Library i > ac dà AA ds ta agi > dig AT sì Ì DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE Ro TROTRE NO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI VOLUME QUARANTESIMO 1904-905 TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1905 iù (0 ii did dra n ELENCO | ACCADEMICI RESIDENTI, NAZIONALI NON RESIDENTI STRANIERI E CORRISPONDENTI AL 20 Novemsre 1904. i NB. — La prima data è quella dell'elezione, la seconda quella del R. Decreto che approva l’elezione. PRESIDENTE D’Ovidio (Enrico), Dottore in Matematica, Professore ordinario di Algebra e Geometria analitica, incaricato di Analisi superiore e Preside della Facoltà di Scienze fisiche, matematiche e naturali nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Na- zionale della R. Accademia dei Lincei, Corrispondente della R. Acca- demia delle Scienze di Napoli e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio dell’Accademia Pontaniana, delle Società matematiche di Parigi e Praga, ecc., Uffiz. #, Comm. e. — Torino, Corso Oporto, 30. Eletto alla carica il 21 febbraio 1904 — 10 marzo 1904. VIcE-PRESIDENTE Boselli (Paolo), Presidente della Giunta Direttiva del R. Museo Industriale Italiano, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurispradenza della R. Uni- versità di Genova, già Professore nella R. Università di Roma, Professore Onorario della R. Università di Bologna, Vice-Presidente della R. Depu- tazione di Storia Patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio Corrispondente dell’Accademia dei Georgofili, Presidente della Società di Storia Patria di Savona, Socio onorario della Società Ligure di Storia Patria, Socio onorario dell’Accademia di Massa, Socio della R. Acca- demia di Agricoltura, Corrispondente dell’Accademia Dafnica di Acireale, Presidente Onorario della Società di Storia Patria degli Abruzzi in Aquila, Membro del Consiglio e della Giunta degli archivi, Consigliere degli Ordini dei Ss. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia, Depu- tato al Parlamento nazionale, Presidente del Consiglio provinciale di Torino, Gr. Cord. & e #22, Gr. Cord. dell’Aquila Rossa di Prussia, del- l'Ordine di Alberto di Sassonia, dell’Ord. di Bertoldo I di Zaàhringen (Baden), e dell'Ordine del Sole Levante del Giappone, Gr. Uffiz. O. di Leopoldo del Belgio, Uffiz. della Cor. di Pr., della L. d’'O. di Francia, e C. O. della Concezione del Portogallo. — Torino, Via Plana, 11. Eletto alla carica il 21 febbraio 1904 — 10 marzo 1904. IV TESORIERE Jadanza (Nicodemo), Dottore in Matematica, Professore di Geodesia teoretica nella R. Università di Torino e di Geometria pratica nella R. Scuola d’Applicazione per gl’Ingegneri, Socio dell’Accademia Pontaniana di Napoli, dell’Accademia Dafnica di Acireale e della Società degli Inge- gneri Civili di Lisbona, Uff. ex. — Torino, Via Madama Cristina, 11. Rieletto alla carica il 17 aprile 1904 — 12 maggio 1904. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE B NATURALI Direttore Salvadori (Conte Tommaso), Dottore in Medicina e Chirurgia, Vice-Diret- tore del Museo Zoologico della R. Università di Torino, Professore di Storia naturale nel R. Liceo Cavour di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, della Società Italiana di Scienze naturali, dell’Accademia Gioenia di Catania, Membro della Società Zoologica di Londra, dell’Accademia delle Scienze di Nuova York, della Società dei Naturalisti in Modena, della Società Reale delle Scienze di Liegi, della Reale Società delle Scienze naturali delle Indie Neerlandesi e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro effettivo della Società Imperiale dei Naturalisti di Mosca, Socio Straniero della British Ornithological Union, Socio Straniero onorario del Nuttall Orni- thological Club, Socio Straniero dell'American Ornithologist's Union, e Membro onorario della Società Ornitologica di Vienna, Membro ordi- nario della Società Ornitologica tedesca, Uffiz. €, Cav. dell'O. di S. Gia- como del merito scientifico, letterario ed artistico (Portogallo). — Torino, . Via Principe Tommaso, 17. Rieletto alla carica il 29 maggio 1904 — 16 giugno 1904. Segretario Camerano (Lorenzo), Dottore aggregato alla Facoltà di Scienze fisiche, ma- tematiche e naturali, Professore di Anatomia comparata e di Zoologia e Direttore dei Musei relativi nella R. Università di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente del R. Isti- tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Membro della Società Zoolo- gica di Francia, Socio corrispondente del Museo Civico di Rovereto, della Società Scientifica del Cile, della Società Spagnuola di Storia naturale, Socio straniero della Società Zoologica di Londra, Socio ono- rario della Società scientifica del Messico, Membro del Consiglio supe- riore della Pubblica Istruzione, «sn. — Torino, Museo Zoologico della R. Università, Palazzo Carignano. Eletto alla carica il 13 marzo 1904 — 7 aprile 1904. ACCADEMICI RESIDENTI Salvadori (Conte Tommaso), predetto. 29 Gennaio 1871 - 9 febbraio 1871. — Pensionato 21 marzo 1878. D’Ovidio (Enrico), predetto. 29 Dicembre 1878 - 16 gennaio 1879. — Pensionato 28 novembre 1889. Naccari (Andrea), Dottore in Matematica, Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispon- dente del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania e dell’Accademia Pontaniana, Uffiz. &, Comm. &&. — Torino, Via Sant’ Anselmo, 6. 5 Dicembre 1880 - 23 dicembre 1880. — Pensionato 8 giugno 1893. Mosso (Angelo), Senatore del Regno, Dottore in Medicina e Chirurgia, Pro- fessore {di Fisiologia nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’ Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), della R. Accademia di Medicina di Torino, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, L. L. D. del- l’Università di Worcester, Socio onorario della R. Accademia medica Gioenia di Scienze naturali di Catania, della R. Accademia medica di Roma, dell’Accademia di Genova, Socio dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, dell’Academia Caesarea Leopoldino-Carolina Germanica Naturae Curiosorum, Membro" onorario della Società imperiale dei medici di Vienna, della Società Reale delle Scienze mediche di Bruxelles, della Società fisico-medica di Erlangen, Socio straordinario della R. Acca- demia di Scienze di Svezia, Socio corrispondente della Società Reale di Napoli, Socio corrispondente della Società di Biologia di Parigi, ece. $, Comm. gs. — Torino, Via Madama Cristina, 34. 11 Dicembre 1881 - 25 dicembre 1881. — Pensionato 17 agosto 1894. Spezia (Giorgio), Ingegnere, Professore di Mineralogia e Direttore del Museo mineralogico della R. Università di Torino, «&. — Torino, Via Acca- demia Albertina, 21. 15 Giugno 1884 - 6 luglio 1884. — Pensionato 5 settembre 1895. Camerano (Lorenzo), predetto. 10 Febbraio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1898. Segre (Corrado), Dottore in Matematica, Professore di Geometria superiore nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana delle Scienze (dei XL), Membro ono- Atti della R. Accademia — Vol. XL Pigi VI rario della Società Filosofica di Cambridge, Socio straniero dell’Acca- demia delle Scienze del Belgio, Corrispondente della Società Fisico- Medica di Erlangen e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, az. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 85. 10 Gennaio 1889 - 21 febbraio 1889. — Pensionato 8 ottobre 1893. Peano (Giuseppe), Dottore in Matematica, Professore di Calcolo infinitesi- male nella R. Università di Torino, Socio della “ Sociedad Cientifica , del Messico, Socio del Circolo Matematico di Palermo, &. — Torino, Via Barbaroux, 4. 25 Gennaio 1891 - 5 febbraio 1891. — Pensionato 22 giugno 1899. Jadanza (Nicodemo), predetto. 3 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 17 ottobre 1902. Foà (Pio), Dottore in Medicina e Chirurgia, Professore di Anatomia Pato- logica nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Comm. #5. — Torino, Corso Valentino, 40. 8 Febbraio 1895 - 17 febbraio 1895. — Pensionato 9 novembre 1902. Guareschi (Icilio), Dottore in Scienze naturali, Professore e Direttore del- l’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica nella R. Università di Torino, Direttore della Scuola di Farmacia, Socio della R. Acca- demia di Medicina di Torino, Socio della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena, Socio onorario della Società di Farmacia di Torino, Membro anziano del Con- siglio Sanitario Provinciale, Membro corrispondente dell’Accademia di Medicina di Parigi, Socio della Deutsche Gesellschaft b. Geschichte d. Medizin. und Naturwissenschaften, Membro della Società Chimica di Berlino, ecc., Uff. es, Y. — Torino, Corso Valentino, 11. 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. — Pensionato 28 maggio 1903. Guidi (Camillo), Ingegnere, Professore ordinario di Statica grafica e scienza delle costruzioni e Direttore dell’annesso Laboratorio sperimentale nella R. Scuola di Applicazione per gl’Ingegneri in Torino, #&, &. — Torino, Corso Valentino, 7. 31 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 11 giugno 1903. Fileti (Michele), Dottore in Chimica, Professore ordinario di Chimica gene- rale, «&. — Torino, Via Bidone, 36. 81 Maggio 1896 - 11 giugno 1896. — Pensionato 10 marzo 1904. Parona (Carlo Fabrizio), Dottore in Scienze naturali, Professore e Direttore del Museo di Geologia della R. Università di Torino, Socio residente della R. Accademia di Agricoltura di Torino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e Corrispondente dell’I. R. Istituto Geologico di Vienna, Membro del R. Comitato Geolo- gico, ecc. — Torino, Museo Geologico della R. Università, Palazzo Carignano. 15 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. i VII Mattirolo (Oreste), Dottore in Medicina e Chirurgia e Scienze naturali, Professore ordinario di Botanica e Direttore dell'Istituto botanico della R. Università di Torino, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accademia di Medicina e della R. Accademia di Agri- coltura di Torino, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell’Accademia delle Scienze del R. Istituto di Bo- logna, della Società Imperiale di Scienze naturali di Mosca, della Società Veneto-Trentina, ecc., e. — Torino, Orto Botanico della R. Università. 10 Marzo 1901 - 16 marzo 1901. Morera (Giacinto), Ingegnere, Dottore in Matematiche, Professore ordinario di Meccanica razionale, ed incaricato di Meccanica superiore nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Professore onorario della R. Università di Genova, &2. — Torino, Via della Rocca, 22. 9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. Grassi (Guido), Professore ordinario di Elettrotecnica e Direttore della scuola Galileo Ferraris nel R. Museo Industriale Italiano in Torino, Socio ordinario della R. Accademia di Scienze fisiche e matematiche di Napoli, dell’Accademia Pontaniana e del R. Istituto d’incoraggia- mento di Napoli, Corrispondente della R. Accad. dei Lincei, Comm. 8» — Torino, Via Amedeo Avogadro, 9. 9 Febbraio 1902 - 23 febbraio 1902. ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Cannizzaro (Stanislao), Senatore del Regno, Professore di Chimica generale nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei e della Società Reale di Napoli, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Cor- rispondente dell’Istituto di Francia, dell’Accademia delle Scienze di Berlino, di Vienna e di Pietroburgo, Associato dell’Accademia Reale delle Scienze del Belgio, Socio straniero della R. Accademia delle Scienze di Baviera, della Società Reale di Londra, della Società Reale di Edimburgo e della Società letteraria e filosofica di Manchester, Socio onorario della Società chimica tedesca, di Londra e Americana, Comm. $, Gr. Uffiz. «=, ©, — Roma, Istituto chimico, Via Panisperna, 89 B. 3 Luglio 1864 - 11 luglio 1864. Schiaparelli (Giovanni), Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della R. Accademia dei Lincei, dell’ Accademia Reale di Napoli e dell’ Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio straniero dell'Istituto di Francia (Accademia delle Scienze), delle Accademie di Monaco, di Vienna, di VIII Berlino, di Pietroburgo, di Stoccolma, di Upsala, di Cracovia, della Società de’ Naturalisti di Mosca, della Società Reale e della Società astronomica di Londra, delle Società filosofiche di Filadelfia e di Man- chester, e di altre Società scientifiche nazionali e straniere, Gr. Cord., €, Comm. &; <=. — Milano, Via Fate Bene Fratelli, 7. 16 Gennaio 1870 - 30 gennaio 1870. Siacci (Francesco), Senatore del Regno, Colonnello d’Artiglieria nella Ri- serva, Professore onorario della R. Università di Torino, Professore ordinario di Meccanica razionale ed Incaricato della Meccanica supe- riore nella R. Università di Napoli, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, e del- l'Accademia Pontaniana, Corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Uff. &, Comm. €. 11 Giugno 1876 - 11 luglio 1876. — Pensionato 3 giugno 1884. Volterra (Vito), Dottore in Fisica, Dottore onorario in Matematiche della Università Fridericiana di Christiania e Dottore onorario in scienze della Università di Cambridge, Professore di Fisica matematica e inca- ricato di Meccanica celeste nella R. Università di Roma, Uno dei XL della Società Italiana delle Scienze, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Accademico corrispondente della R. Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna, Socio corrispondente del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Socio corrispondente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena, Socio onorario dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania, Membro nazionale della Società degli Spet- troscopisti italiani, Socio corrispondente nella Sezione di Geometria dell’Accademia delle Scienze di Parigi, Membro onorario della Società di Scienze fisiche e naturali di Bordeaux, &. — Roma, Via in Lucina, 17. 3 Febbraio 1895 - 11 febbraio 1895. Fergola (Emanuele), Professore di Astronomia nella R. Università di Napoli, Socio ordinario residente della R. Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, Membro della Società italiana dei XL, Socio della R. Accademia dei Lincei e dell’Accademia Pontaniana, Socio ordi- nario del R. Istituto d'incoraggiamento alle Scienze naturali, Socio cor- rispondente del R. Istituto Veneto, Comm. #, Gr. Uffiz. &5. — Napoli, Regio Osservatorio di Capodimonte. 12 Gennaio 1896 - 2 febbraio 1896. Bianchi (Luigi), Professore di Geometria analitica nella R. Università di Pisa, Socio ordinario della R. Accademia dei Lincei e della Società Ita- liana delle Scienze, detta dei XL; Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze fisiche e matematiche di Napoli, dell’Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere in Milano, &, ee. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. IX Dini (Ulisse), Senatore del Regno, Professore di Analisi Superiore nella R. Università di Pisa, Direttore della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, Socio della R. Accademia dei Lincei e della Società Italiana detta dei XL, Corrispondente della R. Società delle Scienze di Gottinga, del- l'Accademia delle Seienze dell'Istituto di Bologna e del R. Istituto Lom- bardo di Scienze e Lettere, Membro straniero della London mathematical Society, Dottore onorario dell’Università di Christiania, Uff. &, Cav. #2, ©. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. ‘Golgi (Camillo), Senatore del Regno, membro del Consiglio superiore di Sanità, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei di Roma, Dottore in Scienze ad honorem dell’Università di Cambridge, Membro onorario dell’Università Imperiale di Charkoff, uno dei XL della Società italiana delle Scienze, Membro della Società per la Medicina interna di Berlino, Membro onorario della Imp. Accademia Medica di Pietroburgo, della Società di Psichiatria e Neurologia di Vienna, Socio corrispondente onorario della Neurological Society di Londra, Membro corrispondente della Société de Biologie di Parigi, Membro dell’Academia Caesarea Leo- poldino-Carolina, Socio della R. Società delle Scienze di Gottinga e delle Società Fisico-mediche di Wiirzburg, di Erlangen, di Gand, Membro della Società Anatomica, Socio nazionale della R. Accademia delle Scienze di Bologna, Socio corrispondente dell’Accademia di Medicina di Torino, Socio onorario della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, Socio corrispondente dell’Accademia Medico-fisica Fiorentina, della R. Accademia delle Scienze mediche di Palermo, della Società Medico-chirurgica di Bologna, Socio onorario della R. Accademia Me- dica di Roma, Socio onorario della R. Accademia Medico-chirurgica di ‘Genova, Socio corrispondente dell’Accademia Fisiocritica di Siena, del- l'Accademia Medico-chirurgica di Perugia, della Societas medicorum Svecana di Stoccolma, Membro onorario dell'American Neurological Asso- ciation di New-York, Socio onorario della Royal Microscopical Society di Londra, Membro corrispondente della R. Accademia di Medicina del Belgio, Membro onorario della Società freniatrica italiana e dell’Asso- ciazione Medico-Lombarda, Socio onorario del Comizio Agrario di Pavia, Professore ordinario di Patologia generale e di Istologia nella R. Uni versità di Pavia, Membro effettivo della Società Italiana d’Igiene e dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Membro onorario dell’Uni- versità di Dublino, Socio corrispondente della Società medica di Batavia, Membro straniero dell’Accademia di Medicina di Parigi, Membro ono- rario dell’Imperiale Società degli alienisti e neurologi di Kazan, Socio emerito della R. Accademia medico-chirurgica di Napoli, Socio corri- ‘spondente dell’Imp. Accademia delle Scienze di Vienna, Socio onorario della R. Società dei Medici in Vienna. Cav. ‘W, €, Comm. &. 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. ACCADEMICI STRANIERI Kelvin (Guglielmo Thomson, Lord), Professore nell'Università di Glasgow. — 81 Dicembre 1882 - 1° febbraio 1883. Koelliker (Alberto von), Professore nell'Università di Wiirzburg. — 11 Giu- gno 1893 - 25 giugno, 1893. Klein (Felice), Professore nell'Università di Gottinga. — 10 Gennaio 1897 - 24 gennaio 1897. Haeckel (Ernesto), Professore nella Università di Jena. — 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Berthelot (Marcellino), Professore nel Collegio di Francia, Membro del- l’Istituto, Parigi. — 13 Febbraio 1898 - 24 febbraio 1898. Darboux (Giovanni Gastone), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. Poincaré (Giulio Enrico), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 14 Giu- gno 1903 - 28 giugno 1903. Moissan (Enrico), Membro dell'Istituto di Francia (Parigi). — 14 Giugno 1908 - 28 giugno 1903. Helmert (Federico Roberto), Direttore del R. Istituto Geodetico di Prussia, Potsdam. — 14 Giugno 1903 - 28 giugno 1903. | CORRISPONDENTI Sezione di Matematiche pure. Tardy (Placido), Professore emerito della R. Università di Genova (Firenze), — 16 Luglio 1864. Cantor (Maurizio), Professore nell'Università di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. Schwarz (Ermanno A.), Professore nella Università di Berlino. — 19 Di- cembre 1880. Bertini (Eugenio), Professore nella Regia Università di Pisa.— 9 Marzo 1890. Noether (Massimiliano), Professore nell’ Università di Erlangen. — 3 Di- cembre 1893. Jordan (Camillo), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell'Istituto (Parigi). — 12 Gennaio 1896. Mittag-Leffler (Gustavo), Professore a Stoccolma. — 12 Gennaio 1896. Picard (Emilio), Professore alla Sorbonne, Membro dell'Istituto di Francia, Parigi. — 10 Gennaio 1897. Cesàro (Ernesto), Professore nella R. Università di Napoli. — 17 Aprile 1898. Castelnuovo (Guido), Prof. nella R. Università di Roma. — 17 Aprile 1898. Veronese (Giuseppe), Prof. nella R. Università di Padova. — 17 Aprile 1898. Zeuthen (Gerolamo Giorgio), Professore nella Università di Copenhagen. — 14 Giugno 1903. Hilbert (Davide), Prof. nell'Università di Gottingen. — 14 Giugno 1903. Mayer (Adolfo), Professore nell'Università di Leipzig. — 14 Giugno 1903. Sezione di Matematiche applicate, Astronomia e scienza dell’ingegnere civile e militare. Tacchini (Pietro), già Direttore dell’Osserv. del Collegio Romano (Modena). — 14 Dicembre 1884. Zeuner (Gustavo), Professore nel Politecnico di Dresda. — 3 Dicembre 1893. Ewing (Giovanni Alfredo), Professore nell’ Università di Cambridge. — 27 Maggio 1894. Lorenzoni (Giuseppe), Professore nella R. Università di Padova. — 3 Feb- braio 1895. Celoria (Giovanni), Astronomo all'Osservatorio di Milano. — 12 Gennaio 1896. Favero (Giambattista), Professore nella R. Scuola di Applicazione degli In- gegneri in Roma. — 10 Gennaio 1897. Pizzetti (Paolo), Professore nella R. Università di Pisa. — 14 Giugno 1903. Sezione di Fisica generale e sperimentale. Blaserna (Pietro), Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Roma. — 30 Novembre 1873. Kohlraasch (Federico), Presidente dell’Istituto Fisico-Tecnico in Charlot- tenburg: — 2 Gennaio 1881. XII Roiti (Antonio), Professore nell'Istituto di Studi superiori pratici e di per- fezionamento in Firenze. — 12 Marzo 1882. Righi (Augusto), Professore di Fisica sperimentale nella R. Università di Bologna. — 14 Dicembre 1884. Lippmann (Gabriele), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 15 Maggio 1892. Rayleigh (Lord Giovanni Guglielmo), Professore nella Royal Institution di Londra. — 3 Febbraio 1895. Thomson (Giuseppe Giovanni), Professore nell'Università di Cambridge. — 12 Gennaio 1896. Boltzmann (Luigi), Professore nell'Università di Vienna. — 12 Gennaio 1896. Mascart (Eleuterio), Professore nel Collegio di Francia, Membro dell’Istituto (Parigi). — 10 Gennaio 1897. Pacinotti (Antonio), Professore nella R. Università di Pisa. — 17 Aprile 1898. Langley (Samuel Pierpont), Segretario della Smithsonian Institution di Washington. — 11 Febbraio 1900. Réintgen (Guglielmo Corrado), Professore nell'Università di Miinchen. — 14 Giugno 1903. Lorentz (Enrico), Professore nell'Università di Leiden. — 14 Giugno 1903. Sezione di Chimica generale ed applicata. Paternò (Emanuele), Professore di Chimica applicata nella R. Università di Roma. — 2 Gennaio 1881. Kérner (Guglielmo), Professore di Chimica organica nella R. Scuola supe- riore d’Agricoltura in Milano. — 2 Gennaio 1881. Baeyer (Adolfo von), Professore nell’ Università di Monaco (Baviera). — 25 Gennaio 1885. Thomsen (Giuseppe), Professore nell'Università di Copenhagen. — 25 Gen- naio 1885. Lieben (Adolfo), Professore nell'Università di Vienna. — 15 Maggio 1892. Mendelejeff (Demetrio), Professore nell'Università di Pietroburgo. — 3 Di- cembre 1893. Hoff (Giacomo Enrico van’t), Professore nell’ Università di Berlino. — 27 Maggio 1894. Fischer (Emilio), Professore nell'Università di Berlino. — 24 Gennaio 1897. Ramsay (Guglielmo), Professore nell'Università di Londra. — 24 Gennaio 1897. Schiff (Ugo), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di per- fezionamento in Firenze. — 28 Gennaio 1900. Dewar (Giacomo), Professore nell'Università di Cambridge. — 14 Giugno 1903. Ciamician (Giacomo), Professore nell'Università di Bologna.—14 Giugno 1903. Piccini (Augusto), Professore nel R. Istituto di studi pratici e di perfezio- namento in Firenze. — 14 Giugno 1903. Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia. Striiver (Giovanni), Professore di Mineralogia nella R. Università di Roma. — 30 Novembre 1873. Rosenbusch (Enrico), Professore nell’Univ. di Heidelberg. — 25 Giugno 1876. dalia. Pn i XIII Zirkel (Ferdinando), Professore nell'Università di Lipsia. — 16 Gennaio 1881. Capellini (Giovanni), Professore nella R. Univ. di Bologna. — 12 Marzo 1882. Tschermak (Gustavo), Professore nell'Università di Vienna.—8 Febbraio 1885. Klein (Carlo), Professore nell'Università di Berlino. — 15 Marzo 1892. Geikie (Arcibaldo), Direttore del Museo di Geologia pratica (Londra). — 8 Dicembre 1893. Groth (Paolo Enrico), Professore nell'Università di Monaco.—13 Febbraio 1898. Taramelli (Torquato), Professore nella R. Univ. di Pavia. — 28 Gennaio 1900. Liebisch (Teodoro), Professore nell'Università di Gottinga.— 28 Gennaio 1900. Bassani (Francesco), Professore nella R. Univ. di Napoli. — 14 Giugno 1903. Issel (Arturo), Professore nella R. Università di Genova. — 14 Giugno 1903. Sezione di Botanica e Fisiologia vegetale. Ardissone (Francesco), Professore di Botanica nella R. Scuola superiore di Agricoltura in Milano. — 16 Genngio 1881. Saccardo (Andrea), Professore di Botanica nella R. Università di Padova. — 8 Febbraio 1885. Hooker (Giuseppe Dalton), Direttore del O Reale di Kew (Londra). — 8 Febbraio 1885. Delpino (Federico), Professore nella R. Univ. di Napoli. — 22 Febbraio 1885. Pirotta (Romualdo), Professore nella R. Univ. di Roma. — 15 Maggio 1892. Strasburger (Edoardo), Professore nell’Univ. di Bonn. — 3 Dicembre 1893. Goebel (Carlo), Professore nell'Università di Monaco. — 13 Febbraio 1898. Penzig (Ottone), Professore nell'Università di Genova. — 13 Febbraio 1898. Schwendener (Simone), Professore nell’Univ. di Berlino. — 13 Febbraio 1898. Wiesner (Giulio), Professore nella I. R. Univ. di Vienna. — 14 Giugno 1903. Klebs (Giorgio), Professore nell'Università di Halle. — 14 Giugno 1903. Belli (Saverio), Professore nella R. Università di Cagliari. — 14 Giugno 1903. Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisiologia comparata. Sclater (Filippo Lutiey), Segretario della Società Zoologica di Londra. — 25 Gennaio 1885. Fatio (Vittore), Dottore (Ginevra). — 25 Gennaio 1885. Locard (Arnould), dell’Accademia delle Scienze di Lione. — 23 Giugno 1889. Chauveau (G. B. Augusto), Membro dell'Istituto di Francia, Professore alla Scuola di Medicina di Parigi. — 1° Dicembre 1889. Foster (Michele), Professore nell'Università di Cambridge.--1° Dicembre 1889. Waldeyer (Guglielmo), Professore nell’Univ. di Berlino. — 1° Dicembre 1889. Guenther (Alberto), Londra. — 3 Dicembre 1893. Roux (Guglielmo), Professore nell'Università di Halle. — 13 Febbraio 1898. Minot (Carlo Sedgwick), Professore nell’ “ Harvard Medical School, di Boston Mass. (S. U. A.). — 28 Gennaio 1900. Boulenger (Giorgio Alberto), Assistente al Museo di Storia Naturale di Londra. — 28 Gennaio 1900. Marchand (Felice), Professore nell'Università di Leipzig. — 14 Giugno 1903. XIV CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E PILOLOGICHE Direttore. Ferrero (Ermanno), Dottore in Giurisprudenza, Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia e Professore di Archeologia nella R. Uni. versità di Torino, Professore di Storia dell’arte militare nell'Accademia Militare, R. Ispettore per gli scavi e le scoperte di antichità nel Cir- condario di Torino, Membro della Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Presidente della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, Socio corrispondente straniero «onorario della Società Nazionale degli Antiquarii della Francia, Socio straniero della Società francese di archeologia, Socio corrispondente della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie di Romagna e dell’Imp. Instituto Archeologico Germa- nico, fregiato della Medaglia del merito civile di 1* cl. della Repub- blica di S. Marino, &, «6. — Torino, Via S. Quintino, 19. Rieletto alla carica il 20 marzo 1904 - 21 aprile 1904. Segretario. Renier (Rodolfo), Dottore in Lettere ed in Filosofia, Professore di Storia comparata delle Letterature neo-latine nella R. Università di Torino; Socio attivo della R. Commissione dei testi di lingua; Socio non resi- dente dell’I. R. Accademia degli Agiati di Rovereto; Socio corrispon- dente della R. Deputazione veneta di Storia patria, di quella per le Marche, di quella per l’Umbria e di quella per le Antiche Provincie e la Lombardia, della Società storica abruzzese e della Commissione di Storia patria e di Arti belle della Mirandola, della R. Accademia Virgi- liana di Mantova, dell’Accademia di Verona, dell'Ateneo veneto e di quello di Brescia; Membro della Società storica lombarda e della So- cietà Dantesca italiana; Socio onorario dell’Accademia Etrusca di Cor- tona, dell’Accademia Cosentina e dell’ Accademia Dafnica di Acireale, Uffiz. &, Comm. è. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 90. Rieletto alla carica il 21 febbraio 1904 - 10 marzo 1904. ACCADEMICI RESIDENTI Rossi (Francesco), Dottore in Filosofia, Professore d’Egittologia nella R. Uni- versità di Torino, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei in Roma, «&. — Torino, Via Gioberti, 30. 10 Dicembre 1876 - 28 dicembre 1876. — Pensionato 1° agosto 1884. XV Manno (Barone D. Antonio), Membro e Segretario della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria, Membro del Consiglio degli Archivi e dell’Istituto storico italiano, Commissario di S. M. presso la Consulta araldica, Dottore honoris causa della R. Università di Tibingen, Gr. Uffiz. & e cs», Cav. d’on. e devoz. del S. M. O. di Malta. — Torino, Via Ospedale, 19. 17 Giugno 1877 - 11 luglio 1877. — Pensionato 28 febbraio 1886. Pezzi (Domenico), Dottore aggregato alla Facoltà di Lettere e Filosofia, Professore di Storia comparata delle lingue classiche e neo-latine nella R. Università di Torino, %, ee». — Torino, Via Madama Cristina, 9. 18 Maggio 1879 - 5 giugno 1879. — Pensionato 25 ottobre 1889. Ferrero (Ermanno), predetto. 18 Maggio 1879 - 5 giugno 1879. — Pensionato 27 gennaio 1890. Carle (Giuseppe), Senatore del Regno, Dottore aggregato alla Facoltà di Giurisprudenza e Professore di Filosofia del Diritto nella R. Università di Torino, Socio Nazionale della R.. Accademia dei Lincei, Uff. &, Comm. #5. — Torino, Piazza Statuto, 15. 7 Dicembre 1879 - 1° gennaio 1880. — Pensionato 4 agosto 1892. Graf (Arturo), Professore di Letteratura italiana nella R. Università di Torino, Membro della Società Romana di Storia patria, Socio corrispon- dente della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, del- l'Ateneo di Brescia, ecc., Uffiz. * e #2, — Torino, Via Bricherasio, 11. 15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 20 maggio 1897. Boselli (Paolo), predetto. 15 Gennaio 1888 - 2 febbraio 1888. — Pensionato 13 ottobre 1897. Cipolla (Conte Carlo), Dottore in Filosofia, Professore di Storia moderna nella R. Università di Torino, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio effettivo della R. Deputazione Veneta di Storia patria, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei, Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Monaco (Baviera), e del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Comm. «&:. — Torino, Via Sacchi, 4. 15 Febbraio 1891 - 15 marzo 1891. — Pensionato 4 marzo 1900. Brusa (Emilio), Dottore in Leggi, Professore di Diritto e Procedura Penale nella R. Università di Torino, Membro della Commissione per la Sta- tistica giudiziaria e della Commissione per la riforma del Codice di procedura penale, Socio corrispondente dell’Accademia di Legislazione di Tolosa (Francia), ed effettivo dell'Istituto di Diritto internazionale, Socio onorario della Società dei Giuristi Svizzeri e Corrispondente della R. Accademia di Giurisprudenza e Legislazione di Madrid, di quella di Barcellona, della Società Generale delle Prigioni di Francia, di quella di Spagna, della R. Accademia Peloritana, della R. Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere e di altre, Comm. € e dell'Ordine di S. Stanislao di Russia, Officier d’ Académie della Repubblica Francese, Uff. &. — Torino, Corso Vinzaglio, 22. 13 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato 18 aprile 1901. XVI Allievo (Giuseppe), Dottore aggregato in Filosofia, Professore di Pedagogia e Antropologia nella R. Università di Torino, Socio onorario della R. Accademia delle Scienze di Palermo, dell’Accademia di S. Anselmo di Aosta, dell’Accademia Dafnica di Acireale, della Regia Imperiale Accademia degli Agiati di Rovereto, dell'Arcadia, dell’Accademia degli Zelanti di Acireale e dell’Accademia cattolica panormitana, Gr. Uff. &, Comm. ez. — Torino, Piazza Statuto, 18. 18 Gennaio 1895 - 3 febbraio 1895. — Pensionato 20 giugno 1901. Caratti di Cantogno (Barone Domenico), Senatore del Regno, Bibliotecario di S. M. il Re d’Italia, Presidente della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e Lombardia, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, Membro dell’Istituto Storico Italiano, Accademico corrispondente della Crusca, Socio Straniero della R. Acca- demia delle Scienze Neerlandese, e della Savoia, Socio corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco in Baviera, ecc. ece., Gr. Cord. e, Gr. Uffiz. & e Cav. e Cons. <=, Gr. Cord. dell'O. del Leone Neerlandese e dell’O. d’Is. la Catt. di Spagna, ecc. — Torino, Via della Zecca, 7. 4 Giugno 1857 - 12 giugno 1857. Renier (Rodolfo), predetto. 8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. Pizzi (Nobile Italo), Dottore in Lettere, Professore nel Persiano e Sanscrito nella R. Università di Torino, Socio corrispondente della Società Colom- baria di Firenze, Dottore onorario dell’Università di Lovanio, Socio cor- rispondente dell'Ateneo Veneto, dell’Accademia Petrarchesca di Arezzo, dell’ Accademia Dafnica di Acireale, dell’ Accademia dell’ Arcadia di Roma, sk, es. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 16. 8 Gennaio 1899 - 22 gennaio 1899. Chironi (Dott. Giampietro), Professore ordinario di Diritto Civile nella R. Università di Torino, Dottore aggregato della Facoltà di Giurispru- denza nella R. Università di Cagliari, Socio corrispondente dell’ Acca- demia di Legislazione di Tolosa (Francia), dell’Associazione internazionale di Berlino per lo studio del Diritto comparato, Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Rettore della R. Università di Torino, Comm. ti. — Torino, Via Bonafous, 7. 20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. Savio (Sacerdote Fedele), Professore, Membro della R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria per le Antiche Provincie e la Lombardia, Socio della Società Storica Lombarda e della Società Siciliana per la Storia patria. — Torino, Via Arcivescovado, 9. 20 Maggio 1900 - 31 maggio 1900. De Sanctis (Gaetano), Dottore in Lettere, Professore di Storia antica nella R. Università di Torino. — Torino, Corso Vittorio Emanuele, 44. 21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. Ruffini (Francesco), Dottore in Leggi, Membro corrispondente del R. Isti- tuto Lombardo di Scienze e Lettere, Professore della Storia del diritto italiano. — Torino, Via Principe Amedeo, 22. 21 Giugno 1903 - 8 luglio 1903. ì XVII ACCADEMICI NAZIONALI NON RESIDENTI Canonico (Tancredi), Senatore del Regno, Professore emerito, Primo Pre- sidente della Corte di Cassazione a riposo, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei, Socio della R. Accad. delle Scienze del Belgio, di quella di Palermo, della Società Generale delle Carceri di Parigi, Consigliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia, Gran Croce &, e Gr. Croce #2, Cav. =, Comm. dell’Ord. di Carlo III di Spagna, Gr. Uffiz. dell’Ord. di Sant'Olaf di Norvegia, Gr. Cord. del- l’O. di S. Stanislao di Russia. — Firenze, Via Lamarmora, 12 bis. 29 Giugno 1873 - 19 luglio 1873. Villari (Pasquale), Senatore del Regno, Presidente dell’Istituto Storico di Roma, Professore di Storia moderna e Presidente della Sezione di Filo- sofia e Lettere nell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfeziona- mento in Firenze, Socio residente della R. Accademia della Crusca, Presidente della R. Accademia dei Lincei, Socio nazionale della R. Ac- cademia di Napoli, della R. Accademia dei Georgofili, della Pontaniana di Napoli, Presidente della R. Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Socio di quella per le provincie di Romagna, Socio Straordi- nario del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, della R. Accademia di Baviera, Socio Stra- niero dell’Accademia di Berlino, dell’Aecademia di Scienze di Gottinga, della R. Accademia Ungherese, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Scienze morali e politiche), Dott. on. in Legge della Università di Edimburgo, di Halle, Dott. on. in Filosofia dell’Università di Budapest, Professore emerito della R. Univers. di Pisa, Gr. Uffiz. # e Gr. Cord. #85, Cav. =, Cav. del Merito di Prussia, ecc. 16 Marzo 1890 - 30 marzo 1890. Comparetti (Domenico), Senatore del Regno, Professore emerito dell’ Uni- versità di Pisa e dell'Istituto di Studi superiori, pratici e di perfezio- namento in Firenze, Socio Nazionale della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia delle Scienze di Napoli, Socio corrispondente del- l'Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto, Membro della Società Reale pei testi di lingua, Socio straniero dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) e corrispondente della R. Accademia delle Scienze di Monaco, di Vienna, di Copenhagen, Uff. &, Comm. #2, Cav. &, — Firenze, Via Lamarmora, 20. 20 Marzo 1892 - 26 marzo 1892. D'Ancona (Alessandro), Senatore del Regno, già Professore di Letteratura italiana nella R. Università e già Direttore della Scuola normale supe- riore in Pisa, Membro della Deputazione di Storia patria per la Toscana, Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei e di quella di Torino, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia (Académie des Inscriptions XVIII et Belles Lettres), della R. Accademia di Copenhagen, dell’Accademia della Crusca, del R. Istit. Lombardo di Scienze e Lettere, del R. Istituto Veneto, della R. Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli e della R. Accademia di Lucca, Cav. della Legione d'Onore, Cav. ©, Gr. Uff. &, Comm. «es — Milano, Via Conservatorio, 28. 20 Febbraio 1898 - 3 marzo 1898. Ascoli (Graziadio), Senatore del Regno, Insignito della cittadinanza mila- nese, Socio nazionale della R. Accad. dei Lincei, della Società Reale di Napoli e del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Membro straniero dell’Istituto di Francia e della Società Reale di Scienze e Lettere in Go- temburgo, Accademico della Crusca, Membro d’onore dell’Accademia delle Scienze di Vienna, Membro corrispondente delle Accademie delle Scienze di Belgrado, Berlino, Budapest, Copenaga, Pietroburgo, della Società orientale americana, degli Atenei di Venezia e Brescia, dell’Accademia di Udine, dell’I. R. Società Agraria di Gorizia, Socio onorario delle Ac- cademie delle Scienze d’Irlanda e di Rumania, della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova, della Minerva di Trieste, della So- cietà asiatica italiana, della R. Accademia di Belle Arti e del Circolo Filologico di Milano, della Lega nazionale per l’unità di cultura tra i Rumeni e dell’Associazione Americana per le lingue moderne; Dottore in filosofia per diploma d’onore dell’Università di Wirzburgo, Professore emerito di Storia comparata delle lingue classiche e neolatine nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano; Cav. dell’Ord. Civile di Savoia, Gr. Cord. €, Comm. della Legion d'Onore, ece. 20 Febbraio 1898 - 3 marzo 1898. Gandino (Giovanni Battista), Dottore in lettere, Professore ordinario di let- teratura latina nella R. Università di Bologna, Socio corrispondente della R. Accademia dei Lincei e della R. Accademia della Crusca, Dottore ag- gregato della Facoltà di Filosofia e Lettere della R. Università di Torino, Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, Comm. +, #5, 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Nigra (Conte Costantino), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Socio della R. Accademia dei Lincei, Membro onorario del R. Istituto Lombardo e del R. Istituto Veneto di Scienze e Lettere, Socio della R. Accademia d'Irlanda, ed onorario dell’Imperiale Accademia di Scienze e Lettere di Vienna, Dottore delle Università di Edimburgo e di Cracovia, ecc., Membro del Tribunale arbitrale internazionale dell'Aja, Ambasciatore di S. M. il Re d'Italia a Vienna, C. O. S. SS. N., Gr. Cr. &, es. — Roma, Trinità dei Monti, 18. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Scialoja (Vittorio), Senatore del Regno, Dottore in Leggi, Professore ordi- nario di Diritto romano nella R. Università di Roma, Professore onorario della Università di Camerino, Socio corrispondente della R. Accademia XIX dei Lincei e della R. Accademia di Napoli, Socio onorario della R. Ac- cademia di Palermo, ecc. Comm. €, Comm. &. — Roma, Piazza Grazioli, 5. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Rajna (Pio), Dottore in Lettere, Professore ordinario di lingue e letterature neo-latine nel R. Istituto di Studi superiori di Firenze, Socio corrispon- dente della R. Accademia dei Lincei, del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, della Società Reale di Napoli, della R. Accademia della Crusca, della R. Accademia di Padova, dell’Accademia R. Lucchese e della Società Reale di Scienze e Lettere di Goteborg, Uff. &, em». — Firenze, Via Cavour, 84. 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. ACCADEMICI STRANIERI Meyer (Paolo), Professore nel Collegio di Francia, Direttore dell’ Ecole des Chartes (Parigi). — 4 Febbraio 1883 - 15 febbraio 1883. Tobler (Adolfo), Professore nell'Università di Berlino. — 3 Maggio 1891 - 26 maggio 1891. Maspero (Gastone), Professore nel Collegio di Francia (Parigi). — 26 Feb- braio 1898 - 16 marzo 1893. Brugmann (Carlo), Professore nell'Università di Lipsia. — 81 Gennaio 1897 - 14 febbraio 1897. Bréal (Michele Giulio Alfredo), Membro dell’Istituto di Francia (Accademia delle Iscrizioni e Belle Lettere) (Parigi). — 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. Wundt (Guglielmo), Professore nell'Università di Lipsia. — 29 Marzo 1903 - 9 aprile 1903. XX CORRISPONDENTI Sezione di Scienze Filosofiche. Bonatelli (Francesco), Professore nella R. Università di Padova. — 15 Feb- braio 1882. Pinloche (Augusto), Prof. nel Liceo Carlomagno di Parigi. — 15 Marzo 1896. Tocco (Felice), Professore nel R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento di Firenze. — 15 Marzo 1896. Cantoni (Carlo), Professore nella R. Università di Pavia. — 15 Marzo 1896. Chiappelli (Alessandro), Prof. nella R. Università di Napoli. — 15 Marzo 1896. Masci (Filippo), Professore nella R. Università di Napoli. — 14 Giugno 1903. Sezione di Scienze Giuridiche e Sociali. Lampertico (Fedele), Senatore del Regno (Vicenza). — 5 Aprile 1881. Rodriguez de Berlanga (Manuel) (Malaga). — 17 Giugno 1883. Schupfer (Francesco), Professore nella R. Univ. di Roma. — 14 Marzo 1886. Gabba (Carlo Francesco), Prof. nella R. Univ. di Pisa. — 3 Marzo 1889. Buonamici (Francesco), Prof. nella R. Università di Pisa. — 16 Marzo 1890. Dareste (Rodolfo), dell'Istituto di Francia (Parigi). — 26 Febbraio 1893. Bonfante (Pietro), Professore nella R. Università di Pavia. Sezione di Scienze storiche. Adriani (P. Giambattista), della R. Deputazione sovra gli studi di Storia Patria (Cherasco). — 15 Dicembre 1853. Birch (Walter de Gray), del Museo Britannico di Londra. — 14 Marzo 1886. Chevalier (Canonico Ulisse), Romans. — 26 Febbraio 1893. Duchesne (Luigi), Dirett. della Scuola Francese in Roma. — 28 Aprile 1895. Bryce (Giacomo), Londra. — 15 Marzo 1896. Patetta (Federico), Prof. nella R. Università di Modena. — 15 Marzo 1896. Gloria (Andrea), Professore nella R. Università di Padova. Sezione di Archeologia. Lattes (Elia), Membro del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere (Milano). — 14 Marzo 1886. Poggi (Vittorio), Bibliotecario e Archivista civico a Savona. — 2 Gennaio 1887. Palma di Cesnola (Cav. Alessandro), Membro della Società degli Antiquari di Londra (Firenze). — 3 Marzo 1889. Mowat (Roberto), Membro della Società degli Antiquari di Francia (Parigi). — 16 Marzo 1890. it A . XXI Nadaillac (Marchese I. F. Alberto de), Parigi. — 16 Marzo 1890. Brizio (Eduardo), Professore nell'Università di Bologna. — 26 Febbraio 18983. Barnabei (Felice), Direttore del Museo Nazionale Romano (Roma). — 28 Aprile 1895. Gatti (Giuseppe), Roma. — 15 Marzo 1896. Sezione di Geografia ed Etnografia. Pigorini (Luigi), Professore nella R. Università di Roma. — 17 Giugno 1883. Dalla Vedova (Giuseppe), Professore nella R. Università di Roma. — 28 Aprile 1895. Porena (Filippo), Professore nella R. Università di Napoli. Sezione di Linguistica e Filologia orientale. Sourindro Mohun Tagore (Calcutta). — 18 Gennaio 1880. Kerbaker (Michele), Prof. nella R. Università di Napoli. — 17 Giugno 1883. Marre (Aristide), Vaucresson (Francia). — 1° Febbraio 1885. Oppert (Giulio), Professore nel Collegio di Francia (Parigi). — 3 Marzo 1889. Guidi (Ignazio), Professore nella R. Università di Roma. — 8 Marzo 1889. Amelineau (Emilio), Professore nella École des Hautes Études di Parigi. — 28 Aprile 1895. Foerster (Wendelin), Professore nell'Università di Bonn. — 28 Aprile 1895. Sezione di Filologia, Storia letteraria e Bibliografia. Del Lungo (Isidoro), Socio residente della R. Accademia della Crusca (Fi- renze). — 16 Marzo 1890. Novati (Francesco), Professore nella R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. Rossi (Vittorio), Professore nella R. Università di Pavia. Boffito (Giuseppe), Professore nel Collegio delle Querce in Firenze. D’Ovidio (Francesco), Professore nella R. Università di Napoli. Biadego (Giuseppe), Bibliotecario della Civica di Verona. Cian (Vittorio), Professore nella R. Università di Pisa. XXII MUTAZIONI AVVENUTE nel Corpo Accademico dal 22 Novembre 1903 al 20 Novembre 1904. ELEZIONI SOCI Caratti di Cantogno (Barone Domenico). Con deliberazione della Classe presa nell'adunanza del 29 novembre 1903, passa dalla categoria dei Socii nazionali non residenti in quella dei Socii nazionali residenti seguendo nella anzianità il Socio Michele FiLetI. Rossi (Francesco), Eletto delegato della Classe di scienze morali, storiche e filologiche presso il Consiglio di Amministrazione dell’Accademia, nel- l'adunanza del 29 dicembre 1903. D’Ovidio (Enrico), Eletto alla carica triennale di Presidente dell’Accademia nell'adunanza a Classi Unite del 21 febbraio 1904 e approvata l’ele- zione con R. Decreto del 10 marzo 1904. Boselli (Paolo), Eletto alla carica triennale di Vice-Presidente dell’Acca- demia nell’adunanza a Classi Unite del 21 febbraio 1904, e approvata l'elezione con R. Decreto del 10 marzo 1904. Renier (Rodolfo), Eletto alla carica triennale di Segretario della Classe di scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza della Classe stessa del 21 febbraio 1904 e approvata l’elezione con R. Decreto 10 marzo 1904. Naccari (Andrea), Eletto delegato della Classe di scienze fisiche, matema- tiche e naturali presso il Consiglio di Amministrazione, nell'adunanza del 28 gennaio 1904. Fileti (Michele), Id. Id. Camerano (Lorenzo), Eletto alla carica triennale di Segretario della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 18 marzo 1904 e approvata l'elezione con R. Decreto del 7 aprile 1904. Ferrero (Ermanno), Eletto alla carica triennale di Direttore della Classe di scienze morali, storiche e filologiche nell'adunanza del 20 marzo 1904 e approvata l'elezione con R. Decreto 27 aprile 1904. XXIII Carle (Giuseppe), Eletto delegato della Classe di scienze morali, storiche e filologiche presso il Consiglio di Amministrazione dell’Accademia nel- l’adunanza del 20 marzo 1904. Jadanza (Nicodemo), Eletto alla carica triennale di Tesoriere nell'adunanza plenaria del 17 aprile 1904 e approvata l’ elezione con R. Decreto 12 maggio 1904. D’Ovidio (Enrico), L'Accademia in adunanza plenaria del 17 aprile 1904, lo riconferma per un nuovo triennio a rappresentante l'Accademia nel Consiglio amministrativo del Consorzio Universitario. Salvadori (Tommaso), Eletto alla carica triennale di Direttore della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali nell'adunanza del 29 maggio 1904 e approvata l'elezione con R. Decreto 16 giugno 1904. XXIV MORTI 11 Febbraio 1904. Berruti (Giacinto), Socio residente della Classe di scienze fisiche, mate- matiche e naturali. 7 Marzo 1904. Fouqué (Ferdinando Andrea), Socio corrispondente della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Mineralogia, Geologia e Paleontologia). 16 Marzo 1904. Gemmellaro (Gaetano Giorgio), Socio corrispondente della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali (Id. Id.). 1° Aprile 1904. Béohtlingk (Otto von), Socio straniero della Classe di scienze morali, sto- riche e filologiche. 6 Maggio 1904. Williamson (Alessandro Guglielmo), Socio corrispondente della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Chimica generale ed applicata). 23 Luglio 1904. Philippi (Rodolfo Armando), Socio corrispondente della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali (Sezione di Zoologia, Anatomia e Fisio- logia comparata). 20 Agosto 1904. Villari (Emilio), Socio corrispondente della Classe di scienze fisiche, mate- matiche e naturali (Sezione di Fisica generale e sperimentale). 13 Novembre 1904. Wallon (Enrico Alessandro), Socio straniero della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. 21 Novembre 1904. Palma di Cesnola (Conte Luigi), Socio corrispondente della Classe di scienze morali, storiche e filologiche (Sezione di Archeologia). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALL'ACCADEMIA Dal 1° Gennaio al 81 Dicembre 1904. NB. Le pubblicazioni notate con * si hanno in cambio; quelle notate con ** si comprano; e le altre senza asterisco si ricevono in dono. * Aberdeen University. Studies: No. 8, 9. The House of Gordon. Records of Elgin, 1903; 2 vol. 4°. * Acireale. R. Accademia dei Zelanti. A Giuseppe Sciuti nel suo 70° compleanno. 26 febbraio 1904; 8 pp. f°. — Rendiconti e Memorie. Memorie della Classe di scienze, serie 8?, vol. II, 1902-903; 8°. * Adelaide. R. Society of South Australia. Transactions, vol. XXVII, p. II (1903); 8°. * Alger. École de Lettres; Bulletin de correspondance africaine. T. XXVIII, Paris, 1904; 8°. America. The Astronomical and Astrophysical Society of. Second (New York, 1900) Third (Washington, 1901) Fourth Meeting (Washington, 1902). 3 fasc. 8°. * Amsterdam. Wiskundig Genootschap. Nieuw Archief voor Wiskunde; Tweede Reeks, Deel VI, Tweede Stuk, 1904; 8°. — Revue semestrielle de publications mathématiques. T. XI, 2° part. Octob. 1902-Avril 1903. — Wiskundige Opgaven met de Oplossingen, IX Deel, 1" Stuk, 1903. — Nieuw Opgaven, Deel IX, No.88-128; 8°. * Angers, Société d’Études scientifiques; Bulletin. N. Sér. XXXII, an. 1902. 1903; 8°. * Austin. Texas Academy of Sciences. Transactions, vol. V, 1903; 8°. — University of Texas. Bulletin. Scientific Ser. No. 1, 2, 1902; 8°. * Baltimore. Johns Hopkins Hospital. Bulletin, No. 153 (1903); 154-165 (1904); 4°. — Reports, vol. XI, Nos. 1-9 (1903); 8°. ** — Johns Hopkins University. American Chemical Journal, vol. 29, Nos. 3-6; 30, 31, Nos. 1-3, 1903-904; 8°. — American Journal of Math., vol. XXV, Nos. 2-5, 1903; 4°. — American Journal of Phil., vol. XXIV, Nos. 93-95, 1903; 8°. — Historical and Political Science, Ser. XXI, Nos. 1-12, 1903; 8°. — Circulars, vol. XXIII, No. 165; 8°. — Peabody Institute. Thirty-seventh Annual Report. June 1, 1904. Bal- timore; 8°. Atti della R. Accademia — Vol. XL. B XXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Basel. Naturforschenden Gesellschaft. Bd. XV, Heft 2, 1904; 8°. # Batavia. Bataviaasch Genootschap van Kunsten en Wetenschappen. Dagh- Register gehouden int Casteel Batavia vant passerende daer ter plaetse als over geheel Nederlandts-India. An. 1677, 1904; 8°. — Dagh-Re- gister gehouden int Casteel Batavia vant passerende daer ter plaetse als over geheel Nederlandts-India. An. 1647-1648 (1903). ’S-Gravenhage Departement van Kolonién; 8°. — De Java-Oorlog van 1825-80 door P.J. F. Louv. Deel III (1904); 8°. — Notulen. Deel XL (1902), Afl. 2; XLI (1903), 2,4; XLII (1904), 1-2; 8°. — Tijdschrift. Deel XLV (1902), Afl. 5; XLVI (1908), 1, 6; XLVII (1904), 1-5. — De Tjandi Mèndoet voor de restauratie door B. Kersjes en C. Den Hamer. Batavia, 1903; 4°. — Verhandelingen. Deel LIII, LIV, 8* Stuk; 1904. — Catalogus der munten en amuletten van China, Japan, Corea en Annam. Batavia, 1904: 8°. — R. Magnetical and Meteorological Observatory. Observations, vol. XXV, 1902. 1904; 4°. * — K. Magnetisch en Meteorologisch Observatorium. Regenwaarnemingen in Nederlandisch-Indié. Vier en Twintigsh Jaargang 1902. 1903; 8°. * — K. Natuurkundige Vereeniging in Nederlandsch-Indié. Natuurkundig Tijdschrift. Deel LXITI. Amsterdam, 1904; 8°. Bergumo. Istituzione Morelli. Statuto e Regolamento. 1902; 8°. * Bergen. Bergens Museum. An account of the Crustacea of Norway... by G. O. Sars, Vol. V, Copepoda Harpacticoida. Part I, VI, 1904; 8°. — Bergens Museums Aarbog for 1903, 3; 1904, 1, 2. — Aarsberetning for 1903. Berkeley. University of California. Geology, Bulletin of Department Geo- logy, Vol. 3, Nos. 13-15, 1903-1904; 8°. — Pathology, Vol. I, No. 1, 1903; 8°. — Physiology, Vol. I, Nos. 3-10, 12, 1903-1904; 8°. — Zoology, Vol. I, Nos. 3-5, 1903-1904; 8°. — Lick Observatory, Bulletin, N. 41, 1908; 4°. — University Chronicle and Official record, Vol. IV, Nos. 2-3, 1903; 8°. — Issend Quarterly. N. S., Vol. V, N. 2, 1903; 8°. — College of Agriculture. Agricultural experiment Station, Bulletin, Nos. 149-154. Sacramento, 1903; 8°. — Report of Work of the Agricultural expe- riment Station. Sacramento, 1903; 8°. — Smarwoop (W. J.). A Study of the Double Cyanides of Zink with Potassium and with Sodium. Disser- tation. Eastone Pa., 1903; 8°. * Berlin. K. Preussischen Akademie der Wissenschaften. Abhandlungen, 1903; 4°, — Acta Borussica; Das Preussische Miinzwesen im 18. Jahr- hundert: Beschreibender Theil, zweites Heft. Die Miinzen aus der Zeit Kéònigs Friedrich des Grossen, 49 Miinzgeschichtlicher Teil, erster Bd., Die Miinzwerwaltung der Kònige Friedrich I. und Friedrich Wilhelm I. 1701-1740. Berlin, 1904; 8°. — Sitzungsberichte, N. XLI (22 Oct.)-LIII (17 Dicember 1908); I (7 Januar). XL (28 Juli), 1904; 8°. ** —. K. Preussischen Geologischen Landesanstalt und Bergakademie. Abhandlungen, N. F. Heft 18 test. et Atl.; 38; 1903. — Poronié (H.), Abbildungen u. Beschreibungen fossiler Pflanzen-Reste palaeozoischen u. mesozoischen Formationen. Liefg. 1 (1903). PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXVII ** Berlin. Historischen Gesellschaft. Jahresberichte der Geschichtswissen- schaft, XXV. Jahrg. 1902. 1904; 8°. — Physikalisch-Technischen Reichsanstalt. Die Titigkeit... im Jahre 1903; 8°. Beyrouth (Syrie). Université St. Joseph. Revue Catholique bimensuelle (in lingua araba). N. 1-13, 16-22 (1904); 8°. — Prospectus et programme sommaires de la Faculté orientale. 1904; 8°. * Bordeaux. Annales de la Faculté des Lettres de Bordeaux et des Univer- sités du Midi. Bulletin hispanique, T. VI, 1-4, 1904. — Bulletin italien, T. IV, 1-4, 1904. — Revue des études anciennes, T. IV, 1-4, 1904. — Société des sciences physiques et naturelles. Mémoires, T. III. — Procés-verbaux des séances. An. 1902-1903. — Observations-pluviomé- triques et termométriques faites dans le département de la Géronde de Juin 1902 à Mai 1903. 1903 :. 8°. * Boston. American Academy of Arts and Sciences. Memoirs. Vol. III, N. 1 (1904); 4°. -- Proceedings. Vol. XXXIX, N. 1-21 (1903-1904); 8°. — American Philol. Association. Transactions and Proceedings, vol. XXXIV, 1903; 8°. * Boulder. University of Colorado. Studies. Vol. II, N. 1, 2. 1904; 8°. * Brescia. Ateneo: Commentari per l’anno 1903. 8°. * Brooklyn, N. Y. Brooklyn Institute of Arts and Sciences. Col Spring harbor Monographs. I, IL (1903); 8°. Bruxelles. Académie R. des sciences, des lettres et des beaux-arts de Belgique. Annuaire. 1904; 8°. — Classe des sciences, Bulletin 1903, Nos. 6-12; 8°. — Classe des sciences, des lettres et des beaux-arts. Mé- moires. T. IV, fasc. 6. — Mémoires Couronnés et autres Mémoires. Collect. in-8°; T. LXIII, fasc. 5-8 (1903); LXIV, LXV, 1, 2; LXVI. — Mémoires Couronnés et Mémoires des Savants étrangers. Vol. LXI (1902-1903); LXII, fasc. 3-7 (1903); 4 * — Société d’Archéologie. Annales, T. XVII (1903), livr. 3-4; XVIII (1904), livr. 1-2. — Annuaire, 1904, T. 15. * — Société des Bollandistes. Analecta Bollandiana, T. XXII fasc. 5°, 1903, XXIII (1904; 1-8; 8°. * — Société Entomologique du Belgique. Annales, T. XLVII, 1903. — Mé- moires, T. X, XI, 1903; 8°. — Société Belge de Géologie, de Paléontologie et d’Hydrologie. Bulletin, 00: GIOXVIT, fasc. 3-6; 8°. * — Musée R. d’histoire naturelle du Belgique. Mémoires, T.I et II; 4°. * Bucuresei. Ministerul Agriculturei, Industriei, Comerciului si Domeniilor. Analele Institutului Meteorologic al RomAniei. T. XVI, 1900; 4°. —- Buletinul Lunar. Anul XII (1908); 4°. — Academiei Romane. Analele, Memoriile Sectiunii scientifice, Ser. Il, T. XXVI, 1903-904; Memoriile Sectiunii Istorice, Sere NOV: 1903-904; Partea administrativà si desbaterile, Ser. II, T. XXV, XXVI, 1902-1904; 4°. — Bibliografia RomAnéscà veche 1508-1830. T. I, 1508- 1716, 1903; 4°. — Documente privitòre la Istoria RomAanilor. Vol. XII (1903); 4°. — Discursuri de receptiune; Despre introducerea Limbii Romnisti in Biserica Romînilor, de J. Bianu. Ràspuns de D. A. Sturdza. * XXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA — Insectele in limba, credintele si obiceiurile Romanilor. Studin folklo- ristic de Sim. Fl. Marian. Bucuresti, 1903; 8°. — Legendele Maicii Domnului. Studiu folkloristic. Bucuresti, 1904; 8°. * Bucarest. Société des Sciences. Bulletin, An. XII (1903), N. 5-6; XHI (1904), 1-4; 8°. * Budapest. K. Ungarische geologischen Anstalt. Catalog der Bibliothek und Allgemeinen Kartensammlung, 4 Nachtrag. 1892-1896, 1897; 8°. — Jahresbericht 1901, 1903; 8°. — Fòldtanii Kòzlòny, XXXIII, 10-12 (1903); XXXIV, 1-10 (1904). — Erlàuterungen zur agrogeologischen Spe- cialkarte der Linder der Ungar. Krone. Sectionsblatt Zone 14/col. x1x, 15/xx, 16/xx 1:75.000, 1903-1904. — Littérature générale et paléon- tologique sur l’étage Pontique d'Hongrie par Gyula Halavaàts. Budapest, 1904; 8°. Buenos Aires. Ministerio de Agricultura. Clima de la Repwblica Argentina compilado de las observaciones effectuadas hasta el aîio 1900 por W. G. Davis. 1902; 4°. — Direccion General de Estadistica de la Provincia de Buenos Aires. Boletin Mensual. A. IV, N. 37-40 (1903); V, 42, 45-48 (1904); 4°. * — Sociedad Cientifica Argentina. Anales, T. LVI, Entr. 4-6; LVII, 1-3, 5-7; LVII, 1-3. — Statistique municipale de la Ville de Buenos Ayres. Bulletin mensuel, XVII an. (1903), décembre; XVIII (1904), 1-8. — Annuaire statistique, XIII an. 1903, 1904; 8°. * Calcutta. Asiatic Society of Bengal. Bibliotheca Indica. Collection of Oriental Works. N. S., N. 1049-1098 (1903-1904); 8°. — Catalogue of Printed Books and Manuscripts in Sanskrit, fasc. IV, 1904; 4°. — Journal: History-Antiquities ecc. Part I, Index 1899, 1901, 1902; 8°. — History- Literature ecc. Vol. LXXII, Part I, N. 2, 1903; LXXIII, 1, 3, 1904; 8°. — Natural history, Part II, N. 3, 4, Index 1903; 8°. — Natural history, vol. LXXIII, Part II, N. 1-2, 1904. — Anthropology and Cognate subjects, Part III, 2 (1903). Index 1902, vol. LKXIII, Part II, 1-2, 1904; 8°. — Pro- ceedings, N. VI-XI, 1903; N. 1-V, 1904; 8°. — Board of Scientific advice for India. Annual Report for the year 1902- 1903; 1904; 4°. * — Geological Survey of India. General Report ...for the year 1902-1903; 8°. — Index to volumes XXI-XXX ofthe Records, 1903; Records, vol. XXXI, (1904); 8°. — Memoirs, Vol. XXXIII, part 3; XXXIV, 3; XXXV, 2,8; XXXVI, 1, 1902-1904; 8°. — Memoirs, Palaeontologica Indica, Ser. IX, Vol. III, p. 2°, The Lamellibranchiata; No. 1, genus Trigonia, 1903; Ser. XV, Himalayan Fossils, Vol. I, p.5; Vol. IV, 1903. * Cambridge. Cambridge Philosophical Society. Proceedings, Vol. XII, part 5, 6, 1904; 8°. — Transactions, Vol. XIX, part 2*, 3*. — Ritratto del Socio G. G. Stokes in fototipia. * Cambridge U. S. A. Museum of Comparative Zoology at Harvard College. Annual Report of the Keeper... to the President and Fellows of Harvard College for 1902-1903; 1903-1904; 8°. — Bulletin, Vol. XXXIX, 9; XLI, 2; PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXIX XLIII 1-3; XLIV (Geological Ser., Vol. VII), 1904; XLV, 1, 2; XLVI, 1,2; XLVII (Geological Ser., Vol. VI, N. 5). —— Memoirs; Vol. XXIX. * Cape Town. South African Philosophical Society. Transaetions, Vol. I-IV, V, part 1; VI-XII, XII, 1; XIV, XV, 1, 2, 1879-1904; 8°. * Catania. Accademia Gioenia di scienze naturali. Atti. An. LKXKXX (1903), Ser. 4*, Vol. XVI; 4°. — Bollettino delle sedute 1903, fasc. 79-82; 8°. — Società degli Spettroscopisti italiani. Memorie, Vol. XXXII, disp. 12 (1903); 1-10; 1904. * Chambéry. Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Savoie. Mémoires, 4° Sér., T. X, 1903; 8°. — Tableau de tous les membres de l’Académie et tables des noms et des matières contenues dans chacun des volumes des Mémoires et des Documents. 1903; 8°. * — Société Savoisienne d’Histoire et d’Archéologie. T. XLII (1903); 8°. * Charleroi. Société Paléontologique et Archéologique. Documents et Rapports. T. XXVI (1902-1903); 8°. * Cherbourg. Société nationale des sciences naturelles et mathématiques IRRBXOOGINIArfase, 2°. 1903; 8°. * Chicago. Field Columbian Museum. Publication, 73, 74, 76. Anthropolo- gical Series. Vol. II, N. 6, 1903; IV, 1904. — Geological Series. Vol. II, N. 1-4, 1903. — Zoological Series. Vol. III, N. 11-14 (1903). — John Crerar Library. Ninth annual Report for the year 1903-1904; 8°. * Christiania. Videnskabs-Selskabs. Forhandlinger Aar 1903, 1904; 8°. — Skrifter, 1903; Mathematisk-naturvidenskabelige Klasse, 1904; 8°. * Cincinnati (Ohio). Lloyd Library of Botany; Pharmacy and Materia medica. Bulletin; N. 6 (1903); 8°. — Mycological Notes, N. 10, 14 (1902-1903); 8°. Colorado Spritigs, Colo. Colorado College Studie. Science Ser., Nos. 30-32, Vol. XI; 1904; 8°. * Copenhague. Académie R. des sciences et des lettres de Danemark. Bulletin, 1903, N. 6; 1904, N. 1-5. Mémoires. Section des sciences, 6° Sér., T.XI1,4; 7°Sér., T. I, 1-3. Sect. des lettres, 6° Sér., T. VI, 2, 1904; 4°, * Cracovia. Akademii Umiejetnos’ci, Bulletin international. Classe des sciences mathématiques et naturelles, 1903, N. 8-10; 1904, 1-7. — Classe de philologie. Classe d’histoire et de philosophie, 1903, 8-10; 1904, 1-7. — Catalogue of Polish-scientific-literature. T. III, Rok 1903, 2,4. — Materyaly i Prace Komisyi jezykowej, T. II, Zeszyt 1, 1903. — Stownik Gwar Polskich, T. III (L do O), 1903. — Rozprawy-Wydziat historyezno- filozofiezny, Ser. II, T. XIX, XXI, 1903. — Rozprawy-Wijdzia} filolo- gicany, Ser. II, T. XXIII, 1904. * Dorpat. K. Universitàt. BIOTA®MUECRINM CIOBAPb IIPOBECCOPOBB 101 NIPENOJABATEJEH IMHIEPATOPCORATO HOPbECKATO, BbIB- HIATO, YHMBEPCHTETA 8A CTO JIBTD ETO CYMECTBOBAHIA (1802-1902), TOM’ I, II FOPBEB', 1902-1903 ; 8°. — IMITEPATOPCRIÎT IOPbEBCKIÎ, BBHBHIM JEPITCKIÎ, YHUBEPCUTETB 3A CTO IBTB ETO CYIMECTBOBAHISM (1802-1902), TOM I: NEPBbIII NU BTOPOÎI HEPIO.IBI (1802-1865), OPbEB', 1902; 8°. — CTATUCTIHU- CRIS TAbJMIIBI n 1nsnse conero no Mmneparoperomy MpbeBcrowmy, XXX PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA osismemy Ilepurckomy, yHmBepenteTry (1802-1901), OpbeB®B, 1902; 8°, — Acta et Commentationes 1902, T. 10; 8°. Dublin. R. Dublin Society. Economic Proceedings. 1903, Vol. I, Part 4. — Scientific Proceedings. 1903, Vol. X (N. S.), Part 1; 8°. — Scientific Transaction, 1908, Vol. VIII (Ser. II), N. 2-5; 4°. — R. Irish Academy. Proceedings. Vol. XXIV, Sect. A, Mathem., Astron., and Physical Science, Part 4, 5; Sect. B, Biological, Geolog., and Che- mical Science, Part 4, 5; Sect. C, Archeol., Linguistie, and Literature, Part 4, 5; XXV, Part.1-4. — Transactions. Vol. XXXII, Sect. A, Part 7-10; B, 3-4; C, 3, 4. 1903-904; 4°. Edinbargh. R. Physical Society. Proceedings. Session 1902-904. 1904; 8°. — R. Scottish Society. Transactions. Vol. XVI, Part 1 (1903); 8°. Erlangen. Physikalisch-medicinischen Societàt. Sitzungsberichte. 34 Heft, 1902. 1903; 8°. Firenze. R. Accademia della Crusca. Atti. Adunanza pubblica del dì 27 dicembre 1903. 1904; 8°. Vocabolario. Quinta impressione. Vol. IX, fasc: 3°. 1903; 4°. — R. Accademia economico-agraria dei Georgofili. 4* serie, vol. XXVI, disp. 4* (1908); 5* serie, vol. I, disp. 1-3. (1904). — Degli Studi e delle vicende della R. Accademia dei Georgofili dal 1854 al 1903. Firenze, 1904; 8°. — R. Istituto di Studi superiori pratici e di perfezionamento. Sezione di filosofia e filologia: Luca Contile, uomo di lettere e di negozi del se- colo XVI per Abd-El-Kader Salza. 1903; 4°. — Sezione di scienze fisiche e naturali: Osservazioni astronomiche fatte all’equatoriale di Arcetri nel 1903 da A. Abetti. 1904; 8°. — Sezione di medicina e chirurgia: Ricerche sul ricambio materiale nella tifoide dei dottori C. Baduel, G. Daddi, G. Marchetti. 1903; 4°. — R. Istituto di scienze sociali “ Cesare Alfieri ,. Annuario 1903-1904; 8°. * — R. Osservatorio meteorico del Museo. Pubblicazioni periodiche di me- teorologia 1896-1902; 8°. * Frankfurt am Mein. Senckenbergischen Naturforschenden Gesellschaft. Abhandlungen. XXV Bd, Heft 4; XXVII, 2, 3; XXIX, 1. 4°. — Berichte. 1903, 1904; 8°. # Freiburg. Naturforschenden Gesellschaft. Berichte. Bd. XIV. 1904; 8°. * Gap. Société d’Études des Hautes-Alpes. Bulletin, 3€ Sér., 3° et 4° tri- mestre 1903; 1"-2° trimestre 1904; 8°. Genève. Observatoire. Résumé météorologique de l’année 1902 pour Genève et le Grand Saint-Bernard. — Observations météorologiques faites aux fortifications de Saint-Maurice pendant l’année 1902. Résumé. 1903; 8°. * — Société de Physique et d’Histoire naturelle. Mémoires, Vol. 34, fasc. 4. 1904, * Genova. Biblioteca della R. Università. Atti, Vol. 17; 8°. * — Società di letture e conversazioni scientifiche. Rivista ligure di scienze, lettere ed arti. An. XXV, fasc. 6; XXVI (1904), 1-5, 1903-1904; 8°. — R. Scuola navale superiore. Annuario, Anno scolastico 1903-904; 8°. * * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXI * Goteborg. K. Vetenskaps-och Vitterhets-Samhitles Handlingar. 4 fòljden. II, 5-6- 1903; 8°. * Gottingen. K. Gesellschaft der Wissenschaften. Geschàftliche Mitthei- lungen 1903, Heft 1-3, 1904; 8°. — Mathematische-Physikalische Klasse. Abhandlungen, Bd. III, N. 1-5. — Nachrichten 1903, Heft 6, 1904, 1-5. — Philologisch-Historische Klasse. Abhandlungen N. F., V, 5; VII, 4, 5; VIII, 1-2. — Nachrichten 1903, Heft 6, 1904; 1-3. * Granville Ohio. Scientific Laboratories of Denison University. Bulletin, Vol. XII, Art. V-VII (1902-1903); 8°. * Habana. Academia de Ciencias Médicas, Fisicas y Naturales. Anales, T. XLI, Junio è Septiembre, 1904-1905; 8°. * Halle. K. Leopoldino-Carolinischen deutschen Akademie der Naturforscher. Abhandlungen, 80, 81 Bd. 1903; 4°. — Leopoldina, XXXVII-XXXIX, 1901-1903; 4°. * Haarlem. Musée Teyler. Archives. Sér. II, Vol. VIII, 4° et 5° partie (1903-1904). — Catalogue de la Bibliothèque par G. C. W. Bohnensieg, T. III, 1888-1903; 1904; 8°. — Société hollandaise des sciences. Archives néerlandaises des sciences exactes et naturelles. Sér. II, T, IX, livr. 1-5 (1904). * Heidelberg. Naturhistorisch-medizinischen Vereins. Verhandlungen, N. F., VII Bd., 3-5 Heft. 1904; 8°. * Helsingfors, Institut Météorologique Central de la Société des sciences de Finlande. Observations météorologiques faites è Helsingfors en 1897 et 1898. Vol. XVI, XVII. — État des glaces et des neiges pendant l’hiver 1892-1893. 1904; 4°. * Jena. Medizinisch-naturwissenschaftlichen Gesellschaft. Jenaische Zeit- schrift fiir Naturwissenschaft. N. F., XXXI Bd., 3-4 Heft; XXXII, 1. 1904; 8°. — Denkschriften. IV, Bd. 4; VI, 2; IX; X, 2; XI, Fetschrift zum siebzigsten Geburtstage von E. Haeckelj XII Bd. u. Atl., 1904; 4°. * Kasan. Société physico-mathématique. Bulletin, T. XII, 4; XIII, 1, 3. 1902-1903; 8°. * Kharkow. Communications de la Société mathématique. 2° Sér., T. VIII, Nos. 1-3. 1904; 8°. * Kiel. Kommission zur wissenschaftlichen Untersuchungen der deutschen Meere in Kiel und der Biologischen Anstalt auf Helgoland. Wissen- schaftliche Meersuntersuchungen. N. F., V Bd., Abth. Helgoland, Heft 2; VI, 1, 2. 1904; 4°. VII, VIII Bd., Abth. Kiel. 1903; 4°. Knin. Starohrvatska prosvjeta Glasilo hrvatskog Starinarskog druZtva. God. VIII, Sv. 1,2. 1904; 8°. * Koònigsberg. Physikalisch-5konomischen Gesellschaft. Schriften, 1903; 4°. Kristiania. Norske Gradmaaling-Kommission. Resultater af Vandstands- Observationer paa den Norske Kyst. Heft VI. 1904; 4°, Kyoto. Imperial University. Memoirs of the College of science and Engi- neering. Vol. I, N. 1. 1903; 8°. * Lawrence, Kansas. University of Kansas. Science Bulletin, Vol. II, Nos. 1-9. 1903; 8°. i * XXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Leipzig. Fiirstlich Jablonowskischen Gesellschaft. Jahresbericht, 1904; 8°. * — K. Stichsischen Gesellschaft der Wissenschaften. Abhandlungen der Mathem.-Physische Klasse; XXVIII. Bd., N. 6, 7; XXIX, 1, 2. — Berichte 1903, N. 6; 1904, 1-4. — Abhandlungen der Philologisch-Historischen Klasse. XXII. Bd., N. 4-6; XXIV, 1-3. — Berichte, 1903, N. 3-6; 1904, 1-3. 1903-1904; 8°. *# — Monumenta Germaniae historica. Scriptorum, T. XXXI, pars 1* (1903); 4°. * — Vereins fir Erdkunde. Wissenschaftliche Veròffentlichungen. VI. Bd. 1904; 8°. — Mitteilungen, 1903, Heft I. 1904; 8°. * Liège. Société Géologique de Belgique. Annales. T. XXX, 2° livr., XXXI, 1-2. 1904; 8°. * — Société Royale des Sciences. Mémoires, 3° Sér., T. V. 1904; 8°. Lima. Ministerio del Fomento. Boletin del Cuerpo de Ingenieros de Minas del Per. N. 3, 4 (1903); 6-9, 11-14. 1904; 8°. * Lisboa. Commisùo do Servigo Geologico de Portugal. Cummunigdes. T. V, fasc. 1, 2. 1903-1904; 8°. — Mollusques terrestres du Portugal. Lisboa, 1903-1904; 4°. — Observatoire Royal (Tapada). Observations d’éclipses de Lune par Campos Rodriguez, F. Oom et Teixeira Bastol. — Corrections aux Ascensions Droites de quelques étoiles du Berliner Jahrbuch par Campos Rodriguez. Kiel, 1902-1904; 4°. # London. Royal Astronomical Society. Monthly Notices, Vol. LXIV, Nos. 1-9. 1903; 8°. * — British Museum. Catalogue of the Collection: Bones of Mammalia, 1862, 1 v. 89; Monkeys, Lemurs, and Fruit-eating Bats, 1870, 1 vol. 89; Carnivorous, Pachydermatous, and Edentate Mammalia, 1869, 1 vol. 8°; Seals and Whales, 1866, 1 vol. 8%; Supplement 1871, 1 vol. 8% Rumi- nant Mammalia, 1872, 1 vol. 8°; Coleopterous insects, part VII, VIII, 1853-1855, 2 vol. 8°; Illustrations of typical specimens of Coleoptera, 1879, 1 vol. 8°; Coleopterous insects of Madeira, 1857, L vol. 8°; Coleo- pterous insects of the Canaries, 1864, 1 vol. 8°; Hallicidae, 1860, 1 vol. 8°; Hispidae, 1858, 1 vol. 895 Hymenopterous insects, part I-VII, 1853-1859, 7 vol. 16°; List of Hymenoptera. With descriptions and figures of the specimens, vol. I, 1882, 85 Neuropterous insects, Part 1*, 1858, 16°; Hemiptera Heteroptera, Part VII, 1873, 1 vol. 89; History of the Collections, vol. I, 1904, 8° Library Catalogue, vol. II, E-K, 1904, 4°; Second Report on Economie Geology, 1904; 8°; Catalogue of Jurassic Plant, part II, 1904, 89%; Introduction to Study of Meteorites, 1904, 8°; 28 vols. * — Chemical Society. Journal. Vols. LXKXXV & LXXXVI; January-November, 1904; 8°. — Proceedings, vol. XIX, N. 274; XX, 275-286. 1904; 8°. * — Geological Society. Quarterly Journal, Vol. LX, part 1-4, N. 237-240, 1904; 8°. Geological literature added during the year ended December 3lst. 1903. 1904; 8°. — List. November 10th. 1904; 8°. * — Linnean Society. Journal, Botany, Vol. XXXV, No. 248; XXXVI, 253, 254; XXXVII, 257. — Zoology, Vol. XXIX, Nos. 189, 190; 1904. — * A PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIII Proceeding, 116th session, from November to June 1904. — Transactions, Botany, Vol. VI, part 7-9; Zoology, Vol. VIII, part 18; IX, 3-5; 4°. — List, 1904-1905. *# London. R. Microscopical Society. Journal, 1904, part 1-6; 8°. * — R. Society of Literature. Transactions, Vol. XXIV..Part 4; XV, 1-8%; 1903-904. —- Chronicon Adar de Usk. A. D. 1377-1421, edited with a translation and notes by Sir Ed. Maunde Thompson. 2nd edit. London, 1904; 8°. — Report and List of Fellow, 1904; 8°. * — Royal Society. International Catalogue of scientific Literature (second annual issue), 1903; 8°. B. Mechanics; €. Physics; D. Chemistry, vol. II, part II; E. Astronomy; K. Palaeontology, vol. XV; L. General Biology, vol. XVI; M. Botany, vol. I, part II; N. Zoology, vol. XVII, part I, II; 0. Human Anatomy, vol. XIII; P. Physical Anthropology, vol. XIV; Q. Physiology, vol. III, part II; R. Bacteriology. — Year-Book, 1904; 8°. — Obituary Notice of Fellow. part I-III, 1904; 8°. — Proceedings, Vol. LXXII, No. 487; LXXIII, 488-496; LXXIV, 497-502, 1904. — Trans- actions Philosophical, Ser. A, vol. 202, 203; Ser. B, vol. 196. 1904; 4°. * — Zoological Society. Proceedings, 1903, vol. II; 1904, vol. I, II, 1. — British Association of the advancement of science. Report of the Seventy- third Meeting held Soutport in September 1903. 1903; 8°. * Louvain. Université catholique. Annuaire 1904. — Thèses de la Faculté de Théologie, 804-819. — Thèses de la Faculté de philosophie et lettres, 28. — Programme des cours de l'année académique 1903-904. — Bibliographie, 2° supplément 1901-1903, 1904; E. van Rory, De justo auctario ex contractu crediti, 1908; FL. De Lannoy, Les origines diplo- matiques de l’indépendance belge, 1903; A.J. De Bray, La Belgique et le marché asiatique, Bruxelles, 1903; F. Cnavée, Propriétaires et fermiers en Angleterre, 1903; R. Vermaur, Les régies municipales en Angleterre, Courtrai, 1903; In., Les grèves des chemins de fer en Hollande en 1903, Courtrai, 1903; L. G. Vernorven, Des effets de com- merce, 1903; C. Lrécrors, Gilles de Chin. L'histoire et la légende, 1903; — A. Bayor, Le roman de Gillion de Trazegnies, 1903; C. TEeRLINDEN, Le pape Clément IX et la guerre de Candie, 1904. * Lucca, R. Accademia lucchese di scienze, lettere ed arti. T. XXXI, 1902; 8°. * Luxembourg. Institut Grand-Ducal. Section des sciences naturelles et mathématiques. T. XXVII (B), 1904; 8°. * Lyon. Diocèse de Lyon. Bulletin historique, 5° An. (1904), Nos. 25-28; 8°. * — Société d’Agriculture, Sciences et Industries. Annales, 7° Série, T. VI (1898), 1899; 8°. * Madison. Wisconsin Academy of sciences, arts and letters. Transactions, vol. XIII, Part II (1901); XIV, 1 (1902); 8°. — Wisconsin Geological and Natural History Survey. Bulletin, Nos. IX, X, XI (Economic Series, Nos. 5, 7), 1903; XII (Scientific Series, No. 3); 8°. Madras. Kodaikanal and Madras Observatories. Annual Report of the Di- rector for the period lst January to 31st December 1903; 4°. * Madrid. Real Academia de Ciencias exactas, fisicas y naturales. Annuario 1883-1904, 22 vol. 16°. — Discursos de recepcion, 1863-1908, 52 fasc. 8°. XXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA — Memorias, T. VI, p. 3*, 2 ed. al XVII, XVIII, p. 1°, XIX, fasc. 1°, XXI, p. 1°, 1877-1903; 16 vol. 4°. — Revista de los Progresos de las Ciencias exactas, fisicas y naturales, T. III-XXI, 1858-1886; 17 vol. 8°. — Libros del Saber de Astronomia, del rey D. Alfonso el Sabio, T. V, p. 1, 1 vol. f. — Programa y Reseîa del certamen abierto por la Academia, con motivo del centenario de Calder6n, 1881; 8°. — Memoria premiada en el mismo certamen, original de D. Felipe Picatoste, 1881; 8°. — Teoria matematica de la Luz por don Jose Echegaray, 1871; 8°. — Disertaciones matematicas sobre la cuadratura del circulo el metodo de Wantzel y la division de la circunferencia en partes iguales por D. José Echegaray, 1887; 8°. — Propiedades Elementales relativas è la divisibilidad de los nimeros enteros por D. Ricardo Vazques Illà. Valladolid, 1881; 8°. — Revista, 1°. I, N. 1-5 (1904); 8°. * Madrid. Real Academia de la Historia. Boletin, T. XLIV, cuad. 1-6; XLV, 1-6; 1904; 8°. Manchester. Manchester Geolog. & Mining Society. Transact., Vol. XXVIII, p. 10-12 (1904); 8°. * Messina. R. Accademia Peloritana. Atti, Vol. XVII (1903-904), XIX, fasc. 1 (1904-905); 8°. * Mexico. Observatorio astronémico nacional. Informes presentados a la Secretaria de Fomento por el Director sobre los trabajos del Estableci- miento desde 1° de Enero de 1902 à 30 de Junio de 1903; 8°. — Observatorio Meteorologico magnético central. Boletin mensual, 1902, marzo-julio; 4°. # — Sociedad Cientifica “ Antonio Alzate ,. Memorias y Rivista, T. XVIII, 3-6; XIX, 2-7; 8°. ** Milano. Associazione tipografico-libraria italiana. Catalogo generale della libreria italiana dall'anno 1847 a tutto il 1899. Vol. III, punt. 2-7; 8°. — Città di Milano. Bollettino statistico mensile. A. XIX (1903); nov.-dic. Notizie riassuntive dell’anno 1903; XX (1904), gennaio-ottobre 1904. — R. Istituto lombardo di scienze e lettere. Classe di scienze matema- tiche e naturali, Vol. XIX, fasc. 12, 18 (1904); XX, 3. — Rendiconti, Ser. II, Vol. XXXVI, fasc. 20; XXXVII, 1-19. 1904. — R. Osservatorio di Brera. Anno 1905. Articoli generali del Calendario ed Effemeridi del Sole e della Luna per l’orizzonte di Milano. 1904; 8°. * — Società Italiana di scienze naturali e Museo Civico di storia naturale. Atti, Vol. XLII, fasc. 49; XLIII, 1°-3°, 1904; 8°. ** Minneapolis. Geological and Natural History Survey of Minnesota. Bota- nical Studies. 8° Ser., part III. 1904; 8°. Monaco. Musée Océanographique. Bulletin, N. 1-19. 1904; 8°. — Résultats des campagnes scientifiques accomplies sur son yacht par Albert 1" Prince souverain de Monaco, fasc. XXV-XXVII. 1904; 4° (dono del Prin- cipe Alberto I di Monaco). * Montevideo. Museo Nacional. Anales, Ser. II, entrega 1. 1904; 4°. * Montpellier. Académie des sciences et lettres. Section des sciences, Mé- moires, 2° Sér., T. III, N.3 (1903). — Section des Lettres. Mémoires, 2° Sér. T. IV, N. 2, 1904; 8°. * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXYV * Moscou. Société Imp. des Naturalistes. Bulletin (1902), N° 4 (1903), 2-3. * Miinchen. K. Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Abhandlungen. Mathematisch-physikalischen Klasse, XXII Bd., 1 Abth. Abhandlungen. Historischen Klasse, XXIII, Bd., 1 Abth. Sitzungsberichte. Mathematisch- physikalischen Klasse 1903, Heft 4, 5; 1904, Heft 1-2. — Philosophisch- philologischen und historischen Klasse 1903, Heft 4; 1904, Heft 1-3. — Kvxarp (G. F.). Justus von Liebig nach dem Leben gezeichnet 1903; 4°. — Zirret (K. A. v.). Ueber wissenschaftliche Wahrheit. 1902; 4°. * Nancy. Académie de Stanislas. Mémoires (1902-903); 5° Sér., T. XX. 1903; 8°. * Nantes. Société des sciences naturelles de l’Quest de la France. Bulletin, 2me Sér., T. III, 2°-4° trimestre 1903; 8°. * Napoli. Accademia Pontaniana. Atti, Vol. XXXIII. 1903; 8°. — Collegio degli Ingegneri ed Architetti. Ann. XXII (1904), N° 1, 4, 8, Tao -19; 3°, # — R. Istituto d’incoraggiamento. Atti, 5% ser., vol. V. 1904; 4°. — Museo Zoologico della R. Università. Annuario. Vol. I, N. 1-20. 1901-904; 8°. * — Zoologischen Station zu Neapel. Mittheilungen, XVI Bd., 1 u. 3 Heft: XVII Bd. 1, 2. Berlin, 1903; 8°. — R. Osservatorio di Capodimonte. Osservazioni meteoriche. 1903; 8°. * — Società di Naturalisti. Bollettino, Ser. I, Vol. XVII. 1904; 8°. * — Società Reale. Annuario 1904; 8°. — Accademia delle scienze fisiche e matematiche. Rendiconti, Ser. 3*, vol. IX (1903) N° 8-12. X (1904) 1-7. Natal. Surveyor-General's Department. Second Report of the Geological Survey of Natal and Zululand. By W. Anderson. London, 1904; 4°. * Neuchatel. Société des sciences naturelles. Bulletin. Tome XXVIII. An. 1899-900; 8°. * New York. American Mathematical Society. Bulletin, 2nd Ser., Vol. X; XI, 1-3. 1904. — Transactions, Vol. V, Nos. 1-8. — Annual Register, January, 1904; 8°. — General Index 1891-904; 8°. * — Public Library Astor Lenox and Tilden Foundations. Bulletin, Vol. VIII, Nos. 1-11 (1904). 1903; 8°. * Nouvelle Orléans. Athénée Louisianais. Comptes-rendus, 9° série, t. III, livrs. 1°, 2°, 1904. Oberlin (Ohio). Wilson Ornithological Club. Bulletin. Vol. X, N. 4; XI, 1. 1903, 1904; 8°. * Ottawa. Geological Survey of Canada. Geological Sheets Nos, 42 to 48, 56 to 58 Nova Scotia. Reference, Part I, Annual Report. Vol. V, 1890-91. Altitudes in the Dominion of Canada with a relief Map of North Ame- rica. Ottawa, 1901. 1 Vol. and Atl.; 8°. — Dictionary of Altitudes in the Dominion of Canada with a relief Map of Canada. 1903; 8°. — Report on the Great Landslide at Frank, Alta. 1903, 1904; 8°. — Ap- pendix to the Report of the Superintendent of Mines. 1902. 1903; 8°. * — R. Society of Canada. Proceed. and Transact., 2nd Ser., Vol. IX, 1903; 8°. * Padova. R. Accad. di scienze, lettere ed arti. Atti e Memorie. N. S. Vol. XIX (1903). — Accademia scientifica yeneto-trentina-istriana. Atti. N. S. An. I, fasc. I. 1904; 8°. XXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Palermo. Reale Accademia di scienze, lettere e belle arti. 3* Ser. (An. 1902-1903), Vol. VII. 1904; 4°. — Fondazione di Studi Sensales ed il suo statuto. 1904; 8°. — Circolo Matematico. Annuario. 1904; 8°. — Rendiconti, T. XVIII (1904), fasc. 1-6. — Estratti dai Verbali delle adunanze 13 dicembre 1903- 22 maggio 1904. * — R. Istituto Botanico. Contribuzioni alla Biologia vegetale edita da A. Borzì. Vol. IIl, fase. II. 1904; 8°. — Società di scienze naturali ed economiche. Giornale, Vol. XXIV. 1904; 4°. Paris. Ministère de l’Instruction Publique et des Beaux-Arts. État général par fonds des Archives Départementales, ancien régime et période ré- volutionnaire. Paris, 1903; 4°. — Inventaire-Sommaire des Archives Départementales, antérieures è 1790. — Aisne. Ville de Liesse. Archives Hospitalières. — Aube. Sér. E (Fonds de Saxe). T. 1®, 1°° part. Ar- chives particulières du prince Xav. de Saxe. — Dròme. Archives Civiles. Sér. E, T. VII. — Orne, Archiv. Ecclés., Sér. H, T. IV. — Seine-Infé- rieure. Arch. Civiles. Sér. C, D. T. II. — Tarn. Ville de Cordes. — Ministère de l’Instruction Publique. (Euvres complètes d’Augustin Cauchy. II° Sér., T. V. Paris, 1903; 4°. — Mémoires publiés par les Membres de la Mission archéologique frangaise au Caire. T. XIX, fasc. 4. 1903; 4°. — Catalogue des thèses et écrits académiques, 19"° fase. An. scol. 1902-1903; 4°. * — Ministère des Travaux Publics. Annales des Mines, 10° Série, t. IV; 9-12 (1903), V, 1-3, 5-6; VI, 7-8. — Tables des matières de la IX° sér. décennale. 1892-1901; 8°. * — Institut National de France. Académie des Inscriptions et Belles-Lettres. Mémoires XXXVI, 1901; XXXVII, 1’? partie 1904. Mémoires presentés par divers savants, 1"° sér. Sujets divers d’érudition. T. XI; 1902-1904; 4°. — Notices et Extraits des Manuscrits de la Bibliothèque Nationale et autres bibliothèques. T. XXXVI (deuxième partie), XXXVII, XXXVIII (1° partie), 1901-903. 1903; 4°. — Corpus Inscriptionuam Semiticarum. Pars II, T. I, fase. 2, 3. Testo e tav. 2, fas. 4° e f° (1902). — Académie des sciences. Mémoires, T. XLVI, XLVII. 1904; 4°. — Académie des sciences morales et politiques. Mémoires, T. XXIII, 1902; XXIV, 1904; 4°. — Ordonnances des Rois de France. Règne de Frangois Ie. T. I (1515-1516). 1902; 4°. ** — Bureau des Longitudes. Annuaire pour l’an 1904; 16°. * — École Polytechnique. Journal, II° sér., VIIIm® cahier. 1903; 4°. * — Musée Guimet. Annales. Bibliothèque d’études. T. XIV (1902). Revue de l’histoire des religions; T. XLVII, 3 XLVIII, 1, 8 (1903) XLIX (1904), 1. * — Muséum d’histoire naturelle. Nouvelles Archives. 4" sér., t. IV, fasc. 2; Vme fasc. 1, 2. — Bulletin, 1903; Nos 5-8. 1902-1903. * — Société de Géographie. La Géographie, Bulletin, T. VIII (1903); N. 1-6; IX (1904), N, 1-4; 8°. * — Société Géologique de France. Bulletin, 4° Sér., T. III, N. 2-5. 1903, * — Société Nationale des Antiquaires de France. Bulletin, 4° trim. 1903; 1904, 1°-2° trim.; 8°. — Centenaire (1804-1904). Compte-rendu de la * PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXVII journée du 11 avril 1904; 4°. — Mémoires, 1901. 7° Sér., T. II (1903). — Mettensia IV. Mémoires et Documents, fasc. 2. 1904; 8°. * Paris. Société Mathématique de France. Bulletin, T. XXXI, fase. 4; XXXII, fasc. 1-8. 1904; 8°. — Société Philomatique. Bulletin, 9° Série, T. V, Nos. 3-4 (1903); 1-3. 1904. * — Société de Speléologie. Spelunca. Mémoires, N. 23, 24; Bulletin et Mémoires, Nos. 23-37. 1900-9083; 8°. * — Société Zoologique de France. Bulletin, T. XXVIII, 1-8. 1903; 8°. * Pavia. Società Pavese di Storia patria. Bollettino, An. III(1908), fase. 3, 4. IV (1904), fasc. 1-3. 1903; 8°. * Perugia. R. Deputazione di Storia patria per l'Umbria. Vol. X, fasc. 1, 2. 1904; 8°. — G. Deeti Azzi. Le relazioni tra la repubblica di Firenze e l'Umbria nel secolo XIV secondo i documenti del R. Archivio di Stato in Firenze. *— Università. Facoltà di Giurisprudenza, Annali, Ser. III, 1903, vol. I, fasc. 4°, 1904, vol. II, fasc. 1°-2; 8°. * Philadelphia. Academy of Natural Sciences. Journal, 2nd Ser., Vol. XII, part 3. 1903; fol. — Proceedings, vol. LV, p. 2-3. 1903; 8°. * — American Philosophical Society. Proceedings, vol. XLII, N. 173-175 (1903). 1904; 8°. * — Wagner Free Institute of Science. Transaetions, vol. III, part IV (1898); V (1900); VI (1903); 8°. Pisa. Società Cattolica italiana per gli studi scientifici. Bollettino mensile 1904, N. 1, 2 4-6, 7-10; 8°. * — R. Università. Annuario per l’anno accademico 1903-904; 8°. — Annali delle Università toscane. Tomo XXIV. 1904; 4°. — R* Università. Laboratorio di chimica agraria. Studi e ricerche, fasc. 18 (1902); 19 (1903); 8°. * — R. Scuola Normale. Annali. Scienze fisiche e matematiche, vol. IX. 1904; 8°. * — Società Toscana di scienze naturali. Memorie, Vol. XX. 1904; 8° — Processi verbali, vol. XIV, N. 1-5; 8°. Pompei. Santuario. — Calendario, 1904; 16°. — Valle di Pompei, Ann. XIV, N. 1--. * Portici. R. Scuola superiore di agricoltura. Ser. II, vol. IH (1903); 8°. Potsdam. Centralbureau der Internationalen Erdmessung. Veròftentlichungen N. F. Nos. 9-10. Bericht iber die Tatigkeit... im Jahre 1903. (1904); 4°. — Verhandlungen der vom 4. bis 13. August 1903 in Kopenhagen abgehaltenen Vierzehnten Allgemeinen Conferenz der Internationalen Edmessung. 1904; 4°. — K. Preuss. Geodàtischen Institutes. Veròffentlichung. N. F. No 14, 15, 16, 17 (1904). Berlin, 1904; 8°, 4°. * Poulkovo. Publications de l’Observatoire Central Nicolas. Vol. IX, 1, 2; XII; XVII, 1; XVIII, 1. St. Pétersbourg, 1903; 4° * Prag. K. K. Sternwarte. Magnetische und Meteorologische Beobachtungen und der... im Jahre 1903. 64 Jahrgang. 1904; 4°, XXXVIII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Praze. Cesk4 Akademie Cisaré Frantiska Josefa pro vedy, slovesnost a uméni. — Almanach. Roénik XIII (1903). — Rozpravy (Mathem.-Pri- rodnick4). Trida III, Rot. XI (1902). Trida III, Cislo 20 (1903). Trida II, Roé XII (1903). — Rozpravy. (Pro vèdy filos. pràvni a Histor.) Tr. I, Roc. X (1902). Tr. III. Roc. IX, Cislo I. 1902, 1903; Roc. XI, 1903. — Bulletin international. Résumé des travaux présentés. Sciences mathém. et naturelles. An. VII (1908), VIII (1904); Médecine, An. VII (1903), VIII (1904). — Sbirka pramenfiku poznàni litheraririho Zivota v cechach, na Moravé a v Slezsku: Skupina II Cislo 5. SkupinaI, Rada 1 Cislo 3-6. Skupina I, Rada II Cislo 4-6; Skupina II, 6, 7; II, 4. — Spisy J. A Komenského. Cislo 5, 6. — Véstnik. Roc. XI, XII. — Bibliografia Ceské historie. 1 vol. 8°. — Bibliotéka Klassikù feckych a rimskych ete. Cislo 5-8. — Martina Kolàre Ceskomoravska Heraldika.I Cést vseobecnà. 1902-1903; 8°. — Historicky Archiv, Cislo 22, 23 (1903); 8°. — Monu- menta Palaeographica Bohemiae et Moraviae vydava. G. Friedrich. Sesit 1. Predlozeno dne 7. dubna 1904. * Rennes, Société scientifique et médicale de l’Quest. XII° An. T. XII, N. 2-4. (1903); 8°. Rio de Janeiro. Ministerio da Industria, Viacào e Obras Publicas. — Bo- letim mensal do Observatorio. Abril-Julho de 1903; 8°. — Ministerio da Justiga e Negocios interiores. — Relatorio [e Annexos ao Relatorio] apresentado ao Presidente da Republica dos Estados Unidos do Brasil pelo Dr. J. J. Seabra em Abril de 1903. 2 vol. 8°. * — Bibliotheca Nacional. — Publicagòes do Archivio publico nacional. IV. 1903; 4°. -- Breves apontamentos para o estudo das questdes relativas ao ensino normal primario en pelo Dr. I. Teixeira de Macedo; 1877; 8°. — Diccionario grammatical... da lingua portugueza por F. R. Pereira de Carvalho. 1886; 8°. — Guia da Exposigào permanente da Biblio- theca Nacional. 1885; 8°. — Novos apontamentos de origem allemà para o estudo das questòdes relativas a educagào nacional... pelo Dr. J. T. de Macedo. 1880; 8°. — O recurso de graga segundo a legilagào bra- zileira pelo Dr. A. H. de Souza Bandeira Filho. 1878; 8°. — Relatorio apresentado ao Sr. Dr. J. J. Seabra Ministro da Justiga e Negocios in- teriores pelo Director da Bibliotheca Nacional Dr. M. C. Peregrino da Silva. 1902; 8°. — Relatorio sobre as prisòes da Franga e da Italia em 1889... pelo Dr. J. P. Farinha. 1890; 8°. — Relatorio. Commissào central brazileira de permutagòes internacionales, pelo Presidente da Commissào. 1888; 8°. — Reforma administrativa. Parecer e projecto de A. De Siqueira, Teixeira e Silva. Via Sacra. Versos. 1901; 8°. Roma. Ministero degli Affari Esteri. Bollettino dell’emigrazione. An. 1903, Ni 12, 13. — Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio: Annali di Statistica. Ser. IV, N. 105, 106. — Annuario Statistico Italiano. 1904. — Atti della Commissione per la statistica giudiziaria e notarile. Sessione del dicembre 1902. Roma, 1903; Sessione del gennaio 1904. — Censimento della popolazione del Regno d’Italia al 10 febbraio 1901. Vol. III Po- PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XXXIX polazione presente classificata per professioni o condizioni, IV. Roma, 1904; 8°. — Annali dell’industria e del commercio 1903. L'insegnamento industriale, commerciale e professionale in alcuni Stati esteri. 1903; 8°. — Catalogo della Biblioteca. Suppl. quarto dal 1° novembre 1902 al 80, giugno 1904. — Statistica degli scioperi avvenuti nell’industria e nell’agricoltura durante l’anno 1901; sommaria di quelli avvenuti nel 1902-1903; 1904; 8°. — Statistica della emigrazione italiana per l'estero negli anni 1902 e 1903 e notizie sull’emigrazione da alcuni altri Stati. 1904; 8°. — Movimento della popolazione secondo gli Atti dello Stato Civile nell’anno 1902, nascite, morti e matrimoni; 1904; 8°. — Stati- stica dei matrimoni, delle nascite, delle morti e delle cause di queste ultime durante l’anno 1903; 8°. — Statistica giudiziaria penale per l’anno 1901. Roma, 1904; 8°. — Statistica giudiziaria civile e commer- ciale e Statistica notarile per l’anno 1900. Parte I. Statistica giudi- ziaria civile e commerciale. Roma, 1904. — Statistica delle elezioni generali politiche 6 e 13 novembre 1904; 8°. Roma. Ministero delle Finanze : Bollett. di Legislazione e Statistica doganale e commerciale. Anno XX (1903), nov.-die.; Anno XXI (1903) gennaio- ottobre. 1904; 8°. — Statistica del commercio speciale di importa- zione e di esportazione. Dicembre 1903; gennaio-ottobre 1904. — Re- lazione sull’Amministrazione delle Gabelle per l'esercizio 1902-1903. 1904; 4°. — Tabella indicante i valori delle merci nell’anno 1903. 1904; 8°. — Movimento commerciale del Regno d’Italia nell’anno 1903. 1904; 4°. — Movimento della Navigazione del Regno d’Italia nel- l’anno 1903. 1904; 4°. — Ministero della Pubblica Istruzione: **Annuario 1904; 8°. * — Senato del Regno. Bollettino delle pubblicazioni di recente ‘acquisto. Anno 1904, N. 1-2, luglio-agosto; 8°. — Accademia di conferenze storico-giuridiche. Anno XXIV, fasc. 3°, 4° (1903); 1°,2°. 1902; 4°. * — R. Accademia dei Lincei: Annuario 1904; 16°. — Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. — Memorie, Serie V, vol. IV (1904). — Rendiconti, Vol. XIII. — Classe di scienze morali, stor. e filolog. Memorie, Parte 1*, serie V, vol. VIII, IX, X, XI. 1903-1904; 4°, Parte 2*, Notizie degli scavi, serie V, vol. XI, fasc. 10-12; serie V, vol. I, fasc. 1-3. 1903-1904; 4°. — Rendiconti, vol. XIII, N. 1-8 (1904). — Rendiconto del- l'adunanza solenne del 5 giugno 1904. * — Pontificia Accademia Romana dei Nuovi Lincei. Atti, Anno LVII; Sessione 1% del 20 dicembre 1903 alla Sessione 7*, 19 giugno 1904; 4°. * — R, Comitato Geologico d’Italia. Bollettino, Anno 1903, N. 3, 4; 1904, 1,2; 8°. — Carta geologica dei vulcani vulsini. 1904; fol. — Memorie descrittive della Carta geologica d’Italia. Appunti al vol. IX; vol. XII, 1904; 8°. — Catalogo della Mostra fatta dal Corpo Reale delle Miniere all'Esposizione universale di Saint-Louis nel 1904; 8°. * — Istituto di Diritto Romano. Bullettino, A. XV (1902), fasc. 5-6; An. XVI A (1903), fasc. 1-6. 1903; 8°. XL PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Roma. R. Osservatorio astronomico al Collegio Romano. Memorie, ser. III, vol. IV, p. 1%. 1904; 4°. » * — Società degli Agricoltori italiani. Bollettino quindicinale, Anno IX, N. 1-23. Mostra di ragioneria applicata alle aziende agrarie. Relazione della Giuria sui lavori esposti. 1904; 8°. — Società per gli studi della malaria. Atti, vol. V. 1904. * Rovereto. I. R. Accademia di scienze, lettere ed arti degli Agiati. Ser. III, vol. IX (1903), fasc. 3, 4; X (1904), 1, 2; 8°. * St-Louis, Mo. Missouri Botanical Garden. 14th, 15th Annual Report. 1903-904; 8°. St-Petersbourg. Académie Imp. des sciences. — Comptes-rendus des séances de la Commission sismique permanente. T. I, livrs. 3. 1904; 4°. * — Comité Géologique de Russie. Bulletins, XXI (1902), Nos. 5-10 XXII (1903) 1-4; 8°. — Mémoires, Vol. XIII, 4; XV, 1; XVI, 2; XVII, 3; XIX, 2; XX, 1. Nouvelle Série, Nos 1, 2, 4-9, 12. 1902-9083; 4°. * — Observatoire Central Nicolas. Publications, sér. II, vol. IX, fasc. 3° (1903); 4° (1904); 8°. Annales. Année 1901. Observations météorologiques et magnétiques. 1903. 2 vol. 4°. * — Société physico-chimique russe. T. XXXV, N. 9; XXXVI, 1-8. — Recueil d’articles de Physique dédié à la mémoire de notre cher maître pro- fesseur Th. Th. Petrouchewsky. 1904; 8°. * — San Francisco. California Academy ot Sciences. Proceedings 8rd. Ser. Botany, vol. II, No 10 (1902). — Geology, vol. II, No 1(1902). — Mathem.- Phys., vol. I, No 8 (1903). — Zoology, vol. III, No 5-6 (1903). — Memoirs, vol. III (1903). * Siena. R. Accademia dei Fisiocritici. Atti, Serie IV, vol. XV, 7-10; XVI, 1-6. 1903-904; 8°. * — R. Università. Annuario accademico 1903-904; 8°. — Istituto Botanico della R. Università. Bullettino. An. VI (1904), fasc. 1-4. 8°, * Stockholm. K. Svenska Vetenskaps-Akademien. Archiv fér Botanik. Bd. I, Haft. 4; II, 1-4; III, 13. — Archiv fòr kemi, mineralogi och geologi. Bd. I, 2. — Archiv. fòr Zoologi. Bd. I, 3-4. 1904. — Accessions- Katalog, 17, 1902. 1904; 8°. — Handlingar, Bd. 37, No 4-8 (1903-1904); 38, 1-4 (1904); 4°. — Kungl. Svenska Vetenskaps Akad. Arsbok fòr àr 1904. 8°. — Observations météorologiques Suédoises, Vol. 43 (1901), 44 (1902), 45 (1903); 4°. — Skrifter i skilda Amnen jimte nàgra bref af A. Retzius. Samlade och utgifna af G. Retzius. 1902; 8°. * Stuttgart. Vereins fur vaterlindische Naturkunde in Wiirtemberg Jahres- hefte, 60 Jahrgang. 1904; 8°. Tacubaya (Mexico). Observatorio Astronémico Nacional. Aîio de 1904 (XXIV). 1903; 16°. * Tokio. Imp. University. Japan. Calendar 2563-64 (1903-904). Journal of the College of Sciences, Vol. XVIII, art. 5-8; XIX, art. 2-9, 11-20; XX, 1, 2. 1903-904; 4°. — Mittheilungen aus der Medicinischen Facultàt 1903, Bd. VI, Nos 2. Tokyo. Earthquake Investigation Committee in Foreign Languages, Publi- cations, No 15-18. 1904; 8°. Li PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLI ere * Torino. R. Accademia di Agricoltura. Annali, Vol. XLVI (1903). 1904; 8°, * — R. Accademia di Medicina. Giornale, An. LXVI (1903), N. 11, 12; An. LXVII (1904), 1-10; 8°. — Consiglio Provinciale. Atti, Anno 1903. Ciriè, 1904; 8°. *# — Club Alpino italiano. Bollettino pel 1903; Vol. XXXVI, 69. — Rivista mensile. Vol. XXII, N. 12 (1903); XXIII, 1-11; 8°. «| — R. Deputazione sovra gli studi di Storia patria. Miscellanea, 3* Serie, T. IX. 1904. * — Istituto di esercitazioni nelle scienze giuridico-politiche (R. Università). Fr. Dinpo. Il primo catasto italiano geometrico-particellare. Legnago, 1904; 4°. — C. Lane. La condizione giuridica delle eresie nella storia del diritto italiano. Parte prima, periodo Romano. Torino, 1904; 8°. — M. Macci. La quota riservata per legge al coniuge superstite nella suc- cessione testamentaria. Tortona, 1904; 8°. — G. Vorino, Condizione giuridica degli Israeliti in Piemonte prima dell’emancipazione. Torino, 1904; 8°. * — Municipio. Atti. Ann. 1884-1894, vol. 32-42; Ann. 1902, 1903, vol. 51, 52. Bollettino statistico, mese di ottobre-dicembre 1903; Bollettino stati- stico dell’anno 1904. Gennaio-Agosto; f°. — Musei di Zoologia ed Anatomia comparata. Vol. XVIII (1903); 8°. — Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia. Atti. Vol. VII, fasc. 4°. 1904; 8°. * — Società degli Ingegneri e degli Architetti. Atti, An. 1903, fasc. 6; 1904, fasc. 1-6; 8°. * Toronto. Canadian Institute. Transactions, Vol. VII, part 3. 1904; 8°. — Proceedings, No. 12, vol. II, part 6, 1904. * Toulouse. Université. Annales de la Faculté des sciences, 2° Sér., T. V, : 3° et 4° fasc. (1903); 4°. — Annales du Midi, Revue de la France méri- : dionale, N. 59-62. — Annuaire pour l’année 1903-904; 8°. * Upsal. Observatoire Météorologique de l’Université. Bulletin mensuel, Vol. XXXV. 1903-904; 4°. — Regiae Societatis scientiarum Upsaliensis. Nova Acta. Ser. III, vol. XX, fasc. II, 1904; 4°. — Universitet. Skrifter, utgifna af K. umanistika Vetenschaps-Samfundet. Bd. VIII (1902-1904); 8°. — Results of the Swedish Zoological Expedition to Egypt and the White Nile, 1901. Part 1. 1904; 8°. — Nordiska È Studier, 1904; 1 v. 8°. pe» Urbana (IlIn. U.S. A.). Illinois State Laboratory of natural history. Bulletin, i vol. VI, art. 2. Index; VII, art. 1-3. 1903-904; 8°. _ * Venezia. R. Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti. Atti. T. LXII, 1 disp. 10* (1902-903); LXIII, 18-10*; 8°. — Memorie, vol. XXVII, N. 1, 2 (1902-903); 4°. Verona. Accademia di agricoltura, scienze, lettere, arti e commercio. Atti e Memorie, vol. IV e Append., vol. III. 1903-904; 8°. __* Vicenza. Accademia Olimpica. Ann. 1901-902, vol. XXXIII (1908); 8°. Washington. Bureau of American Ethnology. 20th Annual Report, 1898-99. 1903; 4°. Atti della R. Accademia — Vol. XL. c XLII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Washington. U.S. Geological Survey. Professional Paper, Nos. 9, 10, 13-15. 1903; 4°. — Water-Supply and Irrigation Paper. Nos. 80-87. 1903; 8°. — Coast and Geodetic Survey. Report July 1, 1902, to June 30, 1904; 4°. * — U. S. Naval Observatory. Meteorological Observations and results. 1903-904. 2d Ser. Vol. V. 1903; 4°. — Report... year ending June 830, 1903; Report... June 30, 1904; 8°. i — Carnegie Institution. Year Book, N. 2. 1903; 8°. * — Smithsonian Institution. Smithsonian Contributions to Knowledge, N. 1413 (1903). — Annual Report of the Board of Regents... Showing the operations, expenditures, and condition of the Institution for the year ending June 30, 1902. 1903; 8°. — Report of the U. S. National Museum. 1901 (1903); 1902 (1904); 8°. — Smithsonian Miscellaneous Collections. Part of Vol. XLIV, No 1374, 1903; Vol. XLV, Pub. No 1419. 1904; 8°. * Wien. K. K. Akademie der Wissenschaften. Almanach 1901, 1902; 8°. — Archiv fiir ésterreichische Geschichte, XCI Bd., 2 Half; XCII, 1. — Denkschriften Mathematisch-Naturwiss. Klasse. Bd. LXXII. — Fontes ‘rerum austriacarum, 2 Abth. Diplomataria et Acta; LV Bd., 2 Abth., LVI Bd. — Mittheilungen der Erdbeben-Commission. N. F., N. 9-21. — Sitzungsberichte. Mathem.-Naturwissenschaftliche Klasse. Abth. I, CXI Bd., 4-10; CXII Bd.; 1-6, Abt. Ha; CXI Bd. 1-10; CXII Bd.; 1-6, Abt. II b, CXI Bd. 1-10; CXII Bd.; 1-6, Abth. IIT, CXI, Bd. 1-10; Register zu den Bd. 106-110; 8°. — Sitzungsberichte. Philosophiseh-historische Klasse. CXLV, CXLVI. 1902-903; 8°. * — K. K. Geologischen Reichsanstalt. Abhandlungen, Bd. XVII, Heft 6 (1903); 4°. — Jahrbuch Jahrg. 1903, LITI Bd., 2-4 Heft — Verhandlungen, 1903, N. 16-18; 1904, 1-12; 8°. — K. u. K. Militàr Geographischen Institutes. Publikationen fir die Inter- nationale Erdmessung. XX Bd. Astronomische Arbeiten. 1903; 4°. * — Verhandlungen der k. k. Zoologisch-botanischen Gesellschaft. Jahrg. 1903, LIII Bd.; 8°. * Wiirzburg. Physikalisch-medicinischen Gesellschaft. Sitzungsberichte» 1903, N. 1-8; 1904, 1-3. — Verhandlungen N. F., Bd. XXXV, N. 8; XXXVI, 1-7; XXXVII, 1-2. 1903-904 ; 8°. * Zagreb. Kr. Hrvatsko-Slavonsko-Dalmatinskog Zemaljskog Arkiva. Vjestnik, 1904 Godina VI. * — Hervatskoga Arkeoloskoga drustva. Viesnik, N. S., Sveska VII, 1903-904; in 1280, — Jugoslavenske Akademije znanosti i umjetnosti. — Rad, Knjiga 153-151 Razredi histor.-filolog. i filosof.-juridicki, 60(1903), 61(1904); 8°. — Rjetnik hrvatskogo ili srpskoga jezika, Svezak 23 Petoga dijela (1903); 8°. — Zbornik za narodni Zivot i obitaje juZnih Slavena Kniga VIII, Svezak 2 (1903); IX, 1(1904); 8°. — Ljetopis za godina 1903; 18 Svezak (1904); 8°. — Monumenta histor.-juridica slavorum meridionalium. Vol. IX (1904); 8°. * — Societas scientiarum naturalium croatica. Glasnik hrvatskoga naravo- slovnoga druStva. Godina XIV, 1,2; XV, 1, 2, 1902-903; XVI, 1. 1904; 8°. * Ùi PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLII * Ziùrich. Beitràge zur geologischen Karte der Schweiz. N. F. XIV Liefg. (Bern, 1904); 4°. * — Commission géologique suisse. Matériaux pour la Carte géologique de la Suisse, Série géotechnique, livr. III. Berne, 1904; 4°. *# — Naturforschenden Gesellschaft. Vierteljahrsschrift, XLVII Jahrg., 1-4 Heft. 1903; 8°. PERIODICI 1904. ** Academy (The) and Literature. London; 4°. * Acta mathematica. Vol. 28, 29. Zeitschrift herausg., von G. Mittag-Leffler. Stockholm; 4°. ** Allgemeine Deutsche Biographie. N. 39-45. Leipzig; 8°. ** Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. ** Annales de Chimie et de Physique. Paris; 8°. * Annals and Magazine of Natural History. London; 8°. ** Annals of Mathematics, second series. Charlottesville; 4°. ** Antologia (Nuova). Rivista di scienze, lettere ed arti. Roma; 8°. ** Archiv fir Entwickelungsmechanik der Organismen. Leipzig; 8°. ** Archives des Sciences physiques et naturelles, etc. Genève; 8°. ** Archives italiennes de Biologie... sous la direction de A. Mosso. Turin; 8°. #* Archivio per le Scienze mediche. Torino; 8°. ** Archivio storico italiano. Firenze; 8°. * Archivio storico lombardo. Milano; 8°. * Ateneo veneto. — Rivista mensile di scienze, lettere ed arti. Venezia; 8°. ** Athenaeum (The). Journal of English and Foreign Literature, Science, the Fine Arts, Music and the Drama. London; 4°. * Beiblitter zu den Annalen der Physik und Chemie. Leipzig; 8°. * Beitrige zur chemischen Physiologie und Pathologie. V Bd.; VI Bd., 1-2 Heft. Braunschweig; 8°. ** Berliner philologische Wochenschrift; 8°. ** Bibliografia italiana. Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa. Milano; 8°. Bibliographie der deutschen Zeitschriften-Litteratur, mit Einschluss von Sammelwerken und Zeitungen. Bd. XII (1903), Liefg. 3-5; XIII(1904), 1-4. IV Supplementband, Liefo. 1-3. Leipzig; 4°. i #* Bibliotheca Philologica Classica. Vol. XXX, 1903, trimestre quartum; XXXI, 1904, primum, secundum, tertium. Lipsiae; 8°. Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Bollettino delle pubblicazioni ita- liane ricevute per diritto di stampa. Firenze; 8°. ** Bibliotheca mathematica. Zeitschrift fir Geschichte der Mathematik herausg. von G. Ernesrròm. Stockholm; 8°. ** Bibliothèque de l’École de Chartes; Revue d’érudition consaerée spé- cialement è l’étude du moyen ùge, ete. Paris; 8°. ** Bibliothèque universelle et Revue suisse. Lausanne; 8°. ** Bollettino Ufficiale del Ministero dell'Istruzione Pubblica. Roma; 8°. XLIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA ** itulletins de la Société anatomique de Paris, etc. Paris; 8°. ** Bullettino (Nuovo) di Archeologia cristiana. Roma; 8°. ** Bullettino di Archeologia e Storia dalmata. Spalato; 8°. #* Centralblatt fir Mineralogie, Geologie und Paleontologie in Verbindung mit den neuen Jahrbuch fir Mineralogie, Geologie und Paleontologie. Stuttgart; 8°. * Cimento (Il nuovo). Pisa; 8°. * Comptes-rendus hebdomadaires des séances de l’Académie des sciences. Paris; 4°. ** ’Epeuepìg dpxaroXoyix ’Ev 'A0nvaîg. 4°. * Elettricista ‘L’). Rivista mensile di elettrotecnica. Roma; 4°. * Eranos. Acta philologica Suecana. Edenda curavit Vilelmus Lundstròm. Upsaliae; 8°. ** Fortschritte der Physik im Jahre 1903. Braunschweig; 8°. * Gazzetta chimica italiana. Roma; 8°. * Gazzetta Ufficiale del Regno. Roma; 4°. * Gegenbanrs Morphologisches Jahrbuch. Leipzig; 8°. * Giornale del Genio civile. Roma; 8°. ** Giornale della libreria, della tipografia e delle arti e industrie affini. Milano; 8°. #* (riornale di erudizione. Firenze; 8°. * (riornale storico e letterario della Liguria diretto da Achille Nerr e da Ubaldo Mazzini. Spezia; 8°. #* Giornale storico della Letteratura italiana. Torino; 8°. ** (xuida commerciale ed amministrativa di Torino. 8°. * Heidelberger Jahrbiicher (Neue). Heidelberg; 8°. * Historische Zeitschrift. Miinchen; 8°. * Jahrbuch iber die Fortschritte der Mathematik. 1901, Bd. XXXII, 3; 1902, XXXIII, 1, 2. Berlin; 8°. ** Jahrbuch (Neues), fiir Mineralogie, Geologie und Palaeontologie, ete. Stuttgart; 8°. ** Jahresberiechte der Geschichtswissenschaft im Auftrage der historischen Gesellschaft zu Berlin herausgegeben von E. Berner. XXV Jahrg. 1902. Berlin; 8°. * Jornal des sciencias Mathematicas e Astronomicas. Publicado pelo Dr. F. Gomes Terxerra. Coimbra; 8°. * Journal (The American) of Science. Edit. Edward S. Dana. New-Haven; 8°. ** Jo::rnal Asiatique, ou Recueil de Mémoires, d’Extraits et de Notices relatifs è l’histoire, à la philosophie, aux langues et èà la littérature des peuples orientaux. Paris; 8°. ** Journal de Conchyliologie, comprenant l’étude des mollusques vivants et fossiles. Paris; 8°. #* Journal de Mathématiques pures et appliquées. Paris; 4°. * Journal des Savants. Paris; 8°. ** Journal firr die reine u. angewandte Mathematik. Berlin; 4°. * Journal of Comparative Neurology. Granville, Ohio; 8°. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA XLV * Journal of Physical Chemistry. Ithaca N. Y.; 8°. ** Litta. Famiglie celebri italiane (2* serie). Fasc. V. Caracciolo di Napoli, parte 5°. Fasc. VI. Caracciolo di Napoli e Moncada di Sicilia. Fasc. VII. Caracciolo di Napoli, Ruffo di Calabria, Moncada di Sicilia. Napoli; f°. Mathematische und Naturwissenschaftliche Berichte aus Ungarn. Leipzig; 8°. ** Minerva, Jahrbuch du gelehrtent Welt. XIII. Jahrg. 1903-1904; Strassburg, 1903; 16°. * Monatshefte fir Mathematik und Physik. Wien; 8°. ** Moyen (Le) Age. Bulletin mensuel d’histoire et de philologie. Paris; 8°. ** Nature, a Weekly illustrated Journal of Science. London; 8°. * Nieuw Archieff voor Wirskunde. Uitgegeven door hel Wiskundig Genoot- schap te Amsterdam; 8°. ** Palaeontographica. Beitrige zur Naturgeschichte der Vorzeit. Stuttgart, 1902. ** Petermanns Mitteilungen aus Justus Perthes’ Geographischer Anstalt. Gotha; 8°. * Philosophische Studien. Leipzig; 8°. * Physical Review; a journal of experimental and theoretical physic..... Published for Cornell University. New-York; 8°. ** Poggendorf’s biographisch-literarisches Handwéòrterbuch zur Geschichte der exacten Wissenschaften. IV Bd., Liefo. 16 u. 17 (1903); 19-24 (1904). Leipzig; 8°. *#* Quarterly Journal of pure and applied Mathematics. London; 8°. ** Raccolta Ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia. 8°. ** Reichenbach (L.) et (H. G.) fils. Icones florae germanicae et helveticae simul terrarum adjacentium ergo mediae Europae. Opus..... conditum, nunc continuatum D'° G. Beck de Mannagetta. Tom. XIX, 2 Decas 1; 24, Decas 3-6. Lipsiae et Gerae; 4°. Revista do Centro de Sciencias, Letras e Artes de Campinas. Campinas (Braxil); 8°. ** Revue archéologique. Paris; 8°. ** Revue de la Renaissance. Paris; 8°. * Revue de l’Université de Bruxelles. 8°. *#* Revue des Deux Mondes. Paris; 8°. ** Revue générale des sciences pures et appliquées. Paris; 8°. ** Revue numismatique. Paris; 8°. ** Revue politique et littéraire, revue bleue. Paris; 4°. ** Revue scientifique. Paris; 4°. * Revue semestrielle des publications mathématiques. Amsterdam; 8°. * Rivista di Artiglieria e Genio. Roma; 8°. ** Rivista di Filologia e d'Istruzione classica. Torino; 8°. ** Rivista d’Italia. Roma; 8°. Rivista di Topografia e Catasto. Torino; 8°. ** Rivista filosofica in continuazione della Filosofia delle Scuole italiane e della Rivista italiana di Filosofia. Pavia, 1903; 8°. * Rivista internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie. Roma; 8°. XLVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA * Rivista italiana di Sociologia. Roma; 8°. # Rivista storica italiana. Torino; 8°. Rosario (Il) e la Nuova Pompei. Valle di Pompei; 8°. ** Science. New-York; 8°. * Science Abstracts. Physics and Electrical Engineering. London; 8°. Séances et travanx de l’Académie des sciences morales et politiques. Paris; 8°. * Sperimentale (Lo). Archivio di Biologia. Firenze: 8°. ** Stampa (La). Gazzetta Piemontese. Torino; f°. * Stazioni (Le) sperimentali agrarie italiane. Modena; 8°. ** Studi medioevali diretti da F. Novari e R. Renier. Torino; 8°. * Tridentum. Rivista mensile di studi scientifici. Trento; 8°. Valle di Pompei. Anno 19083, ottobre, 1903; 1904, maggio, 1904. * Wiskundige Opgaven met de Oplossingen, door de leden van het Wiskundig Genootschap, VIII Deel. Achtste Stuk. Amsterdam; 8°. * Zeitschrift fir matematischen una naturwissenschaftl. Unterricht, herausg. v. J. C. Horrmann. Leipzig; 8°. ** Zeitschrift fir physikalische Chemie. Leipzig; 8°. #* Zoologischer Anzeiger, herausg. von Prof. J. Victor Crus in Leipzig; 8° Dal 19 Giugno al 20 Novembre 1904. Abderhalden (E.). Neuere Versuche iber kiinstliche Partenogenesis und Bastardirung. Berlin, 1904; 8°. — nu. Oppenheimer (C.). Ueber das Vorkommen von Albumosen im Blute. Strassburg, 1904; 8°. — u. Rena (P.). Fiitterungsversuche mit durch Pankreatin, durch Pepsin- salzsàure plus Pankreatin und durch Sure hydrolysierten Casein. Strassburg, 1904; 8°. — u. Barker (L. F.). 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Hessischen Ludwigs-Universitàt zu Giessen- Sommerhalbjahr 1904, Winterhalbjahr 1904/05. Giessen, 1904; 8°. Z6rb (K.). Die Volksdichte der Grossh. Hessischen Provinz Rheinhessen. Giessen, 1903; 8°. Dal 5 al 19 Febbraio 1905. Al Professore Icrro GuarEscHI in occasione del XXV anniversario d’inse- gnamento nella R. Università di Torino. Torino, 1905; 8° (dal Comi- tato per le onoranze al iedesimo). Colomba (L.). La leucite del tufo di Pompei. Roma, 1904; 8°. — Cenni preliminari sui minerali del Lausetto. Roma, 1904; 8° (dall’A.). De Toni (G. B.). Per il terzo centenario della morte di Ulisse Aldrovandi (4 maggio 1605 -4 maggio 1905). Cinque lettere di Luca Ghini ad Ulisse Aldrovandi. Padova, 1905; 8°. — Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum. Vol. IV, Florideae; Sect. IV, Familiae I-VII. Patavii, 1905; 8° (Id.). Guidi (C.). Lezioni sulla scienza delle costruzioni. 4* ediz. Parte 1-3, 5. Torino, 1904; 8° (dall’A. Socio residente). Hemiksen (G.). 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Famiglie celebri italiane. 2° serie: Caracciolo di Napoli; Moncada di Sicilia. Napoli, 1905; f°. Memorie della Rivoluzione siciliana dell’anno 1848 pubblicate nel cinquan- tesimo anniversario del xur gennaio di esso anno. Palermo, 1898; 2 vol. 8° (dal Socio residente R. Renier). Nuzzo (E.). La lingua italiana nella Campania. Errori e correzioni. Parte I: Fonologia. Salerno, 1904; 8° (dall'A). Pacchioni (G.). Trattato della gestione degli affari altrui secondo il diritto romano e civile. Lanciano, 1893; 8°. — Corso di diritto romano. Innsbruck, 1905; 8° (Id.). Rio de Janeiro. Bibliothèque Nationale. O. Brac. Poesias. Nova edigào. Rio de Janeiro, 1904; 1 vol. 16°. Da hygiene militar do Brasil... pelo Dr. J. M. Corperro GiraBY. Rio de Janeiro, s. a.; 8°. Memoria historica das epidemias da febre Amarella e Cholera-morbo que tém reinado no Brasil pelo Dr. J. Pererra Reeo. Rio de Janeiro, 1873; 1 vol. 8°. Relatorio apresentado ao Sr. Dr. Sasrno Barroso Junior Ministro da Justica e Negocios interiores pelo director D. M. C. PerEGRINO da Silva. 1901. Rio de Janeiro, 1903; 8°. Terzaghi (N.). Prometeo. Contributo allo studio di un mito Ellenico. Fi- renze, 1904; 8°. — Di una rappresentazione della lotta tra Peleo e Tetide e delle relazioni di questo mito con le nozze sacre. Pestia, 1904; 8°. — Fur. ‘ Phoen, 119-1122 e l’arte figurata. Torino, 1903; 8°. — Ad Hes. Theog. 5835 ss. Firenze, 1904; 8° (dall'A. per il premio Gdr per la letteratura). LXXXII PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Dal 19 Febbraio al 5 Marzo 1905. * Catania. R. Osservatorio. S. Arcipracono. Il terremoto di Niscemi del 13 luglio 1903. Modena, 1904; 8°. — Principali fenomeni eruttivi avvenuti in Sicilia e nelle isole adia- centi durante l’anno 1901. Modena, 1904; 8°. A. Riccò. Sullo spettro dei materiali incandescenti, eruttati dall’ Etna nel 1902. Catania, 1904; 8°. — Eruzioni e Pioggie. Catania, 1904; 4°. A. Riccò e L. Menpora. Variazione della trasparenza dell’ atmosfera terrestre nel triennio 1901-903. Catania, 1904; 8°. — Risultati delle osservazioni meteorologiche del 1903 fatte al R. Os- servatorio. Catania, 1904; 4°. Klein (C.). Ueber Theodolithgoniometer. Berlin, 1905; 8° (dall’A. Socio cor- rispondente). Oddone (E.). Metodi per determinare le coordinate di un aerostato, sua direzione e velocità. Roma, 1904; 4° (dall’A.). Roccati (A.). Edenite delle Alpi marittime. Padova, 1905; 8°. — Massi e ciottoli granitici nel terreno Miocenico di Lojano (Appennino bolognese). Roma, 1905; 8° (Zd.). Travaux de la station Franco-Scandinave des sondages aériens è Hald. 1902-1903. Viborg, Danmark, 1904. 1 vol; 4°. Dal 26 Febbraio al 12 Marzo 1905. ** Monumenta Germaniae historica. Legum, sectio III; Concilia, T. II, pars prior. Hannoverae, 1904; 4°. Pivano (S.). Cartario dell’Abazia di Rifreddo. Pinerolo, 1902; 8°. — I contratti agrari in Italia nell'Alto Medio-Evo. Torino, 1904; 8°. — Stato e Chiesa. Statuti comunali italiani. Torino, 1904; 8° (dall’A.). Toesca di Castellazzo (G.). Commemorazione del Generale Luigi Palma di Cesnola. Torino, 1905; 8°. Dal 5 al 19 Marzo 1905. ** Bertrand (J.). Les fondateurs de l’Astronomie moderne. 7”° édit. Paris, d'asti. ‘ Cornu (A.). Euvres divers. 5 vol. 4° e 8° (dono della signora Corn). Pizzetti (P.). Trattato di Geodesia teoretica. Bologna, 1905; 8° (dall A.). ** Reichenbach (L.) et (H. G.) fils. Icones florae germanicae et helveticae simul terrarum adjacentium ergo mediae Europae opus..... conditum, nunc continuatum D'° G. Beck de Mannagetta. Tom. XIX, Decas 2. Lipsiae et Gerae; 4°. Sarre Borioli. Riordinamento delle stazioni ferroviarie di Torino. Pro- getto N. 3. Scala 1:10000. Torino, 1 carta fol. PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXIII Dal 12 al 26 Marzo 1905. Marr (B.). Die Symbolik der Lunation. Dux, 1905; 8° (dall’A.). Strazzulla (V.). I Persiani di Eschilo ed il nomo di Timoteo volgarizzati in prosa con introduzione storica. Messina, 1904; 8° (Id.). Dal 19 Marzo al 2 Aprile 1905. Carbonelli (J.). Atlas d’Anatomie obstétricale. Préface par M. Paul Bar. Paris, Turin, 1905; 4° (dall’A.) Faccin (D. F.). Nuovo planisfero ad uso della Marina. Pavia, 1905; 8° (/4.. Rajna (M.). Nuovo calcolo dell’effemeride del Sole e dei crepuscoli per l'orizzonte di Bologna, 1904; 4° (Id.). — Pirazzoli (R.) e Masini (A.). Osservazioni meteorologiche fatte durante l’anno 1903 nell’Osservatorio della R. Università di Bologna. Bologna, 1904; 4° (dal prof. M. Rajna). Stok (J. P. van der). Études des phénomènes de marée sur les Cotes Néerlan- daises. IT. Résultats d’observations faites è bord des bateaux-phares Néerlandais. Utrecht, 1905; 8° (dal A.). Texte Synoptique des documents destinés è servir de base aux débats du Congrès international de Nomenclature botanique de Vienne 1905 pré- senté au nom de la Commission internationale de Nomenclature bota- nique par J. Briquer, Rapporteur général. Genève, 1905; 4°. Dal 26 Marzo al 9 Aprile 1905. ** Litta. Famiglie celebri italiane (seconda serie). Caracciolo di Napoli. Napoli, 1905; f°. Mezzo secolo di Vita della Unione tipografico-editrice torinese (già Ditta Pomba e C.), 1855-1904; 8° (dono dell’Unione tipografico-editrice torinese). Revelli (P.). Il Comune di Modica. Descrizione fisico-antropica. Palermo, 1904; 8° (dall’A.). Sforza (G.). La caccia all’Orso in Garfagnana nel secolo XVI. Genova 1905, 8° (Id.). Dal 2 al 16 Aprile 1905. Belar (A.). A. Cancani. Laibach, 1905; 8° (dal A.). ** Doflein (Fr.). Brachyura. Jena, 1904; 1 vol. 4° di testo e 1 Atl. Natur und Staat, Beitràge zur naturwissenschaftlichen Gesellschaftslehre. VII Teil. Jena, 1905.; 8° (dono del Socio straniero E. Haeckel e dei Pro- fessori Conrad e Fraas). LXXXIV PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA Dal 9 al 30 Aprile 1905. Botti (E.). La delinquenza femminile a Napoli. Napoli, 1904; 8° (dono della R. Biblioteca Universitaria). Gambèra (P.). Note dantesche con due tavole astronomiche. Salerno, 1903; 8°. — Cinque nuove notarelle dantesche. Torino, 1904; 8° (dall’A. per concor- rere al premio di fondazione Gautieri per la Letteratura). Mannacci (F.L.). L’anonimo genovese e la sua raccolta di rime (sec. XIII-XIV). Genova, 1904; 8°. — La cronaca di Jacopo da Varagine. Genova, 1904; 8° (dono del Muni- cipio di Genova). Margini (S.). La Cassa di Risparmio modello all'Esposizione di Milano 1905. Verona, 1903; 8° (dall’A.). Profumo (A.). Le fonti ed i tempi dell'incendio Neroniano. Roma, 1905; 1 vol. 4°. Dal 16 Aprile al 7 Maggio 1905. ** Alphéraky (S.). The Geese of Europe and Asia. London, 1905; 4°. Angelitti (F.). G. Rizzacasa d’Orsogna. Polemiche dantesche. Firenze, 1903; 8°. — Dr. G. Borriro, Dante e Bartolomeo da Parma. Firenze, 1903; 8°. — G. Rizzacasa D’Orsogna, Se Dante fu un precursore di Copernico. Firenze, 1903; 8°. — Sullo stato del R. Osservatorio di Palermo e sui lavori in esso eseguiti durante il quinquennio 1899-1903. Relazione. Palermo, 1904; 8°. — Studio della flessione del cannocchiale del circolo meridiano di. Pistor et Martins con osservazioni fatte dal 20 novembre 1901-8 gennaio 1902. Palermo, 1904; 8°. — Il problema della forma della terra nell’antichità. Palermo, 1905; 8° (dall’A.). Galdieri (A.). Osservazioni sui terreni sedimentarii di Zannone. Napoli, 1905; 8° (Id.). Gori (G.). Tavola per le riduzioni delle letture dei microscopii. Palermo; 8°. — Regola per convertire il tempo sidereo in tempo medio. Palermo (dal Direttore dell’Osservatorio di Palermo). Haeckel (E.). Le meraviglie della vita, complemento ai “ Problemi del- l'Universo ,. Prima traduzione italiana del Dr, D. Rosa, disp. 1%. Torino, 1905; 8° (dono dell’ Unione Tipografico editrice). Largaiolli (V.). Le diatomee del Trentino. Trento, 1905; 8°. — Le diatomee del Trentino. 1. Il fiume Noce. Padova, 1905; 8° (dall’A.). Michelucci (E.). L’insolazione a Palermo. Palermo, 1904; 4° (dal Direttore dell’Osservatorio). Zona (T.) e Cantelli (F.). Osservazioni della durata del passaggio del Sole al Meridiano fatte al R. Osserv. di Palermo nell’anno 1900, 1901, 1902. Palermo, 1903-904; 4°. — e Sartorio (G. W.). Protuberanze solari osservate nel R. Osservatorio astronomico di Palermo nell’anno 1904. Palermo, 1905; 4° (Id.). i PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXYV Dal 30 Aprile al 14 Maggio 1905. Archer de Lima. Livre de Sonnets. Paris, 1903; 8° (dall’A.). Boffito (G.). La “ Quaestio de aqua et terra, di Dante Alighieri (Ediz. principe del 1508 riprodotta in facsimile). Introduzione storica e trascri- zione critica del testo latino. Firenze, 1905; 8° (dall'A. Socio corri- spondente). Biadego (G.). 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Bologna, 1905: 8°. — Circostanze dell’eclisse solare del 30 agosto 1905 calcolate per tutta Italia e regioni circonvicine. Catania, 1905; 4° (dall’A.). ** Tables générales des Comptes-rendus des Séances de l’Académie des Sciences. T. XCII a CXXI. 5 janvier 1881.à 30 décembre 1895. Paris, 1900; 4°. Dal 14 al 28 Maggio 1905. Fòffano (Fr... Storia dei Generi Letterari italiani. Il Poema cavalleresco. Milano; 8° (dall’A.). Garrett Chatfield Pier. A New historical Stela of the Intefs. Chicago, 1905; 8° (Id.). ** Liibker (F.). Lessico ragionato dell’Antichità classica (6* ediz. tedesca). Tradotto con molte aggiunte e correzioni da C. A. Murero. Roma, 1898; 8°. LXXXVI PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA | Dal 21 Maggio all’11 Giugno 1905. ** Couturat (L.). L'Algèbre de la logique. Paris, 1905; 8°. Haeckel (E.). Le meraviglie della Vita. 1° Trad. italiana autorizzata dal- l'Autore del Dr. Daniele Rosa, 2* disp. Torino, 1905; 8° (dono del- V Unione Tipografico-editrice). Issel (A.). Terminologia geografica relativa alla configurazione orizzontale della terra emersa, al mare e alle profondità marine. Genova, 1904; 8°. — Osservazioni geologiche fatte nei dintorni di Torriglia. Genova, 1904; 8°. — Osservazioni intorno alla frana del Corso Firenze in Genova. Perugia, 1904; 8° (dall'A. Socio corrispondente). Prix Nobel (Les) 1902. Stockholm, 1905; 8° (dall’ “ Académie R. Suédoise des Sciences ,,). ; ** Stokes (G. G.). Mathematical and Physical papers. Vol. V. Cambridge, 1905; 8°. Dal 28 Maggio al 18 Giugno 1905. Bertolini (C.). Appunti didattici di diritto romano; fasc. 1, 2. Torino, 1905; 8° (dall’A.). Bontempi (F.). Storia delle Scienze e delle Arti italiane dall’ èra romana al secolo ventesimo, al regno di Umberto I Re d’Italia. Torino, 1905; 8° (Id.). Castelli (G.). Il pregiudizio di una lingua universale. Roma, 1905; 8° (Id.). ** Litta. Famiglie celebri italiane. 2° serie. Caracciolo di Napoli, fasc. X, f°. Marti (L.). Dalle valli alle vette. Cantiche. Milano, 1902; 8° (dall’A. per è premio Gautieri per la Letteratura). Natale (M.). Antonio Beccadelli detto il Panormita. Caltanisetta, 1902; 8° (Zd.). Pascal (C.). Graecia Capta. Saggi sopra alcune fonti greche di scrittori latini. Firenze, 1905; 8° (dall’A.). Resoconto dell’anno 1904 della Cassa di Risparmio di Torino; 1905; f°. RomuaLpo Bossa. Cinquant'anni d'insegnamento (1854-1904). Scuola tipo- grafica di S. Benigno Canavese, 1905; 4° (dono dei figli di R. Bobba). Solmi (A.). Ademprivia. Studii sulla proprietà fondiaria in Sardegna. Pisa, 1904; 8° (dall’A.). ° Dall’'11 al 25 Giugno 1905. Borredon (G.). Excelsior ovvero l’Astronomia ridotta alla sua più semplice espressione. Pozzuoli, 1905; 8° (dall’A.). Haeckel (E.). Le meraviglie della vita. Prima traduzione italiana autoriz- zata dall’Autore del Dr. Daniele Rosa. Torino, Unione tip.-edit., 1905; 8°. Helmert (F. R.). Ueber die Genauigkeit der Kriterien des Zufalls bei Beobachtungsreihen. Berlin, 1905; 8° (dall’A. Socio straniero). Guidi (C.). Lezioni sulla scienza delle costruzioni. Parte 4%, Teoria dei Ponti, 3* ediz. Torino, 1905; 8° (dall’A. Socio residente). Mattirolo (0.). Come le ariste delle Graminacee penetrano e migrano nei tessuti degli animali. Torino, 1905; 8° (Id.). n nn PUBBLICAZIONI RICEVUTE DALLA R. ACCADEMIA LXXXVII Dal 18 Giugno al 2 Luglio 1905. Année (L’) linguistique publiée sous les auspices de la Société de Philo- logie. T. II (1903-1904). Paris, 1904; 8° (dono del Socio corrispondente A. Marre). Bargilli (G.). Manoscritti della Regia Accademia Militare. Torino, 1905; 8° (dall’A.). De Sarlo (Fr.). Lo spiritualismo al recente Congresso di Psicologia. Firenze, 1905; 8°. — La Psicologia come scienza empirica. Bologna, 1905; 8° (dall’A.). Grandeau (L.). L’Agriculture et les Institutions agricoles du Monde au commencement du XX° siècle. Paris, 1905 (Ud.). ** Justiniani Augusti Digestorum seu Pandectarum codex Florentinus olim Pisanus phototypice expressus. Vol. I, fasc. IV. Roma, MCMV; f°. ì SÒ sco P fi De 4 b saiennti RR e CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 20 Novembre 1904. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'’OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NAccarI, SEGRE, PeANO, Foà, Gua- REscHI, Guipi, FiLeti, PARONA, MarTIROLO, MorERA, GRASSI e JADANZA che funge da Segretario in assenza del Socio CAMERANO che trovasi a Roma per ragioni d’ufficio. — Scusa l’assenza il Socio SAaLvaporI, Direttore della Classe. Letto il processo verbale della seduta precedente è approvato. Il Presidente, dopo aver salutato i colleghi, dà lettura dei telegrammi mandati ai Sovrani ed alla Regina Madre, in occa- sione della nascita del Principe Ereditario, e di quelli ricevuti in risposta. Comunica una lettera del Ministero della Istruzione Pub- blica dell'Impero Germanico, che trasmette una targhetta in bronzo coniata in occasione della celebrazione del 2° centenario della fondazione della R. Accademia delle Scienze di Berlino. Partecipa l’invito del Comitato permanente del Congresso internazionale di Botanica che si terrà a Vienna nel 1905. Il Prof. MamtIRoLo rappresenterà l'Accademia se potrà prendervi parte. Il Presidente comunica la morte del Socio corrispondente Emilio ViLLari, Professore nella Università di Napoli, avvenuta Atti della R. Accademia — Vol. XL. 1 2 il 20 agosto scorso, e quella del Socio corrispondente Roberto Armando Parcippi, Direttore del Museo di Santiago (Cilî) avve- nuta il 23 luglio 1904. Vengono presentati dal Presidente i seguenti libri perve- nuti in dono all'Accademia: 1° il 2° volume delle Opere matematiche di Francesco BrIoscHI, inviato in ‘dono dal Comitato per le onoranze al medesimo; 2° il ritratto del Socio straniero Giorgio Gabriele SToKES, dono della Cambridge Philosophical Society ; 3° Sulla dispersione della elettricità da metalli diversi, del Socio Prof. NACCARI; 4° Zur Ableitung der Formel von C. F. Gauss fiir den mit- tleren Beobachtungsfehler und ihrer Genanigkeit, del Socio stra- niero. F. R. HeLMERT; 5° tre opuscoli relativi ad esperienze sulla radioattività, del Socio corrispondente RIeHI; 6° un opuscolo del Prof. VERONESE Socio corrispondente, intitolato: La laguna di Venezia; 7° il 2° volume della Faune des Vertébrés de la Suisse, del Socio corrispondente Vietor FATTO; 8° tre opuscoli di Mineralogia del Socio corrispondente C. KLEIN; 9° un opuscolo del Socio corrispondente F. KontRAUSCH; 10° la. biografia di L. CrEMONA, seritta dal Socio corrispon- dente M. NoerHER in Erlangen; 11° una commemorazione del Socio G. BerruTI, dono del Prof. G. A. Reyoenp} Direttore della Scuola di applicazione degl’Ingegneri di Torino ; 12° due opuscoli del Socio Gurpi, aventi per titolo, uno: Prove di resistenza su voltine di mattoni forati; l’altro: L’'ellisse di elasticità nella Scienza delle costruzioni. Il Socio MarriRoLo presenta un volume intitolato: Serdtti 3 botanici pubblicati nella ricorrenza centenaria della morte di Carlo Allioni, uno dei primi Socii della nostra Accademia; ne discorre brevemente ed invita i colleghi a visitare il busto in bronzo inaugurato nell’Orto botanico, opera dello scultore Ettore RiponI. Il Presidente, su proposta di MaArTIROLO, ringrazierà l’ artista pet l’opera fatta in onore di un insigne Socio della nostra Accademia. Presenta inoltre un opuscolo seritto in collaborazione colla signora Irene CnIaPUsso-VoLi, avente per titolo: Les Bochiardo Botanistes piémontais. Vengono presentate per l’inserzione negli Atti le seguenti note: 1° Sopra una particolare equazione differenziale del 1° ordine, del Dr. Minéo Criinr, dal Socio PrANO; 2° I concetti moderni sulla figura matematica della Terra. Appunti per la Storia della Geodesia. Nota 2*: Saîigey e le varia- zioni della gravità, dell'Ing. Ottavio ZAanoTTI-Branco, dal Socio JADANZA; 3° Echinodermi Miocenici dei dintorni di S. Maria Tiberina (Umbria), del Dr. Arracni Carlo, dal Socio PARONA; 4° Sulla dispersione della elettricità nei vapori di jodio, del Dr. Adolfo CampertI, dal Socio - NACCARI; 5° Contributo alla conoscenza della infiltrazione adiposa, del Socio Pio Foà. ORE en 4 MINEO CHINI LETTURE Sopra una particolare equazione differenziale del 1° ordine. Nota di MINEO CHINI. In una precedente Nota (*) misi in rilievo una vasta classe di equazioni differenziali della forma: da do + d14 + 494° + 434° caratterizzate dall'esistenza di una relazione lineare che passa fra tre loro soluzioni particolari, equazioni di cui detti l’espres- sione dell’integrale generale. Essendomi ora proposto di deter- minare altre classi di equazioni della suddetta forma, integrabili con sole quadrature, ho voluto passare alla ricerca di tutte quelle che ammettono come fattore integrante un'espressione del tipo: (y— 2)" (y — 22)" (4 — 03)", con Mm, Ms, mg quantità costanti, e x,, xe, 13 funzioni della va- riabile x: la quale ricerca è suggerita dal Darboux nella sua Théorie des surfaces (**). Tale studio non presenta difficoltà teoriche; ma l’impor- tante è di vedere se anche sia possibile determinare con sole quadrature i coefficienti delle equazioni richieste: e questo ap- punto ho potuto provare. Dopo ciò, passando al caso più semplice in cui il fattore integrante sia della forma: (y_ e)" (y_ 2)", (*) Sopra una particolare equazione differenziale del 1° ordine, * Rendi- conti del R. Istituto Lombardo ,, serie II, vol. XXXVI, a. 1903. (**) Vol. IV, pag. 447. SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 5) ho riconosciuto che allora le corrispondenti equazioni apparten- gono alla categoria di quelle da me studiate nella precedente Nota; e quindi ho anche potuto dar subito l’espressione del loro integrale generale, senza fare uso di quel fattore integrante. Si comprende poi come si possa, con analogo procedimento, determinare delle classi di equazioni integrabili, pure fra quelle il cui secondo membro sia un polinomio in y di grado superiore al terzo. SA. Osserviamo dapprima che, senza mancare affatto alla gene- ralità, possiamo sempre ritenere che nell’equazione differenziale d 9 ia = do + 414 + 424° + 434° il coefficiente az (il quale deve supporsi non nullo) sia ridotto all'unità. Giacchè se fosse una funzione qualunque di x, potremmo cambiare la variabile in guisa tale che nell’ equazione trasfor- mata il coefficiente di y* fosse uguale all'unità (*). Occupiamoci dunque delle equazioni differenziali : (1) d“ a+ By+r + (dove a, B, y sono funzioni di x) che ammettono un fattore in- tegrante u della forma: (2) u= (y — e)" (y — 22)" (y — 29)" con Mi, Mz, mz quantità costanti, e #1, xs, x3 funzioni di e. Affinchè ciò si verifichi, sarà necessario e sufficiente che abbia luogo l’identità: SIE 4 (a+ By + 19? + 99) EE 4 (B+21y+-399)=0. (*) Basterebbe infatti porre {a3dx = #, ed assumere poi # come nuova variabile. 6 MINEO CHINI Cioè: (3) (04 By + rg? +99) X Xim(y—x2)(4—x3)+ moy—x3) (4-2) +my—z)y_22)} + +6 +214+389)y—- 2) cy) — im(y—x2)(y—23) ce + ms(y—x3)(y—2) cn + ms(y_-e)(y—2) seri =0. Il primo membro della (3) è una funzione intera di quinto grado in y, i coefficienti della quale sono funzioni di x; e perciò dovremo uguagliare a zero ciascuno di essi. Ma l’annullarsi del coefficiente di y° ci conduce anzitutto alla condizione: (4) mi + mo + m3+3=0, alla quale debbono dunque soddisfare gli esponenti m,, ma, #3 che figurano nell’espressione del fattore integrante yu. Uguagliando poi a zero gli altri coefficienti, verremo ad ottenere 5 relazioni in cui entrano i 3 coefficienti a, 8, Y del- l'equazione differenziale, e le 3 funzioni x;, 42, €3 del fattore integrante. Ora, annullando nella (3) il coefficiente di y*, e tenendo conto della condizione (4), avremo: (5) T=£mè; con Tmax = Mj&, + moto + m3%3. Annullando poi il coefficiente di y7, e facendo uso delle (4) e (5), otterremo: (6) 28 = (Ema) + Ema, con ma? = mici + m9x + maeî. Mentre l’annullarsi del coefficiente di y?, coll’uso delle (4), (5), (6), ci darà: (7) 6a= (Emax)? + 3Tma.Ema? + 2Xma8 — 2 — Ema. SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 7 Si noti subito che possiamo anche scrivere: MIO) v-2mo, 28—=v°+Ema®, Sa—— Î L1(38—19)+ mo. Restano finalmente da uguagliarsi a zero il coefficiente di Y ed il termine indipendente da y nella (3). Ora, applicando le (4), (5), (6), (7), e dopo alcune riduzioni, otterremo come resultato le due nuove equazioni: 22m (3014 Ema) +2ms(3xx+Emx) SÙ +2m3(3x3+Ema) Sa = È = (xma)t4+82max.Zma8+6Xmx1+3Ema?.}2(Ema)?+Ema? (5 Dm (Bosa +E man) 2 1 AMs(Besr +-Emec2) 2 L2my(3rey+Emen) a — = Emax.) (2ma)}4-3Xma Ema? +22Zma® | —3x,09%3) (Ema)? +-Ema?} con Imxx = MjX93%3 + m9x3%, + myx,ca. Dunque: Per avere tutte le possibili equazioni del tipo (1) che ammettono come fattore integrante un'espressione della forma (2), dovremo anzitutto fissare per gli esponenti mi, my, mg tre costanti qualunque legate dalla relazione (4); e poi scegliere per x1, X2, Xs una terna di funzioni della variabile x, in guisa che risultino | soddisfatte le due equazioni (9). Dopo ciò, i valori dei coefficienti , B, y che figurano nella (1) saranno dati rispettivamente dalle formule (1), (6), (5). Noi potremo, per es., fissare: m=M,=M=— 1, e con ciò verremo a determinare tutte le equazioni del tipo (1) | che ammettono come fattore integrante un’ espressione della forma: 1 (10) alyx) | In tal caso è facile riconoscere che i secondi membri delle (9) 8 MINEO CHINI si annullano entrambi, e queste due equazioni si FIGURA perciò alle altre: (ro + x3—2x,)dex+(c34+ 1 —2x2)dx0 + (21 + 20 — 20,)de3 =0 [ws (2a + 23) — 2x903]de1 + [2o(c3 + 21) — 2g: ]dco + + [2321 4 22) — 20,03] da3 = 0. Se ne ricava facilmente: da, =‘des =dxy: E quindi: a=X+c,, x =XH+c2, ag =XH+ 6g, dove X indica una funzione qualunque di x, e c;, ca, cz sono tre costanti arbitrarie. Ora, osservisi che i coefficienti a, B, y vengono cla avere in questo caso speciale i valori seguenti: da dx; dx a= +(È uh E Hd X1Xot3, B= 1% + tag 4 23%, = — (21 + 22 + 23). Da cui si deduce l'uguaglianza : iz a+-8y +ry°+y = (cr +4 Lyn). Possiamo dunque concludere: Tutte le equazioni (1) aventi un fattore integrante del tipo (10) sono quelle della forma: dX UE L(y-X_-e)y-X—c)y—X—cg), con X funzione qualunque di x, e Ci, C2, c3 costanti arbitrarie. Il detto fattore integrante è: 1 (y-X—ci)(y—- X—ca)y—-X—cg)® SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 9 SETE. La Come già si disse, una funzione u della forma (2) risulterà fattore integrante di un’equazione differenziale del tipo (1), so- lamente quando gli esponenti m,, ms, mz siano legati dalla (4), e le funzioni x;, x», 13 soddisfino alle (9). Per conseguenza una di tali funzioni sarà del tutto arbitraria; mentre, fissata questa, si avranno le altre due integrando il sistema di equazioni dif- ferenziali (9). Noi potremo, per es., supporre «3 = 0; e con ciò verremo a determinare tutte le equazioni del tipo (1) aventi come fat- tore integrante un’espressione della forma: (1 1) y"s (Y Se ga) (Y = do)" 1 Osserviamo però che anche il caso di x3==0 si può in so- stanza ridurre a quest’ultimo. Infatti, dopo aver determinate le equazioni (1) che ammettono un fattore integrante della forma(11), se cambiamo y in y — x3, con «3 funzione arbitraria di «, le suddette equazioni conserveranno evidentemente la forma (1), ed il fattore integrante (11) si cambierà in uno del tipo (2). Di più, a causa dell’arbitrarietà della funzione x3, le equazioni così trasformate ci forniranno tutte quelle richieste dal caso generale. Ora, nell'ipotesi di x3= 0, le equazioni (9) si riducono alle altre: 2} (M1+-3)c1+ mac | ca “E 2g} nyc + (009 +-3)0 2 = = my(mx+1)(m+2)(m,+-3)c{+-4m,mo(m1+1)(m:+2)cîca + + 6 mo(m+1)(Mmo+1)cîx3 + 4mmo(mo+1)(mo+2)c 10: + (12) + ma(mo+-1)(m34-2)(ms+3)@2, im | 2mg%xt9| Ma da Ta # = mye,t9}mi(m1+ 1)(m14- 2)eî + 3mmo(ma + 1)oixa + + Bm,mo(ms + 1)e12ì + mo(mo + Dm + 2a. 10 MINEO CHINI E le (8) diventano: mix, + max =Y 2 P) mixî + maxi. = 2B— Y? mai + mai =30— (38-13) + s di Se quindi si eliminassero le funzioni x, ed x, fra queste i rat a0, ; d ultime tre equazioni, si avrebbe una relazione tra a, f, Li e due costanti arbitrarie m,, ms; alla quale relazione dovranno dunque soddisfare i coefficienti di ogni equazione del tipo (1), affinchè essa ammetta un fattore integrante della forma (11). Ma per la determinazione di questi coefficienti occorrerà inte- grare il sistema (12), nel quale m, ed my rappresentano, come già si disse, due costanti arbitrarie; mentre è: mg =—(m + ms + 3). Ora, nel caso in cui sia m3==0 (cioè m 1 + ms +3=#0) e x==%xy==0, il sistema (12) equivale all’altro: Xi da \ bios pit (my +1)(m1+2)x7+2ms(m1+1)c1c9+-mo(ma+1) e, | 2-80 milan 1)e7+-2v01(19+-1)2,29+ (01041) (02 +2)t Ed è facile provare che il sistema dei suoi integrali gene- rali si ottiene con sole quadrature. Infatti, dopo aver diviso membro a membro le precedenti equazioni, pongasi: Co =" 2xn con 2 nuova variabile. Otterremo allora l'equazione differenziale : (14) odr _ ma(ma + 1)2?24- 2mo(my + 1)2+ (mi + 1)(m1+-2) dz w gi 2i(ma+1)2°+(mi— mae —(m +1) 1 nella quale le variabili x, e 2 sono separate, ed il cui integrale DS generale è quindi: xi = CiePA; Re gr E e __y__ n da SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 11 essendo C; una costante arbitraria, e: seat ma(ma + 1)? + 2 (my + 1)24- (mi + 1)(m +2) PON e ep de 1° Ma dalla prima delle (13) si ricava: 31 — af}mo(my+1)22+-2mty(m1+1)e+(00:+1)(0:+2){d. E tenendo conto della (14), avremo perciò l’equazione dif- ferenziale tra x e 2: da 2} (mat 1)2° + (mi — ma): — (Mm +1) = CiePAda. L’integrale generale di questa equazione è: - ya) = 2 + Ga, dove Cs indica una nuova costante arbitraria (al pari di C,) e Last Ora, eliminando la variabile ausiliaria 2 tra le due equazioni: @(e) = 2loga,—logCi, y(e) = Cra + Co, otterremo una relazione della forma: Da, 1 CC) =0. Eliminando la stessa variabile fra le due equazioni: P(2) + 2log2a = 2logr, — logC;, y(e) = Cir + Gi, perverremo ad un’altra relazione della forma: E; a, Ca, Cai =0. E le due relazioni così ottenute costituiranno appunto l’in- tegrale generale del sistema (13). pe MINEO CHINI Immaginando poi di risolverle rispetto alle funzioni inco- gnite x; ed x, (il che però non è necessario), avremo le effet- tive espressioni di queste funzioni sotto forma esplicita. Infine, coll'uso delle formule (5), (6), (7), dopo aver fatto in esse 23=0, conosceremo i coefficienti a, 8, y delle equazioni differenziali cer- cate. E l'integrale generale di queste si determinerà poi con sole quadrature. Per esempio, vogliansi determinare tutte le equazioni diffe- renziali del tipo (1) aventi come fattore integrante un’espressione della forma: LEN 1 (i Sgr ta cen yy— e) (ye) = (y— 2) (ya) Dovremo anzitutto integrare il sistema: | 1 da; “oz \ a cd 1 da x, dg = xi —- 2a1%2. Se ne deduce dapprima l’equazione tra x, ed 3: & dr __ xt 2a Lg dx, 39 Ponendo in essa: La = ZI, ’ avremo l’altra: da Sde ee : XA 1 —- % il cui integrale generale è: (15) xt = C(1—- 2)". Ma si deduce pure: sa = Brîe?. de =30,22(1 — 2)?.da. 1 SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 13 E perciò potremo scrivere l'equazione differenziale tra x e 2: PRE 0 de—20jde; il cui integrale generale è: (16) z — 2logae — iz = 2C,x + Co. Ora, l’eliminazione della variabile ausiliaria 2 tra le (15) e(16) si otterrà subito, osservando che dalla (15) si ricava: Quindi la (16) diventa: 1_- se 2198 1—- Ga) _ ve Va = 20, Sh Cs. Ci E questa relazione, per ogni coppia di valori attribuiti arbitrariamente alle costanti Cj e Co, definisce x, quale fun- zione di x. Infine si avrà: (3 SSA Loi= dn VO zi. $ MI Se poi, oltre ad essere x3=0, supponiamo che sia pure mg = 0, noi verremo a determinare tutte le equazioni del tipo (1) che ammettono come fattore integrante un’ espressione della forma: (17) (y — a)" (y — co. Allora dovrà risultare anzitutto: (18) ii mes E poichè la seconda delle equazioni (12) si riduce *in tal 14 MINEO CHINI caso ad una identità, non rimarrà da considerare che là prima di queste equazioni. Essa, a causa della condizione (18), diventa: (19) —2m,mo(r:— x )d(r2—2,) = m,ms(mimo — 2) (0° — x). da. Se quindi gli esponenti m, ed ms sono entrambi differenti da zero, ed inoltre è %; = x, la precedente equazione differén- ziale potrà scriversi:. dix — 2) — 2 Nero = (Mmimg — 2)dx. Perciò il suo integrale generale sarà: il a DD, x sRatdsaUijiz la at (mim, — 2)x + C’ con € costante arbitraria. Dovremo dunque prendere: 1 Xe = oe ese" 1a 1) (mimo — 2)x + odi essendo x, una funzione di x del tutto arbitraria. Ma allora, applicando le (5), (6), (7) e tenendo conto della (18), si deduce che i coefficienti dell'equazione (1) avranno in questo caso i valori seguenti: vamp — 32, B= pm mis(omz + 1)p? — 2mope, + 32, dx, casi sip > ma(my + 1)p?x; + mapeî — a; essendo : 1 1 Dt MAGRO Era, — De PC VC— (ma + 1)(m+2)e E quindi l’equazione (1) diventa: UU — dA L (y_o,)} 3 mimo + 1)p?+ my) +2]. Concludiamo pertanto: Tutte le equazioni della forma (1) che SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. 15 — ammettono come fattore integrante un'espressione del tipo (17) [sup- onendo m, ed m, diversi da zero, e x, == xs| sono le sequenti: 1 2 ’ 1 2 0) =7 +—2)f2mm+1o°+mpy-M+ XP, dove X indica una funzione qualunque della variabile x, m è una costante arbitraria (differente da zero e da —3), e = . > Vo—(m+1)(m+2)x con C costante arbitraria. Il fattore integrante sarà: Ci a (Wi EJ Ora, nella mia Nota già citata dimostrai che ogni equazione differenziale del tipo: d 5 = do + 4,4 + 499? + a39î, la quale ammetta tre integrali particolari distinti y1, y2, y3 legati dalla relazione lineare omogenea: Y dky, — (K +4 1)y3=0, con £ costante arbitraria differente da zero e da —1, è neces- sariamente della forma: vp da y—a db a+ kb CV ene e age tw) (4— SS dove a, d, c indicano delle funzioni qualunque della variabile x (purchè sia a==0). I tre integrali particolari sono: kb Y, 409; ya= D, Ha = i: ’ 16 MINEO CHINI e l’integrale generale della (21) è: k a+ kb \#1 __ HI ya yy) = Ce feta- b}tax con C costante arbitraria. Ciò posto, è facile riconoscere che la (20) appartiene pre- cisamente alla categoria formata da queste ultime equazioni differenziali: giacchè la (21) si riduce alla (20) quando si prenda: a=X—(m+1)p, 60=X4+p;_ c=1,0 k=m$& È Ne segue che l’integrale generale dell'equazione (20) sarà: (22) }yu— X+(m+Doiy-X—p)"""=Xp°Goe con K costante arbitraria. Nella (22), oltre a non considerare per m i valori zero e —3, già esclusi, dobbiamo supporre che m sia pure differente da —1 e —2; giacchè questi due numeri corrisponderebbero ai valori O e —1 della costante £ che figura nella (21), e che invece debbono essere esclusi. Ma pei valori —1 e —2 di m la (20) diventa rispettivamente : dy'!l Vax Sio sn pr* ie = de 1 È :a0dMT0 Son dy __dX r A ed con p quantità costante. E perciò il suo integrale generale sarà rispettivamente : | de =c+K, | de A 2°(@— p) e(2—p)î conz=y— X. dc tit ptt SOPRA UNA PARTICOLARE EQUAZIONE DIFFERENZIALE, ECC. DET; Spie Infine osserviamo che supponendo nullo, oltre ad m3, anche uno degli altri esponenti m, ed m, (per es. ms), noi verremo a considerare tutte le equazioni (1) che ammettono un fattore inte- grante della forma: (23) o L’equazione (19) si riduce allora ad una identità, e quindi la funzione x, che figura nella (23) rimane del tutto arbitraria. Mentre l'esponente m, dovrà avere necessariamente il valore —3. In questo caso, che è il più semplice di tutti, le formule (5), (6), (7) dànno pei coefficienti dell'equazione differenziale (1) i valori seguenti : Perciò le equazioni richieste sono tutte e sole quelle della forma: AMDAEI Da n= gt Y_- 393 con X funzione qualunque di . Il fattore integrante del tipo (23) è: 1 . (4-X) e l’integrale generale dell’equazione sarà: 1 —=Xt-—--, y y — 2a con € costante ‘arbitraria. Genova, settembre 1904. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 2 18 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO - — —— = I concetti moderni sulla figura matematica della Terra. Appunti per la storia della Geodesia. Nota 2? (1) — Saigey e le variazioni della gravità dell’Img. OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Libero Docente di Geodesia nell'Università di Torino. I. Come già avvertimmo a p. 14 della nostra nota precedente (Atti, p. 700), ne occorre trattenerci alquanto sui lavori quasi ignorati di Saigey, perchè le sue idee hanno avuto un'influenza indiretta sugli studi a lui posteriori di geodesia e geofisica. Nei suoi primi lavori Saigey si occupa anche della figura matema- tica della Terra, e cerca di determinare la distanza del livello effettivo del mare, da un ellissoide o sfera scelto a rappresen- tare quella. Le sue idee, feconde ed originali, non furono espresse, come crede Giinther, nel 1842 (2), ma assai prima, nel 1827. I lavori ad esse relativi sono contenuti nel tomo settimo, 1827, del Bulletin des Sciences mathématiques, astronomiques, physiques et chimiques, che dal suo direttore barone De Ferussac è detto comunemente Bulletin de Ferussac, e che aveva per collaboratori i più eletti ingegni di quel tempo, quali Ampère, Poisson, Poinsot, Navier, Lacroix, Cauchy, Cournot, De Freycinet, Damoiseau, Mathieu, Francour, ecc. Quei lavori sono stampati alle pa- gine 25-44, 171-184. I primi due sono rendiconti delle pubbli- cazioni di Sabine e Freycinet sulle loro determinazioni della gravità. Il terzo ha per titolo Comparaison des observations du pendule à diverses latitudes faites par Biot, Kater, Sabine, De Freycinet et Duperrey. È in quest’ultimo che compaiono le teorie di Saigey. (1) “ Atti,, vol. XXXIX, 1904. (2) GiinraER Sreemunp, Handbuch der Geophysik. Stuttgart, 1897, vol. I, pag. 193. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 19 Nel secondo di questi lavori sono raccolte.in un quadro le osservazioni istituite da Borda e Biot, in unione a Mathieu, Bouvard, Chaix, Arago (1), Kater (2), Sabine (3), Freycinet (4), Duperrey (5), che Saigey si propone di discutere sotto varii punti di vista. Egli dà la latitudine, longitudine, elevazione sul mare di ogni stazione; in varii modi ed unità di misura la lunghezza osservata ad ogni stazione, ed esprime quindi tutte quelle lunghezze in millimetri, riducendole per ultimo al livello del mare. Si è su questa riduzione che dobbiamo indugiarci al- quanto, perchè essa anche oggi forma oggetto di discussione. Qui ne conviene riportare integralmente il passo che vi si riferisce. “ Pour réduire le pendule, de la station au niveau de la mer, on a suivi plusieurs règles de calcul. D’après M. de Laplace il ne faut point tenir compte de l’attraction de la couche de matière comprise entre la station et le niveau de la mer (6): considérant la longueur du pendule comme proportionnelle à la force qui le sollicite, ou comme inversement proportionnelle au carré de sa distance au centre de la terre, on a ee) IO lL., d'où v=i(1+À L), r h étant la hauteur de la station où le pendule est /, duquel on veut déduire le pendule !' è la distance r du centre de la terre, ou au niveau de la mer. La correction est, comme l’on voit, 2h stero da 3 en négligeant le terme très-petit LS M. de Freycinet prend (1) Recueil d’observations géodésiques - Base du systèmes métrique, vol. 4°. (2) “ Philosophical Transactions , di Londra, 1818, 1819. (3) “ Philosophical Transactions , di Londra, 1825. (4) Observations du pendule, faites dans le voyage autour du Monde pendant les années 1817-18-19-20. Nella relazione di quel viaggio. Parigi, 1826, Pillet. (5) Quelle di Duperrey non erano pubblicate quando Saigey componeva il suo lavoro; lo furono poi nelle “ Memorie dell’Accademia delle Scienze di Parigi ,, 1827, e nella Connaissance du Temps pel 1828 e pel 1830. (6) Il passo di Laplace al quale allude Saigey è certamente quello da noi riportato a pag. 10 della Nota Prima (“ Atti ,, p. 696). Nella Mécanique Céleste non ci venne fatto di trovare un passo che possa corrispondere quanto dice Saigey. 20 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO pour » le rayon moyen de la terre. Mais Biot prend le rayon de celle-ci, considérée comme elliptique, à la latitude de la station. Le cap. Kater tien compte de l’attraction de la couche comprise entre le niveau de la mer et la station; et en cela ila suivi le conseil de M. Yong (sic) (voyez les Transactions Plvilos. pour 1819, p. 70) (1). Cette méthode consiste à regarder comme égale aux È de la densité moyenne de la terre (5,5), la densité de la couche en question, et è ne tenir compte que de son élé- vation et de sa déclivité en grand (2). “ Ici l'on regarde, avec M. de Laplace, l’attraction de la couche comme l’une des causes locales de perturbation, causes dont on ne peut apprécier l’énergie que dans leur ensemble, et l’on ramène au niveau de la mer, la longueur du pendule observée à la station, à la latitude ), en y appliquant la correction ONIROIR 010 Wgggy KU socaggi careosi (2 + 53 #00 + gg 00691). “ Les deux premiers termes expriment la correction due è la hauteur de la station au-dessus de la mer considérée provi- soirement comme ayant un aplatissement de 505: c'est la formule de M. Biot. Le troisiome terme est la correction qui provient de la différence de force centrifuge è la station et au niveau de la mer. Ce terme est insensible pour de petites hauteurs ; ainsi à Paris il apporte au pendule une correction de 0” 00001695 seulement; pour Clermont 0,0001068. Pour le Mont Cenis, dont l’élévation est de 1943", cette correction est telle qu'elle change en 4,21, la densité moyenne de la terre 4;39 donnée par M. Car- lini, d’après ses observations du pendule (voyez le Bulletin de mai 1825, n° 328). “ La formule précédente prend, sans erreur sensible, la forme Moi VATI 1 ua 6376984 ) 288 1 322 50 | (1) Per questa correzione di Young vedi Zanorri Branco: I Problema Meccanico della Figura della Terra. Torino, Bocca, 1880, Parte Prima, p. 254, che è oggi il solo libro italiano che ne tratti. (2) Qui Saigey cade in una svista, perchè la regola o correzione di Young ammette che la densità dello strato che si considera sia ‘4/3, non i due terzi della densità media terrestre. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 21 et c'est avec cette correction que l’on a calculé, colonne 7, les longueurs des pendules au niveau de la mer ,. Helmert nel volume II del suo classico libro Die Mathema- tischen und Physikalischen Theorieen der Hoheren Geodiisie, si è servito di molti dati dei quali si valse anche Saigey: ma giova avvertire che per i dati d'osservazione di Kater e di Sabine egli s'attenne alla riduzione fattane da Baily (1), e quindi si riscon- trano differenze. Così Helmert ricavò le osservazioni di Biot e Mathieu, non dalla fonte citata in nota, alla quale attinse Saigey, ma bensì da una memoria di Biot, intitolata: Mémoiîre sur la Figure de la Terre (£ Mémoire de lAcadémie Royale des Sciences de l’Institut de France ,, vol. VIII, 1829). Per Freycinet e Du- perrey, Helmert s’attiene ai dati forniti da Baily nella memoria citata. Da quanto afferma Saigey nel brano sopra riportato, e da quello di Laplace trascritto a p. 10 della Nota Prima, risulta evidentemente che Laplace fu il primo ad intuire, come nel ri- durre la gravità al livello del mare, per determinare la figura della Terra convenisse tener conto della sola variazione della gravità in altezza, considerando poi la massa sottostante alla stazione e sporgente sul livello medio del mare, come una causa di perturbazione. Oggi quel modo di ridurre la gravità si dice riduzione o correzione di Faye. Qui è conveniente tessere bre- vemente l’istoria di queste riduzioni della gravità al livello del mare. Per ciò fare stabiliamo prima con Helmert (2) alcune no- tazioni, ora universalmente accettate nella trattazione di questo argomento, ed alle quali è quindi necessario l’attenerci: g l'accelerazione della gravità osservata in un punto P della effettiva fisica superficie terrestre; Io la somma 9+- la riduzione normale al livello del mare, ovvero (con espressione meno rigorosa) g-+ la riduzione al livello del mare come nell’aria libera; (1) A report on the experiments made by the late Cap. Henry Foster R. N. with the pendulums token out by him in his scientific voyage in the vears 1828-1831, with a view to determine the figure of the Earth. ©“ Memoirs of the Royal Astronomical Society ,, VII, 1834. (2) Ueber die Reduction der auf der physischen Erdoberfliiche beobachteten Schwerebeschleinigungen auf ein gemeinsames Niveau, * Sitzungsberichte der K. P. Akademie der Wissenschaften zu Berlin ,, 1902, XXXVI. dig DO DO OTTAVIO ZANOTTI BIANCO go la somma 90+ la riduzione per il terreno (riduzione al terreno orizzontale, riduzione o correzione topografica); 90 la differenza go — l'attrazione verticale dello strato fra P. ed il livello del mare, strato supposto di eguale spessore e piano; To la parte normale dell’accelerazione della gravità al livello del mare. Y la stessa, normalmente ridotta all'altezza H del punto P. Bouguer, a dar conto della parte da lui presa alla misura dell'arco del Perù (prima metà del secolo decimo ottavo) pub- blicò nel 1749 un’opera intitolata: La Figure de la Terre déter- minée par les observations de MM. Bouguer et de la Condamine, avec une, relation abrégée de ce voyage, par M. Bouguer, Paris, MDCCXLIX. La settima sezione di quest’ opera ha il titolo: Detail des Expériences ou Observations sur la gravitation avec des remarques sur les causes de la Figure de la Terre. In questa Bouguer si occupa dell’attrazione a differenti altezze sul livello del mare. Egli trova che sopra una montagna all'altezza H sul livello del mare l’attrazione è proporzionale a (R_2H)0,+3H0, ove È è il raggio terrestre, O,, e © la densità media della Terra e la densità della montagna. Da questa si deduce la formola 2H ( 3.00 (1) met dae et 2 che è quella solita di riduzione per la gravità, che è data in tutti i libri (1). A proposito di questa formola Helmert scrive: “ Bouguer trascura, per motivi facili a vedersi, nel confronto di go e g la deviazione della forma del terreno circostante da una delimitazione orizzontale, nonchè l’influenza della forza cen- trifuga (2): come si scorge, poi, quella formola trascura la pic- cola influenza della forma ellissoidica della Terra. Ciò è però di poca importanza rispetto alla circostanza, che nel paragone di go" e g solo le masse della effettiva faccia terrestre, vicino al punto al quale g si riferisce, vengono considerate come masse perturbatrici. Rappresentiamoci per contro il complesso di tutti (1) TopnuntER, History, ete., vol. I, pp. 247, 248. — HeLmERT, nota citata. (2) Come vedemmo, Saigey ne teneva conto; ma oggi la si trascura sempre. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 23 i punti della vera superficie terrestre: allora per ciascun punto di essa l'accelerazione della gravità 9 relativa al passaggio dal livello del mare all’altezza H corrisponderebbe all’attrazione di un altro sistema di masse, cioè all’attrazione della massa interna terrestre e a quella della massa terrestre esterna, vicino al punto corrispondente. Questi valori g non corrispondono quindi alla condizione di essere i quozienti differenziali del potenziale di una massa determinata secondo l’altezza. Lo stesso vale natu- ralmente per i go”, giacchè qui all’opposto di prima, partendo dai g effettivamente osservati, nella riduzione ci si riferisce ad una massa variabile, cioè la differenza variabile di tutta la massa terrestre, e della massa vicina circostante al luogo. “ Secondo questo modo di vedere, anche il modo di riduzione da g a 90, che si dice di Bouguer non sarebbe generalmente applicabile. Giacchè, al fine di renderlo applicabile, non si può neppur pensare a tener sempre conto realmente di tutta la massa terrestre esterna (1), giacchè ciò significherebbe l’imma- ginare nel passaggio da 9 a 90 la massa esterna terrestre come sbucciata. Di più con questo processo andrebbe generalmente congiunto un notevole spostamento del livello del mare, che in taluni luoghi potrebbe ammontare fino a parecchie centinaia di metri, e sarebbe anche praticamente affatto ineffettuabile, il ri- portare unicamente le accelerazioni della gravità ad un nuovo e deformato livello del mare. “ Prima di procedere all'esame del procedimento di Bouguer, io debbo, per amore della verità storica, dichiarare ancora che Bouguer propriamente non ebbe di mira la riduzione al livello del mare della y osservata all’altezza H sul livello del mare. Egli si proponeva unicamente di paragonare fra loro le due (1) Dalla p. 340 della Geodesy di A. R. Clarke appare che si sono sol- levati dei dubbi circa la necessità di non tener conto della forma sferica della Terra nel calcolo dell'attrazione delle masse esterne superficiali (nota di Helmert). Ivi Clarke allude ad una formola data da Pratt. Vedasi A Trea- tise on Attractions, Laplace’ s Functions and the Figure of the Earth, Londra, Macmillan, 1871, p. 56, ed il nostro trattato, Parte Prima, p. 276. Clarke osserva pure che la formola di Pratt, che tien conto della curvatura della Terra, fu accuratamente discussa nel volume V Pendulum Operations del “ Account of the Operations of the Great Trigonometrical Survey of India ,. Debra Dun e Calcutta, 1879. 24 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO accelerazioni della gravità che erano state osservate a Quito e nella vicina costa del mare, e di constatare gli effetti dell’at- trazione perturbanti le due accelerazioni. A ciò il suo calcolo ‘offriva una base utilizzabile. Rimane però a vedersi se egli lo avrebbe considerato anche come base della formola generale di riduzione (I), quando egli avesse avuto bisogno di stabilirne una. Per quanto a me consta, nel citato seritto, non si trova nulla di ciò (1). Il problema più generale di rendere fra loro paragonabili le accelerazioni della gravità di qualsivoglia luogo della Terra, per mezzo di convenienti riduzioni, fu per la prima volta trattato da Tommaso Young nel 1819, ma solo assai se- condariamente in una lettera al capitano Kater, che fu stam- pata a pagina 93 delle Philosophical Transactions of the Royal Society of London, pel 1819, Young dice, si suole ridurre al livello del mare senza tener conto dell’ attrazione delle masse che si innalzano sopra il livello del mare; appare quindi che dal procedimento di Bouguer non si fosse ricavata alcuna regola generale. Egli insegna quindi per il caso di un esteso altipiano come si debba correggere l’usuale formola di riduzione, affatto corrispondentemente alla formola (1). A quest’ ultima giunse anche Poisson nell’anno 1833, nella seconda edizione del suo Traité de Mécanique, I, p. 492-496. Sebbene Poisson presupponga un grande continente, tuttavia egli tien conto soltanto delle masse vicine ,. Young avverte che se si tratta di un monte situato sopra un'isola, la riduzione al livello del mare deve farsi con altro procedimento, perchè non si può ammettere che la massa spor- gente di materia abbia estensione grandissima rispetto all’al- tezza, giacchè l’isola è piccola e subito dopo il suo contorno si si ha ha il mare (2). Se nella formola (1) si fa g-=<+ On (1) I volumi XVIH (1901), XIX (1902), XX (1903) del “ Bulletin Astro- nomique , contengono un lavoro del signor G. Breourpan, intitolato: Sur diverses mesures d’arcs de méridien faites dans la première moitié du XVII sidele. In questo si esamina pure in disteso il libro di Bouguer: è strano che non vi si faccia cenno della sua regola per la gravità. (2) Youne, Remarks on the Probabilities of Errors in physical Observations and on the density of the Earth, “ Philosophical Transactions , pel 1819, riprodotto nel volume II, p. 8-28, dei Miscellaneous Works of the late Thomas Te © gr | 1 CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 25 du 9 (1 + È FL): Se si trascura l’azione della montagna, . . Tit DCS . 2H È la correzione da apportarsi a 90°" è proporzionale a pi se in H vece se ne tien conto, essa è proporzionale a È in ed il rap- porto di queste due correzioni è È = 0,625. Young prendeva °) dii ri , ata TT) on = ig: vece di 5: per cui ottenne per quel rapporto = 0,66 circa. Stokes avverte che Airy avendo notato che © =2,5 è un po’ troppo piccolo e ©, = 5,5 è un po’ troppo grande, usa il valore 0,6 invece di 0,66. Le osservazioni mo- derne mostrano che 0=2,5 è un valore attendibilissimo, mentre assai probabilmente 0, = 5,5 è troppo piccolo, quindi il valore di Young è da preferirsi a quello di Airy. Stokes nella sua memoria sulla variazione della gravità, si esprime come segue circa la riduzione della gravità: “ Poichè la superficie reale della Terra, non è rigorosamente una super- ficie d’equilibrio, a cagione dell’elevarsi dei continenti e delle isole sul livello del mare, è necessario di considerare primiera- Young. Nel volume V, che concerne il pendolo, del “ Account of the Ope- rations of the Great Trigonometrical Survey of India ,, p. [228], leggesi in nota il passo che qui sotto traduciamo a titolo di documento storico; questa nota è firmata J.H.=J. Herschel: “ Non è mai troppo tardi il render giustizia. La “ Regola , qui ed in altri capitoli previamente citati, designata quale Regola di Young, non deve veramente venire associata col nome del Dr. Young. Todhunter nella sua History of the Theories of Attraction and the Figure of the Earth ($ 1618), osserva che Bouguer ha già impiegato la formula, e che D’Alembert indipendentemente ha mostrato il bisogno di essa. Sembrerebbe quindi che, per non aver conosciuto i loro scritti, Young non sia stato che un plagiario: ma un’egual colpa è a noi attribuibile, per averne a lui dato il credito. Ma la verità è che quella sua menzione del termine addizionale fu soltanto incidentale, e se non fosse per la sua asser- zione non troppo corretta, dell'essere stata * usualmente , trascurata, la colpa sarebbe tutta di quelli che dopo, senza eccezione, lo citarono parlando di essa; finchè divenne “ Regola di Young ,. lo dico non troppo corretta, poichè all’epoca (1819) dello scritto in cui si legge quel passaggio, le sole osservazioni pendolari, oltre quelle peruviane, in cui la riduzione al livello del mare fosse di qualche conseguenza, erano quelle di Biot ed Arago. Rimpiango che nello stampare il capitolo nono di questo volume, si sia forse dato qualche corso a questo malinteso ,. J. H. , 26 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO mente in qual maniera si dovrebbero ridurre le osservazioni onde rendere applicabile la teoria precedente. Nell'articolo 13 si dimostra che la Terra può essere considerata come limitata da una superficie d’equilibrio e che le espressioni precedente- mente investigate possono venir applicate, purchè si riguardi il livello del mare come la superficie limitante, e la gravità osservata venga ridotta al livello del mare tenendo conto uni- camente del cambiamento di distanza dal centro della Terra. Però la gravità ridotta con quel metodo sarebbe soggetta a va- riare irregolarmente da un luogo ad un altro, in conseguenza dell'attrazione del terreno fra la stazione e la superficie del mare supposta prolungata sotterraneamente, giacchè quest’attra- zione sarebbe maggiore o minore, a seconda dell'altezza della stazione sul livello del mare. Al fine però di rendere le osser- vazioni istituite in luoghi differenti, paragonabili fra loro, sembra meglio il tener conto di quell’attrazione nel ridurre al livello del mare, ma poichè questa correzione è introdotta violando la teoria in cui si considera come superficie di equilibrio quella della Terra, è necessario esaminare l’effetto che l’abituale tras- curanza della piccola correzione sovra menzionata, produce sui valori della gravità media e dello schiacciamento dedotti da osservazioni istituite in molti luoghi ,. Più avanti, come già vedemmo, Stokes accenna alla regola di Young. A questo proposito è interessante riferire qui, quello che Helmert pensa della opinione di Stokes (1): “ Stokes nella sua più volte rammentata memoria On the variation of gravity ammette dapprima che la riduzione al livello del mare si debba fare soltanto secondo la formola gl1 + n) A ciò egli giunge nell'ipotesi che si possa senza alterazione essenziale della forma della superficie del mare immaginare condensate su di essa le masse sporgenti sul livello del mare. Più lungi poi Stokes os- (1) HeLmerr, Hohere Geodtisie, II, p. 173. Abbiamo ommesso due o tre linee di Helmert, nelle quali egli rimanda per le formole adoperate da Stokes ad altre parti del suo libro: in esse è incorso un errore di stampa, rimanda alla formola (10) del $ 34 di quel capitolo, e doveva dire $ 32, come è avvertito nell’'Errata. . ie I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 27 serva che generalmente con quel metodo rimangono ancora delle anomalie di 9, e che sia tuttavia perciò meglio (però inquanto 9 è dato solo in alcuni punti) di ridurre secondo la regola di Young. 2h Che però egli riterrebbe la riduzione secondo g(1 HT n) come la sola giusta, quando 9g fosse dato generalmente, appare da ciò che egli computa l’influenza delle grandezze di riduzione secondo la regola di Young sul risultato finale, per questo caso. Secondo questo calcolo l’errore è solamente — 0.0000012 e quindi tras- curabile ,. Nel 1852, coi tipi di Robert Baldwin, Paternoster Row, Londra, il signor Robert Grant, F.R. A.S. pubblicò un lavoro utilissimo e per molti rispetti pregevole, intitolato: History of Physical Astronomy from the earliest ages to the middle of the nineteenth century. Gli inglesi intendono per physical astronomy la meccanica celeste: oggi però anch’essi applicano quel quali- ficativo di fisica a quel ramo dell'astronomia, che si occupa d’in- vestigare la costituzione fisica e la composizione chimica dei corpi celesti. In questo libro il nome di Saigey non compare, le ricerche di Bouguer sull’attrazione delle montagne vi sono ricordate, ma non la riduzione della gravità: nè vi si trova menzione del libro di Zach sull’attrazione delle montagne. Il signor Grant, poi, come d’altronde tutti, per quanto mi consta, meno Saigey, ignora le idee di Laplace sulla riduzione della gravità. Egli attribuisce al D" Young tutto il merito di aver scoperto la riduzione totale della gravità, opinione non esatta, e che, come vedemmo, non è più divisa dai compatrioti del signor Grant e del D" Young. Così nella storia di Grant non leggesi accenno ai lavori di Poisson su questa riduzione, che egli fece di pubblica ragione nel 1833 nella seconda edizione della sua Meccanica, che anche oggi è un trattato così degno di studio e di tutta attenzione. Thomson e Tait nella loro Natural Philo- sophy, vol. I, p. 365, menzionano la regola di Young, per avver- tire che, applicando il teorema di Clairaut alla determinazione dello schiacciamento terrestre, per mezzo dei valori della gra- vità, non si deve servirsi di essa, ma è d’uopo ridurre la gra- vità unicamente per l’altezza. Questo loro concetto è precisamente quello di Laplace, come si disse. Il signor Brillouin nel suo scritto Les réductions de la pe- 28 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Ù santeur au niveau de la mer (@ Revue Générale des Sciences ,, 1900, p. 878-79), dà come formola di Bouguer: s'=gl+E (1-32) A questo proposito Helmert scrive (1): “ Solamente Bouguer, invece del fattore ni ha il fattore i , giacchè nel trapasso alla superficie del mare, egli immaginava asportata la massa innalzantesi su quella nella vicinanza del punto, così che quella non agisce sul punto del livello del mare ,. Il signor Poincaré nelle sue Figures d’équilibres d'une masse fluide (Paris, Naud, 1903) con una trattazione, sfortunatamente guasta da errori di stampa, deduce una quantità, la cui metà è la correzione di Bouguer. Îl signor Poincaré si occupa ancora della correzione di Bouguer nel suo scritto Les mesures de la gravité et la Géodésie (“ Bulletin Astronomique ,, tomo XVHI, 1901, pp. 5-39). Helmert si occupa della correzione di Young e Bouguer a p. 166 del volume secondo delle sue Theorieen, ed ivi propone di chiamare correzione di Bouguer il metodo di riduzione della gravità che tien conto della variazione in altezza e del- l'attrazione della massa sovrastante al livello del mare supposta orizzontale. Pratt non nomina Bouguer. Tisserand (Mécanique Celeste, vol. II, p. 347 e seguenti) dà la formola di Bouguer, ma non menziona Young. Di Bouguer, invece, fa menzione D’Alembert nel suo scritto Sur l’effet de la pesanteur au sommet et au pied des montagnes (“ Opuscules Mathématiques ,, vol. VI), cui tien dietro una Ad- dition à l'article précédent. Egli, a proposito di Bouguer, così si esprime a proposito della Figure de la Terre: “ On y trouve une Théorie de l’Attraction des Montagnes, mais beaucoup moins générale que celle qui a été l’objet de ce Mémoire ,. È curioso a notarsi che la teoria di Bouguer è oggi più che mai studiata e discussa; i lavori di D’Alembert, a questo riguardo, si men- zionano, come fa Todhunter per esattezza bibliografica, certo per (1) Compte rendu des Séances de la treizièòme Conférence de l’ Association Géodésique Internationale tenue à Paris, 1901. Beilage, B. IX. Bericht dber die relativen Messungen der Schwerkraft mit Pendelapparaten, p. 372. I CONCETTI MODERNI SULLA ‘FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 29 null'altro. Come è facile anche ai forti intelletti l’illudersi sul valore dei proprii lavori! Ma, come è noto, D’Alembert, non pec- cava certo di modestia. Oggidì, come dicemmo, si chiama correzione di Faye quella che vale a ridurre al livello del mare la gravità osservata, tenendo ‘conto della sola altezza. Veramente a norma del buon diritto la si dovrebbe dire di Laplace, come risulta da quanto è detto in principio della nota presente. Per vedere perchè la si dica di Faye ritorniamo ai lavori di Saigey che formano oggetto di questa nota. DI Saigey prosegue: “ Appliquant la méthode des moîndres carrés è la discussion de ces longueurs qui, dans la supposition de l’ellipticité de la Terre, doivent toutes satisfaire è la formule T=%@-|ysenX où x est la longueur du pendule à l’équateur et y son accrois- sement jusqu'au pole, on arrive à la formule — 0%,99102557 + 0,00507188sen?\ laquelle a été calculée avec tout le soin possible et en employant de nombreuses vérifications. Elle a servi è calculer les longueurs du pendule, de la huitidme colonne du tableau ,. Egli trova per il pendolo all’equatore 0%,99102557, ed al polo 0,99609745, e per lo schiacciamento “ à peu près 5 e Questa determinazione di Saigey manca nell’opuscolo pubblicato dal .Dépéòt de la guerre del Belgio, intitolato: Grandeur et forme de la Terre, Oscillations du pendule (Bruxelles, 1876). Quest’o- puscolo va di ‘paio con l’altro pubblicato dallo stesso Dépéòt nell’anno medesimo ed intitolato: Grandeur et forme de la Terre déterminées par les mesures d’arcs. È utile l’avvertire la sepa- razione dei due titoli del primo opuscolo: Grandeur et forme de la Terre e Oscillations du pendule, poichè è noto che colle oscil- lazioni del pendolo ed il teorema di Clairaut, non si può deter- minare che la sola figura della Terra. Nel volume V dell’ Account of the Operations of the Great 30 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Trigonometrical Survey of India, che contiene le operazioni del pendolo (Calcutta, 1879), si parla molto dei lavori di Saigey, ma non di quello che si menzionò più sopra in questa nota, bensì della sua Petite Physique du Globe, pubblicata nel 1842, che abbiamo già lodata nella Nota Prima. Nella detta Petite Physique, capitolo LXXXIX e seguenti, si tratta della misura del pendolo e della forma della Terra che da essa risulta. Ivi troviamo i risultati di 80 stazioni pendolari eseguite da 15 osservatori, che conduce ai seguenti valori: Pendolo all'equatore 0,9910732; pendolo al polo 0%,996258; schiacciamento dr Nel dd volume dell’Indian Survey si trovò per lo schiac- 1 292,2+1,5’ vicinissimo a fuppo di Saigey. Il valore più recente ricavato ciamento 57. Clarke nella sua Geodesy, p. 350, trova da Helmert è -—- a (1). Ivanow (2) trova: pendolo all’ equatore 0,990997; pendolo al polo 0,996237: la formola d’Ivanow è L= 99”,0997 + 0,5240 sen? 9’ (a), ove p' è la latitudine geo- centrica al livello del mare. Helmert al luogo citato alla nota (1), modifica alquanto la formola di Ivanow, ponendo sen?p' — sen?g — asen?2@ e trova per l'accelerazione della gravità Yo = 978°,075 (1 + 0,005287 sen?p — 0,000018 sen?29): non dice però quale valore abbia adottato in tal calcolo per lo schiacciamento a. Con tale formola di yo, egli calcola lo schiac- ciamento dello sferoide normale, che corrisponde alla gravità 1 SETE 5 da RAP normale, e trova 3966’ che con ulteriori correzioni riduce bl a sa in cifre tonde. Ora richiamiamo l’attenzione al seguente passo di Helmert, perchè l'osservazione che vi si fa al calcolo (1) Der Normale Theil der Schwerkraft in Meeresniveau, * Sitzungsbe- richte der K. P. Akademie der Wissenschaften zu Berlin ,, XIV, 1901, p. 328. (2) De l’influence des termes du troisiòme ordre de la fonction perturba- trice du mouvement de la terre autour de son centre de gravité sur les for- mules de la nutation (“ Bollettino dell’Accademia Imperiale delle Scienze di Pietroburgo ,, 1898). I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 31 di Ivanow si deve fare anche per quelli di Saigey e di Clarke: “ Ora per poter far confronti colla formola Yo= 978°",046}1 + 0,005302 sen?g — 0,000007 sen?2q |, bisogna ancora tener conto di ciò, che Ivanow ha introdotto nel calcolo anche le piccole isole oceaniche, mentre io le ho trala- sciate a causa del valore troppo grande della loro gravità. Ciò si manifesta ancora malgrado la riduzione di condensazione eseguita da Ivanow. Le isole giacciono quasi esclusivamente fra i 40° di latitudine Nord ed i 40° di latitudine Sud ,. Da un cal- colo approssimato poi, Helmert trova che l’aver trascurato le isole produce all’incirca un ingrossamento del coefficiente di sen?2@ dell'importo di 0,005300, e corrisponde ad una diminuzione ap- prossimata del termine principale a 978,060. Saigey come Clarke tennero entrambi conto delle isole oceaniche. E così siamo ritornati ai lavori di Saigey. La colonna intestata A nel quadro di Saigey contiene il numero di secondi di tempo medio del quale il pendolo osser- vato avanza o ritarda sul pendolo calcolato. Poi scrive: “ La colonne marquée B exprime les élévations ou abaissements du niveau de la mer, auxquels on peut attribuer les discordances dans la marche des pendules observés et calculés. Ces nombres dérivés de la formule 4 = rX différence des pendules ne sont pas Sa somme des pendules ’ P exactement tels qu'il les faudrait pour mettre d’accord le calcul et l’observation des pendules, puisqu’on ne tient point compte de l’attraction de la matière qui, par sa présence, formerait le renflement, et par son absence, la dépression supposée, et d’ailleurs l’attraction de la terre irrégulière ne s’obtiendrait point comme si elle était elliptique ou sphérique , (1). Dopo ciò Saigey determina quella che egli chiama la forma del meridiano di Parigi o di Londra, ossia le ondulazioni che questo meridiano presenta, rispetto ad una sfera di raggio 6376984. Ciò non è dichiarato esplicitamente, ma si può ricavare dal contesto, quan- tunque una volta parli di un niveau elliptique moyen, che non (1) Abbiamo creduto inutile il riferire il quadro di Saigey, ritenendo solo necessarie al nostro scopo le conclusioni che egli ne dedusse, nel suo citato studio del 1827. 32 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO dice cosa sia. Poi applica lo stesso procedimento a varii luoghi situati fra i tropici e trova che: “ Il y a, comme on -voit, de fortes dépressions dans le voisinage des îles qui sont fort éloignées des continents ,. Questa credo sia la prima spiegazione proposta di irregolarità nella gravità presentata dalle isole oceaniche: nella geografia fisica e matematica di Schmidt pubblicata nel 1829, che riassume tutto quanto si sapeva a quell’epoca intorno a ciò, non ne è cenno. Nella seconda parte del suo lavoro Saigey ritorna più volte sulla spiegazione da lui proposta dell’eccesso di gravità consta- tata nelle isole molto lontane dalle coste. “ Enfin toutes les îles fort éloignées des continents offrent un abaissement remarquable dans le niveau de la mer... Ainsi le niveau réel de l’Océan... se trouve abaissé près des îles qui en sont fort éloignées (des con- tinents) ,. Il lavoro poi si termina con molte considerazioni sulla fivura della Terra e sulle ondulazioni del livello del mare. Saigey ha poi ripreso e svolto le sue idee nel suo aureo libretto Petite Physique du Globe, più volte citato. Il libro IX è tutto intiero (p. 106-145) dedicato al pendolo ed alla discussione delle misure istituite con esso. Non sono dati i calcoli, ma solo i risultati di essi. Leggiamo in questa trattazione un buon som- mario storico delle misure del pendolo fino al 1840: nel capi- tolo LXXXIX sulla lunghezza assoluta del pendolo, è esposto chiaramente quanto concerne la riduzione del pendolo. al vuoto: e come conclusione Saigey raddoppia tutte le antiche correzioni o riduzioni al vuoto del pendolo osservato nell’aria. Con questo procedimento egli ottiene un quadro contenente dieci valori della lunghezza del pendolo a Parigi, scarta i più antichi, e si attiene al valore definitivo, media degli altri, 993"",92, ossia in metri 0®,99392: così, se si volesse adottare la solita approssimazione di tralasciare l’ultima cifra se inferiore al 5, si avrebbe 0",9939. Ora questo è appunto il valore dato dall’ Annuaire du Bureau des Longitudes pel 1904: in sessantadue anni di progresso mec- canico e matematico si è giunti a confermare 1l valore di Saigey! Wolf (1) trova per la lunghezza del pendolo a Parigi 0®,993922 (1) Collection de Mémoires relatifs à la Physique publiés par la Société Francaise de Physique. Tome IV. Mémoires sur le pendule précédés d’une Bibliographie. Paris, Gauthier-Villars, 1889. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 33 4 e scrive: “ La longueur trouvée par Borda, convenablement cor- rigée par M. Peirce est 0",993918; et M. Peirce .lui-méme a trouvé 0,9939175 (U. S. Coast and Geodetie Survey, 1881, p. 463),. Tutti questi valori coincidono (stando alla quinta decimale e colla usuale approssimazione) con quello di Saigey: e si avverta che il valore di Wolf, limitato alla quinta cifra, coincide con quello di Saigey; e che la sesta è un 2, cioè completamente trascurabile. Al principio del capitolo seguente Saigey scrive quanto segue: “On vient de voir que l’exactitude si vantée des obser- vations du pendule simple, ne va pas au delà du quatrième chiffre; et l'on ne connaît la longueur du pendule pour Paris qu'à un dixième de millimètre près. Il ne faut pas se faire à ce sujet une illusion démentie par la comparaison de toutes les valeurs obtenues è l’aide des divers modes d’expérimentation. On laissera donc là les neuf ou dix chiffres par lesquels certains auteurs ont cru devoir exprimer ces longueurs, et l’on se bor- nera à l’emploi de cinq chiffres, limite de la précision que l’on peut atteindre, méme dans l’emploi du pendule invariable ,. Queste parole di Saigey sono vere anche oggi: il suo consiglio fu seguito ed oggi non si tengono che cinque cifre. À proposito di questa quinta cifra ci si consenta una digressione. I. Il prof. Lorenzoni, uno dei più valorosi astronomi, ed os- servatore scrupoloso e coscienzioso quant’altri mai, ha dato un prospetto di 18 determinazioni, così dette assolute, della lun- ghezza del pendolo, a secondi, eseguite in nove luoghi ed in epoche diverse e ridotte all’Istituto Geografico di Vienna, colla misura della gravità relativa fatta mediante l'apparato Sterneck in tutti i casi, meno uno in cui fu usato l'apparato Defforges. Le prime 16 determinazioni erano state date da Sterneck; i nn. 17, 18, (5'), (9’), (12’), (12”) furono aggiunti dal prof. Loren- zoni in due memorie successive (1). (1) Lorenzoni, Determinazione relativa della gravità terrestre negli Osser- vatorì di Vienna, di Parigi e di Padova mediante gli apparati e colla coope- razione dei signori colonnello di Sterneck e comandante Defforges, “ Atti del R. Istituto Veneto ,, serie VII, tomo IV, 1892-93. — Determinazione rela- Atti della R. Accademia — Vol. XL. 3 34 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Lunghezza del pendolo a secondi per Vienna - dedotta dalla determinazione di 1 Peters 1870 in Berlino . ; i . 99321745 2 Lorenzoni 1886 in Padova È { ; 756 3 Anton 1878 in Berlino . i 4 l 760 4 Peters 1869 in Altona . 3 } ? 765 5 Peirce 1877 in Ginevra . ; ‘ î 765 (5') Biot 1824 in Parigi. £ : , : 769 6 Plantamour 1869 in Berna : 773 7 ì 1865, 1866, 1871 in Ginevei 777 8 Mahik 1891 in Amburgo . è ; È 782 9 Peirce 1876 in Berlino . i ) ; 791 (9') Biot 1825 in Padova i ; 803 10 Bessel 1835 in Berlino . : d £ 804 11 Biot 1825 in Padova : : ì . 805 12 Sabine 1828 in Altona . : ; i) 810 (12') Biot 1824 in Milano È 812 (12") Pucci e Pisati riveduta da Retna in Roda 815 13. Oppolzer in Vienna (Tirkenschanze) 1884 834 14 Deftorges 1883 a Parigi (mediante Padova) 835 15 Oorff 1877 in Monaco di Baviera . ? 8387 16 Messerschmitt in Zurigo . : g 842 17. Defforges 1883 in Parigi Go ; 855 18 a 1893 , È ‘ 873 Altre determinazioni non figuranti nello scritto di Lorenzoni. (2) Sterneck 1891 (adottato generalmente per la riduzione a Vienna) . » r 836 Kriska 1894 passando per Pa $ 837 tiva della gravità terrestre a Padova, a Milano ed a Roma fatta nell’ au- tunno 1893 mediante l’apparato pendolare dello Sterneck, ibidem, serie VII, tomo V, 1893-94. — Relative Schwerebestimmungen ausgefiihrt im Jahre 1892, in Berlin, Potsdam, und Hamburg, in den Ost- Alpen, Karpaten und der un- garischen Tiefebene. Von Oberstlieutenant Robert von Sterneck, etc. (Separat- Abdruck aus den “ Mittheilungen des k. u. k. milit.-geograph. Institutes ,, Band XII, 1892). Vienna, 1893. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 35 Dopo il suo quadro Lorenzoni scrive: “ Questo prospetto ci dice che il problema della determinazione della lunghezza del pendolo semplice che batte i secondi domanda nuovi studî prima di potersi dire completamente risolto ,. Everett poi a p. 80 del suo libro, che fa testo, intitolato: IMustrations of the C. G. S. system of Unites with tables and Physical Constants, Londra, Macmillan, 1902, scrive: “ Intorno al valore di g vi sono grandi discrepanze fra le varie scuole di geodesia. Le autorità francesi nei rapporti al Congresso di Parigi del 1900 adottano 980,692, invece di 980,617 (dato da Helmert), come il valore medio della gravità 9 al livello del mare alla latitu- dine di 45°; ed essi dànno 981,264, come il valore a Greenwich ridotto al livello del mare, che darebbe per il valore reale circa 981,25, mentre Sabine (“ Phil. Trans. ,, 1831) trovò 981,13 ed Airy in Figure of the Earth di circa la stessa data, diede 981,20, che è anche dato da Helmert come la determinazione di Heavi- side ,. Se si facessero confronti fra i valori della gravità in un medesimo luogo, risultanti da varie determinazioni, si otter- rebbero delle discrepanze analoghe a quelle fin qui ricordate. Citiamo un esempio di disaccordo fra dati, d'altronde autore- volissimi: l’ Annuaire du Bureau des Longitudes 1904, dà per la gravità a 45° ed al livello del mare 980,606, Helmert 980,617. Si vede dunque che anche nei risultati più attendibili il disac- cordo sulla quinta cifra, quando g è espressa in metri, è com- pleto: della quarta cifra si può essere meno malsicuri, quan- tunque gli esempi sopra addotti siano a questo riguardo molto istruttivi. Che diciamo poi della quinta cifra di una sola deter- minazione? La massima parte dei luoghi ove fu determinata la gravità sono in questo caso, e sulla quinta cifra dei valori di g relativi ad essi sono più che giustificati i dubbi che si possono sollevare. Ci si può anche domandare: se questa cifra è incerta, perchè applicare la seconda parte della correzione di Bouguer, che affetta solo, generalmente, la quinta cifra, e così incerta per la densità del suolo che contiene? Lo stesso può dirsi per la riduzione al terreno orizzontale. Questa è una ragione da aggiungersi alle altre di cui diremo più avanti, per attenersi al- l’avviso di Laplace e correggere la gravità solo per l’altezza, ossia applicarvi la sola prima parte della correzione di Bouguer, parte che è ora detta correzione di Faye, ma che deve, giova ripeterlo, 36 . OTTAVIO ZANOTTI BIANCO dirsi di Laplace; e perchè meno incerta e perchè assai spesso modifica anche la quarta cifra, che sappiamo raggiungere in modo meno incerto. In quanto sopra però non deve ravvisarsi altro che una questione proposta alla disamina dei geodeti, non certo una critica dei procedimenti ora in uso, che sono razio- nali, ma che data l’incertezza della determinazione sperimentale sono forse fin troppo delicati per essere applicati a numeri solo relativamente esatti. Gli studî venturi ci istruiranno a questo riguardo. Inoltre giova non scordare che la gravità è per la natura delle cose variabile in grandezza e direzione, e quando i mezzi per la sua misura saranno tali da fornirci risultati più esatti di quelli che sappiamo oggi ottenere, lo studio delle va- riazioni della gravità in intensità s'imporrà. Per quanto riguarda le variazioni della gravità in direzione, le ricerche sulla varia- zione della latitudine, sia periodica che secolare, ci diranno col tempo, il valore di essa, per la parte generale, cioè comune a tutti i punti della Terra. Se rimarrà in ogni luogo una parte residua, questa potrà attribuirsi a cause particolari, operanti sopra una ristretta regione. Ma questi sono studî e ricerche di lena secolare. Frattanto non è forse ozioso l’avvertire che sa- rebbe bene investigare se nelle determinazioni sia assolute che relative non abbia influenza l’azimut del piano d’oscillazione, la stagione dell’anno e l'ora del giorno (per rispetto alle posi- zioni del Sole e della Luna) e se su questo genere di misura sia completamente nulla l’azione del magnetismo terrestre. Non sono certo ricerche facili nè semplici: ma in problemi così complessi, la scoperta del vero, della legge del fenomeno, può . dipendere da cause ritenute insignificanti, quando tali non sono. In ricerche di natura tanto delicata ed ignorata non è mai so- verchia la prudenza, nè inutile il premunirsi contro l'intervento possibile e naturale di forze trascurate. Sarebbe poi di grande utilità lo studio ed il confronto fra i risultati ottenuti con ap- parecchi diversi. Dovendo introdurre nella discussione, a mezzo del teorema di Clairaut, i risultati dell’osservazione è indispen- sabile per giungere ad un risultato accettabile, che quei risul- tati siano fra loro paragonabili e sotto ogni rispetto di eguale attendibilità. Soddisfano a questa condizione i risultati ottenuti coll’apparecchio Defforges e con quello Sterneck? La risposta non si ha finora. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 37 IV. Finita la digressione, riprendiamo l’esame dei lavori di Saigey. Nei capitoli seguenti, Saigey discute le osservazioni del pendolo in 80 stazioni, e ne deduce dei valori per la forza at- trattiva e la gravità sulla superficie della Terra. Passa quindi ad esaminare le irregolarità della gravità: è in questo capitolo che troviamo confermate le sue idee sulla gravità nelle isole, lo riproduciamo quindi testualmente: “ Jusqu'à présent nous avons considéré le globe dans son ensemble, abstraction faite de ses irrégularités. Celles-ci sont apparentes, et alors elles forment le relief des continents et le bassin des mers; ou bien elles sont cachées, et naissent de la variation de densité dans les couches profondes, et des exca- vations neptuniennes et volcaniques. Toutes ces irrégularités troublent plus ou moins le niveau de l’Océan, que l’on prend pour point de départ dans les opérations géodésiques. “ Pour mettre en évidence ces causes perturbatrices il suffit de reconnaître leur influence sur la marche du pendule. Si la terre était formée de couches uniformement denses et bornées par une surface régulièrement elliptique, la longueur du pen- dule à secondes varierait, de l’équateur aux pòles, suivant la loi précise des sinus carrés des latitudes. Mais, d’après les nombres formant la dernière colonne du précédent tableau, les pendules réellement observés s'écartent plus ou moins de cette loi. Pour en mieux juger, nous mettrons tous ces résultats en trois tableaux: le 1°", renfermant les plus grands écarts au-dessus des moyennes calculées; le 3°, les plus grands écarts au-dessous de ces moyennes, et le 2°, les résultats intermé- diaires, le tout exprimé en centiòmes de millimètre. Bonine +29 Gounsah-Lout +5 Qualan +25 Schettland du Sud +5 Sainte-Hélène +20 Formentera +4 Ile de France +18 Porto Bello +4 Guam +16 Ile Hare +3 F. de Norhona +14 Spitzberg +3 Ile Mowi +13 Ile Melville +3 Saint-Thomas +12 Ile des Etats +3 Ascension +10 Ile Gallopagos +2 Lipari +7 Petersbourg +1 Petropowlofsk +6 Stockholm +1 38 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO Ile Brassa 0 Barcelone —3 Jamaique 0 Fiume . —3 Unst 0 Valparaiso —3 Arbury Hill 0 Rawack 4 Cap Horn 0 Paramatta A Port-Jackson 0 Clifton —A4 Portsoy —1 Londres 4 Sierra- Leone —1 Schanklin —4 Port-Bowen —1 New-York A Leith —2 Sitka A Padoue —2 Bahia Pe! Toulon i Rio Janeiro —8 Cap de B.-Esper. —5 Hammerfest ni Groénland —6b Malouines —_* Altona —6 Milan —9 Dunkerque —6 Trinité —10 Greenwich —7 Figiac —10 Paris —7 Maranham 11 Monte-Video —7 Koenisberg —12 Clermont —8 Drontheim —12 Madras —8 Bordeaux —12 Para —8 San-Blas —12 “A l’exception des deux dernières stations, celles qui forment le premier tableau donné ci-dessus sont toutes des îles situées au large des mers: là, le pendule a une longueur trop grande, accusant ainsi un excès dans la force attractive. Au contraire, le troisième tableau, è l’exception des Malouines, ne renferme que des stations placées sur la còte ou dans l’intérieur des con- tinents ; le pendule y est trop court, et par la suite la pesanteur trop faible. “On avait d’abord cru que l’excès de pesanteur observé dans quelques îles devait étre attribué à la nature volcanique de leur sol. Mais le faible accroissement de densité qui en pouvait résulter, était plus que compensé par la moindre densité des eaux de la mer, qui est très profonde dans le voisinage de ces Îles. “ Les calculs faits dans les suppositions les plus favorables, démontrent jusqu'è l’évidence que les lieux où la pesanteur est trop forte, sont précisément ceux qui, par leur nature et leur entourage, sont le moins capables de produire cet excès dans la force attractive de la terre. Il a donc fallu conclure de ce I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 39 fait, aujourd’hui, basé sur un nombre suffisant d’observations, qu'à égalité de latitude, le niveau des eaux est surbazssé au milieu de l’Océan, en sorte qu'il se rapproche plus du centre du globe; et qu’au contraire, ce niveau est surélevé dans le voisinage des grandes terres, de manière à s’éloigner de ce centre. “ Maintenant, pour calculer ces dépressions et ces exhaus- sements du niveau réel de la mer, relativement è son niveau elliptique ou moyen, il est nécessaire de connaître la densité du globe comparée à celles des matières qui en forment la sur- face, par exemple à la densité de l’eau prise pour unité. Tel sera l’objet des chapitres suivants ,. In tali capitoli sono esposti i vari metodi per la determi- nazione della densità media della Terra, noti alla sua epoca: a questi egli ne aggiunge uno suo, per vero dire tale da non poter condurre che a risultati poco approssimatî, ma che per dovere di storico deve pur essere ricordato. Il capitolo che ne contiene l'esposizione ha per titolo: Densité de la terre déter- minée par la déviation du fil à plomb, due à l’attraction d’ un continent; in esso si ottiene il risultato che la densità media della Terra, sta a quella del suolo della Francia, come 1,7 all’unità, che conduce ad un risultato molto inferiore al vero, benchè s’accordi discretamente colle determinazioni di Bouguer e Ma- skelyne. Negli ultimi capitoli del volume secondo del suo libro, Saigey ritorna sul livello del mare, con idee assai giuste. Egli scrive a questo proposito nel capitolo sulle livellazioni, quanto segue: “ Le seul moyen d’arriver à connaître exactement le niveau de l’Océan dans l’intérieur des terres, serait d’y conduire l’eau d’elle méme par les canaux ,. Ciò è secondo le idee di Gauss e Bessel. In altri capitoli egli s'occupa poi del seguente problema, cambiamento del livello del mare prodotto dall’azione di una massa perturbatrice: egli suppone tutta la terra ricoperta d’acqua e la massa perturbatrice collocata in un punto della superficie: “ Si l’on désigne par R le rayon terrestre et par M la masse du globe, le changement de niveau % en un point quelconque de l’Océan sera exprimé par n=-Ani_t__ Li (Va- 2 cosa 40 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO a étant la distance angulaire de ce point à la masse perturba- trice m. Cette formule est établie dans les deux conditions né- cessaires et suffisantes: 1° que la résultante des masses M et m soit partout normale à la nouvelle surface de l’Océan, et 2° que le volume des eaux soulevées soit égal au volume des eaux déprimées ,. Poi suppone che la massa venga introdotta nell'acqua, e quindi anche che una porzione del globo terrestre sia occupata da terra ferma: ma s’accontenta d’indicare la via a seguire, senza svolgere i calcoli. Il capitolo CXX è occupato dallo studio di quest'altro problema: Cambiamento di livello del- l'Oceano per l’azione di un’isola circolare e di spessore uniforme e piccolîssima. Il problema è d’indole affatto teorica, perchè vi si suppone l'isola “ appliquée et ‘moulée sur la surface de l’Océan, dont elle suivra tous les mouvements ,. Sul cap. CXXH vogliamo dare informazioni alquanto più ampie, perchè il problema che vi si studia è stato ampiamente trattato da Helmert (1), che di Saigey fa soltanto menzione in una nota e sull’autorità di Hann (2). Quanto dice Helmert, sull’autorità di Hann, va com- pletato dal lato storico. Saigey definisce prima ciò che egli intende per la forma media e circolare dell'Europa, che egli considera dapprima come giacente sulla superficie del mare, che egli suppone prolungato a mezzo di canali nell'interno dei continenti: calcola poi la de- viazione del filo a piombo e la sopraelevazione del pelo liquido a varie distanze dal centro. Egli trova che sulla sponda del- l'Europa, quale egli la suppose, l’acqua si eleva di 19 metri, ed al centro di 94. Suppone quindi che la base dell'Europa sì pro- lunghi sotto le acque, immergendovisi colla pendenza di 1 metro per 370 metri di distanza, e trova col calcolo che la parte sot- tomarina, fino a 200 metri di profondità, produce un’elevazione di livello che è di 27 metri al centro dell'Europa e di 17 metri alla sponda. Così che al centro dell’Europa si ha un’elevazione totale di 94 4- 27 = 121, alla sponda di 19 + 17 = 836, ed os- serva che sulla sponda la sopraelevazione è già un terzo di (1) Die Mathematischen und Physikalischen Theorieen der Hoheren Geo- adsie, II, Capitolo IV. (2) Ueber gewisse betrichtliche Uregelmissigkeiten des Meeres-Niveaus, in “ Gaea ,, 1876, p. 73 e 137. I CONCETTI MODERNI SULLA FIGURA MATEMATICA DELLA TERRA 4l quanto è al centro, così che l’ effetto della parte sottomarina tende a regolarizzare l’elevazione di questo livello. Il capitolo CXXIII è intitolato così: Hauteur des continents et profondeur de l’Océan, relativement à son niveau moyen. Trascri- ‘ viamo qui i dati citati da Hann ed ai quali allude Helmert: “ Si l’on admet que la hauteur moyenne dont l’Océan est soulevé par un continent soit proportionnelle è la racine carrée de la surface totale de ce continent et à sa hauteur moyenne, on obtiendra les résultats suivants pour l’élévation du niveau. Elevazione del livello. Continente Al centro Alla sponda Media Me... 121 36 59 0 AZZ 429 144 206 ee). 