioni a varietà fondamentali ordinarie. Le considerazioni ora fatte per una superficie si applicano, con maggior semplicità, alle curve. Così potremo parlare di sin- golarità e multiplicità accidentali di un punto di una curva tras- formata: si può notare che, per le curve, i punti di singolarità accidentale corrispondono tutti a punti semplici della curva primitiva. 4. — Si consideri una trasformazione O a varietà fonda- mentali qualunque (prodotto di convenienti trasformazioni a va- rietà fondamentali ordinarie) e nella cui definizione esistano ele- menti arbitrari, e il sistema lineare somma del sistema dei piani dello spazio e dei sistemi omaloidici che determinano due trasfor- mazioni © generiche l'una rispetto all’altra (!). A questo sistema si faccia corrispondere proiettivamente il sistema degli iperpiani di un conveniente S,. Risulterà definita una trasformazione della F in una superficie F* di questo S., di cui F e le due superficie F', F',, trasformate di F per le due ©, sono proiezioni da tre Sa-4 incontranti F* in punti semplici o generici su linee mul- tiple. La multiplicità di un punto di F* è = (o <) alla minima del punto corrispondente in F, F', F',. Pròiettando la F* da un Si generico dell’S), si ottiene in S; una nuova superficie F, trasfor- mata birazionalmente di F, in cui ai punti semplici di F corri- spondono, in generale, punti semplici; ai punti omologhi di F, F' F', di ugual multiplicità (in particolare di singolarità simile) corrispondono punti di al più ugual multiplicità; ai punti che su F' e F', hanno multiplicità minore dei punti corrispon- denti di F, punti di pari o minor multiplicità; a quelli di mul- tiplicità accidentale punti di multiplicità uguale a quella generica delle linee cui appartengono; alle linee di multiplicità acci- dentale punti generici delle linee già incontrate in F. Inoltre comparirà in F una linea doppia nodale, i cui punti generici corrispondono a punti semplici di F e che possiede un (') Cioè il sistema lineare (minimo) che contiene tutte le superficie costituite da un piano arbitrario e due arbitrarie superficie l’una dell’un sistema omaloidico, l’altra dell'altro. . ii ila PERE RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 73 numero finito di punti cuspidali ordinari in punti semplici per la linea, e, nei suoi punti d'incontro con se stessa punti tripli ordinari per la linea e tripli e triplanari per F e nei suoi punti d’intersezione colle altre linee multiple di F (punti che su queste sono del resto generici) punti planari, aventi per F_ multiplicità superiore di un’unità a quella massima delle due linee. Il problema di sciogliere le singolarità puntuali della F con trasformazioni birazionali della medesima si riduce adunque all’altro di trasformare birazionalmente la F in una nuova su- perficie i cui punti siano tutti o semplici ovvero di multiplicità accidentale. Sarà quindi provato che si può risolvere il problema proposto quando, con un numero finito di trasformazioni bira- zionali, si sia giunti ad abbassare le multiplicità dei punti di F che per le trasformazioni non sono di singolarità accidentale, od anche si sia giunti ad abbassare la multiplicità di una sua linea o di un suo punto arbitrari senza introdurre nuove singo- larità altro che in punti di singolarità accidentale. Questo io farò nel seguito. È evidente che le considerazioni svolte in questo n° sup- ponendo che F sia una superficie si applicano (anzi con maggior semplicità) al caso che F fosse una curva. 82. 5. — Farò uso di trasformazioni dello spazio di due tipi, entrambi casi particolari delle trasformazioni monoidali (1). (4) Cfr. per le proprietà delle generali trasformazioni monoidali: Dr Paotis, Sopra un sistema omaloidico formato da superficie di ordine n con un punto (n—1)plo, © Giornale di Battaglini ,, vol. 13, 1875, p.226 e 282. Ricordo che nella trasformazione monoidale definita da monoidi di dato ordine x le varietà fondamentali sono il vertice P_comune a questi monoidi (punto fondamentale isolato) e una linea / d’ordine n(x — 1) avente P come punto (a—1)(n —2)-plo (linea fondamentale); inoltre il cono K che da P proietta 7, e il monoide M d’ordine n—1 di vertice P_e passante per /. La trasformazione inversa, ancora definita da monoidi d’ordine x, ha varietà fondamentali analoghe. Le proprietà della trasformazione si verificano fa- cilmente sulle formole che la rappresentano. Assunte nei due spazi (pri- mitivo e trasformato) coordinate omogenee, rispettivamente 233%, x1x'x3x',, essendo P e l’analogo P' rispettivamente i punti x:=xx=x3=0, x1=x'a=x3=0, e rappresentato con M=0 il monoide corrispondente 74 BEPPO LEVI 1° Supporrò il sistema omaloidico dell’uno spazio (e quindi anche dell’altro) specializzato in quanto il monoide fondamen- tale (M) divenga un cono di vertice il punto fondamentale isolato (o, come dirò brevemente, punto fondamentale) P; tutti i monoidi del sistema vengono allora ad avere in P (e, pel secondo spazio, nel punto analogo P') lo stesso cono tangente. Chiamerò K il cono proiettante da P la linea fondamentale {, T il cono tan- gente comune in P ai monoidi del sistema, K' il cono tangente comune in P' ai monoidi del sistema omaloidico nel 2° spazio, T' il cono proiettante da P' la linea fondamentale /' del 2° spazio (1). Ke K', Te T' sono proiettivamente uguali. La corrispondenza trasforma le rette per P nelle rette per P', e il riferimento che ne risulta fra le due stelle è una collineazione; ai punti di / fa corrispondere le rette di K', corrispondendosi nella detta col- lineazione le proiettanti questi punti da P e queste rette. Fra le punteggiate corrispondenti su due rette omologhe per P e per P' (non appartenendo l’una a K nè a T e quindi l’altra nè a K' nè a T') intercede una proiettività in cui P e P' sono punti corrispondenti. Chiamerò ogni corrispondenza quale quella ora definita trasformazione monoidale speciale (?) (e scriverò brevemente t. m. s.). In essa, come in ogni trasformazione monoidale, ai piani per P corrispondono i piani per P' e la corrispondenza birazionale che risulta stabilita fra i due sistemi piani ha per varietà fondamentali le intersezioni dei piani colle varietà fon- damentali dei rispettivi spazi. Rilevo, perchè sarà utile in seguito, che, data una parte L di { e dato P, fanno sempre parte di { le corde di L per P e, in generale, le rette che congiungono P ai punti multipli di L. (Se il punto multiplo ha tutte le sue tangenti complanari in un a x',==0, e con M=0 il monoide M le dette formole' si possono porre sotto la forma ibn no Lia M (4) M viene a coincidere con K, M' con T'; K, K, T, T' sono d’ordine n—1. (2) Essa può sempre considerarsi come il prodotto di due convenienti trasformazioni monoidali generali aventi, nello stesso spazio, lo stesso mo- noide fondamentale; aventi quindi lo stesso ordine. - RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 75 piano non passante per P possono i monoidi avervi soltanto un determinato contatto). Si può però scegliere l’ordine della tras- formazione assai elevato perchè: 1° un’altra retta fissata ad arbitrio per P, appoggiata ad L non sia necessariamente parte di (1); 2° in un punto fissato ad arbitrio, diverso dai detti punti multipli e dai punti d'appoggio delle corde per P, il piano tangente ai monoidi del sistema non sia fisso (?). 2° Il secondo tipo di trasformazioni che avrò da appli- care è quello delle trasformazioni quadratiche a conica fonda- mentale degenere, che chiamerò semplicemente trasformazioni quadratiche speciali (e scriverò brevemente t. q. s.). Se P è il punto doppio della conica fondamentale del primo spazio (P ha quindi significato diverso che nelle linee precedenti), P' quello nel secondo, alle rette per P corrispondono quelle per P' e la corrispondenza fra le due stelle è quadratica ed ha per rette fondamentali in ciascuna stella le rette della conica fondamen- tale del rispettivo spazio e la retta che da P (o da P') proietta il punto fondamentale isolato (che dirò brevemente punto fon- damentale) O (o 0'). Su due rette corrispondenti l’una per P e l’altra per P' (diverse l’una da PO, l’altra da P'O') i punti si corrispondono in una proiettività in cui sono omologhi P e P*. Un altro caso di trasformazione quadratica speciale è com- preso nelle trasformazioni monoidali speciali, e si ha quando il punto fondamentale cada sulla conica fondamentale. Sotto il nome di trasformazione quadratica speciale si intenderà però sempre quella definita in 2°. 6. — Una superficie F abbia una linea L s-pla; si trasformi (4) Poichè: “ Se per le corde di una curva passanti per un punto si conduce un cono, esiste sempre un monoide che ha questo come sottocono — (cono tangente nel vertice) — e contiene la curva ,. VALENTINER, Zur Theorie der Raumeurven (p. 170), “ Acta Mathematica ,, p. 136-230. In questo enunciato si suppone che la curva non possegga punti multipli generali (altro che doppi), ma facilmente si vede come esso basti al nostro oggetto ‘(Si osservi p. e. che ogni punto singolare di una curva si scioglie con un numero finito di trasformazioni; cfr., anche per citazioni, A., n° 8). (*) La trasformazione è determinata quando è dato un monoide del sistema omaloidico e K (cioè detto monoide e su esso la /); il piano tan- gente in un punto di L non sarà fisso se per questo punto non passa una generatrice doppia di K; per esso non passerà allora altra parte di /. 76 BEPPO LEVI F con una trasformazione monoidale qualunque,. in particolare speciale, in cui L sia la linea fondamentale. Sia A un punto di L che non sia più che s-plo per F e sia generico su L rispetto alle varietà fondamentali della trasformazione. Sia inoltre K (1) la parte di K passante per L, K' la corrispondente parte di K' e sia a' la generatrice di K' corrispondente ad A. Alla super- ficie F la trasformazione fa corrispondere una superficie F' che sega a', fuori di P' (?), nei punti A',, A',, ..., ma non con- tiene a'; la somma delle multiplicità d’intersezione di F' e a' in A',, A':, ... è s; la somma delle multiplicità di questi punti in F' è quindi < s; e se è = s, a’ non è tangente ad F'. L’analogo vale per una curva C e la sua trasformata Cl. In particolare e inversamente se C' interseca a', C passa pel punto A corrispondente ad a’. 7. — Si considerino due superficie F e ® per un punto A; chiamo multiplicità d’intersezione di Fe ® in A la somma dei prodotti delle multiplicità di A sulle diverse parti (curve alge- briche irreduttibili) dell’intersezione di F e ® per le multipli- cità rispettive di queste parti (cfr. A., n° 4); essa è uguale alla somma dei prodotti delle multiplicità di composizione di A su una sezione piana di F (non tangente in A a detta intersezione) rispettivamente per le omologhe multiplicità di composizione di A sulla sezione fatta in ® dallo stesso piano. Se quindi A è s-plo per F, o-plo per ® e si opera una trasformazione qua- dratica di punto fondamentale A, e se — questo solo caso ci sarà utile — la trasformata di A sulle superficie trasformate F', d' è una retta, la multiplicità d’intersezione di F' e ®' in un punto generico di questa è uguale a quella di F e ® in A diminuita di so. E se A è punto generico (rispetto alle multi- plicità) di una linea L s-pla per F, o-pla per ®, ed è semplice su L, e se si opera una trasformazione monoidale con linea fon- damentale L, e se l’intersezione delle superficie trasformate F' e ®' passa pel solo punto trasformato di A, A', non toccando (4) Conserverò costantemente, anche nel seguito, queste notazioni. (*) Nelle considerazioni relative al comportamento delle generatrici di K' o del cono stesso rispetto ad F', il punto P' dovrà sempre essere escluso. Può quindi ritenersi l’esclusione fatta implicitamente. e RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 77 la A'P' — in particolare, se A’ è s-plo per F' o 0-plo per d' —; la multiplicità d’intersezione di F' e ®' in A’ è uguale a quella di F e ® in A diminuita di so. UG$ 8. — Data una superficie Y si può sempre, con una suc- cessione di trasformazioni (quadratiche speciali), mutarla in una nuova superficie F su cui non esistano punti multipli per essa, altro che generici (riguardo alla multiplicità) di linee multiple di F o punti di singolarità accidentale; nè punti multipli per le sue linee multiple (curve algebriche irreduttibili), altro che acci- dentali (A. ni 14, 17,3 (1) Sia ora L una linea s-pla di F. Si assuma un punto P in posizione generica rispetto ad F e ad L e si determini una t. m. s. per cui L e P siano linea e punto fondamentali; F ne sarà mutata in una superficie F' in cui ad L corrisponde L’ di mul- tiplicità s-p (n° 7). FA e FÒ), 8° intersecano quindi se- (4) Il ragionamento, d'altronde semplicissimo, con cui si prova questa proposizione e la seguente, è interamente analogo a quello contenuto in A., n. 10. o 80 BEPPO LEVI condo una linea CA) non giacente in KA) e passante per AA (2) e non tangente in esso a PRAIA), Qui dobbiamo distinguere due casi: 1° Comunque cresca r, almeno finchè si suppone che si ottengano trasformati di L, AA, L(4/4), ... s-pli e finchè resta minore di un limite finito asse- gnabile, esiste un è > r per cui C‘) non è una linea trasformata di L (o di un punto di L); (in particolare, per A‘? non passa una tal linea diversa da L(4)); 2° CA) è sempre una tal linea per i superiore a un certo limite (naturalmente finchè si hanno trasformati s-pli). In questo n° e nel seguente tratto solo il primo caso. Ogni FI?) è trasformata, per le trasformazioni effettuate, della F, (poichè le punteggiate corrispondenti sulle rette per due punti P sono proiettive essendo omologhi i due punti P stessi (n° 5)). Si indichino con AlAt4--4j1) A(Aa--452) ... AAta--Ajtt) AlAito--Aitti) AAA) ,.. i punti rispettivamente di F(4u--4i1) Fit-452) .., FAw--Asttj) FA. Ajti1) PA .-Ajt2) ... individuati dall'aver come trasforihato A(A-444;+1) (n° 6). Nel primo caso, che qui si considera, esiste dunque sempre una F, (0+... + Mi-1 trasformazioni quadratiche della stella di cui sono rette fonda- mentali PA, la sua trasformata omologa a PADA(A1L, la tras- formata di questa omologa a P‘@2A(42 ecc. Dunque, crescendo convenientemente i, P(44--4) A(At-4) ha per G4--4) multipli- cità successivamente decrescente. Su G sia tracciata una curva che passi per A senza toc- carvi PA e le cui trasformate passino per A' A" ... senza toccarvi P'A', P'A"”,..., e tale che G non ne sia cono di corde. Crescendo i convenientemente la multiplicità di A44--4) per la curva trasformata decresce gradualmente fino a ridursi all’unità. Fatte queste premesse, si proietti C (n° 9) da un punto P, fuori dei piani tangenti a F in A, del cono tangente a F da un punto generico fissato ad arbitrio di C e del cono proiettante da tal punto le linee s-ple di F. Sia l il cono proiettante. Si dica n l’ordine di F, m quello di C; sarà mz s per l’intersezione di T e F. Dunque A è multiplo per C,. La nuova successione di trasformazioni, simile alla precedente, che si ottiene assumendo P, come primo punto P, muta { successivamente nei coni pro- iettanti da P',,P",,...le corrispondenti trasformate di C, e muta C e quindi C, e C, in curve, successivamente, per A'A”..., non tangenti rispettivamente a P', A', P'", A", ...; e, come A per Co, A'A"... saranno multipli per la corrispondente trasformata Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 8 82 BEPPO LEVI di C,. Si consideri ora la nuova successione di trasformazioni, simile alle precedenti, relativa ad un nuovo punto P., preso come punto P, generico rispetto ad F ed L e che non sia vertice d'un cono di corde di C,. Le trasformate di C, avranno ancora rispettivamente in A' A"... punti multipli e non vi saranno tangenti a P', A', P", A",... Ma il fatto che ciò possa avve- nire comunque cresca i contraddice alla 2* osservazione prece- dente. È adunque assurdo che A/n--4) sia sempre s-plo per FA4-4) comunque cresca î, se si verifica il 1° caso distinto nel n° prec. 11. — Passo alla considerazione del 2° caso (n° 9). Chiamo per un istante linea t una curva (che può essere riduttibile) trasformata di L senza avere infiniti punti corrispondenti ad uno stesso punto di L, oppure trasformata di una linea (che potrebbe essere essa stessa) a un punto della quale non cor- rispondano ‘infiniti suoi punti, e che, a sua volta, sia le tras- formata per una trasformazione di un punto corrispondente a un punto di L. Il caso che noi qui consideriamo può verificarsi soltanto quando si considerino solo punti A. i quali, da un certo A in poi, appartengano (non accidentalmente) a due linee t, e l’in- tersezione delle trasformate di F;-1 e di ogni Fx corrispondenti a uno qualunque di questi punti passi per tal punto solo con parti cadenti in queste linee (*). Indicherò con O (riservando di apporre a questa lettera e alle seguenti, che ad essa si riferi- scono, apici ed indici) ogni punto A successivo ad A tale che le due linee # per esso abbiano multiplicità < s: una di queste è sempre trasformata del punto O immediatamente precedente. Indico con o queste linee; e ogni trasformata di una di ‘esse (per una trasformazione che non l'abbia come fondamentale) collo stesso simbolo di questa: due punti O successivi stanno sempre su una stessa 0. Dopo che, per convenîenti trasformazioni, si è ottenuto un punto O, si deve applicare in primo luogo una t. q. s., con punto fondamentale in esso: se poi non si ottiene come (1) E perciò è anzitutto necessario che quel punto non sia multiplo per queste linee o per una parte irreduttibile di esse che si potrebbe so- stituir loro. RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 83 trasformata una 0, si deve applicare una successione di t. m. s. fino a trasformare in una o la trasformata di O ottenuta; indi- cherò con v il numero di queste t. m. s.; sarà v= 0 se la tras- formata di O è senz'altro una o. Dimostrerò che, se si suppone il numero dei punti O sufficientemente elevato, da un certo in poi è sempre v=0 cosicchè il caso che qui si considera si . riduce a quello analizzato in A., n° 17. Osservo in primo luogo che il numero dei punti O su una 0 è finito (!). Ciò posto, si fissi una 0, che si consideri come prima (e può essere la prima che si incontra), e si indichi con o: siano 0 e 0', i due ultimi punti O su di essa; sia o' la se- conda o per 0',, e 0°, ..., 0_1= 0’, 05= 0", gli altri suc- cessivi punti O su essa; analogamente sia o” l’altra o per 0",, Molo”, 1= 0", 0”,:=0, gli altri punti 0 su essa;,e Muslimia); (siano poi 0, 03... 0-10", ... le o per 0°, 0's... 0" 0%,... diverse dalle 0 0" ....; Vvviva..Vrau=V rav v i numeri v relativi ai punti O cogli stessi indici e apici; DD, D',... D'i_10'; ®", ... le trasformate di F cui appartengono rispet- tivamente i detti punti 0; p' p', ... i numeri analoghi a p (n° 9) relativi a v' vj ... Infine si indichi con Di la k-ma polare, ri- spetto a ®{, del punto P corrispondente. La multiplicità d’in- tersezione di Dia e dik in 00) è > (vo +1) (s_£). La multiplicità d’intersezione di ®;_1 e ®y in 0 è ATO PESA: quella di ®',.-1e d in 0’, è quindi s(v+1+2e(s—p) e quella di D'a;_1 e Day in 0%, < (v—-v,+3e)(s— p') onde VatbDE-2) = W_v1439t8—p') e Vop, in 0°, è <(vVi+1+26,) (sp); quindi (v'2+1) (8—-p')=(V1+14+2e)(s—-p') v Va svit1. Analogamente, ‘in generale, (B) Vixk+1. La multiplicità d’intersezione di D'y:13-1 € D'u41p in O'yp1 è <[(x+-2)e+(2—x)](s—p') e quella di ®',+25-1 e D'x+2p nei punti generici di 0'x+1 242) e RIE) << S Per 0'x+3 passano adunque due linee 0’ e 0'y+1 nei cui punti ge- nerici la multiplicità d’intersezione delle corrispondenti trasfor- mate di F,_; e Fy è < s— p'. Di qui, proseguendo nel calcolo delle multiplicità d’intersezione, si vede che le v successive a V'u+i sono tutte nulle (ed anche direttamente, che dopo un numero MR n RISOLUZIONE DELLE SINGOLARITÀ PUNTUALI ECC. 85 finito di operazioni non possono più presentarsi punti 0). Nel precedente ragionamento non è escluso che x = 1: allora non esistono punti 0';; è invece escluso che k=? — 1; se però questo caso si verifica, è v=1: così ci riduciamo al caso di v= 1; infine non si sono considerati i casi che v'y41=1 o v',=2: allora si ha (per una relazione precedente) v'; < 1 per jj >k+ 1 o, rispettivamente, > 1 cosicchè il problema si riconduce nel 1° caso a quello v < 1, v, < 1 e nel secondo a questo ovvero a v= 2, vj, < 1; 2° v=1 v,=2. In modo assolutamente analogo al precedente si vede che le v successive sono tutte nulle (e in numero finito); mv 1 vl 2004 v= 0 Vi Con ragionamenti analoghi ai precedenti si giunge agli stessi risultati; avv 1a Lg dl casogsiri duce ad uno degli altri scegliendo come nuovo punto O un con- veniente punto successivo al presente, a meno che ogni i si supponga = 2. Ma in ogni caso si può fare la ricerca diretta se v',=v" e v",=v"",=1. La ricerca e la conclusione sono del tutto analoghe a quelle dei casi precedenti, osservando però che i punti O si succedono ora su differenti rette 0; bi vi 1Lvi 0.) Se sd —=2.s1 passa al caso ei 080 0:90). —d)Sev, vive =0 si passa al casov=0v,=0(7°).—c)Sevi=...=Ve1=0 meloni passa al casov=0 v,=.1.(49).—- dv Vi=0 vVjai=1(9 0) (e, il che può riguardarsi caso particolare di questo, più punti A — in numero finito — sopra L); si può dire che pos- sono essersi presentate diramazioni nella successione dei punti s-pli A. Per ciascuna di queste diramazioni si può ripetere quanto si è detto per una particolare qualunque nei n! prec., e sarà provato che si può abbassare, con un numero finito di opera- zioni, la multiplicità di tutti i punti trasformati di L solo dopo aver osservato che è finito il numero di queste diramazioni: ma ciò è evidente, perchè è certamente finito il numero di quelle cui corrisponde un ramo dell’ intersezione di Fs_; con una Fx, poichè sono in numero finito i rami di queste intersezioni che incontrano L senza appartenerle; e, quanto alle diramazioni per cui si verifichi l’altro caso (e questo si può ripetere anche pel primo), non esistono infinite diramazioni se, a gruppi, non hanno infiniti punti O comuni, e se quindi non può crescere indefini- tamente il numero dei punti O di una (almeno) di esse, il che escludono i precedenti ragionamenti. Noto terminando che la proposizione enunciata nel n° 1° mostra che le particolari trasformazioni usate sono un semplice artificio di ricerca: e che, senza alterare la sostanza delle opera- zioni, si potrà far uso di altre, purchè abbiano determinate linee e determinati punti come fondamentali, con conveniente genera- lità. Si potrà anche ricorrere a trasformazioni non Cremoniane. LV TA TO O TT Pa SL —— -—- ——o —\’\ n n° GIACOMO PONZIO — OSSIDAZIONE DELLE IDRAZOSSIME 87 Ossidazione delle idrazossime; Nota del Dott. GIACOMO PONZIO. In un mio lavoro pubblicato negli Atti di questa Reale Accademia delle Scienze (vol. XXXII), ho dimostrato come per l’azione del tetrossido d’azoto sugli isonitrosochetoni si otten- gano gli acilderivati dei dinitroidrocarburi R.CO.C(N,0,). R. Siccome la fenilidrazina reagendo su tali composti, che pure contengono il gruppo CO, non dà gli idrazoni corrispondenti, così ho tentato di preparare questi ultimi per via indiretta, fa- cendo agire il tetrossido d’azoto sulle idrazossime. La reazione va però in tutt'altro modo: avviene una ossi- dazione e si ottengono sostanze contenenti due atomi di idro- geno in meno delle idrazossime adoperate; le stesse sostanze si ottengono più convenientemente per azione dell’ ossido di mercurio giallo sulle idrazossime. Vista l’importanza dell'argomento descrivo ora, per prender data, le ricerche fatte partendo dalla diacetilidrazossima, ab- benchè esse siano molto incomplete. La sostanza che si ottiene in questo caso è una base avente la formola grezza C,0Hi1 N30. Quale delle formole di costituzione: (0) | CH; C=N-0 CH,— 0=N, | | | NG Hs OLLG-N-NCH, CH, — C=N wi CHj —CT—_- N. | /NCHs CH, = (6) = N sia da accettarsi, spero di poter stabilire colle ricerche che ho in corso. 88 GIACOMO PONZIO Preparazione della base C,,H,, N30 col tetrossido d’azoto. — Gr. 10 di diacetilidrazossima perfettamente secca e -finmamente polverizzata si sciolgono in circa 100° di etere anidro, e dopo aver ben raffreddata la soluzione si aggiungono gr. 4,8 (quan- tità equimolecare) di tetrossido d’azoto. Si osserva tosto uno sviluppo gassoso, ed un aumento di temperatura che si modera con un miscuglio frigorifero, nello stesso tempo il liquido si colora in rosso e si separa una sostanza solida bianca che dopo circa un'ora si può raccogliere su filtro. Questa rappresenta il 10 ° dell’idrazossima adoperata e per le sue proprietà fu rico- nosciuta per nitrato di diazobenzolo. All’etere filtrato si ag- giunge acqua e si distilla (1), si svolge prima biossido di azoto, poi si separano fini aghi giallognoli di un nitroderivato della base fusibili a 232°-33°. Le ultime porzioni dell’etere passano gialle perchè contengono una piccola quantità di diacetile, infatti agitate con una soluzione acquosa di cloridrato di idrossilamina si decolorano e forniscono in tal modo la diossima del diacetile, fusibile a 234° con sublimazione. Eliminato tutto l’etere si ag- giunge ancora altra acqua, si fa bollire per qualche tempo la massa semisolida bruna e dopo raffreddamento si filtra per se- parare il nitroderivato di cui sopra. Il filtrato si estrae ripe- tutamente con etere, la soluzione eterea seccata su cloruro: di calcio e trattata con una corrente di acido cloridrico gassoso fornisce il cloridrato della base. Questo riscaldato a bagno maria si decompone e dà la base libera il cui peso rappresenta il 25 % dell’idrazossima adoperata. Preparazione della base C.o Hi N30 con ossido giallo di mer- curio. — Si sciolgono gr. 10 di idrazossima in circa gr. 100 di cloroformio secco e si scalda a ricadere con gr. 30 di ossido di mercurio giallo, aggiunto in due volte. L’ossidazione co- mincia subito con separazione d’acqua e, quando è completa, cioè dopo 8-10 ore, si distilla il solvente ed il residuo si estrae ripetute volte con acqua bollente, la quale lascia indisciolta una (1) Si potrebbe anche distillare l'etere da solo, ma allora si forme- rebbe molto nitroderivato (circa il 12-15 °/), il quale si forma anche, seb- bene in quantità piccolissima, eliminando l’etere con una corrente d’aria secca. OSSIDAZIONE DELLE IDRAZOSSIME 89 resina. Svaporando poi l’acqua a bagno maria, si ottiene la base che si decolora con carbone animale. Il rendimento in questo caso è del 75 °/ dell’idrazossima impiegata. La base C.0H;j N30 cristallizza dagli eteri di petrolio, dove è discretamente solubile a caldo e pochissimo a freddo, in splen- didi aghi giallognoli, lunghi talora parecchi centimetri, e fusi- bili a 920-930. I. Gr. 0,2600 di sostanza fornirono gr. 0,6037 di anidride carbonica e gr. 0,1412 di acqua. II. Gr. 0,1948 di sostanza fornirono cc. 38 di azoto (Ho= 743,16, t= 15°), ossia gr. 0,043793. Cioè su cento parti trovato calcolato per CioHiN30 I II Carbonio 63,40 — 63,50 Idrogeno 6,03 - , 9,92 Azoto — 22,48 22,22 La sua grandezza molecolare determinata col metodo ebul- liscopico, impiegando come solvente l’etere, corrisponde alla for- mola semplice: Sostanza Concentrazione Innalzamento Peso molecolare trovato calce. per CioHuN30 Gr. 0,4576 1,10 00,126 185,1 189 È solubile a freddo in tutti i solventi organici ed anche un po’ nell’acqua. Ha debolissimo carattere basico: sciolta in etere anidro e trattata con acido cloridrico gassoso separa un cloridrato fusi- bile verso 120° con decomposizione. Questo è solubilissimo nel- l’acqua, dalla quale però è rapidamente decomposto con sepa- razione della base; in ambiente secco perde lentamente acido cloridrico. Varie analisi dimostrano che esso ha la formola CioHi11N30.HCI e che quindi la base è monoacida (trovato C1= 14,88; 14,92, calcolato C1 = 15,73 %o). La base non reagisce nè con fenilidrazina, nè con anidride 90 GIACOMO PONZIO acetica, nè con ioduro di metile; invece fornisce molto facil- mente con acido nitrico un nitroderivato e con permanganato potassico un acido monocarbonico. È ridotta molto facilmente in soluzione alcoolica dall’idro- geno nascente (zinco ed acido cloridrico), trasformandosi in dimetilfenilosotriazolo, (CH3) (Ca N3).CHs, cristallizzabile dal- l’aleool acquoso in prismetti bianchi, di odore basico e fusibili a 349-359. I. Gr. 0,2193 di sostanza fornirono gr. 0,5577 di ani- dride carbonica e gr. 0,1321 di acqua. II. Gr. 0,1677 di sostanza fornirono ce. 34,7 di azoto (Ho = 748,28, t= 16°) ossia gr. 0,0403544. Cioè su cento parti: ‘trovato calcolato per CioHyN; 1 i II Carbonio 69,36 — 69,36 Idrogeno 6,69 - 6,35 Azoto — 24,05 24,27 Per confermare che si tratta realmente del dimetilfeniloso- triazolo, ne ho fatto il dinitroderivato secondo le indicazioni di Pechmann (1) ed ho trovato che si fonde precisamente a 139°. In questa occasione ho potuto anche notare che il dimetil- fenilosotriazolo si nitra molto facilmente già coll’ acido nitrico commerciale (d = 1,37); infatti basta scaldare leggermente perchè tosto si separi una sostanza solida, che raccolta e cri- stallizzata dall'alcool (dove è pochissimo solubile a caldo e quasi affatto a freddo) si presenta in finissimi aghetti giallo- gnoli, fusibili a 227° con sublimazione. Essa non è altro che il mononitrodimetilfenilosotriazolo (CH), (Cs N3). C Hi. N03. I. Gr. 0,1469 di sostanza fornirono gr. 0,2966 di ani- dride carbonica e gr. 0,0615 di acqua. II. Gr. 0,2198 di sostanza fornirono cc. 51 di azoto (H)= 738,72, t= 23°), ossia gr. 0,056417. (1) “ Annalen ,, 1891, 262, 307. : i ‘ «°° alte OSSIDAZIONE DELLE IDRAZOSSIME 91 Cioè su cento parti: trovato calcolato per CioHioNy0s agri urta Carbonio 55,06 — 55,04 Idrogeno 4,65 — 4,58 Azoto — 25,66 25,68 Questo mononitroderivato è pure quasi insolubile negli or- dinari solventi organici, ed è identico col nitroderivato del dimetilfenilosotriazolo preparato da Pechmann con acidi nitrico e solforico a caldo e da lui ritenuto come un trinitroderivato (1). La base C,0Hi;} N30 forma pure facilmente un dromode- rivato C,0Hxo N30 Br, che si ottiene per azione dell’acqua di bromo e scaldando leggermente. Esso cristallizza dall’ alcool acquoso in aghi leggierissimi, appena giallognoli e fusibili a 152°-59°. Gr. 0,1885 di sostanza fornirono gr. 0,1543 di bromuro d’argento. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CioHioN30 Br —————-PP ——___T—t____— Bromo 34,80 34,77 È solubilissimo nell’acetone, benzina ed etere, pochissimo a freddo nell’acqua e nella ligroina. Ridotto con zinco ed acido cloridrico in soluzione alcoolica dà un bromodimetilfenilosotriazolo, che cristallizza dall'alcool in prismetti bianchi, fusibili a 109°-110°, Gr. 0,2001 di sostanza fornirono gr. 0,1473 di bromuro di argento. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CioHioN3Br — = _——_ _—"t°t°°r_PYPP Bromo 31,94 31,73 (1) “ Annalen ,, 1891, 262, 307. 92 GIACOMO PONZIO Quest'ultimo si forma pure per azione diretta dell’acqua di bromo sul dimetilfenilosotriazolo, si scioglie a caldo negli eteri di petrolio e nell’acqua, ed a freddo in tutti gli altri sol- venti organici. È volatile col vapore ed in esso il bromo, come nel bro- moderivato della base CioHa N30, è probabilmente attaccato al fenile. Nitroderivato della base C,.)Hx1 N30. Si forma sciogliendo la base in acido nitrico concentrato. Cristallizzato dall’ alcool, dove è poco solubile a caldo e pochissimo a freddo, si ha in finissimi aghi giallognoli fusibili a 232°-33°. I. Gr. 0,2723 di sostanza fornirono gr. 0,5148 di anidride carbonica e gr. 0,1117 di acqua. II. Gr. 0,1898 di sostanza fornirono cc. 39,2 di azoto (Ho = 749,28, t= 14°), ossia gr. 0,045637. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CioHioN4Os 1 II Carbonio 51,56 — 51,28 Idrogeno 4,55 _ 4,23 Azoto — 24,04 23,93 È insolubile a freddo nell'acqua e negli eteri di petrolio, poco solubile nell’acetone e nella benzina, molto nel cloroformio. Dimetilamidofenilosotriazolo (CH3)3(C, N3)CHy.NHo. Si ot- tiene riducendo con zinco ed acido cloridrico il nitroderivato della base C,0Hjj N30 sospeso in alcool, e cristallizza dall’alcool acquoso in prismetti leggermente colorati, fusibili a 123°-24°. È poco solubile a freddo in acqua, benzina e ligroina; solubi- lissimo negli altri solventi organici. Il cloridrato (CH3)(C, N3) (H4NH,.HCI, ottenuto trattan- done la soluzione eterea con acido cloridrico gassoso è una sostanza bianca, solubilissima nell’alcool, non deliquescente e che si decompone verso 240°. Gr. 0,4020 di sostanza fornirono gr. 0,2573 di cloruro di argento. OSSIDAZIONE DELLE IDRAZOSSIME 93 Cioè su cento parti: trovato calcolato per CiHi3N,C1 —TT'-.—r— rm _=e...->m'-'rr Cloro 15,50 15,81 L’acetilderivato (CH3):(C.N3)CH4.NH(C,H30) si ottiene con una reazione abbastanza energica mescolando l’ amidoderi- vato colla quantità teorica di anidride acetica e cristallizza dal- l’alcool in splendidi aghi fusibili a 189° e contenenti una mole- cola di solvente, che perdono nel vuoto dopo 3 o 4 giorni, e dopo qualche ora a 100°. I. Gr. 0,2740 di sostanza, seccata a 100°, fornirono gr. 0,6302 di anidride carbonica e gr. 0,1560 di acqua. II. Gr. 0,1820 di sostanza, seccata a 100°, fornirono ce. 38,2 di azoto (Ho = 754,03, t = 16°), ossia gr. 0,044471. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CisHyN,0 I II Carbonio 62,72 — 62,60 Idrogeno 6,32 — 6,08 Azoto — 24,37 24,34 È insolubile nell’acqua e negli eteri di petrolio, poco so- lubile nella benzina, solubile invece negli altri solventi organici. Acido monocarbonico C$ Hg N30.CO; H. Si ottiene sciogliendo gr. 2 di base C,oH;; N30 in acqua, ed aggiungendo a poco a poco gr. 100 di soluzione di permanganato potassico al 5 °/o. La reazione si compie scaldando a bagno maria; quando è com- pleta si decolora il liquido con acido solforoso e si estrae con etere l’acido monocarbonico, il quale cristallizzato dalla ligroina, ovvero dall’alcool, dove è abbastanza solubile a caldo e poco a freddo, si presenta in finissimi aghi bianchi fusibili a 93°. I. Gr. 0,1949 di sostanza fornirono gr. 0,3914 di ani- dride carbonica e gr. 0,0766 di acqua. II. Gr. 0,2452 di sostanza fornirono ce. 40,7 di azoto (Ho = 742,17, t= 16°), ossia gr. 0,046628. 94 GIACOMO PONZIO Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,;HgN303 I II Carbonio 54,76 — 54,79 Idrogeno 4,37 — 4,10 Azoto — 19,01 19,17 E un po’ solubile in acqua, solubilissimo in etere, cloro- formio ed acetone. Per arrivare all’omologo superiore C,;} Hj3 N30 della base ora descritta, ho dovuto preparare dapprima la B, a-acetilpropionilidrazossima CHz.C(N3HC;H5).C(NOH).C,Hs, la quale non era ancora conosciuta. Questa si ottiene semplice- mente facendo reagire in soluzione alcoolica quantità equimo- lecolari di isonitrosometilpropilchetone e fenilidrazina, e cri- stallizza dall'alcool acquoso in finissimi aghi appena colorati in giallognolo, fusibili a 132°-33°. Gr. 0,1313 di sostanza fornirono ce. 23 di azoto (Ho = 744,92, t=15°) ossia gr. 0,026550. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C,HyN30 —— —T—— -_— _ oT_T_P Azoto 20,23 20,48 Questa idrazossima dà la reazione di Pechmann con acido solforico e cloruro ferrico, è insolubile in acqua ed in eteri di petrolio, solubile in alcool, etere e benzina. Sciolta in cloroformio e scaldata per varie ore con ossido di mercurio giallo fornisce la base C,1H,3 N30 la quale è liquida anche a temperature inferiori allo zero. Non distilla inalterata neanche a bassa pressione, forma un cloridrato insolubile nel- l’etere, ma decomponibile coll’acqua. L’acido nitrico la trasforma OSSIDAZIONE DELLE IDRAZOSSIME 95 facilmente in un nitroderivato C,;H;3N,0; che cristallizza dal- l'alcool, dove è poco solubile a caldo e discretamente a freddo, in laminette giallognole, fusibili a 151°-52°. Gr. 0,1106 di sostanza fornirono cc. 21,3 di azoto (Ho,=747,16, t= 15°), ossia gr. 0,024661. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CiHigNyOz > — rr Azoto 22,29 22,58 Torino. Laboratorio di Chimica generale della R. Università. Dicembre 1897. L’ Accademico Segretario AnpREA NACCARI. 96 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 12 Dicembre 1897. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarertA Direttore della Classe, Peyron, Rossi, MANNO, BoLLATI DI SAINT PIERRE, PEZZI, COGNETTI pe MartIs, CipoLLa, Brusa, PERRERO e NANI, Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta. Il Presidente annuncia che il Socio CrroLLa ha assunto l’in- carico, affidatogli dalla Presidenza, di commemorare il defunto Socio nazionale non residente Abate D. Luigi Tosti. Vengono, a nome dei rispettivi autori, presentate le se- guenti pubblicazioni: 1° Dal Socio Manno, il 2° vol. degli Studiî storici sul Contado di Savoia e Marchesato in Italia (Torino, 1897), del conte C. Alberto pe GeERBAIX-SonNAZ, nonchè La Ville de Nice pendant le premier siècle de la domination des Princes de Savoie (Turin, 1898), del conte E. Cars pr PrerLas. Il Socio Manno brevemente discorre dell'importanza e dei pregi di ciascuna di queste due opere. 2° Dal Socio CoeneTTI De MaRrTnS, Il prezzo ed il com- mercio degli olii d’oliva di Gallipoli e di Bari (Trani, 1897), del- 97 l’avv. prof. Carlo Massa. Il Socio CoeneTTI dà un cenno som- © mario del contenuto di questo lavoro. 8° Dal Socio Segretario della Classe: a) due volumi del Socio Coenerti pe MartIS, / due sistemi della politica commer- ciale (Torino, 1896-97); 2) tre opere del Socio corrispondente Can. Ulisse CuevaLIER: Le chanoine Albanés, Bio-bibliographie (Romans, 1897); Actes anciens et documents concernant le bien- heureux Urbain V Pape (Paris, 1897); Repertorium hymnologicum (Louvain, 1894); c) Die Geld-Verrichtungen, del sig. J. HucKE (Berlin, 1897). Il Presidente dà comunicazione del telegramma di felici- tazione da lui spedito, a nome dell’Accademia, al Socio stra- niero T. Mommsen, in occasione del compimento del suo 80° anno, insieme colla lettera di ringraziamento ricevutane. Quindi il Socio CLARETTA presenta e legge una nota del marchese Stanislao CorpERO DI PAMPARATO, intitolata: Il matri- monio del Duca Vittorio Amedeo III di Savoia coll’Infanta Maria Antonia Ferdinanda di Spagna. Detta nota verrà inserita negli Atti. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 9 # 98 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO LETTURE II matrimonio del Duca Vittorio Amedeo III di Savoia coll’ Infanta Maria Antonia Ferdinanda di Spagna; Nota di STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO. Gli screzii e le inimicizie, che durante il regno di Filippo V erano state cagione che venissero affatto interrotte le relazioni diplomatiche fra le corti di Spagna e di Sardegna, avevano ces- sato di sussistere allora appunto quando (1746) Ferdinando VI era salito al trono. Le vicende della guerra che si combatteva per la successione al trono d’Austria, se avevano ritardato la ripresa delle buone relazioni fra le due dinastie, non erano state d’ostacolo a che il Re cattolico, prima ancora del trat- tato d’Aquisgrana, si fosse dimostrato nutrire ferma intenzione di vivere nel miglior accordo possibile con Carlo Emanuele III suo zio e di voler ristringere i vincoli di parentela mercè il matrimonio dell’Infanta Maria Antonia Ferdinanda col Duca Vit- torio Amedeo di Savoia. Già erano state intavolate in modo più o meno ufficioso varie trattative, le quali se dalla parte della Corte di Madrid male dissimulavano il vivissimo desiderio di giungere a favorevole conclusione, dall’altra invece, benchè ac- carezzate con grande compiacenza, non avevano ottenuto alcun pratico risultato. Infatti nel giugno dell’anno 1748 il conte Borrè de la Cha- vanne, ministro sardo alla corte d’Olanda e plenipotenziario al Congresso d’Aquisgrana, riferiva come il Marchese di Sotto- Major, rappresentante del Re di Spagna, avesse destramente fatto cenno del matrimonio, dichiarando però di parlare non in nome della sua Corte, cui non s’addiceva prendere alcuna ini- ziativa, ma in proprio. Sforzavasi poi di dimostrare i grandi van- taggi che sarebbero venuti alle due dinastie contraenti per ——_nme- — e pP_uep Si CEI e e = uni i IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, ECC. 99 mezzo di un eventuale trattato, che, qual logica conseguenza del matrimonio, avrebbe potuto reciprocamente tutelare contro sorprese possibili per parte di Vienna e il re Carlo Emanuele e l’Infante D. Filippo, cui era stato destinato il Ducato di Parma. Pochi giorni dopo, e questa volta in modo ufficiale, lo stesso ministro del Re cattolico era tornato sull’argomento, ed aveva comunicato una lettera del Marchese della Ensenada, già intendente dell'esercito di Don Filippo ed ora ministro per la guerra, marina e finanze, colla quale s’ordinava relativamente a quelle trattative che franchissant toute ceréemonie se ne facesse al conte della Chavanne l’ouverture tellement claire, qu'il devoit expressement me dire que ce seroît pour S. M. son plaisir inexpri- mable de pouvoir réunir les deux maisons pour un nouveau lien; celle de son auguste mère lui étant toujours fort chère par son effet de Vestime et de la vénération qu'il lui conservoit, et il sou- haitoit beaucoup pouvoir donner des preuves réelles et de pratiquer à son oncle, comme il le feroit certainement dans toutes les oc- casions qui sen presenteroient favorables: eternellement determiné à lui donner des temoignages de bonne volonté, désirant beaucoup aussi que tous ses frères entrent dans son amitié et dans son al- liance, chose qu'il espère avoir lieu en effet. Et qu'enfin il devoit me dire que je pouvois donner avis de tout ce que dessus à V. M. Si diceva ancora nella stessa lettera di tacher d’exécuter cet ordre le plus tot possible et d’en rendre compte sans le moindre retardement, le roi ayant extrémement à coeur cette affaire (1). La risposta a questa comunicazione non si faceva troppo attendere da Torino, ed era la seguente: premessi complimenti e proteste d'amicizia e la dichiarazione di nutrire vivissimo de- siderio di poter entrare in corrispondenza col Re cattolico e di-.vivere con lui in perfetto accordo, si dichiarava di non volere assumere impegni relativamente al matrimonio del Duca di Savoia, prima che il trattato di pace non fosse concluso per vedere come in esso sarebbero trattati gl’ interessi dello Stato Sardo. Vous pouvez ajouter comme de votre chef, soggiungeva il Re nel suo dispaccio, que vous étes porté à croire que le choix que nous ferons d'une princesse dépendra beaucoup du plus ou du (1) Arch. di Stato di Torino, negoziazioni con Austria, mazzo 6° d’add. Lettere del Conte della Chavanne. 100 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO moins que nous verrons que les Cours qui en ont à marier seront dispostes à contribuer à nos avantages et à nos convenances (1). Contemporaneamente lo stesso Marchese della‘ Ensenada tentava giungere allo stesso risultato per altra via, servendosi cioè dell’opera del conte Antonio Gioseffo della Torre di Rez- zonico. Costui, Milanese di nascita e nipote del Cardinale Gui- dobono Cavalchini, era in origine ufficiale nelle truppe imperiali; ma, essendo incorso nella disgrazia della sua Sovrana, era pas- sato a servire nell’esercito spagnuolo, nelle cui file aveva mi- litato durante l’ ultima guerra. Egli si rivolgeva al Barone di Carpenè già ministro a Madrid chiedendo un salvocondotto (che gli veniva negato) per entrare nei dominii del Re di Sardegna, affine di sbrigare alcuni incarichi, che diceva tenere dal suo monarca e di tutta soddisfazione di Carlo Emanuele III Per mezzo del Car- dinale Cavalchini faceva in seguito esporre al Marchese del Carretto di Gorzegno, che, dopo la morte del Marchese d’Ormea, occupava la carica di Ministro per gli affari esterni, come scopo della sua commissione, fosse di esporre a S. M. Sarda il comune desiderio dei Reali di Spagna di collocare in matrimonio col Duca di Savoia. S. A. R. l’Infante Maria Antonia, assicurando che tanta era la brama di quei principi di vedere effettuate tali nozze, che verrebbero accordate tutte le desiderabili convenienze. Ma anche l’intromissione del porporato non riusciva ad otte- nere pel Rezzonico, che si vantava d’avere aderenze ed appoggi di molta importanza, il desiderato salvocondotto. Ond'egli si ri- volse direttamente al Marchese di Gorzegno, e dopo aver ma- gnificate le virtù della principessa e la sua dote cospicua, credette bene soggiungere: Per ora le basti sapere che quando sono partito da Aranjuez, le ultime parole dettemi dal padre Ravago, confessore del Re, furono queste: El marques de la Ensenada me ha dicho de assigurarte que si azes algo en esto assumpto has gaîiado mas que in veinte aio de servicio. Ma neppure questa volta al Rezzonico era concessa la soddisfazione di vedere ap- pagato il suo desiderio e di poter compiere la sua missione; e ciò specialmente per due ragioni. La Corte di Torino, messa in sospetto dalle mene di questo ufficiale spagnuolo, per vie indirette faceva interpellare Don Giuseppe de Caravajal y Lan- (1) Arch. di Stato di Torino, lettere Ministri. Olanda ad ann. 1748. 1 E I TI E e I iS ORE POI O E CI renzo € CR e Tn Io IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, ECC. 101 caster Ministro per le relazioni esterne a Madrid, e questi in termini piuttosto risentiti sconfessava l’opera del Conte milanese, forsanche perchè il progetto aveva naufragato. Intanto però D. Emanuele de Sada, che già ambasciatore a Torino ed ora intermediario in questa faccenda, si trovava a Chamberì al se- guito di D. Filippo, inculcava di essere in certo qual modo in- caricato ufficiosamente di fare proposte concrete in tal materia. L'altro motivo che contribuì a far naufragare il tentativo del: Rezzonico, vuolsi ricercare in un biglietto da lui annesso alla già accennata lettera scritta al gran Cancelliere di Sardegna e che dovette senza dubbio strappare al Marchese di Gorzegno, la cui onestà ed integrità erano a tutta prova, un fremito di sdegno. Tal documento, troppo curioso ed importante, sì da meritare d’esser qui riprodotto, diceva: Ho l'arbitrio da più d’una Reale persona di esibire una rag- guardevolissima somma di contanti a quel ministro che farà suc- cedere il consaputo matrimonio. Per questo punto, supponeva che la lettera originale del March. F..... che V. E. avrà avuta (anzi so aver avuta e rimandata al Cardinale mio zio) le ne desse già qualche lume, ma come tali cose si debbono porre in chiaro prima di sentire la minore disposizione di accettarla? Per provare quanto ho l’onore di dire a V. E. io le farò leggere gli originali dei bi- glietti dei Sovrani, li di cui caratteri saranno ben noti a V. E., le lettere del March. Scotti, Fogliani e P. Ravago. Il denaro è a negocio fatto ed io non ho stretta la mano a mille pezze più 0 meno e siccome stimo che vi sarebbe tutto il vantaggio di S. M. Sarda, così mi lusingo che anche col tacito consenso di S. M., V. E. po- trebbe accettare il regalo. Vegga, Ecc." padrone, se per tanto in- teresse che mi prendo a favore di S. M. Sarda mi si nieghi Vac- cesso 0 per meglio dire il transito per i suoi stati, mentre, avanti Dio, credo che nè la Spagna nè S. M. Sarda possino fare il mi- gliore negozio. Dirò all’E. V. che quando non fossimo nel caso di discorrere p??sentemente di questo affare proporrò altre cose, mentre ritorno a Madrid a prendere dall’Infante Cardinale la Croce di San Jago (1). Ma il Rezzonico non era uomo da smarrirsi d’animo; anzi dall’ insuccesso sembra traesse nuova lena per porre mano a (1) Lettere del Conte Rezzonico, Arch. di Stato, negoziazioni con Austria. 102 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO nuovi intrighi. Mentre nel dicembre dell’anno 1748 e suc- cessivo gennaio sedeva in Nizza il Congresso chiamato a chiarire e definire alcuni punti del trattato di Aquisgrana, egli si presentò al Marchese Solaro di Breglio, Delegato del Re Carlo Emanuele ed aio e governatore del Duca Vittorio Amedeo, e ricominciò a sciorinare il solito progetto, i van- taggi che sarebbero derivati da tale unione, senza dimen- ticare la famosa offerta del vistoso regalo per parte della Regina madre e del Re di Napoli. Al plenipotenziario piemon- tese non erano ignote le vicende di queste trattative; aveva di più avuto modo di persuadersi che, sconfessato in apparenza, il Rezzonico agiva per ordine del suo governo e più che altro mirava a scoprire le idee che si avevano a Torino a tal pro- posito. Si limitò quindi a dichiarare che tali negozi si potevano con miglior frutto trattare a relazioni stabilite definitivamente fra le due Corti; per conto suo non avere istruzioni in propo- sito, e con tutto il rispetto dovuto alla maestà della Regina madre e del Re di Napoli, egli altro non cercava che l’inte- resse del suo Sovrano. Non mancava poi di osservare, come potesse apparire per lo meno assai strano, che a Madrid tanto si desiderasse il matrimonio e tanto se ne parlasse, mentre appunto una parte dei dominii dello sposo era angariata ed op- pressa dalle truppe spagnuole (1). Conviene notare come la posizione del Delegato sardo al Congresso di Nizza fosse assai curiosa. Appena il Maresciallo di Bellisle, rappresentante il Re cristianissimo, aveva potuto congetturare che la Corte di Torino non aveva impegni di sorta per dar moglie al principe ereditario, non aveva mancato di far sentire al Marchese di Breglio ed al Conte di Roubion, come a Parigi si sarebbe veduta volentieri l’unione del Duca di Savoia con una principessa di Francia. Pochi giorni dopo il Conte Mura- tori, ministro di Modena, aveva detto chiaramente (ed il Marchese di Breglio sospettava non senza fondamento, per inspi- razione avuta), che le idee di Francia erano di dare la Toscana all’Infante Don Filippo di Parma, ed al Re di Sardegna il Ducato di Milano, quale compenso dell’ unione desiderata fra le due (1) Arch. di Stato, negoziazioni con Austria, mazzo 8° d’add. E I RITATTA 9. | IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, Ecc. 103 dinastie mercò di questo matrimonio. È vero che già a questo proposito s'erano intavolate trattative, non però molto aperta- mente, sino dai tempi in cui il Champeaux era stato mandato per ben due volte a Torino per indurre Carlo Emanuele III a staccarsi dai suoi alleati ed accostarsi a Francia. In tale cir- costanza erasi pure ventilato il progetto di far sposare al Del- fino una principessa di Savoia, e già a Parigi se ne discorreva con una certa insistenza, tanto che il Conte di Mongardino, in- | caricato di fungere da ambasciatore presso il Re Cristianissimo, si era creduto in dovere di informarne il Marchese di Gorzegno, perchè ne riferisse al Re. Questi non sarebbe forse stato alieno dal concedere il suo assenso a tal unione, ma assolutamente si rifiutava a comperare la satisfaction de cette alliance par un sa- crifice du véritable et solide intérét de son état (1). Onde, dopo aver fatto comprendere di non ambire affatto la parte di me- diatore fra le potenze contendenti, che, forse per adescarlo, gli si voleva conferire da Francia, incaricava il già detto Conte di Mongardino di partecipare al Ministro del Cristianissimo che, sebbene lietissimo di ristringere i già esistenti vincoli di paren- tela, non avrebbe mai acconsentito a tradire gl’interessi del suo Stato, nè tampoco sarebbe venuto meno agli impegni contratti coi suoi alleati. Circa alle trattative di pace, dichiarava di non intendere affatto di partecipare a congressi, se non col concorso di coloro, coi quali aveva fatto causa comune durante la cam- pagna (2). Naturalmente a Parigi, ove per non pochi segni sembrava si volesse giuocare a partita doppia, queste franche e recise osservazioni non potevano tornare accette, e quindi del matri- monio non s’ebbe più a parlare. Anzi si giunse persino ad insi- nuare al re, che Carlo Emanuele fosse nemico acerrimo di Francia. Ben a ragione adunque poteva il Marchese di Gorzegno scrivere che si sarebbero ingannati coloro i quali avessero creduto che pour prouver manifestement le contraire S. M. pit se résoudre à manquer aux engagements pris avec ses alliés ou à sacrifier les véritables intéréts de son état. E più tardi: On a tant parlé de ce (1) Arch. di Stato, lett. Ministri Francia, anno 1746. (2) Lettere Ministri Francia. 104 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO mariage dans la seule vue de nous porter insensiblement è laisser appercevoîr des idées contraires à nos intéréts et à nos engage- ments. Nous avons pourtant la satisfaction de n'en avoir fait con- naître aucune de cette nature (1). Nel Giugno dell’anno 1748 la voce di tal matrimonio era tornata a circolare insistente sì a Parigi che a Torino: onde l’Agente diplomatico stimava darne avviso al Marchese di Gor- zegno, narrando come anche la stessa Madama di Ponipadour ne avesse tenuto discorso colla Principessa di Carignano. Strana combinazione! a lei pure si era rivolto l’ Ambasciatore di Spagna Barone de la Cerda, onde facesse buoni uffizi presso Carlo Ema- nuele per indurlo a scegliere invece l’Infanta. Ma il Re di Sardegna, oltre alla ragione politica, cercava in colei, che doveva andar sposa a suo figlio, anche quelle doti morali che tanto giovano alla felicità della famiglia. Incaricava pertanto il Conte di Mongardino di raccogliere e trasmettere tutte le informazioni che gli fosse stato possibile avere sì dal lato della salute, che dall’aspetto, inclinazioni e costumi delle Principesse Francesi e dell’Infanta stessa (2). Il marchese di Breglio stava in guardia dal lato di Parigi anche per il fatto che l’idea prevalente era di annettersi la tanta agognata Savoia e ridurre il Piemonte in condizione di strin- gersi indissolubilmente alla Francia e di temer che il Re di Sar- degna, volgendosi a Spagna per dare una sposa a suo figlio, venga a stringere con questa potenza e coll’Inghilterra un accordo che valga ad intralciare 0 frustrare certe mire sull'Italia. E su questo punto la Corte di Vienna si lasciava trascinare dalla diplomazia di Luigi XV; si parlava anzi con una certa insistenza del futuro matrimonio di un Arciduca, al quale si faceva balenare il mi- raggio dell’ elezione a re dei Romani, con una principessa di Francia (3). Il Conte di Brown, Delegato imperiale, aveva anch’ esso tenuto parola al Marchese di Breglio in favore di un’Arcidu- chessa, ma il Governatore dello sposo tanto ricercato aveva (1) Lettere Ministri Francia. (2) Cfr. lettere Ministri Francia, anno 1748. (3) Arch. di Stato, negoziazioni con Austria. È IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, ECC. 105 risposto che Monseigneur n’étoit pas pressé, e che pensava più ad andare a caccia che a prender moglie. Di ripicco l’ Austriaco aveva soggiunto che, quando il momento di dar moglie al Duca fosse venuto, era da desiderarsi fosse stata prescelta una Arciduchessa. Al che il Marchese di Breglio aveva risposto esser noto l'attaccamento del Re di Sardegna e della sua Corte per la Casa d'Austria; però v'era luogo a temere che l’Arcidu- chessa primogenita, fosse troppo giovane. Je vois, concludeva il Delegato piemontese nel suo dispaccio al Re, qu'il me seroit aisé de trouver trois femmes pour S. A. R.; je voudrois bien qu'il me fit aussi facile d’avoir trois maris pour Mesdames. Terzo finalmente, se non fra cotanto senno, fra tanti insi- stenti, era, manco a dirlo, il Marchese di La-Mina, ambasciatore spagnuolo, il quale spesso e volentieri avviava il discorso sul solito tema. Un giorno, passeggiando col Marchese di Breglio sui bastioni di Nizza, era uscito in queste parole, stringendogli forte la mano: Amigo, se la vostra Corte lo vuole, saremo buoni parenti, buoni amici, e buoni alleati. Un’ altra volta, in occa- sione che i due plenipotenziarii si erano abboccati per stabilire accordi circa il passaggio pel Piemonte degli Infanti di Parma, che dalla Francia si dirigevano ai loro dominii, era tornato sull'argomento, e sorridendo aveva detto al Solaro di Breglio: Onde quieren ir che mas valga? (il che tradotto, in poche parole voleva significare: Dove troverete voi pel Duca di Savoia una sposa migliore dell’Infanta?); e questi accomiatan- dosi, rispondeva di comprendere benissimo sì il senso letterale come l’ allegorico della frase spagnuola. E, pregato, rendeva conto esattissimo di questa conversazione, segnalando ancora come lo stesso Marchese La Mina una sera in cui si trovava solo con alcuni vfficiali spagnuoli, al Governatore di Nizza, generale Chevallos, che aveva esclamato: bisogna sposare l’Infanta in Piemonte; avesse risposto: la pace sta per essere conclusa; e di norma viene sempre seguita da matrimonii; attendiamo dunque di vedere quello che succederà. Di fronte a tante e sì replicate profferte, era naturale che Carlo Emanuele III, per evitare mentre duravano le trattative, i cavilli ed i risentimenti delle Corti posposte, si volesse man- tenere nel più stretto riserbo, ed in questo senso dettasse le istruzioni, che si trasmettevano a colui che in Nizza era fatto Pd 106 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO segno a tante premurose offerte (1); benchè in cuor suo incli- nasse già da tempo per l’Infanta di Spagna. Sino dall'anno 1747 infatti il Conte Conziè de la Charmette mandava, richiesto, segrete e minutissime informazioni sulla Corte di Spagna e sulle condizioni politiche di quel regno. Nel dicembre dell’anno 1748 il Marchese di Breglio spediva da Nizza un messo a Madrid, che procurasse di scoprire quali fossero in realtà le condizioni sanitarie della Regina regnante, tormentata secondo gli uni da una eccessiva pinguedine, che inspirava il timore di conseguenze letali, e secondo gli altri da tumori al fegato, non che sulle qualità dell’ Infanta stessa. Per eseguire questa incumbenza, il messaggiero aveva ricevuto una lettera commendatizia per Gaetano Pompeo Basteris, detto Perini, Bolo- gnese, virtuoso di camera e cappella del Re di Sardegna, e nella sua qualità di tenore, impegnato al Teatro d’Opera della capitale di Spagna. Questo inviato, di cui non sapresti trovare il nome, fingendosi ammalato, aveva chiesto le cure del medico di Corte Don Vincenzo Montagna, Veneziano di nascita, il quale messo sul discorso, confermava pienamente le informazioni che già si erano raccolte per mezzo del citato musico Basteris, in- torno alla salute della Regina. Circa all’Infanta poi, assicurava essere di buona costituzione, e se mai ella si fosse maritata e fosse andata in un paese dove Varia non fosse così sottile come quella di Madrid, si sarebbe ingrassata e diventata una donna proporzionata, cioè nè troppo grassa, nè troppo magra: per far figliuoli è andalosa e tanto basta. Rispetto alle doti fisiche e mo- rali della giovane principessa, si scriveva: Za medesima è di sta- tura mediocre, di corporatura delicata, di colore bruno bensì, ma chiaro ed un poco colorito. Ha due occhi neri e ben aperti; la bocca ed il naso proporzionati alla faccia, la quale è di circon- ferenza piuttosto ovata che rotonda; ha il collo un poco lungo e sottile, il petto e le spalle ben proporzionate al suo corpo..... La sua fisonomia è sostenuta, ma con tutto ciò si conosce un'aria di (1) “ Que si les ruses devenant inutiles on venoit vous parler ouver- “ tement du mariage en question vous avez tojours la défaite. Que quoique “ nous ayons bien à coeur l’établissement de notre fils, nous avons cependant “ bien résolu de ne point nous en occuper jusqu’è ce que nous ne voyons “ tout è fait la paix affermée , (Il Re al March. di Breglio, 8 genn. 1749). > cd IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, Ecc. 107 bontà. Ella, secondo le notizie avute, è affabile e graziosa, d’un umore eguale, spiritosa, riservata nel suo discorso, insomma docile in tutto, canta a meraviglia e di buona sanità e robustezza (1). Intanto i lavori del Congresso erano giunti al termine; i plenipotenziarii stavano disponendosi a lasciare Nizza e far ri- torno alle loro Corti, e con ciò volgeva al suo fine anche il | periodo di completo riserbo imposto ed osservato serupolo- samente dal Marchese di Breglio. Pure non sembrava inu- tile al delegato del re Carlo di tirar bene le cose al sodo, per essere in grado di illuminare il Sovrano, allorquando fosse a Torino. Onde, trovandosi una mattina in conferenza col ministro Spagnuolo, fece destramente cadere la conversazione sul ben noto argomento, e dichiarò di pensare come male s’addicesse al loro carattere ed alla loro età il seguire una linea di con- dotta, che potesse lasciare insoluti per equivoco, o per man- canza di spiegazioni certi argomenti. Per la qual cosa egli credeva suo preciso dovere di affermare come, all’ infuori dei negozi relativi alla pace, non avesse assolutamente altra ma- niera di mandato. Il Marchese di La-Mina allora lo accertò di trovarsi esso pure in identica condizione e le sue parole, checchè se ne dubitasse, erano unicamente inspirate ad un’idea del tutto personale. Egli si rendeva esatto conto della delicatezza della situazione, e, quantunque potesse assicurare che quanto alla persona dell’Infanta non vi fossero confronti possibili, era per- suaso che la Spagna non avrebbe certo potuto offrire i van- taggi di Francia. Però, allorquando si era trattato del. matri- monio dell’ Infante Don Carlo, l’ attuale re di Napoli, questo principe aveva dichiarato solennemente di preferire il celibato all'unione con una principessa di sangue francese. Ritornando poi a parlare della Infanta Maria Antonia aveva soggiunto: Vous devez considérer deux choses qui se pratiquent dans les maisons particulières et à plus forte raison dans celles des sou- verains, la première quon n’offre point une fille, et la seconde quon ne veut point étre le pis aller. Siccome a tali parole il Marchese di Breglio aveva espresso la sua meraviglia: Je m'ex- plique, rispondeva, c'est que si vous entriez en négociations là (1) Arch. di Stato, Storia della Real Casa. Matrimoni, mazzo 43, 3°. 108 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO dessus avec la France, et qu'elle ne réussit pas nous ne vous don- nerions pas alors l’Infante. Tutte queste pratiche, cui bisogna ancora aggiungere un tentativo fatto dal Marchese del Puerto ambasciatore di Spagna all’Aja col già detto Conte de la Chavanne rappresentante del Re Sardo presso quella Corte, dimostravano senza dubbio il vi- vissimo desiderio che si sentiva a Madrid di concludere tale unione. La nazione stessa era concorde nell’augurarlo, lusingata oltremodo dall'idea «che Carlo Emanuele avesse a preferire ad una principessa di Francia l’Infanta spagnuola; si era anzi per- sino giunti ad aftermare che, se per stringere tal nodo, fosse stato necessario un dono della monarchia, questa lo avrebbe fatto di gran cuore. Nondimeno al Re di Sardegna, che tal de- siderio divideva con tutto l'animo, non garbava valersi dell’o- pera di quei negoziatori così solleciti ad offrire l’opera loro. Egli ben sapeva con quanta gioia e soddisfazione il Re cattolico e la sua Corte avrebbero accolto la sua richiesta; trattavasi solo di trovare una persona la quale fosse atta a compiere il deli- cato ed importante ufficio ed a riallacciare le relazioni fra le due potenze. L'individuo, sul quale cadde la scelta, fu il cavaliere Giuseppe Ossorio, Siciliano, diplomatico di moltissimo valore che già a Parigi poi a Londra aveva dato al suo Re prove lumino- sissime di zelo e d’ingegno, sì da venire destinato come primo ambasciatore straordinario al congresso d’Aquisgrana. Contemporaneamente all'avviso dato in termini lusinghieri della nuova destinazione, il Re invitava l’Ossorio a lasciare con una certa sollecitudine Londra, ove aveva fatto ritorno, e di agire colla massima diligenza, in modo da giungere a Madrid più presto che gli fosse possibile. Colà doveva sulle prime limi- tarsi a testimoniare al Re cattolico la stessa amicizia ed il vero compiacimento del suo Sovrano per la ripresa delle buone e cordiali relazioni, e, cercando di mettersi nelle buone viste, studiare con tutta l’attenzione possibile il carattere, le abi- tudini e le idee dell’Infanta, senza trascurare di occuparsi per scoprire quali fossero i mezzi più acconci per trattare con di- gnità e colla speranza del maggior vantaggio possibile il ma- trimonio. Quando poi si trovasse in grado di fornire tali esatte informazioni, spedisse un corriere straordinario a Torino; in se- guito avrebbe ricevuto ulteriori e più precise istruzioni. PI E E EE. I VET n Re I TT EI TTT e ee rn TE e en IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, ECC. 109 Inoltre era noto a Torino, ed il messo segretamente spe- dito a Madrid dal Marchese di Breglio l'aveva confermato, come la Regina cattolica si trovasse in pessimo stato di salute, che avrebbe potuto condurre ad una fine improvvisa. Essa non la- sciava prole, ed era voce accreditata che a Parigi si pensasse all’eventualità di spingere il Re Ferdinando a passare a seconde nozze con una principessa Francese. Il cavaliere Ossorio doveva Vedere sino a qual punto tal versione potesse essere esatta, e tentare invece con molta circospezione di proporre in tal congiun- tura una delle figlie di Carlo Emanuele III. Così pure era stata in altri tempi quistione che l’Infante Cardinale dovesse svestire la porpora ed ammogliarsi; ma tal progetto, che si diceva della Regina madre, era stato abbandonato dopo che Ferdinando VI era salito al trono. Ad ogni modo il Re di Sardegna non poteva ve- dere certo di buon occhio la costituzione in Italia di un nuovo ramo di casa Borbone. E siccome il matrimonio era un gran ri- medio preventivo per combattere la minaccia di una influenza perniciosa, che avrebbe potuto turbare la pace e la tranquillità d’Italia, qualora (come era lecito supporre) la diplomazia francese avesse tentato una nuova alleanza col dare in moglie all’Infante un’altra delle sue principesse, Carlo Emanuele non sarebbe stato alieno dal cercare d’ indurre il Re cattolico a favorire invece l'unione del fratello suo D. Luigi con una delle sue figlie. Da ultimo, siccome non v'era probabilità prossima che questo matrimonio potesse aver conseguenze di grande impor- tanza politica, non sembrava dovessero venir trascurati certi vantaggi, che in altre occasioni avrebbero meno fissata l’atten- zione, come per esempio la parte finanziaria. Supponendo quindi che si volesse assegnare alla sposa la stessa dote che si era concessa alle altre Infante (circa cento mila pistole d’oro), il cavaliere Ossorio doveva proporre che venissero dalla Spagna saldate certe partite, di cui già da tempo il Re di Sardegna van- tavasi creditore presso la Corte del Re cattolico, od almeno ot- tenere che venissero conglobate colla dote, la quale sarebbe per tal modo salita a formare una cifra di qualche milione di lire piemontesi, che avrebbero dovuti venir pagati in considerazione del matrimonio. Nell’inserire questi punti di grande importanza finanziaria nelle istruzioni date al suo ambasciatore non prevedeva certo 110 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO Carlo Emanuele qual ginepraio intricatissimo e qual lungo stra- scico di litigi tale questione avrebbe lasciato dietro di sè. Non calcolava egli come la vantata opulenza spagnuola fosse cosa ormai più di nome che di fatto, e come questa nazione attraversasse in quel momento un periodo di crisi; inevitabile per un paese che da quasi cinquant’ anni si dibatteva in un pelago di avventure e di guerre, le cui conseguenze erano abba- stanza disastrose. Gli Spagnuoli intendevano unanimi l’ opera loro a riparare ai danni gravissimi cui li aveva condannati la dissennata politica di mire ambiziose sull'Italia, seguita sotto il cessato regno di Filippo V, e di cui era anima la Regina Eli- sabetta di casa Farnese, che sull’animo del marito esercitava un fascino potentissimo. Prima d’ogni altra cosa si mirava ad organizzare un valido sistema di difesa che servisse a rendere temuta e rispettata la monarchia, e giovasse a sottrarla comple- tamente alla tutela e dipendenza di Francia. Essa, secondo as- serivano il Marchese di La-Mina e tutti gli Spagnuoli assennati, li aveva incoraggiati, e fors’anche sostenuti neile imprese guer- resche e nelle mire ambiziose sull'Italia con larghissime pro- messe più spesso deluse che soddisfatte, coll’intenzione ferma non solo di servirsi delle truppe iberiche per fare delle diver- sioni, ed affievolire la popolazione della monarchia, ma ancora per estenuarne l’erario. Si buccinava anzi che, senza cinquanta milioni di piastre estorti alla finanza spagnuola, la Francia non sarebbe stata in condizione di sostenere così a lungo il peso della guerra, detta della prammatica Sanzione. Occorreva adunque con alleanze nel nord e nel sud d’Europa cercare di mantenere le cose nella condizione fissata dal trattato d’ Aquisgrana, ed impedire la Francia d’intraprendere nuove guerre. Così mercè una pace, che si augurava di lunga durata, riusciva possibile dar un maggior assetto alle cose interne, ed un vigoroso impulso al commercio ed all'industria, non poco danneggiati dagli intrighi e prepotenze del Vescovo di Rennes ambasciatore del Cristia- nissimo presso la Corte di Madrid. Sorrideva pure alla Spagna una stretta amicizia coll’Inghilterra, ma non sarebbe tornata di piena soddisfazione senza la restituzione di Gibilterra contro un equo compenso nelle colonie; e Portorico avrebbe potuto essere degno equivalente della tanto desiderata città Andalusa. Nè si ommetteva di tener pronti capitali di cui poter disporre per E E I ne to n P) IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (111) DI SAVOIA, Ecc. 111 cercare e mantenere validi appoggi presso la Corte di Versailles, sui quali fare sicuro assegnamento ove il Delfino venisse a mo- rire senza prole e si trattasse di dare un Re alla Francia. Gran peccato invero che all'attuazione di così pattriottico ed ardimentoso disegno fossero impari gli uomini cui erano af- fidate le sorti della Monarchia Iberica! Il Re Ferdinando era principe di gran virtù, religiosissimo, anzi bigotto; persuaso che la rettitudine delle sue intenzioni rendesse contenti e felici i popoli, sarebbe stato afflittissimo se avesse potuto supporre di recare il menomo torto a chicchessia. Avvezzo a star sempre colla Regina, non sapeva staccarsene che al mattino durante i tre quarti d’ora di conferenza col confessore, al pomeriggio verso l’ora del tramonto per andar a caccia, e raramente quando, di necessità, doveva assistere a qualche pubblica funzione. Oltre ad una forte passione per la caccia non conosceva altro divertimento che quello della musica italiana, e ciò solo perchè era l'occupazione favorita della Regina. Questa, nata dalla casa regnante nel Portogallo, aveva un ascendente as- soluto sull’ animo del Re, sì da imporgli le sue idee in ogni occasione; donna di molto spirito, aveva saputo così bene ren- dersi necessaria, che senza di lei il Re non riceveva i ministri per la relazione degli affari e non sapeva prendere deliberazioni. buo discorso favorito lo spettacolo d'opera, per il quale si spen- devano somme ingenti, e quando questo argomento mancava, la conversazione languiva. Gli altri membri della famiglia reale non contavano affatto. La Regina madre viveva ritirata e non consultata a S. Idelfonso; l’Infanta Maria era buona, affabile e graziosa, ma lontana dalla politica; quanto al Priucipe Don Luigi (l’Infante Cardinale), per esatte informazioni avute era stato definito dal Marchese di Breglio come “ Un sot ,. Dei due ministri, Don Giuseppe de Caravayal y Lincaster era uomo onestissimo, buon diplomatico ma troppo indeciso e lento nelle sue operazioni. Il Marchese della Ensenada che la fortuna aveva innalzato a grande dignità, accumulava gli uffici di ministro per la guerra, marina e finanze. Più laborioso e spe- dito del suo collega, sembra non fosse un modello d’onestà: lo si diceva inclinato a Francia, anzi si pretendeva persino ne fosse sussidiato. Al disopra di costoro, per credito ed influenza, erano due 112 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO personaggi potentissimi: un cantante ed il confessore del Re. Il primo era il musico napoletano Carlo Broschi, detto Farinelli, il noto “ gemello carissimo , dell’Ab. Pietro Metastasio, che col- l'incanto della sua voce aveva saputo procacciarsi la stima e l'amicizia dei Sovrani sino da allora che erano ancora prin- cipi delle Asturie, e rendersi indispensabile sì da esercitare sul Re potere eguale a quello della Regina. La sua condotta era nullameno incensurabile; evitava a tutt’ uomo di mettersi in evidenza e d’immischiarsi negli affari, non perchè fosse privo di capacità o di astuzia, ma perchè non voleva mettersi in mala vista presso la Monarchia, cui certo non poteva andar a sangue che un tal uomo godesse di tanta potenza. Accorto cortigiano, non meno che prudente favorito, sapeva starsene in disparte non frequentando in apparenza (1) che altri artisti: lo si sospettava parteggiare per Inghilterra. Il confessore del Re, Padre Ravago, gesuita, era col Farinelli amico ‘intimo e sostenitore ad oltranza del Marchese della Ensenada; ma pur troppo non possedeva, come il musico napoletano, il dono di sapersi mantenere neutrale, e non di rado si valeva dell’altissima autorità, che il suo delicato ufficio gli conferiva, per mene po- litiche. Le disposizioni date dal cav. Ossorio per la sua partenza da Londra erano state così pronte e così affrettato il viaggio da permettergli di giungere il 15 luglio in Madrid. Colà, appena smontato di carrozza, gli si faceva innanzi Don Alfonso Geral- dino, già ministro di Spagna a Londra ed ora membro del con- siglio delle Indie, il quale, col pretesto di dargli il benvenuto, era accorso a dichiarargli francamente e senz’altri preamboli, come la Corte e la Nazione attendessero con molta impazienza il suo arrivo, sapendolo incaricato di proporre ufficialmente il tanto desiderato matrimonio del Duca di Savoia coll’Infanta. (1) Le prime negoziazioni che si fecero a Madrid pel trattato d’Aranjuez (detto d’Italia), che secondo l’espressione dell’ambasciatore inglese Keene era fatto “ pour se mettre en état de bien rosser les Frangais en cas de besoin ,, si tennero precisamente in casa del Farinelli; vi convenivano il Keene ed il Conte Esterazy ministro imperiale, col pretesto di ritrovarsi a banchetto (Lettere Ministri Spagna, dispacci del March. di S. Marzano, settembre 1751). PENTITI, EM e IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, Ecc. 113 Non mancò l’Ossorio di rettificare le cose, affermando di non aver altro ufficio che quello di attendere al riannodamento delle buone relazioni fra le due potenze. La risposta che gli fu data, non potè riuscirgli di troppa soddisfazione; un antico ceremo- niale, di fresco richiamato in vigore, richiedeva che un ambascia- tore non potesse venire ammesso alle udienze pubbliche e pri- vate del Sovrano Cattolico se prima non avesse fatto l’ingresso | solenne; ed il non dover egli trattare di un affare così accetto a tutti, com'era quello del matrimonio, toglieva affatto la spe- ranza che si potesse eccezionalmente derogare alla regola. Ora, se questo discorso collimava perfettamente con quello già tenutogli dall’Ambasciatore inglese Keene, il quale, col pre- testo di uscire per respirare un po’ d’aria, gli era venuto incontro con una carrozza a sei cavalli a più d’un’ora di distanza da Madrid, non s'accordava affatto colle premure che gli erano state fatte da Torino per un sollecito arrivo, poichè i preparativi per la funzione dell'ingresso richiedevano molto tempo. Il Geraldino poi aveva larghissime aderenze a Corte, specialmente colle per- sone che maggiormente avvicinavano l’Infanta: tutto induceva a credere che avesse agito per ordine ricevuto..... e questo dava certo motivo di gravi preoccupazioni all’Ossorio. Inoltre al mattino successivo, per espresso incarico del Re, benchè col | futile pretesto di salutare il ministro, da cui aveva ottenuto al- cuni favori a Londra, ecco apparire il Farinelli, ad un’ora in cui era lecito supporre che tutti ancora dormissero. Le sue prime | parole furono sul matrimonio; e siccome l’Ossorio si scher- miva, si intese ripetere il solito argomento dell’etichetta se- Vera: però, soggiungeva Farinelli, siccome v'era luogo a cre- dere che fra brevissimi giorni sarebbero venuti precisi ordini | per intavolare le trattative di nozze, così si poteva sperare che | l'ostacolo sarebbe stato rimosso, tanto più che a Corte già si diceva che a Torino si spingevano alacremente i lavori per ricevere la sposa, e che il matrimonio era desiderato sulle ‘sponde del Po non meno che su quelle del Mansanare. Ad ogni modo egli, Farinelli, avrebbe fatto il possibile onde, per compiacere il Ministro sardo, si fossero concesse agevolezze che lo dispensassero dalla cerimonia. E così avvenne. Ma intanto passavano i giorni, e tutti si meravigliavano come l’Ossorio rimanesse muto sul tema del matrimonio. Le sue Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 10 ceràù ddl i. ente gr Cene 114 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO azioni erano attentamente osservate e studiate, e commentate, anche nelle altissime sfere le sue parole. Farinelli moltiplicava le sue visite mattutine, ma il corriere da lui preannunziato non giungeva. E non poteva succedere diversamente: l’Ossorio, che sapeva e vedeva d'aver migliaia d’occhi sgranati che lo osser- vavano, e non minor numero di orecchi tesi, pronti a coglier a volo le sue parole, incontrava difficoltà grandissime per poter assumere le informazioni desiderate a Torino. Stretto dalle in- sistenze del Farinelli, aveva con molta prudenza e molta astuzia finito per dichiarare che, secondo il suo modo di vedere, il desi- derato messaggero avrebbe per assai tempo ancora ritardata la sua venuta, date le strettezze finanziarie in cui versava il Re di Sardegna, e la necessità in cui egli si trovava di veder sistemate quelle certe pendenze che da lungo tempo esistevano fra le due nazioni. Lusingato certo dalla gloria che gliene sa- rebbe venuta, qualora fosse riuscito ad aver parte nelle nego- ziazioni che prevedeva prossime, Farinelli aveva promesso la sua mediazione, ed aveva invero tastato il terreno che pel mo- mento non sembrava troppo acconcio per intavolare discussioni in materia finanziaria. Nel frattempo l’Ossorio aveva finalmente potuto, superando le difficoltà grandi che gli sbarravano la via, raccogliere tutte quelle notizie che a Torino erano attese; il corriere era stato spedito, ben accolte le informazioni, ed il de- siderato latore di ordini definitivi era giunto a Madrid. Tratta- vasi di partecipare ufficiosamente al Re cattolico la risoluzione di Carlo Emanuele, ed insieme di avvisare al modo che potesse sembrare più opportuno onde l’Ossorio fosse in grado di disim- pegnare l’onorevolissimo incarico affidatogli; a tal uopo fu chia- mato il Farinelli, e gli fu affidata la cura di parlare col Re; e questi fece tosto esternare la gioia provata per sì lieta notizia, da tanto tempo e con sì grande impazienza attesa. Dovevansi ora fissare tutte le modalità del contratto, dell'itinerario da seguirsi pel viaggio in Piemonte, del tempo in cui si sarebbe celebrato il matrimonio, ecc. ecc. Sul primo punto si stabilì di scegliere per base l’atto passato al tempo del ma- trimonio del Delfino coll’ Infanta Maria Teresa. Alla Corte di Torino però non piacevano due articoli di quel contratto (il 5° ed il 6°), i quali sancivano la rinunzia al diritto di pretendere alla successione di Spagna, ed erano soltanto appropriati per ro “gu i ge IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, Ecc. 115 cagione che l’Infanta aveva sposato un principe escluso da detta successione in virtù di pubblici trattati; laddove il Re di Sar- degna ed i suoi discendenti erano nominativamente chiamati in forza degli stessi protocolli a salire sul trono di Carlo V. E quasi senza difficoltà la Corte di Torino vedeva soddisfatto il suo desiderio. Relativamente alla dote, fu stabilito ch’essa fosse di cin- quecento mila scudi d’oro del Sol: però, quando si trattò di dare a questa moneta caduta in disuso un valore reale, nacque una lunga contestazione. Tre fra i principali banchieri di Ma- drid, interpellati dall’Ossorio, avevano dichiarato come allor- quando gli Spagnuoli possedevano i Paesi Bassi ed il Milanese, usavano regolare i pagamenti nei contratti fatti alle fiere di Gand, Lille e Vigevano con scudi d’oro del Sol, ciascuno dei quali valeva una mezza pistola di Spagna; ma tal moneta non era più in corso da oltre un secolo; nondimeno le si poteva assegnare il valore di 75 reali di Villon e 10 maravedis. Questo pareva esagerato ai Ministri spagnuoli; finalmente, dopo molto tergiversare, si finì per fissare allo scudo d’oro del Sol il va- lore di 37 reali e pochi maravedis; e ciò in forza di uno spe- ciale decreto firmato dal Re, il quale durante le trattative si era spessissimo giovato dell’opera del Farinelli. Il pagamento della dote doveva effettuarsi dopo la celebrazione del matrimonio, prima che la Duchessa lasciasse il suo paese natio: ma non si potè ottenere che dopo lungo spazio d’anni ed a prezzo di incessanti richieste, cui si rispondeva sempre in modo evasivo, quando pure non succedeva al Ministro sardo di sentirsi dire che la Spagna non era avvezza a pagare le doti delle sue Infanti, ed essere gran mercè si fossero dati alcuni acconti (1). Invano il Marchese Filippo Valentino Asinari di San Marzano, successo all’Ossorio nel posto di Ambasciatore a Madrid, ricorreva spessis- simo alla intromissione del potente Farinelli; e questi nulla lasciava d’intentato per ottenere che il Marchese dell’Ensenada si decidesse a soddisfare a quanto era pure un debito d’onore; «“ più d’una volta, così il musico napoletano all’Ambasciatore, mi è stato risposto che se ne darebbe proporzionata esecuzione e sarebbe eseguita in questo mese. Dappertutto si penuria di biondo (1) Arch. di Stato, lett. ministri Spagna, 1754, 10° mazzo. 116 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO metallo; l’intenzione è sempre buona ,. Da Torino, non sapendo più a qual santo votarsi per ottenere il pagamento totale, od almeno un buon acconto, memori del detto del poeta: “ Munerà, crede mihi, placant hominesque Deosque , si scriveva al San Marzano di guardare se, con qualche opportuno regalo al Farinelli, non riuscisse fattibile interessarlo e tenerselo stretto amico. Ma il musico napoletano se ne schermiva, e, pur professando ricono- scenza rispettosissima ed ossequio al Re di Sardegna, rispondeva bastargli, come premio di quanto aveva od avrebbe potuto fare, la protezione ambitissima del Sovrano, che aveva potuto cono- scere ed apprezzare in altri tempi a Torino, ove il Farinelli stesso aveva vissuto con un fratello, maestro di Cappella del Principe di Carignano. Invece il Marchese di S. Marzano, stretto dalle insistenze che gli venivano fatte, suggeriva come unico mezzo, per ottenere qualche soddisfazione, d’interessare perso- nalmente la Regina cattolica mercè il regalo di qualche gioiello con rubini, di cui era sommamente desiderosa. Ed infatti si pretendeva, con qualche fondamento, che in occasione analoga non fosse stata indifferente a doni della Corte di Londra ..... Non si era alieni dall’accogliere tal suggerimento, ma sem- brava a Carlo Emanuele che il regalo, fatto senza che se ne presentasse occasione favorevole, avesse a produrre effetto con- trario allo scopo, e che il giuoco apparisse troppo chiaramente. Circa alla questione del viaggio e della rimessione dell’In- fanta ai gentiluomini e dame piemontesi che muoverebbero ad incontrarla, non si appianarono tosto le difficoltà. A Torino propendevasi perchè l’Infanta seguisse la via di mare, come erasi già altra volta praticato, evitandosi per tal modo il pas- saggio pel territorio francese ed i disagi di un viaggio assai lungo. Ma il Re cattolico non accoglieva troppo bene quest'idea, la quale del resto era avversata dall’ Infanta stessa, cui ripu- gnava il viaggio marittimo. Si ventilò allora il passaggio per la via di Nizza; ma poi sul riflesso che, attraversando il Rodano a Baucaire, e seguendo la strada che mette a Briangon e di là a Susa pel Monginevra, il tempo da impiegarsi era più breve, e le carrozze e le portantine con tutta facilità potevano servire per tutta la marcia, si adottò definitivamente quest’ultimo iti- nerario per l'Alto Delfinato. Ma in questo caso occorreva ri- volgersi al Re di Francia per ottenere il passaggio nel suo ; i È. IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, Ecc. 117 Stato. Carlo Emanuele desiderava che l’iniziativa di tal domanda partisse dal Re cattolico, sia per cagione di una certa asprezza tuttora sussistente fra le due Corti, sia perchè si temeva po- tesse venire una risposta meno favorevole per la preferenza data a una Infanta di Spagna. Ferdinando VI invece incli- nava a credere, che i passi necessari dovessero essere fatti dallo sposo: ad ogni modo l’Ossorio potè ottenere che il Re cattolico scrivesse in modo confidenziale a Parigi come l’Infanta avrebbe attraversato la Francia per recarsi in Piemonte, ed il Re di Sardegna ne avrebbe a suo tempo dato avviso e chiesta la necessaria approvazione. Rimaneva a definirsi la modalità e la località della rimes- sione della sposa, e, subordinatamente, se e fino a qual punto essa sarebbe stata accompagnata dalla Corte spagnuola. E qui più che mai dovevasi lottare contro un sistema rigidamente fe- roce di etichette e di ceremonie. Già il cav. Ossorio aveva avuto campo di esperimentarne qualche saggio, allorquando, avendo dimostrato il desiderio di avere la misura dell’Infanta, gli era stato risposto come l’etichetta spagnuola vietasse assolutamente l’appagamento della sua richiesta (1). Similmente era successo, quando aveva fatto domanda di poter spedire a Torino un ri- tratto della sposa, tanto che aveva dovuto scrivere al Re: “ Il est incroyable combien de ménagements et de négociations il a fallu pour ce seul article du portrait qui auroit dà étre la chose la plus aisée ,. Ed il motivo era questo: verano a Madrid due pittori, l’Amigoni ed il Vanldo (Michele); il primo godeva segnatamente la protezione del Farinelli, il quale non poteva accontentarsi che l’altro fosse prescelto per fare il ritratto della sposa, benchè avesse agio di poterlo far bene, mentre l’Amigoni era occupato in altri lavori. Ciò non ostante Farinelli vinse; ma il quadro si faceva lungamente attendere, onde l’Ossorio dovette pregare il Vanlòo di farne uno di nascosto: sembra però che nessuno dei due rispondesse esattamente ai desideri e fosse molto rasso- migliante. (1) Allorquando nell’anno 1742 l’Infanta Maria Teresa sposò il Delfino, da Parigi fu mandato un sarto a metà strada tra Madrid e Fontanarabie incaricato di prendere le misure dell’Infanta, ma venne cacciato brusca- mente dal Conte di Montijo, meravigliato che si potesse credere che una Infanta Spagnuola avesse bisogno d’abiti. 118 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO Si era per un momento accarezzata l’idea di far accompa- gnare la giovane Duchessa sino alla frontiera del Piemonte; ma col pretesto che forse più doloroso sarebbe riuscito il distacco dal corteggio spagnuolo, e che contestazioni avrebbero potuto sorgere circa la precedenza nei turni di servizio, il progetto fu abbandonato, ripreso momentaneamente, poi scartato in modo definitivo, per intromissione del solito Farinelli, segretamente incaricato dall’Ossorio di renderlo vano. Così pure altro guaio era lo stabilire il luogo in cui le persone scelte dalla Corte di Madrid per accompagnare l’Infanta avrebbero terminato le loro funzioni e si sarebbero ritirate. Al confine della Monarchia Spagnuola verso Francia il terreno non presentava località adatta per la fermata indispensabile del cor- teggio, non essendovi nè case nè alberi che permettessero un riparo qualsiasi. Inoltre era quivi una zona di terreno soggetta a conte- stazione tra le due potenze finitime. Ammessa ed accettata come necessaria la costruzione di un padiglione in legno per le for- malità occorrenti, dove sarebbe esso stato costruito? Certo non sul terreno discusso; la Francia non lo avrebbe tollerato, ed a Spagna non conveniva lasciar supporre che, costruendolo altrove, si riconoscevano tacitamente i diritti della parte avversaria. Vi furono vari progetti, che giustamente l’Ossorio battezzava per “ mal digérés , e finalmente prevalse l’idea di non far condurre la Duchessa sino alla frontiera, ma bensì di arrestarsi a qualche lega di distanza dai Pirenei, sulla considerazione che i pochi casolari ed i meschinissimi e scarsi villaggi non potevano of- frire il decoro e la dignità necessaria per adempiere alle for- malità stabilite, e neppure davano agio di poter alloggiare con decenza i due numerosi corteggi Piemontese e Spagnuolo. Il luogo prescelto fu invece a metà strada tra Figuères et Jon- quières. Appianate così tutte le difficoltà (1), il cav. Ossorio assunse (1) Il giorno 18 dicembre, per accordo inteso fra le due Corti, fu pub- blicato solennemente il matrimonio sì a Torino che a Madrid. In questa città si fece sfarzosa gala col concorso dei Grandi del Regno, degli am- basciatori e ministri stranieri ed altre persone di sfera, portatisi a com- plimentare le LL. MM. e AA. RR. Si cantò un solenne Te Deum, poi si scappò a teatro, dove in detta sera andò in scena l’opera in musica intito- lata Demoofonte, del celeberrimo signor Metastasio, poeta Cesareo con IL MATRIMONIO DEL DUCA VITTORIO AMEDEO (III) DI SAVOIA, Ecc. 119 il carattere di Ambasciatore straordinario e ricevette i pieni poteri occorrenti per essere abilitato a fare la domanda formale, apporre la firma al contratto nuziale, nonchè le procure del Re e del Duca di Savoia per autorizzare il Re Cattolico a dare il consenso al matrimonio in nome di Carlo Emanuele III ed a rap- presentare il Principe Vittorio Amedeo alla ceremonia nuziale. Il Re di Spagna, non volendo che per il matrimonio del- l’Infanta Maria Antonia si facesse meno di quanto s’era prati- cato nell’occasione in cui l’Infanta Maria Teresa era andata sposa al Delfino, voleva conferire al cav. Ossorio l’ambitissima deco- razione del Toson d’Oro. Il Ministro sardo non aveva ommesso di far sentire che, onoratissimo per sì delicato pensiero, non poteva assolutamente accettare l’onorificenza, vietandoglielo il giuramento prestato all’ atto della sua nomina ad Ambascia- tore (1). Tal rifiuto aveva non poco stupito il Re Cattolico e per la fermezza con cui era fatto e per la costanza con cui era mantenuto. A più riprese Farinelli era stato inviato per indurre in nome di Ferdinando VI il cav. Ossorio ad accettare; od almeno a dichiarare se veramente fosse un ordine formale venuto da Torino che vietasse l’accettare decorazioni, quando anche si trattasse del Toson d’oro, oppure altre ragioni ge- losamente nascoste, non parendo verosimile fossero legittime quelle addotte. Anzi lo stesso Farinelli era incaricato di met- tere, d’ordine del Re, a disposizione dell’Ossorio il miglior cor- riere che avesse la Spagna, perchè vi fosse campo d’interpellare in proposito Carlo Emanuele, ed averne la risposta nel minor termine possibile. Ma l’Ossorio stava saldo, il suo Re gli aveva ordinato di mantenere il giuramento, ed egli si manteneva irre- magnifiche decorazioni e scelti attori diretti dal virtuoso musico sig. Fari- nelli, cui S. M. diede incombenza di prepararne altro, per pomposamente celebrare, come scrivono, la nuova alleanza tra la predetta S. M. Cattolica e il Re di Sardegna (Giorn. di Torino, n. 3, 24 gennaio 1750). (1) Gli ambasciatori nell’assumere l’ufficio dovevano giurare: “ Di non “ ricevere oltre al regalo solito da alcun re, principe e potenza forestiera nè da veruna persona per parte di esse pensione, dono o qualunque altro “ vantaggio che fosse offerto senza il consenso di S. M. e di rivelare anzi a S. M. le dette offerte, le persone che le avranno fatte ed i fini per i “ quali si potesse conoscere che fossero state fatte; e di non investire ca- “ pitali all’estero ,. 120 STANISLAO CORDERO DI PAMPARATO — IL MATRIMONIO, ECC. movibile; onde a Ferdinando VI convenne piegarsi, non senza però ammirare anche in quest'occasione la lealtà ed il disinte- resse dei diplomatici Piemontesi. E Carlo Emanuele, che aveva ricompensato col regalo di una splendida tabacchiera d’oro guer- nita in brillanti col ritratto del Principe sposo (1) il musico Farinelli, serbava all’Ossorio un premio degno dello zelo, onestà, ed alto senno politico onde era adorno, chiamandolo a reggere il posto importantissimo di Ministro per gli aftari esterni, cui era stato da tempo designato dal Marchese d’Ormea, e confe- rendogli più tardi il Collare dell'Ordine Supremo dell’ Annunziata. Il matrimonio celebrato in Madrid colla massima pompa fu con non minore solennità confermato dal Cardinal delle Lanze nella Chiesa Collegiata di Oulx addì 31 maggio dell’anno 1750. (1) “ LL. MM. Cath. ont été ravies de la distinetion que V. M. a daigné “ faire è Farinelli en le regalant d’une tabatière de diamans avec le portrait “ de Mons. le Duc de Savoie , (Il Cav. Ossorio al Re). La tabacchiera era del valore di L. 6076, la sola guernitura in brillanti era costata L. 5056. Per parte della Corte spagnuela poi il Farinelli fu insignito dell'Ordine di Calatrava. E quando nell’anno 1754 il musico Napoletano cadde in disgrazia del Re di Spagna, l’Ambasciatore Sardo a Parigi credeva bene di informare il suo Governo come “ le Gazetier d’Utrecht dans la Gazette N. LXKXXVIII “ a eu l’impertinence de dire que le Musicien Farinelli comptant de se “ retirer de Madrid à cause des réformes économiques qu'on a fait à cette “ cour là, croit probablement s’établir è Turin où il devoit s’assurer d’ètre “ regu avec distinction, puisque le Roi l’avoit décoré, il y a quelques années, € de l’ordre de l’Annonciade. Plusieurs personnes m’ont parlé de cet article “ de la Gazette ,. L’ Accademico Segretario CesaRE NANI. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 19 Dicembre 1897. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: Cossa, vice-Presidente dell’Acca- demia, D’Ovipro, Direttore della Classe, BerRUTI, Bizzozero, Mosso, Spezia, GrgeLLi, CAmerANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, Gurpi, FiLeti e NaccarIi Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta pre- cedente. Il Presidente annunzia la morte del Socio nazionale non residente Francesco BrioscHI avvenuta il giorno 13 corrente, e dà conto delle testimonianze di dolore, che la Presidenza, in- terpretando i sentimenti dell’Accademia, diede alla famiglia dell’estinto, all'Istituto Lombardo e all'Accademia dei Lincei. Il vice-Presidente Cossa rappresentò l'Accademia ai fune- rali e, invitato dal Presidente, esprime per incarico della fa- miglia dell’estinto, la gratitudine di essa per la parte presa alla sua sventura. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 11 Il Socio D’Ovinpio commemora l’illustre defunto con le se- guenti parole: “ Un altro nome illustre la morte ha cancellato dall’albo dei Socii non residenti della nostra Accademia: Francesco BrIoscHi. “ Benchè più che settantenne, era ancora così giovanil- mente alacre la sua mente, che non cessò di produrre elaborati scritti di Analisi fino a pochi mesi or sono; così gagliarda la sua fibra, che noi ci eravamo quasi abituati a crederlo esente dal fato comune. “ Egli era sempre in moto: a Milano come professore e diret-. tore dell'importante Istituto politecnico da lui fondato; a Roma come Presidente dei Lincei; or qua or là in Italia e all’estero come presidente di Commissioni d'inchiesta o rappresentante del Governo. Anche la scorsa estate, al Congresso dei mate- matici in Zurigo, egli fu oggetto, così degli omaggi riverenti dei congressisti d’ogni nazione, come della loro ammirazione pel brio e la instancabilità onde diè prova, gareggiando coi più giovani. “ Nato a Milano il 22 dicembre 1824, può dirsi che sino al giorno 13 di questo dicembre 1897, estremo di sua vita, egli non ebbe mai posa; e furono appunto gli strapazzi durati ultima- mente in Sicilia per visitare alcune opere idrauliche, che ab- batterono irrimediabilmente quella sua vigorosa salute, la quale avea pur saputo resistere ai crudeli disinganni procuratigli dal troppo fidare nell’onestà altrui e nella propria energia. “ La fine inaspettata del BrroscHi è gravissimo lutto per la scienza italiana; ed è inoltre una vera sventura per le nostre scuole, alle quali egli pose sempre alto il segno, difendendone la dignità e gli interessi con incontestata autorità e invitto co- raggio, prima come proministro e poscia nelle aule del Senato e del Consiglio superiore della pubblica istruzione. “ Egli fu un insegnante di straordinaria efficacia: basti dire che i suoi discepoli si chiamano Cremona, Beltrami, Caso- rati; nomi che costituiscono il miglior elogio per un maestro. “ Ma la fama di Francesco BrIoscHI sopravviverà princi- palmente, perchè raccomandata ai suoi geniali lavori nel campo delle discipline matematiche. “ Dire di cotesti lavori, anche solo sommariamente, non 123 permette la strettezza del tempo, mancandomene persino un elenco; tanto più che essi sono in numero assai rilevante ed abbracciano mezzo secolo di singolare operosità. “ Egli fu soprattutto un grande algebrista. Tale lo consa- crarono: la sua classica Teoria dei determinanti; le molteplici e strenue ricerche sulla teoria delle forme algebriche, che assi- curarono all'Italia un posto eminente nella storia di quella fe- condissima fra le teorie moderne dell’Algebra; le capitali con- tribuzioni da lui recate alla risoluzione delle equazioni del 5° e del 6° grado, continuando la gloriosa tradizione di Tartaglia, di Ferrari, di Ferro; gli studii sulle funzioni ellittiche ed iper- ellittiche. Alle equazioni differenziali, alla teoria infinitesimale delle curve e delle superficie, alla Meccanica egli dedicò altresì dotte pubblicazioni. “ Patriota della vigilia e già operosissimo collaboratore agli Annali di Matematica del Tortolini, quando l’ Italia era divisa miseramente in piccoli Stati, il Brioscni assunse la direzione degli Annali non appena Roma fu divenuta la capitale del Regno italico; ed egli seppe mantenerli sempre al livello dei progressi odierni della scienza, lontani da esagerazioni di scuola o di metodo, aperti ai nostri giovani migliori, ospitali ai dotti stranieri e da questi altamente pregiati. “ Fondata su cotante svariate e insigni benemerenze, la fama del BrroscHi si era sparsa, fin dai suoi giovani anni, non solo in Italia, ma altresì presso tutte le nazioni più colte. Perciò quanti sono fra noi studiosi delle scienze matematiche, ricono- scevano in lui il loro Nestore e il loro duce ad un tempo; ed ora che la sua geniale figura è sparita dalle lotte dell’esistenza tra l’universale compianto, essi ne conserveranno religiosamente la gloriosa memoria, per sempre ,. Il Segretario presenta, a nome del Socio nazionale non re- sidente ScHIAPARELLI, una memoria intitolata: Osservazioni astro- nomiche e fisiche sull'asse di rotazione e sulla topografia del pia- neta Marte. Il Socio Gurpi presenta una memoria dell’ing. Elia OvAZZa, intitolata: Calcolo grafico delle travi elastiche sollecitate in fles- sione e taglio. Sarà esaminata dai Socii Gurpi e VOLTERRA. 124 Il Socio NaccaRrI presenta a nome del Socio GracomINI una nota di questo, intitolata: Anomalie di sviluppo dell’ embrione umano. Comunicazione XI. Sarà inserita negli Atti. Il Socio CAMERANO presenta una nota della signorina Elodia Osasco, intitolata: Di alcuni corallari oligocenici del Piemonte e della Liguria. Il Socio PrANo, anche a nome dei Socii D’OvipIo e SEGRE, legge la relazione sulla memoria del Prof. Mario Pieri, intito- lata: I principii della Geometria di posizione composti in sistema logico deduttivo. La relazione è favorevole alla lettura e viene approvata. Compiuta la lettura, si approva la inserzione della memoria nei volumi accademici. CARLO GIACOMINI — ANOMALIE DI SVILUPPO, ECC. 125 LETTURE Sulle anomalie di sviluppo dell'embrione umano; Comunicazione XI del Socio CARLO GIACOMINI. Le formazioni vescicolari che non raramente si riscontrano nei prodotti abortivi, sono talora di difficile interpretazione, perchè non sempre si hanno gli elementi per giudicare se esse siano neoformate oppure rappresentino gli ordinari annessi fe- tali deviati dal loro normale sviluppo per l’arresto avvenuto nell’embrione. Quando poi queste formazioni si trovano entro la cavità del Chorio di ova molto giovani (dalla 2° alla 3? settimana) in allora non avendo ancora sufficienti cognizioni sulla costitu- zione del disco germinativo, sulle sue modificazioni e sui suoi rapporti coll’Amnio e colla vescicola ombellicale, si corre il ri- sico di considerare come fatti anormali, particolarità perfetta- mente fisiologiche. E così si cade nel vizio opposto di coloro i quali hanno tendenza a considerare come normale tutto ciò che vien da loro osservato in questi primissimi stadì di sviluppo, portando così una grande confusione nel nostro materiale di studio. Credo necessario quindi di tornare sopra quest’argomento, recando nuove osservazioni ed approfittando delle recenti de- scrizioni di ova umane molto giovani, di cercare con maggior rigore la loro interpretazione. Intanto dalle precedenti nostre comunicazioni risulta già manifesto che le forme vescicolari possono essere distinte in due categorie. Una prima riguarda quelle che si sviluppano da alterazioni delle pareti del Chorion e dell’Amnio, e quindi sono particolarità nuove legate generalmente, ma non costantemente, ad un disturbo di sviluppo dell’embrione. La seconda categoria comprende quelle altre formazioni che sono la persistenza di disposizioni primitive degli annessi fetali alterati nel volume e nella costituzione, con mancanza completa 126 CARLO GIACOMINI dell'embrione. Questa seconda categoria è poi interessante per i nostri studi, perchè si trova in rapporto intimo col processo di sviluppo degli annessi fetali e serve a confermare indiretta- mente le nostre cognizioni sul modo e sull’ordine con cui av- viene la loro differenziazione. Recentemente infatti il Mall ha descritto alcune forme ve- scicolari, che egli crede di speciale valore per la giusta inter- pretazione dei primi stadi di sviluppo dell'umano Coeloma. A suo tempo saranno prese nella dovuta considerazione. Incominciamo intanto a riferire una osservazione veramente tipica, e la faremo seguire da considerazioni e da confronti che valgano a stabilirne la sua natura e la sua importanza. Osservazione XXIX (Num. della raccolta CLXVIII). Nelle ore pomeridiane del 27 marzo 1897 il dott. Vicarelli, a nome del prof. Tibone, mi mandava un aborto conservato in liquido indifferente. Consisteva del Chorio ben disteso che aveva la forma ed il volume di un grosso ovo di piccione, il massimo diametro essendo di 3 cm. La piccola estremità era coperta da un largo lembo di decidua ovulare e da piccoli grumi sanguigni che furono tolti. Il resto della superficie del Chorio era libera e presentava in alcuni punti ciuffi di villosità ramificate, in altri la superficie era liscia. Aperto il Chorio, mentre l'ovo si trovava nella soluzione picro-solforica, ne usciva un liquido leggermente torbido, e si cadeva nel Coeloma esterno, dove il Magma era pochissimo evi- dente. Verso la piccola estremità dell’ ovo comparivano molto distinte due vescicole, ben distese, indipendenti fra loro, come si scorge nella fig. 1*. Una di queste vescicole stava proprio situata nella piccola estremità dell’ovo, ma fu facile smuo- verla non avendo aderenze colle parti circostanti. Era la più piccola; essa si presentava di forma regolarmente sferica, ed aveva un diametro di 9/!/, mill. La parete appariva robusta, e la superficie esterna non era liscia, ma presentava leggeri ri- lievi, che per la forma e disposizione ricordavano quelli che si osservano alla superficie della vescicola ombellicale in questo cai ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'’EMBRIONE UMANO 127 periodo di sviluppo. Di più nel suo spessore si notavano traccie di vasi sanguigni, non disposti regolarmente sotto forma di rete, ma interrotti qua e là, i quali evidentemente erano i residui della circolazione onfalo-mesenterica. Si trattava adunque qui di un sacco vitellino molto più voluminoso dell’ ordinario, il quale, essendosi rotto il suo sottile peduncolo, si trovava li- bero nel Coeloma esterno. L'altra vescicola posta più in alto ed a sinistra della prima, aveva caratteri differenti. Era più voluminosa della prima e si presentava oviforme col massimo diametro di 12 mm., paral- lela all'asse della cavità del Chorio; non era completamente li- bera, ma la sua grossa estremità aderiva per piccola estensione alla superficie interna del Chorio. La sua parete era molto sot- tile, regolare, trasparentissima; il suo contenuto era limpido, senza parti solide. In nessun punto esistevano traccie di for- mazioni embrionarie. Questa 2* vescicola ci rappresenta con molta probabilità un sacco amniotico vuoto. Portando la nostra attenzione alla piccola estremità della 2° vescicola, rivolta in alto, si trova applicato alla sua superficie esterna un corpicciuolo molto irregolare nella sua conformazione, moriforme, biancastro, con punteggiature nerastre, sanguigne. Non si potè subito dire che cosa rappresentasse. Esso fu dise- gnato ad un maggiore ingrandimento insieme alla piccola estre- mità del sacco amniotico nella fig. 2*. Dal corpo moriforme si vedono partire due sottilissimi fili, i quali vanno a perdersi alla superficie esterna dell’Amnio. Le due vescicole al nostro esame ci apparvero avere solo rapporti di vicinanza, senza legami di sorta. Ma questa è una disposizione secondaria: primitivamente le due vescicole dove- vano essere congiunte fra loro, e la congiunzione doveva farsi in corrispondenza del corpo moriforme. Infatti attentamente esa- minando queste formazioni con lente d’ingrandimento, si trova che alla faccia superiore della V. ombellicale, esiste un brevis- simo cordoncino lacerato, che rappresenta il peduncolo della vescicola, il quale primitivamente andava a congiungersi su di un punto del corpo moriforme dove l'esame pure dimostra una leggera irregolarità prodotta dal distacco dell’ atrofico cordone vitellino. Ristabiliti così i rapporti in allora il corpo moriforme 128 CARLO GIACOMINI non sarebbe che un residuo alterato del tessuto mesodermico che congiungeva l’Amnio alla vescicola ombellicale. Ciò veniva anche confermato dallo studio microscopico. Prima però desi- dero completare l’ osservazione, riferendo la storia clinica che non manca d’importanza, quale mi fu trasmessa dal prof. Tibone. L’ovo proveniva da una donna d’anni 30 d’alta statura, prestante di forme, robusta, con nessun sintomo di sifilide. La madre sua robusta aveva prole numerosa e sana. Il matrimonio ebbe luogo nel giugno 1893. I. Gravidanza terminata con un aborto di un mese e mezzo nell'ottobre dello stesso anno. II. Gravidanza terminata con aborto di 6 mesi nell’anno successivo. III. Gravidanza, aborto di mesi due nell’anno 1895. IV. Gravidanza terminata con parto a termine nel set- tembre 1896. Feto premorto al parto di qualche giorno. Causa probabile della morte del feto la nefropatia gravidica. In prin- cipio di gravidanza esisteva retroversione dell’ utero. Ridotto l'utero e mantenuto ridotto con un pessario. V. Gravidanza. Ultima menstruazione in gennaio dall’8 all'11 1897; li 17 febbraio fu rimesso l’utero nella sua giusta posizione e mantenuto con un pessario. Li 25 marzo senza causa nota e con pochi dolori e scarsa emorragia la donna abortiva. È esclusa ogni influenza morbosa paterna. Malgrado lo studio fatto sia sufficiente a spiegare le dispo- sizioni che furono riscontrate nel nostro ovo, cionondimeno ho creduto utile di sottoporre le parti all’ esame microscopico. Perciò fu sezionato un tratto di Chorio, tutta la vescicola om- bellicale e l’emisfero dell’Amnio che sosteneva il corpo mori- forme. All’opposto di quanto fu osservato in altri casi di anomalie di sviluppo dell’ Embrione umano, il Chorio e le sue villosità si presentano profondamente alterate. Non erano più distingui- bili i suoi due strati epiteliali. Lo strato sinciziale mancava in certi tratti. Lo strato cellulare era disaggregato, poco distin- guibile. Lo stroma di molte villosità era abbondante e con in- cipiente alterazione mucosa. Mancavano completamente i vasi sanguigni nello stroma del Chorio e delle villosità. E ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'’EMBRIONE UMANO 129 Questa condizione morbosa del Chorio, si è iniziata certo molto presto ed essa fu la causa probabile dell’arresto di svi- luppo dell'embrione e quindi delle altre formazioni. La vescicola ombellicale fu sezionata per intero. Lo strato entodermico è completamente caduto, e gli elementi disaggre- gati riempiono la sua cavità. Il mesoderma ha assunto l’aspetto fibroso, con scarsi vasi sanguigni. Sulla superficie esterna in alcuni punti si notano delle piccole sporgenze sferiche che cor- rispondono ai cordoni vascolari, che furono osservati macrosco- picamente. In queste sporgenze la struttura primitiva della ve- scicola è meglio conservata, perchè si osservano al centro di esse vasi sanguigni, ed attorno cellule voluminose rotonde o poliedriche, le quali devono essere considerate come proliferazioni entodermiche. Passando in rassegna le sezioni si scorge anche il punto dove la vescicola vi continuava col suo peduncolo; esi- stendo in questo punto un prolungamento del mesoderma meglio conservato nella sua costituzione, entro al quale si trovavano vasi sanguigni. Non furono notate formazioni epiteliari. La V. ombellicale è uno degli annessi che più frequentemente si pre- sentano alterati nella loro struttura. Però nel periodo a cui cor- risponde il nostro preparato, generalmente non è ancora comin- ciata la degenerazione, per cui le particolarità osservate sono un prodotto patologico. L’Amnio ed il corpicciuolo moriforme furono sezionati in- sieme. L’Amnio era semplicemente costituito da due strati cel- lulari fortemente appiattiti, l’interno era l’entoderma e l'esterno il mesoderma somatico. Le cellule non si presentavano in con- dizioni normali. La distinzione venne fatta piuttosto avuto riguardo alla posizione che occupavano i due strati cellulari, senza di ciò sa- rebbe impossibile di riconoscere l’ectoderma dal mesoderma, avendo gli elementi pressochè identici caratteri. Ho esaminato con speciale attenzione il punto in cui il corpicciuolo aderiva alla superficie esterna dell’Amnios. Questa aderenza si faceva per mezzo di un breve peduncolo non molto esteso, per cui il corpo moriforme era come appiccicato al- l’Amnio. L’Amnio nel punto d’attacco era leggermente inspessito e le cellule maggiormente degenerate. Alla sua faccia interna non 130 CARLO GIACOMINI esistevano particolarità le quali facessero credere a residui em- brionali in via di scomparire. Il corpo moriforme nelle sezioni trasversali si dimostrò molto irregolare. Ma la sua costituzione è piuttosto uniforme. Risulta formato da alcuni piccoli lobi che subiscono cambia- menti di forma e di posizione nelle diverse sezioni. Contiene nel suo interno piccole cavità delle quali non è facile rendersi ragione. I lobi più cospicui erano costituiti da piccole cellule ro- tonde, intensamente colorite che ricordavano quelle che si ri- scontrano nel mesoderma degli embrioni profondamente dege- nerati. La superficie esterna di questi lobi era ben circoscritta ed in molti punti limitata da un solo strato di cellule, più vo- luminose, indecise nei loro contorni, le quali assumevano quasi l'aspetto di un epitelio. Ma esse non circondavano tutta la for- mazione, ma in alcuni tratti scomparivano o meglio si confon- devano colle cellule mesodermiche. Nei lobi più piccoli il tessuto costitutivo aveva meglio conservato la sua struttura primitiva. Non esistevano vasi sanguigni ben limitati, ma in mezzo al tessuto mesodermico comparivano cumuli cellulari molto cir- coscritti, i quali per la forma e costituzione potevano essere considerati come globuli sanguigni rossi nucleati, appartenenti alla circolazione onfalo-mesenterica (vedi fig. 3). Entro questa formazione si trovavano pure delle cavità vuote irregolari nella loro forma, alcune erano circoscritte dal mesoderma e non si poteva dire che cosa rappresentassero. Altre erano circondati da cellule epiteliari ben manifeste, e queste potevano considerarsi come residui del canale vitellino. Ciò che abbiamo detto è più che sufficiente per dimostrare come il corpo moriforme non rappresenti parti dell’ embrione, le quali mal si concepirebbero poste fuori dell’Amnio nel Coe- loma esterno, ma costituisca un residuo alterato del peduncolo vitellino nel mentre stava per mettersi in rapporto coll’Amnio, e che, mancando l’ embrione al quale doveva recarsi, ha dege- nerato in una formazione irregolare e non corrispondente ad alcuna condizione normale. La cavità dell’Amnio completamente vuota, non presentava alcun segno del punto dove sarebbe esi- stito l’embrione. Ora come possiamo noi comprendere la scomparsa del- i y ” È Ù lait dc i — e" e e mila Sr" e-,, Sl 2. - Sie; siii eri ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 131 l'embrione in una cavità amniotica relativamente così poco sviluppata? In quale epoca avrebbe incominciato ad agire la causa che ha prodotto la nostra anomalia, ed in quali condi- dizioni di sviluppo si trovava l'embrione? Per cercare di ren- derci ragione di questa anomalia di sviluppo, dobbiamo pren- dere in considerazione le osservazioni recentemente pubblicate sui primi stadi di sviluppo della specie nostra, le quali fanno d'alquanto progredire le nostre cognizioni. Prima però desidero vedere se esistono casi consimili descritti nella letteratura. Per quanto singolare possa sembrare la particolarità stu- diata, è certo però che non è la sola descritta. Nella letteratura antica e recente si trovano non raramente descritte entro il Chorio delle formazioni vescicolari, di volume e di posizione di- versa, le quali non sono troppo bene interpretate, causa l’in- sufficienza delle nostre cognizioni. sulle condizioni normali, e stante anche l’imperfezione dei metodi di ricerca. Generalmente queste vescicole vengono considerate come rappresentanti dell’ embrione, ma lo studio essendosi limitato al puro esame macroscopico, le deduzioni che traggono gli au- tori non sono sempre convincenti, e perciò non aggiungono gran cosa alle nostre conoscenze. Non credo opportuno ora di fare una rassegna completa delle ova umane, sempre molto giovani, le quali si trovano in queste condizioni, mi limiterò ad alcune. Ricorderò innanzi tutto l’ovo di His segnato col n. XLIV (Bff) del quale ho già avuto l’oc- casione di parlare nella mia prima comunicazione (1887), pag. 9. Quest’'ovo è soventi citato come disposizione normale dei pri- missimi stadi, solo recentemente se ne è stabilito la natura. Si tratta di un ovo del diametro di 8 su 7 mm. Aperto il Chorio si trovò che all’interno esistevano due vescicole, l’ una elissoidale del diametro di 0,85 mm. su 0,6 mm. con parete non trasparente, l’altra vescicola trasparente. L’ una rappresentava la vescicola ombellicale e l’altra l’Amnio. Le due vescicole ade- rivano fra di loro e per mezzo di un breve stelo erano unite al Chorio. Giustamente osserva l’His, che l’iniziamento dell'embrione se esisteva, doveva trovarsi nel limite fra le due vescicole. Nella mia prima comunicazione io sollevava dei dubbi sulle condizioni normali di quest’'ovo. Ora il Mall nel suo recente la- 132 CARLO GIACOMINI voro sul Coeloma ci dice che avendo studiato l’ovo di His in- sieme ad altri, trovò che esso non era normale, che una dege- nerazione fibrosa aveva colpito l’embrionale vescicola dopo che essa aveva raggiunto lo stadio dell’ embrione v. H. di Spee (Mall 1. c. pag. 409). Cionondimeno quest’ovo per me è di grande interesse, rappresentando uno stadio più giovane di quello che abbiamo studiato, e servendo a dimostrare come la causa che produce questa anormalità di sviluppo si inizii nei primissimi periodi quando i primi rudimenti dell'embrione non sono ancora comparsi. Ed oggidì abbiamo argomenti per provare questa nostra asserzione. Queste forme appartengono al gruppo dei prodotti abor- tivi nei quali manca l embrione con persistenza di tutti gli annessi di origine fetale, del quale gruppo abbiamo riportato esempi nelle comunicazioni precedenti. Ma questo gruppo, avuto riguardo al modo con cui si comporta l’ embrione deve essere diviso in due parti, una che comprende i prodotti nei quali l'embrione non solo si è iniziato ma è giunto ad un certo grado di sviluppo, poi si è arrestato, fu invaso da processo di disgre- gazione, scomparve per assorbimento, non lasciando traccia della sua esistenza o rari residui del cordone che lo legava alle altre membrane. E questo è quanto fu già bene studiato nelle precedenti comunicazioni. L'altra parte abbraccia quei prodotti nei quali l'embrione non è mai comparso, solo le membrane si sono sviluppate. A questa categoria appartengono l’embrione descritto e quello di His, e costituisce una categoria nuova fino ad ora non ancora studiata. Perchè le membrane possano persistere senza la presenza dell’ embrione egli è necessario che il loro sviluppo preceda quello dell’ embrione. Ammettendo che l’Amnio compaia dopo i primi rudimenti embrionali, e si sviluppi per mezzo di pliche, come succede nel pulcino, è difficile ed impossibile di poter comprendere come possa persistere l’Amnio senza sviluppo dell'embrione. Ma dopo la descrizione di ova molto giovani fatta recentemente da Spee e da me, sembra probabile che l’Amnio nella specie nostra preceda lo sviluppo dell’ embrione e così pure la V. ombellicale; e che l’embrione si sviluppi dal- l’ectoderma dell’Amnio e dall’entoderma della V. ombellicale nel punto in cui le due vescicole si corrispondono, per ulteriore | er. pg Pe ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 133 differenziazione degli elementi ectodermici ed entodermici. In al- lora resta facile di rendersi ragione delle nostre osservazioni, basta supporre che un disturbo nello sviluppo avvenga nel mo- mento in cui tutti gli annessi sono comparsi ed incomincia a modificarsi l’epitelio amniotico per dare origine al disco germi- nativo, nel periodo vale a dire a cui corrisponde il nostro ovo, di 11 giorni, perchè cessi lo sviluppo del disco germinativo, e di ogni parte embrionaria, mentre le vescicole amniotica ed ombellicale già ben organizzate continuano a crescere, per avere riprodotto prima l’ovo di His n. XLIV e più tardi il nostro ora descritto. E queste anomalie di sviluppo riescono quindi una con- ferma indiretta di disposizioni che si osservano nelle condizioni normali, poichè lo sviluppo fu fermato in questo primo periodo, e non si ebbe più nessuna evoluzione degli elementi, tranne un ingrandimento delle parti già esistenti. Da ciò si scorge in modo molto evidente come lo studio delle anomalie di sviluppo dell'embrione umano, oltre all’inte- resse generale che presenta indicando le forme, i rapporti, le connessioni che esistono fra i diversi prodotti abortivi, possa ancora contribuire a meglio precisare le condizioni normali di sviluppo quando esse sono indiziate da rigorose osservazioni. Anche il Mall ha cercato di trarre partito di ova umane anormali sotto forma vescicolare credendo che esse rappresen- tino un arrestato sviluppo di un primitivo stadio, dovuto alla imperfetta nutrizione o ad altra causa. Egli succintamente parla di 10 ova anomale fra 36 esemplari della sua collezione. Di queste 10 ova Tre contenevano nessun embrione. Uno conteneva solamente il cordone. Tre presentavano una doppia vescicola come nel nostro caso (fra questi è compreso l’ovo XLIV di His). Tre contenevano una sola vescicola la quale era abba- stanza ampia e si dimostrava costituita da due strati, uno in- terno endodermale e l’altro esterno mesodermale, fra i due strati esistevano, in un esemplare, isole di sangue, quindi la V. doveva rappresentare un sacco vitellino, il quale era unito al Chorio ner mezzo di un peduncolo mesodermale. Non esisteva Amnio od altre formazioni embrionarie. Ora il Mall mentre considera giustamente i tre esemplari t] 134 CARLO GIACOMINI presentanti due vescicole nello stesso modo che noi abbiamo interpretato il nostro caso, vale a dire come un arresto di svi- luppo (per degenerazione fibrosa) nel periodo dell’ embrione v. H. di Spee; i tre casi contenenti una sola vescicola (sacco vitellino) li considera di un periodo più giovane, nel quale pe- riodo perciò dovrebbe esistere solo la vescicola ombellicale unita al Chorio per il peduncolo mesodermale con mancanza dell’Amnio, il quale si formerebbe in uno stadio successivo per un piegamento della vescicola in corrispondenza del peduncolo d'attacco. E così con queste asserzioni ipotetiche tenta di ren- dersi ragione delle disposizioni singolari che presentava un altro ovo descritto fin dal 1893 e da lui considerato normale e come rappresentante lo stadio più giovane fino ad ora studiato. Quest'ultimo ovo di Mall fu già da me discusso in altro lavoro (5) e non volendo ripetermi, ad esso rimando il lettore. Ho voluto qui accennare un po’ dettagliatamente alle os- servazioni del Mall per dimostrare che colla scarsità del nostro materiale di studio, vi abbia oggidì la tendenza di utilizzare in tutti i modi i prodotti abortivi molto giovani per portar luce sulle prime fasi di sviluppo della specie nostra. Noi non pos- siamo rimanere indifferenti a tutti questi tentativi che vengono fatti, dobbiamo prendere in considerazione le ipotesi anche un po’ spinte che vengono avanzate, essendo solo colla discus- sione di esse che vien mantenuto vivo lo spirito di ricerca, in un campo così sparso di difficoltà. Ma le formazioni vescicolari perchè possano essere uti- lizzate per lo studio della storia dello sviluppo della specie nostra, è assolutamente necessario che esse appartengano ai primissimi stadi, nei quali l'embrione sta per comparire od è appena iniziato. Le altre forme, le quali dipendono dalla scom- parsa dell’ embrione arrestato nel suo sviluppo in periodi più avanzati, non hanno grande interesse per la questione che stiamo ora trattando. Quindi la conclusione di queste osserva- zioni si è che il gruppo dei prodotti abortivi, nei quali manca l'embrione con persistenza di tutti gli annessi d'origine fetale, che io aveva ben stabilito nella Comunicazione IX, pag. 23, ed in un riassunto critico (Ergebenisse der Anatomie ecc., 1896, pag. 648) deve essere distinto in due classi: nella 1° l’embrione, dopo essere giunto ad uno stadio più o meno avanzato, colpito ANOMALIE DI SVILUPPO DELL'EMBRIONE UMANO 135 x da arresto, è scomparso in sito per assorbimento senza lasciar traccia alcuna; nella 2? classe l’ embrione non si è sviluppato. E quindi questa classe deve comprendere i prodotti abortivi più giovani. Parlando di formazioni vescicolari viene subito alla mente l’ovo descritto 20 anni or sono da Beigel e Léwe e che con sorpresa ho veduto essere compreso nella statistica che il Minot nel suo trattato di Embriologia dà degli Embrioni umani giovani normali nello stadio della comparsa della stria primitiva, insieme a molti altri, i quali non meritavano certamente tanto onore. L’ovo di Beigel e Lòwe conservato per lungo tempo in glicerina, e studiato sotto acqua si presentava di forma allun- gata ed aveva i diametri di 4 a 5 e di 2‘/, a 3 mm. Era co- perto da villosità diramate. Aperto il Chorio, nella sua cavità ed alle due estremità polari si trovavano a destra tre vescicole sferiche ed a sinistra una, come si vedono rappresentate nella fig. 2*. Le tre di destra sono strettamente applicate fra loro e di volume vario ; la sinistra più voluminosa di tutte è posta nell’ estremità sin dall’ ovo. Dalla descrizione insufficiente e dalle figure non si può ben comprendere che cosa rappresen- tino queste formazioni. L'opinione degli autori, che la vescicola inferiore più piccola del polo destro rappresenti il vero ovo, e le altre tre siano ova abortive le quali nella menstruazione giunsero nella tuba ma non furono fecondate, non merita di es- sere discussa. Certo non si tratta qui di una disposizione nor- male. Questa osservazione non ha aggiunto nulla alle nostre cognizioni, ma meritava d’essere ricordata per dimostrare che l'incertezza in cui ci troviamo sulle condizioni di sviluppo della specie nostra ci rende talora così tolleranti da accettare osser- vazioni di nessun valore. La descrizione del nostro ovo ci è istruttiva per diversi ri- guardi. Innanzi tutto si vede come le formazioni vescicolari possono trovarsi completamente libere entro la cavità del Chorio e ciò non di meno avviene il loro accrescimento in volume. La V. ombellicale del nostro ovo ha raggiunto un volume che non si osserva mai nelle condizioni normali in qualunque periodo di sviluppo, la sua parete mesodermale avendo subìto una dege- nerazione fibroide, si presenta resistente, e si è attraverso ad 136 CARLO GIACOMINI essa che si introducevano gli umori somministrati dal Chorio, che davano alla vescicola una grande tensione, e producevano il suo aumento in volume; ma questo aumento è puramente passivo, non seguìto dagli elementi costitutivi della parete, i quali erano in completa rovina. Quindi l’ aumento in volume avrebbe dovuto avere un limite nella resistenza della parete, la quale assottigliandosi avrebbe finito per rompersi. Lo stesso deve dirsi del sacco amniotico. Il nessun legame che presentano queste vescicole col Chorio, è ancora importante a notarsi, poichè se sotto le contrazioni uterine il sacco del Chorio venisse rotto in qualche punto, in allora le vescicole escono liberamente dalla cavità coriale, sono espulse poscia dal sacco dell’ovo, e possono venir raccolte come formazioni indipendenti, ed occorre un certo studio per ripor- tarle alle loro condizioni primitive. È questo appunto il meccanismo con cui furono organizzati ed emessi due piccoli sacchi amniotici che abbiamo studiato nella Com. I e II (osserv. 2* e 4*). Nell’osserv. 2? era facile la diagnosi perchè entro il sacco stava un embrione arrestato nel suo svi- luppo. Nell’ osserv. 4* era più difficile perchè mancava ogni traccia di parti embrionali. Cionondimeno tenendo conto del modo di presentarsi della vescicola, della sua costituzione, ab- biamo interpretato questa vescicola come un Amnio con man- canza dell’ embrione. Ora l’ osservazione che abbiamo studiata in questa comunicazione viene a confermare completamente il nostro giudizio; indicandoci inoltre le condizioni in cui si tro- vano prima d'essere espulsa. i Così tutte le nostre osservazioni, che a primo aspetto pos- sono parere estranee l’ una all’ altra, sono invece intimamente legate fra loro e si vanno completando vicendevolmente. da 4 add ivi. a - * GIACOMINI-Anomalie di sviluppo dell'Embrione umano.(X)) Atti RAecad. delle Sc. di Tormo- Vol % Lit.Salussolia - Torino Ve i ra det ANOMALIE DI SVILUPPO DELL’EMBRIONE UMANO 194 LETTERATURA . FrankLIN P. MaLt, Development of the human Coeloma, “ Journal of Mor- phology ,, vol. XII, Num. 2, 1897. 2. W. His, Anatomie menschliche Embryonen, 2° fasc., pag. 32 e 87, fig. 24 e 47. 3. Hermann BriceL e Lupwia LòwE, Beschreibung eines menschlichen Eichens aus der z2weiten bis dritten Woche der Schwangerschafte, “ Archiv fir Gynàkologie ,, Band XII, Heft 3. 4. C. Giacomini, Die Probleme, welche sich aus dem Studium der Entwickelungs- anomalien des menschlichen Embryos ergeben. Ergebnisse der Anat., 1896. 5. In., Un ovo umano di 11 giorni, “ Giornale della R. Accademia di Medi- cina ,, 1897. 6. F. Grar v. Spre, Neue Beobachtungen iiber sehr frihe Entwickelungsstufen des menschlichen Eies, “ Archiv fiir Anatomie ,, 1896. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1°. — C%. Chorion aperto che lascia vedere il Coeloma esterno, entro il quale si trovano le due vescicole. — 0. Sacco vitellino ed A. Amnios. Alla estremità superiore dell’Amnios si trova il corpo moriforme Y (grandezza naturale). Fig. 2°. — Estremità superiore dell’Amnios leggermente ingrandita, per meglio scorgere le disposizioni che assumeva il corpo moriforme Y. — In X si vede un sottile filamento che partendo dal corpo moriforme va.a perdersi alla superficie esterna dell’Amnios. Fig. 3°. — Una sezione del corpo moriforme Y per dimostrare la sua costi- tuzione. In Co. si trovano piccoli cumuli cellulari, che sono i residui di corpuscoli sanguigni della circolazione omfalo-mesenterica. — A. se- zione dell’Amnios irregolarmente pieghettato. Fig. 4*. — Ovo di His segnato col N. XLIV (B/f) ingrandito 20 volte (fasc. 2°, pag. 88). Si vede un tratto di Chorio colle sue villosità, il quale so- stiene due vescicole aderenti fra loro. La vescicola elissoidale e più opaca rappresenta la vescicola ombellicale, l’altra il sacco amniotico. La disposizione è perfettamente identica a quella che abbiamo descritto, se non che rappresenta uno stadio più giovane. Fig. 5* — Diagramma di un ovo patologico, il quale rappresenterebbe un primitivo ipotetico stadio di sviluppo della specie nostra secondo Mall (pag. 409, fig. 7). — CW. Chorion. — Coe. Coeloma esterno. — 0. vesci- cola ombellicale. — 44. Posizione dell’allantoide — ec. ectoderma. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXII. 12 138 ELODIA OSASCO Di alcuni Corallari Oligocenici del Piemonte e della Liguria; Nota di ELODIA OSASCO. La collezione di Corallari Oligocenici del Piemonte e della Liguria raccolta nel R. Museo Geologico di Torino, ricca di ben 150 specie, era solo in parte già determinata dal Sismonda e dal Michelotti. Nel riordinarla e classificarla riscontrai parecchie specie non ancora note ed ebbi campo di fare interessanti osservazioni. Qui descrivo le nuove specie ed aggiungo sopra specie già conosciute poche note che servono a farle meglio distinguere od a chiarire dubbi ed incertezze. Isis granifera n. sp. (fig. 13). Polyparium articulo extremitatibus alia planulata atque alia laeviter convera; superficie laterali fortiter granulata; granis ro- tundis in ordinibus regularibus longitudinaliter dispositis. Altitudo 17 mm. Axis 5 mm. Tongriano. — Dego (rara). Osservo. — L’ornamentazione e la rugosità che ne risulta la distinguono dalle congeneri. Montlivaultia bormidensis E. H. 1861. MicHELOTTI, Foss. Mioc., pag. 3, pl. III, fig. 2-3. Tongriano. — Dego (abbondante), Cassinelle (rara). Montlivaultia bormidensis E. H. Var. elata n. (fig. 9). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: Polyparium elatum, base subplana, vel laeviter depressa, theca verticali. Altitudo 25-35 mm. Axis calicis 40 mm. sti DI ALCUNI CORALLARI OLIGOCENICI DEL PIEMONTE, ECC. 139 Tongriano. — Carcare-Dego (rara). Osserv. — Le coste sulla base sono subeguali, poco distinte, perchè mascherate dalle pieghe dell’epitecio; ma lateralmente appaiono diseguali essendo 12 maggiori e 5 minori interposte di cui la mediana alquanto più spiccata. I setti sono probabil- mente in 5 cicli non completi di cui i primi due eguali e molto elevati sul calice, il terzo tendente ad eguagliarsi ai primi. L’esemplare di Dego, di cui dò la figura, raggiunge solo 25 mm. d'altezza, quello di Carcare ne ha 35; ma è molto eroso. Montlivaultia carcarensis D’Arch. et Haim. 1861. MrcaeLoTTI, Foss. Mioc., pag. 36, pl. III, fig. 1. Tongriano. — Carcare-Dego (rara). Montlivaultia carcarensis D’Arch. et Haim. Var. plana n. (fig. 10). Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: Polyparium depressum, base subplana, laeviter concava in media parte. Altitudo 15 mm. Axis calicis 40-45 mm. Tongriano. — Cassinelle (rara). Ossero. — Per la base appianata e leggermente depressa nel centro questa varietà si direbbe una M. bormidensis E. H. e per l’altezza si troverebbe fra la detta specie e la sua varietà elata. Ma la teca, dopo essersi allargata nella base, non si eleva formando angolo retto; ma invece gradatamente s’incurva e si allarga in un calice di diametro maggiore che non quello della base. Inoltre le coste tutte uguali sono più sottili, ma più nette, l’epiteca meno abbondante e rugosa, ed i setti dei primi cicli eguali; altri setti non appaiono perchè immersi nella marna. Per tutti questi caratteri considero l'esemplare come varietà della M. carcarensis non negando l’affinità sua colla M. dormi- densis. Symphyllia cerebriformis (Micum.), 1840-47. MicHELIN, Iconog. zooph., pag. 55, pl. 11, fig. 6 (Meandrina bisinuosa). Tongriano. — Mornese? (rara). 140 ELODIA OSASCO Osservo. — L'unico esemplare ch'io riferisco alla specie era determinato dal Sismonda come Favia pulcherrima Micht. Ma esso corrisponde esattamente alla figura data dal Michelin ed inoltre l’essere i calici in gran parte confluenti ed il trovarsi un regolarissimo solco tra le coste mi aveva subito fatto sor- gere il dubbio che non si trattasse di una vera Favia. Infatti se a primo aspetto si ha l'impressione di una corona di denti interni paliformi, un più attento esame lascia scorgere più in- ternamente denti minori ed in un calice si conserva un dente più esterno maggiore, onde io credo veramente che i denti siano tanto maggiori quanto più esterni e che la falsa apparenza si debba alla distruzione dei denti esterni ed al confondersi degli in- terni colla columella, onde solo i mediani spiccano. Del resto già il D’Achiardi (1) notava un passaggio tra la S. cerebri- formis (Micht.) e la Favia pulcherrima Micht. Symphyllia vetusta n. sp. (fig. 1). Polyparium magnum, superne laeviter converum; superficie laterali subverticali, nuda, laeviter striata et granulata; base sub- concava. Calicibus in vallibus sine lege dispositis vel ovatis. Val- libus et calicibus divisis sulcis laevissimis. Multis septis dentatis. Fossula profunda, columella ? Altitudo 15-40 mm. Axis polyparii 16 cm. Axis vallium 4-6 mm. calicis 10 mm. Tongriano. — Sassello? (rara). Osservo. — Distinguono questa specie dalla S. ceredriformis (Micht.) i setti più finemente denticolati o piuttosto granulati, i solchi meno pronunciati tra valle e valle, i setti non così regolarmente ed ugualmente debordanti e più sottili in vicinanza del calice. Polipaio più elevato, solchi più distinti tra valle e valle, maggior numero di setti servono a distinguerla dalla S. multisinuosa De Angel. (2). In questa, come nella precedente specie, i denti appaiono maggiori verso il centro, ma credo ciò doversi alla fossilizza- zione, del resto anche il De Angelis dice nella S. multisinuosa i dentelli maggiori verso la columella. (1) 1868. D’AcrHiarDI, Studi comp., pag. 11. (2) 1894. De AnceLIs, Corall. terz., pag. 69, tav. I, fig. 29. DI ALCUNI CORALLARI OLIGOCENICI DEL PIEMONTE, ECC. 141 Ulophyllia magnicostata Sismond. 1871. Sismonpa, Mat. pal., pag. 326, pl. I, fig. 5. Tongriano. — Dego (rara). Osservo. — L’unico esemplare è il tipo su cui Sismonda fon- dava la specie, dunque non di Sassello si dovrà essa ritenere (come appare dal lavoro del Sismonda), ma di Dego poichè il cartellino accompagnante il fossile porta la località Dego di pugno stesso del Sismonda. Hydnophora minoris n. sp. (fig. 2). Polyparium magnum, superne planum, depressum, base lobata, convera, pedunculata, laeviter costata atque granulata. Collibus longis, flexuosis, acutis, minime elatis, paullum ad basem dilatatis, monticulis parvis, compressis; septis subaequalibus (20 per cm.). Axis vallium 4-7 mm. Tongriano. — Sassello, Mornese (rara). Osservo. — È affine alla H. scripta De Angs. (1), ma ne la distinguono la strettezza delle valli, l’esiguità delle colline ed il maggior numero dei monticoli, sebbene a questo carattere io non dia grande importanza essendo variabilissimo. Uno degli esemplari ch'io riferii alla specie (Mornese) era determinato H. anceps Micht. (2), ma gli stessi caratteri sopra detti servono a distinguerlo da essa. Hydnophora anceps Mica. 1871. Sismonpa, Mat. pal., pag. 321, pl. V, fig. 2. Tongriano. —- Sassello (rara). Ossero. — È un magnifico esemplare con piano comune finemente costato e granuloso, formato come da due ventagli aperti riuniti per la base. Superiormente è convesso, le valli sono larghe da 6 a 10 mm. circa, la base delle colline è di larghezza corrispondente, i mon- ticoli rarissimi e compressi son poco sviluppati. I setti nell’in- terno si riuniscono coi vicini, cosicchè, quando per erosione sono (1) 1894. De Ancetis, Corall. terz., pag. 63, tav. II, fig. 15-16. (2) 1871. Sismonpa, Mat. pal., pag. 321, pl. V, fig. 2. 142 ELODIA OSASCO in parte asportati, la porzione interna talora rimane simulando quasi una columella lamellare. Questo esemplare, che giaceva tra il materiale non deter- minato del museo, corrisponde abbastanza bene alla figura tipica, mentre altri esemplari, che portavano questa determinazione, dovetti staccare dalla specie perchè se ne allontanano per nu- merosi caratteri. Non potei rinvenire l’esemplare tipico della specie, ma non oserei affermare non sia la figura la rappresen- tazione d’una porzione dell'esemplare sopra descritto, chè il fatto dell’ essere nel lavoro del Sismonda le figure per lo più capovolte e l'intreccio delle colline e delle valli rende talora arduo il riconoscere gli esemplari. Hydnophora affinis Mica. 1871. Sismonpa, Mat. pal., pag. 321, pl. V, fig. 3. Tongriano. — Sassello (abbondante), Dego, Mornese (rara). Osservo. — Un esemplare di Mornese colla determinazione H. affinis corrisponde abbastanza bene alla figura, ma non ha certo, come dice la descrizione, le colline sottili, anzi è forse l’Hydnophora che più le ha allargate alla base essendo perciò molto affine alla H. scripta De Angs. (1); ma questa è in lamine incrostanti, mentre il mio esemplare ha base ristretta, pedun- culata, gli altri esemplari di Sassello hanno le colline più ele- vate e meno allargate alla base, quello di Dego invece le ha elevatissime (era determinato Meandrina phryggia Lam.) (2). Come si vede sarebbe l’elevazione delle colline variabile, ma sempre alquanto grande, ciò che d’altra parte risulta se non dalle parole almeno dalla figura che ne dà il Sismonda. Hydnophora magnifica n. sp. (fig. 3 a, d). Polyparium magnum, superne dulcissime et irregulariter con- verum, attenuatum ad basem, pedunculatam, lobatam et laeviter striatam atque granulatam; collibus longis, elatis, acutis, ad basem paullum dilatatis, radiantibus a centro. Monticulis in seriebus positis, in aliis partibus multis, in aliis paucis. (1) De AneeLIs, Corall. terz., pag. 63. (2) 1841-47. MricaeLIN, Iconog. zooph., pag. 55, pl. 11, fig. 5. e e DI ALCUNI CORALLARI OLIGOCENICI DEL PIEMONTE, ECC. 143 Multis septis alternis aequalibus vel tribus minoris, vel aequa- libus in monticulis. Axis poliparii 35 cm. Axis vallium 5-6 mm. Vallibus pro- fundis 7 mm. Tongriano. — Sassello. Cassinelle (rara). Ossero. — Uno di questi esemplari era determinato come H. anceps MicHm.; ma se ne distingue, come in generale la nuova specie, per numero di monticoli, per colline poco sinuose e più ristrette. Hydnophora meandrinoides (Micun.). 1840-47. MricHELIN, Iconog. zooph., pag. 57, tav. 1, fig.9 (Monticularia). Tongriano. — Sassello? (rara). Hydnophora meandrinoides (Micrn.) Var. multisepta n. 1871. Srswonpa, Mat. pal., pag. 322, pl. V, fig. 1. Distinguunt hanc varietatem a specie typica sequentes notae: Polyparium multis septis subtilibus, collibus et monticulis magnis. Altitudo 30-45 mm. Axis vallium 10-13 mm. Tongriano. — Dego, Cassinelle (rara). Favia pulcherrima MicHm. 1861. Mic®eLoTTI, Foss. Mioc., pag. 40, pl. IV, fig. 1-2. Tongriano. — Sassello (abbondante), Dego (rara). Osservo. — Il De Angelis dà la diagnosi del sottogenere . Clypeofavia (1) che già il Michelotti in manoscritti elevava a genere. Ma io trovo mancare in alcuni esemplari i caratteri del sottogenere, così lo spessore, talora più grande, e la disposi- zione in serie continua. Altri sono cancellati dalla fossilizzazione. Onde credo inopportuna la distinzione perchè raramente possi- bile negli esemplari fossili. In quanto all’ altezza del polipaio, Michelotti stesso descrivendo la specie dice: “ Polipier élevé ,. In uno dei miei esemplari l'altezza è di 9-10 mm. da un lato, ma di 30 e più dall’altro. (1) De AneeLis, Corall. terz., pag. 61. 144 ELODIA OSASCO Favia minima n. sp. (fig. 12). Polyparium subtile, incrustans, calicibus parvis, irregularibus, inacqualibusque; multis costis granulatis, granulis rotundis maio- ribus ad calicem; septis in quatuor cyclis subaequalibus vel duo- decim elatioribus. Columella? Axis calicis 4-8 mm. Tongriano. — Sassello (non rara). Osservo. — Si distingue dalle congeneri per la piccolezza dei calici; in un esemplare notansi alcune serie calicinali. Septastraea minuslamellata n. sp. (fig. 4). Polyparium converum, incrustans, laminis subtilibus, multis polypieridibus, calicibus acutis, polygonis irregularibus, fossula pro- funda, duodecim septis lamellaribus, sex maioribus. Sine columella. Altitudo minima ad latera, in media parte 20 mm. Axis calicis 10 mm. Tongriano. — Sassello (rara). Osserv. Si distingue dalla S. larelamellata Micht. (1) per minor ampiezza di calice e minor numero di setti. Brachyphyllia crassa n. sp. (fig. 7). Polyparium massivum, polypieridibus valde elatis, fortis atque multis costis subaequalibus. Septis dentatis in quatuor cyclis incom- pletis, duobus aequalibus, septis costalibus debordantibus, calicis circularibus vel aliquantum compressis. Altitudo 60 mm. Axis calicis 10 mm. Tongriano. — Mornese? (rara). Osservo. — È distinta dalla B. neglecta D’Ach. (2) perchè ha polipaio più elevato, calici più debordanti e grandi. Credo sia distinta dalla B. magna D’Ach. e dalla B. gregaria D’Ach. (2) per avere calici più ristretti e minor numero di setti, sebbene la breve descrizione e la mancanza di figura non permettano un confronto preciso. (1) 1861. MicueLorti, Étud. Mioc. inf., pag. 41, pl. lI, fig. 10-11. (2) 1867. D'Acanrarpi, Catalogo Corall. foss. num., pag. 7. DI ALCUNI CORALLARI OLIGOCENICI DEL PIEMONTE, ECC. 145 Prionastraea propinqua Micum. 1871. Sismonpa, Mat. pal., pag. 300. Tongriano. — Sassello (rara). Osservo. — Credo non inopportuno notare che l’unico esem- plare, il quale già porta la determinazione del Sismonda, si distingue dalla P. multisepta non solo pel diametro minore del calice, ma ancora per lo scarso numero di setti, che è tutt'al più di dodici. Prionastraea intermedia n. sp. (fig. 5 a, 5). Polyparium elatum, superne subplanum, polypieridibus tortuosis, costatis, thecis adhaerentibus ad calicem, ad basem disiunctis, cali- cibus polygonalibus, interdum fere circularibus, septis paucis. Altitudo 6 cm. Axis calicis 3-4 mm. Tongriano. — Sassello (rara). Osservo. — Le maggiori proporzioni la distinguono dalla P. parvula Micht. (1). Mentre la minor grandezza dei calici ed il polipaio elevato e massiccio credo la distinguano dalla P. geo- metrica (Micht.) per quanto si può arguire dalla insufficiente descrizione e dalla figura (2). Cladangia minor n. sp. (fig. 8). Polyparium lobatum, polypieridibus paullum elatis, obliquis, debordantibus et fortiter costatis, anellis perithecalibus coniunctis; calicis circularibus, septis in tribus cyclis, inaequalibus, fossula superficiali, columella tuberculari. Altitudo minima aut 34 mm. Axis calicis 2 mm. Tongriano. — (rara). Osservo. — Determinata come Astrangia minima D'Ach. (3) presenta i calici più avvicinati ed elevati, inoltre hanno essi un diametro di 2 mm. ossia son doppi che nella detta specie. Nell’interno poi si possono riconoscere i prolungamenti orizzontali che tengono uniti i polipieridi, proprii del genere Cladangia. (1) 1871. Siswonpa, Mat. pal., pag. 300, pl. VIII, fig. 11. (2) 1838. MrcaeLotTI, Sp. zooph., pag. 113, pl. IV, fig. 2. (3) 1868. D’AcHiarpI, Studi comp., pag. 20, pl. II, fig. 7. 146 ELODIA OSASCO Stylastraea oligocenica n. sp. (fig. 15 a, d). Polyparium magnum, polypieridibus costis coniunctis, calicibus circularibus, laeviter debordantibus ; costis aequalibus, traversis exo- thecalibus multis, endothecalibus paucis. Septis laeviter dentatis in tribus cyclis, duodecim maioribus, columella styliformi, elata. Altitudo minima vel 40 mm. Axis calicis 4 mm. Tongriano. — Mornese (rara). Ossero. — In questo esemplare è predominante la riprodu- zione per gemmazione intercalicinale; ma in un calice appare in azione la riproduzione scissipara. Stylastraea pulchra n. sp. (fig. 14). Polyparium massivum, magnum, converum, multis polypieri- dibus, calicibus rotundis, aliquantum elatis, multis costis subaequa- libus, septis dentatis, elatis supra calicem, in tribus cyelis, septis primi cycli usque ad columellum styliformem. Altitudo 11 cm. Axis polypariiù 23-40 cm. Axis calicis 3 mm. Tongriano. — Cassinelle? (rara). Ossero. — Il magnifico esemplare non reca indicazione si- cura di località, il terreno serpentinoso di cui è imbrattato si direbbe Elveziano della collina di Torino, ma è alquanto più compatto e duro sicchè più probabilmente è Tongriano, trovan- dosi presso Cassinelle una località Tongriana in cui pure si rin- viene il detto conglomerato serpentinoso. Phyllocoenia distincta n. sp. (fig. 6). Polyparium massivum, converum, polypieridibus costis et exo- thecis coniunctis, costis lamellaribus, distinetis, subaequalibus, vel alternis aequalibus, calicibus circularibus, inaequalibus, septis debor- dantibus in quatuor cyclis, tribus aequalibus, ad centrum coniunctis, granulatis, vel dentatis. Columella parva. Altitudo 15-30 mm. Axis calicis 7-9 mm. Tongriano. — (rara). Osservo. — Si distingue assai bene dalla Ph. procumbens A e E N DI ALCUNI CORALLARI OLIGOCENICI DEL PIEMONTE, ECC. 147 Micht. (1) ed irradians (Michn.) (2) per il maggior numero di coste e di setti non eguali. Una leggera dentellatura appare sui setti e sulle coste, la stessa cosa osservo nella Ph. irradians e nella procumbens. Stylophora annulata Reuss. 1866. D’AcHtARDI, Coralli foss. Alpi Venete, parte I, pag. 29, tav. I, fig. 10. Tongriano. — Sassello, Cremolino (rara), Dego, Mornese, Carcare, Cassinelle (abbondante). Osservo. — Nei numerosi esemplari trovo grande variabilità, sicchè talora in uno stesso polipaio i calici sono grandi o mi- nutissimi, fitti o radi, con orliccio rilevato od appianato. Tan- tochè i diversi punti dello stesso polipaio si direbbero specie diverse. Onde io non trovai abbastanza caratterizzate e distinte da questa specie la St. conferta Reuss (3) e la St. raristella Defr. (4). Flabellum carcarense n. sp. (fig. 11 a, 5). Polyparium elatum, restrictum, sine pedunculo, paullum com- pressum ad calicem, base laevigata, costis conspicuis ad calicem, duodecim maioribus, elatioribus, quinque minoribus alternatis. Multis septis in quinque cyclis completis, tribus aequalibus. Calice paullum compresso, elissoidali, fossula magna, profunda (10 mm.). Axe maiore paullum subter minore. Altitudo 30 mm. Axis maior calicis 35 mm., minor 20 mm. Tongriano. — Carcare (raro). Osservo. — La forma caratteristica delle coste e l’arco della base servono a distinguere questo Fladellum da ogni altro. (1) 1871. Siswonpa, Mat. pal., pag. 312. (2) 1840-47. Mic®ELIN, Iconog. zooph., pag. 58, pl. 12, fig. 4. (3) 1868. Reuss, I Abtheilung, Die Fossilen Castelgomberto, pag. 1583, tav. IX, fig. 3-6. (4) 1840-47. Micurrin, Iconog. zooph., pag. 63, pl. 13, fig. 5 (Astrea). 148 ELODIA OSASCO — DI ALCUNI CORALLARI OLIGOCENICI, ECC. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1. Simphyllia vetusta Osc. . Hydnophora minoris Osc. 3% s magnifica Osc. (frammento del polipaio in grand. natur.). gii La 4 s (polipaio impicciolito). 4. Septastraea minuslamellata Osc. 5°, Prionastraca intermedia Osc. (polipaio visto dalla pagina superiore). 5E 5 s s (polipaio visto in sezione verticale). 6. Phyllocoenia distincta ‘Ose. 7. Brachyphyllia crassa Osc. 8. Cladangia minor Osc. 9. Montlivaultia bormidensis E. H. var. elata Osc. 10. È carcarensis Arch. Haim. var. plana Osc. 11°. Flabellum carcarense Osc. (polipaio visto lateralmente). 115, ì n s (calice). 12. Favia minima Osc. 19. 16ts granifera se 0, CNIL LORI. 14. Stylastraca pulchra Osc. lb p oligocenica Osc. 150 È a s (sezione verticale del polipaio). Relazione sulla Memoria “ / principù della Geometria di Posizione composti in sistema logico-deduttivo , del Prof. M. Pieri. Questa Memoria contiene l’analisi delle idee e delle propo- sizioni fondamentali della Geometria di Posizione. L’analisi degli enti che si incontrano in una scienza qua- lunque porta a classificarli in due categorie: enti primitivi ed enti derivati. Gli ultimi possono essere definiti con definizioni nominali. I primi non possono essere in tal modo definiti; essi sono suscettibili di interpretazione arbitraria entro i confini as- segnati dalle proposizioni primitive (assiomi o postulati). L’A. assume due sole idee primitive, quelle di punto, e di congiungente due punti. La parola punto è sempre seguita dal termine protettivo, avendo l'A. in mira di trattare ciò che con questo nome si intende in Geometria proiettiva. ELODIA OSASCO Atti della I CS Q à a ieD) lo » eAle Scienze di Sdozimo. Vol XXXIII. E. FORMA FOT. ELIOT. CALZOLARI E FERRARIO, MILANO, L 4%, 77) e È DEU N Clcororble Sciente dr Segmo Vo ODIA OSASCO - 4, alcunt Coraltare oligocentee del Sternonte e della = Liguica. Atti della R. Acc. deffe Scienze di dozino, Vol XXXIII E FORMA FOT. ELIOT, CALZOLARI E FERRARIO, MILANO, GIUS. PEANO — RELAZ. SULLA MEMORIA DEL PROF. MARIO PIERI 149 Con queste due idee primitive l'A. definisce i varii termini che figurano nella Scienza considerata. Comincia con alcuni ter- mini, quali “ figura ,, “ giacere ,, “ eguale ,, ecc. strettamente ancora collegati alle idee di logica pura. Passa in seguito a de- finire il piano; e introduce il gruppo armonico mediante il qua- drangolo di M6bius. Coll’aiuto del gruppo armonico l’A. definisce il segmento proiettivo determinato da tre punti distinti a, d, e d’una retta. Esso è il luogo dei punti armonici di 5 rispetto ad una coppia di punti armonici rispetto ad a e c. Col mezzo del segmento proiettivo l’A. nel $ 7 definisce la frase “ ordine naturale dei punti d’una retta ,, gli “ ordini con- cordi , ed infine arriva a definire i due versi d’una retta. L’in- teressante risultato, che l’idea del verso d’una retta si possa scomporre nelle sole idee fondamentali da cui parte l’A., è qui esposto per la prima volta. Seguono le definizioni del triangolo proiettivo, delle tras- formazioni segmentarie, ecc. fino allo spazio assoluto. Le proposizioni della Geometria di Posizione sono classifi- cate in proposizioni primitive (assiomi o postulati) e teoremi. L’A. enuncia i postulati man mano ne sente il bisogno. Si scorge così da quali postulati dipenda ogni proposizione. Ad es. per dimostrare il teorema di Staudt ne sono necessarii 18; l’ultimo è quello della continuità. L'A. dimostra infine l’indipendenza di ogni singolo postulato dai precedenti. Da pochi anni si sono intrappresi studii nell’indirizzo in cui sì è messo il Prof. Pieri. Prima si faceva, nei principii di Geo- metria, ampio uso dell’intuizione spaziale, sia nella definizione degli enti che nella dimostrazione delle proposizioni. E, lasciando in disparte ogni questione didattica, è cosa della più grande importanza scientifica il riconoscere quante idee ci basta pren- dere dall’ intuizione spaziale, e quali proprietà di queste idee basta affermare, affinchè si possano in seguito, senza più ricor- rere all’intuizione, comporre le altre idee e le altre proprietà. Ogni riduzione nel numero delle idee primitive e dei postulati, ogni loro nuova decomposizione è sempre un risultato interes- sante in sè, come verità pura; esso potrà pure avere applica- zioni all'insegnamento. Fra gli Autori che primi intrappresero un siffatto lavoro va “ 150 GIUS. PEANO — RELAZ. SULLA MEMORIA DEL PROF. MARIO PIERI citato il PAscH; questi parte dalle idee di punto e di segmento, ‘ quali si presentano in Geometria elementare; con essi compone più altre idee geometriche; ma nuove idee primitive deve poi ancora introdurre per finire la sua trattazione. Il Pieri invece si propone di analizzare direttamente le idee della Geometria proiettiva, come una scienza a sè, e non con- siderandola quale un prolungamento della Geometria elementare. Gli enti primitivi, e gli assiomi che ne enunciano le proprietà, e da cui parte l’A., hanno proprietà invariantiva per proiezione e per dualità. I varii Autori, da Staudt in poi, che così intesero la Geometria proiettiva, introdussero nei loro lavori più enti non definiti. I sigg. Fano (a. 1891) ed Enriques (a. 1894) espres- sero tutti i concetti della Geometria proiettiva mediante tre soli: punto, retta, e verso d’una retta. Il Prof. Pieri, in una serie di lavori già pubblicati sullo stesso soggetto, provò come coi due primi concetti si possano esprimere molte idee della Geometria proiettiva. In questo la- voro Egli arriva a scomporre pure l’idea del verso d’una retta, nelle idee primitive precedenti, e a dimostrarne le proprietà coi soli postulati di configurazione, sefiza ricorrere a proprietà di connessione. Parecchie delle trattazioni contenute in questo lavoro sono del tutto nuove. E se l'A. per necessità dovette esporre dap- prima alcuni dei risultati già ottenuti, in questa esposizione tali risultati acquistano in semplicità e perfezione, e spesso li com- pleta con nuove teorie. Il lavoro è condotto in ogni sua parte con tutto quel rigore di logica, sia nella sostanza che nella forma, il quale è neces- sario in questioni ove volontariamente non si fa uso dell’intui- zione. Esso contiene gran copia di risultati, frutto di perseve- ranti studii e calcoli. L'importanza del lavoro induce i Commissarii a proporne la lettura e la stampa nelle Memorie dell’Accademia. E. D’OvIpro. O. SEGRE. G. PrANO, Relatore. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. ——_ _—_-— > —_—__°— 151 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 26 Dicembre 1897. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLaRETTA, Direttore della Classe, PeyRon, BoLLATI DI SAINT-PieRRE, FERRERO, CogneETTI DE MARTITS, Grar, BoseLLi, Brusa, PerRRERO e NANI Segretario. Il Socio Segretario legge l’atto verbale della precedente seduta che viene approvato. Il Socio E. FerRrRERO fa omaggio all'Accademia, a nome dell’Autore, prof. Guido Bigoni, di un lavoro intitolato: La ca- duta della Repubblica di Genova nel 1797 (Genova, 1897) e bre- vemente ne discorre. Vengono in seguito presentate per l’inserzione negli Atti le seguenti note: 1° Di uno Statuto dato nel 1325 dal conte Edoardo di Savoia, del Socio E. BoLLATI DI SAINT-PIERRE, 2° I fasti dei Prefetti del Pretorio di Bartolomeo Borghesi, del Socio E. FERRERO, 8° Proverbes et similitudes des Malais avec leurs corre- 152 spondants en diverses langues d’ Europe et d’ Asie, dal medesimo Socio, per incarico dell’Autore Socio corrispondente Aristide | MARRE, i 4° Frammento di un Capitolare nel Cod. A. 220 Inf. della Biblioteca Ambrosiana, dal Socio Segretario C. NANI, per inca- rico dell'autore Socio corrispondente F. PATETTA. Nell’adunanza privata la Classe nomina in sostituzione del Socio Giuseppe ALLIEVO, dimissionario, il Socio Ermanno FERRERO a membro della Commissione pei premii di fondazione Gautieri. _———" —y———€—6m——T—m———m——€6 BOLLATI DI SAINT-PIERRE — DI UNO STATUTO DEL 1325 158 LETTURE Di uno Statuto dato nel 1325 dal Conte Edoardo di Savoia; Nota del Socio E. BOLLATI DI SAINT-PIERRE. Le fonti veramente autentiche e originali che si hanno sulla Storia della Casa di Savoia e de’ suoi Dominii nel Medio Evo non sono le Cronache manoscritte del Dorville, del Dupin e del Servion, ma i Protocolli, vale a dire i rogiti dei Segretarii della Casa e i Conti de’ suoi Tesorieri generali. I Protocolli hanno principio dal 1200 e terminano al 1749; i Conti di Tesoreria incominciano dal 1297 e vanno fino al 1792, epoca dell'invasione francese; buona parte è in rotoli di per- gamena, e ciascun Conto è diviso in due parti, entrate e spese (recepit, libravit). Ambedue le fonti sono ricchissime di notizie e di documenti. Per citare un esempio riguardo ai Conti, in quello del Tesoriere Chabot si trova una Nota particolareggiata di tutte le spese che il conte Amedeo di Challant ebbe a sostenere nella solenne sua ambascieria al Re di Francia in Parigi per trattare del matri- monio della sorella Jolanda col Duca Amedeo npno; e questo particolare è rimasto finora ignorato, anche dal Menabrea, che nel suo bel libro Chroniques de Jolande de France, dove reca non pochi estratti di Conti di Tesoreria, non ne fa cenno. Egli è poi in un Protocollo del 1322, al rogito Reynaud, che si rinviene uno Statuto del 13 maggio 1325, dato dal Conte Edoardo denominato il Liberale, il quale viene dopo quello di Pietro Secondo, edito dall’egregio nostro collega Cesare Nani con dottissime illustrazioni (1). (1) Nelle “ Memorie della Reale Accademia delle Scienze ,, Serie se- conda, Tomo 33. Per verità anche il nostro Statuto del 1325 è stato pub- blicato dal Nani, ma solo come documento fra quelli che seguono all’altro suo prezioso lavoro intitolato “ Gli Statuti dell’anno 1379 di Amedeo VI conte di Savoia , (Si vegga il vol. 34 (Serie seconda) delle stesse Memorie accademiche). Coll’eseguirne la ristampa si è voluto porre in rilievo lo spe- ciale suo carattere. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 13 154 BOLLATI DI SAINT-PIERRE La singolarità di questo documento legislativo esige pure una notizia preliminare, considerati sopratutto i tempi di scar- sissima coltura, di consuetudini barbare, e di feudali prepo- tenze, nei quali esso venne promulgato. La notizia però sarà breve, che anzi si limiterà ad una sommaria esposizione delle singole disposizioni. Come è noto, a cominciare dal regno longobardo e per più secoli, fu in vigore il sistema delle composizioni; per esso un reo si sottraeva alla meritata pena pagando una multa “ sonti “ imposita , (1), come giustamente la definisce il Ducange, “ ad “ luendum crimen damnumve resarciendum ,. Ora il nostro Sta- tuto vieta formalmente a tutti i balii, giudici, castellani, e in generale a tutti gli ufficiali aventi giurisdizione, di addivenire a composizione o personalmente o per mezzo d'altri; ogni com- posizione è anzi per l’avvenire dichiarata nulla; ai contravven- tori è inflitta una pena pecuniaria, e sopra qualsiasi eccesso è stabilito che dovrà pronunziare il giudice “ prout fuerit rationis ,. Gli ufficiali poi, qualunque sia la loro condizione, che ab- biano celato contro o senza compenso un diritto od un provento dominicale, sono multati e per giunta puniti “ pena iuris secundum “ qualitatem delicti ,. Gli onorarii dei notai di Curia per verbali d’ inquisizione, interrogatorii ecc., debbono essere fissati dal giudice. Dove gli stessi notai li esigano ad arbitrio, sono tenuti a restituire quanto hanno ricevuto e puniti con doppia multa. È vietato a tutti gli ufficiali sì presenti che futuri di vin- colare chicchessia a far la guardia alla loro persona ed al loro domicilio: “ recipere in garda ,, e questa specie di servitù è dallo Statuto formalmente abolita, e i contravventori sono tenuti a dare una cauzione “ de emendandis hiis que fore fecerint in “ predictis gardis recipiendis ,. Cotesta disposizione però è oscura,. poichè non si comprende come un pubblico ufficiale potesse vin- colare a sè “ sive pro eo tuendo contra hostes sive ex alio “ debito ,, come il Ducange qualifica la “ garda ,, un uomo libero od un vassallo del Conte, e ridurlo in certo modo a con- (1) “ sons, cuiuscumque maleficii reus ,, cioè di furto, di omicidio, di tradimento, di adulterio ecc. DI UNO STATUTO DEL 1325 159 dizione servile. Non vi ha traccia altrove di siffatta consuetudine, per cui si chiarisca il significato della parola usata dallo Statuto, e la definizione del Ducange si adatta bensì al Signore di un feudo, ma non ad un semplice ufficiale. Ai castellani, ai mistrali ossia esattori, ed agli altri uffi- ciali minori lo Statuto impone di stare agli ordini dei balii e dei giudici “ simul vel divisim ,, e chi non obbedisce è multato di dieci lire forti da devolversi al Conte, salvochè giustifichi il perchè non ha creduto di osservare gli ordini ricevuti. Gli stessi castellani, mistrali, ed altri ufficiali inferiori sono tenuti ad eseguire gli ordini dati dal Conte, e non ottemperando, sono volta per volta multati in quindici lire forti, salvochè, come sopra, facciano pervenire le loro scuse. Un'ultima disposizione dello Statuto assegna ai castellani, per ciascuna lira della moneta in cui taluno venga multato, soldi due. Il testo originale, che segue, si compone di una specie di proemio e dei sette articoli dianzi riferiti sommariamente. (1) Quedam Statuta Sabaudie Anno Domini m° ece° xxquinto, xn1j° n mensis may, ordinatum estitit per Dominum, presentibus dominis Archiepiscopo Tharentasie, Aymone de Sabaudia, abbate Altecombe, Aymaro de Intermontibus, et pluribus aliis de Consilio, Oddone de Chandy, Priore Lemenci, Jo. Ber- ‘trandi, Egidio Richardi, Petro de Claromonte, Aymone de $Serraualle, Aymone de Camera, Lanceloto de Chandy, Petro Francisci, Anthonio de Claromonte, Johanne de Meyriaco, Judice Maurianne et Tharentasie Primo quod inhibeatur omnibus Bailliuis, Judicibus et Castellanis, et omnibus aliis officialibus ne ipsi aliquas composiciones super exces- sibus, qualescumque sint, faciant per se vel per aliam; quod si fecerint, compositio nullius sit momenti, et nichilominus ille qui compositionem fecerit puniatur pro qualibet compositione in decem libris forcium; set super quibuscunque excessibus et inquisitionibus pronuncietur per iudicem prout fuerit rationis. Item ordinatum est quod quicumque officiarius Domini, cuiuscunque conditionis existat, jus Domini celauerit, vel, aliquid recipiendo, ius Domini celauerit, puniatur pro qualibet vice in viginti quinque libris forcium, et nichilominus pena iuris puniatur secundum qualitatem delicti. (1) Archivio di Stato in Torino — Protocollo del notaio Reynaudi, —. a. 1322, fol. 76 (moderno 74). 156 ERMANNO FERRERO Item quod nullus notarius Curie recipiat pro scripturis inquestarum vel aliis actis Curie nisi ad arbitrium judicis; quod si contrarium fecerit, id totum quod receperit restituat et in duplum bannum Domino puniatur. Item quod quicumque officiarii Domini qui nunc sunt vel fuerunt vel in posterum erunt non recipiant aliquem hominem vel subditorum Domini in garda sua, et si receperint, ipsos incontinenti liberent ab obligatione dicte garde. Et ex nunc Dominus, statuendo, ipsas gardas reuocat, cassat et anullat, et nichilominus precepit Dominus quod ab hiis qui predicta fecerint vel facient recipiatur idonea cautio de emen- dandis hiis que forefecerint in predictis gardis recipiendis. Item ordinatum est quod castellani, mistrales, et alii officiales minores pareant et obediant mandatis bailliuorum et judicum, simul vel diuisim; quod nisi fecerint, puniantur pro qualibet vice qua non paruerint in decem libris forcium Nobis dandis, nisi mandarent excusationem quare mandata facere non deberent. Item quod castellani, mistrales, et alii officiales inferiores exequantur mandata Domini; quod nisi fecerint, puniantur pro qualibet vice in quindecim libris forcium Nobis dandis, nisi mandarent excusationem ut supra. Item ordinatum est quod castellani percipiant in bannis duos solidos monete, de qua facta fuit condempnatio, pro qualibet libra condemp- nationis. 1 fasti dei prefetti del pretorio di Bartolomeo Borghesi; Nota del Socio ERMANNO FERRERO. Appena morì Bartolomeo Borghesi, un sovrano, che amò l’Italia, amò e coltivò la scienza, Napoleone HI, volle che, a proprie spese, si stampasse la raccolta compiuta degli scritti, editi ed inediti, di questo grande erudito, gloria fulgidissima della scienza italiana. Tre dotti francesi, il Renier, il Des Vergers, il Desjardins, ed un italiano, il De Rossi, ebbero la cura di questo lavoro, con facoltà di associarsi collaboratori; fra questi furono i nostri Cavedoni, Minervini, Rocchi. Alla caduta del governo imperiale sei volumi erano già usciti alla luce: due di opere numismatiche, tre di epigrafiche | PTT. » Di È I FASTI DEI PREFETTI DEL PRETORIO 157 ed uno di lettere (1). Un settimo, pure di lettere, era pronto per essere distribuito: gli esemplari di esso, deposti nella biblio- teca del Louvre, perirono nell'incendio del maggio 1871. Allora il Ministero della pubblica istruzione ordinò la ristampa di questo volume e la continuazione dell’opera, affidandola all'Accademia delle iscrizioni e delle belle lettere, la quale testè ha divulgato il decimo volume (2). Il lavoro, a cui il Borghesi consacrò tutta la sua vita, fu descritto dal suo biografo: “ Egli volle , scrisse il De Rossi “ entrar ne’ penetrali più segreti della scienza epigrafica e della numismatica e dell’i- “ storica per trarne la dottrina dell’ ordine dei tempi e della “ successione de’ consoli da Bruto e Collatino fino al rovescio “ del regno gotico in Italia sotto Giustiniano, le genealogie delle “ grandi famiglie romane, che illustrarono i fasti della repub- “ blica e dell'impero, la serie de’ censori, de’ proconsoli, de’ pre- “ tori, degli edili, de’ questori, e di quanti magistrati ordinarii “e straordinarii tennero in Roma le maggiori sedi, e con vario “ nome e potestà ne ressero le provincie. E quasi ciò nulla “ fosse, a quella sterminata tela di cronologie e di genealogie “ aggiungete lo specchio di tutta la gerarchia delle grandi e “ delle minori magistrature, de’ sacerdozi, della milizia legio- “ naria, urbana ed ausiliare, e perfin degli uffici, delle ammi- “ nistrazioni, de’ collegi e d'ogni altra istituzione della Roma “ repubblicana e della imperiale, della città e delle provincie. “ E di questa gerarchia tutte le fasi ed i mutamenti, come a “ mano a mano fu svolta, e come e quando atterrata per le “ vicende ordinarie de’ tempi, per le scosse violente delle di- “K = (1) Euvres complètes de BarroLomeo BorcHEsi publiées par les ordres et aux frais de S. M. l’Empereur Napoléon III. Tomes I-II (Euvres numis- matiques, t. I, II, 1862-1864); III-V (Euvres épigraphiques, è. I-IMI, 1864-1869); VI (Lettres, t. I, 1868). (2) Euvres complètes de BartoLomeo Borenesi. Tome X publié sous les auspices de M. le ministre de l’instruction publique par les soins de l’Aca- démie des inscriptions et belles-lettres. Paris, 1897; 4° pagg. 335. I volumi VII e VIII (Lettres, t. lI, III) uscirono nel 1872, il IX fra il 1879 ed il 1893. Questo contiene i frammenti dei fasti consolari capi- tolini pubblicati dal Borghesi nel 1818, la serie (inedita) dei prefetti di Roma, e l'indice delle lettere. 158 ERMANNO FERRERO “ scordie e guerre cittadine, e per le leggi riformatrici della “ costituzione civile: ed infine come tutta dall’antica fu tras- “ formata per l’azione manifesta e per le arti coperte di Cesare, “ di Augusto e dei seguenti imperatori, fin all’ invasione dei “ barbari ed alla finale caduta della romana grandezza , (1). Un'opera di tanta mole eccede la misura delle forze di un uomo, per quanto egli abbia cominciato prestissimo la sua vita scientifica e l'abbia avuta lunga, senza riposi e senza distra- zioni. Copiosissimi materiali egli raccolse per tanta opera, e “ liberalissimo dei raccolti tesori, dalla sua solitudine a tutti “ risponde non per ambagi di Sibilla, ma con parole piene di “ riposta e chiara dottrina; e crea e manda fuori fiumi di “ scienza, sparsa in numero infinito di lettere, di memorie, di “ articoli, di dissertazioni, di opuscoli, capitoli staccati e fram- “ menti della grande opera su cui medita i giorni e le notti , (2). Stampare i materiali dei fasti delle magistrature romane, la- sciati dal Borghesi, è pure ottimo consiglio, sopra tutto come li fa stampare l'Accademia delle iscrizioni, accuratamente integrati ed annotati. Nel nono volume delle opere borghesiane si ha la serie dei prefetti di Roma, che si trovò abbastanza ordinata; il decimo comprende i fasti dei prefetti del pretorio. Per questi le schede erano assai imperfette, anzi non si avevano neppure per un gran numero di prefetti. Antonio Héron de Villefosse (3) ed il collaboratore datogli dall'Accademia, Edoardo Cuq (due nomi conosciuti con molto favore nella scienza francese) si accinsero al non lieve lavoro di supplire quel che mancava, di ordinare il tutto in modo di avere la serie compiuta di tali magistrati e per cia- scuno le notizie somministrate dagli scrittori e dalle epigrafi. Ne venne così un’opera, in cui del Borghesi sono il disegno e la rac- colta dei materiali; dei due dotti francesi il compimento di questa e la distribuzione, oltre alle emendazioni alle note borghesiane fatte necessarie da edizioni di testi filologici, giuridici e lapi- (1) Degli studi di Bartolomeo Borghesi, nell'Archivio storico italiano, t. XII, parte 1*, 1860, p. 107. (2) Vannucci, Storia dell’Italia antica, 3* ed., vol. I, Milano, 1873, p. 673. (3) Insieme con l’ab. Thédenat, sotto la direzione del Waddington, egli aveva ordinato e compiuto le note del Borghesi per i fasti dei prefetti di Roma. e e I FASTI DEI PREFETTI DEL PRETORIO 159 darii, più recenti e migliori di quelle, che potè avere a sua disposizione l’erudito savignanese. Laonde mentre nuovi prefetti del pretorio furono iscritti nelle sue liste, alcuni se ne dovet- tero espellere, per esservi stati introdotti solamente sulla fede di false testimonianze. Quanto poi spetta a lui, quanto a cia- scuno dei due editori risulta chiaramente nella stampa del libro. In questo si ha prima la serie dei praefecti praetorio da Augusto a Costantino. Essa comincia con Caio Cilnio Mecenate, il quale se non ricevette ufficialmente tale magistratura, ne ebbe però, come sembra, le attribuzioni. Per un po’ più di tre secoli, durante cui i prefetti del pretorio ordinariamente erano due, raramente tre od un solo, essa comprende centocinquanta prefetti, dei quali ventidue non assolutamente sicuri. Di sette di essi si hanno le testimonianze, ma non il nome. Quindici altri personaggi a torto furono creduti prefetti del pretorio; qual- cuno era già stato respinto dallo stesso Borghesi. Seguono i titolari delle prefetture del pretorio istituite da Costantino, dell'Oriente cioè, dell’Ilirico, dell’Italia e delle Gallie e quelli della prefettura di Africa, creata da Giustiniano dopo la rovina del regno dei Vandali. I mandati ed i rescritti degli imperatori, contenuti nei codici Teodosiano e Giustiniano, sono per lo più diretti a questi capi delle grandi divisioni ammini- strative dell'impero, onde facilissimo raccoglierne i nomi e di- sporli cronologicamente, badando però che non di rado i copisti, avvezzi a scrivere la nota p. p., designante i prefetti del pre- torio, l’apposero anche a nomi di privati, a cui erano spedite costituzioni imperiali. I prefetti del pretorio dell’Oriente, per un po’ più di tre secoli, dal 315 al 626, cioè al tempo di Eraclio, dopo il quale scompare ogni traccia di questi magistrati, sono in numero di centonove (di uno s'ignora il nome; parecchi tennero più volte l'ufficio), oltre a diciannove non abbastanza sicuri; gl’ iscritti senza fondamento in questo elenco. sono trentadue. L'ultimo prefetto dell’ Illirico, che sia conosciuto, è del 592: egli ebbe cinquantasette predecessori, di cui cinque incerti e quattro per noi anonimi: nove altri si devono cancellare dalla lista. Quella dei prefetti d’Italia dal 314 va sino al 600, poichè essi durarono, dopo la fine dell'impero di Occidente, sotto Odoacre, gli Ostrogoti . e la dominazione bizantina, ed anche, quando questa fu ristretta 160 ERMANNO FERRERO — I FASTI DEI PREFETTI DEL PRETORIO per la conquista langobarda, continuarono ad esistere sotto la di- pendenza dell’esarca. A tale lista si potrebbero aggiungere ancora due nomi per il secolo VII, ma senza troppa sicurezza. I titolari certi di questa prefettura sono centocinque, gl’incerti dieci, gl’in- trusi ventisei. L'Africa, già amministrata dal prefetto d’Italia sino a che fu perduta dall'impero occidentale nel 430, ebbe prefetti proprii dopo il riacquisto, fattone dall’orientale, nel 534. I fasti registrano diciotto nomi, due dei quali sono dubbii; l’ultimo pre- fetto è del 641, poco'prima che la signoria greca fosse distrutta dall’invasione araba. Ma, come per l’Italia, così per questa regione, sulla fine del secolo VI era stato creato un esarca, che ebbe sotto di sè il prefetto del pretorio. I prefetti delle Gallie, dal 316 sino circa al 540 (se ne hanno del tempo dei re Ostrogoti, padroni di una parte di quella regione), ammontano a cinquanta- nove: di cinque di essi il nome è sconosciuto. Inoltre si hanno sei incerti: dieci personaggi collocati fra tali prefetti non hanno diritto di rimanervi. Finalmente si trovano ancora tre prefetti d'Oriente, uno dell’Illirico, due forse d’Italia ed uno della Gallia di tempo indeterminato, diciotto titolari di prefettura ignota e quattro prefetti onorarii. La continuazione della pubblicazione delle opere borghe- siane è un servizio segnalato alla scienza dell’antichità romana; per noi, Italiani, è ancora un tributo d’onore, di cui dobbiamo esser lieti e grati, che la Francia rende al nostro concittadino, di tale scienza altissimo maestro. ARISTIDE MARRE — PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 161 Proverbes et similitudes des Malais, avec leurs correspondants en diverses langues d'Europe et d’ Asie; Nota del Socio corrispondente ARISTIDE MARRE. En tous les pays du monde, les Proverbes remontent à la plus haute antiquité. Nos ancétres vivaient plus que nous au milieu des ouvrages de Dieu, et beaucoup moins parmi les ou- vrages des hommes; ils faisaient un fréquent usage des proverbes. En France, méme dans notre grand siècle littéraire, sous le règne de Louis XIV, les proverbes étaient encore fort à la mode. Si maintenant ils ne sont plus les ornements de la con- versation, ils n°ont pas cessé d’étre des trésors de la pensée. Quelque soit l’idiome dans lequel ils sont exprimés, ils of- frent toujours un grand intérét pour le moraliste, le philosophe et le linguiste. Ne sont-ils pas en effet le fruit des usages, des habitudes, des moeurs, de la facon de sentir et de parler, et comme l’écho de l’expérience de chacune des nations qui com- posent la grande famille humaine? Ne connaît-on pas mieux le génie, le caractère et l’esprit d’un peuple par les détails de sa vie privée que par les hauts faits de son histoire? L’illustre orientaliste Freytag a dit excellemment dans la préface de ses Proverbes arabes: “ De méme que l’arbre peut se juger par le fruit, la nature des proverbes nous apprend le caractère et le génie propres de chaque nation. En rapport intime avec la ma- nière de penser et de sentir d’un peuple, avec ses moeurs, ils nous font assister à son existence journalière. L’histoire explique surtout la pensée, les sentiments de quelques hommes et l’in- fluence qu’ils ont exercée; les proverbes nous font connaître une nation tout entière. Imaginés sans doute par des individus, mais adoptés par la foule, ils sont l’expression de son activité morale .,. Certains proverbes, en assez grand nombre, se retrouvent à peu près les mémes dans toutes les langues; le lecteur ne sera donc pas étonné de rencontrer ici des proverdes malais sem- blables è ceux d’autres peuples d’Europe et d’Asie. C'est que 162 ARISTIDE MARRE sous toutes les latitudes, la nature offre aux yeux de l’homme et livre à son esprit d’observation des faits semblables. Jai traduit littéralement en frangais les proverdes et simi- litudes des Malais, sans y ajouter de commentaires, me conten- tant d’en rapprocher un certain nombre de proverbes d’autre provenance, et tout en laissant à la sagacité de chaque lecteur le soin d’en tirer la moralité qu’ils comportent. S'il est vrai que le proverbe est un reflet de la vie du peuple et de ses moeurs, on ne sera point surpris de rencontrer chez les Malais quelques proverbes d’une crudité d’expression plus ou moins grossière. Le méme fait n’existe-t-il pas dans les langues des peuples les plus civilisés de l'Europe moderne, et notamment dans la langue francaise? Il convient en ces rencontres de répéter le proverbe malais: “ Le rubis, s'il tombe dans un bourbier, n° en perdra pas pour cela son éclat , (1). Quoiqu’il en soit, on reconnaîtra, je l’espère, que la plupart des proverbes malais renferment les trois ingré- dients qui doivent entrer dans la composition de tout bon pro- verbe, à savoir: la raison, le sel et la concision. 1. Abandonner le tison et courir après la fumée. Laàcher la proie pour l’ombre. 2. Affronter la honte et craindre la mort. 3. A force de gratter on fait venir un abcès, là où il ny avait qu’une légère démangeaison. Trop gratter cuit. 4. Agir en vue de Dieu et susciter sa colère. Le chemin qui mène à l’enfer est pavé de bonnes intentions. 5. A jeune poulain poil grossier. La jeunesse est une folie dont la vieillesse est un remède (Prov. arabe). 6. Aller cà et là en tàtonnant, comme un aveugle qui a perdu son bàton. 7. Allume la lampe, et elle sera heurtée par un rat. 8. A oignon gaté, la fane tombe. 9. A quoi bon vouloir allumer la lampe, si elle n°a pas de -mèche? A quoi bon verser du grain dans la trémie, si les meules du moulin sont brisées? — Soll die Ampel brennen, so muss man 0el zu giessen. (1) “È Adapoun manikam itou, djikalau didjatohkan kadalam Anni “ sakalipoun nistchaya tiada akan hilang tchahayania ,. PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 163 10. A quoi sert d’allumer la lampe, quand le jour est levé? Quand la cage est faite, l’oiseau s’envole. — A toute chose sa saison, et è toute affaire sous les cieux son temps (Prov. hébreu). — Porter lan- terne è midi. 11. A quoi sert que la lune brille dans la forét? Ne vau- drait-il pas mieux qu'elle brillàt dans la ville? 12. Au bord de la mine, sont étendus morts les mineurs. 13. Au buffle le lait, è la vache le renom. 14. Autres sont les coutumes des Blancs, autres sont les coutumes des Malais. Tanti paesi, tante usanze. — En cada tierra su uso. 15. Aux animaux qui paissent Dieu a fait la nuque forte- ment musclée. A brebis tondue Dieu mesure le vent. — Dieu donne le froid selon le drap. — Dieu ne nous donne jamais è porter plus que nous ne pouvons (Prov. arabe). 16. Avant la chute il est bon de tenir l’onguent tout prét. Va au médecin avant d’ètre malade (Prov. hindou). — Avant de dormir prépare ton lit (Prov. persan). 17. Avec la fleur on orne sa chevelure, et le pied de la tige on le souille d’excréments. 18. Avec une goutte d’indigo l’on gàte tout un pot de lait. Un peu de fiel gàte beaucoup de miel. 19. Avoir longue barbe mais courte expérience. 20. Basse est la montagne, haute est l’espérance. L’espérance s’élève plus haut que les montagnes. 21. Bien fou qui, pour plaire aux hommes, abandonne ce qui plait è Dieu. cd 22. Boire de l’eau, sentir des épines. 23. Bon marché sur les lèvres, cher sur les balances. Si tu achètes, souviens-toi que c’est è un marchand (Prov. arabe). 24. Cassé le gouvernail, cassée la barre. 25. Cela pourra arriver quand les chats auront des cornes, et que les Hollandais se feront circoncire. Cela arrivera la semaine des trois jeudis. — C'est la mer è boire. — Vouloir prendre la lune avec les dents. 26. Celui qui garde le puits, peut-il mourir de soif? Celui gouverne bien mal le miel, qui n’en tàte et ses doigts ne lèche. — Quien la miel trata siempre se le apega della. — Qui touche le miel se lèche les doigts (Prov. turc). 27. Celui qui mange du piment, sent qu'il pique. 28. Celui qui plante un cocotier, souvent n’en mange pas les fruits. Waar men vruchtboomen zet valt niet op vruchten te rekenen (Quand on plante des arbres fruitiers, on ne doit pas compter sur les fruits). 164 ARISTIDE MARRE 29. Celui qui se connaît en pierres précieuses est vraiment Joaillier. i Marchand d’oignons se connaît en ciboules. - L’homme de mérite se connaît en mérite (Prov. turc). 30. Son repos n’est point le repos d’une béche qui se rouille, mais bien plutòt le repos d’un oubi (1) arrivé à sa der- nière limite d’accroissement. La résignation n’est pas l'inaction (Prov. hindou). 81. Ce n’est pas par un coq qu'on apprend que le jour se lève. i Niet omdat een haan het weet wordt het dag (Ce n’est pas par un coq qu’on connaît le lever du jour). 32. Ce que l’on poursuit, on ne peut l’atteindre, et ce que l’on porte sur le dos traîne à terre. Qui convoite tout perd tout. — Notre condition jamais ne nous contente. 33. Ce qui est décrété par Dieu, c'est cela qui arrive. Contre Dieu nul ne peut. — La plainte ni la peur ne changent le destin. — Ce qui arrive, ce n’est pas ce que projette la créature, mais bien ce que veut le Créateur (Prov. turc). 34. Ce qui n’a pas été mangé par les oies, on le donne aux canards. On tire parti de tout. — Kein Ding ist so schlecht dass es nicht zu etwas nutzen sollte. 35. C'est comme celui qui aime un plateau couvert de fleurs, et repousse une simple fleur sur sa tige. Si tu es prudent, une simple rose sera pour toi une gràce suffisante; si tu es indiscret, entre dans le jardin (Prov. turc). 36. C'est comme de la poterie: un vase cassé, tous cassés! 37. C'est comme le chevrotain musqué, qui perd la vie è cause de son odeur. Si l'oiseau ftsu n’avait pas de belles plumes et si le ché (espèce de chevrotain) ne portait pas de musc, l’un et l’autre vivraient en paix (Prov. chinois). — C’est pour l’ivoire qu'on chasse l’éléphant, pour la perle qu'on ouvre l’huître et qu’on lui donne la mort; le langage du per- roquet lui fait perdre la vie (Prov. chinois). 38. C'est comme le fruit du Képayang (2): en manger c'est s’enivrer, le rejeter c'est dommage! 39. C'est comme les gens à qui l’on jette des fleurs et qui, ‘en échange, vous jettent des ordures. Chantez à l’àne, il vous fera des pets. — Truie aime mieux bran que roses. 40. C'est comme les gens qui vont se réfugier au milieu d’un essaim d’abeilles. (1) L'oubdi est le nom malais des tubercules comestibles et farineux. (2) Le Xépayang est un grand arbre dont les fruits sont amers et enivrants. PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 165 Se jeter dans l’eau de peur de la pluie. — Il ne faut point faàcher une ruche. 41. C'est dans la baie que d’ordinaire se pressent les navires. 42. C'est en vain qu'on agit avec bonté è l’égard des mau- vaises gens. Graissez les bottes d’un vilain, il dira qu’on les lui brùle. — Oignez vilain, il vous poindra; Poignez vilain, il vous oindra. — De mauvais buisson jamais ne vient bonne ronce. 43. C'est jeter du sel dans la mer. C'est porter de l’eau è la rivière. 44. C'est la main qui coupe en menus morceaux, c'est l’é- paule qui porte les fardeaux. Le fardeau est léger sur l’épaule d’autrui (Prov. russe). 45. C'est par la bouche que le corps est ruiné. Celui qui garde sa bouche garde son àme, mais celui qui ouvre à tout =D S I q propos ses lèvres tombera en ruine (Prov. hébreu). 46. C'est un cerf-volant dont la corde est cassée. 47. C'est une honte si le petit d’un tigre devient le petit d’un chat. Adler bruten keine Tauben. 48. Ceux qui sont en bas cherchent à prendre, ceux qui sont en haut prennent. 49. Chaleur d’une année est enlevée par pluie d’une journée. Een dag verleent wat een geheel jaar weigert (Une seule journée donne ce que toute une année refuse). 50. Cher à acheter, difficile è trouver. 51. Cherche et tu trouveras. Cherchez et vous trouverez. — Aide-toi, le Ciel t'aidera. 52. Chien qui aboie ne mord pas. Chacun chien qui aboie ne mord pas. — Can che abbaia non morde. — Perro ladrador nunca buen mordedor. — Le chien aboie mais la cara- vane passe (Prov. turc). — Les gens sans bruits sont dangereux. Il n’en est pas ainsi des autres. 53. Comme le bourgeon du palmier avec le pédoncule de la feuille. 54. Comme le corbeau qui s’en retourne au pays où il est né: noir il est parti, noir il revient. 55. Comme le dourian avec le concombre. 56. Comme le drap qui est è deux faces. 57. Comme l’épervier qui vole contre le vent. 58. Comme le feu qui dévore la paille de riz (1). (1) Au dire des Malais, la paille de riz, quand on y met le feu, ne flambe pas, et dans un tas de paille de riz le feu couve lentement jusqu’à ce que le tout soit réduit en cendre. 166 ARISTIDE MARRE 59. Comme le rat qui restaure une calebasse. Comme un rat dans un fromage de Hollande. 60. Comme le tigre qui cache ses griffes. 61. Comme un balai qui est lié avec des fils de soie. 62. Comme un cerf qui est entré dans un campong. Comme un cerf qui est entré dans la rue du village. 63. Comme un chien qui mange son vomissement. Comme le chien retourne è ce qu'il a vomi, ainsi le fou réitère sa folie (Prov. de Salomon). 64. Comme un éléphant avec ses entraves. 65. Comme un grain de moutarde dans l’herbe. Comme une aiguille dans une botte de foin. 66. Comme un jeune gargon qui, pour la première fois, porte un Kriss (1). Comme un tout petit garcon qui est nouvellement mis en culotte. 67. Comme un nain qui veut attraper la lune, et vider la mer d'une seule main. 68. Comme un poisson dans la nasse. 69. Comme un rat tombé dans du riz. Comme rats en paille. 70. Comme un roi avec son ministre, une bague avec sa pierre précieuse, et du lait avec du sucre. 71. Comme la coque d’une noix de coco: si on la couche sur le dos, elle se remplit d’eau; si on la couche sur le ventre, elle se remplit de terre. 72. Comme une étoffe de gaze sur un buisson d’épines. 73. Comme une étoffe qui est demeurée dans ses plis. 74. Comme une fourmi qui fait hommage d’une cuisse de sauterelle au roi Salomon. : 75. Comme une grenouille tapie sous une noix de coco. 76. Comme une jonque trop chargée qui ne va ni à l'est ni à l’ouest. Als een te zwaar geladen vaartuig noch oost noch westwaarts Kan (Comme un bàtiment trop chargé qui ne peut aller ni è l’est ni à l’ouest). 77. Comme une poule qui becquète ses poussins. 78. Comment l’arbre frappé de la foudre n’est-il pas ren- versé? C'est que dans le tronc, sous l’écorce, il y a une fissure. (1) Le Kyîss est l’arme que porte tout Malais ou Javanais, au sortir de l’enfance. PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 167 79. Comment serait-il possible que le petit d’un chien de- vint une civette? Les abeilles ne deviennent pas fréèlons. 89. Comment serait-il possible de séparer le noir de l’ceil du blanc de l’ceil? 81. Compter sur la pluie du ciel et jeter l’eau qui est dans la jarre. Por agua del cielo no dexes tu riego. 82. Compter sur un enfant, c'est étre borgne; compter sur un compagnon, c'est ètre aveugle. Ne t’attends qu’à toi seul. — Qui a compagnon a maître. — Amor de niîio, agua en cestillo. 83. Cuisse gauche pincée, cuisse droite endolorie. 84. Dans les cassettes les pierres précieuses. Dans les petits pots les bons onguents. — Nei piccoli sacchi sono le migliori spezie. 85. De bonnes paroles apaisent le coeur de l'homme, des paroles dures ne font qu’accroitre sa passion. Douces paroles rompent grande colère. — Plus fait douceur que vio- lence. — On prend plus de mouches avec du miel qu’avec du vinaigre. — Le chagrin qui est au coeur de l'homme l’accable, mais la bonne parole le réjouit (Prov. de Salomon). 86. De ce que l’eau est calme, il ne faut pas croire qu'il n'y a pas de crocodiles. Il n’y a pire eau que l’eau qui dort. — Deux sùretés valent mieux qu’une. — La méfiance est mère de la sùreté. — Confiance est mère de déception. 87. De jeunes singes trouvent des fleurs, est-ce qu’ils en connaissent l’utilité? Jeter des perles devant des pourceaux. 88. De la canne à sucre on boit le suc, et l’on rejette le résidu. 89. De l’eau mélée avec une autre eau ne font plus qu’une seule et méme eau, et les impuretés sont rejetées vers le bord. 90. De loin c'est le parfum des fleurs, de près c’est l’odeur des ordures. De loin c'est quelque chose et de près ce n’est rien. 91. De loin on lève l’index, de près les yeux. 92. Demande è qui possède, fais des voux au pied de l’autel, et boude qui te montre de l’affection. 93. Demander des écailles au limdat (1). (1) Le limbat est une espèce de lotte. — Ce poisson qui a une chair blanche de saveur agréable, est absolument dépourvu d’écailles. 168 ARISTIDE MARRE Demander de la laine è un àne. — No pidas al olmo la pera pues no la lleva. 94. Des éléphants se battent et le chevrotain au milieu d’eux meurt écrasé. Peleijaò os touros, mal pelos ramos. — Il n’est pas bon d’ètre entre le marteau et l’enclume. De tout temps Les petits ont pàti des sottises des grands. 95. Des graines semées sur un lac ne pousseront pas. 96. Des pierres précieuses sont devenues fétus de paille. 97. Deux ceufs s’entrechoquent: un de cassé ou tous deux cassés. Ì 98. Dix étoiles qui sont disséminées peuvent-elles égaler la lune qui est seule? 99. Dos tourné, langage changé. 100.. Du plaisir tout d’abord, de la peine ensuite. Du court plaisir long repentir. — La joie finit par l’ennui. 101. D’une peau de cochon on lui a fait un bonnet (1). 102. En entrant dans l’étable à chèvres, il béle; en entrant dans le pare è buffles, il beugle. Il faut hurler avec les loups. — Le sage dit, selon les gens, vive le roi! vive la ligue! — Bisogna voltar la vela secondo il vento. — Il faut tendre voile selon le vent. 103. En grimpant on peut s’accrocher au serouda (2). 104. En grimpant sur un tehékoh (3), on peut se tuer en tombant. Les plus àè craindre sont souvent les plus petits. 105. En prendre la fécule, en rejeter les filaments. 106. Epaisse est la peau de son visage. Il a un front d’airain. 107. Essuyer la sueur des gens qui courent l’amok (4). 108. Est-ce l'eau qui remplit un tonneau, qui est agitée, ou bien est-ce l’eau qui ne le remplit qu’à moitié? Les tonneaux vides sont les plus bruyants. 109. Est-ce que d’une fontaine limpide coule de l’eau trouble? (1) C'est ce que disent les Malais, d’un mari trompé par sa femme. (2) Le serouda est un cercle d’épines qu'on met autour du trone des arbres fruitiers, pour les protéger contre les maraudeurs. (38) Le tehékoh est un arbuste dont on mange les feuilles comme ver- dure potagère, et dont on répand les fleurs sur les tombes. (4) Courir l’amok ou faire l’amok, c'est se précipiter le Kriss è la main, comme un fou furieux, contre toute personne qu’on rencontre. PROVERBES .ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 169 110. Est-ce que la fleur la plus odoriférante n’a pas de toungau? (1). Il n'est gloire sans envie. — On ne jette des pierres qu’à l’arbre chargé de fruits. — Parmi les arbres, ceux-là seulement sont battus des pierres, dont le front est couronné de fruits (Prov. arabe). 111. Est-ce que les épines ont été aiguisées? L’épine en naissant va la pointe devant. 112. Est-ce que le canard apprend è nager? 113. Est-ce que l’on peut faire rentrer les défenses de 1’é- léphant, une fois qu’elles sont sorties? 114. Est-ce qu’un serpent, en se repliant autour de la racine d'un bambou, perd son venin? 115. Étre assis comme un chat, et bondir comme un tigre. Cuentas de beato y unas de gato. 116. Faire de la farine et n’avoir pas de riz. 117. Fini l’appàt, le Kerongkerong (2) ne s'attrape pas. Qui n’amorce pas son haim, péèche en vain. — Invano sì pesca, se l’amo non ha esca. 118. Frapper comme un sourd et aveugle. 119. Frapper la fille, viser le gendre. Toujours ne frappe-t-on pas ce è quoi l’on vise. 120. Frapper la poitrine, interroger le corps. 121. Haut dans le débat, bas dans le combat. A beaucoup de caquet peu d’effet. — Grand vanteur petit faiseur. — Les grands diseurs ne sont pas les grands faiseurs. Ne faut-il que délibérer? Est-il besoin d’exécuter? La Cour en Conseillers foisonne. L’on ne rencontre plus personne. Lunga lingua corta mano. — Do va mas hondé el rio haze menor ruido. 