354 116 172 Nuova Olanda . . . 100 30 48 America Settentrionale 184 54 89 America Meridionale 242 76 118 Dopo aver dato questo quadro Hann scrive le seguenti righe: “ Ma questi numeri sono d’assai troppo piccoli, poichè Saigey non tenne conto dell’azione della differenza di massa fra il mare e la parte sommersa dei continenti. Essi rappresentano anche solo valori medii, non i massimi valori che si otterrebbero, se si considerassero elevati ed estesi altipiani, come ad esempio sulla costa occidentale delle due Americhe, poichè nel calcolo non fu introdotta che l’altezza media dei continenti. Ad ogni modo essi possono sempre mostrare, come anche in un apprez- zamento notevolmente troppo basso, siano ancora ragguardevoli le perturbazioni del livello del mare ,. Su queste perturbazioni in generale ed in particolare dovremo poi ritornare ed indu- giarci a lungo, quando avremo a discorrere dei lavori di Bessel, Fischer, Bruns ed Helmert. Helmert scrive: “ Secondo HANN, Gaea, 1876, vol. 12, p. 79, Saigey nel suo scritto Petite Physique du Globe ha calcolato le perturbazioni altimetriche delle superficie di livello (al centro e alla costa per dischi continentali circolari), nonchè nell’interno trasversalmente; però gli spessori dei dischi sono riguardati solo come proporzionali alle elevazioni sopra il mare , (1). Quanto (1) Theorieen..., II, p. 353. 42 OTTAVIO ZANOTTI BIANCO — I CONCETTI MODERNI, ECC. abbiamo detto ci fa vedere che Saigey ha tenuto conto anche di una porzione sommersa (per l’Europa fino a 200 metri). Av- vertiamo ancora che le altezze medie dei continenti usate da Saigey sono d’assai inferiori a quelle che oggi hanno corso nella ‘geografia. Così sarebbe terminata l’esposizione delle idee di Saigey: vedremo, procedendo in questi studì, come prendendo le mosse dai fatti che egli mise in luce, si sia dimostrato che la spiega- zione che egli ne dava non corrispondeva pienamente ai computi più esatti e completi istituiti di poi. Vogliamo aggiungere ancora, che il calcolo e la discussione delle osservazioni del pendolo che egli istituì per dedurne lo schiacciamento furono generalmente ed immeritatamente poste in non cale. Solo nel volume quinto, dedicato al pendolo, dell’ Account of the Uperations of the Great trigonometrical Survey of India (Calcutta, 1879), si tenne buon conto dei suoi lavori, come abbiamo già rammentato, e gli si rese la dovuta giustizia scrivendo “ Now all authorities agree — Sabine, Airy, Baily, Saigey... ». C. Wolf nella sua eccellente bibliografia del pendolo, al numero che riguarda la Petite Phy- sique du Globe di Saigey, scrive: “ Dans le 2° volume, résumé très complet et discussion des observations du pendule ,. E e e CARLO AIRAGHI — ECHINODERMI MIOCENICI, ECC. 43 Echinodermi miocenici dei dintorni di S. Maria Tiberina (Umbria). Nota del Dott. CARLO AIRAGHI. (Con una Tavola). Troppo lungo sarebbe il voler far la storia delle discussioni sorte in rapporto al riferimento geologico della zona marnoso calcareo arenacea dell'Umbria, eocenica secondo alcuni, mioce- nica secondo altri (1). Ricorderò solo che recentemente venne dal Comitato Geologico nominata una Commissione coll’incarico di visitare le località più caratteristiche per poter poi d’accordo addivenire ad una soddisfacente soluzione del problema, e quindi alla determinazione sicura del posto di quelle roccie nella serie geologica; e che questa Commissione “ con sufficiente copia di “ osservazioni e di argomenti ha potuto stabilire che la zona di “ cui trattasi si compone veramente di due piani distinti, i quali è (1) Tra i principali autori che si occuparono di detta formazione vedi: G. BonareLLI, Alcune form. terz. foss. dell'Umbria (£ Boll. Soc. geol. it. ,, 1899). — Ip., Descr. geol. dell'Umbria centrale {(Relaz. della Commissione giud. del V concorso al premio Molon, ‘ Bollett. Società geologica italiana ,, 1901). — C. pe STEFANI, Il mioc. dell’App. sett., a proposito dei due recenti lavori di Oppenheim e Sacco (“ Proc. verb. Soc. toscana di Sc. nat. ,, 1900). — Ip., Il tortoniano dell’alta valle del Tevere (“ Proc. verb. Soc. tosc. di Scienze nat. ,, 1879). — G. pi Srerano, Il cale. con grandi Lucine dei dintorni di Centuripe in prov. di Catania (* Acc. Gioenia ,, 1903), nota a pag. 18. — B. Lorti, Sull’età della form. mar. aren. foss. dell'Umbria sup. (* Boll. R. Com. geol. ,, 1900-901). — A. Lupi, Fauna mioc. presso Tagliacozzo (* Boll. Soc. geol. ital. ,, 1904). — F. Sacco, Sull'età di ale. terr. terze. dell’App. (* Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino ,, 1899-900). — R. UeoLini, Sopra alcuni foss. dello Schlier del M. Cedrone (“ Boll. Soc. geol. ital. ,, 1899). — A. VERRI, Cenni sulle form. dell'Umbria sett. (£ Boll. Soc. geol. ital. ,, 1897). — In, Sulle diverg. di veduta circa le form. eoc. e mioc. dell'Umbria (£ Boll. R. Com. geol. ,, 1903). — In., Le form. con ofioliti nell’Umbria, ecc. (© R. Ist. lom- bardo ,, 1903). — A. Verri e G. pe AnceLis, Contr. allo studio dél mioc. nell’Umbria (“ R. Acc. dei Lincei ,, 1899). — In., Secondo contr. allo studio del mioc. nell’Umbria (“ Boll. Soc. geol. ital. ,, 1900). — In., Terzo contr. allo studio del mioc. nell'Umbria (* Boll. Soc. geol. ital. ,, 1901). 44 CARLO AIRAGHI “ benchè di facies non molto dissimili devono riferirsi, in base “al complesso dei loro caratteri stratigrafici e paleontologici, il “ superiore al miocene, l’inferiore all’eocene , (Relaz. al È. Com. geol. sui lav. eseg. per la carta geol. nel 1903 e prop. di quelli da eseg. nel 1904). Colla speranza pertanto di portare un nuovo contributo che potesse maggiormente avvalorare i dati paleontologici di detta Commissione, di buon grado accettai 1’ invito del Chiarissimo Prof. Sacco di studiare un’abbastanza ricca collezione d’echino- dermi da lui stesso raccolti alla Cascina Dogana e a Tocerano presso S. Maria Tiberina. Nel contempo ne ebbi altri favoritimi dalla gentilezza dei Chiarissimi Prof. Di Stefano e Silvestri provenienti dalle stesse località e facenti parte delle loro collezioni. Così nella formazione marnoso calcarea delle località sopra dette, tenuto conto anche delle specie già citate dal De Angelis e Ugolini, ho potuto accertare la presenza delle seguenti specie: Pentacrinus Gastaldii MicamtI. Pliolampas vasalli WricaT sp. Antedon rhodanicus Foxr. Pliolumpas camerinensis pe Lor. sp. Cidaris avenionensis Desmout. Pliolampas aremoricus Bazix sp. Cidaris Peroni Cont. Pliolampas Stilvestrii n. sp. Arbacina tenera pe Lor. Echinolampas angulatus Mér. Echinocyamus Studeri Sism. sp. Echinolampas hemisphaericus Lam. sp. Clypeaster crassicostatus AGass. Conolampas plagiosomus AGass. sp. Clypeaster laganoides AGass. Maretia Saccoi n. sp. Come si vede, si tratta d’una fauna a echinodermi perfet- tamente miocenica, a Clypeaster, a Pliolampas, ad Arbacina, priva affatto di specie proprie del terziario antico, tanto eoceniche che oligoceniche. Escluse le due specie nuove insieme al Cly- peaster laganoides, che dal tongriano del Bacino della Bormida sale fino alla Pietra di Finale, al Conolampas plagiosomus che si rinviene nell’ aquitaniano di Acqui e nell’elveziano, e al- l’Echinolampas hemisphaericus, comune a tutto il miopliocene, tutte le altre fin'ora vennero trovate in depositi langhiani (Plio- lampas vasalli, Arbacina tenera, Antedon rhodanicus), o elveziani (Pliolampas aremoricus) o tanto negli uni che negli altri (Penta- crinus Gastaldii, Cidaris avenionensis, Cidaris Peroni, Echinocyamus Studeri, Clypeaster crassicostatus, Echinolampas angulatus). Davanti ad un tale stato di cose, indipendentemente da un e _ een — ,——m ECHINODERMI MIOCENICI DEI DINTORNI DI S. MARIA TIBERINA 45 considerazioni stratigrafiche, sono inclinato a eredere che la for- mazione marnoso arenacea dei dintorni di S. Maria Tiberina, da cui provengono i fossili da me studiati, debba presentare solo il miocene, e con tutte le probabilità il langhiano, stante che la fauna a echinodermi in essa rinvenuta più che con ogni altra presenta maggiori affinità con quella di Avignon (1). Torino, R. Museo Geologico, 1904. DESCRIZIONE DELLE SPECIE Pentacrinus Gastaldii MicattI. 1847. Pentacrinus Gastaldii MicarLortI, Descr. des foss. mioc. de V Italie sept. (© Nat. Verh. ,, ecc. Haarlem), pag. 59, tav. 16, fig. 2. 1901. È » DE AnesLIs, Terzo contr. allo studio del mioc. nel- Umbria (Op. cit.), pag. 16 (cum syn.). Benchè non abbia in esame alcun esemplare di questa specie citata dal De Angelis, pur tuttavia ricordo che è comune nel miocene medio dei colli di Torino, di Serravalle Scrivia, nella molassa di Montese, di Gaiato, nel langhiano di St-Étienne du Grès, Notre Dame du Chateau, di Angles presso Avignon. Località: Tra S. Maria Tiberina e la C. Dogana. Antedon rhodanicus Font. Tav., fig. 14, 15. 1879. Antedon rhodanicus Fonrannes, Ter. tert. du bassin du Rhòne, pag. 52, tav. 2, fig. 10. 1897. = î pe LorroL, Deseript. de quelques échin. (° Bull. Soc géol. de France), pag. 121, tav. 4, fig. 8 (cum syn.) Un esemplare solo del diametro di mm. 11 che causa ad uno schiacciamento si avvicina molto a quello figurato da Fon- (1) Oltre che del lavoro di pe Lorior (Descript. de quelques échin., © Bull. Soc. géol. de France ,, 1897) e di quelli di H. Nicoras (Étude des terr. tert. des env. d’Avignon, “ Assoc. frang. pour l’avanc. des sciences ,, Paris, 1897; Etude sur les terr. tert. des env. d’Avignon, Avignon, 1897), per gli opportuni confronti mi sono valso anche d’una collezione d’echinodermi dei pressi dj Avignon del R. Museo geologico di Torino. 46 CARLO AIRAGHI tannes. La faccia dorsale è subpentagonale con una marcata concavità delimitata da pareti ornate da confusi solchi ‘che ter- minano in una piccola depressione centrale. I margini sono con- vessi, e stante all’ abrasione subìta, le faccette articolari sono poco visibili. La faccia superiore è quasi completamente coperta dalle prime articolazioni che si elevano piramidalmente; l’aper- tura centrale è subrotondeggiante e da essa discendono cinque carene limitanti cinque faccette attraversate orizzontalmente da una linea interrotta nel mezzo da un marcato foro. Questa specie del langhiano della val del Rodano si di- stingue dall’ Antedon oblitus MrcatTI per la faccia dorsale mag- giormente depressa nella regione centrale e per quella superiore fornita d’un’apertura centrale di gran lunga più piccola. Località: Tocerano. Cidaris avenionensis DesmouL. 1838. Cidaris avenionensis Desmour., Tabl. des Échin., pag. 336. 1901. a a pe AnceLIS, Terzo contr. allo studio del muoc. nel- Umbria (Op. cit.), pag. 15. 1901. A A Arracni, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (“ Pal. ital. ,), pag. 18, tav. 1, fig.1, 8 (cum syn.). Una centinaia di radioli molto ben conservati, subcilindrici, terminanti a punta o a cupola, ornati di granuli rotondi, conici, compressi, disposti in serie longitudinali più o meno regolari, come si osserva in quelli del miocene della collina di Torino. Ho pure in esame delle placche interambulacrali con forte tu- bercolo perforato, circondato da una grande area scerobicolare delimitata da una regolare serie di granuli. È una delle specie più comuni nell’elveziano dei colli di Torino, di Rosignano Monferrato, nella molassa marnosa di Mon- tese (langhiano), nella zona a Globigerina a Malta (langhiano), e nell’ elveziano e langhiano di Francia, Portogallo, Svizzera, Algeria. I Località: Tra S. Maria Tiberina e la C. Dogana, C. Do- gana, Tocerano. ECHINODERMI MIOCENICI DEI DINTORNI DI S. MARIA TIBERINA 47 Cidaris Peroni Corr. 1877. Cidaris Peroni Corteau, Descr. de la faune tert. de la Corse (© Ann. de la Soc. d’Agr. de Lyon ,), pag. 481, tav. 1, fig. 8, 14. 1901. H Miinsteri pe AnGeLIS, Terzo contr. allo studio del mioc. nel- VUmbria (Op. cit.), pag. 15. 1901. i Peroni Arzani, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (Op. cit.), pag. 22, tav. 1, fig. 23, 25 (cum syn.). Il pe AneeLISs, considerando il Cid. Peroni Cort. come fa- cente parte del Cid. Minsteri Sisw., lo cita sotto questo ul- timo nome, ma, come ho già dimostrato nel lavoro citato, il Cid. Minsteri Sism. entra nella sinonimia del Cid. avenionensis DesmouL., epperò il Cid. Peroni Cort. va considerato come specie autonoma. Fin'ora questa specie si rinvenne nel langhiano dei dintorni di Bonifacio e di Cagliari, di Notre Dame du Chateau e di Angles presso Avignon, nel miocene medio di Pianosa e di Serravalle Scrivia. Località: Tra S. Maria Tiberina e la C. Dogana. Arbacina tenera pe Lor. 1902. Arbacina tenera pe Lor., Notes pour servir à V’étude des échin., fasc. X, pag. 11, tav. 4, fig. 4. Sei piccoli esemplari subcircolari, subemisferici al di sopra, piani al di sotto, con zone porifere diritte, depresse, con pori disposti in numero di tre paia per placca, sovrapposti gli uni agli altri quasi in linea retta; con ambulacri stretti con due serie di tubercoli imperforati, lisci, mammellonati; con interam- bulacri aventi pure due serie di tubercoli ma più sviluppati con zona intermedia coperta da numerosi granuli; peristoma circo- lare, apparecchio apicale mal conservato. Di questa specie ho in esame anche alcuni esemplari di Avignon che li trovo eguali a quelli di C. Dogana. L’ Arbacina tenera De Lor. si distingue dall’ Ard. monilis Agass. per la forma meno globosa, la faccia superiore meno ri- gonfia, l’inferiore meno depressa, i tubercoli più sviluppati; dal- l’Arb. parva Micarti perchè più globosa e coperta da granuli più piccoli e fitti. È una specie del langhiano di Avignon. Località: C. Dogana, Tocerano. 48 CARLO AIRAGHI Echinocyamus Studeri Sisw. sp. 1842. Anaster Studeri Siswonpa, Mon. degli echin. foss. del Piemonte (© Mem. R. Accad. di Torino ,), pag. 44, tav. 2, fig. 8,9. 1879. Echinocyamus Studeri Foresti in Verri, Le formaz. con ofioliti nel- l’Umbria, ecc. (Op. cit.), pag. 12. 1900. A s DE ANGELIS, Secondo contr. allo studio del mioc. nel- Umbria (Op. cit.), pag. 23. 1901. È s Anagni, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (Op. cit.), | pag. 29, tav. 4, fig. 10 (cum sy.) Di questa specie citata dal Foresti pei dintorni di S. Maria Tiberina non ho in esame alcun esemplare, però credo utile ri- cordare ch’ essa non solo è comune nell’ elveziano di Torino e nel langhiano di Malta, ma anche in quello di Angles presso Avignon. Di questa località infatti ho sott'occhio diversi esemplari che secondo De Lorrot (1. c.) sarebbero da riferire all’Echin. umbonatus PomeL, ma che io non trovo per nulla differenti da quelli della specie in questione. Località: Tra S. Maria Tiberina e C. Dogana. Clypeaster crassicostatus Acass. 1840. Clypeaster crassicostatus Acassiz, Catal. syst. foss., pag. 61. 1901. È » Arracui, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (Op. cit.), pag. 35, tav. 2, fig. 5, tav. 4, fig. 6 (cum syn.). Due buoni esemplari dalla forma oblunga (mm. 56,100), subpentagonale, larga (mm. 46,94), angolosa, colla faccia supe- riore alta (mm. 17,35), quella inferiore depressa attorno al pe- ristoma; con ambulacri lunghi, diritti, stretti, digitiformi, con zone porifere larghe, leggermente depresse, e quelle interporifere alte e rigonfie; peristoma profondo, periprocto subrotondo, ap- parecchio apicale stelliforme. Sono esemplari che non differiscono quindi dai tipi della collina di Torino, di Rosignano, da quelli del langhiano della Corsica e Sardegna descritti da CorTEAU. Questa specie fu pure riscontrata nell’ elveziano d'Austria a Brunn, Hoflein, d'Ungheria a Kemencze e d’Algeria a Tiaret, Dj, Garribon. Località: Tocerano. ECHINODERMI MIOCENICI DEI DINTORNI DI S. MARIA TIBERINA 49 Clypeaster laganoides Agass. Tav. fig. 5-6. 1847. Clypeaster laganoides Asassiz et Desor., Catal. raison. des Échin., | pag. 73. 1901. a » Arracui, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (Op. cit..), pag. 33, tav. 2, fig. 4 (cum syn.). Sono diversi esemplari, oblunghi, pentagonali, angolosi (lun- ghezza mm. 75, 79, 30, 96, larghezza mm. 68, 71,27, 72), colla faccia superiore poco rigonfia (mm. 17, 17, 8, 16), quasi uni- formemente inclinata sui margini, con quella inferiore piana; cogli ambulacri lunghi, petaloidei, aperti; con zone porifere larghe, depresse, arcuate, con zone interporifere convesse, larghe il doppio d'una zona porifera; cogli interambulacri stretti e leg- germente rigonfi; col periprocto subcircolare vicino al margine, l’apice ambulacrale subcentrale. Ho in esame i modelli in gesso dei tipi del Clyp. latirostris Agass. (60) e del Clyp. marginatus Lam. (57) e li trovo affini a questa specie, ma il primo è meno allungato con ambulacri meno rigonfi e gli interambulacri più convessi, il secondo è più alto nella regione ambulacrale, con ambulacri più brevi e gli interambulacri più convessi. È una specie del langhiano di S. Manza in Corsica, dell’el- veziano di Finale Marina e del tongriano del bacino della Bormida. Località: Tocerano. Pliolampas vasalli WRIGHT sp. Tav., fig. 7-10. 1855. Pygorhynchus vasalli Wrient, Foss. Echin. Malta (* Ann. Mag. Nat. Hist. ,), pag. 271. 1892. Breynella s Gregory, Malt. foss. Echin., © Royal Soc. of Edin- burgh), pag. 602 (cum syn.). Due esemplari allungati (mm. 33, 30 di lunghezza e mm. 28, 25 di larghezza), subcilindrici, arrotondati all’ avanti, rostrati posteriormente, colla faccia superiore rigonfia (mm. 17, 15), ca- . renata nell’area interambulacrale impari, coll’apice ambulacrale spostato all’avanti fornito di tre pori genitali mancando l’ante- riore sinistro; cogli ambulacri petaloidei, aperti, con spazio in- terporifero largo quanto una zona porifera; con peristoma sub- Atti della B. Accademia — Vol. XL. 4 50 CARLO AIRAGHI centrale, pentagonale, allungato longitudinalmente, con periprocto ovale in senso longitudinale, fornito alla base d’un solco largo e poco profondo. Questa specie si distingue dal Pliolampas medfensis Cont. per essere meno rostrata posteriormente e per avere l’apice am- bulacrale meno centrale e il periprocto posto più in alto. Secondo Gregory essa sarebbe il tipo del genere Breynella da lui fondato nel 1892, ma io credo che di detto genere non sia il caso di tenerne conto essendo posteriore al genere Plio- lampas stabilito da PomeL nel 1888, genere che si distingue dal- l’Echinanthus per la mancanza del poro genitale anteriore si- nistro. A Malta il Pliolampas vasalli venne trovato nella zona a Globigerina (langhiano), in Corsica nella zona a Pecten bonifa- censis (langhiano). Località: C. Dogana, Tocerano. Pliolampas aremoricus Bazin sp. Tav., fig. 16-18. 1884. Echinanthus aremoricus Bazis, Échin. mioc. de Bret. (“ Bull. Soc. Géol. de France), pag. 40, tav. 1, fig. 26-30. 1896. 5 , »e Lorror, Descript. des EÉchin. tert. du Portugal (© Direct. des trav. géol. du Portugal ,), pag. 41, tav. 12, fig. 2. Un solo esemplare, ovoidale allungato (lunghezza mm. 39, larghezza mm. 30), arrotondato all’avanti, più largo e angoloso posteriormente, colla faccia superiore alta (mm. 22) e convessa, con carena nell’area interambulacrale impari, colla faccia infe- riore leggermente concava; apice ambulacrale spostato all’avanti con tre pori genitali, mancando l’anteriore sinistro; ambulacri superficiali, larghi, aperti; periprocto ovale, allungato, posto sopra ad un largo solco ma poco profondo; peristoma pentagonale al- lungato longitudinalmente. L'esemplare che riferisco a questa specie è forse un po’ più allungato e ovoidale dei tipi dell’elveziano della Bretagna, pur tuttavia non credo che da questi si possa separare, tanto più che alla stessa specie venne già riferito un altro esemplare da DE Lorror trovato nel miocene di Porthindo d’Arrabida: in Por- togallo, che si presenta anch'esso più allungato e ovoidale. ECHINODERMI MIOCENICI DEI DINTORNI DI S. MARIA TIBERINA Dl Anche questa specie per le ragioni già esposte sopra la riferisco al genere Pliolampas. Località: C. Dogana, M. Cedrone. Pliolampas camerinensis pe Lor. sp. Tav., fig. 11-13. 1882. Echinanthus camerinensis ve Lorror, Descript. des Échin. de Camerino (@ Mém. Soc. de Phys. et Hist. nat. de Genève ,), pag. 20, tav. 1, fig. 9. 1887. È s UGorinI, Sopra alcuni foss. dello Schlier del M. Cedrone (Op. cit.), pag. 2. 1900. i s DE AnceLIs, Secondo contr. allo studio del mioc. nel- Umbria (Op. cit.), pag. 259. Un piccolo esemplare identico a quelli illustrati da De LoRrot. È ovoidale, allungato, più largo posteriormente che all’avanti, colla faccia superiore alta, convessa, leggermente carenata po- steriormente, quella inferiore depressa attorno al peristoma, quella posteriore verticale; apparecchio apicale con tre pori, privo del sinistro anteriore; ambulacri corti, superficiali; peristoma pentagonale, allungato; periprocto piccolo, allungato, sopra mar- ginale. Questa specie si distingue facilmente tra le congeneri per le sue piccole dimensioni. Anche questa specie essendo priva del poro genitale sinistro anteriore e fornita d’un peristoma penta- gonale allungato, credo che piuttosto che al genere Echinanthus debba riferirsi al genere Pliolampas. Località: C. Dogana. Pliolampas Silvestrii n. sp. Tav., fig. 1-4. Un esemplare lungo mm. 33, largo mm. 28, alto mm. 16, quasi uniformemente arrotondato all’avanti e all’indietro, colla faccia superiore uniformemente convessa, coll’area interambula- crale posteriore un poco carenata; colla faccia inferiore depressa attorno al peristoma. Ambulacri petaloidei, aperti, leggermente convessi, con spazio interporifero largo quanto una zona porifera. Peristoma subpentagonale, allungato longitudinalmente, peri- procto grande, allungato, quasi totalmente invisibile dalla faccia 52 CARLO AIRAGHI superiore, fornito alla base di largo e profondo solco; appa- recchio apicale privo del foro genitale anteriore sinistro. Questo nuovo Pliolampas lo distinguo dal Pliol. vasalli WrieHT perchè più rotondeggiante, meno rostrato, meno rigonfio, cogli ambulacri più convessi, il periprocto più allungato e sviluppato. Dal Pliol. aremoricus Bazix lo distinguo pure perchè più roton- deggiante, meno gibboso nell’area interambulacrale impari e più depresso. Località: C. Dogana. Conolampas plagiosomus Acass. sp. 1840. Conoclypeus plagiosomus Acassiz, Catal. Syst. foss., pag. 5. 1899. È s UGoninI, Sopra alcuni foss. dello Schlier del M. Cedrone (Op. cit.), pag. 4. 1900. 2 s DE Ancenis, Secondo contr. allo studio del mioc. nel- Umbria (Op. cit.), pag. 259. Non ho in esame alcun esemplare di questa specie, ma data la descrizione d’UGoLINnI non si può dubitare della sua presenza nello Sehlier del M. Cedrone. È una specie che fin'ora venne trovata in depositi del mio- cene medio e inferiore. Località: M. Cedrone. Echinolampas angulatus Mir. Tav., fig. 19-20. 1847. Echinolampas angulatus Mérian in Agassiz et Desor., Catal. rais. des Échin., pag. 108. 1889. Ki s UGoLini, Sopra alcuni foss. dello Schlier del M. Cedrone (Op. cit.), pag. 2. 1900. = s DE AnGeLIS, Secondo contr. allo studio del mioc. nel- Umbria (Op. cit.), pag. 259. 1901. A » ArraGni, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (Op. cit.), pag. 47, tav. 5, fig. 3 (cum syn.). Ho in esame una cinquantina di buoni esemplari. Sono di una forma ovoidale, talora allungata, talora invece allargata, arrotondati all’avanti e rostrati posteriormente, colla faccia su- periore talora depressa, piatta, talora alta, subconica, con quella inferiore depressa attorno al peristoma; con apice ambulacrale spostato all’avanti, cogli ambulacri subpetaloidei, larghi, lunghi, ECHINODERMI MIOCENICI DEI DINTORNI DI S. MARIA TIBERINA 53 superficiali, aperti, con zone porifere strette, col peristoma subcentrale, pentagonale, allungato trasversalmente, periprocto grande trasversale. Sono esemplari che corrispondono quindi a quelli illustrati da De Lorior rinvenuti a Camerino, a quelli della molassa mio- cenica di St.-Juste (Dròme), a quelli di Rosignano, e a quelli di Avignon che si conservano nel Museo geologico di Torino. Località: Tra S. Maria Tiberina e €. Dogana, Dogana, M. Cedrone, Tocerano. Echino'/ampas hemisphaericus Law. sp. 1816. Clypeaster hemisphaericus Lamarck, Anim. s. vert., vol. III, pag. 187. 1901. Echinolampas a ArragnI, Echin. terz. del Piemonte e Liguria (Op. cit.), pag. 48 (cum syn.). Un esemplare non tanto ben conservato, ma che, data la sua taglia, la forma subcircolare, la faccia superiore uniforme- mente convessa, quella inferiore piana, coi margini rotondeg- gianti; gli ambulacri larghi, lunghi, subpetaloidei, aperti alla estremità libera; l’apice ambulacrale subcentrale spostato al- l’avanti, il peristoma pentagonale, trasversale, il periprocto grande, trasversale, quasi inframarginale, non mi lascia alcun dubbio trattarsi dell'Echin. hemisphaericus (Lam.). Questa specie è comune in tutti quanti i giacimenti mio- cenici e pliocenici. Località: C. Dogana. Maretia Saccoi n. sp. Tav., fig. 21-22. Specie di piccole dimensioni (lunghezza mm. 30, larghezza mm. 29, altezza mm. 13), subdepressa, allargata all’avanti, cuori- forme, fortemente intaccata dal solco anteriore, colla faccia superiore appena convessa, inclinata sui margini, quella infe- riore piana. Sommità apicale eccentrica all’ avanti; ambulacro impari fornito di fori piccoli disposti a paia lontani tra loro; ambulacri pari anteriori leggermente depressi, divergenti, lunghi, colle zone porifere anteriori molto più atrofizzate che le poste- riori; ambulacri posteriori meno divergenti, lanceolati. Peristoma 54 CARLO AIRAGHI — ECHINODERMI MIOCENICI, ECC. grande, labiato, spostato molto all’avanti. Dei grossi tubercoli fortemente scrobicolati coprono le aree interambulacrali pari. La forma depressa dell’esemplare in esame, la larghezza e la profondità del solco anteriore l’avvicinano alla Maretia tenuis Peron, ma i tubercoli sono più numerosi e più grandi, gli am- bulacri posteriori più lunghi, gli anteriori più divergenti. Dallo Spatangus Hoffmanni GoLp. si distingue perchè più depresso e perchè fornito di un solco anteriore più profondo e largo e infine perchè ornati da tubercoli di gran lunga più svi- luppati. Località: C. Dogana. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA 1-4. Pliolampas Sivestrii n. sp. . . . . . Coll. Silvestri. 5-6. Clypeaster laganoides Acass.. . . . . R. Museo geol. Torino. 7-8. Pliolampas vasalli Wricat sp. . . . . Id. Id. Id. 9-10. Pliolampas vasalli WriGHT sp... . . Id. Id. Id. 11-13. Pliolampas camerinensis pe Lor. sp. . . Id. Id. Id. 14-15. Antedon rhodanicus Fonr.. . . . . . R. Ufficio geol. Roma. 16-18. Pliolampas aremoricus Bazisn sp. . . . R. Museo geol. Torino. 19-20. Echinolampas angulatus Mir... . . Id. Id. Id. 21-22. -Maretta Sacco n. ap. Lie Id. Id. Id. . AIRAGHI - €chin. mioc. dei dintorni di Atti della R. Accad, delle Scienze S.Maria Ciberina, Umbria danno, ValON D@ (© (e) a fot. È ELIOT, ING, MOLFESE=TORINO ® ADOLFO CAMPETTI — SULLA DISPERSIONE, ECC. 55 Sulla dispersione dell'elettricità nei vapori di jodio. Nota del Dr. ADOLFO CAMPETTI. 1. — Sono ben note le numerose e svariate esperienze eseguite allo scopo di dimostrare e misurare la conducibilità dei gas portati a temperatura elevata, come è pure noto che in determinate condizioni si manifesta in queste esperienze la così detta conducibilità unipolare; vale a dire la dispersione dell’elet- tricità negativa comincia ed avviene in modo completo (da un elettrodo posto in seno al gas caldo) ad una temperatura, alla quale la positiva rimane ancora quasi completamente sull’elet- trodo che ne è carico. Che la conducibilità dei gas caldi dipenda da una ionizza- zione del gas stesso non è adesso posto da alcuno in dubbio; ma mentre alcuni, come Elster e Geitel (1), pensano che la ionizzazione del gas avvenga esclusivamente alla superficie degli elettrodi, altri invece, come M. Clelland (2), ritengono che, almeno alla pressione ordinaria, la conducibilità dipenda essen- zialmente da una ionizzazione che ha luogo nell'interno del gas e che, anche a pressioni inferiori, questa ionizzazione agisca insieme alla elettrizzazione sugli elettrodi. Secondo ogni proba- bilità ambedue le cause agiscono e l’una e l’altra in diversa misura, a seconda pure della natura del gas. A questo proposito ricorderò il recente lavoro di A. Byk (3), il quale, in base alle sue esperienze eseguite con elettrodi di platino e di altri metalli (zinco, argento, rame) nell’aria e nel- l’anidride carbonica alla pressione ordinaria, crede poter conclu- dere che la ionizzazione avvenga sopratutto direttamente in seno al gas riscaldato, in quanto che egli trova la conducibilità del (1) £ Wied. Annalen ,, 38. (2) “ Proceed. of the Cambridge Phil. Soc. ,, 1900 e 1902. (3) “ Physikalische Zeitschrift ,, 1903, No. 24. 56 ADOLFO CAMPETTI gas indipendente dalla natura dell’elettrodo; il fenomeno della conducibilità unipolare si manifesta poi nelle sue esperienze in modo sicuro. È tuttavia opportuno osservare come le conclusioni di queste e altre simili esperienze lascino sempre qualche incertezza, giacchè, la superficie di contatto del gas con le pareti calde del reci- piente (di vetro, porcellana, ecc.) entro cui è riscaldato essendo molto grande di fronte alla superficie degli elettrodi, se queste pareti agiscono sulla ionizzazione del gas, la loro influenza può coprire completamente le variazioni dovute alla diversa natura degli elettrodi stessi. Le esperienze che io ho eseguite sono dirette a due scopi: in primo luogo ad esaminare con qualche precisione la condu- cibilità di gas, diversi dall’aria, a temperatura elevata, e in secondo luogo a studiare l'influenza che la natura degli elettrodi ha sulla ionizzazione del gas e specialmente dal punto di vista dell'influenza che può avere su questa ionizzazione l’azione chi- mica che ha luogo tra il gas stesso e gli elettrodi. Le mie esperienze sono state finora in numero molto limitato per le ragioni che indicherò in fine: tuttavia esse accennano a questo resultato, che cioè, quando tra l'elettrodo ed il gas riscaldato esiste una energica azione chimica, varia notevolmente anche la velocità di dispersione dell’ elettricità da quest’elettrodo. Queste esperienze starebbero dunque in relazione con quelle eseguite riscaldando del rame o del rame ossidato in aria, 0s- sigeno 0 idrogeno: salvo che in queste ultime esperienze la tem- peratura era notevolmente più elevata che nelle mie, se la diffe- renza nella dispersione doveva essere notevole da un caso all’altro. In generale poi tutte le esperienze da cui appare una in- fluenza dell’azione chimica sulla dispersione in seno ai gas caldi possono forse stare in rapporto con quelle di Strutt (1), Mae Leunan (2), ecc. e con altre recenti del prof. Naccari (3) sulla cosiddetta radioattività dei metalli comuni. Se infatti un'azione chimica tra il metallo e il gas a temperatura elevata aumenta o varia comunque la rapidità di dispersione della elettricità, non (1). * Nature ,, 67, 1903. (2) © Beiblatter ,, 10, 1903. (3) © Nuovo Cimento ,, luglio 1904. SULLA DISPERSIONE DELL'ELETTRICITÀ NEI VAPORI DI JODIO 57 è fuor di luogo il pensare che un tale effetto possa manife- starsi (sebbene in grado assai minore) anche a bassa tempera- tura e, almeno in parte, a questa causa essere da attribuire le differenze fra radioattività di alcuni metalli comuni. (Vedasi a questo proposito anche Armsrrone H. E., “ Nature ,, 67, 1903). 2. — Volendo esaminare la conducibilità dei vapori di Jodio alla pressione ordinaria era impossibile operare con reci- piente chiuso e fissare sulla parete di questo gli elettrodi (dei quali uno fosse in comunicazione coll’elettroscopio e l’altro a terra), giacchè, se le pareti del recipiente sono da per tutto riscaldate, è impossibile l'isolamento dell’elettrodo, e se d'altra parte la regione del recipiente ove gli elettrodi sono fissati è mantenuta a bassa temperatura, allora, per il principio delle pareti fredde, quivi l’jodio sì condensa, l’isolamento cessa e al tempo stesso la tensione del suo vapore nella regione calda si abbassa. Per tali ragioni l’Jodio veniva ridotto in vapore entro una provetta aperta del così detto /tesistenzglas di Jena, come quello che è meno soggetto ad azioni chimiche e più difficil- mente fusibile. Tale provetta, più larga al fondo che all'estremo aperto, era tenuta verticalmente e immersa colla sua parte più larga entro un bagno di limatura di ferro scaldato mediante una stufa a gas. Nella provetta, e precisamente verso il fondo, stavano disposti, alla distanza di circa un centimetro, due elet- trodi di platino della superficie di 0,25 e 2 cent. quadrati ri- spettivamente, portati da due lunghi tubetti di vetro ripiegati fuori della provetta ad angolo: retto e fissati entro un blocco di paraffina: entro a questi tubetti passavano i fili che face- vano comunicare i detti elettrodi, l’uno col suolo, l’altro colle foglie di un elettroscopio di Exner graduato mediante una pila Leclanchè di 100 coppie. La temperatura nell'interno della pro- vetta era determinata mediante una coppia termoelettrica platino platino iridiato isolata dal gas della provetta coll’essere rinchiusa entro un tubo di vetro a pareti sottili. Tale coppia (il cui com- portamento per temperature non troppo elevate è perfettamente regolare) fu confrontata, entro un bagno di lega di piombo e stagno, con un termometro a mercurio recentemente tarato sino a 425° dal Eeichsanstalt di Berlino. — Le esperienze non si facevano mai mentre il gas della stufa era acceso; ma, causa 58 ADOLFO CAMPETTI la lentezza della trasmissione del calore all’interno della pro- vetta, dopo spento il gas, si aspettavano molti minuti sino a che la temperatura nel gas fosse vicina al suo valor massimo: in prossimità di questo massimo la temperatura si conservava pressochè costante per parecchi minuti. Nelle esperienze ese- guite nei vapori di jodio, dopo introdotto jodio in eccesso in guisa da poter ritenere scacciata tutta l’aria della provetta, si aspettava (prima di caricare l'elettrodo) che fosse cessata l’uscita dei vapori dall'apertura superiore della provetta, apertura che veniva ridotta al minimo possibile mediante un dischetto di mica perforato in corrispondenza dei sostegni degli elettrodi. In tutti i casi esperienze preliminari venivano fatte per determinare la perdita di carica dipendente dai sostegni, che era però sempre assai piccola; queste esperienze servivano poi a correggere i risultati delle altre. Nelle esperienze qui riferite l'elettrodo carico era quello di minor superficie: la carica si faceva mediante una pila secca. Nelle tre tabelle che seguono sono riportati i risultati delle esperienze di confronto tra la dispersione nell'aria e nei vapori di jodio alla stessa temperatura e per tre diverse temperature; in queste tabelle £ indica il tempo decorso dal principio del- l’esperienza in minuti o secondi, 7" la temperatura, V il poten- ziale cui era carico, nel tempo corrispondente, l’elettrodo. Elettricità positiva Elettricità negativa t Te | —7—P V nell'aria V nell’jodio V nell'aria V nell’jodio T= 427° T= 430° qT= 427° T= 423° 0' | 139,5 140 139 139 "H 139 130 137 128 2° 139 125 135,9 121,5 3} 138,5 122 135 pi rio. 4' 138,5 19 134,5 115,0 SAR 138,5 ta 133,5 114 6° 138,5 115 138 113 Tal 138,5 114 132 111,5 3' 138 112 131,5 110,5 91 138 TH 131,5 109 10' 138 | 110 | 131 108 SULLA DISPERSIONE DELL'ELETTRICITÀ NEI VAPORI DI JODIO 59 Come apparisce dalla tabella, la dispersione tanto nell’aria quanto (sebbene in grado minore) nell’jodio sembra maggiore per la elettricità negativa che per la positiva e un comporta- mento analogo si manifesta nelle esperienze a temperatura di circa 500° riferite nella tabella che segue: Elettricità positiva | Elettricità negativa t e __ n V nell'aria | V nell’jodio | V nell’aria V nell’jodio qT= 490° T=499° | T = 496° T= 502° 0' 139 139 ld. 139 139 15” — b125 — 102 30" | — | 95 131 80,5 45! = 78 | — 67 1 128,5 | 63,5. | 125,9 49 L'30" e 93,9 | - 36 Ha 121 | 44 i e dol 118 36 FRA 4' L06;5: sil | 92 5! 102 85,5 6' 98 79,5 "h 94 74 8' 89,5 | 70,5 Anche a questa temperatura la dispersione dell’ elettricità negativa è più forte che quella della positiva; non sono segnate le indicazioni dell’elettroscopio al disotto di 30 Volta, perchè non molto sicure. Le esperienze, riferite nella tabella seguente, fatte a temperature di 525° e 535° gradi circa riguardano solo la dispersione nell’aria: giacchè nell’jodio a queste temperature l’elettricità positiva (partendo dal potenziale iniziale di 139 Volta) veniva scaricata completamente in 45" circa, la negativa circa im 930/”. 60 ADOLFO CAMPETTI Esperienze nell’aria. Elettricità positiva Elettricità negativa Î 2 ___ || _ —P II ___ | VA V VA Vv T= 524° qT= 534° qT= 524° qT= 537° 0' 139 159 159 139 30” 121,5 115,9 150,5 129,5 È 104 92 125,9 TE 1'’,90” 88 71,5 118,5 107 Dre 4 73 | 58 111 95,5 2',30" 64,5 44,5 107 84,5 9! 58,9 36 100,5 76,5 31,90" 51,5 = | 96 70,5 4' 46,5 = 91,5 62,5 4,30" — = 88 58 Queste ultime esperienze mostrano che, a queste tempe- rature, un aumento piccolo nella temperatura accresce notevol- mente la conducibilità: è anche importante notare come, da esse apparisca (contrariamente alle precedenti) una dispersione maggiore per la elettricità positiva che per la negativa nell’aria : la causa di tal fatto (in opposizione alle esperienze precedenti) devesi probabilmente ricercare nell’incandescenza delle pareti della provetta (il vui vetro può aver subìta una piccola altera- zione superficiale per l’azione dei vapori di jodio) e degli elet- trodi stessi, a questa temperatura. Tale incandescenza provoca nel gas a contatto una elettrizzazione e quindi una ionizzazione probabilmente diversa da quella che ha luogo a temperatura più bassa. Ad ogni modo a questa temperatura di circa 530° le esperienze riescono un po’ incerte; dovendo notarsi solo in par- ticolare la fortissima dispersione nei vapori di jodio. 8. — Altre esperienze furono poi eseguite cambiando la natura dell’elettrodo carico e precisamente sostituendo al pla- tino una lamina di argento delle stesse dimensioni: fu provata di nuovo per le varie temperature la dispersione anche nell’aria, giacchè era cambiata la provetta e la distanza degli elettrodi. SULLA DISPERSIONE DELL'ELETTRICITÀ NEI VAPORI DI JODIO 61 Nelle tabelle qui appresso che si riferiscono ad esperienze eseguite a temperatura di circa 300° la colonna I riguarda la dispersione dall’elettrodo di platino nell’aria, la II dall’elettrodo di platino nell’jodio, la III dall’ elettrodo di argento nell'aria, la IV dall’elettrodo di argento nell’jodio. Elettricità positiva. ———ss——""—=>=T —_m Là Il | III. IV. qT= 307° qT= 308° T = 306° T= 303° 1) 139 139 139 139 30” — 135 =“ 127,9 i) 139 132,5 139 118,5 2' 138,5 130,5 138,5 109,5 3' 138,5 128,5 138,5 102 4' 138,5 127 188,5 96,5 5' 138,5 125 138,5 91 6' 158,5 123,5 138,5 86,5 i 138,5 122,5 158,5 83,5 Si 138,5 120,5 188,5 80 9 138,5 — 138,5 77,5 10' 138,5 — 138,5 74 Elettricità negativa. t — + T——— lle II III. IV T=309° T=306° T= 807° T=306° 0 139 139 139 139 30” pr 134,5 - i I 138,5 131 138,5 129 2' 138 128 138,5 122,5 3' 158 126 138 ES 4' 138 125,9 158 115 5° 138 125 138 112 6° 138 122,5 15 109 Li 138 120,5 158 106,5 8' 138 LIO 138 103 Di 13 118 138 100,5 10' 38 “i 1838 98,5 62 ADOLFO CAMPETTI Se si confrontano le colonne I e III relative alla disper- sione nell'aria con elettrodo di platino o di argento, si vede che non esiste (conformemente alle esperienze di A. Byk) differenza apprezzabile, mentre invece si nota subito confrontando le co- lonne Il e IV che una assai forte differenza esiste tra la disper- sione in un'atmosfera di vapori di jodio da un elettrodo di platino e quella da un elettrodo di argento: la dispersione ap- pare tuttavia più forte per la elettricità positiva che per la negativa e questo fu confermato da ripetute esperienze. Un'altra serie di esperienze fu poi eseguita alla tempera- tura di 360 a 370 gradi: le conseguenze sono le stesse delle ora esposte, salvo naturalmente una dispersione maggiore, come appare dalle due tabelle alla pagina seguente. Le esperienze riferite nelle ultime quattro tabelle sono par- ticolarmente interessanti, perchè mostrano il forte aumento che sì ha nella dispersione quando si adopera un elettrodo di ar- gento in luogo di un elettrodo di platino nei vapori di jodio. Tuttavia queste esperienze presentano sempre qualche irregola- rità ed incertezza dipendenti specialmente (oltre che dall’azione, d'altronde inevitabile, delle pareti di vetro della provetta sulla ionizzazione del gas contenuto) dal fatto che, dovendosi operare con recipiente aperto, non sempre riesce di evitare il mescolarsi dei vapori di jodio coll’aria esterna. In particolare resterebbero da eseguire le esperienze se- guenti: 1° Esaminare il comportamento di elettrodi di altri me- talli, oltre il platino e l'argento; 2° Esaminare per il caso del- l'elettrodo di argento (0, quando ne sia il caso, di altro metallo) se la variazione nella dispersione si ha quando è di argento l'elettrodo carico od anche quando è di argento quello posto a terra, oppure soltanto quando nel vapore venga introdotta una lamina di argento isolata. Se non che la difficoltà di apprezzare piccole differenze di conducibilità nelle condizioni sperimentali ora accennate mi ha sconsigliato dal proseguire coi vapori di Jodio le suaccennate esperienze. Mi propongo però di eseguire esperienze analoghe con altri gas (cloro, ammoniaca, acido clo- ridrico), coi quali sia possibile operare in condizioni più op- portune. SULLA DISPERSIONE DELL'ELETTRICITÀ NEI VAPORI DI JODIO 63 Elettricità positiva. t —_ T_T TE Il. IU. IV. T = 360° T= 362° T= 363° | qT = 367° 0 139 139 139 139 30” 133,5 _ 138,5 120 Pi 138,5 1831 138 101 1,30" 133,5 _ 138 79,5 2' 138 125,5 138 | 64 2',380” 138 _ 138 | 51,5 3' 138 122,5 138 | 41 4' 138 120 138 | 33 5: 138 118 138 24 6° 138 116 138 = i 138 115 138 — 8' 138 113,5 138 _ 9' 138 112,5 138 — Elettricità negativa. t — Ii, Ti | II. | IV. T=359° T=361° qT= 362° T=364° 0 139 139 139 139 30"! = — — 123,5 1 138,5 13005 138 103,5 da)" = _ — 81 2' 138 125 138 65,5 ed 137,5 121,5 138 49 4' 137,5 119 137,5 40 hi 137,5 117 137,5 31 6' 137,5 114,5 137,5 —_ vo 137,5 113 137 _ 8! 137,5 112 137 — 9' 137,5 la 137 — 4. — Intanto però dalle eseguite esperienze risulta, per il caso di un elettrodo di argento nei vapori di jodio, una ionizza- zione dovuta ad azione chimica, per la reazione cioè tra l’jodio e l’argento dell’elettrodo; caso che presenta qualche analogia 64 ADOLFO CAMPETTI — SULLA DISPERSIONE ECC. anche con quello studiato dal Naccari e successivamente dal Barus, della ionizzazione cioè prodotta nell’aria per la combu- stione lenta del fosforo. Prima di terminare non voglio tralasciare di ricordare che R. J. Strutt (1), in un suo lavoro sulla scarica dell'elettricità positiva dai metalli caldi a temperature relativamente poco ele- vate, trovò che la temperatura alla quale l’elettroscopio dimi- nuiva la sua deviazione di 10 divisioni all’ora, era, a seconda della natura dell’elettrodo, la seguente: Rami ‘nell’agiapifrntiomae Agtuo:. T = 28%0 Ossido di rame nell'aria . .. . T. 2668 Ossido di rame nell’idrogeno . T=>=100 Argento nell'aria... gti T' =2250% Argento nell’idrogeno . . . . T'== 2288 Da queste esperienze egli conclude che l’azione chimica è piuttosto sfavorevole che favorevole alla dispersione dell’elettri- cità positiva. l Non è strano che alcune azioni chimiche siano favorevoli ed altre sfavorevoli alla ionizzazione del gas; se non che le esperienze qui riportate mi sembrano essere poco concludenti tanto nell’un senso quanto nell’altro e tanto meno permettere una conclusione così generale, sia perchè in alcuni tra i casi esaminati (ad es.: argento nell’aria oppure nell’idrogeno) l’azione chimica a quella temperatura deve essere estremamente piccola, sia perchè la natura del gas e dell’elettrodo devono esercitare una influenza non trascurabile sulla ionizzazione e quindi sulla dispersione, indipendentemente da qualsiasi azione chimica. Tale influenza infatti si manifesta nella ionizzazione prodotta alla superficie di un metallo per opera dei raggi catodici, e per quanto il processo dell’ionizzazione sia qui assai diverso, è probabile che accada pure qualche cosa di simile. Nelle mie esperienze ed in altre l'influenza della natura dell’elettrodo in alcuni gas (aria, anidride carbonica) non si ma- nifesta o per la breve durata dell’esperienza, o per l’azione ionizzante delle pareti calde del recipiente. ‘l'orino, Istituto di Fisica dell’Università, Ottobre 1904. (1) R.J. Srrurr, “ Philosophical Magazine ,, 2, 1902. (da d PIO FOÀ — CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA, ECC. 6: Contributo alla conoscenza dell’infiltrazione adiposa. Nota del Socio PIO FOÀ. (Con una Tavola). In questi ultimi anni si è venuta accentuando fra i Patologi la discussione, sul significato che assume in determinate circo- stanze la presenza del grasso in alcuni organi o in alcune parti di essi. I vecchi termini di degenerazione e di infiltrazione furono sottoposti ad un esame critico in base alle più recenti risultanze sperimentali. Stimo pertanto non superfluo il pubblicare i risul- tati di mie ormai vecchie ricerche sulla presenza del grasso in taluni elementi e in talune circostanze, le quali fin'ora avevano poco richiamato su di esse l’attenzione degli studiosi. Le mie più vecchie osservazioni riguardano la presenza del grasso nelle masse irombotiche ed eventualmente nelle pareti dei rispettivi vasi sanguigni. Usavo prima di fissare i pezzi in liquido di Flemming e colorarli colla safranina e alcool picrico; in seguito ho trovato molto più opportuno adoperare il metodo di Marchi; pertanto, tenevo i pezzi per tre o quattro giorni nel liquido di Miiller e poi li passavo per altrettanto tempo nella miscela osmio-bicromica, indi lavavo e indurivo in alcool. A questo modo si conserva molto meglio l’elasticità del tessuto, l'acido osmico penetra più a fondo, e i tagli si possono ugual- mente colorare colla ematossilina e coll’eosina oppure col liquido di V. Giesow. Il metodo di Marchi conserva benissimo le piastrine nei trombi che risultano da esse, e concede anche di valutare la proporzione degli elementi che compongono l'insieme della massa trombotica, e di distinguere nettamente l’intreccio dei filamenti fibrinosi. È assai frequente di trovare nelle masse trombotiche non affatto recenti, ma neppure molto antiche, degli elementi ricchi Atti della R. Accademia — Vol. XL 5 66 PIO FOÀ di grasso. I leucociti possono non presentare grasso, oppure sono forniti solo di poche e piccole gocciole di grasso, ora isolate, ora confluenti. In certi casi, però, e più spesso in quei trombi che si formano in vicinanza di foeolai flogistici, o di grandi essu- dazioni sierose purulente, si trovano cellule con nucleo bilobato o plurilobato, il cui protoplasma è assai sottile e disteso come un velo carico di moltissime gocciole adipose. Più di frequente si trovano nei trombi, delle grandi cellule probabilmente endo- teliali il cui protoplasma è gremito di gocciole di grasso. Queste possono essere di varia grandezza, e accumularsi senza ordine nel protoplasma, oppure talvolta sembrano disporsi in circoli concentrici regolarmente intorno al nucleo. La distribuzione degli elementi adiposi nella massa del trombo non è regolare; tal- volta se ne trovano sparsi in tutto il trombo, e tra essi si tro- vano anche talora delle gocciole libere come se derivassero dallo sfacelo degli elementi stessi in cui erano depositate; il più spesso, però, gli elementi infiltrati di grasso si trovano accumulati in una parte sola del trombo, e per lo più negli strati periferici. Vi sono dei trombi delle più diverse provenienze che pos- sono presentare cumuli di cellule grandi ricchissime di grasso, e altri che non ne presentano affatto. I trombi recentissimi or- dinariamente non presentano cellule fornite di grasso; io ne vidi di acutissimi formatisi nella cavità del cuore, nell’ arteria pol- monare e nei seni della dura madre, nelle vene periferiche degli arti, da cause non bene precisabili, e nei quali la fibrina era scarsa, gli elementi sanguigni abbastanza uniformemente distri- buiti, e non vi si trovavano elementi adiposi. Esaminai dei trombi acuti del cuore, o dell’arteria polmonare, quasi interamente co- stituiti da piastrine e senza alcuna traccia di grasso. Ho anche trovato privi affatto di grasso contro la mia aspettativa dei trombi delle vene vescicali o uterine in casi di cistite suppu- rativa o di sepsi puerperale, sebbene questi trombi fossero ricchi di leucociti polimorfi, e così pure alcuni casi di trombi maran- tici, sebbene si debbano essere prodotti lentamente; ma al con- trario ho raccolto molti altri casi di trombosi del cuore e dei vasi grossi e piccoli, in cui si trovavano degli accumuli di grosse e di piccole cellule fornite di grasso. Citerò alcuni esempi, e fra questi un caso di trombosi di una grossa diramazione dell’ar- teria polmonare in una vecchia morta di bronchite suppurativa (ALII ia e RE CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELL'INFILTRAZIONE ADIPOSA 67 diffusa. Negli strati più corticali del trombo si trovavano molti elementi carichi di grasso, e nella parte centrale si trovavano elementi più piccoli, apparentemente leucociti, molto ricchi an- ch’essi di gocciole adipose, le quali si trovavano anche isolate un po’ dappertutto, ora minutissime come granuli, ora grosse e apparentemente libere negli interstizi della fibrina. La vecchia era in istato marasmatico; negli ultimi tempi della sua malattia il cuore era molto indebolito e in istato di atrofia bruna; forse si è formato un trombo nel cuor destro e di là fu spinto in un ramo della polmonare, cosicchè l’inferma morì dopo breve tempo. È difficile affermare d’onde provenisse quel grasso, certo è che esso sl presentava in goccie di tutte le grandezze con tendenza a fondersi tra loro. Un altro esempio lo traggo da un caso di morte per bron- chite putrida e gangrena polmonare in un soggetto che era da poco guarito di un tifo addominale, ma ad esso era seguìta una estesa trombosi della vena cava, delle vene iliache e delle vene femorali. Da una vasta piaga da decubito era partita probabil- mente l’infezione bronchiale o polmonare che condusse a morte il paziente, e che aveva probabilmente favorita la stessa trom- bosi estesa a metà del corpo. Avendo esaminato il trombo delle vene iliache ho trovato che gran parte di esso era composto di accumuli di leucociti impigliati in poca fibrina e senza traccia di grasso; invece l’altra metà presentava molti grossi elementi riccamente infiltrati di gocciole di grasso di ogni grandezza, e disposti fra le fibre della fibrina. Un altro caso si riferisce ad un cancro del fegato con trom- bosi dell’arteria polmonare. In mezzo ai densi fasci fibrinosi sono moltissimi elementi in cui si vede il nucleo alla periferia, e tutto il protoplasma, largo e sottile come un velo, porta innumerevoli goccie adipose di ogni grandezza. Meno numerose ma dello stesso aspetto sono le cellule grandi ricche di grasso che vidi entro dei trombi dell'arteria polmonare in casi di infarti emorragici del polmone in cardiopatici; però in altri casi i trombi risie- denti nei vasi della parte colpita da infarto possono non pre- sentare alcuna traccia di elementi adiposi. Fra i casi da me osservati ve n'è uno che si riferisce ad una trombosi della polmonare sviluppatasi in un bambino du- rante l’assorbimento di una vasta raccolta di essudato sieroso- 68 PIO FOÀ purulento della cavità pleurica. Nel trombo èvvi una grande quantità di cellule grandi gremite di grosse e di piccole goccie di grasso. Un caso clinicamente poco chiaro si riferisce ad una endo-miocardite in un soggetto che negli ultimi giorni era stato curato con iniezioni di olio canforato. Si è trovato una trombosi recente delle due arterie Silviane con edema del cervello e leg- giero stravaso di sangue sulla corteccia dei corpi striati: eravi versamento sieroso-emorragico nelle cavità pleuriche, trombosi nelle due cavità del cuore, e aree di apparente degenerazione grassa nel miocardio e nei muscoli papillari. Questi avevano l'apice sclerozato, e un generale opacamento era anche nell’en- docardio ventricolare; nei reni erano alcuni piccoli infarti recenti necrotici. Si è trovato che i trombi del cuore contenevano mol- tissimo grasso libero; anche all'apice dei muscoli papillari si trovano cumuli di goccie libere di grasso evidentemente tra gli interstizi delle fibre muscolari. Più verso la base del muscolo papillare il grasso aveva infiltrato completamente le cellule con- nettive interstiziali; gli endoteli dei vasi capillari, e anche le cellule connettive delle pareti di alcune diramazioni di piccole arterie; infine il grasso st accumulava ai poli del nucleo delle cellule muscolari, ossia nel sarcoplasma, e talora così intensa- mente da formare un ammasso tondeggiante od ovale composto di fine fittissime gocciole intorno al nucleo, mentre la parte striata non presentava alcuna degenerazione. Il molto grasso ancora libero nel trombo recente del cuore e negli interstizi delle fibre muscolari; l’impregnazione degli endoteli e degli elementi con- nettivi delle pareti vascolari, e l'accumulo intorno al nucleo dei sarcoblasti risparmiando completamente la parte striata delle cellule cardiache, depone per un fenomeno d’assorbimento e di infiltrazione e non esclude il sospetto che ne fosse causa l’olio canforato iniettato a scopo di cura forse in quantità troppo ab- bondante. Altri casi importanti ho esaminato di trombosi in sog- getti cancerosi sempre colla presenza di molti larghi elementi ricchi di goccie di grasso di ogni grandezza: ma di particolare importanza fu il caso di trombosi parietale della aorta, e com- pleta della succlavia e della omerale con gangrena secca del- l’arto corrispondente in un soggetto affetto da cancro ulcerato del retto. Nella letteratura sono conosciuti altri casi di trombosi di grossi vasi arteriosi con esito di gangrena, in soggetti can- eg —— ———_- vo —— —_—r -—-—= CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELL’INFILTRAZIONE ADIPOSA 69 cerosi (1). Il caso da me osservato rivelava un fatto non tanto recente, perchè il trombo parietale dell’aorta era già quasi inte- ramente organizzato, e quello della omerale cominciava esso pure a dare origine alla canalizzazione. La massa trombotica ancora esistente presentava in alcune sezioni dei cumuli di cellule infiltrate di grasso, e dei blocchi di grasso libero proveniente dallo sfacelo di quelle cellule accanto all’intima. In altri tagli eseguiti attraverso l’arteria e il trombo rispettivo, si vedeva ancora del grasso nel trombo, ma del pari sì osservava che esso era penetrato attraverso la tonaca intima e si era depositato negli strati fra la tonaca media e l’intima, assumendo un aspetto nei preparati fissati nel liquido di Marchi, come se si fosse fatta con inchiostro di china un'iniezione dei canalicoli del suco, “ (Saftkanàlchen) , (Fig. VI). In questo caso, come in altri simili, la massa trombotica recente presentava molte cellule fornite di grasso, ed è difficile dire se esse fossero dapprima come tali circolanti nel sangue fino al momento in cui si è fatto il trombo, oppure se nel sangue esistesse libero il grasso, il quale avrebbe poi infiltrato alcuni elementi non ancora necrosati del trombo. Certo è che nel caso presente, essendo il trombo di vecchia data, il grasso rispettivo ha potuto essere assorbito e andò ad infiltrare gli elementi con- nettivi degli strati più interni della tonaca media. In vecchi trombi organizzati non ho trovata alcuna traccia di infiltrazione adiposa, e parimenti non ho trovato grasso negli antichi trombi contenuti entro sacchi aneurismatici. I così detti polipi fibrinosi del cuore e dei grossi vasi, sia nel cadavere dei pneumonici, sia in quello di tifosi, non presentavano alcuna traccia di grasso. Tra i molti casi di deposito di grassi in organi alterati, ne raccolsi qualcuno in cui anche morfologicamente il modo di dis- porsi del grasso è tale che depone per una semplice infiltrazione nell'antico senso della parola. Così fu di un caso di enorme stea- tosi degli epiteli nella prostata di un tisico, in cui macroscopi- camente non si sarebbe giudicato null’altro che un’atrofia, e che (1) V. LanceraUuX, Traité d’Anatomie pathologique, Tome I, pag. 608. Paris, 1875. — J. M. Charcor, Maladies des Poumons et du système vaseulaire, Tome V, 1888, pag. 312. 70 PIO FOÀ io ho preparato col metodo Marchi solo perchè desideravo esa- minare i trombi che erano nelle sue vene. Trovai in quella pro- stata che tutto l’epitelio era gremito di goccie di grasso di varia grossezza, così da impedire la distinzione dei nuclei, e da riem- pire come un ammasso adiposo tutto l’otricolo ghiandolare. Anche le pareti dei piccoli vasi sanguigni intercorrenti fra gli otricoli ghiandolari erano alquanto infiltrate di grasso. In casi di diabete d’origine pancreatica, ho confermato l’esi- stenza nel rene di una assai circoscritta infiltrazione grassa (1). Essa era rappresentata da una corona di gocciole adipose di varia grandezza depositata alla estrema periferia delle cellule epiteliali nei canalicoli contorti. Il resto del corpo cellulare e il nucleo rispettivo erano colorabili colla safranina (il pezzo era stato fissato in liquido di Flemming) e sembravano d’aspetto nor- male. Un deposito di gocciole estremamente fine e più scarse si trovava nelle cellule epiteliali delle vicine anse di Henle, mentre i glomeruli malpighiani e le pareti dei vasi sanguigni appari- vano privi di grasso. L’esame fatto di molti reni normali di coniglio fissati col metodo di Marchi mi aveva dimostrato che nelle cellule epite- liali anche della cortex corticis non si trovavano gocciole di grasso, oppure si trovavano molto raramente poche gocciole iso- late (2). Da ciò mi era venuta l’idea di provare che cosa av- venisse dell'epitelio renale del coniglio, quando avessi inne- stato un pezzo di rene nella cavità addominale, o sotto la cute di un altro coniglio o di una cavia, e trovai che estraendo il rene dopo tre o quattro giorni e fissandolo col metodo di Marchi, si trova che l’epitelio dei canalicoli all'estrema periferia presenta spesso un deposito di finissime granulazioni per lo più limitato alla parete esterna (3). (1) von Hansemann, “ Virchow's Archiv ,, 1897, Bd. 148, S. 355. Ueber die Fettinfiltration der Nierenepithelien. (2) V. D' A. Crsaris-DemeL, De la rapide apparition de la graisse dans les infarctus renaux, * Archives Italiennes de Biologie ,, tom. XXIV, fase. III, 1895, Turin. (3) Ai primi di ottobre del 1903 io ho presentato i risultati di queste mie vecchie ricerche sperimentali, fin allora inedite, al Congresso dei Patologi Italiani in Firenze, i cui atti sono stati pubblicati in un numero apposito dello “ Sperimentale , a Firenze, nel dicembre 1903, anno LVI, CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELL'INFILTRAZIONE ADIPOSA 71 Le gocciole non sono tutte di uguale grandezza, e il reperto ricorda un poco quello suddescritto nei reni da diabete pan- creatico. Il fatto, però, è anche più evidente e più completo, perchè comprende tutta la sezione del canalicolo, e non come nel caso precedente la sola parte periferica, quando si abbia fatto la le- gatura di un ramo dell’arteria emulgente, provocando così la formazione di un infarto, e lo si esamini dopo tre o quattro giorni. Questo per quanto concerne l’epitelio della cortex-corticis, perchè, appena un po’ più sotto, l’epitelio di tutti i canalicoli non presenta alcun deposito di gocciole adipose. Ma coll’intro- duzione assettica di frammenti di rene di coniglio o di cavia, rivestito della sua capsula, nella cavità addominale di una cavia o di un coniglio normale, si ricava un altro inatteso risultato. Il pezzo introdotto può ritrovarsi dopo quattro giorni ancora libero nella piccola pelvi, o lassamente aderente ad un’ansa intestinale, oppure avviluppato nell’omento, e nessuna infiltrazione di ele- menti si compie negli interstizi dell'organo. Fissato nel liquido di Marchi, e poi tagliato dopo indura- mento nell’alcool e colorati i tagli colla ematossilina, si osserva sempre che lungo la rete vascolare e lo scarso connettivo che l’accompagna situato fra i canalicoli della sostanza corticale, si accumulano grosse e piccole goccie di grasso, rispettando l’epitelio dei canalicoli corrispondenti (Fig. I). È una vera infiltrazione inter- stiziale adiposa, la quale però non oltrepassa di solito lo strato più corticale nella parte esterna dell’organo. Invece dalle papille lungo i vasi tra i canalicoli collettori, salgono del pari delle goccie adipose, e arrivano fino quasi al confine colla sostanza corticale. Spesso innestando un frammento sottile di rene della lunghezza di un centimetro e dello spessore di 2-3 mm. si ottiene fasc. VI, pag. 803. Pochi giorni prima, al Congresso dei Patologi Tedeschi, il Prof. Ribbert comunicava di aver fatto esperimenti, identici a quelli che furono da me indipendentemente eseguiti, traendone quasi identiche con- clusioni. Gli Atti del Congresso dei Patologi Tedeschi a Cassel, furono pub- blicati più tardi nel 1904, e solo allora io ne ebbi cognizione. Le stesse considerazioni valgono rispetto ad alcune ricerche sperimentali quasi iden- tiche alle mie, fatte da A. Dietrich e pubblicate nel vol. V, fasc. I, 1904 dei lavori del laboratorio di v. Baumgarten (Wandlungen der lehre von den fettigen Degeneration). Ta PIO FOÀ che la parte corticale sia infiltrata, più i due margini esterni del pezzo e un po anche la parte che riguarda l’ilo, mentre nello spessore, ossia nella parte media del pezzo innestato non vi ha alcuna penetrazione di grasso. Si direbbe che il pezzo è rimasto avvolto in un'atmosfera adiposa, la quale non lo ha impregnato tutto intero ma solo la corteccia e le due estremità, non oltre- passando questo limite neppure se il pezzo viene lasciato nel- l'addome anche per 15 giorni. Le goccie di grasso si accumu- lavano nelle cellule connettive e negli endoteli dei capillari frapposti ai canalicoli e il di cul epitelio poteva ancora essere discretamente conservato così da permettere la colorazione dei nuclei, come mi risulta da un preparato di sezione frontale di un rene di cavia levato dopo 15 giorni dall’addome di un’altra cavia dove era stato introdotto, e poi fissato nel liquido di Flemming. L'’infiltrazione grassa non oltrepassa la parte cor- ticale periferica salvo ove decorrono dei rami arteriosi inter- canalicolari, che sono accompagnati dall’infiltrazione per un più lungo tratto verso la’ sostanza midollare. Era evidente per la sede e per la forma del deposito a goccie di ogni grandezza, che sì trattava di una infiltrazione di grasso venuto dall'ambiente, e non gia della trasformazione in grasso del protoplasma stesso degli elementi; ma a rendere anche più sicura l’interpretazione del fatto ho eseguito degli altri esperimenti consistenti a introdurre nell’addome di una cavia dei frammenti di un dato rene, parte liberi e parte rinchiusi ermeticamente in tubetti di celloidina (1). Riestraendo i pezzi dopo alcuni giorni, si vedeva che il rene introdotto libero nella cavità addominale presentava il solito reperto della parziale infiltrazione grassa corticale o periferica; invece, il rene che era stato rinchiuso nel tubetto di celloidina aveva subìto anch’esso la mortificazione del protoplasma epite- liale, ma non presentava alcuna traccia di infiltrazione adiposa, perchè evidentemente la parete del tubo, se era permeabile per il siero peritoneale, non lo era, però, per il grasso in esso con- tenuto. Sotto l’azione del succo peritoneale o dei fermenti che esso contiene, aveva luogo la progressiva dissoluzione degli ele- (1) Vedi Dierrica, l. cit. (Wandlungen der Lehre u. s. w.). CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELL'INFILTRAZIONE ADIPOSA 73 menti parenchimatosi, senza alcuna conversione degli albuminoidi in grasso; questo proveniva dal di fuori, ed è solo nei casi in cui il tubo di celloidina non fosse ben chiuso, che anche il pez- zetto di rene in esso introdotto poteva presentare del grasso, ma il modo in cui questo si distribuisce in tali casi, rivela già di per sè la sua provenienza. Infatti, un pezzettino di rene venne introdotto in un tubetto di celloidina in modo che la parte cor- ticale del rene posasse sul cul di sacco del tubetto, mentre la sostanza midollare era rivolta all’orificio che non era stato ben chiuso. Esaminato il pezzo dopo alcuni giorni si è osservato che la parte corticale la quale posava sul fondo del tubetto non pre- sentava alcuna infiltrazione grassa ed era caduta in mortificazione, mentre la parte midollare aveva ricevuto dal pertugio rimasto nel tubetto il grasso che penetrò lungo il connettivo e lungo i vasi interposti ai canalicoli collettori e si depose su tutta la papilla (Fig. V). L’infiltrazione grassa del pezzo innestato ha luogo assai presto, e il fenomeno non guadagna in estensione lasciando il pezzo più a lungo nell’addome, perchè dopo la prima invasione non ha più luogo altra penetrazione di grasso. Dopo questi primi risultati ho ripetuto gli esperimenti con altri organi e precisamente con fegato (Fig. Il), cuore e milza, ecc., e ottenni sempre gli stessi effetti. Il fegato presentava una ricca infiltrazione grassa interstiziale nelle parti periferiche, mentre erano risparmiate dal grasso le cellule epatiche stesse; altret- tanto avveniva nel cuore in cui era evidente l’infiltrazione nel connettivo e nelle pareti dei capillari tra le file di cellule mu- scolari, le quali non presentavano grasso di sorta. Gli effetti erano presso a poco uguali, sia che il pezzo fosse innestato sotto la cute o nella cavità addominale: in taluni casi l’innesto sotto- cutaneo sembrava fornisse una infiltrazione più abbondante. I pezzi di controllo rinchiusi in tubetti di celloidina hanno dato sempre lo stesso risultato: cioè la necrosi del tessuto senza alcun intervento del grasso. Avendo tenuto dei pezzi di organi freschi raccolti assetticamente nella soluzione fisiologica di NaCl, in ter- mostato per 24-48 ore, ho veduto io pure la quantità di finissime gocciole adipose che si mettono in evidenza negli elementi pa- 74 PIO FOÀ renchimatosi (1), ma questo fenomeno evidentemente non ha nulla a che fare coi risultati da me ottenuti. Dopo questa serie d’esperimenti ho ricercato se si sarebbero ottenuti gli stessi risultati, alterando prima in qualche modo gli organi che volevo poi introdurre nel cavo peritoneale o sotto- cute di altri animali. A tale scopo, ho prodotto nel rene un infarto necrotico colla legatura di un ramo dell’arteria emulgente, e dopo tre giorni l'ho fissato col metodo di Marchi. Ho potuto confermare ciò che fu già descritto da Israel; e più di recente da Fischler (“ Centralblatt f. Path. Anat. ,, u. s. w., 1902, S. 417), che la parte morta non presenta traccia di grasso, il quale invece si trova tutto intorno nelle parti limitrofe, ove si ha un disturbo della circolazione, ma gli elementi non sono an- cora mortificati, e nel parenchima non compreso nell’infarto non vi è traccia alcuna d'’infiltrazione grassa. Allora ho innestato nell’addome e sotto cute di un coniglio un frammento dell’infarto renale comprendendovi un tratto del parenchima normale circo- stante, e dopo tre giorni estratto il frammento innestato e trat- tato al solito modo ho trovato che il contenuto in grasso e la distribuzione dello stesso nell’area dell'infarto non era sensibil- mente modificata; invece, il parenchima circostante aveva subìto quella solita infiltrazione grassa che si ottiene coll’innesto di frammenti d’organi normali. Ho già notato più sopra che nel territorio dell’infarto si scorge l'accumulo di numerose fittissime goccioline adipose negli epiteli della cortex-corticis; ebbene anche questi non mutano d'aspetto anche dopo tre giorni d’introduzione del pezzo nella cavità addominale (Fig. III, IV). Avendo da mie precedenti ricerche ottenuta la produzione di una tipica circoscritta infiammazione interstiziale del rene di coniglio, introducendo in esso direttamente per infizione il ha- cillo di Friedlinder (2), ho ripetuto con sempre uguale risultato (1) Hauser G., “ Arch. f. exper. Pathol. ,, Bd. XX, p. 162. V. Korsows&y, “ Archives des Sciences biologiques publiées par l’Institut Impérial de Méde- cine expérimentale à St-Pétersbourg ,, 1902. — A. DrerRIcH, Die an aseptisch aufbewahrten Organen auftretenden morfologischen vertinderungen in ihren Beziehungen zur Antolise. * Verh. d. deutsch. path. Gesellsch. ,, VI Tagung. Kassel, 1903. (2) Vedi: Pro Foà, Sulla infiammazione interstiziale, “ Atti della R. Ac- cademia delle Scienze di Torino ,, 1896-97. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELL'INFILTRAZIONE ADIPOSA 75 gli antichi miei esperimenti e ottenni dopo tre o quattro giorni la presenza di un focolaio flogistico. Allora ho introdotto il fram- mento di rene contenente l’area flogistica nella cavità addomi- nale di altro coniglio, e dopo il solito trattamento, ho veduto che l’area flogistica presentava molte e minute goccie d’infiltra- zione nelle cellule dell’essudato, ma tutto intorno si trovava una abbondante infiltrazione di grasso, il quale non si era fermato alla corteccia, come nei frammenti di rene normale, ma si era copiosamente diffuso per tutto l'organo accumulandosi negli en- doteli vasali e nelle cellule del connettivo interstiziale. A queste due ho aggiunto altre esperienze, sempre nell’idea di modificare l'organo così da variare eventualmente il risultato che si ottiene dalla rispettiva introduzione nel cavo addominale. In un coniglio ho legato temporaneamente per un'ora e mezza l’arteria emulgente, e poi, slegata l’arteria, ho chiuso la ferita, ed estirpai il rene dopo 10-12 ore. L'esame dell'organo estirpato, fatto col solito metodo, non mi ha rivelato la presenza di grasso, e l'esame dello stesso organo dopo che un frammento era stato introdotto per quattro giorni nella cavità addominale ha dimo- strato la solita infiltrazione grassa corticale senza alcuna appa- rente differenza dal rene normale. Parimenti ho cercato di alterare il parenchima renale, con alcune iniezioni endovenose di 0,1 gr. di bicarbonato di potassio, e ottenni solo uno stato debolissimo di irritazione rilevato dalla presenza dopo tre-quattro giorni di qualche figura cariocinetica nell’epitelio dei canalicoli contorti. I frammenti di questi reni introdotti nella cavità addominale ed esaminati dopo tre giorni col solito metodo non mi hanno dato risultati sensibilmente diversi da quelli ottenuti col rene normale. Finalmente ho introdotto sotto cute o nella cavità addomi- nale dei frammenti di coaguli freschi ottenuti dal sangue di animali normali, e dopo il solito trattamento ebbi ad osservare solo la presenza di qualche rara gocciola nei pochi leucociti im- pigliati nel coagulo. Volendo ora dal complesso delle osservazioni trarre qualche conclusione, apparisce evidente che si tratti di fenomeni di pura infiltrazione adiposa i quali non avvengono in quelle parti in cui gli elementi sieno completamente mortificati. Il deposito ha luogo quasi esclusivamente nei connettivi e negli endoteli vasali, pro- 76 PIO FOÀ babilmente perchè la vitalità di questi ultimi è superiore a quella dei rispettivi elementi parenchimatosi, i quali presto cadono in necrosi. Forse è dovuto ad una maggiore vitalità dell’ epitelio nella cortex-corticis del rene, il fatto che esso è il solo elemento parenchimatoso che presentasse talvolta una infiltrazione adiposa nei nostri esperimenti. L'introduzione nell'organismo di un pezzo morto, come è l'infarto necrotico del rene, non attrae il grasso, il quale, invece, infiltra il vicino parenchima ancora vivente; così intorno ad un focolaio flogistico le alterazioni circolatorie possono favorire in più larga estensione l’infiltrazione adiposa. Trattasi forse di un fenomeno vitale di attrazione del grasso da parte degli elementi connettivi ed endoteliali? Trattasi di un fenomeno che analoga- mente ad altri consimili si potrebbe denominare: adipotassi? 0 basterebbe affermare che in elementi i quali per l’ambiente in cui furono collocati ebbero a trovarsi in istato di minore vita- lità, mutano così le condizioni fisiche da agevolare in essi la penetrazione del grasso? Oppure devesi ammettere che sieno penetrati nel pezzo innestato i componenti dell'adipe neutro, i quali furono per sintesi congiunti da un fermento nelle cellule connettive ed endoteliali tutt'ora viventi? (RisBerT, “ Verhand. der Deutschen Pathol. Gesellschaft ,, Sechste Tagung, 1903. — Hacrmrrster F.. Beitrag cur Kenntnis des Fettdegeneration, “ Virchow's Arch. ,, Bd. 172, 1903, S. 331. — Hrester, Fett- spaltung und Fettauftan im Gewebe, “ Virchow's Archiv ,, Bd. 164, pag. 293). Le idee prevalenti sulla origine della polisarcia, che è un fenomeno di generale infiltrazione grassa dei connettivi e che si attribuisce a minore vitalità degli elementi, avrebbero esse trovato una conferma nelle parziali esperienze d'’ infiltrazione grassa, che ho più sopra descritto? Ritornando ai reperti anatomici riguardanti i trombi, le pareti vascolari e lo stato di alcuni organi, mi sembra evidente che il grasso ritrovato fosse in essi penetrato dal di fuori. In verità nei trombi trovati in caso di assorbimento di essudati, o di materiale proveniente da cancri ulcerati, sembra potersi am- mettere che gli elementi forniti di grasso possano essere stati come tali trasportati nel sangue, ma ove sì trovasse in un trombo del sangue contenente grasso e degli endoteli staccati non an- cora mortificati, è lecito ammettere che in questi possa essere CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELI INFILTRAZIONE ADIPOSA 77 penetrato il grasso libero circostante nello stesso modo che av- viene negli endoteli vasali dei pezzi introdotti sotto cute o nel- l'addome, o come avvenne negli elementi connettivi della parete vascolare nel caso suddescritto di trombosi dell’arteria omerale in un soggetto canceroso. Il coagulo innestato non poteva dare risultato positivo, perchè i pochi elementi che contiene sono già morti, e non vi erano endoteli ancora viventi, mescolati al sangue che fu estratto per salasso dall’animale vivente. Se circostanze morbose diminuiscono la vitalità degli ele- menti parenchimatosi senza ucciderli, è lecito supporre che anche in essi possa più facilmente penetrare dal di fuori il grasso o i suoi componenti, come sembra potersi interpretare nel caso suddescritto di infiltrazione grassa negli epiteli renali di diabe- tici, limitati allo strato più periferico del protoplasma e pre- sentantesi come un accumulo di gocciole di varia grossezza simile nell'aspetto a quello che si ottiene negli epiteli della cortex- corticis per introduzione di un frammento di rene nella cavità addominale o sotto la cute di un animale. Queste ricerche non possono avere la pretesa di decidere la questione generale se la così detta degenerazione grassa non sia essa pure che una semplice infiltrazione (1); esse rivelano solo alcune circostanze le quali favoriscono il depositarsi del grasso in taluni elementi cellulari, ossia, per usare un’opportuna espressione di Ribbert, circostanze che favoriscono una patolo- gica deposizione di grasso in alcuni tessuti. (1) La bibliografia ricchissima di questa particolare questione, si può trovare facilmente in molte opere recenti. Segnalo fra i lavori italiani quelli del Dott. Ernesto Cavazza, “ Policlinico ,, vol. TX, 1902 (del Laboratorio del Prof. A. Brenam1), e quello del Dott. Traina, Uedber das Verhalten des Fettes u. s. w., © Ziegler's Beitràge ,, Bd. 35, 1904. Vedi anche A. DierRICH, l. c., pag. 9; Herxnrimer G., Ueder Fettinfiltration und Degeneration, © Lub. Oestert. Ergebn. d. Allg. Path. ,, VIII Jahrg., 1902. Wiesbaden, 1904. 78 PIO FOÀ — CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA, ECC. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fis. I — Rene di cavia dopo 4 giorni di permanenza nella cavità addo- minale della cavia (infiltrazione intercanalicolare). II. — Fegato di cavia dopo 8 giorni di permanenza nella cavità addo- minale della cavia. III. — a) Infarto necrotico da legatura di un ramo dell’arteria renale, dopo 3 giorni - d) parenchima renale limitrofo all’infarto. IV. — Il rene precedente dopo 4 giorni di permanenza nella cavità addominale di una cavia. a) Parte necrotica immutata - 5) Parte normale colla infiltrazione grassa come nella figura I. V. — Rene di cavia introdotto nella cavità addominale di una cavia entro un tubetto di celloidina non perfettamente chiuso. a) Parte del rene verso il fondo del tubetto in istato di mortificazione completa e senza grasso - 5) Papilla del rene rivolta verso l’a- pertura accidentale del tubetto, in cui è penetrato il grasso. VI. — Assorbimento di grasso contenuto nel trombo «) tra la tonaca media e la intima (0) dell’arteria omerale. L’Accademico Segretario LoRrENZO CAMERANO. Tk -r—_m ATI TRITSo ——_——_'—_——— vr’ ’—————__ —6m@ò© FOÀ -Infiltrazione adiposa. Atti R.Accad.delle Se. di Torino-VoA. 40 Fig. (ad ISO Fig.d < Fig: 6 È FI si fo sé 3 . si v TL ip) da A 4 Lit.Salussolia, Torino 79 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 27 Novembre 1904. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: BoseLLi, Vice-Presidente dell’Acca- demia, FerRERO, Direttore della Classe, Rossi, Manno, GRAF, CipoLLa, CaruTTI, Pizzi, SAvio, DE SANCTIS, Rurrini e RENIER Segretario. — Scusano l’assenza i Soci Brusa, ALLIEVO e CHTRONI. Il Presidente saluta i Soci ed augura loro felice l’anno accademico. Quindi il Segretario dà lettura dell’atto verbale dell'adunanza 26 giugno 1904, che è approvato. Sono fatte dal Presidente le seguenti comunicazioni: 1° dei telegrammi inviati ai Sovrani ed alla Regina Madre in occasione della nascita del Principe di Piemonte e delle risposte avute; 2° della lettera del Ministero dell’ Istruzione pubblica dell'Impero Germanico, accompagnante il dono d’una targhetta in bronzo coniata pel secondo centenario di fondazione dell’Ac- cademia delle scienze di Berlino; 8° delle lettere con cui i signori Alessandro BauDI DI Vesme e Carlo FraTI accettano di far parte della Commissione per la riproduzione fototipica del Messale osselli. A proposito di questa riproduzione, il Socio CrpoLLa rende corto di quanto la Commissione ha fatto sino ad oggi e pre- senta due facciate del manoscritto, riprodotte accuratamente dall'ing. Molfese. 80 Il Presidente partecipa con parole di rimpianto i decessi dei due Soci stranieri prof. Otto von BòHnTLINGK dell’Università di Lipsia ed Enrico WALLON, segretario perpetuo, nell'Istituto di Francia, dell’ “ Académie des inscriptions et belles lettres ,. Comunica pure d'aver appreso recentemente dai giornali la morte del Socio corrispondente Luigi PALMA DI CESNOLA. Il Direttore della Classe Socio FeRRERO fa omaggio d’un volume del Socio corrispondente Don Manuel R. BERLANGA, Catalogo del Museo de los excellentisimos Seniores Marqueses de Casa Loring, Malaga, 1904, rilevandone il valore per le ricerche archeologiche. Il Socio Prizzi presenta con parole d’encomio il Saggio di versione metrica dal Mahabharata di Attilio Levi, Torino, 1904. Dalla Presidenza sono presentati l'opuscolo del Socio cor- rispondente G. DaLLa Vepova, La Società geografica italiana e l’opera sua nel secolo XIX, Roma, 1904 ed il suntuoso volume di Annali bibliografici delle edizioni Barbèra, Firenze, 1904, man- dato in omaggio all'Accademia da quella benemerita Casa in occasione del cinquantesimo anniversario della sua fondazione. Per la inserzione nelle Memorie il Socio GRrAF presenta uno scritto del Socio corrispondente Wendelin FoersTER, Sulla qui- stione dell’autenticità dei codici d’ Arborea. Il Presidente designa a riferirne in una prossima adunanza i Soci GRAF e CIPOLLA. Sono presentate per gli Atti: 1° dal Socio DE Sanctis la sua commemorazione di Teo- doro MomwmsEN; 2° dal Socio RenIER lo scritto del Socio corrispondente Giuseppe Brapeco, Una falsa iscrizione intorno all’anfiteatro di Verona ; 3° pure dal Socio RenieR una nota del Dr. Bernardo SANVISENTI, Un giudizio nuovo su Cristoval de Castillejo ne’ suoi rapporti coll’italianismo spagnuolo. ee e ne aa ani 81 LETTURE TEODORO MOMMSEN Commemorazione letta dal Socio GAETANO DE SANCTIS. “Il maestro è l’uomo. In null’altro si manifestano più net- tamente le buone e cattive caratteristiche della personalità scien- tifica di uno che nella sua efficacia sugli scolari ,. Così serive con ragione Otto Seeck. Per questo, dopo aver discorso altrove della vita e dell’opera scientifica di Teodoro Mommsen (1), non sarà discaro ai colleghi se, invece di ripetermi o di andare in traccia di aneddoti più o meno autentici e più o meno interes- santi sull’illustre storico di Roma, mi contenterò in questa breve commemorazione di dar notizia dell’opera di lui come inse- gnante (2). Il Mommsen cominciò il suo insegnamento universitario nel 1848 a Lipsia come professore straordinario di diritto romano. Destituito per ragioni politiche, accettò di buon grado nel 1852 un invito ad insegnare nella facoltà giuridica di Zurigo. EÉ qui rimase egli alcuni anni, insegnando e scrivendo nella libera Svizzera la storia dell’antica libertà romana. Tornò in Germania aderendo nel 1854 ad un invito della facoltà giuridica di Breslavia. Dopo pochi anni si stabilì a Berlino prima semplicemente come membro dell’Accademia delle scienze, per meglio attendere alla direzione della raccolta delle iscrizioni latine a lui affidate dal- l'Accademia, ma poco dopo anche come titolare della cattedra di storia antica nella facoltà filosofica di quella università: cat- tedra che oggi, dopo il compianto Ulrico Ké6hler, occupa nuo- (1) £ Riv. di Filologia ,, XXXII (1904), p. 207 segg. (2) Pel rimanente ricorderò soltanto che nacque a Garding (Schleswig) il 30 novembre 1817 e morì il 1° novembre 1903 e che della nostra Acca- demia fece parte in qualità di Socio straniero della Classe di scienze mo- rali, storiche e filologiche dal 3 gennaio 1861. Atti della R. Accademia — Vol. XXXIX. 6 82 GAETANO DE SANCTIS vamente uno dei maggiori tra i viventi storici dell’antichità, Edoardo Meyer. Il Mommsen come insegnante è stato giudicato varia- mente (1). Non aveva un gesto misurato ed elegante; la sua voce era chiara, ma acuta e sottile. Aveva gli occhi vivi e pe- netranti, la fronte spaziosa, il volto mobile ed arguto. Chiunque l’ha visto o chi ha visto anche soltanto il busto parlante che di lui scolpì il Lobach (2) sa che il suo non era aspetto di uomo volgare: ma certo non era neppure un aspetto molto regolare e simpatico: nè la sua voce sottile conosceva le inflessioni che cercano il cuore dell’uditore. Veniva egli sempre accuratamente preparato alle lezioni e fornito di quegli appunti che i professori esitano a sciorinare soltanto in quelle università dove, più che gli uomini di studio, sono apprezzati i virtuosi della chiacchiera. Ma non aveva troppo facile la parola nè troppo felice la me- moria in fatto di nomi e di date; e più che del periodo rotondo si curava della espressione esatta del pensiero. Onde non gli faceva difficoltà di riprendersi se questo gli pareva men bene espresso, cercando innanzi agli scolari una espressione più pre- cisa, nè di consultare i suoi appunti per fornire una data esatta al posto di un’approssimazione suggeritagli dalla memoria. Le sue lezioni al pari de’ suoi scritti erano limpide e prive affatto di quella oscurità che agli occhi degl’ignoranti passa per profondità. Pochi che hanno scritto sistematicamente di diritto son riusciti così chiari come il Mommsen nel Diritto pubblico romano e nel Diritto penale. La natura però non gli aveva fornito doti di brillante conferenziere, e, non avendo avuto la tentazione di tenere conferenze in luogo di lezioni, ha potuto appunto perciò essere un insegnante universitario efficace: efficace, s’ intende, non per i curiosi e i dilettanti, che cercano un po’ di coltura generale da spacciare nelle conversazioni, nei giornali quotidiani o nei libri per gli editori popolari. Il Mommsen non sapeva (1) Le notizie di fatto sono attinte in massima parte agli scritti di due scolari del Mommsen, Fritz Jonas, “ Deutsche Rundschau ,, 98 (1897), p.399 segg., e Otto Seeck, ibid. 118 (1904), p. 75 segg. (2) Riprodotto nei “ Beitrige zur alten Geschichte ,, IV (1904), p.I e VI. Ivi è anche un'eccellente riproduzione d’una riuscitissima statuetta dello stesso scultore rappresentante il Mommsen che legge. TEODORO MOMMSEN - COMMEMORAZIONE 83 scendere al livello di questo genere di pubblico, perchè credeva che il fine dell’insegnamento universitario fosse più alto; e quindi le sue aule non erano frequentate da quella folla che ingombra spesso le aule dei professori che dell'ufficio loro hanno un con- cetto meno elevato e meno severo. Ed era anche troppo severo il Mommsen per concedere qualche cosa alla preparazione man- chevole della scuola secondaria. Le sue lezioni erano per gli scolari quali debbono essere, non quali spesso sono nella realtà; e così i mediocri le disertavano non di rado andando in traccia di pane meglio adatto pei loro denti. Ma gl’intelligenti e gli studiosi rimanevano e provavano pel maestro una venerazione. quasi religiosa. Questo sentimento non è sempre favorevole allo stabilirsi tra maestri e scolari di quella confidenza che è indispensabile allo scambio delle idee e però alla efficacia dell’insegnamento. Sia pure il professore uno scienziato di prim'ordine, se gli scolari si sentono, a torto o a ragione, distanti da lui, schiacciati dalla sua superiorità, l'insegnamento non può riuscire proficuo. Ma a ravvicinare il maestro a quegli scolari che intendevano occuparsi seriamente di studîì storici serviva al Mommsen il suo “ semi- nario ,. Il metodo che nelle esercitazioni del suo seminario ado- perava il Mommsen è suppergiù quello stesso che si usa in generale in Germania. Il giovane svolgeva per iscritto il tema scelto da lui stesso o assegnatogli dal maestro, nel caso che spontaneamente ne avesse fatto richiesta. La dissertazione ve- niva passata ad un altro studente che presentava pure per iscritto le proprie osservazioni in proposito. Il maestro si riservava un paio di giorni per esaminare gli scritti del disserente e dell’op- ponente. Poi nel seminario prendeva la parola egli stesso. Rias- sumeva la questione e discuteva le idee d’ambedue i giovani non senza una certa dose di causticità e non senza colpire con qualche frizzo i difetti e gli errori dei due lavori: e poi indicava quali conclusioni ricavava in proposito egli stesso dai dati delle fonti. Era libero del pari al disserente ed all’opponente ed a tutti gl’iscritti nel seminario di prendere la parola nella discus- sione. In queste discussioni il Mommsen era spietato soltanto quando giudicava gli errori o le mancanze dei lavori dovute a doca serietà o a poca coscienza. E vi erano scolari che, colpiti 84 GAETANO DE SANCTIS in pieno petto dalla sua severità di scienziato che perdona poco agli altri perchè perdona poco a sè, lasciavano senz'altro, dopo una di queste prove, il suo seminario. Ma quando non riscon- trava difetti di coscienza o di buona volontà, correggeva sì se- veramente e spesso sarcasticamente, ma non in modo da far disperare il paziente. Ciò a cui mirava era d’insegnare il rispetto alla verità ed alla scienza. Inesattezze di citazioni, manchevole esame delle fonti, sintesi avventate: tutto ciò il Mommsen col- piva inesorabilmente. E voleva che gli scolari imparassero a tener conto di qualsiasi minuzia risultante dalle fonti e si per- suadessero che lo storico non deve trascurar nulla e che le sintesi tentate senza serietà di preparazione e senza piena conoscenza del materiale non sono che ciarlatanerie. Lo scrittore tedesco da cui attingo queste notizie si rallegra che le esercitazioni pratiche dirette dai professori nei loro se- minarî siano in Germania libere da qualsiasi regolamento go- vernativo; cosicchè ad ogni professore è dato ordinarle secondo i propri criterî. In Italia purtroppo non è così. Abbiamo sì le scuole di magistero che corrispondono, sia pur lontanamente, ai semi- narî tedeschi. Ma le prescrizioni regolamentari inceppano la li- bera iniziativa dell’insegnante e, imponendo un indirizzo esclu- sivamente didattico, privano per tre quarti almeno quelle scuole della utilità che potrebbero avere ove l'indirizzo scientifico si contemperasse con quello didattico. Quindi l’azione che un pro- fessore, non entusiasta a dir vero dell’insegnamento, ma coscien- zioso com'era il Mommsen, poteva esercitare sul giovane nel suo seminario era di gran lunga superiore a quella che col massimo zelo può esercitarsi nella scuola di magistero. Ma non era soltanto il seminario che serviva a stabilire rap- porti amichevoli e a dar luogo a scambio d’ idee tra il Mommsen e i suoi studenti. I discepoli che frequentavano il seminario invi- tavano qualche volta il maestro a quei ritrovi gioviali comuni tra gli studenti germanici, in cui si alternano énter pocula coi motti allegri i discorsi più serî e il canto dei Lieder tedeschi. Il Mommsen non credeva menomare la sua dignità accet- tando gl’inviti, amava anzi questi ritrovi, e là, spogliata ogni pedanteria, faceva sfoggio della sua svariata coltura e della ori- ginalità de’ suoi giudizî. Or certo questo modo d’affratellarsi con gli studenti non è adatto ai costumi nostri, nè sarei io dav- TEODORO MOMMSEN - COMMEMORAZIONE 85 vero a raccomandarlo ai professori italiani. È però a dolere che parte il regolamento, parte il costume, parte le reciproche su- scettibilità rendano in Italia, almeno nelle facoltà filologiche, tanto raro un vero affiatamento tra professori e studenti e tanto difficile quindi al professore di formarsi una scuola. Un gran numero di scolari ha invece avuto il Mommsen, che hanno ap- preso dal maestro il rigore del metodo, l'esattezza e l’amore inconcusso della verità. E con essi il maestro è rimasto in rap- porti cordiali aiutandoli nei loro studî ed incoraggiandoli anche dopo usciti dall’ università e riscuotendo in cambio da loro af- fetto e devozione senza limiti. E così anche dopo la morte del- l'illustre Storico, l’opera sua, diretta al progresso della scienza, si perpetua non solo per l’efficacia che continueranno ad avere i suoi libri, ma anche per mezzo degli scolari, tedeschi e ita- liani, da lui addestrati al lavoro scientifico. 86 GIUSEPPE BIÀDEGO Una falsa iscrizione intorno all’ Anfiteatro di Verona. Nota di GIUSEPPE BIÀDEGO, socio corrispondente. Leandro Alberti, parlando di Verona, scrive: “ Ecci etiandio quivi il grand'Amphitheatro molto antico (da ’1 uolgo Harenna nominato) da L. V. Flaminio fabricato secondo una tavola di marmo ritrovata nella Chiesa di S. Fridiano di Lucca con tal’ in- scrittione: L. V. Flaminius Roman. Cons. ac Vniuersae Graeciae Domitor, Amphitheatrum Verone propriis Sumptibus Erexit Anno AB Vrbe Condita DIII , (1). Si noti che il libro dell’Al- berti vide la luce, la prima volta, nel 1550 e quindi in cotesto anno fu fatta conoscere al pubblico la detta iscrizione. La ri- pubblicò dieci anni dopo il Caroto (2). Ad essa accenna una deliberazione consigliare del 1568, relativa ai ristauri dell’An- fiteatro. “ Amphitheatrum nostrum quod Arena nuncupatur, spec- taculis et ludis publicis destinatum a Quinto Flaminio Romano Proconsule, ut ferunt, seu potius a Republica Veronensi conditum , (3). Già nel cinquecento la fede nella veridicità della scoperta co- minciava a vacillare. Dei molti che trattarono criticamente dell’ Anfiteatro vero- nese, parecchi mostrano di conoscerla: Scipione Maffei, che la chiama “ quella tanto scioccamente finta Inscrizione , (4); Ales- sandro Carli, che nota che fu sempre tenuta “ in conto di un’im- postura , (5); Bartolomeo Giuliari, che rileva che “ essa à tutti (1) L. ALsertI, Descrittione di tutta Italia. Bologna, MDL, c. 413r. (2) G. Caroro, De la antigità de Verona. Verona, MDLX, c. 33%. (3) Ant. Arch. Ver. Archivio del Comune. Atti dei Consigli, vol. MM, c. 195. Deliberazione 25 maggio 1568. (4) S. Maree, Degli anfiteatri e specialmente del Veronese, libri due. Ve- rona, 1728, p. 126. (5) A. CarLI, Dell’ Anfiteatro di Verona, ragionamento critico. Verona, 1785, 5 pag. 2. UNA FALSA ISCRIZIONE INTORNO ALL'ANFITEATRO DI VERONA 87 i caratteri della falsità , (1); Saverio Dalla Rosa, che non ne tien conto perchè “ da esperti critici è rifiutata e riconosciuta non legittima , (2). II Mommsen la relegò fra le false (3). Fa eccezione soltanto uno scrittore recente, che, dopo averla rife- rita, soggiunge: “ Se questa lapide esistesse veramente, non ci sarebbe più questione , (4), come se il solo fatto della sua esi- stenza potesse esser prova assoluta, indiscussa della sua ge- nuinità. Premesso questo, è interessante sapere come l’iscrizione luc- chese fosse nota molto tempo prima che l’Alberti la facesse pubblica. Il conte Lodovico Nogarola scriveva da Verona, il 15 feb- braio 1526, al marchese di Mantova Federigo Gonzaga questa lettera esistente nell'Archivio di Stato di Mantova e ch'io devo alla cortesia del direttore di quell’Archivio, Cav. Alessandro Luzio: Il]®e ac Invictissime Marchio ete. Se l’osservantia, et affetione, che universalmente io porto a tutta la Ill.» casa Gonzaga, et in particular a vostra Eccll.'i*, io havessi saputo in altra manera dimostrare, che con il darvi molestia con le mie mal acco- modate littere, certamente non l’haverei pretermissa, ma non essendomene di altra sovvenuto, a questa come più comune, e sicura, al presente sono ricorso, e certo non senza caggione, imperocchè nelli passati giorni ritro- vandomi in Mantova, alla tavola di vostra Eccll.'*, fui dimandato dal $S.° Costanzo chi fosse stato il Conditore dello Amphitheatro Veronese, io li dissi come da un frate canonico di Santo Agustino io haveva inteso, nella cità di Lucha nella chiesa di santo Frediano, ritrovarsi una tavola antica di pietra, nella quale di tal conditore si facea mentione, nomato L. Q. Fla- minio, vostra Eccll.'i* allhora dimandò, se fosse gran numero di parole che tal memoria esplicasse, io le risposi esser poche, per laqualcosa giunto a Verona, e sovvenutomi della dimanda di vostra Eccll.'*, mi è paruto di tal memoria farla partecipe, acciochè quella conosca, benchè in picciol cosa, la prontezza del animo mio a farli sempre cosa grata, vostra Eccll.'!* adunque accetterà l’infrascritta memoria con benegno animo, e degnerassi alcuna (1) B. GruLrari, Riflessioni intorno ad una lettera dell’ab. Giuseppe Ven- turi concernente l’ Anfiteatro di Verona. Verona, 1817, p. 25. (2) S. DaLca Rosa, Della origine dell'Anfiteatro di Verona. Verona, 1821, pag. 23. (3) Corpus, XI, 201. (4) G. Rocarr, Memoria storica dei principali spettacoli ch’ ebbero luogo nell’ Anfiteatro V Arena. Verona, 1873, p. 4. 88 GIUSEPPE BIADEGO fiata ricordarsi, come li sono servitor deditissimo, il quale per infinite volte se le raccomanda, et humilmente le bascia le mani. Da Verona alli xv di febraro MDXXVI. DIV: Times Servo deditissimo Ludovico Nogarola Conte. In civitate Lucensi in Eclesia divi Frediani L. Q. Flaminius roman. cons. ac universe Grecie domitor, Amphitheatrum Verone Sumptibus propriis a fundamentis erexit Anno ab Urbe Condita DIII Allo Ill.®° et Ecell.® Signor Federico Gonzaga marchese di Mantova Digni.®° et Patron mio singular."°. Il conte Lodovico Nogarola, il quale mostrava di prestar fede all'iscrizione lucchese, che fissava persino l’anno di fondazione dell'Anfiteatro di Verona, non era uomo volgare. Studiò a Bo- logna e a Padova sotto il Pomponazzi e il Bagolino. Avea fa- miliari, oltre le classiche, molte lingue moderne. Tradusse da Platone, da Plutarco e da altri; prese parte al Concilio di Trento, ove recitò un’orazione. Lasciò moltissimi scritti inediti (1). Lo- dovico Nogarola meriterebbe uno studio particolare. Un tenta- tivo fu fatto da Ettore Galli col suo opuscolo: Un cattolico imperialista del secolo XVI (2), nel quale però si limita a stu- diare alcuni versi di carattere politico religioso del Nogarola, grande ammiratore di Carlo V e poi di Filippo II, che per lui erano i veri ideali del principe. Ma bisognerebbe ricostruirne la vita e rintracciarne e studiarne tutti i lavori editi e inediti. Ettore Galli mette l’anno di nascita al 1507 appoggiandosi ad un sonetto del Nogarola del 1557, che ha questi due versi: Rivolto ha il sole il quinquagesimo anno D’onde ho cangiato il pel criso e costume. In altre parole, secondo l’interpretazione del Galli: ho cin- quant’anni, per cui ho cangiato pelo e costume. Io credo invece che l’interpretazione deva esser diversa, cioè: son passati i cin- (1) Marrei, Ver. IN. Milano, 1825, II, 311-17. (2) Pavia, 1877. UNA FALSA ISCRIZIONE INTORNO ALL'ANFITEATRO DI VERONA 89 quant’anni (e, par voglia dire, da un pezzo) e perciò ho cangiato pelo e costume. Ma lasciando da parte i due versi in questione, è sicuro che se il Galli avesse letto l’orazione funebre recitata da Valerio Palermo, nel 1559, in onore di Lodovico Nogarola, non avrebbe detto che questi nacque nel 1507. Il Palermo ricorda che il Nogarola adolescente si recò a studiare presso l'Ateneo Pado- vano; ma essendo sorto magnum et periculosum bellum inter Caesarem Venetosque, illi in patriam redire necesse fuit (1). IH Nogarola recossi a Padova quando tutto era quieto; ma subito dopo per la guerra tra Venezia e Massimiliano, quindi nel 1509, fu richiamato a casa. A due anni, per quanto precoce d’ingegno, il Nogarola non si sarà certo recato agli studì universitarî; per cui è evidente che la nascita bisogna portarla addietro di parecchi anni. Ma v'ha di più. Il Palermo, quando viene a parlare degli ultimi anni del Nogarola ha queste frasi: ingravescente aetate, aetatis iniuriam, senectutis cariem (2). Ora potevasi discorrere di età molesta, acciaccosa, di vecchiezza a 52 anni? Chè tanti ne avrebbe avuto il Nogarola alla sua morte, se fosse nato vera- mente nel 1507. Lodovico Nogarola nacque in fine del secolo decimoquinto. La famiglia abitava nella contrada di S. Zenone oratore. Un’ana- grafe del 1545 gli assegna 54 anni; 65, una del 1555; e 67, un'altra del 1557 (3). L'anno di nascita bisogna porlo quindi nel 1490 o nel 1491. Alla sua mocte, nel 1559, aveva 69 anni. Mi sono indugiato su questa particolarità della nascita, perchè essa ha riferimento alla lettera sopra pubblicata. Valerio Palermo narra che il Nogarola, compiuti gli studî (da Bologna, ristabilita la quiete della pace, erasi restituito alla Università di Padova), era tornato a Verona, ove gli amici e i suoi con- cittadini lo attendevano. “ Ibi (prosegue il lodatore) iam totum abdere se in studia cogitabat, cum e vestigio ab Hercule Gon- zaga Cardinale amplissimo, Mantuam arcessitus est, ut illius (1) [V. Parermo], Orationes duae simulque pastorale carmen quibus fu- nera trium fratrum Nogarolarum Comitum Veronensium deflentur. Venetiis, MDLXIIII, p. 21. Il discorso in lode di Lodovico è intitolato: Oratio in funere Ludovici Nogarolae convitis habita Veronae MDLIX. (2) V. Parermo, Orationes duae, ete., pp. 29 e 31. (3) Ant. Arch. Ver. Arch. del Comune. Anagrafi. San Zeno in Oratorio. 90 GIUSEPPE BIÀDEGO studiorum socius et adiutor esset. Apud hunc ita se magnifice gessit et-animi sui, tum magnitudinem, tum doctrinam declaravit, ut ex ijs omnibus muneribus, in quibus antistes ille eius opera est usus, egregiam semper laudem sit consecutus. Erat in omnes praecipua quadam humanitate praeditus a nullo honesti officii genere abhorrens; simplex eius animus, quique simulandi artem vehementer oderat; nec minus etiam beneficus et liberalis. Ex quo profecto illud audeo dicere, nihil ei defuisse, quod ad com- paranda hominum studia ac voluntates, desideratur , (1). Dalla lettera su riferita emerge chiaramente che nel 1526 il Nogarola o s'era appena staccato, 0, più probabilmente (quan- tunque scrivesse da Verona), era ancora a Mantova presso il cardinale Ercole Gonzaga; v'era, circondato da tanta stima, come apparisce dalle parole appositamente trascritte del Pa- lermo, che non è possibile supporre che non avesse ancora vent'anni, anche senza riflettere che difficilmente a diciannove anni poteva aver già compiuto gli studi universitarì. Nel 1526 il Nogarola aveva trentacinque anni; e non è ardita congettura il dire che da più anni trovavasi alla Corte dei Gonzaga. Uomo di acuto ingegno e di molta dottrina, era tutto de- dito alle speculazioni teologiche e filosofiche; ma non aveva inclinazione e forse nemmeno attitudini alla disamina storica, alla critica dei documenti, il cui studio iniziavasi appena allora. Il Nogarola era un discepolo, un erede della cultura, della dot- trina umanistica che aveva trionfato per tutto il quattrocento. L'iscrizione che si disse trovata nella chiesa di S. Frediano di Lucca, è certamente una falsificazione umanistica, come ce ne furono tante in quel secolo. A Verona son note le iscrizioni romane dei Bagni di Caldiero senza dubbio false e tra le false registrate dal Mommsen. L’antichità classica risorta dovea tutto spiegare e celebrare, e di tutto dar notizia; e quando i docu- menti facevano difetto, si fabbricavano con facilità. Com'era possibile non sapere quando fu eretto e da chi l’ Anfiteatro Ve- ronese, una così grandiosa e solenne testimonianza dell’antica civiltà italica? Francesco Corna da Soncino nella sua cronachetta e descri- zione di Verona, in ottava rima, compilata nel 1477 (come leg- (1) V. PaLerMO, Orationes duae, ete., pp. 22-23. UNA FALSA ISCRIZIONE INTORNO ALL'ANFITEATRO DI VERONA 91 gesi nell’ultima stanza), descrivendo largamente l’Anfiteatro, ha questi due versi: De questo non si trova l’architeto : chi ’1 fabricasse nè chi ’1 mandò ad effetto! E più innanzi, ritornando sull’origine del monumento e vo- lendo riferire le voci che correvano, e dire più chiaramente la sua opinione, ha queste tre stanze: Alchuni dice che un consol romano el qual era bandito de sua terra sì venne ad habitar in questo piano et tra ’1 monte e ’1 fiume fece serra; da poi per gran discordia che gli aviano se mosse li romani a fargli guerra: questi dice che havendo lui vinto sì li constrinse a far sto lambarinto. Questa cotal ragione a mi non pare haver de fede vera conclusione, ma inver più presto lo facesse fare el populo per sua comunione vogliando lor la sua patria exaltare de grande fama laude e conditione che gli era usanza quasi in ogni parte fare qualche edificio con grande arte. Se sto theatro fusse [stato] fabricato da uno solo homo per sua vigoria mai el suo nome non saria manchato de magnitudine o ver tirania perchè dimostraria che fusse stato homo famoso de gran signoria: el nome suo saria fra la gente per lui impreso sin al dì presente (1). Il Corna scarta la congettura del console romano, dell’uomo che solo, cioè coi soli suoi mezzi, avrebbe innalzato il grandioso (1) Fioretto delle antiche croniche de Verona et de tutti li soi confini: e de le reliquie che se trovano dentro in detta cittade. Venetia, Rusconi, 1515. Cito da questa stampa antica del Corna, l’unica che esista, in attesa del- l'edizione critica promessa, con altre cronache veronesi, da CarLo CipoLLa. 92 GIUSEPPE BIÀDEGO edificio; quest'uomo si sarebbe acquistata tanta fama che il suo nome sarebbe giunto sino a noi. Marin Sanuto nel suo Itinerario per la terra ferma veneziana, compiuto nel 1483, dove parla dell'Anfiteatro non accenna punto all'architetto e al tempo di sua fondazione; ma discorrendo più innanzi dell'Arco dei Gavi riferisce l'opinione che considerava il superbo monumento sepolcrale una porta dell’Arena; e poichè su questo monumento stava la nota iscrizione: Lucius Vitruvius L. L. F. Cerdo architectus, conclude: “ unde apar Lucio Vitruvio che scrise de architectura, fu veronese ed auctor celeberrimo, edificasse l'Arena et di quella fosse conditor , (1). Riferisco queste due testimonianze del Corna e del Sanuto per far notare che ancora nel 1477 e nel 1483, se si andava almanaccando intorno all’ Anfiteatro e alla sua origine, non si era per anco infiltrata la notizia di quel Flaminio, di cui parla l'iscrizione lucchese. Il che vuol dire che fino al 1483 l'iscri- zione non era ancora stata fabbricata, o almeno non era gene- ralmente nota. Fu compilata e diffusa solo in sulla fine del decimoquinto secolo; e nei primi del cinquecento correva per le mani delle persone colte che della sua autenticità non dubita- vano punto, finchè giunsero Leandro Alberti a darla fuori nel 1550, e il veronese Caroto a riprodurla nel 1560. Ma non vorrei affermare che il Caroto riproducendola vi prestasse intera fede. Subito dopo se ne comincia a dubitare, proprio in un do- cumento pubblico, qual'è la sovraccennata deliberazione Consi- gliare del 1568 (2). Verona, 31 ottobre 1904. (1) Marin Sanuro, Itinerario per la terra ferma veneziana nell’ anno MCCCCLXXXIII. Padova, 1847, pp. 99 e 101. (2) Apriano VarerIni nelle sue Bellezze di Verona (Verona, 1586) dice : “ L’Anfiteatro dal volgo detto l'Arena, tre anni innanzi l'avvenimento di Christo fabricato da Lelio Quinto Flaminio Romano, 0, come altri vogliono, dalla Republica Veronese , (pp 21-22). Il Valerini nel 1586 non credeva più che tanto a quel Lelio Q. Flaminio. Egli riferisce la notizia che l’Anfiteatro fu intagliato da Enea Vico da Parma che lo dedicò a Cosimo de’ Medici e riprodusse l’epigrafe in questione. Enea Vico nacque a Parma il 29 gen- naio 1523 e morì a Ferrara nell'agosto del 1567 (Arrò, Scritt. parmig., VI, 524-5). Sarebbe interessante vedere questa incisione, la quale (se recasse UNA FALSA ISCRIZIONE INTORNO ALL'ANFITEATRO DI VERONA 93 l’anno) potrebbe farci conoscere se la pubblicazione dell’epigrafe fatta dal- l’Alberti nel 1550 sia la prima in ordine di tempo. Aggiungo che Lorenzo ScHRADER (Monumentorum Italiae libri quattuor. Helmaestadii, 1592) reca a p. 334r con qualche variante l'iscrizione. La raccolta dello Schrader fu compilata dopo tre viaggi in Italia compiuti negli anni 1556, 1567 e 1591. L'iscrizione vien riprodotta non sotto Lucca ma sotto Verona; il che vuol dire che lo Schrader ignorava la provenienza e venne a cognizione di essa a Verona e probabilmente da qualche rac- colta epigrafica veronese. Aggiungo la notizia di due altre stampe possedute dalle RR. Gallerie di Firenze e indicatemi dalla cortesia di Corrado Ricci. L’una è incisa da B. Braner nel 1558. In essa leggesi la nota iscrizione così: L. Q. Flaminius Romanus Consul ac universae Graeciae domitor sumptibus propriis Amphi- theatrum Veronae erexit anno ab urbe condita DILI. A sinistra, su di una grossa pietra: M. Mantuae Benauldio P. I. Con. Iulius Fidelis P. H. A. G. declarabat MDLVIII. L'altra stampa, del 1560, è incisa dal Lafreri. Nella parte superiore di essa leggesi: Amphitheatri Veronen. diligens et accurata delineatio quod ludis publicis gladiatorio imuneri et ferarum venationib. exhibendis, Imp. Caes. Aug. suasu, post bella civili pace Po. Ro. terra marique parta, nobilissima colonia Verona, opere rustico, in foro boario extra Urb. moenia, aere publico collocavit. Unum omnium quae nobis antiquitas reliquit, Civium perpetua diligentia, et quantum humana ope praestari potuit, magis a temporum iniuria praeser- vatum. Anteriorem enim porticum partem, quam alam vocant, ingenti terremotu quassatain, anno salut. MCXVII corruisse annalibus veronensium proditum est. In una cartella in basso a destra: Romae, Anno MDLX Anton Lafrerij Se- quani formis ad genitium archetypum fidelissime expressa. Trascrivo, da ultimo, la descrizione della stampa di Enea Vico, quale si legge nel BarrscH, Le peintre graveur, vol. XV, p. 349, n° 419: “ Vue de l’amphitheatre de Rome (sic). Grand morceau composé de deux pièces jointes en largeur. On lit a la gauche d’en bas, sur une pierre: Al gran Cosimo de Medici. D. D. Enea Vico da Parma et intagliava. Sur une se- conde pierre, à coté de la première est ecrit: Lelius Quintus Flaminius — Senatus Venetiae in decennium ,. 94 BERNARDO SANVISENTI Un giudizio nuovo su Cristoval de Castillejo ne’ suoi rapporti coll’italianismo spagnuolo. Nota di BERNARDO SANVISENTI. Nel cinquecento la Spagna veniva cogliendo i più maturi e rigogliosi frutti d'un buon secolo di influsso italiano, pale- satosi non solo nella poesia, ma anche nella cultura. Dall’i- mitazione esteriore, dalla traduzione letterale di qualche più felice nostra espressione poetica, dalla quasi timida citazione delle opere italiane, si era giunti sul suolo iberico ad un’arte altrettanto spagnuola sostanzialmente, quanto formalmente così elevata e fine da poter gareggiare appunto col modello che aveva studiato (1). D'altra parte, tutto quanto da noi si deno- mina umanismo veniva pur sorgendo e vigoreggiando in Ispagna, dietro l'esempio, l’incitazione e l'efficacia dei cultori italiani dei classici studî. Di modo che se vi fu momento in cui più che mai l’Italia signoreggiasse lo spirito spagnuolo, questo accadde in quel torno di tempo; e come sin dall’ iniziarsi della nostra egemonia eran sòrti scrittori spagnuoli (2) che avversavano il predominio straniero per molte ragioni e artistiche e nazionali, così nella maggior potenza di essa non sarebbe stato strano l’aversi notato più robusti avversarî. Il comun consenso de’ cri- tici accennerebbe a Cristoforo Castillejo (3), come a colui che tale spirito d'opposizione incarnò meglio d’altri; onde quell’ap- passionato lirico ed insigne umorista avrebbe potuto seriamente influire sur una reazione all’italianismo, ove, per esempio, la sua (1) Pel primo sorgere dello studio della nostra poesia in Spagna v. i miei Influssi di Dante, del Petrarca e del Boccaccio nella lett. spagn. del 400. Milano, 1902. (2) V. Influssi cit., p. 83 e segg. (3) Nato in Ciudad Rodrigo il 1490 o 91, vissuto gran tempo a Vienna ed ivi morto il 1556. Cfr. WoLr, Cristébal de Castillejo's Lobspruch der Stadt Wien, in * Sitzungsberichte der K. Akad. der Wissenschaften ,, phil.- hist. Classe, Wien, 1849, p. 292, passim. UN GIUDIZIO NUOVO SU CRISTOVAL DE CASTILLEJO, ECC. 95 vita anzichè a Vienna, come accadde, si fosse svolta sul suolo stesso nativo. Io richiamando l’opera di questo spagnuolo spirito bizzarro ad un esame attento, voglio vedere se il giudizio ormai tradizionale su di lui, sia oggettivamente esatto. Tra le poesie del C., che ancor oggi si possono studiare dalle antiche stampe (1), v’ha quella intitolata o meglio diretta contra los que dexan los metros castellanos y siguen los ita- lianos (2), la cui originalità costituisce già di per sè una ragion sufficiente perchè essa fosse meglio nota di quel che non sia ai più, e più largamente accennata dagli studiosi di cose spagnuole. In essa adunque il poeta richiama l’attenzione del Santo Uffizio, così premuroso nel castigare qualsiasi setta nuova, sur una chie- suola di poeti castigliani, che si sono novellamente ribattezzati col nome di Petrarchisti, e che han renegado la fe de las trobas castellanas y tras las italianas se pierden diziendo que son mas ricas y galanas. Tanto delitto, finge quindi il C. di far giudicare a quattro grandi figure di scrittori spagnuoli: il de Mena, Jorge Manrique, il Cartagena, Bartolomé de Torres Naharro. Vanno, pertanto, il Boscan ed il Garcilasso, quali i migliori rappresentanti della nuova letteratura, innanzi a un tribunale di poeti presieduto da quelli or detti, ma composto, si comprende, dai più noti letterati del buon tempo antico; e meravigliano gli astanti colla loro apparenza di spagnuoli, ma col nuovissimo loro linguaggio, il quale anzichè parlare di canciones y villancicos romances y cosa tal arte mayor y real y pies quebrados y chicos y todo nuestro caudal (1) Las obras de Cristéval de Castillejo. Madrid, 1573; esemplare della Nazionale di Madrid, segnato R, 1485. (2) Ivi, p. 269 e segg. 96 BERNARDO SANVISENTI loda altamente sonetos de gran estima _ madrigales y canciones, : de differentes renglones octava y tercera rima y otras bravas invenciones. Ma v'ha di peggio, poichè finiscono col far comprendere: aquellos viejos autores no aver savido hazer buenos metros nì poner en estylo los amores; y que el metro castellano no tenia autoridad de dezir con magestad lo que se dize en Toscano con mayor felicidad. A sì audace insolenza par che i giudici contrappongano una calma esemplare; s'accontentano infatti di richiedere i due poeti di un saggio delle loro predilette novità; onde il Boscan risponde col seguente sonetto: Si las penas que days son verdaderas, como muy bien lo sabe el alma mia, é porque no me acaban? y seria sin ellas mi morir muy mas de veras; mas si por dicha son tan lisongeras, que quieren retogar con mi alegria, i dezid porque me matan cada dia, con muerte de dolor de mil maneras ? mostradme este secreto ya seîlora y sepa yo de vos pues por vos muero, si aquesto que padezeo es muerte 6 vida. porque siendome vos la matadora mayor gloria de pena ya no quiero que poder yo tener tal homicida. e Garcilasso con questa ottava: y ya que mis tormentos son forgados, aunque vienen sin fuerca consentidos, è pues que mayor alivio 4 mis cuydados, que ser por vuestra causa padecidos? UN GIUDIZIO NUOVO SU CRISTOVAL DE CASTILLEJO, ECC. 97 sì como son por vos bien empleados, de vos fuessen sefiora conocidos, la mas crecida angustia de mi pena seria de descanso y gloria ]lena. Come è prevedibile, i vecchi giudici dànno dell’arte nuova un poco lieto giudizio; Juan de Mena sorride all’ottava: onze sylabas por pie (buon uomo!) le aveva usate anche lui da molto tempo ; il Man- rique accusa le strofe di ridondanza, poche idee e molte parole, ei dice, e sì che la brevità è dote del castigliano; Garci San- chez s'adira addirittura contro i novatori e dice d’essere ben superiore al Petrarca; il Cartagena giudica le strofe nuove ma- linconiche e nemiche di piacere; il Naharro le trova pesanti, sebbene egli stesso le avrebbe scritte con gran facilità, ove lo avesse creduto opportuno. Ma, in conclusione, si approva la buona intenzione dei novatori e per onorarla un trovatore co m- pone un sonetto in cui dice: musas italianas y latinas gentes en estas partes tan extraîa, é dezid como venistes à Espana, tan nuevas y hermosas clavellinas? é6 quien os ha traydo & ser vezinas del Tajo y de sus montes y campaîia ? 6 quien es el que os guia y acompaîia de tierras tan agenas peregrinas ? Don Diego de Mendoga y Garcilasso nos traxeron y Boscan, Luis de Haro por orden y favor del dios Apolo; los dos lleno muerte passo a passo el otro Solyman; y por amparo solo queda Don Diego y basta solo (1). E ovvio l’osservare anzitutto in questa composizione il tono apertamente burlesco, che la informa; non dico satirico, chè per (1) Di Luis de Haro non si hanno notizie ; v. Firzmavrice KeLLY, History of sp. lit. London, 1893, p. 152; ma pensando alla data di morte degli altri due s’avrebbe il ferminus a quo per la datazione della poesia al di qua del 1542. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 7 GR - BERNARDO SANVISENTI esso sarebbero occorse ben altre punte e, per di più, una soste- nuta stringatezza ed una forza di concetti, di cui invece si nota assoluta mancanza. La strofe scorre via facile, sin troppo, anzi ostentatamente trasandata, ed il ridicolo scaturisce più dalle situazioni prese nel loro complesso, che dal vero e proprio con- tenuto. Non muove, in fatti, a riso lo scorgere uomini della gravità d’un de Mena, della altezza d’un Torres Naharro, ca- varsela quasi con una pietosa crollatina di spalle, nel giudicare le profonde novità ed il genio poetico del Garcilasso e del Boscan? E come si spiegherebbe, altramente che per burla, quel principio della poesia, in cui si invoca l’ Inquisizione, proprio dal C. che ne dovette conoscere per prova gli artigli (1)? Io credo che quando noi partiamo dalla forma di questo componimento e diamo ad essa un giusto valore, ci poniam sulla via maestra per giudicarlo e per esso giungere a nuova sentenza sull’autore. Poichè, come già dicemmo, ai critici, che per l'appunto si fon- dano precipuamente sulla poesia testè esaminata, parve di rav- visare nel C. un pugnace avversario dell’italianismo; cosicchè dal parere, come al solito, equo e lucido del vecchio Wolf (2), a quello che par colga meglio nel vero del recentissimo Beer (3), alla opinione del Ticknor (4), alla brillante critica del Fitz- maurice (5), non vediamo passare troppo sostanzial differenza, se pur non si voglia dare gran peso ai particolari. In poche pa- role, agli ispanisti sembrò che il C. abbia decisamente avversato l'influsso italiano, che l'abbia ostacolato e deriso, che, in fine, ove diversamente avesse potuto esplicare la sua attività nella stessa Spagna, ben più tardi vi avrebbe dominato l’arte d’Italia. (1) L’Inquisizione aveva proibita la pubblicazione delle opere del C.; nell’ed. appunto da me studiata v'è la nota che dà il permesso e che av- verte quindi tolto il divieto di cui esse eran colpite insieme alla Propa- ladia di B. Torres NamarRro ed al Lazarillo de Tormes. (2) Wotre,.op. cit., p. 302, n. 2. (3) Span. Literaturgeschichte. Leipzig, 1908, II, p. 50. (4) Hist. de la litt. esp., II, p. 33 e segg. (5) Op. cit., p. 152. Gioverà al lettore aver dinanzi le parole, non scevre d'esagerazione, dell’ispanista inglese: “ Had he lived in Spain [il Castillejo] © it is probable that Castillejo's mordant ridicule might have delayed the “ Italian supremacy. As it was, his flouts and jibes arrived too late, and “the old patriot died, as he had lived, a brilliant, impenitent, futile © MTorw.s: UN GIUDIZIO NUOVO SU CRISTOVAL DE CASTILLEJO, ECC. 99 Con che sarebbe stato molto interessante il vedere come un uomo, solo con qualche frizzo, avesse potuto cancellare lo studio di parecchie generazioni e l’opera maturata da oltre un secolo. Che il C. qua e là abbia lanciato dei motti contro i novatori, è vero; che egli la abbia avuta in ispecie col Boscan è ancor più vero; anzi tale animosità spiega molto. In una sua poesia contra los encarecimientos de las coplas espafiolas que tratan de amores il nostro autore ha questa offesa al Boscan: los requiebros y primores quien los niega de Boscan? y aquel estylo galan con que cuenta sus amores; mas trobada una copla muy peccada el mismo consellaran (sie) que no sabe donde va nì se funda sobre nada (1). Ora, dall’invidia del connazionale, cui più volonterosa sorri- deva la gloria, facilmente passò il C., spirito mobile in estremo, all’astio contro la scuola cui egli apparteneva, e però al desi- derio di porla in derisione. Ma dal detto al fatto ci corre; e la esposta poesia ce lo dimostra. Come possiamo noi credere che questa sul serio disprezzi l’italianismo, quando al fine ha una lode per esso? Come quel ©. che fu grande almeno nelle liriche in cui dipinse i suoi amori, o davvero volle pungere come nel la vida de corte e nel Didlogo entre él y su pluma, scese sì in basso da non capire che mal s’addicevano alla bisogna sua gli uomini da lui invocati? Si rifletta: il de Mena fu tra i primi a sentire e manifestare l’influsso di Dante; Garci Sanchez de Ba- dajoz fu tra coloro che della imitazione italiana sentiron più oltre che i riflessi (2); il Torres Naharro (3), poi, non solo imitò la poesia petrarchesca de opésitos, per dirla alla spagnuola, ma scrisse sonetti in italiano, e nel teatro suo, notiamo, concepito in Italia, veggonsi le traccie del Machiavelli e dell’Ariosto. (1) Ed. cit., p. 264. Il Fitzmaurice recando gli ultimi due versi di questa strofa legge al posto di consellaran, certamente errato, confesaria. (2) V. i miei Influssi cit., capo III; e capo V, p. 217 segg. (3) V. M. Menénpez y Prcayo, B. Torres Naharro y su Propaladia. Madrid, 1900, passim. 100 BERNARDO SANVISENTI Degli italianisti illuminati sarebbero, dunque, sul serio, chiamati a deridere l’italianismo! Questo non concorderebbe punto col- l'esperto maneggio che d’altronde il C. fa dei metri italiani e col posto che egli occupa, pel Didlogo de las condiciones de las mugeres, nella letteratura misogina spagnuola, sorta per l’in- flusso del Boccaccio (1). Io, per tanto, credo che desideroso della celebrità, quale ei doveva conquistare colla vivacità d’un non dispregevole ingegno, trovò opportuno salire alla gloria per men comuni o men battute vie ed intese al suo scopo armato di brio, di facezie e paradossi. Ma si tenga nota; ed è strano che ciò sia stato obliato sin qui; della stima che il C. fa della nostra Italia; poichè egli nella dedica a Martin de Guzman della sua versione del de senectute e del de amicitia ciceroniani, per confor- tare gli Spagnuoli a tener in conto giusto il loro volgare, ad- duce, tra gli altri argomenti, l'esempio d’Italia “ pues en la “lengua ytaliana que manò de la latina también como la nuestra, “todo el mundo sabe quanto se estima Petrarca (proprio lui “ il corifeo de’ novatori!) y los modernos de agora, aunque sean “ personas de mucha suerte, precian ynfinito un buen soneto, “y quieren ya quasi que conpita en este caso su bulgar con “el latin , (2). Epperò il C. al corrente di quanto accadeva ai suoi di pare voglia piuttosto porre in ridicolo gli eccessi delle novità, anzichè le novità, e voglia dire: accettate bensì il nuovo ed osservate ciò che si fa fuori di Spagna, ma ricordatevi d’es- sere Spagnuoli, ed il nuovo non vi ponga in dimenticanza sde- gnosa l’arte patria. In tanto ei pure compone ne’ metri nuovi, dimostra come li maneggi accanto a quelli nazionali e come sì possa raggiungere una certa eccellenza in entrambi, ed alla fine non valga la pena nè d’accapigliarsi, nè di credersi gran che geniali per conoscere l’una piuttosto che l’altra maniera; veh: in fatti, come stanno assieme nella sua esilarante poesia ridan- ciana! Che se con un paragone io posso meglio significare la mia impressione ed il. giudizio, che tengo, della poesia del Castillejo, dirò ch’ei non assunse già l’aria, il che parrebbe superficial- (1) V. Influssi cit., p. 322. (2) V. WotF, op. cit., p. 136. UN GIUDIZIO NUOVO SU CRISTOVAL DE CASTILLEJO, ECC. 101 mente, di chi riduce il nuovo al vecchio (come il Cavallotti buon’anima allorchè esaminando le odi barbare del Carducci scopriva che i versi nuovissimi erano semplici accoppiamenti di ben noti versi italiani), ma si pose, con altro ingegno ed altra fortuna, per la via battuta gloriosamente nel secolo scorso dal- l’ Heine, quando coll’Atta Troll volle distruggere, con tant’altre cose, le viete forme romantiche della patria sua, e pur mostrò che fine e schietto e sano romantico ei fosse! L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. 102 PREMII DI FONDAZIONE GAUTIERI L'Accademia Reale delle Scienze conferirà nel 1905 un premio di fondazione Gautieri all'opera di Letteratura, Storia letteraria, Critica letteraria, che sarà giudicata migliore fra quelle pubblicate negli anni 1902-1904. Il premio sarà di L. 2500, e sarà assegnato ad autore italiano (esclusi i membri nazionali residenti e non residenti dell’Accademia) e per opere scritte in italiano. Gli autori, che desiderano richiamare sulle loro pubblica- zioni l’attenzione dell’Accademia, possono inviarle a questa. Essa. però non farà restituzione delle opere ricevute. Torino — Vincenzo Bona Tipografo di S. M. e Reali Principi. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 4 Dicembre 1904. + PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SaLvapori, Direttore della Classe, NaccarI, SPEZIA, SEGRE, PeANO, Foà, GUARESCHI, GuIDI, PARONA, MarTIRoLo, MoreRA, GRASSI e JADANZA che funge da Segretario in assenza del Prof. CameRANO, che trovasi a Roma per ragioni d’ufficio. — Scusa l’assenza il Socio FILETI. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Socio GuaREScHI presenta in omaggio alla Classe un opuscolo avente per titolo: Vamnoccio Biringuccio e la Chimica tecnica. Note storiche. La Chimica presso î Cinesi. Faustino Ma- laguti. Il Socio Grassi presenta il 1° volume del suo Corso di elet- trotecnica. Vengono presentate per l’inserzione negli Atti le note seguenti: 1° dal Socio PraNo, Metodo di Newton perfezionato e nuovo metodo pel calcolo assintotico delle radici reali d’equazioni, del Prof. F. GIUDICE; 2° dal Socio Spezia, Sull’aplite di Cesana Torinese, osser- vazioni del Dr. Giuseppe PIOLTI. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 8 volti einia, "sE per Gialo: Sall'abirazon soidi e sulle funzioni armoniche ellissoidali ‘di seconda. La Classe con votazione segreta accoglie all’un Memoria del Socio MoRERA per l’ inserzione nel volum qa Memorie accademiche. ho a saoaba, bi pri — lobi } olorengo n of RT si cuts ‘ n Lee, I tor , lb bd : f sh È TORTA, lata atti. # . i È Lp! 4: "0 FRANCESCO GIUDICE — METODO DI NEWTON, ECC. 105 LETTURE Metodo di Newrow perfezionato e Nuovo Metodo pel calcolo assintotico delle radici reali d’equazioni. Nota di FRANCESCO GIUDICE. In una mia Nota (*) ho fatto vedere che se f(x) è funzione intera a coefficienti reali, algebrica o trascendente, e dell’equa- zione si conosce un valore approssimato « d’una radice reale a, si può formare un’equazione algebrica, che sia d’un qualsiasi grado prefissato ed abbia una radice tra « ed a. In quella Nota il metodo di Newton pel calcolo assintotico delle radici reali fu generalizzato in modo da non potersene attendere ulteriori mi- glioramenti. Io ottengo il mio risultato generale per via geo- metrica ed anche per via puramente analitica; i miei ragiona- menti, così per l'una come per l’altra via, sono assai più brevi e semplici di quelli che si leggono anche nei trattati recenti, i quali non pervengono che alla regola di NewTon-FouRIER appli- cabile solo dopo il penoso lavoro della separazione delle radici, od al più a quella di Newroxn-FourET (**) poco meno esigente. Ritorno quindi ora sul mio lavoro per fermare l’attenzione, mediante esempi, sull’importanza pratica del metodo perfezio- nato e sulla sua validità incondizionata ed immediata per il (*) V. F. Gruprce, “ Giornale di Matematiche ,; Napoli, Gennaio-Feb- braio 1903, pag. 14. (*#*) V. p. es. J. Neusera, Cours d’Algèbre supérieure; Liège, 1902, pp. 228-232. — G. Bauer, Vorlesungen iiber Algebra; Leipzig, 1903, pp. 225-238. — G. PapeLIER, Précis d’Algèbre et de Trigonométrie; Paris, 1903, pp. 279-282. 106 FRANCESCO GIUDICE calcolo approssimato delle radici reali senza preventiva sepa- razione. Faccio poi conoscere un nuovo metodo, che potrebbe dirsi del quoziente, dà un’approssimazione più rapida del metodo di NewroNn da me perfezionato, ed è più generale. Prima però faccio vedere come anche per separare le radici reali, se si voglian separare in precedenza, possa riuscir molto comodo il metodo perfezionato, il quale, limitato all’uso d’equa- zioni di primo grado, è contenuto nella ‘seguente ‘regola: Sia f(x) funzione reale della ‘variabile ‘reale x, che s° annulli almeno una volta mentre x cresca da a a B ed abbia prima deri- vata compresa tra i due numeri diversi da zero a e b per tutti i valori di x compresi tra a e B. Si ha che: almeno uno dei due numeri CB i cai db è maggiore di a; se uno solo supera a, esso è compreso tra a e la minor radice superante a dell'equazione f(x)=0; se sono entrambi maggiori di a, uno è tra a e la minore delle radici maggiori di a dell'equazione f(x) =0, l’altro supera questa radice: ed almeno uno dei numeri (0) è minore di B; se uno solo è minore di 'B,‘esso è compreso:tra‘B'e la maggior radice minore di B; se sono entrambi minori di'B, “uno è tra B e la maggiore delle radici minori di B dell'equazione £(x)=0, l’altro è minore di questa radice. Separazione delle radici reali. — Si voglian separare le radici reali tra a e d dell'equazione a coefficienti reali supposto che f(x) ammetta derivata finita nell'intervallo a+ d. In causa di quest’ipotesi si può fissare un numero positivo £ in modo che /'(x) sia compreso tra —% e % per tutti i valori dix compresi tra a e d. Allora, indicando con a la ‘minor ‘radice METODO DI NEWTON PERFEZIONATO E NUOVO METODO, Ecc. 107 maggiore di a, se esista, avremo per la, precedente regola che, se A, —_ a A LAI do =} d ul ’ 43 = 49 si ai ve07 od a, tende a limite non maggiore di 6, ed allora lima, = perchè, in tal caso, limf(a,) = 4lim(ana — a) =0; oppure non v’è radice tra a e d, ed in questo caso, indicando con À il limite inferiore dei valori di |/(x)| in a+, si ha che, se a,_xa + na ? per cui si troverà certamente un a, maggiore di d e sarà così riconosciuto che nessuna radice è compresa tra « e bd. Si può pur partire da 5: se BR è la maggior radice minore di d, se esista, e AIR II: piccino MO i rpg A o dò, tende ad un limite non minore: di. & e fimo ge o si trova un d, minore di a ed in questo caso non v’è radice tra qa eb. Se si tratti d’equazione algebrica, si perverrà sempre facil- mente (*) ad.isolare. a tra un 4, ed un a', oppure tra un è, ed un d'. Resteranno così da separare le radici comprese tra a' e è, oppure tra a e d'. Restan da separare le radici comprese tra a’ e d' se son calcolati a’ e d' ed a' riconosce solo che la radice positiva è compresa fra 2 e 3— cioè tra 2 e 2,36. Col metodo perfezionato si riconosce dallo stesso quadro 9 L, x —1 cid 1 helle che l’accennata radice è compresa tra 2—-— e2—--, cioè 25 10 tra 2,04 e 2,1. (*) V. Newton, La méthode des flurions et des suites infinies; Paris, MDCCXL, pag. 7. (**) Questa disposizione di calcolo s’attribuisce comunemente ad HòRNER, che l’usò nel 1819; per sentimento d’italiano e di maggior giustizia noi la leghiamo invece al nome già reso immortale dal teorema d’ irresolubilità per radicali delle equazioni algebriche generali di grado superiore al 4°. V. PaoLo Rurrini, Sopra la determinazione delle radici nelle equazioni nume- riche di qualunque grado, pag. 24; Modena, 1804 (Memoria in-4°, coronata dalla Società italiana delle Scienze). METODO DI NEWTON PERFEZIONATO E NUOVO METODO, ECC. 109 2° EsemPro (*): 1 0 Ly 7 1 I Goto 11 | e re 1 3 I 4 O ERI 5 A sa 6 Questo quadro dà i coefficienti delle trasformate alle radici diminuite di 1 e di 2 dell'equazione x3 — 7x + 7=0. Da esso vedesi che l'equazione non ha radici tra 0 ed 1, ne può aver due tra 1 e 2 e non ne ha di maggiori di 2. Vedesi inoltre che la prima equazione derivata ha una radice e la seconda non ne ha tra 1 e 2. E rilevasi ancora che, se sonvi due radici tra 1 : 1 STO 5 x : e 2, la minore supera 1 pia gr 08 1,25 e la maggiore è ml- nore di "ala cioè di 1,8. Può quindi convenire, lasciandosi guidare dalle regole di Newron, diminuire successivamente di 0,3 e di 0,06 le radici già diminuite di 1. 1 3 SA 1 0,3 3,3 22191011 20,097 di 3,6 | —1,93 1 3,9 pui 0,06 3,96 —1,6924 | —0,004544 4,02 | — 1,4512 1 4,08 (*) V. LaGrancE, Traité de la résolution des équations; Paris, 1808, pag. 55. 110 FRANCESCO GIUDICE Qui si hanno i coefficienti delle trasformate alle radici di- minuite di 1,3 e di 1,36: dell'equazione x° — 7a +7=0. Te- nendo anche conto dei risultati precedenti si vede che questa equazione ha due radici tra 1 e 2; e ricorrendo anche alla re- gola di Newrox-FouriER, che è applicabile da 2 per la radice maggiore, vedesi che son comprese tra 1,3 ed 1,36 e tra 1,36 ed 1,8. Col metodo perfezionato si vede che la radice minore è — 0,004544 __—0,004544 . . tra Lan 9g — ed 1,36 -14512 cioè tra. 190 ed 1,3568..... Avendo considerate due equazioni che si trovano in quasi tutti i trattati dopo che Newton applicò il suo metodo di riso- luzione alla prima, e LAGRANGE applicò ad entrambe il suo me- todo delle frazioni continue, e CaucHy (*) trattò l’una e l’altra col suo metodo di trasformazione del primo membro in differenza di due funzioni crescenti nell’intervallo considerato (e precisa- mente col particolar metodo di separazione del gruppo dei ter- mini positivi da quello dei negativi combinato col metodo di NEWTON), equazioni quindi che non furon scelte ora con criterio d’opportunità, mon si potrà fare a meno di riconoscere che anche la convenienza pratica del metodo perfezionato si palesa subito con qualsiasi equazione. Nuovo metodo. — Se f(x) = (e — a) Q(2) + f(a) e p è radice dell'equazione f(x)=0, allora (p_—a)@Q(p) + f(a)=0 onde, con semplicissime considerazioni analitiche simili a quelle da noi fatte nel fascicolo di gennaio-febbraio 1903 del “ Giornale di Matematiche di Napoli ,, si deduce che: Se f(x) è funzione reale della variabile reale x, che s'annulli almeno una volta mentre x cresca, 0 decresca, da a a B, e se f(x) — fia . . ° . alte , che indicheremo con Q(x), è compreso tra î due numeri (*) V. Caucay, Analyse algébrique; 1821, pag. 505 e pag. 464. METODO DI NEWTON PERFEZIONATO E° NUOVO METODO, Ecc. 1ll p eq diversi da zero per tutti è valori di x compresi tra @ e B, st ha che: almeno uno dei due numeri f(a) a— — a — f(a) pr q è compreso tra a e la più vicina ad a delle radici comprese nel- l'intervallo a B dell'equazione fa) = 0; questa radice è compresa tra quei due numeri quando p e q sono d'equal segno. Questo nuovo ‘metodo non esige che f(x) sia derivabile, ep- però è ancora più generale del metodo di NEwTON perfezionato. Esso dà migliori risultati, perchè, quando esiste /"(x) nell’inter- vallo considerato, l'oscillazione di Q(x) è generalmente minore di quella di /"(x), in quanto che, se & è compreso tra a e f, f'(@) diviene almeno una volta uguale a Q(£) mentre x cresce, o decresce, da a a E. Il nuovo metodo riuscirà utile combinato con quello di Newron, quando questo sia applicabile. Per la disposizione del calcolo giova osservare che: Se i numeri dell'ultima linea di quadro di RurriNnI siano Cor C13 +09 Cn-19 ln e siano i coefficienti della trasformata alle radici diminuite di a dell'equazione f(x) = 0, allora identicamente c, = f(a) ed fa)=(r — a)[ole — "+... + cale — a) + e, + f(0), per cui il quoziente Q(x) della divisione di f(x) —f(a) per r—a ha il valor conosciuto c,_, quando r=a, e quando a«=a+-f ha il valore che ha 400 ia N i i 4 a quando y= f, e si calcola quindi facilmente con la regola di RUFFINI. 112 ‘FRANCESCO GIUDICE Per il 1° esempio si potrebbe fare il breve calcolo del se- guente quadro: 1 0 ne = 9 2 2 | 1 4 10 | 1 6 0,1 10,61 | 6,1 Col nuovo metodo si vedrebbe già che la radice positiva dell’equazione x —2ax —-5=0 i elel0n99, 6.20 DL > otte è tra 2— 10,61 € 2— 10? C10È tra 2,094... e 2,1, per cui, seri- vendo soltanto le cifre sicure, tal radice è 2,09... e, per conti- nuare il calcolo approssimato, converrebbe diminuire di 0,09 le radici della trasformata alle radici diminuite di 2. Conclusione. — Newron ha usato il suo metodo senza preoccuparsi del pericolo di non avvicinarsi alla radice indefini- tamente ed anche di allontanarsene. FourIER ha osservato che, se una radice p dell'equazione f(x) =0 è isolata in un inter- vallo a dove non abbia radici l’ equazione f'(e)f""(x) = 0, allora f"'(x)f(x) è negativo per uno dei due valori a, 6 di x ed è positivo per l’altro; se questo è c e f(e) F(cn) CA fi(e)? DIE) Cntl —_ Cn DA f'(cn) Lia Pit) Cn+1 è Compreso fra c, e la radice p e limaga==P. Fourer ha ridotte le condizioni di FouRIER osservando esser sufficiente che la derivata seconda /"'(x) abbia il segno di f(c) in tutto l'intervallo, senz’altra condizione. Ha fatto conoscere questo risultato notevole nelle “# Nouvelles Annales , del 1890 e più tardi rivolse la domanda seguente ai matematici: METODO DI NEWTON PERFEZIONATO E NUOVO METODO, Ecc. 118 “ L’application de la méthode d’approximation de NEwToN au calcul d’une racine d’une équation f(x)=0 ne réussit à coup sùr, comme on le sait, que si, dans l’intervalle compris entre cette racine et la valeur approchée que l’on en connait, f(x) et /""(x) ont le méme signe. Dans le cas contraire, ne pourrait-on pas, par une transformation convenable, obtenir une nouvelle équation, pour laquelle ces conditions seraient remplies, dans l’intervalle correspondant? , (*). Diede risposta affermativa il sig. LémeRAY, ma la sua tras- formazione (**), consistente nel considerare la af —1=0 di stesse radici della f(x) = 0, non è praticamente utile. Noi abbiamo tolta qualsiasi condizione: col metodo perfe- zionato partendo da un numero qualunque si può calcolare as- sintoticamente con calcolo sicuro così la più prossima radice superiore come la più prossima inferiore: con esso metodo, come s'è visto, è ancora possibile separare le radici comprese in qual- siasi intervallo. Il nuovo metodo, quello del quoziente, può so- stituire convenientemente il metodo di Newton perfezionato e può esser valido anche quando non lo sia il metodo di NEwTON. (*) V. Fou®er, “ L’Intermédiaire ,, IMI, Paris, 1896, pag. 82, N. 808. (**) V. E. M. Lémeray, “ L'Intermédiaire, III, pag. 258. Genova, Ottobre 1904. 114 GIUSEPPE PIOLTI Sull’aplite di Cesana Torinese. Osservazioni del Dr. GIUSEPPE PIOLTI Libero docente di Petrografia ed Assistente al Mus. Min. dell’Univ. di Torino. (Con una Tavola). A circa un chilometro dall’abitato di Cesana Torinese ed a destra della strada che conduce a Bousson scorgesi un po’ in alto una rupe sporgente dai terreni coltivati, rotta in varî punti e divisa in grossi massi. Alcuni di questi vennero portati al basso per formare un grossolano argine sulla sponda sinistra del torrente Ripa. Il colore della roccia è grigio scuro, leggermente azzurro- gnolo, tantochè a primo aspetto il materiale potrebbe facilmente scambiarsi per una quarzite. Però l'esame microscopico dimostra trattarsi invece d’un’aplite, ossia d’una roccia avente una grande affinità coi graniti, e siccome finora rocce granitiche non ven- nero incontrate in Val di Susa, così credetti opportuno di farne uno studio particolareggiato non solo per la novità del fatto, ma anche perchè la sua giacitura è alquanto differente dalle giaciture descritte per le apliti. È impossibile ora riconoscere subito con quale roccia fosse originariamente a contatto quella di cui discorro, perchè, come dissi, attorno non vi sono che campi coltivati. Ma esaminando attentamente i frammenti rocciosi (schisti calcarei, filladi, calcari compatti grigi) che si incontrano nel terreno, prima della rupe suddetta, e le masse in posto dopo di essa, riesce evidente che l’aplite doveva costituire un dicco (la cui parte visibile ha at- tualmente una larghezza media di m. 3,50) fra i calceschisti fil- ladici, nome con cui generalmente indicansi dai geologi Italiani gli schisti calcarei della località, alternati con filladi e talora anche con calcari compatti, grigi. Riconobbi sul posto tale alter- nanza, poco oltre la rupe d’aplite, sulla strada Cesana-Bousson. Vedremo in seguito quali altri argomenti rafforzino l'ipotesi di questa giacitura dell’aplite. SULL'APLITE DI CESANA TORINESE 1015 I massi in riva alla Ripa lasciano poi scorgere passaggi e modalità della roccia, sia per la ‘struttura che pel colore, ed anche di ciò discorrerò più oltre. È evidente che i calceschisti filladici, i quali dovevano fun- zionare da salbanda all’aplite, per la loro facilissima schistosità ‘e per l’azione chimica dell’acqua sgretolandosi sì ridussero in minuti frantumi che si trovano ancora nel terreno dei campi circostanti: l’aplite invece resistette. È moto invero come tale roccia resista assai all’azione degli agenti atmosferici ; ed il Ro- senbusch (1) dice che talora, appunto per ‘ciò, le masse d’aplite sporgono fuori dalle rocce circostanti a mo’ di muri. Rompendo la roccia si osservano sporadicamente e molto raramente ora noduli di quarzo ed ora sezioni di a/bite talora aventi un cen- timetro di lunghezza ‘ed una larghezza di mezzo centimetro. Ma tale fatto è così raro che non si può parlare di struttura por- firica; d’altronde anche il Rosenbusch:(2) osserva che tale strut- tura è rara. Accade anche, frantumando la roccia, di incontrare nell'interno straterelli, dello spessore di un millimetro ed anche meno di pura glaucofane, con aspetto liscio e ‘finamente striati, aspetto ‘paragonabile alla superficie di sfregamento che sì scorge in certe argille scagliose. Ciò indica movimenti che devono es- sere avvenuti nella roccia. Esaminando i preparati microscopici, ciò che colpisce di più è lo stato frammentario degli elementi: pare quasi d’avere:sot- t'occhi una breccia costituita in maggioranza da quarzo, plagio- clasio ed ortosio, cementati da quarzo e plagioclasio in grani più piccoli (fig. 1. Luce polarizzata. Prismi incrociati. Ingrandi- mento = 32 diametri). Non è raro il caso di incontrare grossi cristalli di plagio- clasio rotti e disgiunti, come si può molto bene riconoscere per il corrispondersi delle linee di geminazione nei due frammenti e per l'estinzione esattamente simultanea di essi. Lo spazio tra un frammento e l’altro è riempito da quarzo in grani assai pic- coli. In altri casi cristalli di plagioclasio sono parzialmente cor- rosi, presentando insenature nelle quali havvi anche quarzo in (1) ElZemente der Gesteinslehre. Stuttgart, 1898, p. 208. (2) Mikr. Phys. der Massigen Gesteine, Dritte Auflage. Stuttgart, 1896, pag. 461. ai i 116 . GIUSEPPE PIOLTI grani piccolissimi. La struttura cataclastica accennata, la pre- senza delle superficii di scorrimento ed il trovare talora nei plagioclasii le linee di geminazione distorte indicano che la roccia dovette subire forti movimenti. Credo inoltre che acque mineralizzate circolanti dovettero sciogliere una parte degli elementi per ridepositarli, senza esclu- dere che possano essere avvenuti mutamenti di composizione chimica in quelli in causa di reazioni speciali. Una tale ipotesi se è già di per sè ammissibile in un di- stretto eminentemente eruttivo, per la presenza delle diabasi, come quello di cui discorro e di cui già mi occupai or son nove anni, s'accorda poi colle esperienze dello Spezia relative all’azione dell’acqua contenente silicato sodico sul quarzo ed agli accre- scimenti in detto minerale dati da acqua contenente silice (1) proveniente dalla decomposizione d’un vetro. Il Rosenbusch (2) poi osserva che anche nelle apliti si ve- rificano questi fenomeni di rotture e spostamenti. Elementi accessorî sono: anfiboli di varia natura (sui quali ritornerò in seguito) ed in tale quantità che si potrebbero quasi considerare come elementi essenziali della roccia, radunati in plaghe ondulate, contorte, coll’ aspetto presentato dalla mica nelle rocce schistose e con un certo parallelismo; poscia titanite, apatite in lunghi aghi incolori che sono inclusi tanto nel quarzo quanto nei feldspati. Polverizzando la roccia e sottoponendola ad un trattamento con acido nitrico e molibdato ammonico ot- tenni nettissima la reazione del fosforo. Infine elemento acces- sorio sporadico e che s'incontra meno spesso è la pirite in esaedri. Il plagioclasio è rappresentato da due specie. Seguendo il me- todo del Becke potei stabilire che i grossi cristalli, geminati secondo la legge dell’albite, hanno un indice di rifrazione sempre minore di quello del quarzo e l’estinzione delle lamelle emitrope ha luogo con un angolo di circa 2° rispetto alle linee di gemi- (1) Contribuzioni di geologia chimica. Solubilità del quarzo nelle soluzioni di silicato sodico, “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXV, adunanza del 13 maggio 1900. — Esperienze sul quarzo, * Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, adunanza del 16 gennaio 1898. — Esperienze sul quarzo e sull’opale, È Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIII, adunanza del 19 giugno 1898. (2) 2* opera citata, pag. 462. SULL'APLITE DI CESANA TORINESE 117 nazione. Riducendo la roccia in frammenti minutissimi ed iso- lando il feldspato col ioduro di metilene ottenni lamine di sfal- datura: trovai anche qui che nei grossi cristalli di plagioclasio su 001 l’estinzione delle lamelle emitrope è quasi simultanea; per cui conchiusi che il feldspato è oligoclaszo. Secondo il Rosenbusch (1) il plagioclasio delle apliti è oli- goclasio; però varì autori trovarono anche altri feldspati. Così il Dimitrow (2) in un’aplite della Bulgaria trovò che il plagio- clasio sta fra la labradorite e la bytownite. David, Smeeth e Schofield (3) in un’aplite di Victoria Land descrivono il plagio- clasio come compreso fra l’albite e l’oligoclasio. Il compianto Riva nelle sue osservazioni sulle rocce filoniane del gruppo del- l’Adamello affermava che nell’aplite da lui studiata il plagio- clasio talora era albite, talora oligoclasio acido (4). Il Matteucci per l’aplite dell’isola d'Elba trovò che il plagioclasio è albite (5). Il Lacroix (6) in un’aplite dell'Ariège trovò il microclino domi- nante, poi l’albite, l’albite-oligoclasio e l’oligoclasio. L’Hermann Veit Graber accenna alla sola presenza d’oligo- clasio acido in un dicco d’aplite che taglia la granitite e schisti in una località della Carinzia (7). I piccoli cristalli di plagioclasio che assieme al quarzo in piccoli elementi funzionano da materiale di riempimento hanno un indice di rifrazione quasi sempre maggiore di quello del quarzo. Nelle lamine di sfaldatura, su 010 l’estinzione oscilla da 13° a 14° in senso negativo. Su 001 le lamine di sfaldatura, colla gemina- zione secondo la legge dell’albite, dànno un angolo d’estinzione di 5° rispetto alle linee di geminazione. Quindi credo trattisi di un'andesina basica. Riassumendo, scorgesi che la natura del plagioclasio nelle apliti può variare notevolmente. (1) 1* opera citata, pag. 206. (2) Beitrige zur Geol. und Petrogr. Kenntniss des Oitosi-Gebietes in Bul- garien, “ Denk. d. K. Ak. d. Wiss. ,. Wien, Bd. LX, 1893, pag. 500. (3) Notes on antartik roks collected by M. R. Borchgrevink, © Journal and Proceed. of the Roy. Soc. of New South Wales ,, XXIX, 1895, p. 471. (4) “ Atti della Soc. It. di Scienze nat. e del Mus. Civ. di Storia nat. in Milano ,; XXXVII, 1897, pag. 90. (5) “ Atti Soc. Tosc. di Scienze nat. ,, XVI, 1898, pag. 127. (6) “ Bull. de la Soc. frange. de Minéralogie ,, 1898, pag. 272, (7) “ Jahrb. der K. K. Geol. Reichsanstalt ,, XLVII, 1897, pag. 277. 118 GIUSEPPE PIOLTI Il quarzo contiene numerose inclusioni di varî ‘anfiboli .e, come già dissi, anche di apatite. L’ortosio presenta la geminazione di Karlsbad ed è sempre in individui relativamente grossi; non si trova nella massa di riempimento costituita da andesina e da quarzo in grani pie- coli; anch'esso contiene apatite ed anfiboli. La titanite è disseminata fra i varîì elementi della roccia e non si trova mai inclusa nè nel quarzo, mè mei ‘feldspati. (Gli anfiboli sono di tre specie e così disposti per ordine:di frequenza: glaucofane, attinoto ed arfwedsonite. Questa ha un pleocroismo dal verde-azzurro al verde-giallo, al verdognolo «ed un angolo d'estinzione da 11° a 15°. Tali anfiboli sono ‘isolati e mon si tratta d'un accrescimento d’un anfibolo con un altro. Certo però devesi ammettere una formazione contemporanea. Per spiegare la grande quantità di glaucofane contenuta-in questa roccia parmi si possa ricorrere all’ipotesi già da me fatta della possibile presenza di acque mineralizzate con silicato :so- dico, composto che per la sua facile solubilità può trovarsi pre- sente nelle acque circolanti nella crosta terrestre. Ciò ammet- tendo riescirebbe anche più facile lo spiegare a cagion d’esempio la presenza della cossaite nei calceschisti del Colle di Bousson, dell’albite in molti calcari e della glaucofane nel calcare del Grand Roc. Sotto il nome di paisanite l’Osann descrisse una roccia (vedi riassunto della descrizione in: Rosenbusch, 2* opera citata, p. 465) che forse qualcuno potrebbe ritenere simile alla mia pel fatto d'essere un’aplite contenente una .certa quantità d'anfibolo della serie Riebeckite-Arfwedsonite, ma chiunque legga la suddetta descrizione si convincerà che quantunque l’aplite di Cesana possa chiamarsi un’aplite glaucofanitico-anfibolica 0 più semplicemente un’aplite anfibolica, tuttavia non è possibile ammettere l’iden- tità delle due rocce, perchè quella dell’Osann presenta l’ortosio sempre sui bordi accresciuto con un ortosio sodico ‘(ciò che non si verifica nell’aplite di Cesana) e non contiene plagioclasio in cristalli isolati. Poscia la paisanite non contiene glaucofane .e finalmente nella sua massa fondamentale, che corrisponderebbe a quella che nella mia roccia funziona da cemento ai grossi cristalli di quarzo, di plagioclasio e d’ortosio, non ha individui isolati di plagioclasio. ai SULL'’APLITE DI CESANA TORINESE 119 Particolarità dell’aplite. L'aplite di Cesana, ora descritta (che chiamerò aplite scura), costituisce la varietà più abbondante; ma io rinvenni altre va- rietà e di queste una è in special modo importante, come ve- ‘ dremo in seguito. Però, prima di discorrerne, voglio accennare ad una particolarità che si incontra raramente nell’aplite scura e cioè la presenza di noduli raggiungenti talora le dimensioni di un uovo di gallina, d’un colore verdognolo chiaro e che quindi spiccano con molta evidenza sul fondo grigio-azzurro della roccia. Facendo un preparato microscopico comprendente la parte cir- costante ed una parte del nodulo, scorgesi che questo è costi- tuito dagli stessi elementi della roccia inglobante, solo che la glaucofane vi si trova in piccolissima quantità essendo rappre- sentata da qualche raro aghetto isolato: a tale fatto è dovuta la differenza di tinta. È invece abbondante l’attinoto ; il nodulo poi è circondato da un involucro dell'ultimo minerale, indi da uno di puro quarzo e poi di nuovo dall’attinoto che forma come la zona di separazione dall’aplite scura. Questo accentramento d’attinoto si verifica non solo qui ma anche in altri casi para- gonabili in parte a quello che è stato detto per la glaucofane; ossia rompendo la roccia si trovano talora straterelli sottilis- simi d’attinoto, senza esservi però una superficie di slittamento. Avviene anche di trovare questi noduli coperti da uno stra- terello di pura glaucofane, mentre quelli non contengono nem- meno traccia dell'ultimo minerale. Pare quindi che la glaucofane funzioni come da superficie di separazione fra le due formazioni, il che farebbe supporre essersi detto minerale formato dopo pel contatto dell’aplite coi calceschisti filladici, e col concorso di ‘acque mineralizzate con silicato sodico, come vedremo meglio discorrendo del contatto. L’aplite scura fa passaggio, talora saltuariamente, talora per gradi, ad una roccia più chiara avente l’aspetto d'un micro- granito biotitico: l’unica differenza consiste nella notevole dimi- nuzione della glaucofane e degli altri anfiboli. Ma la varietà più importante è una roccia di color grigio chiarissimo, coll’aspetto della precedente, poichè ad occhio nudo sopra un fondo bianco osservansi macchiette scure regolarmente Atti della R. Accademia — Vol. XL. 9 disseminate. Invece al microscopio scorgesi che non havvi più traccia della struttura brecciata caratteristica dell’aplite scura; ma tanto il quarzo che i feldspati sono press’a poco equidi- mensionali, allotriomorfi (fig. 2. Luce polarizzata, prismi inero- ciati, ingrandimento = 32 diametri). All’oligoclasio s’ aggiunge un plagioclasio compreso tra l’albite e l’oligoclasio. Poi notasi l'assoluta mancanza della glaucofane e della titanite; inoltre l’attinoto (alla cui presenza son dovute le macchiette suddette) non è riunito in ciuffi ondulati, ma sparso in piccoli aggregati fibrosi fra gli altri elementi della roccia. Per cui, benchè sul posto quanto sto per dire non sia più riconoscibile, perchè la massima parte del dicco venne distrutta per liberarsi dall’inco- modo ospite nei campi e per servire a consolidare l’argine si- tuato più in basso sulla sponda sinistra della Ripa, tuttavia credo che questa aplite chiarissima rappresentasse la parte cen- trale del dicco, mentre l’aplite scura doveva rappresentare le salbande. Mi conforta in questo concetto l'osservazione già fatta delle superficî di slittamento già notate appunto nell’aplite scura. In questa la formazione della glaucofane, siccome già accennai, credo sia stata causata da un complesso di reazioni chimiche avvenute fra l’aplite chiara e la roccia attraversata. E, senza entrare in discussioni molto ipotetiche, basta osservare che la soda necessaria alla formazione della glaucofane può essere stata fornita in piccola parte dalle miche degli schisti incassanti ed in parte maggiore da acque mineralizzate contenenti silicato sodico, come già dissi. Finalmente un’ultima varietà si distingue dalla precedente, ad occhio nudo, solo pel fatto che rompendo la roccia si tro- vano patine d’attinoto ed i preparati microscopici fatti coi fram- menti di roccia non intersecati da straterelli di attinoto sono identici a quelli testè descritti, cioè gli elementi sono quasi equi- dimensionali, mancano la glaucofane e la titanite. Ma invece i frammenti che comprendono accentramenti d’attinoto hanno al microscopio una struttura identica a quella dell’aplite scura, ossia presentano una struttura brecciata. Ciò prova come anche in questa parte del dieco, tra la centrale e quella verso le sal- bande, debbano essere avvenuti movimenti, indicati dalla strut- tura cataclastica. 120 GIUSEPPE PIOLTI LO % % SULL’APLITE DI CESANA TORINESE I21 Contatto dell’aplite. La maggior parte della superficie della rupe d’aplite mostra una rottura fresca e nessuna cognizione si può ricavare intorno ai rapporti che potevano esistere fra la roccia venuta a giorno e quella incassante; ma fortunatamente in un certo punto una leggiera patina d’alterazione superficiale permette di supporre che ivi la roccia non fu toccata, non essendovi tracce di lavo- razione. Preparati microscopici di tal parte della rupe lasciano scorgere plaghe d'aplite cementate da quasi tutti gli elementi dell’aplite stessa, ma con un aspetto così particolare che è im- possibile non riconoscere il fatto d’una rottura e d’una succes- siva cementazione. È a notarsi che nella parte funzionante da cemento non vi son più nè glaucofane, nè altri anfiboli, ma questi sono sostituiti dalla sericite, che è poi uno dei componenti essen- ziali degli schisti incassanti. A_ meglio chiarire la cosa feci pre- parati microscopici di una fillade raccolta in posto poco distante dalla rupe e trovai essere la roccia costituita dai seguenti ele- menti: quarzo, sericite, muscovite, sostanza carboniosa. Il primo ha frequenti inclusioni di rutilo, ora in cristalli semplici ed ora geminati. Elemento accessorio comune è una formalina azzurro- pallida pel R. O., incolora pel R. S., qualche volta policroma, essendo un cristallo bruno in una sua parte ed azzurro nell’altra. I preparati della porzione esterna della rupe poc'anzi menzionati devono quindi ritenersi come rappresentanti una vera breccia di sfregamento. In altre sezioni sottili si scorge come un intimo miscuglio degli elementi dell’aplite con quelli della roccia incassante. Os- servansi rari aghi di glaucofane ed una grande quantità di seri- cite. La roccia è schistosa e fra i piani di schistosità sonvi numerosi straterelli di glaucofane mista a tremolite. Fibre di quest’ultimo minerale sono talora terminate alle estremità da glaucofane. Si direbbe quasi che gli elementi necessarì per for- mare la glaucofane esistessero in parte, ma non fossero in quel dato punto in quantità sufficiente. Passaggi identici da un anfi- e 122 GIUSEPPE PIOLTI — SULL'APLITE DI fe cenni bolo all’altro vennero già osservati e specialmente in questi ultimi tempi dal Roccati (1). Fra i varì argomenti da me finora esposti per sostenere l’ipotesi che l’aplite dovesse originariamente trovarsi fra i calce- schisti filladici certo non va dimenticato quello di incontrare l’andesina e la titanite (che contengono calce) nella massa finis- sima granulare ‘che ingloba ‘i grossi cristalli di quarzo, d’ortosio e d’oligoclasio e ‘di non trovare la titanite inclusa in altri mi- nerali. A mio avviso tali fatti sono ‘una ‘prova evidente di rea- zioni avvenute fra i calceschisti filladici e la roccia venuta ‘a giorno. D'altronde, come s'è visto, nei campioni di roccia ‘che si debbono considerare come aver dovuto far parte del ‘centro del dieco mancano la glaucofane e la titanite. Conclusione. Nella regione di cui trattai, in un’epoca posteriore alla for- mazione dei calceschisti filladici e forse sincrona colla grande eruzione diabasica del M* Gimont, fuvvi un’eruzione di aplite attraverso ai calceschisti suddetti. Quando questi ultimi sì siano deposti è ancora oggetto di controversia, come è noto, fra i geologi. Ed a tal proposito, affatto recentemente, un autorevole geologo italiano, l'Ing. Ettore Mattirolo emise un'idea che merita molta ‘considerazione: “ È del resto probabile che i calceschisti, “ che con facies talora alquanto diversa da località a località “ troviamo indifferentemente associati a quasi tutte le formazioni “ delle Alpi Occidentali, sieno a riguardarsi come prodotti di “ metamorfismo di sedimenti d’una stessa natura, depostisi in “ epoche geologiche diverse; che vi sieno cioè a diversi livelli “ geologici calceschisti petrograficamente equivalenti, per modo “che la zona che attualmente ad essi si intitola, comprenda “terreni di età diversa , (2). (1) Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso. Serra dell’ Argentera, “ Atti della R. Ace. delle Se. di Torino ;, vol. XXXIX, adun. del 19 giugno.1904, pag. 16 dell’estratto. (2) Le Valli di Lanzo (Alpi Graie). Edizione fatta per cura del Club Alpino italiano, Sezione di Torino. Paravia, 1904. — Errore MarmtIROLO, Schiarimenti sulla Carta geo-litologica delle Valli di Lanzo, pag. 524. L’ Accademico Segretario LoRENZO CAMERANO. o Le Pra er a e fo OLTI -- Sull’aplite di Cesana, . Atti della R. Accad. delle Scienza AME i Sozimo. Vol. XL, Fi ELIOT, ING, MOLFESE=TORINO CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza dell’11 Dicembre 1904. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, Pizzi, CARLE, Brusa, ALLievo, CaRUTTI, CHIRONI, RUFFINI e ReNIER, Segretario. Approvasi l'atto verbale dell'adunanza antecedente, 27 no- vembre 1904. Il Presidente comunica: 1°, una lettera di ringraziamento del Socio Prof. Icilio GuaREscHI per la parte presa dall’Accademia alle onoranze pel suo, 25° anno d'insegnamento ; 2°, i ringraziamenti del Presidente dell’ “ Académie des inscriptions et belles-lettres , dell'Istituto di Francia, per le condoglianze inviate in occasione della morte del Segretario per- petuo Enrico WALLON. x CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 18 Dicembre 1904. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SaLvapori, Direttore della Classe, Naccari, Sere, JADANZA, FiLETI, PEANO, Guini, PARONA, MAT- TIROLO, MoRERA, GRASSI e CamERANO Segretario. — Scusano l’as- senza i Soci Foà e Mosso. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente comunica una lettera del Socio GuaRrEscHI il quale ringrazia della parte presa dall'Accademia alle onoranze che a lui vennero tributate in occasione del suo 25° anno d’in- segnamento. Il Presidente presenta il volume del Socio straniero Ernesto HAECKEL, intitolato: Die Lebenswunder che egli inviò in dono all'Accademia, | Vengono presentati per l’inserzione negli Atti accademici i lavori seguenti: 1° Dott. Federico Sacco, Fenomeni stratigrafici osservati nell'Appennino settentrionale e centrale, dal Socio PARONA: 2° Dott. Beppo Levi, Punti doppi uniplanari delle super- ficie algebriche, dal Socio SEGRE; 5° Dott. Filippo RimonpINI, Sul calcolo approssimato degli integrali doppi a limiti costanti, dal Socio PEANO; “ \ Alle 125 4° Dott. Adolfo CampertIi e M. Nozari, Sulla variazione del grado di dissociazione elettrolitica con la temperatura, dal Socio NACCARI; 5° Dott. Enrico Festa, Osservazioni intorno agli Orsi del- Ecuador, dal Socio CAMERANO. ‘ Per ultimo il Socio MartIRoLo presenta per l’ inserzione nel volume delle Memorie il lavoro del Dott. Giovanni NEGRI, intitolato: La vegetazione della collina di Torino. Il Presidente delega i Soci MartIRoLo e PARONA a riferire intorno a questa Memoria. FAI IOSE DEGNE FEDERICO SACCO - LETTURE Fenomeni stratigrafici osservati nell’ Appennino settentrionale e centrale. Nota del Prof. FEDERICO SACCO. (Con cinque Tavole). Vent'anni or sono ebbi a pubblicare negli Atti di questa Accademia una Nota: Sopra alcuni fenomeni stratigrafici osservati nei terreni pliocenici dell’alta Valle Padana ; più tardi nello studio sopra l'Appennino settentrionale, 1892, presentai pure, in due ta- vole, una serie di sezioni in gran parte naturali rappresentanti fenomeni stratigrafici, specialmente dell’Eocene, osservati in detta regione appenninica. In seguito continuai sempre ad osservare e raccogliere, in parte colla fotografia, in parte con schizzi ad occhio dal vero, alcuni esempi di detti fenomeni che ebbi ad incontrare durante il rilevamento geologico sommario dell'A p- pennino settentrionale e centrale. Siccome credo che questi dati di fatto ricavati direttamente da sezioni naturali siano assai interessanti per la conoscenza, non solo della stratigrafia della regione in cui furono osservati, ma della tettonica terrestre in generale, mostrandoci e provan- doci con assoluta sicurezza come veramente si comportano gli strati durante l'assetto orogenico della crosta terrestre, special- mente sotto l’azione delle pressioni tangenziali o verticali, così parvemi opportuno raccoglierli assieme e pubblicarli come disegni bensì solo schematici, per ragioni economiche, ma assai sugge- stivi ed importanti perchè tratti direttamente dal vero. Sembrami in tal modo di riescire più utile alla conoscenza della tettonica in generale e della stratigrafia appenninica in modo speciale, che non con esperienze di gabinetto (le quali per quanto interessanti non possono naturalmente eseguirsi nelle stesse condizioni che verificansi in natura) oppure con grandi e % < > 9 bea PI ’ rico STRATIGRAFICI OSSERVATI NELL APPENNINO, ECC. 127 compreensive sezioni ideali pure assai attraenti, ma che pur- troppo spesso debbono cangiarsi secondo il vario modo di inter- pretare la serie stratigrafica, tanto più che questa è tuttora assai discussa nella regione appenninica in questione. Le dimensioni di queste sezioni naturali sono variabilissime nè era sovente possibile darne la scala precisa, essendo state disegnate o fotografate a distanze diversissime, da pochi metri a qualche chilometro; ma nel complesso tali dimensioni ri- sultano dalle relative indicazioni che accennano o ad un sem- plice taglio di strada, o ad una sponda di fiume, o ad un com- pleto fianco di montagna; del resto ciò non ha in fondo una importanza assoluta trattandosi solo di infinite gradazioni di ampiezza, cioè di grado ma non di natura, in questi fenomeni di corrugamento e simili che cominciano a percepirsi sotto il campo del microscopio, quali minime pieghettature, nelle sezioni sottili di roccia, poi in semplici campioni di roccie special- mente se schistose, sin che gradatamente si arriva alle grandiose onde od immense rughe della crosta terrestre, anche di centinaia di chilometri di ampiezza, che originarono i rilievi montuosi e le depressioni oceaniche. La serie cretacea, sia quella normale calcarea, sia quella schistosa, si presenta particolarmente corrugata e contorta in tutto l'Appennino, ma trattandosi di fenomeno già tanto noto per questo terreno, mi limitai in riguardo a pochi esempi, pre- sentandone invece specialmente di quelli osservati nei terreni terziari]. Desiderando di rimanere nel campo positivo delle consta- tazioni di fatto, non mi lasciai attrarre dalle tante considera- zioni che si potrebbero fare e dalle conseguenze teoriche che si potrebbero trarre dai fenomeni illustrati. Basti ricordare che in parecchi casi riesce evidente che le pieghe derivano da pressioni, agenti specialmente d’alto in basso, causate dalla pila di terreni sovraincombenti a terreni marnoso-argillosi od altrimenti assai plastici (Vedi Fig. 76, 79, 90, 91); invece nel maggior numero dei casi devesi specialmente ricorrere a pressioni tangenziali che possono naturalmente aver diversa origine a cominciare dalla semplice diseguaglianza di spessore e di peso nella pila degli strati sovraincombenti ad una data formazione, o da lenti scor- rimenti di masse disposte in leggiero pendìo (sia libere, sia 1 Mg; f iù 9) 128 FEDERICO SACCO. urtanti contro una resistenza passiva prodotta da masse rigide o quasi rigide), finchè si arriva a quei lentissimi ma irresistibili ravvicinamenti di grandiosi massicci rocciosi, arcaici o paleo- zoici, della erosta terrestre, movimenti causati dal graduale concentramento dell'interno terrestre, e che obbligano le for- mazioni, intermedie a corrugarsi come esplicai nel mio “ Essai sur l’Orogénie de la Terre, 1895 ,. Ed ora ecco senz'altro la spiegazione sommaria delle sin- gole sezioni naturali : } 1 Stratificazione discordante nel Piacenziano marnoso-sabbioso. (Parte inferiore del Rio di Montaldo Roero). 2. Lécale discordanza stratigrafica tra gli strati marnosi lan- ghiani (L) e quelli marnoso-sabbiosi aquitaniani (A); presso Sorli (Ovest di Garbagna nel Tortonese). 3. Sovrapposizione discordante nella serie pliocenica, tra banchi sabbioso-arenacei giallastri (s.) e banchi sabbioso-ciotto- losi (s. c.) giallo-brunicci a tipica struttura deltoide. (Se- zione sotto Podere Fabbrica, fianco destro del Fosso delle Bucacce ; 4 Km. e !/, ad Ovest di Montepulciano). 3 (Da fot.). Trasgressione stratigrafica nella serie dei banchi sabbioso-arenacei alternati con strati marnosi del Mio- pliocene. (Fianco sinistro di Val Santerno sotto C. Monte Chiavi, ad Ovest di Fontana Elice; Appennino di Romagna). 4. Stratificazione discordante nell’Elveziano marnoso-sabbioso ; lungo il Torrente Groglio. (S. Michele Mondovì). 4%. Stratificazione discordante nella serie quaternaria. Sezione presentata da una frana verificatasi nel 1885 sulla sponda orientale del Lago di Trana. (Prov. di Torino): c) deposito sabbioso-ghiaioso b) deposito ghiaioso a stratificazione deltoide | a) marne sabbiose, bleuastre inglobanti ciottoli e blocchi caoticamente sparsi (morenico) ; 5. Stratificazione discordante nell’Elveziano sabbioso-ciottoloso a disposizione deltoide; Valle Ermena presso S. Luigi. (Sud di Mondovì). 6. Sovrapposizione discordante degli schisti calcariferi (Sch. c.) sugli schisti lucidi del Permocarbonifero (P.), con zona cuprifera (Cu.) intermedia. (Sponda destra del T. Merse, sotto Boccheggiano ; Massetano). terrazziano. % i. conii STRATIGRAFICI OSSERVATI NELL'APPENNINO, ECC. 129 7. Irregolarità di stratificazione nei depositi littoranei (sabbie gialle) dell’ Astiano. Spaceato sulla destra dell’alto Vallone di €. Sucheri (N. E. di Pocapaglia nel Braidese). 8. Giustaposizione della serie miopliocenica (Mz), costituita di marne alternate con strati e banchi arenacei con tinta complessiva grigiastra, sulla serie (m. c. ar.) costituita di strati marnoso-calcarei, con filaretti spatici, alternati con compatti banchi e strati di arenaria di tinta complessiva giallastra. (Veduta panoramica del fianco Sirietro di Valle del Salto, presso Marradi, presa da Ca Val Centinaia; Appennino di Romagna). È. 9. Sovrapposizione del .Miopliocene (Mi.), a banchi arenacei al- ternati con marne grigie, sulla serie (m. c. ar.) a marne calcaree grigie alternate con strati e straterelli arenacei. (Veduta panoramica presa dal M. Carnevale sopra Mar- radi; Appennino di Romagna). 10. Sovrapposizione discordante tra i calcari arenacei (M.), i calcari marnosi dell’Eocene (E.) e le ‘argille scagliose bruno-rossigne del Cretaceo (Cr.). (Rocca di Majoletto, in Val Marecchia, vista dal Sud). 11. Giustaposizione della serie miopliocenica (Mi.), costituita di marne calcaree grigie alternate con strati e banchi grigio- giallastri arenacei o sabbiosi, contro la serie (m. c. ar.) costituita di marne calcaree scagliose grigie, con vene spatiche, alternate con strati arenaceo-calcarei. (Destra di Val Savio, lungo la strada carrozzabile, presso il Ci- mitero di Valbiano; Appennino di Romagna). 12. Sovrapposizione discordante del Macigno di Porretta (M.) sugli Argilloschisti (Arg. sch.) con lenti e zonule calcaree. (Sbocco Nord del Tunnel ferroviario, a monte dei Bagni di Porretta). 13. Giustaposizione trasgressiva della serie marnoso-arenacea del Miopliocene (Mi.) sulla serie marnoso-arenacea inferiore (m. ar.). (Vedata prospettica del fianco sinistro di M. La- mone, poco a monte di Marradi-Romagna). 14. Sovrapposizione discordante della serie marnoso-arenacea del Miopliocene (Mi.) su quella marnoso-arenacea inferiore (m. ar.). (Sezione sul fianco destro di' Val Senio, poco a valle di Palazzolo, quasi di fronte al Km. 2; Appennino di Romagna). 130 # tt po i, FEDERICO SACCO © 14%, Sovrapposizione del Miopliocene (Mi.), costituito di marne grigie alternate con banchi arenacei ed inglobanti lenti calcaree a Lucina (L.), sulla serie (m. c. ar.) costituita di marne calcaree grigie, schistoso-scagliose, alternate con strati e straterelli arenacei e qualche strato o lente calcarea. (Collina tra Palazzolo e Marradi, nell'Appennino di Romagna). 15. Frattura con spostamento nella serie di strati marnosi grigio-chiari (m.), alternati con strati arenaceo-sabbiosi grigio-scuri (ar.) dell’Elveziano, con argilla bruniccia nella zona di frattura. (Destra del Rio Gola, 100 metri circa a monte dei Tetti Miglioretti; Pino Torinese). 16. brazture con spostamenti nella serie di banchi arenaceo- sabbiosi, alternati con marne, del Miopliocene. (Spaccato in un burrone tra Maciolla e Ca Marino, 4 Km. ad Ovest di Urbino). 17 e 18. Fratture con spostamento nell’Elveziano sup.; salendo da C. Fidanza a €. Ramelli lungo la strada carrozzabile di S. Stefano Belbo a Ceirole (Langhe). 19. Serie stratigrafica in cui le marne calcaree grigie dell’ Eo- cene (E.) passano gradualmente ai calcari rosati del Cre- taceo (Cr.) e questi ai calcari grigio-biancastri dell’ Infra- cretaceo (I.) che sovrappongonsi con ’yatus ai calcari grigi del Lias (L.). (Fianco destro di Val Menodre, tra Pale e Vescia, visto dal Colle di Foligno). 20. Serie marnoso-arenacea del Miopliocene. (Fianco destro di Val Sintria; veduta panoramica della collina di Torre Calamello da S. Andrea; Appennino di Romagna). Collina a scaglioni o gradinate nella parte settentrionale, cioè di C. Serra. 21 (Da fot.). Sovrapposizione regolare concordante della forma- zione arenacea del Miopliocene (Mi.) su quella marnoso- calcarea dell’Eocene (E.). (Est di Borbona; Appennino aquilano). 22. Rovesciamento della potente serie di banchi marnosi ed arenacei del Miopliocene, contro le falde orientali dei Monti Sibillini. (Sprone di Arquata del Tronto (A.) e del suo Castello (C.) visto da Piedilana). 23. Grande placca arenacea del Miocene di Perticara, disposta x x LA ' Ra È FENOMENI STRATIGRAFICI OSSERVATI 'NELL'APPENNINO, ECC. 181 in leggiera anticlinale, basante su calcari marnosi del- l’Eocene ed argille scagliose del Cretaceo. (Fianco meri- dionale del gruppo del M. Perticara, visto dal M. Mo- scellino; Appennino di Romagna). 24. Sovrapposizione subconcordante, ma con forte Ayatus, di una formazione ofiolitica verdastra (0f.) del Cretaceo, con base schistoso-diasprigna rossiccia(S.), sugli strati calcarei bianco-cerei, con interstraterelli schistoso-calcarei grigio- verdicci, del Lias (L.). (Tra il ponte ed il ponticello di Carrodano ; Appennino della Spezia). 25. Sovrapposizione trasgressiva dell’Eocene (Calcare nummu- litico, C. N., e Macigno, M.) sul Secondario (Argilloschisti bruni o rossigni in alto, con strati calcarei frammentati (Arg.) del Cretaceo e Caleari grigi (C. L.) del Lis). Sezione istruttiva dimostrando : 11° la sottoposizione della zona degli Argilloschisti bruno-rossigni all’Eocene (Nummuli- tico e Macigno); 2° come gli Argilloschisti compressi e trasgressivamente coperti dall’Eocene rigido e compatto riescano difficilmente, in generale, ad affiorare attorno alle emersioni Giuraliasiche dell'Appennino. (Fianco si- nistro della Valle della Torrite Secca, 2 Km. a monte di Castelnuovo Garfagnana, presso un Molino). 26. kRovesciamento stratigrafico dell’Infracretaceo (L.) a calcari grigio-biancastri, sul Cretaceo :(Cr.) a calcari rosati, sop- portante le marne calcaree grigie dell’ Eocene (E.). (Fianco sinistro della Valle Tenna, visto da ‘sopra Rubbiano ; Ovest di Montefortino). N.B. — Un rovesciamento consimile, spesso a ginocchio, sovente interessante anche la serie eocenica, ‘è un fatto quasi generale su queste falde orientali dei Monti Sibil- lini, come si può osservare lungo quasi tutti i fianchi dei torrenti che ne scendono, specialmente sulle pareti sco- scese di M. Sasso Tetto (Fig. 26%), di M. Valvasseto, di Balzo Rosso (presso Amandola), di M. Zampa, ece. 27 (Da fot.). Piega a ginocchio nella serie del Miopliocene (Mi.), costituita di banchi arenaceo-sabbiosi alternati con marne grigie, sovrastante alla serie marnoso-calcarea grigia del- l’Eocene (E.). (Fianco sinistro di Val Vomano, poco a monte di Montorio |Teramano]). n pe dl ls pr Sid W 132 FEDERICO SACCO 28 (Da fot.). Piega a ginocchio ‘nella serie calcareo-marnosa. (Destra del T. Tescio, 100 m. a monte del Ponte Grande ; 5 Km. ad E. N. Ex di Assisi). 29. Rovesciamento della serie eocenica inferiore costituita, d’alto in basso, di: banchi arenacei o Macigno (M.), sch. are- nacei (sc. ar.), schisti argilloso-calcarei bruni (sc. dr.) al- ternati con schisti calcarei grigi (sc. c.). (Sezione presso mare sotto il Cimitero ({) di Corniglia, vista dalla Sta- zione ferroviaria di Corniglia; Ovest di Spezia). 80. Anticlinale compressa e raddrizzata nella serie costituita di banchi di Macigno (M.) e di strati e schisti calcarei grigi (sch. c.) con nucleo di Argilloschisti calcarei bruni (scel. arg. c.) del Cretaceo superiore. (Fianco S. E. della Collina di S. Bernardino presso mare, vista dalla collina di Cor- niglia; Ovest di Spezia). 81. Rovesciamento del calcare rosato del Cretaceo (Cr.) sul cal- care marnoso grigio dell’Eocene (Eoc.). (Fianco sinistro di Val Burano, visto dal Ponte sito poco a Sud di Cagli) (dettaglio della fig. 81°). 31%. Rovesciamento della serie cretacea (Cr.) ed eocenica (E.). (Fianco sinistro di Val Burano sopra Cagli). N.B. — Questo fenomeno stratigrafico si ripete di frequente in questa regione appenninica. 32. Rovesciamento nella serie marnoso-arenacea del Miopliocene. (Fianco destro di Val Montone, quasi di fronte al Km. 51; Appennino romagnolo). 83. Grandi pieghe nei Calcari ad Helminthoidea labyrinthica del- l’Eocene. (Veduta panoramica del fianco destro di Val Pen- tema, osservata dal M. Moro; Appennino genovese). 34. Sinclinale rovesciata nella serie dei calcari marnosi del- l’Eocene (E.) posante sugli Argilloschisti (Arg. sch.). (Fianco meridionale del M. Palazzo, destra di Val D'Arda; Ap- pennino piacentino). 35. Sovrapposizione concordante della potente serie marnoso- arenacea (Macigno, M.) sugli argilloschisti bruni calcari- feri (Arg. sch.). (Sponda destra del F. Reno, presso il Ca- sello ferrov. 60, 4 Km. a monte di Bagni della Porretta). 36. Sinclinale rovesciata e ripiegata nella serie dei calcari mar- nosi dell’Eocene, posante sopra gli Argilloschisti (Arg. sch.). 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 x dn, MM. “a 'NELL'APPENNINO, ECC. 133 (Fianco meridionale del M. Carameto, visto da Umbria, sinistra di Val Ceno; Appennino piacentino). . Rovesciamento stratigrafico dell’Oligocene inferiore, quasi di fronte alla borgata Rostegazzo. (Sud di S. Sebastiano Curone); (m. marne grigie; «r. strati arenacei). (Da fot.). Letti-borse di Tufo. (Placche di Tufo sulla zona pliocenica ; strada di Morrano; Nord di Orvieto). . Ondulazioni nella serie argilloschistosa calcarea ed arenacea dell’Eocene. (Fianco S. E. del M. Piernaut, visto dalla Cima del Tavan; Colle di Tenda). . Ondulazioni nella serie schistoso-calcarea ed arenacea del- l’Eocene. (Cresta principale della Cima dei Gherra, vista dalla Cima del Cuni; Est del Colle di Tenda). . Rovesciamento nella serie dell’Oligocene inferiore costituito di strati arenacei (ar.) sovrastanti alle marne grigiastre (m.). (Destra di Val Tidone, presso Molino Paolazzo, sotto Ruino; Appennino pavese). (Da fot.). Sinclinale nella serie marnoso-calcarea grigia del- l’Eocene. (Fianco sinistro di Val Tronto, a monte di Acqua- lagna). . Ondulazioni negli strati calcarei grigio-rosei e verdicci del- l’Eocene. (Sezione sotto borgata Colle sul Lago Trasimeno, 2 Km. ad Est di Passignano). . Pieghettature ed ondulazioni nella serie cretacea (Cr.) di passaggio dall’Infracretaceo (/nfr.) di M. Pratofiorito al Macigno (M.) eocenico. Colle Foce al Lago (1103 m. sul I. m.) a Nord dei Bagni di Lucca. (Per dettagli vedi : F. Sacco, L’Appennino dell'Emilia, 1893, p. 44 (466). . Forte raddrizzamento, con probabile grande piega, nella serie arenacea eocenica (M.) del M. Prado e negli Argilloschisti bruni (4rg.) con Calcare. (Lama della Lite. Fianco N. 0. del M. Prado; Alto Appennino modenese verso la Gar- fagnana). . Pieghe nella serie marnoso-arenacea grigiastra. (Lato sinistro di Val Marecchia sotto Pozzale, tra lo sbocco del T. Se- natello ed il Molino della Fornace; S.0. di Pennabilli). . Pieghe nella serie calcarea eocenica. (Fianco meridionale del gruppo del M. Moro, ad Ovest di Torriglia). 134 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. DT. 58. 59. Ne" FEDERICO SACCO Piega a ginocchio nella serie marnoso-arenacea del M. Gra- naglione (lato N. 0.), svista da Castelluccio, a S. E. di Bagni della Fori (Alto Appennino bolognese). Pieghe della serie arenacea (Mucigno, M.) compresa tra gli Argilloschisti (A4rg.) nei monti ad Est di Zignago Sas- setta. (N. O. di Calice al Cornoviglio). Piega rovesciata nella serie arenacea (Macigno, M.) del M. Cusna (2121 m.s.l. m.) e degli Argilloschisti bruni e rosso-violacei;(4ry.) della regione Prati di Sara. (Fianco occidentale del M. Cusna visto dal M. Belfiore ; Alto Ap- pennino modenese). Piega a sinclinale nella serie arenacea (Macigno, M.) so- vrastante agli Argilloschisti (A4rg.). Fianco destro della Valle del Reno sotto Poggio Torraccia. (Sud di Bagni della Porretta). Grandi pieghe nella serie marnoso-arenacea (Macigno), sulla faccia S. E. del Colle I Pratacci, di fronte ad Ospitale. (Sud di Fanano, nell'alto Appennino bolognese). Ripiegamenti ad angolo acuto negli Argilloschisti bruni ofiolitiferi del Cretaceo. (Tra Grezzo e Pietracervara, ad Ovest di Bardi; Appennino piacentino). Pieghe ripetute e coricate nella serie schistoso-calcareo- arenacea dell’Eocene. (Faccia meridionale del M. Bertrand ; N.E. di Tenda). Pieghe pigiate e coricate negli schisti arenacei grigio-bruni dell’Zocene. (Sezione sul mare, vista dalla Casa di Guidoni a Vernazza; Ovest di Spezia). Ondulazioni nella serie degli strati e banchi marnosi ed arenaceo-sabbiosi del Miopliocene. (Sponda destra del T. Apsa, poco più di 1 Km. a monte di Macerata Feltria). Pieghe degli Argilloschisti bruni del Oretaceo, racchiudenti un piccolo ammasso (0.) ofiolitico di 1 m. e !/, di dia- metro apparente. (Destra di Val Taro, lungo la strada provinciale, 1/, Km. a monte di C. Boceto, presso Bor- gotaro). Pieghe ad angolo .negli schisti marnoso-arenacei grigio. giallastri. (Lungo la strada carrozzabile sopra ‘Ostia, in Val Taro). Pieghe ad angolo negli strati schistoso-calcarei del M. Chia- % N % * To, A, __ NELL'APPENNINO, Ecc. 135 pozzo. (Fianco meridionale del M. Chiapozzo, visto da M. Biscia; Appennino ligure tra Varese e Borzonasca). 60. Pieghe coricate negli schisti calcarei. (Sponda destra del T. Milia, tra Poggio le Querce e Poggio Macupolo ; Mas- setano). 61. Pieghe ad angolo negli strati calcarei del Giurese. (Sezione lungo la strada carrozzabile, sulla destra del Serchio, 1 Km. a monte di Diecimo; Nord di Lucca). 62. Piega, probabilmente in sinclinale rovesciata, nella serie schistosa (sch.) ed arenacea (M.) dell’ Eocene. (Regione delle cave di Macigno sulla destra di Val Mugnone, di _ fronte a Fiesole, presso Firenze). 63. Piega in anticlinale locale nella serie dei banchi sabbiosi giallastri del Miopliocene. (Lungo la strada sulla sinistra del T. Apsa, poco a monte di Macerata Feltria). 64. Ripiegamenti negli strati marnosi grigi del Piacenziano. (Sezione di trincea ferroviaria presso il ponte sul T. Pesio ; Nord di Mondovì). 65 (Da fot.). Ripieghettature negli strati marnosi ed arenacei dell’Eocene. (Sponda destra del T. Burano, di fronte al- l’Abbadia, poco a monte del Passo del Furlo; Fossom- brone). (Da fot.). Piega ad orecchio nelle marne calcaree. (Destra di Val Botena, presso il Molino di Botena, a N. E. di Vicchio; Mugello orientale. 67 (Da fot.). Anticlinale nella serie marnoso-calcarea grigia dell’Eocene. (Fianco sinistro di Val Tronto, 1 Km. circa a monte di Acquasanta). 68. Piega e sollevamento nella serie marnoso-arenacea del Mz0- phiocene. (Fianco destro di Val Lamone, di fronte al Ci- mitero di S. Eufemia; Appennino di Romagna). 69. Anticlinale locale nella formazione schistosa marnoso-cal- carea grigia a Zoophycos dell’ Eocene. (Colle Forche; Ovest di Amandola, contro le falde orientali, secondarie, dei Monti Sibillini). 70 (Da fot.). Arricciamenti in una piega anticlinale rovesciata nella serie calcareo-marnosa dell’ Eocene. (Sinistra del T. Vomano, poco a valle e di fronte a Cusciano ; a Nord del Gruppo del Gran Sasso d’Italia). Atti della R. Accademia — Vol. XL. 10 6 (ep) | ri sl 136 FEDERICO SACCO 71 (Da fot.). Pieghe negli strati calcarei del Cretaceo. (Sinistra del T. Candigliano presso Acqualagna; Appennino mar- chigiano). 72 (Da fot.). Pieghe nei calcari del Lias medio. (Destra del T. Burano, 3 Km. a valle di Cantiano ; Appennino mar- chigiano). 73. Sinclinale nei calcari marnosi dell’ Eocene inferiore. (Sponda destra del T. Candigliano, 2 Km. a N. E. di Acqualagna). 74 (Da fot.). Anticlinale locale nella serie marnoso-arenacea ; presso la Scheggia. (Appennino di Gubbio). 75. Ondulazioni in un banco di Trachite. (Parte inferiore della Valle delle Pilete, 2 Km. ad E. N. E. di S. Vincenzo; Campiglia Marittima). 76. (Da fot.) Pieghe pigiate (da pressione ab alto) nelle marne argillose bleuastre, fossilifere, del Piacenziano. (Fianco si- nistro del Torrente Ghidone, presso l’affluenza del Rio di Cherasco ; sulla destra della Stura di Cuneo). 77. Raddrizzamento e pieghe nella serie marnoso-arenacea. (Se- zione naturale presso il Ponte di Ca Bassa sulla sinistra del Santerno, quasi di fronte al Km. 13; Appennino di Romagna). 78 (Da fot.). Anticlinale locale nella serie marnoso-arenacea. (1 Km. a valle della Colla di Casaglia in Val D'Elsa; Appennino tosco-romagnolo). 79. Pieghe coricate in una zona marnoso-calcarea, scagliosa, grigia, compresa tra banchi e strati marnoso-arenacei (effetto di compressione ad alto). (Sponda destra del T. Bi- scuvio, sotto Cornioleto, 2 Km. a monte di Apecchio ; Appennino tra Urbania e Città di Castello). 80 (Da fot.). Ondulazioni nella serie calcareo-marnosa dell’ Eo- cene. (Sinistra del T. Vomano, di fronte alla Fonte di Cusciano). 81 (Da fot.). Locale sinclinale rovesciata nei calcari del Lias. (Spaccato lungo la strada carrozzabile presso C. S. Orso, a Sud di Spoleto). 82 (Da fot.). Pieghe nella serie calcareo-marnosa grigio-bianca. (Sponda destra del F. Metauro, al Ponte delle Piangole; Sud di Urbino). x » , P 001, Mo OSSERVATI NELL APPENNINO, ECC. 137 83 (Da fot.). Ondulazioni nella serie marnoso-sabbioso-arenacea del Miopliocene. (Presso Linaro, Mercato Saraceno; Ap- pennino di Romagna). 84 (Da fot.). Pieghe coricate dei banchi calcarei biancastri in- globati fra gli schisti bruni. (Lungo la strada carrozzabile a S. 0. di Collagna, sinistra della Secchia; Alto Appen- nino modenese). 85. Ripiegamenti e rovesciamento nella serie marnoso-arenacea (M.) posante sugli Argilloschisti (Arg. se. ofiolitiferi). (Fianco N. E. del M. Cervarola, sopra Roncoscaglia, come vedesi da poco sopra Sestola; Appennino modenese). 87. Ripiegamenti negli straterelli marnoso-arenacei del Ton- griano. (Presso La Costa, salendo a Musigliano; Nord di S. Sebastiano Curone). 88. Ripiegamenti con rovesciamenti opposti negli schisti di pas- saggio dal Cretaceo all’Eocene. (Lungo la strada a Sud di Lupazzano; Appennino parmense). 89. Pieghe nel F/ysch eocenico. (Di fronte a Maisonmeane; Valle dell’Ubayette). 90. Pieghe (che si estendono per 20 metri di lunghezza) nelle marne sabbiose del Piacenziano. (Lungo il T. Mondalavia (Bene- Vagienna), poco a monte del Ponte di Madonna delle Grazie). Effetto di pressione ad alto. 91. Pieghe nelle marne sabbiose del Piacenziano. (Sotto Breolungi (Mondovì), sulla destra del T. Pesio). Effetto di pressione ab alto. 92. Pieghe pigiate negli Argilloschisti. (Lungo la strada pro- vinciale poco a monte della Cantoniera di Colle Cento Croci, Nord di Varese Ligure). 93 (Da fot.). Ondulazioni ripetute nella serie marnoso-arenacea dell’Eocene. (Lungo la strada carrozzabile ad Ovest di An- ghiari, presso la Fattoria La Speranza; Monti di Arezzo). 94 (Da fot.). Piega in anticlinale composta, nella serie marnoso- calcarea eocenica. (Ovest della Stazione ferroviaria di Cagli). 95. Piega a ginocchio negli Argilloschisti ofiolitiferi. (Destra della Trebbia presso la strada nazionale, 1 Km. a valle di Ottone). 96. Corrugamenti stipati e coricati della serie calcarea del- 138 97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. FEDERICO SACCO — FENOMENI mf l’Eocene. (Falde orientali del Monte Lesima osservate dalla strada nazionale di Val Trebbia, poco a monte di Ponte Organasco). Contorsioni negli Argilloschisti grigio-violacei. Carmine presso Ruino (tra Montalto pavese e Zavattarello). Pieghe stipate e rovesciate negli Argilloschisti. Di fronte al Macigno della Porretta. (Fianco destro di Val del Reno bolognese). Ripiegature negli strati calcarei dell’ Focene. (Fianco meri- dionale del M. Colletto, visto dal Monte delle tre Croci; Nord di Torriglia nell'Appennino genovese). Grandi ripiegature nella serie del Macigno. Fianco orien- tale del M. Grande, visto da Montacuto dell’Alpi. (Sud di Lizzano in Belvedere; Alto Appennino bolognese). Pieghe coricate nella serie degli strati calcarei ad Hel- minthoidea labyrinthica dell’ Eocene. Gruppo del M. Alfeo (Est di Ottone), visto nel suo fianco meridionale da Fon- tanigorda. Ondulazioni negli strati gessosi del Trias di Sassalbo, tra Fivizzano e Collagna. Piega locale in anticlinale sdoppiata nella serie calcarea ed arenacea. (Sezione presso la strada nazionale, poco sopra Madonna della Pergola, a Nord di Gubbio). Contorsioni (accompagnate da piccole fratture con scorri- menti, tralasciati nel disegno) negli Argilloschisti bruni alternati con straterelli arenacei. (Fianco sinistro di Val Cedra sotto Borgata Canova; Appennino parmense). % Atti dRAccad.d.Scienze di Torino. 707. YZ. Tav:I Miu 4 È T- ine CO 3 > Fig. 10 3 bis M.Pincio Val Marecchia | arra FEDERICO SACCO- Fenomeni stratigrafici dell' App inino settentr. e centr. Alti dRAccadd.Scienze di Torino 727, IZ. Tart pe ig IZ, 3, T = __S ch VA | m, | 7 Bg, nj Val Marecchia ì ' A ALLI UL. A 4 RU UCOUA. A, AVA VA IZIO VII AA AIA Pa AMA 4 LUCI 0 LL SN E >) vi IN appuccini | AttidRAcca y FEDERICO SACCO- Fenomeni stratigrafici dell' Appennino settentr.e centr. i | CSO, ; : AR Vi SessoTato 25 Cl a = \ Ù LEI, Costa M.Carameto : (1308 m) M.Pratobella | t(1150 m) ALU ULILUAU LOU. U. DO UICIIZEO UL LOFITIO.T VOC, AZ. Coll 14 ‘'(1103 m.) SÎN i G.della Villa M.Prado 1(2051 m) / 4, : — ULI ’ FC; ci ’ £ È È QU) , 7 Ù ' 4, ’ I n Ù ue Ù P 1 2 Daan) ’ / È ’ 4’ N n el Twàùi MEA -_ 2a \\ ee Sd 3 e — T___{ Me |] \Ù e ) bee" TT I Tav Il ga Mii dRArcaddScienze diTorino= 727, Z. Tav tIl vlt 73 ig. Fig 44 ped x Ò x \\ Ò ‘2 di CÀ d : ON C.dallaVilla x» \ Rig. “= F. Margharia Li i SA NW e PI <= M. Cu yy, lin ANS 2 sal Pig. 49 ia; \ di Ù i . Fig. 83 2 5 FA Z _W tig.80 RR 1] LA \ A | | 2a . i | (0 (> Ò y SU) 3 S V Ù DÌ saba ji - i PS = 281) e loss | nl S AO e a DÌ Al -_ =i Mi 98 i - le L ì f | ci e , 7) M. Roncanovo {6517 Li Pig. 103 Ti Met m M.Zucchello! , ° Di ROL Fig. 10% ) SL = (è ! È - = SAI z 1, Î Letta 2 DÒ YI) i Ì È sf \ na uc I S \ } BEPPO LEVI — PUNTI DOPPI UNIPLANARI, ECC. 139 Punti doppi uniplanari delle superficie algebriche. Nota di BEPPO LEVI. 1. — Il problema generale, a cui principal scopo del pre- sente lavoro è di portare un contributo, può delinearsi sempli- cemente così : Sia A un punto multiplo di una superficie /, e y un ramo di curva tracciato su , con origine A. La superficie / ha nei successivi punti di y punti di multiplicità assegnata (non mai crescente col progredire del punto sul ramo, e che finisce per ridursi ad 1); l'insieme di tali multiplicità si dice la composi- zione della superficie lungo il ramo. Col variare del ramo y varia generalmente anche la composizione : esiste cioè bensì una com- posizione relativa al ramo generico, ma, nell’infinità dei rami passanti per A su £, esistono generalmente infinità minori di rami lungo i quali la composizione differisce più o meno dalla generica. Ora la natura algebrica fa necessariamente pensare che tra le composizioni generiche e le speciali intercedano re- lazioni, la cui conoscenza sarebbe certamente giovevole alle ap- plicazioni medesime della nozione della’ composizione. — Tali relazioni esistono di fatto e per particolari casi di punti doppi furono trovate, per via analitica, dal prof. Segre (!); ma del problema generale non si ha nozione alcuna. La questione è qui trattata in modo esauriente pei punti (!) Sulla composizione dei punti singolari delle superficie algebriche (* An- nali di Matematica ,, Serie II, vol. 25). Cfr. per altre determinazioni di tali legami: Levr, Intorno alla composizione dei punti generici delle linee sin- golari delle superficie algebriche (* Ann. di Mat. ,, Serie III, vol. 2°). = eg 140 BEPPO LEVI doppi uniplanari ('); si dimostra che i rami di composizioni sin- golari si distinguono in due specie diverse : rami che contengono più punti multipli di Y appartenenti ad un intorno dello stesso ordine di A e rami che hanno un contatto più o meno elevato colla curva doppia di F o colla curva di contatto di F' col cono circoscritto da un punto non appartenente al piano tangente ad F,.in A; e si stabilisce una formola generale che permette di determinare la composizione della superficie lungo un ramo assegnato, quando sia nota la composizione nel punto A della detta curva di contatto e della curva doppia (n. 8). E qui si impongono due osservazioni: l’una, necessaria perchè abbia senso il precedente enunciato, è che le curve contorni apparenti di Y rispetto ai punti dello spazio esterni al piano tangente in A hanno tutte in A le stesse tangenti, anzi hanno tutte comune un certo sistema di punti successivi ad A (n. 4, 9, 10); l’altra, meno evidente, ma più essenziale per la questione principale, è l’in- versione del risultato espresso nella nominata formola generale, dimostrandosi che la composizione della curva contorno appa- rente e della curva doppia è completamente arbitraria, poichè, assegnata a piacere (in un suo punto almeno triplo) la composi- zione della curva complessiva formata dalle due curve prese con convenienti multiplicità (anzi assegnata la parte della curva che passa per tal punto), purchè compatibilmente colla condizione che tal curva possa appartenere a una falda lineare, esistono superficie aventi tal punto come doppio e tal comportamento in esso per la curva nominata (n. 14). La ricerca si conduce per via sintetica, che assai meglio dell’analitica si presta all'uopo. Ma prima ed essenzial difficoltà alla ricerca analitica è la caratterizzazione, nell'equazione, della singolarità del punto. Ad essa sono indirizzate alcune conside- razioni finali, ove si determina l’equazione generale dei punti doppi uniplanari di data composizione sul ramo generico, esten- (!) I punti doppi conici e biplanari non offrono argomento a studio, da questo punto di vista: ai primi è successiva una conica, tutta di punti semplici; ai secondi due rette di punti semplici; solo il punto comune a queste può essere doppio, ed allora è biplanare o conico, e si ripeteranno per esso i fatti enunciati. PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 141 dendo anzi tal determinazione all’analoga singolarità per la iper- superficie ad un numero qualunque di dimensioni, ed applican- dola ad alcune ulteriori deduzioni (n. 15 a 18). Si indica in appendice la forma dei punti considerati. 2. — Considerazioni preliminari. — Si è definito nel n° prec. la composizione della superficie lungo un ramo as- segnato y: ma nella definizione di tal composizione non è già il ramo che ha ufficio essenziale, bensì quella successione di primi suoi punti in cui la superficie ha punti multipli: sarà perciò più proprio sostituire alla considerazione del ramo quella dell'itinerario, definito come una qualsiasi successione (finita) di punti di un ramo; ogni itinerario è comune ad infiniti rami e si può prolungare coll’aggiunzione di punti successivi all'ultimo suo punto. Se A' è un punto di F successivo ad A, esso diviene punto effettivo sopra una superficie F' trasformata di / per una trasfor- mazione birazionale dello spazio avente A come punto fonda- mentale isolato : esso appartiene ad una linea a' di F, successiva ad A, cui tale trasformazione fa corrispondere una linea effettiva di F'. Se A" è un nuovo punto, successivo ad A', esso non diverrà ancora effettivo su 7", ma se ancora si assoggetta £' ad una trasformazione birazionale dello spazio avente A’ come punto fondamentale isolato, si otterrà una superficie trasformata F' su cui A" è punto effettivo. E così via. Le trasformazioni birazionali nominate saranno sempre, in quanto segue, trasformazioni quadratiche a conica fondamentale degenere. È noto che se il sistema omaloidico di una trasfor- mazione birazionale quadratica ha conica fondamentale degenere, ugual degenerazione ha pure la conica fondamentale del sistema omaloidico dello spazio trasformato ; e i punti doppi delle coniche si corrispondono per la trasformazione. — Nello spazio di / si dirà V il punto doppio della conica fondamentale, V' sarà il punto analogo nello spazio di /”. Dovendo trasformare £' in una nuova superficie #" si prenderà V' come punto doppio della conica fondamentale della nuova trasformazione e si chiamerà V" il punto analogo nello spazio di F". Così ancora, dovendo assoggettare /" ad una ulteriore trasformazione si prenderà V' 142 BEPPO LEVI come punto doppio della conica fondamentale della nuova tras- formazione e così via. Nel seguito, punti successivi ad A si indicheranno colla lettera A con apici ed indici; gli stessi apici ed indici si attri- buiranno ad F e a V per rappresentare le trasformate di Y su cui tali punti sono effettivi, ed i corrispondenti punti V. La superficie polare (1°) di un punto V rapporto alla corrispon- dente si rappresenterà colla lettera ® affetta dai medesimi apici ed indici. Se F e F® sono due superficie, trasformate l’una dell’altra per una delle nominate successioni di trasfor- mazioni quadratiche, anche le loro polari ®, ® sono trasfor- mate l’una dell’altra per la stessa successione di trasformazioni (*). Se ora A è un punto doppio (effettivo) di N”, ® passa per esso. Si conclude che la superficie ®, polare di un punto ge- nerico V rapporto ad F, passa (semplicemente) per tutti i punti doppi di F, siano essi effettivi, 0 successivi a punti doppi effettivi. Se V non appartiene al piano tangente ad F in A, sup- posto punto doppio uniplanare, e se A’ è un punto doppio suc- cessivo ad A, la retta V'A' non sarà tangente ad F' in A' (?) e così se una successione di punti A A'A"... son tutti doppi per /, le rette V'A', V'”A",... non saranno tangenti in essi punti rispettivamente ad N", /",... Le superficie D', ®",... passano per questi punti avendovi come piani tangenti i polari div Vv’, V",.: rispetto ai coni tangenti a

1 per le componenti di A. Un piano qualunque per AV taglia F, fuori di A, nei punti di contatto delle tangenti da V alla sezione che esso fa in e taglia A in punti multipli per tal sezione; e la multiplicità di ciascuno di questi ultimi punti (non escluso A) nella inter- sezione di C col piano è uguale all’abbassamento che il punto produce nella classe della sezione. Applicando questa osserva- zione alle varie sezioni di Y con piani per VA si ha che: La multiplicità complessiva di A in C (multiplicità di A nel- l'intersezione di C con un piano generico per VA) è uguale alla potenza dell'itinerario generico uscente da A (abbassamento di A nella classe della sezione piana generica ; cfr. n. 3). (Gli itinerari che seguono le sezioni di F con piani passanti per VA e per le tangenti a C in A hanno potenza superiore agli itinerari generici, perchè A produce su tali sezioni un abbassa- mento della classe maggiore che sulle sezioni piane generiche. Fissati così degli itinerari di maggior potenza, si pensi di spo- stare V arbitrariamente nello spazio (sempre mantenendolo fuori del piano tangente a F in A); la curva C varierà, ma appli- cando la proposizione generale del n° prec. al caso di r= 0 si concluderà che essa conterrà sempre, oltre il punto A, i punti immediatamente successivi ad A su quegli itinerari speciali. Le curve di diramazione (?) di F rispetto a tutti i punti dello spazio esterni al piano tangente in A. hanno adunque in A le stesse tangenti. 5. — Si fissi ora una di queste tangenti e si faccia va- riare arbitrariamente un piano per essa: muovendo contempo- raneamente il punto V, pur mantenendolo fuori del piano tan- gente in A, si può supporre che esso resti sempre su questo piano; si conclude che l’itinerario appartenente alla sezione fatta N (') Almeno se V è scelto fuori dei vertici degli eventuali coni di tan- genti d’inflessione di F. Dal seguito risulta però che questa condizione è inutile (v. n. 10). (*) Le curve C si compongono delle curve di diramazione e delle curve A; queste restano fisse al variare di 0, onde l’enunciato sarebbe per esse il- lusorio. 146. BEPPO LEVI con questo piano nella F ha, in ogni posizione di esso, potenza maggiore dell'itinerario generico. Si aggiunga l'osservazione che può sempre supporsi che la tangente considerata abbia comune con F un solo punto successivo ad A (!); gli itinerari determinati da tutte quelle sezioni piane hanno allora comune un solo punto successivo ad A, onde, appli- cando l’ultima proposizione del n° 13 si potrà affermare che tutti gli itinerari tracciati su F, con origine A, e contenenti un punto successivo ad A nella direzione di una delle tangenti alle curve doppie di F 0 alla sua curva di diramazione rapporto ad un punto qualunque esterno al piano tangente in A (supposti sufficentemente prolungati) hanno potenza superiore agli itinerari generici uscenti da A. Chiameremo direzioni singolari le direzioni di quelle tangenti. Le proposizioni del n° 3 ci permettono ancora di determi- nare l'incremento della potenza, per l'itinerario generico fra questi singolari: esse ci dicono infatti ch’esso è uguale all’in- cremento che si verifica per l'itinerario contenuto nella sezione piana generica che ha la stessa direzione ; applicando allora le osservazioni del n° precedente si verifica che tale incremento è uguale all’incremento che il numero delle intersezioni in A di quel piano generico con una curva C arbitrariamente fissata presenta rapporto al numero delle intersezioni di un piano non tangente ad essa (multiplicità di A per 0). Se della curva © sono dati i caratteri di composizione, si può quindi ancora dire che l'incremento della potenza per quegli itinerari è uguale alla multiplicità per C del punto successivo ad A nella corrispondente direzione singolare. (4) Se infatti questa ipotesi non fosse verificata, mediante una conve- niente trasformazione cremoniana non avente in A punto fondamentale (p. es. mediante una trasf. quadratica di cui non stiano su quella tangente punti fondamentali, isolati o non), sì potrebbe trasformare F in una super- ficie F* con cui la tangente corrispondente non avrebbe più che due punti consecutivi comuni: e nei riguardi della composizione lungo rami corrispon- denti uscenti da A e dal punto omologo A4*, Y ed F* sono l’una l’altra costituibili (Cfr. Levi, Sulla trasformazione dell’intorno di un punto per una trasf. birazionale fra due spazi, questi “ Atti ,, 1899. V. pure il n. 1 di Risoluzione delle singolarità puntuali delle superf. algebr.: questi “ Atti ,, 1898). PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 147 6. — Sia A, A',..., Al” una successione di punti doppi uni- planari di F: indicheremo con P” la potenza dell'itinerario ge- nerico di FM uscente da A ('); la potenza dell’itinerario gene- rico di F contenente A, A', ..., A! sarà allora Pi) + 2r. Sia C1-!) la curva d’intersezione di F”—!) con ®”-1); essa si comporrà di una parte Ci trasformata di C per la successione di trasfor- mazioni che porta da ! a F-! e di una parte CY costituita dalle linee successive ad A che le trasformazioni hanno con- dotte a divenire effettive: queste linee saranno tutte rette (?) (essendosi supposti A, A', ... uniplanari), e di esse al più una pas- serà quindi per A%- e per Al: si indichi con g!)=0 la mul- tiplicità di tal linea come parte di C©-!; si indichi inoltre con u® la multiplicità di A per C; la proposizione del n° preced., applicata alla F©-1) e al suo punto Al-!, ci dà che (1) P©) se Di — Pw-1) + ul”) LL qU. La relazione si mantiene esatta anche qualora si sopprima la restrizione che i punti A, A', ..., A” siano tutti doppi uni- planari, purchè si convenga che P" =2 quando A" è doppio non uniplanare e PÎ è un numero da determinarsi convenientemente, ma <1 (anche negativo, al caso) quando A" è semplice. Dalle considerazioni preliminari del n° 2 risulta infatti che se Al è doppio, non uniplanare, Cl”) passa per esso e vi ha punto doppio: C©-5 vi ha quindi punto doppio al più, onde ug! <2; con maggior precisione si deve osservare che poichè A‘) è doppio, A! è doppio uniplanare o biplanare ; nel primo caso P=!)=3 o =4, ma ad Al è successiva una retta che fa parte rispet- tivamente, come retta semplice o doppia, di Cl; perchè A‘ sia (') Avvenendo nel seguito di dover considerare punti designati con simboli più complessi, costituiti da apici ed indici, gli stessi apici ed in- dici si attribuiranno al simbolo P della potenza; del pari gli stessi apici ed indici si attribuiranno al simbolo u che tosto s’introdurrà per indicare la multiplicità dei punti considerati per C. (*) Più propriamente curve razionali: la linea trasformata di un punto doppio uniplanare A, per una trasformazione quadratica di punto fonda- mentale A è una retta; trasformazioni cremoniane successive le fanno per- dere la caratteristica projettiva di linea retta, ma questo particolare è privo d'interesse. 148. BEPPO LEVI doppio per Cl” occorre che u?+q"=1 o =0 rispettivamente, e la formola si verifica; nel secondo caso P!-)—=2 e i due rami (parziali o totali) di C©-! sono entrambi tangenti alla direzione che contiene A” (n. 2) onde u”)+g!=2, e si veri- fica ancora la formola. Se poi A! è semplice, A°-D è semplice o doppio conico o biplanare o è regresso di 1 specie, onde Pl!) <3; e se P©-1)<3, CUD passa al più semplicemente per A, onde u”)+ g!=1 e la formola (1) si verifica qualora si attri- buisca a Pi”? un valore <1; se invece Pl! — 3, A è re- gresso di prima specie, gli itinerari generici uscenti da A) nelle direzioni tangenti a 0-1 hanno potenza =4 (n. 5), onde A" non potrà essere semplice se non quando Cl) non passi per esso: allora ul!+ gM=-0 e la formola (1) si verifica ancora per PM=1. La formola (1) fornisce una relazione ricorrente, la quale permetterà di calcolare Pl! tosto che siano noti i numeri ul (s=1,2,...,7) e sia data una regola per determinare il valore di gf (s=1,2,...), ricordando che PI) —=P è la po- tenza dell'itinerario generico uscente da A e la multiplicità pu di A per C (n° 4). La validità che le precedenti convenzioni le dànno per ogni itinerario, fa riconoscere in essa la completa risoluzione del problema della composizione : saranno doppi per F tutti e soli quei punti A‘) per cui P)22. 7. — Il numero gl è >0 sempre e solo quando Al) ed A appartengano ad una stessa linea, successiva ad A, la quale faccia parte di C(%-!. Sia A il punto precedente ad AD a cui tal linea è immediatamente successiva, a+! la linea; su di essa staranno A@*!) e tutti i punti dell'itinerario compresi fra AP+D e AD (1) e gl sarà uguale alla comune sua multi- plicità per tutte le linee C+), ..., C&-1, C©; il punto AP dovrà essere doppio uniplanare (?) e sarà gl) = P(?) —2 (8). Quando Al) (') Perchè, quando un itinerario abbia abbandonato un ramo, non può più ritornarvi con punti successivi. (?) Altrimenti a+! non apparterrebbe a CP!) (n. 2). (9) Per persuadersene si osservi che 9') è la multiplicità di a+!) in C@+! e si ricordi che P®) è la multiplicità in A della curva 00), inter- sezione di Fl) e O), cioè la multiplicità d’intersezione in A delle sezioni fatte da un piano generico in FP) e ©) (cfr. A, n. 4). PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 149 non è doppio uniplanare, se anche A—! e A” appartenessero ad a@+1, a+! non è parte di Cl”-1 (nè di C#+, ...) e dovrebbe assumersi gl! = 0: ora si osservi che la formola g!M)= PM —2 dà appunto gf =0 se PM —2, dà invece ql<0 se PM<1; in quest’ultimo caso però A è semplice, onde a fortiori è sem- plice A‘) e se a 9g! si attribuisce un valore virtuale <0, ciò non farà che diminuire il valore che dalla formola (1) risulta per Pl”; il che sarà sempre concesso dacchè, essendo A” sem- plice, dovrà essere PM£=<1, ma qualunque valore si può attri- buire a Pl purchè soddisfi a questa condizione. Può dunque assumersi, senza eccezione (') (2) ql) = PO —2. 8. — Dopo ciò definiremo con maggior esattezza la costi- tuzione dell’itinerario A, A', ..., Al) nel modo seguente: Sia ' la linea successiva ad A; ad essa potranno appartenere uno o più punti dell'itinerario; li chiameremo A4;', A3/, ...; potrà avve- nire che l’ultimo di questi punti appartenga col successivo ad una stessa linea di F successiva ad A (necessariamente diversa da a') ovvero che non si verifichi tal fatto. Nel primo caso rap- presenteremo tal punto con A4';+1= A; e chiameremo 4," il punto successivo, a'' la linea cui appartengono; a” sarà la linea successiva (immediatamente) ad 4';, precedente di 4';.1. Nel secondo caso rappresenteremo con A4;", l’ultimo punto dell’itine- rario, sopra a’ e chiameremo ancora a'' la retta successiva ad esso, A," il punto dell’itinerario successivo ad A’. Di nuovo chiameremo A," A," ... i punti dell'itinerario che appartengono ad a" e l’ultimo di essi 4”; ovvero A”;1= A; secondochè esso non appartiene col punto successivo ad una linea successiva ad A, ovvero sì; chiameremo in ogni caso a'”’ la linea di F suc- cessiva ad A"; ed A,'", 4,", ...i punti dell’itinerario su di essa e così via (?). Le formole (1) e (2) dànno allora (4) È però necessario notare che, per tal modo, il numero gl” potendo divenir negativo, cessa d’esser vero che la potenza dell’itinerario generico contenente AA'... A! è P©+-2r. Tal fatto potrà ritenersi per certo solo quando si limiti il gruppo AA... Al! a punti per cui Pl! > 0. (*) Non è escluso che una retta a(*) possa contenere un punto solo: sarà allora j()=1. 150 BEPPO LEVI (3) per s>1, Po) =P®; +") PA-B_4 (4) pers=1e A;©)+A40-h (1), Pi Pb MESTRN —1}+ (5) pers=le A TAN P,W= Pia = = Fai + + 4,00 + BRE —4 Così sviluppate le nostre formole ricorrenti si prestano ad ulteriori trasformazioni che ci porteranno ad una formola espli- cita, liberata dalla forma ricorrente. Si scriva infatti la (3) per tutti i valori di s fra s=2 e s=j® e si sommino le equazioni risultanti colla (4) ovvero colla (5); si otterrà (6) per AMA io PA=NARU * o (W_2)—2(jA)—1) JA) <« J(A—1) () per AMARI PRSPRITE, (80-2)-290 4 PRE Sia AA;'Ag'... A;' A"... Ajj) Vitinerario considerato e sia Y un ramo che lo contenga e su cui A;} sia punto semplice e sia precisamente l’ultimo punto comune a 1 e ad a. Sia v l'ordine di Y (multiplicità di A per Y), vi la multi- plicità di 4," per Y; è noto che tutti i punti A;'43"...4;' avranno per Y la stessa multiplicità e A4';+1, se esiste, multiplicità mi- nore e che la somma delle multiplicità dei punti A’ deve essere . x a n . . uguale a v. Cosicchè, rappresentando con || il quoziente intero SP sd 2 O Vv O . della divisione «a :d, sarà j'= [*] e, più precisamente, Vi " ' */ Vv se Ai FAju pEr ot IE 1 PRETESE Pps VV se Ai IV a] J 501.8, 0 Pte nine ii A ove vs rappresenta la multiplicità di A," per y. Con tutta ge- neralità, detta v, la multiplicità di A, su y, sarà x 34 ‘ Va.1 Vil se Ai tI AM) JO) == | i -| = n ———————t—_@— Ù A Fi SET) SO è LINE ERIN (47) I] | O e se At! = 44); Vi =| y = ; (4) Col segno AMANI rappresenteremo simbolicamente la non esistenza del punto Ai} Dee PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 151 sarà inoltre, per ipotesi, a “(1 Vi== ii 9) )— VIE Sostituendo a /* questi valori nelle (6) e (7), esse di- vengono: il { per Aia A, AD FAR, VaA1l = SALSE (6) RPi=" = PRY+), (po) — aan s=1l,iojl) per Ata e AN, Aa 40, MICICVAEL.Dlx_ ai VE ila (61) (Pfj="= Rat) (a — 2) — getta s=I (A) ) \ +1 per ACI. la. AI, A;b}+ = A È VANESI Lia gu I es (INR PR) 2) 2 + phug s=1,....jl) per Apia = =A}, Aia: ne I) Vi-1_-Vit1 Va lava: +1 Eta (7) Rei= =, Bai di (9-2) =2- A+Pizd 4 s=1.gjl) Si divida allora l’itinerario AA,'...A;) in segmenti tali che, Se A... AMA. ..A4, è uno.di essi, sia A/Mî+ 4, o o A 4 a AG49 4,0) Lui (potendo Da segmento ridursi ad un sol gruppo A{...4;} qualora A;!#+4jf}}u1 e A44%= 4; ). Si pensino allora moltiplicati i due membri delle (6). (7), (7”) per v,, e scritta la prima per A=f, la terza per \=f +1, f+2,..,g—1 e la seconda per \=g; si sommino le equazioni risultanti; si otterrà (8) vP.(g) =mbra iP n spe HS dla 2(V;- n= Va). 2 La formola (6’) rientra come caso particolare nella (8), nel- l'ipotesi che il segmento considerato si riduca al solo gruppo AM...AD. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 1l 152 BEPPO LEVI Si scrivano infine le equazioni (8) per tutti i segmenti in cui si scompone l'itinerario A, 4;',..., 4;î} e si sommino; si otterrà (ricordando che v= 1): (BA=VP+ 2, (8! — 2) — 20620) s=1i-0,]i Ano (1) Î == I V, (10) — 2) +2 ESSO cl) io calat ove si conviene che vy=v, j®=1, u?=u multiplicità di Cin A. 9. — Conseguenze. — Il punto A} sarà doppio per F sempre e solo quando Pl)22, cioè quando Xv (uf — 2)Z0. Tal relazione si verificherà in particolare quando A;;) è multiplo per la curva €, poichè allora tutti i ul! sono "2; adunque tutti è punti successivi ad A, multipli per C, sono punti doppi per F. V’ha di più: dalla definizione di P (n. 3) risulta che P==u=u{"=3; quindi finchè si considerano punti A per cui u!=2 sarà sempre Xv, (u!)—2)zu—2>1 e sarà perciò ancora Xv,(u1—2)20 se, nell’itinerario considerato, soltanto i u—2 ultimi punti sono semplici per C (è per essi uf = 1) (1). Adunque ancora, sw còascun ramo di C sono certamente ancora doppi per F i primi y—-2 punti semplici per C. Ma il numero di questi punti doppi potrà ancora accrescersi arbitrariamente sia per l’esistenza di punti precedenti per cui u7’ >2, sia per l’accrescersi del valore delle v, per cui u?) —2>0. Per esemplificare queste evenienze tratteremo tosto alcuni casi particolari. È però utile ancora che dalla for- mola (I) rileviamo alcune altre conseguenze generali. 10. — Il calcolo del numero P4), mediante la formola (1) si fa immaginando fissata una curva €, intersezione di con una ®, e definiendo mediante essa i numeri pu): si sostituisca ora alla C un’altra curva analoga 0;; il nuovo numero Pf), dovrà risultare uguale al primo, almeno finchè esso è =2; d’altra parte, se per tutti i punti di un dato itinerario sono noti i (4) Si osservi che per tutti questi punti sarà v\="1, potendosi pren- dere come ramo Y il ramo medesimo di C che li contiene. PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 153 numeri P;, si può dedurne i valori dei numeri p;©) relativi a tali punti; ne risulta che questi valori debbono essere uguali per le due curve C e C; : eliminando dalle curve C e €; la parte comune 4 si potrà quindi affermare che i punti doppi di F successivi ad A per cui passa la curra contorno apparente di F rispetto ad un punto non appartenente al piano tangente in A appartengono pure ad ogni altra curva contorno apparente di F rispetto ad un punto analogo e le due curve vi hanno le medesime miltiplicità (*). 11. — Dalla formola (1) del n° 6 possiamo ancora dedurre che l’ultimo punto doppio di F su ogni ramo dei contorni apparenti di F rispetto ai punti generici nominati è sempre conico. Basti osservare che se A”! appartiene alla C, esisterà certo un punto successivo appartenente alla C medesima: sia A”; sarà u”)21; se AD è uniplanare, onde P!-Y=3, segue allora dalla (1) no- minata Pl!=2; se 4-1 è biplanare, si ricordi (n° 2) che i due rami (totali o parziali) di C©-D sono tangenti all’asse della coppia di piani tangenti ; si dedurrà ul” 4 g!M = 2 che, insieme con PP") = 2, dà ancora PM = 2. In ogni caso adunque, se A#-! non è punto conico, il punto successivo ad esso su un ramo della curva C è ancora doppio. Poichè a un punto doppio conico non possono seguire altri punti doppi, si deduce ancora che il più ampio itinerario di punti doppi che seque un ramo della curva di diramazione non può essere prolungato coll’aggiunta di nuovi punti doppi : l’ultimo dei suoi punti doppi non appartiene quindi ad una curva doppia successiva ad A. Lo stesso ragionamento permette di invertire parzialmente la proposizione : ogni itinerario di punti doppi che non possa es- sere prolungato coll’aggiunta di nuovi punti doppi termina con un punto doppio conico ; esistono però di tali itinerari che non ap- partengono alla curva di diramazione. 12. — Un punto A”, successivo ad A4,;;}, appartiene all’iti- nerario generico contenente AA'...4,;) quando nell’itinerario costi- (1) Dal fatto che fra questi punti ne esistono di quelli semplici per qualche curva F, risulta che essi saranno semplici per le l relative a tutti i punti dello spazio (esterni al piano tangente in A) e che queste curve sono quindi tutte semplici (cfr. n. 4). i ii 154 BEPPO LEVI tuito da questi punti e dai successivi fino ad Al” nessun punto successivo ad /;)) sta con un altro punto dell’ itinerario sulla stessa linea di F successiva ad A, nè appartiene alla curva C. Siano A A... Al (j= 1) punti successivi della linea di F suc- cessiva ad A cui appartiene Al”; si chiamino v, i valori che si attri- buiscono alle v corrispondentemente all’itinerario AA4;'... 4;jf, quelli relativi all’itinerario AA4;'...A4;} ... AMA... 4%; si avrà Va =j\(h<1), ve =j(l=0,...,l Facendo j= 1 si vede che A‘ sarà doppio quando mi 6 3 dI vu) — 2) x=0,.. ,l e, restituendo a j il suo valore indeterminato, si vede che, sod- disfatta questa condizione, saranno pur doppi i punti A)... A”). Vale a dire: è punti che seguono un punto doppio di un itinerario generico (contenente un itinerario dato) sulla linea di F cui questo punto appartiene sono ancora essi tutti doppi ; od anche ogni punto doppio di un itinerario generico appartiene ad una linea doppia successiva ad A; ed infine ogni punto doppio di un itinerario ge- nerico è uniplanare 0 biplunare, mai conico, chè non potrebbe appartenere a una linea doppia. 18. — Applicazione della formola (1) allo studio di alcuni casi particolari. — a) Puxto DOPPIO UNIPLA- NARE GENERICO. — /l punto doppio non appartiene ad una linea doppia; la curva di diramazione relativa ad un punto generico dello spazio vi ha punto u-plo con u tangenti distinte. a, 1) Nopo DI k-MA sPEcIiE. — Composizione secondo l’ itine- rario generico : k caratteri 2 ; immediatamente successive all’ul- timo punto doppio dell’itinerario 2 rette semplici; la potenza dell'itinerario è P= u= 2%. Una superficie passante semplice- mente pel punto doppio A, con piano tangente generico, taglia F secondo una curva avente A come origine di due rami lineari con intersezione %-punta fra loro. PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 155 Composizione secondo l'itinerario generico fra quelli tangenti ad una delle u direzioni singolari. Tutti questi itinerari hanno comuni due punti A, 4',; nella formola (1) si dovrà porre /= 1, jP=1, v=v="1, e, poichè si suppongono distinte le u tangenti della curva di diramazione, w', = 1; si otterrà P,=P_-1= =2k — 1. Siccome 2% > 2, per ipotesi, A', è ancora doppio, la potenza dell'itinerario generico che lo contiene è P, +2 = =2k+-1; ciascuno di questi itinerari contiene % punti doppi, l’ultimo dei quali è uniplanare. Una superficie passante sempli- cemente per A, tangente ad una delle u direzioni singolari, e del resto generica, sega Y secondo una curva per cui A è ori- gine di un solo ramo di 2° ordine e precisamente è cuspide di k-ma specie. Itinerari di maggior particolarità. — Sono : 1° Gli itinerari che hanno più punti doppi per /, su una stessa retta doppia successiva ad A; la loro potenza, data dalla formola (I), si eleva per l’elevarsi del valore di v. Così, si considerino gli iti- nerari generici contenenti A, A',, A'3, dove A', appartiene ad a’: sarà v=2, vy="1, u,=l1 o =0 secondochè A', appartiene o non a una direzione singolare, u’, = 0; nei due casi quindi po=2P_T-2—-2=4—5 o P,=2P_2—-2—-2= =4k—6; risulta ancora che A', è doppio e che la potenza dell'itinerario generico contenente A A", A’, è P'9 42.2, cioè, nei due casi, 4k --1 o 4k—-2. Questi itinerari contengono quindi 2% — 1 punti doppi, l’ultimo dei quali è uniplanare o biplanare (n° 12) secondochè A', appartiene o non a una dire- zione singolare. 2° Gli itinerari che contengono altri punti della curva di diramazione C. Se A A' A"...A' appartengono tutti ad un ramo di Csi ha PU=P_-=2k-—l| e sarà P!"=>2 finchè <2k — 2: si ritrova un fatto già enunciato in generale al n° 9, che cioè su ogni ramo di C 2%X — 2 punti, semplici per C, suc- cessivi ad A sono doppi per / e comuni quindi a tutte le curve di diramazione (!). a, 2) CusPipE DI %-MA SPECIE. — Composizione secondo l’iti- nerario generico: k caratteri 2; immediatamente successiva al- (*) Cfr. per X=2 e X=83 i casi del tacnodo e dell’oscnodo in SEGRE, daresens lere 19. 156 BEPPO LEVI l’ultimo punto doppio una sola retta semplice. Una superficie generica passante semplicemente per A sega F secondo una curva per cui A è cuspide di X-ma specie. La potenza dell’iti- nerario generico è P=u=2%k+ 1. Ripetendo passo passo i calcoli precedenti si ritrovano ana- loghe conclusioni: Una superficie che passi semplicemente per 4, non avendovi altra particolarità che un contatto d’ordine 7 con un ramo della curva di diramazione €, sega # secondo una curva che, finchè /<2%X —1 possiede %X + si punti doppi consecutivi (!) e passa per A con due rami o con uno solo a seconda che / è dispari o pari. D) Più RAMI DELLA CURVA C si toccano. — La curva © continui a passare per A con u rami lineari, ma 722 di essi abbiano la stessa tangente; più precisamente abbiano a comune (essi e non altri rami di C) i punti successivi A A' A"... A(0. Nulla differenzia i casi speciali da quello generico dianzi trat- tato, per quanto riguarda gli itinerari generici. Si considerino invece gli itinerari che contengono A A"... A‘ #<1; si avrà ancora tutte le v=1; invece w=pu"=...=p0= 1; quindi, dalla (I), PO=P+ t(m — 2)= P. Si ritrova intanto P0> 2, e cioè i punti A A'A"... A son tutti doppi per F (n° 9); sul- P+ si 2 punti doppi, la sua potenza essendo P0 + 2t= P+ tn. Se poi si suppone di prolungare l'itinerario A A’... A coll’aggiunta di nuovi punti di un ramo di C che dopo Al non abbia più punti comuni con altri rami e si chiama A A°... A... A® il nuovo itinerario, si ha P9=P4+t(n-2)—(u—t)=P+tqt(m—-1)- u. A sarà dunque doppio finchè u2 se P_4+(t—1)(m-—2)20; vale a dire che se P>4 ovvero P=3 m=3 t>1 le rette aMt<1t) son tutte doppie per F; invece per P=3, m=3 (cuspide di 1° specie colle tre tangenti singolari riunite) la retta a' sarà sem- plice per F, ma successivi al punto A' contiene altri due punti doppi (2), perchè, essendo P—4 = — 1, sarà ancora P/=2 per j=2 ej=3; infine per P=3, n=2 (cuspide di prima specie con due tangenti singolari coincidenti) sarà, per ogni valor di #, Pi=n+2—-j;j=4—j, e sarà quindi P)=2 solo per j£2: ciascuna delle rette al” è dunque semplice, ma su ciascuna di esse al punto A' di C segue ancora uno e un sol punto doppio neces- sariamente conico (n. 11). Un punto cuspidale di una linea doppia nodale si trova nelle condizioni ora considerate; ad esso sono evidentemente successivi lungo la linea quanti si vogliano punti doppi, ciascuno dei quali è ancora cuspidale ed ha successivo ad esso, fuori della linea doppia, ancora un punto doppio conico. Il punto A4,' nel caso P=nm=3 presenta un caso particolare di questa evenienza. Si supponga infine di considerare un itinerario contenente AA'... AMAT+D... A, A... A, i punti Af+D... A,' succeden- dosi su un ramo semplice di C e non appartenendo ad altri rami di C che a questo, A4;‘... A appartenendo alla linea « successiva ad 4-1) Si avrà vav;=...Vy-1=), \=1, W=w"=... sur, ud. .=ul0=1, ul... =pl0—=0, onde la (1) darà P©=j[ P_3+1(m—1)—v]4-3. Questo numero sarà sempre >2 finchè P_3+1(m—1)=% (siccome si suppone «>, questa disuguaglianza potrà verificarsi solo se P>3 ovvero m>2); la linea a è allora doppia per 7; ma se u= P+ t(m_1)—2, P(< per ogni j=2; onde segue, confrontando con un risul- tato precedente, che tutti i punti doppi di Y su un ramo sem- plice di C, successivi ad A‘, stanno su linee doppie di /, ad eccezione dell'ultimo, conformemente al fatto noto (n. 11) che quest’ultimo punto è conico. c) LA CURVA € POSSIEDE UN RAMO SUPERLINEARE. — Si sup- ponga ancora che la curva C possegga un ramo d'ordine n (2 2): precisamente si supponga che nessun altro ramo di C abbia la stessa tangente e che su questo siano t-pli i punti AA'...A® e che (*) Cfr. SeaRrE, l. c., n. 14. 158 BEPPO LEVI il punto successivo A,l+!) sia semplice. Alla linea all+) apparter- ranno i punti A;(T+1) 4,741)... Axl+! tutti semplici pel ramo con- siderato. Se si considerano itinerari legati a contenere solo #20) lasciando per ora indeterminato l’intero /; si otterrà ancora Ue) = wH4... +) + wr + we tl. Quindi E Fay=(r — a)(ea — 22). 2 Ta—-x)= MU + e + ay + ay 90988 + (War +yoe +-.J(0+-@y+-...)?—y!(1+-@1+-9at...(00+-d1y +...) ossia, indicando con X,, Z,, w, forme algebriche in x e y d’or- dine r, 1 9 I Fay)= (241 +t3 +. Lira at Big rt..) Nella serie del primo addendo si raggruppino i primi +1 termini e si svolga quindi il quadrato; si otterrà come primo termine (r+x.4...+X+1)? e in seguito ‘termini d’ordine 2/43; 162 BEPPO LEVI si ponga allora /=u—3, e si indichino con m, nuove forme d'ordine r in x ed y; si avrà infine (II) È Fay) =@4+%: +... Xu) + ta Pai De L'equazione di ogni curva per cui l'origine sia nodo 0 cu- spide di k-ma specie può dunque sempre portarsi nella forma (II) dove u=2k 0 u= 2k+ 1 rispettivamente per le due singolarità. (Qualora il numero 2u — 4 fosse maggiore dell'ordine » della curva, questa equazione conterrebbe formalmente termini d’or- dine > n). 16. — Supponiamo inversamente che l'equazione d’una curva possa portarsi nella forma (II) (con u > 2); la curva avrà nell'origine punto doppio coll’unica tangente la retta «x=0; dunque un nodo di specie > 1 o una cuspide; immaginati de- dotti dalla F=0 gli sviluppi in serie rappresentanti i rami della curva aventi le origini sulla y= 0, si potrà ancora scri- vere, mediante trasformazioni analoghe alle precedenti, cm | Hey)= (2) [(14-w4+wat-+Wu-s)? ++] (0.970) onde Da F(xy) yu—2+... | 1+y+y+...+yz-3)? met (ea)[ 1 Li (1+y+... +3)? | Ma la (xy) si rappresenta, per ipotesi, nella forma (II); si ha dunque etxet. Ate? SE a+ retr +. _ 1+y+...+ye_s (14y1+...4+ye—3)î ci)la— -2+...) = (ale aa + t pat ses : 1 BAL si + Si ricordi ora che PE gia È 1-y+(9_y)+..; portando nel primo membro il 2° termine del secondo si con- clude che (r—x;)(r—xs) differisce solo per termini d'ordine 2 u da LATI. Axa 2 “ 1+ytyrt..+yes ) (et Ae tetro PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 163 le \, essendo forme in « ed y, d’ordine r. Ma il prodotto (e—-x1)(c—x,) deve assumere la forma a) —c) = (+ ag + ag +... +ey +), dove u è un certo intero; e, a causa dell’osservazione già fatta che 59==0, qualunque alterazione si porti a questa forma per aggiunzione di termini nella prima parentesi, e successive sot- trazioni fuori, si otterranno sempre fuori del quadrato, termini d'ordine <“ u; la precedente conclusione circa l’ espressione di (e-x))(ex—x) mostra quindi che deve essere u= u. Vale a dire: Se una curva può rappresentarsi coll’equazione F(xy)=0 ove F(xy) ha la forma (II), ha nell origine un nodo o una cuspide di specie aLe |. E precisamente, a causa della precedente pro- posizione, non avrà punto doppio superiore (*) sempre e solo quando la forma (II) non possa trasformarsi in altra analoga in cui n abbia valore maggiore. Condizione necessaria e sufficiente perchè questa trasformazione non sia possibile è che mu non sia divisibile per x. Se infatti 7, contenesse tal fattore, si ponga PRE i, a , Ku Sr p+1=Tu+1 2XoXu1, Tu+2=MTu+2— QXsXa—1, 3 7 33 2 - Tou-2 = TMu-2 -Xu-1; la (IT) prenderà allora la forma: = dee ea st Xe ir ear: (0777) “DE - Toy Meg) L Tay—1 L dò analoga alla precedente, ma in cui u ha preso il valore u+1. Reciprocamente si supponga che, con una conveniente scelta delle x, e delle r,' la (II) possa pur scriversi L Ram = (e +x' + +++ Wu +; (0970) (1) Chiamando la cuspide di X-ma specie singolarità superiore al nodo, il nodo di X + 1-ma specie superiore alla cuspide di %-ma specie. 164 BEPPO LEVI sottraendo l'una dall’altra le due espressioni si ha: O=(e+xo' +. Ax? @I%+t- 4%)? +e ovvero 0=[22+ (xe +xe) +-+ (kuetx'u-)t ra A + Mur — Xu-2) E Xu] ‘dd mu + (mi di; +1) +... Se ora, nel primo addendo, si suppone che delle differenze xo — Xe, Xs'—Xs; ... la prima non nulla identicamente sia Xx. —X,, lo sviluppo del prodotto darà luogo al termine 2x(x,' —x,) irre- duttibile con altri se r 1. Si assuma allora A come origine delle coordinate e l’iperpiano tangente come « —=0; si ponga ancora u= 2% o u=2k+1 secondochè si tratta di nodo o di regresso: condi- zione necessaria e sufficiente perchè la varietà F(xyz...)=0 abbia nell'origine la nominata singolarità è allora che possa scri- versi, a meno di un fattor costante, (III) F(xyz...) = (C+x0+X3t-4Xu-2)?+ Tu ci mu+r ti dove x, e tr, rappresentano forme algebriche di grado r in xyz... e tu non è divisibile per x. Poichè infatti si ottiene una sezione piana ponendo per le coordinate 2,... combinazioni lineari ar- bitrarie di x e di y, è evidente che tal posizione conduce la forma (III) alla forma (II) e quindi la condizione esposta è suf- PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 165 ficiente. Per dimostrarne la necessità si osservi che, poichè il cono tangente a F è €£2=0, si avrà F(xyz....=x + 3+ +... dove le ©, sono forme d’ordine r in x, y, 2, ..; si supponga allora, per generalità, che tale espressione possa portarsi nella forma eo RTG +L. TX +9; pp per un certo valore di j e non alla forma analoga per un valor superiore di ) (per j= 3 si ha l’espressione precedente) ; il ra- gionamento del n° prec. mostra che ciò equivale a dire che @; non è divisibile per x; si possono allora determinare per 2,... tali combinazioni lineari di x e y che, anche dopo la sostituzione, @; non contenga il fattore x, e si determina con ciò una sezione piana per cui A è un nodo o una cuspide di specie | e non superiore (n° 15). Affinchè tal punto non abbia singolarità in- feriore alla voluta deve dunque essere j= u. (Per j > u la sin- golarità si eleverebbe su tutte le sezioni piane; si eleverebbe cioè la singolarità del punto). 18. — La rappresentazione analitica ora trovata ci per- mette di riottenere sotto nuovo aspetto qualcuno dei risultati già esposti per via geometrica e di darne qualche generalizza- zione. Si consideri la varietà rappresentata dall’equazione (III); ordinando m, secondo le potenze di «, sia t,, il gruppo dei termini indipendenti da x: sarà una forma di grado u in y, 2, t,... e non sarà nullo, perchè tr, si suppone non divisibile per x. La condi- zione perchè una certa posizione: 2 = 00 + By, t=@3r + Bsy,... renda my divisibile per x è che m, si annulli per 2 = By, t= B3Y,... cioè per la retta d’intersezione del piano = =02+ By,... conx=0. L'equazione mu(y,2,...)=0 rappresenta quindi nel- l’iperpiano x=0 un cono di tangenti singolari ad F, tale che ogni piano passante per una di esse (e soltanto un tal piano) sega F secondo una curva che ha în A punto doppio superiore a quello della sezione piana generica. Nel caso di tre sole variabili (super- ficie ordinaria) questo cono si riduce alle u tangenti singolari. 166 BEPPO LEVI Supposta soddisfatta la condizione m(1,B,, 8», ..)= 0, V'e- quazione della sezione piana potrà portarsi nella forma (e + xe + xs rente Xu—2 + Vu) + muti + E 2 1192 : ha ; e sarà T'y41 = Tati — Xe i (n. 15); si può chiedere se possano ancora scegliersi le @,, 09, ... in modo che si abbia una ulteriore elevazione della singolarità della sezione; dovrà perciò annul- larsi in 1 y+1 (che è ora una forma in x ed y) il coefficiente di y+!; tal coefficiente è generalmente una espressione lineare in 0, 09, ...; per ogni generatrice singolare esiste dunque un sistema lineare di piani (di dimensione d — 3) che segano la varietà secondo una curva che ha nel punto doppio singolarità maggiore (Nel caso delle superficie ordinarie si avrà un piano per ciascuna tangente singolare). Fa eccezione il caso di u=3 : : T3 \2 rato ° 5 5 in ui tga=m = (3) e quindi il coefficiente di y4 in i \ questa espressione diviene quadratico in 0,, 09, ... Altri casi di simile eccezione si presentano d’altronde in corrispondenza a generatrici multiple di mi = 0. La ricerca può spingersi innanzi nella determinazione di sezioni di maggior singolarità e di generatrici di mi =0 tali che la singolarità si elevi per tutte le sezioni fatte con piani per esse, ma essa perderebbe oramai il suo principal interesse. 19. — Appendice: Forma dei punti doppi uni- planari. — Si può avvicinare le proprietà trovate per il con- torno apparente della superficie in prossimità di un punto uni- planare alla nozione che possiamo formarci delle forme dei punti doppi uniplanari (!). Considereremo, per semplicità, il caso in cui pel punto doppio non passi la linea doppia della superficie : chiameremo, come al solito, A il punto doppio, V un punto non appartenente al suo piano tangente. Una retta per V, sufficien- temente prossima alla VA, taglierà la superficie, in prossimità di A, in due punti reali o immaginari ; e se si considera, in- (4) La forma dei punti doppi biplanari fu determinata dal KLein (Ueber Flichen dritter Ordnung, © Math. Ann. ,, 6) e dal Ronn (Ein Beitrag zur Th. d. biplanaren una uniplanaren Knotenpunkte, “ Math. Ann. ,, 22). PUNTI DOPPI UNIPLANARI DELLE SUPERFICIE ALGEBRICHE 167 torno alla VA, un cono di apertura sufficientemente piccola, le generatrici passanti pei punti d’intersezione della falda conica col contorno apparente €, relativo a V, divideranno la falda in angoli costituiti alternativamente da generatrici che segano la F in due punti reali prossimi ad A, e da generatrici che non la segano in punti reali prossimi ad A. Ogni ramo reale di C taglia la falda in due punti; quindi la superficie F_si compone, per la sua parte reale, in prossimità di A, di tanti pezzi convergenti in À quanti sono è rami reali di C, e seganti su una piccola falda conica intorno a VA altrettante curve con cui le generatrici che le incontrano hanno due punti comuni. Se il punto V si sposta, le tracce dei singoli pezzi di / sui coni analoghi al pre- cedente debbono conservare le stesse proprietà: ciascuno di questi pezzi è dunque a sezione ovale; e queste ovali dovranno esser tali che, mentre il piano segante si avvicina ad A le dimen- sioni della sezione parallele al piano tangente in A. decrescono meno rapidamente che le dimensioni in direzioni formanti angolo finito col piano tangente medesimo, condizione questa perchè i contorni apparenti relativi ai diversi punti dello spazio abbiano le stesse tangenti. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 12 168 FILIPPO RIMONDINI Sul calcolo approssimato degli integrali doppi a limiti costanti. Nota del Dr. FILIPPO RIMONDINI. 1. — Il calcolo delle lunghezze, delle aree e dei volumi può sempre ricondursi, come è noto, alla determinazione di uno o più integrali definiti relativi a una funzione di una sola va- riabile. Ma spesso riesce impossibile eseguire detta integrazione, e allora è necessario ricorrere alle formole di approssimazione. » Se, ad esempio, si tratta di calcolare l’integrale | f@de, 0, come suol dirsi, l’area definita dalla curva y= f(x), si possono scegliere x +1 punti sulla curva f(x) e far passare per essi un’altra curva y= (x). Questa, avendo comuni con la proposta n+-1 punti nell’intervallo «è, se ne scosterà abbastanza poco se n è sufficientemente grande e potrà essere sostituita alla f(x) nel calcolo approssimato dell’area. Tale calcolo si potrà al- lora eseguire senza difficoltà se si ha cura di scegliere la @() in modo che se ne possa trovare facilmente l'integrale indefi- nito. Si può prendere per ®(x) una funzione razionale intera di grado n (polinomio di interpolazione), la quale è senz'altro indi- viduata dalla condizione di dover prendere valori assegnati ‘le ordinate degli n + 1 punti scelti) per n + 1 valori della varia- bile. Detto polinomio è dato dalla formola di Newton, nella quale i coefficienti sono le così dette funzioni interpolari, le cui notevoli proprietà sono state oggetto di studio per opera di Ampère, Cauchy, Bellavitis, Genocchi, Peano, ecc. Il Lagrange ha dato alla formola di interpolazione un’altra forma che in casi speciali può essere più opportuna e che può ricavarsi o di- SUL CALCOLO APPROSSIMATO DEGLI INTEGRALI DOPPI, ECC. 169 rettamente, o da quella di Newton. La differenza tra la funzione f(x) e il polinomio di interpolazione si dice resto, ed esprime l'errore che si commette prendendo il polinomio di interpola- zione in luogo di f(x). È di capitale importanza la considera- zione di tale resto e l’esame dei diversi modi di esprimerlo, proprio nella stessa guisa che nel problema del Taylor (del quale quello dell’interpolazione è una estensione) dallo studio del resto si deduce la possibilità o meno dello sviluppo della funzione in serie del Taylor. Si ha dunque, detto R il resto: fa) = (2) È e prendendo la formola d’interpolazione di Lagrange: O, nerd r-Lo)(er-2)..(erar(er— cr)... (er—En) dove: Pes (ero) a). (en) n4-1( Ba (n+1)! f (£) essendo z compreso fra xo, %1; ..., Xn €. Integrando termine a termine risulta : ran (far =Y f)1,+|" Ras dove le quantità /, sono integrali indipendenti dalla natura della curva f(x), il calcolo dei quali può anche semplificarsi cam- biando variabile in modo che i limiti diventino 0 e 1, per il che basta fare la posizione « = a 4 (0 — a)t. Il Cotes, che ha indicato questo metodo, suppone le ordi- nate equidistanti, e costruisce una tabella contenente i valori dei coefficienti per un certo numero di valori di n, con che si ha il valore approssimato dell’area quando si sian misurate le ordinate f(x,). Il Gauss, invece di attribuire alla variabile valori in pro- gressione aritmetica, li sceglie in guisa da ottenere la massima approssimazione. Il metodo di Gauss è certo quello da preferire per il calcolo approssimato delle aree per un numero determi- 170 FILIPPO RIMONDINI. nato di ordinate; ma se si tratta di una curva nella quale le ordinate possano misurarsi immediatamente, si può avere l’area con abbastanza approssimazione ricorrendo al metodo più sem- plice di Simpson. Il metodo del Cotes, accennato prima, fondato sull'uso di una formola di interpolazione, equivale a sostituire alla curva f(x) una parabola di ordine n che ha comuni n +1 punti con f(x). Il Simpson divide ancora l'intervallo ab in » parti eguali, ma in ciascuno dei trapezi curvilinei risultanti egli misura l’or- dinata media, per sostituire alla curva una parabola del 2° or- dine. Egli trova così, chiamando 40, Y1, - + -Yn le ordinate, come valore approssimato dell’area l’espressione : 7 [yot-ymn+-2(Y2 Save . bymno +41 +y3+ tifa) L'espressione del resto è stata tentata da Legendre con sviluppi in serie; ma più semplicemente si può dedurla con fa- cili considerazioni integrando il resto nella formola di interpo- lazione, con che si giunge alla formola: i e, —(b—a) tv ie P"(£) essendo & un valore di x compreso fra « e b, formola che si trova nell'opera di Prano: Applicazioni geometriche del calcolo infinitesimale, Torino 1887, pag. 211; e Formulaire de mathéma- tique, t. IV, pag. 187. In particolare per n= 1 si ha: © fiae="7*| fl +0 +4() +7 ro. 2. — Passiamo ora alla ricerca di una formola per il cal- colo approssimato del volume definito da una funzione di due variabili data in un campo rettangolare. Sia dunque f(xy) una funzione di due variabili data nel campo rettangolare (a CETO (2) J : dy{ f(ey)da << fl 3 53 Zri-eot-2s:-2 ont 22i 04-22; ant =1 È 2200 2 + dis 4 +... +22;s 2? +22; 2 +2 4 +...+2a ds) * sa 4A(2%i-s 1 +225-2 3 anta ti +22; 1 +22; sa +.. 7 il segno di 9 è contrario a quello del secondo membro: per conseguenza la formula soprascritta ci dice che quando a, > 0;, cioè il grado di dissociazione elettro- litica cresce col crescere della temperatura, 9g (cioè il calore di dissociazione) deve essere negativo, mentre naturalmente accade il contrario, cioè 9 è positivo, quando as < a;, vale a dire quando il grado di dissociazione diminuisce coll’innalzare la temperatura. 2. — Come si sa, il grado di dissociazione elettrolitica di una soluzione può dedursi dalle misure di conducibilità: tali mi- sure sono numerosissime a temperatura ordinaria, molto scarse invece a temperature più elevate: noi abbiamo quindi determi- nato la conducibilità delle soluzioni di cloruro sodico e cloruro potassico tra 20° e 90° a partire dalle soluzioni binormali, come più concentrate sino alle soluzioni a un millesimo della normale, allo scopo di dedurne poi il valore del grado di dissociazione alla corrispondente temperatura. Le misure delle resistenze delle soluzioni venivano eseguite col solito metodo di Kohlrausch del SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 179 ponte e del telefono, usando come recipiente, per la soluzione da esaminarsi, la forma detta di Arrhenius, vale a dire una provetta cilindrica di circa quattro centimetri di diametro con due elettrodi circolari di platino platinato saldati a due corti e robusti fili di platino, saldati alla lor volta in due tubetti di vetro: la distanza degli elettrodi era variabile a volontà. La difficoltà principale di queste misure consiste nel fatto che, specialmente a temperature un po’ elevate, l’acqua discioglie una piccola quantità del vetro del recipiente e per conseguenza la concentrazione e composizione della soluzione vengono alte- rate: questa alterazione è trascurabile per le soluzioni di forte o media concentrazione, ma non così per quelle più diluite. Sa- rebbe certamente desiderabile di potere eseguire misure di questo genere in provette di quarzo: ma in mancanza di queste, ab- biamo adoperato recipienti del cosidetto Resistenzglas di GREINER e FrIEpRICHS, sul quale l’azione chimica dell’acqua e delle sostanze disciolte è notevolmente più debole che sul vetro comune. Per ogni soluzione si è determinata la resistenza e quindi la conducibilità a 20°; da questa abbiamo sottratta la condu- cibilità dell'acqua distillata adoperata, alla stessa temperatura. Abbiamo poi, sempre per ogni soluzione, calcolato il coefficiente di temperatura per intervalli di dieci gradi e così da 20° a 30°, da 30° a 40° e così di seguito, operando tanto a temperatura crescente, quanto a temperatura decrescente ; mediante il coef- ficiente di temperatura e partendo dalla conducibilità iniziale a 20° si può calcolare allora la conducibilità a 30°, a 40°, a 50° etc. sino a 90°. L’operare in tal modo corrisponde in fondo ad ammettere (ciò che per le soluzioni da noi esaminate vale con grandissima approssimazione) che il coefficiente di tempe- ratura di una delle nostre soluzioni non sia diverso da quello di una soluzione leggermente alterata per il vetro disciolto. Per questo si richiede evidentemente che l’alterazione subìta dalla soluzione sia piccola; e questo si poteva provare confrontando la conducibilità iniziale della soluzione a 20° colla conducibilità (pure alla stessa temperatura) della soluzione stessa, dopo ri- scaldata sino a 90°. Per le ragioni qui accennate le soluzioni più diluite che abbiamo esaminate sono quelle di concentrazione 0,001 della normale. 180 A. CAMPETTI E M. NOZARI La provetta contenente le soluzioni veniva riscaldata in un grande bagno di acqua a doppia parete la cui temperatura si manteneva costante mediante un regolatore della fiamma del gas: l'evaporazione delle soluzioni a temperatura elevata ve- niva ridotta al minimo, versandovi sopra un poco di paraffina pura. Nelle due tabelle seguenti sono riportate le conducibilità mo- lecolari riferite al mercurio delle soluzioni di cloruro di potassio e di cloruro di sodio dalla concentrazione m = 2 sino alla con- centrazione m = 0,001: per il calcolo abbiamo prese come base le conducibilità del KCI e NaCl in soluzione normale quali si ricavano dalle esperienze di Kohlrausch a 18° e dal suo coeffi- ciente di temperatura, per la temperatura di 20°. Conducibilità molecolari del NaCl. —_—___—-t————»@_————————r_——— iosa ag, t m=2 | m=1 |m=0,5|m=0,1 m =0,01|2=0,005 m= 0,001 20°) 630,5| 728,7] 795,2) 915,8| 1023 | 1049 | [1047] 30° | 760,0) 875,8| 963,8| 1119 1254 | 1287 1500 40° | 893,5| 1036 1142 1326 1498 | 1535 1556 50° | 1033 1197 1326 1549 1740 | 1791 1823 9001 ablzi 1365 1517 1783 | 2006 | 2062 |! 2110 70° | 1310 1535 1714 |-2018 | 2284 | 2336 | ‘2394 80° | 1445 1697 1900 | 2254 | 2539 | 2598 . 2676 90° | 1585 1864 | 2086 2482 2810 | 2878 2982 | Ù | Ul | ______—_—————_—_r-rrr..r..r_rrr_r ——12 Conducibilità molecolari del KCI. t m=2 | m=1 |m=0,5| m=0,1 im =0,01| m==0,005 | m2= 0,001 | | 20°| 886,7| 947,21 997,2) 1106 | 1217 | 1239 | 1268 30° | 1038 |1129 | 1195 | 1332 | 1478 | 1507 | 1536 40° | 1197 | 1305 | 1401 | 1567 | 1743 | 1785 | 1921 50°| 1353 | 1492 | 1613 | 1805 | 2080 | 2076 | 2134 60° | 1510 | 1677 | 1827 | 2069 | 2319 | 2372 | 2461 70°| 1661 | 1871 |2041 | 2318 | 2614 | 2662 | o774 80° | 1807.| 2045 | — | 2565 |2881| 2946 | 3050 90° | 1947 |2206 | 2418 | 2797 | 3157 | 3216 | 3356 e __—-—-——==——_—-+ en eee SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 181 Dai valori delle tavole precedenti si calcolarono col solito metodo i valori di \», conducibilità molecolare limite, ponendo \=a+bm+ cm? (considerando cioè Y come esprimibile me- diante una funzione di 2° grado di m), calcolando i valori di a== servendosi dei valori di \ corrispondenti alle concentra- zioni 0,1, 0,01, 0,005, 0,001 prese tre a tre e infine prendendo la media dei valori di a così trovati. Si ottenne così: Valori di Xx alle varie temperature. t 20° | 30° 40° 50° 60° 70° 80° 90° NaCl 1064 | 1314 | 1569 | 1840 | 2122, 2400| 2676 | 2977 KCI 1272 | 1542 | 1830 | 2143 | 2470| 2780| 3062 | 3364 Osserviamo a proposito dei valori di questa tabella che l'errore probabile nel loro valore è inferiore all'uno per cento nelle temperature più basse, ma per le più alte (e specialmente per il cloruro potassico) arriva sino al due per cento: questo ci dà un'idea dell’esattezza colla quale si intendono calcolati i valori del grado di dissociazione a = -- , raccolti nelle tabelle che seguono: Grado di dissociazione delle soluzioni di KCI. É mi=20\\m—=1l na =0,5 mn =01 \m= 0,01 | m=0,005| mm =0,001 20° | 0,697 | 0,745 | 0,783 | 0,869 | 0,957 | 0,974 | 0,997 30° | 0,673 | 0,732 | 0,775 | 0,864 | 0,959 | 0,978 | 0,996 40° |0,654 | 0,713 | 0,765 | 0,856 | 0,952 | 0,976 | 0,995 50° | 0,632 | 0,696 | 0,753 | 0,842 | 0,947 | 0,969 | 0,996 60° | 0,611 | 0,679 | 0,740 | 0,838 | 0,939 | 0,960 | 0,996 70° 0,597 | 0,673 | 0,734 | 0,834 | 0,940 | 0,957 | 0,998 — | 0,838 | 0,941 | 0,962 | 0,996 90° | 0,579 | 0,656 | 0,719 | 0,831 | 0,938 | 0,956 | 0,998 _——_—————————_—_-—-—————————_mm_——_——— cc ——_— ——€——€—+—— ——+€— =. 182 A. CAMPETTI E M. NOZARI Grado di dissociazione delle soluzioni di NaCl. m=2| m=1 | m=0,5| m=0,1m=0,01|m=0,005] m=0,001 20° | 0,593 | 0,685 | 0,747 | 0,861 | 0,961 | 0,986 | 0,983 30° | 0,578 | 0,666 | 0,733 | 0,852 | 0,954 | 0,979 | 0,989 40° | 0,569 | 0,660 | 0,728 | 0,845 | 0,955 | 0,978 | 0,992 50° | 0,561 | 0,651 | 0,721 | 0,842 | 0,946 | 0,973 | 0,991 60° | 0,552 | 0,643 | 0,715 | 0,840 | 0,945 | 0,972 | 0,994 70° | 0,546 | 0640 | 0.714 | 0,841 | 0,952 | 0973 | 0/997 80° |0,540 | 0,634 | 0,710 | 0,842 | 0,949 | 0,971 | 1,00 90° | 0,532 0,626 | 0,701 | 0,834 | 0,944 | 0,967 | 1,00 Dall'esame di queste ultime due tabelle possiamo intanto ricavare questo risultato che cioè, mentre per le soluzioni molto diluite tanto di KC1, quanto di NaCl il grado di dissociazione non varia sensibilmente col variare della temperatura (giacchè le piccole oscillazioni nel suo valore dipendono da errori sperimentali), invece per le soluzioni anche moderatamente con- centrate (m = 0,1) e in modo più marcato per quelle di concen- trazione maggiore (m = 0,5, mn=1, m=2) il grado di disso- ciazione diminuisce col crescere della temperatura: in particolare poi questa diminuzione è più forte per le soluzioni di cloruro potassico che non per le corrispondenti di cloruro sodico. Se allora cerchiamo di applicare al nostro caso la formula di Van’'t Hoff citata in principio, si vede che, poichè il grado di dissociazione delle soluzioni di cloruro sodico e potassico diminuisce coll’aumentare della temperatura, il calore di dissocia- zione dovrebbe essere positivo: resta dunque a vedere se ab- biamo dati sufficienti per stabilire il valore del calore di dis- sociazione. Molto spesso si ammette che il calore di dissociazione si possa ricavare dal calore di diluizione, vale a dire dal calore che si svolge quando una soluzione dalla concentrazione m, passa, per l'aggiunta di acqua, alla concentrazione ms, minore quindi di m,. Se infatti in tal caso è a; il grado di dissocia- zione della prima soluzione e supponiamo di considerare di essa un volume tale che vi sia disciolto un grammo-molecola di elet- trolito, e se dopo l’aggiunta di acqua sino alla concentrazione SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 183 my il grado di dissociazione è divenuto as e contemporanea- mente si è svolta la quantità di calore @, allora, poichè in questa operazione si è dissociata solo la frazione a, — a, di grammo-molecola, il calore q corrispondente alla dissociazione di un grammo-molecola sarà : dem 359 Soltanto però sarà veramente g il calore di dissociazione dell’elettrolito esaminato, quando contemporaneamente alla dis- sociazione elettrolitica non avvengano nelle soluzioni (per effetto della diluizione) altri fenomeni capaci di assorbire o svolgere calore. Il calore di diluizione per il caso del cloruro di sodio può essere ricavato approssimativamente ed in caso particolare da alcune esperienze del Colson (*) relative al calore di soluzione e al calore di diluizione del detto sale. Egli ha misurato la quantità di calore che si svolge sciogliendo 75 grammi o 25 grammi di NaCl in un litro d’acqua ed eseguendo le esperienze a varie temperature comprese tra 17° e 101°. Egli ha trovato per i calori di soluzione (riferiti ad un grammo di sale) relativi al primo e secondo caso i valori se- guenti: Temperature Calori di soluzione ne 2° 179,5 147 21,0 289,6 —13,9 —-15:8 369,5 —11,4 —12;: 101,0 Pe “o Di qui si ricavano i calori di diluizione riferiti a un grammo di sale per il passaggio dalla prima alla seconda concentrazione, facendo la differenza fra i numeri della seconda e quelli della prima colonna e si trova così: Temperature Calori di diluizione per grammo 17,5 nd 28,6 —1,9 36,0 —1,1 101,0 4858 (*) CoLson, Sur Ze point d’inversion des solutions. C. R. 1901. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 13 ga” 184 A. CAMPETTI E M. NOZARI Se di più si tien conto del fatto che a 52° gradi circa il Colson trovò essere nullo il calore di diluizione e se si ha ri- guardo al grado di dissociazione delle due soluzioni ottenute sciogliendo rispettivamente 75 o 25 grammi di sale in un litro, soluzioni che hanno le concentrazioni m = 1,25 e m= 0,424, si può calcolare approssimativamente il calore di dissociazione g riferito ad un grammo-molecola (nell’ipotesi assunta provviso- riamente che esso sia dato dal calore di diluizione) per tutte le temperature da 20° a 100°. Si troverebbe così: | | | el 20° 30° | 40° | 50° | 60° | 70° | 80° 90° | | a q —1608—899/—418—52 +294 +-592/4-848/+1182 Ora poichè (almeno per concentrazioni medie) il grado di dissociazione diminuisce col crescere della temperatura, il va- lore di g ricavato dalla formula di Van't Hoff è positivo: per conseguenza i valori sperimentali del calore di dissociazione ri- feriti nella precedente tabella non coincidono certamente sino a 50° con quelli teorici, e per le temperature superiori a 50° è difficile fare la verificazione, perchè sarebbe necessaria una maggiore esattezza nella determinazione del grado di dissocia- zione. D'altra parte la validità della formula di Van't Hoff, che del resto è verificata per il calore di dissociazione di molti acidi, non può essere posta in dubbio, essendo essa dedotta dai prin- cipii della termodinamica: conviene quindi concludere che per le soluzioni di cloruro di sodio (e simili conclusioni si potreb- bero trarre per quelle di cloruro di potassio) il calore di disso- ciazione non è dato dal calore di diluizione e che quindi per la diluizione di una di tali soluzioni non ha luogo il solo feno- meno dell'aumento del grado di dissociazione elettrolitica, ma avviene qualche altro processo e precisamente un processo le- gato con un assorbimento di calore. Si può dunque ammettere (ed è questa la spiegazione più plausibile) che nelle soluzioni non estremamente diluite di cloruro sodico e cloruro potassico esistano legami tra le molecole del sale disciolto ed il solvente, cioè l’acqua: l'innalzamento di temperatura e la diluizione di- SULLA VARIAZIONE DEL GRADO DI DISSOCIAZIONE ELETTROLITICA 185 struggerebbero o altererebbero questi legami, in tal modo il ca- lore di diluizione sarebbe la somma algebrica di due altri, del calore cioè di dissociazione elettrolitica e di quello relativo al- l’altro processo sopra indicato. Possiamo dunque concludere che: 1° Per le soluzioni di NaCl e KCL non estremamente di- luite il grado di dissociazione elettrolitica diminuisce col crescere della temperatura. 2° Il calore di diluizione non rappresenta per queste solu- zioni il calore dovuto alla dissociazione elettrolitica e quindi : 390 È necessario ammettere in tali soluzioni l’esistenza di complessi molecolari verisimilmente tra le molecole del sale disciolto e il solvente. Era nostra intenzione di esaminare l’andamento del grado di dissociazione elettrolitica anche con altro metodo fondato sui principii della pressione osmotica: ma questo sarà soggetto di altro lavoro. Torino. Istituto di Fisica dell’Università. Dicembre 1904. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 43 - ‘1 186 ENRICO FESTA Usservazioni intorno agli Orsi dell’ Ecuador. INota del Dr. ENRICO FESTA Assistente al R. Museo Zoologico di Torino. (Con una Tavola). Le nostre cognizioni intorno agli Orsi, che vivono nell’A- merica meridionale, e più propriamente lungo la catena delle Ande, sono tuttora abbastanza scarse. Lo Tschudi (*) diceva che la presenza di Orsi nell’ America meridionale venne in modo sicuro accertata da Acosta, Garci- lazo de La Vega e da Ulloa. Secondo quest’ultimo Autore gli Orsi erano copiosi nelle provincie di Quixos, Macas, Jaen de Bracamoros, Alausì, ed inoltre nelle foreste orientali di La Paz. Garcilazo li riteneva rari nel Perù, ed indicava come causa probabile della loro rarità le grosse caccie praticate ogni anno dagli Incas. Nel 1825 un esemplare di questi Orsi, portato vivente in Europa, venne figurato e descritto sotto il nome di Ursws ornatus dal Cuvier (2), che lo disse proveniente dal Chile. Il cranio di quest’esemplare venne figurato dal De-Blainville nella sua Classica Opera ((3) pl. VIII). Lo Tschudi dice di aver ragione di sospettare che l’esem- plare descritto dal Cuvier provenisse, anzichè dal Chile, da Trujillo nel Perù, ma non indica quale ragione lo induceva a credere tale cosa. Lo stesso Tschudi riferisce che Humboldt menziona Quito e Riobamba come località abitate da questi Orsi. (4) (4), p. 90. @) (1), pl. 218. OSSERVAZIONI INTORNO AGLI ORSI DELL'ECUADOR 187 P. L. Sclater descrisse nel 1868 ((10), p. 71) col nome di Ursus nasutus un Orso pervenuto vivente alla Società Zoologica di Londra, e che egli dubitava potesse essere del Venezuela. Nel 1871 (P. Z. S., p. 232) egli, seguendo l'opinione di M" Busk, riferiva il suo U. nasutus all’U. americanus. Il Thomas ((19), p. 216), che ha esaminato il cranio del- l'esemplare suddetto, dice che l’affermazione del Busk era esatta e che VU. nasutus non appartiene al genere Tremarctos. Lo Sclater menziona poi ((12), p. 700) un esemplare di U. ornatus, proveniente dal Chile e vivente nel giardino della Società Zoologica di Londra. Max Schmidt, pure nel 1871, pubblica nel Zoolog. Gart. (13) alcune osservazioni intorno ad un esemplare vivente di U. ornatus. Lo Sclater nel 1898 ((18), p. 2), dimenticando quanto aveva scritto nel 1871, riferisce all’ U. nasutus un esemplare mandato dalla Colombia da M" William Crosley, e proveniente dai din- torni del Rio Simitara, uno degli affluenti del Rio Magdalena. Il Thomas ((19), p. 216) riferisce quest’esemplare al suo Tremarctos ornatus majori. Altri esemplari viventi nel Giardino Zoologico di Colonia vengono menzionati dallo Sclater nel 1893 ((17), p. 614). Nel 1902 Oldfield Thomas ((19), p. 215) descrive col nome di Tremaretos ornatus maiori la forma che trovasi nel- l’Ecuador. | Questa forma sarebbe distinta, secondo il Thomas, dal T'. ornatus del Chile e del Perù per la mole maggiore del corpo, e principalmente per la forma del cranio più allungata e sottile e col profilo laterale più alto e convesso. Durante il viaggio da me compiuto dal 1895 al 1898 nel- l’Ecuador, io raccolsi 7 esemplari di Orsi: 1 vecchio maschio nelle foreste del Rio Zamora, del quale non ho potuto conser- vare altro che il cranio; 1 vecchio maschio, 1 femmina e 2 suoi giovani nelle foreste di S. Josè (Provincia dell’Azuay, Ecuador orientale); 1 maschio adulto nei Paramos di Vallevicioso presso le sorgenti del Rio Napo, ed una giovane femmina proveniente da Dudas (Prov. di Azuay). Io ebbi quest’ultimo esemplare vivente dell’età di pochi giorni nel novembre 1896, e lo allevai in schiavitù fino al lu- glio 1897. Egli morì durante il viaggio da Quito a Guayaquil. 188 ENRICO FESTA Data la scarsità dei materiali riferentisi agli Orsi dell’Ame- rica meridionale, che i Naturalisti hanno fino ad ora potuto esaminare, ho creduto utile studiare minutamente il materiale da me raccolto e pubblicarne i risultamenti. Ho potuto esaminare anche il cranio di un esemplare rac- colto dal Viaggiatore Italiano Gaetano Osculati nel Quixos nel 1853, e che è conservato nel Museo Civico di Storia Naturale di Milano. Sono lieto di poter qui pubblicamente ringraziare l’ Egregio Professore Sordelli, che mi concesse gentilmente di studiare l’e- semplare suddetto. Ho seguito, per quanto si riferisce alle misure comparative, il metodo proposto dal Prof. Camerano per lo studio compara- tivo degli organismi coll’uso del coefficiente somatico (1). Come lunghezza base ho scelto il diametro minimo del fron- tale ossia la lunghezza minima dello spazio interorbitale. Il cranio dell'esemplare è di Vallevicioso presenta una no- tevolissima anomalia, cioè la mancanza, perfettamente simme- trica da ambi i lati, del canale alisfenoidale (vedi tavola, fig. 1). Questa anomalia è molto notevole, perchè la presenza o la mancanza del canale alisfenoidale è considerata da parecchi Au- tori (2) come uno dei caratteri differenziali più importanti fra la sotto-famiglia Ursinae e la sotto-famiglia Procyoninae. Paragonando fra loro i cranii degli esemplari maschi adulti, noi vediamo che il cranio dell'esemplare di Vallevicioso diffe- risce dai cranii degli altri esemplari, specialmente perchè in esso varii diametri trasversali sono maggiori che non negli altri esemplari; inoltre in esso alcune delle misure che esprimono l'altezza del cranio sono minori. Per questi caratteri, questo mio esemplare apparirebbe av- vicinarsi maggiormente alla forma, che il Thomas riferisce al (4) “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXV, 1900. (3) H. N. Turner, (6), p. 63. — W. H. FLoweR, (11), p. 4. — S. G. Mrvarr, (16), p. 343. 189 OSSERVAZIONI INTORNO AGLI ORSI DELL'ECUADOR 8IOI (9 796 (° 689 (9 G9 (2 | 609 (@ OTOI @ 973 4 SISI (A 399 (0 9 @ #0e (® 898 (9 068 (2 LS 826 G 78E (q GF (9 08. (@d cIC (d 098 (0 pes (0 98% (A GLEe 98£ (0 908 (| CORI (2 679 (P 19 (P GIF (Q FOT (9 853 (P GLE (P ISF @ TS6 (A Le (| IC L0L (0 20S (0 ee p (PA SI((?) #03 (P 698 (9 TIC (d 103 GEZI (A C79 (0 09 (4 G68 (0 68% (0 Le @ GIF 0 886 198 @ Far (0 889 (# 67 cre (q GIS (P ezg (A 98 (P G68 (4 108 (2 SIT (® GTI (D 6 (9 973 (0 Le (| € 965 (| ezio) 198 © TOF (P GE6 (2 | 996 (0 GIF (0 6L9 (P 8L% (P 888 (0 €67 186 (0 168 (0 6a GGI (® OFII (/ 08e A 96 (0 stertdiooo VZURIRNILO ad BIrese Q[eqpIdIi990ISEA Ep oIUgII [OPP] ; (o30pvd wosf umoso fo pira) tego! 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Dalla tavola riferita alla pagina precedente appaiono chiara- mente le suddette differenze. In questa tavola oltre i valori ottenuti dalle misure prin- cipali (espressi in 360-esimi somatici) dei cranii studiati, sono indicate altresì le misure date dal Thomas ridotte in 360-esimi somatici per gli opportuni confronti. Nella tabella alla pagina precedente i valori sono disposti in serie. Le iniziali che precedono i valori indicano gli esem- plari ai quali appartengono: a) Esemplare di Zamora b) A di S. Josè c) x di Vallevicioso d) e di Baeza (Quixos) e) s di T. ornatus majori studiato dal Thomas f) E di 7. ornatus studiato dal Thomas. * * * L'esemplare è di Vallevicioso ha inoltre, proporzionata- mente alla mole del corpo, il cranio più piccolo che non il mio esemplare è di S. Josè. Esso ha altresì i piedi notevolmente più piccoli ed il pe- lame più lungo e più fitto. Nella tavola seguente sono indicate le misure dei miei esemplari imbalsamati: | ala 3 Z| 3 (Le misure sono espresse in millimetri) Fn = 5 Ok, sE A g=|7|_ «| = Lunghezza totale dalla punta del muso | | alla punta della coda (senza peli) . .|1720)1690/1290) 1190 Id. della parte nuda plantare dei piedi ant. | 122| 96 | 90 (85 circa Id. dei piedi anteriori (senza le unghie) | 157|146|130| 120 Id. della parte plant. nuda dei piedi post. | 167 | 150 | 129 130 Id. dei piedi posteriori (senza le unghie) | 191 |183|160}| 164 Larghezza massima dei piedi anteriori .| 96 | 79 | 77 | 70 Id. È si posteriori | 92 | 78 68 18-| OSSERVAZIONI INTORNO AGLI ORSI DELL'ECUADOR 191 In quanto al colorito del pelame, nei miei esemplari la estensione e la forma delle macchie bianche del muso, della fronte e del petto sono molto variabili. Il maschio di S. Josè ha la parte anteriore del muso, la gola ed il petto di color bianchiccio; ai peli bianchicci sono però frammisti molti peli neri. Il colore bianchiccio dal muso si estende sopra la fronte in modo da formare una macchia fog- giata a V. Il maschio di Vallevicioso ha la parte anteriore del muso, la gola ed il petto di color bianco quasi puro. Sul capo ha una striscia bianca, che partendo dalla parte anteriore del muso, si estende a destra sino a circondare la parte superiore dell’occhio, mentre a sinistra finisce a livello dell’occhio. La femmina di S. Josè ha la parte anteriore del muso, la gola ed il petto di color bianchiccio; una striscia bianchiccia, ma poco ben definita, dal muso si dirige verso la fronte. La femmina di Dudas ed uno degli esemplari giovanissimi di S. Josè mancano quasi completamente della macchia bianca nella parte superiore del capo. Gli Indiani dell'Ecuador m’assicurarono che tanto nella re- gione dei paramos, quanto in quella delle foreste si trovano Orsi dal colorito completamente nero, senza nessuna macchia bianca. Anzi essi affermano, non so con quale ragione, che gli Orsi, aventi colorito completamente nero, hanno indole più man- sueta che non quelli aventi le macchie bianche sul petto e sul capo, ed ai quali essi danno il nome di Orso frontìn. Ed ag- giungono che i primi si cibano esclusivamente di vegetali e di frutta, mentre i secondi si cibano preferibilmente di carne ed assaliscono e divorano il bestiame domestico. Secondo lo Tschudi, il Barone Von Humboldt affermava che a Riobamba incontransi orsi completamente neri, ed altri aventi le macchie bianche. Lo Tschudi (!) poi dice che 1 Ursus frugilegus distinguesi (') (4), p.92: Wenn man aber wie es auch bei Nasua geschehen sit, auf die Farbung Keine Rucksicht nehmen will, so kann man freilich die beiden Species in eine vereinigen; dagegen aber sprechen der verhaltnissmassig Kurzere Kopf, die Kurzeren Sohlen und die viel gedrungener Formen bei U. frugilegus. 192 ENRICO FESTA dall’U. ornatus, Cuv. non soltanto pel colorito completamente nero, ma altresì per la minor lunghezza del capo e delle piante dei piedi, e per le forme molto più raccorciate. Ora, lasciando da parte il colorito, che si sa essere varia- bile, i caratteri differenziali indicati dallo Tschudi come proprii del suo U. frugilegus, sono appunto quelli che il Thomas attri- buisce al Tremarctos ornatus, ed i caratteri attribuiti dallo Tschudi all’U. ornatus Cuv., sono quelli che il Thomas dice proprii del suo 7. ornatus majori. A me pare quindi che se le due forme di Tremaretos de- vonsi ritenere distinte, la forma caratterizzata dalla minor lunghezza del capo e dei piedi e dalle forme in generale più raccorciate, dovrebbe essere attribuita al (Ursus) Tremarctos frugilegus (Tschudi), mentre quella caratterizzata dalla maggior lunghezza del capo e dei piedi e dalle forme in generale più allungate, dovrebbe essere attribuita al (Ursus) Tremarcetos or- natus (Cuvier). Il mio esemplare di Vallevicioso, per i caratteri, che ho sopra indicati, apparirebbe avvicinarsi maggiormente al Tremarcetos frugilegus (Tschudi), (7. ornatus secondo il Thomas), che non al T. ornatus (Cuvier), (7. ornatus majori secondo il Thomas). Perciò, a giudicare almeno da quanto osservasi nei miei esemplari, anche nell’Ecuador gli Orsi che vivono nella regione dei Paramos, ossia nell'alta montagna, parrebbero appartenere ad una forma un po’ diversa da quella, alla quale appartengono gli Orsi che vivono nelle foreste delle regioni calde. Secondo lo Tschudi però, VU. frugilegus incontrasi nel Perù principalmente nella regione delle foreste, mentre l'U. ornatus abita a preferenza la regione Puna ossia l’alta montagna (re- gione corrispondente alla Region de los Paramos dell'Ecuador). Nell’Ecuador accadrebbe precisamente l'opposto, almeno a giudicare da quanto osservasi nei miei esemplari ed anche forse negli esemplari esaminati dal Thomas ('). Cioè la forma che (1) Gli esemplari tipici del 7. ornatus majori, Thomas, raccolti dal Buckley, provengono con tutta probabilità dalle foreste di S. Josè (Ecuador orientale). Uno dei cacciatori che mi accompagnò nelle mie escursioni al Rio Santiago ed a San Josè, era stato al servizio del Buckley, e mi. nar- rava sovente come egli avesse procacciato al Naturalista ingles, oltre a molti altri animali, anche parecchi orsi. b. Festa. eee TTT TT‘OEEmÀk *»o+»P?r o-c(|)P°);°)P’’) (]|(‘((‘O*VL7Te Meet ee e e e e e e e e et e meeteemte—tt*?o—_P————t—_—t—mm€——- na Misure assolute in millimetri. Misure in 360" somatici. a ® ia , EA | sie 108 (°] Il ° ) 55 | So | 88 35 | ss CIA ERA AE | si Îz Sollzgne |Mss [Pag dsss Pass vass | (Ea | SI | e 32 SE ‘SR 402 loci o) $ +9 SE | Bu ‘6092 0) 409 +0 $ (o, iS S i £ | E) s (I a | [e fa = a — - —- Il nil — | si — — | 1. Diametro minimo trasversale del frontale . . 5 ; x 7 63 59 56 61 56 42 32 31 | - | lnt— 2. Lunghezza del Basion al punto incisivo . ; ò ; i ò è 206 216 201 (8) 184 161 124 125 1180. | 1318 | 1292 — | 1299 | 1380 | 1395 | 1451 3. Diametro massimo bicondiloideo —. È - 3 À n 49 52 51 -- 46 44 36 36 281 | 817 328 — 100325 377 405 417 4. Diametro massimo trasversale del foro occipitale : 7 ò 5 | AE 25 — | 24 | 24 | 22 22 143 159 | 161 —_ 169 206 248 255 Di F 5 antero-posteriore ci g : ò è 7 19 20 | 18 - LA AL 17 109 122 | 15 = 120 146 191 197 6. È 5 x del condilo . 9 o o 9 25 27 | 26 —_ 21 21 16 16 143 | 164 | 167 — 148 | 180 | 180 186 Ti ; H trasversale del condilo . i; Ò . ; 6 15 14 13 = 11 10 7 Ti 86. | 85 | 84 — | rac | 86. | 791] 81 8. n biparaoccipitale (1) . 72 69 66 - 62 55 46 46 413 420] 424 = 438 AZ za ILA SIE 9. Altezza massima del processo par aoccipitale (misurato sul margine ester no) 11 LAI — | 9 O | 8 7 63 | 73 71) — 64 77 90 82 10. Diametro massimo trasversale bimastoideo (sui processi mastoidei) . 104 102 | 98 —_ 83 71 59 58 596 622 598 | — 586 608 664 673 11. Diam. trasvers. fra i fori condiloidei . 4 3 " A i i 28 29 27 — | 28 25 23 28 160 LIZ 74 — | 198 | 214 door 207 IRIS | Ò) fra i fori glenoidei : c Oi e 760 N 70 e — 65 55 51 51 418 464 450 — .| 459 | 471 | 0574 | 592 IRR 5 fra le aperture posteriori dei canali alisfenoidali . 5 35 35 (I db 34 29 27 27 201 | 2183 SZ) 249 304 318 LARE di È mass. del cranio misurato sull’apofisizigom. del temporale 166 167 TS 5 O ez 104 86 84 951. | 1018 | 1010 938 | 1925 891 968 | (975 DI n 7 fra i margini interni della cavità artico]. del condilo mandib. 55 BB 5 SI dd t5o MT 48 45 46 315 9540 18730]/18550 |n8881|m Ad || 506 594 NERO > e della parte inferiore del cranio misurato a livello del- | | | | | | l'apice posteriore della sutura mediana dei e 3 34 39 Nè 132: le sd 32 29 23 23 195 201 206 201 226 | 249 259 ||. 267 indetta a) al margine posteriore dell'ultimo molare. ; 51 51 52 50, | 49 41 37 37 292% 8311 | 3384 |1295. | 846 |.1943 416 430 LIBRE |, È al margine anteriore del primo molare . . ; ” 57 59 | 58 57 53 46 43 44 927, | 359 372 | 336 374 | 394 483 | 501 19. > massimo nella regione occupata dai canini . 7 ò 6l 62 59 62 51 = _ = 350. | 378 379 365 | 360 == orlo 20. Lunghezza massima dello spazio occupato dagli incisivi 5 9 E 38 98 82 36 32 27 —_ —_ 218 232: | 206 212 |10226 232 a —_ 21. Distanza (alla base) fra l’incisivo esterno ed il canino . 3 n z 3 I 4 {= | 3 2 —_ _ 28 18 26° pbent. | 21 17 — # 22. Diametro trasversale massimo biparietale . 4 t B : 1 86 86 83 Ma 87 | 82 77 75 74 493 525 534 513 579 660 | 843 859 28. " ni A bifrontale posteriore. È 3 59 56 56 | 60 | 54 51 = = 388 942/|e01860/ x 854° | 381 437 Ha 24. ” n bifrontale (agli apici delle apofisi orbitali) |. 86 84 78 81 |° 66 55 38 35 493.| 512 | 502| 478! | 466 471 | 428 | 406 25. » trasverso bimalare (agli apici delle apofisi coronali) . È E 120 119 110 115 100 82 62 62 688 7800] 707.| 679 706.) 7038 698 720 26. ” ” x (all'apice della branca anteriore) . 5 " 72 73 66 TOMO 54 42 42 413 445 424 431 459 463 | 473 | 488 27. a 5 binasale (agli apici anteriori). . i È g È 30 30 27 28: Ma 28 18 15 14 179. | 188 174 165 198 154 |! (169 163 28. s È fra i fori sottorbitali . È ; 64 | 63 57 |- ed | 57 48 37 28 367 984 | 866 | 378). 402 || 411 416 441 29. Distanza dell'apice anteriore della sutura nasale al punto incisivo È 51 58 48 52 | 47 37 31 31 292 354 | 809} 8307 392, 0 (817 349 360 30. Lunghezza della sutura mediana longitudinale dei nasali E x 3 38 37 36 41 32 28 22 25 218 | 226 |uwasi i 1242 226 | 240 248 290 31. i massima della cresta parieto- occipitale. . ; e. 105 109 95 _ = _ — = GOlRNMGG5 i 702 ina nizza sa E 32. Diametro massimo trasversale dell'orbita k 43 492 38 39 34 32 26 26 246 | 256 244 |} 2380 | 240 278 293 302 33. È antero-posteriore dell'orbita (supponendo completo | | 21 21 195 207 | 206 195 205. 206 | 236 244 il margine posteriore) . 34 94 132 38 | 29 24 | 34. Distanza dal foro sottorbitario alla base del canino (margine interno) . 41 41 35 | 40 38 30 —_ _ 235 250 225 296 268 |" 257 - AH 35. Lunghezza della porzione del mascellaré superiore occupato dai denti . 85 90 "85 85 78 68 _ _ 487 549 | 546 |. 501 551 583 | 3 36. Diametro antero- “posteriore massimo del zigomatico . 91 93 93 94 76 66 52 52 521 533: | 597 555 537 | 466 585, 604 37. 5 trasversale massimo del zigomatico (sulla sua faccia esterna) 40 38 GP le 30 28 18 16 229 226 | 206 188 | 212 | «197 203 | 186 (4) Misurato agli apici dei processi paraoccipitali. (°) Manca di queste aperture, (*) Questo esemplare manca della parte posteriore del cranio. Atti della R. Accademia delle scienze. V ” Misure assolute in millimetri. vel Misure in 360" somatici. ae n = vv] TvT V__ EE-—- inf dell’apofisi sotto-condiloidea alla parte supe- j | | | | se E) Ù 195 Î su io ) pi 36 SAR 27 A ae 18 206 201 | 180 = 191.| 223 | 216| 210 Au. a metà della regione dentale . a î È " h È bb) 35 33 36 Sl 25 | 20 20 201 214 212 212 219 214 225...) 232 45. Lunghezza della sinfisi . 42 46 | 43 | 43 37 32 27 27 241 | 281 276 254 261 274 | 304 | 318 46. Spessore massimo del masc sellare inferiore a metà della” regione dentale IU AMBI 15 11 10 10 9 9 63.) 85 96 65 PAT 86 | 101 | 104 47. Distanza dal foro mentoniero al punto incisivo 4 5 i È " 37 | 39 STEN ST: Ren | 32 25 25 212 | 238 238 | 218 247 | 274 281 | 290 48. a del foro mentoniero dall’apice del condilo 130 | 155 125 129 117 98 84 84 745 824 804 T6l 826, | 840 | 945 | 975 19. Diametro massimo della fossa masseterica (fino all’ apice del condilo) . | 60 64 | 58 60 50 38 | 25 25 344 390 | 373 | 354 358. | 326 281 | 290 50. Altezza massima dell’apofisi coronoide . . D 7 45 46 AMANI 37 31 25 Ph) 258 281 264 266 261 266 | 281 | 290 51. Lunghezza massima dell'apofisi coronoide alla sua base : = SAR 52 495 (i 50) a 400 030 21 20 275 | 317 276 295 | 282. | 257 236 | 232 52. y del condilo . ; - È 5 ; 5 : 46 44 37 39 31 25 iz: 13 264 268 237 | 290. | 219 | 214 146 151 ERA Larghezza massima del condilo . È a 4 - 0 14 15 TAL IO] 10 8 8 80 91 90 76 78 | 86 90 92 54. Lunghezza massima dell'apofisi sotto- condiloidea . 3 22 22 20 | — 16 14 10 10 126 134 129 aio 1IRn | alan bi | 116 5h. Diametro trasversale massimo interno fra le apofisi sotto- condiloidee i 80 89 85 | 85 75 64 51 48 458 548 547 501 | 530 | 548 | 574: | 557 56. 7 i È fra i condili . x È n z ; 50 6l Rs bd (a Ade -_ _ 287 372 | — 380 881 | 377.| — lati DA t $ A fra i molari Dostegigri i } a a 50 56 54 53 49 40 = _ 286 342 347 | 313 346 Se = — DR. biincisivo . n i; 23 26 21 _ 21 — | = 131 158 135 e 1481) — | — > 59. Distanza dall ultimo molare all'apice interno superiore del condilo hi d 49 52 49 = 44 = _ == 281 317 315 lisa 311 n= = = | | 60. Altezza del cranio dal basisfenoide al bregma : 7 72 69 68 68 62 59 53 52 418 421 437 | 401 437 506 | 596 604 61, È » dal basioccipitale alla protuberanza occipitale i 7 66 68 61 | — 56 _ = —_ 378 415 392: letta BISI | — _ 62. ” » dai palatini al punto nasale . 65 64 57 63 53 46 39 39 372 390 367 372 374 394 | 439 | 458 68. > »s dai mascellari all'apice anteriore della sutura nasale | | longitudinale . È a Ù ; È E È 492 dd 36 42 35 32 25 25 246 268 231 | 248 247 274 281 290 ù Denti della mascella superiore. 64. 3° incisivo larghezza massima della corona . 8 8 8_| 8 8 8 _ _ 46 49 bl | 47 56 69 nadia 65, 2° =, altezza ’ 8 | 6 50) 7 7 8 9 gi 46 37 32 4l 49 60;.| «10L'ului— 66. , » larghezza massima 3) 7.| Teo ie 6) A 7 6 6 7 ia 40 43 ae 42 51 79 Dar 87.1° |» altezza . 6 RITO] 6 7 8 fat io nile =f04) ustedco: lis St dia dai AO — 68. , » larghezza massima % 6 | 6. 5 Sa: 6 5 6 di 34 36 | 32 42 48 67 *alf G (!) Logoro. Misure in 360"i somatici. | Fis = |a > | (e) ° (©) Mia | 2 53 | # i | Îa | se e | 3 si > 5 ® a sc Sa (Sì LA 0È 40 7 10 aio sr he ‘gio | fa È ! | | 336 ds 166 129 162 ted = de 92 104 103 86 98 ta E° & | 57 67 71 59 64 e I | 17 24 26 24 28 2 — PE #7 18 19 18 Da Lai — 23 17 18 gi: O ST Pi e | 23 24 eee. 21 | So _ 46 I 45 41 56. 260890 93 74 79 84 71 85 94 135 151 52 55 58 53 56 GORI 90 104 97 104 109 94 1193 | 129 180 197 74 79 84 Ria “85 108 | 185 151 143 152 154 142 162. | 18 goa 279 80 85 SO 77 85 103158 163 23 30 26 e 49 60 79 81 23 30 32 2° 28 34 45 46 | 29 36 32 I 49 69 90 81 46 49 45 41 | 49 60 79 93 | 46 55 45 63 sn 124 |. 108 34 43 45 si AQ 68 70 sE 128 148 118 14800), — = sa 104 96 | 83 106 | 129 = nti 52 61 64 59 64 al L. È t7 18 19 18 21 33 <= 17 18 19 18 21 26 za = 17 24 19 18 21 26 n Si 29 37 33% -30 35 43 56 58 52 55 580. 58 56 60 90 93 34 37 39.6 95 IRR 43 |» 56 58 109 122 122 | 106 134 146 213 221 MUSO 61 Ae 6800 RM 77 10] 105 oi 116 | 122 106 127 137 202 209 69 73 SOIN MP USCIT, 71 TL gs a 116 80 85 84 Vai eso 103 | 135 de: 63 67 71 Gemine 77 | 101 dla E. Festa. SAI E, II > _______ Misure assolute in millimetri. Misure in 360"' somatici. ins n 1 ? = __—__ = — I Ta = - — = —— |a Race IS 5 409 DOG. 08 | oa Si | pod O) 5 | 109 E | do 3 e) Si RA | IS E | | È | | A | |- = sil = | Fe reni | | | | | 69. Canino altezza della corona . è ; ; : _ | (1) 212) 26 222) 230) © - _ — | 128 | 166 129 162 - _ 70 N diametro antero-posteriore massimo della corona | ie | 16 15 14 — -. -- 92 | 104 108 86 98 - - | = 71 Pi 5 trasversale massimo della corona | 10 11 11 10 9 ci _ _ 57 67 71 59 64 _ —_ — 72. 1° premolare altezza massima della corona. | 3 4 4 4 4 3 —_ _ 17 24 26 24 28 26 _ — 73. 29 È CI n È, 9; 3 3 3 —_ 2|- | - 17 18 19 18 _ 17 _ = 74. 3° ì 5 È = 3 3 3 3 3 3 _ — 17 18 19 18 21 26 _ _ 15990 È larghezza , Pi 4 4 4 3 3 3} Sia ih 23 24 26 18 21 26 MII 76. 4° 3 altezza È P 8 8 7 Ti 8 7 IS 8 46 49 45 41 56 60 90 93 tue, a lunghezza R: 13 13 13 12 12 Ilal 12 13 74 79 84 71 85 94 19500] 50 TONE ; larghezza _, È 9 9 9 9 8 TIT 9 52 55 58 59 | 56 60 90, | 104 79. 1° molare lunghezza n 17 17 17 16 16 15 16 17 97 | 104 109 94 113 129 180 | 197 50. n "i larghezza. È Ò ò Ù © 5 a || 15 13 12 12 12 12 DE 74 79 84 | 71 85 1083 195 151 81. 20 5 lunghezza , si s È 7 n Ò Roi 25 24 || 24 23 22 22 24 143 T52 | 54 142 162 189 248 279 82.3 x larghezza, n ; ; : s , È LT 14 13 a | 9 ld | 14 0 | 85 | 80 77 85 108 158 163 Denti della mascella inferiore. | 83. 1° incisivo altezza della corona 4 O) 4 = 6 Te MIS d Do TORNI n =/l| AA | 34 î 16 84. , » larghezza = 4 5 5 _ 4 4 4 4 30 32 — 28. | 5 ssd i 5 6 QUE 7 gui ca 7 29 | ‘36 32 30 49 | 69 | 90 81 86. n » larghezza sj 8 8 | 7 7 7 vi 8 46 49 45 41 49 60 79 93 8745 DINO altezza v gi 9 7 se 9 O | i 11 46 55 45 - 63 86 124 128 88.» » larghezza x 6 RO EST — 7 6 Ga 0 34 | 43 45 — 49 51 68 70 89, Canino altezza pi Da 5 , ; ; È 5 È —(9) 21() | 23 20(8)) 21 21 OY) || a 148 vi ne ra w = O UNITS diametro antero-posteriore o ; $ È 6 7 _ 17 | O I eee _ = 104 96 Si = O LIT larghezza massima . o s 5 . : î ; : 9 10 10 10 9 (3) — — 52 6l 64 59 ds # — = 92, 1° premolare altezza della corona ò . c > ; o 3 3 3 3 3 3 = La ni A A | te si * Dr n 93. 2° È = x È È 7 d 0 3 È 3 ie || 3 3 3 = = “i SI = 94, 3° È È Ri î E È ; ; : ? 3 4 3 3 3 a | = _ 17 24 19 18 21 26 = = 95.40, % OMM i 5 GM 5 5 5 5 5 29 | 37 5 | 80 35 43 56 58 96. , lunghezza E è 9 SIINO 9 8 7 8 8 52 55 5g 58 56 60 90 93 97., larghezza »— iN ot) o 6 6 6 6 pal za Bill sg ar sgh abi aot ae ae 98. 1° molare lunghezza ; PA 20 19 18 19 17 19 19 | 109 | 122 | 122 | 106 | 134 | 146 | 2138 | 221 99. , lang neni ? De IR IO 10 | 10 9 | 9 9 19 CAGARE oa 100, 2°, lunghezza ; SM 19 19 | 19 18 18 16 18 18 109 | 116 | 122 | 106 | 127 | 137 | 202 | 209 101., > lerghezza - 3 sa gs) VASCO 12 12 12 | 10 10 | 10 10 69 73 77 71 poi 86 | 112 | Vie 102, 30 H lunghezza E , ì i ì ; i ; 14 14 13 | 13 13 12 12 nr 80 85 84 77 92 103 135 _ 108. , —» larghezza x ? a ; Mei + 11 11 | 11 11 | 10 9 I 9 = 63 67 71 65 71 77 101 = e____—@meo n’ y_ e. té’ -—’r —_'"_r_r_r_r_/__._ rr __. _ rr_r _——_ ——. (') Logoro. (3) Un po’ logoro. (8) Non ancora sviluppato. (*) Nascente. (5) Rotto. «Atti della R. Accademia delle scienze. OSSERVAZIONI INTORNO AGLI ORSI DELL'ECUADOR 193 nell’Ecuador abita nella regione delle foreste corrisponde abba- stanza bene all’U. ornatus Cuvier (Tremarctos ornatus magori, Thomas), mentre quella che abita la regione dei Puramos sa- rebbe molto affine, se non identica all’U. frugilegus, Tschudi (T. ornatus secondo il Thomas). Considerando inoltre che i caratteri differenziali tra il 7°. or- natus e il T. frugilegus appaiono essere non del tutto costanti, io credo che tutti gli Orsi attualmente viventi lungo la catena delle Ande nell'America meridionale debbansi ritenere come appartenenti ad una sola specie, cioè al ‘'remarctos ornatus (Cuvier). * * o * Io incontrai il 7. ornatus abbastanza numeroso nell’Ecuador nelle foreste della regione orientale e nella regione dei Paramos, e cioè da 600 a 4000 m. circa di altitudine. Gli Indigeni mi assicurarono che si incontrano Orsi anche nelle foreste della regione occidentale, ma io non ho potuto accertare tale cosa. Quest’orso si ciba talora di carne, ma a preferenza di ve- getali, e sovratutto di frutta: nella regione dei Paramos ricerca avidamente le gemme dell’ Achupalla (Pouretia pyramidata). L’in- dividuo da me ucciso a Vallevicioso aveva lo stomaco ripieno di tali gemme. Quest’Orso sta molto sugli alberi, sui quali sovente dorme, preparandosi con ramoscelli e foglie un comodo giaciglio, per lo più alla biforcazione di un grosso ramo. Si arrampica con grande facilità e si aggira fra i rami con notevole sveltezza. Ciascun individuo abita una vastissima zona, e nella foresta pratica sentieri, che tiene ripuliti dai rami e dagli sterpi, tanto che sembrano siano opera dell’uomo. Si riconosce facilmente la sua presenza dalle traccie di graffiature che i suoi unghioni la- sciano sulla corteccia degli alberi, sui quali si arrampica. Se non è ferito, non aggredisce mai l’uomo, e persino fe- rito, raramente si avventa contro il cacciatore. È già attualmente divenuto piuttosto raro nella regione dei paramos, dove è molto perseguitato dai pastori pei danni che loro arreca assalendo il bestiame domestico, e principal- mente i giovani animali. = 194 ENRICO FESTA Nella regione delle foreste è più abbondante. Anche quivi selvaggi e coloni lo cacciano attivamente per averne la carne, assai gustosa, ed il grasso, che viene adoperato per usi medi- cinali. Nelle foreste si dà la caccia a quest’Orso coll’aiuto di cani, i quali lo scovano e lo inseguono. L'Orso dopo una corsa più o meno lunga si arrampica su di un albero, dove viene ucciso con tutta facilità dai cacciatori. I selvaggi Jivaros lo uccidono lanciandogli contro colla bo- doquera (cerbottana) molte piccole freccie di legno avvelenate col veleno ticufia. Quando la belva, intorpidita dal veleno, cade al suolo, la finiscono a colpi di lancia. Preso giovane, quest’orso si addomestica bene, e dimostra molta affezione al suo custode: la mia giovane femmina di Dudas era docile e sollazzevole al pari di un cane. E Credo utile dare la serie completa delle misure fatte, sia assolute, che ridotte in 360-esimi somatici, affinchè possano ser- vire di materiale anche per chi volesse seguire metodi di cal- colo e di comparazione diversi da quello da me usato. FESTA E. Orsi dell'Ecuador ino Vol. XL. see È OJex4 se di dl h. A c e Atti della STAB, ELIOT, ING, MOLFESE = TORIN® OSSERVAZIONI INTORNO AGLI ORSI DELL'ECUADOR 195 INDICE BIBLIOGRAFICO 1. M. Grorrroy-Sarnr-HrLarre et F. Cuvier, Histoire naturelle des. Mammi- fères, pl. 218. 2. R. Ker Porter, Proceedings of the Zoological Society of London, 1833, p. 114. 3. M. Ducrorar pe BLawvitLe, Ostéographie, planches, Gen. Ursus, pl. VIII (1841). 4.J.J. von Tscnupi, Untersuchungen iiber die Fauna Peruana, p. 90 (1844). 5. In., Reiseskizzen, Perù, Il, p. 209 (1846). 6. H. N. Turner, Observations relating to some of the Foramina in the base of the Skull in Mammalia, and on the Classification of the Order Car- nivora, P. Z. S., 1848, p. 63. 7. Gervars, Castelnau Expédition dans lVAmérique du Sud, Anat., p. 7, pl. IV, fig. 1 (1850). (Trovrssart, Cat. Mamm., I, p. 245). 8. Paur Gervars, Histoire naturelle des Mammifères, p. 20 (1855). . J. E. Gray, Revision of the Genera and Species of Ursine Animals (Ursidae), P. Z.S., 1864, p 698. . P. L. Scrater, Ursus nasutus, P. Z. S., 1868, p. 71, pl. VIII. . W.H. FLower, On the value of the Characters of the base of the Cranium in the Classification of the Order Carnivora ece., P. Z. S., 1869, p. 4. . P. L. Scrater, Notes on rare or little known Animals living in the Society's Gardens, P. Z. S., 1871, p. 221; id. id., p. 700. . Max Scam, Osservazioni intorno ad un esemplare di U. ornatus vivente, Zoolog. Garten, 1871, p. 304-306 (non vidi). . J. E. Gray, On the Skull of the Spectacled Bear of Peru and of the Helarctos from Malacca and Java, Annals and Magazine of Natural History, ser. 4*, vol. XII, p. 182. . Tn. Giur, On the Genera Tremarcros, Gervais (Nearcetos, Gray) and AeLu- rINA, Gervais (Azlorugale, Fitz.), Annals and Magaz. of Nat. History, ser. 4*, vol. XIII, p. 15. . Sr. Grorce Mivart, On the Anatomy, Classification, and Distribution of the Arctoidea, P_Z.S., 1885, p. 340. . P. L. Scrarer, P. Z. S., 18983, p. 614. MID RRZOSt 11898, p.?2. . OLprieLp Tuomas, On the Bear of Ecuador, Annals and Mag. of Nat. Hist., ser. 7*, vol. IX, p. 215. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Porzione della faccia inferiore del cranio dell'esemplare è di Vallevicioso. Fig. 2. — Porzione della faccia inferiore del cranio dell'esemplare è di S. Josè: a, apertura posteriore del canale alisfenoidale. Fig. 8. — Cranio dell'esemplare è di S. Josè. Fig. 4. — Cranio dell'esemplare è di Vallevicioso. Fig. 5. — Cranio dell’esemplare è delle foreste del Rio Zamora. Fig. 6. — Cranio dell'esemplare 9 di S. Josè. Fig. 7. - Cranio dell'esemplare 9 giovane di Dudas. Fig.8e 9. — Cranii dei due esemplari giovanissimi di S. Josè. L’Accademico Segretario LorENZO CAMERANO. 196 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 1° Gennaio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Ferrero, Direttore della Classe, Manno, Crporra, Brusa, ALLievo, CHIRONI, Savio, RUFFINI e ReNIER Segretario. | Approvasi l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 11 di- cembre 1904, Dal Socio corrispondente Giuseppe BràpEeGo è giunto in omaggio un opuscolo: Per Scipione Maffei, Verona, 1904. Il Socio CrpoLLa offre in nome dell’autore le numerose pub- blicazioni storiche e geografiche, quasi tutte scolastiche, del prof. Costanzo RinAauDo, segnalando i due volumi d’indici della Rivista storica italiana, periodico di bibliografia storica dal RinAauDo stesso diretto. Il Socio CatronI rileva gli utili servigi che può rendere quell’indice anche ai cultori delle discipline giuridiche. Il Socio ALLiEvo presenta per le Memorie un manoscritto del Dr. Augusto BeLLorTI, intitolato: Empedocle. Il Presidente designa a riferirne in una prossima tornata il Socio ALLIEVO e il Socio DE SANCTIS. Il Segretario presenta una dissertazione di metrica greca inviata all'Ufficio per l'inserzione nelle Memorie dal Dr. Angelo Taccone. Sono dal Presidente invitati ad esaminarla i Soci Pezzi e De SancTIS. Il Presidente augura alla Classe un felice anno e scioglie l'adunanza. 197 PROGRAMMA PER IL XV PREMIO BRESSA La Reale Accademia delle Scienze di Torino, uniformandosi: alle disposizioni testamentarie del Dottore CESARE ALESSANDRO Bressa, ed al Programma relativo pubblicatosi in data 7 Di- cembre 1876, annunzia che col 31 Dicembre 1904 si chiuse il Concorso per le scoperte e le opere scientifiche fatte nel qua- driennio 1901-1904, al quale concorso erano solamente chiamati Scienziati ed Inventori Italiani. Contemporaneamente essa Accademia ricorda che, a comin- ciare dal 1° Gennaio 1903, è aperto il Concorso per il quindice- simo premio Bressa, a cui, a mente del Testatore, saranno ammessi Scienziati ed Inventori di tutte le Nazioni. Questo Concorso ha per iscopo di premiare quello Scien- ziato, di qualunque nazione egli sia, che durante il quadriennio 1903-1906, “a giudizio dell’Accademia delle Scienze di Torino, “ avrà fatto la più insigne ed utile scoperta, o prodotto l’opera « più celebre in fatto di scienze fisiche e sperimentali, storia “ naturale, matematiche pure ed applicate, chimica, fisiologia e « patologia, non escluse la geologia, la storia, la geografia e “ la statistica ,. Questo Concorso verrà chiuso col 31 Dicembre 1906. La somma destinata al premio, dedotta la tassa di ricchezza mobile, sarà di lire 9600 (novemila seicento). Chi intende presentarsi al Concorso dovrà dichiararlo, entro il termine sopra indicato, con lettera diretta al Presidente del- l'Accademia, ed inviare l’opera con la quale concorre. L'opera 198 dovrà essere stampata; non si terrà alcun conto dei mano- scritti. Le opere presentate dai Concorrenti, che non venissero premiati, non saranno restituite. Nessuno dei Soci nazionali, residenti o non residenti, del- l'Accademia Torinese potrà conseguire il premio. L’ Accademia dà il premio allo Scienziato che essa ne giudica più degno, ancorchè non sì sia presentato al Concorso. Torino, 1° gennaio 1905. Il Presidente dell’ Accademia E. D’Ovipro. Il Segretario della Giunta A. NACCARI. PREMIO DI FONDAZIONE POLLINI Alla fine dell’anno 1915, l'Accademia Reale delle scienze di Torino conferirà un premio di fondazione del cav. Dr. Giacomo Pollini. Esso sarà di Lire 1000, dedotte le tasse e le spese di amministrazione, e sarà conferito alla migliore monografia sto- rica degli attuali Comuni delle antiche provincie piemontesi, manoscritta ovvero stampata nel decennio 1904-1914, sul genere di quella dello stesso Dr. Pollini pubblicata in Torino nel 1896 sul comune di Malesco. Sono esclusi i Comuni capoluogo di pro- vincia e circondario, ad eccezione di quelli di Domodossola e di Pallanza. A tale premio potranno concorrere solamente scrittori di dette provincie. I concorrenti dovranno consegnare i loro lavori stampati o manoscritti prima della fine del decennio. L'Accademia non restituirà agli autori nè le opere a stampa, nè quelle manoscritte presentate al concorso. 199 REGOLAMENTO INTERNO per il conferimento del premio Pollini. Arr. 1°. Il premio istituito dal dott. cav. Giacomo Pollini sarà con- ferito ogni dieci anni dalla R. Accademia delle Scienze di Torino, contando il primo decennio dal 1° gennaio 1904, in conformità delle disposizioni del testatore, che qui si riportano: Lascio alla R. Accademia delle Scienze di Torino una ren- dita annua di L. 250, Consolidato 5°, è cui redditi annuali capitalizzati dovranno servire per dare ogni tanti anni, nella cifra che essa crederà, un premio alla migliore monografia storica, sul genere della mia di Malesco, pubblicata a Torino nel 1826, ma- noscritta od anche stampata, degli attuali Comuni italiani delle antiche provincie piemontesi; da cui però ne escludo quelli delle città capoluogo di provincia e circondario, ad eccezione di quelli di Do- modossola e Pallanza. A tale premio potranno concorrere solamente scrittori di dette provincie. Art. 2°. L'ammontare del premio sarà fissato dal Consiglio di am- ministrazione dell’Accademia nel darne l’annunzio al principio d’ogni decennio. ART. 3°. Non potranno concorrere al premio i socî nazionali resi- denti e non residenti dell’Accademia. Art. 4°. I concorrenti dovranno consegnare i loro lavori stampati o manoscritti prima della fine del decennio. I lavori stampati non potranno avere una data anteriore al decennio medesimo. Art. 5°. Alla fine del penultimo anno del decennio la Classe di scienze morali, storiche e filologiche nomina una Commissione di tre membri, con l’incarico di esaminare i lavori stampati e ma- noscritti dei concorrenti. Alla Commissione presiede il socio anziano di nomina. Essa elegge nel suo seno un segretario relatore. ART. 6°. La Commissione deve presentare all'Accademia .la sua re- lazione su tutti i lavori dei concorrenti in tempo che questa possa, in adunanza plenaria, assegnare il premio non più tardi della fine dell’anno seguente all’ultimo del decennio. Art. 7°. Il premio è indivisibile. Art. 8°. La relazione potrà contenere la proposta di una sola pub- blicazione da premiarsi, ovvero presentare la proposta di più pubblicazioni, fra le quali l'Accademia dovrà scegliere quella a cui assegnare il premio. Arr. 9°. Ove la Commissione non riconosca alcun lavoro meritevole del premio, l'Accademia disporrà della corrispondente somma, sia accrescendo il premio successivo, sia istituendone altri, sempre conforme all’intenzione del testatore. Il Presidente dell’ Accademia E. D’Ovipro. Il Segretario Il Segretario della Classe di scienze fisiche, della Classe di Scienze morali, matematiche e naturali storiche e filologiche L. CAMERANO. R. RENIER. lorino, Vixoenzo Bona, Tipografo di S. M. e de* RR. Prineipi. CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’8 Gennaio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NaccarIi, JADANZA, SPEZIA, GUIDI, Grassi, Foà, FiLeti, MorERA, SEGRE, PEANO, GUARESCHI, PARONA, MaArTIROLO e CamERANO Segretario. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Socio Foà presenta i lavori dell’ Istituto di Anatomia patologica fatti durante l’anno 1904. Il Presidente ringrazia il Socio Foà. Vengono presentati per l'inserzione negli Atti accademici i lavori seguenti : 1° J. L. CooLinae, Les congruences isotropes qui servent à représenter les fonctions d'une variable complexe, Il° Note, dal Socio SEGRE; 2° T. Boaero, Sulla deformazione delle piastre elastiche s0g- gette al calore, dal Socio MoRERA; 3° V. Novarese, La grafite delle Alpi piemontesi, dal Socio PARONA; 4° dal Socio Spezia la sua nota intitolata: Contribuzioni di Geologia chimica. La pressione è chimicamente inattiva nella solubilità e ricostituzione del quarzo; 5° G. Ponzio, Su alcuni nuovi acidi della serie oleica. Nota II: Acido 2,3 ipogeico, dal Socio FrLeti. Per ultimo il Socio Prano presenta per l’inserzione nelle Memorie accademiche la memoria seguente del Dr. Mario PIERI, Nuovi principi di Geometria projettiva complessa. Il Presidente delega i Soci Peano e SEGRE a riferire in- torno a detta memoria in una prossima seduta. Atti della R. Accademia — Vol. XL 14 202 J. L. COOLIDGE LETTURE Les congruences isotropes qui servent à représenter les fonctions dune variable compleze. II° Note de J. L. COOLIDGE. Le 20 Décembre 1903 M. le professeur Corrado Segre me fit l’honneur de présenter è l’Académie Royale des Sciences è Turin quelques théorèmes que j'avais découverts dans la géo- métrie réglée non-euclidienne. Mon mémoire a été publié ensuite dans les “ Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIX, sous le titre susécrit (*). Peu de temps après, M. le professeur Bianchi, qui avait eu la délicatesse de retenir la publi- cation de ses propres recherches, jusqu'à ce que les résultats des miennes fussent imprimés, a publié un mémoire dans les mémes Atti, intitulé: “ Sulla rappresentazione di Clifford delle congruenze rettilinee nello spazio ellittico ,. M. Bianchi, tout en abordant le sujet è un point de vue un peu different, a donné une seconde démonstration de mon théorème principal, en signalant en méme temps ce qu'il a appelé un cas d’exception. C'est sur ce point que jose insister sur mon opinion contre celle de l’illustre professeur de Pise. Tout revient è une question de définition, et ni M. Bianchi, ni moi, nous n’avons, nulle part, exprimé d’une fagon précise ce que nous entendions par “ con- gruence isotrope , de l’espace elliptique (ou sphérique). Je me hate de combler cette lacune. J'entends par “ congruence iso- trope , dans cet espace, “ une congruence où le lieu des po- sitions limites de toutes les perpendiculaires communes entre une droite non singulière et toutes les droites infiniment voisines de la congruence, sans exception, consiste en deux faisceaux de droites polaires l’un è l’autre par rapport è l’Absolu ,. Dans ces circonstances, la surface focale de la congruence est une (*) Indiqué ci-après par C.I. LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 203 développable circonscrite à l’Absolu (*), propriété fondamentale, qui pourrait bien servir de définition è la congruence. Les cas d’exception de M. Bianchi sont ceux des congruences de nor- males è des surfaces de courbure totale nulle. Il y a pourtant ici des droites infiniment voisines, qui sont parallèles dans le sens de Clifford et qui ont, par conséquent, un nombre infini de perpendiculaires communes. En outre, les surfaces focales sont loin d’étre des développables circonscrites è l’Absolu. Il me semble donc, que, puisqu’il manque è ces congruences les deux propriétés caractéristiques des congruences isotropes, comme je les ai définies, on n’est pas très-bien avisé de les classer avec les autres. On fait mieux de se servir du mot “ isotrope , seu- lement dans le sens restreint, et de signaler les congruences de M. Bianchi par leur propriété normale. Hormis cette question de définition, nous sommes parfaitement d’accord (**). En réfléchissant sur ces matières, il m’a semblé que l’in- térét du sujet n’était pas entièrement épuisé, ni par le mémoire de M. Bianchi, ni par le mien. D’abord, nous avons, jusqu’à présent, laissé complètement de còté la question de la repré- sentation sphérique des droites imaginaires, question d’une im- portance fondamentale dans l’étude des congruences isotropes algébriques. Ensuite il ne suffit pas de démontrer, comme je l’ai déjà fait, qu'une fonction monogène de la variable complexe peut toujours se représenter par une congruence isotrope: il faut donner des exemples, et discuter un peu la représentation de certaines classes de fonctions bien connues. C'est la discussion de ces deux points qui fournit le but du présent mémoire. Je commence par écrire, sans démonstration, quelques formules, et quelques théorèmes extraits du mémoire précédent. J'ai con- servé, tant qu'il me fut possible, les notations déjà employées. (OMCxI;p: 11. (#*) M. Bianchi me fait observer qu’en restreignant ainsi la définition, l'un des théorèmes que j'avais annoncés dans C. I, p. 11, devient faux. En effet, le théorème en question devrait ètre: “ Si les segments de droites qui Joignent les points correspondants de deux surfaces applicables l’un sur l’autre ont une longueur constante, ces droites appartiennent, ou bien à une congruence isotrope, ou bien è une congruence de normales à une surface de courbure totale nulle. Les surfaces centrales d’une telle con- gruence seront les lieux des centres des segments n° 204 J. L. COOLIDGE Pourtant il y a une différence capitale à noter. Autrefois je me suis servi de coordonnées liées par des équations quadratiques: il faut maintenant faire usage de coordonnées homogènes, afin d’ètre è méme de considérer certaines figures imaginaires, autre- fois exclues. Dans le second $ j'aborde la question des rayons imaginaires, et de l’existence de la correspondance fondamentale dans le domaine complexe. Le $ 3 contient des remarques gé- nérales sur les congruences qui représentent les fonctions mo- nogènes, dont l’application è la fonction linéaire se trouve en $ 4 et à d’autres fonctions connues en $ 5. $ 1. — Formules préliminaires. Je prends comme coordonnées d’un point de l’espace elli- ptique (ou sphérique): Lo: X1:X9o:X3}; celles d’un plan seront: Ugo: U,:Ug:Ug; celles enfin d’une droite: Lo Li Uj; U \Poi = == Z0 E, v Uk v Î ji e x; Ty Uo Ui k | Pix == | —_ Z, E Vo Vi Ecrivons maintenant pour le domaine réel: P (Do — Pa3) = X O(Po + pa3) = A' P(Poo — Psi) = Y C(Poo + pa) = I (1) P (Pos — Pia) = Z 0 (Pos + Pio) = 7" VERI conii ti gigi X°+ Y?+Z2_T2=0 X?+Y?4Z"?2_-T"?=0 LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 205 Inversement: Pa = X'T+ qu tp =X'T —- TARE (2) too VTLTY Tp = ARESE tpoo =4'T + (al A tpo=Z'T — TEA: Nous voyons que nous pouvons prendre X... 7 et X'...7" comme coordonnées cartésiennes de deux points de deux sphères euclidiennes de diamètre deux: 7'=0 et 7"—=0 nous donnant les plans à l’infini. En outre il est bien connu que XYZ et X'Y'Z' sont les trois premières coordonnées plueckeriennes (les trois autres étant égales à zéro) de deux droites issues du point (1,0,0,0) et parallèles respectivement à gauche et è droite è la droite p (*). Si nous entendons par “ rayon ,, “ droite orientée ,, nous aurons: Les rayons réels de l’espace elliptique ou sphérique peuvent étre représentés par les couples de points réels de deux sphères eu- clidiennes de diambtre deux. Deux rayons de sens opposé situés sur une méme droîte seront en correspondance avec deux couples de points opposés diamétralement (**). J'entends par deux rayons “ polaires , l’un à l’autre, deux rayons situés sur deux droites polaires par rapport à l’Absolu: Deux rayons polaires l'un à l’autre seront représentés par deux points identiques de l’une sphère, et deux points opposés diamétra- lement de l’autre (#**). Pour fixer les idées, je nomme la sphère X... 7 qui cor- respond aux parallèles è gauche issues du point (1,0, 0,0) la sphère “ gauche ,. L’autre sera, naturellement, la sphère “ droite ,. En outre, si deux rayons sont situés sur deux droites parallèles, les rayons eux-mémes seront nommés parallèles. (*) M. Study, dans le “ Jahresbericht der Deutschen Mathematiker-Ve- reinigung ,, t. XI, a proposé le nom “ paratactique , au lieu de parallèle, Ce changement serait louable; pourtant je préfère ici de ne pas introduire une terminologie différente de celle que j'ai déjà employée dans l’autre mémoire. MEMENTO p. 6. CORI. 206 J. L. COOLIDGE Deux rayons parallèles è gauche (è droite) auront pour repré- sentants sur la sphère gauche (droite), ou deux points identiques, ou bien deux points opposés diamétralement. Supposons que les coordonnées du point représentant sur la sphère droite, conservent des valeurs fixes X,' Y,' Zy' Ty': tandis que celles du point représentant è gauche satisfassent è une équation linéaire : AX BE GgD Nous aurons un système de co! rayons parallèles è droite. Prenons ensuite pour A’ B'C' trois valeurs réelles quelconques, assujetties à la condition: A'X'/ + B'YJ/+ 0'Z/=0. Nous voyons que chacun des rayons donnés coupe en angle droit chacun des 00! rayons, parallèles è gauche (*): NV. AA: BC DI AAA Les rayons qui correspondent à un point fire de la sphère droite (gauche) et aux points d'un grand cercle de la sphère gauche (droîte) seront situéts sur une série de génératrices d’un hyperboloide minimum. L’autre série de génératrices portera les rayons repré- sentés par les poles du grand cercle et les points du grand cerele polaire du point fixe. Il faut maintenant chercher une description paramétrique des deux sphères. Posons: pX=z;+ 2, pa =u, + us i pY= i(21— 29) pYV_i(u—u3) 8) pi =‘ 1 p'Z=ujus—1 pTr= 2,2 +1 pT'=uus+ 1 (*) GL, pag. 6. e LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 207 a ml STE lega (4) penare Mazoe 4a 9a RAI nr {1 TE4ZA On voit que 2, et 2, sont les paramètres des deux systèmes de génératrices de la sphère gauche, et de méme w, et us donnent les génératrices de la sphère droite. Il faut, pour avoir un rayon réel, attribuer aux deux et aux deux v des couples de valeurs imaginaires conjuguées. On remplace un rayon par le rayon opposé de la méme droite en substituant: 1 1 a=— — un = Z9 Uo 1 1 2g = — — ugh=—- — Veut-on avoir un rayon polaire au rayon donné, on n'a qu’àè se servir de l’un seulement de ces deux couples de sub- stitutions. $ 2. — Les rayons imaginaires. Jusqu'à-présent nous n’avons considéré que les rayons réels, représentés par des couples de points réels. Quand nous adjoi- gnons le domaine imaginaire de l’un et de l’autre còté, notre correspondance perd sa qualité univoque. En effet, si nous prenons une droite génératrice de l’Absolu, dans notre espace riemannien, un des parallèles, passant par un point fixe, cesse d’étre déterminé, de sorte que nous aurions comme représentants, l'ensemble de tous les points de l’une de nos sphères. En re- vanche, toutes les droites touchant à l’Absolu è un méme point ne déterminent qu’un seul couple de parallèles au point fixe, un seul couple de points sur les deux sphères. Nous pourrons rétablir notre correspondance seulement à la dépense de nou- velles définitions. Nous allons étendre analytiquement nos deux sphères jusqu’à ce qu’elles soient des continus parfait, en étendant pari passu notre définition du mot “ rayon ,. Dans le cas où 2,23 +1+ 0, uu, + 1==0 il n’y a point de difficulté, les pa- 208 J. L. COOLIDGE rallèles passant par un point fixe sont bien déterminés, et nous pourrons définir un rayon comme une droite orientée, c’est-à-dire, telle que chacune de ses chaînes de points ait un sens déter- miné de description. Il y a un élément d’arbitraire dans cette définition, car, puisque chaque droite porte une triple infinité de chaînes, elle peut porter un nombre infini de rayons. Il faut s'imaginer que préalablement on ait assigné à chaque chaîne de chaque droite un sens bien déterminé, et qu'il soit permis de renverser le sens de l’une chaîne d’une droite, seulement si l'on renverse celui de toutes les chaînes de cette droite; ce qui donne le rayon opposé. Les choses s’embrouillent quand nous avons: zigg +1=0 uo +1=0. Nous voyons, d’après (2), que p., + px= 0, particularité distinctive des génératrices gauches de l’Absolu, c’est-à-dire de celles qui déterminent le parallélisme à gauche, d’après nos con- ventions. Pourtant les génératrices gauches en elles-mèmes ne serviront pas, car elles dépendent d’un seul paramètre, tandis que le couple de points dépend de trois. Il faut pousser plus loin. Effectivement, si nous nommons cette figure de l’espace sphérique, quelle qu'elle soit, un “rayon impropre gauche , et si nous définissons l’intersection orthogonale entre elle et un rayon propre (tels que nous les avons connus jusqu’à-présent) X, ... TX... Ty' par les équations: xx, 4 Yr,4 zz/-0, Vari Py S7EZNI nous aurons une double infinité bien déterminée de ces rayons propres. Leurs parallèles droits, issus d’un point fixe, seront dans un plan, et ces rayons eux-mémes, d’après un théorème connu de Von Staudt, couperont les génératrices droites de l’Absolu dans les couples d’une involution non parabolique. Inversement, si nous avons une génératrice gauche de l'Ab- solu qui porte une involution non-parabolique de points et de plans en perspective avec une involution entre les génératrices droites, l'ensemble des rayons propres qui coupent cette géné- ratrice gauche, et qui coupent les couples de l’involution des génératrices droites est une congruence bien déterminée, assujettie à des équations linéaires, semblables à celles déjà citées. LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 209 Nous définissons comme rayon impropre gauche (droit) une génératrice gauche (droite) de Vl Absolu qui porte une involution non-parabolique de points et de plans, en perspective avec une invo- lution de génératrices droîtes (gauches). Nous dirons aussi que les rayons impropres droits et gauches sont “ de première espèce ,. Supposons maintenant que: 2igg +1=0 ua +1.= 0. Les parallèles è gauche et à droite issues d’un point fixe sont tangente è l’Absolu. Inversement, si nous avons deux tan- gentes à l’Absolu, il y a tout un faisceau de droites qui leur sont parallèles è gauche et à droite respectivement. Nous définissons comme rayon impropre de seconde espèce un faisceau de tangentes è V Absolu en un méme point (*). Il est è remarquer qu’un rayon impropre de seconde espèce est identique è son opposé. Deux rayons quelconques seront definis comme parallèles è gauche si: ZEN TI et de méme pour le parallélisme è droite. Ils se coupent ortho- gonalement si ERRATA © AD AEZIATEN) 83. Remarques générales sur les congruences isotropes. Le théorème principal mis en évidence par mon mémoire précédent a été celui-ci (**): A toute correspondance continue et directement conforme entre deux sphères correspondra une congruence continue isotrope: et vice- versa. Aux correspondances inversement conformes, correspondront les polaires absolues des congruences isotropes. (*) Dans ma thèse de doctorat: The dual projective geometry of elliptic and spherical space, Greifswald, 1904, j'ai expliqué en détail un système d’éléments imaginaires tout-à-fait analogue è celui-ci. Ret, p. 8. 210 J. L. COOLIDGE Nous supposons maintenant que nous ayons une correspon- dance directement conforme et analytique entre nos deux sphères, et en outre, que le régions réelles se correspondent entre elles. Ceci exige que quand 2,=z; nous ayons en méme temps us =%;. Finalement les deux systèmes de génératrices de l’une sphère sont transformées en celles de l’autre. Nous aurons: (5) u, = (21) ug = (22). Il s'agit alors d’étudier la fonction monogène %;(2;). En première ligne il faut se rendre compte des circonstances dans lesquelles l’identité suivante aura lieu: (6) î( me \= sno Ceci exprime la condition nécessaire et suffisante pour que l’opposé de chaque rayon de la congruence lui appartienne également. Elle a, en outre, une autre signification non moins importante. Cherchons les rayons impropres de seconde espèce de la congruence. Nous aurons: zig +1=0 uu, +1=0 _fl un (21) a) +1=0 x | a) —1 U1 = 4 us(21) i On voit que les racines de cette équation sont deux-à-deux des couples de valeurs imaginaires diamétrales. Si nous prenons i —1 une racine quelconque, et mettons 2, = —, > nous aurons un 4 rayon impropre de seconde espèce de la congruence. Si nous prenons deux racines différentes, en leur attribuant les valeurs 2, et pain l’opposé du rayon (2123) de la congruence lui appartiendra 22 aussi. Il faut approfondir la chose davantage. On voit, d’après les formules du $ premier, que les rayons impropres de seconde espèce qui coupent, en angle droit, un rayon propre 2,22, Us seront donnés par les équations: (21 — 21) (2° — 29) =0 (u, — 1) (2 — ug) = 0. LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 211 Il y aura alors quatre rayons impropres, dont les points de contact de deux seront sur le rayon donné; les plans des deux autres passeront par là. Afin de distinguer plus nettement nous prendrons le cas spécial d’un rayon passant par l’origine (10,0, 0). Nous aurons X= X°' etc. : 2a = U Rig — Us. Les rayons impropres, dont les plans passent par ce rayon seront alors: MENA une 1 1 za =— ug = — — Zi Un et 1 29 L Ua Zu —=:2a UST: Ces conditions sont invariantes pour tous les mouvements de l’espace riemannien, à cause de l’invariance de l’ensemble des rayons impropres de seconde espèce: zizi +1=0 u ug +1=0. Nous avons ainsi les équations pour déterminer les rayons impropres dont les plans passent par un rayon donné quelconque. Prenons un rayon de notre congruence isotrope, et cherchons la condition sous laquelle les rayons impropres, dont les plans passent par là, appartiennent eux aussi è notre congruence. Nous aurons tout-de-suite: Ua (FI) LL d,(22) = = 4 un(21) comme condition nécessaire et suffisante pour que l’opposé du rayon appartienne également è la congruence. . —1 97 e Inversement, prenons deux solutions 2,’ et —> de l’équation: #2 È (=) — l U\—|= 2 ue) | 1) PA J. L. COOLIDGE Elles nous donnent, nous l’avons déjà vu, deux rayons impropres de seconde espèce de notre congruence. Les plans de ces deux rayons passeront par le rayon (212) (vs) donné par les équations: Za — Za U1 —_ u,(21) Qge=/28 U9 = U1 (20). Celui-ci est un rayon de la congruence, aussi bien que son opposé. Si nous prenons, en particulier, deux solutions diamétralement opposées de l’équation mainte fois écrite, nous aurons: 23, = SAL U, = Ug c'est-à-dire un rayon réel de la congruence. Une congruence isotrope de rayons contient, ou l’opposé de chacun de ses membres, ou bien seulement les opposés de ses mem- bres impropres de seconde espèce, et de tels rayons qui sont communs aux plans de deux quelconques entre ces rayons impropres. | Nous aurons l’occasion de revenir sur ce sujet plus tard. Passons maintenant aux éléments singuliers. L’existence d’un pòle simple de la fonction «;(21) n’amènera aucune singularité è la congruence. Si la fonction v;(2;) est uni- forme, il y a un seul parallèle è gauche à un rayon donné: celui qui vient des équations: Les deux rayons parallèles ne peuvent étre ni identiques, ni opposés, si 2129 + 1==0. Pour trouver les parallèles è droite il faut considérer la fonction inverse. Si la fonction wi(2,) est à n valeurs, il y aura 2» rayons de la congruence parallèles à gauche è une droite donnée. Les points critiques de la fonction u;(21) nous donneront quelque chose de plus compliqué. Effecti- vement, si, par exemple, il s'agit d’une fonction algébrique v3(21), et pour la valeur 2,=%;, «, se développe en m cycles, il en sera de méme pour les p»;, Pa. #:=%, nous donnera ainsi une surface LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 213 de la congruence de droites (qui porte la congruence de rayons) et par chacune de ses génératrices il passera, pour ainsi dire, m feuillets de la congruence. En outre, il est clair que 2° =, fournira m cycles de la fonction #;(z2). On voit alors que 21= %, zè=%; fournira une droite réelle, doublement multiple pour la congruence, analogue è l’intersection de deux courbes multiples d’une surface. Un point singulier essentiel de %,(2,), puisque «, est par- faitement indéterminé dans son voisinage, nous donnera, avec les valeurs correspondantes de 2, et de w,, une congruence de parallèles è gauche appartenant è la congruence. $ 4. — La fonction linéaire. De toutes les fonctions de la variable complexe, la plus simple est la fonction linéaire. Examinons un peu la congruence qui lui correspond. Posons: cre at SE. az> + B (7) Eraralò Usi = matòd: Je demande d’abord: dans quelles circonstances cette fonction représente-t-elle un déplacement de la sphère gauche? Gardons- nous de faire confusion entre la question ainsi posée, et celle d'un déplacement de la sphère de Gauss è un paramètre com- plexe seulement. Comme condition nécessaire d’un déplacement nous écrivons que le plan è l’infini sera transformé en lui-méme : uu> +1=0(2123 + 1). Nous aurons: az, — pr = U = — = pp= 1. Yz + pa Il n'y a pas de restriction è ce qu'on suppose que le déter- minant soit un nombre réel positif, c’est-à-dire p = 1: — (c+ di) +(a +4 dé) (a + die: — (ce — di) (a — di)za Ma © (aa 214 J. L. COOLIDGE Ce sont ici les formules connues pour un déplacement de la sphère de Gauss. Inversement, on s’assure facilement que dans la transformation (8) les distances sont invariantes. Nous avons les formules cherchées. On remarque ensuite que, puisqu’un deéplacement de la sphère conserve les distances, nous avons un ensemble de rayons, chacun desquels coupe chaque autre (*), c’est-à-dire, ces rayons passent tous par un point fixe, car les rayons situés dans un plan ne forment pas de congruence iso- trope. Cherchons les coordonnées de ce point. Nous commengons par appliquer les formules (4): pX=(— a+ 824 e — d°) X'4 2(ab + cd) Y' + 2(ac — bd) Z' pY=2(cd — ab) X' +(— a+ 5°— c°+ d°) Y' + 2(bce + ad) Z' pZ = 2(ac+ bd) X' + 2(ad — be) Y' + (aa +0 — e — d°)Z' forme bien connue pour la substitution orthogonale, exprimée au moyen des paramètres d’ Euler. En outre, ce sont préci- sément les formules que nous aurions obtenues en cherchant la condition sous laquelle un rayon passerait par le point: Wo e a ada — CTR D’une fagon semblable nous obtiendrons l’expression pour la congruence de rayons dans le plan (b, c, d, @) en écrivant que les polaires de ces rayons passent par le pòle de ce plan: (9) iO: (c-di)zzt-(a+bî) dI DIO (ct+di)z+(a—bdi) 1° —(a—bi)zzHetdi) 27 —(a+bi)z4(e—di) * Passons maintenant au cas général de (7). Nous demandons dans quelles circonstances la congruence contiendra l’opposé de chacun de ses rayons. En appliquant l’identité (6) nous aurons: abt+yò=0 aa + Y=BB+ dd. (*) C.1Etpre: LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 215 Celles-ci sont les équations de condition pour la forme (8). Si cette identité ne subsiste pas, l’ordre et la classe de la con- gruence de rayons seront égaux è l’ordre et è la classe de la congruence des droites qui les portent. L’ordre est obtenu en comparant (7) avec (8): oz44-B __ (atbie,—(c—-di) azz+-B SE (a—bi)zz—(c+di) yad4d © (c+di)at(a—di) Yertò (c-di)z:t-(a+bi) * Chacune de ces équations aura deux racines, et celles de l’une sont les imaginaires conjuguées de celles de l’autre. On peut alors les combiner en quatre manières, dont deux seulement nous donnent des rayons réels. On s’apergoit que quand la fonction linéaire prend la forme spéciale (8), il y aura une simple infinité de rayons impropres de seconde espèce (touchant è l’Absolu le long de son intersection avec le plan polaire du point fixe), dont deux passeront par un point quelconque. Les deux rayons propres qui y passent seront opposés, de sorte que l’ordre de la congruence de droites se réduit è un: comme nous devions nous y attendre. Pour en trouver la classe, nous n’avons qu'à comparer (7) avec (9): [ala — bi) + r(e— dilexes + [rla + dd) — ale 4 di) + + [B(@ — da) + dle — di)]z + [d(a + di) — B(C+di)]}=0. [a(a +2) + r(c+ dé)]2,2: 4 [B(a + 59) + d(c+ dale + +[T(a—d)]—a(e— di): + |[d(a— di) — B(c—-di)]}=0. Nous voyons qu’en général la classe est deux: elle se réduit à zéro dans le cas spécial (8), è cause des rayons impropres de seconde espèce, dont deux seront en chaque plan: La fonction linéaire d’une variable complexe qui donne un déplacement de la sphère de Gauss, correspondra à l'ensemble des rayons passant par un point fire, dont les coordonnées homogènes sont les paramètres d’ Euler du déplacement. Sì la fonction ne donne pas de déplacement, elle correspondra à une congruence de rayons situés sur une congruence de droites de quatrièòme ordre et de se- conde classe. Deux droites réelles de cette congruence passeront par chaque point réel de l'espace. 216 J. L. COOLIDGE 2 En effet, cette congruence est bien connue. La, surface fo- cale consiste en deux cònes tangents à l’Absolu, dont les som- mets sont deux points imaginaires conjugués (*). La droite qui joint ces deux sommets porte les deux rayons propres opposés de la congruence. $ 5. — Quelques autres fonctions monogènes. Supposons que nous ayons une fonction algébrique irré- ductible: im i=n fyxY (10) z sa Ami n-j UM == UM —0 Envisageons l’identité (6). Nous savons que la surface fo- cale d’une congruence isotrope est une développable circonserite à l’Absolu (**). Dans le cas actuel les coordonnées plueckeriennes des droites seront des fonetions algébriques de <, et de <,. Hl en sera de méme pour les coordonnées des plans tangents à l’Absolu qui passent par elles, et la .surface développable enve- loppée par ces plans sera une surface algébrique. En outre,, puisque la congruence est supposée réelle, il faut que cette sur- face soit è équation réelle. Il y a, alors, les deux possibilités: ou la surface focale est réductible, composée de deux parties imaginaires conjuguées; ou bien c'est une surface irréductible. Si une droite de la congruence touche è l'Absolu (c’est-à-dire, si la congruence de rayons a un membre impropre de seconde espèce), ses deux points focaux tombent ensemble sur le point de contact, et de méme pour ses plans focaux; ce qui exige que les deux plans tangents è la surface qui déterminent cette droite soient des plans consécutifs. Dans le premier cas où la surface focale est réductible, il arrivera dans un nombre fini de cas qu'il y aura des plans tangents aux deux parties de la surface. L’identité (6) ne sera pas satisfaite. Dans. le second cas, la droite commune à deux plans consécutifs appartiendra à la con- (*) Sturm, Gebdilde ersten und zweiten Grades der Liniengeometrie. T. 2, pag. 320. (0) CARPA pe LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. 217 gruence de droites, ce qui veut dire que la congruence de rayons aura une simple infinité de membres impropres de se- conde espèce. Nous obtiendrons l’ordre et la classe de la congruence de rayons en comparant (10) avec (8) et (9). Ainsi l’ordre sera (m + n)?, quoique par un point réel il passe (m + x) rayons réels seulement. La classe sera (m + n)? — (m? + n?). L’ordre et la classe de la congruence de rayons seront identiques à l’ordre et à la classe de la congruence de droites, dans le cas d'une surface focale réductible. Au contraire, si l’on cherche l’ordre et la classe de la congruence de droites qui porte une congruence de rayons à surface focale irréductible; il faut d’abord écarter le nombre des rayons impropres de seconde espèce qui passent par un point quelconque, c’est-à-dire, l’ordre de la courbe de contact entre la surface focale et l’Absolu; puis diviser par deux, parce qu'il y aura deux rayons opposés sur chaque droite. Nous avons exemplifié tous ces procédés dans le cas de la fonction linéaire. Les fonctions des polyèdres réguliers nous donnent des con- gruences isotropes qui se transforment en elles-mémes par des groupes de substitutions orthogonales en XYZ. Ces substitutions représentent dans l’espace elliptique (ou sphérique) des trans- lations è gauche; c’est-à-dire, des déplacements le long des systèmes de parallèles è gauche. Ces congruences-ci seront transformées en elles-mémes par des groupes de tels dépla- cements. Considérons la fonction transcendente: Uni" (cr, Il y aura un seul parallele è gauche è chaque rayon de la congruence, puisque la fonction est uniforme; celui qui vient des équations: > 1 Au contraire il y aura deux infinités dénombrables de parallèles à droite à notre rayon vj ws: Ui i eErt+-2hyTi SA pa —_ — ef1 +2WITi , (15) Atti della R. Accademia — Vol. XL. 15 218 J. L. COOLIDGE — LES CONGRUENCES ISOTROPES, ETC. Les droites de chacun de ces systèmes de rayons seront des génératrices d’une surface è courbure totale nulle. Chaque surface aura une génératrice commune avec la congruence de droites parallèles qui correspond au point singulier essentiel 2, = o. Nous aurons des résultats un peu semblables dans les cas de la fonction elliptique: u=P(2). Il y a encore ici un seul parallèle è gauche à chaque rayon. Au contraire la fonction est de second ordre, et doublement périodique. Il y aura ainsi quatre ensembles infinis de parallèles a droite è notre rayon: ui = P(21 + 2Ayw + 24gw3) U, = P (21 + 2h,'w, + 243'Wwsg) I Ple" + 2as''w + 2g) RI Ug ci = P(2,)"+ 2h!" wA4- 2h3""'w3) 2 Chacun de ces ensembles peut étre réparti, dans une infi- nité dénombrable de manières, sur une infinité dénombrable de surfaces à courbure totale nulle. Chaque surface contiendra un membre de la congruence de droites parallèles qui correspond au point singulier essentiel 2, = 00. Enfin on peut remarquer que, puisque la fonction modu- laire elliptique a, comme limite fermée, un grand cercle de la sphère de Gauss, les rayons réels de la congruence seront sur des droites qui sont toutes du méme còté d’un hyperboloîde minimum. Cambridge, États Units. Décembre 1904. TOMMASO BOGGIO — SULLA DEFORMAZIONE, ECC. 219 Sulla deformazione delle piastre elastiche soggette al calore. Nota di TOMMASO BOGGIO, a Torino. Consideriamo una piastra piana, elastica, isotropa, di gros- sezza piccolissima, i cui punti hanno inizialmente una stessa temperatura (che si può benissimo supporre nulla); si sottoponga poi la piastra ad un riscaldamento, diverso da punto a punto; allora essa si deforma, e si presenta quindi il problema gene- rale di determinare lo spostamento longitudinale che, per effetto di tale riscaldamento, subisce ogni punto P della piastra, sup- ponendo noto il riscaldamento, che sarà perciò una data fun- zione delle coordinate del punto P. Le componenti «, v dello spostamento debbono soddisfare nei punti della piastra a due certe equazioni indefinite di 2° or- dine, non omogenee (perchè vi comparisce il riscaldamento), e nei punti del contorno a due equazioni ai limiti di 1° ordine. Queste equazioni differenziali sono state date da F. Neumann nel $ 12 della sua Memoria: Die Gesetze der Doppelbrechung des Lichts, ecc. (*). Egli le applicò alla determinazione della defor- mazione di un cerchio o di una corona circolare (**), nell’ipotesi particolare però in cui il riscaldamento è solo funzione del raggio vettore che parte dal centro. Allora è chiaro che gli sposta- menti hanno luogo nella direzione del raggio vettore e il pro- (*) “ Abhandlungen der kénigl. Akad. der Wissenschaften zu Berlin ,, a. 1841; zweiter Theil. In queste equazioni però il Neumann ritiene eguale 1 ad 9 certo coefficiente k. (**) Memoria cit., $$ 13, 14. Circa l’importanza di tali ricerche il Neu- mann dice a pag. 111 della sua Memoria: “ Die Resultate..... finden ausser ihrem optischen Interesse noch ein praktisches, in ihrer Anwendung auf die Bestimmung der Fehler, welche in den zur Winkelmessung dienender Kreisen durch ungleiche Temperaturvertheilung hervorgebracht werden ,. 220 TOMMASO BOGGIO blema si riduce all’integrazione di un'equazione differenziale ordinaria, con una sola variabile indipendente ed una sola fun- zione incognita. Se invece il riscaldamento avviene con legge qualunque, si deve eseguire l'integrazione del sistema di equazioni differenziali prima accennato. Tale integrazione è stata fatta dal Borchardt (*) nel caso di un’area circolare: le sue formole, relativamente semplici, esprimono gli spostamenti «,v per mezzo di integrali definiti. In questa Nota riduco il calcolo delle funzioni «, v alla ri- soluzione del problema dei valori al contorno per le funzioni biarmoniche, o, ciò che è lo stesso, alla ricerca della seconda funzione di Green per l’area considerata. Ottengo facilmente questo risultato, trasformando opportu- namente le equazioni indefinite e ai limiti a cui soddisfano le funzioni «, v, e poi applicando le eleganti formole stabilite dal prof. Morera, per la soluzione generale delle equazioni indefinite dell'equilibrio di un corpo continuo; formole che già applicai vantaggiosamente in una Nota precedente sulla deformazione delle piastre cilindriche (**). Il problema dei valori al contorno per le funzioni biarmo- niche, come è noto, è stato risolto da vari autori (Levi-Civita, Lauricella, Almansi, ecc.) per molte classi di aree; in partico- lare per le aree di cui si può fare la rappresentazione conforme su un cerchio con funzioni razionali, la soluzione risulta espressa per mezzo di integrali definiti: per queste ultime aree dunque le funzioni v, v si potranno esprimere mediante integrali definiti. Se, in particolare, il riscaldamento è una funzione armo- nica, la questione proposta si risolve in modo estremamente semplice, qualunque sia la forma della piastra, poichè in questo caso non occorre più la risoluzione di nessun problema dei valori al contorno. (*) Borcnarpr, Untersuchungen iiber die Elasticitàùt fester isotroper Kéirper unter Beriicksichtigung der Wérme (* Monatsberichte der kònig. preuss. Akademie der Wissenschaften zu Berlin ,, pag. 9, a. 1878). (**) Boero, Sulla deformazione delle piastre elastiche cilindriche di gros- sezza qualunque (£ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, vol. XIII, serie 5*, 2° sem. 1904). SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 221 Nel caso della piastra circolare, il procedimento da me se- guito è assai più semplice di quello adoperato dal Borchardt, e le formole definitive che forniscono «, v hanno pure un aspetto più semplice. Se il riscaldamento poi è una funzione poliarmo- nica, le funzioni «, v si possono esprimere mediante integrali semplici, mentre nel caso generale esse sono espresse per inte- grali doppi. Infine se il riscaldamento è una funzione razionale intera, anche le funzioni «,v sono razionali intere, e questo ri- sultato vale pure per una piastra ellittica. I — Piastra qualunque. 1. — Diciamo o la sezione media della piastra che si con- sidera, ed s il suo contorno; assumiamo poi come piano xy quello della sezione media. Le componenti v, v dello spostamento longitudinale di un punto qualunque della piastra, debbono soddisfare nei punti di o alle equazioni indefinite: | Aaa mea (1) x! d (0) da? | post tro teo, dy ove p indica la dilatazione superficiale, cioè: e nei punti di s alle equazioni ai limiti: + dn de! da \ |2+2 (dx je eg a dv dy _ 4 | /d de\d Ù, E di si re de se | apofie te) + [etotott]irno, in cui: p=2xp—x'®, e ®(x, y) è il riscaldamento nel punto (x,y), x è una costante 222 TOMMASO BOGGIO che dipende dalla natura della piastra, x' è la costante legata al coefficiente di dilatazione termica e dalla formola: x =2(1+ 34, ed » è la normale ad s, diretta all’interno di 0. Lo spostamento trasversale w risulta poi dato dall’equazione: (1+)wo= — Le. Si tratta ora di determinare le funzioni «, ®. Riduciamo perciò dapprima le (1) a forma omogenea. Po- niamo pertanto: , 00x SOLAR i ar O (3) Mep vaen+ dy UE ipa tao dy ” ove E, n, F sono funzioni da determinarsi; le (1) diventano allora: (1+9A,E+ (143) Î — < pi ‘d — 2(1+2)A, P | (4) < | (+9an+(1439 = i d | x'®—2(1+294pF |. Determiniamo ora la funzione F in modo che verifichi l’e- quazione: Tide K (5) cLuer 2(14-2x) Di e sia regolare nell’area 0. Basta perciò, come è ben noto, as- sumere: SEL i Fe, )=— Gapag JP og 7 de, r essendo la distanza del punto (x,y) di o dal punto variabile d'integrazione (x', y") e do l'elemento d’area attiguo a questo punto. SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 223 Le (4) si riducono allora alla forma omogenea: \ (+4, +(1+3) È — 0 (4°) dé | (1+Asn + (1+3%) 9, = 0 da cui segue intanto: (6) A9=0. Si possono ancora scrivere le (4) in questo modo: 14x d | [dE ( | +2 + xi | + 2 dy\ ii a 14x d / dz x E dn 2 db o) = si 7 Du (o a ]=0 Se ora introduciamo le tre funzioni 71, Ts, Tss definite dalle eguaglianze: dE 1 Tau=(4-2) +3 dy (8) ENO le (7) diventano: da dy, © 0 (9) f Tia ATgg de an dy n DE ponendo poi: (10) qT= Ti + Ts9, segue subito dalle (8): T=(1+3x0 e quindi dalla (6): (11) A;T=0, cioè la funzione 7° è armonica. 224 TOMMASO BOGGIO Ciò posto, conviene applicare la proprietà seguente: La soluzione più generale delle equazioni (9) è data dalle formole (#): d°?U Ius gg d2U (12) n= dx dy d*U To = da? ’ ove U(x,y) è una funzione per ora arbitraria. Siccome dalle (10), (12) risulta: (13) P= AU; si conclude, sostituendo nella (11): (14) TT OEZA cioè: la funzione U deve essere biarmonica. Si tratta ora di determinare la funzione biarmonica VU. Bisogna perciò trovare le equazioni ai limiti a cui essa deve soddisfare. 2. — Le equazioni ai limiti (2), eseguendo la sostitu- zione (3), diventano: > dé , dn 13 pori n ars | \dy na de dan IMIATTE xo atri d?F de d°F Di pi | dx ina KA, F° — (140( da da | i 1 d& dn | da dn du a + Ie+Ceraini _ Lodi _xa,p% VE de q SE du) sà; 2 tono —(1tx (2 e dy° dn (*) Queste formole sono un caso particolare di quelle stabilite dal prof. Morera nella sua Nota: Soluzione generale delle equazioni indefinite del- l’equilibrio di un corpo continuo (£ Rendiconti della R. Accad. dei Lincei ,, vol. I, serie 5°, 1° sem., 1892, pag. 234). "7 SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 225 esse possono ancora scriversi, tenendo anche presente la (5): da da midi da | da 14xk È ani dy _ |0+2%) lia a Va aa (dla dr dg ) = x) dè dn dedy da + cn) me L| i de E 4 (1+2x i so cha o n Hi (ae) | dx dy da * da? “ È ovvero, applicando le (8): de dy _ d Fdx d°F J Tu da atta da (1-+0)( dy? die drdy dn dx dy d°F de , d°F dy Tia gn Ti Tuo în asa" )l ni da dy sn dae? #4 \ ed infine mediante le (12): Bada... diU dy gli, (TE dir dy) ) dy? der daedy da de dady da/ or < eda 10 9 dy 1! d°F da | d°F dy Î — daedy Pa da da A+9(— de dy da ua da? A i Prendiamo ora come senso positivo del contorno s quello che è definito dalle formole: (O FRENI dy dy __ da TENDE da ds" da’ e allora avremo dalle (15): ddU dy d'dU dx dl dy d dF dx dy ta dy * ds ella [3 nari ente | dda i d dF dy dd” da dy dx Da. de * ds cas +0] dy dr * ds Tata da * ds davi | RE ao poet 226 TOMMASO BOGGIO quindi integrando, ed omettendo due costanti arbitrarie: \ do — (14917 di (+9; ne segue, tralasciando un’altra costante: \ U=(1+x)F (16) (sopra s). Ss a+. Queste formole ci dànno dunque, per ogni punto del con- torno, il valore della funzione U e della sua derivata normale, e poichè la U è biarmonica in 0, essa risulta da queste con- dizioni completamente determinata in tutta l’area 0, e la sua effettiva determinazione si può fare, come è stato detto, per molte categorie di aree. Ritenendo perciò conosciuta la funzione U, le (12), (13) ci fanno conoscere le funzioni 71, Te, Toe, T. 8. — Cerchiamo ora le funzioni £, n. Dalle (8) si hanno intanto le equazioni: dE 1 de — (1-Lx)1-+3%) [1+-24)T11— KTso] da 1 (1-55 e dy = (1-x)(1+-3k) [(1-+-2x) Tao KTrs cioè, ricordando la (10): de.}=% E 1 (17) de ra (1+x)(1+3x) [(1 -2x)T — (1+-3x) Tse] ans. 1 - Ì A (18) dy ae (1+x)(14-3x) [AFF-2) = (14-34) 711]; inoltre: (19) de | dn 27 dy '‘ de © lix SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 227 D'altra parte le (4') possono ancora scriversi: [ 21+2%) = d7 | dfdi dn) _ \ ei I (dE di = 0 (14+x)(148x) dy de\dy da} =? perciò si può porre: (20) ped 214-2x) T, gi e e gl ite ove 7 è la funzione armonica legata alla 7 dalle equazioni: aT | dI | da dy (21) d7' dTy Î dy da 0 (5) e che sarà perciò conosciuta (a meno di una costante che si può supporre nulla), ed w è una costante arbitraria. Dalle (19), (20) si ricava: e) = Tai 0+29+(1+3973] — w, ©) = tg [-(1+207+(1+397,] + u. A cagione delle (21) possiamo scrivere le funzioni armo- niche 7, 7 sotto la forma: (24) pa E ovvero sotto l’altra: dt dt (240) T=— To= — + ove T, t, sono funzioni armoniche conosciute (a meno di una (*) Si suole anche dire che la funzione armonica 7) è coniugata della 7. 228 TOMMASO BOGGIO costante che non ha influenza); sostituendo allora nelle (17), (18), (22), (23) e ricordando le (12) avremo: a Tasto | 0+20 E — 1+30 8 | dé | dy — = Tote | +20 7 — +30 È ]-w dn __ 1 ST de © (14%) (14-3x) | (1 pr dra mi ì ali Be dn _ dty ADI dy — (P% TER [1420 — (1439 Ge]. perciò integrando: e ai 1 4U | din (x) (143%) © gi CE Lu Wy + 01 ica 14+2k dU | ef rei oOVe c,, cs sono due costanti arbitrarie. Sostituendo poi nelle (8) si ha: mIa ao 1 Dia A-ho(1-43%) ! pira È [U AS F] — WY +e sn = Ta = Ta 3; sl pg (1+x%) 7] + wr + ce. Queste formole dànno la soluzione della questione proposta; come si vede, tutta la difficoltà consiste nella ricerca della fun- zione biarmonica U. Gli spostamenti «, v risultano notoriamente determinati a meno di una traslazione di componenti c,, cs e di una rotazione w intorno ad un asse perpendicolare alla piastra. Nelle formole seguenti riterremo però, per brevità, nulle la traslazione e la rotazione. 4. — Si può ridurre la ricerca della funzione biarmonica U a quella di un’altra più semplice. siii SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 229 Poniamo perciò: (26) U—-(1+x)}F=H+ K, ove H, K sono funzioni da determinarsi. Dalle (16) si trae allora, nei punti di s: Î H+K=0 (27) Î dHi o dR0l, (ord dae Inoltre, per la (5): (28) A3U—x®=A4,H+ A4;K, avendo posto, per brevità: = Rdrk ‘3 21429 * Possiamo determinare anzitutto la funzione H in modo che siano soddisfatte le equazioni: (29) AsH=— K@ (in 0) (30) H=0 (su s), e si avrà così da una nota formola (*): 6) Ha,y=% | 0@,y)(lg1—@,)do, ove G, indica il valore nel punto variabile d’integrazione (@', y') della funzione di Green avente per polo il punto (x,y) di o. Dalla (28) risulta poi: (28°) P_RO AR quindi, in ogni punto di 0, si ha: (32) A,K=0. (*) Cfr. ad es. l'eccellente opera: MarcoLonco, Teoria matematica del- l'equilibrio dei corpi elastici, cap. I, $ 9 (Milano, Hoepli; a. 1904). 230 TOMMASO BOGGIO Nei punti di s si ha poi dalle (27): (33) di =0) dK pw dH da DI 1° da (34) e queste due condizioni determinano completamente la funzione biarmonica K, che è quindi l’unica che rimanga ancora da co- noscere. Vedremo che, per un’area circolare, essa si può ottenere facilmente. Conviene ancora osservare che ponendo: (85) V=U-(1+wF, ne segue ricordando la (5): (36) T=AU=AW-H4-b perciò si ha, in ogni punto di 0: (37) AV=—KA39, e dalle (16) nei punti di s: 2 VI (38) = TRA Ora l’unica funzione V che soddisfa alle (37), (38) è quella data dalla formola (*): » S 1 (39) V(r,y) = tt ( (4,9) (1° log 1 — G»)do, Gs indicando il valore nel punto variabile d’integrazione (', y') della seconda funzione di Green avente per polo il punto (#, y) di 0. Si conclude pertanto che basta conoscere la seconda fun- zione di Green per l’area considerata, per poter determinare gli spostamenti «, v. 5. — Si possono scrivere le (25) sotto una forma un po’ diversa, che ci sarà utile. Trasformiamo perciò le funzioni t, ty. (*) Cfr. ad es.: MarcoLoneso, loc. cit. SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 231 Supponiamo che l’area 0 sia semplicemente connessa e che contenga l'origine delle coordinate, allora la funzione U, biarmo- nica in 0, può rappresentarsi colla formola: U= pî@+ y (*), (= +y9) ove @, yw sono funzioni armoniche in 0. Si avrà allora: er le il che ci dà la funzione lo. Abbiamo quindi sostituendo nella (49): (51) H=,(p" — R")h,. 1 Esprimiamo ora la funzione biarmonica X mediante inte- grali semplici. La K è data, come abbiamo visto, dalla (44), nella quale la funzione armonica @ soddisfa alla (34'); avremo dunque, te- nendo presente la (51): 2Ro = — X,2nR"-h,, (p= R), 1 (52) g= — ZE" "lam : e quest’equazione sarà valida non solo per p= È, ma nell’in- tero cerchio 0. Avremo quindi: m K=— (p?— R?) 2, E" lm ; onde: H+ K=,[p® — R®— nR"-*(p? — R2)]hn, SULLA DEFORMAZIONE DELLE PIASTRE ELASTICHE, ECC. 239 e, ricordando le (50), (26): m 1 hi - U—(1+x) va DD [pî"— E°" —nR"-*(p?— R?)}p"} —p" n dp. 1 Si ha poi ancora dalle (52), (50): n_-2—N (0 n a n RUI) 1 6 I | ne segue facilmente che la funzione @, è data dalla formola : a E en-2n—n ‘e n—lyj;(0) > Sa Val p SP n-1d9 ; l essendo w, la funzione armonica coniugata di w,_1. Sostituendo le tre espressioni precedenti nelle (41) si otten- gono precisamente le funzioni v,v espresse mediante integrali semplici (o quadrature). 9. — Se, in particolare, il riscaldamento ® è un polinomio, le funzioni armoniche yo, y, ... sono pure polinomi, perciò, dalle formole precedenti, si conclude che lo stesso accade delle fun- zioni U—(14+ x)7, ©, ® e infine di «, v. Questo risultato vale ancora se il contorno s, invece che una circonferenza, è un’ellisse qualsiasi. Infatti se ® è un polinomio di grado m, A,® sarà di grado m-—2, e la funzione V che soddisfa alle (37), (38) è allora un polinomio di grado m + 2, che, come ho stabilito in una Nota precedente (*), si può determinare facilmente col metodo dei coefficienti indeterminati. Sia cioè: l'equazione dell’ellisse s, e poniamo: be y 2 inc ove Mx, y) è un polinomio di grado m—2 di cui dobbiamo de- terminare i coefficienti. (*) Boaero, Sopra alcune funzioni armoniche o biarmoniche, ece. (* Atti del R. Istituto Veneto ,, tomo LX, parte 2*; a. 1901). 240 TOMMASO BOGGIO — SULLA DEFORMAZIONE, ECC. È chiaro allora che le (38) sono soddisfatte; sostituendo poi nella (37) e confrontando fra loro i due membri si trovano tante equazioni lineari quanti sono i coefficienti incogniti del polinomio A. Il determinante dei coefficienti di tali equazioni è certo differente da zero, altrimenti supponendo nulli i termini noti (ossia i coefficienti del polinomio A,®, da cui seguirebbe che V è biarmonica in 0) queste equazioni risulterebbero omo- genee ed avrebbero perciò una soluzione comune, cioè esisterebbe una funzione biarmonica, non identicamente nulla in 0, e che su s si annullerebbe colla sua derivata normale, il che è im- possibile (*). Da tali equazioni si possono dunque ricavare i coefficienti del polinomio \, che così risulta conosciuto. La funzione V è perciò un polinomio di grado m+2 e, a cagione della (35), anche U—(14+xrF. Dalla (36) si deduce poi che 7 è un polinomio (armonico) di grado m, quindi dalle (24), (24,) che t, t) sono polinomi (ar- monici) di grado wm + 1, e infine dalle (25) che v,v sono poli- nomi di grado m + 1. Se invece il riscaldamento ® non è una funzione razionale intera, le funzioni v, v (sempre nel caso di un contorno ellittico) sì possono ottenere espresse con serie (di funzioni iperboliche e trigonometriche), perchè la funzione biarmonica U, che sod- disfa alle (16) si sa appunto (**) determinare mediante serie (di funzioni iperboliche e trigonometriche). (*) Questo semplice ragionamento, che permette di concludere che il determinante dei coefficienti non è nullo, è una immediata estensione di quello adoperato dal Prof. Morera nel $ 8 della sua Memoria: Sull’attra- zione degli ellissoidi e sulle funzioni armoniche ellissoidali di seconda specie (£ Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino ,; serie II, t. LV» a. 1905). (**) Boero, Integrazione dell'equazione A*A*=0 in un’area ellittica (“ Atti del R. Istituto Veneto ,; tomo LX, parte 2*; a. 1901). VITTORIO NOVARESE — LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 241 La grafite nelle Alpi piemontesi. Nota dell'Ing VITTORIO NOVARESE. La notizia del rinvenimento di lenti grafitiche in una lo- calità delle Valli di Lanzo, dove finora non erano conosciute, data in uno degli ultimi scritti del prof. Sacco (1), m'induce ad esporre brevemente le osservazioni che sullo stesso argomento abbiamo raccolto, tanto io quanto altri egregi miei Colleghi, du- rante il rilevamento della Carta geologica delle Alpi Piemontesi. Anche all'infuori di una mia Monografia, che il prof. Sacco cor- tesemente cita (2), notizie di talune di queste osservazioni sono già state inserite nelle varie pubblicazioni, dove del sopradetto rilevamento si dà conto, ma sembrano essere passate del tutto inavvertite. Avrò occasione di ricordarle nelle pagine che seguono: Diverse essendo la natura e l’origine della grafite nei varii terreni, onde sono costituite le Alpi nostre, le questioni a cui la sua presenza può dar luogo, non sono già semplici problemi di paragenesi minerale, ma hanno portata ben più grande. Essendo oramai assodato che la grafite alpina in molti luoghi risulta dalla metamorfosi di banchi di combustibili fossili, la sua presenza in una formazione può avere fondamentale impor- tanza per determinarne l’età, ed esser un criterio di primo ordine per discutere o risolvere i problemi stratigrafici o. tetto- nici che a tale determinazione si connettono. È quindi indispen- sabile per ogni giacimento di grafite tener presente la nozione della formazione o della zona orotettonica, in cui è stato incon- trato, e valutare altresì l’importanza delle azioni che le rocce eruttive od il metamorfismo regionale possono avervi esercitato. (1) Lenti grafitiche nella zona delle Pietre verdi in Val di Lanzo, “ Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino ,, vol. XXXIX, adun. del 19 giugno 1904. (2) V. Novarese, / giacimenti di grafite delle Alpi Cozie, © Boll. del R. Com. geol. ,, anno 1898, n. 1. 242 VITTORIO NOVARESE Se da un simile punto di vista debbono considerarsi le gra- fiti, le antiche divisioni della serie alpina, tradizionali nella scuola del Gastaldi, si appalesano oramai insufficienti. Già nella stessa Munografia citata poco fa, ho dovuto dichiarare che se mante- nevo l’antica divisione in due zone del Gastaldi, lo faceva sol- tanto per ragioni d’indole pratica, avvertendo che il progresso generale della scienza ed i nuovi studii particolari sulle Alpi ne avevano diminuito il valore. Erano già stati allora trovati i fos- sili mesozoici nei terreni attribuiti alla zona delle Pietre verdi. Nello stesso lavoro, insistendo sulla presenza non della grafite soltanto, ma di un complesso di rocce, grafitiche o non, ad essa associate, e formanti un determinato orizzonte, di probabile età carbonifera, venivo anzi ad aggiungere un nuovo argomento a quelli già noti contro le idee del grande geologo. È troppo cono- sciuto per che io abbia a ricordarlo, tutto ciò che dopo la pub- blicazione della mia Monografia si è nelle Alpi scoperto e ri- conosciuto intorno all’età di talune formazioni, prima ritenute arcaiche. La classificazione di B. Gastaldi, dopo essere stata la guida preziosa di cui ha dovuto servirsi ogni geologo accintosi a stu- diare l’arduo problema, il primo punto di partenza sicuro da cui gradualmente è andata svolgendosi la conoscenza scientifica delle Alpi nostre, ha fatto oramai il suo tempo, e non è più sostenibile, nè per l’età che il Gastaldi ha attribuito ai suoi due piani principali, nè per il raggruppamento dei terreni in ciascuno di essi. Può, opportunamente modificata, rispondere al vero forse ancora in qualche caso particolare, ma ha perduto ogni valore generale. L’illustre Maestro raggruppò in ciascuna delle sue zone fon- damentali svariatissimi tipi litologici, di cui ora si riconosce oppure s’intravvede la pertinenza a formazioni di età differenti. Ciò accade per lo stesso gneiss centrale (inteso come zona e non come roccia), e ne è un esempio il cenno testè fatto, riferentesi al- l’età della formazione grafitica delle Cozie in essa zona contenuta; ma ha luogo segnatamente per la zona molto più complessa delle Pietre verdi. Nella quale, astraendo per ora da forme litologiche subordinate, i calcescisti cogli gneiss e micascisti detti superiori o recenti, formano, secondo il concetto del Gastaldi, un complesso che avvolge ed ingloba le rocce verdi propriamente dette, e cioè, LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 243 secondo l'antica nomenclatura, le serpentine, le anfiboliti, le dioriti, le eufotidi, i cloritoscisti, ecc. Al Gastaldi mancò il tempo di distinguere sul terreno i calcescisti dagli gneiss e micascisti, cosicchè nelle sue carte geologiche pubblicate o inedite, non si trova traccia di tale distinzione. Quando per opera dell’ Ufficio Geologico s'iniziò il rileva- mento sistematico a grande scala delle Alpi Occidentali, apparve subito la possibilità di tenere distinti sulla Carta, nella maggior parte dei casi, gli gneiss e micascisti detti recenti dai calce- scisti. Tale separazione incominciata, ed adottata, nella piena persuasione della perfetta equivalenza geologica in ogni caso delle varie forme litologiche, fu feconda, in processo di tempo, di notevolissimi risultati. Dimostrò, o se vogliamo, confermò, perchè il fatto era già stato dichiarato dal Gastaldi, la grande unità della formazione dei calcescisti propriamente detti, ed il loro stretto legame con un determinato gruppo di rocce verdi, aprendo così la via alla determinazione della loro età mesozoica; apparvero con maggior evidenza le direttrici tettoniche del si- stema alpino nel suo settore occidentale, e fu possibile ricono- scere un certo numero di nuove zone rappresentate da rocce gneissiche e da micascisti, la cui equivalenza coi calcescisti è per lo meno dubbia, quando non può dimostrarsi addirittura in- sussistente. Difatti di taluna di queste zone si è potuto con un certo qual grado di sicurezza determinare, come vedremo, l’età, mentre per altre sarebbe prematuro parlare di ciò, sebbene sia fuor di dubbio la loro individualità ed autonomia tettonica. Ad ogni modo nell’uno e nell’altro caso, se è vero che associati ai calcescisti e quantitativamente subordinati, appaiono qua e là degli gneiss e micascisti che non possono considerarsi se non come loro equivalenti, è non meno vero, e lo vedremo fra breve, che esistono nelle Alpi Occidentali italiane notevolissime esten- sioni di gneiss e micascisti costituenti vere unità geologiche che nulla autorizza a ritenere equivalenti dei calcescisti, ai quali sono stati invece parallelizzati per lungo tempo. Premesse queste considerazioni, indispensabili alla chiarezza di quanto segue, passerò in rassegna i giacimenti grafitici finora noti nei varii gruppi in cui sì suddividono le Alpi Piemontesi, accennando in pari tempo al livello geologico, certo o presunto, in cui compaiono. 244 VITTORIO NOVARESE Nelle Alpi Liguri la grafite è una metamorfosi locale delle antraciti del piano carbonifero. Lo Zaccagna, a cui è dovuta l’unica descrizione geologica, finora stampata, di quei giaci- menti (1), nota che essi corrispondono a “ punti più energica- mente disturbati dalle azioni dinamiche. le quali impartirono allo strato carbonioso un metamorfismo più profondo ,. Nei profili dati da Zaccagna, della miniera di Isola Grande, m'importa mettere in luce due fatti, su cui dovrò ritornare in seguito: 1° um'intrusione, quasi un’apofisi del banco grafitico, che attra- versa l’arenaria incassante; — 2° l'immediata vicinanza del banco grafitico agli scisti gneissici permiani. Questi scisti sono costi- tuiti da besimaudite, l'antica appenninite del Gastaldi, vale a ‘dire, da una roccia che collocata da questi nella zona delle Pietre verdi, fu riconosciuta di età permiana da Zaccagna, che, sia detto di passaggio, aveva così il merito di iniziare nel 1884 l'opera di riforma della classificazione gastaldiana. Nella maggior parte dei casi, come è noto, le roccie com- prese sotto la denominazione di besimauditi sono porfidi più © meno modificati, specialmente da azioni meccaniche. La presenza pertanto di una roccia eruttiva presso la grafite ci ammonisce a non trascurare fra le probabili cause della metamorfosi del- l'antracite, le azioni di contatto, sebbene i porfidi le esercitino in generale in assai scarsa misura. È vero altresì che nelle Alpi Liguri gli affioramenti di grafite sono anch’essi assai piccola cosa di fronte all'estensione e frequenza di quelli di antracite. Vedremo nelle Cozie, verificarsi il caso inverso. Non consta da alcuna notizia positiva che esista grafite nelle Alpi Marittime, cosicchè passo subito al gruppo delle Cozie, dove invece le grafiti hanno il loro massimo sviluppo, e si mostrano in due livelli: uno inferiore, di età quasi certamente carbonifera, ed uno superiore, nella formazione mesozoica dei calcescisti. Per le Cozie le suddivisioni del Gastaldi hanno conservato il loro pieno valore soltanto come zone orotettoniche. L’elissoide gneissico Dora-Varaita ha costituzione assai complessa ed una (1) R. UrrIcio GroLoGico, Studio geologico minerario sui giacimenti di antracite delle Alpi occidentali italiane. Memorie descrittive della Carta geol. d’Italia. Vol. XII. Roma, 1903, pag. 156-158, 161. LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 245 tettonica ancora oscura, ma il concetto del Gastaldi è tuttora accettabile e preferibile all'opinione dello Zaccagna, che ne at- tribuiva una parte alla zona delle Pietre verdi, ipotesi che il rilevamento non ha confermato. La più importante zona grafitica alpina, così per estensione come per valore industriale, è racchiusa in quest’elissoide, ed è stata descritta la prima volta nel suo insieme, in base alle osservazioni degli operatori dell'Ufficio Geologico (Franchi, Stella e lo scrivente), nella mia Monografia già citata. Le osservazioni posteriori non ne hanno modificato sensibilmente i limiti, come si scorge dalla cartina al 1.000.000 che accompagna la Memoria intorno alle Antraciti delle Alpi Occidentali. L'unica aggiunta da farsi è l’indicazione degli scisti grafitici e della grafite alla Rocca di Cavour, già segnalati da me nel 1898 (1), e recentemente anche dal Colomba. In favore dell’attribuzione al carbonifero della zona grafitica delle Cozie è venuto ad aggiungersi un argomento molto im- portante, la scoperta dell’antracite, la cui presenza era già stata più o meno vagamente segnalata dal Barelli, dal Baretti e dal Prof. Maggiore di Torre Pellice. Nel contrafforte fra il Chisone e la destra della Germanasca, presso ai casolari detti del Clot di Boulard (Comune di Pomaretto), le esplorazioni minerarie hanno messo nel 1902-03, fuor di dubbio l’esistenza di banchi antracitici dentro la zona grafitica, nella quale, all'opposto di quanto avviene nelle Liguri, la grafite sarebbe la regola e l’an- tracite l'eccezione. Si è potuto inoltre accertare che i banchi migliori di grafite, e quindi le miniere migliori, sono in prossi- mità immediata delle masse dioritiche cella bassa Valle del Chi- sone (Porte, Poggio Pini, Malanaggio, Bric Ceresa, ecc.), proba- bilmente intrusive nei terreni grafitici, ma coinvolte con essi nei ripiegamenti, laminazioni, ecc., ed alle quali sono associati scisti macchiati a chiastolite, ecc., pure già segnalati e descritti pe- trograficamente dal Franchi e da me. (2). È quindi probabile il concorso di un'azione metamorfosante di contatto nella trasfor- mazione totale dei banchi carboniferi in grafite, tanto più che le (1) V. Novarese, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1899. Atti Ufficiali, p. 29. (2) S. Francni e V. Novarese, Appunti geol. e petrogr. sui dintorni di Pinerolo, “ Boll. del R. Com. Geol. ,, 1895, pag. 385. 246 VITTORIO NOVARESE poche località antracitifere sono le più lontane dalle rocce erut- tive (1). Un'altro interessantissimo fatto può ancora attribuirsi a tale azione. In parecchie località, ma specialmente nel val- lone di Pramollo, sono state riscontrate nei giacimenti di grafite singolarissime accidentalità stratigrafiche, analoghe a quelle poste in rilievo per la miniera di Isola Grande nelle Alpi Liguri. Il banco grafitico manda cioè ramificazioni ed apofisi nella roccia incassante, tagliandola nettamente; ed in queste ramificazioni o rigonfiamenti spesso la grafite è assai più pura che non nel banco, da cui si staccano. Questo singolare complesso di cir- costanze può spiegarsi in due modi. Od è dovuto ad un semplice fatto dinamico, ed allora si tratta di un'iniezione, avvenuta per pressione, della parte più bituminosa e quindi più plastica del banco carbonifero originario, prima ancora della metamorfosi di contatto; oppure può essere un effetto immediato di quest’ultima, ed in tal caso la grafite avrebbe un'origine analoga al carbone delle storte a gaz, cioè dovrebbe essersi deposta in spaccature od altre cavità a causa della decomposizione di sostanze volatili carburate, sia distillate dal combustibile per effetto dell’elevata temperatura della roccia eruttiva, sia estratte dai vapori sopra- riscaldati che da questa si estricavano. Prima di abbandonare quest’argomento delle grafiti nella zona dello gneiss centrale , nel senso antico, credo appena ne- cessario avvertire come a chiunque vi abbia studiato i giacimenti di talco e quelli di grafite, appaja inverosimile nel più alto grado l'ipotesi avanzata dal Weinschenk che i primi derivino per pseu- domorfosi dai secondi. Nella “ zona delle Pietre verdi ,, nel senso di Gastaldi, com- pajono pure nelle Cozie dei giacimenti grafitici, sebbene senza importanza tecnica, e ciò è noto da parecchi anni. L’indetermi- natezza a cui può dar luogo l’uso dell'espressione “ zona delle Pietre verdi , nel senso antico non è grande, perchè la maggior parte di questa zona spetta nelle Cozie alla formazione dei cal- cescisti di età secondaria; fanno eccezione soltanto i due massicci di scisti cristallini di Pradleves e del Monte Ambin (2), dei quali (1) V. Novarese, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1904. Atti Ufficiali, p. 32. (2) V. la Carta geologica delle Alpi Cozie italiane desunta dai rilevamenti del R. Ufficio geologico in Francni S., Sull’età mesozoica della zona delle pietre verdi nelle Alpi occidentali, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1898, p. 326. “ LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 247 si sa soltanto essere antitriasici. Nel 1895, quando ancora le denominazioni del Gastaldi si adoperavano senza riserve, lo Stella accennava alla presenza nella sua “ regione delle Pietre verdi , in Val Varaita, di micascisti grafitici e di filladi grafi- tiche (1). Nel 1897 il Franchi descriveva i micascisti grafitici ed i grafitoscisti intercalati alle rocce della zona “ Pietre verdi ,, mesozoica nei monti di Bussoleno (2), e nel suo lavoro citato del 1898, descriveva ed indicava in diversi profili degli scisti grafitici nei calcari con fossili triasici di Bernezzo e di Alma. Successivamente, nel 1899, lo Stella scrisse di analoghi scisti grafitici intercalati ai calcescisti con calcari fossiliferi del Sa- luzzese (3). Io pure, fin dal 1894, sebbene non l’abbia mai pub- blicato, rinvenni estese masse di filladi grafitiche con straterelli di grafitoscisti, dentro ai calcescisti dell'alta Valle Germanasca, sulla cresta fra il Monte Pignerol ed il Monte Trussiere, nel Vallone di Rodoretto. Nel complesso delle Graje e delle Pennine, gruppi di cui per le molte formazioni comuni e la continuità delle zone orotetto- niche credo utile parlare insieme, i giacimenti grafitici com- pajono almeno in cinque livelli differenti. In questo complesso però l’impiego delle antiche denomi- nazioni usuali per designare i terreni può più che mai dar luogo ad equivoci, avendo i recenti studii arrecato profonde modifica- zioni alle vedute fin qui comunemente accettate. Ciò vale prin- cipalmente per quell'insieme di terreni costituente la zona oro- tettonica detta del Piemonte dal Desor e del Monte Rosa dal Diener, e che questi, facendo sue le opinioni della scuola del Gastaldi, ritenne appartenere complessivamente all’arcaico, nei noti due piani del “Gneiss centrale , e delle “ Pietre verdi ,, salvo insignificanti eccezioni. In essa invece si riscontrano, oltre (1) SreLLa A., Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle Varaita (Alpi Cozie), “ Boll. del R. Comit. geol. ,, 1895, pag. 283, vedi pag. 288, 295, 301. (2) FrancHI S., Appunti geologici e petrografici sui monti di Bussoleno ece., “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1897, pag. 26 e 31. (3) SteLLa A., Calcari fossiliferi e scisti cristallini dei monti del Saluz- zese, nel cosidetto ellissoide gneissico Dora-Maira, © Boll. del R. Com. geol. ,, 1899, pag. 134, 141 e tav. 248 VITTORIO NOVARESE la formazione mesozoica dei calcescisti e calcari associati, ter- reni presumibilmente carboniferi, e scisti cristallini di età inde- terminata; inoltre appare oramai molto problematica l’ unità tettonica della zona che dovrà essere ulteriormente suddivisa. Delimiterò, od indicherò qui soltanto quei gruppi o formazioni che contengono grafite. Comincia nelle valli di Lanzo e continua verso NE fino a congiungersi colla massa del cosidetto Gneiss Sesia del Gerlach, una formazione prevalentemente di gneiss e micascisti, che costi- tuisce, con grande unità di caratteri stratigrafici, una individualità orotettonica ben distinta dalla formazione dei calcescisti, a cui appare sempre sovrastare lungo il suo lembo NW. A SE è li- mitata dalla nota zona dioritica d’Ivrea, pur essendone sepa- rata da una striscia, molto stretta, ma mirabilmente continua di altri terreni, su cui dovremo ritornare fra breve. Il limite SE dell’accennata formazione è così facilmente re- peribile su qualunque delle carte geologiche pubblicate, mentre quello NW, anch’esso nell’insieme quasi rettilineo, a cagione della presunta costante equivalenza fra calcescisti e gneiss minuti; si ricostruisce con estrema difficoltà. Questo limite NW, quasi rettilineo sulla carta, passa alquanto a N di Santa Cristina sopra Ceres, e diretto verso NE taglia l’Orco a Sdi Locana, la Dora Baltea a S di Verrès, e fatto irregolare da un’ impor- tante dislocazione, segue a mezza costa l’alta giogaja che di- vide la valle di Challand da quella del Lys, per passare in questa al Passo di Mascogna, e proseguire poi verso la Valsesia pel Passo di Coppa (a N del Corno Grosso). Il limite SW di questa zona, che chiamerò in via provvisoria Sesia-Val di Lanzo, si può desumere assai bene dalla recente Carta geo-litologica delle Valli di Lanzo, pubblicata recentemente dall’ ing. E. MarTIROLO (1), dove si scorge la massa indicata colla tinta di “ Gmeîss minuti, micascisti, rocce quarzitiche , immergersi sotto le serpentine e lherzoliti della bassa Valle di, Lanzo ed il quaternario della pianura. Precisamente questa parte più meridionale sarebbe, se- (1) E. MarmtiroLo, Carta geo-litologica delle Valli di Lanzo, secondo il rilevamento del R. Ufficio geologico, nel volume Le Valli di Lanzo (Alpi Graie). Sessione di Torino del :C. A. I. Torino, 1904, con schiarimenti ecc. a pag. 021. LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 249 condo il Sacco..... “una delle regioni più comode per esaminare in breve da Torino tale complessa formazione gneissico-mica- scistosa (i cosidetti Gneiss minuti) e talora calcescistosa con rocce verdi, cioè la tipica zona delle Pietre verdi del Gastaldi ,. Le rocce più caratteristiche di questa formazione, che nulla ha da fare colle “ Pietre verdi , e coi calcescisti mesozoici, sono gneiss minuti, che prevalgono verso NW presso al contatto coi calcescisti, e micascisti eclogitici, cioè a granato, glaucofane, omfacite e pirosseni giadeitoidi, micascisti che furono ripetuta- mente descritti da me e dai miei colleghi Franchi e Stella in più occasioni. Questi micascisti eclogitici, sovrastanti agli gneiss accennati poco fa, costituiscono la maggior parte della forma- zione fra l’Orco ed il Lys. In lenti e banchi sono contenuti in essa calcari cristallini, talora così micacei da meritare il nome di calcescisti; rarissime le rocce verdi propriamente dette, che hanno solo qualche sviluppo nell’ estremità meridionale in Val di Lanzo, e fra questa e la Chiusella sono sostituite da rocce semimassiccie, nelle quali i minerali essenziali sono la gastaldite ed il granato (1). Infine affatto caratteristica per questa formazione e zona orotettonica alpina è la presenza di rocce intrusive posteriori ai ripiegamenti: tali sono la diorite di Traversella, e la sienite di Biella, che hanno notevoli aureole di contatto, e numerosi filoni di porfirite anfibolica nelle valli Soana, Chiusella, di Challand e del Lys (2). L'età della zona Sesia-Val di Lanzo non può determinarsi che per approssimazione. La sua sovrapposizione ai calcescisti, spesso con stratificazione quasi orizzontale, non porge alcun utile criterio cronologico, date le grandi complicazioni tettoniche al- (1) V. Novarese, Relazione sul rilevamento eseguito nelle Alpi occidentali (Valli dell'Orco e della Soana), * Boll. del R. Com. geol. ,, 1894, pag. 215. — A. SreLra, Relazione sul rilevamento esequito nell’anno 1893 nelle Alpi occi- dentali (Valli dell’Orco e della Soana). * Boll. del R. Com. geol. ,, 1894, p. 343. S. FrancHI, Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche ecc., È Boll. R. Com. geol. ,, an. 1900. — Ip., Ueber Felspath- Uralitisirung der Natron-Thonerde- Pyroxene aus den eklogitischen Glimmerschiefern der Gebirge von Biella, “ N.J. f. Min. Geol. u. Palaeont. ,, Jahrg. 1902, Bd. II. (2) Comunicazioni inedite dell'ing. S. Franchi per quanto riguarda la sienite di Biella e la valle del Lys. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 17 250 VITTORIO NOVARESE pine, che fanno anzi parere più probabile un rovesciamento od un accavallamento (recourrement) che una successione regolare. Più concludente sembra un fatto, assai notevole, che si verifica lungo tutto il margine SE della zona, e di cui già si è fatto cenno. Fra essa e la susseguente zona dioritica d’Ivrea, si o0s- serva una striscia di terreni composta, fra Levone e Montalto, di graniti, porfidi, scisti varii e calcari identici all’analogo com- plesso che dalla banda opposta della zona dioritica appare nella bassa Val Sesia, ed a mezzogiorno del Cusio e del Verbano, di cui è assodata l’età permiana e mesozoica. Oltre Montalto e nella stessa posizione dei precedenti terreni appajono i porfidi, le porfiriti, i melafiri e le serpentine del Biellese e più a NE ancora la striscia si continua negli scisti calcareo-argillosi di Rimella, già ricordati dal Gerlach e dal Parona, che ho ri- trovati nel luglio 1904, con grande sviluppo, e sempre nella stessa posizione, nell'alta Val Strona (passo d’Issola e lago di Ravinella), nell’Ossola presso Loro, donde sono stati seguiti infine dallo Stella fino all’estremità NE della zona, in Val Loana. Com'è noto questi lembi, forse triasici, sono chiusi in un complesso di gneiss e scisti sericitici, detto dal Gerlach degli “ scisti di Fobello e Rimella ,, molti dei quali non sono che roccie porfiritiche più o meno fortemente laminate. e già da parecchi autori rite- nuti permiani. Questa lunga, stretta e continua zona permo-tri- asica, laminata, ma non molto intensamente metamorfosata, è certamente sovrapposta, e quindi più recente delle rocce della zona Sesia-Val di Lanzo, la quale per ciò non è certo più re- cente del carbonifero, e forse assai più antica (1). Nella zona Sesia-Val di Lanzo la grafite appare sotto due forme ben distinte. La più diffusa è quella dei micascisti gra- fitici e grafitoscisti descritti dallo Stella nel 1894, per la valle dell’Orco e finitime (2). A questo tipo appartengono senza alcun dubbio i giacimenti descritti dal prof. Sacco nella Val di Lanzo inferiore. Nel 1890 io stesso ho rinvenuto grafitoscisti riferibili (1) L'esistenza di questa zona, almeno per quanto riguarda i caleari, è già stata affermata dal prof. Taramelli (Note geologiche sul bacino idro- grafico del fiume Ticino, “ Boll. della Società geol. ital. ,, vol. IV, 1885, pagg. 12, 33 dell’estratto). (2) A. STELLA, loc. cit., pagg. 353, 358, 359, 371. O n nn LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 20 allo stesso tipo, al letto della lente calcarea di Oltreorco a Pont Canavese. L'altra forma in cui compare la grafite è più singolare: in noduli e pagliette disseminati in una roccia a grossi granati impiantati in una pasta bianca irreducibile al microscopio. S'in- contra nelle località grafitiche del Vasero nel vallone di Ribor- done e delle falde del Monte Cialmera nell’alto Vallone Chia- ronio (1), entrambe in Val d’Orco, e note anche per ricerche minerarie. Avverto che in entrambe le località, per quanto sopra un'estensione limitatissima, alla roccia granatifera a grafite sono associati un calcefiro ed un’eufotide o diorite di tipo affatto spe- ciale. Rivedremo fra breve una simile associazione sopra ben più vasta scala. Per questa formazione di età incerta le induzioni sull’origine della grafite sarebbero premature: certo però assai diversa dev'essere la genesi della grafite dei micascisti, in cui può con- siderarsi come minerale subordinato ed accidentale, da quella delle rocce granatifere, dov'è invece un componente accessorio, ma caratteristico. Nella formazione oramai dimostrata mesozoica dei calce- scisti delle Graje-Pennine, l’unica menzione di rocce grafitiche che io conosca è quella fatta dal Giannotti nel 1891. Però chiunque ha percorso questa zona ha potuto notare qua e là ac- centramenti del solito pigmento carbonioso che colora in nero i calcescisti, con carattere gratifico (2). Di età carbonifera sono le lenti ed i giacimenti grafitici che appajono nella gamba più settentrionale dell’anticlinale descritta da me nella Valsavaranche, e che si adagia sopra la sinclinale della Grivola, a sua volta ribaltata sull’ elissoide gneissico del Gran Paradiso (3). Sono precisamente i giacimenti di quest’anti- clinale carbonifera quelli che lo Stella avverte incontrarsi nella Valle di Rhéme Saint-Georges (4), e che hanno pure dato luogo a qualche ricerca nella Val Savaranche. Anche qui, come nelle ) V. Novarese, loc. cit., pag. 225. ) E. MarriroLo, Schiarimenti alla carta geo-litologica ece., pag. 533. ) V. Novarese, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1901. Atti ufficiali, p. 30. ) R. Urricro GeroLoGIco, I giacimenti di antracite ecc., pag. 87. 252 VITTORIO NOVARESE Cozie, è probabile non sia stata estranea alla trasformazione del- l’antracite in grafite la nota diorite sfenica di Val Savaranche. I tre complessi principali che abbiamo fin qui ricordato sono stati, per quanto riguarda le Graje, attribuiti alla zona delle «“ Pietre verdi, non solo dal Gastaldi o dai suoi seguaci, ma anche da me e dai miei colleghi dell'Ufficio Geologico fin verso il 1895-96. Anzi la stessa recentissima Carta geologica delle Valli di Lanzo, pubblicata dal MartTIROLO, conserva la denominazione “Zona delle Pietre verdi ,, colla stessa estensione del Gastaldi, senza farvi alcuna suddivisione che non sia puramente litolo- gica, nè assegnarla ad alcun determinato livello geologico, non consentendo l'indole della pubblicazione di cui era parte, una discussione esauriente dell’intricata questione (1). Da quanto mi comunica il Franchi s'incontra grafite ancora in molte roccie, spesso granatifere e sillimanitiche, in corrispon- denza di quelle minori zone dioritiche che sono segnate, invero assai schematicamente, a NW della grande zona d'Ivrea nelle carte geologiche totali o parziali finora pubblicate delle Pen- nine. Grafite s'incontra pure nei calcefiri dello gneiss Sesia, in- teso nel senso di Gerlach, in prosecuzione cioè della nostra zona Sesia-Val di Lanzo. Dei varii elissoidi compresi nella zona del Monte Rosa, nelle Graje e Pennine, solo quello della “ Dent Blanche , sembra con- tenere grafite. L'indicazione risale a Gerlach, e posso confer- marla. La grafite s'incontra in pagliette e masserelle dentro ai calcari cristallini di quel singolare complesso di gneiss e mica- scisti granatiferi, dioriti, e anfiboliti, e calcari cristallini, cor- rispondenti all’asse dell’elissoide gneissica nella Valpelline, che ho paragonato alla formazione delle kinzigiti di Calabria (2), e che ripete in grande l'associazione di rocce già descritta per Vasero e Monte Cialmera nella Valle dell’Orco. Per terminare quanto riguarda le rocce grafitiche a NW della zona dicritica d'Ivrea, ricorderò i micascisti grafitici, di (1) Le nuove idee sulla serie dei terreni e sul loro assetto tettonico, risultanti dalle osservazioni e studii compiuti dal R. Ufficio Geologico, nel- l’ultimo ventennio, troveranno la loro espressione sintetica in una carta d'insieme delle Alpi Occidentali italiane, di prossima pubblicazione. (2) V. Novarese, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1901. Atti ufficiali, p. 33-34. LA GRAFITE NELLE ALPI PIEMONTESI 253 cui parla Stella (1), che si trovano nella fascia micascistosa e gneissica che attraversa lo slargo di Valle Toce a Domodossola. Anche a SE della zona dioritica d'Ivrea si conosce la gra- fite, in quantità anzi sufficiente da allettare a qualche esplo- razione mineraria. L'ing. Franchi (2) recentemente ha segnalato nella regione tra Cervo e Sesia a contatto colle dioriti una po- tente massa rocciosa in cui figurano kinzigiti grafitiche con cor- dierite e sillimanite, nelle quali sono locali arricchimenti i noti piccoli giacimenti della bella grafite di Coggiola. Anche in questo caso la grafite, invece che pigmento, è elemento accessorio ma caratteristico della roccia, come nei casi già citati della Valle dell’Orco e della Valpelline. La grafite è anzi un elemento ca- ratteristico spesso abbondante e macroscopico di tutti i tipi di kinzigiti, gneiss e micascisti granatiferi a sillimanite apparte- nenti alla zona degli gneiss Strona, in tutto il loro sviluppo tra le dioriti ed i graniti, come risulta dalle osservazioni dell’inge- gnere Franchi nelle valli Sesia e Sessera e dalle mie in Val Strona. Grafite contengono pure i calcefiri dello gneiss Strona. V'ha di più. Anche lungo tutto il margine SE della così detta zona dioritica d'Ivrea, come lo ha intraveduto il Gerlach, ma lo hanno più minutamente descritto il Parona, il Porro, e special- mente Artini e Melzi, v'ha un complesso di roccie dioritiche od anfibolitiche associate a roccie granatifere (stronaliti e micascisti sillimanitici di Artini e Melzi) ed a calcari cristallini, identico all’analogo complesso che io ho descritto in Calabria sotto il nome di zona delle kinzigiti (3), conservando una denomina- (1) A. SreLra, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1903. Atti ufficiali, p. 34-55. (2) S. Francai, “ Boll. del R. Com. geol. ,, 1903. Atti ufficiali, pag. 34. (3) Il primo ritrovamento della kinzigite in questa parte del territorio alpino, risale a trent'anni fa ed è dovuto al prof. G. Spezia, che la raccolse nella bassa Ossola, presso Cuzzago, erratica allo sbocco del vallone di Nibbio, inciso in piena zona dioritica ed il nome di Kinzigite appare in- fatti nel “ Cenno mineralogico e geologico introduttivo , della Guida del- l’Ossola del col. G. Bazzetta e prof. E. Brusoni. Dopo, il primo che parli di roccie analoghe con grafite è il Porro (Geognostische Skizze der Umgebung von Finero, Berlin, 1896) che le chiamò senza più precisa denominazione “in den basischen Gesteinen auftretenden Kieselsiurereichen Gesteinen , (pag. 411-412), vale a dire intercalazioni acide nelle roccie dioritiche dei dintorni di Finero. Queste roccie trovate colà poi anche dallo Stella, rien- 254 GIORGIO SPEZIA zione introdotta dal Lovisato, e che presenta pure forte ana- logia colla piccola zona della Valpelline. È noto che anche in Calabria, presso Olivadi, esiste un’antica miniera che ha coltivati i nuclei grafitici della kinzigite. Tornando al caso di Coggiola, rimane riservato agli studi ulteriori il decidere se la massa di kinzigite, trovata dal collega Franchi, appartenga piuttosto alla zona dioritica che alla zona degli gneiss-Strona, dato sia pos- sibile mantenere fra queste due zone una distinzione così netta come quella indicata nelle carte finora pubblicate. Roma, 5 gennaio 1905. Contribuzioni di Geologia chimica. La pressione è chimicamente inattiva nella solubilità e ricostituzione del quarzo. Nota del Socio GIORGIO SPEZIA. (Con una Tavola). È sempre utile per la geologia chimica l’aumentare il nu- mero delle esperienze le quali dimostrano che la pressione sta- tica non può avere alcuna influenza nelle reazioni chimiche ; tanto più che dopo la prima esperienza, che segna una data scientifica, del Vohler, sulla solubilità dell’apofillite nell’acqua e successiva ricristallizzazione, si formarono due correnti di opi- nioni, interpretando il fenomeno, secondo alcuni, come dovuto alla pressione e secondo altri alla temperatura. Le quali opi- nioni sono tuttora in lotta, rimanendo a favore della pressione quelle idee preconcette, che difficilmente si piegano alla prova dei fatti sperimentali che parlano in favore della temperatura. trano nel gruppo delle kinzigiti. Artini e Melzi nel loro lavoro sopra la Val Sesia, non accennano alla presenza della grafite nelle loro stronaliti e gneiss e micascisti a silliminate, roccie tutte che pur rientrano nel suddetto gruppo delle kinzigiti. CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA 255 Infatti Grubenmann in una sua recente opera, indicando le cause della formazione degli schisti cristallini, pone fra le prime dell’azione chimica la pressione, a proposito della quale afferma in modo deciso: “ l'aumento della pressione produce soluzione, invece la diminuzione di pressione produce la cristallizzazione , (1). Tale affermazione sarà un assioma per l’autore, ma per la scienza rimane ancora un'ipotesi; e pur troppo un'ipotesi può, nello spirito di chi la pone come base di una teoria e la sostiene con profonda convinzione, assumere gradatamente il valore di un fatto sperimentale. Allora è evidente che si trascuri di pren- dere in esame quelle esperienze le quali concordi abbattono l’ipo- tesi, lasciando in tal modo che si ripeta oggigiorno ciò che disse Bunsen quando dimostrò che nell’esperienza di Wohler sull’apo- fillite la pressione non era la causa della solubilità: “ dass es nie zur Krkenntniss des Wahren fiihren kann, wenn man nur Hypothesen da sprechen lisst, wo der einfachste Versuch ent- scheiden kann ,. Già nel 1886 (2) io avevo cominciato alcune esperienze in proposito, dimostrando che il solfato di calcio, prodotto da rea- zioni fra soluzioni, non poteva cristallizzare come anidrite per effetto della semplice pressione, ma cristallizzava dando luogo ancora a gesso anche sotto la pressione di 500 atmosfere. In seguito feci numerose altre esperienze a proposito del quarzo e sempre ottenni che la pressione non aveva influenza nè sulla solubilità, nè sulle reazioni chimiche, per le quali unico fattore emergeva sempre la temperatura. Per esempio, nella reazione fra il solfo ed il silicato sodico in soluzione acquosa ottenni quarzo colla temperatura di 300° e soltanto in 43 ore di tempo, mentre la reazione fu nulla alla temperatura ordinaria e colla pressione di 1600 atmosfere du- rante sel mesi (3). Parimenti, per citare un’altra esperienza, nella trasforma- zione dell’opale xiloide in quarzo xiloide avevo dimostrato che l’opale si cambiava facilmente, per via umida, in quarzo in 15 giorni ed alla temperatura da 280° a 300°; mentre non vi (1) Grusenmana, Die kristallinen Schiefer. Berlin, 1904, pag. 34. (2) “ Atti della R. Accad. delle scienze di Torino ,, vol. XXI, pag. 912. (3) “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, vol. XXXIII, pag. 301. 256 GIORGIO SPEZIA era traccia di trasformazione colla pressione di 6000 atmosfere continuata per 4 mesi (1). Ma le esperienze da me eseguite per stabilire nelle reazioni per via umida la rispettiva importanza fra i due fattori geolo- gici, temperatura e pressione, furono, eccetto quelle sulla solubi- lità del quarzo nell'acqua (2), sempre fatte separatamente; ossia una esperienza era condotta coll’alta temperatura e colla pres- sione dovuta soltanto alla tensione del vapore del liquido, e l’altra esperienza era, s'intende a parità di condizione del ma- teriale di cui si sperimentava, eseguita a temperatura ordinaria e con fortissima pressione esercitata da compressione artificiale. Quindi da coloro, pei quali è un dogma, che la pressione statica sia il fattore essenziale delle reazioni chimiche, si può obiettare che le esperienze separate non hanno gran valore, perchè, a loro avviso, la pressione entra in funzione come agente chimico soltanto quando è accompagnata dalla temperatura. Perciò in questa nuova esperienza ho cercato di stabilire quale fosse l’importanza relativa fra la pressione e la tempera- tura, ponendole nella condizione di agire simultaneamente, ma procurando che l’esperienza avvenisse in un ambiente nel quale vi fossero una pressione uniforme e varii strati di temperatura differente. L'apparecchio da me ideato è rappresentato in sezione ed alla metà del vero della fig. 1. Esso consiste di due parti im acciaio A e B unite a vite e nell'interno vi ha un recipiente tubulare C di rame inargentato, nel quale si eseguisce l’espe- rienza; detto recipiente è formato da due parti cilindriche di diverso diametro ed unite a vite con chiusura perfetta, e la parte col diametro minore è munita al fondo di un tappo a vite K; tale costruzione del recipiente è fatta per agevolare l'esame del risultato dell'esperienza e dei depositi ed anche per la sua pulitura. Io adoperai rame inargentato perchè in una esperienza di diverso genere, avendo posto in un recipiente di rame silicato sodico vetroso con acqua distillata mantenendo il tutto ad alta (1) “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, vol. XXXVII, pag. 585. (2) “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, vol. XXXIII, pag. 292. | | | I | CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA RSA temperatura per alcuni giorni, trovai alcuni aggregati cristallini quarzosi con inclusioni di rame. Può darsi che siasi formato qualche composto solubile di rame e siasi prodotta anche qualche azione elettrolitica per la presenza dei due metalli, l'acciaio del recipiente di resistenza ed il rame del recipiente interno. Io non feci finora uno studio diretto del fatto osservato e mi limitai di porlo nel numero dei fenomeni curiosi che talvolta appaiono, come risultati secondari di un’esperienza, quando si esperimenta per via umida colle condizioni di un’alta temperatura e di un lungo tempo. Il riscaldamento dell'apparecchio si effettua mediante il tubo anulare R a gas, perciò nella parte sottostante alla linea di riscaldamento la temperatura è più bassa, e per agevolare la diminuzione di temperatura il fondo dell'apparecchio è cir- condato nella sua sezione minore da un recipiente D, nel quale circola acqua fredda. Per conoscere approssimativamente le varie temperature dell’apparecchio quando è in funzione, vi sono tre termometri ILA CA UNZZA La chiusura a vite fra le due parti d’acciaio è resa per- fetta con un anello di lamina d’argento puro; uso tale metallo perchè molto malleabile e non ossidabile nella ricottura del- l'anello, necessaria per togliergli la durezza della laminazione. Le due parti in acciaio sono rispettivamente in A e in B fog- giate a sezione esagona per avvitarle, fissando l’esagono in B ed applicando una chiave a lungo braccio in A. Superiormente all’apparecchio vi ha un disco di amianto G per difendere il termometro T' dall’azione diretta della fiamma. L'apparecchio, quando è pronto per l’esperienza, viene posto in un anello F unito o ad una sbarra fissata nel muro o ad un sostegno a piedi; quindi si avvita il refrigerante D. Tale apparecchio può servire anche per esperienze di rea- zioni chimiche fra composti solubili ad alta temperatura, e che sì fanno reagire fra loro per lenta diffusione in ambiente di minor temperatura; bisogna all'uopo usare congegni sussidiarii che facilmente si possono ideare e costrurre da chi ha l’abitu- dine di sperimentare. Per chi volesse farsi costrurre un simile apparecchio senza idearne altre forme, osservo che il sistema di chiusura a vite 258 GIORGIO SPEZIA delle due parti A e B serve benissimo, ma ha l’ inconveniente di presentare una grande resistenza nell’aprire l’apparecchio quando questo sta in azione per molto tempo; perciò sarebbe meglio che le due parti fossero tenute insieme da alcune alette sporgenti e serrate con viti. Per l’esperienza di cui è argomento la presente nota, io posi nella parte di maggior diametro del recipiente C un canestrino Q fatto di fili d'argento fra loro distanti e ripieno di schegge di quarzo, le quali furono tolte dall’interno di un grosso frammento di cristallo di quarzo limpidissimo, in modo che sovra esso non vi fosse assolutamente traccia di residui di facce del grosso cristallo. Al disopra delle schegge posi un perfetto cristallo di quarzo di Carrara, come termine di confronto. Quindi riempii il recipiente C di una soluzione acquosa di silicato sodico, preparato col sale cristallizzato della formola Na?S108 +8H?0; la soluzione conteneva 2 °/ di Na?Si0?. Nella parte B del recipiente d’acciaio, lo spazio, compreso fra la parete di esso e quella dell’inchiuso recipiente C di rame inargentato, fu riempito con acqua, poi l'apparecchio fu chiuso avvitandovi la parte A. In altro lavoro (1) io dimostrai che il quarzo è solubile ad alta temperatura nella soluzione acquosa di silicato sodico, mentre con detto solvente è affatto insolubile alla temperatura ordinaria anche sotto la pressione di 6000 atmosfere. Perciò ritenni tale risultato opportuno per lo scopo della presente esperienza, ponendo l’ipotesi che la soluzione di silicato sodico sciogliendo ad alta temperatura il quarzo, costituisse nello strato di maggior temperatura una soluzione di silicato più acido, stabile a quell’alta temperatura, ma che diffondendosi lentamente in basso, ove la temperatura era minore, deponesse l’eccesso di silice allo stato di quarzo. Essendo poi la pressione uniforme in tutto l'apparecchio e data dalla tensione del vapore acqueo alla massima delle varie temperature in cui avveniva l’esperienza, era evidente che av- verandosi la mia ipotesi rimaneva dimostrata la nessuna influenza della pressione. (1) “ Atti della R. Accad. delle scienze di Torino ,, 1900, vol. XXXVI, pag. 631. CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA 259 Naturalmente trattandosi di una prima esperienza, io non potevo stabilire a priori il tempo necessario per ottenere il ri- sultato, perciò abbondai con esso mantenendo l’esperienza per sei mesi, tanto più che desideravo avere le prove della verifica dell'ipotesi visibilissime ad occhio nudo. Parimenti era impossibile di stabilire il limite fra lo strato dove avveniva la soluzione e quello dove doveva formarsi il deposito; perciò disposi l’esperienza in modo che la quantità delle schegge di quarzo fosse tale da trovarsi parte di esse sopra la linea di riscaldamento e parte sotto. Inoltre posi, ad un centimetro sotto il canestro contenente le schegge, tre cristal- lini di quarzo sostenuti con fili d’argento per vedere se anche su di essi si formasse deposito, non già per lo studio diretto dell’accrescimento dei cristalli, ma soltanto per avere altra prova di deposito quarzoso in uno strato inferiore a quello delle schegge. Durante i sei mesi le temperature segnate dai tre termo- metri subirono le oscillazioni giornaliere date dal variare della pressiono del gas nella conduttura della città; ma prendendo la media di 38 osservazioni fatte durante i sei mesi ed in ore diverse, trovai che la temperatura segnata da T', ossia massima, fu di 338°, quella di T" di 221° e quella di T"” di 164°. Tali differenti temperature, per la situazione dei termometri, erano quelle presentate dalla massa di acciaio, la quale per la costruzione dell'apparecchio ha notevoli differenze in spessore: tuttavia ritengo che, per la conducibilità del metallo, non vi potesse essere una grande diversità fra le temperature dell’ap- parecchio e quelle che doveva possedere il liquido interno negli strati corrispondenti ai termometri. Quindi ammettendo per temperatura massima quella di 388°, vi doveva essere in tutto l’apparecchio una pressione uniforme di 150 atmosfere data dalla tensione del vapore acqueo della soluzione acquosa a tale temperatura. Dopo i sei mesi, aperto l'apparecchio, trovai che il risultato era stato conforme alla mia ipotesi. I frammenti scheggiosi di quarzo nella parte superiore del canestro erano fra di loro ancora staccati presentando segni di profonda corrosione, la quale era anche molto evidente nel cri- stallo di quarzo che era stato posto sopra le schegge. 