122. Il a ressenti quelque chose comme si la lune était tombée sur ses genoux. 123. Il attend le riz, le plat tout prét sur ses genoux. Il attend que les alouettes lui tombent toutes ròties dans le bec. 124. Il crache puis il lèche. 125. Il crache contre le ciel et son crachat lui tombe sur la face. Qui crache contre le ciel, son crachat lui tombe sur la téte. 126. Il est capable de voir un kouman (3) au pays de Chine, mais il ne s’apergoit pas qu'il y a un éléphant au bout de son nez. Il voit une paille dans l’eeil du prochain et ne voit pas une poutre dans le sien. — On se voit d’un autre ceil qu'on ne voit son prochain. (1) Le toungau est une sorte de petit puceron rouge qui ronge les fleurs. (2) Le Kerongkerong est un tout petit poisson. (3) Le Kouman est un petit acarus. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 14 170 ARISTIDE MARRE 127. Il est plus pénible de fendre du bois que de déchirer du papier. 128. Il est léger si on le porte è la main, il est lourd si on le porte sur l’épaule. 129. Il est malséant de cracher devant soi ou à sa droite. 130. Il faut en toute affaire examiner quelle en sera la fin. En toute chose il faut considérer la fin. — Quidquid agas prudenter agas et respice finem. — Pensez avant d’agir, et ne commencez rien sans avoir bien examiné les circonstances (Prov. chinois). 131. Il faut laver le charbon dont on a la figure barbouillée(1). La vengeance est un plaisir des dieu®. 132. Il jette des pierres et tient sa main cachée (2). Jeter la pierre et cacher le bras. — Hecho de villano: tirar la piedra y esconder la mano. 133. Il n’est pas encore assis que déjà il allonge ses jambes. Mets un paysan à table, il mettra les pieds dessus (Prov. russe). 134. Il n°y a pas de rotin, les racines alors sont utiles. Il n’est rien d’inutile aux personnes de sens. 135. Il pense que son village est l’ univers, et s’° imagine que des sauterelles sont des éperviers. 136. Il ressemble è la cognée qui voudrait sculpter une boîte è bétel. Que chacun se méle de son métier! — Ne sutor ultra crepidam! 137. Il ressemble à la grenouille qui, sous une noix de coco, simagine que la concavité de la coque est le ciel. 138. Il suffit d'un mot pour te créer une dette, et d’un mot pour t’en libérer. 139. Il veut la farine, il veut encore le gàteau. Tout d’un. còté, rien de l’autre. — Le moins de gens qu'on peut è l’entour du gàteau. 140. Instinctivement le canard s'achemine vers le bourbier, et la poule vers le mortier è riz. Chassez le naturel, il revient au galop. — Chi gatto nasce sorice piglia. 141. La bouche est douce comme du sucre, et le coeur tout prét è faire du mal. Langue de miel, coeur de fiel. — Boca de miel, manos de hiel. — Il donne à manger avec la cuillère, et crève les yeux avec le manche (Prov.russe). (1) Pour un Malais cela signifie qu'il faut toujours se venger d’une injure. (2) Un vieux proverbe, encore en usage à Bayonne, est celui-ci: “ Ils ont lancé la pierre et sont devenus manchots ,. Ce qui signifie que celui qui a lancé une pierre, cache son bras sous son manteau, et paraît alors comme serait un manchot. È sa | PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 171 142. La bouche est remplie de bananes et le derrière est accroché dans les épines. 143. La bouche porte du miel, le derrière porte un aiguillon. Le miel est doux mais l’abeille pique. — A la queue gît le venin. 144. La chaleur venue, la fève oublie sa cosse. Fi du manteau quand il fait beau! — Le danger passé, adieu le saint! — El rio pasado el santo olvidado. — Rien ne vieillit plus vite qu’un bienfait. 145. La colère fait perdre la raison. La colère mauvaise conseillère. 146. La coquille d'un ounam devient mouvante si un ou- mang entre dedans (1). 147. La destinée de l'homme c’est de tomber malade en un instant, et de mourir en un instant. Chaque instant de la vie est un pas que tu fais vers la mort. — Ist der Mensch geboren so fangt er an zu sterben. 148. L’eau avec les poissons, la plaine avec le gibier, la mer avec les pirates. 149. L’eau coupée par un instrument tranchant n'est pas pour cela rompue. Donner un coup d’épée dans l’eau. 150. L’échelle repoussée, les pieds se balancent. 151. La félure attend la brisure. Les pots fèlés sont ceux qui durent. 152. La feuille tombe et vole dans l’air, le fruit tombe au pied de l’arbre. Le fruit ne tombe pas loin de l’arbre. — De vrucht valt niet ver van den stam (Le fruit ne tombe pas loin du trone). 153. La fleur qui plaît par sa fraîcheur, on la porte; si elle est fanée, on la jette. 154. La fidélité se trouve dans l’homme au coeur pur, et la pureté dans l'homme au coeur fidèle. 155. La grandeur de la taille, voilà celle de la couverture. 156. La hache se hausse jusqu@'au métier à broder. Chacun è son métier doit toujours s’attacher. 157. La maison batie, le ciseau crie. Après l'utile l’agréable. 158. Là où il n'y a pas d’épervier, la sauterelle dit: C'est moi l’épervier! Au pays des aveugles les borgnes sont rois. — Dove non sono i cani, la volpe è re. (1) L’ounam est un coquillage comestible è conque brune dentelée, et l'’oumang est un petit crabe d’eau salée qui se choisit pour demeure le coquillage vide. 172 ARISTIDE MARRE 159. La palissade mange le riz. La haie mange le ble. 160. La place du riz, c'est dans le carry. 161. La pluie ne tombe pas tout è la fois. De jour en jour s'acquiert la vigueur (Prov. turc). — Petit è petit l’oiseau fait son nid. — On ne fait pas tout en un jour. — Rome n’a pas été faite en un jour. 162. La pluie retourne au ciel. 163. La prospérité et l’adversité viennent de Dieu. L’homme propose, Dieu dispose. 164. La prospérité s’évanouit par l’élévation au pouvoir des hommes vils. 165. La rivière a donné à boire à beaucoup de gens, beau- coup encore boiront de son eau. 166. La sangsue veut devenir un serpent python. 167. La soucoupe et la coupe s’entrechoquent, si elles sont posées un peu de travers. 168. La tortue de mer pond des ceufs par centaines, et per- sonne n’en sait rien; la poule pond un ceuf et tout le monde l’apprend dans le pays. Hat die Henne ein Fi gelegt, so gacket sie. 169. La tringle descendue, l’étoffe s'enroule autour du rou- leau (du métier è tisser). 170. La vague est une vague et de l’eau est de l’eau. 171. La vie est comme un ceuf sur la pointe d’ un corne. Ra Est-il aucun moment Qui nous puisse assurer d’un second seulement? 172. L’amour ne supporte pas les délais, et l’amoureux n'a plus de jugement. Amour! amour! quand tu nous tiens, On peut bien dire: adieu prudence! L’amoureux est aveugle (Prov. turc). 173. L’àne veut se faire cheval. Quis contentus sua sorte ? — Il ne faut pas lier les ànes avec les chevaux. 174. Berceau secoué, enfant pincé. 175. Le delambang (1) est bas, on rampe par dessous; le figuier est haut, on s’élance par dessus. 176. Le cadavre d’un éléphant peut-il étre recouvert avec un van? 177. Le cercle n'est pas formé d’une seule courbure. (1) Le belambang est une plante basse qui croît dans les marais. lb Delli iena A cinici n PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 173 178. Le chameau se livre lui-méme. 179. Le charbon, quand méme on le laverait avec de l’eau de rose, ne deviendra jamais blanc. D'un sac à charbon ne saurait sortir blanche farine. 180. Le chat fait un bond, l'homme se réveille, le coq chante, il va faire jour. i 181. Le chevrotain oublie le lacet, mais le lacet n’oublie pas le chevrotain. 182. Le chien dresse la queue, quand de la paume de la main on lui tapotte la téte. 183. Le coq chante, le jour se lève. Que le coq chante ou non, le jour viendra. 184. Le coussin parti, la natte le remplace. 185. Le couteau et la serpe s’° émoussent; mais la langue de l’homme est toujours tranchante. Un coup de langue est pire qu’un coup de lance. — Mas hiere mala palabra que espada afilada. — La parole n’est pas une flèche, mais elle perce davantage (Prov. russe). 186. Le crabe commande è ses petits de marcher droit. 187. Le daim enchaîné avec une chaîne d’or, s'il s'échappe court vite è la forét et va brouter. Il n’est que d’avoir la clef des champs! — E meglio essere uccello di campagna che di gabbia. — De vorsch huppelt weder in de poel, zat hi) ook al op enn gulden stoel (La grenouille assise sur un siège d’or saute encore dans la mare). — L’oiseau en liberté est mieux qu’en cage dorée (Prov. russe). — Mieux pauvre et libre que riche et esclave (Prov. russe). 188. Le datura se mélange avec le chanvre. 189. Le dos d’un couperet, s'il est aiguisé, devient néces- sairement tranchant. 190. L’éléphant, bien qu'il soit grand et solide sur ses quatre pieds, bronche quelquefois. Il n’est si bon cheval qui ne bronche. — Anco il cavallo si stanca, sebben abbia quattro piedi. — Il n’est si fort qui ne tombe. 191. L’'éléphant fait de gros excréments, nous aussi nous voulons faire de gros excréments. Plus chie un boeuf que cent arondelles. — Mas caga un buey que cien golondrinas. 192. L’éléphant màche le tronc du bananier auquel il est attaché, pendant que le petit singe mange le fruit de. l’arbre. 193. L’éléphant mort laisse ses défenses, le tigre mort laisse sa fourrure, l'homme mort laisse son nom, . 194. L’éléphant mort, plus de trompe; le tigre mort, plus de fourrure bigarrée. 174 ARISTIDE MARRE 195. L’enfant sur les genoux est làché, le petit singe au fond des foréts est allaité. 196. L’épervier se joue avec la poule, mais è la fin il fond sur elle et la saisit. 197. Le feu, tant qu'il est petit, est un ami; quand il est grand, il devient un ennemi. Il ne faut pas badiner avec le feu. — En liden Ild at varme sig paa, er bedre end en stor at brende sig paa (Un petit feu qui vous chauffe vaut mieux qu’un grand feu qui vous brîùle). 198. Le fruit extrémement doux a des vers. 199. L’index crève l’eeil, la palissade mange le riz. 200. L’index est droit, le petit doigt est recourbé. 201. Le kalakati (1) grimpe sans cesse le long du mur; tant qu'il n'est pas mort, il est en marche. 202. Le langage indique l’extraction. 203. L’épervier dévore les petits du sérindit (2). 204. L’objet qu'on tient dans sa main fermée, on le làche et il tombe. 205. Le panier trouve son couvercle. Il n'y asi méchant pot qui ne trouve son couvercle. — No ay olla tan fea que no halle su cobertera. 206. Le passereau avec le passereau seulement, et le calao avec le calao seulement. Ne nous associons qu’avec nos égaux. — Vogels van gelijke veeren vliegen graagt’zamen (Oiseaux de mème plumage volent ensemble volontiers). — Les oiseaux dont le vol est different ne sauraient faire route ensemble (Prov. persan). 207. Le pasteur est pour les brebis, et non pas les brebis pour le pasteur. 208. Le poison végétal se mélange avec le poison minéral. 209. Le renom est plus magnifique que l’apparence. 210. Le riz qu'on tient dans sa main vaut plus que le riz en grange. Mieux vaut un en la main que deux demain. — Moineau en main vaut mieux que pigeon qui vole. — Un moineau dans la main vaut mieux qu’une grue qui vole. — Mieux vaut un tiens que deux tu l’auras. — Mas vale un toma que dos te daré. — È meglio aver oggi un uovo che domani una gallina. (1) Le Kalakati est un petit insecte aptère, de couleur rouge, qui a l’habitude de grimper le long des murs des habitations. (2) Le sérindit est une jolie petite perruche è bec noir, è téte bleue, à poitrine et queue rouges. ec, 3h = PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 175 211. Le rubis, s'il tombe dans un bourbier, n’en perdra pas pour cela son éclat. L’or paraît mème dans la fange (Prov. russe). 212. Le seau brisé, la corde reste. 213. Le sel renversé, qu’est-ce que la salière? 214. Le sort de la coque de la noix de coco est de sur- nager, le sort de la pierre est de couler à fond. 215. Le tigre montre les bigarrures de sa peau, le dourian (1) montre les tranches de son écorce. 216. Le tigre mort abandonne sa peau bigarrée, l’éléphant mort laisse ses os. 217. Le toungau est visible de l’autre còté de la mer, et l’on ne voit pas l’éléphant qui se dresse debout sous nos yeux. 218. Le tronc d’arbre soulevé, les vers de terre apparais- sent en dessous. Pourpre dessus, haillons dessous. 219. Le ver avale le serpent-dragon. 220. Les bonnes manières ne se vendent ni ne s’achètent. 221. Les nouveaux-venus (les étrangers) sont des sangsues qui sucent notre sang. 222. Les parfums chassent les odeurs. Les bonnes actions chassent les mauvaises (Prov. arabe). 223. Les petits poissons deviennent la pàture des gros. Les gros poissons mangent les petits. 224. Les punaises sont devenues des tortues. 225. Les rejetons du bambou ne sont pas loin de la touffe. 226. Les rois avec les rois, les dieux avec les dieux. Ogni simile ama il suo simile. — Qui se ressemble s’assemble. 227. Les rois ont toujours des ennemis et en très grand nombre. Geen Kroon heft hooftzweer (Une couronne ne guérit point le mal de tete) — Dolor di capo non toglie la corona reale. 228. Les yeux @brment, le coussin veille. Prends conseil à l’oreiller. — Non tutti dormono quelli che hanno ser- rati gli occhi. 229. Les yeux voient bien le fardeau, mais c’est l’épaule qui le porte. Le fardeau est léger sur l’épaule d’autrui. (1) Le dourian est un fruit bien connu dans l’Extrème-Orient, et fort apprécié des gourmets, malgré son odeur désagréable et sa robe épineuse. 176 ARISTIDE MARRE 230. Loin des yeux, loin du coeur! Aus den Augen aus dem Sinn. — Uit het 00g, uit het hart. — Out of sight out of mind. — Quan lejos de 0jo, tan lejos de corazon. — Lontan dagli occhi, lontan dal cuore. 231. Lorsqu’on ne sait pas danser, on dit que le terrain est mouillé. Mauvais ouvrier ne trouvera jamais bon outil. 232. Mains étendues sur les genoux, mains de malheur. 233. Méme de l’eau dans le creux de sa main, il ne la laisse pas couler! 234. Mettre des effets dans les mains d’un singe. 235. Mieux vaut mourir avec une bonne réputation que de vivre avec une mauvaise. Bonne renommée vaut mieux que ceinture dorée. — Beter arm meet eere dan rijk met schande (Mieux vaut ètre pauvre avec honneur que riche avec déshonneur). — Mas vale perderse el-hombre que si es bueno perder el nombre. — La mala llaga sana, la mala fama mata. — Mas val merecer honra e nad a ter, que tendo a na0 a merecer. — Celui qui n’a cure de bonne renommée est un cadavre ambulant (Prov. hindou). 236. Mieux vaut une gerbe de riz avec la paix du coeur, qu'une barque chargée de riz avec le coeur plein de soucis. Contentement passe richesse. — È meglio il cuor felice che la borsa. 237. Moins il y a de bouillie, plus il y a de. cuillères. 238. Mùr, il est aigre; jeune, il est doux. 239. Nécessairement on revient è sa nature originelle. Chassez le naturel, il revient au galop. — Por mucho que desmienta cada qual, siempre buelve al natural. — Le loup change de poil, non de naturel (Prov. turc). — Il lupo perde il pelo, non il vizio. — L’on reprend sa première trace à la première occasion. 240. Ne mets pas ta confiance dans la femme. Qui femme a, noise a. — Homem de palha val mais que mulher de ouro. — Comme le ver s’engendre dans l’étoffe, la corruption de l'homme vient de la femme (Prov. hébreu). — Es giebt nur zwei gute Weiber auf der Welt: die eine ist gestorben, die andere nicht zu finden. 241. Ne parle avec personne que dans la mesure de son intelligence. 242. Ne pas apprécier la science et l’intelligence, c'est la marque des gens ineptes. Science n’a d’ennemis que les ignorants. — Science n’a haineux que l’ignorant. — Laissez dire les sots: le savoir a son prix. -- Mas vale saber que aver. — Mas vale un dia del discreto que toda la vida del necio. — L’homme n'est distingué des autres animaux que par l’intelligence. Quelques- uns la cultivent, le plus grand nombre la néglige; ils semblent vouloir re- noncer à ce qui les sépare de la brute (Prov. chinois). — Un homme sans instruction est un homme, comme un éléphant de bois est un éléphant (Prov. hindou). 243. Ne pas manger du fruit du mangka, et pourtant étre sali par sa gomme. PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 177 244. Ne te fie pas à une vieille femme, et ne la laisse pas entrer dans ta maison. Est-ce qu'on se fie au tigre, et le laisse-t-on entrer au milieu d’un troupeau de chèvres? Mal se garde du larron qui l’enferme dans sa maison. — Wo der Teufel nicht hin mag, da schickt er ein alt’ Weib. 245. Ne tiens rien dans ta main qui soit brùlant, la sen- sation de la chaleur te le ferait làcher. 246. Nez coupé, visage gate. Wie zijn neus schendt, schendt zijn Aangezigt (Qui gàte son nez, gàte son visage). 247. Nez épaté, pommettes des joues saillantes. 248. On apprend à connaîitre ses propres défauts par la langue d’autrui. 249. On craint d’en verser une goutte, et l’on verse le tout. L’avarice perd tout en voulant tout gagner. 250. On craint le tigre è cause de ses dents, mais s’il n’a plus de dents, pourquoi le craindrait-on? Morte la béte, mort le venin. 251. On dit que du bois c'est de la pierre, et l’on veut toucher le ciel avec la main. Que d’ignorants dont le front touche les étoiles! (Prov. arabe). 252. On écoute une histoire d’oiseau, et on laisse choir l’enfant qu'on a sur les genoux. 253. On est blessé par le pandane, faute de savoir qu'il a des épines. 254. On fait rentrer dans son écrin la pierre précieuse. 255. On n’obtient pas ce que l’on poursuit, et l’on répand ce que l’on porte dans son sac. 256. On perd sa femme, on peut la retrouver; mais la raison perdue, le corps est è jamais misérable. El mal que no tiene cura es locura. 257. On peut compter les étoiles qui sont au ciel, mais l’on ne se doute pas de la“suie qu'on a au visage. Et mesurant les cieux sans bouger d’ici-bas Il connaît l’univers, et ne se connaît pas. 258. On peut garder tout un parc de buffles, on ne peut pas gouverner un seul homme. 259. Os légers, ventre pesant. 260. Où il y a beaucoup de jeunes hommes, c’est là que sont les jeunes filles. 261. Où il y a du sucre, il y a des fourmis. 178 ARISTIDE MARRE 262. Où l’aiguille a passé, passe aussi le fil. Où va l’aiguille, le fil suit (Prov. russe). 263. Où la marmite de fer casse, le pot de terre demeure. 264. Où meurent les fourmis si non dans le sucre? 265. Où verser la sauce s’il n°y a plus de riz? 266. Où vont les traits sinueux de la cire? Là où vont les traits sinueux du bronze. 267. Par crainte des poux se dépouiller de son vétement. Ne brùle pas ta maison pour en chasser les souris. 268. Par le fruit on connaît l’arbre. On connaît l’arbre è son fruit. — A l’ceuvre on connaît l’artisan. — Un mauvais arbre ne produit pas de bons fruits. 269. Par nature le cheval est un cheval, et l’àne est un ane. D’une buse on ne saurait faire un épervier. — Non si può cavar sangue dalla rapa. — Aunque vestais la mona de seda, mona se queda. — L’éléphant est plus grand que le chameau (Prov. turc). 270. Partir sur un cheval, revenir sur un boeuf. Le mal vient è cheval et s’en va à pied. — La superbia andò a cavallo, e tornò a piedi. 271. Pas un brin de paille è emporter. 272. Pas de roi sans beaucoup d’hommes, et pas d’hommes sans beaucoup d’argent. i 273. Pierre qui roule continuellement dans la rivière, n’a- masse pas de mousse. Pierre qui roule n’amasse pas de mousse. — A rolling stone gattsers no moss. — Walzender Stein wird nicht moossig. — Een rollende steen neemt geen mos mede (Pierre qui roule n’amasse jamais). — Piedra movediza nunca moho la cubija. — Pedra movediza naò cria bolor. — Pietra mossa non fa muschio. — Saxum volutum non obducitur musco. 274. Plonger et dans le méme instant boire de l’eau. 275. Plus il y a de bourgeons, plus il y a de feuilles au palmier. 276. Plus il y a de gens, plus il y a d’opinions. Zoo veel hoofden, zoo veel zinnen (Autant de tétes, autant d’opinions). — Quot capita tot sensus. 277. Plus l’épi du riz est plein, plus il s’incline; plus il est vide, plus il se redresse. 278. Poulie cassée, corde rompue. E 279. Pour avoir disputé avec le puits, à la fin on meurt de soif. 280. Précédemment de l’étain, maintenant du fer. 281. Prendre la fécule et rejeter le résidu. E PA gd PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 179 282. Prends la mesure de ton dadjov (1) sur ton propre corps. 283. Quand bien méme il arriverait dix navires, les chiens n’auront pas d’autre fchéovat (2) que leur queue. 284. Quand bien méme ou baignerait un corbeau dans de l'eau de rose, son plumage ne deviendrait pas blanc. 285. Quand il pleuvrait toute une année, est-ce que l’eau de la mer deviendrait douce? + 286. Quand il y a un jour sans pluie, les grenouilles dans l’étang coassent continuellement. 287. Quand la vague se déroule sur le sable du rivage, pouvons-nous les séparer? 288. Quand les pousses du cocotier sont cassées, ce sont d'autres pousses de cocotier qui les remplacent ; quand les pousses de l’aréquier sont cassées, ce sont d’autres pousses d’aréquier qui les remplacent. Nature ne peut mentir. 289. Quand méme on serait dans un fort è sept enceintes, on ne pourrait pas éviter ce qui est écrit. Il en faut revenir toujours à son destin, C'est-à-dire è la loi par le Ciel établie: Parlez au diable, employez la magie, Vous ne détournerez nul ètre de sa fin. Contre Dieu nul ne peut — Le destin a fixé irrévocablement les degrés de gloire et de richesse (Prov. arabe). 290. Quand on donne à manger è un éléphant, n’est-ce pas avec une pince? et quand on donne è manger à un chien, n’est-ce pas dans une écuelle? 291. Quand on s’est beaucoup baigné, il est permis d’étre mouillé. 292. Quand on s’est beaucoup servi d’encre, il est permis d’étre noirci. 293. Quand on tire la pédale (du métier è tisser), le ros et le balancier se mettent en mouvement. 294. Quand tout le monde crie à la fois, on ne peut en- tendre personne. Quand tout le monde parle è la fois, impossible de s’entendre. (1) Le badjou est une sorte de pardessus à l’usage des deux sexes. On le fait ordinairement en toile de coton blanc cu bleu, et aussi en étoffe de soie è fleurs. (2) Le fehaovat est une pièce d'’étoffe fixée à la ceinture et dont on passe l’extrémité entre les jambes pour l’attacher par derrière. C'est souvent l’unique vètement des plus pauvres indigènes. 180 ARISTIDE MARRE 295. Que le serpent frappé ne soit pas tué, que la verge dans la main ne soit pas brisée, et que la terre ne soit pas souillée! i S'ils t'ont dit: frappe! ils ne t’ont pas dit: tue! (Prov. turc). 296. Que peut-on faire? Le riz s’en est allé en bouillie. 297. Qui a des poux peut s’épouiller. 298. Qui a envie de dormir approche son coussin. 299. Qui a honte d’interroger s’égare en chemin. Honte fait dommage. — Il n'y a que les honteux qui perdent. — Mieux vaut demander que faillir et errer. — È meglio domandare che errare. — Chi lingua ha a Roma va. 300. Quiconque écoute et suit les dires d’une femme, au lieu d’un dirhem (1) perd deux dirhems. De la mala muger te guarda, y de la buena no fies nada. 301. Quiconque médit des autres devant toi, devant les autres médit de toi. 302. Quiconque ose menacer doit oser combattre. Qui menace a peur. — Qui ne peut mordre, ne doit pas montrer les dents. 303. Quiconque se repose sur son nom, ne trouve pas de pain è manger, et quiconque commet une félonie pour du pain tue son àme (2). 304. Qui creuse une fosse, souvent tombe au fond. Celui qui creuse la fosse y tombera, et la pierre retombera sur celui qui la rvule (Prov. hébreu; xxvi, 27 de Salomon). i 305. Qui oserait saisir un tigre de ses mains? 306. Qui tue paye le prix du sang. Qui casse les verres les paye. 307. Recherche la science d’abord, la rîchesse ensuite. Mas vale saber que aver. 308. Sans tuer la fourmi qu'il foule aux pieds, l’éléphant souvre un passage au travers de la jungle. 309. Sauterelle devient épervier, punaise devient tortue, et ver de terre devient serpent-dragon. Enhver mener hans Kobber er Guld (Chacun pense que son cuivre est de l’or). 310. Savoir manger, savoir conserver. (1) Le dirhem est une pièce d'argent autrefois en usage chez les Arabes. (2) Ce proverbe d’origine persane est cité par Bokhàri de Djohore dans son traité de morale intitulé Makòta radja-ràdja (La Couronne des rois), que nous avons traduit en frangais, et dont M. Barthélemy St-Hilaire a dit (Journal des Savants, X, 1888): “ qu'il suffirait è lui seul pour recommander la littérature malaise à l’attention du monde savant ,. PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 181 811. Science et habileté deviennent une échelle pour monter à la fortune. 312. Semblable è un poisson dans un bourbier. 313. Se repentir avant c'est profitable; se repentir après, c'est tout è fait inutile. Après le fait ne vaut souhait. — A chose faite conseil pris. — Raad voor daad (Conseil avant action). 3814. Si, è la source, l’eau est trouble, nécessairement le courant sera trouble. 315. Si c'est un buffle, on le prend par sa corde; si c'est un homme, on le prend par sa bouche. Le boeuf par la corne et l'homme par la parole. — Al buey por el cuerno y el hombre por el verbo. — Men vangt het paard bij den breidel, en den man bij zijn woord (On prend le cheval par la bride, et l'homme par sa parole) — Verba ligant homines, taurorum cornua funes. 816. Si, dans un plateau, tu bats l’eau du plat de la main, elle t'éclaboussera le visage. 317. Si doux que soit le sucre, il s’y trouve toujours du sable; si amer que soit le mambdou (1), son àpre amertume de- vient un remède. 818. Si haut que dans son vol s’élève le héron, à la fin il s'abat sur la croupe du buffle. Daar vloog nooit vogel zoo hoog of hij} moet zijn kost op de aarde zooken (Jamais l’oisenu ne vole tellement haut qu@il ne revienne sur la terre chercher sa nourriture). 319. S'il n’est pas possible de raccomoder, il ne faut pas casser. 320. S'il n°y a pas de vent, les arbres ne seront pas secoués. 821. S'il vous faut choisir un compagnon, voyez d’abord ce qu'il y a dans sa poitrine. Cui fidas vide! 322. Si la pousse du bambou n'a pas été cueillie quand elle était jeune, è quoi servira-t-elle quand elle sera devenue vieille? Chauffe-toi, tandis que le feu brùle. — Il faut puiser tandis que la corde est au puits. — Il faut battre Ie fer tandis qu'il est chaud. 323. Si la racine est morte, il est bon de l’extirper. 824. Si la source est trouble, la rivière est trouble. Di mal’erba non si fa buon fieno. 325. Si le ciel était pour tomber sur la terre, pourrait-on le retenir avec l’index? (1) Le mambou, plante qui croît dans l’Archipel indien, est remarquable par le goùt amer de ses feuilles souvent employées par la médecine indigène. 182 ARISTIDE MARRE 326. Si l’esprit d’un seul homme ne suffit pas, l’esprit de plusieurs pourra suffire. A plusieurs mains l’ouvrage avance. — Ce que l’un ne sait, l’autte le sait. 327. Si le père fume de l’opium, le fils, lui aussi, fumera de l’opium. i Ce que chante la corneille, chante le cornillon. — Talis pater, talis filius. — Tel chante le vieux coq, tel le jeune chantera. 328. Si le serpent suce les racines, il ne perdra pas son venin. 329. Si les Chinois pissaient seulement, ils pourraient sub- merger les Anglais. 330. Si l’on fait amitié avec les méchants, nécessairement on est méchant comme eux. Dis-moi qui tu hantes, je te dirai qui tu es. — Dime con quien iras, dezirte he loque haras. — Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. 331. Si l’on regoit un soufflet, que ce soit d’une main ornée d’un anneau; si l’on regoit un coup de pied, que ce soit d’un pied chaussé. Antes morto por ladro@s que por couce de asno (1). — Plutòt la mort par des voleurs que par la ruade d’un àne! 332. Si l’on verse dans la mer une tasse d’eau douce, est-ce que l’eau de la mer pourra devenir douce? i 333. Si on le tient dans sa main fermée, on craint qu'il ne meure; si on le làche on craint qu'il ne s’envole. 384. Si, pour un village, tout un pays devait étre perdu, mieux vaudrait perdre ce village. Par Mieux vaut terre gàtée que terre perdue. — Mieux vaut perdre la laine que la brebis. — Couler le moucheron pour sauver la mouche. — È meglio perder la sella che il cavallo. 335. Si quelques chiens aboient, est-ce qu’ils peuvent faire écrouler la montagne? Quand un chien aboie contre la montagne, qui en pàtit? La montagne ou le chien? (Prov. hindou). — Les chiens ont beau aboyer à la lune, la lune n’en brille pas moins (Prov. persan). 336. Si tu aimes le riz, arrache les mauvaises herbes. 337. Si tu aimes le riz, sépare le grain de la balle. (1) Cet injuste mépris de l’àne est bien rendu par notre La Fontaine, dans ce vers: Il (le lion) attend son destin sans faire aucunes plaintes; Quand voyant l’àne mème à son antre accourir: AN! c'est trop, lui dit-il: je voulais bien mourir; Mais c’est mourir deux fois que souffrir tes atteintes! PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 183 338. Si tu saisis un serpent par la main d’autrui, il n'est pas utile que tu le saisisses de ta propre main. Se servir de la patte du chat pour tirer les marrons du feu. 339. Si tu traverses une rivière, tu peux étre avalé par un crocodile, mais ne te laisse pas mordre par les petits poissons. 340. Si tu vannes le riz, n’en verse pas le grain. 341. Si tu veux entendre dire du mal de quelqu’un, inter- roge ses ennemis. 342. Si un arbre a de nombreuses et solides racines, qu’a-t-il à craindre de la tempéte? 343. Si un aveugle conduit un aveugle par la main, ils tomberont tous deux dans le fossé. Un aveugle mène l’autre en la fosse. — Cae en la cueva el que otro a ella lleva. 344. Suivre son penchant, c'est la ruine; suivre son coeur, c'est la mort. 345. Tout autre en face, tout autre par derrière. 346. Toute matière en putréfaction exhale sa substance. 847. Tu auras beau battre le chien, il reviendra quand méme à l’endroit où il y a beaucoup d’os. Chien affamé, de bastonnade n’est intimidé. 348. Un buffle est couvert de boue, tous:les autres buffles en sont couverts également. Il ne faut qu’une brebis galeuse pour infecter tout un troupeau. — Chi dorme con cani si leva con pulci. — Quien con chiquillo se acuesta, cagado se levanta. 349. Un camarade devient le consolateur du coeur. Qu’un ami véritable est une douce chose! Il cherche vos besoins au fond de votre coeur. È meglio un buon amico che cento parenti. — Eed vriend is beter dan geld in de beurs (Un ami vaut mieux que de l’argent dans la bourse). — Cherche un ami avec soin; l’as-tu trouvé? garde-le bien! (Prov. russe). — Amis valent mieux qu’argent. 350. Un copeau de bambou, une còte de feuille de palmier, plaqués dans la muraille, peuvent étre pris pour cure-dents ou pour cure-oreilles. De tout bois faire flèche. — Nécessité est mère d’industrie. 351. Un couperet de bois bien affilé devient comme un couperet de fer. L'art supplée la nature. 352. Un éléphant est avalé par un serpent-lidi (1). (1) Le serpent-lidi est un petit serpent venimeux qui tire son nom pro- bablement du mot lidi (còte ou nervure de la feuille du cocotier). 184 ARISTIDE MARRE — PROVERBES ET SIMILITUDES DES MALAIS, ETC. 353. Un grand navire est tourné en tous sens par un petit gouvernail. Piccola pietra rovescia gran carro. — Pequeîio machado parte grande carvalho. 354. Un kouman (1) est tué, le monde entier est inondé de son sang. Far d’una mosca un elefante. 355. Un navire deux capitaines. Mandar no quiere par. — Deux patrons font chavirer une barque (Prov. turc). 356. Un peu de levain fait fermenter toute une masse de pàte. 357. Un pràhou en planches est chargé de diamants. L’habit ne fait pas le moine. 358. Un Sultan meurt, un Sultan le remplace. Le roi est mort, vive le roi! — Un clou chasse l’autre. 359. Un tehoupak ne peut pas devenir un gantang (2). 360. Une corde tressée en triple n’est pas aisément rompue. L’union fait la force. — Toute puissance est faible è moins que d’ètre unie. 361. Une dette d’or peut étre payée, mais une dette du coeur n'est enlevée que par la mort. 362. Un koutok (3) de riz, s'il est mouillé, ne vole pas dans le van. 363. Une personne mange du fruit du tchempedak (4), et toutes sont atteintes par son jus. 364. Une petite sangsue veut devenir un serpent-python. 365. Vendre de la soie, achetét de la grosse toile. Changer son cheval borgne contre un aveugle. — Romper la casa per vender il calcinaccio. 366. Visage abîmé, miroir cassé! 367. Vouloir prendre le ciel avec la main. On ne saurait prendre la lune avec les dents. — Que d’ignorants dont le front touche les étoiles! (Prov. arabe). (1) Le Kouman, comme il a été dit déjà, est un tout petit insecte, une espèce d’acarus. (2) Le fchoupak, mesure de capacité, est exactement le quart d’un gantang. Le gantang correspond è peu près è notre ancien boisseau. C'est done comme si l’on disait, en parlant de notre ancienne monnaie: “ Un liard ne peut pas devenir un sou!, (3) Le Koutok est une petite mesure de capacité pour les matières sèches, équivalente è quatre guenggam ou poignées. (4) Le tehempedak est un arbre du genre artocarpus, à très gros fruits Jùteux. FEDERICO PATETTA — FRAMMENTO DI UN CAPITOLARE, Ecc. 185 Frammento di un Capitolare Franco nel codice A 220 Inf. della Biblioteca Ambrosiana; Nota del Socio corrispondente Prof. FEDERICO PATETTA. In fine del ms. Ambrosiano A 220 Inf. contenente, di mano forse della prima metà del secolo decimo, i libri 17 a 20 delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio tradotti in latino (1), si trova un foglio più antico, incollato in epoca recente sopra una pergamena aggiunta, ma che originariamente doveva essere attaccato alla parte interna dell’assicella posteriore della legatura. Questo foglio ci conserva un frammento di un capitulare missorum sfuggito agli editori dei Capitolari, e pubblicato invece, poco correttamente, dal Porro nel Codex Diplomaticus Langobar- diae (2) colla falsa indicazione “ fragmentum inventarti ,. Questo preteso frammento d’inventario si troverebbe, secondo Porro, in una “ pergamena saeculi X ,; ma in realtà si tratta dell’ultimo foglio di un ms. del secolo nono. Infatti al secolo nono accennano tutte le particolarità paleo- grafiche del breve frammento: l’uso frequente dell’a aperta in alto e della g parimenti coll’occhiello aperto; le aste formate a foggia di clava (3); i tratti di m, n, A elegantemente curvati a (1) Come curiosità ricordo, che la sottoscrizione dell’ultimo libro è scritta in senso contrario, cioè precisamente così: “ muroeaduisirenegetat- suteuedsumiseciurebileaciad | uisitatiugitnaippisoiiualf.ticilpxe , cioè “ ex- “ plicit. flaui iosippi antiquitatis iu | daicae liber uicesimus de uetustate “ generis iudaeorum ,. (2) Torino, 1873, n° 1006, col. 1777-78. (3) Quelle che il Jaffé (in Momwsen, Digesta, I, XLV, n. 1%) chiama Kolbig gebildeten Langstriche, cioè ingrossate in alto e che vanno graduatamente assottigliandosi in basso. Tale forma delle aste, non costante, ma frequen- tissima nella scrittura carolina del secolo nono, si trova qualche volta anche nel secolo decimo e perfino nell’undecimo (Monaci, Archivio paleograf., II, Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 105) 186 FEDERICO PATETTA sinistra; le parole non ancora ben distinte, in modo che il nesso corsivo ef serve in un caso per la e della particella de e per il t iniziale della parola seguente; infine le reminiscenze di cor- sivo per es. nell'asta della d prolungata inferiormente al disotto della linea, nel nesso rt e nell’andamento, dirò così, generale della scrittura. Quantunque poi il rovescio della pergamena sia rimasto in bianco, si vede che si tratta di un frammento di codice e non di un documento sia dalla forma della pergamena stessa, sia dal modo con cui è stata preparata tracciandovi a secco le linee ed i margini per tutta la pagina benchè sia stata scritta solo una parte, sia specialmente perchè il testo è troppo scorretto per appartenere ad un originale o ad una copia contemporanea e non si capirebbe come un capitolare possa essere stato posteriormente trascritto in forma di documento e non in un codice. Si aggiunga ancora, che nell’ultima linea della facciata si legge, della stessa mano che scrisse il capitolare: “ supplico uobis, domine mi tatto, ut mittetis mihi ex uestris cultris ,. L'amanuense dunque richiede a Tattone, forse abate del suo convento (1), dei cultrî per la preparazione della pergamena (2). Chi possa essere questo dominus Tutto, naturalmente non è tav.3 e segg.: Collez. fiorentina di facsimili paleograf.. tav. 25; CRATELAIN, Paléogr. des classiques latins, tav. 42, 43, 87), ma mentre nel secolo nono le aste sono generalmente come arrotondate in alto, posteriormente finiscono spesso quasi in un piano inclinato da destra a sinistra. Anche il DeLisre (Mémoire sur Vécole calligraph. de Tours au IX® siècle, 1885, p. 7) pone fra le caratteristiche della così detta semi-onciale carolina il “ renflement de la partie supérieure des lettres montantes ,, ed il Thompson (Handbook of greek and latin Paleogr., 2* ed., 1894, p. 258) nota nel secolo nono la tendenza “to thicken or club the stems of tall letters, as in b, d,h ,, aggiungendo che essa scompare graduatamente nel secolo decimo. (1) Cfr. per es. la sottoscrizione del ms. di Quedlinburg (in DeuisLe, Op. cit., p. 20), nella quale l’amanuense chiama pure l’abate di S. Martino di Tours dominus meus senz'altro. (2) Cfr. WartenBAcHA, Schriftwesen, 3* ed., 1896, p. 208 e segg. Prima della parola supplico si vede traccia di una lettera recisa nello smargi- nare il foglio. Non può mancare ad ogni modo che una sola parola, e probabilmente anche breve. FRAMMENTO DI UN CAPITOLARE FRANCO ECC. 187 facile dire. Il ms. Ambrosiano proviene dal monastero di Engelberg nel cantone di Unterwald in Svizzera (1), ma questo celebre monastero fu fondato solo nel 1120 (2). Invece un Tatto nella prima metà del secolo nono era abate del monastero di Kempten in Baviera ed iscritto nella confraternitas del monastero di S. Gallo (3). Se però in lui si debba ravvisare il Tatto del codice Ambrosiano, lascio ad altri il decidere, e vengo subito al fram- mento di capitolare. Esso occupa 17 linee di una pagina, nella quale sono tracciate altre 12 linee rimaste in bianco, salvo l’ultima, che contiene la domanda rivolta a Tattone. Il frammento conservatoci incomincia col capitolo 18, e pre- senta alcune piccole lacune, prodotte da guasti nella perga- mena, corrosa specialmente dalla ruggine dove si trovava a contatto coi chiodi della legatura. Il foglio è stato anche smar- (1) Lo prova la seguente iscrizione nel rovescio dell’ultimo foglio: “ Hic liber est a Reverendissimo, pioque patre Domino Jacobo Benedicto “ monasterii montis angelorum Abbate perquam vigili, ex petitione Reve- “ rendi ac generosi Domini Julii Turriani et insignis ac circumspecti viri, “ Domini Praefecti Joannis Stulz, equitis aurati, Ilustrissimo Domino Bur- “romeo Cardinali Mediolanensi, gratitudinis et humilis observantiae causà “ donatus; Anno 1604 ,. Il dotto e cortese Dott. dell'Ambrosiana sac. G. Mer- cati mi avvertì, che eguale provenienza hanno anche altri codici dell’Am- brosiana, e mi indicò fra essi ‘quello segnato H 51 Sup., del secolo XII, contenente una miscellanea di opuscoli di S. Bernardo, S. Agostino, Ivone e molti altri. Lo stesso Dott. Mercati, che ha così ben meritato degli studi storico-giuridici coll’ importantissima scoperta del palinsesto dei Basilici, volle con squisita cortesia farsi mia guida nella visita dell’Archivio del Capitolo di S. Ambrogio, ed ivi comunicarmi una sua nuova scoperta, che interesserà vivamente i dotti. Si tratta di due fogli di un codice della legge romana Udinese, scritto forse in Italia sulla fine del secolo nono o în principio del decimo. I due fogli saranno illustrati dallo stesso Dott. Mercati. Abbiamo così un nuovo indizio di una certa conoscenza della legge Udinese in Italia, e precisamente in Lombardia, dove secondo ogni verosimiglianza furono anche compilati i Capitula secundum Lodoici imperatoris, tre dei quali sono tolti da detta legge. I capitula, per quanto è noto, si trovano solo nel cod. Ambrosiano 0, 55, proveniente da Susa, ma scritto probabil- mente a Pavia. Cfr. Monum. Germ., LL. IV, LIII. (2) MasizLon, Annales ordinis S. Benedicti, VI, 55. (3) Mon. Germ.: Libri confraternitatum Sancti Galli, Augiensis, Faba- riensis, p. 38, (83), 1; p. 69, (202), 4. Per altri personaggi di egual nome v. l'indice del volume, come pure l’indice del secondo volume degli Annales ordinis S. Benedicti. 188 FEDERICO PATETTA ginato da tutti i lati, ma con non molto danno per la parte scritta. Il testo è il seguente: xvi. De liberis hom[i]nibus qui res nostras per precariam pos- sident et censa redebent. si autem ..li.. (1) | censum contradic|i]|t et hoc iudex an (2) ministerialis noster non requirit set (3) per neglegentia (4) | remanet, ut ....... (5) requiratur. | xvini. De nostra ellimosina (6) que (7) dare iussimus, ut inqui- ratis sì fuit facta an non uel quomodo. | xx. Insuper uolumus [et iudem]us (8), ut de omnia que supra- diximus et de alia que ad nostram utilita[t]e[m] | pertinet uos, qui missi estis, diligenter inquirere certetis, et ubi bene inueneritis gratia|s](9) | dicite, ubi autem aliqua negle- gentia (10) claruerit, an cuius culpa (11) ipse per omnia (1) Porro lesse ubî, ma in luogo di « il ms. potrebbe avere il ed in luogo di di ha quasi certamente li, seguìto forse da due altre lettere. Sarebbe ovvio supplire “ [a]li[quis] ,, se per le tracce rimaste non sembrasse esclusa la a. D'altra parte non pare che nella linea. seguente possa leggersi “ con- tradic[ur]t , in luogo di “ contradic[7]t ,, e resta quindi escluso il nomin. plur. ii. Per questo, benchè sul senso del capitolo non cada dubbio, mi astengo dal proporre un supplemento di congettura. (2) Notevole è qui ed in seguito l’uso di an per aut, se pure non di- pende dall’avere male sciolta l’abbreviazione 4. (3) Ms. s: Porro seu. (4) Porro neglecentia. (5) La lacuna, prodotta da un buco nella pergamena, si potrebbe riem- piere per es. con ab ipsis districte o alcunchè di simile. Della particella wt Porro lesse solo la prima lettera. (6) Porro eleemosina. Della seconda 2 è visibile solo la parte inferiore. (7) Ms. g: Porro cui. (8) Nel ms. dopo uolumus vi è un buco, essendo la pergamena stata corrosa dalla ruggine, in modo che fu rispettata solo la sommità del d di iubemus. (9) Porro gratiam. (10) Porro negligentia. (11) Si potrebbe emendare ut cuius culpa est, o forse anche accettare la lezione del ms. come è. e dà iti e biden init FRAMMENTO DI UN CAPITOLARE FRANCO ECC. 189 emendet, | licet prepositus, licet iunior an quislibet ministe- rialis uel subditus nostra sub ditione c|onstitutus] (1). | xxI. De leudis uel freda et reliquis conpositionibus quibus iudices nostri (2) recipiunt, | quid ad nostrum opus inde perue- n|iat]. | xxI. De p....s(3) et (4) pontonis (5) uel mercatis et de di- uersis teloneis aut (6) piscationibus. | XXIII. (7) De nutrimento in curte dominicada, id est equaritia (8), vaccaritia, ueruiari ... (9), | porcaritia, pullos, anetas (10) et aucas. de troia una in anno purcellus vu. | De annona exagitando. De garbas centum tolle unam. si autem unum modium habes (11), | fiunt modii cxx (12). si uero in (1) Il c di constitutus è certo, e si vedono dopo tracce dell’o e della n. Porro subditio n....... (2) Ms. noi, mentre l'abbreviazione consueta sarebbe nri. (3) Probabilmente pontibus. (4) L’et, omessa dal Porro insieme colla s precedente, è rappresentata dal segno tironiano 7, che è raro in mss. di tale antichità. Il chiar.®° Dott. Mercati me ne mostrò altri esempi nel celebre codice Irlandese attri- buito al secolo VIII-IX. V. pure il facsim. di un ms. irlandese anteriore all’844 in Taomeson, Op. cit., p. 242. (5) Suppongo che si debba intendere pontonibus. I ponti all’epoca caro- lingia erano ancora piuttosto rari, ed il transito dei fiumi si faceva abi- tualmente per mezzo di barche e di chiatte (cfr. O. LaurrER, das Land- schaftsbild Deutschlands im Zeitalter der Karolinger, Gòtt., 1896, p. 55 e segg.). Nei così detti portus si esigeva poi il ripaticus o altra gabella. (6) Porro vel, ma pare che il ms. abbia @ (aperta) non &. (7) Porro: XXXIII. (8) Porro equoritia. (9) Porro verviarii e così pare a primo aspetto che abbia il ms., ma che l’ultima lettera sia proprio è non è certo, ed essendo il ms. smarginato potevano seguirne altre. Il senso richiederebbe ueruiaritia in corrispon- denza al bderbicaritias del Cap. de villis, 23. (10) Porro anatus. (11) Ms. hab. Porro habedis. (12) Pare che il numero sia errato e vada corretto in C. Porro, qui ed in seguito, modia. Essendo usata nel ms. l’abbreviazione mod.. sarebbe in- certo se la forma fosse maschile o neutra; ma ho preferito la prima perchè d’uso più comune e perchè la trovo anche nei brevium erempla dell’anno 810 (Capitularia, I, 254). 190 FEDERICO PATETTA garbas minus fuerit (1), tune computas per quinqua | ginta. de quinquaginta tolle unam. si euenerit sistaria II, tune habebis (2) | modiumI. si autem modium plenum inueneris, habebis modios L. Si potrebbe forse credere, che quest'ultimo capitolo, nel quale si spiega come si faccia il calcolo del raccolto del grano pren- dendo per saggio un covone ogni cento oppure ogni cinquanta, non appartenga al capitolare, perchè, prescindendo anche dalla mancanza della numerazione, è affatto diverso nella forma dai precedenti, e per il suo contenuto e per la sua prolissità non ha l'apparenza di un'istruzione data ai missi. In queste osser- vazioni non ardirei però insistere molto. Ad ogni modo quanto agli altri capitoli non vi può esser dubbio. Essi appartengono veramente ad un capitulare missorum, cioè ad uno di quei capi- tolari, “ rivolti specialmente ai missi dominici e che contenevano in prima linea prescrizioni per l’esercizio delle loro funzioni, e quasi un programma dei loro lavori , (3). Questi capitolari, ed altri analoghi, furono per la natura loro meno facilmente trascritti nei codici giuridici, ed andarono quindi in buona parte perduti (4). sO Credo, che il capitolare, al quale apparteneva il frammento x (1) Porro fueris. Nella parola seguente computas la m è rappresentata dalla lineetta sovrapposta, ma nel cap. XXI abbiamo per disteso conposi- tionibus, per cui si potrebbe anche qui leggere conputas. (2) Le parole sî evenerit fino ad habebis sono scritte dalla stessa mano, ma su rasura. Anche qui i numeri debbono essere errati, qualunque fosse il numero di sextarii in cui si dividesse il moggio. Noto a questo propo- sito, che il ms. usa l’abbreviazione mod. tanto per il singolare quanto per il plurale, per cui si può correggere senza esitazione il modium I per es. in modios VI, quando si ammetta che il moggio fosse diviso in sedici staia come anticamente. Infatti in tale caso 100 staia corrisponderebbero appunto a poco più di sei moggi. Cfr. ForceLLInI, Grorees e Du Cance alla v. modius. (3) G. SeeLIGER, Die Kapitularien der Karolinger, 1893, p. 65: “ Als solche “ (Capitula missorum) diirfen vielmehr nur jene Erlasse gelten, welche sich “im besonderen an die Kéonigsboten wandten und in erster Linie Vor- “ schriften fiir die amtliche Wirksamkeit, gleichsam ein Arbeitsprogramm “ derselben enthielten ,. (4) Cfr. SeeLicer, Op. cit., p. 86: “ von denen gewiss nur diirftigste “ Ueberreste vorhanden sind ,. FRAMMENTO DI UN CAPITOLARE FRANCO ECC. 191 Ambrosiano, possa con ogni verosimiglianza essere attribuito a Carlo Magno. Infatti il cap. XXIII ci fa subito pensare al capi- tulare de villis (1), e all’epoca di Carlo Magno più che alle suc- cessive convengono l’espressione ad opus nostrum nel cap. XXI ed il nome iunior nel cap. XX (2). Indicare poi con precisione la data del capitolare non mi pare possibile. Tutto al più si può sospettare, che esso sia anteriore al capitulare de villis attri- buito da Gareis all'anno 812, perchè le disposizioni, che argo- mentando dal capitolo XXIII dovevano essere osservate dai col- tivatori ed amministratori dei possedimenti regi, sembrano meno particolareggiate e meno perfezionate di quelle corrispondenti, che si trovano nel citato capitolare de villis, al quale, se già emanato, sarebbe inoltre bastato rinviare. (1) V. specialmente i capp. 18, 19, 23, 38, 40. (2) Cfr. l’indice dell’edizione dei Capitolari dei Mon. Germ. alle parole iuniores e opus. Sui nomi iudices, iuniores e ministeriales, v. anche GAREIS, die Landgiiterordnung Kaiser Karls des Grossen, 1895, p. 25-26, nota alla parola iudices. | AGGIUNTA. — Nella mia nota sul ms. 1317 della Biblioteca di Troyes (‘ Atti dell’Accad. ,, 28 febbraio 1897; Estr. p. 2, n. 2) mi è sfuggito i un errore di stampa, che importa correggere. Dove si legge Fonte sacro locum, si deve leggere /otum. L’ Accademico Segretario CesARE NANI. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. ti Tao (ittici È Li . ti n°. fi 198 US AS ai Lt aà idisisto MIA? i = = Da n X lA T i ; À ( | ve n d à | U CLASSI UNITE Adunanza del 2 Gennaio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali : Cossa, Vice Presidente dell’Accademia, D’Ovipio, Direttore della Classe, Berruti, NAccARI, CAMERANO, SEGRE, PrANO, VOLTERRA, Foà, GuarescHI, GuIpi e FILETI. Della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: PeyRoN, Pezzi, Ferrero, Coenetti pe MaRrTtIS, GrAr, BoseLLI e NANI Segretario. Il Socio Segretario NANI dà lettura dell’ atto verbale del- l’adunanza del 21 novembre 1897, che viene approvato. Il Presidente comunica i ringraziamenti della signora ve- dova Vallauri, alla quale egli ebbe a partecipare le decisioni prese dall'Accademia nella sua ultima adunanza a Classi unite. Quindi il Socio D’Ovipio legge la seguente relazione della 22 Giunta per il conferimento del decimo premio Bressa pel quadriennio 1893-1896. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 16 194 CHIARISSIMI COLLEGHI, La seconda Giunta per il decimo premio (nazionale) di fon- dazione Bressa ha l’onore di riferire alle Classi unite dell’Ac- |, cademia i risultati dei suoi lavori. La prima Giunta già presentò alle Classi unite, nell’adu- nanza del 2 maggio 1897, la relazione degli studi da essa fatti allo scopo di scegliere, fra le opere inviate dai concorrenti ov- vero proposte da Soci, quelle che meritassero di esser prese in considerazione pel conseguimento del premio. Furono sette gli autori proposti alla considerazione dell’Accademia, e un ottavo venne proposto da un Socio durante quell’adunanza. Fra essi trovavasi il nome del capitano Bottego; ma, es- sendo ormai accertata la tragica fine dell’insigne esploratore, la seconda Giunta ha dovuto cancellarne il nome; poichè il testa- mento del fondatore assegna il premio, non alle scoperte od opere, ma agli autori di esse. Pertanto la scelta, che l'Accademia è chiamata a fare, potrà cadere sopra uno dei seguenti sette nomi, che indicherò in ordine alfabetico: Allievi ing. Lorenzo, per la Cinematica della biella piana; Bianchi prof. Luigi, per le Lezioni di geometria infinitesi- male ed altre dodici Memorie matematiche; Castelnuovo prof. Guido, per cinque Memorie geometriche; Caverni Raffaello, per la Storia del metodo sperimentale in Italia; Lanciani prof. Rodolfo, per le Tavole componenti la Forma Urbis Romae; Pitré dott. Giuseppe, per la Bibliografia delle tradizioni popolari d’Italia ed altre pubblicazioni continue; Pizzi prof. Italo, per la Storia della poesia persiana. La Giunta ha esaminato attentamente coteste opere, ed ha riconosciuto che tutte posseggono pregi tali da renderle degne del premio. Tuttavia, per agevolare la scelta ai Soci, ha sti- mato conveniente di dividerle in tre gruppi; osservando che, a 195 suo avviso, quelle del primo gruppo presentano qualche grado di preminenza su quelle del secondo e queste su quelle del terzo. In ciascun gruppo i nomi seguiranno l’ordine alfabetico. Nel primo gruppo la Giunta ha posto le opere di BrancHI LuIGi, Pirré GIUSEPPE. 1 I i Il prof. Bianchi nel quadriennio 1893-96 ha pubblicato i 1 seguenti lavori: i Lezioni di geometria differenziale (Pisa, Spoerri); Vorlesungen iber Differentialgeometrie (Lipsia, Teubner); Sui sistemi tripli ortogonali di Weingarten (Rend. Circ. mat. | di Palermo); | Applicazioni geometriche del metodo di Picard (Rend. Lincei); | Sulla interpretazione geometrica del teorema di Moutard (ibid.); ‘ Sulle superficie i cui piani principali hanno costante il rap- I porto delle distanze da un punto fisso (ibid.); Sulle superficie a curvatura nulla negli spazì di curvatura costante (Atti di Torino); Sulle superficie a curvatura nulla in geometria ellittica (Ann. di mat.); . Sopra una classe di superficie collegate alle superficie pseudo- sferiche (Rend. Lincei); Nuove ricerche sulle superficie pseudosferiche (Ann. di mat.); Estensione del metodo di Riemann ad equazioni a derivate parziali d’ordine superiore (tre note, Rend. Lincei); Sulle divisioni regolari dello spazio non euclideo (ibid.); Ricerche sulle forme quaternarie e sui gruppi poliedrici (tre Memorie, Ann. di mat.); Complemento alle precedenti ricerche (ibid.). — Sono questi lavori ben conosciuti in tutto il mondo scien- tifico. Particolarmente richiama l’attenzione il trattato di geo- metria differenziale, che è stato anche tradotto in tedesco, e che in notevole parte è opera schiettamente originale. Di esso ha pubblicato recentemente una recensione il Darboux (Bulletin des sciences mathématiques, ottobre 1897), mettendone in rilievo 196 appunto le parti originali e largamente encomiandolo ; nè si po- trebbe ricorrere a un giudice più di lui competente in simil campo di studì. 3 È noto come le scoperte del Bianchi sulle superficie pseudo- sferiche, sui sistemi tripli ortogonali, sulle superficie minime e sopra altre parti della geometria, furono la base di una vasta serie di ricerche, che sono fra le più importanti della teoria delle superficie e diedero alta fama al nome dell’autore, ponen- dolo fra quelli dei geometri che maggiormente hanno contri- buito all’avanzamento di questo ramo delle matematiche. Ora le lezioni che egli ha pubblicate contengono la raccolta di tutte quelle ricerche, notevolmente perfezionate, accresciute, collegate fra loro, e fuse in tutto quel corpo di dottrina, che egli volle chiamare # Geometria differenziale ,. È da notare che i metodi più moderni dell'analisi delle forme differenziali e delle equa- zioni differenziali ebbero nuove ed originali applicazioni in quest'opera; per modo che teoremi, che il Lie ed altri eran riesciti soltanto ad intuire mediante semplici considerazioni in- finitesimali, trovarono una base solida e rigorosa nei metodi di dimostrazione escogitati dal Bianchi. Le Memorie da lui pubblicate nel quadriennio posson divi- dersi in tre categorie: quelle di geometria differenziale, quelle di analisi e quelle di alta aritmetica. Tralasciando di parlare delle: prime, che in gran parte sono in istretta connessione col trattato di geometria differenziale, va rilevato che quelle di analisi segnano un passo notevole nell’integrazione delle equa- zioni a derivate parziali, ed uniscono mirabilmente due metodi riconosciuti fra i più efficaci e potenti, quello di Riemann e quello delle approssimazioni successive del Picard; mentre le ricerche di alta aritmetica aprono un campo nuovo di studio sulle forme quaternarie quadratiche, con geniale idea collegan- dole (seguendo in parte il Poincaré) con la divisione regolare dello spazio non euclideo in poliedri simmetrici e congruenti. Gli enumerati lavori contengono molte vedute originali e molti nuovi risultati di primaria importanza; essi sono il frutto di un ingegno geniale e di una ricerca tenace e profonda in varî campi delle matematiche. Inoltre le Lezioni di geometria differenziale sono l’opera più ragguardevole di matematica che sia comparsa fra noi nel quadriennio 1893-96. E per tutte 197 queste ragioni è chiaro che l’autore si trova in condizioni pie- namente conformi all'importanza del premio ed alla volontà del fondatore. Il dott. Pitré vien segnalato per la sua Bibliografia delle tradizioni popolari d’Italia, pubblicata nel 1898; ed altresì per le sue pregevolissime pubblicazioni continue, parecchi volumi delle quali vennero in luce nel quadriennio 1893-96, quali sono: Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, dal 1882 in poi; Biblioteca delle tradizioni popoluri siciliane, che conta già 20 volumi dal 1870 in poi; la raccolta intitolata Curiosità popolari tradizionali, in 15 volumi dal 1885 in poi. Fra coloro ai quali si dà nome di “ folkloristi ,, e che in sostanza studiano la psicologia dei popoli, il Pitré è senza dubbio il primo in Europa. In questo genere di studîì varî ten- tativi s'eran già fatti da altri; ma il Pitré fu il primo a co- minciare un ordine metodico, continuato di ricerche rigorose e sicure, in tutte quante le forme possibili. E perseverò per circa trent'anni senza interruzione, raccogliendo un materiale scien- tifico sempre genuino e così vasto, che nessuno in questo ge- nere di studì può stare accanto a lui. Egli, è vero, limitò le sue ricerche alla sola Sicilia, e non è un filologo. Ma la conoscenza che ha del dialetto siciliano è tale, che poté spesso correggere gli errori che commisero i filo- logi nel parlarne. E il popolo siciliano egli studiò sotto tutti i possibili aspetti: costumi, tradizioni, racconti, canti popolari, rappresentazioni figurate e sceniche, sacre e profane, medicina popolare, ecc. Nè mancò di far continua comparazione del po- polo siciliano con gli altri. In questo modo la sua opera monu- mentale di più diecine di volumi, alla quale dedicò l’intera sua vita, resta come un modello, che addita agli altri la via che è necessario percorrere per poter riuscire al fine desiderato. Ed | è perciò che, mentre i folkloristi, anche se filologi, sono assai spesso poco stimati dagli uomini di scienza e chiamati dilet- tanti, il Pitré invece gode la stima universale degli scienziati. Mettendo innanzi il nome del Pitré si è tenuto conto, non soltanto del suo alto e vero valore scientifico, ma anche della 198 grande importanza morale, che avrebbe il premiare una vita intera di lavoro disinteressato e per molti anni solo da pochis- simi riconosciuto. Dai suoi molti volumi egli non ha ricavato nessun lucro, ed ha dovuto vivere facendo il medico. Unico stimolo costante fu per lui l’amore del natìo loco. E così ha finito per dar fondamento sicuro ad un ramo dello scibile, che era, specialmente fra noi, trascurato e deriso, e che ora, in grandissima parte per opera sua, da molti apprezzato, può es- sere sicuramente e scientificamente coltivato. Il secondo gruppo è composto delle opere di CastELNUOvO GuIDo, CAvERNI RAFFAELLO, LANCIANI RopoLro, Pizzi ITALO. Il nome del Castelnuovo è specialmente raccomandato alle seguenti Memorie di Geometria: Sulla linearità delle involuzioni più volte infinite apparte- nenti ad una curva algebrica (Atti Torino, 1893); Sui multipli di una serie lineare di gruppi appartenenti ad una curva algebrica (Rend. Circ. mat. Palermo, 1898); Sulla razionalità delleinvoluzioni piane(Math. Ann., 1893-94); Alcuni risultati sui sistemi lineari di curve appartenenti ad una superficie algebrica (Mem. Soc. dei XL, 1894-96); Sulle superficie di genere zero (ibid.). Per le ultime due Memorie meritò già l'Autore la medaglia d’oro conferita dalla Società dei XL, con giudizi assai favore- voli su tutti i lavori qui citati. I quali risolvono questioni dif- ficili, molto generali e d'importanza eccezionale, intorno alle curve e superficie algebriche; e le risolvono con metodi molto ingegnosi e potenti, dal Castelnuovo introdotti nella scienza, oppure da lui ampliati e perfezionati. Nella Memoria 1% è dimostrato che una serie di gruppi di n punti di una curva algebrica, tale che r punti qualunque di questa stiano in un sol gruppo, è una serie lineare, cioè una gi, e die ‘tit riti fi 199 salvo un caso di eccezione; onde seguono notevoli proposizioni per la Geometria su una sperficie. Nella Memoria 2*, servendosi della nozione (di cui pel primo ha mostrato tutta la portata) di multipli successivi di una serie lineare, l'Autore determina il massimo genere t di una curva contenente una serie 97, ossia di una curva d’ordine n nello spazio di dimensione r, e stabi- lisce fra gli altri un importante teorema. Nella Memoria 3? si dimostra che ogni involuzione piana è razionale: proposizione, di cui da lungo tempo i geometri cercavano invano una dimo- strazione generale, ora trovata dall’ Autore, grazie ad un felice uso della geometria delle serie lineari su una curva e dei sistemi lineari di curve su una superficie. Nello stess’ordine d'idee, ma valendosi inoltre dei nuovi concetti dovuti all’ Enriques ed all'Autore, questi riesce nella Memoria 5* a dar la risposta, assai desiderata, al quesito più generale, di riconoscere quando una data superficie algebrica è razionale. E la risposta è altrettanto semplice quanto grandi erano state le difficoltà per giungervi; poichè le condizioni di razionalità consistono nell’an- nullarsi dei due generi superficiali, il numerico e il geometrico, e di un terzo e nuovo carattere. Per superficie algebriche qualunque e pei sistemi lineari di curve sopra esse, vengono pure scoperti nella Memoria 4° risultati nuovi, generali e fecon- dissimi. a Insomma i lavori del Castelnuovo contengono i più impor- tanti progressi, che si sian fatti da alcuni anni in qua, in Italia e fuori, nello studio di quelle proprietà delle curve e superficie algebriche, che non mutano per trasformazioni birazionali. Del che è prova, che l’insigne geometra francese sig. Picard nel suo trattato in corso di stampa (Théorie des fonctions algébriques de deux variables indépendantes) si propone di giovarsi ampia- mente di tali lavori. L’opera del Caverni, intitolata Storia del metodo sperimen- tale in Italia, ebbe dall'Istituto veneto il premio Tomasoni. Dei sette volumi promessi quattro sono stati pubblicati sino ad oggi. Il primo (1891) è occupato per una metà da un discorso preli- minare, e nell'altra si narra l'invenzione dei principali strumenti fisici. Il secondo (1892) comprende le applicazioni del metodo sperimentale all’ottica geometrica e fisica, all’acustica, all’elet- 200 tricità, al magnetismo, alla meteorologia, alla geografia ed al- l'astronomia. Nel terzo volume, pubblicato nel 1893, cioè nel quadriennio relativo al premio di cui ci occupiamo, si trova la storia del metodo sperimentale applicato all’anatomia, alla meccanica dei moti animali, allo studio degli organi dei sensi, alla fisiologia vegetale, alla medicina ed alla geologia. Ed il quarto volume, pubblicato nel 1895, anch’esso nel detto qua- driennio, comprende la parte prima del metodo sperimentale applicato alla scienza del moto dei gravi. Nei dieci capitoli che lo compongono si tratta della scienza del moto nel secolo XVI, dei baricentri, degli equiponderanti, delle macchine, delle libere cadute dei gravi, delle scese dei gravi lungo i piani inclinati e per gli archi dei cerchi, delle resistenze dei solidi, dei proietti, terminando con una conclusione di questa prima parte. È già noto all'Accademia che il valore dell’opera del Ca- verni fu stimato grandissimo e dai giudici del concorso presso l’Istituto veneto e da altri scienziati, fra i quali basti citare lo Schiaparelli. La varietà delle materie, l'ampiezza dell’ordi- tura dell’opera, richiesero un ricchissimo corredo di cognizioni e un lavoro enorme. Vi è raccolto il frutto di molte pazienti letture di libri malnoti o dimenticati, e quello di ricerche dili- gentissime sui manoscritti e negli archivi. La Forma urbis Romae del prof. Lanciani è senza dubbio un importantissimo lavoro di archeologia e di topografia romana, dovuto a lunghe e diligenti ricerche di vario genere. Esso con- siste in una raccolta di 30 tavole, le quali a pubblicazione com- piuta raggiungeranno il numero di 46. Le tavole mancanti sono già pronte per la stampa; ma, per contratto con l'Accademia dei Lincei, non potranno venire in luce prima del 1899. L'Autore merita la più ampia lode, per aver recato con quest'opera un contributo notevolissimo alla conoscenza della topografia di Roma. Ed a compiere un’opera cosiffatta nessuno era preparato meglio di lui, architetto, archeologo, e da molti anni intento a studiare la topografia e i monumenti di Roma; del che fa testimonianza una copiosa serie di pregevoli lavori, così monografici come d’indole generale. Sebbene la pubblicazione consista di sole tavole, pure essa è già degna di venir presa in considerazione per il premio. 201 Quando poi sia pubblicato anche un testo illustrativo di essa, che contenga i materiali raccolti dal Lanciani pel suo lavoro, allora si potranno conoscere pienamente le laboriose indagini da lui fatte per delineare questa pianta archeologica di Roma antica, e si possederà oltre a ciò un tesoro d’informazioni topo- grafiche, antiquarie, storiche, che ora in parte rimangono sco- | nosciute. La Storia della poesia persiana del prof. Pizzi, il quale già con altre opere si era acquistata fama fra i cultori delle cose persiane, parve al suo comparire un avvenimento letterario, e la critica degli orientalisti e dei letterati in genere si esercitò I su di essa in Italia e fuori. Ne parlarono con lode 1’ “ American Journal of Philology ,, la “ Deutsche Litteraturzeitung ,,1°“ Jah- resberichte der Geschichtswissenschaft ,. Il Pizzi era stato preceduto dal von Hammer, che nel 1818 pubblicò un'analoga storia; ma dipoi si fecero studì e ricerche, di cui si è valso il Pizzi; talchè la sua opera, per alcuni ri- guardi, può dirsi nuova e più compiuta, e viene a prendere un | posto onorevole accanto a quella del dotto tedesco. Inoltre essa è stata composta, non per i soli orientalisti, ma altresì per il pubblico erudito; ed è riuscita al suo intento, presentando un insieme di ricerche ed analisi accuratissime sulla versificazione persiana, sul sentimento che le presiede, sui curiosi rapporti fra questo sentimento e quello del medio evo in Italia. La scelta giudiziosa dei molti esempî, i pareri spesso indipendenti, l’aver concentrato il sapere dei dotti anteriori, rendono l’opera utile e commendevole, facendola un compendio di tutti gli studì ira- nici dell'Autore. L’opera è essenzialmente letteraria, ma ha pure un valore scientifico innegabile; e la riunione di questi varî pregi ne co- stituisce l'originalità e l’importanza. Il terzo gruppo si riduce a Annievi LorENZO. Nella sua Cinematica della biella piana l’Allievi si è pro- posto d’istituire uno studio sistematico delle guide del movimento 202 circolare e rettilineo; ed ha raggiunto lo scopo in maniera ori- ginale, con un esame profondo e particolareggiato della quistione cinematica del moto di una figura piana nel proprio piano. Ecco additati, almeno per sommi capi, i pregi delle opere che la Giunta aveva il mandato di esaminare. Non sarà superfluo ripetere i nomi degli autori divisi, come si è già spiegato, in tre gruppi: i Primo gruppo: BIANCHI, Pirri. Secondo gruppo: CASTELNUOVO, CAVERNI, LANCIANI, SIzazi, Terzo gruppo: ALLIEVI. Ed ora tocca a voi di designare fra la eletta schiera quel nome che meglio vi parrà indicato pel premio; del quale tutti invero si presentano meritevoli per eccellenza di opere, per prestanza d’ingegno e per vigorosa ed utile operosità. Il Segretario della Giunta Exrico D’Ovipio. La votazione avrà luogo nella seduta del 9 corr. Gennaio. eee e aa 203 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 2 Gennaio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-presidente dell’Acca- demia, D'Ovipio, Direttore della Classe, BERRUTI, CAMERANO, Segre, VoLrterrA, Foà, GuarEscHI, Gurpi, FrLett e NACCARI Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della seduta del 13 Giugno 1897. i Il Segretario comunica la lettera della Presidenza dell’Isti- tuto Veneto, che partecipa la morte del Prof. Filippo Lussana membro di quell’Istituto, e presenta alcune pubblicazioni inviate in dono dal Socio straniero von KoELLIKER. Vengono accolte per l'inserzione negli Atti le note seguenti: 1° Sull’azione dell'etere cianacetico e dell'ammoniaca sui chetoni grassi; nota II del Dott. Adalberto PAsquALI, presentata dal Socio GUARESCHI, 2° La rifrazione atmosferica calcolata in base all'ipotesi 204 di Mendeleeff sulla distribuzione verticale della temperatura del- l’aria; nota del Prof. Paolo Pizzetti, presentata dal Socio D’OviIDIO, Il Socio Gui legge poi anche a nome del Socio VoLTERRA la relazione sulla memoria dell’ Ing. Elia Ovazza, intitolata : Calcolo grafico delle travi elastiche sollecitate a flessione e taglio. x La relazione è favorevole alla lettura e viene approvata; si accoglie la memoria per l'inserzione nei volumi accademici. ADALBERTO PASQUALI — AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO, ECC. 205 LETTURE Azione dell'etere cianacetico e dell’ammoniaca sui chetoni grassi; Nota II del Dott. ADALBERTO PASQUALI. In due note precedenti del prof" Guareschi (1), del dottor Grande (2) ed in una mia (3) è stato accennato come nell’azione dell'etere cianacetico sui chetoni in presenza di ammoniaca, si formino dei prodotti intermedii che coll’acqua si scompongono, dando un derivato bicianpiridinico e un idrocarduro; nel caso del metiletilchetone, ad esempio, si à dell’eteno e nel caso del metilpropilchetone, del propano. Nella mia precedente nota ò appunto accennato al prodotto intermedio che si ottiene del metilpropilchetone e che, probabilmente, aveva la costituzione seguente : CHz CH, DI C a: CNHC/ NCH.CN | (1) Guarescui, Nuove ricerche sulla sintesi di composti piridinici e la reazione di Hantzsch (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1897, T. XXXII). (2) E. Granne, Azione dell'etere cianacetico sopra il metiletilchetone in pre- senza di ammoniaca (Ivi, 1897, T. XXXII). (3) A. Pasquari, Azione dell'etere cianacetico e dell'ammoniaca sui chetoni grassi, “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, T. XXXII. 206 ADALBERTO PASQUALI La formazione di tale sostanza, come accennai allora, po- teva spiegarsi così: CH; CH, CH; CH, Led NA CO Via CN.CH, CH,.CN CNCH/ \CHON | | — H0 — 2C,H;,;0H = | | C:H;0.CO. . C0.0C;H; | | NH;. NH; CONE ZASO Questo prodotto, dissi, si decompone facilmente a contatto dell’acqua e, cristallizzato da questa, dà una sostanza che il comportamento e l’analisi identificarono per un sale di ammonio della B-g'-dician-1-metilglutaconimide. Ora, poichè da differenti chetoni si avevano differenti pro- dotti intermedî che portavano allo stesso prodotto finale, e, sic- come nel trattamento di questi con acqua, si notava uno sviluppo abbondante di bollicine gassose, l’unica ipotesi, che sembrasse plausibile, era l’ammettere che la reazione andasse nel modo seguente: CH, C3Hy CHz SC | C FIR AS CN.CH/ \CHCN CN.HC,/ NC.CN | | I l'aa OT A60 CO, 70 Duri ava N.NH, N.NH, Prodotto intermedio Prodotto finale E fu allo scopo di precisare meglio ciò, che io è continuato lo studio di questa sostanza: sono arrivato, infatti, a risultati per i quali questa ipotesi viene, pare, confermata. In tutte le esperienze eseguite in proposito, ò sostituito il cianacetato di metile all’etere cianacetico, per vedere se la rea- zione andasse nello stesso senso o se, invece, il gruppo alcoolico influisse in qualche modo sull'andamento della reazione. Come era da prevedere, la sostituzione non ebbe influenza AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO E DELL'AMMONIACA, ECC. 207 sulla natura dei prodotti ottenuti, se non che, avendo operato in condizioni migliori, sono riuscito a ottenere un prodotto ab- bastanza puro e in maggior quantità. Grammi 10 (1 molecola) di metilpropilchetone mescolai a gr. 23 (2 molecole) di cianacetato di metile: raffreddai la me- scolanza e vi feci passare, per circa due ore, dell’ammoniaca gassosa e secca fino a che il contenuto della boccia non fu com- pletamente rappreso in una massa biancastra e densa. Dopo 24 ore ripresi la massa solida con alcool assoluto e raccolsi la parte solida alla pompa. La lavai con alcool asso- luto, col quale la triturai in un mortaio. Raccolsi ancora su filtro, lavai e cristallizzai dall'alcool bollente, assoluto, in un matraccio ben chiuso. Ottenni un prodotto leggermente colorato in giallo che asciugai sull’acido solforico, a cm. 30 di pressione. Il prodotto asciutto pesava gr. 12. Per tante esperienze analoghe, eseguite con lo stesso che- tone, dò dovuto persuadermi che il prodotto così ottenuto si de- compone facilmente con alcool che contenga anche tracce appena di acqua e che la decomposizione aumenta ripetendo le cristal- ‘ lizzazioni. La sostanza ottenuta in tal modo, con latte di magnesia svolse ammoniaca che fu trasformata in cloroplatinato. A gr. 0,1136 di sostanza corrisposero gr. 0,0452 di platino da cui, per cento: trovato calcolato per CixHiaN3(NH,)Oa N ammoniacale = 5,65 5,93 Ora, siccome da saggi preliminari veniva confermata la trasformazione del prodotto intermedio in sale di ammonio della B-B' dician-y-metilglutaconimide, con sviluppo notevole di gas, era necessario conoscere la quantità del prodotto finale e del gas ottenuti, in rapporto a quella del prodotto intermedio im- piegato e stabilire, eudiometricamente, la composizione del gas sviluppato. 208 ADALBERTO PASQUALI A questo scopo, introdussi gr. 0,55 di sostanza sotto una campanella di vetro graduata e con rubinetto, sul mercurio. Vi aggiunsi cc. 15 circa di acqua distillata, previamente bollita: dopo 48 ore, lo sviluppo di gas era cessato: questo segnava cc. 12 alla parte superiore della campanella, quantità di molto inferiore alla teorica. Questo gas, incoloro, brucia con fiamma fuligginosa, azzurra ai bordi, propria degli idrocarburi. Non si combina al bromo e questo fatto conferma l’ipotesi che si tratti di un idrocarburo saturo. Infine, come il propano, mentre è quasi insolubile nel- l’acqua, si scioglie moltissimo nell’alcool assoluto. Questo gas, travasato, fu a piccole porzioni bruciato nel- l’eudiometro Bunsen. Ebbi i risultati seguenti: AvnaLISI I? (IL gas non fu disseccato). pres- | volume sione | a 0° e del gas | 1 metro| volume | tempe- | letto | ratura Gas impiegato . . . . . .|68,10|189,5 | 200,6| 12,79 Dopo l’aggiunta di ossigeno . |269,27 | 189,5 | 397,0 (100,08 | Dopo l'aggiunta di aria. . .|529,95|18°,5 | 653,3 324,17 | Dopo la scintilla . . . . . 496,38 189,5 | 620,3 [288,29 | Dopo l’introduzione di potassa |461,06 | 189,5 | 580,5 [250,58 trovato CRONO Ossigeno totale consumato. . . .| 60,80 | 64,15 | Ossigeno consumato per form. di CO, 37,71 38,49 | Ossigeno consum. per form. d’H,0 . 23,09 25,76 AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO E DELL’AMMONIACA, ECC. 209 Anarisi Il (il gas fu disseccato). | | pres- |volume sione | 20° e | del gas | 1metro I volume | tempe- letto | ratura Gas impiegato . . . . . .| 795 | 26° (235,85) 17,1 Dopo l'aggiunta di ossigeno . ‘307,8 260,5 |457,4 |128,3 | Dopo l'aggiunta di aria. . . 538 | 26° |684,95|336,4 | Dopo la scintilla . . . . .|487,8| 26° |632,6 |281,75 Dopo l'introduzione di potassa | 437 | 24° 579,92 | 232,9 s calcolato trovato per C;Hs i Ossigeno totale consumato. . . .| 86,4 85,5 Ossigeno consumato per form. di CO, | 48,85 51,9 Ossigeno consumato per form. di H,0 37,55 34,2 e MV OMSgent | Awarist III? (il gas fu disseccato). | | pres- | volume sione | a 0° e del gas | 1 metro | volume | tempe- | letto | ratura ei eat. Là 63,44 | 24° 215,93 | 12,59 Dopo l’aggiunta di ossigeno . 270,8 | 24°,5 (421,1 [104,63 Dopo l’aggiunta di aria. . . 507,41] 24° 653,55 (304,77 Dopo la scintilla . . . . . 470,75. 249, 1618:. 1267,9%| Dopo l'introduzione di potassa |433,74| 24°,5 581,9 (231,58 | | | | Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 17 210 ADALBERTO PASQUALI ‘alcolat; trovato per Gil | Ossigeno totale consumato. . . . 60,6 62,95 | | Ossigeno consumato per form. di CO, 35,79 ST Ossigeno consumato per form. di H,0 24,81 25,18 Dalle tre analisi eudiometriche precedenti, facendo il vo- lume del gas = 1, risulta: trovato calco- fe I II II C3Hz Gas impiegato . . . . . sedi 1 1 1 Ossigeno consumato . . . .| 4,75 | 5,05 | 4,81 5 Ossigeno cons. per form. di CO, | 2,94 | 2,85 | 2,85 3 Ossigeno cons. per form. d’H30 | 1,8 2,19 | 1,97 2 Siccome la quantità di gas ottenuto non corrispondeva alla quantità di prodotto intermedio impiegato, e tanto più che questo stesso prodotto non mi aveva dato dei risultati analitici sod- disfacenti, volli tentarne una nuova preparazione, cercando di evitare anche di più, se era possibile, l’azione dell’umidità del- l’aria e delle tracce di acqua che l'alcool poteva conteneré. Nella mescolanza, mantenuta fredda, di gr. 5 di metilpro- pilchetone (1 molecola) e di gr. 11,5 di cianacetato di metile (2 molecole), feci passare ammoniaca gassosa e ben secca, ope- rando nel modo sopradescritto, ma servendomi di alcool asso- luto ridistillato recentemente sulla calce, dibattendo il prodotto con quest’alcool in un cilindro asciutto e chiuso, scaldando mo- deratamente nelle cristallizzazioni, ripetendo le cristallizzazioni il meno possibile e raccogliendo il prodotto in fretta. i e N AZIONE DELL'ETERE CIANACETICO E DELL'AMMONIACA, ECC. 211 ll Ottenni così un prodotto leggermente colorato in roseo che fu disseccato sull’acido solforico a pressione ridotta, che a 80° svolgeva ammoniaca e che fondeva male fra 180° e 190°, Il prodotto asciutto pesava gr. 5. All’analisi diede i seguenti risultati: I gr.0,1122 di sostanza diedero gr.0,2284 di CO; ; gr.0,0730 di H,0 dl, 01142 P È 2278. na 006 II , 0,1349 ; 3 cc. 27,5 di N a 139,5 e 748 mm. IN, 0,1072 3 5 1 IRA O 132 n KM | da cui, per cento: trovato calcolato per I I III IV CHigN,09 Ol (55,5 95,8 _ — 59,93 Mes "72 6,74 — _ 6,77 0 IE — 23;45 23,9 23,72 Questo prodotto corrisponde, dunque, alla formula calcolata per il sale di ammonio della B-B'-dician-Y-metilpropilglutarimide. CH; C3H, C at nima AGARILGN PRE | LS LEACO De N.NH, Anche questa porzione con acqua sviluppa gas, ma non quanto ne corrisponde al calcolato e in quantità press’a poco uguale a quella fornita dal prodotto della prima preparazione. Era anche importante vedere se a questo prodotto inter- medio corrispondesse un sale d’argento. In un primo saggio ot- tenni un sale che si mostrò per il sale d’argento della B-R'- dician-Y-metilglutaconimide. 212 ADALBERTO PASQUALI Infatti: I gr. 0,2262 di sale d’Ag diedero gr. 0,0873 di Ag I, 0,1584 è È 3 ce. 22,8 di N a 25°e742 mm. da cui, per cento: trovato | calcolato I II CsH,N3Ag0g ‘Ape 38,59 _- 38,3 Nae= — 15,51 14,84 mentre per C,;H;sN3Ag0; si calcolerebbe: Ag % = 383,13 N SA — 12785 Questo fatto poteva far pensare ad una facile decomposi- zione del sale d’argento C,,H,.N3Ag0;, nel modo seguente: C1HgN3Ag0, = C3Hg + CsHiN3Ag0>. Volli quindi ripeterne la preparazione con alcool il più pos- sibilmente puro ed in condizioni migliori. Disciolsi gr. 0,5 di sostanze in alcool (distillato sul sodio) a freddo, e trattai la soluzione con una soluzione fatta pure a freddo di nitrato d’argento nell’aleool assoluto (distillato pure sul sodio), avendo cura che i recipienti fossero previamente disseccati. Ebbi così un precipitato abbondante che raccolsi in fretta alla pompa, lavai con alcool assoluto, e tenni sull’acido solfo- rico, a pressione ridotta, fino a peso costante. Anche operando con queste precauzioni ebbi un sale che mi dimostrò una notevole decomposizione. Infatti: gr. 0,0808 di sale d’Ag diedero gr. 0,0290 di argento, da cui: trovato calcolato per CuHiaN3Ag03; per Ca H,N3Ag0, Ag% = 35,9 38,1 38,3 È -— i AZIONE DELL’ETERE CIANACETICO E DELL'AMMONIACA, Ecc. 213 Resta con ciò provato: I. Che per azione dell’etere cianacetico e dell’ammoniaca sul metilpropilchetone, si ottiene in un primo periodo un pro- dotto della costituzione seguente: Pia, C3Hx ear C3H; CN .CH oc. CH .CN CN. ca/” Xe . CN O I o, meglio | CO N / 0 H,N. CON /00 N.NH, è d che può considerarsi come il sale di ammonio della 8-8'-dician-y- metilpropilglutarimide. II. Che questo prodotto è poco stabile e per contatto ‘ dell’acqua dà il sale di ammonio della f-B'-dician-y-metilglutaco- nimide, mentre sviluppa un gas combustibile. III. Che questo gas è propano C*H8. Torino. Laboratorio di chimica farmaceutica e tossicologica della R. Università. Gennaio 1898. La rifrazione astronomica calcolata in base alla ipotesi di Mendeleef sulla distribuzione verticale della tempera- tura nell'aria; Nota del Prof. PAOLO PIZZETTI, 1. — La teoria della rifrazione astronomica di BrssEL si fonda, come ognun sa, sulla ipotesi che la legge di variazione della temperatura dell’aria secondo l’altezza possa esprimersi colla formola I h (1) a ita 1+ ef 214 PAOLO PIZZETTI gove to è la temperatura dell’aria in un punto della superficie terrestre, £ la temperatura nel punto che sovrasta al primo della quantità 4, « il raggio medio della terra, e il coefficiente di dilatazione dell’aria, X una costante. Dalla (1) il BesseL dedusse per la legge di variazione della densità atmosferica p secondo l'altezza quella stessa formola (2) — =. ea che avea servito di fondamento alla teoria di KramP e di La- PLACE. La quantità B fu da BrsseL determinata in guisa che le rifrazioni date dalla formola teorica si scostassero il meno possibile da quelle effettivamente osservate: egli ottenne così: B= 745,7, per una temperatura £ = 99,3 C. Quando si adotti questo valore per la 8, la teoria della rifrazione fondata sulla (1) può dirsi soddisfacente, in quanto le rifrazioni calcolate si accordano assai bene (almeno per le distanze zenitali non superiori a 85°) con quelle dedotte da os- servazioni astronomiche. Ma essa offre tuttavia l’inconveniente di contraddire in modo troppo evidente coi dati dell’ osserva- zione per quel che riguarda la legge di decremento della tem- peratura secondo l’altezza. Infatti, sia partendo dalla (1) sia dalla (2), è facile vedere che per 4=0 Qi (Eee (a a E È Po a dove po è la pressione, 9, la gravità a livello del suolo. Tra- ducendo la (2') in numeri, si ottiene una diminuzione di tem- peratura di 1°C. per ogni 815 metri di elevazione, quando, to = 10° circa; risultato, come ognun sa, troppo lontano dai dati di qualunque sorta di osservazioni. È ben vero che facendo variare la quantità 8, le rifrazioni calcolate secondo la teoria Besseliana subiscono variazioni molto piccole, tanto che si può dire che le rifrazioni osservate non ci porgono un preciso indizio sulla velocità di variazione della temperatura secondo la verticale. Ma tuttavia se si volesse as- segnare a 8 un tale valore, che sostituito nella (2') verificasse, LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA CALCOLATA, ECC. 215 p. es., quella velocità di variazione che fu osservata da Gav- Lussac nella sua ascensione ben nota (1° C. ogni 173%) le rifra- zioni calcolate colla formola di Bessel resterebbero alterate di tanto da non accordarsi più abbastanza bene colle rifrazioni osservate. Infatti bisognerebbe porre 8 = 639 circa (pert, = 99,3); il che porterebbe ad alterare la rifrazione media di circa 8" per la distanza zenitale di 85° e di 3' circa per quella di 90°. Si uscirebbe così da quei limiti entro i quali possono oscillare le rifrazioni osservate. Si potrebbe, è vero, ristabilire l'accordo, per le distanze zenitali superiori a 80°, alterando anche l’altra costante della teoria Besselliana, quella costante che si indica di solito colla lettera a. Ma allora le rifrazioni corrispondenti alle piccole di- stanze zenitali (per le quali è quasi insensibile l’influenza della B) resterebbero alla loro volta troppo fortemente alterate. Se poi si osserva che il passaggio dalla (1) la (2) non è che appros- simato, e se si tien conto del termine di correzione proposto a tal riguardo dal GyLpEeN (*), si trova che, per stabilire l'accordo fra la teoria e l'osservazione, occorrerebbe dare a % un valore molto più piccolo di quello determinato da BrsseL, il che è quanto dire render ancor più piccola la velocità di diminuzione della temperatura. Un altro inconveniente presenta la teoria di BrsseL ed è che il rapporto di diminuzione della temperatura risulta pres- sochè indipendente dalla temperatura iniziale ty, mentre al con- trario vi hanno ragioni sì teoriche che empiriche per ammettere che la temperatura diminuisca molto più rapidamente coll’altezza, quando più grande è il suo valore iniziale. Poichè la teoria di Bessel non soddisfa, almeno nelle ipo- tesi fondamentali, ai dati dell’osservazione, non è inutile ricer- care in qualche altra maniera se si possa stabilire una teoria della rifrazione, la quale non contraddica troppo sensibilmente nè alle rifrazioni osservate, nè a quella legge di distribuzione della temperatura, che almeno in prossimità della superficie terrestre ci è dato di osservare. Ho tentato una tale ricerca partendo da una relazione em- (*#) “ Astr. Nachr. ,, Bd. 100, pag. 53. 216 PAOLO PIZZETTI pirica fra temperatura e pressione atmosferica stabilita dal MenpeLEEF in una memoria pubblicata negli “ Archives des ‘ Sciences Physiques et naturelles , di Ginevra nel 1876. 2. — MenpELEEF (*) discutendo i risultati delle osserva- zioni termometriche e barometriche eseguite da GLArsHER nelle sue ascensioni aerostatiche compiute dal 1850 al 1870, ha cre- duto di poter stabilire fra la temperatura # e la pressione p in un punto dell'atmosfera, sopra una data verticale, la relazione lineare be da dp. È questa una relazione empirica, sì, ma che presenta di fronte a tutte le altre che furono proposte nello studio della costituzione atmosferica, il grande vantaggio di legare fra loro soltanto quantità direttamente osservate. Alla costante a il MenpELEEF ritiene potersi assegnare il valore —36°. Quanto alla è essa può essere eliminata, se sì conoscono la temperatura £ e la pressione po alla superficie del suolo, sulla stessa verticale: si ha così (**) PERSE) Po formola, che, per comodità di scrittura, useremo sotto la forma (***) (3) t=-1+4 +9). 0 (*) De la température des couches supérieures de l’atmosphère (“ Archives des Sc. phys. et naturelles ,, Genève, 15 mars 1876). (#*) In seguito a ulteriori ricerche di Hann, Woxigor, Ancor, sembra doversi attribuire alla costante a un valore assoluto alquanto superiore. Noi conserviamo il valore dato da MenpeLEEF, sembrandoci interessante non introdurre nei nostri calcoli alcun dato che non sia dedotto da osserva- zioni aerostatiche. (#**) Partendo da considerazioni teoriche intorno all’equilibrio termico di un elemento qualunque dell’aria, il De MaArcrmi nella sua opera: Le cause dell’éra glaciale, ha ottenuta, per la temperatura dell’ aria, una formola la quale, egli osserva, si identifica colla (3) quando si ammetta che la tem- peratura dell’aria, presso terra sia poco diversa da quella del suolo, e che le frazioni di calore radiante che sono assorbite dagli strati d’aria inferiore e superiore all'elemento considerato siano proporzionali ai pesi delle co- lonne d’aria, rispettivamente, sottostante e sovrastante all'elemento stesso. LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA CALCOLATA, ECC. 217 Chiamiamo p, po le densità dell’aria corrispondenti alle pressioni rispettive p, po e alle temperature #, to. Fatta astra- zione dal vapore acqueo ed ammesse le leggi di MARIOTTE e di Gay-LussAc, possiamo scrivere, Dis coPigalratti (4) Po mei Do 1+et ed, eliminando la (1) per mezzo della (3) e ponendo PBI e SE) ) (1) at otteniamo Pardo LASIPE (5) deg pi —BipBr° D'altra parte, se chiamiamo % l'altezza del punto P(p,p,t) sovra il punto Po (po, Po; to) che supporremo situato sulla super- ficie terrestre nella stessa verticale di P, abbiamo la nota re- lazione differenziale (6) dp= —g.p.dh dove g è la accelerazione della gravità in P, la quale può espri- mersi con Yo TESE detta 9, la gravità in Po. Se si pone a — ak ida 10) la (6) diviene dp= — goa p ds e, sostituendo per p l’espressione (5), e integrando poi da 0 ad s [9.0 IPAIE bi:-B) lento dove, secondo la notazione di BesseL, abbiamo posto 218 PAOLO PIZZETTI ossia abbiamo chiamato / l'altezza di una colonna di aria omo- genea di densità po capace di produrre la pressione p, alla sua base, supposta la gravità uguale a go ovunque. La (7) darebbe la formola della livellazione barometrica corrispondente all’ipotesi di MENDELEEF, quando si facesse astra- zione dalla umidità atmosferica. Ricavando p dalla (5) e sostituendo nella (7) abbiamo la relazione fra la densità e l’altezza pn nl ti B' = IAS (9) log. — log(1-B£ )+log(t—B) +5; fes= 55 Chiameremo Y il coefficiente di — s nel 2° membro; ossia porremo RO. a no: Alepem)iza: a (11) laica ei dove Z è il valore di / che corrisponde alla temperatura di 0°C. 13596 lo = 022,76 X 1,29305 = V9912,0. La Y, nel calcolo che segue, corrisponde, dal punto di vista ana- litico, alla costante B della teoria di Bessel; ma importa osser- vare che, mentre quest’ultima varia al variare della tempera- tura iniziale #o, la y è invece da essa indipendente. Porremo dunque la (9) sotto la forma (10) log = —r(s— 9) dove Sa Me ALE IONE e: . BEE (11) ro=log(1 Be) log(1 Bits ci RI -Xrbr(is). Qualora si volesse esprimere, esplicitamente, la p in fun- zione di s, basterebbe risolvere, per successive approssimazioni, LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA CALCOLATA, ECC. 219 . la (10) rispetto a p. Si otterrebbe così una espressione in serie, della quale i primi termini sono =] 1+2B0 — 0-39) +3B®(1- 6297-90-29) |. 0 Ma a noi converrà piuttosto applicare, senz'altro, la (10). 8. — Prima di procedere cerchiamo quale sia, in prossi- mità del suolo, la velocità di variazione della temperatura col- l'altezza, che corrisponde all'ipotesi di MenpeLEEF. Abbiamo dii pet ww dp dà, x e per 4=0 (d) Laion etail foto. Tra bone een) Posto t= 36°, ly = 7991%, si hanno i seguenti valori del numero di metri di dislivello corrispondenti a un grado cent.° di diminuzione di temperatura (*) peri =—10° . . . 307 metri e e i ARIA RR ae o, Ai A re a IO RM e gna TE Questi risultati variano di poco, se si tien conto della umidità dell’aria (**). È poi facile dimostrare, calcolando le derivate sd, Si un valor qualunque di %, che la pressione e la temperatura per (*) Lo Sracer (“ Memorie Accad. Scienze di Napoli ,, 1897) dalla discus- sione delle osservazioni di Grarsmer deduce che l'innalzamento necessario per passare dalla temperatura di 0° C. a quella di —1° è 193,24. (#*) Se, per una data temperatura, e per l’aria secca la costante / ha il valore 7, quando la tensione del vapore è f, la 7 diventa, alla stessa tem- peratura: t(1 — 0,377 L) FI) 220 PAOLO PIZZETTI decrescono continuamente coll’altezza e che i valori assoluti di quelle derivate diminuiscono al crescere di s, il che è quanto dire che le velocità di decremento della pressione e della tem- peratura vanno diminuendo coll’altezza. 4. — Nella ipotesi che l’atmosfera sia costituita da strati sferici omogenei, concentrici alla superficie terrestre, la flessione infinitesima della trajettoria luminosa, nel passaggio dallo strato il cui indice di rifrazione è u, in quello nel quale l’indice è u + du, è espressa notoriamente da: (1— s)senZ.du I) y i (1— s)° sen? Z Mo? (12) dR= — dove Z è la distanza zenitale apparente, ossia l’angolo che Ia trajettoria luminosa fa colla verticale del punto in cui essa in- contra la terra, w è l’indice in questo stesso punto. Con a +#% è indicato il raggio della sfera d’indice u e, come precedente- mente, si è posto h ri ath * Poniamo, con BESSEL pe Ds CPo u=14+4cp da = eur e scriviamo pure, per semplicità: p= Poe?! dove sarà, per la formola (10): (13) = IS TYRaI B" (1 — e-n21). 1 La (12) potrà scriversi aysenZ(1— s)e-?! dt [1-—2a(1—e-29)]Vcostz—2a(1— e-?29)+(2s—s)sentZ | (14) dR= LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA CALCOLATA, ECC. 224 | La rifrazione R, corrispondente alla distanza zenitale Z, si otterrebbe integrando la (14) fra i limiti 0 ed 1 rispetto alla variabile s. Ma poichè quegli elementi dell’integrale, i quali hanno effettiva influenza sensibile nel calcolo della rifrazione, corrispondono alle regioni dell'atmosfera terrestre ove la den- sità ha valori non troppo piccoli, corrispondono cioè a valori piccolissimi di s, così è lecito estendere l’integrazione a tutti i valori di s da zero ad 00; e quindi fra gli stessi limiti si può eseguire l’integrazione rispetto alla variabile # (*). Per la stessa ragione si può, seguendo l'esempio di BrsseL, trascurare, sotto il segno radicale, il termine s° di fronte a 2s, porre nel nu- meratore l’unità al posto di 1—s, e pel divisore 1 — 2a (1—-e-?)), che differisce sempre estremamente poco dall’unità, sostituire il valor medio fra i due estremi, porre cioè 1 —a. Con queste semplificazioni, e, tenendo presente la (13), la (14) integrata dà 15 ae ay .senZ f Î e-tt di n | ) be o Vcosz+ 2(t+ 9)sen?Z— 2a(1—e77t) Non è difficile valutare, per serie, l’integrale collo stesso metodo che si tiene nella ordinaria teoria della rifrazione. Po- niamo to— gg (1) = log. Si avrà allora t=Ef(1) e quindi, mediante un noto sviluppo di Lagrange, (16) PAT ION E di METTI 0008 PIA (*) È assai facile dimostrare che l'integrale del 2° membro della (12) preso da t= 0,01 fino a #=00 ha un valore assolutamente trascurabile nel calcolo numerico della refrazione 222 PAOLO PIZZETTI Gea) 112 NA ni Poniamo ancora ra 1 B aY (II) Asl tas Gai TL oticzaila oSopaii o foipeoltiti (Ty: slavi di olistico Bopeiio pipes avremo dia ae e Cel 3 A (B? — A/?) (V) Cy=— 5 et (B°-— 5 B" A'-+ 24") D'altra parte la (16) può scriversi et= Cie-?* + Coe? +... + Che? +... Differenziando ambi i membri, e sostituendo nella (15), questa diventa Res beni Rug ee 1% pi " JoVcos®z + 2zsen?Z 1 Trasformando l'integrale con noti metodi, si ottiene (VII) Res DI: DI Va .y(T,) l—a dove (e *) (VI) T, = cotgl —. y(T)= e" (e ed, peg 37 + * tm sal A LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA CALCOLATA, ECC. 223 I valori della y(T) si deducono comodamente dalle tavole di Kramp e di Besset (*), ovvero per valori abbastanza grandi di T, collo sviluppo bean 1 kol OSTILI pet) Le formole che servono al calcolo della refrazione sono dunque le (1) (II) (III) (IV) (V) (VD (VII. Per distanze zenitali al di sotto di 45° si può, senza errore sensibile, sostituire alla (VII) una formola più semplice che si ottiene ponendo, in via d’approssimazione, nel radicale della (15) al posto della piccola quantità i 29 sen?Z — 20(1 — e_?*) il medio fra i due valori che essa assume pei valori estremi di #. Un tal valor medio è n (lost tata) o prossimamente, II sen?Z — a. T Allora la (15) integrata dà te a\2Y y (T) 1—-a dove Ae—- steli | cos°7 —a+ a sen?Z) 3 5. — Ho posto a confronto la formola (1) coi risultati di talune di quelle celebri osservazioni di BrapLEY, delle quali fece uso BesseL nelle sue ricerche sulla rifrazione. Delle 71 osser- (*) Vedi BesseL, ‘ Abhandlungen herausg. von R. Engelmann ,, I Band, pag. 106-7. 224 PAOLO PIZZETTI vazioni riportate da BresseL (ordinate secondo i valori decre- scenti della Z), nella sua Memoria “ Einige Resultate aus Brad- ley's Beobachtungen , (*) ho scelta la 12, la 11*, e così di dieci in dieci fino all'ultima e queste ho sottoposto a calcolo. Per la costante a, in corrispondenza alla temperatura 9°,3 C. e pressione 29,6 pollici inglesi ho assunto dapprima il valor approssimato corrispondente a log... dec.a = 6,44500 — 10. Per una temperatura #, e una pressione p, qualsiasi si ha allora con sufficiente precisione loga = 6,44500 + log so + logjl1.— e(t — 98). I valori dei due termini di correzione nel 2° membro si traggono comodamente dalle tavole di BesseL, nelle quali esse figurano sotto il nome di log B, log y rispettivamente. Quanto alla costante 1, data dalla formola (Il), ad essa ho attribuito il valore il cui logaritmo è log dec y = 2,96316 ponendo nella (Il) ‘= 7991, t=36, «= 6373000 m. (raggio di curvatura del meridiano di Greenwich; è appunto il valore di a usato da BressEL). Così ho potuto calcolare, per ogni osservazione, la quantità che moltiplica nel 2° membro della (VII), riserbandomi di a 1—-a determinare poi in guisa che le osservazioni di BRADLEY o ea restassero, quant'è possibile, soddisfatte, senza che tuttavia le rifrazioni relative alle piccole distanze zenitali riescissero di troppo diverse da quelle calcolate colle tavole di BesseL, le quali, com'è noto, dànno errori estremamente piccoli fino a = 45°. (*) BesseL, “ Abhandlungen ,, I Bd., s. 223-4. Alle temperature ivi se- gnate ho fatta la correzione indicata da Bessel: — 1°,25 F. : LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA CALCOLATA, ECC. 225 Ecco i risultati del calcolo numerico: ini bt das "a v RIFRAZIONE Osserv. — cale. Z app.° lo Po osservata | calcolata | form.VIl | Bessel 990.27'12"| 36,5F| 30211| 30'.3",5|29/.54":8|4+ 8",7|39”,3 | | 88.39.47 | 31,25] 29,5 | 22.55,8 | 22.55,0 |+0,3 |-— 192 87.99. 6 | 32,25) 30,15 17.12,7 | 17.15,6 |— 2,9 | — 6,2 87.23.56 | 54,75) 29,88] 15.24,8 | 15.33,6 |— 8,8 | — 7,93 87. 8.55. | 51,75] 30,10] 14.51,5 | 14.53,0 — 1,5 | — 15 ‘82.41. 0 | 63,48] 296 | 6.478| 6.504 |—2,6| +0,6 7744.0 | 8812), | 4182) 4174|+08|+08 lil 340 | , 2.49,1 | 2.48,2|+0,9 | +08 [ Il valore di a che dà luogo ai numeri della 5% colonna è, meiper do = 99,3 C. e po= 297,6; ao = 0,0002800 (ovvero, in secondi d’arco: a, = 57,81) alquanto superiore a quello di BesseL (a= 0,0002750, ossia 57,54) (*). Con questo valore di a calcolando le rifrazioni relative alle À distanze zenitali minori di 70° si ottengono i seguenti scostamenti rispetto ai valori forniti dalle tavole Besseliane i z 60° 50° 450 30° 15° «scostamenti — 07,07 + 0",19 +0",09 +4 0”,05 + 0",04 È (#) Assumendo come indice di rifrazione per l’aria secca a 0° e 7602 il valore 1,0002946 (Ro1ri, Elementi di fisica, II, p. 116), si avrebbe a=0,0002945. E per la temperatura 9°,3 C. e pressione 29°,6 sarebbe an = 0,0002817. Il nostro valore di a, si avvicina a questo di più che quello di Bessrt. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 18 226 PAOLO PIZZETTI — LA RIFRAZIONE ASTRONOMICA, ECC. (gli scostamenti sono positivi quando la formola VIII dà risul- tato maggiore che la teoria di Besset). Per quanto sia assai probabile che, facendo un maggior numero di raffronti della formola (VII) con le rifrazioni osservate, si abbiano ad ottenere scostamenti alquanto maggiori di quelli indicati nella colonna 6* della precedente tabella, e per quanto il valore di da qui trovato sia assolutamente provvisorio, pure ci sembra ragionevole concludere che la (VII) non offre rispetto ai risultati dell’osservazione disaccordi più forti di quello che la teoria di BesseL. E si noti che le costanti a e 8 del metodo di BesseL sono entrambe valutate a posteriori, in modo da sod- disfare il meglio possibile alle rifrazioni osservate. Nei nostri calcoli invece la sola a è stata adattata alle esigenze delle 0os- servazioni di BranLey, mentre la Y (che corrisponde, in certa guisa, alla B di BrsseL) è stata assegnata a priori in base al valore di t dato dal MenpELEEF. Così la relazione stabilita dal MenpELEEF è stata qui usufruita tal quale, non solo nella sua forma analitica ma anche con quel valore della costante che risultava da pure osservazioni dirette. Relazione sulla Memoria dell’Ing. Euia Ovazza, avente per titolo : Calcolo grafico delle travi elastiche sollecitate a flessione e taglio. Col progredire della teoria dell’elasticità e resistenza deì ma- teriali applicata alle scienze dell’ingegnere si è inteso il bisogno, nella teoria delle travi sollecitate a flessione e taglio, di pren- dere in considerazione anche le deformazioni prodotte dagli sforzi di taglio, che per lo addietro venivano generalmente trascurate rispetto a quelle prodotte dai momenti flettenti, come pure di tener conto della variazione della sezione trasversale della trave. A questo scopo furon già proposti dai moderni trattatisti vari metodi rigorosi di calcolo, ciò nondimeno merita di essere preso in considerazione quello nuovo ideato dal signor Ovazza. pda l 227 L'Autore nella presente Memoria ricava da prima elegan- temente, applicando il metodo dei lavori virtuali, l'equazione rigorosa dell’asse deformato della trave, e pone bene in evi- denza come, allorquando non si trascurino le deformazioni pro- dotte dal taglio, il detto asse presenti in corrispondenza d’ogni forza concentrata una discontinuità di prim'ordine, cioè un punto angoloso. Passa poi alla trattazione delle travi staticamente in- determinate ad una o più campate, ed, avendo dimostrato che la rotazione delle sezioni trasversali della trave dipende esclu- sivamente dal momento flettente, fa vedere come la classica trattazione grafica ideata dal Mohr, e perfezionata dal Culmann e dal Ritter sia ancora applicabile alla determinazione dei mo- menti sugli appoggi quando non si trascurano le deformazioni prodotte dal taglio, purchè si aggiungano ai dislivelli reali degli appoggi certi altri dislivelli ideali il cui effetto, per quanto riguarda la determinazione dei momenti suddetti, equivalga a quello dovuto alle deformazioni prodotte dal taglio. La soluzione del problema si fa dipendere dalla ricerca dei punti uniti, a distanza finita, di certe punteggiate simili sovrapposte. Da ul- timo l’Autore indica come il metodo possa estendersi anche al caso di una trave a sezione variabile. Per la novità del metodo, per la sua relativa semplicità e per l’importanza pratica che esso eventualmente potrà acqui- stare in varîì quesiti d’ingegneria la vostra. Commissione pro- pone che il lavoro dell'ing. Ovazza venga letto. Viro VOLTERRA, C. Gui, relatore. L’Accademico Segretario AnDpREA NACCcARI. 228 CLASSI UNITE Adunanza del 9 Gennaio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: Cossa, Vice Presidente, D’Ovipio, Direttore della Classe, SAL- vapori, BerruTI, Mosso, NAccARI, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, PraNo, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GuaAREScHI, GuIpi, FILETI. Della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: CLarettA, Direttore della Classe, PeyRon, Rossi, BOLLATI DI Sarnt-Prerre, Pezzi, FERRERO, CoenerTI De MaRTHIS, GRAF, BoseLLI, CrroLLa, Brusa, PeRRERO, ALLIEVO e NANI, Segretario. Letto ed approvato il verbale dell’ultima adunanza delle Classi Unite, 2 gennaio 1898, il Presidente inaugura la seduta mandando un reverente saluto alla memoria del Gran RE, fon- datore dell’unità nazionale, della cui morte ricorre oggi il vige- simo anniversario. Si procede quindi alla votazione per il conferimento del decimo premio Bressa. Il premio viene conferito al Dott. Giu- seppe Pirré. 229 Si addiviene in conformità dell’art. 1° del Regolamento in- terno per il conferimento del premio Bressa alla nomina della 1° Giunta per l’ assegnazione di tal premio pel quadriennio 1895-1898. Per ultimo si procede alla elezione del Presidente dell’Ac- | cademia per il prossimo triennio e viene confermato, salva l’ap- provazione sovrana, in tale carica l’attuale Presidente Prof. Giu- seppe CARLE. 230 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 9 Gennaio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarETtTA, Direttore della Classe, PryRron, Rossi, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, PEZZI, FERRERO, COGNETTI pe Marrus, Grar, BoseLLi, CipoLLa, Brusa, PERRERO, ALLIEVO e NANI, Segretario. Il Socio E. FERRERO offre in omaggio alla Classe, a nome del- l'Autore, sig. Hfron pe ViLLerosse dell'Istituto e Conservatore del Museo nazionale del Louvre, un opuscolo intitolato: Diplòme militaire de l'année 139 découvert en Syrie. Il Socio C. CrroLLA presenta per l'inserzione negli Atti due note: 1° Il Sacramentario Veronese e Scipione Maffei, del sac. Antonio SPAGNOLO; 2° Il codice Vallicelliano C. ILI. Contributo allo studio delle dottrine religiose di Claudio, vescovo di Torino, del Dott. Prof. Giuseppe Borriro. im PT, eg Ex ANTONIO SPAGNOLO — IL SACRAMENTARIO VERONESE, ECC. 231 LETTURE Il Sacramentario Veronese e Scipione Maffei ; Nota del Sac. ANTONIO SPAGNOLO. Nell’Ottobre (1) dell’ anno 1713 (2), per merito precipuo dell’illustre Scipione Maffei, venivano scoperti in un ripostiglio dell'antica Cancelleria dei Canonici di Verona, i preziosi Codici, che la Capitolare biblioteca quasi da un secolo piangeva come perduti. Il Capitolo riconoscente per sì grande servigio, dava piena facoltà al giovane scienziato, di studiare i mss. ritrovati, di usarne per le sue opere, anzi di portarsene molti a casa (3). Egli stesso racconta (4) come lo colpì subito un codice antichissimo di scrittura quadrata, contenente bellissime orazioni e prefazi, e gli balenasse l’idea di illustrarlo (5). Ne dava in- tanto notizia al pubblico. Disputando nel 1716 con il ch. Plaff sopra alcuni frammenti greci e intorno il mistero dell’Eucari- stia, così esprimevasi: In un prezioso e antichissimo Sacramen- tario del nostro Capitolo Canonicale, scritto in carattere maiuscolo e ricco di bellissime orazioni inedite, questa si legge: Femotis obum- brationibus ecct. (6). Ebbe cura di farlo trascrivere diligentemente, dettandolo in gran parte egli stesso, con la speranza di inserirlo nella rac- (1) Così apparisce da una nota autografa del Marrer, Ms. Maff., busta XIX, N. 1. (2) Scie. Maree, Verona illustrata, parte III, cap. VII, p. 454. Verona, Vallarsi, 1732. (3) G. B. C. GruLiari, La Capit. Bibliot. di Verona, p. 27. (4) Biblioth. Manuscripta Capitularis curante Anton. Masotti, t. I, p. 344. (5) È il cod. LXXXV (80), Sacramentarium Veronense, membr. di ff. 139, mm. 285 X 172 in onciale, legato in pergamena. (6) Opusc. Ecclesias. in App. alla Stor. Teolog., p. 14. Trento, 1742. 292 ANTONIO SPAGNOLO colta di tutti i Sacramentari, lavoro che incominciò, ma non compì mai. Ne parlò di nuovo l’anno 1732 nella “ Verona Illustrata ,, celebrandolo per indizi d’antichità ancor maggiori delli dati fuori dal Cardinal Tomasi e per Prefazii e orazioni e circostanze molto notabili (1). Finalmente, temendo di non poterlo illustrare nella sua Bibliotheca Manuscripta Capitularis, che aveva messa da parte, per attendere ad altri studi, si accontentò di mandare all’Edi- tore dei suoi Opuscoli Letterari, le poche notizie che si leggono a pag. 62 (2). Nell'anno 1735, mentre il Maffei si trovava fuori d’Italia, il Cancelliere del Capitolo Don Bartolomeo Campagnola, man- dava a Roma al P. Giuseppe Bianchini, la copia del Sacramen- tario, fatto per cura del Maffei e il Bianchini lo dava alla luce, inserendolo nel T. IV dell’Anastasio, con questo titolo: Codex Sacramentorum vetus Romane Ecclesie a S. Leone Papa I°. con- fectus. Non pochi allora convennero col Bianchini nell’ attribuire questo Sacramentario al Pontefice Leone, tra gli altri il Cenni, nella sua dissertazione de Romana Cathedra (3) e gli Editori del Messale di Parigi (a. 1739), i quali facendo elogi del nostro ms., confessano di aver estratte preces plurimas eximiam pietatem spi- rantes, Magnique Leonis, cui tanquam certo auctori tribuuntur, stilum ac doctrinam referentes (4). Altri scienziati però furono di parere diverso. Il P. Giuseppe Orsi, pregato dall’Editore a dare il suo giu- dizio, lo stimò il puro Gelasiano (5) e questa opinione fu soste- nuta dal P. M. Merati nelle sue osservazioni e aggiunte al The- saurum Sacrorum Rituum Bartholomei Gavanti (6). Il P. Eusebio Amort invece, in una lettera manoscritta al Bianchini, negava (1) Cap. VIII, parte III. (2) App. Hist. Eccl., p. 62. (3) Awasrasrus, T. IV, $ XI e XII, p. 152 sgg. (4) Vedi BaLcerIni, Opera Leonis Magni, t. II, p. II. (5) Attribuisce poi quello scoperto dal card. Tomasi ad altro Pontefice posteriore. (6) T.I, parte I, p. 8. ari dir IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 299 che l’autore fosse il Pontefice Gelasio e non trovava argomenti per poterlo attribuire a Leone: Non est opus alicuius Pontificis, sed est Sacramentarium Romanorum Pontificum, usu receptum primis temporibus, auctum usque ad tempora Gelasiiù Pape. Specialiter in hoc Sacramentario agnoscuntur manus Sixti III, Leonis 1 et Fe- licis ILI (1). Nell’anno 1748 il Muratori, nella dissertazione de origine sacre liturgie (2), premessa all'opera Liturgia Romana Vetus (Venetiis 1748), espose l’opinione che il Sacramentario Veronese fosse una raccolta fatta ai tempi di Felice III, da un collettore ignoto, il quale, senza nessun ordine e scelta, riunì in un vo- lume tutte le Orazioni e Prefazi che potè rinvenire, composti tanto da Leone, quanto dai Romani Pontefici suoi predecessori (3). Nello stesso anno comparve un’ operetta del Co. Gracomo Acami, Dell’antichità e pregi del Sacramentario Veronese pubbli- cato dal M. R. P. Giuseppe Bianchini. Roma 1748. In essa egli combatte le opinioni dell’Orsi, del Merati, dell’Amort e del Mu- ratori e sostiene che l’autore e compilatore del Sacramentario non può esser altri che S. Leone Magno: “ 1° Per l'uniformità dei sentimenti, detti e frasi che si rinvengono tanto nel Sacramentario Veronese, quanto nelle opere di S. Leone. “ 2° Perchè vi s'impugnano l’eresie di Nestorio e di Eu- tichete impugnate da S. Leone. “ 5° Perchè vi si parla de’ Manichei convertiti e scacciati da Roma, come avvenne sotto ’1 Pontificato di San Leone. “ 4° Perchè vi si confutano gli errori de’ Pelagiani circa il peccato originale e la necessità della grazia, contro de’ quali errori scrisse tanto S. Leone. “ 5° Perchè vi si vede chiaramente l’incursione degli Unni, l'invasione de’ Vandali, il sacco dato a Roma, la partenza del- l’esercito nemico ed altre cose notabili, che accaddero a’ tempi di Leone , (4). (1) Vedi Baterini, Op. cit., t. II, parte III. (2) Capo III, col. 16 sgg. (3) Muratori, Op. cit., cap. III, col. 29. (4) Proemio e argomento dell’opera, p. 14. 294 ANTONIO SPAGNOLO L’Abate Assemani nell’anno 1754 ripubblicava il testo Mu- ratoriano nel suo Codex Liturgicus Ecclesim Universalis. Roma 1754 (1), dichiarando che il Sacramentario non era che una rac- colta delle più antiche Liturgie della Chiesa Romana fatta non ad uso di alcuna Chiesa, ma piuttosto da un privato per sua devozione o curiosità (2). E più tardi il P. Anton. Vezzosi, nella Prefazione al To. VI delle opere del Card. Tomasi, rigettate le opinioni dell’Orsi e del Merati, aggiungeva, che l’attribuire il Sacramentario Veronese a S. Leone non soddisferebbe a tutte le difficoltà. Tutti questi studi precorsero l’opera magistrale dei Balle- rini, S. Leonis M. Opera Volumi 3 Venetiis 1753, che rese sfol- gorante di nuova luce il sacro e vetusto Ms. Il secondo volume comincia col Sacramentarium Leonianum. Nella prefazione ricca di erudite osservazioni per la maggior conoscenza del prezioso documento, gli Editori, dopo aver recati i vari giudizi dei dotti che lo aveano studiato a fondo, affer- mano non doversi l’opera attribuire nè a S. Leone, nè a Gelasio o ad altro Pontefice, esser certo un Liber Sacramentorum Ro- mance Ecclesiw... omnium vetustissimum, ma sempre una colle- zione di privato autore, rispettabilissima però e per le non poche cose da riputarsi al tutto Leonine e per la conferma dei dogmi cattolici e di molti usi dell’antica disciplina (3): Probabilius nobis est hoc Sacramentarium non fuisse compa- ctum ab ullo Romano Pontifice publica saltem auctoritate in usum Romane Ecclesie; sed privati alicuius hominis fetum esse, qui quascumque invenit preces et prafationes a Romanis Pontificibus ac presertim a S. Leone diverso tempore scriptas ordine non satis idoneo collegit et retulit in codicem qui publico usui non fuit (4). Tali onori si ebbe il nostro Ms. nel secolo passato; non gli mancarono però ammiratori anche nel nostro. Nel 1846 venne inserito nella Patrologia del Migne (5). Leopoldo Delisle nel suo Mémoire sur d’anciens sacramen- (1) Libro IV, cap. III. (2) Prefatio, p.1x. Vedi Zaccaria, Storia letter. d’Italia, TX, 168. (3) Vedi Grucrari, Storia della Capitol. Bibl., p. 164. (4) Vol. II. Prefaz., p. vu. (5) Vol. LV, pp. 21-156. E E IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 235 taires, Paris, 1886, parlando del Veronese dice: L’écriture me semble pouvoir étre assignéte au VII siècle... Le texte en a été publié au VII sidele (1). Il Duchesne (2) dopo aver citata l’opinione del Delisle; quanto alla data osserva, che alla fine di una Messa si ricorda la commemorazione di Simplicio Papa ({ 483); ma è faut, sog- giunge, descendre beaucoup plus bas que cette date per l’epoca del Sacramentario. E accennando il codice ad assedi (3), crede che il Sacramentario alluda all’assedio di Roma del 537-8. Questo sarebbe il limite superiore. L’inferiore non sarebbe posteriore a S. Gregorio; quindi, conchiude, si può attribuirlo au milieu ou au déclin du sixième siècle. Ritiene che non sia un libro officiale, ma una compilazione privata di brani di varia età e disposti senza alcun ordine. Ciò non ostante è per lui un libro di gran- dissimo valore. Lo esaminò anco il ch. A. Ebner e nella sua opera: Quellen und Forschungen zur Geschichte und Kunstgeschichte des Missale Romanum im Mattelalter: Iter Italicum Freiburg. Herder 1896, ne parla brevemente giudicandolo del VII secolo (4). Ma dovea comparire un’altra volta sotto nuova e più ele- gante veste per cura dell'inglese Rev. CHARLES Lett. FELTOE, Sacramentarium Leonianum edited with introduction, notes and three photographs. Cambridge at the Universitas press 1896. L'editore nella eruditissima introduzione che premette al- l’opera, dopo aver lamentata la mancanza dei tre primi qua- derni del Ms., contenenti forse il Canon Misse, che avrebbe dato luce a conoscerne l’epoca e l’autore, prende in esame le singole Messe, le confronta con quelle degli altri Sacramentari Gelasiano e Ambrosiano, col Messale Gotico e con l’Anglicano; fa rilevare le ripetizioni inutili, il disordine delle orazioni e dei prefazi; studia le rubriche, le annotazioni marginali, le citazioni scritturali e dopo aver risposto brevemente alle questioni degli eruditi del secolo scorso, conchiude molto giustamente: che il nostro Ms. non può essere opera nè di Leone, nè di Gelasio, (1) Pag. 65. (2) Origine du culte chrétien, pp. 128-137. (3) Fol. 20 v, 46 0, 547, 60%. (4) Pag. 286. 236 ANTONIO SPAGNOLO nè di alcun altro Pontefice, ma una raccolta, unica forse, di orazioni e forme liturgiche in parte originali, in parte tolte da altre fonti, fatta da un privato scrittore del VII secolo, sia per proprio uso o per l’edificazione di qualche altro personaggio: a sort of note-book or collection of liturgical forms partly no doubt original and partly drawn from earlier sources, but ...... of an entirely private nature. This collection may have been intended by the collector either for his own use or for the edification of some other personage at Rome, ....... but in any case he is one, in whom a certain amount of unskilfulness is combined with a con- siderable amount of meritorious love of labour, reserarch, and ori- ginal composition or compilation (1). Di questi giorni M. PauL Lrray nella Cronique de littéra- ture Chrétienne della “ Revue d’ Histoire et de Littérature reli- gieuse ,. An. et Tome II, N. 1 et 2, Paris 1897, parlando della Messa Latina, esamina la nuova edizione del nostro Sacramen- tario. Fatto un riassunto della introduzione del Feltoe, si do- manda chi possa essere stato quel chierico romano, che pensò di unire insieme tante Messe ed orazioni, quelle perfino che sono attribuite a Damaso Papa, ove si leggono i suoi lamenti e gli attacchi contro certi confessores. Risponde che ciò non si può spiegare che par une situation analogue. Trova analogia tra la lotta che agitossi nella Chiesa sul principio del secolo VII tra il clero regolare e secolare e quella della metà del V e congettura che il raccoglitore o re- dattore del Sacramentario Veronese lo si debba cercare tra quelle personnes qui redoutent V’ingérence des moines. C'est sans doute parmi ces esprits défiants ou mécontents qu'il faut chercher le dernier rédacteur du Sacramentaire Véronais (2). Dopo quanto hanno scritto uomini sì illustri, dopo la bella opera del Feltoe, io credo si possa dire quasi con certezza, che il nostro Ms., quantunque di valore grandissimo, non può esser altro che un lavoro di un privato, lavoro forse unico, non fatto certamente per l’uso pubblico della Chiesa, e scritto sulla fine del sesto secolo o sul principio del settimo, come l’affermano, (1) Introduction, pp. xvi-xvir. (2) Op. cit., p. 192. | IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 237 oltre al Delisle (1), al Duchesne (2), a l’Ebner (3) e al Mound Thompson (4), i signori, da me interrogati, E. Hauler dell’Uni- versità di Vienna, C. Cipolla dell’Università di Torino e F. Paoli dell’Istituto di studi superiori a Firenze. Ma un giudizio assai dotto intorno al nostro Ms. è ancora sconosciuto agli studiosi, l'esame critico cioè che il Maffei det- tava nella sua Bibliotheca Manuscripta Capitularis, opera che finì ne’ suoi ultimi anni di vita e che inedita si conserva nella Capitolare. M° G. B. C. Giuliari, mio predecessore, avea desiderio di pubblicarlo (5), forse gli mancò l'occasione. Io credo che l’oc- casione opportuna sia giunta. Si vedrà che il lavoro del Maffei, certo consultato dai dotti, servi di base ai loro studi. Apparirà manifesta una volta di più, la scienza ‘profonda e la vastissima erudizione di Colui, che noi Veronesi onoriamo come la gloria più bella del secolo scorso. SAGRAMENTARII VERONENSIS ORATIONES SELECTAE Codicem hunc preclarissimum, vetustum continentem Sacramenta- rium, a centenis et amplius annis simul cum crteris latitantem, et de quo ne fando quidem auditum quidquam fuerat, anno MDCOXIV repe- rire, ac detegere mihi contigit, repertumque perscrutari, atque ut quo- modocumque illustrarem omni opera eniti. Anno MDCCXVI de Graecis fragmentis, et de Eucharisti® misterio cum C1. Plaffio disceptans, haec verba protuli. In un prezioso e antichissimo Sacramentario del nostro Capitolo Canonicale scritto in carattere maiuscolo e ricco di bellissime orazioni inedite, questa si legge: “ Remotis obumbrationibus eccet. ,, (Vide opuscula theologica historie adnexa pag. 25). Curavi primum ut Bru- nonis Panole Parmensis presbyteri, et Abbatis Bacchinii eruditi alumni, manu, me dictante diligentissime transcriberetur: exemplum adhuc servo. (1) Op. cit., p. 65. (2) Op. cit., p. 132. (3) Op. cit., p. 286. (4) Vedi Feror, Op. cit., p. vis. (5) Memorie mss. per un futuro catalogo dei mss. della Capitolare. 238 ANTONIO SPAGNOLO Inceepi exinde valde prolixum opus, quod nunquam perfeci, ut Sacra- mentariis omnia ferme, qua memorari possunt, colligerem, et quot in monumentis id genus catholica dogmata, ab Apostoloruni evo, et auctoritate transmissa, manifesto eluceant, ostenderem et patefacerem; nam etiansi e vulgatis antea Sacramentorum libris eadem eruantur, ea- demque prorsus appareant, nihilominus momenti certe addit aliquid codex millenarius noster. Veruntamen cum tempore procedente pluribus de causis Bibliotheca Veronensis manuscripte laborem curamque abie- cissem, nec ad illam umquam amplius me reversurum putarem, opu- sculoram meorum collectori Historie Theologice decem abhine annis adiectorum, ut paragraphum quem heic exhiberet, non denegavi; illius operis specimini in memorie subsidium cum consimilibus aliis tune in- sertorum, cum opus aliquando me fortasse perfecturum, adhuc sperabam. Secundae magnitudinis liber Sacramentario superbit majoribus literis exarato, quo vetustius, et in hoc genere preclarius, ad hunc diem con- trectatum ab eruditis non esse opinor. Ut integrum aliquando exhibeam, diligenti librario a capite ad calcem dictavi. Dolendum tres priores menses, et Aprilis partem deesse. Antiquum, eximiumve, quem reperit, et vulgavit codicem Ven. Cardinalis Thomasius, Gelasianum esse autu- mavit, ac bonis tabulis probare contendit. Veruntamen nullus dubito modo vir ille ecelesiasticis doctrinis, et sapientia refertus vitam duceret, quin hanc laudem in membranas nostras transferret. Gregorianum Sa- cramentorum libram memorans Ioannes Diaconus in S. Gregorii vita sic loquitur: Gelasianum codicem de Missarum solemniis multa sub- trahens, pauca convertens, non nulla vero super adticiens, pro exponendis Evangelicis lectionibus in unius libri volumine coarctavit (1). Gelasius preces omnes collegerat, que sparsim vagabantur. Gregorius, ut magis uniformem redderet liturgiam, quasdam selegit, et coarctato volumine ecclesiasticis hominibus tradidit. Vera igitur anterioris, et Gelasiani codicis nota a Missarum multiplicitate desumenda est; que in hoc nostro unice apparet, plures enim, cuivis Festo Missas adsignat. /n Natali Apostolorum Petri et Pauli Missas recitat numero XXX. Pre- cationes ab ipso Gelasio conditas, et a Leone magno, tum vetustiores quoque, procul dubio hic perlegere est. Bine habentur è Silvestri Epi- scopi depositione, que haud longo post S. Silvestri obitum intervallo videntur composite. In hoc codice mens est diutius immorari; multa enim in his elegantissimis precibus invenio, que catholica dogmata, Romanamque fidem, et ritus quoque, mire confirment atque illustrent. Multa id genus monumenta publici juris viri docti fecerunt, sed quid ex eis erui possit, satis perpendere et legentibus indigitare non vacavit. (1) S. Grecor., lib. 2, N. 17. IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 239 Permisi quoque, ut characterum specimina, que multo ante insculpi curaveram, in eadem opusculorum collectione ederentur: (Pag. 62 in prima tabula num V hujus codicis scriptura visitur). Codicis autem ipsius notitiam anno 1732 publicam feceram in Verone Illustrate Part. II, pag. 250. Post tres autem annos cum eximius Cancellarius Bartholo- meus Campagnola nostras illius apographum, me extra Italiam degente, Romam misisset, C1. P. Blanchinius integrum edidit tamquam Opusculum secundum in Anastasii tomo quarto collocans, et Sacramentorum librum a Leone I confectum denominans. Haec ratio est, cur ego integrum Sa- cramentarium heic non iterem. Accedit quod nuper Cl, Comes Iacobus Acamius, ut rite, et recte ita denominatum assereret, et de illo fuse egerit, atque erudite. Ego quidem utriusque eruditionis piisque laboribus ingenue, ac libenter plaudo. Plura sunt in Cl. Acamii volumine, que a me probentur maxime, et collaudentur; sed cum de Sacramentario a Leone magno confecto convenire neutiquam possim, supervacaneum esse non arbitror, quedam in hoc argumentum afferre. De Grecis sanctorum Iacobi, Basilii, Chrysostomi liturgiis disserere nihil attinet: Procli Constantinopolitani opusculum percurrere abunde est. Apud occidentales. quoque cum Pontifices Summi, tum diversarum etiam ecclesiarum Episcopi, incommutabilem divini et incruenti sacrifici rationem ab Apostolis traditam, ac quaecumque ad eius integritatem spectant, religiose servantes, parerga quaedam, nempe quarundam. crre- moniarum ordinem, preces, prefationes, collectas, antiphonas auxerunt subinde, et diverse ac peculiariter tradiderunt. Valafridus Strabo (1): Romani quidem usum observationum a beato Petro principe Apostolorum accipientes, suis quique temporibus, que congrua iudicata sunt, addide- runt. Ilorum qui addiderunt hac in veteribus monumentis reperio no- mina. De S. Alexandro I qui sedit Hadriano imperante, sie loquitur liber Pontificalis: Hic passionem Domini miscuit in precatione sacerdo- tum, quando Misse celebrantur. De S. Telesphoro sub Antonino Pio: Hic constituit ..... ut ante Sacrificium hymnus diceretur angelicus, hoc est Gloria in excelsis Deo. De Coelestino I: Constitwit, ut Psalmi David ante Sacrificium psallerentur antiphonati; que verba in Mss variantur, sed de Missa Introitu ab eo Pontifice instituto acceperunt omnes. Strabo sic retulit (2): Antiphonas ad Introitum dicere Cclestinus Papa instituit, sicut legitur in gestis Pontificum Romanorum. Gregorius magnus addidit Canoni: diesque nostros in tua pace disponas. Gregorius III adiecit eidem Canoni: Quorum solemnitas ecct. De Nole episcopo Paulino Gen- nadius: Sacramentarium et hymnarium fecit. Idem de Voconio in Mau- (1) De div. Offic., c. 22. (2) Cap. 22. 240 ANTONIO SPAGNOLO ritania episcopo: Composuît etiam Sacramentornm egregium volumen. Itemque de Museo Massiliensis ecclesie presbytero: Episcopi hortatu composuit Sacramentorum egregium et non parvum volumen. Veruntamen creteros in Missarum ordine dirigendo magnopere supergressus est Ro- manus Pontifex Gelasius I, qui ex eodem Gennadio sceripsit Tractatum Sacramentorum elimato sermone, et ex Anastasio, ut a Cardinali Bona, qui in hac materia cr@teris longe preestitit, itemque ab aliis citatur, Fecit Sacramentorum Profationes et Orationes cauto sermone (1). Non ab ipso tantum, sed et ab anterioribus aliis compositas Gelasium colle- gisse, ordinatimque disposuisse, par est credere: quapropter Gelasiani nomen Missali librum inditum statim fuit. Sed cum evo procedente, novis subinde adiectionibus nimium augeretur, Gregorius magnus Gela- sianum codicem de Missarum solemniis, multa subtrahens, pauca conver- tens, nonnullo vero saperadiciens pro exponendis Evangelicis lectionibus, in unius libri volumine coarctavit: hace docet Ioannes Diaconus in S. Gregorii vita (2). Concinit Strabo (3): Curavit beatus Gregorius ra- tionabilia queque coadunare, et seclusis tis, qua vel nimia, vel incon- cinna videbantur, composuit librum, qui dicitur Sacramentorum. Haec est, ni fallor, paucis verbis conclusa, quod ad preesens institutum at- tinet, Sacramentarium historia. Ex hac rerum serie ortum est, ut ab antiquis, a medianis et a recentibus Scriptoribus Gelasiani et Gregoriani Missales memorentur s@epius, iisque appellationibus veteres codices in ejusmodi usum confecti communiter nuncupentur; Leoniani vero Sacramentarii nomen numquam, et nusquam ante hosce dies auditum est. Card. Bona (4): Digessit Mîs- sarum ordinem Gelasius Papa, et post eum Gregorius magnus: extabant autem anno 831 in insigni Bibliotheca Missales Gregoriani tres; Missalis Gregorianus, et Gelasianus modernis temporibus ab Albino ordinatus ; Missales Gelasiani XIX (5). Leonem magnum vetus auctor non est, qui memoret de Sacra- mentis loquens, praeter Anastasium, qui quatuor haec verba Sanctum Sacrificium, immaculatam hostiam orationi uni illum addidisse refert (6). Refert tamen secundum quosdam codices; secundum alios nequaquam, qua propter in prima editione ad oram tantum adicta sunt. Utcumque sit nihil addidisse nisi prenotata verba, doctissimus Cardinalis censet, (1) Bona, lib. 2, c. 5. (2) Lib. 2, c. 17. (3) StRAB., c. 22. (4) Lib. I, c. 25, n. 16. (5) Ibidem. (6) Im Leone. e Pete de nt eeeh NET xo IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 241 non orationem integram, quam Leone vetustiorem existimat. Ponderet queso quisque rerum eestimator prudens, num credi possit, si libram intesrum, tamque amplam ac diffusam, quam que in codice nostro exhibetur, collectionem exhibuisset Leo, nullam de illa mentionem, ver- bum nullum ab eo Historico factum fuisse, qui de quatuor verborum adiectione posteros edocere non pretermisit. Honorius Augustodunensis duodecimi seculi scriptor unice officiùm et antiquum vocat Acamius. Nec tamen plures in his collectionibus S. Leonis quoque preces, ac prefationes haberi, quisquam est qui neget, stilus enim ipse hoc suadet, ac indicat. Sed quae Cl. Acamius pag. 165 nescio quo paroramate ha- beri insuper apud Bibliothecarium verba affirmat, minime quidem apud eum reperias. Anonymus auctor prolixi operis de disciplina ecclesiastica, et divinis Officiis, in Ms. nostro LXXXIV nuper relato superstes, ubi. agit de se- cunda parte Missa, sic loquitur (1): Gradualia, tractus, et alleluia Am- brosius, et Gregorius et Gelasius composuerunt, et ad Missam cantari statuerunt. Ieronymus tamen ait, quod alleluia diceretur in Missa; tractum esse de Ierolimorum ecclesia. Nocherius Abbas saneti Galli prius sequentias pro neumis illius alleluia composuit, et Nicolaus Papa ad Missam cantari preecepit. Sed et Hermannus Contractus, qui fuit inventor Astrolabii, fecit Rex omnipotens, et Sancti Spiritus ecct. Et ubi de Misse parte quinta (2): Nota quod prefationes Gelasius eliminato sermone composuit; sed cum olim innumerce fuerint preefationes, nune solummodo IX cantari instituit: scilicet de Natali, de Epiphania, de Iejunio, de Cruce, vel Passione, de Ressurectione ecet. Et inferius de hymno Osanna in excelsis, quem hymnum Sixtus Papa ad Missam cantari preecepit. Leonis magni nulla fit mentio. Sacramentorum codices quameunque ecclesiam olim habuisse, am- bigi nequit; orationumque liturgicarum collectiones propterea plurimas variis in locis ab Episcopis confectas, quis inficietur! illos autem co- dices, ut cuiuscumque generis alios innumerabiles, etas absumpsit, reram vicissitudines abstulere. Eximie vetustatis ad hanc diem paucissimi re- perti sunt, quos viri docti in lucem proferre non omiserunt. Rocca, Pa- melius, Menardus inter hos eminent, quorum quisque, Card. Thomasius ait in prefatione ad codices Sacramentorum, suam editionem ut germa- num Gregorti foetum pradicat, sed mirum est, quam inter se dissideant. Novi ejusmodi codices si prodibunt, nemo dubitet, dissidebunt pariter, et diversam videbuntur quodammodo collectionem continere. Venerabilis ipse Thomasius ex veterrimis aliis membranis Gelasianum codicem pri- (1) In Cod. 79, p. 29. (2) Pag. 35 in Cod. 79. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 19 242 ANTONIO SPAGNOLO migenium Rome publicavit primus, inquiunt prestantes S. Gregorii editores in Prefatione ad librum Sacramentorum. At cum Gregoriana nequaquam minor sit ea collectio qui credi possit, illam esse quam Gregorius deinde coarctavit? Adde, plura in ea deprehendi posteriorem etatem loquentia, et nullam adhuc repertam esse istiusmodi orationum congeriem, que Gelasii nomen preseferat. Adde, quorundam confes- sorum etiam Missas in illa recitari, et pag. 31 afferri Capitulum S. Gre- gorii Pape. Ita in Gregoriano, quod dicimus, S. Gregorii Papa natale celebratur. Suspicari ergo liceat, nullum hucusque codicem emersisse, a quo ipsa nobis omnino exhibeantur, a Gelasio vel a Gregorio confecta Sacramentaria, sed utique commixta, et a diversis illorum vestigio inhe- rentibus, pie olim congesta. Nec tamen improbo, ita fuisse ab editoribus denominata, ideo enim factum puto, quia ad Gelasii, vel ad Gregorii tenorem, et modum ab antiquis Scriptoribus indicatum, magis accedere visa sunt. Ceterum prudentius Cardinalem Thomasium egisse opinor, cum monumenta ab eo eruta, et vulgata prefixe auctorum nomine, Sacramentorum Romane Ecclesie, Missale Gothicum, Missale Franco- rum, Missale Gallicanum vetus inscripstit. Ad eximium codicem nostrum, millenaria fulgentem antiquitate, sermonem jam convertamus. Majusculis secunde classis litteris constat totus: sexto, septimo, et octavo etiam seculo ea seribendi forma est adhibita: ulterius adhuc ubi de scriptis liturgicis ageretur. Orthographia vetustior interdum deflectit, colloquentes enim pro conloquentes, et similia occurrunt quandoque. Non minorem prese- ferunt alii quidam ex codicibus, unde Sacramentorum libri sunt eruti, vetustatem; cursoria enìm, vel mixta scriptio eodem etiam vo per- crebuit. Cui vero Sacramentarium tribuam nostrum, si quis a me per- cunctetir, quid ausim reponere? quis multiplicium in unaquaque olim ecclesia veterum hujusmodi collectionam auctores agnoscere, et desi- gnare presumat ? Magna et precipua prefationum, collectaram, precumque pars e Roma procul dubio, et a Romanis libris deducebatur, sed Episcopo- rum quam plurimi, vel ab iis ad hoc deputati, arbitrio et gestu suo seligebant, ordinabant, addebant. Nequibant tune, quod post artem ty- pographicam inventam preestitit Clemens VIII; ut iisdem fprorsus verbis libri omnes liturgici ubique ederentur, decreto sanciri. Codicem hune nostrum ad usum Romane Urbis perscriptum fuisse, affirmant modo, qui de illo nuper egerunt. Quia confectum asserimus per uso della Chiesa Romana solamente (1): eo quod in orationibus urbs Roma, Romana templa, coemeteria, stationes memorentur. At hodierna quoque Missalia (1) Acamius, p. 28. IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 243 Venetiis et aliis in urbibus impressa praferunt statim, Statio ad S. Ma- riam majorem, Statio ad S. Crucem in Ierusalem, et sic deinceps: proptereane ad Romana urbis usum singillatim dicemus cusa? In quovis liturgico libro ab orthodoxis adhibito veterum Romanorum Pontificam dictata, et preces Rome ab ipsis composite, primum semper obtinue- runt locum. De Martyrologiis animadvertit Baronius, si quis eorum originem petat, et ad suum principium reducere velit, omnia e Romano, velut ex trunco ramos, producta cognoscet (1): idem prorsus de Sacra- mentariis dicendum. At queritur, quis Missalem hune librum confecerit, collectionemque istam adornarit. Obvium quam plurimis responsum occurret statim, Ge- lasio tribuendam esse ob Missarum multiplicationem; quae apta profecto, et valida ratio est: nihilominus, ut nuper tetigi, nec hujus nostri, nec aliorum id genus librorum quis fuerit peculiaris auetor, satis constat, neque ut puto, constabit. Veruntamen, ut libere loquar, nulli minus quam Leoni, qui Gela- sium, Felicem, Simplicium atque Hilarium pracessit, imputari posset. Gennadius, liber Pontificalis, Strabo Pontifices, a quibus aliquid est addi- tum et in Missarum parergis innovatum, accurate recensent ut vidimus; siluissent de Leone magno, si tantam orationum congeriem elaborasset, vel si hujus amplissime et quae crteris ad hanc diem agnitis, cum in- tegra habebatur, copiosior erat, auctor fuisset, atque exhibitor? Qui hoc credat profecto erit nemo. Iohannes Diaconus inter acta S. Gregorii Gelasianam codicem ob coarctatum non in transcursu, sed dilatato ser- mone memorat: in Leoniano, sì extitisset nihil operatus esset Gregorius? nullam omnino ejus mentionem fecisset Iohannes? an non ea erat Leonis magni nominis celebritas et amplitudo, ut illud nemo unquam ecele- siasticorum hominum aut oblivisci posset, aut occultare vellet? Idem de omnibus dicas, qui de originibus liturgicis; et de officiis olim egerunt. Quam plurime in Ms. orationes recitantur, que in aliis etiam editis Sacramentariis conspiciuntur, nec in Gelasiano tantum, sed et in Grego- riano, in Gothico, in Francico, in Gallicano. Quattuor interdum, inter- dum octo in eodem titulo, mense Octobri super defunctos XIV habentur preces, que in vulgato a Cardinali Thomasio pariter leguntur. Septembri mense Consecratio Episcoporum obvenit, in quo articulo que referuntur, Missale Francorum exhibet singula, ut apud Thomasium videre est. Prolixiores in Ms. allatas exempli causa ad Virgines Sacras, in natali S. Clementis martyris, in Consecratione Episcoporum, Super Diaconos, in Actione Nuptiali, aliasque Thomasiana etiam Sacramentaria continent. Postreme perperam codex, eiusque editio premittit (2). Incipit Velatio (1) Diss. De Rom. Mart., c. 9. (2) Anasr., t. IV, p. 49. 244 ANTONIO SPAGNOLO Nuptialis. Recte Thomasius: Incipit Actio Nuptialis. Ubicumque dire- ptiones, clades, vel hostium depulsiones, ac tranquillitas reddita memo- rantur, cur rebus Leone sedente sestis, illiusque aetati semper adscri- benda sint? an semel tantummodo istiusmodi eventa nobis renuntiat Historia? Quod in quibusdam precibus Romani Principes, aut Romani nominis ubique Rectores Deo commendentur, non ostendit plures eo tempore Romwe Imperatores, aut Principes dominio positos esse. In Missali Francorum quoque apud Thomasium legimus, Francorum regni adesto Principibus, Protege Francorum nominis ubique Rectores: omni tempore et loco ut protegat precatur. Quod erdem saepe opiniones et consimilia catholica sensa in Leonis Sermonibus, et in his orationibus occurrant, quid mirum? mirum profecto esset, si aliter accideret. Item dicas de haresibus impugnatis, quae subsequentibus etiam seculis pro- flicate sunt: frequentius aliis Ariana in his precibus exploditur, quae multo ante debaccata fuerat. Quod stylus, et phrases utrobique inter- dum assimilentur, non evincit, eas preces Leonem elucubrant; multi scilicet Leonis dictionem studiose imitari diu perstiterant: hinc oritur, ut periodos integras e Leone arreptas quandoque in his prafationibus videamus. In hoc Sacramentario ad Sanctos quoque, qui Martyrii palmam non claruerant, diriguntur quandoque Missales preces; quin eorum festa eo tempore jam invaluisse apparet. Ipso initio: 7uas Domine, vir- tutes, tuasque victorias admiramur, quoties în Ecclesia tua horum dierum festa celebrantur, quos insignes Confessorum tuorum, et Martyrum palma ad perennem memoriam, sollemnemque leetitiam fidelibus populis sacrave- runt. Ter sub eodem titulo haec prafatio repetitur. Paulo post aeque ac Martyrum obtinuisse tum Sanctorum non Martyrum cultum, ac ce- lebritatem diserte docemur. Qui non solum Martyrum sed etiam Confes- sorum tuorum es virtute mirabilis: licet enim illi passione sint clari, qui manifestis acerva supplicta sustinuere tormentis; etiam isti tamen occulta propostito castigationis adflicti, et cruciati, spiritalis observantie disciplinis illorum sunt vestigia subsecuti. Habetur et in Missali Gothico. Itidem alia, que in aliis non habetur (1): Qui dum Confessores tuos etiam nune tanta festivitate glorificas, simul et nullum apud te sanctum propo- situm doces esse sine premio; et preeter duriora certamina fragiles quosque ad tua retributionis munus invitas. Lam vero quis veterum rituum con- scius, et in Christiana antiquitate versatus non videat, nec Leonis, nec Gelasii a@evo ista convenire, aut aptari posse? nondum siquidem aqua- liter ac Martyribus publicus et sollemnis cultus Confessoribus adhiberi solebat. Cl. Acamius p. 23 le Messe de Confessori ne cinque primi Secoli (1) Pag. 13. Gi I | | IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 245 non erano state per anco introdotte nella Chiesa Romana. Quomodo ergo collectio hac Leoni magno adscribitur? Divus Augustinus in Ioannem (1): ad mensam Domini non sic martyres commemoramus, quemadmodum alios, qui in pace requiescunt, ut etiam pro eis oremus, sed magis ut ipsi orent pro nobis. Innocentius III de mysteriis Misse (2): sedes epi- scopales antiquitus constructas non in memoriam Confessorum, sed «d honorem Apostolorum et Martyrum, et precipue B. Marie Virginis veterum devotio dedicavit. Cardinalis Bellarminus (3) Confessorum cultus vetustiorem memoriam non reperisse ait, quam in Concilio Moguntia optimo Carolo magno imperante coacto. Veruntamen, quid plura? preces nuper allate, item ille ibidem in aliis Sacramentariis non recensita: Sanctorum, Domine, Martyrum tuorum supplicationibus tribue nos foveri, ut quorum venerabilem diem annuo frequentamus obsequio, eorum et in- tercessionibus commendemur et meritis. Deus qui ad deprecandum te conscientie nostre perspicis non sufficere facultatem, cunctos Martires tuos fac orare pro nobis, quos digne possis audire. Celebramus Domine tuorum natalitia justorum ecct. alia quoque plures omnium Sanctorum festum celebrari tune consuevisse declarant. Quia ex duabus sequentibus illius octavam quoque jam institutam colligimus, ut optime Acamius quoque animadvertit. Quia Sanctorum tuorum solemnia repetimus, quo- rum veneranda confessio, et mirabilia tue virtutis explevit et illius pre- mium coeleste quersivit, et nobis patrocinia preparavit. Frequenti Sacra- mentorum perceptione satiati, quiesumus Domine, ut quorum honore seminantur salutifera nobis oratione proveniant. At notissimum est festum illud a Bonifacio IV septimi seculi initio indietum fuisse. Cl. ipse Acamius p. 37 la qual solennità per sentimento comune degli eruditi fù instituita da Papa Bonifacio IV nel settimo se- colo. Quomodo ergo hujus Sacramentarii vel auctor, vel collector Leo magnus asseritur? De Pantheo a Bonifacio consecrato quis libro Ponti- ficali repugnet? In vetusto Martyrologio a Florentinio prolato. Kalendis Novembris haec celebritas non memoratur. Subdit autem doctus editor : Nondum festum omnium Sanctorum vel universalis Ecclesia susceperat, vel ubique celebrandum sanciverat. Ecclesia S. Marie ad Martyres non eadem fuit, ac que ex Anastasio dicta est Mari@ semper Virginis et omnium Martyrum. Testis est idem Anastasius, qui illius ad Martyres tectum vetusta incuria demolitum purgari fecit ad purum ecct. Quisquis videt de Pantheo haec accipi non posse. Nec Leoni magno, nec ulli sigillatim hac collectio imputari potest Ev p. 84. (2) Lib. II, c. 10. (3) Vedi De miss., lib. II, c. 20. 246 ANTONIO SPAGNOLO in qua magna sepe orationum congeries sub uno titulo conservatur, et quarum plurime titulo minime respondent. Sacramentariorum,.que typis antea sunt edita, valde dispar est ordo, delectus, compositio, compages. Dies in illis semper prefigitur, cui Misse adsignantur: in hoc initium ipsum si respicis, XLIII vides Missas conjunctim, ad eundem certe diem non pertinentes. Vides etiam in decursu, que nec a Leone, nec a Ro- mano Pontifice altero profectu credi possint, neque enim sacrificio litur- gico, neque Christiane mansuetudini et ecclesiastica pietati videntur aptari. Exempli gratia: Contra inimicos catholiee professionis. Exaudi Domine, preces nostras; et sicut profanas Mundi caligines Sancti Spi- ritus luce evacuasti, sic hostes Romani nominis, et inimicos catholice ‘ professionis expugna. Contra Impetitores. Deus qui vastatoris antiqui perfidiam, virtute filii tui, et Sancti Spiritus, destruendo, dedisti nobis de captivitate victoriam, concede quasumus ut qui nos impetere moliantur, potentie tue dextera conterantur. In aliis. Longe aliud quippe est con- tumeliam preeterire, aliud per improvidam benignitatem capiamur, in- tendere ecct. Da nobis legitime dilectionis tenere mensuram, ut quia juste pacis puritate dissentiunt, in nobis tamen quod merito debeant la- terare, non inveniant. Conciones et variorum criminum insectationes vi- dentur aliquando exhiberi: imitatam, et prolixam videre est p. 30. At quis hec in divinis mysteriis admittat ? Quid memorem verborum explicationes, vel synonima, in orationis contextum illata? mwultipliciter uberius, satiati ditati, justorum Sancto- rum, sit accepta fiat grata, destructa subversa. Quid importuna alicubi lemmata, ut Presumptio et reparatio primi hominis (p. 18) ante prefa- tionem de jejunio: haec ne a magno Leone; quid precationes confuse ut plurimum et permixte positas, nec in aliis ordine, quo in liturgia adhibebantur. Usui liber hic etiam ob Missarum, et quidem congloba- tarum numerum parum aptabatur, quarum, que seligenda esset a cele- brantibus, non indicatur. In natali Apostolorum Petri et Pauli XXX proponuntur Misse, quarum una tantummodo eo die recitanda erat. Videtur ergo constare prorsus, collectionem hane e variis, sed Romanis precipue codicibus olim congestam fuisse, et suinde pluries auetam; Veroneque non proprie, ut Sacramentarium altari serviens, sed velut venerabilem quamdam fodinam, ex qua libri Sacramentorum ad Ececle- siaram usum conficerentur, in Canonicorum Bibliotheca custoditam esse, et pro thesauro habitam. Orationes pro urbe Romana compositas omit- tebant, qui pro Veronensibus ecclesiis liturgicos ex codice hoc adorna- batur libros. Omittebantur quoque procul dubio a celebrantibus orationes, que aliquam ob causam improbanda essent. Argumenta, quibus in Leonem I haec transfertur collectio, singil- latim diluere, nimis longum esset: sed verbo uno satisfice omnibus. IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 247 Multa erudite congeruntur, ut in his orationibus quadam memorari ostendatur, que Leonis evo conveniunt. Plura quidem afferre possem, ut hoc aut illud variis in locis refellerem; sed quid attinet? et a Leone composita, et ab anterioribus quoque non pauca in hoc libro reperiri, quid inficiari audeat? Num qui post Bonifacii IV tempora liturgica ista collegit, antiquiores pratermittere orationes debebat? Cl. Acamio ne- quaquam dissentio, cam in hoc Ms contineri asserit (1): una raccolta di Messe da vari autori composte. Dissentio, quia contra haec asserta enixo studio suadere nititur che S. Leone ne sia stato V’ Autore (2). Quod sì non auctorem sed collectorem tantum velit eum quisquam dicere, magnus ne Leo tam frequenter easdem preces paucorum verborum mu- tatione transcripsisset, atque iterasset! Leo ne fabulas interdum in litur- giam intulisset ut de S. Clementis amissis parentibus, alienisque inventis in terris, quos a Recognitionibus acceptas binae memorat Praefationes ? Ne reponatur, accessiones has omnes esse, post Leonis tempora ab alia manu huic collectioni adnexas: illa enim plurima, quae Leonis avo, et doctrina adversantur, non habentur ad calcem, ita ut posterius addita credi possint; sed cr@teris commixta ubicamque obveniunt; quamobrem eodem tempore collectionem omnem constructam et coarcevatam fuisse apparet. Viri doctissimi, Cl. Acamius haec affert verba (3): quod ad Vero- nensem codicem pertinet, nemo non videt, quam sit informis et incom- posîtus et rudis quedam, indigestaque moles: hanc ergo Leoni, vel Ge- lasio imputare non verebimur ? Veruntamen ad id, quod rei caput est, accedamus. Aureis hic ve- tustissimisque monumentis nihil prorsus auctoritatis, nihil pretii detrahit, sì haec eorum collectio non quinto sed sexto, aut septimo, octavo etiam seculo compacta fuerit. Orationum spectanda est antiquitas, non earum collectionis. Collectionem autem ipsam millenariam longe supergredì etatem codex ipse eiusque majuscula scriptura testantur. Ab aliquo consarcinatam fuisse, Muratorius censuit, qui quascumque reperit ora- tiones et profationes in unum codicem coegit. Sed illum, quicumque demum fuerit, singulari studio vetustiores, utpote magis venerabiles, conquisisse, quis ambigat? Leonis magni presertim operam dedisse, ut que habebantur aucuparetur omnes, atque insereret, quis non pro certo habeat? Iam vero librum integrum in lucem, ut jacet, prolatum fuisse, utile quam maxime reputo; sed nec inutile profecto censeo, delectum facere et preestantiores tantum, qua in ea conservatione ferme occul- tantur, exhibere, ordine, etiam quodam adhibito. Instituti mei, ut (1) Pag. 45. (2) Pagg. 59, 89. (3) Pag. 143. 248 ANTONIO SPAGNOLO rationem reddam, nullam afferam ex iis plurimis, qua in aliis etiam Sacramentariis spectantur. Quas hic colligo, antequam hunc librum de- tegerem, invisa fuerant omnes, atque omnino ignota. Eas item tantum- modo seligam, que ad Fidei dogmata, et ad religionis instituta perti- nent: mirum est scilicet, quam perspicue, quam solide in Prafationibus, Collectis, Posteommunionibus, Secretis, Offertoriis, Precibus que in Sa- cramentorum libris recensentur, catholica placita eluceant. Mirum est, quoties, et quanta dignitate asserantur, ineffabilis divinarum Personarum Trinitas, Christi divinitas, atque humanitas, realis in Eucharistia pre- sentia, Sacrificii veritas in Missae celebratione, multitudo Martyrum, Romanorum Pontificum in universali Ecclesia Primatus, Episcoporum jus in presbiteros, Sanetorum, ut Deum pro nobis orent, invocatio et cultus, reliquiarum veneratio, jejunorum usus, afflictati corporis meritum, Virginitatis prestantia, et prerogativa pro defunctis suffragia, pluraque alia, quibus omni avo Catholici institimus, ac ne tantillum quidem re- cessimus. Veritates quidem et Apostolice traditionis argumenta hine eruuntur tam valida, tam manifesta, ut persuadeam mihi, ingenio et doctrina preditos aetherodoxos, modo praiudiciis posthabitis documenta haec serio. expendere non recusarent, Romanam incusaturos amplius non esse, nec oppugnaturos fidem. Institutam in ipso Christiane religionis exordio Missam, et precibus, . atque apparatu quodam statim auctam, ornatamque, ab Apostolorum etati proximis ITustino, Ireneo, Clemente Alexandrino, Tertulliano, aliisque abunde discimus. Ethnici et Hwretici pais oblationem celebrare, et ipsas res de quibus Sacramenta Christi administrantur, emulari atque exprimere affectabant, pariterque sensum de sensibus, verba de verbis : haec docet Tertullianus (1). Ex Gregorio magno (2): mos Apostolorum fuit, ut ad ipsam solummodo orationem Dominicam oblationis hostiam consacrarent: preter verba intellige, quibus ipse Dominus institutor con- secrationem peregit. Post Apostolos Pastores primi, quorum aliqui ipsos audierant Apo- stolos, modo unam, modo aliam in regionibus variis concinnarunt ora- tionem et addiderunt. Ex libro Pontificali addidit Hadriano imperante, Alexander I addidit sub Antonino Pio Telesphorus. Eodem secundo se- culo preces et gratiarum actiones in liturgia adhibitas memorat Iustinus Martyr. Tertio pariter seculo gratiaraum actionem prater consecrantia verba memorat Origenes, Nos cum gratiarum actione, et cum oratione, que fit super exhibita, oblatos panes comedimus, qui propter orationem illam corpus evadunt sacrum, et integra voluntate comedente santificans ‘Hueîg = ToÙc per’ edkapioiag kai eÙkîg Tg Érri dofeioi mposarouévous dpToug éBiuev, omUA Yevouévouc diù THiY eÙKNv dGyiovTI Kai ayidZov Toùc uerà dyiéog (1) De Praescer. hereticorum, CXL. (2) Lib. IX, ep. 112. IL SACRAMENTARIO VERONESE E SCIPIONE MAFFEI 249 moBéoeoc duti ypwuévouc. Preces quae in vetustis Sacramentariis nobis sunt relique, secula tertium. quartum, quintum et sextum dilucide et aperte produnt. Leonem I, Gelasium, Gregorium vel eorum temporum auctores alios manifeste detegunt. Non ne ergo tradita ab Apostolis dogmata, ritus et sensa èk diadoxig per successionem nobis transmisere ? Erit ne qui opinetur doctrinam et instituta Apostolica mutare, inflectere, corrumpere omnes voluisse? Patet equidem prorsus, sententias ac docu- menta in veterrimis his precibus prolata, ab Apostolica traditione de- scendere. Quanti autem intersit, quantum ineluctabilis auetoritatis pondus involvat, institutiones nostras in his orationibus inveniri, nondum satis animadversum est; neque enim hic de scriptore uno, aut altero, vel de quibusdam ex Patribus agitur. Loguitur in his precationibus Ecclesia tota, quanta ubicumque fuit. In quibuscumque provinciis, civitatibus, pagis, Monasteriis, Ecclesiis Missales libri observabantur, et canebantur, neque sine his orationibus Christiana mysteria peragebantur. Quanto minor in Conciliis omnibus Episcoporum, et ecclesiasticoruam hominum numerus adfuit? universi enim catholici Sacerdotes effata in his precibus comprehensa ubique pronunciabant, celebrabantque. Ecclesiarum catho- licarum quam plurium auctoritatem sequamur, inquit D Augustinus, eo «magis omnium (1). Qui orationes alias commenti sunt vel alium Sacra- mentorum modum effingunt, dicant quo vetustatis, et traditionis jure; edant origines ecclesiarum suarum, evolvant ordinem Episcoporum suo- rum, inclamat Tertullianus (2). Quo majori pretio orationes in Sacramentariis collecte habende sunt, eo promptius e vetustissimis membranis nostris hune delectum habui et eo libentius exhibeo. Elegantia quoque praestant non pauc®, et ob peregrina, ac sublimia sensa ingenii laude. In Ms. sigla quaedam iterato interponuntur, que cum nondum ex- plicata sint, ostendere non pretermitto. F.C.SP. facta communione super populum. Apud Card. Thomasium pag. 200 titulus est: super po- pulum post communionem. 48P, facta eleemosina super populum. fa .E.SP. post factam eleemosinam super populum. preces. .R.F.E. preces facta eleemosina. «F.0. post factam communionem. .F.C.SP. post factam communionem super populum. (1)Doet.. Christ., 1. II, c..8. (2) De Praescr., c. 32. 250 GIUSEPPE BOFFITO Il codice Vallicelliano C ILL Contributo allo studio delle dottrine religiose di Claudio, vescovo di Torino. Nota del dott. GIUSEPPE BOFFITO, barnabita. Il codice vallicelliano C III, contenente il commento di Claudio, vescovo di Torino, al Vangelo di San Matteo, è un grosso volume pergamenaceo rilegato in tutta pelle bianca, a quella foggia che si osserva uniforme in molti codici della Val- licelliana di Roma e che rimonta al principio del secolo scorso. Sul dorso, scritto a mano, oltre all'indicazione di catalogo, sta il titolo del sec. 17° 0 18°: “ Claudius in Mattheum ,. S'accom- pagna alla rilegatura un frontespizio anch'esso non antico, su cui, di mano probabilmente non anteriore al secolo scorso, leg- gesi: “ Ritus probandi homines de furte accusatos per aque im- mersionem ab Eugenio II Papa ut dicitur institutus, sed post- modum ab aliis Romanis Pontificibus abolitus Claudii Taurinensis Episc. Commentariorum libri III in Evangelium S. Matthaei ad Iustum Abbatem ,. Consta in tutto di carte 202 perg. (31 X 23 1/5), scritte in doppia colonna (22 Xx 6 !/s), numerate progressiva- mente da mano moderna. La numerazione originaria non riguarda che i quaderni, i quali son numerati in calce all'ultima loro carta v., nel mezzo del margine inferiore con lettere maiuscole onciali sino alla c. 89, con cifre romane per le ce. 90-197. La numerazione è di raro tralasciata, come avviene pei quinterni che dovevano essere segnati colle lettere J, N, e colla cifra vu. Ogni quinterno consta, come di solito nei codici più antichi, or di sei carte ed ora, e più spesso, di otto. Di sei non ve n°’ ha che tre (A. cc. 2-7; B. cc. 8-13; xm, cc. 192-197); un solo è di quattordici carte, o meglio di tredici, essendone stata tagliata via una, senza danno peraltro del testo (cc. 61-73). Lo stesso si avvera per il quinterno A, che invece di otto carte ne conta perciò sette (cc. 54-60). La prima carta, l'antica guardia del IL CODICE VALLICELLIANO C IN 251 codice, che contiene il Ritus probandi homines, ecc., appar cucita al resto, come alle altre appaion pure cucite le ultime cinque. Tre di queste non hanno margine inferiore nè superiore (ce. 200-202). Il margine inferiore fu pur tagliato alle cc. 37, 67, 92, 174-176, 190, 192, 133; non mai, fuorchè in quest’ultima, a danno del testo; sono pur tagliuzzate inferiormente le cc. 65, 66, 109, e lateralmente le cc. 70, 71, 75, 110. Le altre sono ancora in buono stato, se si eccettuano le prime cinque e le ultime tre che portan qua e là alcune chiazze d’acqua. Il carattere è un bel minuscolo carolino. Somiglia molto a quello della tav. IV del Prou (1). Le lettere /, d, g, 4 hanno i gambi di solito rigonfi; la # non sporge mai fuori della linea; la m ha il gambo rivoltato in dentro o appena sporgente in fuori; accanto all’a chiuso compare non di rado l’a aperto, che già nel X secolo, a giudizio del Wattenbach (2), va scompa- rendo; il dittongo ae ora si trova scritto per intiero ed ora è espresso con e, od anche costituito dalla semplice e, il che ve- ramente, secondo il Prou, non sarebbe avvenuto che ‘più tardi del secolo IX (3); il 9g rare volte è aperto sull’alto e poco varia in basso la sua forma serpeggiante; l’% minuscola è sempre aperta nella base; 1’ % maiuscola è spesso così sformata, da rassomigliare all’a semi-onciale; l’y non è quasi mai prolungata inferiormente ed è sormontata d’ordinario da un punto; lA maiu- scola capitale è talvolta sormontata, giusta l’uso classico, da un apice assai prolungato in sul davanti, da destra a sinistra. Le maiuscole sono a volte onciali; ma per lo più capitali. Qualche onciale o semionciale è seminata qua e là in mezzo alle altre lettere minuscole caroline. Le parole son quasi sempre scritte separatamente le une dalle altre. Il contrario accade nei titoli e quando s'incontrano due parole di cui la seconda abbia per lettera iniziale quella che è lettera finale della prima: in quest’ultimo caso le due lettere si riducono spesso ad una e le due parole s’incorporano strettamente (angelumeum, in car- ceremittaris, ecc.). Qualche lettera, più di sovente l’m onciale, (1) Manuel de paléographie latine et francaise, 2° éd. Paris, Picard, 1892, p. 86. (2) Anleitung zur lateinischen Palaeographie. Leipzig, 1886, p. 44. (3) Prov, Op. cit., p. 72. 252 GIUSEPPE BOFFITO la q e la d, appaion punteggiate nel vano centrale, con iscopo di ornamentazione. : Quanto all’interpunzione, non s’avvera che in parte ciò che il Prou dà come norma d’uso nei manoscritti carolini (1): il punto e virgola non sempre indica forte sospensione di senso, della quale invece son spesso indizio ‘o un punto o due punti, in ambedue i casi accompagnati dalla virgola ( ., :,). Segno di lieve interpunzione è di solito il punto fermo; come interpun- zione un po’ più forte serve una serie di punti e di virgole variamente disposte (2). Per il segno d’interrogazione si trova usato il punto fermo sormontato da una linea capricciosamente serpeggiante, di cui si posson riscontrare nel Wattenbach le diverse forme (3). Le abbreviazioni non sono molte, a non tener conto delle antiche e comunissime, quali sono ad esempio: “ ds deus, dns dominus, ihs yps ihesus christus, sps spiritus, sci sancti, spalibus spiritualibus, apli apostoli, matths matthaeus, scdm se- cundum, ce esse, fri fratri, dd david, ecla ecclesia, abbi abbati, n non, s sunt o sint, ms meus, urm vestrum, nrae nostrae, ihlm iherusalem, glam gloriam, scla saecula, om omnem, qm quoniam, ecc. ,. Altre abbreviazioni più caratteristiche sono: «“ midam (misericordiam), eaglm (evangelium), srl (israel), aîi od aut (autem), ul (vel), sda (secunda) ,. Una lineetta orizzon- tale superiore serve in mezzo alla parola a compensare la scom- parsa dell’m (quavis), dell’n (persecutur, codiendis), di un (egert), di en (documta), di er (etni); e in fine di parola serve anche per l'i (dix) e per l’unt (precesser). Il q sta per “ qui , e per “ quod ,. Il segno ; compensa l’ur finale (prohibebat ;), 1’us finale (caelestib ;) e serve ad abbreviare il que in fine e in mezzo di parola (atq; q;rentes). Una virgoletta sopra la ? sta in mezzo di parola per er (t’ra); in fine sta per er e per ur (significat’, reficieban’t, uniuersalit’). Segno dell’us finale è una specie di virgola sopra la parola (corp’, ei’), che alle volte è pur segno di ur (merent’). La g ricorre con varie forme d’ abbreviazione (1) Op. cit.. pp. 158 segg. (2) Warrensaca, Op. cit., 1. cit.; Prov, Op. cit., pp. 87 segg. (3) Op. cit., p. 91. IL CODICE VALLICELLIANO C III 258 (Pgenies, pdicta, pvilegio, supbia) e nella forma pp per “ propter ,. Al posto della sillaba rum finale, è usata la solita abbrevia- zione della r. Abbreviazione singolarissima è quella dell’enim che ci si presenta a guisa d'una piccola ancora coricata (7). Pensai dap- prima che nell’intenzione del copista fosse uno dei cosidetti tituli usati sopra le lettere a sostituire l’n (1); o che derivasse dall’N che valeva a significare enim, se tagliato per metà da una lineetta inclinata // (2) o se racchiuso tra due punti (8). Ma è forse più probabile che sia una nota tironiana dell’emim, benchè nel Dizionario di paleografia latina del Kopp, non abbia precisamente la forma suindicata, bensì una forma di croce (per enim) e di w (per enimvero (4). Possiamo pertanto assegnare come età del codice il sec. IX, che è pur l’età assegnatagli da €. Cipolla, al quale sono anche molto riconoscente per avermi assistito coi suoi consigli in questo qualsiasi studio (5); possiamo quindi sicuramente pensare che abbia errato chi appiè del frontespizio scrisse: “ Codex X saeculi ,. Colla c. 98 la mano cambia, ma i caratteri paleografici ri- mangono quasi tutti gli stessi. Sono più frequenti peraltro le abbreviazioni e gli a aperti; e si preferisce davanti a vocale il c al # (discuciunt, spacium, sacerdocium, ociosum, tocius, particio, arcium, exercicium, noticia, senciebant, iusticia, pro- posicio, nequiciores, pocius, nupciali, hospicium, ete.). Tuttavia anche la prima mano avea scritto: “ cercius, eciam, sacer- docium ,. Abbiam quindi una conferma di quell’incertezza del- l’uso del c e del # davanti a vocale, già notata e spiegata dal Rajna (6). (1) Prov, Op. cit., p. 65. (2) Warrensaca, Op. cit., p. 73. (3) C. Paoti, Le abbreviazioni nella paleografia latina del M. Evo. Firenze, Le Monnier, 1891, pag. 10. (4) U. F. Kopp, Palacographia latina. Mannhemii, 1817, II, p. 114. (5) Sono pur molto grato al cav. avv. F. Carta, prefetto della Nazionale di Torino, per avermi dato agio a studiar nelle sale riservate della Biblio- teca il codice, che egli stesso e il Cipolla s'erano interposti presso il Mini- stero, perchè fosse temporaneamente traslocato a Torino. (6) Il trattato È De Vulgari eloquentia ,. Firenze, Le Monnier, 1896, p. cux1 della Pref. 254 GIUSEPPE BOFFITO » L’assimilazione tra consonanti non avviene che rarissime volte: “ amonitus, amonentur ,. Quasi sempre invece le conso- nanti rimangono intatte: “ adsurgit, inlusus, inruerunt, inlu- minati, inliterati, inmerito, inpedimento, conloqui, adtestante, conburent, adsimilabitur, obpugnari, inmundi, inpulsu, etc. ,. È manifesto che nella pronuncia non si teneva conto dell’: non la troviamo dove più ce l’aspetteremmo (abet, con tutte le altre voci di questo verbo, abitandum, orreum, erodes, iosep, neptalim, ominibus); e ci capita invece davanti dove meno l’ avremmo attesa (prohice, introheat, humbra, hostendit, hac per ac, scophis per scopis, sadduchei, hoccasiones, his per is, ete.). Alla storia esterna del codice molto importa una nota che una mano del secolo XVII appose nel margine superiore della guardia interna, c. 18 r: “ ex Bibliotheca Jugdunensi ab | hereticis combusta excerptus | codex venditus est ab Erretico | Exemptus a P. Joanne a Bosco Caelestino ,. Di fronte a questa nota, vi ha un numero, che servi forse all’antica segnatura del cod. (cxLIIy). Il fatto accadde di certo al tempo che le guerre di religione desolavano la Francia, quando fu pure incendiata la biblioteca dei francescani di Chartres (1568) (1). Ma quali siano state le vicende anteriori del nostro mano- scritto, quale sia la sua patria, a quale delle sette scuole paleo- grafiche del tempo esso appartenga, è ben difficile poter giu- dicare. Certamente non mancano parole e forme glottiche caratteristiche, che farebbero alla prima assegnare un’ origine particolare a preferenza e ad esclusione delle altre; ma si fan poi avanti altre forme che tolgono ogni valore all’ argomento desunto dalle prime. Insomma, la varietà e disparità delle forme linguistiche, ben ci ritrae il lento e svariato elaborarsi dei lin- guaggi volgari nell'unità dell'impero carolingio. Vi son forme che paiono italiane, quali: storia, fugire, salmo, di (usato per la prepos. de); altre che paion dovute a influsso spagnuolo, come: favulis, invecillitas per imbecillitas, sivi per sibi, preventis per prebentis, acervitas per acerbitas, adoravis, devitoribus, mani- festavit, per manifestabit, praeparavit per praeparabit, nouiscum; ed al contrario: plubia per pluvia, fribolis per frivolis, bibere (1) Perrr-RAapEL, Recherches sur les bibliothèques anciennes et ‘modernes jusqu'à la fondation de la bibliothèque Mazarine. Paris, 1819, p. 165. IL CODICE VALLICELLIANO C III 255 per vivere. Frequente è lo scambio della sorda colla sonora, dovuto probabilmente ad influsso germanico (gameli, adque, hy- pogrita, semedipsum, babtismate, eglesia, obtemus, obtimum), ed anche nelle finali (inquid, dereliquid, capud, ad per at), seb- bene in esse avvenga di solito il fenomeno contrario (aliut, aput, illut, davit, at per ad) che una sola volta si nota pure al principio di parola, in centium per gentium. Una tendenza di quello che poi si chiamerà francese, si potrebbe forse scorgere in opera nei seguenti casi: gesse, magestatis, geiunio, contien- tiam per conscientiam, vexitur per vescitur, excelsum, exidetur, trecii per tercii, aguriantur. Gli errori grammaticali abbondano specialmente nella prima parte che termina colla c. 97 v. Ma la colpa non ne va tutta data al copista, che pur non poche forme linguistiche volgari lasciò correre nella trascrizione. Prima ancora che i suoi avver- sarii glielo rinfacciassero (1), Claudio stesso riconosceva che gli facea difetto ogni coltura di lettere profane: “ quod in me re- cognosco, pusillum habens intelligentiae eloquium; quia nec saecularis litteraturae didici studium, nec aliquando exinde ma- gistrum habui , (2). Onde, al contrario di quel che suol acca- dere per gli altri scrittori, i manoscritti claudiani più antichi e che dovrebbero perciò essere i migliori, sono appunto quelli, come osserva il Diimmler (3), che più riboccano di spropositi grammaticali. Possiam di qui ricavare un’altra conseguenza, che cioè, sebbene tutto il codice sia stato trascritto indubbia- mente durante il secolo nono, vi si debba riconoscere una parte più antica (cc. 2-97) di scrittura più bella e più larga e più chiara, ma anche più spropositata, ed una meno antica (cc. 98-202) d'altra mano e di scrittura più fitta, meno bella, ma anche più corretta. (1) “ Licet incondito ac rustico utpote ab homine doctrinalis experte “ scientiae, sit haec edita contextu epistola ,. DuneALI, Responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias, in Mione, P. L., CV, c. 467. — “ Si ab his qui litteraria arte imbuti sunt vel tenuiter discutiantur pene “ nihil in eis reperitur quo ars recte loquendi non offendatur, exceptis his “ quae de aliorum opusculis furtim subribuit... ,. Jona, De cultu imaginum, in Miexe, P. L., CVI, c. 312. (2) In libros informationum litterae ece., P. L., CIV, c. 616. (3) Ueber Leben und Lehre des Bischofs Claudius von Turin, in © Sitzungs. der kòn. preuss. Akad. der Wiss. zu Berlin ,, 1895, p. 428. 256 GIUSEPPE BOFFITO Il manoscritto, di cui parliamo, non è il solo che ci con- servi l’opera di paziente illustrazione al Vangelo di S. Matteo condotta a termine da Claudio nell’ 815. Ben altri nove ne men- ziona il Diimmler (1), dei quali quattro in Inghilterra, a Londra e a Cambridge, uno a Berlino (proveniente da Reims) e a Troyes, entrambi del secolo IX, un altro a Tolosa, e due altri infine che ancora nel secolo scorso esistevano a Laone e a San Germain- des-Prés. Tra le opere esegetiche di Claudio è quindi quella che forse vanta maggior numero di codici. Dei commenti del- l’Esodo (a. 821) e dei Numeri non ci rimane alcuna copia che si conosca; del commento della Genesi (a. 811) un solo mano- scritto (Parigino 9575), uno del libro di Rut (a. 824) conservato a Mons, del Levitico (a. 823) a Reims, di Giosuè e dei Giudici (a. 825-6) a Parigi 2391, dell’ epistola ai Galati (a. 814-816) a Parigi (2394 A); due del commento ai Re (a. 824 circa) a Pistoia e a Mantova, e delle epistole agli Efesi e ai Filippesi (a. 817) a Parigi e a Roma. Solo i commenti ad altre lettere paoline potrebbero gareggiare nel numero dei manoscritti col nostro commento di S. Matteo (2). Nessuna maraviglia perciò ch’ esso non sia rimasto ignoto agli scrittori posteriori (3). Sventuratamente il nostro codice non ci conserva intero il commento. Tra le due parti, che abbiam già distinto in esso, perchè di mano differente e per altre ragioni, vi ha disconti- nuità molto rilevante dele testo, e sul finire ci colpisce pure un’altra brusca interruzione. Il che ci fa pensare che molti qua- derni siano andati perduti prima che il codice fosse nuovamente rilegato. Per valutare la gravità del danno sofferto ci convien esaminare più da vicino il testo. Non tenendo conto della c. 1 che non ha nulla che fare col resto, come quella che contiene una formola rituale di cui dovrà riparlare il chiariss. Prof. Patetta, la c. 2r comincia con bella iniziale ornata così: “ Domino sco | hac bea | tissimo | et mihi | peculiari | cultu affectuq ; specialiter | excolendo patri iusto . (1) Op. cit., p. 480. (2) Dimmer, Op. cit., l. cit. (3) Compa, Claudio di Torino. Firenze, 1895, p. 145 seg. Egli li men- ziona ivi in un'appendice alla sua opera, dove pure descrive brevemente il codice di cui ci occupiamo (p. 154). gn 2 1a IL CODICE VALLICELLIANO C HI ZO abbi | claudius peccator | Anno . decexv . incar | nationis salua- toris ihu | xpi dni nri. Postquam | pius hac mitissimus prin | ceps scae di ecclesiae | catholice . filius hludo | uuicus . anno secundo | imperii sui etc. etc. ,. È la epistola dedicatoria a Giusto abate di Charroux, che lo aveva pregato di esporre il Vangelo di S. Matteo a edificazione dei suoi frati; già pubblicata varie volte, in pic- cola parte dal Baronio (all’a. 815, n. xxx1), intiera dal Mabillon, dal Mai, dal Migne e da ultimo con molto miglior apparato di critica dal Diimmler (1). Il resto del commento è rimasto sinora pressochè inedito, fatta eccezione di qualche breve frammento pubblicato dal Rudelbach e dall’Allix (2). La c.5r fa pompa anch'essa d'una bella iniziale (P) a fregi, in capo alle prime parole che sono: “ Post aduuentum sps sci sup discipulos suos die pentecostes . et deinceps etc. ,. Claudio premette al suo com- mento in questa e nelle quattro carte seguenti, a guisa di pre- fazione, varie notizie generali intorno agli Evangelisti ed ai Vangeli, desumendole, quasi sempre alla lettera, da San Giro- lamo, da Beda, da San Gregorio Magno e da Sant'Agostino, . com'è facile rilevare dal confronto del testo claudiano (cc. 5 r-6 v e 9v) col Prologo del commento geronimiano a San Matteo (Miane, P. L., XXVI, col. 18 e 19-20), col commento a S. Gio- vanni e colle Omelie di Beda (Claudio, c. 6 7, col. 2? e c. 7 è, col. 28; Micene, P. L., XCII, col. 638; XCIV, col. 38), colle Omelie in- | torno a Ezechiele di San Gregorio (Claudio, ce. 8 r, 2% col.-9 r, col. 12; Miene, P. L., LXXVI, 815-6) e col De Consensu Evan- gelistarum di Sant'Agostino (Claudio, ce. 9 r, 1° col.-9 v, 18 col.; Mrene; P. L., XXXIV, col. 1043). Con la ce. 10r ha principio il commento, che Claudio divise in tre parti o libri, non in quattro, come, fondandosi, forse su altri codici, asserisce il Diimmler (3). La seconda e la terza parte portano in capo il proprio titolo di Liber secundus e Liber tercius, che qui invece manca per trascuraggine al certo del copista. Solo nel margine superiore della c. 47 e leggiamo scritto LIBR, a che risponde nella medesima carta r PRIOR, ma forse, (1) M. G. H., Epist. IV, pp. 593 seg. (2) P. Artix, Some remarks upon the ecelesiastical history of the ancient churches of Piedmont. Oxford, 1821, pp. 67-70; Coma, Op. cit., p. 147. (3) Ueber Leben, ecc., 1. cit. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 20 258 GIUSEPPE BOFFITO benchè paia della stessa mano che vergò il codice, è un’ag- giunta posteriore, mancando siffatta indicazione in tutte le altre carte. Quasi al sommo della seconda colonna della c. 10 si legge scritto in caratteri onciali: “ Incipium capitula subsequenti opu- scula ,. Seguono in carattere minuscolo i titoli o capitoli che si trovavan probabilmente nella bibbia di cui Claudio si ser- viva. Già da tempo s'era introdotta nelle bibbie l’uso dei capi- toli, ossia del sommario, che dapprima naturalmente avea variato nel numero e nell’ ampiezza dei titoli. Ma a nessuna delle pa- recchie forme di sommario del Vangelo di San Matteo esposte dal Berger (1), s'accosta quella seguìta da Claudio. Confrontando il commento ai titoli del libro primo ci accor- giamo che non pochi di questi, e precisamente gli ultimi nove, non ricompaiano per nulla nel testo. La c. 97 v contiene l’espo- sizione del vers. “ Et dicit eis: quid timidi estis etc. , (c. vu, v. 26), che appartiene al titolo “ Ubi quidam dicit sequar te et ubi exitatus in naui imperauit uentum et mari , che sarebbe, se numerato, il diciannovesimo. Convien supporre che non pochi quaderni siano andati per sventura smarriti. La c. 98r porta scritto in fronte alla prima colonna, in caratteri onciali: “ incipiunt capitu | la liber secundus ,. Seguono in minuscolo i titoli, che questa volta son numerati con cifre romane e dei quali, nessuno escluso, s'ha l’esposizione compiuta nel testo della c. 98 v alla 177 ». Precede in belle capitali, di- pinte a rosso nella prima riga, a nero nella seconda e così al- ternativamente nelle altre, l intestazione: “ inci | pitli | bers | ecun | dus ,. Il primo vers. del libro: “ Johannes autem cum audisset etc. ,, sfoggia anch’ esso una bella maiuscola ornata. Dei tre è questo il solo libro del commento claudiano che ci sia dal nostro codice conservato per intiero. Il libro termina con la c. 177r appiè della 1? col.: “ explicit (onciali) | liber | secundus (capitali) | do gratias amen (onciali) | incipiunt | capi- tula | libri | trecii , (capitali). Fra queste capitali notiamo una particolarità che ci conferma vieppiù l’antichità del codice: l'i di liber è tutto inscritto nell’L, l’us di secundus si legge nel vano nel D. (1) Histoire de la Vulgate pendant les premiers siècles du moyen dige. Paris, Hachette, 1893, pp. 311 e 353. IL CODICE VALLICELLIANO C III 259 Nella seconda colonna della medesima carta 177 e nella 1* col. del verso son riferiti i capitoli, ai quali tien dietro, al solito: “ expliciunt capitula (onciali) incipit liber tercius ,, (capi- tali). L'argomento di questo terzo libro può dirsi appena sfiorato nel commento, per colpa dello scrivente. Giunto il copista con la c. 201 al terzo titolo, per una imperdonabile negligenza saltati a piè pari tutti gli altri, appose in capo alla c. 201 il penultimo versetto di tutto il Vangelo “ Euntes ergo docete etc. ,, col rispettivo commento, a che fe’ seguire l’ultimo versetto “ Docentes etc. ,. Ma un altro moto inesplicabile di pigrizia 0 altra qualsiasi ragione gli fe’ anche di questo lasciare in tronco la spiegazione e in bianco la 2 col. della c. 202 v. La 1? col. termina così: “ sic ueniet quemadmodum vidistis eum ,. Nella colonna rimasta in bianco si leggon qua e là parole e propo- sizioni senza costrutto, scritte senza dubbio in qualche momento d’ozio da quei che possedettero per primi il codice: “ istoria Gotramno — priusquam te formarem in utero hominis — gabriel angelus — cum coniuracione, ete. ,. Vi fu anche chi con mano ‘ forse avvezza a far rider le carte di miniature, abbozzò nel mezzo del margine inferiore della c. 125 v una figura umana che le tinte troppo sbiadite non lascian più ravvisare. Mentre i titoli del primo libro non si vedon mai segnati durante il corso del commento accanto al passo evangelico cor- rispondente, quelli invece del secondo e del terzo libro, qualche rara volta fan capolino accanto a un'altra numerazione del testo evangelico, la quale in questi ultimi due libri non è quasi mai tralasciata. Il testo evangelico di cui Claudio si serve, si accosta al corbeiese più che agli altri testi evangelici, denominati europei perchè già noti e diffusi nell’ occidente dell’ Europa sin dal IV secolo in contrapposto agli italiani posteriori alla seconda metà. dello stesso secolo (1). Presenta anche più d’una somi- glianza colla Volgata odierna; il che non poteva non essere dopo la riforma che Carlomagno aveva per opera d’Alcuino ten- tato d’introdurre nel testo biblico avvicinandolo alla bibbia geronimiana, riforma di cui ci son solenne documento le bibbie (1) Bereer, Op. cit., pp. 5 e sgg. 260 GIUSEPPE BOFFITO di Tours (1). Nessuna relazione ha il testo biblico claudiano colle celebri bibbie di Teodolfo, delle quali non avvera i carat- teri indicati dal Berger (2). } Qua e là si osservano allato a certi versetti evangelici, alcune cifre romane in ordine progressivo, racchiuse di solito entro un / d’una forma strana, largo e slanciato, che farebbe dubitare di se stesso se una volta almeno non trovassimo scritta la parola intiera: “ Levis ,. Non accennano esse alla divisione attuale in capi ch’è.stata, com'è noto, introdotta nella Bibbia da Stefano Langton durante il corso del secolo XII, e molto meno a quella pure attuale, di versetti, che data dalla prima edizione della Bibbia procurata nel 1551 da Roberto Stefano. Ci troviamo invece dinanzi a quelle brevi pericope in cui anda- rono sin dal III secolo frastagliati i Vangeli per opera di Ammonio Alessandrino (355 nel Vang. di San Matteo; 236 in San Marco; 340 per Luca; 232 in San Giov.), e che furono adottate tra gli altri da Eusebio di Cesarea nei suoi Decem Canones harmoniae Evangeliorum, e da San Girolamo nel suo Ordo Evangelicus (3). Il commento claudiano costituiva nella sua prima reda- zione (4) un volume così grosso ch'egli sentì il bisogno di mettere in guardia i monaci di Charroux a cui era indirizzato perchè non se n’avessero a spaventare: “ non uos terreat prolixa expositio. nec uoluminis magnitudo , (5). Non era agevole impresa quella d’esporre la Sacra Scrittura, a causa della sua profondità, del- l’altezza degli arcani celesti che sotto vi tralucono come la di- vinità del Verbo traluceva di sotto alla sua carne mortale: (1) RiczarD Srron, Critique de la Bibliothèque des auteurs ecclésiastigues de Du Pin, 1730, I, 289: “ Il (Claudio) suit partout la version de Saint Jeròme “ qu'il appelle novellam ,. Troppo recisa affermazione e che nel nostro caso non sempre concorda col fatto. — Bererr, Op. cit., 184 sgg. (2) Op. cit., p. 157. (3) Mrexe, P. G., XIV, 645; P. L., XXIX, 526 sgg.; Bercer, Op. cit., p. 329; Jawssens, Hermeneutica sacra. Parisiis, 1335, p. 401. (4) M’esprimo così, perchè potrebbe darsi che le redazioni dell’ opera siano state due, differendo molto dagli altri i due mss. di, Laone e di Saint Germain de Près, ora smarriti, dei quali si giovò il Mabillon (Cfr. Diimmrer, Op. cit., 1. cit.). (5) C. 37, 2* col. IL CODICE VALLICELLIANO C III 261 “ diuina optimaque dispensatione prouisum est. ut scriptura ipsa euangelica dni nri ita tegeretur caelestib; obumbrata mysteriis sicut secreto suo ipsa diuinitas operiebatur , (1). “ Sicut novis- simis diebus Verbum Dei ex Maria carne vestitum processit in mundum, et aliud quidem erat quod videbantur in eo, aliud quod intelligebatur (carnis namque aspectus in eo patebat omni- bus, paucis vero et electis dabatur divinitatis agnitio) ita et cum per prophetas vel legislatorem Verbum Dei profertur ad homi- nes, non absque competentibus profertur indumentis. Nam sicut ibi carnis, ita hic litterae velamine tegitur: ut littera quidem aspicitur tanquam caro, latens vero spiritalis intrinsecus sensus tanquam divinitas sentitur , (2). Le quali espressioni, che non dànno affatto sentore d’arianesimo, ci fanno anche intendere il perchè della preferenza data da Claudio all’interpretazione mi- stica o secondo lo spirito, morale e allegorica, sulla letterale. Claudio stesso ci designa nella epistola dedicatoria le fonti a cui ha attinto: “ euangelium secdm matheum. ex opuscolis sanctoyw patrum, licet non ad pur quod etiam difficile est fieri tamen ut ualui inquirere atq; explanare conatus sum ex tra- ctatib; doctorum et maiorum nroy qui nos in studio huius operis sicut scientiam ita et tempore pcesser Idest. origenis. hylari ambrosii. hieronimi. agustini. rufini. iohannis. fulgentii. leonis. Maximi. Gregorii. et betae sed sicut in arche capitis inter omia membra lingua plus membris omib; sonat. ita in exponendo eglm inter oms est beatissimus agustinus multis etiam in locis ubi horum defuit sensus uel uerba hoc utcum; ualuit ex- plere studiuit mea paupertas , (3). Quello che Claudio voleva fare era insomma una catena. Per giudicare a dovere dell’opera sua, dovremo aver presente il fine ch’egli si è proposto. L'esempio di Beda, autore di varie catene, d’Alcuino e di altri ancora, destò durante il secolo IX, quando la riforma ca- rolina, d’indole essenzialmente religiosa, ebbe preso maggior piede, una fioritura non più vista di catene patrum intorno alla sacra scrittura, tale che non c’eran per nulla le greche. Primo (3) C-:3r, 1° col. (2) CLaupri, In libros informationum litterae et spiritus super Leviticum in Mriene, P. L., CIV, c. 616. (0027, 2* col.; c. 20, 1* col. x 262 | GIUSEPPE BOFFITO nella schiera poco, a dir vero, gloriosa, vien Claudio e con lui e dietro a lui Sedulio Scoto, Drutmaro, Smaragdo, Rabano Mauro, Pascasio Radberto, Aimone, Valafrido Strabone, ecc.; dei quali chi prese a soggetto principalmente il Vangelo di San Matteo, come Rabano, Drutmaro, Pascasio; chi le epistole e i Vangeli dell’anno, come Smaragdo; chi le epistole paoline, come Sedulio; e quale molti libri della S. Scrittura come Ai- mone; e quale tutta quanta addirittura, come Valafrido autore della Glossa che fece poi tanta fortuna (1). Sulle orme di Beda Claudio s’era già messo quando avea scritto la sua prima opera esegetica sul Genesi (a. 811), e da Beda avea pur preso il costume, che mantiene anche nello seri- vere il commento a Matteo e solo più tardi doveva smettere, di notare in margine per via d’iniziali gli autori ond’egli attin- geva. Prima di proceder oltre nell’indagine delle fonti claudiane, riferirò la lista dei passi evangelici numerati in un colla lista delle rispettive sigle che si leggono in margine al commento e ne indicano le fonti. Sebbene più tardi Claudio si scusasse di aver smesso l’uso delle sigle marginali perchè s’era accorto di essersi qualche volta sbagliato nell’ assegnare a qualche passo il suo proprio autore (2), tuttavia ho potuto accertarmi che per il nostro commento questo caso è tanto raro che può esser trascurato. Aggiungerò per maggior chiarezza l’indicazione delle pericope evangeliche anche quando non sono indicate nel codice, racchiudendole però in tal caso tra parentesi. Dopo l’epistola dedicatoria a Giusto abate di Charroux e dopo la prefazione e il sommario già esaminati, Claudio premette ancora un breve proemio prima di passare al commento. Esso comincia appiè della prima col. della c. 11 » ed è preceduto da una bella capitale foggiata in figura di fantastico animale. Colla c. 11 ®, col. 18 comincia finalmente il commento coll’ordine e colle divisioni seguenti: (1) Son tutte opere pubblicate dal Miene, P. L., voll. CII, CVI, CXHI, CXVI, CXX, ecc. (2) Za libros informationum ecc., in Miene, loc. cit.; app. M. G. H., Epist. IV, 603. 263 IL CODICE VALLICELLIANO C III GI TI (13 “ “« “K II “« “K ‘K “ (14 K Y ‘D q-w-Y RU IVA va A 1-4 ‘A LG SE) pui 33) U-g-q-4-4 -W-H-N-XN-V-9 di T-WU-N-M-V cd * ponb wegne gossipne wu) snjoqgip uno qinbijoa Ung], ‘sNqep TX 9OsseunieI UmMo 9YH * qso smqonp SnseyI 2UN], snsoyi wogne snqezizdeg Bo]i]es 8 snsoyi quuen Un], * © ‘ui WUnIqejquen sum; son ozigdeq wepmb 03 WunIoesITe; sogmu wagne suepif ‘ seuuBgor wogne asd] gso snqorp nb wo 9gS0 oTH . * quem SsIjji Wogne snqerp U] UR] SOposoy QUN, it eden aio, (Hbat® regi eni urina oso] * quo 9Is omIouo8 wragqne Idy * © seuoljgIoues oSIo seuUWI() (IITAX) (ITAX) (IAX) AX (ATX) (IITX) (ITX) (TX) (x) (XI) (IILA) (ITA) (IA) (A) (AI) (111) sali (19 S . S fu & [sa] È e Merc 7 00 Sa ASSE IE 61 LI “ “ “« (11 “ “« (13 « “ E] ‘SIA ‘AJ 0deg ig . 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La mandibola interna presenta: un grande dente ricurvo, un 2° dente poco più corto della metà del primo, un 3° dente lungo come la metà del secondo: viene quindi un diastema al quale fanno seguito sette denti relativa- mente grandi, vale a dire: i primi cinque quasi eguali al 3° dente sopradetto che precede il diastema, e gli ultimi due di poco più piccoli. La colorazione è superiormente nerastra con una fascia lon- gitudinale mediana più scura. Le antenne sono del colore del dorso e così pure la parte esterna delle zampe. Qua e là sul dorso vi sono alcune piccole macchiette un po’ più chiare. Le parti inferiori sono bruno scure. 310 LORENZO CAMERANO — NUOVA SPECIE DI « PERIPATUS », ECC. L’esemplare in questione è una femmina ed è adulto poichè contiene due embrioni a sviluppo avanzato sebbene ancora bian- chieci. Esso rientra nel 2° gruppo da me proposto pei Peri- patus neotropicali (1) nel quale la mandibola esterna ha almeno tre denti. In questo gruppo si trovano pure: il Peripatus quitensis Schm. e il P. Balzani Camer. La prima specie ha un numero di paia di zampe variabile da 31 a 36 (Gli embrioni a pelle già inscurita ne presentano 33 paia). I denti che seguono il diastema nella mandibola in- terna sono grandi e in numero di quattro: e i denti della man- dibola esterna sono pure in numero di quattro. Nel P. Balzani le paia di zampe variano da 26 a 27. La mandibola interna ha quattro denti prima del diastema e tredici molto piccoli dopo. Il nostro esemplare può quindi considerarsi appartenere ad una nuova specie, diversa dal P. quitensis pel numero di paia di zampe e per le mandibole interna ed esterna e diversa dal P. Balzani pure per la mandibola interna e per la colora- zione. Propongo per essa il nome di Peripatus Corradi, lieto di dedicarla all’Avv. Corrado Festa padre del nostro coraggioso e generoso esploratore e naturalista il Dott. Enrico Festa. La diagnosi del P. Corradi si può formulare nel modo se- guente : Peripatus Corradi n. sp. Superiormente di color nerastro (esempl. in alcool) con una linea mediana longitudinale più scura: antenne e parte esterna delle zampe colorite come il dorso: parti inferiori di color bruno scuro: zampe in numero di 26 paia: mandibola esterna con 3 denti: il 1° il più lungo, il 2° un po’ più corto della metà del primo, il 3° lungo circa la metà del secondo: mandibola interna con 3 denti prima del diastema: il 1° il più lungo, il 2° poco più corto della metà del primo, il 3° lungo come la metà del secondo: i denti che tengono dietro al diastema sono 7 e sono grandi presso a che come il 3° dente che precede il diastema stesso (HABITAT. Quito). (1) Nuova specie di Peripatus (Op. cit.). ATE TERI Pe RITIRI pi e pe O 2 GIUSEPPE DELITALA — CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. 811 Contributo allo studio del Problema di Pothenot; Nota dell'Ing. GIUSEPPE DELITALA. $ 1. Preliminari. — Nei rilevamenti grafici coll’uso della tavoletta pretoriana e in alcuni casi di rilevamento numerico coll’uso dei goniometri è utile la determinazione grafica di un punto a vertice di piramide, cioè d’un punto rilevato per inter- sezione inversa da una sola stazione misurando gli angoli oriz- zontali delle visuali dirette dal punto che si vuol determinare almeno a tre punti già noti di posizione. Ai metodi finora conosciuti crediamo vantaggioso nella pra- tica suggerirne uno molto semplice, rigoroso e che non richiede l’uso del compasso, esso è basato sul seguente teorema (*): “ La congiungente il vertice comune B di due lati AB, BC col “ punto a vertice di piramide P, è l’altezza del triangolo avente “ per base la congiungente l'estremità E, F dei diametri pas- “ santi pel vertice comune delle due circonferenze capaci degli “ angoli a, f sotto cui sono visti quei due lati ,. Dimostrazione (fig. 1°). — Sieno i due lati AB=a, BO=5d e l'angolo ABC=B d'una triangolazione; APB = a, BPC = B gli angoli sotto cui sono visti i due lati dal punto a vertice di piramide P. Si costruiscano sui due lati AB, BC le due circon- ferenze capaci degli angoli a, 8; la congiungente l'estremità dei due diametri BE, BF passerà pel punto P e riescirà perpen- dicolare alla congiungente BP. Infatti, si tirino le rette PA, PC; PE, PF; AK, CF, ne risultano i quattro triangoli rettangoli BPE, BPF; BAK, BCF e la retta BP forma colle due rette PE, PF due angoli consecutivi EPB, FPB che sono retti, dunque i due lati non comuni PE, PF sono per diritto. (*) Il primo ad indicare questo metodo è stato il sig. SosswA nel © Zeitschrift fiir Vermessungswesen ,, 1896, pag. 269. 312 GIUSEPPE DELITALA $2. Soluzione grafica del problema (fig. 12). — Si osserva che l'angolo AEB=APB=a, BFC= BPÙ=R, quindi saranno: (1) Bue eletta rigo eo sen@ senf e si deduce il metodo grafico per determinare la posizione del punto a vertice di piramide P. Si costruiscano sui due lati BA, BC col vertice comune in B ed in senso opposto l’uno dell’altro gli angoli ABR —@ —a=a", CBF — ù —f=BR', cioè sieno a’, f' complementi di a e di B e si portino su queste due direzioni le lunghezze BE, BF date dalle formule (1), la perpendicolare abbassata dal vertice B sulla congiungente EF risolve il problema. Si può evitare il calcolo numerico dei due diametri’ BE, BF osservando che l’estremità E, F si trovano pure sulle perpen- dicolari elevate in A e in © ai due lati della triangolazione BA, BC. Si può anche fare a meno di costruire col rapportatore nel vertice comune B i due angoli a’, f', specialmente quando sono disegnate sul foglio di tavoletta le direzioni delle visuali dirette dal punto di stazione S, ai tre punti del terreno (A),(B),(0) e si vuole l'orientamento della medesima (fig. 2?). Perciò s’inserisca nell’angolo (AS, (B) un segmento di retta perpendicolare alla direzione S,(A) ed eguale al lato A, B;o=@ e sia B, l'estremità o punto d'incontro colla direzione S,(B); da esso punto si abbassi la perpendicolare sulla direzione $, (0) e si porti il segmento B, C4 = 6; quindi dal punto €, la paral- lela alla direzione S,(C) fino ad incontrare in S; la direzione S,(B). I due triangoli rettangoli così costruiti S, A1 B,, SC, Bi; ripor- tati nella medesima scala di proporzione sui due lati AB, BC forniscono le estremità E, F, dei due diametri passanti pel ver- tice comune B e quindi si completa la costruzione abbassando la perpendicolare BP sulla congiungente EF (*). (*) Nella scelta dei punti trigonometrici e d'appoggio è necessario che sieno in posizioni favorevoli; per riconoscere queste vedi il recente lavoro: La determinazione di un punto a vertice di piramide, dell’ing. G. B. Mar- TA PPOROO CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEL PROBLEMA DI POTHENOT ol $ 3. Soluzione analitica del problema. — Dalla consi- — derazione delle due coppie di triangoli (fig. 1°): PAB, PEB; PCB, PFB si ricava l'eguaglianza degli angoli: PAB=PEB= 9, POB=PÎB=vy cioè gli angoli alla base in E ed F del triangolo BEF, di cui si conoscono due lati e l'angolo compreso, non sono altro che gli angoli in A e in C del quadrilatero ABCP dal quale ultimo si fa dipendere appunto la risoluzione analitica del problema di Pothenot. Quindi la risoluzione di esso triangolo conduce alle note formule di risoluzione degli angoli @ e w. Infatti, poniamo : b senf BE=— =0’, BF= sen a — yy, EBr=Bbo4pB—-n=B' saranno : @ o+v=2n-(B+a+®, titon_ Bratt Sa = = Lo) tang Loan __ bsena—asenf = Pt+y —— bsena+ asenf x tang 2 e ponendo: (3) bsena __ DO asenB p sì avrà: alipic w) tte pcotp_M Pty tan DE piabsiper] X tang 9 ossia: (4) tang P=l = cot(p+ |) Xtang St Quadi le formule (2), (3), (4) sono identiche a quelle conosciute. rIortI, pubblicato nella “ Rivista di Topografia , di Torino, vol. X, n! 3-4-5, anno 1897. Nel caso dell’indeterminazione cioè di B= r — (a B) la BP _ è in linea retta con EF. 314 GIUSEPPE DELITALA Al triangolo BEF che gode l'importante proprietà di offrire la costruzione grafica e la soluzione analitica del problema diamo — il nome di triangolo fondamentale corrispondente alla terna dei punti d'appoggio A, B, C rispetto al vertice comune o punto di collegamento B e s’indicherà mettendo per prima lettera quella di questo punto. Così se il punto di collegamento fosse C (oppure A) gli angoli osservati saranno quelli dei due lati CA, CB (oppure dei lati AB, AC) ed allora il triangolo fondamentale da doversi con- siderare è rispetto al vertice C (oppure A) e s’indicheranno con C E, F, (oppure A E, Fi). $ 4. Verifica della soluzione grafica del problema. — Affinchè il problema sia determinato in generale basta collimare dal punto di stazione a tre punti noti di posizione; nella pra- tica si suole collimare a quattro o più punti d’appoggio per avere un mezzo di controllo delle misure angolari; perciò appli- chiamo anche qui il metodo grafico per la verifica (fig. 1?). Sia D un quarto punto trigonometrico collegato diretta- mente al punto C mediante il lato CD=c e l'angolo BCOD=C noti; si misuri l’angolo CPD=Y e si consideri la nuova terna di punti B, €, D. Col vertice comune in C ed in senso opposto l’uno dell’altro sui due lati CB, CD si costruiscano gli angoli BOG i). DCH = cia essendo y l'angolo sotto cui è visto il lato CD, e sulle direzioni così determinate si portino le lun- ghezze : ca=-h, CH = Si può semplificare tale costruzione osservando che la di- rezione del diametro CG deve passare pel punto di mezzo 0, del diametro BF ed essere a questo eguale in grandezza. La congiungente le due estremità G ed H dei due diametri e la perpendicolare CQ s'incontrano nel piede Q che deve coincidere, se gli angoli sono esatti, col punto P. Si ottiene così un mezzo di controllo per verificare l'esattezza degli angoli osservati a, f, Y, senza tener conto di altri controlli che la costruzione grafica della figura presenta. ”* n° iti LE CA di Ae 1] CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEL PROBLEMA DI POTHENOT o Nel caso in cui non sia verificata la coincidenza dei due punti P e Q si domanda quale sarà la posizione vera o appros- simata del punto a vertice di piramide? Per rispondere adegua- tamente alla domanda osserviamo che l’effetto dello spostamento del piede della perpendicolare dalla sua vera posizione può di- pendere: a) dall’errore, sempre piccolissimo, commesso nella misura di uno solo dei tre angoli a, B, Y sotto cui sono visti i tre lati AB, BC, CD; 5) dagli errori commessi in due soltanto dei tre angoli, p. es. (a, 8) (B, r) (1, 0); c) dagli errori commessi nei tre angoli (a, 8, Y). . Qualora l'errore avvenisse solo nell'angolo a oppure in Y è facile vedere che il punto Q ovvero P è la vera posizione del punto cercato, in ogni altro caso i due punti si spostano en- trambi dalla vera posizione del punto a vertice di piramide. Ciò premesso, nella costruzione grafica possono avvenire solo i due casi seguenti: 1° L'altezza (la base) di uno dei due triangoli fondamentali non passa pel piede della perpendicolare dell’altro triangolo fondamentale e quindi non si verifica alcuna coincidenza e l’incontro delle quattro rette (due basi e due al- tezze) darà luogo ad un piccolo quadrilatero PRQT con due angoli opposti al vertice retti e perciò inscrittibile in una cir- conferenza (fig. 3?). 