260 GIORGIO SPEZIA Invece i frammenti della parte inferiore del canestro, ossia sottostanti alla linea di riscaldamento, erano rimasti cementati fra loro e si potevano separare soltanto con un’azione mecca- nica più o meno difficilmente a seconda dell’estensione del rela- tivo contatto fra loro; inoltre le schegge dimostravano, nelle parti libere, perfettissime facce di cristallo o strati regolarissimi per il deposito di quarzo; e la maggior prova di tale deposito fu l'aver trovato alcuni fili d’argento del canestro approfonditi nel quarzo ed anche in parte ricoperti come evidentemente ap- pare dalle figure 2* e 3*; le quali rappresentano, con l’ingran- dimento doppio del vero, due schegge tolte dal canestrino tagliando il filo d’argento in esse rinchiuso. Anche uno dei tre cristallini di quarzo, sottostanti al ca- nestro, dimostrava un accrescimento quarzoso coll’inclusione par- ziale del filo metallico. Forse la posizione dei tre cristalli non era quella corrispondente ad un gran deposito quarzoso; ma ora io, istruito da questa prima prova condotta con altro scopo, spero di continuare le esperienze, già da me indicate in altri lavori (1), sull’acerescimento e sulla rigenerazione dei cristalli di quarzo; tanto più che il metodo sperimentale che ho usato ora deve prestarsi meglio. Sul fondo poi del recipiente C vi era un piccolo deposito polverulento, che al microscopio sì presentava costituito da cri- stallini di quarzo, i quali debbono essersi formati liberamente nel liquido al livello ove avvenne il maggior deposito quarzoso e poi discesi per proprio peso in fondo al recipiente. L'esperienza dimostra che la pressione, se fosse stata la causa della solubilità del quarzo nello strato di maggior tempe- ratura, doveva pure impedire il deposito quarzoso nello strato di minore temperatura, dove la pressione era la stessa, essendo essa uniforme in tutto il recipiente, ed inversamente se la pres- sione fosse stata l'agente della ricostituzione del quarzo nello strato di minore temperatura, essa avrebbe dovuto impedire la solubilità dove vi era maggiore temperatura. Nè si potrebbe obiettare dai sostenitori dell’azione chimica della pressione che, nella mia esperienza, il quarzo non si de- (1) “ Atti della R. Accademia delle scienze di Torino ,, vol. XXXIII, pag. 303 e 876. CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA 261 positò man mano che il silicato acido discendeva per diffusione nello strato di minore temperatura; ma che invece il silicato acido formatosi per causa della pressione rimase sempre disciolto nel liquido e soltanto si mutò rapidamente in silicato normale depositando quarzo, quando, raffreddandosi l'apparecchio al ter- mine dell’esperienza, la pressione scomparve per la diminuzione di temperatura. Tale obiezione non è sostenibile per due ragioni. Noto anzitutto che, spenta la fiamma a gaz, l'apparecchio si raffreddò presto, talchè il termometro T', che segnava 336°, dopo un'ora segnava soltanto 97°. Quindi una prima ragione, che invalida l’ obiezione, è il fatto che col rapido raffreddamento doveva effettuarsi un depo- sito quarzoso così repentino da essere incompatibile colla tras- parenza del deposito e colla lucentezza e perfezione delle facce di cristallo formatesi sulle schegge, i quali caratteri sono proprii delle cristallizzazioni lente. La seconda ragione contraria all’obiezione si ha conside- rando che, se nel liquido fosse sempre stato disciolto il silicato acido finchè fu sospesa l’esperienza, il deposito quarzoso avrebbe dovuto effettuarsi anche sulle schegge poste in alto nel canestro e dare luogo a facce cristalline anche sopra di esse; inoltre il cristallo di quarzo che, situato sopra le schegge, si mostrava corroso anche dopo l’esperienza, avrebbe dovuto apparire rico- stituito nelle sue facce. In conseguenza il deposito quarzoso non si formò durante il raffreddamento repentino dell'apparecchio; ma si deve ammet- tere che il silicato sodico in soluzione si arricchiva di acido si- licico sciogliendo il quarzo nello strato di alta temperatura, e discendendo nello strato di temperatura più bassa si scomponeva, dando luogo al quarzo e ritornando allo stato primitivo, nel quale stato risaliva per continuare lo stesso ciclo di trasporto. Ossia il deposito quarzoso, nell'esperienza, è dovuto ad un lento e con- tinuo processo chimico in cui, per ottenere un effetto evidente, deve concorrere l’altro fattore, il tempo; il quale anche quando si possa aver sufficiente per un'esperienza è sovente limitato dalla impazienza dello sperimentatore. In conclusione poi l’esperienza eseguita, nella quale esiste- vano contemporaneamente pressione e temperatura, rende evi- 262 GIORGIO SPEZIA — CONTRIBUZIONI DI GEOLOGIA CHIMICA dente che la pressione ha soltanto il còmpito di tenere il sol- vente allo stato liquido necessario per l’esperienza, rimanendo perfettamente neutrale rispetto al processo chimico, il quale di- pende esclusivamente dalla temperatura. E questa esperienza, nella quale compare distinta in modo evidente l’azione della pressione da quella della temperatura è di conferma, nella sua applicazione geologica, a quanto già de- dussi in precedente lavoro (1), che cioè : lo riempimento dei filoni di quarzo, prodotto da acque minerali termali, è dovuto alla diminuzione di temperatura e relativo potere solvente che subi- scono le acque arrivando da grandi profondità alla superficie terrestre e non già alla diminuzione in esse della pressione. Infine questa esperienza e le altre da me eseguite sulla solubilità del quarzo, ossia sopra un minerale assai diffuso nelle rocce cristalline-schistose, mi autorizzano ad asserire che nel metamorfismo delle rocce, nelle quali è costante la presenza dell’acqua, l’alta temperatura e l’alta pressione, che debbono esi- stere a grandi profondità, non sono fra di loro nemiche come si esprime il Grubenmann (2), ma sono invece buone alleate. La temperatura funziona come agente chimico e la pressione aiuta la temperatura soltanto col mantenere l’acqua nello stato di aggregazione migliore per la mutua reazione degli elementi minerali, il cui movimento atomico è dato dalla temperatura. La quantità di effetto poi di tale movimento dipende da varie cause, ma anche dall’altro fattore geologico, di cui non mi pare tenga conto il Grubenmann, il tempo; il quale può so- stituire la temperatura, dal grado limite necessario per iniziare una reazione, accumulando lentamente gli effetti che sarebbero prodotti in minor tempo da un aumento di temperatura. (1) “ Atti della R. Acc. delle scienze di Torino ,, vol. XXXVI, pag. 631. (2) Loc. cit. Pa E Dar ra 5 uw è SE api 45 a Si a een Da a”pÙ dd Atti R.Accad.delle Se.di Torino=VoL. AL I SPEZIA G. Contribuzioni di geologia chimica NAVA A\ i\ IPO TORIN USSOLIA = LIT SAL GIACOMO PONZIO — SU ALCUNI NUOVI ACIDI, ECC. 263 Su alcuni nuovi acidi della serie oleica. Nota II: Acido 2,3-ipogeico del Dott. GIACOMO PONZIO. Il solo acido non saturo C,gH3z00, della serie oleica finora conosciuto, l’acido ipogeico, fu riscontrato da Gòssmann e Scheven (1) nell’olio di arachis hypogaea e preparato in seguito da Bodenstein (2) dall’acido stearolico per fusione con idrato potassico a 210-240°. Secondo quest’ultimo autore, all’acido ipo- geico spetta la formola di costituzione: CH; i (CHo), a CH È CH È (CHy); È CO,H col doppio legame fra il 7° e I°8° atomo di carbonio, a partire dal carbossile. In questa Nota descrivo l’acido 2,3-ipogeico : CH;. (CH,);g. CH: CH. CO,H che ho ottenuto dall’acido palmitico trasformandolo prima in acido a-bromopalmitico, poi in acido a-iodopalmitico e togliendo infine a quest’ultimo una molecola di acido iodidrico. La preparazione dell’acido 2,3-ipogeico è identica a quella dell'acido 2,3-oleico che ho descritto nella I parte di questo lavoro (3): mi limito quindi ora ad accennare soltanto alle proprietà dei composti nuovi che ho ottenuto. Acido a-iodopalmitico CH; .(CHs);3 . CHI. CO,H. — Si forma per azione del ioduro potassico sull’ acido a-bromopalmitico in soluzione alcoolica e cristallizza dalla ligroina in laminette splen- denti, fusibili a 57°. (1) Annalen, 94, 230 (1855). (2) Berichte, 27, 3397 (1894). (3) Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXXIX, pag. 552. 264 GIACOMO PONZIO Gr. 0,2363 di sostanza fornirono gr. 0,1458 di ioduro d’ar- gento. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHa;103 Jodio 33,90 33,24 È poco solubile a freddo e molto a caldo nell’alcool, nella ligroina e nel cloroformio, non si altera alla luce. Acido 2,3-ipogeico CH3 .(CH.);x.CH:CH.CO,H. — Si ottiene facendo agire l’idrato potassico, in soluzione alcoolica, sull’acido a-iodopalmitico. Contemporaneamente si forma anche un po’ di acido a-ossipalmitico CH; .(CHs);3 . CHOH.CO,H (fusibile a 83° e già descritto da Hell e Jordanoff (1)), il quale però si può facilmente separare, essendo quasi insolubile a freddo negli eteri di petrolio. L’acido 2,3-ipogeico cristallizzato dall’alcool, ove è molto solubile a caldo e poco a freddo, si presenta in larghe lamine splendenti fusibili a 49° e risolidificabili, dopo fusione, a 45°. I. Gr. 0,2230 di sostanza fornirono gr. 0,6150 di anidride carbonica e gr. 0,2417 di acqua. II. Gr. 0,2919 di sostanza fornirono gr. 0,8086 di anidride carbonica e gr. 0,3172 di acqua (2). Cioè su cento parti: trovato calcolato per Ci6H300» I II Carbonio 75,21 75,96 75,59 Idrogeno 11,99 12,07 11,81 È stabile all'aria, solubilissimo a freddo nell’etere e nel cloroformio, discretamente negli eteri di petrolio. 2,3-ipogeato di sodio C,6Hs950,Na. — È solubile nell'acqua e cristallizza dall’alcool in prismetti bianchi. Gr. 0,5873 di sostanza fornirono gr. 0,1515 di solfato sodico. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHasOgNa Sodio 8,49 8,39 (1) Berichte, 24, 939 (1891). (2) Queste combustioni furono fatte con cromato di piombo. SU ALCUNI NUOVI ACIDI DELLA SERIE OLEICA 265 2,3-ipogeato di calcio (C,5H3902):Ca +-3Hs0. — È insolubile nell’acqua, pochissimo solubile a caldo nell’alcool. Gr. 0,4343 di sostanza perdettero a 100° gr. 0,0400 di acqua e fornirono gr. 0,0940 di solfato di calcio. Cioè su cento parti: trovato calcolato per C33H;g0,Ca+3H30 Acqua 9,21 9,00 Calcio 6,36 6,66 2,3-ipogeato di bario (C,6H390),Ba. — È insolubile sia nel- l’acqua che nell’alcool. Gr. 0,4140 di sostanza fornirono gr. 0,1492 di solfato di bario Cioè su cento parti: trovato calcolato per C33H,30,Ba Bario 21,17 91,24 Amide dell'acido 2,2-ipogeico CHs . (CHs);, .CH:CH.CONH,. -— Si prepara passando pel cloruro acido; cristallizza dall’alcool in prismetti. Gr. 0,1635 di sostanza fornirono cc. 8 di azoto (H,=737,95 ti 12°), ossia gr. 0,011574. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHgjNO Azoto 5,66 bb, È abbastanza solubile a caldo e poco a freddo nell’aleool, nella ligroina, nell’etere e nel cloroformio. Bibromuro dell'acido 2,3-ipogeico (acido 2,3-bibromopalmitico) CH; . (CH.);» . CHBr . CHBr. CO.H. — Si ottiene facendo agire alla luce il bromo in soluzione cloroformica sull’acido 2,3-ipo- geico; cristallizza dagli eteri di petrolio, ove è abbastanza solu- bile a caldo e poco a freddo, in prismetti bianchi fusibili a 66°. Gr. 0,3935 di sostanza fornirono gr. 0,3552 di bromuro d’argento. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigHgoBrs0, Bromo 38,40 38,64 È solubile anche a freddo in tutti gli altri solventi organici ordinari. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 18 266 GIACOMO PONZIO — SU ALCUNI NUOVI ACIDI, ECC. Tanto l’acido 2,3-ipogeico quanto l’acido 2,3-oleico, che ho descritti in questo lavoro, riscaldati leggermente con acido ni- trico diluito e trattati con nitrito sodico non subiscono alcuna trasformazione, mentre, come è noto, per influenza dell’ acido nitroso in tali condizioni gli acidi ipogeico, oleico ed erucico che si trovano nei vegetali si trasformano facilmente nei loro stereoisomeri acidi gaidinico, elaidinico e brassidinico. Ora tanto l’acido oleico quanto l’acido erucico hanno una configurazione centrosimmetrica: CH;.(CH H CH3.(CHa) € ) H 2 Nooo? = NSA pese (CH;p:003H H7 CH.) C0,;H mentre gli acidi elaidinico e brassidinico hanno invece una con- figurazione pianosimmetrica ; CHs.(CHo)z_ ACHa):.COH CHs.(CH2):x ACHa .CO.H ua e OE H H H H Si potrebbe perciò supporre che gli acidi 2,3-ipogeico e 2,3-oleico, i quali, come ho detto, non vengono alterati dall’acido nitroso, avessero, come gli acidi elaidinico e brassidinico, una configurazione pianosimmetrica: CH;.(CH CO,.H CHs.(CHx) e Nus cO,H Ca 2)12 delia c=C Di: Hip nd PR la quale si accorderebbe anche col loro punto di fusione rela- tivamente elevato. Questa supposizione richiede però una verifica sperimentale, i cui risultati mi riservo di esporre in una pros- sima Nota. Torino, Istituto Chimico della R. Università, Gennaio 1905. L’ Accademico Segretario LoRENZO CAMERANO. 267 CLASSI UNITE Adunanza del 15 Gennaio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: NaAccariI, SPEZIA, CAMERANO, JADANZA, Foà, GUARESCHI, PARONA, MarTIROLO, MorERA e Grassi; scusata l’assenza del Socio SEGRE; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: BoseLLI, Vice-Presidente dell’Accademia, FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, Pezzi, CARLE, CrpoLLa, Brusa, CARUTTI, Pizzi, Savio, De Sanctis, Rurrini e RENIER, Segretario; scusata l’as- senza del Socio ALLIEVO. È approvato l’atto verbale dell’antecedente adunanza a Classi unite, 22 maggio 1904. Il Socio De Sanctis legge la relazione della Commissione per il premio Gautieri di Storia (triennio 1901-1903). La rela- zione, che è inserita negli Atti, propone la divisione del premio in due parti uguali, di cui una sia conferita a Giacinto Romano per il suo libro intitolato: Niccolò Spinelli da Giovinazzo, diplo- matico del secolo XIV, Napoli, 1902, e l’altra a G. A. Corini per il suo volume: Il Sepolereto di Remedello Sotto nel Bresciano e il periodo eneolitico in Italia. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 18* 268 EcreGI COLLEGHI, La Commissione incaricata di riferire sul premio Gautieri per gli studi storici nel triennio 1901-1903 ha preso in esame, oltre gli scritti inviati dagli autori, tutte quelle pubblicazioni storiche che le parvero degne di considerazione. L’opera di se- lezione ch’essa ebbe a compiere fu laboriosa e non facile, perchè se in fatto di storia antica i lavori veramente serî furono in Italia nel triennio assai scarsi, vi fu invece buon numero di lavori lodevoli in fatto di storia medioevale e moderna. Tra questi peraltro alcuni fanno parte di opere in corso di pubblicazione, delle quali ancor non è venuto in luce quel tanto che possa servire per formarsene un adeguato concetto; onde non parve equo alla Commissione di metterle fin da ora al pa- ragone con altri scritti o compiuti o condotti presso che a ter- mine, di fronte ai quali potevano trovarsi in condizione di infe- riorità forse soltanto per lo stato attuale della loro pubblicazione. Tra gli scritti presi ad esame, due crede la Commissione di doverne segnalare ai colleghi, uno nel campo della storia moderna, l’altro in quello della storia antica, il libro di Giacinto Romano, intitolato: Niccolò Spinelli da Giovinazzo, diplomatico del secolo XIV (Napoli, 1902, di pp. x1-646), e la memoria di G. A. Colini in corso di stampa dal 1898 nel Bullettino di paletno- logia italiana (vol. XXIV, a. 1898, p. 1 segg., 88 segg., 206 segg., 280 segg.; vol. XXV, 1899, p. 1 segg., 218 segg.; XXVI, 1900, p. 57 segg., 202 segg.; XXVII, 1901, p. 73 segg.; XXVIII, 1902, p. 5 segg.), intitolata: I Sepolcreto di Remedello Sotto nel Bre- sciano e îil periodo eneolitico in Italia. La figura di Niccolò Spinelli da Giovinazzo nelle Puglie, non passò certamente inosservata dai nostri storici, ma non aveva trovato finora un biografo che ne scrivesse la vita con quella erudizione e con quella cura che il valore dell’uomo me- ritava. Lo Spinelli, nato verso il 1320, e morto negli ultimi anni del secolo, fu giurista, consigliere di papi e di principi, n I en 269 diplomatico espertissimo. Insegnò dapprima nella università di Padova, quindi passò a quella di Bologna, al tempo del reggi- mento di Giovanni da Oleggio. Quando Bologna ritornò sotto alla Chiesa, egli abbandonò l'insegnamento e, postosi accanto al card. Egidio Albornoz, si diede tutto alla diplomazia. Servi dapprima Innocenzo VI e poi Urbano V, che lo nominò Gran Cancelliere del regno di Sicilia, mentre a Napoli era stato inviato quale legato pontificio l’amico suo card. Albornoz. Poi (1367) accompagnò Urbano V a Roma, e in seguito gli tenne dietro nel ritorno ad Avignone, dove si fermò stabilmente, giacchè Giovanna I di Napoli lo costituì suo siniscalco in Provenza. Gregorio XI gli continuò il favore mo- stratogli dai suoi predecessori, e se ne servì in varî negoziati, specialmente nelle relazioni con Firenze (1576). Quando questo pontefice venne a Roma nel 1377, accanto a lui troviamo lo Spinelli. Allorchè poco dopo l’elezione di Urbano VI (1378) scoppiò il grande scisma d'Occidente, lo Spinelli, che sul principio era stato nelle migliori relazioni con Urbano VI, da lui si staccò ed ebbe parte gravissima nell’ origine dello scisma, promovendo l'elezione dell’antipapa, e facendo inclinare a questo l’animo della regina Giovanna, che dapprima parteggiava per Urbano. Lo Spinelli restò a lungo nel reame di Napoli, ma sotto il governo di Carlo di Durazzo egli non poteva trovarsi che a grande disagio. Dovette dunque uscirne. Tornò alla Corte di Avignone, finchè, mandato da Clemente VII in Italia, accettò l'ospitalità offertagli da Gian Galeazzo, e si stabilì a Pavia. Anche in quest’ultimo periodo della sua vita, egli dimostrò la sua abilità di diplomatico, specialmente nelle trattative con Venezia e con Francia, ancorchè l’esito non sempre abbia cor- risposto alle sue intenzioni. Durante i negoziati visconteo-fran- cesi egli scrisse due interessanti e curiosi pareri politici sulle cose d'Italia, proponendo fra l’altro la semisecolarizzazione degli Stati ecclesiastici. L'ultimo suo atto politico fu il trattato con la Francia del 1395. Il Romano studiò il suo argomento nelle cronache, maggiori e minori, sopratutto poi nei documenti di archivî. Egli cita gli archivi e le biblioteche di Pavia, Milano, Venezia, Bologna, Na- poli, Firenze, Padova, Giovinazzo, Marsiglia, oltre all’ archivio 270 Vaticano; e pubblica in appendice i più interessanti documenti da lui trovati. L'argomento da lui trattato è arduo assai, poichè è difficile trovare nella storia italiana del medioevo un momento storico nel quale così avviluppate e confuse siano state le imprese mi- litari e le trattative diplomatiche, nel quale altrettanto varie e cozzanti tra loro siano state le correnti determinate dagli inte- ressi delle numerose e piccole, ma pur gagliarde signorie italiane. Il Romano riuscì a superare straordinarie difficoltà trat- tando di tanti e così confusi avvenimenti con molta chiarezza, e mettendo bene in evidenza il personaggio, che noi impariamo a conoscere nei suoi pregi e nei suoi difetti, nettamente distin- guendone il carattere da quello dei tanti suoi contemporanei che agivano accanto a lui. La monografia del Romano merita anche lode come lavoro organico, ben elaborato in ogni sua parte, sobrio nella forma e temperato in generale nei giudizi. Venendo ora all’opera del Colini, per farne apprezzare tutto il valore, sono necessarie alcune premesse sulla civiltà eneolitica che n'è il tema. La dimostrazione che in Europa all’età litica non ha tenuto dietro immediatamente, almeno dappertutto, la età del bronzo, ma vi è stato un periodo intermedio in cui il rame si è adoperato quasi puro per le armi e per altri istru- menti, mentre si continuava ad usare largamente la suppellet- tile di pietra, è stata data dal Much nel suo libro Die Kupferzeit in Europa (2° ediz. Jena, 1893). Per ciò che riguarda l’Italia, fu il Chierici che, illustrando nel 1884 la necropoli di Reme- dello di sotto in provincia di Brescia (Bullettino di paletnologia italiana, X, p. 133 segg.) e notandone i caratteri diversi tanto dallo strato a cui appartengono i fondi di capanne neolitici, quanto dallo strato a cui vanno riferite le terremare, la con- siderò come tipica per l’Italia di quella civiltà che presso i paletnologi italiani si suole ora designare col nome, forse non del tutto proprio, di civiltà eneolitica. Nel 1898 il Colini prese a pubblicare il suo studio su questo sepolereto, dove, allargando: e precisando le considerazioni svolte dal Chierici e valendosi largamente dei risultati del Much da lui in parte rettificati, cerca di determinare le caratteristiche della civiltà eneolitica in Italia e le sue relazioni con gli strati archeologici anteriori e contemporanei in Italia e fuori. Il Colini prende per base la. 271 suppellettile funebre del sepolereto di Remedello e dei sepol- creti affini, spesso in buona parte inedita o insufficientemente pubblicata prima della sua memoria, la classifica secondo il materiale, la tecnica, le forme, la confronta con l’altra suppel- lettile preistorica italiana e straniera, studia la genesi e la evo- luzione delle varie forme, e tutto ciò con una erudizione e una conoscenza degli oggetti, sparsi nei varì musei e illustrati in pubblicazioni spesso assai poco accessibili, che merita ogni lode. Per tal modo il Colini riesce a darci un quadro, quanto è pos- sibile pieno, della civiltà esterna di questa età remota nel nostro paese. Chiaro, oggettivo, alieno da quelle ipotesi avventate che tanto fioriscono nel campo della paletnologia, schivo di sintesi affrettate e premature, lo studio del Colini può dirsi con ragione assai pregevole. Il lavoro, come già s'è accennato, cominciato a pubblicare nel precedente triennio e condotto innanzi in questo, non è ancora giunto al suo termine; vi manca così tutta la parte relativa alla ceramica. Tuttavia il programma che s’era tracciato il Colini stesso iniziando la sua memoria (Bull. di paletnologia, XXV, p. 3) può dirsi fin da ora in massima parte compiuto; e a ciò che manca suppliscono in parte almeno due notevoli articoli relativi allo stesso ciclo di ricerche e tali che possono considerarsi come un’appendice della sua memoria princi- pale, da lui editi nel Bullettino di paletnologia del 1903 (p. 53 segg., 211 segg.), in cui ha tracciato un eccellente quadro sintetico della civiltà del bronzo nella nostra penisola. In base a queste considerazioni la Commissione, riguardando le due pubblicazioni qui segnalate del Romano e del Colini come eguali per merito, vi propone unanime di dividere fra i due au- tori il premio Gautieri per le scienze storiche. La Commissione: C. CIPOLLA F. SAVIO G. De SANCTIS, relatore. Gli Accademici Segretari LoRrENZO CAMERANO. RopoLro RENIER. 272 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 15 Gennaio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: BoseLLI, Vice-Presidente dell’ Acca- demia, FeRRERO, Direttore della Classe, Rossi, Pezzi, CARLE, Cr- PoLLA, Brusa, CarutTI, Pizzi, Savio, De Sanctis, RUFFINI e Renrer Segretario. — Scusa l'assenza il Socio ALLIEVO. Il Socio CarLE fa omaggio all'Accademia di alcuni scritti recenti del prof. Vincenzo Lira, lodando la costante laboriosità del vecchio insegnante. Nel tempo stesso presenta, in nome del Comitato promotore, il volume: Onoranze al professore Vincenzo Lilla pel suo XL anno d'insegnamento nella R. Università di Mes- sina, Messina, tip. D'Angelo, 1904. Il Socio De SancerIs, incaricato col socio Pezzi di riferire intorno alla dissertazione latina del Dr. Angelo TAccone sui tratti melici di tre tragedie di Sofocle, legge la relazione che compare negli Atti. La Classe approva la relazione, e presa no- tizia dello scritto del Dr. Taccone, ne delibera con votazione segreta unanime l’inserzione nelle Memorie accademiche. Il Socio CrpoLLa presenta per gli Atti una sua nota su Le case degli Scaligeri a Venezia. CARLO CIPOLLA — LE CASE DEGLI SCALIGERI A VENEZIA 273 LETTURE Le case degli Scaligeri a Venezia. Nota del Socio CARLO CIPOLLA. Varì erano i principi italiani, che possedevano palazzi in Venezia. L’ospitalità Veneziana, vantata dal Petrarca, non era certamente disinteressata, ma era pur sempre onorevole, e per chi l’offriva, e per chi l’accettava. Case in Venezia avevano gli Estensi, siccome è notissimo. Un palazzo vi avevano anche gli Sforza. Non sono molti anni che Luca Beltrami (1) narrò la storia della casa acquistata in Venezia dal duca Francesco Sforza, storia ricca di vicende politiche e di notizie artistiche. Non credo che finora si abbiano dati precisi intorno alle case che possedevano colà gli Scaligeri, ancorchè si sappia che negli ultimi anni del loro dominio su Verona e su Vicenza essi tennero Venezia quasi come loro seconda patria; Antonio dalla Scala allorchè, 18-19 ottobre 1387, dovette fuggire da Verona, “ s'addrezzò verso Venetia , (2). Un documento, con squisita cortesia indicatomi dal chia- rissimo Dott. V. Lazzarini, del Museo di Padova, c’informa esat- tamente sul luogo, dove queste case esistevano, ci dà curiosi particolari intorno a tali edifici, e ci fornisce ancora qualche dato non inutile sul tramonto di una dinastia, che in altri tempi aveva avuto l’onore di ospitar l’Alighieri. Le case Scaligere si trovavano nel perimetro della giuris- dizione ecclesiastica di S. Maurizio, e si componevano di una fabbrica vecchia e di una fabbrica nuova. La chiesa di S. Mau- rizio — m’informa l’egregio G. Dalla Santa, dell’ Archivio di Stato di Venezia, al quale qui debbo anche qualche altra informazione (1) La “ Ca del duca , sul Canal Grande e altre reminiscenze sforzesche in Venezia. Milano, Allegretti, 1900, p. 82. (2) Sararne, Le historie et fatti de Veronesi. Verona, 1542, fol. 43 ©. 274 CARLO CIPOLLA — esiste tuttora, ed è situata fra la chiesa di S. Stefano e quella di S. Maria del Giglio. La chiesa è antica assai: arse nel 1105; fu rifabbricata più volte, per l’ultima volta nel 1806 (1). Antonio Dalla Scala, dopo di essere fuggito a Venezia, tentò ancora la fortuna in Toscana, ma indarno. Le cose gli andarono di male in peggio. Morì al principio di agosto dell’anno 1388 a Tredozio, tra Faenza e Firenze (2). Prima di cadere dalla signoria, Antonio aveva pensato alla sua famiglia, “ havendo alquanti giorni avanti mandato la moglie con le robbe, e quanto di meglio puotè asportare, in una grossa barca per il fiume a Ravenna , (3). La moglie di Antonio era Samaritana da Polenta, le cui nozze erano state celebrate in versi da Gidino da Sommacampagna, che poi, al momento del bisogno, mancò di fedeltà ai suoi signori. Samaritana si raccolse poscia a Venezia, cosicchè presso il Sanudo (4) si dice che Antonio mo- rendo “lasciò la moglie a Venezia e un suo unico figliuolo, maschio, piccolo, chiamato Cane Francesco, e quattro figliuole, in grande necessità del vivere, a’ quali per la Signoria nostra, come pietosa, fu provveduto del vivere suo ,. Qui si allude alla elargazione dalla Signoria fatta a Samaritana nel 1409 (5). Di un altro beneficio (se pur è il caso di usare di questa parola) a favore di Samaritana, parla l’atto notarile, che qui viene pubblicato e che risale al 1390. Non trattasi proprio di un beneficio, ma è ad ogni modo una provvisione, la quale di- mostra che la Signoria era favorevolmente inclinata verso la sventurata signora. (1) Venezia e le sue lagune, II, 2, 336. (2) Ho indicato (Cron. Veron., I, 129 nota) un atto della Signoria in favore di Antonio, datato 29 aprile 1389. Esso si legge in Senato Secreti, 1388-97, E, f. 18: “ 1389, indice. x1, die 29 apr. Capta. Cum d. Anthonius de la Scalla comparuerit coram nostro Dominio allegans suam extremitatem et strictissimam condicionem et petens cum maxima instantia, quod illos suos 1" ducatos, qui sibi scripti sunt ad Cameram Frumenti ei mutuare debeamus, Vadit Pars, omnibus consideratis, quod dicti nr* ducati a Camera predicta Frumenti sibi dentur et mutuentur, cum ista condicione — ,. Ma l’anno 1389 è un errore per 1388, quando infatti correva l’ind. xr. (3) SARAINA, fol. 43 ». (4) Vite dei Dogi, ap. Muratori, XXII, 753. (5) Grazie, t. XX, f. 29, Archivio di Stato di Venezia. Pubblicai questo documento in Cron. Veron., I, 182 nota. LE CASE DEGLI SCALIGERI A VENEZIA 275 DocuMENTO. (Arch. di Stato di Venezia — Cancelleria Inferiore. Notaio Marino pievano di S. Gervasio; busta CXV, quaderno 1387-91, documento n° 72). 1390, maggio 9; Rialto. Sentenza di Antonio Venier doge di Venezia e dei suoi Giudici. Al Venier, sedente coi suoi Giudici nel palazzo ducale, presentossi Sama- ritana vedova di Antonio della Scala presentando due carte; una carta di giudicato, datata da Rialto 24 febbraio 1388 (1389 m. c.), conteneva la concessione accordata dal doge alla medesima Samaritana di tenere, de’ beni del marito, fino a ducati 24820, oltre 12 lire grosse per la sua veste vedovile. L’altra carta, datata Rialto 21 febbraio 1389 (1390 m. c.), conteneva la dichiarazione di Paolo Nicolò, Ministeriale di curia, di aver investito in Samaritana una casa il 19 febbr. 1388 (1389 m. c.). Dopo un anno dall’ investitura, a seconda della nuova Costituzione, Samaritana chiese il consiglio del Doge e dei giudici sul modo di impiegare la somma indicata nella prima carta; e quelli mandarono a stimare detta proprietà, per investirne Samaritana sino all’importo della somma predetta. Laonde il 2 marzo 1390 Paolo Nicolò investì Sa- maritana di una grande casa, con bottega, con altre case, in prossimità del Canale, con orto, forno, ecc. Tutta questa proprietà sì trova nei fini di S. Maurizio, e spettò già ad Antonio della Scala. Se ne segnano par- ticolareggiatamente i confini. La fabbrica vecchia, cioè la casa grande per bottega, ecc. era stata data da Antonio della Scala in livello, al fu Bonagiunta da Bicorfano. Samaritana dovea avere su questi edifici gli stessi diritti, che già spettavano ai Signori della Scala, salve le riserve espresse in una carta dei giudici. Per contro, Matteo Pesaro avvocato presentò e diede lettura di tre carte. La prima è un reclamo. La seconda è un atto del Doge e dei Consiglieri, in data di Rialto, 28 novembre'1389. In questa alcuni testi- moni dichiarano dinanzi al Doge e ai Giudici, di aver conosciuto il fu Bai- lardino Nogarola da Verona, dichiarando che egli dapprima, poi Cagnone suo figlio, e i Signori della Scala tennero per oltre 30 anni la descritta proprietà situata nei fini di S. Maurizio, dagli Scaligeri data in livello di 29 anni a Bonagiunta fu Donnino da Bicorfano, coll’obbligo di pagare annualmente, al 1 gennaio, il fitto di 73 ducati d’oro agli Scaligeri e loro eredi. La terza carta è il testamento, scritto da Lorenzo della Torre, pievano di S. Angelo e notajo, datato: Rialto, 20 novembre 1373, e fatto fare da Bonagiunta da Bicorfano. In questo testamento lasciava 276 CARLO CIPOLLA come suoi fedecomissari la moglie Agnesina e i figli Franceschino e Nicolò. I Giudici ponderate queste carte, e considerato il reclamo di Agne- sina, e dei fratelli Zambonino e Franceschino, commissari dell’eredità di Bonagiunta da Bicorfano, contro l’investitura concessa a Samaritana, de- liberarono di confermare l’investitura concessa a Samaritana per quanto riguarda la fabbrica vecchia, conservando alla commissaria di Bonagiunta la fabbrica nuova. I Giudici stimarono in 100 lire grosse la parte di proprietà con- cessa alla Samaritana. E per questa somma, computata nella somma considerata nella carta di giudicato, viene concessa la relativa investitura, dopo che la strida era stata fatta per il tempo legale, senza che nessuno sollevasse opposizione. In nomine Dei eterni Amen, Anno ab incarnatione Domini nostri Iesu Christi millesimo trecentesimo nonagesimo, mense madii, die nono, indictione tertia decima, Rivoalti. Cum de rebus ambiguis ete. secundum usum. Igitur nos Antonius Venerio, Dei gratia dux Venetiarum ete., cum in nostro palacio resideremus cum nostris Iudi- cibus et secundum usum, venit ante nostram et nostrorum iudicum presenciam magnifica domina Samaritana, relicta magnifici domini An- tonii de la Scala olim nobilis civis Venetiarum, et ostendit nobis duas cartas completas et roboratas, una quarum est diudicatus carta facta anno ab incarnatione Domini nostri Iesu Christi millesimo trecentesimo octuagesimo octavo, mense februarii, die vigesimo quarto intrante, in- dictione duodecima, Rivoalti, quam nos Dux cum nostris Iudicibus fe- cimus suprascripte generose domine Samaritane, per quam ex iuditio igitur nostrorum Iudicum et nostra confirmatione potestatem dedimus plenissimam ad suprascriptam generosam dominam Samaritanam, re- lictam dicti quandam magnifici et potentis domini Antonii de la Scalla, tantum intromittendi et ad proprium dominandi de bonis omnibus et havere suprascripti condam viri sui, quantum sunt suprascripti ducati viginti quatuor millia octingenti viginti ducati, boni auri et iusti pon- deris, pro resto dicte sue repromisse, etiam libre duodecim ad grossos cum dimidia pro sua veste vidualia, habendi tenendi etc., ut in ea le- gitur. Altera est investiture, sine proprio, carta facta anno ab incarna- tione domini nostri Iesu Christi millesimo trecentesimo octuagesimo nono, mense februari, die vigesimo primo, indictione tertia decima, Rivoalti, qua testificatur ipse Paulus Nicolaus, ministerialis curie palacii, quod die decimonono mensis februarii, millesimo trecentesimo octuagesimo oc- tavo, indictione duodecima, propter preceptum nostrum et per legem LE CASE DEGLI SCALIGERI A VENEZIA 277 iudicum investivit, sine proprio, ad nomen magnifice domine Samaritane, reliete magnifici domini Antonii de la Scalla, olim nobilis civis Vene- tiarum, cunetam et super totam unam proprietatem terre et case in infraseripto proprio insertam et firmatam prout et [iuxta] suprascriptam diiudicatus cartam. Cui investitioni interfuerunt Marcus Minor et Do- minicus Datalo ambo precones, ete. ut in ea legitur: que quidem in- vestitio tamen per annum et amplius, secundum nove Constitutionis ordinem in sexto libro Statutorum contente, suprascripta proprietate terre et case stetisset et quieta fuisset, quesivit nobis et legi nostrorum iudicum suprascripta magnifica domina Samaritana ut consilium ei dare dignaremur quid ei faciendum esset quod de suprascripta pecunia con- tenta in suprascripta diudicatus carta posset appaccari, cuius peticionem iustam cernentes, missimus nostros iudices ad suprascriptam proprie- tatem, iniungentes eisdem ut ipsam seu tantum ex ipsa appreciarentur, quantum est pecunia contenta in suprascripta diudicatus carta, cum nichil aliud inveniretur de bonis dicti quondam viri sui, unde dicta domina Samaritana posset appacari; qui euntes iusta quod eis iniunximus appreciati fuerunt infrascriptam partem dicte proprietatis, infrascriptam videlicet (?) quantitatem. Quam quidem proprietatis, partem fecimus post- modum apropriare, sicut continetur in una testificationis carta completa et roborata exinde facta anno ab incarnatione Domini nostri Iesu Christi millesimo trecentesimo nonagesimo, mense martii die secundo, indictione tertiadecima, Rivoalti; qua testificatur ipse Paulus Nicolaus ministerialis Curie palacii, quod die secundo propter preceptum nostrum et per legem Iudicum investivit ad proprium ad nomen magnifice do- mine Samaritane relicte magnifici domini Antonii de la Scala olim nobilis civis Venetiarum, de cuncta et super tota una proprietate terre et case, coperta ‘) et discoperta, que °) est una domus magna, a stacio; cum una sua curia et cum quampluribus domibus asegentibus, partim de petra et partim de lignamine, positis in dieta curia et cum *) sua via seu fundamento, positis supra Canale, et cum uno suo calli proprio per quem venitur‘) a dieta curia ad viam comunem; qui callis est positus iuxta proprietatem domini Nicolai Vallaresso, et cum uno suo orto et cum una sua domo de pariete, in qua est unus furnus *) et cum una sua curticella posita iuxta dietum furnum %), et cum uno alio Calli — per quem venitur ?) a dicta curia furni 3) ad viam comunem; qui callis est positus iuxta proprietatem *) monasterii Sancti Maphei de 1) Qui comincia il brano che sopprimo più tardi, per identità, al luogo A. Ora ne noto le varianti notevoli. ?) A que videlicet. 3) Qui si inizia il brano B più avanti soppresso. 4) A itur. °) A clibanus. 9) A cli- banum. 7) A itur de, 8) a clibano, 9) A positus ad latus domorum. 278 CARLO CIPOLLA Constanzago, et cum sex casibus domorum ‘) de petra *) asegentibus; et cum suo reveteno et cum suis curticellis positis a parte poste- riori ©); que sex domus posite sunt supra viam comunem discurrentem ad campum *) Sancti Mauricii usque supra canale ubi fit pons Sancti Viti; et cum uno suo calli sive curticella, que vadit revolvendo, po- sita °) inter hane proprietatem a stacio et domos asegentibus predicti domini Nicolai Vallaresso. Tota hec proprietas insimul coniuneta “) posita est in confinio Saneti Mauricii ?), que fuit dicti condam magnifici domini Antonii de la Scalla, olim dicte magnifice domine Samaritane mariti: secundum quod hec proprietas firmat ab uno suo capite cum sua dicta ripa et fundamento sive via in canali unde habet introitum et exitum junctarium et juglacionem, et partim firmat cum uno latere dictornm callium in dieta proprietate maiori dieti domini Nicolai Va- laresso, et partim firmat cum dictis sex domibus asegentibus et cum suis dictis curticellis in callicello de Grondalibus, tam facto quam fiendo, comuni huie proprietati et proprietati domini Leonardi Venerio Sancti Canciani; et ab alio suo capite firmat partim cum suo dicto calli per quem intratur in dictam curiam magnam in proprietate maiori dicti domini Nicolai Vallaresso, et partim firmat cum uno suo calli, per quem itur ad dictum furnum in proprietate monasteri Sancti Maphei de Constanzago ; et partim firmat cum sua curia maiori et cum sua domo, in qua est furnus et (cum?) pariete proprio in orto Nicolai Bono aurificis. Ab uno suo latere firmat partim cum suo dicto fundamento, sive via et rippa, et cum sua dicta curia magna et muro proprio in callicello de Grondalibus comuni huic proprietati et proprietati dicti domini Nicolai Vallaresso, et partim firmat cum dicto suo calli per quem venitur in dietam curiam magnam in proprietate dicti domini Nicolai Vallaresso, et partim firmat cum testa dicti sui callis in dieta via comuni unde habet introitum et exitum; et partim firmat cum suo dicto calli, sive curticella, que vadit revolvendo in dieta proprietate maiori dicti domini Nicolai Vallaresso; et partim firmat cum suo muro proprio in callicello proprietatis dicti domini Leonardi Venerio; et partim firmat cum suis dictis sex domibus asegentibus et cum suo re- vetene in dieta via comuni, unde habet introitum et exitum; et partim firmat cum capite dieti sui callis proprii per quem itur ad dictum furnum in dieta via comuni unde habet introitum et exitum. Et ab alio suo latere firmat partim cum suo dicto furno et orto in muro ') Finisce il brano soppresso B. *) Alapideum. ?) A positis de retro. *) A comunem que discurrit a campo. *) A vadit ultra rivum Sancti Viti. 5) A om. ius- con-. ?) Qui termina il brano, che più tardi sopprimo, e contrassegno con A. rn LE CASE DEGLI SCALIGERI A VENEZIA 279 proprio monasterii Saneti Maphei de Constanzago; et partim firmat cum suo muro proprio usque in canale in terra vacua ser Galoni de Ma- rano, seu eius commissarie. INllam videlicet partem que est tota fa- brica vetus, que erat supra suprascriptam proprietam quando livellata fuit per Dominos de la Scalla ser Bonazonte de Bicorfano olim Saneti Mauricii, videlicet tantum quantum comprehendit domus magna a stacio cum sua curia et terra vacua super qua olim fuerunt certe domus ru- vinate et nunc sunt plures domus de lignamine et sua via seu funda- mento positum supra canale et cum suo calli proprio, per quem venitur a dicta curia ad viam comunem. Qui callis est positus inter dictam domum magnam a statio, et domum domini Nicolai Vallaresso et cum suo orto et cum una sua domo de pariete, in qua est unus furnus et cum una sua curticella posita iuxta dictum furnum et cum uno alio calli, per quem venitur a dicta curia furni ad viam comunem, qui callis est positus iuxta proprietatem monasterii Sancte Maphei de Constan- zago, et cum suprascriptis sex casis (sic) domorum. Ita et taliter quod suprascripta magnifica domina Samaritana habeat illud ius in supra- scriptis rebus quod habebant Domini della Scalla, salvo et reservato omni eo quod continetur et legitur in una Breviarii legis sententie carta completa et roborata manu dominorum Iudicum comunita, facta anno, indictione, mense, die quibus supra, qua testificantur ut infra. Ex adverso autem illustrissimus ser Matheus da Pesaro advocatus, nomine quo supra, ostendit ibidem legique fecit tres cartas, prima quarum est clamoris carta, et item infra. Secunda est livellationis et subventionis carta completa ct roborata manu suprascripti domini nostri Ducis et eius Consiliariorum comunita, facta anno ab incarnatione domini nostri Iesu Christi millesimo trecentesimo octuagesimo nono, mense novembris, die vigesimo octo, indictione, tertia decima, Rivoalti, quam fieri fecit suprascriptus dominus noster Dux cum suis Iudicibus examinatorum, iusta quam dictis dominis Iudicibus ser Manfredus de Ubriachis de confinio Sancti Bassi et domna Simona relicta ser Abramini de Mapheo Sancti Mauricii testes iurati suo sacramento testificati fuerant, quod viderunt et cognoverunt dominum Balardinum de Nogarolla de Verona, qui mortuus erat, et sciebant quod ipse et post mortem eius dominus Cagnonus eius filius et Domini de la Scalla de Verona tenuerunt et possederunt et tunc ipsi Domini de la Scala tenebant et possidebant quandam proprietatem positam in confinio Sancti Mauricii, pacifice et quiete per spacium triginta annorum et ultra. Que est cunceta et super tota una proprietas cooperta ') — — Sancti Mauricii secundum et 1) Sopprimo per ragione d’identità, la descrizione della proprietà, e segno il brano qui soppresso con A. Il brano l’abbiamo già letto antecedentemente. 280 CARLO CIPOLLA mihi manifestum fecit nune suprascriptus Bonaventura notarius, dietus Saracenus, procuratorio nomine quo supra, cum heredibus supra- scriptorum Dominorum de la Scalla, quia in Dei et Christi nomine dedit et ad perpetuum livellum concessit. . . . . . .') ser Bonazonte de Bicorfano quondam domini Donnini de Bicorfano de confinio Sancti Mauricii et suis heredibus cunetam et super totam supraseriptam dic- torum Dominorum de la Scalla proprietatem superius declaratam ad renovandum in perpetuum omni vigesimo nono anno dictam livella- tionem: pro qua quidem alivelatione ipse suprascriptus ser Bonazonta cum suis heredibus dare et solvere debet et tenetur ducatos septuaginta tres auri boni et iusti ponderis dictis Dominis de la Scalla et heredibus eorumdem omni anno in kalendis ianuarii, sub pena librarum centum venetialium etc. ut in ea legitur. Tercia est testamenti carta completa et roborata: quod testamentum manu Laurentii de la Turre, plebani ecclesie Sancti Angeli, et notarii, in anno ab incarnatione Domini nostri Iesu Christi millesimo trecentesimo septuagesimo tertio, mense novem- bris die vigesimo intrante, indictione duodecima, Rivoalti. Quod testa- mentum fieri fecit ipse Bonazonta de Bicorfano, de confinio Sancti Mau- ritii, in quo inter cetera sic se duxit, vulgariter, ordinandum: Prima voio et ordeno chel sia miei fedelli commessarii Agnesina mia muier, Franceschini, Nicolò, mei fioli etc. ut in ea legitur. Et rursum infra. Hec igitur audientes et intelligentes nostri predicti Iudices visis supra- scriptis cartis et visa suprascripta refutationis et securitatis carta facta per domnam Zaninam uxorem suprascripti Zambonini, manu presbiteri Victoris archidiaconi Torcellanensis et curie notarili infrascripti, et au- ditis hine inde hiis que suprascripte partes dicere et proponere volue- runt, et super hoc habito consilio diligenter per legem Iudicum, supra- scriptum clamorem suprascriptorum done Agnesine relicte Zambonini et Francischini fratrum olimque filioram et nune omnium commissariorum suprascripti quondam ser Bonazonte de Bicorfano olim Sancti Mauritii, quem dicti commissarii fecerant super suprascriptam investicionem sine proprio suprascripte magnifice done Samaritane, relicte magnifici domini Antonii de la Scalla, firmum tenentes de quantocumque continetur ét legitur in suprascripta livelationis carta dicti ser Bonazonte de Bicorfano et in tantum quantum est dicta livelationis carta ipsis quondam ser Bona- zonte, dictam investitionem ipsius magnifice domine Samaritane evacua- verunt et in reliquo ipsam investitionem firmam tenuerunt in tantum quantum est tota fabrica vetus, que erat super suprascriptam proprie- tatem quando livelata fuit per suprascriptos Dominos de la Scalla pre- ') Due parole illeggibili, che forse s’interpreteranno: d. Bonaventura predictus. LE CASE DEGLI SCALIGERI A VENEZIA 281 dicto quondam ser Bonazonte de Bicorfano olim Sancti Mauritii, vide- licet in tantum quantum comprehendunt suprascripta domus magna a stacio, cum sua curia et terra vacua, super qua olim fuerunt certe domus ruinate et nunc sunt plures domus de lignamina et [cum] sua via — !) in suprascripta investicione sine proprio dicte magnifice domine Sama- ritane descriptis, ita et taliter quod dicta magnifica domina Samaritana habeat illud ius in suprascriptis rebus quod habebant suprascripti Do- mini de la Scalla, reservatis iuribus fabrice nove facte super dictam proprietatem predictis commissaris et suis successoribus, suis loco et tempore habendis et extimandis, condemnatas dictas partes in expensis etc. ut in ea legitur propter suprascriptam diudicatus cartam. Quam quidem proprietatem seu proprietatis partem nostri predicti Iudices apre- ciati fuerunt libras centum grossorum, quas dare [promis]erunt supra- scripte magnifice domine Samaritane pro parte suprascripte pecunie in suprascripta eius diudicatus carta contente, cui proprio interfuerunt Do- minicus Datalio et Marinus Minor ambo precones etc., ut in ea legitur. Cumque suprascriptum proprium super suprascripta proprietates parte terre et case per triginta dies et annis (?) tres secundum usum stetisset et fuisset striditum et nullum inde audivissemus clamorem, quesivit a nobis et nostris Iudicibus suprascripta magnifica domina Samaritana, relicta dieti magnifici domini Antonii de la Scalla, cum instantia supplicando quatenus totam suprascriptam proprietatis partem terre et case pro su- prascripta extimatione ei daremus et transactaremus per nostre notitie cartam. Cum autem id quod petebatur de iure id fieri deberet, dixerunt nostri Iudices per legem et iuditium, ut totam suprascriptam proprietatis partem terre et case copertam et discopertam pro suprascriptis libris centum grossorum, eos denarios computantes pro parte suprascripte pe- cunie in suprascripta diudicatus carta contente, salvo et reservato omni eo quod continetur et legitur in suprascripta Breviarii legis sententie clamoris carta ad suprascriptam magnificam dominam Samaritanam, re- lictam suprascripti magnifici domini Antonii de la Scalla, olim nobilis civis Venetiarum, daremus et transactaremus per nostre noticie cartam ; ex iudicio igitur nostrorum Iudicum et nostra confirmatione cunctam et super totam suprascriptam et predesignatam proprietatis partem terre et case copertam et discopertam ad suprascriptam magnificam dominam Samaritanam, relictam dicti magnifici domini Antonii de la Scalla olim nobilis civis Venetiarum, pro supraseriptis libris centum grossorum, eos denarios computantes pro parte suprascripte pecunie in suprascripta diu- dicatus carta contente, salvo et reservato omni eo quod continetur et legitur in suprascripta Breviarii legis sententie clamoris carta damus et 1) Brano soppresso, che indico con B. 282 CARLO CIPOLLA — LE CASE DEGLI SCALIGERI A VENEZIA transactamus per hane nostre noticie cartam, cum omni longitudine et latitudine sua etc. secundum usum, suprascriptam magnificam dominam Samaritanam relictam dicti magnifici domini Antonii de la Scalla ab omni homine et persona in perpetuum securam reddimus et quietam; suprascriptam diudicatus cartam incidi fecimus, quam evacuamus cum omnibus suis exemplis de reliquo aliam diudicatus cartam sibi fieri man- dantes. Si quis igitur etc. Secundum usum. Ego Antonius Venerio Dei gratia Dux manu mea subscripsi. Ego Andreas Marcello iudex manu mea subscripsi. Ego Antonius Michael iudex manu mea subscripsi. (S. T.) Ego Marinus plebanus Sancti Gervasii notarius et aule in- clite Ducis Venetiarum Cancellarius complevi et roboravi. Relazione sulla memoria presentata dal Dott. Angelo Taccone, intitolata: Sophoclis tragoediarum locos me- leos.2.1 descripsit, de antistrophica responsione ete. disseruit A. T. (Aiax, Electra, Oedipus rex). È noto che si va facendo ora il tentativo di rinnovare ra- dicalmente le dottrine accolte fin qui da tutti sulla metrica greca. Giudicare del valore d’un tal tentativo in base agli scrittori greci di metrica e di musica è cosa assai ardua e forse non con- duce a risultati sicuri, vista la scarsezza e la relativa modernità delle fonti a noi pervenute e la difficoltà della loro interpreta- zione. Un mezzo più sicuro di giudizio si può forse avere ap- plicando i risultati dei più recenti studi metrici sia ai frammenti dei lirici, sia a ciò che rimane dell’antica tragedia e commedia greca, e vedendo se la critica del testo abbia o no a trovarsi soddisfatta dagli schemi metrici proposti in base a quegli studi. Questo esperimento è stato fatto dal Dott. A. Taccone nella Memoria, in cui abbiamo a riferire ai Colleghi per le parti me- liche di tre tragedie di Sofocle, l’ Aiace, l’ Elettra e V Edipo Re. Il lavoro presentato dal Taccone è assai interessante in quanto mostra che le teorie nuove rendono inutili molti emendamenti che s'era creduto necessario introdurre per ragioni metriche nel 283 testo, senza che sempre potessero ritenersi a sufficienza giustificati sia filologicamente, sia paleograficamente. E perciò la memoria del Taccone, pur non risolvendo definitivamente il problema di cui si fece parola, fornisce però certo importanti elementi per la sua soluzione. Inoltre essa si raccomanda altresì per l’assennatezza con cui l’autore cercando di ricostituire il genuino testo sofocleo, sottopone a critica, nei casi in cui è necessario ricorrere alle congetture, quelle che da altri sono state proposte e fa tra esse la sua scelta; nè mancano qua e là congetture ed interpretazioni originali, che sembrano assai degne di considerazioni. E perciò la Commissione propone che la Memoria del Dott. Taccone sia ammessa alla lettura. DI Pezze G. DE SANCTIS, relatore. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Torino, Vineenzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RK. Principi. ‘Wega Risto seit sierAnbinti TT. iva META lic ID “ar Ti tana: MICitio rtf” OPADA TORE pote: ’ i POVXTARI fil 190 ifrionii 313 LI DIRO degli Ulsso 0180, SE SIniot #03 na A DI ì Bn) ‘ i Da nia da Biadicnize paesi (100 iaia nane (ui 190 della PL ODONT ia | Houioe Peo] ONSIIOO fi viiudidaooi ih oba = Chest È ils Mriaoni to Mbeesoa n AUS TT an roi NIGITI, OR RP PRTATA PIV NES QUeN "Vale CIA CI SGO UP CNRITA CIMA NEI TIt.) pobetfis 3lenp fa ì wi { (48° x (3 (TORNATORE TONI 9 ITS ION RIO RU SANTE ETRE i it i ro bienoy Jb angoli isgzn one1dotei ai tia ‘ i d Ti (RATTI ia] tiod i isb'artani Md 00 Ai MELCRO È asolt n404#5È Vi i : e bi 4 * w ® Vl tai 4 CLASSI UNITE Adunanza del 22 Gennaio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali: SALvaporI, Direttore della Classe, NAccARI, CAMERANO, JADANZA, Foà, GuarEscHI, Gurpi, FiLeti, PARONA, MATTIROLO, MoRERA e Grassi; scusa l’assenza il Socio SEGRE; della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche: FerRrERO, Direttore della Classe, Rossi, Prezzi, CrPOLLA, CARUTTI, Pizzi, SAvio, De SanorIs e RenIER Segretario; scusa l’assenza il Socio RUFFINI. Si approva l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 15 gen- naio 1905. Si procede al conferimento del premio Gautieri per la storia (triennio 1901-1903). Giusta la proposta fatta nella relazione, l'Accademia con votazione palese unanime, vota la divisione del premio in due parti uguali; quindi, a schede segrete, conferisce la prima parte del premio al prof. Giacinto Romano dell’ Uni- versità di Pavia per l’opera: Niccolò Spinelli da Giovinazzo, di- plomatico del secolo XIV, Napoli, 1902, e la seconda parte al prof. Angelo Cotini, Direttore del Museo Preistorico-Etnografico Kirkeriano in Roma, per l’opera: /! sepolereto di Remedello Sotto nel Bresciano e il periodo eneolitico in Italia, stampata nel “ Bul- lettino di paletnologia italiana ,. _————_— y _____—r——yyT Atti della R. Accademia — Vol. XL. 19 286 CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 22 Gennaio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono. presenti i Soci: SALvapori, Direttore della Classe, Naccari, FiLeti, JADANZA, Guipi, MorERA, Foà, GrassI, PARONA, GuarEscHI, MatTIROLOo e CAMERANO Segretario. — Il Socio SEGRE scusa la sua assenza. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente presenta a nome del Socio corrispondente prof. Augusto Chauveau i due lavori seguenti: 1° L’énergie dé- pensée par le travail interieur des muscles dans leurs divers modes de contraction; 2° Animal thermostat; a nome del Socio JApanza la sua opera: Tavole tacheome- triche centesimali. Il Socio GuaRrescHI presenta un suo lavoro stampato inti- tolato: Della pergamena con osservazioni ed esperienze sul ricupero e sul ristauro di Codici danneggiati negli incendi e Notizie sto- riche, Torino, 1905. Vengono presentate per l’inserzione negli Atti le note se- guenti: 1° Francesco Severi: Sulla differenza tra i numeri degli integrali di Picard, della 1% e della 2* specie, appartenenti ad una o 287 superficie algebrica, dal Presidente D'Ovipro a nome del Socio SEGRE; 2° Dott. Ernesto LauRrA: Sulle equazioni differenziali ca- noniche del moto di un sistema di vortici elementari, rettilinei e paralleli, in un fluido incompressibile indefinito, dal Socio MorERA; 3° Efisio FERRERO: Osservazioni meteorologiche fatte nel- l’anno 1904, dal Socio NAccaRI. Il Socio MarmTIRoLo legge anche a nome del Socio PARONA la relazione intorno alla memoria del Dr. Giovanni NEGRI, inti- tolata: La vegetazione della collina di Torino. La relazione favo- revole viene approvata all'unanimità. Quindi con votazione se- greta la Classe approva all'unanimità la stampa del lavoro del Dr. NeerI nei volumi delle Memorie accademiche. Il Socio CAmeRANO presenta una sua Memoria intitolata: Antonio Vallisneri e i moderni concetti intorno ai viventi. La Classe con votazione segreta accoglie ad unanimità detto lavoro pel volume delle Memorie accademiche. _——_—_——<" 288 FRANCESCO SEVERI LETTURE Sulla differenza tra i numeri degli integrali di Picard, della 1° e della 2° specie, appartenenti ad una superficie algebrica. Nota di FRANCESCO SEVERI. Il teorema da me recentemente dimostrato, circa l’irrego- larità delle superficie algebriche che hanno la connessione li- neare p,>1l, cioè che posseggono integrali di Picard trascendenti e della 2? specie (*), è stato ora invertito dal sig. EnRIQUES, il quale, mediante la rappresentazione sul piano multiplo, è riu- scito a costruire sopra ogni superficie irregolare sistemi continui di curve, non contenuti in sistemi lineari (**): donde, mediante un noto procedimento di HumBert (***), segue l’esistenza sulla superficie di integrali di 1* specie, e. quindi il fatto che la con- nessione lineare è >1. Io avevo già composto una dimostrazione diretta di questo ultimo fatto, la quale mi conduceva inoltre alla conclusione che il numero r degl’integrali di 2* specie algebricamente distinti (r=p,— 1), supera di p= A, — A unità il numero gq degl’in- tegrali di 1° specie linearmente indipendenti; P,, P, denotando i generi, geometrico e aritmetico, della superficie. Ma alcune difficoltà incontrate nei dettagli del ragionamento, mi hanno consigliato a differirne la pubblicazione, tanto più che l’ugua- (*) Nella mia Nota, Sulle superficie algebriche che posseggono integrali di Picard della 2* specie (° Rend. della R. Ace. dei Lincei ,, 1904, 2° semestre) trovasi riassunta la dimostrazione, che è esposta, con tutti i dettagli, in una Memoria in corso di stampa nei “ Mathematische Annalen ,. (*#*) Il lavoro del prof. Exriques, su tale argomento, sta per uscire nei “ Rend. della R. Accademia di Bologna ,. (***) Cfr. Humeerm, Sur quelques points de la théorie des courbes et des surfaces algébriques (* Journal de Math. ,, 1894). SULLA DIFFERENZA TRA I NUMERI DEGLI INTEGRALI, ECC. 289 glianza r=p + gq, si può stabilire, in modo rapido ed elegante, come si vedrà in questa Nota, una volta ammessa la comple- tezza della serie caratteristica di un sistema algebrico com- pleto (*), che è stata dimostrata dal sig. Enriques nel lavoro testè citato. Tuttavia debbo avvertire che, a quanto sembra, la inver- sione diretta del teorema enunciato nella mia Nota della R. Ac- cademia dei Lincei, conduce pure a costruire sulla superficie sistemi completi di curve, non lineari; ma su ciò spero di poter ritornare (**). 1. — Diciamo $ un sistema algebrico irriducibile 0! (senza punti base) di curve algebriche irriducibili, tracciate sulla super- ficie F di equazione Pay pen) =0 una curva piana i cui punti rappresentino le curve di S. Con #, v indicheremo il grado e l’indice del sistema, cioè risp. il numero dei punti comuni a due curve di S, e il numero delle curve del sistema che passano per un punto di F. Tra la curva @ e la superficie Y nasce una corrispondenza algebrica, ove ad un punto & di @ (***) si associno tutti i punti della curva di S che (*) Per la definizione della serie caratteristica di un sistema continuo ved. la mia Nota, Osservazioni sui sistemi continui di curve appartenenti ad una superficie algebrica (° Atti della R. Acc. di Torino ,, t. XXXIX, 1904). (**) [Dopo aver licenziato il presente lavoro, ho saputo che il sig. Ca- srELNUOvo aveva inviato all’Accad. delle Scienze di Parigi una Nota (pre- sentata il 23 gennaio), in cui egli dimostra sommariamente che il numero g degl’integrali di 1* specie è uguale a P,— Pa; donde, mediante il teorema enunciato al n° 2 della mia Nota lincea, si ricava, per altra via, che r=p+ 9g. — La stessa relazione (r= p + 9), che il sig. Enriques ebbe la cortesia di enunciare per mio incarico, in una sua Nota, inserita nei “ Comptes rendus , dell’Accad. suddetta (seduta del 16 gennaio), trovasi dimostrata (coll’aiuto di una certa equazione differenziale), nei “ Comptes rendus , dello stesso giorno, dal sig. Prcarp, insieme al teorema fonda- mentale della mia Nota lincea (29 gennaio 1905)]. (***) Quando non vi sia ambiguità, seguendo l’uso comune, un punto di @ o di Y' s’indicherà colla lettera che ne designa la 1* coordinata. 290 FRANCESCO SEVERI corrisponde a &. Se, come supponiamo, v>1 ed il sistema $ non è composto con un’involuzione, cioè le v curve di S che passano per un punto generico di /, non passano tutte in conseguenza per altri punti della superficie, su @ si ha una 00°, 2, di gruppi di v punti, razionalmente identica ad : ogni gruppo è imma- gine di un sol punto di /, e per due punti di @ passano # gruppi (cioè n è l'indice e v il grado del sistema 2). Senza introdurre alcuna restrizione, possiamo supporre, una volta per sempre, che il sistema S non abbia alcun legame par- ticolare col fascio delle curve segate su F dai piani y==cost; e che inoltre il punto a di @, che rappresenta una curva fis- sata C di S, sia al finito e semplice per la ®, e che non pre- senti alcuna particolarità rispetto agli assi di riferimento. Costruiamo su un integrale abeliano w(zn), dovunque finito, tranne che nel punto «, ove presenti un polo del 1° ordine. Al- lora, dicendo &; &, ... &, i v punti di @ corrispondenti al punto « di F, la somma w(E,01) + w(E02) + ... + w(Em) { si trasformerà in un integrale di Picard J(xy2) = {Adx + Bdy, relativo alla superficie F (A, B son funzioni razionali del punto (ry2) variabile su /). L’integrale / si conserverà finito in ogni punto di Y non appartenente alla curva C; ma quando x tende id ad un punto generico di C, uno dei termini della somma Zw(%;n;) t=1 tende all’infinito, senza che lo stesso accada di nessuno degli altri, onde anche J tenderà all’infinito. È pur facile vedere che la curva C'è polare per l’integrale J, cioè che trattasi di un integrale di 2* specie. Invero, mentre il punto x di / descrive un ciclo lineare 0, infinitamente piccolo, avvolgente il punto generico xy di €, l'integrale / aumenta della somma dei valori di w(zn) lungo i v cicli infinitamente piccoli, che corrispondono a 0. Ma siccome in ogni punto di @ è nullo dw de ? che il valore di J lungo 0 è nullo, e quindi che il punto x, è un polo. il residuo della funzione razionale integranda si conclude dC TTI Tr —___em SULLA DIFFERENZA TRA I NUMERI DEGLI INTEGRALI, ECC. 291 Lo stesso fatto si prova colle considerazioni che andiamo ad esporre, dalle quali risulta di più che per l'integrale J la C è una curva polare del 1° ordine, cioè che l'integrale /(xy02), re- lativo alla sezione £ di Y col piano generico y= y, presenta un polo del 1° ordine in ciascuno dei punti ove £ incontra C. La corrispondenza tra pg ed / subordina una corrispondenza algebrica tra i punti delle curve @ ed £, nella quale ad ogni punto £ di @, corrispondono i punti in cui la curva £ è segata dalla curva di S, omologa di Z. Fissiamo l’attenzione sopra uno dei punti (07020) in cui E sega C, ed osserviamo che il punto xy non è nè doppio nè di diramazione per la suddetta corrispon- denza; giacchè risulterebbe doppio solo se coincidesse col punto di contatto di un piano y= cost, tangente a C, e risulterebbe . di diramazione solo se coincidesse con un punto del gruppo G, y comune alla C e alla curva di S infinitamente vicina; mentre queste posizioni debbono escludersi, per la genericità del piano segante. Limitando pertanto la corrispondenza agli intorni di x, e di uno dei punti &) = a, 2, ..., & di @, che sono omologhi di o, avremo una corrispondenza analitica biunivoca; donde segue che x è funzione uniforme di &, nell’intorno del punto £°; e vice- versa che &, è AnzioNe uniforme di x nell’intorno di x. É giacchè i punti xo, #7, #8, ..., &, possono supporsi tutti al finito, si conclude che le suddette funzioni uniformi son pure regolari, negli intorni in cui esse son definite. — Avremo dunque nell’intorno di L= Lo + ci(&, = zi) + C9(E == 3h L- 0009 !d ove c,, essendo uguale al valore | o assunto dalla £ nel =) dE, = punto &î, è diverso da zero, per la Esncticità di x, lungo la curva €. Inoltre anche w(Ene), w(E33), ..., w(£,n,) risulteranno funzioni uniformi e regolari di x, nell’intorno di (20020); @ quindi, in quest’intorno, sarà: I(ryo)}=w(En)+w(Ena) +... +w(Ein)+%(e-)+ 4 (e-) +... donde si trae: (e — x)I(cy02) = w(Ema) [cx (E — 21) + coll — E° + ...14 +e) (En) +... Ae2Jw(EMM+ 4 (e) +k(1-2+..... 292 FRANCESCO SEVERI Passando al limite per < = x, e quindi per &,=Z?, verrà: lim (2 — x0)/ (140) = cs lim(E, — E)w(Em:), z=z10 x=Io0 ili dalla quale si rileva che ogni punto di C è un polo del 1° or- dine per l'integrale /. Inoltre quando il punto x, si avvicina ad un punto del gruppo G, la (SE) varia con continuità tendendo 1 a zero, perchè due dei punti & corrispondenti ad x, tendono a coincidere in a. Ne segue che in ciascun punto di G si annulla la funzione razionale residua (di rango 1) individuata da / su C(#); e siccome G appartiene alla serie caratteristica di C (**), si con- clude ch’esso non è altro che il gruppo caratteristico individuato da J sulla propria curva polare. Se si considera il sistema algebrico completo M, che con- tiene totalmente S, e si applica il teorema di EnRrIquEs, già citato, si vede che ogni gruppo caratteristico di C è segato da una curva © di M, infinitamente vicina a C. Siechè costruendo entro .V, in uno degli infiniti modi possibili, un sistema alge- brico irriducibile 00!, che contenga C e ©, mediante il proce- dimento sopra esposto, si giunge a dimostrare che: Se una curva irriducibile C, appartenente ad una superficie algebrica F, è contenuta totalmente în un sistema continuo almeno ov, esiste sempre su F un integrale di 2° specie, che diviene infinito (del 1° ordine) soltanto lungo la C, e che individua ivi un gruppo caratteristico, comunque prefissato. (*) In un punto # di C il valore di questa funzione razionale residua | = \ Di ciò si potrebbe profittare per dimostrare che i poli della funzione residua cadono nei punti di con- tatto dei piani y= cost. tangenti ©, e nei punti all’infinito della curva stessa; mentre gli zeri cadono in quei punti di C ove il piano tangente ad F è parallelo all’asse 2, e nei punti della curva polare ove è regolare l'integrale abeliano /(x72) (con 7 parametro variabile). Questi ultimi punti costituiscono il gruppo caratteristico individuato da J su C. (Ved. la mia Nota della R. Acc. dei Lincei). (**) Cfr. col n° 4 della mia Nota, Osservazioni sui sistemi continui... differisce per un fattore costante da I eg SULLA DIFFERENZA TRA I NUMERI DEGLI INTEGRALI, ECC. 293 2. — Nel lavoro, già citato, sugl’integrali di 2* specie appartenenti ad una superficie algebrica, ho dimostrato che, mediante sottrazione di funzioni razionali, ogni integrale di 2% specie appartenente alla superficie /, può ridursi ad un inte- grale che divenga infinito (del 1° ordine) soltanto lungo una curva irriducibile C, priva di punti multipli, appartenente ad un sistema lineare regolare (sprovvisto di punti base). Se d è la dimensione del sistema lineare completo |C|, sarà d -14 P, — P., la dimensione della serie caratteristica completa esistente su C (e quindi d + P, — P, la dimensione del sistema algebrico completo che contiene totalmente |C]). Sulla serie caratteristica completa prendiamo una serie li- neare 9, di dimensione P, — P, — 1, che non abbia gruppi co- muni colla serie /) segata su C dal sistema |C|, e diciamo G, Gy... G(p=’,—-), p gruppi di 9g linearmente indipen- denti. Siano inoltre J, Js .../, p integrali di 2* specie, che diven- gano infiniti del 1° ordine soltanto lungo ©, individuando ivi risp. i gruppi scelti G, G,...G, (n° prec.), ed /;L...L, i q inte- grali linearmente indipendenti, di 1% specie, appartenenti ad Y. Allora è facile vedere che gl’integrali /,...1,J1...J,, consi- derati complessivamente, sono distinti, cioè che una loro com- binazione lineare a coefficienti costanti (non tutti nulli), non riducesi mai ad una funzione razionale. Dicansi invero ®;®3..., le funzioni razionali residue indi- viduate su C dagl’integrali J,J3...J, e si ricordi che le @ hanno gli stessi poli (ved. la nota (*) a piè della pag. precedente), e per zeri rispettivi i punti dei gruppi Q.-+-G,, Q+ Go, ..,.0+6G,, ove 0% è il gruppo dei punti di contatto dei piani che toccano in punti di C e son paralleli all'asse 2. Ciò posto, se avessimo: VA E pn bi XI, Ss” EA sa nice sta A == R(xy2), ove le ), u son costanti, non tutte nulle, ed È è una funzione razionale (necessariamente infinita — del 1° ordine — soltanto lungo 0), la funzione residua y(xy2) individuata da su C, sa- rebbe data da y(#y2) = M1®1 + MoPa +... + HP, 294 FRANCESCO SEVERI onde il gruppo base H del fascio F= cost, apparterrebbe alla serie g, il che è assurdo, perchè H sta nella serie #. Se ora fissiamo d gruppi linearmente indipendenti H;Hs...H, della serie X, e diciamo PR, R....R; d funzioni razionali che diven- gano infinite (del 1° ordine) soltanto lungo €, e che individuino ivi risp. i gruppi base H;/H3...H;, € W1Ws...y; le relative funzioni residue, poichè un gruppo caratteristico qualunque risulta linear- mente dipendente dai gruppi /H,...H;G,...G,, dicendo J un inte- grale di 2° specie, che divenga infinito (del 1° ordine) soltanto lungo la €, e @ la relativa funzione residua, avremo: = Vidi +... + Vada + HP + «+ + Hp) onde l’integrale petti VII Lin Mede, pro Vili Gi UA Te ea bot; individuando su © una funzione residua identicamente nulla, sarà di 1° specie; cioè avremo: JM +. PA + Midi +... + do + funz. razionale. Ricordando il teorema che ho richiamato al principio di questo n°, si conclude che la superficie Y possiede p+-g inte- grali distinti di 2* specie. Dunque: Data una superficie di generi P,, P., l'irregolarità P, — Pa della superficie, è uguale all'eccesso del numero degli integrali di- stinti di 2° specie, sul numero degl’integrali indipendenti di 1 specie, che ad essa appartengono (*). In altri termini: Se la superficie F possiede q integrali indipendenti di 1° specie, questi integrali hanno q + P, — P. periodi. Si osservi che per una superficie irregolare (P,>P) è sempre g>0, perchè altrimenti ogni sistema algebrico completo, in essa contenuto, sarebbe lineare (**), contrariamente al teo- rema di ENRIQUES. (*) Nel mio lavoro citato sì dimostra soltanto che quest’eccesso non supera Py — Pa. (**) HumBert, loc. cit. SULLA DIFFERENZA TRA I NUMERI DEGLI INTEGRALI, ECC. 295 8. — Sia Wii Wia ... Wir Wal Wag ... War Wai Wa A SS la tabella dei periodi degl’integrali /,/3...I,, di 1° specie e linear- mente indipendenti, che appartengono ad F; a, la parte reale e Gall=1 la parte immaginaria del periodo w,. Se A(i=1,...,9) è un integrale di 2? specie, avente per periodi 0,1, ;g, ..., Qi; € B;(i=1,...,9) un altro integrale di 2% specie, avente per pe- riodi 81, ..., Bi», gl'integrali A;....4,B,...B, saranno distinti. Invero, nell'ipotesi contraria, esisterebbero dei numeri )...},4...k7, non tutti nulli, soddisfacenti alle relazioni: Mg + Ae +... + N07, + Br +. + Ba = 0 (k=1,...7); e a causa della realità dei coefficienti di queste equazioni, si po- trebbero sempre ridurre i numeri ), u ad esser reali. Dopo ciò l'integrale > (hi; + AV—1)Z, verrebbe ad avere per periodi i i=l numeri: zu sf \ YV=-1) (0, = Bi V-1) (k= I, O00E) r), che, in virtù delle relazioni ammesse, riduconsi alle quantità reali Suoi \,8,). L'integrale di 1% specie X(u, + NY IL si i=l ridurrebbe perciò ad una costante, cioè gl’integrali /,...I, sareb- bero dipendenti: contro il supposto. Si conclude pertanto che la superficie PF ammette almeno 2q integrali distinti di 2* specie, e quindi, in forza del teorema dimostrato al n° prec., avremo: 2g2g+ PB, — Pa; cioò: g£ P, — P.. Dunque: Una superficie algebrica F di generi P,,P,, ammette al più P,— Pa integrali indipendenti di 1° specie (*). (*) Si confronti questo teorema colla proposizione dimostrata al n° 7 della mia Nota, Osservazioni sui sistemi continui... [Ved. pure la nota (**) a piè della pag. 4 del presente lavoro]. 296 ERNESTO LAURA In particolare, se P — P,.=1, dovrà essere 0. Al

ia P, tang I Mr ms My ms ossla Lo DE mM d tane! uPridPs. 2 Il DI mu (Pe _ Psh Gi Psr —Prh ) 213 i=l «de dt 5 Lr rr Ls T Frs Prs \ Psr Psh i, T Pre o Mr ms Il 2° membro di questa equazione è funzione solo delle p,x, quindi quando si sia integrato il sistema V), esso diverrà una funzione nota del tempo, e perciò a meno di una quadratura in funzione del tempo potrà calcolarsi: SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI CANONICHE, ECC. 305 Otteniamo così l'integrale che ancora ci abbisognava nel- l'ipotesi posta, per ottenere la soluzione completa del sistema I). Qualora fosse: si ricava agevolmente l’equazione: : pr Si 2a ( ai Lil + 2b(p. — pi) = ® MaPxr T da MnPih k=1 h= mi Mk dalla prima sommatoria dovendosi escludere l’indice £, e dalla seconda l’indice 7. Se questa equazione si considera simultanea- mente con la seguente: (EL (pp = pa mi Mk scorgesi che i binomî: sono funzioni note delle p;,, e supposto quindi di aver integrato il sistema V), diverranno funzioni note del tempo. D'altronde: n CREA D Asi | LL n) ALERT Pi \ Mi Mk k=1 quindi con una ulteriore quadratura si otterrà p; in funzione del tempo. DIE, Consideriamo un sistema di 2w vortici, ed osserviamo che supposto: Mi Misn (io, 2,1...,9) 306 ERNESTO LAURA il sistema Hamiltoniano (1) è compatibile con le posizioni: Li i wi Tin Pi == Pitn == k 2, DELE) n) dunque: Se 2n vortici rettilinei inizialmente sono due a due sim- metrici rispetto ad un punto, tali si conserveranno durante l’in- tiero moto. Il sistema V) si riduce, in questo caso, con (2n —1) varia- bili indipendenti; il poligono nei cui vertici stanno i suddetti 2n vortici riesce infatti determinato, quando determinato sia il poligono nei cui vertici stanno » dei suddetti vortici non sim- metrici, ed il centro di simmetria. Di questo sistema sono poi conosciuti due integrali, quello delle forze vive, e quello del momento di inerzia dei vortici suddetti rispetto al centro di simmetria; si conclude quindi che conosciuti altri n — 4 integrali il problema della integrazione si riduce alle quadra- ture. In particolare: Le equazioni finite del moto di quattro vortici a coppie simmetrici rispetto ad un punto si ottengono mediante quadrature. La integrazione delle equazioni differenziali del moto in questo caso particolare si può avere integrando dapprima il sistema differenziale nelle p,, e poscia, osservato che il centro di simmetria è fisso durante il moto, poichè le azioni velocitanti esercitantesi su di esso dovute ai dati vortici sono a coppie eguali e contrarie, prendere questo punto come polo di un si- stema di coordinate polari. Se allora (p;,0;) sono le coordinate del vortice di intensità m,, avremo: A fe Piitn 4pî Vikit;a D_ NI MA (Prtecbetnt rta RA | 4 M dt T Pintn Pi,h Pitn,h T Pi,itn ove si è posto: M=%m, i=1 La seconda di queste formole ottenendosi da una formola SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI CANONICHE, ECC. 307 del numero precedente quando si osservi che nel caso attuale si ha: VERS —1 Pi 7 Pin gi taingo e, Li Litn Mi Mitn Le equazioni precedenti quando siasi integrato il sistema V) dànno dunque a meno di una quadratura la soluzione completa del problema. Passeremo a considerare il moto di quattro vortici simme- trici a coppie rispetto ad un punto. Ponendo: Mmi=M3 === 0. La variabile « avrà allora un massimo: ie= V B 310 ERNESTO LAURA ed un minimo: u=VA e durante l’intiero moto varierà tra questi valori estremi. Dall’essere : ==79,0 a_i) 2VB= la_0l x te uVk. ua di Y I=+4VkVut—A.u discende inoltre che il valore massimo di « (e quindi pure il valore massimo di v) corrisponde ad «= y, ed i valori minimi di queste stesse variabili corrispondono ad I= 0. Poniamo ora che inizialmente sia: Dirt A RIA La « resta funzione decrescente del tempo sino a raggiun- Qrisat gere il suo valore minimo VA. In questo intervallo di tempo si ha: du Pra 0 e quindi: (y—-2I>0 e poichè inizialmente / >0 sarà in questo intervallo: e D'altra parte: d di (y— 2) si annulla con /; sicchè allorquando « raggiunge il suo minimo (y—x) è massimo e >0. Nei primi istanti successivi a quello in cui / si annulla si ha: poichè ora la w è funzione crescente del tempo, e quindi: (y—-x)I<0 SULLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI CANONICHE, ECC. 311 e poichè: y-a>0 sarà: 0 ossia Z annullandosi passa dal positivo al negativo. Proseguendo un simile ragionamento perverremo a trovare il comportamento del moto negli intervalli. Vel SOR QST, SR avendo posto: pe © f uadu 32 ], Vua— A4)(B—u0) come è indicato nella tabella: du ciù ii dee 0 u, v sono massimi Qt 0 I>0 y_e>0 IU “20 I=0 y—x è massimo; , v sono minimi TU2r “> 0 I<0 y—_x>0 iii di = 0 IRE AAA), u, v sono massimi 2TsT “ <0 I<0 y—e<0 iI. Si =0 I=0 y—« è minimo; «, v sono minimi STAT 2 > 0 I>0 y—a<0 t=4T “0 I>0 y—-a=0 u, v sono massimi. Dalle equazioni VI) si ricaveranno le equazioni delle traiet- torie. Possiamo a questo riguardo osservare che la traiettoria del vortice m è alternativamente tangente ai due cerchi aventi per centro quello di simmetria dei vortici e di raggi rispetti- vamente uguali a: I tratti di essa corrispondenti agli intervalli: 0-27. STAT. saranno sovrapponibili mediante una rotazione attorno al centro di simmetria. Analogamente per la traiettoria del vortice — w. Relativamente al caso: —1 Annulus 1a Adminiculum ; i Du femoralis \ lineae albae do x Caquaa 1 Ligamentum Lig.lacunare uieni rotundum pubo+ransversalis (Gimbernati) Lit.Salussolia-torino MODESTO PANETTI — TEORIA DELLA RESISTENZA, ECC. 349 Teoria della resistenza delle piastre tronco-coniche e sue applicazioni al calcolo di alcuni organi meccanici e dei serbatoi cilindrici. Nota dell’Ing. MODESTO PANETTI. (Con una Tavola). 1. Premesse. — Si considerano nel presente studio piastre aventi spessore costante, costruite di un materiale omogeneo ed elasticamente deformabile, in forma di scorze tronco-coniche, saldate per la base minore a nuclei perfettamente rigidi, e libere lungo il contorno della base maggiore. A questa struttura schematica si possono paragonare gli stantuffi conici, usati nelle macchine a vapore con cilindri di grande diametro, quando si faccia astrazione dall'azione irrigi- dente dell’orlo rinforzato, di cui sono muniti per trattenere l’or- gano elastico di tenuta. Come casi speciali del modello che ci siamo proposti stu- diamo quelli in cui la semi-apertura del cono uguaglia l’angolo retto o si annulla. Al primo corrispondono le piastre piane a corona circolare, trattenute da un nucleo centrale indeformabile (stantuffi piani). Al secondo le piastre cilindriche nascenti da una base rigida che ne costituisce il fondo, e libere in vece in corrispondenza dell’altra estremità. Tali sono i cilindri di alcune macchine a gas e quelli dei torchi idraulici, le capsule per le prove di compressione dei liquidi e dei materiali polverulenti, e, nel campo delle costruzioni civili, i serbatoi cilindrici. Eccezion fatta per questi ultimi, la cui teoria verrà indi- cata a parte, le forze sollecitanti le piastre sono nei casi pratici citati ripartite uniformemente sulle loro superficie sotto forma di pressioni. Per semplificare il problema supporremo applicata diretta- mente alla superficie media della piastra la differenza delle pres- 350 MODESTO PANETTI sioni che operano in sensi opposti sulle due sue faccie, il che non può alterare in modo sensibile i risultati nel caso di piastre di spessore non troppo rilevante rispetto all’ampiezza. Per tali piastre in oltre è più facilmente giustificabile l’ipo- tesi fondamentale della presente teoria, secondo la quale si am- mette che le fibre materiali, rettilinee, dirette normalmente alla superficie media della piastra, non si deformino, mentre detta superficie si inflette: e ciò per analogia colla legge dell’invaria- bilità delle sezioni trasversali, posta dal Navier a fondamento della teoria elementare dei prismi inflessi. Importa poi fin d’ora notare come, in conseguenza delle due predette ipotesi, si trascurino gli sforzi interni diretti nor- malmente alle superficie premute, e si possano prendere subito in esame gli elementi piccolissimi di 2° ordine aventi una di- mensione uguale all'intero spessore della piastra; in vece di ricorrere alle equazioni generali dei sistemi elastici, che si de- ducono, come è noto, dalle condizioni di equilibrio di elementi infinitesimi del 3° ordine. Di questo modo approssimato di procedere nello studio sta- tico delle piastre furono già dati esempi nelle opere del Grashof e del Foppl. Esso semplifica il problema, permettendo di giun- gere a parecchi risultati adatti al calcolo numerico. 2. Condizioni di equilibrio fra le tensioni interne. — La piastra tronco-conica di spessore costante %, rappresen- tata con una sezione diametrale AB nella fig. 1, sia incastrata in modo perfetto lungo il labbro interno di traccia AA al nucleo rigido. Indicheremo con 6 la semiapertura della superficie conica media di vertice V, che, per effetto della pressione simmetri- camente distribuita rispetto all’asse è della piastra, si trasfor- merà nella superficie elastica di rivoluzione intorno ad ?î, avente per traccia la curva A4,B'. Siano r ed È i raggi delle circon- ferenze di base della superficie media, e quindi la lunghezza delle sue generatrici. TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 351 Chiameremo sezione normale della piastra ogni sezione S fatta con un cono complementare del cono medio, avente il vertice sull'asse i; e la definiremo in posizione, dando la lunghezza x dei segmenti di generatrice del cono medio compresi fra la base minore e la sezione S. È chiaro che, in virtù della già notata simmetria della piastra e delle forze ad essa applicate, sulle sezioni diametrali si svilupperanno soltanto tensioni normali 0,. In vece sulle sezioni coniche esisteranno al tempo stesso tensioni normali 0, e ten- sioni tangenziali. Principiamo dal calcolo di queste. Perciò stacchiamo un elemento compreso fra due sezioni diametrali formanti l’angolo da, fra il lembo libero della piastra e la sezione normale di ascissa x. Lo si vede rappresentato in pianta nella fig. 2 col contorno C,CB3B,. Esprimiamo poi che le pressioni applicate dall’esterno a questo elemento sono equilibrate dalle tensioni, che si sviluppano sulle faccie messe a nudo dai tagli immaginati. La risultante di dette pressioni, tenuto conto della prima delle due ipotesi enunciate nel prece- dente $, è pa “igre sa] da, Ss 1 (1) Bilrziha È ove p indica la differenza fra le pressioni agenti sulle due faccie della piastra, riferita all’unità di area, e, per brevità di nota- zione, sta scritto s invece di sen 0, come in avvenire si porrà: coste tang0=. Intenderemo in oltre che p sia preso con segno positivo, quando prevale la pressione applicata alla faccia interna; abbia in vece segno negativo nell’ipotesi opposta. Così i due casi pos- sibili rientrano in una trattazione unica. Definiamo la posizione di un elemento su di una sezione diametrale qualsiasi coll’ascissa x della sezione normale S che lo incontra e colla sua distanza 2 dalla superficie conica media della piastra, positiva se diretta verso l’interno. Allora le ten- sioni 0,dxd2 che si sviluppano su due elementi di uguali coor- dinate x e 2, appartenenti alle sezioni diametrali A4,B,, 43B,, Io2 MODESTO PANETTI che limitano lo spicchio tronco-conico preso in esame, hanno lo stesso valore, e ammettono quindi una risultante : 0; dx dz da, giacente nel piano di simmetria di detto spicchio e diretta oriz- zontalmente. Proiettando queste tensioni risultanti sulla direzione in cui agisce P, e sommandole poi per tutto lo spessore % della piastra, IS h h ti cioò da z=—- fino a 2=+ 5, ® per tutto 1 intervallo compreso fra la sezione di ascissa x e l'estremo lembo B di ascissa /, si ottiene il 2° termine dell’equazione di equilibrio cercata: ; Cole eda | ‘na Î n 0ed2. 2 Di x ba —__ Data la solita convenzione sul segno delle tensioni normali, l’espressione precedente rappresenta una forza diretta verso l’in- terno della piastra conica, quando risulti numericamente >Q0; quindi va presa con segno opposto a P, e sommata collo sforzo di taglio 7da, ripartito sulla faccia S. Onde risulta: h (2) o (ide ( È 6d: pa + 3 | R°-r — 2rx — sx? |. Ss h 2 2 Stacchiamo ora dallo spicchio del tronco di cono conside- rato un elemento infinitamente piccolo di 2° ordine, per mezzo di un’altra sezione normale S; distante dx dalla sezione S, e proponiamoci di esprimere le sue condizioni di equilibrio. Sulla faccia S esistono le tensioni normali 0,, la cui risul- tante è (3) da | (r + sx — c2)0,d2, (e poichè 0,, sempre in virtù della simmetria del sistema, è fun- zione soltanto di + e di 2, e ha quindi in una data sezione S lo stesso valore per tutti i punti di ordinata 2. TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 358 Normalmente ad S; dev'essere applicata una tensione totale calcolabile come la (3), ma il cui valore differisce dal prece- dente dell'incremento dell’espressione scritta calcolato rispetto ad x. E ciò in virtù della legge di continuità colla quale certo variano da punto a punto della piastra le tensioni considerate. Detto incremento: SE da da da nl +so —ca)0 di: |> misura dunque la risultante delle tensioni normali applicate alle due faccie opposte S ed S,, è rappresenta una forza che, se- condo le convenzioni fatte, è positiva nel senso in cui cre- scono le x. Hanno invece senso opposto le proiezioni sulla superficie conica media delle 0, dx de da, a cui si riducono, come già si è detto, le coppie di tensioni applicate a punti corrispondenti delle sezioni diametrali. La somma di dette proiezioni estesa alle faccie dell’elemento preso in esame vale: sdadx Î 0,d2, quindi per l'equilibrio alla traslazione nella direzione x deve essere: on sl (4) Di (r+se— ca) St sf " 0,de. si vw|a L'equazione di equilibrio alla traslazione in direzione nor- male ad x nulla dice di nuovo, poichè si riduce, come è pre- vedibile, a quella che si ottiene dalla (2) derivandone ambi i membri rispetto ad x. Rimane da esprimere la condizione di equilibrio fra i mo- menti, che conviene valutare rispetto all'asse passante pel punto 354 MODESTO PANETTI di mezzo G della generatrice media dell'elemento, e normale al piano diametrale che la contiene. Le 0, applicate ad S ammettono un momento risultante: h dico da | ir + sa — ce)o, eda; 2 la cui espressione, grazie alla direzione positiva scelta per le distanze 2, rappresenta effettivamente un momento positivo, se risulta >0. Opposto ad esso è il momento delle o, distribuite su S;; e in valore assoluto lo supera di quanto vale l’incremento del precedente integrale calcolato rispetto ad x, cioè di <= (+ se — ca) Sr ada +s f ,0r3d2 |. » da f [e Questa espressione, presa con segno negativo, è dunque un primo termine dell'equazione di equilibrio alla rotazione. Il momento delle 0, vale, come è facile dedurre, h — Lsdade ( 0, 2 de. vo] |> Le pressioni p hanno momento nullo rispetto all'asse scelto. Lo sforzo di taglio T'da e quello — (74% da) da, applicato alla faccia S,, dànno luogo al momento : ar da — Tdade — È dado. Nell’uguagliare a zero la somma algebrica delle tre espres- sioni dedotte si possono dividere tutti i termini per da dx, ri- ducendoli così a quantità finite, salvo l’ultimo che conserva il moltiplicatore dx, e tende quindi insieme con esso a zero. Lo omettiamo perciò, scrivendo l'equazione di equilibrio dei momenti: w|> bar AL cs | «(et+se—c2) Di edz — 8 | 07? de + 8 | o,ade=T. nia j ‘TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 355 E finalmente, sostituendo a 7 il suo valore deducibile dalla (2), si ottiene: i |> (e + sr — cz) = 2dz +8) fo "02 PA h (0, sa 0,)2 de ra D "De: 6) so — ef. de { "0,d2 ln 5 p | Sign Ira sn ) AI par s La (4) e la (5) sono le equazioni di condizione, che devono essere soddisfatte dai valori delle tensioni normali 0, e 0,, fun- zioni ignote delle coordinate x e 2. 8. Calcolo delle deformazioni. — La 2? ipotesi, posta sul finire del $ 1 a fondamento della presente teoria, tenuto conto della simmetria del fenomeno intorno all’asse della piastra, dà luogo alla seguente legge di deformazione: Le sezioni nor- mali della piastra, che sono coni complementari della superficie media, si trasformano in altre superficie coniche a base circo- lare, aventi il medesimo asse, e normali alla superficie elastica. Ciò posto il parametro fondamentale, da cui dipende il modo di deformarsi della piastra, è l'inclinazione @ dei singoli elementi della curva A4,B', in cui si trasformano le generatrici del cono medio, misurata rispetto alla posizione iniziale di queste stesse generatrici. Ricorrendo allo spostamento y di ciascun punto della superficie conica media, computato normalmente ad essa, posi- tivo verso l'esterno del cono, si ha grazie alla piccolezza del- l'angolo ©: (6) Q=- tangp= ua da Però l’esistenza di due equazioni di condizione indipendenti, come la (4) e la (5), ci avverte che non basta nel caso gene- rale un solo parametro a definire la deformazione della piastra, ma che bisogna anche ammettere una componente & dello spo- stamento dei punti della superficie media in direzione parallela alle sue generatrici. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 24 356 MODESTO PANETTI Assumeremo & positivo nel senso delle x positive. Se £ è diverso da zero la 2* delle uguaglianze (6) non è rigorosa; ma l'errore commesso è di 2° ordine rispetto alle quantità picco- lissime che misurano le deformazioni, e come tale si trascura. Sia LI una fibra materiale che incontra normalmente la superficie conica media in L, ed è lunga 2; la sua posizione finale L'I' è determinata, per quanto fu detto, dalle compo- nenti £ ed y dello spostamento di L e dall’angolo ® di cui essa ha rotato. Se ne deduce che la distanza di / dall'asse del cono è passata dal valore iniziale: per se — ce al valore finale: p'=r+ sle+8)+cy—zcos(0+@)=-r+s(x-+)}+cy—2(c—9s), sempre ammessa la piccolezza di p. Ma queste distanze p e p' sono i raggi delle circonferenze materiali, che si possono pen- sare tracciate intorno all’asse del cono nell’interno del mezzo elastico per le due posizioni / ed /' del punto di coordinate , È È £ misura la dilatazione uni- iniziali x e 2. Quindi il rapporto taria delle fibre normali alle sezioni diametrali, che, essendo diretta come la tensione 0,, indichiamo con st + cy + 29s (7) Ra % | r+ se — ce Consideriamo un’altra fibra L,/, della medesima lunghezza 2 della precedente e distante dr da essa. Segnata anch'essa nella posizione L,'I," dopo la deformazione, si vede che de + È dx Wi FOT / ' ZI TI'=L'L/'4 edo = res so + 249. L'espressione si semplifica sostituendo al solito a cos @ l’unità; e allora, potendosi esprimere la dilatazione unitaria della fibra //, come rapporto dell’allungamento /'/;"—I11I, alla lun- ghezza primitiva, risulta: dE n LP 8) “tane TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 357 Utilizzando ora le note relazioni fra tensioni e deformazioni: 1 1 1 1 e=4 (0-0) = (0, — E che sono conseguenza del principio di proporzionalità e di quello della sovraposizione degli effetti, si. deducono le espressioni di 0, e di o, in funzione dei parametri € ed y e delle loro successive derivate, rappresentate d’ora innanzi per brevità di notazione colle stesse lettere munite di apici. Esse sono: E E PA) = = 1 (n stes +8 +29" Me (9) | mE set+ey+ say, ; TE I DI] | vrt+srT- ce |! mi t mey |. 4. — Le equazioni differenziali del problema si deducono sostituendo nelle condizioni di equilibrio (4) e (5) i valori delle tensioni 0, e 0, dianzi calcolati, ed eseguendo le integrazioni rispetto a = che vi sono indicate. Posto per brevità: +i 2 (+5) +1 de s f h \ = log R ali Ea i(a+t)—e 2 (04 | — h € h +i F i Î ; si Ate bplod=; VIRA e e+t)e l'equazione (4) si trasforma nella seguente: (10) 4y+((x-4.)y+4 Lol" 4A N(+ L)e=0; mt e dalla (5) si deduce: \(rte(e+s] vr ea alia Sl AHXETÌ: k + (11) ir (deter 44 dn to N) n° E 358 MODESTO PANETTI La risoluzione dipende dunque dall’integrazione di due equazioni differenziali, lineari e simultanee, contenenti la y e la €, funzioni della stessa variabile x, ed entrambe di 3° ordine rispetto alla y e di 2° ordine rispetto alla z. Compariranno dunque 5 costanti arbitrarie che le condizioni speciali del pro- blema meccanico permettono di determinare. In fatti, essendosi supposta la piastra incastrata lungo il suo contorno interno, in corrispondenza del quale fu scelta l’ori- gine delle ascisse «x, dovrà essere per e=0: (12) yu = dggtyi=@, _ E 0 Finalmente sul lembo estremo libero, cioè per 2=/, deve annullarsi tanto la risultante finita quanto la coppia risultante delle tensioni 0,; le quali risultanti sono calcolabili per ogni elemento della superficie che termina la piastra, compreso fra due sezioni diametrali contigue, colle formole seguenti: h (13) da { “(R— c2)o, de da | Ò (Rf — c2)0,2d2. h es dr) Pd Se ne deducono le due ultime equazioni di condizione: (14) \ sE + mBE' + cy — met ye =D | — met' + sy' + mBy" =0, da verificarsi entrambe per x=/. Importa qui notare che (essendosi ammessa l’indeformabi- lità delle fibre normali alla superficie media in genere, e quindi, come caso speciale, di quelle appartenenti al cono comple- mentare che limita la piastra lungo il contorno libero) sarebbe condizione troppo restrittiva il richiedere che, per x = /, data l'assenza di forze esterne applicate al contorno, o, si debba an- nullare per tutti i possibili valori di 2. Ciò del resto condurrebbe nel caso generale a 3 equazioni, in vece delle 2 sopra indicate; cosicchè il numero totale delle condizioni supererebbe di uno quello delle quantità arbitrarie. Soltanto nel caso di piastre piane i due criteri per dedurre le condizioni al contorno libero si equivalgono. In vero, posto TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 359 nelle (14)s=1lec=0, come dev'essere per 09 = = , esse di- ventano : (14) z + mR =0 y' + mBy" = 0; e, fatte le stesse sostituzioni nella 2* delle (9), si verifica subito che queste sono le condizioni necessarie e sufficienti perchè essa sia identicamente nulla. Tale concordanza di risultati si può riguardare come una conferma dell’attendibilità incondizionata dell'ipotesi fondamen- tale sulle deformazioni nel caso di piastre piane. Per giustificare detta ipotesi nel caso generale bisogna sup- porre le piastre coniche assai sottili, e di conseguenza ritenere trascurabile il rapporto 5 rispetto all’unità. Allora le (13) e la seconda delle (9) si riducono alle forme più semplici: +5 +3 Rda (| .0,d2 Rda ( 0,2d2 (N ica . Tao E E sy \ (9) a i | 8 TEL S2Y Lom + may), dalle quali si deducono le condizioni: (14) se + mRE' + cy=0 Sy +mky"=0, sufficienti ad annullare identicamente la (9). Ciò conferma quanto è già stato detto, che la presente teoria è sopra tutto attendibile per le piastre di spessore non troppo rilevante. È però certo che l’indeformabilità delle gene- ratrici della superficie del contorno libero della piastra dev'essere favorita, anche nel caso di grandi spessori, dall’orlo rinforzato, di cui sono quasi sempre munite in pratica le piastre tronco- coniche e cilindriche. 5. Primo caso limite — Piastre piane. — Le equa- zioni (10) ed (11) si riducono a forma molto semplice e facil- mente integrabile, quando si faccia in esse: ssd c=390) FD ’ R T come dev'essere per 0 = —, 360 MODESTO PANETTI Per eseguire il passaggio al limite, basta sviluppare in serie : È 1 ui di potenze crescenti del rapporto prrrppte i le funzioni A ed X, scrivendo: 2h n 2h? ate 843 Ax +r)-h [2#(c + ») — 4)? 3[2t(x + ») — 4h)? na (xe 4) + 8% dirle 3[2i(2 + 7) — AP Ya Sostituite queste espressioni nei singoli termini delle equa- zioni citate, e cercando in seguito il valor limite di ciascuno di essi per t= co, si deduce dalla (10): , 1 , 1A PE. g (10) hu iF@+nE=0; e dalla (11), dividendo ambi i membri per — DÈ: 1205 mi—1 coi [E—(e+r?]= 0. mi (01) — y+y+etny"+6p La £ e la y riescono dunque in questo caso semplice già separate fra le 2 equazioni differenziali; e in particolare quella relativa alla y non contiene la funzione, ma solo le sue derivate successive; si può quindi abbassarne immediatamente l’ordine, sostituendo ad y' l’inclinazione @ della curva meridiana della superficie elastica. Alla (11’) del resto si può giungere in modo spedito, trat- tando direttamente, colle stesse ipotesi fondamentali, il problema della piastra a corona circolare piana, incastrata lungo il suo contorno interno e soggetta ad una pressione uniformemente ripartita. Si trova in fatti l'equazione, che esprime l’equilibrio dei singoli elementi alla rotazione, indipendente dall’eventuale dilatarsi o restringersi della superficie elastica, e collegata sol- tanto al suo modo di inflettersi. Essa non contiene quindi la &. Anzi è lecito supporre senz’altro € identicamente nullo, come è abitudine nella trattazione del problema della piastra circolare piana, appoggiata lungo il perimetro. Qui l'esattezza di tale ipotesi è dimostrabile. In vero l’in- tegrale generale della (10'), a cui la & deve soddisfare, è: E=Cle+n+=P, TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONXCO-CONICHE, ECC. 961 dove 0, e C, sono costanti che si determinano colle equazioni di condizione per la €, registrate nel precedente $ ai Ni (12) e (14'). Da esse si deduce C, = Cs = 0, come volevasi dimostrare. Si possono allora ricavare dalle (9) le espressioni semplifi- cate delle tensioni: me O asi 27 (ny li via) o entrambe proporzionali alla distanza 2 dell’elemento dalla su- perficie media della piastra, come nel problema della flessione dei prismi. Non rimane dunque che calcolare y'. L’integrale generale della (11’) è: moby la fesa (15) ip @++ +) A A+ log(1+7)| dove K, e K, sono costanti calcolabili colle solite condizioni registrate ai N! (12) e (14); e precisamente: per a=0 ua per xax=kR—r y + mBy'=0. Per mezzo di esse si ottiene: u- (m-1(R'-r5)+4R2?[(m—1) all 'immican ia log R] Br Ù (im—1)r°+(m+1)R __ 4(m+1)F'log(R/#)H(m+1b"+m—1)E® epr K,= (m—-1)r°+(m+1)R° rR?. La funzione y' resta così determinata, e per mezzo di essa sono pure definite le tensioni 0, e 0,, che si possono esprimere come segue: o=4 | @ (n Io ie (hu 1)K,— — (m — ye (m + 1)R?loga, — 4R? | 3 ue x 4 2 | Gm + De + (m+ 1)K, + m— 1) da — 4(m+ 1)R?loga, — 4mR? | 1 Lu ponendo per brevità *r +-r = x. 362 MODESTO PANETTI Importa vedere con qual legge varino dipendentemente da x; i valori numericamente massimi delle tensioni 0, e 0,, che si verificano in adiacenza alla faccia superiore ed alla infe- riore della piastra inflessa. Per quanto riguarda 0, si osservi che la derivata del tèr- mine entro parentesi, fatta rispetto ad x,, è positiva per valori di x,? minori di m Im al 4 A do = DI È: V| e sa Ka ; diventa in vece negativa per #,>%,, e rimane tale per tutto l'intervallo che ci interessa, fino a x, = RR. Dunque o, per un dato valore di 2 va crescendo da x;=r fino a x;=%, per poi decrescere fino al lembo estremo della piastra, come appare dal diagramma AB della fig. 3, le cui ordinate furono calcolate per una piastra a corona circolare coi raggi estremi scelti nel rapporto !/;. L’ascissa x, corrispondente al valor massimo di o, fu trovata a #/,0 & dal centro, adottando pel coefficiente m il valore teorico 4. La 0, in vece si può riguardare come decrescente coll’au- mentare della distanza x, dal centro per tutta l'estensione della piastra. In vero la sua derivata è negativa pei valori di x;? minori di 9 ? Il 7 1 = PSE pe Bn +1 sign) i e in seguito cambia segno. Ma l’ascissa x», a cui corrisponde necessariamente l’inversione del senso in cui varia la 0,, è molto prossima al lembo estremo della piastra, sul quale detta ten- sione, come fu dimostrato, si annulla. Non si può dunque temere che essa raggiunga nell’intervallo compreso fra x, ed È valori troppo grandi; che anzi, nel caso a cui si riferisce la fig. 3, essi riescono affatto trascurabili. Siccome poi per «= 0, cioè lungo il contorno incastrato al nucleo centrale, 0, = 0; come si deduce dalle (9'), tenendo presente che ivi y'=0; così l'equazione di stabilità va scritta confrontando al carico di si- TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO CONICHE, ECC. 363 curezza % la tensione ideale massima, che ha luogo in detta zona nella direzione di 0,. Essa vale, in virtù della (8), in cui si faccia & —= 0: hE max Ee, n DI (a ‘e quindi, eseguite le debite sostituzioni, risulta: I R* È (1m+1)log Si - (+3) r'(m—-1)+4r?R° (16) pon 1 p Ù Armi h° (m—-1)r?+(m+1)R° È Sempre assumendo m=4, la precedente formola si trasforma in quest'altra adatta al calcolo numerico diretto dello spessore 7 degli stantuffi piani a parete semplice: ; =Zy0 72 a*(46 Loga - 7)-+-40?+-3 (ar RO 5a? +3 3 } . ove si è posto a= £/r, e si indica con Log il logaritmo de- cimale del termine che segue. Supposta ammessibile, rispetto a questo genere di solleci- tazione, l'equivalenza delle piastre di struttura diversa, i cui elementi, compresi fra due sezioni diametrali contigue, presen- tino in adiacenza all’incastro uguali moduli di resistenza Wrda, si può estendere l’ultima formola al calcolo degli stantuffi a doppia parete, sostituendo /6W ad %. Si potrà calcolare W, immaginando sviluppata in un piano la sezione cilindrica di in- castro, valutando per essa il modulo di resistenza, e dividendolo per 2rr, e ciò allo scopo di tener conto delle nervature di rin- forzo, che si dispongono fra le due pareti per assicurarne la so- lidarietà. Nella fig. 3 è poi segnata la curva GD,B delle tensioni ideali massime per tutta l'estensione della piastra, deducendola dai diagrammi delle 0, e delle 0, per mezzo della relazione: 1 Ke, = 0, e sa 0; Ù) mM valida fino al punto D, a partire dal quale 0,>0,; e per mezzo della 1 pre, (0) etby: sti Be, = 0, a OS. pel tratto residuo. 364 MODESTO PANETTI Il suo andamento dimostra che i valori delle tensioni ideali diminuiscono molto rapidamente, allontanandosi dalla sezione di incastro. Ad essa quindi si potrà limitare la verifica della sta- bilità, anche nel caso di stantuffi di spessore decrescente verso il contorno libero. Alle due speciali strutture qui accennate i risultati della presente teoria non sono però applicabili che per approssima- zione, in conseguenza d’una estensione verosimilmente lecita entro certi limiti, ma non giustificata. 6. Secondo caso limite — Recipiente cilindrico. — Eseguiamo ora la riduzione delle equazioni (10) ed (11) al caso in cui si abbia 8= 0, e quindi sia = =0 t'= __ viE= mn tr: (12W?—1) 21) Con M, N, P, Q si indicano 4 costanti che le condizioni del problema meccanico permettono di determinare. Così: per x=0 deve annullarsi y"; quindi P= — M. Integrando poi la (19) e utilizzando la condizione y = 0 per «=0, si ottiene: y=Me% (ucos © SE Lygen®® IR Ner a; usen 3 0608 se) (20) +Me > a (ueos © FO 087 )— QeT » (usen® > E L00085") + v(N+Q) —2Mu. Ricorriamo adesso alle condizioni al contorno libero, date nel caso generale dalle (14). La 1°, fattovi s=0ec= 1, si ri- duce alla he 7 AT Di (21) Do y' Po RE—0% Essendo però il suo primo membro uguale a quello che si ottiene integrando la (10”), essa sta non solo come condizione da soddisfarsi per x =/, ma come equazione differenziale del problema, che utilizzeremo per eliminare #". In fatti la si potrebbe dedurre direttamente, scrivendo la 366 MODESTO PANETTI condizione di equilibrio alla traslazione secondo l’asse della piastra di uno spicchio elementare di essa, compreso fra il lembo libero e la sezione di ascissa &. La 2? delle (14), fatte le debite sostituzioni, ed eliminato #’, diventa: ii per r=& mWh © 127 (22) i ( wW Per ultimo rimangono da soddisfare le equazioni {17) e (11"). Dopo ridotte per mezzo della (21) e delle sue derivate a con- tenere la sola y, si deducono da esse le altre due condizioni necessarie alla determinazione delle tre costanti M, N, Q con- tenute tuttora nell'espressione (20) della y: oN+@—2Mu=(m— +e) —_£ =\ Am°W #06 (23) | ci el ul AL ol si co ( Nei — Ve x )cos R —M| en + et )sen x La (22) non è suscettibile d’essere posta sotto una forma altrettanto semplice, sostituendo in essa ad y ed y" i loro va- lori per x =/. Quindi rimettiamo la discussione dei risultati del presente problema alla forma più elementare cui si possono ri- durre nell’ipotesi di piastre sottilissime. Fin d’ora però lo si può riguardare come perfettamente risolto anche per il calcolo numerico. In vero non è difficile dedurre in ogni singolo caso colla (22) e le (23) i valori delle costanti, e in conseguenza determinare tutte le grandezze da cui dipende il modo di deformarsi e di resistere della piastra, come ad esempio le tensioni principali ideali massime, calco- labili per una sezione di ascissa x qualsiasi colle formole: K n{_R° h LU \ Ber= E y | Topi" mk y | 24) / Eeo= E 4 Ji REG Se ne darà in seguito un esempio. TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 367 7. Semplificazione della teoria nel caso di piastre sottilissime. — Già discutendo in fine del $ 4 le condizioni del problema meccanico, si notò che l’ipotesi dell’indeformabi- lità delle fibre normali alla superficie media della piastra è plausibile nel caso di spessori assai piccoli rispetto all’ampiezza. È anzi lecito prevedere che essa verrebbe dedotta come caso limite della trattazione rigorosa delle piastre elastiche, suppo- nendovi infinitamente piccolo per tutti i possibili va- h rtsxr lori di x. Per giustificare questa ipotesi, che vogliamo introdurre a semplificazione della teoria, bisogna però che sia grande non solo il diametro del contorno esterno libero, ma anche quello della base minore incastrata della piastra tronco-conica. Ciò premesso si osservi che nel trinomio r + sx — c 2 delle formole (5), (7) e (9) sarà lecito sopprimere l’ultimo termine; e in conseguenza le equazioni fondamentali (10) ed (11) si ri- ducono alla forma più semplice: tab Bca nil Lai | ARR 9-7 1A, AL e ta int J nf HA - - Sei hi h hè VALI E ? 9 ME RA LCSATO RA I 1 ARANA == ( 5) Da 12 2 119 i Ra NE m 30 ta, LE __p m-1 (È 19 i 22h mE s° 3 . = CITTA » 4 fa nella quale si conservò per brevità la notazione x,=x+ —. S Le condizioni al lembo libero della piastra sono espresse nella presente ipotesi dalle (14) già ricavate. L'integrazione delle (25), che si presenta come possibile anche nel caso generale, si rimette ad un altro prossimo studio. 8. Recipiente cilindrico con parete sottilissima. — Sia specializzando le precedenti equazioni nel caso di 6 = 0, e integrandole poi con procedimento analogo a quello seguito nel $ 6; sia adattando i risultati in esso ottenuti all'ipotesi semplificativa testè discussa, in virtù della quale si possono trascurare i termini contenenti a confronto degli altri, si de- ducono facilmente le seguenti formole: 368 MODESTO PANETTI Vaty= (Me —Qe%)sen(E+3)+ + (Né — Me )sen('7-g)+V2u5 Lala 20' GO I (Mer Qe- i | sen (57 — aiar ava! 107 100) PRA Le (Nek co Me) "a i pi i In esse 2 w? (26) n= | — 13]/4. Le equazioni di condizione per determinare le costanti M, N, Q sono simili alle (22) e (23), la 1? delle quali diventa: (23’) N+9-2M=2u5 W?. In questo caso però si risolvono facilmente, e dànno: M= —:2Ficos? si, N=| 2sen? (È De nc e | Hi =| 2sen° (7 + +1)+a | essendosi posto per brevità: Ricorrendo a questi valori, si ricava subito un’espressione abbastanza semplice della y al lembo libero della piastra, che misura l'incremento elastico del raggio alla bocca del recipiente: ul ul 4 (ei te È cos di ( a (2A polpa pes ali 1 > al ei dogs? Da ( eiupre h Essa permette di concludere che detto incremento non varia sempre nello stesso senso col crescere di Z, ma tende per {= co al TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 369 valor limite f,= pi, W?, intorno al quale oscilla con smorza- mento rapidissimo. Ciò fa vedere la fig. 4, sulla quale sono se- gnati con circoletti, in corrispondenza di altezze del recipiente BERETTI (a > ET x . 2 crescenti di ra valori di f e la curva a tratti luogo di essi. (71 Il limite f, ha un significato meccanico importante; poichè misura precisamente l'incremento del raggio di un tubo sotti- lissimo senza fondi soggetto alla pressione p. E così doveva es- sere; in vero a distanza infinita dal fondo l'influenza di questo è certo nulla. Il massimo di f si verifica per un’altezza del recipiente : 3 h 2 È molto prossima a ui precisamente alquanto minore. Esso vale: (27) maxf=1,2624% W2°— 1,262 fi. La sezione meridiana della curva elastica è, nel caso ge- nerale, una linea che non presenta d’ordinario la sua ordinata massima all’estremità; a meno che si tratti di altezze poco ri- levanti, come si desume da quella singolarmente caratteristica corrispondente al caso di 7 = co, la cui equazione è poso Sita | ad 2 w1 — V3 e sen(5£4+ s)] diventando in questa ipotesi M=N=0. Il suo andamento è segnato colla linea # sulla fig. 4, e, a 3 4 È S h 5 - partire dall’ascissa 21,=5 © SÌ confonde praticamente col- l’asintoto di ordinata f,. Al di Iù di questa medesima ascissa sono affatto trascurabili le differenze fra le ordinate estreme f delle curve meridiane corrispondenti a recipienti di altezza finita e quelle dell’anzidetta linea, mentre prima di essa tali diffe- renze sono assai sensibili, come appare dalle curve elastiche t, / h e t, tracciate nella fig. 4 in corrispondenza di altezze 8/, r — U ema. Si può dunque conchiudere che, per >, cioè quando 370 MODESTO PANETTI sono applicabili i risultati assai semplici, che si deducono per il recipiente di altezza infinita. Le espressioni generali delle tensioni principali ideali mas- sime per ogni sezione prendono, nel caso della parete sottilis- sima cilindrica, le forme seguenti: 4) E=E[+31y" 4 pole an, 695 La 2? di esse raggiunge dunque il valore più elevato dove è massimo y; cosicchè, per quanto è stato detto, l'altezza cri- tica del recipiente, rispetto al pericolo di rottura dell’orlo, è quella a cui corrisponde il valore (27) dif, per la quale si ha: max Ee, = 1,262 p È Supposto invece il recipiente di altezza infinita, per z=n sl trova: max Fe, = 1,043 p si (*). Quanto alla tensione ideale Ee,, diretta nel senso delle ge- neratrici, è chiaro che il suo massimo si dovrà trovare in pros- simità dell’incastro, dato l’andamento delle sezioni meridiane. Per identificarlo in modo rigoroso si osservi che, per 2=0, dalla (24') combinata colla 2? delle (20'), e sostituendo i noti valori delle costanti NMQ risulta: Eu Li Lo (28) E, = += ri (ai +e r) — 4cos? 22 |, 2 3 / h pd La quantità entro parentesi è sempre positiva, perchè il 1° termine è sempre maggiore di 4; quindi, essendo Y>0, la tensione ideale Ee, ha il 1° o il 2° dei segni esplicitamente in- (#4) I due presenti risultati dimostrano inesatto, almeno nel caso delle pareti sottili, ciò che il Grashof presume nel $ 210 del suo magistrale trat- tato Elasticitàt und Festigkeit; ove, dopo aver esaurito il problema del re- cipiente chiuso da due fondi indeformabili, discutendo, senza trattarlo, il caso qui risolto, afferma che la massima tensione ideale periferica dev'es- sere minore di quella che a parità di altre condizioni si verifica nel tubo senza fondi. TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 371 dicati nella formola, secondochè la si ricerca nelle fibre della parete interna o dell’esterna di un recipiente premuto dall’in- terno. Si ha poi | Cee) I __4 E r| ez Mb 27 [I 9sen ze! | . da Pe È e qui la quantità entro parentesi è costantemente negativa; il che appare evidente per /< Li, e risulta subito per valori maggiori di /, calcolando il 2° termine del trinomio. Dunque Fe, e la sua derivata rispetto ad x hanno segni opposti all’incastro; quindi nelle sue vicinanze la tensione ideale principale è in valore assoluto decrescente, ed ha in corrispon- denza di esso il suo massimo relativo espresso dalla (28). Nella fig. 5 è rappresentata la legge di variazione di max Ze, in fun- zione dell’altezza Z del recipiente, per mezzo di una curva rife- rita alla verticale Ox. Essa ha un andamento simile a quella che nella fig. 4 misura colle sue ordinate gli incrementi f del raggio alla bocca del recipiente. Tende per = co al valor limite: I pa IpP=1677pò, mi h È SACE . . = Sue e si può ritenere che praticamente lo raggiunga per Sa) ue Ha il suo massimo 2,188 p di per ! poco superiore a int. U Importa. per ultimo notare come per valori relativamente bassi del rapporto fra raggio e spessore le divergenze fra i ri- sultati della presente teoria e quelli calcolabili colle formole del $ 6 siano tuttavia piccoli. Uosì' per W=5 ed {= - i sì ottiene da queste ultime: max Ee,=8,10p, max Ee=5,47p in vece di 8,38 p e 5,00 p, che risultano immediatamente dal- l'applicazione di quanto si è concluso nel presente $. Però, quando il rapporto W si accosta all’unità, l’accordo cessa di esistere; anzi nasce contraddizione fra le conclusioni Atti della R. Accademia — Vol. XL. 25 372 MODESTO PANETTI delle due indagini. Supposto p. es. W= 1, e sempre ritenendo ma La si trova in fatti la tensione ideale al lembo uguale a 1,68 p, superiore a quella che si sviluppa all’incastro, ove raggiunge appena 1,39 p, all'opposto di quanto si potè conchiu- dere in generale, trattando il problema nell’ipotesi di pareti sottilissime. 9. Serbatoio cilindrico. — Il quesito differisce dal pre- cedente solo per la legge colla quale è ripartita la pressione. Detta H l'altezza del livello liquido sul fondo (Cfr. fig. 6) ed I> H V’altezza totale del serbatoio, si ha il tronco sovrastante al livello @H non soggetto a forze esterne. Quello inferiore a detto livello è cimentato in vece da una pressione che cresce proporzionalmente ad H—, e il cui valore totale all’altezza , per uno spicchio di parete cilindrica corrispondente all’an- golo da, vale: (H— xp RY 3 da, essendo Y il peso specifico del liquido. La curva meridiana della superficie elastica ha dunque due equazioni distinte. Però la relazione analoga alla (21), che, per parete sottilissima si riduce a (21) E =0, sussiste invariata per tutta l'altezza 7, come risulta subito dal suo significato meccanico accennato nel $ 6. La utilizzeremo per eliminare la nelle due equazioni differenziali analoghe alla (11) valide per i 2 tronchi anzidetti, che si riducono quindi alla seguente forma: per H=x20 per /zx=>H rodi fr= (11/1) < h? 2_] I av i | geo. n-1 (H—x)? mE 2h SI TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 373 In esse la y del 1° tronco, essendo una funzione dell’ascissa diversa dalla y del 2° tronco, è indicata con carattere differente. Le (11’), salvo il termine noto, non differiscono da quelle da cui dipende la risoluzione del problema precedente. Ne diamo quindi senz'altro gli integrali generali: \ ve e ( Mcos “EL Nsen®| + | yer (M°cos "54 N°sen"®) + (29)5. (+e a (Peos!® + Qsen n) PIT Tu +e % (P2cos + 0%sen7) conservando al simbolo « il significato del $ 8. Alla determinazione delle costanti, che sono in questo caso in numero di 8, servono: 1° Le condizioni al contorno libero ed al contorno incastrato della parete cilindrica; cioè: \ per x.= vv —0) (30) | per x =! EEA 2° Le condizioni imposte dalla forma definita delle equa- zioni differenziali (11'”), che si possono ridurre alle seguenti: ZO, AE hg nm — 1 (3) pereax=l Ry"= e ia ydx per x=! gi =0. 3° Le condizioni di continuità dei due tronchi della curva meridiana in corrispondenza all’ascissa € = H, ove si raccor- dano, nonchè quelle di equilibrio fra le tensioni ripartite sulle sezioni estreme combacianti dei tronchi stessi; cioè: (92); perx=H MESI EEE RE e Supposte soddisfatte queste condizioni, le 2 equazioni (31) sì riducono, come è facile vedere, ad una sola. Rimangono complessivamente 8 condizioni indipendenti, cioè appunto tante quante occorrono a risolvere il problema. Dalle (32), in numero di 4, si deduce: ), R* = uH - R* uH M-M = ina Di a si) N-N°={p e rt sa) ci a ue — i ib dirsi n im 0° (Ca— sr) 374 MODESTO PANETTI posto per brevità: peer A Her h = h bl come in seguito porremo: de ul mi dol =d s= sen... Sa = SNU ——_...; chiamando « l’altezza del ciglio del serbatoio sul livello dell’acqua. Le equazioni (30) e (31) prendono allora la forma seguente: MY N Pp9= 7", ul ul ul ul sehM_— cen N— se % P+ ce a0= E —— 4Eu (33) ul ul ul ul . (s+ce)ea M+(s— e)ea N+ (s— c)eT a. P— (s+ 0)e10= Lex R* ; ua i = (i Col loro mezzo si possono determinare in ogni caso le 4 co- stanti, essendo certamente diverso da zero il determinante dei loro coefficienti: ul ul\2 (34) toi (ei cera che indicheremo con = A. La soluzione riesce particolarmente semplice nell’ipotesi che il serbatoio sia affatto pieno. In vero, fatto a=/—MH=-0, si annullano i secondi membri delle due ultime equazioni (33), dalle quali si deduce allora: MA = 2 # MA:==-Qe 14 2ele — s) + e > | ul u Qul NA=1+ 2564 e- a_[1+2s6-9- 6% | 2ut 14 2elc + s) + eta QA=1—- 2sc + FEST — 2s(c+s)— ef |. — PAS Lie TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 375 Ricorrendo allora alla (29) si ricava facilmente il valore di y per *=/, che indicheremo come in passato con f: Lia rici PL cl i 14 fA=2(c + s)ex — 2(c — s)e Tn — dele h ter) n Tenendo presente l’espressione (34) che definisce A, si vede che, col tendere di ! ad co, f tende a zero. Risultato a prima vista singolare, ma perfettamente spiegabile, pensando che in generale la legge lineare colla quale sono ripartite le pressioni idrostatiche importa un'azione nulla alla sommità; e che nel caso limite di altezze grandissime, per non avere alla base pres- sioni che tendono a diventare infinite, bisognerebbe supporre la densità del liquido piccolissima, e quindi piccolissima la sua azione su tutta la zona di parete a profondità non grandissima sotto il livello. Del resto questo carattere si rivela già nel caso di altezze limitate, come appare dalla curva s disegnata a tratti nella fig. 7, avente per ordinate gli incrementi f del raggio della bocca di un serbatoio pieno, la cui altezza / sia rappresentata dall’ascissa corrispondente. Ora questa curva, dopo un punto di ordinata massima in prossimità di /= -- t —, tende a confondersi colla fondamentale, intorno alla quale oscilla con smorzamento così È AE 3 h : ; rapido, che per valori di / > CA le divergenze cessano di essere sensibili, appunto come nel caso del recipiente soggetto a pressione uniforme. Dalla stessa parte della s e nella stessa scala è tracciata la sezione meridiana m della superficie elastica di un serbatoio di altezza /=2nr n è all’incirca una volta e mezzo il raggio, R È - : È supposto > = 10. Il rigonfiamento massimo si produce, com'era lecito attendersi, nella metà inferiore del serbatoio; e poichè in corrispondenza di esso ha luogo, in virtù della 2* equazione (24'), la massima tensione ideale periferica, e quindi il pericolo mag- giore di rottura secondo le generatrici, interessa trovare una formola facilmente adattabile al calcolo numerico per valutarlo. Ciò non riesce difficile per serbatoi di altezza almeno 5: h SIOGRO TI È did ot com'è il caso pratico; poichè allora le co- uguale a 3 376 MODESTO PANETTI stanti M ed N sono estremamente piccole, ed è perciò trascu- rabile l’influenza dei termini che le contengono sul valore di y dato dalla (29), finchè si considera la parete cilindrica ad un uT livello non troppo elevato sul fondo, per modo che e non sia eccessivamente grande. Con molta approssimazione si ha pure nelle stesse ipotesi: psi R* ul MOTTA Gn i L'rargpity Cano af ll e quindi: E “a a U l (29) IT U_€ h Ai cos E 4(4 _ 1)sen È i cui massimi registrati nella 3° linea della seguente tabella, in corrispondenza di altezze / del serbatoio date coi valori di “i nella 18 linea, si verificano a distanze x dal fondo deter- minate nella 28: CI, = |3fat| ?far pu | Sg Par ij, Tr 220 veli — | 11do| 120° | 125° | 129° | ‘1380 |135°4j2 Eu zi Jon = | 2,52 | 3,26 | 4,02 4,78..|_ 5,56. | 6,82 ul, = 4 5 67 7 gn 150 ue), =|138°|145°1/2| 151° |15401/g|15701/g|159°1/a Fi Yan = |7,14| 10,81 | 13,55 | 16,77 | 20,02 123,98 Indicando i fattori numerici contenuti nella 3% linea colla lettera n, si ha dalla 2? delle (24'): -p3 (35) max ke, = n n = 0,77. Quanto alla tensione ideale massima nella direzione delle generatrici, è logico cercarla in corrispondenza dell’incastro, ove PEAS Piras) ed ic un TSE a E pu > SRI si AT è; 4 ni R; PRE %: 0 CRISIS E AA ENTE, M. PANETTI -Teoria della resistenza delle piastre tronco-coniche. "3 Fig.3 tensioni nella piastra piana asse della piastra 1" di ordinata= 15. PZ R? (i linata. h TILL Lit.Salussotlia| S l(-----==- NI __------ LAI IA RE i Bedi SIT SRCESO SI [Etc gr Agg S | i | I È fai (©) È = I Rho ; | o V Lo) IREsa Win SN 2 S SS o ?_R z & | I “d > ® d Ss I E sy fa lo) © | ud I | la è “ 3 NI] CS ES I] R AE da; | CINSIS la) N S IN IN N N SIN ISIN D. | S p. E fi Na Pat at RE E LEE age L d ' -Q Pi H e ckagailta pi ETA ra 5 5 Se i L à pete] n È ne; i I Sw SRI n î de i i Fi N ES] È = i ope I IR 3 ] << ona FEE. N (tel | ® o) \ SIE q @ i \ VE Sai 5 © \ | Hora ® e] | { Del ® d sa, \ SS Li i È R Si zi È pod cap DI ip “Rao «if ST : d DI di ce) allo i RS N dé Td & 3 di IR MESSIa IR CI b AE 2 \' I E © © NIS NS ® Kos g \ENGI | n E en L \ l | I ° Sa È. I ò Ksi v d \ | ara DIE, SSA su 1 D n \ 0 Tr F, a | hi N SIR ni S gta Ba Mz YO TEORIA DELLA RESISTENZA DELLE PIASTRE TRONCO-CONICHE, ECC. 377 si deve trovare a più forte ragione che nel problema prece- dente. Ciò ammesso, dalla 1° delle (24'), sostituendo ad y' il valore deducibile dalla (29), e facendo «=0 e quindi y= 0, si ottiene in valore assoluto : Qui max He, — Pe idse— (ere )+ (452 +(e ie) | Anche qui, supposta l’altezza del serbatoio non troppo pic- 4 ; POE PISANA h - o cola | non occorre neanche sia raggiunto il limite 5 TT LI, sì può con molta approssimazione sostituire alla formola precedente quest'altra assai più semplice: (36) maxEe,=% | La 1) ce = 1,8(1, sati VE. La (35) e la (36) di comoda applicazione pratica sostitui- scono nel calcolo dei serbatoi di spessore costante il metodo non razionale.di riguardarli come costituiti di anelli indipen- denti, e di considerare quindi l'elemento adiacente al fondo come soggetto alla tensione periferica Ty Le tensioni ideali massime dirette come le generatrici, cal- colabili colla (35), superano notevolmente questo valore; e, quantunque sia lecito attendersi dall’imperfetto funzionamento dell’incastro una diminuzione sensibile della loro entità, è pru- denza riferirsi ad esse nella verifica di un serbatoio con parete cilindrica di spessore costante. Finalmente si noti che la massima tensione ideale perife- rica non ha luogo sul fondo, ma ad una “srt da esso che, 42 nei limiti della tabella calcolata, varia fra Si e Tao dell’ altezza totale. Quindi, nel caso di strutture, in cui si provveda con mezzi differenti alla resistenza della parete secondo le genera- trici e normalmente ad esse (costruzioni in cemento armato), sarebbe opportuno dare la massima importanza a questi ultimi nella zona in cui le Ee, raggiungono effettivamente i valori più elevati. 378 Relazione sulla memoria del prot. Mario Pieri: Nuovi principî di Geometria projettiva complessa. Lo SrAUDT nei suoi classici Beitrige eur Geometrie der Lage ha edificato la Geometria complessa basandola sulla ordinaria Geometria reale. Così, secondo lui, la locuzione “ punto imagi- nario , sta per significare una ben definita figura composta di elementi realî. Altri, e primo di tutti il KLern, han modificato lievemente questa figura; ma il concetto è rimasto lo stesso. È quel medesimo indirizzo secondo cui in Aritmetica si definiscono i numeri imaginari come coppie di numeri reali. Esso corrisponde bene al naturale svolgersi della scienza per gradi successivi. Ciò non toglie che lo si possa anche invertire, prendendo a costruire direttamente la Geometria complessa, senza presupporre come dati gli elementi reali! Questo fa il Prof. Pieri nella sua Memoria. Egli ammette come nozione primitiva quella di punto com- plesso; e così pure quelle di retta e di catena (la Kette di SrAUDT). Supposto verificato da esse un certo sistema di postulati, o pro- posizioni primitive, ne trae con processo logico-deduttivo la parte fondamentale della Geometria projettiva complessa, per gli spazi di qualunque dimensione, fino a porre in questi le coordinate projettive complesse. Un primo gruppo di postulati ed i teoremi che ad essi si appoggiano vengono tratti, con pochi cambiamenti di parole, da altri lavori, pubblicati dalla nostra Accademia, nei quali il PrerI aveva studiato i fondamenti della Geometria projettiva reale. Così i postulati sui punti di una catena corrispondono perfetta- mente ai postulati della retta reale. Ma un campo essenzialmente diverso si comincia ad avere quando si debban considerare tetti i punti complessi di una retta; quindi le catene di una retta; le zone in cui la retta è divisa da una catena; ecc. Qui si hanno difficoltà nuove. I postulati si complicano notevolmente. Così, per le catene di una retta, si devono ammettere proposizioni primitive corrispondenti a quelle che occorrerebbero per svol- gere la Geometria sopra una sfera reale (imagine della retta complessa). 379 Adempiono ad un ufficio essenziale in questa trattazione. insieme colle projettività, le antiprojettività. Son le due sorta di trasformazioni che mutano le catene in catene (alisigrafie, come le chiama il Pieri). Ne vengon ritrovate le proprietà fondamen- tali fino alle antinvoluzioni e alle catene di specie superiore. Se poi in uno spazio complesso si fissa ad arbitrio una sua catena, e si chiamano punti reali dello spazio i punti di questa catena, punti complessi coniugati quelli separati armonicamente dalla catena, ecc.; si otterrà subito, dalla Geometria delle catene e delle antinvoluzioni, quella dello spazio reale. Il lavoro del Prof. PrerI corrisponde, come ognun vede, ad un concetto filosofico e ad una necessità scientifica. Niun dubbio che in uno stadio avanzato della scienza geometrica, essendo da assumere come ambiente lo spazio di punti complessi, sia più semplice assumerlo a priori, anzi che dedurlo dallo spazio reale! La questione dell’effettiva esistenza dei punti imaginari, che, prima di StaUuDT, aveva dato luogo a tanti malintesi, qui non si presenta più: trattandosi ora di un’ esistenza esclusivamente logica, che non lascia adito ad equivoci per relazioni col mondo fisico! Quanto al procedimento seguìto dal PreRrI, esso è molto pre- gevole per chiarezza e rigore, come per l’ingegnosità. Lo si potrà forse ancora migliorare, con qualche riduzione o cambiamento nel sistema dei postulati. Forse si potranno anche ridurre i con- cetti primitivi a quelli soli di punto e retta, deducendone le ca- tene rettilinee con costruzioni lineari completate da postulati di limite, oppure definendole come luoghi di punti uniti di certe corrispondenze armoniche (antiprojettività). Ma in ogni caso la Memoria del Prof. Prerr avrà il merito d’esser stata la prima a risolvere un interessante problema; e potrà servir di guida sicura per altre soluzioni. In conseguenza noi proponiamo che essa sia accolta fra i volumi dell’Accademia. G. PEANO, C. SEGRE, Relatore. L’Accademico Segretario LoRENZO CAMERANO. © 380 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 12 Febbraio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: BoseLLi, Vice Presidente dell’Acca- demia, FergERO, Direttore della Classe, Manno, CrpoLLa. BRUSA, CarutTI, Pizzi, CHAIRoNI, De Sanctis e ReENIER Segretario. — Scusa l’assenza il Socio RUFFINI. Si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente 29 gen- naio 1905. Il Socio CaIRONI, presentando in nome dell’autore, prof. Gio- vanni PaccHIONI, due volumi, cioè: Trattato della gestione degli affari altrui secondo il diritto romano e civile, Lanciano, Carabba, 1903 e Corso di diritto romano, vol. I, La costituzione e le fonti del diritto, Innsbruck, Wagner, 1905, ne segnala con specialis- simi elogi l’ importanza e si riserva di riparlarne estesamente in una nota che presenterà per gli Atti. Dal Socio CrpoLLa è fatto omaggio d'un commentario sto- rico di Placido M. Luaano, intitolato: Origini e primordi del- Ordine di Monte Oliveto, Firenze, 1903. Il Socio ReNIER fa dono all’ Accademia di due grossi volumi documentati di Memorie della rivoluzione siciliana dell’anno 1848, Palermo, 1898, a lui regalati dal Municipio di Palermo, a cui si deve quella pubblicazione. Sono presentate per gli Atti: 1° dal Socio Caironi: R. BoBBa, Intorno il caso e la for- tuna in Democrito; 2° dal Socio FERRERO: Lurcr VALMAGGI, Tacitiana; 3° dal medesimo Socio FERRERO: GIOVANNI CARBONELLI, Suppellettile di una busta da oculista scoperta a Sibari. n. —- -—-«-«aà«àx2b@Ò2@ÒÒ{@Ò@>®:br: ROMUALDO BOBBA — INTORNO IL CASO E LA FORTUNA, Ecc. 581 LETTURE Intorno il caso e la fortuna in Democrito. Comunicazione del Prof. ROMUALDO BOBBA. Francesco Fiorentino nel suo Manwale di Storia della Filo- sofia, ad uso dei Licei (Napoli, 1887, 2* edizione), dopo aver riassunto la dottrina atomistica di Leucippo e di Democrito, ag- giunge: del moto non si assegna causa: è eterno. L'incontro degli atomi, la loro riunione, non succede per caso, ma per ne- cessità di natura (dvaykn) ed è determinata dalla legge di gravità; onde si scorge quanto erroneo sia il giudizio volgare seguito dall’Alighieri quando cantò: Democrito che il mondo a caso pone. Questo sbaglio divulgato va messo colla solita storiella del riso di Democrito e del pianto di Eraclito, ripetuta da tutti quelli che vogliono fingere di essere versati nella storia della filosofia. E lo sbaglio, nota lo Zeller, fu messo in voga da Cice- rone, il quale fa produrre il cielo e la terra, secondo gli atomisti, “ concursu quodam fortuito ,. Ora se con ciò si vuole indicare la mancanza di ogni finalità nella produzione del mondo, non a Leucippo e a Democrito soli, ma a tutti i filosofi precedenti bisogna estendere il citato giudizio; ma se si vuole indicare la mancanza di ogni causa naturale, è vero perfettamente il con- trario, perchè gli atomisti vollero che tutto nascesse per neces- sità con determinato fondamento (pag. 30, vol. II, Storia della Filosofia greca). Siccome il Manuale del Fiorentino, pregevole per altri ri- guardi, era un tempo adoperato nelle classi liceali, i giovani leggendolo e meditandolo, dovevano facilmente condividere la condanna che egli infligge a Dante ed a Cicerone, come quelli che nel parlare di Democrito non seppero elevarsi al disopra del 382 ROMUALDO BUBBA volgo e con esso giudicarono che secondo gli atomisti il mondo fu formato “ concursu quodam fortuito ,, mentre secondo il Fio- rentino, appoggiato allo Zeller, tutto nasce per necessità con determinato fondamento. Se non che già il Trezza nel suo Lucrezio aveva scritto, fino dal 1870, queste parole: “ quando il gran filosofo di Abdera dicea quelle parole memorande: il corso della natura tale è oggi quale fu sempre, egli indicava l'eterna immanenza delle leggi, fermandosi a questo fatto immenso, senza cercare più in là in un presunto antivedere di cause finali. Aristotele gliene diè bia- simo, non intendendone il senso, giacchè Democrito rifiuta nei fenomeni tutto ciò che in qualche modo ne sospende o ne rompe la connessione fatale , (pag. 11 e 12). Il Fiorentino si limitava a dire che l’errore volgare in cui era caduto Dante proveniva dall’aver egli seguito Cicerone, mentre, secondo il Trezza, quegli che lo avrebbe dapprima ac- ereditato è Aristotele (Eioì dè tIveg oîì Kai ToÙ oUpavoî TOÙdE Kai TÙV Kocukùv Tavtòv aiùvtar Tò aùtbpatov, amò TAÙUTOLÀTOL YAP firveodai paci tdv divnv kai tiv Kivnow, TùYV diexpivadav kai koerà oT)Oacav eis TaÙTh)v TÙùV ThELV TÒ mv) (Fisica, II, 4) “ Sunt etiam qui et hujusce coeli ceterorumque coelorum omnium casum esse causam asserant; nam a casu conversionem motionemque fieri dicunt quae quidem distinxit et in hune ordinem redegit atque constituit universum ,. Come si vede, anche Aristotele ha calunniato gli atomisti affermando che essi hanno attribuito al caso la primitiva forma- zione dell'universo e l’ordine che vi regna. Chi dunque ha ra- gione? il Fiorentino coll’appoggio dello Zeller ed il Trezza o Cicerone ed Aristotele? Ecco ciò che dobbiamo investigare prima di pronunciarci. Che Aristotele conoscesse la dottrina degli Atomisti e che avesse sotto gli occhi le loro opere, mentre noi non ne posse- diamo che frammenti, appare dalla esposizione sommaria che ne fa scrivendo: questo adunque (Empedocle) ha ammesso quattro principii, e così: Leucippo invece e il suo amico Democrito di- cono che non ci siano altri elementi che il pieno e il vuoto, chiamando l’uno l'ente l’altro non ente; il pieno cioè e il solido ente, il vuoto e il rado mon ente. E perciò affermano che l'ente sia tanto quanto il non ente, perchè il vuoto è nè più nè meno INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 383 che il corpo: e che queste siano le cause degli enti come ma- teria. E come quegli i quali ammettono un’ essenza soggetta unica generano ogni altra cosa per mezzo delle sue modifica- zioni, ponendo a principii delle modificazioni stesse il rado e il denso, e così questi dicono che le differenze siano causa delle altre cose. E affermano che ce ne siano tre: la figura, l’ordine e la posizione. Sostengono in fatto che l'ente differisce solo di rismo, di diatige e di trope; parole che equivalgono, rismo a fi- gura, diatige ad ordine, trope a posizione; giacchè VA differisce di figura dall’ N, AN d'ordine dal NA e lo Z di posizione dal- l'N. La difficoltà del movimento donde e come sia negli esseri, costoro non hanno più animo d’affrontarla (Met., I, capo 4°). Ma, scrive lo Zeller, come gli atomi volteggianti nello spazio infinito sono in perpetuo movimento, questo parve agli Atomisti un fatto sì naturale, che dichiararono esplicitamente essere senza cominciamento, e perciò Democrito non ne indicava la causa, perchè non può derivare da altra cosa ciò che non ha cominciamento, è infinito. Per questo Aristotele potè rimprove- rare agli Atomisti di non aver cercato sufficientemente la causa del movimento; ma è andare troppo oltre pretendere che essi attribuirono la causa del movimento al caso. Non si può chia- mare tale movimento fortuito se non s'intende per fortuito tutto che non deriva da una causa finale; ma se tale espressione si- gnifica l'assenza di causa naturale, gli Atomisti sono tanto lon- tani quanto è possibile da una tale dottrina, ed in questo senso dichiararono che niente nel mondo è il risultato del caso, ma che tutto risulta da cause determinate. Il rimprovero di Aristotele non riguarda 'il modo con cui Democrito ha cercato di spiegare gli accostamenti e concorsi particolari e subordinati, la vita e la morte delle parti del Cosmo, ma bensì il modo con cui il moto eterno degli atomi si diver- sifica nelle varie classi di corpuscoli, in guisa da farli concorrere insieme o fra essi dividersi e distribuirsi per formare i primi composti e l’ordine totale dei composti, ossia il Cosmo ; ed è questa formazione che Aristotele sostiene dovuta al caso, non la prima. Inoltre il dottissimo Zeller sembra supporre che Aristotele non attribuisca al fortuito se non ciò che sarebbe formato senza un fine; come se egli ignorasse che nella dottrina atomistica 384 ROMUALDO BOBBA non si parla mai di causa finale; mentre la dottrina del caso in Aristotele ha ben altra estensione. | La mancanza di precisione e determinazione nel concetto del moto primitivo base dell'atomismo era una lacuna che non poteva sfuggire all’acume di Aristotele nella formazione del Cosmo e spiegare l'ordine universale. Il moto è inerente agli atomi, ma non si dice perchè vi sia, nè come; è affermato come necessità, ma non è in alcun modo dimostrato ed effettivamente niuno scorge come vi entri, tanto più che agli atomi non si as- segnano altre qualità che la grandezza, la figura e l’ordine, cioè non sono che solidi geometrici impenetrabili, senza attività ed energia qualitative, non si vede, ripeto, perchè sarebbero piut- tosto in moto che in riposo, nè si moverebbero piuttosto in un verso che in un altro per rendere possibile quella legge supposta da Democrito, che il simile si porta verso il simile, e tanto meno si vede come dal loro concorso si formerebbe un ordine immutabile. Ma la questione dell’esistenza del caso e del suo fonda- mento naturale è assai diversa da quella de’ suoi limiti e della sua estensione. Perocchè, come già acutamente notava il com- pianto Prof. Ferri (La Filosofia delle Scuole italiane, 1870, disp. 3°), altro è chiedere se i complessi fenomenici e ontologici siano adu- nati per semplice concorso senza ragione sufficiente interiore ed esteriore, altro se il Cosmo è l’effetto di un semplice accozza- mento al quale tutto al più si potrà aggiungere un concetto indeterminato di Natura e si premetterà la costituzione parti- colare delle esistenze subordinate. In fatto Aristotele non esclude il caso dallo sviluppo e dalle relazioni degli enti finiti, special- mente in causa dei contrarii contenuti nella loro materia e delle differenze non eguagliate fra questo principio e la forma, ma accusa Empedocle e gli Atomisti di aver introdotto il caso nel mondo riguardo al Cielo, all'ordine cosmico, all'origine del moto e sue specie (Fisica, II, capo IV), scrivendo: “ ci sono alcuni che di questo Cielo e delle cose cosmiche tutte accagionano il fortuito (aitiovtar tTaùrduatov) e dal fortuito affermano deri- vare il moto vorticoso e il moto direttivo e compositivo del tutto verso quest'ordine ,. Ed il Bonitz (Aristotelis Metaphysica, parte II, pag. 76, capo IV, libro 1°): “ motricem autem causam quum necessitatem esse voluerunt ,. DemocRrITUs, Frag. phys., 40: INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 385 “ eamque ita simpliciter et indefinite posuerint, ut non injuria — tùv tTUYxn kai aùtduatov — Aristoteles eos pro causa habuisse universi rerum ordinis censeret , (Phys., II, 4). E Cicerone quando parla del caso applicandolo agli Ato- misti e ne fa loro rimprovero, si riferisce evidentemente al modo con cui descrivono la macchina e costituzione del mondo; in fatto egli scrive: “ Democritus dtouos quas appellat, id est cor- pora individua propter soliditatem, censet in infinito inani, in quo nihil nec summum, nec infimum, nec medium, nec ulti- mum, nec citimum sit, ita ferri, ut concursionibus inter se cohae- rescant; ex quo efficiantur ea, quae sint, quaeque cernantur omnia; eumque motum atomorum nullo a principio, sed ex aeterno tempore intelligi convenire. Epicurus autem in quibus sequitur Democritum, non fere labitur. Quamquam utriusque quum multa non probo, tam illud in primis, quod quum in rerum natura duo quaerenda sint, unum, quae materia sit, ex quo quaeque efficiatur, alterum quae vis sit, quae quodque ef- ficiat: de materia disseruerunt: vim et causam efficiendi reli- querunt , (De Finibus Bon. et Mal., I, $ 6). Ma, dirassi, forse Cicerone non fa che ripetere il rimprovero di Aristotele quasi colle stesse parole, quindi siamo sempre alla sola autorità di Aristotele. Ma anche Diogene Laerzio nella vita di Democrito dice bensì che secondo questo tutto avveniva per necessità, ma aggiunge che questa necessità si convertiva col moto: TTavta te kat’ dvorkn Yirveogai Tùg divng aitiag oÙOong Tg yevéoewg mavtwv év dvargkn Néyer (XII). Sicchè per la critica il valore dei due concetti è perfetta- mente eguale, e se il secondo è così costituito ed indeterminato, e sprovveduto di ragion sufficiente da immedesimarsi in qualche modo col caso, una simile necessità equivarrebbe alla necessità del caso. Plutarco (1,4, 1, Placiti dei filosofi) nel riferire l’origine del Cosmo secondo gli Atomisti, si accorda con Aristotele, e Sim- plicio nel suo Commentario alla Fisica (fol. 13-74) la conferma pienamente. Ma si insisterà dicendo che tutte queste testimonianze de- rivano sempre da un' unica fonte, cioè da Aristotele ed è questa appunto che si ritiene infedele. Si potrebbe anzitutto osservare che la maggior parte dei frammenti degli Atomisti sono ap- 386 ROMUALDO BOBBA punto desunti da Simplicio, il quale secondo ogni probabilità aveva sotto gli occhi i testi originali, e quindi poteva correggere l’interpretazione di Aristotele, il quale indubbiamente prendeva le sue citazioni dai testi originali, se avesse creduto che questi attribuiva agli Atomisti una opinione che non era ammessa da loro, tanto più che si trattava di un punto fondamentale della dottrina atomistica. Ma anche un altro pensatore moderno e di primo ordine conferma l’interpretazione aristotelica. Non avendo presente il testo, citiamo la traduzione, la cui fedeltà è generalmente rico- nosciuta: “ C'est à ce point de vue que s’arréte la philosophie atomistique pour laquelle l’absolu c’est l’étre pour soi, l’un et l’agglomération des unités. Elle considère comme force essen- tielle la répulsion qui réside dans la notion méme de l’um, mais ce qui rassemble les uns, ce n’est pas pour elle l’attraction, mais le hasard, c’est-à-dire un principe irrationnel , (HeGEL, Log., pag. 391. Traduction de Veras). Comprendiamo che i sostenitori della necessità nella for- mazione del Cosmo, secondo gli Atomisti, non ammettano l’in- terpretazione aristotelica, perchè secondo essi non è verosimile che Leucippo e Democrito abbiano parlato di caso e di fortuito nella formazione del mondo, dal momento che essi riferivano tutto alla necessità. Inoltre, se per caso s'intende ciò che avviene senza scopo prefisso, si estende arbitrariamente il suo significato; o si intende per caso ciò che avviene senza causa e allora si attribuisce agli Atomisti una assurdità contro cui protesta tutta la loro dottrina. Essi non si servivano del concetto di fine, ma di quello di una forza ciecamente operante, e ciò basta per esclu- dere dalla loro teoria il fortuito e implicarvi invece la necessità. Questa argomentazione si basa sul modo con cui essi inten- dono il concetto del caso e del fortuito, mentre l’analisi che Aristotele istituisce di questi due concetti è indubbiamente assai più completa e feconda. E poichè questa parte della dottrina aristotelica ci pare che anche presso i più diligenti storici della filosofia lasci alquanto a desiderare, ne presentiamo una esposi- zione che speriamo, potrà compiere quella lacuna. Si dice che il caso e la fortuna sono nel numero delle cause e che molte cose avvengono casualmente e fortuitamente; ma in qual modo il caso e la fortuna siano nel numero delle cause e se INTORNO IL CASO F LA FORTUNA IN DEMOCRITO 387 il caso e la fortuna siano la stessa cosa o diversa, e che veramente sia la fortuna, che il caso, ecco ciò che si deve investigare. Ora la prima opinione è di quelli che negarono darsi for- tuna o caso od essere cause di qualsiasi effetto, prima perchè di tutti gli effetti che si attribuiscono al caso e alla fortuna si dà una causa determinata; per esempio: un tale si reca al foro per comperare alcunchè, e trova un uomo cui voleva trovare ma non pansava di trovare, e si dice essere stata la fortuna la causa di trovare, mentre la vera causa è la volontà di compe- rare ed è per questa che si reca al foro, non per fortuna; dunque si dà una causa determinata del trovare e tale causa non è la fortuna, come non è causa di altri effetti, che si attri- buiscono alla stessa, epperciò non si dà fortuna, nè essa è causa di alcun effetto. Secondariamente gli antichi trattando delle cause della ge- nerazione e della corruzione, niente determinarono rispetto alla fortuna e ciò non per altra ragione se non perchè pensavano non darsi fortuna, nè questa essere causa sotto alcun aspetto. Aristotele confuta queste opinioni osservando che pur es- sendo vero non darsi alcun effetto senza causa, tuttavia tutti dicono che alcuni effetti sono della fortuna, altri no; quindi gli antichi avrebbero dovuto trattare della fortuna nello spiegare perchè alcuni le attribuiscano certi effetti, specialmente pensando essi non essere la fortuna causa di checchessia tra quelle che ponevano, come la concordia, la discordia, il fuoco, la mente..... Inoltre se opinarono non darsi fortuna, avrebbero dovuto spie- gare perchè da tutti si dice alcuni effetti provenire dalla for- tuna; se poi pensarono darsi fortuna, tanto più avrebbero dovuto spiegare che avviene specialmente quando mettono in campo la fortuna e le attribuiscono alcuni effetti: come Empedocle par- lando della costruzione del mondo fatta da ciò che egli dice la discordia aver separato gli elementi, aggiunge essere accaduto fortuitamente che l’aria concorresse nel luogo in cui è, e molte parti essersi prodotte negli animali a caso. Vi sono poi altri, gli Atomisti, i quali sostengono il caso essere causa e di questo cielo e di tutti i mondi, imperocchè affermano dal caso essersi fatti la rivoluzione ed il moto, che distribuì e costituì l'universo in questo ordine. Ora Aristotele osserva essere mera- viglioso, anzi assurdo che gli animali e le piante non siano dalla Atti della R. Accademia — Vol. XL. 26 388 ROMUALDO BOBBA fortuna nè dal caso, ma dalla natura o dalla mente o da altra causa di simil genere, come è manifesto perchè non da qualsiasi cosa nasce qualsiasi cosa, ma dal seme di lattuca la lattuca e non la quercia.... e che il cielo e gli altri corpi divinissimi tra le cose sensibili siano del caso. Laonde qui avrebbero dovuto addurre la ragione perchè non attribuiscono al caso la produ- zione delle cose inferiori, mentre assegnano al caso l'origine delle cose celesti; vero è che non si poteva addurre tale ra- gione. Imperocchè nelle cose celesti nulla avviene casualmente e fortuitamente, poichè tutti i movimenti sono regolarissimi, mentre nelle cose inferiori molte cose avvengono casualmente; quindi è assurdo che in un ente casualmente costituito niente sia casuale, ma tutto sia regolato, invece nell’ente non costituito casualmente molte cose siano casuali. Finalmente alcuni dissero la fortuna essere certo una causa, ma ignota all’umano intendimento: “ ùg Beîbv tI oÙoa Kai doar- uoviwtepov — perinde ac quiddam admirandumque numen ,. — Esposte e confutate le opinioni dei filosofi che lo precedettero, Aristotele viene ad enunciare la sua ed a definire che cosa in- tenda per caso e per fortuna, illustrando la sua teoria con op- portuni esempi. Anzitutto premette alcune divisioni degli effetti e delle cause. Primamente vi sono alcuni effetti che sono prodotti sempre nello stesso modo, come il levare del sole, altri che avvengono ordinariamente, come che un uomo nasca con due occhi, altri nè sempre nè d’ordinario, come che un uomo nasca con sei diti in una mano. Gli effetti che sempre o d’ordinario avvengono nello stesso modo niuno di sana mente attribuisce alla fortuna o al caso; così niuno dice essere per caso che nasca il sole o che un uomo nasca con due orecchi. Invece si attribuiscono alla fortuna gli effetti che si producono raramente. Così diciamo es- sere casuale che un uomo nasca con sei dita. Quindi si scorge che la fortuna e il caso possono essere causa di effetti che si verificano raramente. Ma alcune cose avvengono per un fine, altre no; ancora alcune hanno luogo per elezione, come quelle che si fanno con intelligenza, alcune si fanno non per elezione, ma per natura, e poichè tanto le prime quanto le seconde si fanno per un fine, perciò tanto l'intelletto quanto la natura quando producono effetti che raramente avvengono possono ope- INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 389 rare per un fine, e tali effetti possono essere prodotti da causa operante per un fine. E poichè gli effetti che avvengono rara- mente avvengono per accidente da causa operante per un fine, diciamo che essi avvengono fortuitamente. Ma siccome altro è l’ente per sè, altro l’ente per accidente, così altra è la causa per sè, altra la causa per accidente: e questa ancora può essere per accidente rispetto alla causa e per accidente rispetto all’effetto. È per accidente rispetto alla causa quando ciò che è per accidente rispetto alla causa si congiunge per sè: così il musico e il bianco è per accidente causa della casa, in quanto che la musica e la bianchezza si congiungono col- l’edificatore, il quale è la causa per sè della casa. Per accidente poi rispetto agli effetti si dice quando l’effetto per accidente si congiunge all’effetto per sè non sempre, nè frequentemente, ma raramente. Così un uomo che ara un campo è per accidente causa di trovare un tesoro, perchè tale invenzione accidental- mente si congiunge alla aratura, la quale per sè è l’effetto del- l’aratore. Quindi si scorge che la causa per sè è determinata a certi effetti, mentre la causa per accidente è indeterminata, giacchè all'effetto per sè possono congiungersi per accidente molte cose e molte all’infinito; quindi una causa può causare indeterminatamente per accidente più e più effetti. La fortuna adunque e il caso sono causa per accidente operante per un fine e producente effetti che raramente si congiungono all’effetto per sè. Da queste divisioni Aristotele deduce quali siano gli effetti fortuiti, quali i casuali. Gli effetti fortuiti sono quelli che con- seguono dall’azione che è fatta in grazia di un fine, ma però tale azione non è prescelta nella previsione che seguirà tale effetto, nè sempre, nè ordinariamente è connessa con tale ef- fetto: così se alcuno si reca al foro allo scopo di comperare alcunchè e trovi un suo debitore da cui riceva il denaro dovuto, questa esazione è un effetto fortuito della sua venuta al foro; se tuttavia venendo nel foro non prevedea che avrebbe ricuperato il suo credito, nè ciò accada frequentemente di riscuotere un credito, ripeto, è fortuito l’incontro. Se poi il creditore venendo nel foro colla intenzione e il proposito di ricevere denaro e col fine di riceverlo e sempre e frequentemente ciò accadesse di ricevere denaro, certo il ricevimento del danaro non sarebbe 390 ROMUALDO BOBBA fortuito, nè causato dalla fortuna. Quindi la fortuna è causa per accidente di effetti spettanti a quelle cose che sono operate dal- l'intelletto per elezione, i quali effetti non seguono nè sempre, nè frequentemente alla azione fatta in grazia di un altro fine. Aristotele per giustificare la sua definizione della fortuna osserva sotto quale condizione sia vero che l’intelletto e la for- tuna sono uno stesso; imperciocchè dalle cose sopraddette appare che quelle cose solo agiscono per fortuna che agiscono per ele- zione, e siccome le sole cose aventi l'intelletto operano per ele- zione, così queste sole operano per fortuna. Sicchè la fortuna è solo nelle cose nelle quali vi è intelligenza. Di qui si raccoglie ancora a quale condizione sia vera l’o- pinione secondo cui si dice essere la fortuna una causa ignota, cioè perchè la fortuna è una causa per accidente, e come tale sì estende ad infiniti effetti che possono accadere alla causa per sè: ora l’infinito come tale è ignoto, quindi la fortuna è ignota per la sua indeterminazione a causare checchè sia per accadere. Di qui ancora s'intende che si vuole significare quando si dice che la fortuna è causa di nulla; cioè perchè una causa per accidente non è una causa semplicemente e tale essendo la fortuna, ra- gionevolmente si dice che essa non è causa di alcun effetto. In fatto, perchè un suonatore di flauto per accidente edifica una casa, si dice che esso non è causa della casa, ma solo l’edi- ficatore è causa della casa, quindi la fortuna essendo causa per accidente, così può dirsi che è causa di nulla. E poichè le cause per accidente possono essere infinite per la ragione che possono essere infinite le cause per cui chi recandosi al foro recuperi denaro, potendovi andare per fuggire qualcuno, o per seguirlo, o per visitarlo, o per assistere ai giuochi, perciò ben si dice la fortuna essere una causa indeterminata. Di qui si scorge perchè volgarmente si dica essere la for- tuna una causa senza ragione, attesochè essendo causa per acci- dente, raramente è seguita da effetti dei quali non si può ren- dere ragione, e tanto più che può causare cose infinite delle quali non si può dar ragione. Ciò ci pone in grado di risolvere alcuni dubbî, cioè primo, se tutte le cause per accidente per le quali seguono effetti pos- sano dirsi cause fortuite di questi; ad esempio, producendosi calore, vento, tonsura del capo, segua la salute di un ammalato, _ ,—r_r—(@@9a INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 391 e si dimandi se il caldo, il vento, la tonsura dei capelli siano cause fortuite della salute. E si risponde, poichè la fortuna è causa per accidente da parte dell'effetto, come si è detto sopra, certo il vento, il caldo, possono produrre qualche alterazione nell'’ammalato, dalla quale per accidente può seguire la salute, quindi possono essere cause fortuite della guarigione. Ma la ton- sura dei capelli se nulla produce nell’ammalato ed in cui per accidente segua la guarigione, non è causa fortuita della stessa. Imperocchè le cause della guarigione per accidente, altre sono più vicine, altre più lontane, ma le remotissime non sembrano cause. Da ciò si deduce che cosa sia la buona fortuna, che la cat- tiva. La buona fortuna è causa per accidente di qualche bene, e se il bene sia grande dicesi prosperità e colui al quale capita tale bene si dice semplicemente fortunato. La cattiva fortuna è causa per accidente di male, e se questo è grande, si dice in- fortunio, e chi ne è colpito si dice semplicemente sfortunato. Aristotele aggiunge chiamarsi sfortunato non solo l’uomo che perde un gran bene che già possedeva, ad esempio, l'essere spo- gliato del regno, perchè essere privato di un gran bene è un gran male, ma anche quando poco vi manca per conseguire un gran bene e non si consegue. E la ragione si è che il poco vi mancò si reputa per nulla; quindi quando poco vi manca perchè altri conseguisca un gran bene e non lo consegue, vale come se dopo aver conseguito un gran bene, lo perdesse. Per la stessa ragione è fortunato non solo chi è liberato da un gran male in cui era, ma ancora chi è vicino a questo, cioè di cadere in un gran male e non vi cade; così chi è vicino ad essere ucciso e non lo è, dicesi fortunato; ad essere imperatore e non lo diventa, sfortunato. Ed è perciò che la fortuna dicesi incerta, cioè perchè es- sendo causa per accidente e raramente producendo l’effetto, questo appunto perchè raro si produce rimane incertissimo. Spiegato così chiarissimamente ciò che comunemente sì dice della fortuna Aristotele procede ad investigare in che con- vengano e in che disconvengano il caso e la fortuna. Conven- gono in quanto il caso e la fortuna sono cause per accidente di effetti che nè sempre nè ordinariamente si verificano da una azione fatta per un altro fine; differiscono in quanto il caso è 392 ROMUALDO BOBBA paragonato alla fortuna, come il genere alla specie, sicchè ogni fortuito è casuale, ma ogni casuale non è fortuito. Il caso è causa per accidente di effetti sia rispetto a cose che possono essere fortunate o non fortunate; mentre la fortuna è causa per accidente di effetti riguardanti agenti che possono essere fortu- nati o sfortunati; ora i soli agenti forniti di intelletto e ope- ranti per elezione possono essere tali cioè felici o infelici, poichè essere fortunato o sfortunato è lo stesso che essere felice o in- felice o gli è assai vicino; mentre per gli agenti privi di in- telletto e di elezione non si dà fortuna ma solo caso. Così le cose inanimate, i bruti, i fanciulli prima dell’uso della ragione non operando per elezione e deliberazione, non agiscono per for- tuna ma per caso, sebbene impropriamente e metaforicamente sì dicano talvolta fortunate cose inanimate, come là dove Pro- tarco dice fortunate le pietre con cui si costruiscono gli altari perchè vengono onorate mentre altre consimili sono conculcate. Si può tuttavia alcunchè di animato dirsi fortunato dalla for- tuna dell’uomo; così lo scoprimento di un tesoro si dice fortu- nato perchè da tale scoprimento si dice fortunato il suo sco- pritore. Le cose inanimate quindi e i bruti operano dal caso, così si dice che un cavallo casualmente sfuggisse la morte se per qualche accidente era in pericolo e la evitò. Da tutto ciò Aristo- tele conchiude dal caso farsi quelle cose che avvengono per accidente e raramente da una azione avente qualche altro fine distinto da quello che accade; farsi fortuitamente quelle cose che così si fanno come spettanti ad agenti elettivi, perciò ca- paci di essere fortunati o sfortunati. Aristotele conferma ancora la sua definizione del caso dalla etimologia della parola udtov, la quale vale frustra o frustraneo, che si dice quando alcunchè si fa in grazia di altro ed è atto a conseguirlo, e non consegue ciò in grazia del quale si fa; come se alcuno passeggia per dige- rire e non digerisce, diciamo che egli passeggiò invano, frustra ; ma se prese un bagno e il sole non si oscurò niuno dirà che si lavò indarno, perchè ciò non fece perchè si oscurasse il sole. Invece diciamo a caso fatta una cosa quando ciò che poteva farsi in grazia di ciò che segue, si fa ma non in grazia di esso ma casualmente; così diciamo che una pietra che cade casual- mente uccide un uomo, perchè potendo essere lanciata appunto INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 393 per uccidere non cadde in grazia di uccidere ma uccise casual- mente perchè non era caduta per ciò. Da tutto ciò Aristotele raccoglie che la principale differenza tra la fortuna e il caso sta in ciò che il caso si riferisce agli agenti che procedono da natura quando qualche cosa avviene per accidente oltre natura, ad esempio, la nascita di un fanciullo con sei dita in una mano; ora quando ciò accade diciamo non provenire dalla fortuna ma dal caso, epperciò la causa del caso è estrinseca, della for- tuna intrinseca. Dopo l’acuta ed esauriente analisi della fortuna e del caso, Aristotele ritornando alla teoria degli atomisti rispetto alla for- mazione del Cosmo, osserva che il caso e la fortuna essendo cause per accidente non sono cause prime nel causare come le cause per sè, giacchè l’effetto per accidente segue da qualche effetto per sè; quindi se il caso è causa per accidente del mondo deve esservi qualche causa per sè che precede il caso dal- l’azione della quale per accidente sarebbe avvenuta la produ- zione del mondo. Ma è assurdo che qualsiasi effetto per acci- dente abbia preceduto la produzione dell'universo, epperciò la causa di questo non fu il caso ma la mente e la natura avente per fine lo stesso universo e tutte le altre cose che lo com- pongono. Ora se l’analisi che fa qui Aristotele, dopo aver esposta l’opi- nione degli atomisti intorno alla prima formazione del mondo, è più larga, completa e profonda di quella, diremo col compianto professore Luigi Ferri (Filosofia delle scuole italiane, disp. 3*, - 1870), che è nella mente di molti storici moderni anche emi- nenti, anche tedeschi e per molti riguardi stimabilissimi, quale meraviglia che la sua critica dell’atomismo riesca anche più sicura, più giusta e più comprensiva? Se i sensi varii, minuti, veraci del fortuito da lui notati con mirabile accuratezza oltre- passano di numero quelli di molti critici moderni, se conten- gono osservazioni essenziali che questi, non tutti, fecero, qual meraviglia che nasca in essi l’illusione di ritenersi per più com- petenti di lui nel giudicare di libri e di scritture che egli aveva sott'occhio e che non abbiamo più noi? E per vero Aristotele è tanto lontano dall’identificare i due concetti di fortuna e di caso colla negazione della causalità, che anzi, come abbiamo lungamente dimostrato, afferma ripetutamente 394 ROMUALDO BOBBA che sono cause per accidente che versano nel possibile del dive- nire, negli avvenimenti possibili, non nel possibile semplice e ordinario, e versano anche nel possibile di quelle cose che pos- sano avvenire per un fine. Stabilisce che il caso — Taùt6puatov è come il genere rispetto alla fortuna — tiyn che ne è una specie, indica ancora le relazioni dell’una e dell’altro col frustraneo e di tutte tre col concetto di fine, che ordinariamente vi congiungiamo nelle nostre idee, separando ancora la finalità inconsapevole della natura dalla finalità consapevole (elezione) dell’uomo per concludere che la fortuna e il caso si distinguono sopratutto quando si tratta degli avvenimenti naturali, non umani, nei quali ha luogo il fortuito non la fortuna, essendo la causa di quelli una sponta- neità frustranea ed interna, mentre la cagione di ciò che ri- guarda noi è esteriore. Epperciò il caso e la fortuna sono nel numero delle cause motrici ed efficienti, appartengono cioè a quelle cose e a quei fatti da cui si inizia e produce il moto, si convertono coll’accidentale e questo si converte coll’esterno e l'interno; l’accidente poi è il contrario del proprio tò idiov il quale alla sua volta si intrinseca nell’essenziale, quindi nella natura delle cose. Il fortuito quindi suppone la necessità natu- rale, mentre se ne distingue ad un tempo, è in certo senso ir- razionale mapdiorov, indefinito — dopiotov come gli accidenti, e gli innumerevoli esempi che Aristotele adduce contengono sempre una coincidenza di cause indipendenti, ed allato alla serie delle condizioni relative alla efficienza, quella che riguarda la finalità elettiva e consapevole dell’uomo o quella inconsape- vole della natura, aggiunge che rispetto al caso il suo concetto è anche più generale di questa relazione, sicchè il riscontro tra la finalità e la produzione di un effetto conforme ad essa, ma indipendente da essa per le sue proprie cause, non è la sola maniera di considerarlo; e così, dice egli, cade una pietra e fe- risce alcuno, il ferito è detto fortuito perchè si esclude il fine possibile o reale in quel momento della sua caduta, perchè non è caduta per quello; ma aggiunge ancora, il fortuito in senso generale appartiene alle cose che sono per accidente, anzi alle cause che sono tali; così del fabbricare la casa è causa quel- l'insieme di condizioni che costituiscono la qualità di architetto e solo per accidente vi entrerà essere egli musico o bianco. Anzi nel V della Metafisica, capo 2°, Aristotele illustrando questo INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 395 punto scrive: “ Certe altre cose hanno nome di cause perchè accidenti o generi di accidenti. D’una statua, per esempio, al- trimenti è causa Policleto perchè allo statuario accade di essere Policleto, ed altrimenti lo statuario; e così le nozioni che com- prendono in sè quella dell’accidente; l’uomo, per esempio, è causa della statua, o a dirittura l’animale, perchè Policleto è uomo e l’uomo animale. Degli accidenti poi, ce ne sono di più lontani e di più vicini, come se il bianco e l’abile in musica si dicessero causa della statua e non già solo Policleto ,. Il Cournot, illustre matematico francese, nella sua opera col titolo: Essai sur les fondements de nos connaissances et sur les caractères de la critique philosophique, tome premier, al capi- tolo 3° dal titolo Du hasard et de la probabilité mathématique, scrive: “ Come ogni cosa deve aver la sua ragione, così tutto. che chiamiamo avvenimento deve aver una causa. Spesso la causa di un avvenimento ci sfugge, o noi prendiamo per causa ciò che non è; ma nè l’impotenza in cui ci troviamo di appli- care il principio di causalità nè gli sbagli in cui ci avviene di cadere volendolo applicare inconsideratamente hanno per risul- tato di scuotere la nostra adesione a quel principio concepito come una regola assoluta e necessaria ,. Noi rimontiamo da un effetto alla sua causa immediata, la quale a sua volta è concepita come un effetto e così di se- guito senza che lo spirito concepisca, nell'ordine degli avveni- menti, e senza che l'osservazione possa raggiungere alcun li- mite a questa progressione ascendente. L'effetto attuale può a sua volta divenire causa di un effetto susseguente e così all’in- finito. Ora questa catena indefinita di cause ed effetti che si succedono, catena di cui l'avvenimento attuale forma un anello, costituisce essenzialmente una serie lineare; ed una infinità di serie simili possono coesistere nel tempo, le quali possono in- crociarsi in modo che un avvenimento alla produzione del quale più avvenimenti hanno concorso, come effetto si riattacca a più serie distinte di cause generatrici, o genera a sua volta più serie di effetti che rimarranno distinte e perfettamente separate a partire dal termine iniziale che è loro comune. Ma sia che si riguardi come finito o infinito il numero delle cause o serie di cause che contribuiscono a produrre un effetto, il buon senso ci dice che vi sono serie solidarie o che si influenzano a vi- 396 ROMUALDO BOBBA cenda e serie indipendenti, cioè che si svolgono parallelamente o consecutivamente senza aver la menoma influenza le une sulle altre, cioè senza esercitare le une sulle altre una influenza che possa manifestarsi mediante effetti apprezzabili. Così niuno cre- derà seriamente che battendo col piede la terra disturbi il viag- giatore che cammina agli antipodi o che si scuota il sistema dei satelliti di Giove; perchè in ogni caso il disturbo sarebbe di un tal ordine di piccolezza da non potersi manifestare con alcun effetto sensibile a noi, epperciò siamo pienamente auto- rizzati a non tenerne conto. Non è impossibile che un avveni- mento accaduto, ad esempio, nella Cina e nel Giappone abbia una certa influenza sopra fatti che debbono accadere in Europa; ma in generale è certo che un cittadino d’Italia il quale ordini il modo di passare la sua giornata non è influenzato da ciò che attual- mente avviene in una città cinese dove non mai penetrò alcun Europeo. Vi sono qui due piccoli mondi in ciascuno dei quali sì può osservare un incatenamento di cause ed effetti che si svolgono simultaneamente senza avere tra loro alcuna connes- sione e senza esercitare le une sulle altre influenza apprezzabile. Ora gli avvenimenti prodotti dalla combinazione o dal con- corso di altri avvenimenti che appartengono a serie indipen- denti le une dalle altre, sono quelli che si dicono avvenimenti fortuiti, o risultati del caso, du hasard. Per esempio: un tale vuol fare una scampagnata e prende il treno per recarsi alla sua destinazione: al treno in corsa suc- cede uno scontro e quel tale ne è vittima, vittima fortuita, perchè le cause che hanno prodotto lo scontro non hanno al- cuna connessione colla presenza del viaggiatore ed esse avreb- bero avuto lo stesso svolgimento anche quando quel viaggiatore per altre influenze si fosse determinato a prender un altro mezzo per recarsi a destinazione o ad attendere un altro treno. Ora non è già perchè gli avvenimenti di tal genere sono rari che si devono qualificare come risultati del caso, du hasard, ma sono rari perchè il caso li produce tra molti altri ai quali darebbero luogo combinazioni diverse e come rari ci sorpren- dono. Nella nozione del caso bisogna adunque tenersi a ciò che vi è di veramente fondamentale, cioè alla idea della indipen- denza o della non solidarietà delle diverse serie di cause. Già Boezio commentando un passo del de Interpretatione aveva detto: INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 397 il caso è un avvenimento inopinato proveniente da cause che originariamente hanno un altro oggetto... se zappando un campo si trova un tesoro, la scoperta è veramente fortuita, perciocchè fu necessario che uno nascondesse un tesoro e che un altro zappasse quel campo, e ciascuno con intenzione assai differenti. Senza dubbio l’esame che il Cournot fa da matematico della nozione del caso, insistendo specialmente sulla reciproca indi- pendenza delle serie di condizioni o di cause il cui concorso può produrre un dato effetto, era richiesto dallo scopo che si pre- figgeva, cioè la sua applicazione al calcolo delle probabilità, ma sostanzialmente si conforma alla teoria di Aristotele, il quale aveva già rilevato quella indipendenza e l’ha connessa così bene colla sua teoria dell’accidente e della essenza da togliere ogni dubbio sulla chiarezza e pienezza delle sue vedute su tale questione. L’insinuare che Aristotele ha criticato l’atomismo dal punto di veduta del suo sistema appare in queste parole: “ Quando il grande filosofo d’Abdera dicea quelle memorande parole: il corso della natura tale è oggi quale fu sempre, egli annunciava l'eterna immanenza delle leggi, fermandosi a questo fatto im- menso, senza cercare più in là in un presunto antivedere di cause finali. Aristotele gliene dà biasimo, non intendendone il senso, giacchè Democrito rifiuta nei fenomeni tutto ciò che in qualche modo ne sospende o ne rompe la connessione univer- sale , (TrEZZA, Lucrezio, capo VI, pag. 111-112). Ora contro il signor Trezza sosteniamo che nella teoria di Aristotele intorno al caso e alla fortuna nulla ha a che fare il suo sistema speciale, poichè in essa espone le idee regolatrici delle investigazioni filosofiche e queste sono quelle che lo spi- rito umano deve seguire nello studio dell’arduo problema della formazione del Cosmo ossia nella ricerca delle sue cause. Quindi dato che negli atomi non vi sia che grandezza, figura e post- zione, il loro moto non si spiega razionalmente, perchè la mera estensione è per se stessa indifferente al moto come alla quiete, e il moto non originando dal proprio e dall’ essenziale degli atomi, non può essere che accidentale, e il dirlo eterno non approderà a nulla, perchè secondo la ragion filosofica, esso non sarà nulla più che un eterno accidentale o pure un accidente dichiarato eterno. 398 ROMUALDO BOBBA Vero è che il Grote (Plato and the other companions of Sokrates, vol. 1°, pagg. 75, 76, 77) fa dire a Democrito che l'eterno moto non è men naturale dell’eterno riposo, e che l’uno non richiede più che l’altro una causa speciale, che quindi la materia essendo attualmente in moto è ragionevole di pensare che lo sia sempre stata; è facile osservare che con ciò non si fa che ripetere l'affermazione degli Atomisti e non rispondere alle ragioni di Aristotele nè alle esigenze della ragione, non è spiegare, non è giustificare gli Atomisti. Non è questione di sapere se Democrito ha affermato la naturale necessità del moto e dei moti. ma su che ragioni l’ha affermata; non si cerca di sapere se l’ha posta, ma, come scrive il Ritter, se la sua ne- cessità non si converta nel caso: “ C'est parce que cette né- cessité ne diffèere en rien du hasard qu’on a été vraisembla- blement conduit è affirmer que Démocrite attribue tout au hasard , (vol. 1°, pag. 483, traduction de Tissot), e tale ne- cessità si converte di fatto nel caso in causa della indipendenza che esiste tra i modi della pura estensione e il moto, quando non ci è di mezzo l’energia, la forza o, in altre parole, quel- l'insieme di condizioni primitive che si chiama natura, per spie- gare le produzioni, qualità e direzione del movimento. Ed è la mancanza di queste condizioni che costituisce la base della eri- tica Aristotelica, la quale, come abbiamo largamente provato, si collega colla teoria dell’accidentale e del fortuito come con quella della finalità e dell’ordine universale. Vero è che lo Zeller e il Grote (opera citata), compren- dendo la gravità della critica Aristotelica, credono di superarla, poichè secondo essi Democrito oltre le qualità assegnate agli atomi da Aristotele, a questi attribuisce pure una forza ine- rente da cui origina il loro moto. Che noi i quali abbiamo esplicito quel concetto dedotto da tante analisi filosofiche e scientifiche possiamo vederlo come adombrato dalle sue afferma- zioni ed a esse unibile quando siano colmate le lacune indicate, lo concediamo, ma che Democrito lo impiegasse in modo nella produzione del Cosmo da colmare l'insufficienza dei principii puramente quantitativi del meccanismo atomistico è appunto ciò che essi dovrebbero provare con testi espliciti tratti da’ suoi frammenti. Ora questi testi non si adducono, mentre Diogene Laerzio ci dice esplicitamente, che la sua necessità delle cose non INTORNO Il, CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 399 era altro che quella del moto stesso; il che si riduce alla affer- mazione che sempre ritorna su se stessa. Ma si insiste: se tra i frammenti di Democrito ve ne fosse uno che contenesse le espressioni fortuna, fortuito e fossero da lui applicate alla formazione del Cosmo, Aristotele potrebbe per avventura aver ragione, ma ciò non è, e quando pure si tro- vasse sarebbe ancora da cercare come si potrebbero conciliare nella sua dottrina la necessità col caso. Noi ammettiamo pie- namente che nei frammenti fisici di Democrito non troviamo quelle espressioni, ma non le aveva trovate neppure Aristotele il quale doveva avere sotto gli occhi gli originali di Democrito, imperciocchè egli scrive: Alcuni affermano niente avvenire per fortuna e per caso ma di qualunque effetto esservi cause deter- minate..... imperciocchè niuno dei sapienti antichi trattando della generazione e della corruzione nulla dissero della fortuna, perchè pensavano niente accadere per fortuna nè essere dessa causa in alcun modo. Ma ciò reca meraviglia, perciocchè molte cose avvengono e per fortuna e per caso e sebbene di qualsiasi ef- fetto si dia una causa, tuttavia tutti dicono che alcuni effetti provengono dalla fortuna altri no, epperciò gli antichi saggi avrebbero dovuto parlarne per spiegare perchè alla fortuna ed al caso essi attribuissero alcuni effetti, specialmente ritenendo non essere la fortuna causa di alcuna cosa nè tra le cause che essi riconoscevano, come l’amore, l’odio, il fuoco, la mente..... Imperciocchè sostenendo non darsi fortuna avrebbero dovuto poi spiegare perchè da tutti si dica certi effetti provenire da for- tuna; se poi pensarono darsi la fortuna, molto più avrebbero dovuto spiegare che cosa sia specialmente quando ne fanno uso e le attribuiscono la produzione di alcuni effetti, come Empedocle, il quale parlando della costruzione del mondo fatta da ciò che l’odio separa gli elementi, aggiunge essere avvenuto fortuita- mente che l’aria corresse nel luogo in cui ora è, e ancora negli animali molte parti essere nate fortuitamente. Ed Aristotele aggiunge: vi sono altri, gli Atomisti, i quali e di questo Cielo e di tutte le altre cose pongono la causa nel caso, perciocchè e la conversione e il moto stesso che distinse l'universo e lo ridusse in questo ordine dicono essere il caso. E ciò che reca grandissima meraviglia è che, mentre affermano e gli animali e le piante nè essere nè farsi dalla fortuna, ma 400 ROMUALDO BOBBA o la natura o la mente o altro di simile essere la causa perchè da ciascun seme non si faccia qualsiasi cosa, ma da tale l’olivo, da tale l’uomo: il Cielo invece e quelle cose che tra le sensi- bili sono più divine stimano prodursi dal caso, mentre il caso sostengono non essere causa di alcuna pianta, di alcun animale. Se la cosa è così, è degno di considerazione aggiungere, oltrechè è assurdo ciò che dicono è ancora più assurdo sostenere che a caso siasi formato il Cielo in cui nulla veggono farsi a caso, e negano poi molte cose non per fortuna formarsi dove veg- gono che effettivamente avvengono fortuitamente (Fisica, II, capo IV). Dunque Aristotele sapeva benissimo che Democrito nella sua teoria fisica della formazione del mondo non aveva usato le parole tò aùtduatov dmtò TaÙtoTdiTOv. Se poi si credesse di cogliere in fallo Aristotele perchè in uno dei frammenti mo- rali Democrito usò la parola tùyxn, ma in modo da escludere ogni fortuito dal mondo, scrivendo: avApwroi tiyng eidwiov éTAG- cauto Tpopacov iding dbBouvring:® Baia Tràp mpovioi TUXN udkeTa1, tà dè mieiota Èév Biw wuyî eùzuverog dEudepkéeiv xamduver, fram- mento 14: “ homines fortunae simulacrum praetextu impru- dentiae suae finxerunt; nam parum resistit prudentiae fortuna ac pleraque mens perspicax in vita moderatur ,. Pur concedendo che questo frammento contenesse implici- tamente l’immedesimazione della fortuna con l'ignoranza umana riferendosi alla morale, non esclude in alcun modo la questione di sapere che cosa pensava Democrito nella sua teoria fisica della necessità primitiva nella formazione dell'universo; e dal momento che niuna ragione scientifica si è addotta per giusti- ficare tale necessità sempre affermata ma non mai dimostrata, non si può non assentire ad Aristotele quando immedesima tale necessità col caso. Ma osserva il dottissimo Zeller tra le qualità assegnate agli atomi la grandezza, la forma e la posizione, è chiaro che colla grandezza è immediatamente dato il peso, perchè appar- tiene ad ogni corpo come tale, e come tutte le sostanze sono similari, il peso allo stesso titolo appartiene a tutti i corpi in guisa che tra masse eguali il peso deve essere uguale. E sic- come gli atomisti dovettero considerare il movimento primor- diale come l’effetto necessario di una causa naturale, tale causa non poterono cercarla che nel peso, epperciò la necessità degli INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 401 atomisti sì riduce al vario peso degli atomi dipendente dalla loro grandezza. Quindi la forza inerente agli atomi che lo Zeller e il Grote affermano sostenuta da Democrito da cui si origina il loro moto primordiale è il peso il quale si identifica colla necessità. E poichè il movimento degli atomi è semplicemente una con- seguenza del loro peso e perciò il moto verticale verso il basso è il movimento primordiale: quindi tutti gli atomi come tali devono nel loro movimento seguire la stessa direzione. Ma sic- come differiscono in grandezza e in peso cadono con ineguale ve- locità e perciò s'incontrano. I più leggeri sono spinti in alto dai più gravi e il conflitto di questi due movimenti, l’urto e il rim- balzamento degli atomi, genera un moto circolare o turbinamento che trae con sè tutte le parti degli atomi che sono in giuoco. Da questo movimento degli atomi le sostanze similari sono riu- nite, perchè ciò che ha lo stesso peso e la stessa forma cadrà nello stesso sito ove sarà spinto, e così si è formato l’universo. Ora Aristotele dopo avere esuberantemente dimostrato che gli atomisti introducono il caso nella formazione del mondo, dimostra che anche identificata la necessità col peso non pos- sono giungere a spiegare meglio tale formazione. Anzitutto os- serva che gli antichi i quali ammisero il vuoto si dividono in due classi, cioè in quelli che posero uno spazio vuoto separato dai corpi e ciò ritennero necessario per rendere possibile il mo- vimento non potendo questo aver luogo in uno spazio pieno, ed in quelli che ammisero il vuoto nei corpi stessi ciò pensando essere necessario per la condensazione e rarefazione dei corpi stessi. Lasciando in disparte questa seconda opinione occupia- moci solo della prima che riguarda gli Atomisti. Per intendere bene le ragioni di Aristotele contro gli Atomisti bisogna pre- mettere che gli antichi insegnavano i corpi non poter essere in riposo senza essere sostenuti da qualche altro corpo circostante quindi, ad esempio, se noi non fossimo sostenuti dalla terra non riposeremmo ma cadremmo: così non potendo essere sostenuti dal- l’aria non possiamo riposare in questa. Ma se lo spazio fosse pieno, per ciò stesso tutti i corpi sarebbero sostenuti, non po- tendo penetrare nello spazio pieno. Quindi la causa per cui i corpi si muovono è lo spazio vuoto da cui non possono essere sostenuti, quindi gli atomi prima che colla loro caduta formas- sero il mondo si movevano da tempo infinito. 402 ROMUALDO BOBBA Premesso ciò Aristotele oppugna la teoria degli Atomisti con varie ragioni. Primo, se il vuoto fosse necessario al movi- mento specialmente locale gli elementi aventi la loro natura propria per la quale i gravi si movono all’ingiù i leggeri al- l’insù non si moverebbero più senza il vuoto, ciò che è con- trario alla esperienza. Se poi il vuoto fosse unu spazio separato privo assolutamente di qualsiasi corpo, non vi sarebbe alcuna ragione perchè gli atomi sarebbero portati piuttosto da una parte che dall’altra; nè potrebbero muoversi in qualunque di- rezione. In fatti l'atomo si move piuttosto verso una parte anzi che verso un’altra in quanto troverà più consentanea ad esso questa o quella parte..... Ma una parte del vuoto non può per alcuna ragione es- sergli preferibile a qualsiasi altra, sicchè si porti in una piuttosto che in altra. Imoltre siccome nel vuoto assoluto non vi è al- cuna ragione perchè una parte sia al disopra, un’altra al disotto, così l’atomo non potrà moversi in alcuna direzione: imperocchè non v'è alcuna ragione perchè l’atomo si mova piuttosto verso una parte anzi che verso un’altra, attesochè il vuoto essendo un non ente non ammette alcuna differenza di parte, quindi l'atomo ben lungi dal muoversi starebbe fermo; come appunto dicono che la terra distando egualmente da qualunque parte del Cielo non vi ha alcuna ragione perchè si mova verso questa o quella parte. Dirassi forse che se nel vuoto essi non possono muoversi naturalmente potranno essere mossi per violenza; ma anche ciò è impossibile: in fatto il moto per violenza è il contrario del moto naturale epperciò suppone la sua possibilità; ma si è pro- vato che nel vuoto gli atomi non possono muoversi naturalmente, dunque nemmeno per violenza. Un moto naturale è piuttosto un movimento verso una parte anzichè verso un’altra; ma sic- come nel vuoto come infinito non può trovarsi differenza di parti, di luoghi, non luogo alto, non basso, non medio, non estremo, poichè del non ente come della privazione non si danno differenze, così resta confermato essere nel vuoto impossibile ogni movimento dell'atomo. È notevole che a queste argomen- tazioni di Aristotele contro il moto degli atomi nel vuoto asso- luto, il dottissimo Zeller se la disbrighi con queste parole: “ Quant è cette remarque, que dans l’espace infini il n'y a ni haut ni bas, elle ne semble pas étre venue à l’esprit des Ato- ieletanicntitticn -. INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 403 mistes , (vol. 2°, La philosophie des Grecs, pag. 309): ma se la cosa è così, che cosa vale la tanto declamata necessità del moto degli atomi, dal momento che Aristotele dimostra così rigoro- samente che essi non si muovono nè possono muoversi nel vuoto assoluto ! Ancora nel vuoto non vi è alcuna ragione perchè ciò che si muove stia fermo in un luogo anzi che in un altro; epperciò o gli atomi staranno in riposo o si muoveranno indefinitamente salvochè non siano impediti da qualche ostacolo più forte, perchè, secondo i sostenitori del vuoto, gli atomi si muovono perchè il vuoto non può sostenerli, loro cede; ma il vuoto sotto qualunque aspetto si consideri non può sostenere gli atomi, quindi essi dovrebbero muoversi in tutte le direzioni ciò che è impossibile. Supponiamo ora che l'atomo più pesante o più leggero possa essere mosso più velocemente per due cause. Primo, può muoversi più velocemente perchè il mezzo in cui si muove re- siste meno, epperciò meno impedisce il moto. Così, ad esempio, una palla di piombo si move più velocemente nell’aria che nel- l’acqua, perchè l’aria oppone minor resistenza dell’acqua. Ma il mezzo resiste al moto per la densità a causa della quale si scinde difficilmente o perchè si muove in contrario, epperciò una cosa in un mezzo quiescente si move più velocemente che in un mezzo che si move in contrario, e più velocemente si move attraverso un mezzo sottile che ad uno denso, ad esempio, nel- l’aria che nell’acqua. Inoltre il peso si move più velocemente nello stesso mezzo per l'eccesso della sua gravità o leggerezza, così una palla di piombo si move più velocemente nell’aria di una palla eguale di legno perchè la prima ha maggior peso, la seconda meno. Pongasi ancora che lo stesso mobile attraverso un mezzo diversamente resistente si mova con diversa velocità, e che vi sia la stessa proporzione di velocità a velocità che corre tra la resistenza di mezzo, ed ecco come Aristotele prova e spiega la cosa con un esempio: Sia il peso A, cioè una palla di piombo, sia il mezzo B, ad esempio, l’acqua, e si mova con tale velo- cità da percorrere cento palmi nel tempo €, cioè dieci momenti. Lo stesso peso A percorra il mezzo D più sottile, ad esempio, l’aria, si moverà più velocemente e la stessa lunghezza di cento palmi sarà percorsa in minor tempo, ad esempio, in cinque mo- Atti della R. Accademia — Vol. XL. 27 404 ROMUALDO BOBBA menti che chiameremo E: sarà la stessa proporzione di velo- cità a velocità come di resistenza a resistenza; epperciò se la resistenza dell’aria sarà la metà di quella dell’acqua la palla di piombo si moverà il doppio più velocemente nell’aria che nell'acqua; ma ciò che si move il doppio più velocemente per- correrà lo stesso spazio in tempo minore della metà, quindi la palla di piombo che nell'acqua percorrerà quello spazio in dieci momenti ne impiegherà solo cinque per percorrerlo nell’aria. Pongasi ancora che il pieno non può aver alcuna propor- zione col vuoto, come il numero non può aver alcuna propor- zione col nulla. Ora il quattro; ad esempio, ha proporzione col tre perchè eccede il tre per uno; ha proporzione col due, perchè eccede questo di due, ha proporzione coll’uno perchè lo eccede di tre; ma col nulla non ha proporzione di sorta; così il pieno acqua ha proporzione col pieno aria, questo col pieno di qualche altro mezzo più sottile. Ma niun corpo ha proporzione col vuoto. E la ragione sta in ciò che qualunque cosa che ne eccede un’altra, si compone di quella cui eccede e dell’eccesso stesso, e si può dividere nella stessa: così il quattro che supera il tre per uno si compone di tre e di uno, e così dicasi degli altri numeri minori del quattro. Ora se quattro eccedesse il nulla, eccedendolo per quattro, questo si comporrebbe di quattro e di nulla, ciò che è assurdo; per la stessa ragione se una retta si componesse di punti e il pieno avesse qualche proporzione col vuoto, sì comporrebbe del vuoto e pieno. Queste premesse che a primo tratto potrebbero parere su- perflue erano invece assolutamente necessarie per giungere allo scopo che si è prefisso Aristotele, cioè che l'aggiunta del peso agli atomi non li rende più atti a formare il mondo del caso. In fatto siccome si è dimostrato esservi rispetto alla velocità la stessa proporzione del moto al moto che corre tra il mezzo al mezzo rispetto alla sottigliezza, invece tra il pieno e il vuoto non vi ha alcuna proporzione rispetto alla sottigliezza e resi- stenza, perchè una resistenza nulla non ha alcuna proporzione con una resistenza qualsiasi; quindi la velocità con cui un mo- bile qualunque, ad esempio, una palla di piombo, si moverebbe nel vuoto, non ha alcuna proporzione colla velocità con cui si moverebbe anche nel pieno più sottile: ma se nel vuoto quel INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 405 mobile si movesse rispetto al tempo più velocemente avrebbe una proporzione colla velocità; epperciò nel vuoto quel mobile non si moverebbe nel tempo, ma in nessun tempo ciò che è impossibile e contrario alla ragione del moto. Se poi si insistesse dicendo che nel vuoto un mobile per- corre, ad esempio, uno spazio eguale in un tempo cento volte minore di quello che impiegherebbe a percorrerlo nell’acqua, si osserva che in un vuoto in cui nulla oppone resistenza il mo- bile non si moverebbe più velocemente che in un pieno egual- mente resistente ciò che è assurdo. In fatto sia il vuoto F cento palmi; siano due pieni eguali anche di cento palmi B; ad esempio, acqua e D aria; il mobile A, una palla di piombo, si moverebbe attraverso lo spazio B, acqua, nel tempo E, poni cento momenti ; si moverebbe anche attraverso lo spazio vuoto F nel tempo G minore, ad esempio, in un momento solo, quindi vi sia la stessa proporzione tra il vuoto F al pieno acqua B, che corre tra un momento solo a cento momenti, e poichè il mobile A_ percorre in un momento tutto il vuoto F di cento palmi, così in un mo- mento percorra la centesima parte C, dello spazio B pieno d’acqua, cioè un palmo. Se si trovi un corpo cento volte più sottile dell’acqua, lo stesso mobile percorrerà lo spazio pieno di quel tale corpo più sottile cento volte dell’acqua in un tempo cento volte minore di quello che impiegherebbe per percorrere lo spazio pieno acqua, cioè in un momento solo; ma dalla fatta supposizione quel mobile percorre lo spazio vuoto in un mo- mento; dunque nello stesso tempo percorrerà uno spazio eguale di pieno, quindi il mobile si moverà colla stessa velocità nel vuoto che non ha alcuna resistenza come in un pieno che pre- senta qualche resistenza, ciò che è assurdo ed impossibile. Laonde, siccome nel vuoto non può verificarsi la propor- zione secondo la quale lo stesso mobile si move con diversa ve- locità in mezzi diversi, così nel vuoto non può verificarsi questa altra proporzione che stabilisce che i mobili, atomi, che hanno diversa gravità e leggerezza, si muovano con velocità diversa. Infatti i mobili, atomi, che sono più pesanti sia perchè hanno maggior grandezza o altra maniera nello stesso mezzo, si mo- vono più velocemente di quelli che hanno minore velocità pro- porzionalmente al loro peso; così una palla di piombo nello stesso mezzo si move più velocemente di una palla di eguale 406 ROMUALDO BOBBA grandezza ma di legno, poniamo l’aria per la ragione che i mo- bili più pesanti hanno maggior forza per scindere la resistenza del mezzo, ad esempio, l’aria, dei mobili più leggeri; ma il vuoto assoluto non presentando alcuna resistenza, tutti gli atomi co- munque differenti per grandezza e peso si moveranno tutti con eguale velocità. Quindi è impossibile l'urto degli atomi più pe- santi e creduti moversi più velocemente dei più leggeri, im- possibile il rimbalzo e la formazione del mondo (Fisica, libro IV, Capo VIII, c. IX). Ciò che siamo venuti esponendo rispetto alla esauriente confutazione che Aristotele fece della teoria atomistica rispetto al movimento degli atomi ed alla impossibilità del loro urto e rimbalzo per formare il mondo, dimostra quanto profondamente ed oggettivamente avesse studiato la loro dottrina, ed è cu- rioso rilevare che egli indicasse tanti secoli prima la vera ra- gione per cui ì corpi più pesanti come i più leggeri nel vuoto cadono colla stessa velocità, ciò che dimostra sperimentalmente la macchina di Atwood. Il dottissimo Zeller scrive; si dice che l’ipotesi di Epicuro relativa alla declinazione degli atomi sia diretta contro l'opinione di Democrito, del quale volle con ciò evitare il determinismo. come pure che la sua polemica e quella de’ suoi discepoli contro la caduta perfettamente verticale degli atomi è unicamente di- retta contro l’antica teoria atomistica. D'altra parte non si può considerare Epicuro come l’autore della spiegazione puramente fisica del movimento e della formazione del mondo, perchè egli indebolì precisamente quella spiegazione colla sua arbitraria ipotesi della declinazione degli atomi (Vol. II, pagg. 308-309). Con tutto il rispetto che professiamo verso lo storico in- signe ci permettiamo di osservare che secondo ogni probabilità Epicuro fu indotto ad ammettere la declinazione degli atomi convinto dalle obiezioni di Aristotele le quali dimostrarono fino alla evidenza che nel vuoto di Leucippo e di Democrito gli atomi. gravi come i leggeri cadendo verticalmente colla stessa velocità si rendeva impossibile l’urto dei più pesanti sopra i più leggeri, quindi impossibile il rimbalzo e la formazione del nucleo intorno a cui si sarebbero conglobati altri atomi, e quindi impossibile la formazione del mondo. Lo Zeller poi giudica arbitraria la de- clinazione dalla verticale nella caduta degli atomi. Ammettiamo INTORNO IL CASO E LA FORTUNA IN DEMOCRITO 407 che Epicuro immaginasse l’ipotesi della declinazione, vuoi per sottrarsi al determinismo vuoi per superare le difficoltà op- poste da Aristotele contro la diversa velocità degli atomi in ragione del loro peso diverso nel vuoto, ma è oramai un fatto ammesso da tutti dopo le esperienze di Galileo fatte dalla torre di Pisa, che i gravi cadendo si scostano dalla verticale; così che, fatto abbastanza curioso, Epicuro per sostenere la possibi- lità dell'urto e del rimbalzo degli atomi nella loro caduta am- mette una ipotesi che solo dopo tanti secoli fu verificata colla esperienza da Galileo e convertita in una verità dimostrata. Ci piace qui di ricordare il giudizio che il Brukero porta intorno alla questione che abbiamo fin qui discussa: “ Aquilanus hic movet quaestionem satis spinosam et difficilem, utrum in via methodoque Democriti sit principium in genere causae efficientis et si est quodnam sit? Quae vero ex studiose collectis obscuris vagisque veterum narrationibus tandem elicit huc redeunt, coe- lestia cas, coetera natura evenire; naturam vero quam Laertius vocavit, Democritum nominare necessitatem; casu autem evenire adeoque carere efficiente causa atomorum concursum, nec esse principium tertium efficiens re distinctum a duobus illis mate- rialibus, sed haec ipsa materialia, alia atque alia ratione sumpta, et materiale esse et efficiens principium rerum: quam vero necessitatem dixerit non explicuisse. Recte haec dici, non ipsa tantum systematis Democritei natura et constitutio probat, quae animae mundanae Pythagorae, Platonis aliorumque vanum in- finitum inane opponebat, de alia causa non sollicita; sed et Ari- stoteles diserte testatur qui post quam indignum philosopho dixerat, nullam rationem causarum naturalium afferre nisi hane hoc semper ita fuisse, et fieri, ad hoc addit, principium Demo- critus refert naturae causas, sic et antea factum esse: aeterni- tatis autem non putat rationem habendam principii. Ex -his enim sole meridiano clarius est. Democritum de causa effi- ciente quae atomos in infinito inani moveret, non fuisse solli- citum , (pars. 118, lib. II, cap. XI). Se volessimo addurre ancora una prova della tesi che so- steniamo possiamo trovarla evidentissima nel fatto che Demo- crito suppone realizzati o in via di realizzarsi tutti i mondi possibili dai più imperfetti ai più perfetti e li considera come tentativi di cui gli uni riescono gli altri falliscono senza una 408 ROMUALDO BOBBA — INTORNO IL CASO, ECC. legge costante e ricorrente che dal di dentro spinga la natura a rinnovare, perfezionare i suoi conati, che ne coordini e di- sponga gli effetti, ma con piena indipendenza e senza altra base che quella del concorso fortuito degli atomi (conf. ZELLER, luogo citato, pag. 311 e seguenti). Possiamo dunque assennatamente conchiudere e contraria- mente all’asserto del Fiorentino che Dante non cedette a un pregiudizio volgare, ma espresse un giudizio basato sopra ra- gioni veramente scientifiche quando cantò: Democrito che il mondo a caso pone. LUIGI VALMAGGI — TACITIANA 409 Tacitiana. Nota di LUIGI VALMAGGI. Hist. II, 86, 1 sg. At in Pamnonia tertia decuma legio ac sep- tima Galbiana, dolorem iramque Bedriacensis pugnae retinentes, haud cunetanter Vespasiano accessere. A tacere di altre difficoltà di questo passo (le ha messe in rilievo col consueto acume il Fabia, Rev. des ét. ance. V, 358 sgg.), lo stesso accenno alla legione XIII non riesce alla prima troppo chiaro, dacché poco innanzi (II, 67) Tacito ha detto che la le- gione era rimasta in Italia, comandata alla costruzione di due anfiteatri, l'uno a Cremona e l’altro a Bologna (tertiadecumani struere amphitheatra iussi; nam Caecina Cremonae, Valens Bo- noniae spectaculum gladiatorum edere parabant). A togliere di mezzo l’apparente contraddizione si potrebbe supporre che di detta legione fossero stati trattenuti in Italia soltanto alcuni distaccamenti; onde tertia decuma legio, come tertiadecumani nel cap. 67, designerebbe non già tutta la legione, ma una parte di essa (cfr. il mio commento a Hist. II, 43, 9), secondo l’uso non infrequente di Tacito. Se non che v'ha luogo anche a un’altra ipotesi, cioè che lo scrittore abbia omesso di avvertire che la legione XIII, condotte a termine le costruzioni, s'era restituita alla sua sede in Pan- nonia. Lacune di tal sorta, per soverchio studio di concisione, non sono rare in Tacito (1), e qui probabilmente ne abbiamo un esempio assai notevole; poiché, che questa seconda sia la congettura piw attendibile, par confermato da quanto sappiamo circa quel che accadde pit tardi, dopo la caduta di Cremona. I Flaviani invero posero a sacco la città, non solo (Hist. III, 32) per “ insitam praedandi cupidinem ,, ma anche “ vetere odio , contro i Cremonesi. E tra le ragioni di siffatto odio, Ta- (1) V. tra altri gli esempi addotti dal Fabia, l. cit. 410 LUIGI VALMAGGI cito allega anche il modo come il popolazzo di Cremona s’era comportato verso i soldati della legione tredicesima addetti alla costruzione dell’anfiteatro (“ mox tertiadecumanos ad ex- struendum amphitheatrum relictos, ut sunt procacia urbanae plebis ingenia, petulantibus iurgiis inluserant ,). Ora è agevole intendere che se questi soldati fossero rimasti a Cremona, allo scoppiare delle ostilità i Vitelliani si sarebbero affrettati a sop- primerli: se ciò non avvenne, è segno manifesto che, costrutto l’anfiteatro, erano tornati in Pannonia. Dunque al principiare della nuova guerra tra Vespasiano e Vitellio la legione XIII si trovava tutta intera in Pannonia, e piu precisamente a Pettau (Hist. III, 1), donde poi accorse a Padova, dopo i primi successi di Antonio Primo, con l’altra legione di Pannonia (Hist. HI, 7). S'aggiunga, a tacer d’altro, che nella battaglia di Cremona la le- gione tredicesima tenne il centro della linea flaviana (Hist. HI, 21), e appresso, nell’attacco del campo vitelliano dinanzi a Cremona (Hist. III, 26), fronteggiò da sola il lato settentrionale del campo stesso (Hist. III, 27): ora è chiaro che ufficì cosî importanti non sì sarebber potuti commettere a una legione dimezzata, quale la tredicesima avrebbe dovuto essere secondo la prima ipotesi di sopra enunciata. Hist. III, 23, 5 sgg. Magnitudine erimia quintae decumae legionis ballista ingentibus saris hostilem aciem proruebat. Lateque cladem intulisset, ni duo milites praeclarum facinus ausi, arreptis e strage scutis ignorati, vincla ac libramenta tormentorum absci- dissent. Può esser dubbio se nel secondo periodo il participio igro- rati sia da congiungere con l’inciso arreptis e strage seutis, ov- vero, virgolando dopo scutis, con la proposizione seguente vinela ac libramenta tormentorum abscidissent. Ad ogni modo nell’un caso e nell'altro il senso generale torna ad un medesimo, ciò è dire che i due soldati riuscirono a compiere quel loro atto eroico perché non vennero riconosciuti, grazie agli scudi che avevano tolto ai caduti. Se non che qui si affaccia una difficoltà non lieve, della quale non parmi che i commentatori si sieno resi finora piena ragione. Infatti non trovo che siasi data risposta soddisfacente a una domanda, che pur sorge spontanea e ragio- TACITIANA 411 nevole: come e perché quegli scudi presi tra i cadaveri nemici (1) abbiano dato agio ai due Flaviani di accostarsi inosservati alla ballista, che menava strage così furiosa. Siamo, appena è d’uopo rammentarlo, alla battaglia di Cre- mona (o di Bedriaco, come si suol chiamarla impropriamente), e più precisamente nel primo periodo dell’azione, che si svolse in piena notte, senza luce neppure di luna (2). Cade quindi senz'altro la congettura di Orelli-Meiser, che i due Flaviani co- perti dagli scudi nemici “ haud agnoscebantur a Vitellianis, quia horum scutis inscriptum erat Vitellii nomen ,. Ognuno in- tende che tra le tenebre non era possibile leggere le iscrizioni, né distinguere i fregi, o il colore, o altri particolari siffatti degli scudi. La sola cosa che poteva dar nell'occhio in quella oscu- rità, e anche a mala pena, era la loro forma; né il passo di Tacito ammette altra spiegazione diversa. I Flaviani imbrac- ciarono due scudi nemici, poiché la forma dei loro proprî scudi li avrebbe potuti tradire, rendendo vana la coraggiosa impresa. Il grave è che intorno a questa parte dell'armatura romana non abbiamo notizie molto precise (3). Tuttavia quel poco che ne sappiamo basta a escludere che vi fossero tante forme diverse di scudi, quante erano le legioni, di guisa che i soldati di una legione si potessero distinguere da quelli di un’altra per la forma degli scudi, a quel modo per esempio che in alcuni eser- (1) Che fossero scudi dei nemici risulta dal contesto, ed è detto espres- samente da Dione LXV, 14: dotidag Te ék TOv BiteMeiwyv okxdiwv fipTtacav. (2) Tacito, proseguendo il racconto, dice espressamente che la luna sorse piu tardi, a notte alquanto inoltrata (Neutro inclinaverat fortuna, donec adulta nocte luna surgens ostenderet acies falleretque). (3) Le rappresentanze figurate offrono una certa promiscuità di forme negli scudi, senza che riesca possibile ravvisare sempre differenze sicure di corpi, di gradi o di tempi. La trattazione pi ampia dell'argomento è tuttavia quella di E. Hiibner, Rom. Scehildbuckel, nelle Arch.-epigr. Mittheil. aus Oesterr. Il, 117 sgg. Poco ne dice il Lindenschmit, Tracht u. Bewaffn. des ròm. Heeres, Braunschweig 1882, p. 15, e pochissimo Alberto Miiller, tanto negli articoli critici (Die neueren Arbeiten ib. Tracht u. Bewaffn.) del Philol. XXXIII, 632 sgg.; XLVII, 514 sgg.;; 721 sgg., quanto in Baumeister, Denkmdiler, III, 2043 sgg. Altri scritti dello stesso Miller (Philol. XL, 122 sgg. e 221 sgg.) e del Hiibner (Herm. XVI, 302 sgg.) intorno all’armamento dei soldati romani non riguardano gli scudi. Piri scarsi ancora di notizie sono i manuali e dizionarî di antichità. 412 LUIGI VALMAGGI citi moderni la varietà dei colori serve a distinguere reggimenti o brigate. Pertanto, dacché la ballista apparteneva alla le- gione XV, e perciò erano legionarî quelli con cui i due vole- vano andar confusi, se ne deve desumere non già che essi fos- sero militi di un’altra legione, che non servirerebbe a niente, ma bensi di un’ altr’ arma. Di quale arma? Non è difficile rica- varlo dalla narrazione stessa di Tacito. La legione XV era al centro della linea vitelliana, a cava- liere della via Postumia (Hist. III, 22), e aveva di fronte la le- gione XIII, fiancheggiata a destra dalla legione VIII e a sinistra dalla VII Galbiana (ib. 21). Se non che vacillando la legione Galbiana (ib. 22), il generale Antonio Primo aveva chiamato a sostegno di essa i pretoriani (ib. 23), i quali al principio del combattimento erano disposti all'estrema ala destra (ib. 21). E i pretoriani, racconta Tacito, “ ubi excepere pugnam, pellunt hostem, dein pelluntur. Namque Vitelliani tormenta in aggerem viae contulerant, ut tela vacuo atque aperto excuterentur, dis- persa primo et arbustis sine hostium noxa inlisa ,. Alle quali parole segue immediatamente il passo di cui ci stiamo occu- pando: “ Magnitudine eximia quintae decumae legionis bal- lista etc. ,. La stessa connessione dei fatti quali vengono esposti da Tacito conferma apertamente la congettura che anche per altra via sì presenta ovvia: dacché in quel punto non si trova- vano altri combattenti che legionarî e pretoriani (gli ausiliari stavano alle ali e la cavalleria ai fianchi e alle spalle, come è detto da Tacito nel cap. 21), e dal momento che i due militi che abbatterono la ballista non erano legionarî, ne scende ma- nifestamente che dovevano essere appunto pretoriani. Cosî del resto aveva già inteso il Wolff (che è tra gli interpreti di Ta- cito senza dubbio dei pit acuti e felici), ma senza addurne prove. E qualche prova sicura era in questo caso tanto più necessaria, in quanto intorno all’armamento dei pretoriani non abbiamo, come è noto, che notizie molto scarse, e qui si tratta di un par- ticolare che ha importanza molto maggiore che semplicemente esegetica, dacché il presente passo di Tacito (1) è l’unico docu- (1) Cfr. tuttavia anche Mist. I, 38: “ Rapta statim arma, sine more et ordine militiae, ut praetorianus aut legionarius insignibus suis distingue- retur: miscentur auxiliaribus galeis scutisque ,. TACITIANA 413 mento che possa attestare in modo non dubbio che gli scudi dei pretoriani erano diversi da quelli dei legionarì non solo per i fregi, ma anche per la forma. Ib. 24, 12 sgg. Vos, inquit, nisi vincitis, pagani, quis alius imperator, quae castra alia excipient? Illic signa armaque vestra sunt, et mors victis; nam ignominiam consumpsistis. Sono parole di Antonio Primo ai pretoriani che presero parte alla battaglia di Cremona tra le milizie flaviane. Primo il Diilbner tentò render ragione dell’inciso illic signa armaque vestra sunt, che è di colore oscuro, intendendo dice “ apud hostem, quem monstrat ,; e la sua spiegazione fu ripetuta dai commen- tatori più recenti (eccezion fatta, ch'io sappia, del Constans e del Balgarnie, i quali tacciono), ricordando che i pretoriani, inviati da Vitellio in congedo anticipato, “ arma ad tribunos suos de- ferebant , (Hist. II, 67). Ma questa interpretazione è assurda, perché nel passo testé citato Tacito soggiunge che quei preto- riani furono poi richiamati regolarmente in servizio (“ tum re- sumpta militia robur Flavianarum partium fuere ,). /llic si riferisce invece a vincitis, e vale “ nella vittoria ,, in oppo- sizione al seguente victis. Siffatto uso dell’avverbio illic è comu- nissimo in Tacito, specie in relazione con nomi di persona (ad esempio Hist. II, 47 Civile bellum a Vitellio coepit, et ut de prin- cipatu certaremus armis, initium illic fuit), e anche in altri casi, come Hist. I, 83 An et illic (cioè in dello) nocte intempesta ra- pientur arma?; V, 17 ne terrerentur vario Treverici proelii eventu : suam illic victoriam Germanis obstitisse. E Antonio dice ai preto- riani che nella vittoria soltanto signa armaque (s'intende che i due sostantivi hanno senso pregnante) vestra sunt, appunto perché, in caso di sconfitta, sarebbero stati respinti da tutti (quis alius imperator, quae castra alia excipient?). Ib. 25, 8. Per limitem viae sparguntur festinatione consectandi victores (i. e. Flaviani). I commentatori spiegano limitem per “sentiero ,; e la stessa interpretazione è data nel Lessico di Gerber e Greef. Ma che cosa vuol dire “ sentiero della via ,? Perché la chiosa del Lessico predetto, “ un sentiero della via maestra ,, è semplicemente una freddura, anche se si trattasse di uno scrit- 414 LUIGI VALMAGGI tore meno stringato di Tacito. Piuttosto si potrebbe sospettare che viae sia genitivo soggettivo od oggettivo (“ un sentiero che si staccava dalla via ,, ovvero “ che attraversava la via ,), chi pensi quanto Tacito soglia essere ardito in quest’uso: sennonché occorre por mente a una circostanza, la quale esclude in modo assoluto che qui si parli di un sentiero trasversale. Infatti in questo punto Tacito, poco preciso come è spesso quando ha da descrivere operazioni di guerra, non espone già le mosse di tutto quanto l’esercito flaviano, ma si occupa soltanto di quello che segui al centro, sulla via Postumia, ove si trovava il comandante supremo Antonio Primo. Ora siccome i Vitelliani fuggivano verso Cremona, è chiaro che la strada più breve per inseguirli non era un sentiero di traverso, ma la linea retta, quale era offerta, secondo la regola costante delle strade ro- mane, dalla stessa via Postumia. Ed è questo appunto il pen- siero di Tacito, si nel caso che l’attacco sia stato generale e simultaneo su tutta la fronte, e si ancora se Antonio, come Na- poleone III a Solferino, abbia voluto sfondare prima il centro per far piegare appresso le ali; il che noi ignoriamo per defi- cienza del racconto tacitiano, e per difetto di altre fonti. Invero l’espressione limes viae, per essere intesa rettamente, vuol porsi in relazione con un’ altra frase, che ha dato molto filo da torcere agli interpreti, cioè agger viae (Hist. II, 24; 42; III, 21; 23), la quale designa precisamente l’opposto della prima. Agger viae è il centro o l'alto (1) della strada (sicché quando ad esempio Tacito dice, Hist. III, 21, che la legione XIII venne collocata in ipso viae Postumiae aggere, ciò significa che fu inco- lonnata nella strada, e non spiegata a cavaliere di essa); laddove limes viae è il suo lembo o margine estremo (2). Per- tanto per limitem viae sarà, alla lettera, “ lungo il lembo della strada ,, ossia, più liberamente, “ nel terreno la- terale ,. (1) L'espressione ugger viae non ricorre in Tacito che a proposito della via Postumia, la quale, attraversando un terreno frastagliato da canali e da fossi (Hist. IL, 25; 41; III, 17; ecc; Plutarco, Otk. 12), doveva essere na- turalmente costruita in rialzo e aggerata. La frase tacitiana non ha niente di comune con la nota perifrasi poetica (Virgilio Aen. V, 273) per il sem- plice via. (2) Cfr. anche J.J. Hartman, Mremos. n. s. XXX (1902), 342. TACITIANA 415 La voce limes è da prendere verosimilmente nello stesso senso pure in Hist. III, 21, dove, descrivendosi le posizioni dei varî corpi flaviani, è detto che la legione VIII venne collocata a destra per apertum limitem. Anche in questo passo i commentatori, e con loro il Lessico, intendono di un sentiero trasversale. Ma un sentiero non poteva offrire spazio sufficiente allo spiegamento di un’intera legione. È adunque probabile che per apertum limitem qui significhi “ nel terreno laterale scoperto ,, che si stendeva tra la via Postumia e l’alberata da cui, a destra del- l'ottava, era coperta la legione terza (dextro octava per apertum limitem, mox tertia densis arbustis intersaepta). Ib. 33, 1. Quadraginta armatorum milia inrupere, calonum lixarumque amplior numerus etc. È l’entrata dell'esercito flaviano in Cremona, dopo la resa della città. Questo esercito si componeva delle legioni III, VII Claudiana e VIII di Mesia, VII Galbiana e XIII di Pannonia, le quali, con gli ausiliari e la cavalleria, a non parlar dei pretoriani e delle bande Sveve (Hist. III, 5; 21), al principio della campagna dovevano sommare a più di 50000 combat- tenti (1), anche facendo ragione dei vuoti prodotti dalla guerra precedente, se pur non erano già stati colmati. Come mai, se vogliamo prestar fede alle parole di Tacito, l’esercito di Antonio Primo si trova ora diminuito di tanto? Le perdite dei Flaviani in quella breve campagna non pare sieno state molto gravi; infatti Flavio Giuseppe le riduce, a sacco finito, ad appena 4500 morti: "Ev0a è (a Cremona) moMoì uèv tv Févwv éumopor (2), moXNXoi dè TÒòv eémywpiwv amwiovto, taoca dè OùrTe)- Mou OTpaTtIa, uupiadeg Tpeîg dvdpwyv kai diaxdo1ior: TÙvV dè Tfg Muoias ’AvtWwviog TetpaxioyiNioug aopaMier kai tevtakocioug (Bell. (1) La forza numerica della legione oscillava tra i 5000 e i 6000 uomini. È vero che non abbiamo notizie esplicite per il I secolo; ma dacché questo era l’effettivo dell'età precedente, e poiché ricompare immutato al prin- cipio stesso del II secolo (Mommsen, Arch. epigr.-Mittheil. aus Oest. VII, 188 sgs.), non v'è ragione di dubitare che non fosse anche la norma del periodo intermedio. E l’effettivo degli ausiliari soleva essere uguale a quello dei legionarî. (2) Era quello il tempo della fiera annuale di Cremona (Tacito, Hist. III, 30). 416 LUIGI VALMAGGI lud. IV, 11, 3). L'espressione tv... tg Muoiag è una semplice svista dello scrittore, dacehé le sue cifre si riferiscono alle per- dite complessive dell'una e dell’altra parte, e pertanto non può trattarsi di una porzione soltanto dell’esercito di Antonio, ma bensi dell’esercito tutto intero. La svista poi è facile a spiegare, chi consideri che le legioni di Mesia, non che per numero, pri- meggiavano eziandio per avere avuto una parte preponderante fin dal principio dell'impresa (1). Del resto inesattezze di tal fatta non sono senza altri riscontri: ad esempio anche Plutarco, Oth. 8, parla delle legioni di Mesia (“Avviog dè FdMog ... pd- yavtog... *O8wvog aùtà cuveBovNevoe un oteUderv, ANA TV ÈK Muoiag rmepiuéverv duvauiv fdn ka’ èdòbv odcav), mentre poco prima sul medesimo proposito aveva accennato alle legioni di Mesia e di Pannonia (“O@wvi dè Tg Nòdn mapovong oùk éXGTTOva tpoodékiuov eivar dyvapiv ék Muoiag kai TTavvoviag), entrambe le volte con poca precisione, perché una parte delle legioni di Pannonia si trovava già sul posto (2), e con quelle di Mesia era per via anche il resto delle altre legioni dell’ Illirico (3). Lo stesso errore è pure in Tacito (Hist. II, 44 venire Moesicas le- giones; cfr. pure II, 46); ed è probabile che l'avesse anche la fonte comune di lui e di Plutarco. Piuttosto è da por mente che al momento dell'entrata del- l’esercito vincitore in Cremona il numero dei caduti doveva essere inferiore al totale accennato da Flavio Giuseppe, perché non pochi Flaviani perirono in seguito durante il sacco (4). Se non che la testimonianza di Flavio non par da accettare senza ri- serve, essendo sospetta per più ragioni. Per esempio è falso che l’esercito di Vitellio sia stato interamente distrutto, dacché al- l'opposto trovò scampo nella resa (5). Anche la cifra dei caduti (1) Tac. Hist, 24: * tam ad Moesicos conversus principes auctoresque belli ciebat ,; cfr. Fabia, Rev. des ét. ance. V, 345 sgg. (2) Tac. Hist., II, 11; 43; 67. (3) Tac. Hist} II, 11. (4) Tac. Hist., III, 33: “ ubi adulta virgo aut quis forma conspicuus incidisset, vi manibusque rapientium divulsus ipsos postremo direptores in mutuam perniciem agebat. Dum pecuniam vel gravia auro templorum dona sibi quisque trahunt, maiore aliorom vi trancabantur ,. È da notare peraltro che al saccheggio presero anche parte, e pit sfrenatamente, bagaglioni, servi, vivandieri ecc. (5) Tac. Hist. III, 31; 35; Dione LXV, 15. TACITIANA 417 di parte vitelliana sembra maggiore del vero, quantunque Dione parli addirittura di 50000 morti (1). Non è improbabile che in (1) LXV, 15: wWote Tmévte uupiddac oÙv Toîc Èv TÎ) udyxn meocodow èro- \éo8a1: queste parole chiudono il racconto delle stragi di Cremona. La discrepanza tra i due autori, sempre quando non vi sia errore dei copisti, procede verosimilmente da questo, che Dione dà il numero totale dei morti nel sacco e in battaglia, compresi forse anche i caduti di parte flaviana, laddove la cifra di 30200 registrata da Flavio Giuseppe pare riferirsi esclu- sivamente alle perdite vitelliane, designandosi con un generico moMoi il numero dei periti durante il sacco. In questo caso la differenza tra la cifra di Dione (50000, numero totale dei morti) e la somma delle due cifre di Flavio (30200, caduti dell’esercito vitelliano, e 4500, caduti dell’ esercito flaviano) potrebbe rappresentare il numero delle vittime del sacco, che sa- rebbero state pertanto 15300. Sennonché questo numero parrà forse a taluno esagerato in confronto con la popolazione di Cremona, quale si può pre- sumere dovesse essere a quel tempo. Come è noto, Cremona era colonia latina (Livio XXVII, 10, 8; XLIV, 40, 5), e venne dedotta contemporanea- mente a Piacenza nell’anno 586 di R. (Livio XX per.; XXI, 25, 2; XXXI, 48, 7; Polibio II, 40, 5; Velleio I, 14, 8): a ciascuna delle due nuove città furono assegnati 6000 coloni (Polibio III, 40, 4; cfr. Asconio in Pis., p. 8 K.). Ma la popolazione non tardò ad essere alquanto diradata, perché molti coloni erano morti, e altri emigrati (Livio XXXVII, 46, 9); di guisa che nel 564 fu necessaria una nuova deduzione supplementare di 6000 coloni latini, i quali andarono divisi tra Cremona e Piacenza (Livio ib. e 47, 2). Saremo adunque piuttosto al disopra che al di sotto del vero, se conget- turiamo che la popolazione iniziale di Cremona si trovasse allora diminuita almeno di un terzo, ossia ridotta a circa 4000 coloni, i quali, sommati coi 3000 della deduzione supplementare, dànno un totale di 7000 coloni al più. Aggiungendo le donne e i fanciulli, secondo il rapporto medio di 3:1, ci aggireremo intorno a una somma, in cifra tonda, di 20000 abitanti, che dovrebbe rappresentare a un dipresso la popolazione di Cremona alla fine del VI secolo di R. Che gli abitanti fossero cresciuti di molto nel I secolo dell’èra nostra, sebbene la città paresse per il tempo relativamente grande (Plutarco, Oth. 7; Strabone V, 1, 10; Dione LXV, 15; Tacito, Hist. Ill, 30; 34), è cosa che non si può supporre, perché tutta l’Italia soggiacque allora a una grave crisi di spopolamento, provocata da varie cause, e soprattutto dalle guerre civili degli ultimi tempi della repubblica (v.le testimonianze presso Beloch, Die Bevòlker. der griech.-ròm. Welt, 442 sg., e cfr. E. von der Smissen, La population, 82 sgg.). Né a crescere considerevolmente la popo- lazione cremonese possono avere contribuito le poche centinaia di veterani dedotti da Augusto nel 713 (Virgilio, Ecl. 9, 28; Probo, ad Eel. p.6 K.; Ps. Donato, Verg. vita 61 sg.). Ora se è vero che quando avvenne il sacco Cremona era piena di forestieri accorsi alla fiera che cadeva in quei giorni (Tacito, Hist. III, 30), e anche tra essi le vittime possono essere state pa- 418 LUIGI VALMAGGI questi particolari si rispecchi una narrazione di fonte flaviana, la quale, a quel modo medesimo che esagerava le perdite del nemico, può ragionevolmente supporsi che attenuasse le proprie. Infatti la sproporzione tra il numero dei morti delle due parti è troppo grande, perché non possa lasciar luogo a qualche dubbio. È vero bensi che i Flaviani non soggiacquero a inseguimenti (e questa, come cortesemente mi rammenta Ermanno Ferrero, era di solito la fase pit micidiale di ogni azione campale), mentre i Vitelliani ne subirono due, un primo dopo la battaglia (1), e un secondo, e pit disastroso (2), dopo la presa del campo trincerato. Sennonché anche i primi ebbero a patire gravi danni nei varì com- battimenti (3); onde si affaccia ovvia la congettura che le loro perdite sommassero a una cifra un po’ maggiore di quella indi- cata da Flavio Giuseppe. La quale in tal caso non potrebbe avere altro valore che approssimativo: ad ogni modo, sia che i morti di parte flaviana sieno stati qualche centinaio di piu, sia che il numero dato da Flavio Giuseppe voglia tenersi per esatto, siamo sempre alquanto lontani dal numero di combattenti, di cui Antonio Primo si trovava mancare, secondo il racconto di Ta- cito, al suo entrare in Cremona. Buona parte adunque di queste forze (cioè la parte che avanza detratti i morti e i feriti) dovette restare indietro. È poiché nell’Illirico non fu lasciato nessun presidio (4), ne segue che vennero tutte impiegate a proteggere le linee di comuni- cazione. Del che Tacito dà bensi qualche cenno, ma, come suole spesso, in modo alquanto imperfetto ed incompiuto, restrin- gendosi a far menzione dei soli particolari di maggiore impor- recchie, non si deve però dimenticare che buona parte della popolazione si salvò (molti vennero presi prigionieri con la speranza di lauti guadagni, e di questi pochi soltanto furono trucidati, come sappiamo dallo stesso Tacito, ib. 34): talché i Cremonesi, rientrati nella città subito dopo la par- tenza dei Flaviani, poterono in breve ripristinarla senza bisogno d’altri soccorsi che pecuniarî (Tacito, ib.). (1) Tac. Hist. NI, 25. (2) Tac. ib. 29; si abbiano presenti specialmente le ultime pàrole de capitolo: “ Completur caede quantum inter castra murosque vacui fuit ,. (3) Tac. Hist. II, 22; 23; 27; 28; 29. (4) Tac. Hist. III, 5: * ne inermes provinciae barbaris nationibus expo- nerentur, principes Sarmatarum lazugum, penes quos civitatis regimen, in commilitium adsciti ,. TACITIANA 419 tanza strategica. Egli ricorda infatti l’ala di cavalleria e le otto coorti (1) destinate con milizie locali (2) alla difesa del . Norico; più innanzi rammenta di passata il presidio “ relictum Altini... adversus classem Ravennatem, nondum defectione eius audita , (3), e a proposito della defezione di Lucilio Basso, pre- fetto della squadra Ravennate, fa menzione del presidio di ca- valleria stabilito ad Adria (4); ma non aggiunge altro, lasciando che il lettore supplisca alle lacune col suo proprio discernimento. Cosi è certo che Verona, la quale i Flaviani avevano scelto come base d’operazione (5), non poté rimanere indifesa (6). Lo stesso si dica di Bedriaco, e di altri luoghi, non esclusi quelli che, come Vicenza (7), erano stati occupati per ragioni essenzialmente politiche. Queste osservazioni giovano pure a rendere ragione di altri passi di Tacito, che riescono difettosi per lacune del medesimo genere, quale è ad esempio il racconto dell'avanzata di Vitellio verso Roma, nel secondo libro delle Storze (cap. 87), dove lo scrittore assegna al nuovo imperatore appena 60000 uomini, mentre i due eserciti di Cecina e di Valente, aggiuntevi le mi- lizie venute in Italia con lo stesso Vitellio, dovevano sommare a un effettivo molto maggiore. Anche qui si tace dei presidî lasciati in varie parti, i quali non men delle perdite, dei con- gedi (8) e dei trasferimenti (9), dovevano concorrere ad assotti- gliare le file dell'esercito avanzante. Ib. 39,7. Integris quoque rebus a Caecina et primoribus partium tam Vitellium aspernantibus ambitus abnuere perseveravit. Sì tratta di Giunio Bleso, che Vitellio fece avvelenare poco (1) Ib. (2) A. Stappers, Les milices locales de l’Emp. rom., Mus. Belge VII, 303. (3) III, 6. (4) Ib. 12. (5) Ib. 8. (6) Ib. Si noti che Verona era anche posizione strategica di primo ordine, perché, per dirla con le stesse parole di Tacito, “ interiectus exer- citus Raetiam Iuliasque Alpes, ne pervium illa Germanicis exercitibus foret, obsaepserat ,. (7) Ib. (8) Tac. Mist. II, 69. (9) Ib. 66 e 69. Atti della R. Accademia — Vol. XL. (N9) 00 420 LUIGI VALMAGGI dopo la partenza di Fabio Valente da Roma. Integris quoque rebus alla lettera è “ ancora in buon essere ,, come tra- dusse il Davanzati. Ma la versione letterale non dà un senso plausibile, anzi può persino lasciar dubbio se l’inciso, come i piu credono, convenga a Vitellio: il Prammer ad esempio opinò che si riferisca invece a Bleso, intendendo “ mentre questi non era ancora caduto in sospetto ,. Se non che siffatta interpreta- zione disconviene alla fedeltà pertinace, di cui Bleso è qui elo- giato (1), dacché farebbe dire a Tacito che Bleso non diede prova della sua costanza se non mentre godeva ancora la piena fiducia di Vitellio: il che, come ognun vede, rimpicciolisce la lode, o anzi la snatura del tutto. Probabilmente il Prammer fu tratto a questa interpreta- zione giudicando che all’inciso integris quoque rebus, dove si ri- ferisca a Vitellio, contraddicano le parole seguenti « Caecina et primoribus partium iam Vitellium aspernantibus. E contraddi- zione c'è veramente, se le parole integris quoque rebus si pren- dono alla lettera: come infatti poteva essere tuttavia salda la condizione di Vitellio, quando i capi di parte sua tramavano contro di lui? Ma il senso letterale non è quello che si attaglia al contesto, nel quale dobbiamo ravvisare un esempio della scorrettezza stilistica non rara in Tacito (2), per cui a un con- cetto specifico vien sostituito un concetto generico pi largo. L'espressione integris quoque rebus non significa che la condizione di Vitellio non fosse minacciata né compromessa in alcun modo; del che d’altra parte aveva già avuto qualche sospetto il Ruperti, intendendo che con integris quoque rebus Tacito voglia significare soltanto che Vitellio era ancora senza competitori. E questa è in sostanza l’interpretazione della maggior parte dei commen- tatori (3). Ma il concetto particolare che qui si richiede non può essere la designazione del momento in cui Vitellio non aveva rivali, (1) Si abbiano presenti anche le parole (Blaeso super claritatem natalium et elegantiam morum fidei obstinatio fuit) che immediatamente precedono quelle di cui discorriamo. (2) Il plurale per il singolare, l’astratto per il concreto, e altrettali frequenti licenze tacitiane procedono dalla stessa tendenza stilistica. (3) Dico della maggior parte, perché molti sorvolano in silenzio su questo particolare. TACITIANA 421 perché la proclamazione di Vespasiano avvenne assai per tempo, e prima ancora che Vitellio giungesse a Roma (1). Pertanto (2), se integris rebus esprimesse la mancanza di competitori, per quel che è detto dopo (Caecina et primoribus partium iam Vitellium aspernantibus) se ne dovrebbe inferire che Cecina cominciò a tentennare durante l'avanzata di Vitellio in Italia, mentre al- l’opposto sappiamo, per testimonianza esplicita dello stesso Ta- cito (3), che ciò non accadde se non dopo l’entrata in Roma. ‘ Piuttosto è da por mente che, sebbene se ne avesse già prece- dentemente qualche vago sentore (4), della proclamazione di Vespasiano non pervenne a Roma notizia sicura che relativa- mente tardi, cioè quando principiò la defezione delle legioni di Mesia (5); e allora soltanto Vitellio provvide ai casi suoi (6). Adunque vi fu un lasso non breve di tempo, durante il quale, benché Vitellio non potesse dirsi realmente senza competitori, non era tuttavia in istato di guerra con nessuno; e a questo periodo appunto vuole riferirsi l’inciso integris quoque rebus. Il quale perciò designa il tempo anteriore all’inizio della campagna per parte dei Vitelliani, e non quello, più breve, che precedette la proclamazione di Vespasiano; ossia significa, in altre parole, non già ‘ quando Vitellio non aveva rivali’ come solitamente s’interpreta, ma bensi ‘quando ancora non si sapeva che avesse rivali ‘. (1) Vespasiano, a non parlar dell’anteriore tentativo delle legioni di Mesia (Svetonio, Vesp. 6), fa proclamato imperatore il 1° luglio; Vitellio entrò in Roma il giorno 18 dello stesso mese. (2) A nessuno, credo, verrà in mente di supporre che integris quoque rebus, anzi che all’episodio di Bleso, sia da rapportare ai fatti esposti nei capitoli precedenti (operazioni di Antonio Primo fino alla caduta di Cremona), perché sarebbe troppo grosso abbaglio di Tacito l’avere dimenticato non solo che l’episodio precede cronologicamente i rovesci vitelliani (cfr. Mist. III, 36), ma ancora, e peggio, che Cecina, non che aspernari Vitellio, aveva addirittura disertato fin dal principio della campagna (Hist. II, 100 sg.; III, 9; 13 sgg). (3) Hist. II, 93. (4) Ib. II, 73. Ma non se ne fece caso, dacché, aggiunge Tacito, Vitellio e il suo esercito “ ut nullo aemulo saevitia libidine raptu in externos mores proruperant ,. (5) Hist. II, 96; cfr. Fabia, Rev. des ét. anc. V, 331 sgg. (6) Hist. II, 97. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 28* 422 LUIGI VALMAGGI Per ultimo è d’uopo avvertire che, ad evitare il difetto dianzi notato nell’interpretazione del Prammer, sarà mestieri subordinare integris quoque rebus al participio aspernantibus, anzi che al verbo principale perseveravit: infatti ognuno intende che, non che lode troppo meschina, sarebbe addirittura ironia il dire che Bleso diede prova della sua perseveranza solo quando la fortuna di Vitellio era ancora, o pareva, in buon assetto. Ib. 44, 4 sgg. Et Britanniam inditus erga Vespasianum favor, quod illic secundae legioni a Claudio praepositus et bello clarus egerat, non sine motu adiunxit ceterarum e. q. s. Pochissimi editori (dei moderni, ch'io sappia, il solo Spooner, dei vecchi il Walther) mantengono inditus. L'antica vulgata leggeva inclitus con l'edizione Puteolana, Ernesti corresse insitus, Haase vetus, Meiser traditus, Heller proditus o inpense proditus, Purser diditus, H. Schiitz inclinatus; e questo è l’emen- damento ora solitamente preferito. Il Ritter conservò inditus, ma premettendovi olim (nell'edizione del 1848) o pridem (in quella del 1864). E veramente inditus, cosi come si trova nel codice Mediceo, senz'altro complemento od aggiunta, non è lezione che si possa ragionevolmente difendere. Se non che oltre a questa v’ha un’altra difficoltà, di cui la maggior parte degli interpreti non pare aver fatto caso. Perché stando al testo tradizionale il senso del passo dovrebb’essere che i Britanni si schierarono dalla parte flaviana per la simpatia loro inspirata da Vespasiano, allorché si copri di gloria, al comando della seconda legione, durante la fortunata spedizione di Aulo Plauzio. Ma ognuno intende che non erano le gesta del conquistatore che potessero provocare l’entusiasmo dei vinti; e qui si tratta del favore e dell’adesione della seconda legione, non già del favore della Britannia. Tant'è vero che gli isolani approfittarono del mo- mento, che pareva propizio, per tentare di scuotere il giogo della dominazione romana, come è narrato dallo stesso Tacito nel capitolo susseguente. Del che ben s’avvide l’Urlichs, che con felice congettura traspose le parole secundae legioni avanti a erga Vespasianum; salvoché lesse a torto legionis, che è bensi la serizione del codice Mediceo, ma con l’s finale cancellato di prima mano. Naturalmente presso al genitivo secundae legionis TACITIANA 423 non poteva stare inditus, che l’Urlichs sostitui con insitus di Ernesti. Ora se all'opposto manteniamo il dativo legioni, non solo sarà tolto di mezzo il controsenso dianzi avvertito, ma avremo inoltre nell’inciso secundae legioni 11 complemento neces- sario a legittimare il sospetto ?nditus. Restituiremo pertanto, modificando in parte l'emendamento dell’Urlichs: Et Britanniam inditus secundae legioni erga Vespasianum favor, quod illi a Claudio praeposttus et bello clarus egerat, non sine motu adiunrit ceterarum e. q. s. Quanto ad ill è chiaro che fu agevolmente corretto in illie, quando, avvenuta la trasposizione delle parole secundae legioni, non aveva piu ragion d’essere nel contesto. Appena è poi d’uopo avvertire che di indere nel significato metaforico di “inspirare non mancano altri esempi in Tacito, come Hist. IV, 25: mec terrorem unius militis vincula indiderant; ib. 34: inmane quantum suis pavoris et hostibus alacritatis indidit. Ib. 55, 1 sgg. Vitellius ut e somno excitus Iulium Priscum et Alfenum Varum cum quattuordecim praetoriis cohortibus et omnibus equitum alis obsidere Appenninum iubet. Poiché le coorti pretorie levate da Vitellio erano sedici (Hist. II, 93), e più innanzi (III, 78) Tacito fa menzione di tre altre coorti vitelliane presenti in Roma al momento dell’assalto del Campidoglio, il Nipperdey congetturò che invece di quattuor- decim bisogni qui leggere tredecim. Infatti delle coorti condotte da Giulio Prisco e Alfeno Varo parte si trasferirono in Cam- pania (III, 58) e parte capitolarono a Narni (III, 63); onde se a Roma ve n’erano in appresso ancora tre, se ne dovrebbe desu- mere che l’esercito con cui Vitellio tentò di arrestare l’avanzata dei Flaviani comprendesse soltanto tredici coorti pretorie, e non quattordici. Altri pensano che le coorti fossero bensi quattordici, ma che una di esse abbia poi seguito Vitellio, allorché, dopo avere raggiunto l’esercito a Bevagna, “ taedio castrorum-et audita defectione Misenensis classis ,, fece ritorno a Roma (III, 56). Se non che Vitellio nel viaggio di ritorno non aveva affatto bisogno di una speciale coorte di scorta, perché marciò fino a Narni con tutto l’esercito, e di là prosegui con la cavalleria e con le sei coorti destinate a combattere in Campania sotto gli ordini del fratello Lucio (III, 58). Né risulta in alcun modo che una di queste sei coorti siasi fermata a Roma. 424 LUIGI VALMAGGI Ma c’è veramente contraddizione tra quattuordecim del cap. 55, e tres cohortes del cap. 78? Per ammetterlo è mestieri supporre che nel cap. 78 si tratti di tre coorti pretorie; se non che siffatta supposizione a sua volta si fonda sull’ipotesi che le coorti di cui si componeva il secondo esercito di Vitellio fossero esclusivamente pretorie. Cosi opinano appunto i com- mentatori, dimenticando che, ove ciò fosse, contraddizione mag- giore si avrebbe coi capp. 41-42, in cui si parla di altre tre coorti precedentemente mandate da Vitellio in soccorso a Va- lente, e annientate da Cornelio Fusco, prefetto della squadra Ravennate (III, 12). Sommando queste con le quattordici del cap. 55 e le tre del cap. 78 abbiamo un totale di venti coorti, mentre le coorti pretorie reclutate da Vitellio, come si è detto, non erano che sedici. È chiaro adunque che almeno le tre man- date a Valente non dovevano essere coorti pretorie, come bene avverti, unico tra i commentatori, il Balgarnie; e se queste erano coorti diverse, la sola congettura lecita sarà che Vitellio aveva a sua disposizione, oltre le sedici pretorie, anche altre coorti, tra le quali potranno pure trovar luogo quelle di cui sì tratta nel cap. 78. Del resto che (a tacere della legione II Adiutrice (III, 55) e senza contare le coorti urbane e dei vigili, che in seguito di- sertarono) il secondo esercito di Vitellio non comprendesse sol- tanto i pretoriani, si desume ancora da altre prove, e anzitutto dalla testimonianza stessa di Tacito, il quale assevera (II, 100) che quando Cecina parti da Roma alla testa dell’esercito che poi fu sconfitto a Cremona, non aveva con sé che una parte della cavalleria e delle coorti ausiliari. L’altra parte adunque dové restare a Roma con Vitellio. Quanta parte più precisa- mente non sappiamo: certo non tanto piccola, perché la caval- leria cooperò largamente a tutte le operazioni di quel miserando scorcio di campagna (1). Né doveva essere di molto minore l'effettivo delle coorti, quantunque parte degli ausiliari fossero stati rimandati ai loro paesi (II, 69), perché al suo ingresso in Roma Vitellio ne aveva ancora trentaquattro (II, 89). Esse esercitarono notevole influenza sugli ultimi avvenimenti (2), e (1) V. Hist. III, 41; 55; 58; 79. (2) Dopo le trattative corse con Sabino, quando Vitellio aveva pubbli- TACITIANA 425 furono il principal nerbo dell'estrema difesa di Roma, quando fronteggiarono l’intero esercito flaviano (1) che si avanzava in tre colonne per la via Salaria, per la Flaminia e lungo il Tevere (III, 82). Miles Vitellianus trinis et ipse praesidiis occurrit, dice Tacito testualmente (ib.), e non v’ha chi non veda, per tor- nare un istante al preconcetto dei commentatori, che siffatta difesa (2) non si può neanche immaginare potesse essere affi- data a tre sole coorti, le quali, ahimè!, si sarebber trovate nel caso della canzoncina lucchese: — Marciate a quattro a quattro. — Siam tre col tamburin. Se non che non sarebber neppure bastate per dare l'assalto al Campidoglio, guardato da sette coorti di vigili e da forse più che altrettante (3) coorti urbane (III, 69). E si rammenti che l'attacco avvenne in tre punti diversi, cioè presso la porta camente deposto l'impero, fu il contegno delle coorti germaniche, come dice Tacito espressamente (III, 69), che provocò il conflitto terminato con l'incendio del Campidoglio. Vero è che i commentatori, fermi nel lor pre- concetto, hanno supposto che Tacito abbia dato il nome di germaniche alle coorti pretorie, per la ragione che in esse erano stati arruolati legionarî e ausiliari di Germania (II, 94), senza badare che, quando ciò fosse, non s’in- tenderebbe perché lo scrittore si sia servito di siffatta espressione per con- trapporle alle coorti urbane, le quali erano appunto nelle stesse condizioni. D'altra parte che non si tratti di una stranezza di Tacito, ne sono prova Dione e Flavio Giuseppe, i quali parlano l’uno (LXV, 17) di KeXtoi, e l’altro (B. Iud. IV, 11, 4) di oi drrò Tfig Feppaviac. Cfr. anche Tacito III, 34 obvius e Germanicis militibus con Dione LXV, 21 KeAtdg Tic. (1) È vero che una parte di questo esercito era stata lasciata a Verona (Hist. III, 50), ma fu poi richiamata (ib. 60 e 61), e di più s'aggiunse la legione XI con altre milizie (ib. 50). (2) Si noti pure che quando i pretoriani si trovavano ridotti all’e- stremo nel loro campo, gli altri combattevano ancora disperatamente per le vie di Roma, facendo pagar la loro vita (III, 84). (3) Il numero è dubbio. Vitellio ne arrolò quattro (II, 93); ma non ri- sulta che abbia sciolto le preesistenti, come fece per le coorti pretorie (II, 67). E se le preesistenti, come pare, erano sette (Marquardt-Brissaud, Organis. milit. 207), posto che Vitellio le abbia conservate, sarebbero state undici in tutto, alle quali però converrebbe sottrarne almeno una, cioè quella che era stata mandata coi gladiatori di Claudio Giuliano per repri- mere la ribellione della squadra Misenate (III, 57). Ma non è escluso che qualche altra coorte urbana si trovasse al seguito di L. Vitellio (III, 58), giacché non sappiamo precisamente quale specie di coorti componessero il piccolo esercito di Campania. 426 LUIGI VALMAGGI — TACITIANA dell’area, ai centum gradus e dalla parte del lucus asyli (IMI, 71). Gli è che l’espressione tres cohortes del cap. 78 non è da pren- dere alla lettera (1). Già il Ritter s'avvide che tutto il passo cuncta ..... ignavia Sabini corrupta, qui sumptis temere armis mu- nitissimam Capitoliù arcem et ne magnis quidem exercitibus expu- gnabilem adversus tres cohortes tueri nequivisset deve intendersi “ rhetorice potius quam ad fidem rerum pronuntiatum ,, per coli Sii Ut, Antonianae causae defensores rem ultra verum augent, ubi dicunt mwunitissimam Capitolii arcem et ne magnis quidem exercitibus expugnabilem, ita hostium copias minores quam fuere describunt ,. E il Ritter ha piena ragione; salvoché occorre aggiungere che l’iperbole trae ragione dall’uso corrente di tres quale numerale indefinito ed equivalente di pawci (2), che del resto non è senza riscontri nelle stesse lingue moderne (3). (1) Se Stazio dice (Silo. V, 3, 197 sg.) sacrilegis lucent Capitolia taedis Et Senonum furias Latiae sumpsere cohortes, non è prova che gli assalitori fossero pretoriani, perché il poeta segue manifestamente la tradizione pi diffusa (Tacito, Hist. III, 70), secondo la quale l’incendio sarebbe stato cau- sato dai Sabiniani. (2) V. Otto, Spichwòirter s. v. verbum, p. 366 sg.;: Sutphen, Amer. Journ. of Philol. XXII, 385 sg.; Egli, Die Hyperbel in den Komébdien des Plautus und in Cic. Briefen an Att. [Zug 1891), p. 10. Cfr. pure il modo prover- biale dbo 7 tTpeîg (v. gli esempi presso Radermacher, PWilol. LXIII, 1 sgg.), che certo aveva riscontro in latino non men che nelle lingue moderne, come mostra ad esempio l’allusione ironica di Persio 1,3 vel duo vel nemo. D'altra banda siffatte locuzioni non sono che derivazioni particolari dell’uso del numerale tre come indefinito generico, di cui ha trattato recentemente e dottamente l’ Usener (Dreiheit, in Rhein. Mus. LVIII; v. specialmente p. 358 sg.). (3) È appena mestieri rammentare per esempio che anche in italiano diciamo quattro allo stesso modo e nello stesso senso. GIOVANNI CARBONELLI — SUPPELLETTILE DI UNA BUSTA, ECC. 427 Suppellettile di una busta da oculista scoperta a Sibari. Nota del Dr. GIOVANNI CARBONELLI. (Con una Tavola). La mia raccolta di antichi istrumenti di chirurgia, si è ac- cresciuta di alcuni pezzi provenienti da Sibari e trovati insieme in una tomba; non sono però in grado di poter dire se siano i soli venuti alla luce da questa tomba, nè quale altra suppellet- tile abbia potuto trovarsi con questi. I pezzi sono sei (V. tavola), cioè due pietre (ni 1, 2), tre strumenti in bronzo (ni 3, 5, 6) ed uno in argento (n° 4). Le due prime, di marmo molto duro, di colore grigio scuro uniforme, differiscono fra loro solo nella forma e volume; la più grande (n° 1) è rettangolare, lunga mm. 82, larga 45, spessa 8; le sue faccie sono levigate e leggermente concave al centro; non vi si trova traccia di lettere. La minore (n° 2) è anch’essa rettangolare, co’ suoi quattro orli tagliati obliquamente, risul- tando perciò di diverse larghezze le due superficie; la superiore, che così si può chiamare come la più usata, misura 60 mm. di langhezza, 34 di larghezza; la minore ha 52 mm. di lunghezza, per 25 di larghezza; lo spessore delle due pietre è di 9 mm. Gli strumenti, pel modo di loro costruzione, si possono di- videre in due coppie; i numeri 6 e 5 sono molto eleganti, col manico separato dalla spatola da un contorno sagomato in ri- lievo, con fine scanalatura lungo l’asta, che finisce in un’oliva; il n° 4 in argento ed il n° 3 in bronzo, mancano delle scana- lature lungo il manico. Il n° 6 è una spatola col manico terminato ad oliva, da usarsi come specillo; misura in lunghezza totale mm. 147, dei quali 47 per la spatola e 100 per il manico; la larghezza mas- sima della spatola è di mm. 5. Il n° 5 è pure una spatola di poco differente dal n° 6, manca dell’estremità olivare rotta, ha mm. 120 in lunghezza, 428 GIOVANNI CARBONELLI 49 per la spatola, 71 per il frammento di manico, ed è proba- bile dovesse essere più lunga del n° 6, a giudicare dall’asticella che non accenna a restringersi sull’estremità olivare. La configurazione di queste due spatole è abbastanza nota, trovandosene delle simili nelle collezioni e nei musei (1). Il n° 4 è di forma meno nota; misura mm. 105 nella lun- ghezza totale, è diviso quasi esattamente per metà da un con- torno sagomato, terminando da una parte colla solita oliva e dall’altra in una lancia a foglia di salice; questa è lunga 15 mm. ed ha una larghezza massima di mm. 5. Il metallo raro, per quei tempi, di cui è fatto, e la sua forma esile e sottile, lo dimostrano uno strumento più adatto ad operare in organi delicati, onde è a credere sia stato destinato ad aprire la camera anteriore dell'occhio. Il n° 3 è in bronzo; anche questo è monco come il n° 5 nella sua estremità olivare, se pure non era a cucchiaio; è una spatola di forma speciale e poco nota; misura in lunghezza mm. 108, che certamente doveva essere molto maggiore nello strumento completo; la spatula misura mm. 60, porta due espan- sioni angolari vicine alla sua base d'impianto sul manico, con una larghezza di 8 mm., va gradatamente restringendosi fino a mm. 4, per espandersi ancora fino a 5 mm. verso la sua estre- mità terminata a mezzo cerchio. Questi oggetti, consistenti in due pietre minori di quelle destinate alla preparazione degli unguenti ed alla affilatura degli istrumenti, ed in spatole più piccole e delicate di quelle comuni, di cui una d’argento, devono essere i resti di una suppellettile di una busta oculistica. Credo di non errare nell'’ammettere che le due pietre siano state usate per prepararvi sopra i collirii. Sono questi istrumenti di fabbricazione indigena, oppure vennero da fuori? In nessun modo si può rispondere a ciò; è certo però che la sveltezza e l'eleganza delle loro forme rivelano l’abilità, in sommo grado posseduta da quei meravigliosi artefici fonditori in bronzo che furono gli antichi. (1) Denerre, Etude sur la trousse d’un chirurgien Gallo-Romain. H. CaaLs, Anvers, 1893, P1. 8, n° 10; e L. Lixpenscamir, Das Romisch-Germanische Central-Museum ete., sohn. Mainz Zabern, Taf. XXII, n° 4, 5, 15 SR se Sozino Vol, SUPPELLETTILE DI UNA BUSTA DA OCULISTA SCOPERTA A SIBARI 429 L’antica ed opulenta Sibari fu distrutta dai Crotoniati nel- l’anno 510 av. C., nè più risorse dalle sue rovine; una colonia di Ateniesi costrusse molto vicina a queste la città di Thurium nel 444 av. C., la quale, caduta a sua volta in potere dei Romani, nel 194 av. C. divenne colonia di questi sotto il nome di Copia. A quale di questi tre periodi appartengono questi strumenti? È molto difficile poterlo affermare, non avendo elementi descrittivi della tomba e della suppellettile in essa rinvenuta. Si può con- getturare tuttavia che essi, se anche non appartengono al primo periodo, a quello di Sibari propriamente detto, per la loro lavo- razione mostrano, a mio avviso, l’influenza della maestria e della genialità greca, e rappresentano certo tipi e modelli, che furono vicini all’epoca di Ippocrate, e di gran lunga anteriori a quella di Celso. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Prineipi, i dl RE Pi | tar UVTICRO Li ATTI nr” h «Ion tiatmotont) Leb SGCIERIA ea mtc si fittoloo sai 3601701 sus allab-9s1081t ig da mig IR ib stilo ak'ateovp e Juiory ailanto dnamoll lab usdtu@ uf allow dira 2 bian «i 00f4p antoa Le onda jiasup i5 aimbloo tit MP 9 Atom Oda ian p oro gd atagiga ibareg mitimistiritsnidio cbiova miri sasa 0 od duUgquia istusovar ass, ti sito (ei sto omtagoià omrogndt:Agr Fou pilota (da (ee doti t4 ‘Oval nidi al du tod Gram anip adiona Afiob 4 niitasagn sHsb amurauigl 0a va otut Lu: osrotit: s/n ilfaborg ovigu dttao c1sstrisiQgaia pallexp & TOTI penui aNty HT 9 Sto det orininipne caimustepital tt atirmasi out pelo o \ sa af Wo Ri dint È, A catari LO CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE FE NATURALI Adunanza del 19 Febbraio 1905. x PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: SaLvapori, Direttore della Classe, NACCARI, JADANZA, Spezia, FiLeri, Foà, GUIDI, MORERA, SEGRE, Mosso, PrAno, PARONA e CAMERANO Segretario. Scusano la loro assenza i Soci Grassi, MatTIROLO, GUARESCHI. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Socio Mosso ringrazia la Classe delle gentili parole che essa ha voluto indirizzargli nella seduta precedente e del bene- volo accoglimento fatto al suo omaggio del 1° volume contenente i lavori del Laboratorio internazionale del Monte Rosa. Il Presidente si rallegra a nome della Classe col Socio Mosso per la migliorata salute. Il Presidente presenta il dono del Socio corrispondente Giulio THowsen del suo libro intitolato: Systematisk Gennemforte Termokemiske undersgelsers numeriske og teoretiske Resultater, Copenhague, 1905. Il Socio SPEZIA presenta in omaggio a nome del Dr. RoccatI le due note seguenti: Edenite delle Alpi Marittime e Massi e ciot- tolî granitici nel terreno miocenico di Lojano (Appennino bolognese). Viene presentata per l'inserzione negli Atti accademici la seguente nota: IL male di montagna e il vomito, nota del Socio Mosso. Radunatasi poscia la Classe in seduta privata si raccolgono le proposte per l'elezione di Soci delle diverse categorie. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 29 432 ANGELO MOSSO LETTURE Il male di montagna ed il vomito. Nota del Socio ANGELO MOSSO. 810, Osservazioni fatte al Col d’Olen (2865 m.) e sugli aereonauti. All’Albergo del Col d’Olen, che trovasi nel gruppo del Monte Rosa a 2865 m. sul livello di mare, abitandovi spesso intere settimane, ebbi occasione di assicurarmi che lassù il vo- mito è una cosa frequente e comune assai più che non sia al piano. Potrei ricordare un grande numero di osservazioni che feci in molti anni, ma per brevità accennerò solo all'ultima spe- dizione del 1903. La mia figliuola, che volle accompagnarmi fino sui ghiacciai, fu molestata nella notte dal vomito, e il prof. Segre, il celebre matematico, segretario dell’Accademia dei Lincei, soffrì il vomito tutta la notte e dopo stette benissimo, fermandosi con noi parecchi giorni nella Capanna Regina Margherita. Questo disturbo non viene per la fatica, o la cattiva digestione, perchè vidi al Col d’Olen delle signore portate a dorso di mulo che stettero male egualmente ed altri, dopo due giorni di riposo, sentii lagnarsi di tale molestia. Gli alpinisti credono sia l’effetto di un imbarazzo di stomaco, o della fatica: una celebre guida mi assicurava che chi soffre le vertigini in montagna, vomita perchè ha paura. In tutte queste affermazioni vi è qualche cosa di vero, e certo le emozioni hanno una grande influenza; qui mi limito a studiare il vomito come effetto della depressione baro- metrica. Fin dalle prime osservazioni che si tentarono sotto la campana pneumatica per studiare l’azione dell’aria rarefatta si conobbe con quanta facilità rigettino gli uccelli appena dimi- nuisce la pressione barometrica a mezza atmosfera. Le scimmie come l’uomo presentano quest’atto spasmodico ad altitudini mi- IL MALE DI MONTAGNA ED IL VOMITO 433 nori che i cani: e ho già riferito l'esempio di una scimmia che cominciò a recere a 3000 metri nella camera pneumatica, dopo che era stata bene a 4560 nella Capanna Regina Margherita (1). Accennai a questo studio nel mio libro Fisiologia dell’uomo sulle Alpi (nel capitolo XIX, $ VI). Ora lo riprendo, aggiungen- dovi nuove osservazioni ed esperienze. Succede nel male di mon- tagna quanto si verifica negli emetici, coi quali il vomito può aver un’ origine centrale od una periferica; essere cioè prodotto da un disturbo nervoso cerebrale, o da un riflesso stomacale. Parecchi rimedii emetici, come l’apomorfina, non producono più il vomito quando siano distrutte certe parti del cervello (2). Che il vomito si produca per un’ azione cerebrale senza che venga l'impulso dallo stomaco, si capisce pensando che l’imagi- nazione, i gusti, gli odori, le emozioni, il mal di mare, l’iperemia e l’anemia del cervello dànno questo disturbo. E si comprende a questo modo l’azione di alcune cause generali che non toccano lo stomaco, come nell’avvelenamento pei vapori del cloroformio, dell’etere o dell’alcool, specialmente nella fatica che, come mostrai, è pure una forma speciale di avvelenamento, perchè il sangue di un cane affaticato produce il vomito e la fatica se viene iniettato ad un altro cane. Le relazioni della fatica col vomito si vedono spesso nelle gare dei velocipedisti, dove nei grandi sforzi è cosa comune il recere. La fatica può essere la causa del vomito, ma ne diviene pure l’effetto; perchè l’abbattimento e la prostrazione delle forze dopo il vomito spontaneo, o l’uso degli emetici, diventano così intensi che toccano il deliquio. Anche il cuore prende parte attiva al recere; parecchi emetici hanno un’azione diretta sul cuore e sempre il ritmo si accelera prima che compaia il vomito. Anche in questo riguardo vi è una corrispondenza fra i sintomi del male di montagna, come ‘accennerò fra poco parlando della pressione sanguigna. I con- valescenti e le persone deboli, dopo un intenso lavoro cerebrale sentono talora la nausea e dei turbamenti di stomaco. Ho visto dei cani operati nel cervello e guariti completamente che erano presi da accessi di vomito nelle forti emozioni, come per azzuf- farsi con altri cani, o vedendo entrare nella loro stalla un rivale. (1) A. Mosso, “ Rendiconti della R. Accademia dei Lincei ,, Vol. XIV. (2) Ta. OpencHowskr, “ Centralblatt fir Physiologie ,, 1899, N. 1. 434 ANGELO MOSSO I cani, tutti lo sappiamo, vomitano per nulla, meno comune è vedere un gatto che rigetti, rarissimo un cavallo; queste dif- ferenze si osservano pure negli animali d'una medesima specie e anche nell'uomo: i bambini rimandano per bocca facilmente, i vecchi quasi mai: anche la stessa persona può essere più o meno disposta, secondo le circostanze. Tutte queste differenze rendono difficile lo studio di questo eccitamento morboso dello stomaco; e per mostrare l'influenza profonda che esercita il sistema nervoso sul vomito, ricorderò aver Griitzner (1) dimo- strato che basta legare un cane rovesciato col ventre in alto e le gambe distese perchè rimanga senza effetto l’amministrazione degli emetici. Che la fatica non sia la causa di questo disturbo lo pro- vano le ascensioni aereostatiche. Nel libro celebre di Glaisher si trovano le prime osservazioni intorno al sonno ed al vomito che provano gli aereonauti a grande altezza, e si ha così la prova che il sonno ed il vomito (i due fenomeni caratteristici del male di montagna) non dipendono dalla fatica. Riferisco alcuni appunti scritti da Glaisher (2) in una delle ascensioni fatte con Coxwell. Il 31 marzo 1863 partirono alle ore 4,7 pom. dal Palazzo di Cristallo presso Londra, e alle 5,27 raggiunsero l’altezza di 9100 m. A questo punto, dove cominciò la discesa, Glaisher aveva le mani azzurre e 97 pulsazioni: alle ore 6,5 cominciò la nausea con vomito nell’altezza di 3100 m., a 2252 m. ebbe nuovamente il vomito. È interessante questo ritardo di 38 minuti, che segna un aggravamento nelle condizioni di Glaisher durante la discesa. È probabile che questo ritardo nel sentire gli effetti della depressione barometrica possa spie- garsi colle osservazioni che feci sulla pressione sanguigna e sulla sospensione del respiro, le quali mostrano un profondo mu- tamento quando da un regime povero di ossigeno si torna ad un regime più ricco. Il vomito è un fenomeno incostante, e non conosciamo le condizioni che lo producono: nelle mie espe- (1) Griirzwxer, “ Archiv fi d. ges. Physiologie ,, VII, 529. (2) J. Grarsner, An Account of meteorologicaland physical Observations, “ Report of British Association for the Advancement of Science for 1863 ,, p. 439. IL MALE DI MONTAGNA ED IL VOMITO 435 rienze lo vidi mancare anche nelle più forti depressioni e la stessa cosa succede agli aereonauti. Coxwell nella celebre ascensione oltre i 10.000 metri, nella quale perdette la coscienza e rimase paralizzato, non ebbe il vomito (1). Invece il primo scrittore che diede un quadro com- pleto del male di montagna, il gesuita Acosta nella descrizione del viaggio fatto in America nel 1534, disse che temeva di mo- rire in causa del vomito, tanto era violento, rigettando colla bile il sangue. $ 90, lelazione del vomito coi centri respiratori. Per comprendere questo sintomo del male di montagna devo ricordare le relazioni dei centri respiratorî colle parti del sistema nervoso centrale donde partono gli stimoli che fanno venire il vomito. Tali rapporti appaiono in modo evidente in una espe- rienza dell’Hermann, colla quale dimostra che gli emetici impe- discono l’apnea. Se la ventilazione abbondante dei polmoni ri- mane senza effetto, questo prova che l’azione degli emetici si diffonde anche agli organi nervosi che provvedono ai moti del respiro; infatti Hermann e Grimm hanno ammesso che gli eme- tici producono una forte eccitazione del centro respiratorio. Ve- dremo questo più chiaramente nei tracciati presi sul cane e sull'uomo sotto l’azione dell’aria rarefatta. In uno dei primi lavori che feci mentre ero allievo di M. Schiff, studiai l’azione dell’emetico (2) sulla pressione del sangue, e trovai che per l’azione degli emetici la pressione di- minuisce e diviene quasi doppia la frequenza dei battiti car- diaci. Quest’azione sul polso è utile ricordarla per mostrare i (1) Come digressione intorno all'argomento dell’aria rarefatta citerò le parole di Glaisher riferentisi al malessere provato da Coxwell: © Egli vo- leva venirmi vicino, ma non poteva; sentiva crescere l’insensibilità, e pro- vava un desiderio ansioso di aprire la valvola, ma non poteva farlo perchè aveva perduto l’uso delle mani; finalmente afferrò la corda coi denti e in- clinando la testa due o tre volte trattenne il pallone e lo fece discendere ,. (2) A. Mosso, Sull’azione del tartaro emetico, È Lo Sperim. ,, XXIX, 1875. 436 ANGELO MOSSO rapporti che esistono fra il male di montagna e le funzioni del cuore e del respiro nel vomito. Le ricerche fatte da Galeotti nella Capanna Regina Mar- gherita ci permettono di avvicinarci per altra via alla cono- scenza dei mutamenti che succedono nell’eccitabilità dei centri nervosi quando diminuisce la pressione barometrica. Egli trovò che i movimenti della deglutizione sono più rapidi nell’altitudine di 4560 m. La diminuzione del tempo nel quale si compie una deglutizione fu di 39 °/, nel Prof. Galeotti e del 18,7 °/ nel- l’inserviente Magnani (1). Queste differenze provano che non solo il centro del respiro e quello vasale e del cuore, ma anche il centro di deglutizione, subiscono un eccitamento sulle alte mon- tagne. I rapporti fra la deglutizione ed il respiro furono già sta- diati da Markwald, il quale mise in evidenza la diffusione del- l’azione inibitrice od eccitante che il centro della deglutizione esercita su quello del respiro (2). Riferisco ora qualcuna delle mie esperienze, per stabilire i rapporti del centro del vomito con quelli della respirazione nell'aria rarefatta. Sig Osservazioni sui cani col metodo grafico. Fu colle scimmie che ho fatto un numero maggiore di os- servazioni, e di queste parecchie essendo già riprodotte nel mio libro Fisiologia delluomo sulle Alpi, p. 341, e nelle precedenti note (3), mi restringerò a presentare qualche tracciato del respiro, che ho preso sui cani nell’aria rarefatta. 12 Aprile 1901. Cane del peso di 4200 gr.; esso riceve in dosi ripetute due grammi di cloralio nell’addome e gli si ap- plica una leva sul torace, che scrive i movimenti del respiro (fig. 1); la linea scende nella inspirazione e si alza nella espira- zione. Avevo fissato la leva sul torace per mezzo di un tappo (1) G. Garrorri, “ Rendiconti R. Accad. dei Lincei ,, vol. XIII, fase. 4°, (2) Markwacp, “ Zeitschrift fiir Biologie ,, 1889, pag. 1. (3) A. Mosso, “* Rendiconti R. Accademia dei Lincei ,, vol. XIII. IL MALE DI MONTAGNA ED IL VOMITO 437 di sughero, ed un filo passato coll’ago a traverso la pelle faceva combaciare così bene il tappo colla cassa toracica, che la leva scriveva i battiti cardiaci contemporaneamente ai moti del respiro. da il vomito in C. a linea 8 della fig. 1 dove si vede l'acce- 3. Nella linea 2 si vedono in B i muta- cane nell'aria rarefatta a 360 mm. nella linea 1. Il espirazione toracica di un tracciato continua nella fig. 2. Dopo viene l ) Ù menti del respiro e della tonicità toracica prima che succe leramento del respiro che continua nella fig. fel sE 119 D Dopo aver coperto il cane e l'apparecchio registratore colla grande campana di vetro, facciamo funzionare le pompe. Per economia di spazio tralasciai di riprodurre il tracciato normale. 498 ANGELO MOSSO In principio della linea 1, fig. 1 il manometro segna 360 mm,, che corrisponde all’altezza del Cotopaxi, cioè 5900 m. Vediamo che il respiro diviene più piccolo e più frequente. \M Continuazione della figura 2. . — Respirazione toracica del medesimo cane minuti che trovasi nella pressione barometrica di 360 mm. co [eo = i N È fai; an) (3) ) dopo * La respirazione toracica mostra l’acceleramento del respiro che precede il vomito. _ = - - _ ) La fig. 2 rappresenta il respiro dopo 3 minuti che il cane trovasi sotto questa depressione. Poi, senza causa nota, come si vede nella linea 3 della fig. 1, il respiro diviene più frequente. La figura 3 è la continuazione di questo tracciato; in esso velati int a IL MALE DI MONTAGNA ED IL VOMITO 439 il respiro è divenuto cinque volte più frequente che non fosse nella fig. 2. Trascorre circa un minuto e dopo comincia il trac- ciato della linea 2, fig. 1: il respiro che presentò qualche irre- golarità nell’ampiezza delle inspirazioni, lascia pur vedere i moti frequenti della deglutizione, onde concludo che deve essere au- mentata la secrezione della saliva. In A alla quinta respirazione sì vede che il cane deglutisce; poi succede una rapida diminu- zione di tonicità dei muscoli respiratori, e il torace si accascia; i moti del respiro diventano progressivamente più piccoli in B, poi si arrestano, quindi si rallentano, divengono più forti e final- mente in C succede uno sforzo di vomito. La tonicità del torace continua a crescere oltre il normale, ma il respiro è più lento, e forte l’espirazione attiva colla contrazione dei muscoli ad- dominali. In questo tracciato appare così evidente la relazione fra la depressione barometrica, l'eccitazione dei centri respiratorì ed il vomito, che sarebbe inutile ogni commento; dirò solo per rie- pilogare, che la prima modificazione del respiro che precede il vomito compare nel ritmo del respiro che si accelera molto; succede quindi una diminuzione nella tonicità dei muscoli che muovono il torace; mentre questa persiste si rallenta il ritmo del respiro e dopo compare il vomito; poi il ritmo si rallenta di più, diviene evidente l’espirazione attiva e la tonicità dei muscoli respiratorì cresce oltre il normale. $ 4°. Osservazioni sull'uomo. Gli stessi mutamenti nei centri respiratorì ebbi occasione di osservarli nell'uomo quando si produsse la nausea per azione dell’aria rarefatta. Il dott. Ernesto Bertarelli, che quando era allievo nel mio Laboratorio all’età di 25 anni, si sottopose pa- recchie volte a forti depressioni nella camera pneumatica, senza mai soffrire, ebbe invece una volta a lagnarsi di una sensazione di nausea con tendenza al vomito, per una depressione cor- rispondente all’altezza del Monte Bianco. 24 Aprile 1896. — Dopo essersi riposato 15 minuti stando seduto sotto la campana pneumatica, la frequenza del respiro 440 ANGELO MOSSO era 17 a 18 nel minuto. Si produce una rapida depressione hba- rometrica diminuendo l’accesso dell’aria, e alle ore 10,20’ il manometro segna 420 mm., che è l’altezza del Monte Bianco, il respiro è divenuto meno profondo e si è ral- lentata la frequenza del respiro; dopo, senza alcuna causa nota, si è considerevolmente accresciuta, mentre la profondità degli atti respiratori divenne meno regolare di prima. Ore 10,30’. La frequenza del respiro sale a 28 invece da 14 al minuto che era prima; e giunge fino a 30 quando mi fa segno che sta male ed apre lui stesso il robinetto interno per avere una corrente più forte di aria. Scendiamo rapidamente alla pressione normale e solleviamo la campana per sentire cosa era successo. Egli dice di aver avuto un senso di nausea con ten- denza al vomito, ed una leggera vertigine. In una prossima nota riferirò dei tracciati presi in simili condizioni nell’uomo, quando comparvero i sintomi del vomito per azione dell’aria rarefatta; basta intanto l'esposizione som- maria di questa esperienza fatta sul Dott. Bertarelli per con- chiudere, che anche nell’uomo la depressione barometrica, quando produce la nausea con tendenza al vomito, agisce sul ritmo della respirazione, che si accelera del doppio; ed il respiro di- viene irregolare. Sr Osservazioni fatte sull'uomo per mezzo del contatore. Mi capitò un’altra volta di misurare i mutamenti che suc- cedono nel volume dell’aria inspirata quando si produsse la nausea per effetto della depressione barometrica. 26 marzo 1903. — Giuseppe Gay, ragazzo del Laboratorio, ha 15 anni. Gli applichiamo sulla faccia una maschera di gutta- perca modellata espressamente per lui, che chiude in modo per- fetto, adoperando un po’ di vasellina per fare meglio il contatto sulla pelle. Due valvole di Miiller servono per dirigere l’aria inspirata verso un contatore Riedinger e farla uscire dopo respi- rata per mezzo di un grosso tubo di vetro a forchetta impian- tato nella cupola della maschera in corrispondenza della bocca. La resistenza del contatore è di 5 mm. di acqua, fu rettificato IL MALE DI MONTAGNA ED IL VOMITO 441 prima dell’esperienza, ed ogni giro della sfera più lunga corri- sponde a litri 2,52. Pressione barometrica 745 mm. Temp. 150,5. Ore 2,7’. Si siede sotto la campana e comincia l’osserva- zione. Le pompe producono una corrente di aria abbondante. Aspettiamo che si abitui a respirare a traverso il contatore. Ore 2,17’. Polso 70. Scrivo ogni minuto il valore delle sin- gole inspirazioni, che sono 20 al minuto. Ore 2,20’. Quando dopo 13 minuti che continua a respirare nel contatore credo che siasi abituato, scrivo il valore di ogni inspirazione e faccio dopo le correzioni riducendole in centimetri cubici. Ore 2,20”. — 652 - 504 - 630 - 705 - 630 - 554 - 604 - 655 - 655 - - 604 - 630 - 680 - 655 - 554 - 655 - 554 - 504 - 655 - 655. Ore 2,22’. — 504 - 630- 630 - 604. 655-554-453-554 - 655- - 529 - 579 - 554 - 630. 579 - 554 - 604 - 655 - 630 - 655 - 655. Nel primo minuto respirò litri 14,600, nel secondo minuto solo —, 12,096. Alle ore 11,18’ la pressione è da circa 10 minuti a 450 mm. corrispondente all'altezza di 4100 m.; il respiro è un poco più frequente di prima; sono 24 respirazioni al minuto, invece che prima erano solo 20. Alle ore 11,19' il respiro si accelera: fa 26 respirazioni al minuto; ma le inspirazioni sono meno ampie, così che nel minuto passa la -stessa quantità d’aria nei polmoni, cioè litri 12,852. Ore 11,20’. — 630 - 428 - 327-504-378-756-504-378-504- - 630 - 630 - 630 - 504 - 504 - 504 - 554 - 579 - 504-630 - 378-378 - - 504 - 504 - 378 - 579 - 302. Ore 11,22”. — 630 - 554 - 504 -453-756-428 - 579 - 428 - 327 - 796 - 630 - 504 - 378 - 504 - 504 - 554 - 529 - 428 - 453 - 579 - 579- - 458 - 378 - 378 - 378. Anche qui si vede che la frequenza del respiro è cresciuta: sono 25 respirazioni al minuto e respira litri 16,380; poco dopo G. Gay fa segno di sentirsi male e si leva la maschera dalla faccia. Facciamo subito crescere la pressione dando l’aria in maggior quantità, fermando le pompe e tornando alla pressione di 745 mm. Alzata la campana pneumatica, ci dice che aveva sentito nausea e che quasi vomitava. La frequenza del respiro era scesa a 19 nell’aria normale. 442 ANGELO MOSSO In queste misure dell’aria inspirata vediamo ripetersi quanto osservammo nel dott. Bertarelli scrivendo il respiro; quando compare la nausea per effetto della depressione barometrica, succede un aumento della frequenza, i moti del respiro diventano irregolari e meno profondi; ma cresce ciò nullameno il volume dell’aria inspirata. Anche P. Bert (1) provò ripetutamente la nausea a depres- sioni poco considerevoli, stando immobile nel suo apparecchio: una volta ebbe la nausea nella camera pneumatica a 450 mm., precisamente come nel caso soprariferito di G. Gay. Conclusioni. Le osservazioni fatte al Col d’Olen nell’altitudine di 2865 m. provano che il vomito non è probabilmente un effetto dovuto alla mancanza di ossigeno. Essendo il nostro organismo più sen- sibile al difetto dell'anidride carbonica nel sangue, che non alla deficienza dell'ossigeno, è probabile che il vomito quando com- pare a depressioni barometriche inferiori ai 3000 metri (escluse le cause generalmente note) sia prodotto dall’acapnia. Studiando le relazioni del vomito coi centri respiratorî si vide che precede un aumento nella frequenza e una diminuzione dell’ampiezza dei movimenti respiratori; che essi diventano al- quanto irregolari, e che parecchio tempo prima del vomito suc- cede una diminuzione di tonicità nei muscoli della cassa toracica. Questi fenomeni che osservammo nel cane si producono in modo eguale nell'uomo. Per mezzo del contatore si misurò il volume dell’aria inspi- rata in un giovane nella camera pneumatica: giunta la rarefa- zione dell’aria ad un valore corrispondente a 4100 m., il respiro divenne più frequente, e benchè fosse diminuita l'ampiezza delle inspirazioni era cresciuta la quantità dell’aria inspirata ad ogni minuto e quindi comparve la nausea con tendenza al vomito. Da queste osservazioni risulta che la depressione barome- trica produce il vomito nella forma dell’acapnia ed in quel pe- riodo che vi è una eccitazione dei centri respiratorì che accelera il ritmo e diminuisce la profondità delle inspirazioni, come ab- (1) P. Bern, Pression barométrique, pag. 351. Sens dea IL MALE DI MONTAGNA ED IL VOMITO 443 biamo veduto nei cani per mezzo dell’iniezione di idrato di sodio nel sangue (1). Sebbene il vomito possa prodursi dall’anossiemia, è probabile che nel male di montagna dipenda dall’acapnia, perchè nelle piccole altezze dove si osserva il vomito, mancano 1 sintomi della cianosi, del sonno, della stanchezza, dei disturbi della vista, della palpitazione ed altri fenomeni caratteristici dell’anossiemia. Un’ altra prova che l’acapnia possa produrre il vomito l'abbiamo nella efficacia pronta e benefica che ha la somministrazione dell’anidride carbonica, come ho dimostrato in una precedente nota per mezzo degli studì fatti sul. Monte Rosa (2). (1) A. Mosso, “ Archives ital. de Biologie , tome XLII, pag. 186. (2) A. Mosso, “ Rendiconti R. Acc. dei Lincei ,. L’Accademico Segretario LoRENZO CAMERANO. —- ge —___.- AH CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 26 Febbraio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: BoseLLi, Vice-Presidente dell’Acca- demia, FerRERO, Direttore della Classe, Rossi, Pezzi, CARLE, Grar, Crporta, Brusa, Pizzi, Chironi, De SanctIS, RUFFINI e RenIER Segretario. — Scusano l’assenza i Soci MANNO, ALLIEVO, CARUTTI. L'atto verbale dell’adunanza antecedente, 12 febbraio 1905, è approvato. Il Presidente fa omaggio d’un opuscolo del Conte Gioachino Torsca pi CAsTELLAZZO, Commemorazione del generale Luigi Palma di Cesnola, Torino, Candeletti, 1905. Il Socio RurrInI offre con parole di vivo elogio le seguenti pubblicazioni del prof. Silvio Pivano: 1° Cartario dell’ Abazia di Rifreddo, Pinerolo, 1902; 2° Contratti agrari in Italia nell'alto Medio Evo, Torino, 1904; 3° Stato e Chiesa negli statuti comu- nali italiani, Torino, 1904. Del medesimo dott. Pivano il Socio Rurrini presenta per l'inserzione nelle Memorie una dissertazione intitolata: Linea- menti storici e giuridici della cavalleria medioevale. Il Presidente designa a riferire il Socio RurFFINI unitamente al Socio CrpoLLa. Il Socio CrpoLLa, incaricato col Socio GrAr di riferire in- 445 torno alla Memoria del prof. Wendelin FoeRsTER dell’Università di Bonn, Sull’autenticità dei codici d’ Arborea, legge la relazione, che è approvata dalla Classe e compare negli Atti. Quindi la Classe, presa notizia dello scritto, ne dichiara con votazione se- greta unanime l’inserzione nelle Memorie accademiche. Dichiarando per lettera il Socio ALLiEvo di ritirarsi dalla Commissione designata a giudicare della Memoria del prof. BeL- LorTI su Empedocle, il Presidente invita a sostituirlo il Socio CHironr, che formerà la Commissione col Socio De SancrIS. ____**—-T---7T" LETTURE Relazione intorno alla memoria del Prof. Wendelin FoersTER, intitolata: Sull’autenticità dei codici d’ Ar- borea. Un lavoro dell’ illustre Prof. di Bonn, W. FòrsrER, non può non riuscire gradito alla nostra Accademia. E più gradita ancora sarà questa monografia, perchè essa si occupa di un ar- gomento che non le è estraneo, quello dell’autenticità o meno delle Carte di Arborea. Un chiarissimo membro di quest’Acca- demia, Carlo Baudi di Vesme, impegnò, molti anni or sono, una vigorosa lotta scientifica in difesa di quelle carte. Il Forster ora sostiene l'opinione contraria, ma con ragioni in parte dissimili da quelle che il Vesme combatteva. La nostra Accademia, che altro non ricerca se non la verità, deve veder con piacere tale dibattito, sostenuto con piena serenità scientifica. La Memoria del prof. Fòrster si divide in due parti, che hanno per origine due comunicazioni fatte nella primavera del 1903 al Congresso Storico internazionale, radunatosi allora in Roma. Gli studi del Forster sulle carte di Arborea principiano dalla visita ch'egli fece alla Biblioteca di Cagliari nel 1886. Appena egli ebbe a mano quei mss., trovò che qualcuno fra essi presentava caratteri paleografici e diplomatici affatto diversi dagli altri. Passando poi dall'esame paleografico ed esterno al- l'esame del contenuto, vide che quest’ultima ricerca confermava nei suoi risultati la prima. Le carte che sollevarono tanto scal- pore, per le straordinarie scoperte alle quali aprivano l’adito, erano appunto quelle che anche per ragioni esterne si dimostra- vano false. E queste ragioni esterne diventavano ora chiare ed evidenti mercè il confronto coi documenti autentici, in parte coesistenti insieme coi falsi. Avendo il Fòrster, per mezzo dei professori Rajna e Pullè, estese le sue indagini anche ai codici arboreesi di Firenze e di Siena, giunse alla condanna anche di questi due ultimi. Tale è sommariamente il contenuto della I parte. Nella II parte il Forster si propone di far conoscere i mezzi tecnici di cui il falsario si servi. Egli adoperò sempre materiali pergamenacei e cartacei veramente antichi, scrivendo sulle pa- ST EC Vee 447 gine lasciate originariamente in bianco. Così, mescolando il vero col falso, rendeva credibile anche quest’ultimo. Ma non potè sop- perire all’inchiostro. Nè badò ad adottare un carattere che ras- somigliasse a quello veramente in uso, e preferì invece di scri- vere con lettere e sigle di difficilissima interpretazione. È Un documento palinsesto che, a primo aspetto, sembrerebbe di buona lega, venne studiato a parte dal Federici, il cui lavoro uscì a Firenze nel 1904, con prefazione del Férster stesso. Il Federici ne prova la falsità, sia in base al contenuto, sia in considerazione della forma esterna. Qui il Forster introduce qualche leggera modificazione a ciò ch'egli avea detto nell’indi- cata prefazione. In tal modo il Forster crede di poter concludere dicendo che lo studio separato dei caratteri intrinseci e dei caratteri estrin- seci delle carte arboreesi, ne dimostra nuovamente, per vie diverse, e in modo più certo che prima non fosse, la non autenticità. Un solo documento non rientra in tutto e per tutto entro tale schema di dimostrazione. Esso può provarsi falso sia per la lingua (che è un catalano sgrammaticato), sia per il conte- nuto; ma l’aspetto esterno appena potrebbe dar luogo a sospetti. Il Forster tocca solo di sfuggita la questione - riguardante gli autori della falsificazione, poichè il nome del reo non ha, egli pensa, interesse per la scienza. Ma egli cerca di provare che la falsificazione è moderna, e fu fatta da chi conosceva gli studi storico-archeologici del Manno, del Lamarmora, dello Spano, ed era informato della coltura filologica, propria della prima metà del sec. XIX. Il lavoro del Forster è serio, è quale potevamo aspettar- celo da un uomo di tal valore. Non è agevole il dire se dopo della presente dissertazione si possano credere ormai terminati gli studi sulle carte arboreesi, ma ben si può asserire che questa monografia reca ad essi un ottimo contributo di osservazioni nuove, desunte dall'esame diretto dei documenti. Essa è quindi, a parere dei sottoscritti, meritevolissima di essere letta alla Classe. A. GRAF, C. CrpoLLA, relatore. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 30 448 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 5 Marzo 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NaccarIi, JADANZA, SPEZIA, GUIDI, Foà, FiLeti, MoreRA, SEGRE, GuarescHI, MATTIROLO, PARONA e Camerano Segretario. — Scusano la loro assenza i Soci SALVA- pori, PeANo, Grassi e Mosso. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. 1° Il Presidente presenta a nome del Socio nazionale non re- sidente senatore Vito VoLTtERRA cinque volumi di opere del de- funto Socio corrispondente dell’Accademia Prof. Alfredo Corxu. I volumi vengono mandati in dono all'Accademia dalla signora CorNU. Il Presidente legge le parole seguenti del Socio VOLTERRA: Ho l’onore di presentare all’ Accademia, a nome della ve- dova Signora Cornu, cinque volumi di opere del Prof. ALFREDO Cornu di Parigi, che fu nostro socio corrispondente fino dal 1881. Le memorie di questa collezione sono quelle che la Signora Cornu potè amorosamente raccogliere delle molte pubblicazioni di suo marito per farne omaggio alla nostra Accademia. Mi permetto di accennare a ciò che si trova nei detti vo- lumi, i quali offrono un chiaro saggio della importante opera compiuta da questo eminente scienziato. Il primo volume contiene Memorie di ottica, acustica, astro- nomia e fisica terrestre. 449 A tutti è noto che il Cornu ha dedicato gran parte della sua attività scientifica alla teoria della luce, ramo della fisica per cui sentiva particolare predilezione. La teoria della rifles- sione cristallina, le misure classiche sulla velocità della luce, le ricerche sulla spettroscopia, sono rappresentate da numerosi la- vori raccolti in questo volume. Accennerò ancora che vi si trova il celebre studio geometrico sulla diffrazione, la cui utilità ac- coppiata ad una estrema eleganza non può esser sfuggita a chiunque si sia occupato di questa dottrina; ed infine quella scoperta del nostro Autore sul fenomeno di Zeemann che iniziò quella serie di esperienze le quali indussero Lorentz a modifi- care la sua primitiva teoria. Le ricerche di acustica riguardano gl’intervalli musicali e le vibrazioni circolari delle corde, ricerche a cui il fine, anzi stra- ordinario orecchio musicale dell'Autore, fu di grande aiuto. Le osservazioni relative al passaggio di Venere, ai satelliti di Giove, agli spettri stellari, le misure sulla densità della terra, ottenute perfezionando il metodo di Cavendish, formano l’argo- mento delle principali altre memorie del-primo volume. Nel secondo volume si trova lo studio sulla parte ultra- violetta dello spettro solare, e la bella memoria in cui è esposto l'ingegnosissimo metodo per distinguere nello spettro solare le strie di origine tellurica da quelle d’origine solare. Vi si trovano pure le misure fatte nell’occasione del pas- saggio di Venere, le quali hanno condotto il Cornu a creare metodi nuovi pratici per misure di prove fotografiche e |’ im- portante lavoro sulla sincronizzazione dei pendoli. Il Cornu era membro del Bureau des Longitudes fino dal 1886. Alla interessante raccolta degli articoli di indole popolare da lui pubblicati nell’Annuario del detto Ufficio è consacrato il terzo volume. I volumi quarto e quinto contengono articoli di varia in- dole pubblicati in diverse riviste e periodici, e conferenze e discorsi letti in varie occasioni. L'illustre fisico era anche un ec- cellente conferenziere scientifico, piacevole e profondo nello stesso tempo, e a questo proposito mi basta ricordare la splendida al- locuzione da lui letta a Cambridge nella occasione delle feste celebrate pel giubileo di Stokes, la quale in poche pagine accoglie un mirabile riassunto storico sulla teoria delle onde luminose ed 450 un saggio della importanza filosofica e pratica della dottrina on- dulatoria. Questo discorso è inserito alla fine del quarto volume. Sono certo che l'Accademia accoglierà di buon grado il dono prezioso della Signora Cornu, ricordo caro ed utile di un Col- lega altamente stimato e di una esistenza consacrata agli studii. 2° Un opuscolo del prof. C. KLein: Ueber Theodolithgo- niometer ; 3° Il Socio JADANZA presenta l’ Annuario astronomico pel 1905 dell’Osservatorio di Torino. Vengono presentate per l'inserzione negli Atti le seguenti note: 1° Dr. E. FerrERO e M. Nozari: Sullo spettro di assor- bimento delle soluzioni di ullume di Cromo, dal Socio NACCARI; 2° Dr. Galeazzo Piccinini: Azione del bromo sopra alcuni derivati non saturi. Nota 12, dal Socio GuARESCHI. Il Socio MaTTIROro, a nome anche del Socio CAMERANO, legge la relazione intorno alla memoria del Dr. G. Gora intitolata: Ricerche sulla biologia e sulla fisiologia dei semi a tegumento im- permeabile. La Classe approva ad unanimità la relazione, che è favo- revole, e pure ad unanimità con votazione segreta la stampa della memoria del Dr. Gora nel volume delle Memorie accademiche. Il Socio Naccari a nome dei Colleghi della Classe rivolge al Presidente prof. Enrico D’Ovipio i più vivi rallegramenti per la recente sua nomina a senatore del Regno, nomina che venne accolta con grande compiacimento, poichè tutti da lungo tempo hanno imparato ad apprezzare le alte sue doti di mente e di cuore. Il Presidente senatore D’Ovipio ringrazia il prof. NACccARI e tutti i Colleghi, ricorda che da trentatre anni che è in mezzo a loro ha potuto apprezzarne l’alto sapere e l'elevato carattere, che quando cominciò a studiare lo fece senza pensare se la via potesse condurre a ricchezza o ad onori, e che l’alta distinzione che il Governo di Sua Maestà ha voluto conferirgli torna, più 451 che a lui stesso, ad onore dell’Accademia, poichè sono i Colleghi che l’hanno colla loro benevolenza designato. Ai Soci VoLreRRA, RieHI e FerGoLA, che pure alla nostra Accademia a vario titolo appartengono, nominati contempora- neamente senatori, manda i più vivi rallegramenti, e crede in ciò d’interpretare il pensiero della Classe. Un saluto in particolar modo egli invia al suo vecchio ed illustre maestro il prof. FER- coLa, dal quale imparò a porre innanzi a tutto il sentimento del dovere e la dignità del carattere. Raccoltasi quindi la Classe in seduta privata procede alla elezione di Soci nazionali residenti, Soci nazionali non residenti, stranieri e Soci corrispondenti. Riescono eletti, salvo l'approvazione sovrana, a Soci nazio- nali residenti i signori: Nob. Carlo SomreLIANA, professore di fisica-matematica nella R. Università di Torino; Romeo Fusari, professore di anatomia umana descrittiva e topo- grafica nella R. Università di Torino. A Socio nazionale non residente: Cav. Giuseppe LoRENZONI, professore di astronomia nella R. Uni- versità di Padova. A Socio straniero: Giacomo Enrico van’t Horr, professore di chimica nella R. Uni- versità di Berlino. A Soci corrispondenti : Nella sezione di matematiche applicate, astronomia e scienza dell'ingegnere civile e militare: Simone NewcomB, professore emerito di matematica e di astro- nomia nell'Università di Baltimora; Guglielmo RrrtER, professore di statica grafica e di costruzioni nella Scuola politecnica di Zurigo. 452 Nella sezione di chimica generale ed applicata: Guglielmo OsrwaALD, professore di chimica nell’Univ. di Lipsia; Svante Augusto ARRHENIUS, direttore dell'Istituto fisico-chimico dell’Università di Stoccolma; . Walter NeRNST, professore di fisica chimica nell’Univ. di Gottinga. Nella sezione di mineralogia, geologia e paleontologia : Michele Levy dell’Istituto di Francia, professore di mineralogia all’ Università di Parigi; Viktor GoLpscAMIDT, professore di mineralogia nell'Università di Heidelberg; Francesco Edoardo Surss, professore di mineralogia nell’Imp. Uni- versità di Vienna; Emilio Have, professore di geologia nell’ Università di Parigi. Nella sezione di zoologia, anatomia e fisiologia comparata: Augusto Werrsman, professore di zoologia nell’ Università di Freiburg i. Br. (Baden); Edwin Ray LANKESsTER, direttore del British Museum of natural history in Londra; Teodoro Guglielmo ENnGELMANN, professore di fisiologia nell’ Uni- versità di Berlino; A. DastRE, prof. di fisiologia nell'Università di Parigi. E. FERRERO - M. NOZARI — SULLO SPETTRO, ECC. 453 LETTURE Sullo spettro di assorbimento delle soluzioni di allume di cromo. Nota di E. FERRERO e M. NOZARI. (Con una Tavola). È nota la proprietà delle soluzioni acquose di allume di cromo di trasformarsi da violetto-rossastre in verdi, quando vengono riscaldate. Quale modificazione chimica avvenga fu stabilito con me- todi termochimici dal Recoura, il quale trovò che in una solu- zione di solfato cromico modificata esiste dell'acido solforico li- bero; che cioè sotto l’azione del calore il solfato cromico si sdoppia in acido solforico e in solfato basico verde (1). Questa produzione di acido solforico libero si accorda con la diminuzione di resistenza studiata dal Monti (2). Che anche l’attrito interno diminuisca col cambiamento di co- lore, lo dimostrano le esperienze del D’Arcy (3), dello Sprung (4), e quelle che uno di noi eseguì (5) per determinare più preci- samente a quale temperatura questa diminuzione abbia luogo. Ma il cambiamento di colore è accompagnato da un mu- tamento dello spettro di assorbimento; e difatti lo spettro di assorbimento della soluzione azzurra, esaminato con piccola di- spersione, presenta una banda nera, il cui bordo più deviato è sfumato, mentre quello meno deviato è netto e reciso; diven- tando verde la soluzione, il bordo meno deviato si avvicina al rosso. (1) “ Ann. de Chim. et Phys. ,, 1895, vol. I, pag. 494. (2) “ Atti della R. Ace. delle Scienze di Torino ,, 1894-95. (3) D’Arcy, © Phyl. Mag. ,, S. 5, ottobre 1889. (4) Sprune, “ Pogg. Ann. ,, 159, 1876. (5) “ Nuovo Cimento ,, serie V, vol. 1°, aprile. 454 E. FERRERO — M. NOZARI Scopo delle esperienze sulle quali qui riferiamo, è stato di determinare come questo mutamento dipenda dalla temperatura. Abbiamo per questo preparato diverse soluzioni di allume di cromo, delle quali abbiamo esaminato lo spettro di assorbi- mento alla temperatura ordinaria; le abbiamo portate successi- vamente alle temperature di 46°, 50°, 55°, ecc., e dopo averle raffreddate ogni volta alla temperatura dell'ambiente, ne ab- biamo esaminato dinuovo lo spettro di assorbimento. Per evitare che le soluzioni potessero in alcun modo alterarsi, le conservavamo entro provette piuttosto grosse chiuse da un tappo attraversato da due tubi: l’uno pescava fino in fondo alla pro- vetta ed esternamente si ripiegava in basso; l’altro sporgeva pochissimo sotto il tappo; soffiando in questo, la soluzione usciva dall’altro tubo, e così si faceva per togliere quei 3 o 4 cm? che occorrevano ogni volta per fare l'esame spettroscopico. Sulla soluzione era stato versato uno strato di olio di vaselina. La soluzione veniva scaldata ponendo la provetta entro un bagno d’acqua, di cui si aumentava gradatamente la temperatura: un termometro e un agitatore di vetro attraversavano ancora il tappo e servivano durante il riscaldamento. Per le nostre esperienze ci siamq serviti di uno spettro- scopio di Kriiss munito di doppia fenditura di Vierordt ad aper- tura simmetrica (1). La soluzione contenuta entro un vasetto prismatico di vetro a pareti piane e parallele con prisma di Schulz (2), veniva posta tra la fenditura e una fiamma a pe- trolio, oppure un becco Auer, in modo che il punto di separa- zione delle due fenditure coincidesse con la superficie di sepa- razione della soluzione e del prismetto di vetro. Lo spessore dello strato assorbente era di 1 cm. Nel campo dell’oculare era posta la solita fenditura ad apertura variabile, la quale serviva a limitare la regione d’osservazione dello spettro. Era stata co- struita la curva dello strumento: in tal modo si poteva avere volta per volta la lunghezza d’onda media della regione nella quale si osservava. (1) G. e H. Kriiss, Ko/orimetrie und Quantitative Spektralanalyse. Hamburg, 1891, pag. 79 (2) Ibid., pag. 82. SULLO SPETTRO DI ASSORBIMENTO, ECC. 455 Il metodo d'osservazione è quello descritto dal Vierordt (1): tenevamo fissa la larghezza /, della fenditura superiore (posta davanti alla soluzione) e regolavamo la larghezza /; della infe- riore, in modo da non riscontrare, osservando nell’oculare, diffe- renza d’intensità luminosa fra la parte superiore e l’inferiore dello spettro. Dal rapporto J = È calcolavamo il coefficiente di estinzione a = —.log /, e quindi conoscendo la concentrazione e (cioè il peso della sostanza disciolta in 100 cm? di soluzione) il rapporto di assorbimento: (A (4 (9) ia Le variazioni di A sono appunto quelle che interessano nel nostro studio. La seguente discussione sulla formula (a) ci permetterà di dedurre quali sono le migliori condizioni per l'esatta determina- zione di A. Supposto di fare un errore AJ nella determinazione spe- rimentale di ./, l'errore AA che ne risulta, è dato da: i c CA (8) dana — log(J+ AJ) e ponendo: AJ AA vu an e dividendo membro a membro la (8) per la (a) si ha: E 1 (0/10 i pi (n) 0A imgrbiog(iepag)a la quale ci permette di calcolare l'errore relativo dA, corrispon- dente a un errore relativo è/ fatto nel determinare sperimen- talmente J. Purchè le condizioni sperimentali siano buone, è./ è un nu- mero assai piccolo, quindi piccolo è il numeratore del secondo (1) K. Vierorpr, Anwendung des Spektralapparates zur Photometrie wu. zur quantitativen Analyse. Tibingen 1873. 456 E. FERRERO — M. NOZARI membro: però esso cresce col diminuire di /, perchè in ogni misura l’errore relativo diventa tanto maggiore quanto più pic- cola è la grandezza da misurare. Il denominatore cresce in va- lore assoluto col diminuire di /, perchè J è compreso fra zero e l’unità: dA diminuirà dunque col diminuire di J se l’aumento del denominatore avrà la prevalenza sull'aumento dovuto al dJ del numeratore; crescerà in caso contrario. Nella seguente tabella abbiamo calcolato i valori di dA corrispondenti a diversi valori di J e dI. O; dI dA | vi dI dA 0,80 0,02 0,097 0,20 0,06 0,038 0,60 0,02 0,040 0,10 0,06 0,026 0,40 0,02 0,022 0,60 0,08 0,177 0,80 0,04 0,213 | 0,40 0,08 0,092 0,60 0,04 0,083 | 0,30 0,08 0,068 0,40 0,04 0.045 | 0,20 0,08 0,050 0,30 0,04 0,034 | 0,10 0,08 0,035 0,20 0,04 0,025 0,50 0,10 0,159 0,60 0,06 0,129 0,30 0,10 0,086 0,40 0,06 0,068 | 0,20 0,10 0,063 0,30 0,06 0,051 0,10 0,10 0,043 L'esame di questa tabella ci mostra come nella determi- nazione di A è molto meno sentito un errore di J del 10 °/,, quando J è compreso fra 0,30-0,10 circa, che un errore del 2% quando / ha valori prossimi a 0,80. E siccome con la di- sposizione del Vierordt anche ad un occhio molto esercitato da lunga esperienza è pressochè impossibile garantire che l’errore di / sia inferiore al 2 °/, (tanto più nelle regioni estreme dello spettro), dovendosi determinare A per una certa soluzione e per tutte le regioni dello spettro, sarà impossibile far ciò con una sola soluzione (a meno che essa presenti un assorbimento pressochè uniforme), ma bisognerà scegliere diverse soluzioni diversamente concentrate, e limitare per ciascuna di queste l'esame a quelle regioni dello spettro per le quali / è compreso fra 0,10-0,30 circa: dal complesso di questi risultati si può poi dedurre il valore di A per tutto lo spettro. SULLO SPETTRO DI ASSORBIMENTO, ECC. 457 E viceversa: dovendosi, conosciuto A, determinare c me- diante l'osservazione spettrofotometrica (e su questo si fonda l’analisi spettrale quantitativa), converrà scegliere per l’esame spettroscopico quelle regioni, nelle quali 1)’ assorbimento corri- sponde ad un valore di Y compreso fra gli stessi limiti. Questo principio noi abbiamo applicato in questo lavoro sperimentale. Non riportiamo qui i risultati ottenuti esaminando le prime soluzioni osservate, perchè quelle esperienze servirono più che altro ad abituare l’occhio nostro a simile genere di osservazioni. E questa educazione dell'occhio è certamente necessaria, se si vuole ottenere risultati attendibili, perchè molte sono le cause che possono rendere incerta la misura anche ad un occhio eser- citato. Anche adoperando il prisma di Schulz è molto difficile che sia netta la separazione fra la parte superiore ed inferiore dello spettro (1). Per quanto le fenditure dell'apparecchio di Kriiss siano ad apertura simmetrica, quando la fenditura inferiore è sensibil- mente più stretta della superiore, il colore varia leggermente, sicchè in sostanza si deve, in questo genere di osservazioni, giudicare dall’uguaglianza d’intensità luminosa di due striscie sovrapposte, non nettamente separate l’una dall’altra e non per- fettamente dello stesso colore. Si capisce quindi quanto sia ne- cessaria una buona educazione dell'occhio per tali esperienze. Riportiamo invece i risultati ottenuti esaminando le tre ultime soluzioni, che avevano le seguenti concentrazioni: gr. 1,496 °% cm, gr: 4,654 °/, cm, gr. 10,000 °/, cmì. Lo spettro d’assorbimento di una soluzione di allume di cromo presenta un assorbimento crescente dal rosso verso il giallo, nella quale regione esso è massimo; l'assorbimento va (1) Vierordt faceva senz'altro coincidere il punto di divisione delle due fenditure col menisco della soluzione in esame, dimodochè i raggi supe- riormente, entravano direttamente nello spettroscopio, mentre nella parte inferiore attraversavano la soluzione. È inutile osservare quanto meno adatte siano queste condizioni sperimentali, per il disturbo recato dal me- nisco nell’osservazione. 458 E. FERRERO — M. NOZARI poi diminuendo verso il verde, per crescere di nuovo e diven- tare grandissimo nella regione violetta dello spettro. La soluzione meno concentrata ha servito per esaminare l’assorbimento*nella regione gialla, nella quale essa ha il mas- simo valore; la soluzione più concentrata per lo stesso esame nel rosso e nel verde dove l'assorbimento è assai più piccolo; la terza per le regioni intermedie. I risultati ottenuti sono riferiti nella tabella in fine: in essa ogni valore di /J è la media di almeno dieci osservazioni fatte in ugual numero da ciascuno di noi; e questo è utile fare per togliere l'errore personale che potrebbe esservi se le osser- vazioni fossero fatte da una sola persona. Da J è stato calco- lato il coefficiente di estinzione @ e da questo il rapporto di È: 5 rà Cc . . assorbimento A mediante la formula A = È Inumeri romani segnati accanto a ciascun valore di J servono a indicare con quale delle tre soluzioni (I: c=1,496; II: c=4,654; II: e=10,000) essi sono stati determinati. Nella prima colonna è segnata la lunghezza d’onda media corrispondente alla regione dello spettro alla quale si riferi. scono le relative osservazioni. Le curve che si possono costruire per ogni temperatura prendendo come ascisse le lunghezze d’onda e come ordinate i corrispondenti valori di A, hanno il seguente andamento: Partendo dalla regione meno deviata dello spettro, esse pre- sentano tutte un tratto discendente (al quale corrisponde un assorbimento sempre più crescente) fino nell'intorno di A = 580: le varie curve però differiscono per una diversa inclinazione di questo tratto, e precisamente la inclinazione diminuisce in modo appena percettibile per le curve corrispondenti a temperature inferiori. a 67°, mentre per questa temperatura la diminuzione sì osserva in modo assai netto e visibile. A temperature supe- riori l’inclinazione rimane qual’è a 67°. Dopo questo primo tratto discendente le curve presentano tutte un tratto ascendente, il quale, raggiunta la massima al- tezza, torna a piegarsi verso il basso. Nella tavola sono appunto disegnate le curve nella regione corrispondente a questo mas- simo. Per economia di spazio, l’origine delle ordinate di cia- scuna curva è stata spostata in alto di un centimetro per ri- SULLO SPETTRO DI ASSORBIMENTO, ECC. 459 spetto alla precedeute. L’esame di queste curve dimostra che il massimo (a cui corrisponde un minimo d’assorbimento) si ha per le soluzioni bleu in corrispondenza di \= 489 circa: portando la soluzione a temperature successivamente crescenti, il mas- simo si sposta verso la regione meno deviata dello spettro; però possiamo dire che per temperature inferiori ai 55° circa questo spostamento è appena percettibile, se pure non è dubbio; ma esso si manifesta in modo netto e deciso al disopra di questa temperatura fin verso i 67°: per questa e per temperature su- periori la posizione del punto massimo della curva corrisponde presso a poco a \= 497 circa. Del resto queste cose appari- scono chiaramente se sl osserva la linea che unisce i punti mas- simi delle varie curve. La leggera diminuzione nell’inclinazione della curva in cor- rispondenza della regione meno deviata dello spettro, e il leggero ‘spostamento del massimo, che già si verificano a temperature inferiori ai 55°, lasciano presumere che già a queste tempera- ture incominci la trasformazione per cui la soluzione bleu di- venta verde; ad ogni modo dobbiamo ritenere che questa tras- formazione si faccia nel modo più completo tra i 55° e i 67° circa, dal momento che la curva corrispondente a questa tem- peratura non differisce sensibilmente da quelle a temperature superiori. Questo lavoro venne eseguito nell’Istituto Fisico della R. Uni- versità di Torino, diretto dal Ch.mo Prof. A. Naccari, al quale porgiamo i nostri vivi ringraziamenti. Torino, Gennaio 1905. E. FERRERO — M. NOZARI 460 6FO0 | 989560 | OTTO IT |-SS040 | 23780 | EvI°O I | F9of0 | eszz‘o | 2er‘0 Il EL0°0 F989°0 | I830 II | 880°0 286980. | 9630 I || SOro GESF'O 980 II 081°0 6920 | OZT°0 ITI || 68I‘0 SIEGEL |-061°0 III | IFTU 6602°0 G61°0 IN FOTO T609°0 | 9#3°0 III | LS1°0 €859°0 | 08Z°0 III | ST°0 | 9259°0 0330 11l BRIO | SE690 | 6080 IT | 9ET°0 | 9zezio | 810 HI | FETO | t#08°0 | 2er0nI 060°0 LSTS°0 | SO80 II || 980° 9780 | 98340 II | 880° I6ss'o | 9z3‘0 JI 850°0 I#08°0. | LS1°0 IT | 290°0 0TZ8°0 | TST°0 IT || 96040 | 898860 6710 JI 1#0‘0 GIL | FEO I | 0500 | 96980 | 2350 I] 95040 | S8I0°1 960°0 II 6£0°0 8885°0 | 60740 I | SE0°0 09G#0. |ESER°O Ti IFo0 i TETI FLO‘0 IT 7E0°0 BUGF 07 | 9980 TL) gegio estro | 8se‘40 Td 0F00 26180 |a LOTO I 7e0‘0 L26F0 | S98°0 I | 78040 | 6FFF°0O | 6580 I Troo | 9892‘0 8270. I 280°0 6807°0 | 08840 I x80‘0 PIRO 1369800 LITE S| SITI G,0‘40 JI 6E0°0 61850 | SIFO I) 27040 | #I6640 | zoro IT | £50°0 1988‘0 0ET"0 1 GF0°0 98047 | 8050 II || 090°0 Iezz'0 | 6910 II || 890°0 6189°0 802‘0 II 1900 | S692°0 | OZT0 II | 06040 | 98IS0 | 8080 IT | 92040 | 6I8I | 8FO‘01II L60°0 98041 | @60°0 ITI | 260° 4601 | #60°0 III | 001°00 | 000° 00T°0 TII 06T°0 | S692°00 | OZIO IIT | 88r°0 | seszo | sotto IT | SFI°O | 88940 | .—.==_-=-=_=_—-4ii——yPF—;—< ——_—______reym_r_oP_m@ \é oL9 ® epe®iod 2uorzn[0g o19 © eqeqg1od auorznjog oGG è AJeZIOd QUOIZN[Og E. FERRERO - M. NOZARI — SULLO SPETTRO, ECC. 462 980°0 2481 GF0°0 TS0‘0 9906°0 iz. 8) 160°0 L60°1 080°0 I9LO GO6L'0 29I°0 8610 GE8L'O GIT*0 980°0 TeFS'0 L83°0 670°0 697660 SIT°0 880°0 9F68'0 050 #e0'0 LLEF'0 980) 380‘0 TILF0 88‘) 080°0 GEBP°0 Iae0 080°0 GG6F0 IWASIO #E0°0 6FFF'°0 6480 680°0 0E88'0 GIF'0O 9F0°0 GCOI G60°0 090°0 96920 OLT°0 280‘0 GGI 020°0 601°0 80€6‘0 OGI‘0 PV Dv a «6 8 tyegiod 2uotzn[og 980°0 TOS'I 0S0°0 Il TS0°0 9906°0 #eL0 II &60°0 ILO'T | S80°0 III L3T°0 Gut TTROTO DI 6310 29LL'0 89T°0 Ill 980°0 Texco | ez I 0800 86860 SEO. 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Sono già note numerose sostanze non sature stabili o indif- ferenti verso il bromo. In questi corpi gli atomi di carbonio, uniti per doppio legame, sono attaccati generalmente a gruppi elettronegativi energici. Per sè stesso un doppio legame contribuisce a dare un ca- rattere negativo agli atomi di carbonio che lo comprendono; l’essere poi questi stessi atomi di carbonio uniti a gruppi elettro negativi, ne esalta ancor più il carattere negativo. Tali atomi di carbonio godono in genere di proprietà particolari, e presen- tano un comportamento anormale. Il comportamento anormale consiste in fondo in un potere di saturazione più basso verso certi elementi, fatto non strano, che si riscontra assai spesso nelle combinazioni inorganiche. Il potere di saturazione minore di tali atomi di carbonio verso atomi o radicali negativi fu spiegato dalla maggior parte degli autori, attribuendone la causa ai gruppi elettronegativi uniti ai carbonii etilenici. Entrano in giuoco qui dunque più che altro i rapporti elettrochimici qualitativi fra i gruppi ad- dendi e gli atomi di carbonio uniti per doppio legame. Gene- ralmente si nota che atomi dotati di polarità elettriche uguali, addizionandosi o sostituendosi in composti di questo genere, ten- dono ad allontanarsi più che è possibile gli uni dagli altri, in modo che il composto, che si può generare, sia, per le condi- zioni d’equilibrio, il più stabile. Hinrichsen (1) osservando che tutti gli elementi nelle com- (1) “ Ann. d. Ch. ,, 336, pag. 172. Atti della R. Accademia — Vol. XL. BI 464 GALEAZZO PICCININI binazioni in cui si mostrano più negativi, mostrano anche la valenza minima, si domanda se non sia il caso di sostituire alla concezione antica dei doppi e tripli legami un concetto più razio- nale, supponendo che in essi il carbonio funzioni da bi- e tri- valente, come funziona in altri composti ben noti. Si sono trovate però anche sostanze contenenti doppi legami, per le quali la negatività dei gruppi uniti agli atomi di car- bonio etilenici non era più sufficiente a spiegare questo man- cante potere d’addizione del bromo. E il Biltz (1) a questo pro- posito nota che mentre il tetrafeniletilene (CsHs)a fila (CsHs)s non addiziona il bromo si hanno esempi di derivati, come: (CoHs)s ii C — C “Ti Clo CeHs Fi CH =. CCL CGH;Xpa _ 6 ci 70 = 400] che, pur contenendo legami etilenici compresi fra atomi di car- bonio, le cui affinità disponibili sono saturate da elementi o gruppi fortemente negativi, possono benissimo dare composti d’addizione col bromo. Il Biltz crede necessaria in questi casi un’ ipotesi, che cioè in composti come il tetrafeniletilene venga a mancare intorno agli atomi di carbonio etilenici io spazio necessario all’addizione di atomi aventi un volume atomico elevato; ma l’ipotesi sembra gratuita. Piuttosto questi fatti dimostrano quanto peso abbiano le influenze costitutive in queste reazioni d’addizione, e di- mostrano anche che le teorie finora esposte non sono suscet- tibili di generalizzazione, essendosi, in studi di tali reazioni, tenuto ben poco conto, in genere, delle influenze perturbatrici del fenomeno, dovute a determinati gruppi uniti agli atomi di carbonio etilenici e mancando uno studio metodico di intiere serie di sostanze a tipo più semplice. Tuttavia è certo che, se nei casi notati dal Biltz si ha ad- dizione di bromo anche a doppi legami compresi fra atomi di (1) “ Ann. d. Ch. ,, 296, pag. 233-234, 263. AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 465 carbonio influenzati negativamente dai gruppi vicini, è anche vero che in quasi tutti i composti non saturi, in cui questa ad- dizione manca, gli atomi di carbonio etilenici sono uniti a gruppi o radicali elettro negativi. Di più, mentre taluni di questi derivati sono indifferenti al bromo, possono addizionare non solo idrogeno, ma anche gruppi a carattere elettro positivo spiccato, come l’etilato di sodio. Ciò fu notato dal Liebermann (1), il quale anzi, a meglio dimostrare quanto peso abbiano i rapporti elettrochimici dei gruppi uniti ai carbonii etilenici, in queste reazioni d’addizione cita l'esempio dell'acido benzalmalonico e del suo etere dietilico. Il primo _ cn. 7/000H fai GM 0 contiene un doppio legame assai resistente all’azione del bromo, come fu già notato dal Claisen (2), nel secondo, venendo a man- care il carattere negativo dei carbossili per l’eterificazione, si ha addizione di bromo normalmente nel doppio legame. Liebermann estende questa proprietà di non addizionare il bromo in genere agli acidi non saturi della serie degli alchiliden- malonici e degli acidi cianacrilici che contengono i gruppi I e IL Ue II. MC CO0E PSR R_CH=C c00H R_ CH= (€ 600H Io avevo già notato in altro lavoro che Vamide metilen- diossifenil-a-cianacrilica x ON (CH30%) . CHs — CH= CK GONH, dà col bromo un derivato di sostituzione monobromurato. Avendo a mia disposizione amidi analoghe, ottenute nella reazione di Guareschi, dalle aldeidi vanillica e protocatechica, e due eteri cianacrilici sostituiti in B dai residui delle aldeidi veratrica e (1) “ Berichte ,, 28, pag. 143. (2) © Ann. d. Ch. ,, £18, pag. 140. 466 GALEAZZO PICCININI cinnamica, ho esteso lo studio dell’azione del bromo anche a questi composti. L'esperienza dimostra che queste sostanze aventi i gruppi -0N | /0N dI Mapa Mita RCA —C ong; °° R_CH= Coe reagiscono col bromo, ma solo formando derivati di sostituzione. Il bromo entra nel residuo R e il doppio legame rimane inal- terato. L’etere cinnamenil-a-cianacrilico, sebbene contenga due doppii legami addiziona solamente due atomi di bromo; la costi- tuzione di questo bibromo derivato, enunciato già dal Bechert (1), che per il primo l’ha studiato, è stata confermata mediante ri- cerche dirette ed è rappresentata dalla formula: So AO ai eat Lele ZAN CH; — CHBr — CHBr CH =C 60,0,H; Thiele (2) in alcune osservazioni su sostanze a doppi legami coniugati, notava che l'acido fenilcimnamenilacrilico CH — CH= CH — CH = ({Ceun addiziona 2 atomi di bromo in posizione 1,4, con spostamento di un doppio legame che verrebbe a trovarsi perciò in posi- zione 2,3 (Hz — CH— CH = CH — (Celle, | | Br Br Hinrichsen (3) ha osservato, che quando a sostanze, conte- nenti due doppi legami coniugati, si addizionano due atomi o gruppi atomici uguali, i derivati più stabili e che si formano di (1) “I. f. Prakt. Ch. ,, 50, pag. 15-18. (2) “ Ann. d. Ch. ,, 306, pag. 201. (8): “Ara. Na. VU 3,336, pago È AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 467 preferenza sono quelli in cui i gruppi sono entrati in posi- zione 1,4; aventi cioè la costituzione ehi R — CHX — CH=CH — CX . NR! Tuttavia lo stesso autore rileva anche che il bromo non s’'addiziona mai a un atomo di carbonio in cui sieno già attac- cati due gruppi negativi. Egli ha riscontrato che la formula di Thiele per l’etere bibromofenilcinnamenilacrilico è errata; il bromo in questo composto assume la posizione 3-4 corrispondente dunque a quella dell’etere bibromocinnamenil a - cianacrilico (1). Confrontiamo questo stesso etere cinnamenil-a-cianacrilico colle amidi e cogli eteri da me studiati: tag / ON — c(ON ME IONE, ; 7 COGI, ini mita È 437/6GN CH CH=CH ilo Una parte della molecola, è a comune e gode della stessa pro- prietà, cioè l’indifferenza verso il bromo ed è quello che resta a destra della linea tratteggiata nella formula dell’etere cinna- menil-a-cianacrilico. In qualunque caso il bromo si porta sempre lontano dal gruppo cianogeno; altre considerazioni porterebbero a credere che il cianogeno avesse un’ influenza quasi di repulsione e d’al- lontanamento verso gli atomi a carattere negativo. L’amide metilendiossifenilcianacrilica dà un bromoderivato, che, per ebollizione con soda caustica in corrente di vapore, genera il bromopiperonalio. L’etere dimetossifenil-a-cianacrilico dà pure un bromoderi- vato che nelle stesse condizioni genera l’aldeide bromoveratrica. (1) Le mie ricerche su questi bromoderivati di composti non saturì datano già dal gennaio 1904; nell'ultimo lavoro di Hinrichsen citato trovo accennata la costituzione dell'etere bibromocinnamenil a-cianacrilico. Io la stabilii indipendentemente dalle ricerche di Hinrichsen e sono contento che le mie conclusioni concordino con quelle di questo autore. 468 GALEAZZO PICCININI Ora, tanto il bromopiperonalio, quanto l’aldeide bromoveratica così ottenuti sono identici al bromopiperonalio e alla bromove- ratraldeide, che si hanno bromurando direttamente le aldeidi. La posizione che assume il bromo nel nucleo è la stessa. I punti di fusione di queste bromoaldeidi, assai più elevati di quelli delle aldeidi non bromurate, portano a supporre che l’en- trata del bromo abbia contribuito a dare alla molecola un grado di simmetria molto più grande. L'ipotesi quindi che può subito farsi è che il bromo sia en- trato in posizione 5, e cioè dal composto I si sia passati al composto Il : C — CHO C— CHO DIS Za A N : st | | Na 7/0 Br\ /0 NOZERA | O — CHy Oa I II ZAN A CH= CK 60,0;H; DA S | | | BrN /0 S | O — CH si vede che il bromo in essa assume appunto la posizione più lontana rispetto al cianogeno. Con questo io non voglio venire alla conclusione che il cia- nogeno eserciti un'azione particolare; tale conclusione sarebbe arrischiata e non sufficientemente provata dai pochi casi da me studiati. Inoltre non mi nascondo che vi sono molti composti, in cui l’alogeno è unito allo stesso atomo di carbonio, a cui si trova attaccato il gruppo — CN e questo dice già quanto potrebbe essere fallace una tale conclusione. AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 469 Di più queste considerazioni ch'io ho portate potrebbero non sembrare esatte, se si prende la questione partendo da un altro punto di vista. Il fatto, cioè, che questa amide, quanto l’etere bromurato già accennati, contengono il bromo nella stessa posizione, come lo contengono le aldeidi bromurate, ottenute per l’azione del bromo direttamente sul piperonalio e l’aldeide veratrica, potrebbe dimostrare anche che la posizione del bromo nel nucleo è de- terminata esclusivamente dai gruppi già esistenti in questo, in- dipendentemente dal carattere o dalla lunghezza della catena laterale. Inoltre, le esperienze di Riedel (1) dimostrano che l’etere dell'acido p-ossi-a-cianocinnamico e il suo derivato acetilico non addizionano il bromo; le esperienze di Frost (2), di Bistrzycki e Stelling (3) condotte sui cianuri, che si formano per conden- sazione delle aldeidi aromatiche col cianuro di benzile, provano abbastanza chiaramente che in questa serie di composti gli 0s- sidrili, in posizione para, o meta-para nel caso di derivati di- ossifenolici, hanno un’ influenza notevole nel determinare l’en- trata del bromo nel nucleo benzenico, rimanendo sempre intatto il doppio legame. E non mancano esempi di sostanze della stessa natura aventi un ossidrile in posizione orto- o meta, nelle quali si ha una normale addizione di bromo al doppio legame. Co- sicchè, se l’etere più semplice, cioè il fenil-a-cianacrilico prepa- rato da Carrik (4) non addiziona per nessun verso nè bromo, nè idrogeno (e qui non si hanno gruppi sostituenti nel nucleo aro- matico, che possano agire come cause perturbatrici) nella mag- gior parte dei casi la costituzione e la posizione dei sostituenti nel nucleo ha un peso notevole in queste reazioni d’addizione. Dunque appare chiaro che tutte queste condizioni, cioè la negatività del cianogeno e una certa tendenza a tener lontani i gruppi negativi, la facile bromurazione del nucleo aromatico agiscono in accordo; il composto che si forma, sebbene ancora gti. Prak. Ch.,, 54, pag. 538. fNcAnn. d. Ch..,; 250, pag. 157. (3) “ Berichte ,, 34, pag. 3081. (4) “I. f. Prak. Ch.,, 45, pag. 504-505. Al * GALEAZZO PICCININI non saturo, sarà tanto più stabile poi verso gli agenti negativi, perchè gli atomi di carbonio etilenici avranno acquistato un ca- rattere di negatività maggiore, essendosi esaltato questo carat- tere in uno dei gruppi uniti ad essi atomi. Ricordo poi che questi doppi legami così stabili al bromo, sono molto deboli verso gli alcali caustici anche diluiti e l’ebol- lizione di tali sostanze non sature con soda o potassa caustica già al 2 0 3 % basta a decomporle, per un processo d’idrata- zione in aldeidi e derivati dell’acido malonico: /CN XC0,C,H, ZCN R.CH:C < €0,0,H, + H;0 = R.CHO 4 CH, Debbo ancora accennare a due cose che risultano da questo breve lavoro. È noto e si suol portare anzi come prova, che i derivati alogenati della serie aromatica sono decomposti dalle soluzioni acquose o alcooliche di potassa caustica se l’alogeno è nella ca- tena laterale; se invece l’alogeno è nel nucleo, allora esso entra in reazione solo nel caso che esso alogeno sia vicino a un gruppo nitro. Ora, ho notato che il bromopiperonalio e l’aldeide bromo- veratrica si trovano nelle stesse condizioni dei nitrobromoderi- vati, perchè anche queste aldeidi diossigenate per ebollizione con soda caustica acquosa anche diluita (10 °) cedono facilmente il loro bromo. Se veramente la decomposizione non è proceduta tanto oltre da esser totale nelle mie esperienze, ciò dipende certamente dalle condizioni di tempo e d’esperienza, ch'io non ho studiato più minutamente per ora, non essendo ciò nell’indole di questo lavoro. È da aspettarsi, e a maggior ragione, che i derivati alogenati aromatici, contenenti due o più ossidrili fenolici liberi, si com- porteranno in modo analogo. Per riguardo ai punti di fusione dei bromoderivati delle amidi studiate, si nota la solita regolarità, che cioè il loro punto di fusione è più elevato dei punti di fusione dei composti cor- rispondenti non bromurati. seni Dntnne: AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 471 » MEZON porzzane / CN CH,0,—G:H:—CH=CCoNH, CHs0:0HaBr-CN=CK CON, f. 2120-213° f 2450 RICH,0\, dg Coe ee CN de cone, ,, Ho/fgatr HTC coxg, f. 210°-210°,5 f. 2940.9850 ECIZON lo: SECON (HO), CH: —CH=CCO Nu, (HO — 05 Ho Br CHSCCGONH, RI f. 260° E si nota anche, che le differenze nei punti di fusione di questi bromoderivati tra loro si mantiene quasi costante. Viceversa l’etere bromometilendiossifenil-a-cianacrilico e bromo-dimetossifenil-a-cianacrilico hanno un punto di fusione uguale o quasi uguale a quello delle aldeidi bromurate, a cui possono dare origine per decomposizione : i CON REPERI CH:0; — OH, Br -CH=CC (0,0,H, =-> C;H,0,— CH, BrCHO fto 18 fi. JSLo CN (CH30), —CsHo—Br_CH=CX 60,0,H, =_> (CH;0),—CgHo—Br—CH (0) ELO4? Tadioilie Ciò sembrerebbe dimostrare che la lunghezza o il carattere della catena laterale non avesse influenza sensibile sul punto di fusione di tali sostanze. Mi riserbo di estendere le ricerche su varie serie di tali derivati non saturi, per potere trarre qualche conclusione defi- nitiva sulle cause che possono rendere così stabili questi doppi legami. 472 GALEAZZO PICCININI I. — Azione del bromo sulla amide metilendiossifenil-a-cianacrilica. In una nota precedente, a proposito della condensazione del piperonalio con etere cianacetico e ammoniaca concentrata, accennai ad un composto che si formava in piccolissima quan- tità e i cui caratteri corrispondevano a quelli di un’amide meti- lendiossifenil-a-cianacrelica : Studiandone il comportamento verso il bromo, osservai che sia per azione dei vapori di bromo, sia per azione del bromo diret- tamente, si formava un monobromoderivato, al quale assegnai la formula: CH,0,— CH, — CBr= C(CN)CONH), in base al carattere ch’esso presentava di decomporsi per azione degli alcali, anche diluiti, bollenti, formando bromuro alcalino. Avendo allora piccole quantità di sostanza a disposizione, giacchè nella reazione generale di Guareschi, se ne formano solo piccolissime quantità, non potei proseguire lo studio del bro- moderivato. L’amide suaccennata si prepara facilmente e presto, con- densando il piperonalio e la cianacetamide mediante l’acido ace- tico glaciale, o l’ammoniaca acquosa al 15 °/o. Rendimento quasi teorico. La sostanza pura fonde a 212°- 213° e non a 209°, come notai in altro lavoro, in cui accennai anche alla difficoltà di separarla completamente dagli altri pro- dotti. È in cristalli lamellari piccolissimi, splendenti, di color giallo oro. È quasi insolubile in acqua, solubile in acetone a caldo, in acido acetico e molto nell’alcool concentrato a caldo. All’analisi: I. gr. 0,1338 di sostanza diedero cc. 15,7 di N a 18° Goi(491: trovato calcolato — — a —. N° 13.24 12.99 AZIONE DEI. BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 473 Si noti che l’amide messa in presenza di un’ altra molecola di cianacetamide e ammoniaca al 23 °/), reagisce nel senso della reazione Guareschi, formando il sale ammonico della ‘-piperonil- 88'-dicianglutaconimide e l’amide satura: wr Da _oq/70N CH,0, — CsHg — CH, CH CONH, fondente a 186°. Questo dimostra indirettamente che l’amide non satura è capace d’addizionare due atomi di idrogeno. Bromoderivato C,;HBrN30;. Si ottiene lasciando l’amide sotto l’azione dei vapori di bromo per varii giorni; seccando il prodotto greggio all’aria e ricristallizzandolo dall'alcool a 90 °/o. Se invece si sospende l’amide in cloroformio, in vaso chiuso, e si aggiunge alla miscela una soluzione di bromo in cloroformio, anche in grande eccesso, la bromurazione non è completa nep- pure dopo un mese e mezzo di dimora. Il bromoderivato puro è in fogliette brillanti di color giallo oro, piccole, solubili in alcool concentrato e caldo, poco in ace- tone, cloroformio, etere; quasi niente in acqua. Fonde a 245°, subendo però già prima una decomposizione. La potassa e la soda caustica al 10 °/ bollenti sottrag- gono del bromo al composto; ciò indurrebbe a credere il bromo sostituito nella catena. Un'esperienza molto semplice decide la questione. L’amide metilendiossifenil-a-cianacrilica per ebollizione con alcali in corrente di vapore si sdoppia in piperonalio e derivati dell'acido malonico. Se si sottopone allo stesso trattamento il bromoderivato, si otterrà bromopiperonalio, nel caso che il bromo sia sostituito nel nucleo, mentre si avrà piperonalio, e un bro- muro alcalino nel caso che il bromo sia nella catena laterale. Siccome il bromopiperonalio è volatile col vapor d’acqua come il piperonalio, distillando in corrente di vapore si potrà facil- mente separare il prodotto che si forma. Nelle esperienze fatte, adoperando soda caustica al 5 % e in eccesso, dopo !/, d’ora d’ebollizione passa nel distillato una sostanza cristallina bianca, che raccolta, seccata e ricristalhz- zata dall'alcool fonde a 131° costantemente. 474 GALEAZZO PICCININI Le proprietà e l’analisi di questo composto mostrano trat- tarsi del bromopiperonalio ottenuto da Fitting e Mielek decom- ponendo l’acido bromopiperico e da Oelker (1) per bromurazione diretta del piperonalio. All’analisi il prodotto puro diede: gr. 0,1987 diedero gr. 0,1630 di AgBr trovato calcolato per CgH;Br0z i [LL I Sims! Spain Br'% 54.87 34.93 Oelker dà come punto di fusione 129°. La sostanza analiz- zata e pura da me ottenuta fonde costantemente a 131° (term. immerso). Non si ottiene in queste operazioni tutto il bromopipero- nalio richiesto dalla teoria. La perdita è dovuta in parte alla solubilità del bromopiperonalio in acqua, in parte alla scompo- sizione, che subisce il bromopiperonalio per ebollizione cogli alcali. Infatti nel liquido alcalino ottenuto dalla decomposizione di gr. 3,515 di bromoderivato fu trovato, mediante l’analisi, gr. 1,236 di AgBr, e cioè il 54,71 ° della sostanza primitiva si decompone mettendo in libertà il bromo. Potendo questo fatto essere spiegato anche in modo diverso, mi sono accertato anche con una prova diretta, che realmente il bromo, che passa nella soluzione alcalina, è dovuto alla decomposizione del bromopipe- ronalio che prima si forma. Infatti, facendo bollire il bromopi- peronalio con potassa o soda caustica (soluzione al 10 °/, e anche al 5°/) per 3-4 ore, la decomposizione raggiunge il 75 °/, della sostanza totale. Tralascio per brevità i dati analitici. Resta dunque così definitivamente stabilito che il derivato bromurato contiene l’atomo di bromo nel nucleo aromatico e cioè ha la costituzione: CH,0, — C;H,—Br—CH = C(CN)CONH;. Non si ha dunque, per nessuna condizione, l’addizione del bromo al doppio legame. (1) “ Berichte ,, 24, pag. 2593. AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 475 Il Bechert (1) in un suo lavoro sulla condensazione delle aldeidi con etere cianacetico, descrive un etere metilendiossi- fenil-a-cianacrilico, che per trattamento con bromo in soluzione acetica dà un derivato monobromurato, fondente a 131°, al quale egli attribuisce la formula: CH,0,—CiHgz—CBr —- C(CN)CONH, . In fine al suo lavoro Bechert dice che, se nell’etere a-cia- nocinnamico C;H;, — CH = C(CN)CO,C,H; si sostituisce il fenile con un radicale p-metossifenilico o col radicale del furfurolo o del piperonalio, si ottengono dei composti, coi quali il bromo entra facilmente in reazione. Prima, per rottura del doppio le- game, si forma un prodotto d’addizione, che poi, per elimina- zione di HBr e nuova formazione del doppio legame dà luogo a composti di sostituzione. Le esperienze di Frost (2), di Bistrzycki e Stelling (3), e di Riedel (4), di cui ho già accennato innanzi, sembrano dimo- strare quasi positivamente che in questi acidi p-ossi-a-cianocin- namici o nitrili o eteri di questi acidi, l’ossidrile in posizione para- sia libero che eterificato impedisce in qualunque modo l’addizione del bromo nel doppio legame e ne permette solo tal- volta l’entrata nel nucleo. Cosicchè si può considerare, come molto dubbia l’esistenza di un derivato d’addizione del bromo all’etere p-metossifenil- a-cianacrilico, e all’etere furfur-a-cianacrilico, tanto più in quanto che il Bechert non ha potuto ottenere tali derivati d’addizione; ma ha supposto che si formassero, non potendosi egli spiegare forse la ragione dello stato di saturazione di un doppio legame verso il bromo. Per me era interessante verificare l’ esattezza dell’ ipotesi del Bechert riguardo all’azione del bromo sull’etere metilen- diossifenil-a-cianacrilico; essendo essa in contradizione colle mie esperienze, condotte sull’amide derivante da questo etere. (1) “I. far. Prak. Ch. ,, 50, pag. 15-18. (2) “ Ann. der Ch. ,, 250, pag. 157. (3) “ Berichte ,, 84, pag. 3081. (4) “I. fur. Prak. Ch..,, 54, pag. 5339. 476 GALEAZZO PICCININI Nella preparazione di questo etere ho seguìto il metodo descritto dall’A.; senonchè debbo notare che nella condensazione fra piperonalio, etere cianacetico ed etilato di sodio sì forma dapprima una sostanza, che raccolta e seccata non fonde vera- mente, ma subisce una decomposizione verso 210°. La sostanza così ottenuta, ben cristallizzata, lascia per riscaldamento su la- mina di platino, un residuo di carbone e di carbonato di sodio. Probabilmente nella reazione si forma dapprima un prodotto d’addizione con l’etilato di sodio; prodotto, che, per ricristalliz- zazione dall'alcool a 90°), si decompone dando origine all’etere: CH,0, — C;Hy — CH = C(CN)C0,0,H, fondente a 110° e non a 106°. come trova il Bechert. Bromurando questo etere in soluzione acetica ho ottenuto il bromoderivato fondente a 181°. Questo bromoderivato fatto bollire con soda caustica al 10 °/,, in condizioni analoghe a quelle già esposte per la amide metilendiossifenil-a-cianacrilica, sì decompone come questa e dopo pochi minuti passa nel distillato una sostanza. bianca cri- stallina, che, ricristallizzata, presenta tutti i caratteri di solu- bilità e di reazioni del bromopiperonalio e fonde come questo a tal Cosicchè le conclusioni del Bechert non sono esatte e la formula vera di questo derivato bromurato deve essere corretta così : CH0, — C;H,Br — CH = C(CN)CO:C,H;. Concludendo, se l’etere metilendiossifenil-a-cianacrilico e la sua amide si comportano come saturi verso il bromo, non si può ammettere, che ugual comportamento abbia il doppio le- game verso elementi o gruppi meno elettronegativi, perchè l'amide suddetta può, per idrogenazione, trasformarsi in amide satura e l’etere preparato dal Bechert deve assai probabilmente dare un composto d’addizione coll’etilato di sodio. Cosiechè il comportamento verso il bromo è particolare. AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 477 II. -- Azione del bromo sull’amide m-metossi-para-ossifenil- a-cianacrilica. CH30\ PI wr ee Ho CHs CH'—=0 \CONH,y Questa amide si ottiene assai facilmente condensando la vanillina con etere cianacetico o cianacetamide molecola a mo- lecola in presenza di ammoniaca acquosa al 15 °/, e lavando il prodotto greggio con pochissimo acido nitrico diluito per neu- tralizzare l'eccesso di ammoniaca e togliere così la causa, per la quale il prodotto greggio divien bruno. Si ricristallizza poi dall'alcool a 90 °/. Ho fatto reagire il bromo su questa amide adoperando quan- tità di bromo variabili da 2 atomi ad 8 per una molecola di amide e servendomi talvolta della soluzione di bromo in cloro- formio, talvolta di quella in acido acetico glaciale. L'operazione si fa in vasetto chiuso; la reazione dura qualche volta a lungo; in genere per 1 gr. di amide sono necessari 10-12 giorni, acciocchè la bromurazione si effettui regolarmente. Si sviluppa sempre in abbondanza acido bromidrico. Il pro- dotto greggio insieme al cloroformio si lascia all’aria, finchè tutto il cloroformio sia scacciato e il residuo sia secco. Secco è di color giallo vivo. Seguita a sviluppare acido bromidrico per qualche tempo, il che tenderebbe a far credere a un pro- dotto intermedio instabile di addizione; ciò in realtà non è. Il bromo derivato ricristallizzato dall'alcool a 909 si ot- tiene in fogliette brillanti piccole gialle, che anche nel vuoto non perdono più acido bromidrico. Sono solubili in acido ace- tico a caldo, in alcool concentrato, poco o niente in acqua. Fon- dono costantemente a 234°-235°9, decomponendosi e dando un liquido schiumeggiante nerastro. Il prodotto ottenuto è sempre identico anche quando lo si ottenga da soluzioni cloroformiche o acetiche contenenti un forte eccesso di bromo. All’analisi: gr. 0,2616 di sostanza secca diedero gr. 0,1633 di AgBr. trovato calcolato per C;jHgN303Br i n —— rr su Br 9° 26.55 26.93 478 GALEAZZO PICCININI Corrisponde dunque a un derivato monobromurato. Il deri- vato greggio per essiccamento all'aria e nel vuoto perde un poco di acido bromidrico. Temendo si potesse formare prima un de- rivato d’addizione instabile, decomponibile per ricristallizzazione, ho analizzato il prodotto ottenuto in altre condizioni. 1l bromoderivato greggio asciutto all’aria, è sospeso in poca acqua e ben lavato con acqua fredda ripetutamente, indi con alcool a 60°, poi con alcool a 90 ®, sino a che nel filtrato non si avesse più reazione di acido bromidrico. Il bromoderivato così ottenuto, seccato nel vuoto non perde acido bromidrico, fonde a 234-235° decomponendosi. All’analisi questo campione ha dato: gr. 0,3756 di sostanza diedero gr. 0,2315 di AgBr. trovato calcolato Best 26.49 26.93 Infine ho sottoposto 2 gr. di amide alla bromurazione ag- giungendo una quantità di soluzione cloroformica di bromo cor- rispondente a 8 atomi di bromo per una molecola di amide; ho lasciato a sè 10 giorni. Il prodotto ottenuto secco all’aria fonde a 229-230°. È diviso in tre parti: una di queste si lascia asciu- gare lungo tempo all’aria. Il punto di fusione non varia. Un'altra si essicca in acido solforico nel vuoto, si elimina, nel vuoto, un poco di acido bromidrico, ma il bromoderivato finale secco ha lo stesso punto di fusione del prodotto primitivo. Queste due parti analizzate mostrarono contenere l’una il 20, l'altra 11025,040/5 dl bromo. La terza porzione fu ricristallizzata dall'alcool a 90 °. Si ottennero le solite lamelle brillanti fondenti con decomposizione a 234-235°. Queste all’analisi diedero: gr. 0,2134 di sostanza secca diede gr. 0,1315 di AgBr. trovato calcolato — _— —-— Br 9/o 26.21 26.93 La conclusione di queste varie prove è che il prodotto greggio in genere contiene ancora un poco di amide indecom- posta. AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 47) In nessun caso si verificò che il prodotto greggio desse una percentuale di bromo maggiore a quella che si calcola per il derivato monobromurato. Colle soluzioni di soda caustica al 10 °/, e anche al 5 °/; bollenti, il bromoderivato si scompone. Infatti gr. 0,2210 di bromoderivato fatti bollire per 4 ore !/, con cc. 30 di NaOH al 10 °/, in un matraccio munito di re- frigerante a ricadere, diedero un liquido, in cui all’analisi fu trovato gr. 0,0551 di Br. Per una decomposizione totale si sa- rebbero dovuti ottenere gr. 0,0594 di bromo. La decomposizione raggiunge circa il 92,7 °/, della sostanza totale. Gr. 0,5441 di bromoderivato sono fatti bollire per ore 7 con forte eccesso di NaOH al 5 °/,. Nel liquido si trovarono gr. 0,0999 di bromo, mentre il bromo totale è gr. 0,1465. La decomposi- zione dunque rappresenta il 68,2 °/, del composto primitivo. Per decidere se il bromo sia contenuto nella catena late- rale o nel nucleo ho sottoposto il bromo-derivato all’ossidazione, scaldando gr. 1 di sostanza con un po’ meno della quantità teo- rica di acido cromico, sciolto in acido acetico concentrato, a b. m. a 95-100°. L’ossidazione avviene con un poco di difficoltà. Distil- stillata la maggior parte dell’acido acetico si tratta il residuo con potassa caustica sino a reazione alcalina. Il liquido filtrato al- calino è estratto con etere. La soluzione acquosa è acidulata con acido solforico diluito, e la sostanza che si precipita è lavata con acqua calda e ricristallizzata dall'acqua. Così ottenuta e secca ‘fonde verso 160°. È una sostanza bromurata che reagisce colla fenilidrazina, dando un idrazone poco solubile in forma di masse cristalline, e riduce la soluzione di nitrato d’argento ammonia- cale. I caratteri di solubilità, il punto di fusione e le reazioni fan supporre che si tratti della bromovanillina. Non ho potuto determinare la composizione della sostanza coll’analisi, perchè non mi è riuscito ottenerla in quello stato di purezza, che si richiede. Tuttavia questa prova insieme alle considerazioni già esposte di analogia con altri derivati aventi costituzione simile, dimostra che il bromoderivato da me ottenuto nelle varie esperienze, con- tiene l’atomo di bromo sostituito nel nucleo, e la sua formula di costituzione può essere rappresentata così: 30 C CO) CH:r — CH = Time Atti della R. Accademia — Vol. XL. 32 480 GALEAZZO PICCININI giacchè in caso contrario nell’ossidazione si sarebbe dovuto ot- tenere vanillina e acido bromidrico. E nel liquido acetico dopo l'ossidazione non fu trovata traccia di acido bromidrico. Probabilmente la decomposizione del bromoderivato per ebollizione con alcali caustici diluiti è preceduta dalla scissione in aldeide bromovanillica e acido malonico : UHSOS afio i) “Aa HO)CH:B.— CH = CONE, + 46:0= /C00H i — CHaoNo B,Br — CHO 4- CH, —-2NH; \\COOH e la bromovanillina deve subire poi la stessa decomposizione, che si verifica per il bromopiperonalio e per l’aldeide bromo- veratrica. Con ciò resta spiegato il comportamento di questo bromo derivato verso la soda caustica bollente. III. — Azione del bromo sull’amide diossifenil-a-cianacrilica. A PALO RAIN (HO): <=CH, CH=CCG0NH, Gr. 0,5 di amide sono trattati con 7 cc. di una soluzione cloroformica di bromo (contenente gr. 5,86 di Br. in 100 ce.). I rapporti sono di 2 at. di bromo per 1 mol. di amide. Si lascia a sè 6 giorni. Aprendo il vasetto si nota sviluppo di acido bro- midrico. Il liquido, in cui è sospeso il bromoderivato, è incoloro. Si evapora all’aria il cloroformio e la sostanza greggia, che, anche seccata nel vuoto, non sviluppa più acido bromidrico, è ricristallizzata dall’alcool diluito. Il bromoderivato puro fonde verso 260°, ma già prima di questa temperatura a 230-235° subisce una decomposizione e annerisce notevolmente. Lasciato a sè all’aria questo composto, che è giallo, assume un colore ranciato tendente al bruno. All’analisi diede: gr. 0,1464 di sostanza diedero gr. 0,0970 di AgBr. trovato calcolato per CioH:Na203Br De P_i — — — TI Br %o 28.14 1 28,26 AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 481 Contiene dunque un solo atomo di bromo; anche in questo caso, il bromo si sostituisce, il. doppio legame rimane inalterato. La costituzione di questo. composto può essere rappresen- tata con la formula: (HO), — C,Hy,Br — CH = C(CN)CONH;: Trattato con potassa caustica. diluita si scioglie e dà un liquido colorato. in un bel rosso. carminio; che per. ebollizione passa al giallo; nella soluzione dopo l'ebollizione si nota pre- senza di bromuro alcalino. Tutto ciò è in perfetto accordo con l'analogo comportamento degli altri derivati simili studiati. IV. — Azione del bromo sull’etere ‘3-4-dimetossifenil-a-cianacrilico. N (CH;0), — CH, — CH = C[ COLA, Gr...l di questo etere è trattato in vasetto chiuso con 12 cc. di soluzione cloroformica di bromo corrispondentemente a 2 at. di bromo per, 1 mol. di etere. Si lascia a sè 8 giorni. Si svi- luppa abbondantemente acido bromidrico; il liquido limpido in questo tempo si decolora ; si aggiungono allora altri 12 ce. della stessa soluzione di bromo. Dopo 10 giorni di riposo non si 0s- serva alcuna decolorazione. Ripetuta l’esperienza. aggiungendo subito una quantità di bromo corrispondente a 6 atomi di bromo, si nota lo stesso fe- nomeno. Risultato e rendimento uguali. Si evapora il cloroformio all'aria; il prodotto greggio secco all'aria fonde a 148°. Ricristallizzato dall'alcool a 90 °/ si pre- senta in fogliette minute, brillanti, di color giallo: chiaro fon- denti costantemente a 154°. È solubile bene in alcool a caldo, in benzene e in acetone a caldo, assai meno a freddo. Quasi insolubile in etere e acqua. Si scioglie all’ebollizione nelle soluzioni alcaline. All’analisi: gr. 0,2283 di sostanza diedero gr. 0,1281 di AgBr. trovato calcolato per CyHysN0;Br _— — rr _— Br % 23.87 Piaftab Atti della R. Accademia — Vol. XL. 927 482 GALEAZZO PICCININI Bollendo questo bromoderivato con soda o potassa caustica anche diluita, il vapor d’acqua trasporta una sostanza che di- stilla e si depone cristallina sulle pareti fredde del recipiente. Si ha qui una decomposizione, o, per meglio dire, un'idra- tazione analoga a quella osservata per l’amide metilendiossi- fenil-cianacrilica. Potendo questo carattere decidere se il bromo è contenuto realmente nel nucleo o nella catena laterale, ho fatto un’espe- rienza in condizioni uguali a quelle che ho già riferite a pro- posito della amide metilendiossifenil-cianacrilica. Nell’ebollizione con soda caustica al 10°, solo il 10 °y della sostanza primitiva resta decomposta eliminando bromo ; la maggior parte si scinde al punto del doppio legame formandosi aldeide bromoveratrica, volatile col vapor d’acqua, e acido ma- lonico: (CH30),CHsBr—CH — C(CN)CO,C,H5 - 4H,0 — _ (CH30),G;HsBr == CHO —- C:H40, sa NH; + C,H;0H Si ottiene perciò nel distillato una sostanza bianca cristal- lina pochissimo solubile in acqua a freddo. Dall’acqua bollente cristallizza in aghi sottilissimi incolori lunghi e bellissimi. Secca fonde a 151° costantemente. A 16° 1000 p. di acqua sciolgono solo gr. 0,045 di sostanza. Reagisce colla fenilidrazina dando un fenilidrazone di color giallo, che si depone prima oleoso poi in cristalli microscopici. Riduce il nitrato d’argento ammoniacale. Col bisolfito di sodio apparentemente non reagisce; proba- bilmente si forma un derivato bisolfito solubile. Il modo di formazione e queste reazioni dimostrano il ca- rattere aldeidico della sostanza. All’analisi : gr. 0,2006 diedero gr. 0,1536 di AgBr trovato Br % 32.58. Per l’aldeide bromoveratrica (CHz0), — C;HsBr — CHO si calcola: Br:9/0 33,65, AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 483 ALDEIDE BROMOVERATRICA. — Non essendo nota questa al- deide bromurata, per caratterizzarla più sicuramente, l’ho pre- parata anche per altra via, cioè bromurando direttamente l’aldeide veratrica. Gr. 1,75 di aldeide fondente a 42-43° sono trattati con bromo in soluzione cloroformica in quantità corrispondente esat- tamente a 2 atomi di bromo. Dalla soluzione limpida rossa si depositano a poco a poco cristallini a rosetta assai belli. Dopo 12 giorni d’azione, il clo- roformio è quasi incoloro. Riaprendo il vasetto si notano fumi abbondanti di acido bromidrico. Si evapora il cloroformio al- l’aria e il residuo secco è ricristallizzato dall'alcool a 70 9°. Si ottiene infine una sostanza avente aspetto identico al composto già descritto e fondente come questo costantemente a 150-151°, All’analisi la sostanza secca diede: gr. 0,2377 diedero gr. 0,1823 di AgBr. trovato cale. per (CH30),— C5HaBr-CHO , — i /___gpnn Br 32.63 32.65 Det. del peso molecolare. Apparecchio Raoult. Solv. Ben- zene. Sostanze gr. 0,1556. Benzene gr. 10,86. A = 00,295. Pm trovato 242.8 Pm calcolato = 245 Non v'è dubbio dunque che questa sostanza non sia real- mente aldeide bromoveratrica; ciò dimostra indirettamente che l'etere bromo 3.4 dimetossifenil-a-cianacrilico contiene il bromo sostituito nel nucleo, potendo dare per decomposizione l’aldeide bromoveratrica. La sua costituzione sarà dunque: (CH30), — C;HsBr — CH = C(CN)C00C,H;. Ho accennato che, nella decomposizione di questo bromo- derivato con soda caustica in corrente di vapor d’acqua, una . parte dell'etere si decompone più profondamente e nel liquido alcalino si trova all'incirca il 10 °/ del bromo totale esistente nel composto. Questo fatto è dovuto alla decomposizione che 1484 GALEAZZO PICCININI subisce .l’aldeide hromoveratrica in presenza di soda anche di- luita. per lunga ebollizione. Infatti; facendo bollire per 6: ore gr. 0,2377, di. aldeide bromoveratrica .con forte eccesso di NaOH al 10 °/,, si trova nel liquido alcalino gr. 0,0425 di bromo, ciò che rappresenta 1l 54,9 °/, del bromo totale contenuto nella sostanza. E bisogna aggiungere, che lai decomposizione; effettuata in un matraccio munito di refrigerante a ricadere, non: può ‘essere totale, perchè una parte del composto, che si volatilizza insieme al vapor d’acqua, resta condensato nel refrigerante. Operando in tubi, chiusi si deve ottenere una decomposizione totale. Si deve concludere da questo che, se il bromo entra facil- mente, nel nucleo, visi trova però in una condizione di poca ‘stabilità, bastando agenti relativamente* deboli per staccarnelo. V.— Azione del bromo sull’ etere connamenil-a-cianacrilico. ZCN Questo etere già ottenuto da Fiquet (1) e dal Bechert (2 si prepara facilmente e rapidamente condensando l’aldeide cin- namica (1, mol.) con l’etere cianacetico (1 mol.) mediante l’am- moniaca acquosa al 10 °/. Si agita, il liquido si emulsiona, si fa giallo, poi si rapprende in una massa solida gialla, che rac- colta, alla, pompa e lavata bene con acqua. si ricristallizza dal- l'alcool. vAdoperando, invece dell’ ammoniaca al 10 °/o, l’ammoniaca concentrata al 23 9/,, la reazione va in altro senso. come-ho accennato in un altro lavoro. Il bromoderivato è preparato seguendo quanto consiglia il Bechert. Ricristallizzato dall’ alcool è in cristalli riuniti a ro- setta splendenti, che fondono a 100° e non a 95° come dà il Bechert. (1) “ Ann. de Chim. et Phys. ,, serie’ 6*, vol. ‘29, pag. 495. (2) Loco. citato. Ut AZIONE DEL BROMO SOPRA ALCUNI DERIVATI NON SATURI 48 ‘A]Panalisi: gr. 0,3474 diedero gr. 0,3361 di AgBr. trovato calcolato per CuBisNO:Br; Br % 41.18 - 134 È un composto, che si decompone assai facilmente con la — soda caustica bollente al 5 °/,. Gr. 0,4384 di sostanza fatti bol- lire con 20 cc. Na0H al 5° per 6 ore diedero gr. 0,4325 di AgBr: trovato Br °/o 41.86 e per» rina decomposizione totale si calcola: Br 9/o 41.594. Anche l’ebollizione con acqua, per quanto il composto vi sia poco solubile, dà luogo' a formazione di acido bromidrico. Ho determinato il peso molecolare di questo composto (per essere sicuro non trattarsi di un derivato polimero) servendomi del metodo erioscopico e del benzene come solvente. p P e A Pm Pm calcolato I 0,1482 19.606 0,755 09,10 378 II 0,3625 P 1.84 00,245 7377,4.) 386 IN 0,7230 3 3.68 0948 384 È esclusa dunque la possibilità di forme polimere. Per fissare definitivamente, in quale dei due doppi legami il bromo si sia fissato, ho sottoposto questo bromoderivato al- l'ossidazione con acido cromico in soluzione acetica. L’ossida- zione si effettua facilmente. Aggiungo acido cromico in difetto, il liquido rimane di un bel colore verde smeraldo. Nel liquido non si nota presenza di HBr. Alcalinizzato, viene estratto con etere per separare un poco di sostanza inalterata. Il liquido al- calino, acidulato con acido solforico, precipita lentamente una piccola quantità di una sostanza cristallina, in fogliette brillanti, che ricristallizzata fonde a 199°. 486 GALEAZZO PICCININI — AZIONE DEL BRUMO, ECC. I caratteri di solubilità, il punto di fusione, il suo modo di formazione, insieme con l’analisi, che mostra trattarsi di un bromoderivato a carattere acido, si accordano con le proprietà dell'acido 1-2bibromo-2fenilpropionico, che fonde tra 195-201°: C;H, — CHBr — CHBr = COOH. Questo dimostra che l’etere bibromocinnamenil-a-cianacrilico ha la costituzione: naso = RION CH; — CHBr — CHBr—CH= Cc C0,0,H; già ammessa dal Bechert per altre considerazioni; giacchè, di- versamente, l’ossidazione avrebbe dovuto portare ad acido fenil- bromoacetico, se due atomi di bromo fossero stati in posizione 1-4 e ad acido benzoico se l’addizione fosse avvenuta nella posi- zione 2-3. Dunque si nota anche qui un'azione che tende ad allonta- nare gli atomi di bromo dai gruppi negativi. Notevole è che questo etere cinnamenil-a-cianacrilico addi- ziona due soli atomi di bromo, in conformità al comportamento di molti altri derivati cinnamenilici. Un doppio legame resta quindi inalterato. Torino, Dicembre 1904. Laboratorio di Chim. Farm. e Toss. della R. Università. Relazione intorno alla Memoria presentata dal Dr. Gio- seppe Gora, dal titolo: ricerche sulla biologia e sulla fistologia dei semi a tegumento impermeabile. L’Autore si occupa della interessante proprietà che pre- sentano alcuni semi, i quali, collocati nell'acqua e tenutivi per un tempo lunghissimo, determinato per dati sperimentali sino a 8 anni, e per dati di osservazione sino a 3 secoli, rimangono inalterati senza rigonfiarsi e tanto meno germinare. Sopra questa proprietà le cognizioni che si avevano erano molto scarse. L'Autore si è occupato di studiare: 1° La frequenza di questo fenomeno in alcune famiglie ; 2° In quali condizioni si stabilisca la permeabilità nei semi originariamente impermeabili ; 3° L'attività respiratoria dei semi impermeabili; 4° La struttura anatomica dei tegumenti seminali, onde spiegare il meccanismo della permeabilità e della impermea- bilità. Questi quattro argomenti, formano oggetto di quattro di- stinti capitoli. Nel primo di essi lA. ha studiato i semi delle Leguminose, Cistacee e Malvacee. Eseguendo esperienze sopra circa 300 specie, l’A. ha potuto così fornire dei dati, quali ancora non si avevano nella scienza sulla estensione di questa proprietà dei semi. Le numerose esperienze eseguite sopra semi appartenenti alla medesima specie, alla medesima pianta, al medesimo frutto, studiati in condizioni diverse di maturità, hanno permesso all’A. di conchiudere che la proprietà della impermeabilità è stretta- mente legata al grado di maturazione del seme; cioè si verifica nel breve periodo che corre tra l’inizio della maturità germina- tiva dei semi e la perfetta maturità dei frutti. Allorchè in tale periodo i semi, per cause diverse, vengono ad essere staccati dalla pianta madre, essi rimangono imper- meabili; ed in natura si verificano queste condizioni: 1° in con- 488 seguenza di rapido essiccamento del terreno al momento della maturazione dei frutti (regioni delle steppe; regioni mediterranee); 2° per diminuzione di illuminazione, del riscaldamento, e della ventilazione durante il medesimo periodo (sostituzione della fo- resta alla boscaglia). La impermeabilità che sottrae gran parte di semi alla ger- minazione, sarebbe senza dubbio di grave danno alla diffusione della specie, se in qualche modo non venissero a cessare in na- tura le condizioni che trattengono tali semi in uno stato di inerzia. L’A. ha sottoposto circa 300 specie di semi a variazioni. di temperatura e di umidità, in condizioni analoghe a quelle che. si verificano in natura; ed ha potuto mettere in evidenza, che i semi impermeabili, rimasti a lungo. in un ambiente. asciutto, .. perdono facilmente la loro impermeabilità allorchè vengono di nuovo posti in presenza di acqua. L’elevazione della temperatura ha poca influenza.su questo fatto (almeno quando si accompagna all’essiccamento); mentre un po’ maggiore è la influenza del gelo. L'A. ratfronta queste condizioni di esperimento, con quelle che si verificano nelle regioni aride sopra menzionate e nelle foreste. È ovvio, che se le variazioni di umidità e di temperatura sono annuali nelle regioni steppiche e mediterranee,,.queste nel folto delle foreste divengono sensibili solo di rado. ad intervalli lunghissimi, compresi, tra la comparsa e la distruzione della foresta. Sono appunto i semi che stanno inalterati per lungo tempo. nel terreno, che hanno indotto l'A. a studiare i rapporti tra la longevità e l’attività respiratoria. Recenti ricerche hanno messo in evidenza che nello studio di questa attività va tenuto conto della ricchezza in acqua dei semi. In quei semi quindi nei quali pur col variare dell’umidità ambiente, non varia il contenuto in acqua, era naturale preve- dere come dovesse essere lenta e costante, l’attività respiratoria, a differenza di quanto si sarebbe potuto osservare nei semi per- meabili, nei quali a, periodi di secchezza e di debole, attività respiratoria sarebbero succeduti, periodi. di grande umidità le- gati ad intensi scambi gazosi. 489 Questo l'A. è riescito a dimostrare pienamente valendosi di semi di Leguminose impermeabili, e controllando i risultati su semi permeabili di differentissime famiglie. Da queste determinazioni e da altre sulla igroscopicità dei semi stessi, lA. ha potuto dedurre una spiegazione fisiologica di quanto ha osservato il De CANnpoLLE sulla longevità dei semi delle differenti famiglie. Nell'ultimo capitolo, occupandosi della struttura anatomica che permette l’impermeabilità e più tardi la permeabilità dei semi, l’A. indica quali sono i punti nei quali ha luogo il mu- tamento di condizioni che permettono l’ingresso all’acqua, e come avviene che le cellule malpighiane possano vincere il mutuo contrasto che le rende inaccessibili all’acqua. In tal modo l'A. in questa Memoria ha potuto dimostrare come l’impermeabilità del tegumento, la debole attività respira- toria che rende più a lungo possibile lo stato di vita latente; la capacità nei semi di imbibirsi in condizioni climatiche ed igro- metriche ben determinate, costituiscono un gruppo di disposi- zioni altamente utili alle piante che ne sono fornite, sia per adattabilità e condizioni climatiche speciali, sia per la conser- vazione della specie attraverso a lunghissime sfavorevoli condi- zioni d'ambiente. Il lavoro è ben fatto, condotto con criterii critici eccellenti ; deduce da esperienze esatte i risultati che risolvono una que- stione assai importante per la fisiologia e la biologia dei semi, intorno alla quale pochissimo era ancora noto. Adempiamo adunque ben volontieri all’onorevole incarico affidatoci dall'Accademia, proponendo la pubblicazione delle ri- cerche del Dottor Giuseppe Gola nei volumi delle Memorie acca- demiche. Torino, 1° Marzo 1905. L. CAMERANO, O. MartTIROLO, relatore. L’Accademico Segretario LorENZO CAMERANO. @-@ __—_—____.r___ 490 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 12 Marzo 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FeRRERO, Direttore della Classe, Rossr, Manno, Pezzi, CARLE, Grar, Brusa, ALLievo, CARUTTI, Pizzi, CÒironi, Savio, De Sanctis, Rurrini e ReNIER Segretario. — Scusa l'assenza il Vice Presidente BosELLi. È approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 28 feb- braio 1905. Il Direttore della Classe Socio FERRERO presenta al Presi- dente, in nome proprio e della Classe intera, vivissime congra- tulazioni per la sua recente nomina a Senatore del Regno. La Classe si associa plaudendo. Il Presidente ringrazia con parole affettuose. Il Vice Presidente BoseLLi ha inviato le sue congra- tulazioni per lettera. Il Socio Savio fa omaggio di un volumetto del prof. Vin- cenzo StrAZzzuLLa: I Persiani d’ Eschilo ed il Nomo di Timoteo volgarizzato in prosa con introduzione storica. Messina, 1904. In adunanza privata della Classe si raccolgono le proposte per la nomina di due Soci nazionali residenti e di uno nazio- nale non residente. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. Torine, Vincexzo Bona, Tipografo di S. M. e de’ RR. Principi, CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 19 Marzo 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ENRICO D’'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: JAaDANZA, Gurpi, MoreRA, Foà, SEGRE, Grassi, GuaREScHI, PARONA e CameRrANO Segretario. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. — Scusano la loro asseriza i Soci NACccARI e SALVADORI. Il Presidente comunica le lettere di ringraziamento per le congratulazioni inviate dalla Classe in occasione della nomina a Senatore dei Soci RicHI, VoLteRrRa e FERGOLA. Comunica pure le lettere dei proff. Dr. V. GoLpscHMIDT, WersmanN e OsrwaLD i quali ringraziano per la nomina a Soci corrispondenti. Il Presidente presenta un numero del giornale L'Ora di Palermo, nel quale si rende conto delle onoranze tributate al compianto professore GemmeLLARO, alle quali l'Accademia era rappresentata dal Rettore dell'Università di Palermo. Il Presidente presenta l’opera seguente del Dr. Giovanni CARBONELLI, che l’autore manda in dono all'Accademia: Atlas d’Anatomie obstétricale, Paris, J. B. Ballière. Il Socio JADANZA presenta in dono all'Accademia, a nome dell'autore prof. Paolo PizzertI, l’opera seguente: Trattato di Geodesia teoretica, Bologna, Zanichelli. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 33 492 Vengono presentate per l'inserzione negli Atti le note .seguenti: 1° Dr. Giacomo IssoeLio, Ossipiridine isomere da Bdiche- toni, dal Socio GUARESCHI; 2° Ing. Michele Greco, Sul calcolo della sezione e delle armature di una trave in cemento armato sottoposta a flessione retta semplice, dal Socio GuIpi; 3° Il Socio Grassi, a nome anche del Socio NACCARI, legge la relazione intorno alla nota del sig. Niccolò PizzARELLO tenente del Genio militare, stata presentata alla Presidenza nella seduta del 5 febbraio 1905 per l'inserzione negli Atti. La relazione conclude favorevolmente. Il Socio Parona, a nome del Socio MaTTIROLO, presenta per l'inserzione nel volume delle Memorie, il lavoro seguente del prof. G. MartEL, Contribuzione all’ Anatomia del fiore delle Ombellifere. Il Presidente incarica i Soci MarTIRoLo e PARONA di riferire intorno a detta Memoria in una prossima adunanza. Il Socio GuarEscHI presenta per l'inserzione nel volume delle Memorie il suo lavoro intitolato: Sintesi di composti piri- dinici dagli eteri chetonici coll’etere cianacetico in presenza del- l’ammoniaca e delle amine; Memoria II. La Classe con votazione segreta all'unanimità accoglie la Memoria del Socio GuarEscHI per la stampa nel volume delle Memorie. ——"—-<<--<---*T-_-- GIOVANNI ISSOGLIO — OSSIPIRIDINE ISOMERE, ECC. 495 LETTURE Ossipiridine isomere dai pdichetoni. Nota del Dott. GIOVANNI ISSOGLIO. I Bdichetoni in presenza dell’ammoniaca si condensano col- l’etere cianacetico in modo da formare dei cianpiridoni (1). Una molecola del dichetone entra in reazione con una mo- lecola di etere; rappresentando il 8dichetone nella sua forma enolica, la reazione generale si può esprimere nel modo seguente: R R co | gf Z/N HC CH?. CN iu HC _C.0N ts _= HO+CB0H4+ | | R—C CO . 0C?H" RG iC0 SS NA OH NH? NH Osservando questa reazione, si vede facilmente, come uno dei gruppi carbossilici COC reagisca e si condensi coll’ etere cianacetico per eliminazione di acqua; come l’altro invece porga il suo ossigeno all’ammoniaca per dare luogo ad un anello piridico contenente i radicali, che prima facevano parte del dichetone. Ora i radicali condensati possono essere o tutti identici, oppure diversi. Se sono identici, non si ottiene, che un unico composto a caratteri ben definiti. Se invece sono diversi, dalla reazione soprascritta si pos- (1) I. Gvarescni, Ossipiridine dai Bdichetoni, “ Atti della R. Acc. delle Scienze ,, T. 34. 494 GIOVANNI ISSOGLIO sono avere due isomeri dipendenti dalla diversa posizione, che possono prendere i gruppi carbonilici cO< nella condensazione : R GC ‘ LA 5°C C.. CN He C. CN | ed | | R.C CO R.C. CO NY NE N N Distillando questi composti colla polvere di zinco ho potuto stabilire la costituzione degli isomeri, che si formano conden- sando il benzoilacetone e l’acetilmetilessilchetone coll’etere cian- acetico. I. — Benzoilacetone. C6H°, CO .CH?.C0.CHs, Il benzoilacetone che ho adoperato proviene dalla nota fab- brica Kahlbaum, fonde a 60°-61° ed ha tutti i caratteri di un prodotto puro. Mescolai gr. 10 di benzoilacetone (1 mol.) con gr. 6,85 di - etere etilcianacetico (1 mol.) ed aggiunsi in seguito 16 cm? di ammoniaca al 20 °/ (3 mol.). Appena avvenuta la miscela, si sviluppa calore ed istan- taneamente si forma una massa bianca solida; agitando forte- mente per aumentare il contatto intimo delle sostanze reagenti, osservai che la massa ridiventava alquanto fluida, per risolidi- ficarsi nuovamente in un tutto duro e compatto, che lasciai a sè per 24 ore. La rapidità con cui avviene la reazione impedisce all’am- moniaca di poter compenetrare bene tutta la sostanza reagente e cagiona un minor rendimento nella quantità di prodotto. Lo si accresce quando si ecceda un poco nella quantità di ammoniaca; la quale, anzichè agire ancora attivamente nella reazione, favorisce l'intimo contatto del benzoilacetone coll’etere cianacetico. Lavai con molta acqua il prodotto ottenuto, lo raccolsi alla OSSIPIRIDINE ISOMERE DAI f DICHETONI 495 pompa e lo asciugai fra carta, poi sull’acido solforico. La so- stanza secca pesa gr. 11,2. Le acque madri, per eliminazione di ammoniaca, depositano altra sostanza cristallizzata, che aggiunsi alla prima. Quando vengono evaporate, dànno, come residuo, del benzoilacetone. Il prodotto secco e polverizzato estrassi più volte con etere, fino a che l’etere evaporato non lasciò più alcun residuo. L'estratto etereo era costituito da benzoilacetone e da una sostanza bianca che si presentava in laminette bianche e lucenti. Dopo varie cristallizzazioni dall'alcool diluito, ottenni dei bei cristalli trasparenti, che fondevano a 143°-144°, Gr. 0,1892 di sostanza diedero gr. 0,017 di N. trovato calcolato per C!°H'NO Mes, 8,93 8,70 Dai caratteri fisici e dall’analisi risulta che questi sono i cristalli monoclini (1) della bdenzoslacetonamina o benzoilacetoni- mide, che si forma per azione dell’ammoniaca sul benzoilacetone. Rimangono indisciolti dall’etere gr. 10,2 di una polvere bianca, che si riscontra essere una miscela di due sostanze iso- mere, cioè della fcian-Yfenil-a' metil-aossipiridina e della B cian- tr metil-a' fenil-aossipiridina. A. BCIAN-YFENIL-0' METIL- QOSSIPIRIDINA. Questi due isomeri non sono ugualmente solubili nei sol- venti ordinarii, perciò posso separarli l’uno dall'altro. Il prodotto sopra accennato trattai con molta acqua bol- lente, per raffreddamento si separò una sostanza bianca in aghi finissimi, inquinata da minute lamelle pesanti. Rimaneva indi- sciolta una sostanza difficilmente solubile nell’acqua, il cui punto di fusione era superiore a quello della sostanza cristallizzata dall'acqua bollente. In questo modo per ripetute cristallizzazioni ho potuto se- (1) Muramann, B. 20-2180. 496 GIOVANNI ISSOGLIO parare i due isomeri. Però osserverò, che l’acqua bollente con- viene poco per la loro separazione, perchè la solubilità dei due isomeri è debolissima in questo solvente. Più presto si fa la separazione esaurendo la miscela con alcool concentrato (al 90 od al 95 °) e bollente. L’alcool estrae la 8 cian-yfenil-a' metilossipiridina e lascia indietro insolubile la massima parte della f ciam-y metil-a'fenil- ossipiridina. Ho ripetuto parecchie volte queste estrazioni e per raffred- damento dell’alcool si osservavano dei fiocchi bianchi depositarsi sulle pareti del cristallizzatore. Quando non apparivano più questi aghi leggeri era segno evidente, che tutta la sostanza solubile era stata estratta e che il residuo non ne conteneva più traccia. I fiocchi bianchi, deposti, raccolsi alla polpa e cristallizzai più volte dall'alcool concentrato e bollente, fino a che il suo punto di fusione rimanesse costante a 263°-264°. Si presenta in bellissimi aghi anidri, molto leggeri, bianchi. I. Gr. 0,0900 di sostanza diedero gr. 0,2468 di CO? e gr. 0,0402 di acqua. II... Gr. 0,1100. diedero .a 724%, 1. ed_.a 170 4em? 129 di azoto: trovato ì, I II S= 74,76 — = 4,95 — N*= — 13,18 L'analisi elementare, il modo di formazione ed il prodotto, che si ottiene distillando questo composto colla polvere di zinco, mi dicono, che questa sostanza è la diidro-a'metil-fenil-Rcian- a ossipiridina : C*H° OSSIPIRIDINE ISOMERE DAI 8 DICHETONI 497 Per la quale si calcolano i seguenti numeri: C= 7428 % H= 4,76 , N=13,33 , La diidro-a' metil-vfenil-Bcian-aossipiridina è quasi insolubile in acqua, in alcool ed etere a freddo, poco solubile in acetone, anche a caldo, discretamente solubile in alcool concentrato e bollente. La solubilità in acqua bollente è molto piccola: cm? 25 di soluzione satura lasciano gr. 0,0174 di residuo. Cioè un grammo di sostanza si scioglie in 1440 parti di acqua bollente. Per determinare la solubilità di questa sostanza nell’alcool bollente al 90 °/, ho adoperato l’apparecchio Pawlewski (1). Solvente: gr. 6,4872 residuo a 100° gr. 0,1462 1 gr. di sostanza si scioglie in 44,3 gr. di alcool bollente al 90 °/p. Non ho potuto determinare il peso molecolare di questa sostanza, come sarebbe stato mio desiderio, per la sua debole solubilità in tutti i solventi. Noto a questo punto che l’acetone, benchè sciolga poco questa sostanza, può tuttavia servire per separarla dal suo iso- mero, che è pochissimo solubile in acetone. Più tardi dirò, come si comporta la didro-a' metil-yfenil- cianossipiridina coi varii reattivi. B. fc1AN-YMETIL-0'FENIL- (OSSIPIRIDINA. Ho accennato, come esaurendo con alcool concentrato e bol- lente il prodotto della reazione fra il benzoilacetone e l’etere cianacetico si ottenesse, come residuo, una sostanza, che fonde a temperatura piuttosto elevata e che costituisce il 75 °, del rendimento totale. Questa sostanza ho cristallizzato più volte dall’alcool con- centratissimo e si presenta in lamelle lucenti, madreperlacee, bianche, con una leggera fluorescenza azzurra. Purissima fonde a 310°. (1) “ Ber. ,, 32. 1040. 498 î GIOVANNI ISSOGLIO I. Gr. 0,1583 di sostanza diedero. gr. 0,4330 di CO? e gr. 0,0676 di acqua. II. Gr. 0,1240 di sostanza diedero cm? 14,2 di azoto a 7908: oduadib5 trovato = —_ 13,05 Studiando la metilfenilpiridina, che si ottiene distillando questa sostanza colla polvere di zinco, ed appoggiandomi sulla proprietà chetonica dei gruppi carbonilici del benzoilacetone; ho potuto concludere che il composto che ho analizzato è la diidro- ymetil-a' fenil-Bcian-a ossipiridina. CH? C ZN BIG: CuCN Legs CRAICATTICO Ù A N per la quale si calcola: 014528 Hi= 476 IN=413,98 Questa sostanza è quasi insolubile nell'acqua, nell’alcool, nell’etere, nell’acetone e nella benzina a freddo. Si scioglie poco a caldo nell’alcool concentrato e pochissimo nell'acqua bollente. 25 cm? di acqua bollente sciolgono 0,0077 di sostanza; 1 gr. sì scioglie in 3246 cm? di acqua bollente. Coll’apparecchio di Pawlewski ho determinato la solubilità in alcool bollente al 90 0/,. Solvente gr. 9,8408 — Residuo a 100° gr. 0,0344 1 p. si scioglie in 285 p. di alcool bollente, al 90 9/0. OSSIPIRIDINE ISOMERE DAI f DICHETONI 499 Tanto la yfenil-a' metil-Bcian-aossipiridina, quanto la y metil- o'fenil-Bcian-aossipiridina sono solubili negli idrati alcalini di- luiti senza sviluppo di ammoniaca. «_ Acidulando la soluzione alcalina con un acido anche debole, riprecipitano le ossipiridine. Trattate con permanganato potassico riducono profonda- mente il reattivo e sviluppano acido cianidrico. Scaldate con polvere di zinco svolgono delle basi alcaline, che hanno odore di basi piridiniche. La diidro-Ymetil-a' fenilcianossipiridina dà per distillazione con polvere di zinco in corrente di idrogeno la ymetil-a'fenil- piridina. Di questa tratterò in una prossima nota. II. — Acetilmetilessilchetone. CH8. 60 . CH?. CO. C6H13, Per consiglio del prof. Guareschi ho ripetuto la condensa- zione dell’acetilmetilessilchetone coll’etere cianacetico per tentare la separazione dei due isomeri, che si formano e che si rendono palesi, sia per l’esame microscopico, sia per l’incostanza del punto di fusione del prodotto che ne deriva (1). Mescolai cm? 9,9 di acetilmetilessilchetone con 6 cm? di etere etilcianacetico ed aggiunsi alla miscela 13 cm' di ammo- niaca al 20 °/. Dopo aver agitato alcune ore con una turbina Rabe, si depose la massa cristallina lievemente gialla, che con- teneva interposto una parte del chetone, non entrato in reazione. Ho spremuto fra carta questa massa cristallina per purificarla, ed il prodotto essiccato pesava gr. 10,4. Lo polverizzai finamente e lo mescolai con 20 volte il suo peso di alcool al 60 %, man- tenendo la miscela per circa un'ora alla temperatura di 50°. Ho filtrato poi a caldo, conservando il filtro alla stessa temperatura. In questo modo ho potuto ottenere due sostanze distinte; l’una poco solubile, che rimase sul filtro, ed era in mi- nore quantità, l’altra solubile in queste condizioni, che si depose cristallizzata per raffreddamento. (1) GuarescHI, luogo citato. 500 GIOVANNI ISSOGLIO Ripetendo parecchie volte questa cristallizzazione sulla so- stanza solubile, mantenendomi sempre alla stessa temperatura, sono riuscito a separare le due sostanze isomere, cioè la a' metil- Yessil-Bcian-aossipiridina e la a' essil-1metil-Bcian-aossipiridina. La separazione di questi due isomeri è tutt'altro che facile, e bisogna attenersi scrupolosamente alle citate condizioni di temperatura e di concentrazione dell’alcool per avere dei buoni risultati. Infatti, se si aumenta la temperatura, cresce anche la solu- bilità dei due isomeri, per cui è impossibile separarli l’uno dall'altro. Di più se la concentrazione dell’alcool è maggiore di quella da me adoperata, diventa anche più grande la solubilità dei due isomeri. Più difficile ancora è la purificazione delle sostanze, perchè occorrono più cristallizzazioni prima di ottenere dei composti veramente puri. Bisogna poi valersi di molti caratteri per poter essere sicuri della loro purezza. Non basta il punto di fusione, poichè una traccia di uno degli isomeri può dare per l’altro dei dati erronei e molto lon- tani dal vero. Più esatto è l’esame microscopico, perchè può svelare i due isomeri aventi forma cristallina del tutto diversa. Macroscopi- camente, chi ha conoscenza dei due corpi, può subito distinguere se sono puri o mescolati. Io credo che l’acetone, convenientemente diluito con acqua, possa servire anche bene a separare i due isomeri. À. 0'METIL-Y ESSIL-f CIAN- QOSSIPIRIDINA. Per la cristallizzazione frazionata del prodotto ottenuto dalla reazione fra l’acetilmetilessilchetone e l'etere cianacetico, ho ot- tenuto questo bel composto, che si presenta in larghe lamine bianche, splendenti, untuose al tatto, che fondono a 108° in un liquido limpido. Esaminato al microscopio, presenta delle lamine molto larghe, che devono essere esenti da sostanza cristallizzata in aghi. OSSIPIRIDINE ISOMERE DAI 8 DICHETONI 501 I. 0,1340 di sostanza diedero gr. 0,3505 di CO? e gr. 0,0983 di acqua. II. Gr. 0,1244 diedero cm 14,5 di N a 728,82® ed a 15°. trovato I II © 71,31 — ke 8,01 ca NE no 13,24 La formula di struttura di questo composto la deduco, sia dallo studio della metilossipiridina, che ho ottenuto distillando questa sostanza con polvere di zinco, sia dalle analogie, che pas- sano fra il modo di formazione di questa sostanza e quello della o'metil-yfenilcianossipiridina. Questa sostanza è la da'metil- Tessil-Bcian-aossipiridina ed ha la seguente struttura: CH!3 | C N EEC n CE CN | CHE CCG NA N per la quale formola si calcolano i seguenti numeri: C = 71,55 H= 8,28 N— 19,86. Determinazione del peso molecolare col metodo crioscopico (Apparecchio Beckmann): Benzene = gr. 13,278 Sostanza = gr. 0,2380 Ai==0;35 trovato calcolato Pei: r7234 218 E insolubile nell’acqua anche bollente, nella quale fonde; è molto solubile nell’alcool concentrato e diluito; solubile in etere, in acetone, in benzene. 502 GIOVANNI ISSOGLIO Avendo adoperato l'alcool al 60 °/, alla temperatura di 50° per separare i due isomeri, ho voluto determinare esattamente la volubilità di questo composto nelle stesse condizioni, adope- rando l’apparecchio di Pawlewski: Sostanza: gr. 0,2926 Solvente: gr. 5,2678 Solubilità nell’alcool al 60 ° a 50° — 1:18. B. a'ESSIL-Y METIL-fCIAN-QOSSIPIRIDINA. La miscela dei due isomeri, che si ottengono dall’acetilme- tilessilchetone, come ho ricordato, sì fa digerire per un’ora circa a 50° nell’alcool al 60 °%;, e si ottiene, come residuo, una so- stanza bianca leggera. Raccolta ed essiccata pesa gr. 2. Questa sostanza si può anche separare dal suo isomero sciogliendo la loro miscela nell’alcool al 60 °/, e lasciando raffreddare la so- luzione lentamente. Se si osserva attentamente la cristallizza- zione, si arriva ad un punto in cui si formano degli aghetti bianchi finissimi; allora si filtra rapidamente e sì raccoglie il prodotto, che si ricristallizza dall’alcool diluito. Bisogna ripe- tere più volte la cristallizzazione sino a che gli aghi finissimi, che si ottengono, fondano costantemente a 1939-1940. È da notare in questo caso, che bastano delle traccie del- l’isomero, che fonde più basso (108°), per ottenere un punto di fusione molto minore del vero (130°-135°). Questo fenomeno si incontra spesso nella chimica organica, massimamente quando si tratta, come in questo caso, di isomeri a caratteri consimili. I. Gr. 0,1148 di sostanza diedero gr. 0,3014 di CO? e gr. 0,0857 di acqua. II. Gr. 0,0932 di sostanza diedero cm? 10,4 di azoto a Toponio ted a: 159- trovato calcolato per C'*H!8N°0 rei ODO | possi ve sal: I II Cie W1:460 Des T1LyS1 H=!0.:8;98 — 8,21 Ne=voncu12;68 12,86 OSSIPIRIDINE ISOMERE DAI 8 DICHETONI 503 Avendo stabilito la formula del suo isomero, deduco che la composizione di questa sostanza deve essere la seguente: Quindi si potrà denominare : a' essil-1 metil-8 cian-a ossipiridina. ‘ È poco solubile nell'acqua bollente, in cui a differenza del suo isomero non fonde, quando è purissima, si scioglie nell’al- cool, nell’etere, nell’acetone; a freddo è poco solubile in benzina, ma si scioglie molto bene a caldo. Determinazione della solubilità nell’alcool al 60 °/, alla tem- peratura di 50° coll’apparecchio di Pawlewski: Sostanza gr. 0,0250 Solvente gr. 3,313 Solubilità = 1: 144. Quando viene triturata in un mortaio si elettrizza facil- mente, ciò che la distingue dal suo isomero. Per rispetto ai reagenti chimici si comporta, come il suo isomero e come le fenilmetilcianossipiridine ; ossia trattate con permanganato potassico svolgono acido cianidrico e riducono profondamente il reattivo stesso. Si sciolgono negli alcali e riprecipitano per aggiunta di un acido debole. Scaldate in un tubo da saggio mandano odore di grasso decomposto. Scaldate colla polvere di zinco svolgono va- pori alcalini, che hanno forte odore di basi piridiche. In un’altra nota tratterò della distillazione del composto più solubile (l’ametil-Yessilcianossipiridina) con polvere di zinco. Riassumo in un quadro i caratteri fisici delle quattro so- stanze studiate ed il quantitativo di formazione, che è impor- 504 GIOVANNI ISSOGLIO tante per stabilire l'energia di reazione dei due gruppi carbonilici dei 8 dichetoni: C°H° 0' METIL-Y FENIL-B CIAN-0 OSSIPIRIDINA Rendimento = 25 °/o pf. 263° sol. alcool cone. bol. 1 : 44,3 C©H!3 | C VA H°C C.CN 0' METIL-Y ESSIL-f CIAN-0fOSSIPIRIDINA Rendimento = 80% /N H*C C.CN 0' FENIL-Y METIL-} CIAN-G OSSIPIRIDINA Rendimento = 75 %y pf. 310° sol. alcool. cone. bol. 1: 285 N 0'ESSIL-f METIL-B CIAN-O OSSIPIRIDINA Rendimento = 20% pf. 108° sol. alcool 60 % T. 50° 1:18 pf. 193°-194° sol. alcool a60°/, T.50° 1:144 Da questa tabella e dal complesso delle mie ricerche risulta; 1° che dai Rdichetoni con due radicali diversi si hanno contemporaneamente due isomeri ben definiti; 2° che il punto di fusione e la solubilità di questi com- posti è tanto maggiore, quanto è più prossimo all’azoto il radi- cale a peso molecolare elevato; 3° che a parità del numero di atomi di carbonio le ossi- piridine più idrogenate presentano un punto di fusione assai minore; 4° che prendendo in considerazione la quantità di sostanza, che rispettivamente si forma in ogni condensazione, ne risultano delle conclusioni importantissime per stabilire il carattere che- tonico dei carbonili dei due 8 dichetoni. Infatti nel benzoilacetone: CH. CO . CH?, CO. C5H5 ” OSSIPIRIDINE ISOMERE DAI 8 DICHETONI 5905 si osserva che il gruppo CO.CH? è quello che ha più facilità a reagire ed a condensarsi coll’etere cianacetico, essendo pure quello che reagisce più facilmente coi bisolfiti, colla fenilidra- zina, ecc. ecc. Nel mio caso la a'fenil-Ymetilcianossipiridina è sempre in gran preponderanza, come quella che deriva direttamente dal- l’unione del gruppo CO. CH? coll’etere cianacetico. La a'metil-yfenilcianossipiridina invece è in piccolissima quantità, perchè il gruppo CO .CSH? ha debole carattere che- tonico. Già Guareschi aveva notato, come assai difficilmente rea- gisse il metilfenilchetone C6H5.CO . CH? coll’etere cianacetico ed ancora meno il denzofenone C6H°. CO. C8H9, La cosa avviene altrimenti per l’acetilmetilessilchetone: CH3,00,, CHEa00...C3E3, poichè dalle numerose ricerche che sono state fatte sulla con- densazione dell’etere cianacetico coi chetoni, pare che aumenti la quantità di prodotto col prolungarsi della catena normale di uno dei radicali alcoolici. Così il metilnonilchetone CH?. CO .C°H!° reagisce più facil- mente degli acetoni a 4 a 5 atomi di ©. Nel caso del dichetone acetilmetilessilico il gruppo CO.C6H!8 avrebbe più tendenza a reagire coll’etere cianacetico, come quello contenente un radicale alcoolico grasso a maggior numero di atomi di C. Ed infatti la Yessi-a'metilcianossipiridina è sempre in pre- valenza sul suo isomero nei prodotti di condensazione: C*H!3 C6H!3 I | /N } COC RECCN — Rec CCCN-- E °0-l EH 7 | (ESTA RC + | CHI ECO | CO0C:Hs SS CH°CO NH* N Che il gruppo CO . C°H!3 abbia più carattere chetonico del gruppo CO . CH?, anche relativamente ai bisolfiti, alla idrossila- mina, alla fenilidrazina, ecc.? 506 GIOVANNI ISSOGLIO — OSSIPIRIDINE ISOMERE, ECC. Ciò non voglio affermare recisamente, tanto più che trovai alcuni autori non ben certi sulla costituzione dei corpi, che si ottengono condensando i dichetoni coi bisolfiti, colla idrossila- mina e colla fenilidrazina. Ora sta il fatto, che il potere reagente relativamente al- l’etere cianacetico è maggiore per quel carbonile, che sta attac- cato al radicale alcoolico grasso a catena normale contenente un maggior numero di atomi di carbonio. Laborat. chim. farm. e toss. R* Università. Torino, 1905. MICHELE GRECO — SUL CALCOLO DELLA SEZIONE, ECC. 507 Sul calcolo della sezione e delle armature di una trave in cemento armato sottoposta a flessione retta semplice. Nota dell'Ing. MICHELE GRECO Assistente nella R. Scuola di Applicazione di Palermo. 1. Le diverse teorie sulle strutture in cemento armato e le formole relative ci dànno in generale il modo di verificare la stabilità di una costruzione esistente o di cui si conoscano le dimensioni assegnate a priori in base a criteri più o meno pra- tici, ma esse non rispondono perfettamente allo scopo, quando si vogliano determinare direttamente e senza ricorrere a di- versi tentativi le dette dimensioni ed in ispecie le sezioni delle armature. Nel primo studio di una costruzione in cemento armato può avvenire quindi che si assegnino alle sbarre metalliche delle sezioni insufficienti a resistere agli sforzi che vi si sviluppano, o talmente in eccesso, che quando nel cemento si è raggiunto il massimo sforzo di compressione ammissibile, il ferro non lavori che ad una tensione unitaria molto bassa. In entrambi i casi si dovrebbero ripetere i calcoli facendo variare opportunamente le sezioni assegnate, ma nel secondo di essi, che è il più comune, sì adotta quasi sempre la sezione in eccesso, la qual cosa è certamente contraria al buon impiego del materiale. Ad ovviare questo inconveniente non sembra quindi inop- portuno il ricavare delle formole, le quali in base alle condi- zioni di stabilità ed al principio economico generale, col quale si cerca sempre di mettere a profitto tutta la resistenza possibile del materiale impiegato, diano subito in funzione di certi ele- menti noti quali sezioni debbano assegnarsi alle armature. Un tale studio, condotto in generale, riesce certamente dif- ficile e di poca utilità per la pratica, ed è perciò che nella presente nota mi sono proposto di risolvere il problema limi- Atti della R. Accademia — Vol. XL. 34 508 MICHELE GRECO tandomi a considerare il caso delle travi rette sollecitate a fles- sione semplice, ed in ispecie quelle a sezione rettangolare o a 7° diritto che più comunemente si incontrano nelle costruzioni. Questa ricerca mi ha dato anche l’occasione di vedere in quali casi può essere utile l'armatura nella zona compressa e quando sia lecito invece di sopprimerla. In quanto alla resistenza a trazione del cemento ho seguito le idee più comunemente accettate, ho supposto cioè ch’essa si sviluppi secondo il noto diagramma di Considère. Ho quindi ricavato le formole nel caso più generale in cui si ammetta una resistenza di plasticità t, cioè nel caso della teoria intermedia, che indicherò brevemente in seguito col sim- bolo (7.M), e da queste poi, ponendo #t= 0, ho dedotto quelle che si riferiscono al caso particolare in cui si trascuri nel ce- mento qualunque resistenza alla trazione, cioè al caso della teoria limite superiore, che indicherò col simbolo (755). Ho cercato infine di chiarire con qualche esempio numerico l’impiego delle formole ottenute. Trave a sezione rettangolare. 2. — Si consideri una trave a sezione rettangolare ABCD (fig. 1) con doppia armatura, e siano: h l’altezza della sezione ed e la larghezza, Q, e Q, le aree complessive delle sezioni delle armature poste rispettivamente nella zona compressa e in quella tesa, e che chiameremo breve- mente armatura superiore ed inferiore, u, ed ws le distanze dei ha- ricentri di queste armature dallo spigolo superiore AB, o, e 03 gli sforzi unitari che sopportano le dette armature, w l’area di un elemento di calcestruzzo posto alla distanza d dallo spigolo AB, o. lo sforzo unitario in detto elemento, Fig. 1. e SUL CALCOLO DELLA SEZIONE E DELLE ARMATURE, ECC. 509 p lo sforzo di compressione massimo, cioè quello che si verifica nei punti dello spigolo AB, v la distanza dell’asse neutro dal detto spigolo AB, w la distanza dell’asse delle fibre, dove la tensione del cemento nell’ipotesi della (7.M) raggiunge il valore limite, al di là del quale, lo sforzo si mantiene costante ed eguale a #, m il rapporto fra i coefficienti di elasticità del ferro e del cemento, M il momento flettente o momento delle forze esterne. Per l’equilibrio si deve avere: w h Zo.w + 6,2, — tZw — 0,2,=0, 0 w 25 PI nn i Zo.w—-d)t+ 0Q(—-u)+tZuA— e) + 0,92 (u— 0) = M, 0 w e, per l'ipotesi che la sezione resti piana dopo la deformazione: \ O, =è (e—- d), t = (uu — 2), (2) o,i="m So (o —- ui), 0=Mm n (us — 0). Sono queste in ogni caso le equazioni fondamentali che permettono di risolvere il problema della flessione retta sem- plice. Dati infatti gli elementi della sezione, cioè a dire, l’al- tezza h e la larghezza e, le aree , e 2, colle relative distanze U,, 0», nonchè il coefficiente di plasticità #, il rapporto wm, e il momento flettente M, le sei equazioni (1) e (2) sono sufficienti a determinare le sei incognite: U, wW, Oc, Py 01; 2, di cui solo le ultime tre formano comunemente l'oggetto speciale della ricerca. Ma per lo studio che mi sono qui proposto, interessa spe- cialmente di considerare 9, e 9, come incognite e ricavarle in modo che siano ben utilizzate le resistenze dei due materiali associati, introducendo qualche altra condizione dipendente da questo principio di economia. 510 MICHELE GRECO 3. — Affinchè si possa dire che la sezione sia stata ben calcolata occorre che lo sforzo unitario massimo tanto nel ferro che nel cemento raggiunga il limite dei carichi ammissibili, sicchè, tenuto conto della diversa natura dei due materiali, bisogna : 1° Che le due tensioni 03 e p stiano fra di loro in un rapporto prestabilito », cioè: (4) Sa gg ; in maniera che quando p raggiunge il suo valore massimo com- patibile colla resistenza del calcestruzzo alla compressione, av- venga lo stesso per lo sforzo di trazione 0 del ferro. 2° Che i due sforzi 0, e 0, siano eguali fra di loro, cioè: (5) 0, — Co. Queste due condizioni sono però fra di loro incompatibili, difatti da esse sì ricava: E lo (6) =, p \ e, detto inoltre 0,, lo sforzo di compressione di una fibra ce- mentizia adiacente all’armatura £,, si ha: 0, 0, 01 Dai (NINNI (0< i u;, occorre anche l’armatura superiore, le due armature in questo caso si calcolano colle formole: = T_T I LA (è 39) | \ Lera (O- (va | p PE 6 dU9 J? (15) V fu v : Si fa ai (Us = 0) (a — U3) L p al 6 (2 pi Sea . e ciò finchè u non superi il valore di u, dato dalla S )p Fe 9 ’ fa < BIS RI 2a) [20° — delusa + uu) +3+ I Se u>us, si determina prima l'altezza colla i +01 :6(1j08 = 27)M 99 su anco: [Le Pe Se at (32) Si si VE + 3,019)’ e si fanno le due armature eguali calcolandole con una delle (13). SUL CALCOLO DELLA SEZIONE E DELLE ARMATURE, ECC. 523 Sezione a T diritto. 8. — La sezione a 7 diritto si può ricondurre a quella rettangolare mediante le seguenti considerazioni. Siano e ed s (fig. 2) rispet- tivamente la larghezza e lo spessore della soletta, e, la — larghezza del gambo e si con- siderino i due casi in cui l’asse neutro coincide col lembo in- feriore della soletta, o cade al di sotto di esso (*). Fig. 2. 1° Caso (fig. 2). — Se calcolando v colla formola m (7) vE TROLTE Ug risulta v= s, o tale che si possa praticamente dare alla soletta uno spessore eguale a v, si può considerare la sezione come se fosse rettangolare di larghezza e e di altezza %, purchè al va- lore reale di # si sostituisca un valore fittizio #' dato dalla equazione: ie", donde: In seguito si possono calcolare le armature come nel caso della sezione rettangolare, applicando anche qui tutte le consi- derazioni fatte in proposito ai n! 6 e 7. 2° Caso. — Se calcolando v colla (7), risulta v>s e la dif- ferenza non è molto grande, si può usare ancora il metodo pre- cedente, che in questo caso è soltanto approssimato, perchè vengono ad introdursi nella sezione (fig. 3) i due rettangoli tratteggiati; siccome però questi sono molto vicini all’asse neutro, reagiscono con sforzi così piccoli, che la loro azione è quasi nulla. (*) Non si considera il caso in cui l’asse neutro tagli la soletta, perchè non dovrebbe verificarsi mai nella pratica. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 35 524 MICHELE GRECO Se invece v è molto più grande di s (fig. 4), vediamo se è possibile trasformare l’area ABDFHGEC corrispondente alla soletta ed alla porzione del gambo che si trova al di sopra del- l’asse neutro in un’altra rettangolare A4'B'H'G' di larghezza e', la quale, supposto che lo sforzo unitario del calcestruzzo rimanga in ogni punto lo stesso di prima, fornisca in grandezza e posi- zione la stessa risultante molecolare. Fig. 3. Fig. 4. Affinchè ciò sia possibile occorre che siano verificate con- temporaneamente le due equazioni: + (e -— e) —s)e—s)= 5 (e' — e)? sle—ol—0-9]=7l — ad che, secondo le notazioni segnate nella fig. 4, si possono anche scrivere più brevemente: | alv — s) (20 — s)=a', (35) alv — (v — s}}]= a'0° quindi s non può essere qualunque, ma deve soddisfare all’equa- zione: 03 — (0 — 8)? (o — s)(20— s) = Vv la quale, posto —° =), diventa: v \AL+ALA—-1=0 SUL CALCOLO DELLA SEZIONE E DELLE ARMATURE, ECC. 020 e risolta dà A = 0,5437, donde infine: s=(1—Mo=0,45632. La trasformazione suddetta perciò è possibile solo quando sia s=0,4563%, ed in tal caso dalla prima delle (35) si ricava; a'=aM(1+)), cioè: a' =0,8393a, e =ej+a'=e,+0,8393a, donde infine: (36) e' = 0,1607e, + 0,8393 e. Si considera allora tutta la sezione come rettangolare di altezza » e larghezza e' e ad essa si applicano le formole e le considerazioni esposte nei n! 6 e 7, sostituendo però alla resi- stenza di plasticità # un valore fittizio #' ricavato dalla equazione: te, _ t'e', donde, per la (36): t 0,1607 + 0,8393 - 21 = Se lo spessore s non è esattamente eguale al valore di 0,4563v, e non è possibile renderlo tale, sì può sempre, purchè la differenza non sia molto grande, adottare lo stesso procedi- mento, il quale sarà allora soltanto approssimato. Applicazioni, 9. — Crediamo utile di applicare le formole trovate alla risoluzione di un problema pratico, anche perchè avremo così l'occasione di chiarire qualche altro punto della teoria. Supponiamo adunque di voler determinare le dimensioni delle sezioni e delle armature da assegnare ad una trave retta in ce- mento armato della portata di m. 8 liberamente appoggiata agli estremi e destinata a sopportare un peso uniformemente distri- buito di 1000 kg. per metro lineare. 526 MICHELE GRECO Il massimo momento flettente M, cui la trave deve re- sistere è: M= 3 X 10 X 800° = 800 000 Kg. cm. Volendo che la sezione sia di forma rettangolare, cerchiamo prima quale deve essere l'altezza da assegnarle, affinchè basti la sola armatura inferiore. Dalla (28) facendo n=0,5 e poi p= 30 kg. per cmq. e o°= 700, con che risulta £0,3, si ricava: Ve aa 4800.0000 % pena cm. TRE “=. 108X05X 0 Xx 08 We e e quindi: hi=4,08t= 1,08 X 71,5: Gog/i28 ed = ORA cm. 38,6. Procediamo al calcolo dell'armatura. Si ha: u= E — 800000 —_o0724. o=ha—0,3 X 7522008 e 38,6 e quindi per la (26): 21,4 20724 1 21,1) neue ge 4,614 Sicechè per la (12) la sezione complessiva dell'armatura è: Q= Sine cmq. 1,948 10 e può essere fornita da tre ferri tondi del diametro di mm. 28 ciascuno. 10. — Supposto che la trave si costruisca secondo le di- mensioni calcolate ed immaginando che si sviluppi una resistenza di plasticità #, vediamo come vengono a variare le tensioni uni- tarie del ferro e del cemento. SUL CALCOLO DELLA SEZIONE E DELLE ARMATURE, ECC. 527 » A tal fine si dovrebbero adoperare le equazioni (9) che in questo caso si riducono a: Lol 2 \ O—-u)r=he È —3 | Te) dv, (Ced (o-w8. _ MW pet: 1 (fee) dpi v Ven p t ho p 6 p P 5A) e da queste ricavare p e v, per potere poi determinare 0, colla quarta delle (2): (2) O, =M 5 (us — 0). Ma il calcolo così condotto sarebbe molto laborioso, è pre- ut ir t { feribile quindi assegnare un valore al rapporto - © ricavare In corrispondenza dalla prima della (9°) il valore di v, dalla se- conda quello di p ed infine dalla (2) il valore di 03. Facendo, p. es., 37001, dalla prima delle (9") si ricava l'equazione di 2° grado: 0,5102+ 3,840 — 329,9 = 0, che risolta, dà: v= 22 cm. Si vede quindi che l’asse neutro si avvicina verso la zona tesa, il che era da prevedersi. Con questo valore di v dalla se- conda delle (9°) si ricava: È = 659, Pp donde p= kg. 31,4 per cmq., ed infine dalla (2) o,= kg. 719 per cmq. Il valore di # implicitamente ammesso, è in questo caso eV 3T= ks. 00,3.p. cmq. Con un calcolo analogo si può vedere che facendo 301 sì trova: v,== 26m pk pirema; 0,= 860 kg. p. cmq,, testo kg. pi cmd. 528 MICHELE GRECO LI Si vede quindi che ammettendo che si sviluppi una certa resistenza di plasticità crescono tanto lo sforzo di compressione del calcestruzzo che quello di tensione del ferro, e non appena & raggiunge il valore di 5 kg. p. cmq., il primo sale già a 50 kg. p. cmq., cioè a dire, supera di molto il limite comunemente ammesso, Sicchè il trascurare la resistenza di plasticità del cemento in una trave calcolata in modo da utilizzare tutta la resistenza del calcestruzzo alla compressione e del ferro alla tensione, po- ‘ trebbe tornare a danno della stabilità, quando quella resistenza effettivamente si sviluppasse. In tal caso conviene quindi fare uso di un carico di sicurezza molto basso per il cemento, ovvero armare anche la zona compressa, perchè in questo modo una parte della maggiore reazione molecolare di compressione viene sopportata dalle armature di ferro, le quali ordinariamente la- vorano ad uno sforzo unitario molto più basso di quelle tese. 11. — Supponiamo ora che la trave così calcolata riesca troppo alta per l’uso cui deve servire, sicchè sia necessario di- minuirne l'altezza. Calcoliamo quindi anzitutto l'altezza limite al di sotto della quale occorre che l'armatura superiore sia più grande di quella inferiore. Serve a tal fine la (32), la quale, mettendo sempre per n, p, k gli stessi valori, dà: 3 = Mi 6(1,08 — 0,6)800 000 #9) Un = [a 05 ='"bsserni X 30 X0,3(0,18 — 1,296 +3,019) Ritenendo allora % = 1,08 X 63 = 68 cm., adottiamo le due armature e calcoliamo Y} 0 Ya con una qualunque delle (13). Facendo in esse v=0,3 X.63 =cm; 1859, ui= SO ed u=h—us=5 cm,, sì trova: T1= Ya = 5,86. Sicchè per la sezione complessiva di un’armatura si ha: 5,86 X 3 Q = = SPORT _ em. 19,92, e può essere fornita da tre ferri tondi, ciascuno del diametro di 29 mm. SUL CALCOLO DELLA SEZIONE E DELLE ARMATURE, ECC. 929 12. — Se si vuol dare alla trave un'altezza ancora minore conviene meglio adoperare la sezione a 7 diritto, assegnando alla soletta uno spessore eguale a v ed una larghezza calcolata in modo che il momento yu risulti eguale a u, o a us, secondo che si vuole adoperare l’armatura semplice o l'armatura doppia. Supponiamo quindi di voler fare X = 60 cm. e consideriamo separatamente i due casi. 1° Caso: armatura semplice. — Per h=60 cm., è US} o=55, 5) e v= 16,6. Dalla (25) si ricava: Ra ee. (166=16,6) = 12400, e volendo che sia u = » = 4, bisogna fare: 800 000 1° e= 12400 — = Cm. 64,5. Dalla (26) poi si ricava: 16,6 | 12400 1 TA I iodio — 316,6°)=3,52, t Ya = quindi la sezione complessiva dell'armatura è: Q,— 3:52X 645 = TI — img. 23,4 e può essere fornita da tre ferri ciascuno di 31 mm. di dia- metro. Al gambo si può dare la larghezza di 28 cm. 2° Caso: armatura doppia. — Dalla (31) si ricava: LSM la re) Ho= g6099,9) 2 X16,6 4X16,6X 60+3(55,5°+4,5°)]=18170, quindi : ii 800.00d — gn = È di e con una qualunque delle (13), p. es. colla prima si trova: Da 196 18170 | 16,6 Mo dba inicsi Lisa Te ;° (16,6 — 166) |= 917, 530 MICHELE GRECO — SUL CALCOLO DELLA SEZIONE, ECC. epperò: cioè ciascuna armatura può essere formata da tre ferri tondi del diametro di mm. 31. Il «gambo si può fare anche qui largo cm. 28. O rbizi Olio, DO N49 Fig. 5. Fig. 6. Fig. 7. Fig. 8. Le figure 5, 6, 7, 8 mostrano alla stessa scala i tipi calco- lati ai ni 9, 11, 12. Da un breve calcolo comparativo si rica- verebbe facilmente che i tipi più leggeri ed economici sono quelli a T e fra questi quello della fig. 7 con sola armatura inferiore. Palermo, marzo 1905. NICCOLÒ PIZZARELLO — SU ALCUNE ESPERIENZE, ECC. bal Su alcune esperienze di trasmissione senza fili di segnali a distanza. Comunicazione del sig. NICCOLÒ PIZZARELLO Tenente del Genio militare. Ho l’onore di esporre a cotesta Rispettabilissima Accademia un esperimento che ho eseguito nel Gabinetto di Fisica del R. Liceo Leopardi di Macerata durante alcuni miei studî di trasmissioni senza fili di segnali a distanza ottenuti usando nella stazione trasmittente una macchina elettrostatica Wimshurst con dischi del diametro di quaranta centimetri e nella stazione rice- vente un coherer con relativo relais. Nella trasmissione di tali segnali alcuni sostengono che il mezzo in cui avviene la propagazione sia l’aria, altri la terra; certo che da tutti si è constatato che quest’ultima ha una gran- dissima importanza perchè la trasmissione di segnali avvenga. Questo forse perchè nel circuito in cui avviene la trasmissione è più importante la parte terra che la parte aria, ciò che po- trebbe essere dimostrato dal fatto che senza un’ ottima terra, anche con stazioni potentissime, non si riesce a trasmettere che a distanze molto piccole. La disposizione che ho usato nella trasmissione di segnali a distanze variabili fra i dieci ed i cinquanta metri fu la se- guente: uno degli elettrodi della macchina Wimshurst poteva o no essere munito di punta; l’altro era posto vicino ad una sfera in diretta comunicazione col suolo e da esso facevo scoccare la scintilla direttamente su tale sfera. Usando tale disposizione con scintillette piccolissime, talora della lunghezza inferiore al mil- limetro, l'apparato ricevente segnalava regolarmente ogni scin- tilla che scoccava. Invece se la scintilla, lunga anche qualche centimetro, scoccava fra i due elettrodi, di cui uno era in co- municazione con la terra e l’altro con una punta (che poteva anche non esservi, come nel caso sopradetto) l'apparato ricevente non dava alcun segnale. 532 NICCOLÒ PIZZARELLO — SU ALCUNE ESPERIENZE, ECC. Il coherer dell'apparato ricevente era da una parte con- giunto a terra e dall’altra ad una punta o conduttore qualunque anche non perfettamente isolato. Mentre però la punta della stazione trasmittente non au- mentava nè diminuiva l’effetto, essa od il conduttore erano ne- cessarî nella stazione ricevente perchè si avesse una regolarità perfetta e cioè perchè ad ogni scintilla della macchina elettro- statica si avesse un colpo all’apparato ricevente. Tale regolarità per piccole distanze esisteva anche facendo funzionare la macchina elettrostatica senza bottiglie di Leyda. Però la brevità del tempo che ebbi disponibile, e cioè un mese di licenza, non mi ha permesso di spingere le osservazioni a distanze superiori ai cinquanta metri, nè di constatare se la suddetta esperienza di gabinetto, eseguita in una serie di locali dello stesso fabbricato, ciò che potrebbe far ritenere trattarsi di un fenomeno di influenza, riesca anche a distanze maggiori e quando le stazioni trasmittente e ricevente siano in fabbricati diversi. Quando mi sarà possibile ritornerò ad occuparmi del feno- meno osservato ed al quale giunsi perchè, essendomi dedicato a tali studì, ero partito dall'ipotesi che la trasmissione abbia la sua massima estrinsecazione nel mezzo terra. Per il momento mi limito a segnalare il fenomeno stesso a cotesta Rispettabilissima Accademia, essendomi sembrato che possa avere una qualche importanza il fatto che una scintilletta di lunghezza inferiore al millimetro, prodotta da una macchina elettrostatica nelle condizioni e disposizioni suddette, possa aver azione su di un coherer grossolano e quindi non facilmente in- fluenzabile, e ciò alla discreta distanza di circa cinquanta metri. NiccoLò PIZZARELLO Tenente del Genio militare. L’Accademico Segretario LoRENZO CAMERANO. è setti CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 26 Marzo 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, Manno, Pezzi, CArLE, GrAF, CipoLLa, Brusa, ALLIEVO, CARUTTI, Pizzi, CHmronIi, SAvio, De SAncTIS, RUFFINI e RENIER, Segretario. Si approva l'atto verbale dell’adunanza antecedente, 12 marzo 1905. Il Socio CrroLLa chiedendo la parola sull’atto verbale, ma- nifesta il suo rincrescimento per non aver potuto prendere parte all'ultima adunanza e porge ora personalmente le sue congra- tulazioni al Presidente per la nomina a Senatore del Regno. Il Presidente ringrazia. Il Presidente fa omaggio d'un volume intitolato: Mezzo se- colo di vita della Unione tipografico-editrice torinese (già ditta Pomba e C.), 1855-1904, Torino, 1905. Il Direttore della Classe FeRRERO, offre con parole di elogio un volume del prof. Paolo ReveLLI, Il comune di Modica, descri- zione fisico-antropica, Milano-Palermo, Sandron, 1904. Per gli Atti è presentata dal Socio De Sanctis una nota di Angelo Taccone, Le fonti dell'episodio di Paride ed Enone in Quinto Smirneo. Raccoltasi quindi la Classe in adunanza privata, procede all'elezione di Socii e riesce eletto a Socio nazionale non resi- dente, salvo l'approvazione sovrana, il sig. cav. Michele KERBAKER professore di storia comparata delle Lingue classiche e neo-latine, nella R. Università di Napoli. 