2° L'altezza (la base) di uno dei due triangoli fondamen- tali passa pel piede Po della perpendicolare dell'altro trian- golo, ed in questo caso dovrà pure verificarsi la coincidenza dei punti P e Q; infatti i quattro punti B, F; C, G estremità di due diametri dello stesso cerchio ed i punti P e Q devono trovarsi sulla medesima circonferenza capace dell'angolo 8, quindi se l'altezza (la base) di uno dei triangoli fondamentali passa per il piede P o Q questi due punti debbono coincidere. Supponiamo che gli errori angolari sieno piccole quantità dell'ordine di grandezza dei consueti errori di osservazione, col diminuire dei medesimi è evidente ci avvicineremo alla vera posizione del punto cercato ed il quadrilatero PRQT tenderà ad impicciolirsi. Perciò ci sembra logico affermare che un punto interno di esso è molto probabile goda la proprietà di occupare la vera posizione. Non conoscendo noi la legge degli errori degli angoli osservati, non possiamo dare la preferenza all'uno piut- tosto che all’altro punto perciò siamo indotti ad ammettere come 316 GIUSEPPE DELITALA posizione più probabile del punto a vertice di piramide cercato quello equidistante dai quattro vertici del quadrilatero, ossia il centro della circonferenza circoscritta ch'è il punto di mezzo 0 della diagonale RT. A questo circolo possiamo dare il nome di circolo di cor- rezione degli errori e definire come “ il luogo dei piedi delle “ perpendicolari abbassate dai punti di collegamento sulle basi “ dei rispettivi triangoli fondamentali ,. $ 5. Verifica della soluzione analitica del problema. — Coll’esistenza di questo circolo nasce spontanea l’idea della ricerca dell’espressione del suo raggio, che crediamo poter de- terminare col ragionamento seguente. Sieno gli angoli osservati (a, 8, ) ‘affetti dagli errori (Aa, 48, Av), saranno, per l’esatta determinazione del punto a vertice di piramide, gli angoli corretti: ((1=0-+ 4a, Bo=B+4f, To=Y-+ AY) e diciamo i complementi con (09', 80, Yo). Indi- chiamo inoltre con (ADa, ADg, AD,,) le differenze fra i diametri calcolati ed i veri delle tre circonferenze capaci dei rispettivi angoli e cominciamo ad occuparci di una di queste variazioni dei diametri, p. es. della prima, avremo: (5) ADa=BE—BE, = PA a ap sen(a+Aa) —sena seno sen(a + Aa) senasen(a-+-Aa) ‘ Vediamo subito che all'errore Aa = 0 corrispondono gli an- goli: ag = 0, a'B: Applichiamo il teorema di Talete, si ha la relazione: dA RO mo (13) ni=1NprXK pa 1 SIX PO‘ Sostituendovi i valori dati dalle formule (12) avremo: (14) r?2senB = Apr? Ag - Agr:—Ap? equazione questa che risolta rispetto all’ incognita r? risolve il problema; fatte le debite operazioni si ottiene il risultato se- guente : Ap? + Ag + 2 Ap X Ag X cos sen?f (15) ar Si osserva che prendendo il segno inferiore il trinomio del secondo membro è il quadrato del terzo lato di un triangolo avente per gli altri due lati Ap e Ag e l’angolo da essi com- preso B. Nella figura 3* corrisponde precisamente al triangoletto Tpq essendo i punti p e q di mezzo dei due spostamenti nor- FRETTA TL N O IE CIR [acilia ola i we: vor Der CONTRIBUTO ALLO STUDIO DEL PROBLEMA DI POTHENOT 319 mali, quindi risulta: py=/= DO, sarà perciò il raggio del circolo di correzione: in: AsoH seng —?2senf E) (16) r= Si può dire: “ Il raggio del cerchio di correzione è l’ipo- “ tenusa d’un triangolo rettangolo che ha un cateto eguale alla semidistanza dei piedi delle perpendicolari dei due triangoli “ fondamentali e l'angolo opposto eguale a quello delle due “ visuali dirette ai due vertici di collegamento ,; daremo a B il nome di angolo di collegamento delle visuali. La relazione (14) si potea ricavare direttamente dalla con- x . siderazione del triangolo normale PQT e dal piccolo quadrilatero Tp0g simile al quadrilatero TPRQ col rapporto dei lati omo- loghi di 1:2. L'angolo di collegamento 8 gode d'una importante proprietà che qui rileviamo: si vede chiaramente che coll’aumentare del- l’angolo 8 diminuiscono contemporaneamente la variazione del diametro corrispondente ADg data dalla (9), gli spostamenti nor- mali Ap e Aq dati dalle (10) e (11), il terzo termine del tri- nomio del numeratore della relazione (15), mentre aumenta in proporzione maggiore di questo terzo termine il suo denomina- tore; sicchè coll’aumentare l’angolo di collegamento, diventa sempre più piccolo il raggio del cerchio di correzione, quindi minore l’errore nella determinazione del punto a vertice di pi- . . DINI . , T . x ramide; il minimo errore corrisponde all'angolo B= > e si può conchiudere che la posizione più favorevole per la scelta dei punti d’appoggio si verificherà quanto più l'angolo di collega- mento si avvicinerà all'angolo retto (*). (*#) Le denominazioni da noi adottate di: triangoli fondamentali, cerchio di correzione degli errori, variazioni dei diametri, spostamenti normali e an- golo di collegamento delle visuali, crediamo sieno giustificate dall’ufficio cui gli elementi definiti adempiono nello studio compiuto. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 24 320 GIUSEPPE DELITALA — CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. $ 6. Conclusioni. — Dalle cose dette nella presente nota si deducono i seguenti risultati, non ancora, per quanto è a nostra conoscenza, da altri enunciati : n» nr - n x PSI 1° — “ La risoluzione grafica ed analitica del problema di Pothenot si può far dipendere dalla costruzione e dalla risoluzione del triangolo fondamentale rispetto al punto di col- legamento dei due lati della triangolazione osservati ,. 2° — “ La posizione più probabile del punto a vertice di piramide appoggiato a quattro punti trigonometrici cade nel centro del circolo di correzione ,. 3° — “ La verifica grafica ed analitica del problema di Pothenot si può far dipendere dalla costruzione del cerchio di correzione ,. 4° — “ Nella verifica del problema di Pothenot concor- rono le determinazioni degli spostamenti normali che dipendono dalle variazioni dei diametri che alla loro volta si esprimono in funzione degli elementi dati, degli angoli osservati e degli errori angolari ,. 5° — “ La posizione più favorevole per la scelta dei punti d'appoggio nell’applicazione del problema di Pothenot si avrà quando l'angolo di collegamento delle visuali si appros- sima all’angolo retto ,. PASQUALE SFAMENI — DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 321 Delle terminazioni nervose nei gomitoli delle glandole sudorifere dell’uomo; Nota del Dott. PASQUALE SFAMENI. In trattati anche recenti di Anatomia microscopica e ma- croscopica si nota, che intorno ai nervi delle glandole sudori- fere o si tace addirittura (Schenk (1), Klein (2)), o è detto che essi vi sono sconosciuti (Beaunis e Bouchard (3)). Il Sappey accenna alla presenza di nervi sulle dette glandole con le se- guenti parole: “ intorno ad ogni corpo glandolare ho potuto “ vedere un plesso nervoso quasi tanto ricco quanto la rete dei “ vasi sanguigni , (4). L’ Unna (5) dice che nervi fino rasente ai gomitoli delle glandole sudorifere furono seguìti da Hermann e da Coyne, i quali però non avevano potuto constatare le vere terminazioni di detti nervi. Ma stando a quanto riferisce il Testut (6) parrebbe che l’ Hermann e il Coyne non solo avessero accompagnato alcuni nervi fino rasente ai gomitoli delle glandole sudorifere, bensì che vi avessero riscontrato quello che già aveva visto il Sappey, cioè l’esistenza di una rete nervosa amielinica intorno a ciascuna glandola sudorifera, aggiungendo che anche il Tomsa e il Fi- catier erano riusciti a risultati identici. Questa osservazione del Testut però non sembrami molto precisa, poichè il Sappey dice soltanto di aver trovato intorno ad ogni corpo glandolare un plesso nervoso quasi tanto ricco quanto la rete dei vasi san- guigni; ma non dice punto se questo plesso nervoso fosse fatto (1) Scnenc, Istologia normale dell’uomo. Trad. Monti con note originali di C. Gorar. (2) KLrm, Nouveaux éléments d’histologie. Trad. et annotés par Varior. (3) Braunis e Boucnarp, Anatomia umana normale. Trad. pag. 1024. (4) Sappey, Trattato di Anatomia descrittiva. Trad. vol. III, pag. 585. (5) Zremsenn, Patologia e terapia medica speciale. Vol. XIV, parte 1%, p. 111. (6) Tesrur, Traité d’Anatomie humaine. T. III, pag. 87, 1894. 322 PASQUALE SFAMENI di fibre amieliniche o meno. Il Testut aggiunge ancora che il Coyne riuscì a constatare elementi coi caratteri delle cellule nervose periferiche sulla faccia esterna della membrana propria del tubo glomerulare. Solo a titolo di curiosità aggiungo che il Kélliker (1) dice di aver visto già da molti anni in una glandola ceruminosa una fibra a margini oscuri di 7u di diametro. Riassumendo dunque tutte le ricerche istituite allo scopo di conoscere i nervi nei gomitoli delle glandole sudorifere, con- ducevano a questi risultati : a) esistenZa di un plesso nervoso, quasi tanto ricco quanto la rete dei capillari sanguigni, intorno ad ogni corpo glandolare (Sappey); B) esistenza di una rete nervosa intorno al corpo della glandola sudorifera fatta da fibre sprovviste di mielina (Tomsa, Hermann, Ficatier, Coyne); T) esistenza di elementi con caratteri di cellule nervose periferiche sulla faccia esterna della membrana propria del tubo glomerulare (Coyne). Si tratta dunque, come ognun vede, di terminazioni ner- vose assai vagamente e indeterminatamente descritte, poichè nessun autore s’intrattiene a dire quali sono i rapporti che la terminazione nervosa assume coi diversi elementi del gomitolo glandolare. Ma anche a questo proposito qualche notizia si trova nella letteratura. L’ Unna (2), ad esempio, dice che il Dott. Open- chowscky aveva seguìto filamenti nervosi privi di midollo, col metodo della preparazione d’oro, fin dentro ai gomitoli delle glandole sudorifere. “ Io ho visto — dice l Unna — su disegni “ bene spiccati con acido osmico dei bottoncini terminali ner- “ vosi tanto negli epitelii secretori, che negli epitelii di pas- “ saggio al dutto; ma non fummi finora possibile di verificare “ la costanza e l’appaiamento degli stessi ,. Il Ranvier (3) asserisce ch’egli, qualunque sia il metodo (1) KoLLizer, Handbuch der Gewebelehre des Menschen, 1889, S. 251, Erster Band. (2) Ziemsenn, Loc. cit. (3) Ranvrer, “ Journal de micrographie ,, 1887, n. 5. DELLE TERMINAZIONI NERVOSE NFI GOMITOLI, ECC. 323 al cloruro d’oro impiegato, ha sempre constatato che ai glome- ruli delle glandole sudorifere si portano in grande numero fibre nervose, formando un plesso a fibre finissime nella tunica con- nettivale; queste esili fibre si anastomizzano costituendo maglie assai strette e in generale dirette perpendicolarmente al grande asse del tubo secretore. Un certo numero di fibre, seguita il Ranvier, partono da questo plesso nervoso, attraversano la membrana propria e ar- rivano allo strato muscolare. In questo strato — in sezioni ben fatte — fra gli elementi muscolari si scorgono linee violette, che potrebbero essere formate non solo dalla sostanza intercel- lulare, ma eziandio da fibre appartenenti al plesso, ben cono- sciuto per altri organi composti di fibre muscolari liscie — il plesso intramuscolare. Nelle glandole sudorifere dell’uomo, egli conchiude, per quanto si può giudicare da preparazioni che ancora sono molto imperfette, esisterebbe un plesso fondamentale situato nella tu- nica connettivale del tubo secretore, e un plesso intramuscolare. In seguito il Ranvier stesso aggiunge che per riguardo alle fibre nervose, che possono andare oltre la tunica muscolare, non si conosce nulla di positivo. Le cellule epiteliali, egli dice, del tubo secretore sono colorate in violetto intenso, su cui non risaltano le fibre nervose impregnate dall’oro — “ Et encore “ relativement au plexus intramusculaire il faut laisser un point “ d’interrogation ,. Secondo me non è il caso di tenere in considerazione al- cuna la notizia che, per conto del Dott. Openchowscky, ci for- nisce l’ Unna, e neppure una mediocre importanza si può accor- dare alle notizie proprie di questo autore, poichè desse sono assai monche ed imperfette. Degne di speciale attenzione mi sembrano invece le ricerche del Ranvier, dalle quali però non risulta altro di positivo che la esistenza di un plesso nervoso a fibre finissime nella tunica connettivale del tubo secretore — plesso fondamentale —, poichè l’esistenza del plesso intramu- scolare, più che un fatto reale, si può ritenere come una in- duzione. Esposto così tutto quello che è stato detto dagli autori su * tale argomento, passo ad esporre il risultato delle mie ricerche. Premetto anzitutto che le mie indagini si limitano solamente 324 PASQUALE SFAMENI alle glandole sudorifere dei polpastrelli delle dita e della palma della mano dell’uomo: delle glandole sudorifere, che si trovano in altri punti del corpo, non mi sono occupato. Con queste mie osservazioni ho constatato che le fibre ner- vose dirigentisi verso il gomitolo della glandola sudorifera per formare in esso la terminazione nervosa, sono quasi sempre parecchie (fig. II), ma certamente non possono dirsi in grande numero. In alcuni esemplari però si nota che solo una o due fibre nervee si portano al gomitolo glandolare (fig. I); e qualche volta in fine si osserva che una sola fibra nervosa si divide in due rami, di cui uno va a raggiungere un gomitolo glandolare e l’altro un altro gomitolo vicino. Bisogna però aggiungere che questo fatto suole avvenire nei gomitoli di piccole dimensioni e mai in quelli di una certa grandezza, in cui la fibra nervosa che vi forma la terminazione non è mai unica, e per quello che io ho riscontrato, sembrami che il numero delle fibre nervose che vanno a penetrare dentro un gomitolo, stia in ragione di- retta con la grandezza di esso. Nella maggioranza dei casi avviene che le fibre nervose raggiungono il gomitolo tutte nel medesimo punto (fig. Il) ed è raro che vi s'immettano in punti differenti (fig. I). Nei casi in cui la fibra nervosa, che si dirige al gomitolo, è unica, essa è costituita dagli elementi proprii di ogni singola fibra nervosa periferica, ma quando le fibre sono parecchie, co- stituiscono insieme un piccolo fascetto nervoso fornito di nevri- lemma (fig. II) che appena raggiunto il glomerulo glandolare, si continua direttamente con l’ involucro connettivale del glo- merulo medesimo (fig. II). Le fibre nervose guadagnano il contorno del gomitolo, ne attraversano l’ involucro celluloso, si spogliano della mielina e vanno a formare una ricca rete intorno al dutto glandolare, seguendo tutte le volute, che esso forma dentro al gomitolo, come vedesi distintamente nelle fig. I e II, in cui l’ intreccio amielinico, che costituisce la terminazione nervosa sul tubo glandolare, segue i giri del condotto medesimo. Ma per avere conoscenza esatta del rapporto, che la rete nervosa testè descritta assume rispetto ai diversi strati costi- tuenti il condotto glandolare, ho creduto conveniente fare dei ‘ tagli al microtomo ed in essi ho riscontrato i seguenti fatti. rr, E È DELLE TERMINAZIONI NERVOSE NEI GOMITOLI, ECC. 325 La rete nervosa si trova situata nello strato medio (mem- brana propria — membrana limitante) del tubo secretore; pare anzi che detta membrana sia totalmente costituita dalla rete nervosa: questa per conseguenza si trova in rapporto all’esterno con la tunica connettivale e all’interno con lo strato epiteliale (fig. III-IV), ma mentre esternamente presenta una superficie convessa, ben netta e limitata dalla tunica connettivale, in cui non manda alcun ramo, internamente invece essa con una su- perficie concava si adatta alla base dell’epitelio: da questo lato inoltre essa “manda tra cellula e cellula piccoli prolungamenti che arrivano ad altezza differente (fig. III-IV) e servono senza dubbio ad aumentare i rapporti fra la terminazione nervosa e gli elementi secretori della glandola. Sulle sezioni da me praticate per questo studio non ho mai trovato lo strato di fibre muscolari liscie, che dagli au- tori viene descritto tra membrana propria ed epitelio del tubo secretore. Però riferisco testualmente ciò che dice in propo- pi il Sappey (1): “ Questo strato (muscolare) è molto evi- “ dente nelle grosse glandole del cavo dell’ascella e in quelle «“ della areola della mammella. È però probabile ed anche ve- “ rosimile che esso appartenga a tutte le altre, ma in queste “ ultime la sua esistenza fino ad ora non è molto ben dimo- “ strata ,. Io ritengo probabile che questo strato manchi nelle glandole sudorifere delle regioni da me esaminate. Ma ammesso pure che lo strato muscolare si trovi senza eccezione in tutte le glandole sudorifere, e che io non lo abbia riscontrato forse perchè il metodo al cloruro d’oro, da me impiegato, non lo renda evi- dente, tuttavia non credo che per questo fatto possano venire gran che modificati i rapporti fra rete nervosa e strato epiteliale del tubo secretore, poichè lo strato muscolare non forma un involucro continuo intorno all’epitelio: si sa infatti che tra le fibre muscolari non esistono rapporti di contiguità, essendo se- parate — come dice il Testut (2) — da spazii più o meno grandi, attraverso cui, le cellule glandolari si mettono direttamente a contatto con la membrana propria. (1) Sappey, Trattato di Anatomia descrittiva. Vol. III, pag. 585. (2) Tesrur, Traité d’Anatomie humaine. T. III, pag. 34, 1894. 326 PASQUALE SFAMENI Da quanto ho detto, appare chiaramente che i risultati delle mie ricerche sono affatto differenti da quelli ottenuti dagli autori, che si sono occupati delle terminazioni nervose nelle glandole sudorifere. Ed invero non si tratta nè di plesso ner- voso (Sappey (1)), nè di rete nervosa amielinica (Tomsa, Her- mann, Ficatier, Coyne (2)) intorno al corpo della glandola sudo- rifera, nè in fine delle numerosissime fibre nervose formanti un plesso a fibre finissime “ dans la tunique connective , (Ran- vier (3)); ma si tratta invece di una rete nervosa amielinica data da una o parecchie fibre nervee, situata internamente alla tunica connettivale intorno al condotto secretore della glandola e precisamente nella membrana propria, che — ripeto — viene sostituita o meglio costituita dalla detta rete nervosa. Con questo non intendo d’ invalidare le ricerche dei citati autori e sono d’avviso che la rete nervosa amielinica da loro trovata intorno al corpo delle glandole sudorifere (compreso il Ranvier, che con maggior precisione la descrive come esistente nella tunica connettiva del glomerulo glandolare) rappresenti una rete di fibre pallide vasomotrici, che si distribuisce al ricco plesso di capillari sanguigni esistente intorno al corpo glando- lare: a questa mia opinione fa buon viso l’asserto del Tomsa, il quale, secondo riferisce il Kolliker (4), nota che i nervi delle glandole sudorifere formano una ricca rete intorno alle glandole e ai capillari di esse. D'altro canto ritengo che la terminazione da me descritta presieda direttamente alla funzione secretiva della glandola e per la posizione che occupa e peri rapporti che essa mantiene con l’epitelio secernente: per conseguenza sono nervi secretori quelli che dànno luogo alla detta terminazione nervosa. Nelle mie ricerche fatte impiegando il cloruro d’oro, se- condo i metodi di Fischer e di Lòwit, non sono mai riuscito a vedere la rete nervosa descritta dagli autori sopra citati, ma questo fatto non offre nulla di strano per chi ha una certa pra- tica di queste ricerche e conosce quindi quanto sono incostanti (1) Sappey, Loc. cit. (2) Tesrur, Loc. cit., pag. 37. (3) Ranvier, Loc. cit. (4) KéLriKER, Loc. cit. i ei Cra DELLE TERMINAZIONI NERVOSE NEI GOMITOLI, ECC. 327 i metodi al cloruro d’oro, come sono differenti i risultati che si ottengono adoperando un metodo, piuttosto che un altro, e in fine quanto è vario il risultato ottenuto con uno stesso me- todo volta a volta che esso si adopera. Perciò a me sembra molto dommatica l’asserzione del Ranvier (1), il quale dice di aver trovato sempre la rete nervosa da lui descritta “ quel que “ soit le procédé de la méthode de l’or que l’on emploie ,. Riassumendo dunque a me pare di poter venire alle seguenti conclusioni : I) La terminazione nervosa delle glandole sudorifere ha sede nella membrana propria del condotto secretore. Il) La detta terminazione ha forma di rete e mettesi in rapporto diretto e intimo con l’epitelio secretore. III) La membrana propria si può ritenere costituita dalla rete nervosa. IV) Sono nervi secretori quelli che formano la termina- zione suddetta. V) Molto probabilmente la rete nervosa amielinica de- scritta da Tomsa, Hermann, Ficatier, Coyne, e più dettagliata- mente dal Ranvier, è costituita da fibre nervose vasomotrici che si distribuiscono ai capillari delle glandole. Dal Laboratorio della Clinica medica di Bologna diretto dal Prof. A. Murri. (1) Ranvier, Loc. cit. 328 PASQUALE SFAMENI — DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. SPIEGAZIONE DELLE FIGURE Le figure sono state disegnate con l’aiuto della camera lucida Abbé Zeiss ed all’altezza del tavolino del microscopio. Le lettere adoperate nelle figure significano: îc — involucro connettivale del glomerulo ce — condotto escretore della glandola fn — fibra nervosa Rn — rete nervosa n — nevrilemma te — tunica connettivale del condotto secretore (strato esterno) Tn — terminazione nervosa (strato medio) p — prolungamenti della terminazione nervosa verso l’epitelio e ‘— epitelio. Figura I — Glomerulo di glandola sudorifera, in cui la termi- nazione nervosa è data da 2 sole fibre penetranti nel gomitolo per punti differenti (1.2). 3/6 Koristka X. 220. Figura II — Gomitolo di glandola sudorifera, in cui la termi- nazione nervosa è data da 4 fibre penetranti tutte nello stesso punto. Due fibre nervose durante la pre- parazione si sono rotte e i capi sono allontanati. La terminazione nervosa si presenta a zone concentriche che indicano l'andamento dei giri del tubo secretore, intorno a cui essa è disposta. 4/6 t. a. Koristka X 325. Figura III (*) — Sezione trasversale intiera del tubo secretore. 3/6 Koristka X 220. Figura IV — Parte di sezione trasversa del tubo secretore. 8/8 t. a. Koristka X 450. (#) Questa figura e la seguente hanno una forma ellissoide perchè, i) gomitolo glandolare, essendo rimasto lungo tempo, prima di essere sezio- nato, sotto il vetrino coprioggetti, è rimasto schiacciato ed ha conservato questa forma. L’ Accademico Segretario AnpREA NACCARI. =————— ef > >—__&£ 4 IN O EP. 6 del Att RAccad. delle Sc. di Tormo — JoLATIZZ MENI-Delle terminazioni nervose nei gomitoli delle SF ; glandole sudorifere dell'Uomo. È Ri Fig. di Ra. P- P Tn. S bal t Salussolia-Torii Tn 329 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 23 Gennaio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarettA Direttore della Classe, Peyron, Rossi, PerRERO, CoenerTI pe MaARTIS, BoseLLI, BRUSA e Nani, Segretario. Il Socio Segretario dà lettura dell’atto verbale della pre- cedente seduta, che viene approvato. Il Presidente comunica una lettera del Dott. Giuseppe PirRÉ che ringrazia per il conferitogli X premio Bressa; quindi offrendo in omaggio alla Classe per parte dell'autore, abate Prof. V. LitvA, due pubblicazioni relative al sistema filosofico di A. Rosmini e due altre riguardanti le dottrine di B. Spinoza, ne accenna il contenuto. Il Segretario presenta pure, a nome dell’autore, L. PAssy, membro dell'Istituto di Francia, un’opera intitolata: Mélanges scientifiques et littéraires (Paris, 1896). Quindi il Socio G. CLARrETTA legge una sua nota: Di un'ac- comandita di un patrizio torinese del secolo XVI. La nota sarà pubblicata negli Attì accademici. 330 ‘ GAUDENZIO CLARETTA LETTURE Di un’accomandita di un patrizio torinese del secolo XVI; Nota storica del Socio GAUDENZIO CLARETTA. x Se la legislazione subalpina, com’ è noto, agevolò sempre a chiunque, di qualsivoglia stato si fosse, purchè non trascu- rante del lavoro d’intelletto, i mezzi di salire ai sommi fastigi degli onori e della possanza, e così, volendo addurre un esempio, dall'ufficio di notaio poter riuscir a conseguire quello di segre- tario e di ministro del principe, e man mano innalzarsi ed ot- tenere poi investiture di feudi, insomma stato elevato, essa non consentiva che l’ordine patrizio in massima potesse darsi al traffico e al commercio. In via di eccezione, a Nizza e a Villa- franca, porti di mare, esso usava consacrarsi al traffico e alla mercatura, senza pregiudizio delle sue prerogative: il che tro- viamo ammesso nel 1627 da Carlo Emanuele I. Suo figlio e suc- cessore Vittorio Amedeo I nella creazione di quell’ufficio, deno- minato dell'abbondanza, poichè promoveva l'abbondanza delle derrate e del commercio, dichiarava all'anno 1633 che la noblesse pourra entrer en part du fonds du dit office sans que pour ce lon lui puisse imputer d’avoir mecanisé, comme aussi nos magistrats et officiers: à la charge néanmoins qu'elle n'exercera aucune art, ains les pourra faire exercer par tierces personnes (1). Ai tempi di Vittorio Amedeo II si hanno altre determi- nazioni analoghe, a cominciare dall’epoca in cui amministrava lo Stato sua madre Madama Reale Giovanna Battista. Già il 3 aprile del 1680 essa decretava, che nell’intento di favorire la nobiltà intendeva di seguire quel che, com’essa esprimevasi, prudentemente si osservava in alcune principali città d’Italia, (1) Dusorn, Raccolta delle leggi ecc. T. NV va XVID DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 881 ed era presso di noi riconosciuto in forza dell’or citato decreto di Carlo Emanuele I. Ed ancor più esplicitamente ivi si dichia- rava, che non avrebbe pregiudicato in alcun modo alla riputa- zione ed alle prerogative della nobiltà il tenere fondachi o ma- gazzini di mercanzie “ vendendole all’ ingrosso, purchè ciò si faccia per mezzo di altri e non assistano i nobili immediata- mente in persona ,. E così del paro lor non si vietava “...il girare il proprio o l’altrui danaro a cambio col tener banco aperto e molto meno il collocarlo nelle mani dei mercanti accioche traffichino per mare e per terra, anzi nè pure il far travagliare con l’altrui mano nelle arti di lana, seta e simili che sono di pubblico beneficio ... , (1). In tempi più vicini fu ripetuto che commercio ed industria in materie non riputate vili non dovevano far ostacolo all’ac- quisto di feudi. Ma la prima e profonda jattura che cominciò a provare la nobiltà nostra deve essere ascritta al notissimo editto del 1720, col quale venivano richiamati al demanio, ina- lienabile secondo la legge fondamentale dello Stato Sabaudo e depauperato, specie ai tempi delle reggenze trascorse, i beni feudali, i pedaggi alienati a titolo non oneroso. Se però l’editto fondavasi su diritto dello Stato, era odioso perchè spogliavane i possessori di buona fede che n'erano stati investiti dopo lungo spazio di tempo. Ottocento feudatarì, com'è cosa notoria, ven- nero citati in giudizio, donde liti, contestazioni innumerevoli, rese più gravi perchè il duca risoluto non erasi astenuto dal lasciar libero il corso alla giustizia e all'antica indipendenza dei magistrati. Si sa che quei feudi demaniali furono indi esposti all’asta pubblica: e così i titoli di nobiltà divennero rivali. E furono allora ammesse certe lettere di abilitazione a quel- l'acquisto affinchè i molti non nobili che si supponeva avrebbero concorso potessero conseguire quei feudi. E con questo mezzo potevano essere in grado di divenire feudatarì i commercianti, gli appaltatori di primo ordine, che divenuti opulenti assai erano in grado di sottostare agevolmente a quella tassa, della quale sapevasi disporre più o meno elevatamente secondo la partico- larità dei casi. E così poco per volta l'abito di camelotto e il rozzo saio cominciarono a camminar vicini a quelli di velluto, VERO. VIII v.5X. 332 GAUDENZIO CLARETTA il cavaliere colla spada e colla sua borsa non disdegnava più come per l’innanzi il frustagno del forese. Che se non manca- rono i dispetti, i malumori, i bronci, i tempi a volere o non volere progredivano: la necessità non ha legge. Nè sul principio i concorrenti mancavano: poichè oltre all’allettamento della va- nità eravi quel dell’utile. Infatti gli acquisitori di quelle terre avevano la bannalità dei forni, dei molini, dei pedaggi, ece., e più non erano tenuti a soddisfare la contribuzione di esse. In una generale infeudazione indetta il quattordici ottobre del 1733, resa obbligatoria dal dover sopperire alle spese della guerra, Carlo Emanuele III disgregava dalle città e da parecchi comuni ben centonovantacinque borghi, di taluni de’ quali per essere privi di denominazioni non abbastanza altisonanti, si proponeva di abba- gliare l’acquisto con un poco di princisbecco, cioè col mezzo di un battesimo che potesse essere di maggiore aggradimento agli acqui- sitori, e che meglio corrispondesse alle esigenze della vanità loro. Nè ciò bastava: tre anni dopo, cioè il 21 novembre 1736, e sempre a cagione delle spese di guerra e delle fortificazioni militari si ripeteva l'alienazione per ben centoquarantasette di quei luoghi, in parte rimasti invenduti nella precedente licita- zione. E la cantilena veniva ripetuta negli anni 1743, 44, 45, 47, 49, 51, 52, 54, 55, 57, 58, 63, 67, 69, 71 e 73. Ed anche sotto il successore Vittorio Amedeo III nel 1775, e sotto il suo figlio ancora, Carlo Emanuele IV, sebben più rade, codeste infeudazioni apparivano ancora, sinchè col regio editto 23 luglio 1797 veniva avocata al sovrano la nomina dei gius- dicenti, conceduta ai comuni la facoltà di promulgare i bandi campestri, abolite l’odiosa privativa della caccia, la bannalità dei forni e dei molini, e l'istituzione non meno ingiusta della primogenitura, e ciò tutto quale benefica influenza dei rivolgi- menti succeduti oltr’alpi. Ma indietreggiando di nuovo, rimangono ancora a notarsi alcuni provvedimenti avvenuti regnando Carlo Emanuele III sovracitato e che stanno in fermezza all'argomento. Nello stabilimento di quella famosa associazione commer- ciale, la quale innalzava per impresa il gelso in campo d’oro (1), (1) Nella preziosa raccolta degli editti, manifesti, patenti, ecc. ecc. della Casa di Savoia, dal secolo XVI al XIX esistente presso di me, e che ì } ij ì 7 DI UN’ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. xVI 333 e che fu onorata della denominazione di compagnia reale, la quale aveva per mira di favorire e di propagare l’industria serica (1), veniva dichiarato che persone nobili avrebbero avuto facoltà di far acquisto di quelle azioni senza pregiudizio dei loro natali. L'orizzonte cominciava a rischiararsi un poco in mezzo al fitto buio, ond’era stato offuscato per l’addietro. Nè devono qui essere a cagion d’onore dimenticati alcuni pochi patrizi che staccandosi dal cammino degli altri avviavansi per le vie del progresso. Sin dal 1740 il conte Favetti di Bosses facevasi pro- motore di quella tipografia, denominata poi reale. E dopo la morte di lui, il figlio suo, conte Francesco, unitamente al conte Casimiro Gabaleone di Salmour, al marchese Carlo Eugenio d’Angennes ed al cavaliere Giuseppe Grosso di Brusolo, sca- duto essendo il termine della prima concessione, ne ottenevano la rinnovazione la quale fu insignita di parecchi privilegi, con- ceduti con lettere patenti del 21 luglio 1763. Così il conte Gian Filippo Nicolis di Robilant capitano del reggimento di Pinerolo comprende 40 grossi volumi in foglio, nel volume che contiene l’accennata istituzione leggesi a margine del comma N. 15, che accenna a quell’insegna, questa osservazione autografa del marchese Massimino consigliere di stato, al quale un dì apparteneva tale raccolta: “ L’esito ha provato che non poteva scegliersi cosa più allusiva ,. E lo stesso principe nell'intento di favorire quell’ industria nel 1766 stabiliva alla Venaria una fabbrica di stoffe seriche, anco per impiegarvi giovani dell’Albergo di Virtù. (1) Quest’industria, ricorderò qui cadendone l’opportunità, fu sempre accarezzata fra noi. — Emanuele Filiberto concorse altresì a promuoverla mercè estese piantagioni di gelsi. — Il fossanese Alessandro Tesauro pub- blicava nel 1585 un poemetto didascalico sul baco da seta, col titolo La Sereide alle nobili e virtuose donne, che dedicò a Catterina d'Austria nel mo- mento del suo arrivo tra noi, sposa di Carlo Emanuele I. — D’allora in poi la coltivazione del gelso fu una delle ricchezze del nostro paese, ed a cui si applicavano, non solamente agricoltori, ma persone di condizione elevata. Così p. e. sfogliando le mie collettanee manoscritte ritrovo che il 23 giugno 1670 Niccolò Gazelli, figlio del dottor fisico Gio. Maria d’Oneglia, avvocato patrimoniale dei principi Ludovico Maria ed Emanuele Filiberto Amedeo di Savoia, e decurione torinese, vi si applicava con un capitale rilevante, avendo egli contratto società l’anno prima con Gio. Batt. Curlo figlio del capitano Lorenzo da Prelà suo compaesano per lo smercio di seta, per la somma di trecento doppie di Spagna, e ciò per la buona occasione pre- sentatasi d’impiegar danaro in quel negozio, trattandosi dell'acquisto di sete nuove. 394 GAUDENZIO CLARETTA stabiliva una manifattura e fabbrica di lana bianca e nera nel Piemonte, che il 21 dicembre del 1753 otteneva privilegi spe- ciali da quel sovrano. I marchesi d’Ormea avevano fondato in quel loro feudo un lanificio, decorato di speciali privilegi, con- fermati nel 1754 allorquando il marchese Alessandro Marcello Vincenzo, primo scudiere e gentiluomo di camera e colonnello del reggimento Saluzzo lo affittava ai fratelli Borbonese. Del pari il marchese Lorenzo Birago conte di Vische, aveva tentato un esperimento di fabbricar in quel suo feudo porcellana, che ebbe privilegi, ottenuti con regie patenti dell'anno 1765, asso- ciandosi anche, fra altri della professione, un tal Vittorio Brodel di Torino. Ma tutti codesti erano lampi di folgore che rischiara un momento un ciel buio e tempestoso assai: bastando a pro- vare che così fosse, la descrizione fattane dallo stesso insigne filo- sofo Giuseppe De Maistre che ci compendia lo stato politico del nostro paese in questo profilo: Qu'est-ce qu’une nation? C'est le souverain et l’aristocratie; e lo stato amministrativo, riferendo le voci che divulgavansi in una provincia dello Stato, e fedelmente raccolte da lui: Donnez-nous à qui vous voudrez, méme au sophi de Perse, mais délivrez-nous des majors de place piémontaise! Ma le esagerazioni di un governo eccessivamente solda- tesco, frutto d’irreflessiva meditazione del reggimento prussiano, non dovevano cessare che all’accadere di fatti straordinarî, nella guisa che la falce nei vieti pregiudizì (1) soltanto doveva met- (1) E fra questi quel che era stato fomento a continui malumori era la distinzione fra le classi, presso di noi più che in altre città italiane mantenuta dal Governo. E per rendere meno aride queste pagine mi permetto, poichè ebbi testè a sfogliare la citata collezione Massimino, dire ch’essa contiene pure all'anno 1779, e così alla distanza di soli dieci anni dal memorando 1789, la minuta de’ diversi capitoli per lo stabilimento, buon ordine, uniformità della cotteria (!) progettata affine di mantenere nella nobiltà di Cuneo la società, l'unione ed un decente sollievo ,. Era una di quelle solite con- gregazioni che germogliavano nelle principali città dello Stato, come Ver- celli, Asti, Mondovì, Cuneo, Fossano, ecc. e che se miravano ad intratte- nere con innocenti festini le persone che appartenevano alla classe degli ottimati, non lasciavano di proclamare la più rigorosa segregazione dagli altri ordini della cittadinanza. Il che, com’ è supponibile, provocava con- tinui dispetti, specie fra il sesso gentile, donde dissidii che rinfocolavano talora vecchi guai, e che per essere definiti richiedevano l’intervento degli stessi governatori e comandanti. Ora un pallido riflesso di questo stato di bi dalia fe +. MEDI UN’ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 395 ì terla il rivolgimento generale della fin di secolo, in cui novus rerum renascitur ordo. L’apparente colosso era da lungo tempo infermo, poichè soltanto tenuto in piedi da interessi varii che forze meccaniche più o meno uguali, ma contrarie. E qual no- | vità maggiore di quella che ci viene palesata poco dopo come | un sogno dal programma del nuovo Governo provvisorio colla data 20 frimaio [10 dicembre 1798|, firmato dai nobili, o come allor si chiamarono, gli ex nobili S. Martino, Galli, Cavalli, e | dai cittadini Bottone, Bono, Fava, Colla, Rocci, Fasella, Ber- cose cel somministra il regolamento dell’or citata congregazione cuneese. La coterie erasi formata fra dieci dame di quella città, le quali si tene- . vano la mestola in mano per poter disporre a loro capriccio degli inviti, colla perfetta esclusione di quanti non appartenevano all’ordine patrizio. _ Il documento, che è manoscritto, è curioso per le particolarità alle quali È, scende ed anche per gli spropositi di lingua e di ortografia ond’è infarcito. . E poichè siamo a Cuneo, aggiugnerò che ho pure sotto gli occhi il succes- | sivo regolamento per la nobile società del Casino pubblicato nel 1791, che doveva comprendere ... trenta individui ammessi al ceto nobile ... appro- À vato da A. Busca governatore e dai deputati Carlo Caissotti di Chiusano, Ricci d'Andon e Canubio di Torretas. Abbiam detto che Cuneo agiva al- . l'esempio delle altre città. E di Cuneo ancora aggiugneremo, che mentre si | spalleggiava lo stabilimento di società dedite al solo svago, si cercasse di impedire quelle che con miglior ragione volevano dedicarsi alle lettere. | Merita di esser riferito un biglietto diretto il 27 luglio del 1770 al sena- | tore Mazzucchi prefetto di quella città, nel fine d’impedirvi la costituzione di un'assemblea per ragionare sovra materie scientifiche. “ .....Qualora, scriveva « il ministro, si fosse trattato dell'intervento delle sole persone sottoscritte alla detta supplica, per far conferenze sopra la fisica e la matematica, penso che non vi sarebbe cosa in contrario, ma attesi gli stabilimenti e le facoltà che si trovano espresse nella suddetta memoria, ho stimato di rimettere il tutto al magistrato della Riforma... , (*). Ed in quanto a Torino devesi ag- giungere che erasi pur allora istituita quella, che chiamossi la patrio- tica nobile società del Casino, approvata e protetta dal Re Vittorio Amedeo III nel 1781 ancora, e della quale dovevano far parte dugento nobili (**). — Era (*) Archivio di Stato. Lettere della Segreteria di Stato. (**) Gli statuti furono pubblicati in una splendida edizione del Briolo tipografo dell’Accademia delle scienze e della Società agraria, con una bella incisione per antiporta e con intagli pregevolissimi dell’artista Teresa Ramis- Ronzini e del Cagnone. E cosa a notarsi per noi, la dicitura era assai cor- retta. Appartenevano al Casino i più bei nomi del patriziato subalpino. — . Pubblicavansi pure nello stesso anno gli “...articoli convenuti nella con- grega generale della società dei signori cavalieri sottoscritti al progetto di una nobile pubblica adunanza ,. Ma in quell’adunanza venivano ricevute “ le sole dame ed i soli cavalieri ammessi agli appartamenti di Corte ,. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 25 Pi pò LI 9 CE a Ad LR 7 via ict 336 GAUDENZIO CLARETTA tolotti, Braida e Sartoris, nel quale all’art. 4, com'è saputo, “ si abolivano generalmente tutti li titoli, divise e distinzioni di nobiltà, e si userà il solo titolo di cittadino: e sarà pure proi- bito l’uso delle livree, trine, armi e stemmi gentilizi ,! E quasi non bastasse questa manifestazione innocente in sè, si voleva ancora gettar nelle fauci della democrazia, fra noi abbastanza pacifica nè famelica delle scene cruenti onde macchiossi altrove, altra offa per satollarla. Ma duole proprio che quel conte Gae- tano Galli della Loggia, già presidente della regia Camera dei Conti, l’autore insomma della nota, utilissima ed erudita opera delle Cariche del Piemonte; e per la cui compilazione aveva do- vuto rovistare quantità di diplomi, pergamene, investiture, ecc. dal palazzo nazionale colla data del 26 frimaio successivo [16 di- l’espressione del modo di sentire dell’aristocrazia, data agli svaghi ed ai beati ozì che vietavano persino di occuparsi degli interessi domestici e dell'educazione della prole. Ma la vita doveva essere breve: i tempi erano maturi. Uno de’ pochissimi esemplari rimasti [se pur non è l’unico] di una lettera circolare data da Torino il 27 gennaio 1797, esistente nel volume 36 della citata raccolta Massimino, lettera firmata dal conte di Brandizzo, co- minciava così: “... Con lettera della segreteria di stato degli undici scorso novembre diretta a S. E. il signor marchese di Ciriè S. M. (cioè Carlo Ema- nuele IV) ci notifica essere suo preciso volere che più non esista la nobile patriotica società del Casino e di lasciare perciò liberi gli appartamenti ad uso della medesima destinati affinchè il padrone di casa possa essere in grado di disporne a suo talento ,. Curioso quest’interesse che il sovrano prendeva per il proprietario di casa privata! E così si scioglieva, forse col solo rimpianto degli aggregati a quella società, che facevansi denominare patriotici, quella congregazione che liquidava i suoi fondi con un capitale ‘ di L. 14.800; e sulle cui ruine dopo la ristorazione (1841) s’innalzava altro edifizio press’a poco consimile, e che con altra denominazione (Club du Whist) e con alcune modificazioni si sostiene ancor oggi. Ma ad onoranza del paese e del patriziato stesso non devesi dimenticare che altra parte di esso, cioè quella delle persone dotte, noverava due soli che bastavano ad immortalarne la gloria: Vittorio Alfieri e Valperga Caluso. Altri poco prima erano concorsi a fondare a Torino quell’ Istituto che doveva servire assai validamente allo sviluppo del progresso intellettuale, dilatando le verità dell’ordine so- ciale ed agendo sullo spirito pubblico col mezzo della parola e degli scritti. Il suo incunabulo fu nelle sale di antico patrizio vercellese; e fra i suoi fondatori e primi patroni si notano i Saluzzo e i Balbo. Nel 1785 veniva fondata la Società agraria che seppe anche conseguire lodevole fama, e della quale sin dai primordî si rese benemerito il marchese Alberto Palla- vicini delle Frabose che le assegnava acconcia sede nel suo palazzo. DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 337 cembre] qual presidente del governo provvisorio pubblicasse quest'altro noto decreto: “... Inerendo al $ 4 del suo proclama al popolo piemontese delli 20 frimaio si fa noto che si abbrucie- ranno quanto prima solennemente i diplomi, gli stemmi, le in- vestiture ed altre carte di aristocrazia, ai piedi dell’albero della libertà ,. E subito dopo, vale a dire il 12 ventoso [2 marzo] lo stesso governatore ingiungeva ai nobili ed agli altri posses- sori di quei diplomi e di quelle così dette carte d’aristocrazia, di consegnarle per quell’auto da fè, sotto pena ai renitenti di una multa di L. 1500 e di tre mesi di carcere! E qual danno provenisse agli studii storici ed alle arti da siffatta ordinanza non è il caso di qui deplorarlo, trattandosi di fatti a suffi- cienza conosciuti. | Non basterà mai abbastanza però di ripetere qui la nota di censura che ben si merita il citato conte Galli, di essere concorso e di non aver saputo astenersi dal promuovere deter- | minazioni così contrarie al suo antecedente agire. A temperare peraltro questo giudizio, per quanto severo, non ingiusto, si potrebbe avvertire, che altri suoi coevi, ed in condizione ben più avvincolata di quel che non la sua, dimostrarono pure una debolezza inqualificabile. Il suo nome peraltro rimane con qualche . elogio legato ad altro decreto del 17 dicembre del governo prov- visorio, con cui egli come presidente di esso proclamava l’abo- lizioni dei vincoli fidecommissari e primogeniali, e l’altra più patriottica ancora cioè della tortura. Senonchè, agli avvenimenti straordinarì suole succedere la reazione, e questa, in quanto a materia nobilizia, cominciava all’apparire dell’ astro Napoleonico che risuscitava la nobiltà, sostituendo una nuova forma di diritto nobiliare, diritto civile soggettivo, per risorgere poi tra noi alla ristorazione con privi- legi, abusi e pregiudizì, qui più che altrove rinnovatisi, per quanto in cose di fumo, come negli onori del così detto corteggio palatino, che comprendeva molte eccezioni, in riguardo specie delle gentildonne, e che conservossi sin oltre la metà di questo secolo. Se queste considerazioni ci hanno distolto un momento dal tema speciale a cui accenna questa nota, non ne sembra ch’esse debbano reputarsi cotanto estranee nè disacconce. Intanto fa- cendovi ritorno, conviene avvertire, che se il sistema di tenere il patriziato lontano dall’esercizio del commercio e dell’industria Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 25% IN 338 GAUDENZIO CLARETTA che il Piemonte ebbe comune con altri Stati, fu cagione di non pochi inconvenienti e di danni agli stessi esclusi, non lasciò d'altro canto di apportare anco qualche avvantaggio. Fu danno, le cui conseguenze si fecero sentire sin’oggi, il non avere i nostri ottimati potuto emulare veneziani, genovesi, pisani, to- scani ed anche cittadini delle microscopiche repubbliche d’Asti e di Chieri, che col mezzo del traffico riuscirono ad armar na- vigli, assoldar genti, elevar palagi, sede di monumenti artistici, e fondare istituzioni umanitarie e didattiche di primo ordine. Ma per contro l’astensione deplorata concorse ad imprimere uno stampo particolare al nostro patriziato, che lo rese capace e meglio atto ad azioni magnanime e patriottiche. Infatti, data l'ipotesi contraria, cioè o di non comune lar- ghezza di censo o del benefizio di cospicue investiture di grandi feudi o di lucrose speculazioni commerciali, difficilmente avrebbe potuto radicarsi quella nobiltà agguerrita, educata alla durezza della vita militare, indispensabile alla condizione del piccol paese posto a’ piè dell’Alpi, e sempre guardato con occhio cupido dagli stranieri ai quali di continuo fece gola. E gli allori raccolti col- l’effusione di tanto sangue ne’ dirupi dell’Assietta, nelle molli pianure di Staffarda e di Orbassano, al fiero assedio di Torino del 1706, ed ancora nei primi combattimenti a .pro dell’ indi- pendenza italica nella prima metà di questo secolo, forse non si sarebbero conseguiti sotto l'impero di diverso ordine d’idee. E dicasi lo stesso, per limitarci svolazzando sicut apis in sal- tibus, a ragionare di coloro, che non distolti da altre cure, si de- dicarono, od alla diplomazia od alla magistratura, o spiegarono l'ingegno nella coltura delle discipline scientifiche. Quindi, sempre. dato il caso contrario, difficilmente avremmo avuto i Provana, i Dalpozzo, i Saluzzi, i Morozzi, i Chiesa, i Tesauri, gli Ormea, i Napioni, i Vasco ed altri non pochi che conseguirono nome nelle scienze e nelle lettere, senz’essere costretti ad ammettere il pregio di quelle poetiche famiglie, di cui alcuni degli or ci- tati patrizì furono caldi promotori, e che pur troppo anco fra noi pullularono, come le rane nella palude, e divagarono nelle metafore, nelle stramberie, nelle ampolle e nei falsi concetti, e che sol più tardi dovevano essere flagellati dalla frusta ine- sorabile del bizzarro nostro Aristarco Scannabue. Ma comunque ne sia; e tuttochè nel Piemonte, suolo fertile DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 339 di guerrieri, non abbia spirato al pari di altre regioni quella beata aura italiana che cangia in imagini le sentenze, in estri i pensieri, pur avrà sempre la gloria di aver generato quell’ “ Allobrogo feroce a cui dal polo Maschia virtù, non già da questa mia Stanca ed arida terra Venne nel petto ,, come lamentava ai suoi dì il Leopardi. Così del paro, se men a noi larga fu la fortuna di genii creatori, si segnalarono per compenso i nostri progenitori per maggior temperanza e mo- derazione di costumi. Il perchè non si ha qui a provare il ram- marico di quegli atti di violenza e di crudezza che altrove ma- cularono, come le domestiche pareti, così le città e i paesi e i feudali ostelli. Riunendoci ora dopo queste poche pagine d’introduzione, al punto donde avemmo a disgiungerci un momento, conviene av- vertire che, fermo il divieto di massima ai nobili di consacrarsi al commercio ed al traffico, era peraltro aperta una via di mezzo, cioè di potervi partecipare copertamente col mezzo di terzi e con quel contratto, dai legali denominato di accomandita. Ma qui ancora non è inopportuna altra digressione: imperocchè, come la prima ci diede ragione delle leggi, od almeno delle consuetudini che regolavano la classe patrizia, così questa se- conda ci farà conoscere in qual condizione essa versasse, e qual fosse lo stato del nostro paese a quei giorni. Ed ancor qui, come in recente nostro lavoro, letto pure a questo Consesso, non sarà opera gettata ricorrere al giudizio circospetto dei noti ambasciatori veneti. Francesco Molin reduce dalla sua ambasceria di Torino nel 1574, nella ordinaria relazione al suo Senato notava che i nostri “...nobili frequentano con poco amore la Corte, e il più del tempo s’intrattengono ne’ loro Castelli ...; sono per lo più poveri e superbi ed inimicissimi de’ forestieri. Non attendono molto alla virtù e poco si eserci- tano nelle armi, tanto che neppure di questa nobiltà si può dire che vi sia un uomo da comandar eserciti ... ,. E perchè non paia che questo giudizio sul valor militare poco benigno abbia a distruggere quello dato superiormente sulle prodezze marziali del patriziato subalpino, fa d’uopo di 340 GAUDENZIO CLARETTA non dimenticare, che Emanuele Filiberto appunto fu quegli che cominciò a militarizzare il Piemonte ed a trasformare a poco a poco il feudalesimo, che allora, giusta i calcoli di quell’amba- sciatore, noverava più di ottocento castella su di una popola- zione di circa cencinquanta mila abitanti. Cifra sconfortante, ma pur vera, poichè altro ambasciatore, cioè il Morosini sog- giunge: “... me lo disse di propria bocca il signor duca, cre- dendo anco dir assai quando io domandava per ordine della Serenità Vostra tratta di grani per la città di Bergamo... ,. Ora siffatto scoraggiamento negli ottimati, tale scarsità di abitanti ben denotano lo stato del nostro paese, diviso fra le fazioni, incolto e privo di guadagni, di quanto era per contro soggetto a gravezze sproporzionate. Non distacchiamoci dagli ambasciatori veneti, e ne udiremo altre notizie, per quanto poco lusinghiere. L’or citato Gian Francesco Morosini ci dipinge i Piemontesi “ per la maggior parte inclinati alla crapola ed all’ozio, nemici di ogni sorta di fatica, salvo quella che fanno ballando (1), in (1) Di tale inclinazione rimasero ne’ varii tempi tracce significanti fra noi più che altrove, senz’essere obbligati a ricorrere a quelli di S. Massimo, che nelle sue omelie rampognava i Torinesi dell’eccessiva loro passione al ballo e dell’intemperanza degli ultimi giorni carnascialeschi. Come parte integrante dell'educazione cavalleresca, già nella ricostituzione dell’Acca- demia reale cioè militare di Torino del 1730, il ballo era obbligatorio nelle classi di quell’ Istituto, cioè in quei certi appartamenti, famigliari a quanti lessero l'autobiografia di Vittorio Alfieri. Ivi adunque notavasi come essenziale per imparare a dovere l’arte cavalleresca fra la scherma, la cavallerizza, il volteggiare, il ballo. Questo fu adunque sempre con molta grazia mantenuto nell'educazione de’ gentiluomini, che fatti adulti intervenivano alle frequenti feste di Corte di questo genere. E poichè il vocabolo ballo mi sgocciolò dalla penna, aggiungerò che di questi giorni ebbi agio di consultare in una miscellanea di cose patrie un opusco- letto piuttosto raro col titolo: Programme historique de la mascarade exécutte à Turin par une société de chevaliers et dames à l’occasion que S. E. monsieur le duc de Villahermosa ambassadeur de S. M. Catholique donna un bal à toute la noblesse le 12 février 1783, publié par Henri Derossi libraire de la Société royale du théàtre. L'idea di quell’elegantissimo festino del- l’righ-life subalpina era sorta in una riunione di 28 dame e di 24 cavalieri ragunatisi prima nel palazzo del marchese Solaro del Borgo, ora sede del- l'Accademia filarmonica sulla piazza S. Carlo; e l'esecuzione dovette essere splendidissima, a giudicare dalla descrizione, che ci lasciò il nome delle dame, dei cavalieri e di tutte le quadriglie che vi presero parte. E questo DI UN’ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 341 che non si stancano mai: non hanno alcuna industria, conten- tandosi quasi ognuno di quello che ha, se ben poco più tosto che con fatica d’animo e di corpo procurarsi maggior avere o facoltà ...,. Non si può affermar certo che gli ambasciatori veneti fos- sero propensi a dondolare l’ incensiere dell’adulatore: ma non sì potrà anco negare che le relazioni loro non fossero figlie di profonde meditazioni e di sentenze con cui chiamavansi a specie di sindacato principi e popoli. Abbiam testò di passaggio accennato alla gravezza delle tasse: e lo stesso ambasciatore ci fa al proposito una buona rivelazione. Accennando egli alla intolleranza dei carichi pub- blici, che salivano a cent’ottantaquattro mila scudi all’ anno, peso insopportabile al popolo, povero e senza industrie, già si soffermava a quella piaga dell'emigrazione, che pur troppo scor- giamo prendere a’ giorni nostri proporzioni sconfortanti, tanto più tenendo conto dei tempi e della condizione ben diversa del paese. Egli pertanto avvertiva, che i percettori dei tributi erano obbligati persino “..... a levar a molti il letto ove dormono, non avendo altro in casa da questo in fuori, e ben spesso anzi quel letto in cambio di penne o di lana è pieno di foglie d’al- beri per la molta povertà del paese, non tanto causata in ef- fetto dalle lunghe e continue guerre che ha avuto, quanto da una naturale viltà e dapocaggine di quei popoli... ,. Quindi succedeva soli sei anni prima del 1789. Se poi per caso qualcuno dei let- tori fosse per meravigliarsi che in queste pagine, che si pubblicano in una raccolta scientifica della gravità a tutti nota, siasi parlato di balli, io potrei rispondergli che all’adunanza del 7 aprile 1810 l’accademico conte Emanuele Bava di S. Paolo aveva intrattenuto i colleghi con una dissertazione, in cui l'articolo terzo del capo vigesimo trattava dei progressi e vicende dell’arte della danza o ballo, e che vide la luce nel volume XVIII delle nostre Me- morie. Ma lasciando la parte meno grave, il ballo non mancò di dar ma- teria a fatti abbastanza serii: accennerò, come venutomi a mano per caso în questi giorni, un certo monito dato nel 1770 dal Re Carlo Emanuele II al cav. Saluzzo di Valgrana governatore d’Acqui, che cominciava così: “ Prendiamo noi stessi a spiegarvi le reali nostre intenzioni intorno a ciò che avete esposto alla Segreteria nostra di Stato sopra la materia dei balli in dipendenza della lettera di codesto vescovo ...ecc. ...,. Ma di ciò verrà discorso, se, a Dio piacendo, avrò ancor agio di ragunare i molti materiali raccolti, ed atti a far conoscere a suo tempo i prodromi della rivoluzione francese fra noi. 342 GAUDENZIO CLARETTA non mai sarebbero i nostri duchi stati in grado di poter, come. fecero i loro emuli i Medici granduchi di Toscana, disporre a guisa di Cosimo II di 20 mila uomini mandati nel 1617 in soccorso al duca di Mantova, appunto contro il nostro Carlo Emanuele I, e senza imporre alcuna tassa sul suo Stato. Potrebbe qualcuno obbiettare che questo quadro lasciatoci dai veneti legati avesse a ritenersi delineato col mezzo di tinte caricate di troppo, ed effetto di emulazione di Stato rivale. Ma cadrà l’appunto considerando le cause che poterono influire su quegli effetti, e prestando ascolto un momento al suono che ci può dare altro tasto toccato dalla mano di persona di convinzioni e di interessi opposti, voglio dire dal francese Martin de Bellay sire di Langey. Egli pertanto c’informa che nel 1527 nella di- scesa di Francesco I in Piemonte si trasse questi dietro dalla Francia tutti gli animali da soma di parecchie province, senza poter fornir l’esercito delle necessarie vettovaglie. Il popolo si trovava ridotto alla disperazione, le campagne non avevan nemmen più ricevuto il seme dei cereali. Congedati poi gli Svizzeri, ripassati in Francia con quel Re i lanziche- necchi, e rimaste solo tra noi le milizie francesi, la fame era divenuta così notevole, che nel successivo 1528 il sacco di fru- mento, solito a vendersi in Torino uno scudo, era salito sino a dodici, e faceva d’uopo far invigilarne lo spaccio col mezzo di soldati acciò non seguissero omicidî fra il popolo che tumul- tuante accorreva a procacciarsene (1). Al cronista francese faceva coro il nostro erudito monsignor Francesco Agostino Della Chiesa, il quale ci racconta che appunto . in quel torno non essendosi potuto coltivare i terreni, nel mese di maggio e di giugno dell’anno 1527 s’elevò a Saluzzo il grano a tal prezzo, che il fromento si vendeva sul pubblico mercato ad otto scudi d’oro il sacco “... oltre che spesso non se ne tro- vava, e ciò per la peste e per le guerre... , (2). Ora con questo bel quadro innanzi ben si può argomentare quali fossero le condizioni finanziarie dei privati, e fra essi di (1) Les memoires de messire Martin de Bellay seig: de Langey contenants le discours de plusieurs choses advenues au Royaume de France depuis lan MDXIII jusqu'au temps du Roy Frangois I ete. Paris, 1582. (2) Vita di monsignor Giovenale Ancina. Torino, 1629, p. 63. ld DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 343 coloro che avendo forse più degli altri i mezzi godevano della proibizione di consecrarsi al traffico, all’ industria ed al com- mercio, per quanto questo fosse stagnante, ed infruttifero, par- tendo dal principio sostenuto dal Venosino, che “ Aurum irrepertum et sic melius situm, Quum terra celat, spernere fortior, Quam cogere, humanos in usus ... , (1). Ma gloria, grandezza, potere erano le aspirazioni di tal potenza, da far disprezzare questi altri tre opposti desiderii : libertà, agiatezza, felicità. Si temeva troppo, che lo scopo del commercio essendo l’interesse, il suo spirito, il calcolo, le mani avvezze a maneggiare bilance, stadere, balle e va dicendo non fossero poi atte a far uso dell’armi, distolti anche dal continuo pensiero dei cambi, del prezzo delle derrate, delle perdite, ecc. Ce tablier d’apprentissage, cette balance à peser, cette aune à me- surer, cette poussière d’un magasin, cet assujettissement aux volontés d'un roturier, ces caprices, ces propos de l’acheteur, come si espri- meva l’autore che ebbe a trattare ex professo quest’'argomento, formavano altrettante barriere che non doveano superare coloro . che erano così delicati in fatto d’onore (2). Ove i nobili si fossero dati al commercio, ragionavano i fau- tori del sistema astensionista, avrebbero potuto tanto più, ove non agiati, contrar parentado con famiglie di plebei ricchi, e ciò avrebbe nociuto al prestigio ed al decoro dell’ordine patrizio. Avrebbero tutti costoro potuto consecrarsi all’agricoltura e farla fiorire nelle abbastanza late loro possessioni. Ma anco astra- zione fatta dalle considerazioni or accennate, essa si trovava inceppata da varii ostacoli, per quanto non si debba negare che le sollecitudini del duca Emanuele Filiberto a propagarla sieno state non poche, nella guisa che non poco egli erasi pure adoperato per l'industria e pel commercio. Ma le congiunture, i tempi e la condizione del paese fornivano ostacolo ed impe- divano che i miglioramenti avessero subito a manifestarsi. La maggior parte della proprietà territoriale era divisa fra (1) Od. 3, Lib. II. (2) Cover, Développement et défence du système de la noblesse commer- cante. Amsterdam, 1757. » N a» 844 GAUDENZIO CLARETTA i comuni e gli enti morali. I primi pel loro organamento non erano i più capaci a farla fiorire, e i secondi per la stessa ragione e per la mancanza di capitali sarebbero stati del paro poco atti a quel fine. Si aggiungano ancora altri impedimenti che provenivano dai tributi esorbitanti, dalle devastazioni prodotte dalla soldatesca, dai privilegi, dai pedaggi fra terra e terra, dalla mancanza di ponti, che fornivano barriere insormontabili alla introduzione e alla esportazione delle merci e dei prodotti, alla poca sicurezza delle strade, pessimamente tenute e percorse dai malandrini, ai quali non era in grado di porre un freno la polizia di quei giorni. E quasi tutta questa sequela di guai non fosse ancor sufficiente, si doveva lottare persino coi lupi che affamati nel verno percorrevano le nostre pianure disabitate, avanzandosi sin presso i villaggi e distruggendo gli armenti (1). AI cospetto di siffatte eontrarietà pochi proprietari sì ri- schiavano a dedicarsi sul serio all'agricoltura. Anche l'abitudine e la tradizione vi si opponevano: infatti difficilmente il magi- - strato, sebben tutto pacifico e che pare dovesse dilettarsi di quelle due ferie annuali, dette delle messi e delle vendemmie, che trovo già sin d’allora stabilite, difficilmente avrebbe lasciato la toga senatoria pel vincastro dei pastori, e ben pochi di quei nobili, già adusati alle lautezze della vita cittadina, si sarebbero determinati, quai novelli Dionisii, ad abbandonar questa, per ag- girarsi fra i drappelli dei vendemmiatori e per insegnar loro le norme di migliorare il prodotto delle feconde loro pergole. Ora, in faccia a resultanze così negative, e scorgendo in qual letto di Procuste giacesse l’itala Pale, i privilegiati così incep- . pati di qua e di là, altro mezzo non avevano che di mettere a frutto i loro capitali sul traffico e sul commercio esercitato da terze persone. Ed a codesto ripiego appunto veniva un patrizio piemontese dell’anno di grazia 1573, il quale ci viene fatto co- noscere dal documento fortuitamente rinvenuto nell’ archivio notarile di Susa, e che vedrà la prima volta la luce. Apparteneva egli alla ragguardevole famiglia dei Parpaglia (1) Per estirparli, oltre i noti premii e le somministranze di uomini per cacciarli ingiunte ai comuni, si provava più tardi lo spediente di at- tossicare mugge di poco valore o sian giorre affinchè servissero di pasto a quegli animali, obbligando i comuni a provvederle. DI UN’ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 345 degli antichi signori di Revigliasco (1), di Montosolo, di S. Giorio e di Celle, ecc., che fiorì anche più tardi a Mondovì, illustra- tasi col merito che le procacciò elevati uffizi, tenuti da Tomaso, giureconsulto assai celebre ai suoi giorni, e che divenne presi- dente del Senato, uffizio che tenne pure il Bernardino. Il Luigi al quale si riferisce il documento che prendiamo ad illustrare, era figlio di Gian Francesco, e padre di quel Ber- nardino che doveva poi divenir ambasciatore in Alemagna, Spagna e. Venezia, cavaliere dell'Annunziata, e primo conte della Bastia di Mondovì. Or bene: avendo egli potuto in quei tempi poco propizî far alquanto di civanzo nel suo patrimonio, anzichè impiegare quel suo capitale in fondi incerti, volle nel 1573 consegnarlo a due mercatanti che esercitavano commercio in Torino. Un di essi denominavasi Gian Giacomo Nigri o Negro, omonimo di famiglia che due secoli dopo fondava casa bancaria reputatissima e stimata assai nelle principali piazze d’ Europa. L'altro poi era Giambattista Benso, socio di commercio del Nigri. Il minutaro del notaio che ci conservò questo documento, come che tarlato in varii punti, ragion per cui ci obbligò a molte lacune, non ci ha consentito a scifrare a qual famiglia appartenesse il Benso or citato, nè di qual paese egli si fosse. Per buona sorte un susseguente atto dello stesso protocollo, ro- gato il giorno medesimo viene ad appalesarci che il Benso erasi valso del ministero di Giovanni Viarizio notaio di Chieri. Questo sarebbe un argomento indiretto ed alquanto debole, trattandosi d’invocarlo in una genealogia, a sostegno dell’origine della per- sona interessata; ma qual notizia disgiunta può avere il suo peso a notare una relazione del Benso con pubblici uffiziali di Chieri. Tutti sanno che i Benso appartenevano ad una delle (1) Le loro memorie salgono al secolo XII: Guglielmo di Revigliasco con Pietro Porcellino nel 1170 cedeva al vescovo di Torino ogni sua pre- tesa sul castello di Montosolo; e nel 1173 donavanlo al vescovo Milone, che ne diè poi loro investitura. Nel 1222 i signori di Revigliasco, in un con quelli di Trufarello, acquistarono da Bertoldo di Non legato imperiale il luogo di Celle: ma nate opposizioni con quegli uomini, che furono poi ri- messe ad un arbitrato del vescovo di Torino, essi n’ebbero più tardi inve- stitura dall'imperatore Federico in premio di servigi da loro ricevuti. 346 GAUDENZIO CLARETTA antiche famiglie d’ospizio di quella piccola repubblica, accennate in quel noto distico che comprendeva nei cinque © le principali famiglie di ottimati di quella città, ma che con tutto questo esercitavano traffico ed industrie in Piemonte ed oltre Alpi. Quindi nulla d’ inverosimile che un dei rami di quell’albero così frondoso possa essersi per qualche tempo trapiantato in Torino, ed aver prodotto il Giambattista, del quale si tratta. Ma comunque ne sia, appartenga o no egli ai Bensi di Chieri, esso ci fornì argomento a compilare questa breve nota la quale ci ha messo in grado di ragunare parecchie notizie, che, per quanto possano essere ritenute un’ intarsiatura di mosaico, ci attestano qual fosse la condizione del nostro paese che cominciava a dirozzarsi, grazie alla sagacia ed alla ferma volontà del vincitore di S. Quintino. Non credo sia il caso d’intertenerci sul contratto conchiuso dal signor di Revigliasco con quei due mercatanti, che ciascun potrà leggere a sua posta, e che consigliato ed istrutto da buoni legali, di cui già sin d’allora non faceva difetto la nostra città, nulla lasciava a desiderare per la tutela degli interessi dei con- traenti, non privi di quell’oculatezza e di quella previdenza, da non far troppo contrasto anche coi tempi odierni. Credito con patti fatti per l'illustre sig. Luigio Parpaglia per una parte et li nobili messer Gio. Giacomo Nigri, messer Battista Benzo cittadini et mercadanti di Turino per l'altra. Torino, 28 gennaio 1573. Archivio notarile della città di Susa. Minutari del notaio Sebastiano Baronis di Trana, vol. II. Al nome del nostro signor Jesù Xrispo l’anno doppo la natività di esso Signor nostro 1573 la prima inditione et alli 28 del mese di genaro fatto questo in la Città di Turino et nella salletta della casa (1) qual tiene l’infrascritto magnifico signor Luigi Parpaglia alla presenza del magnifico et reverendo signor Cesare Bava cittadino di Fossano cavalier gierosolimitano, signor Orelio Bobba delli signori di Lu in Mon- (1) In altro atto la casa veniva indicata esser posta fra Santa Chiara e S. Andrea. DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 347 ferrato et di messer Petrino Nazerio cittadino di Turino testimonii a ciò demandati astanti et richiesti Ad ogniuno sii manifesto come ivi perso- nalmente (costituito) messer Gio Giacomo Nigri et messer Gio - Battista Benzo (1) compagni et mercadanti in Turino spontaneamente per loro et loro heredi hanno confessato et riconosciuto et per tenor del pre- sente publico instromento confessano et riconoscono hauer hauuto et riceuuto dal magnifico signor Luigi Parpaglia delli signori di Revi- gliasco et signor in solidum della Bastia del Monteregalle (2) ivi pre- (1) Che questo Benzo fosse di Chieri si potrebbe provare, come ho os- servato nel testo, dal susseguente atto stesso giorno in cui si accenna ad uno stromento risguardante il Benzo, ed al rogito di Joanino Viaricio nodaro di Chieri, ib. (2) Affinchè possa essere meglio intesa da buona parte dei leggitori questa locuzione, non è fuori di proposito d’intrattenerli con questa piut- tosto lunga annotazione, la quale ci fornirà un poco di storia di quel feudo, tanto più che imperfette ne sono le notizie date dal Casaris nel suo Dizio- nario storico ecc. La città di Mondovì sotto i Provenzali ottenne dominio e giurisdizione sulla Bastia coi soliti diritti inerenti di sudditanza. Nel 1347 Mondovì da- vasi spontaneamente ad Amedeo VI, il quale con giuramento dichiarava che, ned egli ned i suoi discendenti giammai n’avrebbero trasferto il do- minio ad altri, nè dimezzatolo; e che i cittadini avrebbero avuto a godere in perpetuo delle franchigie e delle libertà, esenzioni, ecc. ottenute ai tempi delle passate dominazioni, e dell'intera giurisdizione senza diminuzione. Ciò non basta: nel 1356 si conveniva tra Amedeo VII, il principe Ludovico d’Acaia e la città ch’essi non avrebbero alienato, ned in tutto ned in parte, sotto qualsivoglia pretesto, ned altrimenti trasferito in altri il dominio, tanto di essa città quanto delle sue ville, dimodochè Mondovì con questo dovesse integralmente rimanere sotto il dominio sabaudo. Nel 1418 il duca Ludovico dichiarava più esplicitamente e tassativamente, che l'esercizio di ogni giu- risdizione e quella dei campari della Bastia dovesse spettare a Mondovì. Questa poi nel 1419 non potendo tenere tutti quei castelli, rimettevali in quanto alla proprietà del possesso al duca, ma col patto che gli uomini di essi sarebbero sempre rimasti sudditi di Mondovì e sotto la giurisdizione de’ suoi magistrati. I patti sovrascritti venivano confermati nel 1472 dalla duchessa Jolanda a nome di suo figlio; nel 1488 dal duca Carlo I, nel 1490 dalla duchessa Bianca, ma mediante satis egregia pecuniarum summa. Ma nel 1449 il duca Ludovico aveva già conceduto la Bastia al gran cancelliere Jacopo della Torre che avevagli sborsati ben mille fiorini, ottenendo anco la facoltà di punire i delinquenti, e civilmente conoscere sino alla somma di cinque soldi. La liberalità ducale veniva approvata dal magistrato della Camera dei conti, ma non messa in esercizio. Venuta meno la linea di quel- l'investito, Emanuele Filiberto, nel 1562, sotto pretesto di benemerenze, ma 348 GAUDENZIO CLARETTA sente stipulante et accettante per lui et eredi suoi cioè la somma di scudi doi milia ragionati a fiorini nove per caduno scudo in oro et bone monete cioè scudi cinque cento in soldi ducali cinque cento in testoni regii et scudi cinquecento in scudi d’oro in oro tanti d'’ Italia del sole et altri scudi cinquecento in lire ducali renontiando con il non in ragione di parentado coi Della Torre, che non esisteva (*), infeu- dava Bastia a Gian Francesco Parpaglia, padre del Luigi al quale si rife- risce il nostro documento. L'atto veniva pure approvato dalla Camera, ma colla clausola reservatione iurium cuiuslibet tertii. E morto nel 1563 il Gian Francesco, suo figlio veniva investito, e riconosciuto da quel magistrato coll’or accennata clausola. Notisi ancora che Emanuele Filiberto nel 1565, mentre gravava Mondovì del tributo del tasso, confermavale gli antichi privilegî, e il 17 gennaio dello stesso anno dichiarava espressamente che colla concessione a pro dei Parpaglia non intendeva recar pregiudizio alla città. E così veniva di nuovo dichiarato negli anni 1575, 1580 e 1581. Ma la città di Mondovì trovandosi lesa, coll’esercizio che i Parpaglia facevano della giurisdizione di quel feudo, stimò di far valere giuridicamente i suoi diritti. E certo che si ebbe a scombiccherare molta carta; e fu d’uopo di ricorrere al consumato giudizio dei più valenti giureconsulti d'allora, Gio- vanni Menochio di Pavia, Aimone Cravetta di Savigliano, Francesco Odetti da Crescentino e Ludovico Morozzo monregalese. E il frutto dei lor responsi si legge ancora con qualche utilità nei poderosi loro volumi che occupano gli scaffali delle pubbliche librerie. La disputa del Menochio, che è la migliore, ed in cui s’inviscerò, per dir così, nei più intimi particolari, è al N. 264 della Parte III dei suoi Consiliorum, editi a Francoforte sul Meno nel 1625. L’Odetti senza reticenze sostenne che il principe non può distruggere quel che fu conceduto dai suoi antecessori. Avendo, egli nota, il principe dopo i patti e le deroghe inve- stito della Bastia il Parpaglia, si può supporre che fuerit circumventus et obreptus dolo partis. Vt enim princeps hodie concedit unum, et cras derogat seu revocat a se gesta, quid potest praesumere lex nisi quod sit circonventus? 1) presidente Morozzo nel.suo consulto (**), posteriore già a sentenza (*) Notinsi peraltro queste espressioni della patente: ©... Ricordandoci inoltre delli molti danni ruine et sacchi patiti per servizio nostro dal detto messer Gio. Francesco massime in queste ultime guerre dell’occupatione de’ nostri Stati, al quale tra le altre ruine fu demolito da’ nemici nostri d'allora il detto suo castello della Bastia da fondamenti , (Archivio di Stato, Sezione II, Patenti). (**) pubblicato nell'opera sua Responsorum D. Ludovici Morocii Monre- regalensis p. p. in Senatu Pedemontano. Taurini, fratr: De Cavalleriis, 1600. Il volume di mia spettanza appartenne pure alla famiglia Massimino sovra memorata, anzi all'avvocato Gio. Pietro che ci lasciò questo suo ricordo genealogico: “... dell'avv. Gio. Pietro Massimino da Centallo fu avv. Do- menico, fu molto illustre sig. capitano delle truppe d'ordinanza et reggimento d’Aosta Gio. Pietro ,. DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 849 giuramento infrascritto ad ogni eccetione qual potessero addurre con dir et allegare di non hauerli hauuti et ricevuti et de hauer speranza d’hauerli et ricevergli per l’avenire et questo a causa et effetto d’ in- plicargli come hanno promesso et convenuto cioè in tante mercantie et traffighi di guadagno in vna bothega con li patti et conventioni in- frascritti Et primo che siano tenuti essi nobili messer Gio Giacomo Nigri et Gio Batta Benzo confitenti di compagnia di essi scudi duoi millia hauuti dal detto sig Luigio metterli come dicono che già gli hanno messi delli luoro proprii altri scudi duoi millia simili cioè scudi mille per caduno di essi, cioè detto messer Gio Batt Benzo in dinari contanti et detto messer Gio Giacomo Nigri in mercantie crediti et dinari et far loro medemi tal traffigo et mercantia per sei anni prossimi comenzati de gia alle feste di pascha della santa resurretione ; giorno essi anni sei prima ..... legal conto d’esso traffigho di mer- cantia ..... inventario d’ogni cosa che sea et spettarà ..... compagnia tanto principale che guadagno ..... alle feste di pascha et darne il doppio d'’esso ..... al detto sig Ludovico dil qual guadagno ..... la spesa della bothega et cibarie de’ luoro du... Nigri et Benzo ne spet- tara et haveranno essi messer Nigri et messer Benzo come cosi hanno promesso, da darni al detto signor Luiggio cioè duranti li tre primi anni il terzo restando gli altri duoi terzi ad essi nobili Nigris et Benzo et passati li tre prossimi anni saranno tenuti essi duoi come così anco hanno promesso dargliene a detto signor Luigio a ragione di cinque duoi et così parimente passati li sei anni se seguitara tal compagnia et sì ritienghi ancora il principale anco di cinque duoi con questa perho conditione che volendo esso signor Luigio toglier d’anno in anno la emanata a favore dei Parpaglia, si limitava a contestare la giurisdizione esercitata dai signori della Bastia. Non ammetteva pure il titolo comitale su quel feudo, notando che il vocabolo conte supponeva l’esistenza e l’eser- cizio di un diritto, come ad esempio quel di prelato indicava esservi una carica in colui che n’era insignito. Quindi conchiudeva denominarsi abusi- vamente conti coloro che non percepivano i frutti del contado. Come Mon- dovita, il Morozzo sapeva di combattere pro aris et focis, epperciò ancor egli conchiudeva che adhuc restituenda esset civitas Montisregalis tamquam laesa. ... ac proinde infeudationem Parpaleorum funditus delendam esse. Ma i voti, tanto del Morozzo quanto dei suoi colleghi, non doveano essere esauditi: e i duchi di Savoia vi rispondevano colle susseguenti investi- ture; fra le quali quella del 1622 di Carlo Emanuele I al conte Bernardino cavaliere dell'Annunziata, dichiarava che, informato delle opposizioni di Mondovì, egli d'autorità assoluta, vuoi propria che imperiale, concedeva liberamente quel feudo al medesimo, con facoltà di alienarlo, erigere pri- mogenitura, ecc. E così fu sino all'estinzione di quella famiglia. 350 GAUDENZIO CLARETTA suoa parte del guadagno passati li tre primi anni siano tenuti essi messer Nigris et Benzo di darglielo et possino anco luoro togliere luoro parte d’esso guadagno et non togliendosi ma restando esso guadagno nella bothegha venghi et resti a profitto comune tanto d’esso sig Luigio che d’essi nobili Bensio et Nigris alla rata suddetta cioè che ne spetti ad esso sig. Luigio de’ cinque duoi et ad essi benzo et Nigris de’ cinque tre, il qual guadagno s’intendera come sovra dedutta la spesa dalla bo- thega cioè per conto del fitto et reparatione che gli sarà necessaria et delle spese cibarie di essi luoro duoi Nigris et Benzo, quali spese cibarie hanno accordato a scudi sessanta per ogni anno ..... e per caduno di essi. più hanno convenuto ..... Luigio non vorra che seguiti la ..... . pagnia più di detti sei anni ma retirar il suo principale et guadagno sara tenuto darni avviso ad essi nobili Nigris et Benzo darli solo scudi mille d’esso principale con sua parte dil guadagno al fine del sesto anno cioè dil guadagno quale non hauera ancora tuotto et si dedura che esso signor Luigio non hauera guadagno presso sesto anno per rispetto di detti mille seudi che vorra li siino dati al fine d’esso sesto anno et li altri scudi mille saranno tenuti essi Nigris et Benzo pagarli al detto sig Luigio cioè uno anno apresso passati detti sei anni con l’utile d’essi mille scudi et ciò in dinari contanti in oro e grossa moneta et non in crediti ne robe per essersi così convenuto che restano li erediti et robe de’ quali conditione si siano a conto et parte d’essi Benzo et Nigris. Più hanno convenuto et accordato che durante il tempo della suddetta compagnia non possino essi Nigris et Benzo far alcuna altra mercantia o traffigho salvo li suddetti et altri, in quali esso signor Luigio sia partecipe come sopra et al modo suddetto. Più hanno convenuto che se occorresse qualche caso fortuito che fosse per colpa d’essi Nigris et Benzo che ‘non’ facessero: ti Lila lo detti Re luoro::solamente.ma bene". Li. (irrita ona 6 che non sia per colpa d’essi Nigris et ..... diligentia ma pur solo per voler ..... ogniuno di loro tanto signor Luigio che esso signor Benzo ne patisca et resti al bene et male ....... ratta suddetta. Più hanno convenuto tra essi messer Gio Giacomo Nigris et messer Gio Batt Benzo debbano sì l’uno come l’altro attendere al trafico et mercantia sudetti comunemente. più hanno convenuto che al fine della compagnia pagato che haveranno detto sig Luigio tanto del principale che vtile a lui spettante esso messer Gio Batt Benzo prima pigli trouandosi dinari in bothegha et il restante insino al compimento delli mille scudi per lui posti come sopra in denari contanti in tante bone mercantie a soa elet- tione et esso messer Gio Giacomo togli poi l’altro terzo delli detti da- nari che sì trovaranno, et il restante sino al compimento delli suddetti mille scudi come sopra per lui posti in tante mercantie o sia debitori DI UN'ACCOMANDITA DI UN PATRIZIO TORINESE DEL SEC. XVI 351 a soa elettione Et tutto il resto che vi sara si partirà et ne spetti a caduno di essi la mità et più hanno convenuto et promesso caduno di essi Nigris et Benzo che venendo a morte l’uno di essi l’altro debba seguitar il trafficho et mercantia sino al termine sudetto a guadagno come sopra tanto delli eredi di quello sarà venuto a morte e del detto e n... LL li vivera in modo sudetto perchè ....... in tutto per essi contraente e stato ... dato et convenuto per patto espresso et per solenne stipula- tione firmato Il che tutto quanto sovra essi contrahenti hanno detto et dicono esser vero et più hanno promesso et promettono caduno nel caso suo di havere et tenere sempre rato grato valido et fermo atten- dere et inviolabilmente osservare ogni cosa sopra scritta et nel presente pubblico istromento contenuta et di non contrauenirli in modo alcuno in tutto o in parte per se o altri di ragione o di fatto ancor che di ragione potessero o alcuno di loro contrahenti potesse sotto l’obligo et special yppotheca di tutti loro beni et di caduno di essi ragioni et ac- tioni quali hanno al presente et poteano havere per l’avvenire reffection di ogni danno spese et interesse tanto in lite come altrimenti, quali beni ragioni et actioni respetivamente si suono constituiti et constitui- scono di tenerli e possederli per ragion di pegno et special hyppotheca l’vno a nome de l’altro respectivamente per l’osservanza di quanto sovra nel presente publico instromento è contenuto renontiando ad ogni ecce- tione quale potessero addur con dir et allegar tutto il contenuto sopra nel presente publico instromento non esser detto o fatto così come sopra e scritto o altrimenti o che vi sia intervenuto dolo malo forza pagura causa actione nel patto o conditione di cosa indebita senza causa o per ingiusta causa et finalmente ad ogni beneficio et legge . . . . . potessero alcuno di essi ...., contrauenir a quanto sopra per ..... nel presente publico instromento et ciò con luoro ..... per caduno di loro corporalmente le scritture ..... mani di me nodaro sottoscritto richiesto a ric..... tutti tre publici istromenti cioè per caduno ..... contrahenti vno d’uno perho medemo tenore ... spedirli in publica forma al dittame Buco di...... perito se fia bisogno. ——— L’Accademico Segretario CesARE NANI. Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. i - d] [I 1 Ofuto da. Ces4ato 2644 NONE, DAT LOI % int > DE 418 068 DE Eee RIA e Ta pe sl vit Lf iaia È PC CELASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 30 Gennaio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-presidente dell’ Acca- . demia, D’Ovipro, Direttore della Classe, BerRUTI, Bizzozrro, Mosso, Spezia, CAmERANO, SEGRE, PrANO, VOLTERRA, JADANZA, Il Socio PrANo presenta una memoria stampata del pro- | fessore Amopro, intitolata: Curve k-gonali di stima specie. Il Socio CAMERANO, per incarico avuto dal dott. Federico Sacco, fa omaggio all'Accademia di parecchie memorie su ar- gomenti di Geologia. Il Segretario presenta una memoria inviata in omaggio | all'Accademia dal Socio corrispondente Luigi BrAxcHI, intitolata : Sugli spazi a tre dimensioni che ammettono un gruppo continuo di movimenti. Il Segretario legge una lettera del dott. Giuseppe PrrrÉ, nella quale questi ringrazia l'Accademia per il premio Bressa conferitogli. Te Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 26 354 Il Socio PrAno presenta per l'inserzione negli Atti una nota del Prof. Rodolfo BertAZzZI, intitolata: Sulle serie a termini positivi, le cui parti rappresentano un continuo. In seduta privata la Classe procede alla votazione per l'elezione del suo Segretario, e riesce eletto, per un nuovo triennio, il Socio NAccarI, salvo l'approvazione Sovrana. In seguito ad altra votazione viene riconfermato per un altro triennio a delegato della Classe al Consiglio di Ammini- strazione il Socio BERRUTI. Î, PR RR I TORTO È: CO NI RT nà "a —- ‘* RODOLFO BETTAZZI — SULLE SERIE A TERMINI POSITIVI, ECC. 355 LETTURE Sulle serie a termini posttivi le cui parti rappresentano un continuo ; Nota di RODOLFO BETTAZZI ('). Esistono successioni di termini, tali che prendendo tutte le possibili somme o serie formate con termini di esse, si otten- gono tutti i valori di un continuo (eccetto un estremo). Così, p. es. la serie dà tutti i numeri di 01 (2). Nella presente Nota si cerca quali sono tutte le serie di numeri positivi che godono una consimile proprietà. 1. — Sia « la serie data a termini positivi. Il gruppo da considerarsi è quello composto dei termini di «, delle loro somme due a due, tre a tre, n ad n, qualunque sia l’intero n, e delle somme di tutte le possibili serie formate con termini di w. (!) Questa Nota risponde alla questione N. 1136 posta dal sig. Rosace nel N. 9, t. IV (Settembre 1897) del periodico L’Intermédiaire des mathéma- ticiens, e così concepita: “ Quelles sont les conditions strictement néces- “ saires que doit remplir une série ud ug t-us+..... pour que les nombres ‘ représentés par toutes les sommes ou séries partielles ug + uBt Un, PVA “ détachées de la série considérée, constituent un ensemble continu? , (*) Cfr. più avanti, al $ 4. . . . tri . . . . Far Si indica con af il continuo lineare avente per estremi a,f: con af, ni — .c«B, aB lo stesso continuo a cui siano tolti risp. uno o due estremi (For- mulaire de Mathématiques, publié par la “ Rivista di Matematica ,. Turin, 1895, tome I, $ 4, P41-44). 356 RODOLFO BETTAZZI Diremo che le varie parti di u rappresentano i numeri, o l'infinito (00), che sono la loro somma. Per questo gruppo vale il TroreMA. — Se il gruppo ora definito per una serie u deve essere un continuo, lo zero dev'essere il limite inferiore degli ele- menti di u. Infatti, altrimenti esisterebbe un numero positivo a del quale ogni v, sarebbe maggiore, e quindi ogni serie formata con elementi v, sarebbe divergente, e da x non potremmo rica- vare se non somme di gruppi finiti di termini capaci di rappre- sentare numeri. Ma i numeri così ottenuti costituiscono (com’è noto (')) un gruppo di prima potenza, e quindi non possono co- stituire un continuo, il quale, come si sa, è di potenza superiore alla prima (?). Osservazione. — Nella serie «u la somma della serie sarà. il massimo del gruppo in questione, mentre lo zero ne è solo limite inferiore e non un minimo. Il gruppo in questione non può dunque esser continuo, se ad esso non aggiungiamo il nu- mero zero. Converremo di aggiungervi anche lo zero, numero che può ritenersi rappresentato dal non considerare nessun ter- mine della serie, o dal considerarli tutti ridotti a zero. Il gruppo così modificato si indicherà con Sw. Evidentemente se Su è continuo esso non può essere che dei tipi 0a, 000, risp. quando la serie è convergente o divergente, essendo a la somma della serie. E chiaro che Sw è indipendente dall'ordine dei termini della serie. (4) Tal teorema, che in simboli di logica può esprimersi così: Num Zy= Num N, è corollario di quello di Cantor che i numeri algebrici costituiscono un gruppo numerabile (V! Ein Beitrag cur Mannigfaltigkeits- lehre, “ Journ. fiir Math. ,, Bd. 84 — Formulaire, t. 1, VI, $ 1, P9). — Cfr. anche: Berrazzi, Sui sistemi di numerazione per i numeri reali, $ 3, © Perio- dico di Matematica ,, t. V. — In., Fondamenti per una teoria generale dei gruppi, $ 95, ivi, T. XI. (2) Cantor, Ueber cine Eigenschaft des Inbegriffs aller reellen algeb. Zahlen, “ Journ. fiir Math. ,, Bd. 22 — Formulaire, T. 1, VI, $ 1, P12. ai ite i e ii nt SULLE SERIE A TERMINI POSITIVI, ECC. 357 In simboli di logica le proposizioni finora enunciate si pos- sono scrivere così: ueQÉEN.).Su = re|uoe )ve(10 uvl)fN.e- 3 vu} |. (Def) 1 ueQfN . ve(NfN)rcp:0.Su, = Su. ueQfN.SueCont:9.l(ux)=0. == ueQfN .SueCont:9.Su=0 Su. 1 2. — Se una serie v rappresenta un continuo finito 0a, sì aggiunga ad essa un elemento 5, cioè si consideri la nuova serie vi cui elementi sian v, =, e, in generale, v, = n_1(n>1). Essa rappresenterà tutti i numeri già rappresentati da «, oltre a quelli che si hanno sommando con essi il numero 5, ossia i continui 0a, b, abb. In simboli potremo scrivere: ueQfN.9.Su= Su) è [1 + S(vand)]. Se sarà 8 = a, i due continui si fonderanno in un solo p_———— 0 (a+ d). Se alla nuova serie si aggiunge un altro elemento c, avremo rappresentati i continui 0a ; e (a +e), 6 (a- +8), (5 sa c) (a + db - i c), che possono talora fondersi in uno solo 0(a+. bc). 8. — Possiamo rilevare i casi più importanti che si hanno aggiungendo una serie v ad una serie u, cioè formando una serie w i cui termini siano tutti e soli quelli di « e di v, dis- posti prendendo alternativamente ed in ordine gruppi finiti di termini consecutivi di « e di termini consecutivi di v. Diremo S(, v) il gruppo dei numeri rappresentati da questa serie w, il quale è indipendente ($ 1) dal modo di aggruppamento dei termini di w e di ». 358 RODOLFO BETTAZZI cea In simboli di logica avremo: u,veQfN.9.S(u, 0) =ize[weQfN.a, de(NfN)Sim.ay o by=A- ay 0 by= Ni nEN Da Way = Un Wo =VUn -". Fosa « È = SIINO E evidente che se aggiungiamo due serie rappresentanti . . . . ER lea) . . . . continui finiti 0a, 05, la serie risultante rappresenta il continuo na ea è == È 5 0(a+5): e rappresenterà il continuo 0 © ogni serie ottenuta ag- giungendo gruppi finiti di elementi o serie qualunque ad una . . . . Fa serie che già rappresenti il continuo infinito 0 co. u, veQfN.a, beQ.Su= 0 a.Sv= 0 d:98(4,0) = 0 (A+ d). u,veQfN.Su=Q v100:fe(NÉN)Sim.neN.n.v pn =n".ApSdo=@ 100. HH Se ad « che rappresenta 0a si aggiunge una serie di cui‘ . . . . . . . = infiniti termini siano uguali ad un numero a’ di 04, la nuova serie, per quello che si è detto, rappresenterà anche i continui a (a alia - ed 0a', a' (a'+a')=2a', 2a' 3a' ecc., e quindi il continuo 0 co. RBB pa. 3 , u, veQfN.aeQ.Su=0a.a'e 0a: fe(NfN)Sim.neN.dnta=d'.9- 9.4, 0) == Oa: Si aggiunga ad v una serie di numeri fra i quali ve ne . . . . . . fai . . siano infiniti tutti >a' (a' numero di 0a) ma aventi d' per li- mite inferiore. In tal caso sia è un numero qualunque >a’, compreso fra na' ed (n+1)a', e sia precisamente b=na' +-a', con a', =a' ed n=1. Fra i numeri >da' aggiunti se ne scelgano n compresi ' a fra a' ed a' nr , e siano, p. es. a dal, dita, pala ,d+ah. SULLE SERIE A TERMINI POSITIVI, ECC. 359 Aggiungendoli successivamente alla serie «, potremo fra gli altri, rappresentare i numeri dei continui: @+a) a +4) a+a)+@+a,) (0 +a)+(0 +4) cioè 1 een (a +a',ba%) (304 +a',+@3) e così (3a' + a', ++ 43) da 4a + a' +43) ecc. I i A E AAT , (na'+a', ++... + a.) (n+1a+a',+4+@2+...4+4) nell'ultimo dei quali è compreso d = na' + a',, essendo a’, + d'°at...+a, low=a 1.9 .S(u,0) =Q vio. 4. Trorema. — Se la serie u rappresenta un continuo, la somma dei termini di essa che sono minori di un numero qua- lunque b del continuo rappresentato dev'essere = b. In generale, indichiamo col simbolo n°(u, &) Y'nS'im° di quelli fra i termini di «, presi nell’ ordine della serie, che appar- tengono anche ad una certa classe £ di enti v e diamo un’ana- loga definizione dello stesso simbolo anche per il caso di una serie illimitata nei due sensi, quando fra i suoi termini considerati nell'ordine della serie ve ne sia uno che è il primo fra quelli della classe £, cioè uno tale che prima di esso non ve ne siano altri della classe %. In simboli, poniamo ueQfN.keK'u : ueQFN(N i —N).keK'‘u.apelpeN.uxok= A]: .n'(u,k)=ixe[m,neN.unek.n= Num(n-s00 k):Im.d= n]. (Def) 360 RODOLFO BETTAZZI L’enunciato del teorema ora detto sarà: ueQfN . SueCont.deSu. 09. S n° peso) = b, n=l Invero, se ciò non fosse, un numero c compreso fra 5 e la somma dei termini . 5. TroREMA. — Ogni serie a termini positivi in cui il li- mite inferiore dei termini è lo zero, se è tale che per ogni numero positivo b non maggiore della somma della serie, la somma dei termini di essa che sono d aggiungendo il seguente, come deve necessariamente accadere essendo la somma dei termini da «, in poi (termini s+r+ 1: talchè posto n=sS,+r1 Ni=ssati n=st+1 bo —=b — Su = db — 3Uu — 3 Un, n=Sq] n=s n=S] sarà do utdi>ut..... LIS ht ns n=Sq n=8p la cui somma è 8, giacchè la” somma dei suoi primi p termini differisce da è meno del primo termine seguente nella serie %, che ha per limite zero. Il numero d è così rappresentato ed il DS teorema è provato. 362 RODOLFO BETTAZZI II. La serie siae divergente. a) Si supponga dapprima che per ogni numero posi- tivo è la somma dei termini della serie data « che sono : se L non è termine di , vi sono infiniti termini di « compresi fra L ed L-+-% (4 positivo qualunque), e se «, è uno di essi, vi sono infiniti termini compresi fra «, ed L, e quindi la somma dei termini di « che sono b, come si voleva. 10. — È interessante studiare la costituzione delle serie w nelle condizioni accennate nel teorema del $ 9: esse si diranno per brevità serie minime. In simboli: ueQfN.9..ue Serie minima.=:liuy=0. .|peN OE uu —9Y)= u|. (Def) Se p, ; sono due termini disuguali di esse, e p. es. u>%, essendo uguali ad v, ed «, risp. le somme dei termini Upsr = Upio o... E Upts Po Up4sb; sarà, secondo le ipotesi, n= n= Puh, =%h, > Un, = Ups; =... = Uptij n=P+1 n=p+s+1 donde, sottraendo, ina aot. + Ups = U — Upi cioè Su = dg \P0S Una me ossia ciascun termine sarà sottomultiplo del più prossimo pre- cedente diverso da esso, con una sottomultiplicità data dal suc- cessivo del numero dei termini uguali ad esso. La serie %, dunque, quando sia convergente ed abbia quindi un numero finito di termini massimi, ordinata che sia prenderà l’aspetto _—= —_'— _=e-—"*-'PP-- a a a a (42 a va RA Ro e e E: CIMINO RETTO, Sira asi Si SS) SS CCA s3—l Sn—l —T nr mu —_ —_T n. __r ÙTRee _____ a a (dA a a a e è ’ e Se *7 OE) : o È L ‘ i SULLE SERIE A TERMINI POSITIVI, ECC. 369 dove, in generale s,= 2. Essa ha per somma a: giacchè, rag- gruppandone i termini, si cambia nell’altra: s—1l ss_-l ss—-1 S.— 1 ge Ea de aria Sq Ss Sa S4 S9 $3 SS... Sn cioè: 1 1 TI 1 Ji SPA © Aa Sq Sq $1$9 S1 52 S1 Sa 83 DS la cui somma è a. Reciprocamente ogni serie di tal forma rap- presenta sempre un continuo, giacchè essa ha per somma a, e la somma dei termini minori di un suo termine è uguale a questo termine. E ogni continuo finito 04 è rappresentabile da infinite serie distinte, tutte del tipo precedente. Se la serie è divergente ed ammette infiniti termini mas- simi, essa consta di una serie del tipo della precedente, oltre una infinita serie di termini uguali ad a: se invece è divergente e non ammette termine massimo, siccome la parte di essa com- posta dei termini minori di un suo termine qualunque avrà la forma precedente, i termini potranno disporsi in una serie illi- mitata nei due sensi, della forma fnya1 tTn—l —T!TÈTT——l———_——_ _T_T_m6 —T__==—_/— ups _ _ i nni OI TESI ar, r3—1 tal rx—l —_r —_ — rss —. natia At WI ATRIA si_l sal Sn—l — —— i —_s— —_ ——P_ a a a a a Ss di Si 4 S1S9 dre SS ? ni $1Sa... Sn aL S1S2... Sn ; dove gli r e gli s sono numeri interi >1, ed a è un numero positivo. Ed una serie doppiamente illimitata della forma pre- cedente, qualunque siano a, gli r e gli s, rappresenterà sempre PA il continuo 0 co. 11. — Nel caso delle serie minime si supponga che tutti i termini uguali debbano essere in ugual numero, cioè, p. es. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 27 370 RODOLFO BETTAZZI p—1(p>1): le serie che rappresentano 0a diverranno, con p intero qualunque >1. | p_l pl p_l uu. —P# ——_”P— a a a a a a Re OO) , queco ques. P DIP p p" È pil pl —1 e} or —. rr —. — am. a (#1 a a a a A,. Roe are p' pi ‘Di - pe’ "i gf 0 oppure p_l pl pl gni a — 2. — -.:PA,...,Ppda, Reg pa, pa, A,...0, Pai a p_l a a a a a (7 PRATT O pi’ > pp? Prep POCO con a numero positivo qualunque, e p numero intero qua- lunque > 1. Se in particolare non vi devono essere termini uguali, dovrà essere p=2, e le serie si avranno da progressioni semplicemente o doppiamente illimitate a a a a 9) 4 8 o l'eyatlefe rigan re 227 a a a rane ian adi = oppure dalla serie doppiamente illimitata a a a 9 4002 gigi ea Rsoi ; . Hi delle quali la prima rappresenta 0a, le ultime due il con- . = . tinuo 0 00, qualunque sia a. SULLE SERIE A TERMINI POSITIVI, ECC. 371 i: 12. TrorEMA. — Se una serie rappresenta un continuo, è numeri dì questo continuo rappresentati da un gruppo finito di termini della serie si possono rappresentare anche con serie di in- _ finiti fra i termini della serie stessa. In simboli: ueQfN.SueCont:09 ..neN.fe(NfZ,)Sim : nf cafe | fieNIN)SIm Suit Zu; | 1 1 Ed infatti sia @ un numero uguale alla somma di un gruppo finito G di termini di v: e sia «, uno (o quello) di essi che non sia maggiore di nessuno degli altri. I termini di wu che sono <%, non compariscono fra quelli di G, e costituiscono una serie w' rappresentante un continuo ($ 7, Cor1°), la cui somma dev'essere {$ 4) maggiore od uguale ad «,, talchè «, fa parte del continuo da essa rappresentato. Potremo quindi in G sostituire ad «, la parte di u' che lo rappresenta. Se questa è una serie, il teo- rema è provato: altrimenti si ripeterà il procedimento per «, e così via o indefinitamente, o fino a che si abbia una parte rap- presentativa che sia una serie. In ogni caso si ottiene la rappre- sentazione voluta. CoroLLARIO. — Se una serie rappresenta un continuo, lo rap- presenta anche prendendo in essa le sole serie infinite di termini. In simboli: ueQfN.SueCont.ceSu:0. fe [fe (VEN) Sim. bal Zur 13. TroreMma. — Fra le serie rappresentative di continui le serie minime sono tutte e sole quelle nelle quali ogni numero può esser rappresentato in un modo solo, fatta eccezione pei numeri uguali alla somma di un numero finito di termini che possono es- sere unche rappresentati in altro modo ($ 12), ma in un altro solo, con un numero infinito di termini, sostituendo ad uno dei termini che non sono maggiori degli altri, tutti i minori di esso nella serie data. 372 | RODOLFO BETTAZZI In simboli: ue(QfN)decy ueSerie minima : 9. f fe(NfN)cresc.opy. ue[Qf(N è N)]deco. "i DI? = Su. = n.9, Ma = Wa | : c ARGO 1 i HpPl.9. (n, 'eN .fe(NfZ,)cresc . fe (NfZw)cresc:9yy:: s Sup— sus = RM DE pol — try i (P2) l 1 HpP1.0. IneN fe (NfZ,)cresc. fe(NfN)crese . Orpira = 1 = Zur.=..pe(N (o ina N).9p-Ufp = Upp: SEN.AsUp EM | (P3) ThsP1 ThsP2 ThsP3.9. we Serie minima. (P4) I. Invero se « è una serie minima, siano 5 e c due nu- meri del continuo che essa rappresenta, corrispondenti risp. ai gruppi, finiti od infiniti, di termini di v, che supporremo ordi- nati in modo non crescente (il che è possibile, essendo finita la. loro somma), WoW CRT Uci Ma Uni 1 N tali che non per ogni n sia uz, =. Se soltanto fino ad un certo valore p di n sia un, =Uc,, SArà 5,1 Ucpy1: SIA Pp. es. Ups1 > Ueps1» Allora essendo la somma di tutti i termini di w che sono < Wa,,, tutti i termini di ce da «:,,, in poi, parte propria o no di detti uguale, per ipotesi, ad w,,,,, la somma di Li den dl termini, Sarà =U,,1; da c,;, iN poi siano tutti i termini di « minori di w,,,. Se ed uguale soltanto se i termini di c quindi o il gruppo che rappresenta d contiene altri termini dopo %,,, 0 quello che rappresenta ec non contiene tutti i ter- mini di v minori di ws, p31) Sarà db > c. dé: Soi pini An den tnt SULLE SERIE A TERMINI POSITIVI, ECC. 373 L'unico caso in cui sia d= e è quello in cui in è dopo %3,.. non vi siano altri termini, e in c a cominciare da %:,,, Vi siano tutti i termini di « che sono < ww PF1I° In ogni altro caso dunque due numeri è e c, rappresentati da termini non tutti identici sono disuguali: cioè ogni nu- mero può essere rappresentato scomposto in un modo solo, eccetto quelli (che formano soltanto un gruppo numerabile) equi- valenti alla somma di un numero finito di termini, pei quali vi sono due modi diversi. II. Nelle serie capaci di rappresentare un continuo, ma che non sono serie minime, la precedente proprietà più non sussiste. Se, p. es., u, è un termine di tale che la somma dei ter- mini minori di esso è >, e precisamente è u,{-0 (6>0) 0 è 00, siccome i termini di w che sono <, costituiscono essi stessi una serie v' che rappresenta un continuo ($ 7, Cor1°) il quale —— bu è risp. 0 «+0 o 0 co, da v' si potranno estrarre termini (non certamente tutti) la cui somma sia v,: e quindi il numero « è rappresentato e dal termine «, di «, e da una somma o serie estratta dai termini mm. 4= 1600 gr. mm. Dopo due ore circa compare la modificazione che risulta dal trac- ciato fig. 12, consistente in una leggerissima irregolarità di livello della base delle contrazioni, con tendenza a rimanere al disopra dell’ascissa, mentre l’altezza delle contrazioni singole e quindi la quantità di lavoro da esse eseguita conserva il valore normale. b) Lavoro massimo iniziale: gr. 950 X mm. 11 = kgm. 0,0104. La curva fatta in tali condizioni si prolunga senz’altro nella fase di lavoro costante, che presenta però un valore sottomassimale: gr. 950 X mm. 0,5 = 475 gr. mm. Il valore massimale della porzione costante è rappresentato in prin- cipio da gr. 350 X mm. 5 = 1750 gr. mm., e poi cresce gradatamente nello spazio di un’ora circa sino a gr. 500 X mm. 4,5 = 2250 gr. mm., e si mantiene ancora tale dopo una serie di contrazioni al ritmo di 1" che dura circa 3 ore e mezza. (Eccitamento sempre massimale). Due ore più tardi, il muscolo, che non ha mai tralasciato di la- vorare, collo stesso peso e lo stesso eccitamento eseguisce contrazioni molto limitate; reagisce però ad ogni eccitamento. La determinazione delle condizioni di eccitamento e di peso con cui si potrebbe otte- nere il massimo di lavoro dalle singole contrazioni è molto difficile; difatti ottengo cogli eccitamenti corrispondenti alle distanze: cm. 5, 6, 7,8, 9, 10, 11 dei due rocchetti, che provo a più riprese (la distanza 12 non dà più contrazioni), dei prodotti di lavoro quasi uguali: gr. 400 X mm. 2 = 800 gr. mm.; gr. 500 X mm. 2 == 1000 gr. mm.; gr. 300 X mm. 3 = 900 gr. mm. Si direbbe anzi che gli ecci- tamenti minori siano più favorevoli allo sviluppo di lavoro. Del resto, i valori surriferiti non rappresentano che medie assai relative, essendo grandissime le oscillazioni dell’altezza delle contrazioni a parità di peso e di eccitamento, come il tracciato fig. 13 ci dimostra. Da questi fatti sì sarebbe indotti a credere che l’eccitabilità sia aumentata e che la quantità di lavoro eseguita dalle singole contrazioni non possa ormai più raggiungere il valore che era costante due ore prima. Ma protraendo 412 ZACCARIA TREVES a lungo queste prove con diversi pesi e diversi eccitamenti, mi succede di osservare che il muscolo è capace ancora in certi periodi di breve durata di eseguire coll’eccitamento massimale e col peso uguale a quello di allora un lavoro uguale o press’a poco: gr. 500 X mm. 4,5 = 2250 gr. mm., e scrivere così delle brevi serie di contrazioni che ricordano per l’altezza e la regolarità la lunga fase di lavoro costante prima de- scritta. Riducendo il ritmo delle contrazioni a 2" si eleva d’alquanto la cifra del lavoro corrispondente ad ognuna di esse, ma sempre con fortis- sime oscillazioni, dovute essenzialmente alle variazioni di livello del punto di partenza dei singoli sollevamenti; le irregolarità della linea che unisce gli apici sono notevolmente meno accentuate. Continuai in queste ricerche per oltre due ore ancora, e interruppi l’esperienza senza che le condi- zioni in cui trovai il muscolo al principio di questo periodo si fossero notevolmente modificate. — In questa fase così avanzata compaiono dunque più che altro fenomeni di contrattura molto intensi, che non scompaiono nè per aumento del peso nè abbassando l'intensità dell’ec- citamento sino alla soglia dell’eccitabilità; tutt’ al più si riducono un po’ di intensità. L’eccitamento massimale in questo stadio non è mag- giore dell’eccitamento che era massimale durante la fase regolare di la- voro costante. Un tetano protratto, in questo periodo, dà luogo ad una curva che differisce spiccatamente da quella che si ottiene durante la fase costante normale: se difatti il sollevamento iniziale è ancora talvolta abbastanza superiore al sollevamento delle contrazioni isolate, la linea che segna il livello a cui il peso viene sostenuto, col protrarsi del tetano, cade ra- pidamente a zero (fig. 14). Se in questo stadio si diminuisce la frequenza degli eccitamenti a cui il muscolo è sottoposto, aumenta l’altezza delle contrazioni e quindi il lavoro; ma non per elevamento degli apici delle contrazioni, bensì per riavvicinamento della loro base all’ascissa. La lunga durata di queste esperienze non mi permise ancora di seguire un muscolo fino al momento in cui non sarebbe stato più capace di fornire del lavoro meccanico esterno; ma già dal tracciato che pre- sentai è facile arguire che probabilmente questo momento sarebbe giunto, col protrarsi della esperienza, pel graduale aumento della rigi- dità muscolare, senza che si potesse stabilire una corrispondente varia- zione dell’intensità dell’eccitamento massimale e delle condizioni mecca- niche nelle quali il muscolo voleva essere collocato. * * * Prima di passare all’interpretazione delle esperienze, devo esporre in brevi cenni le considerazioni che mi indussero a farle ed i concetti che ne determinarono le modalità. Pe 0 Ta SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 413 Fin dal 1891 avevo iniziato alcune osservazioni sulla curva muscolare dei diabetici; si trattava di ottenere da una serie di questi ammalati delle curve ergografiche secondo i metodi indi- cati da Mosso (1) per vedere l'andamento della fatica, la mo- dificazione dell’elasticità dei muscoli per la fatica stessa; sta- bilire, se possibile, un rapporto tra l'altezza della curva e la quantità di zuccaro eliminata, ed, eventualmente, tra questa e la quantità di lavoro muscolare di cui il diabetico era capace. In massima vidi allora che la curva della fatica non presentava nei diabetici altra differenza da quella dei sani se non una mi- nore altezza iniziale, che oscillava poi, all'ingrosso, nelle diverse fasi della malattia, in senso inverso alle oscillazioni della quan- tità di zuccaro eliminato per le orine. Sopratutto mi colpì la grande distendibilità dei muscoli per un breve lavoro; talora, difatti, succedeva che, nè la mano o l'anello legato al dito si erano spostati, nè la funicella s'era distesa; eppure questa, dopo una breve serie di contrazioni, si mostrava rallentata; sicchè la tensione, sotto cui si metteva il muscolo al principio dell'esperienza, poco tempo dopo diventava insufficiente; e gran parte della contrazione si eseguiva a vuoto, con rapido abbas- samento dell’ergogramma. Se, allontanando la vite di sostegno dell’ergografo, ristabilivo una tensione opportuna, l'ergogramma ricominciava ed allora mi succedeva di vederlo continuare senza fine, costituito da una serie di sollevamenti poco regolari, ma che non accennavano a diminuire, fosse il ritmo di 1" o 2". Le curve erano volontarie. Un ergogramma simile avrebbe significato che il muscolo di un diabetico può in un primo tempo eseguire un lavoro in generale minore che non quello di un sano; ma poi per una lunga serie di spazii di tempo successivi è capace di fornirne dell’altro, in quantità minore, ma pur sempre considerevole e costante; sicchè i diabetici avrebbero presentato una potenzialità di lavoro assai maggiore che l'individuo sano; il che ognuno vede quanto sarebbe paradossale. — Mi astenni, naturalmente, dal pubblicare i risultati, che presentai solo con tutte le riserve in un sunto per la tesi di laurea. Più tardi fu ripetuta da altri e pubblicata l'osservazione di questa straordi- (1) A. Mosso, Ueber die Gesetze der Ermiidung. Unters. am Muskel des Menschen, * Archives Du Bois-Reymond ,, 1890, Suppl. Band, pag. 89. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 30 be VISI TORSO 414 ZACCARIA TREVES naria lunghezza della curva della fatica nei diabetici (1), e in. date diverse si accennò a tal fatto negli epilettici (2), negli it- terici (3), negli affetti da malattie esaurienti, o convalescenti da morbi gravi, colla tendenza in genere a spiegare il fatto ammettendo che, in questi individui, gli impulsi motori cere- brali per la loro diminuita energia siano incapaci fin da prin- cipio di far eseguire al muscolo tutto lo sforzo che dovrebbe; per cui rimarrebbe sempre un residuo, che costituirebbe appunto la durata indefinita della curva. Ma intanto si dimenticava o non si dava la giusta importanza al fatto già accennato nella memoria di Mosso (4) che in taluni individui normali la curva non finisce mai; e non si faceva parola dell’osservazione, or ora da me esposta, che in certi casi la curva nei diabetici finisce anche più presto di quel che realmente non dovrebbe succedere per l'allungamento del muscolo. Ora, il Mosso, nel lavoro sopracitato, ci rende noto che l'elasticità del muscolo per la fatica si com- porta in modo molto diverso dall’uno all’altro individuo sano; nell’uno aumenta, nell'altro diminuisce; è verosimile che nel primo, lavorando in sopraccarico, appaia la curva che non finisce mai; nel secondo invece l’ergogramma cessi mentre forse potrebbe ancora continuare. Nel sano l’influenza del vario modo di comportarsi dell’elasticità probabilmente si farà sentir meno che nei malati sopramenzionati; ma è certo che nei diabetici in genere ho visto comparire il lungo strascico della curva solo dopo che una volta almeno, talora a più riprese, avevo spostato il carretto per restituire al muscolo una tensione op- portuna affinchè niuna parte della contrazione si eseguisse a vuoto; talora giunsi persino a far lavorare gli ammalati a ca-. rico completo. Dunque, e nei sani e negli infermi l’ergogrammo fatto in sopraccarico, se può servire a darci un’ idea dell’ andamento (1) Zenoni, Ricerche cliniche sull’affaticamento muscolare nei diabetici, © Policlinico , vol. 3, 1896. (2) Roncoroni e DiertrIc®, L’ergographie des aliénés, “ Archives ita- liennes de Biol. ,, 1895, XXII. (3) PanranETTI, Sur la fatigue musculaire dans certains états pathologiques, “ Archives italiennes de Biol. ,, 1895, XXII. (4) A. Mosso, Loc. cit., pag. 115. | À SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 415 della fatica, certo cessa di esser fedele se da esso attendiamo qualcosa di più preciso rispetto alla quantità di lavoro che il muscolo è capace di fornirci. Questo mio convincimento venne reso anche più saldo dalle osservazioni che ebbi opportunità di fare nei conigli, come preparazione alle esperienze attuali. Per maggior efficacia di dimostrazione presento senz'altro i fram- menti dei diversi tempi di un’esperienza. Il coniglio sollevava in sopraccarico un peso di gr. 400 col ritmo di 2". Ottengo un ergogramma di 215 contrazioni di cui riproduco il primo tratto e l’ultimo (fig. 15 e 16). A questo punto distendo il muscolo, ritirando la vite dell'ergografo sulla quale peraltro il carretto continuava ad appoggiare. Ottengo una curva di circa 1500 contrazioni, di cui riproduco 5 tratti ad in- tervalli equidistanti (fig. 17, 18, 19, 20). Le contrazioni accennano in complesso a diminuire d’altezza e, sul tardi, s'aggruppano a veri periodi di abbassamento e di ripresa di una regolarità che colpisce. Se una curva che accen- nava a spegnersi, può ancora segnare tanto lavoro solo per una modificazione del valore del sopraccarico, dobbiamo ben conchiudere che l’ergogramma in sopraccarico, come indicatore della quantità di lavoro, è fallace. La dimostrazione dello stesso fatto in senso inverso ce la può dare l’esperienza a cui corri- sponde la fig. 21, dove il muscolo che servì all’esperienza 6?, durante la fase del lavoro costante passa dallo stato di carico ‘completo a quello di sopraccarico gradatamente crescente. Nè solo rispetto alla quantità di lavoro la condizione di lavoro in sopraccarico ci può ingannare, bensì anche rispetto alla forma della curva della fatica, tanto da indurre in inter- pretazioni forse meno esatte. Infatti, i periodi che vediamo così bene delinearsi in questa curva di coniglio con l’eccitamento elettrico, non ci ricordano molto da vicino quei periodi che nell’ergogramma volontario dell'uomo P. W. Lombard (1) opinò dovessero attribuirsi ad oscillazioni dell'intensità dell’ eccita- mento ? Che col protrarsi del lavoro la forza della volontà non si conservi sempre allo stesso livello, è indubitato; ma meglio (1) P. W. Lomsarp, Effet de la fatigue sur la contraction musculmire volontaire, “ Archives italiennes de Biol. ,, XII, 1890. 416 ZACCARIA TREVES che le oscillazioni delle curve ce ne avverte la nostra coscienza stessa. La comparsa di tali oscillazioni periodiche in un coniglio che lavora in sopraccarico con eccitamento artificiale, non può significare altro che oscillazioni dei rapporti in cui si trova il muscolo dirimpetto alle condizioni meccaniche in cui lo facciamo lavorare. E, invero, il muscolo affaticandosi subisce modificazioni d’elasticità; quanto più questa diminuisce, restando costante il sopraccarico, tanto meno lavoro eseguisce il muscolo; in questo periodo il muscolo si riposerà relativamente, la sua elasticità sì riavvicinerà alla normale ed ecco allora comparire un nuovo periodo di maggior lavoro che tende ad abbassarsi gradatamente di nuovo. Se facciamo invece lavorare il muscolo in condizione di carico completo e quindi tensione costante, i periodi non com- paiono più nei conigli, nè nell'uomo. Mentre però da un lato scompaiono i periodi, dall’altro emerge che la fase costante è una parte essenziale dell’ergogramma che tien dietro direttamente alla curva decrescente iniziale. * * * Kronecker dalle sue esperienze (1) sui muscoli di rana, te- nuti in vita colla circolazione artificiale, deduce tra le altre la legge seguente sul lavoro muscolare: “ la linea di congiunzione dei punti superiori delle contrazioni che un muscolo ritmica- mente eseguisce, caricato (a tutto carico) con un peso costante, è una retta fino a che il valore dell'altezza della contrazione è diventato più piccolo del tanto di distensione che il muscolo a riposo subisce per lo stesso peso. Da questo punto la linea de- corre come un’iperbole di cui un’asintote è il tratto di disten- dimento del muscolo a riposo , (2). Vediamo se qualchecosa di corrispondente si verifica nelle nostre curve del lavoro muscolare. Per ora lascio a parte la sezione iniziale decrescente, che corrisponde probabilmente a quella cui Kronecker attribuiva (1) H. Kronecger, Ueber die Ermiidung und Erholung in quergestreiften Muskeln, “È Berichte der K. Sichs. Ak. d. Wiss. ,, Math. phys, Classe, 1871. (2) Loc. cit., pag. 751. SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 417 l'andamento di una linea retta. Kronecker metteva a base della divisione ch’ egli faceva della curva del lavoro muscolare in 2 periodi il momento dell’elasticità muscolare, la quale era pur — quella che, secondo lui, imprimeva la forma iperbolica al secondo di essi. A questo riguardo mi limito a ricordare che lo studio : dell’influenza delle condizioni meccaniche sull’ esplicazione di lavoro meccanico esterno portava dieci anni dipoi alla conclu- sione che: “ non si è autorizzati a scindere in una qualsiasi contrazione la parte che spetta alle forze elastiche e quella che spetta alle forze proprie di contrazione, e determinare la prima alla stregua del muscolo a riposo (1) ,. Ciò premesso, si possono tuttavia trovare diversi punti di contatto tra la fase iperbolica di Kronecker e la fase di lavoro costante de’ miei tracciati. I. Kronecker trova che ad un certo punto delle espe- rienze (2) nelle quali il muscolo lavora a tutto carico, la disten- sione del muscolo col crescere dei pesi aumenta, ma l'altezza delle contrazioni varia solo di poco. — Ora comprendiamo che non poteva essere altrimenti, dal momento che il prodotto del- l'altezza di esse contrazioni per i pesi che crescevano nella proporzione di 20 gr., 30 gr., 40 gr., 50 gr. (fig. 28, pag. 770) doveva rappresentare una quantità di lavoro minima, ma su per giù costante. Non altrimenti, sebbene in modo più chiaro, succedeva nelle prove che io facevo per determinare il peso massimale durante la fase di lavoro costante. II. Kronecker trova che un muscolo di rana stancato, con una serie di contrazioni, anche se a vuoto, solleva pesi qualsivoglia ad uguali altezze minimali: p. es. gr. 40, 20, 5, all’altezza di mm. 0,25 (pag. 772). Ebbene, nelle nostre espe- rienze, cercando il valore massimo di lavoro della fase costante, troviamo pure che il muscolo può sollevare pesi diversi ad al- tezze quasi uguali, specie con pesi inferiori al massimale; mi è successo p. es. di vedere che il muscolo sollevava alla stessa altezza gr. 200 o gr. 100. Si direbbe che nella fase di lavoro costante la contrazione non possa oltrepassare una certa esten- sione, minore di quella di cui è capace il muscolo fresco. (1) V. Kries, Untersuchungen ueber Mechanik des quergestreiften Muskels, “ Arch. Du Bois-Reymond ,, 1880, pag. 373. (2) KrowneckER, Loc. cit., pag. 770. 418 ZACCARIA TREVES III. Ancora una concordanza. Kronecker (1) dice che un muscolo, presso che esaurito, che lavori a tutto carico, non presenta quasi più variazioni d'altezza nella contrazione col va- riare del ritmo. Il valore della fase costante, nelle mie espe- rienze, differenziava ben poco, fosse il ritmo di 1” o 2". IV. Nel lavoro di Kronecker (2) si legge: “ Von wel- cher Richtung auch immer die Ermiidungslinie des belasteten “ Muskels einlaufen, ob sie divergirende Curven verschiedener Zeitintervallen gewesen sein mégen, ob parallele Linien ver- schiedener (urspriingliche) Ueberlastungsgewichte oder Bela- stungsgewichte, ob sie von hoher oder niederer Anfangsh6he, steil oder fiach absteigen, alle vereinigen sich an der Asym- ptote der Ermiidungshyperbel, wobei natiirlich vorausgesetzt wird, dass als Asymptote stets die Dehnungslinie des ruhenden Muskels fiir das gehobene Gewicht gilt ,. Se facciamo astra- zione dal concetto che implicano queste ultime parole, le espres- sioni usate da Kronecker per indicare che in qualunque condi- zione di lavoro il muscolo venga collocato, ad una prima fase di contrazioni decrescenti in vario modo, succede sempre un secondo periodo che si distingue dal primo per la sua regola- rità caratteristica, servono a pennello per me ad indicare che dopo una fase iniziale, in cui si rispecchia il modo con cui il muscolo consuma le forze in lui accumulate (in qualunque con- dizione meccanica di lavoro o di precedente fatica il muscolo sì trovi), compare sempre una seconda parte nella curva del lavoro, che è caratteristica per la costanza della quantità di lavoro che ad ogni contrazione rappresenta. n n PS n by » “« Ma la linea che Kronecker aveva considerata come un'iper- bole e ritenuta funzione dell’ elasticità muscolare, nelle mie esperienze appare come una linea orizzontale. La quantità mas- sima di lavoro che in questa fase veniva eseguita ad ogni con- trazione, nelle mie esperienze era facilmente apprezzabile; dato l’infimo valore di essa, si comprende invece che nelle esperienze di Kronecker ne sarebbe stato impossibile ogni apprezzamento, quand’anche questo autore avesse avuto presente un tal concetto. Egli, considerando qual funzione dell’elasticità muscolare (1) KronecxeR, Loc. cit., pag. 730. (2) KroxneckeRr, Loc. cit., pag. 769. SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 419 la differenza costante dell’ iperbole, arriva teoricamente ad in- dicare quale sarebbe l'altezza dell’ultima contrazione, e crede di osservare la parte della contrazione che spetta alla pura ela- sticità muscolare quando nota sollevamenti uguali minimali per qualsiasi peso, e quando osserva che l'elasticità è già divenuta assai incompleta (1); io noto invece sollevamenti pressochè uguali anche per pesi considerevoli e per contrazioni che sono massimali in un periodo che precede di ore la comparsa delle alterazioni dell’elasticità muscolare; gli è perchè realmente quel che sta alla base del fenomeno è la costanza della quantità di lavoro di cui il muscolo in questo periodo è capace ad ogni contrazione, quantità di lavoro che si ottiene solo con un de- terminato peso e di cui l'altezza della contrazione non è che un fattore. Si potrebbe dubitare che le condizioni mie di esperienza non possano confrontarsi con quelle delle esperienze di Krone- cker, che lavorava su muscoli di rana staccati dal corpo e ali- mentati solo dalla circolazione artificiale. Le molteplici concordanze di fatto sopra rilevate dovreb- bero già di per sè rispondere, almeno in parte, all’ obbiezione. Del resto, anche su muscoli di mammiferi percorsi da una cor- rente sanguigna artificiale si osservarono fenomeni che probabil- mente avevano lo stesso significato di quelli che io ho osservati. Ecco, difatti, in quali termini C. Ludwig ed A. Schmidt (2) riferiscono le loro osservazioni sul modo in cui lavoravano mu- scoli di cani, attraverso cui facevano la circolazione artificiale : “ Il peso durante l’eccitamento (erano eccitamenti tetanici di lunga durata) s'abbassa dall’altezza raggiunta al principio di esso. Se il muscolo in cui si continua la circolazione arti- ficiale resta un po’ a riposo, si ripiglia e diventa capace di alzare di nuovo il peso ad un'altezza maggiore di quella a cui lo sosteneva al fine dell’eccitamento precedente; quest’altezza però è minore dell’altezza iniziale ottenuta coll’eccitamento ante- ‘riore stesso. (1) KroweckeR, Loc. cit., pag. 770. (2) Das Verhalten der Gase welche mit dem Blut durch den reizbaren Stiugethiermuskeln stròmen, * Berichte K. Siichs. Ak. d. Wiss. ,, Math. phys. Classe, 1868, pag. 34. 420 ZACCARIA TREVES “ La differenza fra le altezze massimali di due tetani suc- cessivi è maggiore all’inizio dell’esperienza che più tardi, sicchè alfine succede un periodo în cui le contrazioni tetaniche succedentisi a intervalli sono affatto uguali. Questo fatto si stabilisce tanto più prontamente quanto più spesso il muscolo fu fatto lavorare. Il risultato si potrebbe così riassumere: la corrente san- guigna può riparare alle perdite che il muscolo subisce lavo- rando; ma ciò in misura limitata, sicchè è sangue può special- mente riparare alle piccole perdite di un muscolo stanco, e meno alle grosse perdite di un muscolo fresco. “ La forza del muscolo completamente esaurito si riaccumula per l’azione del sangue in modo graduale sino ad un massimo che non si può oltrepassare ,. La fase costante adunque che si osserva nelle nostre curve del lavoro muscolare rappresenta una specie di livello di poten- zialità meccanica, sotto al quale il muscolo non può discendere sinchè le sue proprietà biologiche non sono alterate. E la prova che il muscolo durante tale fase rimane per lungo dica nor- male, ce la forniscono: 1° la regolarità del suo lavoro; 2° il fatto che il muscolo ubbidisce anche ora alle leggi meccaniche che regolano la produzione di lavoro esterno; il massimo lavoro della fase costante si ottiene difatti con ecci- tamento massimale e solo con un peso determinato, nè più nè meno di quello che succede col muscolo all’inizio dell'esperienza; (Dall’esperienza N. 8 si apprende come nel muscolo alterato dalla fatica queste proprietà 1° e 2° vanno scomparendo); 3° l'andamento del tetano, che è qui come quello di un muscolo fresco (Confronta le fig. 8 e 14). Mentre il muscolo fresco tetanizzato conserva lungo tempo l’altezza di solleva- mento iniziale, il muscolo stanco ne discende rapidamente (1). Già descrivendo l’esperienza N. 8 ho accennato che forse bisogna fare una distinzione netta tra l'esaurimento delle forze che sono accumulate nel muscolo ed il complesso quadro feno- menologico della fatica; quello succede, in determinate condi- zioni, in un tempo assai breve ed iniziale, e tra esso e l’insor- gere della fatica decorre un lungo periodo in cui il muscolo (1) KrewnecEER, loc. cit., pag. 734. SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 421 può lavorare col materiale fornitogli da una sorgente che ap- pare costante, che possiamo forse fin d’ora supporre, appog- giandoci anche alle osservazioni surriferite di Ludwig e Schmidt, che sia il sangue. * * * La quantità di lavoro che, nelle mie condizioni d’esperienza, in una singola contrazione il gastrocnemio fresco d’un coniglio era in grado di eseguire, oscillava da kgm. 0,010 a kgm. 0,022; in alcuni conigli, di eccezionale sviluppo, potei osservare un valore di lavoro di kg. 2X 20 mm.=kgm. 0,040. Se dopo la parte di curva decrescente, ed annessa una notevole porzione di lavoro costante, si lascia riposare il muscolo più o meno a lungo, il lavoro massimale di cui il muscolo è capace aumenta di nuovo; tanto meno prontamente, però, quante più volte l'esperienza si riprende. Il che è un fatto parallelo a quello ri- ferito da Ludwig e Schmidt (1) che, cioè, il muscolo si risente tanto più prontamente dei nocivi effetti dell’anemia quanto più volte vi venne sottoposto. Occorrono almeno 45’, un’ora, perchè il lavoro del muscolo raggiunga il valore iniziale, collo stesso peso massimo. Per spazì di riposo minori, il rifocillamento del muscolo non si fa così completo, ed i pesi massimali sono minori che all’inizio dell'esperienza. Dopo 20', 30” può succedere che il peso massimo sia ancora quello stesso della porzione costante della curva. Tuttavia già dopo 10' di riposo, si può osservare che sulla porzione costante si sovrappone una leggiera quantità di lavoro. — In ogni caso, alla parte decrescente della curva, suc- cede la parte costante col suo valore inalterato. La parte decrescente della curva del lavoro muscolare in un muscolo fresco o sufficientemente riposato, segue press’a poco sempre lo stesso andamento. Salvo rari casi, si osserva la scala (Treppe) iniziale, sicchè la linea che unisce gli apici sarebbe rap- presentata da una prima porzione curva colla concavità in basso, seguìta da una seconda, concava verso l’alto, a raggio di cur- vatura molto più ampio, la quale si protrae nella linea retta (1) Loe. cit., pag. 35. 10M AID 422 ZACCARIA TREVES orizzontale degli apici della fase costante, che può rappresen- tare, secondo le condizioni di lavoro in cui viene eseguita, un lavoro massimo o sottomassimale. Man mano però che i periodi di lavoro si succedono e di- venta minore la potenzialità del muscolo, anche il tipo della curva si modifica. La scala (7reppe) è meno elevata e si pro- tende per un tempo maggiore, e la parte della curva concava verso l'alto acquista dei raggi di curvatura man mano più lunghi, sino ad assumere talora addirittura un andamento quasi rettilineo, con una leggerissima inclinazione, come succede nei casi in cui il peso massimale è nella parte iniziale della curva uguale a quello della fase costante. La gradazione dei diversi aspetti che può assumere la linea che unisce gli apici della parte iniziale della curva del lavoro muscolare si osserva nelle feto; 101409; 6L0;310e È un andamento che, nel complesso di molte contrazioni successive, ricorda singolarmente la modificazione che subisce la forma della contrazione isolata per effetto della fatica. La parte decrescente della curva del lavoro muscolare as- sume gli aspetti descritti anche se il muscolo vien fatto lavorare in condizioni di lavoro sottomassimale. Se il lavoro è sottomassimale perchè si sieno attaccati al muscolo pesi inadeguati inferiori al massimale, la porzione ini- ziale si continua senz'altro nella fase costante, rappresentante pur essa d’ordinario un lavoro sottomassimale. Se riattacchiamo al muscolo il peso adeguato, potremo ri- portare la fase costante al suo valore massimo, ma non obterns remo traccia di porzione decrescente. Non mi nascondo che questo fatto appare in contraddizione con altri fatti che pure osservai nelle mie esperienze, e cioè, che una certa quantità di lavoro in curva decrescente si può sovrapporre sul lavoro costante, se per un certo tempo durante la fase di questo si fa lavorare il muscolo in condizione di la- voro sottomassimale (pesi di molto inferiori al massimale, con- trazioni a vuoto, talvolta tetano). Ma il muscolo ci dà meno del lavoro massimo anche nel caso in cui le condizioni meccaniche corrispondono bensì a questo, ma l’eccitamento è sottomassimale. In questo caso, se durante la fase costante, adottiamo l’eccitamento massimale, si SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 423 nota tosto sovrapporsi sul livello della curva costante una por- zione di lavoro in curva discendente (fig. 22). Questo significa che, mentre condizioni meccaniche inade- guate non servono forse a risparmiare lavoro, l’ intensità del- l’eccitamento è quella invece che determina la quantità delle forze utilizzabili che si sviluppano nella contrazione muscolare. Sotto questo aspetto l’eccitamento elettrico massimale sta al sottomassimale come l’eccitamento volontario sta all’eccitamento artificiale (1). Il lettore, che mi avrà seguìto sino a questo punto, si sarà chiesto più volte se io potevo a buon diritto parlare nelle mie esperienze di lavoro massimo, come ho sempre fatto. Ed in vero il problema, come si possa ottenere da un muscolo tutto il la- voro di cui è capace, è tuttora insoluto. Tutt’al più, l’esperienza ci ha forniti sino ad ora i dati che si riferiscono alle condizioni le quali ci permettono di ottenere da un muscolo, isolato dal- l'organismo, un massimo di lavoro meccanico. I risultati di queste ricerche, per quel che riguarda le con- dizioni meccaniche di un muscolo separato dal corpo, si possono riassumere nelle proposizioni seguenti: a) Il rendimento di lavoro di un muscolo è massimo per un peso determinato (2). 6) Le contrazioni che il muscolo eseguisce con un dato peso a tutto carico sono più alte che quelle eseguite collo stesso peso in sopraccarico. La contrazione isotonica a carico diretto per forti pesi dà un lavoro maggiore che la auxotonica. I pro- dotti di lavoro sono a carico diretto notevolmente maggiori che in sopraccarico (3). (1) Mosso, loc. cit. — Ficx, Myographische Versuche am lebenden Menschen, “ Pfliiger's Archiv ,, vol. 41, 1887. (2) J. RosentHAL, Ueber die Arbeitsleistung der Muskeln, È Du Bois- Reymond’s Archiv ,, 1880. (3) Santesson, Ueber die Mechanische Leistung der Muskeln, © Skandin. Archiv ,, vol. 8. — Studium iiber die allgemeine Mechanik der Muskeln, id., vol. 4°. 424 ZACCARIA TREVES c) Il muscolo fornisce maggior lavoro quando la sua forza è impiegata non a vincere direttamente la gravità, ma a met- tere in moto masse inerti, le quali per essere spostate esigono che il muscolo raggiunga senza accorciarsi un grado notevol- mente maggiore di tensione; il che torna a vantaggio della quantità di lavoro che il muscolo si trova in condizione di poter eseguire (1). Queste proposizioni valgono sia per eccitamenti massimali che sottomassimali. A Seegen, che pel primo (2), a quanto io sappia, cercò di stabilire un’equazione tra il lavoro che un muscolo ha eseguito e le alterazioni chimiche che nel muscolo avvennero, Schenk (3) obbiettò appunto che troppo poco conto aveva tenuto delle con- dizioni meccaniche in cui il muscolo va collocato perchè possa esplicare il massimo di lavoro esterno. ‘ Accettando queste obbiezioni, Seegen cercò di riparare in parte almeno; sebbene appaia che non di tutte avesse un chiaro concetto, specialmente per quel che riguarda la scelta del peso adeguato; poichè nella sua risposta alle obbiezioni di Schenk si legge (4): “ cercai, provando varii pesi, l'ottimo di lavoro, cioè quel peso che, a parità di eccitamento, veniva sollevato al massimo ,. Dal metodo con cui io ho eseguita la stessa determinazione appare in qual modo va, secondo me, inteso il concetto del peso massimale: esso è quel peso che, per l’eccitamento massimale, permette una tale contrazione, la cui altezza moltiplicata per il valore del peso dia il prodotto massimo di lavoro. Col lasciar sempre il peso a tutto carico cercai di ottem- perare alla seconda delle leggi esposte. In tal guisa il muscolo era sempre in tensione prima del- l’eccitamento; e la tensione a cui il muscolo veniva ordinaria- (1) Frog, Mechanische Arbeit und Wiirmeentwickelung bei der Muskel- thiitigleit, pag. 77, 1882, © Intern. Wissens. Bibliothek ,. (2) Seecen, Muskelarbeit und GIlykogenverbrauch, * Du Bois-Reymond's Archiv ,, Physiol. Abtheilung, 1895, pag. 273. (3) F. Scnenk, Kritische Bemerkungen zu Seegen’s Abhandlung ece., “ Pfliiger's Archiv ,, 1895, vol, 61, pag. 535. (4) Seecen, Muskelarbeit und Glykogenverbrauch, Il, © Du Bois-Reymond’s Archiv ,, Physiol. Abtheilung, 1896, pag. 398. SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 425 mente sottoposto in tal guisa, era o uguale o di poco inferiore alla tensione massima che il muscolo potesse fisiologicamente subire. Alla terza condizione cercai soddisfare, attaccando il car- retto dell’ergografo alla zampa e non direttamente al tendine del gastrocnemio. La leva ossea naturale era la massa inerte su cui il muscolo doveva esercitare la sua forza. L’eccitamento adottato era, come dissi, massimale; di natura tetanica e di brevissima durata, quale appunto può supporsi sia l’eccitamento volontario (1). In questa guisa credo di essermi avvicinato alquanto alla risoluzione del problema di ottenere il massimo di lavoro, che da un muscolo, nelle condizioni di vita normale, sia possibile con eccitamenti artificiali. Spero di avvicinarmivi ancor più perfezionando le condizioni di lavoro del muscolo in una serie successiva di ricerche. Resta sempre però il fatto, a giudicare da quanto succede nell'uomo, che l’eccitamento volontario è in grado di dare una quantità di lavoro assai maggiore che non l’eccitamento elet- trico massimale: sicchè già solo per questo è giusta l’afferma- zione di Schenk (2) secondo cui è impossibile disporre le con- dizioni meccaniche esterne e la natura dell’eccitamento in modo che ne debba risultare in ogni circostanza il massimo dell’effetto utile. Certo la curva volontaria eseguita nelle condizioni mecca- niche opportune, darà una quantità di lavoro che si avvicinerà assai al massimo effetto utile di cui il muscolo è capace; rag- giungerlo non potrà forse perchè col procedere del lavoro la produzione di esso è influenzata dalla fatica dei centri e delle terminazioni nervose periferiche in una misura che appare quasi impossibile stabilire. Intanto alcune poche esperienze fatte sull’uomo, all’ergo- grafo, coll’eccitamento volontario, mi fanno ritenere che, anche in queste condizioni, avvengono gli stessi fatti descritti nelle curve del lavoro muscolare dei conigli. Ma i pesi che per l’uomo sarebbero stati massimali, sono troppo forti perchè si possano (1) J. RosentTHAL, loc. cit. (2) F. ScuenE, Muskelarbeit und Glykogenverbrauch, Entgegnung an Seegen, “ Pfliger's Archiv ,, 1897, vol. 65. 426 ZACCARIA TREVES tollerare a lungo appesi a tutto carico alla 2° falange del dito medio, come porterebbe l’ergografo di Mosso; quindi la deter- minazione del lavoro massimale mi riuscì sempre soltanto ap- prossimativa, e sto studiando una disposizione opportuna per eseguire curve ergografiche umane nelle stesse condizioni mec- caniche che ho realizzate nel coniglio. Ciò non ostante con pesi di kg. 4, 5, od anche 6, secondo gli individui, sollevati col ritmo di 2”, col massimo sforzo di volontà, ottenni delle curve che constavano di una porzione più o meno rapidamente decre- scente e di una successiva di cui le singole contrazioni erano per altezza più irregolari che non fossero quelle osservate nei conigli, ma però oscillavano attorno ad una media che non ac- cennava a diminuire, almeno per lo spazio di tempo per cui sono riuscito a scrivere il lavoro di tale fase; tale spazio durò dai 30' ai 45' e interruppi sempre l’esperienza a causa del do- lore che la forte trazione provocava sulla pelle del dito, mai perchè il muscolo fosse giunto a reale esaurimento. Convien credere che il peso di 5 o 6 kg. sia pel muscolo flessore del dito medio dell’uomo in genere notevolmente inferiore al peso massimale, poichè la fase di lavoro costante, nelle mie espe- rienze, tenne ognora dietro direttamente alla fase iniziale de- crescente senza che il peso dovesse venire diminuito, e non ottenevo neppure, durante di essa, il massimo di lavoro. Di tali curve eseguii alcune io stesso; onde posso riferire l'impressione che si prova quando il muscolo continua a lavo- rare durante tale fase: si può seguire benissimo il ritmo di 2" indicato dal metronomo; il senso di progressivo spossamento, che si ha durante la fase di lavoro decrescente, lascia luogo ad una specie di incoscienza relativa al lavoro che ad ogni contrazione sì eseguisce; un apprezzamento al riguardo è im- possibile per chi lavora, il quale accusa a volta a volta d’aver dovuto fare uno sforzo maggiore o di aver provato una speciale facilità a sollevare uno stesso peso, senza che dalla curva ap- paia che abbia eseguito nei diversi casi quantità di lavoro considerevolmente diverse. Se si alleggerisce il peso, aumenta l'estensione della contrazione, ma diminuisce il prodotto di lavoro. Anche per l’uomo, come nel coniglio, dopo un periodo di riposo il muscolo diventa capace di eseguire di nuovo un la- voro notevolmente maggiore che durante la fase di lavoro co- SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE 427 stante; la curva decrescente accenna pure a subire le modifica- zioni descritte nel coniglio, a diventar cioè più estesa e più bassa; e la fase costante rappresenta sempre suppergiù la stessa quantità di lavoro, come la prima volta che il muscolo ha la- vorato. Come dissi, credo che queste curve ergografiche dell’uomo furono tutte eseguite in condizioni di lavoro sottomassimale, sebbene con pesi già considerevoli. Ultimamente Ch. Richet e A. Broca (1) comunicarono al- l'Accademia delle Scienze di Parigi i risultati di alcune ricerche fatte su loro stessi, destinate a stabilire “ dans quelles condi- “ tions un muscle donné peut effectuer, sans fatigue notable, “ un travail continu, régulier et maximum , e credettero con- chiuderne che “ le travail, s'il n'est pas exagéré, rend le muscle “ plus apte è un travail ultérieur ,. In realtà essi videro che facendo sollevare al dito medio dei pesi che variavano da 500 a 1200 gr., questo era capace di lavorare col ritmo di 2” per due o tre ore consecutive; os- servarono un massimo di lavoro e di senso di fatica nel primo minuto, un minimo di lavoro dovuto alla contrattura nei tre o quattro minuti consecutivi, ed infine, a partire dal 5° o 6° mi- nuto, un regime regolare caratterizzato da un aumento graduale e lento. Chi ha lette le esperienze sul coniglio, da me esposte, non potrà a meno di esser convinto che non è necessario mettere il muscolo in condizione da produrre una quantità di lavoro così inferiore alla massima, che se ne può ottenere, affinchè il lavoro si protragga in regime regolare per così lungo spazio di tempo; la regolarità dei valori di lavoro che M. Broca e Ch. Richet ottennero dal quinto minuto in poi e lo stesso loro graduale aumento fanno pensare subito che la fase del regime di lavoro descritta dagli autori suddetti corrisponda alla fase di lavoro costante da me osservata nei conigli. Se poi ancora faccio notare che i valori di lavoro che Broca e Richet ottennero in questa fase sono spesso inferiori, mai su- (1) A. Broca et Cmartes Ricner, Expériences ergographiques pour mesurer la puissance marimum d'un muscle en régime régulier, “È Comptes rendus hebdomadaires de l’Acad. des Sciences ,, tome CXXVI, n. 4, janvier, 1898. ld 428 ZACCARIA TREVES — SULLE LEGGI DEL LAVORO MUSCOLARE periori a quelli che nelle mie curve ergografiche umane forni- rono muscoli che lavoravano sin dal principio pressochè in con- dizione di lavoro massimale, converrà concludere che le curve di lavoro riferite da quegli autori non rappresentano che curve in condizioni esagerate di lavoro sottomassimale, e sarà, mi sembra, provato all'evidenza che le condizioni di lavoro sottomassimale per peso inadeguato non servono ad economizzare il lavoro di cui il muscolo è capace. Si direbbe che nelle condizioni di la- voro sottomassimali per peso inadeguato l'esplosione chimica produttrice del lavoro è quantitativamente la stessa che nelle condizioni di lavoro massimale; soltanto le prime non sono adatte ad utilizzare in modo completo, trasformandole in lavoro, le forze che dalla reazione chimica si sprigionarono; sicchè una parte di materiale va perduta. Istituto Fisiologico della R. Università di Torino. L’ Accademico Segretario AnpREA NACcARI. HUEN= d | I E gus sulle equi del lavoro muscolare ALU N. AUGAC CETTE DOT TOTO = POE ZLILIZZ/ Fig. 14 1100 1000 Fig. 13 300 Il i Fig.18 Fig. 20 J0'riposo Fig:19 sati AMA DITTE Fig.10 i 429 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 20 Febbraio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Socii: Pevron, Rossi, Manno, BoLLaTI DI SAINT-PIERRE, Pezzi, FERRERO, CoGnETTI DE MARTITS, GRAF, BOSELLI, Perrero e Nani Segretario. Viene letto ed approvato l'atto verbale della precedente seduta. Il Socio Segretario presenta un esemplare di una medaglia di bronzo coll’ effigie del Prof. T. Momwsen, fatta coniare dal- l'Accademia Reale delle Scienze di Berlino in occasione del- l'80%° anniversario della di lui nascita, e dalla medesima offerto in dono alla R. Accademia delle Scienze di Torino. Presenta pure, a nome del Dott. Giuseppe Pimré, a cui venne testè conferito il X premio Bressa, due opere da lui offerte in omaggio all'Accademia intitolate: Biblioteca delle tra- dizioni popolari siciliane (Palermo, 1872-97), 20 vol. 16% Biblio- grafia delle tradizioni popolari d’Italia (Torino-Palermo, 1894), 8°. A nome dell'Autore Prof. Felice RAmorIno, del R. Istituto di Studi superiori di Firenze, offre in omaggio un opuscolo in- titolato: Cornelio Tacito nella storia della coltura (Milano, 1898), 8°, Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. Sl 430 Il Socio E. FerRERO per incarico dell’autore prof. Aristide MARRE, Socio corrispondente dell’Accademia, fa omaggio di un estratto della sua nota: Proverdes et similitudes des Malais avec leurs correspondants en diverses langues d'Europe et d’ Asie, in- serita nel vol. 33° degli Atti di questa Accademia. Il Socio S. Coenerti pe MARTHIS presenta una nota del Dott. Costantino OrroLENGHI, intitolata: Le pledi rurali a' Roma nel secolo ITI a. C. Detta nota verrà pubblicata negli Atti accademici. Quindi la Classe in seduta privata eleggeva, salva la Sovrana approvazione, a Soci nazionali non residenti il sig. Prof. Ales- sandro D'Ancona della R. Università di Pisa e il sig. Prof. Gra- ziadio AscoLi della R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. Venne pure confermato per un secondo triennio a Direttore della Classe il Socio G. CLARETTA, salva l'approvazione Sovrana. COSTANTINO OTTOLENGHI — LE PLEBI RURALI A ROMA, ECC. 481 LETTURE Le plebi rurali a koma nel secolo III a. C.; Nota del Dott. COSTANTINO OTTOLENGHI. Mentre la condizione e le vicende delle plebi rurali nei primi secoli di Roma emergono solo dallo studio complessivo delle forme dell’ evoluzione economica e non v° è alcuna iscri- zione che risalga a quei tempi la quale porti su di esse alcuna luce, nel sesto secolo oltre alla maggior precisione colla quale si conosce la vita economica del popolo romano, abbiamo fonti contemporanee che delineano chiaramente le condizioni delle plebi rurali. Queste fonti sono: il trattato de re rustica di Catone (1) e le comoedie di Plauto (2). Dagli insegnamenti che Catone dà sull’agricoltura possiamo dedurre quali fossero le con- dizioni di fatto a cui essi si riferivano; e da alcune splendide ‘scene rustiche che Plauto ci dipinge possiamo ritrarre interes- santi notizie sulla vita rurale dell’ epoca sua. Le commedie plautine furono e sono un largo campo di studîì letterari e filo- logici non solo, ma economici, giuridici e sociali. Ricordiamo tra gli scrittori che studiarono le commedie sotto questi tre ultimi aspetti il Costa (3) che ritrasse un completo sistema di diritto privato romano, il Cognetti de Martiis che studiò in esse un lato importante della vita economica della civiltà latina del sesto se- colo di Roma (4), e che notò e illustrò in seguito uno schema socialistico contenuto in una commedia plautina (5). Plauto ri- trasse nelle sue commedie uomini e riti del tutto romani. Egli (1) Caro, De agricultura liber recognovit Henr. Keil. Lipsiae, 1895. (2) T. M. Prauri Comoed. rec. instr. crit. et prol. aux. Frid. Ritschelius, soctis op. ads. G. Loewe, G. Goete, Fr. Schoell. Lipsiae, 1871-90. Per la Mostellaria v. ediz. del Naudet. (3) Costa, Z7 diritto privato romano nelle commedie di Plauto. Torino, 1890. (4) Coenerti pe Martis, Banche, banchieri ed usurai nelle commedie di Plauto, in * Giornale degli economisti ,, ottobre 1891 e dicembre 1892. (5) Cognerti pe Martis, Uno schema socialistico nell’* Aulularia , di Plauto (“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, Vol. XXX, 1894). Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. Se 432 COSTANTINO OTTOLENGHI dai Greci, dice il Costa, tolse gli argomenti della sua commedia, in Grecia finse la scena, con nomi greci disegnò i personaggi e i luoghi, gli oggetti con cui essi fingono aver pertinenza, ad esempio le varie parti della casa, le vesti; ma all'infuori di questo, l’ambiente, i caratteri, la maniera di muoversi e d’agire è tutta romana. Del resto il popolo romano non sarebbe accorso numeroso ad assistere alle commedie plautine se non avesse ri- trovato sulla scena tipi e ambiente romano. Nel secolo sesto di Roma è già compiuta la trasforma- zione della mano d’opera rurale. Nei primi secoli il lavoro cam- pestre era circondato d’un’aureola religiosa, e costituiva l’unica occupazione cui potesse attendere l’uomo libero, mentre i me- stieri eran riservati agli schiavi e agli stranieri; ma poi le vicende economiche e politiche allontanarono dalla vita rustica. Il prodotto dei campi non retribuiva sufficientemente i lavora- tori; molti di essi ingolfati nei debiti, trovandosi nell’impossi- bilità di pagarli, cadevano sotto l’inesorabile legge che poneva il debitore insolvente alla mercè del creditore e divenivano addicti; una gran parte poi abbandonava spontaneamente l’agri- coltura per le industrie che già al tempo di Servio Tullio eran state riordinate ed offrivano maggior profitto; e la mano d’opera schiava che sempre più si offriva sul mercato fu adibita anche ai lavori campestri. S'aggiunse poi una grande innovazione av- venuta in occasione della guerra di Veio nel 410 di Roma, che favorì l'esodo del contadino dal campo. Questa innovazione consiste nell'essere stato stabilito per la prima volta il soldo a coloro che partecipassero alla guerra. I lavoratori accetta- rono con gioia quest’'innovazione e abbandonarono i campi de- dicandosi alle armi, lasciando che agli schiavi fosse affidata la cura della coltivazione. E così crebbe grandemente la mano d’opera schiava; essa per la sua deprezzante concorrenza riuscì, come già era avve- nuto in Atene, ad abbassare il prezzo della mano d’opera libera e a porla fuori di concorrenza, impedendo ogni possibile ritorno al libero lavoro (1). Risulta chiaramente dalla storia che le (1) Questi concetti sono maggiormente sviluppati nello studio: Le pledi rurali a Roma nei primi cinque secoli dalla fondazione della città, di pros- sima pubblicazione. = LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO III A. C. 433 famiglie dei servi rustici crebbero in proporzione della frequenza delle guerre combattute fuori del Lazio, come pure che i patrizi poterono sempre più dilatare le loro proprietà usurpando nuovi terreni senza temere i risentimenti del popolo. Non cercheremo nel secolo sesto di Roma alcuna importante legge agraria per la bassa condizione in cui si trovava l'agricoltura. Dal 387 al 621, cioè per più di due secoli, dalla legge Licinia alle leggi Sempronie e dei Gracchi, la grande questione economica e sociale di Roma era caduta quasi in completo oblio (1). Il sistema di coltura pre- valente era la coltivazione in grande a schiavi (2), i poderi romani non erano ancora di molto grande estensione, ma riuniti in gran numero sotto lo stesso proprietario. Così pure le terre che lo Stato affittava finivano per ridursi nel potere di pochi, tanto più che lo Stato stesso desiderava restringere il più possibile il numero degli affittuari per essere più prontamente e sicura- mente soddisfatto (3). Del resto era un pensiero economico espresso già nel terzo secolo di Roma, che solo la grande pro- prietà poteva retribuire bastantemente le fatiche dell’ agricol- tore (4). Naturalmente questo stato di cose era solo nella cam- ‘ pagna romana propriamente detta, e non nelle colonie che si andavano formando, in cui s'iniziava una novella e prospera agricoltura (5): qui la coltivazione ad economia o la colonia parziaria predominavano, nella campagna romana invece, la prima era ridotta a minime proporzioni e retta, benchè in scala minore, collo stesso sistema della coltivazione in grande a schiavi, e la colonia parziaria era ancora qua e là praticata, «ma non si confaceva più alle condizioni economiche del tempo. Nei poderi romani a cui abbiamo accennato il lavoro cam- | pestre era assegnato ad una famiglia rustica riunita sotto la i direzione d'un sopraintendente esso pure schiavo. Alcune volte «il podere era situato in vicinanza della città e allora il padrone | vi sì recava sovente. A questa vicinanza accennano Catone e È diet “a dint bei RA È dci. ita (1) De Ruccero, Enciclopedia giuridica, voc. agrariae leges, p. 760 e sg. (2) Momwsen, Histoire romaine, Vol. I, parte II, pp. 331 e sg. (3) De Ruaeero, Dizionario epigrafico di antichità romane, Vol. Il, f. 19, 1897, voce. conductor. (4) Dionisio D'ALic., Antiquitates Romanorum quae supersunt. Lipsiae, 1881-91, libro 3°, ce. LXXIII. (5) Pocai, Cenni storici sulle leggi dell'agricoltura, p. ” { 5 e sg. Firenze, 1845. 434 COSTANTINO OTTOLENGHI Plauto. Catone (1) dà consigli riguardanti il genere di coltura da seguirsi in questi poderi; in alcune commedie di Plauto, ad es. il Mercator, la Casina, si discorre del podere come se fosse situato a poche ore di lontananza dalla città, e vi si recano fre- quentemente tanto il proprietario quanto la moglie (2). Spesso però il podere è situato lontano dalla città, talchè il proprietario vi si recava alcune volte a trattenervisi alcuni giorni per vedere a qual punto fossero i lavori, informarsi dei suoi dipendenti e dar castighi e consigli per nuove opere (3). Nel podere stesso infatti, poco discosto dalla villa rustica che serviva d’abitazione per la famiglia rustica e comprendeva quasi sempre la stalla e il gra- naio, era situata la villa urbana, cioè una casina isolata che ser- viva di abitazione al padrone. La coltivazione generalmente pra- ticata era quella della vite e dell'ulivo, così che cambiava la specie dei lavoratori secondochè si praticava l’una o l’altra col- tivazione. Due persone però le quali non mancavano mai in ogni podere erano il fattore e la fattoressa. Il fattore era esso pure uno schiavo, ma godeva di qualche libertà. Sovente si recava in città a conferire col suo padrone, nel podere aveva la dire- zione di tutta l’azienda rurale, manteneva la disciplina e prov- vedeva il vitto (4). Tuttavia di fronte al padrone è un semplice schiavo al quale si nega tutto ciò che s’attiene alla personalità umana. La sua autorità era grande negli altri schiavi rusticani, perchè ne poteva disporre a piacimento; ma quando si recava in città e si trovava cogli altri servi urbani dello stesso pa- drone perdeva ogni considerazione, era deriso perchè campa- gnuolo, e solo avevano un ritegno al pensiero che se il padrone li avesse assegnati al lavoro dei campi avrebbero dovuto sotto- stare ai suoi comandi. Ciò appare chiaramente in diverse com- medie come la “ Casina , ela “ Mostellaria ,. Nella “ Casina , (5) (1) Caro, Op. cit., c. VII. (2) PLauri Mercator, Atto 4° e 5°. (3) Caro, Op. cit., cap. II (Patris familiae officia). (4) Cato, Op. cit., cap. VII (Villici officia). (5) PLauri Casina, I, v. 1 e sg. OLimpro (servo di città). Non mihi licere meam rem me solum, ut uolo, Loqui atque cogitare, sine te arbitro? LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO III A. C. 435 «assistiamo ad un bisticcio tra un servo urbano e il wvillicus. Si deve qui notare la speciale condizione del campagnuolo Chalinus che non era solo un servo rustico, ma il capo della famiglia rustica che trova infatti il modo di ricordare all’ altro tutti i più duri servigi e castighi a cui potrà assoggettarlo quando il padrone lo invierà al lavoro dei campi; tuttavia dalle parole del servo urbano ci appare la inferiorità in cui lo tiene di fronte a sè stesso che vive in città e gli dice altezzosamente di star- sene in campagna e di non impicciarsi degli affari cittadini. Questa inferiore considerazione in cui è tenuto il servo di campagna di fronte all’urbano solo perchè addetto ai lavori cam- pestri che avevano perduta tutta l'antica reputazione, appare specialmente in una splendida scena della “ Mostellaria , in cui Plauto ci pone innanzi ad un rabbuffo tra un servo di campagna e di città (1). Come nella “ Casina , dà origine a questo rabbuffo la Quid tu, malum, me sequere? Ca. Quia certum est mihi, Quasi umbra quodquod ibis tu, te persequi. Quin edepol etiam, si in crucem uis pergere. Sequi decretum est. Dehinc conlictio ceterum Porrisne, necne, clam me sutelis tuis Praeripere Casinam uxorem, proinde ut postulas. On. Quid tibi negoti mecum est? Quid ais, imprudens? Quid in urbe reptas, uillice haud magni preti? OL. Libet. Ca. Quin ruri es, in praefectura tua? Quin potius, quod legatum est tibi negotium. Id curas, atque urbanis rebus te abstines? Huc tu venisti sponsam praereptum meam? Abi rus, abi dierectus tuam in prouinciam V.32. On. Quot te modis, Si uiuo, habebo in nuptiis miserum meis! W‘38..0x... : ; i : . quando ad uillam ueneris Dabitur tibi amphora una, et una semita, Fons unus, unum ahenum, et octo dolia; Quae nisi erunt semper plena, ego te implebo flagris. (1) Mostellaria, Att. 1, v. 6. TRANIO. Quid tibi malum hic ante aedis clamitatios ? An ruri censes te esse? abscede ad aedibus. 436 venuta in città del servo di campagna per alcune incombenze. COSTANTINO OTTOLENGHI Il servo urbano lo caccia fuori di casa e lo batte, ma esso (Gru- nione) non reagisce e mentre gli augura che venga presto il padrone e lo mandi alla macina, gli rimprovera di rovinare il figlio e le sostanze. Il servo urbano invece gli risponde con mot- GryMIO. V. 34. Tr. Tr. Gr. Abi rus: abi hine dierecte, abscede ab ianua. En: Hocine uolebas ? Patiar, quor me uerberas? Quia tu vis. Patiar sine modo adueniat senex: Sine modo uenire saluom, quem absentem comes. Nec ueri simile loquere nec uerum, rupex Comesse quemquam ut quisquam absentem possiet. Tu urbanus uero scurra, deliciae popli Rus mihi obiectas ? Nunc dum lubet licetque, pota, perde rem Corrumque erilem nostrum adulescentem optumum: Dies noctisque bibite, pergraecamini : Amicas emite, liberate: pascite Parasitos: obsonate pollucibiliter. Haecine mandauit tibi, quom peregre hinc it, senex? Hocine modo hic rem curatam offendet suam? Hocine boni esse officium serui existumas, Ut eri sui corrumpat et rem et filium? Quid tibi malum me, aut quid ego agam, curatiost? An ruri quaeso non sunt quos cures bouis? Lubet potare, amare, scorta ducere : Mei tergi facio haec, non tui fiducia. Quam confidenter loquitur. At te Juppiter Dique omnes perdant: fu, aboluisti alium, Germana inlunies, (rus merum) hircus, hara suis Cones capro commixta. : Quid uis fieri? Non omnes possunt olere unguenta exotica. Si tu. oles SE ; È s 3 < neque superior cum ero cati rase tam facetis, quam tu uiuis, uictibus +LXKX* Tu tibi istos habeas turtures piscis auis: Sine me aliatum fungi fortunas meas. Tu fortunatu’s, ego miser: patiunda sunt. Menum bonum me, te tuum maneat malum. j LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO III A. C. 437 teggi, gli dice che puzza d’ aglio, che è un villano e che non s'impicci nei fatti altrui, e Grunione ancora si mostra rasse- gnato, risponde che non tutti posson sapere di pomate forestiere, nè mangiare cibi squisiti; “ tu sei felice, aggiunge, ed io mi- sero, ma ben venga a te il tuo malanno ,. La scena termina con altre astiose parole del servo urbano. Un altro fatto importante che si rileva dalla scena ripor- tata è la notevole rettitudine di sentimenti dei servi rustici che fa vivo contrasto colla corruzione dei cittadini. Vediamo infatti il rustico Grunione rimproverare a Trumione servo ur- bano di mal governare la casa affidatagli dal padrone assente e di condurre alla rovina il figliuolo (1). Pare che questa supe- riorità morale fosse pure ammessa dagli antichi scriptores rei rusticae, essi ebbero infatti pagine frequenti da cui traspira la dolcezza ed indulgenza pei servi rustici. La posizione di fatto in cui sì trovavano i servi appartenenti alla famiglia rustica dovette essere certamente migliore di quella dei servi urbani. Essi, eccettuati s'intende quelli destinati ai più infimi serviziî, gli ergastuli catenati, condannati bene spesso ai più tormentosi lavori per pena di mali portamenti, genus ferratile, cruraque La signati, nigro liventia ferro, vivono lontani dal consorzio citta- dino, attendono alla coltura dei terreni e godono di una certa indipendenza, sia per la lontananza del padrone, sia per la natura degli uffici cui sono destinati. Essi hanno facilitazioni maggiori dei servi cittadini ad accumularsi un loro peculio (2) e vivono di una vita tranquilla con stabilità già allora di rap- porti sessuali. Quanto all'indipendenza dei servi rustici e alla fissità dei loro rapporti coniugali troviamo accenni in una commedia di Plauto, nella “ Casina ,, in cui il servo rustico Olimpione si propone la vita che dovrà condurre ottenuta Casina in isposa, e negli appellativi spesso usati nelle commedie di Plauto dagli schiavi di pater, avus, proavus (3). I rapporti tra i (1) Cosra, Le nozze servili nel diritto romano, “ Arch. giurid. ,, Vol. XLII, p. 213 (2) Praurr Truculentus, Atto 2°, v. 80. (3) Prauri Casina, Atto 1°, v. 24. Quando ego eam mecum rus uxorem obduxero Rure incubo usque in praefectura mea. Cfr. Cosra, Op. cit., p. 215: la fissità di rapporti dei servi rustici ha pure + + SSCORZA i 3 438 COSTANTINO OTTOLENGHI coniugi, di soggezione della donna all'uomo e di amorevolezza e di fedeltà di questa a quello, sono rivelati dagli avvertimenti i che Catone dà al villico nel suo trattato di agricoltura. La | regolarità poi in cui era tenuta la famiglia rustica nello stesso | interesse del padrone, assicurava al servo un vitto povero ma sicuro. La castalda o villica è un’altra persona indispensabile della famiglia rustica, è quella che il padrone dà in moglie al fat- tore per aiutarlo nelle faccende domestiche. Essa cura le pra- tiche religiose e si occupa in special modo del vitto della fa- miglia rustica (1). Abbiamo poi gli operarii, i bifolchi, ecc. Naturalmente variava il numero secondo l’estensione del podere. Così per un podere che avesse un’area di 240 iugeri e fosse coltivata ad ulivo eran necessarî secondo Catone 13 lavoratori tra castaldi, bifolchi, sottobifolchi, pecorai (2). Maggior lavoro richiedeva il podere a vigna; eran reputati necessari per la coltivazione d’un semplice podere di 100 iugeri, sedici uomini tra castaldi, operai roncaioli (3). Naturalmente questi operai sono fissi nel podere e non si possono allontanare, ma alcune volte quando la necessità lo richiedeva eran sostituiti od aiu- tati dagli schiavi dei poderi vicini i cui proprietari ne ricevon la mercede. Il lavoratore è parificato ad un bue, il lavoro è inde- fesso ed interrotto. Se la stagione è piovosa, si compiono lavori che non richiedono il bel tempo: mondar la semenza, aggiustar le vecchie corde, farne delle nuove; durante le ferie si astengono dai lavori proibiti dal culto e ne compiono altri permessi, come accomodar le strade pubbliche, zappar l’orto. Quando l’agricol- tura era circondata d’un’aureola religiosa, i giorni festivi eran giorni di quiete, l’uomo doveva agli dei tutte le sue azioni, tutti i suoi sentimenti, tutti i suoi pensieri. Ma poi, mentre la mano d’opera libera emigrava dal campo, si vennero via via permettendo nei giorni festivi alcune occupazioni; i libri grave conferma nelle numerosissime epigrafi sepolcrali che trovansi dedi- cate al coniuge servo premorto dal superstite nella Calabria, nel Piceno e nella Sicilia. — V. Momxsen, Corp. inse. lat., IX, in 313, 365, 419 ecc. (1) Caro, Op. cit., cap. CLII. (2) Caro, Op. cit., cap. XII. (3) Caro, Op. cit., cap. XIIl. Cfr. per l’interpretazione di questi cap., Varro, De re rustica, cap. XVIII. 2 Ì | LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO II A. C. 439 dei pontefici indicarono con minuziosa cura tutti i lavori che gli dei permettevano (1), e gli scrittori che trattarono di eco- nomia rurale, Catone, Varrone, Columella, ad essi largamente accennarono, In sostanza, nel giorno di festa si doveva lasciare a parte ogni preoccupazione d’interesse e di lucro, ma era per- messo il lavoro che avesse lo scopo non di produrre, ma di conservare i beni presenti e far fronte alle necessità urgenti. E così cambiava la specie di lavoro che nei giorni festivi la famiglia rustica doveva compiere, ma non si riconosceva ad essa il diritto al riposo. Lo scopo era essenzialmente l’utile del padrone; d’ogni cosa si traeva profitto, gli arnesi inutili o resi inservibili e gli schiavi vecchi inabili al lavoro eran venduti. Colla violenza poi e colla minaccia si obbligavano gli schiavi ad un continuo lavoro; gli indolenti venivan costretti a lavorare coi ceppi ai piedi, e giunta la notte si gettavano nel carcere degli schiavi; le punizioni più gravi consistevano nell'invio alla cava delle pietre e: nell’invio al mulino. Nella cava delle pietre avevano i fianchi stretti da grossi ferri ed eran costretti a cavarne otto o dieci al giorno a piacimento del padrone; non avevan pace finchè fosse terminato il lavoro prefisso e di notte alcune volte dovevano sopportare la catena al collo (2). Nel mulino invece erano costretti a forza di braccia a farne girare la ruota e colla pelle livida pei colpi (1) DaremBerG, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, voc. feriae. Tome deuxième, 1896, pag. 1042. (2) Praumr Famulus, IV, 11. Prauri Captivi, III, v. 279. Hero. , î ; È È . ducite Ubi slcinzas, crassas capiat compedis : Inde ibis porro in latomias lapidarias. Ibi quom alii octonas lapides ecfodiunt, nisi Cotidiano sesquiopus confeceris, Sescentoplago nomen indetur tibi. ArisropHontes. Per deos atque homines ego te optestor, Hegio, Ne tu istune hominem perduis. Hera. Curabitur: Nam noctu neruo uinctus custodibitur, Interdius sub terra lapides eximet. Din ego hune cruciabo, non uno apsoluam die. 440 COSTANTINO OTTOLENGHI e il dorso solcato di piaghe e i piedi in catene e la fronte impressa d’un marchio, davano di sè orribile aspetto. Il vitto della famiglia rustica era differente secondo le di- verse stagioni. Nell'inverno ciascun lavoratore riceveva in ra- gione di quattro moggi di grano e in ragione di quattro e mezzo d'estate. Per companatico ricevevano secondo le stagioni ora olive cascaticcie e uova stagionate, ora salamoia e aceto. Di olio riceveva ognuno un sestaio al mese, di sale un moggio @ testa all'anno. Dopo la vendemmia si beveva alcuni mesi fu- tecchia; la quantità di vino che si beveva dai singoli uomini era in generale di 8 quadrantali a testa (1). In quanto alle ve- stimenta, la famiglia riceveva un anno sì e un anno no una tonaca di tre piedi e mezzo e dei sai; le vesti vecchie servi- vano a far schiavine. Un anno sì e un anno no, si davan loro gli scarponi (2). Si vede quindi quanta piccola spesa portasse al padrone il mantenimento della famiglia rustica. Il prezzo medio d’uno schiavo da campagna era valutato da Catone se- condo Plutarco di 1500 dramme (1300 L.) (3); ma Livio ci ri- ferisce che Catone nell'esercizio della censura valutava gli schiavi dieci volte più del prezzo reale per sottoporlo alla tassa del 3 per 1000. Troviamo in Plauto un accenno alla vendita d’un fanciullo per 6 mine (548 lire) (4) ed a prezzi più elevati che il Wallon dice in molti casi esagerati (5). Non ci è dato di conoscere la potenza d’acquisto di queste somme, ma da un passo del “ Truculentus , di Plauto (6), in cui Strabace ci di- pinge come avvenne la riscossione di 20 mine (1820 L.) equi- valente di alcune pecore tarantine vendute da suo padre, è (1) Caro, Op. cit., cap. LXV, LXVI, LXVII, CXII. Vedi nell’ediz. ven. del 1792 lo specchio delle misure, monete, pesi, cui accenna Catone. (2) Caro, Op. cit., cap. LXVIII. (3) PLinio, Hist. nat., X, 43. — Prurarco in Catone, 4. (4) Prauti Captivi, atto V, v. 57. (5) WaLon, Histoire de l'esclavage dans l’antiquité. Paris, 1879, vol. II pag. 164. Cfr. AsieneNTE, La schiavità, Torino, 1890, p. 75. (6) Prauri Truculentus, Atto III, v. 1: SrraBAx. Rus mane dudum hinc ire me iussit pater Ut bubus glandem prandio deposuerem. Post illoc quam ueni, aduenit, si deis placet, Ad uillam, argentum meo qui debebat patri, Qui ouis Tarentinas erat mercatus de patre. LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO III A. C. 441 lecito supporre il poco valore che si attribuiva alle venti mine che erano appunto presso a poco il prezzo d'acquisto di due schiavi. Questa supposizione acquista maggior fondamento se consideriamo l’alto prezzo delle ammende e la grande affluenza a Roma in questo secolo dei metalli preziosi, che aumentò la riechezza, determinando tra il 241 e 215 a. C. l'aumento del grado di fortuna necessario per appartenere alle diverse classi (1). | S’'aggiunga a ciò un fatto della massima importanza: la fissità di rapporti sessuali che abbiam veduto esistere presso gli schiavi rurali non era solo una guarentigia di buona condotta e fedeltà, ma una fonte d’arricchimento pei figli nascituri, quindi si vede che il capitale speso per l’impiego della mano d’opera schiava veniva ad esser molto minore. V’ eran poi alcuni speculatori i quali mantenevano un certo numero di schiavi e si assume- vano determinati lavori di coltivazione per conto di proprietari o fornivano a quest'ultimi operai e gli strumenti verso mer- cede (2). I proprietari eran tenuti a concedere che i proprî servi rustici attendessero temporaneamente ai pubblici lavori; già allora esistevano le comandate, ma non ci è dato conoscere se fossero spesati a conto dell’erario o del rispettivo padrone e con che regole si procedesse. Ad aiutare la famiglia rustica interveniva alcune volte la mano d’opera libera; ciò avveniva in occasione della mietitura delle biade e pel taglio del fieno, quando in generale non bastano le forze ordinarie e si ha bisogno d’un certo numero di lavo- ratori avventizîi, e nelle vallate di Rieti tutti gli anni i mon- tanari dell'Umbria discendevano per locare la loro giornata (3). Il battitore e i falciatori ricevevano in retribuzione una quota Querit patrem: dico esse in urbe; interrogo, Quid eum velit. Homo cruminam sibi de collo detrahit, Minas uiginti mihi dat, accipio lubens Condo in cruminam: ille abiit, ego propere minas, Quis in erumina, hac in urbem detuli. (1) BeLor, De la révolution écon. et mon. qui eut lieu à Rome au milieu du II sidele avant Vère chrétienne. Paris, 1885, pag. 87. (2) BerraGnoLLI, Le vicende dell'agricoltura in Italia, Firenze, 1884, p. 109. (3) Humsert, Sur la condition des ouvriers libres chez les Romains, © Re- cueils de l’Académie de législation de Toulouse ,, 1868, T. XVII, p. 399. 442 COSTANTINO OTTOLENGHI parte del prodotto e il salario abituale d’ un operarius era di 12 assi (60 cent.). Ma eran pochi questi liberi lavoratori, perchè l’abbondanza degli schiavi rendeva inutile per la maggior parte dell’anno la loro opera e perchè trovavano un facile ri- covero gl’intriganti nella capitale, i buoni nelle colonie; nel se- colo sesto queste aumentarono grandemente, ma pochi si iscrive- vano nei ruoli per la ripartizione delle terre, cosicchè venivano a distribuirsi lotti di una certa estensione a gente che non era capace di metterli a produzione (1). Alcune operazioni agricole che richiedevano maggior perizia non si lasciavano alla famiglia rustica, ma si davano ad impresa. Così infatti avveniva per la vendemmia o pel raccolto delle olive che si lasciava ad un imprenditore che colla sua gente, libera o schiava propria o altrui, facèva la vendemmia e racco- glieva le olive sotto la sorveglianza di alcune persone a ciò dal padrone destinate. Egli ne curava la torchiatura e ne rimetteva il prodotto al proprietario, dando sicurtà che il lavoro sarebbe stato compiuto a dovere e doveva risarcire i danni avvenuti per causa sua (2). La grande economia era pure applicata nei poderi a pastura i quali raggiungevano generalmente una superficie notabilmente maggiore del podere aratorio (3). Il sistema d’amministrazione era lo stesso, solo che in luogo del fattore c’era un mastro pe- coraio; tutti gli altri pastori erano schiavi che albergavano la maggior parte dell’anno sotto tettoie o frascati sovente distanti molte miglia dalle loro abitazioni. Ai confini dei grandi pos- sessi troviamo ancora qua e là praticata l'economia dei piccoli proprietari, ma questa diversificava dalla grande solo per esser basata su una scala minore. Il modo di ripartizione dei prodotti seguìto nel sistema a colonia parziaria è chiarito da due passi di Catone. Nell’ uno (1) Livio, XXXIX, 44. Nel 559 si inviarono due colonie a Pesaro e Potenza e si assegnarono 6 iugeri per capo. Nel 569 (Livio, XXXIX, 55; XL, 34) una colonia ad Aquileia con 50 iugeri per capo, una a Parma con 8 iugeri ed una nell’agro Calabrese con 10 iugeri. Nel 572 (XLI, 13), un’altra a Lucca con 51 iugeri e mezzo. (2) Caro, Op. cit., cap. CLIII. (3) Momwsen, Op. cit., Vol. I, parte 2*, p. 339 e sg. LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO III A. C. 443 (Politionem quo pacto dari oporteat. In agro Casinato et Venafro in loco bono parte octava corbi dividat, satis bona septima, tertius loco sexta; si granum modio dividat parte quinta... ordeum quinto modio, fabam quinto modio dividat) dice che nei territori di Cassino e Venafro si darà l’ottava parte delle spighe in ter- | reni buoni, la 7* in terreni mediocri, la 6? in terreni infimi, «oppure il 5° del grano battuto e nei migliori terreni di Venafro i il 5° delle spighe e dell’orzo (1). Nell’ altro passo (Vineam cu- o | randam partiario foenum et fabulam quod bubus satis siet, qui illic sient. Caetera omnia pro indiviso) afferma che il coltiva- tore riterrà quella parte che sarà necessaria pel mantenimento del bestiame delle colonie, tutti gli altri prodotti saranno di- visi a metà (2). Sorse una prima disputa sul modo d’interpretare il primo passo e alcuni, tra cui il Poggi e il Rodbertus, negarono trat- tarsi qui di colonia parziaria, dicendo che il politor non è un colono parziario, ma un semplice operaio impiegato solo in i certi tempi nei lavori contadineschi. Quasi tutti i commentatori di Catone al contrario traducono colono parziario. I due capi- «toli (CXLV e CXLVI), dice il Bertagnolli, dipendono da un solo titolo “ Politionem pro pacto dari oporteat , posto a fianco al cap. CXLV; Catone stesso parla al cap. XVI del politor come di colono parziario e questo significato dà pure Celso a quel vocabolo, ove dice “ aut agrum politori damus in commune quae- rendis fructibus ,. Una questione più grave è di sapere se la quota enun- ciata da Catone, cioè l'ottavo delle spighe, il quinto del grano battuto, fosse la porzione spettante al padrone o quella spet- tante al colono. Il Bertagnolli crede spettasse al padrone e che il colono ricevesse la parte maggiore, cioè i ‘7 delle spighe, i 4. del grano, ecc. (3). A noi pare, interpretando letteralmente il testo e confrontandolo colle condizioni dell'economia rurale di quei tempi, che la porzione minore, quella appunto accennata da Catone, fosse quella che spettasse al lavoratore. La stessa (1) Caro, Op. cit., cap. CXLV. (2) Caro, Op. cit., cap. CXLVI. (3) BerrAGNOLLI, La colonia parziaria, Roma, 1877, p. 20. 444 COSTANTINO OTTOLENGHI porzione troviamo assegnata da un’ antica legge indiana al la- voratore parziario (1). Essa era quasi insufficiente per vivere, si dice dai fautori della contraria opinione; ciò è vero, ma era una necessaria conseguenza della concorrenza della mano d'opera schiava che grandemente era offerta sul mercato, molto preferita per la minor spesa che portava e per la maggior quantità di lavoro che si credeva producesse. Solo qualche secolo dopo, ai tempi di Columella, si comprese esser la mano d'opera schiava inferiore alla libera. Dopo Catone nè Varrone, nè Columella ac- cennarono alla colonia parziaria; questa andò disparendo di fronte all’estendersi della grande economia a schiavi e cominciò la rovina dell’agricoltura romana. 8 Da queste indagini sulle plebi rurali del III sec. a. C. un fatto appare evidente. La numerosa classe di liberi lavoratori avven- tizi che s'era venuta formando nei secoli anteriori. intorno ad una minoranza di lavoratori delle proprie terre, andò sparendo, lasciando luogo ad una folla di schiavi rusticani lavoranti le estese proprietà dei padroni. Esiste pure la mano d’ opera libera, ma è scarsa, deprezzata e adibita solo in speciali con- tingenze. Questa minoranza dà ancora luogo a due sistemi, al sistema della coltivazione ad economia e alla colonia parziaria; ma il primo perde i caratteri suoi proprii e vien modellandosi sul sistema della coltivazione in grande a schiavi, allargando i confini della proprietà rurale; la colonia parziaria trova un ambiente economico contrario alla sua esistenza e va sparendo. I lavoratori liberi, sia avventizì che coloni parziarî, non ricevono sufficiente retribuzione e stanno peggio degli schiavi rusticani. Questi infatti non hanno come gli altri la preoccupazione del dimani, trovano nella “ villa rustica , il necessario alla vita, sono oggetto di cura del proprietario, pel cui profitto è neces- saria la buona condizione degli schiavi e degli animali, e posson (1) Nel diritto indiano troviamo una legge “la Narada , assegnata ai primi secoli dell’era volgare, che fissa ad un decimo la partecipazione del lavoratore al prodotto. — Max MiiLLer, The sacred books of East translated by various oriental scholars. Oxford, 1889. Vol. XXXIII. The minor law books, titolo 6, art.3: “ Where the amount of the wages has not been fixed, (the servant of) a trades, a herdsman, and an agricultural servant shall respec- tively taxe a tenth part of the profit (derived from the sole of mercandise) of the seed of cows, and of the grain ,. CITAZIONI LE PLEBI RURALI A ROMA NEL SECOLO III A. C. 445 fruire d’ una certa indipendenza. La condizione di fatto poi è anche migliore di quella degli schiavi urbani, quantunque sien tenuti in più bassa considerazione perchè campagnuoli. È le- cito pure dedurre, dalle indagini fatte, la frequenza del pa- drone a visitare i proprì fondi rustici, ma questa era quasi impossibile ad effettuarsi quando il fondo era situato lontano dalla città ove abitava, e diventava infruttuosa quando le terre si estendevano in grandi dominii, e fu questa non ultima causa della necessità in cui si trovarono più tardi i proprietari di la- sciare incolta la zona estrema dei latifondi e concentrare la col- tivazione nelle vicinanze della dimora signorile. Laboratorio di Economia Politica della R. Università di Torino. L’ Accademico Segretario CesAaRE NANI. =, Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. peli «rmvatase pian Wp naibarct: dora re» ompisio/[satonztiapa 1a, dbnoè. balera Dura: - ‘ fino roi cofuraisp addi ‘svaliovibe ® avslitio è MS. Renna smitiv asa Ton ordito icon i; spl ibcinatsitgongi i baatia sottomano ivo: alri DA ma fon sfcassrattico nada S ogizi lab srmartzoi anoxs eh al ie gio i ‘@ È Da artt fi a RA itiodi: Bisso x is i b ; È o ba DM 4 i PALA 9 ; “ santi Di dio venti HE add è 4° be : v * ui P li nr n i *% ss è 4 vr Id La (MER S| 4 NI V tu 2 Toh Me is ART Pa x È De, Cad 5%, PAS Rete ' RE t VE : ’ Po ; DE A : i Ù det - : È ha } Ù L è x \ * 3 ted : bra ETERO: o , I TRA A T i \ i ere Vira A TI i — » ‘ » x « ca Ì 14) U di _ seduta. î i Il Presidente partecipa che con R. Decreto 20 gennaio 1898 } egli fu confermato nella sua carica e che con altro R. Decreto | in data 6 febbraio 1898 il Socio Naccari fu confermato nell’uf- ) Of Sciences CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 27 Febbraio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-presidente dell’Acca- demia, Berruti, D’Ovipio, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, PEANO, VoLrerra, JapaNnzA, Foà, GuarEscHI, FiLeri e NaccarI Se- gretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente ficio triennale di Segretario della Classe. Il Socio D’Ovipio presenta una memoria stampata del Prof. Francesco CALDARERA dell’Università di Palermo, intitolata: Sulle equazioni lineari ricorrenti trinomie. Il Segretario presenta un volume intitolato: L’opera bdota- nica di Ulisse Aldrovandi (1549-1605), inviato in omaggio al- l'Accademia dall'autore di esso Prof. Oreste MarTIROLO dell'Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento in Firenze, Socio corrispondente dell’Accademia. Presenta pure una commemorazione del Prof. A. Des CLor- ZEAUX già Socio corrispondente dell’Accademia, inviata in dono dal Prof. A. Lacrorx, Direttore del Laboratorio di Mineralogia al Museo di storia naturale di Parigi. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 32 448 Vengono poscia accolte per l'inserzione negli Atti le note seguenti: 1° Sulla presenza del tellurio nei prodotti del cratere del- l’isola Vulcano (Lipari), nota del Socio Cossa, 2° Sopra una classe di equazioni dinamiche, nota del Socio VOLTERRA, 3° Osservazioni sull’etere acetilcianacetico, nota del dottor Luigi SABBATANI, presentata dal Socio GuARESCHI, 4° I gruppi continui primitivi di trasformazioni cremoniane dello spazio, nota del Dott. Gino FANO, presentata dal Socio SEGRE. Lo stesso Socio SeGrE legge anche a nome del Socio D’Ovipio la relazione sulla memoria del Dott. Beppo Levi: Sulla varietà delle corde di una curva algebrica. La relazione si chiude con la proposta di leggere la memoria alla Classe. La proposta viene approvata e la memoria dopo la lettura viene accolta nei volumi accademici. Il Socio CamerANO legge anche a nome del Socio Brzzozero la relazione sulla memoria del Dott. Ermanno GreLio-Tos inti- tolata: Sui trombociti degli Ittiopsidi e dei Sauropsidi. Conforme alle conclusioni della relazione la Classe approva la lettura e poi accoglie la memoria per l'inserzione nei volumi accademici. In seduta privata il Presidente comunica alla Classe una lettera del Prof. Giovanni ArcanceLi dell’Università di Pisa recentemente nominato Socio corrispondente. Questi si dice do- lente di non poter accettare la nomina, perchè le molte sue oc- cupazioni gli impedirebbero di prendere parte ai lavori del- l'Accademia. La Classe prende atto di questa lettera. La Classe procede quindi all'elezione del Direttore di Classe e riesce eletto il Socio Prof. Giulio Brzzozero, salvo l’appro- vazione sovrana. iena dini si. ALFONSO COSSA — SULLA PRESENZA DEL TELLURIO, ECC. 449 LETTURE Sulla presenza del tellurio nei prodotti del cratere dell’isola Vulcano (Lipari); Comunicazione del Socio ALFONSO COSSA. In una memoria presentata all'Accademia dei Lincei il 2 dicembre 1877 (1), feci conoscere il risultato delle mie ri- cerche eseguite sulla composizione dell’allume potassico, che in grande quantità trovasi aderente alle pareti interne del cratere dell’isola Vulcano in prossimità delle aperture dei fumaiuoli, mettendo in evidenza, come commisti all’allume potassico tro- vansi in proporzioni variabili gli allumi di rubidio, di cesio e di tallio. o Posteriormente, cioè nell’anno 1882, studiando le concre- zioni stalattitiformi, che cementano a guisa di tufo frammenti di trachiti e di lave decomposte, che abbondano pure nella Fossa di Vulcano, vi trovai in copia grande del fluosilicato potassico cristallizzato, che descrissi come una nuova specie minerale de- nominandola: Hieratite. Questo minerale si trova associato oltre che agli allumi sovrindicati, a zolfo selenifero, a oloruro d’am- monio, ad acido borico, a solfato sodico, glauberite ed a com- posti solubili nell’acqua di arsenico, di ferro, di zinco, di stagno e bismuto (2). Nella scorsa estate mi sono rimesso a studiare il residuo del materiale che aveva raccolto personalmente venti anni prima durante il mio soggiorno alle isole Lipari, coadiuvato in quel tempo dal Ministero d’Agricoltura, e dal Generale coman- dante la Divisione militare di Messina. Le nuove ricerche eseguite nello scorso anno furono indi- (1) “ Memorie della Reale Accademia dei Lincei ,, Serie III, vol. II. (2) © Transunti della R. Acc. dei Lincei ,, Serie 8%, vol. VI. ML; 450 ALFONSO COSSA — SULLA PRESENZA DEL TELLURIO, ECC. rizzate specialmente allo studio delle sostanze insolubili nel- l’acqua componenti le concrezioni stalattitiformi precedentemente esaminate. Il materiale di cui potei ancora disporre, già esaurito prima con acqua e poi con solfuro di carbonio per eliminare lo zolfo selenifero, fu ripetutamente trattato a caldo con acido nitrico diluito con metà volume di acqua. Nella soluzione nitrica, per l’azione lungamente protratta di una corrente di acido solfidrico, sì depose una quantità relativamente molto grande di solfuro d’arsenico commisto a solfuri metallici, che potei separare con ripetuto trattamento con ammoniaca. In questi solfuri ho riscon- trato una sostanza che non presentava i caratteri distintivi dei metalli già prima trovati nella parte solubile nell'acqua delle concrezioni di Vulcano. Mi sono lusingato per qualche tempo d’aver a che fare con un nuovo elemento; ma un accurato esame mi ha convinto che. si trattava di tellurio, che potei con sicurezza identificare colla reazione caratteristica del Miiller, col modo di comportarsi col cianuro potassico e coll’analisi spettrale. Da tre chilogrammi di materiale potei separare, vincendo molte difficoltà, circa due grammi e mezzo di tellurio affatto puro. Lo scopo di questa breve comunicazione non è solo di far conoscere il fatto, che ritengo interessante, della presenza del tellurio finora non avvertita in minerali italiani (1), ma ancora di segnalare ai cultori della chimica mineraria i prodotti del cratere di Vulcano, che si distinguono dagli ordinarii prodotti vulcanici anche per la grande quantità di fluoro che essi conten- gono, come un materiale di ricerche feconde di importanti ri- sultati. (1) Questa scoperta del tellurio nei prodotti del cratere dell’isola Vulcano fu annunziata nel N. 17 della “ Rassegna mineraria ,, pubblicato in Roma colla data 11 dicembre 1897. VITO VOLTERRA — SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 451 Sopra una classe di equazioni dinamiche; Nota del Socio VITO VOLTERRA. Nella dinamica dei sistemi rigidi liberi non soggetti a forze le tre componenti della velocità traslatoria e le tre componenti della velocità rotatoria soddisfano ad un sistema di equazioni differenziali del primo ordine in cui questi sei elementi com- pariscono da soli. La questione si presenta in modo analogo allorchè si studia il moto di un corpo rigido immerso in un fluido indefinito. In uno studio fatto qualche tempo fa (*) sulla rotazione spontanea dei corpi in cui esistono sistemi ciclici, ho mostrato come le tre componenti della rotazione del corpo e tutte le ve- locità cicliche possono determinarsi partendo da un sistema di equazioni differenziali del primo ordine in cui figurano queste sole quantità. Possono immaginarsi infiniti altri casi nei quali caratte- rizzando il moto istantaneo di un sistema mediante dei para- metri indipendenti, allorchè il sistema è abbandonato alla pro- pria inerzia, le equazioni del moto possono separarsi in due gruppi, il primo dei quali è un sistema di equazioni differen- ziali del primo ordine rapporto ai detti parametri, che soli com- pariscono in esse come elementi variabili. Il problema. della determinazione dei parametri stessi in funzione del tempo, costi- tuisce quindi una questione a sè che può discutersi indipenden- temente dalla completa questione dinamica. Colle presenti ricerche mi sono proposto di iniziare uno studio sistematico di tutti questi casi e delle corrispondenti equazioni differenziali. Il tipo di esse si riconnette direttamente (*) Sulla rotazione di un corpo in cui esistono sistemi ciclici, © Rend. Acc. dei Lincei ,, 2° sem. 1895. — Sulla rotazione di un corpo in cui esi- stono sistemi policiclici, È Annali di Matematica ,, T. XXIV. 452 VITO VOLTERRA a quello delle equazioni di Eulero dei sistemi rigidi e a quello delle equazioni di Kirchhoff del moto di un corpo immerso in un fluido. Questo studio non si limita ai soli sistemi holonomi (*), ma comprende il caso generale di tutti quei sistemi soggetti al principio fondamentale della dinamica di Lagrange, i cui vin- coli si rappresentano mediante equazioni fra le coordinate ed i loro differenziali. Coll’abbracciare il caso dei sistemi mon holo- nomi il campo di applicazione delle ricerche stesse viene note- volmente allargato. I parametri indipendenti che individuano il moto istantaneo di un sistema possono chiamarsi le caratteristiche del moto, onde può darsi il nome di motî spontanei a caratteristiche indipendenti a quelli che formano il soggetto delle presenti ricerche. In questa prima Nota mi sono limitato allo studio degli integrali di 1° e 2° grado ed alla corrispondente riduzione delle . equazioni. Esaminerò in una prossima Nota alcuni casi notevoli, ap- profondendo lo studio della integrazione delle equazioni diffe- renziali; ed in una successiva studierò i moti permanenti ricer- cando le condizioni della loro stabilità ed instabilità. $ 1. — Caratteristiche del moto e calcolo delle loro variazioni. 1. — Consideriamo un sistema materiale costituito da » punti le cui coordinate siano £;, 2, ...Én, e supponiamo che le com- ponenti delle velocità dei punti siano funzioni lineari di v pa- rametri arbitrarii p,, 72, ..- py; per modo che si abbia 0 ARS NE (1) mag Re 2; Sis Ps ove le z. sono funzioni delle coordinate &,, 2, ... En: (*) La distinzione dei sistemi dando loro il nome di sistemi holonomi e non holonomi è dovuta ad Hertz (Die Prinzipien der Mechanik, I Buch, Abschnitt 4). I sistemi non holonomi però erano già stati soggetti di studio (Vedi A. Voss., Ueber die Differentialgleichungen der Mechanik, “ Mathem. Annalen ,, XXV Band). Confronta pure 0. HòLper, Veber die Principien von Hamilton und Maupertuis (£ Nachr. von der K. Gesell. der Wissensch. zu Gottingen ,, 1896). rat ni SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 453 Ad ogni configurazione che assume il sistema corrispon- dono infiniti moti istantanei che saranno caratterizzati dai va- lori che si possono dare arbitrariamente ai v parametri pi pr... Py Essi perciò si chiameranno le caratteristiche del moto del sistema. Ogni sostituzione lineare invertibile eseguita sulle pi, 7a... trasforma queste caratteristiche in altre caratteristiche. Evidentemente ogni qualvolta i legami del sistema si espri- meranno mediante relazioni, fra le coordinate e le componenti delle velocità dei punti, e rispetto a queste ultime, le relazioni stesse saranno lineari ed omogenee, potremo scrivere le (1). In tal modo viene a trattarsi tanto il caso di sistemi holonomi, quanto qnello di sistemi non holonomi. 2. — Per avere un sistema di spostamenti virtuali basterà prendere le (2) DEDE, d, 1 ove le dw, sono quantità infinitesime indipendenti. Esse si chia- meranno le caratteristiche dello spostamento virtuale del sistema. Dalle formule (1) e (2) segue immediatamente Mi, (3) de = ZU 3. — Denotiamo con m; la massa del punto materiale di cui una delle coordinate è z. Allora la forza viva del sistema sarà data da In y y (4) "È = sa Da Mi gli = La Èr Di E, PP; ’ 21 24% g1 avendo posto In (5) E, = E, = Zi Mi Sis Sr . 1 Le quantità E,, risultano quindi delle funzioni di &,, &»... n. In virtù d’un teorema ben noto sulle forme quadratiche sarà possibile cambiare in infiniti modi le caratteristiche p, in altre g,, per mezzo di una sostituzione lineare invertibile, in modo da porre la forza viva sotto la forma 454 VITO VOLTERRA Potremo anche in infiniti modi, mediante sostituzioni reali invertibili, ridurre la espressione della forza viva ad una forma definita positiva arbitraria. 4. — Calcoliamo ora le variazioni delle caratteristiche cor- rispondenti ad uno spostamento virtuale del sistema. Partiamo perciò dalla relazione d | ER , dl,,= di di. A cagione delle (1) e (2), avremo z. Ep; + F.p. dl, = A: is du => 2. w, w, È 4 Ma de, = di n >, E, du, de — Z Co E Enr Pr quindi la equazione precedente diverrà n si Pena Otis DE Ei 2 3 a DL) — = LE 2h 2; >. Sir di (P, dw; o È Ps dw,). 1 Moltiplichiamo ambo i membri di queste equazioni per mg, e sommiamo per tutti i valori 1,2...3n di i. Tenendo presente la (5) otterremo dòws = (6) Z Es dp, = di — 3, 3, 3!) (p, dw, — p, dw,) 1 1 avendo posto an In (7) = Zh 20 Zi mM, bo SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 455 5. — Sia En, ra 0000. E, Eb; IDA ol'al'ellalge E hA= PcicElap.cba 1097 d log A TESO HI le quantità e,, saranno i coefficienti della forma reciproca della (4) e avremo che dalle (6) seguiranno le altre ddwu RESTI / OP, — cn = Zi Za 2y C9u 53) (Pr dw, OE Ps dW,) —_ (3, è Cru (04) — 59) ] p, dw.. LN Ponendo dunque (8) dr — Fis tou (09 — de) Ù l'equazione precedente si scriverà (A) SET $ 2. — Proprietà dei coefficienti a, 2%. 1. — Dalla equazione (8) segue al = — a e per conseguenza ol = Se ne conclude che è coefficienti al! cambiano segno inver- tendo î due indici. Dalla (8) si deduce poi (9) Di) — 50) == = En all), 456 VITO VOLTERRA 2. — Riprendiamo le (7) e invertiamo l’indice s e l’apice g. Si otterrà 3n dig o —_ 2 Enr Zi mM; der Zi onde (10) DO + so = È, EL: ee e per conseguenza allorchè le E,, sono costanti Lot A boo-=— bg. Dunque: allorchè i coefficienti della forza viva sono costanti, i coefficienti DE cambiano segno permutanto V apice col primo indice. 3. — Supponiamo di aver ricondotto la forza viva alla forma =iM+B+..... +2), ‘allora la (9) ci darà DO — DO = ad e la (10) DO + 5a =0 quindi bo Pb = a di + bi = aa ig i le 1 da cui si deduce 20 = all + al — al = a + all + all e finalmente alt) (") pu — + all vel at) ST 2 . 4. — Vediamo ora come cambiano i coefficienti a, al- lorchè si eseguisce una sostituzione lineare a coefficienti co- stanti sulle caratteristiche p.. SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 457 Si abbia (11) Gi = Di ù Ps, dX: i Bas dis dw,, (1) Ps = Di; hi; di le ),, essendo delle qualità costanti. Dalle di s dp, = 2 * È Zi af Pr dw, segue dò -— DICA = >. di; dp, = = sa Za Zi 2. af A is Pr dw, = AbXs L = = < 7 == = "n 2h 2 >, Zs Ds Zi ati dis Ni Nu q dg 1 = + È 2. e o Vf] dx, avendo posto -\ y y y È (12) coi = Zh 2h 2; af \, Nin Au. Dunque: se si eseguisce sulle caratteristiche la sostituzione (11) a coefficienti costanti, i coefficienti al si cambiano nelle ct) le- gate alle prime dalle relazioni (12). $ 3. — Le equazioni differenziali del movimento. 