5594 ANGELO TACCONE LETTURE Le fonti dell'episodio di Paride ed Enone in Quinto Smirneo (Postom., X, vv. 259-489). Nota di ANGELO TACCONE. Intorno alle fonti dell’episodio di Paride ed Enone in Quinto Smirneo vennero emesse dagli studiosi, che ebbero ad occuparsi dell'argomento, opinioni e disparate ed incompiute: passare bre- vemente in rassegna le precedenti ipotesi, confutandole all'uopo, e metterne poscia innanzi una mia, il più che mi sia possibile intera, è il fine del presente lavoretto. In una lunga nota del suo capitale lavoro sul romanzo greco (1) il RonpE sostenne che la trattazione particolareggiata dell'episodio di Enone Quinto la dedusse da uno speciale com- ponimento alessandrino, ed abbastanza senza criterio. Come prova della affermazione sua arrecò, “ oltre allo sproporzionato svolgi- mento di queste scene affatto secondarie nel poema di Quinto, la strana profezia di Hera e delle Moire (vv. 343 sgg.). Colà si predicono futuri avvenimenti d’ogni sorta (nozze di Elena e di ‘ Deifobo, ira di Eleno, ratto del Palladio), i quali poi, abbastanza bizzarramente, nel corso del poema di Quinto non s'incontrano affatto. Gli editori hanno cercato di spiegare in vario modo questa irregolarità (v. Tychsen, p. xLmi, K6chly, p. xxxr sg.); ma non si potrebbe spiegare nel modo più semplice così, ammettendo che questo tratto di una profezia del futuro da parte degli dei, tanto comune presso poeti alessandrini, sia stato da Quinto tolto da quel componimento poetico da cui egli tolse tutto l'episodio di Enone, senza ch’ei pensasse che una tale profezia, acconcia assal in una compiuta narrazione speciale come accenno a quanto (1) Der griechische Roman una seine Vorliufer (Leipzig, 1876), p. 110, n. 5. LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 999 sarebbe accaduto dopo, era invece assolutamente assurda nel suo poema e non lo dispensava punto dalla minuta narrazione degli avvenimenti in essa preannunziati? ,. La confutazione di questo specioso argomento del Rohde apparirà da quanto verrassi espo- nendo più tardi. Contro l’ipotesi del Rohde levossi il KeHmPTZzow nelle pa- gine 38 e 39 della sua dissertazione De Quinti Smyrnaei fontibus ac mythopoeia (Kiliae, 1891), osservando che Quinto non avrebbe avuto affatto bisogno d’inspirarsi, come in realtà fece, per qualche punto dell’episodio suo ad Apollonio Rodio, se avesse così supi- namente attinto ad una fonte -alessandrina svolgente in modo particolareggiato la favola di Paride e d’Enone. Avvertiva an- cora il giovane scrittore tedesco che la specie di morte che Enone incontra in Quinto è ben diversa da quella che ci vien riferita in tutte le narrazioni alessandrine a noi arrivate, e che, mentre in queste Paride invia alla sposa tradita un xfipuz, presso il poeta smirneo invece Paride stesso si reca a lei. Egli per- tanto stimava “ Quintum fontem mythographicum secutum exor- nasse narrationem pulcherrimis illis descriptionibus, quas apud Apollonium Rhodium invenisset ,, anzi non si peritava d’affer- mare “ Hunc vero (scél. Apollonium) cum aperte |Quintus] se- quatur, probabile mihi fit eum nullum alium poeticum fontem inspexisse ,. L'ipotesi del Kehmptzow, vera in parte, era, come vedremo, sotto un altro rispetto troppo esclusiva. Una terza opinione sulle origini del nostro episodio, degna di essere più attentamente ancora delle altre ed esaminata e discussa, perchè passa ora per la più accettabile (1), è quella che manifestò FeRDINANDO NoacK in un lavoro (2) cui diede oc- casione lo scritto del Kehmptzow, e che è ad un tempo recen- sione e rifacimento di esso con viste spesse volte assai differenti e con aggiunte molto considerevoli. Quivi, a p. 792, il Noack crede col Kehmptzow che Quinto non siasi inspirato, nel com- porre il bell’episodio, ad una minuziosa trattazione alessandrina, sibbene ad un qualche brano poetico che descrivesse similem 1) L’accoglie senz'altro anche l’autore del più recente studio sul nostro (1) g 1 poeta, Grorce WasHIneron PascHat, A study of Quintus of Smyrna (Chicago, 1904), p. 77. (2) Gòttingische gelehrte Anzeigen, 1892, sem. 2°, nr. 20, pp. 769-812. 536 ANGELO TACCONE rem (Apollonio Rodio); discorda però dal precedente scrittore stabilendo che la materia della leggenda il poeta smirneo la conobbe non da sorgente mitografica, ma dall’ Alessandra di Li- cofrone e dallo scoliaste dell’oscuro poemetto. Infatti, egli dice, la materia che a un dipresso Quinto poteva trovare in un ma- nuale mitografico, ci è rispecchiata dalle narrazioni di Conone, di Apollodoro e di Partenio (che derivò da Nicandro): della favola di Enone d’Ellanico sappiamo troppo poco per occupar- cene. Ma tutti i racconti dei tre mentovati scrittori offrono gravi differenze dalla versione seguìta da Quinto. E per vero ecco in qual modo si esprime Conone, narr. 23: .... Botepov è’ *ANéEavdpog èv ti) mpòs Ayaroùg omèp Tpoiag udyn TPwAEÎG UmÒ DiAoxtitoy, Kai derv®g éyxwy di’ dmmvng ékopiZeto mpòg tiv “lònv. kai mpoek- méuyag kipuxa, édeîto Oivwwng: î dè OppirotiKg udda TÒV KMpuka diwoauévn, mtpòg ‘ENévnv iévar "ANézavdpov diwveidize © kai “AME Eavdpog uèv katà tiv 6ddv UtÒò TOÙ Tpabuatog TEAEUTÀ * TV de unmw meruouévnv Tùv Teleutiv, perdperog Guws dervmg eiye: kai dpewapévn Tg méac, éder @Adoai érerrouévn. is è’ Ééuade mapà TOÒ KMpuxos STI TeQWNKOI, Kai GTI aùt) aUtòv dvfpnkev, ékeîvov uèv dvi Tg bfpewg Mw TÙV Keparny katdzaca, dvaipei, TO dò ’ANezdvdpouv vexpù Tmepiyudeîca, kai mtoMlà tÒv Koivòv Gugoîv xataueuyapuévn daiuova, Éauthdv dvnpmnoe ti Zòown. Qui le diffe- renze dalla narrazione quintiana sono evidenti e gravi assal: troviamo un xfjpuz, che corre molte e varie peripezie, tanto da diventare un personaggio assai importante nell'azione, ed Enone poi muore non arsa sul rogo dello sposo, ma per strangola- mento. — A sua volta Apollodoro, Bibliot., III, 12, 6, racconta: va tozeudévta (scil. ANézavdpov) stò Diokxtmtov TÉZO0IS ‘HpaxAeiorg, mpòg Oivwwnv éraverbeîv eis “Iòdnv. n dé uwnoiKakodoa Bepatedoai oùk égn. "ANézavdpog uèv oùv eis Tpoiav kowZbuevog éteMevta * Oîvww dè ueravonoaca tà mpòg Aepateiav gpdpuaxa pepe * ko xata\afo0ca aùtòv vexpòv éautijlv dvipinoev. Qui pure, secondo il Noack, si riscontrerebbe un grave distacco dalla versione se- guìta da Quinto in quanto Enone si strozza e non si lancia sulla pira. — Partenio infine, narr. 4° (= Nicandro év tù mepì romt®v), riferisce: .....d dÈ (scil. AN€Zavdpoc) .....diatozevduevog DrxokTATH, TiTpwoketar® èv v@ dè MaBéwy tò tfig Oivwwng Èmog, dte ÈQato aùutòv mpòg aùtfig ubvng oiòv Te eivar iadfivar, KMpuka méurer, denoduevov, Bmw érerydeîca dkéontai Te aùtbév, Kai TÒùv mapep- LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 537 youévwy MManv momontar, ate dè Kkatà Bemv BovAnoiv TE dQixò- uevov © Î) dé addadeotepov drexpivato, ws ypù map ENévnv aùtòv Îlevar kdkeivng deîcdar* aùti dÈE udMiOTA NiEITETO ÈvBa de émemuoTO Keîogdar aùTtov* TOÒ dé KMpukog Tà Neydévta Tapà Tg Oivwywng @aTTOv drarreiNavtoc, dduunoag è ANézavòdpog ézetvevoev. Oivwwn dé, mei vékuv fòn xatà Yfjg keiuevov é\Bodoa idev, avwuwié Te, kai to)là kato\ogupauévyn diexpioato aùtiv. Quest'ultimo rac- conto, sebbene meno dramatico di quello di Conone per quanto riguarda il personaggio del xfîpvz e meno determinato sulla specie di morte che si dà la Ninfa, si differenzia tuttavia assai dalla versione quintiana. — Vediamo per contro, continua il Noack, i versi di Licofrone in cui Cassandra profetizza la fine della misera sposa di Paride: vv. 61 sgg.: i aùTi dé Papuakoupyòg, OÙk iaoiuov €\kog dpaxodoa Tod Zuveuvetou Aurpov, TITAVTOPAIOTOIG ÙPpòiov TETPWUÉVOU Tpògs dvAotiitou, Zuvòv Orxnoer udpov, TUPYWYV GT GKpwv TPÒG VEOdDUNTOV VÉKUV poiZzndov ékBpdoaca kuuBaxov déuag * T6O9W dE TOÙ, BavovTOg NYKIOTPwHÌÉYVN, WUXT]V TEPIOTAIPOVTI MUONCEL VEKpÙ. Vediamo ancora lo scoliaste del poemetto ai vv. 60 e 65. Al v. 60: gacoîv STI BouNopévn Tòv ’ANézavdpov N Oivwwn Beparedoai EéxwXUOn ÈK TOÙ Tatpog: TeNeuTNOavtog dè UOTEPOv Tpoceverkodoa tà pdpuaxa eùpev Mòn ékitemvevxota. E al v. 65: TpwAÉVTA TÒV °A\éZavdpov Utò iXoktATtov duvauévn diù qpapudkwyv TÒ É\kog iacagda1 oùk idoato © TEAVvNKÉTOg dé aùtod, TO TOOW TÙ TPÒG aÙTòv Katakpnuvicaca éautàv cuvatw\eto t® dvdpi. Orbene, ra- giona il Noack, dai versi del poeta e dalle chiose dello scoliaste risulta chiaro che secondo la loro versione Enone vide Paride due volte, e precisamente la prima volta lo vide ferito d’insa- nabile piaga e la seconda morto: ciò appunto accade in Quinto. Ancora, secondo quella versione, il rifiuto della sposa tradita a guarire il moribondo marito che a lei ricorreva, provenne più che da malo animo di lei, dalla volontà del padre: or che tale sia stato a un dipresso anche il pensiero di Quinto lo mostra, sempre secondo il Noack, il primo emistichio del v. 435 del libro X delle Postomeriche: “ dZeto Yàp martépa o@ov ,. Ancora, 538 ANGELO TACCONE il xfpuz manca sia nella narrazione di Quinto sia in quella di Licofrone e dello scoliaste. Da ultimo, ciò che più importa se- condo il Noack (e sarebbe in realtà la prova più convincente se le cose stessero davvero com’egli le presenta), la fine di Enone è quasi uguale in Quinto e nel racconto del poeta ales- sandrino e del suo chiosatore. Ed infatti in Quinto Enone, ap- pena può sperare di non venir più osteggiata dai suoi, che dormono, nell'esecuzione del disegno che ha maturato, si slancia fuori dalla casa paterna colla velocità di un turbine, nè frap- pongono indugio alla sua corsa paura di belve od asprezze di terreno o corsi d’acqua, ma ella corre dritto dritto al luogo ove a Paride sono venute meno le forze: ciò appunto, stando al Noack, è significato nel racconto di Licofrone dalle parole mUpywyv dm’ dkpwyv mpòg vedduntov VÉEKUV | forZndòyv ékBpaocaca xuufaxov déuacs e nella chiosa dello scoliaste dall'espressione xataxpnuvicaca éavtijv. In Quinto poi Enone si getta sulla pira di Paride: la differenza tra Quinto e Licofrone, crede il Noack, risulta tuttavia qui più leggera di quanto parrebbe a prima vista, se si considerano gli ultimi due degli addotti versi: t00w dè TOÙ BavovTOog NYKIOTPWHÉVN, | PUXNV ITEPIOTAIPOVTI. MUONCEI vexpò : infatti secondo Licofrone la sposa di Paride giunge sem- plicemente un istante prima che il cadavere del marito sia col- locato sulla pira e muore su di esso di desiderio e di disperazione. Esposta così ed illustrata minuziosamente l’ipotesi del Noack, fino ad oggi creduta definitiva, rileviamone le gravi mende. Anzitutto non è difficile rilevare come il ravvicinamento dei due racconti di Licofrone e di Quinto per quanto riguarda la fine di Enone non sia gran che felice. E per vero nè sul significato di xatakpnuvicaca éavmiv nè su quello di mupywy dm dkpwy..... | forZndov ékBpooaca kuuBakov déuag vi può essere dubbio alcuno: tanto le parole del chiosatore quanto quelle del poeta indicano all'evidenza che il mezzo scelto da Enone per metter fine a’ suoi giorni è quello di buttarsi giù da un luogo elevato. Onde perfettamente a ragione il von HoLzineER (1) in nota al v. 66 paragonava col passo di Licofrone l'imitazione di (1) Lycophronis Alexandra. Griechisch und deutsch mit erklirenden Anmerkungen. Leipzig, Teubner, 1895. LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 539 Museo, vv. 339-40 (Hero si precipita dall’alto sul cadavere di Leandro): poirZndov mpoxdpnvog dr’ M\IBaTOU TméoE TUprou xdò è ‘Hpùò té@vnkev è’ OMupuévw mapakoitn. Tutto quanto si può concedere al Noack nell’interpretazione di questo passo è che i mupyor dkpor di Licofrone non designino una costruzione dovuta alla mano dell’uomo, sibbene i dirupati fianchi d'una montagna. Sulla fine di Enone adunque non quasi perfetto accordo, ma pieno disaccordo sussiste fra le versioni del poeta smirneo e dell’alessandrino. Altri due dei quattro argomenti del Noack si abbattono con poco stento: il xfipuz, che manca tanto in Quinto quanto in Li- cofrone e nel suo scoliaste, non s'incontra nemmeno in A pollo- doro, secondo la narrazione del quale accade pure che Enone, come in Quinto, vegga due volte Paride, ferito di piaga insanabile la prima, morto la seconda. Per tre pertanto dei quattro punti messi in rilievo dal Noack corrono tra Quinto ed Apollodoro le stesse relazioni che tra Quinto e Licofrone, e sono in due casi relazioni di perfetta somiglianza, anzi d’identità, nel terzo rela- zioni di contrasto. Resta solo a vantaggio dell'ipotesi del Noack il parallelo che egli ha stabilito fra le parole dello scoliaste ÈkwXd0n èk Tod matpòs ed il primo emistichio del v. 485 in Quinto &Zeto Yàp matépa cpov. Ma anche questo ha la sua principale ragion d’es- sere solo nel preconcetto del Noack. E per vero, se, invece di togliere da un contesto quelle parole che da sole facevano bensì al caso suo, ma potevano anche rendere un pensiero non con- forme alla realtà, il Noack avesse aggiunto anche le parole che più da vicino circondano quell’emistichio quintiano, l’idea del poeta smirneo sarebbe apparsa ben differente da quella dello scoliaste Licofrone. Quinto infatti ne dice che Enone Kkoupidioro d dvatANoavtog diegpov uvwopéyn, dTE KNpòg ùrai mupì tMKeto \Gapn — &Zeto yràùp TaTtÉépa cpòv id’ du@itò\oug éuTéTtiouvg — Non era dunque timore dell'intervento dell’autorità del padre che provava l’eroina di Quinto, la quale autorità le impedisse Atti della R. Accademia — Vol. XL. 36 ANGELO TACCONE 540 di portar soccorso a colui che il dignitoso vecchio riputavane indegno; era vergogna di mostrare alle persone che vivevano con lei sull’Ida, e cioè tanto al padre quanto alle ancelle, e non al padre in particolar modo, quel sentimento di compassione, che la misera giudicava debolezza non confacente colla severità dianzi dimostrata allo sposo; ed a cagion di essa vergogna dap- prima nascondevasi per piangere e struggersi come cera al fuoco al pensiero che l’infelice Paride correva a gran passi verso la morte, e più tardi, quando nessuno sguardo canzonatore poteva più scorgerla, volava sulle orme dello sposo per recargli la me- dicina nota a lei sola. Il concetto di Quinto adunque fu molto diverso da quello dello scoliaste di Licofrone. Resta tuttavia, e su ciò avrebbe forse potuto più legittimamente il Noack insi- stere, la menzione del padre dell'eroina comune a Quinto ed allo scoliaste, il quale attribuisce al vecchio un carattere identico a quello che risulta delineato dal v. 59 del poeta alessandrino (episodio di Corito - tatpòg uougaîciv nrpiwuévn). Ma ciò non turba minimamente la conclusione a cui io credo si debba ve- nire. Come in numerosi altri casi (e l’hanno dimostrato abba- stanza bene il Kehmptzow ed il Noack) Quinto prese la materia delle sue leggende da un manuale mitografico, così pure fece a proposito della favola di Paride e di Enone, e la fonte mitogra- fica g cui attinse fu a un dipresso quella che a noi giunse in Apollodoro. Ma poichè non sarebbe proprio niente assurdo am- mettere che Quinto conoscesse anche l’ Alessandra di Licofrone, così potè avvenire che il nostro poeta, nello svolgere il suo epi- sodio con finezza d’osservazione psicologica tanto superiore a quella di cui per lo più è capace, si ricordasse della figura del padre di Enone in Licofrone, e per effetto di quel ricordo ne inserisse nel proprio racconto, sebbene con tinte diverse, la menzione. Dico potè avvenire, e lo dico per fare all'ipotesi del Noack il massimo possibile delle concessioni; perchè, a mio modo di vedere, a dar motivo all’accenno di Quinto al padre della Ninfa dovette bastare una notizia del genere di quella che tro- viamo in Apollodoro “ ’ANéZavdpog dè [raueî] Oivwwnv tiv Ke- Bpfivog Tod morauoò Avratépa , od un’altra ben poco più parti- colareggiata. Quanto alla specie di morte che Enone si dà presso Quinto, non occorre grande acume per scorgere che la versione del nostro poeta, diversa da tutte le altre, ha la sua LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 541 origine nella fantasia di lui: a questa ipotesi è valido sostegno la menzione che Quinto, abbastanza ingenuamente, fa ai vv. 480 sgg. della fine di Evadne sulla pira dello sposo Capaneo (1), facendo per tal modo sfoggio di erudizione mitologica, ma di- mostrando nel medesimo tempo la poca originalità del suo volo inventivo. Infine, acciocchè non sì possa muovere a noi l’accusa che facemmo ad altri, di non aver recato sulle fonti dell’episodio quintiano un giudizio completo, ci resta ad esprimere la nostra opinione su quei versi 332-360 che i filologi considerarono ge- neralmente come intrusi. Già vedemmo da principio di che essi trattino e come il Rohde pensasse che le cose in essi narrate fossero state da Quinto senza criterio alcuno accolte nel suo episodio, laddove avrebbero dovuto esserne escluse. Il K6chly (2) dapprima pensò che dopo il libro XI fossero caduti due libri, ove il poeta dovea aver narrato distesamente le vicende accen- nate come future nel colloquio di Hera con le Ore, o che (la qual cosa torna lo stesso) Quinto, non avendo composto i libri del suo poema l'un dopo l’altro, ma saltuariamente, fosse poi stato dalle vicende della sua vita o dalla morte impedito di ag- giungere eas duas rhapsodias. Il Kehmptzow (3) accettò quest’ipo- tesi del Ké6chly, riducendo però ad un libro la supposta lacuna, poichè “ uno libro illae res satis verbose explicari potuerunt ,, ed inveì violentemente contro quella seconda opinione messa innanzi dal Kéchly, in una parte della quale io sono per contro fermamente persuaso che stia la verità. Scriveva infatti il Kéchly a p. xxxm dei citati Prolegomeni: “ Etenim cum fabula illa de Heleno Argivorum adiutore aeque atque altera de Pal- ladii inexpugnabili tutela non solum ab Homero prorsus esset aliena, sed etiam, illa quidem fabula Calchanti omnia huiusce- modi suadenti, haec Neoptolemo et Philoctetae coniunetim Trojae expugnandae paribus repugnare quodammodo videretur, cum porro (1) Apollodoro, Bibliot., III, 7, 1, 3: tg Kamavéwsg dè karouevng mupàg, Eùddvn, ) Kamavéwg uèv yuvi Buydtnp dè “Ipioc, éauthv Éufarodoa cuYvkate- KaieTo. (2) Cfr. Prolegg. all’ed. maggiore di Q. (Lipsia, Weidmann, 1850), PP. XXXI-II. (3) Diss. cit., p. 40. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 36* 542 ANGELO TACCONE ad eas fabulas prolixe enarrandas vix similia ex Homero peti possent, omittere ea homo diligens aut noluit ut nimis per- vagatas, aut non potuit ut conjunctas cum Deiphobi et Hele- nae nuptiis, quas noverat Homerus. Itaque mediam quandam excogitavit viam, ut has res necessario cum Paridis morte conjunctas Deum reginae ori inderet, ex qua commemoratione eas certissime suo tempore factas esse lectori credendum reliquit ,. D'accordo col Kehmpt- zow che il pensare che Quinto tralasciasse di narrare distesa- mente certe vicende soltanto perchè nessun accenno neppure lontano ad esse aveva trovato in Omero, sia supposizione as- surda, che poteva venire in mente al Kéchly solo posto il suo preconcetto che Quinto da nessun'altra fonte avesse attinto se non dai poemi omerici; d'accordo pure che assurde sono le altre due ragioni speciali, sottoposte a questa prima, addotte dal Kochly; ma la verità intorno alla presenza di questi versi 332-360, che a prima vista ci fan l’effetto di roba come staccata dal con- testo e campata in aria, sta proprio in ciò che, trattandosi per una parte di notizie che correvano nei racconti della caduta d’Ilio, e per l’altra di vicende che Quinto non credette opportuno nar- rare distesamente, egli si attenne appunto ad una via di mezzo ed imaginò questa scena, conforme al gusto della poesia alessan- drina, di Hera che discorre brevemente con le Ore di alcuni fatti i quali avverranno in conseguenza della morte di Paride (nozze di Elena e Deifobo, ira di Eleno), ed ai primi due fece poi che la dea aggiungesse un accenno al terzo (ratto del Palladio) sia perchè nella fonte mitografica cui qui attinse lo trovò accennato di seguito agli altri due, sia anche perchè esso connettevasi ab- bastanza logicamente col secondo: infatti i Greci si accinsero all'impresa di rapire il Palladio per aver udito dalla bocca del- l’irato vate troiano che fino a quando quel simulacro divino fosse rimasto in Troia, essa non avrebbe potuto essere presa dai nemici. Per convincersi della verità di coteste mie ipotesi, che modificano alquanto la seconda opinione espressa dal Kéchly, basta dare un’ occhiata alla narrazione dell’Epitoma Vaticana e dei Frammenti Sabbaitici (1). Non differendo qui la seconda fonte dalla prima se non per inezie di nessun conto, mi limito a rife- (1) Vedi Wacwer, Mythographi Graeci, vol. I, pp. 201-208. LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 543 rire il testo di quella: toùtov (scil. ’ANéZAvdpov) dè aTtodavévTog gig épiv épyovtar “ENevog kai AnipoRfog ùnèp Tòv ‘ENévng yauwyv. mpokxpidévtog dé TOoÒ AnipoBov “Erevog dtolimtTmv Tpoiav év “lòn dieréNe1. eimovtog dé Kaiyxavtog ’ENevov eidévar TOÙg fuouévoug TV. modiv ypnouoig, evedpevcag aùtòv ’Oduogedg Kai yeipwod- uevog èmì TÒò OTtpatomedov ifare: où davayrkaZéuevog è “ENevog Nérer mg dv caipedein N “INog, [kai] mpùTtov pèv....., tpitov ei tÒ dutetèég maNMAadiov Ekk\arein: TOoÙTOU YÙp ÈÉvdov Ovtog où duvacgar tiv modiv dAwvan..... ’Oduocedg dè uerà Atoundovg Ttaparevouevog vuktwp eis tiv mOdiv Aiounòdnv uv aùtoò puéve ela, aùtòg dE ÉautÒòv aikioduevog kai Tevixpàv OTO,MV Evduoduevog, afVWoOTWG elg Tv mOMv eicépyetar bg èmaitng. Tvwpiodeig dè brò ‘ENévng di’ ékeivng TÒ maMadiov EéKk\éwag kai toMoùg KTEIVag TÙV Pu\ao- GOVTWwY étì TÙs vadg uerà Aioundoug kopiZer (1). Riassumendo, ecco adunque la mia opinione sulle fonti della materia dell’episodio: fonte precipua un manuale mitografico, a cui Quinto attinse anche per i famosi vv. 332-360, e che dovette rassomigliare assai alla Biblioteca d’Apollodoro, pur essendo molto probabilmente più ampia; forse, per un piccolo punto, l’Alessandra di Licofrone; infine, per la specie di morte che Enone s’infligge, la fantasia del poeta aiutata da una remini- scenza mitologica. Rimane a dire qualche cosa intorno ai modelli ai quali il poeta smirneo inspirossi nello svolgimento dei particolari del- l’episodio. Già il Kéchly, a proposito di Enone che come turbine esce dalla casa paterna ed impavida corre al luogo ove giace lo sposo, chiosava fuggevolmente (2): “ In his et sqq. ante oculos habuisse videtur Medeam domo prorumpentem : apud A poll. Rhod. IV, 40 sqq. ,, e poco più sotto (3): “ Etiam hanc Lunae (1) Quinto mette in luce nel racconto del ratto del Palladio un parti- colare che qui manca (v. 352) o, meglio, è indicato vagamente, senza de- terminazione di nomi, con le parole moMMoùc kteivag TOv puiacobvtwv. La fonte mitografica di Quinto era su questo punto più precisa di quella giunta a noi. Del resto nessuna meraviglia, perchè questa non è se non un sunto di un lavoro che, a sua volta, era certamente sunto di altra opera più ampia. i (2) Ed. maggiore, n. al v. 440. (3) Nota al v. 454. 544 ANGELO TACCONE mentionem mutuatus esse videtur ab Apoll. Rhod. IV, 54-65, ubi ab illa Endymionis memoria diserte recolitur. Sed discrimen in eo est, quod Luna Apollonii deridet, Luna Quinti miseratur amore afflictam ,. Il Kehmptzow ricordava i raffronti del Kéchly ed aggiungeva come l’accenno ad Endimione fosse in entrambi i poeti (1): Ap. R., IV, 58 sg. où è’ cîn xaXiwù mepidaiouor ’Evduvpiwvi uvnoauéevn Pu oTnTOg e Quinto, X, 455 uvnoauévn katà Quuòdv dubuovog ’Evduuiwvos. Il Noack limitavasi a far menzione dei raffronti del Ké6chly e del Kehmptzow. Qualche determinazione maggiore a proposito del paral- lelo Q., X, 440 sgg. — Ap. R., IV, 40 sgg., sarà più opportuna del fuggevole tocco dei precedenti studiosi del nostro argomento. Nell’andamento generale le due scene si rassomigliano assai, nei particolari sono talvolta identiche, tal altra invece opposte, ma . anche in questo secondo caso si vede che Quinto ebbe presente il pensiero di Apollonio ed espresse proprio il contrario di quello perchè s’avvide quanto bene esso sì adattasse alla propria eroina mossa da sentimenti in parte identici, ma in parte disparatis- simi da quelli dell’eroina d’Apollonio. Entrambe infatti sono agi- tate da veemente amore, onde tanto l’una quanto l’altra corre celerissima per raggiungere al più presto l’oggetto amato: Api Ri, vw: 43 fuuvoîgiv dè TOdDECTIV dvà oTEIVÀS Béev oluoug, v. 47 xaprariuwsg d° didndov dvà OTIBOv....., v. 66 TÙ)V è’ aiya Todeg Mépov Èfrkovéouoavy, e Q., v..440 pépov dé uv Wwkéa yuîa, (1) Diss. cit., pp. 30-31. LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 545 v. 446 fiupa Béovoa dinvue uaxpà xéXeuda, vv. 448-9 oUdE TI oi kdue youvaTt' * éiagpotepor è’ épépovto éoguuevng Todeg aiév. Per contro, mentre Medea, fanciulla che fugge dalla casa pa- terna per gettarsi nelle braccia di uno straniero, essendo conscia di non compiere un'azione del tutto lodevole, teme (cfr. vv. 47-8 EKTOO1 TUPYWYV doTeog eUpuxoporo @opw Îket’, e v. 59 Tpouepò d° ùmò deiuati TAMNETO Buuòc), Enone invece, donna che quasi prevede di non giungere più in tempo a salvare lo sposo odiato sì in quanto infedele, ma, fatta astrazione dall’infedeltà, adoratissimo, uscita dalla casa pa- terna non deve temere di nulla, di nulla fuorchè d’un ritardo alla sua corsa, onde vola senza pensare alle belve che potreb- bero farlesi incontro, senza neppur badare al roccioso terreno che le rompe i piedi, ed alle acque dei torrenti che potrebbero trascinarla via: vv. 450 sgg. OUdE TI Ofpag édeidie NayvNevTac GvTOPEvoug ÙTÒ VUKTA, TApog uera Tempixuîa * Ttdoa dé oi \aciwv òpéwv éoteiBeTo Tétpn Kai Kpnuvoi, TAdar dè dietphocovto Yapoadpar. Ma ben più che ad Apollonio Rodio il nostro poeta, nel trattare i particolari dell'episodio presente, attinse inspirazione all’inesauribile fonte omerica, della quale a gran torto non ten- nero conto alcuno il Kehmptzow ed il Noack, e troppo poco lo stesso Kéochly (1). (1) Egli limitossi infatti a confrontare Q., vv. 378-9 e Q, 245 sg.; Q., v. 395 e vu, 63 sgg., 77, 79 (dietro la scorta del Heyne); Q., 408 sog. e T, 301.2. 546 ANGELO TACCONE K per vero la scena che segue ai vv. 369 sgg. è al tutto ricalcata da quella che viene descritta ai vv. 720 sgg. dell’ul- timo libro dell'Iliade. Im Omero piangono il morto Ettore gli dodoi, le donne, e poi specialmente la moglie, la madre, Elena. Agli doidoi omerici corrispondono in Quinto le Ninfe (v. 459), alle donne le donne (vv. 407 sgg.), alla madre la madre (vv. 372-384), alla moglie la seconda consorte Elena: più tardi la prima consorte, Enone, non si limita alle querele, ma fa sul cadavere dell’infedele e pur amato sposo il sacrifizio della vita. Nè è difficile riscontrare, per quanto il carattere di Paride ben diverso da quello d’Ettore lo poteva permettere, accordo tra i due poeti nei singoli pensieri. Che se poi dalla citata scena ome- rica passiamo a considerare altri luoghi dei due grandi poemi epici, l'imitazione omerica da parte del poeta smirneo appare ancora più evidente. Recherò esempî dell’uno e dell’altro caso. — In Omero Ettore è il più caro dei figli che Ecuba abbia par- torito (v. 748): analogo concetto in Quinto, ove Paride, dope la morte di Ettore, è per Ecuba o\ò géptatog dA Xwy | Taidwy (vv. 374-5). — Le sventure che sono piombate sulla casa di Priamo non vennero senza il volere degli dei (Q., v. 377): nel- l’avarvwpiouòg ’Oduocéwg dò Tinveromng (vv. 210 sgg.) Aeoì d° WiraZov diZuv, oî vw dfdoavto Tap d\ln\oor uévovte ng Taprfivar kai yNpaog oùdov ikéodan. — Ecuba vorrebbe non aver visto Noivia épra dell’Aîca, e pre- ferirebbe essere morta prima (Q., vv. 378-9): così pure Priamo in 9, 244 sgg. aùTàp ÈTWw Ye, tpiv diaraZouevnv Te TONY KepaiZouévnv TE ògpdaXuoîorv ideîv, Bainv déuov “Ardog eiow. — Ecuba si aspetta, dopo la morte di Paride, mali ancor mag- giori di quelli che già l’hanno colpita, e cioè la presa d’Ilio, l'uccisione di tutti i suoi difensori e la schiavitù delle donne e dei fanciulli (Q., vv. 380 sgg.): tali sciagure appunto si attende Andromaca dopo l’uccisione di Ettore (vv. 728 sgg.). — Mentre Ecuba sta facendo amari lamenti sulla recente morte di Paride, LE FONTI DELL'EPISODIO DI PARIDE ED ENONE ECC. 547 Priamo, che nulla ancora sa della funebre novella, continua a struggersi di dolore sulla tomba del prode Ettore: TÒV Yùp dî Tekéwy Tepì maviwv TE uGNOTA, oUveK dpiotog Env Kai épuero dopati TATpPNv © TOÙ mépi mevkaiuag Gyéwyv Qpévag où TI TÉTUOTO (Q., vv. 385 sgg.). Tale condotta del vecchio re troiano appare evidentemente inspirata a quei versi omerici ove (2, 248 sgg.) Priamo rimprovera i nove figli che gli rimangono e mostra che sarebbe lieto se invece di Ettore essi tutti quanti giacessero morti presso le navi nemiche. — Presso Quinto Elena dice di Paride: éuoì kai Tpwoì kaù aùTtò coì uera Tiua (v. 392): il poeta smirneo si è qui ricordato senza dubbio dei rimbrotti di Ettore (vv. 326 sgg.) e di Elena (vv. 350 sgg.) al rispettivo fratello e marito nel libro sesto dell’ Iliade. — L’augurio che Elena fa a se stessa nei vv. 395-6 di Quinto fu dal nostro poeta preso da quello ch’ella medesima si fa in Z, vv. 345 sgg., o dall'altro che Penelope si ripete due volte in uv, 63 sgg. — Le donne troiane, che mentre piangono Paride si ricordano ciascuna de’ proprî affanni (Q., 408 sgg.), richiamano alla memoria le donne che in T., vv. 301-2 ÈTTÌ... OTEVAXOVTO..... TTatpokiov TpO@PAOIV, CMòy è’ aUtòv KMdE Éxdotn. — Infine anche Enone si trova, come Penelope (vedi i vv. 210 sgg. di w dianzi addotti), delusa nella speranza, che avea nutrito un tempo, di arrivare in compagnia dell'amato sposo BioTOv K\uTtòv oùdòv..... aiév ouo@povecuca* Beoì d’ éTtéepwoe BaNovTO. Con tali miei abbastanza numerosi raffronti fra Quinto Smirneo ed i poemi omerici spero di aver rivendicato a questi la importanza che ebbero come fonti dei singoli particolari nello svolgimento dell’episodio di Paride ed Enone presso il nostro poeta. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. mus hood sidot, Je daufa7àn presina qù Lgli sobato9maI I do auvdarti dalia ut rta Li * 7 ha > SH STaggA, iii ae att oh PI a ni cado di Int ro "a (ha i % Base bE orlo: Ri SOR fi DEL cutgtiliia ita ‘Bd Ti: ui iivon i #3) TOA Ò Sila D poeti PENTA! 10 GISATE dr te j ta TREN ICÀ IRE. calle. n-1>° 1), all, ci IL. Ti LUNE part a atol N Ne fare vid $EIE DE Li ta verrà eat d sonia ITA yi I, Lo "TRL, IM 0) Ut. peo AA PHP: 4; Bre ht a ) À Vi E, »_& % LATI Pa PE CTATISIOE DA GIO MAE CT AOL: lot) sar ii ba ADI, ra Cr FM COIN OBESti ufo (Val : SIIT: vY3U juD Li tLD. O COC) prada: "tan rire ANG 6A Pn } r x ( E rt: î . PUOI i To È I IND } t*] è ? % e si il \ è Bri 4 sa i ® L 111] ti ti UGLE } ini Ì % i Li ii i di MIOTTO me (a iT* ah II (rat ob nà fi la . - ie i dx AI (TR le î sio sUE MINA) i - » ì 8I< n PA s L 3 LU 73 103 { DT. fino La "ao [dog ie i bortys [nb Dr ix int ATO È x + a vs CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 2 Aprile 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D’OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: NaccarI, JADANZA, SpPezIA, GuIDI, Morera, SEGRE, PrANO, Grassi, GuarEscHI, PARONA, MATTIROLO, Foà e CameRANO, Segretario. Si legge e si approva l’atto verbale dell'adunanza precedente. Il Presidente comunica le lettere dei signori A. DASTRE, G. Have, M. Lévy, W. EnceLmann, S. ARRHENIUS, E. RAy LAN- KESTER, W. Ritter, E. Surss, i quali ringraziano per la nomina a Socii corrispondenti dell’Accademia. Il Presidente annunzia la morte del Socio corrispondente Ing. prof. Pietro TAccHINI e pronunzia parole di vivo compianto per la perdita dell’illustre consocio. Il Presidente comunica l'invito dell’Unione Zoologica ita- liana al convegno che si terrà nell’isola d'Elba e delega i Soci SALVADORI e CAMERANO a rappresentare l'Accademia. Il Presidente comunica pure l'invito al Congresso botanico che si terrà a Vienna nel giugno 1905 e delega il Socio Mar- TIROLO a rappresentare l'Accademia. Vengono presentate per l’inserzione negli Atti le note seguenti: 1° E. E. Levi, Sulla struttura dei gruppi finiti e continui, presentata dal Socio SEGRE a nome del Socio nazionale non re- sidente prof. Luigi BIANCHI; Atti della B. Accademia — Vol. XL. I I 550 2° Dott. P. L. Prever, Sulla fauna nummulitica della scaglia nell’ Appennino centrale, dal Socio PARONA; 3° F. CASTELLANO, Il dirapporto di quattro punti nello spazio con applicazioni alla Geometria del Tetraedro, dal Socio PrANO. Il Socio MarTIRoLo a nome anche del Socio PARONA, legge la relazione intorno alla memoria del prof. E. MARTEL, intitolata : Contribuzione all’anatomia del fiore delle Ombrellifere. La Classe all'unanimità approva la relazione favorevole e a voti segreti pure alla unanimità approva la stampa della memoria del prof. MarteL nel volume delle Memorie accademiche. EUGENIO ELIA LEVI — SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI, ECC. 551 LETTURE Sulla struttura dei gruppi finiti e continui. Nota di EUGENIO ELIA LEVI. 1. — Nelle pagine seguenti mi propongo di dimostrare il teorema: Ogni gruppo G che non sia semisemplice nè integrabile si scompone in un gruppo invariante integrabile ed in un gruppo semisemplice. Questo teorema fu enunciato dal Killing (') nelle sue me- morie sulla composizione dei gruppi. La dimostrazione del Killing però si fonda, come notò il Cartan (?), sopra un teorema ine- satto. Nella tesi del Cartan, in cui si trovano le dimostrazioni rigorose di gran parte dei risultati del Killing, questo teorema non si trova dimostrato che in un caso particolare. Noi lo di- mostreremo in generale partendo dai risultati ottenuti dal Killing e dal Cartan (8). 2. — Preciserò anzitutto l’enunciato medesimo richiamando in pari tempo alcuni risultati noti dei due autori citati. Osserviamo col Cartan che se un gruppo G non è semi- semplice e non è integrabile possiede un massimo sottogruppo invariante integrabile €; cui è associato un gruppo semisemplice G x 2 2 i; I=T meriedricamente isomorfo al gruppo G (4). Il determi- nante caratteristico di G rispetto ad una operazione qualunque contiene quale fattore il determinante caratteristico di g rispetto (4) W. Kiuuine, Zusammensetzung von Transformationsgruppen, © Math. Annalen ,, Bd. 34, pag. 107. Le altre memorie del Killing sono nei vo- lumi 31, 33, dei “ Math. Annalen ,. — Secondo il Killing un gruppo è detto semisemplice quando è composto di più gruppi semplici a due a due permutabili. (2) Carran. Thèse. Sur la structure des groupes de transformations finis et continus, pag. 115, p. 128. (*) Mi riferirò per solito al Cartan, rimandando ad esso per Ja termi- nologia usata e per le ulteriori citazioni delle memorie del Killing. (‘) Carran, pag. 97, teorema I. 552 EUGENIO ELIA LEVI all'operazione corrispondente; questa osservazione serve al Cartan per distinguere le radici non nulle dell’equazione caratteristica di G rispetto ad una data operazione in due specie: 1° radici principali che appartengono all’equazione caratteristica di g ri- spetto alla operazione corrispondente; 2° radicî secondarie che non appartengono a tale equazione (1). Tutte le operazioni infinitesime di G che, nella forma ri- dotta rispetto ad una operazione generica ordinatrice, apparten- gono alle radici secondarie, appartengono a T. Di più poichè le radici dell'equazione caratteristica di un gruppo semisemplice sono tutte semplici (2), se una radice wz è multipla secondo ma, alla radice w, appartengono mx — 1 operazioni infinitesime indi- pendenti appartenenti a T. Tutte le rimanenti operazioni appar- tenenti a w, sono combinazioni lineari di una operazione di G non di appartenente ad w e di queste mx — 1 operazioni di l. L’analogo si può dire delle operazioni corrispondenti alla radice 0, che formano un gruppo che chiameremo col Cartan gruppo Y (3): se mo è la multiplicità della radice 0, / il rango del gruppo semisemplice 9, esisteranno my —/ operazioni comuni a T e Y; ed una qualunque altra operazione appartenente a Y si otterrà come combinazione lineare di queste mo —/ di e Y e di altre ! indipendenti. Con ciò è ben evidente che il nostro teorema esprime che sì possono sempre scegliere l operazioni nel gruppo Y ed una corrispondentemente a ciascuna radice principale non nulla per modo che esse formino le operazioni generatrici di un gruppo semi- semplice oloedricamente isomorfo al gruppo g, l indicando come sempre il rango di g. Le operazioni di G saranno tutte congrue all’operazioni di questo sottogruppo rispetto al gruppo f come modulo; onde si avrà la voluta decomposizione. 3. — Per le proprietà dei gruppi semisemplici le radici principali sono a due a due uguali ed opposte: alternando due (4) Cartan, pag. 99. (*) I risultati relativi ai gruppi semplici e semisemplici sono conte- nuti in Carran, cap. IV e V: essi saranno sovente necessari in seguito. (*) Cartan, pag.. 84, teorema VII, e pag. 38, n. 11. SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 55 operazioni appartenenti a due radici uguali opposte si ha una operazione appartenente alla radice 0, e viceversa una qualunque operazione appartenente alla radice 0 in un gruppo semisem- plice è una combinazione lineare di operazioni che si possono ottenere quali alternate di operazioni appartenenti a radici op- poste. Quindi se noi avremo scelto in G le operazioni appar- tenenti alle varie radici principali non nulle con cui vogliamo costruire il sottogruppo semisemplice, quelle appartenenti a Y saranno completamente determinate. D’ altra parte il Cartan ha dimostrato (!) che se wx e wy = — wax sono due radici principali uguali opposte della equa- zione caratteristica di G e se X. è una operazione arbitraria appartenente alla radice wx e non appartenente a l, si può sempre associare ad _X,, una operazione Xx appartenente alla radice — wa (e necessariamente non a T) tale che, posto (X,Xw)= Ya, (Ya sarà una operazione di y e non di f) si abbia: ELIA) de; a,, essendo il valore di wx corrispondentemente ad Yx assunta come operazione ordinatrice. Di più Xx è completamente deter- minata quando sia fissata arbitrariamente Xa, e quindi è pure determinata Y.. Per dimostrare il nostro assunto convien dimostrare che, se + wa, +wg ... sono le radici principali dell'equazione carat- teristica di G, si possono prendere le operazioni X,Xg ... in modo che, determinate X,,Xg... e quindi Y,Yg... nel modo so- pradescritto, e detto col Cartan (*) azg il valore di ws relativo alla operazione Ye di Y, si abbia: (VaXe) = aa6X, (YaXy) = — dep Xx e che: (Xx Xg), (XxXg), (XxXg), (XeXo), (YaYo) ... siano combinazioni lineari di X,, X,, Ya... (4) Cartan, pag. 99-103; vi è supposto wx= 2. Confronta specialmente l'’enunciato di pag. 103 in cui risulta che Xx è arbitraria. Che fissata X4 sia determinata X,' risulta dalle equazioni della fine di pag. 102. (*) Cartan, pag. 55, formula (6). 554 EUGENIO ELIA LEVI Quest'ultima condizione possiamo a sua volta semplificare ricorrendo all’isomorfismo fra g e G. Se w, ed wg sono radici dell'equazione caratteristica di 9g (e quindi radici principali di G) e se 2, =g sono le operazioni corrispondenti di g, l’alternata (=22) è nulla se wx + wg non è radice, ed è l'operazione 2498 di 9g appartenente ad w, + wg se questa è radice (!). L’isomor- fismo fra G e y trasporta queste conclusioni nelle seguenti: (X2Xg) appartiene a T se wx + wg non è radice principale; è fuori di l ed appartiene ad wx + wg se wz + wg è radice principale. Se quindi wsy= wx + wg è radice principale e se si immaginano già determinate Xx occorrerà scegliere — per soddisfare alle condizioni esposte — Xy = (X,Xg); e ci resterà a provare che le Xu Xg' X5' che sono completamente determinate quando siano date X.X6gX;, soddisfanno le equazioni Xy = (XxX); e che, se si ha pure ws= Wx, + wg,, è (X2Xa) =a(Xx,Xa,)= Xy. Infine se Ww, + wg non è radice principale si dovrà fare in modo che (XxX) = 0. La dimostrazione del nostro teorema è quindi ridotta a mostrare che la scelta delle operazioni X, fuori di T appar- tenenti alle radici principali w, può farsi in tal modo che, determinate le operazioni X, ed Y, appartenenti alle radici Ww, = — wz ed al gruppo y nel modo detto al principio del pre- sente numero: a) Si abbia: (YeX,) È dagXa, (Y6X,) aa DE donde poi segue immediatamente per l'identità Jacobiana che l’alternata di due (Y,Yg) è nulla: (T.) = (LEX) = (Es4)X) = (CO = dag(Xa Xe) + Udag(Na Xa) _ 0) $ b) Se w,, wg ed w + wg==wy sono radici principali e se sì pone XAs=(XxXg) ed Ag= (Xe Xg), quando sia; (XK. Xu) = bo (sx) = daaka, (Vas n) = — azul , (X8Xg) = Ya; (YeXs) =—-W 36X,, (YeXg) = agg Xg , (!) Carran, pag. 41, teorema XI. SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 555 si abbia pure: (9X,) = Yo (Yoko) = 045Xs, (Y3Ky) = — 095Xw ; c) Se wx ed ws sono radici principali e non lo è w, + Wg o, più generalmente, se le operazioni 22, =g di 9g corrispon- denti a tali radici sono permutabili, sia pure: d) Se wx+ wg= Wa, + Wwe, = Wy dove ws Wg Wa, Wg, Wy sono radici principali sia: (o) = alXeXe) = Ly dove a è una costante. 4. — Le condizioni a) d) c) sono identicamente soddisfatte quando le X siano scelte nel modo detto in principio del pre- cedente numero e cioè tali che: (XxX) = Ha; (Ya) = daxka, (YaXw) ==> == RIN ar. Cominciamo dalla @). Sia w. una radice principale, Xx Xx Yz le operazioni rela- tive. Sia wg un’altra radice principale: 0 as4= 0, oppure una al- meno delle due espressioni wgs + w, wgs —w, è radice (!). Se nè ws +w, nè ws—w, sono radici, si ha quindi (X,Xe) = (Xx. Xe) = 0, onde (Y2Xe) = (RX) X0) = (L(XyX3)) — (XA) = 0. Nel caso contrario sia radice ws — h'wx (h' intero 2 1) (?) e non wWe— (h'+ 1)ws. Sia ora una almeno delle espressioni wg + wz ed ws — wa radice, più in generale supponiamo che siano % ed 4' i massimi interi per cui wa + Xwx ed we — h'w, e tutte le radici inter- medie sono ancora radici. (4) Carran, pag. 56, teorema VI: questo teorema è qui applicato al gruppo semisemplice g. (?) Nell'ipotesi che qualche espressione delle forme wg +uw, sia ra- dice, si può sempre supporre che il segno sia precisamente —, bastando al bisogno scambiare a ed d'. 556 EUGENIO ELIA LEVI Premettiamo l’ osservazione seguente: Supponiamo che ws + uwa sia una radice multipla dell’equazione caratteristica di G, e che Xgiuai Ag+pa,2 ... Ag+4ua,i appartengano ad essa e siano tali che: (Y,Xg+pa,1) = (082 + haaa) Xaqua,i + Ag+uaimi (Y2Xg+pa,i-1) = (062 + bla) Xgppa,i-1 + Xo+pai2 (YaXg4pa 1) _ (asa -- Uda2) Xa+pa,l- Supponiamo in altri termini che rispetto all'operazione Y@ l'operazione Xg4ga1 sia di primo genere e le altre, siano di 2° genere (!). Poniamo: (Xe Xg4par) = Xo+(41)2,15 (Xx4Xo-+12,9) = Xo4(24+1)4,2 » » (X,Xg+pa,i) = Xe+(+1)aî sarà: (Y_X6+(2+1)2,) = (Y(AXg+pa,i)) = ((VaXNa) osp) + + (A(Y2Xg+pa,i)) = = dza(A,Xg+p2,i) + (49: + pizza) (AA g4ua, i) + (AeAg+pai1) = = [432 + (1h + 1)aae] Xat(u+n)a,i + Ag4+1)a,i1; (I 24g4(u+1)a,i—1) = [@ga + (H+ 1)aza ] Xg4(w4+1)2,i1 + Xa+utla,i2 (Y.Xg+(+p2,1) = [482 + (U + 1)a22] Xg+(2+1)21 Premesso ciò, supponiamo che sia Xg-xa,, una operazione appartenente ad ws — l'w, di primo genere rispetto ad Y,; (Y,Xg-na1) = (A9a — h'aza) Xa-nan (41) Poichè ws —(#' + 1)w, non è radice, sarà: (Xe Xo-wa1) =0 (b,) (4) Carran, pag. 100. Ragionamenti simili a quelli del presente n. sono usati dal Cartan nelle pag. 100-105. SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 557 e quindi per l'identità Jacobiana applicata alle tre operazioni X,XyXo-na1, posto: (XyXo-na,1) = Xa-(h-1)0,1 (c.) sì dedurrà: (A Xg- --ne,1) = — (09, — N'azz) Xg-nagn. (73) Quindi si dedurrà che Xs-q-121==0, tranne quando ag, — h'az: = 0. E dall’osservazione precedente si avrà: (Y2Xa--12,1) = (09, — (f' — 1)aza) Xe-Mya1. (09) Quindi ancora, posto: (XXs- 4,1) ni Xe (n1-2)2,1 (co) sì dedurrà dall’identità Jacobiana applicata a X,, XA, Xa-w-npa1: (Ax Xo-m-2)e,1) = — [2ag, — (29 — 1)aza] Xa-w-na1 (03) e quindi sarà: Xo-n-2),31 = 0 se non è: 2ag, =. (24' 3 1)aaz ni 0. Così procedendo da una operazione appartenente ad ws—4'w, di primo genere rispetto ad Y, si deducono, alternando succes- sivamente con X,, operazioni appartenenti ad wg—(f#"—1)w,... wg + hw, di primo genere rapporto ad Ya, dove % è tale che: dg, — 3 (h'- h)aza. Questo ragionamento dipende solo dall’ essere soddisfatte (a;) e (8,); quindi, partendo da qualunque operazione apparte- nente ad una radice wg —p'Ww,, di primo genere rispetto ad Y,, e che soddisfaccia alla (d,) si dedurranno, alternando coll’opera- zione X,, operazioni appartenenti ad wg —(u'— 1)wa ...Wwg + uwa fino a tale u che age = 3 (l'aa. Ma quello che più importa notare è che dai precedenti ra- gionamenti si può trarre che non esistono operazioni di secondo 558 EUGENIO ELIA LEVI genere rapporto ad Yz. Infatti sia ws—k'w, la radice della forma we — u'wx cui appartengono operazioni di secondo genere rapporto ad Y, per cui u' ha il massimo valore: esisterà una operazione di secondo genere Xg-wg tale che (Y_X6x 22) = (age — k'az2) Xowao +Xo-ra1 (01) dove X8_xa, è una operazione di primo genere. Se noi aggiun- giamo o togliamo una operazione di primo genere ad X6_wxg Si ottiene sempre una operazione di secondo genere che può sosti- tuirsi a Xe_xa,2: con tale convenzione possiamo dire che si avrà: (XxXg-xa0o) =0. (5,°) Perchè, supponiamo che (X,/Xg-x22) = Xs-(+pa,: sarà, per l'ipotesi fatta circa #', Xg3- +21 di primo genere; e quindi l'operazione (XxXg- (#+1)2,1) = Xo-wa, sarà come la Xg-(k+1}2,1 di primo genere rapporto ad Y e si avrà per essa in virtù delle equazioni (8;), (e) precedenti (Xx Xa_w21) = cX3- +11; donde segue (Au cXa-wao-Xo0 pi) = 0, talchè si avrà una opera- zione che soddisfa (b,') e sostituibile a Xs-xzg. Dopo ciò si proceda come abbiamo fatto precedentemente: da (@,’) (01) si dedurrà che (X2Xg_xa2) = Xg_ (#12 è una operazione diversa da 0 e di seconda specie: per essa inoltre si avrà: (Xe Ng ero) = (ge E a) Kei E ARIANO E così continuando si otterranno sempre operazioni di se- condo genere appartenenti alle radici wg— (k'—1) We,... wg+t- kw dove % è tale che asa = n (£4' — k)aaz. Per tale valore di % si avrà: (YaXg4x20) = (age + kaz2) Xa+naa + Xo4naa (048) dove: Xoynai = (Xa(Xa ..: (XaXol-wan))...) FF 0 E posto: (Xx X3+h2,2) = Xg4(h+1)2 (D'x4+#) SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 559 si dedurrà come precedentemente, tenuto conto della 1 ’ CEE DI (k — k )@za = 0, (XyXo4 +1) = — Xasnaa(e=k+k'#+0). (c'a4w) Quindi X34(+na non è nulla. Partendo da questa operazione ed alternando con Xx non sì potrà mai giungere a coefficienti nulli nelle (c’) e quindi si dedurranno operazioni appartenenti ad wg + uw, con u grande a piacere. Il che è assurdo. Segue quindi che non esistono ope- razioni di 2° genere rapporto ad Y.. In altri termini se: RE X,) ni 1 , (a Xa) = aa No , (Ya Ye) = Gara ky presa una qualunque operazione Xs appartenente ad wg si ha: ( La Xe) = aga Na e quindi è soddisfatta la condizione 4). 5. — Dal ragionamento del numero precedente si deduce per le (5) e (c) che se wgs è una radice qualunque ed _X3 una operazione che le appartiene, se di più w,+wg è radice e si ha per esempio: (Xg Xx) = Xa46, si ha pure: (Xupg Xe) = 0Xe dove e è una costante. Ne viene che le operazioni appartenenti alle radici della forma wg-+ pw, si possono ordinare, partendo per es. dalle operazioni per cui: (Xa4ua X, ) = 0, in catene di operazioni appartenenti alle radici wg8 4 (u—1)w,,... ws — u'w, ottenute alternando queste con Xx: partendo da una qualunque delle operazioni così dedotte ed alternando con X, si ottengono tutte le operazioni precedenti ed infine quella da cui sì è partiti. 560 EUGENIO ELIA LEVI In particolare si ottiene che secondo che Xg è o no di F, (Xe X,)= X6+« è o non è di T. Infatti se Xg è dil a causa dell'essere T invariante in G anche Xgxx è di ; e se XAg4a è di [ lo è pure Xg= 1 (Xe Xaxa) per la stessa ragione. Segue di qui che la condizione c) è anch'essa soddisfatta; poichè se si ha (=,=268)=0, (X, Xe) sarà nullo oppure sarà di l in virtù dell’isomorfismo meriedrico fra g e G; ma per quanto precede se X, od Xg non sono di l, (X, Xe) non è di F e quindi sarà necessariamente (X, Xg)="0. 6. — Infine giungiamo alla condizione 6). Consideriamo: Vapa = ((X, Xe) (Xx Xo)). Si avrà per l’identità Jacobiana : Vaso = (I, Xa) Xe) Xo) + (Xe((X, Xo)Xp). Ma pel n. 5 si ha: ((X, Xe)Xx) =bXn ((X2Xa)Xp) = Xe quindi: Ya+g = bY e = cYa x E quindi ancora: b(Ya Xy48) — c(YaXy+a) =[— ba2+0,6 + c024g,a] Ay40 = = — da+4ga+p Ay4p' e similmente: (Vape Xa+g) = 4249 a46Aa+0. Resta così dimostrato che anche 2) è soddisfatta. E noi possiamo quindi conchiudere, secondo quanto s'era detto in principio del n. 4, che le condizioni 4) d) c) sono sod- disfatte in conseguenza delle ipotesi: (Xu Xay) _ Fe , (Ya Xa ) = daaXa ’ (Ya Xu) = QaxXy. SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 561 7. — Non ci resta quindi ormai che a mostrare che si possono scegliere le operazioni X, Xg... in modo che anche la condizione d) rimanga soddisfatta. Ma perciò basterà dimostrare che essa è soddisfatta quando le radici principali wxWwgwx,wWg, Ws = W, + wg = wa, + wg, appartengono ad uno stesso dei gruppi semplici che compongono il gruppo semisemplice g. In- fatti qualora wz ed wgs appartenessero a due diversi gruppi semplici del gruppo semisemplice le operazioni =2=g del gruppo g corrispondenti sarebbero permutabili (nota 1, pag. 1), e per e) si avrebbe (X. Xg)= 0. Siano dunque le radici principali appartenenti ad uno stesso gruppo semplice. Prendiamo un sistema di radici Wj,w,..., W, indipendenti e tali che ogni altra radice si possa sempre porre sotto la forma w,=%,w, + laws + ...+ /,w, dove le X sono interi positivi o negativi. Questo sarà sempre possibile: p. es. con uno di quei sistemi di radici che il Cartan chiama fonda- mentali (1). l Il numero A= 2 |%;| si dirà dase della radice wa. Asso- 1 ciamo alle radici fondamentali altrettante operazioni XX, ...,-X non appartenenti a F ed alle radici uguali opposte a queste le operazioni Xx, Xy,..., Xy ad esse corrispondenti secondo il n. 3. Diremo queste operazioni fondamentali, e base di un'operazione appartenente ad una radice la base della radice. Osserviamo allora che noi otterremo operazioni apparte- nenti ad una radice principale qualunque, facendo l’alternata di due operazioni fondamentali, indi l’alternata di una delle ope- razioni così ottenute con una operazione fondamentale e così via. Anzi ad una radice w, di base /% si potrà giungere appli- cando X — 1 volte almeno questo processo, e viceversa sce- gliendo opportunamente le operazioni fondamentali cui il processo si applica, si giungerà certamente ad una operazione di base / mediante 4 —1 volte alternate. Infatti consideriamo la radice w, = hw, + hgw +... + AWw,: tra i numeri a; (i=1...0) ve n’è certamente almeno uno diverso da 0; poichè altrimenti (!') Carran, pag. 65. Vedi anche le particolari strutture dei gruppi sem- plici, che saranno richiamate anche in seguito, a pag. 71, in cui appunto tutte le radici sono espresse per sistemi fondamentali di radici. 562 È EUGENIO ELIA LEVI sarebbe a,,= Z Riaia=0 (1); assurdo. Sia @1:=#=0 sarà pure ay, = — d12== 0. E supponiamo che %; sia, per es., positivo. Allora facciamo l’alternata di una operazione Xx colla ope- razione Xy, pei ragionamenti del n. 4 essa non sarà nulla e sarà una operazione Xa, appartenente ad wa, = (hf, —1)w + + hgws +... + A,w,. E viceversa Xx si otterrà, come si osservò al n. 5, quale alternata di X., e di X. Ed w., sarà di base R—1. Ripetiamo ora questo ragionamento su X, e così proseguiamo, giungeremo ad una operazione di base 1 e quindi differente da una operazione fondamentale X, per una operazione di T. Par- tendo da X; si otterrà per la via inversa una operazione diversa da X, solo per operazioni di f. Ciò posto deduciamo da XX... X, e dalle loro associate Xv Xx... Xr col processo descritto delle operazioni appartenenti ad una qualunque radice del gruppo, queste operazioni saranno per b) a due a due accoppiate nel modo detto nel n. 3. E non ci resterà a dimostrare se non che: 1° Alternando due operazioni Xx Xg così ottenute ed ap- partenenti a radici w,ws tali che w, + wg= wy sia ancora una radice principale, si giunge ad operazioni non diverse da quelle cui sì giunge applicando il nostro processo fondamentale, o a loro combinazioni lineari. 2° Osservato che ad una radice si può giungere per più vie, anche applicando il nostro processo fondamentale — (per esempio si può giungere alla radice w, fondamentale o lascian- dola tale e quale, oppure, supposto @; == 0, alternando l’opera- zione che le appartiene con quella appartenente ad w;, poi con quella appartenente ad w, od anche per vie più complicate) — per una qualunque di queste vie si giunge sempre ad una ope- razione medesima. Quanto al primo punto esso risulta evidente in virtù del- l’identità Jacobiana. Supponiamo infatti Xx di base qualunque #, supponiamo che la cosa sia dimostrata quando Xs sia di base % — 1, e dimostriamola nel caso in cui Xg è di base #. Siccome la cosa è vera se Xs è di base 1, poichè allora fare l’alternata (X. Xe) sarà applicare una volta di più il nostro processo fondamentale, la cosa sarà così dimostrata in generale. (4) Cartan, pag. 60. SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 563 Ora, essendo Xs di base %, possiamo porre Xg =(Xg,4) essendo Xs, di base X — 1. Ma allora: (A Xe) = (Aa (X3,X)) = (A, Xe) X) — (ALAN). Ora (Xx X;) è una operazione ottenuta come X, mediante il processo fondamentale: quindi per l’ipotesi fatta ((Xx X;)Xg,) è pure una combinazione di tali operazioni: analogamente per l'ipotesi fatta è (X, Xx,) una combinazione lineare di operazioni ottenute col processo fondamentale, quindi lo è pure ((Xx Xe) X;): e quindi ancora lo è (Xx Xg), c. v. d. Quanto al secondo punto conviene ricorrere alla conside- razione delle composizioni dei varii gruppi semplici. Ma questo esame è semplificato dalle seguenti osservazioni. Ogni passo del nostro processo fondamentale porta solo da operazioni di base £ ad operazioni di base X1— 1 o di base h+ 1. Talchè se Xys=(X;,X;) e Xx; è di base 7, X;, è di base 441 odh—1. In principio di questo numero abbiamo mostrato che ad una radice si può sempre giungere in uno o più modi passando per sole radici di base minore. Supponiamo dimostrato che per tal modo si giunga sempre alle stesse operazioni appartenenti alle varie radici: ne viene che anche passando per radici di base maggiore si giunge sempre alle stesse operazioni. In altri termini se Xy, è di base maggiore di Xy che si suppone deter- minata in modo unico giungendovi per sole operazioni di base minore e se (Xy,X;) è una operazione appartenente ad wy, questa coincide colla Xy;. Infatti (Xy A;) dà allora una ope- razione di wy, la quale coincide con Xy, perchè ottenuta par- tendo da una radice di base minore. Quindi dal n. 5 si deduce Pei=aX;,\c..v. d. Applicando ripetutamente questo ragionamento la dimostra- zione di questa ultima parte si riduce a dimostrare che col nostro processo si giunge sempre — a meno di un fattore costante — ad una stessa operazione, in qualsiasi modo si pro- ceda, partendo da operazioni fondamentali e passando per sole operazioni di base minore. È quanto noi dimostreremo nel n. seguente partitamente per ogni tipo di gruppo semplice. 564 _ EUGENIO ELIA LEVI 8. — Prenderemo come radici fondamentali le radici Wytv9 ... w, che usa il Cartan a pag. 71 nel descrivere i varii gruppi semplici. Tipo A). Evidentemente si giunge alle varie radici per una sola via. Tipo B). Si giunge per una sola via alle radici w; — wj, t(W— w), tw — 2w,). Non così per l’ultimo tipo di radici +(w+w;—2w). Si consideri per esempio w, + w,— 2w,; ad essa si giunge o dalla radice w,— 2w, o da quella w, — 2w,: si deve dunque dimostrare che (X;-2X;) ed (X;-xX;) non differiscono che per un fattore costante. Notiamo che X;-a ed X;-2, sono unici e che preci- samente: Xi = (XA) Ar = (AA). Si ha quindi per l'identità Jacobiana, osservando che (XX7)X) = ((GX7)X) = 0 perchè w+ w;— w, non è radice: (Xi-aX) = (XX) A7)A)= (ZAM(AA7)) = (X(A0(A74,))) = = (XX; a) = — (K;- a). Quindi è dimostrato completamente il teorema pel caso del tipo B). Tipo C). Analogamente w;— w;, £ (w; — w), £(wW,—2w,) si ottengono in un sol modo. Non così w;{4-w;—w; che deriva da w,— w e da w —w. Si deve mostrare che (X,_,;X) ed (X;-1X;) non differiscono che per un fattore costante. Si ha: Xi = (40) X_= (4). Quindi, poichè w,;+ w; non è radice, (XX) = (X7)4) = (A004) = (Xu). Analoga trattazione si usa pei tipi D) E) F) G). Si può os- servare che nel tipo G) tutte le radici hanno generazione unica. Noteremo ancora che bisognerà esaminare le varie radici suc- SULLA STRUTTURA DEI GRUPPI FINITI E CONTINUI 565 cessivamente dopo averle disposte secondo le basi crescenti: così per esempio si dovrà scrivere il tipo F) nel modo seguente: Wi), na (w, #7, Wp — 2W, k E(W, + ws— 20, — wa), £(w, + ws — 2403 — 2w,), +(2w,+w;—-2w;—2w,) (==) \==u <«j=1,2 \,u=3,4). =, tw, W_-Wj, AU], I UT +(wW—- 2w), E (wi —w—w,), + (+ ws —wg In generale il diverso modo di giungere ad una radice di- penderà dal fatto che due diverse radici di base minore da cui essa deriva, si ottengono scambiando due indici che in essa compaiono simmetricamente e che non compaiono insieme nelle sue radici di base minore. Così nei due esempi sopra trattati si comportano gli indici è e j. La dimostrazione è allora identica alla precedente. Leggermente diverso è il caso della radice w4+-ws—2w,—wy di F) che può provenire da w,{+-w,—w,—w, e da w,+ws-2w,. Si dovrà dimostrare che (X142-:-uX.:) e (X142-2,Xw) non sono differenti. Ammettiamo che sia già dimostrato che unica è la determinazione di X3,3_._v ed X1+:-a di base minore. Poniamo: X142-2-w =" (XX) X,) Aa) Xx = ((( 24) A IX). Quindi poichè w—wy—-2W, e w—wy-—2w, non sono radici: (Xu) = (((X;X)X,)X)X) = (GX)X)42-) = — (XX w)(Ao3 A) + Apo) = = (Xen) + (A+) = (Apo A) + + a(Xi49-> uXy). Donde segue che (X149-:-uA) ed (X12-2 Xx) non diffe- riscono che per un fattore. Un caso analogo si ha nel tipo £) per le radici di base 12. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 38 566 PIETRO LODOVICO PREVER Sulla fauna nummulitica della scaglia nell’ Appennino centrale. Nota del Dr. PIETRO LODOVICO PREVER. (Con una Tavola). Per consiglio del prof. Parona, che qui mi è grato ringra- ziare, ho esaminato una serie di campioni di rocce, raccolte e comunicate dall’Ing. B. Lotti, del R. Ufficio Geologico, assai interessante, perchè, mentre gli strati da cui provengono, per situazione stratigrafica e, per qualcuno di essi, anche per l’aspette litologico, si direbbero appartenenti alla scaglia e al calcare ro- sato della Creta, a cagione invece della ricca fauna a foramini- feri di tipo eocenico che contengono, con esclusione di forme di tipo cretaceo, risulterebbero spettanti all’ Eocene. Vista la singo- larità del fatto, credo opportuno di esporre in questa Nota le conclusioni del mio studio, prendendo in speciale considerazione le Nummulites, le Orbitoides e le Alveolina. I campioni fossiliferi provengono da parecchie località dell'Abruzzo, dai territorî com- presi nelle tavolette di Leonessa e di Terentillo, e da località umbre. Tali località più precisamente sarebbero: Monte Tilia (Leonessa), sommità di Monte Massa (Leonessa), Campi sopra Costa d'Aprile, vicino a Trivio (Leonessa), Monte Jazzo (Posta), podere Rivo e sopra podere Rivo (Piediluco), Monte tre Vescovi (Sibilla), Monte Alto (Gubbio), Cerreto presso Arrone (Umbria). Essi sono costituiti da calcari e da brecciole nummulitiche assai ricche in Nummulites, Orthophragmina, Alveolina e altri Forami- niferi, e da due campioni di scaglia rosata contenenti Nummu- lites, Orthophragmina e Alveolina, oltre ad altri Foraminiferi, e dei quali quello che ne contiene in numero grandissimo alterna con strati di calcare anch'esso nummulitico (Monte Tilia). L'importanza a questi campioni viene dalle constatazioni : 1° Che alcuni di essi appartengono a strati di scaglia rosata i - quali non contengono affatto Nummulites, Orthophragmina, Alveo- lina, ma alternano con calcari che ne sono provvisti in abbon- danza; 2° Che alcuni altri di essi appartengono a calcari num- SULLA FAUNA NUMMULITICA, ECC. 567 mulitici alternanti con strati di scaglia privi di cotesti fossili; 3° Che altri infine appartengono alla scaglia rosata e contengono Nummulites, Orbitoides, Alveolina e alternano con calcari bianchi rassomiglianti indiscutibilmente a calcari eocenici, frequenti lungo l'Appennino, a Macereto per esempio, a Visso, Forca di Presta, Potenza, alla loro volta provvisti di questi fossili. Questi fossili, come è noto, si ritengono caratteristici dell’ Eocene, le Ortho- phragmina e le Alveolina specialmente, come le Lepidocyclina (= Orbitoides sensu strictu auct.) lo sono specialmente degli ul- timi orizzonti cretacei, e le Orbitolina lo sono della serie Infra- cretacea e di buona parte della Sopracretacea. E degno di nota il fatto che in tutti questi campioni fossiliferi mancano poi completamente, oltre le Lepidocyclina e le Orbitolina suaccennate, gli altri generi pur caratteristici della Creta, e cioè Strestrina, Meandropsina, Spirocyclina, Dicyclina, Calcarina, Cyclopsina, Fal- lotia, Praesorites, Broeckina, ecc., che si sviluppano negli oriz- zonti superiori a quelli in cui si trovano le Orbitolina, e cioè nel Turoniano e nel Senoniano. Quindi la scaglia rosata, ed i calcari bianchi che con essa alternano, a motivo delle Nummu- lites, Orthophragmina, Alveolina che contengono, e dell’assenza dei generi caratteristici propri del Sopracretaceo, dovrebbero riferirsi all’Eocene, oppure, qualora coi risultati del rilevamento geologico e con altri dati paleontologici risultassero sicuramente di età cretacea la scaglia ed il calcare rosato colle rocce num- mulitifere connesse, bisognerebbe ammettere la precomparsa e la diffusione dei tre sopracennati generi durante il cretaceo. Già il Villa (1) segnalò la concomitanza di Inocerami, Be- lemmiti, ecc. e Nummutliti nella scaglia della Brianza; più tardi altri Autori, come Taramelli (2) e De Alessandri (3), Canavari (4) (1) Virca A. e G., Memoria geologica sulla Brianza. Nel giornale * Lo Spettatore industriale ,. Milano, 1844. — G. B. Vira, Escursioni geologiche nella Brianza, “ Atti Soc. Ital. Sc. Nat. ,, vol. XXVI. Milano, 1883. — Ri- vista geologica dei terreni della Brianza, “ 1A. ,, vol. XXVIII, Milano, 1885. (2) TarameLLi T., Geologia delle provincie venete, © R. Accad. dei Lincei ,. Roma, 1882. — Spiegazione della carta geologica del Friuli. Pavia, 1881. (3) De Aressanpri G., Osservazioni geologiche sulla Creta e sull’Eocene della Lombardia, “ Atti Soc. Ital. Sc. Nat. ,, vol. XXXVIII. Milano, 1889. (4) Canavari M., I terreni del Terziario inferiore e quelli della Creta superiore nell’ Appennino centrale, * Atti Soc. Tose. Se. Nat. ,, vol. VII Pisa, 1892. 568 PIETRO LODOVICO PREVER , e Mariani (1), accennarono a strati di scaglia eocenica nelle Prealpi venete e lombarde e nell'Appennino centrale; altri per contro, quali Lotti e Bonarelli, ritengono ora quella dell’ Ap- pennino centrale assolutamente tutta cretacea, e, come il Villa, ammettono che le Nummuliti fossero già comparse avanti il periodo eocenico. * L’Ing. Lotti (2), ad esempio, che riescì pure a dimostrare la presenza di Inocerami nell’ Eocene, e che insieme al Moderni raccolse i campioni in esame, ad eccezione di quello di Monte Tre Vescovi appartenente alla collezione Canavari, ritiene trattarsi di giacimenti appartenenti indiscutibilmente alla Creta, anzi egli privatamente informa, e il Moderni ne scriverà a lungo, che nei dintorni di Leonessa le Nummuliti sì trovano non solo nella scaglia rossa senoniana, ma pur nel sottostante calcare rosato, che va, a sovrapporsi, a luoghi, come ad esempio nei prossimi dintorni di Terentillo, direttamente e con continuità e concor- danza, sugli scisti a fucoidi dell’Aptiano. Egli si appoggia nel suo asserto sui fossili (specialmente Echinidi) studiati da Zittel, Bonarelli e da altri, provenienti dalla stessa scaglia. Perciò, non solamente non troverebbe dif- ficoltà ad ammettere la promiscuità di queste Nummuliti coi fossili cretacei, ma la troverebbe una necessità, non potendo ammettere che i detti Foraminiferi siano nati d’un colpo all'alba dell’Eocene mentre le condizioni di deposito rimanevano le stesse. All’obiezione poi, che sinora veramente i detti fossili cere- tacei non furono rinvenuti mai nella stessa località e negli stessi strati della scaglia nummulitifera, o che alternano coi calcari nummulitici, il Lotti fa osservare che, prima di tutto, non ne fu fatta accurata ricerca, e poi che la località principale (Visso), dove furono raccolti (e non erratici) i fossili senoniani studiati da Bonarelli, dista non più di 30 chilometri da quella dove tro- vansi le Nummuliti; e la scaglia è litologicamente la stessa. Oltredichè ricorda, in una sua lettera al prof. Parona, che gli (1) M. Marrani, Fossili miocenici del Camerinese, * Rivista Italiana di Paleont. ,, vol. VI. Bologna, 1900. (2) Lorri B., Inocerami nella scaglia cinerea senoniana presso Titignano (Orvieto), È Boll. Comit. geol. ,, Roma, 1902, e altri lavori in questo in- dicati. I SULLA FAUNA NUMMOULITICA, ECC. 569 Inocerami di Titignano (Umbria), studiati dal prof. Di Stefano, egli li trovò nella scaglia cinerea, cioè sopra alla scaglia rossa, e quindi in strati più giovani di quelli nummulitiferi di Leonessa. Però dice di non poter dare un gran valore cronologico a questi fossili, primieramente, perchè sono specie nuove, in secondo, perchè Inocerami furono da lui rinvenuti anche nell’Eocene nei dintorni di Firenze, nel Casentino e presso Barigazzo nell’Ap- pennino settentrionale, e questo fatto fu confermato dal De Ste- fani (1) e dal Dainelli (2). Osserva finalmente che la scaglia del- l’Appennino non si può dividere in due parti, una eocenica, l’altra cretacea, perchè i fossili senoniani si rinvennero nella scaglia rossa subito sopra il calcare rosato e i banchi nummulitici si trovarono in tutta la formazione, cioè nella scaglia cinerea, nella scaglia rossa e nel calcare rosato sottostante. Questo il fatto. È questa la dif- ficoltà per la risoluzione della questione, soggiungo io, chè, senza volere parteggiare piuttosto per l’una che per l’altra delle due opinioni, debbo però constatare il fatto di avere fossili eocenici, una parte dei quali (le Nummulites e le Alveolina) è eguale a quelli dei più bassi strati dell’Eocene di Potenza, in tipi di rocce che litologicamente si dovrebbero attribuire alla scaglia, e che geologi consumati, quali il Lotti appunto, ve li attribuiscono. Anche il Dr. Bonarelli, che pure conosce molto bene la geologia dell'Appennino centrale, ha testè a Roma, in occasione della riunione invernale della Società Geologica Italiana, fatta una comunicazione in cui, constatato il fatto, si schiera col Lotti nel ritenere che tale scaglia, e quindi le sue Nummuliti e quelle dei cal- cari con cui alterna, siano da ascriversi alla Creta. Verbalmente, in occasione d'una sua venuta al Museo Geologico di Torino, mi comunicava le sue impressioni e le sue opinioni, e mi faceva osservare che in tutto l'Appennino centrale, dal suo principio al nord sin presso Roma, che egli ha percorso, salvo qualche disturbo stratigrafico locale o qualche eccezione, la serie stra- tigrafica risulta, dall'alto al basso, costituita da: (1) De SreranI C., Osservazioni geologiche sul terremoto di Firenze del 18 maggio 1895, “ Ann. Ufficio centrale di meteorologia ,, vol. XVII. Roma, 1897. (2) G. DareLti, Appunti di stratigrafia sulla valle del Mugnone, * Pro- cessi verbali Soc. Toscana Sc. Nat. ,. Pisa, 1903. Ur al i PIETRO LODOVICO PREVER Eocene Flysch marnoso arenaceo; Bisciaro (Daniano?); Scaglia cinerea (Senoniano sup.); Scaglia rosata {Senoniano sup.) con fossili caratteristici della Creta; Calcare rosato senza noduli selciosi (Senon. inf. e Tur. sup.); Scisto nero bituminoso itiolitico (Tur. inf.); Calcare a Rudiste (Cenom.); Scisti albiani a fucoidi; Maiolica infracretacea. Le Nummutliti, secondo Bonarelli, proverrebbero dalla parte superiore del calcare rosato a contatto colla scaglia rosata; quindi sarebbero di età senoniana. Ad ogni modo risulterebbe in modo indubbio per entrambi questi geologi la presenza delle Nummuliti nella scaglia rosata (parte inferiore, senoniana). Anch'io sono dell’opinione dell’Ing. Lotti, che le Nummuliti non siano comparse d’un colpo all’alba dell’Eocene. Come noi abbiamo delle Nummuliti ancora viventi, come lo comprovano i lavori del Brady (1), del Fichtel e Moll (2), così pure ne ab- biamo altre che precedettero in terreni secondarî quelle dei ter- reni terziari eocenici. Lasciando in disparte la Nummulite dal Brady (3) erroneamente ritenuta del Carbonifero (4), abbiamo sempre la Numm. antiquior Rouill e Vos. degli strati carboniferi a Fusulina della Russia (5), la Numm. suprajurensis Alth. (6), (1) Brapy, Report on the scientifie results of the voyage of H.M.S. Chal- lenger, ete., “ Zoology ,, vol. IX. Londra, 1884. (2) Frcarer L. e Mor P. C. J., Testacea microscopica, ete. Vienna, 1803. (3) Brapy, On a true carboniferous Nummulite, È Ann. a. Mag. of Nat. Hist.,, serie IV, vol. XIII. Londra, 1874. (4) Van Den Broek, Une rraie Nummulite carbonifère, * Soc. Malac. de Belg. ,. Bruxelles, 1874. — Quelques considérations sur la découverte dans le calcaire carbonifère de Namur d’un fossile microscopique nouveau appar- tenant au genre Nummulite, “ Ann. Soc. Géol. Belge ,, vol. I. Bruxelles. (5) Rour.uer e Vosinsry, Etudes progressives sur la géologie de Moscou, “ Bull. Soc. Imp. des Natur. de Moscou ,, vol. XXII. Mosca, 1849. — MoLLer V., Die spiral-gewundenen Foraminiferen des russischen Kohlenkalks; ‘ Mém. de l’Acad. Imp. des Sc. ,, serie VII. St.-Petersbourg, 1878. (6) Arta A., Die Versteinerungen des Nizniower Kalksteims, * Beitr. z. Paliiont. Oesterr.-Ungarns u. d. Orients ,, vol. I. Vienna, 1882. SULLA FAUNA NUMMULITICA, ECC. Gy la Numm. jurussica Giimb. (1), la Numm. Humbertina Buv. del- l’Astartiano della Mosa (2), la Numm. variolaria? var. prima e la Numm. cretacea ambedue del Fraas e provenienti dalla Creta della Palestina (3). Però queste forme nummulitiche sono rarissime nella roccia che li contiene ed anche raramente si rinvengono in questi oriz- zonti, più vecchi di quelli eocenici. Qui al contrario noi abbiamo uno stato di cose che non pare localizzato, ma sembra interessi tutta l’Italia se fu rilevato dal Canavari nel Camerinese, dal Lotti e dal Moderni nell’Umbria e negli Abruzzi, dal Taramelli nel Ve- neto (nord di Belluno; Erto; molino Robanis di Meduno; dintorni di Segusino e di Possagno) e dal Villa per la Lombardia. Inoltre in questi calcari che alternano colla scaglia, e talora nella scaglia stessa, le Nummulites non vi sono rarissime, al contrario, vi sono abbondanti, talora copiosissime, e con esse vi ha un complesso di fauna nummulitica a spiccatissima fisionomia eocenica, talchè se la lista di questa fauna fosse comunicata a qualche studioso di Foraminiferi o di terreni terziarìi, non esiterebbe a dichia- rarla proveniente da qualche orizzonte del Luteziano inferiore. Poichè è noto che le A/veolina, così abbondanti nel Luteziano medio e inferiore e nell’Ipresiano, non scendono oltre il Tane- tiano, almeno per quanto risulta sinora, e le Orthophragmina anch'esse non si spingono più giù del Tanetiano stesso, mentre la Creta superiore è caratterizzata dalla presenza di forme di Lepidocyclina (Lep. socialis — gensacica, ecc.), e dalle forme del genere SuUvestrina (Silv. apiculata, — mamillata). Invece qui le Alveolina sono abbastanza ben rappresentate (Al». cfr. orolum, — decipiens, — oblonga, — frumentisformis). Il Dr. Bonarelli, cercando di farsi una ragione della pre- senza delle Nummuliti nella Creta, si domanda se non potrebbe qui applicarsi, estendendolo maggiormente, il concetto che ri- guardo alle differenze e analogie fra le formazioni nummulitiche dei bacini mediterraneo e parigino io già espressi nella mia nota (1) Giimeer C. W., Veber 2wei jurassischer Vorliiufer des Foraminiferen- Geschlectes Nummulina und Orbitulites, © Neues Jahr. f. Miner. ,, 1872. (2) Buvienier A., Statistique géologique du département de la Meuse. Pa- rigi, 1852. (3) Fraas O., Geologisches aus dem Orient, “* Wurtembergische naturw. Jahreshefte ,. Stuttgart, 1867. 572 È PIETRO LODOVICO PREVER Considerazioni sullo studio delle Nummuliti (1), affermando che le Nummauliti comparvero prima nel bacino mediterraneo e di qui migrarono poi nel bacino parigino. Certamente questo concetto inteso in senso più largo ancora di quanto l’intesi io stesso, quando lo formulai, può servire benissimo a spiegare la presenza di Nummuliti nella Creta, in prossimità dell’Eocene, ma non ne spiega certamente la grande abbondanza; e, anche passando sopra & questo punto, calcolando che l’abbondanza, è forse più di individui che di forme, non può spiegare la presenza delle Alveolina, delle Orthophragmina, ove dovrebbero trovarsi delle Lepidocyclina, delle Silvestrina. Sarebbe abbastanza strano che nel mare cretaceo di questa regione in cui vivevano così bene rappresentati questi generi di tipo eocenico, non vivessero pure quegli altri su accennati di tipo cretaceo. Ma mi fermo ora su questa via; il mio scopo è solo quello di render nota la fauna che in cotesti campioni ho potuto rin- venire e far risaltare, ove ciò sia possibile, la sua analogia o le sue differenze da quelle di qualche altra località cognita. Per l'appunto a questo proposito osserverò che questa fauna par- zialmente è eguale a quella studiata qualche anno fa nei calcari dei dintorni di Potenza (2). A_N-E. di Potenza «affiora l’Eocene in parte asportato, in modo che si possono vedere le sottostanti rocce cretacee che si mostrano, come ce lo fa sapere il Dr. Ca- peder (3), colla medesima facies caratteristica delle regioni cir- costanti, ove compare questo terreno, cioè di calcari bianchi 0 rosei privi di fossili. Negli strati più bassi dell’Eocene di Po- tenza io avevo trovato tra le altre forme nummulitiche la Brug- mina Virgilioi, la Brug. Ficheuri, la Brug. laevigata, la Brug. Heilprini, la Laharpeia Benoisti, la Laharp. Defrancei, ece., as- sieme a delle Orthophragmina e a numerose Alreolina (Alv. oblonga, — frumentisformis, — cfr. ovulum, — decipiens). Gli strati (1) Prever P. L., Considerazioni sullo studio delle Nummuliti, * Boll. Soc. Geol. Ital. ,, vol. XXII. Roma, 1903. (2) Prever P. L., Le Nummuliti della Forca di Presta nell’ Appennino centrale e dei dintorni di Potenza nell'Appennino meridionale, * Mém. Soc. Pal. Suisse ,, vol. XXIX. Ginevra, 1902. (3) Capeper G., Appunti geologici sui dintorni di Potenza, “ Boll. Soc. Geol. Ital.!,, vol. XX. Roma, 1901. eten nnt dann int ariani è % % Xx x N \ SULLA FAUNA NUMMULITICA, ECC. uo calcarei contenenti queste Nummulites, Orthophragmina, Alveo- lina, io sono sempre stato d’ opinione dovessero essere riferiti a terreni più vecchi dell’ Ipresiano, il quale è caratterizzato dalla Brug. elegans-planulata. Siccome io sono pure d’avviso che le Brug. bolcensis-spileccensis provengano esse pure da terreni più vecchi dell’Ipresiano, si potrebbe inferirne che cotesti calcari di Potenza, e le formazioni vicentine a Brug. bdolcensis-spileccensis, si debbano ascrivere al Tanetiano, o per lo meno allo Sparnaciano. D'altronde già nel Belgio e altrove fu accennato, sfortunatamente con dati troppo incerti, a sabbie con piccole Nummukti che sot- tosterebbero all'orizzonte caratterizzato dalla Brug. planulata- elegans. Appunto per questo ultimo fatto, e rammentando a pro- posito la precedenza di apparizione delle Nummuliti nel bacino mediterraneo, io non sarei affatto restio ad ammettere che le formazioni calcari eoceniche più antiche di Potenza, contenenti la suddetta fauna nummulitica, appartengano al Tanetiano, cioè al primo piano dell’Eocene inferiore, che dovrebbe perciò essere a contatto colla scaglia cretacea. Appunto la fauna nummulitica propria di questo piano sarebbe in tutto eguale a quella dei calcari intercalati alla scaglia e alla scaglia nummulitica di cui ci occupiamo. Si diminuirebbero così le distanze cronologiche fra queste due formazioni a fauna identica, per quelli che ritenes- sero le Nummuliti della scaglia di origine cretacea. Un’ altra analogia, anch'essa certamente non priva di importanza, mi resta ancora a far notare, che passa fra le due faune nummulitiche in discorso. Nei calcari alternati colla scaglia, e in questa, quando è nummulitica, io ho rinvenute le Brug. Virgilioi; — sub Vir- gilioi; — Ficheuri; — subFicheuri; — laevigata; — Heilprini; le Laharp. Benoisti; — Defrancei; la Gimb. parva, le Paronaea eocenica-subeocenica, ritrovando cioè in queste località (e suppongo lo stesso si possa dire della scaglia e calcari alternanti con essa nel Camerinese, nel Veneto e. nella Lombardia) le medesime forme degli strati eocenici più vecchi di Potenza non solo, ma altre forme che completano per l’appunto queste, poichè rappre- sentano di esse l’omologa a micro o a megalosfera. Passiamo ora a vedere le forme che ho potuto determinare nei campioni di ciascuna località. 574 PIETRO LODOVICO PREVER Monte Tilia (Leonessa): Strati nummulitici nella scaglia rossa, e scaglia rossa nummulitifera (1): Bruquierea Virgilioi n. f. 3 subVirgilici Prev. A Ficheuri n. f. — la sub Ficheuri Prev. ì subHeilprini Prev. Laharpeia subBenoisti Prev. 4 Defrancei d' Arch. Paronaea Heeri de la Harpe. Ù eocenica n. f. 5 subeocenica Prev. Orthophragmina Marthae Schlumb. A discus Rut. sp. Pratti Mich. cf. Chudeaui Schlumb. 5 dispansa Sow. È ‘ patellaris Schlot. sella d'Arch. Taramellii Mun-Ch. Uiocoian oblonga d'Orb. i frumentisformis Schwag. Ù ef. ovolum Stache. Operculina complanata Defr. ammonea Leym. »” n» Globigerina sp., Orbulina sp., Biloculina sp., Carpenteria sp., Textularia sp., Nodosaria sp., Pullenia sp., Pulvinulina sp., Qla- vulina sp., Idalina sp. Campi sopra Costa d'Aprile — Trivio (Leonessa). Scaglia rossa con nummulitidi : Bruquierea Virgilioi n. £. È subVirgilioi Prev. È sub Fichewri 5 laevigata Brug. giovane. subTaramellii Prev. subHeilprini Prev. (1) La fauna è assolutamente eguale nei calcari e nella scaglia, quindi per non fare inutili ripetizioni unisco queste due roece. uit SULLA FAUNA NUMMULITICA, ECC. 575 Paronaca Airaghii Prev. Alveolina sp. Operculina sp. Orthophragmina discus Rut. È dispansa Sow. Globigerine numerose e meno sviluppate in generale che nelle altre località, più: Ordulina sp., Pullenia sp., Pulvinulina Sp., Sp. Monte Jazzo (Posta). Banchi nummulitici intercalati alla scaglia rossa ad est del M. Jazzo: Bruguierea Ficheuri n. £. subFicheuri Prev. subVirgilioi Prev. 4 subCapederi Prev. subTaramellii Prev. Giimbelia subOosteri De La Harpe. Orthophragmina Pratti Mich. Marthae Schlumb. nummulitica Gimb. i Taramellii Mun-Ch. Alveolina cfr. ovolum Stache. ; decipiens var. dolioliformis Schwag,., Amphistegina sp., Nodosaria sp., Polymorphina sp. ee, ] Cerreto, Arrone (Umbria). Brecciola nummulitica in strati fra la scaglia cinerea, a contatto colla scaglia rossa e sotto le marne con selce nera eoceniche: Brugquierea subVirgilioi Prev. var. 5 laevigata Brug. Laharpeia subBenoisti Prev. Paronaea eocenica n. £. î Beaumonti D'Arch. P Heeri De la Harpe. Orthophragmina Pratti Mich. Archiaci Schlumb. nummulitica Giimb. A radians D'Arch. 576 PIETRO LODOVICO PREVER Orthophragmina aspera Giimb. = strophiolata Giimb. ; Taramelliù Mun-Ch. 1 stella D’Arch. Globigerina sp., sp., Orbulina sp., Cristellaria sp., Trunca- tulina sp., Lithothamninum sp. Sommità del Monte Massa (Leonessa). Calcare nummulitico intercalato al calcare rosso: Bruguierea subVirgilioi Prev. Laharpeia subBenoisti Prev. Orthophragmina discus Rut. x Marthae Schlumb. i Archiaci Schlumb. Globigerina sp., Orbulina sp., Discorbina sp., Pulvinulina sp., Rupertia sp. Monte Massa. Scaglia contenente il calcare nummulitico: — Nodosaria sp., Cristellaria sp., Pulvinulina sp., Rupertia? sp., Orbulina sp., Globigerina sp. Tra Monte Boragine e Monte della Nocella. Tra il calcare rosso: Bruquierea subVirgilioi Prev. 5 subHeilprini Hanth. Laharpeia subBenoisti Prev. Orthophragmina Pratti Mich. è Marthae Schlumb. Pulvinulina sp., Globigerina sp. Monte Tre Vescovi (Camerino). Calcare rosato contenente interstratificato il calcare nummulitico: Discorbina sp., Tertularia sp., Bolivina sp., Nodosaria sp., Gaudryna sp., Sphaeroidina sp., Pullenia sp., Globigerina sp., Ru- pertia sp. SULLA FAUNA NUMMULITICA, ‘ECC. 577 Sopra il podere Rivo (Piediluco). Scaglia rosata: Spicule di spugne (frammenti): Orbulina sp., Globigerina sp., Nodosaria sp., Bolivina sp., Gaudryna sp., Polymorphina sp., Cristellaria sp., Discorbina sp., Pulvinulina sp. Fatta eccezione delle Nummulites, delle Orthophragmina, delle Alveolina ed Operculina, mi sono limitato, per il resto delle forme, alla determinazione generica; primo, perchè non sempre avrei potuto arrivare alla specifica; secondo, perchè lo scopo principale del lavoro era lo studio dei primi generi, certamente di gran lunga più importanti di tutti gli altri; mentre questi ultimi li elencai per le diverse rocce onde far vedere come essi siano ripartiti egualmente nella scaglia e calcare nummulitiferi e nella scaglia non nummulitifera. Museo Geologico di Torino. 78 PIETRO LODOVICO PREVER — SULLA FAUNA, ECC. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA ped pdl pd pd fo > 0 POLIA UR INH . Bruguierea Virgilivi Prev. ” ” ”» » » ” . Laharpeia subBenoisti Prev. ”» . Giimbelia parva Prev. . Paronaea ”» »n . Alveolina subVirgilioi Prev. subFicheuri Prev. Heilprini Prev. ‘ subHeilprini Hanth. subTaramellii Prev. laevigata Brug. mutazione Benoisti Prev. Heeri de la Harpe Airaghii Prev. subAiraghii Prev. eocenica Prev. subeocenica Prev. subBeauwmonti de la Harpe. . Orthophragmina Archiaci Schlumb. Pratti Mich. discus Rutim. Marthae Schlumb. dispansa Sow. sella d’Arch. radians A Arch. aspera Gimb. varians Kaufm. nummulitica Giimb. patellaris Schloth. stellata d’' Arch. aprutina Prev, illyrica Prev. . Operculina complanata Defr. ammonea Leym. pyramidum Schwag. cfr. oblonga d'Orb. . Bruquierea Ficheuri Prev. . Orthophragmina Chudeaui Schlumb. NRE $ PREVER P. L. Formazione nummulitica Stab, Eliot. Ing. Molfes® - F. CASTELLANO — IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI, ECC. 579 ll birapporto di quattro punti nello spazio con applicazioni alla Geometria del Tetraedro. Nota di F. CASTELLANO. In questa nota mi propongo di definire il rapporto semplice di tre punti ed il birapporto di quattro punti comunque disposti nello spazio, applicando la teoria dei Quaternioni di Hamilton, e di dedurre le principali proprietà. Una quaterna di punti non complanari determina venti- quattro birapporti corrispondenti all'ordine dei punti stessi, i quali sono in generale tutti disuguali. Essi dipendono da tre argomenti (angoli) e da quattro vettori unità, che sono elementi importanti del tetraedro che ha per vertici i punti del birap- porto. Le relazioni tra i birapporti di quattro punti e la loro in- terpretazione costituiscono proprietà interessanti la Geometria del tetraedro; lo studio di particolari valori del birapporto permette la considerazione di tetraedri speciali, e facilita il modo di rile- varne le proprietà. Il rapporto semplice ed il birapporto possono servire come coordinate dei punti e delle rette dello spazio rispetto ad una coppia o ad una terna di punti dati. La notazione adottata è quella del “ Formulaire Mathéma- tique , di G. Peano, edizione del 1903, « 32, 33, 34, 35. LL Rapporto semplice di tre punti. 1. — Siano 4, b, C tre punti, e sia 5 distinto da C; chiamo rapporto semplice dei punti A, B, C e lo rappresento con (ABC) il quaternione quoziente del vettore A — Cl pel vettore B — C. 580 F. CASTELLANO ‘0 A, B,Cep.B—Cev—10.9. (ABC) =(A— C)/(B—C) def. di! (ABC) e qtr Ar B_-C)+][(B—- C)alA—-C ‘2 (ABC) da Lt St E ne Ù def. pos. Sia v il vettore unità del bivettore (B—0)a(A—C), sarà: 3 u=U |[[B— C)a(A— 0)].9. (ABC)=£0 © (cos B0A4 + u sen BCA) def. pos. ‘4 (4A80)= de gÉca. u A ‘5 T(ABC)= Tensor (ABC) = mod(ABC)=FG5 ‘6 U(ABC)= Versor (ABC) = ef@àu 8”; S(ABC)= Scalar (ABC) = real (ABC) = 2° cos BOA ‘8 V(ABC)= Vector (ABC) = Imag(ABC)= < senBUA. u ‘9 arg(ABC)= argomento(ABC) = BCA = angolo (CB, CA). Dalla delizia ‘0 e dalla relazione vettoriale: (4—B)+(B—0)+(C-4)=0 si deducono ancora le seguenti formole: ‘10 A—T-Bb, BC, C-Aev—-10.9. (BAC) = (ABC)* N (ACB)=1— (ABC) ‘12 (ABC)(BAC)=(BCA)(CBA)=(CAB)(ACB)=1 °13 (ABC) +(ACB)=(BCA) +(BAC)=(CAB)+(CBA)=1. Queste formole dicono che il rapporto semplice di tre punti A, B,C è un quaternione che ha per modulo il rapporto delle : ho È con iti IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 581 distanze di C da A e da B; ha per argomento l’angolo di CB con CA; il suo vettore è normale al piano ABC. Dipende dall’ordine dei punti, e tra i sei rapporti semplici corrispondenti alle sei permutazioni dei punti passano le stesse relazioni che legano i rapporti semplici di tre punti allineati. Sviluppando le ‘13 ed uguagliando gli scalari ed i vettori nei due membri si deducono le formole fondamentali della trigo- nometria piana. 2. Coordinata-rapporto. — Siano A, B due punti distinti; ad ogni punto P dello spazio corrisponde un quaternione (ABP) il cui vettore è normale ad A — B; ad ogni quaternione g diverso da 1, il cui vettore sia normale ad A— B, corrisponde un punto P definito dalla relazione: (ABPY=i9. Infatti: ‘0 qegqtr. A,B,P.ep. A-B—=0. (VgXxX(A—B)=0. q_=1.(ABP)=q9.9. (PAB)=(1— 9 MIR Bp(1- 9) (4005) P=B+[S(1 — 9)](A— B)+][[V(1—97]a[4— B]1. DO Ne consegue che i quaternioni con vettore normale ad A—B si possono assumere come coordinate dei punti dello spazio ri- spetto alla coppia di punti A, B. Se g è la coordinata di P rispetto alla coppia A, B, il punto P giace nel piano che con- tiene A, B ed è normale al vettore di 9g; il modulo di 9 ci dà il rapporto delle distanze di P da A e da 5; l'argomento di 9 è l'angolo sotto cui AB è visto da P. Il quaternione (1 —9)" ci dà le coordinate polari e le cartesiane, come è indicato nelle dEi Le formole che dànno in questi sistemi di coordinate la distanza di due punti, l’area del tripunto, l’angolo di due rette, le condizioni di allineamento, ece., si deducono senza difficoltà. re(1,...3).A,B, Pep.A—-B—=0, Mueouevi.tX (A B) —=0.(PBA4B)=m += 39,.0- 3° P=B+qg(4— B) Atti della R. Accademia — Vol. XL. 39 582 F. CASTELLANO È P,-P,= (9 q)(A— B) ‘5 P,P.= ABmod(gs—q;); ang(A— B, P,—-P.)=arg(g0—%1) 6 (P,PsPs) = (91 — 93) (92 — 43) = (919293) 7. PxPP,=arg(9:9x49) ‘8 [(P — P3)a(P._— P3) = 4B° V [(q1 — g3) conj (ge — 93) ARC CRE My Ma Mg 1 5140) MIE): -08=: =0 ecc. La relazione ‘6 può servire a determinare tutti gli elementi del triangolo P,P.P;, ed alla trasformazione della coordinata- rapporto quando ad una coppia (A, B) di riferimento si voglia sostituire un’altra coppia. La relazione ‘10 ci esprime la condizione di collimazione dei tre punti P,P,P;. È suscettibile di questa interpretazione: “Se da un punto si conducono i vettori delle coordinate-rap- porto dei punti di una retta, i loro estremi sono allineati ,. Dalla relazione ‘4 moltiplicando per us — w, si deduce: pi Ki: (Pà— P.)X(u—u)=0 cioè: “ I vettori delle coordinate-rapporto di due punti dànno sulla loro congiungente ugual proiezione ortogonale ,. Quindi: “ I vettori delle coordinate-rapporto dei punti dello spazio rispetto ad una coppia di punti (A, B) sono le velocità dei punti stessi in un moto rotatorio dello spazio rigido intorno ad: A4B.,. Coordinata-quaternione di una retta. — Sia g un quaternione di scalare m e di vettore (qualunque) , sia O un punto, / un vettore unità, e sia A= 0+I. Il vettore (u X /) I è il com- ponente di « parallelo ad /, ed il quaternione: U bet: Ma q_ (uX1)I + x (4) dove x è un numero reale, ha il vettore normale ad /. Posto: (PA0)=9—(uX DI+() (1) IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 583 si ha una corrispondenza reciproca tra il numero « ed il punto P. Per x=0, si ha: (40) =q- (XxX DI (1) quindi: i bat c | pg bay da cui: P=P+ au. 1 Variando x il punto P descrive una retta r parallela ad u. Il quaternione q si può assumere come coorDINATA della retta r rispetto al sistema (O, I). Dalla (1') si deduce: r P=0+mI+]|(va]) (2) P=04mI+zu+](va]). (2') | Il punto /, è il punto della retta r più vicino alla retta 0A; «lo scalare m del quaternione è la proiezione di OP, sulla dire- | zione 0A; la minima distanza di r da OA è data da mod(ual). Posto: = peî® dove p,@ sono numeri reali ed è è un vettore unità, sarà: P,= 04 (pcosp) /4- pseng. | (ia1). Se p=0, Po=0, la retta r passa per O ed ha la dire- zione del vettore è. Se @g=0 oppure p=t la retta » incontra 0/ nel punto Op ed ha la direzione di 4. Se (ia/)= 0, la retta » coincide colla retta OI. La coordinata-quaternione così definita non serve a deter- minare le rette parallele ad OA; per queste bisogna dare un punto. Data una retta » non parallela ad OA mediante un suo punto P ed il suo vettore «, è univocamente determinata la sua coordinata-quaternione 9g. Infatti il vettore di q è «; lo scalare m di g si deduce dalla (2°), ed è espresso da: (P— 0)qua| (val) DE cosPOA — cos(OP, r)cos(04,r), - —(wal) sen?(04,») 584 F. CASTELLANO Mi limito in questo mio lavoro ai pochi cenni precedenti sulla coordinata-quaternione della retta; l’analisi completa di questo concetto, lo sviluppo dei calcoli relativi, le applicazioni potranno essere argomento di altre ricerche; a mio avviso anche questa coordinata può essere un istrumento non del tutto inef- ficace per l’investigazione dello spazio rigato. Il. Birapporto di quattro punti nello spazio. 1. — Siano A, B,C, D quattro punti distinti; chiamo bi- rapporto di questi punti e lo rappresento con (ABCD) il quater- nione ottenuto moltiplicando (ABC) per il reciproco di (ABD), cioè per (BAD). ‘0 A4,B,C,DepA—B, A-_C,A-D,B—C, C-D,D—Bev—10.9. (ABCD) = (ABC)(ABD)Y* def. ‘1 (ABCD)=(ABC)(BAD) def. pos. ‘2 (ABCD)=(A— C)(B—CY!(B-D)(A-D)® def. pos. ‘3. (ABCD)e qtr ‘4 (ABCD)+(ACBD)=1 Dim.(ABCD) + (ACBD) = (ABC)(BAD) + (ACB) (CAD) = (ABC)[1 — (BDA)| + (A4CB)[1 —(CDA)] =1—(ABC)(BDA) — (ACB)(CDA) —1-[4- 08-07 RAM + (4-2) (e=25y (0 SA @ [(A—C)a(C- B)a(A—B)}(D—4)". Il trivettore tra | |] è zero perchè i vettori A—0, C—5, A-— B sono complanari, quindi il 2° membro si riduce ad 1, come si voleva dimostrare. ‘5 (ABDC) = (ABCOD)" Dim.(ABDO) = (ABD) (BAC)= (BAD)!(ABC) = — [(AB0)(BAD)]® = (ABD) (8). (*) a, begtr —10.9.a5-!= (ba). IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 585 Le formole ‘4, ‘5 esprimono che scambiando i punti medî il birapporto si cambia nel suo complemento all’1; scambiando i due ultimi punti esso si cambia nel suo reciproco come avviene per punti allineati. ‘6 (BADO) SIAT PARE, [[V(ABO)aV(BAD)| ‘7 (BADC)-(ABCD)=-——[(B—A)a(C—A)o(D—A)](B-4). Se i punti non sono complanari il trivettore tra [ | nella ‘7 non è nullo, ed il birapporto si modifica nel suo vettore quando si scambiano fra loro i due primi punti e contemporaneamente i due ultimi. Ne consegue che: “ I ventiquattro birapporti di quattro punti non complanari corrispondenti alle ventiquattro permutazioni dei punti stessi sono IN GENERALE tutti disuguali ,. 2. — Posto: (ABCD) = p, si deduce: (ACBD)=1— p (ABDC)y= p, (ACDB)=(1— p)" (ADBC)=1—p*, (ADCB) = p(p— 1)". I birapporti ottenuti tenendo fisso il primo punto e permu- tando gli altri tre hanno vettori paralleli, ed hanno lo stesso verso i tre vettori corrispondenti alle permutazioni cicliche BCD, CDB, DBC; ed hanno il verso contrario i tre vettori corrispon- denti alle permutazioni inverse DCB, BDC, CBD. 8. — Posto: (B— A)a(C— A)a(D— A) = 67 = 6 Volume ABCD sarà: y 127" (BADC)=(ABCD)+—— (B_A) (CDAB)=1—(CADB)=1—(ACBD)—— |; (C— 4)= — (ABOD) — FA Ai (oe. 986 F. CASTELLANO Ne consegue che i quattro birapporti: (ABCD), (BADC), (CDAB), (DOBA) Ù che hanno per tensore comune ce AD''B stesso scalare e non differiscono che nel vettore, quindi: “ Gli scalari ed i moduli dei ventiquattro birapporti sono a quattro a quattro uguali ,. hanno anche tutti lo 4. Argomenti e versori. — Sia «, il vettore unità comune ai birapporti: (ABCD), (ACDB), (ADBC) e siano ©, w, 9 i loro argomenti, avremo: i Gi ss AD, BC] (EBCDI E pg (ABD) ae ANUDESDI eni ABIN (ACDB) = sop 0 (ACBD)=-rooa VIBO: LA } SACRO Dalla relazione: (ABCD) + (ACBD)= 1 e dalle altre due analoghe, uguagliando gli scalari ed i vettori nei due membri, si deduce: AC. BDcosp + AB. CDceosy = AD. BC AD .BCcosy + AC. BDcosìt = AB. CD AB.CDcosd + AD. BCcosp = AC. BD ed anche: AB.CD Lidl AC.BD 2 AD. BC sen senw sen 0 da cui si deduce: Q+y+0=t ossia: “ Gli argomenti @, y, 0 sono gli angoli di un triangolo ed i prodotti degli spigoli opposti nel tetraedro sono proporzionali ai lati (oppure ai seni degli angoli) di questo triangolo ». IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 587 5. — Tenuto conto delle relazioni trovate potremo scrivere: (ABCD) ="2% ep; (ACDB) = È senO ap; (ADBC)= 22 gia, sen Spr 5 | Ne consegue che => sarà il tensore comune dei quater- néoni: (ABCD), (BADC), (CDAB), (DCBA) e che @ ne è l'argomento comune, mentre i loro vettori unità saranno generalmente diversi. Siano a, di, €,,d,, questi vettori unità, siamo in grado di esprimere mediante gli argomenti @, w, 9, ed i vettori 4,, 0,,€1,d i ventiquattro birapporti. Eccone il quadro: (ABCD) =" epui (ACDB) = senO papa, (ADBC)=SM® da; sen ny (BADC) == fi ed; (BDCA) = seno ew; (BCAD) = senP da (1) Fou sen® soma (CDAB) = epa; (CABD) = E pa: (CBDA) = EP da; sen0 sen seny | (DOBA) = P* c0d. (DBAC)= PO avan: (DACB = RE a )= sen® senp Gli altri dodici birapporti che si deducono scambiando in ciascuno gli ultimi due punti, sono i reciproci dei precedenti. Risulta così dimostrato che: “ / birapporti di quattro punti non complanari dipendono dai tre angoli di un triangolo e da quattro vettori unità ,. Se i quattro punti sono in un piano, i vettori unità sono uguali e normali al piano dei punti. In questo caso 1 birapporti sono a quattro a quattro uguali e dipendono da tre angoli di un triangolo; passano tra essi le relazioni che legano i birap- porti di quattro punti allineati (*). (*) Ho avuto occasione di studiare il birapporto di quattro punti di un piano definito intrinsecamente in un mio lavoro: Baricentro di un sistema piano di punti con masse immaginarie (£ Periodico di Matematica , Fase, IV, 1904). 588 F. CASTELLANO 6. — Siano a, db, c,d vettori unità normali alle faccie del tetraedro ABCD, e precisamente sia: a= UV(BCD)= U | [(C--D)a(B—D)]= vettore unità di (BCD) b= UV(ODA) e = UV(DAB) d = UV(ABC). Potremo scrivere: (ABCD) = sui eÉCd.d g- ADE ed analogamente per gli altri. Sostituendo in (1) avremo: N LAI N A ZN N eBCd.ad g-ADB.c—g@u. g0Dàt gABCA GP, e-DBA.c gACD.b — p8an Xx AN N A -N ZAN e-4Di.c gB0i.d — gp. g-UCBA g-BAdD.c — gp, CAB A g—BDC.a — g8dh è) (2) -N 2 AN 2 7x3 Let eDAd.b g-0Bd.a —p@ers gABÒ.A gODÀ.b — Por; e-BDl.a g0AB.d— pl, ZEN LN ZEN e PAZ) Vaia e-Bd.a g0ACI Pd, g-BAdDc gd — ph gACDL gDBÀ.c — giù Sviluppando i prodotti indicati nei primi membri ed ugua- gliando gli scalari dei due membri, si ha: \ cosp= cos BCA cos ADB + sen BCA sen ADB cos AB (3): — cosDÀCcos0BD + sen DACSsen CBD cos CD | — cosBCAcos DB +cosDA0cosCBD—cos(AC,BD)cos(AD,BC ed altre analoghe per w e per 0. Ne consegue il teorema: “«“ In un tetraedro il prodotto dei coseni degli angoli opposti ad uno spigolo più il prodotto dei seni degli stessi angoli per il coseno del diedro corrispondente allo spigolo è COSTANTE PER DUE sPigoLI OPPOSTI, ed è uguale al prodotto dei coseni degli angoli opposti al primo spigolo più il prodotto dei coseni degli angoli op- posti al secondo, meno il prodotto dei coseni degli angoli formati dalle altre due coppie di spigoli opposti ,. IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 589 Uguagliando i vettori nei due membri di ciascuna delle (2) si hanno tre espressioni per ciascuno dei vettori @,, di, €,, di; quelle relative ad a, sono: a, seng = sen BCA cos DB .d- sen4DB cosBCA .C— — senBCAsen4DB] (doc) a, seny = senCDA cos ABC. b + sen ABCcosCDA . d — (4) la: aa — senCDAsen ABC | (bad) a,seno = sen ACD cosDBA .b — senDBA cos40D . ce — — sen 40D senDBA | (cab) 7. Orientazione reciproca dei vettori a,, d,, ..., a, 0, ... — Eli- minando e-422.c tra le due prime equazioni della 1 colonna delle (2) si ha: ZN ZzN eBCA.d epPuz eP eBCA4.d da cui: ZN ZEN epr — g-BC4.d pa, pECA.d ed anche: ZN ZAN b, = e 8044 q, eB0da ZN ani Analogamente: CO Ge (5) A a ZAN a, = e 74554 6, eABÒd Le (5) si interpretano semplicemente: Il vettore 5, è il vettore a, ruotato di 2B0A intorno a d ” C4 ” di ” CB » d fai pruÎtra } Bo ri d ossia: “ L vettori abc, si ottengono l’uno dall’altro ruotando in- torno al vettore d di angoli uguali rispettivamente al doppio di ciascuno degli angoli del triangolo ABC ,. Od anche: “ I vettori a,, db, c, fanno angoli uguali col vet- 590 F. CASTELLANO tore d, e gli angoli diedri dei piani da,, db, dej sono rispettiva- mente uguali ai doppi angoli del triangolo ABC ,. Nella stessa posizione relativa saranno: di, €4, di, rispetto ad a ed alla faccia BCD cdi di n b s CDA di, dA, bi, ”» d ” DAB. Le formole (4) del N° 6 ci esprimono a; mediante b, c, d e gli angoli del tetraedro, ma non sono suscettibili di una inter- pretazione immediata; si raggiunge più direttamente lo scopo operando sulla relazione primitiva: RS. TAI epu — eBC4.4 etADB.c che si può scrivere: LA 2 ep pADB.c — gBCA.d Moltiplico per (A — 5) vettore che appartiene al campo di variabilità comune ai vettori d, c. Avrò: 9% WHOLE. (A—-B)= oÉCà.a (A— B). Osservo che: ef. (A—B)èil vettore A—-B ruotato di BCA nel piano ABC, quindi è anti-parallelo al lato BC in ABC; eADB.c (A— Bb) è il vettore anti-parallelo al lato BD in ABD; ep“ è il quoziente di questi vettori, quindi: a, è normale alle due anti-parallele ai lati BC, BD nei piani ABC ed ABD; © è l'angolo formato da queste anti-parallele. Dalla relazione: E pra ewu = gÉDÀ.b pABÒ.d si deduce che: a, è normale al vettore antiparallelo al lato CD nel piano ACD e che y è l'angolo che l’antiparallela al lato CD in ACD fa coll’antiparallela al lato BC in ABC. Dalla relazione: 79 Pas cÎun — g—-DBd.c gACD.b sti tiA IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 5OI si deduce che 0 è l'angolo che l’antiparallela al lato BD in ABD fa coll’antiparallela al lato CD in ACD, e si ritrova che a; è normale a queste due rette. Ne consegue che: “ Le anti-parallele ai lati della faccia BCD condotte dal vertice A stanno in un piano, e formano reciprocamente gli angoli ®, w, 9; è vettore a, è normale a questo piano ,. Ma le antiparallele ai lati della faccia BCD rispetto ad A sono normali rispettivamente ai circumraggi uscenti da A delle faccie concorrenti in A; ne consegue che il piano da esse deter- minato, che chiamerò piano anti-parallelo alla faccia opposta, è normale al circumraggio del tetraedro uscente da A, quindi: “ IL VETTORE 4, È PARALLELO ALLA CONGIUNGENTE IL PUNTO A COL CENTRO DELLA SFERA CIRCOSCRITTA AL TETRAEDRO ABCD ,. Tenendo conto delle altre relazioni che legano i vettori b,,6,,d, con a, b, c,d possiamo conchiudere che: “I vETTORI 4, dj, (1, dj DEI BIRAPPORTI DI QUATTRO PUNTI A, B,C, D sono PARALLELI RISPETTIVAMENTE AI CIRCUMRAGGI DEL TETRAEDRO ABCD USCENTI DAI VERTICI CORRISPONDENTI ,. 8. — L'analisi precedente per la determinazione dei vet- tori 4,, dj, €,,4, ha messo in vista alcune proprietà del tetraedro, che non credo inutile di enunciare. “ Se per un vertice di un tetraedro si conducono le anti-parallele ai lati della faccia opposta, queste stanno in un piano (anti-parallelo alla faccia opposta) che è tangente alla sfera circoscritta al tetraedro. Gli angoli che le tre anti-parallele fanno nel piano da esse determinato sono COSTANTI nei quattro piani corrispondenti ai quattro vertici ,. Aggiungerò che: “ IZ piano anti-parallelo ad una faccia, p. es. BCD uscente da A incontra la faccia stessa secondo la retta AB?.CD + AC®. DB+ AD?. BC ,. Questa retta ha per coordinate (momenti) in ciascuna faccia 1 quadrati delle distanze dei vertici di quella faccia dal vertice opposto. Le quattro rette così definite in ciascuna faccia, cioè le intersezioni delle faccie stesse coi loro piani anti-paralleli stanno in un piano solo nel tetraedro in cui il prodotto degli spigoli opposti sono uguali. i 592 F. CASTELLANO Infatti siano a, f, y, dò le rette di cui sopra nelle quattro faccie; cioè sia: a = AB?. CD + AC*. DB + AD?. BC R = BC?. DA + BD?. AC + BA?. CD y= CD?. AB + CA?. BD + CB?. DA dè — DA? BC + DB?. CA + DC. AB. Calcolando i momenti di a rispetto a f, di B rispetto a Y ecc., sì trova: mom (a, B) = (AC?. BD? — AD?. BC?) ABCD mom (8, Y) = (AB?. CD? — AC?. BD?) ABCD ecc. Se ne deduce che le rette a, 8, Y, è sono a due a due inci- denti solo quando: ACRI TT AD'RCCALZOI e siccome non concorrono in un punto, perchè giacciono nelle faccie del tetraedro, così si deve conchiudere che giacciono in un piano (*). II. Coordinata — Birapporto. 1. — Dati tre punti A, B, C non allineati, si può assumere come coordinata di un quarto punto D dello spazio il birap- porto (ABCD) sotto la condizione che il vettore del quaternione (*) Si perviene alle stesse conclusioni se nelle espressioni di a, f, Y, è invece di 2 si legge x, essendo » un numero intero positivo o negativo. Se nelle faccie del tetraedro sì considerano i punti A”, B", C*, D" coinci- denti rispettivamente con: AB". B + 40°, C+ AD". UDP BO”, C+ BD". D + + BA”. A; CD". D+ CA". A+ CB". B; DA", A -+ DB", BY DC". C, le rette AA", BB", CC", DD" concorrono in un punto solo quando nel tetraedro ABCD i prodotti degli spigoli opposti sono uguali. Il punto d’incontro delle rette AA", BB", CC", DD" in questo caso è il polo del piano delle rette a"f"y"ò”. IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 5983 che si fa corrispondere a questo rapporto, sia normale alla retta anti-parallela di BC in ABC. Posto: (ABCD) = pepe (1) con p e @ numeri noti ed 4, vettore unità normale alla anti- parallela di BC in ABCO, il punto D risulta determinato, e risultano determinati di conseguenza tutti gli altri birapporti. La terna degli argomenti si deduce dalle formole: senyw senò = [I y+0=r—q. Sia d il vettore unitario noto di (ABC), e siano a, 8, y gli angoli del triangolo ABC ed E il suo circumraggio. Avremo: __ seny seno _,,; = D& gp 0) sen® sen € | °° Î (ACD) = seno sent par g—fa \ senp sena che determinano le coordinate rapporto di D rispetto alle coppie (A, B) ed (A, C). Ne consegue: ZAN eADB.e — e-pu gvd La i (2°) eCbàb» — ga ed \ formole che ci determinano i vettori 6, c e quindi la giacitura delle faccie ABD, CAD, nonchè gli angoli ADB, CDA. Da esse sì deduce: cos 4DB = cos®g cost + seng seny cos (d, 41) 1 @ cos CDA = cosy cosf + senw senBf cos(d, 4,) sen4DB.c = senfcosp.d — sengpcosy. 4, + senpsenv](daa,) a (4) CsenDA.b=— sengcosyd+senycosf.a,+ senysen8|(daa,) \ 594 F. CASTELLANO I vettori d;, cr sono determinati dalle formole: bi= ea c, = eB1 ae P2, Il vettore a dato da: LN eB )C.a — e-8i cad da cui: cosBDC = così cosa + sene sena cos(b,, d) = così cosa + sen8 sena cos(41, d) (5) sen BDC.a = cos@sena.d — sen0cosa,b, + sendsena[(dad,) (6) Operando su a, b,c per Xd si ottengono i coseni dei diedri di spigoli BC, CA, Ab, ossia: sen BDCO.cosB0 = senacos0 — seno cosa cos (4, 41) sen CDA .cosCA = sen8 cos yw—seny cos8 cos(d, 4) (8) sen ADB.cos AB = sent cos p— senQg cosy cos(d, 4) 2. La proiezione del punto D sul piano ABC (piede dell’altezza calata da D) ha per coordinate baricentriche in ABC le proiezioni delle tre faccie concorrenti in D sul piano di ABC. Tenuto conto delle (8) si deduce facilmente che questo punto D' coincide col punto: sen?a cot0. A + sen?f cotyw B + sen? cotp. C — Be cos(d, a;)|sen2 a. A+ sen28 B + sen2y.C 9) è) e quindi cade sulla retta che unisce il circumcentro di ABC col punto: sen?acot 9. A + sen?Bcoty.B + sen?rcotp.0. Sia: gr» sen’acot0 + sen*Beoty + sen*fcot@ he: sena senf sent ones sen2a. A + sen2B.. B + sen2y. C Lo 4sena sen seny = circumceentro ABC sen’acot@0. A-+ sen?f coty. B + sen°Ycot@. € (9) ò sena senf senY ° IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 595 Sarà: DES ò .Da — 2cos(da))Di ò — 2cos(da,) È (10) Sia D3z la posizione occupata da D' quando aj =d, ossia quando cos(da,) = 1. Sia D, la posizione occupata da D' quando a,=—d, ossia quando cos(da,)= — 1. Sarà: — 8D;—-2D; . Mg Sy) 2. pg eo pari e e carie vir Da quindi: da) da DI (0 -+2)sen®? > .D,+-(d—2)cos?-° . Di (12) ò —2 cos da; I punti D3, D, soddisfano anche (per ipotesi) alle condizioni : (ABCD;) = pe®4; (ABCD.) = pe_®° (13) e sono i punti del piano ABC tali che le loro distanze da A, B, C sono proporzionali agli spigoli AD, BD, CD. Dalle (2), (2’) ecc. si deduce che le coordinate angolari di questi punti rispetto ad ABC sono rispettivamente: GiatriBooti Ber ad Ne segue che le rette AD3, BD;, CDs e le rette AD,, BD, CD, incontrano i cireumeerchio di ABC in due terne di punti che sono vertici di due triangoli uguali, e gli angoli di questi triangoli sono rispettivamente 0, w, P. Le coordinate baricentriche di D:, Dj in ABC sono rispet- tivamente: sena sen (a + 0) senf sen(B + w) seny sen(Y + ®©) sen0® i sen y ; sen® Se @g=yw=0 i punti D,, Dj coincidono coi centri isodina- mici di ABC. Il luogo dei punti tali che loro distanze da tre punti dati A, B, C sono proporzionali a tre segmenti dati AD, BD, CD è una circonferenza normale al piano ABC che ha per diametro 596 F. CASTELLANO il segmento D,, D,, quindi D3, Dj sono veduti da D sotto angolo retto, e siccome D;, Dj dividono armonicamente D;,D3, così si può aggiungere_ che le rette DDz, DD, separano armonicamente le rette DD,, DD, e bisecano gli angoli da esse formati. IL piano di queste quattro rette contiene l'altezza calata da D su ABC, con- tiene il cireumcentro di ABC e quindi il circumcentro del tetraedro. Ne consegue ancora che DD' è media proporzionale tra D,D' e D'D,, quindi: Vò*—4sen(da,) 2[d — 2cos(da;)] © DD'= 0; Dalle (13) si deduce: poema sena sen 9-91 | AB) senf sen® N _ senf sen0 da cui, dopo alcune riduzioni, si ricava: senf sen0. AB AD ; VsenasenB seny sen® seny sen0(d—2) Lai (14) = senf sen0. AB n VsenasenBsenY sengseny sen8(d +2) i DiDe= Sa dove R è il circumraggio di ABC. (14) Quindi: sc _2Rsen (da) DD' = altezza tetraedro = 3 Bobba Fpoî — m_ 4 ps senasenBseny sen(da,) Volume ABCDE=R= 3 R3 RN, : (16) Gli spigoli AD, BD, CD si deducono dalle (2). Si trova: N0== OI sen0 va} ee IU È} CD = 2Rsena e senQ IL BIRAPPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 597 dove: A == Vsenasen8seny sen seny sen8 [d --2cos(da;) ]. Il circumraggio del tetraedro è dato da — ed è indi- i sen(da,) pendente da p e da g. Gli altri elementi del tetraedro ABCD, cioè i seni dei triedri, gli angoli degli spigoli opposti, le distanze degli spigoli op- posti ecc., si deducono immediatamente dalle formole precedenti. 8. — Dalle considerazioni e dai calcoli svolti nel numero precedente, risultano segnalati punti e rette notevoli nelle faccie del tetraedro, che corrispondono a proprietà di questa figura, che si possono raccogliere in questo teorema: Se per un vertice di un tetraedro si conducono le bisettrici interne ed esterne di ciascuna delle faccie concorrenti in quel vertice, fino ad incontrare i lati della faccia opposta in tre coppie di punti, i punti medì di queste tre coppie sono allineati. Le sfere che hanno per diametri le congiungenti queste coppie di punti pas- sano per il primo vertice e si tagliano secondo una circonferenza. Il piano di questa circonferenza è normale alla faccia stessa, la incontra secondo un diametro del suo circumcerchio, e contiene il circumcentro del tetraedro. I punti d'incontro di questa circonferenza colla faccia a cuì è normale, sono punti notevoli della faccia stessa. Se si protettano questi punti dai vertici delle faccie sul proprio circumceerchio si ottengono quattro coppie di triangoli tutti simili. I lati di questi triangoli sono proporzionali ai prodotti degli spigoli opposti nel tetraedro. Se si chiamano rispettivamente 09, w, @ gli angoli di questi otto triangoli simili (che a due a due sono uguali), saranno punti notevoli del tetraedro i punti delle faccie che hanno in ciascuna di esse per coordinate baricentriche le potenze enne- sime dei seni di 6, y,@. Sono i punti: sen"p . B+ sen"y. C+ sen"0 . D, sen"0.C+ sen"y. D+ sen"p. A sen"p.D+sen"y. A + sen”0 . B sen"8 . A+ sen"y. B+ sen"p. C che chiamerò rispettivamente 4", B", C*, D", con » intero. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 40) 598 F. CASTELLANO Molti altri punti notevoli si possono dedurre da questi colla trasformazione isogonale od isotomica, e molte rette notevoli colla polarità. Non è oggetto principale di questo lavoro il ricercare le proprietà di questi punti; mi limiterò ad enunciare le più ovvie: 1° I punti A”, B", C*, D" hanno per baricentro comune quello del tetraedro. Infatti: A%4 BA: + De = Al Bit 4A 2° Se gp=y=40 i punti 4°, B", C*, D". comeldonogicoi baricentri delle faccie. In questo solo caso le rette AA", BB", CC", DD" concorrono in un punto. 3° I punti reciproci dei punti coniugati isogonali di A?, B?, C?, D? sono quei punti della faccia che hanno per coordi- nate baricentriche i quadrati degli spigoli esterni a quella faccia. 4° I centri delle sfere d’Apollonio passanti per D relative ai lati AB, BC, CA sono i punti: sen?a © sen? ? sen’ sen?y: * sen’f sen’a sen? | sen'y sen'y » _sen’@ sen°@ Gr sen®0 | e stanno sulla retta: IERI PORRI Ig TT] sen°@ sen?0 sen?y La coniugata isogonale di questa retta è la polare del re- ciproco di D?. La sua coniugata isotomica è la retta secondo cui la faccia ABC è incontrata dal suo piano antiparallelo condotto per D. IV. Tetraedri speciali e notevoli. 1. — Sono quelli che corrispondono ad un particolare e notevole birapporto dei loro vertici. a) ama I punti ABCD sono i vertici di un quadrangolo piano. 8) imag(ABCD)= 0. IL BIRARPORTO DI QUATTRO PUNTI NELLO SPAZIO, ECC. 599 I punti ABCD sono conciclici. T) (ABCD)=— 1. I punti ABCD formano un gruppo armonico, ed il quadran- golo ABCD è un quadrangolo piano ed armonico (*). ò) mio AC X BD= AD x BC= AB x CD/2sen 3; 12) = I D 2. Bid =0 Il tetraedro ABCD è inscritto in un emisfero, che ha per centro il cireumcentro di ABC. Introducendo l’ipotesi cos(4,,4)=0, sen(a,,d4)= 1 nelle formole del $ III esse sì semplificano note- volmente. cos ADB = cosg cost sen ADB cos AB = sen cos® cos CDA = cosy cos$ sen CDA cos CA = sen8 cosy LN N = cos BDC = così cosa sen BDC eos BC = sena eosì d_-2)D.4(d+2)D, Vi di nà ai ( i )D; 2d , i: . SI — a ecc. 3. — Tetraedro equi-anarmonico. Sia: IT (ABCD)= e?" Dico che i punti A, B, C, D formano un gruppo equi-anar- monico, e che il tetraedro ABCD è equi-anarmonico. Dall’ipotesi si deduce: IT a (ABCD)=(ACDB)=(ADBC)=e* IT x Ti (ACBD) =(ABDC)= (4DCB)= eÈ (*) Si veda il lavoro citato: Baricentro di un sistema di punti ece. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 40* 600 F. CASTELLANO quindi: dui pia 3 AB XCD = BC A La 74 -°% 2 NORCO CLASSE SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 16 Aprile 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D’OVIDIO PRESIDENTE DELL ACCADEMIA ’ Sono presenti i Soci: NaccarIi, SeGrE, FiLeti, PARONA, MoreRA, Grassi e JADANZA che funge da Segretario. Scusano la loro assenza i Soci SALVADORI, CAMERANO, GUIDI e MarTIROLO. Si legge e si approva l’atto verbale della seduta precedente. Il Presidente comunica una lettera del Prof. Simone NEwcomB di Washington che ringrazia per la sua nomina a Socio corri- spondente. Il Socio Segre presenta per l'inserzione negli Atti, a nome del Socio nazionale non residente Luigi BrANcHI, una nota del Dr. Guido FuBixi, intitolata: Alcuni nuovi problemi che si pre- sentano nella teoria delle equazioni alle derivate parziali. Il Socio MorERA, a nome del Socio nazionale non residente VoLTtERRA, presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un lavoro del Prof. E. ALmansI, intitolato: Sull’equi- librio dei sistemi disgregati. Il Presidente nomina una Commis- ‘sione perchè l’esamini e ne riferisca in una prossima adunanza della Classe. Atti della B. Accademia — Vol. XL. 41 616 GUIDO FUBINI LETTURE Alcuni nuovi problemi, che si presentano nella teoria delle equazioni alle derivate parziali. Nota di GUIDO FUBINI. Le seguenti pagine studiano alcuni tipi di equazioni alle derivate parziali: le equazioni differenziali in due variabili indi- pendenti di tipo iperbolico ($$ 1, 2), le equazioni in più di due variabili indipendenti, che chiamerò equazioni di Bianchi-Nic- coletti ($ 4) e infine le equazioni, le cui caratteristiche sono in parte reali, in parte immaginarie ($ 5). Incidentalmente studio ($ 3) un problema, che si può considerare come una generaliz- zazione del problema dell’inversione degli întegrali definiti. In questa nota mi accontenterò di enunciare, piuttosto che di dimostrare i teoremi, che man mano andrò esponendo: e ciò, per non allungare inutilmente queste pagine con dimostrazioni, le quali non presenterebbero alcuna novità, in quanto che esse si ridurrebbero a una semplice ripetizione delle considerazioni, ormai tanto note, che si usano nelle applicazioni del metodo delle approssimazioni successive. Mi accontenterò inoltre (e spe- cialmente nei $$ 4, 5) di svolgere soltanto qualche esempio par- ticolare: le generalizzazioni sono numerosissime e si presentano spontanee. Insomma lo scopo di queste pagine non è già quello di dare metodi nuovi, ma soltanto quello di mettere in luce alcuni nuovi problemi al contorno (Randwerthaufgaben), che si possono pre- sentare per le equazioni differenziali. Fra l’altro, mi sembra in ispecial modo interessante il risultato che per alcune equazioni differenziali del tipo iperbolico in due variabili indipendenti esi- stono varie classi di contorni chiusi, lungo cui si possono pre- fissare “ a priori , i valori di un integrale, appunto come se si trattasse di un'equazione del tipo ellittico ($ 2, III° e IV° Caso limite). Si trovano poi alcune curiose proprietà di questi integrali. ALCUNI NUOVI PROBLEMI CHE SI PRESENTANO, ECC. 617 $ 1. — Sia data l’equazione: du du du il ir Ù (1) dedy f| de? dy° U, Xx, Y dove la f è una funzione (di 5 variabili) soddisfacente alle con- de! dy siano coordinate cartesiane ortogonali in un piano rappresentativo; indicheremo con O l’origine degli assi. Siano A, B due punti posti rispettivamente sull’asse delle x e sull’asse delle y, e sia È il rettangolo di cui 0, A, B sono tre vertici. È ormai classico il teorema che in R esiste uno e un solo integrale u della (1), che su OA, OB prende valori prefissati arbitrariamente. Se poi T è un arco di curva terminato ai punti A, B, che sia contenuto tutto nella regione x 2 0, y= 0, che non sia incontrato da alcuna retta caratteristica (x = cost., y= cost.) in più di un punto, che pos- segga in ogni punto una tangente determinata, che non abbia alcuna tangente parallela all’ asse delle x o a quello delle 7, allora è pur ben noto il teorema: Esiste in R uno e un solo integrale u della (1) tale che su V la u e la sua derivata normale abbiano valori prefissati (*). Goursat ha infine dimostrato recentemente (“ Annales de la Faculté de Toulouse ,, 1904): Un integrale u della (1) è in generale determinato in un’area abbastanza piccola, quando si diano î suoi valori lungo due curve l, hi, le quali escano da uno stesso punto A, non abbiano, oltre A, alcun altro punto a comune, non siano incontrate ciascuna da alcuna caratteristica in più di un punto, e siano di più tali che le due caratteristiche, uscenti da A, rimangano esterne all'angolo formato dalle curve T, N in discorso. Su queste due curve poi i valori di u si possono prefissare a piacere. Questo teorema del Goursat può recare sorpresa, perchè le curve l, [" si possono considerare come costituenti un’unic: curva €, lungo cui è sufficiente conoscere i valori di un inte- dizioni di Lipschitz rispetto alle u. Supporremo che le x, y (*) Qui supponiamo senz'altro che la f sia definita per tutti i sistemi di valori finiti della x, y, « de, ni se ciò non fosse, bisognerebbe sup- porre KR abbastanza piccolo, ecc., ecc. (DarBovXx, Théorie des Surfaces, IV® partie; note I par M. E. Picarp). 618 GUIDO FUBINI grale, per determinarlo completamente. Ciò non è però contrad- ditorio coi teoremi precedenti, perchè esistono infinite caratte- ristiche, che incontrano C in due punti (uno posto su F, uno posto su N’), anzichè in uno soltanto. Noi dimostreremo ora un teorema più generale. Dimostre- remo cioè che per determinare un integrale « della (1) si pos- sono dare (ad arbitrio) i suoi valori lungo due curve , l', uscenti rispettivamente da due punti distinti A, A' di una stessa carat- teristica y=0, e lungo il segmento A4' di questa caratteristica. Il teorema, enunciato con precisione, è il seguente: Nel quadrante positivo del piano (x, y) sia dato un arco di curva T (0) che sia incontrato da ogni caratteristica in non più di un punto, che abbia in ogni punto una tangente variabile con continuità (la quale non sia mai parallela a uno degli assi coor- dinati) e che infine sia terminato a un punto A (A') della carat- teristica y= 0 e a un punto B (B') della caratteristica x = 0. I due archi F, T' siano sempre a distanza finita l'uno dall'altro; i punti A, A’, B, B' siano distinti dall'origine O. Sia p. es. 0A">OA; sarà pure 0B'>OB. Se allora OA', OB' sono sufficientemente pic- coli (*), esiste nel rettangolo R (di cui O, A', B' sono tre vertici) uno e un solo integrale u della (1), che sugli archi AB, A'B' e sul segmento AA' (oppure sul segmento BB') assume valori prefis- sati arbitrariamente. Non si diminuisce la generalità, supponendo che questi va- lori siano nulli; infatti se @ è una funzione, che in T, [', Ad' prende i valori prefissi, la funzione v= u — @ si annulla sul, r', AA' e in È soddisfa alla: Wy d? i dv d@ de i) ag a iui dg La LL HIR+ oto ag). Basterebbe quindi studiare questa equazione, anzichè la (1). Supponiamo dunque senz'altro nulli i valori prefissati su [, r', AA'. Porremo poi, come suggeriscono i noti metodi delle approssimazioni o integrazioni successive: u=limu, n= (*) Ciò che si può sempre ottenere con una conveniente omotetia di centro 0. ALCUNI NUOVI PROBLEMI CHE SI PRESENTANO, ECC. 619 dove le u, su T,M, AA' si annullano e in È soddisfano alle: dun Ma QUn=1 sefie; FOA ® uoe= 0; a Fai Mi), y) (n= 1). Per determinare successivamente le u,, basta dunque saper costruire in È un integrale w di un’equazione: Ci (dove y(x, y) è una funzione nota), il quale si annulli su FT, 1, AA°. Questo integrale sarà dato da una formola del tipo: w= F(2, 4) + Mx) + u(y) dove F(x, y) = f da fi y{(x,y)dy, e dove le Mx), u(y) sono fun- zioni rispettivamente della x e della y, che si tratta di deter- minare in £. Evidentemente la u (che è funzione della sola y) è determinata in È, quando ne siano noti i valori su l”. Sia E, un punto di l'; noi indicheremo con E, quel punto, in cui la retta #=cost, uscente da £', incontra F, con E; quel punto, in cui la retta y= cost, uscente da 4, incontra F', con E, quel punto, in cui la retta x = cost, uscente da £,', incontra l e così via. Arriveremo finalmente a un punto £;/ di T' tale che la retta x = cost uscente da esso incontra A4' in un punto £,. Sarà chiaramente M£Ex)= MZ}); u(4) =U(E",) dove è rispet- tivamente k=î, k [F(x) — FW) + W(Ey) — WE) =0 k=0 donde: @) u(Ey') = (E) — 2 [F(By) — FE)]: 620 GUIDO FUBINI Ora, siccome noi dobbiamo soltanto determinare X+-p, pos- siamo intanto determinare 4, in modo che per y=0 sia u=0. La u sarà quindi nulla in tutto il segmente A4' e quindi anche nel punto £i;. La (2) ci determina quindi senz'altro la p in un punto qua- lunque E," di F', come appunto si voleva. Ora poichè su AA' sono nulle tanto la w, che la e la pu, sarà pure nulla la —w—F— yu. Basterà dunque, affinchè la \ sia nota in tutto È, determinare ) sull’ arco T: ciò che si compie con un metodo affatto analogo al precedente. È ora necessario trovare un limite superiore di F,),u e delle loro derivate prime nel rettangolo È. Indicheremo con 2 il più grande dei lati di R e supporremo che in È sia |@] < MK (i,k=1,2;i+-k<3), dove con M indico il massimo valore assoluto di y e con X una costante, che si può rendere piccola a piacere, impicciolendo R. Si trova poi: d0 | 0920 | | (Y D) dG ar ) 15] | [rai Soetl eci Bel dove H è una costante finita. Ora se / è il più grande dei segmenti OP, 0Q è |a|», ECC. 669 brium, o cenobrium poco importa. Teofilo ha un capitolo inti- tolato: De cenobrio. Ma anche sotto questo riguardo il testo dato dal Salazaro non è peggiore di quello dato da Lecoy. Nè Teofilo, nè Eraclius, nè altri autori tecnici di questo tempo hanno scritto un bel latino; il Composttiones ad tingenda è scritto in un latino barbaro, molto sgrammaticato. Ci vorrebbe altro che tentare di correggere questi testi! Questi manoscritti antichi bisogna riprodurli esattamente quali sono, senza tentare, eccetto casi evidentissimi, di correg- gere gli errori di ortografia o gli errori de’ copisti; con queste correzioni sistematiche si corre pericolo di alterare il testo, scritto forse in origine da artigiani, introducendovi delle con- getture e delle interpretazioni moderne. Quando si voglia pubblicare qualche manoscritto che trovasi nelle nostre biblioteche, e che tratta di scienza o delle arti tecniche, si dovrebbe interpellare chi ha la dovuta competenza: in questi casi l'essere paleografo non basta; per la trascrizione esatta del testo e per le annotazioni occorre il concorso dello scienziato, al quale spetta la parte più importante del lavoro. Desiderando io di compiere degli studì storici e sperimen- tali sui colori usati dagli antichi, ho dovuto, naturalmente, oc- cuparmi anche della miniatura e de’ libri antichi che trattano di quest’ arte. Così, io presi vivo interesse a conoscere l’opera, relativamente recente, data alle stampe dal Salazaro nel 1877. Quasi subito però mi colpì il modo superficiale, col quale era stata scritta la prefazione e fatte le annotazioni; alcune direi, non poche anzi, delle quali, possono trarre in errore il lettore. Lo studio di questi antichi trattati ha una notevole impor- tanza, perchè serve a stabilire la concatenazione, il modo gra- duale col quale si sono sviluppate le arti chimiche nel medio- evo per arrivare sino a Biringucci (1540). Ed essendochè, come già dissi, questi manoscritti de’ secreti, ecc. sono in gran parte italiani, tanto più è doveroso che dagli italiani siano tolti dal- l'obblio. E perciò, quando ebbi esaminato questo libro, pensai di ripubblicarlo con alcune note esplicative che servissero come commento e come correzione alle annotazioni fatte dal Salazaro e dal Lecoy. L'esame attento di questo lavoro mi persuase a poco a poco che non solo era stato incompletamente e inesatta- mente annotato o commentato, ma che il manoscritto stesso 670 ICILIO GUARESCHI scoperto dal Caravita ed illustrato dal Salazaro e dal Lecoy non era forse tanto antico quanto questi autori dimostrano di credere. Per varie ragioni ho creduto utile rifare la traduzione ita- liana. Di questo lavoro si è incaricato l’egregio Dr. Mario Zucchi, ed io credo ch’egli abbia adempiuto il suo còmpito molto lo- devolmente. Kd ora appunto discutiamo brevemente intorno al tempo in cui fu scritto questo trattato: De arte illuminandi. Nella prefazione il Salazaro scrive: “ Da non pochi serit- tori fu lamentata finora la mancanza quasi assoluta di un qualche trattato sull'arte gentile dell’alluminatura o miniatura, che avesse potuto darci notizie del metodo tenuto dai cultori di quest'arte durante il periodo del medio-evo ed il seguente. Ed in vero è stata questa una lacuna nell’istoria del risorgimento artistico in Italia, che da ogni parte veniva riconosciuta; ed i più recenti ricercatori delle patrie glorie tentarono ogni via per raccogliere documenti negli archivi "e nelle biblioteche a fin di rintracciare in certo modo gli elementi di questo ramo importante di studî. E nessuno riuscì mai, per quanto sappiamo, a dirci in modo speciale quali mezzi furono adoperati dai claustrali o altri ar- tisti per decorare ed arricchire di miniature tanti preziosi codici che ancora si osservano negli archivì e ne’ varì musei d’Europa ,. “ Per la qual cosa, quando nel 1872 il nostro chiarissimo e compianto amico p. A. Caravita, fra’ codici della Biblioteca Nazionale di Napoli, riconobbe un trattato del 300 sulla minia- tura, destossi, come è naturale, il desiderio de’ dotti. Ed in fatti, appena fu tra noi annunziata tale scoperta, che tosto i giornali artistici ed archeologici stranieri si affrettarono di darne agli studiosi l'importante notizia. Laonde crediamo nostro debito, come cultori di siffatti studî, dare al presente trattato quella pubblicità che a giusto titolo il documento richiede ,. “ Molti per fermo parlarono de’ miniatori, ma nessuno sulla miniatura, cioè sul modo di comporre e conservare i colori, e di usare l’oro e l'argento, nonchè sulla formazione de’ liquidi gommati per dare consistenza e durabilità alle opere disegnate miniate (1),. (1) Gia Teofilo ha dei capitoli interi nei quali a lungo discorre. delle varie colle (della pelle, di cervo, di pesce); della colla a vernice; della maniera di indorare e argentare i libri; del modo di usare i colori all’olio e alla gomma; de omni genere glutinis in pictura auri; quomodo colores in libris temperentur, ecc.! OSSERVAZIONI SUL «DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 671 Ecco le notizie principali che dà il Salazaro intorno questo manoscritto : “ Esso è un codicetto in 8° p. cartaceo, segnato XII. E. 27, e componesi di 10 carte scritte con caratteri gotici, piuttosto tondi e piccoli, e con lettere d’inchiostro sbiadito, addossate le une alle altre, che spesso ne rendono difficile l’interpretazione. “ Il tempo che deve assegnarsi al codice è il XIV secolo. È copia d’altro più antico manoscritto originale. E che sia tale, apparisce dall’uguaglianza e dall’accuratezza della scrittura, dal non esservi molte abbreviazioni, da talune parole lette erronea- mente dal manuense, e da altre lasciate in bianco. Nè questa copia fu del tutto condotta a termine, perchè mancano le iniziali dei capi, e la intitolazione del trattato col nome dell’autore, chè una mano più esperta doveva colorire e fregiare gli ornati, secondo era costume. L’autore poi dell’opuscolo, il cui nome fu ommesso di scriversi al principio della copia, e che pur tuttavia noi possiamo ben dire che fosse napoletano, sia pel modo di esprimersi, sia per alcune frasi o voci prese dal dialetto, visse in questo secolo XIV, certo non prima della fine del precedente, citandosi da lui l'autorità di Alberto Magno. In guisa che ben sì può affermare ch'egli fosse vissuto circa un secolo (?) innanzi il Cennini, il quale sappiamo nato nel 1372, e che probabilmente non compose il suo libro che nel XV secolo. Scrisse con barbara latinità; e frequentemente le parole non hanno di latino che la sola desinenza; occorrono anche non pochi errori, i quali forse più che all'autore del trattato, debbono attribuirsi all’ignoranza dell’amanuense. Sembra che il nostro anonimo abbia avuto in mente di confutare altro trattato sulla miniatura di non sap- piamo dire quale altro autore. E questa nostra congettura pog- giamo sulle parole da lui messe a principio, sine aliqua attesta- tione, caritative tamen, dove accenna altresì a molti altri trattati sulla miniatura, scritti prima del suo, i quali certamente anda- rono perduti, o giacciono tuttavia sepolti in qualche biblioteca ,. Il Salazaro era talmente entusiasta di questa scoperta, che dopo aver brevemente accennato al Compositiones ad tingenda (1) che trovasi nelle Antig. Ital. del Muratori, al Teofilo, Diversarum (1) Questo trattato di ignoto autore che il Salazaro crede del IX secolo, è invece del secolo VIII. 672 ICILIO GUARESCHI artium schedula, all’Eraclius, De coloribus et artibus Romanorum ed al Cennino Cennini, Trattato della Pittura, scrive, con evidente esagerazione: “ Come si vede dai loro titoli, poco, anzi nulla può raccogliersi da queste opere che valga a gittare una qualche luce per iscorgere i metodi seguiti dagli artisti nel miniare i loro codici. A ciò mirabilmente risponde questo trattato, che per la prima volta va alle stampe, e che, è a credere, soddisferà pienamente i voti de’ cultori di patrie memorie ,. Certamente, dai titoli solamente non possiamo giudicare se questi libri trattano della miniatura o no, ma bisogna leggerli. Il Lecoy (loc. cit., p. 249) scrive: “ Il manoscritto è vero- similmente un originale o almeno almeno una copia contempo- ranea. La scrittura è quella che gli scribi italiani usavano nella seconda metà del XIV secolo. Il trattato è completo, ecc..... Il titolo generale del libro solamente ci manca, ma non vi è ra- gione per non adottare quello che è nel catalogo della biblioteca di Napoli: De arte illuminandi ,. “ L'autore non si è fatto conoscere, ma la sua nazionalità è resa manifesta da certe frasi, dall’ortografia e da idiotismi significativi. È certamente un italiano e senza dubbio un napo- letano o forse un romano, ece. ,. In altro luogo il Lecoy, dopo avere accennato alle opere di Teofilo, di Eraclio, ece., scrive (1): 6 Il trattato di Eraclius: De coloribus et artibus Romanorum, quello di Pierre de Saint-Omer: De coloribus faciendis, e quelli di alcuni anonimi italiani non sono speciali alla miniatura. Ma ve ne è uno che si occupa esclusivamente della miniatura e che ci dà sulla pratica degli insegnamenti che sono i più completi ed interessanti; è un opuscolo inedito che abbiamo trascritto dall'originale della Biblioteca di Napoli e che ha per titolo: De arte illuminandi. L'autore, secondo gli indizi che emergono dal - testo, era un uomo del mestiere, italiano, e molto probabilmente napoletano. La scrittura del manoscritto ci dimostra che fu re- datto verso l’anno 1400; si riferisce dunque alla più bella epoca della miniatura ed emana da una delle più brillanti scuole. Eccone (1) Lecoy pe ra Marce, Les manuscrits et la miniature. Paris, Quantin édit., pag. 309. OSSERVAZIONI SUL. « DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 673 l'esame sommario di quest'opera che ci dà un'idea chiara dei processi in voga nel medio evo ,, ecc. Già il romano Eraclius non ha forse de’ capitoli interi della sua opera (della quale molti parlano, ma che non conoscono) che trattano dell’applicazione dei colori alla miniatura? Nel Libro IH del De coloribus et artibus romanorum (1), Eraclius, o chi poco dopo scrisse questo libro in prosa in aggiunta ai due primi in versi, tratta spesso della miniatura e dà delle notizie impor- tantissime, come ad esempio nei capitoli: (LVI) De miscendis inter se coloribus pingendo et illuminando, et de modis cum de ipsis implentur opera et matizantur et inciduntur alter ex altero; (LVII) De coloribus sibi contrariis; (LVIII) De diligentia quae haberi debet circa naturas colorum, et de modis miscendi, est inter se, et incidendi, et matizandi, cum in operibus distinguuntur, ut etiam aliud capitum de hoc antepositum est, ecc. Come si vede, tratta anche della vera incompatibilità fra i colori. Nel Libro IIl (cap. 34), trattando della preparazione del colore bresilio dice: “ De hoc colore in ligno et in muro operari poteris, mirabilius tamen in pergamenis ,. Già nel Libro I (cap. 2) tratta dei colori ricavati dai fiori e che servivano nella mi- niatura. Notizie sui colori usati in miniatura si trovano anche nelle altre opere antiche sovraricordate. E quanto scrisse il Cennini? Come può dunque dirsi che nulla si conosceva prima della sco- perta del manoscritto pubblicato dal Salazaro e dal Lecoy? Ma bisogna esser giusti e riconoscere che nel De arte illuminandi sl tratta ampiamente ed in modo particolare dell’arte del miniare. (1) Di questa importante opera nostra si sono fatte varie edizioni e traduzioni all’estero, ma io non conosco nessuna edizione italiana, special- mente con commento. Oltre la traduzione fatta dalla sig.* Merrifield, deve essere qui ricordata quella tedesca di Alberto Ilg: Quellensehriften fiir Kunstgeschichte und Kunsttechnilk des Mittelalters di Kitelberger e Edelberg, IV Heraclius von der Farben u. Kiinsten der Ròmer, Wien, 1873) col testo originale identico a quello pubblicato dalla Merrifield e con molte note inte- ressanti. Ritornerò su questo argomento. Anche in questa bella raccolta, QuellenseRriften, ecc., il commento con- siste essenzialmente nell’enumerare e nel riprodurre ciò che hanno detto i vari scrittori precedenti, ma il commentatore poco o nulla vi aggiunge del proprio, nè dà una vera spiegazione del fatto o del fenomeno in senso moderno. 674 ICILIO GUARESCHI Credo utile dire alcune parole intorno un’opera molto im- portante che tratta della storia della pittura in generale, ed anche della miniatura in particolare. Quest’ opera, ora classica, è la seguente: Original Treatises dating from the XILIth-XVIIIth cen- turies on the Arts of Painting, in Oil miniature, mosaic, ecc., by Mrs. Merrifield, 2 vol. in-8°, London, 1849. L’opera della sig.ra Merrifield è molto importante, fatta con giusta critica e colla raccolta di numeroso materiale trovato principalmente nelle biblioteche italiane. L'Italia deve essere grata a questa insigne donna. Aveva trattato bene ed a fondo questo argomento anche 1 Eastlake nel suo Materials for « History of Oil-Painting (Notizie e Pensieri sopra la storia della Pittura ad olio. Trad. V. G. Bezzi, Torino, 1849), e la sig.ra Mer- rifield si mostra grata al suo compatriota per i consigli avutine. La signora Merrifield stette varî anni in Italia (1), visitò con molta attenzione i nostr® monumenti, le nostre biblioteche ; si innamorò dell’arte nostra, pubblicò molti manoscritti antichi che trovò nelle biblioteche di Bologna, Padova, Venezia, ecc., ove giacevano dimenticati, come ne pubblicò di quelli trovati in Francia (Le Begue, ecc.). Riunì il tutto in due bellissimi vo- lumi, che diede alle stampe nel 1849. Il primo volume comprende una importante ed erudita intro- duzione generale di ccoxm pagine, divisa in sei capitoli. Nel primo (1) La sig.* P. Merrifield fu, sino dal 1845, incaricata dal Governo Bri- tannico di una missione da compiersi nell’ Italia del Nord, allo scopo di raccogliere manoscritti ed altri documenti relativi alla tecnica della pittura, specialmente per conoscere i processi ed i metodi adoperati dagli antichi artisti italiani. Colla raccomandazione del celebre ministro inglese Roberto Peel, l’Au- trice potè pubblicare i numerosi manoseritti raccolti, in parte a spese del Governo inglese. Nella Prefazione alla sua Opera la Merrifield ricorda con gratitudine, fra i molti altri, il nostro Panizzi, allora nel “ British Museum ,, ed il Gaz- zera della Biblioteca dell’Università di ‘Torino. Alla sig.* Merrifield si deve inoltre la traduzione inglese del. Trattato della Pittura di Cennino Cennini (London, 1844). Anche quest'opera pare non fosse conosciuta dai commentatori del Cennini (ediz. 1859). Altre opere importanti si debbono a questa scrittrice. Non ho ancora potuto trovare qualche notizia biografica intorno questa illustre scrittrice, della quale dirò più a lungo nell'altro mio lavoro: / colori degli antichi. La prefazione al suo libro fu scritta nel 1848 a Brighton. OSSERVAZIONI SUL «DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 675 tratta dello stato della società e delle arti nel medio evo, nel secondo della miniatura in generale, nel terzo dei mosaici e del- l’intarsio, nel quarto del vetro e della pittura sul vetro, nel quinto di varie arti quali la doratura, il niello, la tintura, ecc., nel sesto della pittura ad olio, dei colori usati dagli antichi nella pittura, degli olii essenziali, delle resine, delle vernici, ecc. Tutto documentato e chiaramente esposto. Si vede che l’autrice aveva sufficienti cognizioni chimiche per trattare l'argomento sotto il punto di vista che desiderava. Poi riproduce il testo originale di varî manoscritti sulla pittura e sulla miniatura, dandone anche la traduzione inglese. Tali sono: Alcune annotazioni su un manoscritto: Raccolte di Secreti, Spe- cifici, Remedîì, ecc., di Fra Fortunato da Rovigo. Manoscritto di Jehan Le Begue del 1481, che contiene la ma- teria seguente, riassunta dall’indice dato dall’autore stesso: Continentur hoc volumine : Tabula de vocabulis, synonymis et equivocis colorum reramque et accidentium colorum ipsisque omni arti pictorie confe- rentium nec quod operum exercitiorum propitiorum ac con- tingentium eorum. Alia tabula licet imperfecta et sine initio. Experimenta de coloribus. Experimenta diversa alia quam de coloribus. Liber Theophili admirabilis et doctissimi magistri de omni scientia picturae artis. Liber Magistri Petri de Sancto Audemaro de coloribus faciendis. Eraclii sapientissimi viri liber primus et metricus de coloribus et de artibus Romanorum. Ejusdem liber secundus, item metricus. Ejusdem liber tertius sed prosaicus de coloribus praedictis. De coloribus ad pingendum capitula scripta et notata a Johanne Archerio seu Alcherio anno Domini 1398 ut accepit a Ja- cobo Cona flamingo pictore commorante tune Parisiis. Capitula de coloribus ad illuminandum libros ab eodem Archerio sive Alcherio scripta et notata anno 1398 ut accepit ab Antonio de compendio illuminatore librorum in Parisiis et a magistro Alberto Porzello perfectissimo in omnibus modis scribendi, mediolani scholas tenente. Aultres receptes en Latin et en Frangois per Magistrum Jo- hannem dit Le Begue Licentiatum in legibus et generalium 676 ICILIO GUARESCHI magistrorum monete regis greffarium Parisiis. Qui praesens opus seu capitula in hoc volumine aggregatu propria manu scripsit anno Domini 1431. Aetatis vero suae 63. Illustra Deus oculum. In questo volume trovansi molte notizie che interessano la miniatura. Nel volume secondo sì contiene : 1° Manoscritto bolognese “ Secreti per colori , (del se- colo XV). 2° Manoscritto della Marciana “ Secreti diversi , (del secolo XVI). 3° Manoscritto padovano “ Ricette per fare ogni sorte di colori , (del secolo XVII). 4° Manoscritto volpato “ Modo da tener nel dipinger , (del 1650 circa). 5° Manoscritto di Bruxelles “ Recueuil des Essaies des merveilles de la Peinture by Pierre Lebrun , (Del 1635). 6° Storia della Organizzazione Civile delle Belle Arti in Venezia, ecc., di G. 0'Kelly Edwards, e una dissertazione di Pietro Edwards. La lettura della prefazione e delle annotazioni al De arte illuminandi, del Salazaro, e forse anche del Lecoy prima del 1886, mi fece nascere il dubbio che questi due autori allora non conoscessero i numerosi manoscritti del secolo XII al XVIII, pubblicati dalla Merrifield, come a quanto sembra non li conobbero i commentatori del Cennini, posteriori al 1849. Il Lecoy, però, ricorda la Merrifield in una sua opera pubblicata dopo il 1887: Les manuscrits et la Miniature. Come pure questi scrittori non conobbero i lavori di Branchi, di Fabroni d'Arezzo, di Petrini e di altri più o meno chimici, sui colori usati dagli antichi. Se ciò non fosse, sarebbero stati più esatti nelle annotazioni. Questo libro del nostro anonimo è certamente importante, sia perchè vi tratta esclusivamente di colori usati nella minia- tura, sia perchè è molto ben ordinato, metodico e chiaro. Il Lecoy dà il seguente giudizio dell’opera del nostro anonimo: “ La sua opera ha per iscopo di presentare sotto una forma chiara e concisa, le regole da seguirsi per illustrare i libri me- OSSERVAZIONI SUL « DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 677 «diante il pennello e la penna. Esso, è ben più che una semplice raccolta di ricette come i libri di Teofilo, Pietro di Saint-Omer (1) o di Eraclius. È una metodica spiegazione (almeno nell’inten- zione dell’ autore) del modo di comporre e preparare i colori, del modo di servirsene, ecc., ecc. “ Insomma è un manuale spe- ciale pel miniatore, mentre gli altri non sono . ...., ecc. Tal quale egli è dev'essere stato assai utile agli artisti e loro allievi dell’Italia Centrale e Meridionale e può rendere ancora molti servigi non solamente agli archeologi, ma anche agli ar- tisti moderni, ecc., ecc. ,. Maggiore importanza avrebbe il De arte iluminandi, quando fosse dimostrato che questo manoscritto è della prima metà del 1300, cioè anteriore al Cennini, perchè allora si potrebbe riguardare come un anello di congiunzione tra il Compositiones ad tingenda, il Teofilo, la Mappae Clavicula, Eraclius e Cennini stesso. Ma Salazaro e Lecoy sono ben lontani dall'aver dimo- strato l’antichità grande di questo manoscritto. To non ho la pretensione di essere conoscitore di antichi manoscritti, di essere un paleografo, nè di volere entrare in un campo non mio, come pur troppo si è fatto e si fa ancora da molti; la mia critica avrà per iscopo unicamente quanto riguarda la chimica e le scienze affini. Secondo dunque Salazaro e Lecoy l’opuscolo o trattatello del nostro anonimo sarebbe anteriore a quello del Cennini, cioè del 1300 al 1400; secondo, anzi, il Salazaro, sarebbe anteriore di quasi un secolo al trattato del Cennini (2). Il Lecoy crede sia della seconda metà del XIV. Dall’ esame complessivo del libro, mi pare invece che esso sia posteriore a quello del Cennini ; non solo, ma forse dopo il 1500. Appena mi venne questo dubbio, esaminai più attentamente il libro e vieppiù mi persuasi di es- sere nel vero, o almeno di non essere lontano dal vero. Dopo la lettura dei primi capitoli di questo libro mi colpì subito il gran numero di materie colorantì che erano ricordate o descritte dal nostro autore; e ciò per la sola miniatura, mentre si sa che per quest'arte pittorica nei tempi antichi sono sempre (1) C. S. Audemar. (2) Sia detto qui incidentemente che alcuni, quali il Mintz, reputano essere l’opera del Cennini non del 1437, ma bensì del secolo XIV. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 45 678 ICILIO GUARESCHI state poco numerose le materie coloranti adoperate. Certo, anche nel medio evo erano conosciute molte materie coloranti, che poi ser- virono per la tintura, ma non erano tutte usate nella miniatura. I colori che trovansi nei codici più antichi del medio evo per l’ornamentazione e la miniatura, sono, eccetto l’oro, di qualità inferiore, poco resistenti. In un codice, ad esempio, del ha- banus Maurus (De Laudibus Sanctae Crucis), che sembra del secolo X, i colori usati sono: il giallo, il ranciato, il rosso, il verde, l’azzurro, il bruno ocra, ece.; ma tutti di qualità scadente. Il verde pare niente altro che Terra di Verona, il rosso è minio Pb?04, il giallastro, il bruno, il rossastro sono semplicemente formati da ocre. Il nostro anonimo, sino dal principio dell’ Introduzione rela- tivamente all'arte della miniatura de’ libri, scrive: “ e benchè ciò sia stato anteriormente divulgato dagli scritti diimioltio Gip. 448 Ammettiamo che il nostro anonimo abbia scritto dal 1300 al 1350, oppure dal 1350 al 1400; chi erano questi molti che avevano scritto e divulgato sull’arte della miniatura? Erano in- vece ben pochi prima del Cennini, dell’Alcherius (1398), del Le Begue (1431), coloro che scrissero su quest’'argomento. Questa affermazione del nostro anonimo invece, si capisce benissimo, se si riferisce a dopo il 1500. Nella rubrica V: De rubeo colore artificiali, il nostro ano- nimo distingue molto bene il vero cinabro dal minio: “ Rubeus color artificialis fit ex sulfure, argento vivo, et vocatur cinnabaris : et alio modo fit, vid. ex plumbo, et vocatur minium sive stupium. Et quia etiam de istis coloribus satis ubique reperiuntur, ideo modum conficiendi non posti ,. Distinzione così netta non è fatta nemmeno dal Cennini, che tante volte parla del cinabro e del minio. Al tempo del Cenninì si usava indifferentemente il nome di cinabro e di minio, pur essendo sostanze diverse. Il nostro anonimo dice che di questi colori trovasi detto abbastanza dovunque e che quindi non de- scrive i modi di prepararli. Il Cennini invece si limita a dire che questi colori si fanno per archimia. Ma ciò che più importa notare si è che il nostro anonimo discorre di sostanze, le quali, prima del cinquecento non si usa- vano nella pittura o non erano conosciute nel commercio europeo. OSSERVAZIONI SUL «DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 679 Ad esempio, nella rubrica VI De Glauco, scrive: Glaucus color artificialis fit multipliciter. Primo, vid. ut superius dictum est, fit ex radice curcumi, sive ex herba rocchia, etc., etc. Egli mette dunque in prima linea il color giallo della curcuma. È ricorda la curcuma in altre rubriche (XXVI, ece.). Mentre si sa che anche in tempi più moderni la curcuma fu poco usata nella pit- tura. Ed ha poco pregio anche nella tintura, perchè il colore è poco resistente (Berthollet). La curcuma o zafferano delle Indie, o Souchet del Malabar, o zenzero giallo, detta anche Terra merita e dagli inglesi 7ur- merie, è la radice della Curcuma longa e C. rotonda delle Zingi- beracee che cresce spontanea nelle Indie, nel Madagascar, nea Cina, ecc., e si coltiva a Giava, nelle Antille, ecc. La parola curcuma deriva dal persiano kurkum, nome dato allo zafferano. » Pare che la curcuma sotto il nome di Kurepog (Cyperus), una specie di zenzero, sia già ricordata da Dioscoride (Hanbury). Sotto il nome di Crocus indicus è descritta da Garcia d’Orta nel 1563 e da Fragoso nel 1572. Già nel 1450 si vendeva in Germania insieme allo zenzero ed alla zedoaria, come condi- mento. Questa radice è ricca di una materia colorante gialla detta curcumina C?!1H29°05. Il Pomet, che scrisse il suo classico libro sull’Hist. gén. des drogues simples nel 1692, dice: “ La Terra Merita, che alcuni chiamano Curcuma ed altri zafferano o Souchet delle Indie o del Malabar o di Babilonia, è una radice giallastra, ecc., ecc. ,. Si vede che il nome di Curcuma non era comune ancora nel 1700 circa. Il Pomet ed altri autori affermano che questa radice era usata dai tintori, dai profumieri, come condimento, ecc., ma non fanno cenno dell'uso suo nella pittura a quel tempo. S'usava, è vero, per colorire le carte da tappezzeria; ma le carte dipinte per tappezzeria sono originarie della Cina e del Giappone e non furono introdotte in Europa dagli Olandesi, che verso il mezzo del secolo XVI, e la fabbricazione in Europa non cominciò che verso la metà del secolo XVII. La curcuma o turmerie non è ricordata nei varî manoscritti dei secoli XII a XVII, raccolti e pubblicati da Mrs. Merrifield (opera citata). 680 ICILIO GUARESCHI Nella Tabula de vocabulis sinonimis et equivocis colorum, ece. di Jehan Le Begue (1431), non è ricordata la curcuma o terra merita, come non sono nominati il tornasole, la gomma adragante, nè altre sostanze accennate dal nostro anonimo. Nel Ricettario fiorentino del 1597 sono descritte la cinta la gomma adragante, il bolo armeno, la gomma lacca dell’ India, la curcuma degli Arabi che veniva dall'India. Anche nel Manoscritto Padovano del XVII (“ Ricette per far ogni sorte di colori ,), nel quale si dà un’elenco di colori per miniare, non è nominata la curcuma. Tutto ciò costituisce, a mio avviso, un argomento che, con altri, può mettere in dubbio la grande antichità del De arte illu- luminandi. Il nostro anonimo nella rubrica IX tratta dell’aezurro 0 color celeste naturale ed artificiale e ricorda l’indaco come una materia colorante comune: e scrive: “ aliud vero fit artificialiter et grossum, idest indico optimo et cerusa ,. Parrebbe anche che vi fossero varie qualità di indaco, se richiede che sia optimo. L’indaco, è vero, era usato dagli antichi come materia co- lorante; ne parlano Plinio e Vitruvio. Dioscoride lo denominava ivdugòv e Plinio e Vitruvio indicum. Ne parla pure Avicenna. Era usato in tintoria ai tempi di Federico II, e se ne fa cenno in un diploma di questo imperatore, nel 1250. In molti autori sì trova accennato l’uso dell’indaco nel medio evo. Come osserva il Lecoy, errano coloro che affermano essere stato portato l’ in- daco dall’India in Europa verso la metà del secolo XVI. Resta però il fatto che l’uso dell’indaco nella tintoria, più che nella pittura, si è diffuso in Europa nel secolo XVI, quando fu im- portato per via marittima dalle Indie orientali. Marco Polo è stato il primo a far conoscere la estrazione dell’indaco; fu importato in Italia dalle Repubbliche commer- cianti, e si diffuse in Europa specialmente per cura delle com- pagnie indo-olandesi. Pomet fa cenno, come ai suoi tempi (secolo XVII) si usasse l’indaco anche nella pittura, misto col bianco per dare il colore azzurro, e misto al giallo per dare il verde. Proprio come afferma il nostro anonimo che fa l'azzurro coll’indaco e la cerussa, ed il verde coll’indaco buono e l’orpimento ! L’indaco è ricordato nelle memorie manoscritte dei secoli OSSERVAZIONI SUL «DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 681 XII a XV. Il Cennini lo ricorda più volte (cap. XIX, LXI e LXXV); si adoperava per colorire in fresco, il che non poteva farsi coll’azzurro della Magna nè coll’oltremare. Non dice che fosse usato nella miniatura. Secondo il Petrini “ si adoperò misto al bianco di calce nei freschi; al bianco di piombo nelle tempere, nel secolo XIV e nel XV; se ne sono riconosciuti i caratteri nel turchino dei panneg- giamenti conservatissimo, di aleuni avanzi degli antichi a freschi di Alesso e Buonaccorso pittori condotti nel 1345, a dipingere la Cappella di S. Jacopo di Pistoja , (Antologia, 1822, vol. VI, pag. 537). Anche il Petrini non accenna che l’indaco fosse usato in miniatura nei secoli XIV e XV. Io non ho ancora potuto vedere il Plietho di Giovanni Ven- tura Rosetti, pubblicato a Venezia nel 1548, ma a quanto ne riferisce il Berthollet nei suoi £6ments de l'art de la Teinturé, vol. I, pag. 22, Paris, 1804, ne la cocciniglia, nè l’indaco sono ricordati in quella, ora rarissima, opera. Il Berthollet dice, che nel 1548, probabilmente queste due materie coloranti non erano ancora in uso in Italia. È vero che secondo Plinio il cosidetto indicum si usava nella pittura, ma certo il suo uso nei secoli XIII-XIV non era molto diffuso. Si noti poi che l’indicum non sempre voleva dire indaco, ma bensì l'inchiostro di china (in- dicus nigrum). Tutto questo poco che ho detto dell’indaco mi sembra una prova di più che questo libro De arte illuminandi appartiene ad un tempo molto posteriore a quello in cui viveva il Cennini. Ciò che scrive il Pomet dell’indaco alla fine del secolo XVII è pressochè identico a ciò che trovasi nel De arte illuminandi. Non priva affatto di importanza, è forse anche una osser- vazione che si può fare intorno al tornasole. Il tornasole è spesso ricordato dal nostro autore e specialmente nella rubrica IX e ‘ così pure nella Introduzione ove scrive: «“ Azurium etiam artificiale fit ex herba, que dicitur torna ad solem, et ce cadem herba pro tempore fit violaceus color ,. Nella rubrica IX descrive poi con molti particolari la preparazione del colore dal succo della detta erba. A pag. 6 il Salazaro fa l'annotazione seguente a proposito della parola tornasole che trovasi nel testo: “ Lo stesso che girasole, si dice anche una tintura, o in 682 ICILIO GUARESCHI pasta o incorporata in alcune pezzette di seta, che serve a tin- gere varî liquori per coprire l’acido, che in loro si trova. Quella che viene da Costantinopoli, è fatta di cocciniglia e di alcuni acidi: quella che viene di Olanda o di Lione, è fatta dei frutti della pianta detta anche essa tornasole o girasole ,. Ora, tutto questo, o non dice nulla in fondo, o quel poco che dice è erroneo, perchè il tornasole nulla ha a che fare colla cocciniglia. Nel senso di colorante il tornasole ha avuto ed ha sempli- cemente due significati. In nessun caso ha il significato di girasole, nome comunemente dato all’Helanthus annuus, dai cui semi si ha un olio. Il nostro autore dice herda, que vocatur torna-ad-solem; ma con questo nome non voleva indicare il comune girasole che non è un'erba, è invece una pianta con fusto che può arrivare alla altezza di 2 metri. Come coloranti si avevano e si hanno due tornasoli; uno detto in pasta e l’altro in drapeaux. Il primo, cioè il tornasole che è adoperato come reattivo dai chimici, è detto anche laccamuffa, è preparato con alcuni licheni e specialmente la rocella tinctoria e la lecanora tartare (Parmellia roccella e Tartarea Acharius), che si trattano pres- sochè nello stesso modo antico come si preparava l’oricello ; con calce, potassa, urina, ecc. Il tornasole o laccamuffa è una bella materia colorante azzurro-violaceo che con una traccia di acido debole passa al violaceo e poi al rosso. Certamente il nostro autore non intende parlare di questo tornasole, perchè, come descrive nella rubrica IX, prepara il suo tornasole coi frutti dell’erba che si raccoglie dalla metà di luglio alla metà di settembre. È fuori di ogni dubbio che il nostro anonimo chiami tor- nasole ciò che in Francia si chiamava Tournesol en drapeaua o di Provenza e detto anche folium e si preparava col succo ver- dastro della maurelle, una euforbiacea detta Croton tinctorium o Crozophora tinetoria. In questo caso il tornasole è preparato dai frutti. Il Pomet (Hist. gén. des drog., 1, p. 176) descrive questo tornasole ed anche quello detto orseil d’ Hollande come preparati dai frutti dell’ Heliotropium Tricoccom, mediante la perelle, la calce e l’urina. Un modo analogo col quale è descritto dal OSSERVAZIONI SUL « DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 683 nostro autore. Ciò che si diceva perelle o perelle brodée, era il lichen saxatilis L., o lichen tinetorius (Buc'hoz, Traité des plantes qui servent è la teinture et à la peinture, p. 118, Paris 1785). Questo tornasole si distingue dal tornasole dei chimici o laccamuffa secondo Joly (1847) perchè quando è arrossato dagli acidi non ritorna più azzurro cogli alcali (in GrrARDIN, Legons de chim. élém. appl. aux arts, IV, p. 339). Comunque sia, la descrizione che ne dà il nostro anonimo non mi sembra molto antica; nulla ha a che fare colle brevi de- serizioni che ne danno Teofilo, S. Audemar ed altri autori ve- ramente antichi. Il nostro autore chiama la pianta torna-ad-solem, mentre negli scrittori antichi è detta folium. Il nome di tornasole si trova appena incidentalmente ricor- dato anche dal Le Begue (in Merrifield, I, p. 87), ma ivi si fa notare che: quod ubi dicitur tornesol vult dicere Bresil. L’0- ricello sì preparava da lungo tempo in modo analogo al torna- sole da diversi licheni, fra i quali il lichen roccella o rocella tin- ctoria, la variolata dealbata, ecc. È vero d’altra parte che l’oricello, era usato da lungo tempo in Oriente per la tintura, che se ne perdette nel medio evo il modo di preparazione e che si deve a un italiano, al fiorentino lF'ederigo, la scoperta di ottenere questo colore verso il principio del secolo XIV, ma è pur vero che allora non si conosceva il cosidetto tornasole, ch’ebbe pur il nome di Ori- cello d’ Olanda. Non si capisce poi come il Salazaro possa aver confuso il tornasole, di qualunque origine sia, o sia pur anco l’oricello, con la cocciniglia, la quale certamente non fu conosciuta in Europa prima del 1500. Il Salazaro stesso a pag. 6 in una nota latina scrive: (a) croton tinctoriwm, quod etiam a recentioribus bota- nicis dicitur crozophora tinctoria; che certamente non è cocciniglia ma tornasole. La cocciniglia e la sua lacca sono ricordate nei ricettari per colori del secolo XVII (MSS. di Padova: Picette per far ogni sorta di colori). Come pure il legno di Campeggio (Campeachy Wood). Ma mai si trova in ricettarì o altri libri prima del 1500. Nella rubrica XI il Salazaro in nota ripete più chiaramente che grana de’ tintori vuol dire: corpo di un insetto che dà il color rosso vermiglio; lo stesso che Cocco o Cocciniglia. Il che è 684 ICILIO GUARESCHI inesatto, perchè in tutti i testi antichi la grana de’ tintori, 0 semplicemente grana, voleva significare il Kermes animale (Coccus licis L.), che si chiamava anche grana di scarlatto, e proveniva dall’ Oriente ed anche dalla Spagna e dalla Provenza, mentre la vera cocciniglia o cochenille mestique proveniva e proviene dall'America Centrale e Meridionale, come meglio sarà detto nelle annotazioni alla rubrica XI. Se il nostro anonimo col nome di grana tinetorum avesse voluto indicare la cocciniglia, come crede il signor Salazaro, sarebbe fuori di ogni dubbio che questo manoscritto creduto del 300 o 400, sarebbe certamente posteriore al 500. Ma vi è un’altra sostanza usata dal nostro autore e che fa dubitare della sua antichità. Egli nomina alcune volte la gomma adragante. Questa gomma diversa dalla gomma nostrale e dalla gomma arabica, non trovasi accennata da autori antichi che trattano dei colori, nè dal Cennini, nè nei manoscritti dal secolo XII al XIV pubblicati dalla Merrifield. Il Cennini invece descrive il modo di ottenere e usare la chiara d’ovo. Il nostro autore ricorda la canfora ed il garofano per conservare dalla putrefazione lalbume d'uovo. La canfora è ricordata nel mano- scritto bolognese (secolo XV), ma non è la vera canfora, bensì un misto artificiale. L’uso di queste sostanze e anche del realgar, che l’autore nomina in altra parte, come agenti contro la pu- trefazione, non parla in favore della troppa antichità di questo manoscritto. Egualmente dicasi della pianta ruta (ora ruta graveolens), che non è accennata dal Cennini, nè da altri autori precedenti. Il sueco di ruta e l’erba ruta sono appena accennati nel mano- scritto di Le Begue (V. Merrifield, I, pag. 67 e 287)e nel ma- noscritto di Padova (secolo XVII). Non privo di importanza forse per discutere l’ antichità di questo manoscritto e per mettere in dubbio la competenza dei suoi commentatori, è, a mio modo di vedere, anche la storia riguardante un altro colorante: il legno brasile. Il legno brasile era conosciuto in Europa molto prima che si scoprisse quella parte dell'America che fu denominata Brasile dall’abbondanza del legno che fu poi detto legno del Brasile. Si noti solamente che il nostro autore scrive sempre bdrasilium, ligni brasili, e mai bresile, brexilium, berzillium, verzinum, verxillium, bririlium od OSSERVAZIONI SUL « DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 685 anche pressilium, come scrivono più spesso autori antichi quali l’Eraclius, l’Alcherius, il Le Begue, ecc. Ma di ciò discorrerò più a lungo nell’altro mio lavoro sui colori degli antichi. Ciò che qui voglio far notare si è che tanto il Salazaro quanto il Lecoy di- mostrano di non sapere che il legno brasile si conosceva in Kuropa prima della scoperta dell'America e che era stato usato e ricor- dato da autori anteriori al Cennini e assai prima del De arte illuminandi, come si scorge dalle note apposte alla rubrica XI. Non solo, ma il Salazaro confonde il legno di Campeggio col legno del Brasile; il primo certamente non era conosciuto in Europa prima del 1510 circa. Il nostro autore inoltre nomina nella rubrica XVIII l’albu- mine ovorum, che negli antichi autori si trova di raro, come nel liber sacerdotum, ma quasi sempre col nome di clara, o clarum ovorum (V. rubrica XII ecc.). Così pure l’uso della bambagia nel calamaio con l'inchiostro, di cui fa cenno nella rubrica XX, non deve essere tanto antico. Anche le misure quali la pinta, il dramma, lo scrupolo, il simbolo dell’oncia 3: ecc., mi fanno dubitare che non sia molto antico. Il nostro autore inoltre parla di acqua putrefatta, di acqua dolce comune, ecc. Da tutto quanto ho esposto mi pare possa ritenersi molto probabile che questo trattato De arte illuminandi sia posteriore al 1500 o del tempo circa del manoscritto bolognese, e sia una di quelle compilazioni simili ai Segreti, ece., che si scrissero principalmente nei secoli XVI e XVIL L’anonimo che scrisse questo libro sembra fosse un artista di professione che ha raccolto le principali notizie sui colori spe- cialmente usati in miniatura, un monaco, forse, che conosceva bene l’arte del miniare; il libro è ben fatto ed, a mio parere, è redatto più metodicamente dei precedenti analoghi; ha i ca- ratteri di una redazione più moderna. Anche il latino usato mi sembra migliore di quello di autori certamente più antichi. Tanto più penso di essere nel vero, riflettendo che il nu- mero maggiore dei più grandi miniaturisti è dei secoli XV e XVI, quindi si capisce come si potesse sentire la necessità di un trattatello speciale sulla miniatura o de arte illuminandi; non prima, nel secolo XIV, nel qual tempo erano, relativamente, pochi i veri miniatori. Van Eyck, o Giovanni di Bruges stesso 686 ICILIO GUARESCHI (n. 1386, m. 1440) è posteriore o contemporaneo del Cennini. I ventinove grossi volumi costituenti i libri corali del duomo di Siena, ad esempio, furono miniati dal 1457 al 1482 circa; e G. e (©. Milanesi nella loro operetta: Storia della miniatura ita- liana ci hanno date le principali notizie dei miniatori cui si deve questo insigne lavoro. Le miniature dei corali del Duomo di Firenze furono eseguite dal 1508 al 1530; gli stupendi corali della Cattedrale di Ferrara, ora conservati nel Museo del Pa- lazzo Schifanoja, sono stati lavorati dal 1477 al 1535; l’Atta- vante miniò alcuni dei corali del Duomo di Firenze dal 1508 al 1511; ecc. Un trattato come questo doveva venire dopo che l’arte della miniatura era molto progredita, non prima. L'argomento principale, certo molto importante, addotto dal Salazaro e dal Lecoy per fissare il tempo in cui fu scritto questo libro, è la forma della scrittura del manoscritto ; la scrit- tura detta gotica, o angolare o scolastica. Però, benchè io non possa nè debba entrare in simile questione, farò osservare so- lamente che questa forma di scrittura, specialmente per codici liturgici (e il nostro anonimo probabilmente era un monaco), rimase viva in Italia sino a tutto il secolo XVII. Anche il non esservi molte abbreviazioni (Salazaro) non è un argomento sicuro per ritenere il manoseritto molto antico, ed invero il Piscicelli Taeggi scrive: “ Il numero maggiore o minore delle abbreviazioni di un manoscritto, è ritenuto anche come un criterio per fissarne la data; ma, oltre ad essere un criterio intrinseco, induce anche non di rado in errore , (1). Ma su ciò io non voglio più oltre insistere. Metto poi in dubbio anche la grande competenza del nostro anonimo e dei suoi commentatori nell’uso dei coloranti. Il tornasole, la coc- ciniglia, i gigli azzurrini, la curcuma ed altri coloranti di cui indica la preparazione e l’uso, sono facilmente alterabili e non so se proprio sì siano molto usati 0 si possano usare con van- taggio nella miniatura, per quanto, è vero, i lavori miniati siano difesi spesso dall’ azione della luce. Anche Eraclio nomina ben pochi colori delle piante usati in miniatura. Ad ogni modo, riconosco che, per quanto le considerazioni (1) Paleografia artistica di Montecassino, 1883, pag. 9. OSSERVAZIONI SUL « DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 687 precedenti siano di qualche valore, gli argomenti da me addotti in favore della relativa modernità di questo libro, non sono tutti molto sicuri; io non ho ancora avuto modo di poter fare ricerche più approfondite. Colla più grande riserva dunque io ammetto quanto ho esposto; perchè, ripeto, argomenti direi sperimentali, prove veramente certe colle quali corroborare il mio asserto, 10 non ho. Mi pare però che sia solamente procedendo con metodo che si potrà riuscire alla verità. Il Manoscritto Bolognese o Segreti per colori, del Secolo XV. A pag. 14 ho fatto notare quali e quante siano le bene- merenze della signora Merrifield riguardo la storia della tecnica dell’arte nel medio evo. Il bellissimo esempio dato dalla signora Merrifield dovrebbe essere seguito da molti dei nostri scrittori; ma purtroppo non rare volte manca la cultura necessaria. Chi vuole occuparsi di questi studî riguardanti la chimica tecnica o le arti industriali o tecniche o decorative, senza le adeguate cognizioni scientifiche, non può fare che opera monca, inutile ed anche dannosa. Nel volume 2° della sua opera la signora Merrifield pub- blicò un manoscritto bolognese del secolo XV, assai interessante per le arti tecniche in genere ed anche per la miniatura. Era mio intendimento di farne una edizione italiana con annotazioni, ma in questo frattempo venni a cognizione di un libro il cui titolo attirò la mia attenzione, e l'esame del quale mi fece ab- bandonare, per ora, quest'idea. Nella Scelta di Curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XII al XVII fondata e diretta da Fr. Zambrini, si trova: “ / libro dei colori - Segreti del secolo XV, pubblicato da O. GuerRINI e C. Ricci, Bologna, Romagnoli, 1887, L. 10 ,. Il libro è stampato su carta finissima, e pubblicato in soli 202 esemplari, numerati. Il titolo e la supposta novità del trat- tato mi spinsero a leggerlo, direi, con avidità; ma quale non fu la mia sorpresa quando dopo le prime pagine mi avvidi che Il libro dei colori, segreti del secolo XV, non era altro che il Bolognese Manuscript, entitled Segreti per colori, del secolo AV, 688 ICILIO GUARESCHI pubblicato con prefazione e note, e tradotto in inglese col testo di fronte, sino dal 1849 dalla signora Merrifield! Non volevo quasi prestar fede ai miei occhi. Eppure è così. Identici, dalla prima all'ultima parola. La sola lieve differenza sta nel titolo; non so perchè gli autori citati abbiano dato la denominazione /! libro dei colori, che credo non esista nel manoscritto. È questo un titolo generico che potrebbe essere applicato anche ad altre opere simili. La si- gnora Merrifield ha dato il vero titolo Bolognese Manuscript - Se- greti per colori, del secolo XV, per ricordare onorevolmente anche Bologna nella cui Biblioteca di S. Salvatore si trovava, ed ora nella Universitaria, il manoscritto, e per distinguerlo da altri se- greti per colori. Non è poi esatto dire invece: Segreti del secolo XV. A pag. XXIII della Prefazione (edizione 1887) è detto: «“ Il Codice, rilegato in carta pecora, porta scritto sul dorso di mano del passato secolo, della stessa mano che numerò le carte: Segreti per colori. M. S. del secolo XV.Il codice è inedito. Solo Michelangelo Gualandi nelle sue “ Memorie originali italiane risguardanti le Belle Arti ,, serie III, pag. 110, ne stampò alcune righe del principio e della fine, ed una ricetta “ a mollificare l’osso ,, dove in cinque righe introdusse dieci mostruosi errori di lettura, evidente dimostrazione della nessuna pratica del Gua- landi in cose paleografiche, etc. ,. È evidente dunque che gli autori credono essere il codice inedito; e che solamente il Gualandi ne abbia pubblicate alcune righe. “ Il codice che ha servito alla presente edizione appartiene alla R. Biblioteca della Università di Bologna e si trova tra i manoscritti col N° 2861 ,. Per essere giusti bisognava dire, come ha fatto la Mer- rifield a pag. 325, vol. II della sua opera, che il primo ad avvertire l’esistenza di questo manoscritto è stato il Gualandi (Mem. di Belle Arti) nel 1842, e non limitarsi a dipingere questo scrittore tanto male come paleografo. Fu il Gualandi, che fece conoscere il manoscritto alla signora Merrifield. Il Gualandi ha pubblicato una interessante serie di documenti originali e lettere di pittori, ed è con gratitudine ricordato dalla Merrifield, dal Labarte e da altri scrittori della storia dell’arte in Italia. Nella stessa Prefazione, che non contiene proprio nulla di OSSERVAZIONI SUL «DE ARTE ILLUMINANDI », ECC. 689 nuovo e ci sembra molto superficiale, si citano i nomi di un gran numero di autori a caso, tant'è vero che alcuni di essi non si sono mai occupati dei colori degli antichi. A pagina xIx è detto: “ abbiamo citati questi nomi non per ostentare una facile erudizione, ma soltanto per mettere in maggiore evidenza l’importanza del nostro libro, che riempie la grave lacuna che si trova fra il Cennini e i cinquecentisti. Non ci siamo pertanto rimproverate le dimenticanze e l’inesattezze che il cultore di simili studì può riscontrare fra queste succinte notizie ,. Eppure in mezzo a tanti nomi si tralasciano, non dico quelli di Lomazzo, Borghini, Baldinucci, Armenini, ecc., ma quelli di Petrini, Branchi, Fabroni di Arezzo e di altri italiani che hanno scritto in modo particolare de’ colori degli antichi e che sono stati coloro ai quali precisamente si deve la conoscenza, insieme a Chaptal e a Davy, della vera natura chimica dei colori usati dagli antichi. Se poi si trattava di riempire una sì grave la- cuna, bisognava esaminare bene la questione e vedere se questa grave lacuna veramente esisteva. L’erudizione seria, veramente scientifica e metodica, è tut- t'altro che facile; la così detta facile erudizione e la critica superficiale, conducono appunto ad errori come questo, di pub- blicare nel 1887 come nuovo, come inedito, e senza nessuna annotazione, ciò che era stato pubblicato e tradotto, con note, sino dal 1849! La lacuna era stata già bene riempita dalla signora Merri- field, non solamente colla pubblicazione del Manoscritto Bolognese del secolo XV, ma colla pubblicazione del Le Begue, contem- poraneo, o di poco posteriore, al Cennini, e che essendo francese poteva darci, come ci ha dato, notizie sui colori usati in quel tempo in Francia ed altri paesi. Purtroppo ho dovuto persuadermi che molti scrittori mo- derni sui colori e sulla pittura, specialmente italiani, non cono- scono l’opera della signora Merrifield; essa è invece ricordata da coloro che seriamente si occupano della storia critica del- l’arte o della chimica tecnica nel medio evo; questi scrittori usano correntemente le abbreviazioni Merr. per Merrifield, 02. per Bolognese manuscript, ecc. Anche Eug. Miintz (L'arte italiana nel quattrocento) tiene nella dovuta considerazione l’opera della Merrifield. 690 ICILIO GUARESCHI -— OSSERVAZIONI, ECC. Questa autrice è lodatissima da tutti coloro che hanno avuto bisogno di consultare ed esaminare le opere sue. Alberto Ilg ha pubblicato nella importante raccolta: Quellensehriften fiir Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mittelalters u. d. Renaissance di Eiselberger e Edelberg, Vienna, 1871-1888, i tre libri di Eraclius: De coloribus et artibus romanorum secondo il testo e le note pubblicate dalla signora Merrifield, ed il Giry nella sua Notice sur un traité du moyen dge intitulé de coloribus et artibus romanorum (“ Bibliothèque de l’École des Hautes Etudes ,) loda, e molto, l’opera della Merrifield; ne loda l'esattezza ed il vero senso critico. Egli, ad esempio, rispetto all’ Eraclio, ritiene mi- gliore l’edizione data dalla Merrifield che non quella più re- cente dell’Ilg. Evidentemente tanto il Salazaro quanto il Lecoy, come gli autori del / libro dei colori pubblicato nel 1887, non cono- scevano non solamente l’opera della Merrifield ma nemmeno la raccolta Quellenschriften, ecc. Libri come questi non dovrebbero sfuggire all'attenzione degli studiosi. Si noti poi che nel caso speciale, l’opera della Merrifield dovrebbe trovarsi in qualche Biblioteca della città di Bologna; la signora Merrifield era membro onorario dell’ Ace- cademia di Belle Arti di quella città. Anche nel Manoscritto Bolognese è già descritto l’uso dei gigli aezurrini, dell'erba morella, dell’alume zucharino, della gomma dragante, del verzino sive brasilium, ecc., come nel De arte illuminandi. Il Manoseritto Bolognese pubblicato dalla Merrifield, è im- portante non solamente perchè tratta dei colori usati nella mi- niatura, ma anche di quelli usati negli altri generi di pittura, e per argomenti diversi che riguardano le arti tecniche, come gli smalti, i mosaici, le pietre artificiali, i vetri colorati, la tin- tura delle pelli, delle ossa, la fabbricazione delle colle, vernici, gl’inchiostri, diversi prodotti chimici, quale il borace, ecc. Volendone fare una edizione nuova, e italiana, bisognava farla in modo che eguagliasse, o meglio, superasse, 1’ edizione della Merrifield per un più esteso commentario. Solo in questo caso la storia della tecnica dell’arte ne avrebbe avuto: vantaggio. Torino, R. Università, Aprile 1905. NICODEMO JADANZA — NUOVO METODO, ECC. 691 Nuovo metodo per determinare il rapporto diastimometrico in un cannocchiale distanziometro. Nota del Socio NICODEMO JADANZA. Quando il cannocchiale semplice astronomico è destinato a misurare le distanze, il reticolo è quasi sempre composto, oltre che della semplice croce di fili orizzontale e verticale, di altri due fili orizzontali equidistanti da quello di mezzo (quello che col filo verticale determina un punto dell’asse ottico). Situando codesto cannocchiale in posizione orizzontale e leggendo la parte della stadia, compresa tra i fili estremi del reticolo, la distanza orizzontale D, compresa tra il fuoco anteriore della lente obbiet- tiva del cannocchiale ed il punto dove è stata situata vertical- mente la stadia, è data dalla formola: (1) DES nella quale S è la parte di stadia compresa tra i fili estremi del reticolo e X è una costante che chiamasi rapporto diasti- mometrico. Se s'immagina un triangolo isoscele avente per base la di- stanza s tra i fili estremi del reticolo e per altezza la distanza focale @ della lente obbiettiva del cannocchiale, si ha: È 1 dir LL (2) fi, PI = tg.Ww dove w è l’angolo al vertice del triangolo ora detto. Tale angolo costante è conosciuto col nome di angolo parallattico, angolo dia- 692 NICOPEMO JADANZA stimometrico o anche di distanza angolare ‘tra i fili estremi del reticolo. Il metodo che proponiamo per determinare la costante K è il seguente: Su di un terreno piano si misurino colla massima cura due distanze D, e i da un punto arbitrario H; quindi si ponga l’istrumento in vicinanza di H in modo che il centro dell’ob- biettivo cada sul punto a terra H. Posta una stadia prima alla Di ZA (l’asse ottico del cannocchiale essendo presso a poco orizzontale) in corrispondenza dei fili estremi del reticolo (queste diverse letture si faranno dando al cannocchiale dei piccoli spostamenti in altezza) e si indichi con S, la media dei valori delle diffe- distanza e poi alla distanza D, si facciano diverse letture renze di lettura quando la stadia si trova alla distanza di e con S;, la media dei valori delle differenze di lettura quando la stadia si trova alla distanza D,, il valore di + sarà dato da: 1 n Sao (3) rag i Di Infatti sia (fig. 1) ab il reticolo quando si trova al secondo fuoco della lente obbiettiva ed a'b', a''d' le posizioni che esso ) p prende, quando la stadia si trova alla distanza D; ed alla di- D, stanza —. (4) NUOVO METODO PER DETERMINARE IL RAPPORTO, ECC. 693 Indicando con p, e ps le distanze del reticolo dalla lente O nelle posizioni a'8', ab”, sarà: rig | Pi D, (4) Ng a gergo Pa Di Di n E poichè: s Coe Di Pi ns Ss s D, iù Pa Ei P si avrà, sottraendo: (n LR ea! Osservando che è: se ne dedurrà: 1 SONIA s s Ko pi n°-lbpi Pa donde, tenendo conto delle (4), si deduce la (3). Nella pratica è molto conveniente assumere per » il va- lore 8, nel qual caso la (3) diventa: (5) 7a ORE RA Esempio 1°. Il reticolo del cannocchiale di un tacheometro della casa Stmms ha 5 fili orizzontali ed uno verticale. Allo scopo di deter- minare i rapporti diastimometrici convenienti alle coppie dei fili estremi (1° e 5°), (2° e 4°) sono state fatte le seguenti osser- vazioni su di una stadia posta prima alla distanza D, = 50%, Di : 8 i Atti della R. Accademia — Vol. XL. 46 e poi alla distanza di 6",25 = 694 NICODEMO JADANZA Alla distanza di 50". Letture sulla stadia Reticolo Ii 2* 3° 4° D® 6° 4 reg 1,760 #1 1,800 1,699 | 1,664 | 1,691 Alla distanza di 6",25. Letture sulla stadia Reticolo n + PO :l 5 » Z si 1° filo 1,360 | 1,870 | 1,872 | 1,380 | 1,390 20, 1,392 | 1,401. | 1,404 |«1,411.| 1,421 4°, 1,457 | 1466 | 1,468 | 1,476 | 1,486 Bo |, 1489 | 1,498 | 1,500 | 1,509 | 1,518. Calcolando i valori di Sy ed S, per la coppia dei fili estremi sl trova: S,=,1,0020 So = 0,1284 e quindi per la detta coppia si avrà: i NUOVO METODO PER DETERMINARE IL RAPPORTO, ECC. 695 Per la coppia corrispondente ai due fili 2° e 4° si ottiene: S,= 0;50117 S, = 0,06480 e quindi per tale coppia sarà: 7 50 K=3g- 0,43637 = 100,26. I rapporti dati dal costruttore sono 50 e 100. Se i fili del reticolo fossero verticali, sarà sufficiente met- tere la stadia in posizione orizzontale tanto alla distanza D; quanto alla distanza Da EseMmPIo 2°, Per far vedere la comodità e l'esattezza di questo metodo lo abbiamo adoperato a misurare la distanza dei fili del reticolo di un cannocchiale destinato ad osservazioni astronomiche, ap- partenente ad un buon teodolite a microscopi micrometrici della casa Srtmms di Londra. Il reticolo ha cinque fili verticali ed uno orizzontale: le osservazioni sono state fatte soltanto ai fili I, III, V. Ecco i risultati ottenuti: Alla distanza di 50". I numeri indicano millimetri. Filo: | 376 | 340 | 291 | 450 | 500 | 550 MITI 528 | 401 |a | Got est)! 701 eis, 680,1, 1.648 5051013703 803. |. 852 696 NICODEMO JADANZA Alla distanza di 6",25. I numeri indicano decimi di millimetro. Filo I 500 464 421 528 564 3° SII 680 645 602 709 746 gl 860 827 783 890 928 Calcolando i valori di S, ed S, separatamente per le di- stanze I-II; III-V; I-V si è ottenuto: per la coppia I-III per la coppia II-V per la coppia I-V Si 0,151167 0,15200 0,303167 Ss 0,018100 0,01812 0,036220 S, — Ss=0,133067 ; 0,13388: 0,266947 e quindi: + = 0,00304153; 0,0030601; 0,00610160. L’angolo corrispondente w è: In arco w"=':627”,361 631,191 In tempo w= 416,82 425,08. I valori delle suddette distanze dei fili determinati con pas- saggi di stelle sono i seguenti: I-III = 415,96 H-V=428,11. È bene non confondere questo metodo con quello che co- munemente si adopera in Geometria Pratica per la determina- zione del rapporto diastimometrico. Quest'ultimo metodo si può indicare in poche parole: NUOVO METODO PER DETERMINARE IL RAPPORTO, ECC. 697 Su di un terreno piano si misurino colla massima cura di- verse distanze D,, Ds, Ds, ....D, da un punto fisso A. Posto l’istrumento in modo che (fig. 2) il fuoco anteriore della lente obbiettiva stia sulla verticale del punto A, si mandi la stadia Fig. 2. al punto estremo di ciascuna distanza e si legga ciascuna volta (il cannocchiale essendo presso a poco orizzontale) la parte di stadia compresa tra i fili estremi del reticolo. Siano Si, So, ..., Sn codeste parti di stadia; sì avrà: i Sn (6) Teti È prep, iter La fig. 2 e la formola (6) dimostrano ad evidenza la diffe- renza tra questo ed il nostro metodo, il quale richiede la misura di due sole distanze. Ciò si può eseguire più facilmente nella pratica. Torino, maggio 1905. 698 GIORGIO SPEZIA Il dinamometamorfismo e la minerogenesi. Nota del Socio GIORGIO SPEZIA Professore di Mineralogia nell’Univ. di Torino. (Con una Tavola). Il dinamometamorfismo ha ancora molti autorevoli fautori, i quali, sebbene cerchino di sostenerlo interpretando in vario modo il significato della parola ed attribuendo alla pressione speciali azioni, ammettono tuttavia sempre che la pressione sia anche agente di processi chimici. Per es.: il Grubenmann in un suo recente scritto sugli schisti cristallini (1) ritiene che il metamorfismo delle rocce avvenga in modo diverso in tre zone distinte dalla loro rispet- tiva profondità: nella zona superiore l’azione della pressione sarebbe essenzialmente meccanica, nelle altre due zone, la media e l’inferiore, l’azione della pressione sarebbe precipuamente chimica. E lo stesso autore seguendo le idee di Lepsius, Heim e di Becke porta, in appoggio all'ipotesi che la pressione sia causa di reazioni chimiche, una legge che si riferisce ai volumi mole- colari dei minerali ed illustra con esempi il suo concetto. La minerogenesi è a mio avviso la base del metamorfismo chimico delle rocce, ossia le teorie che si propongono per spie- gare tale metamorfismo dovrebbero dare ragione anche della formazione dei minerali. Ed è perciò che io mi sono indotto ad esporre alcune osser- vazioni sul dinamometamorfismo considerando la formazione di un minerale che dal Grubenmann è data come esempio dell’azione della pressione e che invece io ritengo sia uno dei migliori esempi che la natura offre contro il dinamometamorfismo. Un fatto notissimo che si osserva in natura nelle rocce cristallino-schistose, è la frequentissima associazione del quarzo (1) Die Kristallinen Schiefer, I, Berlin, 1904, pag. 60. IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 699 colla calcite ed in pari tempo la scarsissima presenza della wol- lastonite relativamente alla diffusa associazione degli anzidetti minerali, i quali rappresentando anidride silicica e carbonato calcico parrebbe dovessero dar luogo al silicato calcico. Ora il Grubenmann cita precisamente, quale frequente esempio d'applicazione della legge sui volumi, la formazione della wolla- stonite scrivendo l’equazione (1): Calcite Quarzo Wollastonite CaC0* + SIO® = Casio: + co?T 36,76 22,64 40,70 war ga ossia sotto l'alta pressione, la calcite ed il quarzo danno luogo con eliminazione di CO? alla wollastonite, perchè il volume mo- lecolare di questo minerale 40,70 è minore della somma dei volumi molecolari dei due primi che è di 59,40. Non discuto la supposizione di una pressione, la quale, dovendo essere uniforme in tutti i sensi per agire sul volume molecolare, lascerebbe tuttavia sfuggire il gas C0?; nè discuto la questione se il gas, dovendo rimanere, non produrrebbe colla sua concentrazione, una tensione che arresterebbe la reazione. Ma credo opportuno di porre in rilievo soltanto le esperienze di laboratorio e le osservazioni di ciò che avviene in natura, per esaminare se la reazione chimica sopraindicata possa, per causa della semplice pressione, effettuarsi con quella facilità colla quale si può scriverla. Io ritengo che non possa esistere una chimica speciale per il metamorfismo delle rocce, e quando per spiegarlo si ricorre a reazioni chimiche, non si debba porre in seconda linea od anche trascurare le rispettive affinità chimiche per le quali gli elementi o i gruppi atomici reagiscono fra di loro e non tenere conto delle condizioni necessarie perchè la reazione avvenga. Sino ad ora le esperienze eseguite dai chimici e da coloro che si occuparono della formazione artificiale della wollastonite dimostrano che l’anidride silicica ed il carbonato calcico reagi- scono fra di loro soltanto coll’alta temperatura della fusione. (1) Loc. cit., pag. 51. 700 GIORGIO SPEZIA La reazione per via umida sarà stata anche sperimentata ; ma non conosco pubblicazioni di lavori a tale riguardo. Ad ogni modo io feci in proposito alcune esperienze. Ho posto un frammento di sfaldatura di spato d’ Islanda in acqua contenente silice gelatinosa, e in una prima esperienza mantenni per 7 giorni la temperatura di 100°, ed in una se- conda per eguale tempo la temperatura di 200°; ma dalla prima esperienza non ebbi traccia di reazione chimica e nella seconda la superficie del frammento apparve coperta da leggerissime velature indeterminabili al microscopio con forte ingrandimento. Per ciò che spetta all’azione dell’alta pressione, fra le varie esperienze, eseguite sulla mutua reazione fra i minerali e sempre con risultato negativo, ne feci anche due che si riferiscono ap- punto all’azione fra l'acido silicico ed il carbonato caleico. In una prima esperienza posi in un recipiente cilindrico della silice gelatinosa e la lasciai finchè per sincresi si fosse formato un cilindretto di silice non troppo dura; quindi tale cilindretto fu posto in un recipiente d’acciaio in mezzo a car- bonato calcico ottenuto per precipitazione ed essiccato, ed il tutto sottoposto alla pressione coll’apparecchio da me descritto in altro lavoro (1). La pressione continua fu di 6000 atmosfere e l’esperienza durò dal 12 luglio 1902 al 2 luglio 1903, ossia circa un anno. Per risultato ottenni che il carbonato calcico divenne compat- tissimo presentando la durezza 3 e dimostrava una traccia di schistosità normale alla direzione della pressione, talchè con un forte colpo dato sopra un coltello col taglio normale all'altezza del cilindro potei spaccare questo in due. La figura 1 rappresenta coll’ingrandimento di due diametri e mezzo la superficie di rot- tura. La silice nel mezzo aveva assunto un aspetto vetroso; ma il limite fra la silice ed il carbonato calcico è netto come si vede dalla figura, ossia, non vi fu assolutamente traccia di rea- zione chimica. Un'altra esperienza fu eseguita ponendo un frammento di spato in acqua contenente silice gelatinosa e mantenendo la pressione pure di 6000 atmosfere per quasi 9 mesi, dal 6 giugno 1904 al 2 marzo 1905. Il risultato fu che sulle superficie di sfal- (1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXV, pag. 750. IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 701 datura del frammento di calcite vi erano tracce di corrosione visibili con un forte ingrandimento, le quali indicavano una traccia di solubilità forse dovuta più alla durata dell’esperienza che alla pressione; ma ciò che più importa è che non osservai traccia alcuna di formazione di wollastonite, ossia di una avve- nuta reazione chimica, ed il fatto della traccia di solubilità dimostra pure che, sebbene il carbonato calcico e l’acido silicico sì trovassero in soluzione, non vi era ancora la condizione neces- saria, in questo caso la temperatura, per la mutua reazione. Queste due esperienze dimostrano che la pressione statica non produce reazione fra la silice ed il carbonato calcico. Ma ora dai fautori del dinamometamorfismo si ritiene come principale agente di reazioni chimiche la pressione dinamica, mentre la pressione statica avrebbe per compito di produrre effetti dipendenti dalla cosidetta legge dei volumi. Infatti il Becke distingue la pressione eguale in tutti i sensi corrispondente a quella idrostatica e che egli chiama Druck, ossia quella per la quale può stare il nome italiano di pressione statica. E poi vi ha la pressione laterale che il Becke chiama Pressung e che sarebbe quella che si esplica nei movimenti tet- tonici, sollevamenti, ripiegamenti di strati, litoclasi, ecc., ossia una pressione unita a movimento e per la quale io tengo il nome di pressione dinamica. A riguardo dell’azione delle due specie di pressione il Becke serive (1): “ La Pressung (pressione dinamica) è un fattore prin- “ cipale di metamorfosi, non soltanto perchè per la pressione “le parti vengono polverizzate ed aumentate le superfici di “ contatto fra le parti solide e le soluzioni; ma anche perchè “la pressione secondo il principio di Riecke, nelle rocce conso- “ lidate, produce in punti vicini soluzioni e cristallizzazioni per “ cui si sviluppano processi chimici e di cristallizzazione; i quali, “ nelle condizioni di Druck (pressione statica) e di temperatura, “ senza cioè la pressione dinamica, si effettuerebbero con infinita lentezza. In questo caso comprendiamo anche l’idea di Rosen- “ busch, che il lavoro meccanico si trasforma in lavoro chimico, “ (1) Ueber Mineralbestand und Struktur der Krystallinischen Schiefer. “ Separatabdruck. der K. Ak. Wiss. zu Wien ,, 1903, p. 40. 702 GIORGIO SPEZIA “e vediamo nel principio di Riecke l’anello d’unione fra il la- “ voro meccanico e quello chimico ,. Le esperienze che riflettono l’azione chimica della pressione statica sono facili, ma sono più difficili quelle sulla pressione dinamica, quando si vogliano mantenere od almeno eseguire le esperienze in condizioni che si avvicinino a quelle naturali. Perciò è evidente che acquistino grande valore le osserva- zioni sulle reazioni chimiche, fra minerali nelle condizioni na- turali, sia di pressione statica che dinamica. E precisamente per la mutua reazione fra la calcite ed il quarzo, così facile secondo il Grubenmann, io esaminai l’asso- ciazione dei due minerali trovata nelle rocce intersecate dalle gallerie del Fréjus e del Sempione. La galleria del Fréjus attraversa una serie di rocce schi- stose, calceschisti filladici, quarziti, ecc., i di cui rappresentanti sì trovano al museo geologico nella collezione preparata durante il traforo. Dal direttore di detto museo prof. Parona, che rin- grazio, ebbi il permesso di esaminare alcuni esemplari ed io scelsi un esemplare di filladi contenenti straticelli di quarzo e di cal- care e che era stato preso alla progressiva fra 6331 m. e 6365 m. dall’imbocco di Bardonecchia. A tale profondità orizzontale nella galleria corrisponde un'altezza di roccia sovrastante di 1600 m. Alcuni frammenti tolti dagli straticelli bianchi intercalati nella fillade, trattati con acido cloridrico diluito, si sciolgono facilmente con effervescenza, lasciando per residuo null’altro che grumi o grani di quarzo, senza alcuna traccia di wollastonite. Inoltre, eseguite alcune sezioni, queste al microscopio dimostrano che il contatto fra il quarzo e la calcite è netto e senza traccia di mutua reazione chimica, come appare dalla fig. 22. Nella galleria del Sempione, fra le progressive 7000 e 7100 m. dall’imbocco di Iselle, si è incontrato un calcare cristallino con- tenente poca mica e granuli di quarzo, i quali minerali riman- gono come residuo insolubile trattando il calcare con acido clo- ridrico diluito ; ma in tale residuo non trovai traccia di wollastonite e la sezione rappresentata dalla fig. 3%, dimostra ad evidenza il netto contatto fra i granuli di quarzo e la calcite. Nelle figg. 2* e 3, che rappresentano sezioni viste fra Nicol incrociati e con 60 diametri d’ingrandimento, le aree con linee di sfaldatura indicano la calcite, e le aree d’aspetto uniforme, il quarzo. IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 703 Osserviamo ora le condizioni di pressione, sia dinamica che statica e di tempo, nelle quali dovettero trovarsi le associazioni di quarzo e calcite. Le due località del Fréjus e del Sempione possono servire d’esempio di sollevamenti e contorsioni di strati, quindi l’azione del movimento o della pressione dinamica non doveva mancare. A riguardo della pressione statica in questo caso dell’as- sociazione del quarzo colla calcite, non si può supporre che tale associazione siasi formata dopo il sollevamento degli strati e consecutiva erosione e quindi dedurre la pressione dall’altezza della roccia sovrastante ora al livello delle gallerie, ma bisogna tenere conto della potenza degli altri strati di roccia che prima del sollevamento coprivano lo strato contenente l’associazione dei due minerali. In questo caso se consideriamo per brevità soltanto la tettonica delle rocce attraversate dalla galleria del Sempione, la potenza degli strati di rocce sovrastanti al cal-. care contenente quarzo, ed i quali ridotti all’orizzontale dovevano costituire la pressione statica, non era certamente inferiore ai 4000 metri. Quindi la pressione statica doveva essere non minore di 1000 atmosfere. In quanto all’altro grande fattore geologico, il tempo, le rocce cristalline schistose del Sempione si possono ritenere non più recenti del trias. In complesso quindi si ha che una pressione statica di 1000 atmosfere continuativa per epoche geologiche ed una pressione dinamica, del cui lavoro era un fattore la stessa pressione di 1000 atmosfere essendo l’altro fattore la velocità del movimento delle rocce nel sollevarsi, non produssero alcuna reazione chi- mica fra l'anidride silicica ed il carbonato calcico. Quindi l'osservazione dei fatti naturali dimostra che la for- mazione della wollastonite, per mezzo delle reazioni fra il quarzo e la calcite, supposta dal Grubenmann, sia il miglior esempio contro il dinamometamorfismo e la prova che la wollastonite debba la sua genesi ad altre reazioni chimiche; ed ovvia de- duzione è che per la minerogenesi non basti scrivere la reazione chimica con un’equazione, ma sia indispensabile di tenere conto delle affinità chimiche degli elementi, dei loro gruppi atomici e delle condizioni volute perchè la reazione chimica si effettui. Inoltre il risultato dell’osservazione sulla paragenesi del 704 GIORGIO SPEZIA quarzo e della calcite al Fréjus ed al Sempione, stabilisce che la pressione statica ha nessuna influenza nella reazione chimica, fatto provato dalle esperienze, e dimostra in pari tempo che si esagera anche molto sull’azione della pressione dinamica per il metamorfismo chimico delle rocce. Del resto alla stessa conclusione fornita dalle esperienze e dalle osservazioni si giunge anche esaminando le proprietà che dai fautori del dinamometamorfismo si attribuiscono, per le rea- zioni chimiche, alla pressione sia statica che dinamica. Una proprietà ancora da taluni ammessa è che la pressione statica produca la reazione chimica, sebbene non vi sieno espe- rienze le quali dimostrino con evidenza tale azione della pres- sione nei liquidi e nei solidi. I sostenitori dell’azione chimica della pressione citano so- vente le esperienze di Spring sulla formazione del biioduro di .mercurio e del solfuro di rame, senza badare che le relative reazioni avvengono, come io ho dimostrato (1), anche senza pres- sione alla temperatura ordinaria nella quale si fa l’esperienza ; ma poi essi tacciono di quelle esperienze di Spring che sono prova dell’inattività della pressione, per es., quella che nella miscela di zolfo, nitrato potassico e carbone non avvenne rea- zione chimica, neppure colla pressione di 7000 atmosfere, o quella sul composto organico del forone, per la quale fu provato che la pressione di 7000 atmosfere non produsse la temperatura di 28°. Parimenti riguardo alla solubilità del quarzo, minerale di somma importanza litologica, si ammette come indiscutibile, anche dal Grubenmann (2), l’esperienza di Pfaff, che trovò es- sere il quarzo solubile nell'acqua a temperatura ordinaria con sole 290 atmosfere di pressione ed in soli 3 giorni di tempo; ma non si considerano le esperienze (3) che dimostrarono la perfetta insolubilità del quarzo nell'acqua a temperatura ordi- naria, nonostante che la pressione fosse di 1750 atmosfere e la durata dell'esperienza di 5 mesi. Del resto è naturale che allorquando vi sono esperienze che 1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXI, pag. 943. 