1. — Avendo chiamato T la forza viva del sistema, si avrà = OT ar E, "A z: A dp, + Zi » dE ed applicando la (A) e la (2), y T dws y (13) dI => — (0 ce pp Zi af pi du, +2: T, dw, scrivendo 3n (14) T,=5>, IE N 1 Se =, denota la componente della forza corrispondente alla 458 VITO VOLTERRA coordinata &, il lavoro eseguito dalle forze per uno sposta- mento virtuale, resulterà dato da (15) E =, dé, Ls Si Z. E, dw, =. dw, ponendo dn (14') E Zi Zaki 2. — Per stabilire le equazioni differenziali del movimento partiamo dal principio di Lagrange rappresentato dall’ equa- zione (*) (B) pLeg (5 2 ce) LT Applicando la (3) avremo sn L mi In y dEi sr ci Zi di, = Zi d Ds dps = Zi _ Perciò in virtù delle (13) e (15), la (B) diverrà Ste Si @d (i 37 dw fi È, * (DI dòw, dPs me Zi È aj Pr du), ca > da dw, 1 ed Te euti o È y O; a > dx dx Pi dw, — >, T, dw, s TRO Rs 1 A e SED, RE ($=1,2...v) Come equazioni differenziali del movimento del sistema po- tremo dunque prendere le equazioni precedenti insieme alle z', = Di Ca Ps» l (*) Vedi BeLtrAMI, Sulle equazioni dinamiche di Lagrange, “ Rendiconti dell'Istituto Lombardo ,. S. II, vol. XXVIII, fasc. XIV, pag. 745. n N sla 4 de NE Ja I Spal dl at _ SOP AOUNA' RES EQUAZIONI DINANICHE | h E dr TH $ 4 — L'integrale delle forze vive. 1. — Moltiplichiamo la (C) per p,, quindi sommiamo per itti i valori 1,2...v di s. Otterremo y dT Ù y | ea = >, Dx al) dr PP: + > Dadi + Ds Ei Da Ii] Pr l 1 Dr: Ma in virtù delle eguaglianze si ha >, >; >; ab) > nni Pr Ps = zo del È at) Pi: ps = ana 0 Meo AI > =2:T.p.+3.P.p. Nas : da cui si deduce, poichè T è una funzione omogenea di 2° grado nelle p,, i ò È (16) suo += Lì de +2.P.p. hh ti Ora (vedi (14) ) IT an dt; * > ae -—< >, d 2. Zi Pi = ar Zid dEi quindi 2 dine i get >, 1. Ps + Zs db dps dt rr di b) LI e l'equazione (16) diventa # Lpd Lai "i Sr DE 460 VITO VOLTERRA 2. — Se esiste il potenziale P delle forze ed è una fun- zione delle sole coordinate z;, avremo (vedi (14')) 3n 3n aeS E Zi = vesti La To: me DE E;s bj quindi n dn >. P,p=3 alp =2 =" dt onde la (17) si scriverà al __ dP FATTA e integrando T_-P=cost. $ 5. — Caso in cui le equazioni (0) diventano le equazioni di Lagrange. 1. — Allorchè le p, sono le derivate rapporto a # di un sistema di variabili indipendenti g,, cioè _ ds IL ZA dt b) avremo dEi (e = dgs , quindi n Pa) 3n [2 z z. 27 )Zis dEis dER Otis dz: Se = — MS = — ° Za n Za din ddr dgr dgsdIr Applicando la (7) sì trova 59) 5 1a | be d°zi OE: Der 2 Mi da: dar ig Zi Mi dg: dgr dd onde mutando s con 7 (9 —_-—_ [È Der" e a cagione della (8) (18) dl = Ma (È at SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 461 quindi la (A) si riduce a dÒdWwwy dt 0pn== 2. — In virtù delle (18) le equazioni (C) diventano di 0 (0°) (ir latente e (vedi (14)) an dT dT es agiva per conseguenza le (C') si scriveranno sotto la forma CR dt, | dt dg» ic dgs EL che è la forma di Lagrange delle equazioni del movimento. $ 6. — Varie forme delle equazioni del moto. 1. — Supponiamo che le caratteristiche del sistema siano prese in modo da rendere costanti i coefficienti E, della forza viva; allora le (C) diverranno ©) dd TIME. e se la forza viva sarà ridotta alla forma datato I= gb: le equazioni precedenti si scriveranno v y (E) p's= Zi 2 a PPT Po Ricordiamo che la riduzione della forza viva alla forma pre- cedente è sempre possibile in infiniti modi, quindi potremo dire: Ogni problema di dinamica, relativo ad un sistema holonomo o non holonomo avente legami indipendenti dal tempo, può farsi | ATTO Pt VI AA dan (E) “È Sf; = 2; E pri = — all. 2. — Tenendo conto che «Di D (BE: = E, : dpr Zh nP Li le (D) si scriveranno "I è bei dd dT Ha U y y 5 . ì di dps ‘i 2x n Px Pr z E rh al — È: ia ed applicando la (9) R GAI v MEET, BI IyEnA e ponendo più — BM — e avremo dA INNI (F) p er di AZ ) P1p++ P I in cui em= — e Osservando che mE dT $ 2: rs dps le (F) si trasformeranno facilmente nelle p' gi o È, Ph Da 2. Zi ci Crs Cgi: =D > Cra quindi ponendo y V )) RELEO h fi — Di a (Y Ers Col: CE. SOPRA. UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 469 avremo LI y (n) dT (6) PISO, a: pal dpg iN in cui È RSS MOTTO È; rg (428 8. — Le due forme (F) (G) sotto cui vennero poste le equa- zioni della dinamica possono subire una comune trasformazione. Sia F una forma quadratica delle p,, p:...p, a discrimi- nante diverso da zero. Potremo scrivere F i re di in cui le ),; sono indipendenti dalle p,, p»... p,. Ponendo dunque y h Ie, Eh ch) Mm = 19 1 Ò h ERASATT) 2h I 05: le (F) e (G) diverranno AIDA AT dF | (Fi) ni dp: _ Zi 2 va dpi Pr + E° ’ (1° T_ vi) dinataso ciao dB od (0 pae POS (G,) p Pia Zo Zi Prg dpi dp9 Sla (Ap (i; = Pi?) i $ 7. — Moti spontanei a caratteristiche indipendenti. 1. — Allorchè, oltre essere costanti i coefficienti della forza viva, sono costanti anche le a, allora il sistema si dirà a caratteristiche indipendenti. Evidentemente un sistema rigorosamente ciclico secondo la denominazione di Helmholtz corrisponde ad un sistema a ca- ratteristiche indipendenti in cui i coefficienti al! sono tutti eguali a zero, allorchè si prendono come caratteristiche le ve- locità cicliche. Si vedrebbe facilmente come i sistemi rigidi, liberi o im- Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 33 464 VITO VOLTERRA mersi nei fluidi, con o senza moti ciclici interni, si riducano a sistemi a caratteristiche indipendenti. Supponiamo che il sistema non sia soggetto ad alcuna forza, sia cioè abbandonato alla propria inerzia, allora le quantità P.,, saranno tutte nulle e le equazioni del moto diverranno , CA dT A da (m) dT (D') di: ODE Èr Zi ask Pr dpr i (1') E, =. >. Zi Ps . Osserviamo che nel sistema (D') non compariscono che le P. ---p, e le loro derivate prime; esso quindi determina le ca- ratteristiche del moto indipendentemente dalle coordinate. Pos- siamo quindi stabilire che in un sistema a caratteristiche indipen- denti abbandonato alla propria inerzia, le caratteristiche del moto soddisfano ad un sistema di equazioni differenziali del primo or- dine in cui compariscono da sole. Il problema della integrazione delle equazioni del moto può essere dunque decomposto in due parti. Nella prima si determinano le caratteristiche mediante le (D'); nella seconda, note queste, si determinano le coordinate applicando la (1’). In tal caso chiameremo il moto un moto spontaneo a carat- teristiche indipendenti. 2. — Ogni sostituzione a coefficienti costanti nelle caratte- ristiche non altera il tipo del sistema; quindi come equazioni differenziali del moto potremo prendere indifferentemente uno dei sistemi I LIT SE gp dI (D) dt dps 2 2h Ask Ph dpr’ d dT A (E) FRS AE Zr 2 cl Pr Pr yy dT Ù rr fl - (G ) p s 2r Zi f4 Pr dpr o anche il sistema (E) P':=% Zi A5 Pr Pa _ SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 465 a cui si riducono contemporaneamente tutti i precedenti, quando si riduca T alla semisomma dei quadrati delle caratteristiche. In tutte le equazioni precedenti dovremo ritenere costanti tutti è coefficienti e tali che cambino segno per una trasposizione degli indici. Se denotiamo con F una forma quadratica delle p,...p, a discriminante diverso da zero, e a coefficienti costanti, potremo ancora scrivere le equazioni differenziali sotto la forma ’ ERRO REI (F 1) dt dps ui k Vsk Pr - r {r) dF dT (G 1) D'; os 5, = Por dpr dpi in cui al pari che nelle equazioni precedenti i coefficienti 1} e pH sono costanti e cambiano segno per una inversione degl’indici. 3. — Quando le caratteristiche sono costanti diremo che il moto è permanente. Quindi come equazioni corrispondenti ai moti permanenti prenderemo uno qualsiasi dei sistemi (D'), (F'), (G*), (E'), (F‘)), (G1) in cui assumeremo nullo il primo membro. Ne segue che la determinazione delle caratteristiche corri- spondenti ai moti permanenti può eseguirsi senza alcuna ope- razione di integrazione. $ 8. — Integrali di primo grado delle equazioni dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti. 1. — Se esiste un integrale di primo grado delle equa- zioni (G'), cioè se si ha 0) ?1 + % pa + ... + 0,p,= cost essendo a,, ag... a, delle quantità costanti, eseguiamo una sosti- tuzione lineare a coefficienti costanti sulle caratteristiche in modo che la prima di esse resulti eguale al primo membro della equazione precedente. Si vede in tal modo che il caso in 466 VITO VOLTERRA cui esista un integrale di primo grado si riduce sempre a quello in cui le equazioni ammettono l’integrale PO==COS, ossia si abbia Pi 2()) 2. — Ciò premesso eseguiamo sulle ps...p, una sostitu- zione lineare in modo da far sparire nella espressione della forza viva i termini contenenti i rettangoli delle p»...py, Cioè che si abbia T=3(+pî+.. +2) + Mep: +. + Ep), allora le equazioni (G) diverranno o=pi=% Ziffip: (i+ Bu Pi) pi=> Za flàp: (e + Ba p) + af p: (Pi + Ex PI) +31. (+3, Eup:) +12 Di (i+ Eu). In virtù della prima otterremo (19) fia + fi =0 fl +2fREx=0, quindi, con un calcolo facile, si avrà (20) pi=2, Zs(f1+ {WE )p,(Pi+Eup)+Z(fU+ Wp: (P+Ep1) = o. Zi gs Pr n + 2 Yan Gi ponendo SR=fR+ 0, ra= (+ (21) Q = Pri + Eu Pr Tenendo presente la relazione (19) si vede che le 9% e SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 467 le x saranno delle quantità costanti che cambiano segno per una trasposizione degl’indici. Le (20) potranno scriversi ancora 20). p.=Z(Zgp+ re) =Rq|x gta + 103 AE pi | Poniamo Ta ">, gl Bo pi= pi | +f9 gb] = anche /,, cambierà segno per una inversione degli indici, e le (20') diverranno (20”) q; = È Za 9g”) dr Yi "a Zù ls Gr Dalle (21) segue T=1@+@+..+9)+ cost onde le (20”) assumeranno la forma v v OT == U) g — q s 2 Zr gsk Isk dr x! ‘sk da | Eseguendo sulle 9,93 ...g, una sostituzione lineare qua- lunque che trasformi le caratteristiche nelle w,...v,, le equa- zioni precedenti si trasformeranno nelle (H) w'= a E mV 4 Ser (s=2,3... %) 22 ur 9 dui in cui le m@ e le n, cambiano segno per una trasposizione degl’indici e si calcolano immediatamente dalle gra 8. — Supponiamo ora che esista un secondo integrale di primo grado delle equazioni (G') indipendente da quello prece- dentemente considerato. Potremo prendere sempre le cose in modo che esso si ri- duca ad us = così 468 VITO VOLTERRA ed allora, ripetendo un calcolo analogo a quello fatto prece- dentemente, le equazioni (H) si ridurranno ad un sistema di equazioni della forma c) Y dT y IT A (7) ‘ PeTÌ = Vs= Za 2r Mor Vr dor I 2î Vsk dor (s _— 3, 4 ceo v) ove le v sono legate lineamente alle u, e T resulta, a meno di una costante, una forma omogenea di secondo grado delle ». In generale quando esistano g integrali, indipendenti di primo grado delle equazioni del moto, esse potranno ridursi alla forma (H”) 2, ra * 3. MO) Èr Ro A Ne dl , Ss Tra 2 ‘009 N DA SI d2x 1 dek \=v—g9 in cui M@? e N, sono dei coefficienti costanti che cambiano segno per una trasposizione degl’indici, e T, a meno di un ter- mine costante, è una forma omogenea di 2° grado delle 2, le quali sono legate lineamente alle variabili primitive p. $ 9. — Integrali di secondo grado delle equazioni dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti. 1. — Una delle forme sotto le quali vennero poste le equa- zioni dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti è stata la seguente (cfr. $ 7) (6) p.=3 ol ove F è una forma omogenea qualunque di secondo grado delle p a discriminante diverso da zero e a coefficienti costanti. Supponiamo che si abbia, comunque siano gl’indici e l’apice, eeet pl = — oî. Resulterà allora pra III 1 Vere Li carie) { gii=— gl = gM= Ue pl=—- pî, SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 469 onde ponendo pl = Psr la quantità 9, cambierà segno per ogni trasposizione degli indici. Le (G’) diverranno parete: v y dF 9T Pp Sie 2 a Vor dpr dpi e quindi VIE e Dea = 0 Z: “api P onde F = cost. Abbiamo dunque che F=cost sarà un integrale delle equa- zioni (G’)). 2. — Supponiamo ora inversamente che il sistema di equa- zione (G’,) ammetta per integrale Bi_ccophi Mediante una sostituzione lineare nelle p (22) q= È du, riduciamo contemporaneamente le due funzioni T ed F ad es- sere rispettivamente della forma ilggtas* e 9 Zi Di E = ra Sd 2 Una e supponiamo che le \; resultino tutte diverse fra loro. Allora le (G',) diverranno y v F T v v : (23) q's = 2, Zi BR È Ò f 3 Zr Zr Bo ì, Ir Pr 470 VITO VOLTERRA avendo posto [c°) DI ni Me 5 Zi Ti PE Ax Oy Urs- Ora dalle (23) segue Z, \, qs 95 = n Zi >. BA de 9 We Ls quindi se F = cost, ossia se v z: d, 9 ie FT 0, dovremo avere Zr zx 2: BRA 9A = 0 per ogni sistema di valore delle g. Calcolando il coefficiente di 9, x 9, Si trova (A; ì, TITE Ù \,) Ba + (A, Mi vi: 0 dx) Bi? ole (M À, TEO ì, ì,) BE otterremo dunque le equazioni (24) A. BR(A, — A) + BE(A, — 1) +A, BEM —A)=0. 3. — Abbiamo supposto le A tutte diverse fra loro; dalla (24) può dunque dedursi ì, BO —_ Cor + ì, Di in cui le costanti C,,, e D,,, sono quantità che cambiano segno per una trasposizione degli indici Sostituendo nelle (23) per \,B{ i valori trovati e riducendo i termini simili esse si scriveranno VAS: ge Spie ani DE == 7 ; = . ; 3 (23) Ys Tr 2h Dorr de dr Wi È Zi Dar dgr dqi 4. — Siano ora Ps = È; Àii di SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 471 le inverse delle (22); posto y_V y Cskr = Za 2y 2 Db Ag IA E AG le (23’) diverranno fer AT dF P Fani DI 2 Cskr dpr dpr o anche d(T, p's= Zrk0%r ai denotando con X,, la somma estesa a tutte le combinazioni a due a due degli indici r e &. La dimostrazione fatta per ottenere queste equazioni pre- suppone che F sia una forma a discriminante diverso da zero. Ora tale restrizione evidentemente può togliersi, tenendo pre- sente che all’integrale F = cost, può sostituirsi l’altro F + KT = cost, ove K è una costante arbitraria, ed osservando pure che le equazioni precedenti non si alterano mutando F in F + KT. 5. — Scriviamo ora le due foche E = > Si DI E, Pr Ps bi 3 Pezzo Ne Pei Le \,, )»...\y saranno le radici dell'equazione di grado v in À. An rosi NE, Ax ——*: NE, joe è Au “ @ XE, Aa FAN NK, Ns "Tai NEg, 0. Au E Ti NE w (I) 25% Ai si NE i, Ao a! XK,e, DONO N Tr \E,, potremo dunque enunciare il teorema: Posto T mai 3 Zr Dis Kys P» Ps = 7 > DAWP:D, 472 VITO VOLTERRA se l'equazione algebrica (K) non ammette radici eguali, la condi- zione necessaria e sufficiente affinchè un moto spontaneo a carat- teristiche indipendenti avente T per forza viva, ammetta l’inte- grale F = cost è che le equazioni del moto siano della forma d(T,F) | AIRES (1) P s Zrk Cskr d (pr, pr) in cui le ey. sono costanti che cambiano segno per una trasposi- zione degl'indici. Chiameremo la equazione (K) la equazione determinante. 6. — Allorchè le equazioni differenziali assumono la forma (1), ogni nuovo integrale ®= cost, dovendo verificare l'equazione | ALA Atp ao 4 dovrà esser tale che . e d(T,F,®) 2 skr Cskr d(pspxpr) in cui Y,;, denota una somma ottenuta facendo tutte le combi- nazioni tre a tre degl’indici s,%,r. $ 10. — Integrali di primo e di secondo grado delle equazioni dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti. 1. — Se le equazioni del moto ammettono un integrale di secondo grado non omogeneo, si vede immediatamente che deb- bono essere separatamente integrali dell'equazione la parte di primo e quella di secondo grado. Supponiamo di valerci di tutti gl’integrali di primo grado che si possono conoscere per ridurre le equazioni differenziali del moto alla forma (Cfr. $ 8) (H") gs = 0% qw 9 + Zar da Wa L’integrale delle forze vive avrà allora la forma (25) T+ cost= 5 g5==icost. SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 475 Supponiamo che esista un integrale di secondo grado (26) F (91, 98: 93...) = cost. Per mezzo di una sostituzione ortogonale nelle 9, potrà sempre ridursi questo integrale a mancare dei termini conte- nenti i rettangoli delle variabili senza che perciò si alteri la forma delle equazioni (H"), nè quella dell’ integrale (25). Po- tremo dunque supporre senz'altro che l'integrale (26) abbia la ‘forma (26’) be 5 (19 ++...) + Mw +4 Ho 9 + ... = così. Ammettiamo che le X,,),... siano tutte diverse fra loro; moltiplicando respettivamente le (H”) per \,g;+H; e sommando si avrà, in virtù della (26°), (27) DE Dx DE ), al) Gs di & = 0) (27°) >; di >, as Us Qi dr * zi Di dar: ì, Gs Ga = 0) (27”) =; 3A bs Ms Yi — 0. Dalle (27) segue (A, — Aa) a + (A, — A) al + (A, — A) af = 0 e quindi al = Csi == ), Di ove le C,, e D,,, cambiano segno per ogni trasposizione degli indici. La (27’) dunque si scriverà Di Zr VA di [da pe dI U, Da | , = 0 e quindi (9 aa ù,) [da vali Di MU, Du | =0 da cui segue Dar —_ E; Da M,. 474 VITO VOLTERRA Questi valori delle d,. verificano evidentemente le (275). Le (H") potranno dunque scriversi di = Z, Di Du ì, VINILI # LZ, 2; Du Qu Mr F = Du Gr (A Gp) = Dart Si 5) n Eseguendo sopra le 9 una sostituzione lineare qualsiasi che conduca alle p, avremo che la forma delle equazioni non cam- bierà e si otterrà OT _dF dpr dpr A(T,F) (L) PIE dpi DI). = p E, Cskr ove le e,,, saranno quantità che cambieranno segno per una tras- posizione degli indici. $ 11. — Teorema generale sulla integrazione delle equazioni dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti. 1. — Prendiamo le equazioni sotto la forma (Vedi $ 9) Rai d(T,F) (1) pi = tr Cokr d(pr, pr) s Si verifica facilmente che AT, F). d (pap) — \dL 4(T1,5) skr Cskr | dps d(pr, pr) dò @(T,F) dd n dpr Apr ps) sli dpr d(ps,. pr) | par n Vr € skr = = Dunque il sistema di equazioni differenziali (I) dvi ni par EL 0 I ron STD =] SODI] Uenpd “—— Uppr) n d(pw Pr) ammette il moltiplicatore 1. s Po SOPRA UNA CLASSE DI EQUAZIONI DINAMICHE 475 2. — Il numero dei parametri p; p.... di un sistema a ca- ratteristiche indipendenti se ne dirà l'ordine. Supponiamo che il sistema che si considera sia di ordine v e che si conoscano v—4 integrali delle (I) indipendenti dal tempo e dai due inte- grali quadratici T= cost, F=cost. Tenendo conto di questi due integrali, avremo che si conosceranno v—2 integrali del si- stema (I’), e siccome se ne conosce un moltiplicatore, così con una quadratura potremo ottenere l’ultimo integrale. Determinati così v_—1 integrali delle (I) indipendenti dal tempo con una ulteriore qradratura avremo l’equazione del tempo. Possiamo dunque enunciare il teorema: Se, oltre l'integrale delle forze vive, si conoscono v—3 integrali indipendenti dal tempo delle equazioni d'un moto spontaneo a caratteristiche indi- pendenti d'ordine v, ed uno di essi è un integrale di secondo grado (la cui equazione determinante abbia radici diseguali) la determi- nazione delle caratteristiche si riduce alle quadrature. Osservazioni sull’etere acetilcianacetico; Nota del Dott. LUIGI SABBATANI. I miei colleghi e compagni di laboratorio, Quenda, Pasquali e Grande, hanno ottenuto da reazioni analoghe uno stesso pro- dotto, la 8 8‘ dicianmetilglutaconimide. Facendo reagire a rap- porti equimolecolari l’etere etilidenacetacetico col cianacetato d’etile in presenza di ammoniaca, Quenda (1) ottenne dell’etere idrocollidindicarbonico, e della diciammetilglutaconimide e dimostrò che questo secondo prodotto trae origine da un po’ di aldeide etilica, che si forma per scomposizione dell’etere etilidenacet- acetico. E non è solo l’aldeide etilica che in presenza di etere cia- nacetico ed ammoniaca dà origine alla dicianmetilglutaconimide; ma anche i chetoni grassi normali (quelli almeno studiati fino (1) “ Atti della R. Accad. delle Scienze ,, 1897, vol. XXXII. > STO TI 476 LUIGI SABBATANI ad ora, della formula CH?.C0.C"H?"*!) dànno sempre come pro- dotto finale e stabile la stessa sostanza: CH* | C YO SN CNC HO.C CO sueg N Così Pasquali (1) dal metilessilchetone, dal metilbutilche- tone, dal metilpropilchetone, dal dimetilchetone, e Grande (2) dal metiletilchetone ottennero sempre per azione dell’etere cia- nacetico ed ammoniaca la dicianmetilglutaconimide. In tutti questi casi la reazione avviene, come dimostrò il prof. Guareschi (3), in modo analogo a quello per cui Hantzsch ottiene i suoi composti piridinici : CH? CH? | C.R H°0 C RH VAR: PR CN.HCH Boa n na CA | = ) oe ico 0C CO A, OC?*R5 C2H5 ca NOS OH HNH . H i H Qui reagiscono contemporaneamente due molecole di etere cianacetico con una di aldeide o chetone; io invece ho cercato se era possibile ottenere lo stesso prodotto partendo da un de- rivato cianico dell’etere acetacetico. Parve questo tentativo non privo di interesse, qualunque fosse il risultato che si sarebbe ottenuto, e però pubblico la presente Nota, quantunque l’espe- rienza abbia dato risultato negativo. (1) Loc. cit. (2) Loc. cit. (3) Nuove ricerche sulla sintesi di composti piridinici e la reazione di Hantzsch, * Atti della R. Accad. delle Scienze ,, 1897, vol. XXXII. OSSERVAZIONI SULL'ETERE ACETILCIANACETICO 477 Partendo dall’etere acetilcianacetico, etere cianacetico ed ammoniaca, a freddo si ottiene della cianacetamide e del sale ammonico dell’etere acetilcianacetico. Perchè la sintesi avvenga cogli eteri chetonici nel senso indicato dal Guareschi (1), occorre che l’ossigeno abbia funzione nettamente chetonica e sia dotato di una discreta mobilità. Nel caso speciale dell’etere acetilcianacetico l'atomo d’ossigeno perde le proprietà sue chetoniche ed acquista una funzione acida netta e spiccata. La perdita delia funzione chetonica ci è dimostrata dalla mancata sintesi a cui accennava or ora: quanto poi alla funzione acido basterà ricordare che questo etere ha reazione acidissima e scompone i carbonati, che Haller ed Held ne hanno ottenuti dei sali metallici ben definiti e che coll’ammoniaca forma pure un sale molto stabile. Quest'ultimo fatto è bene dimostrato dalle osservazioni seguenti. Preparai l'etere etilico dell'acido acetilcianacetico /CN CONOR o gbeHa seguendo esattamente il metodo indicato da Haller ed Held (2) ed ebbi un prodotto che corrispondeva esattamente per tutti i caratteri suoi a quello ottenuto da essi. Quando è liquido e si tratta con poca ammoniaca, si riap- prende in una massa compatta, bianca, che si scioglie poi pron- tamente per aggiunta di acqua. Svaporata la soluzione sull’acido solforico, lascia un residuo cristallino appena leggermente gial- liccio agli orli. Si lava con poche goccie di acqua, si spreme fra carta da filtro, e fattolo ricristallizzare da poca acqua, si secca nel vuoto e quindi nella stufa a 100—105° €. per molte ore. All’analisi si ebbe: I. Gr. 0,2122 di sostanza diedero ce. 29,6 di azoto a 15° ed a 754 mm., da cui azoto gr. 0,03482 : (1) Sintesi di composti piridinici dagli eteri chetonici coll’etere cianacetico în presenza dell’ammoniaca e delle amine, “* Memorie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1896, Serie II, vol. XLVI. (2) “ Ann. Chim. et Phys. , (3) 1889, T. 17, p. 207. 478 LUIGI SABBATANI II. Gr. 0,1880 di sostanza diedero gr. 0,1186 di H?0 e gr. 0,3366 di CO?. trovato calcolato per C'H!?N20? I II 0 — 48,838 > 48,84 Ha, —_ 7,01 6,97 so Bi 16,40 — 16,28 Questi dati corrispondono esattamente al sale ammonico del- l'etere acetilcianacetico per il quale Held (1) ha ottenuto dei dati assai discordanti : Per l’azoto egli trova 15,67 15,10 15.27 14,67 Per il carbonio 49,30 5065 Per l’idrogeno non riporta alcuna cifra. È quindi a ritenere che egli abbia avuto fra mano un prodotto impuro; così solo sì spiega la diversità dei caratteri notati dall’Held e quelli trovati da me per questa sostanza. Egli dice che seccandola sull’acido solforico e nella stufa perde ammoniaca e probabilmente anche un po’ di acido carbo- nico: io invece ho constatato che, stando a 100—105°C. per molte ore, se ne volatilizza una piccola quantità, ma il prodotto non varia per il punto di fusione (156—158° C.) e per gli altri suoi caratteri esterni. Anzi, ponendo un po’ della sostanza secca in una capsula a b. m., e ricoprendola con un vetro da orologio, su questo si depositano dei bei cristalli lunghi, setacei, che fondono a 156—158°0., come la sostanza da cui provengono. In questa occasione constatai inoltre che i vapori svol- gentisi dalla capsula arrossavano la carta bleu ed inazzurrivano contemporaneamente la carta rossa di tornasole. (1) “ Ann. Chim. et Phys.,, (3) 1889, T. 18, p. 485. là Lia. OSSERVAZIONI SULL’ETERE ACETILCIANACETICO 479 Ed ora, considerando la mancata funzione chetonica, la fa- cilità di ottenere sali metallici, la grande stabilità del sale am- monico, apparisce molto poco probabile la formula ammessa da Haller ed Held per l’etere acetilcianacetico: CH. CO CH'. COR0CHs | CN e le denominazioni di eterì ed acidi metinici non sembrano giu- stificate. Si viene così alla conclusione molto verosimile che la for- mula strutturale di questo etere debba essere CERI —0UCO' 10028 OH CN Forma che spiega la mancanza di funzione chetonica e l’intensa funzione acida. Conseguentemente a ciò, la formula del sale ammonico deve essere CH: = CON00#H5 e) O, CN NH* e non l’altra ammessa da Held /CN CH3. CO . C(NH*) 00 . 002H5 Torino, Laboratorio di Chimica farmaceutica e tossicologica. Dicembre 1897. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 34 480 GINO FANO 1 gruppi continui primitivi di trasformazioni cremoniane dello spazio; Nota di GINO FANO. 1. — È noto che ogni gruppo continuo di trasformazioni cremoniane del piano (dipendente da un numero finito di para- metri) si può ridurre con un’ ulteriore trasformazione cremo- niana (birazionale) a un gruppo appartenente a una di tre categorie determinate: gruppi proiettivi, gruppi di trasformazioni quadratiche (0 conformi), e gruppi di Jonquières (trasformanti in sè stesso un fascio di rette) ('). Ciascuna di queste categorie comprende soltanto un tipo di gruppo completo (di un ordine qualunque x, nel 3° caso) coi relativi sottogruppi. A quest’argo- mento, e ad altri che vi si connettono, si riferiscono, in parte, anche talune mie note di questi ultimi anni (?). Recentemente, il signor ENRIQUES e io ci siamo proposti di studiare l’analoga questione per lo spazio; e in una nostra co- mune Memoria (*) abbiamo dimostrato che i gruppi continui di trasformazioni cremoniane dello spazio sono tutti riducibili bi- razionalmente a gruppi proiettivi, gruppi conformi, o gruppi “ di Jonquières generalizzati , (ossia trasformanti in sè stesso un fascio di piani, ovvero una stella di rette), più altri due tipi di di gruppi 008 ben determinati. In particolare, i gruppi primitivi sì riducono tutti a gruppi proiettivi e conformi; i gruppi im- primitivi, a gruppi di Jonquières generalizzati (e ad altri tre tipi, uno dei quali è ancora un gruppo conforme). Il risultato relativo ai gruppi primitivi fu però ottenuto valendosi della (') Enrrques, “ Rend. R. Acc. dei Lincei ,, maggio 1893. (2) Rend. cit., aprile 1895; “ Rend. di Palermo ,, t. X (1896), pp. 1 e seg., 16 e seg. (*) “ Annali di Matem.,, s. 2*, t. 25. In seguito indicherò questa Memoria, per brevità, colle lettere EF. todi int “n ec GRUPPI CONTINU1 PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 481 classificazione, dovuta al sig. Lie, dei gruppi continui primitivi di trasformazioni puntuali dello spazio (!); e quest’ ultima pre- suppone a sua volta lunghe ricerche sui gruppi continui irridu- cibili di trasformazioni di contatto del piano (non riducibili cioè ad estensioni di gruppi puntuali) (2). Non sarà quindi inutile il mostrare come allo stesso nostro risultato sui gruppi cremoniani primitivi si possa anche giungere per una via più diretta, senza valersi di tante altre ricerche, ma ricorrendo soltanto (come io già feci pei gruppi cremoniani del piano) a un unico teorema (molto più semplice) del sig. Lir, già dimostrato per un numero qualunque di variabili (?). Questa dimostrazione diretta verrà data appunto nel pre- sente lavoro. E, per mezzo di essa, noi preciseremo anche ul- teriormente il risultato già ottenuto dal sig. EnrIques e da me, determinando in pari tempo i singoli gruppi tipici (proiettivi e conformi) birazionalmente distinti, ai quali tutti i gruppi continui primitivi di trasformazioni cremoniane possono ricondursi. Questi gruppi (come si potrebbe anche facilmente dedurre dal risultato già noto) sono quelli stessi che sono distinti dal punto di vista delle trasformazioni puntuali, e furono già come tali enumerati dal sig. Lie (4), più il gruppo 05 delle trasformazioni conformi che lasciano fissa una data sfera (non nulla) (5). In un altro lavoro mi occuperò della determinazione dei diversi tipi di gruppi di Jonquières generalizzati; questione interessante, ma piuttosto lunga e complicata. Anche in questo lavoro farò costantemente uso (come in (!) Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, pp. 122-140. Così pure vi occorrono le ricerche del Sig. Exriques sui sistemi lineari di superficie a intersezioni variabili razionali (“ Rend. Acc. dei Lincei ,, dicembre 1893, nota (5) a p. 282; “ Mathem. Ann. ,, vol. 46). (2) Theorie der Transformationsgruppen, vol. II, cap. 23, 24. (*) Op. cit., vol. I, p. 631. (‘) Op. cit., vol. III, p. 139. (5) Come è già detto (ma non dimostrato) in EF, $ 6. — Desidero anche avvertire esplicitamente, ch'io non intendo certo che questa nuova dimo- strazione sia preferibile all’altra contenuta in EF, $$ 4-6; ma ho creduto che valesse forse la pena di far conoscere anche queste ricerche, le quali formarono un sol gruppo con quelle che concorsero alla Memoria pubbli- cata negli Annali di Matematica. 482 GINO FANO E F; cfr. in part. $ 2) della possibilità di ricondurre birazional- mente ogni gruppo cremoniano continuo dello spazio a un gruppo proiettivo sopra un’opportuna varietà M; di un certo spazio S, (rappresentabile sopra S3 in modo che quel*gruppo cremoniano e questo gruppo proiettivo vengano a corrispondersi). Suppor- remo pure i nostri gruppi algedrici (cfr. E F, $ 1), e ci varremo, ogni qual volta sarà necessario, delle osservazioni enunciate in EF, $$ 2, 3. 2. — Come già in altre ricerche, sarà anche qui per noi fondamentale la considerazione del gruppo proiettivo che il gruppo proposto subordina nell’intorno di un punto generico dello spazio imposto come unito. Consideriamo un gruppo continuo qualunque & di trasfor- mazioni cremoniane dello spazio, e indichiamo con % la sua di- mensione. Fra le operazioni di esso ve ne saranno allora almeno c0°-* che lasciano fisso un punto generico P; e anzi precisa- mente tante, se il gruppo stesso è transitivo (il che richiede k > 3). Queste operazioni formeranno un sottogruppo che permu- terà le 00? direzioni uscenti da P secondo le operazioni di un certo gruppo protettivo (il quale potrebbe tuttavia ridursi alla sola trasformazione identica). Supposto per il momento che que- st'ultimo gruppo sia anch’esso continuo, potremo concludere, per le note proprietà dei gruppi continui proiettivi in una forma fondamentale di 2° specie, che dovrà presentarsi uno dei quattro . casi seguenti (!): 1° Le co? direzioni uscenti da P verranno permutate se- condo tutte le possibili 008 proiettività della loro stella; 2° Vi sarà in questa stella almeno una direzione fissa uscente da P; 3° Verrà trasformato in sè il sistema delle o! direzioni uscenti da P e contenute in un certo piano (formanti cioè un fascio) — senza però che sia fissa alcuna direzione, contenuta o no in questo piano —; 4° O infine verrà trasformato in sè un cono quadrico ele- mentare di direzioni uscenti da P (potendosi anche supporre che (1) Cfr. anche Lie, op. cit., vol. III, p. 124. 5 x È È: i GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 483 non sia contemporaneamente fissa nessuna direzione e nessun fascio di direzioni entro la stella P). Si vede facilmente che il gruppo proposto G sarà certo pri- mitivo nel 1° e nel 4° caso, e imprimitivo nel 2° (perchè in questo caso le direzioni fisse condurrebbero per integrazione a una con- gruenza di linee invariante). Nel 3° caso dovrà venir trasformata in sè una certa equazione Pfaffiana: . X (2,y,2)dx + Y(x,y,2)dx + Z(e,y,a)da = 0; e il gruppo G sarà primitivo o imprimitivo secondo che quest’e- quazione Pfaffiana sarà non integrabile oppure integrabile. — Se il gruppo G è primitivo, esso sarà pure transitivo; e dalla dimensione (£ — 3.= 8, 5, 8) del sottogruppo che se ne stacca col fissare il punto generico P si può già concludere che nel 1°, 3° e 4° caso sarà rispett. 4 =11, 8, 6. Però il gruppo G, pur essendo continuo, potrebbe subordi- nare nella stella delle direzioni uscenti da P un gruppo proiet- tivo non più continuo, ma bensì misto ('), o composto soltanto di un numero finito (= 1) di operazioni. In tal caso, con un ragionamento analogo a quello che fu già applicato dal KLEIN alle forme di prima specie (?), si vedrebbe facilmente che nell’in- torno del punto P sarebbe certo fissa o una direzione, o un si- stema di un numero finito di direzioni (eventualmente anche permutabili fra loro); con che il gruppo G risulterebbe im- primitivo. Concludiamo perciò che, se il gruppo G è primitivo, esso deve subordinare nell'intorno di un punto generico P, imposto come unito, un gruppo proiettivo continuo del 1°, 3° o 4° fra i tipi dianzi enumerati. Dovremo quindi esaminare successivamente questi tre casi. (!) Questo caso non è indicato come possibile dal Sig. Lie, ma può effettivamente presentarsi; si presenta ad es. se G è il gruppo co” di tutte le trasformazioni proiettive che mutano in sè un dato cono quadrico. (*) Cfr. il Princip der Fixpunkte (Hihere Geometrie, II, autogr. Vorl., 1893, pp. 275-76). DT ITIORIAA n x 484 GINO FANO 3. — Si abbia un gruppo continuo G di trasformazioni ere- moniane dello spazio, il quale subordini nella stella delle dire- zioni uscenti da un punto generico P l’intero gruppo proiet- tivo co di questa stella. . Ricorriamo (come già si è avvertito) a un teorema gene- rale del sig. Lie (!), secondo il quale un gruppo continuo di trasformazioni puntuali di uno spazio qualunque, il quale nell’in- torno di un punto generico, imposto come unito, subordini il mas- simo gruppo proiettivo possibile (per lo spazio S3 dunque un gruppo 005), si può ridurre con un'ulteriore trasformazione pun- tuale a un gruppo protettivo, e precisamente al gruppo protettivo totale, ovvero al gruppo lineare generale o speciale. Si tratta orà di far vedere che nello spazio S3 (come pure nel piano, e lo si dimostrerebbe anche facilmente per uno spazio qualunque) se il gruppo proposto si compone di trasformazioni cremoniane, esso deve potersi ridurre a uno dei tre gruppi proiettivi nominati con una trasformazione pure cremoniana (anzichè semplicemente puntuale). Indicata pertanto con S7! una trasformazione puntuale (certo esistente) la quale muti il gruppo cremoniano G in un gruppo proiettivo G' ( 0015, 001? 0 00!!), basterà dimostrare che la sua inversa S fa corrispondere al sistema 008 dei piani, invariante rispetto a G', un sistema lineare omaloidico di superficie, il quale sarà invariante rispetto a G: da ciò seguirà appunto che $, e quindi S_!, sono trasformazioni birazionali. 4. — Poichè vi sono in G' infinite trasformazioni che la- sciano fissi tutti i punti di un piano generico, così in G ve ne dovranno essere pure infinite per le quali siano fissi tutti i punti di una qualunque delle superficie @, trasformate dei piani me- diante S. Le @ saranno dunque superficie algebriche (per l’ultima osservazione contenuta in E F, $ 3); e saranno pure razionali, (4) Op. cit., vol. I, p. 631. GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 485 perchè G subordina su ciascuna di esse un gruppo transitivo primitivo di trasformazioni birazionali (1). Così pure, essendovi in G' infinite trasformazioni che lasciano fissa una retta qualunque e ne permutano ancora i vari punti in infiniti (anzi in almeno co?) modi diversi, si conclude che le intersezioni delle superficie p a due a due sono curve algebriche e con infinite (anzi almeno 00?) trasformazioni proiettive in sè; dunque curve razionali (e normali pei rispettivi spazi). Infine, ciascuna @ è incontrata dalle rimanenti secondo un sistema di sole co? curve razionali (trasformate mediante S delle rette di un certo piano); e questo sistema è invariante rispetto al gruppo primitivo subordinato da G su quella g. Da ciò si trae che il detto sistema di 00? curve su @ è una rete omaloidica (perchè il gruppo di trasformazioni birazionali subordinato da G sulla @ è equivalente a un gruppo proiettivo primitivo del piano; gruppo che non trasforma in sè nessun sistema 00? di curve, all'infuori del sistema delle rette). Tre p generiche hanno dunque un solo punto variabile comune (perchè così avviene delle curve intersezioni di due di esse colla terza); e perciò le @ formano un sistema lineare omaloidico, come appunto si voleva dimo- strare. Concludiamo pertanto: I gruppi cremoniani corrispondenti al 1° caso del n° 2 sono riducibili birazionalmente a gruppi proiettivi, e precisamente al gruppo totale 2015, al gruppo li- neare c0!2, o al gruppo lineare speciale c01. Ti 5. — Supponiamo ora che il gruppo cremoniano proposto subordini nell’intorno di un punto generico, imposto come unito, un gruppo proiettivo (0050 00°) il quale non trasformi in sè nessuna direzione uscente da questo punto, bensì però un fascio di tali direzioni. Faremo vedere che i gruppi di questa categoria (') Dalle ricerche dei Sigg. CasreLnuovo e EwrIques (‘ Compt. Rend. de l’Ac. des Sciences ,, luglio 1895) risulta infatti che, se una superficie alge- brica non razionale ammette infinite trasformazioni birazionali in sè, queste formano sempre un gruppo imprimitivo. 486 GINO FANO sono tutti di un tipo unico, e si possono ridurre birazionalmente al gruppo protettivo ov! di un complesso lineare non speciale. Abbiamo già detto (cfr. n° 2) che in questo caso deve venir trasformata in sè stessa un’equazione Pfaffiana non integrabile, e riducibile quindi (come un’opportuna trasformazione) alla forma dz — ydx = 0, che è l'equazione differenziale di un complesso lineare non speciale (!). Il sig. Lie, valendosi dei risultati otte- nuti sui gruppi continui irriducibili di trasformazioni di contatto del piano, ha dimostrato che con quella stessa trasformazione ogni gruppo continuo primitivo di trasformazioni puntuali, ri- spetto al quale sia invariante l’equazione Pfaffiana considerata, deve necessariamente ridursi al grupppo c0!° delle proietti- vità che trasformano in sè il complesso lineare definito dalla de — yde = 0. Si potrebbe ora far vedere che, se il gruppo (pri- mitivo) proposto si compone di trasformazioni birazionali, esso deve potersi ridurre a questo gruppo proiettivo 001° con una trasformazione anche birazionale ; ma noi tratteremo invece la questione direttamente, senza valerci del risultato già noto pei gruppi puntuali. 6. — Ci converrà perciò riferirci a una varietà razionale Mz di un certo spazio S,(r =4(?)), la quale possa rappresentarsi sullo spazio S3 in modo che al gruppo cremoniano proposto cor- risponda su di essa un gruppo protettivo G (di dimensione £ => 8). Un primo punto che ci importa stabilire è il seguente: Le x*-° trasformazioni del gruppo G che lasciano fisso un punto generico P della varietà My trasformano in sè stessa anche una certa superficie contenuta nella My e passante per P. Faremo poi vedere che, variando P, questa superficie descrive, entro la varietà M;, un sistema lineare omaloidico (che sarà certo inva- riante rispetto a G): di qui seguirà appunto la riduzione di G, e quindi del gruppo cremoniano proposto, a un gruppo proiet- - tivo di Ss. Le 0c0*-* operazioni di G che lasciano fisso il punto gene- rico P su M; formano un sottogruppo H, il quale trasforma in sè (') Lie, Geometrie der Berihrungstransformationen, p. 206. (*) Escludiamo per ora il caso "> 8, per evitare talune complicazioni; vedremo poi che a questo caso sì riducono tutti gli altri. ea K GRUPP1 CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 487 stesso lo spazio S3 tangente in P alla M;, e così pure un piano n passante per Pe contenuto in questo S$;, ma non lascia ancora fissa nessuna retta del fascio P (mt). Una qualunque di queste rette sarà fissa per un ulteriore sottogruppo H', soltanto c0*7*, il quale subordinerà gruppi integrabili nel piano m e nello spazio Ss tangente alla M; in P. Zo dico ora che questo gruppo H' deve essere esso stesso integrabile. Evidentemente da H' noi pos- siamo staccare dei sottogruppi invarianti, di dimensioni decre- scenti di un’unità per volta, fino ad avere un gruppo per il quale siano fissi tutti punti dello spazio S3 considerato (tangente in Palla M;); basterà quindi far vedere che quest’ultimo gruppo deve anche essere integrabile. E infatti, se questo gruppo non fosse integrabile, esso do- vrebbe contenere (almeno) un sottogruppo semplice 008 (H"), il quale lascerebbe ancora fissi tutti i punti dello spazio S3 tan- gente in P alla nostra M; — o eventualmente anche di un Sn (4 =3) contenente tale S3 —, e lascerebbe del pari fisso uno spazio Z,_,_; non incontrante questo S,, con tutti gli S,. , per esso (!). Fra questi S,_,, quelli che proiettano i singoli punti della varietà M; dovranno tutti incontrare questa varietà in superficie passanti rispett. per questi punti (non già in curve o in numero finito di punti, perchè su tali enti il gruppo H" non potrebbe operare in modo 008). In particolare lo spazio S,-, passante per P incontrerà la M; secondo una superficie pas- sante per P stesso; sicchè tutte le tangenti in P a questa su- perficie, essendo contenute in quell’S,_., dovranno incontrare lo spazio X,_n_:. D'altra parte queste tangenti devono anche stare nello spazio S3 tangente in P alla M;, il quale non incontra XZ._n_,. Siamo dunque caduti in un assurdo, e perciò il gruppo H' sarà necessariamente integrabile, c. s. v. d. 7. — Poichè dunque il gruppo H' è integrabile, esso am- metterà tutta una serie di spazi fissi S,, Ss, ...S,_: passanti per P, di cui ciascuno conterrà i precedenti. Fra questi spazi consideriamone uno (certo esistente) il quale incontri la varietà ù (') Lie, Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, pp. 757, 785. Cfr. anche la mia Memoria: Sulle varietà algebriche con un gruppo continuo non integrabile di trasformazioni proiettive in sè (‘ Mem. Ace. di Torino ,, 1895-96). 488 GINO FANO M; secondo una linea (e non una superficie) passante per P; e indichiamo con r questa linea (0, eventualmente, una parte ir- riducibile di essa, anche passante per P). — Questa linea Y (certamente algebrica) sarà invariante pel gruppo H', e toccherà in P l’unica retta invariante del fascio P (m) — che è anche la sola tangente fissa della My —; essa varierà però al variare di H' entro il gruppo H (07), perchè varia appunto, entro una serie c0!, questa sua tangente. Variando, essa assumerà col posizioni diverse, luogo delle quali sarà una superficie ©, tan- gente in P al piano n, e invariante rispetto ad H. Con ciò è appunto dimostrato quanto ci eravamo proposti al principio del n° prec. Su questa superficie @ (che sarà algebrica, perchè luogo di una serie razionale co! di curve algebriche) sarà pure invariante rispetto ad H il sistema co! delle curve Y, le quali verranno per- mutate da H stesso in tutti gli 003 modi possibili, come le rette del fascio P (mt) ad esse rispett. tangenti. Variando P, varierà naturalmente la superficie 9, assumendo in tutto 008 posizioni diverse, perchè se no le curve o superficie luoghi di punti P_ corrispondenti a una stessa @ costituirebbero nella varietà M; un sistema d’imprimitività pel gruppo G. — Resta a mostrare che questo sistema 0 è un sistema lineare omaloidico. 8. — Nel piano q passante per il punto P lo stesso gruppo H già considerato (che è almeno c0°) subordina un gruppo proiet- tivo, per il quale è unito il punto P, ma non è fissa nessuna retta del fascio P (mt). — Non si può invece escludere @ priori che vi sia in n una retta fissa non passante per P: se non ve n’è alcuna, il gruppo subordinato da H in m sarà 06 0 008, mentre sarebbe soltanto cv04 0 03 in caso contrario. D'altra parte sappiamo che nella stella (0°) delle rette tangenti in P alla varietà M; il gruppo H subordina almeno 005 trasformazioni diverse. Se dunque in t ne fossero subordinate sole c04, o meno, si avrebbero in H infinite trasformazioni, per le quali sarebbero fissi tutti i punti del piano m e non tutte le direzioni uscenti da P sulla varietà My. Noi dimostreremo ora che questo non può avvenire; e ne verrà perciò di conseguenza: 1° che il gruppo H subordinerà in t un gruppo protettivo 05 0 005 enne a GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 489 avente il punto P come solo elemento unito; 2° che lo stesso gruppo H subordinerà su ciascuna retta del fascio P (mi), e quindi anche su ciascuna curva Y della superficie ®, tutte le 0? proiettività aventi în Pun punto unito. Le y saranno pertanto curve razionali (e nor- mali), e razionale sarà pure la superficie ©. Supponiamo dunque che vi sia in H un sottogruppo con- tinuo H, (almeno co!, e necessariamente invariante entro H), le cui operazioni lascino fisso ogni punto del piano m; dico che per queste stesse operazioni devono risultar fisse anche tutte le tangenti alla varietà M; nel punto P. Infatti le operazioni del gruppo Ho lasceranno fissi tutti i punti di ogni curva y uscente da P (perchè sono tali tutti i punti della tangente in P a ciascuna di queste curve); saranno dunque fissi rispetto a H tutti i punti della superficie @ uscente da P. — Di qui si trae che saranno pure fisse per H, tutte le 00? superficie 9', analoghe a 9, uscenti dai punti di g stessa, e quindi ancora le curve è mutue inter- sezioni di queste superficie; sicchè H, sarà un gruppo doppia- mente intransitivo, avente queste (00?) curve è come traiettorie fisse. — Infine, la superficie p” analoga a 9 e p', uscente da un punto generico della varietà M; (fuori di g), pur non essendo fissa, dovrà tuttavia variare in modo da incontrare sempre la @ (che è luogo di punti uniti) secondo una medesima curva (luogo anche di punti uniti); essa dovrà dunque descrivere un sistema 00! (e precisamente un fascio) contenente la stessa @. Di qui sì trae che le co? curve è (ciascuna delle quali è luogo del punto cor- rispondente a una 9” variabile) dovranno tutte passare per P. Saranno dunque fisse per H tutte le tangenti in P_a queste 0? curve; e siccome H, è contenuto invariantivamente in H, così ogni operazione di H dovrà ancora trasformare in sè, se non ciascuna di queste tangenti, certo l’ insieme di esse. Ora, nella stella 0? delle tangenti in P alla varietà M,, sono in- varianti rispetto ad H solo l’intera stella, e il fascio di quelle tangenti che stanno in t: e una curva è generica non può essere tangente a una retta del fascio P (tt), perchè se no essa sarebbe anche, come le y, luogo di punti uniti per l’ intero gruppo Ho. Le tangenti in P alle 00? curve è esauriranno dunque il si- stema delle tangenti in P stesso alla varietà M3; e perciò ogni 490 GINO FANO operazione del gruppo H, lascerà pure fisse tutte queste tan- genti (1). 9. Le cose dette finora ci conducono a una rappresenta- zione birazionale semplicissima della superficie @, invariante pel gruppo H, sul piano n ad essa tangente. Ogni punto di @ (0 di n) diverso da P è infatti unito per c0*-* operazioni di G — ossia di H —; e queste stesse operazioni lasciano anche fissa la curva Y di quella © (la retta del fascio P(m)) passante per il punto considerato, quindi ancora /a retta del fascio P(m) (la curva Y della superficie @) tangente in P a questa curva (a questa retta), e ur determinato punto di questa tangente (di questa curva Y), ossia del piano n (della superficie @); punto che si assumerà come omologo al primo. La superficie @ risulta così riferita birazionalmente al piano m, in modo che alle curve y cor- rispondono le rette del fascio P; e questa corrispondenza tras- forma precisamente l’uno nell'altro i gruppi proiettivi subordi- nati da G (o da H) su quelle due superficie. Consideriamo ora, sopra questa @, il sistema delle linee intersezioni di essa colle rimanenti (analoghe) superficie @; si- stema che sarà al più 005, e invariante rispetto al gruppo H. Quali linee corrisponderanno a queste nel piano tr? Bisognerà cercare in mt un sistema al più co? di linee (non passanti, in generale, per P) il quale sia invariante rispetto al gruppo H (che opera su P in modo almeno 005); ciascuna di queste linee dovrà quindi essere invariante per almeno co? operazioni di H stesso, ossia per almeno co? trasformazioni proiettive di t, per le quali sia pure fisso il punto P. Tali linee, se irriducibili, non potranno dunque essere che rette; e, se si spezzassero, potreb- bero tutt'al più spezzarsi in coppie di rette; caso anche da escludersi, perchè nel gruppo (00% 0 00°) subordinato da H in m vi sono ancora infinite operazioni trasformanti l'una nel- (1) Da queste considerazioni segue già che il sistema 00? delle super- ficie è lineare — perchè contiene l’intero fascio individuato da due qua- lunque di esse —, purchè però vi siano nel gruppo G infinite trasforma- zioni che lascino fisso ogni punto del piano considerato. Risulterà in seguito, dal fatto che il gruppo G deve essere 00!, che questa condizione è sempre soddisfatta. do E E Di : ; È GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 491 l’altra due qualunque delle c* coppie di rette non passanti per P (sicchè non risulta invariante nessun sistema di dimen- sione = 8 di tali linee). E poichè nel piano n vi sono soltanto co? rette, così concludiamo che la superficie @ considerata è incon- trata dalle rimanenti secondo sole 00? linee diverse, formanti (come le rette corrispondenti nel piano t) una rete omaloidica. 10. — Una qualunque superficie @ è dunque incontrata dalle rimanenti secondo una rete omaloidica di curve. Di qui segue immediatamente che tre g generiche hanno una sola interse- zione variabile, e che perciò le superficie @ formano ‘un sistema lineare omaloidico. Riferendo proiettivamente, in un modo qualsiasi, quest’ul- timo sistema al sistema dei piani dello spazio S3, potremo rap- presentare birazionalmente la nostra M; (cfr. n° 5) sullo spazio, in modo che al gruppo G, e quindi al gruppo cremoniano pro- posto, corrisponda un gruppo proiettivo (di S). Concludiamo perciò: I gruppi cremoniani di questa categoria II si possono tutti ridurre, con un’ opportuna trasformazione birazionale, a gruppi protettivi. Rimane soltanto a vedere quali siano i gruppi proiettivi di Sg soddisfacenti alle condizioni qui richieste (primitivi cioè, e tali che, fissando un punto, risulti fisso anche un piano, ma non una retta, per questo punto). Esclusi i gruppi con almeno un punto unito fisso, che sono certo imprimitivi: esclusi pure tutti quelli con una linea o una superficie. invariante; sia che questa linea o superficie sia di ordine => 2, perchè per ogni punto imposto come unito si avrebbe un cono invariante (pro- iettante la linea, o tangente alla superficie) di ordine > 2; sia che si tratti invece di una retta (gruppo imprimitivo) o di un solo piano invariante (gruppi già incontrati nella categoria I); non rimangono, com'è noto, che due altri casi soltanto (!): il gruppo proiettivo totale 0015, e il gruppo c0!° di un complesso lineare non speciale. Di questi, il secondo soltanto soddisfa alle condizioni richieste (le 00° rette del complesso essendo preci- samente le linee y da noi considerate sulla varietà M,; varietà (') Lie, Theorie der Transformationsgruppen, vol. III, p. 285. bet 492 GINO FANO che qui non è altro che lo stesso spazio S3). Concludiamo per- tanto; Ogni gruppo continuo di trasformazioni cremoniane dello spazio, il quale sia primitivo e tale che, imposto come fisso un punto generico, risulti pure fissa una giacitura uscente da questo punto, contiene necessariamente dieci parametri, e si può tras- formare birazionalmente nel gruppo c0!° delle collineazioni che mu- tano in sè stesso un complesso lineare non speciale. Con un ragionamento un po’ più lungo si potrebbe anche prescindere dall’ uso del teorema sui gruppi proiettivi di Sg, del quale ci siamo valsi poc'anzi, facendo vedere direttamente che si giunge a un gruppo trasformante in sè una reciprocità nulla, e quindi un complesso lineare di rette. Per brevità non vi insistiamo. II. 11. — Per completare lo studio dei gruppi cremoniani con- tinui primitivi ci rimane a considerare il caso di un gruppo, il quale, nell'intorno di un punto generico imposto come unito, subordini le 00? trasformazioni proiettive che lasciano fisso un cono quadrico di direzioni uscenti dal punto stesso (caso 4° del n° 2). Assunti nell'intorno di questo punto generico P (e, y,) i differenziali dx, dy, de come coordinate omogenee di una dire- zione variabile, il cono quadrico invariante verrà rappresentato da un'equazione omogenea di 2° grado negli stessi differenziali: (CARI dx? L goodyi |, ar =0 (1) i cui coefficienti a,, varieranno col punto P, e saranno perciò funzioni delle (sole) coordinate x, y, 2, tali che il determinante \ax.| non risulti identicamente nullo. La (1) è dunque una equazione DI Monce (!), che deve es- sere trasformata in sè dal gruppo cremoniano proposto. Essa de- finisce infatti una varietà 004 di elementi lineari (“ Linienele- (') Lie, Geometrie der Berihrungstransformationen, p. 249. GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 495 FA mente ,) dello spazio, la quale è invariante rispetto ad ogni operazione di questo gruppo. Ora, ad ogni equazione di Monge, purchè non lineare nei differenziali dx, dy, de che in essa compaiono, corrisponde una certa equazione alle derivate parziali del 1° ordine (anche non lineare): F (x, y,2,p,9)=0) | essendo =, ass) la quale è soddisfatta da co4 ele- menti superficiali (“ Flcichenelemente ,) dello spazio, e precisa- mente da quegli elementi x,y, , 7,9 che per ogni punto x, y, 2 inviluppano il cono definito dalla proposta equazione di Monge. Alla nostra equazione (1) corrisponderebbe un’ equazione alle derivate parziali (di 1° ordine e 2° grado), il cui primo membro sarebbe la funzione reciproca (o aggiunta) della forma quadratica che compare nella (1): Ape Ra ne = 0) (2) È chiaro che anche quest equazione alle derivate parziali dovrà essere trasformata in sè dal gruppo proposto. Infine, è pure noto che ad ogni equazione alle derivate parziali (non lineare) sono collegate invariantivamente rispetto ad ogni trasformazione puntuale (!) certe 03 curve dette caratte- ristiche, che sono particolari curve integrali della corrispondente equazione di Monge, nel nostro caso dunque dell’equazione (1). Sarà dunque invariante rispetto al gruppo cremoniano proposto anche il complesso delle x3 caratteristiche dell’ equazione alle de- rivate parziali (2). È appunto sull’esistenza di un complesso di linee invariante rispetto al gruppo proposto che riposano le varie considerazioni che ora svilupperemo. Di queste 008 curve ne passeranno 00! per ogni punto dello spazio, e ciascuna di esse avrà in questo punto una direzione contenuta nel corrispondente cono (1); mentre, inversamente, ogni direzione contenuta in questo cono elementare apparterrà ad una caratteristica uscente da quel punto. — Veramente a (1) Lie: op. ultima cit., p. 579. 494 GINO FANO priori non si potrebbe escludere che ciascuna direzione di un dato cono elementare appartenesse anclie ad un numero > 1 di caratteristiche (descriventi però altrettante superficie sepa- rate uscenti dal punto vertice di quel cono, perchè se no nella serie 00! delle stesse caratteristiche si avrebbe un’involuzione invariante, e non potrebbero perciò venir subordinate in essa che sole o! trasformazioni, e non già 00°). Tuttavia, partendo dal- l'osservazione che vi sono certo nel gruppo infinite trasforma- zioni che lasciano fissi tutti i punti di una caratteristica qual- siasi, e quindi anche quelli di ogni altra eventualmente tangente alla prima, si riesce facilmente ad escludere questo caso. 12. Immaginiamo di nuovo costruita una varietà razionale M; di uno spazio S,, rappresentabile sopra S3 in modo che al gruppo cremoniano proposto corrisponda su di essa un gruppo proiettivo G. Sopra questa varietà sarà invariante rispetto a G un complesso (sistema co?) di linee y, corrispondenti alle ca- ratteristiche dell'equazione (2). Fissato sulla M; un punto generico P, risulterà anche fisso il cono quadrico delle tangenti alle o! curve y passanti per questo punto; cono che è contenuto nello spazio Sg ivi tangente alla varietà M,. Sopra questo cono verrà subordinato un gruppo proiettivo, che dovrà permutarne le generatrici in tutti gli 008 modi possibili, e sarà perciò non integrabile. Come tale, esso dovrà anche subordinare su ciascuna generatrice del cono, im- posta come unita, almeno 00! trasformazioni diverse (perchè così avviene in tutti i casi — che sono noti — di gruppi pro- lettivi non integrabili sopra un cono). Altrettante trasforma- zioni, col punto (generico) P come punto unito, si avranno quindi anche sulla linea Y tangente a questa generatrice in P stesso; e perciò, complessivamente, su questa y verranno subordinate da G (al variare di P) almeno co? trasformazioni proiettive. Le linee 1, e quindi le caratteristiche dell'equazione alle de- rivate parziali (2), sono dunque curve algebriche e razionali. Ciò premesso, ci converrà distinguere i due casi seguenti: 1° Il gruppo subordinato da G sopra una curva Y è pre- cisamente 002, e ammette quindi sulla curva stessa un punto unito fisso A; 5 b | ; GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 495 2° Questo stesso gruppo è invece 00? (sicchè, imposta come fissa una curva y, non risulterà ancora fisso nessun punto su di essa). Cominceremo dal primo caso (cfr. ni 13-16), al quale sarà poi facile ricondurre il secondo (n° 17). E, quanto al primo caso, osserviamo subito che è punto A che noi supponiamo risultare fisso sopra una qualsiasi curva Y non è un punto generico della varietà Mz; e perciò, per effetto delle di- verse trasformazioni del gruppo G, esso non potrà assumere che al più co? posizioni diverse. Infatti con tre sole condizioni noi possiamo ottenere che sia fissa una curva y col punto A che vi è contenuto; mentre invece per fissare un punto generico e una curva y qualsiasi passante per esso occorrono quattro condizioni. Noi possiamo anzi supporre che il punto A assuma in tutto precisamente 1),i punti con- iugati di un punto qualunque P in questa involuzione dovrebbero stare su una e quindi su ciascuna delle y uscenti da P stesso; sicchè su ciascuna di queste curve si avrebbe pure un’involu- zione invariante, e non potrebbero perciò venirvi subordinate 00? trasformazioni diverse). Sulla nuova M; tutte le sezioni iper- piane (o almeno co? fra queste, formanti una serie continua e non contenuta in un sistema lineare inferiore) dovranno con- tenere qualche punto A, sicchè di questi punti ve ne saranno almeno 0c0!. E, se ve ne fossero soltanto co! (aventi per luogo una curva), quindi sopra ogni sezione iperpiana solo un numero finito, bisognerebbe, che le y uscenti da un dato punto P con- corressero ancora in uno stesso punto A (di quella curva); e allora i punti P corrispondenti a uno stesso A formerebbero superficie costituenti un sistema d’imprimitività pel gruppo G. Concludiamo perciò che sulla M; così costruita i punti A avranno certo per luogo una superficie. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 30 496 GINO FANO 13. — Supponiamo dunque che vi sia nella M} una super- ficie F, invariante rispetto al gruppo G, e incontrata da ogni Y in un punto (A). Le co! curve Y uscenti da un punto generico P della varietà M; incontreranno rispettivamente la F negli co! punti di una curva p, la quale sarà invariante per tutte quelle trasformazioni di G che lasciano fermo P. Su questa curva p verranno subordinate, come nella serie delle y uscenti da P, co? trasformazioni (proiettive) diverse; le p sono dunque curve algebriche e razionali (normali). — Variando P, varierà la corrispondente curva p, e assumerà in tutto 3 posizioni di- verse (se no le curve o superficie luoghi di punti P_corrispon- denti a una stessa p costituirebbero un sistema d’imprimitività pel gruppo G). Il gruppo (certamente transitivo) subordinato da G sopra F dovrà trasformare in sè questo sistema x di curve p. — D'altra parte questo gruppo (proiettivo) subordinato su F è oloedricamente isomorfo (in senso gruppale) a G medesimo, e quindi, al pari di G, almeno 00° (perchè in G non vi può essere che un numero finito di trasformazioni, le quali lascino fisso ogni punto di F, e quindi ogni linea p). Ricordando pertanto che un gruppo continuo di trasformazioni proiettive sopra una superficie algebrica è sempre equivalente a un gruppo proiettivo del piano, oppure sopra una quadrica di Sg, o sopra un cono razionale normale di ordine » in S,.1, non sarà difficile rico- noscere quali casi potranno qui presentarsi. È certo che il gruppo subordinato da G sopra F non può essere equivalente a un gruppo di omografie piane, perchè alle (003) curve p dovrebbero corrispondere altrettante coniche, e un gruppo almeno 005, quindi 00% 0 8 di omografie piane non trasforma in sè nessun sistema 3 di coniche (irriducibili). Potrebbe invece questo gruppo ridursi al gruppo (continuo) o delle trasformazioni proiettive di una quadrica di Sg; e si vede facilmente che alle curve p dovrebbero allora corrispon- dere le sezioni piane (ossia le coniche) di questa quadrica. Supponiamo infine che il gruppo proiettivo subordinato sopra F sia equivalente a un gruppo proiettivo sopra un cono Fl di S.u1 (n=2); dico che questo caso è possibile soltanto per n=2. — Anzitutto alle curve p su F dovranno corrispondere su T" curve razionali normali, dunque di ordine n o n+4-1; anzi pre- cisamente di ordine » (vale a dire sezioni iperpiane del cono), The ER GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, Ecc. 497 perchè se no sulle stesse curve non potrebbero venir subordi- nate che (al più) co? proiettività trasformanti in sè il cono F”. Di più, il sistema di queste 008 curve Cl" — ovvero dei relativi iperpiani S, — è un sistema lineare; ciò segue immediatamente dal fatto che nel gruppo, almeno 0°, da considerarsi su F" vi sono almeno 008 omologie (col centro nel vertice del cono), le quali, applicate ad uno generico di quegli S,, gli fanno descri- vere un sistema lineare 003, che dovrà necessariamente coinci- dere col sistema invariante considerato. — Infine, essendo in- variante un sistema lineare 00? di spazi S, in Snu, sarà pure invariante (per n= 3) lo spazio S,_3 base del sistema, e quindi lo spazio S,_» che proietta questo dal vertice del cono F" (vertice che non sta in quell’ S,_3, se no tutte le 008 curve C" si spez- zerebbero in gruppi di » generatrici). D'altra parte il nostro gruppo proiettivo su [" non può lasciar fisso nessuno spazio (di dimensione = 1) passante pel vertice di f"* stesso (perchè se no esso, e quindi G, risulterebbero integrabili); sarà quindi n=2 come avevamo affermato da principio. E alle curve p corrispon- deranno precisamente le 03 sezioni piane del cono quadrico F?. Concludiamo perciò che il sistema delle curve p sopra F è in ogni caso un sistema lineare 3 di grado due, trasformabile birazionalmente nel sistema delle sezioni piane di una quadrica ‘o cono quadrico di Sg. — Ricordando poi ancora che il gruppo G deve essere oloedricamente isomorfo al gruppo da esso subor- dinato sopra F, e quindi ancora a un gruppo proiettivo sopra una quadrica o cono quadrico di Sz, si può aggiungere che (limitatamente all'ipotesi 1° del n° 12) il gruppo G è necessaria- mente 05 0 coî, e ha in ciascuno di questi casi composizioni ben determinate. 14. — Ad ogni curva p sulla superficie F corrisponde al- meno un punto P della varietà M,;, tale che le y uscenti da questo punto incontrano I° sopra quella p; ma potrebbe anche darsi che ad una stessa curva p corrispondesse un numero finito n>1 di punti P. Ove ciò avvenga, ne risulterà definita sulla varietà M, un'involuzione di punti di ordine », invariante rispetto al gruppo G, e tale che a due punti coniugati in essa corrisponderà sempre una stessa curva p sopra F. Alla considerazione di quest’ involuzione si collega quella rp 498 GINO FANO delle superficie (che indicheremo con a) luoghi delle co! curve Y uscenti rispettivamente dai singoli punti di F. Fra queste su- perficie, complessivamente in numero di 00°, ve ne sono co! che passano per un punto qualunque P della varietà M;: quelle, e quelle sole, che escono dai punti A della linea p corrispondente al punto P considerato. Ora, se nella M; esiste effettivamente un’involuzione invariante I, del tipo dianzi considerato (essendo n>1), queste stesse 00! superficie a passanti per P_ dovranno anche contenere gli n—1 punti coniugati di P nella detta in- voluzione (mentre invece nel caso n=1 non passerebbero per nessun altro punto variabile con P). Il sistema 0? delle su- perficie a apparterrà dunque all'evoluzione invariante I, (supposta esistente). Ci converrà esaminare separatamente i due casi di n=1 e n>1; e cominciamo dal primo. 15. — Nel caso n=1 abbiamo già detto che le superficie @ passanti per un punto generico della varietà Ms non passano in conseguenza per nessun altro punto variabile col primo. — Possiamo aggiungere che per due punti generici della M; pas- sano due superficie a (uscenti rispettivamente dai punti A inter- sezioni delle due curve p che corrispondono ai punti conside- rati). Il sistema (0?) delle a è dunque quadratico, e perciò contenuto in um sistema lineare 003, che sarà pure invariante rispetto a G. Infine questo sistema lineare o è omaloidico, perchè tre superficie a generiche (e tanto basta) hanno una sola intersezione variabile: infatti alle loro intersezioni devono cor- rispondere sopra F altrettante curve p distinte e passanti pei tre punti A da cui escono le stesse a; e di tali curve p non ve ne ha che una. L'esistenza di questo sistema lineare omaloidico invariante permette di ridurre il gruppo G operante sulla nostra M3, e quindi il gruppo cremoniano di Sz a cui G si supponeva equi- valente, a un gruppo proiettivo anche di Sz. Alle superficie @ corrisponderanno 0? piani formanti un inviluppo di 2* classe; dunque il sistema dei piani tangenti a una quadrica, non dege- nere, o anche semplicemente degenere come inviluppo. Nel primo caso avremo il gruppo protettivo (continuo) 0% di una quadrica non degenere; nel secondo caso, un gruppo proiettivo GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 499 con una conica fissa, la quale può supporsi coincidente coll’as- soluto dello spazio euclideo; si tratterà perciò o del gruppo co delle similitudini, o del gruppo n° dei movimenti euclidei. — Nel primo caso la stessa quadrica fissa è la superficie F, luogo dei punti A; e le tangenti a questa quadrica sono le linee y. Nel secondo caso la superficie F_ si è ridotta ad una curva — la conica fissa —; ma i due gruppi relativi possono considerarsi come'*ottenuti per proiezione stereografica da gruppi proiettivi sopra una quadrica di S,, sulla quale si sia fissato il punto centro di proiezione: il cono di rette uscente da questo punto è allora la superficie F, e le 008 rette della quadrica sono le linee v. Abbiamo trovati dunque tre gruppi tipici: 1° Gruppo continuo 05 delle trasformazioni proiettive di Sg che lasciano fissa una quadrica non degenere (e ciascuno dei suoi sistemi di generatrici), ovvero anche gruppo 0° dei movimenti non euclidei; 2° Gruppo x" delle similitudini; 3° Gruppo 2° dei movimenti euclidei. 16. — Supponiamo ora che vi sia sulla varietà M; un'in- voluzione invariante I,(n=2), i cui gruppi si compongano di punti corrispondenti a una stessa curva p sopra F (cfr. n° 14). A quest’ involuzione apparterranno allora tanto il sistema 00? delle superficie a, quanto il sistema lineare co? in cui il prece- dente (essendo d’indice due) sarà pur sempre contenuto. Questo sistema lineare (2) non sarà dunque più omaloidico, ma per- metterà di rappresentare l’involuzione I, sullo spazio S, e la va- rietà M,; sopra questo S3 multiplo (n°), in modo che al gruppo G corrisponda ancora, in questo spazio, uno dei tre gruppi proiet- tivi trovati al n° prec. — È facile anzi vedere che, di questi tre gruppi, non potrà qui presentarsi che il 1° (ossia il gruppo proiettivo con una quadrica fissa). Infatti il nostro S; multiplo deve necessariamente ammettere una superficie di diramazione di ordine >1, perchè se no alle rette di esso corrispondereb- bero sulla M; curve riducibili (*), e in particolare alle rette di (1) È noto infatti che, sopra una curva irriducibile, un’involuzione ra- zionale di ordine # > 1 (priva di punti fissi) ammette sempre almeno due gruppi distinti con elementi multipli. 500 GINO FANO un piano curve (anche riducibili) di una superficie del sistema E, formanti sopra questa superficie un sistema lineare 00; ed è noto che le curve di un sistema lineare non possono tutte spez- zarsi in due o più parti variabili — come qui avverrebbe —, a meno che queste parti non formino un fascio — il che in- vece non sarebbe possibile —. Di più, questa stessa superficie di diramazione dovrà essere invariante rispetto al gruppo proiet- tivo ottenuto in- Sy. Ora, dei tre gruppi incontrati al n° prec., il primo soltanto trasforma in sè una superficie di ordine >1 (e precisamente una quadrica); dovrà dunque certo presentarsi questo caso. Da questo gruppo proiettivo 0° di Sy si può estrarre un +» sottogruppo semplice 008, il quale lasci fisso un piano generico; vi sarà perciò in G un sottogruppo analogo, il quale lascerà fissa una superficie generica del sistema XZ, e, sopra questa, l’invo- luzione di ordine » costituita dagli o? gruppi di I, che vi sono contenuti. D'altra parte i tipi di gruppi proiettivi semplici 008 sopra una superficie sono tutti conosciuti; e, fra questi, il solo gruppo proiettivo di una quadrica (non degenere) con una conica fissa soddisfa alla duplice condizione (qui richiesta) di trasformare in sè un’involuzione di ordine >1 (e precisamente un’involuzione quadratica) e una rete di curve irriducibili (coniche) apparte- nente a questa involuzione (e corrispondente al sistema delle rette del piano rappresentativo). Sarà dunque necessariamente n=2. Infine, uno spazio S3 doppio avente come superficie di diramazione una quadrica non degenere si può rappresentare sopra una M3 di S,, in modo che alle trasformazioni proiettive di esso che lasciano fissa la quadrica di diramazione corrispon- dano le trasformazioni proiettive di questa M3 che lasciano fisso un punto dello spazio Sy esterno alla varietà stessa (potendosi l’S; doppio considerare come proiezione della M$ da quest’ul- timo punto) (!). Concludiamo perciò che i gruppi di questa nuova categoria (caso n>1 del n° 14) devono tutti ridursi a un unico tipo: al gruppo 0° delle trasformazioni proiettive di una quadriea di Sy, che lasciano fisso un punto di questo spazio esterno alla quadrica, e quindi anche una sezione iperpiana generica di questa (!) Di questa rappresentazione è fatto uso anche in EF, $ 18. GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 501 quadrica (determinata cioè da un S; ad essa non tangente). Questo gruppo 006 soddisfa appunto alle varie condizioni im- poste; e le coppie di punti della quadrica allineate sul polo della sezione iperpiana fissa formano un’involuzione quadratica invariante rispetto al gruppo medesimo, la quale si trova nelle condizioni richieste per la I,. Questo gruppo 006 si può ricondurre, per mezzo di una proiezione stereografica e (eventualmente) di una trasformazione proiettiva, a un gruppo di trasformazioni conformi, rispetto alle quali dovrà essere invariante una sfera (reale o immaginaria, ma non di raggio nullo). Troviamo dunque come 4° tipo di questa categoria III il gruppo 5 delle trasformazioni conformi che mutano in sè una sfera (non nulla). Questo gruppo trasforma in sè l’ involuzione razionale delle coppie di punti che, considerate come sfere nulle, appartengono ad un medesimo fascio contenente la sfera fissa. 17. — Passiamo ora ad occuparci di quei gruppi G che sopra ogni linea y subordinano tutte le possibili 00 trasforma- zioni proiettive (caso 2° del n° 12). Consideriamo entro G quel sottogruppo (continuo) H, di dimensione #—3, che si ottiene imponendo come fisso un punto generico P della varietà Mz. Questo sottogruppo trasformerà in sè stessa la superficie TT, luogo delle co! curve y uscenti da P. Da ogni punto di questa superficie esciranno pure o! curve Y, non contenute in generale in TT stessa; e, variando quest’ultimo punto, varieranno tali curve, assumendo in tutto 00° posizioni diverse, descrivendo cioè l’intero complesso delle 1 (sicchè ogni y avrà (almeno) un punto comune con quella superficie TT). Dico .ora che questo sottogruppo H deve coincidere con uno dei gruppi già studiati precedentemente (e riducibili ai tipi dei ni 15 e 16). Basterà perciò far vedere che il gruppo H subor- dina ancora nell’ intorno di un nuovo punto generico R della varietà M, lo stesso gruppo proiettivo 00? (con un cono qua- drico elementare invariante) subordinatovi dall’ intero gruppo G; in altri termini, che le co! curve y uscenti da KR vengono per- mutate anche da H in tutti gli 00° modi possibili. — Sopra ogni curva Y verranno però subordinate da H sole co? proiet- tività, con un punto fisso A; e questo punto avrà per luogo la stessa superficie TT contenente le r che escono da P. 502 GINO FANO Consideriamo perciò la superficie luogo delle co! Y uscenti È dal punto R, nonchè la curva r intersezione di questa superficie colla TT: al variare di R questa curva descriverà sopra TT un sistema al più 3, invariante rispetto ad H. Ora, la superficie TT può riferirsi birazionalmente al cono quadrico delle tangenti in P_alle co! curve Y di cui essa è luogo, assumendo come omologhi due punti (rispett. di TT e di questo cono) i quali risultino uniti per le medesime operazioni di H (corrispondenza analoga a quella considerata al n° 9 tra le su- perficie @ e il piano n). In questo modo vengono a corrispon- dersi i gruppi (proiettivi, non integrabili) subordinati da H sopra quelle due superficie; e, dovendosi avere sul cono quadrico considerato un gruppo (proiettivo) non integrabile il quale operi in modo co? sopra ciascuna generatrice di esso, questo non potrà essere che il gruppo totale 0°, o il suo sottogruppo inva- riante 0056. In ambo i casi non esiste sul cono alcun sistema in- variante di curve non passanti per P e di dimensione <3; e l’unico di dimensione =3 è quello delle sezioni piane. Le curve » su TT dovranno dunque corrispondere alle sezioni piane di questo cono; e su ciascuna di esse, quindi anche nella serie 00! delle r uscenti da un punto R, verranno subordinate da H 00? trasformazioni. Il sottogruppo H di & rientra dunque a sua volta in uno dei tipi già incontrati di questa categoria ILL. Quale sarà questo tipo? Poichè gli attuali punti A hanno per luogo una superficie TT sulla quale viene subordinato un gruppo equivalente ad un gruppo proiettivo sopra un cono qua- drico di S3, dobbiamo trovarci nel 2° o 3° caso del n° 15: e diremo perciò : Il sottogruppo H di G è equivalente ad un gruppo proiettivo (0° 0 00°) sopra una quadrica non degenere di Si, sulla quale si sia fissato un punto P. Le linee y sono le rette di questa quadrica; la superficie TT, il cono di rette uscente da P. All’intero gruppo G corrisponderà sopra questa quadrica un gruppo di trasformazioni, le quali dovranno ancora mutare rette in rette, e coni di rette in coni di rette; dunque ancora un gruppo proiettivo. E questo gruppo, dovendo contenere tre pa- rametri in più di H, sarà l’intero gruppo 00!° delle trasforma- zioni proiettive di quella quadrica; non un gruppo 00°, perchè MT AEON e GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI DI TRASFORMAZIONI CREMONIANE, ECC. 503 il gruppo proiettivo 0c0!° di una quadrica non degenere di Sy non contiene sottogruppi 00° (1). È noto poi che questo gruppo co! si può ridurre a sua volta al gruppo di tutte le trasformazioni conformi di S3. Tro- | viamo pertanto come 5° ed ultimo tipo di questa categoria III È il gruppo c0!° di tutte le trasformazioni conformi (che mutano cioè le sfere in sfere). 18. — Con ciò è completamente risoluta la questione posta al principio di questo lavoro; ed è (nuovamente) dimostrato che ogni gruppo continuo primitivo di trasformazioni cremoniane dello spazio si può ridurre, con un’opportuna trasformazione cremoniana, a un gruppo di trasformazioni proiettive o conformi. Più parti- colarmente, ogni gruppo siffatto è riducibile a uno dei nove gruppi seguegti, i quali sono tutti birazionalmente distinti fra loro: VR EI TS A. Gruppi proiettivi non conformi : È 1° Gruppo totale x!; 2° Gruppo lineare generale x!? (o gruppo delle affinità); 3° Gruppo lineare speciale ©!! (0 gruppo delle affinità equivalenti); 4° Gruppo o0!° delle trasformazioni proiettive che mutano in sè stesso un complesso lineare non speciale; 5° Gruppo c05 delle trasformazioni proiettive che lasciano fissa una quadrica non degenere, e ciascuno dei due sistemi di ge- neratrici su di essa (equivalente al gruppo dei movimenti di uno spazio S3 non euclideo); B. Gruppi proiettivi e conformi ad un tempo, dunque gruppi di similitudini : 6° Gruppo cv" di tutte le similitudini; 7° Gruppo 5 dei movimenti (euclidei) ; (!) Lie, Theorie der Transformationsgruppen, vol. II, p. 455; vol. III, pp. 258 e seg. Questa proprietà del gruppo proiettivo 00!° di una Mj non degenere di S, (o di un complesso lineare non speciale di S3) può anche dimostrarsi geometricamente in. modo semplice. 504 GINO FANO — GRUPPI CONTINUI PRIMITIVI, ECC. C. Gruppi conformi non proiettivi : 8° Gruppo o delle trasformazioni conformi che mutano in sè una sfera (senza scambiarne i due sistemi di generatrici im- maginarie); 9° Gruppo ov! di tutte le trasformazioni conformi. Questi stessi tipi furono anche trovati dal sig. Le nella classificazione dei gruppi continui primitivi di trasformazioni puntuali, colla sola differenza che il nostro tipo 8° coincide per lui col 5°, al quale esso può infatti ridursi con una trasforma- zione (2, 1) — ma non con una trasformazione birazionale —. Relazione sulla Memoria del Dott. Brppo Levi intitolata: Sulla varietà delle corde di una curva algebrica. Nella congruenza di rette composta delle corde di una curva algebrica esistono delle rette che si appoggiano alla curva in un punto solo, anzi che in due. Sono rette siffatte, e vengon chiamate corde improprie, non solo le tangenti, ma anche altre rette uscenti dai punti multipli della curva. Ognuno di questi punti è origine d’infinite corde improprie, formanti dei fasci, alcuni dei quali corrispondono ai singoli rami completi della curva passanti pel punto, altri alle combinazioni di quei rami presi a due a due. Si posson cioè riguardare quelle corde come limiti di rette congiungenti due punti i quali si muovano con- venientemente su un ramo o su due rami, avvicinandosi inde- finitamente al punto singolare. Si può anche caratterizzare una corda impropria dicendo che: per projezione da un suo punto (se si è nello spazio ordinario; se no, da un suo spazio secante) sl ottiene dalla curva data una curva piana, per la quale l’ima- gine del punto singolare della data produce un abbassamento del genere superiore a quello che si avrebbe con una projezione da un punto generico dello spazio. Oppure anche si può carat- terizzare in modo analogo ricorrendo all’abbassamento della classe, od ai contatti tra rami parziali nella curva projezione. 505 Oggetto della Memoria del sig. Levi è appunto lo studio, sotto questi ed altri aspetti, delle corde improprie. Esso vien fatto con molta diligenza, servendosi tanto di strumenti anali- tici quanto dei sintetici; e profittando della larga conoscenza che l'Autore possiede della teoria delle singolarità superiori delle curve algebriche. La ricerca, anzi che limitarsi alle curve dello spazio ordinario, si svolge sempre in uno spazio ad un numero qualunque di dimensioni, e raggiunge così la massima generalità. Non possiamo astenerci dall’accennare al dubbio che essa, qua e là, sia un po’ più lunga del necessario; ed anche alla nostra impressione di una qualche deficienza in chiarezza e facilità di esposizione. Ma ciò nondimeno il lavoro, per la no- vità ed importanza dei suoi risultati, ci sembra pienamente degno di esser letto alla Classe, e poi accolto nei volumi acca- demici. Tali appunto sono le nostre proposte. E. D’Ovipio. C. SEGRE, relatore. Relazione intorno alla Memoria del Dott. Ermanno GieLio-Tos intitolata: I trombociti degli Ittiopsidi e dei Sauropsidi. Il lavoro sopradetto, affidato al nostro esame, tratta delle questioni tuttora molto discusse che riguardano i trombociti e in particolar modo della struttura, della derivazione e dell’evo- luzione di questi elementi morfologici del sangue nei Vertebrati Ittiopsidi e Sauropsidi. L’A. dimostra, valendosi di un nuovo metodo di colorazione, che è sempre possibile distinguere in ogni stadio del loro svi- luppo i trombociti dagli eritroblasti (elementi morfologici del sangue da molti confusi insieme per la rassomiglianza della loro forma), non solamente pei caratteri e per le proprietà del nucleo, ma anche per la struttura diversa del protoplasma del corpo cellulare. 506 L’A. dimostra pure: 1° che non si trovano mai forme di passaggio dei trombociti in eritroblasti ed in leucociti; 2° che i trombociti non contengono mai emoglobina e che hanno proprietà fisiologiche, fra le quali il fagocitismo, diverse da quelle degli eritroblasti; 3° che i trombociti sono da considerarsi come uno spe- ciale elemento morfologico del sangue. Da queste ricerche risulta che i Vertebrati Cranioti si pos- sono dividere, secondo la struttura dei sopradetti elementi del sangue, in tre gruppi: 1° Ciclostomi nei quali essi sono rappresentati da leuco- citi in una fase del loro sviluppo. 2° Ittiopsidi e Sauropsidi in cui vi sono elementi fra loro equipollenti: i trombociti. 3° Mammiferi che presentano le piastrine. I vostri commissarii propongono la lettura del lavoro del dott. E. Giglio-Tos alla Classe, e qualora questa lo approvi, la stampa nei volumi accademici. G. Bizzozero. L. GAMERANO, relatore. L’ Accademico Segretario AnpREA NACCARI. 507 CLASSE. SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 6 Marzo 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLARETTA, Direttore della Classe, Pevron, Coenerti pe MaRTIS, Brusa, PerrERO, e NANI Se- gretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta, in data 20 febbraio 1898. Il Presidente dà lettura dell’indirizzo inviato a S. M. il RE dall'Ufficio di Presidenza dell’Accademia nella ricorrenza del 50° anniversario della promulgazione dello Statuto. L'indirizzo è del seguente tenore: SIRE, Nel giorno in cui l’Italia unita commemora il cinquantesimo anniversario della proclamazione fatta dal Magnanimo Vostro Avo di quelle Libertà Costituzionali, che, mantenute con fede incrollabile dall’Eroico Padre Vostro, valsero a raccogliere in questa città di Torino i patrioti di tutte le regioni d’Italia e 508 furono base ai Plebisciti ed avviamento alla grande opera della Unità Nazionale, La Reale Accademia delle Scienze, nata e cresciuta sotto gli auspicii dell’Augusta Vostra Casa, Rinnova alla Maestà Vostra, erede delle virtù e delle tra- dizioni degli Avi Suoi, all’Augusta Vostra Consorte ed alla Reale Famiglia l'omaggio della sua inalterabile devozione. MAESTÀ, In quest’ occasione solenne, in cui il pensiero e il cuore degli Italiani corrono ai primordii del nostro Risorgimento, anche questa Accademia rammemora con orgoglio che il suo Socio e poi Presidente perpetuo conte Federigo ScLopis vergò quel memorabile Proclama, con cui Carlo Alberto con affetto di Padre e con lealtà di Re, fidando nelle forti istituzioni rap- presentative e nei vincoli di indissolubile affetto fra Sovrano e Popolo, vaticinò l'avvenire della Nazione Italiana. Quindi il Presidente annunzia il decesso, avvenuto in Lovanio, addì 23 febbraio u. scorso, del Socio corrispondente professore Pietro WiLLEMs, accennando alle alte sue beneme- renze scientifiche. Il Socio Segretario dà comunicazione di una lettera mini- steriale con cui si annunzia che, con Decreto Reale del 20 gen- naio 1898, è stata approvata la rielezione a Presidente del- l'Accademia, per un secondo triennio, del Socio Giuseppe CARLE. Il Socio Segretario presenta un opuscolo del Socio corri- spondente marchese pe NaApA1LLAC, intitolato: Le royaume de Bénin. Quindi il Socio CLarerTA dà lettura della prima parte di una sua memoria che porta per titolo: Sulle principali vicende della Cisterna d’ Asti dal secolo XV al XVIII. Valendosi dei documenti dell'Archivio di Stato, nonchè delle varie pubblicazioni concernenti quel feudo, ma sovratutto peg 0 RE VA Va VPI ade o Ne Cari se i, i processo manoscritto del secolo XVII, esistente «e che contiene diplomi, bolle e dispute forensi L’ Accademico Segretario Cesare NANI. dei Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. dae ali DIA à CE mt RE MA DI » vi do ID Fila [7 La QRUR: “SAR 1348) tota ‘piranga ad li da pei feg4 33, gio ja SÙ. san GAPIGBE i DegtpraAri AR LL, Wet si") È dir spa! Prstatp4® contra finosk Mr E ì N. E, Academy i Of Sciences CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 13 Marzo 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Cossa, Vice-Presidente dell’Acca- demia, Bizzozero, Direttore della Classe, D’Ovipio, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, PreANO, VoLTERRA, JADANZA, Foà, GuIpi, Fi- Leti e Naccari, Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale dell'adunanza pre- cedente. Il Presidente legge l’indirizzo che l’ Ufficio di Presidenza inviò a Sua Marsrà iL Re nell’occasione del cinquantesimo an- niversario della promulgazione dello Statuto (*) e la risposta avuta dall’aiutante del Re generale Ponzio-VAGLIA. Il Segretario comunica le lettere di ringraziamento inviate dai Signori DAmour, GorBEL, GrorH, Penzie e Roux per la loro (*) L'indirizzo è inserito nell’atto verbale della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche della seduta del 6 marzo 1898. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 36 512 nomina a Soci corrispondenti e presenta parecchie pubblicazioni inviate in omaggio all'Accademia dal Prof. Penzie. Vengono poi accolte per l’ inserzione negli Atti le note seguenti: 1° Analisi della teoria dei vettori del Socio PrANO. 2° Un nuovo focometro del Socio JADANZA. GIUSEPPE PEANO — ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 513 LETTURE Analisi della teoria dei vettori; Nota del Socio GIUSEPPE PEANO. Per esporre la teoria dei vettori, e il calcolo geometrico, si sogliono presupporre cognizioni di Geometria più o meno vaste. Mi propongo in questo lavoro di esaminare quali idee si incontrano nella teoria di vettori, e di classificarle in primitive, che si ottengono dall’osservazione dello spazio fisico, e in deri- vate di cui si dà la definizione; e di esaminare quali sono le proposizioni che si devono assumere come primitive, e quali se ne deducono in conseguenza, con puri processi logici, senza oltre ricorrere all’intuizione. Così la teoria dei vettori risulta sviluppata senza presup- porre alcuno studio geometrico precedente. E poichè con questa teoria si può trattare l’intera Geometria, ne deriva la possibi- lità teorica di sostituire alla Geometria elementare stessa, la teoria dei vettori. In studii di questo genere è strumento pressochè indispen- sabile la logica matematica. Farò quindi uso dei segni logici €,9,0,=,-,H,i, nel preciso significato che hanno nel For- mulaire de Mathématiques, t. II, $ 1, indicato con F,$ 1 (*). Idee primitive. Assumeremo due idee primitive. L'una è quella di “ punto ,, termine che abbreviamo in “ pnt ,. La seconda idea primitiva è la relazione fra quattro punti a, b, c,d, che indichiamo colla scrittura a—-b=c—d, e che si può interpretare, col linguaggio comune, come segue: (*) Il segno di negazione — ha la forma invalsa nelle pubblicazioni dell’Accademia. 514 GIUSEPPE PEANO “I segmenti ab e cd hanno la stessa lunghezza, la stessa dirmgne e lo stesso verso ,; ovvero “ La figura abde è un foi Rec. 59 ovvero “ Con un moto di traslazione, si può portare ab a coin- cidere con cd , Assumendo come primitiva la relazione indicata, non ci tocca analizzare le espressioni corrispondenti del linguaggio ordinario; ma ci basta assumere, quali proposizioni primitive, quelle proprietà della relazione considerata, da cui dipendono tutte le altre. Ammettiamo come proposizioni primitive, e le indichiamo con Pp, le seguenti: a, b,c,d,e,fepnt.9. pt a—-—b=a—b Pp 2. do DI n, SMS Pp 3. a—b=cT-d.c-d=e—f.Q.a-b=e—f. Pp che esprimono le proprietà riflessiva, simmetrica, e transitiva del segno =. Queste tre Pp hanno la forma di proposizioni di Logica (Fs $ 1 P81, 82, 83); ma esse esprimono fatti geometrici; ed è solo perchè esse sono verificate, che ci conviene indicare la relazione considerata fra i quattro punti sotto forma di egua- glianza. Per riconoscere la verità delle Pp basta la semplice osser- vazione dello spazio fisico; questa è una condizione necessaria per le Pp, affinchè il nostro studio possa essere immediata- mente utile. Per riconoscere invece che esse sono indimostrabili, e in- dipendenti fra loro, si attribuisce alle idee primitive un’inter- pretazione differente in guisa che essendo verificate alcune di esse, non lo siano le altre. Se, conservando a “ pnt , il suo significato, colla relazione “ i quattro punti giacciono in uno stesso piano ,, sono soddisfatte le condizioni 1 e 2, e non la 3; la P3 esprime pertanto una proprietà della relazione considerata, che non è conseguenza delle 1 e 2. ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 515 Se con a—5=c —d intendo “ la distanza da a a d è maggiore, o eguale a quella da d ad @ ,, saranno verificate le Piet3, e non la 2. Se con a-bd=c —d intendo “i quattro punti @, d, c, d coincidono ,, saranno soddisfatte le condizioni 2 e 3, e non la 1. Le P1,2,3 sono tutte verificate, quando cona — db = ec — d s’intenda una relazione avente la forma, o riduttibile alla forma: “ una funzione di a e di 2 è eguale alla stessa funzione di € erdi ‘di. ,. Per distinguere la relazione considerata da tulte queste eguaglianze ci occorre un’altra Pp, che assumeremo sotto la forma: 4. a—-b=e-d.9Q9.a-ec=b—d Pp e che a causa della sua identità formale con una proposizione d’aritmetica si enuncia: “in una equidifferenza geometrica si possono alternare i medii ,. Che la P4 non sia conseguenza delle precedenti risulta dal fatto, che se con a —-b=c —d intendiamo “ la distanza da a a b è eguale alla distanza da ca d,, “la retta ad è paral- lela alla cd ,, ecc. Sono verificate le 1,2,3 e non la 4. Dalle P2,3,4 si deduce: 5. a—-b=c-d.=.a—-c=b—-4@ .«=.b-a=d—c =.b-d=a—c = SA .=.c-d=a—b .=.dT-b=c—-a =.d-c=b—a cioè ogni equidifferenza geometrica si può mettere sotto 8 forme equivalenti. Per dimostrare ad es. la 2* proposizione, da a—-b=e—-d alternando (P4) si ha: a—-Tc=b—d, 516 GIUSEPPE PEANO invertendo i membri (P2): b-d=a—c alternando (P4) b—-a=d— c; e da questa con processo inverso si deduce la equidifferenza proposta. Dalla P1, alternando (P4), si ha: 6. aT-a=b—b, cioè l’espressione a — a non si altera, sostituendo al posto del punto « un altro punto qualunque 8. Il valore costante di a —@ si indicherà, come in algebra, col segno 0; che si può definire come segue: 7% O=ixe(aepnt.9,.r =a— a) def. “0 è il valore comune dei valori x che può assumere l’espres- sione a — a, ove al posto di a si metta un punto qualunque ,. La coincidenza di posizione di due punti a e 6, che si in- dica con a=d, si può collegare alle notazioni precedenti me- diante la formola: 8. ue=bp.=da = = def. Ne risulta DE a-tT=b-=— bad Invero, dall’Hp. alternando (P4) si ha a —5=e—-c, che è= 0 per la P7; onde a -5=0, e per la PS, si ha la tesi. Vettori. «“ La differenza è — a di due punti dicesi “ vettore ,, abbre- viato in “ vtt,. 10. vit=re[g(a,5) e (a, depnt.«=d— a) def. TT . ©’ — ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI uz La definizione della somma d’un punto e d’un vettore si esprime in simboli come segue: ll. aepnt.uevit.0.atu=ipntde(b—a=u) def. “ Per somma del punto a e del vettore «.si intende quel punto 5 tale che b—u=% ,. Di punti siffatti non ne può esistere che uno solo; poichè seb -a=u,ec—-a=u,saràb —-a=c—a, onde (P9), d=c. Che ne esista uno, è cosa evidente dall’intuizione geome- trica. Ma questa esistenza non è conseguenza delle proposizioni scritte, poichè se per “ pnt , intendiamo i punti interni ad una sfera, saranno verificate le P1-4; ma non sempre, dati i punti interni alla sfera, a, 6, c, il punto 4 che soddisfa alla condizione a—b=c—d, sarà pure interno alla sfera. Ci occorre quindi esprimere quest’esistenza mediante la proposizione primitiva: 12. aepnt.uevtt.g. Hpntde(b — a=%). Pp In conseguenza sono soddisfatte le condizioni per l’applica- bilità della definizione P430 di F,$1, e si deduce: 13. aepnt.ue vtt.).a +-ue pnt. “Ad un punto aggiungendo un vettore, si ha per risultato un punto ,. 14. aepnt.uevtt.9.(a+4u—a=uw. 15. a, bepnt.uevtt.9:db—a=u.=.b=a+uw. La seguente convenzione, identica in forma ad una algebrica, sopprime delle parentesi: 16. aepnt.u, vevtt.G.a+u+o=(a+ut+%. det. Fra le tante identità analoghe alle algebriche che si pos- sono ottenere, sono per noi subito utili le seguenti: 17. aepnt.uvevtt.g.a+u+v=a+04uw. 518 GIUSEPPE PEANO Infatti dalla P14 si ha (a ui 0) = e leggendo a +- u al posto di «, (a+u+?09)—-(a+u=o, onde (P3) (a+u+0)—(a+u=(a+2)—a alterno (P4) (a+u+0)— (a+) =(a+w—a, e per la P14: ik trasporto il secondo termine (P15), ed ho la tesi. 18. a,bepnt.uevett.o.(a+u—(0+u=a—-d. Infatti dalla P14 si ha u=(a+4#—a=(04— 5; al- terno i medii ed ho la tesi. 19. a, bepnt.u, vevtt.0.(a+u+0)-a=(0+u+)-3. Infatti dalla P18 si ha (a+ u)— (0+=a—d (1) e leggendovi a + u, b-+ u e © al posto di a, 8, u, si ha (a+u+0—(0+u+2=(a+u—((60+%), . (2) da (1) (2) si ha: @+u+9)—0+u+o)=a—3 alterno i medii, ed ho la tesi. Adunque il vettore (a +4 u+ e) —«@ non si altera se al posto del punto « si mette un altro punto qualunque 5. Esso ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 519 si chiama la somma dei due vettori « e v; e si definisce sim- bolicamente come segue: 20. u,vevit.g.uto=ire[aepnt.ga.e=((a +) +0) — a]def. “ Per somma dei due vettori u e v si intende il valor co- stante dell'espressione a-4-vu+v—a, qualunque si sia il punto a ,. Risulta dalla definizione: i u, vevtt.Q.udt vevtt. 22. u,vevtt.aepat.g.ut+tv=(a+u+0—a e trasportando un termine 23. u,vevit.aepnt.Q.a+ut+o=a+(u+0?). Il primo membro di questa eguaglianza sta per (a + «) + v (P16); quindi questa somma ha la proprietà associativa. 24. uvevtt.Q.uto=v+%, che esprime la proprietà commutativa della somma di due vet- tori. Infatti, dalla P17, tenendo conto della 23, essendo a un punto, si ha a+(u+9)=a+ +1), e sottraendo « (P14), si ha il teorema. 25. uv, wevit.Q.ut(e +w=(u+4+ 094%, che esprime la proprietà associativa della somma di vettori. Infatti, sia « un punto; dalla P23, che esprime la proprietà as- sociativa della somma d’un punto con due vettori, si ha: a+[+94+w]=[a+ (+ 9] +%0=[(@+ 4) +7] +w=(+4+0+w)=a+[u+ (+ %)] e sottraendo « dal primo e dall'ultimo membro di questa serie di eguaglianze si ha la nostra P. 520 GIUSEPPE PEANO Essendo « un vtt, con — « si intende il vettore u cambiato di verso; si può definire come segue: 26. a, bepnt.9.—(a—-0)=dB—a. def. Per differenza di due vettori vu — v si intende la somma del primo col secondo cambiato di verso: 27. u,vevit.g.u—v=u+(—0). def. Si ha: 28. uevit.g. —uevtt. u—-u=0 29. uevit.g.—u=ivttrxelutx=0). “ Essendo « un vettore, —w è quel vettore x tale che u+4ax=0,. Questa proposizione si potrebbe assumere per de- finizione. Prodotto d’un vettore per un numero. Dovendo occuparci di numeri interi, e fratti, positivi e negativi, bisogna supporne nota la teoria (F,$ 2), ed i simboli relativi, che sono: N= (numero intero positivo) n = (numero intero) r = (numero razionale), e in seguito = (numero reale positivo) q= (numero reale), e i segni di operazioni sui numeri +, —, X, /. Per definire il prodotto d’un intero a per un vettore w, basta porre queste eguaglianze: 30. uevit.0.0u=0 def. S1. uevtt.aen.Q.(a+1l)u=au+ u. def. ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 521 Dalla seconda, ove si faccia « = 0, e tenendo conto della prima, si ha lu=w. Fatto nella seconda a = 1, e tenendo conto del risultato ora ottenuto, si ha 2u = + u; e così 3u=u+ +, ecc.; cioè se a è un N, au è la somma di « vettori eguali ad . Facendo nella stessa a = — 1, e tenendo conto della prima, si ha 0=(— 1)u+ «, onde (1)u= — u;(— 2)u = — 2, ecc. Così ne risulta il significato di av, qualunque si sia l’intero a, cioè: 32. uevitt.aen.Q.auevtt. Colla scrittura «a, non ancora definita, ci conviene indicare lo stesso av, cioè porremo: 321 uevit.aen.Q.ua = au. def. 35. uevit.a,dben.Q.(a+d)u= au+- du. Questa formula esprime che il prodotto d'un numero per un vettore ha la proprietà distributiva rispetto al fattore nu- merico. Essa si è assunta, per definizione (P30) per è = 1. Sup- postala riconosciuta per un certo valore di è, si avrà: [a+ (054 1))u=|[(a + 3) 4-1], dall’Aritmetica = (a+bu+u, per la P31 —au+du+u, per l'ipotesi, —=au+ (0u +) per l’associatività della somma, P25, = au+(0+41)v per la def. P31; cioè essa sarà ancora vera per d 4 1. Viceversa, se è vera per 5-1, risulta dalle formule scritte, che è pure vera per è; dunque essa è vera per ogni valore intero, positivo o nullo o negativo, di d. 34. aen.u,vevtt.Q.al(u+ 0) =au + av. Questo teorema dice che il prodotto d'un numero per un 522 GIUSEPPE PEANO vettore ha pure la proprietà distributiva rispetto al fattore vettoriale. Per dimostrarla, si osservi, che per la def. P30, essa è verificata per a = 0° Suppostala verificata per un certo valore di a, sarà: (a+1)u+o=a(u4 0) +4 («+ e) per la def. P31 aut avt+ut ® per ipotesi, =aut+tu+av+ v perchè la somma ‘è commutativa (P24) = (a+ 1)u+ (a +1)v per la def. P31; cioè essa sarà pure verificata per a + 1; e dalle formule scritte si ha pure che, se essa è verificata per a + 1, sarà pure veri- ficata pel numero precedente a. Dunque essa è vera qualunque sia l’intero a. Riconosciuta la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma di due termini, lo si estende alla somma di 3,4... termini. Sarà quindi (a+ a, +..J)u=ajutazu+..., e supposte le tutte eguali, ed in numero di è, si avrà (per b positivo) 35. a,ben.uevtt.o.(ba)u=db(au) proprietà associativa del prodotto di due numeri e d’un vettore; e che si riconosce dalle cose dette vera qualunque sia il segno di d. Se un vettore è nullo, moltiplicandolo per un numero qua- lunque si ha per risultato 0. Viceversa, si ha: 36. aeN.uevit.au=0l.,N.,u=pPi Pp. come si riconosce dall’intuizione geometrica. Ma non potendo noi dedurla dalle proposizioni precedenti, con processi di logica pura, ci occorre assumerla come proposizione primitiva. Che la P36 non sia conseguenza delle precedenti, risulta da ciò che se per “ pnt , intendo i punti d’una circonferenza, ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 523 e all’ equidifferenza a — > =c — d attribuisco il significato “ l’arco ab si può portare a coincidere con cd con un moto ro- tatorio attorno al centro , cioè “ gli archi ab e cd sono eguali, e dello stesso verso ,, sono verificate tutte le Pp finora intro- dotte, P1, 2,3, 4,12, ma non la P86; poichè in questa interpre- tazione, un vettore rappresenta una rotazione; lo 0 rappresenta l'identità; e una rotazione ripetuta può produrre l'identità. Ne deriva: 36°. aeN:'u vevit. du=av.)u=v. Invero Hp.Q.au—-av=0. 3 PRATT Val = 0 RS) The: Dividere un vettore « per il numero intero positivo @, 0 come preferiamo di dire per non introdurre forme nuove di operazione, moltiplicarlo per /a, cioè pel reciproco di a, significa trovare quel vettore v, che moltiplicato per a dà wu: 37. uevit.aeN.g.ula=ivttee(av= ). def. Affinchè questa definizione sia applicabile, bisogna che siano soddisfatte le condizioni sotto cui si può usare il segno î (F, $ 1 P430); cioè che esistano vettori v che soddisfino alla condizione av=u; e che ne esista uno solo. Questa ultima condizione è conseguenza della P36'; poichè se fosse av = e av =w, sa- rebbe av = av, onde v= v'. Che ne esista uno, risulta dall’intuizione; ma non è conse- guenza logica delle cose dette. Invero, quanto precede è vero se per “pnt , intendiamo i numeri interi “n ,, e non sempre il rapporto di due interi è un intero. Lo affermeremo colla seguente proposizione primitiva : 38. uevit.aeN.g.Hvtitve(ao = wu). Pp. Ne risulta 39. uevit.aeN.g.ufaevtt. (ula) XKa= uu. 524 GIUSEPPE PEANO Dalle cose dette, essendo % un intero (n), ed « un intero positivo (N); ha significato la scrittura (u X 5)/a. Questo vet- tore dipende dai due numeri a e 6; ma noi vedremo subito che esso è funzione del solo rapporto d/a. Dicesi che un ente, fun- zione dei numeri a e d, è funzione del numero razionale b/a, quando sostituendo ad a e a è due numeri c e d, tali che d/e=bf/a, il valore di quell’ente non varia. Cioè si ha: 40. a,ceN.d,den.bla=d/c.uevtt.9.(ub)la = (ud)fe. Infatti la Ths, a causa della P36', è conseguenza di [(ub)/a] (ac) = [(ud)/c] (ac). Questa, per la P35, equivale a i[(vb)fa]ajc=}[(ud)[c]e{a, che, per la P39, vale (ub)e = (ud)a, e per la P35 u(bc) = u(da), che è vera, poichè, per le Hyp fatte be = da. Il rapporto d/a, ove den, ed a e N, rappresenta ogni nu- mero razionale r. Quindi porremo: 41. uevtit..x er. qu=ivelaeN.den.bdla=x.950.v= bla]. “ Essendo « un vettore, ed x un numero razionale, positivo o nullo o negativo, per xv si intende il valore che ha sempre l’espressione «b/a, ove @ è un intero positivo e è un intero qua- lunque tali che il loro rapporto 5/a eguagli il razionale « ,. Il prodotto d’un razionale per un vettore ha la proprietà distributiva rispetto ad ambi i fattori: ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 525 42. cer.u,vevit.Q.ax(uto=au+ av 43. e, yer. uevtt. 9 (e 4 y)u=au4 yu; e il prodotto di due fattori razionali per un vettore ha la pro- prietà associativa: 44, e,yer.uevtt.o. (yu) = (xy), la cui dimostrazione è conseguenza delle proprietà P33,34, 35. Si ha pure che il prodotto d'un numero per un vettore è nullo solo quando si annulla un fattore: 45. dere vira — 0 La definizione del prodotto d’un numero irrazionale per un vettore, in questo istante presenta gravi difficoltà. Lo defini- remo simbolicamente solo dopo introdotte le idee di distanza e di limite. Somme di punti. Dicesi somma di punti, o forma geometrica di prima specie, abbreviato in F,, un insieme di punti a, @3, ...@n, con altret- tanti numeri (razionali) x, x2...%n @ si rappresenta con x, a, + 90° +... 4 Zn0m In miei lavori precedenti si è fatto dipendere la definizione dell’eguaglianza di due forme dal concetto di tetraedro (*), con- cetto certo elementare, ma non ancora ridotto ad idee intuitive. Potremo far dipendere questa eguaglianza dalla teoria dei vet- tori, i quali ne sono caso particolare, nel modo seguente: “Due forme di 1? specie, xa, + 202 + ...+ %n@n © Y1 db +20 +... + Y0n diconsi eguali, se, comunque si scelga il punto o, si ha che la somma dei vettori che vanno da o ai punti della prima forma, moltiplicati questi vettori pei rispet- tivi coefficienti, è eguale alla corrispondente somma pella se- conda forma: (*) Calcolo geometrico, a. 1888. Lo stesso procedimento è seguito nelle Legsons de Cinématique del Koenres, a. 1897, p. 423-8. 526 GIUSEPPE PEANO 46.0, neN- ff Rae TUA e pub. 4) 3 b,,...b,epnt.g era +... + cn0n=% di +... + ya dd: oepnt.do. (a — 0)+...+ nm —0)=%1 (01 — 0) +... + yn(0n 0). def. Dicesi massa d’una somma di punti la somma dei coefficienti dei punti, e si indica col segno d’operazione w: 47. mm EN 196, E, DEN w(r,0,4... + Cnn) = +. 4 fm OE Se da una somma di punti s si sottrae un punto arbitrario 0 con coefficiente la massa del sistema, si ottiene un vettore: 48. seF,.o0epnt.dg.s—(Wws)oevtt. Infatti sias=x;0, +... + %n@n, ove queste lettere hanno il significato noto. Sarà s—(ws)o = x,0, + ... + &n dn — (rr +... +an)o=az(a—09)+...+ xn(@n—-0); ora la somma di più vettori a, — 0,..., an—0, moltiplicati per x,...%n, dà un vettore. In conseguenza, se la massa di s è nulla, s si riduce ad un vettore: 49. SEH,.Ws= 0.1). SE Vil x Se invece la massa non è nulla, posto g=0+|s— (w3)0]/(ws) sarà g un punto, ed s = (Ws)g: 50. seF,.ws-=0.9.Hpntge[s=(ws)g]; cioè, data una somma di punti, con massa non nulla, essa sì può ridurre ad un purto unico 9 con massa la somma delle masse del sistema. Questo punto dicesi BARICENTRO dei punti dati, colle rispettive masse; e si può indicare con g = s/ws. Li ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 527 Prodotto interno di due vettori. Nelle pagine precedenti siamo partiti da due idee primitive; l'una è quella di “ pnt ,, e l’altra è la relazione fra quattro punti espressa in forma di equidifferenza. Queste due idee si sono determinate mediante 7 Pp, che sono le 1, 2,3,4, 12,36 e 38. Si è definito successivamente lo 0 (P7), il “ ri s (PRO la somma d’un punto e d’un vettore (P11), la somma di due vettori (P20), e la loro differenza (P27), il prodotto d’un vet- tore per un numero razionale (P30, 31, 37, 41); e infine la somma di più punti con coefficienti interi, o razionali (P46). Queste somme hanno le proprietà: delle somme algebriche; e il calcolo geometrico che ne risulta è formalmente identico al calcolo algebrico. Questa coincidenza è prodotta dal fatto che si è indicata sotto forma di equidifferenza la relazione fonda- mentale fra i quattro punti, e con opportune definizioni si sono estese alla geometria delle identità algebriche. Si avrebbe avuto un calcolo geometrico ancora identico all’algebrico, se la rela- zione fra i quattro punti si fosse scritta sotto forma di pro- porzione a/6 = c/d; in tal caso i segni 0 (P7))a + u(P11),u+ v(P20), — «(P26), ua (P30, ... 41), ca, +ar0dg +... + 2,0 (P46) dovrebbero essere rispettivamente sostituiti con llaxu,uXo,/u w, anazm...afm. Se invece di indicare il vettore di estremi a e 5 con è — a, come fece H. Grassmann, e qualche volta anche Hamilton, lo sì indica con ad, si avrà un calcolo geometrico di forma diversa dall’algebrico. Ad es. la formula (a— 2) +(6b—c)=a—e sì presenterebbe sotto la forma ad + de = ac. Colle operazioni finora introdotte si possono esprimere re- lazioni e funzioni di punti. È facile il vedere che ogni funzione siffatta non si altera passando dalla figura considerata ad una sua affine. In conseguenza colle operazioni precedenti non po- Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. ST 528 GIUSEPPE PEANO tremo parlare della distanza di due punti, del valore degli an- goli, e in generale di nessuna delle proprietà metriche delle figure. Per parlare di queste proprietà è necessario introdurre una nuova idea primitiva. In Geometria elementare l’idea pri- mitiva introdotta è quella di moto, da cui si deduce l’ egua- glianza dei segmenti, degli angoli, e le operazioni somma e differenza, seni, coseni, ecc. Mediante questi concetti si suol definire nel calcolo geometrico, il prodotto interno di due vet- tori u e v, che indicheremo con w|v, seguendo Grassmann, e che si legge “« indice © ,, come “ il prodotto delle loro lunghezze pel coseno dell’angolo compreso ,. Non volendosi parlare di coseni, si può definire come segue: “ Il prodotto di due vettori paralleli e dello stesso senso vale il prodotto delle loro lunghezze. Il prodotto di due vettori di senso contrario vale il prodotto delle loro lunghezze preso col segno —. Il prodotto di due vettori non paralleli vale il prodotto del primo per la proiezione ortogonale del secondo sulla direzione del primo ,. Volendo esprimere questa definizione coi simboli ideogra- fici, ci occorre analizzare i termini “ lunghezza d’un vettore, o distanza di due punti ,, “ proiezione d’un vettore , ece.; il che importerebbe a ricostrurre la Geometria. Tanto fa assumere l’espressione u|v come idea primitiva, determinandola mediante le sue proprietà fondamentali, e deducendone la Geometria metrica. Noi ammetteremo pertanto che: 51. u,vevit.M.u|veq. Epi 52. 5 Y.u|o= vu Pi 58. uo,wevtt.g.(u+to|w=u]w+4 vw Pp. 54. uevtt.u-=0.9.u|ueQ. bp. “ Il prodotto interno di due vettori è un numero reale; esso ha la proprietà commutativa, e la distributiva rispetto alla somma. Il prodotto d’un vettore non nullo per sè stesso è un numero positivo ,. ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 529 Dalla proprietà distributiva, espressa dalla P53, si deduce: Si ponga v= 0. Si avrà u|w= u|w + 0|w, onde 0|w=0, e scambiando lettere: (1). dle; Applicando più volte la P53, e detti u, ...u, dei vettori, si ha (un dust... +un)o=ulo + slot... A ua]®, e supposti tutti gli u eguali: (2). neN.9.(nulo= n (uo). Nella P53 pongo — u al posto di v, si ha 0|w=ulw+(— dv, e tenendo conto della (1), e cambiando lettere: (3). (- wo = — (ul). (4). neN.9.(— nu))o = — nuo). Invero il primo membro di questa eguaglianza, per la (3), vale — [(nu)|v], e questo, per la (2), vale il 2° membro. Le (1) (2) (3) (4) si compendiano in (5). aen.).(au))v= a (uo). Nella (2) al posto di « leggasi i u. Si avrà ulo=n(-|0). — onde (6). Le u}lo=+ (u|p). Nella P(5), al posto di « leggo 1 u, e trasformo l’ ultimo membro colla formula ora scritta: (0). neN.aen.g.(< u) o=- (ulo). 990 — GIUSEPPE PEANO a N . e,° 3 Ma: ove n è un intero positivo, ed a un intero qua- lunque, rappresenta ogni numero razionale. Onde si ha infine il teorema che comprende tutte le formule ora scritte: 55. u vevit.ger.).@e))o= (|) che esprime la proprietà associativa del prodotto d’un fattore razionale e di due fattori vettoriali. Sussistendo le proprietà commutativa ed associativa (P52 e 58), sussistono pure tutte le formule algebriche di secondo grado, le quali siano interpretabili fra vettori. 56. ue vit.0..u = u|)u def. cioè diremo quadrato d’un vettore il prodotto interno del vet- tore per sè stesso. Grassmann sottolineava l'esponente 2; ma si può adottare la scrittura più semplice senza ambiguità. Dalla P54 si ha che «? è una quantità positiva, o nulla se è nullo w. Porremo per definizione: 57. uevtt.9.modu= |(u?). def. Il segno “ modulo di « , corrisponde alle frasi “ lunghezza o grandezza del vettore u ,, “ distanza degli estremi del vet- tore u, questa distanza essendo misurata con una fissata unità di misura ,. Si ricava os. we vi... mode == ae=0 99. E mod (— «) = mod « 60. ue vtt.xer.9.mod (zu) = moda modu. Infatti, per dimostrare quest’ultima, sì ha mod(cu)=+[(Coie=e= Va? Vu = mod x modu. 61. u,ve vtt.09. mod («|v) < modu mod». ANALISI DELLA TEORIA DEI VETTORI 531 Questa formula, differente delle formule algebriche, esige dimostrazione speciale. Essendo x un r, per la P54 si ha: (ru + 0)? > 0. Sviluppando si ha: x mod u + ra + 0° — (L- \ > 0. modu Ora il primo termine si può rendere tanto piccolo quanto si vuole prendendo convenientemente il razionale x; è quindi necessario, perchè sia soddisfatta questa diseguaglianza, che sia 5 [AAA 2 RI EI) mod « (mod «)? (mod 0)? ? (v|v)}, che equivale alla proposizione a dimostrarsi. In questa dimo- strazione si è supposto implicitamente che il fattore mod «, per cui si è diviso, fosse diverso da zero. Se mod u= 0, la propo- sizione è evidentemente vera. 62. u,vevtt.0). mod («+ 0) = mod « 4- mod ». “Il modulo d’una somma di vettori non supera la somma dei moduli ,. Essa equivale alla proposizione di Geometria: “In un triangolo un lato è minore della somma degli altri due ,, proposizione dimostrata in Euclide, e assunta come postu- lato da Legendre. Noi la possiamo derivare dalle nostre pre- messe. Invero si ha: (uv)? =? + 2u]o +0? ed essendo u|v= "n 95) pi ovvero, ponendo Ge T4; ge = —B avremo usa — pz (ap. + 822) (1) P'î= Ppi(ap. + Bpa). 2. — Mostriamo la effettiva esistenza di sistemi a carat- teristiche indipendenti del secondo ordine, a cui corrispondono valori arbitrarii per le costanti a e B. Per ogni sistema di va- lori di queste quantità ne esistono infiniti. Noi in particolare ne esamineremo uno speciale che considereremo come tipico e che ci darà un'idea materiale dell’ andamento del moto cor- rispondente. Prendiamo un sistema di assi x,, x», 3 tali che i coseni degli angoli che essi formano originariamente con gli assi coor- dinati &,, &., & siano rappresentati dalla seguente tabella: ENTEOS (2) 544 VITO VOLTERRA Se ruotiamo gli assi x,, %», x di un angolo @ intorno alla parallela a &, condotta per la loro origine, i coseni stessi di- verranno È 7300) ULI ec" ACI La Zio, Too, Ego En= 0, En = 0080 — agsen0, E, = 0gc080+ a, seno RE Z, = Pscosì — Bysen0, Zs° = B3c0os9 + Bssen0 LA n i (0) Z3 = 1; É3=Yscos9 — yssen0, 3 = Y3cos0 + Yssen0. Denotiamo con &,, £, z le coordinate dell'origine degli assì 4,, %2, 43 e poniamo (3) 0i_Dz in cui D denota una costante. Avremo allora che ad ogni punto dello spazio preso come origine degli assi x,, x», 43 corrisponderà una orientazione degli assi stessi. Per ottenere queste diverse orientazioni osserviamo che gli assi x,, x, %; le cui origini appartengono ad uno stesso piano parallelo a &,z, sono paralleli fra loro e se le origini sono scelte sul piano coordinato & &3 la loro comune orientazione corrisponde a quella primitiva rappresentata dalla tabella (2). Immaginiamo dunque condotto per ogni punto di questo piano coordinato gli assi x,, x», %3 nella orientazione primitiva, quindi facciamo muo- vere il piano stesso di un movimento a vite attorno all'asse &, ar D: nel suo moto gli assi x,, x», 3 supposti condotti per ogni punto di esso e ammettendoli rigidamente collegati al piano stesso, questi prenderanno le orientazioni corrispondenti alle varie posizioni che assumono le loro origini. in modo che il passo della vite sia Se il piano trascinerà MI ER SULLA INTEGRAZIONE DI UNA CLASSE DI EQUAZIONI, ECC. 545 i 38. — Per ciò che abbiamo ora veduto, ad ogni punto A dello spazio corrisponde un piano x, passante per A che de- noteremo con 0,. Supponiamo che si abbia un punto mobile, tale che in ogni posizione che occupa nello spazio, esso non possa muoversi che tangenzialmente al piano 0, corrispondente al punto stesso. Il sistema sarà mon holonomo (4) e l'equazione del vincolo sarà Zig dE, + Egg di, + gd =0. Potremo dunque porre E, = En + fiePo (4) | E, = En Pr + fee Po sr, = EP, + sof: ove p, e p: sono le caratteristiche del moto. Supponendo la massa del punto eguale ad 1, la sua forza viva sarà 1 = t (pp. Per calcolare i coefficienti 9}, 9g faremo uso delle for- mule (Vedi Nota citata, $ 1). E, DIST a I = Sy (En n iaia E + Sa da.) ite _ dis 4a (Ve _ en) nb | dia Si) —r)D =0. \ ces 27 1 3 dEa di 546 VITO VOLTERRA e otterremo ds dis \ d0 gn = 0 (Ea = + Ea nà l'a = 0) (EE — E) D= — Danya = B1 (£31 20 a E32) D=—-Df,w E; da | dA = (i+) È quindi a= Da VT aghi © 8 — DAVIS Poichè D, a,, 8, sono arbitrarie (purchè queste due ultime quantità abbiano la somma dei quadrati minore di 1), così po- tremo far sì che a e 8 abbiano valori arbitrarii. In tutto ciò che segue noi supporremo di prendere D, Y,,; e il radicale V1 — Yî sempre positivi. Riassumendo ciò che abbiamo fin qui trovato, possiamo dire che il moto di un punto di coordinate ,, E,, &, non soggetto ad alcuna forza e i cui vincoli sono rappresentabili mediante la equazione Z13 d& - Es ds + Za dE, = 0 costituisce il tipo dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti del 2° ordine i più generali. 4. — Per un punto qualunque A dello spazio conduciamo il piano 0, corrispondente ed il piano parallelo al piano coor- dinato € €. La loro intersezione /, formerà cogli assi &,,&», &3 angoli i cui coseni saranno rispettivamente (A) 0 + E33 +.Ea Vir, | Vir Prenderemo come direzione positiva di /, quella i cui coseni corrispondono ai segni superiori. Ad ogni punto A dello spazio corrisponde una retta 71, ed evidentemente tutte le /, relative a punti equidistanti dal piano E; sono parallele ed hanno lo stesso verso. PR ZAP. e SULLA INTEGRAZIONE DI UNA CLASSE DI EQUAZIONI, ECC. 547 Se prendiamo due punti A, B le cui distanze dal piano &, &; differiscono per e, avremo che l'angolo iù =De, quindi se e= (24 + 1) 3, (4 essendo intero) le rette Z, e Is i 2h È saranno parallele e avranno verso opposto, mentre se e = D > esse saranno parallele e dello stesso verso. È Le rette Z,, al pari dei piani o, hanno una notevole im- portanza in tutta la questione del moto. $ 2. — Integrazione delle equazioni dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti del secondo ordine. 1. — Riprendiamo le equazioni generali (1). Esse ammettono l’integrale delle forze vive Pi + pi = cost =" 0°. Posto P.= Ccosp, pi—Csenpsi aC = 0 a=— Asenpo, B=Acosp, A=|Vo*+ Pf = Vi—v î le (1) si ridurrannno alla sola equazione p = ACsen(p— ®) e integrando 1 AGE —b)i= log ig (pg — ®y) tn essendo una costante arbitraria. Quindi tg 5 (Q == Po) — gA0(i-to) cosp, senh AC(£# — #)) + sen ®o cosh AC(£—t) — sen senh AC (t— #9) + cospo cosh AC(#t— to) cosp = — senp = 548 VITO VOLTERRA e finalmente de C Bsenh AC(#— 5) — a \ Pi — ga cosh AC(#—tp) (5) at C asenh AC(f—#)+B Pera VE cosh AC(#—t) ee i Abbiamo così le formule risolutive per tutti i moti del secondo ordine. 2. — Passiamo ai moti del secondo ordine permanenti. Otterremo le equazioni (Cfr. Nota citata, $ 7) Pe(0p, + Bpa) = 0 p. (op, +-Bp.) = 0 quindi op, Bp.=0 ovvero denotando con ) una quantità costante (6) poii-MNB5 Dia. Si hanno così tutti i moti permanenti del secondo ordine. Per ricavare queste formule dalle formule generali (5) ba- sterà in queste fare h= £ o. Se facciamo h = + o, avremo CC senh AC(#—%) _ in e i,=% C gp invece facendo f, = — o si avrà di C senhAC(t—%) __ e io A coshA0(_t) A; Quindi nel primo caso si trova Pi= — MB; Pi \N=-+<0, | SULLA INTEGRAZIONE DI UNA CLASSE DI EQUAZIONI, ECC. 549 e nel secondo caso EST i ELI ra i Mostreremo ora che le formule (6) corrispondono ai moti permanenti stabili quando si abbia ) > 0, e a moti permanenti instabili quando sia \ < 0. 8. — A tal fine dimostreremo il teorema seguente: Ogni moto spontaneo a caratteristiche indipendenti del secondo ordine tende indefinitamente a divenire un moto permanente indivi- duato dalle formole: C C PAR; Pe Infatti dalle (5) segue limp. =— $-£, lim p,= La. i=% i=% È facile di qui dedurne che, dato un moto stazionario cor- rispondente a ) positivo, sarà sempre possibile perturbarlo in modo che p, e p: differiscano durante tutto il moto, dai valori costanti che queste quantità hanno nel moto stazionario, meno di numeri tanto piccoli quanto si vuole; e perciò basterà che le alterazioni fatte subire inizialmente ai valori di p, e p: siano inferiori ad un dato limite. Al contrario se consideriamo un moto stazionario corrispondente a \ negativo, la detta pro- prietà non si verificherà, perchè per quanto poco si alterino in un istante qualunque i valori di p, e di p,, purchè non si man- tengano proporzionali a — e ad a, il moto cesserà di essere stazionario ed i valori di p, e ps tenderanno indefinitamente dc, Mies > 0) e consideriamo w, e ws come piccolissimi, in modo da poterne trascurare le potenze superiori alla prima per rapporto a queste quantità. Le (1) diverranno allora wi = — Xa(aw, + Bw) ws = — AB(aw, 4- Bw,) e ponendo w = yw eg, Ws = Wa e0°, avremo yi (0° + p) + ws (XaB) = 0 yi (A08) 4- wa (A8° + p) = 0 d'onde | xa + p, Xob 20) | Napo CARI ossia p + Ap(o° + 8) =0 da cui segue Pa; | — ala 4 pay = xa quindi trascurando la radice nulla wi = Kaes4®, w, = K Re-44% essendo K una costante arbitraria. $ 3. — Caso tipico dei moti spontanei a caratteristiche indipendenti del secondo ordine. 1. — Riprendiamo in esame quel sistema il cui moto nel $ 1 abbiamo assunto come il tipo dei moti spontanei del se- SULLA INTEGRAZIONE DI UNA CLASSE DI EQUAZIONI, Ecc. 551 condo ordine a caratteristiche indipendenti, e mostriamo come sì possa compiere la integrazione ed ottenere un'immagine del- — l'andamento del moto stesso. 2. — Dalle (3) e (4) segue (7) 8'=D, = D(up, + Bpa). Cominciamo dapprima a supporre che il moto sia perma- nente. Dalle (6) si dedurrà gle onde 9 = cost. E le (4) diverranno 5 —=0 = NY SA ND ig e integrando : di 0, E = \DY;&at, &a—-E= —ADqEgt ove #1, &>, & rappresentano le coordinate della posizione A. occu- pata dal mobile al tempo t= 0. Il moto è dunque uniforme ed avviene sopra una retta l,. Esso avrà luogo nel verso positivo o in quello negativo, secondochè \ è positivo o negativo. Possiamo dunque concludere: I moti permanenti stabili sono moti uniformi nel verso posì- tivo delle ly e è moti permanenti instabili sono quelli nel verso negativo delle rette stesse. 8. — Supponiamo che il moto non sia permanente, allora tenendo conto delle (5) si deduce dalla (7) DIE AC Yi cosh AC (E to) ì Con una quadratura avremo dunque 6 in funzione del tempo; quindi mediante tre nuove quadrature otterremo per mezzo delle (4) Z,, ,, & espresse pure in funzione del tempo. 552 VITO VOLTERRA 4. — Risparmiamoci però queste operazioni e riconosciamo l'andamento del moto nella maniera seguente: Denotiamo con g l'angolo che in ogni istante la direzione del moto del punto forma colla direzione positiva della retta ly che passa pel punto A occupato nell'istante stesso dal mobile. Avremo (Vedi (A)) cosg = - fo fa E3 tn SI Vv E% ee 7 ly VENT Sa VI —Y (E E — En E29) Da + (09 i23 — Esa E33)D: CIO pa — Bi Pi + ir C TANO e applicando le (5) senh AC(#—to) cosh AC(#—%) cosg—= e quindi 1 cosh AC(£—%) (8) seng= Da queste formole si deduce AC dt cosh AC(@E= bh) Y: 48 dg= — onde integrando 1 lei) chiamando 6, e 9, i valori di @ e 9g al tempo t=0. Ne segue 1 (9) a -H= gp Wd 5. — Serviamoci ora delle due formule trovate (8) e (9). La prima mostra che l’angolo g va indefinitamente decrescendo, la seconda dà la proiezione sull'asse &, del cammino percorso dal punto mobile. Il limite verso cui tenderà questa proiezione col crescere indefinito del tempo sarà BO Dyi SULLA INTEGRAZIONE DI UNA CLASSE DI EQUAZIONI, ECC. 555 6. — La minima distanza fra l’asse 2 e la retta l, su cui si trova il punto mobile al tempo #, sarà (Vedi (A)) fac Eos fa + E2983 i VI, quindi rv Lane. EogE at E33 fa E'ag + E3E 38 SOR e con facili calcoli & EA +0 N 1 Wah do AT A dt si Vi=%, (Er fs — Esta) di onde integrando t - v sad, Mia: Eagtg Fà EsgEa AC 1 (0) [ E i di 0 essendo », il valore di r per t=0. Osserviamo ora che z,3 e 33 sono minori di 1 e |Z',| e |F, sono quantità sempre inferiori ad un valore finito. Potremo dunque porre Eoofa — Fasta AC Vi+r, n My essendo M una quantità inferiore ad un numero finito. Ne segue che t 1 Ju fore Gmiogznii 0 sarà sempre inferiore ad un numero finito qualunque sia il va- lore di #. Potremo dunque concludere che il punto mobile non potrà mai raggiungere delle rette l, che distano dall'asse 2 al di là di un certo limite. Evidentemente col crescere indefinito di # l’in- tegrale (10) e quindi » — », decresceranno indefinitamente. 7. — Dalle fatte considerazioni si possono dedurre facil- mente altre proprietà, oltre quelle già stabilite ($ 2), relative alle perturbazioni dei moti permanenti stabili ed instabili. Così nel caso dei moti stabili, purchè la perturbazione iniziale sia 554 VITO VOLTERRA inferiore ad un limite convenientemente scelto, il moto pertur- bato subirà durante tutto il tempo una deviazione dalla dire- zione del moto permanente, inferiore ad un numero tanto piccolo quanto si vuole, e il moto avrà luogo secondo una traiettoria che si avvicina indefinitamente ad una retta 7, la cui distanza dalla traiettoria del moto non perturbato sarà inferiore ad un nu- mero piccolo ad arbitrio. Infine nel caso di un moto instabile le dette particolarità pel moto perturbato non si verificheranno. $ 4. — Moti spontanei a caratteristiche indipendenti d’ordine v con v—2 integrali lineari. 1. — Se il moto è di ordine v e si conoscono v— 2 inte- grali lineari indipendenti, le equazioni differenziali si ricondu- cono alla forma (Vedi Nota citata, $ 8, Equaz. (H')) e'1=% (M{) At MW 2° + Nu) (11) | 2,= (MV + MA 2 + Na) quindi ponendo E) sat e Mi = — a; MO =— B, Ne=—Y avremo 2'i=— (024 B4a4 7) a rale Bet. % to 2. — Ci limiteremo a mostrare come il sistema sì ricon- duca alle quadrature, giacchè l'effettivo calcolo non presenta alcuna difficoltà analitica. Dall’integrale delle forze vive segue zi 4 es = cost =" onde potremo porre zar = Ccosp, z,= Csen@ onde le (11) si ridurranno alla sola equazione p'= C(acosp + Bseng) + 1 ent SULLA INTEGRAZIONE DI UNA CLASSE DI EQUAZIONI, ECC. 555 e ponendo a=-—Aseng, R= Acosgo, A=|Vo? + 8°] avremo 0 = CA sen(p — o) + Y d’onde do, = de ©] CAsen(p—P)+Y ._denotando con £, una costante arbitraria. Possiamo quindi concludere: Se sì conoscono v —2 integrali lineari, le v caratteristiche si esprimeranno mediante funzioni tri-’ gonometriche o esponenziali del tempo. È notevole osservare che il presentarsi delle une o delle altre funzioni dipenderà dall'essere C° A° — Y® minore o mag- giore di zero; l'andamento del moto resulterà quindi di natura del tutto diversa secondo il segno del binomio C* A? — Y°. © $ 5. — Moti spontanei a caratteristiche indipendenti d’ordine v con v—3 integrali lineari ed un integrale quadratico. 1. — Se per un sistema d’ordine v sì conoscono v — 3 in- tegrali indipendenti di primo grado ed uno di secondo grado e se questo ha l’equazione caratteristica con radici semplici, po- tremo scrivere le equazioni del moto sotto la forma (Vedi Nota citata, $ 10) de dub PI va) Ù d(T,F) UA = he I d(psP1) E) Pea S° d(pyPa) in cui 556 VITO VOLTERRA o anche scrivendo i SS fi= >>: Epp, fe= ts F, dpi e d (fu fa) dt (Pa. Pa) dp» 2 d(f, fa) di A(P3:P1) dp3 da, d (fu, fa) dt d(py Pa) * 2. — Tenendo presente un resultato che abbiamo stabilito nella Nota: Sopra un sistema di equazioni differenziali (*), pos- siamo concludere che gl’integrali delle equazioni precedenti sono funzioni ellittiche di #, quindi poichè le v caratteristiche sono funzioni lineari delle p,, p:, 23, così avremo il teorema: Allorchè si conoscono v—3 integrali lineari ed un integrale quadratico la cui equazione caratteristica ha radici diseguali, le v caratteristiche si potranno esprimere come funzioni ellittiche del tempo. Per la effettiva determinazione delle funzioni incognite ri- mandiamo alla Nota che abbiamo ora citata. $ 6. — Teorema generale sulla integrazione per serie delle equazioni del moto spontaneo di un sistema a caratteristiche indipendenti. 1. — Cominciamo dallo stabilire il seguente Lemma I. Se |ag| & 2A VT, ai ar AVTot 11 essendo A una quantità più grande delle | at} |. I coefficienti si calcoleranno con operazioni razionali da ese- guirsi sui valori iniziali delle pi e sui coefficienti al, Questo teorema mostra che la questione della determina- zione effettiva delle caratteristiche per ogni valore del tempo è completamente risoluta. 959 È wo È Le speculazioni di Giovanni Benedetti 55: sul moto dei gravi ; È Nota del Dott. GIOVANNI VAILATI. Benedetti dont le nom est à peine prononcé aujourd’hui en Italie doît ètre placé au premier rang des savants du XVI=® siècle. (Liri, Hist. des sciences mathém. en Italie, IV, 31). 81°, Tra quelli che più efficacemente cooperarono a preparare e render possibile quella gran rivoluzione scientifica che è se- . gnata dalla scoperta delle leggi fondamentali del moto, Giovanni Benedetti (nato a Venezia nel 1530, morto a Torino nel 1590) occupa un posto affatto speciale. La parte da lui avuta nella prima elaborazione delle teorie e dei concetti che stanno a base della dinamica moderna, rap- presenta un contributo di natura totalmente diversa da quello che, alla costituzione della nuova scienza, portarono gli altri predecessori immediati di Galileo. Il suo merito non consiste nell’ avere, come Leonardo da Vinci, allargato in nuove direzioni il campo delle ricerche spe- rimentali, o nell'avere, come Tartaglia, intuita l’importanza teorica e iniziata l'indagine scientifica dei nuovi fatti, scono- sciuti agli antichi, che l'introduzione delle armi da fuoco aveva | messo a disposizione dei nuovi investigatori, ma bensì nell'avere, forse per il primo, avuto chiara coscienza, oltre che dell’insuf- ficienza radicale e dei difetti‘ irrimediabili delle teorie uni- versalmente accettate sull’ autorità di Aristotele, anche della direzione in cui si doveva procedere, e in cui si è più tardi effettivamente proceduto, per foggiarne altre migliori e degne di esser messe al posto di quelle. " ARIIIREE Di 560 GIOVANNI VAILATI Se allo sviluppo delle teorie scientifiche è applicabile quella osservazione che il Comte fa a proposito delle vicende delle istituzioni politiche e sociali, che cioè non si riesce mai a distruggere veramente se non quello che si riesce a surro- gare e a sostituire con qualche cosa che soddisfi ad analoghi bisogni e ad analoghe esigenze, il Benedetti merita di esser col- locato tra quelli che maggiormente contribuirono ad abbattere gli ostacoli opposti al progresso della scienza, dalla servile accettazione delle teorie e dei postulati della fisica peripatetica. Della vita del Benedetti pochissime notizie ci sono rimaste. Nel Tractatus Astrologicus (Venetiis, 1552) del suo contempo- raneo Luca Gaurico, si trova, sotto la figura genetliaca che lo riguarda, riportato il seguente cenno biografico (pag. 73): “ Johannes Baptista de Benedictis in urbe Veneta natus “ et educatus a suo genitore, hispano, philosopho et physico, “antequam XVII aetatis suae expleret annum evasit philo- “ sophus, musicus atque mathematicus. Et hanc coelestem figuram “ ipsemet supputavit ,. La prima opera da lui pubblicata è una raccolta di pro- blemi geometrici risoluti coll’aiuto d’una sola apertura di com- passo. Essa porta il titolo: De resolutione omnium Euclidis problematum aliorumque, una tantummodo circini apertura (Venetiis, 1558). Risulta dalla prefazione che l’autore fu istradato allo studio della Geometria da Nicolò Tartaglia e che, pur essendosi dedi- cato con grande amore fin da ragazzo a ricerche scientifiche, egli non seguì alcun corso di publici studì (1). La detta prefazione, che è scritta in forma di lettera al- l’abate Gabriele di Guzman, contiene pure un lungo passo che (1) Scientiis cam [vitam] placuit a teneris unguiculis consecrare atque huc hucusque progressus sum, Deo duce, sine monitore praeceptoreque ullo, nullum gymnasium unquam, nullamque scholam frequentavi neque haec studia quod vulgus solet, sed (absit verbo arrogantia) [nec] pro tempore in scholis trans- acto eruditionem aestimare ac septennario finito finem studiis imponere, sed dum vivo illa prosequi. IA igitur quidquiad est, tenue licet sit, uti alias quoque scientias, marte meo consecutus sum, nemine praeeunte. Caeterum, quia cuique quod suum est reddi debet, nam pium et iustum est, Nicolaus Tartaleas mihi quattuor primos libros Euclidis solos legit, religua omnia, privato labore et studio investigavi; volenti namque scire mihil est difficile (Prefat.). LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. . 561 testifica come già fin d’allora il Benedetti avesse avuto occa- sione di occuparsi di ricerche sul moto dei gravi. Le considerazioni che precedono e seguono tale passo, ci indicano espressamente quali fossero le ragioni che spinsero il Benedetti ad esporre sommariamente ivi il risultato di tali sue ricerche, non ostante la loro completa eterogeneità con quelle alla cui esposizione l’intero libro è dedicato (1). Agli studi intrapresi e continuati dal Benedetti sul moto dei gravi (e anche ad opuscoli pubblicati da lui su questo ar- gomento) è pure fatta allusione nella prefazione, all’opera sulla costruzione degli orologi solari, da lui pubblicata vent’anni più tardi (2) a Torino, ove nel frattempo era venuto a stabilirsi e (1) Olim cum una essemus magno me opere orasti obsecratusque es aliqua de motibus naturalibus, speculatione sollicita conscriberem, idem, quantum est possibile, Mathematicis demonstrationibus muniens. Iusta cum obnixe precatus sis, libens humeros tanto supposui oneri. Igitur mense Septembri transacto, ruri existens, ne tumultus urbani amicorumque frequentia (quibus ubi res vocat operam dare inhonestum indecorumque sit) animum in diversa traherent, commisi animum altissimis speculationibus Philosophiae naturalis, Mathematicae et aliis id genus scientiis et, ne in vacuum currerem mensque fine suo frustra- retur et petitioni tuae satis fieret, tres libros (Domino ita cooperante) composui. Unum opus continens demonstrationes multorum secretorum naturalium et Mathematicorum; hune edere brevi tempore mens non est, cum in dies aliquid illi adhuc quae deerant accedit; de secundo opere non dico, nam hoc, si fors ita tulerit, sub praelum dari et brevi etiam poterit. Tertium coram cernis, tuo nomine consecratum. In primo autem volumine, quod a me efflagitasti conclusi. Caeterum quin animus non est id evulgare ob rationes assignatas, quantum brevibus resolvam. Haec libentius ad te privatim scripsissem quam publice evulgassem nisi (quod saepius accidere videmus) interceptionem literarum ti- muissem, ne, ille, quisquis tandem fuisset, et nomine suo aut alicuius suorum, in lucem hanc demonstrationem edidisset et ego oleum et operam perdidissem, prout multis aliis nostroque saeculo accidit. Est siquidem genus quoddam hominum, fucos vocant, qui praedicari magnique fieri gaudent sed labores fugiunt, gloriam maximo et labore et sudore alieno partam per fas nefasque in sese transmoventes; cam ob causam coactus sum ea ita ut cernis edere, nimirum cum volumen, de quo dixi, evulgandi nunc animum non sit, in quo multa alia maiora his contineantur. (2) L’opera porta il titolo: De gnomonum umbrarumque solarium usu liber; ad Sereniss. Emanuelem Philibertum Allobr. et Subalp. Ducem invictiss. Augustae Taurinorum 1574, apud haeredes Nicolai Bevilaquae. A Torino egli pubblicò pure i seguenti due opuscoli: 1) Consideratione di Gio. Battista Benedetti filosofo del Serenissimo Duca di Suvoia, d’intorno al discorso della grandezza della terra e dell'acqua 562 GIOVANNI VAILATI dove rimase per la rimanente parte della sua vita al servizio — del Duca di Savoia. Ivi egli si sfoga in amare invettive contro un tal Taisnerius, che a quanto pare aveva qualche anno prima riprodotto inte- gralmente, pubblicandolo come roba sua, un trattatello sulle * proporzioni dei moti locali ,, pubblicato dal Benedetti a Venezia anteriormente al 1554: Johannes Taisnerius Hannonius opusculum no- strum demonstrationis motuum localium contra Aristotelem et alios philosophos, jamdiu a nobis editum et iterum impressum Venetiis anno sa- o lutis 1554, ita integrum sibi desumpsit ut nihil praeter auctoris nomen immutaverit (1). L’opera principale del Benedetti è quella che porta il titolo : Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber (1585) da lui pubblicata a Torino (2) cinque anni prima della sua morte. dell’Eccellent. Sig. Antonio Berga filosofo nella Università di Torino (presso gli eredi Bevilacqua, 1579). 2) Lettera per modo di discorso all’Illustre Sig. Bernardo Trotto in- torno ad alcune nuove riprensioni ed emendationi contro alli calculatori delle effemeridi (Ibid., 1581). (1) Quid enim mutavisset, prosegue il Benedetti, qui nec percipere poterat quae in ea disputatione continerentur, homo vanus, ab omni mathematica fa- cultute alienus, qui merito propter crassissimam ignorantiam verebatur ne, vel aliqua syllaba sublata vel addita, totius tractationis inficeretur substantia. Cre- didit, ut opinor, me jam vita functum, qui furti nunquam argui posse confidit, et non intellexit suam temeritatem, qui se ipsum mille argumentis qualis esset prodidit. Sulla vita di questo impudente falsario confr. BayLe (Dictionnaire historique, all'art. TarsnERIVS). Dal Bayle sono attinte le notizie sul Benedetti date da David Clement nella sua Bibliothèque curieuse, historique et critique des livres difficiles è trouver (Gòttingen 1752, art. BexepentI, pag. 130). Il Clement dopo aver osservato che: M. Bayle est le premier qui ait fait connaître cet auteur, ag- giunge: Je ne sais comment notre auteur [Benedetti] a pu rester si caché après avoir écrit diverses traités qui devoient attirer sur lui quelque répu- tation dans la république des lettres. Giacomo Alberici n’en dit pas un mot dans son catalogue Degli illustri italiani veneziani. G. H. Vossius n’en parle pas dans son traité De Scientiis mathematicis. M* le che- valier de Wolf n'a pas trouvé à propos de le nommer dans sa Commen- tatio de praecipuis scriptis mathematicis, ni I. Fredr. Weidlerus dans son Historia Astronomica etc. (2) La lettera dedicatoria comincia: Carolo Emanueli, Sabaudiae duci ete., —_ ___eoov— a per vere re LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 563 Essa è divisa in sei parti, due delle quali (cioè la terza: De Me- chanicis e la quarta: Disputationes de quibusdam placitis Aristo- telicis) sono dedicate ad esporre, sotto la loro forma più matura ed elaborata, le idee dell'autore sulla meccanica. Io mi propongo di riunire qui, distribuendole nell’ ordine più atto a dare un chiaro e preciso concetto della loro portata, quelle tra le idee esposte in esse, o sparse negli altri scritti del Benedetti, che mi sembrano atte a caratterizzare lo stadio di sviluppo della dinamica rappresentato dalle sue speculazioni e a metter in luce i punti d’attacco di queste, da una parte con quelle dei filosofi e “ fisiologi , greci, e dall’altra colle ve- dute in seguito adottate da Galileo e dai suoi successori (1). $ 20. Le prime ricerche del Benedetti, su questioni relative al moto dei corpi, si riferiscono all’analisi delle circostanze da cui Agitur nonusdecimus annus ex quo, literis serenissimi patris tui Celsitudinis arcessitus, ex urbe Parmensi, in hanc me civitatem (Torino) contuli, Is adve- nientem tam humane excepit, tanta deinde liberalitate fuit complexus ... ut sub ejus ditione quod superesset vitae agere constituerem. (1) I primi a segnalare alla debita attenzione degli studiosi di Storia della meccanica, i preziosi dati che le opere del Benedetti contengono per la determinazione delle fasi embrionali di sviluppo della dinamica mo- derna, furono il Lisri (Histoire des sciences mathématiques, Paris, 1888, t. IMI) e lo WauewetL (History of inductive Sciences, London, III edit., 1851, vol. II, pag. 17, 18). I suoi meriti furono, in seguito, riconosciuti dalla maggior parte degli autori che si occuparono di quel periodo di storia della meccanica che precede immediatamente le scoperte di Galileo: per es. dal PoGENDORE (Geschichte der Physik, 1879), dal Diinrino (Geschichte der allgemeinen Prin- zipien der Mechanik, 1874), e tra gli italiani in primo luogo dal CavernI nella sua Storia del metodo sperimentale in Italia (1890...). Nessuno di questi mi sembra tuttavia aver basato i suoi apprezzamenti su un esame tanto pro- fondo e competente degli scritti del Benedetti, come il Wohlwill, nel suo diligentissimo saggio sulla scoperta della legge d'inerzia (Die Entdeckung des Beharrungs Gesetzes) pubblicato nella “ Zeitschrift fiir Volkerpsychologie und Sprachwissenschaft ,, Bd. 14, 15 (1883-4). Val la pena di porre in contrasto il giudizio di quest’ultimo, che non esita a qualificare il Benedetti come “ der bedeutendste , tra i predecessori immediati di Galileo, colle espressioni di poca stima pel Benedetti che si trovano negli scritti dei suoi contempo- ranei, per es. nella “ Cronaca dei matematici , di B. Barpi (Ed. Boncom- pagni, pag. 140). 564 GIOVANNI VAILATI dipende il diverso modo di comportarsi di gravi, che scendono liberamente attraverso a mezzi di differente densità. L'opinione, enunciata da Aristotele (1), che due gravi eguali di peso e di forma che cadono, partendo dalla quiete, in (due diversi mezzi, si muovano in ogni istante con velocità inversa- mente proporzionali alla densità dei mezzi in cui discendono, è dal Benedetti dichiarata erronea e combattuta facendo appello, da una parte ai principì stabiliti da Archimede nei suoi scritti sull’idrostatica e dall'altra alla proposizione, assunta dal Bene- detti come postulato fondamentale, che, a parità di ogni altra condizione, le velocità assunte in eguali intervalli di tempo da un grave che scenda rispettivamente in due mezzi di differente densità, sono proporzionali agli sforzi che sarebbe necessario applicare al grave stesso per sostenerlo, quando sia immerso nell’uno e nell'altro dei detti mezzi (velocitatem motus na- turalis alicuius corporis gravis in diversis mediis, proportionatam esse ponderibus eiusdem corporis in iilsdem mediis) Speculat., pag. 169. È importante notare la sostanziale identità di questo postu- lato con quello, riferentesi al rapporto delle velocità assunte in dati intervalli di tempo da un grave che scenda lungo due piani diversamente inclinati, che si trova enunciato nel frammento de ponderibus attribuito a Jordano Nemorario, secondo il quale le dette velocità stanno tra loro nello stesso rapporto degli sforzi che sarebbe necessario applicare al grave per sostenerlo, quando sia posato in quiete sull’uno e sull’altro dei piani con- siderati (2). Il principio che trova espressione in ciascuno dei suddetti postulati, costituisce forse la prima proposizione, esattamente vera e quantitativamente definita, che sia stata enunciata come (1) Arisrot., Physica, IV, 8. (2) Graviora secundum situm velocius descendere. Si noti che questa frase non cessa di esprimere una proposizione vera (sebbene affatto diversa da quella sopra indicata) anche se col “ velocius descendere , s'intenda alludere alle discese virtuali del grave, in corrispondenza a un suo dato spostamento sull’uno e sull’altro dei piani inclinati in questione. Cfr. a tal proposito la la mia Nota: Sul principio dei lavori virtuali da Aristotele ad Erone d' Ales- sandria (© Atti Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. XXXII). LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 565 una legge del moto (nel senso dato da Newton a questa de- nominazione). Mentre tale principio si può considerare come coincidente con quella legge fondamentale della dinamica, che figura come la seconda nella classica esposizione di Newton (1), l'applicazione che di esso fa il Benedetti ci fornisce il primo esempio di ridu- zione d’una questione di dinamica a una questione di statica, e costituisce in certo modo nella Storia della Meccanica il primo anello d’una catena, l’altro estremo della quale è rappresentato dal principio di d’Alembert. L'argomento di cui si serve il Benedetti per dimostrare la falsità della sopracitata opinione d’Aristotile, consiste nell’os- servare come le spinte all’insu che il grave, immerso rispetti- vamente nell’uno e nell’altro, dei mezzi considerati, subisce in virtù del principio d’Archimede, non sono tali da permettere che, in generale, tra il “ peso , che gli rimane in un caso e quello che gli rimane nell’ altro sussista quella proporzionalità inversa alla densità dei due mezzi che, in virtù del postulato sopra enunciato, è richiesta perchè tra la densità dei due mezzi e le velocità assunte in un dato intervallo di tempo, dal grave che discenda in essi, abbia luogo la relazione che Aristotile afferma: Si pondus totale alicuius corporis gravissigni- ficatum erit ab AI, quo corpore posito in aliquo medio [quod] minus denso quam ipsum sit (quia in medio se densiore si poneretur, non grave esset sed leve, quemadmodum Archimedesostendit)illud me- dium subtrahat partem EI, unde pars AE eiusdem corporis libera maneat, et posito deinde eodem cor- pore in aliquo alio medio densiore, minus tamen densum quam ipsum sit corpus, hoc medium sub- trahat partem UI dicti ponderis, unde pars AU (1) Si vis aliqua motum quemvis generet, dupla duplum, tripla triplum generabit, sive simul et semel, sive gradatim et successive, impressa fuerit (Newroxn, Principia, Introduct.). Essa è così parafrasata dal Cotes, nella pre- fazione alla 2* edizione (1713): Spatia rectilinea quae, a corporibus e quiete demissis, dato tempore describuntur, ubi a viribus quibuscunque urgentur, pro- portionalia sunt ipsis viribus. 566 GIOVANNI VAILATI eiusdem corporis remanebit: Dico proportionem velocitatis eiusdem corporis per medium minus densum, ad velocitatem eiusdem per medium magis densum, futuram ut AE ad AU, ut est etiam rationi consonum magis quam si dicamus huiusmodi velo- citates esse ut UI ad EI, cum velocitates a virtu- tibus moventibus solum (cum figura una eademque in quantitate qualitate situque erit) proportio- nentur (Ibid., 170). Nè il Benedetti omette di domandarsi se possa ‘esistere qualche caso particolare in cui la legge formulata da Aristotile conduca a risultati conformi al vero, ed egli osserva che, perchè ciò avvenga, occorre e basta che la densità del corpo cadente sia eguale alla somma delle densità dei due mezzi attraverso ai quali cade: Possibile est in rerum natura corpus aliquod huiusmodi densitate praeditum reperiri, ut velo- citas eius motus naturalis per aerem, velocitati per aquam ita proportionata existat, ut est densitas aquae, densitati aeris. Densitas aquae notetur exempli gratia per UI, et ea quae aeris est per EI, et pondusalicuius corporisinaere per EA, et pondus eiusdem corporis in aqua per UA, ita tamen quod eadem proportio sit EA ad UA ut UI ad EI; unde, per ultimam suppositionem praecedentis capitis (idest proportionem velocitatum unius corporis per di- versa media eandem esse cum ea quae est pon- derum dicti corporis in iisdem mediis), proportio velocitatis praedicti corporis per aerem, propor- tioni eiusdem corporis per aquam erit ut EA ad UA ergo ut UI ad EI (Ibid.). L'esempio testè citato, che non è del resto il solo nel quale il Benedetti istituisca confronti tra le velocità di gravi che scendano rispettivamente nell’aria e nell’acqua, ci fornisce pure una prova sicura di un altro fatto che ha notevole importanza storica. Esso ci testifica che il Benedetti considerava l’aria come s @ gi PIE ge SS fg ge LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 567 un corpo pesante e capace, per ciò appunto, di comunicare ai corpi in essa situati una spinta verso l'alto, analoga a quella che subiscono i corpi immersi in un liquido. A lui va attribuito il merito d’aver preceduto Galileo nel sostenere questa idea di fronte a quella della maggior parte dei fisici suoi contemporanei, pei quali la distinzione assoluta tra corpi “ pesanti , e corpi “ leggeri ,, costituiva ancora un dogma indiscutibile. Occorre tuttavia tener presente che il Benedetti, in ciò, più che un novatore o introduttore di concetti originali, va considerato come un restauratore di teorie già note ai filosofi greci (1). A lui non poteva esser ignoto quel passo di Simplicio, nel Commento al de Caelo di Aristotile, nel quale l'opinione che per spiegare il modo di comportarsi dei corpi, che come il fumo o il fuoco si sollevano spontaneamente nell’aria, non fosse ne- cessario ricorrere all'ipotesi d’una speciale tendenza in essi a salire, omologa a quella che altri corpi hanno a discendere, e che essi pure discenderebbero se ciò potesse avvenire senza che nello stesso tempo venisse spostato un volume d’aria rappre- sentante un peso maggiore, è attribuita ai fisici della scuola di Democrito: Oì tepì Anuòkpitov otovitar movta puèv Eyxeiv fapog, TD dé éNattov Exe Bdpos tò TÙp éx@\iBouevov ùtò TÙv \NauBavovTtwy dvw gpepeodar kai did TOÙTO KOùgov doxeîv (SimpLicI, Comm. in Aristot. de Caelo, Berlin, 1894, Ed. Heiberg, 712, 8). Risulta di più da un altro passo di Simplicio, come a queste stesse idee, perfettamente coincidenti colle nostre e con quelle del Benedetti, e assolutamente opposte a quelle che i fisici con- temporanei di quest'ultimo appoggiavano all’autorità d’ Aristotile, era già giunto quello, degli immediati discepoli e successori di (1) Lo stesso si dica delle sue osservazioni sulle cause dei venti (Divers. specul., pp. 417). Cfr. l'opinione attribuita ad Anassagora da Diogene Laerzio (II, 4): ’Avéuoug Yiveo0ar XemtTuvouévou Tod dépog ùmtò TOÒ MXiov. Maggiore originalità spetta invece forse alla spiegazione che il Benedetti dà del modo d’agire del torchio idraulico (Sperulat., pag. 287-8), benchè in essa sì ricorra ai principi dell’idrostatica d’Archimede. Sarebbe interessante sapere se l’opera del Benedetti venne a cognizione di Stevin e di Pascal. 568 GIOVANNI VAILATI Aristotile stesso, che si dedicò in modo speciale a ricerche sui fenomeni naturali, cioè Stratone di Lampsaco, sopranominato il “ fisico ,: taùtng dè rerovaoi tig dozng [Ott TA) dm’ dAXNXwy éxoMiyer BraZiueva tà Kkoùpa xiveîtar) ZTpoTwWwYV Te Kai ’Erikxovpog (1), tàv cwua Baputnta Èyelv vopiZovteg kai mpòg TÒ uÉécov Pépeodan, tm dè tà faputepa Ugizaver tà NTTOV Bapéa ùm èkeivwv éKkOMi- Beoda1 Ria mpòg TÒ divw, WOTE, ei TIS ÙU@eidn TùV Yflv, ÉM0eîv dv TÒ Udwp eis TÒ Kévtpov, kai el tig TÒ UdDwWwP TÒV dépa, kai ei tòv diépa tò tòp (Simpricni in Aristotelis de Caelo commentaria, Ed. Hei- berg, 267-8). Del che troviamo conferma anche in un altro passo con- servatoci da Stobeo, nel quale si riporta come Stratone affer- masse che “ tutti i corpi sono per natura pesanti e che quelli che, come per es. il fuoco, sono più leggeri del mezzo che li avvolge, tendono a portarsi alla superficie (émmoXdZew) a causa della pressione che tale mezzo esercita su di essi, come avviene di un nocciolo lubrico che si spinga verso l’alto premendolo for- temente tra le dita (ékmupnviZouevov) ,. Allo stesso modo il Benedetti, combattendo l’opinione, so- stenuta dagli aristotelici, che il Sole “ attiri , i vapori col suo calore, dice: Sol nil aliud facit quam calefacere, cuius caloris ratione ea materia rarefit et, ob rarefactio- nem levior facta, ascendit, non quia sursum a sole feratur (Divers. speculat., pag. 194). (1) Cfr. pure Lucrertos (De rerum natura, II, 185 ...): Nunc locus est ut opinor in illis quoque rebus Confirmare tibi, nullam rem posse sua vi Corpoream sursum ferri sursumque meare. Ne tibi dent in eo flammarum corpora fraudem. Nec cum subsiliunt ignes ad tecta domorum Et celeri fiamma degustant tigna trabesque Sponte sua facere id sine vi subeunte putandum est. Nonne vides etiam quanta vi tigna trabesque Respuat humor aquae? ..... Sic igitur debent flammae quoque posse per auras Aeris expressae sursum succedere quamquam Pondera, quantum in se est, deversus ducere pugnent. LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 569 $ 40. Ma alle ricerche suesposte relative alle velocità assunte da uno stesso grave, che discenda in mezzi di differente densità, non si arresta il Benedetti. Egli ne fa seguire ad esse altre, ri- guardanti il modo di comportarsi di gravi, differenti di forma e di peso, che discendano in un mezzo di densità data. Egli afferma anzitutto, basandosi sugli stessi principî di cui s'è parlato antecedentemente, che il rapporto tra le velo- cità, assunte in eguali intervalli di tempo, da due gravi com- posti di diverse quantità della stessa materia, allorquando scen- dano in mezzi di differente densità, si mantiene costante: Quod duo corpora inaequalia eiusdem materiae, in di- versis mediis, eandem velocitatis proportionem re- tinebunt (pag. 173). Di qui è condotto ad adottare, in opposizione alla credenza fino a lui dominante, quell’opinione che parecchi anni più tardi Galileo riaffermava, qualificandola ancora come “ nuova e re- mota dal verosimile , (Dialoghi di due scienze nuove, ed. Alberi, vol. XII, 77), che cioè il peso non abbia alcuna parte, nel caso considerato, alla determinazione delle velocità colle quali i gravi cadono. L’opinione basata sull’autorità d’Aristotile, che, a parità di ogni altra circostanza, i gravi tendano a cadere, in un mezzo di data densità, con velocità in ogni istante proporzionali ai loro pesi, è certamente troppo contraria alle più ovvie espe- rienze e troppo atta a portare conseguenze assurde, perchè si possa credere che essa non abbia assai prima del Benedetti trovati contradditori e confutatori. Non varrebbe quindi quasi la pena di citare il seguente passo, tratto da un’opera pubblicata solo quarant'anni prima di quella del Benedetti (Questioni dell’Alchimia, di Benedetto Varchi, 1554), dal quale risulta come da altri fisici a lui ante- riori, essa fosse già stata rigettata come non conforme all’e- sperienza : “ E sebbene il costume dei filosofi moderni, è di creder “ sempre e non provar mai tutto quello che si trova scritto - 570 GIOVANNI VAILATI “nei buoni autori, non è però che non fusse e più sicuro e «“ più dilettevole fare altrimenti e discendere qualche volta al- “ l’esperienza, in alcuna cosa come, verbi gratia, nel movimento “ delle cose gravi, nella qual cosa Aristotile e tutti gli altri “ filosofi, senza mai dubitarne, hanno creduto e affermato che, “quanto una cosa sia più grave, tanto piuttosto discenda, “il che la prova manifesta non esser vero. E se io non temessi “ d’allontanarmi troppo dalla proposta materia, mi distenderei “ più lungamente in provar questa opinione, della quale ho tro- “ vato alcuni altri e massimamente il Rev. Padre non men dotto “ filosofo che buon teologo Fra Francesco Beato metafisico di “ Pisa e Messer Luca Ghini medico semplicista , (V. la citazione nel Libri-Histoire des sciences mathématiques, IMI, 200). Ma altrettanto non si può dire dell’ opinione che consiste, non solo nel negare la proporzionalità delle velocità ai pesi, ma nell'affermare la completa indipendenza delle ve- locità dei gravi dal peso loro. La prima enunciazione di questa legge fondamentale, per quella parte almeno che riguarda il confronto tra gravi costi- tuiti da diverse quantità di eguale materia, spetta incontesta- bilmente al Benedetti, ed è importante notare come le ragioni che egli adduce per provarla, coincidono perfettamente con quelle dalle quali Galileo, un quarto di secolo più tardi, asserì esser stato condotto alla stessa scoperta (1). Ecco le parole del Benedetti: Quod in vacuo corpora eiusdem materiae ae- quali velocitate moverentur. Quod supradicta corpora in vacuo naturaliter pari velocitate moverentur, hac ratione assero: Sint enim duo corpora O et G omogenea, et G sit dimidia pars ipsius 0. Sint alia quoque duo cor- pora A et E, omogenea primis, quorum quodlibet aequale sit ipsi G, et imaginatione comprehenda- mus ambo posita in extremitatibus alicuius lineae, cuius medium sit I. Clarum erit tantum pondus ha- (1) Su questo soggetto, ho già avuto occasione di esporre qualche con- siderazione, nel mio recente saggio: Sul metodo deduttivo come strumento di ricerca (Torino, Roux, 1898), pag. 14-5. 2 LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 571 biturum punctumIquantum centrumipsius 0, quod I, virtute corporis A et E, in vacuo eadem velocitate moveretur qua centrum ipsius 0. Cum autem dis- juneta essent dicta corpora A et E a dicta linea, non ideo aliquo modo suam velocitatem mutarent, quorum quodlibet esset quoque tam velox quam est G. Igitur G tam velox esset quam O (1). O Sagre ga lo) (0) A I E G Da analoghe considerazioni è portato il Benedetti ad am- mettere che, anche in un mezzo denso e resistente, corpi di diverso peso e di egual materia si muovono con ugual velocità, ogniqualvolta le resistenze e le spinte che essi subiscono dal mezzo siano proporzionali ai loro pesi (Corpora licet inae- qualia eiusdem materiae et figurae, si resistentias habuerint ponderibus proportionales, aequaliter movebuntur. Quia pondum I tam velox esset ut centrum ipsius O, cum a tanto pondere I motus esset quanto centrum ipsius 0 .—. et corpora A, E tam separata quam coniuncta eandem velocitatem re- tinerent (Ibid.). $ 50. Ma se nelle questioni che si riferiscono al confronto tra il modo di comportarsi di gravi di differente peso, ma di ugual densità, il Benedetti arriva a conclusioni perfettamente corrette e determinate, lo stesso non si può dire di quelle che si rife- riscono alle velocità di gravi costituiti di materie diverse e di (1) Divers. speculat., pag. 174-5. Si noti che già nell’altro suo scritto: De resolutione ete. pubblicato trent'anni prima a Venezia (1553), si trova enunciata la proposizione: © Si fuerint duo corpora ejusdem formae, ejus- “ demque speciei, aequalia invicem vel inaequalia, per aequale spatium in “ eodem medio in eodem tempore ferentur , (Praefat.). 572 GIOVANNI VAILATI differente peso specifico. Se si eccettuano alcune osservazioni (1) che hanno valore, sopratutto in quanto sono dirette a far con- statare la falsità di determinati principî od opinioni, sostenute dai partigiani della fisica aristotelica, egli non solo non arriva ad alcuna nuova conclusione, ma non evita neppure di cadere in errori non meno gravi di quelli che combatte. Tra questi il più fondamentale, e al quale tutti gli altri si riattaccano, è quello che consiste nell’affermare che anche per corpi di differente densità, le velocità assunte, in egual intervallo di tempo, da due di essi, di egual volume e figura, che cadano attraverso a uno stesso mezzo, stiano tra loro nello stesso rap- porto degli sforzi necessarì per sostenere i detti gravi, quando si immergano nel mezzo considerato (proportionem veloci- tatum duorum corporum heterogeneorum, sed si- milium figura et magnitudine aequalia, aequalem esse proportioni ponderum ipsorum (Divers. speculat., pag. 170). Sebbene non sia prudente (secondo l’acuta osservazione del Batteux, che chi si occupa di studì critici sulla storia delle scienze non dovrebbe mai perdere di vista) attribuire, ad autori non moderni, quelle che a noi sembrano conclusioni immediate delle premesse che essi enunciano, o premesse necessarie delle conclusioni a cui essi giungono, pure mi sembra difficile ima- ginare che il suddetto ed altri errori analoghi del Benedetti, su questo soggetto, possano provenire da altra causa che dalla credenza (da lui veramente non mai enunciata in modo espli- cito) che, a parità di altre condizioni, le velocità di due gravi cadenti, stiano tra loro in ogni istante, nello stesso rapporto dei loro pesi specifici. L’attribuire tali errori all'assenza d’un concetto ben definito della “ massa , e dei suoi rapporti col peso, è certamente il modo più naturale, se non di spiegarli, almeno di caratterizzarli e qualificarli (2). (1) Per esempio la seguente: Maior est proportio ponderis corporis densioris ad pondus corporis minus densi, in inediis densioribus, quam stt eorumdem corporum in medio minus denso. Sequitur proportionem velocitatum duorum corporum heterogeneorum eandem non esse per diversa media, quod sequeretur si Aristotelis opinionem, 8 cap. lib. 4 Physicorum, reciperemus (175-6). (2) La dipendenza tra la “ massa, e la “ quantità di materia , è già LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 573 $ 6°. Passerò ora a considerare il contributo portato dal Bene- detti alla trattazione scientifica di un’altra classe di questioni, delle quali egli pel primo ha tentato una spiegazione, basata su ciò che ora si chiama la “ legge d’inerzia ,,. Comincerò col citare un passo, nel quale il Benedetti rico- nosce chiaramente nella tendenza che manifestano le parti d’un corpo, che ruoti rapidamente intorno ad un asse, ad allonta- narsi dal detto asse, un semplice caso particolare della persistente tendenza che hanno tutti i corpi in moto a prose- guire il cammino secondo la tangente alla loro trajettoria. Parlando della tensione che sente la mano di chi volga in giro una frombola, e dell’accrescersi di tale tensione coll’au- mentare della velocità dell’ oggetto così messo in moto, egli osserva: Quanto magis crescit impetus in corpore, cau- satus ab augmento velocitatis gyri ipsius, tanto magis oportet ut sentiat se trahi manus a dicto corpore mediante fune, quia, quanto maiorimpetus motus corpori ipsi est impressus, tanto magis dictum corpus ad rectum iter peragendum incli- natur, unde, ut recta incedat, tanto maiore quoque vi trahit (Speculat., pag. 161). E altrove sullo stesso soggetto (pag. 287): quodvis grave corpus, aut per naturam aut per vîim motum, rectitudinem itineris naturaliter appetit. Quod clare cognoscere possumus projicendolapides funda et circumducentes brachium, nam funes tanto ma- ius pondus acquirunt et manus tanto magis onerant quanto velocius volvitur funda et incitatur motus quod ab appetitu naturali insito ei corpori per li- neam rectam progrediendi procedit (pag. 287). riconosciuta da Aristotile, ma solo per quanto riguarda il confronto tra corpi di egual materia: év T® iow xpovw, 1) ion divauc tò fiusu dimdaciav xiwmoer (Physica, VII, 5). Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 40 574 GIOVANNI VAILATI Di ritornare su questo stesso concetto gli dànno pure oc- casione le considerazioni che svolge a proposito del moto d’un disco orizzontale girevole intorno al suo centro: Quaelibet pars corporea quae a se movetur impetu, eidem a qualibet extrinseca virtute movente im- presso, habet naturalem inclinationem ad rectum iter, non autem curvum, unde, si a dicta rota particula ali-- qua suae circumferentiae disjungetur, absque dubio per aliquod temporis spatium pars separata recto iti- nere ferretur per aerem, ut, exemplo a fundis quibus jaciuntur lapides sumpto, cognoscere possumus in quibus impetus motus impressi, naturali quadam propensione, rectum iter peragit, cum evibratus lapis per lineam rectam contiguam gyro quem primo faciebat in punto quo dimissus fuit, rectum iter instituat, ut rationi consentaneum est (1). Giova osservare che mentre ci sono stati conservati pa- recchi passi, tratti da opere perdute di filosofi greci, nei quali la propensione delle parti d’un corpo rotante a staccarsi o come essi dicevano ad “ emigrare , (dmoxwpeîv) allontanandosi dal centro o dall'asse di rotazione, è riconosciuta come atta a render ragione di determinati effetti dei moti rapidi di rota- zione, pure in nessuno di essi si riscontra la menoma traccia di tentativi diretti a stabilirne la causa o a riconnetterla, come fa il Benedetti, a qualche altra proprietà più generale del mo- vimento. E così mentre alla considerazione di tale tendenza si fa continuamente ricorso nelle teorie dei pensatori greci sull’ ori- gine del mondo, e specialmente in quelle di Anassimandro e di Anassagora, che spiegavano mediante l’ipotesi d'un movimento vorticoso iniziale, il separarsi e l’ordinarsi degli elementi ete- rogenei costituenti il caos primitivo, pure essi sembrano non (1) Eadem quoque ratione fit ut, quanto maiore est aliqua rota, tanto maiorem quoque impetum et impressionem motus eius circumferentiae partes recipiant, unde saepe evenit ut, dum eam sistere volumus, id cum labore et cum difficul- tate agamus, quia quanto maior est diameter unius circuli tanto minus curva est eiusdem circumferentia..... Unde earumdem partium dictae circumferentiae motus ad inclinationem sibi a natura tributam, quae est ince- dendi per lineam rectam, magis accedit (159). LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, Ecc. 575 essersi mai dimandati, a quale causa dovesse alla sua volta essere attribuita tale efficacia “ segregatrice ,, posseduta da movimenti di rotazione (1). Essi la considerano come un effetto naturale di tali moti, o un loro carattere specifico, primordiale. Per adoperare il linguaggio moderno, essa costituiva per loro una delle leggi fondamentali del moto, qualche cosa cioè che, piuttosto che richiedere delle spiegazioni, era suscettibile di fornirne. A nessuno di essi insomma si presentò mai, come al Bene- detti, l’idea che tale proprietà non fosse che una semplice con- seguenza di un’altra proprietà assai più generale dei corpi in moto, della tendenza cioè che essi in ogni istante manifestano, a proseguire il loro moto in direzione costante. Ciò non ha tuttavia impedito a quelli tra i filosofi greci che si spinsero più avanti nello studio dei fenomeni naturali, di applicare correttamente tale proprietà dei moti rotatori, da essi ammessa come un dato sperimentale non ulteriormente ana- lizzabile, alla spiegazione di altri fenomeni meccanici più com- plicati. Alcuni di essi giunsero perfino a conclusioni che costitui- scono certamente qualche cosa di più che un vago presentimento delle idee moderne sulla causa dei moti celesti. In un interessante passo del De coelo di Aristotile è attri- buita ad Empedocle l’opinione che gli astri non “ cadano ,, non ostante il loro peso, per la stessa ragione per cui non si versa l’acqua contenuta in un secchio che sia volto in giro rapida- mente a modo di fionda (2). Un'opinione analoga è pure attribuita ad Anassagora, del quale si racconta che a proposito di un meteorite, abbia espresso ‘la sua credenza che tutto il cielo fosse ripieno di simili massi, e che questi e insieme ad essi anche gli astri cadrebbero, se alla loro caduta non si opponesse il rapido moto di rotazione dal quale essi sono animati (3). (1) Nella teoria cosmogonica esposta nel Timeo di Platone, si fa uso a questo proposito del paragone del ventilabro. Cfr. anche Drers, Dorographi graeci, 408. (2) Cfr. Prurarco, De facie in orbe lunae: TA uèv oeMMvNn Bonera mpòc TÒ fu) Tmeoeîv, 1 Kivnoig aùTn. (3) Jacosi, in una sua opera giovanile sulla storia della scienza greca {Untersuchungen iiber das mathematische Wissen der Griechen), si ferma a TAG «ATNGETO: (e t25] 576 GIUSEPPE VAILATI g 70, Ma non è solo di quella parte della legge d’ inerzia che attribuisce ai corpi in moto la tendenza a proseguire il loro corso in direzione costante, che il Benedetti ha fatto uso come d’un principio atto a render ragione di fenomeni meccanici, che prima di lui erano ritenuti come “ naturali , e non bisognevoli di spiegazione. Più importanti ancora sono le applicazioni da lui fatte del- l’altra parte della stessa legge, riguardante la persistenza della velocità (1) comunque acquistata da un mobile, quando anche cessino d’agire le cause che l’hanno determinata, ed egli è il primo che abbia ricorso a questo principio per spiegare il fatto dell’accelerarsi del moto d’un corpo che sia soggetto alla continua azione d'una forza costante. Prima di considerare l'applicazione che egli fa di questo principio al caso di gravi cadenti, citerò un passo nel quale egli lo applica per rendersi ragione dell'aumento della velocità angolare della frombola di giro in giro, a parità di impulsi a essa successivamente comunicati dalla mano (160): Vera ratio cur multo longius corpus aliquod grave impellatur funda quam manu, inde oritur quod, circumvolvendo fundam, maior impressio impetus motus fit in corpore gravi quam fieret manu, quod, corpus, liberatum deinde considerare questa tiefen Naturbetrachtung des Anaragoras von dem wir nicht ohne Staunen vernehmen dass der Mond, wenn seine Schwungkraft auf- hòrte, zur Erde fallen wiirde wie der Stein in der Schleuder. Questo passo è citato dallo HumsoLor (Kosmos, B. III, 348), dall’ opera ancora inedita di Jacobi. (1) Tale persistenza della velocità (contrariamente a ciò che avvenne della “ forza centrifuga ,) era dagli antichi considerata più come un. fatto di spiegare che non come un principio da adoperare alla spiegazione di altri fatti. I tentativi di Aristotile di darne ragione mediante considera- zioni relative all’azione del mezzo (dicendo, cioè, che il corpo vien conti- nuamente spinto innanzi dall’urto dell’aria che subentra dietro di lui), sono dovuti agli stessi bisogni mentali che spingono i fisici moderni ad evitare l'ipotesi delle “ forze a distanza ,. Cfr. Arisror., Physica, VIII, 10: m@g KIVEÎTOAL Èvio CUvEXÙc, UN È TTOUEvOU TOÒ KkivMnoavTog, oîov TÀ fimtopueva. LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, ECC. 577 cum fuerit a funda, natura duce iter suum, a puncto a quo prosiliit, per lineam contiguam gyro quem po- stremo faciebat, suscipit. Dubitandumque non est quin dicta funda maior impetus motus dicto corpori im- primi possit, cum ex multis circumactibus maior semper impetus dicto corpori accedat. È a questo stesso accumularsi di effetti, dovuti alla con- tinua azione di una stessa forza, che agisca prima su un corpo in riposo e poi successivamente su questo stesso corpo, già per se stesso moventesi a causa della persistenza degli ef- fetti dovuti all’antecedente azione della forza stessa, che egli attribuisce il continuo incremento della velocità d’un grave cadente: “ motus rectus dictus naturalis suam semper velocitatem adauget 00 continuam impressionem quam recipit a causa perpetuo coniuncta cum ipso corpore quae est propensio illa naturalis eundi breviori qua- dam via ad locum suum , (pag. 195) (1). La conformità stessa del punto di vista al quale si colloca il Benedetti in queste sue considerazioni, con quello dal quale noi pure siamo abituati a collocarci, in causa appunto dei suc- cessivi progressi della scienza nella direzione da lui pel primo indicata, può indurci a far troppo scarso valutamento del grado d’originalità e d'importanza che ad esse va attribuito. Nulla può servir meglio a evitare questo pericolo quanto il porre di fronte la risposta che, come abbiamo visto, il Bene- detti dà alla domanda: “ perchè un grave cadendo aumenta di velocità ,, con quella che alla stessa domanda è data negli scritti di quelli tra i suoi predecessori immediati, le cui ricerche relative al moto dei gravi hanno portato maggior contributo al progresso della scienza. Basti dire che il Tartaglia non sa offrire del fatto dell’ac- celerarsi dei gravi altra spiegazione che la seguente: (1) Il primo tentativo di applicare queste considerazioni alla dedu- zione della legge d’accelerazione dei gravi (alla cui scoperta Galileo giunse per via affatto diversa) è dovuto al Gassenpi (De motu impresso a motore translato, pag. 66-73, Parigi, 1642). Newton attribuisce erroneamente tale deduzione a Galileo. Cfr. a questo proposito l’articolo già citato dal Wont- wi.t (“ Zeitschr. fir Volkerpsychologie u. Sprachwissenschaft ,, B. 15, p. 357). 578 GIOVANNI VAILATI «“ Questo medesimo [accelerarsi] se verifica ancora. in ca- dauno che vada verso un loco desiato, che quanto più se va approssimando al detto loco tanto più se va alegrando et più se sforza de caminare, como appare in un peregrino che venga d'aleun loco lontano che quando è propinquo al suo paese se sforza naturalmente al caminare a più potere, tanto più quanto più vien da lontani paesi; però il grave fa il medemo, an- “K “K andaria veloce , (Tartaglia, Nova scientia, in principio). E analogamente, parlando della diminuzione di velocità che subisce un corpo lanciato verticalmente in su: “ Questo medesimo se verifica in cadauno che sia violen- “ temente menato verso a: un luoco da esso odiato che quanto “ più se va approssimando al detto luoco tanto più se va. at- “ tristando in la mente e più cerca de andar tardigando ,. A chiarire ancor meglio il contrasto tra queste idee e quelle del Benedetti, le cui opere sono state scritte meno d’un quarto di: secolo: dopo quella. del Tartaglia, da cui ho tratto il brano sopracitato, riporterò ancora il seguente passo del Bene- detti, ove il concetto che l’aumento di velocità del grave cadente sia da attribuire alla continuata azione del peso e all’accumu- larsi della velocità che da esso gli vien. comunicata nei succes- sivi intervalli di tempo, risulta espressa ancor più distintamente : Impetuositas in motibus rectis naturalibus con- tinuo :crescit, cum corpus perpetuo in se causam mo- ventem, idest propensionem eundi ad locum ei a natura assignatum, habeat. Aristoteles(De Coelo, I, 8) dicere non deberet quod, quanto propius accedit ad terminum ad quem, tanto magis sit velox, sed potius, quanto lon- gius distat a termino « quo, tanto velocius existit, quia tanto maior fit semper impressio;, quanto magis movetur naturaliter corpus, et continuo novum im- petum recipit, cum in se motus causam contineat, quae est inclinatio ad locum suum eundi (pag. 184). dando verso il proprio nido che è il centro del mondo, et. quanto più vien di lontano in esso centro tanto più a quello. ud LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, Ecc. 579 880, Di questo modo di spiegare il crescere della velocità dei gravi cadenti, il quale pure ci sembra il più atto a presentarsi spontaneamente, non si trova traccia in alcun: autore antico o moderno anteriore al Benedetti. E ciò è tanto più notevole in quantochè non mancano testimonianze attendibili che ci vietano di credere che il Benedetti sia stato il primo a proporsi tale questione come un problema da risolvere. Mentre infatti per Aristotile il crescere della velocità d’un grave cadente, col suo avvicinarsi al punto al quale tende, era considerato come un semplice fatto di cui gli sarebbe sembrato tanto poco ragionevole il domandarsi il perchè, come sembra ora, per esempio, il domandarsi perchè sussista la legge d’inerzia, il suo commentatore Simplicio. ci. ha conservato un brano di un’opera, sfortunatamente perduta, del più grande astronomo greco, Ipparco (del 2° secolo a. C.), portante il titolo: Delle cose che cadono per effetto del loro peso (TTepì tiv. dià Bapommia kétw pepouévwv), nella. quale egli, dopo essersi appunto proposta la suddetta questione, ricorre per risolverla. ad un’ ipotesi che coincide perfettamente con quella alla quale 17 secoli più tardi Galileo fu condotto, e che si trova esposta nei suoi Sermones de motu gravium, 1592 (Ediz. Alberi, I, 1-80) e riprodotta poi nel Dialogo di due scienze nuove (1638). Per Ipparco il caso più semplice da considerare, da chi si accinga ad analizzare il modo d’ agire del peso come causa di movimento, è quello d’un grave lanciato verticalmente all’insù, ed egli si rappresenta il variare della sua velocità come il ri- sultato dell’azione simultanea di due tendenze contrarie, delle quali l’una (il peso), se agisse da sola farebbe muovere il grave di moto equabile verso il basso, l’altra invece, cioè la. spinta comunicata al corpo nell’atto di lanciarlo, tenderebbe a far muovere il corpo stesso dal basso all’alto con velocità de- crescente (1). Il punto nel quale il grave cessa di salire e co- (1) Di questo concetto del graduale “ esaurirsi , dell'impulso comunicato al mobile da una forza, quando questa abbia cessato di agire su lui, dovuto all’insufficiente analisi dei dati dell’osservazione diretta e alla difficoltà che presenta la “ deduzione , degli effetti delle resistenze, si ritrova ancora traccia in Benedetti (cfr. Speculat., pag. 365); ad esso si arrestarono Leo- 580 GIOVANNI VAILATI mincia a discendere, è quello nel quale il decrescere di tale velocità (la quale inizialmente era maggiore di quella costante di verso opposto, di cui il corpo, per ipotesi, partecipa in virtù del proprio peso) è proceduto fino al punto di renderla uguale in grandezza a quest’ultima. A partire da tal punto il corpo comincia a discendere e discende sempre più rapidamente perchè dalla velocità costante che, per il peso essa tenderebbe ad assu- mere, va sottratta una velocità, sempre ulteriormente decrescente, diretta dal basso all’alto. Dal che Ipparco conchiude che se i limiti delle nostre pos- sibili osservazioni, non ci impedissero di seguire il moto del corpo, fino al punto nel quale l’effetto della spinta comunica- tagli col lanciarlo, cioè la suddetta velocità decrescente, sia completamente esaurita, noi lo vedremmo da quel punto in avanti continuare a muoversi di moto equabile. Passando poi al caso del corpo che cada, partendo dalla quiete senza aver subìto prima alcuna spinta all'insù, Ipparco lo assimila al precedente, osservando che anche qui v'è qualche cosa che produce effetti analoghi a quelli della spinta; v'è cioè la reazione dell’appoggio, la quale, se prima della caduta valeva a sopprimere completamente ogni effetto del peso (e comunicava quindi al grave una velocità verso l’ alto eguale ed opposta a quella che il peso gli imprimeva verso il basso), quando il grave è abbandonato a se stesso agisce ancora su lui, come la spinta agiva sul grave considerato prima; la sola differenza essendo che, nel caso del grave che parte dalla quiete, la velocità diretta verso l’alto è inizialmente uguale a quella diretta verso il basso che il corpo concepisce per effetto del suo peso, dimodochè il moto ha luogo come nel caso del grave lanciato, quando in questo si consideri solo il moto che avviene a partire dall’istante in cui esso raggiunge la sua massima altezza. In ambedue i casi il grave, se il suo moto non venisse troppo nardo da Vinci e Cardano. Quest'ultimo ricorre in proposito al paragone d’un corpo che si raffredda lentamente quando venga rimosso dalla sor- gente da cui gli vien comunicato calore. La locuzione, ancora usata, di “ velocità impressa , suggeriva originariamente l’analogia tra il persistere della velocità e il persistere dell'impronta dopo rimosso il sigillo che l’ha prodotta, e rappresenta uno stadio ulteriore verso la completa ammissione della legge d’inerzia. ra < LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, Ecc. 581 presto impedito dall’urto contro altri corpi che si oppongono alla sua ulteriore discesa, prima che si esaurisca l’azione della causa perturbatrice (rappresentata dalla suddetta spinta all’insù, che maschera gli effetti del peso) giungerebbe a un punto oltre al quale continuerebbe a muoversi di moto uniforme. Di ciò che avverrebbe se il corpo, discendendo senza im- pedimento, raggiungesse il punto al quale si ammetteva ten- dessero i gravi, Ipparco, a quanto almeno risulta dai frammenti che ci sono rimasti, non pare essersi preoccupato (1). La prima menzione che si trovi fatta di questo problema è negli scritti di Leonardo da Vinci, e la controversia relativa ad esso costituì poi uno dei luoghi comuni nelle dispute tra i commentatori pedanti di Aristotile che attribuivano a questi l’opinione (che del resto, a quanto io so, non si trova espres- samente enunciata in alcun passo delle sue opere) che il corpo, giunto al centro della terra, si dovesse fermare di botto, come arrivato alla meta a cui tendeva, e i primi pensatori indipen- denti che si occuparono di questo argomento (Maurolico, Car- dano, Tartaglia) i quali giudicavano tale opinione insostenibile e assurda. Anche a questo riguardo tuttavia spetta al Benedetti il merito di aver chiarita definitivamente la questione, ricono- scendola identica ad un’ altra sulla cui soluzione l’esperienza non lasciava luogo a dubbio. Kcco il suo ragionamento, esposto in una lettera a Fran- chino Trivultio (Divers. Specul., pag. 368-9): Delapsulapidis versus centrum mundi, dum ipsum attingere ac praeterire posset, de quo me interrogas, dico Nicolaum Tartaleam, nec non Francisco Mauro- licum, recte sensisse, male vero Alexandrum Piccolo- mineum. Lapis igitur ille transiret centrum rediret- que, cum diminutione tamen motus impressi, eo firme modo ut scribunt iudiciosissimi viri, donec post multas redditiones sursum deorsumque, quie- sceret circa centrum mundi. Facilioris tamen intel- (1) L'importanza di questo brano di Ipparco, noto anche al Wohlwill (al quale però venne a cognizione troppo tardi perchè lo potesse utilizzare nel suo studio già citato) mi fu segnalata dallo Schiaparelli. 582 GIOVANNI VAILATI ligentiae gratia, cogita filum illum (exempli adQducti ab illis clarissimis viris) cui pondus appensum est, aequalem esse axi horizontis, hoc'est eius extremi- tatem (immobilis) esse in primo mobili et in ipso. zenith tui horizontis, tune arcus motionis ipsius la- pidis, per tantum intervallum quantum est diameter terrae, insensibiliter differret a linea recta et cum lapis. distans a centro mundi per semidiametrum' terrae iret rediretque, ut scis, ergo idem faceret si filum longius esset per dictum terrae semidiame- trum ita’ ut posset ipsum centrum attingere, nam differentia illa semidiametri terrae, fere nulla‘ est respectu semidiametri ipsius primi mobilis (369) (1). $ 99, Di questioni riguardanti il moto dei gravi lanciati in dire- zione diversa dalla verticale e dalla determinazione delle loro traiettorie, il Benedetti sembra aver deliberatamente ommesso di occuparsi, scoraggiato forse dal cattivo risultato del tenta- tivo fatto dal suo maestro Tartaglia, di sottoporre tali argo- menti a trattazione matematica. Sebbene convinto, non meno di quest’ultimo (2), che la traiettoria descritta dai proiettili sia curvilinea fin dal principio, e che non esista alcun tratto per quanto piccolo di essa, durante il quale l’azione del peso non si manifesti col deflettere il proiettile dalla linea corrispondente all’impulso iniziale, pure egli non riesce a spogliarsi intera- mente dall’idea che una spinta in senso orizzontale comunicata al corpo, contribuisca in certo modo a sostenerlo, ritardando il tempo della sua caduta. Egli applica perfino questo concetto per spiegarsi come la trottola in moto si sostenga, appoggiandosi solo sulla sua punta, in posizioni nelle quali non potrebbe sostenersi se fosse ferma: “ Ab [eiusmodi] inclinatione rectitudinis motus partium ali- “cuius corporis rotundi fit, ut, per aliquod temporis spacium, (1) L’indole del presente scritto non mi concede di fermarmi sulle idee astronomiche del Benedetti; dirò solo che egli fu fautore entusiasta della teoria copernicana, che egli chiama “ pulcherrimam Aristarchi Samii opi- nionem, divinitus a Copernico expressam , (pag. 195). (2) Cfr. TarraGLIA, Quesiti et inventioni diverse, pag. 10-4. n r LE SPECULAZIONI DI GIOVANNI BENEDETTI SUL MOTO, Ecc. 583 trochus magna cum violentia seipsum circumagens, omnino recta quiescat super illam cuspidem ferri quam habet, non inclinans se versus mundi centrum, magis ad unam partem quam ad aliam, cum quaelibet suarum partium in huiusmodi motum, non inclinet omnino versus mundi centrum, sed multo magis per transversum ad angulos rectos cum linea directionis, aut verticali aut orizontis axe, ita ut necessario huiusmodi corpus rectum stare debeat. Et quod dico ipsas partes non omnino inclinare versus mundi centrum, id ea ratione dico quia non absolute sunt unquam privatae huiusmodi inclinatione quae efficit ut ipsum corpus eo puncto nitatur. Verumtamen est quod, quanto magis est velox, tanto minus premit ipsum punctum imo ipsum corpus tanto magis leve remanet. Id quod aperte patet sumendo exemplum pilae alicuius arcus ut ali- cuius alterius instrumenti. seu machinae missilis quae pila, quanto est velocior in moto violento, tanto maiorem propen- sionem habet rectius eundi, unde versus mundi centrum tanto minus inclinat et hanc 06 causam levior redditur. Sed si clarius hanc veritatem videre cupis, cogita illud corpus, trochum sci- licet, dum velocissime circumducitur, secari seu dividi in multas partes, unde videbis illas omnes non illico versus mundi centrum descendere, sed recta orizontaliter, ut ita dicam, moveri. Id quod a nomine adhuc quod sciam in trocho est observatum , (285-6). Nessuno prima di Galileo sembra aver creduto, o sospet- tato, che un corpo lanciato parallelamente all'orizzonte, non cessa per ciò (salvochè per effetto della resistenza dell’aria) di subire, in ogni successivo intervallo di tempo, gli stessi abbas- samenti che subirebbe se, a partire dallo stesso istante, lo si fosse invece lasciato cadere spontaneamente lungo la verticale. (1) Della via seguita da Galileo per giungere a questa e all’altra sua grande scoperta, quella cioè della /egge della caduta dei gravi, tratterò in una prossima Nota, nella quale mi propongo di analizzare le idee che de- terminarono e diressero le sue ricerche sperimentali sul moto dei proiet- tili e sulle discese dei gravi per piani inclinati. L’ Accademico Segretario AnpREA NACCARI. ——_ _—_—eccs8— 584 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 3 Aprile 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CrarerttA, Direttore della Classe, Prvron, Rossi, Pezzi, CoeneTTI pe MaRrTIS, BosELLI, PERRERO e NANI Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale della precedente seduta. Quindi il Presidente dà comunicazione alla Classe: 1° di R. Decreto in data 13 febbraio 1898, col quale la R. Accademia è autorizzata ad accettare l’eredità lasciatale dal compianto Socio Prof. Senatore T. VALLAURI; 2° di lettera del Ministero della Istruzione Pubblica colla quale sono trasmessi gli estratti: a) del R. Decreto 3 marzo :1898 approvante la rielezione del Barone Gaudenzio CLARETTA a Direttore della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche; 6) e d’altro Decreto di pari data che conferma la elezione dei Professori AscoLi Graziadio e D'Ancona Alessandro a Socii na- zionali non residenti; 3° di lettera in data 1° corrente aprile del detto pro- fessore D'Ancona, che ringrazia la R. Accademia della nomina comunicatagli. a È n n _——_rr———— "RE _ lE TEO e nn rc È Ù i 585 Presenta ancora un opuscolo: La Lex Aebutia (Venezia, 1897), offerto in dono dall’autore Prof. Lando Lanpuco1 della R. Università di Padova. Il Socio Segretario presenta pure, per incarico avutone, le seguenti pubblicazioni, di cui rileva in breve il contenuto ed il valore scientifico: 1° Euvres complètes de Bartolomeo Borghesi, 4 vol. (Paris, 1892-1897), offerte in omaggio dall’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Francia; 2° Storia della Marina italiana dalla caduta di Costanti- nopoli alla battaglia di Lepanto (Roma, 1897), del Prof. Camillo MANFRONI; 3° Illustrazioni storico-corografiche della regione subalpina (Torino, 1898), dell'avv. Comm. Carlo DroxIsoTTI. Il Socio ‘G. CLaRrETTA prosegue la lettura della seconda parte della sua Memoria: Sulle principali vicende della Cisterna d’Asti dal secolo XV al XVII. Egli prende a considerare la persona del vescovo Alberto de’ Guttuari, specialmente nelle sue relazioni con quel suo feudo; ed accenna al trattato di alleanza conchiuso da lui nel 1417 col conte di Virtù, fratello del duca Carlo d’Orléans relegato in Inghilterra, al quale, come è noto, spettava in quei giorni la signoria dell’Astigiano. Che se quell’atto era suggerito dal- l’interesse politico che aveva il vescovo Alberto di assicurarsi il possesso della Cisterna e di altri suoi feudi, contro le mire che vi potevano avere i suoi avversari, egli non intralasciava pure di provvedere altrimenti ad altro ordine di cose che pote- vano riuscirgli vantaggiose. Profittando di una violazione a patti conchiusi dai Garetti, feudatari della Cisterna, in un componimento avuto con lui, egli, senz'altro, non frapponeva indugio ad investire di parte della Cisterna i fratelli Domenico, Giovanni e Benedetto de’ Guttuari. Senonchè ad onta di questo i Garetti non si smarrivano di coraggio, ben conoscendo come nei tempi che correvano, la for- tuna il più delle volte secondasse gli audaci, allorchè erano in 586 grado di disporre di un certo apparato di forze. E i documenti inseriti, nel processo manoscritto, che diede in massima parte alimento a questo studio, per l’ appunto ci provano, come i Garetti riuscissero ad indurre il vescovo Alberto a venire ad un componimento, in forza del quale egli facevasi ad investire quei contendenti di parte del feudo della Cisterna. Il preambolo poi del documento è abbastanza eloquente, e ci attesta che il ve- scovo Alberto cedeva, per non andar incontro a maggiori danni... cognoscens et manifeste videns dictos fratres omnino dispositos ad non observandam dictam sententiam, ratificationem et promissionem per ipsos ut supra factas; volensque ac cupiens toto suo posse evi- tare scandala et pericula que verisimiliter ipsi domino episcopo et eius astensi ecclesie occaxione dicte questionis controuersie discordie contentionis et debati contingere et succedere possent si dicte partes pro predictis ad grauiores sive maiores discordias pervenirent... I congiunti suoi peraltro, cioè i Guttuari, proseguivano a mantenere la parte di quel feudo loro conceduta. E il 26 aprile del 1418 Domenico succitato, sotto la loggia della cittadella d'Asti, conchiudeva col Sire francese un’alleanza, a un dipresso simile a quella fermata precedentemente dal vescovo col- l’Orleanese. Senonchè i fatti che si compiono e si sostengono colla violenza o col favoritismo, non hanno generalmente sodo fondamento. E mancato ai vivi nel 1439 quel vescovo, veniva a cessare il predominio dei Guttuari, e risorgeva quello degli altri pretendenti. L’ Accademico Segretario CesARE NANI. a) Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. % NO RNA Di f- De La ui Ne Y., Acad e} Adunanza del 17 Aprile 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Mi, i Sono presenti i Soci: Bizzozero, Direttore della Classe, RRUTI, D’Ovipio, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, PEANO, JADANZA, N Gui, FiLeti e NaAccaRrI Segretario. na li non residenti dei prreli BrancHI, Dini e GoLeI, e i de ecreti di nomina a Soci stranieri dei signori Bunsen, HAECKEL | e e Bermetor. Il Segretario comunica la lettera di ringraziamento inviata ‘4 dal prof. BrancHI per la sua nomina a Socio nazionale non re- | sidente e quella del prof. BertHELOT per la sua nomina a Socio | straniero. (Er. Il Socio Secre fa omaggio all'Accademia di due opuscoli | intitolati: Su alcuni punti singolari delle curve algebriche e La — molteplicità nelle intersezioni delle curve piane algebriche. “al Il Segretario presenta un opuscolo inviato in omaggio dal prof. Marco Fiorini, intitolato il Periplus di A. E. Nordenskidld. Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 41 e 17 Lea ai. = Se? se, PE Die di z ' Ù 588 negli Atti. Teti; Il Socio NAccarI a nome del Socio GuARESCHI presenta una: SA nota del Socio GuaARrEscHI stesso e del Dott. Ernesto GRANDE, intitolata: Osservazioni sull’ analisi elementare. Sarà inserita negli Atti. i Vengono inoltre accolti per l'inserzione negli Atti i se- Ù guenti scritti: 1° I pretesi rapporti genetici fra i linfociti ed il cloragogeno, nota del Dott. Daniele Rosa, presentata dal Socio CAMERANO, 2° Alcune esperienze su la scarica dei condensatori, nota del Prof. Antonio GARBASSO, presentata dal Socio NACCARI, 3° Su talune proprietà di un sistema di due correnti al- ternative difasate qualunque ed applicazione ad un apparato di misura e ad un motore a campo Ferraris, nota del Dott. Andrea Giulio Rossi, presentata dal Socio NACccARI. Quindi la Classe si costituisce in seduta privata per pro- cedere alla votazione per la nomina di Soci corrispondenti. Nella Sezione di Matematiche pure riescono eletti i signori: Prof. Ernesto Cesàro della R. Università di Napoli, Prof. Guido CasreLNuovo della R. Università di Roma, Prof. Giuseppe Veronese della R. Università di Padova. A Soci corrispondenti nella Sezione di Fisica generale e sperimentale riescono eletti i signori: Prof. Antonio Pacinorti della R. Università di Pisa e Sir Giorgio Gabriele Sroges, Professore nella Università di Cambridge. SULLA STRIATURA TRASVERSALE DEI MUSCOLI, ECC. 589 LETTURE . Sulla striatura trasversale dei muscoli delle mandibole negli Onicofori ; Nota del Socio LORENZO CAMERANO. Lo studio dell’organizzazione degli Onicofori o Prototra- cheati è di grande interesse non solo per le questioni che ri- guardano la filogenia dei Tracheati: ma anche per quelle che si riferiscono alla teoria dell'evoluzione in generale, ai fenomeni di convergenza, ecc. Lo studio quindi della struttura di questi strani animali, che presentano ad un tempo caratteri di Anellide e caratteri di Tracheato, deve essere fatto con grande cura anche nei più minuti particolari. Avendo avuto occasione di esaminare varii individui di Peripatus quitensis Scum., dirò qui di alcuni particolari riferen- tisi alla struttura dei muscoli delle mandibole e delle zampe. E. Grube fu il primo a ricercare un po’ minutamente la struttura di una specie di Peripatus (1). Egli dice dei muscoli: “ Alle Muskeln zeigen keine Querstreifung und den Schimmer “von Sehnen ,. Molto più tardi il Moseley ripigliò lo studio della struttura degli Onicofori e nel suo lavoro intorno al Peripatus capensis (2) parlando delle affinità dei Peripati dice: “ Peripatus thus shows “ affinities in some points to all main branches of the family “ tree of Tracheata; but a gulf is fixed between it and them “ by the divarication of the nerve-cords, and borne out some- “ what by such facts as the non-striation of the muscles, great “ power of extension of the body, arrangement of the digestive “ tract in the early stage, persistence of metamorphosis, and (1) Untersuch. iiber den Bau von Peripatus Edwardsii. “ Miiller’s Arch. Anat. Phys. ,, 1853, pp. 322, tav. IX-X. (2) On the Structure and Development of Peripatus capensis. © Phil. Trans. ,, vol. 164, p. 776 (1874). 