2) Loc. cit., pag. 31. ) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXI, pag. 249. IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 705 sembrano contradditorie, perchè non si confrontano le condizioni in cui si fanno, i fautori di una teoria scelgano quelle che ap- poggiano le loro idee, trascurando le contrarie e senza curarsi, come sarebbe dovere scientifico, di ripetere essi stessi le espe- rienze. Ma il rinnovare un esperimento potrebbe dare un risultato contrario alla propria teoria, ed allora, evitando le esperienze, si cerca un appoggio nella speculazione; perciò ora si vuol dare grande importanza alla legge detta dei volumi per sostenere l’azione chimica della pressione statica. Se la pressione può favorire la formazione di un composto chimico che nel suo costituirsi diminuisce di volume, ciò non vuol dire che la pressione produca il movimento atomico necessario per la reazione chimica. La pressione in tal caso non stabili- rebbe che una direzione d’orientamento degli atomi; e fissare una direzione non è sinonimo di produrre moto. Ed il movimento atomico, necessario per la reazione chimica, sarà dato dalla tem- peratura o da forze elettromotrici ma non mai dalla pressione, la quale non può quindi essere fattore del metamorfismo chimico delle rocce anche sotto l'egida della legge dei volumi. Consideriamo l’altro caso che la pressione porrebbe ostacolo alla formazione di un composto chimico quando vi fosse aumento di volume molecolare, e che perciò, secondo il Grubenmann (1), nelle grandi profondità della terra un’ alta temperatura ed un'alta pressione si troverebbero nemiche fra di loro. In questo caso, siccome la pressione si costituirebbe resi- stenza contro la temperatura che sarebbe la forza impellente del movimento atomico, bisognerebbe conoscere i relativi valori, ossia il grado di equivalenza fra l’azione della pressione e quella della temperatura. Ma se nel controverso argomento si ritenessero come espe- rienze definitive quelle eseguite per conoscere l’azione della pressione nella solubilità e si prenda, per es., l’esperienza di Braun (2) sulla solubilità del solfato sodico, essa dimostrerebbe che una soluzione di detto sale satura a 0° prenderebbe ancora (1) Loc. cit., pag. 34. (2) “ Sitzungsb. Ak. Wiss. Miinchen ,, Bd. XVI, pag. 205. 706 GIORGIO SPEZIA colla pressione di 500 atmosfere altro sale, come se fosse satura alla temperatura di 29,2. Quindi si potrebbe supporre, anche concedendo maggiore ef- fetto alla pressione, che sarebbe necessaria la pressione di 200 atmosfere per fare equilibrio ad 1° di temperatura. Ora io ri- tengo che non si possa dare alcun valore geologico all'effetto della pressione quando si confrontino fra di loro la profondità di roccia nella crosta terrestre per avere l’aumento di un grado di temperatura, con quella necessaria per avere la pressione di 200 atmosfere; perchè alla profondità delle roccie corrispondente ad una data pressione, la temperatura sarebbe sempre tale da vincere colla dilatazione la resistenza opposta dalla pressione. Perciò la pressione nel caso di aumento di volume moleco- lare non sarebbe un ostacolo alla reazione, ma tutt'al più costi- tuirebbe nel movimento atomico prodotto dalla temperatura un attrito affatto trascurabile e di gran lunga compensato dall’azione favorevole della pressione di mantenere l’acqua nelle condizioni più adatte per l'evoluzione chimica della materia minerale ed in conseguenza del metamorfismo chimico delle rocce. L'importanza della legge sui volumi, sostenuta specialmente dal Becke con pazienti indagini sui volumi molecolari dei mi- nerali costituenti le rocce, presenta, a mio avviso, anche il di- fetto di una base molto ipotetica; perchè il volume molecolare dei minerali è dedotto da formole chimiche sovente ipotetiche e che non rappresentano i dati delle analisi. Per es., secondo il Becke (1) e seguace il Grubenmann, sarebbe possibile l'equazione: Albite + Nefelina == Glaucofane Na Al 81508. . 100,3 Na?A1?S140!8,. oa NA ATSCOTI O NZ; 156,9 ossia essendo la somma dei volumi molecolari della nefelina e dell’albite di 156,3 si avrebbe per effetto della pressione la glaucofane che ha il minore volume molecolare di 137. Ora in tale equazione la formola della glaucofane non rap- presenta la sua composizione data dall’analisi, la quale trova (1) Loc. cit., pag. 81. IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 707 il ferro in vario stato d’ossidazione da un minimo di 7 ‘/, ad un massimo di 10 °/,. Ma si capisce che ponendo come produttori di glaucofane l’albite e la nefelina, nei quali minerali il ferro non è costante e quando è presente è solo in minima quantità, bisognava esclu- dere dalla glaucofane il ferro, benchè tale elemento si trovi costantemente e sia causa del caratteristico forte pleocroismo della glaucofane. Per analogo motivo cioè della mancanza o soltanto presenza di tracce di magnesia nell’albite e nella nefelina si esclude tale ossido dalla glaucofane che lo contiene costantemente da un minimo di 4 °/, ad un massimo del 14 9/5. Si noti poi che se si considera la glaucofane della Beaume analizzata dal Colomba (1) che è tipica e che per la sua com- posizione si avvicina a quella di Syra e che è espressa dalla formola Na? Fe Mg? AI? Si” 0?! e di peso specifico di 3,137, il suo volume molecolare sarebbe di 234: ossia dovrebbe succedere la reazione inversa, cioè per la pressione la glaucofane darebbe luogo ad albite e nefelina, più un silicato di magnesia e di ferro. A riguardo poi dell’ elemento ferro, forse per la difficoltà che il suo vario stato di ossidazione presenta alla speculazione lo si esclude addirittura; e negli esempi portati da Becke di trasformazioni, o di equazioni di volumi, come egli le chiama, l'elemento ferro appare soltanto nell’ilmenite. Tale minerale poi quando è introdotto è posto nel primo membro dell'equazione soltanto per spiegare la presenza della titanite nel secondo; talchè ne risulta dagli esempî citati dal Becke che i minerali olivina, augite, orneblenda, glaucofane ed epidoto dovrebbero essere tutti scevri di ferro, sebbene l’impor- tanza di tale elemento si presenti anche nei caratteri ottici di qualcuno dei detti minerali. A me pare che una teoria di minerogenesi, benchè ingegnosa ed anche attraente, non possa sostenersi quando si escludono dalla composizione chimica dei minerali gli elementi chimici co- stanti e caratteristici, la cui presenza può far variare in modo essenziale le condizioni di una reazione chimica. In complesso quindi bisogna ricorrere a formole chimiche (1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXIX, pag. 404. 708 GIORGIO SPEZIA molto ipotetiche interpretando le analisi ad usum rationis per volere dare alla legge dei volumi un’importanza maggiore di quella che le spetta considerandola come prova, che la pressione possa produrre una reazione chimica. Passiamo ora ad esaminare altre proprietà che si vogliono attribuire alla pressione come fattrice di reazioni chimiche. Il Grubenmann (1) asserisce addirittura che la pressione pro- duce la solubilità; il Becke più a ragione dice che la pressione dinamica polverizzando i minerali estende la superficie di con- tatto fra le parti solide e le soluzioni. È certo che la riduzione in polvere di un minerale aumenta la sua velocità di soluzione; ma sempre quando il minerale sia solubile; perchè se il mine- rale è in condizione di essere insolubile, la riduzione in polvere non può renderlo solubile, o lo potrebbe soltanto nel caso, ancora da dimostrarsi possibile, che la polverizzazione meccanica diretta potesse dividere fra loro gli atomi o le molecole di un com- posto chimico. Ma ammettiamo pure che la pressione produca delle solu- zioni mineralizzate ; ciò non vuol dire ancora che le due solu- zioni debbano reagire fra di loro; poichè due soluzioni possono rimanere mescolate senza che avvenga reazione chimica, quando non vi sia la vera causa efficiente della reazione. Consideriamo ora il principio di Riecke che il Becke pare ritenga di grande importanza pei processi chimici inerenti alla pressione. Il Riecke (2) studiò l'equilibrio fra un corpo solido omo- geneamente deformato e la fase fluida, e dai risultati teorici ot- tenuti, si potrebbe in generale stabilire: che se in una soluzione satura si trovano due prismi della stessa sostanza disciolta ed uno dei prismi sia sottoposto ad una deformazione unilaterale sia di trazione che di compressione, avviene in tale prisma so- luzione di sostanza, la quale per l'equilibrio della soluzione si depositerebbe sull’altro prisma non soggetto a deformazione. Forse il principio di Riecke potrebbe apparire spiegativo per l'intreccio dei granuli di quarzo nelle quarziti, supponendo (1) Loc. cit., pag. 34. (2) “ Nachrich. der K. Gesell. Wiss. zu Gottingen, math. phys. Classe ;, 1894, pag. 278. IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 709 che un granulo sia sottoposto ad una pressione diversa dal gra- nulo adiacente in modo che, trovandosi i granuli circondati da acqua satura di silice, il granulo sottoposto a minore deforma- zione aumentasse a dispendio di quello sottoposto a maggior pres- sione, costituendo in tal modo la speciale struttura ad incastro. Ma in questo caso d’applicazione del principio di Riecke dovrebbe entrare in funzione anche la direzione d’ orientamento dei granuli per la grandissima differenza di solubilità, dimostrata da esperienze (1), che presenta il quarzo fra la direzione del- l’asse di simmetria e quella ad esso normale. D'altronde non si può ammettere una pressione perfettamente unilaterale come lo si suppone nel prisma considerato dallo studio teorico, perchè quanto più i granuli saranno piccoli tanto più la pressione nella massa di essi tenderà colla profondità a diventare uniforme in tutti i sensi, ed in ogni caso i granuli certamente non si troveranno mai nella condizione dei due prismi teorici di essere uno sottoposto a deformazione e l’altro no. Perciò il principio di Riecke, importantissimo dal lato teorico per le premesse condizioni di deformazione unilaterale ed omo- genea, troverebbe forse difficile applicazione nel metamorfismo delle rocce nelle quali le condizioni sono assai diverse. Ad ogni modo è a ritenersi col Becke che il principio di Riecke spiegherebbe molto meglio le deformazioni senza rottura che non l'ipotesi di Heim che un corpo solido e rigido diventi plastico sotto una pressione uniforme in tutti i sensi; ipotesi che ha esperienze contrarie (2) e che è insostenibile per quei corpi, p. es., i silicati, 1 quali passando dallo stato solido al li- quido aumentano di volume. Inoltre tale principio ha pel metamorfismo il valore di con- ferma del fatto che, effettuandosi con speciali condizioni di moto una deformazione, si può avere calore efficiente di solubilità ed anche di reazioni chimiche, ossia una conferma dei fenomeni causati dalla pressione dinamica. Ma, come ho detto più sopra, si esagera anche negli effetti che può produrre nel metamorfismo chimico la pressione asso- ciata al movimento. (1) “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIII, pag. 292. (2) * Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXVII, pag. 591. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 47 710 GIORGIO SPEZIA È un fatto indiscutibile che quando il movimento è repen- tino, come nel casò di una formazione di litoclasi inclinata al- l'orizzonte e contemporaneo spostamento della massa rocciosa, si debba aver per l’attrito radente un grande sviluppo repen- tino di calore trasformabile in energia chimica ed i cui effetti si osservano sulle pareti delle litoclasi. Ma in tal caso gli effetti s' inoltrano pochissimo nelle pareti delle litoclasi perchè l’istantaneità dell’azione unita alla poca conducibilità termica delle rocce non dà tempo al calore di dissemi- narsi in esse. Avviene, per un confronto di analogia, ciò che si os- serva nella caduta delle meteoriti litoidee, nelle quali la super- ficie si fonde mentre nell'interno havvi ancora una temperatura di parecchi gradi sotto zero, come si trovò nella meteorite ca- duta a Dhurmsalla. Però l’esempio addotto delle litoclasi ha minima importanza per il metamorfismo delle rocce. iL) Osserviamo invece gli effetti che si vogliono attribuire alla pressione dinamica durante i sollevamenti, raddrizzamenti e ri- piegature degli strati rocciosi. La forza viva che dovrà in uno strato trasformarsi in energia termica e quindi in energia chimica avrà per fattore la pressione statica, ossia il peso della roccia sovrastante allo strato e la velocità del movimento. Ora tale movimento, effettuandosi lentamente col tempo di epoche geologiche, farà sì che l’ energia termica avrà tutto l’agio di disseminarsi nelle masse rocciose non ostante la loro poca conducibilità termica e la temperatura non potrà mai raggiun- gere il grado necessario alle reazioni chimiche. Nè si deve trascurare il fatto che parte della forza viva, per il lentissimo movimento, invece di trasformarsi in energia termica possa mutarsi, massime nei sinclinali degli strati roc- ciosi, in un lavoro potenziale di elasticità di compressione, della quale elasticità si possono facilmente osservare gli effetti sia nelle gallerie di miniere, sia nei tunnels. A proposito di tale elasticità credo opportuno di indicare un fatto costantemente apparso in tutte le mie esperienze ese- guite con pressione di 6000 atmosfere e con la velocità di com- pressione di un millimetro per minuto primo, esperimentando sia con sostanze minerali polverulente e umettate soltanto come IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 711 fosse rappresentata l’acqua di cava e sia con materiale perfet- tamente asciutto; la quantità di materiale oscillava secondo l’esperienza dai 20 ai 25 centimetri cubi. Io ho sempre osservato che il cilindro compressore d’acciaio del diametro di 25 millimetri, togliendo la pressione al termine dell'esperienza durata parecchi mesi, s' innalzava spontaneamente di 3 o 4 millimetri a seconda dell’esperienza, quantunque io trovassi poi sempre una fortissima resistenza nell’ estrarre total- mente il cilindro dal foro del recipiente d’ acciaio nel quale era stata compressa la sostanza. Ora tale effetto di elasticità ritengo sia dovuto in gran parte alla sostanza compressa e certamente di più che alla elasticità dell'apparecchio, perchè il recipiente d’acciaio aveva il diametro di 11 centimetri, mentre il diametro del foro era eguale a quello del cilindro compressore. Ora in tutte le esperienze io non ottenni mai alcun risul- tato di reazioni chimiche, sebbene a tale scopo esse fossero con- dotte; ciò prova che la forza viva, data dalla pressione di 6000 atmosfere colla velocità di un millimetro per minuto primo, avrà fornito in parte energia termica che si disseminava len- tamente nelle pareti del recipiente senza produrvi lavoro chimico ed in parte la forza viva si trasformava in lavoro potenziale di elasticità; e se si pensa che la velocità impiegata nell’esperienza, è incomparabilmente maggiore di quella che avranno le rocce nel loro movimento, appare evidente che la pressione dina- mica in tale condizione di moto non potrà mai produrre energia termica sufficiente per la reazione chimica. Perciò le pressioni,:sia la statica, sia quella dinamica a lento movimento, saranno principali fattori di effetti fisici inerenti alla struttura delle rocce, al mantenimento dell’acqua in esse in condizioni favorevoli alle reazioni chimiche, ed anche di effetti fisici predisponenti le reazioni come la triturazione, e l'aumento di contatto, ma dette pressioni non potranno somministrare la temperatura necessaria alle reazioni chimiche. Ossia la parola dinamometamorfismo non può indicare che il metamorfismo fisico e pel metamorfismo chimico suonerebbe meglio la parola termometamorfismo. E la temperatura, necessaria al metamorfismo chimico delle rocce cristalline schistose, bisogna ricercarla o in quella di con- tatto di rocce eruttive per fenomeni locali e più di tutto per i 712 GIORGIO SPEZIA fenomeni generali nella temperatura interna della terra, ossia per la temperatura bisogna riprendere quelle idee antiche le quali, dopo la comparsa della parola dinamometamorfismo, fu- rono abbandonate, perchè sovente il nuovo è più affascinante che il vero. l D'altronde, se si confrontano la temperatura e la pressione approssimative che si avrebbero ad una data profondità p. es., 6 chilometri, si può ritenere che la temperatura sarebbe di 200° e la pressione di 1680 atmosfere. Ora le esperienze dimostrano facilmente la differenza fra la grande energia chimica della tem- peratura di 200° nelle reazioni per via umida e quella minima, e secondo le mie esperienze nulla, della pressione di 1680 atm. sia statica, sia dinamica a lento movimento; e s’intende asso- ciando sia alla temperatura che alla pressione l’altro grande fattore geologico, il tempo. E lo stesso Becke dà ora grande importanza alla tempe- ratura interna della terra, anzi egli sarebbe d’avviso di ammet- tere due livelli abissali (adottando la traduzione proposta da Stella (1) della parola Tiefenstufen), uno inferiore nel quale la temperatura è così alta che sarebbe esclusa la formazione di minerali ricchi di idrossili e l’altro superiore dove si formereb- bero anche tali minerali, e nel suo interessante lavoro il Becke annovera i minerali che sarebbero proprì di ciascun livelio e quelli comuni ad entrambi i livelli di diversa temperatura. Tale divisione potrà forse essere accettata supponendo anche una certa promiscuità di minerogenesi fra l’uno e l’altro livello come ammette lo stesso Becke, sebbene la supposizione diminuisca di poco il carattere molto astratto del concetto per cui non si può avere un'idea anche lontanamente approssima- tiva della temperatura dei due livelli. Lo studio della paragenesi dei minerali fornisce sovente fatti comprovanti come lo stesso minerale possa formarsi a diverse temperature e ciò per le diversissime circostanze di ambiente chimico nelle quali può avvenire la genesi. E rimane molto in- comprensibile il concetto di Becke che ‘per le rocce cristalline schistose vi siano livelli in cui Ja temperatura sia così alta da 1) “ Boll. R. Comitato geologico ,, 1905, pag. 39. n v ù ) ARI LAME PRO I ; della R. Accd, delle Scienze Sozino Vol, VA evo, IL DINAMOMETAMORFISMO E LA MINEROGENESI 713 rimanere esclusa la formazione dei minerali ricchi di idrossili, ed egli infatti esclude la muscovite dai minerali appartenenti al livello inferiore ossia di maggior temperatura; mentre la musco- vite è minerale principale dei graniti e dei gneiss. Per altra parte poi il Becke (1) pone il granato fra i minerali caratteristici del livello di maggior temperatura, mentre si trova tale mine- rale anche con fossili, come, p. es., negli schisti a belemniti del Nufenen. Il supporre che minerali con idrossili non si formino ad alta temperatura deriva dal fatto che si vuol dare alla pressione degli strati proprietà di metamorfismo assai discutibili e si escludono invece quelle più importanti, come quella di mantenere nelle profondità dove havvi un’ alta temperatura l’acqua inchiusa, in qualunque stato poi si voglia, in modo da formarsi minerali con idrossili ed agevolare anche la cristallizzazione di tutti i minerali costituenti le rocce. E per questa seconda proprietà dell’acqua io sono convinto che se le esperienze di litogenesi, che si fanno colla fusione di minerali per lo studio della differenziazione nei magma erut- tivi, si eseguissero sempre in modo da mantenere inchiuse alla temperatura di fusione dei silicati anche tracce di acqua, la cristal- lizzazione sarebbe più evidente, come fu dimostrato da Loewinson- Lessing (2), e le esperienze corrisponderebbero di più all’ osser- vazione dei fatti naturali. (1) Loc. cit., pag. 33. (2) Studien iiber die Eruptivgesteine, pag. 359. 714 LUIGI BIANCHI Sulla deformazione delle superficie flessibili ed inestendibili. Nota del Socio LUIGI BIANCHI. Sil; 4 Teoremi generali sulla deformazione. Si sa che nella teoria generale della deformazione delle superficie, supposte flessibili ed inestendibili, le linee assintotiche si differenziano da tutte le altre linee tracciate sulla superficie per la seguente proprietà, che ha fatto dar loro il nome di linee di piegamento. Mentre qualunque linea non assintotica cangia necessariamente di forma quando la superficie si flette, invece attorno ad una assintotica, mantenuta rigida, è possibile ancora flettere in infiniti modi la superficie. Fin qui però la deduzione di questa importante proprietà era fondata unicamente sul fatto che negli sviluppi in serie, ottenuti per definire analiticamente le possibili configurazioni di una superficie con assintotica rigida, rimangono infiniti coefficienti indeterminati. Ma la convergenza di questi sviluppi non era in generale dimostrata; e solo in pochi casi particolari si era confermata, mediante integrazione diretta, la legittimità della conclusione (*). Come si vedrà nella presente Nota, basta applicare alle equa- zioni trovate da Darboux per le assintotiche virtuali di una su- perficie i risultati generali della teoria delle equazioni a derivate parziali per stabilire in tutto rigore il teorema in discorso, e fissare nel tempo stesso il grado di arbitrarietà, che resta nella deformazione di una superficie con assintotica rigida. Dimostro a tale oggetto il teorema fondamentale seguente: A) Tracciate ad arbitrio sopra una superficie S, a curvature opposte, due curve C, 0", uscenti da un medesimo punto ordinario (*) V. DarBoux, Lecons, t. III, pag. 280. SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 719 di S, ed ivi non tangenti, esiste una deformazione della superficie che rende ambedue le curve C,C' assintotiche (di diverso sistema) della superficie deformata (*). Per stabilire questo teorema bastano quelle semplici con- dizioni di continuità che, nella teoria delle equazioni a derivate parziali del 2° ordine del tipo iperbolico, assicurano l’applica- bilità del metodo di Picard delle approssimazioni successive. Ma se ci limitiamo a considerare superficie analitiche e le loro de- formazioni analitiche, possiamo completare la proposizione col teorema di unicità: A') Esiste una ed una sola deformazione analitica S, che rende insieme assintotiche due curve (analitiche) C, 0", incrociantesi sopra S. Supponendo nel teorema A) che una delle curve C, Cl”, per esempio la ©, sia già un’assintotica di S, nella configurazione attuale, se ne deduce l’altro teorema: B) Attorno ad una assintotica C, mantenuta rigida, si può flettere la superficie S in guisa che un’altra curva arbitraria C', uscente da un punto di C, diventi assintotica del secondo sistema. La deformazione è certamente unica nel caso analitico. Così è stabilita la proprietà fondamentale delle assintotiche come linee di piegamento; e viene inoltre fissato il grado di libertà inerente a tali deformazioni con assintotica rigida, come dipendente da una funzione arbitraria di una variabile. Una conseguenza notevole si trae dalla proposizione prece- dente applicandola al caso della deformazione di una superficie rigata (analitica), nella quale si mantenga rigida una generatrice. Si ottiene così il teorema: C) Se in una superficie rigata analitica (non sviluppabile), supposta flessibile, si mantiene rigida una generatrice, tutte le altre generatrici restano necessariamente rigide. Tale proprietà, che può a prima vista sembrare singolare, trovasi confermata direttamente, nel caso analitico, dall’uso op- portuno delle equazioni di Gauss e Codazzi. Ed in un caso par- ticolare importante, quello della elicoide rigata ad area minima, sia nello spazio euclideo sia in quello generale a curvatura (*) Nel caso particolare delle superficie pseudosferiche questa propo- sizione trovasi già stabilita nelle mie: Lezioni di geometria differenziale, vol. II, pag. 389. 716 LUIGI BIANCHI costante, si riconosce che il teorema (€) sussiste in tutta gene- ralità, anche per le deformazioni non analitiche. Coi teoremi generali surriferiti relativi alla deformazione delle superficie, e valevoli tanto in geometria euclidea come nella geometria ellittica ed iperbolica, viene a collegarsi spontaneamente il problema di Tchebychef, di rivestire una data superficie S, di distendere cioè sopra S un doppio reticolo di fili flessibili ed inestendibili a maglie parallelogrammiche (una rete di Tcheby- chef) (*). Secondo un’osservazione dovuta a Servant (**), il pro- blema di Tchebychef conduce analiticamente ad integrare un sistema di due equazioni del 2° ordine di costruzione affatto analoga a quello di Darboux per le assintotiche virtuali. Ed, applicando le medesime considerazioni, si può quindi stabilire con analisi rigorosa il teorema seguente, che dal punto di vista intuitivo può considerarsi come evidente (***): D) Tracciate ad arbitrio sopra una superficie S due curve C, C', uscenti da un medesimo punto, in direzioni diverse, sì può adat- tare sulla superficie una rete di Tchebychef in guisa che due fili incrociantisi dalla rete sì distendano sopra ©, C'. $ 2. Le equazioni di Darboux per le assintotiche virtuali. Indico col nome di assintotiche virtuali di una superficie S a curvature opposte ogni doppio sistema di linee (a, B) tracciate sopra S, suscettibili di diventare le assintotiche di S, dopo una conveniente deformazione. Se con (1) ds? = E;da? + 2F,dadB + G,d48? (*) V. Darsovx, Lecons, t. IMI, pag. 133 e 206 e le mie Lezioni, vol. IT, pag. 401. (#*) Sur l’habillage des surfaces, “ Comptes rend. de l’Ac. ,, juillet 1903. (#**) Cfr. Voss, Ueber iiquidistante Curvensysteme auf krummen Flichen, “ Katalog mathem. Modelle ,, Miinchen, 1902, pag. 16. V. anche “ Math. Annalen ,, Bd. 19. SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. VIT denotiamo, il quadrato dell'elemento lineare di S, riferita alle linee (a, BR), e con (2) Lal la curvatura della superficie, le formole fondamentali della teoria ci dicono (*): Le condizioni necessarie e sufficienti affinchè le linee (a, B) siano assintotiche virtuali sono date dalle due relazioni : dlogp Te dlogo _ 5 512) 8) ccp i al dove i simboli di Christoffel E + da J1 quadratica (1) (**). Soddisfatte queste condizioni (3), la superficie deformata S, è intrinsecamente individuata dai valori seguenti della seconda forma quadratica fondamentale di $,: si riferiscono alla forma 1 VEG, = FÉ " i D=D"=0, D'= Se supponiamo dapprima la superficie S riferita ad un qua- lunque sistema curvilineo (v, v) e poniamo: (4) ds? = Edu? + 2Fdudv + Gdo, considerando u, v come funzioni dei parametri a, B delle assin- totiche virtuali, queste due funzioni (a, 8), v(a, 8) dovranno sod- disfare a due equazioni caratteristiche a derivate parziali del 2° ordine, che sono le indicate equazioni di Darboux. Esse si deducono dalle formole generali di Christoffel per l'equivalenza (*) Cfr. Lezioni, ecc. Vol. I, $ 73 e segg. (**) I valori effettivi di questi simboli sono: dG1 _ - dEi Giai aa da (24,070 23) 718 LUIGI BIANCHI di due forme differenziali quadratiche nel modo seguente. Le due forme (1), (4) essendo per ipotesi equivalenti, le citate for- mole di Christoffel (*) ci dànno le due: du Sa du du (12) dude | dudv (22) dv do __ leg du 9 \ 30081 t1Sdad8 1 21 ata Ti16da dB sani 2| (a) < 0?» (11) du du SS 0E du dv (22/90 dv da do suoi dv IRR DAN da dB 1 dB S)+ 3a fans 1 Bg 2,0 i simboli di Christoffel a sinistra riferendosi alla forma differen- ziale (4). Ora, siccome le (a, 8) si suppongono assintotiche vir- tuali, si avrà per le (3): (12% 1 (| dlogp du dlogp dv | \ ii du 3g dv 3) Î (lay si di | dlogp dun dlogp dr } (ARA du da dv dal” onde le (a) si tradurranno nelle equazioni di Darboux: MICH ( 611) __ dlogp \ du du (12) 1 Qlogp ne Tra dato) du cali 2 de du dv __ de + DAG ° | da dR | dB da (A) d» | (11)37d (2) 1 dl du do | dud v u du ogp u dv u 2) Rai aa du ina dp da/ )+ 02) _ alogo) de de _ Ca | (n) dv ]da dB \ Inversamente se si ha una coppia «,v di funzioni indipen- denti di a, 8, che soddisfino le equazioni (A), il doppio sistema di linee (a, 8) sulla superficie S sarà di assintotiche virtuali. E invero, paragonando le (A) colle (a) di Christoffel, ne risulte- ranno le due relazioni: (12) 1 dlogp \ du (12) 1 dlogp = (ott Di i0R li 2. da i Î file (*) Lezioni, vol. I, pag. 64 (formola (I1)). du 108 SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 719 dalle quali, poichè il determinante funzionale: du du dv dB da dB non è nullo, seguono le (3); ora queste caratterizzano, come si è detto, le linee (a, B) quali assintotiche virtuali. Non tralascieremo di osservare che le equazioni (A) di Darboux valgono non solo nello spazio euclideo (a curvatura nulla), ma più in generale in uno spazio a curvatura costante o. Soltanto bisognerà in tal caso sostituire alla curvatura «sso- luta K della superficie S la sua curvatura relativa k, data da: ki hi= eis Per una superficie S ad assintotiche reali come qui si sup- pone, questa curvatura % è invero negativa, e se si pone: k= — DI 3 le formole (3) continuano ad esprimere le condizioni necessarie e sufficienti perchè le linee (a, 8) siano assintotiche virtuali (*). Tutti i teoremi generali enunciati, che andiamo ora a dimo- strare, sussistono quindi negli spazì di curvatura costante come in quello euclideo. Dimostrazione del teorema A). Da un punto O della superficie S facciamo uscire, in dire- zioni diverse, due curve arbitrarie ©, C' e cerchiamo un sistema di assintotiche virtuali (a, 8) di S, tali che le due curve prefis- sate C,C° appartengano l’una al sistema (8) l’altra al sistema (a). Per fissare le idee, poniamo che la C debba coincidere colla B=0 e la C' colla a=0; prendiamo inoltre per para- (*) Cfr. Lezioni, vol. I, pag. 504. 720 LUIGI BIANCHI metri a, 8 i rispettivi archi delle curve C, C', contati a partire da O. Verremo per tal modo a conoscere lungo le curve €, C' le funzioni v,v di a, 8 rispettivamente, e sia: ua, 0) =f(0), v(a, 0) = p(a) u(0, B) SS f.(8), v(0, B) = (8) (E Per risolvere il nostro problema geometrico dobbiamo dunque integrare il sistema (D) colle condizioni ai limiti (5). Dimostriamo subito inversamente che ad una tale coppia: u(a, 8), v(a, B) di soluzioni delle equazioni (A) corrisponde una soluzione del nostro problema geometrico. E infatti queste funzioni «, v sa- ranno intanto fra loro indipendenti, poichè sono distinte le due curve C, C', e quindi le linee (a, R) traccieranno (pel $ 2) sopra S un sistema di assintotiche virtuali. Ma poichè v,v si riducono per B=0 alle funzioni f(a), (a) prefissate, la curva B=0 verrà precisamente a coincidere colla C; e similmente la a=0 colla C*. Il problema analitico in cui abbiamo così trasformato la nostra questione geometrica consiste adunque nel trovare una coppia di soluzioni delle equazioni (A) del 2° ordine del tipo iperbolico, colle caratteristiche reali a, f, in guisa che lungo le due caratteristiche B= 0, a =0 le funzioni incognite «,v si riducano alle funzioni prefissate (5). I primi membri delle equa- zioni (A) sono funzioni quadratiche delle derivate prime: du du de do da’ dB’ da’ dB’ con coefficienti funzioni di «,v, che noi supponiamo finite e con- tinue insieme alle loro derivate parziali prime rapporto ad «, v in un certo campo (**). In queste condizioni il metodo delle ap- (*) Si noti che, pel significato dato ai parametri a, 8, le funzioni f(@), (a) non sono indipendenti, ma legate dalla relazione: di " df_ do (e) I (SE Traci da da pis da sa analogamente dicasi di f,(B), @;(B). (#*) Basta per ciò che E, F, G siano funzioni finite continue di «, ® fino alle derivate parziali del 4° ordine. SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 721 prossimazioni successive di Picard (*) è certamente applicabile e ci assicura della esistenza delle soluzioni domandate. Sussiste dunque il teorema fondamentale A). Restringendoci ora al campo analitico, supponiamo che £, F, G siano funzioni analitiche olomorfe di «,v e sviluppabili quindi in serie di potenze di u— wo, v— ©, essendo vo, v i Va- lori iniziali per a=0, B=0 dati dalle (5), ossia le coordinate del punto iniziale 0. Supponiamo anche naturalmente che le fun- zioni f(a), (a); f;(8), 9:(8) di a e R siano olomorfe nell’intorno di a=0 le prime, di 8=0 le seconde. Potremo trovare una coppia di funzioni olomorfe w,v di a, 8 date dagli sviluppi in serie: 0...00 0.. u = DE Win o 14 Vv = xi Din a”"p” mn my che soddisfino alle equazioni (A) ed alle condizioni iniziali (5), e questa coppia sarà unica. L’unicità risulta intanto subito da ciò che le (A) successivamente derivate, e le (5) bastano a cal- colare nel punto a= 0, B=0 tutte le derivate: | mitra ) Ot da” dp” a=0’ | dan dp a=0° B=0 B=0 e quindi 1 valori dei coefficienti @mn, Oman Quanto alla conver- genza effettiva di questi sviluppi si stabilisce ripetendo consi- derazioni affatto analgghe a quelle svolte p. e. dal Goursat a pag. 184 del suo trattato (Tome 1) (**). Così resta dimostrato anche il teorema A/'). Dobbiamo ora osservare che l’esistenza e l’unicità del si- stema integrale è assicurata solo in un intorno sufficientemente piccolo del punto iniziale a = 0, B=0. Corrispondentemente l’esistenza della deformazione richiesta, che riduce ambedue le curve €, C' assintotiche, viene assicurata soltanto per una regione convenientemente ristretta, ma finita, circostante sulla superficie al punto O d’incrociamento delle due curve prefissate. (*) Mémoire sur la Théorie des Equations aux dérivées partielles (* Journ. de Mathématique ,, 1890). (**) Lecons sur l’intégration des équations aux dérivées partielles du second ordre. Paris, Hermann, 1896. 122 LUIGI BIANCHI 84. Deformazioni con un’assintotica rigida. Supponiamo ora che delle due curve €, C' nel teorema ge- nerale A) la prima C sia già assintotica della superficie S nella sua configurazione attuale, ma non la seconda Cl". Esisterà una deformazione della S che, lasciando la C assintotica, renderà assintotica anche la C'; di più, almeno nel caso analitico, la de- formazione sarà certamente unica. È facile vedere che in questa deformazione l’assintotica C rimane rigida. E invero la sua prima curvatura non varia, perchè sempre eguale alla curvatura geo- detica di C; ma nemmeno la sua torsione varia, poichè il qua- drato di questa eguaglia, pel teorema d’ Enneper, la curvatura K della superficie cangiata di segno. Resta così stabilito il teo- rema B), che assicura l’esistenza delle deformazioni con una as- sintotica rigida e ne fissa il grado di libertà in una funzione ar- bitraria di una variabile, p. es. la curvatura geodetica della C" in funzione dell’arco s. È chiaro che in queste deformazioni spe- ciali, vincolate alla rigidità di una data assintotica, una curva prefissata sulla superficie non può più assumere una forma ar- bitraria come nelle deformazioni perfettamente libere. Al con- trario le varie forme possibili per una curva F saranno vincolate da una relazione differenziale fra gli elementi che definiscono intrinsecamente la curva, p. es. la flessione e la torsione di quali funzioni dell'arco. Queste relazioni differenziali non si cono- scono però fino ad ora che nel caso particolarmente semplice delle deformazioni delle superficie rigate con generatrici rigide, su cui ritorniamo più avanti. A conferma di questi teoremi generali sulla deformazione ricorderemo varî casi particolari ben noti. Il primo e più sem- plice esempio si ha nelle superficie d’elemento lineare: ds? = (1 — u?) du? 4- u?dv?, che sono le evolute delle superficie W colla relazione: fra i raggi principali di curvatura. Per la corrispondente classe completa di superficie applica- SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 129 bili, una delle prime determinate da Weingarten, si ha l'elegante costruzione geometrica di Darboux che le fa derivare dalle su- perficie di traslazione colle due curve generatrici a torsione costante eguale e contraria (*). Il Calò ha studiato appunto nella sua tesi (**) la deformazione di questa superficie in relazione coi teoremi generali, e dalle sue ricerche facilmente risulta che il problema di flettere la detta superficie sì da rendere assin- totiche due sue curve prestabilite, si riduce ad integrare equa- zioni differenziali ordinarie (di Riccati), trattandosi di determinare le due curve trasformate dalle loro equazioni intrinseche note. Altri casi notevoli si hanno nelle superficie pseudosferiche e in cinque tipi di superficie applicabili sopra superficie di rota- zione che si collegano alle superficie pseudosferiche stesse e sono: 1° la pseudosfera accorciata; 2° la pseudosfera allungata (ovvero la superficie logarit- mica di rotazione); 3° il catenoide ordinario : 4° il catenoide accorciato; 5° il sinusoide iperbolico. Il primo e secondo tipo sono dati dalle superficie comple- mentari, il terzo dalle evolute delle superficie pseudosferiche (***). Gli ultimi due tipi dipendono dalla composizione di due trasfor- mazioni di Bicklund reali ed opposte, ovvero puramente imma- ginarie coniugate (****). Per tutte le classi di superficie enumerate il problema di fare acquistare, per flessione, alla superficie due assegnate assintotiche si riduce ad integrare l'equazione: LO = senw dadf de i assegnati i valori di w lungo due caratteristiche a=a), B=fo- (1) Darpoux, Lecons, t. III, pag. 372 s. s. Cfr. le mie Lezioni, $ 245 (vol. II, pag. 61). (**) Sulle evolute delle superficie di Weingarten r,— r.= e sen | — È ( “ Annali di Matematica ,, 1893. (***) Lezioni, vol. I, pag. 293-294. (****) Ibid., vol. II, $$ 390 e 398. 724 LUIGI BIANCHI $ 5. Deformazione delle superficie rigate. Prendiamo una superficie rigata flessibile ed inestendibile e deformiamola, secondo il teorema B), mantenendo rigida una generatrice 9 (assintotica). Se ci poniamo nel caso analitico, la deformazione è determinata in modo unico quando sia fissata una curva €, intersecante 9, che debba diventare assintotica dopo la deformazione. Ma, per le note ricerche di Beltrami (#), si sa che possiamo rendere altresì assintotica la curva € con una deformazione che lasci rigide tutte le generatrici della ri- gata. Dunque, le due deformazioni coincidono e si ha l’enunciato teorema 0): o Sopra una superficie rigata S tutte le generatrici restano ri- gide quando tale si mantenga una di esse. Come corollario si può notare che: Se in una quadrica rigata restano rigide due generatrici di diverso sistema, l’intera superficie rimane rigida. Ritornando al nostro teorema generale C), osserviamo che lo studio delle particolari flessioni delle rigate con generatrici rigide, dovuto a Minding e Beltrami, appare ora come il primo e più semplice esempio del problema di determinare tutte le flessioni di una superficie con assegnata assintotica rigida. Poichè la dimostrazione del nostro teorema (€) è stata ot- tenuta per una via alquanto indiretta, non sarà inutile dimostrare come esso segua anche dalle formole di Codazzi, sempre rima- nendo nel caso analitico. Riferiamo perciò la rigata ad un sistema coordinato (v,v) di cui le v= cost siano le generatrici, rima- nendo le u= cost arbitrarie. Indicando con D, D', D'' i coefficienti della seconda forma quadratica fondamentale, per una superficie qualunque S applicabile sulla rigata, e ponendo: NZ ni A DM A'==2è i DE Vae=Pi le (er (*) Sulla flessione delle superficie rigate, È Annali di Matem. ,, serie I, t. VII (1865). Opere, vol. I, pag. 208 s. s. Vedi anche le mie Lezioni, vol. I, pag. 265. SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 725 avremo in primo luogo l’equazione di Gauss: 1 p° (6) A"? — AA = e le due equazioni di Codazzi. Qui però ci occorre soltanto ri- correre alla prima di esse che, avendosi: (did eR per essere le v= cost.'° geodetiche, si scrive: ad, 901% pr (7) so 1125 8= Lr Ma siccome nello stato iniziale di rigata si ha: e la (7) ci dà: così potremo scrivere in generale la (7), per una configurazione S qualunque, nel modo seguente: (75) DI o pglA— A'Ì_ log(pA'). Supponiamo ora che sulla S una delle linee v = cost, p. e. la v=0, sli sia mantenuta rettilinea, e quindi assintotica; avremo: (8) (A).=o == (() Per dimostrare il nostro teorema dovremo provare che sarà identicamente: A=0, per qualunque ». Poichè ci troviamo nel caso analitico e supponiamo che le funzioni: Atti della R. Accademia — Vol. XL. 48 726 LUIGI BIANCHI siano sviluppabili in serie di Taylor per potenze di v, basterà dunque provare che insieme a 4 si annullano per v=0 tutte le sue derivate rapporto a v: dA FA dA OCRA O in là quanto si vuole. Intanto, ponendo nella (6) v=0, si vede che si può ritenere: hi = I perivi=%, ossia: (0A/).0=1 Questa derivata rapporto ad w ci dà: (3 log(pA')) 0 o=0 e dalla (7*) risulta quindi: dA (o 30. Procedendo ora con metodo induttivo, supponiamo d'aver verificato che fino all'ordine n — 1 sussistono le formole: (CONERO A (8) A ma=(7)_p Ge e (Le e dimostriamo che si verificheranno anche le due per l’ordine seguente: 5 IO"A |\ Net dn 1A' \ SA | quel 1 (M) \ sei bea lag ai | 2) e: v" ] o=0 Intanto dalle (B) si ha subito: log(pA')) =0 ("*. log( 4')) La 5 ET e pr g(pA') o, v=0 SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 727 e, derivando rapporto ad «, ne seguono le altre: tà Al iti» _0,... | STE log(pA') E 0 (8) (37 198(08))_=0. (00, SPAN), L’equazione (6) di Gauss, derivata n—1 volte rapporto e postovi poi v= 0, ci dà per le (a), (f): dn !A' 834 gqnl 1 | do E (= | i pori ‘ che è appunto la seconda (Y). Dalla ultima segue anche per le (f): i Xr m_l 7 log(pA"))__, Ri == 0 e quindi: o=0 a log(pA' )) 20 Infine derivando la (7*) n —1 volte rapporto a v e ponen- dovi v=0, coll’aver riguardo alle precedenti, verifichiamo anche — la prima delle (Y): nA 4 (3 o=0 FE 0. Il nostro teorema C) è così nuovamente dimostrato. $ 6. Deformazioni dell’elicoide rigata d’area minima. Vogliamo ora dimostrare come per particolari superficie rigate il teorema C) sussista in tutta generalità senza restrin- gersi al caso analitico. Scegliamo per questo esempio una classe a più riguardi notevole di superficie rigate, quella delle super- ficie applicabili sull’elicoide rigata d’area minima nello spazio euclideo, e più in generale in uno spazio di curvatura costante, positiva o negativa. La detta elicoide è generata da una retta dotata di movimento elicoidale attorno ad un asse a cui si ap- poggia normalmente. Si genera così in tutti i casi una superficie d’area minima, che nel caso euclideo ha l'elemento lineare: (9) ds? = du? + (ui | ui ve) di? 728 LUIGI BIANCHI vpi T ellittico invece, di curvatura K,= + 1, la superficie ha l’ele- mento lineare: essendo il parametro del movimento elicoidale. Nello spazio (10) ast = du? + ( costu + 0") dre, e nell’iperbolico, di curvatura K,= — 1, l’altro: (11) ds? = du? + | cosh®u + SE) dr. Le generatrici v= cost e le loro traiettorie ortogonali u= cost (eliche) sono le assintotiche della superficie. In tutti tre i casi si verifica subito che la seconda delle equazioni (D) di Darboux diventa: do pl dad = = onde integrando: (12) v= f(a) + F(8). Di qui, con una considerazione semplicissima, segue subito in tutta generalità il teorema C) pel caso attuale. Suppongasi infatti che sopra una superficie S applicabile sul nostro elicoide una delle generatrici, p. e. la v=0, si sia conservata rettilinea (assintotica) e coincida poniamo colla a = 0. Avremo dunque dalla (12): #0) + F(8)=0, dopo di che la (12) si scrive: r= fila) — f(0) e dimostra che tutte le linee v= cost sono assintotiche e quindi rettilinee, c. d. d. A riguardo di queste superficie aggiungiamo le osservazioni seguenti. SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 729 Le loro deformate rigate sono le superficie luogo delle bi- I E 1 ; | : normali alle curve di torsione costante La quelle invece in cui una e quindi tutte le generatrici hanno perduta la forma retti- linea sono le evolute delle superficie a curvatura costante con assintotiche reali. Il problema di deformare queste superficie in modo da far loro acquistare due prefissate curve per assinto- tiche conduce sempre alla medesima equazione : da integrarsi con valori prefissati per w lungo due caratteristiche. Infine osserviamo che l’intima ragione del fatto perchè i problemi della deformazione della superficie (9) nello spazio eu- clideo, o della (10) nello spazio elittico, o infine della (11) nel- l’iperbolico, sono problemi equivalenti, dipende dalla circostanza seguente. Queste superficie sono rappresentabili l’una sull’altra, con semplici formole che qui omettiamo, in guisa che si corri- spondono le linee assintotiche attuali (u,v) ed insieme le loro linee geodetiche. Secondo i risultati e le denominazioni introdotte in una mia Nota nei Rendiconti dei Lincei (**), esse sono quindi superficie coniugate in deformazione; si corrispondono cioè anche tutti i loro sistemi di assintotiche virtuali. In particolare ad ogni superficie rigata applicabile sull’elicoide rigata d’area minima nello spazio euclideo ne corrisponderà una analoga nello spazio ellittico e nell’iperbolico, ciò che dà luogo ad una relazione corrispondente fra le curve a torsione costante nei due spazî. = 1, l'equazione cor- . : ; E vio (*) Però se siamo nello spazio ellittico ed è 7? 2 rispondente è semplicemente 0 Si hanno allora le superficie a curvatura nulla in geometria ellittica (V. Lezioni, vol. I, $ 219-220). (**) Sopra un problema relativo alla teoria della deformazione delle su- perficie (aprile 1902). 730 LUIGI BIANCHI WE Reti di Tchebychef. Venendo da ultimo al problema delle reti di Tchebychef distese sopra una superficie di dato elemento lineare (4), osser- viamo che la proprietà caratteristica di una rete siffatta (a, 8) consiste in questo che nella corrispondente forma (1) del ds? si ha: (IZ pie E D10 DIRE a Ne segue allora infatti de dGi _ dB ) de rare e, cangiando i parametri a, $ si può rendere: Ei _ le Gi —_ ite dopo di che il ds? riveste la forma caratteristica delle reti di Tchebychef: ds = da? + 2coswdadB + dB?. 12) Ora se nelle formole (a) di Christoffel poniamo 300 1 1) n: —= 0, ne otteniamo le due equazioni a derivate Nido Ù per «, v: du (11) du du (12)/du dv du de) (22) dv do __ I 3adh 1 11\da seat gi last dp da da t15da dB — 0 15 (11) dudu | (12) | du dv, dudv (22) dv de d?p | dadp 1 22590981 12) TANT ET) poco Queste sono appunto le formole di Servant: esse caratte- rizzano le reti (a, 8) di Tchebychef, precisamente come le (D) di Darboux i sistemi di assintotiche virtuali; poichè se le fun- SULLA DEFORMAZIONE DELLE SUPERFICIE FLESSIBILI, ECC. 731 zioni indipendenti (a, 8), v(a, B) soddisfano le (13), dal paragone colle formole (a) di Christoffel segue ora: Supponiamo che si cerchi sopra la superficie S una rete di Tchebychef a cui appartengano due curve prefissate €, C”, incro- ciantisi in un punto O di S, e sulle quali debbano venire rispet- tivamente a distendersi due fili B—= 0, a = 0 della rete. Cono- sceremo così lungo queste due caratteristiche i valori delle funzioni «,v di a, rispettivamente; i teoremi generali ricordati al $ 3 ci assicurano dell’esistenza della soluzione cercata ed, almeno nel caso analitico, della sua unicità. Questa soluzione («, v) delle equazioni (13) ci dà la rete di Tchebychef domandata, onde segue il teorema D). Infine osserviamo che nel caso delle superficie pseudosfe- riche essendo p = cost, le equazioni D) di Darboux vengono a coincidere colle (13) di Servant. Ciò è dovuto alla circostanza ben nota che per le superficie pseudosferiche ogni sistema di assintotiche virtuali è una rete di Tchebychef e viceversa. 732 ENRICO GATTI Particolarità della rifrazione dovuta ad una corona cilindrica retta. Nota dell'Ing. ENRICO GATTI. (Con una Tavola). 1. — Sia una corona cilindrica retta rifrangente immersa nell'aria. Le circonferenze di base Q,' (Fig. 1) della sezione retta di simile solido si suppongano avere raggi di lunghezze rispettive d, a, tali che il rapporto è. risulti finito e maggiore dell’unità e sieno inoltre n>1 e @ l'indice di rifrazione e l’an- golo limite relativi al solido stesso. Assunti AY ed AX come direzioni positive di due assi cartesiani ortogonali, si consideri un punto qualunque 5, della circonferenza £, come punto di incidenza di raggi i quali si sup- porranno sempre in quella sezione normale. Condotta la normale AN e la tangente LL’ a quella cir- conferenza nel punto B, si determini il raggio rifratto B£ cor- rispondente all'incidente VB, appartenente al quadrante LBN, e si indichi con r l’angolo di rifrazione ABE. In quanto segue si ammetteranno come positivi gli angoli di rifrazione, come r, dovuti a raggi incidenti nel quadrante come LBN: negativi gli angoli di fziole relativi ai raggi rifratti che cadono nel quadrante come LBA. Le proprietà di questi ultimi raggi potranno dedursi da quelle proprie ai raggi appartenenti al quadrante come ABL', scambiando nelle relazioni che le determinano r in — r. Indicate ordinatamente con p e con q le coordinate BO, CA del punto B, nelle ipotesi fatte, le equazioni: )cosv + gsenr y= acoertastar (9g) 4p qeosr — psen 7 a+ y=a? rappresenteranno rispettivamente la retta BE e la circonferenza £' riferiti, tali luoghi, agli assi coordinati scelti. CRAS PARTICOLARITÀ DELLA RIFRAZIONE, ECC. 733 Le radici comuni a quelle equazioni : b (1) —bsenr (gcosr — psenr) + (pcosr + gsenr) Va — b*sen*r Unire 7 porgeranno le coordinate dei punti di incontro, del raggio rifratto considerato, colla circonferenza QQ. Tali punti saranno reali e distinti, reali e coincidenti, op- pure complessi coniugati secondochè si avrà: (2) a=bsenr od ancora secondochè: a ua = btang Vie Gli è perciò che condotta da A (Fig. 1), nel quadrante ABL', la retta AS tale che l'angolo BAS sia uguale ad r, e determi- nati i punti /, H d'incontro di essa retta colle tangenti BL/, GH alle circonferenze ®, £' nei punti rispettivi di loro interse- zione B, G, col raggio AN, la condizione (2) riesce espressa da: (2) AH= BF. cs Se si supporrà che sia » = 0 la condizione da soddisfarsi dai raggi 5, a, per un dato indice di rifrazione, perchè il raggio rifratto corrispondente all'incidente LB intersechi la circonfe- renza £' in due punti reali e distinti, reali e coincidenti o com- plessi coniugati, sarà la prima, la seconda, oppure la terza di quelle racchiuse nella relazione (2): VITA n. 2. — Dei due punti reali e distinti in cui un raggio ri- fratto come BE (Fig. 1) taglia la circonferenza £' quando sia: a>bsenr non potrà essere punto di incidenza di tal raggio che quello più prossimo al punto 5B, ossia quello che, con questo punto, sì tro- 734 ENRICO GATTI verà dalla stessa banda della polare del punto stesso rispetto alla circonferenza accennata. Volendo definire algebricamente quale di quei due punti debba essere considerato come punto di incidenza, conviene — per quanto occorrerà più innanzi — esaminare l'equazione risul- tante dalla somma delle relazioni (1) moltiplicate la prima per q e la seconda per p. Così operando si ottiene: (3) qe + py = b(bsen2r + cosr Va? — 82 sen?r). L'equazione, così dedotta, vale — indipendentemente dal problema fisico — qualunque sia la retta come BE passante per B ed appartenente al quadrante come ABL': i valori che essa porgerà per 9x + py, al variare di r, saranno reali od im- maginarì con quelli di x e di y (1), e varranno, manifestamente, per i punti di intersezione, colla circonferenza £', della retta come BE' del quadrante come LBA, corrispondente all’angolo — r. Si supponga verificata l'una o l’altra delle condizioni rac- chiuse nella (2): a= bsenr. Quando fosse: a>bsenr, la (3) rappresenterebbe l'equazione complessiva di due rette, reali e distinte, normali alla retta come AB e passanti l’una per l'uno e l’altra per l’altro dei due punti, reali e distinti in cui la retta positivo negativo’ la circonferenza £' e situate, tali rette, da bande opposte della polare del punto 5 rispetto alla circonferenza stessa. Se si avesse: BE : , come py corrispondente allo stesso angolo r interseca a= bsenr simili rette coinciderebbero, con tale polare, al coincidere di quei punti di intersezione. Osservando inoltre che nella (3) i valori di: bsen?r + cosr Va? — 6° sen?r sono: l’uno positivo e l’altro nullo per a = dtang 7; ambedue positivi PARTICOLARITÀ DELLA RIFRAZIONE, ECC. 735 se bsenrbtangr; si deduce che i due valori reali e distinti del seg- mento tagliato sull’asse coordinato AY da ciascuna delle rette rappresentate dall’equazione (3), nella supposizione : a>bsenr, p>ò, saranno per p<0 ambedue SSA quando fra i segmenti come AH, BF (Fig. 1), negativi corrispondenti all'angolo r scelto, ed il raggio « della circonfe- renza £' passa la relazione (2): AH>BF>a; l’uno BariLYO e l’altro nullo se: negativo bi di (RA positivo SULA negativo negativo positivo BA ata Occorrendo stabilire, nella supposizione fatta, quale delle due rette reali e distinte, rappresentate dalla equazione (3), sia dalla stessa banda della polare che le separa, si noti che indi- cate genericamente con H le distanze da B dell’uno e dell’altro dei punti reali in cui una retta come BE taglia la circonferenza Q', e con %,y le coordinate tanto dell’uno quanto dell’altro di essi punti, si ha: H? = a? + 6? — 2(py + qa). Delle due rette in esame sarà quindi col punto B dalla stessa banda della polare accennata, quella per la quale la (3) fornirà per gx + py il maggior valore. Assunto adunque per r un tale valore che sia: a>b sen r e considerando il problema fisico, dalle oservazioni esposte, si deduce che le coppie di punti reali di incidenza colla circonfe- renza £' di raggi rifratti uscenti da B ed ai quali corrisponde . 736 ENRICO GATTI lo stesso angolo di rifrazione — positivo o negativo — si tro- veranno su quella retta di ciascuna coppia — rappresentata dalla (3) — per la quale ge + py ha valore positivo, ossia su quella retta la quale taglia sull'asse coordinato AY un segmento del segno di p. Che, se ambo i valori di gx + py fossero posi- tivi per lo stesso valore — positivo o negativo — dell’angolo di rifrazione, allora, fra essi, sarebbe da scegliersi quello di maggior valore. 3. — Si conducano da B (Fig. 1) le tangenti alla circon- ferenza 2' e si indichino con K e K' i punti di loro contatto. I valori di gx + py relativi a punti come XK, K' e come G si possono trarre dalla (3) sostituendo a senr i valori}, -} oppure 0, secondochè sia questione di un punto come X, o K°, oppure di un punto come G. Detti rispettivamente P e P, tali valori, fatta la sostitu- zione accennata, risulta: pei punti come XK, K' P_AR e pei punti come @ P,= dk I raggi rifratti, che si possono immaginare uscenti da 5 ed incidenti sulla circonferenza £', sono compresi nell'angolo come KBK', e siccome ciascuna retta reale — determinata dalla (3) — la quale contiene i noti punti di incidenza, è (ff. 2) racchiusa fra le rette come: (Pa a, P, =D, così, qualunque sia il punto B, i valori di gx + py relativi ai diversi punti di incidenza di quei raggi rifratti colla circonfe- renza 2", saranno compresi fra ab ed a?. Il valore stesso sarà uguale ad ad per il punto di incidenza corrispondente ad un angolo di rifrazione nullo e ad a? pei punti MALE K i) di incidenza come K' quando per lo stesso valore — positivo o negativo — dell’angolo di rifrazione sia possibile l’uguaglianza a=bsenr. 4. — Si considerino ora (Fig. 1) tutti i raggi incidenti nel punto scelto B. Fra questi gioverà distinguere, per l’esame che PARTICOLARITÀ DELLA RIFRAZIONE, ECC. 737 se ne farà in seguito, quelli i quali danno luogo a raggi emer- genti dopo riflessione dei raggi rifratti corrispondenti, dagli altri pei quali l'emergenza si compie senza la riflessione accennata. Si dirà che questi ultimi originano raggi direttamente emergenti dalla circonferenza 2 o dalla Q'. Si osservi intanto che se accadrà che il raggio come BK possa essere considerato come raggio rifratto, l'incidente che lo origina potrà comprendersi fra quelli che dànno luogo a raggi direttamente emergenti dalla circonferenza £', perchè, in tal caso, il raggio rifratto riflettendosi nel suo punto di tangenza colla circonferenza £' riesce per diritto col suo raggio riflesso. Per ottenere l’accennata distinzione, si congiunga il punto di incidenza B con un punto / scelto sull’arco come KG per modo che l'angolo ABD risulti minore dell’angolo limite 0. Tale congiungente la si potrà ritenere come un raggio rifratto dovuto ad un certo raggio incidente nel quadrante LBN e sarà D (ff. 2) il punto di incidenza di quel raggio colla circonferenza Q'. Condotta la normale AQ alla circonferenza £' nel punto D ed indicati rispettivamente con r ed »' gli angoli ABD, BDQ, dal triangolo BAD, si trae: b (4) senr' = — senr, (47 sicchè sarà: era ° (24 x Quando sia senr = —- è (4) 7 = 0. nb Se si prolungherà la tangente BX in BW e si considererà BW come un raggio incidente, sarà il raggio rifratto corrispon- dente BM quello che determinerà un angolo come r'—=0@ e, perciò, sarà tale il valore dell’angolo BOQ' fatto dal raggio BM colla normale alla circonferenza £' nel punto di incidenza O di quel raggio colla circonferenza stessa. Ne segue che: I raggi incidenti nel quadrante LBN, i quali dànno luogo a raggi emergenti direttamente da <', sono quelli del fascio WBN, eccettuato il raggio WB pel quale si ha riflessione del raggio rifratto corrispondente nel suo punto di incidenza colla circonferenza %*, 738 ENRICO GATTI Il rapporto -. dei raggi delle basi della sezione normale considerata, può ammettersi maggiore, uguale oppure minore del valore » dell’indice di rifrazione. Si esaminino partitamente tali casi, dando, nelle figure 2-3, al punto B ed ai raggi WB, BK, BK', BO i significati ammessi pel punto e raggi omonimi della figura 1. I. — Quando fosse (Fig. 1): SAI a risulterebbe l'angolo ABKA>a?, e quindi riesce: az +4 5° — 2A>0, così il segno dell’espressione (12) dipenderà da quello della: (13) a?(14 n°) + b°(1— n°) — 2A. Il valore assunto dalla (13) è positivo, nullo o negativo, secondochè sia: oz a+ — 2A (14) n° = di 493 Quando fosse A= a? risulterebbe n° = 1 e la (13) acqui- sterebbe valore nullo: per A = a? si avrebbe ordinatamente: Nel caso in esame è (ff. 3) A>a? e quindi, riuscendo pel valore assunto per l’indice di rifrazione verificata la terza fra le condizioni racchiuse nella (14), l’espressione (13) e di conse- guenza il risultato (12) della sostituzione di A nella (7) assu- merà valore negativo. Finalmente, la sostituzione del valore A; nella (7), quando si faccia nella (10): V (a?n? — 6?) (n° — Dj gli e si tenga presente che: —_.(60+H)?=2n? A, — n?(a? + 52) + ant, conduce alla espressione: ba SUM: ma (0-88 ZA), la quale ha valore positivo. 744 ENRICO GATTI I risultati ottenuti mostrano come fra la coppia di valori A, P od ancora fra la coppia A, A;, cade una radice reale e po- sitiva della equazione (7) ed una soltanto perchè, altrimenti, ne dovrebbero cadere tre, la qual cosa è esclusa dall’esistenza d’una radice negativa. Ricordando ora che per lo stesso angolo di rifrazione — ti E ‘ è rifléesi di rasoi Fin BE positivo o negativo — vi è riflessione di raggi rifratti come py lungo l’arco come por quando sia (Fig. 1-2) il rapporto 7 mag: giore od uguale all’indice di rifrazione, e riflessione lungo l’arco come SR (Fig. 3) se - sia minore dell'indice stesso, dai ri- sultati accennati si deduce che, qualunque sia l’ammesso valore : b finito del rapporto a Sempre un punto come P, ed uno solo, 3 ; È KO cadrà sulla porzione dell’arco (Fig. 4) come K'0' lungo la quale b : È — dipendentemente dal valore del rapporto, — SÌ ha rifles- 5 gg e "bl sione dei raggi rifratti come pyy. Determinato il valore X, della radice dell'equazione (7) com- presa fra le coppie di valori A, P od A, A, — dipendentemente ) : BI ILE dal valore del rapporto 7 © Saranno determinati i punti di in- tersezione della retta (8) colla circonferenza £' i quali sono punti di incidenza di raggi rifratti che ivi si riflettono, e tali che le normali nei punti stessi, a quella circonferenza, riescono perpendicolari al corrispondente raggio incidente generatore. Supposto (Fig. 4) che 22’ sia tale retta, indicato con cdi punto d’intersezione suo coll’arco come K'o' € costrutto corri- ui Bis ou5'1g ui spondentemente al raggio rifratto Bn il raggio riflesso ei) Vv, Qui risulta il raggio emergente ; per diritto col proprio inci- b 3 2) dente vB: Risolvendo l'equazione (3): K,= b(bsen®r + cosr Ya? — 82 sen?7) Ca | pla Ut PARTICOLARITÀ DELLA RIFRAZIONE, ELC. rispetto sen?r si ottiene : bat — K} D+ a — 2K,) (15) sen?r = nella quale riesce sen?" > 0 perchè è (ff. 3): ab>K>a e sen?r<1 perchè a ciò basta che sia (K, — b*)?>0. Si può quindi concludere che: Di tutti i raggi situati nel piano della sezione normale di una corona cilindrica retta rifrangente, i quali raggi incidono in un punto qualsiasi della base maggiore, tre ve ne sono i quali si trasmettono come se il mezzo rifrangente non esistesse. L'uno, come è noto, corrisponde alla normale comune alle due basi di quella sezione nel punto di incidenza: gli altri due sono similmente posti l’uno, dall’una, e l’altro dall’altra banda della normale stessa e sono definiti per mezzo dei corrispondenti raggi rifratti dei quali lo stesso angolo di rifrazione — positivo per l'uno, negativo per l’altro — è determinato dalla relazione (15). 6. — La proprietà ora enunciata concede di determinare una particolarità della rifrazione dovuta ad un segmento di ci- lindro retto del quale la saetta sia minore del raggio del cilindro al quale il segmento appartiene. Si tracci la tangente SS' nel punto t (Fig. 4) alla circonferenza S': se si riterrà tale tan- gente come traccia di un piano parallelo all’asse della corona cilindrica, il segmento circolare SS'B, di vertice ./, sarà la se- zione retta del segmento cilindrico staccato dalla corona da quel piano e, di tutti i raggi incidenti nel punto particolare B al raggio vB, rimarrà la proprietà (ff. 5) per esso determinata. Simile proprietà varrà pure pel punto Q simmetrico del punto B rispetto al diametro AJ della figura. Il punto B e, quindi, il punto @, appariranno determinati quando si noti che l'angolo BAJ ha per complemento l’angolo di incidenza ©BN definito dalla (15). seneBN = nsenr. 746 ENRICO GATTI — PARTICOLARITÀ DELLA RIFRAZIONE, ECC. Condotto d I piano della sezione il raggio T51) Wal ‘ondotto da mt nel piano della sezione 11 raggio nb,’ ale he l'angolo B:° sia uguale all'angolo 0, si i che sell che Langolo Bn] sia uguale all'angolo 8, s1 osservi che se la proprietà del punto . potesse appartenere ad altri punti del- ld l’arco sd dessa non potrebbe riscontrarsi che per i raggi del- l’arco si e per i raggi incidenti in quei punti i quali, come wi fossero paralleli alla base .S'S del segmento ed ammettessero raggi rifratti convergenti in q. Detto R, il punto di intersezione della retta vv, colla retta Ar, poichè si ha: senABn = a senBthk, AR, b senA4Bh,= mentre deve essere: senABR, = nsenABrn, ponendo mente al modo di variare dell'angolo come BtR}, e del segmento come AR, allorchè tali grandezze sì considerano rela- . î ; S'B . tivamente a ciascun punto dell'arco come SB? si deduce che 2 gli angoli, come ABn, ABR,, variano in senso opposto l’uno ri- spetto l’altro e che, quindi, a nessun raggio parallelo ad SS' inci- Ù dente in un punto dell’arco come Rei — che non sia il punto & SB, Q — potrà corrispondere un raggio rifratto passante pel punto q. Sull’arco circolare, adunque, appartenente alla sezione, nor- male d’un segmento di cilindro retto avente una saetta minore del raggio del cilindro al quale il segmento appartiene, esistono due punti, simmetricamente posti rispetto il diametro della figura, nei quali un raggio incidente nell’uno, situato nel piano della sezione e parallelo alla base del segmento, emerge dall’altro nello stesso modo che se il mezzo rifrangente non esistesse. Dall’Istituto Professionale Omar — Novara. Ugo p bd Ì i ALESSANDRO ROCCATI — RICERCHE PETROGRAFICHE, ECC. 747 Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso (Valli di S. Giacomo). Nota del Dott. ALESSANDRO ROCCATI Assistente alla R. Scuola d’Applicazione per gli Ingegneri di Torino. Col nome di valli di San Giacomo, seguendo l’usanza della località, indico la valle del Gesso della Barra con le sue due diramazioni, vallone del Mont Colomb e vallone della Barra propriamente detto. La valle del Gesso della Barra si apre a sud del Comune di Entraque e si estende per tutta la sua lunghezza nella zona cristallina che già fece oggetto di altre mie ricerche (1). Al piano di S. Giacomo si biforca, originando a sinistra il vallone che conserva il nome di Barra e che risale al Colle delle Finestre da cui si ha accesso nella valle della Vesubia; a destra il vallone Mont Colomb che con decorso minore del primo viene a terminare contro la grandiosa serra rocciosa costituita dalla catena Gelas, Maledia, Clapier, con i ghiacciai omonimi. Nella sua parte superiore questo vallone si suddivide in due rami; uno, vallone del Murajon, è tutto circondato da pareti scoscese ed a picco, che certamente gli valsero il nome, e per il passo di Pagaré discende in val Gordolasca; l’altro ramo posto ad est risale al lago Vei del Boue (2) e per il colle omonimo discende nella valle del Sabbione. (1) Ricerche petrografiche sulle Valli del Gesso (Valle del Sabbione, Valle delle Rovine, Serra dell’ Argentera), © Atti della R. Accad, delle Scienze di Torino ,, vol. XXXVIII (1903) e XXXIX (1904). (2) Presso il Lago Vei del Bouc compariscono associate ai gneiss le formazioni permiane rappresentate da quarziti, anageniti e calcari; di tali roccie non mi sono occupato nella presente nota, riservandomi di descriverle partitamente in un prossimo lavoro sul porfido della Rocca dell’Abisso e delle roccie annesse. 748 ALESSANDRO ROCCATI Nella valle della Barra si aprono poi il vallone delle Ro- vine, di cui già mi sono occupato, ed il vallone di Fenestrelle (il quale fa comunicare l’alto vallone delle Rovine con il vallone della Barra) al quale già accennai e che entra pure in parte nel campo delle ricerche odierne. Delle roccie costituenti la parte inferiore della Valle non mi occuperò in questa Nota, limitandomi ad indicare come sul versante sinistro si sviluppino i gneiss biotitici, cloritici e anfi- bolici con struttura normale o cataclastica che ho descritti par- lando della valle delle Rovine, mentre sul versante destro si ha sviluppo della diorite con gneiss anfibolico di cui ho trattato este- samente a proposito della valle del Sabbione. L'associazione di diorite con gneiss anfibolico, con gli svariati passaggi da l’una roccia all’altra e le curiose strutture che ho descritte, si ritrova notevolmente sviluppata nella catena divisoria fra il vallone Mont Colomb e quello della Barra superiore, come anche fra questo e il vallone delle Rovine al disotto del vallone di Fenestrelle. Lo sviluppo massimo di tali roccie dioritiche e gneissiche si può osservare oltrepassato il piano di San Giacomo, oppure nella regione terminale del vallone Mont Colomb, spe- cialmente nella parete destra, ove con un a picco di parecchie centinaia di metri limitano il piano posto alla base della Ma- ledia, ove sorge il gias del Murajon sottano. Anche facendo astrazione di queste roccie gneissico-diori- tiche, molte sono le roccie della regione in esame che rendono petrograficamente interessante la località. Gneiss. — Nei gneiss della parte superiore dei valloni di San Giacomo è si può dire costante la struttura cataclastica con i diversi passaggi già indicati; si ha cioè dapprima una sem- plice frantumazione dei componenti senza spostamento dei fram- menti, poi una frantumazione più minuta e interposizione tra i frammenti di un minerale cementante generalmente costituito da quarzo finmamente granulare, e talvolta anche da clorite. Oltre alla struttura cataclastica, sì può avere nei piani di schistosità lami- nazione evidente, per cui essi sono resi lucidi e splendenti; potei osservare bene il fenomeno in un gneiss ricco in clorite raccolto sotto il Lago Bianco alla base della Maledia. Dalle roccie cataclastiche si ha passaggio a roccie in cui la RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 749 schistosità scompare quasi del tutto e che l'esame microscopico rivela come vere arcosi; tale fatto si osserva nelle vicinanze del Lago Vei del Bouc, ove si hanno banchi intercalati nel gneiss. che si presentano di color bianco con aspetto omogeneo e che sono formati da minuti frammenti, a spigoli vivi od arrotondati. di quarzo, ortosio e plagioclasio cementati da quarzo granulare :; alcuni di questi banchi contengono pure laminette di diotite, muscovite e orneblenda; comune è l’alterazione in clorite della biotite e dell’anfibolo. La fig. 1 rappresenta un esempio di strut- tura cataclastica in un gneiss della regione del Vei del Bouc. In quanto alla composizione mineralogica si possono distin- guere i tipi seguenti di gneiss: GweIss BIoTITICO, comune nel vallone della Barra al di sopra del piano del Prajet, salendo al colle delle Finestre; esso ha composizione normale con biotite in lamine biassiche, brune, con intenso pleocroismo e comune alterazione, parziale o totale, in elorite. Notevole è il fatto che in qualche caso si trova qua e là associata alla biotite, la varietà di anfibolo a pleocroismo verde smeraldo, rosso violetto, iridescente, con estinzione di circa 17°; ho già indicato la presenza di tale anfibolo in roccie della Serra dell’Argentera e credo si possa ritenere come varietà di orneblenda. Nel gneiss biotitico l’ortosio non è mai geminato; esso ha estinzione ondulata e vi si osserva la struttura vermicolare pre- cedentemente descritta. I feldspati contengono poi frequente- mente inclusioni carboniose. GvweIss ANFIBOLICO. — È gneiss analogo al precedente per composizione, ma in cui l’orneblenda sostituisce la mica; in alcune zone tale sostituzione è soltanto parziale, avendosi così uno gneiss micaceo-anfibolico. È roccia comune in tutta la regione, ma specialmente nell'alto vallone del Murajon, ove entra abbondantemente a costituire le morene frontali dei ghiacciai di Peirabroc, Gelas, Maledia, ecc. L’anfibolo è l’orneblenda comune, ma, fatto singolare, non vi si trova associata l’incolora edenite, così comune nelle roccie di altri punti delle valli del Gesso. Sono invece abbastanza co- muni altre associazioni di anfibolo; così le terminazioni delle fibre di orneblenda sono sovente di crossite con pleocroismo azzurro, 750 ALESSANDRO ROCCATI violetto-roseo, giallo-chiaro, di pargasite con pleocroismo roseo- verde chiaro, oppure della varietà a pleocroismo verde smeraldo, roseo, iridescente. Tali anfiboli, oltre che associati all’orneblenda comune, stanno pure disseminati nella massa in minuti individui isolati. Fra i minerali accessorì sono comuni la clorite (prove- niente in parte dall’alterazione dell’anfibolo), l’apatite, e la me- naecamite, la quale localmente forma dei piccoli accentramenti ove il minerale è in lamine aventi fin !/, cm. di diametro. Come inclusioni sono frequenti lo zircone e la tormalina incolora con forme cristalline ben nette. GwxeIss A PINITE. — Molto comune nei detriti morenici della Serra Gelas-Maledia sia sul versante di Entraque che sul ver- sante Gordolasca-Vesubia. Per la composizione è roccia ana- loga alla precedente, avendosi essenzialmente un gneiss orne- blendico con le diverse varietà di anfibolo, a cui si associano pure clorite, muscovite e più di rado biotite. Caratteristica però è la presenza della pinite in cristalli che raggiungono fin 5 cm. di lunghezza e che normalmente si tro- vano come schiacciati fra i piani di schistosità. I cristalli hanno forma grossolanamente prismatica con tendenza a forma cilin- droide; hanno colore verde sporco o rossastro e lasciano scor- gere grandi lamine incluse di muscovite. I caratteri sono del resto quelli indicati per la pinite della Serra dell’Argentera; noto però che mentre colà potei determinare la presenza della cordierite, non mi riuscì di trovare questo minerale nel gruppo Gelas-Ma- ledia. Ciò può esser dovuto anche allo stato d’alterazione della roccia, poichè, date le difficoltà alpinistiche della regione, non mi fu dato trovare il gneiss a pinite in posto. GNEISS GRANATIFERI. — Gneiss con granati sono sparsi in tutta la regione, ma specialmente abbondanti nel gruppo dei Gelas; la composizione mineralogica di tali gneiss è alquanto variabile, come anche la frequenza del granato che da scarso e sparso sporadicamente diventa localmente così abbondante da gremire addirittura la massa della roccia. La varietà più comune di gneiss granatifero ha composi- zione complessa, notandovisi quarzo, oligoclasio (il più diffuso fra i feldspati), ortosio, microclino, granato, orneblenda, clorite, buotite e muscovite, con discreta abbondanza di ematite, menaceanite e pirite, scarsa invece l’apatite. RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 751 I caratteri dei varì componenti sono i soliti; interessante è invece il granato per le alterazioni che presenta. Esso anzitutto, a differenza degli altri componenti, ha forma cristallina distinta, per cui nelle sezioni ha contorno esagonale, ottagonale e qua- dratico; la struttura cataclastica, evidente in tutta la roccia, si manifestò nel granato con rotture che generalmente seguono le direzioni di sfaldatura. Malgrado la fessurazione, talora molto minuta, pure non è raro il caso che il granato si sia mantenuto inalterato, essendo allora di color rosso chiaro, limpido; altrove invece i cristalli hanno subita una trasformazione in clorite che può esser completa, avendosi così un vero fenomeno di pseudo- morfosi e che si può anche osservare ad occhio nudo in piccoli cristalli rombododecaedrici che sporgono alla superficie della roccia e che sono del tutto trasformati in clorite. Al microscopio negli individui non del tutto pseudomorfo- sati si osserva che l’alterazione in clorite incominciata dall’esterno (avendosi così un orlo verde più o meno esteso) si spinge al- l'interno seguendo le linee di sfaldatura e di frattura, secondo indicano le fig. 2 e 3. Dei cristalli di granato sano qualcuno presenta un accenno a fenomeno di birifrazione, ma non è mai cosa comune; inclu- sioni del granato sono zircone, rutilo (anche in geminati a cuore o a ginocchio), quarzo e, negli individui in via d’alterazione, magnetite. Nei feldspati della roccia si osservano abbondanti inclusioni di dimensioni variabili di quarzo, che si presenta in forma sfe- roidale od irregolare, ma sempre con margini arrotondati; queste inclusioni (che si osservano pure in gneiss di altri punti del mas- siccio, ma non così evidenti) costituiscono un bell'esempio di struttura pecilitica (1). Circa l'origine di queste inclusioni, più che a una segregazione del minerale includente o ad alterazione di esso ritengo, seguendo il Watson (2), che si possano inter- pretare come prodotti di diverse fasi di consolidazione del magma da cui si originarono i componenti della roccia. L'orneblenda del gneiss granatifero è sovente associata a (1) On the Use of Terms Poikilitie and Micropoililitic in Petrography, “Journal of Geol. ,, vol. 1, Chicago, 1893. (2) Granites of North Carolina, IA. id., vol. XII, 1904. 752 ALESSANDRO ROCCATI edenite o altri anfiboli con fenomeno di accrescimento parallelo che si manifesta pure fra ornebdlenda, clorite e biotite. Noto infine che numerose venuzze costituite prevalentemente da clorite oppure da quarzo, come anche dai due minerali as- sociati, attraversano in ogni senso la roccia senza ordine rego- lare di disposizione. Presso il Gias del Murajon soprano il gneiss granatifero presenta localmente una struttura macromera che si ritrova pure sul versante del vallone della Barra nella località detta della Siula. Il gneiss macromero, in cui è evidente la struttura cata- clastica, forma banchi in cui alternatamente abbonda o scar- seggia il granato. Dove scarseggia il granato la composizione è quella di un gneiss normale con abbondante quarzo, ortosio (non seminato), oligoclasio, frequente biotite con orneblenda e clorite. Quest'ultimo minerale più che originario sembra essere un pro- dotto d’alterazione della mica e dell’anfibolo; infatti costituisce per lo più zone irregolari, torbide, con poca o nulla azione sulla luce polarizzata e con accentramenti di una sostanza biancastra, opaca, che ritengo di silice amorfa proveniente probabilmente da un’ ulteriore alterazione della clorite, forse provocata dalla pirite, che è abbastanza comune e che avrebbe dato acido sol- forico decomponendosi. Di più in alcuni punti è evidente la tra- sformazione dell’orneblenda in clorite, poichè si distinguono ancora bene le strie di sfaldatura specialmente in talune se- zioni rombiche, ove presentano il caratteristico reticolato. All’orneblenda si associano con i caratteri già indicati i rari anfiboli riferiti a edenite, pargasite e crossite. Nei banchi ove è abbondante il granato questo minerale può essere in tal quantità da stiparsi i cristalli gli uni contro gli altri, formando così degli accentramenti intorno ai quali gli altri componenti si dispongono assumendo una disposizione come flui- dale. I granati sono molto voluminosi, avendosene di quelli con diametro di fin 3-4 cm.; essi sono di grossularia; hanno color rosso bruno e si presentano o in forma sferoidale o in cristalli distinti 110-211. Caratteristica è la loro facile divisione in la- melle che hanno lucentezza madreperlacea sulla faccia di divisione. Frequente è la già descritta alterazione del granato in clo- rite anche con totale pseudomorfosi ; al microscopio poi i cristalli RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO (DO appaiono percorsi da un reticolato fittissimo di screpolature lungo le quali si prosegue l'alterazione in clorite incominciata alla pe- riferia. In qualche caso non solo si ha frantumazione del gra- nato, ma anche spostamento dei frammenti con interposizioni di quarzo e clorite; oltre alla trasformazione in clorite si osserva pure quella parziale od anche totale in limonite, come pure os- servai la formazione di fibre di attinoto. Numerose sono le inclusioni del granato: zircone in cristalli distinti o masserelle rotondeggianti, magmetite, biotite, orneblenda e quarzo, che talvolta assume struttura dentelliforme. I granati sono come immersi in una massa costituita da biotite e clorite in lamine distinte con orneblenda in prismi sfi- lacciati; la biotite, fortemente colorata, è però sempre in pre- valenza. Nelle vicinanze del granato abbondano, in forma di gra- nuli, magnetite e pirite, quest’ ultima fornita talora di un orlo rosso vivo di ematite; alcuni individui di granato poi hanno una corona di finissimi aghi di rutilo variamente intrecciati (fig. 4). Comune nei componenti è l’apatite in grosse inclusioni pri- smatiche. Un'altra varietà di gneiss macromero esiste nella parte terminale del vallone della Barra presso il Colle delle Finestre. Componenti di tale gneiss sono quarzo, ortosio, microclino e oligoclasio, con scarsissima mica o clorite, che anzi sovente man- cano del tutto; alcuni banchi contengono invece granato. Fra i componenti è notevole l’ortosio, che presenta cristalli lunghi fin 8 cm.; esso ha color grigio nerastro, dovuto ad inclu- sioni carboniose; ha lucentezza perlacea e sfaldatura molto fa- cile; ridotto in lamine di un certo spessore, certi cristalli pre- sentano fenomeno di scillerizzazione con vivi riflessi azzurri. L’ortosio presenta inclusioni di piccoli cristalli disposti con isorientazione e geminati con la legge di Karlsbad, mentre l’in- dividuo includente non ha geminazione; altrove si hanno plaghe costituite da a/dite con la caratteristica geminazione. Tali plaghe non hanno contorno definito, ma si perdono come per sfuma- tura nella massa dell’ortosio. 1 granati presentano la solita fessurazione e trasformazione in clorite; notevole è poi il fatto che alcuni cristalli presentano pseudosimmetria dimetrica, essendo i cristallini rombododecae- drici allungati secondo un asse di simmetria quadratica tanto da simulare un prisma quadrato associato all’ottaedro. LI PE 154 ALESSANDRO ROCCATI Una roccia a ortosio macromero analoga alla sopradescritta esiste pure presso il Lago soprano della Sella in Valle Meris nel gruppo del Monte Matto. GNEISS PIROSSENICO PORFIROIDE. — Questa roccia, di un tipo certamente non comune, forma piccole stratificazioni e lenti nel gneiss della regione Gelas-Maledia; quantunque non comune in posto, la si ritrova nondimeno nei materiali alluvionali lungo il corso del Gesso di Entraque. L’aspetto macroscopico di questo gneiss, che è friabile e di poca durezza, è apparentemente quello di un micaschisto a bio- tite con grandi cristalli idiomorfi di ortosio geminati con legge di Karlsbad. Al microscopio invece la composizione si rivela molto più complessa e corrispondente ad un gneiss, poichè alla biotite è associata gran quantità di pirosseno e nella massa stanno disseminati quarzo, ortosio, plagioclasio (raro in confronto del- l’ortosio) e anfibolo; molto abbondanti poi come inclusioni apa- tite e 2zircone. La biotite è in lamine a terminazioni più o meno nette, so- venti in aggregati a rosa o ventaglio; la tinta bruna è molto intensa, però non uniforme, avendosi nell’interno delle lamine plaghe in cui la colorazione è molto meno forte che nel rimanente. Frammezzo alle lamine di biotite sta disseminato il piros- seno, che colla mica è il componente più abbondante della roccia; ha struttura granulare, avendosi solo di rado contorno cristallino alquanto netto; i suoi individui sono sempre di dimensioni su- periori a quella della biotite sulla quale si modellano. Trattasi di omfacite; infatti ha color verde chiaro con leggero pleocroismo ed un angolo di estinzione che arriva ad un massimo di 44°. Sempre distinte sono le strie di sfaldatura secondo 110 finamente ripetute, a cui si aggiungono con minor evidenza quelle secondo 100; in alcuni individui compariscono traccie irregolari di sepa- razione secondo 001, non rari poi sono i geminati secondo 100, anche polisinteticamente ripetuti. Quantunque per lo più sano e limpido, il pirosseno accenna in alcuni punti a fenomeno di ura- litizzazione, oppure a trasformazione in clorite, la quale trasfor- mazione incomincia dall'esterno. Contiene poi abbondanti microliti indeterminabili. In prossimità od anche a contatto del pirosseno s'incontra dell'orneblenda che, all'opposto di quello, ha contorno poliedrico RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO 755 abbastanza netto; è da escludersi assolutamente la sua prove- nienza da trasformazione del pirosseno, essendo non solo a con- torno distinto, ma limpido e senza traccia di alterazione. È però componente affatto accidentale. Nella massa della roccia sono relativamente scarsi il quarzo (che contiene fra altre inclusioni talune di anfibolo con pleo- croismo dall’azzurro al roseo) e l’oligoclasio, mentre predomina l’ortosio, con caratteri però differenti dallo stesso minerale sparso porfiricamente. Infatti, mentre il primo è allotriomorfo e non mai geminato, i cristalli idiomorfi (che raggiungono lunghezza di 3-4 cm. con diametro di '/, cm.) hanno contorno cristallino ben definito, soltanto essendo sovente gli spigoli arrotondati ; è poi sempre geminato con legge di Karlsbad e presenta distinte le traccie di sfaldatura secondo 001 e 010, per cui al micro- scopio certe sezioni appaiono come reticolate. Frequenti sono le inclusioni di diotite, talora così voluminose da potersi scorgere ad occhio nudo; pure comuni e voluminose sono altre di quarzo. . Come inclusioni, nei diversi componenti si trovano 2ircone e apatite; questa è frequente in grossi individui prismatici con evidente sfaldatura basale. Notasi pure l'inclusione dello zircone nell’apatite. Cloriteschisto. — È roccia abbastanza comune nel gruppo del Gelas, sia sul versante del Gesso che della Gordolasca-Ve- subia, ove forma interstratificazioni nel gneiss, però mai con grande potenza (qualche decimetro al più). La roccia è tenera, di color verde scuro, talora brunastro o nericcio alla superficie per limonitizzazione, ed al microscopio si risolve in un intreccio di minute lamine di clorzte ben distinte e per lo più riunite in forme vermiculari; ha color verde chiaro con debole pleocroismo e colore d’interferenza azzurro indaco intenso. Sparsi nella massa stanno rari granuli di quarzo, magnetite e pirite. Serpentinoschisto e Serpentini. — Fra i gneiss rad- drizzati che formano la punta nord del Gelas trovasi intercalato un serpentinoschisto che forma un banco della potenza di circa un metro e che affiora proprio sulla vetta del monte presso la depressione ehe divide la punta nord dalla punta sud. È roccia a schistosità nettissima e facile divisibilità, che 756 ALESSANDRO ROCCATI ha color verde chiaro con chiazze gialle di limonite. Trattata con acido solforico a caldo tale roccia viene parzialmente de- composta. Al microscopio appare formata da fibre di serpentino disposte nel senso della schistosità e frammezzo alle quali esistono fibre di attinoto e granuli di calette. Nei piani di schistosità è discretamente abbondante la cal- cite in grossi grani con sfaldatura e geminazioni evidenti e do- lomite in granuli più piccoli; a questi due minerali si aggiun- gono quarzo e minuti cristalli di ortosto, geminati con legge di Karlsbad. Sparsi poi nella massa della roccia si hanno cristallini di magnetite e granuli di pirete. Oltre al serpentinoschisto sopra indicato esistono in diversi punti della regione veri serpentini. Così ne trovai massi nella morena frontale del ghiacciaio di Peirabroc e nella valletta del- l’Asino fra i valloni di Fenestrelle e delle Rovine; specialmente abbondante però è il serpentino alle falde della Punta della Valletta nei dintorni del lago di Brocan, ove è in relazione con roccie talcose e pirosseniche, dalla cui alterazione sembra pro- venire. Il serpentino di queste località è in masse compatte di color azzurro scuro o nero e dotato di grande compattezza; in certi punti appare percorso in ogni senso da venuzze di crisotilo che dallo spessore di pochi millimetri raggiungono 2 o 3 cm. Tale crisotilo ha color bronzo con lucentezza submetallica-perlacea ; è finamente fibroso con le fibre che si possono separare molto facilmente; al microscopio ha colori di interferenza vivacissimi e presenta una struttura concrezionata di finissimi strati sovrap- posti quasi come da un deposito per via acquea. Le venuzze di crisotilo si intrecciano in ogni senso nella massa e sembrano essersi formate in tempi diversi; infatti se ne hanno di quelle che ne intersecano altre interrotte al loro passaggio, di più alcune sono come spezzate con spostamento dei lembi, indicando che la roccia fu sottoposta ad azioni mee- caniche dopo la loro formazione. In quanto alla costituzione, le vene minori sono tutte di crisotilo a strati sovrapposti, quelle maggiori presentano una ma- trice formata da serpentino orientato diversamente da quello della massa. Questo al microscopio lascia scorgere distintamente la RICERCHE PETROGRAFICHE SULLE VALLI DEL GESSO TOR balkenstructur (1) dei serpentini provenienti da pirosseno, anzi localmente è ancora visibile il contorno primitivo degli individui pirossenici preesistenti, che però a luce polarizzata appaiono completamente serpentinizzati. Abbondante è la magnetite che in granuli più o meno mi- nuti gremisce localmente le roccie sì da renderla opaca nelle sezioni sottili, altrove forma delle file sottili e allungate oppure si accentra intorno al pirosseno facendone risaltare il contorno, altre volte riempie tutto il vano del pirosseno dando luogo a vero fenomeno di pseudomorfosi. La presenza di così abbondante magnetite mi pare si potrebbe spiegare ammettendo la sua pro- venienza da segregazione del ferro del pirosseno nella trasfor- mazione di questo in serpentino. Insieme alla magnetite, ma molto meno comune, esiste della eromite che nelle roccie è sempre circondata da un orlo di color verde smeraldo intenso. Disseminato con discreta abbondanza nella massa del ser- pentino è un anfibolo in minute fibre o piccole plaghe a con- torno indistinto, che è sempre limpido e che ha forte pleocroismo dall’azzurro chiaro al roseo ed al ranciato con estinzione mas- sima di 22°; qualunque sia poi lo spessore della sezione ha sempre un color d’interferenza azzurro indaco molto intenso. Più che minerale originario io ritengo quest’ anfibolo come di origine secondaria, formatosi cioè nella trasformazione del pirosseno in serpentino; i suoi caratteri poi sembrano indicarlo come della serie degli anfiboli sodici. Nel serpentino raccolto a Peirabroc e che ritrovai pure nelle alluvioni dei dintorni di San Giacomo, esiste, oltre all’anfibolo azzurro sopraindicato, anche un’altra varietà che in aggregati fibrosi si può vedere ad occhio nudo disseminato nella massa delle roccie, ove spicca per la sua lucentezza submetallica. Al miero- scopio appare torbido, poco trasparente, però con pleocroismo distinto dal grigio scuro al grigio chiaro; il contorno dei cri- stalli è poco netto e le linee di sfaldatura o mancanti o poco accentuate, per cui mi riuscì poco precisa la determinazione dall'angolo di estinzione che in alcuni casi sembra retta, mentre altrove raggiunge fin 12°. L’aspetto ed i caratteri di (1) Zinger, Lehrbuch der Petrographie, Leipzig, 1894, II, p. 384. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 50 758 ALESSANDRO ROCCATI questo anfibolo m’inducono a ritenerlo come una varietà di or- neblenda. Nello stesso serpentino esistono pure gramati che all'esame macroscopico si riconoscono facilmente per la loro forma, ma che sono del tutto trasformati in limonite, oppure anche in ser- pentino analogo a quello della massa della roccia. Anfiboliti e Granatiti. — Quantunque l’anfibolo ed il granato siano comuni come minerali componenti dei gneiss, cio- nondimeno sono eccezionali le roccie ove questi elementi sono componenti prevalenti od esclusivi, avendosi nelle valli di San Giacomo solo raramente anfiboliti e granatiti associate al gneiss nel gruppo Gelas-Maledia e nella regione Vei del Bouc, man- cando poi del tutto nel vallone della Barra verso il Colle delle Finestre. Le roccie a base di anfibolo sono sempre molto compatte e dure con colore scuro (verde carico o nero); esse sono ana- loghe a quelle già indicate per altre località delle Valli del Gesso (1). Il componente essenziale è sempre l’ormeblenda bruna tipica con di rado associata la varietà verde azzurra, mentre è più comune l’incolora edeniîte e gli altri anfiboli che già ricordai come accompagnanti l’orneblenda. Costante e talvolta molto pronunciata è la struttura cataclastica che si esercitò special- mente lungo le linee di sfaldatura, per cui i prismi di orneblenda appaiono divisi in liste e frammenti fra i quali si sono deposi- tati minerali secondarî: quarzo, clorite, un minerale micaceo con aspetto di muscovite, e più raramente epidoto e zoisite. Delle anfiboliti aleune sono costituite esclusivamente da or- neblenda (così al Lago Vei del Bouc), altre contengono quarzo, ortosio, plagioclasi, sempre profondamente alterati; comune poi è in tutte l’apatite. Presso il ghiacciaio di Peirabroc raceolsi una varietà interessante per la presenza di pirosseno; nella massa di esse si hanno delle plaghe ricche in dia/laggio, in cui però i caratteri specifici sono di rado ben evidenti essendovi la uralitizzazione più o meno inoltrata. Intorno al diallaggio esiste (1) Ricefche petrografiche sulle Valli del Gesso (Serra dell’ Argentera), “ Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIX, 1904. RICERCHE PETROGRAPICHE SULLE VALLI DEL GESSO 759 sempre una corona formata da prismetti di orzeblenda ben di- stinti e che nella roccia assumono una disposizione così carat- teristica da far riconoscere il posto occupato primitivamente dal diallaggio anche laddove il minerale è completamente alterato. In prossimità del pirosseno si osservano pure granuli di magne- tite e di pirite. Salendo dal gias del Murajon soprano al ghiacciaio di Pei- rabroc incontrai una roccia di composizione interessante essendo costituita quasi esclusivamente da zoisite. Più che una roccia ben definita ritengo però che non si tratti se non di un’ accidentalità dell’anfibolite a cui è associata. La massa ha struttura finamente granulosa; essa è compattissima, dura e di color verde grigio chiaro; al microscopio risulta formata da un fitto intreccio di fibre o prismetti allungati di zoîsite che specialmente a luce po- larizzata lasciano distinguere i contorni ben netti e distinti e distinte pure le linee di sfaldatura. La zoisite è o verde chiaro oppure incolore e limpida; però sono molto abbondanti delle sfe- rette opache di color bianco sporco, che ritengo dovute a silice amorfo essendo esse scomparse trattando una sezione con solu- zione di potassa caustica a caldo; certe fibre di zoisite sono poi torbide e di color giallognolo per inquinazione di limonite. Sparsi nella massa della zoisite si osservano individui di anfibolo a contorno cristallino abbastanza netto; alcuni allungati, altri romboidali con sempre distinte le linee di sfaldatura 110 e talvolta geminati secondo 100. Dei cristalli di anfibolo alcuni sono di color verde chiaro con discreto pleocroismo; altri quasi incolori; a luce polarizzata i primi hanno vivaci colori d’inter- ferenza, i secondi invece si risolvono in un intreccio di fibre di zoisite (accompagnate talora da sillimamite) e che non si distin- guono più da quelle della massa. Nella roccia havvi abbondante calcite insinuata fra le fibre di zoisite; di più la calcite forma accentramenti nella massa ove è in grani irregolari e nei quali si distingue bene l'intreccio delle linee di geminazione con quelle di sfaldatura. Abbastanza comune è pure l’epidoto in grani verde erba e che in alcuni punti forma le terminazioni degli individui di anfibolo, laddove questi, come ho indicato sopra, pure mantenendo all’esterno la forma primitiva, sono nell'interno trasformati in zoisite. Volendo considerare questa roccia come specifica si potrebbe 760 ALESSANDRO ROCCATI per essa adottare il nome di Zoistrite proposto da Riva (1) per una roccia a composizione analoga ma con discreta quantità di plagioclasio, e che egli considerò però come un’accidentalità di roccie anfiboliche. Se scarseggiano le roccie a base di anfibolo sono più rare ancora quelle costituite da anfibolo e granato, per cui una sola varietà che può considerarsi come gramatite io ho raccolto nel- l’alto vallone del Murajon, associata ad anfibolite e gneiss. È questa una roccia microcristallina compattissima e dura, di color nero, su cui spicca la tinta rosea degli abbondantissimi granati; al microscopio è evidente la struttura cataclastica nei componenti che sono orneblenda bruna (associata a edenite) e granato con rare lamine di biotite e abbondante Pa; è composto di os Pa sistemi lineari non equivalenti. Il primo enunciato costituisce la più generale estensione ai sistemi lineari comunque riducibili, sopra una superficie, del noto teorema di Riemann-Roch; il secondo ha come analoga, nella geometria sulle curve di genere p, la proprietà che ogni gruppo di m(=p) punti appartiene ad un sistema continuo co”, com- posto di co’ serie lineari gn, non equivalenti tra loro. L'estensione del teorema di Riemann-Roch ai sistemi lineari irriducibili sopra una superficie, fu enunciata dal sig. NoETHER (“ Comptes rendus ,, 1886) nell'ipotesi p,=p,(= p). La giustificazione del risultato fu data da EnrIQUES (Ricerche di geometria sulle superficie algebriche, “ Memorie dell’Acc. di Torino ,, 1893), con restrizioni che risultarono poi sovrabbon- danti: da una parte stabilendo come la completezza della serie caratteristica dei sistemi lineari completi (cui il teorema può appoggiarsi secondo il sig. Noether), costituisca un carattere della superficie (1. c. IV, 1,2), che risultò poi coincidere con p, =; d'altra parte mostrando come la relazione rZp+n—-mn+1, sussista sempre pei sistemi lineari, i cui caratteri soddisfano a certe diseguaglianze (1. c. IV, 4,5). Il sig. CAstELNUOVO, in due Memorie pubblicate, la prima negli “ Atti della Società italiana delle Scienze , (1896) e la seconda negli “ Annali di Mat. , (1897), essendo riuscito a risolvere in modo esauriente la questione della deficienza della serie carat- teristica dei sistemi lineari, per p,7pa, potè dare la relazione r2Pao+tn_-TH41—i, pei sistemi lineari irriducibili sopra una superficie qualsiasi. Più recentemente, io ho esposto una nuova dimostrazione 768 FRANCESCO SEVERI assai semplice, del teorema sulla serie caratteristica, che sta a fondamento delle ricerche precedenti (*). A base della mia dimostrazione è posto un lemma, che, opportunamente generalizzato, adempie un ufficio essenziale anche nella trattazione più generale che qui espongo. Nell'ultima parte di questa Nota, dimostro il secondo dei fatti enunciati, deducendolo dal primo, coll’aiuto del teorema che concerne la completezza della serie caratteristica di un sistema algebrico completo. È mio debito dichiarare che il teorema sulla serie continua (costituita da 00? sistemi lineari) alla quale appartiene una curva i cui caratteri soddisfino alla disuguaglianza Pa+tn—n+1—d20, mi fu comunicato dal prof. EnrIQquEs, il quale lo aveva dimo- strato poggiandosi su quanto già si conosceva intorno al teorema di Riemann-Roch. Io non ho fatto altro che semplificare la di- mostrazione, adattando a questa ricerca più generale il proce- dimento che già avevo seguito nella mia Nota “ SuZla defi- cienza..... y. — La gentilezza del prof. Enriques nell’incitarmi a pubblicare la mia dimostrazione, non poteva dispensarmi dal fare questa dichiarazione doverosa. 1. — Ci riferiremo ad una superficie F, di un certo or- dine m (in S;), che supporremo dotata soltanto di curva doppia ordinaria e di punti tripli improprî (tripli anche per la suddetta curva). i E sopra / considereremo sistemi lineari, irriducibili o ridu- cibili, privi di punti base assegnati. Queste limitazioni non introducono alcuna restrizione essen- ziale (di carattere invariante) nelle dimostrazioni che seguono, e servono soltanto ad una maggiore semplicità di esposizione. Per ogni curva, o sistema lineare di curve |C'|, riteniamo definiti il genere ed il grado virtuali mt, n, cui si riferiscono le note formole di addizione e sottrazione dei sistemi. Designamo (*) Sulla deficienza della serie caratteristica di un sistema lineare di curve appartenente ad una superficie; algebrica (£ Rend. dei Lincei ,, ottobre 1903). SUL TEOREMA DI RIEMANN-ROCH E SULLE SERIE CONTINUE, Ecc. 769 poi con è (0) l'indice di specialità di |C|, cioè il numero delle superficie aggiunte @"-‘, linearmente indipendenti, che passano per una C. 2. — Dato sopra / il sistema lineare |C|, per una C conduciamo una superficie S, d'ordine /, che seghi ulteriormente su Y una curva £ (irriducibile), dotata di nodi, nei punti ove S interseca (fuori di C) la linea doppia di Y. Allora, per valutare la dimensione di |C|, si presenta la seguente via: si calcoli anzitutto la dimensione £ del sistema completo |C+-X!, che contiene le sezioni di F colle superficie d'ordine /; si cerchi quindi la dimensione d della serie segata su K dalle curve di quel sistema: la dimensione di |C| risulterà (1) r=fk_d_1. La dimensione È di |C+-KX|, quando / è abbastanza alto, si calcola facilmente facendo capo alle note formole di postu- lazione. Invero, mediante queste formole si riesce ad esprimere la dimensione £, del sistema |L,| segato su F (fuori della linea doppia) dalle superficie aggiunte (di un ordine 2, abba- stanza alto), in funzione del grado N, e del genere TT, dello stesso sistema; e si trova: Pa iN Mat, ove pa è il genere aritmetico di F (cioè il numero virtuale delle 9" linearmente indipendenti). Ciò posto, dicansi N, TT il grado ed il genere di |C+ K |, ed j il numero delle intersezioni di una Ly con una C+ K. Al- lora il genere ed il grado del sistema | L, + C + K |, segato su F dalle p'+4, verranno espressi rispettivamente dalle formole Hegtesa = LatteiH1NH5 3 onde sarà: ON MEET IEMETIA-1 la dimensione di |L, + C+ XK |. Ora, per la natura delle singolarità supposte in 7, la curva generica L, può ritenersi priva di punti multipli, sicchè, quando / 770 FRANCESCO SEVERI sia abbastanza grande, il sistema |C+X| segherà sopra Li una serie non speciale e completa (NoerHER, CASTELNUOVO). Cre- scendo, se occorre, il valore di /, si può ottenere che quest’ul- tima serie contenga la serie caratteristica di | L,| e lasci come residuo una serie non speciale. Allora, in forza di una proprietà semplicissima delle serie lineari sopra una curva (*), si conclude che sarà completa anche la serie segata da |L,-+-C4- K | sopra Li. Onde, per valori elevati di l, avremo: R=- BR, (Nt ossia: 2) Pato pa Tai Tentiamo ora di valutare la dimensione d della serie segata sulla curva K da |C + K]. Diciamo perciò w, v il genere ed il grado (virtuali) di XK ed s il numero delle intersezioni di K con una C(**). La serie di cui dobbiamo occuparci è una gv+s, di ordine v + s, la quale potrà risultare speciale o non speciale, completa o deficiente; supponendo la gv+s completa e non spe- ciale, per le formole (1), (2) e per le: \ Tan+w+s--1 6 i | Ne=m+v 4-28, si avrebbe: r=Pp+tn-T+1 (9. Ma se la 9v4s è speciale e completa si avrà d>v+s—w, rpa+n—-m+1; sicchè a prima vista non si potrà giungere ad alcuna conclusione positiva circa il valore di r, perchè la specialità e la deficienza della g,4s influiscono in senso contrario sul valore di »; nè si sa a priori quale delle due influenze prevalga. Fissiamo la nostra attenzione sopra una di queste due cir- costanze: come può avvenire che la 9,+: risulti speciale? Poniamo che il sistema | C| abbia un indice di specialità 2>0; allora per una C passano c'!@"7‘4 aggiunte ad F, le quali se- gano su una X generica (che non è contenuta in nessuna g”-‘) gruppi residui della serie caratteristica di | | (rispetto alla serie canonica); quindi la gv4s ha un indice di specialità = 4. Orbene, noi arriveremo a dimostrare che, per / assai grande, la serie gv4s ha precisamente l’indice di specialità è, ed in par- ticolare che essa è non speciale per 2=0. Ciò risulterà senz'altro quando avremo stabilito che sulla curva K, sezione ulteriore di F colla superficie S d'ordine 1assai alto, condotta genericamente per una C, le superficie "-!, passanti per C, segnano, fuori dei punti fissi, una serie completa. 3. — Per raggiungere quest’ultimo scopo, occorre premet- tere il lemma seguente: Sulla curva K, ulteriore intersezione di F con una superficie S, d'ordine 1, condotta genericamente per una curva C (comunque ri- ducibile) di F, le superficie di un dato ordine passanti per © e pei punti doppi di K, segano, fuori dei punti fissi, una serie lineare completa (*). Nel ragionamento successivo, per brevità, chiameremo ag- giunte alla curva K, le superficie passanti per C e pei punti doppi di K. Il concetto della dimostrazione è questo: Si prova dapprima che le superficie aggiunte d’un ordine abbastanza elevato 4, se- gano su K una serie completa; eppoi si prova che, se questa proprietà è vera per l’ordine %, lo è pure per l’ordine R—1. Il primo fatto si stabilisce con un’ovvia estensione di un (*) Quando manca la C si ricade nel lemma già dimostrato nella mia Nota: Sulla deficienza della serie caratteristica... (n° 2). 772 FRANCESCO SEVERI ragionamento del sig. CAsteLNUOVO (*): condotta per C una superficie d’un ordine arbitrario 9, che non contenga XK, s’in- dichi con M il gruppo da essa staccato su K, fuori del gruppo (CK), comune a C, K (**). Le superficie d'un ordine elevato #, passanti pei punti doppi di K, segano ulteriormente su X una serie completa non spe- ciale Lenti (**#), la quale può anche ritenersi segata su X, fuori dei punti fissi, dalle aggiunte d'ordine t-+-g, passanti pel gruppo M. Ora, quando # sia abbastanza grande, gli e punti del gruppo M presentano e condizioni alle aggiunte d'ordine A=t+g; sicchè la serie segata su XK — fuori dei punti fissi — da queste ultime aggiunte, è una gua; cioè una serie completa, non speciale. Per passare dall'ordine (= +9) all'ordine 4-1, ripren- derò, con qualche modificazione e semplificazione di forma, il ragionamento esposto al n° 2 della mia Nota: “ Sulla deficienza della serie caratteristica... ,. ieno 0° le superficie Y*, d'ordine %, aggiunte a XK, e tra queste ve ne sieno o” per X, sicchè la dimensione della serie completa ge(n=u+e, p=u+€—u), segata dalle Wed sia p=x-—y— 1. Se con 2 denotiamo il numero delle condi- zioni imposte alle Y° (0, ciò che è lo stesso, ai gruppi di 99); dai punti del gruppo G segato su KX da un piano dato a, la di- mensione della serie completa 99 — G, risulterà uguale a p—e. Ora, indicando con x; l’infinità delle superficie Y*— aggiunte a K, e con y; l’infinità delle Y che passano per XK, avremo il valore pi = 1 —y1— 1 per la dimensione della serie segata su K, fuori dei punti fissi, dalle W!"—. Si tratterà di provare che pi=p— 2. Perciò si osservi che le superficie Y' d’un ordine arbitrario t, passanti per la curva composta C+ K, segano su a tutte le curve (*) Cfr. CasteLnuovo, Sui multipli di una serie lineare... (* Rendie. di Palermo ,, t. VII). (**) Si badi che, in questo ragionamento, per gruppo (CX) deve inten- dersi l'insieme di tutti i punti comuni a C e a X, ivi compresi anche quelli che cadono sulla linea doppia (cfr. colla nota (**) a piè della pag. 770). (***) CasreLnuovo, Sui multipli... re “a SUL TEOREMA DI RIEMANN-ROCH E SULLE SERIE CONTINUE, ECC. 778 d’ordine #, passanti per la sezione di C' +4 K con a (#). Ciò posto, diciamo |A] l’infinità delle curve d'ordine % segate su a dalle W" : allora vi saranno co!!= di tali curve, passanti inoltre pel gruppo G; e queste, per l’osservazione precedente, costituiranno il sistema di tutte le curve d'ordine % passanti per la sezione della curva C+ K col piano a; onde risulterà: a=x—[h]-1, w=y—-|h1+2-1, dalle quali rilevasi: basa Lar dr Pirri Cadi d' 4. — Il lemma dimostrato conduce immediatamente alla conclusione accennata alla fine del n° 2. Se, invero, si sceglie abbastanza alto l’ordine / della super- ficie S condotta per C, la curva K avrà un numero così elevato di punti doppi (sulla linea doppia di /) che le superficie d’or- dine m—4 passanti per C e pei punti doppi di K, conterranno in conseguenza l’intera linea doppia di /, cioè saranno aggiunte ad F. In forza del lemma, si conclude pertanto che queste ag- giunte segano su X una serie completa. In particolare, quando non esistano @”"-* passanti per €, la serie 9,+s, segata su X dal sistema |C+K], risulterà non speciale. m_A4 5. — Siamo ormai in grado di assegnare un limite infe- riore per la dimensione r del sistema lineare LOT Infatti, l'indice di specialità è di questo sistema, uguaglia l'indice di specialità della serie g%,,, segata su X dal sistema |C +], onde: dsv+s—-w+ i. Ricordando le relazioni (1), (2), (3) del n° 2, si trova: rZptin_-Tt+1—-i. (*) Il ragionamento semplicissimo con cui si giustifica quest’asserzione, trovasi al n° 2 della citata Nota: Sulla deficienza della serie caratteristica... Atti della R. Accademia — Vol. XL. Gul 774 FRANCESCO SEVERI Otteniamo così il teorema: Sopra una superficie di genere aritmetico pa, ogni curva, îr- riducibile 0 no, di caratteri virtuali n, © e d’indice di specialità i, per cui sia: Potnc-mamt+1—-i20, appartiene sempre ad un sistema lineare di dimensione: r°Ppa+n_-t+1—-1. 6. — Supponiamo ora che il sistema lineare | K}| appar- tenga ad una serie continua di curve, non lineare, la quale ri- sulti composta di x” sistemi lineari completi, non equivalenti. Indicando con |*{|] un sistema generico della serie, diverso da |K|, cerchiamo di costruire il sistema: GRATIS Occorre perciò considerare la serie g,4s segata da |[C+K] su una curva X. Questa serie può essere speciale, e può essere deficiente; ciò che a noi importa è questo: l’indice di specialità di gv+s non può superare quello della yv+s segata da |C4+-K]| su K. Infatti, un gruppo Gv+s di gv, variando con continuità insieme a X, può ridursi ad un gruppo Gv4s di gv+s su X, e ciò senza che il genere della curva X diminuisca. Poichè in un tale passaggio al limite, l’indice di specialità del gruppo non può decrescere, si conclude che il sistema: | OA] corrispondente ad una X generica, esisterà certamente se: Pab+n_-Tk41—-i20; ed anzi avrà una dimensione: 2Po+tn-ant+1-6. In tal caso |C|, come |K]|, apparterrà quindi ad una serie co” di sistemi lineari non equivalenti. e: SUL TEOREMA DI RIEMANN-ROCH E SULLE SERIE CONTINUE, ECC. 775 Di qui segue il teorema: Se sopra una superficie un sistema lineare di caratteri n, n, i, tali che Pa+n_—-Tat+1—-i20, appartiene ad una serie continua x” di sistemi linearî non equi- valenti (p=0), ogni altro sistema analogo apparterrà ugualmente ad una serie coP di sistemi lineari non equivalenti. 7. — Resta da valutare p in funzione dei generi geome- trico ed aritmetico (p;, p.) della superficie. E per questo occorre fare uso del teorema che “ la serie caratteristica di un sistema continuo completo, è essa pure completa ,. Consideriamo il sistema lineare | L| che contiene le sezioni di F colle superficie di ordine / assai elevato, e designamone con TI, N, il genere ed il grado. La dimensione di | L| vale (n° 2): B=p+N-TMT+1. Sopra una curva generica L, le superficie aggiunte @"-*, segano la serie completa g»7! residua della serie caratteri- stica gî-! di | L| (rispetto alla serie canonica). Quest’afferma- zione non è infatti che un caso particolare di quella con cui si chiude il n° 2. Segue da ciò (pel teorema di Riemann-Roch) che la gf! è contenuta in una serie completa g?s*"7TT. Ora questa serie com- pleta è la serie caratteristica di un sistema continuo } L{ con- tenente |L|; la dimensione di }L{ vale dunque: FORIO AS 1] Si vede poi che } L{ sarà composto di infiniti sistemi lineari, non equivalenti; e la dimensione di un sistema generico |L| della serie varrà: R°p+N-MT+1 Ma |L|, variando con continuità, può tendere ad |L], ed in questo passaggio al limite, £ non decresce; dunque: R=R, ed }L{ consta di coPy-Pa sistemi lineari. 776 FRANCESCO SEVERI — SUL TEOREMA, ECC. Si conclude così che: Sopra una superficie di generi p,, Pa, ogni sistema lineare di curve, i cui caratteri i, n, i, soddisfino alla disuguaglianza: Pa+n_-n+1—-d20, appartiene ad una serie cors Pa di sistemi lineari non equivalenti. Si può avere un'effettiva contraddizione all’ enunciato per Pa+tn_—an+1—-i<0. Così se imponiamo al sistema } L{, di cui sopra, E+p,—pa—d punti base indipendenti (d0. (*) È questo, come abbiamo sopra accennato, il caso considerato da Picarp. Noi qui ce ne occupiamo, seguendo una via diversa, allo scopo di trovare del problema una soluzione sotto condizioni per a, d, A, B, indipen- denti dalle quantità a e 8, cosa della quale avremo in seguito bisogno, quando, nel $ 2, non ammetteremo più che la f(x,y,y) soddisfi all'ipotesi di Lipscaitz. 856 CARLO SEVERINI 2° All’equazione (1) equivale il sistema: dae (3) EG f(e,Y;y). Consideriamo di questo gl’integrali che per *«=0 assumono i valori iniziali y= 0, y' = yo, essendo yo' compreso fra — L' e + L'. Siffatti integrali, come è ben noto, esistono certamente, se con G s’indica il massimo valore assoluto di y' e di f(x, y, y°) nel campo C, in tutto l’intervallo (0... #), ove % rappresenta la minore delle tre quantità: E ep (4) Ta, (GL = < Per ottenere questi integrali col metodo delle approssima- zioni successive (*) si considera dapprima il sistema: dY, IC , da #90 (I È 2 = fe, 0, Yo ), e da questo si deducono le funzioni Y,, Y;', aventi come valori iniziali, nel punto «= 0, rispettivamente i valori o ed yo; si forma poi il sistema: i daino de Yi dYs y ali ir) deducendone Y,, Y,' coi medesimi valori iniziali, e così di seguito. (*) Cfr. Prcarp, Traité d’ Analyse, T. II, III SOPRA GL'INTEGRALI DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI, ECC. 857 Si ha successivamente: big Va = {"fla, 0, Yo )dx + yo' Ya = I; Y;de, LGh= {fla, Y,, Y1)de + yo Yn = (Ln do, Li | fl, Mn Y'n-)dx "i Yo e gl’integrali cercati del sistema (3) sono rispettivamente rap- presentati, per tutti i punti dell'intervallo lo... #), dalle due serie: i E OY TO. OT (Ott vo 0) + (Ye IT Lady I termini di queste due serie soddisfano, a causa della (2), alle disuguaglianze : lai ||? |Y— Ya3 G(a+ B)" nl | Y, DA il = G(a + Br RL e Da tali disuguaglianze si deduce (*), che le serie (6) e (7) convergono in egual grado, anche quando, oltre alla x, si riguar- dino come variabili i valori iniziali nel punto x =0, e però gli integrali del sistema (3) sono funzioni finite ed assolutamente continue di x e di tali valori iniziali. Nella somma della (6) abbiamo dunque un integrale dell’e- quazione (1), funzione continua di x e di yo", se, come occorre nel caso nostro, teniamo fisso il valore o nel punto x = 0. (*) Cfr. NiccoLerti, Sugli integrali delle equazioni differenziali ordinarie, considerati come funzioni dei loro valori iniziali; “ Rendic. della R. Accad. dei Lincei ,, 1895. 858 CARLO SEVERINI 3° Ciò posto, proponiamoci di vedere se il precedente in- tegrale, rappresentato dalla (6), assume, per un qualche valore di yo, il valore B nel punto «= (03 x). Occorre anzitutto che si abbia: n = (8) = 7: Deve poi essere a causa delle (4): L'— yo! = 50 (ie ferme cp a Se ne deduce che, per ogni d soddisfacente alle (8), il va- lore del suddetto integrale nel punto x = è una funzione con- tinua di yy in tutto l'intervallo (bG — L'... L' — 5G), e però esso risulta, in qualche punto di tale intervallo uguale a B, se ivi ammette un massimo ed un minimo, che comprendono 5. Ma, indicando con M il massimo, con m il minimo della funzione f(x, y, y') nel campo C, ogni Y, (n=2, 3, ...,00) ha in d x b* 76° È un valore, che è compreso fra soa + yo d ed SD +wb. Siamo dunque condotti a porre: mb? ; a. Mb LE: 3 + (L'’—bG)b= B, 9 +0 Lib ossia: o: erp ankeB e Sb ai ra Concludiamo che esiste un integrale dell'equazione data (1), il quale nel punto x =0 assume il valore o e nel punto x=>b il valore B (oÉv (va= 19 2, dea 00). E facile vedere come si possa ciò ottenere. Data ad esempio la solita successione: (21) dale di numeri positivi, decrescenti e tendenti allo zero, basterà pren- dere come funzione y:(x) quella, che ha il minimo indice, fra le infinite funzioni yv(x), che, in ogni punto dell’intervallo (0 ... d), differiscono da (x), in valore assoluto, per meno di 91; deter- minare poi la prima delle quantità (21), che è minore od uguale, in qualche punto di (0 ... 5), al valore assoluto della differenza (2) — yi(x), e chiamare y;(x) quella, che ha il minimo indice, fra le infinite funzioni yv(x), che in tutti i punti di (0 ... 6) dif- feriscono, in valore assoluto, da v(x) per meno di detta quantità, e così di seguito. Prendendo delle (20) le derivate prime e seconde, si hanno le altre successioni: (22) dyt(1) dyts(x) LAOS dyt.(2) dx dx dx d*yt;(x) d°yt(x°) d°yt(x) at) = x - ctr "A da? da? Li da? bj SOPRA GL'INTEGRALI DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI, ECC. 865 composte, per quanto è stato sopra detto, di funzioni egualmente continue, e che però ammettono ciascuna una funzione limite continua: tale funzione limite è di più unica perchè unica è la funzione limite continua (x), ammessa dalla (20). Le medesime successioni tendono dunque in egual grado nell’intervallo (0...) ‘a queste loro funzioni limiti, le quali rappresentano quindi rispet- tivamente la derivata prima e la derivata seconda di (2). Colla successione (23) coincide termine a termine l’altra: Pie, yu(2), us (@)), Pe (ey ye), Ple yo), y1 (0), dv(£) da? Proponiamoci ora di far vedere, che quest'ultima successione converge pure in egual grado ad f(x, 0(2), v(*)), con che risulterà: tendente dunque anch’essa in egual grado @ d°v dr(x) \ DO = (e, (2), = È A tal’uopo indichiamo con e e e’ due quantità finite, mag- giori di zero, soggette alla condizione che, se per due punti (£, Y1Y1) (€, 2, ys') di C, corrispondenti ad un medesimo valore di x, si ha: | (24) fi — yei=c; yi — yo 3C, risulti: (25) fe, v1,v1) — f(&, 429, y2)|30, essendo o il solito numero positivo, prefissato piccolo a piacere. Potremo determinare un valore ty, dell'indice ty, tale che, per ogni tv>ty, si abbia: (26) ll) — ye) =c, |o'(@) — yi (2) Se (0=x=d), ed inoltre, qualunque sia il punto (x,y,%y'), appartenente al campo C: (27) f(e,y,y) — Pi(e,y,y)|\<0. Dalle (24), (25), (26) si ricava allora, per ogni tv>tv' : If, 0(2), 01) — f(@, ya), y4'@) | T 0, 866 CARLO SEVERINI e da questa e dalla (27): | f(@, (2), (2) — Pi (e, yi (2), y':(2)) | = 20, che è quanto occorre al nostro scopo. 5° Abbiamo con ciò che precede stabilito, che v(x) sod- disfa all’equazione data (1): Si ha anche: v(0)=0, +0(6)=B. Se infatti potesse v(x) assumere, ad esempio nel punto e=0,. un valore A diverso da zero, si potrebbe determinare una quan- tità positiva 4, tale che la v(x) e tutte le funzioni della succes- sione (15) oscillassero, nell'intervallo (0...4), per meno di i, in modo che, per ogni x di quell’intervallo, risulterebbe: ea) — me) = sd (val Ciò contraddice all'ipotesi che sia (x) per tutto l’inter- vallo (0... 6) una funzione limite continua di quella successione. Noi abbiamo dunque, colla sola condizione che f(x,y,y'") sia, nel campo ©, reale, ad un valore, finita ed assolutamente continua, stabilito l’esistenza di un integrale dell'equazione : d°y dy Safe, Y; ), de che nei punti x=0, x = b assume i valori 0 e B. S'intende che si suppongono verificate le condizioni (14), dalle quali, come nel $ 1, si deducono le altre: L' (26+G% | |B| b<=, b& mi t7| (ed 00). dir, y.y) _ dPla,yy) |<, dy' dy gli) 2° Ciò posto si fissino è e B in modo che si abbia: Gb? ui vb G60+|È| (v=1,2;,00) Allora ognuna delle equazioni (11) ammette nell’intervallo (0...5) un unico integrale: (28) Iva) (v = 1, 2, ‘es 20), che assume il valore 0 per «=0 ed il valore B per e=d (*), e l'integrale 7(x) dell'equazione data (1), relativo ai medesimi valori iniziale e finale, è dato ($ 2) dalla serie convergente in egual grado: Ya) +G:0-4I0) +. SI SENeE 3° Applichiamo ora, partendo dalla funzione de, il metodo delle approssimazioni successive alle equazioni (11) (*). Gl’integrali (28) risultano espressi per mezzo delle serie: Iva=Yv(+ (Fav) — Yu) +... + (Yav()—Ya- 102) +. (29) (v=1,/2ita&p 0) ove le: Yiy(2), Yav(2), Boe YVav(2), Do (vB rt 0%) (*)*Ofr.FPrcazp] 1. ‘è. SOPRA GL’INTEGRALI DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI, ECC. 869 s'intendono determinate mediante le equazioni: a Yi(x) pure | Bx B da e a Py \ LATTICO NA dYas(a) c aPigla) “ene io, | e, Yiv(2), n foi, AIA 00) d Va v(& dYn-1(£) Bggil.. FE Ii (2, Wei v(e), ne” Nesta ) che successivamente s’integrano colle condizioni: Yn,v(0) Pa 0, Yn,v(b) = Bb (n,v=1, 2; DS) 0), per modo che si ha: i “XL { i dYac sl \ b Ynv(2) = I, JE | SEME (2), “» 2) (CE 2)de + 2 abi Pata) Ta DEN Vara e) 0 ade 01,2%. da Le Ynv(x) sono dunque polinomii razionali interi di x, e per la convergenza uniforme delle serie (29), indicando con wy un numero intero, positivo, dipendente da v, opportunamente scelto, si può ottenere: lu De =) Di don 22 | Gv(0) — Ya,v(2) | S gv (i che nelle 9 — che riguarda la punteggiatura del protorace: Consiste nella presenza di due terne di punti (Fig. 5) a poca distanza dal margine anteriore del protorace e disposte simmetricamente ri- spetto al piano di simmetria bilaterale: i punti in ciascuna delle due terne si succedono ad eguali distanze. I numerosi esem- plari — delle varie località — osservati presentano tutti tale carattere di punteggiatura. All’infuori di tale carattere e delle due “ incavazioni pun- teggiate anteriori , la punteggiatura del protorace è abbastanza variabile. Talora il protorace si presenta ondulato-rugoso. Notevolmente costante è un carattere di punteggiatura del labbro superiore, consistente in due serie di punti fra loro vi- cinissimi, disposte alla radice dellabbro superiore e simmetri- camente rispetto al piano di simmetria bilaterale. Nello scudetto la punteggiatura è abbastanza variabile: nel maggior numero dei casi si presenta privo di impressioni pun- tiformi; frequente relativamente è il caso di una sola impres- sione, ma non è raro che si abbiano due, tre o più punti, più o meno impressi: per lo più allora si dispongono irregolarmente rispetto ai margini dello scudetto e sono meno distinti. Molto raramente si presenta ondulato o rugoso. 898 UMBERTO PERAZZO 7) Fra gli individui delle varie località non abbiamo ri- scontrato differenze molto notevoli. Complessivamente può dirsi che le dimensioni negli individui di Nizza Monferrato sono leg- germente superiori a quelle degli individui delle altre località considerate. Negli esemplari di Alvito si trovano più frequen- temente le colorazioni intensamente nere. La colorazione rossigna al margine inferiore esterno delle elitre ed alla parte inferiore- posteriore del protorace si presenta di solito poco evidente, e . talvolta non si presenta affatto per gli esemplari di Alvito e di Grosseto: mentre in generale è spiccatissima in quelli delle due località piemontesi e specialmente di Nizza Monf. (pei quali spesso si propaga alla parte posteriore del prosterno ed alle anche ed ai femori delle zampe anteriori). Il colore delle antenne e dei palpi è per gli esemplari di Nizza Monf. molto più chiaro che non in quelli di Alvito ed anche (in misura mi- nore però) delle altre località. Accenniamo infine ad una parti- colarità di colorazione che si riscontra, talora spiccatissima, negli individui delle due località piemontesi, e specialmente di Nizza Monf.: La porzione trapezoidale lievemente impressa del peristoma che segue immediatamente al labbro superiore presenta spesso negli esemplari di quelle località una striscia di colore variabile fra il giallo ed il rosso cupo: Gli esemplari di Alvito e di Grosseto presentano di solito pochissimo appariscente, o non presentano affatto tale striscia. 0 U- Ricerche sulla variazione dell'AydropAz/s pucews. Fara dina PAPA Psi ii Variazione) iN | IN è | . assoluta fe i eliotlon l TEenali | Variazione| ! NI A LR relativa |,.j | i LL] | 1,5) to» Hr 755 001500175020 l 1 . ' I . mu Var.celativa ess Var.assoluta nai i ii | il Fig 3 i2gai ri ARTT ARIAS LL NE i ) 9-41 SES e 4 = ( È 4 I i EN A N { i I pax) ta NZ” i i \s" 3; I ! ' 7 14 ALE ALINA G TO GNGREATo Fig. 18 => % s ì Fig. 17 È Fig. | \ VC Atti dRAccad.d.Scienze di Torino. V0o/_AZ.. i ' N RI Rita] ; a CER a I H | È = | i Taro ILINLI | nn r_ IR I Vino Daeltazeza Li IA Sari N14 ATI ] PST HA] vY VID ; | | | I i I N . DA VAIO LÌ pn TOR +eroteT Mea Vv | PSI i Î +47 | vr ESSI 21 I [aa SLA ! i I Noa i il darf Aaa Lolopoladoe RRREUR Siae vv IREGICA] | ! È go I I I L . I U | | 1 ì Ì i; ' a ! I . I U ' I i | \ | + ceste det SESSI 7,5 bd ì ] I ' NRPRFEO i | VARI | i VR RE A | | [bb | I | I ' Di di At NERE E Ai Alza ' WS Reati DNPI ARE | : I I |IMZGIGIMA ZIO" |BCIZATAI al AUS TI ] Malati MR TRA | ! LU IRONIA CIR RUI TTI ER RI I SOA ESTE [a Lou. si DE Hr bold 108 | NARA i (Enc ETA PRRGIA PAIS CISESSO (OI | i VESAI A MATA [BAT ON Ù INNI LE pat {Retati ! | I | Ù TA Ù | | | i | ! atti i i Gant l o CRISTO RT 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22232425 ( Variazione assoluta » Scala 20 :d) 00 Fig. xucizani si co el A DA cd TI Ji SQ III Fig. oi ZO ) ehe a ) Rug 9 saga iS Fig. 20 Lit.Salussolta Torino RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL'« HYDROPHILUS PICEUS », ECC. 899 SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA Fig. 1. — Esempi di rappresentazione grafica assoluta e relativa. 1° tipo. Lunghezza 4° articolo del tarso: zampe posteriori (ò e 9 Nizza Monf.). Fig. 2. Id. 2° tipo. a) Lunghezza 5° articolo del tarso: zampe posteriori (2 Nizza Monf.) — 5) Id. zampe anteriori (9 Nizza Monf.) (Le ordinate segnate a tratti staccati - - - - - , a tratto continuo —, a punti e tratti --- -- -- corrispondono ordinatamente a 9 della iz forma. Fiy. 8. — Capo (dalla parte dorsale). 1) Diametro antero- posteriore del fronte — 2) Id. del capo (dalla parte dorsale) — 3) Id. del labbro superiore — 4) Larghezza del labbro superiore — 5) Larghezza mas- sima della parte anteriore del capo — 6) Distanza fra le superficie laterali esterne dei due occhi. Fig. 4. — Capo (dalla parte ventrale). 7) Diametro antero-posteriore del capo (dalla parte ventrale) — 8) Id. del labbro inferiore — 9) Lar- ghezza del labbro-inferiore. Fig. 5. — Protorace. 10) Diametro antero-posteriore del protorace (pronoto) — 11) Larghezza massima del protorace (id.). Fig. 6. — Scudetto ed elitre. 12) Diametro antero-posteriore dello scudetto - — 18) Larghezza dello scudetto (alla base) — 22) Larghezza massima dell’elitra — 23) Diametro obliquo massimo dell’elitra. Fig. 7. — Sterno ed addome. 14) Lunghezza dell’apofisi mesosternale — 15) Lunghezza totale dell’apofisi sternale — 16) Lunghezza minima del metasterno — 17) Id. del mesosterno — 18) Id. dello sterno — \ 19) Lunghezza massima dell’ episterno — 20) Diametro trasversale anteriore del metasterno — 21) Id. posteriore — 24) Diametro tras- versale massimo del 2° segmento visibile dell'addome — 25) Id. del 8° segmento — 26) Id. del 4° segmento — 27) Id. del 5° segmento. Fig. 8, 9, 10, 11, 12, 13. — Zampe posteriori. 28) Lunghezza dell'anca — 29) Larghezza dell'anca — 30) Lunghezza del femore col trocantere — 31) Larghezza massima del femore — 82) Lunghezza della tibia — 8383) Id. della spina inferiore — 34) Id. della spina laterale in- terna — 35) Id. del 2° articolo del tarso — 86) Id. del 8° articolo — 37) Id. del 4° articolo — 38) Id. del 5” articolo. Fig. 14, 15, 16, 17. — Zampe mediane. 39) Lunghezza dell'anca — 40) Id. del femore col trocantere — 41) Id. della tibia — 42) Id. della spina inferiore — 43) Id. della spina laterale interna — 44) Id. del 2° ar- ticolo del tarso — 45) Id. del 3° articolo — 46) Id. del 4° articolo — 47) Id. del 5° articolo. 18, 19, 20, 21, 22. — Zampe anteriori. 48) Lunghezza dell’ anca — 49) Id. del femore — 50) Id. della tibia — 51) Id. della spina late- rale esterna — 52) Id. del 5° articolo del tarso — 53) (è) Larghezza della dilatazione del 5° articolo del tarso — 54) (è) Lunghezza del- l'unghia maggiore — 55) (è) Id. dell'unghia minore. Fi da L’ Accademico Segretario LoRENZO CAMERANO. 300 CLASSE SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 28 Maggio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE . PROF. - ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, CrpoLLa, Brusa, ALLievo, CARUTTI, Pizzi, CHironi, Savio, DE Sancris, Rurrini e ReNntER Segretario. Viene approvato l’atto verbale dell'adunanza antecedente, 14 maggio 1905. Il Sindaco di Cherasco notificò per dispaccio telegrafico all’ A c- cademia il decesso del Socio corrispondente comm. G. B. ADRIANI, avvenuto il 16 maggio. Il Presidente inviò condoglianze, inca- ricando il Sindaco stesso di rappresentare l'Accademia ai fune- rali. Il Direttore della Classe Socio FerRERO legge una breve commemorazione del defunto, che è inserita negli Atti. D’ufficio è presentato il volume: Romualdo Bobba - Cin- quant'anni d'insegnamento (1854-1904), Torino, 1905, fatto stam- pare dai figliuoli per omaggio affettuoso al loro genitore. Il Socio CaIRONI offre all'Accademia, con parole d’elogio, le seguenti pubblicazioni: 1° Arrigo SoLmi, Ademprivia; studi sulla proprietà fon- diaria in Sardegna, Pisa, 1904; 901 2° Cesare BERTOLINI, Appunti didattici di diritto romano, Morino, "1905, fasc. 1° e 2°, Il Socio DE SanorIs, incaricato col Socio CrpoLLA di riferire intorno alla dissertazione del prof. Augusto Mancini, Sulla in- terpretazione e sulla fortuna dell’egloga IV di Virgilio, legge la relazione, che essendo stata approvata dalla Classe, compare negli Atti. Quindi, a voti segreti unanimi, la Classe delibera che lo scritto del Mancini sia ospitato tra le Memorie accademiche. Il Socio CrpoLLa presenta per gli Atti una nota del profes- sore F. Bazzi, Brevi appunti in contributo alla storia dell'assedio di Verrua (1625), e per le Memorie una monografia del prof. P. GrI- BAUDI, La geografia di S. Isidoro di Siviglia. Il Presidente de- signa a riferire intorno a quest’ultima il Socio proponente Cr- POLLA ed il Socio RENIER. 902 ERMANNO FERRERO LETTURE GIOVANNI BATTISTA ADRIANI Parole commemorative del Socio ERMANNO FERRERO. Il decano dei nostri corrispondenti, anzi il più anziano di tutti gli ascritti alla nostra Accademia, ci ha lasciato. Il 16 di questo maggio Giovanni Battista Adriani è morto placidamente in Cherasco, dov'era nato l’11 di agosto 1823, aveva fatto i primi studii e da trent'anni aveva riportato la sua dimora. L’Adriani, sin da giovanetto, ebbe amore per le lettere e per la storia e per il loro insegnamento: tenne scuola a Casale Monferrato presso i Padri Somaschi, suoi maestri e poscia suoi confratelli; a Racconigi, dal 1846 al 1853, nel R. Collegio per i figli dei militari, dove fu professore di storia e di geografia ed anche direttore degli studii. Da suoi discepoli intesi ch’era ottimo insegnante: non ne poteva dubitare chiunque lo udì parlare in pubblico con chiarezza d’idee, con parola fluida ed elegante. Col 1851 principia e col 1876 si chiude la serie delle pub- blicazioni dell’Adriani, non copiosa per numero, ma di mole pon- derosa. Nel libro del Manno: L’opera cinquantenaria della È. De- putazione di storia patria è registrata la bibliografia dell’Adriani; nè qui tutta la ripeto. E neppure non prendo ad esame i suoi libri, ove si mostrò assiduo ed abile ricercatore, accurato let- tore, felice interprete di documenti. Illustrò la sua Cherasco, uomini notevoli e chiare famiglie di essa (1). Vercelli gli deve (1) Degli antichi signori di Sarmatorio, Manzano e Monfalcone, indi degli Operti fossanesi. Memorie storico-genealogiche corredate di molti documenti inediti (nel vol. II delle Narrazioni sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia (racc. del P. Angius), ed a parte, Torino, 1853; 4°, pp. 566). — Memorie della vita e dei tempi di monsignor Giovanni Secondo Ferrero Pon- ziglione, referendario apostolico, primo consigliere ed auditore generale del principe cardinale Maurizio di Savoia, con un saggio di lettere e monumenti inediti raccolti ed illustrati, Torino, 1856; 4°, pp. 702. — Monumenti sto- GIOVANNI BATTISTA ADRIANI — COMMEMORAZIONE 903 l’edizione largamente illustrata de’ suoi statuti (1): sperò altret- tanto Alba per la raccolta degli antichi suoi atti contenuti in un codice prezioso dell’ Archivio milanese; ma l’impresa, per lungo tempo meditata, fu abbandonata (2). Una missione affidatagli dalla Deputazione di storia patria gli fornì occasione di descrivere codici e carte di archivii e di biblioteche della Francia meridionale (3). Per opera sua copia di nuovi documenti trovò posto nel secondo volume Chartarum degl’ Historiae patriae monumenta, e videro la luce le scritture del Beato Oglerio da Trino, abate del monastero di Lucedio nel secolo XII, conservate in un codice della biblioteca dell’ Univer- sità (4). Stampando una vita inedita del cardinale Prospero Santa Croce, ch’ebbe parte notevole nelle faccende diplomatiche della corte papale dalla fine del pontificato di Paolo III al prin- cipio di quello di Pio V, le unì copiose annotazioni (5), dalle rico-diplomatici degli archivi Ferrero-Ponziglione e di altre nobiti case subal- pine dalla fine del secolo XII al principio del secolo XIX, raccolti ed illu- strati, Torino, 1858; 4°, pp. 692. — Indice analitico e cronologico di alcuni documenti per servire alla storia della città di Cherasco e delle antiche ca- stella di sua dipendenza, dal secolo X al XVII ecc., Torino, 1857; pp. 166. — Cherasco (nel Dizion. del Casalis, Append. (XXVIII), 1856, p. 149-187). — Diario del congresso e della pace di Cherasco e delle varie calamità che de- solarono il Piemonte negli anni MDCX XX e MDCXXXI edito per la prima volta, ece., Torino, 1863; 4°, pp. 150. — Altri lavori minori. (1) Hist. patr. mon., Leg. mun. IT, Taurini, 1876, p. 1088-1584; ed. a parte: Statuti del comune di Vercelli dell’anno MCCXLI aggiuntivi altri mo- numenti storici dal MCCXLIII al MCCCXXXYV ora per la prima volta editi ed annotati, Torino, 1877; 4° e 8°, pp. cLx-904. (2) Ripresa e condotta a fine dai prof. Milano, Gabotto ed Eusebio per cura della Società storica subalpina. (3) Sopra aleuni documenti e codici manoscritti di cose subalpine od ita- liane conservati negli archivi e nelle pubbliche biblioteche della Francia meri- dionale con un cenno delle principali antichità di quella contrada, Torino, 1855; 8°, pp. 78. (4) Beati Oglerii de Tridino, abbatis monasteriî Laucediensis, ordinis Cisterciensium in dioecesi Vercellensi, opera quae supersunt ete., Augustae Taurinorum, 1873; 8°, pp. xv-243. (5) Scrisse un lavoro numismatico, che fu la prima sua pubblicazione scientifica: Lettere e monete inedite del secolo XVI appartenenti ai Ferrero- Fieschi, antichi conti di Lavagna e marchesi di Masserano, illustrate con nuove annotazioni, Torino, 1851; 4°, pp. 44. 904 ERMANNO FERRERO — G. B. ADRIANI - COMMEMORAZIONE quali trasse due libri, sulla dominazione francese in Piemonte nel secolo XVI e su Ginevra ed i principi di Savoia, che mo- strano come l’Adriani sapeva pure scrivere la storia, non la sola illustrazione ai monumenti storici. E lode, che pur troppo non si può dare a tutti i nostri scrittori di cose storiche, l’Adriani scriveva bene. Egli formò pure una ricca collezione di monete antiche e moderne, italiane e straniere, e di medaglie, massimamente ita- liane, circa quindicimila pezzi; radunò ancora anticaglie, sigilli, pergamene, autografi, libri rari ed altre cose pregevoli. Nel 1896 donò alla sua città tali raccolte, serbandosene l’uso sino alla morte. L'Adriani amò gli onori più di quanto sembra convenire ad uomo di studio e sopra tutto di Chiesa. Niuno però negherà che gli onori da lui ricevuti non fossero meritati; anzi il suo ingegno e la sua dottrina gli davano diritto ad altri maggiori. Ebbe co- scienza del proprio valore; non presunzione di valer di più e che gli altri valessero di meno; sempre fu pronto a dar lode a chi ne reputava degno. In quest Accademia, a cui l’Adriani si compiaceva di appar- tenere da più di mezzo secolo (1), ho desiderato dargli quell’ul- timo saluto, che, mal mio grado, non ho potuto dare alla sua salma nei solenni funerali del giorno 18. Fanciullo ancora, conobbi l’Adriani, e da lui spesso mi re- cava a fargli vedere monete antiche, che mi dilettava di rac- cogliere. Egli mi accoglieva con bontà; m’incoraggiò nei primi passi negli studi; con affetto mi ha sempre accompagnato in essi; grande il debito della mia riconoscenza verso di lui; vivo il rincrescimento di non saper meglio manifestarlo. (1) Nominato Socio corrispondente il 15 dicembre 1853. FRANCESCO BAZZI — BREVI APPUNTI, ECC. 905 Brevi appunti in contributo alla storia dell'assedio di Verrua (1625). inn iii de sii | Nota del Dr. FRANCESCO BAZZI. Nell’Archivio comunale di Crescentino si conservano carte riguardanti l'assedio di Verrua del 1625. Da queste sono rica- vati quasi tutti gli appunti che qui abbiamo raccolto. Mentre Carlo Emanuele I, respinto a mano a mano da tutte le piazze che egli aveva occupate poco prima contro Genova, ripiegava in Piemonte, il Governatore di Milano, Don Gomez Suarez de Figueroa, Duca di Feria, alla testa di venticinque- mila fanti e cinquemila cavalli, con venti cannoni, dalla Lom- bardia scendeva nel Monferrato. Mossosi da Grana Monferrato, l'8 agosto 1625 giungeva alla confluenza della Dora Baltea col Po e poneva l’assedio alla fortezza di Verrua, colla persuasione di prenderla in meno di tre giorni senza usare il cannone, e di continuare quindi la marcia sopra Torino (1). A difesa di Verrua accorse Carlo Emanuele co’ suoi e coi Francesi del Maresciallo di Créquy in numero di diecimila uomini circa. Il 9 era riuscito a far entrare nella piazza un migliaio circa di Savoiardi, sotto il comando di Francesco Damas, conte di Saint-Réran. Egli poi aveva posto il campo tra il fiume Po e Crescentino, sulla sponda sinistra; aveva congiunto con un ponte di barche le due rive del fiume e ne aveva assicurati gli sbocchi con due fortini ben muniti. Sulla destra del fiume in una piccola pianura, che si stende ad oriente della rocca di Verrua, aveva posto un campo trinterato e l’aveva affidato ai Francesi. A mezza costa, a nord della fortezza, era un altro fortino detto di Vernatel, dal reggimento francese che durante l’assedio vi alloggiò. Alla sinistra del Po, sulla Dora Baltea, i (1) Arch. Civico di Crescentino. Dichiarazioni autentiche Pettenati, 1625. Documento pubblicato da Giuseppe Burra, in Breve cenno storico della città di Crescentino, con appendice e documenti. Torino, 1857. 906 FRANCESCO BAZZI Savoiardi avevano ancora costrutto e fortificato un altro piecolo ponte, per cui avevano aperto l’adito a Chivasso ed a Torino. Il borgo di Verrua, composto di una cinquantina di case, veniva a trovarsi come nel centro di un triangolo, i cui tre ver- tici erano costituiti dalla Rocca o Castello, da un altro colle a mezzodì, su cui sorgeva la parrocchia di S. Giovanni Battista e da un terzo ad oriente detto la Torrazza. Il borgo ed il castello erano difesi da un debole muro. A sud del borgo, di un’ aia campestre avevano formato una specie di mezza luna, distaccata dal muro: ultima fortificazione verso il nemico. Nell’Archivio di Stato di Torino (1) esiste una tavola a di- segno di questo assedio di Verrua, ove si designa inoltre una chiesa di S. Francesco con batteria, posta su di un colle fra il Castello ed il colle della Torrazza già indicato. Le colline che sorgono, a guisa di corona, a sud di Verrua, erano state occupate dagli Spagnuoli; i quali inoltre avevano estese le loro trincee ad oriente, nella piccola pianura mentovata, sotto le trincee francesi. La destra verso Casale era tenuta dal conte di Sultz, la sinistra verso Chivasso dal conte di Serbellon. Gli Spagnuoli erano sotto il comando immediato di Don Gonzales di Cordova; i Tedeschi sotto il comando del conte di Chambourg. Il duca di Feria, che aveva il supremo comando, aveva preso gli alloggiamenti dietro gli Spagnuoli, sotto un’ altura, a sud della fortezza che assediava (2). Il giorno 11 agosto gli Spagnuoli aprirono il fuoco contro il fortino della parrocchia. Ma non è nostro scopo narrare minu- tamente i fatti dell’assedio, che da molti furono studiati (8), sib- bene di accennare soltanto ai particolari, sui quali trovammo. qualche documento, sopratutto nell'Archivio di Crescentino, dove finora ricerche non erano state fatte. Mentre adunque si andava svolgendo accanita e terribile la lotta fra assedianti ed assediati, Carlo Emanuele, che attendeva (1) Feudi del Monferrato, mazzo 67. (2) D. Ferprnanpo De-RiseRA, Relatione dell'assedio di Verrua. Torino, 1625. — Arexanpre DE SaLuces, Histoire militaire du Piémont. Turin, 1818, T. III, pag. 261 seg. (3) Pochi anni or sono se ne occupò anche Ca. Durarvarp, Le conné- table de Lesdiguières. Paris, 1892, p. 562 sgg. BREVI APPUNTI IN CONTRIBUTO ALLA STORIA, ECC. 907 alcuni rinforzi dalla Francia, il 12 ottobre partì alla volta di Torino, lasciando il comando del campo al figlio Vittorio Amedeo. In quest'occasione consegnò a D. Lodovico Cavorretto un’ istru- zione coll’intento di “ informare il Conestabile di Lesdiguières “ dello stato delle cose di Verrua, facendo notare che la tar- “ danza delle truppe del Marchese di Vignoles per i suoi Stati, “ sarebbe stata di grande pregiudizio ai medesimi, come altresì “ alla riputazione di S. M. Cristianissima; e di sollecitarne per- “ tanto la venuta per la Tarantasia, avendone l'A. S. dato gli “ ordini per le loro tappe secondo il desiderio del predetto Co- “ nestabile ,, (1). Il Duca ingiunge al Cavorretto di esagerare lo stato delle cose, il pericolo di uno smacco, del disonore suo e dei Francesi se si tardasse ancora a mandare i detti soccorsi, dimostrando esser impossibile che sì pochi soldati potessero tener fronte agli assedianti, guardar le trincee francesi e piemontesi; tanto più che gli Spagnuoli stavano ultimando un ponte sul Po a Pontestura, per il quale dovevano giungere da un giorno al- l’altro diecimila fanti e mille cinquecento cavalli per muovere contro il campo di Crescentino, Abboccatosi poi il Duca a Torino col Conestabile il 24 ot- tobre, decise di arrischiar battaglia. Intanto, credendo sempre imminente l’arrivo degli Spagnuoli da Pontestura, fece perve- nire a Crescentino quel maggior numero di truppe che potè riu- nire in Piemonte. Ma per ben altro scopo il Feria aveva fatto costrurre il ponte: per ritirarsi al di là del Po con tutte le sue truppe, ab- bandonando Verrua. Infatti verso il finir d’ottobre gli Spagnuoli andavan rimovendo i pezzi di alcune batterie. Il 9 del no- vembre, giorno in cui finalmente era giunto al campo il Mar- chese di Vignoles, si apprese la notizia che il Duca di Feria, infermo, si faceva trasportare a Pontestura, lasciando il comando del campo d'assedio a Don Gonzales di Cordova. Gli Spagnuoli sospesero i loro lavori e col 15 tutta l’artiglieria era passata a Pontestura. Al mattino del 17 giunse a Crescentino il Lesdiguières “ et “ dopo disinato se ne andò a Verrua ove v'era anco S. A. et (1) Archivio di Stato: Negoziazioni colla Francia, mazzo 8. 908 FRANCESCO BAZZI “ alli ventidue ore li nostri fecero attaccar dalli francesi una scaramuccia contro il nemico nel Giaretto et andarono li nostri a poco a poco all'alto guadagnando Ji posti nimici, le moschet- tate che si tiravano dagli uni e dagli altri erano tanto spesse e continuative che non si potevano numerare, insomma quella sera li nostri si portarono valorosamente, smarriti li nimici, perchè li nostri cannoni durante la scaramuccia affrettavano più che mai e mai cessarano di tirare tutta quella sera, che ne uccisero parecchi , (1). Il documento allude all'assalto dei Francesi alle trincee, che gli Spagnuoli conservavano nel piano di Verrua e sui ridossi dei colli che ivi declinano. I posti nemici furono espugnati dopo un vivissimo combattimento, che durò tre ore. Il Duca di Sa- voia ed il Conestabile di Francia assistevano all'attacco dall'alto della Rocca. Gli Spagnuoli, guidati dal Cordova, abbandonarono il campo sotto Verrua poche ore appresso, nella notte tra il 17 ed il 18 novembre, inseguiti dalla cavalleria degli alleati. E così finiva l'assedio di Verrua, in cui vecchi storici si accordavano generalmente nell'affermare che morissero ventimila dei nemici (2). Su questa cifra fa le sue riserve il Cibrario (3), che dice di accordarla a meno. Infatti dalla attenta lettura della “ Relatione dell'assedio , non parrebbe possa risultare siffatta strage; anche se noi vogliamo tener calcolo del numero piuttosto considerevole di quelli che debbon esser morti di malattia o per altre cause estranee alla guerra. Ma la stessa “ Relatione ,, in tono un po” enfatico, pone la cifra di ventimila; e probabilmente gli altri storici, il Guichenon compreso, di qui hanno riportato questo numero. Del resto si potrebbe forse venire a simile cifra anche per altra via. Il già più volte citato documento dell'Archivio Civico 4 “« K “ (1) Arch. Civico di Crescentino: Dichiarazioni autentiche Pettenati, 1625. (2) De-Ruera, Relatione cit. — A. De SaLvers, Op. cit., t. III, 271, serive che morirono circa 20.000 spagnoli. (3) Specchio cronologico acquisti e perdite nei domini di Casa Savoia, che sl trova in Origini e Progresso delle istituzioni della Monarchia di Savoia sino alla costituzione del Regno d'Italia. o BREVI APPUNTI IN CONTRIBUTO ALLA STORIA, ECC. 909 di Crescentino afferma che gli Spagnuoli del Cordova, al mo- mento della fuga, non salivano più che a quattromila uomini. A. proteggere questa ritirata erano venuti altri quattromila fanti del Conte di Mansfeld. Alessandro di Saluzzo poi narra che quando il Duca di Savoia propose al Lesdiguières di attac- care il campo di Pontestura, subito dopo la rotta, ivi non rima- nevano più di quattordicimila uomini. Orbene se noi sottraessimo da questi quattordicimila gli ottomila (gli ultimi quattromila assedianti ed i quattromila provenienti da Pontestura a proteg- gere la ritirata) che lasciarono Verrua nel momento della fuga, avremmo la cifra di seimila uomini; che potrebbe esser costi- tuita dai soldati, i quali dovettero accompagnare il Duca di Feria infermo, il 9, e poi scortare le artiglierie, che, in diverse riprese fino al 15 novembre, erano partite da Verrua alla volta di Pontestura. Gli Spagnuoli che, in conclusione, rimanevano del- l’esercito. assediante, non comprendendo i quattromila del Mans- feld, non superavano i diecimila; quindi gli altri, che mancano per giungere ai trentamila, sarebbero morti all'assedio. Gli storici sono generalmente d'accordo nel designare il giorno in cui avvenne la fuga degli Spagnuoli. Il documento citato dell'Archivio Civico di Crescentino dice che “ la notte li “ nimici si levarono e presero la fuga ,. Vi ha però uno scherzo poetico di un militare del presidio di Verrua (1), il quale discorda in ciò dalle altre testimonianze storiche; ma non sapremmo realmente qual credito dare alla sua asserzione. Lo scherzo dice che gli Spagnuoli: “...Fugent via com tang mat Cont i so bander nel sac Senza batter el tambor E partendes ai set hor Han lassà quel bel Castel Dond han pers ol so cervel Con l’assedi di tre mes Chan ben mo imparà ai so spes A vorè fa dol gradas... , In un’ edizione speciale della “ Relatione , del De-Ribera, (1) Fischiada. Navarinescu sopra la fuga de Spagnuoli da Verrua com- posta da Pasqualin da Mazorbo, Stampà li. 22 Novembre l'an del. 25. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 60 910 FRANCESCO BAZZI esistente all'Archivio di Stato di Torino (1), è inserta una pro- duzione poetica di circostanza e piuttosto abbondante, in lingua latina ed italiana, sulla ritirata ignominiosa dell’esercito spa- gnuolo dall'assedio. Da essa appare che questa avvenne nel cuore della notte. La stessa cosa risulta da un “ Consiglio di Stato sopra la fuga degli Spagnuoli da Verrua , (2). Per ciò che riguarda le fortificazioni di Verrua durante questo assedio, in una biografia manoscritta di Vittorio Amedeo I (3), è detto che Carlo Emanuele I provvide Verrua di un valoroso reggimento, fortificò la piazza “onde poi l'applicazione di un “ esercito formidabile andò a rompere il credito della propria “ possanza in un vano assedio d’uno scoglio di terra ,. Con ciò si accorda la descrizione che ne fa il De-Ribera (4), il quale, diffondendosi in maggiori particolari, dice che il Castello non era altro che una vecchia casa con una torre all'antica, con un solo appartamento e senza baluardi, fossi e bastioni o altra fortificazione. Il borgo, che dice composto di una cinquan- tina di fuochi, era circondato da un vecchio muro con torri rotonde all’antica, senza fosso. Verrua non doveva esser certo grandemente munita, come appare anche da una iscrizione marmorea, che ci vien detto (5), fosse più tardi murata sopra una porta del Castello: EXIGUA ET cELEBERRIMA { 1 VERRUCA QUAM CAR. EMM, I SAB. DUX IMMUNITAM FORTISSIME DEFENDIT CAR. EMMANUEL II “ {VT IPSA sEsE DEFENDERET COMMUNIVIT Di questa lapide esistono ancora due frammenti, i quali, rinvenuti a caso ed in diverso tempo fra le antiche macerie e (1) gi di Stato: Provincia d'Asti, mazzo 23. (2) Id. id. (3) eat di Stato: Storia della Real Casa, mazzo 16. (4) Op. cit. (5) Dall’attuale proprietario del Castello, Marchese Invrea; dalla cor- tesia del quale avemmo pure il testo dell’iscrizione. > Cp BREVI APPUNTI IN CONTRIBUTO ALLA STORIA, ECC. 911 fra i ruderi della fortezza, furono, or non è molto, riuniti ed incastrati in un muro interno del Castello. Il frammento contrassegnato col numero 2 venne pubblicato nel 1880 dall'Avv. Vittorio Del Corno nel 3° volume degli “ Atti della Società d’Archeologia e Belle Arti ,, a proposito di un suo studio intitolato: Le Stazioni di Quadrata e di Ceste lungo la strada romana da Pavia a Torino. Il Del Corno pare propendesse a crederlo frammento di una lapide dell’epoca romana. Ma se noi consideriamo il frammento numero 1, scopertosi più tardi, e lo confrontiamo col frammento numero 2; la medesima qualità e levigatura del marmo, la me- desima forma e dimensione delle lettere, e sopratutto la combi- nazione perfetta delle parole frammentarie col testo dell’iscrizione surriferita, provano abbastanza chiaramente che ambedue i fram- menti appartengono non già ad una lapide romana, ma bensì alla lapide che si sa aver fatta murare sulla porta del Castello, il Duca di Savoia, Carlo Emanuele Il. Notiamo di passaggio che una modificazione della presente iscrizione si trova in un’ altra iscrizione, che D. Emanuel Te- sauro (1) dedicava al Duca Carlo Emanuele II ...EXIGUAM, SED CELEBREM VERRUCAM, HOSTIUM OCULIS INFESTAM QUAM AVUS IMMUNITAM DEFENDIT; NEPOS ITA MUNIIT, UT SESE IPSA POSSIT DEFENDERE. Lo stesso Tesauro (2) ne riporta un’altra, che esisteva in- cisa in marmo su di altra porta del Castello: LODOVICO XIII AUXILIANTE CAROLO EM. IMPERANTE VICTORE FILIO PROPUGNANTE HISPANO, GERMANO, SARMATA ITALOQUE PROFLIGATO VERRUCA SERVATA (1) Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis, tomo I. (2) Id. id., tomo II. 912 FRANCESCO BAZZI La medesima è riferita dal De-Ribera (1), ma di essa non ci pervenne alcun frammento, se non forse uno, di cui venimmo, or non è molto, a cognizione; ma su cui non sapremmo per ora pronunciarci. Il Dufayard riferisce pure (2) tale iscrizione ed aggiunge che sull’arco di trionfo eretto nella terra leggevansi queste parole: Verrucae oppidum Carlo Emanuele Sabaudiae duce solo propugnante incassum tentatum. Il De-Ribera (3) attestava esistere un’altra lunga iscrizione incisa sulla roccia istessa; ma oltre che nessuna traccia, non se n’ ha altra memoria. ; Tornando alle fortificazioni, di cui si trattava, all’ Archivio di Stato, materie militari, abbiamo una relazione di tutte Je piazze fortificate del Duca di Savoia. Vi si parla anche di Verrua, ma pare che si riferisca a fatti posteriori all'assedio. Siechè non se ne può dedurre che Verrua fosse cinta da valide fortifi- cazioni. I danni materiali che recarono al borgo ed ai dintorni sia le truppe nemiche che le alleate, dovettero essere certamente rilevantissimi. Il documento citato dell'Archivio Civico di Crescentino af- ferma che fin da quando i Francesi eran venuti a porre il campo presso Crescentino, sulle rive del Po, avevano “ rovinato tutte “le cascine del finaggio di Crescentino e Verrua, niuna eccet- “ tuata, e portati via tutti gli usci, finestre e solari et anco “ ogni sorta di ferramenta per farsi le loro case, sempre conti- “nuando sino all'ultimo giorno, e ne hanno scoperte molte..... “ portando via li legnami tanto grossi che piccoli e non si è (1) Op. cit.,in cui asserisce sia stata sostituita ad un’altra, che esisteva fin dai tempi delle antiche guerre coi Marchesi di Monferrato: “ Quando questo porco pigliarà l'uua Il Marchese di Monferrato pigliarà Verrua ,. (14 Sulla porta del Castello “ si vedeua un porco in piedi ch'apriva le fauci per aggiungere un grappolo d’uua pendente sopra il suo capo ,. Con qualche modificazione, e riferendola all’assedio posto dai Francesi nel 1704-1705, la cita pure un ms. dell'Archivio parrocchiale di S. Giovanni Battista in Verrua. (2) Pag. 566. (3) Op. cit. BREVI APPUNTI IN CONTRIBUTO ALLA STORIA, ECC. 913 “ mai veduto tanto smarimento, il che ha causato un’influenza “e mortalità, sendo morti la maggior parte dei capi .di casa, “ massime Consiglieri ,. Quando poi, messi in fuga gli Spagnuoli, i Francesi partirono alla volta di Livorno, “ nel partirsi che “ hanno fatto..... hanno dato il fuoco alle loro abitazioni a danno “ dei poveri terrieri, che speravano ricuperare gli assi e legnami « per riedificare le cassine ,. Il Castello, stando al documento, non ebbe a patir danno alcuno durante questo assedio, “ sebben “abbino del tutto et affatto col cannone rovinato il borgo ,. Oppressi da tanti mali, i poveri abitanti di Verrua indiriz- zavano al Duca di Savoia una petizione, nella quale, dipingendo lo stato miserando in cui era stata ridotta la loro terra in questa occasione per il servizio prestato a S. A., e facendo rile- vare la mortalità avvenuta nelle persone, l'estinzione quasi totale delle famiglie, la perdita del bestiame e d’ogni sorta di vetto- vaglie, l’abbruciamento delle case ed altre sofferenze, disordini e violenze infinite commesse dai nemici sulle loro persone e sulle loro proprietà, supplicavano vivamente di esser consolati. E chie- devano: 1° di esser liberati per cinquant'anni da ogni carico ordinario e straordinario verso S. AÀ., e perchè non andasse de- serto e disabitato il territorio di Verrua, esser esenti dalla legge urbana; 2° fosse loro concesso qualche soccorso, acciocchè po- tessero imprendere la riedificazione delle case e della chiesa; 3° fosser loro spedite vettovaglie, perchè, essendo rimasti privi di ogni cosa, non perissero di fame. Assentì il Duca alle suppliche dei suoi sudditi e concesse a tutti gli abitanti di Verrua esenzione per anni venti da ogni carico ordinario e straordinario, dichiarando esenti dalla legge urbana tutti i forestieri che venissero ad abitarvi, purchè si con- segnassero all’ordinario del luogo, il quale doveva farne rela- zione a S. A. Promise inoltre di provvedere affinchè fossero soddisfatti anche per ciò che riguardava il secondo punto della loro petizione. = Infatti, nell'elenco dei Parroci di S. Giovanni Battista in Verrua (1), troviamo: “ Anno 1623 - R. D. Petrus Franciscus “ Costa a Pettinengo; obiit in Februario 1663 (hic per biennium (1) Archivio Parrocchiale di S. Giovanni Battista in Verrua. 914 FRANCESCO BAZZI — BREVI APPUNTI, ECC. “ habitavit in arce donec Communitas restauravit Domum et “ Ecclesiam dirutas extra arcem extantes) , A quali anni si riferisce il biennium della parentesi? Qui molto probabilmente si accenna alla distruzione della chiesa av- venuta durante l’assedio del 1625. Risulterebbe adunque che il buon Duca concorse realmente alla riedificazione della Chiesa due anni dopo, nel 1627. Per ciò che concerne il terzo punto della supplica, rispose che nell'occasione che si doveva mandare colà un delegato per visitare il luogo e far riparare alle rovine, gli si darebbe ordine d’informarsi della quantità degli abitanti e si provvederebbe al soccorso (1). La scrittura del Duca porta la data di Torino del 2 gen- naio 1626 (2). Da altra carta risulta inoltre che il Duca aveva concesso ai Verrucani di comprar sempre senza “ daciti e altro gabello , merci e vettovaglie nel luogo di Crescentino (3). Per altra concessione da parte del Duca di Mantova, po- tevano recarsi coi loro bestiami e merci in qualsiasi luogo degli Stati del Monferrato, immuni da ogni “ dacito e dal solito di- “ falco sulla roba loro , (4). Il 27 gennaio dello stesso anno il Duca concedeva pure la esenzione da ogni tributo, per un decennio, al luogo di Crescen- tino, esentandolo inoltre dalla legge urbana per i forestieri che venissero ad abitarvi (5). (1) Nell’Archivio Civico di Crescentino si ha infatti, colla data del 21 marzo 1626, la nota di una visita e perizia dei danni recati dalle sol- datesche durante l’assedio di Verrua del 1625. (2) Archivio di Stato: Feudi del Monferrato, mazzo 67. (3) Id. id. (4) Id. id. (5) Archivio Civico di Crescentino: Lettere originali di Principi sabaudi. Relazione sulla Memoria del Prof. Aususto Maxcni, inti- tolata: Sulla ‘interpretazione e sulla fortuna del- VEgloga IV di Virgilio. L’ultimo decennio è stato contrassegnato da una rifioritura di studî sull’egloga IV di Virgilio. Si stanno sempre di fronte l’interpretazione messianica sostenuta p. e. di recente con ar- dore e forse non senza esagerazioni da Salomone Reinach, il quale nell’egloga non vede che un carme religioso, e l’interpre- tazione che esclude ogni elemento messianico, sostenuta fino all’estreme conseguenze dal Sudhaus, il quale nulla affatto vuol vedere nell’egloga che oltrepassi la cerchia del pensiero greco- romano. Tra le teorie estreme molti sono i tentativi di mediazione : tra questi deve registrarsi l’interpretazione proposta dal prof. Au- gusto Mancini dell’Università di Messina nella memoria su cui abbiamo l’onore di riferire all’ Accademia. Secondo il Mancini non è punto da escludere che Virgilio abbia attinto direttamente o indirettamente a fonti giudaiche; ma l’egloga “ è sostanzialmente la celebrazione del rinnovamento» simboleggiato nel ritorno dell’età aurea, del mondo greco-ro- mano dopo la pace di Brindisi ,. Per ciò che riguarda il puer il Mancini cerca di dimostrare che esso “è un elemento impor- tante, ma non necessario, d'occasione, e che a torto si è consi- derato come il principale dell’egloga ,. Non l’inizio dell'età aurea dipende dal puer; ma il puer casualmente nasce a cavallo fra un’ età ed un’ altra, il che non è merito nè demerito. La polemica sulla quarta egloga non cesserà con la memoria del Mancini; e non sarà forse difficile opporgli che, se il poeta avesse della pace di Brindisi fatto il centro della sua concezione del rinnovamento del mondo, avrebbe celebrato esplicitamente quella pace, come egli non ha fatto in alcun modo. Il Mancini, il quale ammette che le fonti di Virgilio abbiano potuto for- nirgli già congiunta la venuta di un puer o di un re al sospirato rinnovamento, trova tanto più significativo “ il fatto che la na- 916 scita del puer Virgilio abbia ridotto ad un avvenimento conco- mitante ,. E l'osservazione non è priva di acume; ma altri forse opporrà che qualcosa più di una semplice concomitanza è im- plicata dalla posizione, direi quasi, centrale, che il fanciullo ha nell’egloga. Ed è a questo punto da notare che, pur conside- rando l’egloga come un carme genetliaco per un figlio di Pollione, non resta affatto esclusa l’interpretazione messianica, come nei vaticinî ebraici talora con la profezia messianica s’intesse e si compenetra strettamente l’allusione a fatti presenti o prossimi. Ma queste possibili obbiezioni non tolgono che la disserta- zione del Mancini debba considerarsi come molto importante, sia per la grande erudizione con cui ha trattato la sua tesi, sia perchè ne ha preso occasione per occuparsi di non poche que- stioni particolari sulla interpretazione di varî passi dell’egloga e sulle sue relazioni con gli oracoli sibillini e con le dottrine stoiche; per modo che porta indubbiamente contributi non dispre- gevoli alla esegesi di Virgilio e allo studio delle sue fonti. Non poco interesse ha anche la seconda parte della memoria del Mancini in cui si discorre dell’interpretazione dell’egloga’ presso i Padri. E se, com’è naturale, alcuno potrà trovare che i passi citati meritino ulteriore esame e in particolare che troppo rilievo sia dato a qualche citazione o allusione occasionale, sono in ogni caso molto importanti i materiali raccolti e' sempre degne di considerazione le osservazioni del Mancini in proposito. In base a quel che s’è esposto, tenuto conto anche della forma rigorosamente scientifica adoperata dal Mancini e della ottima cognizione che egli dimostra delle numerose pubblicazioni moderne relative al suo argomento, la Commissione propone che- la sua memoria sia ammessa alla lettura nella Classe. C.. CIPOLLA; G. DE SancTIS; relatore. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. l'orino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de* RR. Principì. NM N. Y. ACADEMY OF SCIENCES CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza dell’ 11 Giugno 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. ANDREA NACCARI SOCIO ANZIANO Sono presenti i Soci: FrLeti, JADANZA, GuipI, Foà, MoRERA, Sere, Grassi, PARONA e CameRrANO Segretario. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Vengono presentate per l'inserzione negli Atti accademici le note seguenti: 1° Dr. Cesare ArmoneTtTI, Determinazioni di gravità rela- tiva nel Piemonte eseguite nell'estate dell’anno 1904 coll’apparato pendolare di Sterneck, dal Socio JADANZA; 2° E. ArmansI, Sull’equilibrio dei sistemi disgregati, dal Socio MoRERA; 3° Una proprietà degli archi elastici, nota del Socio Camillo GuIpi; 4° Dr. Giacomo Ponzio, Su alcuni nuovi acidi della serie oleica; Nota IN: Derivati dell'acido 2,3 oleico, dal Socio Frei. Il Socio Se@RrE, anche a nome del Socio MorERA, legge la re- lazione sulla memoria del prof. Ugo AmAnDI, intitolata: I gruppi conformi reali dello spazio. La relazione conchiude per l’acco- glimento della memoria nei volumi accademici. La Classe alla unanimità approva la relazione e in seguito pure all'unanimità e con votazione segreta approva la stampa della memoria del Dr. Amarpr nei volumi accademici. Il Socio CameRANO presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie il lavoro del Dr. Luigi CoeneTTI DE MARTITS, intitolato : Gli Oligocheti della regione neotropicale, Parte I. Il Presidente incarica i Soci SALvaporI e CameRANO di esaminare la memoria e di riferirne in una prossima seduta. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 61 918 CESARE AIMONETTI LETTURE Determinazioni di gravità relativa nel Piemonte eseguite nell'estate dell’anno 1904 coll’apparato pendolare di Sterneck. Nota del Dott. CESARE AIMONETTI. Le determinazioni di gravità di cui è oggetto la presente nota, furono eseguite nei mesi di luglio, agosto e settembre 1904 allo scopo di completare la serie di determinazioni che mi era proposto di eseguire nel Piemonte. Nel rendere conto di tali osservazioni, sento il dovere di ringraziare l'On. Presidenza della Commissione Geodetica italiana per il valido aiuto morale e materiale datomi, l’Ill®° Prof. Ja- danza, direttore del Gabinetto di Geodesia dell’ Università di Torino, che gentilmente mise a mia disposizione tutto il mate- riale scientifico che mi è stato necessario; l’Il]®° Prof. Boccardi, direttore dell’ Osservatorio Astronomico, ed i suoi assistenti Dott" Balbi e Nicolis, che si incaricarono gentilmente di fare le determinazioni del tempo, il personale degli uffici telegrafici di Torino e dei luoghi di osservazione che validamente mi coa- diuvarono nella trasmissione dei segnali cronografici, e tutte le gentili persone che con grande cortesia mi agevolarono in tutti i modi il mio còmpito. La conoscenza dell'andamento del cronometro d'osservazione è della massima importanza in questo genere di determinazioni. Il miglior modo di dedurlo sarebbe quello di eseguire in ogni stazione, prima e dopo, le osservazioni pendolari, e possibilmente nelle sere intermedie, delle appropriate determinazioni di tempo. Questo metodo, già da me tenuto in precedenti determinazioni (1), (1) Cfr. Determinazione della gravità relativa nel Piemonte (* Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino ,, vol. XXXIV, 1899) — Cfr. Id. (“ Atti della R. Acc. delle Sc. ,, vol. XXXVIII, 1908). eg DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 919 è troppo faticoso per un osservatore solo che debba durante il giorno attendere alla determinazione delle oscillazioni pendolari, ed alla sera a quella del tempo: di più richiede in ogni sta- zione una permanenza maggiore causata dal dover preparare anche la stazione per la determinazione del tempo, e dall’incer- tezza delle condizioni meteoriche. Per cui, desiderando di ese- guire il maggior numero possibile di stazioni nei mesi concessimi dalle vacanze, pregai l’Ill"° Prof. Boccardi di permettere di ser- virmi, per le mie osservazioni, del tempo determinato all’Osser- vatorio astronomico di Torino. Egli gentilmente aderì alla mia domanda, mise a mia disposizione per i confronti un eccellente 17 7360 Dotti Balbi e Nicolis, astronomi in questo Osservatorio, di de- terminarne lo stato assoluto mediante osservazioni di tempo, eseguite periodicamente. Allora chiesi ed ottenni dal Ministero delle poste e telegrafi che fosse riattivata la comunicazione tele- grafica già esistente tra l'Osservatorio astronomico e l’ Ufficio telegrafico centrale di Torino, e di poter comunicare diretta- mente coll’Osservatorio dagli uffici telegrafici dei luoghi di sta- zione per alcuni minuti ogni sera, dopo la chiusura di detti uffici. A tale scopo disposi nella sala stessa in cui sono collocati i cronometri un cronografo Hipp, munito di due penne, una co- mandata direttamente dal cronometro Nardin e l’altra comuni- cante col filo di linea per mezzo di un relais. Un opportuno commutatore permetteva di inserire nel circuito un tasto trasmet- titore nel caso che si volesse corrispondere, od escluderlo -per ricevere i segnali cronografici. Sul circuito comunicante col filo di linea erano inoltre inseriti un reostato ed un milliamperometro per regolare la intensità della corrente che veniva sempre man- tenuta di 10 milliampère. Per gentilezza del sig. Comm. Sassernò e del Cav. Donadio, direttori dell'Ufficio centrale telegrafico di Torino, fu posto in ogni luogo a mia disposizione,*per quanto fu possibile, sempre un circuito diretto con Torino, cioè senza apparati inseriti lungo la linea; in caso diverso si è avuto cura di fare in modo che gli apparati inseriti lungo la linea fossero esclusi durante le comunicazioni. In ogni caso si è sempre cer- cato per ciascuna stazione di mantenere in identiche condizioni cronometro Nardin N° a tempo medio, ed incaricò i signori 920 CESARE AIMONETTI sia l'apparecchio ricevitore, sia il circuito conduttore, affinchè sull'andamento del cronometro non avessero influenza sensibile i fenomeni di induzione lungo la linea stessa. In ogni luogo di stazione l'apparecchio trasmettitore consi- steva in una tavoletta munita di un tasto, di un piccolo ricevi- tore ad orecchio e di un commutatore per inserire il cronometro nel circuito. Tale apparato veniva collegato al filo di linea in modo da sostituire completamente l'apparecchio trasmettitore e ricevitore dell'Ufficio telegrafico. Per le misure di gravità mi servirono due cronometri: uno il cronometro Plaskett N° 5190 a tempo medio e l’altro Frodsham N° 3576 a tempo siderale ed a contatto elettrico. Siccome questo serviva tanto per le osservazioni pendolari, quanto per prendere i confronti coll’Osservatorio, e quindi veniva tutte le sere tras- portato all’ Ufficio telegrafico, così mi servii del cronometro Plaskett come regolatore. Perciò in ogni stazione esso veniva collocato nel luogo scelto per le osservazioni pendolari e non ne era più rimosso che a determinazione finita. Esso veniva con- frontato ogni sera col cronometro Nardin dell’Osservatorio nel seguente modo: pochi minuti prima dell’ora stabilita per le co- municazioni telegrafiche si prendeva un confronto del Plaskett col Frodsham: indi questo veniva portato nell'Ufficio telegrafico, e, dopo scambiato i segnali convenuti, si inseriva nel circuito per 30°, quindici prima e quindici dopo l’istante corrispondente al minuto primo, per due minuti consecutivi, e tali segnali ve- nivano ripetuti nel caso che fosse necessario. Ricevuto i segnali convenuti e indicanti che la trasmissione era avvenuta regolar- mente, si riportava il Frodsham nel locale delle osservazioni pendolari e si confrontava di nuovo col Plaskett. Da questi due confronti, ridotti all'istante della comunicazione telegrafica, si dedussero gli stati assoluti, e quindi gli andamenti orari del Plaskett. Dagli andamenti orari del Plaskett si dedussero poi gli ani- damenti orari del Frodsham durante le osservazioni pendolari, prendendo numerosi confronti prima, durante e dopo la serie delle osservazioni stesse. I confronti del Frodsham col Plaskett furono sempre presi ad orecchio: essendo il primo a tempo side- rale ed il secondo a tempo medio, l’errore che si poteva com- mettere era trascurabile: infatti, prendendo il confronto nel- 921 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 8°I 09° 0[0ns097os I9Pp eIpow RIRUOC WMIAN]IP 091101P ‘quodios 0 ssieus euruodios opeIAN]]8 euiquodies O9SIOSBOTUI eurquodios ojeran][e o]jonsogzos [ap CINJEN 886 619 VO6 906 006 07S L'ug8g QIguI [ns eZZ0”y Oa 00 GG SP 98% — 00 86 SY sue SO 07 SF vpi ce Ge 60 GG SF Ser — 00 06 SY io 86 80 SY De ca SI 80 SF DDA, —- PISIPET OD 180,700G7 CIyBITORd QUO1ZIS0q 8 So VETRI So So LVL S&D So III III ee») 'OLEH “N EP 98040, I[IYOSBUI LIBFUOUIO]O 9[onos o][eu o]eoor] "©" (00se0uRIg *S TIP 0F9Op) qu -IUUI9j LIBZUOWI9]o ojonos 9][ou a]B907] * ©. © aqgunuioo 0zzejed [op tumueg ‘ (0013opoo8 ogund) erqpoot1Ied e[[op ejruBdurgo Te 0ZugI98 BJenIs ‘ra]o e]jonog ‘quewro]o e[onos A][op o101Ipo [eu o[Bo 01] rire st e GINETRRfUnds “8° Hg -Ipe 13 ouoIRUIRI :o[eunuIO, 0ZZe]eq ‘tt * Iruturutoy 1169 -U9uIo]9 aonos aj[op otogIPa [[9U e]eoor] O[IJOSBUI 099IAUOO 0190][[09 [PU 0[B907] * © BUEBpe]j OZZe[eq [PU 09URBIIOZJOG QUOIZBAI9SSO IP oOSoON] UCI VOLA] SQIIO A BUBIO] ‘U8) O[OIBALY BUBI[SIAY esng OZUB] (OLT0PUATASS(O) OULIO ], QUOIZBIS CESARE AIMONETTI IR: ERG GT. |0o1wAIOwI 0U91I9YZ] OSE | IF8TSF =@© | ‘04AI9S0 OL109R10 [8 OSsOUUR 9]Bd07] osn[eg Oo 947 ss10uS (RIE RT ei “© 0qgALId 0]e207] ((eisog) tuSery Suva Ual seo GG (QUIT[8gSIIO 019901 TGF | GS8F SF = |* * 1999014 OIIQUEFui OTIse [op 0]B907] |(eISOG) OI[TRIBA ORO o (e180g) ‘7 Ipg.10d 996 | S086SF =@® | o o * * * @eIgquowo]o eponog| cueuSemoY abege 7 = v7 ‘pi 018 | SPSFSF =® |oqgoseu 0ppAUOI 0I59][09 ]9U o]Bo07] BUOIY Suoi 10 57 OJSIOSBOTUI OTE*ti epic ep = * © * * 09JgI139]9) © a]egsod OT0ggn JB ensIgre ‘oIequowre]o eponog | ezuer]eq Cali dl ad: (0907) LE OFprugIS IE or epr = o[Iuruulo; o1gquaowro[o 8]onog | BuUOo[]oARIH) dedi e ==20 9‘7 ‘pi e9'G/zi 00 tO09gg =" ojeunuroo 0zze]ed ou 0]e001] | g[Ossopowro(] al'iodo, i =#d DR sstous mIGP |,,60,760GF = |ITosewt Ipeunuro9 aqonos a][ou e[ed0] e[[dIq 0]ons0gzos É > a Ea RI IP E T CIgeITOÌ QUOIZISOT QUOIZBATOSSO IP_OSONT QUOIZEIJS RISO] Hi DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 923 l’istante in cui le battute dei due cronometri sono in coincidenza, si ha un’incertezza nell’apprezzare tale istante che non supera i 55; ora, avvenendo una coincidenza ogni 6® circa, ossia ogni 3605, l'errore commesso non arriva certamente a 05,02. In ogni stazione, il luogo di osservazione fu scelto sempre accuratamente, in modo che fosse lontano da rumori o strade frequentate per evitare ogni possibile tremito nei muri. Di so- lito si fece stazione in locali destinati alle scuole comunali, che durante l’estate erano vuoti. Le indicazioni relative ai luoghi di stazione, come anche le posizioni geografiche, le altezze, sul mare e la natura e densità del sottosuolo sono contenute nel prospetto alle pagine prece- denti. Le posizioni geografiche si ricavarono dalla carta d’Italia alla scala di 1:50 000; le altezze sul mare furono nella maggior parte delle stazioni dedotte con misure dirette dai capisaldi della livellazione geometrica; i dati relativi alla natura e densità del sottosuolo mi furono gentilmente comunicati dal chiar®° Prof. Ba- retti, professore di mineralogia e geologia nel R. Istituto Tecnico di Torino. L'apparecchio adoperato è quello posseduto dal Gabinetto di Geodesia della R. Università, e che ha servito già per le altre determinazioni da me eseguite in Piemonte (1). Esso consta dei quattro pendoli portanti i N' 41, 42, 45, 46 e di due so- stegni, uno a pilastro e l’altro a mensola. Come nelle altre de- terminazioni da me fatte, così anche in queste mi servii unica- mente del sostegno a mensola: questa veniva fissata al muro per mezzo di tre robusti chiodi a vite ingessati solidamente nel muro. La stabilità della mensola veniva dapprima provata col sottoporla allo sforzo di 10 kg. in tutte le direzioni, dopo di che, prima di intraprendere le osservazioni pendolari, veniva fatta un'ulteriore verifica nel seguente modo: disposto un pen- dolo libero ed in riposo sulla mensola, si esercitavano su di essa con un opportuno dinamometro, dieci sforzi di 5 kg. ad inter- valli regolari di 1°, dopo dei quali si osservava se il pendolo si (1) Per la descrizione ed uso di tale apparato cfr. Determinazione re- lativa della gravità terrestre a Torino fatta nel 1896 (* Atti della R. Acc. delle Sc. di Torino ,, vol. XXXII, 1897). 924 CESARE AIMONETTI era messo in movimento: in nessuna stazione il pendolo ha as- sunto dopo questi sforzi un’oscillaziorle sensibile. Il metodo tenuto nelle osservazioni pendolari fu il solito, consistente nel determinare dieci volte l'intervallo corrispondente a 50 coincidenze, osservando prima gli istanti di 11 coincidenze consecutive, indi, calcolato l'istante della 51 coincidenza ed os- servati gli istanti di questa e delle 9 coincidenze successive, si avevano per differenza dieci valori del tempo corrispondente a 50 coincidenze, da cui si deduceva il valore C dell’ intervallo compreso tra due coincidenze consecutive. Da questa si dedus- sero le durate s di oscillazione colla formula: 1019: 900 alt 204440 Nella maggior parte delle stazioni i pendoli si fecero oscil- lare tre volte ciascuno: in qualcuna si fecero oscillare due volte soltanto, perchè in esse si escluse una serie di osservazioni che non presentavano il grado di attendibilità delle altre a cagione di incertezze nei confronti cronometrici determinati telegrafica- mente. Per la riduzione poi delle durate d’oscillazione s dei quattro pendoli all’ampiezza infinitesima, alla temperatura di 0° ed al vuoto mi sono servito delle correzioni seguenti, di cui le due ultime furono determinate gentilmente dallo stesso sig. Col. V. Sterneck quando curò la costruzione dell'apparato. Esse sono: Correzioni per l’ampiezza a di oscillazione: Fiano 2 o) N IO ” Correzione per la temperatura: T=—45,47 unità della 72 decimale di s per ogni grado centigrado. Correzione per la densità D dell’aria: dò = — 555D in unità della 72 decimale di s. Le temperature furono lette prima e dopo ogni oscillazione pendolare ai due termometri a lungo bulbo Woitacek, N° 37 e 109, a scala arbitraria: le loro equazioni, determinate me- diante parecchie serie di confronti con tre termometri Baudin, risultarono: DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 925 Le letture barometriche per determinare la densità dell’aria furono fatte ad un barometro aneroide Naudet, di grande mo- dello, e confrontato prima e dopo il viaggio con un barometro Fortin. Osservazioni per determinare la correzione del cronometro Nardin all'Osservatorio astronomico di Torino. Queste osservazioni furono eseguite dal sig. Dott. Balbi, astronomo aggiunto in detto Osservatorio e dal Dott. Nicolis, assistente, osservando il passaggio di 5-8 stelle al cannocchiale ‘ dei passaggi (circolo meridiano) di cui una circumpolare, una zenitale e l’altra australe per dedurne le costanti strumentali. > ‘ezi A nt i 1904 | Tenpo cronomettico | Se Nordin | diamo nell'intervallo 15 Luglio 72,36 + 3°362045,71 — 05,365 DI, 7,66 36 02,80 0,408 Dot. +9 7,44 36 01,58 0,729 711 O 1 24 35 59,40 0,645 0h. 7,24 35 56,82 0,724 2 Agosto CA 35 54,65 0,608 DT 6,59 395 52,84 0,879 Sa 6,72 35 49,92 0,493 1a Lilo 6,32 95 47,85 0,780 Vip 6,00 35 43 ,18 1,329 0.0 ASL 5,54 35 39 ,90 1,735 2 Settembre 5,70 35 20,01 2,049 6 L 3,29 | 35 12,02 —_————__——»———— ——————7_——rt—t—t1t1t@t—t1t11t———@—@—1—@————1t@t11tt@@t@t—@t@t@ 926 CESARE AIMONETTI Da questi dati risulta che fino al 12 agosto il cronometro mantenne un andamento abbastanza regolare e d’altronde, essendo state fatte le determinazioni di tempo ad intervalli di pochi giorni l’una dall’altra, mi servii degli andamenti diurni segnati nella precedente tabella. Dal giorno 9 agosto in poi si vede che l'andamento cresce sensibilmente in valore assoluto da un inter- vallo all’altro: perciò, essendosi anche fatte le determinazioni del tempo ad intervalli maggiori, pensai di esprimere i valori di At mediante la formula empirica: At=a + bt + ct?, essendo ade dei coefficienti che dedussi col metodo dei minimi quadrati dalle osservazioni corrispondenti ai giorni 9, 12, 18 e 25 agosto e 2, 6 settembre. La formula trovata risultò: At= + 3°351495,44 — 05,4410% — 05,0326t2. L’error medio dell’ unità di peso risultò m = 05,27 e gli errori medî delle tre costanti risultarono rispettivamente: Mm = £ 05227 ih — £0,04; RE Da quella formola si dedusse l'andamento diurno: è du = du — — 0,4410 — 0,0652# con un errore medio dell'andamento diurno m,= + 08,04. Con questa si calcolarono gli andamenti riportati nella se- guente tabella, la quale contiene oltre agli andamenti orari del Nardin, dedotti dalle osservazioni del tempo, anche quelli del Plaskett, dedotti dai confronti telegrafici, e quelli del Frodsham, dedotti, come si è detto, dal Plaskett, mediante numerosi con- fronti presi durante le osservazioni pendolari, come pure la corrispondente correzione Au da farsi alla durata di oscilla- zione s dei pendoli. DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 927 Andamento Andam. orario | Andam. orario Data orario del Plaskett del Frodsham Au del Nardin |ded. dal Nardin \ded, dal Plaskett 19 Luglio — 0,015 — 0,058 — 0,057 — 80 24 = 0,077 109 25, i 9,094 DATA 0,080 | 113 27 i) ) 0,027 0,094 0,068 96 29 È \ 0,090 0,024 34 Mame. © 0,030 0,058 0,061 86 3 Agosto 0.025 0,087 0,074 104 4 : dea 0,086 0,069 97 6 ” 0,074 0,071 100 7 5 | 0,037 0,074 0,062 87 9 y 0,076 0,026 SÙ 10 3 0,020 0,066 0,022 81 12 x 0,026 0,050 0,046 65 15 sì 0,028 0,097 0,084 119 16 È 0,037 — 0,052 0,042 59 17 Li 0,039 0,075 0,047 66 19 Ù 0,045 0,097 0,029 41 21 È 0,050 0,087 0,037 52 22 5 0,053 0,079 0,050 1 24 5 0,058 0,064 0,044 62 25 È, 0,061 0,073 0,048 68 28 a: 0,069 0,075 0,083 LI7 29 x 0,072 0,087 0,081 114 ad A 0,077 0,074 0,118 166 3 Settemb. 0,086 0,039 0,084 119 4 da 0,088 0,084 0,130 183 6 ” 0,094 VALE ATA 0,142 200 Nelle osservazioni fatte a Caluso nei giorni 27, 28 e 29 set- tembre, l'andamento del cronometro Plaskett fu determinato invece mediante un teodolite e col metodo delle osservazioni dei passaggi di stelle orarie nel verticale della polare. Mi ha ser- vito a ciò un teodolite Simms a microscopi micrometrici avente l’approssimazione di 1", a cannocchiale centrato, coll’obbiettivo di apertura mm. 47 e distanza focale cm. 35, munito di un re- ticolo avente 5 fili verticali ed uno orizzontale, e con livella mobile avente il valore di una parte uguale a 1/,48+0,02. Esso fu adoperato disponendolo su un pilastrino stabile ed in ogni 928 CESARE AIMONETTI sera sì osservarono da 6 ad 8 stelle orarie metà col cerchio verticale ad est e metà ad ovest. Le formule usate sono quelle già adoperate in simili determinazioni, e nei calcoli relativi mi sono servito delle tavole dell’Albrecht (1). Le posizioni appa- renti delle stelle si ricavarono dalla Connaissance des temps. Come orologio d'osservazione s’adoperò il Frodsham dal quale mediante confronti presi prima e dopo ogni osservazione col Plaskett si dedusse lo stato assoluto di questo. Da questo poi, mediante numerosi confronti, si dedusse l'andamento del Frodsham durante le osservazioni pendolari. I risultati ottenuti sono dati nella seguente tabella : ER ER Data| S| S 8 3 . RE = dc sE le fu sz] 8 8 S| | OO SARE | E di È È 3 8| 8) fe | E [te | Seo S| (0) CE 1904 Sett. h m Ss m s h 26 |4]|19,50.—1451,52/+0,16|—89 11,1219,56 — 0,014 27 |6|19,50|—14 54,96.+0,04|—39 11,45|19,50 —0,152|/—214 28 —0,159|—224 — 0,039 29 —0,177|—250 30 |8 |19,50/-—15 05,23/+0,08|—39 14,25/19,30 Terminata la serie di stazioni, rifeci nell’aprile 1905 la sta- zione all'Osservatorio, per esaminare se i pendoli erano rimasti invariabili: in questo mi servii delle determinazioni del tempo fatte all'Osservatorio, e dedussi l'andamento del Frodsham me- diante confronti cronografici col pendolo Cavignato. I risultati delle osservazioni pendolari in ogni stazione, colle rispettive medie, sono contenuti nella seguente tabella: (1) Cfr. ALerecut, Formeln und Hiulfstafeln fiir. Geographische Orts- bestimmungen. Leipzig, 1894. DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 929 Durate di oscillazione dei pendoli ridotte a 0°, al vuoto ed all’ampiezza infinitesima. Stazioni e date Torino (1° staz.) 19 luglio Medie Lanzo 24 e 25 luglio Medie Susa 27 luglio Medie Avigliana 29 luglio Medie Rivarolo Canav. 31 luglio Medie Locana 5 e 4 agosto Medie Verrès 6 e 7 agosto Medie | Pien'id'oli 41 42 45 46 05,5080290 | 05,5076857 | 05,5080404 | 05,5083400 0334 6888 0438 3417 0312 6872 0421 3408 0294 6809 0352 3354 0262 6802 0344 3316 0292 6805 0367 3339 0283 6885 0354 3336 0662 7206 0730 3729 0670 7189 0744 3734 0676 7198 0735 3726 0669 7198 0736 3730 0204 6735 0268 3244 0187 6720 0268 3252 0177 6733 0293 3261 0189 6729 0276 3252 0072 6601 0145 3128 0072 6586 0145 3125 0087 6595 0152 | 3134 0077 6594 0147 3129 0525 7045 0583 3572 0511 7048 0590 3561 0505 7034 | 0584 | 3554 0510 7029 | 0577 3553 0518 7039 | 0588 | 3560 0415 6941 0493 3478 0421 6950 | 0489 | 3460 0432 6973 0516 3465 dl RE, 0507 3473 0423 | 6955 0501 3469 930 CESARE AIMONETTI . Pendoli Stazioni e date |=="="" 41 42 45 46 Ivrea 0,5079968 | 05,5076530 | 05,5080057 | 05,5083045 9 e 10 agosto 9967 6493 0064 3023 9983 6523 | 0079 3050 Medie 9973 6515 0067 3039 Santhià 0,5080398 | 0,5076929 | 0,5080453 | 0,5083437 12 e 13 agosto 0329 6877 0434 5411 0262 6882 0342 3825 0267 6765 3328 Medie 0314 6863 0410 305 Biella 0102 6634 0197 3195 16 e 17 agosto 0118 6616 0185 3169 0106 6625 0204 8179 Medie 0109 6625 0195 3181 Domodossola 0235 6705 0290 3291 19 agosto 0207 6720 0291 3287 Medie 0221 6697 0290 3289 Gravellona Toce 0022 6535 0113 3090 21 e 22 agosto 0014 6533 0102 3082 0016 6517 0098 3078 Medie 0017 6528 0104 3083 Pallanza 0039 6528 0121 31090: 24 e 25 agosto | 0018 6532 0116 3086 0014 6522 0096 3091 Medie 0024 6537 0111 3095 Arona 0122 6647 0214 3200 28 e 29 agosto 0121 6653 0208 3184 | 0102 | 6644 i 0214 3186 Medie 0115 | 6648 0212 8190 Romagnano S. 0145 | 6668 0252 3215 21 agosto 0139) 6656 0239 3213 Medie | 0142 6662 0245 3213 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 931 Stazioni e date Varallo Sesia 3 e 4 settembre Medie Alagna Sesia 6 settembre Medie Caluso 27, 28, 29 sett. Medie Torino (2? staz.) 18619 apr.1905 Medie ela ke) bal 41 42 45 46 05,5080017 | 05,5076557 | 05,5080121 | 05,5083106 0055 6594 0160; 3141 0010 6547 0115 3097 0027 . 6566 0181 OLO 0765 7286 0851 3895 0754 7286 0851 | 3830 0758 7286 0851 3832 0308 6842 0402 3947 0281 6805 0374 3949 0279 6795 0370 3338 0256 6792 03635 3942 0281 6808 0377 3944 0302 6835 0394 3370 0285 6809 0390 3373 0276 6832 0381 dolo 0290 6841 0403 3363 0288 6829 0392 3370 Confrontando le due stazioni fatte a Torino prima della serie di determinazioni e dopo la medesima, si notano le seguenti differenze : Pend. N. 41 Pend. N. 42 Pend. N. 45 Pend. N. 46 Torino 18 staz. 0,5080312 0,5076872 0,5080421 0,5083408 pa 0288 6829 0392 3370 Differenze — 24 — 43 — 29 — - 838 Tali differenze non sono talmente piccole che possano sen- z'altro trascurarsi: esse manifestano una leggera contrazione nei pendoli. Ritenendo questa variazione come proporzionale al tempo, ridussi tutte le durate di oscillazioni al medesimo giorno 19 luglio 1905. Le durate di oscillazione di ciascun pendolo in ciascuna stazione, ridotte a tale epoca, sono contenute nella se- guente tavola: 932 CESARE AIMONETTI Pendoli Stazioni = 41 42 45 46 Torino . . .|055080312|05,5076872 | 05,5080421 | 05,5083408 Lhinzo “00 0283 6805 0354 3336 Set TOTI 0670 7199 0737 8731 Avigliana . . 0190 6730 0277 3253 Rivarolo Can. . 0078 6595 0148 3130 Locana -. . x: 0514 7041 0584 3562 Verròs' ‘Uta 0424 6957 0502 3471 Tareon #15, 09079915 6518 0069 3041 Santhià . . .| 0,5080316 6866 0412 3378 Biella! lan 0111 6628 0197 ‘93184 Domodossola . 0223 6701 0293 3293 Gravellona . . 0020 6533 0107 3087 Pallanza © lba 0027 6542 0114 3099 AO» LOI: 0118 6654 0216 3195 Romagnano S. 0146 6669 0249 3218 Varallo Sesia . 0031 6578 0135 3121 Alagna Sesia . 0762 7293 0855 3858 Calttso. lens 0288 6818 0384 dono Calcolo dei valori di g. Da queste durate di oscillazione ed assumendo come valore dell’accelerazione di gravità a Torino: Ti = 980501 si deducono mediante le formole: l 'amad oeagtti LA oi are Si i seguenti valori di g.— gi per i quattro pendoli, nelle diverse stazioni e la rispettiva media. 958 RR ZERO Re ci ” - ” I I GI GIGI MN O N MGM GIAI 00 19 DO PO 2 o Sd Mr ti 0 00 O GINA I 00 BIPON Slots ago e 291 Sf 6597 the III "si RO — IL0 ROSSO 080 =— ace) — 6IT — | 611 - 331 — | 6EZI - 670 — | 950 = 980 -— | #980 = #00 SMR) -- 981 = TR & 880 Si SFZ0 cp 990 Sp aa 801 STIONE — #50 — | 8620 — 821 t | 9421 A 8200040 — | 822000°0 — DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE | SFIO SL9T FOLT 7990 T6LO S8II CIGI FOPO G980 SE00 6S6I 6160 6690 SOT 940 OGGI 098000°0 — PERE ZI MEeA 97 ‘N OTOpuod GF N OTOpuod 6060 969I SERI F8LO cF80 SLEI OISI 1990 GP60 6600 896I 8660 690 OLOT 6750 9961 65Z000°0 — GP N O10puod i Weta dai hat, Hobalial learn 600 LELT S80I 1790 6FLO OOLT LELL GPE0O 9LL0 ST00 TOSI cEPO 08Z0 6060 TL7O G86I ZIT000°0 — e a osn]eg ‘ gISOg BUSE|y * BISOG OJ[BIRA BISOG OURUSBUIOY] ca BUOTY eZug]]ed | 990], BUO][PARII B]OSSOPpowro(] BITTE ORTUZTES 821A] SQ119 A ‘* UBIOT] OSOABUB() O]O.IBAIM] i BUBI]SIAW * esnq OZUE] IF ‘N O[opuod 9TPON 6 —16 Ip LOIRA OGG 62 XL. Atti della B. Accademia — Vol. 994 CESARE AIMONETTI Compensazione delle osservazioni. I risultati di g,— 9g; contenuti nella precedente tavola si dedussero prendendo per ciascuna stazione la media dei quattro valori dedotti separatamente da ciascuno dei quattro pendoli. Trattandosi di pendoli di eguale lunghezza, si può ritenere che queste medie rappresentino i valori più probabili di 4 — gi. Nondimeno ho creduto bene di applicare il metodo di compen- sazione indicato dal Ch.®° Prof, Venturi (1), sia per avere un controllo delle durate di oscillazione dei quattro pendoli anche nella stazione fondamentale, e sopratutto per dedurre con me- todo razionale l’error medio di una determinazione di gravità eseguita in questa campagna. Tale metodo consiste nel determinare le correzioni dò da farsi alla durata di oscillazione dei singoli pendoli, in modo che, essendo Zò? minimo, risultino eguali i rapporti delle durate di oscillazione dei quattro pendoli in due stazioni consecutive. Es- sendosi poi fatte le osservazioni nei diversi luoghi pressochè nelle stesse condizioni, ho ritenuto per semplicità le osservazioni di uguale peso. Nelle tavole seguenti sono registrate le correzioni ò rela- tive ai singoli pendoli, in unità della 7* decimale del minuto secondo e le rispettive durate di oscillazione corrette. (1) Cfr. A. VenturI, Sulla compensazione dei risultati nelle misure di gravità relativa terrestre, È Nuovo Cimento ,, serie IV, gennaio 1900. TO DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE Correzioni delle durate di oscillazione. 935 Stazioni Torino Osserv. Lanzo Susa . Avigliana Rivarolo Can. i Locana . Verrès Ivrea . Santhià . Biella Domodossola, Gravellona . Pallanza Arona Romagnano Varallo . Alagna . Caluso Torino Lanzo Susa . Avigliana Rivarolo Locana . Verrès Ivrea . Santhià . Biella Domodossola Gravellona . Pallanza Arona Romagnano Varallo . Alagna . Caluso > fd DD - - - - enti uv» von H nNnotTuUtpoanoas a A - pi IN > 00W0-ISN Vu uan DL - (ani - sa +++4++1 11 1++11I+1]+ a Durate di .| 0,5080332 0274 0663 0192 0067 0504 1 0418 .| 0,5079980 .| 0,5080322 0109 0207 0016 0025 0125 0150 0044 0767 0291 | Piemntd'o li 42 45 pa i li “nea ESE 3 ar Pu Hi do OHOoVvoerphphonro DOS LIWVH 00 Sab bo © Ni O UT 0 4 N 0 vv - fi ed Re - [nn Pa? e a a at) - a [Pie sea OH 99 SO 09 DO MO SONHE WITH DHT pvonrtoqrkP-novaoararsbwW0oapRaa - oscillazione corrette. 0,5076860 6802 TR HI 6720 6595 7032 6946 6509 6850 66383 6735 6544 6553 6654 6678 6575 7295 6819 0,5080419 0361 0750 0279 0154 0591 0505 0067 0409 0196 0294 0103 0112 0212 0237 0131 0854 0378 +1 IIITI {+++H+++++] ‘0,508 pi Hi _ DI Ut OH Net DHT Da DA | SnLEvtoasbps4uuttonwoo ob - > - - - UD » 3401 3942 3032 3260 5155 35978 3485 8047 3390 3176 3274 3083 3092 3192 3217 3111 3852 3356 936 CESARE AIMONETTI L’error medio unitario €, e quindi l’error medio E che com- pete ad ogni valore definitivo delle durate di oscillazione, ri- sultarono rispettivamente: e = 05,0000010.4 E = 0,0000005.6 e quindi l’error medio M, da cui può essere affetto il valore di g, risulta: M, = + 0”,00003, valore che concorda colla media degli errori medî corrispondenti alle singole stazioni. Mediante le durate di oscillazione corrette, e considerando uno qualunque dei quattro pendoli, p. es. il pendolo 41, ho cal- colato di nuovo i valori di 9, — g;, che risultarono, fino alla 5 cifra decimale, eguali ai valori trovati precedentemente. Con tali valori si dedussero quelli di 9g nelle diverse sta- zioni. A questi, applicando le correzioni : 2H IE dovuta all'altezza H del luogo di osservazione : ALA: GRETA 40 en dovuta all’attrazione delle masse sottostanti alla stazione, e la correzione topografica (1), si ottennero i valori della gravità go ridotta al livello del mare. Questi risultati sono registrati nella tavola seguente, la quale contiene inoltre i valori della gravità teorica al livello del mare, calcolati colla formola : fo = 9,780 (1 + 0,005310sen? ©) e le corrispondenti anomalie di gravità. (1) Cfr. R. v. Srerneck, Die Schwerkraft in den Alpen, “ Mitth. des k. u. militàr-geograph. Instit. ,, Bd. XI. DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA NEL PIEMONTE 937 2:5 33 2 S| Gravità ® È a Gravità 28 Cao SE ridotta Gravità | 38 £ Stazioni osservata| SE | -£ ® | S &oAal livello! teorica | È E I g 55 | ©8 | # &ldel mare| y 8. S Di HUME 90 <'B | DE Lanzo ... .|9,805944166/— 56.+ 4/9,80708/9,80621|+ 87 Desa... 443) 154 521 17 562 609) — 47 Avigliana . . 625) 156 52 3 732 610 + 122 Rivarolo . . . 674 94 31| — 737 627|4 110 NWocama:. ... 505. | 139 63| 28 659 634 + 25 Werrds ..... 559) ( 118 421 23 637 657|— 20 reni... 707 79 27 2 757 639| + 118 manthia ... 575 56 14| — 617 630 — 13 Biellaleoo. . 657| 130 47 2 742 648| + 94 Domodossola. 620 85 30) 12 687 698|— 11 Gravellona. . 693. 650) 24) 10 744 681| +4 63 Pallanza... 690 65 21 2 736 6804 56 drone: o .. 651 65 21 1 696 6661 + 30 Romagnano . 642, 82) 28] — 696 654, + 42 Varallo... 682) 139 47 8 782 670 + 112 DIAGHA: a 404| 367| 128) 27 670 674|— 4 Waluso-....... 587. 108 28| — 667 625] + 42 Adoperando invece pel calcolo di Yo la formola data dal Prof. Helmert (1): Yo = 978,046 }1 + 0,005302 sen? g@ — 0,000007 sen?2 @ | ed applicando ai valori ottenuti la correzione — 0°",015, si avreb- bero i seguenti valori di yo e quindi di go — Yo. (1) Cfr. F. R. HeLmert, Der normale Theil der Schwerkraft im Meeres- niveau, “ Sitzungsberichte der K. Preuss. Akad. der Wissenschaften zu Berlin ,, XIV, 1901. Nella mia nota: Determinazioni di gravità relativa ece. (° Atti della R. Ace. delle Scienze ,, vol. XXXVIII, 1903), a pag. 23, ho trascritto per isbaglio la formola di Iwanow, invece di quella di Helmert. I risultati ci- tati furono però calcolati colle formole di Helmert. 938 CESARE AIMONETTI — DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ, ECC. Stazioni Yo Io — Yo Lanzo." .at. A 97, 80641 + 67 SUBatt ico 629 — 67 Avigliana . . 630 + 102 Rivarolo. . . 647 + 90 Rocanasoa "1 654 + 5 Nerrèsttet.. | 677 — 40 Brea:.\VG\.. 659 + 98 Santhià!30.. | 650 — 33 Biella. IT89 , 668 + 74 Domodossola . 718 — 381 Gravellona . . 701 + 43 Pallanz&tv. 0) 700 + 36 Arona: 8d 0 686 + 10 Romagnano . 674 + 22 Waralloitt .-., 690 + 92 Alagna dl0 ; | 694 — 24 Galuso tto": 645 + 22 Dal Gabinetto di Geodesia della R. Università. Torino, giugno 1905. EMILIO ALMANSI — SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 939 Sull’equilibrio dei Sistemi disgregati. Nota di EMILIO ALMANSI. 