590 LORENZO CAMERANO “in the parts of their mouth, the full RISGOTE of the manner “ of origin of these being reserved ,. Nella tavola LXXIII dello stesso lavoro egli dà i disegni delle fibre liscie (fig. 8), e nella spiegazione dice espressamente: “ a. Fibre in state of contraction, wich has taken a somewhat “ spiral form. The shading gives somewhat the appearance of “ transverse striation ,. Nell'anno 1883, Moseley e Sedgwick pubblicarono (1) il la- voro che Balfour aveva lasciato incompleto intorno all’anatomia ed allo sviluppo del Peripatus capensis. In questo lavoro il Bal- four dice: “ Histology of the muscle — The main muscles of the “ body are unstriated and divided into fibres, each innested by “ a delicate membrane. Between the membrane and muscle are “ scattered nuclei, which are never found inside the muscle fibres. “ The muscles attached to the jaws form an exception in that “ they are distinctly transversely striated , (pag. 243). E. Gaffron nel 1883 e nel 1885 pubblicò uno studio minuto sull’anatomia ed istologia particolarmente del Peripatus Ed- wardsii (2) e a proposito dell’istologia dei muscoli dice (p. 44): “ Simmtliche Muskelfasern von Peripatus entbehren, wie schon “ mehrere friihere Beobachter angaben, der Querstreifung ,. Adam Sedgwick (3) descrisse pure i muscoli delle mandi- bole: ma non dice nulla della loro striatura trasversale. Consultando i trattati di Anatomia comparata e Zoologia più importanti si nota una discrepanza veramente notevole in- torno al modo di intendere la struttura dei muscoli in questione. Il Claus nel suo noto trattato di Zoologia afferma senz'altro che i muscoli degli Onicofori non sono striati trasversalmente. Korschelt e Heider nel loro trattato di Embriologia compa- rata degli invertebrati (Jena, 1892) dicono della musculatura: (1) BaLroor F. M., The Anatomy and Development of Peripatus capensis; edited by Prof. H. N. Moseley and A. Sedgwick. © Quart. J. Mier. Sc. ,, XXIII, pp. 213-259, tav. XIII-XX, 1883. (2) “ Zool. Beitr., di Schneider, v. I, Heft. I, pag. 33-60, tav. VII-XII (1883-1885) e pag. 145-162, tav. XXI-XXIII. (3) The Development of the cape species of Peripatus. © Quart. Journ. Microscop. Se. ,, new Ser., vol. XXVIII, 1888. — Monograph of the genus Peripatus. Ibidem. SULLA STRIATURA TRASVERSALE DEI MUSCOLI, ECC. 591 “ Was die erstere betrifft, so entbehrt sie der Querstreifung “ (nur die Kiefermuskeln sollen quergestreift sein) und bildet “ einen Hautmuskelschlauch ,. Boas (Lehrbuch der Zoologie, Jena, 1890) dice: “ Die Muskeln “« bestehen gròsstentheils aus glatten Muskelfasern ,. Gegenbaur afferma nel suo trattato di Anatomia com- parata che i muscoli degli Onicofori sono tutti lisci. La stessa cosa si legge nel Trattato di Zoologia del Blanchard (Parigi, 1890). Nel trattato di Anatomia comparata del Lang (Jena, 1888 e Traduzione franc. Parigi, 1892) è messo bene in evidenza (con carattere corsivo) che: “ Simmtliche Muskelfasern mit Ausnahme . « derjenigen der Kiefermuskeln von Peripatus entbehren der “ Querstreifung ,. Nel Trattato di Zoologia del prof. C. Emery (E. Loescher, 1884) si legge: “ musculatura fatta quasi esclusivamente di “ fibre liscie (vi sono muscoli striati nei piedi) ,. Lasciando in disparte i trattati sopra citati ed altri che si potrebbero ricordare, dai quali non risulta che ciò che è detto rispetto alla questione che ci occupa provenga da osservazioni personali dei rispettivi autori, troviamo fra i naturalisti che si occuparono in modo particolare dell’ istologia dei muscoli degli Onicofori due opinioni opposte rispetto alla striatura dei mu- scoli delle mandibole. Grube, Moseley, Gaffron asseriscono che la striatura tras- versale manca. Balfour invece l’ammette. I trattatisti l’ammettono o la ne- gano secondochè seguono gli uni o gli altri di questi autori. Avendo avuto occasione recentemente di preparare le man- dibole di parecchie specie di Peripatus neotropicali (P. quitensis Scam., P. juliformis GurLDine, P. Balzani Camer., P. Corradi CaMER. (1), osservai che i muscoli delle mandibole di queste specie non presentano alcuna striatura trasversale, ed hanno la caratteristica struttura delle fibre liscie. (1) L. Camerano, Onicofori raccolti nel Darien dal Dott. E. Festa. * Boll. Mus. di Zool. Anat. Comp. di Torino, vol. XI, n. 223 (1896). — Nuova specie di Peripatus di Bolivia. È Ann. Mus. Civ. di Genova ,, ser. 22, vol. XVIII (1897). — Sul Peripatus quitensis Schm. “ Atti R. Accad. Se. di Torino ,, vol. XXXII (1897). — Nuova specie di Peripatus dell’ Ecuador, ibidem (1898), vol. XXXIII. 592 LORENZO CAMERANO Ripetei le osservazioni sui muscoli delle mandibole i piedi di parecchi esemplari di Peripatus quitensis Scum. da poco tempo conservati nell’alcool abbastanza forte (e quindi nelle È È condizioni degli esemplari studiati dal Balfour), ma non riuscii in alcuna maniera a scorgere una striatura trasversale. Ho esaminato le fibre col microscopio di polarizzazione ed esse mi apparvero uniformemente birifrangenti come si osserva nelle fibre liscie. | i Ho notato tuttavia che alcune fibre, in un preparato dei muscoli delle mandibole della specie sopradetta, presentavano | una serie di zone trasversali a contorno indeciso, e di ampiezza — variabile, alternativamente più chiare e più scure, tanto che ad un esame superficiale con deboli ingrandimenti davano un'appa- renza di striatura trasversale grossolana. Esaminata la cosa con forti ingrandimenti (oc. 2. ob. apocr. Zeiss immers. omog. 1,5 mm., apert. 1.30) riconobbi facilmente trattarsi di apparenze ottiche dovute alle ondulazioni delle fibrille longitudinali come già il Moseley (op. sopra cit., fig. «) aveva detto. L'aspetto di queste fibre è molto simile a quello disegnato dal Blanchard (1) per la porzione più piccola del muscolo adduttore delle valve del Pecten maximus e del P. Jacobaeus (fig. 5). Io credo di poter conchiudere, tenendo conto anche delle ricerche del Moseley, del Grube e del Gaffron, le quali riguar- dano altre specie del genere Peripatus, che negli Onicofori tutti i muscoli sono da considerarsi come lisci e che l’asserzione del Balfour è fondata sulla erronea interpretazione di una apparenza di zonatura trasversale che alcune fibre possono presentare. A questo proposito io ricordo le parole seguenti del Mars- hall (2): “ The striation of muscle must not be confounded with “ a transversely striated appearance caused by a corrugated «“ outline of the fibre, possibly due to a state of over contrac- “ tion. Such a false striation is met with occasionally in some “ fibres in the Echinus, Leech, etc., and is the cause of the “ muscles of these animals having been described as striped. (1) Sur la structure des muscles des mollusques Lamellibranches. “ Bull. Soe. Zool. de France ,, vol. XIII, p. 74, 1888. (2) Observations on Striped and Unstriped Muscle. * Quart, Journ. of Microscop. Scienc. ,, vol. XXVIII, 1888, pag. 80. SULLA STRIATURA TRASVERSALE DEI MUSCOLI, ECC. 593 “ I shall, therefore, only describe muscle as being striped when “ the striation is due to the presence of the intracellular net- “ work, described by Retzius, Bremer, and Melland ,. P I muscoli degli Onicofori si possono facilmente dissociare È nelle loro fibre e queste si frammentano facilmente lasciando pi scorgere alle loro estremità dei pezzi di fibrille isolate. In queste d io non ho osservato quella struttura a granuli sovra posti che | ‘’venne descritta nelle fibrille di altri muscoli di invertebrati che «| ‘presentano una particolare striatura trasversale delle loro fibre, l come ad esempio i muscoli della ventosa del Merizocotyle dia- | phanum Cerr. descritti dal .Cerfontaine (1). Debbo tuttavia os- È servare che in qualche tratto dei muscoli, qua e là, si ha l’im- ì pressione, esaminandoli a forti ingrandimenti (oc. 3. Zeiss. ob. imm. omog. 1,5 mm. apert. 1,30) di una struttura a granuli so- vrapposti nelle fibrille longitudinali: ma ripeto, in nessun punto mi venne fatto di scorgere la corrispondenza in senso trasver- sale dei granuli delle fibrille in modo da dar luogo all’apparenza striata, come si osserva nel Trematode sopra citato ed in altri casi analoghi. Del resto non insisto ora sopra questi minuti particolari di struttura, chè per chiarirli bene sarebbe necessario esami- narli sopra materiale fresco, e che si collegano colla questione generale della struttura intima della fibra muscolare in rapporto colle modalità funzionali dei muscoli (2). Io desidero con questa breve nota richiamare l’attenzione dei zoologi sopra un carat- tere di struttura degli Onicofori non ben descritto ed interpretato che alcuni fra i più importanti e recenti trattati di Zoologia e di Anatomia comparata mettono in evidenza con particolare cura nel discutere le affinità di questi animali cogli Artropodi, carattere al quale non si può, in ogni caso, nello stato presente delle nostre conoscenze della struttura dei muscoli, attribuire, in questioni di tal fatta, che importanza al tutto secondaria. (1) P. Cerrontarne, Note sur l’existence de fibres musculaires striées chez un Trématode. “ Bull. Acad. Roy. de Belgique ,, vol. XXVII (8* ser.), 1894, pag. 950. (2) G. H. Ta. Erwer, Die Enstehung und Ausbildung des Muskelgewebes. “ Zeit. f. wiss. Zool. ,, v. LITI, suppl., 1892. 594 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE Osservazioni sull'analisi elementare; Nota del Socio ICILIO GUARESCHI e Dott. ERNESTO GRANDE. Nel corso delle nostre ricerche su un prodotto cristalliz- zato in lamine fusibili 192°—193°.5 che si forma per l’azione dell'etere cianacetico e dell'’ammoniaca sul metiletilchetone, ab- biamo avuto occasione di osservare un fatto importante riguar- dante l’analisi elementare e specialmente il dosamento dell’azoto. Analizzando, col metodo di Dumas, il composto: CH? C°H° RR C PAS CN.HC . CH.CN breog | HOSC ECO OA N fusibile 192°—193°.5, che denominiamo dicianmetilidroetilgluta- conimide o dicianmetilidroetildiossipiridina e che sarà descritto in una prossima nota, abbiamo osservato che alle volte si ottiene 20.3 e 20.4 °/, di azoto che è appunto la quantità calcolata, mentre poi altre volte si trovò 21.7 e 22 °/, ed anche 25 e 26 % se non si conduce l’analisi con gran cura e lentezza; era quindi impossibile dedurre con sicurezza una formola qualsiasi. Alla formola precedente si arrivava però anche per altre vie. Queste discordanze si notavano non solo quando operava un solo espe- rimentatore, ma anche per esperimentatori diversi. Ed invero il dott. Quenda nel 1894, come risulta dal registro delle analisi, in un campione di questa sostanza fusibile a 192°—193°.5 e data da uno di noi da analizzare, trovò 21.7 °/, di N; il dott. Pasquali, analizzando lo stesso campione in bellissimi cristalli incolori e purissimi, trovò in due analisi 26.47 e 26.86. I OSSERVAZIONI SULL'’ANALISI ELEMENTARE 595 Il dott. Ern. Grande nello stesso campione e in altre pre- parazioni trovò in varie analisi: N° = 20.99 — 24.87 — 21.08 — 22.42 — 23.55 e una volta sino 27.20. Per molto tempo questi fatti ci tennero indecisi e non ci era dato trovarne la spiegazione. Era poi curioso l’altro fatto che l’anno scorso il dott. Quenda, analizzando l'etere diidrodi- carbocollidinico di Hantzsch, ottenne sempre come Hantzsch un eccesso di azoto, nel mentre che con estrema difficoltà si ot- teneva il carbonio calcolato, e anche l’idrogeno era sempre de- ficiente. Finalmente noi abbiamo analizzato ora lo stesso composto fusibile 192°—193°.5 sopracitato, conducendo l’analisi con estrema lentezza e facendo in modo che vi fosse un lungo strato di os- sido di rame rovente, e siamo riusciti ad avere i valori quasi teorici, cioè 20.3 a 20.4 °; ma, come ce ne siamo poi accorti, per poco non si badi al momento in cui la sostanza comincia a decomporsi, si sviluppa un gas che essendo misto a molta ani- dride carbonica e al vapore d’acqua, in parte non brucia e passa nell’azotometro, insieme all’azoto. Inutile qui ricordare che la sostanza analizzata era sempre assolutamente pura. Avendo noi in questo frattempo ripreso insieme lo studio della sostanza sopraccennata fusibile 192°—193°.5 ed avendo trovato che questo prodotto a 320° si decompone molto rapidamente sviluppando una corrente di gas eteno C? HS, come esporremo in una prossima nota, venne l’idea di esaminare accuratamente l'azoto ottenuto nelle analisi quando la percentuale di questo era superiore alla calcolata, e trovammo l’azoto raccolto nell’azo- tometro Schiff purissimo quando la percentuale trovata era di 20.3 a 204%, circa, mentre il detto azoto non era puro ma combusti- bile quando la percentuale era superiore, cioè 23 %, 0 più. Non solo, ma notammo che con una percentuale di circa 23 a 24 °y il gas combustibile misto all’azoto era etilene quasi puro, mentre se la percentuale era di circa 26-27°/, si aveva l'azoto misto con etilene C*H' ed etano C*?H5. Noi abbiamo sperimentalmente provato già varie volte che l’apparente eccesso di azoto trovato è sempre dovuto alla miscela con uno o più gas combustibili. " È 2 Ri Li 596 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO crani Citiamo alcune analisi : È Îa I. Gr. 0.1426 di sostanza fornirono 30 cm di N a 16% 742 mm. re VOS Da cui: A Sar trovato calcolato per C'°H'N®0® iu n A n —_ TP I: i N% DOH 20.48 \ n Questo azoto bruciava con fiamma azzurra; posto in cc tatto col bromo diminuì alquanto di volume ed il gas residuo non bruciava più, nemmeno per l’azione della scintilla in pre. senza di ossigeno nell’eudiometro di Bunsen. i da II. Gr. 0.1512 di sostanza fornirono 32.8 cm8 di N a 160 e 740 mm. i a SI Da cui: ag trovato calcolato N% 24.43 20.48 Questo azoto bruciava ed all’analisi dimostrò di contenere. dell’etilene. 3 i II. Gr. 0.2812 di sostanza fornirono 69 cm? di N a 16° e 740 mm. Da cui: trovato calcolato N % 27.63 20.48 Questo azoto bruciava con fiamma azzurra alquanto lumi- i SI nosa, ma pallida; messo in contatto col bromo diminuì di al- cuni centimetri cubi (in una esperienza, per 14 cm? di gas azoto si ebbe una diminuzione di 1.3 cm?), ed il gas restante, non assorbito dal bromo, bruciava ancora. Analizzato nell’eu- diometro Bunsen diede una contrazione e una quantità di ani- | dride carbonica corrispondenti a quella dell’etano €? HS. |. E che la miscela di azoto con etilene o con etano bruci con fiamma azzurra o poco luminosa quando la quantità di idro- carburo è piccola, come era da prevedersi, l'abbiamo provato facendo apposite miscele di azoto con piccole quantità di questi gas; ad esempio 18.5 cm? di azoto chimico, preparato dall’urea OSSERVAZIONI SULL’ANALISI ELEMENTARE 597 con ipobromito sodico, mescolati con 3 cm? di etilene e in un altro caso 18.5 cm? di azoto chimico mescolati con 4.6 cm? di etilene, bruciavano sempre con fiamma azzurra o poco luminosa; così pure bruciava con fiamma azzurra una mescolanza di 27 cm? di azoto e 7 cm? di gas etano. In altre esperienze simili abbiamo avuto gli stessi risultati; quando nell’analisi la quantità di gas combustibile misto all’azoto era poca, trovavasi costituito tutto o quasi tutto di etilene, quando invece la quantità era relativamente grande si aveva una miscela di etilene e di etano. Queste osservazioni concordano col fatto già da tempo os- servato dal Berthelot (1) che cioè, quando si fa passare l’etano sull’ossido di rame scaldato, si decompone in: C2 Hi = C2H* + H? e mentre l'idrogeno brucia dando acqua, l’etilene passa inalte- rato, almeno in parte. Così deve avvenire nel nostro caso; se non si condece l’analisi con estrema avvedutezza, la sostanza in un dato momento si decompone rapidamente, si produce dell’etano, misto naturalmente ad anidride carbonica e vapor d’acqua, e l’etano, se è in piccola quantità, si trasforma total- mente in etilene e idrogeno che brucia, oppure se è in mag- giore proporzione passa in parte inalterato. La diluzione dei gas idrocarburati coll’anidride carbonica e il vapor d’acqua del carbonio e idrogeno bruciati facilita naturalmente la sfuggita dei gas combustibili. Le combustioni fatte nell’eudiometro Bunsen hanno dimo- strato che il gas combustibile non è ossido di carbonio; questo, come l'idrogeno, è abbruciato facilmente dall’ossido di rame rovente. Si capisce quindi come potendo passare nell’azotometro in- sieme all’azoto un gas idrocarburato e ricco di idrogeno quali sono l’etano e l’etilene, si debba trovare un notevole aumento nella percentuale dell'azoto ed invece una percentuale minore nel carbonio e nell’idrogeno. (1) © Ann. de Chim. et de Phys. ; (4), T. IX, pag. 486. 598 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE Il dott. Pasquali in questo laboratorio ha ottenuto da com- posti simili alla nostra dicianmetilidroetildiossipiridina e prepa- — o rati dal metilpropilchetone, dal metilbutilchetone e dal me- tilessilehetone, una percentuale di azoto superiore alla quantità calcolata, e l’azoto era misto con gas idrocarburati che ora sta studiando. Queste osservazioni che noi crediamo molto importanti ser- vono indubbiamente a spiegare molti fatti abbastanza strani osservati da vari chimici, e rimasti sino ad ora senza una esatta spiegazione. Ora citiamo i casi analoghi ai nostri di cui abbiamo potuto aver notizie. Hantzsch (1) già da lungo tempo aveva osservato che bru- ciando l'etere diidrodicarbocollidinico si ha quasi sempre 1°/, di azoto in più mentre con grande difficoltà si arriva ad ottenere il carbonio calcolato. Egli riferisce solamente le analisi seguenti: trovato calcolato I II III IV Vv Vi Wi COCA) C = 62.50) 62.51 62.89 — = —_ —_ 62.92 La VENDI SR CN PNT EE = — = 7.86 Nei — — 6.25 05.87. 6.11 6.25 9.25 Dalle quali si scorge che mentre il carbonio è quasi vicino al calcolato, l’azoto è quasi sempre 1° in più; l'idrogeno è esattamente il calcolato, mentre, come è noto, in molte analisi si trova spesso un poco più del calcolato. Non ne trovò la spie- gazione. Il dott. Quenda (2), che in questo laboratorio ebbe occasione di analizzare l'etere diidrodicarbocollidinico di Hantzsch, ottenne i risultati seguenti: trovato calcolato per C!*H"!NO* ee 61.66 61.54 — — — 62.92 H: = TEC AD — —. 7.86 Ne _ — 6.02 6.9 6.25 5.25 (1) © Ann. d. Chem. ,, 1882, T. 215, pag. 9. (2) “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1897, T. 32. i È DD $ i i i a Ale AT i La” ad Mid I Vu ga Nt [o ì dia CHAT, LIRE Lw irene STURA 4 Aa - È Pn pate RA Più ) | 5 A i, La ue R 3 au è > ‘ PA”, LI 1 de « VA | OSSERVAZIONI SULL'ANALISI ELEMENTARE. 599 pe? Nelle quali si nota deficienza di carbonio e dell’ idrogeno ed eccesso di azoto. Ù Anche Collie (1) ha avuto occasione di analizzare l'etere diidrodicarbocollidinico di Hantzsch e trovò: 62.9 a 62.2 7.9 a 7.6 D.7 a 9.7 Za VATI Come si vede si ha sempre 0.5 °/, in più nell’azoto e l’idro- | geno è sempre deficiente. Ki _ Ora noi abbiamo voluto analizzare l'etere diidrodicarbocol- în; lidinico per vedere quale era la causa di queste discordanze. Noi abbiamo fatto diverse analisi con tutta la cura, nelle | stesse condizioni, ma impiegando più o meno tempo. (I) Gr. 0.3130 di sostanza fornirono 14.8 cm? di N a 15° “e 742 mm. Da cui: trovato calcolato —an - cu n — N: do 5529 525 L'azoto si sviluppò sempre regolarmente senza sbalzi, ma . lentamente; impiegammo per l’analisi quasi tre ore. L’azoto | così ottenuto non era combustibile. Abbiamo poi fatto delle analisi impiegando meno tempo; una volta abbiamo analizzato operando regolarmente come nelle . analisi ordinarie ed ottenemmo: Lo (II) Gr. 0.1433 di sostanza fornirono 10.4 cm? di N a Mis 00734 mm. Mie Da cui: w trovato calcolato E; N% 8.01 5.25 La combustione durò J ora e 20 minuti. pi Quest'azoto bruciava con fiamma azzurra e lievissimamente p: luminosa. gl (1) “ Ann. d. Chem. ,, T. 226, pag. 315. a 1) dti ie in Ape o da 600 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE (III) Gr. 0.3128 di sostanza diana 29.5 cm? di Ni a dl 13° e 744 mm. + Da cui: trovato n — N% 10.83 L'analisi era stata condotta non molto lentamente, l’ossido di rame era ben scaldato al rosso. Buona parte del gas si è sviluppata in principio della combustione. Questo azoto bruciava con fiamma luminosa pallida. In un’altra esperienza fatta con l’azoto di una combustione che fornì 8 °/, di azoto, si osservò che questo non conteneva gas assorbibile dal bromo, ma bruciava con fiamma azzurra. Abbiamo analizzato il gas combustibile che si raccoglie nell’azotometro insieme all’azoto quando nell'analisi dell’etere diidrocollidindicarbonico si ottiene una percentuale di azoto su- periore a quella calcolata: ed abbiamo trovato che è una mi- scela di metano CH* con una certa quantità di un gas assor- bibile dal bromo e che probabilmente è etilene; non vi si trova nè ossido di carbonio nè acetilene. 22.3 cm8 di gas azoto avuto nell’analisi III messi in pre- senza di bromo se ne assorbirono 1.9 cm?; il gas rimanente bruciava ancora e introdottone parte nell’ eudiometro Bunsen diede i risultati seguenti: Volume Tempe- | Pressione | Volume letto ratura del gaz |a 0° e 1m. Gas impiegato | (N + Idrocarburo) 91.04 | 149,5 23 72m 20.48 Dopo aggiunta di os- | sigeno . . .|,247.64| 149,5. | 390,5 91.83 Dopo ‘aggiunta aria .| 309.36 149,5 450,5 152.34 | Dopo combustione. .| 279.57 1305 n 427,0 113.75 | Dopo azione della po- LE STS 1 MIA SAT OTTO] Lo ELICA RO is 415 104.31 OSSERVAZIONI SULL’ANALISI ELEMENTARE i 601 Da cui si ricava: trovato calcolato per CH, Ossigeno totale consumato 18.59 18.88 Ossigeno per CO. 9.44 9.44 Ossigeno per H:0 915 9.44 e riducendo ad 1: trovato calcolato per CH, Gaz impiegato 1 TÌ Ossigeno consumato totale 1,96 2 Ossigeno per CO; 1 1 Ossigeno per H:0 0.96 1 Questi risultati dimostrano che il gas esaminato è metano e concordano sufficientemente coi dati dell'analisi, secondo 1 quali il volume del gas raccolto deve essere costituito per circa la metà di idrocarburo. Il gas assorbito dal bromo era molto probabilmente etilene. E che si formi il gas combustibile nel principio dell’analisi l’abbiamo dimostrato disponendo due azotometri in modo da rac- cogliere il gas che si sviluppava nel principio della combustione e quello che si sviluppava dopo; tanto colla nostra sostanza fusibile a 192°—193°.5 quanto bruciando l’etere diidrocollidindi- carbonico. Se si raccoglie !/, o */. circa del gas che si deve sviluppare, si vede che brucia molto facilmente e con fiamma luminosa, e contiene pochissimo azoto, costituito come dimostrò l’analisi eudiometrica da etano e poco etilene nel caso della nostra sostanza e da metano e etilene nel caso dell’etere biidrocollidin- dicarbonico; mentre il gas che si raccoglie dopo, non brucia più ed è azoto schietto. Quando l’analisi è condotta lentissimamente e si hanno buoni risultati concordanti col teorico, allora l'azoto sviluppato prima o dopo, non brucia. La nostra analisi (I) dell’etere diidrocollidindicarbonico ha dato i migliori risultati. Si può dunque, anche nel caso dell’e- tere diidrodicarbocollidinico, sostanza di difficile analisi, riuscire ad avere risultati perfettamente concordanti col calcolato. 602 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE È i Le nostre esperienze dimostrano dunque che nel caso del- l'etere diidrocollidindicarbonico si hanno analisi sconcordanti se non si procede molto lentamente e con grande avvedutezza; la causa delle discordanze è da attribuirsi a idrocarburi gasosi che passano insieme all’azoto. Che possa formarsi dell’etilene dal metano nelle nostre espe- rienze è posto fuori di dubbio dalle ricerche di Berthelot (1) il quale facendo passare il metano attraverso un tubo di porcel- lana scaldato al rosso ottenne l’etano, l’etilene ed altri idrocar- buri. E ciò tanto più probabilmente nel nostro caso in cui il metano si troverebbe in presenza dell’ossido di rame: 2CH* + Cu0O = C°H* + 2H20. Ma l’etilene può anche provenire dai gruppi carbossietilici COOC?H* contenuti nell’etere diidrocollidindicarbonico, Secondo la formola: "A C*H'0C0.C ©.0000°H" lens CH°îC C.CH3 NA NH per l'etere diidrodicarbocollidinico il gas sviluppato dovrebbe essere metano. ‘ Mancano però delle esperienze esatte sulla decomposizione pirogenica dei gas metano ed etano nelle condizioni identiche a quelle in cui si trovano questi gas quando si formano durante l’analisi elementare col metodo Dumas. Per spiegare come con tanta facilità si ottenga del metano nell'analisi dell’etere diidrocollidindicarbonico abbiamo sottoposto questo corpo, purissimo e fusibile a 131°, alla distillazione secca scaldandolo a bagno d’olio e meglio a fuoco nudo. Sopra 340° sviluppa regolarmente un gas combustibile; in una esperienza, da 3 gr. di etere idrico si ottennero successivamente 80 e (1) © Comptes Rendus ,, 1868, T. 67, pag. 233. OSSERVAZIONI SULL’ANALISI ELEMENTARE 603 69 cm? di gas; queste due porzioni separatamente raccolte con- tenevano 36.2 e 36.7 °/, di un gas assorbibile dal bromo e senza dubbio etilene, ed il resto non assorbibile dal bromo era, come dimostrò anche l’analisi eudiometrica, costituito da metano. L’eti- lene può dunque nel caso dell'analisi dell'etere diidrocollidindi- carbonico provenire anche tale e quale dalla decomposizione pirogenica dell’etere; si trova però in quantità minore nel gas che si sviluppa durante l’analisi perchè brucia col Cu0 più fa- cilmente che non il metano. La formazione di molto metano nella decomposizione del- l’etere biidrocollidindicarbonico ci spingerà a studiare l’azione del calore su altri eteri biidrici di questo gruppo e specialmente gli eteri: diidrolutidindicarbonico e fenildiidrolutidindicarbonico ; lo studio dei quali servirà a chiarire se il metano si forma col metile in y oppure in a. Studieremo pure i prodotti liquidi e solidi che si producono insieme ai gas. L'esperienza ci dirà se siamo nel vero coll’ammettere che la decomposizione avvenga contemporaneamente in due modi: in uno si formerebbe metano ed etere lutidindicarbonico e nell'altro metano, anidride carbonica, etilene ed etere lutidinmonocarbonico. Speriamo di poter riferire su questo argomento in una prossima nota sulla dicianmetilidroetilglutaconimide. Queste rea- zioni faranno meglio vedere le analogie fra gli eteri biidrici della reazione di Hantzsch e i derivati bicianici che si formano dai chetoni e dalle aldeidi coll’etere cianacetico e l’ammoniaca. Griess e Harrow (1) hanno analizzato l'etere diidrolutidindi- carbonico: CH? 29 \ ; #8", 000.0 0.0000°H" RR gA oe Essi non fanno cenno di difficoltà nella combustione di questa sostanza, ma, mentre trovano appena appena la quantità calcolata di carbonio e di idrogeno: 61.4 a 61.5 invece di 61.6 (1) © Berichte d. deut. Chem. Gesells. ,, 1888, XXI, pag. 2741. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII, 42 604 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE e 7.5 a 7.6 invece di 7.5, essi trovano però per l’azoto 6.1 a 6.35 invece di 5.5 °/, cioè sino quasi 1°/, in più. Epstein (1) nell’analisi dell'etere benzilidendiidrocollidindicar- bonico osserva che la sostanza brucia difficilmente; trova un poco più di azoto e meno carbonio; sempre una quantità di idrogeno inferiore a quella calcolata: 6.4 a 6.6 % invece di 7.04 %. Così pure Engelmann nell’ analisi dell’ etere diidroparvolin- dicarbonico (2) trova sempre una minore quantità di carbonio pur conducendo l’analisi, com’egli afferma, con grande cura e lentezza. Lo stesso accade per gli eteri nitrofenildiidrolutidindicarbo- nici e specialmente per l'etere ortonitrodidrolutidindicarbonico (3). C. Beyer(4) osservò che l'etere bdenzoildiidrocollidinmonocar- bonico, come i composti di Hantzsch, brucia male e che solo facendo la combustione con grande lentezza si trova quasi la quantità calcolata di carbonio e idrogeno, ma l’azoto è sempre in più. Nell’analisi che cita trova: trovato calcolato per C'*H?"NO? — _ — _ —— -T,rr N % 5.84 4.69 Non ne dà altra spiegazione che la difficoltà di bruciare. Anche Jaeckle (5) afferma di avere avuto risultati sempre poco soddisfacenti nell’analisi degli eteri n-propil ed essillutidin- idrocarbonici e composti simili. Rob. Schiff e Prosio (6), che analizzarono l’etere diidrolu- tidindicarbonico di Griess e Harrow, ma ottenuto in altro modo, notarono che questo ed altri composti simili dello stesso gruppo bruciano con enorme difficoltà, e spesse volte trovarono 60.2 a 60.4 °% di carbonio invece di 61.66 °/,. Essi non dosarono l’a- zoto e quindi non possiamo dire se ne fornisce in eccesso come trovarono Griess e Harrow. Ma vi ha di più: esaminando le (1) “ Ann. d. Chem. ,, T. 281, pag. 5. (2) “ Ann. d. Chem. ,, T. 231, pag. 37. (3) Lepetit, “ Berichte ,, XX, pag. 1341. (4) “ Berichte ,, 1891, T. XXIV, pag. 1668. (5) “ Ann. d. Chem. ,, T. 246, pag. 34. (6) “ Gaz. Chim. ,, 1895 (II), pag. 72. OSSERVAZIONI SULL'ANALISI ELEMENTARE 605 analisi citate da Rob. Schiff e Prosio si vede che l'idrogeno è quasi sempre in deficienza: 7.30 — 7.32 — 7.44 — 7.42 °/ (su sei analisi) invece di 7.51 °/o. È molto probabile che anche questa sostanza se non si ana- lizza con estrema cautela debba fornire uno o più idrocarburi che sfuggono alla azione comburente dell’ossido di rame. E ciò specialmente se la canna contenente l’ossido di rame non è ben piena e se vi si lascia nella parte superiore un canaletto un po’ grande. Ma altri idroderivati di natura diversa dalla nostra sostanza fusibile 192°—193°.5 e degli eteri idrici di Hantzsch, possono dare risultati analitici sconcordanti. Kerp (1) in una numerosa serie di analisi della isoforo- nossima, C=(CH?)° H?C C=N.0H ide ana 20. CH. CH? trovò sempre da 1 a 1.6 ° in meno di carbonio e circa 3 % di azoto in più; differenza costante che egli non seppe spiegare. Ma di più, se si esaminano i risultati delle analisi di Kerp si vede che egli trovò sempre, in tutte le analisi, 0.4 a 0.5 % di idrogeno in meno. Riportiamo per maggiore chiarezza i risultati delle analisi di Kerp eseguite sull’ isoforonossima : trovato I II INI IV Vv VI VII MI I69:61 (69.01 69.46"69.15 * 69/22""69.18 ‘69138 i 9390 19.30 94190400 944 947-945 Me 12.51 _ — 12.26 12.25 11.73 mentre per C° H!5 NO si calcola: Bai 70009 Ei ts 0180 Nea T5 (1) “ Ann. d. Chem. ,, 1896, T. 290, pag. 141. 606 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE Le differenze sono in serie così regolari che proprio sor- prende come non si sia tentato di cercarne la causa. Nell’ analisi della canforilaminurea C*H!'5NHCONH? egli trovò pure 1° di azoto in più, e invece il carbonio in meno. Anche Knceevenagel (1) analizzando l’isoforonossima trovò 10.43 e 10.51, di azoto invece di 9.15 ° come si calcola per C°H!5 NO. Tissier (2) pure, analizzando l’ossima derivante dall’ isofo- rone C*H!40 trovato negli oli che si ottengono nella prepara- zione del pinacone, ebbe una percentuale di azoto ben superiore a quella calcolata; cioè 10.20 9 invece di 9.15 °/o. Invece Bredt (3) trova per l’ossima dell’isoacetoforone dei numeri concordanti. Ma ancora più curioso è il caso seguente: Ribel (4) analiz- zando l’ossima dell’ isocanfoforone avrebbe trovato sino a 9 % di azoto in più. Noi non abbiamo potuto consultare il lavoro originale del Riibel. Ed è anche veramente strano che si possa discutere sulla isomeria di due sostanze quando una di esse dà 3 °%, e l’altra 9° di N in più del calcolato, senza prima ricercare la vera causa di questa discordanza. I signori Kerp e Miiller (5) dicono infatti: “ E qui non possiamo a meno di rettificare la supposi- zione del signor Riibel, notando che il nostro preparato non può essere una miscela dell’ossima trovata da lui, perchè allora avremmo dovuto trovare 9 °/ di azoto in più e non 3 °%y come abbiam trovato noi ,. In molti altri casi le differenze sono meno pronunciate, ma pure si vede la relazione fra la deficienza del carbonio e del- l'idrogeno e l'eccedenza nell’ azoto. Kerp e Miiller (6) per la diidroisoforilamina C* H!9 N ebbero: (1) “ Ann. d. Chem.,, 1897, T. 297, pag. 190. (2) “ Ann. de Chim. et de Phys. ,, 1898 (6), T. 29, pag. 892. (3) “ Ann. d. Chem. ,, 1897, T. 299, pag. 171. (4) Die Condensation des Acetons mit Alkalien. Inaug. Dissert. Bonn, 1896; lavoro citato nella memoria di Kerr e MiiLLer: Zur Kentniss des Kamphorons, des Isophorons, und des Mesityloxyds, in “ Ann. d. Chem. ,, 1897, T. 299, pag. 220. (5) Loc. cit., pag. 220. (6) “ Ann. d. Chem. ,, 1897, T. 299, pag. 222. OSSERVAZIONI SULL'ANALISI ELEMENTARE 607 trovato calcolato C — 76.28 76.59 H.,g= 13.28 13.48 N = 10.24 9.93 Per il m. nitrobenzilidenisoforone C°H!20 = CH. C6H4NO?: E 69.801 70.85 Hi 6.27 a 6.24 6.27 Ri 5.43 5.17 È interessante rammentare un caso riguardante un derivato levulinico. Nel 1889 e 1892 G. Magnanini (1) per l’azione del- l’ammoniaca sopra l’acido deidrodiacetillevulinico otteneva un composto a cui assegnava la formola C8H!! NO. Egli trovò in varie analisi C= 69.82 — 69.69 e H = 8.36 e 8.04; per l’azoto trovò: 10.99 — 11.11 — 11.47 — 11.01 e 10.96, mentre per la formola C8H!! NO si calcola: I 70.07 8.02 10.21 C H N Egli anche dopo replicate purificazioni della sostanza non riuscì mai ad ottenere una determinazione di azoto più soddi- sfacente. Uno di noi (2) analizzando il ciantrimetilpiperidone aveva (1) “ Atti della R. Accad. d. Lincei ,, 1889 (4), vol. V, 1* serie, p. 558 e ivi (5), vol. I, pag. 254. Analizzando l’iminanidride dell'acido aB' dimetilpir- rolcarbonico ottenne sempre una percentuale di carbonio inferiore al calco- lato. Egli (“ Atti della R. Acc. dei Lincei ,, 1888, vol. IV, 2° sem., pag. 178) non volle indagare la causa della deficienza di carbonio trovato ° poichè sulla natura chimica della sostanza non vi può essere dubbio ,. La spie- gazione di questa deficienza si trova forse in quanto noi abbiamo precedente- mente esposto. (2) I. Guarescni, Nuovo metodo di sintesi dei composti idropiridinici. “ Atti della R. Accad. delle Scienze ,, 1893, vol. XXVIII, adunanza del 5 febbraio. 608 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE DS trovato alcune volte un eccesso di azoto, ma poi si è visto che conducendo l’analisi con molta cura e lentezza si poteva sempre trovare una quantità di azoto corrispondente alla quantità cal- colata, come ottenne anche il signor Biginelli in un campione di quella stessa sostanza. Ricordiamo, come altro esempio, benchè non dei peggiori, le analisi seguenti di Merling eseguite sulla metil-apipecolina C°H! N, per la quale egli stesso afferma di aver trovato sempre il carbonio in meno : calcolato per C'H!N ——_———— &© ig 78.06 73.51 TZAA — 14.34 He 1341 15.47 15.49 — 13.27 N= —- a — 12.89 12.39 Anche Knoevenagel (1) trova nelle sue ricerche sui derivati idrici della serie aromatica spesse volte meno carbonio e meno idrogeno della quantità calcolata. Noi crediamo che questi fatti si siano verificati in molti altri casi. Im un numero grandissimo di analisi di composti biidrogenati e tetraidrogenati, si osserva una deficienza nella percentuale di idrogeno e anche di carbonio e, se sono azotati, specialmente per le ossine e le amine, vi corrisponde un au- mento di azoto. E ciò non solo pe’ derivati idrici della piri- dina o della naftalina, ma anche per gli idrobenzoici, idropir- rolici, idrochinolinici, ece.; benchè le differenze osservate non siano sempre molto notevoli; se si esaminano le analisi, ad esempio, di molti derivati pirrazolici e idropirrazolici si vedrà che mentre ne’ primi il C4+H del derivato primitivo concordano bene e l’idrogeno anzi sia in più, ne’ secondi, cioè ne’ corri- spondenti derivati idropirrazolici il carbonio e l'idrogeno sono spesso in meno e l’azoto in più. Non però in modo così evi- dente come ne’ corpi idropiridinici più sopra citati. Anomalie di questo genere si osservano nelle analisi di molti derivati dell’ossido di mesitile, del fenilacetone, ecc. Quasi tutti gli autori rammentati più sopra spiegano questa (1) © Ann. d. Chem. ,, T. 217, pag. 190 ecc. OSSERVAZIONI SULL'ANALISI ELEMENTARE 609 anomalia della percentuale in più dell’azoto o della deficienza del carbonio e idrogeno, ammettendo che dipenda dalla difficoltà colla quale bruciano queste sostanze. Ma se questa spiegazione può valere, sino ad un certo segno, per il carbonio, non torna punto per l’azoto pel quale anzi quando veramente la sostanza brucia con difficoltà, si hanno risultati inferiori al calcolato ; nè vale per l’idrogeno. Questa difficoltà di combustione si deve ora intendere, ne’ casi citati ed altri analoghi, nel senso che la sostanza si scomponga nel principio della combustione in grande quantità di idrocarburi gasosi, quali il metano e J’etano, e che questi misti all’anidride carbonica ed al vapore d’acqua passano sull’ossido di rame in parte senza bruciare o trasformati in altri gas; si spiega allora facilmente la diminuzione del carbonio e dell'idrogeno, e se la sostanza è azotata si capisce pure il con- temporaneo aumento dell’azoto che si raccoglie nell’azotometro dove passano anche i gas idrocarburati. Da alcuni si è interpretato il fatto dell'aumento dell’azoto ammettendo che fosse aderente alla sostanza analizzata qualche traccia di altra materia azotata; ma allora dove vanno i criterì di purezza che si debbono avere? E sarebbe forse piccola la quantità di sostanza azotata mescolata ad un’altra sostanza azo- tata ignota contenente, ad esempio, 9-10 °/, di N quando l’azoto di questa aumentasse dal 1 al 3 e sino 9 °/)? Le nostre esperienze, se come non dubitiamo saranno confermate in altri casi, rendono inutili tutte le ipotesi di impurezza, ecc. Quando l'eccesso di azoto è dovuto veramente ad impurezza, ad esempio, ad una traccia di ammoniaca, come trovarono Lieben e Haitinger (1) per l'acido ammonchelidonico, colla purificazione si toglie questo inconveniente. Bisognerebbe vedere anche nei casi di combustioni di so- stanze organiche azotate e non azotate quando si trova meno carbonio e meno idrogeno del calcolato, se questa deficienza è propriamente dovuta sempre a difficile combustione nel senso che rimanga del carbone non combusto entro il tubo, oppure se per scomposizione troppo rapida della sostanza e formazione di gas idrocarburati parte di questi sfugga all’ossidazione col Cu0. (1) © Monatsh. f. Chem. ,, 1885, pag. 285. 610 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE Nella prima ipotesi si deve avere deficienza di carbonio, ma quantità normale o superiore di idrogeno, nel secondo caso si avrà contemporaneamente deficienza di carbonio e di idrogeno e produzione di gas combustibili. Forse faremo delle esperienze in proposito, raccogliendo i gas che passano attraverso il tubo a bolle di Liebig. Faremo anche delle esperienze di confronto col cromato di piombo. Si deve notare che gli idrocarburi CH*. C®H* e (0?H5 sono gas stabilissimi; data la possibilità della loro formazione per una reazione regolare ad una determinata temperatura, quale è il caso di derivati hi- e tretraidrogenati, si capisce come in parte possano sfuggire inalterati. Come è noto, Berthelot fa- cendo passare l’etano attraverso una miscela di ossido di rame ed ossido di piombo scaldata al rosso ottenne dell’etilene, mentre l'idrogeno bruciava: C°H5 + CuO = Cu + H?0 +4 C?2H4, Il metano è un gas molto stabile che non è attaccato dal- l’ozono, nè dagli ordinari agenti ossidanti. Basta riflettere che 1cm? di gas etilene pesa gr. 0.00125178 e 1 cm? di etano pesa gr. 0.0012413 ed infine che 1 cm? di me- tano pesa solamente gr. 0.0007153 e come quindi se passano nell’azotometro anche solamente pochi centimetri cubi di questi gas, e specialmente di metano, si debba avere un grande au- mento dell’azoto e una diminuzione sì, ma relativamente minore, nel carbonio e nell’ idrogeno. Queste osservazioni ci sembrano molto importanti e noi avremmo molto piacere che qualcuno dei chimici da noi citati volesse ripetere sulle sostanze già analizzate qualche altra ana- lisi per vedere se i risultati concordano colle esperienze da noi fatte e se conducendo la combustione con estrema accuratezza si riesce ad avere sempre risultati esatti, come noi abbiamo ot- tenuto colle lamine fusibili 192°—193°.5 e coll’etere diidrodi- carbocollidinico. Questa forse è stata una delle cause per cui già da molti anni alcuni chimici diedero formole erronee per composti ben definiti. Non pochi chimici sono stati alle volte incerti nello NI = OSSERVAZIONI SULL'ANALISI ELEMENTARE 611 stabilire con sicurezza una formola piuttostochè un’altra, pel fatto che il carbonio e l'idrogeno non concordavano bene nè coll’una nè coll’altra formola; forse questi chimici ritornando ora sui loro lavori, potranno trovare la causa delle sconcor- danze osservate. Se in alcuni dei casi da noi sopra ricordati la composizione della sostanza studiata non fosse conosciuta, diremmo quasi, 4 priori, e per altri criterî, si potrebbe coscienziosamente dalle numerose analisi elementari eseguite, e così poco concordanti, dedurre la composizione centesimale esatta ? Da tutto ciò si può concludere: 1° In molti casi di analisi di composti organici azotati si nota nel principio della combustione lo sviluppo di idrocar- buri gasosi i quali passano nell’azotometro insieme all’azoto (la miscela è combustibile) e sono causa di aumento nella per- centuale dell’azoto e, per conseguenza, di diminuzione nel car- bonio e nell’idrogeno, quando si determinano questi due elementi. Questa è pure molto probabilmente la causa per cui anche nell’analisi di molti composti idrici non azotati si trova percen- tuale di carbonio e di idrogeno inferiore a quella calcolata. 2° Questi gas sono idrocarburi saturi (metano ed etano) oppure etilenici (etilene), e in altri casi propano e propilene, che bruciano difficilmente; bisogna quindi condurre la combu- stione con estrema lentezza e far in modo che sia molto scaldato l’ossido di rame per un lungo tratto e che lo sviluppo dell'azoto sia lento e sempre regolare. 8° Per l’azione del calore (a 320°) sulla dicianmetilidro- etilglutaconimide o metildicianidroetildiossipiridina si ottiene del gas etano e per l’azione del calore (sopra 340°) sull’etere diidro- collidindicarbonico di Hantzsch si forma una miscela di metano (circa 63 °/ del volume del gas ottenuto) e di etilene (circa 37 °/o). Ciò che prova sempre più l'analogia fra i derivati bicianici ottenuti dai chetoni e dalle aldeidi coll’etere cianacetico e gli eterii biidrici avuti nella reazione di Hantzsch. 4° Sarà utile, anzi necessario, specialmente quando si analizzano sostanze di cui non si può con sicurezza conoscere la costituzione, di esaminare sempre il gas azoto che si raccoglie nell’azotometro. Vedremo in seguito se sia il caso di proporre l’uso di un 612 DANIELE ROSA azotometro Schiff modificato in maniera che permetta dopo mescolato il gas azoto con dell’ ossigeno di farvi passare la scintilla. Noi saremo ben fortunati se con queste nostre osservazioni avremo contribuito non solamente a spiegare delle strane ano- male sino ad ora rimaste senza soddisfacente spiegazione, ma se avremo impedito che altri simili risultati erronei nelle ana- lisi dei corpi organici si ottengano per l’avvenire. Torino. R. Università. Laboratorio di Chimica farmaceutica e tossicologica, 16 aprile 1898. I pretesi rapporti genetici tra i linfociti ed il cloragogeno; Nota del Dott. DANIELE ROSA. Introduzione. Fu ripetutamente affermato che fra i linfociti e le cellule del cosidetto cloragogeno (1) degli Annellidi intercedano dei rapporti genetici, nel senso che non si tratti qui che di due stadii successivi di uno stesso elemento. Questa successione venne però intesa in due modi opposti, ammettendo gli uni che i linfociti derivassero dalle cellule clo- ragoghe mentre gli altri ammettevano che queste ultime non fossero che modificazioni di linfociti fissatisi sopra le pareti dei vasi sanguigni. (1) Intendo il cloragogeno nel senso solito cioè in quello di Claparède e non in quello, inaccettabile nella sua estensione, nel quale l’ha inteso recentemente il Schaeppi (16). PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 613 Della prima di queste due teorie mi sono già occupato nella mia memoria sui linfociti degli Oligocheti (15, pag. 175); in essa ho preso in esame un recente lavoro del Cuénot (8), in cui quella tesi, già enunciata da Ray Lankester (14) e da altri, era per la prima volta ampiamente esposta ed ho mostrato che i nuovi fatti da me osservati non permettevano di sostenerla più oltre. Infatti io avevo potuto dimostrare che quelle, che il Cuénot aveva creduto essere cellule cloragoghe libere nel celoma e in via ‘di trasformarsi in amebociti, erano invece speciali cellule linfatiche fino allora non descritte e che io ho chiamato eleo- citi; sono grandi cellule non ameboidi a plasma semifluido, aventi presso alla superficie uno strato di globuli gialli oleosi facilmente solubili in alcool assoluto, etere ecc. Ultimamente il Cuénot pubblicò un nuovo lavoro in cui mentre conferma le mie osservazioni sugli eleociti e mucociti abbandona egli stesso la sua tesi. Cfr. Cuénot (4) pag. 81 e seguenti. Anche l’Hescheler (8, pag. 538) parlando di questa opinione del Cuénot dice: Diese Meinung kann heute, wenigstens soweit sie die Regenwiirmer betrifft, durch die Untersuchungen von Rosa und Schneider als widerlegt gelten. Se però quella prima opinione si può omai considerare come confutata, non si può dire così di quell’altra che sostiene, in- versamente, l'origine delle cellule cloragoghe da linfociti. È ap- punto di questa seconda tesi che intendo occuparmi nel pre- sente lavoro. Questa tesi fu sostenuta per la prima volta (nel 1885) dal Kiikenthal che ne fece argomento principale di un lavoro ancor oggi molto citato (11). In esso egli riferisce aver direttamente osservato negli oligocheti ed anche (meno completamente) nei policheti che le cellule cloragoghe sono linfociti che «i son fis- sati sui vasi sanguigni e si sono caricati di granuli d’escrezione provenienti dal sangue. I dati del Kiikenthal vennero accettati da molti e valenti autori. Così l’Eisig nella sua Monografia dei Capitellidi dice a pagg. 689-690: Von hervorragender Bedeutung ist sodann der durch Kiikenthal gelieferte Nachweis dass die sogenannten Chloragogen- zellen der Oligochaeten excretorisch wirksame Lymphkòrperchen 614 DANIELE ROSA darstellen, e più oltre (pag. 755): Es geniige duher hier daran cu erinnern, wie insbesondere durch Kiikenthals Nachweise ent- schieden wiirde, dass die betreffenden Gebilde urspriinglich Lymph- kòrper darstellen, svelche sich an die Blutgefiisswandungen anheften und durch Aufnahme gelbbrauner, excretorischer Kéòrperchen zu sogenannten Chloragogenzellen werden ..... Così ancora A. Graf nel 1894 (7, pag. 179) riassume ac- cettandoli interamente i dati del Kiikenthal e li estende agli irudinei concludendo: Ich glaude auch dass die Chloragogenzellen der Nephelis Lymphzellen sind. Anche il Vejdovsky nelle sue Entwickelungsgeschichtliche Un- tersuchungen (1888-92) accetta le conclusioni del Kiikenthal per ciò che riguarda le cloragoghe dell’adulto, mostrando però che le prime cellule cloragoghe non sono che un peritoneo modi- ficato: nach dem Loslòsen der mit Exkretionskòrnchen vollstindig erfiillten Chloragozenzellen (cioè delle cellule cloragoghe primi- tive) werden die leteteren durch “ frische , Wanderzellen ersetet, die sich an die Gefisswandungen des Magendarmes mittels der pseudopodienartigen Fortscitze ankleben und durch Aufnahme der Excretionsproducte aus der Blutfliissigkeit cu Chloragogenzellen werden (l. c., pag. 323). Per vero molti autori seguitano a chiamare semplicemente peritoneo lo strato delle cellule cloragoghe, mostrando così di non avere in proposito, conoscendole o no, le stesse opinioni del Kiikenthal, ma nessuno ha mai confutato la sua teoria che pure egli ci presenta come espressione di fatti realmente os- servati. Ora la teoria dell’ origine delle cellule cloragoghe (anche solo di quelle dell’adulto) da linfociti mi era parsa poco d’ac- cordo con fatti che io avevo potuto osservare ed ho creduto che fosse bene ripetere le osservazioni del Kiikenthal per ve- dere se per avventura esse non fossero in parte inesatte o non rettamente interpretate. Il presente lavoro contiene il risultato di questo esame critico dal quale mi pare sia chiaramente emerso che anche colle restrizioni introdottevi dal Vejdovsky la teoria dell'origine delle cloragoghe da linfociti non si possa conservare. Come oggetto principale di studio ho preso anch'io il T'u- bifrr rivulorum perchè così mi era più facile vedere da quali ; ° i ‘ PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 615 apparenze il Kiikenthal fosse stato condotto alle sue conclu- sioni. Naturalmente non ho ristretto il mio lavoro al punto pre- ciso in discussione ma ho preso in esame tutto il ciclo evolu- tivo dei linfociti quale ci è descritto dal Kikenthal, dalla loro formazione sino al momento della loro pretesa trasformazione in cellule cloragoghe. Descrizione dei linfociti del Tubifex. Pel quesito che ci occupa ha, come vedremo, una certa importanza lo stabilire quale sia la forma normale dei linfociti del Tubifex, cioè quella che essi presentano nell’animale stesso quando esso si trovi in condizioni fisiologiche. Questa forma non è ancora stata descritta da alcuno e sfuggì oltre che al Mac Intosh (12) e al D’Udekem (20) anche allo stesso Kiikenthal malgrado che precisamente questi linfociti egli facesse oggetto del suo lavoro. I linfociti del Tubifex corrispondono a quelli che nei lum- bricidi io ho chiamato amebociti veri e in parte forse a quelli che ho chiamato colà linfociti vacuolari; forme corrispondenti agli eleociti e mucociti dei lumbricidi qui mancano affatto. La forma normale degli amebociti si può vedere per tras- parenza sul vivo osservando però speciali precauzioni. Anzitutto bisogna non prolungare troppo l'osservazione perchè una com- pressione continuata finisce, come vedremo, per alterare i lin- fociti nel corpo stesso dell’ animale ancora vivente; bisogna ancora evitare di narcotizzare (detauden) i vermi con alcool allungatissimo o con altri mezzi e persino di conservare troppo tempo i Tubdifex in acqua limpida perchè in essa i linfociti pi- gliano dopo poche ore una forma tondeggiante e vanno poi alterandosi sempre più, mentre i 7'udifer stessi dopo pochi giorni vi muoiono. Osservando per trasparenza a debole ingrandimento (p. es. coll’obb. C, oc. 2 di Zeiss) un Tudifex vivo moderatamente com- presso, preferibilmente un esemplare giovane, i suoi linfociti cl si presentano in massima parte come tenui corpuscoli irre- golarissimi ed estremamente trasparenti che rendon figura come 616 DANIELE ROSA di lievissimi fiocchi di neve vaganti passivamente pel liquido celomico e trapassanti da un segmento ali’ altro per le inter- ruzioni dei dissepimenti. Osservati con più forte ingrandimento questi linfociti ci offrono dapprima l’aspetto di una piccola matassa formata da un filo brillantissimo lassamente ingarbugliato. Quando però si esamini più attentamente, si comprende che quell’apparenza di filo è data solo dagli orli e dalle linee di ripiegatura di sotti- lissime membrane variamente increspate; inoltre al centro di ciascun linfocito si intravede il nucleo. Per acquistare un'intera certezza riguardo alla forma di questi elementi bisogna però ricorrere alla fissazione in ani- dride iperosmica. Quest’operazione è qui molto più difficile che pei lombrichi poichè i Tubifex non hanno pori dorsali. Di tanti metodi che ho tentato per ottenere i linfociti del Tubifex ben fissati fuori del corpo dell’animale, l’unico che mi abbia dato buoni risultati è il seguente: si colloca un 7'udifex (ben intero) quasi senz'acqua su un coprioggetti e capovolgendo questo su un portaoggetti sul quale siasi collocata una goccia di anidride iperosmica al 2 °% si esercita una rapida compres- sione. Se si procede molto rapidamente, le pareti del corpo del verme, prima di aver avuto tempo di essere indurite dal rea- gente, scoppiano in qualche punto, ed il liquido celomico schizza fuori portando direttamente i linfociti liberi nel fissativo. È indispensabile che il Tudifex adoperato sia ben intero perchè in caso contrario esso invece di scoppiare sì schiaccia semplicemente e il preparato non riesce. È utile servirsi di un esemplare giovane per non avere il preparato troppo ingombro di prodotti sessuali; i migliori risultati si hanno però coi grandi individui che hanno già deposto le uova. Altri metodi mi han dato risultati mediocri che possono però servire come controllo. Si può p. es. fissare con anidride iperosmica un giovane 7'udifex già compresso ed osservare per trasparenza; anche allora i linfociti rimangono, almeno in parte, ben fissati, ma in breve le pareti somatiche si oscurano e di- ventano opache. Se si è proceduto col primo metodo si possono osservare i linfociti nella stessa anidride iperosmica conservando il preparato da un giorno all’ altro in camera umida; il lento oscuramento che essi subiscono facilita anzi la loro osservazione. PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 617 Si possono anche colorare alquanto i linfociti aggiungendo qualche leggera soluzione di un colorante che non precipiti nel reagente, p. es. violetto di genziana o verde metile. In tali preparati oltre ai linfociti cercati noi troviamo na- turalmente molti altri elementi, cioè cellule cloragoghe, cellule vescicolari dei nefridii, prodotti sessuali e quasi sempre paras- siti diversi, sopratutto sporozoi. Fra questi corpi si riconoscono però facilmente quelle curiose forme di linfociti, cioè quei veri amebociti, che già all'esame per trasparenza erano visibili. Queste forme, molto differenti anch'esse dalle solite figure _ di amebociti che corrono i trattati, ricordano quelle che ho descritto per gli amebociti veri dei lombrichi, però con una differenza notevole: nei lombrichi gli amebociti veri erano in massima parte corpi sferoidi con un ciuffo di grandi pseudopodii in forma di sottili lamine petaliformi variamente increspate (cfr. Rosa, 15, fig. 13, 14), nel Tudifex invece tutto il corpo dell’amebocito è quasi ridotto ad una lamina moltiplicemente increspata e variamente lobata o laciniata della quale non son Fig. 1. — Forma normale degli amebociti del Tubifex. Ob. E, Zeiss, oc. 3. facilmente visibili che i margini brillanti come fili di vetro, e il nucleo contenuto in un leggero inspessimento centrale (vedi fig. 1). Il diametro complessivo di questi amebociti nel vivo è # di 618 DANIELE ROSA in media di circa 20 u, grandezza di poco inferiore a quella degli amebociti dei lombrichi; nei preparati in acido osmico mi sì mostrarono un po’ più distesi e perciò con diametri maggiori. Il nucleo generalmente ovale appiattito ha un diametro mas- simo di 8-10 u, in esso sono evidenti uno o due nucleoli. Questi amebociti sono in massima parte limpidi, talora in- vece hanno aspetto nebuloso o granuloso dovuto a granuli bril- lanti incolori a contorni poco marcati e in genere più piccoli del nucleolo. In varii casi l'aspetto è anche reticolato; quest’a- spetto, che spesso è dovuto solo alle pieghe od inerespature, talora deriva anche da una vera struttura a maglie o vacuoli che però negli amebociti espansi non si può mettere in certa evidenza. Tale è nei suoi tratti principali l’ aspetto degli amebociti del Tudifex in stato espanso. Quanto ai loro movimenti essi sono quasi nulli: ho spesso tenuto in osservazione per almeno mezz'ora qualche amebocito confinato in qualche interstizio donde le correnti del liquido ce- lomico non lo potevano allontanare e non ho notato alcun cam- biamento nella forma delle sue singole espansioni. Esse possono solo in date circostanze raccogliersi tutte strettamente insieme o anche sparire affatto come vedremo più oltre. Mi permetto di insistere un momento su questo fatto perchè si parla sempre del vivo movimento degli amebociti. Anche p. es. nell’ottimo Lehrbuch der Zoologie di R. Hertwig (1895) vedo scritto (pag. 73): Am wverbreitesten sind bei wirbellosen Thieren die Leukocyten, welche sich durch lebhafte amiboide Be- weglichkeit auszeichnen. Questi movimenti vivaci non si com- piono in condizioni normali nell’animale mentre appaiono subito negli amebociti osservati fuori del corpo dell'animale sia in un cosidetto liquido fisiologico sia nella loro propria linfa. Il fatto del resto fu già altre volte notato; p. es. già il Claparède (confermato recentemente dal Schaeppi (16) faceva osservare che nell’Ophelia radiata gli amebociti hanno una grande rassomiglianza con delle Actinophrys in causa dei loro lunghi pseudopodii raggianti ma che però in questi non si notava alcun movimento. Oltre ai linfociti con pseudopodii espansi si vedono nel Tubifer tanto nei preparati come nel vivo dei linfociti senza PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 619 ‘espansioni; essi sono sopratutto abbondanti nei segmenti poste- riori del corpo. Questi si presentano come corpi sferoidali più o meno ir- regolari; per alcuni di essi è evidente che si tratta solo di amebociti tipici con pseudopodii retratti, per altri invece è dubbio che possano ancora mettere membrane pseudopodiali un po’ estese. Appartengono a quest’ultima categoria certi linfociti che hanno grandi alveoli poligonali per reciproca pressione che mon si possono ritrovare con sicurezza negli amebociti espansi. Fra i linfociti vacuolari e quelli d’apparenza omogenea c’è però un passaggio gradatissimo. Il diametro di questi linfociti senza pseudopodii varia tra 10 e 20 u, senza che vi sia tra la dimen- sione e la. struttura un rapporto costante, sebbene in generale le dimensioni dei linfociti alveolari siano fra le maggiori. I linfociti del 7udifex ci presentano invece forme anormali, patologiche se invece di studiarli coi metodi sovraccennati li trattiamo coi metodi usati dal Kiikenthal, il quale, come tutti facevano al suo tempo, esaminava sia direttamente sia coll’ag- giunta di una soluzione cosidetta fisiologica di cloruro di sodio il liquido (linfa mista a sangue) che si ricava da Tubifer ta- gliuzzati. Fra le molte cellule che allora si vedono e che il Kiikenthal (1. c., pag. 321) chiama tutte Lymphzellen, ma che realmente sono in parte cellule cloragoghe e parte cellule vescicolose dei nefridii, vi sono pure naturalmente molti linfociti veri, ma nes- suno di questi presenta più le espansioni membranose sopra- descritte.. Le forme che nascono allora sono forme cosidette di dif- fluenza affatto simili a quelle che ho descritto altrove (Rosa, 15, pag. 166) pei lombrichi e che, come aveva già mostrato il Cat- taneo (2), si ripresentano quasi identiche in tutti i linfociti osservati in quelle condizioni anormali, a qualunque animale essi appartengano e per quanto diverse fossero le forme che essi presentavano nelle singole specie nella linfa o nel sangue cir- colante. Non ritornerò qui su questi fenomeni, ricorderò solo che i più caratteristici fra essi sono prima il ritiro delle membrane o dei pseudopodii, poi l'emissione di lunghi zaffi ialini acuti, de- scritti a torto come pseudopodii normali. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII, 48 620 - DANIELE ROSA Dirò più tardi delle alterazioni di questo genere che si possono presentare in casi speciali nei linfociti osservati nel corpo stesso del Tudifex; ciò ha diretto rapporto con quanto dice il Kiikenthal di cellule linfatiche fissantisi sulle pareti dei vasi per cambiarsi in cellule cloragoghe. Non ho fatto un esame più minuto della struttura dei lin- fociti del 7ubifex poichè essi non promettevano nulla di note- vole, mentre il loro studio in quest’oligocheto presenta speciali difficoltà tecniche. Origine dei linfociti del Tubifex. Descritta la forma normale (finora ignota) dei linfociti del _ Tubifex, incominciamo ora ad esaminare quanto vi sia di vero nella esposizione del ciclo evolutivo di questi elementi quale ci è data dal Kiikenthal e che includerebbe, secondo quest’au- tore, la trasformazione dei linfociti in cellule cloragoghe. Riguardo all’origine dei linfociti il Kiikenthal afferma aver visto prodursi tali elementi da cellule che rivestono il vaso ventrale ed altri vasi. Tale affermazione merita di arrestarci perchè appunto sul- l’origine dei linfociti negli oligocheti sappiamo ben poco. Veramente secondo le osservazioni del Veidovsky (22, p. 321) la questione sembrerebbe quasi risolta: egli dice infatti (1. c.) Ueber die Herkunft der Mehrzahl der Wanderzellen in die Lei- beshhòhle gehen die Ansichten auseinander. Nach meinen jetzigen Erfahrungen bilden sich die Wanderzellen zuerst aus den Ele- menten der Peritonealhiille, die sowohl die Muskelschicht des Lei- besschlauches als der Dissepimente bedeckt. Zu dieser Zeit sind die Blutgefisse noch nicht vorhanden ..... Tuttavia da queste osservazioni del Vejdovsky non sono senz'altro confutate le asserzioni del Kiikenthal, poichè è pos- sibile che oltre a quella formazione embrionale di linfociti per- sista in qualche punto una formazione di tali elementi anche nell’adulto. Veramente a questo proposito il Cuénot, che prima (8) sosteneva l’ origine degli amebociti dalle cellule cloragogene (opinione già combattuta nel mio precedente lavoro), afferma PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 621 ora (4, pag. 83 e 113), senza però prendere in esame i dati del Kiikenthal, che non vi è negli oligocheti alcun “ organo glo- buligeno , e che tutti gli amebociti derivano per divisione prima mitotica, poi amitotica gli uni dagli altri (alla prima ori- gine di essi non è fatto alcun accenno). Di fronte a questi dati del Cuénot stanno però le osser- vazioni di Guido Schneider. Lo Schneider (17) trova in tutti gli oligocheti (terricoli) da lui studiati delle Lymphdriisen come quelle già descritte in molti animali dal suo maestro Kovalevsky. Esse sarebbero non solo organi fagocitarii ma anche organi capaci di produrre linfociti; anzi (1. c., pag. 376) egli si domanda ..... ob das ganze Peritonealepithel, der Regenwiirmer als Lymphdriise fungirt indem es Phagocytose zeigt und Leu- cocyten entstehen lisst..... e senza affermarlo trova la cosa verosimile. Più riservato si mostra però lo Schneider nella con- elusione del suo lavoro (pag. 388); in questa egli chiama le Lymphdriisen solo lymphdriisenartige Organe e dice di questi Die in ihnen phagocytir thitigen Zellen entsprechen im Bau den Peritonealzellen einerseits und andererseits den Leukocyten, welche vielleicht in diesen Organen entstehen und gelegentlich in sie 2u- rickkehren. In un recentissimo lavoro (1898) l’ Hescheler (8) propende pure a credere che nei lombrichi adulti si producano linfociti da certe regioni proliferanti del peritoneo, come del resto era già stato supposto o affermato da altri, p. es. da Claparède e da D'Arcy Power, ma conclude pure (1. c., pag. 531)... wir ewollen in der Frage keinen sicheren Entscheid treffen, dazu mangeln uns auch, genauere Untersuchungen. Allo stato presente delle nostre cognizioni noi non pos- siamo dunque negare o affermare l’ esistenza negli oligocheti adulti di organi produttori di linfociti. Non è dunque senza interesse esaminare quanto il Kiikenthal dice di avere realmente osservato a questo riguardo nel Tudifer, tanto più che tale os- servazione è ancor tenuta come esatta da autori recentissimi come p. es. dall’Hescheler stesso (1. c., p. 530) che dice appunto che il Kiikenthal dimostrò (nachwies) 1° origine dei linfociti del Tubifex da cellule rivestenti il vaso ventrale ed altri vasi. Anzitutto è da notare che fra le cellule che si cambiereb- bero poi in linfociti quelle che secondo il Kiikenthal stanno sul 622 DANIELE ROSA vaso ventrale in realtà non hanno relazione con quest’ organo. Ciò era già stato osservato dal Vejdovsky (22, pag. 323) che dice giustamente: dei keinem Oligochaeten findet man den aus grossen Zellen bestehenden Belag auf dem Bauchgefisse, wie es Kiikenthal gesehen haben will. Nach dem genannten Forscher entstehen die lymphoiden Zellen “ im vorderen Theile des Kéòrpers aus Zellen, welche dem Bauchgefisse und dessen Verzweigungen aufsitzen ,. Hier kann nur Beobachtungsfehler vorliegen. Sebbene anche recentissimamente (1897) il Cuénot (4, pag. 80) parli anch'esso di grandi cellule autour du vaisseuv ventral du Tubifex, notando però che altrove esse si trovano presque toujours autour des. nephridies, tuttavia io posso affer- mare col Vejdovsky che tali cellule attorno al vaso ventrale del T'ubifex non esistono. Il Vejdovsky suppone che le cellule viste dal Kiikenthal fossero ammassi di linfociti “ coagulati , sotto la pressione del vetrino; in ciò però non si appone al vero. Infatti le cellule in questione sono certamente le grandi cellule vescicolose che rivestono parte dei nefridii, quelle stesse che il Vejdovsky chiama Peritonealdriisen der Nephridien (vedi Vejdovsky, 21, tav. IX, fig. 1 rappresentante il nefridio di un Psammoryetes, forma vicina al Tubdifex) e la cui connessione coi nefridii era già stata vista nel Tudifex dal Leydig fin dal 1851(Z. f. w. Zi; Bag UE rtaf:5 DE: 9) Infatti il Kilkenthal stesso in qualche punto si mostra dub- _ bioso se queste cellule non appartengano invece ai nefridii; egli dice infatti (p. 327) Die Frage ob sie dem Bauchgeftisse ob den Schleifenkaniilen aufsitzen, liisst sich schwer entscheiden, bald scheinen sie mehr dem Verlaufe des Schleifenkanales zu folgen, bald sieht man sie uneweifelhaft direkt dem Bauchgeftiss aufsitzen... V’ha di più: nella 2* parte del suo lavoro il Kiikenthal scrive addirittura (pag. 360): Die lymphoiden Zellen der Polychaeten stammen von Mutterzellen ab, welche die zu den Segmentalorganen gehenden Bluigefisse umgeben. Dasselbe ist, wie dargethan, auch bei den Oligochaeten der Fall. Per vero negli oligocheti limicoli (e perciò anche nel Tubdifex) nessun vaso sanguigno va ad ir- rigare i nefridii, ciò non succede che nei terricoli; ad ogni modo il Kiikenthal stesso sembra ammettere qui in ultimo che PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 623 le cellule madri dei linfociti anche negli oligocheti abbiano re- lazione coi nefridii. Del resto dalla fig. 9, tav. XI del Kiikenthal si vede che le cellule supposte madri dei linfociti e che egli designa con bg sono precisamente le grandi cellule peritoneali dei nefridii del Tubifex. Sul fatto che queste ultime appartengano realmente ai nefridii non si può più presentemente avere dubbio da al- cuno ed è facile accertarsi della realtà di esso con sezioni o dissezioni; solo l'esame per trasparenza può indurre in errore. Le cellule madri di parte dei linfociti sarebbero dunque le cellule vescicolose dei nefridii, cellule che, come è noto, si ritrovano più o meno sviluppate in moltissimi altri oligocheti. Infatti il Kiikenthal racconta (p. 327) di aver visto di tali cellule presentare un restringimento trasversale e poi dividersi in due di cui una diventava libera e si cambiava in linfocito, e conclude: Durch diesen direkten Beobachtungen glaube ich nach- gewiesen zu haben, dass ein Theil der lymphoiden Zellen von diesen das Bauchgefiiss (leggi: die Nephridien) umgebenden Bindegewebs- zellen abstammt. Malgrado i particolari con cui il Kilkenthal descrive questa sua osservazione io la devo ritenere tanto inesatta come quel- l’altra che le cellule di cui si parla appartengano al vaso ven- trale. Per mio conto nelle mie osservazioni tante volte ripetute non ho mai visto prodursi un fenomeno simile. Inoltre, sebbene i nuclei di tali trasparentissime cellule siano facilmente visibili anche nel vivo, non ho mai vista una di esse che non fosse munita di un nucleo ovale o circolare. Anche nelle sezioni non ho mai visto in tali cellule traccia di divisione diretta o indiretta. Si avrebbe certamente torto dando troppa importanza a queste osservazioni negative ma non si potrebbe negare un'im- portanza decisiva al fatto che i caratteri delle cellule vescico- lose dei nefridii sono affatto diversi da quelli dei linfociti. Infatti non solo tali cellule osservate per trasparenza nel vivo si mostrano sempre ovoidi o leggermente piriformi, liscie come un acino d’uva e senza la minima traccia di aspetto ame- boide, ma anche fatte fuoruscire dal corpo ed osservate nella linfa stessa del Tudifex o in una soluzione fisiologica di cloruro 624 DANIELE ROSA di sodio si vedono comportarsi affatto diversamente dagli ame- bociti. Come è noto le cellule ameboidi poste in simili condizioni cominciano subito a manifestare il cosidetto moto ameboide emettendo i cosidetti pseudopodii di diffluenza in forma di zaffi ialini acuti. Questo fenomeno si nota persino in linfociti che normalmente (nel vivo) non hanno pseudopodii, come è il caso di quegli elementi che nei lumbricidi ho chiamato linfociti va- cuolari.. Nulla di ciò si osserva nelle cellule vescicolose dei nefridii poste in quella condizione; esse rimangono inalterate o, al più, se il mezzo in cui si trovano è meno denso, si rigonfiano alquanto. Sembra impossibile ammettere che il solo fatto della scis- sione possa dare alla cellula che si staccherebbe dalla cellula madre le proprietà di un amebocito. Come è diverso il modo di comportarsi delle cellule vesci- colose dei nefridii, così pure è diversa la loro struttura da quella dei linfociti. Anzitutto le cellule vescicolose dei nefridii hanno una vera membrana che manca agli amebociti. Tale membrana è perfet- tamente visibile con un doppio contorno nelle sezioni. Il nucleo di tali cellule è sempre proporzionatamente molto più piccolo che nei linfociti. Infatti mentre il diametro di esse (non rigon- fiate dall'acqua) va sino a 30 pu. (dimensione mai raggiunta dai linfociti del T'udifex che, ridotti a forma sferoidale, raggiungono al massimo un diametro di 20 u.), il loro nucleo non misura oltre 6 u. Lo stesso corpo della cellula presenta caratteri mor- fologici affatto diversi da quello dei linfociti. Esso è in massima parte liquido, come era già stato notato dal Nasse (13, pag. 11) che dice: der Inhalt der Zellen besteht aus einer homogenen Fliiss- igheit mit zahlreichen Koirnchen von verschiedener Grosse. Der- selbe fliesst leicht aus beim Zerzupfen sodass nur die feinere dius- sere Zellhaut iibrig bleibt. La materia più solida granulosa, la sola colorabile, si trova nelle sezioni accumulata presso al nu- cleo e da essa partono esili trabecole che attraversano for- mando maglie poco evidenti il resto della cellula. A questi punti si sono limitate le mie osservazioni sulle cellule vescicolari dei nefridii poichè un più minuto esame sa- rebbe uscito fuori dal nostro campo; quanto ho sin qui detto RN o. PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 625 su di esse mi pare più che sufficiente per escludere affatto la possibilità di considerarle col Kiikenthal come cellule madri di linfociti; i miei principali argomenti sono 1° il fatto che tali cellule non presentano fenomeni di moto ameboide anche se messe in condizioni in cui gli amebociti li presentano sempre; 2° la presenza di una membrana cellulare evidente; 3° la grande abbondanza di contenuto liquido che non è carattere certo di cellula giovanile. Solo una parte delle cellule linfatiche deriverebbe secondo il Kiikenthal dalle cellule delle quali sin qui si è parlato, un’altra parte di esse avrebbe diversa origine. Occupiamoci ancora di queste ultime. Una parte dei linfociti del 7udifex si produrrebbe, secondo il Kiikenthal (1. c., pag. 328) dalla parete del corpo e precisa- mente nella cavità di certi solchi che son prodotti dal divari- carsi dei muscoli longitudinali. Di questi solchi ne esisterebbe uno sul dorso e due sui lati, incominciando dal 5° segmento per andare sino all’estre- mità posteriore del corpo. Nei solchi laterali scorrono vasi provenienti dal vaso ven- trale; un vaso si troverebbe anche nel solco dorsale mediano. Il fondo di questi solchi sarebbe occupato da una serie di cellule che propriamente sarebbero fisse sulle pareti dei vasi scorrenti in essi; queste cellule, tondeggianti nella parte ante- riore del corpo e sempre più irregolari nella posteriore finireb- bero per diventare ameboidi e staccarsi dal loro substrato per vagare nel celoma (l. c., pag. 328 e 329). Tali i dati del Kiikenthal; ai quali sono costretto ad op- porre: 1° che i solchi laterali colle relative serie di cellule sono le Seitenlinien di Semper le cui cellule l’Hesse ha recen- temente dimostrato non essere altro (negli oligocheti) che la porzione centrale nucleata delle fibre muscolari circolari. 2° che il solco dorsale colla sua serie di cellule e il vaso relativo non esiste. Cominciamo ad occuparci delle serie laterali di queste pre- tese cellule-madri di linfociti. I solchi laterali sovraccennati esi- stono realmente, essi scorrono a uguale distanza fra le setole ventrali e le dorsali ed hanno l’estensione assegnata loro dal Kiikenthal; è pur vero che le serie di corpi cellulari, che in essi cai : 626 DANIELE ROSA si trovano, sembrano a primo aspetto Lila alle pareti dei vasi che scorrono nei solchi. Questi vasi sono le anse parietali che collegano il vaso ventrale al dorsale, tali anse sono molto lunghe e scorrono per gran tratto in fondo ai solchi stessi. Ora se si osservano, anche semplicemente per trasparenza, dei Tubifer ben distesi (come si possono ottenere addormentan-. doli con alcool aggiunto goccia a goccia all'acqua) è facile ve- dere che alle estremità di ciascun segmento, dove l’ansa san- guigna ha già lasciato le pareti del corpo, rimane un tratto abbastanza lungo in cui la serie di cellule descritta dal Ki- kenthal continua regolarmente mostrando così di essere affatto indipendente dai vasi. Questa indipendenza si vede anche nelle sezioni come pure con dilacerazioni, nelle quali ultime si constata sempre l’ade- renza di quegli elementi non ai vasi ma bensì ai muscoli. Già su questo primo punto dunque i dati del Kiikenthal non sono esatti; non si può affatto dire con lui (l. c., pag. 330) che die Zellen der Geftisswand direct aufsitzen. Mettendo questo punto con quello già trattato sulla pre- tesa origine di linfociti dal vaso ventrale dobbiamo anzi impu- gnare tutta quanta la proposizione che vien poco dopo (ibid.): Er diirfte deshalb die Behauptung wohl gerechtfertig sein, dass die Bildungsstiitte der lymphoiden Zellen an dem Bauchgefiss und den davon ausgehenden Geféissschlingen zu suchen ist. Tuttavia se i linfociti non si producono sulle anse parie- tali, potrebbe pur esser vero che essi nascano dalle pareti dei solchi laterali in cui scorrono quelle anse, da quelle stesse serie di cellule cui accenna il Kiikenthal. Diciamolo subito, anche così modificata la tesi del Kiiken- thal non si può sostenere. Anzitutto non si può ammettere un istante che i solchi laterali colle relative serie di cellule cui accenna il nostro au- tore siano qualche cosa di diverso dalle Seitenlinien di Semper. Queste linee laterali, the ebbero un momento di celebrità ai tempi dell’omai defunta teoria di Semper e Dohrn sull’ori- gine dei vertebrati dagli anellidi, erano state negli oligocheti descritte la prima volta dal Semper stesso nel 1876 in un la- voro molto noto (18) al quale però il Kiikenthal non fa alcun 3 av PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 627 accenno: parimenti gli è sfuggita la descrizione della linea laterale del Phreoryetes data dal Timm (19) il cui lavoro è tuttavia da lui citato. Dopo la pubblicazione del lavoro del Kiikenthal queste Seà- tenlinien degli oligocheti furono ancora ripetutamente descritte. Si veda sopratutto quanto fu scritto a questo proposito dal Vejdovsky (21, pag. 93) e dall’Hesse (9 e 10). Non perderò parole a dimostrare l’identità delle Seitenlinien colle striscie cellulari dei solchi laterali di Kiikenthal. Tale iden- tità è troppo evidente; basta p. es. confrontare la descrizione e le figure del Kiikenthal colla descrizione e le figure del Vej- dovsky (1. c. e tav. VIII, fig. 3). Ora agli elementi cellulari che si trovano allineati in queste Seitenlinien il Kiikenthal darebbe il valore di linfociti. Che questa interpretazione non sia vera appare già da fatti molto facil- mente verificabili come i seguenti: 1° Osservando in una soluzione fisiologica di cloruro di sodio o nella linfa stessa dei brani della parete laterale del corpo staccati dal vivo non si vedono questi elementi presen- tare fenomeni di moto ameboide; 2° Osservati questi elementi nell'acqua non si vedono rigonfiarsi a sfera; 3° Essi non si staccano dai muscoli malgrado ogni pro- lungata macerazione. Sopratutto i due ultimi punti sono importanti perchè nel- l’acqua si rigonfiano crescendo notevolmente di volume non solo i linfociti ma anche le cellule cloragoghe e le cellule vescico- lari dei nefridii, mentre tanto le une come le altre si staccano subito dal loro substrato. La resistenza invece di quegli elementi e la loro tenace aderenza ai muscoli escludono affatto l’idea di linfociti. Il vero significato di quegli elementi è certamente quello dato loro recentemente dall’Hesse. L’Hesse nei suoi lavori (9 e 10) non si occupa dell’inter- pretazione del Kiikenthal, impugnando solo l’opinione che si tratti qui di elementi nervosi, opinione appunto messa avanti dal Semper e sostenuta anche dal Vejdovsky che chiama queste serie di cellule “ Ganglienzellenstringe ,. L’interpretazione dell’Hesse è che si tratti qui di elementi 628 DANIELE ROSA muscolari: Die Zellen der Ringmuskulatur sind nematoide Muskel- zellen, deren mit den Kernen versehene Protoplasmafortsiitze in 2wei Liingslinien liegen; diese Lingslinien verlaufen etwa in der Mitte zwischen der dorsalen und ventralen Borstenlinien und wurden von Semper als Seitenlinien benannt (9, pag. 6). La giustezza di tale interpretazione apparirà chiara a chiunque consulti le descrizioni e le figure di quest’autore. Vedi Hesse, (9) pag. 4-7 e fig. 21 a, d, c, d; (10) pag. 395 e segg., tav. XXIV, fig. 7-10. I dati dell’ Hesse concordano pienamente con quanto appare dai miei preparati e furono del resto anche confermati dal Goodrich (6). Rimane che io parli del solco dorsale in cui similmente si ritroverebbe un vaso ed una serie di linfociti in via di formazione. Qui il Kiikenthal è stato certo vittima di una di quelle illusioni così facili quando si esamina per trasparenza un ani- male vivo; il fatto è che la struttura da lui descritta non esiste. Io ho preparati in toto in cui i solchi laterali colle relative serie di nuclei (fortemente colorati) e i vasi scorrenti nei solchi sono perfettamente visibili da un capo all’altro e che tuttavia non mostrano traccia d’una simile struttura esistente sul dorso; anche le sezioni non ne dànno alcun accenno. Del resto, siccome un vaso dorsale parietale non esiste nè qui nè in altro oligocheto, i vasi scorrenti in questo solco dorsale dovrebbero ad ogni modo essere due e non potrebbero essere costituiti da altro che da parte di quel tratto delle anse parietali che dai solchi laterali va al vaso dorsale; ora tale tratto non scorre mai lungo la linea mediana dorsale. La pretesa trasformazione dei linfociti in cellule cloragoghe. i Risulta dal precedente capitolo che non è possibile accet- tare come veri i dati del Kiikenthal sulla origine dei linfociti del Tubifex; probabilmente ciò vale anche per tutti gli oligo- cheti e policheti cui quest’'autore estende le sue conclusioni. Veniamo ora alla parte più importante della questione, al- l'esame cioè dei fatti da cui il Kiikenthal ricava che le cellule linfatiche si trasformano in cloragoghe. PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 629 Anzitutto mi si permetta di rettificare e completare quanto dice il Kiikenthal sulla distribuzione delle cellule cloragoghe sui vasi e sull’intestino del Tubifex. Riguardo alla distribuzione del cloragogeno alla parte an- teriore del corpo il nostro autore dice (l. c., pag. 332): Gane ausnahmlos lisst sich es euforderst constatiren das dieselben (die Chloragogenzellen) in den ersten vier Segmenten fehlen und erst mit dem fiinften beginnen. Dicht aneinandergelagert iiberziehen sie von diesem Segment an Darmtractus und Riickengefiiss. Noto che il Kikenthal conta come 1° segmento solo il 1° setigero che ora è quasi universalmente contato come secondo; egli dice dunque nel 7Tudifex le cellule cloragoghe coprono fin dal 6° segmento del corpo il canale digerente e il vaso dorsale. Ciò non è interamente esatto. Che le cellule cloragoghe nel Tubdifer appaiano dapprima nel 6° segmento è vero solo pel canal digerente, e anche solo vero in parte. Se qui infatti esse si presentano subitamente grandi e fittissime, esse non mancano però interamente nei segmenti 5 e 4 nei quali però sono scarse e con pochi granuli sebbene possano anche essere molto lunghe. Ma pel vaso dorsale non sta affatto che esse incomincino già a presentarsi nel 6° segmento: esse appaiono invece d’un tratto dietro al dissepimento 8-9, cioè al principio del segmento 9° e perciò dietro ai grandi cuori pulsanti dell’8° segmento. L'illusione che il vaso dorsale sia coperto di cloragoghe sin dal 6° segmento è prodotta dal fatto che esso è per solito se- polto fra le grandi cellule cloragoghe del canal digerente; però se nell'esame per trasparenza si osserva l’animale di fianco, si vede che spesso il vaso dorsale si inarca ad ogni segmento ri- manendo stretto al canal digerente solo sotto ai dissepimenti, allora è facile constatare che esso sino a tutto 1’8° segmento è interamente nudo di cloragoghe. Ciò del resto si verifica con tutta sicurezza nei preparati stabili. Non era inutile rilevare questa inesattezza perchè altrimenti sì avrebbe qui un’ eccezione ad una regola sulla distribuzione del cloragogeno che vediamo mantenuta in tutti gli oligocheti, pei quali è generale il fatto che il vaso dorsale manchi di un rivestimento di cellule cloragoghe in tutti quei segmenti ante- riori nei quali esso non manda più rami al canal digerente. Quanto alle eloragoghe del canal digerente il Kiikenthal nota 630 DANIELE ROSA giustamente che propriamente esse si estendono sui vasi che dal vaso dorsale vanno all’intestino ramificandosi su di esso in fitta rete. Veramente il vaso dorsale non manda vasi all’inte- stino prima del 9° segmento, mentre le cloragoghe intestinali sono sviluppatissime già nel 6° segmento, ma evidentemente la rete intestinale si estende anche a quei segmenti. Sono ancora privi di cellule cloragoghe il vaso ventrale, i grandi cuori pulsanti e in generale tutti i vasi che connettono direttamente il vaso ventrale al dorsale. Anche più importante è stabilire come si comportano le cellule cloragoghe alla parte posteriore del corpo; qui infatti entriamo nel cuore della questione. A questo proposito il Kilkenthal dice che posteriormente le cellule cloragoghe diventano molto più scarse, più piccole, che da claviformi che erano anteriormente si fanno sferiche di- ventando in pari tempo più povere di granuli e che infine negli ultimi segmenti mancano affatto (l. c., pag. 332-3, passim.). Nota inoltre (pag. 333, in fine) che quando sono già scomparse dal- l’intestino esse si osservano ancora per qualche segmento in- dietro sul vaso dorsale. Precisamente su queste regioni che sarebbero prive o scar- samente fornite di cloragoghe si trovano (sempre secondo l'A.) dei granuli cloragoghi non contenuti in alcuna cellula: micht im Inneren der Zellen, sondern der Gefisswandung direct aufsitzend, entweder vereinzelt, oder auch zu kleinen Gruppen zusammenge- ballt (1. c., pag. 333, tav. XI, fig. 110). Questi granuli cloragoghi liberi (che sarebbero secondo lA. una secrezione del vaso dorsale e della rete intestinale) verreb- bero poi fagocitati da cellule linfatiche che vengono ad attac- carsi alle pareti dei vasi; appunto caricandosi di tali granuli e contraendo durevole aderenza coi vasi stessi, quei linfociti si cambierebbero in cellule cloragoghe. Se dicevo che è importante esaminare come sì comportino le cellule cloragoghe alla parte posteriore del corpo si è appunto perchè quest’esame ci conduce a comprendere quali apparenze abbiano condotto il Kiikenthal a tale conclusione che come ve- dremo subito è erronea. Ricordiamo che VA. descrive le ultime cellule cloragoghe come sferiche, dopo di queste non si vedrebbero invece di clo- PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 631 ragoghe che granuli liberi o ammassi di granuli. Egli non ha visto che dopo le cellule cloragoghe sferiche vengono ancora cloragoghe dapprima ancora convesse, poi quasi affatto piane che «finiscono per passare gradatamente in un epitelio peritoneale af- i fatto normale. oi È precisamente in queste cellule sottili che sono contenuti i i granuli che egli considera come liberi. Si comprende del resto I la possibilità di quest'errore poichè queste ultime cellule clora- goghe sono di una trasparenza tale che facilmente si sottrag- gono allo sguardo non lasciando vedere altro che i loro gra- nuli (1). Per vedere chiaramente come stanno le cose bisogna esa- minare dei 7udifer che siano stati immobilizzati aggiungendo goccia a goccia dell’ alcool all’ acqua in cui si trovano. In tali vermi la coda rimane molto distesa ed è facile l'osservazione per trasparenza anche con forti obbiettivi ad immersione (Noto espressamente che in tali animali non si possono fare osserva- zioni sugli amebociti perchè questi subiscono allora notevoli al- terazioni). Esaminando in Tudifer così preparati la porzione posteriore del canal digerente o meglio del vaso dorsale dove pare che non vi siano più che gruppi di granuli cloragoghi liberi, si può notare che entro a questi gruppi appare sempre un vuoto più o meno circolare. Un più lungo esame mostra in questo vuoto un nucleo. Quei gruppi di granuli fan dunque ancora parte di una cellula che per essere così piatta e trasparente riesce fa- cilmente invisibile, tanto più che i margini non appaiono che eccezionalmente alla vista. La verità di quanto qui affermo apparirà, spero, indubbia a chi osservi la mia fig. 2 e la confronti colla fig. 110, tav. XI del Kiikenthal; i gruppi di granuli liberi disegnati in quest’ul- tima figura a cui l'A. accenna nel testo son precisamente quelli che nella mia fig. 2 si vedono circondare i singoli nuclei e perciò essere ancora inclusi in cellule. Più all'indietro della regione disegnata nella mia citata (1) Seguito anch'io a parlar di granuli per comodità; realmente ho constatato che i pretesi granuli cloragoghi sono goccioline liquide rivestite da una membrana elastica. Di ciò dirò più a lungo in un prossimo lavoro. 632 DANIELE ROSA figura i granuli si fanno ancor più piccoli e più scarsi, tuttavia sono riuscito talora a vederne, con forte ingrandimento, sin nel quintultimo segmento del corpo. Fig. 2. — Rivestimento cloragogo del vaso dorsale nei segmenti posteriori del Tubifex (Cam. lue., ob.'/1; semiapocrom. Koristka, oc. comp. 4). Le cellule piatte della regione posteriore sono in ogni seg- mento scarse come si vede nella fig., tuttavia essendo esse lar- ghissime sono ancora contigue. Ciò si può facilmente riconoscere se si esamini in questa regione la sezione ottica del vaso dor- sale. Si vede allora lungo tutto il profilo di esso uno strato continuo minutamente granuloso formato appunto dalle cellule in discorso dal quale emerge di tratto in tratto un leggero ri- lievo lenticolare corrispondente al loro nucleo. Allora si vede anche bene che i granuli cloragoghi stanno nello spessore di quelle cellule presso al loro nucleo. Quanto ai margini di queste cellule cloragoghe posteriori io li ho potuti vedere bene una sola volta ed allora mi sì mo- strarono formati da linee sinuose, il che è fra le cellule perito- neali un carattere comune. Concludendo, e malgrado tutte le apparenze che, ad un esame meno diligente, sembrano imporre una diversa opinione, non esistono sul vaso dorsale o sul canal digerente del Tudifex granuli cloragoghi liberi. Ne segue che i dati del Kiikenthal secondo il quale i linfociti si attaccherebbero alle pareti di quegli organi e caricandosi di quei granuli si cambierebbero in cellule cloragoghe, mancano di base. I granuli cloragoghi si formano certamente nelle cellule cloragoghe per effetto della attività metabolica propria di esse; una i song g PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 633 ciò appare indubbiamente dal regolare aggruppamento dei gra- nuli attorno ai nuclei e dalla perfetta regolarità colla quale dalla parte posteriore alla anteriore dell’ animale cresce il nu- mero dei granuli contenuti in ogni singola cellula e si eleva la dimensione massima che essi in ciascuna cellula possono rag- giungere. Se però noi non possiamo ammettere che i linfociti si cam- biano in cloragoghe caricandosi di granuli già esistenti alla su- perficie dei vasi, noi non possiamo da ciò solo concludere che le cellule cloragoghe non possano derivare da linfociti. Ciò tuttavia non si potrebbe più tentare di ammettere per le cellule cloragoghe primitive; queste il Vejdovsky ha dimo- strato non essere negli oligocheti che un peritoneo vero, nato per differenziamento delle cellule della splanenopleura e inco- minciante a funzionare come cloragogeno solo dopo l'apparire dei vasi (Vejd., 22, pag. 322). I dati del Kiikenthal, così modificati, si potrebbero solo applicare alle cellule cloragoghe dell’adulto. Ciò venne appunto fatto dal Vejdovsky che ammise che le cellule cloragoghe pri- mitive quando sono cariche di granuli si stacchino e siano sosti- tuite man mano da linfociti (1. c., p. 323). Evidentemente il Vejdovsky ha ammesso questa teoria solo dietro le affermazioni del Kiikenthal; infatti precedentemente egli diceva invece che la sostituzione delle cellule cloragoghe avveniva per opera di cellule più giovani che si potevano ve- dere fra le basi di esse (21, pag. 112) e nella pagina stessa (22, pag. 323) dove egli si rannoda alla teoria del Kiikenthal egli fa notare che non aveva avuto più occasione di esaminare nuovamente un Tudifex. Ora dov'è che il Kiikenthal dice di aver visto i linfociti attaccarsi alle pareti dei vasi e dell’intestino per cambiarsi in cloragoghe ? è precisamente nella parte posteriore del corpo dove secondo lui vi sono granuli cloragoghi liberi. Ma noi abbiamo visto che questi pretesi granuli liberi sono invece contenuti in cellule cloragoghe piatte che si presentano coi caratteri di cellule giovanissime ancor poco diverse da cel- lule peritoneali normali. Certamente se cellule cloragoghe pri- mitive (derivate da cellule peritoneali) devono staccarsi per es- sere sostituite da linfociti si deve aspettarsi che ciò non suc- 634 DANIELE ROSA ceda che per le cellule invecchiate, grandi, claviformi, gremite di grossi granuli le quali si trovano alla regione anteriore del corpo, non per quelle giovani posteriori. I linfociti che il Kiikenthal vide fissarsi ai vasi e all’inte- stino in questa regione non erano certamente destinati a sosti- tuire delle cellule cloragoghe invecchiate. Tuttavia è solo su questa osservazione del Kiikenthal che il Vejdovsky ha ammesso che le cellule cloragoghe primitive dovessero staccarsi per es- sere durch frische Wanderzellen ersetat. Prima di concludere ci conviene però ancora occuparci di quest’adesione dei linfociti. Realmente l'osservazione del Kiikenthal che i linfociti del Tubifex possano attaccarsi alle pareti dei vasi è, ridotta in questi ristretti termini, esatta. Io ho fatto a questo proposito lunghe e ripetute osservazioni ed in esse ho rivisto tutti i fenomeni di tal genere descritti dal nostro autore. Aggiungo però che ho dovuto in ultimo convincermi che tali fenomeni sono quasi sempre (probabilmente sempre) feno- meni anormali, patologici, provocati dalle condizioni speciali in cui si devono fare quelle osservazioni. Qui io prego il lettore di riportarsi a quanto ho detto nel 1° capitolo (pag. 5-10) sulla forma normale dei linfociti del T'u- bifex e sulle forme alterate che essi, come tutti i linfociti, as- sumono quando siano osservati fuori dell'organismo sia nella linfa stessa dell'animale, sia in una soluzione cosidetta fisiolo- gica di cloruro di sodio. Ora le forme che assumono allora i linfociti, e che chiamerò col Cattaneo (2) forme di diffluenza, si possono talora osservare anche in un Tubifer vivo. In un tale animale osservato per trasparenza, e natural- mente sotto una certa compressione, si vedono facilmente dei linfociti che prima presentavano le forme normali descritte a pag. 8 (cfr. fig. 1) ed erravano passivamente pel celoma rima- nere attaccati a qualche organo, che può essere però tanto il vaso dorsale o l'intestino come qualsiasi altra parte. Allora questi linfociti sì contraggono in modo da apparire solo coperti di rilievi meandrinosi assumendo frattanto una forma dapprima ancora un po’ lobata, poi sempre più sferoidale, per fimire in ultimo coll’avere una superficie liscia. “a, fate PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORAGOGENO 635 In questo stadio o anche un po’ prima si vedono fuorescire dal corpo cellulare, più spesso da un’estremità sola o da due opposte, dei fascetti di zaffi limpidissimi che si attaccano tena- cemente ai corpi circostanti e che sono interamente simili a quelli presentati dai linfociti studiati fuori dell'organismo. Si presentano così i fenomeni di adesione segnalati dal Kikenthal. Quando i citati processi partono da una sola estremità e si espandono subito sul campo di adesione le cellule fissantisi sem- brano semplicemente sferiche come appunto le descrive l’ Autore. Ma questi fenomeni sono essi normali? Credo di poterlo escludere. Sta il fatto, da me tante volte osservato, che al principio dell’osservazione, i linfociti per tal modo aderenti ai vasi o ad altri organi o mancano affatto o sono estremamente rari, mentre crescono continuamente di numero quanto più si prolunga l’os- servazione tantochè in ultimo mi è avvenuto talora di trovare in quello stato quasi tutti i linfociti. Sta anche il fatto che quegli stessi fenomeni di adesione sì riscontrano anche nei linfociti studiati fuori dal corpo e in condizioni che certamente sono anormali come lo dimostra la circostanza che allora non ritroviamo più alcun linfocito che ci presenti le caratteristiche forme che aveva nell’interno dell’or- ganismo e che per i 7ubdifex son quelle disegnate nella fig. 1. Tutto conduce a credere che queste forme anormali sono prodotte nel vivo dalla pressione del coprioggetti. Tale pres- sione può anche far sì che compia qualche rottura, che può pas- sare facilmente inosservata, nella parete del corpo di modo che l’acqua si mescoli colla linfa. Un’alterazione nella linfa può anche nascere dalla rottura di piccoli vasi interni la quale tanto facilmente avviene sotto una pressione anche moderata. In tutti questi casi si vedono sempre i linfociti alterarsi, peggio poi se si sono immobilizzati i vermi con acqua leggermente alcoolizzata. I linfociti, che si vedono così fissati, possono spesso conte- nere granuli cloragoghi, questi si riscontrano anche nei linfociti liberi affatto normali e provengono da vecchie cellule clorago- gene che si sono distrutte e che, come è noto, vengono fago- citate dalle cellule linfatiche. Tutto ciò spiega in qual modo il Kiikenthal ha potuto cre- Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 44 636 DANIELE ROSA dere di osservare realmente dei fatti che nelle pagine prece- denti abbiamo veduto non essere accettabili. Quanto abbiamo visto riguardo al Tubdifex si applica pro- babilmente a tutti gli oligocheti ed anche ai policheti nei quali ultimi il Kilkenthal stesso confessa di aver riviste molto meno completamente le cose già da lui viste nel Tubifex. CONCLUSIONE In un precedente lavoro (15) ho dimostrato che i linfociti degli oligocheti non derivano dalle cellule cloragoghe. Nel presente lavoro credo aver pure dimostrato che non abbiamo ragione di ammettere che le cellule cloragoghe (anche solo quelle dell'adulto) derivino da linfociti. Possiamo dunque concludere: Nessun dato cì autorizza ad ammettere che fra i linfociti e le cellule cloragoghe esista qualche nesso genetico nel senso che questi due gruppi di elementi siano derivati l’uno dall'altro. Inoltre sono definitivamente da abbandonare le teorie del Kilkenthal sulla origine dei linfociti. OPERE CITATE (14 . Benparp F., A Monograph of the order of Oligochaeta, Oxford, 1895. 2. Cattaneo, Sulla morfologia delle cellule ameboidi. “ Bollett. scientif. ,, anno XI, Pavia, 1889. 3. Cuénor L., Étude sur le sang et les glandes lymphatiques (2° partie : Inver- tébrés): “ Arch. de Zool. expérim. ,, 2° sér., t. IX, 1891. 4. In., Études physiologiques sur les Oligochètes: “ Archives de Biologie ,, T. XV; Liège, 1897. 5. Ersic H., Capitelliden: Fauna u. Flora d. Golfes v. Neapel, 1887. 6. Gooprica E. S., On the structure of Vermiculus pilosus: “ Quart. Journ. of microsc. Science ,, vol. 37, N. S., 1895. ò 18. 19. 20. 21. 22. PRETESI RAPPORTI GENETICI FRA I LINFOCITI ED IL CLORACOGENO 637 . Grar A., Beitrige 2. Kenntniss d. Exkretionsorgane von Nephelis: “ Je- naische Zeitschr. ,, Bd. XXVIII, 1894. . HescneLer L., Uedber Regenerationsvorginge bei Lumbriciden, II Teil: © Je- naische Zeitschr. f. Naturwiss. ,, Bd. XXXI; Jena, 1898. . Hesse R., Beitriige zur Kenntnis des Baues der Enchytraeiden : “ Zeitschr. f. wiss. Zool. ,, Bd. LVII, 1893. . In., Zur vergleichenden Anat. der Oligochaeten: “ Zeits. f. wiss. Zool. ,, Bd. LVIII, 1894. . KiigentaAL W., Ueber die lymphoiden Zellen der Anneliden: “ Jenaische Zeitschr. f. Naturwiss. ,, Bd. XVIII. Jena, 1885. . Mac Inrosa, On some points in the structure of Tubifex: © Trans. Roy. Soc. ,. Edinburgh, vol. XXVI. . Nasse D., Beitrige zur Anatomie der Tubificiden. Bonn, 1882. . 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Prag, 1888-1892. 638 ANTONIO GARBASSO Alcune esperienze su la scarica dei condensatori; Nota di ANTONIO GARBASSO (*). 1. — Il problema della scarica di un condensatore secondo due circuiti derivati, si tratta analiticamente con molta sempli- cità, quando sia lecito supporre che la corrente si distribuisca per modo da rendere minima, in ogni istante, l’energia magne- tica del sistema. E si può ammettere che il fenomeno segua appunto così, ove l’uno e l’altro ramo della conduttura risulti assai poco re- sistente. Ma se la resistenza dei due fili, o anche di uno solo di essi, non è trascurabile, la legge, secondo la quale la corrente si divide, riesce più complessa, e la soluzione matematica del pro- blema va incontro a difficoltà molto gravi. Però, quello che l’analisi non può dare agevolmente, si ri- cava senz'altro dalla considerazione di un modello dinamico del sistema. Potrebbe servire allo scopo l’apparecchio da me descritto in una nota, che fu inserita nel sesto volume (della quarta serie) del “ Nuovo Cimento ,. Questo modello rappresenta il fenomeno, per il quale fu ideato, in tutta la sua generalità e, in partico- lare, tiene conto delle azioni induttive, che si esercitano fra i due rami del circuito di scarica. Ma, in pratica, si possono disporre le cose per modo che l’induzione mutua risulti trascurabile, e allora conviene scegliere come modello un sistema più facile a costruirsi. Tale sarebbe, ad esempio, il complesso di tre vasi comu- nicanti per un tubo a T. (*) Queste esperienze furono cominciate l’anno passato a Pisa, con il concorso del dottor Italo Bosi, e furono condotte a termine ora, da me, @ Torino. — Ringrazio cordialmente i professori Angelo Battelli e Andrea Naccari per l’ospitalità che mi concessero nei loro Istituti. A. 'G ALCUNE ESPERIENZE SU LA SCARICA DEI CONDENSATORI 639 2. — Ho realizzato codesto modo di rappresentazione sotto la forma semplice, della quale riporto uno schema nella fig. 1. t, e T sono due canne di vetro di un centimetro di dia- metro, lunghe rispettivamente quaranta e cinquanta centimetri; t, è una canna simile, avente la stessa altezza che t,, ma un raggio interno dieci volte più piccolo. Questo terzo recipiente è congiunto al sistema dei primi due per un tubo di gomma G, del quale si spiegherà più tardi l’ufficio. ESS Fig. 1. Per fare le esperienze si introduce nell’apparecchio una certa quantità di liquido (dell’acqua tinta con un colore di ani- lina), di modo che il livello arrivi nei due rami t, e t, alla metà dell'altezza. Si carica il modello producendo un’aspirazione o una com- pressione nella parte superiore della canna T; ciò che si può fare agevolmente per mezzo del bocchino B, che un tratto di tubo di gomma collega appunto con la T. Si eccita la scarica abbandonando improvvisamente il liquido all’azione della sola gravità. 640 ANTONIO GARBASSO L'acqua allora si muove nei tre rami e, in generale, la su- perficie libera riprende in ciascuno la posizione di equilibrio, dopo di avere oscillato alquanto intorno ad essa. Nell’apparecchio, del quale ho indicato avanti la grandezza e la forma, la scarica riesce alternativa così nel ramo #, come nel ramo #,, almeno se il liquido impiegato è dell’acqua pura. Si trova solamente che le oscillazioni si smorzano più presto nella canna più stretta. Ma è possibile ottenere che il flusso in quest’ultima muti per intero il suo carattere, e la corrente doventi aperiodica, ren- dendo di mano in mano più vischioso il liquido, che s'adopera per fare l’esperienza. Ciò si ottiene facilmente con l'aggiunta di poche goccie di glicerina. Si arriva così a produrre nella canna #, delle scariche continue, mentre nella canna più larga t, il flusso conserva con nettezza il suo carattere di periodicità. Ma questo modo di sperimentare, che ho descritto, non è troppo pratico; perchè, seguendolo, si è costretti a vuotare l’ap- parecchio tutte le volte che si vuole aggiungere la glicerina, e, d'altra parte, riesce impossibile di modificare per gradi l’anda- mento del fenomeno. Ho pensato in conseguenza a disporre le cose un poco di- versamente, ed ho introdotto, all’uopo, fra la canna #, e il si- stema delle altre, il tubo di gomma G. Questo si può schiacciare con un morsetto M; e per tale modo si altera con tutta facilità la resistenza del secondo cir- cuito. Con la nuova disposizione si fa uso sempre dell’ acqua pura, ciò che permette di ottenere nella canna t, delle oscilla- zioni più ampie e durature. I resultati, che si ricavano, del resto, sono quelli stessi di prima, e tradotti nel linguaggio dell’ elettrodinamica suonano così: quando si scarica un condensatore lungo due fili, posti uno su l’altro in derivazione, la corrente è alternativa, in generale, con la stessa frequenza nei due rami, ma può doventare aperiodica da una parte, rimanendo oscillante dall’altra, quando il primo circuito presenti una resistenza assai grande. 8. — Mi sono proposto di verificare tutte queste cose, che si deducono dalla considerazione del modello. E dirò subito che, nei limiti delle mie esperienze, la teoria riesce pienamente con- fermata. ALCUNE ESPERIENZE SU LA SCARICA DEI CONDENSATORI 641 Ho dedotto in ogni caso il carattere delle scariche dallo studio delle scintille, che ad esse corrispondono; il quale studio facevo con uno specchio girante, secondo la disposizione classica del Feddersen (*). In ciò che segue descrivo anzitutto il piano generale del- l'apparecchio; poi ne esamino partitamente i singoli organi. Indico da ultimo come conducessi le esperienze e quali ne fos- sero i resultati. 4. — Credo inutile far cenno delle varie difficoltà, che in- contrai, e delle modificazioni, che dovette subire in conseguenza S4 I) n__——_ Fig. 2. il primo apparecchio, che avevo ideato. Preferisco descrivere senz'altro la disposizione definitiva. L’armatura interna I di un condensatore era messa in co- municazione con una delle aste di uno spinterometro S,; alla seconda asta del quale erano saldati i fili F, ed F,, che costi- tuivano i due rami del circuito di scarica. (*) € Pogg. Ann. ,, CXIII, 1861. 642 ANTONIO GARBASSO Questi fili mettevano capo, all’altro estremo, nella prima coppia di pozzetti di un commutatore a mercurio C. E dalla seconda coppia partivano due condutture di grosso filo di rame, le quali, dopo breve tratto, andavano a congiungersi insieme. In una di tali condutture era praticato un intervallo di sca- rica Ss. I fili procedevano uniti fino a presentarsi in S3 davanti ad una delle posizioni possibili di un’asta S3 S, fissata rigidamente a quel medesimo asse A, intorno al quale giravano gli specchii sferici R, ed R,. Quando, durante la rotazione, l’asta Sz S4 si trovava con un capo a breve distanza dall’estremo dei fili, l’altro capo si affacciava ad un conduttore comunicante in T con la terra. Era messa parimenti in comunicazione con il suolo l’arma- tura esterna E del condensatore. [nl 5. — Questo era costituito da due grandi boccie cilindriche, di vetro verde, della capacità di cinque litri o poco meno, riu- nite in superficie. Lo spinterometro S, aveva delle palline di quattordici mil- limetri di diametro (*); e un intervallo di scarica, che fu com- preso sempre fra i sei e gli otto millimetri. La scintilla scoc- cava dentro una scatola di legno, chiusa ermeticamente, per modo che, con la sua luce non avesse a disturbare le osser- vazioni. Dei due conduttori F, ed F., che costituiscono i rami del circuito di scarica, il primo era un tratto di filo di argentana, lungo un metro e spesso due millimetri; il secondo aveva pure la lunghezza di un metro, ma un diametro di venticinque mil- lesimi di millimetro appena: in alcune esperienze si trattava di un filo di ferro, in altre di un filo di costantana. F, ed F, non erano congiunti direttamente allo spintero- metro e al commutatore; ma si saldavano a certi bastoncini brevi e spessi di rame, uguali da una parte e dall’altra. Questo perchè non sarebbe stato comodo nè pratico di fare le congiun- zioni dirette nel caso del filo più sottile. (*) Palline da shrapnel, di piombo indurito con l’antimonio. ALCUNE ESPERIENZE SU LA SCARICA DEI CONDENSATORI 643 Il commutatore C lo feci semplicemente con quattro pozzetti pieni di mercurio, scavati in un blocco di paraffina. Ciò che rimaneva del circuito di scarica, a partire da questo punto, era formato per intero di grosso filo di rame. Lo spinterometro S: aveva delle palline uguali in tutto a quelle di S,; anehe quì l'intervallo stava chiuso in una scatola di legno; però, in una delle pareti di questa, era praticata una finestra rettangolare, di due per tre centimetri, sicchè la scin- tilla potesse vedersi dalla posizione R,. La distanza esplosiva fu sempre intorno ad un millimetro. Immediatamente sotto la scatola, che racchiudeva lo spin- terometro S,, disposi una lastra rettangolare di vetro spulito, di dieci centimetri per venti, con il lato più lungo verticale. Questo piano aveva la faccia traslucida dalla parte di R,, e volgeva la superficie speculare verso l'osservatore; il quale stava dunque davanti ad essa, e guardava nella direzione degli specchii. Appunto sopra la lastra in discorso si venivano a formare, durante le esperienze, le imagini reali delle scintille di Ss. Gli specchi sferici R, ed R, costituiscono l'organo più im- portante dell'apparecchio. Erano fermati ad un asse orizzontale, che si faceva girare con un movimento di orologeria, comandato da un peso. La velocità, durante le esperienze definitive, fu di cinquantacinque a sessanta giri per secondo. In tali condizioni gli specchii rotanti formano delle scintille certe imagini più o meno allungate; a seconda del carattere della scarica, alla quale corrispondono. Le scintille delle correnti alternative appariscono fornite di una coda, la cui tinta è compresa fra il rosso rame e il rosso porporino, e la lunghezza è di parecchii centimetri. Invece le scariche continue dànno luogo ad imagini lineari, o che si pro- lungano appena in una coda pallida e breve. Imagini dunque poco differenti da quelle, che sono date dagli specchii in riposo. I riflettori impiegati da me erano specchietti concavi da galvanometro, di cinquanta centimetri di distanza focale. Stava appunto ad un metro da essi la lastra spulita, della quale ho parlato più avanti. L'osservazione è possibile solamente se la scarica passa mentre uno dei riflettori si trova in un punto determinato della sua corsa. A questo fine, come accennavo nella descrizione ge- 644 ANTONIO GARBASSO nerale dell’apparecchio, l’asse medesimo, che regge gli specchii, porta ancora due bracci d’ottone, lunghi quattro centimetri, co- municanti fra loro, ed isolati da esso. Tali bracci passano, una volta ad ogni mezzo giro, davanti a due conduttori fermi, che l’uno comunica con la terra (S,) e l’altro con l'estremità libera (Ss) del circuito di scarica. I capi delle aste mobili e quelli dei conduttori fissi sono lavorati a coltello, e hanno una larghezza di tre millimetri circa. La figura 3 dà un’idea complessiva del movimento d’orolo- geria e del sistema rotante. L’aspetto delle imagini, che gli specchii formano delle scin- tille, varia con l'incidenza, sotto la quale si guardano; la coda, in particolare, avendo un colore meno brillante del nucleo e più caldo, appare scorciata o sembra mancare del tutto, se non la si osserva da un punto di vista opportuno. E tale inconveniente si presenta con maggiore nettezza, come è naturale, quanto più pallide e brevi sono le scintille, che si prendono in esame. ALCUNE ESPERIENZE SU LA SCARICA DEI CONDENSATORI 645 Volendo evitare questa causa soggettiva di errore, che fa credere, le prime volte, ad una irregolarità nelle manifestazioni del fenomeno, giova disporre le cose in modo che le imagini si vengano a formare sempre, per quanto è possibile, nel mede- simo punto della lastra spulita. Ho quindi fissato gli specchii all’asse, intorno al quale gi- rano, con un artifizio, che permette di modificarne la giacitura; così che uno di essi prenda per l'appunto il luogo dell'altro, quando il sistema rota di centottanta gradi (*). Anzitutto i due riflettori sono portati da un manicotto, che si ferma, con una vite di pressione, all'asse dell’apparecchio. Ma a questo pezzo non sono uniti rigidamente. Bensì ciascuno degli specchii può ancora rotare, con moti micrometrici, intorno ad un suo proprio asse, che mantiene rispetto al manicotto una posizione invariabile. Uno di tali assi (1) è parallelo alla retta, intorno alla quale gira tutto il sistema, e l’altro (2) le è per- pendicolare. Per registrare l'apparecchio si comincia a disporre le cose in modo che l’imagine delle scintille dello spinterometro Ss, for- nita dallo specchio R, (in riposo), si venga a formare su la me- diana verticale della lastra spulita. Questo si fa spostando la lastra medesima nel suo piano, orizzontalmente. Quindi si procura che il raggio riflesso dello specchio Rs fori lo schermo traslucido all’altezza, che si desidera, quando l’asta S; Sy si trova nella posizione, che rende più facile il pas- saggio delle scariche. E ciò si ottiene fissando il manicotto su l’asse in una posizione opportuna. In generale l’imagine data da R, non cade più su la me- diana verticale della lastra; ma la si porta sopra questa retta, girando micrometricamente R, intorno all'asse 2. Finalmente si fa rotare il sistema di centottanta gradi; e per spostamenti, che lasciano fermo l’asse 7, si riconduce il raggio riflesso da R, a forare la lastra all’altezza voluta. In questo modo si è certi che uno dei riflettori prenderà il posto dell’altro dopo una rotazione di due angoli retti. (*) Questa montatura fu lavorata dal signor O. Di Nasso, aiuto mecca- nico nell’Istituto fisico di Pisa. 646 . ANTONIO GARBASSO — ALCUNE ESPERIENZE ECC. 6. — Avendo dichiarato così minutamente l’apparecchio, che impiegai, è appena necessario che mi trattenga su la de- scrizione delle esperienze. Una cosa soltanto voglio notare. L'aspetto delle scintille dipende ancora, a parità delle altre» circostanze, dalle condizioni dell'intervallo di scarica, e dallo stato igrometrico dell’aria. Le ap- parenze, che si osservano nei due rami del circuito, possono quindi essere alterate da circostanze, che non hanno niente da fare con la grandezza e la forma dei conduttori, dai quali essi risultano. Di quì nasce l'opportunità di poter scambiare rapidamente 1 fili, che si vogliono studiare. Per questo ho introdotto il com- mutatore C. Nelle mie esperienze la sorgente di elettricità (una piccola Wimshurst, con due dischi di cinquanta centimetri) era tale che intercedevano dieci o quindici secondi fra due scariche succes- sive; e la lunghezza della fune al movimento d’orologeria (tre metri) permetteva che scattassero dodici scintille almeno, prima che si dovesse ricaricare l'apparecchio. Era quindi facile osser- vare alternativamente una mezza dozzina di scintille con lo spinterometro nel filo sottile, ed altrettante con lo spinterometro intercalato nel conduttore più grosso. Le esperienze le feci sempre al buio e preferibilmente di sera; l'interruttore era costruito in modo che lo si poteva ma- novrare anche nell’oscurità. Le osservazioni non sono punto difficili, ma richiedono una certa pratica. Il resultato costante fu questo che: la scarica corrispondente al filo grosso è sempre nettamente alternativa; la scarica, che segue il filo sottile, sembra talora essere aperiodica, ma più spesso oscillante e molto smorzata. Non si può dire con sicurezza che la sostituzione della co- stantana al ferro, nel ramo più resistente, modifichi il fenomeno in un senso piuttosto che nell’altro. È probabile, per ciò che si impara dal modello idrodina- mico, che le scariche lungo il filo sottile riuscirebbero sempre aperiodiche, quando si impiegassero dei diametri minori di quelli adoperati da me. Torino, Istituto fisico dell'Università. Aprile 1898. ANDREA GIULIO ROSSI — SU TALUNE PROPRIETÀ DI UN SISTEMA Ecc. 647 Su talune proprietà di un sistema di due correnti alternative difasate qualunque, ed applicazione ad un apparecchio di misura e ad un motore a campo Ferraris; Nota del Dott. ANDREA GIULIO ROSSI. 1. — Si abbiano in un piano, che può essere, per esempio, quello di un cerchio graduato G (fig. 1), tre assi O%,, O%3, 043 concorrenti nel centro 0. Suppongasi fisso l’asse 0/3, e gli altri due possano fare, con la direzione opposta ad O/,, due angoli arbitrarii w, e ws; sieno, in altri termini, 0%, e 0%, due alidade mobili sul cerchio, ed O%g una alidada fissa. Queste tre alidade sopportino, con gli assi secondo le proprie direzioni, tre spirali A, B, C. 648 ANDREA GIULIO ROSSI Date due correnti alternative sinusoidali, dello stesso pe- riodo, ma d'altra parte qualunque, ‘aka sen (ut— 3) a=e"sen (ut + a ; la prima percorra la spirale A, di s spire, e con altre s spire si avvolga nella spirale C; la seconda percorra la spirale B, e si avvolga, parallelamente alla prima, con altre s spire sulla spirale C. Supponiamo per ora che questi avvolgimenti non con- tengano materiali magnetici. I campi alternativi prodotti rispet- tivamente dalle tre spirali A, B, C, nel centro O del sistema, avranno, per opportune condizioni degli avvolgimenti rispetto al senso delle correnti e supponendo i centri delle tre spirali equidistanti dal centro O, la forma: h.=xc' sen (we-3) h,=xc" sen (wé +3) hg = xc"" sen(wt + z), ove si ponga: AGD Ve? ue e? E dec cOSp, dh ec CVA z = arctg a tg 9 > Cle , " Pi senz= ll sen ®, cost == TC gd c 2 c 2 x è un coefficiente costante dipendente dal numero delle spire, dalla loro superficie, ecc. Questi tre campi potranno rappresentarsi in ogni istante con tre segmenti aventi le direzioni O%,, Oks, 043. Facciamo coincidere 043 con l’asse -y di un sistema di coordinate rettangolari xy; proiettiamo le tre ampiezze momen- (1) SU TALUNE PROPRIETÀ DI UN SISTEMA DI DUE CORRENTI, ECC. 649 tanee dei campi su questi assi, facciamo le somme X e Y delle proiezioni, componiamo ortogonalmente le due ampiezze così ot- tenute, ed avremo il valore del campo risultante momentaneo R=/X+Y?. Poi, cerchiamo le condizioni perchè questo campo risultante sia un campo Ferraris costante, o circolare. I valori di X e di Y sono: ur xo' sen(wt— 2) . Seny, -— xe” sen| wt ss 2) . SenWo, Y=_—-xkc"'sen(wt + z) + kc' sen(wé _ td) . COSY, + + xce”sen (wt+ 2) . COSWS . E quindi X'4+ Y°= xsen'wi Ge — cosy,) + e'?(1— cosy;) + + c'e''(1+cosy +. — cosyi — cosys) | . 2 008° = + + Kkcos'wt |c'*(1—cosy) + c'’?(1— cosys) + — c'e'(1-+cosy+y,— cosy, — cos») | . 2.sen? "i == + xsenwi. coswf |- c'°(1 — cosy;) + c'*(1 — cosy)| ; VERS Sl .4sen 9 008 3 Ora, affinchè il vettore VX*+Y? sia indipendente dal tempo, è necessario e sufficiente che: 1° sia uguale a zero il coefficiente del termine in sen wt cos wf, 2° i coefficienti di sen? wt e cos? wf sieno uguali e dello stesso segno. Il che si esprime con le equazioni di condizione: ce 1— cosy; ii n E 650 ANDREA GIULIO ROSSI che dà il rapporto delle ampiezze delle due correnti alterna- tive; e: UL: ) c'*(1—cosy,) + c"*(1— cosy,){cosp= —c'e"}14+ cosy,+y,— cosy — coswl, donde con l’aiuto della (12): (22) COS = cos Mera ; Il campo risultante R è quindi un campo Ferraris costante allorchè fra le ampiezze c', c", la differenza di fase @ delle due correnti alternative date e gli angoli w, e ws di conformazione del sistema, esistono le relazioni: SÉ Ai ce 8en73 +o= (+ yy). 1 bi sen 5 x Il valore di questo campo ruotante è allora espresso da: R=2c sen ni seng = 2" sen = sen @ (3) — — 20 son. 20%sen sen. 2” sen DO. sen®, cioè è della forma H,H;seno. Giova notare che sen Yi e sen z W, rappresentano, a meno di una costante, i coefficienti di autoinduzione dei due circuiti c, e cs. Prendendo l’unità per valore dell’autoinduzione di ciascuna delle quattro spirali, il valore del vettore R risulta in generale da: R*=| (LP + ("La —200"LLa cos ME |cos° 2. sentwt + +| le (c'L1)? + (e'"L2)? + 2ce'e"L, Ls cos Lime a] sen? £ .cos?wt + È — rar — (e"Lo)? | 2 sen Di COS Di . senwt coswt, SU TALUNE PROPRIETÀ DI UN SISTEMA DI DUE CORRENTI, ECC. 651 ove L, ed L, stanno per i coefficienti di induzione dei due cir- Guiti c, © co. Allora le due equazioni di condizione (1) e (2) si possono scrivere in forma più generale, diventando applicabili ad altre eventuali combinazioni, nel modo seguente: e fed Lo (1’) Tape PE a) NL. a+ 5° — 2ab cos pe 2 a+ 6° + 2abcos TL: ( ove a e b sostituiscono per brevità, i prodotti c'L, e c”L,. La coesistenza di queste due condizioni, dà: (3) R=Vee"L,L,.seng. 2. — Questa proprietà del descritto sistema di spirali, può anche geometricamente dedursi in modo assai semplice dalla fig. 1, facendo applicazione del noto teorema, che affinchè due vettori alternativi si compongano in un unico vettore rotante (di grandezza costante), è necessario che essi abbiano uguali ampiezze ed occupino nello spazio una posizione angolare sup- plementare della loro posizione angolare, o di fase, nel tempo. Invero, i due circuiti alternativi C, e C, dànno luogo a due campi alternativi diretti secondo le bisettrici degli angoli AC=a TER e BC=fR, di ampiezze proporzionali rispettivamente a: 2e' cos 79, il 4 1 1 È La e 2c c085 B, (ossia a: 2c' senz y, e 2e'/sen-w»), e differenti in fase di p. Ora, esistono infinite coppie di angoli a, B, (oppure di w.,, Wp), che possono soddisfare l'equazione (1), e fra queste ve ne sarà sempre una che soddisfi anche la equazione (2*); cioè, vi sono infinite coppie di angoli w,, ws che forniscono secondo le bisettrici degli angoli a e B due componenti di uguale am- piezza, ed una di queste coppie sarà tale che le bisettrici, o i campi componenti, comprendano fra loro un angolo supplemen- tare di ©: 1 3 (@+8)=180_ g; Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII, 45 652 ANDREA GIULIO RUSSI e siccome è per costruzione: i sarà allora: e=3(M+ 1). 3. — Ne risultano un metodo ed un apparecchio per la misura simultanea del rapporto delle ampiezze di due date cor- renti alternative è della loro differenza di fase, con una sola esperienza e la lettura degli angoli w, e w»,, che hanno la stessa origine. Basterà immaginare un mezzo qualunque per analizzare il campo nel centro del sistema. Può servire a questo scopo, meglio d'ogni altro, il tubo a raggi catodici del Braun, disponendone lo schermo fluorescente nel centro dei tre campi e manovrando le alidade A e B fino a trasformare l’ellisse visibile in un cer- chio: la ricerca degli angoli yw, e w, non presenta maggiori dif- ficoltà della determinazione, in ottica, di un angolo di deviazione minima, oppure di una incidenza brewsteriana. Altrimenti, si può ricorrere ad un corpo metallico leggero, assai delicatamente sospeso nel campo, come già praticò Galileo Ferraris: è opportuno a tale scopo un cilindretto di cartoncino chiuso ricoperto di una foglia di stagnola sottile e uniforme, 0, meglio, un palloncino di celluloide argentato, sospeso bifilarmente. Siccome il campo ellittico generale, dato dall'azione delle tre spirali, può considerarsi come risultante dalla sovrapposizione di un alternativo fisso e di un circolare, e poichè un campo al- ternativo fisso non esercita coppia di rotazione sopra un corpo metallico centrato, perfettamente simmetrico rispetto a tutti i suoi piani diametrali, e nello stato di quiete, la coppia dipende solamente dal campo circolare che entra sempre a comporre ogni dato ellittico: questa coppia sarà quindi massima nello stesso tempo che questo campo circolare, cioè quando l’alterna- tivo fisso sarà scomparso, a vantaggio del circolare. Si tratterà quindi di cercare i due angoli w, e ws che dànno la deviazione massima nell’equipaggio sospeso. Per questo ultimo modo di sperimentare, conviene adottare una disposizione di spirali ampie e concentriche, analoghe a SU TALUNE PROPRIETÀ DI UN SISTEMA DI DUE CORRENTI, Ecc. 653 quelle del classico apparecchio di Ferraris. Le figure 2 e 3 mo- strano il complesso delle spirali, ridotte ad una sola spira, cir- colari o rettangolari, s1, 5», S, nel centro delle quali va sospeso il corpo metallico, — il quale sarà di dimensioni piuttosto limi- tate rispetto a quelle delle spirali, poichè il campo ruotante risulta veramente definito soltanto nella regione dell’intersezione dei tre campi. 4. — Il sistema di spirali della fig. 1 costituisce un vero sistema trifasico, il quale, in ragione della sua conformazione geometrica, corrisponde ad un caso più generale del sistema trifasico equiangolo ordinariamente applicato. Tre correnti, co- munque difasate fra loro a due a due, possono fornire un campo ruotante costante quando, essendo di uguali ampiezze, le loro posizioni angolari relative nello spazio sieno supplementari delle loro posizioni di fase nel tempo. E si può estendere, come è noto, il teorema ad un numero qualunque di correnti, di fasi qualunque. Nel nostro caso, una delle correnti, la cz, è una corrente fittizia, equivalente alla somma vettoriale delle due date, c, e cs, che abbiamo supposto assolutamente qualunque. Se il sistema 654 ANDREA GIULIO ROSSI è nella conformazione che dà un campo Ferraris costante, un indotto fisso, ad anello, per es., bipartito o tripartito, che si trovi in questo campo, potrà fornire un nuovo sistema di cor- renti difasiche o trifasiche, utilizzabili in un circuito esterno. Abbiamo così un apparecchio fisso che si può chiamare un tras- formatore di fasi, poichè da una coppia di correnti c, e cs, di ampiezze e fasi qualsiansi, esso può ricavare una coppia di cor- renti in quadratura o una terna di correnti equiangolari, di uguali ampiezze. Le due correnti c, e c» possono d’altra parte essere fornite dal primario e dal secondario di un comune trasformatore; e allora abbiamo un sistema di trasformazione, per ricavare da un'unica corrente alternativa, un sistema difasico o trifasico. Ma non v'è bisogno di un trasformatore comune interme- diario. L'insieme delle tre spirali A, B, C, ne può fare istessa- mente l’ufficio. Se un'unica corrente alternativa attraversa la spirale A e una delle spirali che fanno parte della C (supposto ora l'apparecchio costruito in modo da presentare autoinduzione e mutuainduzione notevoli), nell'altra coppia di spirali è indotta una fem., la quale a seconda delle condizioni interne ed esterne di impedimento dei due circuiti, come pure a seconda degli an- goli di conformazione w, e ws, fornirà una corrente cs di deter- minata fase e di determinata ampiezza, fra certi limiti. In conseguenza di che è possibile avere nel centro del si- stema un campo Ferraris costante, ricavandone l’energia da una sola corrente alternativa. Il valore di questo campo, per una data corrente eccitatrice c,, potrà essere arbitrario fra certi li- miti, dipenderà cioè soltanto dalle condizioni d’impedimento del circuito esterno delle spirali cs, come pure vi saranno subordi- nati gli angoli w, e ws. Se poi supponiamo che questo trasformatore possieda una armatura chiusa rotante, le condizioni di funzionamento della trasformazione saranno alquanto modificate: in primo luogo potrà agire come motore a campo rotante, e quindi ad avvia- mento automatico e a velocità asincrona; in secondo luogo potrà ricevere applicazione a guisa del trasformatore a spostamento di fase di Ferraris e Arnò. In tal caso la corrente secondaria nel circuito c, è la risultante di due specie di correnti indotte: di quella indotta direttamente dal flusso della corrente eccitatrice SU TALUNE PROPRIETÀ DI UN SISTEMA DI DUE CORRENTI, ECC. 655 e, sul circuito cs, e di quella indotta dalle correnti d’armatura sullo stesso circuito c,, correnti a loro volta indotte dal flusso primario e che su di esso anche reagiscono. Ciò proviene dalla differente disposizione che hanno gli stessi elementi, primario e secondario, nei due sistemi di tras- formatori: è noto che in quello di Ferraris e Arnò i circuiti primario e secondario non esercitano induzione mutua, tro- vandosi in posizione fissa ortogonalmente l’uno all’altro. Nel sistema ora descritto, invece, esiste una induzione mutua fra i due elementi, composta di una parte costante che spetta al doppio avvolgimento C e che può essere assai preponderante, e di una parte variabile ad arbitrio, che dipende dal valore dei due angoli w, e w». Questa possibilità di variare il coefficiente di mutua indu- zione fra il primario e il secondario, è certamente vantaggiosa; inquantochè permetterebbe di regolare precisamente il campo ruotante del motore o del trasformatore a seconda delle varia- zioni del carico meccanico od elettrico esterno. La teoria e il calcolo di questo apparecchio potrebbero farsi seguendo lo stesso metodo che il ch. prof. Lombardi ap- plicò al trasformatore a spostamento di fase Ferraris-Arnò, quando si fossero fissate la forma e la distribuzione dei circuiti magnetici; i quali non possono d’altra parte assumere caratteri tanto lontani dallo schema della fig. 1, quanto quelli degli odierni motori industriali a campo ruotante sono distanti dalla classica esperienza di Galileo Ferraris. 5. — La disposizione pratica più conveniente per realizzare un motore a campo ruotante secondo questo schema, è la se- guente (fig. 4): I tre anelli A, C, B, di ferro lamellare, rappresentati nel disegno l’uno di seguito all’altro, si immaginino disposti in tre piani paralleli verticali succedentisi nello stesso ordine, normali all'asse O dell'armatura M, e sostenuti in posizione fissa, ma- gneticamente ed elettricamente isolati, dal castello della mac- china. Questi tre elementi corrispondono alle tre spirali omo- nime dello schema, fig. 1. A e B hanno un avvolgimento di spirali perfettamente analoghe a quelle dell'anello Pacinotti, solo che sulla faccia 656 ANDREA GIULIO ROSSI interna dell’ anello il filo è sepolto entro opportuni incastri, aperti o chiusi, praticati trasversalmente nella massa lamellare"dì SU TALUNE PROPRIETÀ DI UN SISTEMA DI DUE CORRENTI, ECC. 657 ferro. À ciascun incastro può corrispondere una sezione dell’avvol- «gimento, e fra una sezione e la successiva è diramata una sbarra di collettore, simile a quello di Gramme, destinato alla intro- duzione della corrente per via di un contatto, che può raggiun- gere una discreta perfezione, e che può venir trasportato ad arbitrio in un punto qualsiasi del collettore. Quindi, se una coppia di contatti diametralmente opposti, come D,, D, (0 Ds, Ds) poggiano sul collettore, adducendo all’anello rispettivo una cor- rente alternativa, si produrrà un campo magnetico secondo quel dato azimut D,D, (0 Ds Ds), e potremo spostare questo azimut a piacimento in ogni anello, trasportando angolarmente il porta- spazzole diametrale. L'anello centrale C è analogamente costruito, con la diffe- renza che porta due avvolgimenti distinti, paralleli e isolati, 1 e 2, a ciascuno dei quali le correnti vengono addotte nei punti D'; e D”; alle estremità di un diametro fisso, nella figura, il verticale, cosicchè il campo vi assume stabilmente questo azimut, e risulta della somma vettoriale dei due campi prodotti da c, e da c, quando queste correnti attraversino i suoi due avvolgimenti. Ovviamente, ad agevolare la regolazione degli angoli di conformazione, anche i contatti D', e D'"; potranno spostarsi su due collettori distinti, poichè non v'è altra neces- sità che il campo 43 sia fisso in una data posizione che quella di servire di origine agli angoli w, e ws (*). La corrente alternativa eccitatrice c, entra per D, in alto, esce per D, in basso, e percorre l’avvolgimento D'; D'3, ritor- nando di là al conduttore di distribuzione o di linea. L'avvol- gimento 2 sull’anello C raccoglie la corrente indotta cs e la passa sull’anello B peri due contatti mobili Ds, D, diametrali, con l'intermediario di un circuito esterno di regolazione o di utilizzazione. L’armatura, centrata nel vano cilindrico di questi tre anelli, (*) Sarà infine vantaggioso per la comodità della manovra dei contatti, il trasportare i collettori fuori della macchina e disporli sopra un piano, ciascuno in corrispondenza di un cerchio graduato. Allora î contatti D'} e D'"; possono restare in posizione fissa, e quindi possono sopprimersi i col- lettori relativi: la manovra dei rimanenti porta-contatti D, e Da su due collettori piani circolari può riuscire assai facile e comoda. Così la mac- china può ricoprirsi, ed essere completamente riparata. 658 ANDREA GIULIO ROSSI — SU TALUNE PROPRIETÀ, ECC. può essere vantaggiosamente del tipo Dobrowolsky o Brown, a sbarre o spirali sepolte nel ferro presso la superficie, in modo da ottenere un interferro minimo, e con conduttori distinti dia- metrali sulle due basi per guidare le correnti indotte nelle regioni più opportune dei campi induttori, i quali invero attra- versano diametralmente la massa intera dell’armatura. I campi alternativi prodotti dai tre anelli in tre piani di- versi, creano nell’armatura dei flussi secondo tre direzioni che comprendono fra loro gli angoli w, e y,, — di cui la somma dovrebbe valere, nelle ipotesi fatte più sopra, il doppio della dif- ferenza di fase fra le due correnti primaria e secondaria, — e che singolarmente dipendono dalle ampiezze di queste correnti. Rimarrebbe a ricercare, col calcolo e con l’esperienza, come il principio esposto venga modificato dalla presenza dei nuclei di ferro negli induttori, primario e secondario, e della armatura ruotante che collega fra loro i tre campi. Come è noto, è perfettamente indifferente che i campi al- ternativi componenti si taglino realmente nello stesso piano a traverso l'armatura, oppure sieno situati l’uno allato dell’altro. Come nel motore bifase di Sahulka, i flussi componenti sono in questo caso completamente indipendenti l'uno dall’altro a tra- verso l'armatura (*), ma la loro azione risultante sulle sbarre di questa deve essere equivalente a quella che eserciterebbe un campo ruotante di valore costante, allorchè fra gli angoli di conformazione del sistema e le varie caratteristiche dei cir- cuiti alternativi esistano le volute relazioni. (*) Specialmente se, come nell’armatura di Sahulka, si ha cura di sepa- rare la massa di ferro lamellare M in tre parti uguali, mediante due dischi di materia isolante infilati sull’asse in corrispondenza degli strati di aria separatori, esistenti fra gli anelli induttori A e C, e C e B. Tuttavia, non credo che questo sia necessario a impedire derivazioni longitudinali di flusso nel ferro d’armatura, fra i campi trasversali componenti: le lamine di ferro sono ordinariamente abbastanza isolate l’una dall’altra elettrica- mente da presentare una sufficiente resistenza magnetica nello stesso senso, di fronte alla grande permeabilità trasversale. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. ra 7 659 CLASSI UNITE Adunanza del 24 aprile 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali : Cossa, Vice Presidente dell’Accademia, D’Ovipio, BerruTI, NACc- caRI, CAMmERANO, SEGRE, PrANO, JADANZA, Foà, GUARESCHI, Guipi e FILETI. Della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: CLarETTA, Direttore della Classe, PevRron, Rossi, BOLLATI DI SAINT-PreRRE, Pezzi, FERRERO e NANI Segretario. Il Socio Segretario dà lettura dell’ atto verbale dell’adu- nanza delle Classi unite del 9 gennaio 1898, che viene approvato. Quindi il Presidente dà la parola al Socio Tesoriere CAmE- RANO perchè esponga il rendiconto finanziario così dell'annata precedente, come dell’attuale. Il Socio Tesoriere legge anzi tutto il conto consuntivo per l’anno 1897, quindi il bilancio preventivo per l’anno 1898, il rendiconto consuntivo dell’ eredità Bressa per il 1897, nonchè della Fondazione Gautieri per lo stesso anno. Tutti questi bilanci sono successivamente approvati all’una- nimità, senza osservazioni; ed approvasi pure l’atto del Consi- 660 glio di Amministrazione per lo scaricamento del Tesoriere per l'esercizio 1897 e di caricamento per l'esercizio 1898. Si procede in seguito alla elezione del Vice Presidente del- l’Accademia, essendo scaduto dalla carica il Socio A. Cossa per compiuto triennio, e riesce rieletto lo stesso Socio A. Cossa per un altro triennio, salva l’approvazione Sovrana. Essendo anche scaduto il Socio L. CAmeRANO dalla carica di Socio Tesoriere per aver compiuto un secondo triennio, nè più essendo, per tale motivo, rieleggibile, il Presidente, lodata l’opera oculata e diligente da lui prestata a vantaggio dell’Ac- cademia nell'esercizio delle importanti e delicate funzioni affi- dategli, invita l'Accademia ad addivenire all’elezione di un nuovo Tesoriere per il triennio in corso. Procedutosi alla elezione riesce eletto, salva l'approvazione Sovrana, il Socio E. D’'Ovrpro. Il Presidente comunica il Regio Decreto, in data 13 feb- braio 1898, con cui l'Accademia venne autorizzata ad accettare l'eredità del compianto Senatore Prof. Tommaso VALLAURI. Trattandosi ora quindi di preparare lo Statuto ed il Regola- mento per questa nuova fondazione propone che l'Accademia, seguendo il metodo tenuto rispetto alla fondazione Bressa, vo- glia deliberare che i relativi progetti siano formulati da una Commissione composta dal Consiglio di Presidenza nonchè da quattro Soci eletti per metà dall'una e dall'altra Classe, e sot- toposti quindi all'esame ed all'approvazione dell’Accademia. Approvata tale proposta, la Commissione resta così composta: dal Presidente, dal Vice Presidente, dal Socio Tesoriere e dai due Segretari di Classe, e da quattro Soci due per ciascuna Classe. Vota anzitutto la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali e riescono eletti i Soci L. CameRANO e P. Foà. Vota in seguito la Classe di scienze morali, storiche e filo- logiche e riescono eletti i Soci B. Pevron e D. Prezzi. Propone per ultimo il Presidente, e l'Accademia approva, CA : . . "a A ta | . È l 2 ONES giorni primo e otto Maggio, per causa delle solennità iche che si celebreranno in detti giorni, non abbiano o le adunanze delle Classi, pur rimanendo libero ai Soci bbiano da presentare Note per gli Atti, o proprie o di CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 24 Aprile 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLareTTA, Direttore della Classe, Peyron, Rossi, BoLLati p1 SAInT-PrerrE, Pezzi, FERRERO, e Nani Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta. Il Presidente comunica una lettera di ringraziamento del Prof. G. AscoLi per la sua nomina a Socio nazionale non resi- dente della R. Accademia. Il Segretario, per incarico del Socio non residente Barone D. CARUTTI, presenta un opuscolo, Le Général Menabrea Marquis de Val Dora. Notice biographique (Chambéry, 1898), offerto in omaggio dall'A. Generale Borson, Presidente dell’Accademia di Savoia, e brevemente ne discorre. Il Socio E. FeRRERO, per incarico del Socio C. CreoLLa, assente, presenta una Nota, da inserirsi negli Attìi, del Profes- sore F. GaBorto, Due assedì di Cuneo (1347-8; 1515) secondo documenti inediti. rn i = + è + ì I } 663 Presenta quindi una Memoria del Dott. A. Seere, intito- lata: La marina militare sabauda ai tempi di Emanuele Filiberto e l’opera politica-navale di Andrea Provana di Leynì dal 1560 al 1571. Su detta Memoria riferirà una Commissione di cui il Pre- sidente elegge a far parte i Socii CLARETTA, FERRERO e CIPOLLA. Per ultimo il Socio CLARETTA, proseguendo la lettura del suo studio storico sulle vicende del feudo della Cisterna d’Asti, considera le condizioni di questo dopo la morte del vescovo Alberto de’ Guttuari. Cessata allora la potenza di quella fami- glia, gli antichi compartecipanti a quella giurisdizione ripresero l'esercizio dei loro diritti. Nota come ai varii feudatarii venisse ad aggiungersi la famiglia dei Peletta, antichi nobili astigiani. Senonchè essendo stati alcuni di loro reputati correi in un certo assassinio commesso a danno di altri di quella stessa numerosa prosapia, la Corte di Roma, fondata sulle antiche pretese su quel feudo, accampate sin da età remota come fu avvertito, si va- leva di quell’accidente per trarne partito a sua volta. L'autore fa conoscere sommariamente nelle varie sue fasi il lungo pro- cedimento giudiziario ; e l'energia dimostrata dagli imputati per non lasciarsi pregiudicare in accuse, nelle quali la prova non pareva così limpida e palpante come taluno opinava. Con tutto questo però Sisto IV nel 1476 infeudava la Cisterna ad Antonio della Rovere, denominato dal compiacente estensore della Bolla, militi saonensi. Ed intanto, vinte le opposizioni dei commissari nominati a conoscere il procedimento contro i Peletta, che nel Breve del 5 luglio 1477 ritenevansi diabolica fraude seducti in profundum malorum se precipitantes, animarum suarum salutem ne- gligentes et honorem suum pro nihilo habentes in satanica superbia perseverant ac sententias censuras et poenas huiusmodi adimplere et eis parere negligant in vilipendium et contemptionem sacrorum ca- nonum et eiusdem apostolicae sedis, caldamente si procurava che avessero ad essere condannati. Ma, tuttochè secondo i documenti venissero i Peletta ritenuti già tamquam palmitem fructum non ferentem et membra putrida acrioribus armis insurgere, ac eos a commercio fidelium segregare volentes, nondimeno essi non si la- sciavano atterrire, e finivano per vincere in parte, in grazia 664 della loro perseveranza e del sussidio dei giureconsulti che li assistevano in quella difficile lotta. Quindi è che già il 19 no- vembre dello stesso anno 1477 seguiva un primo componimento nel castello di Casale alla presenza dello stesso marchese di Monferrato Guglielmo V, vicario imperiale, del duca di Milano, capitano generale, e di altri illustri personaggi. Quel documento dimostrava già esclusa la compartecipazione dei Peletta nel reato loro imputato; il perchè essi già potevano ottenerne l’assolu- zione sia nel foro interno che nell’esterno, colla revoca di ogni sentenza e pena, nonchè della censura pronunciata. É mentre intanto veniva pure tolta la confisca sui loro antichi feudi gen- tilizi di Cortanze e di Cortanzone, essi scendevano a componi- mento in quanto all’esercizio della giurisdizione sulla Cisterna. E così questo feudo, rimasto pochi anni nella famiglia dei Della Rovere di Savona, cioè nei fratelli e nei nipoti del primo in- vestito, doveva da costoro venire alienato ad un avventuriero di altra regione italiana, come verrà esaminato nel proseguire di questo studio. marnn___—_—_—__—_—___—_7"—"" lei nità ag tele cal FERDINANDO GABOTTO — DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 665 LETTURE Due Assedî di Cuneo (1347-8; 1515) secondo documenti inediti ; Nota del Dott. FERDINANDO GABOTTO. In occasione del settimo centenario della fondazione della città di Cuneo, che sappiamo omai sicuramente sorta nel 1198 (1), si publicherà prossimamente un volume di mono- grafie di diversi studiosi su quella città, ed in esso parecchie sono consacrate ai memorandi assedì degli anni 1542, 1557, 1639-41, ecc. Ma di due assedì più antichi non sarà forse più che la nuda indicazione, e certo ad essi non venne asse- gnata alcuna speciale memoria, per l'ottima ragione che quando venne ideato il piano di quel volume non si avevano intorno ai medesimi notizie particolareggiate. Ora avendo io trovato parecchi documenti inediti — e sconosciuti finora agli storici — dai quali molta luce mi sembra venire intorno a detti assedî, che sono quelli degli anni 1347-8 e 1515, mi è parso non inutile darne comunicazione agli studiosi, prima riassumendone organicamente il contenuto, poi recandoli, almeno nelle parti essenziali, in ap- pendice. Certo, su entrambi si possono anche adesso desiderare maggiori ragguagli, e in queste materie tutta la più scrupo- losa diligenza non può assicurare che in avvenire, spesso anche prossimo, non abbiano a trovarsi altri dati maggiori: tuttavia l'accertamento, anche solo parziale, di fatti storici importanti, giova sempre, sia pure in cerchia modestissima, al progresso dei nostri studì. (1) AGosrino Durro, Le origini di Cuneo, Saluzzo, Lobetti-Bodoni, 1891, e Se gli astigiani e l’abate di S. Dalmazzo del Borgo ebbero parte nella fon- dazione di Cuneo, Torino, Clausen, 1894 (Cfr. anche La valle di Stura dal 1163 al 1200, Torino, Clausen, 1894); Lorenzo BertANO, Storia di Cuneo : Medio Evo (1198-1382), I, 65 segg.; II, 63 segg., Cuneo, tip. Subalpina, 1898. 666 «FERDINANDO GABOTTO. Z, Incomincio, naturalmente, dall'assedio del 1347-8. A pro- posito di questo è a notare anzitutto che i dati finora scono- sciuti si riducevano a poche linee del cronista saluzzese Giof- fredo Della Chiesa (1), notaio dei marchesi di Saluzzo Tomaso III e Lodovico I, in grado pertanto di aver buone informazioni, e senza dubbio molto diligente, ma del quale, disgraziatamente, non ci sono giunte che copie relativamente assai tarde, in cui sono avvenute trasposizioni ed errori di nomi e di date (2). Il Della Chiesa, adunque, ricorda la dedizione di Cuneo ad Ame- deo VI di Savoia ed a Giacomo di Acaia il 7 luglio 1347; quindi, dopo narrati altri fatti — fra cui la presa del castello di Le- valdigi, presso Savigliano, il 9 settembre, da parte dell’esercito di Luchino Visconti —, prosegue: “ Habiuto Leualdise, se party et ando [tale esercito | sopra il podere di Conio e prese Caraglo, Ceruascha, Valgrana e molte altre terre che tenieno de Conio, le quale tute se diedero al marchese Thomas [II di Saluzzo], quale era in lo exercito ,. Il cronista continua dicendo che i Viscontei presero anche Montemale l’11 novembre, poi andarono «“ di la dy Po ,, vi stettero “ alquanty giorny guastando sempre le terre dil conte [di Savoia] e dil principe , ed occuparono Piobesi torinese; da ultimo, detto della caduta anche di Nar- zole, Roccadebaldi (8 novembre) e Mondovì (29 novembre), Giof-. fredo rileva come “ di novembre e di dicembre , tutte “ le terre di Cuneo, eccetto Centallo, , si fossero arrese a Luchino, e termina, dopo un cenno sulla conquista milanese e mon- ferrina d'Ivrea: “ Nel 1348 a 2 di marzo la terra di Conio se diede al dominio dy missere Luchino, e quasi tuty ly forestiery quy erano dentro per il conte et il principe furono presy; e stetely lo assedio presso a trey mesi ,. L'ultimo accuratissimo storico di Cuneo non ha potuto aggiunger nulla a queste poche notizie, ma dopo averle ripetute, conchiude melanconicamente: “ La storia non può nominare a lode alcuno dei valorosi, per- (1) Cron. di Sal., in M. h. p. ss., II, 983 segg. (2) Cfr. al riguardo quanto ho notato in Ric. e st. st. Bra, I, 186 segg., Bra, Racca, 1892, ed in Due falsif. di st. piem., 26, Torino, Clausen, 1893. Di G. Della Chiesa, come notaio di Tomaso III, ho rintracciato due auto- grafi (atti notarili) che publicherò prossimamente in facsimile. DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 667 chè nessuna memoria ce ne resta , (1). Io stesso altre volte non ho saputo dire molto di più (2): ora, invece, sono in grado di aggiungere molte cose grazie al Conto di Manfredo Operti, chiavaro di Cuneo per Savoia-Acaia durante la breve domina- zione di Amedeo VI e di Giacomo nel 1347-48, “ Conto , che si conserva, primo fra i Rotoli di quella “ castellania ,, nel- l'Archivio Camerale di Torino, ossia in quella miniera inesausta, e per lungo tempo ancora inesauribile, da cui ho già avuto la fortuna di trarre tante altre importanti notizie. Il “ Conto , accennato è un picciol rotolo membranaceo, che in qualche parte ha sofferto parecchio dell’ umidità, onde alcune righe sono affatto illeggibili, altre si leggono solo con molto stento. Il guaio è che il caso si verifica appunto nell’in- testazione, donde ricaviamo solo — supplisco con puntini le la- cune — che Manfredo Operti tenne l’ufficio “ per septem menses et ... videlicet a die decimaseptima mensis Iulii anno Domini MCCCXLseptimo usque ad diem decimum . ..,. Sette mesi, dal 17 luglio 1347, ci conducono al 16 febbraio 1348, ma l’“ et, che precede il tratto illeggibile e lo spazio rappresentato da questo ci provano che devono aggiungersi ai “ sette mesi , parecchi “ giorni ,, e dico subito “ parecchi ,, poichè la lun- ghezza del tratto esclude tosto un numero inferiore a “ qua- tuordecim ,, anzi — a rigore — tale lunghezza di spazio vor- rebbe un “ vigintiquatuor , o “ vigintiquinque dies , o altro numero di pari lunghezza in lettere (27; 29). È vero che questo risultamento ci mette senz'altro in contradizione col testo attuale di Gioffredo Della Chiesa; ma d’altra parte l’espressione “ usque ad decimum ..., esclude subito il 2 marzo da lui dato come giorno della caduta di Cuneo. Ora a me pare facile ristabilire il testo del Conto, spiegare l’errore del Della Chiesa e trovare ad un tempo la data vera della caduta di Cuneo. Osserviamo anzitutto che, data la circostanza dell’esser l’Operti durato in ufficio sette mesi ed almeno 14 giorni, l’ “usque ad deci- mum..., non può riferirsi al febbraio, ma al marzo 1348, e (1) Berrano, Op. cit., I, 400. (2) St. del Piem. nella prima metà del sec. XIV, 233 segg., Torino, Bocca, 1894; Accenni ined. di st. subalp. (1292-1410) dai “ Conti , e dai “ Registri Curia , del Com. di Piner., in © Bollett. stor. bibliogr. subalp. ,, I, 201 segg.; 24M La camp. subalp. del sec. sem. 1347 sec. un nuovo doe., ibidem, II, 117 segg. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 46 668 FERDINANDO GABOTTO ” che inoltre tale espressione non può compiersi in data ulteriore a “ decimum quintum ,, od al più “ decimùm sextum exclusive ,, “ mensis marcii anno Domini MCCCXLVIII ,, perchè altrimenti. avremmo otto, non sette mesi. Dobbiamo dunque fissare il ter- mine del Conto ad un giorno fra il 10 ed il 15 o, al più, il 16 marzo. Ma vi sono ragioni speciali per fissarlo di preferenza al 10 od all’11. Per fissarlo all’11, basta pensare che un primo copista di Gioffredo Della Chiesa abbia trascritto un originario “ XI, di questo in “ 11 ,, e che poi un secondo abbia creduto romane le cifre arabiche della trascrizione ed abbia convertito l“11,in“2,. Per fissare detto termine al 10, convien notare che la forma della X usata da Gioffredo è — come appare dai suoi autografi — alquanto somigliante a quella di una Y minuscola, onde facile una trascrizione “ y ,, poi “ ij, e finalmente “ 2 ,. Il Conto dell’Operti andrebbe quindi dal 17 luglio 1347 al 10 od all’11 marzo 1348 (Documento 1). Premesse queste osservazioni sul documento che ci fornisce nuovi preziosi ragguagli sulla prima dominazione sabauda in Cuneo e sull’assedio del luogo nel 1347-48, passiamo ad esami- narne il contenuto, mettendolo in relazione con quanto già si conosce al riguardo. La storia della campagna subalpina del 1347 e dei primi mesi del 1348 è ancora da fare, nonostante i miei diversi ten- tativi di ricostruirla, già precedentemente accennati. Tuttavia, valendomi del materiale già adoperato altrove, e del nuovo che ricavo dai molti Conti di tutte le castellanie sabaude con- tenuti nell'Archivio Camerale torinese, ecco quanto si può mettere in sodo. Sconfitti i Provenzali nel combattimento di Pollenzo (13 no- vembre 1346), tutte le potenze subalpine si gettarono, arpie vo- raci, sugli Stati della regina Giovanna in Piemonte; e prima Luchino Visconti, signore di Milano, s'impadroniva di Alessan- dria e di Tortona, poi il suo podestà di Asti entrava pure in Bra, sottometteva i signori di Santa Vittoria e fortificava Fon- tane sul territorio reginale di Cherasco. Anche il marchese di Monferrato, Giovanni II Paleologo, si apprestava ad invadere il territorio di Chieri, spettanza della Regina, e sulla fine di aprile 1347 s’impadroniva del castello di Vergnano, mentre Giacomo principe di Acaia, stretta alleanza con Amedeo VI di PT. TL a DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 669 Savoia — ossia col conte di Ginevra e col sire di Vaud, tutori di lui — armava pur egli, in apparenza a difesa, in realtà ad occupazione degli Stati subalpini della Casa di Angiò (1). Dopo aver negoziato con Chieri fin dal gennaio per mezzo di un An- tonio Sicco (2), il Principe traeva in soccorso del luogo, stretto di assedio nel maggio dal Paleologo, al campo del quale non mancavano le spie sabaude (3). Invano Giovanna di Napoli aveva creato un nuovo siniscalco di Piemonte in persona di Ni- colò Barale (4) ed invocata la mediazione di Papa Clemente VI, che non molto prima aveva prolungato ufficialmente di due anni la tregua triennale stabilita dal cardinale Guglielmo Curti in suo nome, nel 1343 (5). Il 6 maggio, il Pontefice rimproverava Luchino Visconti dell'assedio posto a Chieri dalle genti di lui e del marchese di Monferrato, e delle minaccie a Fossano, Ca- vallermaggiore ed altre terre di Acaia, secondochè era stato informato da Amedeo VI e da Giacomo (6); ma già questi ul- timi avevano omai combinato coi Chieresi la dedizione a sè della lor terra (7), ed il conte di Ginevra, arrivato a tal fine a Susa 1 8 del mese (8), vi si faceva precedere da Francesco de Chignin, castellano di Susa stessa, con 27 uomini d'arme (9). Tali forze, aggiunte a quelle già prima inviate dal Principe, bastarono a suscitare un moto che cacciò il vicario angioino e condusse il 19 i borghesi a darsi a Savoia e ad Acaia con atto solenne, avente ogni apparenza di spontaneità (10). In quel mo- mento, Savoia e Milano procedevano ancora così d’accordo che dal 29 maggio al 19 giugno andarono e stettero a Milano ap- punto due rappresentanti di Amedeo VI — Aimone di Verdun, (1) St. del Piem., 220 segg. (2) Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Tor., Rot. XXI. (3) Ibidem, Conto Castell. Rivoli, Rot. XLV. (4) G. Dea Cuiesa, 982, scrive erroneamente “ Bolleri ,, onde così ho ripetuto io, altri congetturando “ d’Eboli , (BareLtI, in “ Bollett. stor.-bibl. subalp. ,, I, 22). Pel nome esatto v. doc. in “ Arch. st. napol. ,, XXI, 689. (5) St. del Piem., 205 segg. (6) CerasoLi E Cirorra, Clemente VI e Casa Savoia, 29, n. xxx1x, Torino, Stamperia Reale, 1898 (estr. dalla “ Miscell. st. ital. ,, s. III, t. V). (7) Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Riv., l. c. (8) Ibidem, Conto Castell. Susa, Rot. XXX: “ pro tractatu de Cherio ,, (9) Ibidem, 1. c. (10) St. del Piem., 227. 670 FERDINANDO GABOTTO castellano di Rivoli, e Lancilotto di Chatillon, futuro balivo di Val di Susa — a negoziare con Luchino Visconti “ affinchè non impedisse l’acquisto di Chieri , (1). Il Visconti ed il Paleologo avevano rivolto altrove le mire: il 30 maggio assediavano Alba, che presero in capo a 18 giorni (2), troppo tardi inviando Clemente VI ordine a Sancio Canale, udi- tore del palazzo apostolico, di far osservare le tregue, ed ai vescovi astese ed albese di dar aiuto agli ufficiali della Re- gina (3). È a questo punto soltanto che ha luogo l’aperta rot- tura fra il Visconti ed i Sabaudi. Convocate le sue milizie a Torino il 4 giugno (4), Giacomo di Acaia e il conte di Ginevra s'impadronivano il 15 di Cherasco, il 26 di Mondovì (5). Il Ba- rale, abbandonata Savigliano, dove riprese autorità il giudice generale Manfredo Gorena, ch'era stato gridato “ governatore , subito dopo la battaglia di Pollenzo (6), andò a sollecitar l’opera del Papa, che il 13 luglio lo rinviava a Giovanna (7), non senza aver riscritto l’ 8 al Canale, e diretto il 10 Giordano, vescovo di Trivento, ad Amedeo VI, ai tutori di lui, al marchese di Mon- ferrato ed al principe di Acaia con credenziali “ per la pacifi- cazione , del Piemonte (8). Clemente VI, anzi, il giorno 11 di quel mese stesso di luglio, dava pure missione a Matteo Ribaldi, vescovo di Verona, di recarsi in Piemonte a procurarne la pa- cificazione e ad invitare tassativamente “ tutti gli ufficiali regi- nali, marchesi, conti, visconti, baroni, magnati, nobili, comunità, università, popoli ed individui, ad osservare le tregue di cui sopra, ed astenersi da ogni offesa ed ostilità o commozione contro città, castelli, ville e terre spettanti alla Regina o ad altri, et presertim castri de Como Astensis diocesis , (9). Così hanno letto gli egregîì editori delle bolle clementine, ed in nota (1) Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Riv., 1. c. (2) G. DeLca Cuiesa, 983. (3) CerasoLi E CipoLra, Op. cit., 30 segg., nn. xL-XLII. (4) Acc. ined. di st. subalp., 201, n. xvi. (5) G. DeLca Curesa, l. c., St. del Piem., 226, 228. (6) St. del Piem., 221, 227. (7) CerasoLi, Clemente VI e Giovanna I di Napoli, n. cxvn, in “ Arch. stor. nap..,, l.c.. (8) CerasoLi E CreoLra, 32 segg., nn. XLIM-XLVII. (9) Ibidem, 84 segg., nn. xLIX-L. MESETTO - iaia DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-S, 1515) 671 osservano anzi che “ Como presso Alba è luogo registrato nella Bibliogr. del Manno, IV, 503 ,. Ma “ Como presso Alba , sa- rebbe diocesi “ albese ,, non “ astese ,, com’ è detto espressa- mente nei documenti addotti, e non dubito punto che “ Comi , debba correggersi in “ Conii ,, cioè Cuneo, il qual luogo rimase effettivamente sotto la chiesa d’Asti fin verso la metà del se- colo XV (1). Noi sappiamo infatti che il 7, come scrive Giof- fredo Della Chiesa, o il 17 luglio, come farebbe pensare il Conto Operti — per quanto la nomina del chiavaro possa essere di qualche giorno posteriore all’acquisto della terra da parte dei Sabaudi —, questi ottenevano Cuneo e vi nominavano “ vicario , Nicoletto Porcello, di Torino; “ giudice delle cause civili, An- tonio Baudissone; “ giudice dei malefizîì ,, o cause criminali, Domenico di Ulmeta; “ torriero , della torre della “ piazza , (attuale “ via Nizza ,) Giacomo Paudo; “ chiavaro , il ricordato Manfredo Operti (Documento I). Anche Savigliano venne in potere di Amedeo VI — arrivato in persona a Susa il 23 giugno (2) e disceso quindi in Piemonte — e di Giacomo di Acaia, i quali si ritiravano quindi rispettivamente a Rivoli ed a Vigone, la- sciando loro “ vicario e capitano generale di tutto il paese oltre Po , il cavaliere (miles) Ugone di Boczosel, cui fu mandato pa- garsi parte dello stipendio sui redditi cuneesi (3). Le rapide conquiste dei Sabaudi, acquisitori in breve tempo della maggior parte dei dominî angioini in Piemonte, dove la parte guelfa li preferiva manifestamente a Milano, a Monfer- rato, a Saluzzo, commosse, anzi esasperò queste altre potenze, di cui la prima aveva soltanto guadagnato Alessandria e Tor- tona, la seconda Valenza (19 giugno) e la terza Busca (1 luglio). Sopratutto il vedersi sfuggir Savigliano, su cui contavano af- fatto, portavane al colmo il dispetto; onde Milanesi e Monfer- rini avanzarono sul territorio di Acaia (4), dove fu subito un grande agitarsi a riparo (5). Il 17 luglio, Giacomo indiceva (1) Mi si permetta rinviare al riguardo allo scritto La vita in Cuneo alla fine del M. E. nell’annunziato volume Cuneo, Torino, Roux, 1898. (2) Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Susa, Rot. XXX. (3) Ibidem; Documento I; St. del Piem., 229 segg. (4) St. del Piem., 227, 229, 231. (5) La camp. subalp., 117 segg. 672 FERDINANDO GABOTTO l’esercito generale a Piobesi torinese (1); il 26 gli alleati giun- gevano a Lombriasco, forse sotto colore di un colloquio fra Gio- vanni II, Amedeo VI ed i suoi tutori per risolvere amichevol- mente ogni questione, del che si parlava appunto, anche nelle sfere ufficiali, in quei giorni; il 29, riconvocate le milizie sa- baude a Virle, si attendeva dovunque una battaglia campale pel 1° agosto. Pur non ne fu nulla (2). In principio di agosto i collegati di fatto si erano posti a Cavallermaggiore; il 16, Luchino Visconti, Giovanni II di Monferrato e il Delfino vien- nese stringevano fra loro una solenne alleanza contro Savoia ed Acaia; il 1° settembre essa veniva ratificata da Tomaso II di Saluzzo, che Savoia aveva cercato invano di trarre a sè con blandizie (3). Or questo fatto ci riconduce a Cuneo, dove la parte ghibellina si agitava, ed il Conto Operti ci rivela tutta una serie di fatti che dimostrano mirabilmente lo stato d’animo della fazione che desiderava un mutamento di signoria nella terra. Dal semplice sparlare dei “ signori , — il Conte ed il Principe — per cui Luchino Bergerio (od un pastore di nome Luchino?) è processato e condannato a multa, rimessagli poi a metà dal capitano generale Boczosel, si passa al reato più grave di Antonio Bellono, il quale, alla notizia appunto del trattato fra Saluzzo e gli altri nemici di Savoia, pel quale erano riservate al marchese Tomaso tutte le terre cuneesi a nord della Stura, ne dà tosto lieta notizia al fratello Giacomo, soggiungendo che prima del 26 settembre il luogo si sarebbe ribellato, “ ed altre cose in derisione dei signori ,, e da ultimo si arriva a vere re- lazioni cogli avversarî dello Stato, nonostante tutte le gride in contrario, come fa quel Guglielmo Cutellerio, o coltellinaio, che è poi anch'egli multato in 6 lire astesi, indi graziato di 3 dal Boczosel (Documento 1). Di fronte all’ incalzar del pericolo, i tutori di Amedeo VI si erano rivolti di nuovo al Papa per mezzo di Giacomo di Clermont, milite, cui rinviava quegli il 28 agosto con risposta orale, mandando poi l’ 8 settembre Guidolo de Calice, milanese, a Luchino Visconti, per iscongiurarlo a metter fine alle sue (1) St. del Piem., 231. (2) La camp. subalp., 120 seg. (3) St. del Piem., 231 segg. | i fa DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 673 discordie coi Sabaudi (1). Intanto, però, gli avvenimenti preci- pitavano. Dopo aver minacciato più volte Cavour, di cui riem- pirono persino i fossati per procedere indi all’ assalto (2), i confederati costringevano a patti il castello di Levaldigi (9 set- tembre), secondochè ci ha già appreso Gioffredo Della Chiesa, la cui data stavolta sembra esatta; quindi, stando al medesimo, venne il nembo a rovesciarsi sopra il distretto di Cuneo. A questo proposito è ad osservare che i documenti escludono in modo sicuro che l’esercito della lega sia rimasto fino all’11 no- vembre in quelle parti, poi sia venuto a Piobesi torinese, per ritrovarsi da capo il 29 novembre a Mondovì. Ma due ipotesi sono possibili: o la prima spedizione contro il distretto di Cuneo è realmente del novembre, ed allora va posta dopo la mossa su Piobesi; ovvero la data “11 novembre , di Gioffredo vuolsi correggere in “ 11 settembre ,. Altra volta io ho inclinato alla prima ipotesi (3), ma ora un miglior studio del testo del cro- nista e la conoscenza del Conto Operti mi fanno ricredere; onde correggendo me stesso — vorrei per l’ultima volta su questo punto —, parmi da ritenersi che dopo la presa di Levaldigi 1 Monferrino-viscontei facessero davvero una punta a mezzodì, pigliando Caraglio, Cervasca, Valgrana, Montemale ed altri luoghi, che vennero dati al marchese di Saluzzo: in qualche parte, almeno, Antonio Bellono la doveva saper lunga. E forse costui la sapeva più lunga ancora, parlando di una probabile ribellione di Cuneo: è notizia infatti che si era formata una congiura per tradir la terra ai nemici, ma sorpresa una tale Alaisona, moglie di Antonio Filippi, che era andata a far loro un’ambasciata ed ebbe perciò dipoi mozza la lingua, il tradi- mento fu prevenuto, ed i beni di una parte dei traditori, co- stretti a fuga, vennero staggiti dal governo. Come dei prodi, così dei tristi giova ricordare i nomi a vergogna ed ammaestra- mento, onde qui segniamo Bartolomeo, Gilio e Facio Anmrici, Cassone Dalmazzo ed il bastardo d’Entraque; e forse, pur troppo, non furono i soli (Documento I). Probabilmente, la scoperta della congiura cuneese fece retrocedere e voltare i collegati da un’altra (1) CerasoLi E Ciporra, 36 segg., nn. LI-LII. (2) La camp. subalp., 121. (3) Ibidem, 124. 674 FERDINANDO SABOTTO parte. Il 21 settembre essi tentavano di notte Villafranca; il 25, facevano la bravata di porre il campo dinanzi a Torino; ma, il 27, l’accorrere di rinforzi da ogni parte alla città, già in precedenza abbastanza munita, li induceva a ritrarsi verso Piobesi, ch’ebbero allora e dove restarono tutto ottobre, man- dando grosse partite a battere intorno la campagna fino a poca distanza da Pinerolo. Il 30, si rivolsero di nuovo a S.-E. (1), girarono intorno a Cherasco, presero Narzole e, 1'8 novembre, Roccadebaldi (2). La decisione di Morozzo, di sottoporsi al Vi- sconti mentre l’esercito di questo era accampato sotto Mondovì, fu considerata in Cuneo come un tradimento del chiavaro cu- neese di quel luogo, di cui vennero pure sequestrati i beni (Documento I). Ma omai, caduta il 29 anche Mondovì (3), Cuneo stessa stava per essere investita, aprendo così la serie de’ suoi lunghi assedî, tra cui questo primo vedemmo già aver durato più di tre mesi. I difensori di Cuneo, dei quali omai sappiamo i nomi, cioè — giova ripeterli — il vicario Nicoletto Porcelli, il chiavaro Manfredo Operti, i due giudici Antonio Baudizono e Domenico di Ulmeta, il torriero Giacomo Paudo, cui da ultimo si aggiunse forse lo stesso Boczosel, avevano provveduto per tempo alla difesa del luogo. Comprate subito 40 braccia di bocaramo, ne avevano fatto fare o riparare 11 bandiere per distribuirle alle milizie del luogo e del distretto; provvedettero il castello di “ porta Borgo , di viveri — farina, fave, sale —, costrussero un nuovo balfredo ed un mulino a braccia nel castello medesimo, vi fecero riat- tare anche un forno affinchè non venisse a mancare il pane. Sorvegliati e colti parecchi traditori, come già si è detto, pro- curavano d'altronde gli ufficiali sabaudi di vivere in buon accordo coll’abate di S. Dalmazzo, al quale davano la sesta parte dei banni a lui spettante in virtù di antichi diritti; procuravano buona e pronta giustizia a norma degli Statuti locali, facendo impiccare un famoso ladro e mozzare un orecchio ad un altro; (1) La camp. subalp., 22 segg. Cfr. anche Arch. Cam. di Tor., Conto Castell. Riv., Rot. XLV; Conto Castell. Susa, Rot. XXXI; Conto Castell. Tor., Rot. XXI. (2) G. DeLra CaHirsa, 984; St. del Piem., 232, colle dovute correzioni, di cui sopra. (3) St. del Piem., l. c. DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 675 mandavano attorno, infine, numerosi informatori a spiar le mosse e gl intendimenti nemici, e corrieri a Torino ed a Rivoli a trasmettere al governo centrale le notizie raccolte. Il vero nu- cleo della difesa — oltrechè nelle milizie cittadine dianzi ar- mate, come si è veduto — consisteva in 23 clienti sotto i connestabili Bertolino di Pavia e Filippone Garrone, di Racco- nigi, i quali, sebbene mercenarì — ebbero in paga 48 lire astesi (L. 129,024 valore metallico; coll’aumento del terzo pel deprez- zamento dell’oro, L. 172,032 moneta attuale) — si comportarono valorosamente resistendo così a lungo (1): sappiamo però che il 30 novembre vi erano state mandate anche altre genti da Pinerolo (2), e forse non da quel Comune soltanto. Ma a divertir le forze di Savoia e di Acaia da Cuneo, Giovanni II minacciava Chieri verso la metà di dicembre; tutti i luoghi intorno a Cuneo stessa si davano a Luchino Visconti ed a Tomaso di Saluzzo, secondochè erano sulla sinistra o sulla destra della Stura; pur di quel mese i confederati s’ impadronivano d’ Ivrea (3). Cle- mente VI, per vero, non abbandonava i Sabaudi: morto di fresco Lodovico il Bavaro, e rimasto Carlo IV di Boemia, nuovo re dei Romani, senza competitori, il Papa lo invitava il 1° dicembre 1347 ad intervenire in favore di Amedeo VI e di Giacomo di Acaia, facendogli rilevare la devozione che i loro antenati avevano mostrato verso l’avo di lui — Enrico VII — e la convenienza di conservar loro gli “ accresciuti , dominî; ed al Boemo anche il governo savoino mandava l’11 un ambasciatore. Il 16, anzi, veniva dal Pontefice deputato nuovo paciere Giovanni vescovo di Forlì (4), ma prima ch'egli potesse far valere l’opera sua, fallito un tentativo di soccorso per cui — probabilmente — fu mandato Corrado Borgna, chiavaro di Torino, a Savigliano, Fossano e Cherasco (5), Cuneo cedeva al diuturno assedio, forse per un tradimento riuscito dei ghibellini locali, se proprio si ha da leggere “ prodicionem , anzichè “ perdicionem ,, sulla fine del Conto Operti (6). La resistenza, ad ogni modo, era stata gloriosa, (1) Documento I. Nel 1342 il denaro astese valeva metallicamente 0,224 (CrsrarIo, Econ. polit., 4* ed.). (2) Ale. acc. di st. subalp., 291, n. xvi. (3) St. del Piem., 233 sega. (4) CerasoLi E Creorra, 40 segg., nn. vit e LvITT, e note. (5) Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Tor., Rot. XXI. (6) Paleograficamente il “ prodicionem , è fuori dubbio. era, 676 FERDINANDO GABOTTO ed i prigioni savoini furono presto liberati per la pace indi a poco stipulata a mediazione del vescovo forlivese — il 29 aprile 1348 (1). DE; Non meno importante, e più ancora che per sè, per le sue cause e per le sue conseguenze, l’altro assedio del 1515, seb- bene di durata molto più brevi. Le fonti sono le seguenti: 1° Un passo della Cronaca di Dalmazzo Grasso, edita da Dome- nico Promis (2); 2° Un altro passo del Memoriale di Giovanni Andrea Saluzzo-Castellar, testo edito anch'esso da Vincenzo Promis (8); 3° ‘Un atto notarile del 5 agosto 1515 conservato solo per copia non sincrona nella Biblioteca Civica di Cuneo, contenente una convenzione fra il Comune di Cuneo ed alcuni ca- pitani svizzeri (Documento Il); 4° Una patente di Carlo II (III), duca di Savoia, dell'’8 novembre 1516, esistente per minuta nell’ Archivio di Stato di Torino, e per originale nell’ Archivio Comunale di Cuneo (Documento IMI); 5° Alcuni “ Ordinati , del Comune di Cuneo, nell'Archivio del medesimo (Documento IV); 6° Una “ Notizia , accodata a certo “ Paschino ,, del sec. XVI cadente, nella Biblioteca Civica di Cuneo, ma pur essa soltanto in copia più tarda (Documento V); 7° Un passo del c. 20, ine- dito finora, di quella cronachetta latina di Cuneo (Summarium breve chronicarum Cunei) da cui Domenico Promis ha estratto e publicato la parte che riguarda il bandito Torresano (4), pel qual passo mi valgo, anzichè del codice confuso della Biblioteca di S. M. in Torino, di quello un po’ migliore della Biblioteca Civica di Cuneo (Documento VI). Siamo dunque in presenza di un fatto, di cui, se parecchie fonti sono finora inedite e sconosciute, altre si trovano a stampa o da tempo vennero adoperate anche manoscritte, ma per questo fatto non attrassero l’ attenzione degli storici nostri (5). Con- (1) St. del Piem., 235. Il “ 29 dicembre , è ivi un errore grafico che, dato il contesto, il lettore intelligente corregge di per sè. (2) In Mise. st. ital., XII, 336. (3) Ibidem, VIII, 581. (4) Ibidem, XII, 399 segg. (5) Non posso considerare come tale il troppo noto PartENIo, ‘ secoli di Cuneo, 114 segg., tante sono le sue confusioni ed invenzioni; e troppo breve è il TurLerti, St. di Savigl., I, 172, che vi consacra alcune parole. DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 677 viene pertanto prendere a base della narrazione il Grasso ed il Saluzzo-Castellar, ma tenendo sempre ben presenti le altre fonti, sia per compiere, sia per rettificare, sia anche solo per confermar quelle due, il che, trattandosi di cronache, è sempre opportuno a maggior sicurezza del racconto. Dalmazzo Grasso e Giovan Andrea Saluzzo-Castellar si pon- gono, naturalmente, da un punto di vista molto diverso. Il secondo, che scrive memorie personali, essendosi trovato mesco- lato nella grande storia del tempo, ha dinanzi a sè un oriz- zonte più largo; il primo, all’incontro, non vede molto più in là del suo Borgo San Dalmazzo e della vicina Cuneo, al più spinge l’occhio fino a Mondovì o registra seccamente fatti ge- nerali di cui è giunta l’ eco fino a lui, senza intravvederne, fuorchè per caso alcuna volta, la connessione cogli avvenimenti locali. Così il Saluzzo-Castellar descrive a lungo lo scorrere delle compagnie svizzere del vescovo eletto di Sion, mandate in Piemonte dai collegati — Papa, Spagna, Milano etc. — per im- pedire il valico ai Francesi che sotto il nuovo re Francesco I si apprestavano a superare le Alpi ed a ritentare la conquista della Lombardia. Egli non tralascia l’ occasione del sacco di Saluzzo e di tutto il marchesato da parte di quei venturieri, che ricorda aver avuto a capo un rappresentante del duca di Milano, senza scagliarsi aspramente, in una digressione abba- stanza lunga, contro la dissennata politica della marchesana Margherita di Foix; dopo di che prosegue: “ L’anno sopradito (1515), a iorni xxviri de lugno li Sviceri che herano a Saluce andareno a Centalo chon quatro pece (pezzi) de artegliaria grossa et circha pece xv de menuta et passareno per Votignascho, et per defecto de li homeni de la terra la asachamanarono et qussì lo chastelo et brusareno meza la terra, et a Centalo in la vila non gli fesano tropo dano se non de mangiare perchè gli ho- mini gli aviano dati mile fiorini, il chastelo lo sachamanareno tuto et lo champo non gli stete che doi iorni et poi andò a Qunio lo primo iorno de osto (agosto), et queli de Qunio hama- sareno asai Alamani li quali bombardaveno la terra, et queli dentro et masime lo populo menuto se defandiano benissimo; tuta|via|], per essere in la terra parte giebelina et verfa, et poi che li Sviceri desfasiano le terre per lì intorno et le sachamanaveno et brusaveno le chasine che erano piene de biade et de feno, 678 FERDINANDO GABOTTO se hachordareno con questi Sviceri che se ne andaseno et che gli dariano quatro milia duchati, et cussì li Sviceri acetareno volentera il partito perchè sentiano che li Fransosi pasavano li monti, et gli fu dato per ostagio quatro homeni et se levareno de là et poi ritornareno a Saluce et pasareno per Buscha alla quale gli dareno uno mezo sachamano, et questo a iorni vi de ost, et steno l’ultima volta a Saluce iorni sete et il setimo iorno se partireno et andareno dormire a Chavor per anderse unire chon quelli che herano a Pinerolo et chon il cardinale de Sion ,. Per il Saluzzo-Castellar, adunque, la mossa degli Svizzeri su Cuneo è un episodio del loro aggirarsi pel Piemonte a depre- dare in attesa di battersi coi Francesi, che cominciarono a pas- sare appunto il 10 agosto. Egli rileva solo che la notizia del- l'avvicinarsi di questi li indusse volentieri a scendere ad accordi col Cuneesi, e che questi si comportarono valorosamente, nono- stante le divisioni interne, come rileva anche l’anonimo autore del Summarium chronicarum Cunei. Per contro, il Grasso, dopo aver ricordata sotto l’anno 1514 la formazione “ d’una liga guelpha con uno caporale appellato il Tonduto , e le violenze di questi facinorosi “ quali....non stimavano vicari, nè offi- ciali, tutti minacciando, chiudevano le porte agli archieri del Duca, e non permettevano che entrassero dentro la terra ,, fa- cendo “ quello che a loro pareva e piaceva ,, prosegue, dopo un’altra notizia che ora non interessa, in questi termini: “ Quest'anno (1515) per permissione del duca Carlo II vennero li Sguizeri, sotto il regimento del vescovo ovvero cardinale de Siono condotti, posero campo attornio Cunio per aver serrato le porte agli archieri ducali, volendo pigliar lo Tonduto con li leoni suoi compagni, et battendo le mura verso Nostra Donna del Bosco con morte di più valorosi da una banda e dall’altra, benchè già ruinato avessero parte delle muraglie. Avendo nuove della venuta del Xristianissimo re Francesco con suo esercito di Francia contro loro, partendosi dall'impresa menorono .... (1) Bollero, Gioanne Reuello et ....., quali pensando fugire se erano con corde sospesi giù delle mura, erano stati prigioni, condu- cendoli con loro, facendoli tirar le artiglierie, quali condussero in Alemagna, a Berna et Friborgo, avendo loro fatta la ransone LI VILIONA scudi, la rimisero al duca loro signore ,. (1) Qui e sotto i puntini sono nel testo a stampa e rappresentano lacune. MT DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 679 Questo racconto del Grasso coincide in parecchie cose con quello del Saluzzo-Castellar, ed in altre le due narrazioni si compiono mirabilmente. Ma l'intonazione generale è sostanzial- mente diversa. Pel Grasso, gli Svizzeri sono quasi mandati dal duca di Savoia per punire “ il Tonduto , ed i “ leoni , suoi compagni, e la loro spedizione è un fatto isolato. A tale pro- posito, noi possiamo veder subito come questo del Grasso sia un errore; ma, d’ altra parte, dobbiamo proprio ritenere che l'assedio di Cuneo del 1515 sia puramente e semplicemente un episodio di “ scorrerie , .svizzere, e che il Tonduto ed i suoi siano dal cronista locale tirati in ballo senza ragione? I nuovi documenti illustrano e chiariscono tutto l'avvenimento, metten- dolo nella sua vera luce e rilevandone tutta l’importanza, tanto più tenendo conto anche di altri dati che servono di necessario e mirabile contorno al quadro principale. La condizione di Carlo II trai collegati, da una parte, ed il re di Francia dall’altra, è ritratta con viva fedeltà dal suo storico ufficiale, Domenico Macaneo, il quale rileva da una parte i doveri del Duca verso l'Impero e l’ antica alleanza coi Can- toni elvetici, dall’altra la parentela e la minacciosa potenza del giovane re di Francia suo nipote. Finge lo storico — ma è cosa assai probabile — che si discutesse nel suo consiglio questa situazione: certo, fu risolto di concedere il passo ad entrambi gli eserciti, con che rispettassero il suo territorio e pagassero quanto ognuno vi prendesse (1). Giovenale d’Acquino, altro cro- nista sabaudo del tempo, biasima questo provvedimento lodato dal Macaneo, e ne getta la colpa sui “ cattivi consiglieri , di Carlo; ma entrambi si accordano, tra loro e col Saluzzo-Ca- stellar, nel descrivere lo strazio del Piemonte per parte degli Svizzeri; anzi il D’Acquino attribuisce a questi l'intenzione di impadronirsi del paese, racconta che il celebre Prospero Colonna, comandante di una parte degli alleati, si faceva chiamare per ischerzo “ il conté di Carmagnola ,, “ marchese di Saluzzo , un fratello del vescovo di Sion, e “ duca di Savoia , il vescovo stesso, e con quel suo dire bonariamente efficace conchiude: « Il nostro illustrissimo signor Duca non sapeva che fare, se non aver pazienza; pur sperava in Dio come i suoi sudditi, cioè (1) Vitae novem ducum Sabaudiae, in M. h. p. ss., 820. 680 FERDINANDO GABOTTO i buoni, perchè ve n’eran di quelli che davan mano a quei ri- baldi Tedeschi , (1). In questo stato d’animo, Carlo II, al quale il Castellar ci ha fatto sapere risparmiata solo Torino in cui risiedeva, non doveva certo conferire un incarico agli Svizzeri come quello che il Grasso vuol loro affidato contro Cuneo; ma noi sappiamo però che in Cuneo era veramente “ parcialità grande , (2), e che ad arrestare il “ Tonduto , fu mandato Gi- rolamo Aiazza, cui gli abitanti, teneri di lor franchigie in ma- teria giudiziaria, chiusero in faccia le porte (3). Ora lo stesso Grasso ci apprende poco dopo che, discesi in Piemonte i Fran- cesi, “ questi parziali delle compagnie dei Leoni, cioè il Ton- duto con alquanti soi seguaci ,, andarono “ con lo esercito del re di Francia verso Milano ,: essi erano dunque guelfi, fautori di Francesco I. È vero che alcune fonti (4) dicono esplicita- mente che i borghesi di Cuneo furono concordi in ributtare gli Svizzeri; ma questo affermano non senza qualche meraviglia, e l'anonimo autore del Summarium breve, il quale prudentemente osserva quanto sia pericoloso resistere agli ordini della legit- tima autorità, consiglia ad obbedirvi e poi protestare dopo l’ob- bedienza prestata, e ricorda quanto accadde ad altre terre che vollero tener testa agli Svizzeri nel 1515 (5) — di tale con- cordia ringrazia ingenuamente Iddio, a cui ne attribuisce ogni merito (Documento VI). È dunque probabile che, se, conside- rato quanto accadeva intorno, tutti furono d’accordo di far fronte ai depredatori stranieri, il principal nerbo della resistenza fu del Tonduto e dei suoi, che il Grasso in particolar modo ri- corda, mentre un altro documento, del secolo XVI indubbia- mente, nota il “ robur , fermo di “ pauci cives , (Documento V). L'occupazione di Cuneo avrebbe chiuso a’ Francesi il valico del- l’Argentiera, per cui discese Francesco I col grosso delle sue forze, passando quindi per Borgo San Dalmazzo e per Cuneo, (1) Chron., ibidem, 734 seg. (2) Darmazzo Grasso, 337. Cfr. i molti supplizì ch’ebbero luogo in Cuneo in quegli anni, in Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Cuneo, voll. LXXII- LXXIII. (3) Doc. III. Cfr. Arch. Camer. di Tor., Conto Tes. gen. Sav., vol. 1514-1515. (4) SaLuzzo-CasreLLAR., l. c.; Documento VI. (5) Caso di Chivasso, su cui Saruzzo-CasreLar, 533; Moro, Cron., in Miscell. st. ital., I, 163; Macanero, 322; D’Acquimo, 36. DUE ASSEDÌ DI CUNEO (1347-8, 1515) 681 A dove fu accolto ed ospitato come amico (Documento IV). Questa circostanza, mentre conferma ciò che or ora si è detto sulla resistenza di Cuneo specialmente da parte dei seguaci del Ton- duto, mostra pure come la mossa degli Svizzeri su Cuneo avesse un obbiettivo militare di primissimo ordine. I capitani degli alleati dovevano comprendere, e saper forse per informazioni, che la discesa d’una parte delle truppe del Cristianissimo pel Colle dell’Agnello era solo una finta, od al più una mossa la- terale: di qui la spedizione su Cuneo con artiglierie; l’ assalto vivace, dopo aperta la breccia con un cannoneggiamento nu- trito; la persistenza per ben quattro giorni, dall’1 al 4 agosto, con morti da ambe le parti. La forte difesa e l'annuncio del- l'avvicinarsi dei Francesi — giacchè non possono essere che genti di Francia quelle che vennero indi a poco regalate dal Comune cuneese “ per esser venute in soccorso , oltre le truppe che già vi erano ausigliari ed i borghesi (Documento IV) — de- cisero naturalmente gli Svizzeri a ritirarsi, conducendo seco qualche prigioniero, cioè quei tali catturati mentre tentavano calarsi con una fune dalle mura e che noi apprendiamo dai nuovi documenti esser stati Bernardino Bolleri, Lodovico Miglia e Giovanni di Revello. Il desiderio di liberare i prigioni e di affrettar la partenza di quei predoni che disertavano le cam- pagne, ottenendo anzi la restituzione della preda, indusse i reg- gitori di Cuneo a mandare ambasciatori a negoziare coi capi- tani svizzeri, che i nuovi documenti si fanno pure conoscere nelle persone di Giachino o Gioachino de Molzanis, comandante in capo di quel corpo; Giovan Rodolfo de Gaspar, e Giovanni Cender, bernesi; Enrico Usar, di Luserna; Corrado de Fleur, di Unterwald, e Giovanni Hayd di Friburgo (Documento II); — quando battevano omai già definitivamente in ritirata verso Saluzzo coi loro 6 o 7 mila uomini (1). Fu in Busca che si con- venne il 5 agosto la partenza dei venturieri da tutto il terri- torio cuneese; la restituzione reciproca della preda non comme- stibile — ne avevano dunque fatta anche i borghesi e le loro genti sopra gli assalitori —; il riscatto, infine, dei prigionieri mediante sborso di 4000 scudi d’ oro del Re del Sole, di cui 400 in giornata, 600 entro l’agosto e gli ultimi 3000 a tutto (1) 6000 secondo il SaLuzzo-CasreLLar, 523; 7000 secondo il Docum. V. 682 FERDINANDO GABOTTO il 5 settembre. Ma per queste somme dovevansi dar tre o quattro ostaggi, ed i negoziatori non ne seppero trovar neppur uno. Eppure erano dessi persone autorevoli, perchè se non è cenno del “ vicario , Sebastiano di Scalenghe dei conti di Piossasco, che forse era assente (1), rappresentavano il Comune in quel trattato suo fratello Giacomo, forse luogotenente del medesimo; il giudice Aimone de Feis dei signori di Piobesi, della stessa famiglia (2); Bernardino Chivaleoni, dottore in ambe leggi ed avvocato del Comune, e Bernardino Margaria, di uno dei più cospicui casati del luogo. Conseguentemente, a norma di un patto espresso della convenzione, gli Svizzeri ritennero come ostaggi i tre prigioni (Doc. II e III), di cui il Grasso ci ha narrato indi i casi pietosi, finchè interpostosi il duca Carlo II — il quale intanto aveva accolto e festeggiato molto in Torino Francesco I di Francia, e seguitolo poi a Milano (3) —, ottenne dai Can- toni la liberazione dei tre Cuneesi. Per il che il Comune, man- datigli in ottobre 1516 alcuni ambasciatori per aver pace e quitanza d’ogni debito al riguardo e d’ogni pena per la chiu- sura delle porte in faccia all’ Aiazza, convenne di pagargli 1300 scudi del Sole. Ratificato l'accordo dal Consiglio comunale il 3 novembre (Documento IV), di nuovo andarono al Duca, in Fos- sano, Leonardo Grassi, giureconsulto, Francesco Ferreri, Giovan Raffaele Alasia ed Andrea Miglia, i quali, obbligatisi in detta somma di 1300 scudi d’oro del Sole verso Luigi Gallarate, te- sorier generale di Savoia, ottennero da Carlo I che la consi- derasse come pagata e rilasciasse quindi l’8 lettere patenti di assoluzione e di quitanza (Documento IIl). Il pagamento effet- tivo fu deliberato in realtà soltanto cinque giorni dopo, presa visione delle lettere ducali; e finalmente il 23 gennaio 1517 fu saldato anche un ultimo conto con Filippo Corvo, che aveva ricevuto le somme già mutuate al Comune per pagar la prima rata agli Svizzeri ed il soldo agli armigeri “ che erano stati alla difesa del luogo , e di quelli “ ch’'erano venuti in soccorso , (1) Ch’egli sia stato vicario di Cuneo dal 1° maggio 1515 al 15 mag- gio 1516 v. Arch. di Tor., Conto Castell. Cuneo, Prot. XXIV, e cfr. anche Arch. Com. di Cuneo, Ordin., Vol. IX, f. 45 ». (2) Ch’egli fosse “ giudice ,, Arch. Com. di Cuneo, l. c., f. 51. (3) Macanro, 823; D’Acquino, 736; LamserT, Mémoires, 846. di DUE AssEDÎ DI cuNnEO (1347-8, 1515) 683 nell'agosto 1515 (Documento IV). È questo l’ultimo accenno all'assedio: e se vero, come ho cercato dimostrare, che la resi- stenza dei Cuneesi giovò a permettere od almeno a facilitare la discesa di Francesco I, la quale fu in tale circostanza salvezza al Piemonte, conculcato dagli eserciti della Lega, anche allora furono essi benemeriti di tutta la regione subalpina e della Casa Sabauda, cui negli assedi posteriori dovevano rendere non minori servigî (1). DOCUMENTI. I. — Estratto del Conto di Manfredo Operti chiavaro di Cuneo (1347-1348). (Arch. Camer. di Tor., Conto Castell. Cuneo, Rot. I). Computus Manfredi Operti clavarii Cunei constituti ... per septem menses et [? viginti quinque dies] videlicet a die decimaseptima mensis Tulii anno Domini millesimotricentesimoquadragesimoseptimo usque ad diem decimum [(? primum) mensis marcii anno Domini MCCCXLVIIIT]. Item reddit computum de... frumenti inventis in domo Gilii Han- rici et Bartholomei ... propter prodicionem que fieri temptaverunt de dieto loco et poderii... Recepit de bonis inventis in domo Cassoni Dalmacii pro eodem... Recepit de bonis bastardi illoram de Intraguis pro eodem ... Recepit de bonis clavarii Morocii pro eodem... Pro quadam domo que fuit Facii Hanrici proditoris ... Recepit de Anthonio Bellono de dicto loco Cunei quia ad gaudium debuit intimare Iacobo Bellono, fratri suo, quod omnes terras ultra Stu- riam de iurisdicione Cunei debebant reddi marchioni de Saluciis per eius literas, et quod antequam essent tres dies ante festum beati Michaelis locus rebellaretur, et plura alia in derisionem dominorum [comitis Sa- baudie et principis Achaie]), condempnato in quingentis libris astensibus, vj libras; et residuum debebat et non potuit ipsum residuum habere. Recepit de Guillelmo Cutellerio (2) quia mittebat literas in terra|m] inimicorum contra cridas, et tantundem sibi remisit dominus Hugo (1) Non posso terminare senza una parola di viva riconoscenza all’egregio direttore dell'Archivio Camerale torinese, cav. Giacomelli, per le continue cortesie, ed al signor Lorenzo Bertano di Cuneo, al quale stavolta, come sempre, sono debitore di quel copioso e valido aiuto ch’egli suol dare a quanti si occupano della sua città, da lui così ben illustrata per l'epoca 1198-1382. (2) Nel Conto “ cutellerius , è scritto colla minuscola, e può esser tanto cognome quanto semplice designazione di mestiere. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 47 684 FERDINANDO GABOTTO [de Boczosello] capitaneus ex baylia ei concessa a dictis dominis... libras tres. I Recepit de Luchino Bergerio (1) quia dixit verba iniuriosa de do- minis predictis, remissa sibi medietate per literas domini Hugonis capi- tanei... ... pro salario Anthonii Baudizoni iudicis civilium [causarum]. .. Libravit in quodam balfredo facto intus castrum Cunei. . . Libravit in quodam molandino de brachio facto de novo intus ca- strum pro municione dicti castri ... Libravit in quodam furno intus castrum altando. . . In iusticiis factis de Mondano Mirano qui propter furta fuit su- spenssus, et de Minacio, cui fuit incissa auricula, et de Alaysona, uxore Anthonii Philippi, cui fuit incissa linga pro quadam ambassata facta per ipsam inimicis et pro expensis ipsorum, et pro duabus aliis mulie- ribus frustandis, et pro eorum comestione per quadragintaquatuor dies, datis tribus denariis astensibus cuilibet ipsorum in die, in duobus pa- ribus compedum emptis de novo, et pro uno magno soastro pro male- factoribus tormentandis, xxxI solidos vir denarios. In pluribus et diversis nunciis missis et spicis pro pluribus et di- versis negociis dictorum dominorum ad plura et diversa loca, tam ad. partes terre inimicorum, quam apud Taurinum et Ripolas ad ipsos do- minos causa notificandi nova per tempus de quo computat. .. et assendit ad magnam quantitatem occasione magne guerre — mnr*mui libras, xII solidos, 2 ..in salario Jacobi Paudi torresani turris platee . . . Libravit in parte salarii domini Hugonis de Bozosello, militis, ca- pitanei et vicarii generalis constituti per dominos supradictos tocius terre ipsorum dominorum ultra Padum ... et allocantur per literas dominorum predictorum datas die xxv Iulii MCCCXLVII... In parte salarii Nicoleti Porcelli, civis Taurini, vicarii constituti per predictos dominos in dicto loco Cunei et poderii ... Dominicus de Ulmeta iudex maleficioram ibidem constitutus ... Libravit [clavarius] domino fratri Stephano vicario domini abbatis Burgi capientis sextam partem in omnibus bannis qui exiguntur in Cuneo et in Burgo ex consuetudine, que banna, de quibus supra com- putavit, assendunt ad quingentas sexaginta tres libras, duodecim solidos, decem denarios astenses — ini libras, vi solidos, v denarios. Libravit ad stipendia Bertulini de Papia et Philiponi Garoni de Racunisio, conestabilibus (sic), recipientibus pro se et viginti tribus clientibus, qui steterunt in munitione Cunei — xvi libras. (1) Il caso è identico a quello di “ cutellerio ,. Cfr. nota precedente. DUE ASSEDÌ DI CUNEO (1347-8, 1515) 685 Librauit in trayta et precio quatraginta brachiorum bocharami emptis diversis preciis pro undecim banneriis faciendis et altandis in Cuneo et vilariis, et pro factura ipsarum; et allocantur per literas (su- pradicti) domini Hugonis (predictas) — xxvir libras, xv solidos. In trayta et precio octo sextariorum farine empte de fratre Rolando, et trium eminarum cicerum, decem sextariorum fabarum et unius emine salis pro municione castri, que munitio tota remansit in castro, et per- dita fuit propter prodicionem dicti loci; et allocantur per literas domini Hugonis predictas — xrx libras, xIr solidos. II. — Convenzione fra il Comune di Cuneo e gli Svizzeri (5 agosto 1515). (Bibl. civica di Cuneo, Codice Corvo, Cronache, 109-114). In nomine Domini nostri Jesu Christi amen. Anno a nativitate elusdem domini sumpto millesimo quingentesimodecimoquinto, indittione "i tercia, et die quinta mensis augusti, actum in loco Busche, et in domo È habitacionis infrascripti Michaelis Segnorilis, presentibus ibidem eodem 50 a Michaelle Segnorili, Ioannino Baudonerii et Iohanne Margheria, omnibus _ de eodem loco Busche, testibus ad infrascripta vocatis et rogatis. Huius È publici instrumenti tenoris conctis fiat manifestum quod cum infrascripti % magnifici domini capitanei Helvetiorum campum posuissent et exercitum armigeroram haberent seu habuissent circum circa locum Cuney cum bombardis et aliis armaturis, illud invadendo more hostili, decrevissentque locum predictum Cuney per vim intrare ac inde ipsum locum Cuney, intus existentibus, comburere, et ipsos Cunienses morti traddere, ipsum- que locum sachegiare seu sachamanare, ecce quod cupientes ipsi domini Cunienses predicta scandala evitare, miserunt ipsi siquidem domini Cu- nienses et destina|velrunt eorum et dicte Comunitatis Cuney legatos seu ambassatores, videlicet spectabiles dominos Aymonem de Feys ex comit- tibus Plozaschi et dominis Publiciarum, Iacobum de Scalengiis ex pre- dictis comittibus, Bernardinum Chivaleoni, iuris utriusque doctorem et advocatum dicte Comunitatis Cuney, ac Bernardinum Margariam, de eodem loco Cuney, certasque alias personas de sepedicto loco, quas hie brevitatis causa inseri et nominari obmittuntur, videlicet ad infrascriptos dominos capitaneos Helvetioram, pro cum eisdem concordium tractare et cum eisdem dominis (Cod.: domini) capitaneis nomine Comunitatis iamdicte paciscendo et transigendo; et qui quidem ambassatores, nomine et vice dicte Comunitatis Cuney et mandamenti eiusdem, Piperagnique et Bovixii, ad infrascriptas transactionem, conventiones et pacta cum infrascriptis magnificis dominis capitaneis Elvetioram, mutuo consensu hine inde interveniente (Cod. : intervenientibus), devenerunt, prout infra, ut ibidem (Cod.: ibidem) partes infrascripte asseruerunt (Cod.: assue- runt). — Et primo conventum fuit et transactum quod infrascripti ma- De cati 626 FERDINANDO GABOTTO gnifici domini capitanei Elvetiorum teneantur et debeant desistere a predictis bello, invasione et impresia, nec a modo in antea facere nec inferre aliquod bellum seu molestiam vel damnum dare quovis modo hominibus ac burgo dieti loci Cuney et eius mandamento, locisque Pi- peragni et Bovixii, tam in personis, quam in bonis mobilibus et im- mobilibus (Cod.: animalibus) quibuscumque, quin imo recedere debeant a dicto campo seu exercitu cireumcirca dictum locum Cunei posito, finibusque dictorum locorum absque aliquali offensione, tam in eorum recessu, quam post. — Item transactum fuit et conventum, ut supra, quod prefacti magnifici domini capitanei Elvetiorum teneantur et de- beant remittere et relaxare quoscumque captivos per eos captos, seu per eorum armigeros, de predictis locis et mandamento, nec non omnia bona mobilia et quecumque animalia ipsis de Cuneo ablata ac aliis de mandamento (Cod.: mandato) dicti loci Cunei, Piperagnique et Bovixii illico restituere et rellaxare, exceptis bonis comestibilus (Cod.: comestis); ek hiis mediantibus, ipsi de Cuneo, et seu intervenientes (Cod.: inte- ruendo) pro eadem Comunitate Cuney, promiserunt, transigendo cum eisdem magnificis dominis capitaneis, equidem omnia bona per eosdem de Cuneo ablata ipsis (Cod.: ab ipsis) Elvetiis ac animalia quecumque illico restituere, et ultra premissa dare, traddere et realiter solvere dictis magnificis dominis capitaneis infra nominatis, presentibus, stipulantibus et acceptantibus pro se et suis predictis, scutos quatuor milia in terminis infrascriptis, videlicet scutos quatuor centum infra et per totam diem pre- sentem et scutos sexcentum infra et per totam diem duodecimam huius mensis augusti, reliquos veros scutos tres millia (Cod.: tres mille) infra unum mensem proxime venturum hodie inchoandum (Cod.: inchoando), et similiter die dicto, mense revoluto, finiendum, in pace et sine litigio, et in loco Saluciarum seu in alio loco ubi ipsos magnificos dominos Capitaneos tune adesse contigerit, et hoc in patria pedemontana dum- taxat, et ulterius dare [et] traddere convenerunt in manibus ipsorum dominorum Capitaneorum tres seu quatuor personas idoneas in hosta- gium, videlicet de maioribus dieti loci Cuney, quod, si secus fieret, possint et valeant ipsi magnifici domini Capitanei, ac eis liceat et licitum [sit], detinere in hostagium infrascriptos de Cuneo per eosdem magnificos dominos Capitaneos captos in exitu dicti loci Cuney; que quidem (Cod.: ut ibidem) partes infrascripte vera esse dixerunt et asseruerunt (Cod.: assuerunt) omnia superius narrata et descripta. Et quia dieti ambassatores loci Cuney non reperierunt personas ido- neas de loco Cuney, que voluerint ire ad tenendum hostagium iuxta per eos (Cod.: eas) promissa, nec etiam intervenire [facere] potuerunt in huiusmodi contractu, ecce hine fuit et est quod ibidem, in testium predictorum et mei (Cod.: mis) notarii publici subsignati presentia per- s i ì E DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 687 sonaliter constituti nobiles Bernardinus Bolerii, Ludovicus Miglia et Joannes de Revello, capti et detenti existentes in manibus ipsorum magnificorum dominorum Capitaneorum, cupientes a dictis hostagio et dettentione relaxari, parte ex una, nec non magnifici domini Iachinus de Molzanis, capitaneus generalis dicti exercitus ac locumtenens Ill. d. d. ducis Mediolani in armata sive exercitu Elvetiorum; Toannes Rodulfus de Gaspar, de Berna; Henricus Usar, de Lucerna; Conradus de Fleur, de Undrevaldo (Cod.: Andrenaldo); Ioannes Ayd, miles, de Filliburgo, et Ioannes Cender, de Berna, tam eorum nominibus propriis, quam vice et nomine totius exercitus predicti, et ipsi de Cuneo, nomine et vice diete Comunitatis et hominum Cuney, muttuo consensu hinc inde inter- veniente, et quelibet pars pro facto suo ut (Cod.: et) unicuique eorum incombit, promiserunt et convenerunt sibi ipsis ad invicem et vicissim, solemnibus stipulationibus hinc inde intervenientibus, omnia et singula pacta superius descripta et inter ipsos dominos Capitaneos et Comuni- tatem Cuney, ut premittitur, inita, inviolabiliter et attendere et obser- vare ac adimplere, et pecuniam superius conventam (Cod.: conuenta) nomine Comunitatis solvere iuxta conventiones predictas, et penitus (Cod.: presens) adimpletis adimplendis (Cod.: adimplenda) per eosdem magnificos dominos Capitaneos; qui quidem magnifici domini Capitanei ipsos detentos captivos rettinere in hostagium, ad mentem conventionis facte, voluerunt, et sic ex eorum propria auctoritate ipsos Cunienses retinuerunt, pro premissorumque (Cod.: promissorum que) observantia obligaverunt sibi ipsis ad invicem et (Cod.: ut) vicissim omnia eorum bona mobilia et immobilia, presentia et futura, et ea omnia vera esse asseruerunt (Cod.: assuerunt) et iuraverunt ad sancta Dei Evangelia, tactis corporaliter scripturis, in manibus mei (Cod.: mys) notarii sub- signati et ad opus quorum interest vel intererit stipullantis et recipientis et renunciarunt et quilibet (Cod.: quelibet) in facto suo renunciavit omni iuris (Cod.: iurium) et facti benefficio auxilio et remedio quo mediante contra premissa facere vel venire posset, seu alias quomodolibet se thueri. De quibus omnibus iussum fuit per me notarium publicum infrascriptum scribere (Cod.: debere) duo eiusdem tenoris publica instrumenta, videlicet cuilibet parti unum traddendum. — Et ego Iacobus Averma (1) de Bei- nasco, taurinensis diocesis, publicus imperiali auctoritate notarius, hoc presens publicum instrumentum rogatus recepi, quod in hane publicam formam levari feci per coadiutorem meum ex generali licentia super hoc michi atributa et vigore inionetionis mihi facte ad instantiam egregii (1) Il doc. IIT, richiamandosi a questo, porta invece il nome di “* Mo- rinus ,, che io ritengo preferibile, sebbene — trattandosi di nome proprio — non osì modificare nel testo. 688 FERDINANDO GABOTTO Consilii residentis Thaurini (Cod.: Thaurinensis); et quia ipsum ibi mentum cum proprio protocolo concordare inveni, hic me pace) n ; cum appositione signi mei tabellionatus, in fidem omnium premissorum. III. — Patenti di quitanza di Carlo II, duca di Savoia, verso il Comune di Cuneo (8 novembre 1516). (Arch. Com. di Cuneo, Privil. e concess., Vol. 1, ff. 59-60: originale; Arch. di st. di Tor., Serie Corte, Vol. CXLIX, ff. 173-174: minuta). Karolus dux Sabaudie ete. Universis sit manifestum quod cum fideles nostri sindici, homines et Comunitas Cunei nobis exponi fecerint quod de anno proxime preterito nonnulli capitanei exercitus Helvetio- rum cum exercitu ipsorum accesissent ad ipsum locum nostrum Cunei, volentes ipsum locum intrare, et cum ipsi homines et Comunitas resi- stenciam fecissent eisdem Elvetiis, ipsì Elvetii locum ipsum obsessi et castrametati (Cod. Cuneo, qui e sempre: castramentati) fuerunt; et ve- rentes ipsi homines ne predicti Elvetii per vim locum ipsum undique obsessum expugnarent, mandarunt ad eos nuncios, qui cum ipsis Elve- tiils convenerunt de iis traddendo summam quatuor milium (Cod. Cuneo, qui e altrove: milia) scutorum Regis, de Sole, dammodo castra amoverent et de intrando ipsum locum abstinerent, et cam durante ipsa obsidione capti fuissent per ipsos Helvecios Bernardinus Bolerus, Iohannes Revelli et Ludovicus Migla, de eodem loco Cunei, qui cum adducerentur per dietos Helvecios et forent in loco Busche, nomine predicte Comunitatis et pro resta dictorum quatuor milium scutoram se obligaverunt erga capitaneos ipsorum Helvecioram et eosdem Helvecios in scutis tribus milibus et sexcentum, prout de ipsa obligacione conspicitur constare instromento recepto per Iacobum Morinum notarium; quos particulares ipsi Helvecii, dicta obligacione non obstante, secum captivos adduxerunt, dictam summam omnino exigere volentes; ob quod, parte ipsius Comu- nitatis et hominum, per eorum nuncios ad hoc ad nos transmissos variis et crebris partibus nobis supplicatum extitit ut pro nostra in ipsam Co- munitatem dictosque particulares pietate et clemencia dignaremur aucto- ritatem nostram huie rei taliter interponere erga ipsos Elvecios, quod obligacio predicta canzelari, ipsique detenti relaxari et proprios lares repetere possent, promittentes se iamdicte Comunitatis nomine nobis realiter soluturos quicquid per nos occaxione earundem abolicionis (Cod.: abolacionis) sive canzellacionis solutum et exbursatum foret; — cumque opera, studio et non modica impensa nostra erga ipsos confederatos nostros taliter actum extiterit, quod ipsa obligacio de premencionata summa peccuniarum cassata, et ipsi capti relaxati fuerint, ob quod ipsi homines et Comunitas erga nos tenerentur, iuxta promissionem parte DUE ASSEDÎ DI CUNEO (1347-8, 1515) 689 IRA ù | ipsorum nobis ulterius factam, in expensis per nos circha dictam pro- a secucionem factis, ascendentibus ad egregiam peccuniaram summam; _ —— cum insuper formidarent ipsi homines et Comunitas molestari ad so- — lucionem penarum per ipsos incursarum (Cod. Cuneo: incursas) propter | receptionem ipsam eisdem Helvetiis confederatis nostris recusatam, et propter (I due codd.: propterea) quod capitaneum Ieronimum, per nos ad capturam Tonduti et eius sequacium sceleratissimorum deputatum, ‘admittere recusaverunt (Cod. Cuneo: recusarent; Cod. Tor.: recusarunt) et additum in dictum locum prohibuerunt; — ecce quod venerunt bene- dileeti fideles nostri dominus Leonardus de Grassis, iurium doctor, Fran- ciscus Ferrerii, Ioannes Raphael de Alaxis et Andreas Migla, nuncii et ambasiatores per ipsos homines et Comunitatem destinati, humiliter nobis supplicando ut dignaremur predictam obligacionem, in qua erga nos pretextu premissorum tenebantur, eisdem remittere, et pretextu premis- sorum eos de cetero indempnes et illesos preservare ... dignaremur, actentis maxime tot et tantis dampnis, expensis et interesse supportatis pretextu exercitus dictorum Helvetioram per eosdem Comunitatem et homines ...; ond’egli rimette e quitta ogni lor debito e pena pro et me- diantibus mille et tercentum scutisauri Regis, de Sole, per ipsos homines et Comunitatem retro oblatis et per nos ab eisdem habitis et receptis manibus spectabilis et benedillecti fidellis conscilliarii nostri Alloysi de Ù Gallarate thesaurarii nostri... Datum Fossani, die oetava mensis no- vembris Millesimoquingentesimodecimosexto. IV. — Estratti dagli “ Ordinati ,, del Comune di Cuneo (1516-1517). (Arch. Com. di Cuneo, Ordin., Voll. X e XII) cai "1 Mancano gli € Ordinati , del 1515 dopo il 1° maggio. 1516. IX. 3: 1 Consiglio ratifica l'operato degli ambasciatori al Duca, ordinando fieri mandatum in quo constituantur aliqui qui nomine | Comunitatis se obligent, iuxta conclusa, erga magnificum dominum Ge- neralem Sabaudie [thesaurarium] ad solvendam summam scutorum mille et tricentum Solis promissorum prelibato illu® d. d. nostro pro dicta causa canzellationis, obligationis et promissionis facte erga ipsum illumum dominum pro causa Helvetiorum, canzellarique quameumgue penam per ipsam comunitatem incursam predicta causa ...(Vol. XII, ff. 87-88). 1516. IX. 13: IZ Consiglio, intesa la relazione degli ambasciatori andati a Fossano, al Duca, e vedute le lettere di questo — cioè, senza dubbio, it Doc. II — delibera di provvedere al pagamento dei 1300 scudi (VOLTXII, f. 92). 1517. I. 23: Universis sit manifestum quod facto computo cum nobili Philipo Corvi de mutuo per eum exacto de mense augusti Mil- lesimoquingentesimodecimoquinto ad causam composicionis facte cum 690 FERDINANDO GABOTTO — DUE ASSEDÎ DI cuNEO (1347-8, 1515) Elvecis et pro solucione armigerorum qui stetterunt ad deffensionem loci Cuney et qui venerunt in succursum, visa ipsa recepta, manda rilasciarsi il saldo a detto ricevitore. V.(1) — “ Notizia , del secolo XVI sull’assedio di Cuneo del 1515. (Bibl. Civ. di Cuneo, Cod. Corvo, Cron., p. 272). MDXV, et die prima Augusti, exercitus Germanorum, qui erant circiter septem millia armatorum cum (Cod., qui e dopo: con) quinque magnis (Cod.: magni) tormentis ignivomis, missus (Cod.: misso) ab epi- scopo Sedunensi electo cum Ioachino, prefecto (Cod.: prefacto) germano, ad expugnandum Cuneum, vi tormentorum ignivomorum (Cod.: ignivo- gnorum), murorum parte solo equata, die quarto Augusti, salvo oppido, abierunt. Tercentum lustris terquinis Virginis annis Post partum, primo sextillis, castra Gothorum Cinxerunt Cuneum tellis, et menia magnis Ictibus ignivomum rupuerunt, agmine facto; Sed pauci cives (cod.: sives) tutantur robore firmo Vanos conatus, ac (cod.: at) quarta luce recedunt. VI. — Dal “ Summarium breve chronicarum Cunei ,, c. 20. (Bibl. Civ. di Cuneo, pp. 22-23). (1515). Nec omitendum videtur quod, dum Helvecii in magno nu- mero et plurimum formidabili se Gallis opponerent descensuris pro ducatu Mediolani anno MDXV (Cod.: MDV), ac in omnibus locis (Tau- rino excepto pro Domini residencia) hospitarentur, si expediens erat, solus Cunei locus se illis oposuit, et prevaluit pluribus aggressionibus, pre- sidio dumtaxat incolarum munitus; et Dei gratia (Cod.: quia) omnes in hoc concordarunt. Discant tamen posteri maturius in his agere; nam alii, qui id etiam attentarunt, in totale excidium devenerunt, quum certe vires oppidi perexigue essent tanto exercitui. Notent etiam quod dum unus in- colarum loci mandatum ducale quod hospitarentur sprevisset, illud con- cidendo in frustra et proiiciendo, (post modum) [litere Domini fuissent] cum honore suscipiende, postea fuisset veridicum allegare gravamen; sed illas spernere contemptui equiparat[ur] domini sui, quod ultimum supplicium exigit. (1) La seguente “ Notizia , fu edita già dal BareLLI, Studî sull’assedio di Cuneo del 1557, in “ Bollett. stor. bibliogr. subalp. ,, II, 106 segg., con una nota interessante. Qui se ne dà il testo migliorato. L’ Accademico Segretariò CesARE NANI, Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI In causa delle feste per l'apertura della Esposizione Gene- rale Italiana non si è tenuta l’ adunanza del 1° maggio 1898; è però stata data facoltà ai Soci che avessero avuto da pre- sentare note per gli Atti, o proprie o di estranei sotto la loro responsabilità, di inviarle ugualmente entro il 1° maggio, alla Segreteria ‘che ne avrebbe curata la stampa, salvo a farne regolare presentazione nella successiva Adunanza del 15 maggio. Furono in seguito a tale avviso inviate alla Segreteria le seguenti note: | 1° Sulla curvatura delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque; nota prima del Prof. Luigi BERZOLARI, presentata dal Socio SEGRE, 2° Esame del compenso fra lo scavo ed il riporto nei progetti stradali; nota dell’Ing. Vittorio BaAGGI, presentata dal Socio JADANZA, 3° Sulla taratura del fasometro delle tangenti; nota dell’In- gegnere Riccardo Arnò, presentata dal Socio NAccARI. Il Socio SeGrE presentò pure una memoria del Dott. Gino Fano, intitolata: / gruppi di Jonquières generalizzati, da inse- rirsi nei volumi accademici. Il Presidente diede l’incarico ai Soci D'Ovipio e Sere di esaminarla e di riferire in una pros- sima seduta. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 48 692 LUIGI BERZOLARI LETTURE Sulla curvatura delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque; Nota I del Prof. LUIGI BERZOLARI. In questa Nota, ed in un’altra successiva che presto verrà pubblicata, sono stabilite alcune proprietà generali delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque, le quali s’ottengono con- siderando quelle espressioni che, introdotte dapprima dal signor LipscHimz sulla scorta di analogie fornite dalla Meccanica ana- litica, furono poi studiate dal sig. KrLLinG in forma completa- mente geometrica — e rappresentate coi simboli (D,), (Ds)... — nell’ultimo paragrafo del suo noto libro Die wicht-Euklidischen Raumformen in analytischer Behandlung (Leipzig, 1885), al quale sempre ci riferiremo nel seguito. Si noterà in particolare la larga estensione che così vien data del teorema di MEUSNIER (*), come pure del concetto e delle principali proprietà della curva- tura geodetica d’una linea descritta sopra una superficie dello spazio euclideo a tre dimensioni. A. — La data varietà V,, ad m dimensioni sia immersa in uno spazio S, di n dimensioni e di curvatura Riemanniana co- stante 37 essendo % reale (anche infinito), o puramente imagi- (#) Finora, per quanto so, la generalizzazione di questo teorema non è stata fatta che per varietà di n—1 dimensioni immerse in uno spazio di n dimensioni e di curvatura costante (cfr. KiLLina, 1. c., $ 11, e due mie Note nei “ Rend. della R. Accad. dei Lincei ,, 21 novembre 1897 e 2 gen- naio 1898); e soltanto recentemente lo stesso teorema è stato esteso ad un caso diverso dal precedente, benchè molto particolare — cioè alle curve situate sopra una varietà a due dimensioni dello spazio euclideo a quattro dimensioni — dal sig. K. KommereLr nel $ 4 della sua dissertazione inau- gurale Die Krimmung der 2weidimensionalen Gebilde im ebenen Raum von vier Dimensionen (Tiibingen, 1897), di cui debbo la conoscenza alla cortesia del sig. Prof. Brit. SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 693 nario. Gli elementi di questo spazio verranno riferiti ad un si- stema di coordinate di WrrerstRASS (cfr. KiLuno, 1. c., pag. 71), di cui per chiarezza qui richiamo brevemente il significato. Per un punto 0, origine delle coordinate, si conducano » iperpiani E,,..., E, a due a due fra loro perpendicolari, e, scelto un punto qualunque P, si chiamino a; la lunghezza della perpendicolare tirata da P sopra E,, ed e, l'angolo formato da OP coll’asse coordinato normale ad E;. Allora le coordinate del unto P sono le quantità x), %;,..., n definite come segue: p 8 Mye ilop do = 08, di OP ) i x; = ksen è = ksen +- cose, (RESI PAIS ARPRIR ") T così che fra esse ha luogo la relazione Fa tba +... +Poat=k° Inoltre, se si dicono p la lunghezza della perpendicolare condotta dall'origine sopra un dato iperpiano, ed n; l'angolo che questa perpendicolare forma coll’asse normale ad È;, e si pone uo = — ksen LS. k = cos È c (i 12 n) U; = COS > COSN; ay ..010n), le quantità w0,%,,..., « sono le coordinate dell’iperpiano pro- posto: esse son legate dalla relazione 2 U ao 2 2 mai “i = mentre Uoto + Uda +... 4 Ut, = 0 è l'equazione dell’iperpiano. 2. — Alcuni dei teoremi, di cui si tratterà in questa Nota, si dimostrano nel modo più semplice ponendo l’origine 0 nel 694 LUIGI BERZOLARI punto di V,,, ad un intorno del quale son limitate tutte le no- stre considerazioni, ed assumendo come iperpiani (1) Crans Lmt2 Opi n-—m iperpiani passanti per lo spazio lineare Sn ad #m dimen- sioni tangente a V,, in quel punto. Dovendo studiare, come ora sì è avvertito, soltanto un campo infinitesimo attorno all’ori- gine, sarà x, = 1, il che val quanto dire che per un tal campo le coordinate di WEIERSTRASS coincidono con un sistema di coor- dinate cartesiane ortogonali. Considerando quindi su V, le coor- dinate mi; Cn4e; + + +34, come funzioni date delle coordinate indipendenti x,, x, ..., %n, la varietà V,, nell'intorno dell’ori- gine, può rappresentarsi con sviluppi della forma = i) mo, QX mti fm > alal Ls “+ P, rs ((=1;2,..,n-M; t,8,2 Li dove P; è l’aggregato dei termini che nell’espressione di 2xns; sono di grado superiore al secondo nelle x;, ..., n. E lo spazio lineare S,_» ad n—m dimensioni normale in 0 a V,, è dato dalle equazioni (3) == ED Ora, per la maggiore intelligenza di ciò che segue, occorre che premettiamo, nell’attuale sistema di coordinate, le princi- pali formole e proprietà di cui dovremo far uso, e che già tro- vansi dimostrate altrimenti nei ni 128, 129 e 130 del citato libro del sig. KILLING. Per lo spazio S, si conduca un arbitrario spazio lineare Snar ad m + 1 dimensioni, e sia Y,,, = 0 l'equazione dell’iper- piano passante per Sn, e normale all’Sn41, così che si potrà scrivere (4) Ym+t1 = Axtnti + AgXm+e + «e. + Arai con (5) Aa Apierina AS1A2 gie. nia — Di SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 695 Sostituendo in (4) per le %nu,...,%, le espressioni (2), e ponendo Bi; = A; all + Aa as +... . + A ir m) (ij=1,2,...,m), (6) risulta m = > Bi; Li Li +. 1,j=1 come equazione, entro l’S,..;, della proiezione di V,, sullo spazio Sms, nell'intorno del punto 0. Perciò (*) le curvature principali di tale proiezione in 0 sono le radici della seguente equazione di grado m in w: (7) Mida “og » asotga: leì vYoqg. :oÎu==0 | e la somma di queste curvature è espressa da Bibi Bara ossia da Si lo (all + al gt... . + al). Al variare di $,.., attorno all’Sn, cioè al variare delle A,, vincolate dalla relazione (5), la somma precedente ammette un valor massimo (D), dato da n (D)? = =( di +af+..... + afm)"; = e corrispondente ai seguenti valori delle A: dr= mA (ai Lidl at — nielelare _ al ) (i CS hi 2, «eee m). (*) KruLine, l. c., pag. 215, equaz. (25), nella quale però devesi cam- Pi (67 TONI biare = sm Sw. 696 LUIGI BERZOLARI In tal modo lo spazio $,,., relativo al massimo è del tutto individuato, poichè passa per l’S, tangente in 0 a V,,, e con- tiene la normale condotta pel punto 0 all’iperpiano n_m = (++... +) tr 0. i=1 Si riconosce poi subito che, proiettando la data varietà sopra un S,.., qualunque perpendicolare al precedente e passante, al pari di questo, per l’S,, tangente, la somma testè conside- rata è nulla. Se m = 1, se cioè la varietà V,, è una curva, lo spazio Sms, relativo al massimo ne diventa il piano osculatore in 0, e la quantità (D,), la prima curvatura o flessione nel punto stesso. Quest’osservazione sussiste anche per altri riguardi, come può vedersi in KiLLIne (l. c., n. 129) e come si vedrà in nuove circostanze nel seguito: per tal ragione e per abbreviare il lin- guaggio, mi permetterò di chiamare spazio osculatore e flessione di una qualsiasi varietà V, in un punto 0 lo spazio Snu e la quantità (D,) sopra definiti. Tornando all’equazione (7), la somma dei prodotti delle sue radici a due a due, avuto riguardo alla (6), è data da (rs= 5 ; (alla; i ai ai 57 2a5)) al) : 4 ij= Al variare delle A, questa somma ammette n—m walori massimi o minimi, che notoriamente sono le radici della se- guente equazione in A: > | fui Cio, price Cim_m | | | » Ì Cnm,l Cn-m,? 0000. Cn-mn—-m A E) Ì Queste radici son tutte reali e corrispondono ad n—wm spazì lineari ad m +1 dimensioni passanti per 1l’S, tangente e fra SULLA CURVATURA DELLE VARIETA TRACCIATE, ECC. 697 loro perpendicolari a due a due: la loro somma (D;) è data da (Do) == (Gir de C99 sin ana È Cn-m,n my ossia da m 4 m PD) = (ana; — at) +... + = (di "a; " — af"). ij= wi= Si riconosce altresì facilmente che, se per l’S, tangente si conducono ad arbitrio n—m spazì Sn fra loro perpendicolari a due a due, e si addizionano le somme dei prodotti delle ra- dici della (7) a due a due, relativamente a ciascuno di sif- fatti spazî, la somma risultante è sempre uguale a (Ds). Il sig. KiLLine (1. c., n. 130) ha inoltre dimostrato che lu quantità (Da) rimane immutata in ogni flessione (Biegung) della varietà V, (*). 3. — Ciò premesso, e mantenendo per V, tutte le notazioni date in principio del n. prec., sia W, una qualsiasi varietà di h dimensioni (f < m), tracciata su V,, e passante per l’origine. Possiamo supporre che gli assi coordinati siano stati scelti in guisa che lo spazio S, tangente a W, in 0 venga rappresentato dalle equazioni e — 0... Vin Ur 10. Così che, considerando le coordinate x,, %2,..., Xm-hy Tm; . «+3 %n d'un punto di W, infinitamente vicino all'origine come funzioni delle coordinate indipendenti xm_nt1; Cn-rtsy «+3 my (*) Le proprietà qui indicate dell'espressione (Da) erano già state prima stabilite dal sig. Hovesrapr (Programm des Miinster’schen Realgymnasiums, 1880) pel caso di una varietà a due dimensioni (m = 2). Che (Da) sia un invariante di flessione (Biegungsinvariante) per Vn, segue immediatamente dall'espressione (8) del testo, quando si faccia uso di alcuni risultati dovuti al sig. Scnur (Ueber die Deformation der Réiume constanten Riemann'schen Kriimmungsmaasses, “* Math. Annalen ,, Bd. XXVII, 1886), e dimostrati di nuovo recentemente e in modo più diretto dal sig. SraeckeL nella Memoria Ueber Biegungen von n-fach ausgedehnten Mannigfaltigkeiten (£ Giornale di CreLLE ,, Bd. 113, 1894); cfr. le formole (J.) di questo Autore. 698 LUIGI BERZOLARI quelle si esprimeranno, per mezzo di queste, con sviluppi della forma: 2%, = > 0 1,0, sia Qi, 18 . a r—h Pe ORI = di \ Cs Sn Lei ' rs pie 1 ZI mHA ==" > aa, Ls - Qt: rs 2a = Sata, + TS (rsa=m_-h4+1lt,m_-h+2,..., m), essendo le 2 quantità arbitrarie (dipendenti dalla W,). La fles- sione (D,) di W, nell'origine sarà perciò data da m_-h (D))” = z he + dol | bl)? (10) n_m + = (al ppi mht1 Sea + asi "= Chiameremo flessione tangenziale e flessione normale di W, nel punto 0 [e indicheremo con (D() e (Dî”)] le flessioni che hanno in 0 le proiezioni di W, fatte risp. sopra lo spazio Sn tangente in 0a V,,, e sopra lo spazio Sn_mu normale in 0 a V, e pas- sante per lo spazio Sx tangente a W,: la flessione normale coin- cide, evidentemente, colla flessione di cui è dotata in 0 la va- rietà WW di % dimensioni, che s’ottiene tagliando Vm col detto spazio Sn.ms- Per n= 3, m= 2, h= 1, cioè nel caso d'una linea situata sopra una superficie dello spazio ordinario, tali flessioni diventano la curvatura tangenziale o geodetica, e la curvatura normale di questa linea. La varietà W di % dimensioni, che si ha proiettando W, sullo spazio Sn tangente in 0 a V,,, è rappresentata, nell’ in- torno dell’origine, da sviluppi della forma: Dx, = 3 blx.e, + LI Ts (A =1,2,..., mk; rsa=m_—-h+1,...,M), epperò m_-h (11) DIE mr + + 800 SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 699 Lo spazio normale Sn_n+:; di cui sopra si è parlato, pas- sando per gli spazì rappresentati dalle (3) e dalle (9), ha per equazioni tags ln ore, quindi, per i punti della sezione W$° da esso prodotta in V,, si- tuati in prossimità dell’origine, le coordinate &n41, Cms; + + +3 Tn saranno date, in funzione delle coordinate indipendenti @, 1.1, +++, Tm, dalle formole Ding Dr TS (io@=1,2,.... fl M; ram 1 a), e si avrà: {12) (DI) = = (RI = OS + 7 aL = Dalle (10), (11) e (12) segue (13) (Di OT cioè il teorema: Se sopra una varietà qualunque di uno spazio ad n dimen- sioni e di curvatura costante è data una varietà arbitraria, il qua- drato della sua flessione in ogni suo punto è uguale alla somma dei quadrati delle sue flessioni tangenziale e normale nello stesso punto (*). Considerando gli spazì ad 4 + 1 dimensioni osculatori in 0) (n. 2) alle varietà W,, W{, WW, e chiamandoli risp. Shu, Sf, Sl, essi passano tutti per lo spazio S, tangente in 0 a cia- scuna di quelle varietà, e contengono risp. le normali condotte nell'origine agl’iperpiani m—h ’ I nica z hi sr "ele “n DL) Li sh Z(Am-rti,m_tt1 1 see — al) Cmti 0, 3 nes (*) Per una curva di una varietà ad n» — 1 dimensioni, immersa in uno spazio euclideo di n dimensioni, vedasi l’ultima pagina della Memoria del Prof. Ricci, Dei sistemi di congruenze ortogonali in una varietà qualunque (£ Mem. della R. Accad. dei Lincei ,, serie.5*, vol. II, 1896); e per una curva di una varietà a due dimensioni dello spazio euclideo a quattro dimensioni, vedasi il $ 4 del citato lavoro del sig. KommrereLL. 700 LUIGI BERZOLARI — SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ, ECC. m—-h , } = | kbrier, deretr + " + De) canal = nm = (la Gi = dei quali gli ultimi due sono fra loro perpendicolari. Si deduce immediatamente D,()) et “Bo a) , © (DM) = (Di) 008 (Si, 80 ossia: Se sopra una varietà qualunque Vmn ad m dimensioni, immersa in uno spazio di n dimensioni e di curvatura costante, è data un'arbitraria varietà W, di h dimensioni, la sua flessione in ogni suo punto 0 è uguale a quella della sezione normale WS di V,, che ha comune in 0 con W, lo spazio tangente ad h dimensioni, divisa pel coseno dell'angolo formato dagli spazîì ad h + 1 dimen- sioni osculatori in 0 alle varietà stesse W, e WM. E la flessione tangenziale di W, in 0 è uguale alla sua fles- sione assoluta, moltiplicata pel coseno dell'angolo compreso fra gli spazii osculatori in 0 alla stessa W, ed alla proiezione Wy di W, sopra lo spazio ad m dimensioni tangente in 0 a Vyn (*). Chiamando per ultimo (D3), (D!) e (D8") le espressioni (Ds) formate nel punto 0 per le varietà W,, W0 e W%, si trova subito (14) (Da) = (D?) + (D”), cioè la proprietà: Colle notazioni dei due precedenti teoremi, la quantità (Ds) formata nel punto 0 per la varietà W, è uguale alla somma delle quantità (Ds) formate nello stesso punto per le due varietà WI e WW. (*) Il primo di questi due teoremi è una generalizzazione del teorema di Meusvxier, e per X = 0, m=n — 1, h=" 1 fornisce l’estensione che del medesimo ha data per la prima volta il Kroxecger (cfr. KrLLing, 1. c., $ 11, e le mie Note già citate); per #= 2, n=4, m=2, 4=1 si trova invece il teorema del sig. KommereLL a cui si è alluso in principio del lavoro. Il secondo teorema del testo è l’estensione di una notissima proprietà della curvatura geodetica d’una linea tracciata sopra una superficie dello spazio ordinario: cfr. ad es. BrancHi, Lezioni di Geometria differenziale (Pisa, 1894), pag. 140. VITTORIO BAGGI — ESAME DEL COMPENSO, ECC. 701 Esame del compenso fra lo scavo ed il riporto nei progetti stradali; Nota dell'Ing. VITTORIO BAGGI. 1. — Fra le molte condizioni alle quali si procura gene- ralmente di soddisfare nello studio di un progetto di strada, merita speciale importanza quella di far sì che le materie sca- vate vengano esattamente utilizzate nei riporti. Mediante opportuni procedimenti, fra i quali è specialmente raccomandato quello di Briickner, dopo che si è fatto lo studio del profilo longitudinale di una strada e si sono calcolati i vo- lumi di terra compresi fra le singole sezioni trasversali, è facile determinare i cantieri di compenso longitudinali più convenienti, e per ciascuno di essi si ricava con speditezza la distanza media di trasporto del volume di terra da rimaneggiarsi. Sovente però la linea di compenso che si traccia sul pro- filo di Briickner non riesce continua, e si è costretti a ricor- rere a cave di prestito oppure a luoghi di deposito anche quando nello studio del profilo longitudinale della strada si ebbe cura di evitarli, il che si procura generalmente di fare quando riesce difficile aprire cave di prestito o trovare luoghi di deposito adatti nella località considerata, come succede generalmente per le strade di montagna. Inquantochè è noto che le materie di scavo accumulate sulle falde dei monti vanno facilmente ad otturare il letto dei rivi sottostanti, e le cave di prestito sono pericolose per gli spostamenti che determinano nelle masse so- vrastanti agli scavi. 2. — Se dopo di aver fatto lo studio completo del progetto di una strada e di aver ponderati gli inconvenienti che possono nascere dalla presenza di parecchie cave di prestito o luoghi di 702 VITTORIO BAGGI deposito, si vuol modificare l'andamento altimetrico della strada correggendone opportunamente le livellette, è giuocoforza, se vuolsi procedere con sufficiente esattezza, modificare tutte le sezioni trasversali della strada, spostando in altezza il piano di formazione, e ripetere la misura delle loro aree onde ricavare i nuovi volumi di scavo e di riporto nel tratto di strada che si considera e rifare, in base ai risultati ottenuti, il profilo di distribuzione delle terre. Quando il progetto è semplicemente di massima, si può bensì passare dal profilo longitudinale alla linea degli sterri ed interri, senza calcolo e senza aver bisogno delle sezioni tras- versali (#), ma quando il progetto è definitivo, tale procedimento non è più da adottarsi. Qualunque sia poi il metodo scelto, il problema della compensazione si risolve generalmente con suc- cessive prove, e quando necessita un esatto compenso fra lo scavo ed il riporto, i tentativi risultano numerosi. Rifare più volte tali calcoli, siano essi grafici o numerici, è lavoro lungo e fastidioso, ed è perciò che fin dall'inizio dello studio del tracciato di una strada si ha cura di scegliere un profilo che ad occhio si giudichi compensato. Però in questo studio il problema riesce molto incerto, inquantochè dal profilo longi- tudinale si hanno bensì le quote rosse e le pendenze longitudi- nali del terreno e della strada, e dalla planimetria quotata, o dalle sezioni, si può ricavare la pendenza trasversale del ter- reno, ma con questi elementi è difficile stabilire ad occhio la linea di progetto che soddisfa il problema proposto. La regola di tracciare le livellette di progetto in modo che le ‘aree gialle e quelle rosse del profilo longitudinale di una strada risultino presso a poco equivalenti fra loro, allo scopo di avvicinarsi ad un adeguato compenso fra lo scavo ed il ri- porto, è erronea, ed il più delle volte conduce a risultati ben differenti da quelli desiderati. Se, ad esempio, consideriamo un tratto di profilo longitudi- nale di strada (fig. 1) ed indichiamo con TT' la linea del ter- reno, con PQ una livelletta di progetto, con M ed N le due sezioni consecutive che comprendono il tratto esaminato, e sup- poniamo per semplicità che il punto di passaggio O fra lo scavo S (*) Cfr. G. CruenoLa, Dei movimenti di terra, pag. 85. Torino, 1891. in in ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, ECC. 703 ed il riporto R sia equidistante da M e da N, affinchè vi sia equivalenza fra i volumi di scavo e di riporto compresi in queste due sezioni, le due aree POT, QOT' non devono in generale riuscire equivalenti. Colla teoria che ci proponiamo di svolgere in questa nota, riuscirà facile trovare le relazioni che devono passare fra le quote rosse TP=% e QT'=’' in qualunque caso, affinchè i volumi di scavo e di riporto compresi fra le due sezioni M ed N con- siderate risultino compensati. II. 9. — Espressione generale dell’area di una sezione stradale. Notazioni. Riferiamoci alla figura 2 e stabiliamo per sem- plicità le seguenti notazioni: q= pendenza delle scarpate laterali AB, A'B' della se- zione di strada considerata; p= pendenza del terreno naturale AA'; L=larghezza stradale BB' (BC = B'C); £ = ordinata rossa CD del punto d’asse. Dalla figura si ricavano facilmente i seguenti valori: 1 1 Et Lg +5 L9 = E, Ri acre Ca | dt P e l’area A dell’intiera sezione risulta espressa da: 704 VITTORIO BAGGI 2 1 2 RIE \ (£+ La) Tuo (E+3 La) po grigi È Figo dip pot qPp i pid ossia ) 1 2 1 RA i (1) od anche: LÀ d 2 nc (aaa soi 9 2,2 A ed EL ose” Lasck 1 afiegii L° pà. (2) Da queste formole generali conviene, per maggior chiarezza, ricavare quelle relative al caso di sezioni in rilevato e di se- zioni in isterro. 4. — Espressione dell’area della sezione stradale in rilevato. Pongasi: == q === %r È > p=i qr ian gr — pr © e notisi che in questo caso si ha sempre a > 0. Per la (1) si ha: 1 Y 1% R=a(r+ cla) — 0% (8) e per la (2): R=ax° + alget+ + al'pì. (4) Per il caso di terreni ordinari generalmente considerato in pratica si ha: tn 6 Flo a 4 4—- 9p?, quindi 6 1 \? Ta I _—— sella SENZA R 4— 9p° Lt ) 6 l od anche R=-—- \6e + 4le+ dp. ca ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, ECC. 705 Quando p, = 0, cioè allorchè il rilevato stradale si insedia sopra terreno orizzontale, si ha: ii) 7% od anche R"=3s° + Ir. 5. — Espressione dell’area della sezione stradale in isterro. Indichiamo con f la larghezza di un fosso al piano di for- mazione della strada, e poniamo: A=5S; &=y; L=l+2f; q=4%:; p=b;; gs ds pÈs = d essendo sempre d > 0. Ritenendo, come si ha generalmente per le sezioni in terra, CE È 1 ; che la base di ciascun fosso sia uguale ad gf l’area comples- siva dei due fossi laterali che sempre si hanno nelle sezioni in trincea risulta espressa da SP, perciò la formola (1) diventa: 1 ° DI Di =b}y +3 (+20 —40+2an +34 che si può scrivere: S=by + 00+2f)ay +1 00+20 +4 fa. (5) Per il caso più comunemente considerato in pratica, pel quale si ha: 1 qs csi 1 , = erat db n lp, risulta: S=l|#+0+9y+ 4 0+32 +1. Se p,.= 0, come generalmente avviene per le strade in pianura, si ha: S'—=y#+(0+3)y+1 (6) 706 VITTORIO BAGGI 6. — Equazione delle aree. La sezione R in rilevato sarà = di quella S di scavo se- condochè nell'equazione risulta a = 1. Per brevità di scrittura poniamo: o=alg,; d=00+2N)a; e=" alpi +} M+2f) +31 essendo ancora, come si è indicato precedentemente: | (7) c- qr o e qs RI b) dep i A 2 È 3 20 Pertgi— 30% = 1, che sono i casi più comunemente con- siderati in pratica, si ha: CEST ce cx 4-9p?% UU 1-ps 4 3 (4-3)? ©) ZIE, For “Ps | “ar _ PECE a(4—9p?,) Pt 4(1--p? ipy Se p,= p.= 0, cioè se il profilo del terreno naturale è orizzontale, si ha: ; 4=1, c=l, d—-1+8, 000 I R : < FRS 5 - = 0 sì può quindi scrivere sotto la forma L'equazione 3 seguente: f(c,y,0) = ax° — aby' + ce — ady — ae=0 (10) la quale, quando si riferiscano le variabili x, y ad una coppia di assi cartesiani, che supporremo ortogonali, è l'equazione di una semplice infinità di coniche, variando a fra 0 e + co. Praticamente, per non dar luogo a formole complicate, sarà conveniente cercare prima i valori numerici dei coefficienti a, b, c, d, nonchè quello del termine noto e. rn ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, Ecc. 707 Risolvendo la (10) rispetto ad x si ottiene: - ra V4aa(by* + dy +e) + e? (1 1) a 2a essendo a > 0, x sarà reale quando dy? + dy + e > 0. E poichè è5>0, per valori di y=0 infinitamente grandi, questa disugua- glianza è sempre soddisfatta, perciò avremo per x sempre un valore reale. La (10) è adunque l'equazione di una famiglia d’iperbole di centro comune definito dalle equazioni : e d OSE (12) (che d'altronde si ottengono dalla f(xya) uguagliandone a zero 0 3. ed aventi gli assi diametrali co- . dx’ dy muni e paralleli agli assi coordinati. Per le notazioni (7) si ha: le derivate parziali 1 1 : il centro giace quindi nel quadrante negativo. 2 È Per q,= 3 g= 1 risulta: 7. — Vertici delle iperbole. Per conoscere la disposizione della iperbole (x,y, a) = 0 conviene ricercare la situazione dei vertici sugli assi diametrali. La (10) risolta rispetto ad y dà: 21° _lL 40 Ere LI ya d a Va?d* + 4ab(ax* + ce — ae) Ì 2b 2ab (13) dal, Posto y= — 7 si ha: 4aba® + 4bca — a(4be — d°)= 0 Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 49 e» vo i 708 VITTORIO BAGGI da cui Die e Vb®c* + a(4be — dd) ab TS 2a - 2ab 4 (14) Può essere dal be° + aa(4be — d°)= 0. (15) Nei primi due casì essendo x reale, i vertici giaciono sul- l’asse diametrale parallelo all’asse delle x; nell’ ultimo caso i vertici reali sono sull’altro asse diametrale. Per le notazioni (7) la (15), dividendo per il termine posi- tivo ab, diventa Pg 0g.) — tofq.(1+>f)Z0 (16) LA QUALE È INDIPENDENTE DALLA PENDENZA TRASVERSALE DEL TERRENO: Quindi per una stessa strada, tutte le iperbole definite dalla f(xya) per i diversi valori di p,, p,, per lo stesso valore di « hanno i vertici sullo stesso asse diametrale. Per =: Q,=1,&=1 la (16) dimento Sd (17) Jl secondo termine del primo membro della 16 è sempre negativo, quindi | come avviene nel caso pratico per cui si ha d= n, de 1) se si ha g,< g; ed a= 1, il primo membro della 16 è sempre negativo, ossia i vertici della iperbola f(#y0) giaciono sull’asse diametrale parallelo all’asse delle y. In ogni caso quando ciò avviene, l’ordinata comune a questi vertici vale: d Va?a?b — aab(4ae + e?) LR et RT E CANE lo ZO dr 2a ah (18) che per i simboli (7) si trasforma in quest'altra: y=-— 30+20)4È 1 oa LP i l'ago —g) + 40'gf (1++)}. (19) k TRI I PP ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, Ecc. 709 Se poi i vertici giaciono sull’asse diametrale parallelo al- l’asse x, l’ascissa di essi è: fi rn V8ie — a(4be — d?) ab MT 2ab l 1 DEE tr 9 e) a=- aL) og) daf\1+3f)}. ©» Per #=5$, gii, to: le.19%6s21 diventano V4-3 leva gli +i yi yi +60+5 Bet 49h Le de | SRO 6 I) 61 — 5 la seconda delle quali dà per x valori immaginari. 8. — Equazione degli asintoti. Notoriamente i termini di 2° grado della f(rya) uguagliati a zero dànno l'equazione complessiva delle due rette uscenti dall'origine degli assi parallelamente agli asintoti. Tale equa- zione è: ax? — aby? = 0. Per ottenere le equazioni degli asintoti basterà porre per x e per y le espressioni x — x,, y— y: che si ottengono sosti- tuendo a x. e y, i valori trovati al num. 8. Con ciò l'equazione ora scritta diventa: ale+7) — b(y+73) =0 dalla quale si ricava: e ag Vaad ] ; P- y ) a=— Ei - : da I 2Vaad RIST) Per le notazioni (7): en LEE Lap paty (23) 3, — 9p°s Va qs 710 VITTORIO BAGGI 2 e per g,.=5 und o=- Lai ya n4 9 + fayl. O Nel caso di terreno orizzontale, cioè p, = p, = 0, si ha: o=- ia|paft4y}. (5) Le equazioni separate degli asintoti sono poi: = 2Vaad x + 2aby + (ad + © faab) =0 (26) ss = 2Vaad x — 2aby — (ad—< Yaab) =0 Giova notare che, essendo il centro e delle iperbole (fig. 3) nel quadrante negativo e gli assi diametrali paralleli ai coordì- nati, un asintoto deve necessariamente segare gli assi dalla parte negativa e, come facilmente si riconosce, questo asintoto è 5. L'asintoto ss poi, salvo il caso che passi per l’origine delle coordinate, segherà uno degli assi di riferimento dalla parte (+4) e l’altro dalla parte (—). Segherà dalla parte (4) l’asse x o l’asse y, o passerà per l'origine, secondochè sarà: Coro a - d » ad=-—-Vaab, ossia ;——=W— =" Ge. |a oppure per i simboli (7): POS gi Vee che si può scrivere: Vita li hé Via. l = Va \ qs x Per DES, gii ‘si ha ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, Ecc. 711 3V20 V3- Va Per p,= p;= 0 questa condizione diventa / = e per a=1:/=/6. ia fa \ DS Fig. 3. Fig. 4. 9. — Semiangolo degli asintoti e distanza di questi dall’ori- gine degli assi coordinati. Diciamo 0;, 0, le normali condotte per l’origine 0 delle coordinate agli asintoti, e p,, p> misurino i segmenti delle dette normali, compresi tra l’origine e gli asintoti s1, sg: riterremo Pi, Ps sempre positivi (fig. 4). Notoriamente i parametri delle variabili nell'equazione di una retta sono proporzionali ai coseni degli angoli formati dagli assi cartesiani colla normale alla retta, ed il rapporto di pro- porzionalità, a meno del segno, è quello del termine noto alla distanza normale della retta dalla origine. Nel caso attuale, e ad esempio per la retta s, (ritenendo positivi gli archi da destra verso sinistra) si ha: er ala Bid zag det cos(e01) = cos(o01yg) Pi 4 da ‘cui — 2 Vaad — 2ab Cos(xd.) = = Pi, -C08(0,Y) = = ad + — Vaab ad —- Vaab ; zx Vas T 5 4 D'altronde essendo x0, + 01y = n° quindi cos° (201) + cos°(0,7) = 1, si ottiene: (ad A 0, sarà da prendere il segno + s dochè il numeratore è = 0. Di più: ni a Va+ab ’ Vat+ab cos(103) = Essendo poi cos(r0,) = sen(xs;), il semiangolo ES, deal asintoti sarà definito dall’equazione: 4 eri Je Var Va+tab Var+ ag & I» - ; sen(2s,)) = Conviene osservare che (salvo il sii in cui gli asinto nti. coincidano con si assi diametrali), l'angolo cs, è sempre > 9 Per gg 3 I = pe has sen (28) = ad k V3+2a e\per 0: sen(xs,) = — E 5 , i è Rubeltat 4 OA » 713 "o De: PRA Lo ‘Scavo ED IL RIPORTO, Roo. Vad . e di ie Dda: AVA VE Spera Va 2Vab 2Vaadb i simboli (7) si ha: 2 Vv Gs qv q Sri ARM TTZZI VEC i "+ 2f): sil na dr VICE cat 2 2Vagrgs dp" ì e Per na i, dg= 1° risulta: Minotgece gi patate eli dini 3 v6a V4-9p% bela 0 A ue pe eLa); y=- 0 Le | 11. — Punto d'incontro della iperbole con gli assi. | Nella (11) e nella (13) ponendo rispettivamente y =i0e ie =-0 sl'ha: AL in ell Viaae 4 e d Va —4be si " nel bili Dara ob Mii “cai AES sw ge 0420, Vania ite tre] / bi pe È n rn 714 VITTORIO BAGGI Per =; q=1, f= 12,50: 2 ici [ VA 9} Pap E -+4a| 3 2V6 c+8) , Va-afe+tart ant Cet 2 O e nel caso di terreno orizzontale, cioè nel caso di p, = p,= 0: socialità gas CL 3 3 v > 2 12. — L'equazione f(xya) =0 definisce una semplice infi- nità di iperbole, variando a fra 0 e + co. Gli assi diametrali ed il centro (giacente nei quadrante negativo) sono invariabili al variare di a. Il caso di equivalenza delle aree R ed S è dato da a= 1, e l’iperbole f(x, y, 1) è caratteristica, inquantochè essa divide il piano în due regioni, luna luogo di punti per cui a > 1, ossia per cui l’area della sezione in rilevato eccede quella della sezione in isterro; l’altra, luogo di punti per cui a < 1, ossia per cui l’area della sezione in rilevato è minore di quella della sezione in isterro. La (16) decide della disposizione delle iperbole per ogni valore di a. Per a = 1 i vertici saranno sull'asse diametrale parallelo all’asse delle x, o su quello parallelo all’asse delle y, secondochè si ha q, 9:, epperciò pel caso pratico in cui qg, = è. g.= 1, i vertici sono posti sul diametro parallelo all’asse y. Ad ogni modo per taluni valori di a, 9g,, gs, il 1° membro della (16) potrà essere = 0. Consideriamo ciascuno di questi casì. 13. — Suppongasi il 1° membro della (16) maggiore di zero. L'equazione (11) per a= 1 diventa: e VETTE da = a 2a . ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, ECC. 715 Ora, se si pone d = — con che si trasporta l’asse y e dg parallelamente a sè stesso a passare pel centro dell’iperbole f(eya) =0, essendo [4aa(0y +dy +e) + e]=[4a(04 +dy+ e) + e] secondochè a = 1, si vede che per uno stesso valore di y, è [e ]=[2] secondochè è a = 1. Vale a dire: se a > 1 l’iperbole f(reya)=0 giace nella regione di piano interna alla f(xy1) =0, mentre che per a < 1 l’iperbole f(xy0a) = 0 giace nella regione di piano esterna alla f(xy1)=0. Ma l'essere a=1 equivale ad essere R=S$, perciò i punti (x,y) interni alla f(xy1)=0 od esterni corrispondono a valori di x,y, per cui il rilevato eccede lo sterro e viceversa. Il semiangolo ottuso (xs,) degli asintoti della f(xya) = 0 definito dalla equazione: Va+ ab —Va 4 -—, Ma siccome e == Sil di Lats i eee === per a iventa: sen(xs.) vare | sr: | < | Lar | secondochè è a = 1 si ha, | Vaa+ ab Va+d | essendo (xs) > 90°: ss, = (CS. Perciò per a = 1 il semiangolo ottuso (xs,) della f(xya)=0 è = di quello (xs;) della f(xy1) = 0. Se a cresce all’ © gli asin- toti tendono a confondersi coll’asse diametrale parallelo a quello delle x; se invece a diminuisce fino a zero, gli asintoti tendono a coincidere coll’asse diametrale parallelo a quello delle y. Si potrebbe ancora facilmente dimostrare che i punti d’in- contro della iperbole f(xya) = 0, o dei suoi asintoti, con l’asse x distano maggiormente dall’origine che non i corrispondenti punti di f(xy1)=0, per a> 1 e viceversa. 716 VITTORIO BAGGI 14. — Supponiamo il 1° membro della 16 uguale a zero. I vertici della f(xya) = 0 coincidono col centro e quindi la co- nica degenera in un paio di rette. Tra queste, quelle corrispon- denti ad a=1 godono della proprietà dianzi detta per la f(xy1)=0 di separare nel piano i punti per cui è a 1. Per 4 =, qg=1,a=1,f= 1,5 questo caso venicasi pel valore di { dato dall’equazione: + 18/4 15=0 ossia per l,= — 17,124; l,= — 0,876, valori questi che praticamente non hanno significato. 15. — Supposto il 1° membro della 16 maggiore di zero, 1 vertici cadono allora sul diametro parallelo all'asse y:la di- scussione, analoga al caso del num. 13, fa vedere che i punti esterni od interni alla iperbole f(ry1)= 0 dànno valori di x, y per cui a 3 1, ossia per cui il rilevato eccede lo scavo. 16. — Uquaglianza delle quote rosse x, y. Se tra le variabili x, y, oltre alla f(xya) = 0 deve passare una relazione @(xy)= 0, i punti comuni alle curve f(2u0)==:0 (ay) =. danno i valori richiesti di «, y. In particolare, se la quota rossa x deve essere uguale alla quota rossa y, i punti di intersezione della retta x = yy, biset- trice dell'angolo degli assi, con l’iperbole f(xya) = 0 sono quelli che soddisfano al problema. La (10) per x=y dà: ‘ (a — aB)r? + (ce — ad)e — ae=0 (27) da cui pla —(c—-ad)+V(eT— ad) +4(a — ab) ae (28) 2(a— ab) Peri WS = gi=1;'p, = pf ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, ECC. 717 e tenendo conto soltanto del segno + si ha: x, = 6,3166. Questo risultato è importante nella pratica, e dice che trattandosi di terreni ordinarì e orizzontali, il procedimento suggerito dai pratici di tracciare le livellette di compenso in modo che nel profilo longitudinale risultino equivalenti le aree di scavo e di riporto, è vero nel solo caso che le quote rosse di scavo e di riporto di due sezioni equidistanti dal punto di passaggio fra esse compreso, valgano metri 6,316. Ricavando x dalla prima derivata della (27) si ottiene vee ad—e 2(a — ab) enolper e =1 da « =35,00. Per confortare con un esempio pratico questi risultati, con- sideriamo una strada insediata su terreno orizzontale, avente la larghezza di m. 6,00 da ciglio a ciglio; di due sezioni trasver- sali di essa, una in riporto e l’altra di scavo, calcoliamone le aree per diversi valori della quota rossa %. Supponendo le scarpate della trincea inclinate a 45°, quelle del rilevato inclinate a 3 di base per 2 di altezza, e ritenendo che i fossi laterali della trincea abbiano una larghezza al fondo di 0%,50 ed una profondità di 0%,50, si hanno i seguenti valori per l’area di ciascuna sezione considerata: ALE Area Area id di della sezione |della sezione in riporto di scavo 12,00 50) 122°00 |eccesso di scavo m° 4,50 3,00 31,50 37,00 È n Bud n) 5,00 167,50 71,00 3 ” sc LOdo 6,00 90,00 91,00 d È RODI 6,3166 97,74 97,74 differenza si OSO 7,00 115,50 113,00 (eccesso di riporto , 2,50 | 10,00 210,00 191,00 x 19,00 15,00 427,50 361,00 $ 66,50 718 VITTORIO BAGGI Come già abbiamo dimostrato col ragionamento fatto pre- cedentemente, per il caso considerato ora si ha il massimo ec- cesso di scavo allorchè h = 3",00, e si ha perfetto compenso allorchè A = 6",3166. Dando a p, e p, varii valori, quelli più comuni in pratica, si potranno ottenere dalla 28 i valori di % per i quali si ha equivalenza fra l’area di una sezione di riporto e quella di una sezione di scavo per ogni singola pendenza trasversale del ter- reno, e si potranno così tracciare le livellette di progetto con giusti criterii per ottenere il compenso fra i volumi di scavo e di riporto. BILE 17. — Introducendo nell’equazione È = a le espressioni 3 e 5, l'equazione ora scritta si può porre sotto la forma: alz4+g la) —diy +3 0+2)al — \ 9 % ( Y 9 ds( 1» a 2 4 2 Se si assumono come incognite le ordinate: 1 1 È (e+3a)= y+9 +e =1I che misurano rispettivamente la distanza del punto D del ter- reno naturale dall’intersezione F delle scarpate laterali della sezione in rilevato (fig. 2) e di quella di scavo, e se si pone r= pla —0+a+gf 0) l'equazione delle aree diventa: f(XYa)=aX? — abY? — ar=0. Perde s, Gee Bl-ha in gh 0 pre I Lee Pe Lee ine er o a 2 TI i coli se da ME ira COMPENSO. FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, Ecc. 719 229) è l'equazione di una suitallice infinità di iperbole col ntro sull'origine degli assi coordinati che sono anche assi dia- «metrali della iperbole f(XY a) = 0. Risolvendo questa equazione rispetto ad X si ha: xa + er Lor a era Posto X= 0 si ottiene: \BY*+x=0 da cui vray Se r < 0, Y è reale e l’equazione precedente dà allora le _ degenera in due rette; se r > 0 i vertici reali sono sull’asse « | @ l'ascissa di essi è data dalla equazione: vale fi L'equazione complessiva degli asintoti è: ai 0 da cui JA x=t|at.y ““ \ a e le equazioni separate sono: $ s=X+2y=o0; s3X-yLy=o0. 5° Il semiangolo degli asintoti è dato dall’equazione: Va Vatad }* °° 184 sen(xs,)) = si (o | é È — ordinate dei vertici della iperbole; se r= 0, Y= 0 l’iperbole. 720 VITTORIO BAGGI Ripetendo per questo caso il ragionamento fatto preceden- temente si deducono facilmente queste considerazioni pratiche: 1° Se l’iperbole f(XY 1) ha i vertici sull'asse Y i punti interni od esterni ad essa dànno valori di X, Y per cui a ® 1, ossia per cui il rilevato è = dello scavo; 2° Se l’iperbole f(XY 1) ha i vertici sull'asse Y, i punti interni od esterni ad essa dànno valori di X, Y per cui a S 1, ossia per cui il rilevato è 3 dello scavo. I punti della f(XY1)=0 per cui le ordinate x,y sono uguali, sono dati dalla intersezione di essa iperbole con la retta: 1 È 7 l ossia con la retta: che è inclinata a 45° sugli assi, che sega nei punti X,, Y;: ©) 5 100) 1 | 1 : bei) — 0+2/)9.}; be T}la-U0+2N}q 2 ) Beryga=: go g@=1 8 ha: E l X=—(4++150); Y=$+1,50. IV. 18. — Se nell'equazione (29) poniamo: È 1 isa : (r+3%) =; 1y+10+2Na.! =n, n 1 2 Ji 9 f 2 | 4 fe 7 == / dr Bibi an (/ all ) ) gs n e 9 qs essa assume la forma s=zaz—-abn—ar=0, (31) la quale, quando si riferiscano le variabili &, n, ad una coppia ESAME DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, ECC. ‘721 di assi cartesiani z, n, rappresenta una infinità di rette incli- nate sull’asse Z dell'angolo dato da e seganti gli assi z, n, rispettivamente nei punti RICAMO n= — ? a basi Per'ig, = si qs= 1 e per i valori di a,b, r, del num. 17 | n=-(1-p)j + i+]. Quando è p, = p.= 0, cioè quando la sezione trasversale del terreno è orizzontale, si ha: 1 >» RAS SN 5 4 — rosone È 19. — La retta s,, per cui a= 1, separa il piano in due regioni, l'una luogo di punti per cui a > 1, l’altra luogo di punti per cui a < 1. Essa retta, a seconda dei valori di g,, g., può segare gli assi coordinati tanto dalla parte positiva quanto dalla parte negativa. Suppongasi ad es. » > 0, allora è ViZE VITTORIO BAGGI Dalla (31) si ha: ar ad r a etere) jin = Ca 2 E RENE, TALE n TEN 3" che per a= 1 diventano: De lo) 74 a DONE BO 0A PREV COLERA îi a ua le ni è d'ali i Si considerino le espressioni di Z e di 5, e si supponga: 1° n> 0; allora #> 0, e sarà & = €, secondochè a & 1, ossia la porzione di quadrante positivo a destra di sj è luogo di punti per cui il rilevato eccede lo scavo e viceversa (fig. 5). 2° n<0, sarà [r] > [bn], allora z > 0 e #3, secon- dochè è a = 1, ossia la porzione di quadrante compreso tra gli assi z, n e la retta s, compete a punti per cui il rilevato ec- cede lo sterro. {Gal | 4 | Seipz lindlessi- has Ee0 malri>ldnj; allora z£<0 e sarà# 58; se- condochè a = 1, ossia la porzione di piano compresa tra gli assi — &, +-n e la sj compete a punti pei quali lo scavo ec- cede il rilevato e viceversa. s°n>0 elrl<|dnl, alloraz>0 e sarà #= &, secon- dochè a = 1 ossia la porzione di piano compresa tra gli assi +, +n e la s, compete a punti *pei quali lo scavo eccede il rilevato e viceversa. Fig. 5. 20. — Il caso di uguaglianza delle quote rosse si ha po- nendo: ca bal VE-3y,=V/n-3(0+?20)4, da cui, facendo 1 1 j A=|}4y-70+Nd|, sì ottiene: E + n — 2En-25A4— 2nA4+A4°=0 (32) che è l'equazione di una parabola simmetricamente posta rispetto agli assi. Risolvendo rispetto a Z e a n rispettivamente si ha: E=n+A+)/2n4; n=5E+A+/254 e però, per essere A quadrato perfetto, rilevasi che la para- bola giace tutta nel campo positivo e che gli assi sono ad essa tangenti nei punti (£="0Sn= A); >(n=iGfE= A). Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 50 724 VITTORIO BAGGI L'asse diametrale è poi la retta uscente dall’origine e bi- secante la coppia di riferimento; per cui le coordinate del ver- tice sono: Cella Per =, d, =""Lt81 ha: 3 LA i id al de a=—(3 if) = SARE E L 9 Re n ru 21. — Trasformazione degli assi. Per costruire speditamente la parabola, giova operare una trasformazione di assi, assumendo come nuova coppia di riferi- mento l’asse diametrale e la tangente nel vertice della parabola. L'equazione (32) posta sotto la forma: E— n?—24E8—-2An+A42=0 quando si metta E =i& — Lg I ’ M'eulieziene con che si trasporta l’origine degli assi nel vertice della para- bola, diventa: (1 — n —- 2A (+4 na) =0. Si ruotino poi gli assi di 45° intorno al vertice da sinistra verso destra: per tal modo si trasformano le coordinate &;, n, in altre Z,, no definite dalle equazioni: E, = o. c0845° — Mm. sen 45° ni= 0. sen45° + np. cos45° ossia LAO la i LETI P i cia «J 8: { TRI Pa LIETA azione della ) Ve i, perciò na forma MR OTT E hi: da, ni=/2A&=dH li valore di è, che si può scrivere dè = V2 (E, può in a deri caso, e per ogni valore di /, essere fornito da apposite = ) a j numeriche. di | Pel caso deg i, q:= 1 essendo r < 0 la retta s sega la | parabola sull'asse n se deli: Apia SN (33) ossia se (+!+3) A (È sht:9 3) (1—p;)=0 ap 0 $ hj . . . ciò che avviene per il valore po di p. dato da: = + 481 — 48 PoTy 48481460 — oppure anche pel valore Z di l: 5 9 RAR I EAT } Vor 3p°s — inquantochè la (33) può scriversi cala la forma: mu | E)1-30-»(+1}1-3(1—p)(+5}9—(1—p){=0. In quest'ultimo caso deve essere 2 — 3 pî > 0 (essendo AA nti _1—-pî>Q0 perchè per ipotesi a > 0) cioè pS i, Atti della R. Accademia. — Vol. XXXII. 50* 726 VITTORIO BAGGI Dunque per un dato valore di 2 e per valori p, = po della pendenza trasversale del terreno nella sezione in isterro consi- derata, la retta s sega la parabola al disopra o al disotto del punto di tangenza della parabola stessa con l’asse n. Ciò avviene analogamente per un dato valore di p, e per valori di 1 = lo. Per p,=0 si ha h=—9+3V11=—94+3X 3,3166. Inoltre quando s sega la parabola sull'asse n si ha: E=(2+j4)=0. Soi che per q,= 5 e I ciò che richiede per / o per x segno negativo. Praticamente il caso della retta s segante la parabola sul- l’asse n non ha adunque importanza. Nell'ipotesi che sia p, = 0, si ha ancora: l'’=—718,3166 ex, = 6,3166; 0" =+ 0,9498 e 705" = —0,3166 i quali risultati concordano con quelli trovati al num. 16. 23. — Praticamente i valori che si devono considerare per x e per y sono positivi, come pure sono tali quelli di VE è Vn, e le quote rosse x, y, sono date dalle relazioni TIME] = il —Ve-lug; y=/W-10+2)0 che per 9g, = o , gs= 1 diventano a=VE 021: y=Vn—-5 (+3) Si può quindi domandare: “ per un dato valore positivo di l, quali sono i valori limiti di E, n, per cui risultano uguali le aree delle sezioni di scavo e dì riporto e le quote rosse hanno valori uguali e POSITIVI? ,. Ed in altri termini, quali sono i valori di VE e Vn al di- sotto dei quali si ha bensì l'uguaglianza delle quote rosse x e y, ma queste hanno segno negativo ? sit i a id ESAMF DEL COMPENSO FRA LO SCAVO ED IL RIPORTO, ECC. 727 Perchè le quote rosse siano > 0 è necessario che sia = l cost. W>3,. ln>043) Se adunque si conducono (fig. 7) le rette neo: AESREST CE TOR 9 9 n 4 bi i punti giacenti nel rettangolo tratteggiato hanno coordinate pi minori di Z, n, e quindi la porzione di piano racchiusa dalle rette E, n e dagli assi compete a punti pei quali, per valori positivi di , le quote rosse x e y sono negative. È adunque inutile, nella pra- tica, tracciare il segmento di parabola giacente nel rettangolo tratteggiato, perchè i punti gia- centi su di esso segmento, per valori di 7 > 0 dànno bensì va- lori di x = y, ma questi hanno segno negativo, e perciò non hanno significato in pratica. Si può quindi conchiudere che i valori limiti per £, n, al disotto dei quali le quote rosse benchè uguali non si presentano mai in pratica, sono le coordinate dei punti A, B, intersezione ve LS: = te D'TERE epr veo = Lise? i delle rette z, n con la parabola. In particolare si può ancora notare che i punti A e B pos- sono cadere tanto sul segmento parabolico finito CVD quanto sul segmento indefinito C cv D. Se entrambi i punti A e B ca- dono su quest’ultimo segmento è inutile tracciare l'arco para- Ca bolico CVD perchè tutto compreso nel rettangolo (£, n; E, n) che dà per x = y segni negativi per / > 0. Perchè sul tratto CD esistano effettivamente punti pei quali per / > 0 si abbia ex=y>0 è necessario adunque che almeno uno dei punti A e B cada nel tratto parabolico CVD, e perciò deve essere A E ossia 728 VITTORIO BAGGI — ESAME DEL COMPENSO, ECC. cioè la ae Se il primo membro di quest’ ultima espressione è nullo si ha: hi — 3 Sla 6. Dunque per valori di / > 0 ma minori di = 9®,00 non esistono sulla porzione di parabola punti pei quali le quote rosse hanno segni positivi; perciò detto segmento parabolico non ha importanza, in questo caso, nella pratica. Ciò si verifica per l'esempio trovato al num. 22, in cui per p.= 0 e per il valore di l: PINI si ebbe appunto x" < 0. Dall'esame teorico fin qui svolto risulta chiaramente la facilità di poter ricavare in ogni caso gli elementi necessari per giudicare del compenso esatto fra i volumi di scavo e di riporto nei progetti stradali valendosi semplicemente del profilo longi- tudinale della strada e conoscendo la pendenza trasversale del terreno, senza ricorrere per ciò al calcolo delle aree delle se- zioni trasversali, oppure ad altri metodi speditivi ma di limitata approssimazione. Inoltre se nel tracciare le livellette di progetto sul profilo longitudinale di una strada si avrà presente la teoria qui esposta, si potranno evitare i profili di prova che sempre si fanno in questi studì. Per rendere pratiche le cose fin qui dette, converrebbe tra- durre in tavole grafiche oppure in tabelle numeriche i risultati dei ragionamenti precedenti, considerando e combinando insieme i vari valori che nella pratica possono assumere le quantità Lp, q,0 E ciò è quanto ci proponiamo di fare prossimamente. Torino, Aprile 1893. TL e c 0 TATO RICCARDO ARNÒ — SULLA TARATURA DEL FASOMETRO, ECC. 729 Sulla taratura del fasometro delle tangenti; Nota di RICCARDO ARNO”. In una precedente Nota (*) ho esposto il principio di un apparecchio, a cui ho dato il nome di fasometro delle tangenti. Esso consiste essenzialmente nella combinazione di un elettro- dinamometro e di un apparecchio di induzione a campo Ferraris, ed è destinato a dare il valore della tangente dell’angolo @ di spostamento di fase fra due correnti alternative sinusoidali, qualunque siano i valori, e comunque diversi l'uno dall’altro, delle intensità efficaci I, e I, delle correnti stesse. Dette rispettivamente a e B le deviazioni, K' e K" le co- stanti relative ai due apparecchi, che costituiscono nel loro com- plesso il fasometro, si scrive I,I, cosp = K'a, sano MB onde, detto K il rapporto costante , si ricava g|w tangp = K La presente Nota ha per oggetto l'esposizione di un metodo semplice e comodo per la taratura del fasometro delle tangenti, | col quale metodo si determina la costante K dello strumento semplicemente ricorrendo all'impiego di un reometro, che non ha neppure bisogno di essere tarato. Si costituiscano due circuiti derivati c, e cs, alle estremità M ed N dei quali sia mantenuta una differenza di potenziale alternativa di valore efficace costante V. Il primo circuito c, (*) “ Atti,, Vol. XXXII, 21 marzo 1897: Fasometro delle tangenti. spirale S con nucleo di ferro sezionato F mobile nell'interno della spirale stessa. PRO Disposto allora il commutatore C nella posizione indicata sd) in figura, con che rimane esclusa dal circuito cs la spirale S, e inserita mediante il reostato R una determinata resistenza TRO E si disponga il fasometro per essere usato come semplice elettro- ‘ dinamometro e si facciano passare le due correnti, che in quelle | condizioni si hanno nei due circuiti derivati c, e cs, attraverso alle spirali, fissa e mobile, dello strumento. Detta è la devia. zione si ha LI,= Rd, mo poichè in tal caso, non essendovi nei due circuiti nè induttanza | nè capacità elettrostatica, si ha pg =0 e quindi cospgp=1. Ciò posto, fatta la lettura sul reometro A, si introduca nel circuito cs, mediante il commutatore C, la spirale S col nueleo — di ferro F in una determinata posizione, e si inserisca nello — A — che sul reometro A si abbia la medesima deviazione di prima. In tali condizioni, pur rimanendo invariati i valori delle inten- sità efficaci delle due correnti, si ha però fra le correnti stesse | uno spostamento di fase diverso da zero, causato dall’induttanza del circuito c,; onde si scrive I,L cospg = K'd'. [IL] Dividendo a membro a membro l’equazione [II] per la [1], si ottiene quindi ’ e aree Seal) ossia tango = + Vd? — d?. Ma se, nelle condizioni del secondo esperimento, si fanno anche passare le due correnti derivate attraverso all’apparec- chio a campo Ferraris, si ha ancora, detta è'' la deviazione che subisce la spirale indotta sotto l’azione del campo Ferraris ge- nerato da quelle correnti, n” 3 tangg = K Onde si ricava Un altro modo di operare è quello di stabilire a priori l’an- golo pg di spostamento di fase fra le due correnti I, e I». In tal caso converrà disporre le condizioni dell'esperimento per modo da avere @ = 45°, sia perchè allora, pur essendo tale spostamento di fase facilmente ottenibile senza perciò dover ricorrere a grandi valori della induttanza nel circuito cs (*), si ha la massima sen- (*) Perchè sia l'angolo di spostamento di fase fra I, e Ia, e quindi ‘quello fra V ed Ia uguale a 45°, per il circuito cs, detta L l’induttanza ed » la frequenza della corrente alternativa, deve essere soddisfatta la con- dizione 2tnL=Y. 732 RICCARDO ARNÒ — SULLA TARATURA DEL FASOMETRO, ECC. sibilità del fasometro; e sia perchè allora tang @ = 1, lo che semplifica l’espressione che serve a ricavare il valore di K, la quale si riduce alla seguente ; Ke gn: Ora perchè sia g = 45° basterà, operando convenientemente sul nucleo di ferro mobile della spirale S e sul reostato R, fare in modo che il circuito c, venga ad avere tale resistenza ohmica e tale induttanza che, pur rimanendo costante la lettura sul reometro A, quella è’ sull’elettrodinamometro sia tale da sod- disfare alla relazione ni —_ cos 45° === O, ossia: dE—-07070. La deviazione è’ sull’elettrodinamometro nel secondo espe- rimento dovrà dunque essere uguale a AGE della deviazione d nel primo esperimento. Finalmente, se il fasometro delle tangenti è così costrutto che ne possa facilmente venire modificata la costante K, è sempre possibile, operando convenientemente sull’apparecchio, di ottenere che il valore di K risulti uguale all'unità, in guisa da avere la tangente dell’angolo di spostamento di fase fra le due correnti mediante il semplice rapporto delle due deviazioni B eda. Nel caso particolare di p = 45°, si ha infatti K=1 alla sola condizione che sia d' = è". Basterà dunque modificare con- venientemente la costante dell’uno o dell'altro o di ambedue gli apparecchi che costituiscono il fasometro, fino a che, per g = 459, sì abbiano uguali deviazioni sui due apparecchi medesimi. L’Accademico Segretario ANDREA NACCARI. TTTRCMAOUMIILDA+ 7? e gg n IRELOR np CLASSE DI x SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE La in causa della solennità patriottica che si è celebrata menica 8 maggio 1898, non si è tenuta la seduta, indetta quel giorno; è però stata data facoltà ai Socii che aves- anei sotto la loro responsabilità, di inviarle ugualmente alla Jegreteria entro il detto giorno 8, salvo a farne regolare pre- L’ Accademico Segretario CesaRE NANI. l'A Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi. VEE, di" hi pa nato TA i i a” si Fuga at Date Sia Run het Gp DIST on ppi ° # PX tenero #31; 4 pu È, Le N Nic î AN e € ÀAc 4064] CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 15 Maggio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Berruti, D’Ovipro, Mosso, SPEZIA, CamerANO, SEGRE, PeANO, VoLtERRA, JADANZA, Foà, GUARESCHI, Gui, FiLerr e NAccarI Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta. Il Presidente comunica una lettera del Ministro della Pub- blica Istruzione che accompagna il R. Decreto con cui il Socio Bizzozero è nominato Direttore della Classe. Comunica inoltre una lettera di ringraziamento del Prof. GoLei per la sua nomina a Socio nazionale non residente e quelle dei professori CASsTEL- nuovo, Cesàro, PaciNoTTI e StoKEs per la loro nomina a Soci corrispondenti. Il Presidente dà notizia che si terrà in Liegi nel prossimo settembre un Congresso internazionale d’Idrologia e di Clima- tologia, il cui programma fu inviato all'Accademia. Il Segretario presenta parecchi opuscoli inviati in omaggio all'Accademia dal Socio corrispondente Guglielmo Roux. Il Presidente partecipa che, non essendosi tenuta seduta il 1° maggio, per l'inaugurazione dell'Esposizione, conforme al- l’avviso inviato ai Soci vennero presentate alla Segreteria entro il 1° maggio le seguenti note: Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. DI 736 1° Sulle curvature delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque, nota prima del Prof. Luigi BeRzoLARI, presentata dal Socio SEGRE, 2° Esame del compenso fra lo scavo e il riporto nei pro- getti stradali, nota dell’ Ing. Vittorio BAGGI, presentata dal Socio JADANZA, 3° Sulla taratura del fasometro delle tangenti, nota del- l'Ing. Riccardo Arnò, presentata dal Socio NACccARI. Avendo il Socio SecrE presentata entro il 1° maggio una memoria del Dott. Gino Fano, intitolata: / gruppi di Jonquières generalizzati, il Presidente ne affidò l’ esame ai Soci D’Ovipio e Secre. Il Presidente invita il Socio Sere a leggere la rela- zione sulla memoria del Dott. Fano. Le conclusioni della rela- zione, che sono favorevoli alla lettura della memoria, vengono approvate, e, compiuta la lettura, si delibera che la memoria venga accolta nei volumi accademici. Vengono poscia accolte per l'inserzione negli Atti le note seguenti: 1° Sull’equazione differenziale del 2° ordine lineare omo- genea, nota del Prof. Mineo CrHinI, presentata dal Socio PEANO, 2° Sulle condizioni iniziali che determinano gli integrali delle equazioni differenziali ordinarie, nota del Prof. Onorato NiccoLerTI, presentata dal Socio PEANO, 3° Sulla curvatura delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque, nota seconda del Prof. Luigi BERZOLARI, presentata dal Socio SEGRE, 4° Ricerche mineralogiche sui giacimenti di anidrite e di gesso dei dintorni di Oulx, nota del Dott. Luigi CoLomBa, pre- sentata dal Socio SPEZIA. Il Socio NAccaRrI, a nome del Socio GrBELLI, presenta ana memoria del Prof. Edoardo MartEL, intitolata: Contriduzione all’anatomia dell’ Hypecoum procumbens. Verrà esaminata dai Soci GIBELLI e CAMERANO. III IEEE O nn MINEO CHINI — SULL’EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 737 LETTURE Sull’equazione differenziale del 2° ordine lineare omogenea; Nota di MINEO CHINI. Ho diviso la Nota in due parti. Nella prima dimostro che se nell'equazione del 2° ordine lineare omogenea: yV + py + gy=0 r À, è Ò a È te ‘ si dà al coefficiente p la forma na’ CD m intero e positivo, al- lora come equazione difterenziale lineare omogenea d’ordine m+ 1, alla quale soddisfa ogni forma di grado m, a coefficienti costanti, di due integrali qualunque della precedente, possiamo assumerne una, il cui primo membro è una funzione uguale 0 contraria alla sua aggiunta. Nella seconda parte, fermandomi al caso di m = 2, faccio uso della precedente proprietà per esprimere l'integrale gene- rale di ogni equazione differenziale della forma: , be K ay'+ Sy +y=< con a, dò funzioni qualunque della variabile indipendente e K co- stante arbitraria, per mezzo di due integrali fondamentali del- l'equazione stessa priva del 2° membro. I: Considerando l'equazione differenziale lineare omogenea del 2° ordine: (1) vi dp +.gy=0, 758 MINEO CHINI si sa che ogni forma di grado m, a coefficienti costanti, di due soluzioni particolari della medesima soddisfa all’ equazione dif- ferenziale lineare omogenea d’ordine m + 1: Soa a pm Sar “i SEE = 0 in cui le S sono delle espressioni differenziali che si ottengono mediante la formula ricorrente: (2) (+ DSnnt = S mo + APOnn 1 (Mn 4 1980 consi = Phase): Moltiplicando ambo i membri della (2) per x! abbiamo l’altra: (20+ 1)! Smns1=!S mat #!0PSmn + (1)! (mM n+1)9Smni Quindi, posto: iS r9 possiamo dire che ogni forma di grado m di due soluzioni della (1) soddisfa l’equazione: fns (€) =0 essendo f,+:(2) l’espressione differenziale che si ottiene coll’uso ripetuto della formula: (3) fia =fr+ "pf + r(m—r + Daf-a dando ad r successivamente i valori 1,2,...., e prendendo fo a fi = A Id È È Ma a Ora, se il coefficiente p lo scriviamo sotto la forma Dr essendo « una conveniente funzione della variabile indipendente, la (3) si trasforma nell’altra: r r , af =af+70htr(m_-rt11)gaf. (*) D. Besso, Di alcune proprietà dell'equazione differenziale lineare omo- genea del 2° ordine, “ Memorie della R. Accademia dei Lincei ,, Vol. XIV, anno 1882-83. SULL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE DEL 2° ORDINE, ECC. 739 Posto infine: af, = F,, questa relazione diventa: m_r a' 9 F,41=F,— Cav Haller 4 1)oF, E possiamo perciò concludere: Ogni forma di grado wm di due integrali dell'equazione differenziale: (4) dl = y +by=0 essendo a,6 funzioni qualunque della variabile indipendente, soddisfa all’equazione Fnsi(2) = 0, dove F,.;(2) è un polinomio differenziale lineare omogeneo d’or- dine #m + 1, che si ottiene coll’applicazione della formula ricor- rente: 5 PW, pd nt Tp r(m_—-r+4- 1) dF,_i Li a m quando si faccia successivamente 7 = 1,2,..... m, e si prenda Wise, F, = as. Ora, ricordiamo che ad ogni polinomio differenziale lineare omogeneo ne corrisponde un altro detto l’aggiunto del primo, e che un polinomio d'ordine #: n : dai 0 coincide col suo aggiunto (se » è pari) o ne differisce solo per il segno (se » è dispari) quando i coefficienti a siano legati dalla relazione: n=-T a,=(- DI (Ca, (0. (*) Veggasi p. e. la mia Nota: Sopra una classe di polinomi differenziali, “ Atti del R. Istituto veneto ,, tomo V, serie VII, anno 1893-94. 740 MINEO CHINI Ne segue che un polinomio differenziale del primo ordine è il contrario del suo aggiunto quando sia della forma Li ee Quello del 2° ordine uguale al suo aggiunto deve essere della forma: (6) ay” + a'y' + By. Quello analogo del 3° ordine: ©. ni ira , 1 ' rri (7) ay 45 0o'y” + By' +7 (28 — al')y. Quello del 4° ordine: (8) ay” + 20'y"" + By" + (B' — a'")y' + yy. Quello del 5°: Vv 5 f,JV I 1 ' (9) ay't 5 a'y'+ By" + (88°—5a"")yT At r 1 id "I Vv tata ie E così di seguito. Ora, se coll’uso della (5) determiniamo il polinomio F, nel caso di m = 1, otteniamo: F,=F;/+6dF = az" + a'e' + ada cioè F. risulterà della forma (6). Analogamente, se m = 2, cal- colando il polinomio F3 per mezzo delle relazioni: F, _ LA a 3 Fi - 26Fo F;=F,+25F, abbiamo: Fs = az" + i a'e'' + (5 + dab) 2' + 2(abl'a che è della forma (7). SULL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE DEL 2° ORDINE, ECC. 741 Nel caso di m = 3, per avere F, dovremo usare le relazioni: F,=F,—- È = F,+ 365Fo P=P 14,4 401 F, —_ Bi, | SUL ed effettuando i calcoli, otterremo per F, un polinomio della forma (8). Per m=4 il calcolo di F; darebbe un polinomio della forma (9). In generale possiamo dimostrare che, qualunque sia m, il corrispondente polinomio F,,., ottenuto coll’uso della (5) è uguale al suo aggiunto (se m è dispari) o ne è il contrario (se m è pari). Infatti, supponiamo che quando m=:» il polinomio diffe- renziale F,,, ricavato dalle » uguaglianze: bo=F, > prat CF, + n6bFo n Wie pigri Me Zio È 132 SI n a Bi Pio Eu 4 (0-1)20F,a n Poi _ Bi I nbF,-i con F,= az, F,= az’, risulti uguale o contrario al suo aggiunto. Ciò significa che nel polinomio == Il = 7 ll Sd ICP pel SOTA IC RRPROT, ge IO ’ 10 age Spera il coefficiente di 2! è legato ai precedenti dalla relazione: nt+l-r ai ire dre (— i 2 DI (2 1) i dora si A 0 742 MINEO CHINI Se invece m = n+- 1, calcolando il polinomio differenziale ®,.» per mezzo delle n + 1 uguaglianze: = — | Lo +(n+ 1)5® n Je a o,=0, — Sio, Band n+1l a D, ==" di ai ra. “ bs + (n 1)35®,_> dia ci SL n+1 Do = D' + (n T 1)59, con Dpr = 02, Pr= at, avremo: Dro = Boe!+ Ape PIL. H-Paipot2 A... +B2" HB! 4 Baltea Ora, poichè ®, altro non è che F, in cui si è cambiato » in n-+- 1, ed essendo il numero delle ® che seguono ©, superiore di 1 a quello delle F che seguono F,, ne deduciamo che il coef- ficiente di =” in ®,,s risulterà legato ai precedenti della mede- sima relazione che lega il coefficiente di e" in F,u a tutti quelli che lo precedono. Cioè avremo: n+2—-r Basa = (TINI DC Quindi il polinomio differenziale ®,,, sarà uguale o con- trario al suo aggiunto, secondo che il precedente F,; era il con- trario o l’uguale del proprio aggiunto. Ed avendo verificata tale proprietà per m= 1,2, 3,4 ne segue che essa varrà per ogni valore di m. Dunque: Ogni forma di grado m, a coefficienti costanti, di due soluzioni della (4) soddisfa ad un'equazione F,...(2)=0, SULL'EQUAZIONE DIFFERENZIALE DEL 2° ORDINE, ECC. 743 cui primo membro è un polinomio differenziale lineare omogeneo d'ordine m + 1, che è uguale o contrario al suo aggiunto (secondo che m è dispari o pari). È poi evidente che ogni equazione differenziale lineare omo- genea del 2° ordine è sempre riducibile alla forma della (4). LI, Come applicazione della precedente proprietà, fermiamoci più specialmente a considerare una forma quadratica di due so- luzioni dell’equazione: (10) i Se y, © y, sono due integrali fondamentali della (10) l’es- pressione Ciiyfi + 20127142 + Cao? essendo C,,, C,3, Cs9 delle costanti arbitrarie, soddisferà l’equa- zione: (11) 2az"" + 3a'e" 4- (a” 4 8ab)z' + 4(abl'e = 0. Di guisa che l'integrale generale della (11) sarà: Gr Ci + 201210 + C39Y3. Ora, essendo il primo membro della (11) un polinomio dif- ferenziale che è il contrario del suo aggiunto, se lo moltipli- chiamo per 2, il prodotto risulterà, come è noto, una derivata esatta (*). In questo caso tale prodotto è la derivata dell’es- pressione P(2) = 2aze" + a'z2' + dabe? — ae°?. (*) Darpoux, Lecons sur la Théorie générale des surfaces, 2* parte, p. 110. 744 MINEO CHINI Perciò ogni soluzione della (11) soddisfa l'equazione: (12) I o) =K essendo K una costante il cui valore dipende dalla soluzione che si considera. Reciprocamente, ogni soluzione della (12), qua» lunque sia K, soddisfa la (11); e quindi è una forma quadra- tica di due soluzioni fondamentali della (10), che perciò potrà sempre ridursi al prodotto di due particolari soluzioni di questa. Vediamo ora di determinare il valore della costante K per ogni integrale particolare della (11), cioè corrispondentemente ad ogni particolare forma quadratica degli integrali y, e y» della (10). A tale scopo osserviamo che se in @(2) poniamo per 2 il prodotto di due integrali qualunque y,,y; della (10), si ha: P(YrY/s) ii a(Y'Ys cai E Ne segue che: P(Yî) = P(18) =0, mentre P(7/1Y2) = SN essendo % Va | A=| | Ya Y> Ed è noto che la quantità a A? è una determinata costante. Ora, se in 9(2) facciamo e = C1yî + 201941» + Css Y6, come resultato di questa sostituzione si trova, dopo alcune semplifi- cazioni, la quantità costante 4a A2(C,1C29 — Ch); che sarà dunque il valore di K. Si deduce che se K è una co- stante qualunque, l’integrazione dell’equazione differenziale (12) può farsi dipendere da quella della (10); giacchè l'integrale ge- nerale della prima è evidentemente: vara Ciyi n 03%? * 2Y1Y2 J C, C, mer. con C, e C, costanti arbitrarie. SULL’EQUAZIONE DIFFERENZIALE DEL 2° ORDINE, ECC. 745 E poichè se in Q(2) poniamo 2=w?, si ha: P(u?) = 2u3(2au” + a'u' 4 2abu) «ne deduciamo che l’integrale generale dell’equazione: rr A 7: K u''+ DE u' + bu= VD] qualunque sia la costante K, è: (13) u?= Cyi + Co + 2142 | D'altra parte, essendo il 2° membro della (13) sempre ridu- cibile al prodotto di due particolari soluzioni della (10), potremo concludere: L'integrazione di un'equazione differenziale della forma: rr ; K ay't+ ay +09=% dipende da quella dell'equazione lineare omogenea: ay' + sy +by=0 ed ogni integrale della prima risulta medio proporzionale di due particolari integrali della seconda. Caserta, 1898. 746 ONORATO NICCOLETTI Sulle condizioni iniziali che determinano gli integrali delle equazioni differenziali ordinarie; Nota di ONORATO NICCOLETTI a Modena. $SI — Alcuni lemmi. 1. — Siano a, db... dei numeri reali qualunque; a, B...X dei numeri intieri e positivi (maggiori od uguali ad 1), la cui somma indichiamo con n: poniamo quindi: (1) f@=(@—a)le=0)P... e ME Essendo allora F(x) un polinomio qualunque di grado n—1, e ponendo per brevità: a Fa) va =(e— BI 2) GC n pi BMP | p(a) ; (a—1)! da0-1 xT—-a essendo la somma estesa a tutti i punti a,b...2(*). La (2) si può trasformare. Si osservi infatti che sì ha: p(a=lim 9(A)=lim EF xa=4 x=d F(2) (*) Cf. SerreT, Algebra superiore, ediz. 1885, tomo I, pag. 497 e JacoBi, Opere, vol. II, pag. 11. A CONDIZIONI INIZIALI CHE DETERMINANO GLI INTEGRALI, ECC. 747 e per la regola di L’Hospital: Da F(a) P(a)= a! f(M(a) , donde immediatamente: Fla) __S del aF(a | ’ dr o (29) f(@) =2 daa_1 f(%(a) (e —a) ) ® che dà sotto una forma molto concisa la decomposizione della fa) elementi semplici (*). Sviluppando le derivazioni indicate nel secondo membro, vengono in esso a comparire le quantità F(a), F'()... Fa); FG), F(2)... F-I(0);..; F(0), F'(0)...FAD(D: e, quando queste si diano, come evidentemente è possibile, in modo affatto arbitrario, la (2’) (moltiplicandone primo e se- condo membro per f(x)), si riduce ad una formula di Hermite, che dà la forma di un polinomio di grado x — 1 quando siano assegnati i valori del polinomio e delle sue prime a — 1 deri- vate per «= a, del polinomio e delle sue prime 8 — 1 derivate = A del polinomio e delle sue prime \— 1 derivate pero =l(**). Un altro risultato notevole segue ancora dalla (2'). Poniamo (3) F(a) = Po! + P,e9*° +... & Pr; e moltiplicata la (2°) per f(x), confrontiamo nei due membri il coefficiente di x" }. Avremo la formula: (4) bo donde in particolare: (*) Integrando si ha la formula notevole: Fl) #7 Ly def aF(a) f(x) a Qao1 € f(a\a) (**) Cf. “ Giornale di Crelle ,, vol. 84°, pag. 70. ' P log(r—a) fear C. 748 ONORATO NICCOLETTI Se F(x) è un polinomio di grado minore di n — 1, si ha iden- ticamente: = Non dro dI Can. là i rat per F(a)= a", si ha invece: 9 aa (11) 2 daa-1 | f(d!(a) j= 1 Le formule (I) e (II) sono la generalizzazione di notissime formule d’algebra. 2. — Sia ora l’equazione differenziale di ordine #: (5) y" = g(2). La funzione y definita dall’uguaglianza : qu-l 1 L = i gaia | a io ‘p()dz | a è un integrale della (5) che soddisfa alle condizioni iniziali seguenti : Nei punti a, b,c...l l'integrale y si annulla rispettivamente insieme colle sue prime a —1, B—1,...\--1 derivate. È facile fare la verifica. Derivando infatti la (III) p volte rispetto ad x, con p < %, è facile vedere che, per la (1), la parte priva di segni integrali è identicamente nulla: e si ha allora, con facili riduzioni: i ay 1 È (pis e \ dep (n-1)! Zi (1) (—a! gdr (6) SE A È : 5 | Z duet] fear [@=a '@(2)de }; quando poi si abbia p=», si ha dapprima: È 1 Santi dala ngi ap AS y=T=IZ (0) = ia i ‘p(a)dz)} Sviluppando ora il secondo membro, esso si può separare CONDIZIONI INIZIALI CHE DETERMINANO GLI INTEGRALI, ECC. 749 in due parti, una con integrali, l’altra esplicita. La prima parte è identicamente nulla, in quanto ogni integrale viene moltipli- cato per la derivata n" di un polinomio di grado inferiore ad x: la parte esplicita si riduce in forza della (1) a: gal a y=f(2). (0) Ex (CC) E pagani I f(0(a)(e—a) È Ma per la (2') e per una nota proprietà dei coefficienti binomiali: T# 1 ( o n DE = = 1 (n f(0) 2 dad! | f(A(a)(e—a) I ia 24 a 1) alia ee e quindi finalmente: È poi chiaro che la y si annulla ad es. per x = insieme colle sue prime a — 1 derivate: infatti, finchè p < a, si ha fe-a)=0 e quindi per la (6) anche e p=a, nella (6) si annulla la parte che si riferisce al punto a, ma non le altre, in quanto f(®(4)== 0. Aggiungendo alla funzione y data dalla (IIl) il polinomio di Hermite di grado n» — 1, che assume valori assegnati insieme colle sue prime a — 1 derivate (e risp. B—1...\ — 1) nel punto x=a (e risp. in a=5d,c...1), sì ha un integrale dell'equazione (5) che prende nel punto a valori assegnati (arbitrari) insieme colle sue prime a — 1 derivate, nel punto b insieme colle sue prime B_—1,....,nel punto l insieme colle sue prime \-—- 1 derivate. Queste condizioni iniziali si indicheranno brevemente nel seguito sotto il nome di condizioni (A) (Cf. la nota in fine). —= 0; se invece $ IL — Il teorema fondamentale. 3. — Sia l’equazione differenziale ordinaria dell’ordine n: (IV) y= (yy, I) dove il secondo membro è una funzione finita e continua dei 750 ONORATO NICCOLETTI suoi argomenti e rispetto ad y,y"...y"" soddisfa alle condi- zioni fondamentali di Lipschitz: , | n-l (7) | P(2,YY UP v1Y1 ny) S È si DS) È 5 | RR N SE vi È S Da op cs Si <| < D < < 2 n n < (©) La Qi SOR g a s< nn Si i LUIGI BERZOLARI — SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ, ECC. 759 — dove per y(a), y(a)...y° Da); y(b5), (0) PRE (IL (TORRI y(l, _yM ..YA-1(1) si pongano dei valori arbitrarii definisce un inte- grale y della (a), che soddisfa alle condizioni iniziali (A). | La dimostrazione, non difficile, della formula (e) si fonda — sulla derivazione dei determinanti e sulle uguaglianze (I) e (Il) del $1. Facendo nella (e) p= 1, 0 =0, u = n, si ricade nella (III). Quando i coefficienti 4), 4; ... 4, siano reali ed alcune delle o complesse (a coppia coniugate) è facile dare una forma priva di immaginarii all’equazione (e). Sulla curvatura. delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque; Nota II del Prof. LUIGI BERZOLARI. Le proposizioni, che nella Nota precedente (*) furono dimo- strate ricorrendo ad una scelta speciale degli assi coordinati, si possono altresì stabilire facendo uso d’un sistema di coordinate di WererstRrAass affatto arbitrario: questo nuovo metodo, che certamente è meno semplice di quell’altro, ha però su esso il vantaggio di condurre nel medesimo tempo ad ulteriori notevoli conseguenze. Come in quella Nota, le nostre ricerche riguarderanno una varietà V,, ad m dimensioni, immersa in uno spazio S, di » U CAL ci ; È 1 dimensioni e di curvatura Riemanniana costante ' essendo % reale (anche infinito), o puramente imaginario. Data sopra V,n una qualsiasi varietà W, di % dimensioni, e fissato su essa ad arbitrio un punto P, chiameremo ancora Wj' la varietà di % dimensioni, che si ottiene proiettando W, sullo spazio lineare Sn ad m dimensioni tangente in P_a V,, e W$° la varietà ad (*) Sulla curvatura delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque, NotaI(“ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIII, p. 692). 760 LUIGI BERZOLARI h dimensioni che risulta tagliando V,, collo spazio Sr-msn deter- minato dallo spazio S,_n normale in P a V,, e dallo spazio Sx tangente nello stesso punto a W,. 1. — Le coordinate x), %;,...,%, dei punti di V, siano espresse, almeno in prossimità del punto P, come funzioni di m variabili indipendenti w,, 2, ...,%n, mediante le formole (1) = @ji(,,Us, Aa) (i = 0 lie nl così che nel punto P avranno luogo le identità (2) ko + +... +9i=#%, È 20, dp dn _ (3) k°®o » + ©, *, +... + su Di ed il quadrato dell’elemento lineare sarà (4) ds*= > a; du; du, , dj v 2 dPo dp dDI dP: d@n dn (5) Ai; = k die = - “a ua - DoS + Dassi È Qui e in tutto il seguito, a meno che non si dica esplici- tamente il contrario, converremo che gl’indici scritti con lettere latine o greche debbano variare risp. nella serie 1, 2,...,7,0 nella serie 1,2, ...,/; invece gl’indici da cui sono accompagnate le @ (e, in genere, le coordinate) varieranno nella serie 0, 1, ...,7. Il determinante delle a; — cioè il discriminante della forma differenziale quadratica (4) — verrà supposto diverso da zero, almeno nell’intorno del punto P, ed il complemento algebrico di 4;, diviso pel determinante stesso, s'indicherà con A;;, onde sarà (6) Di A; d,=dj, convenendo che è;; significhi lo zero o l’unità, secondo che è, SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 761 sono fra loro diversi od uguali. Così pure, considerando il de- terminante x + 411429 ... 4,1, denoteremo con Boo il complemento algebrico del suo elemento 400, diviso pel determinante stesso, di guisa che si avrà (7) DE Boa 004 = doo - À Faremo uso dei simboli di CHRISTOFFEL di prima specie (8) = di Aden e di quelli di seconda specie (9) ta = TIO di sn Keo sicchè questi ultimi s'intenderanno sempre costruiti rispetto alla forma (4). I simboli di 1° specie si possono esprimere alla loro volta per mezzo di quelli di 2 specie, poichè dalla (9) si ricava (10) | TI ] Inoltre dalle (5) e (8) si deduce la seguente identità, di cui spesso dovremo far uso: rst N° dî; doi (11) ENER dui? J e da questa, mediante derivazione, quest'altra che pure ci sarà utile: (12) a-** dia =Y ( A et ATO Ù du; dur dui dus du; durduj dus dui v nelle quali formole, come in altre che scriveremo in appresso, i termini corrispondenti al valor zero dell'indice v (apposto alle @ e, in genere, alle coordinate) s'intenderanno moltiplicati per k?. 762 LUIGI BERZOLARI Infine avremo da considerare è simboli di RieMANN a quattro | indici, definiti come segue: (18) (rn = Id, LA FETTAE): 2. — Volendo studiare le proprietà della varietà W, ad % dimensioni segnata sopra V,, possiamo supporre, per semplicità, che essa sia quella che vien definita uguagliando le w,.1, Ung; , Un ad m — h costanti arbitrarie, laonde le coordinate o, 1, -..,%n dei punti di W, saranno fornite dalle stesse (1) in cui si pensino variabili soltanto le u,,u2,...,. Pel nostro scopo ci occorre di trovare come si esprimono nel punto P, per le varietà WW e W%, le prime e seconde derivate delle coordi- nate rapporto alle u,, s,... v,, ed inoltre i simboli di CHRISTOFFEL di 1° specie ed i simboli di Riemann. Cominciando dalla Wy, osserviamo che un punto X di coor- dinate Xy, X,, ..., Xx giace nello spazio Sn tangente in Pa V,, se 2a di, dPi (14) Ko Pi Po + du Pi sn CDI => dum Pn s dove le ©, e le derivate s'intendono formate nel punto P, e le p sono quantità variabili vincolate dalla sola relazione (15) k° ps + Di a; pipì — kb =0. Ù Chiamando 70, %1;--+:%n le coordinate d’un punto y di W, e d la sua distanza da X, per una nota formola (*) si ha (16) k® cos sa = LEX,yo+Xyit + An Ya Se si vuole che X sia la proiezione del punto y sopra Sm; bisogna render minimo il secondo membro di quest’ equazione, (#) KrcLino, Die nicht-Euklidischen Raumformen in analytischer Behand- lung (Leipzig, 1885), n. 37. SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 763 considerato come funzione delle p in forza delle formole (14). Indicando con ) un parametro, si hanno così le equazioni di condizione k° Po Yo =: Pi sto asa == PnYn le 2X\k'p,=0, D) D) Di sa cha Sr Da di snai sO , IT 2A z arpi=0, (17) Pini Matita tnano Sommandole dopo averle moltiplicate risp. per po, Di, - è è, Pm, e tenendo conto delle (14), (15) e (16), risulta d dieci casa 2\ = — cos ai epperò, nel punto P, 2X\+1=0. Le equazioni precedenti dànno allora, nel punto P, (18) Pd; di anpi=0. 1 Derivando le (14) rapporto ad uo, abbiamo i ò 1 î m duo Pi uo du, duo dUm duo i Ma, derivando pure rapporto ad wo una qualunque delle ultime m fra le (17), si ha ; w& Sn dYi 9 pi do, dA b aero (20) i ro do n \ },% duo duo d Gahistà la quale nel punto P diviene 764 LUIGI BERZOLARI Risolvendo queste equazioni, si ottengono i valori delle de- rivate prime di p;,p2,---,Pn nel punto P: (21) L'AS Quanto alla derivata di p,, dalla (15) si ha (2) pie ia = laonde nel punto P, per le (18) e (21), , dpo =» (21) e _o. Dalle (19) si. ricava dunque, nel punto P, dXi __ dg: (23) duo duo formole che si potevano anche prevedere geometricamente. Esse mostrano che i coefficienti del quadrato dell'elemento lineare della varietà W{ assumono in P risp. gli stessi valori delle quantità @oo. Circa le derivate seconde, abbiamo dalla (19): dx; d po Wa dpi d? d@i d°pm -L P Pi Rope. p P du, duo duo dUm duo duo | Ma, derivando rapporto ad uo la prima delle (17) e facendo uso delle formole precedenti, si ha, nel punto P, Perciò, derivando la (20) rapporto ad vs e applicando l’i- dentità (11), si deduce dat ia SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 765 da cui, risolvendo, (25) Infine, derivando la (22) rapporto ad «ug e tenendo conto delle formole sopra trovate, abbiamo, nel punto P, Ò? po eo - 1 (26) figa ore Ra Pertanto dalla (24) risulta, nel punto P, ENG duo duo (27) Pi | po | Ì 1 =— —_ pet Passando ora a considerare i simboli di CHRISTOFFEL di 1° specie, indichiamo con boo i coefficienti del quadrato dell’e- lemento lineare di W$; sarà (28) boo=) è —. Sostituendo alle derivate delle X,; le espressioni date dalle (19), poscia derivando rapporto ad w,, e tenendo conto delle (3), (21), (21)' e (24), abbiamo, nel punto P, droga _ SS | dm dU, rg 7 duo du, duo dpi dx: |\ duo du, duo | * -; Di qui, facendo uso successivamente delle (27) e delle (3) e (10), ed osservando che Ap \06] _daoo Le] +[e]= Sec. si deduce che nel punto P si ha dos _ daog du, Du, oi 766 LUIGI BERZOLARI così che, contrassegnando coll’indice t ciò che si riferisce alla varietà W{, nel punto P sarà pure (29) [= E: Venendo infine ai simboli di RIEMANN, si sostituiscano nelle (28) le espressioni (14), indi si faccia la seconda derivata dei due membri rapporto ad vu, ed v,; in virtù delle (2), (3), (21), (21), (25) e (26) si trova facilmente, nel punto P, ie = ” (420 0duo sa di64 10) tali dij (Qt + (Hai wi i) du, duu SIT 0 A d* pi 7 dh du, dun duo dio t du, du du se ì Ma, per la (8), dIe7]: se Î d? bag ni = d° bio d* boo dun \ duu duo ; uudio —du, dun Ta quindi, sostituendo, nel punto P si ha 00 Mio Mpa cost E ITER “duena | — qa AAu%00 RE Di di li Mpir dun duo duo e Pertanto, costruendo nel caso presente i primi due termini dei simboli di Riemann secondo la (13), le terze derivate delle p si elidono a vicenda, ed applicando successivamente la (9) e la (6), e poi la (29), si ricava infine la formola cercata, valida nel punto P: 1 (30) (pp', 00°), = TO (106400 — d90'd0'6 ) po Da [Pa] tai [eo po'] [po + Yplloe fcol RZ ESE rs A 3. — Considerando ora la varietà Wy, siano (31) k°E.oto + E 1% + SP Ent 0 (r = 1,2; ...., 10 9h SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 767 le equazioni dello spazio lineare S,_n+, di cui si è parlato al principio del lavoro. Passando per lo spazio S, tangente in P __a W,, esso conterrà le tangenti condotte in P alle % curve che si ottengono uguagliando a costanti arbitrarie non soltanto le Up:13--- Un, ma anche tutte le u,,...,v, all'infuori di una; sicchè nel punto P le = soddisfaranno alle equazioni dp dp Pn (32) Ero Ha n En *. “n CIG + Dia duo =" 0 e=12,...,.m— h; EA RE I D'altra parte, le quantità kd 1 da 1 dn Vas dui’ Vai GITA Van di sono le coordinate di m iperpiani passanti per l’S,-, normale in Pa V,; quindi, denotando con 6;; opportuni coefficienti, le £ dovranno avere la forma € 0, D) s 0,9 m ò s bi = î E, pena / Van du Y A29 du, Amm 12; n — he se=0 lenta) e le (32) diverranno 94 Bal 2 È rm_ 6 Am —'0 ( ) Vasi “ila SE mi 420 ln ST 0 Umm (=1,2;...,.,m— kh; DIEZ4E, Ze. 9/0) Lo spazio Sn-n+, è dunque rappresentato dalle (31), essendo le £ espresse nella forma (33) colle 6 soddisfacenti alle rela- zioni (34). Per conseguenza le coordinate Yo, Y,, ..., Y, del punto variabile Y di W$ sono date dalle stesse formole (1), nelle quali le ,, 3, ...,%, si pensino legate fra loro mediante le relazioni che si ottengono dalle (31) sostituendo, al posto delle Mu, %,, le funzioni Pa, Pi,.-- -s-P,. In forza di tali rela- zioni potremo riguardare, sopra WS”, le w,,w2,...,%, come variabili indipendenti, e le w,,1,...,%n come funzioni di esse: Atti dellu R. Accademia — Vol. XXXIII. 69 768 | LUIGI BERZOLARI cominciamo allora col trovare i valori che nel punto P assu- mono le derivate di queste ultime rapporto alle prime. Deri- vando a tal fine le (31) rapporto ad vo, abbiamo (35) val dal; Uto Pe dt pid do) duo QURHI ; duo YUm duo 1 (e='1,2;-.., mm 4; pi=1;2 aste le quali nel punto P, in virtù delle (32), dànno dUn+I dpi dUm di si (36) ri tt e Per ogni valore di p si hanno di qui m — % equazioni li- neari omogenee fra le derivate di w,,1, ..., un rapporto ad wo; ponendo per le & i valori dati dalle (33), il determinante di tali equazioni, per le (5), risulta il prodotto delle due matrici Bin 0a ‘ao! Van Vas Vamm | Ui,ntr Mahtr «0° Amht1 | (87) Pete | mr Om_h2 8m-h,m IR tm» Bor SEE Van Vass Vamm | e quindi è la somma dei prodotti dei determinanti tratti dalla prima per gli analoghi determinanti tratti dalla seconda. Ma poichè gli elementi che stanno in una medesima orizzontale della prima matrice sono, in virtù delle (34), una soluzione del seguente sistema di /% equazioni lineari omogenee fra le m in- cogmite!dM,..., n: dio di DE do 6 a ate + Amo dan = 0, per un noto teorema di Grassmann-CLEBscH (*) i suddetti deter- (#) Grassmana, Ausdehnungslehre, 1862, n. 112; CLessca, Ueder eine Fun- damentalaufgabe der Invariantentheorie, “ Abhandl. der K. Gesell. d. Wissens. zu Gòottingen ,, Bd. XVII, 1872, $ 2. — Cfr. anche D’Ovipio, Ricerche sui sistemi indeterminati di equazioni lineari, © Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XII, 1877, $ IL SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 769 minanti della prima matrice sono proporzionali ai determinanti supplementari della matrice formata coi coefficienti di queste pi O . coincide collo sviluppo del determinante delle a;;, eseguito se- J | ‘ultime equazioni. Per conseguenza il prodotto delle due ma- . trici (37), a meno d'un fattore essenzialmente diverso da zero, ‘condo la regola di LapLace. Il prodotto stesso è quindi, nel | punto P, diverso da zero, onde dalle (36) si deduce che nel punto P deve aversi (38) i unti _— dunsa Um duo duo duo Ciò posto, abbiamo dYi Pi di duna 0Pi dUm (89) e aa Lt duo da duo h+1 duo dUm duo t le quali, per le (38), dànno, nel punto P, (40) dYi = di 7 Queste provano che in P i coefficienti del quadrato dell’ele- mento lineare della varietà W{ prendono risp. gli stessi valori delle a00- Passando alle derivate seconde, deriviamo la (39) rapporto ad vg, e, dovendo tener conto soltanto di ciò che avviene nel punto P, omettiamo di scrivere i termini che sono nulli per effetto delle (38); abbiamo così, nel punto P, 0° Yi 0° Pi D) i d'Uh4 di d°Um (41) | ile duo duo — duo due Uns1 duo duo dUm duo duo * Ma derivando le (35) rapporto ad ug e ponendo mente alle (38), otteniamo, nel punto P, d?®:; dpi dun d®:i Di) LT D; | duo duo t duri duo duo uit dum duo duo do i 770 LUIGI BERZOLARI la quale, sostituendo alle Z le espressioni date dalle (33) e fa- ; cendo uso dell'identità (11), diventa: i d?Unsi ) Ori d?Um ) O Or; da 0r, E SETE ==" dna = duo duo i Vai 11% Pi; na duo duo V dii Li Sui (el=18, denota: p,oi.= 12; demi Per ogni coppia di valori di p, 0 si hanno di qui m—%_ equazioni lineari non omogenee fra le seconde derivate delle Uns1s - «3 Un rapporto ad wo e uc, e il determinante di tali equazioni è quello stesso di cui precedentemente si è discorso. Risolvendo coll’aiuto del teorema di Grassmanx-CLEBScH testè richiamato, e ricordando la (9), si trova, nel punto P, du; È Tar ri f (= 4% +41... 9, 0A epperò, per la (41), nel punto P si avrà do le Dia dp; | po | (12) duo duo ati duo duo duri i i 7 dove, qui come in seguito, gl’indici rappresentati da lettere la- tine munite d’accento s'intende che variino nella serie h+4+ 1, h42,...,m Cerchiamo ora come si esprimano nel punto P, per la va- rietà WW, i simboli di CrarisrorreL di 1? specie. Denotando a tale scopo con coso i coefficienti del quadrato dell'elemento li- neare di Wy,", abbiamo i c Cn ON 0 (43) Coo = » duo duo da cui, derivando rapporto ad w, e facendo uso successivamente delle (40) e (42) e della (11), otteniamo, nel punto P, dcoo daoo LL \ X0 )p I SNSLICOA LI) r' du, SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 711 Perciò, ponendo l’indice » per designare ciò che si riferisce alla varietà W, risulta, nel punto P, (44) (Sale =Y an ‘N i, Considerando da ultimo i simboli di RriemANN, formiamo la seconda derivata della (43) rapporto ad wu, e vu, e trasformia- mola, pel punto P, nel solito modo ricorrendo alle (40) e (42) e poi alla (11); osservando allora che ol], wi Al | 0? c,0 POTE sor (al d* c00 duu Ta 2 duu duo se = du, duu 4 si trova, nel punto P, IR de. dv E di doi Yi duri “ . du, du duo duo du, duu duo dUd Let E] geatin 5 (097 a Formando quindi i primi due termini dei simboli di Ris- MANN, le terze derivate delle Y, si distruggono mutuamente; facendo poi uso dell'identità (12), e notando inoltre che, in virtù della (44), RI: Zoe (PRETI), sì ottiene, nel punto P, dI] ne al] duo duo ([97] (091 \ po po']\p'o} _ RAISI) a tr r |}x | rr, puri LEO: ROM. POM nie o eg) pr sÙ, r's' IPPROO) You (PPS) Att! 772 LUIGI BERZOLARI Il secondo membro si può semplificare di molto: per tale scopo conviene far variare gl’indici r',s' nella serie 1,2,...,w sottraendo termini opportuni, indi esprimere, colla (9), tutti i simboli di 2* specie per mezzo dei simboli di 1% specie; dopo ciò, con alcune trasformazioni che non è il caso di qui esporre distesamente (*), si trova (45) (pp', 00'),= o — la XA ({P°][ [PS]- (LIS) 4. — Colle formole dei n' 2 e 3 siamo in grado di trovare le effettive espressioni che hanno nel punto P le quantità (Dî), (D!) e (D®), (D9), definite nella Nota precedente ed alle prime due delle quali abbiamo dato risp. il nome di flessione tangen- ziale e flessione normale di W, nel punto P. Quanto alla flessione tangenziale, applicando la formola (14) data dal sig. KrLuine (1. c., pag. 244) per la flessione d’una varietà qualsiasi, abbiamo @ dk Udo DU? — ) 8 È ( l ) Boo Boo duo duo duo' duo' po] [p'o' n ent ) BocBga Brr | T I | T fe ro 4 (*) Per dare almeno un cenno di questo calcolo, notiamo che colle ope- razioni indicate nel testo si [_S i due termini = V'ArAyagn|"] ]VT AA razr [” "RE ui rs li rsir' la loro somma può scriversi così: ae A (ZA agu + Aut) rsà pur' ® > DI (Aaa CZ + As War) = Asr dar = dsa; lhi ur per avere termini non nulli, deve quindi prendersi s=A, sicchè infine i due termini considerati equivalgono @ Yaa[1]) Questo termine viene poi distrutto da un altro della somma totale. È 4 è Ji - { ì ti : SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 773 È dove, come in seguito, le somme si riferiscono a tutte le let- tere latine e greche che compariscono come indici dopo ogni | segno X, colle convenzioni già fatte al n. 1. Per le (27), (2) e (3), la prima somma diviene 1 ) po | {p'a' 4 YBooBvo doodgo +) BoaBoa Us) i} 8 È 2 il primo termine, per la (7), equivale ad LE il secondo, colle i (9) e (6), si trasforma in î VABeoBoa]"]["}], laonde, sostituendo e ricordando la (29), si ha infine la formola notevole: (46) (DO = > A;;BooBo o' ie È "al paria o Brr i dé Ù di Poichè nel secondo membro non entrano che i coefficienti @,; del quadrato dell’elemento lineare della data varietà V,, e le loro derivate rapporto alle u,, «2, ..., n, ma non figurano nè » nè È, si conclude: La flessione tangenziale di una varietà descritta sopra una varietà qualsiasi V ad m dimensioni, immersa in uno spazio S, di n dimensioni e di curvatura costante, è una quantità che non cambia per flessioni (Biegungen) di V,, e non dipende nè dalla differenza n -—m, nè dal valore della curvatura dello spazio Sn. Se h= 1, se cioè la varietà W, è una curva, si ha oo d ty pi A Il dan Bu We dii > | 1 sE 2 du 3 sicchè la (46) assume la forma semplice Me a VA] [5] sn — x 1% ). E se si tratta di una curva situata sopra una superficie dello spazio ordinario, e si fa uso delle notazioni usuali, cioè si pone agli 14 4 î AE > 774 LUIGI BERZOLARI u,=U, u = 0, e si chiamano E, F,Gi Coenianini del quadrato dell'elemento lineare, si ha a1=, ag ="F, ag =G, F E mr Ep» Asp=3, EG.-® * Estraendo allora le radici quadrate, la formola precedente dà: 1 DIR, dvE e alia fio (DI ) a VEG—=P? lè | VE) dv | ’ che è l’espressione che si ricava dalla nota formola di Bonner (*) per la curvatura geodetica d’una linea v= cost. Se introdu- ciamo i parametri differenziali, osservando che E 1 Ò F Dì) E x io E Ur EG F?? Agp VEG—F? dU VEG—F? 1 dv VEG—-F® ) Lodrino pid VEE dè VEG-P VI ORERI Pu vi 2, la relazione precedente diviene — (DM)= = + yila che è la nota formola del prof. BeLtRAMI (#*). Tornando al caso generale, e considerando la flessione nor- male di W,, la formola del sig. KiLLING testè richiamata porge: (n)\a = pn d°Y, dI; (D' ) =Y BooBoo duo dito duo duo po] [p'o' h' nio ) BooByo Brr | T I, | Lei le Pea ’ (*) V. ad es. Brancai, Lezioni di Geometria differenziale (Pisa, 1894), pag. 145. (**) BeLrraMI, Ricerche di analisi applicata alla geometria, © Giornale di Mat. ,, vol. III, 1865, $ XXI. Cfr. pure Brancai, l. c., pag. 145. SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. 775 ossia, applicando al primo termine le (42) e la (11) ed al se- condo la (44) e poi la (7), DI —) BocBeo Giu SR 2) Boo Bga RI id do do duo do po )\ po ai po) {po ) hè o Noten TIE Il secondo ed il terzo termine si possono trasformare fa- cendo variare gl’indici »', s' nella serie 1, 2,...,m, purchè se ne sottraggano termini convenienti; esprimendo poscia i simboli di 2* specie con quelli di 1? specie, e ricorrendo alla (6), si trova infine (47) (DIP =Y BorBeo Fia oo duo duo duo duo po pio h? o YABocByo | ;| | j Ta Poichè per la varietà W, si ha duo duo duo do \ [po] [po h? —Y BosBeoBre{F](E]- > le (46) e (47) dànno senz'altro 7 9 Lu 9? i È i (D,)? =) BooBoo P d°P (by) = DI? + (DIP, cioè la relazione (13), a cui siamo pervenuti per altra via nella Nota I. Per ciò che concerne le quantità (Dl) e (D?), la formola (19) a pag. 247 del citato libro del sig. KtLLine dà a) 1 I (DI) =) bogoo \(0p',90') Tia (do04o'0° 7 doo 00) ’ avendo indicato con 49900 il coefficiente del prodotto @o6 400 nello sviluppo del determinante delle @og. Per la (30), la for- mola precedente diviene Sa ea Rggle. D 776 LUIGI BERZOLARI DI) =Y Ars boe oo [E] [E] ca Y'Banbowos (| "i E ]- ka Analogamente si ha (31) bi (n) N! Ù r 1 (D2) = ) boo'00' [Cop 300) — gr (10640'0' — 100000) ; ossia, per la (45), x EI _ al (A) : $ IL o sr: - @ (D2°) = 2 Pog'00 | duo' duo A LAT Avendosi poi per la W, Il TE (a 0040'0' — doc' ago) Vale] al] da Di) =) bogar | 3 pe Hue ar (90 19'9° — do0'de'0) —YBanbogoo (5 ]- III), risulta intmediatamente (Ds) = (D9) + DI), cioè la formola (14) dimostrata in altro modo nella Nota I. Inoltre dalle espressioni di (D%) e (D) si deduce: Se sopra una varietà V,, ud m dimensioni, immersa in uno spazio S, di n dimensioni e di curvatura costante, è data un’ar- bitraria varietà, le quantità (DS) e (Dl) formate per quest’ultima in un suo punto qualunque non cangiano per flessioni di Vn, € sono indipendenti dalla differenza n—mj la (DI) non dipende neanche dalla curvatura dello spazio S,. 5. — Colle formole generali dei n! precedenti si potrebbero dimostrare di nuovo anche gli altri teoremi della Nota I, ciò che ometto però di fare giacchè non si sarebbe così condotti a nessun nuovo risultato. Invece chiuderò il lavoro mostrando, per mezzo di quelle formole, come le proprietà precedenti si SULLA CURVATURA DELLE VARIETÀ TRACCIATE, ECC. (Mi estendano in generale a tutte le espressioni che, per una va- rietà qualunque ad m dimensioni, il sig. KiLine (1. c., ni 131, 132 e 1383) ha chiamato (D,) (r=1,2,...,7). Ecco in breve, riferendo il discorso alla varietà V,, in qual modo si costrui- scono siffatte espressioni. Proiettata V,, sopra uno spazio Sn4, condotto ad arbitrio per l’S,, tangente a V,, nel punto fissato P, le m curvature prin- cipali, di cui è dotata in P la proiezione ottenuta, sono le ra- dici della seguente equazione in w: d°s dij Del pa] s 0, dove le e sono quantità che determinano la posizione dell’anzi- detto spazio S,., attorno all’S, tangente. Si indichi con D, (c) il coefficiente di w"-" nell'equazione precedente, diviso pel coef- ficiente di w”, cioè pel determinante delle a;;: tale quantità è una funzione omogenea di grado r delle c. Se allora r è pari, l’espres- sione (D,) è quella che risulta da D, (c) sostituendovi, al posto di ogni prodotto c;c;, la differenza se invece r è impari, l’espressione (D,) è la radice quadrata di ciò che risulta formando il quadrato di D, (c) ed eseguendo in esso le precedenti sostituzioni. Un significato geometrico delle m espressioni così ottenute è stato indicato dal sig. KrLLinG (1. c., n. 133), il quale ha pure dimostrato (l. c., ni 131 e 132) che tutte le (D,), all'infuori di (D,), rimangono invariate per flessioni di V,, e non dipendono dalla differenza n — m. A questo risul- tato si perviene dopo aver dimostrato che le (Ds), (D),..., (D,,) sono aggregati di termini, ognuno dei quali è il prodotto d'una quantità formata esplicitamente colle sole 4;;, per un’altra quantità composta di espressioni del tipo (48) (st,i)) — na (AG; — dj Au). Ciò premesso, consideriamo la varietà W, ad 4 dimensioni tracciata sopra V,,, e formiamo per le varietà. W) e W le espres- 778 LUIGI BERZOLARI — SULLA CURVATURA, ECC. sioni (Do) (p= 1, 2,...,/) testè definite, che, in conformità colle notazioni dei ni precedenti, chiameremo (D‘) e (D”). Per l'una e per l’altra di quelle due varietà abbiamo veduto che nel punto P i coefficienti del quadrato dell'elemento lineare assu- mono gli stessi valori delle «0g (p, 0 = 1,2,...,4); inoltre per le stesse varietà le espressioni del tipo (48) divengono risp. , 1 (pp', 00°), — 7a (1000010 — 490490) r dui! (pp’,00 ) ee 1. (400400 ET doo 400) ’ e queste, per le (30) e (45), sono unicamente formate colle agg medesime e non dipendono da »: la prima anzi non dipende nemmeno da %. Possiamo quindi enunciare affatto in generale il teorema: Se sopra una varietà V, ad m dimensioni, immersa in uno spazio S, di n dimensioni e di curvatura costante, è tracciata una arbitraria varietà W, di h dimensioni, ciascuna delle quantità (a) (DI), (DP), (DI), ..., (DI) e ciascuna delle quantità (D2), (DI), ..., (DR), formate per W, in un suo punto qualunque, rimane immutata per flessioni di Vn, ed è indipendente dalla differenza n — m; inoltre le (a) mon dipendono neanche dalla curvatura dello spazio Su. 4 LUIGI COLOMBA — RICERCHE MINERALOGICHE, ECC. 779 Ricerche mineralogiche sui giacimenti di anidrite e di gesso dei dintorni di Oulx (Alta Valle della Dora Riparia); Nota del Dott. LUIGI COLOMBA. I giacimenti di solfato di calcio, così ampiamente svilup- pati sul versante francese delle Alpi occidentali, non mancano sul versante italiano e specialmente nell’alta Valle della Dora Riparia, dove affiorano in molti punti come nei valloni del rio de la Fosse sopra Meéleézet e del Thures sopra Cesana, al Moncenisio e lungo le talde della catena che dal Moncenisio va a Bardonecchia ed in modo speciale nel tratto di questa catena compreso fra Oulx e Savoulx, alla base del Séguret. Questi giacimenti appaiono in vari punti direttamente so- vrapposti alle quarziti e sono intimamente legati alle carniole ed ai calcari con i quali si trovano in immediato contatto; i calcari cristallini spesso associati, alternano con sottili strati di schisti verdi glaucofanitici e soventi sono molto ricchi in minerali, come per taluni ho già altra volta fatto notare (1); questa as- sociazione di calcari, carniole, gesso e quarziti già notata da Gastaldi (2) è analoga a quella osservata da Kilian (3) nei gia- cimenti simili della Moriana e del Brianzonese. I giacimenti che affiorano nei dintorni di Oulx, alla Beaume (1) Coroma, Sulla glaucofane della Beaume. “ Atti dell’Acc. delle Scienze di Torino ,, XXIX, 11 marzo 1894. (2) Gasranpi, Studi geologici sulle Alpi Occidentali. * Memorie del Comi- tato Geologico Italiano ,. Volume II, parte II, 1874. (3) Kicran, Contributions à la connaissance géologique des chaînes alpines entre Moutiers et Barcellonette. £ Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences de Paris ,, 5 janvier 1891. 780 LUIGI COLOMBA ed a Savoulx, da me esaminati, sono all’esterno costituiti da gesso, ma a profondità contengono sempre dell’anidrite. Ba- retti (1) sembra escludere completamente l’esistenza dell’ani- drite nei detti giacimenti. Infatti a pag. 163 della sua opera dice che “ l’anidrite saccaroide (da lui riferita ai terreni pre- paleozoici) non esiste sul versante italiano delle Alpi piemon- tesi , ed a pagina 171 indica l’esistenza di carniole e di gessi triasici nella valle di Susa senza accennare menomamente alla esistenza dell’anidrite. Ora io credo che non sia difficile il di- mostrare come l’anidrite, per quanto non completamente scevra di gesso (poichè sempre per riscaldamento si ha svolgimento di piccole quantità di acqua), non manchi mai nei giacimenti da me studiati. Infatti la sua comparsa si rende manifesta per il cambia- mento subìto dall'aspetto della roccia, la quale assume una strut- tura più cristallina ed appare formata da tante laminette che si rompono secondo parallelepipedi e che a luce polarizzata hanno sempre il comportamento ottico delle sostanze trimetriche. E che tali frammenti e laminette siano realmente di ani- drite si può dedurre da alcune altre mie osservazioni. Preso un frammento della roccia dove appunto presentava più spic- cata questa struttura a laminette e trattatolo con una solu- zione di carbonato ammonico, notai che in brevissimo tempo, seb- bene fosse stata minima la quantità di solfato decompostosi, il frammento si disgregò completamente lasciando un abbondan- tissimo residuo formato da frammenti in forma di parallelepi- pedi e trimetrici; i quali frammenti non contenevano acqua e si decomposero in seguito a ripetuto trattamento con carbo- nato ammonico senza che la soluzione, risultante per ulteriore trattamento con acido cloridrico del carbonato formatosi per de- composizione del solfato, svelasse l’esistenza di altri elementi oltre il calcio. In una sezione sottile potei osservare come la roccia nei punti in cui maggiormente ha struttura cristallina, sia costi- tuita da un aggregato di granuli incolori, con marcatissime sfaldature ad angolo retto e dotati di estinzione retta. Negli (1) BarertI, Geologia della provincia di Torino, 1898. RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE, Ecc. 781 interstizi fra granulo e granulo e nelle fessure derivanti dalla . sfaldatura appaiono delle intercalazioni di una sostanza fibrosa, | con estinzioni inclinate e facilmente riconoscibile per gesso; | queste intercalazioni di gesso debbono considerarsi non come infiltrazioni di acque ricche in gesso, ma bensì come un primo stadio di idratazione dell'anidrite; infatti in alcuni casi ho po- tuto constatare come esse realmente siano dovute al progres- sivo alterarsi dell’anidrite: in quei punti l’anidrite perde il suo aspetto compatto e si cambia in un aggregato di finissime fibre «di gesso. Il cambiamento nei granuli incomincia sull’orlo che appare allora come sfilacciato e poscia progredisce verso Vin- terno seguendo specialmente le linee di sfaldatura analogamente a quanto fu già supposto da Sella riguardo al giacimento ana- logo di Gebroulaz in Savoia (1); in alcuni granuli completamente trasformati si vedono ancora delle sfaldature che ricordano quelle dell’anidrite. L'esistenza di queste mnerostazioni di gesso dovute ad un inizio di idratazione dell’anidrite, può spiegare perfettamente il fatto più sopra da me accennato, della rapida disgregazione subìta dai frammenti della roccia dopo essere rimasti anche per un brevissimo tempo a contatto con una soluzione di carbonato ammonico; basta ammettere che dapprima venga decomposto il gesso che si trova intercalato, per cui staccandosi l’uno dall’altro i granuli di anidrite si avrebbe la disgregazione dei frammenti. E che realmente il gesso sia più facilmente attaccabile dal car- bonato ammonico che non l’anidrite risulta da una mia espe- rienza. Avendo posto insieme in un unico recipiente contenente una soluzione di carbonato ammonico, alcuni frammenti di ani- drite e di gesso constatai come la trasformazione in carbonato di calcio fosse molto meno rapida per l’anidrite che per il gesso i cui frammenti si presentavano già, dopo poche ore, profon- damente alterati, mentre quelli di anidrite lo erano in modo appena sensibile. Notai pure che i frammenti di gesso perde- vano, nelle parti alterate, ogni compattezza e divenivano assai friabili (dipendendo, credo, tale friabilità e tale poca compat- (1) Serra A., Sulla sellaite e sui minerali che l’accompagnano, “ Memorie della R. Accademia dei Lincei ,, 1887, p. 455. 782 LUIGI COLOMBA tezza dalla eliminazione dell’acqua inizialmente contenuta nel solfato calcico) ed in seguito a trattamento con acido cloridrico rimanevano appena nell’interno dei piccolissimi nuclei inalterati, non più informi come i frammenti adoperati, ma simulanti gros- solanamente dei cristalli monoclini; invece i frammenti di ani- drite sottoposti allo stesso trattamento lasciavano appena vedere delle leggiere figure di corrosione sotto forma di microscopici incavi rettangolari pochissimo profondi. Ho anche potuto calcolare approssimativamente le propor- zioni nelle quali il gesso e l’anidrite entrano a costituire la roccia nei punti in cui è nettamente cristallina; sottoponendo vari frammenti, dapprima ridotti in polvere finissima, ad un calore mai superiore al rosso scuro, notai che si aveva una perdita oscillante fra il 4 ed il 5 per cento per cui si può sup- porre che nell’anidrite sia contenuto il gesso in quantità varia- bile dal 20 al 25 per cento, essendo la quantità di acqua con- tenuta nel gesso puro pari a 20,9 per cento. L'unica differenza che si può ammettere esista fra questi giacimenti e quelli simili del versante francese sì è che in quelli italiani il rivestimento gessoso ha uno spessore maggiore, cioè l’idratazione dell'anidrite è più avanzata e non si hanno come nella Savoia e nel Delfinato dei punti in cui l’anidrite affiora di- rettamente. La struttura di questi giacimenti sì modifica generalmente passando dall’esterno all’interno poichè, mentre nelle parti esterne la roccia si presenta spesso poco coerente e talvolta assume un aspetto breccioide, nell'interno invece diviene più omogenea, e più compatta e tale aspetto si accentua maggiormente dove il gesso viene sostituito dall’anidrite; in questi punti la roccia assume una struttura nettamente cristallina. Numerose fenditure attra- versano la roccia prolungandosi indifferentemente tanto attra- verso al gesso quanto attraverso all’anidrite; sono esse preva- lentemente ripiene di gesso cristallizzato a cui si uniscono spesso altri minerali pure diffusi nella roccia. L'origine di questi giacimenti, studiati specialmente nella Savoia e nel Delfinato, è tutt'ora molto discussa e le difficoltà d’una spiegazione probabile sono accresciute dall’essere soventi prevalentemente costituiti di anidrite la cui formazione per via umida, senza invocare cause speciali, è tutt'ora una questione dif- ai e VE Lg tre Te SrL RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE ECC. 783 ficile da risolvere. Le varie ipotesi emesse allo scopo di spiegare l'origine dei detti giacimenti si possono dividere in due gruppi; al primo appartengono quelle che ammettono che essi siano semplicemente dovuti al depositarsi del solfato calcico sciolto inizialmente nelle acque marine portate ad un conveniente grado di concentrazione mediante sistemi lagunari (1); al se- condo gruppo appartengono quelle che ammettono che i depositi in questione debbano derivare da fenomeni di metamorfismo eser- citatisi su calcari e su dolomiti preesistenti e ricorrono per spie- gare questi fenomeni all’azione di emanazioni solfuree o solfo- rose, di acque solfatanti e di piriti in via di ossidazione (2). Da qualche tempo ho iniziato delle ricerche sull’origine dei giacimenti dell'alta valle della Dora Riparia e sulle relazioni che li collegano alle roccie che quasi costantemente sono ad essi associate; dai risultati finora ottenuti non credo applica- bile ai gessi ed alle anidriti di Oulx l'ipotesi d’un semplice de- posito d’origine marina; così pure non credo si possa accogliere senza riserve e senza notevoli modificazioni la seconda ipotesi, poichè in alcuni casi ho potuto constatare come i gessi e l’ani- drite appaiano come contemporanei dei calcari cristallini che sono al loro contatto e ciò sebbene sianvi alcuni fatti che per una superficiale osservazione potrebbero far supporre che real- mente si tratti d’un fenomeno di metamorfismo posteriore. Infatti, oltre alle specie mineralogiche che descriverò in seguito, mi è accaduto di trovare di quando in quando, nel re- siduo insolubile in acido cloridrico ottenuto trattando il gesso e l’anidrite con carbonato ammonico, delle rarissime scheggie che (1) M. Bertranp (“ Bulletin de la Société Géologique de France ,, Serie 3*, XXII, p. 76, 1894) ammette come derivanti da un sistema lagu- nare triasico i giacimenti di anidrite; invece per i gessi soprastanti am- mette che derivino o per diretta idratazione dell’anidrite o per un fenomeno di sostituzione del gesso sciolto nelle acque circolanti, compiutasi a spese dei calcari cristallini. (2) Siswonpa, Osservazioni geologiche sulla Valle di Susa e sul Monce- nisio. “ Memorie dell’Acc. delle Scienze di Torino ,, Serie I, T. XXXVIII, pag. 143. — BarertI, Geologia della provincia di Torino, 1393, pag. 172. — Sea A., Op. citata, p. 467. — Spezia, Sulla origine del gesso micaceo ed anfibolico di Val Cherasca. “ Atti dell’Acc. delle Scienze di Torino ,, XXIII; adunanza 20 Novembre 1887. gitti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 54 784 LUIGI COLOMBA dai loro caratteri riferii a glaucofane, a tormalina, ad anfibolo, a clorite, ed a rutilo e siccome taluni di questi minerali (come la glaucofane, la tormalina e la clorite) si trovano in alcumi calcari cristallini adiacenti ai giacimenti in questione (1) potrebbe un tale fatto invocarsi in appoggio all'ipotesi per cui il solfato di calcio sarebbe da considerarsi come un prodotto di solfatazione dei detti calcari cristallini. Ora per varie ragioni io non credo assolutamente che dalla presenza di quelle rare scheggie possa trarsi, con fondamento, la. suesposta conseguenza. Difatti Spezia (2) nel suo studio sul gesso micaceo ed anfibolico di Val Cherasca, gesso indubbia- mente proveniente da un fenomeno di solfatazione di un calcare per ossidazione delle piriti in esso incluse, indica come, a parte la scomparsa dei solfuri, il gesso presenti ancora gli stessi mine- rali che si hanno nei calcari preesistenti e con caratteri simili. Ben differente è invece la cosa osservata da me nei giacimenti della Beaume, poichè assolutamente non è possibile paragonare queste rarissime scheggie di minerali con il modo di presentarsi dei minerali corrispondenti nei calcari, tanto per il loro aspetto quanto per la loro quantità, essendo nei calcari i detti minerali abbondantissimi e sempre in cristalli completi e ben determinati; nè può supporsi che la loro rarità e il loro aspetto nei giaci- menti di solfato di calcio possa provenire da un fenomeno di alterazione poichè i detti frammenti sono sempre inalterati com- pletamente ed anzi la clorite, che nei calcari è sempre sotto forma di aggregati pseudomorfi di glaucofane, è invece nei gessi sotto forma di frammenti di laminette che per il loro colore ricordano una clorite, che unitamente al rutilo (sotto forma di sagenite) trovasi in alcuni filoni che alla Beaume si hanno nella parete quarzitica (3). Credo piuttosto che la presenza di queste rare scheggie appartenenti a minerali contenuti in roccie adia- centi ai gessi sia da considerarsi come dipendente da un feno- meno di trasporto. Una maggior analogia ho potuto invece constatare fra i (1) Coromsa, Op. cit. (2) Spezia, Op. citata. (3) CoLoma, Osservazioni mineralogiche su alcune sabbie della collina di Torino, “ Atti dell'Acc. delle Scienze di Torino ,, XXXI;:21 Giugno 1896. i o e _ PE (SR © “rr Pa RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE ECC. 785 gessi ed un calcare carbonioso che presso Savoulx è a contatto con i gessi, per ciò che riguarda alcuni dei minerali contenuti ; però questo calcare sarebbe appunto uno di quelli che a parer mio debbono considerarsi come contemporanei al gesso ed alla anidrite. I risultati delle mie ricerche mi condurrebbero piuttosto ad ammettere che i detti giacimenti siano bensì dovuti a fenomeni di metamorfismo, ma che questi fenomeni rappresentati da ma- nifestazioni vulcaniche secondarie e specialmente da sorgenti solfuree o solfatiche, abbiano in generale agito contemporanea- mente al depositarsi delle roccie calcaree determinando in tal modo la formazione del solfato calcico, senza escludere però che parzialmente anche in seguito al deposito delle roccie stesse il fenomeno di solfatazione abbia potuto continuare. Riservandomi di discutere ampiamente tutte le ragioni che mi hanno condotto alle suesposte conclusioni quando saranno ultimate le ricerche da me iniziate, non credo inutile l’esporre i primi risultati delle mie osservazioni riguardanti alcuni mine- rali che si trovano nei giacimenti della Beaume; tanto più che per quanto mi consta, tali osservazioni per quanto riguarda giacimenti vicini a quelli da me studiati, sono piuttosto scarse, limitandosi a quelle compiute da A. Sella sui giacimenti del ghiacciaio di Gebroulaz in Savoja (1) ed a quelle compiute da Piolti sui gessi del Moncenisio (2). Le specie mineralogiche da me notate. sono le seguenti: mica litiomagnesifera, tormalina, quarzo, calcedonia, gesso cristal- lizzato, pirite, solfo, dolomite, halite, ematite, anidrite, blenda. Mica litiomagnesifera. — È assai abbondante nella massa della roccia (3) allo stato diffuso ed allora si presenta in lami- (1) A. Sera (op. cit.) accenna ai seguenti minerali: sellaite, dolomite, magnesite, fluorite, solfo, quarzo e celestite; accenna pure all’al/bife, ma non è detto se si trovi nel gesso oppure nella dolomite che è a contatto. (2) Prorti (12 piano del Moncenisio; “ Bollettino del Club Alpino ,, vol. XXII, 55) trovò nei gessi del Moncenisio i seguenti minerali: pirite, dolomite, gesso cristallizzato; sembra mancare completamente il solfo. (3) Oltre che nei giacimenti della Beaume trovai pure la detta mica nei gessi di Savoulx, di Thures e nel già citato calcare carbonioso che a Savoulx è in diretto contatto con l’anidrite ed il gesso. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. DE 786 LUIGI COLOMBA . nette microscopiche, completamente incolore, molto lucenti e ve- trose; il contorno è generalmente esagonale; può anche essere rombico e spesso le laminette si sovrappongono le une alle altre dando luogo a dei prismi esagoni sulle cui faccie è sempre vi- sibile la sfaldatura basale. La massima larghezza di queste la- mine non supera mai un terzo od un quarto di millimetro. Trovasi pure, ma più raramente inclusa od aderente ai romboedri di dolomite; nel primo caso è in laminette perfetta- mente simili a quelle sparse nella massa della roccia; nel se- condo caso invece si presenta in laminette più grandi, dotate di lucentezza madreperlacea e spesso riunite in aggregati. Quella che si trova sparsa nella roccia è ricchissima in in- clusioni le quali mancano quasi completamente in quella che trovasi aderente ai romboedri di dolomite od inclusa in essi; le inclusioni sono costituite specialmente da minutissimi cristalli di tormalina, spesso visibili solo con forte ingrandimento, inco- lori, riconoscibili a causa del loro caratteristico emimorfismo; meno comuni sono delle inclusioni di zircone in esili individui ad abito fusiforme, giallognoli; spesso associata od inclusa nella mica appare anche la pirite in minutissimi cristalli. Questa mica osservata a nicols incrociati e collo stauroscopio si manifesta perfettamente uniassica. È difficilmente fusibile, si decompone difficilmente mediante acido solforico concentrato a caldo. Avendo scelto un certo numero di queste laminette fra quelle mancanti o povere di inclusioni, le trattai con acido fluo- ridrico che le decompose rapidamente; avendo in seguito trat- tato i fluoruri così ottenuti con acqua bollente allo scopo di se- parare quelli alcalini, la soluzione che ottenni mi diede, alla analisi spettrale le linee del litio e del sodio; nei fluoruri in- solubili potei, col solito trattamento con acido solforico, deter- minare la presenza dell’allumina, della magnesia e della calce. Ho fatto di questa mica un’analisi quantitativa avendo cura, per quanto mi fu possibile, di scegliere del materiale relativa- mente puro, e stante la difficoltà di procurarmelo dovetti limi- tarmi ad eseguire l’analisi su una quantità assai piccola di so- stanza (gr. 0,3889). Allo scopo di dosare contemporaneamente la silice e gli alcali disaggregai il minerale con carbonato di bario: ottenni i seguenti risultati: RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE ECC. 787 Si Og "N42: Al,,0; ==}\j12,66 Mg0 == 20;10 Cao sti r6,76 Lis0 =} d6:5,21 K50/Naz 0. =:0017468 El. volatili = 6,82 98,63 Negli elementi volatili non ho potuto determinare la pre- senza dell’acido fluoridrico. Dai dati di quest’analisi risulta come la mica della Beaume non si possa identificare con nessuna delle miche attualmente note poichè mentre si allontana da quelle litifere a causa delle rilevanti quantità di magnesia (che nelle miche litifere giunge, secondo le analisi riportate da Dana (1) appena ad un massimo di 0,97 °/) ed a causa della sua uniassicità (essendo le miche litifere fortemente biassiche), per altra parte si allontana da quelle magnesiache per la grande quantità di litina (che rara- mente compare nelle magnesiache e sempre in minime traccie) ed anche per la scarsità della potassa, scarsità tanto maggiore in quanto che sebbene io mi sia limitato, in causa della esigua quantità di sostanza adoperata, a dosare complessivamente la soda e la potassa, tuttavia potei persuadermi che la quota di 4,68 °/, è prevalentemente costituita da soda. Un altro elemento che compare in grande quantità nella mica della Beaume è la calce; tuttavia, sebbene sempre in ogni saggio abbia potuto constatare la presenza della calce, non escludo la possibilità che in parte quella ottenuta nell’analisi provenga da piccole quantità di solfato di calcio incluse od as- sociate alle lamine impiegate per l’analisi. Ad ogni modo ammet- tendo anche, che tutta la calce da me trovata sia realmente contenuta nel minerale, non si potrebbe, a parer mio, riferire la mica della Beaume al gruppo della Margarite poichè differi- rebbe da esso per il comportamento ottico e per la presenza di rilevanti quantità di magnesia e di litina. (1) Dana, System of Mineralogu, Ediz. 1892, p. 611. 788 LUIGI COLOMBA ; Piuttosto, sebbene io ereda che la composizione da me ottenuta solo debba considerarsi come approssimativa a causa. dell’esigua quantità di sostanza adoperata ed anche in causa delle impurità non insignificanti in essa contenute, a parer mio sarebbe la mica della Beaume da considerarsi come una nuova varietà di mica magnesifera caratterizzata dalla presenza di no- tevoli quantità di litio e precisamente come una biotite litifera. Tormalina incolora. — Si presenta in cristalli allungati, abbondantemente diffusi nella massa della roccia od inclusi nella mica litifera; più raramente, al pari della mica, trovasi od in- clusa od aderente ai romboedri di dolomite nelle litoclasi; i eri- stalli diffusi nella massa sebbene un po’ più grandi che non quelli inclusi nella mica, sono sempre microscopici ed i più lunghi raramente giungono ad una lunghezza di un quarto di millimetro essendo la massima parte di poco superiori ad un decimo di millimetro. I cristalli sono sempre dotati di faccie lucentissime e la- sciano vedere in modo completo il caratteristico emimorfismo essendo ad una estremità terminati da un solo romboedro ot- tusissimo e dall’altra da due romboedri, l’uno inverso e l’altro diretto. È pressochè infusibile ed inattaccabile dall’acido fluoridrico ed infatti ho potuto in tal modo separare i cristallini che erano inclusi nella mica; è pure inattaccabile dall’acido solforico con- centrato a caldo; fusa con carbonato sodico potassico dà la rea- zione del boro. Quarzo e calcedonia. — Vario è il modo di presentarsi del quarzo; oltre a trovarsi in frammenti od in cristalli rotti o colle facce corrose dove la roccia assume un aspetto brec- cioide, appare in grande abbondanza sotto forma di minuti cri- stalli terminati alle due estremità, perfettamente incolori; questi cristalli presentano spesso una forma un po’ tozza a causa del limitato sviluppo delle faccie 211; oltre alle quali incontrasi spesso la 412; generalmente sono microscopici sebbene sempre abbiano dimensioni maggiori di quelli di tormalina; in alcuni rari casi ne trovai di quelli la cui lunghezza superava i due o tre millimetri, ma per lo più si mantengono inferiori al mezzo RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE ECC. 789 millimetro, non mancandone di quelli visibili solo con un forte ingrandimento. Sono pure abbondanti dei bastoncini, allungati, scanalati e distorti, simili a piccole stalattiti la cui lunghezza giunge rara- mente ad !/, di millimetro; osservati a nicols incrociati lasciano vedere delle estinzioni ondulate; al cannello sono infusibili con imbianchimento; trattati con acido fluoridrico volatilizzano com- pletamente, dal che si deduce che sono costituite da silice. Io riferisco le dette concrezioni a calcedonia e non ad opale, sebbene il fatto di imbianchire in seguito a riscaldamento al cannello sia da vari autori, come il Dana (1) considerato come caratteristico dell’opale; ora da alcune mie osservazioni ho po- tuto concludere che un tale carattere è affatto insufficiente per distinguere l’opale dalla calcedonia. Infatti ho provato a scal- dare al cannello un frammento di una piccola stalattite di cal- cedonia ed un frammento di opale; ambedue imbianchirono; avendo fatto in seguito una sezione sottile dei due frammenti notai che mentre quello di opale presentava una struttura omo- genea, quello di calcedonia invece conservava ancora la sua struttura fibroraggiata e trasparenti si mantenevano ancora le fibre; solo fra di esse appariva come intercalata una sostanza bianca ed opaca. Ad analoghe conclusioni sono giunto sottopo- nendo allo stesso trattamento un altro frammento tolto da una lamina di calcedonia a struttura zonata; anche in questo caso ottenni un rapido imbianchimento e nello stesso tempo il fram- mento acquistò una notevole fragilità. Una sezione sottile mi lasciò pure vedere che, analogamente a quanto avevo osservato prima, frammezzo alle fibre che persistevano trasparenti, appa- riva un'intercalazione di sostanza bianca ed opaca costituita da opale, la quale spiega anche la presenza dell’acqua constatata in molte calcedonie. Da queste osservazioni risulta come nella calcedonia esi- stendo tra fibra e fibra delle traccie di opale il carattere del- l’imbianchimento non possa essere utile per la diagnosi della calcedonia e dell'opale. Si è perciò che fondandomi specialmente sul carattere della (1) Dana, System of Mineralogy, 1892, p. 190, 196. 790 € LUIGI COLOMBA birifrazione riferisco le piccole concrezioni silicee da me osser- vate, a calcedonia piuttosto che ad opale; tanto più che, a parer mio, questa determinazione sarebbe pure confermata da un altro fatto che ebbi occasione di notare nel già citato calcare carbo- nioso che presso Savoulx è a contatto con i giacimenti di gesso e di anidrite. Anche in questo calcare osservansi delle concre- zioni silicee, allungate e contorte, e spesso simulanti quasi lo aspetto di un’ elica, al punto che in principio aveva avuto il dubbio che fossero modelli di fossili, dubbio che non potè sus- sistere vista l'assoluta irregolarità di forma di queste concre- zioni. Orbene queste concrezioni simili assai a quelle osservate nel gesso e nell’anidrite, ne differiscono per il fatto che sono completamente isotrope, il che indica come il fenomeno del- l'estinzione ondulata presentata da quelle prima descritte, non debba considerarsi come dipendente dal modo di presentarsi, ma bensì da una vera differenza strutturale che secondo la mia opinione, può spiegarsi perfettamente ammettendo che le con- crezioni isotrope dei calcari siano di opale e quelle birifrangenti del gesso siano di calcedonia. Gesso cristallizzato. — È assai abbondante riempiendo, come già ho detto, quasi completamente le fenditure della roccia; si trova comunemente in grossi cristalli che possono anche rag- giungere la lunghezza di due centimetri; questi cristalli sono generalmente tabulari, più raramente aciculari: sono spesso ge- minati e 'le uniche forme che determinai in esse sono 010, 110, 111: presentasi pure in aggregati fibrosi. Questo gesso deve considerarsi di origine secondaria e come proveniente da acque le quali si siano arricchite in solfato di calcio filtrando attraverso alla roccia; infatti se esso derivasse da idratazione dell’anidrite non sarebbe facile lo spiegare perchè il modo di riempimento delle litoclasi non presenti nessuna dif- ferenza, per quanto riguarda l’aspetto del gesso, tanto dove le dette litoclasi attraversano il gesso, quanto nei punti in cui si internano nell’anidrite. Sarebbe pure difficile lo spiegare come si siano formati dei cristalli così voluminosi per semplice idratazione e senza invo- care dapprima un fenomeno di soluzione con successivo nuovo deposito; infatti da quanto ho detto nelle pagine precedenti } RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE ECC. 791 riguardo al modo in cui avviene l’idratazione dell’anidrite risulta che essa si compie perchè infiltrando l’acqua fra i granuli di anidrite e nell’ interno delle sue linee di sfaldatura ne cambia le pareti in gesso, nè la roccia, a parte un aspetto meno vetroso e un po’ più matto, differisce gran che, per i caratteri esterni, dall’anidrite inalterata. L'origine secondaria di questo gesso e la sua provenienza da fenomeni di soluzione e deposito dovuti ad acque superficiali infiltranti, è pure confermato da un altro fatto ed è che in al- cune litoclasi le pareti sono coperte di cristalli romboedrici di dolomite, i quali presentano dalla parte rivolta verso il vano delle litoclasi delle faccie lucenti, sebbene curve, dovute a rom- boedri ed al pinakoide; orbene i cristalli e gli aggregati fibrosi di gesso sono, nelle dette litoclasi, sempre impiantati sulle faccie lucenti dei romboedri di dolomite, indicando in tal modo la po- steriorità del loro deposito. Pirite. — Si presenta diffusa nella roccia sotto forma di minuti cristalli costituiti sempre da un pentagonododecaedro a. cui si uniscono talvolta le faccie dell’ottaedro e quelle di un emiesacisottaedro; spesso presentasi pure in accentramenti di discreto volume e talvolta superficialmente alterati in limonite come pure sono spesso alterati i piccoli pentagonododecaedri. In un solo caso trovai la pirite nelle litoclasi e preci- samente in una fenditura dove unita a dolomite ed a quarzo si presentava abbondantissima sotto forma di minutissimi cristalli sciolti. Solfo. — Trovasi sia sparso nella roccia, sia accentrato nelle litoclasi, sia come inclusione colla dolomite; quello sparso o è in minuti granuli od in piccolissimi cristalli ottaedrici al- lungati e quindi probabilmente corrispondenti al simbolo 111; nelle fenditure, dove non è mai abbondante, ho trovato alcuni cristalli di mole maggiore ma per lo più frantumati e schiac- ciati. In due frammenti provenienti da un grosso cristallo potei determinare le seguenti forme: 001, 110, 101, 103, 011, 111, 113, 115, 313, 315. - Dolomite. — Si presenta la dolomite sparsa nella roccia 792 LUIGI COLOMBA sotto forma di grossi cristalli romboedrici, translucidi o quasi opachi, e localizzata in certe fenditure; i cristalli che sono sparsi nella roccia possono avere delle dimensioni molto grandi: uno da me osservato, costituito dal romboedro 100 e dal pinakoide, misurava alcuni centimetri di diametro. Nelle litoclasi la dolo- mite appare sotto forma di romboedri aggregati ed impiantati nella roccia e presentanti le estremità libere terminate da faccie di romboedri e dal pinakoide; non potei determinare i simboli dei detti romboedri in causa dello stato fisico delle faccie le quali sono spesso curve o striate. Talvolta questi cristalli sono rotti ed i frammenti sono ri- cementati da gesso. Degne di nota sono le inclusioni contenute in questa dolo- mite; talvolta è colorata in giallo poichè è ricchissima in solfo; in altri casi invece si presenta impregnata di idrogeno solforato il cui odore caratteristico si fa sentire quando si frantumano i cristalli. In varie lamine sottili ottenute mediante ripetute sfaldature, potei constatare in essa una straordinaria quantità di piccole inclusioni liquide, associate ad altre, molto più rare, ripiene di solfo; queste inclusioni non sono disposte disordinatamente ma si trovano specialmente sui piani di sfaldatura dove appaiono in serie non interrotta. In quelle più grandi sono visibili delle bolle quasi immo- bili e spesso si trovano nel loro interno dei piccoli cristalli cu- bici, isotropi, incolori che riferisco a cloruro sodico poichè scio- gliendo la dolomite nell’acido nitrico ottenni marcatissima la reazione del cloro. A parer mio queste inclusioni debbono pure contenere del- l'acido solfidrico il quale appunto si metterebbe in libertà quando si rompe il minerale; e quelle contenenti solfo non sarebbero probabilmente che inclusioni inizialmente ripiene di idrogeno sol- forato il quale si sia in seguito decomposto. Non ho potuto finora stabilire se l'idrogeno solforato sia contenuto in tutte le inclusioni, se pure manchi in quelle che contengono i cristalli cubici; contro all'ipotesi di considerare nella detta dolomite due varietà di inclusioni, le une ripiene di idrogeno solforato e le altre di soluzione di cloruro sodico, sta però il fatto osservato da me, di inclusioni nelle quali ai cristalli cubici era associato il solfo. < Ù » fr È RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE Ecc. 793 In quanto alla dolomite solfifera credo che le inclusioni di solfo in essa contenute si possano spiegare in modo analogo a quanto ho detto per le inclusioni di solfo esistenti nella dolo- mite solfidrifera. Si hanno, sebbene siano meno comuni, delle altre inclusioni in questa dolomite; notevoli sono fra queste dei cristallini pri- smatici, piccolissimi e con abito e comportamento trimetrico. Decomponendo la dolomite con acido cloridrico concentrato ho osservato che non rimangono completamente insolubili poichè nel residuo insolubile in acido cloridrico, rimangono sotto forma di cristalli un po’ corrosi. Ne ho separato alcuni ed avendoli decomposti con carbonato sodico potassico, la soluzione in acido cloridrico diede, con ossalato ammonico, un precipitato bianco che ridisciolto in acido cloridrico mi diede all'analisi spettrale le linee dello stronzio; per il che ho conchiuso trattarsi di cele- stite. La loro massima lunghezza non raggiunge quasi mai il mezzo millimetro; appaiono costituiti da un prisma verticale, dai pinakoidi 100 e 010 e da alcuni prismi orizzontali; tutti questi prismi sono però indeterminabili. Si hanno pure delle inclusioni non abbondanti formate da lamine di mica e da cristalli di tormalina. Un'analisi di questa dolomite mi diede, dopo averla ridotta in polvere finissima e trattata con acqua bollente allo scopo di separare l’idrogeno solforato ed il cloruro sodico, i seguenti ri- sultati: Mg CO, = 42,75 Ca CO} = 57,21 99,96 Da questi valori, a parte una leggiera eccedenza di calce, si ri- cava la formola Mg CO; + Ca 003. Per quanto riguarda l'origine di questa dolomite escludo che possa dipendere da fenomeni secondari. Infatti se si volesse ammettere che provenga semplicemente da depositi dovuti ad acque che passando attraverso ai calcari dolomitici superiori si siano arricchite in bicarbonato di calcio e di magnesia, non sa- 794 LUIGI COLOMBA 4 rebbe possibile lo spiegare le inclusioni di idrogeno solforato e di solfo. i Così pure credo non si possa ammettere che provenga da fenomeni parziali di riduzione secondo il noto processo col quale può in certe condizioni il solfato calcico ridursi in solfidrato, il quale a contatto con acque ricche in acido carbonico può dar luogo a sviluppo di idrogeno solforato ed a formazione di car- bonato di calcio, poichè se in tal modo si potrebbero spiegare le inclusioni di acido solfidrico e di solfo, non sarebbe possibile stabilire la provenienza del carbonato di magnesia, tanto più che non è dimostrato che dal solfato di magnesio si possa mediante un analogo processo di riduzione ottenere del carbonato di ma- gnesio. D'altra parte dal fatto già da me indicato che la mica e la tormalina incolora possono trovarsi tanto incluse quanto s0- vrapposte ai romboedri di dolomite, si può dedurre con tutta probabilità che la dolomite sia contemporanea dei detti mine- rali e quindi non si possa riferire la sua origine a fenomeni secondarìî, ma bensì sia dovuta ad azioni chimiche compiutesi durante la formazione stessa dei depositi di solfato calcico, tanto più che non è possibile ammettere che la mica aderente ai rom- boedri di dolomite sia semplicemente della mica inizialmente diffusa nella massa della roccia ed in seguito accentrata nelle fenditure, essendo essa molto differente da quella diffusa poichè si presenta in aggregati di lamine anche di un discreto volume, cosa che non succede mai per quella diffusa nella roccia ed anche è molto più povera in inclusioni. Halite. — Sembra essere assai rara allo stato di accen- tramenti localizzati nelle fenditure, poichè fin'ora la trovai in un solo caso sotto forma di masse incolore a sfaldatura netta- mente cubica; occupava una fenditura nell’anidrite ed era asso- ciata a gesso cristallizzato i cui cristalli erano talvolta avvi- luppati dalla halite; sciogliendola in acqua lascia come residuo frammenti di gesso oltre a poca tormalina incolora ed a rare laminette di mica. Credo però che la halite sia abbastanza diffusa nella roccia, poichè oltre a trovarla, come già ho accennato allo stato di inclusione nella dolomite, trattando alcuni frammenti di anidrite 1 } : RICERCHE MINERALOGICHE SUI GIACIMENTI DI ANIDRITE ECC. 795 e di gesso, ridotti in polvere finissima, con acqua distillata, questa mi diede in seguito, nettissima la reazione del cloro. L'essere questa halite diffusa in tutta la roccia ed inclusa nella dolomite, ci permette di considerarla come originaria e non come dipendente da fenomeni secondari; ed il fatto d’averla trovata nelle fenditure in masse avvolgenti i cristalli certamente secondari di gesso, credo si possa spiegare semplicemente, am- mettendo che si tratti del cloruro sodico associato a quelle por- zioni di gesso o di anidrite che per soluzione e per successivo deposito diedero luogo alla formazione del gesso cristallizzato; il quale cloruro sodico, che naturalmente doveva restare sciolto contemporaneamente al solfato di calcio, se poteva, a causa della sua grande solubilità nella massima parte dei casi eliminarsi completamente, poteva pure in alcuni casi depositarsi nelle fen- diture stesse e naturalmente il suo deposito, in tali casi, doveva essere posteriore a quello del gesso molto meno solubile. Ematite. — È comunemente in laminette microscopiche, sottili, rosse a luce trasmessa e grigio-metalliche a luce riflessa; spesso è associata a pirite e non è raro il caso di osservare delle laminette di ematite inalterate che portano come inca- strati dei piccoli cristallini di pirite, in parte o totalmente al- terati in limonite. È pure, in alcuni punti, assai abbondante allo stato diffuso nella roccia che spesso presenta delle zone rossastre in cui l’ematite è intimamente legata al solfato di calcio. Anidrite. — In alcuni punti la roccia appare costituita da un complesso di granuli vetrosi, trasparenti ed incolori che spesso presentano la forma di parallelepipedi; essi sono costi- tuiti esclusivamente di anidrite pura, come lo indicano i saggi a cui sottoposi il minerale ed il loro comportamento ottico as- solutamente trimetrico; le aree occupate da tali granuli sono però limitate ed in generale, come già ho accennato, anche nei punti in cui l’anidrite sostituisce il gesso questo non manca mai completamente. Rarissima è l’anidrite in cristalli; potei solo entro a rare geodine contenute nell’anidrite cristallina, trovare alcuni piccoli cristalli allungati, con delle dimensioni che raramente giunge- 196 . LUIGI COLOMBA — RICERCHE MINERALOGICHE. ECC. vano al millimetro; osservati al microscopio, risultavano costi- tuiti dai tre pinakoidi 100, 010, 001 e da alcune faccie inde- terminabili di prismi orizzontali e di ottaedri. Blenda. — Alla blenda riferisco rari cristalli, di dimen- sioni assolutamente microscopiche, sparsi nella roccia; questi cristallini, infusibili, hanno una durezza molto piccola e sì rom- pono secondo faccie brillanti di sfaldatura. Trattati con acido cloridrico si decompongono svolgendo dell’acido solfidrico. Il loro colore è d'un giallo un po’ tendente al verdastro e sempre pre- sentano l'aspetto di individui emiedrici a faccie inclinate. Gabinetto di Mineralogia dell’Università di Torino, 10 Maggio 1898. relazione sulla Memoria del Dott. Gino Fano intitolata: I gruppi di Jonquières generalizzati. I sig.i Enriques e Fano si sono occupati in un comune lavoro (*) della determinazione di tutti i gruppi continui finiti di trasformazioni Cremoniane dello spazio: dimostrando che essi si posson tutti ridurre, mediante tali trasformazioni, a gruppi appartenenti a certe determinate classi. Ad alcuni di questi gruppi, cioè ai gruppi primitivi, il sig. Fano ha poi dedicato ulteriori ricerche, che furono accolte nei nostri Atti (**). Ora, in questa Memoria, egli si occupa degli altri; e più precisamente, di determinare i tipi, birazionalmente distinti, di gruppi imprimi- tivi: il che si riduce a trovare i tipi distinti di gruppi di Jon- quières generalizzati, secondo la denominazione che EnRIQUES e Fano hanno adottata per quei gruppi Cremoniani che trasfor- mano in sè un fascio di piani, ovvero una stella di rette. Il problema della riduzione a tipi presentava per tali gruppi maggior complicazione che per le altre classi di gruppi Cremo- (*) “ Annali di Matematica ,, ser. 2*, t. 26 (1897). (#*) Adunanza del 27 febbraio 1898. 797 niani incontrate da quei due geometri. Per accorgersi di ciò basta vedere, nel riassunto che il sig. FANO fa dei risultati della sua Memoria, quanto numerosi e diversi fra loro siano i tipi che si ottengono. La loro ricerca viene coordinata e svolta, sia per mezzo di note proposizioni del Lie sui gruppi continui di tras- formazioni; sia ricorrendo ad opportuni sistemi lineari di super- ficie, invarianti rispetto ai gruppi, e poi alle varietà iperspaziali a 3 dimensioni rappresentate da quei sistemi ed alle projezioni di tali varietà sullo spazio ordinario. Di tutti i tipi di gruppi si vengono così ad ottenere le proprietà geometriche caratte- ristiche, ed anche le equazioni che li rappresentano analitica- mente. Il lavoro è fatto con vero acume geometrico e con paziente cura; ed ha notevole importanza, poichè mediante esso rimane compiutamente risolta la questione di determinare tutti i tipi, distinti birazionalmente, di gruppi continui finiti Cremoniani. In conseguenza noi proponiamo che la Classe lo ammetta alla let- tura ed alla stampa nei volumi accademici. E. D’'Ovipio C. SEGRE, relatore. L’ Accademico Segretario ANDREA NACCARI. 798 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 22 Maggio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Socii: CLarertA, Direttore della Classe, PerRron, Rossi, Pezzi, BoseLLI, CiroLLa, Brusa, PERRERO, e NANI Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta, 24 scorso aprile. Il Presidente offre in omaggio alla Classe, a nome del- l’autore, dott. Luigi Roversi, un libro intitolato: Luigi Palma di Cesnola e il Metropolitan Museum of Art di New York (New York, 1898). Il Segretario C. NANI presenta pure in omaggio alla Classe un opuscolo: I recenti lutti della Società geografica italiana (Roma, 1898), inviato dall'autore Socio corrispondente profes- sore G. DALLA-VEDOVA. Presenta pure un lavoro dal titolo: Il passaggio di Anni- bale per le Alpi, mandato alla Segreteria dell’Accademia dal- l’autore prof. Francesco P. GARoraLo da Catania che ne desi- dererebbe la inserzione negli Atti dell’Accademia. Il Presidente, - Re 799 a norma dell’art. 26 dello Statuto, nomina una Commissione composta dai Socii CLarETTA, FERRERO e CiPoLLA, perchè ne ri- ferisca in altra adunanza alla Classe. Il Socio CLaRrETTA continua la lettura della sua Memoria: Sulle principali vicende della Cisterna d’ Asti dal secolo XV al XVII. In questa parte il socio G. Claretta s’intrattiene sulla si- gnoria del feudo della Cisterna, acquistata il 16 agosto del- l’anno 1559 dal capitano Torquato Torto da Castelnuovo Scrivia. Egli prelude con brevi notizie sulla famiglia del Torto, uno di quegli avventurieri i quali a quei giorni servivano allo stra- niero che signoreggiava nelle nostre contrade. Ricorda peraltro i pregi di quella famiglia che noverò distinti giureconsulti che professarono leggi nell’università di Pavia. Essendo il capitano Torquato preposto dai Francesi al governo della Cisterna, ebbe mezzo di acquistare famigliarità con quei terrazzani ed affezio- narsi a quei ridenti clivi, ed indursi a farne acquisto dai Della Rovere. Ma l’autore qui nota in qual ginepraio di contestazioni ebbe a mettersi il Torto, poichè avendone ricevuta investitura dalla Camera Apostolica, dovette sostenere urti colla Mensa Vescovile d’Asti e coi terrazzani della Cisterna stessa omai in- fastiditi di tutti quei repentini cangiamenti di signoria. E mentre cominciava ad essergli contestata l'elezione del podestà, venivano a turbargli i sonni le pretese dell’omaggio voluto dal duca dai Cisternesi, allorchè nel 1559 venne egli reintegrato nel dominio de’ suoi Stati. Alle quali molestie vo- gliono essere aggiunte le gravi contestazioni sorte tra Roma e la Mensa Vescovile d'Asti, in mezzo alle quali il Torto ebbe ad esperimentare molte delusioni, e pentirsi al certo dell’aver voluto divenire feudatario della Cisterna, costretto del resto a trasmettere ai suoi discendenti un patrimonio nient'altro che litigioso. L' Accademico Segretario CesARE NANI. ——___©c3&>©—— ———+— Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. ET î na, Re anoiesima fio” ano ata avropicsrai Fat j str on orig (4410090 è osare ario _.Basal) sile astannbe a - SÒ 3 sattomoli nua aliob sintiol al unitgoo Atrasz sone OUITY An EX giunse lode arts pih i fs alia atientanitaJatioral 19 Lofone li siva -[bb uotsoga 2 li Risisiupot atrrateii) allab chat .siviso£ ovonnisianià sb otiol'ossvpio1 05831g89 ind al onu. ot101 lob silatorat alla orzo [rg1o nos abule ig, il inde lia onsvixnga dimoka davp (AUDI Pia ipse 4, : T- LODI idò sizoì alle Po, “ai pgs10 Mara î) iaib Gievon edo aisi allen i LA \a0qoii (0) a podo A ina] 11/190 sa i-Dbo .0vio : sb iovp B x violi ss Hd pi. É ( if -d j44 È | ‘ ) (TOO bi - pers ) e NSA k dl n in closttt chie Do Ad CLASSE DI | SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 29 Maggio 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Brzzozero, Direttore della Classe, D’Ovipio, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, VoLrteERRA, JADANZA, Foà, Gurpr, FiLerr e Naccari Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente adunanza. Il Socio Cossa fa omaggio all'Accademia di una sua rela- zione stampata sul concorso al premio relativo alle sofisticazioni dei perfosfati, indetto dall’Associazione dei consorzi agrari di Piacenza. Il Segretario presenta il terzo volume dell’opera: Vorlesungen tiber Geschichte der Mathematik, inviata dall’ autore Maurizio CantoR, Socio corrispondente, in dono all'Accademia. Il Socio CamerANO legge anche a nome del Socio GIBELLI la relazione sulla memoria del Prof. Edoardo MartEL, intitolata: Contributo all’anatomia dell’ Hypecoum procumbens. La relazione sì chiude con la proposta che la memoria venga letta alla Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 55 802 Classe. Approvata questa proposta e compiuta la lettura, si accetta la memoria per l’inserzione nei volumi accademici. Vengono poi accolti per l’inserzione negli Atti i seguenti scritti : 1° Sul cannocchiale terrestre accorciato; nota del Socio JADANZA, 2° Funzioni olomorfe nel campo ellittico; nota del Dr. Tito CAZZANIGA, presentata dal Socio VOLTERRA, 3° Sopra una nuova specie d’Ichthyonema; nota del Prof. Michele DeL Lupo, presentata dal Socio CAMERANO, 4° Wattometro elettrostatico per correnti alternative ad alta tensione; nota del Prof. Ing. Riccardo Arnò, presentata dal Socio NACCARI, 5° Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1899, calcolate dal Dr. V. BALBI, 6° Osservazioni meteorologiche fatte nell’anno 1897 e cal- colate dai Dottori V. BaLsi e G. B. Rizzo. Il Socio Foà presenta una memoria del Dott. Antonio CesArIs DEMEL, intitolata: Sull’azione tossica e settica di alcuni microorganismi patogeni sul sistema nervoso centrale. Sarà esa- minata dai Soci Foà e Brizzozero. Il Socio Naccari presenta una memoria del Dr. G. B. Rizzo, intitolata: Sopra le recenti misure della costante solare. Sarà esa- minata dai Soci VoLrtERRA e NACCARI. _____—*"T*_rt_y| NICODEMO JADANZA — IL CANNOCCHIALE TERRESTRE, Ecc. 803 LETTURE Il cannocchiale terrestre accorciato; Nota del Socio NICODEMO JADANZA. I Una lente convergente M esposta ad un oggetto infinita- mente lontano, dà di quell'oggetto una immagine reale F*,Q (fig. 12) situata nel 2° fuoco di essa lente e capovolta rispetto all'oggetto. Codesta immagine può essere raddrizzata da un'altra lente N senza alterarne le dimensioni, purchè questa sia situata in modo che la immagine F*,Q data dalla prima lente M si trovi ad una distanza F*,E; eguale al doppio della sua distanza focale. In altri termini, se la immagine F*,Q si trova nel primo piano d’isometria inversa (ovvero primo piano antiprincipale) E, della lente N, la immagine capovolta e della stessa grandezza della F*,Q si troverà nel secondo piano d’isometria inversa (ov- vero secondo piano antiprincipale) E*, della stessa lente N. La distanza tra le due immagini F*,Q ed E*,Q* è quattro volte la distanza focale 9; della lente N nella ipotesi che questa sia infinitamente sottile. Il sistema delle due lenti M,N può servire come obbiettivo di cannocchiale (terrestre), ed avrà la distanza focale eguale alla distanza focale p, della lente M, però sarà negativa, vale a dire che il sistema M,N è divergente. Ciò si può vedere dalle formole che dànno le ascisse dei punti cardinali e la distanza focale di un sistema composto di due lenti infinitamente sottili, che sono 804 NICODEMO JADANZA In queste formole E, E*, F, F*, p sono le ascisse dei punti cardinali (due punti principali e due fuochi principali) e la di- stanza focale del sistema composto; F, ed F*, sono le ascisse del primo fuoco della prima lente e del secondo fuoco della seconda lente; A è la distanza delle due lenti le cui distanze focali sono ®; e @s. Applicando le (1) al caso della fig. 1° in cui la prima lente ha la distanza focale @, e la seconda 9, e A=@,+ 29,, si ottiene = — Po p' | Fastorai F*=F%+,=E*, \ (2) E=F—-% E =F*+ = E", + o Il sistema delle due lenti M ed N è un sistema diottrico divergente, la cui distanza focale è, in valore assoluto, eguale a quella della prima lente M. Il secondo fuoco coincide col se- condo punto d’isometria inversa della seconda lente. I punti cardinali si succedono nell’ordine E, F, F*, E* e sono fuori del sistema delle due lenti, i primi due dalla parte della prima lente, gli altri due dalla parte della seconda. II . Volendo adoperare questo sistema di due lenti come ob- biettivo di cannocchiale, il tubo in cui esso va rinchiuso deve avere la lunghezza L= 04 49; = + E*;, = Bi, o semplicemente L=@,+ dò dove è indica il segmento che separa il primo punto d’isome- tria inversa della lente N dal secondo. Il cannocchiale astro- nomico avente per obbiettivo la semplice lente M avrebbe una lunghezza eguale a ©. (Qui intendiamo per lunghezza del can- E eve pe or pene en IL CANNOCCHIALE TERRESTRE ACCORCIATO 805 nocchiale la distanza compresa tra la faccia anteriore della prima lente che riceve la luce ed il luogo dove si forma la immagine dell’oggetto all’infinito, cioè il secondo fuoco.) Il cannocchiale che dà la immagine diritta può essere più corto del cannocchiale astronomico avente il medesimo obbiet- tivo nel caso in cui è sia una quantità negativa, vale a dire quando per apparecchio di raddrizzamento si adopera non una lente semplice, ma un sistema di due lenti avente i punti d’iso- metria inversa che si succedono nell’ordine E*;, E. III. In un sistema di due lenti per cui valgono le (1), i punti d’isometria inversa sono dati dalle equazioni: K=F— 9; Baal donde 2 2209 CRI — i+ = Part Pa 4Pi Pa, E —E=F —F+29=F",—F— Moncia, e poichè si ha F*,—F=®+9.( 4 si ottiene prrena DES 49, Pa — A° € da Lu Pr+pa A (8) Il segmento dato dalla (3) sarà negativo se si avrà A° > 49; ; (4) e si otterrà: NATE ene A°-— 4997 ita Pt A | 6) IV. È molto conveniente che il sistema di raddrizzamento abbia la distanza focale equivalente a quella della prima lente, cioè a ®,. In tal caso le (1), poichè dev'essere A= 9, diventano: 806 NICODEMO JADANZA = Pi F=n+ ti; BaF-o=L | (6) E=F+ 1; E=F*—p,= E=F— qu; E*=F*+p,=E%, Il sistema diottrico così composto avrà i punti E*, F*, E*, fissi e coincidenti con quelli dello stesso nome della lente N. La posizione degli altri punti E, F, E, dipende dalla distanza focale @, della seconda lente P. Ponendo A = g; nella (5) si otterrà KE — E*,= ca (CH ah 4 o). (7) 2 Dovendo essere @;, > 4», poniamo p, = n®» (n > 4); la (7) diventerà E—-E*=n(n — 4), =(n_-4)9 e quindi la lunghezza del cannocchiale L, quando questo appa- recchio di raddrizzamento si accoppia ad un obbiettivo di di- stanza focale ©, diventa L=p —(n—4)p=P14P— 29: Dalle (6) si ha (vedi fig. 2°) F=F+anap,.=E+—- 1)9: E=K+(nT-2)9,. Ossia: i punto dove deve cadere (virtualmente) la immagine data dall’obbiettivo si trova distante dalla prima lente dell’appa- recchio di raddrizzamento di una quantità = (n — 2)®;. La distanza focale @, dell’ obbiettivo dovrà essere mag- giore di (n — 2)Q,. MN! N.JADANZA-1| cannocchiale terrestre accorciato. Atti RAccad.delle Sc. di Torino -VoLXMIQAV/ “ Fig. 1 ((4 = == SO, + __ AIA JE 2 = Ci E, 2 E F = Ne Fig. da \ P De ee: DAS Coi = EE, E E,\F* Fig. 3 IL CANNOCCHIALE TERRESTRE ACCORCIATO 807 x Il cannocchiale terrestre accorciato sarà dunque composto di un obbiettivo M di distanza focale @, piuttosto grande, di un apparecchio di raddrizzamento composto di due lenti N, P, le cui distanze focali sono @; e ps (@; > 49»), disposte in modo che la lente P si trovi nel secondo fuoco della lente N. Il punto dove viene a formarsi la immagine, già capovolta, dell'oggetto che si guarda (supposto a distanza infinita) trovasi distante dalla lente N di una quantità eguale al doppio della sua distanza focale, cioè 29,. L’oculare O può essere uno qualunque di quelli che si ado- perano negli ordinarii cannocchiali astronomici. La figura qui unita (fig. 3*) rappresenta la sezione di un cannocchiale terrestre accorciato. La lente M ha la distanza focale di centimetri 60; il si- stema delle due lenti N, P è l’apparecchio di raddrizzamento, La lente N ha la distanza focale p, = 12 centimetri, la lente P ha la distanza focale p, = 2 centimetri. Si avrà dunque: Distanza tra la lente M e la lente N = 12 centimetri. ” ” N ” È cei 12 »” Lunghezza del cannocchiale Li=.86 cl VI. L'utilità di un cannocchiale accorciato si rende più manifesta, quando esso fa parte di un teodolite e si vogliono misurare delle distanze mediante un reticolo a fili fissi, o, come suol dirsi, ad angolo parallattico costante. In tal caso è utile cono- scere la posizione del fuoco anteriore del sistema obbiettivo, che, nel nostro caso, è composto della lente M e dell’ apparecchio di raddrizzamento. 808 TITO CAZZANIGA Essa è data dalla formola: dove F, è l’ascissa del fuoco anteriore della lente M. Se si indica con K il rapporto diastimometrico conveniente alla coppia di fili che si adopera e con S la parte della stadia compresa tra i fili del reticolo, la distanza D della stadia dalla lente obbiettiva del cannocchiale terrestre accorciato sarà data dalla equazione : | D=EKS+ 7 +. Nel caso di p, = 60 cm., g, = 12 cm. il fuoco anteriore del sistema obbiettivo dista dalla lente obbiettiva M di metri 3,60. Funzioni olomorfe nel campo ellittico; Nota del Dottor TITO CAZZANIGA, in Gottingen. La lettura di una Nota del Prof. Pascal pubblicata con lo stesso titolo della presente (“ Rend. Acc. dei Lincei ,, 1896) e della Memoria di Appell Sulle funzioni uniformi di un punto analitico (x,y) (“ Acta Math. ,, T. 1), mi ha suggerito alcune semplici osservazioni che mi permetto di presentare a cotesta Accademia. 16 Comincio dal ricordare brevemente i risultati del profes- sore Pascal. 1. — Egli pone il problema così: “ Data una T, ellittica (p = 1) costruire sopra di essa, fun- zioni trascendenti che abbiano infiniti punti zero in tutta la T\, è rn FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 809 e punti singolari soltanto nei punti all’ infinito dei due piani sovrapposti ,. In altri termini: Costruire sotto forma di prodotto infinito, una funzione dopp. periodica F(u), di periodi 2w, 2w', tale che nell'interno del paral- lelogrammo fondamentale, ammetta un sol punto singolare essen- ziale u= a, ed infiniti punti zero: Ulti MA: supposto che questi (ordinati in serie semplice) ammettano a come unico punto limite. Per semplicità il Prof. Pascal suppone ancora: le w, zeri di 1° ordine e già ordinate in serie semplice, a =0 coincidente con il centro del parall. fond. e: p'(u) = 4p°(u) — g:p(u) — 93, la relazione onde la T, resta definita. Allora valendosi del noto integrale ellittico di 2° specie: egli costruisce la serie: k è) S(u) = Z(u—-un) — c(u)| |A e dimostra che si può sempre scegliere £ (fisso o variabile) per modo che S(u) in tutto il parall. fond., eccettuati i punti « = 0, U,, U2 ... Un ..., converga in modo uniforme. Allora sei Ps (w)= [p(u)]* 3 p' 0) — Z (4) pl) + 3 2 (1) + cu) (Un) | X Xp (+ p'*)p( + + e), si ha identicamente: S(=Y' {Zu un) — T(4) + Pil}, 810 TITO CAZZANIGA onde costruendo la funzione: ta — SW=6%, la G(v) risulta della stessa natura della F(w). Di qui col metodo ben noto il Prof. Pascal arriva; alla espressione: _ (of6tau TT SU) (Pau (1) F(u)= Cell Tai eSPr(t)du, dove C è una costante opportuna. Definita poi una funzione X(u) di cui i punti zero sono della forma: nn = 2(mw+ nw'), (per m, n, non zero contem- poraneamente, ed esclusi quei punti che non si trovano entro il parall. dei periodi), risulta subito: (2) E = MT Site) ca mn posto per definizione: (CeSHu)du — 1 e inoltre: Q:() = | Pi (a du= En 2 (1) + LE P'(Umn) +» G (mn) P (Umn) p(Umn) taria PA) + UA ni Umn) L’autore ha poi chiamato il numero 2%, il genere della F(u) (preso per % il minimo intero che renda convergente la S) e la Z (u) si presenta quindi come una funzione di genere 2, olomorfa nel campo ellittico, e degenerante nell’ordinaria uo( 1) per: wa= w' — co. 2. — Le formule ottenute dal Prof. Pascal risolvono il problema, ma non presentano doti salienti di simmetria. Inoltre FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 811 è facile persuadersi che esse dànno origine solo a funzioni ellittiche di 2° specie. Ciò lascia dubitare che l’artificio ingegnoso, usato per ren- dere convergente la S, non sia il più opportuno per toccare lo scopo. Difatti l’ordinaria teoria consiglia altrimenti. Si presenta più naturale cioè, di cercare se, deducendo da ogni termine: Z(u—-u,) — z(u) una parte del suo sviluppo, si possa del pari rendere general- mente equiconvergente la S. Ecco il procedimento che io vi sostituisco. Pongo: L(u) = Igo(u) «. 21) = n 2 1g0(v) (3) fera: UU — t) dove la g(u) con tutte le sue derivate si conserva, finita, con- tinua e sviluppabile in serie per ogni punto del parallelo- grammo fond. Ammetto inoltre le restrizioni del n° 1 Allora costruisco la facile identità: eten) — + (— Dm A 2040 4) + ROL (1) essendo: Un®t! Ma qui è subito visto che dalla convergenza della serie In m n +1 m Li (A) Rel) = A atti i (5) E |, [PH (*) È chiaro che qui si è posto ZU(#)=Z(). 812 TITO CAZZANIGA per m fisso o variabile con n, segue la convergenza uniforme dell’altra: x ROL, n perchè quest’ultima si spezza in due serie, le quali separata- mente convergono per ogni valore di v, diverso da 0, ed u,. Possiamo quindi stabilire i soliti tre casì: a) La serie Z|u,| converge. Posto allora m= 0 nella (3) n risulta tosto che anche la serie: z}Zu—u, — Z(u)} è equiconvergente. E seguendo il classico metodo di Weierstrass la F(v) resta in tal caso definita dalla formula: a (6’) F(u) — (CeSG)du TT O(U— Un) n O() dove C è una costante e G(u) una funzione dopp. periodica nel medesimo campo della F(u). È da notarsi poi che la F(v) così ottenuta è periodica di 1° specie. Volendo ottenere una funzione dopp. per. nel senso ordinario, si dovrà considerare la serie convergente: > }zlu—- un) — Z(u) + u,l'(u)} per la quale si giunge alla formula cercata: ee (G(u)du o (u — Un) Unt(u (6) F(u)= Ce! TT mena (ua), n 5) La serie X|u, |"! converge e la X|un\" diverge per m n n intero e costante. Posto: P_(u|u) = 3 Zu) — E ZU) +... + (1) un" g(m11 (29), m! la serie: di Z(u —Un) wr Z(u) + Pa(U|un)! FASMDRPAEAE *II pitati FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 813 è pure equiconvergente. Segue per F(v) la espressione: —Z(-1Y z((1) (7) Hu Cal TT ia VE c) Se infine non si può determinare nessun intero m fisso per cui la serie X|u,|"*! converga, allora basterà assumere m funzione di » per modo che essendo m' desunto dall’equazione : |ur |=nbe, (per e positivo, piccolo ad arbitrio) sia: m= E(m') 41. In tal caso basta sostituire nella (7) questa espressione di m per avere la formula generale. È da notarsi che nella (7) gli esponenti delle e che si pre- sentano sotto il segno di prodotto, sono lineari in Z(«), Z*(w), Z"(u) e quindi si possono esprimere in modo razionale ed intero per Z(u), p(u), p'(u). i Se inoltre poniamo: Ou — Un) dal EER Un) r(U|Un) 17 dalia la formula generale (7) diventa: x(-1}"2 u” n 0) (7) Pu) = CelH(Wdu LI r(u|un)e? ri E poichè la r(u|u,) è una ben nota funzione dopp. per. (V. HarpHEN, Fonct. ell., vol. I, p. 237) resta così posta in evi- denza la doppia periodicità di F(«). Non si può passare dalla (1) alla (7). Per questo verso poi, la definizione generalizzata di genere si presenta evidente; meglio ancora possiam dire che essa ri- mane invariata: Se m è il più piccolo numero intero e fisso, tale che la serie X |un|""! sia convergente, si dirà che la funzione F(u) è di genere m. 814 TITO CAZZANIGA Se non esiste nessun numero m fisso la funzione è di ge- nere infinito. E qui, seguendo un consiglio non mio (*), mi permetto far notare che, a scanso di equivoci, sarebbe utile mutare il nome di genere in quello di altezza, dappoi che il primo ha un signi- ficato ben preciso e fondamentale nella teoria delle funzioni algebriche, e in altri rami delle scienze matematiche. Per lo innanzi mi atterrò a tale nomenclatura. Da ultimo, a proposito della (7'), è appena da ritevarsi che facendo coincidere un numero finito di v,, e sostituendo « — %,, a, — U,, Sì tolgono le restrizioni che gli zeri sieno semplici, e che il punto singolare cada nell’origine. 3. — Ora torna assai facile definire e costruire le più co- muni trascendenti intere, generalizzate per il campo ellittico. a) Seguendo l’esempio del Prof. Pascal definiamo la X(v) come una funzione dopp. per. di 2° specie olomorfa nel parall. fond., avente ivi nessun polo, un punto singolare essenziale in u= 0, e zeri semplici nei punti: c mn T 2(nw+ nw) ? dove c è una costante scelta per modo, che tutti i punti w%nn cadono internamente al parall. dei periodi. Poichè la serie doppia: X'|wnn|° converge, e Z'|w%nn|° di- verge, la funzione ora definita è di altezza due. Ponendo in essa, per definizione: s(u) = Te ; {G()du= lgs(u) risulta O(U= rom) E (+ p (1) (8) Fu) = Os) IT Te I ar PIU) E questa pure si riduce a Co ( - per w = wf=58 Analogamente si possono costruire le altre X;(w). (*) Lessi tale consiglio nel Protocollo del Seminario matematico di Géottingen, 1896. | Ù FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 815 6) Definiamo ora con semnu la funzione olomorfa (nel senso nostro), dispari, che si annulla in tutti i punti w, = e . dove c è scelto così che essi si trovino interni al parall. fond. Ora poichè la serie semplice > i. converge per r=2 e di- m' verge per r = 1 si ottiene per senu una funzione di altezza 1. Posto allora come dianzi: G(«) = se , applicando la (7) risulta: — tin) AZ (9) senyu = Ost) TT), ppi n=2m;m=—%...+- 0. Analogamente la funzione cos;w definita come funzione pari - È ° pica e x che si annulla nei punti Uni Fi)m (dove la c è opportuno prenderla uguale alla precedente) è espressa dalla formula: olu—un) 7° L) O(U) (10) i cossu=C, TT n=2m-+ 1; m=—0%...+ 00 in cui si è supposto G(u)=0. Nelle due formule aggruppando opportunamente i termini si possono far scomparire gli esponenziali. Si arriva così alle espressioni (9’) sen, u = Cs(u) TT GEARS) = n 0° (1) Pa o(utun)o(u—u"n) re (10') cosu= C, TI 0? (u) ba (Qm+1)m ‘ =, at Infine tenuto conto della relazione fondamentale: Se cei = p(0) — p(u) le formule precedenti possono anche assumere la forma: (9") senu = Cs(u)TT}p(u,) — pu) 0(v,) (10") COS,u = Ci Tip(u,) — po). 816 TITO CAZZANIGA Sarebbe interessante lo studiare il comportamento di queste funzioni, mediante le quali si possono costruire tutte le altre corrispondenti alla tang. cotag. ecc. dell’ordinaria trigonometria. Stabiliamo un'ultima formula che ci sarà utile nell'esempio che segue. Si consideri una T', definita dall’equazione: p°(u) = 4p°(u) — g':p(u) — g'3; dove: gs= (209, gs = (20% essendo 9», 93 i moduli algebrici della T studiata finora. Poniamo per semplicità: “ o(u|g':93) = o(u) sen; (u|g'29'3) = sen; v (u,g'», gs) = s(1). Dalle note proprietà delle o risulta allora: c(#) = LA emy. (2) 9 .) = (1), e costruendo la sen [5% ) secondo la (g') si ha pure: onde introducendo la o(u) in forza della relazione scritta or ora: sn () _ op e0+50) È ( 3) mi 0°(u) formula a cui si voleva giungere. c) Generalizziamo la f(x). Supponiamo cioè di voler co- struire una funzione doppiamente periodica che diventi infinita di 1° ordine soltanto nei punti (11) ce c c ce E 3 n dove c è scelta come più indietro per modo che tutti questi fi n »e i d ] ì 4 j f De FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 817 punti cadano internamente al parallelogrammo fondamentale. Sia F(c + «) tale funzione ed f(u) la sua inversa. Questa è una Ù : È - IA . 1 funzione di altezza 1 poichè la serie X 7 converge per E e diverge per »r==1. La sua espressione sarà dunque della forma: o(u + L) -_ - 0(u) f(u) ='Cesbtu)d TT - onde posto: È {G(u)du = As(u) si potrà stabilire: ole+-9) 10 (12) Me-Lw == i Lul Lu d.. 2001. e Per il numero A si potrà scegliere la costante d’Eulero od altra opportunamente determinata. Ora nella (12) scambiamo « in — « e facciamo il prodotto. Risulta: 1 o) (u 35 2) o(u— 1) r(ec+u)fi(e— u) ani da per cui supponendo di aver scelta la stessa costante ce come per sen; v, in virtù della (11), questa si trasforma così: 1 568 (7) (14) perl, Fiet+u)fiet-u) È s( da) 277 Relazione affatto analoga all’ordinaria. Ma qui è da notarsi l’interessante risultato che mentre la T, nella formula prece- dente è definita sopra la T, di equazione: p(u =4p°(u) — geplu) — gs le due funzioni sen, | De | e s (35) sono definite sopra una T', di equazione: p°(u) = 4p'(u) — (2r)'gep(u) — (27)? ga. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 56 818 TITO CAZZANIGA IT 1. — Premettiamo alcune osservazioni. Seguendo i principii che ci hanno servito alla ricerca della formula (7) e usando op- portunamente della trascendente Z(u), si potrebbe ora trattare l'estensione al campo nostro, del teorema di Mittag-Leffler. Anzi un caso particolare del teorema è implicitamente stabilito nella dimostrazione del teorema di Weierstrass. M. Appel, nella memoria citata, ha già risolto elegante- mente il teorema dando l’espressione più generale decomposta nelle sue parti principali, di una funzione dopp. periodica, che nell'interno del parall. fond., possiede infiniti poli di qualunque ordine, ed un punto singolare essenziale. In essa è facilmente introducibile la trascendente Z(u) al posto della ZI Fe) d’Hermite. Ciò, dispensandomi da ulteriori considerazioni, mi consente di passare all'esposizione succinta di qualche teorema di cui i cor- rispondenti per le trascendenti intere sono dovuti a M. Guichard (“ Ann. École Nor. 1882 ,). 2. — Sia a,, 02,0; ...4,,... una serie di punti tutti interni al parall. fond. e tali che lima, = 0. È sempre possibile costruire una funzione olomorfa nel campo ellittico per modo che in questi punti assuma valori arbitrari bi, bs... D, ... Si costruisca infatti una funzione f(v) aventi per punti zero semplici i punti a,; ed un’altra funzione meromorfa @(w) la quale ammetta gli stessi punti come poli semplici di re- sq... da sidui FU) * Allora la funzione: Gr(u) = 9(u)f(v) e più generalmente l’altra: G(u) = Gu () + Mu)f(v), (X(u) olomorfa pure nel campo ellittico) soddisfanno alle condi- zioni del problema. re FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 819 E facile anche vedere, che si può sempre disporre della Mu), per modo che anche la derivata 1* di G(v) assuma in a,, 03,...@n... Walori.arbitrari: ci, 65... 3. — Sieno date due funzioni F(v), F;(u) olomorfe nel campo ellittico, prime fra loro, ed aventi lo stesso punto singo- lare essenziale «=. Sì possono sempre determinare due fun- zioni X(u), u(u) pure olomorfe e dopp. periodiche per modo che: (15) F(u) + Mu) Fi(u) = el. Sieno infatti @,, 03... @, ... gli zeri, supposti semplici per co- modità, della F,(u) e d,, 82... dn i valori che in essa prende la F(w). Si costruisca allora una funzione u(v), tale che in a,, 42... dn... prenda rispettivamente i valori lgb,, lgd:, ...lg0,... Allora la differenza et) — F(u) è una funzione olomorfa nel campo ellittico che ammette per punti zero i punti a, 43 ...@,... e quindi contiene il prodotto: San) Pu) n 0 (u 33" a) identico a quello che entra a costituire la F\(w). Dunque tale differenza divisa per F,(v) dà origine ad un’altra funzione olomorfa \M(v), e la formula (15) è dimostrata. Ponendo: Gi(u) = er), G(u)= MM), la (15) può scriversi: (15) F(u)G,(u) + Fi()G(7)= 1. Relazione analoga a quella di Eulero per le funzioni ra- zionali intere. 820 TITO CAZZANIGA Il. 1. — Usciamo ora dalla stretta cerchia delle funzioni olo- morfe nel campo ellittico. L’ordinaria teoria ci insegna che ogni funzione razionale di p e p' si può mettere sotto la forma: f(u) CR o(u—u)o(u— uz)... 0(u— un) o(u— vi) (1 — v9)... G(u — vn) dove la somma delle v, è uguale a quella delle n. La decomposizione in fattori primari delle funzioni dopp. period. dà una generalizzazione di questa formula. Infatti è evidente il teorema: Ogni funzione meromorfa f(u) nel 1° parall. ed avente un sol punto a di singolarità essenziale, è il rapporto di due funzioni olomorfe, di cui luna ha per zeri gli zeri della data, e l’altra ha per zeri gli infiniti, con gli stessi gradi di multeplicità. Se per semplicità si pone a = 0 e si considerano come sem- plici gli zeri u, ed i poli v, di f(«), allora questa è espressa da: O(U_un) ePm(|tn) IS G(u) O (u) (14) f(u) Ce n O(U — bn) Om (ton) 5 6 () Sotto speciali condizioni il secondo membro si potrà anche porre sotto forma di un solo prodotto infinito. 2. — Ma è facile ottenere uno sviluppo in fattori primari per funzioni più generali. Il Picard (“ Com. Rend. ,, 1881) ha studiato lo spezza- mento in fattori di una funzione uniforme, la quale ammette infiniti punti zeri, opportunamente distribuiti nell'interno di un cerchio, e sulla circonferenza di questo, infiniti punti singolari distribuiti comunque. Estendiamo tale studio ad una funzione dopp. periodica per la quale il cerchio di singolarità è interno al primo parall. dei periodi. Si supponga in particolare questo cerchio di raggio r con- centrico all’ origine; sia f(u) la funzione da costruirsi, ed A, = pre'% i suoi punti zero (semplici), distribuiti così che: Ph —r|<|Pn1T 7}; lim|{rT—p,|]=0. FUNZIONI OLOMORFE NEL CAMPO ELLITTICO 821 Si stabilisca quindi la serie di punti 8, = re'% sul cerchio dato, onde si ha chiaramente: lima, — 8,)=0. Posto ora: Z(u vi An) Cai Z i (u “a b,) a (bd, là dn)% risulta sviluppando: (15) C(u—a,)—Z(u—-b,)= seria Mu Bb + me n ty bi) | Rs (0 dove: Ref (=). Onde dalla convergenza assoluta della serie: 2 | db, sala nz n od anche della 2 (a, 9) segue con facile osservazione l’equiconvergenza dell’altra: 2 RM (u), «ed anche della serie: ira) — Z(u—0,) — Pal |a,, d)}, se si pone: Pa (uo, a COLLE PRI fee Hu-b)+... ut a h LE (U— By). Si distinguono dunque i tre casì: 822 TITO CAZZANIGA — FUNZIONI OLOMORFE, ECC. a) La serie XZ (an —r) converge. La funzione da costruirsi è della forma (5) f() = Ta dove G(v) è della stessa natura di f(«) e C una costante op- portuna. Ma pure in questo caso si ottiene una funzione period. di 1* specie. Per avere una funzione ordinaria dopp. periodica basta moltiplicare ogni termine del TT per un fattore espo- nenziale. Si ha cioè: —b Ba In cain ha f() = Getto TT Sla] IN b) La serie x(a,—r)"*! converge per m fisso e diverge per ogni intero inferiore. La funzione f(u) assume la forma: _ 5 (no Lo] rene e (16) F(u) = Ceto TT Seen DT O(u— dr) dove C e G(v) hanno il precedente significato. c) Non esiste un numero fisso intero m che renda conver- gente la serie Z (a, —r)"*!. La f(u) assume ancora la forma (16) dove al posto della m si ponga: m= E(m')+ 1, soddisfacendo m' la relazione: | An = | —_ nie: per e positivo e piccolo ad arbitrio ma finito e diverso da zero. Per "= 0 le formule precedenti si riducono a quelle già otte- nute nel caso di un punto singolare essenziale coincidente con l’origine. Anche qui la definizione di altezza della funzione si pre- senta in modo affatto naturale. È da notarsi poi, come già fece M. Picard per le funzioni del piano di Gauss, che la scelta delle 6, presenta un alto grado di arbitrarietà, e quella da noi fatta non è che un caso spe- ch tax MICHELE DEL LUPO — SOPRA UNA NUOVA SPECIE, ECC. 823 ciale. Per questo verso adunque si può giungere ad uno spez- zamento affatto diverso. Il teorema ora dimostrato, considerato nella sua generalità, insegna il modo di costruire una funzione che nel piano com- plesso presenti infiniti cerchi congrui, con infiniti punti singo- lari. Riserbo ad altra occasione lo studio dell’analogo teorema esteso alle funzioni f(xy) definite sopra una riemanniana di genere arbitrario. Gottingen, 16 marzo, 1898. Sopra una nuova specie di Ichthyonema; Nota del Dott. MICHELE DEL LUPO. Esaminando nel passato mese uno storione( Acipenser sturio L.), al quale erano stati asportati tutti gli organi contenuti nella cavità splancica, e che aveva già cominciato a subire la cottura in olio bollente, trovai che si svolgeva dal suo interno un ne- matode bianchiccio, lungo e grosso. Asportando il verme dal- l'ospite, osservai che aderiva col capo ad una cartilagine degli archi branchiali tanto tenacemente in un solco profondo di vec- chia data, che fu necessario di rompere l’arco branchiale per distaccare il nematode, il quale si estendeva tra il peritoneo e la colonna vertebrale dell’ospite, ripiegandosi ad ansa nell’ad- dome, e terminando con la coda immersa profondamente nel lobo superiore caudale dello storione. Questo misurava appena ventisei centimetri di lunghezza, dal musello alla estremità della pinna caudale, ed il nematode, che riconobbi subito come fem- mina, era lungo quarantatre centimetri, ed aveva un diametro pressochè eguale, dal capo alla coda, di circa tre millimetri. Dall'esame minuto e serupoloso del parassita, trovai che la testa del nematode è conica e a forma di ghiande per rigon- fiamento del secondo anello cefalico (vedi figura 1), con tre lobi, uno sporgente e mucronato, gli altri due ravvicinati, separati dal maggiore per mezzo di una fenditura profonda, che si con- 824 MICHELE DEL LUPO tinua in una ripiegatura dei primi solchi tegumentarii. I lobi sono addossati all’orifizio boccale, che si apre profondamente tra essi, e che è circolare, ed è nascosto dai lobi meno svi- luppati. Tutti i solchi cutanei ad anelli, meno gli ultimi della coda, sono elegantemente striati secondo la lunghezza dell’animale, hanno pressapoco lo stesso diametro e la stessa larghezza, e verso i 38 centimetri dal capo si assottigliano in una coda di un millimetro di diametro, ad anelli appena striati e stretti, e che termina tronca, ondulata, con tre papille di cui una ter- minale è più estesa delle altre due (vedi figura 2). A tre centimetri dalla estremità cefalica, e collocato late- ralmente agli anelli (vedi figura 3), si trova un rigonfiamento conico, a larga base, con un foro circolare crateriforme, e che rappresenta l'apertura esterna dell’ovidutto, che si continua nella cavità addominale in un utero, il quale al pari degli in- testini appare bianco, e indistinto rispetto agli anelli. È notevole la resistenza e la tenacità del tegumento, che anche prima di essere immerso nell’alcool, era sufficientemente coriaceo. Durante l'esame microscopico vennero emesse dall’apertura genitale una mezza dozzina di uova, sferiche, del diametro di mm. 0,03, bianchicce, spongiose alla superficie, e con vitello granuloso (vedi figura 4). Conservai queste uova incluse con acqua tra il portaoggetti ed il coprioggetti, e nel giorno se- guente trovai due di esse schiuse in larve cilindriche, a capo arrotondato, a coda tozza e appena più sottile del capo, lunghe mm. 0,12 e larghe mm. 0,02, e con un canale digerente mediano, bruno, e che occupava i due terzi della lunghezza della larva (vedi figura 5). Aiutato validamente nelle ricerche per la determinazione di questo parassita dai chiarissimi professori Corrado Parona dell’Università di Genova, e Lorenzo Camerano di questa Uni- versità, al quali rendo i più vivi e sentiti ringraziamenti pel soccorso prestatomi, ho potuto stabilire che si tratta di una specie nuova di Zehthyonema (genere vicino alla Faria), alla quale assegnerei il nome di Iehthyonema acipenseris, distinta dalle altre specie finora conosciute e parassite di pesci, dai se- guenti caratteri specifici: SOPRA UNA NUOVA SPECIE DI « ICHTHYONEMA » 825 Ichthyonema acipenseris. Del Lupo. “ Foemina. Entozoon “ abdominale, albidum, corpus cylindratum, aequale, pollices « quindecim longum (cm. 43), circiter lineam unam cum dimidio “ latum (mm. 3). Caput ovatum-glandulosum, trifidum, trilobum, “ superiore lobo extensiore. Os orbiculare, parvum, lobis obstru- “sum. Cauda obtusa, papillis extensione variis praedita, capite “ tenuior. Cutis tenax, anulata, in longitudinem striata. Intestina “et genitalia alba videntur: oviductus in vulvam tumescentem “ non longe a capite desinit. Ab ovo, extrinsecus spongioso, so- “ licite nascitur larva, caput rotundum, corpus cylindratum et “ caudam obtusam praebens, et intestinum fuscum , (in abdomine piscis: Acipenser sturio). Dalla comparazione dei caratteri di questa specie con quelli delle altre specie del genere Ichthyonema, anteriormente de- scritte, e finora conosciute parassite nei pesci, sono indotto a considerare la forma in discorso come nuova. Infatti di nematodi parassiti di pesci e descritti col nome di Filaria prima, e dopo il Diesing col nome di Ichthyonema, sono note e ricordate dal Rudolphi (Synopsis Entozoorum, Paris 1810), dal Dujardin (Histoire Naturelle des Helminthes, Paris 1845), dal Diesing (Systema Helminthum, Windobonnae 1851) e da altri illustri elmintologi l’ /chthyonema sanyuineum, VI. fuscum, l’I. ovatum e VI. globiceps, ed io credo di ricordare brevemente quanto si conosce intorno alle specie predette e finora note, per giustificare la creazione di una nuova specie. Ichthyonema sanguineum. Dies. (Filaria sanguinea Rud.), parassita della pinna caudale del Carassius Gidelio e dell’ ad- dome del Leuciscus rutilus, fa prima descritta dal Rudolphi: ibid., poi ricordata dal Dujardin: ibid., illustrata dal Linstow (Ueber Ichthyonema sanguineum, “ Archiv fiir Naturg. ,, 1874) e così caratterizzata dal Diesing (ibid., vol. II, pag. 284): “ Corpus “ foeminae crassiusculum, utrinque obtusum, sanguineo rubrum. “ Vivipara. Longt. ad 11/,"", (mm. 40)). Ichthyonema fuscum. Dies. (Filaria fusca Rud.), parassita e libera nell’addome del Pleuronectes mancus, e descritta dal Rudolphi, ibid., dal Dujardin, ibid. e dal Diesing (ibid., a pag. 285 826 MICHELE DEL LUPO — SOPRA UNA NUOVA SPECIE, ECC. del vol. II): “ Corpus foeminae crassiusculum, utrinque obtusum, “ fuscum. Vivipara. Longt. 2 a 4”, (mm. 54 a 108). Ichthyonema ovatum. Lins. (Filaria ovata Rud.), parassita nell’addome e nel fegato del Cyprinus gobio, del C. phorinus e di altri ciprini, descritta dal Rudolphi, ibid., studiata più recen- temente da Linstow (“ Natur. w. Iacheshefte ,, pag. 333-34, Wiirttemberg 1879) e così caratterizzata dal Dujardin (ibid., pag. 961): “ Corps blanc; long de 81 à 108", aminci en avant, “ téte ovoîde (suivant Goeze), queue arrondie? (échanerée suivant “ Rudolphi); téguments promptement rompus par l’action de “l'eau ,; e finalmente: Ichthyonema globiceps. Van Ben: (Filaria globiceps Rud.), parassita dell’Uranoscopus scaber e così descritta dal Rudolphi (ibid., pag. 215): “ Entozoa albida vel fusca, pollicem ad unum “cum dimidium pollicem longa (mm. 41), tenuia. Caput rotun- “ datum. Os orbiculare, parvum, interdum valvulis quasi instru- “ ctum, alias papillatum visum, aut caput obtusocostatum exhi- “ bitum. Corpus aequale. Cauda depressa, obtusissima, vix ca- “ pite tenuior. Cutis tenera, qua facillime disrupta interanea “ prolabuntur. Intestinum fuscum seu nigrescens, vasis minus “ fascis reticulatum, collapsum granulatum videtur. Oviductus “ vacuos tantum vidi albos. Genitalia externa in conspectum “non venerunt ,. Questa specie descritta dal Diesing (ibid., pag. 285) fu nel 1870 studiata e descritta dal D" Willemoes- Suhm (XXI band, pagg. 190-202 e tav. XII del “ Zeitschrift fiir wissenchaftliche Zoologie ,, Siebold-Kéllicher. Leipzig 1871) e ricordata come vivipara con embrioni i quali hanno una coda filiforme. Ho eseguito altre ricerche sullo storione che ospitava l’Ichthyonema innanzi descritto, e sono riuscite negative. L’esem- plare tipico della specie sopra descritta si conserva nel Museo Zoologico della R. Università di Torino. Torino, 22 Maggio 1898. | LUPO- Ichthyonema acipenseris. Pegione cefalica=ingr:25 d_ 2. regione caudale =ingr:25 d.-3. apertura genitale =/ngr: 25 d._ 4. uova: Moog 5. larva= ingr: 240 diametri RICCARDO ARNÒ — WATTOMETRO ELETTROSTATICO, ECC. 827 Wattometro elettrostatico per correnti alternative ad alta tensione; Nota di RICCARDO ARNO”. Steinmetz, sperimentando sopra un condensatore a carta paraffinata, inserito nel circuito di una forza elettromotrice alter- nativa, e misurando l’energia w trasformata in calore nel coi- bente di quel condensatore in funzione della differenza di po- tenziale alternativa efficace v fra le armature del medesimo, trovò w proporzionale al quadrato di v (1), ossia w= hv?, ove h è una costante. D'altra parte, il fenomeno, da me posto in evidenza, della rotazione di un cilindro dielettrico in un campo elettrico ro- tante (2), mi ha servito di base per alcune ricerche, le quali mi condussero a stabilire che la relazione tra l’energia dissi- pata W in un cilindro di carta paraffinata e l’induzione elet- trostatica B in un punto del campo stesso, è, detta H una costante, della forma W.=HBs ove i valori dell’esponente x variano fra numeri prossimi ad 1,5 e 2, col variare dei limiti di B, fra cui si sperimenta: la pro- porzionalità di W al quadrato di B potendo essere ammessa con approssimazione tanto maggiore quanto più sono grandi i valori entro cui varia l’induzione elettrostatica (3). (1) © Elektrotechnische Zeitschrift ,, 29 aprile 1892: Dielektrische Hyste- resis, der Energieverlust in dielektrischen Medien unter dem Einfluss eines wechselnden elektrostatischen Feldes. (2) “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,; fascicolo del 16 ot- tobre 1892; Campo elettrico rotante e rotazioni dovute all’isteresi elettrostatica. (3) © Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, fascicoli del 30 aprile e 12 novembre 1898, 18 marzo, 17 giugno e 18 novembre 1894. 828 RICCARDO ARNÒ Secondo Steinmetz esisterebbero nei corpi dielettrici due cause differenti di dissipazione di energia, e queste sarebbero un'isteresi dielettrica statica (static dielectric hysteresis) ed una isteresi dielettrica viscosa (viscous dielectric hysteresis) (1), cor- rispondenti, nei corpi magnetici, la prima all’isteresi magnetica e la seconda alle correnti di Foucault (2). Così essendo, e variando l’isteresi dielettrica viscosa col quadrato dell’induzione elettrostatica, precisamente come la dissipazione di energia per correnti di Foucault nei corpi ma- gnetici, mentre l’isteresi dielettrica statica segue la legge del- l’isteresi magnetica, gli effetti di questa, per grandi valori dell’ induzione elettrostatica, dovranno essere completamente dissimulati dagli effetti dell’isteresi viscosa, della quale soltanto sì potrà allora prendere a considerare l’esistenza. Ciò ammesso, è facile vedere come un apparecchio analogo a quello in cui si utilizza il principio della rotazione di un ci- lindro dielettrico in un campo elettrico rotante per lo studio della legge della dissipazione di energia nei dielettrici sotto l’azione di campi elettrici di grande intensità (3), possa servire come wattometro elettrostatico per correnti alternative ad alta tensione. Detta, infatti, W l'energia che, in causa della rotazione del campo, si dissipa nel cilindro dielettrico, si scrive W= %ò, ove k& è una costante e è la deviazione dell’equipaggio mobile. (1) Ulteriori mie ricerche (“ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, fascicolo del 12 aprile 1896) unitamente alle esperienze di NorrARUP (© Philosophical Magazine ,, gennaio 1895), di Janer (“ Comptes Rendus ,, 20 febbraio 1893), di Porrer e Morris (“ Proceedings of the Royal Society ,, vol. 57), e di Fisrer (‘ Zeitschrift fiir Elektrotechnik ,, 15 giugno 1895), concorrono a dimostrare che alla isteresi dielettrica viscosa è dovuta, al- meno in parte, la dissipazione di energia nei dielettrici sottoposti all’azione di campi elettrici rotanti od alternativi. (2) “ The Electrical World; 26 agosto 1893, p. 144: E/ectromagnetie and Electrostatic Hysteresis. — Theory and Calculation of alternating Current Phenomena (Stermmerz), 1897, p. 144. (3) “ Rendiconti della R. Accad. dei Lincei ,, fasc. del 18 marzo 1894: Esperienze con un sistema di condensatori a coibente mobile. WATTOMETRO ELETTROSTATICO PER CORRENTI ALTERNATIVE, ECC. 829 Ma, d’ altra parte, ammessa l’ ipotesi di Steinmetz e supposto di sperimentare con campi elettrici di notevole intensità — come si ottengono facendo grande la differenza di potenziale alter- nativa efficace V fra le lastre metalliche a e 8, c e d, entro cui si vuole generare il campo rotante, e collocando, nell’ in- SI, A B A e terno del cilindro dielettrico H, un cilindro metallico 0, come è indicato in figura — si può scrivere, essendo la differenza di potenziale V proporzionale all’induzione elettrostatica B: W= p'V?, ove k' è una costante. Onde si ricava Le considerazioni ora fatte si riferiscono al caso in cui il campo elettrico rotante col quale si sperimenta abbia un’inten- sità costante ed una direzione rotante con velocità uniforme: e ciò perchè si sono implicitamente supposti uguali i valori 830 RICCARDO ARNÒ efficaci delle differenze di potenziali alternative sinusoidali fra le lastre a e db, c e d, ed uguale a 90° il valore angolare della loro differenza di fase. Nel caso generale, che in modo speciale ora ci interessa di considerare, ove i valori efficaci di quelle . differenze di potenziali sono diversi e rispettivamente uguali a V;, e V., ed in cui il valore angolare dello spostamento di fase fra V, e V, ha un valore qualunque @, si dovrà invece scrivere (1): ViV,s senp = Kò. Ciò posto, si prenda a considerare un circuito percorso da una corrente alternativa sinusoidale di intensità efficace I, del quale AB sia il tratto rispetto a cui si vuole misurare l’energia W fornita dalla corrente nell’unità di tempo: sia V, la differenza di potenziale efficace esistente fra le estremità di AB, ed w il valore angolare della differenza di fase fra V, ed I. Si ha Wii Vv docos su, Si inserisca ora in serie con AB la spirale primaria $; di un trasformatore T avente un grande rapporto di trasforma- zione, per modo che fra le estremità © e D della spirale se- condaria Ss del trasformatore stesso si abbia a produrre una differenza di potenziale V, di grande valore efficace, dell'ordine di grandezza, cioè, di quello della differenza di potenziale V, fra le estremità di AB. E si ponga quindi una delie due coppie, per esempio la ab, di lastre metalliche incrociate dell'apparecchio a campo elettrico rotante, in comunicazione coi due punti A e B, e l’altra coppia cd in comunicazione con le due estremità C e D della spirale secondaria Ss del trasformatore T. (1) La relazione è analoga a quella che si scrive per un apparecchio di induzione a campo Ferraris. Dette, infatti, I, e Ia le intensità efficaci delle due correnti alternative sinusoidali, che rispettivamente percorrono le due spirali induttrici dell'apparecchio, e w il valore angolare della dif- ferenza di fase fra le dette correnti, si ha IL,Iseny= Ca, ove C è una costante ed a la deviazione che subisce la spirale indotta sotto l’azione del campo Ferraris generato dalle correnti date. WATTOMETRO ELETTROSTATICO PER CORRENTI ALTERNATIVE, ECC. 831 Detto allora ® il valore angolare della differenza di fase fra le due differenze di potenziali V, e Vs rispettivamente esistenti fra le estremità di AB e di CD, si scrive, per quanto più sopra è stato detto, Kòdò= VV, sen 9. Ma essendo il trasformatore T a circuito secondario aperto, si ha, fatta astrazione dei fenomeni di isteresi e correnti di Foucault nel nucleo del trasformatore, che V, è proporzionale ad I e che fra V, ed I esiste uno spostamento di fase di va- lore angolare uguale a 90°. Si potrà quindi scrivere VV, seng= K'V,I sen (90° — w) = K'V,I cos w, ove K' è una costante. Onde, detta A un’altra costante, si ha ancora o=E Vicosw=AW. Sperimentando nelle condizioni dette, la lettura è fatta sul- l'apparecchio a campo elettrico rotante risulta dunque propor- zionale all'energia W che, per effetto della corrente nel circuito di AB, si dissipa in AB nell'unità di tempo. L'apparecchio può quindi servire come wattometro elettrostatico per correnti al- ternative ad alta tensione. 832 VITTORIO BALBI EFFEMERIDI del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1899 calcolate dal Dott. VITTORIO BALBI Assistente all'Osservatorio della R. Università. PRINCIPALI ARTICOLI DEL CALENDARIO PER L'ANNO coMUNE 1899. Relazioni cronologiche. L’anno 1899 del calendario gregoriano stabilito nell'ottobre 1582, comincia Domenica 1° Gennaio e corrisponde all'anno: 6612 del periodo Giuliano; 2675 2652 2646 1899 107 1516 delle olimpiadi (III anno della 669? olimpiade), il quale comincia nel Luglio 1899, fissando l’éra delle olimpiadi 775 !/, anni avanti Cristo, © verso il 1° Luglio dell’anno 3988 del periodo giuliano; della fondazione di Roma, secondo Varrone, fissata. alla primavera dell’anno 3961 del periodo giu- liano, che è l’anno 758 avanti Cristo; dell’éra di Nabonassar, fissata al Mercoledì 26 Feb- braio dell’anno 3967 del periodo giuliano, che è l’anno 747 avanti Cristo secondo i cronologisti, e 746 secondo gli astronomi; del calendario giuliano o russo, comincia 12 giorni più tardi dell’anno gregoriano, cioè al Venerdì 13 Gennaio; del calendario repubblicano francese, comincia il Venerdì 23 settembre 1898 e l’anno 108 co- mincia il Sabato 23 settembre 1899; dell’Egira (éra maomettana), comincia Domenica 22 Maggio 1898, e l’anno 1317 comincia Venerdì 12 maggio 1899, secondo l’uso di Costantinopoli; del 76° Ciclo del Calendario chinese, comincia Sabato 22 Gennaio 1898, e l’anno 36 comincia il Venerdì 10 Febbraio 1899. Nota. — Queste effemeridi furono calcolate mediante le “ Istruzioni e Tavole numeriche per la compilazione del Calendario , del Dr. Rarna. Milano, Hoepli, 1887. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Computo Ecclesiastico. iuiniorn= d'Oro. dk: ?. sofà DI» 519 Mpatiagi Set nie. 18 Welt Solare SW... .oigenl o . .._ # ifidizione.Romanai . ... iu. Se. . 12 Mouiora, Domenicale. ..derg Ah DI... A Bokberayidel Martizologio . .. . ne. . Lt Feste Mobili. Settuagesima . . . . . 29 Gennaio Le Ceneri . . . . 15 Febbraio Pasqua di Mona . 2 Aprile Rosazionis. UCise. | 1. 12011000018,:9 6010) Maggio iscensione: . .. “oicsiuivi liobl Maggio Pentecoste . . . . . . 21 Maggio besito. -. . .... 28 Maggio Corpus Domini. . . 1° Giugno 12 Domenica dell’ dato, 3 Dicembre Quattro Tempora. Di primavera . . . 22, 24 e 25 Febbraio D'estate . . . . . 24, 26 e 27 Maggio Waunno".°. . - 20,22 e 25 Settembre Dimverno® . (..0-20, 22 e 23 Dicembre Principio delle Quattro Stagioni. Primavera. . . 20 Marzo ore 20, min. 46 Web... . . 21 Giugno Bardi! 4 parigi Ca 45) Autunno . . . 283 Settembre , FARMER) enon. 0,22 Dicembre -., -L. .° 56. Novilunii e Plenilunii secondo l’uso ecclesiastico. een... 13 Gennaio ds Noe è «Is Marzo Moi 8126 D Ipxepi 9 (028196 n L. N.. . 11 Febbraio ENINI, 3 VOOBEDI? Arie Un Pb ao A . L.!Pi 9 024 Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. » ut —J 833 834 VITTORIO BALBI AN 11 Maggio L. N. . 6 Settembre diia;. 24 x Lo dro 19 5 Li. INA. 9 Giugno -L. NY‘ 0. 5*Ottobre 100 PI 22 fé Ji Pi 18 ; L-M., 9 Luglio L. N. 4 Novembre I, RI, 22 È TRIP: 17 L Li, 7 Agosto L. N. 3 Dicembre BeiBav 20 ; BP. 16 i Secondo l’uso ecclesiastico, i giorni dei novilunii in un dato anno, sono quelli che nel calendario perpetuo sono segnati dal- l’epatta di quell’anno, il novilunio è il primo giorno della lu- nazione, e le altre fasi, cioè primo quarto, luna piena e ultimo ‘ quarto, corrispondono rispettivamente al settimo, al decimoquarto e al ventiduesimo giorno della lunazione. ECLISSI 1899 (Tempo medio civile dell'Europa centrale). Nell’ anno 1899 avverranno tre Eclissi di Sole e due di Luna. Nei nostri paesi saranno visibili la seconda Eclisse Solare e la seconda Lunare. I. Eclisse parziale di SoLe, 11-12 Gennaio ; invisibile in Italia. Grandezza dell’Eclisse: 0,716 del diametro solare. Questa Eclisse è visibile specialmente nella metà boreale del Grande Oceano e anche in parte del Giappone, all’estremo Nord-Est dell'Asia e nel Nord-Ovest dell'America del Nord. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 895 II. Eclisse parziale di SoLe, 8 Giugno; visibile nel Nord d'’ Italia. Grandezza dell’Eclisse: 0,609 del diametro solare. Nascere del Sole: 4° 44". Principio: 5° 48" 295; angolo di posizione: 22°. Fase massima: 6° 4" 465; grandezza: 0,037. Fine: 6° 21" 165; angolo di posizione: 55°. La grandezza della fase massima è espressa in parti del diametro solare e l’angolo di posizione è contato dal punto più alto del disco, verso sinistra (immagine diritta). Questa Eclisse è visibile nella metà d’Europa rivolta a Nord-Ovest, nell'Asia boreale, nell'estremo Nord dell'America e nella Groenlandia. In Italia l'Eclisse è visibile come piccolissima Eclisse par- ziale in Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto e parte del- l'Emilia. III. Eclisse totale di Luna, 23 Giugno; invisibile in Italia. Questa Eclisse è visibile nel Grande Oceano, in Australia, in Asia (eccettuate le regioni di confine a occidente e le coste boreali), nell'Oceano indiano e sulle coste orientali dell’Africa. IV. Eclisse anulare di SoLe, 3 Dicembre; invisibile in Italia. Questa Eclisse è visibile all'estremità Sud-Ovest dell’Au- stralia, nella Tasmania, nella Nuova Zelanda meridionale e sulla punta australe dell'America del Sud, ma principalmente nelle regioni polari antartiche. V. Eclisse parziale di Luna, 16-17 Dicembre; visibile in Italia. Primo contatto colla penombra . 23° 34" del giorno 16. * 3 con l’ombra o prin- cipio dell’Eclisse . . . . .. .. 0*45" delgiorno 17. 836 VITTORIO BALBI Istante medio. |. “iS . . .U. 226% del'giortosle Ultimo contatto con l’ombra o fine dell’Eclisse" ospuib 2 tto ih alpis'ina* sedi 7 ; Ultimo contatto con la penombra. 5° 18" 5 $ Grandezza dell’Eclisse: 0,995 del diametro lunare. Questa Eclisse è visibile in Asia (eccettuato il littorale ad oriente), nell'Oceano indiano, in Europa, in Africa, nell'Oceano Atlantico e in America. A Torino il 16 Dicembre la Luna nasce a 16° 24", passa il Meridiano a 0* 21” del giorno 17 e tramonta lo stesso giorno a sh14%, L’immersione nell'ombra avviene a 52° verso sinistra dal punto più alto del disco e l'emersione a 108° verso destra del medesimo punto (imagine diritta). Errata nelle Effemeridi del Sole e della Luna per l’anno 1898. Causa errori esistenti nel Nautical Almanac di Londra (cor- retti poi nel volume del 1899, pag. xm), le indicazioni relative alle tre eclissi lunari vanno rettificate come segue: Eclisse parziale Eclisse parziale Eclisse totale 7-8 Gennaio 3 Luglio 27-28 Dicembre Primo contatto colla penombra 28% 1% 195 48m Pai lot Principio dell’Eclisse . . . . 0 47 20 46 22 48 Principio della fase totale . . — i 23 57 Istambe medio; (0% 1 35 22 17 0 42 Fine della fase totale. . . . _ — VIZIATA Fine! dell'eclisseMetahk aubaen 2 22 23 49 2 36 Ultimo contatto conla penombra 4 9 0 47 3 49 Orizzonte di Torino dal punto più basso dal punto più alto dal punto più basso Immersione nell'ombra 17° a destra 83° a sinistra 31° a sinistra Emersione dall’ombra 0° 62° a destra 44° a destra A pag. 16 delle Effemeridi del 1898 : 31 Dicembre, invece di La luna passa al meridiano alle 331.1 leggi 2 48.8. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 837 Gennaio 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È i bili Ls ll SOLE La LUNA @ O |a = — |A 4|3|/SA s be S SE passa E passa Miro # [nasce al E nasce al tramonta | 8 Ue} ui; DN meridiano È meridiano SI h m hm SI hm h m h m h m ll 1 D |8 10|12 32. 59,52 |16 56 21 39 soll 10 14 19 2 2 L 10 53 27,64 57 22 42 4 12,4 10 34 20 3 Ò M 10 5) 55,43 58 23 46 4 53,7 10 54 21 4 4 M 9 94122,85 59 —_ — 5 36,0 11 16 22 5 5 G 9 54 49,87 [17 0, 0 58 6 20,4 11 38 23 6 6 V 9 35 16,46 1| 200.9) 008.0 195 24 d 7 S 9 35. 42,61 2 3 15 80,1 12 38 25 8 8 D 9 3 8,27 3 4 29 8 57,1 153122 26 9 9 L 9 900M33,42 4 5 41 9 58,7 14 16 LALA 10 | 10 M 8 86 58,04 6 6 45 1IN85,0 15 24 28 LL M 8 37 22,09 7 1039 127,4 | “16 42 29 12 |-12 G 7 Si 145,55 8 8 22 13 9,9 18 6 1 13 | 13 V 7 38 8,38 9 8 57 14-07,3 19 29 2 14 | 14 S 6 88. 30,56 10 924 15 1,4 20 49 3 15 | 15 D 6 33 52,08 12 9 52 15 52,9 22005 4 16 | 16 L 5 99 12,89 13)| 10 16 16 41,3 23 20 5 L70147 M 5 39 32,99 14 10 40 17 29,4 —— 6 18 | 18 M 4 99. 42,95 16|| 11° 6 18 17,4 0 32 7 19 | 19 G 3 40. 10,98 17 11T35 19) 06,1 141 8 20 | 20 V 3 40 28,84 186812: ®8 19 55,8 2 48 9 210 521 S 2 40. 45,92 20)| 12 47 | 20 46,8 3 52 10 292 28 D 1 41 2,22 Di 13 88 21 36,9 4 49 li 23 |23 L (0) 41 17,74 29 'REL4B25 22 26,8 | 5 40 12 24 | 24 M |7 59 41 32,45 24 15822 23. 15,5 6 23 13 25) [525 M 58 41 46,37 25 16 23 —-- ARG 14 26 | 26 G 15311 41 59,49 2 ARL 0022 7 30 15 27 | 27 V 57 42. 11,79 28 18 28 0 47,1 To SS 28 | 28 S 56 42 23,28 29 19.81 1 30,0 8 19 17 29 | 29 D 54 42 33,96 81 20 34 Dik il. BSS41 18 30 | 30 L HB 42. 43,84 82 21 38 2 58,1 | GUAt ) | 9 31631 M 52 42 52,90 34 | 22 43 3 34,8 921 20 Fasi della Luna. e Luna Il giorno nel mese cresce di Of 56m i c h m FTA DOTE e le 1022 12 La Luna è in Perigeo alle 3° 11 Luna nuova s 281 500 25 Id. Apogeo , 19h 18 Primo quarto , 17h 361 | Il Sole entra nel segno Acquario 26 Luna piena s 20 34m il giorno 20 alle ore 6 min. 87. 838 VITTORIO BALBI Febbraio 1899. Età della Luna GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE ° © i ll SOLE La LUNA E ® | ae ia s |a = passa = passa @ |a | $ [nasce] al E nasce al tramonta a) n=] D meridiano E meridiano hm hm s hm h m h m h m 32 | 1| M |7.51|1243. 1,15 [1785] 23 50 4 17,9 9 43 39 | 2 G 50 43 8,60 Sui 5 8,9 10 8 84| 38|/V 49 43. 14,25 38 0 59 5 52,1 10 38 835 | 4|S 47 43 21,09 39 210 6 45,1 11 15 36| 5| D 46| 48. 26,15 41| 3 20 7 42,8 12 2 Si 6 .€1L 45 43 30,42| 42) 4 26 8 43,2 13 1 88| 7. M 44 43 35,89 | 44| 5 23 9 45,7 14 12 39 | 8| M 42 43 836,58 | 45 6 11 10 47,6 15 31 40 | 9T|}IG 41 43 38,50 47 650 | 11 47,3 16 54 dI | IDEOIV 39 43 39,62 48 722 | 12 43,8 18 17 42 | 11 S 88 43 39,97 49) 7 50 13 37,5 19 37 43 | 12 |5D 87 43. 39,55 51 817 | 14 28,9 20 55 44|13| L 35 43 38,84 52) 881 15 19,1 22 11 45 | 14| M 33 43%836,39 [LUI 54|).9% 8°L| 16 88,9 23 23 46/15) M 82 43 33,68 55 9 36 | 16 59,1 SEE 4716) G 30 43 30,22 57. @AI0I 70%) 17498 0 34 ASIMOV 29) 438 26,03 58|| 10 46 | 18 40,9 140 49 | 18 S. 27 43 21,12 59| 1130 | 19 32,0 2 42 50 | 19) D 26 43 15,52 [18 1|| 12/20. | 20: 22,5 3 35 51 | 20 L 24 43. 9,22 2115131506) 21%14,6 4 22 52 | 246) M 22 43 2,26 4] 1415 | 21 58,9 5 1 53 | .22.|. M 21 42 54,64 5.|| 15 17/%| 22 44,2 5 93 54 | 23| G 19 42 46,38 76/1908 23 27,9 6 0 55 | 24| V LT 42 37,51 8| 17 22 ni 6 24 56 | 2b| S 15| 42 28,00 10) 18 26 0 10,3 6 46 ST'205 VD e 44 42 17,98 11] 19.30 0 52,2 709 58 .|27| UL 12 4208. 1,87 12|| 20 84 1 34,1 728 59 | 28| M 10 41 56,22 142094108] 2) 48,1 7 50 Fasi della Luna. \ Il giorno nel mese cresce di 1h 22m 3 Ultimo quarto alle 18% 24m | 9 La Luna è in Perigeo alle 158 10 Luna nuova ,, 100 32m 22 Id. Apogeo , 3% 17 Primo quarto , 9° 52m | 25 Luna piena » 15h 160 Il Sole entra nel segno Pesci il giorno 18 alle ore 21 min. 8. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 839 Marzo 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È n ° PI a II SOLE La LUNA a j=| n d i s ® & a i E — ———_—————___,wT____ " s |a CE passa È passa fa dk E o) Ss lg ® |nasce al E nasce al tramonta | Ss L=] ND meridiano sel meridiano [ca] hmj hm Ss hm h m h m h m 60| 1] M |7 9/12 41 44,57 (1815) 22 50 3 2,0 8 14 20 61| 2| G 7 41 32,41 Io 3 49,6 8 42 21 Sil ov 5 41 19,78 18 00 4 40,7 9 16 22 63| 4| S 3 41 6,68 19 18 5 35,4 9 59 23 64| 5| D 1 40 53,16 21 214 6 33,1 10 52 24 bo | | L 0 40 39,22 22 3 13 7 32,8 11 53 25 66 | 7) M ‘(6 58 40 24,89 23 4 3 8 32,8 13 9 26 67| 8| M 56 40 10,20 24 4 44 9 31,4 14 27 27 68) 9 G 54 39 55,14 26 5.18 | 10 27,6 15 47 28 69 | 10] V 52 39 39,73 27 504808] 11 28,6 TO 29 SOIL (IS 51 39 24,00 28 615 | 12 13,8 18 25 30 ME DD 49 389 7,95 30 640 | 13 4,9 19 43 1 72/13, L 47 38 51,60 31 I TOS L36097 20 59 2 73|14| M 45 38 34,98 32 734 | 14 47,0 22 13 3 74|15| M 48 38 18,09 34 8 6 | 15 38,9 23 28 4 75|16| G 41 3 0,96 35 842 | 16 318 st. 5 Mo ve Vv 39 37 43,60 36 9:25 | 17 23,7 0 28 6 Mi | 13 /°S 37 37 26,04 88|| 10 13 | 18 15,8 125 7 95 [Jet Db 36 37 8,28 39 BAIN) 19 6,9 2 16 8 79| 20] L 34 36 50,35 40] 12 6 | 19 54,7 2 57 9 80|21| M 32 36 32,28 41| 13 7 | 20 398 3 32 10 81|22| M 30 36 14.08 43) 14 9 | 21 24,0 42 11 82|23| G 29 85 55,78 44) 15 11 | 22 6,8 4 27 12 83 |24| V 26 35 37,40 45) 16 14 | 22 48,9 4 50 13 84|25| S 24 85 18,96 46) 1719 | 23 81,1 5 12 14 85|26| D 22 35 0,50 48) 18 24 —— 5 38 15 86 | 27| L 21 34 42,01 49] 19 30 0 14,2 5 55 16 87|28| M 19 34 23,52 50) 20 38 0 59,1 6 18 17 88 | 29| M 17 34 5,08 52| 21 40 1 46,6 6 46 18 89|30| G 15 33. 46,70 53 || 22 59 2 37,4 7 19 19 90/31) V 18 39 28,40 54| —— 3 31,4 759 20 Fasi della Luna. Il giorno nel mese cresce di 1h 37m 5 Ultimo quarto alle 5% 7 9 La Luna è in Perigeo alle 23h 11 Luna nuova 20% 58m 21 Id. Apogeo , 20h Pai semo. quarto n 40 24m Il Sole entra nel segno Artete il 27 Luna piena n 7h 18m giorno 20 alle ore 20 min. 46. 840 VITTORIO BALBI Aprile 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È _ 2 DI e Il SOLE La LUNA a AE) i en LI E SA = ds passa È passa le = |a |& [nasce al È nasce al tramonta| £ 3 =] DN meridiano «A meridiano (cal hm hm S h m h m h m | h m 91 1 S |6 11/1233 10,20 |1855 Q7 4 28,5 8 49 21 92 2 D 9 32 52,12 57 IERI o 27,1 9 49 22 3 d L 7 32 34,19 58 “1 58 6 26,0 10 58 23 94 | 4| M 6 82 16.48 59 2 42 7 23,5 12 13 24 95 5 M 4 81 58,85 [19 0 8.17 8 18,7 13 29 25 96 6 G 2 51 41,48 2 9 47 QAS 14 47 26 97 q V (0) 91. 24,82 3 4 14 10 2,9 16 3 27 98 8 S |5 58 81 7,40 4 4 41 d'Ofss;0 17 19 28 99 9 D 56 50. 50,72 6 5 6 11 43,2 18 34 29 100 | 10 L 55) 80. 34,91 7 5 33 12 34,0 19 48 1 101 | 11 M 95 80. 18,11 8 6 3 13 25,9 2101 2 102/12) M 51 901% 2,92 9 6 38 14 18,7 2209 B) 103 | 15 G 49 29 46,75 11 718 15 12,1 23 12 4 104 | 14 V 47 29 31,50 12 85 15 6,1 — 5) 105 | 15 S 46 29. 16,58 13 857 16 56,8 0 6 6 106 | 16 D 44 29008195 14 9 54 17 47,1 0 52 " DOT 17 L 42 28. 47,79 16) 10 55 18 33,5 130 8 108 | 18 M 41 28 38,88 IT) BL0857 19 18,9 QUeD 9 109 | 19 M 39 28. 20,88 13300 20356 2 29 10 110 | 20 G 37 28% 17,90 19 14 2 20 43,7 2 52 11 DI | 21 V 35 27, 54,61 Z| Biog*o 21 25,6 3 14 12 112 | 22 S 34 27 42,94 221 MI69-9 22085 3 36 13 113 | 23 D 82 27 30,52 23|| M7alo 22 52,5 3 57 14 114 | 24 (L 81 27. 19,15 24| 18 23 23 39,5 4 21 15 VI5 |-29/| CM | 1,29 ZQUAT 323 26| 19 34 =# 4 47 16 T16 | 260 cM | 27 26 57,80 27 20 46 0 29,9 5 18 17 DZ | 27 G 26 26 47,88 28 || 21.56 1 23,9 5 57 18 118 | 28 V 24 26 838,45 29) 23 0 2 21,3 6 44 19 T9r| 29 S 25 26. 29.55 5) 23 59 3 20,9 743 20 120 | 30 D 21 26 21,19 52 —— 4 20,7 8 50 21 Fasi della Luna» 8 Ultimo quarto alle 12% 56m 10 Luna nuova si TR'agm 17 Primo quarto , 23h 43m 25 Luna piena , 20h 22m Il giorno nel mese cresce di 1° 30m 6 La Luna è in Perigeo alle 14h 18 Id. Apogeo, 15% Il Sole entra nel segno Toro il giorno 20 alle ore 8 min. 33. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 841 Maggio 1899. GIORNO ! TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È [a 2 =; & Ii SOLE La LUNA & S| : —_—T— a |a <= |= CE passa È passa ja s |a | # nasce! al È | nasce al tramonta | £ n = DN meridiano E | meridiano [ca hm hm S hmj h m h m h m 121 1 L |5 20/12 26 18,38 [19383 0 41 5 19,2 LOMmt3: 22 122 2 M 18 2608 6:13 84 1 18 6 14,8 11 19 23 125 3 M 17 25.0.5944 | 85 1 50 TDI, 12056 | 24 124 4 G 15 20 5920097 2 16 7 58,2 13 50 25 125 5) V 14 25. 47,80 38 | 2 43 847,5 15 4 26 126 6 S 12 25. 44,84 39 3 8 9 36,2 16 17 2 127 q D 11 25. 38,45 40). 3138 10 25,3 17031 28 128 8 L 10 25. 84,65 42, 4 1 11 15,8 18 42 29 129 9 M 9 25. 81,41 43 43 IZ 19 52 30 130 | 10 M 7 DORRZIATTA 44 BE 52 13 0,8 20 57 1 let 14 G 6 25: 126,70 45 | 5 56 SI 54,2 21 55 132 | 12 V 5 25, 25,19 46 6 47 14 46,9 22 44 3 133: [13 S 3 25 24,24 48 743 15 37,8 23 26 4 134 | 14 D 2 25 23,86 49 | 8 45 16 26,4 = 15 35 (15 L 1 25 24,04 50 | 9 45 IRA Ri) 00 6 136 | 16 M 0 25 24,76 51| 10 47 17 56,1 0 29 7 197 17 M |4 59 25. 26,04 52] 11.49 18 38,3 0 54 8 138 | 18 G 58 25. 27,86 59|| 12 50 19 19,8 10 9 139 | 19 V 57 251 30,20 54| 18 54 QORBICO 113% 10 140 | 20 S 56 25. 33,08 59 | 14 58 20 44,5 1 58 11 141 | 21 D DD 25. 36,50 56] 16 5 21 29,8 2 21 12 142 | 22 L 54 25. 40,43 58.|| (17.14 22 18,9 2 45 13 143 | 23 M 59 25. 44,88 59] 18 26 QIC11 OL 14 144 | 24 M 52 25. 49,84 120 0| 1983 a 3 50 15 145 | 25 G 51 25. 55,29 1 20 46 0 8,l 4 35 16 146 | 26 V 51 260. 1:25 DI MREUAT 1 84 5 30 LZ dA7 | 27 S| 50 ones S| 22 88 VOI | M6aS78 | 18 148 | 28 D| 49 26 14,64 3| 23.18 5 10,9 7.500 | 19 149 | 29 L 49 261122:05 4 || B23853 40.91 | IrOutine | N20 150 | 30 M 48 26 29,93 Dili = DIS4O 1052608 | U21 J5l | 31 M 47 26 38,26 65 RRR0 EZIO MVD b1641.)| 322 | | || | Fasi della Luna. 2 Ultimo quarto alle 18h 47m 9 Luna nuova n 18h 39m 17 Primo quarto , 18h 13m 25 Luna piena n 61 49m 31 Ultimo quarto , 231 55u Il giorno nel mese cresce di 1h 8m 1 La Luna è in Perigeo alle 22% 16 Id. Apogeo , 10% 28 Id. Perigeo , Sh Il Sole entra nel segno Gemelli il giorno 12 ad ore 8 min. 22. | | | VITTORIO BALBI Giugno 1899. Età della Luna GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE 5 S è Il SOLE La LUNA si È |gì i A = ch passa È | passa = |a |P [nasce al È nasce al ci =) ti oa) meridiano È meridiano | hm hm s hm h m h m h m 152 1 G |447|12 26 47,03 [20 7 0 47 6 45,9 12 55 1583 2 V 46 26 56,22 8 19 198,0 14 8 154 3 S 46 27 6,82 9 137 8 22,0 15 20 155 4 D 45 27 15,80 9 2 4 9 10,9 16 31 156 5 L 45 27 26,14 10 2 34 10084 17 40 157 6 M 44. 27 36,84 11 9 10 53,2 18 45 158 7 M 44 27 47,85 11 3 50 | 11 46,0 19 45 159 8 G 44 27 59,16 12 4 39 12 38,7 20 38 160 9 V 43 28 10,73 13 593! | 1313020) NO09022 161 | 10 S 43 28 22,55 13 6 32 | 14 19,8 | (21 59 162 | 14 D 43 28 34,60 14 7033 15 6,8 22 30 i 163 | 12 L 43 28 46,84 14 8 35 15 Dio 22 57 | 164 | 153 M 43 28 59,26 LISI MOST 16 34,I 93 20 165 | 14 M 43 29 11,80 15|| 10 39 1715.4 23 41 166 | 15 G 43 29 24,48 16|| 11 40 17 56,4 DA 167 | 16 V 43 29 37,26 16) 12 43 18 38,0 0.2 168 | 17 S 43 Q0085011 17) 13 47 19 21,3 023 169 | 18 D 43 80 3,01 17) 14 54 D0NE745 0 46 170 | 19 L 43 30. 15,94 17 16 4 20 57,4 t dz La} 20 M 43 80 28,88 18| 17 15 21 51,8 144 zl 21 M 43 30. 41,80 18) 18 26 22 50,5 dI 173 | 22.26 44 30 54,69) 18| 1930 |23 52,5 3 18 174 3 NV | 144 3100754 | Wel8:|| 20827 ll 4 15 [ro | 2 SZ 81 20,30 18] 21 14 0 55,1 5 28 176 | 25 D 44 81 32,98 18.|| (2151 1669 6 46 baz 26 L 45 81 45,54 18] 22 23 2 54,6 BEY 178/27) M 45 31 57,98| 18) 22 5l 3 49,3 9 26 179/28) M 46 92001025 18| 23 17 441,1 | 40.43 1S0 | 29| G | 46 32 22,41 18| 23 42 5 30,8 11 57 181 | 30 V 47 32 834,96 18 == 6 19,8 Im. | 8 Luna nuova alle 16 Primo quarto , 23 Luna piena n 30 Ultimo quarto , | Fasi della Luna. 7h 20m 10h 46m 15h 20m bb 45m Il giorno nel mese cresce di 0h 12m 13 La Luna è in Apogeo alle 4h 25 Id. Perigeo , 6% Il Sole entra nel segno Cancro il giorno 21 ad ore 16 min. 45. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Luglio 1899. 845 GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È ; HI =) S fe Il SOLE La LUNA s RES: o = © mò S|35 passa È passa sel ei Sk | 1 SI x -8 © |\d + |nasce al E nasce al tramonta| £ Td ei D meridiano ta meridiano [ca] hm] hm Ss hm h m h m h m 182 1 S |4 47/12 32 46,09 (2018) 0 8 7 8,8 14 22 24 188 | 2| D 48 32 57,60 18 0 37 7 58,9 15 31 25 184 | 3 P, (| 848 35 8,84 17 110 8 49,4 16 38 26 185 | 4| M 49 33 19,81 17 149 9 41,3 17 40 27 186 | 5 M 50 33 30,48 17| 234 10 33,5 18 34 28 187 6 G 50 35 40,81 | 16 3 26 11 25,0 19 21 29 188 7 V 51 383 50,79) 16] 423 12 15,1 200 5) 189 8 S 52 34 0,41 16 5 28 13 2,8 20 32 1 190 | 9 D 52 34 9,63 15 6 26 13 48,3 21 0 2 191 | 10|UL 53 34 18,44 15|| 7 28 14 31,6 21 25 3 192 | 11 M 54 54 26,81 14 8 29 15 13,2 21 46 4 193 | 12 M DÒ 34 34,72 13 9 30 15 54,0 22% 5) 194 | 13 G 56 54 42,16 13||. 10.32 16 34,8 22 28 6 195 | 14| V 57 34 49,11 12] 11 34 17 16,7 | (22 49 7 196 | 15 S 58 34 55,56 11| 12 39 18 0,5 23 14 8 b97 | 16.|._D 59 35 1,49 11| 13 45 18 47,4 23 42 9 198 | 17 L 59 ! 35 6,88 10) 14 54 098: na= 10 199 | 18 M {5 0 85 11,73 9 16 4 20 33,5 0 16 11 200 | 19 M 1 85 16,03 Sil aglgp LI 21 32,8 1. 0 12 201 | 20 G 2 85 19,78 7 1811 22 34,7 155 13 202 | 21 VI 3 35 22,96 6] 19 3 23 37,0 Si 14 203 | 22 S | 4 35. 25,56 5 || 19 46 e 4 17 15 204 | 23 D 5 35 27,58 4) 20 21 0 37,7 5 39 16 205 | 24 L 6 35 29,05 s| 20 51 1 35,6 di gl 17 206 | 25 M 8 85 29,93 221 19 2 30,5 8 21 18 207 | 26 M 9 35 30,23 1| 21 45 3 22,9 9 40 19 208 | 27 G 10 35 2995 O] 22 ll 4 14,0 10 56 20 209 | 28 Vv 11| 35 29,10 |1959|| 22 40 5 4,9 12 10 21 210 | 29 S 12 35 27,67 98 || 23 12 5i 54,9 | 743 22 22 211 | 30 D 13 | 35 25,65 57| 23 50 6 46,2 14 30 23 212 | 831 L 14 55 23,04 55 e 7 38,1 15 48 24 Fasi della Luna. alle 21h 31m ob 59m sn 22% 49m 7 Luna nuova 16 Primo quarto , 22 Luna piena 29 Ultimo quarto , 13h 42m Il giorno nel mese diminuisce di où 50m. 10 La Luna è in Apogeo alle 17% 23 Id. Perigeo , 28h Il Sole entra nel segno Leone il giorno 23 alle ore 3 min. 4°. 844 VITTORIO BALBI Agosto 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL’EUROPA CENTRALE 5 È. S II SOLE La LUNA [©| © E a Ti —T_—_—_—_nn=- _ __ _— si; = Gi passa È passa a |a | [nasce al E nasce al tramonta ue) =] D meridiano | sa meridiano | |h m hm Ss h m h m h m hem 213 | 1| M |5.15|12 85 19,86 [1954 0 33 8 30,1 16 30 214 | 2| M 16 85 16,08 53| 1 22 9 21,7 17 19 2l5| 3) G 17 35 (14,71 50 Bee17 10 11,8 18 0 216 | 4| V 18 935..6,74 50 3 16 119,1 18 35 217 | 5|S 20 3590 ,4;19 | 1.49/*®, 18 11 46,1 19 4 218| 6) D 21 384 55,04 48 5420. | 12.80,1 19 30 219 | 7 |ISL 22 84 48,30 46 621 13 12,5 19 52 220 | 8| M 23 34 40,95 45 723 | 13 53,4 20 13 221 9) M 25 34 33,03 43| 824 |14834,1 20 34 222 | 10] G 26 84 24,51 42] 9 26 | 15 16,4 20 55 223 | 11 V 27 384 15,41 40] 10 29 15 58.0 21 19 224 | 12) S 28 B4M 6,73 39 ||-11.3 16 42,9 21 45 225 | 13| D 29 83 55,49 | 37| 1240 | 17 31,0 22 15 226 | 14| L 81 33 44,67 36 13 47 18 22,8 22 54 227 | 150|M | (32/"! 183%033/29 [1 /94||\14:53%%|719.18,5 || 3/42 228 | 16) M | 33 83 21,87 32|| 15 55 | 20 17,2 dai. 229 | 17 G 34 83% 8:99 31.|| #16: 4960) 21. 40,8 0 41 230 | 18!| Wy 35 382 55,93 29] 1735 | 22 18,2 149 gel | 19 |AS 37 32 42,44 28] 18 14 | 23 17,2 3 8 232 | 20°] VD 88 | 32 28,45 26) 18 48 a 429 | 233 | 21 L 39 32 14,09 24) 19 18 0 13,9 5 5l 234 |22| M 40 81 59,06 22) 19 45 1 8,6 712 235 | 23| M 41 81 43,69 21) 20 13 2).61,6 8 32 236 | 24/ G 43 | 31 27,89 19| 20 41 2 54,0 9 49 23 25 MPN 44 911169 17] 21-13 5 46,3 Lo 238 | 26|/S | 450 380 55,10 | 16| 21 42 4 89,0 12 16 239 | 27| D 46 30 38,14 1422481 5 82,1 13 23 240 | 28 | L 47 380 20,80 | 12] 23 19 | 6 25,2 14 23 241 | 29| M 49 | 80. 3,14 10;|[X0SS2_ G6l © ‘70087,5 15 15 242 | 80) M | 50 29 45,14 8| 0-12 8 8,4 15 59 243 | 31|'G | 51 29 26,83 6|* 1-11 8 57,4 16 36 | | | | Fasi della Luna. Il giorno nel mese diminuisce di 1h 26m, 6 Luna nuova alle 12h 48m ——— ì La L è in A lle 23h 14 Primo quarto =, 12h 54m 50 Ta 3 PEABRO % Da oh 21 Luna piena , DI 45m SS — ee 4 Il Sole entra nel segno Vergine il 28 Ultimo quarto , 0% 57m giorno 23 alle ore 10 min. 98. Età della Luna i rv — m—_mu EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 845 Settembre 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È | HI 2 di a Il SOLE La LUNA & i = SE | passa È passa È |a È \nasce | al È nasce al tramonta| £ Ue) mu DN | meridiano È meridiano RI hem lim S hm h m h m h m 944| 1| Vv |552|1229 821/19 5 2.11 9 44,0 LTL 26 245 | 2/0S 53 28. 49,42 3 3 1250) 10 (28,6 17 34 27 246 | 3| D 5) 28 30,14 lg 4; Fig 11400 17 58 28 2947 | 4| L 56 28. 10,72 |18 59 5. bal 11028 18 19 29 248 | 5| M 57 27 51,05 57 6.17 | 12 33,8 18 40 1 249 | 6} M 58 27 831,15 55). 7.18 | 13 15.1 19 2 2 151008) MARIN Ca 59 27 11,04 54|| 8 21 13 57,5 19 25 3 SSL BV |6.1 26 50,74 52 9 25 14 41,6 19 50 d Boa) deh 2 26 30,25 50) 10 31 15 28,5 20119 5 258 | 10) D 3 26 9,60 48 ||R6l1y37,p| 16 d5,4 20 55 6 254 | 1L.| L 4 25 48,81 46|. 12 43 | 17 119 21 38 7 255 | 12:| M 5 25 27,88 |. 44) 1344 |18_ 7,9 22 31 8 256 | 133| M 6 25 6,89 42| 1439 | 19 5,4 23 34 9 257 | 14/:;G 8 24 45,69 40|| 15 28 | 20 3,7 ta 10 Pps | loelo V 9 24 24,48 | 39| 16 8 |21 1,3 0 46 11 259 | 16) S 10 24 3,22 97||-16 43. .| 21 57,4 2 3 12 260 | 17 | D 11 23. 41,93 35|| 1714 | 22 583,1 3 22 13 261 | 18.| L 12 23 20,63 33|| 17 42 | 23 45,7 4 42 14 262 | 19.) M 14 22 59,34 31) 18 10 = 6 2 15 263 | 20) M 15 22 38,10 29|| 18 39 0 38,8 721 16 264 |21| G 16 22 16,93 27 |\el9e10 1 32,1 8 39 17 265 | 22| V 17 21 55,85 25 || 19 46 2 26,0 9 54 18 266 | 23| S 19 21. 34,90 23|| 20 26 3 20,6 11 5 19 267 | 24| D 20 21 14,07 21||. 21 13 4 15,6 12 11 20 268 | 25| L 21 20 53,42 19] 22 5 5 9,6 13% 21 269 | 26| M 22 20 41,95 18||-23, è 6 2,1 13 55 22 | 270 | 27 | M 23 20 12,67 16| —— 6 52,5 14 35 23 271/28) G 25 19 52,65 14] 0 3 740,2 15116 24 272 | 29|..V 26 19 33,82 12m È 8 25,6 15 37 25 273 | 30.| S 27 19 13,28 10| 2 6 9 8,8 16 2 26 Fasi della Luna. Il giorno nel mese diminuisce di i 1h 322. 5 Luna nuova alle 48 331 3 La Luna è in Apogeo alle 2% 12 Primo quarto , 22% 49" 18 Id. Perigeo , 8° 30 Td. Apogeo , 18% 19 Luna piena o 183 31n - — rn Il Sole entra nel segno Libra il 26 Ultimo quarto 165 3m giorno 23 alle ore 7 min. 30 846 VITTORIO BALBI Ottobre 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È | HI ° î i Il SOLE La LUNA e E |8|af- | -| 8 s = FS passa È passa f-- = 3 3 Asse agn pan È DARE Maino meri E: hm|hnm S hm h m h m h m 274| 1| D |6 28|12 18 54,03 [18 8| 3 7 9 50,7 16 23 ZIO | Gela yli 80 18. 35,07 6| -4 8 | 10 33,0 16 45 ZIO Brio gM 81 18. 16,43 4 5 10 | 11 13,4 1109 ZII | Ag 32 17 58,14 2 6 12 | 11 55,8 17 30 218-| PG 33 17 40,19 1 TL7°| 120,8 17 55 219] Bb;ihV 85 17 22,60 17 59 8-22 | 13 26,3 18 23 280 | 7 S 36 17. 5,40 57 929 | 14 16,1 18 57 28li S| ..D 37 16 47,61 55 | 10 85 15 8,2 19 38 282 | 9. L 38 16 32,24 53 | LIS 16! 294 20 28 283 | 10| M 40 16 16,30 52| 12.34 | 16 59,7 21 27 294 1 lille dM |) 34 lo 081 50|| 1323 | 17 56,6 22 34 285 | 12 06G 42 15. 45,78 48| 14 5 | 18 52,7 23 47 286 | 13° UV 44 15. 31,23 46| 14 41 19 47,3 2454 el {14 S 45 1a 19 44 15 12 | 20 40,6 1439 288 |15| D 46 15. 3,69 43| 15 41 | 21 32,7 220 259 | 16, L 47 14 50,72 41) 16 7 | 22 24,6 886. 290 | 17) M 49 14 38,32 39 || 16 35 | 23 16,9 4 55 91 1 IST M 50 14 26,51 38 || 17 6 da 6 11 292.119. 52 14 15,30 86|| 17 39 0 10,3 728 RDS | 2001, V 53 14. 4,73 34| 18 18 li ta, 8 42 294 | 21 S 54 13 54,80 32| 19 4 2 0,8 9 51 295 | 22) D | 56 13. 45,55 | 81| 19 54° | 256,5 | ‘10/58 296 29. (| 4 DI 3. 36,99 29|| 20 51 8 51,2 11 46 Za | DIM 58 3.‘ 29,12 O7||1-21°52' | 443,6 12 30 298125) M |7.0 13. 21,98 26] 22 58 5 33,3 1316 299 | 26) G 1 13. 15,58 24 || 23 55 6 20,0 13 37 abolita 1 I 131 9:98, 28, nea 7 44 14 4 301 | 28 |_S 4 13 5,05 21 0 56 7 46,7 14 28 302 | 29| D 6) 13° _0,93 20° 157 8 28,1 14 48 903.1.90.| Dè 7 12°-57,60° 18 2 58 9 92 15 10 304 | 31| M 8 12 55,06 17 4 1 9 51,8 15 33 | | | | Fasì della Luna. i Il giorno nel mese diminuisce di | | 1h 84m, G h m | ai. | Pi Te ngginia. obi | 16 La Luna è in Perigeo alle 11h | 12 Primo quarto , 7h 10 n 28 Id. Apogeo , 6% | 18 Luna piena, 28h 5m Fa pet | Il Sole entra nel segno Scorpione 26 Ultimo quarto , 10h 40m | il giorno 23 alle ore 16 min. 6. EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA 847 Novembre 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È = = i ana e Si ù Ss Il SOLE La LUNA = E 6 i] È a —__ ——rr___r—--_. = A i he passa È passa dc; = |a | È nasce al E nasce al |tramonta| £ = uo D meridiano E meridiano | (cal h m h m 8 hm h m h m h m 305 1 IVI 6 9: /0120127053:334 IV16 DI 4 10 34,8 Ido 28 306 2 G 11 12 52,40 14 6 10 11 20,9 16 24 29 307 3 V 12 125290 I LA, 12 10,0 16 57 1 308 4 S 13 12 52,99 11 8 24 13 2,3 17 36 2 309 13) D 15 128 54510 2-10 9 29 ESTA 18 24 9 810 6 iù 16 12 56,85 9 10 29 14 54,8 19 21 4 311 7 M 18 TR 0102 7i|ME1E:21 15.152,3 20 27 5 S12 8 M 19 13. 4,02 6| 12 25 16 48,7 21 38 6 318 9 G 20 13. 3,83 5 12 42 17 43,3 DAMA) 7 314 | 10 V 22 13. 14,47 4| 183 14 18 35,7 ail 8 915. |.I1 Sa 23 13 20,94 o |MAlSt42 19 26,7 OT 9 316 | 12 D 25 13 28,23 TM 19 20 16,8 1022 10 BIZ 19 L 26 1936197 O; 14 36 QlR7:2 2 36 11 318 | 14 M 27 13:/45)32 |1659| 15 4 21 58,6 OLO2 12 819 | 15 M 29 To: as 58) 15 86 DA855 DIANO, 13 320 | 16 G 30 LAO 5178, 57 |IUUli6 12 23 46,2 6 20 14 921.7 V 81 14 17,19 56 16 58 —= al 15 322 | 18 S 38 14 29,48 56 17 42 0 41,9 8 36 16 323 | 19 D _34 14 42,61 55 || 18 38 137,5 9 34 17 3824 | 20 IÙ 35 14 56,56 54|| 19 87 2 31,8 10 22 18 925 | 21 M 37 15. 11,34 58] 20 38 ID 1102 19 3926 | 22 M 38 15 26,94 52] 21 41 AZIO 11 36 20 927 | 23 G 39 15 43,34 52022243 4 57,9 19 @ 21 928 | 24 V 41 16. 0,54 51) 23 44 5 41,4 12 28 29 329 | 25 S 42 16 18,58 50 sea 6 23,0 12 51 23 380 | 26 D 43 16 37,29 50 0 45 7 4,0 13. 13 24 Sole 27 L 44 16 56,80 49 147 7045,2 13 34 925 | 382 | 28 M 46 L'A LZi05 49 2 49 8 27,6 19857 26 333 | 29 M 47 17 38,02 48 SEE 9 12,2 14 23 27 834 | 30 G 48 17 59,70 48 DO) 9 59,9 14 54 28 Fasi della Luna. Il pese nel mese diminuisce di 1h gm, h SiLuna nnova alle 11% 27m Dt. Tina è in Persso Si 10 Primo quarto ” 14h 35m 25 Id. Apogeo ui 25h 17 Luna piena n 11h 18m Ea | Il Sole entra nel segno Sagittario 25 Ultimo quarto , 71 35m il giorno 22 ad ore 13 min. 0. 848 VITTORIO BALBI — EFFEMERIDI DEL SOLE E DELLA LUNA Dicembre 1899. GIORNO TEMPO MEDIO DELL'EUROPA CENTRALE È | [ | i i 9 WS È Il SOLE La LUNA è 5 | E E: 5 = _—r— e. —_ _ + Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 58 850 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 12 Giugno 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO BARONE GAUDENZIO CLARETTA DIRETTORE DELLA CLASSE Sono presenti i Soci: Peyron, BoLLATI DI SAINT-PIERRE, Pezzi, BoseLLI, CrpoLLa, PeRRERO e NANI Segretario. Viene letto ed approvato l'atto verbale della precedente seduta (22 maggio 1898). Quindi il Presidente dà comunicazione del testo di un tele- gramma inviato dalla Presidenza, a nome dell’Accademia, per associarsi alle solenni onoranze tributate in Roma al Socio cor- rispondente prof. Francesco ScHuPFER, nella ricorrenza del 35° an- niversario del suo insegnamento. Comunica pure il programma di un concorso bandito dalla R. Accademia dei Georgofili sul tema: Studio delle relazioni che intercedono fra capitale e lavoro nella mezzeria toscana. Il Socio Segretario C. NANI offre in omaggio alla Classe un suo opuscolo: Istromenti sigillati e stile di sigillato, contributo alla storia dell'antica legislazione sabaudo-piemontese (Torino, 1898). Il Socio CLaRETTA, a nome anche dei Socii FERRERO e CrpoLLA insieme con lui delegati ad esaminare una memoria del Dott. Arturo Seere, intitolata: La marina militare sabauda ai tempi di Emanuele Filiberto e l’opera politico-navale di Andrea 851 Provana di Leynì, riferisce sulla medesima proponendone la lettura alla Classe. Questa approva la proposta, e quindi la in- serzione della detta memoria nei suoi volumi accademici. Il Socio G. CLARETTA, proseguendo la lettura della sua Me- moria sulle principali vicende del feudo di Cisterna nell’Astigiano, comincia a considerare i conflitti fra Roma e la Mensa vescovile d’Asti per l’investitura di quel feudo, ottenuta dal capitano Tor- quato Torto da Castelnuovo-Scrivia. La mensa d'Asti evocava in giudizio il Torto, e ricorreva anche al duca Emanuele Fili- berto, il quale con un rescritto dato a Nizza il 12 dicembre 1559 dichiarava che non intendeva di recare il menomo pregiudizio ai pretesi diritti di quella Curia. Intanto il Torto era costretto a salvaguardia dei suoi diritti di dar una capatina a Roma, non senza notevole dispendio, sapendo bene che cosa fosse un viaggio a quei giorni, dove otteneva bensì qualche provvisione favorevole alle sue mire, ma inefficace a liberarlo dalla sequela dei guai ond’era omai impotente a liberarsi, ancorchè il Duca assistesse il feudatario della Cisterna nel fargli rendere rispetto dai sudditi. E qui l’autore riferisce i costituti di varii di quei Cisternesi chiamati in giudizio; dalle cui deposizioni si scorge, come omai quel popolo fosse stanco di essere soggetto a così frequente mutazione di signoria; dai quali documenti l’autore trae argomento a provare, come gli Astigiani, ad esempio dei Monferrini e di alcune popolazioni delle Langhe, tutti d’indole briosa, fossero men proclivi di altri della dizione Sabauda, a tollerare pazientemente il giogo. Senonchè l’intromissione del Duca negli interessi della Cisterna dava nell'occhio a Roma, che non lasciò di farne amare rimostranze, tanto al Duca, quanto al Vescovo d’Asti. Intanto già nel 1567 il capitano Torto ri- sultava passato ad altra vita, e il retaggio suo litigioso veniva trasmesso alla sua figlia Isabella, congiuntasi in matrimonio col marchese Borso Acerbi di Milano. Considera indi l’autore le relazioni speciali che pel feudo della Cisterna ebbe la Corte di Roma col duca Carlo Ema- . nuele I, successore di Emanuele Filiberto, il quale avendo in- teresse di tenersi per altre ragioni affetta la Santa Sede, le diè appoggio in una spedizione armata avvenuta nel luglio del- 852 l’anno 1581, alla quale presero parte, oltre al conte Valperga di Masino, due cavalieri di Malta di Mondovì, Ettore Vasco e Ludovico Vivalda, nonchè il noto Guido Piovene da Vicenza, suddito veneto a’ stipendii del Duca. Agli uomini di spada erano stati associati uomini di cappa; e col segretario della Nun- ziatura di Torino, Filippo Arbaudi, eravi il giureconsulto Filippo Bucci, cavaliere e poscia cancelliere dell'Ordine Mauriziano. Quell’apparato di forze non mancò d’incutere timore agli assediati nel castello della Cisterna che dovettero arrendersi. Ma posteriormente rappacificatesi le antiche contestazioni almeno in massima parte, come avveniva in quei tempi, il feudo della Cisterna passava al figlio dell’Isabella Torto, marchese Giovanni Acerbi, che nel 1650 lo alienava al marchese di Vo- ghera, Francesco, dell’illustre famiglia dei Dalpozzo di Biella, sotto i quali la Cisterna veniva innalzata a principato col pri- vilegio della zecca. L’autore pone in tal guisa termine alla sua Memoria, fa- cendo parecchie osservazioni sulle condizioni di quel feudo e di quei popoli, palleggiati per varii secoli d’uno in altro feudatario, ciascun dei quali pretendeva la ragione per sè e voleva riversare il torto sull'altro; mentre i poveri Cisternesi potevano a buon diritto esclamare col poeta, che Quicquid delirant reges plectuntur Achivi. Anche di questo lavoro la Classe delibera la pubblicazione nei volumi delle Memorie. Relazione sulla Memoria del Dott. Arturo SEGRE, avente per titolo : La marina militare sabauda ai tempi di Emanuele Filiberto, e l’opera politico-navale di Andrea Provana di Leynì dal 1560 al 1571. L'autore, cominciando dal ritorno nei suoi stati del vin- citore di S. Quintino (1559), ci presenta subito il Provana che gli va incontro sin presso Marsiglia, e dal quale più non si scompagna che negli intervalli richiesti dai varii gravi incarichi affidatigli. Dopo alcuni aneddoti relativi al successivo breve soggiorno del Duca a Nizza, e dopo alcune particolarità che rischiarano la giovinezza e le condizioni della famiglia Provana, il dottor Segre ci viene a tracciare un quadro storico sulla marina pie- montese, della quale ci espone sommariamente le vicende dai tempi antichi sino a quelli di E. Filiberto, risoltosi a rico- stituire questo punto notevole della forza militare del piccolo suo Stato. Ed ecco il giovine Provana consacrarsi all’ opera ardua, nè scevra di attriti, sia nel còmpito di dirigere la co- struzione delle galee, sia nel trattare con altri capitani ed avventurieri. Quindi nel 1560 già noi possiamo vedere la nostra marina in possesso di quattro galere, due costrutte sotto gli occhi del sig. di Leynì, e due acquistate da altri. Ma il Duca desiderava che le quattro galee raggiungessero il numero di dieci; e a con- seguire questo scopo in massima si adopera il Provana che l’ ottiene sullo scorcio del 1561; non lieve assunto, ponendo mente al tempo ed ai mezzi finanziari ond’esso poteva disporre. Senonchò Emanuele Filiberto, avute Je sue dieci galee, ne desiderava altre due ancora, donde nuovi impegni dei suoi uffiziali e ministri. 854 Nel racconto di tutti questi fatti e nelle questioni ammi- nistrative che poi vi si inframettevano, le pagine del lavoro del Segre ci dànno notizie ch'egli potè ricavare compulsando, non solamente gli archivi di Torino, ma quelli altresì di altre città italiane, come di Modena e di Venezia. Ed i documenti raggranellati gli consentirono di aggiungere notizie maggiori di quelle già note, su alcune spedizioni mari- naresche, succedute in quel frattempo. Tale è in sostanza l’ar- gomento del primo capo dell’ opera del Segre. Il quale nel secondo considera i fatti succeduti dalla nota pace di Castel- Cambresis in poi. Ivi ei comincia a discorrere della missione affidata dal Duca al Provana di recarsi alla Corte di Francia per profferire a Francesco II ed a sua madre Catterina de’ Medici i suoi servizi, nel caso fossero per tornare loro accetti in quei tempi delle note guerre civili di quel regno. Poscia discorre di caccie date a navi turche e di corsari; e ci rivela un conflitto avuto colla repubblica di Venezia per essersi saccheggiate due sue navi che avevano a bordo sudditi turchi. Così pure egli tratta di alcune questioni tra il Duca e la Repubblica di Genova sul diritto di Villafranca, valendosi di documenti dell’archivio di quella città. I viaggi del Provana poi si rinnovano frequenti negli anni 1562-1564, nei quali i corsari, profittando dei casi generali delle potenze, infestavano con maggiore sicurezza quei mari. Ma egli è nel 1565 che il Provana, ammiraglio della nostra marina, veniva a stabilire in modo sicuro la fama che meritamente erasi procacciata. Solimano segretamente mirava su Malta, e il Provana, di mandato di E. Filiberto, salpa da Villafranca colle tre galee: la Capitana, la Margherita e la Moretta, per unire gli sforzi del valor bellico subalpino a quello degli altri principi della Cri- stianità tementi la ferocia turchesca. Il nostro autore dà qui molte notizie sull’assedio di Malta del 1565 e sul soccorso introdottovi dall’ ammiraglio Provana. Non minor importanza ha il capo terzo, nel quale il senno del Provana fu messo in pratica in uffici politici di grave momento. Gli Ugonotti avevano molte ramificazioni nel Nizzardo, ove ad interessi religiosi andavano frammisti interessi privati e politici. Le condizioni di questa provincia della Dizione Sabauda erano 855 tutt'altro che liete, e facevano presagire piuttosto male, essen- dovi implicate famiglie magnatizie, fra le quali i Beuil del ramo dei sig. di Ascros. Qui il nostro autore viene a discussioni, nelle quali coll’aiuto degli scritti del Gioffredo e di parecchi altri, e mercè nuovi documenti raccolti da lui, è in caso di descriverci lo stato di quelle contrade, nonchè i maneggi del Provana con quelle famiglie secondo l’incarico che aveva avuto dal Duca. Il quale stanco delle tergiversazioni, ormai erasi risolto di appigliarsi a mezzi coercitivi, nei quali ebbe parte il Provana, che per altro sul principio nel timore si avesse a fomentare male maggiore, aveva consigliato partiti di conciliazione. Erasi bensì venuto a patti, ma non tardò a manifestarsi la tenacia dei rubelli con cui il Duca era costretto a capitolare. Il mal seme poco dopo ripullulava, ed i signori di Ascros, pro- fittando dei nuovi tumulti esterni, non tardarono minacciosi a rialzare il capo. E grande vantaggio per i dissidenti fu la disdetta cagionata dal caro dei cereali nel Nizzardo. L’ affare riuscì anche intricato a cagione di urti avuti con Roma, che per essersi catturata una nave carica di grano, minacciava d’inter- detto. la città; e fu mestieri di porre in chiaro i fatti e l’in- colpabilità del Duca in quell’avvenimento come riuscì all'autore di fare col mezzo di documenti ricavati dall’archivio Vaticano. Ma intanto le questioni in fatto di religione non si appia- navano; anzi minacciavano di farsi ancora più serie. E qui il nostro autore, col mezzo di una quantità di documenti qua e là raccolti, viene ad informarci, come di particolarità seguite fra il Duca e il signor di Monaco, così dell’orditura di una congiura su ampia scala, la quale aveva a capo quel signore di Montbrun, uno dei principali ugonotti, che ricoveratosi in Provenza dopo le avute sconfitte, manteneva relazioni segrete coi suoi corre- ligionari del Nizzardo. Senonchè questa volta fu dato al Duca di sedare quei moti col processo ai principali sobillatori e colla meritata loro punizione ad esclusione del Montbrun. Ed ancor qui l’opera del Provana era riuscita assai efficace. Infine il capo quarto del lavoro del dottor Segre tratta nei suoi particolari quanto si riferisce alla celebre battaglia di Lepanto, nella quale, com'è noto, E. Filiberto accedette alla gran lega cristiana. Qui naturalmente l’autore potè giovarsi dei molti 856 scritti pubblicatisi, specie in questi ultimi anni, su quell’avve-. nimento memorabile. Mercè però le sue indagini in parecchi archivi, ancor qui egli reca notevole contributo di notizie, che non mancano d’interesse; e termina il suo lavoro col far cono- scere un poema spagnuolo dimenticato in Italia: La felicissima vitoria concedida dal Cielo al Sefior D. Iuan De Austria en el Golfo De Lepanto de la poderosa armada Othomana opera di Gerolamo Corte Real, cavaliere Portoghese, e riporta le strofe che fanno elogio dell’armata Savoina, e del suo ammiraglio. E così coll’anno 1571 ha compimento la narrazione delle imprese marinaresche dell'ammiraglio Provana di Leynì: molte lettere del quale compaiono fra i ventuno documenti nell’appen- dice a questo lavoro. Chiarezza nella narrazione, lucidità d’idee, critica giudiziosa e temperanza severa d’opinioni, che non sempre sono osservate da parecchi che corrono lo stesso arringo, dovizia di documenti che concorrono a rendere originale il lavoro in discorso per- suadono i sottoscritti a conchiudere che l’opera del dottor Segre possa essere ritenuta degna dell’approvazione della Classe, per essere quindi pubblicata nelle memorie Accademiche. I Commissarii G. CLARETTA, Relatore. E. FERRERO. C; CIPDETSS L’ Accademico Segretario CesARE NANI. Torino — Vixcenzo Bona, Tipografo di S. M. e Reali Principi | 4 È " r a L j si j "a i So Ja Of SCienceg CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 19 Giugno 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ALFONSO COSSA VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Bizzozero, Direttore della Classe, Berruti, D'Ovipio, Mosso, SPEZIA, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, Foà, Guareschi, Guipi, FiLeri e NaccarI Segretario. Si legge e si approva l'atto verbale della precedente adunanza. Il Presidente comunica una lettera del Prof. R. BunsEn, che ringrazia per la sua nomina a Socio straniero. Il Socio CameRANO presenta a nome del Prof. Federico Sacco alcuni opuscoli che trattano argomenti di Geologia, e a nome del Dott. Giuseppe SpPERINO un’opera intitolata: Anatomia del Cimpanzé. Il Presidente fa menzione delle seguenti opere inviate in dono dagli autori: 1° Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci, memoria del Socio nazionale G. V. SCHIAPARELLI, 2° Elemente der Gesteinslehre, del Socio corrispondente E. RosENBUSCH, 3° Calcoli di stabilità delle scale metalliche aeree Viarengo, del Socio CamiLLo GuIDI. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 59 858 Il Socio Foà, anche a nome del Socio Bizzozero, legge la relazione sulla memoria del Dott. Antonio CrsarIs-DemEL, inti- tolata: Sull’azione tossica e settica di alcuni microorganismi pato- geni sul sistema nervoso centrale. Conforme alle proposte della Commissione la memoria vien letta alla Classe e quindi accolta nei volumi accademici. In simil modo dietro relazione favorevole dei Soci VoLTERRA e Naccari, viene accolta la memoria del Dott. G. B. Rizzo, in- titolata: Sopra le recenti misure della costante solare. Vengono poi accolti per l'inserzione negli Atti i seguenti scritti: 1° Su una idroetildicianmetildiossipiridina, nota del Socio Guarescni e del Dott. Ernesto GRANDE, i 2° Contribuzioni di Geologia chimica. Esperienze sul quarzo e sull’opale, nota del Socio SPEZIA, 30 Alcune osservazioni sul calcolo dell'errore medio di un angolo nel metodo delle combinazioni binarie, nota del Socio JADANZA, 4° Contribuzione allo studio della istologia normale e pato- logica del midollo delle ossa, nota del Socio Foà, 5° Sull’ematopoesi nella lampreda, nota del Dott. Maurizio AscoLi, presentata dal Socio Bizzozero, 6° Un coccidio parassita nei trombociti della rana, nota del Dott. Ermanno GreLio-Tos, presentata dal Socio CAMERANO, 7° Sull’ integrazione dell'equazione AgAgu= 0, nota del Prof. Tullio Levi-Crvira, presentata dal Socio NAccARI a nome del Socio VOLTERRA, 8° Sulla teoria della trasformazione delle equazioni a deri- vate parziali con due variabili indipendenti, nota del Prof. Ono- rato NiccoLeTTI, presentata dal Socio NAccARI a nome del Socio VOLTERRA, 859 9° Sulla propagazione del calore, nota del Prof. LAuRI- CELLA, presentata dal Socio NAccARI, a nome del Socio VOLTERRA, 10° Sulle funzioni olomorfe e meromorfe nel campo razio- nale e nel campo ellittico, nota del Dott. Tito CAZZANIGA, pre- sentata dal Socio NAccarI a nome del Socio VOLTERRA, 11° Sulla rappresentazione analitica delle funzioni reali discontinue di variabile reale, nota del Dott. SEVERINI, presentata dal Socio NaccaRI a nome del Socio VoLTERRA. _—___——————_——T_TT'r—r—rr----TFz 860 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE LETTURE Su una idroetildicianmetildiossipiridina ; Nota del Socio ICILIO GUARESCHI e Dott. ERNESTO GRANDE. In due note precedenti (1) pubblicate nel principio del 1897, abbiamo fatto notare che per l’azione dell’ammoniaca e dell’etere cianacetico sul metiletilchetone si formava la dicianmetilglutaco- nimide, e in determinate condizioni anche un composto intermedio instabilissimo, il quale per l’azione dell’acqua si decompone pro- ducendo la dicianmetilglutaconimide, dell’acido cianidrico e un gas combustibile che per le sue proprietà e per l’analisi eudio- metrica era da noi stato riconosciuto come etano C?HS, Studiando questo composto intermedio e un altro prodotto che si forma nella reazione abbiamo trovato modo di spiegare come si produce l’etano. Dopo numerosi e replicati saggi abbiamo potuto stabilire con sicurezza che il composto intermedio è il sale di ammonio, instabilissimo, di un composto bicianico: CH, (0253 E , CN HC CH.CN | | NH*.0C (010) DX I N (1) GuarescnI, Nuove ricerche sulla sintesi di composti piridinici e la reazione di Hantzsch, © Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, adu- nanza 21 febbraio 1897, vol. XXXII. — E. GranpE, Azione dell'etere ciana- cetico sopra il metiletilchetone in presenza di ammoniaca, lvi, T. XXXII. SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 861 che si forma dall’etere cianacetico col metiletilchetone e l’am- moniaca nel modo seguente: UN .C*H° CH* C*H° wS "I prat 24 gno CH?. CN Lu agri CNHC_ CH.CN =20°H°. H C*H"0.CO CO.0C?H* NH*. niro N 2NH° N Questo sale ammonico, che è stabile in liquido alcalino, diluito con acqua e trattato con acido cloridrico lascia pre- cipitare il derivato acido corrispondente che può denominarsi idroetilBR'dicianvmetilaa' diossipiridina (1) e che per le ragioni già addotte da uno di noi in una prima memoria sui derivati della cianglutaconimide si può scrivere con: CH? C?B5 CH? C?H5 dec Ni C C mea ages CN.HC CH.CN CN.HCCH.CN bid oppure | | HO.C Co OG ‘C’0H NU A N N Questo corpo che si ha dal composto intermedio sovrac- cennato è identico con una sostanza cristallizzata in lamine ottenuta da uno di noi nel 1894 direttamente per l’azione del- l'etere cianacetico e dell'’ammoniaca sul metiletilchetone. Non ne fu proseguito allora lo studio sia perchè erano in corso altre ricerche, sia perchè le analisi non tonducevano ad una formula esatta per le ragioni esposte nella nostra nota Osservazioni sul- l’analisi elementare. Ed invero allora il dott. Quenda per incarico di uno di noi analizzando quel composto trovava: C.=58.57 e 57.89 Hi= soka de nda APT (1) Diamo questo nome di idroetildicianmetildiossipiridina per indicare che contiene 0*H° e H in istato da potersi eliminare sotto forma di etano. 862 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE Uno di noi riprendendo già nel 1895, in questo laboratorio, lo studio della reazione del metiletilchetone sull’etere cianacetico e l’ammoniaca ottenne insieme alla 8R'dicianmetilglutaconimide anche la sostanza fusibile 192°-193°, la quale analizzata diede risultati sconcordanti specialmente nel dosamento dell’azoto. Anche il dott. Pasquali analizzando lo stesso composto, in questo laboratorio per invito del direttore, trovava 26.47 e 26.86 % di azoto. Scoperta la causa per la quale il dosamento dell'azoto può dare risultati molto erronei e riconosciuto che in questo caso insieme all’azoto si sviluppa dell’etano, si riuscì ad avere analisi concordantissime non solo della sostanza ma anche de’ suoi de- rivati e potè essere stabilita con sicurezza la formola C!°H!!N302 già resa probabile per altre vie. Perciò abbiamo ripreso insieme lo studio di questa sostanza, molto interessante. Si noterà che mentre il composto intermedio ossia il sale ammonico dell’ idroetilB8'dicianrmetildiossipiridina è instabilis- simo e prontamente con acqua si decompone in etano e dician- metilglutaconimide, questo composto in lamine cioè la idroetil- BR'dicianymeti]diossipiridina libera è stabilissima, ed è pure stabilissima in presenza degli acidi ed anche di un eccesso di alcali, però non appena questo corpo è neutralizzato con ammo- niaca o con un carbonato alcalino si decompone prontamente in etano e nel sale ammonico o sodico della dicianmetilglutaconimide: CH°°C*H° CH? AZZ C C PR où CN.HC CH.CN CN.HC C.CN I #id = 00: Halo boe NH*0.C CO etano —NH‘0.C CO ba toa Interessante è pure, come si vedrà, l’azione del calore. Lo studio di questa sostanza è importante anche perchè serve a spiegare la formazione, la composizione e la costituzione di altre sostanze simili cristallizzate in lamine, che anch’esse coll’azione del calore o neutralizzate cogli alcali, sviluppano idro- carburi, e che si formano in modo simile dal metilessilchetone, Lai SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 863 dal metilbutilchetone, dal metilpropilchetone e dall’acetone ordi- nario; devono essere senza dubbio composti omologhi di quello da noi avuto dal metiletilchetone. Parte sperimentale. In una delle prime esperienze la idroetil8'dicianymetil- ao'diossipiridina fu ottenuta nel modo seguente: 30 cm? di me- tiletilchetone mescolati con 25 cm? di ammoniaca della den- sità 0.925 furono ben agitati per 24 ore con una turbina Rabe poi vi si aggiunsero 10 cm? di etere cianacetico. Dopo aver agitato sino ad avere un liquido omogeneo, giallo, si lasciò eva- porare a b. m. Il residuo lavato bene con etere si fa cristal- lizzare dall'acqua bollente. Cristallizza prima una sostanza in lamine incolori, fusibili a 192°-193° e dalle acque madri si ha il sale di ammonio della 88'dicianrmetilglutaconimide o 8‘ di- cianymetilao'diossipiridina già descritta. In questo modo però si ottiene poco prodotto e si trovò più conveniente operare come segue: si mescolano 9 grammi di metiletilehetone con 30 gr. di ammoniaca acquosa al 20° e dopo aver agitato per pochi minuti si aggiungono 28 gr. di etere cianacetico. Si sviluppa calore ed a poco a poco il liquido diventa giallo, omogeneo. Dopo 24 ore si diluisce il liquido con 100 cm? di acqua e si acidifica con 100 cm? di acido cloridrico a 1.06. Precipita così circa 8 gr. di composto in lamine che dopo lavato, basta cristallizzarlo una volta dall'alcool diluito o dall'acqua bollente per averlo puro, fusibile a 193°, Avendo lasciato 48 ore a sè la mescolanza, il rendimento non fu maggiore. Meglio ancora conviene operare nel modo se- guente usando l’ ammoniaca alcolica invece dell’ ammoniaca acquosa. 9 gr. di metiletilacetone (1 mol.) si sciolgono in 28 em? di etere cianacetico (2 mol.) poi si aggiungono 50 gr. di ammo- niaca alcolica al 12.6 °/ (circa 3 mol.). La miscela limpida e incolora diventa a poco a poco gialla e sviluppa poco calore; dopo alcune ore incomincia depositare dei cristalli ed infine dopo 24 ore si ha una massa compatta cristallina, che è appunto il sale ammonico del nuovo composto o ciò che prima si disse composto intermedio. Diluita la massa con egual volume di acqua o anche un poco di più, si acidula il liquido aggiungendo w 864 \ ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE a poco a poco dell’acido cloridrico a 1.06 di densità. Si ha così un precipitato bianco cristallino, che raccolto su filtro, lavato con poca acqua alla pompa, e poi ricristallizzato dall’acqua bol- lente fornisce la idroetildicianmetildiossipiridina in belle lamine brillanti. In questo modo si ottengono 14 a 15 gr. di prodotto purissimo. Il prodotto puro e disseccato a 100° sottoposto all’analisi diede i risultati seguenti: I. Gr. 0.1937 di sostanza fornirono 0.4113 di CO? e 0.0923 di H?0. II. Gr. 0.2367 fornirono 0.5084 di CO? e 0.1161 di H?20, III. Gr. 0.1754 fornirono 33 cm di N a 20° e 745 mm. IV. (Gr. 0.098 fornirono 19.6 cm? di N a 24° e 742 mm. V. Gr. 0.1214 fornirono 0.262 di CO? e 0.060 di H?20. VI. Gr. 0.1794 diedero 0.381 di CO? e 0.087 di H?0. VII. Gr. 0.1538 fornirono 27.4 cm} di N a 13°.5 e 740 mm. L’azoto non bruciava. VIII. Gr. 0.1192 fornirono 22 em? di N a 21° e 745 mm. L’azoto non bruciava. Da cui la composizione centesimale seguente: I II III IV V VI VII VII = 57.89 58.57 — — 58.85 07.92 — -- EN 5.4 se — 5.49 5.38 — — Ne — 20.99 21.08 — — 20.30 20.13 Numeri che conducono alla formula C!°H!!N30? per la quale si calcola: 0 ='58.58 H= 15.86 N= 20.48 La idroetilg8'dicianrmetilaa'diossipiridina cristallizza in la- mine sottili, leggiere, brillanti, incolore, fusibili a 193° in liquido incoloro che per raffreddamento si rappiglia in massa cristallina. E poco solubile nell'acqua fredda (1 p. in circa 530 p. di acqua a 22°), molto più solubile nell'acqua bollente, solubile in alcol e nell’acido acetico glaciale, dal quale per lenta evaporazione può € SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 865 aversi in grossi cristalli. È poco solubile nel cloroformio e nel- l’etere. La soluzione acquosa ha reazione acida. Neutralizzata con ammoniaca dà un sale di ammonio solu- bile, alterabile, che in contatto dell’acqua prontamente si decom- pone in etano e in sale di ammonio della dicianmetilglutaconimide, come è indicato nell'esposizione data più sopra. Insieme a un poco di acido cianidrico. E che il gas che si sviluppa sia vera- mente etano, oltre che le proprietà fisiche e chimiche lo dimostra l’analisi eudiometrica: Volume | Tempe- | Pressione | Volume letto | ratura |in millim.|a 0° e1m. | Gaz impiegato . . 98,33 | 13° 261,5 24,54 Dopo l’ aggiunta del- | l’ossigeno N OSO Zone eo 195/95 Dopo aggiunta l’aria . | 588,47 | 119,5 691,0 357,00 Dopo la combustione. | 488,83 | 12°,5 | 639,5 | 298,93 Dopo l’azione della po- tassa . grin A42;90 139.00. +590;0 249,14 trovato calcolato per C3Hy Ossigeno consumato totale 83,92 85,89 È È per il C 49,79 49,08 È A per l'H 33,58 36,81 e facendo il volume del gaz = 1 si ha | trovato calcolato per CaHs Gaz impiegato . 1 1 | Ossigeno consumato totale 3,99 3,5 X $ per il C 2,02 2,0 Ù x per l’H 1,36 1,5 Le letture erano fatte sempre sopra i gas disseccati. 866 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE La dicianmetilidroetildiossipiridina messa in contatto con una soluzione acquosa di soda caustica nel rapporto di 1 mol. di C!°H!!N®0? per 2 mol. o di 3 mol. di NaOH non sviluppa gas etano, mentre lo sviluppa se si neutralizza con 1 mol. di NaOH. La soda si comporta come l’ammoniaca. In modo simile si comporta colle soluzioni di carbonato sodico: in questo caso però il gas si sviluppa tanto con !/» mol. di Na?CO? quanto con 1 mol. di Na?CO?. Anche per neutralizzazione con metilamina sviluppa gas etano. La idroetildicianmetildiossipiridina in presenza di soda cau- stica o di carbonato sodico si comporta come un acido monoba- sico. Questo composto è instabilissimo allo stato di sale neutro alcalino mentre è stabile in presenza di un eccesso di alcali o di un acido; dalla soluzione alcalina si può riprecipitare inal- terato, coll’acido cloridrico. La soluzione acquosa satura della 8f'dicianmetilidroetildios- sipiridina non precipita col nitrato d’argento; se si tratta la sostanza solida con acqua e poca ammoniaca in modo che il liquido rimanga ancora acido e si filtra, si ha una soluzione di sale ammonico che dà le reazioni seguenti: Col nitrato d’argento dà un precipitato bianco cristallino pochissimo solubile nell’acqua fredda, solubile nell’acqua bollente da cui cristallizza, solubile nell’acido nitrico a freddo. Coll’acetato neutro di rame dà a poco a poco un precipitato verde costituito da piccoli cristalli spesso riuniti a rosetta. Pre- cipita pure col solfato di rame. Col cloruro ferrico dà precipitato rosso solubile in eccesso di reattivo. Col nitrito potassico e poco acido solforico diluito dà colore giallo vivo che rimane anche dopo.alcuni giorni, e che ricorda la stessa reazione data dal (3)metilpirrazolone di Knorr. SALE DI AmmonIO. Questo è ciò che precedentemente si è denominato composto intermedio. Si forma come abbiamo visto quando si mescolano i tre corpi: metiletilchetone, etere cian- acetico e ammoniaca. Raccolto rapidamente il precipitato su filtro, lavato con ammoniaca diluita, e disseccato nel vuoto sul- l’acido solforico, si ha un prodotto bianco cristallino che non si SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 867 può ricristallizzare senza decomporlo e che per la sua facile de- composizione coll’acqua si trova spesso mescolato col sale am- monico della dicianmetilglutaconimide. Gr.80.408 di sale ammonico così preparato e secco nel vuoto sull’acido solforico, distillati con Mg0 fornirono 0.3867 di cloro- platinato di ammonio, pari a 0.0296 di NH?. Da cui: trovato calcolato per C'°H'°N*(NH*)0? — T_T I —r NH? % 120 7.65 Questo sale sciolto in acqua, e acidulata la soluzione con acido cloridrico, lascia cristallizzare la idroetildicianmetildiossi- piridina. In presenza di acqua si decompone prontamente con effer- vescenza sviluppando etano; producendo anche dell’acido ciani- drico e lasciando poi cristallizzare il sale di ammonio della dician- metilglutaconimide. Il gas etano che si sviluppa non contiene traccia di gas non saturi, ed ha tutti i caratteri del gas etano puro. In una combustione, ad esempio, nell’eudiometro di Bunsen, diede i risultati seguenti: Gas prodotto da scomposizione del composto intermedio nell'acqua. Volume | Tempe- |Pressione | Volume letto ratura del gaz |a 0°e lm. Gaz impiegato . . .| 74,89 24° 2981 16,32 Dopo aggiunta di O . | 279,57 249,5 440,5 112,99 Dopo aggiunta di aria | 494,38 24° | 658 296,69 Dopo combustione . . | 455,50 25° | 612,5 255,54 Dopo la KOH . . .| 420,54 23° 574,0 222,6 trovato calcolato per C3Hs Ossigeno consumato totale 57.07 | 57,12 a 1 per € 32,94 32,64 A A per H 24,83 24,48 868 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE e facendo il volume del gas impiegato = 1 trovato calcolato . Ossigeno consumato totale 3,52 3,5 ” 3 per © 2,01 2,0 | : ; per H 1,50 ib; Non abbiamo dosato la quantità di acido cianidrico che si forma in questa reazione. L'acido cianidrico proviene senza dubbio dai gruppi CN contenuti in questo composto, per una reazione secondaria riducente, le cui condizioni non abbiamo an- cora studiato. SALE D’ARGENTO. Si prepara sciogliendo la idroetildician- metildiossipiridina in acqua con poca ammoniaca in modo che resti un poco di composto indisciolto e che la soluzione sia ancora acida; il liquido filtrato si tratta con un eccesso di so- luzione di nitrato d’argento. Lasciato depositare il precipitato, si raccoglie su filtro e si lava. In una preparazione da 1.083 di lamine si ottenne 1.446 di sale d’argento. All’analisi diede i risultati seguenti: I. Gr. 0.2742 di sale secco nel vuoto sull’acido solforico fornirono 0.0952 di Ag. II. Gr. 1.1332 di sale secco a 100°, sospesi in acqua e trattati a caldo con acido solfidrico fornirono 0.4508 di Ag?S. III. Gr. 0.1768 di sostanza fornirono 21.6 cm? di N a 13° e 756 mm. Da cui: trovato calcolato -—_T_——=——_ —____.s____ per I II II C!°H'°N°Ag0? Ag = 3471 34.64 — 34.61 No severeb bu dadi (1) 13.46 (1) Quest’analisi fu fatta quando ancora non ci eravamo accorti che il gas N poteva essere mescolato con idrocarburi. SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 869 Questo sale d’argento è stabile alla luce; coll’acqua non si altera, però in contatto con la quantità teorica di ammoniaca, sufficiente per rigenerare il sale ammonico, si scompone dando al solito del gas etano. Col gas solfidrico rigenera la bicianmetilidroetildiossipiridina inalterata: gr. 1.1332 di sale fornirono coll’acido solfidrico 0.4508: di solfuro d’argento e dal liquido filtrato si riottennero 0.7266 di bicianmetilidroetildiossipiridina, ciò che corrisponde quasi alla quantità teorica e dimostra che questo composto non è alterato dall’acido solfidrico. SULLA PREPARAZIONE DELL'ETANO. Noi crediamo che la decom- posizione coll’acqua del sale ammonico o sodico neutro della idroetildicianmetilchetildiossipiridina costituisca uno dei migliori, metodi, se non il migliore, per ottenere presto e in quantità il gas etano purissimo. Da 100 gr. di lamine che si preparano in brevissimo tempo, si possono ottenere alcuni litri di gas etano purissimo. Senza bisogno di depurarlo come è necessario fare con altri processi, quali quello di Kéhnlein o di Gladstone e Tribe, come ha fatto Hainlen (1). La formazione dell’etano in questa reazione può servire per fare una elegante esperienza di corso. Si mette entro un tubo munito di robinetto e pieno di mercurio, in comunicazione me- diante tubo di gomma con un recipiente contenente pure del mercurio, una soluzione della idroetildicianmetildiossipiridina (2 a 3 gr.) con acqua e poca ammoniaca o soda caustica, fatta in maniera che il liquido rimanga neutro o lievemente alcalino. Dopo poco tempo si è già prodotto tanto gas che aprendo il robinetto ed innalzando il recipiente col mercurio si può dimo- strare che il gas brucia con fiamma luminosa. Col carbonato sodico la reazione è più rapida, ma vi è mescolanza con ani- dride carbonica. AZIONE DEL CALORE SULLA IDROETILBR DICIANYMETILA0'DIOSSI- PIRIDINA. Quando si scalda questo composto in una stortina o in un palloncino a bagno d’olio e la temperatura è arrivata a 320°, inco- mincia a bollire decomponendosi con sviluppo di gas che può rac- cogliersi direttamente in un azotometro contenente potassa cau- (1) “ Ann. d. Chem. ,,, 1894, t. 282, pag. 236. 870 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE stica al 50 °/. Prima di riscaldare si scaccia completamente l’aria dall’apparecchio con una corrente di anidride carbonica pura e secca. Da 1,22 gr. di composto ottenemmo 17.6 cm? di gas a 14° e 730 mm.; e in un’altra esperienza da 1.35 di so- | stanza si ottennero 25 cm? di gas a 22° e 743 mm. Il gas che si ottiene è incoloro, brucia con fiamma luminosa, non è assorbito dal bromo nè dal cloruro rameoso ammoniacale, è pochissimo solubile nell'acqua. Questo gas analizzato nell’eu- diometro di Bunsen diede una quantità di anidride carbonica ed una contrazione corrispondenti all’etano C®°H8. Ecco, ad esempio. i risultati di una combustione: Gas avuto da scomposizione pirogenica della idroetildicianmetildiossipiridina. Volume Tempe- | Pressione | Volume letto ratura |inmillim.|a 0° elm. Gaz impiegato . 85,89 15° 231,5 18,96 Dopo l'aggiunta dell'O 345,71 13° 485,5 | 160,21 Dopo aggiunta dell’aria | 532,46 13° 667,0 339,02 Dopo la combustione . | 485,80 12° 624,5 | 290,62 Dopo l’azione della po- tassa lisci cdiada-1 pileta9à 13° 592,0 255,41 trovato calcolato per CsH Ossigeno consumato totale 64,65 66,36 ; P per © 35,21 37,92 È si per H 29,94 28,44 e riducendo il volume del gaz = 1 trovato calcolato Ossigeno consumato totale 3,40 3,5 ; ; per © 1,85 2,0 ; ; per H 1:55 1,5 SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 871 Oltre al gas etano si sviluppa dell’ammoniaca, distilla un poco di materia che cristallizza nel collo della storta o nel tubo ricurvo annesso al palloncino se si fa la distillazione in un palloncino tubulato; questa sostanza cristallina diventa rossa stando all’aria. Nella storta o nel palloncino rimane un residuo quasi nero. Noi non sappiamo se la idroetildicianmetildiossipiridina : CE” |) C?B5 C PAR CN.HC/ y \CH.CN raid Fatta HO.CN 700 4 sì scomponga in modo da eliminare l’etano da Ya' dando: CH? | C AS CNHC | CH.CN oppure, come è più probabile, eliminando l’etano da YB e dando la dicianmetilglutaconimide: por 0, di ONG ROIO (A) UOC EGO SY N Essendochè per l’azione dell’acqua e dell'’ammoniaca la idro- etil8R'dicianrmetilaodiossipiridina dà appunto etano e il sale di ammonio della dicianmetilglutaconimide (A) così è probabile che 872 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE pure per l’azione del calore si elimini C?H5 e H da vB. Però essendochè la reazione ha luogo a 320° che è la temperatura a cui già si scompone da dicianmetilglutaconimide così non pos- siamo con sicurezza affermare che la decomposizione avvenga in un senso piuttostochè in un altro. Ad ogni modo nel caso nostro è praticamente importante sapere che già a 320° si svi- luppa regolarmente un idrocarburo gasoso saturo che può indurre in gravi errori quando si dosa l'azoto. Altri casi come questo dello sviluppo regolare di un idro- carburo gasoso puro durante la decomposizione di una sostanza per l’azione del calore, non si conosceva. Ora noi dobbiamo aggiungere gli eteri idropiridinici, come dimostreremo in una prossima nota. Derivato bromurato. La idroetil88'dicianrmetilao'diossipiri- dina, in polvere finissima, sospesa in acqua e trattata con acqua di bromo, versata con buretta graduata, reagisce prontamente, il liquido si decolora, formasi dell'acido bromidrico e un nuovo composto bromurato bianchissimo. Si deve aggiungere il bromo a poco a poco agitando, sino a che il liquido rimanga perma- nentemente colorato in giallognolo. Dopo alcune ore si raccoglie il precipitato su filtro, si lava bene ripetutamente con acqua poi si ricristallizza dall’alcol diluito o dall'acqua bollente. In varie preparazioni abbiamo osservato che la quantità di bromo assor- bito corrisponde pressochè esattamente a 2 molecole di bromo, con formazione di un derivato bibromurato. Anche la quantità di prodotto bromurato ottenuto corrisponde pressochè alla quantità teorica, infatti, ad esempio, in tre esperienze da gr. 1; 1.404 e 2.732 di sostanza, si ottennero rispettivamente gr. 1.85; 2.27 e 5 gr. di prodotto greggio bianchissimo; quantità corrispondenti quasi esattamente alla formola C!°H°N®Br?0?. Un dosamento di bromo e uno d’azoto confermarono che il prodotto contiene due atomi di bromo: I. Gr. 0.2312 di sostanza fornirono 0.2435 di AgBr. II. Gr. 0.2162 di sostanza fornirono 22.4 cm? di N a 19° e 736 mm. La sostanza fu bruciata col cromato di piombo. L’azoto ottenuto non era combustibile. SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 873 Da cui: trovato calcolato _— r—_ per il II C!°H°N?Br?0? Br % Hagen SI 44.07 SESSO — 14:45 le 57 Questo composto bromurato cristallizza bene dall'acqua bol- lente in piccoli cristalli incolori, brillanti, in forma di prismi corti, duri e pesanti, fusibili con scomposizione a 175°-185°; non ha un punto di fusione netto perchè già a 110°-120° comincia a scomporsi sviluppando del bromo. Dall’alcol diluito e caldo si deposita allo stato di liquido oleoso incoloro che poi cristal- lizza; se però la soluzione alcolica non è troppo concentrata il composto cristallizza direttamente. Questo bibromoderivato è discretamente solubile nell'acqua bollente e la soluzione satura a freddo, che ha reazione acida, trattata con nitrato d’argento dà un precipitato bianco solubile nell’acido nitrico e solo dopo lunga ebollizione di questa solu- zione si ha un intorbidamento bianco. Lo stesso derivato bro- murato fatto bollire con soluzione diluita di soda caustica dà dopo acidulata la soluzione con acido nitrico con abbondante precipitato bianco di bromuro di argento. È solubile nell’acido solforico concentrato senza colorarsi; è pure solubile nell’acido nitrico concentrato senza colorarsi, anche a caldo. Con nitrito di sodio e acido solforico diluito non si colora. Non abbiamo ancora esperienze sufficienti che dimostrino essere il composto bromurato: CHIESHS ae C | ae” CN.BrC CBrON (B) | Hic ug N N Ma questa formola è molto probabile. Scaldato per lunghissimo tempo a 110°-120° perde il bromo e non sviluppa acido bromidrico, diventa alquanto giallastro Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 60 874 ICILIO GUARESCHI — ERNESTO GRANDE e quando cessa di perdere peso, il residuo non contiene più traccia di bromo. Gr. 0.9938 di sostanza scaldati per varî giorni in istufa a 100°-110° prima, e poi a 110°-120°, perdettero 0.444 del proprio peso il che corrisponde a 44.65 %,. Per la eliminazione di Br? da C!°H°N3Br?0? si calcola 44.07 9%. Più rapidamente perde tutto il bromo se si scalda in un tubo Liebig a 130°-135° in bagno d’olio e in corrente lenta di aria. Gr. 1.4940 scaldati a 130°-135° per circa 29 ore perdet- tero 0.6565, cioè 43.94 %;; ma il residuo allora è più bruno. Il residuo, che non contiene più bromo, è cristallino, solu- bile nell'acqua bollente con reazione acida da cui cristallizza in piccoli prismi rombici corti, assai belli e regolari, brillanti, duri; è solubile nell’alcol; fonde verso 210° scomponendosi. Questo prodotto neutralizzato con ammoniaca e trattato col nitrato di argento dà un precipitato bianco cristallizzato in piccoli aghi solubili nell’ammoniaca e nell’acido nitrico. Il composto bromurato C!°H°N*Br?0? si scioglie nell’ammo- niaca e la soluzione dà precipitato cristallino col nitrato d’ar- gento; questo precipitato è solubile nell’acido nitrico diluito e quasi subito si riprecipita il composto bromurato inalterato. La soluzione ammoniacale evaporata nel vuoto sull’acido solforico lascia un residuo cristallino il cui peso corrisponde esattamente al sale di ammonio; e che sia il sale di ammonio C10H8(NH4)N3Br®0? lo confermerebbe anche un dosamento di azoto: Gr. 0.1848 di sostanza fornirono 25 cm? di N a 18° e 737 mm. Da cui: trovato calcolato per C'°H*8(NH*)N®Br?°0? — —Prtanp__-_;r_errr-r N 15.02 14.73 10 Questo composto bromurato messo in contatto dell’acqua sul mercurio, insieme a poca ammoniaca per scioglierlo, sviluppa una piccola quantità di gas; il mercurio rimane intaccato for- ‘ mandosi del bromuro metallico. Lo studio ulteriore di questo derivato bromurato speriamo SOPRA UNA IDROETILDICIANMETILDIOSSIPIRIDINA 875 dia risultati interessanti. Che da questo, per eliminazione sem- plice del bromo, si possa formare il composto CANOA a 0 Pl CN.C-_—CN.CN | | HO.C CO » Da quanto siamo venuti esponendo si può concludere: Nell’azione tra il metiletilchetone l'etere cianacetico e l’ammoniaca si forma prima il sale ammonico C!°H!%(NH*)N®0? (composto intermedio) da cui coll’acido cloridrico si ottiene la idro- etildicianmetildiossipiridina C!°H!N®0? in lamine fusibili a 193°. La idroetildicianmetildiossipiridina per decomposizione dei suoi sali alcalini neutri coll’acqua sviluppa una regolare corrente di gas etano; ed è questo il migliore metodo per avere il gas etano purissimo. La idroetildicianmetildiossipiridina per l’azione del calore sviluppa, a 320°, una corrente regolare di gas etano. Reazione questa analoga a quella che dànno gli eteri idropiridinici come abbiamo già accennato nella nota Osservazioni sull’ analisi ele- mentare e come meglio dimostreremo in un successivo lavoro (1). La idroetildicianmetildiossipiridina fornisce col bromo un de- rivato bibromurato che per riscaldamento perde tutto il bromo. Torino R. Università, 19 Giugno 1898. (1) Ora sono occupato anche nello studio dei prodotti della distilla- zione degli eteri idropiridinici e di altri corpi da cui con facilità si otten- gono degli idrocarburi quali il metano, l’etano e l’etilene. Dall’etere diidro- collidindicarbonico si è ottenuto del CH*, C*H*, CO?, dell'alcol e gli eteri lutidinmonocarbonico e lutidindicarbonico, confermando così quanto è stato accennato nella nota: Osservazioni sull’analisi elementare. Si vedrà poi quali sono le condizioni migliori perchè si elimini CH*, C*H5 oppure C°H*. Dal- l'etere fenilidrolutidindicarbonico si forma dell’als002, poco benzene, del CO?, un carburo saturo che pare etano, e dell’etere fenillutidindicarbonico. Intendo riserbarmi questo campo di studio, per evitare che altri senza alcun ri- guardo e senza scrupoli entri anche in questo ordine di miei studii che sì fanno nel mio laboratorio. io 876 GIORGIO SPEZIA Contribuzioni di Geologia chimica. Esperienze sul quarzo e sull’opale. Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. In un precedente lavoro (1) nel quale era argomento la so- lubilità del quarzo e l'accrescimento di esso, io venni, per alcune esperienze eseguite, alla conclusione, che nel quarzo esistessero due direzioni normali fra loro di massimo e minimo accresci- mento; ed a riguardo del risanamento dei cristalli asserii, che, supponendo in un cristallo di quarzo due fessure di eguale am- piezza, una parallela all’asse di simmetria principale e l’altra in- clinata ad esso, quest’ultima avrebbe dovuto riempirsi di sostanza quarzosa, molto più presto e tanto più velocemente, quanto più la sua direzione si avvicinava ad essere normale alla direzione dell'asse di simmetria principale. Era un’induzione basata sul fatto sperimentale che mi aveva dimostrato, come nel quarzo la massima velocità di ac- crescimento coincidesse colla direzione dell’ asse di simmetria principale. Infatti supponendo in un cristallo di quarzo una fessura normale all’asse principale, evidentemente il deposito quarzoso si farà contemporaneamente e con maggior velocità secondo le normali alle due pareti della fessura, perciò i due accrescimenti che si formerebbero sulle pareti dovrebbero presto incontrarsi e chiudere la fessura. Ma anche un’induzione derivata dall’ osservazione di un fatto deve essere provata, quando sia possibile, da un'esperienza (1) “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIII, p. 289. e e e I CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA 877 diretta; perciò ritengo opportuno di indicare alcuni esperimenti da me eseguiti in proposito. In una prima esperienza presi un cristallo bipiramidato di quarzo ematoide e vi feci tre tagli che dovevano avere la stessa ampiezza, perchè segati con uno stesso disco metallico e con smeriglio di eguale finezza. Un taglio era parallelo all'asse principale di simmetria e gli altri due erano normali allo stesso asse. Il cristallo così preparato fu sottoposto ad aumento di quarzo col solito sistema descritto nel lavoro precedente, ossia fu collocato nel recipiente in modo che esso si trovava immerso nell'acqua in un vano, nel quale per diffusione doveva discen- dere la soluzione silicea proveniente dalla decomposizione del vetro. Il cristallo fu disposto in modo che le pareti dei tre tagli rimanevano verticali e perciò in posizione eguale rispetto alla soluzione silicea discendente. Il risultato dell'esperienza fu, che il taglio parallelo all’asse di simmetria non presentò restringimento visibile ad occhio nudo, invece gli altri due erano quasi chiusi da nuovo quarzo incoloro. Tale esperienza, benchè assai persuasiva, permetteva ancora di supporre che potesse avere influenza nella direzione del de- posito quarzoso la forma esterna del cristallo di quarzo, ossia, in altre parole, che la speciale direzione di accrescimento non dipendesse da causa intrinseca inerente alla struttura molecolare. Perciò feci due altre esperienze nelle quali era in parte tolta la forma esterna. A tal fine adoperai due cristalli di quarzo bianchiccio di Alghero, i quali si presentano bipiramidati e con traccia soltanto delle faccie del prisma. Impiegai tali materiali, in cui il deposito quarzoso nuovo doveva per la sua limpidezza essere più visibile, perchè mi fu impossibile di procurarmi altri grossi cristalli di quarzo ematoide, che fossero costituiti da un solo individuo e fossero tali da lasciarsi segare in lastre e fra- stagliare senza rompersi. Dai due cristalli tagliai due lastre parallele all’asse di simmetria, e poi in una di dette lastre feci due tagli eguali, uno parallelo all'asse e l’altro normale; nel- l’altra lastra, oltre i due detti tagli, ne feci uno inclinato al- l’asse segando il cristallo quasi normalmente ad una faccia di romboedro. Dopo l’esperienza, nella quale s'intende sempre che la po- 878 GIORGIO SPEZIA sizione delle lastre era tale da porre in eguale circostanza ri- spetto alla soluzione i tagli, trovai comprovato il primo risul- tato ottenuto, che cioè il taglio parallelo all'asse subì un assai lieve restringimento mentre in quello normale il riempimento fu quasi completo. Nella lastra poi in cui vi era anche il taglio normale alla faccia del romboedro si fece pure il deposito di quarzo nella fessura; ma minore di quello avvenuto nel taglio normale al- l’asse, e la fig. 1 rappresenta coll’ingrandimento di 3 diametri la detta lastra dopo l’esperienza (1). Ma anche in queste due esperienze, sebbene non vi fosse il cristallo completo, tuttavia le due lastre presentavano ancora, nelle superficie costituenti il loro contorno, un residuo di faccie di romboedri; perciò feci un’ultima esperienza nella quale non vi fosse più traccia di faccie naturali. 7 Considerando poi, che pel risultato dell’esperienza, era suffi- ciente di conoscere la modificazione all’ampiezza dei tagli pro- dotta dal deposito quarzoso, feci uso di quarzo jalino ‘escludendo così anche il dubbio, che nei risultati prima ottenuti, col quarzo ematoide e bianchiccio, avesse potuto avere qualche influenza l’impurità del quarzo. Da un grosso cristallo perfettamente incoloro tagliai una lastra dello spessore di 4 millimetri parallela all'asse di sim- metria; da tale lastra finamente smerigliata tolsi un pezzo e lo foggiai a settore coi due raggi uno parallelo e l’altro normale all'asse; poi vi produssi 5 tagli, s'intende di eguale larghezza; e la fig. 2 rappresenta il preparato per l’esperienza ingrandito di 2 diametri e mezzo. Anche per quest'esperienza la lastra, foggiata a settore, aveva nell’ apparecchio la disposizione orizzontale, per cui le pareti dei tagli rimanevano verticali e quindi tutte sottoposte ad eguale azione del deposito di silice della soluzione. Dopo l’esperimento il settore si presentava come nella fig. 4, in cui appare con evidenza come il riempimento o deposito di nuovo quarzo sia stato progressivo, a partire da quello quasi (1) Per le fig. 1°, 2% e 4* che rappresentano lastre di quarzo parallele all'asse principale di simmetria, la disposizione è tale che la direzione del- , l’asse corre dal basso all’alto della tavola. CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA 879 nullo nel taglio parallelo all'asse a quello completo nel taglio normale all’asse. Evidentemente anche quest’ultima esperienza conferma il risultato delle altre, che cioè nel quarzo l'accrescimento è mag- giore nella direzione dell’asse di simmetria e la velocità di ri- sanamento: dipende dalla direzione della ferita rispetto a quella di accrescimento. Per norma di coloro i quali volessero intraprendere simili esperienze posso suggerire come un buon materiale per avere quarzo la varietà di vetro di Iena lavorato a tubi e che pre- senta nella sezione di rottura un colore azzurrognolo. Tale vetro lasciato nell'acqua alla temperatura da 300° a 310°, per 17 giorni, si decompone totalmente e dalla soluzione si deposita, per raffreddamento, quarzo. Si possono adoperare anche altri vetri, i quali da soli non darebbero quarzo, purchè vi si aggiunga della silice libera. Nello sperimentare varie qualità di vetro per stabilire un ma- teriale che mi servisse per le esperienze sull’accrescimento del quarzo, mi accadde per alcuni vetri di osservare che i cristalli di quarzo avevano subìto un’ erosione prima che su di essi si depositasse quarzo nuovo; mentre per altre varietà di vetri il quarzo si depositò senza che vi fosse indizio di erosione 0 so- luzione del quarzo preesistente. Io non posso ora indicare qual sia il processo chimico, perchè nelle esperienze mie lo scopo non era di cercare come si formasse l’anidride silicica libera, ma bensì come questa po- tesse depositarsi sopra i cristalli di quarzo preesistenti. Ma vo- lendo fare ipotesi, s'intende soltanto relative all’esperienza, io credo che, o si formi un silicato più acido solubile solo ad una data temperatura, al diminuire della quale si separa allo stato di quarzo la quantità di anidride silicica (o acido silicico ?) co- stituente la maggior acidità; ovvero che si formi un qualche silicato il quale possa comportarsi come un solvente del quarzo soltanto per una data temperatura. L' interessante argomento della ricostituzione dei cristalli fu già trattato da varii osservatori con differente scopo. Pa- recchie esperienze furono intraprese con scopo puramente cri- stallografico, da Frankenheim, Scharff, Loir, Hauer, Lavalle, Lehmann, ece.; altre eseguite da biologi avevano per oggetto 880 GIORGIO SPEZIA la possibilità di relazioni fra l'accrescimento nei corpi organici e quelli inorganici; e fra queste ultime sono certamente impor- tanti per la cristallogenesi le esperienze eseguite da Rauber. Ma i risultati ottenuti non sono ancora tali da permettere deduzioni di un certo valore sulla genesi dei cristalli e sul fe- nomeno del risanamento di essi; forse non ultima causa di ciò può apparire nel fatto che le ricerche o ebbero specialmente di mira, nello studio della rigenerazione dei cristalli, la forma esterna di essi, ovvero, come quelle di Rauber, furono fatte sol- tanto sull’allume di rocca in cui l'accrescimento deve essere na- turalmente eguale in tre direzioni normali fra loro, trattandosi di una sostanza monometrica. Perciò io credo che, per l'argomento sopraindicato non sieno prive d'importanza le esperienze da me indicate, sia perchè esse furono eseguite sopra un corpo cristallizzato in cui vi sono due direzioni assai differenti nell’intensità di accrescimento, sia per- chè nell’esperienza sulla lastra di quarzo tagliata a settore era esclusa l'influenza che si potrebbe supporre esercitata da una forma esterna o da faccie di cristallo preesistenti. I risultati ottenuti possono anche servire di contribuzione allo studio delle cause che determinano il vario sviluppo delle forme cristalline; il quale sviluppo, pure rimanendo sempre soggetto alle leggi di simmetria che governano l’assetto delle molecole in un dato sistema cristallino, potrebbe considerarsi come una risultante delle diverse velocità di accrescimento e delle forze esterne inerenti all’ ambiente in cui cresce il cristallo. E p. e. nel quarzo, essendo la velocità di accrescimento a seconda l’asse principale di simmetria molto maggiore che non in direzione normale ad esso, le cause esterne non potrebbero che assai difficilmente agire in modo d’avere per risultante la forma del pinacoide, la cui presenza è infatti nel quarzo ra- rissima per non dire problematica. Da ciò si potrebbe anche indurre che, nelle sostanze del sistema romboedrico i cui cristalli si possono presentare o senza il pinacoide o con questo prevalente, come p. es. la calcite, la differenza di velocità di accrescimento nelle due direzioni so- pradette a proposito del quarzo, dovrà essere piccola, per cui la presenza o l'assenza del pinacoide dipenderebbe da cause CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA 881 esterne dell'ambiente. E per chiudere con un’altra induzione si potrebbe dire che nel berillo, i cui cristalli raramente mancano del pinacoide, se si potesse sperimentare l'accrescimento, questo dovrebbe risultare molto maggiore nella direzione normale al- l’asse di simmetria principale. Inoltre le dette esperienze di carattere puramente minera- logico sull’accrescimento del quarzo potranno, io spero, essere anche utili alla geologia per lo studio della formazione delle quarziti. Perchè cementando sperimentalmente con quarzo due o tre granuli pure di quarzo con diversa posizione delle loro direzioni di accrescimento, si potrà osservare se le linee di unione possano per il loro andamento spiegare quello speciale intreccio caratteristico di certe quarziti, itacolumiti, quarzo di filoni, e quarzo dei gneiss e dei graniti; intreccio di cui, lo con- fesso, non so trovare finora, escludendo le ipotesi non avvalo- rate da esperienze, ragione per me persuasiva, sebbene io abbia già potuto ottenerlo artificialmente nei tentativi che sto facendo sulla trasformazione in quarzo dell’opale e del tripoli per lo studio genetico di certe quarziti. La trasformazione dell’opale in quarzo fu ottenuta nel se- guente modo: da un pezzo di opale resinite di Baldissero tagliai un prisma a base quadrata di 1 centimetro di lato e 2 centi- metri di lunghezza; quindi posi tale prisma di opale in un tubo d’argento con acqua e piccola quantità di silicato sodico, poi nei consueti apparecchi mantenni l’esperienza per 7 giorni alla temperatura da 280° a 290°. L'effetto fu, che il prisma, alla rottura, non presentava più traccia di frattura concoide; ma aveva assunto una struttura granulare ed aspetto saccaroide, e fatta una sezione, questa si presentava al microscopio costituita da granuli di quarzo con l'intreccio di certe quarziti e come appare dalla fig. 3 che rap- presenta la sezione vista fra i Nicol incrociati. Per ora non saprei indicare la causa più probabile di tale trasformazione dell’opale; ma credo di potere già ammettere che nel fenomeno debba concorrere un movimento molecolare o prodotto da un processo chimico, o attivato dalla presenza di un silicato solubile. Tale mia opinione è fondata sul fatto che in un’altra espe- rienza eseguita contemporaneamente a quella descritta, con egual 882 GIORGIO SPEZIA — CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA tempo e temperatura e con un prisma di eguali dimensioni e staccato dallo stesso pezzo di opale, ma nella quale esperienza vi era acqua pura, senza cioè il silicato sodico, l’effetto non fu lo stesso ed il prisma aveva ancora nella frattura l’aspetto concoide. Ed anche l’ipotesi, che la causa sia una semplice disidrata- zione e che la struttura dell’ intreccio fosse già latente nell’o- pale, corrispondente per così dire ai grumi che si osservano quando si produce artificialmente della silice idrata, la quale poi per sineresi diventa compatta e assume frattura concoide, non mi pare probabile; perchè in altre analoghe esperienze, in cui vi era la presenza di un silicato solubile, l’opale si trasformò in un aggregato di perfetti cristalli di quarzo. Finora l’intreccio speciale dei granuli articolati del quarzo, quando non sia visibile un cemento di quarzo, è ritenuto dai litologi, quasi assiomaticamente, come un effetto della sola pressione. Infatti il Rosenbusch (1), nella sua recente opera, dopo avere descritto tale intreccio dichiara che : “ esso si trova anche in quelle arenarie, le quali senza un cemento e per sola pressione si consolidarono da sabbie sciolte (itacolumite, quarzo articolato) ,. L'esperienza da me eseguita prova come si possa ottenere un intreccio articolato di quarzo anche in altro modo; ed in un prossimo scritto ritornando su detto argomento indicherò tutte quelle obbiezioni, le quali impedirebbero di ritenere la sola pres- sione come causa dello speciale intreccio articolato del quarzo; obbiezioni che, a mio avviso, dovrebbero essere dimostrate prive di valore prima di ritenere senza discussione come causa esclusiva del fenomeno la pressione, a meno che si voglia in geologia continuare a professare quella fede che L. Buchner chiama fede ufficiale scientifica, la quale è più di ostacolo che di aiuto al progresso delle scienze. (1) Elemente der Gesteinslehre. Stuttgart, 1898, pag. 390. e SR A DR DAI e G. SPEZIA - Contiluzioni di eologia chimica. Atti della AR. Accad. delle Scienze + SE. x LIM z Copecenze sul quatzo e sull’apate. Vol. XXXIII. Fig. l. Fig. 2. ELIOT. CALZOLARI & FERRARI MILANC NICODEMO JADANZA — ALCUNE OSSERVAZIONI, ECC. 883 Alcune osservazioni sul calcolo dell’error medio di un angolo nel metodo delle combinazioni binarie; Nota del Socio NICODEMO JADANZA. Il metodo di eseguire una stazione geodetica detto delle combinazioni binarie è stato adoperato dall’ IstttuTo GEOGRAFICO MrinitARE, in un gran numero di vertici della rete geodetica italiana. Nel volume che ha per titolo: Triangolazione di 1° or- dine nella regione dell’Italia settentrionale che rimane ad ovest del meridiano di Milano (Vol. I, Osservazioni azimutali eseguite dal 1877 al 1881), Firenze, Tipografia di G. Barbèra, 1881-82, a pag. xIx, è indicato il metodo di calcolo, cioè il modo di rica- vare le direzioni probabili non che la ricerca dell’error medio di un angolo. Tale metodo, siccome si è voluto farlo dipendere dal me- todo di Bessel, non è così semplice per chi legge la prima volta quel volume senza aver letto le pubblicazioni anteriori del benemerito Istituto GroGrArIco. La ricerca dell’ error medio di un angolo poi è, secondo noi, troppo artificiosa e non dà al lettore una idea giusta del valore reale delle osserva- zioni fatte. Abbiamo pensato quindi di esporre in modo più chiaro ed elementare non solo il metodo di trovare i valori più probabili degli angoli misurati ed il relativo error medio, quale è calco- lato in quel volume, ma anche il metodo più rigoroso di tro- vare l’error medio di un angolo in ciascuna stazione. Verrà così modificato l’error medio generale che dovrà essere intro- dotto nei calcoli successivi, però si guadagnerà molto in sin- cerità. 884 NICUDEMO JADANZA Pe Il metodo delle combinazioni binarie è il seguente: Nel punto 0 si debbono fissare le n direzioni 01, 02, 03, ... On. 1 PA MATAL.OMTOA 6 (o La | A 7 3 Si sono misurati gli ner) angoli, (1.2), (13) .....(1) (ZONE (2.n) (994) I (n—-1).n) ognuno & volte (ogni angolo è la media delle due osservazioni coniugate destra e sinistra). È evidente che gli angoli indipendenti sono in numero di n-— 1, e possiamo scegliere quelli della prima orizzontale, cioè: (EL) PIA) QI One (1.(n — 1)), (1.0). I valori probabili di questi angoli li indicheremo rispetti- vamente coi simboli EROE a Re 81] ppi lacca antro [1.n] (1.2) 009 (1.n) indicheremo le medie dei % valori osservati. e con ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'ERROR MEDIO, Ecc. 885 Per dedurre da tutti gli angoli osservati, che sono in tutto L n(n— 1) ( 2 misurato una volta direttamente e poi può essere ottenuto per differenza o per somma in altri n — 2 modi differenti. Così p. e. | gli angoli (1.2), (1.3)..., oltre ad essere misurati direttamente, possono ottenersi negli (n — 2) modi seguenti: , 1 valori probabili si osserva che ciascun angolo è (1.2) = (1.3) — (2.3) (1.3) = (1.2) + (2.3) (1.2)= (1.4) — (2.4) (1.3) = (1.4) — (3.4) (1.2)= (1.2) — 2.) (1.3) = (1.1) — (8.n) (12) =(1.2) + (2.4) (1.2) = (1.3) + (3.n) (12) =(1(a-1))+((—-1).n). E siccome il peso del valore di un angolo misurato diret- tamente è doppio di quello dedotto per somma o per differenza, così non si deve fare altro che la media degli » valori di uno stesso angolo (quello diretto ripetuto due volte, ed (n — 2) va- lori dedotti). Si avrà quindi il valore probabile di ciascun angolo espresso nel modo seguente: (1.2]= (1.2)+(12)+}(1.3)—(2.3)}+}(14)—(2.4){+...+}(12)—Ca)} n” [1.3] = (1.3)+(1.8)-+i(1.2)+.3)\+ (14)—GB4)(+..+}(1.2)—G.n)} n [1.n] LS (1.2) +(1.n) + (1.2) + (Cat) +3lt. In 1)+(n—1.n)} n Non è necessario, per la ricerca dei valori probabili [1.2], [1.35]... ricorrere alle formole precedenti. Basta fare lo spec- chietto seguente, il quale è composto di » — 1 linee orizzontali 836 NICODEMO JADANZA ed n» colonne verticali. Si registrano le medie dei % valori degli angoli misurati così come vedesi: | Punti pl DO bia Senditogie n? n° “ipod Rica | | - AMA... (a) Aa) Co (32/1 /G94...|@2-bD| A. | 00 2 | — (84)... (Ba-b|(B.) 05 |: 0,—G; È Riifagii: 1 ico | | Sa $3 | S4 | Sn1 Sn | e quindi si sommano tutti i valori su di una stessa orizzontale e tali somme si indicano con 0;, 03... 0,1. Poi si sommano i numeri contenuti in una stessa colonna verticale a cominciare dalla seconda e tali somme sono indicate CON Ss, 83... S1-13 Sn. Indi si facciano le differenze 0, — 0, dando a X i valori 2,3,4...(n—-1). I valori probabili degli angoli (12)...(1.») sono dati dalle (n — 1) equazioni: n[1.2] = $9 _ 0, == Ch i n|138]=s3 +0, — 03 (2) ( | n|l.n|]= sn + 0, — Gn Nell'ultima di queste equazioni si è introdotto, per sim- metria, il simbolo 0, che è nullo. Per maggior facilità non si scrivono nello specchio prece- dente le medie dei singoli angoli osservati, ma soltanto le dif- ferenze fra esse medie e valori provvisori scelti opportunamente. In tal caso le equazioni (2) dànno le correzioni da fare ai va- lori provvisori per ottenere i valori più probabili. ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'ERROR MEDIO, Ecc. 887 Per fare un esempio numerico prendiamo dal volume citato innanzi dell'Istituto Geografico Militare la stazione di RIOBURENT, che trovasi a pag. 179. Essa è la seguente: STAZIONE A RIOBURENT. Angoli misurati. (1.2) (1.3) (1.4) 78°38'45”.80 115°50'25”.95 166° 12’ 19”.65 45.25 - 23.05 20.45 45.45 25.40 22.50 46.05 23.85 1.50 48.05 925.45 21.95 45.85 25.85 18.75 Media 46.075 24,842 20.133 (2.3) (2.4) (2.5) ue 00) 87° 33’ 357.25 285022” 30”.30 37.55 35.45 26.40 40.80 SOLO 24.30 39.85 35.60 26.70 37.60 52.90 PAIA A) SICIO 36.15 27.45 Media 38.592 35.108 27.150 (3.5) (45 198° 10' 50”.00 147° 48' 46.85 47.45 52.90 47.60 48.55 Media 48.792 Osservat (1.5) 314° 01'13”.10 12.90 12.85 12.75 14.20 12.10 12.985 (3.4) LAVA rt ga 5) 95.10 . 54.50 56.45 54.25 5.80 ) 51.85 >.90 53,2! 50 ore JADANZA. ® 888 NICODEMO JADANZA Valori provvisori. . (1.2) = 78° 38' 45".0 (1.3) =115 50 24.0 (1.4)=166 12 20.0 (15) =814 01 12.0 e di conseguenza i valori provvisori dei rimanenti angoli sa- ranno 39”.0 35.0 27.0 56.0 48.0 52.0 11' 35) 22 21 10 48 (28) = 970 (2.4) = ‘87 (2.5) = 295 (9.4) = 50 (35) =-198 (4.5) = 147 0-0, 4 1.075 + 0.842 — 0.408 + 0.988 + 0.150 + 0.592 + 1.250 + 1.075) |4- 3.183 + 0.434 + 2.441 + 0.041 + 1.783 + 8.175 + 3.033 | 4,258 | 2,875 + 1.824 + 6.208 | [12] = +4.258 5 = + 0”.85 [ade== Si = + dae iii [15]= = + a L4]C TEIS =+ v'36 ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL’ERROR MEDIO, Ecc. 889 Si avranno dunque i valori probabili definitivi degli angoli [1-2] =: .78° ‘38° 45".85 [1.8] = 115 00 24.58 [1.4] =166 12 20.36 [1.5] =814 01 13.24 Volendo i valori probabili degli altri angoli, si faranno le differenze tra i valori precedenti. Così p. e. sarà: [2.8] =[1.8]— [1.2] = 37° 11’ 38".73 ecc. Calcolo dell’error medio di un angolo (*). Dopo aver calcolato i valori probabili degli (n — 1) angoli indipendenti, si calcoleranno le differenze RL T1.9)02 1.2) v5,=[28]— (2.9) He |1:8]=-(1,9) SANA) Dì: =: (La) da (1a) Va.n = 20] to (a) Un-r.n = [(n — 1).n] — (@—1).0) lina le quali sono in numero di . Se si osserva che il nu- mero degli angoli EAT è n— 1, si avrà per l’error medio la formola dla [vo] QI y 2[vv] da =/ mali (n—1) ua (a 1)(a_-2) E poichè ciascun v è stato dedotto introducendo la media delle % osservazioni (destra e sinistra), così la formola defini- tiva per calcolare l’error medio di un angolo è: 2k [o o] _ | ) a (n — 1)( n—-2 (*) Cfr. nel “ Zeitschrift fiir Vermessungswesen ,, 1878, pag. 209, una nota del maggiore Scarerser. — W.Jorpan, “ Handbuch der vermessungs- kunde ,. Erster Band, 1895, pag. 259. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 61 890 NICODEMO JADANZA Indicando con u l’error medio della media aritmetica, ed osservando che il valore probabile di un angolo è la media di nk valori, sì avrà: Yo mo a 2[v0] (4) Hi Val =V_ Per la stazione geodetica di RiosureNT si ha:n=5; £=6(*). v VV va — 0:22 0.0484 vs = — 0.26 0.0676 via 0,28 0.0529 vi =,0.26 0.0676 Pa mg as anita Diga E vs; = — 0.60 0.3600 sE e p3 = »2%,02 0.0004 vs = — 0.18 0.0169 vas =— 0.87. | 01369 0.8279 sn | 26.0.8279. _ /0,8279 = 0".91 200 q/_2.0,8279 __ q/0:8279 on n= papere 60 = Gori 017: (*) In ogni stazione geodetica è stabilito a priori il suo peso P. Esso nel metodo delle combinazioni binarie è dato da P = n.k, » essendo il nu- mero dei punti e % il numero delle misure di ciascun angolo. Il peso P in Italia è poco differente da 30. In ciascuna stazione % è determinato, essendo noto n. Così è: Per n=2 k=16 Per n= 6 k=5 n= fo ==G0 n=" k=5PD n=4 di =208 n=8 k=4 n="0 ki="6 POTE, Ci ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'’ERROR MEDIO, ECC. 891 EE Questo metodo di calcolare l’error medio è del tutto arti- ficioso. Cosa significa quel miscuglio di errori residui di angoli differenti? Ciascuno dei precedenti v risulta dalla differenza tra il va- lore probabile ed una media di % valori osservati. Non si ha dunque alcun criterio sull'andamento delle osservazioni. Esso par fatto apposta per alimentare la vanità degli os- servatori. Che si scherza? Quando un osservatore, dopo aver fatto una stazione geo- detica su di un'alta montagna esposto a tutte le vicende atmo- sferiche, che solo può conoscere chi le ha provate, si sente annunziare che l’error medio di un angolo isolato è p. e. di 0”.35 o pure di 0'.29, deve certamente compiacersi della sua abilità che non ha riscontro nella storia della Geodesia! La formola (3) dà per m un valore indeterminato per n= 2. Cerchiamo dunque un altro metodo che dia con maggiore i sincerità l’error medio che si cerca. Prendiamo p. e. l’angolo (1.2) il cui valore probabile è [1.2]. Poichè quell’angolo è stato misurato direttamente £ volte, ot- terremo & scostamenti dalla media togliendo dalla media [1.2] ciascuno dei valori osservati; avremo cioè, chiamando %; 09... 07 gli scostamenti corrispondenti a ciascun valore (1.2),, (1.2)a, deg. (1.2), vi =|[1.2]= (1.2); vs = [1.2] — (1.2)s Vi = [1.2] == (1.2);. Similmente si otterranno altri gruppi di % valori ognuno nel modo seguente: va =|[1.2]—[(1.3), — (2.8)] 0x4 =[12]—[(1.4):— (2.4)g] 0+2= [1.2] — [(1.3)) — (2.3).] c24:=(1.2]—[(1.4): — (2.4)»] Vor = [1.2] — [ (1.3), — (2.9)x ] Vs = [1.2] — [ (1.4); — (2.4)x ] 892 NICODEMO JADANZA Un—2:+1 = [1.2] — [(1.2); — (2.2);] Un-2)x+1 = [1.2] — [(1.1) — (2.#)2] tina = [12] — [(1.n)x— (2.2) ] Tutti questi scostamenti dovranno sodisfare alla condizione Zpv=0, quando si tien conto del peso di ciascuno. I primi & scostamenti hanno il peso = 2, gli altri hanno il peso= 1. Sarà dunque (n-1)k (5) anali sr) 1 (K+1) la quale serve di verifica. Se si fanno i quadrati di tutti gli scostamenti precedenti si otterrà per la somma totale | pvv] il seguente valore: (n—1) (6) [pv] = 2 x vw + To vv da cui si dedurrà l’error medio dell’angolo (1.2) che indicheremo con m#,2, Cioè (7) [peo] ie nk — 1 Se con u,s s'indica l’error medio della media [1.2], questo sarà dato da: — ue. ele peo] (8) Bre I n (era . Allo stesso modo si farà per gli altri angoli (1.3) ...(1.n). Gli scostamenti della media di ciascuno di essi si dedurranno dalle differenze seguenti: fara) (14]— (1.4) [1.4] — [1.294- (2.3)] [1.4] — [(1.2) 4- (2:4)] [1.3]— [(1.4)—(8:4)] [1.4] = [(1.8)+ (3.4) [1.3] — [(1.2)—(3.2)] (1. ‘- - [(n) n)— (4. a] ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'EKROR MEDIO, Ecc. 893 Vi.n [1a] (1.n) [12] — [(1.2) + (2.m)] [1.2] — [(1.3) + (3.2)] [La] [1a -1)+(@— 1a). S'intende che si ottengono £ valori di ciascuno scostamento in corrispondenza dei % valori osservati. Se si pone per brevità: (9) m = mi.e+mi.3+m1.4+... + mn zì n— 1 e i __ une+u.3+M.4+...+U1.n (10) Gel bea m si dirà error medio di un angolo, u error medio della media | nella stazione geodetica composta di » punti. APPLICAZIONE ALLA STAZIONE RIOBURENT. Error medio dell'angolo (1.2). v vv [1:2]— (1.2) = + 0".05 0.0025 $ + 0.60 0.3600 i + 040 0.1600 1 — 0.20 0.0400 | — 2.20 4.8400 i + 0.00 0.0000 5.4025 [1.2] —[(1.3)—(2.8)]=— 2.10 4.4100 i + 0,85 0.1225 } il -:95 1.5625 i È —.85 3.4225 ì — 2.00 4.0000 : 0 4475 3.0625 16.5800 894 NICODEMO JADANZA v vV [1.2]—[(1.4)—(2.4)] = + 1.45 2.1025 / + 0.85 0.7225 4 698 1.8225 i 4 WB195 15.6025 i la 43.20) 10.2400 f + 3.25 10.5625 41.0525 [1.2] — [(1.5) — (2.5)]=+ 3.05 9.3025 ; — LES 0.4225 : = 998 7.2900 È sea) 0.0400 ; St 6) 0.3600 ; st du) 1.4400 18.8550 | 2 pvw= 2.5.4025 + 16.5800 + 41.0525 + 18.8550 = 87.2875 = — pra SISSi NA, == VE — 0".32. Error medio dell'angolo (1.3). v vv [1.8] — (1.3) = 1”.37 1.8769 , de Jago 2.3409 : B-\L0i82 0.6724 ) cl 0.5329 ) 0087 0.7569 ) i 0.5929 6.7729 [1.8]— [(1.2) + (2.3)]= + 0.78 0.6084 A 4 1.78 3.1684 } 2 Gori 2.7889 À + 1.92 1.7424 4 e 007 1.1449 ; + 0,98 0.9604 10.4134 ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL’ERROR MEDIO, Ecc. 895 [1.3] — [(1.4) — (3.4)] = + 2.28 5.1984 28 1.6384 .82 7.9524 58 24964 92 0.464 08 0.0064 18.1584 8 2.1904 7 2.1609 2 0.6724 .19 17.0569 2 4.0804 3 1.0609 27.2219 > pvv = 69.3195 mae YET — disse = SASLIS \ios. Error medio dell'angolo (1.4). v vv [1.4] (1.4) =+0"71 0.5041 Î 0.09 0.0081 ; n Sato 4.5796 ; + -2.86 8.1796 3 que 1:59 2.5281 1 + fil 61 2.5921 18.3916 [1.4]— [(1.2) + (2.4) = — 0.69 0.4761 ; - 0,34 0.1156 A — 0.39 0.1521 | x & 1.99 1.6641 | : — 0.59 0.3481 ; & 1.64 _2.6896 5.4456 896 NICODEMO JADANZA v vv [1.4] — [(1.3) + (3.4)] = — 2.94 8.6436, | 3 + 0.16 0.0256 ” — 0.14 0.0196 ” + 2.01 4.0401 ù — 154 2.3716 ” + @76 __0.5776 15.6781 [1.4] — [(1.5) — (4.5)] = — 0.89 0.7921 » — 129 1.6641 È — 034 0.1156 » + -@:31 0.0961 È + 181 3.2761 ° Li +16 17.3056 23.2496 2 pv = 81.1565 .15 a) "r r ma = EUR: —1"67 mu =0"81 Error medio dell'angolo (1.5). v vv [1.5] — (1.5) = + 0.14 0.0196 Li + 0.34 0.1156 r + 0.39 0.1521 - + 0.49 0.2401 o — 0.96 0.9216 y e Si 1.2996 2.7486 [1.5] — [(1.2) + (2.5)] = — 2.86 8.1796 ; + 1.59 2.5281 A + 3.49 12.1801 ; + 0.49 0.2401 A — 2.56 6.5536 » — 0.06 0.0036 29.6851 im ina ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'ERROR MEDIO, ECC. 897 v VV [1.5] — [(1.3) +(35)] =— 2.71 7.3441 : Mora 34 11.1556 c + 0,99 0.1521 / = (12,91 8.4681 | ; Ag 10.19 0.0361 : = (ho 0.4356 27.5916 [1.5] — [(1.4) + (4.5)] = + 1.74 3.0276 i De i 2.3716 ) EP 1.9881 > LOBO 9.2416 A & 19.0096 b RT 1.9881 37.6266 | ———————_———————_———_—__—__—_—_—————______mt X pvv = 100.4005 i PIL 4005. _ 1.86 Ps 0.34 Prendendo la media degli m e dei u si ottiene per la Sta- zione di RIOBURENT: rem 9 a = 1079, e 0531 Il quale risultamento e molto differente da quello dato dalle formole (3) e (4). Il valore di m si può anche dedurre indipendentemente dai singoli valori ms... Mn È sufficiente adoperare le formole seguenti: De: VE pvv]i. vieni 13+.. + [po]. n (a 1)(n&kT_ 1) (11) m i NA 898 NICODEMO JADANZA HE Il metodo di trovare l’error medio mediante le formole (3) e (4) potrebbe essere giustificato, come fa il FERRERO nel caso del metodo a strati (*), se i valori ottenuti fornissero all’osser- vatore un criterio, anche provvisorio, per giudicare della bontà delle proprie osservazioni. E ciò si otterrebbe quando i valori di m e u ottenuti colle (3) e (4) fossero poco differenti da quelli avuti con metodo più rigoroso. Ora ciò non è. Valgano i due esempi seguenti per far vedere ad evidenza che i valori ottenuti dalle formole (3) e (4) non dicono proprio nulla. 1° — 2? Stazione a: Estremo Nord della base del Ticino (**). Valori probabili degli angoli misurati. [2125040027405 [1.9]=.235..31..00.06. | DIR | (242) [Lala = — 0.09 0.0081 * SI TO.80 08 | 0.7921 i SENT SI) JAR 4.6656 > E 4.7089 : i 2: 0.0576 ; 2 :10,99 0.1521 : LO 0.0121 : - 11.24 1.5376 ; + 2.16 4.6656 i i arda9s 3.7249 [1.2] — [(1.8) — (2.3)] = — 0.91 0.8281 i D_or1tigg 3.6481 , SM va,87 3.4969 a = 2.16 4.6656 ” — (009 0.0841 ; — 0,45 0.2025 x Je 196 3.0976 ; + 2.46 6.0516 ì + 9,98 4.9284 . + 2/25 5.0625 (*) Cfr. A. FerrERO, Esposizione del metodo dei minimi quadrati, p. 1157-58. (**) Cfr. Vol. citato, pag. 151. e e ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'ERROR MEDIO, Ecc. 899 VI.3 (42) [1.3] — (1.3) = — 0.16. (S| 0.0256 x — 1.19 1.4161 A — 1.79 3.2041 5 — 1.64 2.6896 P + 0.16 0.0256 î + 0.48 0.2304 5 + 1.76 3.0976 s + 1.96 3.8416 n + 0.89 0.7921 é + 0.08 0.0064 [1.8] — [(1.2) + (2.3)] = + 0.66 0.4356 3 — 0.16 0.0256 5 — 2.08 4.3264 È — 165 2.7225 a + 0.21 0.0441 " + 0.54 0.2916 È + 0.11 0.0121 5 +. 0.74 0.5476 5 + 0.83 0.6889 5 — 0.24 0.0589 > pev= 72.7146 Me 727146 Legio c= Mi. = ra 7 1.58 = Top 0"”.29 2 pvv = 39.8102 0 q/39.8102 __ nr ME SE DA, Me seme wragntr — 1 di a7. M1.3 FT v30 = 0.21 e quindi mez 197 = .0.25, Secondo le formole (3) e (4) m= 0",29 ui .0,25. 900 NICODEMO JADANZA 2° — 2? Stazione a: Estremo Sud della base del Ticino (*). Valori probabili degli angoli misurati. [1.2] = 144° 07’ 25”.581 [1.3] = 245 32° 20.212, VI.2 vv 2) = + 2.206 5.664 » 1.056 1.1151 : — 0,094 0.0088 ; bi 919 0.0480 3 a i 0.0172 : — 1460 2.1580 x oa uo) 2.9550 ì > 1669 2.7856 | s tO ad 0.1183 ; Lom Ore] 3.7288 [1.2] — [(1.3)— (2.3)]=+ 0.806 0.6496 ; 1.431 2.0478 ; 2 AOIAI9 0.1756 i, — 0,869 0.1362 ; + 1.456 2.1199 7 — 1.669 2.7856 ; — 2.969 8.8150 4 2 TRA 3.4003 : + 1.556 24211 i + 2.406 5.7888 bali = + 0.787 0.6194 ? + 0.237 0.0562 c su 00618 0.3758 x —. (01888 0.1142 ; bs 01898 0.1310 : L' *E7598 2.5217 ; at oe 4.8974 £ — 918 1.0262 È + 1.662 2.7622 3 + 2.912 8.4797 [1.8] — [(1.2)+(2.3)]=+ 2.187 4.7830 i 1 6188 0.0190 % = 0.288 0.0829 ; Si 0088 0.0353 : — 0.963 0.9274 9 2" AB 1.9265 ; ir 0988 0.9274 5 Sa. 898 0.7022 ; — 0.238 0.0566 ; Lp Bed 5.9390 (*) Cfr. vol. citato, pag. 56. adi sn ge e TI ALCUNE OSSERVAZIONI SUL CALCOLO DELL'ERROR MEDI0, ECC. 901 > pvv = 63.9423 __4/68.9428 ce) My. = I ==#:49 Ma = 30 = 097 x pev= 57.3669 57.3669 ri mi, Mi. 3 — (crpeoe =il 41 Mi.3 = = =0727 e quindi m= + 1".45 bo=s! = 0265. Colle formole (3) e (4) AS AULE] ui == #50/02. Che cosa significa in pratica che l’error medio di un angolo misurato è 0.09? Per semplificare alquanto i calcoli si può introdurre la media degli errori, la quale è data dalla media aritmetica dei differenti errori presi tutti col segno positivo. Indicando con n tale media, si ha: pis [to] sot) 3 E noto che l’error medio wm si esprime in funzione di n me- diante la relazione (*) (12) m= VE .n==1.2533n la quale è applicabile al nostro caso in cui il numero » varia da 28 a 35 ed è quindi abbastanza grande. Nel quadro che segue abbiamo registrati gli errori medi di un angolo e quello della media per tutte le stazioni fatte da noi. Da esso emerge la piccola differenza esistente tra i valori medi calcolati colla formola rigorosa e quelli calcolati colla (12). (*) Cfr. Ferrero, loc. cit., pag. 59; C. L. DooLittLe, A Treatise on Practical Astronomy, as applied to Geodesy and Navigation, pag. 18. 902 NICODEMO JADANZA — ALCUNE OSSERVAZIONI, ECC. La media adunque dell’Osservatore JADANZA non deve essere quella che trovasi a pag. 303 del volume citato, ma deve essere la seguente MESE RAI DoTa a colla formola (12) m u m u M. Bezimauda. . . {+ 1".75|+0".29|41".68|+0".28 M. Settepani . ..| #1.91) #0.95|-+l83|(5 0.89 M. Bignone . . . x 1.71) £0.31| £1.68 £ 0.30 | Moadlorsi sc; + 2.07 £0.38| £1.92| 10.35 M. Mongioie + 2.55) +0.46| £2.49) £0.351 M. Monnier... . | +41.76| #0.32|.24.738|/£088 M. Rioburent . . .| # 1.70] 40.31| £1.64| #+0.30 M. Pagliano . . . .| +1.36| +0.23| +1.27| +021 M. Musinè. ....| +12) +0.26| +1.36| +0.24 M. Vesco . ....| +1.538| +0.22| +1.47] +0.21| rane | +1.69| +0.29| +1.61| +0.28 Biandrate . . .. .| -1.84! +0.24| +1.38| +0,24! Mondovi. . . . .. | +1.81| +0.83| +1.89| +0.35 Parlato +1.85| 40.25] +1.36| +0.25 M. Aiguille Rouge | +2.00| +0.35| +2.09) +0.37 M. Colma . . . ..| 177 +0.32| +1.80| +0.82| | | | I colle formole (3) e (4) lito lg £ 0.50 + 0.95 + 0.78 34529 + 0.75 + 0.91 + 0.46 + 0.68 + 0.88 | £ 0.73 + 0.55 £ 0.54 + 0.52 £ 0.48 + 0.68 Ta + 0.09 £ 0.06 £ 0.14 £ 0.24 0.14 £ 0.17 £ 0.08 £ 0.12 SE + 0.12 + 0.10 £ 0.10 £ 0.10 £ 0.08 £ 0.12 RITA PIO FOÀ — CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO, ECC. 903 Contribuzione allo studio della istologia normale e patologica del midollo delle ossa; Nota del Socio PIO FOÀ. Fra gli elementi che compongono il midollo delle ossa ve ne ha uno, la così detta cellula gigantesca a nucleo in gemma- zione 0 megacariocito (Howel), intorno al cui significato si è molto discusso dagli studiosi. Fin dai primi tempi in cui si studiò il midollo delle ossa nello stato normale e patologico si era sup- posto che le cellule gigantesche fossero in istretto rapporto coi globuli bianchi del sangue, e sebbene non si avesse potuto di- mostrarlo direttamente, pure si dubitava che le predette cellule avessero per ufficio di generare i globuli bianchi. Più tardi si credette che dalle cellule gigantesche traessero origine degli elementi incolori a nucleo vescicolare e a protoplasma omo- geneo, il quale poi producendo emoglobina li convertisse in glo- buli rossi nucleati. A queste ipotesi, che a poco a poco furono abbandonate, è seguita un'altra più recente secondo la quale il protoplasma dei predetti grandi elementi avrebbe un còmpito chimico bio- logico: quello, cioè, di elaborare e di secernere dei materiali albuminoidi atti alla nutrizione. Frattanto l'osservazione diretta di alcuni casi in cui nel protoplasma dei grandi elementi si trovano inclusi dei leucociti, ha fatto sorgere l’idea che la funzione di quelli fosse essenzial- mente la fagocitosi. Solo di recente uno studioso, osservando gli effetti dell’estirpazione parziale o totale della milza nel porco- spino, ha ripresa la vecchia ipotesi che dai grandi elementi derivassero delle cellule incolori. La conoscenza intima della struttura degli elementi gigan- teschi del midollo delle ossa fece essa pure in questi ultimi anni dei notevoli progressi. Infatti, sì sono scoperti negli stessi numerosi centrosomi i quali stanno in rapporto colla facoltà che hanno i nuclei in gemmazione di moltiplicarsi rer cariocinesi, e si sono descritte 904 PIO FOÀ alcune particolarità nella struttura del protoplasma. Si è creduto altresì di scoprire nei nuclei dei grandi elementi la facoltà di moltiplicarsi per frammentazione indiretta, ma più tardi si è dimostrato che questo non è che un prodotto degenerativo do- vuto o semplicemente alla morte naturale dell’elemento, o al- l’azione tossica esercitata sul nucleo da talune sostanze. In realtà solo in alcuni elementi giganteschi e nei soggetti giovani si rileva la facoltà di moltiplicare i loro nuclei, e ciò ha luogo solo per mezzo di una complessa cariocinesi, ma alla detta proliferazione non tien dietro mai la divisione del proto- plasma, onde il solo risultato che si ottiene è quello dell’au- mento numerico degli articoli che compongono la massa nu- cleare del grande elemento, i quali poi si fondono insieme. In questi ultimi mesi io mi sono particolarmente occupato di applicare allo studio del midollo delle ossa alcuni metodi di recente introdotti nella tecnica microscopica. Adoperando il metodo di Mallory si pone in evidenza molto chiaramente il reticolo che costituisce lo stroma del midollo. Era opinione un tempo che gli elementi del midollo stessero in mezzo ad una sostanza mucosa, la quale fosse a sua volta trattenuta da cellule connettive ramificate rare, ana- stomizzate fra loro e facenti capo alle pareti dei vasi sanguigni. In realtà lo stroma del midollo, oltrechè dei vasi sanguigni, consta di un vero reticolo il quale ha delle scarse trabecole robuste cui sono applicate le cellule connettive ramificate, e dalle dette trabecole si partono delle più sottili ramificazioni che formano una rete minuta a maglie circolari entro cui stanno uno, 0 più elementi midollari. Con altri metodi di recente in- trodotti, e che valgono a colorare le fibre connettive, come ad esempio: quello di Van Gieson, e quello di Ramon y Cajal (fuxina satura acquosa e Indigocarmino), non si ottengono risultati così netti come quelli che si hanno col metodo di Mallory. Però ad ottenerli, vale particolarmente il modo di fissazione; così essi non riescono bene nei pezzi fissati nelle varie soluzioni di sublimato; riescono, invece, ottimamente nei pezzi freschissimi posti a fissare nel liquido di Flemming, o nel liquido di Hermann, ma preferibilmente nel primo di questi. L'applicazione del metodo di colorazione del Mallory ai tagli di midollo delle ossa posto, appena ucciso l’animale, a fis- CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLA ISTOLOGIA NORMALE, Ecc. 905 sare in uno dei liquidi predetti, serve a porre, altresì in evi- denza un altro particolare sulla intima struttura delle cellule gigantesche del midollo (megacariociti). Dopo M. Heidenhain è ammesso che il citoplasma dei me- gacariociti si mostri distinto in tre zone, di cui una esterna molto chiara e striata; una media più scura che si colora un poco più intensamente di quella esterna coi colori acidi di ani- lina; infine una terza zona, pure assai chiara che circonda il nucleo e che è compresa nel nucleo stesso quando questo ha forma di ferro di cavallo o di ciambella. Col metodo di Mallory si pone in grande evidenza l’esi- stenza di due modalità diverse di protoplasma: l'una finemente granulosa, e l’altra opaca, costituita verosimilmente di un in- treccio fitto di filamenti. Il protoplasma granuloso circonda il nucleo, e s'intromette fra le gemme che lo costituiscono, per via di quelle interruzioni del nucleo che Heidenhain ha chia- mato canali perforanti. Fra i nuclei a ferro di cavallo si osserva una penetra- zione del protoplasma granuloso, il quale converge verso un centro colorato più intensamente e che secondo Heidenhain rap- presenta l’ introflessione della parte compatta dell’esoplasma. Intorno al protoplasma granuloso, quasi fosse un involucro di esso sta il protoplasma corticale, il quale è talora così denso, che lascia scorgere ben poco del protoplasma granuloso, e tal’altra, invece, è così scarso, che il protoplasma granuloso pre- vale in quasi tutta la superficie dell'elemento, che è solo debol- mente rivestito alla periferia di scarse fibrille di protoplasma corticale. La diversità dell’aspetto si ha nei diversi animali, in genere, e particolarmente per uno stesso animale, secondo le diverse età. Così le cellule gigantesche della cavia, del cane, del riccio e del coniglio adulto mostrano il citoplasma in cui la parte corticale opaca è abbondantissima, e appena lasciano scorgere una zona sottile più chiara intorno al nucleo; invece, esaminando il midollo di giovani conigli del peso di 4-500 gr. vi sì trovano, segnatamente nelle epifisi, numerosi megacario- citi, a citoplasma prevalentemente granuloso con scarso intreccio di fibrille alla periferia. A rendere meglio evidente la struttura suddescritta giova più del metodo di Mallory, quello di Ramon y Cajal. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 62 906 PIO FOÀ Infatti, con questo metodo di colorazione si tingono in rosso vivo le minute granulazioni del protoplasma e resta colorato in verdastro il protoplasma corticale. Con tale metodo è facile di scorgere che non sempre la parte corticale riveste interamente il protoplasma granuloso, ma questo talvolta si trova parzialmente scoperto alla peri- feria dell'elemento, in cui si trova allora una zona sottile di protoplasma granuloso. Altre volte la parte corticale sembra smagliata in vari punti, e allora traspaiono da essi i granuli del sottostante protoplasma. Col metodo di Mallory non si scorge facilmente lo strato periferico assai chiaro, e quasi trasparente che presentano i megacariociti in certi periodi della loro atti- vità, ma, invece, esso traspare evidente col metodo di Ramon. Infatti, taluni elementi e in taluni periodi d'attività presentano, come è noto, alla loro periferia delle frangie o delle piccole ve- scicole e talvolta delle grandi bolle di protoplasma sottilissimo, omogeneo e rifrangente che rimane pressochè incoloro coi me- todi vari di colorazione dell’elemento. Questa zona ultraperiferica in realtà apparisce talora di aspetto più complicato, perchè esso sembra formare un intreccio di fini filamenti mirabilmente intrecciati, o una disposizione più grossolana e varia di prolungamenti larghi, sottilissimi e tras- parenti, o, infine, l'elemento, avendo un aspetto quasi piriforme, emette dalla parte più larga del suo citoplasma un ciuffo di filamenti lunghi, sottili, come fossero un fascio di cilia. È note- vole il fatto che nelle maglie degli intrecci sovradescritti si vedono molto spesso dei numerosi piccoli leucociti a nucleo polimorfo intensamente tingibile. Certo, il reticolo che costituisce lo stroma del midollo com- prende entro una grande maglia il corpo del megacariocito, e dall’orlo della maglia si attaccano in varie direzioni i filamenti del reticolo stesso, ma talvolta al reticolo dello stroma sembra sovrapporsi un altro più intricato e mirabile intreccio fatto dai prolungamenti o dall’emanazione ultraperiferica del protoplasma. Così, secondo il mio concetto, l'elemento gigantesco a nucleo in gemmazione sarebbe costituito: 1° da un protoplasma fine- mente granuloso che circonda immediatamente e compenetra la massa nucleare; 2° da un protoplasma denso, verosimilmente fibrillare compatto, che avvolge il primo, ora completamente, t CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLA ISTOLOGIA NORMALE, ECC. 907 ora, invece, incompletamente così da lasciare qui e là delle smagliature, o da lasciare scoperta una sottile zona periferica del- l'elemento; 3° infine, da uno strato o emanazione ultraperife- rica a forma, o di corta frangia, o di vescicole, o di bolle, o d’intreccio mirabile di filamenti sottili, o d’intreccio più gros- solano a maglie disuguali per ampiezza e per forma, o di ciuffi di filamenti somiglianti a lunghe cilia prevalentemente impian- tate sopra una parte più larga del corpo cellulare. Ritengo verosimile con altri autori che l’ emissione di questa zona ultra periferica sia in rapporto coll’attività funzionale dell’ele- mento, e rappresenterebbe il rigonfiarsi di una parte omogenea, sottile e rifrangente che formerebbe il sostrato di quella zona di protoplasma che ci apparisce nel corpo cellulare più chiara e munita di finissimi granuli (zona interna di Heidenhain). 0 in altri termini: partendo dalla corteccia e andando verso il nucleo, l'elemento sarebbe costituito da un mantello periferico corticale di protoplasma fibrillare; indi da un protoplasma chiaro il quale a sua volta sarebbe formato da una parte esterna finemente granulosa, e da una parte più intima di protoplasma ialino, alla protrusione del quale sotto vari aspetti, sarebbe do- vuto lo strato ultraperiferico sopradescritto. Ripeto che in con- tatto con quest’ultimo si vedono spesso dei leucociti a nucleo polimorfo intensamente colorabile. Ho già più addietro accennato all'esistenza di figure cario- cinetiche complesse nei nuclei dei megacariociti, e al significato che ‘esse hanno di attiva proliferazione dei nuclei stessi. A tale proposito io mi associo a quelli osservatori i quali hanno dichia- rato che la proliferazione non è seguita mai dalla divisione del protoplasma cellulare e che ha solo per effetto di moltiplicare i nuclei componenti l'ammasso nucleare. Tali figure si trovano spesso nel midollo delle epifisi più di frequente che in quello delle diafisi, e più nei giovani animali che negli adulti, e più spesso nelle cavie che nei conigli. Frequenti sono pure le figure cariocinetiche in alcuni elementi incolori del midollo, e talvolta esse sono numerose anche in midolli di animali sani e normali, onde è forza tenerne conto prima di giudicare di una prolife- razione abbondante degli elementi midollari provocata ad arte da qualche sostanza introdotta nell'organismo, o da particolari circostanze in cui questo è stato posto. 908 PIO FOÀ Ma se alle figure cariocinetiche degli elementi mononucleati sì può attribuire il significato di vere proliferazioni cellulari, non altrettanto, come si è detto, si può ammettere per i me- gacariociti, in cui la proliferazione nucleare indica forse nulla più che uno stato particolare di vita dell’ elemento, cui terrà dietro più o meno lontana la sua finale distruzione. Il Flemming, ponendo in luce questo stato di vita regres- siva che rappresenta il megacariocito, lo affratella in quanto all'origine ai comuni leucociti midollari, e gli nega ogni reale funzione. Se io consento, poichè in nessun caso ho avuto campo di convincermene, che dal megacariocito non derivi mai una pro- duzione di nuove cellule incolori, io dubito tuttavia, che uno qualsiasi degli elementi incolori del midollo possa costituire un megacariocito, e ritengo, invece, che a formarlo sia destinato un elemento mononucleato ricco di protoplasma, a nucleo grosso vescicolare, a contorno molto forte e contenente nel carioplasma oltre a qualche minutissimo cariosoma un più grosso ed evi- dente corpicciuolo centrale o nucleolo. Non è difficile trovare in certi casi molti di tali elementi il cui nucleo presenta vari gradi di imperfetta suddivisione donde risultano poi le gemme del futuro ammasso nucleare. Se il predetto elemento mononu- cleato sia una cellula distinta o specifica, oppure se essa a sua volta sia una differenziazione di uno dei molteplici elementi in- colori i quali sieno tutti fra loro equivalenti del midollo, io non saprei dire, ma ritengo tuttavia che quello segni il punto di partenza del futuro megacariocito. Ho già accennato alla dimostrazione che venne data da vari autori della non esistenza di una frammentazione indiretta del nucleo ammessa da Arnold; qui, aggiungo solo avere con- fermata la presenza delle figure cui si attribuiva il significato suddetto, nei midolli di animali espressamente uccisi, e fissati solo diverse ore dopo la morte; e di avere compiute alcune os- servazioni le quali mi fecero escludere che il fenomeno sia do- vuto ad una vera intossicazione cadaverica. Infatti, uccisa per emorragia una cavia sana, le ho estratto immediatamente tutti gli organi, indi la posi in fresco, circondata di ghiaccio, per 24 ore. L’animale si è conservato benissimo, e non presentava traccia di putrefazione. Un pezzetto di midollo accuratamente CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLA ISTOLOGIA NORMALE, ECC. 909 stemprato in brodo sterilizzato, e coltivato, rimase sterile, come già in casi simili aveva osservato il Demarbaix, e ciò malgrado, gli elementi giganteschi presentavano il nucleo frammentato, suddiviso in blocchi grossolani e disuguali di aspetto omogeneo e rifrangente, fortemente tingibili. Non è inverosimile che il fenomeno sia piuttosto legato alla cessazione del circolo, e alle conseguenti variazioni delle correnti osmotiche nel protoplasma cellulare e nel nucleo rispet- tivo, e non escludo tuttavia che taluni veleni possano anche in vita produrre lo stesso fenomeno, come ha descritto il Tambusti nella difterite. È noto che abbastanza di frequente si osserva nel midollo di animali sani qualche elemento a nucleo polimorfo incluso nel protoplasma dei megacariociti, e che questo fenomeno fece rite- nere al Denys che dal nucleo complicato dei megacariociti e del rispettivo protoplasma, avessero origine i leucociti a nucleo poli- morfo. Osservazioni posteriori hanno indotto, invece, gli autori e lo stesso Denys a ritenere, che la presenza dei leucociti nel protoplasma dei megacariociti fosse dovuta realmente ad un fenomeno di fagocitosi. Io ho osservato diversi casi in cui si produce una fagocitosi attiva nei megacariociti midollari, e stimo opportuno di riferirli. Alcuni di questi si riferivano a conigli in cui per un qual- siasi motivo esisteva un processo suppurativo in qualche parte del corpo. Il midollo in questi casi era molto ricco di leucociti a nucleo polimorfo e di questi molti venivano inclusi nel proto- plasma dei megacariociti. Una riproduzione assai meno intensa del fenomeno, ma pure superiore d’alquanto a quella che si può trovare anche nell’or- ganismo normale, ho osservato nel midollo di coniglie gravide. Anche in queste è alquanto esagerato l'accumulo di leucociti polimorfi nel midollo, e non molto di raro si trovano dei me- gacariociti che ne contengono uno solo, o qualcheduno. Ma il fenomeno nella sua massima evidenza l’ho riscontrato nel midollo di conigli giovani lasciati morire per inanizione. In questi trovai numerosi megacariociti contenenti un gran numero di globuli bianchi a nucleo polimorfo. Essi erano già notevol- mente impiccoliti, e il nucleo era addensato e fortemente colo- rabile. Non sempre nei conigli morti per inanizione, il fenomeno 910 PIO FOÀ riesce così colossale come in taluni casi, pure assai di frequente vi si trova qualche bello esemplare di fagocitosi abbondante da parte di diversi megacariociti. Taluni di essi presentavano solo dei frammenti di nucleo, altri dei detriti granulosi come residui della digestione cellulare. In altri casi di morte per inanizione ho osservato in quasi tutti i megacariociti l'emissione di abbon- danti vescicole omogenee, o di frange a pieghe. Queste ultime mi apparvero prodotte dal protrudere di una sostanza omogenea attraverso dei pori vicinissimi, cosicchè ogni goccia fuoriuscita si trova a contatto della vicina e si comprime. Il tutto insieme forma come una frangia in cui le linee di contatto delle goccie fuoriuscite costituiscono una specie di radiazione regolare. Inoltre ho riveduto il fenomeno in proporzioni notevoli nel midollo di un coniglietto giovine che avevo assoggettato a scot- tatura quasi istantanea nell'acqua a 90°, degli arti posteriori. L'animale è morto spontaneamente dopo 12 ore, e ancora caldo ne fissai il midollo come al solito nel liquido di Flemming, e nella mia soluzione di sublimato nel liquido di Miiller. Vi ho trovato numerosi megacariociti che avevano fagocitato molti globuli bianchi impiccoliti a nucleo polimorfo raggrinzato e molto colorabile. In un coniglio, il quale per avere avuto in breve tempo tre salassi abbondanti si trovava in istato di notevole deperi- mento, ho pure veduto molti esemplari di fagocitismo nei me- gacariociti, e altrettanto ho veduto in un caso di marasmo acuto provocato con colture filtrate di diplococco lanceolato in una coniglia gravida. Parimenti ho visto prodursi una fagocitosi ab- bondante nei megacariociti dopo avere iniettato entro le vene di un coniglio 2-3 c.c. di lecitina. In quasi tutti questi casi che ho brevemente piuttosto indicati che descritti, ho rilevato del pari che dopo un tempo vario dell’esperimento si produceva una evidente leucocitosi del sangue, che durava uno o più giorni secondo la durata e l'intensità dell’esperimento stesso. Da tutte queste osservazioni credo si possa ricavare la con- clusione: essere il midollo delle ossa una delle sedi precipue per la distruzione dei leucociti, i quali, avendo compiuta la loro funzione, od essendo per qualsiasi causa resi incapaci di fun- zionare, vengono assorbiti e digeriti dal protoplasma dei mega- cariociti. È questa la sola funzione oggettivamente dimostrabile O CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLA ISTOLOGIA NORMALE, Ecc. 911 dei predetti elementi, chè la funzione secretiva, sebbene si basi sulla visibile emissione di sostanza protoplasmatica in varia forma alla periferia dell'elemento, pure essa è sempre, per quanto verosimile, una concezione teorica, e la supposta derivazione dai megacariociti di giovani cellule incolore non ha alcun fon- damento. Il d" Pugliesi avrebbe trovato, come accennai più sopra, questa derivazione nel midollo del porco spino, cui ha estirpato la milza, oppure in questa ultima, dopo averne amputata una parte parecchie settimane prima. Il d" Pugliesi ha scelto il riccio perchè questo animale possiede numerosi megacariociti nella sua milza, ma di questi se ne trovano pure, benchè meno ab- bondanti, nella milza di conigli assai giovani, del peso da 4 a 500 grammi. Io ho estirpato la milza a questi animali — che tollerano benissimo l'operazione — e ne esaminai il midollo a varie distanze di tempo. Solo in un caso esaminato dopo 8 giorni dall'operazione, ho trovato che il midollo era caratterizzato da una notevolissima quantità di elementi mononucleati in via di ‘proliferazione indiretta, nonchè da una quantità molto grande di leucociti polimorfi. In tutti gli altri casi, che furono esami- nati dopo maggior tempo dalla operazione, io non ho veduto nel midollo nessun sensibile cambiamento, o tutto al più una leggera esagerazione del reperto consueto, cioè, piuttosto abbon- danti i leucociti polimorfi, e più facili a trovare i megacariociti contenenti uno o due leucociti. In nessun caso ho veduto una moltiplicazione delle grandi cellule, e neppure un aumento di quelle figure policariocinetiche, che si trovano non di rado nei midolli giovani. I megacariociti non si trovano solo nel midollo delle ossa; è noto che prima furono osservati nel fegato e nella milza em- brionale; io ne vidi più volte nelle ghiandole linfatiche di feti di vitello, e benchè di raro, ne vidi anche nella polpa splenica di cani giovani, come spessissimo si trovano nella milza di gio- vani conigli, e sempre in quella del ratto e del Riccio. Tuttavia è possibile. di riprodurre sperimentalmente un tale stato di cose che riconduca un organo adulto nelle condi- zioni in cui si trova nel periodo del suo sviluppo. Io cercai di ottenere queste condizioni nel cane adulto, allacciandogli l’ar- teria splenica. In conformità di mie vecchie esperienze, ho po- tuto rilevare che la milza del cane in tali condizioni perde dap- 912 PIO FOÀ prima una parte dei suoi elementi, e più tardi li rigenera. È nel periodo di tale rigenerazione, il quale coincide col formarsi di un circolo nuovo collaterale compensatore, che si trovano nella polpa splenica i caratteri che essa presenta nel suo primo periodo di sviluppo. Ordinariamente messa allo scoperto la milza ne asportavo un pezzetto; indi gettavo un laccio sul tronco del- l'arteria splenica. Riposto il viscere nell’addome lo esaminavo a varie riprese; così cominciai a estirparlo a un cane operato tre giorni prima, e poi in altri alla distanza di otto, quindici, venti, trenta e sessanta giorni. Frattanto, esaminavo il pezzo di milza asportato e vi os- servavo ordinariamente la non esistenza di megacariociti (1). Questi, invece, benchè non numerosissimi, erano presenti già dopo un mese, e più ancora dopo 40 giorni dall’operazione. Io non ho potuto scorgere in essi alcuna differenza di strut- tura dai megacariociti del midollo delle ossa; solo in alcuni casi ho trovato che dal protoplasma protrudevano, invece di vesci- cole o di frangie o di processi retiformi, dei fasci di filamenti quasi fossero delle cilia. Anche in questi elementi ho trovato degli esemplari che racchiudevano dei leucociti a nucleo poli- morfo, onde, dal complesso ritengo che essi, come nell’aspetto, così anche nel significato, si possano identificare ai megacariociti midollari. La mia attenzione fu rivolta altresì a talune variazioni che presentano i megacariociti in particolari circostanze della vita dell’animale. Già ho rilevato la facilità con cui si trovano degli esemplari colossali di fagocitismo cellulare, ogni qualvolta esista una con- dizione che alteri una quantità più o meno grande di leucociti, mettendoli nell’incapacità di funzionare più oltre. Vi sono altre circostanze nelle quali sembra che si eserciti un'azione chimica speciale sul protoplasma dei megacariociti, in virtù della quale il protoplasma si rarefà, diventa sempre più areolare, e alla fine si distrugge, lasciando solo a rappresentare l’antico elemento il nucleo, il quale ha subìto esso pure una trasformazione. In- (1) Non fece eccezione che un caso, in cui si trattava di un giovanis- simo cane da caccia, e nella cui milza erano delle rare cellule giganti a nucleo in gemmazione e dei globuli rossi nucleati. temi I E n CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLA ISTOLOGIA NORMALE, Ecc. 913 fatti, le pareti sembrano accartocciate, la cromatina è scomparsa dal contenuto nucleare che è chiaro, e andò ad adossarsi alla membrana nucleare, la quale si colora per ciò più intensamente. Il fenomeno fu già osservato da Demarbaix (La Cellule, 1889. Tome V) nel midollo fresco normale, e già fu da esso dichia- rato affatto indipendente da alterazioni cadaveriche, e io ho osservato che in talune condizioni, i nuclei così trasformati e liberi si trovano assai più abbondanti che nei midolli normali; anzi vi si trovano in grande prevalenza. Infatti, io ottenni questa alterazione in modo spiccatissimo injettando nelle vene di gio- vani conigli da uno a due centimetri di latte non sterilizzato, e uccidendoli dopo due a cinque giorni. Il midollo in questi casi, oltre a una grande dilatazione di vasi in cui si trovano adden- sati globuli rossi e cumuli di piastrine distrutte, presenta nu- merosi megacariociti, il cui protoplasma è sensibilmente atte- nuato, rarefatto e ridotto di volume, fino a scomparire quasi del tutto, mentre residuano nuclei a pareti accartocciate, inten- samente tingibili, e a contenuto omogeneo e chiuso come fossero vuoti. Infine, ho esaminato altri casi in cui il midollo presentava una grave alterazione e sono quelli in cui io facevo la iniezione endovenosa di stafilococco piogeno aureo alla dose di 1 centi- metro, oppure anche la iniezione subdurale di mezzo centimetro di coltura di stafilococco uecisa col cloroformio. Sia negli ani- mali che morirono spontaneamente per iniezione endovenosa dopo 3-5 giorni; sia in quelli che soccombettero alla iniezione subdurale di coltura viva o morta, nel brevissimo periodo di 6 ore, il midollo si trova sempre di colore rosso scuro, il che dipende dall'avere esso assunto un carattere emorragico. Nei tagli di questi midolli si osserva, infatti, un enorme ingorgo di tutti i vasi sanguigni, e cumuli di globuli stravasati fra gli elementi cellulari. I megacariociti in questi casi, specie per morte rapidissima, presentano sopratutto il fatto della loro diso- rientazione cagionata dalla alterazione circolatoria, e alcuno di essi si trova libero nel sangue stravasato, o anche nel lume di vasi sanguigni. È positivo che il veleno dello stafilococco esercita un'azione elettiva sul midollo delle ossa, e ciò spiega come esso sia l’agente ordinario dell’ osteomiellite infettiva. Nelle mie esperienze io 914 PIO FOÀ non trovai differenze a tale riguardo fra l’uso di colture vive e quello di colture morte; onde reputo che i tossici abbiano una parte molto importante. Così sono venuto accennando man mano alle diverse con- dizioni sperimentali nelle quali ho prodotto delle alterazioni nel midollo delle ossa, che specialmente riguardano i megacariociti. Abbiamo veduto che essi esagerano notevolmente la loro pro- prietà fagocitica nella inanizione; la trovammo pure esagerata e attivissima melle scottature estese con morte rapida; la vedemmo assai manifesta nella suppurazione, e anche dopo salassi esau- rienti; la vedemmo anche molto esagerata dopo iniezioni endo- venose di lecitina, e dopo ripetute iniezioni di filtrati di diplo- cocco lanceolato (varietà fibrinogena) in coniglie che si trovavano in istato di gravidanza, il quale presenta già di per sè una leggiera esagerazione della fagocitosi normale. Abbiamo inoltre rilevato le gravi alterazioni di circolo, e la conseguente lesione dei megacariociti nelle infezioni acutis- sime da stafilococco aureo e la distruzione del protoplasma con variazione del nucleo rispettivo, in taluni casi, come, ad esempio, dopo l’iniezione endovenosa di latte non sterilizzato. Ebbene, in tutti questi casi, le lesioni del midollo si accompagnarono al fenomeno dell’embolismo di nuclei giganti nei capillari del polmone. In taluno dei miei esperimenti e segnalo tra questi: l’inanizione, l'iniezione endovenosa di lecitina, di latte, di stafi- lococco, e in minor grado la scottatura e l'iniezione di filtrato di diplococco nella gravida, il fenomeno si produsse in grande estensione. Infatti, talvolta in ogni taglio microscopico del pol- mone si potevano trovare tre o quattro nuclei embolizzanti. Io preferisco accennare all’embolia del nucleo gigantesco, anzichè del megacariocito, perchè non è dimostrabile con sicurezza che tutto l'elemento sia trasportato. È per lo meno assai più fre- quente il trasporto embolico dell'ammasso nucleare. Talora sono nuclei relativamente piccoli accartocciati, a membrana assai tin- gibile; altre volte sono dei nuclei o degli ammassi nucleari veramente giganteschi, e si trovano di preferenza nei vasi della corteccia polmonare. In un caso in cui le circostanze che avevano provocato l’embolismo erano cessate da qualche giorno, io vidi nei vasi polmonari dei corpi a figure bizzarre che si coloravano intensamente ‘e che ho interpretati come trasformazione dei | | i i i CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLA ISTOLOGIA NORMALE, Ecc. 915 nuclei embolizzati in via di distruzione. Infatti, io ritengo che l’'embolismo polmonare dei predetti elementi abbia per fine la loro definitiva eliminazione dall'organismo. Il fenomeno che ho descritto fu scoperto, come è noto, da Lubarsch, il quale recentemente ha rilevato che a produrlo non è necessario nessun traumatismo sulle ossa, ma bastare invece una iniezione artificiale di elementi parenchimatosi. Io ho tro- vato le più svariate condizioni in cui il predetto fenomeno si produce, e ritengo di potere affermare che esso sì ottiene per qualunque causa che generi un grave disordine circolatorio nel midollo, o che alteri il protoplasma del megacariocito. Io pure, come altri autori, ho trovato dei casi rari di embolismo cellu- lare nel polmone, anche in conigli normali, o in coniglie gra- vide. E anche nei midolli normali si trovano particolarmente nelle parti centrali dei nuclei alterati, liberi, derivanti da invo- luzione dell’antico elemento gigantesco. In tali casi occorre però eseguire molti tagli del polmone per trovarne un solo esemplare; invece, nei casi sperimentali che ho descritto, ad ogni taglio se ne trovano parecchi, e in taluno di essi il fenomeno fu complicato dal trasporto in massa nei capillari polmonari di leucociti poli- morfi e granuli acidofili, provenienti certamente dal midollo. Ritengo, pertanto, che i fatti patologici rappresentino la esa- gerazione di un fatto normale, e abbia per fine la distruzione completa e definitiva del megacariocito nei capillari del polmone. La penetrazione dell’elemento nel circolo avviene assai facil- mente per la grande facilità con cui si possono rompere o al- terare le sottilissime pareti dei numerosi vasi midollari; questo fatto, però, ha il suo riscontro in altri, in cui avviene pure il trasporto di elementi parenchimatosi nel circolo (cellule pla- centari, cellule epatiche, epiteli cilindrici), e al trasporto embolico non segue necessariamente la trombosi; anzi nell’embolismo pol- monare dei megacariociti, io non la vidi mai anche quando era abbondantissima. Se i predetti elementi si trovano nei trombi, essi devono esservi come un reperto non causale, sebbene taluno di essi (epiteli cilindrici) raccolti separatamente e iniettati in circolo, possano da soli determinare la coagulazione del sangue. Ma di questo argomento tratterò più in esteso nello studio sulla trombosi che ho in preparazione. 916 MAURIZIO ASCOLI Sull’ematopoesi nella Lampreda ; Nota di MAURIZIO ASCOLI. DI L'origine dei globuli rossi, all'infuori dei primissimi periodi embrionali, è da tempo oggetto di controversia da parte degli studiosi. Due principalmente furono le teorie che si contesero il terreno: l'una che sostiene la loro derivazione da una spe- ciale varietà di globuli bianchi, detti eritroblasti, l’altra che ne ripete la produzione indipendentemente da questi, da molti- plicazione di elementi specifici preesistenti. Un argomento validissimo a sostegno della seconda tesi ci è offerto dal fatto che la moltiplicazione delle cellule rosse del sangue per mitosi è stata effettivamente dimostrata in molti vertebrati. È merito di Neumann e di Bizzozero di avere fornito questa dimostrazione per ciò che si riferisce ai mammiferi, nei quali essi assodarono, che nell’ età adulta il processo di scissione degli eritrociti si localizza nel midollo delle ossa, dove costan- temente si riscontrano globuli rossi giovani (nucleati) e figure cariocinetiche di questi. Ulteriori ricerche del professor Bizzozero in collaborazione col D" Torre (1), misero in chiaro i fatti seguenti: a) In tutti i vertebrati adulti ha luogo una continua produzione di globuli rossi per scissione indiretta di forme gio- vani di globuli rossi preesistenti. b) In tutti i vertebrati esistono organi speciali che deb- bonsi considerare quali focolai, in cui la produzione di nuovi globuli rossi specialmente si compie. Questi organi sarebbero rappresentati per i mammiferi, gli uccelli, i rettili, gli anfibi anuri dal midollo delle ossa; per gli anfibi urodeli dalla milza e pei pesci non solo dalla milza, ma anche da quel parenchima linfoide, il quale in questi animali occupa una parte più 0 meno grande del rene. SULL'EMATOPOESI NELLA LAMPREDA 917 c) Nei vertebrati inferiori (rettili, anfibi e pesci) il sangue presenta quella particolarità che allo stato embrionale si os- serva nel sangue di tutti i vertebrati, contiene cioè in mag- giore o minor numero dei globuli rossi giovani e delle forme di scissione indiretta. Ma sì gli uni che le altre vi si trovano sempre in numero notevolmente minore che non negli organi che formano, per i diversi ordini di animali, il relativo focolaio ematopoetico. d) Questo ricordo per così dire, dello stato embrionale del sangue circolante, diventa più spiccato in quegli animali, che furono soggetti ad emorragie; e per contro si va facendo meno appariscente, o scompare anche affatto sotto quelle con- dizioni (mancanza ed insufficenza di nutrimento, stato di catti- vità ecc.) che inducono una diminuzione dell’attività generale dell'organismo. Sulla produzione degli elementi del sangue nei Ciclostomi non si avevano fino a poco tempo fa osservazioni, ad eccezione di quella di Bizzozzero (2), pubblicata nel ‘92, la quale stabi- liva che nella larva di Petromyzon si trovano costantemente nel tessuto linfoide della valvola spirale dell'intestino dei leucociti in via di scissione indiretta e che questa valvola spirale ha quindi valore di organo ematopoetico. Recentemente il D" E. Giglio-Tos ha rivolto la sua atten- zione a questo argomento e se ne è occupato diffusamente in due memorie (3) (4) sulle “ Cellule del sangue della Lampreda , l’una, sull’“ Ematopoesi nella Lampreda , l’altra, che si limita però al suo studio nella larva. Per quanto concerne i globuli rossi lA. sostiene la loro derivazione da una varietà di leucociti (eritroblasti) e descrive minutamente questa loro supposta trasformazione in eritrociti nel tessuto linfoide della valvola spirale; asserisce inoltre di non essersi mai imbattuto nei numerosi preparati esaminati in cariocinesi di globuli rossi ed esplicitamente esclude una loro moltiplicazione per qualsiasi via. La sua affermazione recisa è (1) (pag. 33): “ Gli eritroblasti in circolazione non si riproducono mai per divisione indiretta; forse, ma raramente per divisione diretta. Gli eritrociti non si riproducono mai ,. Riguardo ai leucociti, fra le conclusioni alle quali giunge il D' Giglio-Tos si trova questa (3) (pag. 32) che riproduco : 918 ‘ MAURIZIO ASCOLI « I leucoblasti (cioè le cellule bianche produttrici dei leucociti) si riproducono (in circolazione) per divisione nucleare diretta ; giammai per indiretta ,. Più tardi, nella seconda memoria (4) (a pag. 16) afferma: “ La mitosi è il modo di divisione di tutti questi elementi (cellule madri, cellule emocitogene, eritroblasti e leucoblasti) finchè sono rinchiusi nello stroma della valvola ,. Ne verrebbe quindi secondo lA. che diverso è il modo di ac- crescimento dei leucoblasti, secondochè sono rinchiusi nelle maglie del parenchima valvolare, oppure circolano liberamente nel sangue. Nei leucociti (3) (pag. 32) egli trova soltanto una divisione amitotica del nucleo, non seguita da quella del corpo cellulare. La circostanza che, secondo il D' Giglio-Tos, nella lam- preda l’ematopoesi seguisse in maniera dissonante da quella riconosciuta negli altri vertebrati, meritava degli studi di con- trollo. Essa attrasse già l’attenzione di qualche biologo: la re- censione del lavoro sulle “ Cellule del sangue nella Lampreda , nel Zoologisches Centralblatt ha parole poco favorevoli in pro- posito. Per consiglio del prof. Bizzozero — al quale, nonchè al suo aiuto D" Sacerdotti, che mi furono larghi del loro benevolo appoggio, esprimo qui la mia gratitudine — ho ripreso lo studio della provenienza degli elementi cellulari sospesi nel sangue di Petromyzon Planeri. i Il mio esame si limitò dapprima alla larva e si portò an- zitutto sul tessuto interstiziale del rene; i preparati di questo organo colorati con ematossilina, dopo fissazione in liquido di Zenker, indurimento in alcool ed inclusione in paraffina, ci mostrano — come lo attesta la Fig. 1 della tavola annessa — delle figure di mitosi nei leucociti situati in quantità nel tes- suto linfoide interposto ai canalicoli renali. Questo complesso di organo secretore e di organo linfoide circonda il tubo inte- stinale alla guisa d’un ferro di cavallo; le forme ora accennate abbondano di preferenza in corrispondenza dei rami liberi di questo ferro di cavallo, mentre a misura che ci avviciniamo al tratto d’unione la sostanza linfoide ed insieme i tubuli renali sono gradatamente sostituiti da grasso e da vasi sanguigni co- muni. La presenza delle menzionate figure di divisione indiretta è costante; esse si presentano alle volte così abbondanti, che SULL'EMATOPOESI NELLA LAMPREDA 919 mi avvenne di numerarne fino a 4 in un solo campo d’osser- ; cda. 3 ; 1 vazione (obbiettivo ad immers. omog. Reichert TE oculare 4). Da questi dati possiamo dunque concludere che tale tessuto lin- foide, assieme alla valvola spirale dell’intestino, concorre alla produzione dei globuli bianchi. Assodato questo fatto sono passato a studiare quanto in proposito si osserva nel sangue circolante. A questo scopo ot- tenevo i preparati per distensione d’una goccia di tale liquido fra due vetrini coprioggetti, come è pratica comune; staccati l’uno dall’altro e lasciati essiccare all’aria, li fissavo in una mi- scela d’alcool ed etere a parti uguali; per la colorazione usavo l’ematossilina. Giova notare che in questa serie di ricerche io non mi limitai allo studio di preparati ottenuti da animali pescati da qualche giorno e tenuti per qualche tempo in cattività, in un ambiente che differisce molto dal loro abituale e nel quale il ricambio organico deve essere notevolmente intorpidito; ma portai altresì le mie indagini su esemplari appena presi, fa- cendone dei preparati sul posto. Un'osservazione anche superficiale di questi, ottenuti nelle esposte favorevoli condizioni, rivela subito che i suoi elementi devono essere oggetto d’una rigenerazione vivace: lo attestano la differenza della quantità di emoglobina contenuta nei singoli globuli; la presenza di un numero cospicuo di globuli rossi giovani, che è agevole distinguere perchè costituiti da un nu- cleo relativamente grosso circondato da una sottile zona di protoplasma, colorata dall’ emoglobina; infine il reperto co- stante di cariocinesi in eritrociti. Trattandosi di eritrociti giovani, il cui contenuto emoglo- binico è spesso scarso, per mettere in evidenza la differenza dai leucociti, ricorsi alle doppie colorazioni con ematossilina ed eosina, ematossilina ed acido picrico, al metodo di Foà ed alla triplice colorazione con ematossilina rubina ed eliantina secondo Kultschitzky. L’affinità maggiore dei globuli rossi per l’eosina e per l’acido picrico rende agevole la loro distinzione dai bianchi; col metodo di Foù (che consiste nel far passare i preparati fissati in acido osmico, in una soluzione acquosa al- lungata di bleu di metilene, immergendoli dopo 3-4 minuti in 920 MAURIZIO ASCOLI acido cromico all’ 1°/, e lasciandoveli per altri 5 minuti) le emazie sono tinte in un bel verde smeraldo col nucleo azzurro, laddove rimangono incolori i leucociti, il loro mucleo violetto. Il metodo di Kultschitzky pure mi diede ottimi risultati ; la colorazione rossa che assume l’emoglobina fa spiccare distin- tamente i globuli rossi; i bianchi riescono colorati in giallo od in ranciato. Nelle fig. 2, 3 e 4 sono riprodotti diversi stadî di eritro- citi in via di scissione indiretta, notati in preparati ottenuti coi metodi sopraddetti e la maniera con la quale essi sono colorati mette chiaramente in evidenza la loro natura di glo- buli rossi. Per appurare poi la circostanza che queste mitosi proven- gono sicuramente dal sangue circolante nei vasi, e non sono fuoruscite dagli interstizi dei tessuti, ho fatto delle sezioni trasverse dell'animale fissato in totalità in liquido di Zenker od in sublimato e le colorai con i soliti metodi; riscontrai in esse pure figure cariocinetiche in eritrociti nell'interno del lume vasale e ne riporto due nelle fig. 5 e 6, che ci presentano questo processo in vasi branchiali. Ma non soltanto i globuli rossi, anche i bianchi si mfolti- plicano nel circolo per scissione indiretta, proprietà che la lampreda ha comune con altre classi dei vertebrati; ne fanno fede le forme di mitosi, nelle quali m’ imbattei nell’ esame di vari preparati, una delle quali è rappresentata nella fig. 7. Anche qui il controllo con sezioni trasversali complete dell’ani- male mi confermò la loro presenza nell’ interno dei vasi san- guigni. A queste ricerche eseguite nella primavera e nell’ estate, stagioni nelle quali la melma delle acque che costituisce il vivaio delle lamprede contiene soltanto larve di Petromyzon, ne feci seguire nell’ inverno delle altre sull’ animale adulto, a fine di appurare se in esso l’ematopoesi segua nella stessa guisa. Trovai negli esemplari che sottoposi al mio esame — in rapporto col ciclo evolutivo di questa specie e coll’epoca delle mie osservazioni — la cavità addominale occupata quasi in totalità dal materiale riproduttivo — uova o seme — con una corrispondente progressiva riduzione dell’ intestino e del rene, nei quali l’elemento linfoide va diminuendo fino a scomparire. SULL'EMATOPOFSI NELLA LAMPREDA 921 Giova notare che secondo la maggioranza degli autori il Petromyzon Planeri dopo aver compiuto la funzione della ri- produzione perisce; ed è lecito mettere in rapporto le atrofie sopraddette del rene e dell’intestino, come pure i fenomeni re- gressivi notati in altri organi, con questo sacrifizio dell’ indi- viduo alla conservazione della specie. Cionondimeno, sebbene l'intensità dei processi di ricambio per le esposte circostanze debba essere assai affievolita, mi riuscì di mettere in evidenza qualche rara figura cariocinetica tanto in globuli rossi, quanto in globuli bianchi nell'interno dei vasi. Ne ho disegnate alcune che sono riprodotte nella tavola an- nessa. Devo notare però che in un caso fui colpito da una enorme abbondanza di forme di scissione indiretta in globuli bianchi; questa, che non so se chiamare leucocitosi o leucemia, era così cospicua che riusciva cosa agevole il sottoporre al microscopio dei campi d'osservazione, dove fossero raccolte fino a 10-15 mitosi. Resta assodato adunque che nell’animale adulto l’ematopoesi avviene cogli stessi processi che nella larva. E questi nella lampreda non differiscono essenzialmente da quanto succede nelle altre classi dei Vertebrati e rappresenta soltanto il gradino più basso fra quelli descritti nella evolu- zione dell'ematopoesi. La sua localizzazione in organi speciali è limitata ai soli leucociti. Il sangue circolante, l’importanza del quale nella produzione dei globuli rossi va scemando a misura che procediamo verso i Vertebrati superiori sino a diventare nulla, è la fonte precipua delle emazie della lampreda. Ma poichè da varie parti si insiste ancora sulle teorie, che affermano la provenienza delle emazie da leucociti, mi piace riprodurre qui le parole del prof. Bizzozero, che stanno in chiusa dell’appendice al citato lavoro fatto in collaborazione col D' Forre, tantopiù inquantochè esse sono perfettamente valide anche nel caso attuale. Dopo aver preso in esame e fatta una minuziosa critica delle varie ipotesi emesse sull’origine dei globuli rossi, egli termina così: “ Esposti così i risultati dell’osservazione diretta, a me pare di dover concludere che fino ad ora non si è dimostrato con quel rigore che richiede la scienza, altro modo di produzione dei globuli rossi, che quello per scissione indiretta. Quanto si scrive intorno ad altri modi non è che ipotesi; ed alle ipotesi Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 63 922 MAURIZIO ASCOLI non si dovrebbe ricorrere che nel caso in cui il prodotto di tale scissione apparisse insufficiente a compensare quelle perdite globulari che il sangue quotidianamente subisce. Ma questo rap- porto fra produzione e distruzione dei globuli rossi per ora ci è impossibile accertarlo, giacchè non abbiamo mezzi per determi- nare nè il numero dei globuli che continuamente si distruggono, nè quello dei globuli che si producono. A questo riguardo però, abbiamo parecchi fatti, che per altra via ci dimostrano l’impor- tanza della scissione indiretta ,. Questi fatti che per brevità non fo che riassumere, sono: “ Il numero notevole delle forme cariocinetiche anche nello stato perfettamente fisiologico; la rapidità con cui la scissione si compie; il variare costante del numero delle forme cariocinetiche a seconda del bisogno più o meno grande che l’organismo ha di globuli rossi; la circostanza che non v'è alcuno stadio della vita, a co- minciare dai primi periodi della vita embrionale in cui manchi la cariocinesi dei globuli rossi ,. E chiude in questo modo: “ Dopo aver posto in sodo così la intensità e la continuità del processo di scissione dei globuli rossi nell’animale adulto, io, lo ripeto, non posso nè voglio esplicitamente escludere la possibilità che i globuli stessi, secondo le ipotesi sopra discusse, possono avere origine per altri processi. So abbastanza, come, nelle scienze di osservazione, sia impossibile la dimostrazione rigorosa d’una negazione. Credo però che sia inutile di conti- nuare a parlare di queste ipotesi, se prima coloro, che le pro- pugnano non le abbiano dimostrate necessarie e non le abbian sostenute con argomenti più convincenti di quelli posti in campo finora ,. Ora che la dimostrazione dell’esistenza d’una moltiplicazione di globuli rossi per cariocinesi nella lampreda è fornita, le ri- ferite parole sono perfettamente applicabili ed hanno valore anche per essa. Non è necessario ricorrere all'ipotesi del D" Giglio-Tos sulla derivazione degli. eritrociti da eritroblasti incolori e le sue as- serzioni, che gli eritrociti non sì riproducono mai e che le cel- lule bianche non si moltiplicano nel circolo per divisione indi- retta non sono confermate. \ MAURIZIO ASCOLI- Ematopoesi della lampreda AIli R.Accad delle Sc. di Torino — lol XXX SULL'’EMATOPOESI NELLA LAMPREDA 923 ConcLusioni. — Nella lampreda la produzione tanto dei glo- buli bianchi, quanto dei globuli rossi ha luogo per moltiplicazione per mitosi di corrispondenti forme giovani di globuli bianchi e di globuli rossi; le mitosi dei leucociti si osservano tanto nel sangue circo- lante, quanto nel tessuto linfoide della valvola spirale e del rene; le mitosi dei globuli rossi vennero da me trovate soltanto nel sangue circolante. | Laboratorio di Patologia della R. Università di Torino. BIBLIOGRAFIA 1. Bizzozero E Torre, Sulla produzione dei glob. rossi nelle varie classi dei Vertebrati. “ Reale Accad. dei Lincei ,. Anno 281, 1883-84, pag. 16. 2. Bizzozero G., Sulle ghiandole tubulari del tubo gastro-enterico. Nota V. “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 26 giugno 1892. 3. Gienio-Tos E., Sulle cellule del sangue della Lampreda. “È Accad. Reale d. Scienze ‘di Torino ,, 1895-96. 4. Gierio-T'os E., L’Ematopoesi nella Lampreda. “ Accad. R. d. Scienze di Torino ,, 1896-97. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Le figg. 1, 3, 6, 7,8 sono osservate coll’obb. ad imm. omog. Reichert !/4;; ocul, N. 2; le fig. 2, 4,5 con lo stesso obb., ocul. N. 4. Fig. 1. Sezione trasversa di rene di larva di Petromyzon; fissatore liq. di Zenker; a, glob. rosso; 2, leucocito in mitosi; ec tubulo renale. Figg. 2, 3, 4. Preparati a secco di sangue circolante di larva di Petromyzon; a, globuli rossi in mitosi; 6 globuli bianchi. Figg. 5, 6. Sezioni trasverse di larva di Petromyzon, in corrispondenza delle branchie, fissatore liquido di Zenker; a, endotelio dei vasi bran- chiali; 5, globuli rossi in mitosi. Fig. 7. Preparato a secco di sangue di larva di Petromyzon; a, globulo rosso; d, globulo bianco in mitosi. Fig. 8. Petromyzon adulto; a, globulo rosso in mitosi; d, e, leucociti in mitosi, in preparati di sangue a secco; 4, globulo rosso in mitosi da un grosso vaso branchiale in una sezione trasversa di pezzo fissato in liquido di Zenker. 924 ERMANNO GIGLIO-TOS Un coccidio parassita nei trombociti della rana; Nota del Dott. ERMANNO GIGLIO-TOS. I lavori comparsi in questi ultimi anni intorno allo studio comparato dei parassiti del sangue e quelli specialmente del DanIiLewsKy, del Grassi e del LaBBÉ — per non citare quegli altri che trattano unicamente di questo parassitismo nell’uomo — hanno aumentato considerevolmente ed hanno anche rischia- rato le nostre cognizioni su questo interessante punto della Biologia. Ma se è venuto crescendo il numero dei parassiti endoglo- bulari, di quelli cioè che svolgono il loro ciclo vitale in parte od interamente nell’ interno dei corpuscoli rossi, son rimaste per contro molto scarse le nozioni che si hanno su quelli vi- venti nei corpuscoli bianchi del sangue. Così che, se si eccettua un lavoro del DANILEWSKy (1) su di un parassita nei leucociti degli uccelli e certi vaghi accenni che qua e là si possono tro- vare su organismi ritenuti molto dubbiamente parassiti nei leu- cociti, non si posseggono per ora altri documenti per la storia di questo speciale argomento. Il caso che descrivo in questa nota presenta un certo in- teresse per l'elemento del sangue in cui fu trovato il parassita. È la prima volta di fatto che si faccia menzione di un paras- sita in quelle cellule del sangue che REcKLINGHAUSEN chiamò “ Spindelzellen ,, HAayem “ hématoblastes ,, Brzzozero “ piastrine nucleate , e DekHuyzeN “ Thrombocyten ,. In un mio recente lavoro (2) su queste speciali cellule del sangue io ho, fra le altre cose, dimostrato che esse si devono (1) DaniLewsky, Développement des parasites malariques dans les leuco- cytes des Oiseaua, in © Annales de l’Institut Pasteur ,, 1890, p. 427. (2) Grario-Tos E., I Trombociti degli Ittiopsidi e dei Sauropsidi, in “ Me- morie della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1898. UN COCCIDIO PARASSITA NEI TROMBOCITI DELLA RANA 925 — come giustamente già asseriva il BizzozeRo — ritenere come un terzo elemento morfologico del sangue, rappresentanti in questi vertebrati delle piastrine dei mammiferi, ma non omo- loghe ad esse, e che non hanno nulla in comune con gli altri elementi del sangue da cui si possono distinguere e per carat- teri del nucleo e per altri ancora del corpo protoplasmatico. In quel lavoro si troveranno anche esposte le ragioni per cui ho creduto più opportuno di accogliere, fra le varie denominazioni, quella di Trombociti ultimamente proposta dal DeKHuvzen. Si è appunto mentre stava facendo le osservazioni e ri- cerche su questo speciale argomento che mi capitò sott'occhio il presente caso di parassitismo. La rana comune (Rana esculenta), in cui trovai il parassita, era stata presa sul mercato di Torino e perciò proveniva dai dintorni stessi della città. Fu uccisa il giorno 20 settembre 1897, ed il sangue, preso dal cuore, disteso sul vetrino porta-oggetti e disseccato alla fiamma, fu colorato con una soluzione satura di azzurro di metilene. Quando, osservando i preparati, mi ac- corsi della presenza del parassita che fin’allora non aveva mai scorto in nessun’altra rana, per quanto ne avessi già esaminato nello stesso modo qualche decina, la rana da cui il sangue fu tolto era già stata buttata via e perciò non potei nè fare altri preparati, nè tentare l’infezione di altri individui con iniezioni artificiali, come sarebbe stato mio desiderio. Dovetti perciò li- mitarmi a fare ricerche sul sangue di altre rane della stessa provenienza, sempre sperando di ritrovare un altro individuo af- fetto dello stesso parassita. Ma le mie speranze tornarono vane. Che le cellule del sangue dove trovai questo parassita sieno veramente trombociti, non ne ho proprio dubbio alcuno. La di- sposizione della cromatina nel nucleo, le proprietà del succo nucleare, la struttura del protoplasma, la forma della cellula stessa corrispondono perfettamente a quei caratteri che nel la- voro suddetto io ho descritto come specifici di questi speciali elementi morfologici. Si noti poi che in nessun altro elemento del sangue io ho potuto riscontrare la presenza di questo pa- rassita. Risulta dunque stabilito: 1° che l'elemento cellulare ospite è il trombocito; 2° che il parassita è proprio di questa specie di elemento. 926 ERMANNO GIGLIO-TOS Del resto si sa come di solito questi parassiti intracellulari abbiano quasi tutti una speciale sede di predilezione. Se si pon mente a questo fatto, si è indotti a credere che molto probabilmente il parassita in questione è una specie nuova, giacchè, ripeto, non mi risulta che finora sia stato de- scritto un parassita intracellulare in questa sorta di elementi del sangue. Ma non potendo avere tutti quei dati che sono ne- cessari per una buona determinazione ed una chiara descrizione, ho preferito non dargli alcuna denominazione. I più recenti la- vori e del Mincazzini e del LaBBÉ (1) e di altri ancora hanno di fatto dimostrato che i caratteri che servono per determinare i coccidì risiedono principalmente nel loro modo di sporulazione. Ora io non ho potuto vedere nei miei preparati stadio alcuno che in modo certo corrispondesse a questa fase della loro vita, nè, per le ragioni suesposte, ho potuto mettermi in condizione di ottenerla. Io descriverò qui pertanto il parassita in quella fase di sviluppo in cui l’ho trovato e per renderlo più facilmente rico- noscibile vi aggiungo alcune figure dal vero. Il coccidio in parola si presenta come un corpicciuolo di forma schiettamente ellittica, della lunghezza quasi costante di circa 6 u per una Jarghezza di 3 u. Esso occupa quasi sempre una posizione polare nel trombocito e di prevalenza sta allogato in quel polo appunto dove, — come dimostrai nel lavoro sopra citato — sta accumulato più abbondante il protoplasma (fig. 1). Tuttavia questa posizione non pare assolutamente necessaria perchè ho trovato anche qualche trombocito in cui il coccidio (1) Lanré A., Recherches sur les Coccidies, in * Arch. de Zool. expér. ,, 8° sér., tom. IV, 1896. UN COCCIDIO PARASSITA NEI TROMBOCITI DELLA RANA 927 stava ad uno dei lati del nucleo, dove di solito il protoplasma è molto scarso, ed in questo caso naturalmente la forma della cellula ospite ne era alquanto alterata (fig. 2). In presenza di un simile corpicciuolo estraneo il nucleo del trombocito è sempre alquanto modificato nella forma e, schiac- ciandosi più o meno, presenta alla superficie una leggera depres- sione che si modella in certo modo sul contorno del coccidio (fig. 3). Di solito non c'è che un parassita per ogni trombocito ed allora il nucleo non ha bisogno di deformarsi molto per lasciar posto al coccidio. Tuttavia in certi casì esso è addirittura pie- gato in due così da occupare nella cellula uno spazio molto mi- nore e lasciare il parassita a suo più grand’agio. Ma la defor- mazione del nucleo è poi notevole, quando — come in qualche raro caso ho osservato — i coccidî sono due nella stessa cellula. Si può scorgere dalla annessa figura 4 che il nucleo è respinto all'uno dei poli, e che, schiacciato e ripiegato su di se stesso, ha perduto affatto la sua primitiva forma ellittica caratteristica. Qualunque sia però la forma assunta, io non ho mai notato che alla deformazione fosse accompagnata una qualche altera- zione palese della sua struttura o della sua propria funzione. In tutti la cromatina è visibilmente disposta in quei cordoni caratteristici detti dal DekHuyzen mitocromi. In tutti il succo nucleare e la cromatina stessa presentano le identiche proprietà dei trombociti normali. La presenza dunque del parassita non serve — per quanto almeno se ne può giudicare dall’osserva- zione microscopica — ad alterare le funzioni dell'elemento. Altrettanto si può dire del protoplasma. Il quale, — se si eccettua una stretta zona incolora che ravvolge tutto il coccidio come in un guscio — si presenta nel resto affatto immutato e 928 ERMANNO GIGLIO-TOS con tutti quei caratteri che ho dimostrato altrove distintivi dei trombociti. | Quanto alla struttura del coccidio essa mi apparve molto semplice. Nel descrivere altrove (1) il metodo da me tenuto nel co- lorare il sangue dei vertebrati su cui feci le mie ricerche, io ho fatto notare che l'azzurro di metilene colora in azzurro di Prussia tutto ciò che è vero citoplasma delle cellule, mentre la cromatina ed i granuli di varia natura del protoplasma si tingono in azzurro oltremare, in roseo, in violetto scuro od anche rimangono affatto incolori. Così che si può ritenere la co- lorazione in azzurro di Prussia propriamente caratteristica del vero citoplasma. Or bene, il corpo del coccidio nei preparati colorati nel modo suddetto appare per l'appunto tinto di quel colore azzurro di Prussia. Ma in essi la tinta si mostra così uniforme ed in- tensa che non vi si scorge assolutamente alcuna traccia di strut- tura fibrillare, nè essa è in alcun modo alterata da granulazioni di sorta, se si eccettuano certi grossi granuli i quali rimangono affatto incolori dentro al corpo colorato del coccidio. Il proto- plasma del parassita presenta insomma lo stesso aspetto che ci offre quello dei leucoblasti e degli eritroblasti che non conten- gono ancora i granuli loro specifici. Nei disegni qui uniti io ho tentato con una tinta sola di rendere fedelmente l'aspetto presentato dai trombociti affetti dal parassita, ed a bella posta ho fatto in nero uniforme il corpo del coccidio, tinto in azzurro Prussia, per metterlo in contrapposizione con la colorazione più sbiadita del trombocito dove sono solamente rappresentati i fili citoplasmatici, avendo fatto astrazione, per maggiore semplicità, dei granuli specifici in essi racchiusi. I cordoni di cromatina del nucleo sono rap- presentati più sbiaditi per indicare la diversità di tinta (azzurro oltremare) da quella del citoplasma. Si può dunque riassumere in breve che il corpo del coccidio (1) Giezio-Tos E., Un metodo semplice di colorazione del sangue nei ver- tebrati ovipari, in “ Zeitschr. f. wissens. Mikrosk. ,, BA. XIV, 1897, p. 359-365 — e I Trombociti degli Ittiopsidi e dei Sauropsidi, in © Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, 1898. UN COCCIDIO PARASSITA NEI TROMBOCITI DELLA RANA 929 è costituito da una massa di citoplasma compatta ed uniforme contenente uno o più granuli di una sostanza speciale, diversa dal citoplasma. Io non voglio con ciò negare che il corpo del coccidio pos- segga nucleo e centrosoma, che forse si potrebbero mettere in evidenza con altri metodi di colorazione. Ma poichè non ebbi la opportunità di poter incontrare altri casi di infezione e ri- petere altrimenti le mie osservazioni, debbo tenermi a questa semplice descrizione. Così è dei granuli contenuti nel coccidio, e che nei prepa- rati ottenuti rimangono incolori affatto e brillanti e sui quali avrei volontieri fatto ricerche per determinarne la natura. Non li ho mai trovato molto abbondanti: da uno in una forma evi- dentemente giovane (fig. 5), a sette od otto al più. Essi sono per- fettamente sferici, all'aspetto un po’ simili a sostanza amiloide, disposti nel coccidio senza un ordine apparente. Probabilmente sono solidi, e ciò arguisco dall’aver notato che conservano la loro forma sferica anche quando si trovano a mutuo contatto. Cosa che certamente non avverrebbe se fossero liquidi, poichè la loro superficie si appiattirebbe là dove si toccassero. TaéLoHAN (1), che fece ricerche speciali sui diversi granuli contenuti nei coccidî, li distingue nei quattro gruppi seguenti: 1° granuli plastici; 2° grossi globuli rifrangenti; 3° granuli cro- matoidi; 4° globuli grassi. Io credo di non errare ascrivendo i detti granuli alla prima categoria: sia perchè sono i più comuni e costanti in ogni specie di coccidio, sia perchè presentano quei caratteri che THÉLOHAN ritiene appunto distintivi di questa sorta di granuli. È bensì vero che essi non mostrano quel punticino centrale o periferico colorabile con i colori di anilina che THÉLoHAN cita fra i loro caratteri distintivi, ma queso autore stesso ammette che esso non si trovi che in certe specie di coccidiî. Molto probabilmente questi granuli plastici, che io non vidi mai in numero superiore ad 8, coll’invecchiare del coccidio di- ventano più numerosi fino a riempirne tutto il corpo al fine dello sviluppo, come si sa avvenire in tutte le altre specie. (1) TagLonan P., Nouvelles recherches sur les Coccidies, in “ Archives de Zool. expérim. ,, lII sér., tom. II, 1894, p. 541-573. 930 ERMANNO GIGLIO-TOS Quanto allo sviluppo di questa specie di coccidio, per le ragioni già esposte, io non sono in grado di dir nulla di certo. Gli individui che potei osservare si presentavano press’ a poco tutti nello stesso periodo vitale, nè potei in essi osservare una differenza di struttura che fosse indizio di una fase più o meno avanzata nel loro ciclo di vita. Solo uno ne rinvenni, quello disegnato nella fig. 5, che molto verosimilmente è da ri- tenersi più giovane, sia perchè assai più piccolo degli altri, sia ancora perchè non contenente che un solo granulo brillante. Nè tanto meno trovai fasi di sporulazione le quali mi avreb- bero permesso di determinarne la specie. Tuttavia ho voluto presentar qui nella figura 6 un caso di sporulazione che potrebbe anche darsi si riferisse precisamente a questa specie. L'elemento che contiene il parassita sporulante è molto alterato, con il pro- toplasma appena rappresentato da alcuni irregolari filamenti intrecciantisi, ed il nucleo rigonfio, verrucoso, così pallidamente tinto, che ho creduto nella figura di rappresentarlo appena con i contorni. Si direbbe — a giudicare dalla forma di questa cellula — che sia un trombocito, ma non oserei asserirlo essendo scom- parsi con l’alterazione subìta quei caratteri che dovrebbero ser- vire a riconoscerlo. Ad una estremità poi si scorge una capsula ben distinta contenente sei spore e senza alcun reliquato di sporulazione. Mi si potrebbe da taluni obbiettare che — dato l’alto po- tere fagocitario dei trombociti quale ho dimostrato nel sopra citato lavoro — potrebbe anche essere che questo coccidio non UN COCCIDIO PARASSITA NEI TROMBUCITI DELLA RANA 931 rappresentasse un parassita dell’elemento, ma semplicemente un corpicciuolo stato incluso per fagocitismo nel trombocito, per toglierlo così dalla corrente sanguigna. Ma contro a questa opi- nione stanno alcuni fatti che mi paiono sufficienti a confutarla. In primo luogo non ho trovato libero nel sangue circolante nessun simile coccidio, nè corpuscolo alcuno che avesse con esso una certa somiglianza. In secondo luogo la struttura, la forma e l'aspetto del coccidio quali furono descritti non sono quelli di un corpo organico che venga distrutto dall’elemento che lo in- trodusse nel suo interno per fagocitosi, bensì quelli di un orga- nismo normale, sano e che gode di tutte le sue funzioni fisio- logiche. E questo sono in grado di poter asserire recisamente, avendo avuto occasione di osservare più volte degli organismi penetrati e inclusi per fagocitismo nei trombociti, ma tutti con tali caratteri di alterazione nella loro struttura da dimostrare all'evidenza che non erano viventi e parassiti, ma che avevano anzi già subìto l’azione deleteria e distruggitrice dell'elemento che li aveva inglobati. Infine è da notarsi pure che quei trombociti, i quali con- tengono qualche corpicciuolo penetratovi dentro per fagocitosi, mostrano, — specialmente quand’esso abbia dimensioni ragguar- devoli rispetto al trombocito — una certa modificazione nella struttura del loro stesso protoplasma, che non riuscii a scorgere menomamente nei trombociti contenenti il coccidio ora descritto. NB. — Le figure sono state disegnate alla camera lucida di Abbe, obb. apocrom. Zeiss 1,5", apert. 1,30, ocul. 4, tubo evaginato 165 mm.: disegno eseguito sul tavolino da lavoro. — Ingrand. 2000 diametri. i 932 TULLIO LEVI-CIVITA Sull’integrazione dell'equazione AAu=0; Nota di TULLIO LEVI-CIVITA. La integrazione dell'equazione A,sA,3u=0 entro un’area piana semplicemente connessa, per dati valori al contorno di w e della sua derivata normale venne effettuata in modo completo soltanto per contorni di forma molto particolare (*). È mio proposito di mostrare anzitutto ($ 1) come la que- stione possa in ogni caso essere ricondotta: 1° alla rappresentazione conforme dell’area data sopra un cerchio; 2° alla risoluzione di certo sistema (£) di infinite equa- zioni lineari con infinite incognite. Con ciò il problema si potrebbe, almeno dal punto di vista teorico, ritenere esaurito, se sì sapessero assegnare le incognite del sistema (2); ma la cosa non è senz'altro fattibile, rima- nendo tale sistema fuor della cerchia, trattata finora col metodo dei determinanti infiniti (**). È dunque necessario studiare da vicino il sistema (9). Premesso ($ 2) un criterio generale assai semplice, per ri- solvere i sistemi lineari infiniti a mezzo di successive appros- (*) Cfr. principalmente: Marnieo, Mémoires sur l’équation aua différences partielles....., “ Journal de Mathématiques ,, 2° série, t. XIV, 1869. — VensKE, Zur integration der Gleichung AAu=0 fiir ebene Bereiche, “ Gittinger Nachrichten ,, 1891. — LauriceLLa, Integrazione dell'equazione A*A®u)=0 în un campo di forma circolare, in questi “ Atti ,, vol. XXXI, 1896. — Armansi, Sulla integrazione dell’ equazione A*A?*=0, ibidem. I risultati generali, stabiliti dal sig. Lauricella per le equazioni della elasticità, in- ducono, a mio credere, la persuasione che sia possibile estendere anche all’equazione A,A,u=0 il metodo di Neumann della media aritmetica, ma la teoria è ancora da edificare. (*#*) Veggasi: Cazzaniga, Sui determinanti d'ordine infinito, “È Annali di Matematica ,, 1897. Si riconoscerebbe facilmente che il nostro sistema (9) non rientra nei tipi risoluti dall’Autore (cap. XIV, n' 1, 7, 8). SULL’INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A, A,u= 0 933 simazioni (*), passo a indagarne le condizioni di applicabilità al sistema (92). Non mi è riuscito di stabilire in generale la validità effettiva del procedimento, ma solo ($ 3), introducendo una considerevole restrizione sulla natura del contorno. Rimane ciò non pertanto una classe ben ampia di aree piane, per cui si è messi in grado di condurre a termine la ricerca. A ciò è dedicato il $ 4. Il $ 5 contiene due esempi, che mi sembrano notevoli per la loro generalità. Del resto io vorrei che il lettore risguardasse la classe di contorni, in tal modo circoscritta, piuttosto come una illustra- zione del metodo che come la sua definitiva portata, sembran- domi assai verosimile che il campo di validità ne sia di gran lunga più esteso. Mi si conceda di aggiungere che il procedimento, di cui qui è parola, porta ad una espressione della funzione incognita « relativamente molto semplice: Essa si presenta come somma di due integrali, uno semplice e un doppio, che dipendono diretta- mente dai dati del problema e dal parametro di rappresenta- zione conforme dell’area, che si considera. L’integrale doppio contiene linearmente le costanti, provenienti dalla risoluzione del sistema (9). 1. — Sia data nel piano x’, y' un’area semplicemente con- nessa 0°; designi s' il contorno, p' la normale diretta verso l’in- terno. Si tratta di assegnare una funzione « finita e continua assieme alle sue derivate dei primi quattro ordini in ogni punto di 0’, la quale soddisfaccia entro 0' alla equazione: (1) AcAgie0 dI I st 2 ?T da? TO e sul contorno s' alle: (#) Il Prof. Volterra ha avuto la bontà di comunicarmi un metodo di risoluzione, di cui già da tempo egli era in possesso. La via delle ap- prossimazioni successive, qui seguìta, è apparentemente diversa, ma in sostanza coincide con quella proposta dal Prof. Volterra. 934 TULLIO LEVI-CIVITA (2) u=p, 1 7 (3) ag = in cui @ e y rappresentano due funzioni continue dei punti del contorno, comunque assegnate. Consideriamo in un secondo piano x,y (eventualmente so- vrapposto al primo) il cerchio o di raggio 1 col centro nell’ori-. gine delle coordinate; poniamo poi e =x+ iy,e'=a'+ iy', 2" =f (2), intendendo che f stabilisca la rappresentazione con- forme del cerchio sopra l’area d'. Se si immagina di sostituire alle variabili x’, y' le nuove variabili x,y mediante la trasformazione 2' = f(2), risulterà: dx'? + dy' = H?(dx® + dy?), con H(x,y)=|f"(2)|; quindi dp' = Hdp (essendo dp' e dp ele- menti lineari normali rispettivamente ad s' e alla circonferenza); e, per la nota teoria dei parametri differenziali: Ciò posto, risguardando « quale funzione dei punti , y del cerchio, avremo: bis 1 esa (15) A, (gn Bau) =0, entro il cerchio 6; (208) Ù = 3 du 9Qbis 2 — (399) o E: sopra la circonferenza, dove i valori di @ e w in un punto qua- lunque della circonferenza sono quelli fissati per il punto cor- rispondente di s'. FISSI, 1 A ; , La (1°) ci dice che - Av è una funzione armonica (re- 4 H? SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A, A,u= 0 935 golare, per la natura stessa di v e di H, nei punti interni a 0). Perciò, introducendo le coordinate polari p e 9, potremo porre: (4) %w(p,0) = ” A;u= 0% +9 p"}a,cosm9+ B,senmQi, 1 le a e B essendo per ora indeterminate. La (1°) diviene così: fr) Au = H?w(p, 0). Se si ammette che H?w(p, 0) sia integrabile nel cerchio di raggio 1 (il dubbio può sorgere, perchè nulla si sa a priori circa il comportamento di H? e di %w (p, 6) per p= 1), alla (1°) e alla (2°) si soddisfa, come ben si sa, definendo « mediante l'equazione: 1 all 27 I ne27/ de i (5) «(0) = f.9d9( GH°%0(0,9)d0 — 3 fr Gale do, in cui G rappresenta la funzione di Green, cioè: più 34-p?,—2pp:cos(0—0,) I G= log/1-+p°pî— 2pp:cos(0—8,) + log Vi Tutto si riduce oramai a determinare w in modo che riesca sulla circonferenza — ce s=4Hy. 1 Per evitare ogni discussione, facciamo l’ipotesi che il con- torno s' dell’area, originariamente assegnata, abbia in ogni punto un raggio di curvatura finito e quindi che la funzione H si con- servi finita e derivabile (la derivata soddisfacendo alle condi- zioni di Dirichlet) anche nei punti della circonferenza; suppo- niamo di più che la funzione @ sia dotata di derivata prima e seconda, la yw almeno di derivata prima, soddisfacenti esse pure alle condizioni di Dirichlet lungo s'. Risulta da ciò che p ed Hy possono essere rappresentate sopra la circonferenza mediante serie di Fourier: I a \ (0) = 3 Do +) nc0sn0, + g/,senn0,) (6) "A Co | H(1,0)y(0,) = 5 Po +) (p'xcosno, + g',senn0i), l \ 936 TULLIO LEVI-CIVITA '" riescono in valore assoluto i cui coefficienti pr, Qn; Pn, si rispettivamente minori di Di AES 1,2 2,...), M designando una opportuna costante. In tale condizione avremo senz'altro: LETT ode =} p' +Y pr}p',cosn0, + gn senn0,{ 2rJo \dp /o=1 9g Po do RAI 1 7P 1» 05 ELI, 3) Mei, de |, =D. n)p',cosn98, + gi senn0i, e la (5), derivando, ci darà: ig \ dp lare e n y ‘odo (7 "SE = H°20(p,6)d0 Pe -- y n}p'nc0sn0, + g',senn0{. n l Ammettiamo, salvo a verificarlo a posteriori, che sia lecito sostituire nella (5') a H"0(p,8)d0, Jredef (Pe) psP10(0,0)00; ql 0 To dpi dpi dG È X - 1 | eta — ‘Si il suo sviluppo 1 + 296; cosn(0 —0;), non- chè eseguire termine a termine l'integrazione rispetto a p. Si ottiene in tal modo: la ogppoee ar = pap fi H°w(p,9) d0 + dot 1f ‘orta (- H?w(p,0)cosn(0 — 0,)d0 — Ca — ) n)p',cosn0, + g'nsenn0, |. n 1 Di qua, ricordando che dev'essere: SULL’INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A9A43u= 0 937 1 “vue ac [REEF line e ponendo per brevità: |P ahi (7) SARE ZIA REATO In = q n Ud] n9I segue identicamente: "p'P'dp | c H'w p,0)conn0d0=:p.,, (n =0,4,2,...); p (8) de seri "23, I È sf, #1dp (| H°w(p,0)senn0d0 = (ni DI, È dunque necessario che la funzione armonica w soddis- faccia a queste equazioni funzionali. Per p<1—e(e positivo e piccolo a piacere), la serie (4) è uniformemente convergente; dunque: "2 +9 ve "H?(p,9) cosn0 d0 2.0) {, H°cos n8 do + dÒ.. ta, rg: *cosn8cosm040+8, | , H"cosnosenn0d0 | ln. È A ‘"?,0(9,0) senn0d0 = @ J < "H° sen n0d0 + +Y fo Ali *2senn0cosm0d6+B,, ile "H'sennOsenm0d@ |. Ora cosm0 cosnd = 3} ) cos(im + n)0 + cos(m — n)0i, cosndsenm0 = 3 isen(m + n)9 + sen(m — n)0{, ecc., e siccome, in virtù delle ipotesi fatte su H, ("*H?cos (m + n) 648, {7 H?sen (m + n) 040, Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 64 938 TULLIO LEVI-CIVITA rimangono, anche per p= 1, inferiori in valore assoluto al quo- ziente di un numero finito per (m — n)? (m = n), mentre (a patto di verificarlo a tempo debito) possiamo ritenere an, n inferiori ad un ‘numero pure finito, così le serie dei secondi membri con- vergono uniformemente rispetto a p in tutto l’intervallo (0,1). Ne viene che le (9) sussistono anche per p= 1 e che si può valersene per trasformare le (8), integrando termine a termine. Troviamo così: tor % i o de | , H°cosn®dd + Ce) - o SI ant | prtrt!dp (" "H°cosn® cosm9d0 + A > n9 H= Bus f prEr+ do | , H*cosnd senm0d0! = pn, 1 - n4 2ItT; dy 2a tap (° H°senn0 d0 + (e) “ 9 +. Teag [ print do f , H?senn0 cosm0d8 + 1 1 v! — 1 “237. 2 Ì apr Br | im+ dp |, H senn9senm0 d0 | = o, più concisamente, ponendo: | ffprtr+lap (1 H*cosn@ cosm0 de ['p?"+1ap ("” H?cos®n9d0 — A2n2m, (n,m a 0,1,3; i (prtrt+ap | H*cosn0 senm0 da (1ptr+12p |'T2cos!n040 =Gnen-h(=0,1,2,- i (10) | [prtr+14p | HPsenn® cosm0 dè ('p?nr+'dp | H?sen?18d0 —02n-1,2m , (n=1,2;...:1=0 152008 ip” +m+1gp |" H?senn0 senm0 da ['p?n+19p [° H°sen®n040 =d2n-1,2m-1 , (n,im= t,45 paro s Pn 11 fr Fear), H?cos?n0 dd = (n=0,555558 (11) qQn 1 27 (pat lg p.E?sen"n6d0 = Vanel, (n 3 1,2, A9 SS —r > — ">"P.. nici nta SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A,A,u= 0 939 | Am = Tam, (m tan Urla), (12) | Bm —_ Lam; (m = 1,2 sb cl (13) di. CAIO IA PE Le « e le v, come si rileva dalle (6), (7), (10), (11), sono costanti conosciute (e finite, perchè i divisori, che intervengono nelle (10), (11), sono essenzialmente diversi da zero). Se si può risolvere il sistema lineare infinito (13) e i va- lori, che si trovano per le x;, cioè, in causa delle (12), per le a e Rf, ammettono un limite superiore finito e definiscono una w (p, 0) in- tegrabile nel cerchio di raggio 1 e tale che: PERL fiodo Ì, Na G pp w(p,0 )de= | fFodp(” H°w(p,0)d0 + + f DSi p'Adp|- “"?,0(9,0) )cosn(0 —0,)d0, siam fatti certi, eseguendo a ritroso le operazioni indicate, che la funzione v, definita dalla (5), soddisfa alle (1°), (2°8), (8biS); basta allora esprimere « a mezzo di x’, y", per avere la funzione inizialmente richiesta. L’unica difficoltà consiste pertanto nella determinazione delle costanti x; dal sistema (13), il quale, osservando che 4;;= 1, può anche essere scritto: i-1l (9) X= Vi 9 4; SII Gai (=0;1,2,.) +1 Ad esso si riattaccano le seguenti considerazioni generali. 2. — Definiamo delle approssimazioni successive delle in- cognite x;, prendendo: (14) ero = 0;172,-0)) a—1 av) a, DATI (20,1,2,1); 0 +1 940 TULLIO LEVI-CIVITA e in generale: il (5) P=a—Y, 048) —YO 0,8, G=01,2,.. =L2 1+1 con che, ammessa la convergenza delle serie dei secondi membri, riescono individuate le approssimazioni di dato ordine x per mezzo di quelle d’ordine anteriore, purchè si abbia cura di fare successivamente i= 0, 1,2, . Se le x tendono per n = co a limiti finiti e determinati x;, z atti a rendere convergenti le serie xa 4%, le (15) mostrano raSu) senz'altro che detti limiti sono le soluzioni del sistema proposto. Un caso, notevole per l'applicazione, che abbiamo in vista, è quello, in cui le a e le v soddisfanno a disuguaglianze del tipo : (16) |a; | ZAN, (i:j=0 1,3 Son) (17) lv < i (i=014,24006 ) (18) DA x JR con A, B, g,s numeri positivi finiti e \ < 1. Si osserverà che, aumentando convenientemente B, è sempre possibile immaginare 9 abbastanza grande perchè sia soddisfatta, assieme alla (18), la: al casi SS 1-\(1+ Bi (181) 2A Dico che in questo caso il metodo delle approssimazioni successive riesce completamente. Cominciamo coll’osservare che le (15), avuto riguardo alle (14), dànno: e — i 1 n dij(&; n) ga PP ». ij ( (e — so), ra SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A, A,u—=0 941 ovvero anche, ponendo per brevità: (19) gl Ae = 1200), (15) y0 = “i %i,j}" Sy dij, (i=0,1,2,...; n=1,2,...). 0 +1 A giustificazione del nostro asserto conviene provare: a) che le serie vas, convergono (e ciò risulta imme- il diatamente dalle (16) e (17)); 5) che le y, definite per ricorrenza dalle (15'), rendono 0 convergenti le serie Yi ai n) CEI) c) che le x!7, cioè, per le (19), yO 4 g5 +...+gy®, so rendono convergenti le serie dI asd il d) che le x! tendono, per n= ©, a limiti finiti e deter- feb) 1), ’ 0 . . . . . "i minati, ossia che sono convergenti le serie ) y"; n e) che le somme x«; di tali serie rendono a lor volta 00 CI convergenti le serie DI Da PI Le proposizioni 5), c), d), e) sono vere, come tosto si rico- nosce, quando si abbia per es.: ij‘ B (n) n con Ss ann a n= i (j+-9)° S G+g 1A i (itgf 1 & Ù/ il i i—l x NIRO RO PE xii i(+g = (i+ 9) Di (+9) (4941) (30 0 0° (549+1)° (j5+9+2)9 ©" (i49)* donde anche, per essere n = (i e quindi più piccola di gt Falieica i-l i-l du À velata CH 1 Di mi ORE, pri 5) S Fg 1-4 Dopo ciò la disuguaglianza precedente diviene: ont ; 141) Il ET PRI ‘) I 1-M1+-7) e, in virtù della (18'), assume l’aspetto voluto: (n) |< Gb: Di qua si deducono per le incognite x, = ) y le condi- dedi n 0 zioni: 1 2( (20) = ni arte rare che sono della medesima natura di quelle ammesse per i se- condi membri v.. SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE AgAgu= 0 943 8. — Ritornando al particolare sistema (2), donde abbiam preso le mosse, vogliamo ora occuparci di caratterizzare una classe di aree 0’, per cui si trovano soddisfatte le condizioni (16) e (18). Suppongasi in primo luogo che il contorno sia costituito da una sola linea analitica. Per un teorema di Schwarz (*), la funzione e'=f(2) (di cui a $ 1) è allora prolungabile analitica- mente al di là di ogni punto della circonferenza di raggio 1; ; ei. , MO esistono quindi circonferenze di raggio x > 1, entro e sopra le quali la funzione si mantiene regolare. Vedremo ben presto quale partito si può trarre da questa circostanza. Poniamo intanto: ni fi) Sp CREO O ovvero, mettendo in evidenza la parte reale e la parte imma- ginaria: fa=Y (+ idgptet. Se si cambia è in — è e si moltiplica membro a membro, risulta: H°(p,06)=1f"(2) |? Egg. (Tarv + dad) — (adv — dafv) pet ‘efim_V0, che, ordinata per i seni e coseni d’archi multipli di 0, ove si faccia per brevità: hu(p)= ped (tuoi + du+vdv)p?" (21) î (u=0,1,2/5) ku(9) = peSo (rurody — du4viv) p°%, (*) Picarp, Traité d’ Analyse, t. II, chap. X. 944 TULLIO LEVI-CIVITA assume l’aspetto: (22) H°(p,6) = A) + der )hu(p)cosu8 +-ky(p)senp@{ . Si designa ora con L il massimo dei valori assoluti, assunti ; sarà, come è ben da f'(2) sopra la circonferenza di raggio 4 : noto: lie LAS; quindi anche: In, id,| < LA, |Ya+v + tdu4v | £ L\9#+3V, | (fu+vtv + dutvdv) + i(Tu+v dv — du+vrv)| £ L* A84+8Y, e per cdieguehza : 5 | Yu+vYv + du+vdv | < L°N8+9Y, | Yu4vdv — du+vYv | L° \84+9Y, Dopo ciò, le (21) porgono: ’ 234 0 U | u(0) |< LAMMpIYO avi < LAMPI. (1) di 9 @ L?\3U pu |Ku(p) | = L NUuprd N° pi = ppi o D o, intendendovi p < 1, addirittura: (Chao EE (23) (u=0,1,2,...). 3, U Î I ku(P) 1< TARE Riprendiamo le posizioni (10) e trasformiamole a mezzo delle (22). Otterremo: pe en SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE Ag Agu=0 945 mf primi Vin4m(P)} + In-m| (p) {dp a = = Ma = 01420 2n,2m (lpînHap|.7 H?cos'18 20 ’ ( ’ sogna Ji; . 41) I, Ì den mf prtmtt nin) nm 1 (0) dp eee e: _ a fd , CALICI o bi gioioe ner (p*r+ap|"7 H?cos®n0 40 i biz toh (10’) nfprteti nin Fh nnt (0A (219 den, don di "a n= ce M= 096 SR (p®tap|7H?sen?n0 do 3 arnie b) - [preset h In-m (P)—Antm(p) dp Aan-1,2m-1 cs ’ (n, dz di, 2, 42) ’ (porta pf.” H?sen?n0 do dove van presi i segni superiori o gli inferiori secondochè m 3 ». Di qua si deducono agevolmente dei limiti superiori per le a. Consideriamo, per fissar le idee, il primo gruppo delle (10"). Sia l, il limite inferiore dei valori assoluti, assunti da /'(e) entro il cerchio di raggio 1 (limite inferiore, che è, per la uni- vocità della corrispondenza fra 2’ e 2, essenzialmente diverso da zero). Si avrà: H°(p,0) = li, 1 SIE ia a NAT salari ea vg fe de, H°cos n0do Ii ( e do|, cos°n0 dè = Int2! d’altra parte, avendo riguardo alle (23), per n > m: al mm) f,P°#"#)xpn(P) + Rin (9)(dP| < IL \3lnm) fm (I entamti 2Mm+1 | u: 3n—m). v ir Dal fo de +. Li ao ETA e pern 27, cioè la funzione f(2) deve mantenersi regolare fin oltre (ee) ) Agion RI= 3 (1) 901291010), m 0 o di, Aan-1,2m-1 Bs Van-1; (n = 16 2, ei ) : m 1 al quali sistemi, ponendo: du = (2; mM = 01532, i e MRI. i tare; (== 2 20) Dotaraor FAST PIREO (*) Questo si ricava facilmente, osservando che, se L è il massimo dei valori assoluti di f'(2) per | 2 | =, il modulo di f (2), per 2 compreso È : s 5 è L pr. L entro il cerchio di raggio 1, non può superare 124: quindi ly < Tee L? 1 per conseguenza > A=38 (*#*) Cfr. Scawarz, Ueder einige Abbildungsaufgaben, “ Crelle’s Journal ,, B. LXX, 1869. 948 TULLIO LEVI-CIVITA può essere attribuita la forma: , c va ij 0; _- vi, (i ESS 0, 99h ki} (0) (el Die Bi=0"., (i ==dy2,59: Li Consideriamone uno qualunque; il primo, per es., e notiamo che, dalle posizioni testè fatte e dalle (24), segue senz'altro: Pan = | an < TE granai (n='m) nm 2n,2m (a, (1 ES x) ’ ’ o, ciò che è lo stesso: 98' , 2L? lil »>{I0l 1 +> » (2 ) la';j| < CIT 3 (7,0 sZyto23 BIZONIE la quale, confrontata colla (16), ci mostra che il \ è qui sosti- tuito da \?, per cui la condizione, che tien luogo della (18'), si cangia in: L? x E 1919 (29) 4 . LL . . Partendo dal secondo sistema ) a".,8;=v";, si perviene n I evidentemente alla medesima disuguaglianza. 1 ; 1 ent Per essa, \}° < > Î non occorre, come prima, ) n': + n_l dee bg 1 \,jn_m 1 9) 1 DA 29. m S n Ù 0 ancora: 2 DI m_n 2 1 D) ds di 29° m = mi IA n 1 6 < n b) 9 DAI tata n Ne viene: 4 2 di 5+ o: sno pr m m SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A,A,u=0 953 o finalmente, col porre: 0g NI5S+7 084, Tio pilin= ii So o )cosn(0— — 0,)d0 ): In tal condizione la serie: 5 hi PIP | H?%0(0,9) cosn (0 — 0,) d8 ei s converge assolutamente, poichè, a partire dal valore n' di x, i suoi termini sono ordinatamente minori di: K nti dl 1 n et? K ; i. Sa do=K n(n+2) n(n+2) per la medesima ragione, essa converge uniformemente rispetto ad e. Si conclude: 3 “i 1 v 29T lim DO beni #40 H?20(p,0)cosn(0 — 0,)d0 = 1 e=0 (-*] 21 =) lim fr: p'*idp( "H?%w( (p,0)cosn(0—0,)d0 = 0, : n e=0* come dovevasi dimostrare. 5. — Un esempio semplice di contorni, per cui la condi- zione (29) trovasi effettivamente soddisfatta, si ha immaginando che il parametro di rappresentazione conforme f(2) sia un poli- nomio, la cui derivata si annulla in punti abbastanza discosti dall'origine. Ecco in qual modo lo si riconosce: Posto: SO RIQCAISAMEZIAA avremo, designando con Z; il modulo della radice 2; (che è, per natura sua, > l): È<|aT,(— 1), Ì Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 65 954 TULLIO LEVI-CIVITA mentre, sulla circonferenza di raggio ' il massimo L dei valori assoluti spettanti a /"(2) non potrà superare: |@o | mo tar . Se si chiama Z la più piccola delle Z; e si nota che, per EL: i D+ + la disuguaglianza, cui conviene soddisfare per qualche valore di ), può a fortiori essere sostituita da: \z+tal" ì (31) 4) =0IT ANI ali e \ è ora in nostro arbitrio, poichè f(2) si mantiene regolare in tutti i punti del piano, situati a distanza finita. Ricordando la osservazione che \ dev'essere certamente i eo minore di--, si ha: 1 )M + pi Biz) 3< La OVVero: | 7 < Li Î i V (ie = 1)=! ma À si \ù ata y8x ( y8 SULL'INTEGRAZIONE DELL'EQUAZIONE A, A,u=0 955 Ora il massimo valore del secondo membro corrisponde al 4in-1l valore (non nullo) di ), che annulla Guai ii RAZZE oe: 2n 8 045, 2n 2n papi fer 62 V8 A noi basta che la disuguaglianza sia verificata per un qualche valore di \; giova dunque pigliare addirittura 1 1 Lai ai Loi (1 k 6n—-1 ossia: 512(6n — 1) ineacala . Rimane così assicurata la validità del procedimento di in- tegrazione per il corrispondente contorno, ogniqualvolta le ra- 512(6n—.1) (1- a N Analogamente si proverebbe che, quando i coefficienti del polinomio f() sono reali, la (29’) conduce a: >» dici di f'(2) distano dall’origine più di 8(2a—-1) | 0a) Un tipo affatto diverso di contorni, che rientrano nella nostra categoria, si ha, ponendo /"(2) = e"®, con F(2) trascen- (= dente intera d’ordine apparente (*) minore di È (*) Secondo la nomenclatura, introdotta dal sig. Borel nelle sue belle ricerche sulle funzioni intere (@ Acta Mathematica ,, t. 20, 1897 e “© Comptes Rendus ,, 24 gennaio 1898), si dice che una funzione intera F(2) è d’ordine apparente p, quando il massimo M(r) del modulo della funzione, per SERVA ì 0 |a] =», cresce, da un certo valore di » in avanti, come Lil 956 ONORATO NICCOLETTI Si ha infatti in questo caso, designando con e un numero 1—-€E 6 positivo abbastanza piccolo, perchè sia ancora superiore al detto ordine apparente: gie 1) 6 eni 1) ossia: TUEAT< 0 porta che siano nulli certi determinanti formati con alcune delle soluzioni 2', delle loro derivate e cogli integrali A, (2'), il che manifestamente non è possibile, quando tra i coefficienti della (1) non vi sia alcuna relazione. In questa ipotesi si ha dunque: (n—-1) n_2)<0: dovrà quindi valere il segno di uguaglianza ed essere n= 1, oppure n = 2. Donde il teorema: y : 1 2 (') Quando sia p=0 ed mmnT-k+1, ossia m(Q2n-m —3)<2k ed a fortiori mn<=2k, e quindi per X=0, m=0; la w e la 2 sono cioè proporzionali. ineiieditnint titani SULLA TEORIA DELLA TRASFORMAZIONE DELLE EQUAZIONI, ECC. 961 Un’equazione lineare omogenea in due variabili indipendenti, di ordine superiore al secondo, i cui coefficienti non soddisfino a particolari relazioni, non ammette trasformazioni |m, p| generali. 4. — Meno semplice è lo studio delle trasformazioni singolari. Una tale trasformazione è caratterizzata dal fatto che il gruppo che contiene le derivate della w dell’ordine n» — 1, quelle della A(2)=0 dell’ordine m -— 1 (che chiameremo gruppo (A)) non è risolubile rispetto alle derivate della 2 dell'ordine im + n — 1. Dalle relazioni del. gruppo potrà allora dedursene un certo nu- mero 421, le quali, pure essendo algebricamente distinte da quelle dei gruppi precedenti (cf. n° 2), conterranno le derivate della 2 degli ordini inferiori ad m + » — 1 (ed in generale con- terranno quelle dell'ordine w + n — 2). Di più ognuna di queste h relazioni conterrà qualche derivata della w di ordine n — 1, poichè le relazioni ottenute derivando la A(2)=0 fino ad un ordine qualunque sono tutte indipendenti anche rispetto alle derivate dell'ordine massimo che esse contengono. Ne segue che h< n; (quando sia h = n, è facile vedere che la w contiene le derivate della 2 dell'ordine m solo apparentemente, il che esclu- diamo) e le 4? condizioni necessarie e sufficienti, affinchè dalle relazioni del gruppo (A) possano dedursene % prive delle deri- vate della 2 dell'ordine m + — 1 (le quali condizioni sono espresse dall’ annullarsi di certi 4? determinanti formati coi coefficienti delle derivate della 2 dell’ ordine m + n — 1 nelle relazioni del gruppo (A)), costituiscono 4? equazioni omogenee dell'ordine n — 44 1 nei coefficienti a, ed w,; della w; e, se l’e- quazione data è affatto generale, debbono ritenersi come tante equazioni distinte in questi coefficienti (1). Consideriamo allora il gruppo successivo, che diremo (B). Esso contiene, tenendo conto dell'equazione in w, m 4 n + 1 relazioni distinte colle derivate della 2 fino all'ordine m + n. Di queste relazioni m + 1 si ottengono derivando m volte la (!) Cf. Cesaro, Analisi algebrica, cap. IX e X. — Si ricordi anche il teorema di Kronecker: Condizione necessaria e sufficiente perchè una matrice di r linee ed s colonne sia di caratteristica p è che sian nulli tutti i deter- minanti di ordine p{- 1 della matrice, ottenuti orlando un determinante non nullo di ordine p, il che porta (r — p)(s — p) condizioni. 962 ONORATO NICCOLETTI A (2) = 0, sono quindi indipendenti rispetto alle derivate della 2 dell'ordine m + n; le altre n si hanno, tenendo conto dell’equa- zione in w, dalle derivate della w dell'ordine n. Da queste rela-. zioni potranno dedursene h e non più, prive delle derivate della = dell'ordine m+ n; infatti almeno % se ne otterranno, anche te- nendo conto dell'equazione in w, derivando direttamente le % relazioni del gruppo (A), prive di derivate della 2 dell’ordine min —1; ma non potranno neppure aversene più di 4, poichè le altre n — &_ relazioni del gruppo (A) date dalle derivate della w dell'ordine n — 1, le quali contengono effettivamente le derivate della 2 dell'ordine m 4 n — 1, ne danno per derivazione, anche tenendo conto dell'equazione in w, almeno altrettante con derivate della = dell'ordine m + » ed ancora indipendenti rispetto a queste derivate. Si aggiungano allora queste % relazioni del gruppo (B) alle m-n —h del gruppo (A) che contengono le derivate della 2 dell'ordine m + n — 1. Due ipotesi sono allora possibili: 0 queste m n relazioni (algebricamente distinte (cf. n° 2)) sono riso- lubili rispetto alle derivate della 2 dell'ordine m + —1; op- pure questo non è, e allora si dedurrà da esse un certo numero h, muel0) DIN x, PAY =0; o,=1,2 mac p 0 l (m-+1)(m+2) np ere) 2 2 È quindi possibile, ed in generale in un sol modo, determinare i rapporti delle \,, e u, in guisa da annullarle tutte: e questo appunto dimostra che la w soddisfa, per ogni valore di e inte- grale della (1), ad un'equazione lineare omogenea dell’ordine ». Quando poi la trasformazione sia singolare, ci limitiamo per semplicità al primo caso, quando cioè basta arrestarsi nel sì riducono quindi ad — 1 indipendenti. 966 ONORATO NICCOLETTI processo descritto al n° 4 al gruppo che contiene le derivate della 2 fino all'ordine m + #: un ragionamento identico nel fondo, ma più complicato nella forma vale in qualunque altro caso. Conservando tutte le notazioni del n° 4, è facile vedere che dalle derivate della w dell'ordine x, da quelle della A (2) = 0 dell’ordine m possono dedursi % + 1 relazioni (non più 4, poichè non sappiamo ora se w soddisfa ad un’equazione di ordine n), che non contengono le derivate della 2 dell'ordine m + n. Ne segue che le t,, della equazione (7), per le quali la somma degli indici è uguale ad m + », sono legate da /% relazioni lineari omogenee indipendenti. D'altronde in questo caso le (8) sono in numero di mx + p— A: colle precedenti abbiamo dunque di nuovo n m + p relazioni nelle t,,, p;. Ripetendo allora il ragiona- mento superiore, ne deduciamo che w soddisfa anche in questo caso ad un’equazione dell’ordine n. Si ottengono di qui come casi particolari tutte le trasfor- mazioni, finora note, di equazioni lineari di ordine superiore. Si sa, ad esempio, che, data un'equazione lineare omogenea n a coefficienti costanti Za; 23 =0, una combinazione lineare (0) qualunque, pure a coefficienti costanti, dell’integrale 2 e delle sue derivate w = Za,2, soddisfa ancora all’ equazione stessa e 0 dà quindi una particolare trasformazione della equazione (in sè stessa): ora è chiaro immediatamente che la w si annulla per le mn soluzioni particolari dell'equazione in 2, date dalla for- mula e'= eSet0, (i=1,2...mn), dove (£;, n;) sono le coor- dinate di uno qualunque degli m x punti comuni alle due curve degli ordini m ed x: Vate — 0, Zayt'n* =0, supposti per o o semplicità questi m n punti tutti distinti (e la trasformazione sarà allora generale; sarà invece singolare, quando alcuni di questi punti vengano a coincidere). Così anche, generalizzando un esempio del Goursat (!), si osservi che un’equazione lineare della forma: n ir, n_-t DX, TE Enna 0 (1) Cf. Goursar, Equations du second ordre. Vol. 2°, pag. 244 nota. SULLA TEORIA DELLA TRASFORMAZIONE DELLE EQUAZIONI, ECC. 967 (dove le X sono funzioni della sola x), ammette le trasforma- zioni W, = SE (PES, 0) Sd Una qualunque di esse, ad de Le. i e ce: la w,= dy si annulla per le nr soluzioni particolari del- 1 l'equazione superiore che si ottengono moltiplicando per 1, Y,...YT gli n integrali dell'equazione differenziale ordinaria s id: d'a x i E lineare omogenea: X, X, diari 0; così anche infine, per citare 0 Ù un esempio di una trasformazione singolare, si osservi che una equazione del 3° ordine della forma: da dz de die de d?2 Ni de dy + dg dz dy? | dg dy° hi do dy? a bi dar dy sh ba 2 uo de de gr Ataizzit sus otode 0 la quale abbia due soluzioni particolari 2, e 23, il cui rapporto sia una funzione della sola x, ammette la trasformazione w-= 02 + 89, il cui secondo membro si annulla identicamente per le due soluzioni precedenti 2, e 23 ecc. Queste considerazioni suggeriscono anzi il problema inte- ressante, ma forse non molto facile, della determinazione, per ogni singolo valore di n, di quelle classi di equazioni che am- mettono delle trasformazioni integro-differenziali, delle condi- zioni (invariantive) che caratterizzano queste classi, dello studio infine delle trasformazioni relative. Si osservi anche il teorema, più generale di quello di Goursat: “ Un’equazione dell’ordine » in X variabili indipendenti 2; ... 2, della “ forma: To ei (4 D) N(2)+w(p7)=0, 2u= TRS LA “ dove N è un'espressione lineare omogenea di ordine » nelle variabili “ x3...k con coefficienti funzioni di queste sole variabili, w un'operazione “ qualunque di ordine n — r nella derivata p"1, ammette le trasformazioni d'a “ = . = 1,2...7), sa G=12.7), Questo teorema ci dà un esempio notevole di trasformazioni di equa- zioni con più di due variabili indipendenti. 968 ONORATO NICCOLETTI — SULLA TEORIA, ECC. 7. Il teorema del n° 4 e le considerazioni del n° precedente dimostrano come le equazioni lineari omogenee del primo ordine in due variabili indipendenti: (9) ap+ bg +ce=0 ammettano delle trasformazioni [m, p], ciascuna delle quali è determinata dall’annullarsi identicamente per m + p soluzioni particolari, linearmente indipendenti, della equazione stessa: non esistono infatti per le equazioni del 1° ordine (cfr. n° 4) delle trasformazioni singolari; e ad esse trasformazioni si estendono immediatamente i concetti ed i teoremi relativi alle trasforma- zioni delle equazioni del secondo ordine. Queste trasformazioni sono però di gran lunga meno inte- ressanti di quello che a prima vista possa sembrare: una qua- lunque di queste trasformazioni conserva infatti le linee carat- teristiche della equazione (9) (o meglio, le loro proiezioni sul piano « y); cioè l'equazione trasformata ha la forma: dw dw (CRMEESOÀ gg rd grill ed è quindi riducibile alla (9) con un cambiamento proporzionale di funzione incognita. Una trasformazione |m, p] di un'equazione del 1° ordine riporta dunque in fondo sempre alla equazione di partenza, e può sempre pensarsi ottenuta dalla composizione (nel senso della teoria delle operazioni) di una trasformazione infinitesima dell’equazione stessa coll’inversa di una tale trasfor- . mazione (1). (1) Cf. Na, pag. 3-6. GIUSEPPE LAURICELLA — SULLA PROPAGAZIONE, ECC. 969 Sulla propagazione del calore; Nota del Prof. GIUSEPPE LAURICELLA. In una recente Nota lo SrekLorr (*) dimostra che una funzione, la quale è finita e continua con le sue derivate dei primi tre ordini all’interno di un campo a tre dimensioni e nei punti del contorno di questo campo soddisfa. all’equazione ai limiti del calore, è sviluppabile in serie delle soluzioni eccezio- nali della propagazione del calore. Ora importa notare che ci si riduce sempre a questo caso speciale, qualunque sia la funzione arbitrariamente data, che rappresenta la temperatura iniziale del corpo. Infatti una fun- zione qualsiasi, la quale nei punti interni del corpo è finita e continua insieme alle derivate dei primi tre ordini e nei punti del contorno di questo corpo è finita e continua insieme alle derivate normali, si può sempre decomporre in due funzioni, di cui l’una equivale ad una temperatura stazionaria (che perciò non ha alcuna influenza sulla propagazione), l’altra non stazio- naria soddisfa all’equazione ai limiti del. calore. Siccome la di- mostrazione che dà lo SteKLOFF dello sviluppo di questa seconda funzione in serie (finita od infinita) delle corrispondenti soluzioni eccezionali può dar luogo a qualche dubbio, così ho pensato di esporne qui un’altra, suggeritami dai calcoli stessi dello STEKLOFF, che oltre ad essere assai più semplice, spero, non mancherà di rigore. Stabilito questo punto, rimane tuttavia di vedere se la serie delle soluzioni. elementari delle equazioni della propagazione del calore, corrispondente alla serie di soluzioni eccezionali, serve a rappresentare la temperatura variabile del corpo, che inizial- mente aveva per temperatura la parte non stazionaria della (*) Sur un problème de la théorie analytique de la chaleur, * Comptes rendus ,, 4 aprile 1898. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 66 970 GIUSEPPE LAURICELLA temperatura arbitrariamente data. In questa Nota appunto, dopo di avere stabilito i risultati sopra menzionati, dimostro che la serie delle soluzioni elementari soddisfa sempre alle equazioni della propagazione del calore. Di guisa che si può enunciare il seguente teorema generale : La temperatura variabile di un corpo, che inizialmente si trovava ad una temperatura qualsiasi, si può sempre considerare come la sovrapposizione di una temperatura stazionaria e di un numero finito od infinito di temperature ele- mentari. Veramente io qui mi sono limitato al caso di un corpo im- merso in un ambiente di temperatura zero e che nel suo interno non ha alcuna sorgente di calore (equaz. (17)); ma è noto come si possa ridurre a questo il caso più generale nel quale il corpo è immerso in un ambiente di temperatura costante solo rispetto al tempo ed ha nel suo interno una sorgente di calore pure co- stante rispetto al solo tempo. 1. Sia f(e, y, 2) una funzione qualsiasi, la quale nei punti di uno spazio S è finita e continua insieme alle derivate dei primi tre ordini e nei punti del contorno 0 di questo spazio è finita e continua insieme alle sue derivate normali. Si ponga . ò Af=®, d_-h.f=v con 4 quantità costante positiva proporzionale al potere emis- sivo, e si determinino due funzioni f', f" in modo che si abbia per la prima ATT=%0 (nei punti di S), I hf'+y ( ” 0), per la seconda | A*fr = (nei punti di 9), die RE ni SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE 971 È noto che questa determinazione può sempre farsi (*) e che —. la funzione f' corrisponde ad una temperatura stazionaria ; di modo che, se si osserva che f equivale alla somma delle due funzioni f', f", risulta che una temperatura qualsiasi può sempre decomporsi in una temperatura stazionaria ed in un'altra non sta- zionaria, che soddisfa all’equazione ai limiti del calore (la seconda delle (1)). 2. Ciò premesso, ricordiamo che si può dimostrare che per ogni funzione f"(x,y,2) finita e integrabile insieme alle sue de- rivate prime in uno spazio finito S, esiste sempre una funzione v dei punti di S e di o e della variabile complessa k, la quale, con- siderata in tutta l'estensione del piano k, gode delle seguenti proprietà : 1° Ha per singolarità una serie indefinita di poli semplici soltanto corrispondenti ad una serie di valori reali, positivi e cre- scenti (valori eccezionali) (2) ki, ko, kg, è. della variabile k avente per valore limite il valore k= ; | 2° Ha per residui in questi poli una serie di funzioni re- golari (soluzioni eccezionali) (3) PI RiPoupsie integrali delle equazioni \ A°p,+ k.p.=0 (nei punti di $), svol 2 ( 7 0); (4) Î dpr 3° Per qualunque valore di k che non fa parte di un certo gruppo infinito di valori reali e positivi, aventi il solo valore li- “ (*) Vedi Porcari, Sur les équations de la... (£ Rendiconti del Circe. Mat. di Palermo ,, anno 1894); e la mia Nota: Sulle temperature stazionarie (ibid., anno 1897). 972 GIUSEPPE LAURICELLA mite k = 00 e che contiene il gruppo (2) 0 coincide con esso, è èl solo integrale regolare delle equazioni A°v+kwo=f" (nei punti di $), 8) Î eo hg ( ; 0). da Basterà infatti servirsi del risultato della mia citata Nota e prendere per guida i calcoli che il PorncarÉ fa nella sua ci- tata Memoria e quelli da me fatti in altre quistioni analoghe (*). Può darsi per altro che la serie dei valori (2) si riduca ad un numero finito di valori Eolo Sipecsgie Questo accadrà quando la funzione /"(x, y, 2) è di tal na- tura che si abbia identicamente in tutto S p—xp=0; ; 1 ma allora sarà 0 P@y3=%p. l 3. Supposto ora che la serie (2) sia indefinita, richiamiamo brevemente il processo che si può tenere per la determinazione del valore %;.,, dopo che si sono determinati i primi ? valori e RD Bisogna, come è noto, integrare dapprima le equazioni | A'w=f"—E,p, l (7) A'vto=0 (nei punti di S) AC Va + vi = 0 (*) “ Annali di Mat. pura ed applicata ,, anno 1897. © Nuovo Cimento ,, anno 1896. SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE ‘ 973 dvo La 3a rt ritrae () 7 (nei punti di 0) Oa v hv, costruire poi le espressioni Mo = [on v,d4S , di S per le quali si ha Mi i VAL: n+r = Wil ? lim Me SI m=s% Wm_- A; Kit1 i Wal Wi 1 (8) wa ww TS Lu e considerare poi la serie o=t + vk+0vk+..., la quale converge certamente per |kK|< 4.41 e per questi stessi .valori di X soddisfa alle equazioni | A'v+ ko=f"—E,p, (nei punti di 8), 1 9 , 9) Î So = hw ( 3 0). 4. Ciò premesso, si ponga p' = Di Tape Z.p, ’ p"' = (co) sa 210; b) 1 1 Ced DE se (E)+(2] +) soon 974 GIUSEPPE LAURICELLA e si considerino le espressioni Vv! =[d08 + | pp" do : W! _ | p"°dS J (0) S VU—=- Pi [ A(Q', P")dS PRI n| p'p" do : W" —_ —_ [ ®p'p"dS 7 S lo) S vi [4 Gib [ gdo, ww [gta , vu _ [40 vp) dS — h [ puodo, Wi _ [ q'0)d8 . 6 S Risulta anzitutto dalle (1), (4): A’p=" (nei punti di S), (779) olAN( o 0); e quindi, se si ha riguardo alle (7), (7°), (7"), wa p'A*PPdS = — | A(9,9")dS—1|p'o"do=V", JS S (0) Sa | p'A'p'dS= | Aq'dS + h do = V"", S S JO W"_ |g'A°mdsS= “i A(9',c0)d8 — | godo =V", S S lo : (10) » ) USE, | vo A°v0dS —| AvdS + n | vo do , S ; DI o Wo= |cotas = — | coA*71d8 ni A (00, v)dS + n}vw,do, S Wi == | Vo Vi dS —_ — | vA°v AS =] Av ds A h | vido ° | S S S (0) 5. Indicate con a e B due costanti qualsiasi, si ha [A(eRE AI) (adatta (atrata A | (ao! — BpPdo>0. SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE i 975 Nel caso del segno inferiore, poichè @' e g” sono continue insieme alle derivate prime, si dovrebbe avere fa delie LA (11) ella de? dy a dy” de a de (nei punti di 8) , (12) o=to ( È 0). Ora le (11) ci dànno d=tdv=ad(i9'); per cui, avuto riguardo alla (12), si ottiene o=to (in tutto S e 0). Questa insieme alle (7’) ci dà A° p' lo (nei punti di S), dp ; da == h® ( ” 0) $ e quindi la g' sarebbe o identicamente nulla od uguale ad una soluzione eccezionale. In ogni caso però risulterebbe /" uguale ad una serie finita (î o î+-1) di soluzioni eccezionali, contra- riamente all'ipotesi (*). Dunque potremo scrivere senz'altro il segno superiore, e così, facendo uso delle (10), risulterà : 0V' + 2aBW'+ p°W" > 0, donde Ww°_VW: ba risulterà finalmente. 2. > bi ossia (13) wii oo comunque sia grande il valore dell’indice è. 6. Integrando per parti e facendo uso delle equazioni (4), si ha V= [Lots + [prao = f ApdS + % [pt a + [ap AS+ hk :[pido+ 2k, fa (9, 0.) AS+24k, [ends _ (14) 1 Ji + 2xk,k} [40,008 +4 [pendo] = =[f0ds +1fo *do+>, vie [aston (72 dS\+-22%, i: [pnaS. (ri =Alae a Ora la funzione v del $ 2 soddisfa alle equazioni (9) per IK] < k;i41; di modo che l’altra funzione w= — P'+ kv dt ni tira SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE 977 soddisferà, per questi stessi valori di % ed in particolare per k=k,(r nelle quali » indica la distanza di un punto di S ad un altro punto qualsiasi. Poichè l'integrale 9' delle equazioni (7) si può esprimerlo mediante la formola Hi 1 ì Pda Der a RT gia BT dn r Ca si avrà ovviamente , cu” (1 e \ nMAyAO Csa 4n Js\r g|p'd$. Ora la funzione ici G= 47 (4- Pi, ha nel campo S per singolarità un solo polo del primo ordine ; sicchè l’espressione G° ds Ss Di, oltre ad avere un significato si mantiene sempre inferiore ad una certa quantità finita R. Risulterà allora per qualunque va- lore comunque grande dell’indice i : pf RW; e quindi si avrà dalla (15) uniformemente per tutti i punti di S (quelli di 0 compresi) : limp'=0, ossia (16) fl'='Wpgi e I 7 SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE 979 con Z.p; serie convergente in ugual grado in tutto S (i punti l » di 0 compresi). 8. Corrispondentemente alla serie di funzioni (3) abbiamo — la serie di soluzioni elementari piett, prettt,... delle equazioni della propagazione del calore : \ di —= kA°u (nei punti di S), (17) I y U ES . n hu ( È 0), nelle quali % è una costante positiva proporzionale al coeffi- ciente di conducibilità della materia di cui il corpo S è costi- tuito, # il tempo variabile. Nel caso in cui la serie (3) è finita, la funzione î == pere! 1 risolve completamente il problema della propagazione del calore nel corpo S, che inizialmente si trovava alla temperatura f''(,7,2). Infatti la « soddisfa evidentemente alle equazioni (17) ed inoltre si ha (0);=o = >, Pi == files Y 2) . 9. Nel caso in cui la serie (3) è indefinita, è la serie (18) = Z.p, e bha! 1 che risolve completamente il problema della propagazione del calore nel corpo S, il quale inizialmente si trovava alla tempe- ratura f '(x,y,2). Infatti la (16) ci dà anzitutto : (U):=o Sti >.p. a f'(€, Ys e) . 980 GIUSEPPE LAURICELLA Se si osserva poi che le espressioni echiit, ghiat, sono quantità sempre positive e non superiori all’unità, e che le altre kie tit, ke, per #==0 sono anch'esse positive e da un certo punto in poi decrescono indefinitamente, risulterà che la serie (18) e l’altra dee 1 ht via Fa. ke Db: convergono (*) in ugual grado in tutto S e 0 come la (16). 10. La formola di GrEEN applicata alle equazioni (4) ci dà: Sn rta ped ME *: P: 4 d$ E IE ° dn r n) do 1 ui La ciù d, DI mr 1f. r ISHT+ 47 pla gu: 4) Di qui, derivando sotto integrale, risulta per i punti interni ad S: 1 i) Tg cea! d dr a) 7 (19) de af kPa dr cas “titan 4T iano “da (de "pes do ; e poichè, come risulta dal paragrafo precedente, le serie (e (el x,k,p;emttt , X,p,ethtst 1 l sono convergenti in ugual grado in tutto S e 0, avremo, inte- grando per serie : (*) Vedi ad es. Dini, Fondamenti per la teorica..., pag. 101. atte SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE 981 1 1 - — kky e_lihat)_d d7 n) (4. e ie 7 484) 2[( (pe \a (ta — ]do= 4nJs\2 HS: et) — —kkst fr h (o —- À = Le lan s k.P3z D+ — ol: dx\ dn r do; " —$, de li l dx o con tig e-F*s° serie convergente in egual grado in tutti i punti i.ierhi na S. 11. Se si osserva poi che le espressioni kiectht, kiehht, per #==0 sono sempre positive e a partire da un certo punto i (°2) in poi decrescono, risulta che la serie X,kip,e-":! è convergente 1 in ugual grado in tutto S; e quindi si avrà, integrando per serie: oi 1 —khks t eis t r l sa le Rip. Jia sarà ib: he Jafta mu — kkgt < r r t pdl. = ke ne sh pe 5 + 1 obeszina ; ci = dove l’ultima serie sarà convergente in ugual grado in tutti i punti interni ad S. Ora dalla (19) si ha, integrando per parti ed indicando con (x,y, 2°) un punto generico di S: » 3020 ci ht dS + DE RE ‘ cos(na) +; È 0 da pe 74 e da questa, derivando sotto integrale, 982 GIUSEPPE LAURICELLA — SULLA PROPAGAZIONE DEL CALORE de } 2/òd = d?ps Pa 1 r dps dò? tl: D da — 4î if lo de da BH+ i a go *dr?\ du = darf il +| k.p; Si cos(na)do ; ra di guisa che avremo, integrando per serie, 1 1 1 dp: cr) o tig af È uu) e (de 1) 47 (ade da de ALI 4T,) 0 ‘gii dr°\ da dot: 1 d Ripi 7 li e7hhat Kb; Jia cos(nx)do = 1 e enhils | r dps LA d? (de Pa i) “n Life “dr de BH, Anso de\ dn dot ded bp — cos( det, SI ala e l’ultima serie convergerà in ugual grado in tutti i punti del- l'interno di S. Nello stesso modo si dimostrano le formole e la convergenza delle serie ai secondi membri. Segue dunque che la funzione w(x,y,2,?) determinata dalla (18) è regolare in tutto S insieme alle derivate prime e doppie per #==0 e soddisfa alla prima delle equazioni (17). 12. Finalmente, poichè la serie (18) è convergente in ugual grado in tutto S e 0, e per #+#=0 le altre (v. $ 10) io Hit. x. de ehst son: elist. da 1 dy , 1 de TITO CAZZANIGA — SULLE FUNZIONI OLOMORFE, ECC. 983 | sono convergenti in ugual grado nei punti dell’interno di $, ri- sulta, come nella mia cit. Nota “ Sulle temperature stazionarie ,, che anche la serie du i dp: ehhst dn 1 dn è convergente in ugual grado in tutto 0 per #==0; di guisa che la «(x,y,,t) soddisfa ancora alla seconda delle equa- zioni (17), come si voleva dimostrare. I risultati di questi ultimi quattro paragrafi, uniti a quello del $ 1, ci portano senz'altro al teorema generale enunciato nel- l’introduzione. Catania, Maggio 1898. Sulle funzioni olomorfe e meromorfe nel campo razionale i e nel campo ellittico; Nota del Dott. TITO CAZZANIGA. In un recente lavoro (!) M. Borel tratta con molta acutezza di una serie di teoremi, i quali integrando precedenti ricerche di M. Hadamard (?), conducono a dimostrare e generalizzare per via diretta, il famoso teorema del Picard, sui valori d'eccezione delle funzioni intere (8). Il midollo della ricerca consiste nello stabilire una condi- zione d’esistenza per una certa identità fondamentale, tra fun- zioni olomorfe. Da questa deriva quale immediata conseguenza il teorema del Picard, sotto una forma che forse non ammette altra più generale. L’A. però non ha dimostrato il teorema pa- rallelo, dovuto pure al Picard, sui valori d’eccezione delle fun- (*) “ Act. Math. ,, vol. 20, Sur les 2éros, etc.; © Compt. R. ,, genn. 1898. (?) “ Journal de Math. ,, 1893, Sur les fonctions entières. (3) “ Ann. Écol. Norm. ,, 1880. 984 TITO CAZZANIGA zioni meromorfe. Tuttavia ancor esso si deduce agevolmente dalla proposizione fondamentale, benchè, a mio avviso, non sia possibile conferirgli tutta quella estensione, che il Borel attri- buiva al primo teorema. Ora, occupandomi di questi giorni di una ricerca sulle fun- zioni dopp. periodiche, mi trovai ricondotto a proposizioni ine- renti le funzioni intere, le quali si presentano conseguenza facile e complemento di quelle sopra accennate. Tra queste appunto vi ha l’estensione del secondo teorema del Picard. Tali conside- razioni espongo qui in breve, ad onta della semplicità loro, per la notevole applicazione ch'io ne faccio in questa memoria, alla determinazione di un limite superiore per il numero di valori d'eccezione che può presentare una funzione olomorfa e mero- morfa nel campo ellittico (1). I. 1. — Il teorema fondamentale di M. Borel è il seguente: Pongasi | x | =, e si indichi con u(r) una funzione crescente scelta in modo opportuno. Siano poi: LE (1 MAC (0) RRENICRE G,(2), Hi MEbr), oa H,2)7 due successioni di funzioni intere, tali che il modulo massimo delle G; (x), per | x | =, cresca meno rapido di e”), ed il modulo massimo di H;(x) — H; (x), per |x| =, cresca più rapido che |u(7)|!t®, per a piccolo a piacere ma positivo (2). Allora l'identità: (1) Y'aMeo= 0, r=l porta seco l’annullarsi di tutte le G, (x). (1) Per la nomenclatura ivi usata vedi la memoria citata di M. Borel. (*) Basta che tale condizione sia soddisfatta sopra infiniti cerchi, col centro nell'origine e di raggi indefinitamente crescenti, per modo che i cerchi sui quali la condizione non è verificata riempiano al più una re- gione finita del piano. SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 985 Un importante caso particolare, di cui avremo bisogno, è quello in cui le G,(x) sono polinomi, e le H,(x) — H,(x) sono funzioni olomorfe qualunque, che non possono ridursi a semplici costanti. 2. — Segue il teorema del Picard generalizzato. M. Borel lo enuncia sotto la forma: Sia G(x) una funzione intera e si con- sideri le equazioni del tipo: 2) (1) G(1) = y(2), dove il logaritmo dei più grandi valori del modulo di @(x), e w(x), cresce meno rapido di una potenza (1—a)" del log. dei più grandi valori che assume il modulo di G(x), per lo stesso ede= r. Ciò posto si può dimostrare che tutte queste equazioni, una al più esclusa, hanno tante radici per quante ne comporta il teorema del Hadamard (!). Od anche, ponendo: (3) (1) G(2) — y(2) = IT (2), dove TT(x) è un prodotto canonico di fattori primari, la (3) non può sussistere în due modi diversi, per modo che i logaritmi dei moduli massimi delle due corrispondenti funzioni TT (x), crescano meno rapidi che una potenza (1— a)" del logaritmo del massimo modulo di G(x). ‘Di qui per 9(x) = 1, y(x)=we specializzando il risultato, si ottiene: ‘ Se f (x) è una funzione trascendente intera, esiste al più un valore del parametro u, tale che l'equazione: f(a) = abbia un numero finito di zeri. Se ne esistono due 0 più, la f(x) si riduce ad un polinomio fimto 0 ad una costante. (1° teor. del Picard). (') Vedi cit. memoria di Borel. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 67 986 TITO CAZZANIGA L'ultimo teorema ammette una generalizzazione, per altro verso, da quella data da M. Borel; di essa ora ci occuperemo. 3. — Indichiamo con @; (2), ®:(2)..., ®,(x), un numero finito di funzioni intere, scelte così che la @, (7) abbia ordine ap- parente di grandezza p(r) superiore a tutte le altre’ che la prece- dono, @,-: 2... Pi (*). Sia ancora: un sistema di n + 1 parametri arbitrari, e si costruisca con essi la funzione: f(@) = MP.) + apra) +... A A ()+h Possiamo allora dimostrare che: al massimo esistono n sistemi di valori \, linearmente indipendenti, tali che le corrispondenti fun- zioni f(x) ammettano solo un numero finito di zeri. Infatti se: No, N, nale ieialta Nn (i=®& 1,...0) sono n + 1 sistemi linearmente indipendenti, che godono delle accennate proprietà, si hanno le n + 1 relazioni: (4) No Pn + Ni Pn + Nin1P1 _ (Mn f)=0 (=0; 1,..-98) dove: fi(0) = gi(a)eM® (i=0;1,.12) essendo g;(x) un polinomio od una costante. Eliminando allora tra le (4) le funzioni ®, (x) si ha: oo do SRO STO hi i 08 =- n | | [han Ra ct Mn dia — fi | = no Na Lied Mali dn E Ta | (') In sostanza questa condizione serve solo ad eliminare il caso che tra le @ possa sussistere una relazione lineare a coeff. costanti od a coeff. poli- nomi. Il teorema dovrebbe essere enunciato come il caso particolare del N. 4. SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MFEROMORFE, ECC. 987 od anche: (5) x Don goelo + Dingie! + UO + Dan gne"" Brips D =" 0 in cui D è il det. delle X,,, e D,, è il complemento algebrico di \,, in D. Notiamo allora: a) Nessun polinomio g;(x) può ridursi a zero, e nessuna funzione %; (x) (') ad una costante, poichè in ambo i casi una certa 9, potrebbe essere espressa in modo intero e lineare per altre funzioni di ordine inferiore, ed in numero finito. 5) Il det. D è sempre diverso da zero e quindi i comple- mentari D,, degli elementi dell'ultima colonna non possono tutti annullarsi. Allora per l’accennato caso particolare del teorema del Borel, la (5), e con essa l'ipotesi, sono assurde. Per \;,;},=/ si ha un caso particolarmente interessante; si ottiene cioè: Se u è un parametro arbitrario, e si costruisce la — funzione: j È {#) fi@lu)=o,+ von + +e k e, esistono al massimo n valori distinti del parametro u, tali che la f(x | u) corrispondente, abbia un numero finito di zeri. A Ponendo n= 1 si ritorna al teorema del Picard. Posto in- vece n= 2 si ha un teorema che giova notare, per la sua ap- plicazione alle funzioni dopp. periodiche. 4. — Per questo caso (n = 2) è utile integrare la ricerca, non facendo alcuna supposizione sull'ordine delle funzioni @. Sia u un parametro arbitrario, e formiamo la funzione: (47) Pa(1) + upi(2) + u = g(0)etl®). Dimostriamo ora anzitutto: a) Se P:(2), e Pa(x) non sono legati da una relazione li- neare a coefficienti costanti, sì possono trovare al massimo 2 va- lori di u, tali che g(a) sia un polinomio finito. Infatti supponiamo (!) Così pure le differenze Wi(x) — Hj(a). 988 TITO CAZZANIGA esistano 3 di tali valori: w,, », %3, e, dalle relazioni che fra essi si ottengono, eliminiamo, come dianzi, le @(x). Risulta: (6) lm uil Md Pal gie il | lu ui | 1, Up 1950) 1l'u | | 1a; gie e questa è la condizione di coesistenza dei 3 valori w,, w», 3. Ma per la supposta indipendenza lineare di @, e 9», nessuna delle g(x) può essere nulla, e dovranno quindi essere costanti una o più /(x), perchè la (6) sia verificata. D'altra parte poi, se tutte le /(x), o due di esse, si riducessero a costanti, dalle relative equazioni si potrebbe dedurre le @,, 9, come funzioni intere di due polinomi, e quindi polimoni ancor esse, contro l'ipotesi. Resta adunque il caso in cui A, è costante ed %s, 7, sono funzioni di x. Ora se %, — 43 è ancora funzione di x la (6) non può verificarsi, e si dovrà dunque porre (*): hehe =hx hi 0. Ma in tal caso si ha: e sostituendo Pd) = A ÙU,) ug — Ug nell'equazione che sì ottiene per u= wi: uz—U , gi= È — (us + ug) vu, + ugus. u_u? Quindi \);,=0 g9.=cost.=#=0 e si avrebbe quindi: Po + ww, + cost. = 0, contro l'ipotesi. La proposizione è dunque stabilita. (1) Ponendo ha — R3= cost, A = cost si ottiene chiaramente lo stesso risultato. SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 989 5) Se ©, e Pi sono legati da una relazione lineare, allora esistono al massimo 3 valori di u, tali che la g(x), nella (4) si riduca ad un polinomio finito. Sia infatti: Pi(c) = mo:(2) + n e sostituendo nella (4') si ottiene ancora: (1+mu)po(2) + (n+ wu = g(e)ell®). Quindi indicando con A, se esiste, l’unico valore di ecce- zione della @:(x), la totalità dei valori di vu che rendono g (2) un polinomio è data dalle soluzioni delle equazioni: 14mu=0 (14 muA=mu+ è. È facile vedere che se tale proprietà appartiene a un certo numero U questo deve coincidere con uno dei tre valori otte- nuti. Concludendo: Al massimo esistono 3 valori di u, per cui la g(a) in (4) si riduce ad un polinomio finito. Questi risultati ammettono generalizzazioni in vari sensi; poichè tuttavia per noi, esse non hanno grande importanza, ci limitiamo a dare un esempio che già accenna ad una fra quelle. Si ponga: (078 (2) = 9g (2) eB(2) dove g(x) è un polinomio; ossia si ammetta che @,(x) abbia nell'origine il suo valore di eccezione; sia inoltre: Pn = 0,-1Pa + hinza Pn_o — 0,-2Pn sa Risa 990 TITO CAZZANIGA dove le 6 sono polinomi in x e le % costanti. Sostituendo lora in (4'), dopo aver fatte le posizioni; O(2,u =1+0,_1u+ 0,-gu +... + 0,u?7! H()= 4 Maw! + Rae +4... + Ana, si ha: 0(2,0)©,(2) + Hu) = f@). Onde, per gli n valori di w radici dell'equazione: H@=0, la f(x) si riduce ad un polinomio, moltiplicato per un’esponen- ziale. Se poi in particolare le 0 si riducono a costanti, ossia le ®, sono tutte funzioni lineari a coefficienti costanti di ®,, allora O (€, «) diventa O(«), ossia un polinomio di grado n — 1 in «, e la totalità dei valori di eccezione delle f(x), si ottengono so- stituendo per v le 2n — 1 radici delle due equazioni: OM=0, Va) = 0: Per n= 2 si ritorna precisamente al caso semplice onde siamo partiti. 5. — Veniamo ai teoremi paralleli sulle funzioni mero- f(x) morfe. Sia NOR qualunque funzione olomorfa irriducibile, e M(x), N(x) due polinomi arbitrari. Si consideri poi la funzione : © LN) =R@) 1) Mi Le Si può dimostrare che al massimo esistono due sistemi distinti di polinomi M(x), N(x), per modo che R(x) abbia un numero finito di zeri. A questo scopo si noti: a) La funzione R(x) è uguale ad una funzione mero- Y (e) morfa NS dove w(x) e @(x) sono irriducibili. ì SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 991 b) La funzione y (x) è della forma w (x) = 9 (€) e” dove g() è un polinomio. Si ammetta allora che esistano 3 sistemi distinti di poli- nomi M(x), N(x) soddisfacenti le accennate condizioni: in cor- rispondenza avremo le tre equazioni: (8) M(af@+ N19) — ge =0 (=1,2,3) Eliminando tra queste la f(x) e la P (€) si ottiene: \M N preti | (9) | M; N: gel | RI | Mg N; 93 gls D'altra parte le %;(e) — 7%; (@) non possono ridursi a zero (o a costanti) perchè in tal caso risulterebbe: fl) Nigi-Nigi (x) M;gi—Migi e la funzione olomorfa considerata si ridurrebbe ad una fun- zione razionale contro l’ipotesi, dovendosi naturalmente esclu- dere che il secondo membro della precedente relazione assuma (0) TFAO A P la forma |» poichè in tal caso le tre equazioni (8) rientrano fra loro. Ì Allora per l’enunciato caso particolare del teorema del Borel è necessario che i coefficienti delle e* nella (9) si annullino, ciò che non è: quindi l'ipotesi è assurda. Per M(a)=1, N@=uw sì ha: f (ce) Data la funzione meromorfa irriducibile POS esistono al mas- simo due valori di u tali che per essi l'equazione: abbia un numero finito di zeri. Se esistono tre di tali valori la funzione meromorfa si riduce a razionale (2° teor. del Picard). Generalizziamo quest’ultimo risultato. 992 TITO CAZZANIGA 6. — Si abbia un numero qualunque » di funzioni me- romorfe: fi (2) Fa) fn (®) Pi(2) ? Pa (2) ? e sia F, un multiplo comune ai loro denominatori. Imponiamo indi alle £ la condizione che ridotte a deno- minatore comune, sotto la forma: pra È la F, sia di ordine apparente p(r) superiore a tutte le altre fun- zioni che la precedono, F,_,, Po Allora, se My ... LG rappresenta un sistema di parametri arbitrari, si costruisca la funzione meromorfa: Le: fai a __ Ra) DI da ®n vi Pn-1 Intiaalo Pi lio Fy(2) dove: R(7) = G(Meta, Sotto le date ipotesi dimostriamo che: Esistono al massimo n 4 1 sistemi linearmente indipendenti di parametri \, tali che G (2) si riduca per essi ad un polinomio finito. Si supponga infatti che esistano » +2 di tali sistemi: Are aa be i e scriviamo le corrispondenti relazioni che si ottengono dalla (10) sotto la forma: (11) Mo Fn + Ma Fri + se. + Min Fi + din Fi = Greli alle al (') V. nota pag. 986. SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 993 Eliminando tra queste le F,, e indicando con (—1)"D, il det. che si deduce dalla matrice delle \ sopprimendo la +" linea, si ha la relazione: (12) D, GaePo _ D,G,eB + 30 _ Diu Gr, @Hnt1 == 0. Dimostriamo che la (12) è assurda. Infatti si noti che per ipotesi le D, sono tutte diverse da zero, e dei polinomi G, (x) uno al massimo può annullarsi. Se due si annullassero, eliminando tra le equazioni corrispondenti la F,, si otterrebbe una certa espressa linearmente per funzioni di ordine inferiore, il che è impossibile. Segue che le differenze H, — H; debbono in parte annullarsi (o ridursi a costanti). D'altra parte più di 2 funzioni H, non possono coincidere con una medesima funzione H, perchè eliminando fra tre delle corrisp. equazioni, la F, e 1’ esponen- ziale comune e4, si otterrebbe di nuovo una F, espressa in modo razionale per funzioni di ordine inferiore. Esaminiamo adunque | ultimo caso in cui le H, coinci- dono parzialmente due a due. In tal caso, ammesso dapprima m=2v-+1 e quindi che la (12) abbia un numero dispari di termini, e raccogliendo gli esponenziali comuni, si ottiene una relazione del tipo: (12°) da, e 4% nin da, ea» Sa ope 57 da, 0 dp = 0), dove almeno uno dei polinomi 8 coincide con uno dei coeff. DD, G,. Per il teorema del Borel risulta poi: (12”) OE ORE e quindi almeno un polinomio G,(x) deve annullarsi. Ma ciò è assurdo poichè scelte allora due equazioni (11) di identico espo- nenziale H, ed eliminando tra esse e la equazione corrispon- dente a G,(2) =0, tanto F, che e, si ritorna al caso in cui una F,, contro l’ipotesi, sarebbe esprimibile in modo razionale per altre funzioni di ordine inferiore. D'altra parte se n fosse pari (= 4) si giungerebbe ugual- 994 TITO CAZZANIGA mente alla (12’) e quindi alle relazioni (12”) che sarebbero della forma: D;G;+ D; G;=0 per cui in (11) i due polinomi finiti G,, G; differirebbero per un fattore costante. Ma poichè n= 4, consideriamo due di tali relazioni: Dj, G, +D;Gi=0;. Da Gi + D;G,=0 e fra le 4 equazioni °°, jî°%; è, j° corrispondente nel sistema (11) eliminiamo H, = H;,, Hi =Hj;,, Fo. Otteniamo così una rela- zione lineare a coefficienti costanti, e non mai identica, tra F,...F,, il che è assurdo come nei casi addietro considerati. Si conclude quindi che la (12') e con essa la (12), e per conseguenza l’ipotesi fondamentale, sono assurde. Posto \; = si ottiene: Se « è un parametro arbitrario, e si costruisce la funzione: fn ULSS n—-l i nel R(2) Gre + n 3 U sini Una Fi (e) Pn Pn_1 tenute ferme le precedenti ipotesi sul numero, e sulla natura delle £, esistono al massimo n + 1 valori di u tali che la r corrisp. R(x) abbia un numero finito di radici. Per n= 1 ritorniamo al 2° teorema del Picard. Per n= 2 si ha un teorema che trova la sua applicazione nelle funzioni dopp. periodiche. 7. — Veniamo all'ultimo caso accennato, escludendo qua- lunque ipotesi sull'ordine delle funzioni Ti r Sia « un parametro arbitrario, e si formi la funzione: (13) Sali ut SA i =) che porremo come dianzi sotto la forma: Fa _ RO Fo U - ine w= P, dove: Rifa)= G(a)e E SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 995 Dimostriamo ora: a) Sei A È ji non sono legati da una relazione lineare a 1 coefficienti kia si possono trovare al massimo tre valori di u tali che per essi la G() si riduca ad un polinomio. Ammettiamo che ne esistano 4 diversi: w,, w:, %3, %, €@ | scriviamo le quattro corrispondenti relazioni: (14). Fs(2) - u;F, _ uî Fo —_ G,eli (e 45254); Eliminando tra questi le F,, F,, Fi si ottiene la relazione: (15) D, G, e: + D, Gre: + D; Gze8s + D,jGye& = 0, in cui le D sono det. di Vandermonde, diversi da zero, e nes- suna delle G,(x) può annullarsi. Il teorema di M. Borel esclude allora che le H sieno tutte tra loro distinte. D'altra parte, più di due non possono coincidere fra loro, perchè se tre coincidessero, dalle corrispondenti equa- zioni si dedurrebbero F., F,, F) sotto forma di polinomi. Sup- poniamo allora che: in tal caso si ha pure: dl: Pia SOR SERIA quindi eliminando e! tra le due prime equazioni delle (14), si arriva ad una relazione lineare fra F., Fi, Fi; e questo è contro l'ipotesi. La proposizione è dunque in ogni caso stabilita. 6) Se hi. Ah sono legati da una relazione lineare, si danno Pa? ; al massimo 5 valori di u, tali che la corrispondente G(a) sia un polinomio. Sia infatti: ana, =. + n Pa e sostituiscasi in (18). Risulta: (m+ ) È + u(n + u) = P(2). 996 TITO CAZZANIGA Indichiamo poi con A, B, se esistono, i due valori d’ecce- b) È) zione della DL, allora la totalità dei valori di u per i quali la 1 P (7) ammette un numero finito di zeri, è data dalle soluzioni delle 3 equazioni seguenti: mdtu=0 u+ nu=(m-+ A u° + nu = (m 4 «)B Qualunque altro valore U rientra in questi, come è facil- mente dimostrabile. Concludendo: Esistono al massimo cinque valori di u per cui la funzione: f + h 4 u° assume un numero finito di zeri. & chiaro che 2 1 in qualche caso si possono effettivamente stabilire tali valori. Omettiamo ogni generalizzazione analoga al n. 4, facendo notare da ultimo come quasi tutti i teoremi enunciati sieno suscettibili di notevoli estensioni. Così non v'ha dubbio che analoghi risultati si otterrebbero se al posto dei parametri X,; sì ponessero polinomi in x di grado finito. II 1. — Diremo che una funzione F(u) è olomorfa nel campo ellittico, quando essendo periodica, di periodi 2w, 2w', è finita in tutto il parallelogrammo eccetto nell'origine, dove presenta un punto singolare essenziale (!). Così si dirà che una funzione doppiamente periodica Dan: è meromorfa nel campo ellittico quando nel 1° parall. presenta finiti od infiniti poli, ed un sol punto singolare essenziale nell’origine. In altra breve memoria (?) ebbi già ad accennare a molte analogie che corrono tra le funzioni in discorso, e quelle olomorfe o meromorfe nel piano. Ora in- tendo estendere a quelle i teoremi del Picard. Il risultato ge- nerale cui giungeremo è il seguente: (!) Tale espressione è dovuta al prof. E. Pascal, “ Res. Acc. Lincei ,, 1896. (2) “ Reale Acc. d. Sc. in Torino ,, maggio 1898. ca SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 997 Se F(u) è olomorfa nel campo ellittico, non possono darsi più di tre valori di v tali che l’equaz.: E@i=; abbia un numero finito di radici nel 1° parall. dei periodi. Fi(u) (u) F3 (1) esistono più che cinque di tali valori. Se invece F(u) = è meromorfa nel campo ellittico, non 2. — Riportiamo un risultato ottenuto altrove (1). Sia F(u) una funzione dopp. periodica la quale interna- mente al 1° parall. presenta i punti singolari polari od essenziali : Uzz Un, U3,, +. Un in numero finito. Giovandosi di un metodo dovuto all’Hermite, sì può stabilire allora che l’espressione più generale di F(u) è data da: F(u)=39(p) + 2G Ea p(ur) $ | Lvea@ profetici p(u—p(ur) | ) dove i sommatori, complessivamente, vengono estesi a tutti i punti «,, e le 9g, q,, G, G,, rappresentano funzioni olomorfe in- tere del loro argomento, le quali possono ridursi anche a poli- nomi, a costanti, od a zero. In generale adunque se f(p(u)), 9(p(«), sono due funzioni intere del loro argomento, l’espressione generica di una funzione olomorfa nel campo ellittico è: (15) F(=f(p) +p'o(p). fi(p@)) fap) |. ig Tratti nol, E se Fo Fip) SODO funzioni meromorfe dell’argo mento, l’espressione generica di una qualunque funzione mero- morfa nel campo ellittico, è è la seguente: (16) Fil) _ fi) Ly fe Fo(u) fiu) f(u) (!) “ Rend. Ist. Lomb. ,, 1898. Sul teorema di Weierstrass, ecc. ICI 998 TITO CAZZANIGA In particolare se il punto origine è semplicemente un polo, otteniamo rispett. un polinomio od una funzione razionale in D ap. Operando poi la trasformazione: si dx (a) LP a uh a Via — gar —_ 93 le f e @ diventano funzioni olomorfe nel piano delle %, e tra questo piano e quello delle «, come è noto, resta fissata una corrispondenza, per cui ad ogni valore x corrispondono due va- lori di v uguali, contrari, compresi nel parall. dei periodi, e ad ogni valore « interno a tale parall., corrisponde un unico e de- terminato valore di . 3. — I precedenti risultati ci permettono in molti casi di ricondurre un problema sulle funzioni dopp. periodiche, ad un altro analogo, inerente le funzioni ordinarie. Si è già mostrato ('), per esempio, che per questo verso è possibile, in casi determinati, ricondurre lo spezzamento delle | funzioni olomorfe nel campo ellittico, all’ordinario teorema di Weierstrass. Così ora ci è facile, per es., dimostrare il teorema; Se una funzione F(u) dopp. periodica, pari 0 dispari, si con- serva olomorfa in tutto il parall. fondamentale, e per u tendente FW p(u)" [p'(u)]e ? conserva finito, allora la F(u) si riduce ad un polinomio della forma: a zero il rapporto [per e uguale a 0 0 ad 1], sì F(u =[p ]}40 + @p + ap + ... + anp"!. Supponiamo infatti sia pari la funzione considerata. Si avrà f (©) p" F(a=f(p) D'altra parte, posto e = 0, il rapporto : Port ; (2) ‘ la trasformazione (a), st riduce all’altro Pel e questo è tale , per dh ? (!) V. Nota ultima citata. SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 999 O che per x tendente all'infinito si conserva finito. Allora per un — teorema dovuto all’Hermite ('): fia) = ++ 4,0 +... + an", pr e facendo la sostituzione inversa della (a) il teorema resta im- . mediatamente dimostrato. i Se F(u) è dispari, basta porre e = 1 e procedere come dianzi. Se F(u) non è nè pari nè dispari, ma le sue parti principali — F(©), p'o(p) (v. Form. 15) soddisfanno alle condizioni del prece- dente teorema, allora la F(u) è del tipo: F(u=(a0+@p+ ap... + anp") + P'(00+ dp + dapî +... 4 dw p"). 4. — Veniamo ai teoremi del Picard. a) Sia F(«) una funzione pari di w. Allora si ha: F(u)=f(p). Seriviamo quindi l'equazione: ; ; (17) F(u)=v in cui v è un parametro arbitrario. Applicando alla « la trasfor- mazione (a) la (17) diventa: (177) È f(€) = Vv ed f(x) è una funzione olomorfa di x. Per la corrispondenza posta tra la x e la « risulta poi che la (17) e la (17'), per ogni valore di v, hanno insieme finiti od infiniti zeri (*). Ma, per il teorema del Picard, esiste al massimo un valore di « tale che la (17’) abbia un numero limitato di zeri in tutto il piano, quindi altrettanto avviene per la F(u) nel 1° parallelogrammo. (1) “ Journal de Math. ,, serie III, vol. 1. (*) La (17) presenterebbe naturalmente tali zeri internamente al parall. dei periodi. 1000 TITO CAZZANIGA ì 5) Supponiamo dispari la nostra funzione per modo che: F(u) = p'o(p) Sia v un parametro arbitrario e si costruisca la funzione: (18) F(u)+0= Ru) in cui vogliamo determinare la v per modo che R(v) abbia un numero finito di zeri nel 1° parall. Si scambi nella (18) + in — « e si moltiplichi termine a termine con quella, si ha: (19) M(p)+e=N(p) posto: M(pp=—- F=—p"o*p; N(p,=R(M)R(—w. Le funzioni M(p), N(p) sono evidentemente olomorfe, e dippiù la seconda possiede un numero finito di zeri nel parall. fond. quando ciò avvenga per la corrispondente R(w). Con questo siamo ricondotti al caso precedente, quindi possiamo concludere: Esistono al massimo due valori v = A, vv = —A del pa- rametro v per i quali la N(p), e quindi anche la R(v), presenta un numero finito di zeri nel parall. fond. c) Nel caso generale è: F(=f(P)+p'9(p). Cerchiamo i valori di « per cui la funzione (19) F(u) += R(«) ha un numero finito di zeri. Scambiamo nella precedente — in + « e facciamo il prodotto. Posto: R(u)R(-w = G(peld, f(p) — p°o*(p)=y(p) risulta: (20) yw(p) + 20f(p) + 0° = G(p)eE® SULLE FUNZIONI OLOMORFE E MEROMORFE, ECC. 1001 dove y(p) e f(p) sono olomorfe in p. Basterà ora determinare la v per modo che G(p) sia un polinomio; in corrispondenza a tali valori di v e solo per essi la R(v) non può avere nel pa- rallelogrammo che un numero finito di zeri. . D'altra parte applicando la trasformazione (a) la (20) di- venta: (20°) (1) + 2of(2) + 0° = Ga) e per il teorema del numero 4, prescindendo da ogni ipotesi sugli ordini di grandezza della w(x) ed f(x), sappiamo che non possono esistere più che tre valori per cui la G(«) si riduca a un polinomio. In generale adunque: Una funzione olomorfa nel campo ellittico non può ammettere più che tre valori d'eccezione. Se la funzione è dispari tali valori st riducono a due, e ad uno se essa è pari. 5. I procedimenti per la ricerca dei valori di eccezione delle funzioni meromorfe nel campo ellittico, sono identici a quelli del numero precedente. Nel caso generale dovremo poi giovarci del teorema stabilito nel n. 7. Per questo verso possiamo dunque limitarci all’enunciazione dei risultati. ì F, {u) a) Se F; (u) littico, non possono esistere più che due valori del parametro v tali che per essi l'equazione: è una funzione meromorfa, pari, nel campo el- Fi (u) ipy Fal) (21) abbia un numero finito di zeri. b) Se invece pu è dispari non possono esistere più di quattro di tali valori. F, (4) F3 () lori di v che essa può assumere soltanto un numero finito di volte nell’interno del parall. fond. non supera cinque. c) Da ultimo se è affatto generale il numero dei va- Resta ancora senza risposta la questione se realmento esistano funzioni olomorfe nel campo ellittico, le quali inter- Atti della R. Accademia. — Vol. XXXIII. 68 1002 CARLO SEVERINI » namente al parall. fond. ammettano 3 valori eccezionali, e ana- logamente funzioni meromorfe che ivi ne ammettano 5. L’esi- stenza di tali funzioni sembra improbabile, onde i due numeri ottenuti sarebbero superiori al vero. Le mie attuali ricerche non mi autorizzano finora ad affermarlo con pieno rigore. Penso in breve tuttavia, di riprendere l'argomento per integrare i risultati nel senso accennato. Gottingen, 14 aprile 1898. Sulla rappresentazione analitica delle funzioni reali discontinue di variabile reale; Nota del Dott. CARLO SEVERINI. Nelle memorie: Ueder die analytische Darstellbarkeit soge- nannter wilkirlichen Functionen einer reellen Vertinderlichen (*), Weierstrass dimostra che, data una funzione f(x) ad un va- lore, reale, continua per ogni valore reale della variabile x, ed avente un limite superiore finito per è suoi valori assoluti, è sempre possibile, in infiniti modi, costruire un polinomio razionale intero, che in un intervallo finito, prefissato a piacere, la rappresenta & meno di una quantità positiva, piccola quanto si vuole; e da questa proposizione, che può dirsi fondamentale, egli deduce altre interessanti proprietà. Non tratta però affatto il caso che la funzione cessi di essere continua; e sebbene dica in un punto di volersene occu- pare in altra occasione, non è tuttavia noto che abbia poi pub- blicato alcuna cosa intorno a ciò. Io ho preso a studiare tale questione; ed in questa nota mi propongo ora di esporre i principali tra i risultati ai quali sono potuto arrivare. 1. — Si abbia una funzione f(x) ad un valore, reale per ogni valore reale della variabile x, che ammetta un limite su- (*) “ Sitzungsberichte der Kéniglich preussischen Akademie der Wissen- schaften zu Berlin ,, 1885. midi TT URTO — o SULLA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, ECC. 1003 periore finito G per i suoi valori assoluti, e tale in fine da es- sere integrabile in ogni intervallo finito. Se y(x) è un’altra funzione anch’essa ad un valore, reale, finita per ogni valore reale della variabile #, e che soddisfa di più alle condizioni di essere pari, di non cambiare mai segno e di ammettere determinato e finito l'integrale: | (e)da =2 fi (x)dx , d=- che verrà indicato con 2w, dimostreremo che esiste determinato e finito per ogni coppia di valori prefissati per x e k l'integrale: Ea [fiw( 3) du, dove u è una seconda variabile reale e k una quantità positiva indipendente da x ed u. Come è noto, la condizione necessaria e sufficiente perchè una funzione @(x) sia integrabile da — ovo a + 00, indicando con 41,42, by, ds quattro quantità reali positive (a, = d,; 4» bs), è che: — lim; aq=0 F==00 [rat |a . Nel caso nostro si avrà da considerare l’espressione: n) 5) du + [few (* sto |flw( che si può anche scrivere: | bi +0 ba & | | 0(—- toa; k ; k | died) di ) w(u)du + Urli w(u) du | DEE dai c k £ k indicando in generale con 0(x,, x) un valore compreso tra il limite superiore ed il limite inferiore della f(x) nel tratto (x... 23). 1004 CARLO SEVERINI Se ora diamo ad x e % valori determinati, e facciamo poi tendere a, ed «» all’infinito, l'uno indipendentemente dall’altro, otteniamo: bi+a box — Li k , lim Pola y(u)du + 0 (aa, da) y(udu|=0, las P ante ui ag—% k k e però anche: »--0) | f@y(4 877 lim (° I ai 0 | dg=090 Yak g [o (a che è ciò che si voleva. 2. — Dobbiamo ora studiare la funzione: +00 P(7,3)= ata | flv (1; —_ 090 3) du, contenente oltre alla variabile « un parametro arbitrario po- sitivo È. Si scelga la funzione y(x) in modo che oltre a godere delle proprietà già note, ammetta infinite derivate finite e continue in ogni punto dell’asse reale, le quali siano integrabili da — 00 a + co anche se vengono prese in valore assoluto; donde segue che scelto un numero 0 positivo, arbitrariamente piccolo, è sempre possibile determinare una quantità d reale, positiva, siffatta che: _y(2) de<0. 00 | d' b e Si può allora vedere che la: E) du , come funzione di x, ammette anch’ essa infinite derivate finite SULBA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, Ecc. 1005 e continue, che si ottengono colla derivazione sotto il 8 segno di integrale. A tal’uopo osserviamo che essendo a;,43,d;, d> quattro quantità positive come sopra, si ha: 1 n a” usa | | von | fa li | - du == SA oe (x e (u) du DT Era A du” k ’ quindi: bit a l I _a1 a" | G ea ad ; ) U—-X | LIA | —bi Mt® k ed analogamente: ba—a ar ua | (e PA a 2kw fre U) a Y v | k du = 2" ASO di n yi(u) | du, Cimena se) le quali ci dicono intanto che, fissata una coppia qualunque di valori di 4 ed n, kt > 0, esiste determinato e finito per ogni x l’integrale: diff Lu) U —o sempre minore di: c e +00 (ar 2k"w | | du” tp (u) | du. Inoltre è facile vedere che, fissati comunque # ed », £ > 0, questo medesimo integrale converge in egual grado per tutti i valori di x contenuti in un intervallo finito, preso ad arbitrio. 1006 CARLO SEVERINI Si ha infatti, indicando con d, una quantità reale positiva: Falc eine ace | vm], h bra bit Sh k dz =) dul — 4: by + k G 2k"w | Po v(Ù) du <= 0g. 19) Queste due ultime disuguaglianze vengono dunque verificate insieme per tutti i valori di x compresi nell’intervallo (— a... .. + a); quivi lo saranno a maggior ragione le altre: ala | f0£ (* =! )du|<0; | 00 È w (e) du) < 0 SULLA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, ECC. 1007 La quantità a essendo qualunque, resta così dimostrato quanto avevamo asserito sull’integrale: cd da | f00v VE] du . tnd* °) Ciò posto si chiami con % una quantità reale diversa da zero, e si consideri la difterenza: bi nali [04 (17°) uz | 10 f(u) ata che possiamo anche scrivere: 2 (133) EMA a À, 39 f(u) Lead h Ora: e a h cà k VIE: TEL k d = \ = av) dove 0 è una quantità che in generale, per ogni coppia di va- lori dati ad x e X, varia al variare di «, ma che rimane sempre compresa tra 0 ed 1. Quindi: +00 dI tustts SI h a ata | 00} v(“ Srl dyl“°_el)}d, — 090 ed anche: +5, EI fd TS d ur h\} = so [sof u(*75)- do k —07){du+ 1008 | CARLO SEVERINI ili GE) avi 04) (du+ h + at fl DIES esi — avi 01) du . Per la convergenza uniforme dell’integrale: +00 1 d ut x ata [fl (i) de, — 00 fissati due valori qualunque di x e %, X > 0, potremo anzitutto trovare un tal valore di 5,, che si abbia per ogni % il cui mo- dulo non superi un determinato limite %': »+ai a fa) iv) — plico) | du| —00 SULLA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, ECC. 1009 Il procedimento seguito per arrivare a questo risultato è evidentemente generale, ed applicato successivamente, conduce alla formola: +00 dr "de: il d” lu="2 — 0 qualunque sia n. Per queste proprietà a cui soddisfa la F(x,%) è ad essa applicabile la formola abbreviata dal Mac-Laurin, cioè per ogni k fisso, maggiore di zero e per ogni valore finito di x: Pe; k) ni F (1, k)(2) _ xF.; (x, k)() + a si Fe, Bg tt... + 2 FO, RI): dove » può essere qualunque. Se quindi la y(x) è anche scelta in modo che il resto: Al n) d Int tenda a zero al crescere di n, ne viene che per ogni valore fissato di X maggiore di zero è possibile lo sviluppo: F(#,k) “a Fe, k)() + xF.(®, k)) T + Pe, bat +4 dt 0 per tutti i punti di un intervallo finito qualsivoglia: 3. — Un esempio di funzioni yw(x), per le quali la F(x, £), costruita come precedentemente, gode delle dette proprietà ci viene dato dalla e”. Come è noto, e come d’altronde è facile verificare, essa soddisfa intanto alle ipotesi poste per la w(x) nel principio del paragrafo 1. 1010 CARLO SEVERINI Venendo a considerarne le derivate si ha in generale: Ca e7® — id BA (SS De n(n_1)(n n — .(n_—-2v+1) (292%! Ne segue: nn -1)(an_-2)...(n-2v+1) v! | d pi : n—2V Cn =e”L, - Es 2a e però: dr” v! 2% "Lo 00 | Ca e dx == =, n(n—1) (n —-2) ia (n_-2v+ 1) | (20)"-2V e--2 da . 0 Ma se » è pari: | Career" do = È Vr 904 = =) quindi sostituendo: ed anche: Se n è dispari: | arena = [At Ve () e con un calcolo molto semplice: [ea TRE, (n 2v)! 0 (GE ho v)! I SULLA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, Ecc. 1011 da cui in fine: i Jac | da < 2 li Vi ri ni i Voi! Per ultimo ci rimane da verificare che il resto R,(x, #) della serie del Mac-Laurin, costruita per la: F(e, 4) = A |f00 ali du, al crescere di n, fissato un valore qualunque di % maggiore di zero, converge allo zero per ogni valore finito di x. Ora abbiamo: "4-00 ve) FO (x,k) = =" | fu) Lina i 09 Ph) (, res (E 1” ASI L'A E f+ 7 di, du ; quindi ZF _( 1}. a" 2. pt OE ZIE nRVa fl n ku) i; eda, da cui | du” — 90 +00 Ra (7,4)| < a (2 | dy. FRA N de 1012 CARLO SEVERINI se n è pari; ed: I |-__Galeh ol 60 in (a #t4 se n è dispari. Ma: G.|21r (5) — G.|el de O: O che per ogni valore finito di x e per ogni % fissato maggiore di zero, tende appunto allo zero al crescere di w. Rie ro _ 2/8 vil * (p] =|to |x o] [RSS 8 SO mis bi ui. tti inni tti TTI Similmente: ma 2 2}? (Phi 2 Vel Va 04 k? n+1 = G..l7|t sai Var 2 2.6 \2 ; /a.a \X\net Egli È = la ? ai = a 2 Vor No MIO 4 TO) E? E 2 Per ogni valore finito di x e per ogni % fissato maggiore di zero, il primo fattore. Feng I) —=i n | (O) il | al = 3leo (1%) [nl l’altro tende a zero. E poi evidente che la convergenza di R,(, k) verso lo zero, assegnato comunque a % un valore diverso da zero, è uniforme per tutti i punti di un intervallo finito. SULLA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, Ecc. 1013 Rimane dunque dimostrata Vesistenza d’infinite funzioni y(x) siffatte che le F(x, k) corrispondenti, costruite come sopra, per ogni k fisso, non nullo, si possono rappresentare mediante serie di po- tenze intere e positive di x, convergenti per ogni valore finito di questo; in modo che servendoci di una denominazione usata nella teoria delle funzioni potremo dirle funzioni trascendenti intere. 4. — Riprendiamo ora lo studio della funzione: F(2,)= a ]r00s v (7°) da, ed indichiamo con è una quantità positiva piccola a piacere. Potremo scrivere: e—-Ò Fo,)=7 a [fl —_ 90 + [rav (* e—-Ò (ce) 2) du + Ùii A, (£ ò Lt 7) du + r+Ò c) du a A [E 2) du, ed anche: NOS) Rn | w(u) du + sp y(u)du + ò ò k k ò ò _ di rela mi 2 (u) du + Sa ail y(u)du, 0 0 da cui: ®.00 PO.) — {= ETTI | van + ò k +3{o@—d,) + 0,1 +d)—2/0)|, ove n rappresenta una quantità positiva minore di 1. Sia ora un intervallo finito qualunque (x ...2); e, prefis- 1014 CARLO SEVERINI sati due numeri 0 e \ piccoli a piacere, si escludano i punti di È e cer pi o) (x, ... xs), ove la funzione oscilla per più di --, con un numero finito d’intorni, che sommati diano tutti insieme una quantità È Mao minore di CE Detto (x;...,..) uno degli » tratti che ne risultano, nei punti dei quali l'oscillazione è minore od uguale a +» potremo determinare una quantità \,; tale, che in una porzione di esso minore od uguale a N, l’oscillazione della funzione sia minore a, di DI Ciò dipende dal seguente teorema, che è una generalizza- zione di quello noto di Cantor sulla continuità: Se una funzione f(x) sì mantiene sempre finita, e fa nei punti di un tratto finito (a .....b) soltanto delle oscillazioni minori di un certo numero g, si può sempre determinare un numero positivo h differente da zero, tale che quando h è in valore assoluto minore di h, si abbia per tutti i punti x, c + h dell'intervallo (a...b): fat hnM_-f@l<9t9, g, essendo un numero positivo piccolo a piacere (*). (*) La dimostrazione di questo teorema non presenta alcuna difficoltà. Cfr. Dini, Fondamenti per la teorica di funzioni di variabili reali, $$ 41, 43 e 187. PincnerLe, Sopra alcuni sviluppi in serie per funzioni analitiche, “ Memorie dell’Accademia delle Scienze di Bologna ,, t. III, s. IV. Nondi- meno ne darò qui una tenendo, sulla scorta di quello che fa il Liùroth per funzioni assolutamente continue di due variabili reali (£ Mathematische Annalen ,, B. VI) un procedimento differente da quello che ordinariamente si suole seguire in simili questioni. Come è noto per oscillazione in un punto « s'intende il limite (neces- sariamente determinato) dell’oscillazione nell’intorno (a — 4, € + 4), quando h impiccolisce indefinitamente. Nelle ipotesi poste nel teorema si potrà dunque, assegnato un punto qualsivoglia xy di (a...d), trovarne uno intorno in cui la f(x) oscilla per meno di g; anzi di tali intorni ne esistono in- finiti, e perchè sono tutti compresi nell’ intervallo dato, essi devono am- mettere un limite superiore finito (x — &-...v0 + €). In generale non sarà &= €, e quando ciò non si verifica si consideri il massimo intorno (x) — €... 0 + €), che ha x, come punto medio, e nel quale l’oscillazione della f(x) è minore od uguale a g. L’intorno così fatto possiamo riguardarlo come funzione dei punti di SULLA RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DELLE FUNZIONI, ECC. 1015 Prendendo la quantità è, finora arbitraria, minore o tutt’al più uguale a N, si avrà: 3 |0(—d,+0@,e+d9)—2f@)|<$, quando i punti x, x — è, x + è sono compresi tra x; ed x... Se si ripete questo ragionamento per ognuno dei tratti (x....%;u), e si sceglie come valore finale di è un valore d', soggetto alla condizione: dii = 1520 58) risulta per ogni x, x — d',d + è' appartenenti ad un medesimo tratto (x; AS Lisi): LI 8(2 — d', e) — 0(e,a +9) — 2) ), prefissato a piacere. I coefficienti sono funzioni di t, variabile con x nello stesso intervallo (x,...42), le quali hanno un valore costante quando t varia in un tratto tra due punti consecutivi di discontinuità. Notiamo in ultimo che i teoremi A, B, C si estendono facil- mente alle funzioni reali di due variabili reali. Relazione sulla Memoria del Dott. A. Crsaris-DEMEL, intitolata. : Sull’azione tossica e settica di alcuni microorganismi patogeni sul sistema nervoso centrale. L'autore, affermata l’importanza che lo studio batteriologico e sperimentale ha sulla patologia del sistema nervoso centrale, descrive un caso di corea, cui fa seguire il resoconto di nume- rose osservazioni istologiche e di ricerche sperimentali. Il caso era in istretto rapporto causale collo stafilococco piogene aureo, 1024 il quale si trovò nel cervello allo stato di assoluta purezza. All'esame istologico dei centri nervosi si sono trovati molti focolai puntiformi d’infiammazione, costituenti una vera ence- falomielite micotica a nidi disseminati. Col metodo di Nissel, l’A. trovò delle lesioni degenerative di alcune cellule nervose in rapporto coll’elemento tossico dell'infezione stessa. L’A. ha trovato che la porta d’ingresso dell'elemento infettivo furono le tonsille, e rileva che in altri casi descritti di infezioni stafilo- cocciche nell'uomo, seguite da lesioni nutrizie degli elementi nervosi, non si sono riscontrati mai i piccoli focolai infiamma- tori, come in questo caso di corea. Questo è il contenuto esposto sommariamente della 1* parte del lavoro. Nella 2% parte, l'A. riassunto lo stato delle nostre cognizioni sullo stafilococco e sulle sue tossine, dimostra che queste hanno un’importanza maggiore di quel che è generalmente ammesso. L’A. ottenne la riproduzione quasi esatta del quadro sin- tomatico della corea nel coniglio, facendogli una iniezione sub- durale di 1 c. c. di stafilococco. Indi ha dimostrato che l’identico risultato si può ottenere colle colture sterilizzate mediante etere o cloroformio. L’iniezione subdurale di dosi non mortali di tos- sine o di coltura, pure determinando una sindrome coreica gra- vissima, può tuttavia essere tollerata dal coniglio, il quale, superati i sintomi morbosi, offre un esempio di perfetta immu- nità locale del sistema nervoso di fronte a dosi mortali di col- ture o di tossine. Esperimenti fatti coll’ iniezione subdurale di altri micro- organismi, quali il diplococco lanceolato e il bacillo itterode, dimostrano che gli animali soccombono per l’ introduzione di minime dosi dei detti bacteri senza presentare sintomi coreici, sibbene morendo con sintomi paralitici. Con altri esperimenti l'A. ha dimostrato che l’azione tossica dello stafilococco non viene neutralizzata dall’ emulsione di so- stanza nervosa fresca. L’A. ha riprodotto anche nel coniglio i molteplici focolai infiammatori che ha descritto nel cervello dell’uomo, ottenendo anche più intensamente le alterazioni delle cellule nervose, e ciò coll’iniezione subdurale di colture stafilococciche. Le lesioni delle cellule nervose le ottenne identiche anche iniettando sotto 4 ì i i ì i À 1025 la dura madre dei fermenti solubili, onde ritiene che esse sieno il prodotto di digestioni cellulari. L'A. conclude per l’origine infettiva di tutti i casi di corea, e per lo più, da stafilococco piogene aureo, col quale si può riprodurre negli animali il quadro fenomenico della malattia. Attesa l’importanza degli argomenti trattati e dei risultati ottenuti dall'autore, i sottoscritti propongono la stampa della memoria. G. Bizzozero. Pio Foà, relatore. Relazione sulla Memoria del Dott. G. B. Rizzo, intitolata: Sopra le recenti misure della costante solare. L’A. mostra anzi tutto quali divergenze esistano fra i va- lori trovati per la costante solare da osservatori valenti e degni di fede. Queste divergenze non dipendono dalla difficoltà delle misure, ma dalla diversità e dalla insufficienza dei metodi se- guiti nel calcolo delle osservazioni. L'A. distingue le formole, dalle quali si deduce la costante solare, in formule di inclinazione e formole di altitudine. Le prime dànno l’intensità della radiazione solare osservata in un medesimo luogo in ore diverse, esprimono quindi quella intensità in funzione della distanza zenitale. Le seconde danno le intensità della radiazione solare osservate simultaneamente in luoghi posti a diversa altezza sul livello del mare. L'A. considera successivamente le varie formule dette di inclinazione, e mostra che nessuna di queste può servire a cal- colare la costante solare. Egli passa poi in rivista le osservazioni del Forbes, del Soret, del Violle e del Langley, e i metodi seguiti per calco- larle. L'A. stesso fece una serie di determinazioni simultanee 1026 a diverse altezze sul Rocciamelone. Egli propone una. formola della forma Q= A + B(760 — P dove Q è l'intensità della radiazione solare, e P è la pressione atmosferica espressa in millimetri. Applicando Ja formula alle osservazioni del Violle si ha il valore 2,82 per la costante solare. In modo simile dalle osser- vazioni del Langley si ottiene 2,42; le osservazioni fatte dall'A. stesso lo conducono a concludere che quella costante è eguale a 2,5. In generale il valore più probabile, quale risulta dall’e- same delle migliori determinazioni, sarebbe compreso tra 2,5 e 2,6. Le osservazioni del Langley sono particolarmente impor- tanti perchè a due altezze diverse il Langley determinò col bolometro l'intensità delle varie radiazioni dello spettro. Con i risultati di queste esperienze il Rizzo calcolò per ciascuna sta- zione e per valori diversi di X (0,35 u, 0,375 u, 0,400 u, 0,450 u, 0,500 u, 0,600 u, 0,700 u, 0,800 u, 1,000 u, 1,200 u) una formola della forma A RO (1 +e)" Da queste formule dedusse il Rizzo l’intensità della radia- zione allo zenit in ciascuna stazione e di qui poi con una for- mula del tipo l Q,=A+B.(760— PY calcolò per i varii valori di Y l’intensità della radiazione al limite dell'atmosfera. Egli ottenne così la forma probabile della curva che dà la distribuzione dell’energia solare al limite del- l'atmosfera. Questa curva si allontana notevolmente da quella segnata dal Langley. Il Rizzo discute poi le osservazioni sulla distribuzione del- l'energia nello spettro solare fatte dal Langley ad Allegheny ed esamina quali parti dello spettro solare vengano trattenute dai gas dell'atmosfera e in particolare dal vapor acqueo e dal- l'anidride carbonica. Dalle considerazioni che l’A. fa intorno alla curva del Lan- 1027 gley e agli spettri d’assorbimento dell’ossigeno, del vapor d’acqua e dell'anidride carbonica, risulterebbe che questi gas non pos- sono aver grande influenza nell’attenuazione dell’intensità dei raggi solari che attraversano l'atmosfera. Invece il pulviscolo atmosferico e il vapor d’acqua, se condensato in globuli, potreb- bero avervi gran parte. Come risulta da questi cenni, il D" Rizzo raccoglie e com- pendia in questa memoria i lavori più importanti sopra la co- stante solare, li discute e applicandovi criteri suoi proprii, ne trae il valore che egli stima più probabile della costante me- desima. La sua memoria costituisce un'utile contribuzione allo studio di questo importante argomento e noi per ciò proponiamo che la memoria venga letta alla Classe. Ù A. NAccarI, Relatore. Vito VOLTERRA. L’ Accademico Segretario AnpREA NACcARI. = >R_——————— 1028 CLASSI UNITE Adunanza del 26 Giugno 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: Cossa, Vice Presidente dell’Accademia, BizzozerRo, Direttore della Classe, D’Ovipio, NaAccarI, Mosso, CAMERANO, SEGRE, JADANZA, Foà, GuaARESscHI, Guipi, FILETI; Della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: CLarETTA, Direttore della Classe, Pevron, BoLLATI DI SAINT- Pierre, FERRERO, CocneTTI De MaRrtIS, GRrAF, CrpoLLa, BRUSA, Perrero e Nant, Segretario. Scusa la sua assenza il Socio Pezzi. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta, 24 aprile 1898. Quindi il Presidente dà comunicazione della lettera Mini- steriale, in data 12 corrente giugno, colla quale furono inviati gli estratti del R. Decreto di approvazione delle conferme del Socio Prof. Cossa a Vice-Presidente e del Socio D’OvIpro a Tesoriere dell’Accademia. Il Socio Segretario NANI legge la relazione della Commis- sione pel conferimento dei due premi della Fondazione Gautieri riservati in quest'anno alle scienze storiche per i lavori pub- blicati durante gli anni 1891-1897. Conforme alle proposte della Commissione i due premi vengono conferiti, l’uno al Conte Pier Desiderio Pasorini, Senatore del Regno, per la sua opera: Ca- terina Sforza (Roma, 1893-97, 4 vol. in 8°) e l’altro al Profes- 1029 sore Ettore Pars della R. Università di Pisa per la sua opera: Storia della Sicilia e della Magna Grecia (Torino, 1894, 8°). Scadendo per compiuto triennio il Socio G. Brzzozero dal- l’ufficio di rappresentante l'Accademia nella Commissione Am- ministrativa del Consorzio Universitario, si procede ad una nuova elezione, e viene riconfermato per un nuovo triennio il Socio Bizzozero. Relazione della Commissione per il conferimento dei premii della fondazione Gautieri. ONOREVOLI COLLEGHI, Per una seconda volta la Commissione eletta pel conferi- mento dei premi Gautieri, e di cui fanno parte, oltre al Presi- dente dell’Accademia ed al relatore, i socii B. Peyron, G. Cla- retta, E. Ferrero, A. Graf ed E. Brusa, per mezzo mio brevemente vi riferisce i risultamenti delle sue indagini, i suoi giudizii e le sue proposte. Debbono in quest'anno, come è noto, due premii essere as- segnati alle migliori opere di storia politica e civile pubblicate nell’ intervallo fra gli anni 1891 e 1897, di autori italiani e scritti in italiano; esclusi però i membri nazionali residenti e non residenti di quest’Accademia. Molti autori mandarono spontaneamente un esemplare dei loro lavori; dei colleghi richiesti del loro parere più d’uno ri- spose all'appello e fu largo di suggerimenti e di consigli onde la Commissione è loro particolarmente grata; fu fatto uno spoglio accurato degli indici bibliografici e delle più reputate riviste storiche italiane ed estere. Si potè per tal guisa racco- gliere un numero ragguardevole di indicazioni relative ad opere pubblicate dentro il periodo sopra accennato. Necessario quindi fu di eliminarne parecchie, per restringere l'esame ed il con- fronto a quelle che, oltre a distinguersi per maggior valore ed importanza scientifica, paressero anche meglio rispondere agli scopi pei quali il premio venne instituito. Con molta circospezione, ma non senza una tal esitanza, in più casi, e quasi a malincuore, compiè la Commissione questo lavoro di selezione, poichè tra le opere che si dovettero posporre erano 1030 storie municipali e biografie sotto un certo rispetto pregevolis- sime; lavori, di cui pur essendo l’intento principalmente scola- stico, hanno tuttavia, per l'eccellenza del loro contenuto, una importanza scientifica che va al di là di quel confine alquanto angusto; scritti di autori insigni, i quali però non costituiscono che una parte assai piccola d’opere di gran mole; pubblicazioni, assai lodevoli, di documenti, che per la natura loro non pote- vano, sì come parve alla Commissione, aspirare al premio; ed opere, infine, per un motivo o per un altro commendevolissime. Conseguentemente furono prese in considerazione soltanto le opere di questi quindici autori : . Bersezio Vittorio. . Del Vecchio Alberto e Casanova Eugenio. . Faldella Giovanni. . Gabotto Ferdinando. . Gioda Carlo. . Manfroni Camillo. . Merkel Carlo. . Nitti Francesco, . Pais Ettore. . Pasolini Pier Desiderio. 11. Professione Alfonso. 12. Raulich Italo. 13. Santini Pietro. 14. Schipa Michelangelo. 15. Tivaroni Carlo. > O DI òà ut WIN 1. Dell’opera poderosa di V. Bersezio “ Il Regno di Vittorio Emanuele. Trent'anni di vita italiana. Torino, 1889-95 ,, non fu possibile alla Commissione tener conto che dei tre ultimi volumi sopra gli otto di cui consta, perchè i cinque precedenti furono pubblicati in epoca anteriore a quella in cui cominciò a decor- rere il termine utile pel conferimento del premio. Per tal modo fu sottratta al suo esame la maggiore e forse anche la miglior parte del lavoro. La narrazione negli ultimi tre volumi va dal 1852 al prin- cipio del 1878, mentre non comprendeva negli altri cinque prima pubblicati che un periodo di quattro anni. 1031 Unanime fu il giudizio della Commissione nel riconoscere l’importanza di questa storia, frutto di lunghe ed assidue fa- tiche; l’alta rettitudine d’intendimenti che vi si rivela ad ogni pagina, e l’arte squisita con cui vi sono tratteggiati e dipinti e uomini e tempi. Onde, per questo rispetto, l’opera degna è veramente del suo Autore che è, per comune consenso, uno dei più illustri e benemeriti che vanti la nostra odierna letteratura. Ed altri e maggiori pregi, tenuto conto principalmente del- l’indole e della vastità del lavoro, vi riscontravano alcuni dei Commissarii, giudicandolo insigne anche tra i migliori. Al qual parere per verità non potè intieramente associarsi la maggio- ranza della Commissione, avendo essa dovuto avvertire una evi- dente sproporzione nelle parti onde l’opera si compone, ed una tal fretta qua e là nella compilazione, di cui talora è rimasta la traccia e nella esposizione dei fatti e nei giudizii; oltre a qualche difetto di metodo, condonabile forse da chi pensi che il rigore delle indagini più difficilmente può pretendersi nella storia contemporanea, che non in quella delle età più remote. 2. Notevole per ogni riguardo il volume che col titolo “ Le rappresaglie nei Comuni italiani e specialmente in Firenze ,, pub- blicavano nel 1894 il prof. A. Der Veccnio ed il dott. E. Ca- saNOVA. Degna di lode infatti, così per l'ampiezza della esposi- zione, come per la novità dei risultati quella parte dell’opera in cui con somma accuratezza si espongono la storia.delle rap- presaglie ed i modi con cui queste si svolgevano; ed interes- sante la raceolta di documenti, benchè non tutti inediti, che giova mirabilmente ad illustrare lo svolgimento dell’istituto in ‘Firenze. Se anche meno perfetta voglia ravvisarsi la distribu- zione delle materie, e qualche lacuna o qualche menda possa essere notata nella trattazione del tema, non però ne rimane di molto scemato il pregio del lavoro, che nel suo complesso giu- stifica appieno il plauso con cui venne accolto. 3. Del Senatore G. FaLDELLA la Commissione tolse in esame l’opera “ I fratelli Ruffini. Storia della Giovane Italia nel 1833. Torino, 1897 ,, un’opera scritta con sentimento d’artista e con cuore di patriota. Abbondanti, ed inedite talora, le notizie che essa contiene, raccolte da varie fonti con paziente cura e con 1052 intelletto d'amore; vivo l'interesse che desta nell’animo del let- tore la descrizione, mirabile d’efficacia,' di quei casi gravi e luttuosi; manifesto il proposito dell'Autore di ricercare e dir sempre francamente il vero. Nuoce forse alquanto al valore dell’opera la forma colorita di soverchio ed esuberante, certo più che alla severità di una narrazione storica non si convenga, e, più ancora, la deficiente coesione fra le parti del lavoro, che, pubblicate separatamente prima di essere riunite insieme in un volume, troppo ancora serbano l'aspetto di monografie e di con- ferenze, togliendo al tutto quell’unità e collegamento armonico delle singole divisioni, necessarii in ogni opera storica. 4. Della meravigliosa fecondità letteraria del Prof. F. Ga- Borro fa fede una grandissima quantità di scritti in breve giro d'anni da lui pubblicati. Di questi alcuni di maggior mole, altri parecchi disseminati nelle riviste italiane e straniere; senza dire degli articoli di minor conto con larghissima mano profusi in periodici ed effemeridi letterarie. Di fronte a così gran mole di pubblicazioni vien fatto naturalmente di domandarsi se la celerità con cui esse si succedono e quasi si incalzano non debba, per la stessa necessità delle cose, tornare a discapito della se- verità della ricerca, della matura disamina dei risultati, della ponderatezza dei giudizii e delle conclusioni. Questa considerazione si affacciò spontanea alla Commis- sione allorchè, trascegliendo fra gli scritti del Gabotto, ebbe a fermare la sua attenzione su quattro di essi che anche nell’o- pinione dell’ Autore debbono eccellere sopra gli altri, cioè “ Storia del Piemonte nella prima metà del secolo XIV. Torino, 1894. , — “ L’età del Conte Verde in Piemonte. Torino, 1895. , — “ De- cumenti inediti sulla storia del Piemonte al tempo degli ultimi Principi d’ Acaia. Torino, 1896. , — “ Gli ultimi Principi d' Acaia e la politica subalpina dal 1383 al 1407. Pinerolo, 1897. , — Ed appunto dal diligente esame che la Commissione ha fatto di questi lavori, tutti, qual più qual meno, pregevoli, essa fu condotta a concludere che se degna di encomio è l’attività scien- tifica del Gabotto, e l’ardore con cui investiga e fruga negli Archivii per trarne alla luce i documenti più riposti, e la brama di percorrere e segnare colla sua orma anche i campi più ine- splorati, maggior lode senza dubbio conseguirebbero i suoi scritti 3 T_T ATO 1033 qualora più calma vi apparisse l'indagine, più meditata l’elabo- razione del materiale raccolto, più attento nell’ordinare e nel- l’esporre i fatti il magistero dell’arte. 5. Non nuovo alle scienze storiche è il C. Gropa, che in queste per lo appunto, per alcuni suoi lavori, si acquistò fama non immeritata. Nel periodo utile pel conferimento del premio cade l’opera sua “ La vita e le opere di Giovanni Botero, 3 vol. Milano, 1895 ,. La Commissione ebbe a notarvi non pochi pregi in quella parte in cui con ricchezza di particolari, per quanto in gran parte già conosciuti, sono narrate le vicende della vita del Botero. Accurato e fedele le parve il riassunto che delle opere del Bo- tero fece nella seconda parte del suo lavoro il Gioda, illustran- dole con sagaci osservazioni; ed interessante la riproduzione della quinta parte delle osservazioni universali, inserite in fine dell’opera; ma fu pure d’avviso che questa, per la natura degli argomenti di cui principalmente discorre, sfuggisse in troppo gran parte al suo esame ed al suo giudizio. 6. Rilevanti sono parecchi lavori del Prof. G. MANFRONI; rilevantissimo fra tutti l’ultimo “ Storia della marina italiana dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto. Roma, 1897 ,. È questa la prima parte di un’opera di lunga lena a cui l'Autore attende da più anni e che abbraccierà, quando sia completa, tutta la storia della marineria italiana dal 496 fino ai giorni nostri. Profonda è la conoscenza che egli vi dimostra della storia politica nonchè delle fonti; e diligenti vi appaiono le ricerche negli Archivii. Con minor perizia invece vi si tratta degli ordinamenti marinareschi e delle operazioni militari ma- rittime, essendo i primi, sopratutto, descritti con brevità so- verchia, mentre avrebbero potuto, senza dubbio, fornir materia di ampia ed originale esposizione. 7. L’opera del Prof. C. MerKEL, “ Adelaide di Savoia Elet- trice di Baviera. Torino, 1892 ,, dai più competenti fu giudicata meritevole di molta lode, sia per la minuta e sottile analisi psicologica con cui l'Autore vi studia il carattere della Elettrice, sia per la copia dei nuovi documenti di cui si vale, sia ancora Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 70 1034 per l’acume che vi spiega nell’esaminare le condizioni politiche dell’ Europa, in quella parte, almeno, che più direttamente si riferiva al suo soggetto. Perciò in questa sua opera il Merkel non soltanto ha radunato un prezioso materiale, ma ancora ha saputo giovarsene con discernimento e sano criterio, contribuendo così a porre nella sua giusta luce la figura della Principessa. Qualche appunto, non del tutto infondato, potrebbe tuttavia farsi intorno alla distribuzione delle parti dell’opera, e potrebbe fors'anche taluno dubitare se pari alla cura ed alla diligenza con cui venne trattato sia l’importanza del tema. 8. Un vecchio argomento è certo quello che F. Nrrti ha svolto nel suo volume “ Leone X e la sua politica secondo do- cumenti e carteggi inediti. Firenze, 1892 ,, nè perciò può dirsi che esso torni inutile. Esso giova anzi a far viemeglio conoscere la mente, gli intendimenti, i costumi di quel famoso Pontefice “e merita un luogo onorato accanto alle migliori pubblicazioni di tal genere. Infatti l'Autore con una esposizione, se non ele- gante, chiara bensì ed ordinata e che si distingue non meno per acutezza che per imparzialità di giudizio, narra per disteso le vicende della politica di Leon X, alle notizie già conosciute, attinte ad una varia e copiosa letteratura, aggiungendone di nuove con attento studio desunte da numerosi documenti già editi oltre che da inediti, tratti principalmente dall'archivio di Stato di Firenze. Non vi ha dubbio che per le dotte fatiche dell'Autore più completa riesca la figura storica di quel Papa, benchè forse una menda dell’opera possa ravvisarsi in ciò che essa mira, seguendo una tendenza diametralmente opposta a quella prima prevalente, a deprimere alquanto più del giusto la memoria di Leon X. 9. Dell’opera di E. Pars “ Storia d’Italia dai tempi più an- tichi sino alle guerre puniche. Torino, 1894 , non potè la Com- missione occuparsi che del primo volume, essendo stato pubbli- cato il secondo nel corrente anno. Quel volume, che è consacrato alla storia della Sicilia, con- tiene cinque capi e sedici appendici, delle quali più d’una as- sume importanza monografica. Ed anche preso da solo parve alla Commissione che esso costituisse veramente un’opera d’alto valore scientifico, concepita con larghezza di vedute e sorretta da una piena conoscenza di tutte le fonti latine e greche che in qualsiasi modo possano avere relazione col tema; frutto di - profondi studì ed indagini condotte con rara indipendenza ed originalità di criterii e di conclusioni. Queste ultime sarebbe qui impossibile riassumere, neanche per sommi capi; basterà solo rilevare che l'Autore non si stette pago a discorrere (se- condo apparirebbe dal titolo dell’opera) dell’antichissima storia di Sicilia, ma estese le sue ricerche anche all’ Italia inferiore, e perfino, quando la natura dell'argomento lo consigliava, al- l’Italia media e superiore. Segue del resto il Pais il metodo storico preferito dal Mommsen: si fonda, cioè, quasi unica- mente sulla testimonianza degli scrittori, assai parcamente ricorrendo ad altri mezzi. Quindi poco si occupa delle que- stioni archeologiche, meno ancora delle etnografiche. Il qual metodo non a tutti forse potrà piacere ugualmente; ma, chec- chè sia di ciò, singolar lode ed incoraggiamento merita certo l'Autore che con adatta preparazione ha arditamente affrontato un così arduo tema e l’ha svolto, nella prima sua parte, in ma- niera siffatta da dar buon affidamento per la riuscita della in- tera opera. Sicuramente non fanno difetto al Pais nè l'ingegno robusto ed originale, nè la lena, nè la dottrina, nè il fine acume critico, ottima dote, se per vaghezza di novità non ne abusi, dello storico. 10. Alti e meritati encomii riscosse, fin dal suo primo ap- parire, dalla critica italiana e straniera la pubblicazione del Senatore C.te P. D. PasoLini “ Caterina Sforza. Roma 1893. , — “ Nuovi documenti. Bologna, 1897 ,. Giudici gravi ed auto- revoli non dubitarono di segnalarla come una delle più impor- tanti fra quante videro la luce in Italia in questi ultimi decenni. L’opera invero, largamente illustrata da un ingente numero di documenti tratti da molti Archivii pubblici e privati d'Italia e dell’estero, condotta con metodo severamente scientifico, scritta con chiarezza, con eleganza e con ordine, non solo ritrae al vivo il carattere ed i casi della eroina del racconto, ma ancora lu- meggia in mirabil modo l’ambiente in cui ella visse ed agì. La monografia è completa in ogni sua parte; e se anche si voglia ritenere superfluo qualche particolare, non del tutto esatto ogni 1036 giudizio, non ugualmente provato ogni asserto, è pur sempre con un senso di ammirazione che si leggono queste pagine in cui, evocati dall’Autore, rivivono innanzi a noi colle loro grandezze, colle loro passioni, coi loro vizi due secoli dei più fulgidi della nostra storia civile. 11. Del Prof. A. Proressione sono favorevolmente noti al- cuni lavori, taluno dei quali d’indole scolastica. Fra quelli si raccomandava in particolar modo all'attenzione della Commis- sione la memoria intitolata “ I! ministero in Spagna ed il pro- cesso del Cardinale Giulio Alberoni. Torino, 1897 ,, un lavoro che è il risultato di accurate e faticose ricerche fatte in pa- recchie biblioteche ed archivii italiani e stranieri. Egli è col sussidio di un così ricco materiale che il Pro- fessione potè in questa interessante monografia chiarir meglio certi fatti, svelare, fino nei dettagli, l’orditura dei tanti nego- ziati cui pose mano l’Alberoni, ricostruire insomma per intiero quel breve periodo storico, nel quale, in confronto alle altre, campeggiano, insieme con quella del protagonista, le figure di Filippo V e di Elisabetta Farnese. 12. Nell'opera del Prof. I. RAauLICH, di cui non venne però finora pubblicato che il primo volume “ Storia di Carlo Ema- nuele I, Duca di Savoia, con documenti degli archivi italiani e stranieri. Milano, 1896 ,, credette la Commissione di scorgere pregi e difetti non pochi nè lievi. Attraente alla lettura, essa è il risultato di larghi spogli fatti negli Archivii di Venezia, Torino, Roma, ecc., ed intende, con lodevole studio, a mettere in rilievo, meglio che non si sia fatto finora, la persona e l’opera del successore di E. Filiberto. Lodevole studio certamente, ma non potrebbe affermarsi, in modo assoluto, che l’effetto in tutto sia stato raggiunto; poichè manchevole appare nel lavoro così la storia delle con- dizioni interne, come la critica delle fonti; trascurati vi sono i particolari riferentisi alla persona del Duca nella sua giova- nezza, dei quali l'Archivio torinese avrebbe potuto fornire al- l'Autore non esigua materia; e se ampie, come si disse, furono le sue indagini, non si potrebbe altresì con uguale sicurezza affermare che dappertutto siano riuscite esaurienti. RO I Fe 1037 13. Il Prof. P. SantINI ha avuto il merito di radunare una gran quantità di documenti dell’Archivio fiorentino, che servono mirabilmente a far conoscere il governo dei Consoli e quello del Podestà in Firenze, e di pubblicarli in un grosso volume dal titolo “ Documenti dell'antica costituzione del Comune di Fi- renze. Firenze, 1895 ,. Sebbene vi manchi ogni illustrazione paleografica e diplomatica e le ricerche non siano state estese (come sarebbe stato opportuno) anche agli archivii di altre città toscane, tuttavia l’opera è pregevolissima per la diligenza con cui fu condotta. Alla collezione serve quasi di complemento uno studio dallo stesso Autore pubblicato nell’ Arch. storico italiano, v. 16, 1895, sull’antica costituzione del Comune fiorentino. Non è questo che il principio od un saggio, se così lo si voglia ap- pellare, di una serie di studì che l'Autore si proponeva di pub- blicare in seguito; ma un buon saggio, ad ogni modo, che rivela nel Santini critica acuta e larga cognizione dell’ argomento, e da cui può trarre conforto di nuovi argomenti quella dottrina (anche da altri professata), che i primi ordinamenti comunali vuol riannodare con alcuna delle istituzioni proprie dell’ alto Medio Evo. 14. Eccellente, sotto un certo aspetto, può dirsi l’opera maggiore di M. ScnIpa “ I Ducato di Napoli. Napoli, 1895 ,, dove ne sono narrate le vicende fino al 1140, fino all’epoca cioè in cui quello fu distrutto. Largo infatti il disegno con cui la storia fu concepita; ben profilati gli avvenimenti e disposti con arte tanto più ammire- vole quanto più complicato è il periodo storico in cui quelli si svolsero. Difettano per contro le ricerche originali, poichè tutta l’opera è basata sugli insigni Monumenta Ducatus Neapolitani e su altre scritture dell’illustre Capasso. 15. Di C. Trvaroni la Commissione ha preso in considera- zione il lavoro “ Storia critica del Risorgimento italiano. Torino, 1888-1896 ,, giudicandolo un’opera commendevole ed utile del pari. Commendevole infatti la cura con cui l'Autore vi ha con pazienza non poca raccolti da moltissimi lavori, varii per carattere e per tendenze, una gran mole di fatti, di dati e perfino di giudizii, commendevole l’intento che l'Autore si è pre- 1058 fisso di mantenersi sempre imparziale e sereno; ed utile sicu- ramente per ogni lettore il trovar contenuta in uno spazio re- lativamente breve una sì ricca copia di materiali. Ma d'altra parte siffatti materiali non sempre appaiono ben fusi insieme e padroneggiati dall’Autore; laonde di sotto a certe manifeste dissonanze ed a qualche ripetizione troppo spesso si svela nel- l’opera il carattere di una compilazione, per quanto coscienziosa e diligente. Ora, se tutte queste opere indistintamente stimò la Com- missione degne di elogio, suo preciso còmpito era pur quello di indicare quali degne fossero anche di premio. Un còmpito ingrato per verità e reso più arduo dal fatto che trattavasi di scegliere fra lavori d’indole disparata fra di loro, sicchè consi- derazioni di diversa natura, e tutte gravi e legittime, potevano persuadere a far pendere da un lato piuttosto che dall’altro la scelta. La Commissione ritenne a questo riguardo, che meno facile fosse l’errare quando il proprio giudizio avesse a determinarsi, non solo dall'aver riscontrato in un dato lavoro pregi scientifici di valore indiscutibile, ma bensì ancora dall’importanza del tema trattato, dall’ampiezza della esposizione, dalla originalità delle indagini e severità del metodo. Sotto questo punto di vista essa fn unanime nel riconoscere che uno dei premii dovesse spettare all'opera su Caterina Sforza del Conte Pasolini. E degna pure di premio con voto unanime fu ritenuta l’opera del Prof. E. Pais “ Storia di Sicilia ,; sennonchè parve alla minoranza che tale premio fosse da dividere, conforme all’art. 6 del Regolamento per l’assegnazione del premio Gautieri, fra questa e l’altra di V. Bersezio, di cui sopra s'è detto. La maggioranza, pure altamente epprezzando quest’ultimo lavoro, non potè essere di tale avviso. Pertanto la Commissione, colla sicura coscienza di avere quanto più scrupolosamente per lei si poteva adempiuto al mandato affidatole, ha l'onore, egregi Colleghi, di sottoporre al vostro sovrano giudizio la proposta, che dei due premi di fon- dazione Gautieri, stabiliti pel corrente anno, venga assegnato l'uno al Senatore Conte Pier DesiperIo PasoLINI, e l’altro al Prof. Errore Pars. 1039 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 26 Giugno 1898. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. GIUSEPPE CARLE PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: CLarEetTA, Direttore della Classe, PryRon, BoLLati DI SAIinT-PrerrE, FERRERO, CoenerTI DE MAR- TIs, Grar, Brusa, Perrero e Nani Segretario. Viene letto ed approvato l’atto verbale della precedente seduta, 12 Giugno 1898. Si comunica dal Presidente una lettera di ringraziamento del Socio corrispondente Prof. Francesco ScHuPFER, per la parte presa dall'Accademia alle onoranze resegli nella ricorrenza del suo 35° anno di insegnamento. Il Segretario offre in omaggio un opuscolo del Socio cor- rispondente Vittorio Poi, Di una tavola dipinta nel secolo XI (Savona, 1898); ed il Socio E. FerrERo un articolo del Socio corrispondente Aristide MARRE inserito nella “ Rivista ,: Notes, reconnaissances, explorations (1° vol., 6®° livr.). Viene accolta per l'inserzione negli Atti una nota del Pro- fessore Carlo O. ZurertI, Sofocle nelle Rane di Aristofane, pre- sentata dal Socio S. Coenerti pe MarTIS. zione, da lui scritta, per incarico avuto dalla Presid compianto Socio Domenico BERTI. u Questa Commemorazione verrà pure pubblicata 4 menò A CARLO CANTONI — COMMEMORAZIONE DI DOMENICO BERTI 1041 LETTURE DOMENICO BERTI Commemorazione letta dal Socio corrispondente CARLO CANTONI. Sono oramai passati multi anni, da che io ricevetti nel- l’ Università torinese la laurea dottorale in filosofia. Vicende diverse mi trassero lontano di qui, dove io fui iniziato agli studii filosofici da G. M. Bertini, da Domenico Berti, da G. B. Ray- neri, uomini che il Piemonte e l’Italia ricordano con affetto e venerazione; benchè non per tutti la gloria sia stata pari al merito, sicchè noi possiamo giustamente dolerci che per alcuno di essi non si sia avverato il detto antico gloria sequitur no- lentem. — Ma se G. M. Bertini non ebbe gloria pari al merito suo, tutti gli scolari suoi conserveranno una perpetua ricono- scenza verso di lui che col suo insegnamento e con tutta la personalità sua lasciò in noi un’impronta benefica e incancel- labile, non solo per l’ altezza dell’ ingegno e la rara dottrina, ma per quel puro e ardente amore della verità, che appariva in ogni sua parola, e per quella sua stessa profonda e severa malinconia che eccitava insieme affetto e venerazione. Meno grande del Bertini per vigore speculativo e critico, il Rayneri seppe però congiungere ad una non comune larghezza ‘di cognizioni filosofiche e scientifiche un’istruzione compiuta nelle questioni pedagogiche che già prima del 1848 avevano comin- ciato ad agitare le menti in Piemonte. Così il Rayneri col suo insegnamento e coll’opera sua potè rendere non pochi benefizii alle scuole e concorrere efficacemente alla riforma degli studii. Ma il suo merito principale fu quello di formare in Piemonte una schiera di valenti educatori, di buoni direttori e capi d’isti- tuti scolastici, in un tempo in cui si credeva ancora che la scienza 1042 CARLO CANTONI dell'educazione valesse a qualche cosa nell’educare; nè si pensava, come molti pensano oggi, in cui è pur tanto vantata l’importanza della scienza, che l’arte educativa e didattica richieda meno d'ogni altra in chi la deve praticare il possesso della scienza relativa. Tra i primi suoi scolari il Rayneri ebbe Domenico Berti che, nato nel 1820, era il più giovane dei tre che ho menzionati e fu l’ultimo a mancare dopo una vita più lunga e più ricca di vicende, ma anche più avventurata. Mentre gli altri due si erano quasi intieramente consacrati allo studio ed all'insegnamento, il Berti ci si presenta ne’ suoi molteplici aspetti di storico, let- terato, filosofo, insegnante, uomo politico e ministro. Egli appar- tiene così a quella schiera di uomini ché: seppero congiungere la trattazione e l’esercizio dei pubblici negozii cogli studii più severi, uomini di cui l’Italia porge splendidi esempi in ogni pe- riodo di libertà. Ma più numerosi che in tutte le altre parti di essa sorsero, durante la prima metà di questo secolo, in Pie- monte; e mi basterà ricordare insieme al nome del Berti quelli anche più celebri del Gioberti, del Balbo, del D'Azeglio; che se la schiera di tali uomini va ora sempre più assottigliandosi, forse ciò viene da che la politica odierna è meno adatta al- l’indole scientifica. Uomo politico e giunto nella vita pubblica agli onori ed agli uffici supremi, il Berti ebbe già del suo vivente biografie ed apologie che certo io non ripeterò; poco si disse de’ suoi meriti scientifici e filosofici e son quelli invece che in questo luogo debbono essere rammentati, ed io farò quanto sta in me per rammentarli degnamente e corrispondere in qualche modo alla fiducia in me riposta da questa insigne Accademia nel dar- mene il grave incarico; ma nell’adempierlo io non potrò lasciare totalmente in disparte l’uomo ed il politico, essendo nel Berti troppo intrecciato il pensiero e l’azione, perchè questa sì possa ‘ scindere da quello. Il nome di Domenico Berti è legato colle prime riforme introdotte nelle scuole del Piemonte, riforme che precedettero le politiche, si accompagnarono ad esse e le seguirono. Il Berti aveva appena compiuti i suoi studii universitarii, quando verso il 1846 l’Aporti venne in Piemonte, suscitandovi un grande entusiasmo per l'istituzione degli asili e delle scuole miranti | | DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1043 all'educazione ed all’istruzione del popolo; ed il Berti che, spe- cialmente per l'impulso ricevuto dall’insegnamento del Rayneri, aveva giù a quelle scuole rivolto il pensiero, prese viva parte a-questo movimento e ad esso consacrò i primi anni della sua attività didattica e letteraria. Insegnò il Metodo, come allora si diceva, a Novara ed a Casal Monferrato, ed il suo insegna- mento levò tanto grido, che uomini insigni, quali il Boncom- pagni e Cesare Alfieri si recarono appositamente a Novara per udirlo. Poco dopo, cioè nel 1849, egli pubblicava uno scritto intitolato Del Metodo applicato all'insegnamento elementare, libro che egli dedicò al suo maestro Rayneri e che, se non contiene concetti molto peregrini ed originali, ci è prova però del suo amore all'istruzione popolare e dell’ardore col quale si era dato a studiare tuttociò che la concerne. Egli esamina in questo libro le varie dottrine che in quel tempo erano più in voga, quelle del Pestalozzi, dell’Aporti, del Rosmini, del Lambruschini, ece.; con uguale competenza e sicurezza si addentra nelle questioni teoriche e filosofiche, come nelle questioni più minute e più pratiche; riconosce giustamente come la pedagogia e la metodica si fondino sulla psicologia, e tenta di svolgere alcuni principii di questa per dimostrare tale fondamento; ma dobbiam riconoscere che non è la psico- logia, ed in genere la filosofia pura e teoretica, quella in cui meglio si riveli l'ingegno e la dottrina del Berti; ciò che attira di più la sua mente è la filosofia nelle sue applicazioni e nelle sue manifestazioni storiche. Ma egli non si arrestò all'istruzione popolare; colle nuove leggi che si andavano in quei primordii della nostra vita costi- tuzionale proponendo e discutendo sorgeva la grave questione della libertà d’insegnamento, ed egli la discusse con profon- dità e indipendenza di pensiero in alcuni articoli pubblicati nel 1850) dalla Rivista italiana e dalla Rivista contemporanea. Certo egli non sostiene una libertà assoluta d’insegnamento e vuole imporle certi freni e certe norme; ma in lui, col erescer degli anni, l’amore e la fede nella libertà, lungi dall’intiepidirsi, vennero sempre crescendo; benchè della libertà riprovasse viva- mente gli abusi. In uno scritto intitolato Della libertà d’insegna- mento e della legge organica sull’insegnamento del 4 ottobre 1848 egli si dichiara sostanzialmente favorevole a questa legge, nella 1044 CARLO CANTONI quale era bensì sancita la libertà nella Chiesa e nei privati d’insegnare, ma con certe condizioni. Ecco i principii fonda- mentali propugnati dal Berti: La Chiesa ha il diritto d’insegnare, perchè ne ha il dovere; lo Stato ha il diritto d’ insegnare, perchè ne ha parimenti il dovere; e così il padre di famiglia, così il privato; ma anche questo diritto, come tutti i diritti astratti, dev'essere regolato nel suo esercizio; e la regola sono la giustizia ed il bene pubblico. “ Noi “ abbiamo bisogno , scrive il Berti riassumendo le sue idee “ che un insegnamento “ libero, nazionale, tutelato “e diretto dal Governo, venga preparando gli animi ad un “ miglior avvenire ..... la Chiesa insegni nell’ ordine suo, il “ diritto nei padri di famiglia sia rispettato ... lo Stato pre- “ mova con ogni mezzo questa forte e nazionale educazione. Il “ resto alla Provvidenza ed al tempo ,. Questa sua fiducia nella libertà si mostrò ancor più viva, quando il ministro Lanza, per prevenire i pericoli di un’istru- zione reazionaria della gioventù nelle scuole medie, aveva proposta una legge che impediva ai giovani istruiti nei Semi- narii di presentarsi agli esami pubblici per poter proseguire nelle carriere laiche. In due lettere del dicembre 1855 e gennaio 1856 indirizzate al Boncompagni, allora presidente della Camera, il Berti combatte le proposte del Lanza; perchè egli voleva che sì riconoscessero come validi per entrare nell’ Università gli studii comunque fatti, cioè nelle scuole pubbliche o private, nei Seminarii o nella scuola paterna, purchè i giovani provassero con buoni e severi esami di aver acquistata l'istruzione suffi- ciente; perciò il Berti sostiene “ doversi abolire tutti quei “ provvedimenti che vincolano la libertà dei padri di famiglia, “ dei privati e dei Comuni e nuocciono così alla scienza come “ all'educazione ,. Nè le idee che egli fin d’allora sosteneva dimenticò, quando fu chiamato al Ministero di Pubblica Istruzione; e coll’intento di rinforzare gli studii senza sopprimere la libertà, egli istituì appunto nel 1877 gli esami di licenza liceale. A questa fede nella libertà il Berti non s’inspirò soltanto nel trattare le questioni sulla pubblica istruzione, ma anche le politiche e le sociali alle quali ben presto fu tratto da una naturale inclinazione. Una delle prime, alla quale egli DOMENICO BERTI — CUMMEMORAZIONE 1045 rivolse con molto fervore la sua attenzione, concerne un punto fondamentale dei Governi liberi, cioè il sistema elettorale. Egli ne trattò in una rivista da lui stesso fondata, il primo perio- dico italiano a fascicoli, com’egli dice, che si occupasse di politica, la Rivista Italiana; e fin d'allora manifestò un'idea alla quale rimase sempre fedele, quella cioè che non si può dare il suffragio soltanto alle classi abbienti, ma che esso va esteso anche alle classi popolari. Quand’egli quindi si staccò dalla Destra, a cui apparteneva, nel sostenere il progetto Zanardelli per l'allargamento del suffragio elettorale, non faceva un’apostasia, come gli fu rimproverato, ma restava fedele ad una sua antica convinzione, com’ egli stesso dimostrava nel suo seritto molto posteriore che ha per titolo: Le elussi lavoratrici ed il Parla- mento (1855). — Ma insieme all’allargamento del suffragio egli voleva anche come necessario accompagnamento una riforma per la quale fossero alleggeriti gli aggravii alle classi biso- gnose. La tendenza a favorire queste, a sollevarle coll’istruzione e alleviarne i mali e le strettezze con dei provvedimenti sociali sì mostra già chiarissima nei primordii della vita politica del Berti; e questa tendenza lo condurrà poi assai più tardi, quando sarà fatto ministro di Agricoltura e Commercio, a disegnare pel primo in ‘Italia una legislazione sociale che, sebbene con troppo stento ed incertezza, pur si viene attuando. Poco tempo dopo, nel 1850, il Berti affrontò un’altra que- stione ancor più ardua in uno scritto che ha la modesta appa- renza di una rassegna bibliografica, e che alzò in quel tempo molto grido: voglio dire l'articolo pubblicato nella Rivista Ita- liana e riprodotto poi negli Seritti variù sul libro di Luigi Carlo Farini: Lo Stato Romano. È mirabile in quell'articolo la sicurezza e la temperanza e insieme la libertà di pensiero, colle quali il Berti, assai giovane ancora, discusse una questione così grave e così complicata, come era allora la questione ro- mana. Tra quelli da cui dissentiva, pur professando verso di loro la massima venerazione, egli nomina il Balbo, il Capponi, il Gioberti ed il Mamiani. Noi vogliamo dare un breve cenno del modo con cui egli risolveva 11 terribile problema, perchè ci farà conoscere le idee e i sentimenti del Berti sovra un punto importantissimo della vita degli individui e dei popoli, voglio dire sulla religione. Nel risolvere infatti la questione romana 1046 CARLO CANTONI il Berti non sì restringe a considerazioni puramente politiche, ma, come si richiedeva in un filosofo e come era naturale incli- nazione del suo spirito, egli tratta l’ argomento specialmente sotto l'aspetto morale e religioso. Le idee da lui esposte nel 1850 possono parere comuni oggi dopo tante pubblicazioni e tante e sì gravi vicende, ma esse conservano ancora la freschezza di una profonda e ragio- nata persuasione. Il Berti si dichiara risolutamente contrario anche in politica all’utilitarismo: i mali dell'Europa non sono, dic'egli, l’effetto del socialismo che si va diffondendo, ma deri- vano dall’egoismo e dalle dottrine utilitarie che lo giusti- ficano. Come fondati essenzialmente sull’ utilitarismo il Berti considera tanto quei governi assoluti che hanno per principio di dominare colla forza e di corrompere col piacere quanto il Gesuitismo. Il torto del Papato è di essersi dato in braccio a questo e alle dottrine utilitarie del Dispotismo, abbando- nando le idee evangeliche, ai progressi delle quali si deve se l’Assolutismo non ha condotto l’ Europa ad una nuova bar- barie. Finchè il Papato seguirà il sistema utilitario e gesui- tico, osserva il Berti, ogni conciliazione col liberalismo sarà impossibile; quando poi tornasse alle vere dottrine cattoliche, riconoscerà spontaneamente che non ha alcuna ragione di con- servare il potere temporale. Nè si dica che questo è necessario per l'indipendenza del Papa, la quale è anzi in ragione inversa del suo dominio temporale. Il Berti dunque combatte non solo il potere temporale, ma tutta la politica papale, quella che il Gladstone chiamerà poi col nome di Vaticanismo; e la combatte non già per ostilità o per indifferenza verso la religione, ma per la causa stessa di questa. Egli anzi, seguendo in ciò il Gioberti di cui accettava non poche idee e in politica e in filosofia, non esita a dichiarare che dalla vera fede religiosa, come nemica dell’ utilitarismo, l'Europa deve principalmente aspettare la sua salute; ma /a fede religiosa, egli dice, deve unirsi alla libertà, che è il grande elemento conservatore d'ogni umana associazione. In queste parole noi abbiamo il programma di tutta la vita politica del Berti e ad un tempo la spiegazione dei giu- dizii vari e contradditorii che furono dati sopra di lui. Coloro i quali considerano il liberalismo come la negazione d’ogni idea- iti in rt DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1047 lità religiosa lo giudicavano un clericale; e in questo giudizio erano confermati anche dal riconoscere in lui una certa inclina- zione al misticismo e il desiderio di trasfondere questo negli scolari e negli amici, conversando con loro, tantochè per celia, ma sempre in senso buono, alcuni lo chiamavano fra Domenico; anzi sembra che di questa sua naturale inclinazione desse qualche indizio anche alla Camera, poichè si narra che il Cavour, il quale di lui pur faceva una grande stima, esclamasse un giorno nell’udire un suo discorso: ma qui si fa la predica. Altri con maggior ragione, se non intieramente con ragione, chiamavano il Berti un radicale sia per il suo vivo attaccamento alla libertà, sia per le sue idee democratiche e per la mira costante che egli dimostrava ne’ suoi scritti a promuovere l’educazione ed il mi- glioramento delle classi inferiori. In realtà egli era, per dirlo con linguaggio moderno, un conservatore democratico, avverso sinceramente alle dottrine che vogliono sconvolgere i fonda- menti morali ed economici della moderna società, ma profonda- mente persuaso che tali fondamenti non possono star saldi senza la libertà ed una conveniente partecipazione delle stesse classi popolari alla cosa pubblica e l'accordo di queste colle altre classi. L’ingegno e il sapere di cui aveva dato prova il Berti nelle sue pubblicazioni dovevano ben presto procurargli il do- vuto compenso. Nel 1852 egli era nominato professore di filo- sofia morale in questa Università e poco dopo il collegio di Savigliano lo inviava al Parlamento. E così egli veniva gravato dai doveri di tre uffici diversi, quelli dell’uomo politico, dell’in- segnante e dello scienziato, doveri che il Berti per molti anni adempì con uno zelo ed un'attività esemplari. Il Berti insegnò successivamente la filosofia morale e la filosofia della Storia nell'Università di Torino e la Storia della filosofia in quella di Roma. Nei due primi insegnamenti, nei quali io ebbi la fortuna di essergli scolaro, egli non soleva seguire un metodo scolastico nè un ordine rigoroso; trattava liberamente di quegli argomenti a cui le sue particolari inclinazioni lo trae- vano, e dalle sue lezioni traspariva l’apostolo di un'idea. Però egli si dimostrò molto atto ad insegnare alcune parti della storia della filosofia, allo studio delle quali egli fu spinto dalle sue stesse tendenze mistiche: voglio dire quelle parti che ab- bracciano i periodi delle lotte e delle persecuzioni religiose, 1048 CARLO CANTONI perchè in essi più vivamente si manifesta il carattere e la forza delle dottrine e delle credenze religiose. . Cattolico e credente, desideroso anzi di diffondere intorno a sè la fede che lo animava, egli però la nutriva e professava a modo suo; non voleva una fede imposta, in ciò concorde col suo amico e collega venerato G&. M. Bertini, di cui però non partecipava i dubbii angosciosi. Questo ci spiega il perchè, mal- grado le sue credenze, egli nutrisse una grande simpatia per tutti i ribelli, per gli eretici, per i perseguitati. Da ciò i suoi studii amorosi sul Rinascimento italiano, su Giordano Bruno, su Campanella, su Galileo, su Pomponacci. Un altro sentimento però lo traeva a’ questi studii ed era il suo sentimento patriottico. Gli pareva che il Rinascimento fosse l’epoca più splendida per le lettere, la scienza, la civiltà del nostro paese, e nello studio di essa provava un’intima compiacenza. Splendida e calorosa è la descrizione che egli ce ne dà nella sua Prolusione al Corso di Storia della filosofia che egli lesse nel 1872 nell’ Università di Roma. Come un vanto di quel tempo nota che in esso gli scien- ziati, i letterati, i filosofi, mentre attendevano agli studii, non aborrivano dalla pratica degli affari pubblici, e molti anzi si resero ugualmente segnalati per il loro valore letterario e per il politico. Lo studio di quei filosofi corrispondeva pienamente all’inclinazione del suo spirito; ciò che più lo attraeva era di esaminare una dottrina in relazione al carattere di un perso- naggio storico, e quella e questo in relazione co’ suoi tempi. Ora, a soddisfare questa sua inclinazione era meravigliosamente adatto il nostro Rinascimento : quei filosofi non hanno impor- tanza solamente per i loro scritti e per le loro dottrine, come i più dei filosofi posteriori, come Cartesio, Malebranche, Spinoza, Hume, Kant; la vita e specialmente la morte del Bruno, il processo di Galileo, la prigionia del Campanella sono fatti storici che eccitano l’interesse e l’attenzione dello studioso in grado non minore delle loro dottrine filosofiche o scientifiche. Perciò il Berti, sebbene fosse perfettamente in grado di comprendere e penetrare le dottrine di quei pensatori, si ri- volse piuttosto a determinare il posto e l’importanza che essi hanno nella storia. Per tal rispetto i numerosi lavori del Berti sul nostro Rinascimento portarono alla storia di questo un ricco contributo. Alla larga comprensione del soggetto egli DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1049 aggiungeva uno studio minuto e diligente dei particolari, una critica acuta ed imparziale, l’ardore nel ricercare nuovi docu- menti per schiarire, illustrare e rettificare i fatti. Ma questa ricerca di documenti nuovi, che era stata inspi- rata al Berti dal suo amore del vero e quindi dal desiderio di andare al fondo dei fatti storici, specialmente di quelli più con- troversi o più oscuri, divenne in lui, com’ egli stesso dice in una sua lettera al Gorresio, una vera passione: per raccoglier documenti nuovi non so cosa farei, scrive egli, ma è altresì singo- lare che una volta raccolti e disposti li lascio giacere colla speranza di metterne insieme altri. Perciò in molti lavori che egli aveva preparati si lasciò prevenire da altri storici. Ciò non ostante noi dobbiamo a quel suo amore di ricercare e pubblicare documenti nuovi dei lavori importanti; fra i quali è da mettersi per primo la sua Vita di Giordano Bruno, ch'egli pubblicò per la prima volta nel 1868, e di cui fece poi una 2* edizione nel 1889 notabilmente accresciuta. È questa forse la migliore pubblicazione che il Berti abbia fatto sui filosofi del Rinascimento. È un la- voro compiuto, quanto alla vita del filosofo, al suo carattere, ai tempi in cui visse ed al posto che egli occupa nella storia. Il Berti segue il Bruno in tutte le peripezie della sua vita fortunosa, compulsando tutti i documenti che la riguardano, tra i quali sono importantissimi quelli che concernono la prigionia ed il processo subiti dal Bruno a Venezia e che furono pubbli- cati dal Berti stesso per la prima volta. Sono documenti che fanno conoscere il Bruno ed i suoi tempi meglio di qualsiasi illustrazione storica. Di un altro infelice perseguitato si occupò amorosamente il Berti ne’ suoi studii e nelle sue ricerche e fu Tommaso Cam- panella, del quale pubblicò un carteggio interessantissimo, ed in tre commoventi articoli, inseriti nella Nuova Antologia, narrò le dolorose vicende avute prima, durante e dopo il carcere. Importanti per la storia di una grande questione scienti- fica ne’ suoi rapporti colla religione e colla Chiesa sono le pubblicazioni del Berti relative a Copernico ed a Galileo. Nel 1873 l’Università di Roma volle celebrare con una solenne commemorazione il IV centenario della nascita di Co- pernico e ne fu dato incarico al Berti, il quale fece uno splen- dido discorso che egli, dopo averlo ampliato e corredato, secondo Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 71 1050 CARLO CANTONI il suo costume, di nuovi ed importanti documenti, pubblicò nel 1876 col titolo: Copernico e le vicende del sistema copernicano in Italia nella seconda metà del secolo XVI e nella prima del XVII. Già in questo scritto appariva chiaro il vivo interesse che egli aveva preso alla storia e alle vicende di Galileo e al suo pro- cesso. Nel suo scritto il Berti mette bene in chiaro quanto Coper- nico dovesse all'Italia, dove ebbe i suoi maestri ed i suoi pre- cursori, non che il più grande seguace del suo sistema, Galileo. Venendo a parlare di questo in particolare, il Berti si studia di chiarire la questione, che in linguaggio moderno diremmo pregiudiziale, agitatasi nel processo fatto a Galileo tra lui ed i teologi che lo processavano. Galileo sosteneva che la questione concernente il moto della. terra era una questione affatto estranea alla religione, e che non poteva sopra di essa invocarsi la testimonianza della Bibbia, la quale, secondo la sua mas- sima, doveva esser tenuta fuori di tutte le ricerche e di tutte le dispute della scienza. Il Berti ci mostra assai bene con quanto coraggio e vigore Galileo sostenesse la dottrina: copernicana contro i suoi giudici che volevano elevare a dogma la dottrina contraria, e con quanta chiaroveggenza egli li ammonisse dei gravi pericoli che facevano correre alla religione disconoscendo i diritti assoluti della scienza e arrogandosi la facoltà di deci- dere intorno a cose puramente scientifiche. Prima ancora della Commemorazione di Copernico, anzi ancor prima del ‘70, il Berti si era occupato del Processo fatto a Galileo dal S. Ufficio di Roma, cercando di vedere e di esa- minare gli atti originali. La cosa non poteva essere molto fa- cile a lui, implicato nella politica; pure gli riuscì, e tra il 1869 ed il 1871 potè aver copia di importanti documenti inediti con- cernenti quel processo, ch'egli pubblicò nel 1876 in Roma col titolo: Il Processo originale di Galileo Galilei pubblicato per la prima volta da Domenico Berti. Questa pubblicazione suscitò vi- vaci polemiche che il Berti sostenne con molto vigore: il pro- cesso fu pubblicato da altri per intiero, ed il Berti, che nel frat- tempo aveva potuto riscontrare gli atti originali, fece su questi nel 1878 una nuova edizione del Processo accresciuta e corretta. Il libro del Berti non contiene soltanto i documenti che concernono i due processi subiti da Galileo, ma ancora una rad 44 DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1051 minuta narrazione dei fatti che precedettero il primo pro- cesso, terminato colla condanna di Copernico e coll’ammonizione fatta a Galileo nel 1616, ed il secondo, terminato colla con- danna di Galileo nel 1633. In questo ed in altri scritti che concernono Galileo è da lodarsi la perfetta sincerità ed impar- zialità del Berti. Egli stesso scrive giustamente a questo pro- posito in un articolo pubblicato dalla Nuova Antologia, che la storia religiosa dev'essere scritta criticamente collo stesso metodo col quale si scrivono tutte le altre storie; e di tale metodo ci dà qui uno splendido esempio poichè, malgrado la sua fede profonda- mente religiosa, non esita ad affermare “ essere provatissimo “ che non hanno valore storico o critico i molti scritti che si « pubblicarono ai nostri tempi colla pretensione di dimostrare “ che il S. Ufficio non intese proibire la dottrina copernicana, ma le idee teologiche con cui Galileo cercò di interpretarla ,. Non è Galileo, soggiunge il Berti, che abbia giudicato di cose teologiche, ma sono i teologi che giudicarono di cose scienti- fiche; tantochè venne fatto a Galileo obbligo speciale ed as- soluto di non tenere o difendere in modo alcuno la dottrina co- pernicana, “ ut prorsus tolleretur tam perniciosa doctrina ,. E come è franco e risoluto nell’appurare e chiarire i fatti, così non lo è meno nel giudicarli. Mentre rileva la somma im- portanza degli scritti di Copernico e di Galileo intorno al moto della terra, tanto da affermare che essi hanno operato nella società umana un mutamento più profondo che non la scoperta del Nuovo Mondo e la stessa Riforma, egli osserva poi che la condanna inflitta a Galileo gal S. Ufficio tolse all’ Italia, che più ne doveva godere, quasi tutti i benefici effetti di quegli scritti. Nel concludere la sua bella Introduzione storica al Pro- cesso di Galileo il Berti descrive con severe ma giuste parole i gravi danni prodotti all’ Italia da quella condanna. «“ L’ Italia — scrive il Berti — dopo il meraviglioso periodo di una civiltà vigorosa e tutta domestica del secolo decimo- terzo, dopo il secondo periodo di una civiltà meno casalinga, ma sua ancora, perchè latina, nel secolo decimoquinto, si vide arrestata in sul principio di un terzo non meno splen- dido periodo. Le vessazioni e le proibizioni scemarono ga- gliardia e spontaneità e universalità alla nostra mente, lo stile divenne incerto, indeterminato ; ed interdetto il trattare “ 1052 CARLO CANTONI “ di governo, di scienza e di religione, ci 1 volgemmo a cose fri- “ vole e di poco conto. “ Alle grandi accademie costituite coll’ intento di rinno- “ vare e promovere gli studì speculativi e di filosofia naturale, “ sottentrano le piccole non aventi scopo di sorta. Ne scapi- “ tarono la operosità intellettuale, l’ amore per le ricerche e «“ per la verità obbiettiva, la grandezza dei sentimenti e la no- «“ biltà del carattere. Niuna cosa tanto nuoce ad un popolo quanto l'obbligo di esprimere solo per metà il pensiero o di “ velarlo. La nazione in cui questa condizione di cose si avvera di- “ viene intellettualmente inferiore alle nazioni cui è dato di “ spaziare liberamente nelle vaste regioni dello scibile. La sua coltura si fa ristretta, priva di originalità, vaporosa, ombra- tile. Nascono abitudini servili e di dissimulazioni; scompaiono i grandi libri, le grandi persone, i grandi propositi. Il che “ spiega come dopo circa tre secoli la speculazione in Italia provi ancora grandissima fatica a riaversi dal colpo con cui fu percossa nella persona di Galileo ,. Queste parole ci mostrano come il Berti ne’ suoi lunghi e diligenti studii sul processo di Galileo non fosse mosso soltanto dal desiderio di risolvere una questione storica, ma anche da un alto intento morale e civile. Noi abbiam veduto come fin dal principio della sua carriera il Berti sia dominato dal pensiero di accordare la fede religiosa coll’amore della scienza e della patria. Però una delle condizioni principali di tale accordo è che la religione non sia d’ostacolo ai progressi del sapere, ammetta cioè la libertà della scienza. Ora, nessun fatto storico è più atto a dimostrare la necessità di tale condizione, i danni e pericoli gravissimi che sorgono mancando questa, quanto il processo di Galileo. L’intento civile e morale del Berti appare ancor molto chia- ramente negli scritti che non trattano un soggetto filosofico o scientifico, ma concernono la storia letteraria o politica. Su questi scritti non possiamo fermarci a lungo; ma non si avrebbe una chiara idea della grande e molteplice attività del Berti, se non dessimo un cenno anche di essi e specialmente de’ più im- portanti, quali sono le due bellissime monografie su Cesare Al- fieri (1877) e su Cavour avanti il 1848 (1886) e gli scritti su Gioberti e Vittorio Alfieri. DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1053 In tutte queste pubblicazioni il Berti dà prova di conoscere mirabilmente la storia del Piemonte dal 1815 in poi e special- mente la storia della promulgazione dello Statuto, i precedenti e i primordii della nostra libertà. Le informazioni e i documenti che egli seppe raccogliere e pubblicare intorno alle vicende di quel tempo e ai personaggi che vi operarono, sono molto impor- tanti e pieni d’interesse. Ma, a parte il merito storico, un altro pregio più intrinseco va segnalato in questi scritti del Berti, ed è il profondo senti- mento morale e l’amore vivissimo della patria, che da tutte quelle pagine traspirano. Egli è, al pari di Kant, penetrato dal pensiero che ciò che più vale e fa nel mondo è la forza del volere morale, da cui principalmente dipende ogni vera gran- dezza, sia scientifica, sia politica. Parlando dei meriti di Co- pernico e di Galileo egli dice che “ l’esempio di questi due “ uomini prova che la scienza è in gran parte opera morale “ e che presso i varii popoli essa è in ragione del loro amore “ per la verità ,. Negli scritti sopra Vittorio Alfieri, sull’Ornato, su Cesare Alfieri, su Cavour mette sempre in rilievo l’ impor- tanza del volere. Mentre tanti storici e biografi si studiano di presentarci i fatti e gli avvenimenti come opera del fato o come prodotti di un meccanismo storico superiore alla volontà del- l’uomo, il Berti mette sempre in gran rilievo il valore e la forza della volontà individuale. Egli ammira tale forza specialmente in Vittorio Alfieri ed in Camillo Cavour, e la monografia intorno a questo, nella quale egli ne lumeggia così bene il carattere e le vicende giovanili ed il modo con cui seppe prepararsi ai grandi fatti che lo attendevano, è dedicato dal Berti ai giovani italiani, perchè questi conoscano i virili propositi, gli studii larghi e pro- fondi di Camillo Cavour e la gagliarda educazione di sè stesso alla vita pubblica. La biografia su Cesare Alfieri, così pregevole per finezza di osservazioni psicologiche, per serenità di giudizii ed efficacia di stile, è tutta impregnata di alti concetti morali suggeriti al- l’autore tanto dal soggetto stesso quanto dal sentimento proprio. Splendido è il ritratto che il Berti ci fa di Cesare Alfieri e tale che onora l’uno e l’altro: “ In quest’ uomo — scrive il Berti “ — vi ha perfetta armonia tra l'interno e l'esterno, tra il pen- siero e l’opera. Nelle congiunture più difficili egli sta saldo “ 1054 CARLO CANTONI «“ e sempre si dà a vedere sotto un solo aspetto. Retto nel giu- «“ dizio, puro negli intendimenti, osservatore della giustizia, mo- desto, riservato, ad alta dignità di sentire unisce singolare «“ bontà d'animo. Ne’ suoi affetti sono uguali il re ed il popolo. «“ Ama la libertà per istinto, per abitudine, per larga coltura... In lui tutto era vero: modi, atti, parole, la stessa fisonomia «“ stava mallevadrice della verità del suo animo ,,. A questa ben colorita descrizione il Berti aggiunge più in- nanzi un nuovo tratto e, cogliendo l’occasione per segnalare il carattere comune ai principali uomini politici del Piemonte in quel tempo e per ribadire il suo concetto morale, scrive: “ Ce- sare Alfieri tutto inteso alla patria ed al principe non mirava a guadagni come non vi miravano molti suoi illustri coetanei che si segnalarono nel nostro Risorgimento. Forse da questa virtù più che dall’ingegno trasse gagliardia il piccolo Pie- monte, ed è per questa virtù, capace di esplicazione infinita, che principe e stato trovarono sangue, danaro e nobiltà di opere il giorno che procedettero concordi alla instaurazione della gran patria italiana ,. E questa medesima virtù il Berti celebra con commoventi parole anche nel Gioberti, nello scritto dedicato a questo col titolo di Vincenzo Gioberti riformatore politico e ministro, nel quale. alla franca parola con cui espone i difetti del grand’uomo, si accompagna l'ammirazione più viva per le singolari qualità del suo ingegno e del suo carattere e la venerazione più profonda per le sue virtù. Gioberti, dice il suo biografo, non fu e non sapeva essere un ministro costituzionale, non sapeva tollerare le opposizioni e fu spesso ingiusto nel giudicare de’ suoi avver- rarii; ma egli fu un gran patriota, amò l’Italia sovra ogni cosa, per essa visse e pensò, e fu un uomo virtuoso. “ La sua vir- “ tuosa parsimonia — scrive il Berti — e lo sprezzo del danaro lo rendettero invincibile. E disse quel che volle, come volle e quando volle. Allorchè cosiffatte virtù, le quali mantengono gli uomini veramente liberi, vengono meno, essi sono obbli- gati a servire mendicando sotto una forma od un’altra. Quanti non sono mendichi in Italia! Medesimamente non curò gli onori ed i titoli e si tenne lontano da ogni ombra di mac- chinazioni e di raggiri. L’animo suo fu così alto che anche i suoi più accaniti avversari non ne mettono in dubbio l’inte- grità re ro DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1055 Ma in questo medesimo scritto il Berti difende francamente gli uomini di stato piemontesi che dopo l’infelice successo delle due guerre del ‘48 e del ’49 tennero il governo di questo paese, e che dal Gioberti erano stati aspramente accusati di municipa-. lismo e considerati come cagione principale della rovina d’Italia. Quest’accusa è falsa, dice il Berti, poichè “ Tutti i Ministeri “ del Vecchio Piemonte, nati sotto gli ordini costituzionali, in- “ cominciando da quello di Cesare Balbo che fu il primo e ter- “ minando con quello di Camillo Cavour che fu l’ultimo, si fecero “ tutti propugnatori della politica nazionale ,. Questo ‘scritto, come tutti quelli che trattano di cose e uomini piemontesi, ci mostra quanto vivo fosse nel Berti l’amore per il natìo Piemonte, amore che però nell’animo suo si accor- dava e fondeva con quello della patria comune. Così in quegli scritti ciò ch'egli cerca specialmente di far conoscere sono le relazioni varie del Piemonte coll’Italia, cioè tanto le relazioni politiche quanto le scientifiche e le letterarie. — Parlando del- l’Alfieri, che, secondo l’affermazione del D'Azeglio, avrebbe ri- velata l’Italia al Piemonte, osserva esser ancor più vero ch'egli aveva rivelato il Piemonte all'Italia. E a far meglio conoscere la parte avuta dal Piemonte nella letteratura italiana egli nel- l'Accademia della Crusca, di cui era membro, lesse nel 1879 un discorso molto interessante sugli Accademici piemontesi, ripro- dotto poi negli scritti varii col titolo: I Piemontesi e la Crusca. In esso il Berti ci dà un elenco completo di tutti i Piemontesi che appartennero alla Crusca sia nel suo primo periodo che va dal 1582 al 1783, sia nel secondo che viene dal 1811 ai nostri giorni. Di ognuno di quegli accademici ci dà, quando gli è possi- bile, qualche notizia, e sopra alcuni specialmente del secondo pe- riodo si ferma lungamente a dimostrare l’opera loro nel coltivare e promovere lo studio della lingua italiana. i Anche l’ultima sua pubblicazione originale, fatta nel 1893, è consacrata ad una antica e grande istituzione piemontese, di- venuta poi italiana, voglio dire quella sull’Ordine Mauriziano, ch'egli con gentile pensiero dedicava ai Reali nell'occasione in cui si celebrava il venticinquesimo anniversario delle loro nozze. Fin dal 1889, morto Cesare Correnti, il Re aveva chiamato il Berti all’alto ufficio di Primo Segretario, posto che egli aveva ben meritato con una vita spesa costantemente in servizio della 1056 CARLO CANTONI patria e del Re. Ma, finchè gli bastarono le forze, egli non tenne l’alto ufficio come un posto di riposo; anzi esso gli fu occasione ed eccitamento a nuovi studii sulla storia del Piemonte e della Dinastia, storia colla quale quella dell’ Ordine è strettamente connessa. Il Berti nella sua pubblicazione ci espone le vicende e le trasformazioni dell'Ordine, ci dà molte notizie biografiche intorno agli uomini che vi occuparono diversi uffici e special- mente intorno a’ suoi predecessori nel Primo Segretariato; mostra come anche l’Ordine fin dal tempo di Carlo Emanuele I e per merito di questo abbia contribuito all'italianizzazione del Pie- monte, e come le ultime riforme, specialmente introdotte dal Cibrario, abbiano allargati assai gli intenti e l’opera dell’ Or- dine; cosicchè questo non mira soltanto alla pura beneficenza, ma anche alla diffusione dell’istruzione popolare e cerca di pro- movere o di incoraggiare il culto delle scienze, delle lettere e delle arti. Ma l’attività del Berti non si arrestò ancora: benchè op- presso dall’età e dai malanni, pubblicava ancora nel 1895, due anni prima di morire, la corrispondenza di Cavour colla contessa di Circourt e compiva, senza poterla pubblicare, una Vita di Carlo Alberto avanti del Regno. La morte lo rapiva il 22 aprile del 1897, quando già la mente era stanca e la penna gli era caduta di mano; egli mo- riva dopo aver nobilmente e vigorosamente compiuto il suo do- vere d'uomo e di cittadino. In quel suo breve ma interessante scritto su Luigi Ornato aveva celebrata la virtù del lavoro; ed egli aveva col suo lavoro compiuta un’opera che avrebbe ono- rata la vita di più uomini. Aveva affermato, ricordando le parole dell’Ornato, che le nazioni si rifanno col lavoro e che il rifa- cimento nazionale è nelle mani di ciascuno di noi, perchè cia- scuno ha in sè una forza perenne di risurrezione. E di ciò volle porgere nella sua vita uno splendido esempio. Ma essa ci di- mostra pure come talvolta la virtù ed il merito siano dal mondo riconosciuti e ne abbiano il dovuto compenso. Uscito dal popolo il Berti seppe conseguire i più alti gradi nella scienza e nella vita pubblica, divenire due volte ministro, primo segretario del- l'Ordine Mauriziano, senza mai deviare dal suo sentiero, senza piegarsi ad alcuno, senza nulla chiedere e nulla nascondere de’ suoi pensieri e de’ suoi sentimenti. E, caso più raro ancora, DOMENICO BERTI — COMMEMORAZIONE 1057 egli ottenne i sommi gradi e i sommi onori senza eccitare at- torno a sè nè odio nè invidia. Forse il segreto di così rara fortuna stava nella sua singo- lare bontà, nell'animo suo privo d’ogni acredine verso chichessia, in quel suo fare sereno e patriarcale con cui trattava ognuno. Eletto per la prima volta deputato sin dalla IV legislatura nel 1850, cioè appena compiuta l’età prescritta, egli era uno dei più vecchi rappresentanti di questo antico Piemonte, ed un vivo rammarico sorge in tutti noi, che egli non sia vissuto tanto da partecipare al glorioso cinquantennario, che questa città ha testè così degnamente festeggiato. Niuno forse meglio di lui vi avrebbe potuto rappresentare la generazione piemontese del ’48 nelle sue più alte e nobili aspirazioni, niuno certo avrebbe meglio di lui potuto ramme- morare quei tempi, quegli uomini, quelle opere, che egli co’ suoi scritti aveva saputo con tanto amore, dottrina e veracità illu- strare. Egli avrebbe potuto dire quale grande fortuna sia stato l'acquisto dell'unità e della libertà e quale rovina sarebbe per l’Italia la loro perdita, egli che dell’unità d’Italia e della sua libertà era stato costante sostenitore; ma rammentando le virtù ed i sacrificii, ai quali era dovuta la nostra risurrezione, egli avrebbe anche ripetutii suoi severi ammonimenti e ricordato alla nostra gioventù che, quando si vuole la vita piana, levigata, fa- cile, la scienza senza lo studio, la ricchezza senza il lavoro, lo sca- dimento è inevitabile. Il Berti traeva queste solenni parole dai ricordi di un altro illustre piemontese, Luigi Ornato; e con esse io voglio porre termine alla mia commemorazione, augurandomi che non restino senza frutto per la futura generazione italiana. 1058 CARLO 0. ZURETTI Sofocle nelle “ Rane , di Aristofane; Nota del Prof. C. O. ZURETTI. Habent sua fata libelli, ed anche le opinioni hanno i loro destini, sorgendo, tramontando, risorgendo con alterna vicenda e per cause varie, fra le quali non ultima questa, che si bada spesso non alla sentenza in sè, ma a chi la pronuncia: ond’è necessario che tanto più si impugni una non retta opinione, quanto è maggiore l'autorità di chi la professa, quanto è mag- giore il consenso che tale autorità può conciliare a idee meno conformi al vero. È il caso di insistere sull’ àugow dvtow gi- Nov, piltepov TAlNBEg, dacchè sono due filologi di grido, il van Leeuwen ed il von Wilamowitz-Mollendorf, che sostengono una tesi diametralmente opposta all'opinione comune la quale va caldamente propugnata. Diu est ex quo perspicere mihi visus sum, dice il van Leeuwen (1), initium fabulae nostrae seribendae vivo Sophocle fecisse comicum, et in calce dissertationis meae inau- guralis anno 1876 thesin posui co pertinentem. Eadem nunc est Wilamowitzii sententia. Ed il Wilamowitz (2), conforme al suo costume, mostra una convinzione ferma ed assoluta, esente da qualsiasi dubbio, contentandosi di affermare: man braucht sich aber nur die ganze fabel des stiickes, das auf ein duell 2wischen Aischylos und Euripides angelegt ist, zu iiberlegen und vollends die diirftige und gezwungene weise, wie Sophokles in den Hades eingefuhrt, fiir den gang der Komòdie aber bei seite gestellt wird, (1) Arisrorzanis Range. Cum prolegomenis et commentariis edidit J. van Leeuwen. Lugduni Batavorum, apud A. W. Sijthoff, mpeccxevi, p.vi, n. 3. (2) U. von WiLamowirz-MoeLLenpore, Euripides Herakles, Berlin, Weid- mannsche Buchhandlung, 1889, I, p. 2 e 3. SOFOCLE NELLE « RANE » DI ARISTOFANE 1059 zu erwigen, um zu erkennen, dass dies ein vom dichter aus not wider seinen ersten plan eingefiihrtes motiv ist, mit anderen wor- ten, dass er den plan zu seinem drama entworfen hat, als So- phokles noch lebte. Non conosco gli argomenti del van Leeuwen, ed è non improbabile che nel luogo che egli cita enunciasse soltanto la tesi senza accennare a quale ordine di idee egli volesse richia- marsi per sostenerla; ma quanto è detto dal Wilamowitz par- rebbe decisivo, date almeno le sue parole. Però nel breve cenno del dotto e geniale professore, ora Berolinense, non poche cose sì suppongono provate, che non sono, e da premesse si dedu- cono conseguenze nè in alcun modo logicamente necessarie nè corroborate dalla riprova dei fatti; anzi dalle affermazioni stesse del Wilamowitz risulta una prova contraria a quanto egli so- stiene. Sicchè, pur col debito rispetto all'autorità sua ed alla autorità dell’erudito Olandese, è pregio dell’ opera investigare la questione, che finora, a quanto sappiamo, fu piuttosto toc- cata che svolta, ed agli argomenti già prima addotti per l’opi- nione comunemente accettata, altri aggiungere, i quali contri- buiscano a convalidarla. La base sulla quale si appoggia l’affermazione del Wila- mowitz è l'osservazione che a Sofocle nelle Rane è assegnata una parte troppo esigua. Non si può e non si vuole negare che la parte sia poco estesa; ma si deve notare che l’impor- tanza di una parte non si giudica unicamente dall’estensione, chè non in tutte le contingenze il medesimo personaggio in egual misura contribuisce e partecipa all’azione sia nella vita, sia nel drama. Un esempio chiarissimo ci è fornito anche dai nostri romanzi storici, nei quali ordinariamente persone impor- tantissime hanno piccola parte; nei quali spesso l’estensione della parte è, direi, inversamente proporzionale all’ importanza storica dei personaggi: ciò è ovvio altresì nei drami del teatro Greco. Sicchè si dovrebbe intendere che la parte assegnata a Sofocle nelle Rane sia troppo inferiore a quella che avrebbe potuto e dovuto avere, e che si riscontri in ciò un altro di quei difetti nell'economia del lavoro, che più di un critico si compiace di mettere in luce per questa comedia di Aristofane Ma in ciò i critici hanno torto ed i loro giudizi sono troppo informati a norme di arte posteriore e più matura; e quanto a 1060 CARLO 0. ZURETTI Sofocle si deve affermare che, dato il piano delle Rane, nè po- teva nè doveva avervi parte più estesa, perchè appunto le Rane, come ben dice il Wilamowitz, hanno a ‘fondamento un duello fra Eschilo ed Euripide, nel quale la parte di Sofocle è necessariamente secondaria, è tutt’al più quella dell’ Èépedpog (v. 792) e perciò poco estesa: il che non vuol dire poco im- portante. Tale posizione è mirabilmente adatta a Sofocle eùkoNog pèv évedò’, eUkorog d’ ékeî (v. 82), a Sofocle che nè a fatti nè a pa- role, neppure nel tumulto infernale, che scompigliava perfino Plutone, mai non smentisce la sua tranquillità e solo dichiara di rimanere al suo posto, se Eschilo vince, e di gareggiare nel caso contrario con Euripide; laddove al pensiero della lotta Eschilo éBiewe yoùv tTaupndòv erkiwag xétw (v. 804). Dato il carattere, e, per così dire, il temperamento di Sofocle, il poeta Coloneo nelle Rane è perfettamente a posto, anche nella ri- nuncia amichevole, a favore di Eschilo, del trono della tra- gedia; d’altronde se anche fosse stato uno spirito battagliero, in un duello fra Eschilo ed Euripide la parte sua sarebbe pur sempre stata accessoria. Ma la parte assegnata a Sofocle non è soltanto adatta all'uomo, ma è convenientissima altresì al- l’artista che molto prese e fece suo dell’arte Eschilea e molto pure prese e fece suo dell’ arte Euripidea; e questo bene sel sapea Aristofane che dell’arte Euripidea era grande e fine co- noscitore ed imitatore: ne veniva che Sofocle non si trovava in contrapposizione nè all'uno nè all’ altro poeta, ma piuttosto ne contemperava in felice equilibrio gli elementi. Laonde in una lotta per assicurare il primato all’uno o all’altro tipo del- l’arte tragica, i campioni naturalmente designati non potevano essere che Eschilo ed Euripide, e Sofocle tanto meno poteva venir messo in lotta col poeta Salaminio quanto era più recente l'omaggio che alla memoria di Euripide egli aveva tributato col prendere il lutto egli stesso e col farlo prendere a’ suoi attori, quando giunse ad Atene la notizia della morte del poeta. A questo omaggio, non si deve dimenticare, sono immediata- mente posteriori le Rane, le quali con esso non potevano met- tersi in contraddizione, assegnando a Sofocle una parte decisa- mente avversa ad Euripide. A queste ragioni un’ altra se ne aggiunge particolarmente SOFOCLE NELLE <« RANE » DI ARISTOFANE 1061 importante e nelle Rane e per Aristofane, poeta eminentemente civile e politico. La gran contesa poetica, e qui si appalesa il fine giudizio di Aristofane, non è decisa e risolta con criterii artistici, ma con criterio civile e politico, nel quale la supe- riorità di Eschilo era incontestata, potendo contrapporre alle teorie di Euripide sia i principii cui informò la sua vita, sia la sua vita stessa di Mapa@wvoudyos. Ma per la politica So- focle non poteva farsi innanzi, perchè (Ione in Ateneo 604, a) tà uévToI MOMITIKA OÙTE COmÒG OÙUTE Permtmpiog fiv, GMN° we dv tIG eig tOv xpnotòv ’A@nvaiwv: tutti poi rammentano la nota ri- prensione fatta al poeta Coloneo da Pericle. Quando a ciò si aggiunga che: Aristofane “ non disponendo di più che tre attori, doveva limitare il numero dei personaggi , (1), si può com- prendere che Sofocle nelle Fame non compaia nel primo piano del quadro, ma nello sfondo, che la parte a lui assegnata sia poco estesa; il che, ripeto, non vuol dire poco importante. Sofocle non viene neppure mai sulla scena, ma soltanto si espone brevemente quello che ha fatto, quello che farà; però la posizione nel quale egli è messo costituisce un serio pericolo per Euripide prima ancora che la lotta sia decisa, e risolta questa i vantaggi che nell’Ades sarebbero stati dal trionfo as- sicurati ad Eschilo tornano tutti a favore di Sofocle, che nel- l'assenza di Eschilo deve occupare il trono della tragedia e conservarlo ad Eschilo. Sofocle non viene neppure mai sulla scena, ma la parte sua è paragonabile a quella di Achille sotto la tenda, di quell’Achille del quale tanto maggiormente appare l’importanza, quanto minore è il suo intervento diretto nel- l’azione. Quale maggiore importanza di questa? Anzi a questo proposito giova rammentare l’artificio dell’Alfieri, che in molte tragedie fa giungere il protagonista sulla scena soltanto dal secondo atto in poi, pur risultandone l’importanza e la gran- dezza sino dal primo atto, nel quale il protagonista non inter- viene direttamente all’azione. La parte di Sofocle è dunque adattissima al piano delle Rane, al carattere ed all'importanza del poeta, alle esigenze esterne (1) Le Rane di Aristorane tradotte in versi italiani da A. FRANCHETTI, con introduzione e note di D. ComparertI. Città di Castello, S. Lapi, tipo- grafo editore, 1886, p. xxx. 1062 CARLO 0. ZURETTI e materiali del teatro Greco: da tutto ciò si deve dedurre che essa nelle Rane è dovuta ad aggiunta posteriore al concepi- mento primitivo del lavoro ? Essendo ancor vivo Sofocle, come avrebbe potuto Aristofane far dir da Eschilc ;he l’arte tragica non è morta con lui, ma è morta con Euripide ? (vv. 868-9). Era facilmente prevedibile, data l’avanzata età di Sofocle, che presto il poeta sarebbe mancato ai vivi; ma, data l'ammirazione degli Ateniesi per Sofocle, l’affermare, vivo Sofocle, che l’arte tragica era morta con Euripide, era cosa impossibile. Rimarrebbe per taluno un facile appiglio nell’ipotesi, e se ne sono fatte tante, che anche questi versi, che stanno così bene, là dove sono messi, siano tra le altre, una delle abili aggiunte che Aristo- fane in causa della morte di Sofocle avrebbe fatto al piano primitivo delle Rane. Ma sarebbe argomentazione strana quella che dalla coerenza e dalla omogeneità delle parti deducesse che qualche elemento è posteriore: soltanto nel caso opposto si po- trebbe avere un punto di partenza per accampare una tale ipotesi, alla quale manca d'altronde un qualsiasi fondamento. Ed invero non può concepirsi le comedie delle Rane senza il presupposto della morte di Sofocle, che è perno e fondamento dell'invenzione e dell'esecuzione; perchè sarebbe inconcepibile che Dioniso scendesse all'inferno per ricondurre Euripide, finchè Sofocle, vivo ancora e produttivo non ostante la tarda età, po- teva mitigare il m600g e del dio e del pubblico: qui sta anzi la spiegazione della tragicomedia che Aristofane ci dà nella prima parte delle Rane, e qui si appalesa il nesso fra la prima parte e la seconda. Soltanto la morte di Sofocle toglieva defi- nitivamente al teatro Ateniese i suoi grandi tragici e faceva nascere un senso di sgomento per l’avvenire, che non avrebbe più, come il passato, creati capolavori della tragedia: la tra- gedia era ben morta oramai. A questo sentimento si ispira il principio delle Rane, s'ispira l’azione della comedia, sì ispira la conclusione: se ci fosse stata la speranza di un buon poeta tra- gico Dioniso non sarebbe neppure disceso all’inferno. Così tutta la comedia appare, qual'è, omogenea e coerente, ed i critici al più possono dolersi dell’ampiezza della prima parte, che è pur tanto gustosa e non difforme dal libero procedimento della musa comica pre-Menandrea, possono al più supporre interpolazioni, le quali però debbono credersi assai limitate anche per l’intima SOFOCLE NELLE <« RANE » DI ARISTOFANE 1063 coerenza della prima parte, sia che venga considerata negli elementi onde risulta, sia che venga studiata in quanto con- cerne l’intimo rapporto colla seconda. E ciò risulta particolar- mente dalla costanza della parodia Euripidea, che anche nella prima parte delle Rane è sparsa a piene mani, e rivela appunto l'ampia conoscenza che Aristofane aveva delle tragedie del Sa- laminio e il suo consueto comportarsi, quale appare da altre comedie, verso il perseguitato poeta, e prelude alla gara della seconda parte, fondata appunto sulla conoscenza e sull’ esame dei drami Euripidei. Così il duello fra. Eschilo ed Euripide è ben preparato e viene novità gradita e conveniente al pubblico ed al lettore. Che Aristofane dato il tema — duello poetico e retorico fra Eschilo ed Euripide — fosse capace di trarne partito anche in altro modo, che potesse svolgerlo anche in forma concilia- bile coll’essere tuttora Sofocle in vita, non vorrei io negare al poeta, che, pur ripetendosi, si vantava, ed a ragione, della no- vità de’ suoi spedienti e delle sue invenzioni; ma non questa è la questione che può farsi per le fane, le quali invece ci mo- strano come Aristofane trattasse quell’argomento, data la cir- costanza della recente morte di Sofocle. Ma non si può opporre che appunto la recente morte di Sofocle sia fatto contrario al- l'opinione di chi impugni la tesi del van Leeuwen e del Wi- lamowitz, dovendosi supporre, conforme alla nostra sentenza, tra la morte di Sofocle e la rappresentazione delle Rane un troppo breve spazio di tempo perchè Aristofane potesse e con- cepire e compiere l’opera sua, mentre quel medesimo lasso di tempo sarebbe stato sufficiente ad introdurre modificazioni nella comedia. Aristofane, come ci dimostra anche il numero delle sue comedie, superò in fecondità i comici contemporanei, anzi giunse perfino per una medesima festa a far rappresentare due co- medie, una a nome suo, l’altra da un prestanome: ciò indica in lui grande potenza e rapidità di lavoro, che - d'altronde in certi periodi della vita è abbastanza frequente nei poeti comici di ogni letteratura, che non disdice ma piuttosto si conforma alle esigenze della comedia greca antica, per la quale la carica- tura personale esigeva elementi non ancora sfruttati e perciò non solo recenti, direi, ma freschissimi. Dalla morte di Sofocle, 1064 CARLO 0. ZURETTI nella seconda metà del 406, alla rappresentazione delle Rane nel gennaio del 405, nulla si oppone a che scorgiamo uno spazio di parecchi mesi, sufficienti perciò sia alla concezione ed alla esecuzione della comedia, sia alle pratiche ufficiali ed ai preparativi antecedenti la pubblica rappresentazione. Se questo però, che pur è possibile, non ci si volesse concedere, qualunque argomento contrario desunto dal breve lasso di tempo fra la morte di Sofocle e la rappresentazione delle frane, non potrebbe venir addotto efficacemente, dacchè si poserebbe anch’esso sol- tanto sopra di una possibilità, laddove l’altra possibilità, favo- revole alla nostra tesi, sarebbe almeno confortata dalla oppor- tunità e dalla coerenza della parte di Sofocle coll’azione e collo svolgimento delle Rane non solo, ma altresì dalle allusioni che si trovano nella comedia alla battaglia delle Arginuse, set- tembre del 406. Da queste il tempo della composizione delle Rane verrebbe limitato agli ultimi tre mesi del 406 e neppure interi, deducendone il tempo necessario per il concorso ed i preparativi per la rappresentazione. Ora nelle Rame il duello fra Euripide ed Eschilo è giudicato da Dioniso, che discende all'inferno: la seconda parte delle fune presuppone necessaria- mente la prima, come sorta in concezione unica colla seconda per quanto ampiamente e liberamente svolta; la prima parte ci conduce alla chiusa del 406, alla quale si riduce la seconda, non soltanto per l’intima unione colla prima, ma altresì per nessi che la collegano ad Alcibiade. Nè si può credere che quanto concerne Sofocle, le Argi- nuse, Alcibiade sia dovuto a posteriore introduzione, favorita od occasionata dalla seconda rappresentazione, perchè i tenta- tivi fatti per dimostrare un qualsiasi rimaneggiamento delle Rane sono tutti falliti, e noi dobbiamo credere che questa ap- punto e non altra fosse la sostanza e la forma delle Rane sino dalla prima rappresentazione. Sicchè intorno alle Rane si può credere che morto Euripide, morto Sofocle, perduta la speranza di altro grande poeta tragico, sorgesse in Aristofane l’idea di svolgere in comedia il ritorno a questa vita di uno dei grandi poeti defunti: il contrasto si presentava spontaneo fra Eschilo ed Euripide, tra i quali il poeta non poteva non preferire il primo — per decidere chi dovesse tornare in terra ci voleva un giudizio ed un giudice, Dioniso, che scende all’Ades. E la PEREZ SOFOCLE NELLE <« RANE » DI ARISTOFANE 1065 comedia risulta appunto della discesa di Dioniso all’Ades, del contrasto fra Eschilo ed Euripide. In tutto questo la posizione di Sofocle abbiamo veduto quale poteva essere: ci voleva una forte e spiccata individualità che non si inchinasse ad Euripide, ma lo combattesse ad oltranza, e tale Sofocle non poteva essere. Tale concezione prende forma e colore allo scorcio del 406. Non ritengo opportuno insistere sulla connessione fra la prima e la seconda parte delle Rane, anzi non cito neppure le comedie e le tragedie antiche nelle quali il disegno appaia ri- sultante di due parti, e mi accontento invece di un’ultima con- siderazione. È nostro dovere cercar di capire i prodotti dell’arte antica, ma la nostra conoscenza ha molti e molti limiti e nulla è forse tanto difficile quanto investigare la genesi e la gesta- zione di opere letterarie — in tali investigazioni è molto facile eccedere tanto più, quanto minori e in numero ed in #qualità sono i mezzi onde disponiamo. Qui per le Rane si tratterebbe in fondo di studiare dalle lane, e non da altro, le intenzioni di Aristofane; quanta cautela sia necessaria, è di per sè palese, ed io a questo proposito non ho potuto scacciare dalla mia mente un confronto, di coloro cioè che hanno tentato di ricon- durre i poemi Omerici allo stato primitivo, distinguendone e smembrandone le parti, con fatica ammirabile sì, ma con mi- rabile disaccordo ne’ risultati: il peggio è che il disaccordo non dissuaderà altri dal tentare una simile impresa. Ma dai soli Promessi Sposi sarebbe possibile stabilire che il Manzoni fece la sua famosa revisione, che anzi, come dimostra un autografo, ci fu un abbozzo non in tutto conforme al disegno della stessa prima edizione? Dalla sola Divina Comedia si può fissare il tempo della composizione dei singoli canti, la maniera della revisione che pur Dante dichiara di curare ? È molto se qua e là si può mettere in rilievo o supporre qualche mutamento, qualche intenzione non attuata. Per citare un ultimo esempio, intimamente collegato anche alle ricerche Omeriche, è noto che pel Kalewala si potrà decidere quanto sia dovuto alla poesia popolare raccolta oralmente e quanto all'opera del Liònnrot, soltanto quando saranno pubblicate appunto le carte del Lònnrot stesso: anche pel Kalewala l’opera del raccoglitore ha dato una certa uniformità a tutte le parti, sicchè dall’opera in sè non è più possibile scorgere le connessure. E non sarebbe possibile Atti della R. Accademia — Vol. XXXIII. 72 1066 CARLO 0. ZURETTI — SOFOCLE NELLE <« RANE », ECC. scorgerle neppure nelle Rane, e se queste presentano esuberanza di materia non sarà male richiamare alla mente la sovrab- bondanza dei poemi cavallereschi e, coll’Ariosto, ripetere sia pei poemi Omerici, sia per le comedie di Aristofane: Mettendolo Turpin anch'io lo messo (1). (1) Ecco l’opinione del Karser in Pauly-Wissowa Reslolcy Wat - Sowohl die Fròsche wie die Musen standen unter dem Eindruck des eben erfolgten Todes des Sophokles (cfr. Phrynich fr. 81 Kock). Aber dieser girini Verlust' hat A. nicht das Lino, an die Hand gegeben. i | L’ Accademico ‘Belpradape9 oo CESARE NANI. 1067 INDICE DEL VOLUME XXXkii ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti al 21 Novembre 1897 . 1 : ; i s 660 Sunri degli Atti verbali delle rta ® Classi Unite 1a 193, 228, 659, 1028 Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali ; x 6, 65, 121, 203, 287, 353, 397, 447, 511, 541, 587, 735, 801, 857. Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche . x sl 96, 151, 230, 329, 375, 429, 507, 540, 584, 662, 798, 850, 1039. PusBLIcazionI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze di Torino durante l'Anno accademico 1897-1898 : F ; ) È I ArcanceLi (Giovanni) — Eletto Socio corrispondente . o È n 999 — Rinuncia alla nomina a Socio corrispondente . s ; , 448 ArnerHa (Alfredo) — V. Carre (Giuseppe). Arnò (Riccardo) — Sulla taratura del fasometro delle tangenti Ri — Wattometro elettrostatico per correnti alternative ad alta tensione , i; : ? ; 5 x 1) : È s 827 AscoLi (Graziadio) — Eletto Socio nazionale non residente 7 » 4380 Ascori (Maurizio) — Sull’ematopoesi della lampreda . ; : s 916 Baaci (Vittorio) — Sulla forma più conveniente da dare ai sostegni del cannocchiale nei teodoliti e nei livelli È ; 5 s. alal — Esame del compenso fra lo scavo ed il dar, nei progetti stradali . : ; : , a 9 ; " ; 3} 0A BarsI (Vittorio) — Effemeridi del Sole e della Luna per l'orizzonte di Torino e per l’anno 1899. è ; È 7 n 832 Berruti (Giacinto) — Nominato delegato della Classe al Consiglio di _ amministrazione . ; 7 : i $ ; : x » 954 BerraeLor (Marcellino) — Eletto Socio straniero ‘ * È s 398. BerrINni (Eugenio) — Quand'è che due curve piane dello stesso ordine hanno le stesse prime polari? . È 3 i : 5 sua Berzorari (Luigi) — Sulla curvatura delle varietà tracciate sopra una varietà qualunque. Nota I e II . : i è { . 692, 759 INDICE DEL VOL. XXXIII 1069 BertAZzzi (Rodolfo) — Sulle serie a termini positivi le cui parti rap- presentano un continuo . ; ; 3 ; s . Pag. 355 BrancHi (Luigi) — Eletto Socio nazionale non residente . . n 898 Bizzozero (Giulio) — Eletto alla carica di Direttore di Classe . n 448 — Eletto rappresentante dell’Accademia nella Commissione am- ministrativa del Consorzio universitario . } 7 : » 1029 — YV. Camerano (Lorenzo) e Bizzozero (Giulio). — V. Foi (Pio) e Bizzozero (Giulio). Borriro (Giuseppe) — Il Codice Vallicelliano C III. Contributo allo studio delle dottrine religiose di Claudio, Vescovo di Torino , 250 Borrari pi Sarnr-Prerre (Emanuele) — Di uno Statuto dato nel 1325 dal Conte Edoardo di Savoia . : $ ; - È s 158 BrroscaI (Francesco) — V. Carre (Giuseppe), Cossa (Alfonso) e D’O- vipio (Enrico). Bunsen (Roberto Guglielmo) — Eletto Socio straniero ; - n 898 Camerano (Lorenzo) — Nuova specie di Peripatus dell'Ecuador. » 808 — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dott. E. GreLro-Tos, intitolato: / Trombociti degli Ittiopsidi e dei Sauropsidi . 2 È : x È : È ; i, 398 — Sulla striatura trasversale dei muscoli delle mandibole negli Onicofori . i 7 6 È j ‘ £ . E n 989 — Comunica all'Accademia il rendiconto della gestione ammini- strativa dell’anno accademico 1897-98 È ; È ; 16009 — e Bizzozero (Giulio) — Relazione intorno alla Memoria del Dott. Ermanno Grezio-Tos, intitolata: I Trombociti degli Ittiop- sidi e dei Sauropsidi . - ; i : 5 7 « n 505 = V. Gisenui (Giuseppe) e. Camerano (Lorenzo). Cantoni (Carlo) — Commemorazione del Socio Domenico BertI , 1041 Carre (Giuseppe) — Comunica una lettera del Socio corrispondente G. Mrrrae-LerrLER che trasmette i ringraziamenti di S. M. il Re di Svezia e Norvegia in risposta all’indirizzo inviato nella ricorrenza del 25° anniversario della sua salita al trono . È 1 — Presenta pure un volume pubblicato dalla Università di Upsala, in tale occasione . - : 3 È : - 7 A n 1 — Annunzia la morte del Socio Tommaso Varrauri e ne fa una breve commemorazione ; - ; ; 3 È - a 2 — Annunzia la morte del Socio corrispondente Remigio FrESENIUS , 6 — Amnunzia la morte del Socio corrispondente Rodolfo HetDENHAIN , 7 — Comunicazione del R. Decreto con cui venne approvata la no- mina alla carica triennale di Segretario di Classe del Socio C. NANI ‘ È 3 \ I È 4 ; : : «da 1070 INDICE DEL VOL. XXXIII Carre (Giuseppe) — Presenta in omaggio all'Accademia a nome del- l’autore Prof. Lando Lanpucci la terza ed ultima parte del vol. I della Storia del diritto romano e fa un cenno dell’opera Pag. 56 — Annunzia la morte del Socio nazionale non residente Monsi- gnor Ab. D. Luigi Tosti Agrit i | — Annunzia la morte del Socio strain Alfredo Vv. Assi 1 ei — Comunica che l'Accademia si associò alle onoranze rese al Prof. C. F. Gassa dell’Università di Pisa . g SI — Comunica il telegramma di felicitazione inviato al Soul Teo- doro Mowwxsen, in occasione del compimento del suo 80° anno , 97 — Annunzia la morte del Socio nazionale non residente Fran- cesco BrroscHI : pn (2 | — Comunica i RINO dela signora NEO VaLcauri , 193 — Inaugurando la seduta manda un reverente saluto alla me- moria del Gran Re, fondatore dell'Unità nazionale, della cui morte ricorre il vigesimo anniversario ‘ è s 228 — Rieletto alla carica di Presidente per un nuovo triennio e | — Indirizzo inviato a S. M. il Re nella ricorrenza del 50° anni- versario della promulgazione dello Statuto » 507 — Annunzia la morte del Socio corrispondente Pietro Wall » 508 — Comunica il R. Decreto che autorizza l'Accademia ad accet- tare l'eredità VALLAURI » 584 CasreLnuovo (Guido) — Eletto Socio corrispondente . » 988 Cazzaniga (Tito) — Funzioni olomorfe nel campo ellittico n 808 — Sulle funzioni olomorfe e meromorfe nel campo razionale e nel campo ellittico 3 983 Cesaris-DemeL (Antonio) — V. Foà \ (Pio). — V. Foà (Pio) e Brzzozero (Giulio). CesAro (Ernesto) — Eletto Socio corrispondente . » 588 Caimi (Mineo) — Sull’equazione differenziale del 2° ordine lineare omogenea i CZ Crporra (Carlo) — Commemorazione di Luigi ScHIAPARELLI » 3889 — V.Crarerta (Gaudenzio), Ferrero (Ermanno) e Creorra (Carlo). CLaretta (Gaudenzio) — Di un’accomandita di un patrizio torinese del secolo XVI : s 830 — Rieletto alla carica di Direttore di Classe » 430 — Lettura della sua Memoria: Sulle principali vicende della Ci- sterna d'Asti dal secolo XV al XVII . } 508, 585, 663, 798, 851 — Comunicazione del telegramma della Presidenza che associasi alle onoranze rese al Socio corrispondente Francesco Scnuerer , 850 — Ferrero (Ermanno) e Crrorra (Carlo) — Relazione sulla Me- moria del Dott. Arturo Sere, avente per titolo: La marina militare sabauda ai tempi di Emanuele Filiberto, e l'opera poli- tico-navale di Andrea Provana di Leynì dal 1560 al 1571 ,s 853 INDICE DEL VOL. XXXII 1071 Coromsa (Luigi) — Ricerche mineralogiche sui giacimenti di anidrite e di gesso dei dintorni di Oulx. - . » * Raga 419, Corpero DI Pamparato (Stanislao) — V. Pampararo (Stan. CorpERO DI). Cossa (Alfonso) — Breve commemorazione del Socio corrispondente Remigio FrESENIUS ; 3 . - i i , 3 6 » — Annuncia la morte del Socio corrispondente Alberto Scnraur , 65 — Rappresenta l'Accademia ai funerali del Socio nazionale non residente Francesco Brroscni . " - è ; : 121 — Sulla presenza del tellurio nei prodotti del cratere dell’isola Vulcano (Lipari) n 449 — Rieletto alla carica di Vice Presidente dell’Accademia per un nuovo triennio 5 ; : ; - } 5 . s 660 Damour (Agostino Alessio) — Eletto Socio corrispondente . 21398 D'Ancona (Alessandro) — Eletto Socio nazionale non residente n 430 Deuirara (Giuseppe) — Contributo allo studio del problema di Pothenot, 311 Der Luro (Michele) — Sopra una nuova specie Ichthyonema a 825 Dini (Ulisse) — Eletto Socio nazionale non residente 2098 D’Ovipio (Enrico) — Presenta per l'inserzione noi volumi delle Me- morie un lavoro del Prof. Mario Pieri, intitolato: Principii di geometria di posizione composti in sistema logico deduttivo . h 8 — Commemorazione del Socio nazionale non residente Francesco BrIoscHI ì È È , : . 7 5 . L 122 — Relazione della 2* Giunta per il conferimento del decimo premio Bressa . ; È x ; J s È E i 3 195 — Eletto alla carica di Socio Tesoriere dell’Accademia s 660 — VV. Prano (Giuseppe), D’Ovipro (Enrico) e Secre (Corrado). — V. Seere (Corrado) e D’Ovipio (Enrico). Fano (Gino) — I gruppi continui primitivi di trasformazioni cremo- niane dello spazio — V. Sxrare (Corrado). — V. Seere (Corrado) e D’Ovipro (Enrico). » 480 Ferrero (Ermanno) — Nominato delegato della. Classe al Consiglio di Amministrazione o LE SO — I titoli di vittoria dei figli di Conto A ; ni 09 — Nominato a membro della Commissione pei premii di Fida zione Gautieri ; i a 152 — I fasti dei Prefetti del Pietozio di Baltaloten Borghesi ; 56 — Mogli e figli di Costantino . ; s è, alla — — Presenta per l'inserzione nei volumi da daria un lavoro del Dott. Arturo Seare, intitolato: La marina militare sabauda ai tempi di Emanuele Filiberto e l’opera politico-navale di An- drea Provana di Leynì dal 1560 al 1571 . : i » 663 — V. Crarerta (Gaudenzio), Ferrero (Ermanno) e near (Carlo). 1072 INDICE DEL VOL. XXXIII Fresenius (Remigio) — V. Carre (Giuseppe), Cossa (Alfonso). Foà (Pio) — Contribuzione allo studio della istologia normale e pato- logica del midollo delle ossa . 2 . ; Pag. 903 — Presenta per l'inserzione nei volumi no Mean un lavoro del Dott. Antonio Cesaris-DemetL, intitolato: Sull’azione tossica e settica di alcuni microorganismi patogeni sul sistema nervoso centrale . i È 4 : $ ; ; 4 : ? » 802 — e Bizzozero (Giulio) — Relazione sulla Memoria del Dottore Antonio Cesaris-DemeL intitolata: Sull’azione tossica e settica di alcuni microorganismi patogeni sul sistema nervoso centrale » 1028 Gassa (Francesco) — Onoranze in occasione del suo 35° anno d’ in- segnamento . 5 5 ; : i ol Gasorro (Ferdinando) — Due assedì di rotta (1347- 8, 1515) secondo documenti inediti , 7 4 ° 7 7 ; : » 665 Garsasso (Antonio) — Alcune esperienze su la scarica dei conden- satori . ; 4 i , 3 : ; 5 ) : ns 638 GemweLLaro (Gaetano Giorgio) — Eletto Socio corrispondente . n 898 Gracowini (Carlo) — Anomalie di sviluppo dell'embrione umano. Co- municazione XI . : ; i È i } 4 ; » 125 GiseLri (Giuseppe) — Julius Sacus. Cenni biografici . ; E s 400 -- V. Naccari (Andrea). — e Camerano (Lorenzo) — Relazione intorno alla Memoria del Prof. Edoardo MartEL: Contribuzione all’anatomia dell’ Hypecoum procumbens . È y i ; ; ' : x * ‘849 GreLio-Tos (Ermanno) — Un coccidio parassita nei trombociti della rana . ; . ; ° ; : ° ) ° : > 924 — V. Camerano (Lorenzo). — V. Camerano (Lorenzo) e Bizzozero (Giulio). GoeseL (Carlo) — Eletto Socio corrispondente . 4 3 X » 999 GoLei (Camillo) — Eletto Socio nazionale non residente . : » 998 Granpe (Ernesto) — V. GuarescHi (Icilio) e Granpe (Ernesto). Grora (Paolo) — Eletto Socio corrispondente . s ì 7 n 398 Guarescni (Icilio) e Granpe (Ernesto) — Osservazioni sull’analisi ele- mentare : È i i » 2594 —_ — Su una ARSA O n : : ? » 860 Gui (Camillo) — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro dell'Ing. Elia Ovazza, intitolata : Calcolo di delle travi elastiche sollecitate in flessione e taglio 123 — e Vorrerra (Vito) — Relazione sulla Memoria dell Ing. Fia Ovazza avente per titolo: Calcolo grufico delle travi elastiche sollecitate in flessione e taglio . 4 È : £ : n 226 HarcxeL (Ernesto) — Eletto Socio straniero ? 4 È E n 898 HerpenHain (Rodolfo) — V. Carre (Giuseppe). JapanzA (Nicodemo) — Un nuovo focometro l : £ y , 985 INDICE DEI VOL. XXXIII > 1073 Japanza (Nicodemo) — Il cannocchiale terrestre accorciato . Pag. 803 — Alcune osservazioni sul calcolo dell’errore medio di un angolo nel metodo delle combinazioni binarie . 3 . : e: Lanpucci (Lando) — V. Carre (Giuseppe). LauriceLLa (Giuseppe) — Sulla propagazione del calore . 2 3 n069 Levi (Beppo) — Risoluzione delle singolarità puntuali delle superficie algebriche . 3 - : P ; i 3 x 1011606 — V. Secre lopbade) — V. Seere (Corrado) e D’Ovipro (Enrico). Levi-Crvrra (Tullio) — Sull'integrazione dell'equazione AsA3u=0 , 932 Marre (Aristide) — Proverbes et similitudes des Malais avec leurs correspondants en diverses langues d’Europe et d’Asie . pe 61 MarteL (Edoardo) — V. GrseLti (Giuseppe) e Camerano (Lorenzo). — V. Naccari (Andrea). Mirrag-LerrLer (Gustavo) — V. Carte (Giuseppe). Momxsen (Teodoro) — V. CarLe (Giuseppe). — V. Nanr (Cesare). Naccari (Andrea) — Rieletto alla carica di Segretario di Ulasse per un nuovo triennio ; " 5 1 ; E î È n 954 — A nome del Socio GiseLti presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Prof. Edoardo MarreEtL, intitolato : Contribuzione all’anatomia dell’ Hypecoum procumbens E ron90 — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie un lavoro del Dottore G. B. Rizzo, intitolato: Sopra le recenti misure della costante solare . . È ; 3 È : ? = ‘802 — e Votrrerra (Vito) — Relazione sulla Memoria del Dottore G. B. Rizzo, intitolata: Sopra le recenti misure della costante solare . ; ; È ; 7 È ; ; ; ) n 1025 Nani (Cesare) — Lettura del testamento olografo del Socio Tomaso ba d VaALLAURI con cui istituisce erede universale l'Accademia di — Presenta un esemplare di una medaglia in bronzo coll’effigie del Prof. T. Momwsen, fatta coniare dalla R. Accademia delle scienze di Berlino ; 5 - 5 * 7 i : sn 429 — Relazione della Commissione dei Premi GautIERrI. Anni 1891-97 (Storia politica e civile). 3 . È È x . , ‘1029 — V. Carte (Giuseppe). NiccoLetti (Onorato) — Sulle condizioni iniziali che determinano gli integrali delle equazioni differenziali ordinarie . $ n.146 — Sulla teoria della trasformazione delle equazioni a dotte parziali con due variabili indipendenti . : : ; si ‘956 Osasco (Elodia) — Di alcuni Corallari Oligocenici del Piemonte e della Liguria ; ® , i ; x ; 3 : “18188 OrroLenGHI (Costantino) — Le plebi rurali a Roma nel secolo III a. C. , 481 1074 INDICE DEL VOL. XXXIII Ovazza (Elia) — Sul calcolo delle travature reticolari non piane Pag. 30 — V. Gurpr (Camillo). i — V. Gurni (Camillo) e Vorrerra (Vito). PacinortI (Antonio) — Eletto Socio corrispondente . : . , 588 Pars (Ettore). — Gli è conferito un premio di fondazione Gautieri per la Storia e È ? : I 5 : ; ? » 1029 Pamparato (Stanislao Corpero pi) — Il matrimonio del Duca Vittorio Amedeo III di Savoia coll’Infanta Maria Antonia Ferdinanda di Spagna . - : ; ] È a ! i, 4 y{77398 PasoLini (Pier Desiderio) — Gli è conferito un premio di fondazione Gautieri per la Storia. 1 i è } 5 ? 4 5 1029 Pasquari (Adalberto) — Azione dell’etere cianacetico e dell’ammo- niaca sui chetoni grassi. i ; : ; s i » 205 ParerrA (Federico) — Frammento di un Capitolare Franco nel (o- dice A. 220 Inf. della Biblioteca Ambrosiana . - i pi vil85 Peano (Giuseppe) — Generalità sulle equazioni differenziali ordinarie , .9 — Analisi della teoria dei vettori . 5 513 n — V. D’Ovipro (Enrico) e Seere (Corrado) — Rolazionti salle Me- moria del Prof. M. Pieri: / principii della Geometria di posi- zione composti in sistema logico-deduttivo . E : s sn 148 Penzie (Ottone) — Eletto Socio corrispondente . : a ; n» 999 Pieri (Mario) — V. D’Ovipio (Enrico). — V. Prano (Giuseppe), D’Ovipio (Enrico) e Segre (Cosi Pirré (Giuseppe) — Gli è conferito il decimo premio Bressa n 228 — Ringrazia . ; ; 3 : i 5 : È . 329,358 Pizzerti (Paolo) — La rifrazione astronomica calcolata in base alla ipotesi di Mendeleef sulla distribuzione verticale della tempe- ratura dell’aria . i ì : : 7 - ; s s. Rls Ponzio (Giacomo) — Ossidazione delle idrazossime È So ERRISII Rizzo (Giovanni Battista) — Sulle emanazioni vulcaniche dell’età presente nella campagna romana , 48 — V. Naccari (Andrea). — V. Naccari (Andrea) e VoLrerra (Vito). Rosa (Daniele) — I pretesi rapporti genetici fra i linfociti ed il clo- ragogeno - : ? è x i 7 ; 2 ” ° DIE Rossi (Andrea Giulio) — Su talune proprietà di un sistema di due correnti alternative difasate qualunque ed applicazione ad un apparecchio di misura e ad un motore a campo Ferraris , 647 Roux (Guglielmo) — Eletto Socio corrispondente n 899 Sasparani (Luigi) -- Osservazioni sull’etere acetilcianacetico n 475 Sacgs (Giulio) — V. GrseLri (Giuseppe). Scaraur (Alberto) — V. Cossa (Alfonso). I I OTO le INDICE DEL VOL. XXXIII 1075 Scuuprer (Francesco) — Ringrazia per la parte presa dall'Accademia alle onoranze resegli . 3 * : ; iS 3 . Pag. 1039 — V. Crarerta (Gaudenzio). Scawenpener (Simone) — Eletto Socio corrispondente 1 Ì » 399 Segre (Arturo) — V. Ferrero (Ermanno). — V. Crarerta (Gaudenzio), Ferrero (Ermanno) e Ciponra (Carlo). Seere (Corrado) — Su un Si relativo alle intersezioni di curve e superficie . : o as pl —. Presenta per l'inserzione nei sod delta im un ob del Dott. Beppo Levi, intitolato: Sulle varietà delle corde di una curva algebrica . 5 n 398 — Presenta per l’inserzione nei SIRO delle Memoria) un lavano del Dott. Gino Fawo, intitolato: I gruppi di Jonquières gene- ralizzati . SMIOOL — e D’Ovipio (Enrico) — dadioa DAT Manga 46) Dott. dolo Levi, intitolata: Sulla varietà delle corde di una eurva algebrica , 504 — e D’Ovipro (Enrico) — Relazione sulla Memoria del Dottor Gino Fano, intitolata: / gruppi di Jonquières generalizzati °—“—»— 796 — V. Peano (Giuseppe), D’Ovipio (Enrico) e Secre (Corrado). Severini (Carlo) — Sulla rappresentazione analitica delle funzioni reali discontinue di variabile reale 3 » 1002 Srameni (Pasquale) — Delle terminazioni nervose nei gomitoli delle glandole sudorifere dell’uomo . o : È . : n SAL SpagnoLo (Antonio) — Il Sacramentario Veronese e Scipione Maffei , 231 Spezia (Giorgio) — Contribuzioni di geologia chimica. Esperienze sul quarzo . 5 : ; : . : FiN239 — Esperienze sul quarzo e suli sare - - : | ? 7. "SI Stores (Giorgio Gabriele) — Eletto Socio corrispondente . x n 588 Tosti (Luigi) — V. CarLe (Giuseppe). Treves (Zaccaria) — Sulle leggi del lavoro muscolare È ; n 405 Varvati (Giovanni) — Le speculazioni di Giovanni Benedetti sul moto dei gravi . i 5 } ; È è ì È x 3 s 559 VarLauri (Tomaso) — V. Carve (Giuseppe) e Nani (Cesare). Veronese (Giuseppe) — Eletto Socio corrispondente . i n 588 Vorrerra (Vito) — Sopra una classe di equazioni dinamiche . CADI — Sulla integrazione di una classe di equazioni dinamiche . AO — V. Gupi (Camillo) e Vorrerra (Vito). 3 V. Naccari (Andrea) e Vorrerra (Vito). WirLems (Pietro) — V. Carne (Giuseppe). Zurerti (Carlo 0.) — Sofocle nelle “ Rane , di Aristofane 1058 Inpice . : 4 | ) y i : = , 1067 Torino — Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Principi. HE Ret LA L 4a FAL ai 243 A 5 di TA drsric dl CUILo sir ot r ve fia; di” Wifi CIATTINTOE, tha ‘708 TREAT MALA % di Ls TTONA, val LUSIBLANTI IAT N° COMI CINDIA } CSA (I MUCO. ASTA PD, fear te atti Ago duo Mer ini ' A 1% a A CA i 4 è VP « n 84) niorzi (Bi evita Aha 0 ade Ea A Sv A Ia anita kl ras DAI? 19481 INTIMO NILO -Littra 4 ro nt A i te et cpl eee o na PROTEO Mi! DL) Sie EA) ; r i È z | Calia TR eno pn det A Bi, Di 1A ELMAR vo n n ( ì : LIAGIO KR DI. DI 9; f tan bd tanti ie É sd : A dA Ò d 3 099 VltPaoski d Igt MII RIC { x n E Red è vai nio . î Ù è (Bot 795 TUO : [ : É A fio aa ì sd Li ir ì 11 si EMIA DELLE SCIENZE DI TORINO PUBBLICATI ERROR < - (3 E

N=>27 » » - 3 Aprile » - 17 Aprile > Si » ». -. 1 Maggio ». - 8 Maggio + RO » » » : rag 2) » » - 12 Giugno ‘ » - 19 Giugno - 26°» Mie ‘rrxxcrrrrrrrrrxerroereorerercm ue IMSA gate ; STASI | ELENCO degli i ridi 18° n ri I perficie i , sa a iaia; Bernini — “Quand e ha due curve. suna # le stesse prime. polare ‘REACIOE 635 si n Ovazza — Sul calcolo delle CERO re vi Bacci — Sulla forma più conveniente da nocchiale nei teodoliti e nei livelli |. Rizzo — Sulle emanazioni vulcaniche dell'e pagna romana i ii. |». i Tip. Vincenzo Bona — Torina DIO LC ELLE SCIEN! » “DI TORINO PUBBLICATI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1898 Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Nat ADUNANZA del 5 Dicembre 1897... 0... Levi — Risoluzione delle singolarità puntuali delle superficie bruiche SO Ponzio — Ossidazione delle idrazossime —. i 3 TA Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologic ADUNANZA del 12 Dicembre 1897... 0% . Corpero pi Pamparato — Il matrimonio del Duca Vittorio Amedeo di Savoia coll’Infanta Maria Antonia Ferdinanda di Spagna | x Tip. Vincenzo Bona — Torina | DI TORINO Meo PUBBLICATI bi È: Vor. XXXIII, Disp. 3°, 1897-98 ‘ 3a TORINO CARLO CLAUSEN | Libraio della R. Accademia delle Scienze 1898 i DI I RAVEERZ A n o SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Nat; ADUNANZA del 19 Dicembre 1897... .. Gracomini — Anomalie di sviluppo dell'embrione umano. Comu zione XI . b , : . 7 ì n i IS Osasco — Di alcuni corallari da del fina e della Liguria Ni 1 Priano — Relazione sulla Memoria “I principii della Geometria di ADUNANZA del 26 Dicembre 1897 . x ; Borrari pi Sarnr-Pregre — Di uno Statuto dato nel 1325 dal. Edoardo di Savoia nce Ferrero — I fasti dei Prefetti del Bibigrio "i; Bartolomei ‘Borghesi ,. 1 Marre — Proverbes et similitudes des Malais avec leurs correspondants ‘RE en diverses langues d'Europe et d’Asie È pro Parerra — Frammento di un Capitolare franco nel Cod. A. 220 Inf È, della Biblioteca Ambrosiana... 0.0. SIETRZIII Tip. Vincenzo Bona — Torina IA “ / y MIA DELLE SCIENZE. DI TORINO PUBBLICATI TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1898 Classi unite. ADUNANZA del 2 Gennaio 1898 ADUNANZA del 2 Gennaio 1898.) 008 PasquaLi — Azione dell'etere cianacetico e dell’ammoniaca sui © toni grassi. Nota II ; } ; — Pizzerri — La rifrazione astronomica alcalino in bass alla. "ipo D di Mendeleef sulla distribuzione verticale della temperatura l’aria s é . È 2 o. Gui — Relazione sulla ironia dell'Ing. Plia OvAZZa aa pe titolo: “ Calcolo grafico delle travi elastiche Ro lechagni a sione e taglio , : ; 5 > : 1 3 Classi Unite. ADUNANZA del 9 Gennaio 1898 È - 3 ADUNANZA del 9 Gennaio 1598 SpagnoLo — Il Sacramentario Veronese e Scipione Maffei (i dottrine religiose di Claudio, vescovo di Torino INA Tip. Vinoenzo Bona — Torino % Ù RI AI GLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI | Vox. XXXIII, Disp. 5°, 1897-98 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1898 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Nat ADUNANZA del 16 Gennaio 1898. È ARE « —’1Serzia — Contribuzioni di geologia chimica. Esperienze sul quar ; Camerano — Nuova specie di Peripatus dell'Ecuador . _. —. Derrrata — Contributo allo studio del problema di Pothenot . | Srameni — Delle terminazioni nervose nei gomitoli delle glan sudorifere dell’uomo e a e Crarerta — Di un’accomandita di un patrizio torinese del sec. XV Tip. Vincenzo Bona — Torino DE:TO BENOÒO PUBBLICATI TORINO | ‘a CARLO CLAUSEN. Si g3 Libraio della R. Accademia delle Scienze | 1898 (HE Ù Te e; SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e ADUNANZA del 30 Gennaio 18980... DIR Berrazzi — Sulle serie a termini positivi le cui parti rappresei un continuo . 3 ; ) - : x ‘ 0, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filolo; ADUNANZA del 6 Febbraio 1898/22 Ferrero — Mogli e figli di Costantino TO Ciporra — Commemorazione di Luigi ScHIAPARELLI Tip. Vinoenzo Bona — Torino MDETORINO PUBBLICATI 7:, 1897-98 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1898 RETE ADI SOMMARIO to) Classe di Scienze Fisiche, Matematiche th PA SE ADUNANZA del 13 Febbraio 1898... DE: GiseLtt — Jurivs Sacns.-Cenni biografici. . ni Treves — Sulle leggi del lavoro muscolare RIO, 3A Classe di Scienze Morali, Storiche e Filo i: | ADUNANZA del 20 Febbraio 1898... "di Orrorencni — Le plebi rurali a Roma nel secolo III a Tip. Vinoenzo Bona — Torina PUBBLICATI GLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI TORINO si CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze l 1898 vasi COSI IRIS CRI a nea DIARI ape et #9, "4 fe dr ita" pe” TNTOLOR NI ed ut. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche ADUNANZA del 27 Febbraio 1898 . È Cossa — Sulla presenza del tellurio nei prodotti del crate Vulcano (Lipari) . : ; : : 3 VoLrerra — Sopra una classe di equazioni dinamiche SABBATANI — Osservazioni sull'etere acetilcianacetico dello spazio È è i È î x È ‘ Sulla varietà delle corde di una curva agi CameRANO — Relazaene intorno alla memoria del Do Pi psidi non È ; ; È x a Nei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Fi ADUNANZA del 6 Marzo 1898... . Tip. Vincenzo Bona -— Torina [ni AGIO CLASSI DIE “DELLI ARI EGRET > È o C ti AG braio della R . 1 ‘Accademia delle Scienze a pio ros Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e ADUNANZA del 18 Marzo 1898.0000 | Prawo — Analisi della teoria dei vettori. /(.//. Japanza — Un nuovo focometro. .. . —. Rea — Classe di Scienze Morali, Storiche e Fil ADUNANZA del 20 Marzo 1898... (ne? Tip. Vincenzo Bona — Torina 4 sari ili CALL EGRETARI DELLE DUE CLASSI — i Ti VASTI, ARLO CLAUSEN | Libraio della R. Accademia delle Scienze eda ADUNANZA del 3 rali 1898 ; Tip. Vinoenzo Bona — Torina ATTI DELLA «R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE È DI :-TORINO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XXXIII, Disp. l{?, 1897-98 TORINO CARLO CLAUSEN " Libraio della R. Accademia delle Scienze 1898 det ADUNANZA del 17 IO) 1898 CAI > Camerano — Sulla striatura trasversale dei muscoli delle x degli Onicofori 3 i : ; Bier GUARESCHI e ra _ OSEStVEAOI sull'analisi elementare ie: misura e ad un motore a campo Ferraris . Classi unite. ADUNANZA del DI Aprile 1898 3 È “ 2 ADUNANZA del 24 Aprile 1898 3 ; : È ? Gasorro — Due assedii di Cuneo (1847-8, 1515), secondo doc ' inediti —. ; ; ; ; , i $ ; Mer è Tip. Vinoenzo Bona - Torina SEGRETARI DELLE DUE LASSO } i] CARLO. CLAUSEN da Le È et 7 Vicari TREIA e MICRON (II SOMMARIO Berzorari — Sulla curvatura delle varietà tracciate BOI un qualunque : ; 5 i, s i ; stradali —. : ; È x 5 ; “a Arnò — Sulla taratura del fasometro nia tangenti . Classe di Scienze Morali, Storiche e. Filologich i Tip. Vincenzo Bona Torina UBBLICATI. ® IRA ENICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI E RIA, L"URe : >, dea è: 2 P. 13°, ED SS TORINO. | CARLO CLAUSEN |’ Librifio della R. Accademia delle Scienze Rusia Fe VO US È Ni nare 7 SOMMARIO \ i Ò Classe di. Nulenza Fisiche, Matem tio e e ò ADUNANZA del 15 Mini 1898) i ni DL: te anna Nota il cas e Do CoLompa — Ricerche ‘mineralogiche sui | giacimenti gesso dei dintorni di Oulx —. EEA) SSA "3 LARGE ADUNANZA del 22 Maggio 1898... Tin, Vincenzo Bona — Torino \EMTA DELLE SCIENZE — AT DI TORINO È RUM 5 | PUBBLICATI ‘ i i DEMICI SEGRETARI DELLE DUE GLASSI x (a yo STORNO CARLO CLAUSEN © | È Libraio della R. Accademia delle Scienze ir ue 1898 nnt Classe di Scienze Fisiche, Mate: pis Det ADUNANZA del 29 Maggio 1898 3 si Arnd — Wattometro elettrostatico per c'e alt tensione ; 7 i e per l’anno 1899 È : È GiseLt — Relazione ua alla. Monna del of. ] “ Contribuzione all’anatomia dell'Hypecoum prc e dal 1560 al 1571, Tip. Vinosnzo Bona — Torina \ la. ; for ì TINA I ; : cl S' (SI (--] er vil sb ù SEEN N » (o) i i n o 7 N $ (can | = ; o È È Qi £ 2 io da: 5 < = o = = nt =. 3 Mi E Leti e ESA 3 È LATI (Loi Na 3 , 9 Di ; Mot angie Li) ES i P III o = si c] A è. - Levi-Civira — Sull’integrazione dell'equazione A,A;u=0 SITE e Granpe — Su una idroetildicianmetildiossipiridi Spezia — Contribuzioni di E chimica. DRpErtcnno) su e sull'opale °°. Japanza — Alcune osservazioni su: caloslo delletiola niedio:d angolo nel metodo delle combinazioni binarie. . {. . È Foà — Contribuzione allo. studio della istologia. normale e > patolo-. gica del midollo delle ossa -. , CI 7 Ascori — Sull’ematopoesi nella lampreda 0.0 sO Giocio-Tos — Un coccidio parassita nei trombociti della È rana E Niccorerri — Sulla teoria della trasformazione delle casio a | rivate parziali con due variabili indipendenti | ch i LauriceLta — Sulla propagazione del calore. . Cazzaniga — Sulle funzioni olomorfe e meromorfe nel campo. crmzio= nale e nel campo ellittico “. . SL a Severini — Sulla rappresentazione sfialibiea Piton” fonzioni. reali dis- continue di variabile reale . è È x : Pal SRO Foi — Relazione sulla memoria del Dott. A. Celia Desa in lata: “ Sull’azione tossica e settica di alcuni microorganismi P togeni sul sistema nervoso centrale , . : i ‘ n Naccari — Relazione sulla memoria del Dott. G. B. sie intitolata: “ Sopra le recenti misure della costante solare , SER Classi Unite. ADUNANZA del 26 Giugno 1898... 00° Nani — Relazione della Commissione dei premii Gautieri ADUNANZA del 26 Giugno 1898 Canroni — Commemorazione di Domenico Berti . ; o Zurerti — Sotocle nelle. Rane , di Aristofane . INDICE ; o £ ; 5 $ f 5 ; ; ; LE TI ME —tp.es———_—_—t—_— ”» "ip. Vinoenzo Bona - Torina e - È È à ni pe en dina pe * LIL, 1001 25256