1. — In questa Nota esamino le condizioni d’equilibrio di una classe speciale di sistemi continui deformabili, che chiamo Sistemi disgregati. Quelli ch'io prendo a considerare sono dei sistemi pura- mente ideali; ma esistono in natura dei corpi che si avvicinano, per le loro proprietà, a siffatti sistemi: tali, per es., la sabbia perfettamente asciutta, i terreni ghiaiosi, ecc. Con maggiore approssimazione le proprietà dei miei sistemi sì ritroverebbero in un corpo costituito da un grandissimo nu- mero di particelle metalliche estremamente piccole, formanti una massa così compatta da potersi ritenere continua. E continui devono appunto immaginarsi quei sistemi disgregati che io con- sidero. Allo stato d’equilibrio tali sistemi godono essenzialmente di due proprietà: a) Le pressioni interne soddisfano a quelle stesse condi- zioni che valgono per i solidi elastici ordinari. b) Per un elemento qualunque di superficie situato nello spazio che occupa il sistema, l'angolo 0 formato dalla normale uscente da una delle due faccie dell’elemento, colla pressione che agisce sulla faccia opposta, non può mai superare un certo valore © che dipende dalla natura del sistema. Questa seconda è una proprietà ben nota, su cui non oc- corre insistere. Quanto alla prima, consideriamo, per esempio, una sfera costituita di polvere metallica, sottilissima e compatta, tenuta in equilibrio da pressioni agenti sulla sua superficie. Non sarà 940 EMILIO ALMANSI necessario che tali pressioni siano normali alla superficie stessa : ma l’angolo formato dalla pressione colla normale interna non dovrà in alcun punto superare O. Sussistendo l'equilibrio, noi potremo ritenere — ed in ciò consiste la proprietà a) — che la distribuzione delle pressioni, nell’interno della sfera, sia quella stessa che si avrebbe se essa fosse costituita da un solo pezzo metallico, se cioè tutte le particelle della sfera disgregata in equilibrio venissero saldate fra loro nei punti in cui già si tro- vano a contatto. Nel mio lavoro ho creduto opportuno di non ammettere « priori le proprietà 4) e 5), ma di ricavarle da altre ipotesi, due delle quali fondamentali: colla prima di esse stabilisco le de- formazioni che un sistema disgregato può subire; colla seconda, supponendo un tal sistema a contatto con altri corpi, fisso la condizione necessaria e sufficiente per l'equilibrio. La formula in cui si traduce questa seconda ipotesi può considerarsi come l’espressione del principio dei lavori virtuali, nella sua forma più generale, purchè s’immagini che quando i punti del sistema si spostano, e lo spostamento è discontinuo sopra una superficie A, entrino in giuoco certe forze (le forze d'attrito) capaci di produrre quel lavoro che chiamo . Tutto il primo capitolo della Nota è dedicato a stabilire le proprietà a) e 5). Nei successivi, ed in un’altra Nota che farà seguito a questa, esamino le conseguenze che si possono dedurre dalle proprietà dimostrate. I risultati a cui pervengo, quelli in special modo relativi al caso che una parte delle superficie che limita il sistema disgregato sia libera, non sono, a mio parere, del tutto privi d'interesse, e suggeriscono dei problemi, alcuni dei quali, fra i più semplici, ho potuto effettivamente risolvere. Devo notare che i miei sistemi disgregati hanno qualche analogia coi massifs pulvérulents che il Boussinesq esamina in una lunga serie di pubblicazioni (Comptes rendus, a. 1873-1885); ma ne differiscono essenzialmente per le loro proprietà elastiche. Egli suppone che il coefficiente u di Lamé non sia costante, ma proporzionale alla pressione media; ammette inoltre che sia verificata la condizione d’incompressibilità. Io ho creduto di man- tenermi più vicino ai sistemi disgregati che si presentano in natura, adottando delle ipotesi che non allontanassero troppo i miei sistemi dai corpi elastici ordinari. SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 941 2. — I corpi disgregati naturali possono scomporsi in un numero grandissimo di particelle, più o meno deformabili, pic- colissime, ma non piccole ad arbitrio. Io spingo, per così dire, al limite questa proprietà, e stabilisco in tal modo la seguente 1° Ipotesi: Un sistema continuo disgregato si può dividere in un nu- mero qualunque di parti piccole ad arbitrio, ciascuna delle quali può muoversi, indipendentemente dalle altre, e deformarsi come un solido elastico. Se dunque £, n, Z denotano le componenti dello spostamento «di un punto qualunque del sistema, le funzioni &, n, Z potranno esser discontinue sopra una superficie che divida lo spazio da esso occupato in quante parti si voglia, od anche sopra una porzione soltanto di una tal superficie. Naturalmente le discontinuità dovranno esser tali che le varie parti del sistema separate da quella superficie non pene- trino le une nelle altre. Ciò porta come conseguenza che se le funzioni z, n, Z non sono ovunque continue, lo spostamento, in generale, non sarà invertibile. 2 Ipotesi. — Supponendo il sistema disgregato a contatto con altri corpi, la condizione necessaria e sufficiente per l’ equilibrio dell'intero sistema sia questa: che per ogni spostamento virtuale si abbia : (1) CPGhPLGtG<0, ove & rappresenta il lavoro delle forze che agiscono sui corpi esterni, Gr, ed & i lavori delle forze di massa e delle forze ela- stiche agenti sul sistema disgregato, & il lavoro delle forze d'attrito. Diciamo S lo spazio occupato dal sistema disgregato, AdS, YdS, ZdS le componenti della forza di massa che agisce sul- l'elemento dS attiguo al punto (x, y, 2), £= de, n= dy, 2= de le componenti dello spostamento virtuale di questo punto. Avremo: (2) L= (g(X2£ + Yn+ Z94dS, od anche: DLE fs (ri ao 942 EMILIO ALMANSI ove con S; denotiamo una qualunque delle parti in cui lo spazio $S è diviso dalla superficie sulla quale Z, n, Z sono discontinue, com- pletata, se occorre, con altre superficie. Il lavoro delle forze elastiche supporremo sia espresso dalla formula: L= z {g, d WAS, W denotando una funzione definita negativa, omogenea di 2° grado, delle sei quantità €19, €39, €33, €19 = €01) €23 =" €32, €31 €137 legate dalle formule: du MISSY di dv (3) fuusbiada Mazzy dr Dania alle componenti w, v, w dello spostamento che subisce un punto qualunque nel passaggio da uno stato particolare del sistema, lo stato naturale, a quello stato che attualmente si considera. Osserviamo che se un sistema disgregato allo stato natu- rale, che indicheremo con S, lo dividiamo in un numero qua- lunque di parti (1% ipotesi), e moviamo ciascuna parte senza deformarla, le componenti di deformazione €31, €19, @cc., nel se- condo stato, che diremo S;', saranno ancora nulle. In uno stato qualunque del sistema, troveremo per le quantità €31, €19, ecc. gli stessi valori, a qualunque stato come So So ecc. ci sì rife- risca per calcolare «, v, w. Ciò è quanto dire che per i sistemi disgregati si deve ammettere l’esistenza d’infiniti stati naturali. Ora noi supporremo che un sistema disgregato in uno stato qua- lunque possa sempre riportarsi ad uno stato naturale mediante una deformazione rappresentata da funzioni —v, —v, —w finite e continue, con tutte le loro derivate, in tutto lo spazio occu- pato dal sistema. Tali risulteranno pure le funzioni €13, €19, ecc. Si ha: DIA dw dl der de 1 + deg de 9 + spara ddu dE Ma .dein= de I dal 808 onde ponendo: Î 10 SMR. STAR O A (4) Pili Mi Pia Psr LYRA avremo: Pa) ° dE dE Y &=Ifajpugi +2 (+3) +-{d8 SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 943 I coefficienti che figurano in W supporremo siano finiti e continui colle loro derivate prime rispetto ad «,y,2. Tali risul- teranno pure le funzioni pui, P12; «.... Il lavoro delle forze d'attrito &, sia nullo quando le fun- zioni €, n, Z sono ovunque continue. Se €, n, Z sono discontinue sopra una superficie A, supporremo che sia: (5) L= — ( 4LudA, ove u è la grandezza del vettore differenza geometrica fra gli spo- stamenti di due punti infin." vicini a dA, e situati dalle due parti di questo elemento; L una quantità sempre positiva, indipendente dalla grandezza di pu. Sul valore di L dovremo più avanti aggiungere qualche altra ipotesi. Vediamo intanto a quali resultati conducono le ipotesi fatte. 8. — Sviluppiamo la formula (1) supponendo che le fun- zioni Z, n, Z siano discontinue sulla superficie 2 che limita lo spazio S occupato dal sistema disgregato, e sopra una super- ficie 0, la quale divida lo spazio S in due parti S' ed S". Poniamo: e, lÀ " L= Lt E", ove: ed <&" ha un’espressione analoga. FEseguiamo nella formula precedente un'integrazione per parti. Diciamo perciò Z’ quella porzione di X che insieme a 0 limita S'; cosa, cosf, cost i coseni della normale n, rivolta verso S°, in un punto qualunque di Z' e di 0; e poniamo: Hi = Beni dpai pudpe » » ao 800. (6) Pi = P10080 + p130088 + pis cosy, ecc. 944 EMILIO ALMANSI Sl otterrà: = fs (HE + Han + H;{)dS' — — Je (E + pen + pd — f (PE + pin + pi) do. Negl’integrali estesi a Z' e o abbiamo indicato con #', n', Z' i valori delle funzioni &, n, Z dalla parte di S'. Una formula analoga varrà per <&". Nell’integrale esteso a o in luogo di p;, ps,p3 dovremo porre —pi,, — ps, —Ps3, e in luogo di &', n', Z' i valori #”,n",Z" che le funzioni &, n, Z assu- mono dalla parte di S'. Nell’integrale esteso a X" ci conviene indicare ancora con &', n’, Z' i valori di £, n, Z sulla faccia interna. Sommando membro a membro queste due equazioni ot- terremo: (7) &=— | g(H1E+Hm+H;2)dS— (3(pi'+pan'+p,2)d2— f Tdo ove: (8) T=p(E — E) 4+p.(N —n") + pl 20). Se diciamo A l'insieme delle due superficie X e 0, ove le funzioni Z, n, Z sono discontinue, e nei punti di X indichiamo con &", n”, 2" i valori che le funzioni £, n, Z assumono sulla faccia esterna, potremo scrivere: (9) G=—fs(H1E+Hm+2d8— fs (E +pn"+ pal" )dE—( Tad Una parte della superficie Y può essere libera: ivi potremo attribuire a z"”,n/,Z" valori arbitrarii. Sostituiamo nella formula (1) ad ,, & ed <& le loro espres- sioni date dalle formule (2), (9) e (5). Si otterrà: (10) G— fgf(Hh —DE+ (H — Y)n + (Hs— DEI ds — — fr (ME + pal" + pl")dL — Su(Lu+ MaA zo. Nel caso particolare che le funzioni &, n, Z siano continue anche sopra A, l'integrale esteso ad A sparisce. Al doppio segno < dovremo sostituire il segno d’uguaglianza, giacchè al- LETTO n SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 945 lora la formula precedente dovrà sussistere anche se s’inverte il movimento: noi supponiamo che invertendo il movimento, il lavoro 4 cambi di segno. Ciò porta come conseguenza che debba essere: (11) Sh =|s (piE” + pan” + psl'') dE, e, in tutti i punti di S, H—X=H,—Y=H}-Z=0, ossia: DYLT, dP12 dpi __ (12) %. + 3y — ” == henge: Poichè d’ altronde 4 non dipende dallo spostamento dei punti di S, la (11) dovrà esser valida anche se &, n, Z sono discon- tinue sopra X. Onde la (10) diventerà: (13) — {4(Lu+ M)dazo0. Ricordiamo che u è la grandezza del vettore differenza geo- metrica fra gli spostamenti di due punti situati dalle due parti dell'elemento dA. Determiniamo il verso di questo vettore fis- sando che le sue componenti siano & — &", n'— n", 2'—Z". Inoltre diciamo P il vettore di componenti p;, ps, p3. Avremo allora per la formula (8): T= Pucos(P, u), ove Pe u, denotando le grandezze dei vettori, sono quantità essenz.'° positive. E la (13) si potrà scrivere: Ta L + Pcos(P, ){ ud A>0. Affinchè questa condizione sia sempre verificata, dovrà essere (14) L+ Pcos(P,u)>0, per qualunque elemento di A, e per tutte le direzioni che può assumere il vettore u. Poichè d'altronde la porzione o di A è arbitraria, la cond. (14) dovrà esser verificata per qualunque elemento di superficie, situato nello spazio S, non esclusa la su- 946 EMILIO ALMANSI perficie 2. Ed allora la cond. (1) resulterà soddisfatta qualunque sia la superficie su cui le funzioni E, n, Z sono discontinue. Nell’applicare la formula (14) deve tenersi presente che se cosa, cosf, cosy denotano i coseni di direzione di una delle due normali ad un elemento dA, la quale indi- chiamo con », il vettore P avrà per componenti P:= P110050 + p3 c088 + pizcost, ecc.: il vet- tore u sarà la differenza geometrica tra lo spostamento di un punto infinitamente vicino a dA, situato dalla parte di n, e lo spostamento di un punto situato dalla parte opposta. Affinchè non vi sia compenetrazione di ma- teria, evidentemente è necessario che u formi con n un angolo acuto, 0 al più retto. Dalle formule (6) e (12) si ricava, con considerazioni ben note, che p;d A, psd A, p3d4 A possono esser considerate come le componenti dell’ azione che viene esercitata, attraverso l’ele- mento dA, sulla materia situata dalla parte di x. Dunque P de- nota la pressione (0 tensione, se l'angolo 0 formato da P con » è ottuso) esercitata sulla faccia dell'elemento dA che guarda în senso opposto ad n. 4. — Se il lavoro delle forze d’attrito fosse sempre nullo (L=0), la formula (14) diventerebbe: Pcos(P, u)>0, ossia dovrebbe essere cos(P, u)=>0 per qualunque direzione di u formante un angolo acuto o retto con »: la qual condizione non è verificata se non quando P abbia la direzione di x. In questo caso il sistema disgregato si riduce ad un fluido. Per qualunque sistema disgregato, se P ha ovunque la di- rezione di x, la cond. (14) è soddisfatta: giacchè allora sarà cos(P, u) = cos(r, u)>0, ed L è positivo per ipotesi. Onde sus- sisterà l'equilibrio; vale a dire: un sistema disgregato sta sempre in equilibrio sotto l’azione di forze capaci di tenere in equilibrio un fluido. La reciproca, in generale, non è vera. SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 947 5. — Esaminiamo più a fondo la condizione (14), tenendo presente che — LudA rappresenta il lavoro (negativo) eseguito dalle forze d’attrito, quando le due particelle materiali separate da dA non hanno lo stesso spostamento. In mancanza di esperienze dalle quali si possa ricavare con sicurezza l’espressione generale di L, noi dovremo adottare quelle ipotesi che si presentano come più naturali, e non sono in con- traddizione coi dati che l’esperienza fornisce. È utile premettere un'osservazione. Si potrebbe pensare che il lavoro d’attrito —LudA sia diverso da zero soltanto quando vi è sfregamento fra le due particelle materiali separate da dA, quando cioè lo spostamento relativo u giace nel piano di dA. Se così fosse realmente, se cioè fosse L=0 per tutte le direzioni di u che formano un angolo acuto con », in virtù della formula (14) dovrebbe aversi, per tali direzioni di u, cos(P, uy)>0. La pres- sione P dovrebbe perciò esser normale a dA. Le condizioni di equilibrio di un sistema disgregato coinciderebbero con quelle di una massa fluida: ciò che è in disaccordo coll’esperienza. Noi dovremo quindi ritenere che L sia, in generale, diverso da zero, anche se u non giace nel piano di dA. Supporremo però che L sia nullo quando il distacco fra le due particelle separate da d A avviene normalmente a dA, quando cioè u ha la direzione di n. Allora per la formula (14) dovrà essere cos(P, n)>0, ossia la pressione P dovrà formare un an- golo acuto con », vale a dire dovrà essere effettivamente una pressione, e non una tensione. Quando la pressione P è nulla si può ritenere che il lavoro d'attrito sia nullo per qualunque spostamento yu. A parità di condizioni, il lavoro — LudA è, in valore asso- luto, tanto più grande, quanto più grande è la pressione / che agisce su dA. Noi ci atterremo alla ipotesi più semplice: sup- porremo che esso sia proporzionale a P, vale a dire che L sia espresso dalla formula: (15) ia==Mfe ove h denota una quantità positiva, indipendente dalla gran- dezza dei vettori P e u, ma che potrà dipendere dalle loro di- rezioni. * 948 EMILIO ALMANSI Supponendo il sistema ugualmente costituito rispetto a tutte le direzioni uscenti da ogni suo punto, & dovrà conservare lo stesso valore quando si faccia rotare P e u intorno ad » senza alterare l’angolo che u forma con P: ossia 4 dovrà dipendere soltanto dagli angoli (P, #), (Pu), (4,#). Chiameremo 6, e, w questi tre angoli. La formula (14), tenendo conto della (15) e sopprimendo il fattore P (escludo il caso P= 0), si potrà scrivere: h(0, e, w) + cosw>0, od anche: (16) f(8, e, w)70, ove f è una funzione la cui natura dovrà esser la stessa per tutti gli elementi di superficie passanti per uno stesso punto situato nell’interno del sistema disgregato. Sugli elementi della superficie 2 la natura della funzione f potrà dipendere dalla natura dei corpi coi quali la superficie è a contatto. Per maggior chiarezza rappresenteremo con: (17) f.(0, e, w)> 0 la condizione che deve esser verificata sulla superficie Z. Le cond. (16) e (17) dovranno esser soddisfatte per tutti i valori di e ed w che corrispondono a direzioni possibili di p: a direzioni, cioè, formanti un angolo acuto con n. Consideriamo la funzione f(0, €, w) relativa ad un punto @ situato nell’interno dello spazio S. Se teniamo costante l'angolo 6, e facciamo variare e ed w, varierà in generale il valore di f(9,€,w). Indichiamo che (0) il suo limite inferiore, che dovrà esistere giacchè f=/%+ cosw, ed % è sempre positiva. La cond. (17) si potrà sostituire coll’altra: (18) F(06)=0. Già sappiamo che quando l’angolo 8 è ovunque nullo, quando cioè su tutti gli elementi agisce una pressione normale, l’equi- librio sussiste. La cond. (18) dovrà dunque esser verificata per 9=U. . < TT Anche sappiamo che 8 non può superare >. SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 949 T . . . . È Fra 0 e > Vi saranno in generale dei valori che soddisfano la cond. (18), e dei valori che non la soddisfano. Diciamo © l’angolo il quale gode di questa proprietà: che la cond. (18) è soddisfatta per tutti i valori di 0 compresi fra 0) e ©, ma non pei valori immediatamente superiori. Con ciò non si esclude che vi possano essere altri valori di 6, maggiori di ©, pei quali la cond. (18) sia verificata. Ora dico che se il sistema disgregato è in equilibrio, per nessun elemento di superficie passante per il punto a, l’angolo 0, che P forma con », può superare 0. Infatti supponiamo che sopra un elemento dA, passante per a, agisca una pressione P che formi colla normale un angolo 6'>0. Per lo stesso punto a passano tre elementi (normali alle dire- zioni principali) sui quali agisce una pressione normale, pei quali cioè si ha 6=0. Considerando tutti. gli elementi che passano per a, troveremo per 0 tutti i valori compresi fra 0 e 0’, e in particolare quelli immediatamente superiori a ©, che non veri- ficano la cond. (18). L'equilibrio non può dunque sussistere. Ciò porta come conseguenza che la condizione : F(0) > 0, equivale perfettamente all’altra: (19) oz, ove © è una quantità il cui valore potrà variare da punto a punto: sarà costante se il sistema è omogeneo. Noi arriviamo così alla proprietà fondamentale relativa ai sistemi disgregati in equilibrio. Tutte le conseguenze a cui essa conduce sono, con grande approssimazione, verificate dall’espe- rienza. 6. — La cond. (17) relativa agli elementi della sup. X che limita il sistema disgregato, chiamando, per un punto qualunque di È, F;(0) il limite inferiore della funzione fi relativa a quel punto, si potrà scrivere: (20) F,(0) > 0. Questa condizione, come la (18), è certamente verificata per 8=0. Inoltre, per nessun elemento dX può essere 0>0: altri- Atti della R. Accademia — Vol. XL. 63 950 EMILIO ALMANSI menti sarebbe 6>© anche per un elemento formante con dX un angolo infinitamente piccolo, situato perciò entro S, e la condi- zione (19), per un tale elemento, non risulterebbe verificata. Se tutti i valori di 9 compresi fra 0 e © verificano la con- dizione (20), essa è superflua. Se fra 0 e © vi sono dei valori di 0 che non verificano la condizione (20), potrà darsi che questa si possa mettere sotto la forma: (21) 0<0,, ©; denotando una quantità che dovrà avere, in tutti i punti di X, un valore inferiore a 0. Ma ciò non può esser dimostrato con un ragionamento analogo a quello fatto per la condizione (18), giacchè la (20) non deve esser verificata per tutti gli elementi di superficie che passano per un dato punto, ma soltanto per gli elementi di 2. Sarebbe necessario aggiungere qualche altra ipo- tesi sul valore di L relativo agli elementi di X, per dimostrare che la condizione (21) equivale alla (20), come per i corpi disgre- gati che si presentano in natura è da ritenersi che sia. Un caso su cui conviene di fermare l’attenzione si presenta quando sugli elementi di * sia sempre L=0, vale a dire quando la superficie dei corpi coi quali è a contatto il sistema disgre- gato è una superficie senza attrito. Ripetendo un ragionamento già fatto, troveremo che in questo caso la pressione esterna deve esser normale alla superficie Z, come accadrebbe se si trat- tasse di un fluido. Il. 1. — Abbiamo veduto che quando un sistema disgregato è in equilibrio, l'angolo 8 formato dalla normale » ad un ele- mento dA, colla pressione P che agisce sulla faccia dell'elemento opposta ad », non può superare un certo valore 0, ben deter- minato in tutti i punti dello spazio occupato dal sistema. In questo secondo Capitolo dedurremo alcune conseguenze dalla formula 9<0. In particolare, supponendo che una porzione 2y della superficie X che limita il sistema non sia a contatto con 4 o - i SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 951 ‘corpi esterni, esamineremo le proprietà relative ai punti della superficie libera o. Dimostreremo perciò il teorema seguente: Se un elemento di superficie dA, passante per un punto a del sistema, non è soggetto a pressione, nessun elemento passante per a è soggetto a pressione. Prendiamo il punto a come origine delle coordinate, una delle due normali a dA come asse delle 2, gli assi delle x e delle y ad arbitrio. La pressione che agisce su dA essendo nulla, avremo in a: Psr = Psa = Pss = 0. Consideriamo un elemento dA' passante per l’asse della y(cosB = 0). Le componenti della pressione P che agisce su dA”, per le formule (6), saranno: P1= 110080, pa =P0080, p3=0, quindi: P= Vpi + pî, . cosa. (val. as.). La componente normale di P è data in generale dalla formula: N= p;cosa + ps cos + p3cosy. Nel nostro caso sarà: N= p;,cosa = p;3008?a. È . N Se pit pì, fosse diverso da zero, il rapporto > =-—#! — cosa E Vorttpat rappresenterebbe il coseno dell'angolo 8 formato da P colla nor- . T male a dA’. Col tendere di a a cali cos8 tenderebbe a zero; . . «aria TT dunque 0, per valori di a abbastanza vicini a =: Sarebbe cer- tamente maggiore dell'angolo acuto 0, onde la condizione 6-0 ‘non risulterebbe verificata. Dovrà quindi essere pi, + ps,= 0, e perciò P=0. Ma dA' può rappresentare un elemento qualunque passante per a, l’asse delle y essendo arbitrario nel piano di d A: il teorema è dunque dimostrato. 952 EMILIO ALMANSI 2. — Dal teorema precedente segue che se una porzione X, della superficie 2 che limita il sistema disgregato non è a con- tatto con altri corpi, se cioè nessuna pressione agisce sopra i suoi elementi, la pressione sarà pure nulla su qualunque ele- mento di superficie che passa per un punto di X,. In altre parole : Le particelle materiali attigue alla superficie libera di um si- stema disgregato in equilibrio, si trovano allo stato naturale. In tutti i punti della superficie libera le sei tensioni pi, Pio, ...» sono dunque nulle. Da ciò si riconosce che se un solido elastico sta in equilibrio sotto l’azione di certe pressioni applicate sol- tanto ad una porzione della sua superficie, un sistema disgre- gato, sotto l’azione di quelle stesse pressioni, in generale non potrà stare in equilibrio. L'essere infatti sugli elementi della superficie libera p, =p2»=p3=0, vale a dire p;,c0s(m, 2) + + p1200s(n,y) + p13c0s (n, =) = 0, ecc., non porta come conse- guenza che debba essere p;1= 0, pi» =0, ecc. 3. — Sia a un punto della superficie libera X, in cui essa ammetta un piano tangente determinato. Prendiamo il punto « come origine delle coordinate, la normale interna come asse delle 2. Diciamo s la linea inter- sezione del piano 2 con Zy. Poichè nei punti di X, le pressioni p11, Pi. ecc. sono tutte nulle, sarà nel punto «: SE BP 0 dpr , lite Fio 0, ecc. ossia: pn de 4 Sp de 4 de È 0) 0a Ma ina CI, “ = d —=0. Dunque dio RN da — 0, ecc. Analogamente per le derivate rispetto ad y. Quindi le formule (12) daranno: dpr __ dpr _ fvg) da Ad; Ve re ha dz Da SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 958 Sull’asse delle 2 prendiamo un punto a' infinitamente vicino ad a. Nel punto a' sarà, a meno d’infinitesimi d’ordine superiore: dp i Ps1 = (Psa + (Sen) de, ece., L , *. ossia, poichè (ps1)a = 0, sos) pena — Xde, Psa = dz: Ps3 = Zdz. Ma ps31, Ps; P33 sono le componenti della pressione che agisce sull’elemento passante per a', normale all’asse delle 2 (e preci- samente sulla faccia che guarda nel verso negativo dell’asse: v. Cap. I, $ 4, in fine). Dunque: La pressione che agisce sopra un elemento di superficie paral- lelo ed infinitamente vicino ad un elemento della superficie libera di un sistema disgregato, ha la direzione della forza di massa. E poichè la pressione non può formare colla normale all’ele- mento un angolo maggiore di ©: In un punto qualunque della superficie libera di un sistema disgregato, la normale interna non può formare colla forza di massa agente in quel punto un angolo maggiore di O. Se per es. si tratta di un sistema omogeneo pesante, l’an- golo formato dalla normale alla superficie libera, colla verticale, non può superare un certo valore costante O che dipende dalla natura del sistema. È ben nota questa proprietà dei corpi disgregati in equi- librio. L'angolo © vale all'incirca 45° per i terreni ghiaiosi; ha un valore notevolmente maggiore per la terra di consistenza ordinaria (v., p. es., CoLomso, Manuale dell’Ingegnere, $ 136). 4. — Abbiamo supposto (I, 5) che il sistema sia ugualmente costituito rispetto a tutte le direzioni uscenti da un suo punto qualunque. La funzione W (I, 2) assume allora una nota forma, in cui figurano due soli coefficienti. E le formule (4), tenendo conto delle (3), diventano: I du dv dw dv eta) pi RO I pci di È TE y 1 (22) pu=—2 i? na oa sali po=—m(3 +), ecc. 7 954 EMILIO ALMANSI ove m, n denotano due quantità positive che saranno costanti se il sistema, come ora supporremo, è omogeneo. Dalle equazioni (12) e (22) si possono eliminare le tre fun- zioni «, v, w. Si ottengono in tal modo sei nuove equazioni, a cui, supponendo costanti X, Y, Z, possiamo dare la forma se- guente: ia DO rep top DIO __ Ng (AI (e ove Q=pi1 + Psa + P33, € K è una costante positiva. La Q, come si ricava immediatamente dalle formule (23), è una funzione armonica (A2Q = 0). Inoltre è sempre positiva 0 nulla, tali dovendo essere le tre pressioni normali p;1; Ps2; Ps: giacchè in un sistema disgregato nessun elemento può esser sog- getto a tensione (I, 6). Queste proprietà della funzione Q ci permettono di dare una maggiore estensione al Teorema dimostrato nel $ 1. Supponiamo che sopra un elemento dA, passante per un punto a situato nell'interno dello spazio S occupato dal sistema in equilibrio, non agisca nessuna pressione. Nel punto « sarà, in virtù di quel Teorema, pi1 = pa» = 933= 0, quindi Q=0. Consideriamo una superficie sferica 0 col centro in a e tutta si- tuata entro S. Per il Teorema della media di Gauss, avremo | _Qdo= 0. Dovendo essere Q=>0, sarà Q= 0 in tutti i punti di 0, quindi ancora nello spazio racchiuso da 0, e per una nota proprietà delle funzioni regolari armoniche, in tutto lo spazio S. Ma non può esser Q=0 se non essendo p1,=p22="p33=0; e l’annullarsi delle pressioni normali p,1, P22; 733 porta come con- seguenza che sia pure p23 = p31= pP12= 0, altrimenti sugli ele- menti di superficie normali agli assi agirebbero delle tensioni ia ex TT tangenziali, sarebbe cioè da: Potremo enunciare pertanto il seguente Teorema: Se un elemento di superficie passante per un punto a, situato nell'interno di un sistema disgregato omogeneo in equilibrio, non è soggetto a pressione, nessun elemento del sistema è soggetto a pres- sione. La dimostrazione non vale quando il punto a si trova sulla ; SULL’EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 955 superficie che limita lo spazio S occupato dal sistema, poichè allora non è possibile costruire la sfera o tutta situata entro S. 5. — Noi vogliamo ora esaminare un caso particolare di equilibrio che ci porterà ad introdurre una nuova costante MX dipendente da ©. Immaginiamo un cilindro disgregato, omogeneo, limitato da due sezioni normali all’asse. Le sue particelle non siano soggette a forze di massa. Sulla superficie laterale del cilindro agisca una pressione P', normale ed uniforme; sulle basi, una pressione P", pure normale ed uniforme. Se si trattasse di un solido elastico P' e P” potrebbero aver qualunque valore. Nel caso di un fluido dovrebbe essere P'= P”. Per i sistemi disgregati dovremo trovare una condizione che si riduco! ale ='P” quando 0=0. Determiniamo le sei pressioni interne p;1, pis, ecc. Si di- mostra, in generale, che se lo spazio S occupato dal sistema è semplicemente connesso, il problema di determinare le sei pres- sioni in modo che siano verificate le eq. (12) e (23) e le con- dizioni in superficie, ammette un’unica soluzione. Nel nostro caso, prendendo l’asse delle 2 parallelo all'asse del cilindro, avremo, come facilmente si verifica: di EA Pa: Post psii=iPia = 0. Sopra un elemento dA agirà una pressione P di componenti: p 8 p p mi E:coso,, p?=P'oos, pi== P'cost; da cui: (24) P?—=P'?(costa+cos?8)+P'?cos?r=P'"?+(P'"?— P'2)cos?Y. La componente normale di P sarà: N=p;cosa + pscos8 + p3cosy = P'(cos?a + cos?8) + P' costr = sa (P"” — Post. Da queste formule si ricava: N(P' + p)= pi pipi, 956 EMILIO ALMANSI Ovvero: N : rg 3 10! PI = (P'+ P PZ Sn N Ma p = c0s9. Dunque: Pt UEIE) così = ee LS Sd cada Di qui vediamo che cos8 è minimo, quando è minimo er P+ Ss vale a dire quando P=VP'P". Dalla formula (24) risulta che P assume effettivamente questo valore, allorchè en PECIPA Te, ; S Vp'P° ata 3 Il minimo valore di cos@ sarà 2 PIP Quindi la condi- zione 89<0 si potrà scrivere: g NERI 2 pip' > così, Ovvero: 4 P'P'"— cost0(P'+ P")>0, od anche, dividendo per P’?, e ponendo Si =; Pe (25) 4p — cost0(1+ p)?>0. Introduco la costante: 1—- sen® 14+ sen 0 ’ vi che è sempre compresa fra 0 ed 1. I due valori di p che an- 1 7; da Per p=1 esso ha il valore positivo 4sen?0. La disuguaglianza nullano il primo membro della disuguaglianza (25) sono X ed ‘ è dunque soddisfatta dai valori di p compresi fra K e xi e non da altri. Per conseguenza dovrà essere: (26) K< — Wire SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 957 Questa è la condizione cercata. Se P' è minore di KP", o maggiore di - P'', l'equilibrio del cilindro non può sussistere. Le beeoi=0 siha K=t, quindi? PP. 6. — Ritorniamo al caso generale di un sistema disgre- gato in equilibrio. Per un suo punto qualunque a passano tre elementi ad angolo retto su cui agiscono pressioni normali. Sono queste le pressioni principali, che indicheremo con P', P", P!". Mediante P', P", P'" possiamo esprimere le componenti della pressione che agisce sopra un elemento qualunque pas- sante per a. Dunque la condizione 8-0 dovrà potersi espri- mere mediante condizioni relative alle pressioni principali. Vogliamo trovare queste condizioni. Assumiamo perciò le direzioni principali relative al punto « come assi coordinati. Sopra un elemento dA passante per a agirà una pressione P di componenti: =P'cosa, pa = P"cost, pi= P'""cost.; onde sarà: P? = P'*cosa + P'’2cos?8 + P'"26081 ; e detta N la componente normale di P: N = P'costa + P"cos?8 + P'"cos?y. ses — P' —P"' 0. Prendiamo dr= 0, da ad ar- bitrio, e per la cond. (30), d3 = — da. Avremo allora: : 9P*dy = (A — B)da. Affinchò w possa esser minimo dovrà essere A= B, cioè, come si è veduto sopra, (31) 9P? = N(P'+ P"), e tenendo conto delle formule (27) e (28), ove si faccia y="0: sele PR) —(P'a | PPT Po) P'?a + P'"°8 — P'P"(a+4- B). Ma a +f=1: dunque: P'2a sl pP'"2g — p' pit oVVero: OVVero: (por P5 pom cioè: sub P=VP'P". Notiamo che P assume effettivamente il valore PP” di Pi e: Fi quando a == PIP? B= PIP: Per la formola (28) sarà: 2P'P" N sp quindi : De 1 Je: Per pen 960 EMILIO ALMANSI Il minimo valore di cos@ sarà questo, oppure una delle 2VPP"., . 2VP”P: Pio Bat che sia verificata la condizione: due espressioni analoghe . Basterà pertanto 2VPP El PIP > così, e le altre due analoghe, affinchè per ogni elemento dA pas- sante per a si abbia 0<0. Ora noi abbiamo già esaminata la formula (32) (II, 5): essa conduce all’altra: DIRE! TAGZTOTR LÌ | Tra gli stessi limiti A ed CS dovranno esser compresi i rap- K P porti dr, >. Onde concludendo: La condizione 0< 0, necessaria per l'equilibrio di un sistema disgregato, equivale all'altra che in ogni punto del sistema il rap- La K Osservando che due delle pressioni principali relative ad un punto a rappresentano la minima e la massima delle pres- sioni P agenti sopra gli elementi che passano per a, potremo anche dire: Se un sistema disgregato è in equilibrio, il rapporto fra le pressioni che agiscono sopra due elementi di superficie passanti per porto fra due pressioni principali sia compreso fra K ed lo stesso punto è sempre compreso fra K ed CA RE 7. — Il sistema disgregato sia ora riferito a tre assi co- munque diretti. Le pressioni principali, in un suo punto qua- lunque 4, possiamo esprimerle in funzione delle sei pressioni Pi1s P12; + -. Perciò la condizione 0<0 potrà anche esprimersi mediante condizioni relative a queste sei pressioni. Noi non faremo, nel caso generale, la ricerca di tali con- hititttitiiinnttà SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 961 dizioni. Soltanto ricordiamo che le tre pressioni principali P', P"", P'" sono le radici dell’equazione: Pi —% Pa P13 | (34) Par Par % Pes = 0. | . P31 P32 P33 — x Da ciò segue che il determinante: | Pu Pia Ps Da Par P2a2 Pa3 Ps1 Psa Ps33 è uguale al prodotto P'P"P"" delle tre radici. Dunque: in wu» sistema disgregato in equilibrio il determinante delle pressioni è sempre positivo. Se in un punto & fosso D=0, una delle tre pressioni prin- cipali relative a quel punto dovrebbe esser nulla: quindi, per la condizione (33) e le analoghe, anche le altre due; e perciò tutte le pressioni pi1, Pia, ecc. 8. In un punto a di un sistema disgregato in equilibrio sia: pri = 0, ps=0. Cerchiamo, in questo caso speciale, le condizioni che devono esser soddisfatte dalle altre quattro pressioni. Più avanti ci sarà utile questa ricerca. L'equazione (34) diventerà: Pie P12 0 | Po1 Par % 0) Vi 0 Rev ero 0° past | vale a dire: : ‘(pu— 2)(ps° — 2) — DEI ip, —at=0, ossia: 2_ r(put Pa2) de P11Ps° — Pisi )pa, — = 0. 962 EMILIO ALMANSI Le tre radici di questa equazione sono: (35) P'=p14+ pet È P'=p1tpa 8, P'"= pg3, ove: (36) R=V(pu— pas) + 4pîr Il rapporto fra due qualunque delle tre quantità P', P', P'"” 1 K . Poichè P'> P'", e K<1, queste condizioni si riducono alle seguenti: deve esser compreso fra K ed (37) P'>KP', (88) KP'= PW pi, Esaminiamo la prima di esse. Sostituendo a P' e P"” le loro espressioni, avremo: Pi1 + por R>K(put pat R), ossia: PRE R< rewra (P11 + Per) è iroglid : 1— sen® e sostituendo a XK il suo valore —_-: 1+sen0 RKP' sarà a Dordi - maggior ragione KP'< xD: e P'" potrà assumere un valore > 1 compreso fra KP' e + P". K lg Teo SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 963 III. 1. — Dopo aver esaminate le proprietà generali relative ai sistemi disgregati in equilibrio, è naturale che ci doman- diamo quali problemi si possono presentare intorno a sistemi di tal natura. Per un solido elastico ordinario noi ci possiamo proporre di determinare lo stato di deformazione, e quindi le pressioni interne, conoscendo le forze di massa, e, in superficie, gli spo- stamenti w, v, w, ovvero le pressioni pi, pa, Ps. Gli spostamenti «, v, w si suppongono calcolati riferendosi allo stato naturale, che per ciascun solido elastico è unico e ben determinato. Invece per i sistemi disgregati noi abbiamo dovuto ammet- tere l’esistenza d’infiniti stati naturali. Se un sistema disgregato è in equilibrio sotto l’azione di forze esterne, sono determinate È È HERE 3 du in ogni suo punto le componenti di deformazione €11 }7) e00. ma non gli spostamenti «, v, w, i quali variano secondo lo stato naturale a cui ci si riferisce per calcolarli, e solo risultano deter- minati (a meno di uno spostamento rigido), purchè si aggiunga la condizione della continuità. Da ciò resulta che in natura non si presenteranno pro- blemi relativi all’equilibrio di corpi disgregati, nei quali figu- rino fra i dati gli spostamenti «, v, w. E noi non ci occuperemo di questa prima classe di problemi, che possono soltanto offrire qualche interesse da un punto di vista puramente analitico. Potrà darsi invece che si conosca la pressione agente in superficie. Se nessuna porzione della superficie X che limita il sistema disgregato è libera, e se per tutti gli elementi di X si cono- scono le componenti pi, ps, p3 della pressione esterna, il problema di determinare le sei funzioni pi, Pio, €CC., si presenta come se si trattasse di un solido elastico ordinario. Esse devono in tutti i punti dello spazio S occupato dal sistema, verificare le equa- zioni (12) e (23), e alla superficie esser tali che p,, po, p3 assu- mano i valori assegnati. Conosciute le pressioni interne, si dovrà ricercare se la condizione 6<0 resulta ovunque verificata. 964 EMILIO ALMANSI Ove ciò non accada, dovremo concludere che il nostro sistema, sotto l’azione di quelle forze, non può ‘stare in equilibrio. Ora supponiamo che una porzione 2, di X sia libera. Come abbiamo dimostrato (II, 2), in tutti i punti di 2, devono esser verificate le sei equazioni: (40) Pri=0 Pad Se in tutti i punti della rimanente porzione X* di X fossero assegnate le componenti p;, pa, p3 della pressione esterna, il problema, in generale, non ammetterebbe nessuna soluzione: giacchè ne ammette una sola quando il sistema è un solido elastico ordinario, quando cioè sulla superficie libera X, le condizioni (40) sono sostituite dalle altre, meno restrittive, Pi=" Pa = p3= 0. Se nei punti di X' non si ha nessun dato relativo alla pressione esterna, le equaz. (12) e (23), insieme alle (40) non saranno, in generale, sufficienti a determinare le pressioni in- terne in tutto il sistema. Ma a causa delle (40) resulteranno intanto eliminate infinite soluzioni, che nel caso di un solido elastico ordinario sarebbero possibili. E coll’ aggiunta di altri dati, che pure lascino parzialmente indeterminata la pressione esterna nei punti di 2’, potrà darsi che, trattandosi di un sistema disgregato, il problema non ammetta più che un’unica soluzione. Della condizione 6< © relativa ai punti dello spazio S che non appartengono a XZ,, in generale non si può tener conto se non quando, tenendo conto degli altri dati, sì siano già otte- nute le espressioni, in tutto o solo in parte determinate, delle pressioni interne. Notiamo che se l’angolo 8 resulterà ovunque . SIOSIE compreso fra 0 ed un valore O, minore di 9: potremo conclu- dere che il sistema disgregato starà in equilibrio, purchè il valore di O relativo a quel sistema, non sia inferiore a ©). Di tal natura sono i problemi che si possono presentare intorno ai sistemi disgregati. Il punto fondamentale è questo: trovare quelle soluzioni delle equaz. (12) e (23) per cui sulla superficie libera 2, resultano soddisfatte le condizioni (40), e sulla rimanente superficie X' altre condizioni che varieranno da caso a caso. » SULL’EQUILIBRIO DEI SISTEMI DISGREGATI 965 2. — Porterò un esempio, accennando ad un problema par- . ticolare, senza però svolgere i calcoli che ci condurrebbero troppo in lungo. Ciò potrà formare oggetto di una seconda Nota. Lo spazio S occupato dal nostro sistema, che supporremo pesante ed omogeneo, sia una cavità cilindrica ad asse verti- cale. Il piano orizzontale AB rappresenti la superficie libera. La base inferiore CD e la superficie laterale di S_ siano a contatto con una superficie senza attrito: sopra ogni loro elemento agirà una pressione P normale. Posta l’origine delle coordinate in un punto O di AB, assumiamo comeassedellez la verticale rivolta «verso il basso. Nelle formule (12) ei == 0, Z= cost. Se si trattasse di un liquido, avremmo in un punto qualunque di S: È ‘Pile Pas Pga— Ze Pos = Psi = Pia = 0. Se lo spazio S fosse occupato da un solido elastico, il pro- blema non sarebbe determinato finchè non si conoscesse il valore della pressione esterna in tutti i punti della base inferiore e della superficie laterale. Trattandosi di un sistema disgregato si trova che tutte le soluzioni possibili sono espresse dalle formule: DIS he — I Pi = Pao = 02, P33= Z2, Pa3 = Ps1= Pia = 0, ove C è una costante che rimane arbitraria finchè si tien conto soltanto delle eq. (12), (23) e (40). Affinchè poi in tutti i punti di S risulti verificata la condizione 0 < © è necessario che C sia compresa fra KZ ed Di VA Non deve far meraviglia questa indeterminatezza che ancora rimane, e che è nella natura stessa del problema: la superficie laterale della cavità cilindrica può esercitare sulla massa disgre- gata una pressione più o meno grande, senza che l'equilibrio venga turbato. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 64 de 3. — Terminerò dando un esempio di sistema disgregato omogeneo pesante in equilibrio, con sùperficie libera non oriz- zontale. Il piano xy sia verticale. Sarà allora Z= 0. L’asse delle y formi colla verticale l'angolo acuto w, l’asse delle x un angolo pure acuto. Le pressioni: 966 EMILIO ALMANSI — SULL'EQUILIBRIO DEI SISTEMI, ECC. Pi = 4Y, poo= Yy, p33= by, (41) Pio = 4Y; Pa= 0, Ps1= 0 ove A, B denotano due nuove costanti, soddisfano le eq. (12) e (23). Tutte le pressioni si annullano sul piano y=0 a cui dovrà dunque appartenere la superficie libera. Poichè p31 = psoa = 0, la formula 6<© darà luogo alle due condizioni trovate nel $ 8 del Cap. II. La (39), sostituendo a Pri P12, Pas le loro espressioni, e sopprimendo il fattore 7°, di- venta: (A— Y)} + 4X?< sen?0(A44+ Y)?. Essa si trasforma facilmente nell’altra: * H2=-4<1+2tang®0 + È H (42) 1+ 2tang?0 — COS OVE H=Vtang?@0 — tang?w. (tangw — 7) Perchè la quantità H sia reale è necessario che l’angolo w sia minore di 0, o al più uguale. Ciò poteva prevedersi, osser- vando ehe w denota l’angolo formato dalla normale interna alla superficie libera, colla forza di massa (II, 3). La cond. (38), tenendo conto delle formule (35), poi delle (41), e sopprimendo il fattore y, fornisce due limiti fra i quali deve esser compresa la costante .. Se w è uguale a O, sarà H=0, e, per la formula (12), A=(14+ 2tang?0)Y. Si può RON che in questo caso mon esistono altri stati d’equilibrio del sistema oltre quelli rappresentati dalle formule (41). CAMILLO GUIDI — UNA PROPRIETÀ DEGLI ARCHI ELASTICI 967 Una proprietà degli archi elastici. Nota del Socio CAMILLO GUIDI. Scopo di questa brevissima Nota è di mostrare una nuova interpretazione della linea d'influenza della spinta negli archi ela- stici reticolari, od in quelli a parete piena, con cerniere d’im- posta, ovvero senza cerniere (nei quali ultimi vanno compresi anche gli archi in muratura), la quale interpretazione, oltre al- l'interesse scientifico, risponde ad un quesito d'importanza pra- tica qual è quello di determinare gli spostamenti verticali dei varì nodi, o dei punti dell'asse geometrico dell'arco, prodotti da un cedimento delle imposte, o da un difetto di costruzione negli archi metallici, o da una variazione di temperatura. A tale in- tento serve molto semplicemente la linea d’ influenza della spinta dell'arco, sussistendo la notevole proprietà che gli spostamenti verticali dei varì punti, prodotti dalle cause suddette, stanno ad una variazione della corda, come le corrispondenti ordinate della linea d'influenza della spinta stanno alla unità di carico, od in altri termini, che le ordinate della linea d'influenza della spinta rappresentano esse stesse in una determinata scala gli spostamenti suddetti. Per un arco con cerniere d'imposta la dimostrazione di questo teorema può essere la seguente. Sia A'/ l'aumento graduale della proiezione orizzontale della corda dell’arco (nell'ipotesi più ge- nerale di un arco dissimmetrico) prodotto ad esempio da un ce- dimento delle imposte, ed H' la spinta orizzontale negativa che gradualmente ne deriva; il corrispondente spostamento verticale di un punto m (nodo, o punto dell’asse geometrico, secondo che l’arco è reticolare od a parete piena) sia d'; sia poi A/ l'aumento della proiezione orizzontale della corda che verrebbe prodotto da un carico 1 applicato in m, qualora un'imposta fosse sosti- 968 CAMILLO GUIDI tuita da un appoggio orizzontale scorrevole senza attrito. Dal teorema di reciprocità (*) risulta UA ZIE A D'altra parte, se H è la spinta orizzontale prodotta dal carico 1 applicato in m si ha: Bi, HANNA quindi (1) de= che corrisponde al teorema sopra enunciato. Questo teorema trova immediata applicazione alla ricerca delle deformazioni verticali prodotte da un cedimento d'imposta o da un difetto di costruzione. Per il caso di una variazione uni- forme di temperatura basterà fare A'l = a? (a = coefficiente di dilatazione termica lineare, t= numero dei gradi di cui varia la temperatura) ricordando che una dilatazione termica positiva produce, come è noto, un effetto dello stesso senso di una dimi- nuzione della corda dell’arco e viceversa; si deve poi aggiungere a è’ lo spostamento verticale termico aty, con che si ha: (2) d,= atl (7+ 2) Ad uguale risultato conduce la teoria dell’ellisse di elasticità, che applicheremo invece per dimostrare il teorema nel caso di un arco senza cerniere. Per un arco senza cerniere, sia pure dissimmetrico, un au- mento A'/ della corda in direzione coniugata alla verticale (nel sistema dei pesi elastici applicati ai nodi di un arco reticolare, ovvero ai baricentri dei tronchi As in cui si divide l’asse geo- metrico di un arco a parete piena) senza rotazione d'imposta, dà origine ad una spinta H', negativa, agente secondo l’asse ' passante pel baricentro elastico dell’arco, e coniugato alla ver- (*) W. Rirrer, Anwendungen der graph. Statik, III, Zirich, 1900, ovvero C. Guinpi, L’Ellisse di elasticità nella Scienza delle Costruzioni, Torino, 1904, od anche: Lezioni sulla Scienza delle Costruzioni, Parte 2*, 4* ediz., n° 187. UNA PROPRIETÀ DEGLI ARCHI ELASTICI 969 ticale nel sistema suddetto. Il corrispondente spostamento verti- cale d' del punto qualunque m, secondo la teoria dell’ellisse di elasticità, e coi simboli adottati nella citata pubblicazione del- l’autore (L’Ellisse di elasticità ecc.) ovvero nell’altra: Lezioni, ecc., Parte IV, 3* ediz., n° 184 e seg., viene espresso da o oi 5 LIVIO OSO. IO, (RE nella quale, come è noto, ), ed » sono rispettivamente la prima e la seconda distanza polare nella costruzione dei momenti cen- trifughi dei pesi elastici rispetto all'asse x’ ed alle varie verticali, ed ns è l’ordinata corrente del quinto poligono funicolare, linea d'influenza della Hy. Ma dalla stessa teoria dell’ellisse di elasticità si ha ancora: NE dir Nod dove X\3.v.n è il momento d'inerzia di tutto l’arco elastico ri- spetto all'asse x’, quindi: prete ip reo v 1 e però anche per questo tipo di archi, nel caso di una variazione di temperatura, sussiste la (2). Controllando sperimentalmente gli spostamenti calcolati colla (2), si può avere una verifica degli sforzi interni generati da una variazione di temperatura negli archi elastici, ciò che in taluni casi può avere grande interesse anche per gli archi in muratura. Torino, 11 giugno 1905. 970 GIACOMO PONZIO Su alcuni nuovi acidi della serie oleica. Nota III: Derivati dell'acido 2,3-oleico. Del Dr. GIACOMO PONZIO. Per completare lo studio dell’acido 2,3-oleico CH3.(CHs),,. CH:CH.COOH che ho descritto nella I parte di questo lavoro (1) dovevo ancora occuparmi del suo comportamento cogli idracidi e all’ossidazione: riferisco ora i risultati delle mie nuove ri- cerche aggiungendo qualche dato sperimentale a quelli allora pubblicati. Riguardo al rendimento della reazione ho trovato che par- tendo da 100 gr. di acido stearico e passando successivamente per l’acido a-bromo- ed a-iodostearico si possono ottenere, senza alcuna difficoltà, gr. 21 di acido 2,3-oleico puro, fusibile a 59°. Riguardo poi al bibromuro di quest’ultimo (o acido 2,3-bi- bromostearico CH; .(CH.);1.CHBr.CHBr. COOH) mi sono accer- tato che esso si può preparare molto facilmente anche senza l’impiego di alcun solvente: basta aggiungere all’acido 2,3-oleico, polverizzato e contenuto in una boccetta a tappo smerigliato, la quantità teorica di bromo e raffreddare in ghiaccio durante la prima ora. Lasciando quindi il tutto in riposo, per qualche giorno alla temperatura ordinaria, l’acido 2,3-oleico si trasforma completamente nel bibromuro fusibile a 72°, senza che si formi traccia di acido bromidrico. Acido R-bromostearico CH; . (CHs),;. CHBr.CH,. COOH. — L'acido 2,3-oleico addiziona l’acido bromidrico secondo la regola generale degli acidi non saturi per la quale l’alogeno si fissa nella posizione più lontana dal carbossile. La reazione ha luogo (1) “ Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino ,, vol. XXXIX, adu- nanza del 13 marzo 1904. SU ALCUNI NUOVI ACIDI DELLA SERIE OLEICA 971 lentamente a freddo, più rapidamente scaldando a 100° in tubo chiuso l’acido 2,3-oleico con una soluzione di acido bromidrico nell’acido acetico glaciale. L'acido B-bromostearico è solubile a freddo in tutti i sol- venti organici ordinarî, eccetto che negli eteri di petrolio, dai quali cristallizza in laminette bianche fusibili a 54°. Gr. 0,3069 di sostanza fornirono gr. 0,1591 di bromuro d’argento. Cioè su cento parti: IT Ti « trovato cale. per CigHg5Br0a : Bromo 22,05 22,03 Acido B-ossistearico CH3.(CH3);..CHOH.CHs.C00H. — Si forma (assieme ad un po’ di acido 2,3-oleico) scaldando l'acido B-bro- mostearico con potassa alcoolica in apparecchio a ricadere. Il prodotto della reazione si tratta prima con acido solforico di- luito e poi con eteri di petrolio (nei quali l’acido 2,3-oleico è so- lubile) e si cristallizza dal cloroformio. Si ha così l’acido B-ossi- stearico in laminette bianche fusibili a 89° (1). Gr. 0,2900 di sostanza fornirono gr. 0,7630 di anidride car- bonica e gr. 0,3235 di acqua. Cioè su cento parti: trovato cale. per CigH3603 Carbonio 71,75 71,98 Idrogeno 12,35 12,03 È abbastanza solubile a caldo nell’alcool e nel cloroformio, pochissimo negli eteri di petrolio; solubile a freddo nell’ etere. Il suo sale sodico CH, .(CHs),;,.CHOH.CH,.COONa, ottenuto neutralizzando la soluzione alcoolica dell’acido con carbonato sodico anidro, è solubile nell'acqua e cristallizza dall’ alcool in prismetti bianchi. Gr. 0,3477 di sostanza fornirono gr. 0,0750 di solfato sodico. Cioè su cento parti: trovato calcolato per CigH3;03Na Sodio 7,03 7,14 (1) Cristallizzando dallo stesso solvente e nelle stesse precise condi- zioni l'acido a-ossistearico, questo si fonde a 93°. 972 GIACOMO PONZIO Nella letteratura chimica si trova già descritto come acido B-ossistearico un composto fusibile a 83°-85° ottenuto da Fremy per riscaldamento dell’acido solfostearico (preparato dall'olio d’olivo) con acido cloridrico (1) e da M. C. e A. Saytzeff (2) per azione dell’ossido d’argento umido su un acido iodostearico li- quido, nel quale la posizione dell’alogeno era dedotta da una formula dell’acido isooleico che io ho dimostrato essere inesatta. L'ossiacido di questi chimici deve quindi certamente contenere l’ossidrile in altra posizione. Acido 2,3-diossistearico CH3.(CHs);1. CHOH . CHOH . COOH. — Si forma aggiungendo alla soluzione diluita e mantenuta a 0°, dell'acido 2,3-oleico in idrato potassico, la quantità teorica di permanganato all’1°/,. Cristallizza dall’acetato d’etile in prismetti fusibili a 126° ed è solubile a freddo nella maggior parte dei solventi organici ed un po’ a caldo anche nell’acqua. Gr. 0,2400 di sostanza fornirono gr. 0,6004 di anidride car- bonica e gr. 0,2510 di acqua. Cioè su cento parti: trovato cale. per CigH360, Carbonio 68,22 69,95 Idrogeno 11,61 111799 Un acido diossistearico cogli ossidrili supposti in posi- zione 2,3 e fusibile a 76°-78° era già stato preparato da M. C. e A. Saytzeff (3) per azione dell’ossido di argento sul bibromuro dell'acido isooleico. Che però il composto descritto da detti chi- mici non possa avere la costituzione che gli fu attribuita risulta da quanto ho detto nella I parte di questo lavoro. Facendo l’ossidazione dell’acido 2,3-oleico colla doppia quan- tità di permanganato potassico, senza raffreddare e scaldando in ultimo a bagno maria, si ottiene acido palmitico, il quale, cri- stallizzato dall’ alcool, si presenta in lamine splendenti fusi- bili a 60°. (1) “ Ann. de Chim. et de Phys. , (2) 65, 113 (1837). (2) “ Journ. f. Prakt. Chem. , (2) 35, 384 (1887). (3) “ Journ. f. Prakt. Chem. , (2) 37, 275 (1888). | 2607 di a fornirono gr. 0,7202 di ica car- rr. 0,2944 di acqua. su cento parti: “cale. per CigH390, 75,00 trovato — Carbonio 75,34 | Idrogero 12,54 12,50. 1 db ar Dio Chimico della R. Uni ugno — Gius gno 1905. 974 Relazione sulla Memoria del Prof. Ueo Awarni, intitolata: I gruppi conformi reali dello spazio. L'importanza capitale che han preso nella Matematica mo- derna i gruppi continui di trasformazioni dà ragione del succe dersi delle ricerche dirette a determinare varie sorta di gruppi ed a studiarne le proprietà. Ora, fra le trasformazioni puntuali dello spazio ordinario prendono un posto cospicuo le 001° trasfor- mazioni conformi (il così detto gruppo delle inversioni). Il Pro- fessore AmaLpi nella presente Memoria si propone appunto di determinare i gruppi reali continui che si posson comporre con siffatte trasformazioni. A tal fine egli, ricorrendo ad una nota osservazione del KLEIN, riduce il problema all’altro dei gruppi reali di omografie dello spazio a 4 dimensioni, che mutano in sè una forma qua- dratica non rigata, a punti reali. I risultati noti su quest’argo- mento (come su altre trasformazioni possibili del primitivo pro- blema dell’AmaLpi) non mettevano la restrizione della realtà. Tenendo conto di questa, l'Autore vien condotto dal metodo ac- cennato a ricercare anche i gruppi continui reali di movimenti non-euclidei dello spazio ordinario, completando ciò che già si sapeva intorno ad essi. La determinazione dei varì tipi di gruppi vien fatta nel senso del Lie, cioè assegnando le formole che esprimono le tras- formazioni infinitesime generatrici dei gruppi. Ma vengono pure esposte varie proprietà geometriche dei gruppi stessi. Il lavoro del Prof. AmaLpI, condotto con chiarezza ed ele- ganza, risolve una questione importante. Noi perciò proponiamo che esso venga accolto fra le Memorie dell’Accademia. G. MoRrERA C. SEGRE, relatore. L’Accademico Segretario LORENZO CAMERANO. CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 18 Giugno 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, Rossi, Pezzi, Brusa, CARUTTI, Chironi, Rurrini e ReNIER Segretario. — Scusa l’assenza il Socio ALLIEVO. Viene approvato l’ atto verbale dell’adunanza precedente, 28 maggio 1905. Il Presidente si fa interprete della Classe inviando al Socio AtLtievo le condoglianze per la grave sciagura domestica che lo ha colpito ed augurandogli che negli studi, da lui con tanta alacrità coltivati, egli trovi un lenimento all’aspra ferita. Sono presentate per gli Att: le note seguenti: 1° dal Socio Pezzi: Attilio Levi, Appunti di lessicografia TOMANZA ; 2° dal Socio RENIER, in nome e sotto la responsabilità del Socio Crporra: Roberto Cressi, Prigionieri illustri durante la querra fra Scaligeri e Carraresi (1386). a a a a a a aaa a a ato 976 ROBERTO CESSI LETTURE Prigionieri illustri durante la querra fra Scaligeri e Carraresi (1386). Nota di ROBERTO CESSI. Fra tanta scarsezza di documenti di storia carrarese im- portantissime riescono le imbreviature di alcuni notai più antichi, che, vissuti alla corte*del principe, ne rogarono gli atti sia pub- blici che privati, conservando di molti memoria nei loro libri. In essi numerosi documenti della vita politica di quei fortunosi tempi ancor restano nascosti e da questi la storia degli ultimi principi carraresi sarà meglio illuminata, quando, con amorosa pazienza, saranno tutti pubblicati. Non stimiamo perciò del tutto inutile raccoglierne in una breve silloge alcuni che si riconnettono a quelle gravi lotte fra Carraresi e Scaligeri per il possesso del Friuli (1), che fune- starono tutta la Marca Trevigiana nell'ultimo scorcio del se- colo XIV; lotta che trasse alla rovina l'una e l’altra signoria, travolte prima dalla potenza viscontea e poi dell’astuta politica veneziana. i Due battaglie in questa lotta hanno speciale importanza: lo scontro alle Brentelle del 25 giugno (e non luglio come altri scrisse anche recentemente) 1386 e l’altro di Castelbaldo dell’8 marzo 1387, ma specialmente il primo, combattuto a due miglia da Padova, dove erano giunte minacciose le milizie scaligere, e ter- minato col trionfo del Carrarese. La sconfitta riusciva alla po- tenza scaligera tanto più grave in quanto pareva stesse per scoccare l’ora del suo completo trionfo sui Carraresi, e già il signore di Padova, pieno di intolerabil dolore, si aveva più volte (1) Per quanto concerne questa lotta cfr. Cogo G., IZ patriarcato di Aqui- leia e le aspirazioni dei Carraresi al possesso del Friuli (1381-89), in “ Nuovo Arch. Ven. ,, tomo VII (1898), pp. 223 sgg. PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 977 tratto per dolore il cappello e di quello dato sopra la sedia della loggia, dove è la cancelleria, dentro la corte, e con li denti rodendo per disdegno, e bavezando la detta bacchetta che lui aveva in mano, preso dal convulso, prevedendo l'imminente fine della sua si- gnoria (1). Quel memorabile fatto d’arme aveva invece dimostrato quanto a questi quella fosse inferiore, non solo, ma l’avea anche "d’un tratto annientata; la successiva battaglia di Castelbaldo segna l’ultimo tentativo di riscossa, infelice preludio di inglo- riosa morte di una signoria tanto potente (2). Nello scontro delle Brentelle tutto l’esercito scaligero era rimasto prigioniero del signore di Padova; lo stesso capitano generale, Cortesia Serego, fatto prigioniero, secondo il diritto di guerra medioevale era stato condotto dinnanzi al signore ne- mico invocando la consuetudine di buona guerra (3); i migliori capitani quali Ostasio da Polenta, Facino Cane (4), Ugolino dal Vermo ed altri aveano perduta la libertà, che, riottenuta, per- deranno di nuovo a Castelbaldo, prigionieri per la seconda volta del Carrarese. Narra Andrea Gatari (5) che il giorno dopo la vittoria alle Brentelle Francesco da Carrara volle vedere i condottieri di nome, le munizioni acquistate nella battaglia e quelle portate da (1) Gararir Gareazzo, Istoria padovana, in Muratori, Rer. Ital. Script., XVIII, col. 569. (2) Veggasi la bibliografia in Coco, op. cit., pag. 267. Nella cronaca di GaLeazzo Garari si hanno due redazioni dello scontro delle Brentelle (ed. cit., col. 527 segg. e col. 567 sgg.), delle quali la prima è erroneamente intito- lata La battaglia di Castagnaro ecce., ed è completa; nella seconda il rac- conto è incompleto. Nel cod. parigino della cronaca di Bartolomeo sono ambedue fuse in una sola. Cfr. MepIN A., La cronaca di Bartolomeo Gatari ece., estr. dal “ Nuovo Arch. Ven. ,, XIII, 2, p. 28. (3) GararI A., ed. cit., col. 534, cfr. PertILe, Storia del diritto italiano, Padova, 1873-83, II, 1, pag. 422. (4) I cronisti affermano concordemente che anche Filippino, figlio di Facino Cane, rimasto prigioniero del Carrarese, acconsentì col padre di passare al servizio di questi. Bisogna invece credere che o Filippino non prendesse parte allo scontro delle Brentelle, ovvero, fatto prigioniero, si riscattasse e ritornasse presso lo Scaligero. Infatti nel settembre dello stesso anno defeziona dallo Scaligero insieme ad Antonio Conixitano, Brunorio e Guterio e una forte schiera di soldati. Cfr. CiroLLa, La storia scaligera negli archivi di Siena, in * Arch. Stor. It. ,, disp. I del 1905, p. 60 sg. (5) Anprea GararI, Istoria padovana, in Muratori, XVII, col. 535 e sg 978 ROBERTO CESSI Verona ed infine tutto il resto dei prigionieri e quelli da taglia ; secondo lo stesso cronista i prigioni di condizione furono tratte- nuti, mentre gli altri furono licenziati secondo l’usanza di fatti d'arme e buona guerra; e più avanti ancora dice che avuta duona licenza, questi, ciascuno secondo la loro condizione, furono tutti riscattati da Antonio della Scala. I documenti invece, che qui brevemente illustriamo e pubblichiamo, infirmano l’esattezza della testimonianza del cronista padovano ed in ciò più verace ci ap- pare Galeazzo Gatari. Delli cittadini veronesi e visentini, egli dice, [il Carrarese] lasciò fare a soldati loro tagie a suo modo, come meglio gli pareva, dove gran quantità di danaro venne a Padova per quelle tagie (1). Padova, repubblicana, vantava fra le molte e belle sue tra- dizioni fin dal 1213 speciali disposizioni, deliberate di comune accordo coi Vicentini e coi Veronesi, tendenti ad alleviare i do- lori della prigionia degli infelici mercenari combattenti sotto le bandiere di questo o quel comune (2). Che al tempo, di cui trat- tiamo, fossero ancor in vigore, ci sembra assolutamente infon- dato; non accolte in nessuno dei codici statutari, neppure in quello più antico, non se ne conservava probabilmente neppur la memoria, sicchè, mentre in esse si legge quod mullus caput debeat incarcerari et detineri, e che non gli si deva vietare di edere, bibere, vestire, ad necessitatem corporis ire, nec in turpi loco vel fetido debeat detineri, troviamo il Cortesia in teterrima vincula coniectus, ove contrasse gravissima malattia, che gli procurò la morte poco dopo la sua liberazione (3). I prigionieri, di cui si parla nei documenti qui pubblicati, invocano invece la consuetudine: i contratti sono stipulati in base a questa, nè si trova in essi alcun richiamo a convenzione di sorta o ad altro principio del diritto positivo. Poche dispo- sizioni invero, concernenti questo momento della vita sociale, si trovano nelle raccolte giuridiche medioevali; questa materia (1) Gareazzo Garart, ed. cit., col. 533. 2) Perrine A., op. cit., pag. 422, n. 96. Il P. dice di togliere il docu- mento dal Verci, Storia degli Ezzelini, doc. 82: ma nè in questo lavoro, nè nella Storia della Marca Trevigiana, trovai il testo del documento. (3) Marcacate, De modernis gestis edito dal CiproLLa nelle Cronache r antiche veronesi, I, p. 75, in © Monum. della deput. veneta di storia patria ,. PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 979 quasi sfugge alla severità di sanzioni giuridiche, come quella che meglio si adattava ad esser risolta caso per caso secondo le peculiari circostanze dei tempi. Così si forma una tradizione consuetudinaria, che, dalla primitiva efferatezza, si va mitigando in processo di tempo colla introduzione di sistemi meno crudeli, specialmente per opera delle compagnie di ventura (1). Nel primo documento incontriamo Guglielmo de’ Lisca e Daniele della Valle, commestabili equestri del Carrarese, i quali, fatti prigioneri da Alpreto di Alemagna, commestabile equestre degli Udinesi, in acie bellicosa et partibus civitatis Austrie, dichia- rano pubblicamente a quali patti ottennero la loro libertà. Non possiamo determinare con precisione in quale scontro cadessero in mano degli Udinesi: ma, poichè il documento porta la data dell'8 marzo 1386, crediamo si tratti dell'assedio posto dagli Udinesi al castello di Brugnera negli ultimi mesi del 1385, o di uno dei fatti d'arme che ad esso seguirono, nel quale era stato fatto prigioniero lo stesso capitano Michele da Rabatta, non liberato neppure dopo l’intercessione del cardinale Demetrio, ar- civescovo di Strigonia (2), del vescovo delle cinque chiese (3) e della regina d'Ungheria (4). L’Alpreto, in presenza di Federico Savorgnano, capitano ge- nerale delle milizie udinesi, e di Pietro Morosini di Venezia, avea proposto ai due nobili come condizione di riscatto l'obbligo di rispondere al suo appello in qualunque parte d’Italia essi si tro- vassero. È questa la forma di riscatto preferita dai capitani mercenari, i quali, pur non essendo alieni di servirsi dei prigio- nieri di guerra come fonte di lucro, imponendo loro gravi taglie, spesso però preferivano vincolare a sè il maggior numero di sol- dati per servirsene in caso di bisogno. Ma i due nobili, non ignari delle male arti di questi avventurieri, che spesso gioca- vano sull’equivoco della parola, rifiutano il patto proposto cum nimis difusa et lata sit Italia et quod etiam Francia possit includi (1) PertILE, op. cit., II, 421 e segg. (2) Verci G., Storia della Marca Trivigiana, Venezia, 1790; doc. 20 feb- braio 1386, XVII, n. 1848. (3) Ivi doc. 21 febbraio 1386, n. 1386. (4) Ivi doc. 22 febbraio 1386, n. 1851. 980 ROBERTO CESSI in ea, colle quali parole si vuol forse alludere ai rapporti inter- nazionali di quel tempo fra Italia e Francia. A questa condi- zione gravosissima di perpetua servitù essi preferiscono la perdita delle loro sostanze, restringendo l’obbligo di servitù alla sola Patria, purchè non fossero impediti ad adempierlo dal loro si- gnore; e così accetta l’avventuriero tedesco, a vantaggio del quale il contratto è stipulato: a lui solo infatti spettava il di- ritto di disporre dei due prigionieri, indipendentemente dall’in- teresse degli Udinesi, chè non si capirebbe altrimenti come mai non fosse interdetto ad essi per un certo periodo di tempo l’uso delle armi in favore del Carrarese, nè l’attenuante in caso di inibizione da parte del signore di Padova. Il secondo documento è il contratto di riscatto di Ostasio da Polenta ae omnes alii et singuli infrascripti captivi: chi siano questi noi non lo sappiamo poichè il notaio, che rogò l’atto, non ne segnò i nomi. Ma probabilmente saranno di quei homeni da nome, zoe capi de brigate et capitanei et mareschalchi, come li chiama il cronista edito dal Simonsfeld (1), i cui nomi sono ri- cordati anche dagli altri cronisti contemporanei. Narra Andrea Gatari (2) che Ostasio da Polenta, signore di Ravenna, fu lasciato andare per grazia essendo egli cugino della Donna del figliuolo del Signore di Padova. Il contratto, che pub- blichiamo, invece attesta che il Carrarese non intendeva trattare in modo diverso e speciale il suo parente, chè Ostasio non è il solo favorito; nè certo avea ragione di favorirlo dal momento che non poteva correr buon sangue fra loro, se subito dopo la sua liberazione Ostasio riprende le armi in favore dello Scaligero e ricomparisce alla battaglia di Castelbaldo. Non possiamo certo negare che le condizioni del riscatto siano tutt'altro che onerose, e ciò forse bastava per far pensare ai contemporanei ad un atto di deferenza fra gente legata da vincoli di sangue: ma ben altra deve esser stata invece la ra- gione, la quale appar chiara nel contratto di riscatto. Il Carrarese proibisce ai prigionieri, compresi in esso, di (1) Zur deutschen Geschichte aus Venedig, in * Forschungen zur deutschen Geschichte ,, vol. XXI (1881), cap. IV, p. 517. (2) Ediz. cit., col. 540. PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 981 riprendere per un periodo di due mesi le armi in favore di An- tonio della Scala contro il Carrarese e tanto meno esse ad of- fensam dei territori del signore di Padova: ad essi invece si concedeva di potersi armare subito ad defensam dei castelli della Patria, non uscendo però dalle mura di essi, esclusi i ser- ragli del Veronese e la linea dell'Adige. oltre per tutto il | periodo di quella guerra non aveano il diritto di chiedere il riscatto di alcun soldato fatto prigioniero alle Brentelle, e, dacchè non ancora erano stati liberati il conte Morando dei Porciglia, Michele da Rabatta, fiorentino, Tommaso da Mantova, fatti prigionieri all'assedio di Brugnera, si invitavano Ostasio ed i suoi compagni ad interporsi per ottenerne la liberazione. Non si tratta però di una obbligazione formale di liberazione da parte dei contraenti e tanto meno di uno scambio di pri- gionieri, scambio che non era possibile, poichè quelli del Car- rarese appartenevano alle milizie scaligere, gli altri tre invece erano prigionieri degli Udinesi. Che se, come appare dal nostro documento, il Carrarese era disposto non di mal animo verso gli Udinesi, nessuna concessione poteva fare allo Scaligero, che era il vero suo nemico. È piuttosto un tentativo di scambio, simulato sotto altre forme, colle quali si tentava l'animo degli Udinesi per ottenere la liberazione del Rabatta e dei suoi com- pagni, mantenuti ostinatamente in prigionia da questi: e questa è, secondo noi, la vera ragione delle miti condizioni di riscatto fatte ad Ostasio ed ai suoi compagni, pochi giorni dopo la bat- taglia (1° luglio 1386). Piuttosto gravi invece furono le condizioni di riscatto im- poste a Cortesia Serego, appunto perchè egli era capitano ge- nerale delle milizie scaligere. Il Carrarese [doc. III] gli impose una taglia di 9000 ducati d’oro ed il Cortesia accettò, potendo riscattarsi colle proprie sostanze (1) e obbligandosi a pagarne 3000 appena toccato il terri- torio estense (il signore di Padova, per evitare l'immediata riu- nione dei prigionieri all'esercito scaligero, molti ne avea fatti passare per il territorio dell’Estense (2)) e gli altri 6000 dopo (1) Quanto alle sostanze del Cortesia efr. Brapeeo G., Cortesia Serego e il matrimonio di Lucia della Scala, Verona, 1903, pag. 24 sgg. {2) GararI A., op. cit., col. 536. Dal documento II però si deduce che Ostasio da Polenta e i suoi compagni non furono costretti a passare per Atti della R. Accademia — Vol. XL. 65 982 ROBERTO CESSI sei mesi dalla sua liberazione, rinunciando al beneficio di qual- siasi privilegio statutario delle città, presso il cui foro fosse citato in caso di contravvenzione ai patti stabiliti, e potendo dovunque essere citato, quamvis ibidem domicilium non haberet, constituens se ibidem domicilium et locum habere. Il Marzagaia (op. cit., pag. 75) afferma che il Cortesia men- sibus aliquot castigationem passus [est] e durante questi ammalò gravemente: che la prigionia del Cortesia durasse parecchi mesi è esatto, poichè l'accordo del riscatto è del 22 luglio 1387, posteriore cioè di più che un anno alla battaglia. Lo stesso Marzagaia poi altrove [op. cit., pag. 100] dice: diro et execra- bili carcere sub oste de Carraria coniectum, tetro pedore convictum, vite sue ad ultima laborantem, pro multa pecunia missum exigi ac liberari pedore, ad confines Ferrarie in Budelloni palustribus lembo miserrime victam extinrit. Ed in ciò ci sembra più degno di fede che non Andrea Gatari (1), dal momento che dovea pagare la prima rata della taglia dopo aver posto piede nel territorio degli Estensi. I documenti IV e V ci istruiscono sul modo con cui si pro- cedeva al riscatto dei prigionieri. Il IV è una carta solutionis di 350 ducati, fatta a Luchino da Casate da Iacobo dei Capo- divacca, il quale si era costituito mallevadore di Ugolino dal Vermo (2) pel pagamento della taglia a detto Luchino. Dopo aver ottenuta in questo modo la libertà il dal Vermo non s'era più fatto vivo e, trascorso il termine fissato, il Capodivacca, il 3 ottobre 1386, nolens in hoc violare iusticiam et non contrave- nire promissis, soddisfa al suo obbligo di fideiussore riservandosi l’azione di regresso verso il dal Vermo, non intendendo donargli detta somma. Il V è il ricorso di un certo Bartolomeo del fu Paolo di Arquà, padovano, presentato dal suo procuratore Francesco dalle il territorio estense. Per le relazioni fra Carraresi ed Fstensi in questo tempo, cfr. Cessi B., Venezia e Padova e il Polesine di Rovigo, Città di Castello, 1904, pp. 42 e sgg. (1) Op. cit., col. 540. Secondo il Gatari, il Cortesia sarebbe morto a Monselice, mentre attendeva l’arrivo del danaro pel riscatto. (2) È ricordato da tutti i cronisti fra gli homeni da nome. Garari A., col. 535. GararI G., col. 531. SimonsreLp, op. cit., p. D17. Chronicon estense, in MuraroriI, XV, col. 515. PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 983 Api all'ufficio del Cavallo per esser rimborsato dagli eredi di Niccolò da Curtarolo, uno dei capitani dell’ esercito carrarese durante la guerra cogli Scaligeri, del prezzo di riscatto, indebi- tamente da questi riscosso da Bernabone di Frescada, cittadino | veneto, caduto prigioniero in mano di Bartolomeo nello scontro delle Brentelle. Il procuratore invoca la consuetudine actenus observata, che cioè civis capiens alium civem civitatis, cum qua est querra seu briga, potest imponere taleam. Ed invero il prigioniero di guerra, come dice un giurista del sec. XVI, Pietro Bellino (1), transit in potestatem di colui che lo arresta, così che nemo alius, qui sit eius partis, ius in eum possit acquirere, nisi a suis esset forte recuperatus. Questa consuetudine avea la sua buona ragione di sussistere per evitare le risse fra i soldati. Dice infatti il citato giurista: Neque dux belli prati debet aliter fieri, ne oriantur rixae inter suos, et ne cogantur pugnam deserere qui captivos faciunt. A questo si avvicina il caso ricordato dal nostro documento. Bartolomeo aveva pattuito con Bernabone il prezzo del riscatto, poichè questi era bonus et ydoneus captivus pro solvenda dieta talea, e, condottolo a Padova, lo avea fatto rinchiudere nelle prigioni fino a che non avesse pagato la taglia. Niccolò da Curtarolo, invece, abusando evidentemente della sua autorità, costrinse colla violenza il prigione (gli strappò perfino due denti) a pagare a lui la somma convenuta: perciò Bartolomeo inten- tava un'azione civile contro gli eredi di Niccolò, morto prima del 1390 (2). L'ultimo documento, del 22 aprile 1387 (83), ricorda alcuni prigionieri della battaglia di Castelbaldo. Come già notammo, fra ì prigionieri di questa battaglia si incontrano parecchi di quelli che erano stati già presi alla battaglia delle Brentelle e fra ME SE ng (1) De re militari in Tract. illust. in utraque iuris facultate. Venetiis, 1583, vol. XVI, pag. 349, c. 7. (2) Cfr. GLoria, Monumenti dell’Università di Padova, Padova, 1888, doc. 9 marzo 1390, vol. II, p. 238. Il documento da noi pubblicato manca di data; ma poichè si trova in un fascicolo di atti dell'Ufficio del Cavallo (Filza II*, 6), spettanti al 1401, forse risale a questo anno. A tergo si legge la data 21 luglio. (3) Neppur questo porta la data; ma la si deduce facilmente dagli atti che precedono e seguono questo, tutti del 1387, e dalle persone che sono in esso ricordate. 984 ROBERTO CESSI gli altri Ostasio da Polenta e Ugolino dal Vermo (1). Nessun documento, che parli della seconda prigionia di costoro, ci fu dato di trovare; ma da quello che ora noi pubblichiamo, si può dedurre che ben più gravi condizioni di riscatto impose questa volta il Carrarese. Infatti i nobili Francesco dei Galluzzi, An- tonio da Siena, ricordati anche nel Chronicon estense (ed. cit., col. 515), Franceschino di Alessandria e Giovanni da Milano giurano di non prender più le armi contro il Carrarese per tutto il tempo della guerra, ed il giorno stesso rinnovano il giura- mento obbligandosi di combattere lo Scaligero e i suoi alleati e di presentarsi al signore di Padova entro un anno, Ed ora, riassumendo quello che dai documenti si può de- durre, osserveremo che nel riscatto dei prigionieri lo Scaligero non entra per nulla, contrariamente a quanto afferma il Gatari. Ciascuno, potendolo, si riscatta coi proprì danari, preferendo il sacrificio della sostanza famigliare ad una qualsiasi obbli- gazione di servitù personale. I capitani più illustri dell’eser- cito vinto spettano di diritto al signore vincitore, in nome del quale i suoi ministri concludono l’accordo personalmente colla parte interessata. Gli altri prigionieri diventano quasi proprietà di quelli che li arrestano, e ad essi spetta il diritto di deter- minare le condizioni ed il prezzo del riscatto. Quelli che nella gerarchia militare occupano un posto più elevato, e perciò sono più noti, acquistano la fiducia dei loro padroni ed ottengono di esser subito liberi, prestando giuramento di soddisfare ai loro doveri: gli altri invece devono cercarsi un mallevadore, e, se non lo posson trovare, sostenere il carcere fino a che non ab- biano il danaro per pagare la taglia. Il pagamento poi di questa li libera completamente da qualsiasi vincolo di servitù, rimet- tendo il prigione nel pieno possesso della sua libertà e nell’eser- cizio delle sue funzioni, come chiaramente si apprende anche da altri documenti e specialmente uno che si riferisce alla guerra di Chioggia, conservato in un Formulario Carrarese (codice car- taceo del sec. XVI, n. 23), esistente nell’archivio della famiglia Papafava, dei quali terremo parola in altra occasione. Padova, giugno 1905. (1) Garari A., op. cit., col. 580 e seg., Chronicon Estense cit., col. 515. it ie i it e A. Cai PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 985 Documento I. [Archivio Notarile di Padova. — BawnpINI pe BrazzIs, Liber instrumentorum quartus, c. 356). In Christi nomine. Amen. Factum sic se habuit quod proponunt infrascripti Guillelmus de Lisca et Daniel de Valle, videlicet, dum no- biles viri Guillelmus de Lisca et Daniel de Valle, comestabiles equestres magnifici et excelsi domini domini Francisci de Carraria, Padue ete., captivi forent nobilis viri Alpreti de Alemania, comestabilis equestris Utinensium, deprehensi et capti ab eo in acie bellicosa et partibus civitatis Austrie, dumque existerent ipsi captivi in Utino, in presentia egregii mi- litis domini Frederici de Savorgnano et nobilis viri domini Petri Mau- roceno de Veneciis et aliorum quam plurium nobilium, ubi etiam aderant Nicolaus de Viena, qui erat interpres de infrascriptis omnibus dictis et narratis hinc inde inter ipsos Guillelmum et Danielem ex una et. Alpretum ‘magistrum eorum ex parte altera, peterentque tune ipsi Guillelmus et Daniel relaxari iure, more bone guerre et requirerent ipsum magistrum suum, ut faceret eis bonam societatem etc. Ipse Alpretus dicebat quod bene volebat eos relaxare, sed volebat quod, quocumque ipse requireret eos, ubicumque forent in Italia, ipsi tenerentur ad eum accedere. Qui Guil- lelmus et Daniel gravabantur de his, cum nimis difusa et lata sit Italia et quod etiam Francia possit in ea includi et quod ad hoc non volebant ullo modo assentire, offerentes ipsi magistro suo quod potius daret sibi taleam et acciperet eis equos et axina sua et quidquid in mundo ha- berent, quam vellent pati iugum istud et hanc servitutem, sed bene vo- lebant ipsis existentibus in Patria Foriulii et quantum ipsi complacerint et parati erant ad omnem ipsius Alpreti requisitionem ad ipsum ius hoc tamem adito, scilicet ubi non impedirentur nec prohiberentur eis per magnificum dominum suum Padue vel eius officialem ete. Tandem multis verbis hinc inde dictis ipse Alpretus in presentia dicti. domini Frederici et ipsius domini Petri Mauroceno et aliorum ibi existentium fuit contentus et acquievit quod ipsi Guillelmus et Daniel ad ipsum Al- pretum accederent, sì per eum requisiti fuerint, ipsis solummodo existen- tibus in Patria Foriiulii et non alibi, nec aliter tenerentur ad ipsum accedere hoc tamen addito, videlicet quod inhibitio vel impedimentum, quod vel que procederet de mandato prefati magnifici domini sui Padue vel officialis sui banche stipendiariorum, quominus ire non possent et cetera, non noceret eis nec sibi posset ascribi. Et tune dietus dominus ‘Fredericus quantum pro super ista ultima parte, scilicet inhibitionis vel impedimenti etc., subiunxit et dixit ore proprio verba ista, videlicet bona fide, sine fraude, scilicet quod non exerceret fraudem vel dolum in 986 ROBERTO CESSI ipsis inhibitione vel impedimento, quod et facere promiserunt Guillelmus et Daniel memorati. Et sic modo illo dieti captivi et magistri eorum dederunt alterutrum sibi fidem per tactum et annexionem dextere dextre. Et cum ista licentia et fide aliter non ipsi Guillelmus et Daniel, ab ipso Alpreto magistro suo, comeato accepto, recesserunt. Premissa omnia et sic et in ea forma fuisse et esse testificatur et asserit suprascriptus Nicolaus de Viena in infrascriptorum testium et mei notari infrascripti presentia. De quibus quidem omnibus et singulis dicti Guillelmus et Daniel uterque eorum ibi presentes rogaverunt me Bandinum notarium infraseriptum ut ad perhemnem memoriam unum et plura publicum et publica conficere documenta. Acta publicata et lecta fuerunt omnia et singula suprascripta per me Bandinum notariam infraseriptum in civitate Padue, subtus logiam cancel- larie suprascripti magnifici, excelsi domini domini Francisci de Carraria Padue ete., in presencia testium infrascriptorum ad hoc specialiter rogatorum, adhibitoram et vocatorum, videlicet egregiorum legum doe- torum dominoram Anthonii de Zuchis de Montecalerio de Pedemontium, prefati magnifici domini generalis vicarii, et Bonacursii de Naxeriis de Montagnana Patavi ac sapientis viri domini Simonis de Noenta, iuris periti, civis paduani, nec non nobilium et egregiorum virorum domini Ugolini de Auria Januensis, Albertini de Peraga de Padua, Bartholomeo de Nino de Vincenciis, Jacomello de Anoali, Bonusdei de Agolantibus et Vunano (?) de Leon et aliorum perplurium nobilium et numerose turbe virorum gravium armigerorum alterius facultatis, currente anno nativitatis domini m°rm°LxxxvI. indictione vi*. die iovis vin mensis marcii. Documento II. [Archivio Notarile di Padova. — BAxpINI DE Brazzis, Liber instrumentorum quartus, c. 428 e 429]. In Christi nomine. Amen. Magnifici ac egregii et nobiles viri dominus Johannes Azonis de Ubaldinis, capitaneus generalis gentium magnifici do- mini infraseripti, ac dominus Nicolaus de Curtarodulo, honorabilis civis patavus, ambo milites, nec non dominus Guillelmus de Curtarodulo, iuris- peritus civis paduanus, tamquam procuratores et procuratorio nomine magnifici et excelsi domini domini Francisci de Carraria Padue ete. ad in- frascripta complenda, tractanda et exequenda specialiter constituti, prout contra in istrumento ipsius procuratoris facto infrascripto per me Ban- dinum notarium infrascriptum interveniente et accedente voluntate et assensu egregiorum nobilium et strenuorum virorum gentium omnium ( È PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 987 equestrium et pedestrium ad ipsum magnifici domini servitio militantium, ex parte una, ac magnificus vir Ostasius de Polenta, filius magnifici et potentis domini domini Guidonis de Polenta Ravene etc., per se ipsum ae omnes alii et singuli infrascripti captivi, in quorum cetu et numero et ipse est, optantes a captivitate eximi qua sunt constituti non derogantes prop- terea alicui iuri vel consuetudini armorum, quum per magistros eorum requiri possit utpote deprehensi et capti in patenti campo in conflietu bellico dato eis per ipsum magnificam dominum dominum Franciscum de Carraria seu gentes suas die lune xxv iunii proxime elapsi vel alias intercepti usque in die inclusive a die sabati xx11r dicti mensis iunii in- clusive, qua intraverunt claustra ipsius magnifici domini domini Francisci de Carraria, omnes ipsi tamquam stipendiarit aut comestabiles vel alias provisionati nobiles sicut et quales erant magnifici domini domini Antonii de la Scala Verone etc., ad quorum stipendia et servitia erant, parte ex altera, sponte, libere et ex certa scientia, nullo metu, errore, im- pressione vel timore coacti vel seducti, ad hec pacta, conventiones, transactiones et federa spontanea descenderunt ac convenerunt et per- venisse et descendisse insimul dixerunt et confessi fuerunt in presentia infrascriptorum egregiorum et nobilium testium et mei notari infra- scripti, prout inferius per ordinem seriosius constat, videlicet: Primo quod ipsi captivi vel aliquis ipsorum infrascriptorum usque ad duos menses venturos incoandos ea die, qua de Padua licenciati fuerint, non sint nec esse debeant aut facere armati vel inhermes contra pre- fatum dominum Franciscum de Carraria aut magnificum natum suum dominum Franciseum de Carraria aut eorum subditos, territoria neque loca vel gentes eorum, quocumque illos contigerit equitare aut ubicunque sint. Non sintque nec esse debeant ad offensam ubicumque territorii vel locoruam ipsorum magnificoram dominorum patris et filii Carrarien- sium. Verum captivi ipsi armare se possint ad defensam civitatum castrorum et bastitarum dicti domini Verone non tamen egrediendo muros pallancatos pontes vel foveas ipsorum civitatum castroram et bastitarum. Preterea se armare non possint nec inhermes esse vel pre- sentare se ad defensam seraleoraum domini Verone predicti neque fluminis Aticis. Item quod ipsi captivi durante presenti guerra non requirent ali- quem captivum de gentibus prefati magnifici domini domini Francisci de Carraria captum per ipsos vel eorum aliquem et die sabati xx iunii elapsi inclusive usque in diem belli seu conflictus predicti dati sibi die scilicet xxv mensis eiusdem inclusive. Item quod ipsi captivi facient, providebunt, tractabunt et operabunt posse supra, bona fide, omni fictione et fraude proculpusis quod egregii et nobiles viri Morandus Comes de Purciliis, Michael de Rabatha Floren- MO REC E n è; I PI us * suit dI LL, . : T- / ta, wr ) i Pi , RI 4 988 ROBERTO CESSI di tinus, Thomasius de Mantua, comestabiles equestres, servitores de gentibus. ipsius magnifici domini Francisci de Carraria, captivi in Utino, rela-. xentur. i Item quod si sciverint aliquem vel aliquos ex ipsis infrascriptis con- i trafacere vel contravenire alicui promissionum predictarum et date fidei, quod ipsos illos tales transgressores et sui fidei violatores punientur posse suo ea pena condigna et debita, quam meruerint et qua illos punire debet quilibet bonus et valens vir. Quas quidem conventiones transactiones et pacta ac omnia et sim- gula suprascripta et infrascripta et in presenti contractu apposita et in- frascripta promiserunt dicti Ostasius de Polenta ac omnes et singuli alii captivi inferius expressati, solempne stipulatione dictis dominis Jo- hanni Nicolao et Guillelmo, procuratoribus et procuratorio nomine dicti magnifici domini domini Francisci de Carraria ete., suorumque succes- sorum et heredum vice et nomine stipulantibus et recipientibus ac iura- verunt corporaliter ad saneta dei evangelia tactis seripturis sibi et cni- libet eorum per me notarium infrascriptum delato sacramento in fide sua et legalitate bonoram virorum firma rata et conrata in eorum fide suo in- strumento vallata habere, tenere, attendere et observare et non contra- facere vel venire, aliqua ratione vel causa, clam vel palam, per se vel alios, de iure vel de facto in pena periurii et prestiti sacramenti. Quod si violaverint vel aliqualiter irritaverint ex nunc prout ex tune volunt coram quocumque principe, domino, procere et barone ac qualibet singulari persona posse licite et impune atque debere appellari villes et abiecte persone, fedifragi et periurii ac in quocumque loco et foro se subicientes pene cuilibet personali atque reali, quibus de vi vel iure aut consuetudine armorum observata et indicta inter bonos et graves armigeros cuiuslibet regionis venirent aut venient puniendi. In quorum omnium evidens testimonium et robur perpetue firmitatis ac fidem ‘et certitudinem pleniorem nonnulli ex ipsis nobilibus captivis, habentes eorum sigilla ipsa, huic presenti instrumento impresserunt, reliqui vero, sigillis eorom carentes, per inscriptionem»sui nominis solius voluerunt et pro sigillo tenere hec omnia, que superius acta sunt. Acta fuerunt premissa omnia et singula in civitate Padue, in claustro interiori dominorum fratrum heremitarum, currente anno nativitatis do- mini M°III°LXXXVI, indictione nona, die dominica prima mensis iulii, pre- sentibus egregiis et nobilibus viris et dominis Pagano de Raude, Jacobo de Pisis, Bartholameo de Prato et Antonio de Lagnello, Francisco de Dotti, Henrico Scrovegno Patavis, et Princivalle de la Mirandola italicis, Henrico de Appremberg et Trucsag, militibus, Luchino de Casate, Phi- lipo de Pisis, Anthonio Ballestracio, Guillelmus de Lisca, Parisio de Moschaia, Bertolino de Zanobono et Johanne Perusino de Padua testihus DIRI AT TA hd PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 989 vocatis et rogatis et ad hoc specialiter convocatis et aliis, cui etiam in testimonio premissorum hoc presens instramentam munierunt suorum sigillorum impressione in testimonium premissorum. Nomina autem dietorum captivorum sunt infrascripta etc. Documento III [Archivio Notarile di Padova. — BanpINI pe Brazzis, Liber instrumentorum quintus, c. 87]. In Christi nomine. Amen. Anno eiusdem nativitatis millesimo tre- centesimo octuagesimo septimo, indictione X®, die lune xx1r mensis iulii. Padue, in contrata Domi, in domo habitacionis olim Johannis ab Oleo. Presentibus egregio artium et phisice professore domino magistro Petro de Pernumia, filio quondam magistri Henrigino phisici de contracta S. Lucie de Padua, nobile viro Nicolao de Basso cive Ferrariensi, Nofrac, (?) cam- psore quondam Symonis de Aleis de Florentia, habitore Padue in supra- scripta contrata sancte Lucie, et Pinamonte quondam . ..... de Bonacossis de Florentia, de contracta Sancti Antonii Confessoris de Padua, testibus vocatis et rogatis et aliis. Ibique egregius vir Cortesia de Seratico, filius nobilis viri Bonifacii de Seratico, asserens se fore captivum magnifici et excellentis domini domini Francisci de Carraria Padue ete., volens se pecunia ab ipsa captivitate redimere ut redderetur primo et reddatur prestare libenti animo, sponte, libere et ex certa scientia et non per errorem nec metu vel vi impellente coactus, solempni stipulatione et per pactum speciale et expressum convenit et promisit egregio et nobili militi do- mino Nicolao de Curtarodulo, Zumellarum et Cesane communitatis homini, civi paduano, ibi presente, ac mihi Bandino notario infraseripto ut publice parte et utrisque nostrum in solidum stipulantibus et recipientibus nomine et vice dicti magnifici domini domini Francisci de Carraria Padue ete. dare et solvere ipsi dicto magnifico domino Francisco de Car- raria vel alio eius legitimo procuratore et iudice pro eo recepturo pro talea et occasione talee ipsius Cortesie, qua sibi ipsi indixit imposuit et accepit, dicens vires suarum facultatum bene posse pati dictam taleam cum adhue ei supersit patrimonii et bonorum suorum substantia longe amplior, ducatos noeem millia boni auri et iusti ponderis, in his ter- minis sive pagis et modis, videlicet ducatos nr" auri quam proximum ipse Cortesia exit extra territorium Padue super territorio illustri domini Nicolai Estensis Marchionis Ferrarie etc., reliquos vero sex milia du- catos auri ad sex menses venturos proxime incoandos ea die, qua ipse Cortesia fuerit super et in territorio dicti illustris domini Marchionis, et hec in pena ducatorum V, cum solempni stipulacione in singulis capitulis huius contractus et pro unoquoque termino non servato promisse totiens PA 990 ROBERTO CESSI committenda et exigenda cum effectu, quotiens contrafactum fuerit et, ipsa soluta vel non, nominatim predicta accedere teneatur et contractus iste, in sua permaneat roboris firmitate. In quibus omnibus et singulis firmiter et plenins attendendis et observandis predictus Cortesia per se et snos heredes penes ipsum dominum Nicolaum de Curtarodulo ac me Bandinum notarium infrascriptum ut publicam partem et ntriusque | nostrum in solidum stipulantis recipientis nomine et vice dieti magnifici | domini domini Francisci de Carraria Padue etc. et ipsum magnificum do- minum et suos heredes obligavit se realiter et personaliter et omnia eius bona mobilia et immobilia presentia et futura etiam ea que in generali obligatione non cadunt. Et ad forbanniendum et conveniendum realiter et personaliter et tenutam de suis bonis accipiendum seme] et pluries vel ad plenariam satisfactionem omnium predictorum et eam et ea habendum tenendum et possidendum atque vendendum et alienandum, si libuerit, sua propria auctoritate absque alicuius iudicis vel procuratoris auctoritate et licentia constituens se soluturum omnia et singula suprascripta ac omnia dampna interesse et expensis litis et omni de quibus simplici et soli verbo stari debeat ipsius magnifici domini domini Francisci de Car- raria vel sul procuratoris et quos pro predictis VIIII® ducatis solvendis ut supra et dampnis interesse et expensis reficiendis possit et valeat convenire personaliter et realiter Padue, Vincencie, Verone, Ferrarie, Mantue, Mutine, Veneciis et Tarvisii, Florencie, Pisis, Pistorii, Lucce, Senis, Janue et Mediolani et in tota Lombardia superiori et inferiori et generaliter ubique locorum et terrarum, ubi repertus et conventus esset, quamvis domicilium ibidem non haberet, constituens, se ibidem domicilium et locum habere, remittens per speciale pactum, interesse quodeumque ratione locorum predictorum. Et renunciavit omnibus feriis, diebus feriatis, statutis et ordinamentis et reformationibus consilioram factis et fiendis per comune Padue et quamlibet aliam civitatem, castrum et locum, et omni remedio, appellationis suplicationis et nullitatis, be- neficio restitutionis in integrum et privilegio fori vi metus vel causa exceptionis, doli, mali, accioni in forma executionis rei non sic geste, non sie celebrati contractus et condicionis secundum causa vel ex iniusta causa omnique alio suo iure tacito et expresso sibi contra hec. com pe tenti et competituro ac legi et iure dicentibus generalem renunciationem non valere nisi processerit specialis, renunciavit per pactum speciale et expressum. Ad minorem insuper roboris firmitatem ipse Cortesia iuravit corporaliter ad sancta dei evangelia tactis scripturis sibi per me notarium infrascriptum delato sacramento predicta omnia et singula vera esse et fnisse et ea attendere et immobiliter observare, censure ecclesiastice se subiciens, si predieta non servaverit vel contra ea aut eorum aliquid. attentare presumpserit vel venire. Et pro his etiam fidem suam prestitit atque dedit. PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 991 Documento IV. [Archivio Notarile di Padova. — GIovanNI DE’ CamPoLonGO, Liber instrumentorum secundus, c. 175]. Carta solutionis facte Luchino de Casate per d. Ja. de Capitevacce de due. CCCL. In Christi nomine. Amen. Anno eiusdem nativitatis millesimo tre- centesimo octuagesimo sexto, indictione nona, die mercurei tercio mensis octubris. Padue. In palaciis habitacionum magnifici et potentis domini domini Francisci de Carraria Padue etc., in eius cancellaria. Presentibus providis viris Bandino quondam Angeli notarii de Bandino, Zilio, filio Facini de Montagnana, notariis in dieta cancellaria testibus et aliis. Cum in conflicta dato die xxv mensis Junii presentis millesimi per felicem exercitum et gentes bellicosas magnifici et excelsi domini domini Francisci de Carraria Padue etc. super territorio paduano, intra Bren- tellas, in villa Tegetum, gentibus et exercitui domini Veronensis fuerit captus et interceptus nobilis miles dominus Hugolinus del Vermo, ve- ronensis, stipendiarius prefati domini Verone, per strenuum virum Lu- chinum quondam domini Galaoci de Casate in ipsius domini paduani tune serviciis militarem et tamquam captivus ipsius Luchini fuerit Pa- duam ducetus in forciis suis, ipse dominus Hungolinus, totis viribus an- nelans ab huiusmodi vinculo captivitatis dissolvi, promiserit pro talea sibi numerata dare et solvere ipsi Luchino ad certum terminum, iam elapsum, ducatos trecentum quinquaginta auri, et pro ipsis tucius per- solvendis nobilis miles dominus Jacobus de Capitevace, civis paduanus, se precibus et instancia ipsius domini Ugolini requisitus, se fideiussorem constituit et soluturum pro eo in casù quo ipse d. Hungolinus non solverit ipsi Luchino ad terminum antedictam. Ipseque d. Jacobus, elapso pluribus diebus termino supradicto requisitus fuerit per Luchinum predictum fideiussorio nomine eiusdem domini Ugolini et nolens in hoc violare iusticiam et non contravenire promissis per eum, imo pollicita servare et attendere cum effectu procuratoris tenetur, et se obligavit in presentia testium predictorum et mei notarii infrascripti dedit, cessit, tradidit et numeravit ac persolvit de suis propriis denariis, non animo donandi sed rehabendi et recuperandi, fideiussorio nomine ipsius domini Hungolini prefato Luchino ducatos cocL auri, quos ipse Luchinus ma- nualiter habuit et recepit et se habuisse et recepisse confessus fuit pariter et contentus, de quibus idem Luchinus ab eodem domino Jacobo fideiussorio nomine predicto se clamavit et dixit tacitum et contentum ipsumque d. Jacobum pro dicta fideiussione nullo tempore molestare. In quibus quidem denariis, ut premictitur, persolutis, rehabendis et recu- 092 ROBERTO CESSI 0 SA perandis prefatus Luchinus, cognoscens debitum ipsum de ipsius domini Jacobi danariis esse solutum et in hoc volens agnoscere bonam fidem, eedit, cessit, tradidit et mandavit ipsi domino Jacobo omnia iura, aetiones et rationes, que et quas habet, habebat et habere videbatur et poterat in dietis ducatis cccL contra et adversus ipsum dominum Hungolinum, suos heredes et bona, ubicumque sita et posita, tamquam verum ipsius debitorem. Ita quod licitum sit predicto domino Jacobo fideiussori et possit ab eodem domino Ugolino et suis heredibus petere et exigere du- catos antedictos et prefatum dominum Hungolinum et suos heredes pro predictis ubilibet convenire et in omnibus et per omnia facere prout et quemadmodum dictus Luchinus ante presentem cessionem facere po- tuisset et posset, dicens et asserens ipse Luchinus se nulli in dieto de- bito ius dedisse, nisi nunc ipsi domino Jacobo. Et si aliter reperiretur promisit ipsum indempnem cum obligacione bonorum suorum presentium et futurorum. ii VA [Archivio civico di Padova. Arch. Giudiz. Ufficio del Cavallo, Filza, II, 6]. Coram vobis honorabili et sapienti viro domino Octonelo de Des- chalciis, egregio lesum doctore, iudice et officiale comunis Padue ad discum equi, ego Franciscus ab Appibus procurator et procuratorio no- mine Bartolomei quondam Pauli de Arquada paduani districtus dico et expono quod dietus Bartolomeus cepit et captivavit Bernabonem de Fraschada civem Veneciaram in conflietu dato gentibus domini Antonii de la Schala aput. Brentelas in contrata que vocatur Yteyi paduani districtus et eum sic captivatum duxit in civitate Padue et quod de consuetudine actenus observata unus civis capiens alium civem civitatis, cum qua est guerra seu habetur briga, potest capto imponere taleam, et quod dietus Barnabas promixit dicto Bartholomeo interoganti dare pro talea et sui redemptione ducatos ducentos auri ipsi Bartholomeo antedicto et quod Barnabas erat bonus et ydoneus captivus pro solvenda dicta talea et ipsam solvisset cuicumque, qui eum sic captivatum habuisset, et quod dietus Bartholomeus post dictam promisionem sibi factam per dietum Barnabonem eum. poni fecit in carceribus comunis Padue, ut ibidem staret donec taleam predictam promissam per eum dicto Bartho- | lomeo solveret, et ita de hoc fuit contentus dietus Barnabas. Et quod, dum ibidem detineretur in custodia, ut moris est captivorum, ad peti- cionem ipsius Bartholomei, dominus Nicolaus de Curterodulo dietam Barnabonem de dictis carceribus extrahi fecit et ipsum duci ad domum PRIGIONIERI ILLUSTRI DURANTE LA GUERRA, ECC. 995 ipsius domini Nicolai et peciit ab eo quod ei solveret ducatos ducentos, quos promisit pro talea dicto Bartholomeo, et quod dictus Barnabas renuebat et renuit solvere dictos ducentos ducatos dicto domino Nicolao et, quia ita renuebat, dictus dominus Nicolaus fecit ei eveli duos dentes, quod videns et scentiens dictus Barnabas et timens atraciora sibi fieri solvit et dedit dietos ducatos ducentos dieto domino Nicolao, et dietus dominus Nicolaus fecit dictum Barnabonem libere relassari in dampnum et detrimentum ipsius Bartholomei usque ad quantitatem dictorum du- catorum ducentorum. Et quod dictus dominus Nicolaus mortuus est, re- lieto post se Francisco quondam Marchi de Curterodulo sibi herede pro quarta parte, habito respectu ad quattuor partes, et quod dictus Fran- ciscus pluries interpelatus cessavit et recusavit et ad presens indebite denegat et recussat dare et solvere dicto Bartolameo ducatos quinqua- ginta auri pro portione eum tangente occasione dampni illati dieto Bar- tholomeo per dictum dominum Nicolaum. Quare, cum ex re dicti Bar- tholomei sive ei debita ad dictum Franciscum hereditationis nomine, quo supra, sine causa pervenerit et ex ipsius re sive ei debita locupletior factus sit occasione dampni illati dieto domino Bartholomeo per dietum d. Nicolaum et neminem cum aliena iactura locupletari conveniat, peto per vos et vestram sententiam dictum Franciscum aut alium quemlibet pro eo legiptime competentem condempnandum esse et condempnari debere michi Francischo dieto nomine ad dandum dieto Bartholomeo ducatos quinquaginta auri pro porcione eum tangente pro parte quarta diete hereditatis, habito respectu ad quattuor partes, et pro quarta parte dictoram ducatorum ducentorum, habito similiter respectu ad quattuor partes. Et si contradictor existat, peto expensas iam factas et protestor de fiendis, non astringens me ad probandum nisi necessitas, salvo iure adendi etc. secundum formam iuris, petens in predictis et circa predicta iusticiam michi fieri per vos secundum formam iuris et statutorum co- munis Padue. A tergo. Die mercurei XXI mensis Iulii. Producta fuit presente ser Thomaxio eius procuratore et locata (?) termino trium dierum ad respondendum secundum formam statutorum. Documento VI. [Arch. Notar. di Padova. — BaANnpINI DE Brazzis, Liber instrumentorum quintus, c. 15]. Die lune xx1r Aprilis. In camera. Presentibus domino Guillelmo de Curtarodulo, domino Francisco de Beningrado, Franceschino de Fossa- dulei testibus citatis etc. Ibique nobiles Franciscus de Galuciis, Fran- 904 ROBERTO CESSI — PRIGIONIERI ILLUSTRI, ECC. ceschinus de Alexandria, Antonius de Senis et Johannes de Mediolano et quilibet eorum dederunt fidem suam et promiserunt mihi Bandino, notario infraseripto ut publice parte stipulanti et recipienti nomine et vice magnificoram et excelsoram dominorum dominorum Francisci de Cararia Padue ete. et magnifici nati sui domini Francisci de Cararia, quod non erunt nec facient contra eos toto tempore durantis guerre presentis cum domino Verone sub pena periurii, ete. FKodem die, in contracta saneti Firmi, in domo olim Albertiboni de Ovetariis, presentibus Johanne de Ordalafis, domino Guillelmo de Lisca milite et Betino......... testibus etc. Suprascripti Francischus, Franceschinus et Johannes, addentes suo iuramento et fidei, iuraverant et promiserunt mihi Bandino, notario infrascripto, recipienti et stipu- lanti nominibus quibus supra, quod durante tempore guerre presentis. non ibit ad aliquam civitatem, castrum vel locum domini Verone nec alicuius alterius domini vel comunitatis, qui vel que inimicarent ipsis magnificis dominis, nisi per modum inimicandi ipsi domino vel Verone vel aliis dominis vel comunitatibus predictis et quod inter unum annum proximum vel in fine anni predicti ipsi et quilibet eorum se presen- tabunt pro licentia coram ipsis magnificis dominis vel aliis eorum. ATTILIO LEVI — APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 995 Appunti di lessicografia romanza di ATTILIO LEVI. Fownri LEssIicoGRAFICHE: italiano (Tommaseo-Bellini; Crusca, 5° impres- sione), sardo (Porru, Spano), siciliano (Traina), napoletano (Galiani, Andreoli), veneziano (Boerio), genovese (Casaccia), bresciano (Rosa), comasco (Monti), milanese (Cherubini), piemontese (Zalli, Gavuzzi) — francese (Littré; Hatz- feld - Darmesteter - Thomas, Dict. général) — spagnuolo (Accademia, 18* ed.), portoghese (Marques, 1758-65; Fonseca, 1857) — catalano (Labernia) — provenzale (Mistral, Low tresor dou felibrige) — basso latino (Ducange) — ant. provenzale (Raynouard; Levy) — ant. francese (Godefroy) — Diez, Etymologisches Woòrterbuch der romanischen Sprachen, IV Ausgabe, Bonn 1878 (La 5* ed. del 1887 non mi fu accessibile: ma la numerazione delle pagine è la stessa) — KSrrInG, Lateinisch-romanisches Worterbuch, II Ausgabe, Paderborn 1901. Nel corso di un lavoro, a cui attendo da qualche anno, m'è avvenuto di raccogliere pure un buon manipolo di fatti, che non hanno stretta attinenza coll’indagine là istituita. E, poichè par- ticolari circostanze ritardano e ritarderanno assai più ch'io non voglia il compimento dell’opera sopra accennata, comincio a pubblicare alcune di quelle osservazioni isolate. Le quali vor- rebbero anche servire come tenue saggio delle risultanze, a cui si può giungere nelle ricerche etimologiche praticando più lar- gamente del consueto l'unione del criterio semasiologico al criterio fonetico, guida necessaria e principio inviolabile. It. palandrana. Appartiene ad una schiera di vocaboli, le cui relazioni re- ciproche non mi sembrano ben chiarite. La serie lessicale, di cui si tratta, (riveduta di su’ dizionari, che mi furono accessibili, ‘ per quanto potei completata, ed ordinata giusta la divisione, che si presenta più ovvia) è la seguente: I. it. palandra, varianti palandria, palandréa — venez. palandra — sic. palantra — sard. mer. delandra (d'origine fran- 996 ATTILIO LEVI cese?) — fr. belandre, var. balandre, belande — cat. sp. balandra, “ sorta di piccola nave da carico ,. Nora. E qui pure è forse da recapitarsi venez. palandron “ cestone ,, termine de’ pescatori. II. balandra, che nel Tirolo meridionale ha il senso di “ persona instabile, viziosa, trascurata, dedita al bere , e serve per entrambi i generi — a Brescia significa “ sgualdrina , e s'ac- compagna ad un masch. dalander “ furfante , — a Como ha l’ac- cezione di “ vizioso, dissoluto, mancator di parola , ei derivati balandron “ scapestratissimo ,, dalandrada “ azione da uom dis- soluto , — e infine a Milano ha il significato di “ mancator di parola ,. Nora. — A questa categoria lo Schuchardt, KuAn-Zeitschrift, XX, 270 nota in calce assegna ancora un romagn. balatron “ perdigiorno , che non mi pare della famiglia, un bresc. balandra “ birbante ,, che non trovo nel Rosa, ed un emiliano dalandran È stupido ,, che manca, però al bolognese (Coronedi Berti) ed al parmigiano (Malaspina). III. bresc. com. mil. pelanda “ abito lungo e largo, veste da camera , (co’ derivati mil. peland-ella, -inna “ piccola zimarra ,, pelandon “ zimarrone ,) — pavese e venez. palandran “ gab- bano , — mil. bdalandran “id. , — ant. nap. bdalantrano “ sorta d’abito virile quasi talare , — sic. palandranu, var. palantranu “gabbano , — ant. sard. log. palandra “ id. , — it. palandra (13 veste lunga e larga , (co’ derivati palandr-ana, -ano, -etta, -ina, -uccia, -one) — fr. balandran “ largo mantello da campagna , (mutuato al prov. giusta il Dict. gén.) — neo prov. balandran, var. palandran “ mantello, tonaca s (così il Mistral: altra grafia in Diez 232) — cat. balandram “ veste talare , — sp. dalandran “id. , — ptg. dalandrao “ id. ,. Nora 1. Secondo il Mussafia, Beitrag zur Kunde der norditalienischen Mundarten in XV Jahrhundert (in Denkschriften der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Phil.-hist. Classe. BA. 22. Wien 1873, p. 186), pelanda è anche cremasco e friulano (de’ quali mi mancano i lessici), ed il pavese ha (od ebbe) palandra nel senso di “ abito ,: il che dall’anonimo Diz. pav.-it., Pavia 1874, non mi risulta. Nora 2. Fr. prov. balandras, che vien dato come variante di dbalandran, mi sembra appartenere ad altra famiglia. APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 997 pi Naturalmente tutte codeste voci furono già in vario modo tentate. I. Di balandra “ naviglio , furono proposte tre etimologie: 1° Il Diez 232 la traeva dal basso ted. binnenlaender “ (nave), che va entro terra , (cfr. Kérting, n. 1391): e sembra essersi accostato al vero senza raggiungerlo, poichè non è facil- mente credibile che il dinnen- della voce germanica possa es- sersi ridotto al da- della voce romanza. 2° Il P. Guglielmotti, Vocabolario marino e militare, Roma 1889, p.411, crede palandra corruzione di chelandia, altra specie di naviglio, il cui nome deriva da yeXavdiov, voce di bassa gre- cità, e dal basso lat. chelandium, ed annovera ben diciotto vo- caboli, che a lui paiono varianti di esso chelandia. Ma che una gutturale passi a labiale non sembra ammissibile: quindi le due voci debbono essere tenute ben disgiunte (senza tuttavia esclu- dere che possano talvolta essersi incrociate e che talune delle supposte varianti sia appunto il frutto di tale incrocio, ad es. chelandra: palandria). 3° I lessicografi francesi (Littré, Dict. gén., s. v.) trassero il loro delandre dall’oland. biflander (ingl. bylander, bilander, be- lander), che significa “ (battello), che va presso terra , (da ol. bij, ingl. by, ted. dei “ presso , ed ol. ingl. ted. land “ terra ,): ed è etimologia sotto ogni rispetto accettabile, poichè la da- landra, giusta la definizione del Seckendorf (cfr. Diez 232), è piccola nave da carico, che serve pel tragitto lungo le coste e i fiumi e i canali. II. Al com. dalandra già il Monti s. v. raffrontava il lat. balatro “ buffone-dissoluto ,. Similmente lo Schuchardt, ]. c., ac- comunando la famiglia del dalandra cisalpino con quella di it. palandrano, desumeva e l’una e l’altra da lat. dalatronem con- taminato con it. landra “ donna di mal affare ,. Ma tale etimo- logia mi par che urti contro due gravi difficoltà. L'una fonetica. Che in formula iniziale p digradi a d è raro (cfr. Meyer-Liibke, Grammatica storico-comparata della lingua italiana, Torino 1901, pp. 88 sgg.): ma di 5, che in tal condizione sì assorda in p (come sarebbe avvenuto in balatro: palandrano), non conosco Atti della R. Accademia — Vol. XL. 66 998 ATTILIO LEVI esempî. L'altra semasiologica. È fra le leggi più sicure e costanti, che si osservino nella evoluzione de’ significati, questa: che il senso procede dal concreto all’astratto, e in via subordinata dal materiale al morale. (Tal norma, la quale naturalmente non esclude deviazioni sporadiche, emerge da una delle poche ri- cerche del genere, che sian condotte con rigore di metodo: voglio dire D. Pezzi, Saggi d’indici sistematici illustrati per lo studio della espressione metaforica de’ concetti psicologici in Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino, serie II, tomo 46). Ora in da- latro: palandrano sarebbe appunto avvenuto il fatto inverso del passaggio dal morale al materiale. La stessa fusione del dalandra (e derivati) del nostro Set- tentrione con it. palandrano fa lo Schneller, Die romanischen Volksmundarten in Siidtirol, Gera 1870, p. 110, il quale, osser- vando che da dalatronem si aspetterebbe un *baladron (obbie- zione, che è tolta di mezzo dall’ipotesi schuchardtiana della contaminazione con landra), propone a base un ant. alto ted. wallandaere “ errante, ramingo ,, trae i sensi psicologici del ba- landra cisalpino dalla mala fama, che avevano in Italia pellegrini e romei, e ne conclude che in origine palandrano (e varianti) dovette significare “ mantello da pellegrino ,. Ed anche qui riap- pare la difficoltà semasiologica, di cui sopra, ma certo assai minore: chè anzi non può negarsi la convenienza logica tra il concetto medievale del pellegrino e l’idee espresse dal balandra nostrano. Ma insormontabile mi sembra l’ostacolo fonetico: germ. w non passa in 5 romanzo. Nè a ragione, cred’io, esso Schneller, o. c., p. 94, ammette tale trapasso pe’ dialetti da lui studiati: vedasi pel fatto generale Ascoli, Arch. glott. it. I. 61 sg., 324, 351 sg., 356, 516 (num. 130), Meyer-Liibke, Grammatik der ro- manischen Sprache, I, Leipzig 1890, pp. 36 sgg., e pel caso par- ticolare K6rting, num. 10345. Quest'ultimo poi a num. 1391 opina pur esso che it. pa- landra “ naviglio , (e affini) non si debba disgiungere da it. palandrana “ abito , (e simili), e vuol derivare entrambi da lat. it. pala: il che non sembra sostenibile, sia perchè non si scorge il nesso fra il concetto della base proposta e il senso de’ due vocaboli succitati, sia perchè troppo anormale sarebbe la deri- vazione (come non è sfuggito a lui stesso). APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 999 III, It. palandrano fu dal Mussafia, o. c., connesso con pe- landa: connessione, a parer mio, sicura. E pelanda venne a sua volta già da’ men recenti dialettologi nostri (il Cherubini s. v., il Rosa citato dal Mussafia, ibidem) felicemente collegata con fr. houppelande “ sopravveste, grosso saio ,. Soltanto, quale il rapporto, che intercede fra esse? La voce it. deriva dalla fr.? O la fr. dall’it., come pensò il Quicherat (cfr. Littré s. v.)? Propenderei per la prima ipotesi, anzitutto perchè mi sembra di gran lunga più agevole ad ammettersi l’aferesi della sillaba iniziale nel passaggio dal fr. all’it. che non la protesi della medesima nel passaggio inverso, in secondo luogo perchè certamente di Rouppelande non si ha spiegazione, che appaghi (cfr. Scheler, Dictionnaire d’étymologie frangaise, 3? ed., Bruxelles 1888, s. v., Kérting, num. 6707), ma pelanda, se fosse voce originaria, sarebbe un enigma ancor più forte. Nora. Poco lume sembra dare il basso lat. colle varie forme opelanda, oppellanda, opulenda (falsa grafia?), pelanda, hopelanda, houppelanda. Tuttavia sì noti: si riscontrano sovratutto in Francia, nè sono ben antiche (sec. XIV .e XV). dg Passate così in rassegna le ricerche precedenti, rimane che se ne traggano le possibili conseguenze ulteriori. I. Dunque it. palandra “ naviglio , (colle sue varianti) deriva, come vedemmo, dall’ol. dijlander (mediatamente, e con divario all’inizio, di cui dirò più sotto). II. Nè da essa mi scosterei rispetto al balandra (e deri- vati) de’ nostri dialetti settentrionali, giacchè vi scorgerei una metafora popolare, quale si ha in piem. spa “ spada — mangia- tore vorace ,, e in piem. mil. sponga “ spugna ,, surda “ pompa aspirante ,, che al figurato significano “ beone ,,. Infatti sembra al tutto naturale che un mezzo di trasporto abbia offerto l’immagine dell'instabilità e del vagabondaggio, e che da questo primitivo concetto sia avvenuto il trapasso a quelli di “ intemperanza, dissolutezza, slealtà ,, e cioè a’ vizi, che della vita randagia sono la conseguenza non necessaria, ma frequente e comune. Nè può fare difficoltà il trovare in quella regione il nome 1000 ATTILIO LEVI del naviglio nella forma cat.-castigliana, poichè può essere questa una delle non poche traccie linguistiche del dominio spagnuolo. Parimenti, non deve parer strano l’incontrare a’ piè del- l’Alpi codesta voce marinaresca, poichè la dalandra, come s’ è visto, serviva pure per la navigazione fluviale. Infine, non può costituire un ostacolo il fatto che la voce in quélla zona si trovi soltanto in accezione metaforica. Anche di ciò non mancano esempi. E valga all’uopo il piem. mil. strésa “ arnese agricolo, sorta d’erpice , (verosimile deverbale di piem. striisé, lomb. strisd “ trascinare ,, su cui cfr. Flechia, Arch. glott. it. III, 154 sg.), il quale in Torino e dintorni significa unica- mente “ donna di mal affare ,: tanto che con questo solo signi- ficato lo registra lo Zalli, nativo di Chieri. III Nè in pelanda il giuoco della metafora popolare fu meno largo ed intenso. Suole il popolo attribuire sensi psicologici a parti del ve- stiario, traendo la metafora o dalla materia, forma e struttura delle cose stesse o dalla condizion delle persone, che abitual- mente le portano, o dalle particolari contingenze in cui vengono portate. Esempî: it. ciabattone “ trasandato negli atti e nel ve- stire ,, parruccone “uomo d'idee antiquate ,, piem. stival “ sti- vale — sciocco ,, savata “ ciabatta — meretrice ,, braie ’d teila “calzoni di tela — i poveri, i deboli, (nel dettato le braie ‘4 teilu a l'an sempre tort, a cui fa riscontro l’it. è cenci vanno al- l’aria), fr. gros bonnet “ persona altolocata ,, donnet carré “ dot- tore ,, donnet rouge “ rivoluzionario ,, garnement “ armatura — -— mariuolo , (cfr. per quest’ultimo, che non mi par ben sicuro, A. Darmesteter, La vie des mots étudite dans leurs significations, 2° éd., Paris 1887, p. 159), sp. zamarro “ vestito di pelle di montone — uom grossolano e sciocco ,. Così in pelanda e derivati troviamo le varie specie di me- tafore summenzionate, e cioè mil. bresc, pelanda “ donna di mal affare ,, mil. pelandon “ chi porta la zimarra , (la qual voce è pure in com. col senso di “ cencioso ,, poichè ivi pelanda signi- fica anche “ abito a brandelli ,), com. pelandari “ uomo alto e dappoco ,, pelandona “ baldracca , (a quest’ultima il Monti s. v. raffronta sp. pelandusca “id. ,, la quale, isolata com'è nel les- sico castigliano, sembra un lombardismo, e più precisamente lomb. pelanda ampliata con quell’ -usco, che è suffisso peculiare APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 1001 a Spagna: cfr. P. Foerster, Spanische Sprachlehre, Berlin 1880, p. 225, Meyer-Liibke, Gram. der rom. Spr. II, 559). Assunte tali accezioni, pelanda (co’ suoi derivati) natural- mente doveva accostarsi da una parte al dalandra nostrano, di cui sopra, nonchè al com. malandra “ persona dissoluta , (epi- ceno, come esso dalandra in Tirolo: il che può esser riprova che si tratti di sostantivo usato metaforicamente), e dall’altra a quelle voci nostre, che il Diez 187 sg. (= Kérting, num. 8806) desume dal ted. schlendern “ girellare oziando ,, e cioè piem. mil. com. bresc. slandra “ prostituta ,, mil. com. piem. slandrén “ bardassa (a M.) — dissoluto e vagabondo (a €.) — trascurato negli atti e nel vestire (in P.),, bresc. slandrà “ vagabondo e fannullone ,, venez. slandrona “ sudiciona ,, it. landra “ donna di mal affare ,. (Come s'è visto, già lo Schuchardt, 1. c., pensò a questo vocabolo .it.: ultimo di una serie di accostamenti, a’ quali per altra via e indipendentemente da lui ero pervenuto io stesso). E l’affinità logica ebbe conseguenze fonetiche, giacchè tra le voci diverse s'avverò una contaminazione, per la quale l'e atono di pelanda si assimilò all’a tonico seguente e nell’interno della sillaba finale si sviluppò l’r inorganico. Epperò troviamo pavese palandra “ sguaiata, sgualdrina ,, veneziano palandrana “ prostituta ,, piem. plandra “ donna scioperata — sgualdrina , (che a’ tempi dello Zalli dicevasi pure d’uomo fannullone: dunque epiceno, come tirol. dalandra e com. malandra) e plandrén “ ozioso, scioperato ,, gen. pellandron “ fuggifatica , e pellan- dronna “ donna di mal affare ,. Quanto poi ad it. palandra “ abito , (e derivati -ana -ano ecc.), apparendo essa soltanto in forma lontana dall’etimo, può forse dirsi calata dal nostro Settentrione, e se, come afferma il Mussafia, 1. c., esiste od esistette un pavese palandra nel senso di “ veste ,, si ha in essa l'esemplare lombardo. Per contro mil. dalandran (che significa pure “ sciocco , e pel quale il Salvioni, Fonetica del dialetto moderno della città di Milano, Torino 1884, p. 217, segue lo Schneller, Rom. Volksm. 110) ed ant. nap. dalantrano sembrano doversi ritener mutuati a sp. dalandran, ove si consideri che in Italia posseggono questa voce con labiale sonora all’inizio soltanto quelle due regioni, che ne’ tempi andati furono provincie di Spagna. 1002 ATTILIO LEVI N Nora. Sic. palantranu è forse il nap. dalantrano con sorda iniziale per analogia di palantra, che a sua volta dovrà all’influsso di palantranu la dentale sorda interna. D'altra parte sic. palandranu ed ant. sard. log. pa- landra possono essere italianismi. dx Sicchè, riassumendo, da due soli stipiti, ol. dijlander e fr. | houppelande, procede la numerosa schiera de’ vocaboli qui trat- — tati, 1 quali si sono poi dispersi per la Romanità occidentale tenendo, forse, questa via. Dati i rapporti, che la Spagna ebbe in passato coll’Italia e | i Paesi Bassi, è al tutto verosimile che dalandra sia stata dagli Spagnuoli tolta direttamente all’Olanda e recata a noi. D'altra parte fr. houppelande penetrato nel nostro Setten- trione vi si estese e incrociatosi con voci omofone si alterò ed ampliò variamente, e in varia forma discese nella restante Italia (nè forse in età molto remota: almeno l’esempio più antico, che di it. palandrana rechino i lessici, è del sec. XVI). Poscia sp. balandra “ naviglio , e it. palandra “ veste , do- vettero incontrarsi: e ne seguirono scambî e influssi vicendevoli. Lo sp. balandra in Italia sotto l’azione di palandrano divenne : palandra “ naviglio ,: reciprocamente palandrano passato in Ispagna per analogia di dalandra si mutò in dalandran, e in questa nuova forma si diffuse per tutta la penisola iberica, donde da una parte migrava in Provenza, che lo diede alla Francia, mentre dall’altra ritornava fra noi (a Napoli e Milano). E così la contaminazione spiega quell’alternanza db:p (ba- landra: palandra, palandran: balandran), che, come trapasso spontaneo, sarebbe difficile ad ammettersi in formula iniziale. Nora. Ferme rimanendo la mediazione spagnuola per lomb. dalandra “ naviglio, non è da escludersi, in considerazione di blat. palandaria “ id. , (2* metà del sec. XV), la possibilità che sia importazione marinaresca anteriore agli in- flussi di Spagna. e l’azione analogica di palandra “ veste ,, per palandra It. bagascia. Questo vocabolo, denominazione disonesta di disonesta per- sona, è forse un notevole esempio di quel peggioramento di si- APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 1003 gnificato, nel quale non può certo scorgersi (come altri volle: cfr. M. Bréal, Essai de sémantique, Paris 1897, p. 109 sgg.) una tendenza generale del linguaggio, ma che in talune particolari categorie è innegabile. Fu già variamente etimologizzato. Il Diez 35 indicava tre possibili derivazioni: 1. da una base daga “ pacco, involto, far- dello , (cfr. Kérting, n. 1154) ampliata col suff. lat. -aceo-; e notava egli stesso come questa combinazione non dia senso sod- disfacente. 2. dal celtico back “ piccolo , (cfr. Kòrting, n. 1140). 8. dall'arabo b@gez “ vergognoso , (già proposto dal Muratori) ovvero bagî “ prostituta ,. Similmente il Pihan, Dictionnaire étymologique des mots de la langue frangaîse dérivés de l’arabe ete., Paris 1866, p. 54, e l’Eguilaz y Yanguas, Glosario etimoligico de las palabras espa- Nnolas de orfgen oriental, Granada 1886, p. 331, la trassero dal- l'arabo daguiyya o fahixca “ cortigiana , (cfr. Kòrting, n. 1159). Infine il Korting, nn. 1131. 9961 propone una spiegazione sua (od almeno riferita senza nome d’autore), giusta la quale la voce in discorso discende da un lat. *vagacea, derivato di vagus. Ora: delle derivazioni dall’arabo io, ignaro di lingue semi- tiche, non so dar giudizio. Mi par tuttavia che non siano da accogliersi, perchè è in esse quello, che a mio avviso è in questa ricerca l’error fondamentale, cioè il muovere dal concetto di “ prostituta ,. E per la stessa ragione respingerei pure il *vagacea postu- lato dal Korting, ma non solo per questa, giacchè 1° resta a vedersi se qui si abbiano le condizioni, in cui s'avvera quel tra- passo di originario v iniziale in è, che è tra i problemi della fonetica romanza (cfr. Meyer-Liibke, Gramm. d. rom. Spr., I 338 sgg., Gramm. st.-comp., 91 sg.); 2° nel campo latino il suff. -acea- di regola s’unisce soltanto a sostantivi (cfr. Meyer-Liibke, Gram. d. rom. Spr., II. 457 sg.). Sicchè direi che al Kérting abbiano suggerita l'ipotesi da una parte il lat. vu/9ivaga, sopran- nome di Venere (cfr. Pauly, Real-Encyclopidie der klass. Alter- tumswissenschaft, VI. 2773), e dall’altra il basso lat. bagasea. Ma la reminiscenza classica, conscia od inconscia che sia, è qui per lo meno inopportuna: e la voce di bassa latinità, se pure non è forma latineggiante, prova soltanto che col suff. -aceo- fu am- pliata l’ignota radice. 1004 ATTILIO LEVI * ML Vediamo dunque di tentare altra via. Accanto ad it. dagascia, ant. prov. baguassa, neoprov. ba- gasso, fr. bagasse (mutuàto al prov. giusta il Dict. gén.), cat. bagassa, sp. bagasa, che tutte significano “ donna di mal affare ,, sì trovano prov. dagas “ giovanetto ,, ant. fr. daiasse “ fantesca ,, sic. guajassa “ femmina di bassa condizione e, talvolta, di non buona fama , e nap. vajassa “ serva , (francesismi ?), e, con suf- fissi diversi, mil. dagaj, dagaja “ fanciullo, fanciulla ,, venez. da- gagio, bagagia “id. id. ,, gen. dagarillo “ fanciullo , Nora 1. Ptg. bagara (Diez, 35) ovvero bdagaza (Kòrting, n. 1131) manca a’ lessici ptg., di cui dispongo. Nora 2. A Gaston Paris, Romania, XXIV, 311, prov. bagas pare imma- ginario: è però registrato dal Mistral. Per contro ben a ragione afferma di non conoscere l’it. baiazzo citato dal Suchier, Zeitschr. f. rom. Phil., XIX, 104, e dal Kòrting, nn. 1131, 1154, 9961: infatti è ignoto pure al Tommaseo- Bellini ed alla Crusca?. i Nora 3. Da quel tema, da cui discende gen. iagaldlati fanciullo ,, direi derivato pure sp. bagarino “ marinaio , [che l Eguilaz y Yanguas, GI. etim., s. v., trae dall'arabo dahari £ id. ,: sul che non posso pronunciarmi: v. sopra]. Infatti 1° di passaggio analogo dal concetto di “ giovine , a quello di © ma- rinaio, avremmo un esempio in sp. mozo “ giovanotto ,: it. mozzo, fr. mousse (cfr. Kòrting, n. 6421); 2° dato questo raffronto, sarebbe più agevole spie- gare il sard. log. bagarinu “ basso , (in senso materiale, es. trigu dbagarinu “grano basso ,). Per contro sic. bagarinu “ cattivo, inutile , non dà lume al riguardo: forse si riattacca a sp. dbagarino “ marinaio , e presenta quella stessa accezione psicologica, che è in it. galeotto. Nora 4. Infine è da ricordarsi basso lat. bagarotinus “ frivolo, futile ,, che potrebbe essere tratto qui pel tramite del concetto di “ giovine ,: però, mancandomi ogni elemento di prova, basti il semplice accenno. (14 Questo il materiale primo. Ora, se regge il ravvicinamento di it. bagascia (e simili) colle voci del nostro Settentrione, la più verosimile evoluzione de’ significati richiede che si parta da quella base celtica, che non era sfuggita all’immensa dottrina del Maestro. Infatti, a chi muova dall’idea di “ prostituta , non è age- vole passare a quella di “ serva ,, ed è addirittura impossibile giungere a quella di “ bimbo, bimba ,. Per contro, si prendano le mosse dal concetto di “ piccolo ,, e sarà facile comprendere il processo ideologico, sia che si voglia supporre che i tre sensi Pr all ALLA APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 1005 “ persona giovine — serva'— prostituta , rampollino l’uno dal- l’altro sì da costituire una serie continua, sia che si ritenga (come mi par più probabile) che il concetto primitivo si sia svolto in due direzioni diverse. Dunque: la base pare dach, forma cimrica di un tema cel- tico dekko- significante “ piccolo , (cfr. A. Fick, Vergleich. Wòr- terbuch der idg. Sprachen, 4% ed., Gòttingen 1894, vol. II, p. 166, ed A. Holder, A/?-celtischer Sprachschatz, Leipzig 1896, vol. I, p. 364). Dal concetto di “ piccolo , a quello di “ giovine , il tra- passo è quasi insensibile, e da “giovine , a “ servo , è così naturale che ne porgono esempî le lingue antiche e moderne: si ricordino gr. maîc, lat. puer “ fanciullo — schiavo ,, fr. garcon “ cameriere ,, sp. criado, che in antico significò “ allievo , (in senso biologico), ora significa “ servo , (cfr. per quest’ ultimo N. Caix, Studi Wi etimologia italiana e romanza, Firenze 1878, num. 300). E la lista potrebbe agevolmente essere accresciuta. Similmente, pel passaggio da “ giovine, piccolo , a “ per- sona di mala vita , si possono citare puttana da putta, che ri- sale a lat. putus, derivato di puer (così il Meyer-Liibke, Gramm. stor.-comp., p. 168: altrimenti, ma con verosimiglianza minore, il Korting, n. 7578), fr. garce, fille “ fanciulla — prostituta ,, nonchè fr. mignon “ grazioso, carino — cinedo , (cfr. Kérting, n. 6173). Nora. Ulteriori raffronti semasiologici potrebbero aversi 1° in it. dar- dassa, che in piem. è o fu voce scherzevole a significar “ fanciullo, mar- mocchio ,, se realmente derivasse dall’arabo dardag “ schiavo , (come dub- biosamente propone il Diez, 42); 2° in sic. garrusu £ cinedo , (dall’ arabo giusta l’Avolio, Introduzione allo studio del dial. siciliano, Noto 1882, p. 43 e il De Gregorio, Studi glottologici italiani, III, 238), se in qualche modo si connettesse con sic. nap. carusu “ ragazzo ,, che non felicemente, mi pare, il Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo 1885, p. 78, trae dal gr. keiperv “ tosare ,. Dato quanto precede, giacchè detta base celtica sembra tro- varsi con senso più vicino all'origine in mil. gen. e venez., par lecito concluderne che nel territorio romanzo essa base è partita dall’Italia settentrionale, antica sede de’ Celti (cfr. Meyer-Liibke, Einfiihrung in das Studium der romanischen Sprachwissenschaft, Heidelberg 1901, p. 36), e che delle nostre voci dialettali è una 1006 ATTILIO LEVI variante morfologica quel *bag-aceà, che acquistò l'idea di “ serva , in Francia, da cui passò nel nostro Mezzogiorno, mentre assunse quella di “ cortigiana , in Provenza, donde si diffuse nel resto della Romanità. It. vivanda. Il Diez 698 a causa dell’a interno la disse mutuata a fr. viande, la quale anteriormente a lui (cfr. Raynouard, Lexique roman, V. 556) venne tratta dal lat. vivenda. E questa deriva- zione di viande fu accettata non solo da esso Diez ibidem, ma da una schiera di lessicografi e grammatici: cfr. Littré, il Diet. gén., Scheler, Dict. d’ét. fr. s. v., lo Schwan, Grammatik des Alt- franzòsischen, Leipzig 1888, p. 23, il Brunot in Petit de Julle- ville, Histoire de la langue et de la littérature frangaise, Paris 1896, vol. II, p. 470, il Nyrop, Grammaire historique de la langue francaise, Copenhague 1899-1903, I. p. 114, 188, 343, 383. IL p. 4. Solo, ch'io sappia, il Kérting, num. 10266, si mostra dub- bioso al riguardo sia per il senso, a parer suo, non soddisfa- cente, che darebbe il gerundivo di lat. vivere, siasper il supposto scadimento di v intervocalico: epperò trae viande da vitanda, cioè “il cibo, da cui bisogna astenersi ne’ giorni di vigilia, la carne ,. Ora, delle due obbiezioni del Kòrting mi pare destituita di fondamento la prima (d’ordine semasiologico), gravissima la se- conda. E perciò non inutile riprendere in esame la intera qui- stione, avvertendo che i dati cronologici, ove manca speciale indicazione, sono attinti alle fonti lessicali sopra elencate. * x Fr. viande è parola assai antica (sec. XI: cfr. Godefroy, Complément s. v.) e assai diffusa: ant. prov., cat., sp., ptg., sard. mer. vianda, ligure vionda (per quest’ultimo cfr. T. Zanardelli in De Gregorio, Studi glottologici italiani. II. p. 103). Nora. Trascurabile mi pare it. vianda (cfr. Tommaseo-Bellini), essendo isolato e tratto probabilmente da una scrittura tradotta dal francese. Vediamo ora se e come si conciliano colle etimologie pro- poste queste condizioni di fatto. APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 1007 I. Dato l’etimo vivenda, sono possibili due ipotesi. 1° La voce viene dal latino volgare. Infatti si potrebbe ricordare che in questo il v intervocalico mostra una cotal ten- denza allo scadimento: menzionerò, per citar esempîì del suono in condizioni simili, Noembris, iuentus per Novembris, iuventus (cfr. W. M. Lindsay, The latin language, Oxford 1894, p. 52, F. Brunot, Histoire de la langue francaise, Paris 1905, vol. I, p. 71). Ma d’altra parte nelle lingue romanze esso v si mostra così lar- gamente mantenuto da doversi credere o che la tendenza si sia arrestata prima dell’esistenza individuale de’ linguaggi singoli 0 che in questi si sia avverata con grande coerenza e continuità una restituzione seriore del v sovratutto grazie a spinte analo- giche (cfr. Meyer-Liibke, Gramm. d. rom. Spr., I. p. 370, 375, Einfiihrung, p. 128 sg.), sì e come è avvenuto dell’? consonante nel greco antico (cfr. G. Meyer, Griech. Gramm., 3* ed., p. 293, Brugmann, Griech. Gramm., 3% ed., p. 34). oltre, dato lo scadimento, nel caso nostro particolare do- vremmo in qualche parte del territorio romanzo trovare * vienda, mentre invece il basso lat. e l’ant. provenzale ci porgono vivenda, sostantivo femminile col significato generico di “ cibo ,. Con che l'ipotesi cade di per sè stessa. 2° L’altra supposizione, che può avventurarsi, è che viande sia voce pretta francese e che mutuata a Francia debba dirsi a causa dell’a interno cat. sp. pig. vianda. Ma allora (facendo pel momento astrazione dalla question del mutuo) insorgono gravissime le difficoltà fonetiche: in fran- cese v intervocalico davanti ad «, e, î non è mai caduto, ed e davanti a nasale + consonante non è passato in « che verso la fine del sec. XI (cfr. Nyrop, Gramm. hist., I. p. 348, 187. Brunot, Hist. d. L. l. fr., I. p. 166, 157). Ora, viande si trova già in quella prima redazione della Vie de Saint Alexis, che risale alla metà d'esso sec. XI (cfr. Petit de Julleville, Hist. de la langue et de la littér. fr., Parts 1896, I. p. 2 sg.). Dunque, sotto il rispetto fono- logico, non è assolutamente possibile che viande derivi da vivenda. Nora. Lo Schwan, Gramm. d. Altfr., p. 23, crede che in viande il v in- terno di vivenda sia caduto per dissimilazione: ma non bene conforta l’ipo- tesi con esempî, in cui il suono caduto è diverso dal v od è v in condizioni diverse. E una sincope dissimilatoria vi scorge pure il Nyrop, Gramm. Rist. I, p. 114, 343, 383, il quale a riprova del fatto cita oltre al viande contro- 1008 ATTILIO LEVI verso l’ant. fr. ria “ presto, tosto ,, per cui egli postula una base *vivacenm. Ma ant. fr. viaz (il quale è anche in prov. e cat. antichi, e che il Diez, 698 seguito dal Gròber, Arch. f. lat. Lex., VI, 145, e dal Kòrting, num. 10264 trae da vivacius, comparativo neutro di vivar) può non presentare il v in- terno, perchè rifatto su fr. vie “ vita ,, come ad influsso di aprov. via “ vita , possono esser dovuti aprov. viatz accanto a vivate ed aprov. viacier accanto a vivacier ‘* vivace ,. [Quanto al cat., che sonorizza ma non espelle # inter- vocalieo (cfr. Gròber, Grundriss der romanischen Philologie. Strassburg 1888, vol. I, p. 680: del qual 1° vol. esce ora a dispense la 2* edizione, ma non è ancora giunta alla parte, cui qui si rimanda, cioè a Das Catalanische di A. Morel-Fatio), viatz è secondo ogni verisomiglianza un provenzalismo]. Sicchè mi par discutibile, almeno per questo suono in queste condizioni, l’accidente fonetico stesso. In secondo luogo il Nyrop, o. c., I, p. 188, vede nell’a, che in viande sostituirebbe l’e originario, non un fatto fonetico, ma un fenomeno d’ana- logia, cioè un trapasso dalla 3* coniugazione alla 1%, ed a viande raffronta offrande da offerenda e buvande da bibenda. Ma il raffronto non regge, perchè viande è, come vedemmo, assai antico, mentre offrande è di gran lunga posteriore (la forma antica è ofrende e fu assai resistente, poichè la si trova ancora nel sec. XVI: cfr. Godefroy, Complément s. v.) e buvande pure non s'incontra che nella 2* meta d’esso sec. XVI. E del resto, in tesi generale, tutti codesti pretesi trapassi analogici de’ verbi francesi dalle altre coniugazioni alla 1° potrebbero in massima parte essere semplice- mente le risultanze di una legge fonetica, e cioè il menzionato passaggio in a di e davanti a nas. + cons. II. Dato l’etimo vitanda, vocabolo verosimilmente ecclesia- stico, si resta nell’ambito del Medio Evo cristiano e (poichè in francese più che in ogni altra parte del territorio è antico e ‘costante lo scadimento della dentale intervocalica: cfr. Meyer- Liibke, Gramm. d. rom. Spr., I. p. 362 sg., Brunot, Hist. d. L. 1. fr., I. p. 166) si rimane in Francia. Ma cat. sp. ptg. vianda significa “ cibo, alimento , in genere: così pure in ant. prov., ove solo in via d’eccezione ha il senso di “ carne ,: e in Francia, presunta patria del vocabolo, viande si riscontra bensì talora (e fin da’ primi monumenti della lingua) col significato di “ carne ,, ma il senso, che predomina e che perdura fino a tutto il sec. XVII, è quello generico di “ cibo, alimento ,. Ciò posto, niuno vorrà credere che il cibo sia stato detto mai “ la cosa da evitarsi ,. APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA 1009 Dunque etimi soddisfacenti non sono nè vivenda nè vitanda. Eppure non debbono porsi nel novero delle ipotesi infondate: infatti vivenda sostantivato ebbe, come s’è visto, esistenza reale nel basso lat. e nell’ant. prov.; e vitanda sembra trovar chiara conferma in quel sardo logudorese vidanda, variante bdidanda, di cui fa parola T. Zanardelli (in De Gregorio, St. glott. it. IL 103, senza tuttavia scostarsi dall’etimo vivenda) e che significa “ pasta da minestra ,: senso, che non esclude la base vitanda, sia perchè nel vocabolo potè essersi avverata una concepibilis- sima deviazione semasiologica, sia perchè (com'è noto) non sol- tanto la carne, ma più altri sono i cibi da evitarsi ne’ giorni di vigilia. Soltanto, vivenda e vitanda non bastano alla soluzion del problema, ma vi occorrono altri elementi che sembrano offerti dal basso latino. Ivi accanto a vivenda troviamo vianda “ tico, provvista di cibi per viaggio , e vivanda “ cibo, alimento ,, sì e come vivenda. Ora blat. vianda secondo ogni verosimiglianza si connette con quel verbo, di cui si ha il participio presente in it. sp. viandante, cat. viandant, ant. prov. viandan, e ricom- pare in it. provianda “ provvigione da bocca , ed ant. fr. pro- viander “ approvvigionare ,. Vivanda poi è un evidente allotropo di vivenda sorto per la pressione, che su quest’ultimo dovettero esercitare da una parte vianda e dall’altra vitanda. via- Nora. È da osservarsi che blat. vivanda è anteriore ad ogni possibile influsso francese, giacchè è molto antico: appare in un capitolare di Carlo Magno dato nell’ 803 secondo il Baluze (efr. Ducange s. v.), nell’ 810 secondo Bòhmer — Miihlbacher, Regesta imperti, Innsbruck 1880, vol. I, p. 182, mentre fra l' 806 e 1’ 813 lo pone A. Boretius, Capitularia regum francorumi. Hannoverae 1883, tom. I, p: 142 (in Monumenta Germaniae historica. Legum sectio II). E nel documento il contesto stesso giustifica la connessione fatta più sopra di questa voce con vianda : infatti suona: excepto vivanda et fodro quod iter agentibus necessaria sunt. Nè si tratta di un dmraz \Aefbuevov, giacchè questo vocabolo blat. si riscontra più tardi nel sec. XIII. * * * ‘ Dato quanto precede, così ricostituirei la storia della parola. La bassa latinità, anteriormente all’esistenza individuale delle lingue romanze, ebbe per significare i mezzi di nutrizione quattro voci: vivenda e la variante vivanda “ l'alimento in ge- 1010 ATTILIO LEVI — APPUNTI DI LESSICOGRAFIA ROMANZA nere ,, vianda “ il cibo occorrente per viaggio ,, vitanda “ la carne e le altre cibarie vietate dalle prescrizioni della Chiesa ,. E di questi quattro vocaboli, quando fra i popoli neolatini si compì la partizione del comune fondo lessicale, l’Italia tolse e?- vanda, che in qualche parte del territorio romanzo per la stessa ragione, per cui nacque, cioè per la coesistenza di vianda e vitanda assunse forse su vivenda una cotal primazia; la Provenza prese virenda e vianda (che però potrebbe anche essere mutuata alla vicina Francia); i popoli della penisola iberica non riten- nero che vianda “ il viatico , estendendone l’accezione all’ “ ali- mento , in genere (e così, negando l’uguaglianza cat. sp. pig. vianda = fr. viande, si elimina l’ipotesi per sè stessa inverosi- mile che genti varie e numerose e lontane abbiano tutte de- sunto da un altro popolo una voce, che ha tratto a’ bisogni elementari dell’esistenza); per contro la Francia conservò vianda e vitanda, che si fusero in una sola e medesima voce, quando la seconda perdette la dentale protonica: ma dell’originaria dif- ferenza v’ è traccia ne’ due sensi “ cibo , e “ carne ,, che pro- cedettero a lungo paralleli, ma non uguali in frequenza e diffu- sione, finchè al secolare sopravvento del primo succedette, quasi per compenso, l'assoluto dominio del secondo. Nora 1. Rispetto a sard. mer. vianda non saprei se si possa consentire col Porru, che lo trae di Spagna: ma in quanto significa “ pasta da mi- nestra , mi pare vi si debba scorgere l’influsso semasiologico di logudorese vidanda “ id. ,, a cui etimologicamente non può essere uguale, poichè anche nel Campidano # intervocalico non cade (cfr. Hofman, Die logudoresische und campidanesische Mundart. Marburg 1885, p. 101 sg.). Debbo poi passar sotto silenzio ligure vi0nda, che ha ugual senso delle voci sarde succitate, giacchè mi manca ogni elemento per darne giudizio. Nora 2. T. Zanardelli, l. c., crede che anche it. bevanda derivi da fr. buvande (il quale non è propriamente antico, ma antiquato e dialettale : cfr. Dict. gén. s. v.). E per vero, come da lat. facienda e legenda si hanno it. faccenda e leggenda, da lat. bibenda, base indubbia, si aspetterebbe un it. berenda, quale si ha del resto in ant. prov. Ma a toglier ogni fede al- l’ipotesi del mutuo basta il fatto che il nostro bevanda s’ incontra già nel Trecento, quindi è di quasi due secoli anteriore al buvande francese. Dunque, verosimilmente si tratta di un fenomeno d’'analogia: cioè devenda s'è mu- tato in bevanda per influsso di vivanda, che ideologicamente gli è così affine. Maggio 1905. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. IN. T, ACADEMY OF SCIENCES CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI Adunanza del 25 Giugno 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO SENATORE ENRICO D'OVIDIO PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: Naccari, JADANZA, Guipi, Foà, Mo- RERA, SEGRE, MatTIROLO, PARONA, SomieLiANA, FusARI e CAME- RANO Segretario. Il Socio SaLvapori scusa la sua assenza. Si legge e si approva il verbale della seduta precedente. Il Presidente saluta il nuovo collega Prof. SowreLiana. Fin da quando la Facoltà di Scienze di Torino fece voto per la ve- nuta del Prof. Somigliana a Torino era nell'animo dei colleghi di nominarlo nostro Consocio. La Classe è lieta di averlo con sè, e fa voti che nelle nuove sedi e dell’ Ateneo e dell’Acca- demia il Prof. SowreLiana abbia a trovare le migliori soddisfa- zioni. Il Presidente saluta il nuovo Socio Prof. FusaRI che pure da tempo era desiderato collega per i suoi meriti ed a compenso delle amarezze incontrate nei primi anni della sua vita accade- mica a Torino. I Professori FusarI e SomieLIANA ringraziano il Presidente e tutti i Soci, orgogliosi di essere stati chiamati a far parte Atti della BR. Accademia — Vol. XL. 67 PIA 1012 dell’Accademia delle Scienze di Torino che per oltre un secolo e mezzo tenne alto l'onore della scienza italiana. Il Prof. FusarI ricorda fra gli altri i nomi del Crema, del RoLanpo, del Graco- MINI, del Bizzozero, e ringrazia in modo speciale quei Colleghi che per l'affinità degli studîì vollero far rivolgere l’ attenzione degli altri sul suo nome. Il Socio MartIRoLo rende conto del Congresso botanico in- ternazionale di Vienna, al quale venne delegato dalla Classe. Il merito principale di questo Congresso, egli dice, fu di dare ai Botanici un “ codice , delle regole di nomenclatura botanica da sostituirsi a quello di De Candolle che più non rispondeva ai bisogni della scienza. Egli aggiunge ancora che al Congresso si volle onorare in lui il rappresentante dell’Accademia di To- rino, di quella dei Lincei e del Ministero della pubblica istru- zione nominandolo uno dei Vicepresidenti. Il Presidente presenta le pubblicazioni seguenti giunte in dono all’ Accademia: 1° Annuario del R. Museo Industriale Italiano per l’anno 1904-905; 2° Ueber die Genauigkeit der Kriterien des Zufalls bei Beo- bachtungsreihen, del Socio straniero F. R. HELMERT. Il Socio Guipr presenta in omaggio alla Classe il volume quarto delle sue Lezioni sulla scienza delle costruzioni. Il Socio MarTIROLO presenta in omaggio alla Classe la sua nota intitolata: Come le ariste delle Graminacee penetrano e mi- grano nei tessuti degli animali. Il Socio Naccari legge la commemorazione del compianto Socio corrispondente Emilio ViLLari. Il Presidente ringrazia il Socio Naccari della sua bella e sentita commemorazione, che verrà inserita negli Atti accademici. Vengono presentati per l'inserzione negli Atti accademici i lavori seguenti: 1° Dott. Bani, Nicoris e ViriGLIo: Posizioni apparenti di stelle del Catalogo di Newcomb per il 1906, dal Socio JADANZA. 1013 2° G. ViraLi: Sulle funzioni integrali dal Socio D’OvipIO. 3° Carlo Severini: Sopra gl’integrali delle equazioni diffe- renziali ordinarie del secondo ordine con valori prestabiliti in due punti dati, dal Socio D’OvIpIo ; 4° Giovanni Zeno GramBELLI: La teoria delle formole d’in- cidenza e di posizione speciale e le forme binarie, dal Socio SEGRE; 5° Dott. Giovanni IssoGLio: Di alcune nuove basi piridi- niche, dal Socio GUARESCHI; 6° Contributo allo studio delle terminazioni nervose nei mu- l“ Ammocoetes branchialis ,, del Socio FUSARI; scoli striati del 7° Dott. Umberto Prrazzo: Ricerche sulla variazione del- lHydrophylus piceus Linn. Parte II*, dal Socio CameRANO. Il Socio CAMERANO, anche a nome del Socio SALVADORI, legge la relazione intorno alla memoria del Dott. Luigi CoanETTI DE MaRTHS, intitolata: Gli Oligocheti della regione neotropicale. La relazione conchiude favorevolmente per l'accoglimento della me- moria. La Classe alla unanimità approva la relazione e poscia con votazione a schede segrete la stampa del lavoro stesso nel volume delle Memorie accademiche. 1014 ANDREA NACCARI LETTURE EMILIO VILLARI Commemorazione letta dal Socio ANDREA NACCARI. Di Emilio Villari disse egregiamente Antonio Roiti nella commemorazione da lui letta all'Accademia dei Lincei e disse così bene, che può parere superfluo che io qui ne parli. Ma a parlarne mi move il desiderio che negli Attî di questa Acca- demia, la quale da molti anni annoverava il Villari fra i suoi Soci, resti un omaggio al nome di lui. E a questo desiderio un altro si aggiunge, quello di esprimere il mio sentimento di af- fettuoso rimpianto verso un uomo, della cui amicizia mi tenevo onorato. Farò un breve cenno della vita e dell’opere del Villari ri- mandando per i particolari biografici e per la bibliografia alla ci- tata commemorazione del Roiti. Nacque il Villari a Napoli nel settembre del 1836 e in quella città attese agli studi fino a che, per compire il corso universi- tario di medicina, andò a Pisa. L’aveva preceduto in Toscana il fratello Pasquale, l'illustre storico. A Pisa potè frequentare la scuola del Felici e ‘dedicarsi agli studi di fisica, ch'egli sopra gli altri prediligeva. Ottenuta la laurea di medicina, anzichè darsi alla professione, cercò d’avviarsi all’ufficio d’insegnante ed ebbe tale incarico nel Collegio medico chirurgico di Napoli. Di là passò ad insegnar fisica nel R. Liceo di Pisa e poscia per un anno potè andare a Berlino nel Laboratorio del Magnus. Nel 1865 ebbe la cattedra di Fisica nel Liceo Dante di Fi- renze, e dal Liceo nella città stessa passò all’Istituto tecnico, dove erano condizioni più favorevoli al lavoro sperimentale. Nel 1871 fu nominato per concorso professore ordinario nel- EMILIO VILLARI — COMMEMORAZIONE 1015 l’Università di Bologna e rimase in quella città fino al 1889, nel quale anno passò all’Università di Napoli. La salute, ch’ebbe sempre malferma, negli ultimi anni andava rapidamente man- cando. Una malattia di stomaco, congiunta forse con altre, lo tormentava. Pure la sua maravigliosa operosità resisteva ai dolori, alla debolezza fisica, alle fatiche dell’insegnamento, che in quella grande Università sono maggiori che altrove. Anzi parve che negli ultimi anni si ravvivasse in lui l’amore per gli studi sperimentali. Ma nel 1902 fu costretto a chiedere un congedo e poi a ritrarsi, con molto rammarico, dalla cattedra di fisica sperimentale a quella di fisica terrestre. L’anno scorso le sue condizioni si fecero gravi: la malattia apportò dolori strazianti, finchè ai 20 d'agosto quella nobile vita si estinse, Non è mia intenzione di passare in rassegna i numerosi lavori sperimentali del Villari. Ne sceglierò alcuni gruppi, che mi paiono più degni di nota. Il primo scritto scientifico di Emilio Villari fu pubblicato nel 1865 negli Atti dell’Accademia di Berlino, poi con maggiori particolari negli “ Annali del Poggendorff , e nel “ Nuovo Ci- mento ,. Fu in quella memoria ch'egli descrisse per primo il feno- meno che porta il suo nome. La questione ch'egli aveva presa a trattare, aveva prima attirata l’attenzione del Matteucei e del Wertheim. Un filo di ferro sia appeso fermamente col suo capo superiore e sostenga col capo inferiore un piatto di bilancia, dove si possano porre dei pesi. Il filo stia lungo l’asse d’una spirale di filo di rame. Se questa vien percorsa da una corrente, il filo di ferro si magnetizza. Poniamo che si mantenga costante questa corrente e quindi il campo magnetico da essa prodotto, e che si aumenti il carico. Era stato osservato dal Matteucci che allora l'intensità di magnetizzazione del filo cresceva. Il Villari scoprì che se si va aumentando successivamente il carico, l'intensità di magnetizzazione del filo va crescendo fino ad un certo punto e poi decresce. È questo il fenomeno che è cono- sciuto sotto il nome di fenomeno del Villari. Questi fenomeni sono in generale complicati. Essi dipendono dalle qualità del 1016 i ANDREA NACCARI ferro o dell’acciaio, dalle operazioni che furono fatte anteceden- temente sul metallo, dalle azioni magnetiche, cui esso fu prima assoggettato, dall’intensità del campo magnetico, dai valori della forza stirante. Il Villari studiò l'argomento variando in più modi le condizioni sperimentali, ma non potè naturalmente dare al suo primo studio tutta l'estensione che meritava, perchè la co- noscenza dei fenomeni magnetici era a quei tempi molto imper- fetta. Egli distinse nelle sue esperienze due periodi. Nel primo di questi, che comincia quando ha principio la magnetizzazione e finisce quando il momento magnetico ha raggiunto un certo valore, un aumento e una diminuzione della forza stirante pro- ducono gli stessi effetti, e propriamente un aumento di magne- tizzazione, ed equivalgono ad un urto meccanico. Nel secondo periodo i fenomeni sono più complicati e più difficili da spiegarsi. Nella stessa memoria il Villari studiò gli effetti prodotti in un filo o in un tubo di ferro, che sia posto in un campo ma- gnetico, da una corrente che li percorra, e mostrò l’analogia che esisteva tra questi effetti e quelli prima accennati. Una corrente, che attraversi un filo di ferro, lo magnetizza trasversalmente. Essa tende quindi a dare alle molecole una speciale orientazione e gli effetti possono esser diversi a seconda del grado di ma- gnetizzazione longitudinale già raggiunto, dell’intensità del campo magnetico, delle proprietà speciali dell'acciaio o del ferro. In un altro lavoro pubblicato nello stesso anno il Villari studiò quali effetti producesse una spirale magnetizzante, quando agiva sopra acciaio già magnetizzato, o per aumentare la ma- gnetizzazione, o in senso opposto. Egli partiva dal concetto che le modificazioni prodotte nella magnetizzazione del ferro e del- l’acciaio da una variazione del campo magnetico dipendono dallo stato magnetico preesistente dei metalli stessi e, se egli avesse approfondito ed esteso questo studio, ne avrebbe tratto conclu- sioni molto importanti, a cui altri sperimentatori giunsero pa- recchi anni dopo. A questi primi scritti si lega l’altro pubblicato dal Villari nel 1869 sul magnetismo trasversale del ferro e dell’acciaio. Egli aveva già osservato nelle sue prime esperienze che se si batte un’asta di ferro, la quale sia stata percorsa nel senso della lunghezza da una forte corrente, vi si produce una cor- rente elettrica che ha lo stesso senso della prima. Dimostrò che i ; r ; EMILIO VILLARI — COMMEMORAZIONE 1017 questa corrente era prodotta dal fatto che gli urti diminuivano il magnetismo trasversale prodotto dalla prima corrente. Nella stessa memoria sono riferite l’esperienze fatte per studiare come una corrente che percorre un filo di ferro influisca sulla sua elasticità di torsione. I fenomeni del magnetismo trasversale sono simili affatto a quelli del magnetismo ordinario e ne dif- feriscono soltanto per la diversa orientazione delle particelle. Ritornò il Villari a questi studi nel 1892 dopochè S. Thompson ebbe osservato che una spirale di filo di ferro, la quale sia stata percorsa da una corrente, vien percorsa da un’altra egualmente diretta, se in una spirale di filo di rame che la contiene, si fa pas- sare una corrente. Il Villari pose un tubo di ferro entro una spirale di filo di rame. Magnetizzò il primo trasversalmente fa- cendo passare per esso una corrente o avvolgendolo con filo di rame in modo che il filo corresse lungo le pareti parallelamente all’asse internamente ed esternamente ripiegandosi intorno agli orli. La corrente che percorre il filo di rame, dopo cessata l’altra che magnetizzò il tubo trasversalmente, tende a magnetizzare longitudinalmente il tubo e quindi a diminuire il magnetismo tra- sversale. L'effetto è simile a quello d'uno scotimento meccanico. Lo stesso effetto si ha, quando la corrente della spirale di rame viene interrotta. Così il tubo di ferro perde gran parte del suo magnetismo trasversale. Dopo alcune chiusure e interruzioni della corrente i fenomeni cangiano. Si ha un secondo periodo, nel quale facendo passare una corrente nella spirale di rame, sì diminuisce ancora il magnetismo trasversale, ma, interrompendo quella corrente, lo si fa invece aumentare. Pare che in questo secondo periodo le particelle del ferro abbiano una certa elasti- cità che le fa ritornare alla posizione primitiva, o almeno avvi- cinarsi ad essa quando cessa la corrente della spirale esterna. Fenomeni consimili si osservano se si magnetizza longitu- dinalmente un tubo od un’asta e poi si fa agire su di essi un campo magnetico che li magnetizzi trasversalmente. È ciò che il Villari dimostrò con altra memoria pubblicata nel 1893. Meritano speciale menzione l’esperienze del Villari sull’ef- flusso del mercurio per tubi capillari. Egli dimostrò che il mer- curio, benchè non bagni il vetro, segue le leggi del Poiseuille, come i liquidi che bagnano il vetro. Questo lavoro fu pubbli- cato nel 1876. 1018 ANDREA NACCARI Importanti sono pure l’esperienze fatte dal Villari a Bo- logna nel 1878 sul potere emissivo e sulla diversa natura del calore emesso da varie sostanze riscaldate sino a 100°. Quasi per una decina d’anni, dal 1879 al 1889, il Villari attese ad una serie numerosissima e laboriosissima di esperienze sugli effetti termici e galvanometrici delle scintille dei condensatori e sulla influenza delle condizioni diverse, in cui il fenomeno av- viene. Un tal lavoro esige grandi cure, perchè le cause d'errore sono numerose e molto efficaci, e forse l'argomento non me- ritava che il Villari vi si trattenesse così a lungo e consacrasse ad esso tante fatiche, perchè le leggi dei fenomeni si conoscevano dalla teoria, e le divergenze sperimentali dipendono da cause diverse e accidentali, la conoscenza delle quali non ha grande importanza. Nel dicembre del 1895 il Ròntgen scopriva i raggi che por- tano il suo nome e ognun sa come tale scoperta destasse uni- versale maraviglia e desse origine a moltissime indagini speri- mentali. Il Villari si diede a queste indagini con operosità giovanile. Cominciò con l’esaminare se quei raggi producessero calore e non ne trovò indizio. Cercò invano quei raggi nelle radiazioni emesse dai corpi fosforescenti e dalle scintille elettriche. I raggi Réontgen scaricano i corpi elettrizzati. Il Villari osservò che la scarica avviene in egual misura per le due specie di elettricità. Fsaminò pure quale influenza avesse la natura del metallo e lo stato della sua superficie. Valendosi del metodo dell’elettroscopio anzichè di quello fotografico seguito da molti, studiò la trasparenza di varì corpi per i raggi Rontgen. Studiò poi la natura delle cariche che si manifestano sulla superficie dei tubi Crookes quando sono attivi. Il fatto che un conduttore elettrizzato posto dietro uno schermo di piombo viene scaricato da un tubo Réntgen, va at- tribuito all'aria, che viene ionizzata dai raggi emessi dal tubo, e giungendo così modificata al conduttore ne promuove la sca- rica. Il Villari fece molte esperienze che contribuirono a met- tere fuor di dubbio quella interpretazione. Studiando anche fotograficamente il fenomeno, egli credette di osservare che in piccola misura i raggi Roòntgen realmente si flettessero dietro un diaframma opaco. EMILIO VILLARI — COMMEMORAZIONE 1019 Volle pure il Villari indagare quanto duri la proprietà sca- ricatrice che i gas acquistano quando vengono attraversati dai raggi Roòntgen. In altra nota dimostrò che l’aria mista a vapori d'etere o di solfuro di carbonio, attraversata da quei raggi sca- rica l’elettroscopio più rapidamente dell’aria pura, ma perde questa proprietà più rapidamente dell’aria pura. Anche le scintille elettriche ionizzano l’aria. Il Villari pensò che questa modificazione dell’aria, la quale aumenta la condu- cibilità elettrica, aumentasse anche la conducibilità termica. Ne ebbe la conferma spingendo una corrente d’aria contro una spi- rale di filo di platino che una corrente portava al color rosso. Quando l’aria era modificata dalle scintille, la spirale si raffred- dava e diventava quasi oscura. L’aria che abbia acquistato la facoltà di scaricare i corpi elettrizzati, perde questa proprietà, come il Villari osservò, quando venga a contatto di un corpo elettrizzato. Alcune esperienze vennero eseguite facendo passare attra- verso un ozonogeno l’aria che era stata ionizzata dai raggi. Questa vi perdeva l’attitudine a scaricare i corpi elettrizzati. L’ozonogeno continuava a produrre tale effetto anche dopo che s'era cessato di fornire elettricità alle sue armature, perchè queste per un certo tempo restavano cariche. Anche l’aria mo- dificata dalle scintille venne fatta passare per l’ozonogeno e i risultati dell'esperienza furono simili a quelli prima osservati. La conducibilità elettrica dell’aria modificata dai raggi Rontgen venne studiata dal Villari e venne pure studiato l’ef- fetto che in essa si produceva attraversando tubi di rame, di piombo, di vetro o di caucciù. L’aria vi perde gran parte della sua conducibilità e così avviene in tubi molto più brevi, se in essi stanno dei fasci di fili metallici. L'aria modificata dai raggi Rontgen carica elettricamente delle grandi superficie metalliche o non metalliche, con cui venga in contatto. Costruì il Villari dei filtri con tubi di ottone, nei quali collocò dei diaframmi di tela metallica isolati. I filtri si caricarono positivamente e l’aria uscì quasi allo stato ordinario. Ma in altri casi le cariche furono di segno opposto e il Villari si convinse che i risultati dell'esperienza non dipendevano dalla natura dei metalli adoperati, ma bensì dal modo in cui il con- tatto dell’aria col metallo e lo sfregamento avvenivano. 1020 ANDREA NACCARI — EMILIO VILLARI - COMMEMORAZIONE Ho ricordato così brevemente alcune parti dell’opera del Villari. L'elenco dei suoi scritti mostra come egli, dacchè potè disporre di un laboratorio, non cessò mai di sperimentare, mostra come soltanto la malattia che lo condusse alla tomba, abbia arrestato la sua mano. Emilio Villari fu schietto amico del vero e del giusto, senza riserve, senza esitazioni. Poco curante, com'era, delle forme, potè forse non piacere, o spiacere a taluno, ma chi lo conobbe da presso seppe quali fossero i pregi altissimi dell'animo suo e del suo cuore. Salu- tiamo con riverenza ed affetto la memoria di lui, che compì la sua missione di scienziato e d’uomo dabbene, camminando di- ritto per la sua via senza cercare il plauso e gli onori del mondo. GIUSEPPE VITALI — SULLE FUNZIONI INTEGRALI 1021 Sulle funzioni integrali. Nota di GIUSEPPE VITALI a Genova. Come già in altra mia nota (*), noi diremo che un gruppo ‘ di intervalli presi sopra una medesima retta è un gruppo di intervalli distinti, quando due qualsiansi di questi intervalli non hanno punti interni comuni, ed ampiezza di un gruppo di inter- valli la somma delle lunghezze dei singoli intervalli del gruppo. Sia F(x) una funzione finita della variabile reale x in un intervallo (a, 5), ed a0) esiste un numero u>0 tale che sia minore di 0 il modulo dell'incremento di f(x) in ogni gruppo di ampiezza minore di u di intervalli parziali di (@,d) distinti, si dirà che (x) è assolutamente continua. Infine diremo che (x) è în (a, b) una funzione integrale se e soltanto se esiste in (a, è) una funzione f(x) finita e somma- bile (**), per cui Fe) — F(a) = | f(a)de, per ogni x tale che asx0. Indichiamo con u(0) il limite superiore dei valori di yu, tali che sia minore di o il modulo dell'incremento di F(x) in ogni gruppo di ampiezza minore di u di intervalli parziali di (a, 5) distinti. Sia x, un punto di (a, 5), per ogni x tale che a “xd e che ja — xo] < (0) è | F@) — F(a)|<0. Segue subito che: Una funzione assolutamente continua in (a, b) è continua in ogni punto di (a,b). Noi possiamo dividere (a, 6) in » parti uguali, » essendo un Oo = | F(a) — F(a,_)|>20. = Delle differenze F(a,) — Fl(a;_), alcune potranno essere posi- tive ed altre negative. Indico con P la somma delle positive, e con N la somma delle negative. Sarà: P+|N|>2o, e quindi o P>0 o |N|>o. Ciò mostra subito l’esistenza di un gruppo di ampiezza mi- nore di u(0) di intervalli parziali di (a, 6), in cui il modulo del- l'incremento di F(x) è maggiore di 0. Si deve concludere che: Una funzione assolutamente continua in (a,b) è a variazione limitata. Ma una funzione può essere continua e a variazione limitata, senza essere assolutamente continua. (*) Vedi LeseseuE, loc. cit., p. 50 e seg. SULLE FUNZIONI INTEGRALI 1023 Per veder ciò si scelga su (a, 6) un gruppo G di punti che sia perfetto e di misura nulla. Il gruppo complementare sarà costituito dai punti interni ad un gruppo di segmenti a due a due distinti e senza estremi comuni. Indico con (a,, 8,) uno qual- siasi di questi segmenti. Poi considero un intervallo (0, 1) nel quale chiamo y la variabile. Ricordando la dimostrazione che Cantor dà per provare che un gruppo perfetto ha la potenza del continuo, noi possiamo stabilire fra G e (0,1) una corrispon- denza tale che ad ogni punto di G corrisponda «n punto di (0, 1), agli estremi di un medesimo intervallo (a,,,) corrisponda un medesimo punto y, di (0, 1), ad ogni punto di (0, 1) diverso dai punti y, corrisponda un punto di G, se x e x sono due punti di G non estremi di un medesimo intervallo (a,, B,) ed y e 7 sono i punti corrispondenti in (0, 1), a seconda che 2 > 0 2 Y 0 Y0, io posso trovare un gruppo di intervalli par- ziali di (a, 6) distinti rinchiudente tutto il gruppo G ed avente un'ampiezza minore di u, e l'incremento della funzione consi- derata in tale gruppo di intervalli è uguale ad 1. $ 2. — Le variazioni totali (*) di una funzione assolutamente continua sono assolutamente continue. Dimostrerò il teorema per la variazione totale positiva. Allo stesso modo si potrà dimostrare per quella negativa. Consegue poi allora che è vero per la variazione totale. Sia (x) una funzione assolutamente continua. Conservo per essa le notazioni del $ precedente. Sia P(x) la sua variazione totale positiva. Siano (a,, p,) degli intervalli distinti formanti un gruppo di ampiezza minore di p(0). Sia e un numero positivo piccolo a piacere ma non nullo ed Cap Egi a, 6 da (*) Vedi per la denominazione, Lesescue, loc. cit., pag. 51. . STO IS 1024 GIUSEPPE VITALI una successione di numeri pure positivi e non nulli, tali che Te, a,; tali che F(8,..) = F(a,.), e tali che l’espressione 2; F(8,,.) — FG, differisca da P(8,)) == Pa.) per meno di €,. Allora x} PB) — Pay) differisce da Z) F(B,,) — Ha, per meno di e. Ma È HB) — (0,3): < perchè (x) è assolutamente continua. Dunque x} P(B) — Pla){<0+e. Ma e è piccolo a piacere. Dunque x} P(R) — Pla){<0.. Di qui risulta che P(x) è assolutamente continua. c.d. d. Ricordando le proprietà delle funzioni a variazione limi- tata (*), consegue allora subito che: Una funzione assolutamente continua è la differenza di due funzioni assolutamente continue non decrescenti. (*) Vedi LeBESGUE, loc. cit. Vik Ù ? a no = ( Mer sl ' a É FI du SULLE FUNZIONI INTEGRALI 1025 $ 8. — Sia f(x) una funzione di variabile reale, finita, ma non necessariamente limitata, in un intervallo (a, 0), con ap. | Manifestamente la v0) = |, Ade Pi è funzione di p, giammai crescente col crescere di p, ed è limy(p)= 0. O=+% Sia ora o un numero positivo piccolo a piacere. Esisterà un Po>0 tale che, per ogni p = po, y()< 3: Indico con G un gruppo misurabile di punti di (a, 6) di mi- i . « @ . . . . sura non maggiore di 20, © N G, il gruppo dei punti comuni È 0 a Geda Ep. 15) [fe || MM [e Ma, essendo in G— G, |f(@)| £ po, è ” lo) To) Jia lf |dx = po Apa (*) Vedi LesesGur, loc. cit., pag. 120. 1026 GIUSEPPE VITALI | If@de=], |R@)|de<3: I P f(a)dr<0. Prendo per G un gruppo di punti che riempiono un gruppo di intervalli distinti (a,,,), dove 8,>Q,. Allora | Adde=2 [7 Ande (9) e ponendo Ha) = | f(@da, sì ha [fd = (FB) — Fa), e quindi |2 (FB) — Flo) 0 ed e>0. Esiste un 0, con 0<0 PO € e ad ogni punto di G faccio corrispondere l’estremo destro del tratto in cui è incluso. Ciascun punto di (a, 6) risulta così l'origine di un inter- vallo è che gli corrisponde. Noi potremo partendo da «a co- prire (a, 6) con una catena di intervalli è (*). Siano (a,, 8,) gli intervalli di questa catena ed a,<8,. Sarà >} P(8,) — P(a){ = PO) — Pla) e per ogni r i P(8,) — P(a,) = 0. Ma per tutti gli a. che non sono punti di G è P(B,) — P(a,) = M(B., — a) e la somma delle differenze P(8,) — P(a,) corrispondenti a tali a, è maggiore di Me, ossia di P(0) — Pa). Quindi anche la somma estesa a tutte le differenze P(8,) — P(a,) deve essere maggiore di P(0) — P(a). Ciò è impossibile, dunque u=d—a. c.d.d. $ 6. — Se u(x) e (x) sono due funzioni finite o infinite, ma determinate in ogni punto di (4,0) e se per ogni x è u(x)Zè(2), noi diremo che in un punto x comprendono un numero a se ulx) > a > ve). Se una funzione F(x) è assolutamente continua in (a,b) e se i punti in cui i numeri derivati destri di F(x) non comprendono lo zero formano un gruppo di misura nulla, la F(x) è una costante. Indico con A; e X, i numeri derivati destri di (x), con G (*) Vedi Lesescue, loc. cit., pag. 63. 1030 i GIUSEPPE VITALI il gruppo di punti di misura nulla in cui essi non comprendono lo zero, con l il gruppo dei rimanenti punti di (a, b). Se a è un punto di F, facciamogli corrispondere il più grande intervallo (a, a+), (2>0), tale che f(a + 4h) — f(a) = eh, dove e è un numero positivo piccolo a piacere, che noi possiamo prefissare. Rinchiudiamo G in un'infinità numerabile di inter- valli d distinti, di somma minore di u. A un punto di G fac- ciamo corrispondere l'intervallo che va da esso all’ estremità destra dell’intervallo d che lo contiene. Noi ricopriamo (a, 5) a partire da @ per mezzo di una ca- tena di quegli intervalli che noi abbiamo definito per ogni punto di (a, 5). Siano (a,,8,) gli intervalli di questa catena, ed a,< $8,. Sarà X{ F(8,) — F(a){ = F(6) — Flo). La somma delle differenze /(8,) — F(a,) che corrispondono a punti di T è minore di e(f— a), quella delle rimanenti si può supporre in valore assoluto piccola quanto si vuole, purchè’ sì prescelga u abbastanza piccolo, essendo (x) assolutamente con- tinua, ma anche e è piccolo a piacere, dunque F(6) — F(a)<0. Ma allo stesso modo si vedrebbe che F(6) — F(a) 20. Dunque F(5) = Fa). Sostituendo a dun punto qualunque di (a, 8) si trova F(x)= Za), ossia F(x) è costante (*) c. d. d. Dalla proposizione dimostrata consegue che: Se due funzioni differiscono per una funzione assolutamente continua ed hanno per ciascun valore di x, all'infuori di quelli di (*) Il ragionamento usato in questo e nel precedente $ è analogo a quello usato dal Lesescue a pag. 78 del loc. cit., per dimostrare una pro- posizione meno generale dell'ultima da me dimostrata. tratt ì D SULLE FUNZIONI INTEGRALI 1031 un insieme di misura nulla, finiti ed uguali i numeri derivati su- periori destri, esse differiscono per una costante. In particolare: Se due funzioni assolutamente continue hanno per ciascun va- lore di x, all'infuori di quelli di un insieme di misura nulla, uguali i numeri derivati superiori destri, esse differiscono per una costante. $ 7. — Ricordo che il Lebesgue ha dimostrato (*): L'integrale indefinito di una funzione sommabile limitata am- mette questa funzione per derivata salvo în punti di un gruppo di misura nulla. Sia ora f(x) una funzione positiva e sommabile. Sia p nu- mero positivo ed o il gruppo dei punti in cui f(x)>p. La mi- sura di o tende a zero col tendere di p all’infinito. Ora sia f(x, p) la funzione che è nulla nei punti di £ e che nei rimanenti è uguale ad f(x). Per h>0 è [i Andes [1 Aaa: . . . . . È: I dunque il numero derivato inferiore destro \, di | f(e)dx è al- a meno uguale a quello di NC p)ldx. Ma f(x, p) è limitata e quindi il numero derivato inferiore destro di la f(x, p)dx coincide con f(x, p), all'infuori di un gruppo di punti di misura nulla. Consegue allora facilmente che i punti in cui non è \,7 f(x) formano un gruppo di misura nulla. Ossia, riassumendo: Se f(x) è una funzione positiva sommabile, e Ni è il numero È . Col . x derivato inferiore destro di f(x)dx, è punti in cui non è X:7£(x) va formano un gruppo di misura nulla. (*) Vedi Lesescue, loc. cit., pag. 124. tea da 1032 GIUSEPPE VITALI $ 8. — Sia (x) una funzione continua non decrescente e X, il suo numero derivato inferiore destro; ); è certamente finito all'infuori di un gruppo G di punti di misura nulla. Per ogni punto x non di G esiste un #,>0 tale che per h1>0 e non maggiore di /%, si abbia Fx 4h) — F(a) < h ping essendo e un numero prefissato positivo non nullo, ma piccolo a piacere. Sia T, il gruppo dei punti tali che per ogni %, < » sia I] > E Se m, è la misura di f, è limm, = db —a. Posso allora trovare h=0 un % tale che b—a—m,<0, essendo 0 un numero positivo e non nullo piccolo a piacere. Sia ho un numero fisso minore di %, e Mx, %) la funzione uguale a X; nei punti di [, e nulla nei rimanenti. Poichè ho è sommabile, lo è pure Mx, %), che dove non è nulla non supera quella per più di e. Notiamo inoltre che fe, mae [FETTA de Leb—o), a a 0 e quindi che ff xl, Max < Fe + 0,h0) — Fa + 8h) + 0 — 0), dove O0<0,<1 (i=1,20 Ciò significa che \} è sommabile lungo ogni l,, e che il suo integrale non supera, qualunque sia 4, il doppio del massimo modulo di F(x) in (a, d). Segue subito che la funzione uguale a À; nei punti dove ), è finita e nulla nei rimanenti è sommabile in (a, è). Riassumendo: SULLE FUNZIONI INTEGRALI 1033 Se F(x) è una funzione continua non decrescente, la funzione uguale al suo numero derivato inferiore destro nei punti in cui x esso è continuo e nulla nei rimanenti è sommabile. $ 9. — Sia (x) una funzione continua non decrescente, ed «(x) la funzione uguale al numero derivato inferiore destro di F(x) dove esso è finito e nulla nei punti rimanenti. La u(x) è sommabile (v. $ preced.), inoltre ul) = 0. Se y(x) = It u(c)dx ] e \;' è il numero derivato inferiore destro di y(x) i punti in cui non è \/ = «(x) formano un gruppo di misura nulla (v.$ 7). Riprendendo le notazioni del $ precedente, si ha poi mani- festamente ['ular=lim |M, M)do 0, "c+Ò lag u(a)da < F(a + è) — He). Segue che in ogni punto di (a, d) da S i; ma dove ),; è finito è \}= (2), poi è fuor che in un gruppo di punti di misura nulla, dunque, fuor che in un gruppo di punti di misura nulla è nei Fx) hanno uguale il numero derivato inferiore destro fuor che gruppo di punti di misura nulla. i Ora y(x) è assolutamente continua. Se anche P . lutamente continua sarà F(x) = y(x) + costante. Dunque i Una funzione non decrescente ed assolutamente continui funzione integrale. Ma una funzione assolutamente continua è la diff ere nia di è due funzioni assolutamente continue non decrescenti, Gc dl Ogni funzione assolutamente continua è una i x va) i 1035 Sopra gl'integrali delle equazioni differenziali ordinarie del secondo ordine con valori prestabiliti in due punti dati. Nota di CARLO SEVERINI. Nella Nota: Sopra gl’integrali delle equazioni differenziali or- dinarie, ecc., presentata recentemente a questa illustre Acca- demia (*), ho indicato fra l’altro un modo ($ 3) per costruire un polinomio razionale intero, atto a rappresentare, con un'appros- simazione fissata ad arbitrio, l'integrale di un’equazione diffe- renziale ordinaria del secondo ordine: (1) di =f(5,49,2), che in due punti dati assume valori prestabiliti. Mi sono a tale uopo giovato del metodo delle approssimazioni successive (**) ; se- nonchè, mentre questo metodo richiede soltanto che la funzione f(e,y,y'), delle variabili reali «,y,y', sia reale, ad un valore, finita, assolutamente continua, e soddisfi alla nota condizione di LipscHiTz, io ho in più ammesso che esistano finite ed assoluta- dfic,y,v) dflx.y,y) dy dg SI Mi propongo ora di risolvere il medesimo problema nelle precise condizioni di PrcaRp. mente continue le derivate parziali 1. — Sia f(2,y,y) funzione reale, ad un valore, delle va- riabili reali x, y, y, finita ed assolutamente continua nel campo 0, definito dalle limitazioni: TZLZTY “ALe ysdn —L'zy 0) il valore B: è chiaro che possiamo, senza che venga meno la generalità delle nostre ricerche, Con questo caso. Si fissino 6 e B colle condizioni: ove G rappresenta il massimo valore assoluto di f(x, yy). SOPRA GL'INTEGRALI DELLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI, ECC. 1039 Indicando con G, il massimo valore assoluto di P,(%, y, y') nel campo C, se il primo termine della successione (3) è abba- stanza piccolo, saranno anche soddisfatte le disuguaglianze: S| B| B i (i frala T Gb + È <"L > (= 2,...,90), (a+ 0,) È + (8 + 0,)6<1 ed ognuna, delle equazioni: (8) dU ep, (0,9, du) (=) ammetterà nell'intervallo (0... 6) un unico integrale: (9) Yn(£), (@=13200) che assume per #=0 il valore zero e per «=? il valore B (*). L’integrale y(x) dell'equazione data (1), relativo ai mede- simi valori iniziale e finale, sarà dato (**) dalla serie conver- gente in egual grado: (10) y1(9H+{y2()-y (+ ys)-y2(2)+ An) 0)]+.. 8. — Si applichi per ultimo, partendo dalla funzione Pe, il metodo delle approssimazioni successive alle equazioni (8). Si ottiene ognuno degli integrali (9) espresso per mezzo di una serie di polinomi razionali interi; e, poichè tale serie converge in egual grado nell’intervallo (0 ... 6), se ne può anche dedurre un polinomio razionale intero, che ivi rappresenta quell’integrale con un’approssimazione fissata ad arbitrio (**). Indicando in generale con: Rale) Gi=1y2 00) (*) "Cfr: Picarp, l. c. (#*) Cfr. la mia nota citata in principio, $ 3, 3°. Ano DI i Ne | dg Ra) iS i 6 risulta, per quanto è stato dere sulla serie NOM Roo l SA ad y(©) = E:(0) + [R,(9) — RA] + [BA — Fool e, se n è abbastanza grande: y@) — B.(M)|= 0 ove 6 indica un numero positivo, prefissato piccolo a p 4. — Le precedenti ricerche si estendono senza diffic ad un sistema di equazioni della forma: i =. ni) _ dyi mm dy | di ; = =f2 YU1, Ya operi (ssi de ai 0) G=1,2,. Torino, 15 giugno 1905. (*) ‘Gir. Prole, Ta: GIOVANNI ZENO GIAMBELLI — LA TEORIA, ECC. 1041 La teoria delle formole d'incidenza e di posizione speciale e le forme binarie. Nota di GIOVANNI ZENO GIAMBELLI. Nel settembre 1902 aveva comunicato per lettera al sig. ScHuserT una mia formola di posizione speciale (!) e l’enun- ciato di un teorema fondamentale (2) per costruire le formole d'incidenza e di posizione speciale. Siccome questo teorema non è stato finora pubblicato, credo opportuno esporlo nella seguente Nota colle relative conseguenze, cioè esporre quali intimi legami esistono tra la teoria delle formole d'incidenza e di posizione speciale e quella delle forme binarie. I detti legami permettono non solo di costruire le formole d’incidenza e di posizione spe- ciale, ma servono anche per quistioni più elevate, che si pre- sentano dopo la teoria delle formole d’incidenza e di posizione speciale; così si pongono le vere basi per la ricerca delle for- mole di coincidenza negli iperspazì, formole la cui utilità è cer- tamente non dubbia per risolvere qualsiasi problema d’interse- zioni di varietà algebriche. Rispetto all’esattezza delle seguenti ricerche si osserverà che faremo uso solo di teoremi algebrici e delle formole dello ScHu-. BERT dimostrate in modo completo in una mia Nota (8). (!) Cfr. î tre seguenti lavori dello Scnusert: Anzal!-Beziohungen bei Inzidenz und Koinzidenz mehrdimensionaler linearer Riume, © Jahresb. der Deut. Mathematiker-Verein. ,, 12, 1903. — Ueder die Incidenza 2weier li- nearer Riume beliebiger Dimensionen, “ Math. Annalen ,, 57, 1903. — Glei- chungen zwischen Bedingungen bei specieller Lage linearer Riume, “ Mitthei- lungen der Math. Gesell. in Hamburg ,, 4, 1903. (*) Cfr. la citata Nota dello Scnuserr nei “ Math. Annalen , a pag. 217. (3) Sul principio della conservazione del numero, “ Jahresb. der Deut. Mathematiker-Verein. ,, 13, 1904. VV x ì 1042 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI 1. Definizioni. . Essendo ho, hi, ....); numeri interi tali che 0<7 (-1'SYst- =0, 19 =0 (*) Cfr. p.es. Ancahlbestimmungen fiir lineare Riiume beliebiger Dimension, “ Acta Mathematica ,, 8, 1886. (*) Cfr. per questo la mia Memoria: Risoluzione del problema degli spazì secanti, © Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino ,, (2), 52, 1902. Atti della R. Accademia — Vol. XL. 69 1044 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI (aventi per radici rispettivamente xo, 21, ...1% e Yo Yi Y) Si diranno funzioni R, (p= 0, 1, ..., min.(s,t)) quelle funzioni dei coefficienti delle due equazioni, che sono nulle solo quando le due equazioni hanno p+ 1 radici in comune. Le È, si possono pensare anche come funzioni simmetriche nelle radici x e nelle radici y. Si definirà immagine della condizione caratteristica (40, 41,...,4;) nelle do, di, ..., è, la funzione simmetrica caratteristica: na, MT + WU M_ dol:d. Più in generale, detta / una funzione razionale intera nelle condizioni caratteristiche imposte a più spazî [s;], [se], ...,[8x], si chiamerà immagine della I nel gruppo di lettere: Ol OL AN Di, est pinta dp, dI; den la funzione razionale /', che si ottiene dalla / ponendo in luogo delle condizioni caratteristiche imposte allo spazio |s] le rispet- tive immagini nelle dI, dl”, ..., 00, in luogo delle condizioni ca- ratteristiche imposte allo spazio [ss] le rispettive immagini nelle di, d?,..., dd, ecc., in luogo delle condizioni caratteri- Sa? stiche imposte allo spazio [s,] le rispettive immagini nelle dI, dI ..., di), Infine di una relazione /=0 tra le condizioni caratteristiche imposte a più spazî [s,], [s»]; ..-, [sx] si definirà come immagine in un certo dato (conveniente) gruppo di lettere la relazione I" = 0, ove /I' è l’immagine della Z in quel mede- simo gruppo di lettere. 2. Formole d’incidenza per uno stesso spazio. — For- mole d’incidenza proprie e formole d’incidenza improprie. La risoluzione del problema degli spazì secanti consiste nell’esprimere il prodotto di più condizioni caratteristiche im- poste ad un dato spazio |s] per mezzo di una somma di. più LA TEORIA DELLE FORMOLE D'INCIDENZA, ECC. 1045 condizioni caratteristiche relative allo spazio [s]. Non è difficile vedere come tale quistione non è altro che un caso particolare di quest'altra: Costruire tutte le funzioni identicamente nulle re- lative a condizioni caratteristiche imposte ad un medesimo spazio [8]. Tali funzioni identicamente nulle si chiameranno formole d’in- cidenza per uno stesso spazio. Si diranno proprie, se le immagini nelle do, di, ..., è, sono identità nelle do, di, ..., è; improprie, quando le immagini non risultano identità. Una formola d'incidenza per un medesimo spazio |s] si può pensare come la somma di più prodotti di condizioni caratteristiche (imposte ad uno stesso spazio) moltiplicate per un coefficiente numerico, ed è tale che la somma delle dimensioni delle singole condizioni, che com- paiono in ogni prodotto, è uguale a un numero costante, che si chiama la dimensione della formola d’incidenza. Dai risultati relativi alla risoluzione del problema degli spazîì secanti (!) si ricava che le formole d’incidenza per un medesimo spazio [s] di dimensione d, essendo d +s n non corrisponde alcuna condizione caratteristica (40, 41, ..., @,) imponibile agli spazi [s] di [n] (A). Se poi si fa la convenzione di porre uguali a zero tutte le funzioni simmetriche caratteristiche nelle do, di, ..., è, per le quali non esiste una corrispondente condizione caratteristica imponi- bile agli spazî [s] di [x], allora anche le immagini nelle db, dò, ...,0; delle formole d'incidenza improprie per un medesimo spazio [s] risultano identità nelle do, di, ..., di. Anche le formole d'incidenza relative a una coppia di spazi (') Cfr. l'osservazione in fine al $ 11 della mia citata Memoria, Riso- luzione del problema degli spazî secanti. (°) La disuguaglianza n= 2s +1 a pag. 22 della mia citata Memoria si deve evidentemente leggere n=s+ d, come ho già osservato a pag. 1 della mia Memoria, I problema della correlazione negli iperspazi, “* Mem. R. Ist. Lombardo, (8), 10, 1903. 1046 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI che si appartengono si distinguono in proprie ed improprie ; però, se n è sufficientemente grande, esse sono proprie. Quindi nelle seguenti considerazioni si supporrà » sufficientemente grande. 3. Costruzione delle formole d’incidenza. Per l’ente costituito da due spazì [s], [s+1] che si appar- tengono valgono le formole d'incidenza dello ScHuBERT (1): (1) Gut (5) . 0; (8 T 1) = (6 cla DE pa Oa == (b, Mas Ou (u=0;/1)..pjeypb=1) 29 VA nese in particolare si trae: Su4a (8 + 1) — Suse (5) — (01(84+-1) — 01(8)) . Sup (8) = 0 (de = Posto: Au Su(8 41) — cu(9) = (0i(6+1iar LO) e, detti i, j, tre numeri interi positivi tali che 0s), che si appartengono, valgono tutte le formole d’in- “ cidenza, le quali hanno per immagini nelle d0,d1,...;ds, do’, di, .. d/ “le relazioni ottenute coll’annullare la matrice: MS, SO)... SO Sg; t-s+1,t+1),. ( ) k,5 k—1,s? —t4-5,8) (!) L’annullarsi di questa matrice trae di conseguenza anche } anuul- larsi della matrice ottenuta da questa ponendo (— 1)* sO invece di O e (— Ss), invece di SO), Per brevità nei seguenti casi analoghi non si farà alcun cenno esplicito di questo cambiamento di segno nei termini di una matrice. o: ù y i 1048 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI Dai risultati precedenti si trae che questa proposizione è vera, quando #=s-+1; quindi nella dimostrazione si potrà sup- porre t>s-+1 ed ammettere vera la proposizione per #— 1. Si consideri l’ente T costituito dagli spazî [s], [t —1], [t], tali che [s] giaccia in [t— 1] e [t—1] giaccia in [t]. Si designi con I(s;t—1) l'insieme di tutte le formole d’incidenza per l’ente costituito dai due spazî [s], [f—-1], le cui immagini nelle do, di, ...; d,, do, di, ..., 0°. sono le relazioni: M({SÒ, Stò) k—1,8) a SO { k—-t+s+41,8) SÒ e t_s,t)=0, (cioè ottenute coll’annullare questa matrice). Si designi poi con I(t—1;t) lVinsieme di tutte le formole d'incidenza per l’ente costituito dai due spazi [t—1], [#], le cui immagini nelle dg’, Di Bg 0 ono le relazioni: M{SO),, SÒ 80; 2,141) =0. ON SESTO L’annullamento della matrice : MIS, Pr eo Std esprime (cfr. la nota a pag. 9) la condizione necessaria e suf- ficiente, affinchè tutte le radici dell'equazione in è, u=s+1 Finstoo siano pure radici dell'equazione in è: u =: 5 A o tf St99) "obi — N L’annullarsi dell’altra matrice MS, SH SO 2641) k_1,t-1? esprime la condizione necessaria e sufficiente, affinchè tutte le radici dell’ultima equazione in è (di grado #) siano radici del- l'equazione in è: e ; >; (id) e LA TEORIA DELLE FORMOLE D'INCIDENZA, ECC. 1049 Quindi per l’annullarsi simultaneo di queste due matrici tutte le radici dell'equazione in è, + E (— 1)" SÒ dit = 00 (0) uz ’ sono pure radici dell’equazione in è: u=t+1 DO pa rana SÒ att — Q; u=0 x cioè è nulla la matrice: MS SO, SO SU t-s+1,t+1). Dunque gl’insiemi di formole d'incidenza I(s; t--1), I#—1;f) pensati come relativi all'ente T ammettono come conseguenza l’annullarsi di tutte quelle relazioni tra le condizioni caratteri- stiche imponibili ai tre spazì dell’ente T, le cui immagini nelle EMO 0 0, di, e dog d 1,0", sono le relazioni, MS, SO, SO Sts+1Lt+1)=0. Siccome in queste relazioni non compaiono le d'o, di, ..., dii, segue che in quelle riferite all’ente l non compaiono condizioni imposte allo spazio |f—1], cioè le dette relazioni per l’ente T sono indipendenti dalle condizioni imponibili allo spazio [#— 1], e si possono pensare come formole d’incidenza per la coppia di spazì |s], [| Concludendo per la coppia di spazî [s], [t] valgono le formole d’incidenza rappresentate coll’annullare la matrice, (3) M([5(8), Si1(5), ID0k) SE HS); si(0) | ; ts + da; t sa 1) ; cioè valgono le formole d’incidenza, le cui immagini nelle do, Eos nd, 00," sono le relazioni: MS, SL LO 1 PRO Sk; t-s+1, t+1)=0). In virtù della proposizione ora dimostrata per l’ente costi- tuito dai due spazi [s], [t], che sì appartengono, valgono anche tutte le formole d’incidenza, le quali hanno per immagini nelle ‘Via TT E 1050 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI do, di, 13 dsy d'o, d'1, ..., d', le funzioni È, per le due equazioni dei gradi s+1, t---1, le quali ammettono come radici rispet- tivamente le do, di, ..., è e le d'o, d4, ..., d'.. Infatti basta osser- vare che essendo nulla la matrice, MISO, SO... SO, Sh t-s+-1,t+1), sono pur tali tutte le funzioni £, per le due dette equazioni dei gradi s+1, t+1. Riassumendo, si può enunciare: TroreMmA I. — Per l’ente costituito da una coppia di spazî [s], [t] (essendo t>s), che sì appartengono, valgono tutte le formole d'incidenza, le cui immagini nelle lettere do, di, 1.3 dsy d'oy d'13 3 d', sono funzioni R, per le due equazioni dei gradi s+1, t+1, le quali ammettono rispettivamente come radici le do, di, ..., dè, e le do; Dig tan Ossia: Trorema II. Per l’ente costituito da una coppia di spazî |s}, [t] (essendo t=s), che si appartengono, valgono tutte le formole d'incidenza, le cui immagini nelle lettere do, di, ...: dsy doy dis +++ de (1) sono funzioni identicamente nulle. Per maggior facilità non credo inutile esporre il precedente risultato in questi altri modi: Trorema II. — Per l'ente costituito da una coppia di spazì [s], [t] (essendo t = 5), che si appartengono, valgono tutte le formole d'incidenza tali che, in luogo di ogni condizione caratteristica (ao, A, ..., 2) imposta allo spazio |s| ponendo la funzione simmetrica caratteristica )in—a,n— a; ...,.N—-d, Nn ag (Ò), ed in luogo di ogni condizione caratteristica (bo, bi, ..., b) imposta allo spazio [t] ponendo la funzione simmetrica caratteristica in—b, n—b_, «4 n-gb,, i — bo lesi ottenga una funzione identicamente nulla. Trorema IV. — Per l'ente costituito da una coppia di spazî sj, |t] (essendo t=s), che si appartengono, valgono tutte le formole (4) Questo gruppo di lettere dp; di, ..., ds, do, è, ..., è: non è altro che il gruppo di lettere di, di, ..., ds, do, di, +: 0", in cui si abbia d'i= di; per =} 18! LA TEORIA DELLE FORMOLE D'INCIDENZA, ECC. 1051 d'incidenza tali che, in luogo di ogni condizione caratteristica (ao, a, ...,a,) emposta allo spazio |s] ponendo il determinante di Van- dermonde generalizzato : x dotte dit... dt (a) OTRS dI %s1 EGR Oi ’ dd di Pg dn dotto dro... dtd ed in luogo di ogni condizione caratteristica (bo, bi, ..., bi) imposta allo spazio |t] ponendo il determinante di Vandermonde genera- lizzato : dedi diet WILL diret 9 mai eo i AL O È.) S_} -b dd dei... dedi dit la dg lo aa do st ottenga una funzione identicamente nulla. Quest'ultimo modo di enunciare il teorema I mostra come si potrebbe definire diversamente l’immagine di una condizione caratteristica, e quindi l’immagine di una formola d’incidenza ecc.; per ragioni di una trattazione più elegante è meglio seguire le definizioni date nel $ 1. Inoltre questo teorema IV permette subito nel caso particolare s =? di dare un altro enunciato per ciascuno dei 5 teoremi del $ 11 della mia citata Memoria, iso- luzione del problema degli spazì secanti. Per brevità ed essendo cosa facile si ometteranno questi altri cinque enunciati. Quindi si vede ancora come del problema degli spazî secanti si possono dare altre risoluzioni a primo aspetto differenti, e molte altre ho 1052 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI incontrate in mie ricerche di Geometria Numerativa non ancora pubblicate (1). I risultati ottenuti permettono di costruire le formole d’in- cidenza senza fare alcun ragionamento geometrico per mezzo di identità algebriche, identità la cui ricerca dipende dalle pro- prietà inerenti alla condizione, affinchè una forma binaria con- tenga come parte un’altra forma binaria (?). (!) Una risoluzione molto notevole non contenuta nella mia citata Memoria, Risoluzione del problema degli spazî secanti, è quella ottenuta dallo Scnuserr, accennata nel $ 8 della mia citata Nota, Alcune proprietà delle funzioni ecc. In questa Nota enuncio e dimostro la formola dello Scausert, la quale esprime qualunque condizione caratteristica imposta allo spazio [s] per mezzo di un determinante costituito da condizioni del tipo (8, lu, 0su), e dopo asserisco come tale formola possa risolvere il problema degli spazî secanti. Sebbene sia assai facile, pure credo opportuno dimostrare ora questa asserzione. Dato un prodotto di p+.1 condizioni caratteristiche imposte ad uno stesso spazio, per la formola dello ScHuserT possiamo sostituire a p di esse i corrispondenti determinanti formati da condizioni del tipo (0, lu, 0s-u); quindi il problema degli spazî secanti è ridotto a quello del prodotto di una condizione caratteristica arbitraria imposta allo spazio [s] per una con- dizione del tipo (5, 1u, 0s-u). Tale prodotto si ottiene subito p. es. per mezzo della formola: (b, lu Ou) = x (— ME Obti (s) + Gui (s) =0 (che si ricava dalle formole contenute nelle Note del Preri, Sul problema degli spazì secanti, * Rend. Ist. Lombardo , (2), 26, 1893; 27, 1894), perchè basta eseguire per mezzo delle citate formole del Pierri il prodotto di una condizione caratteristica arbitraria imposta allo spazio [s] per condizioni del tipo 0,(s) e del tipo ' pi ddt hi sad dra Siccome in queste relazioni non compaiono le è", d”,,°..., d'',, segue che in quelle riferite all'ente {non compaiono con- dizioni imposte allo spazio [s]; ossia per la coppia di spazî is4+g], [s+9'], che hanno in comune uno spazio [s], valgono le formole di posizione speciale rappresentate coll’annullare la matrice: (4) ‘'M({G(S1-9), (849); (847: sis +9)), Gal Sr-o(8+9)l: a+9 +1,st+da40+1); cioè valgono le formole di posizione speciale enunciate nella proposizione. Cs Mealli In virtù di questa proposizione per l’ente costituito dai due spazî [s4+-g], [s+%g'], che hanno in comune uno spazio |[s], val- gono anche tutte le formole di posizione SICA le quali hanno per ‘immagini nelle do, di, ...; ds+9r d'or d'1; ..., d'4y le funzioni È, per le due equazioni dei gradi s +94 1, s+g' +1, le quali ammettono come radici rispettivamente le do, di, ..., dg e le d'o, d'1, ..., d',1y,. Infatti basta osservare che essendo nulla Ja matrice: SÒ) (Ò) (Ò) N(0) 3(Ò (Ò’) ì MS aa Sagra n ir aa SO) AR S(0) MB q4+9' +1, sega sono pur tali tutte le funzioni R, per le due dette equazioni dei gradi s+g +1, s+g9+1. Riassumendo si può enunciare: Trorema V.— Per l'ente costituito da una coppia di spazî Is+q], (s+ q'] (essendo q=>0, q'> 0), che hanno in comune uno LA TEORIA DELLE FORMOLE D'INCIDENZA, ECC. 1055 spazio [s], valgono tutte le formole di posizione speciale, le cui im- magini nelle lettere do, di, ..., ds4ys d'or d'a, ..., d'iuy sono funzioni R, per le due equazioni dei gradi s+q+1, s+q'+1, le quali ammettono come radici rispettivamente le do, di, ..., dsiq e le do Bo ..;. Ossia : Trorema VI. — Per l’ente costituito da una coppia di spazî [s+ ql], [s+ dq'] (essendo q=0, q'=0), che hanno in comune uno spazio [s], valgono tutte le formole di posizione speciale, le cui im- magini nelle da, di, .., ds443 03 1, +++3 dsy dstgtrr ds4940; +00) Dego SONO funzioni identicamente nulle. Trorema VII. — Per l’ente costituito da una coppia di spazî [s + aq], [s+ g'|] (essendo q=0, q'=0), che hanno in comune uno spazio [s], valgono tutte le formole di posizione speciale, tali che in luogo di ogni condizione caratteristica (ao, a, ..., d,4,) imposta allo spazio |s + q| ponendo la funzione simmetrica caratteristica I lo) . Ò . }n— dg D—- dj ND _-d, NT- LINISARI ed in luogo di ogni condizione caratteristica (bo, bi, ..., b4y) imposta allo spazio (8+-q/) ponendo la funzione simmetrica caratteristica }jn—b,1y, n—-bs4yr1; Ò’ . O SO 6 è } SARTI ba, n_bo((4), si ottenga una funzione che risulta identicamente nulla, quando si faccia simultaneamente èy'=d, d'i=di, ..., dD'imò,. Trorema VIII — Per l’ente costituito da una coppia di spazî [s+ q], [s+ q'] (essendo q=0, q'=0), che hanno in comune uno spazio |s], valgono tutte le formole di posizione speciale tali che, in luogo di ogni condizione caratteristica (20, d1, ..., d49) imposta allo spazio[s+q] ponendo il determinante di Vandermonde generalizzato : n—4;s n—a;4 n—a, do” sta Ò, q E OE: +9 M—-AsL9_1 n—-Ast9_1 n—-A,Lo=1 do” “+2 d "449 cio dra | n—-4dy n—-a n—-a) do di patate n—-d0 n—-d09 n—do do di 3 Mi ed in luogo di ogni condizione caratteristica (bo, bi, ..., bsjy) im- 1056 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI posta allo spazio |s+-q'] ponendo il determinante di Vandermonde generalizzato: mt ETRO nh. fi big n_Bsigr nb 9 dol +9 dilata. dt tg CONA datati 8°: Osa lo) n_bs ig) d nb; 49! ò n_bs4gyr d_bstari de bs+9g'1 d"_bsrgra | 0 1 PERI Ss+q+1 s+q+2 “* s4+q4g , | n_d e — Di n—bj nb, n—b) n—_bi do di Luc MN en n—do n—bo n—bo n—ba n—bo n—bo do di edi dra) anto aiar si ottenga una funzione identicamente nulla. Come per le formole d'incidenza, così per quelle di posi- zione speciale, i risultati ottenuti permettono di costruirle senza far alcun ragionamento geometrico per mezzo di identità alge- briche, identità la cui ricerca dipende dalle proprietà inerenti alla condizione, affinchè due forme binarie contengano come parte un'altra forma binaria. 5. Formole dello Schubert — Esempi di formole d’in- cidenza e di posizione speciale — Utilità del principio della conservazione del numero. Le principali formole d'incidenza e di posizione speciale sono quelle dello ScauBERT pubblicate nei lavori citati a pag. 1; esse ammettono quali casi particolari quelle del Pieri (!) ed altre dello ScHuBERT medesimo (?). Oltre queste formole non vi sono altro che quelle d’incidenza di N. GrampaGLIA (3) per l’ente co- stituito dalla coppia di spazîì |s] [s+ 9g], che si appartengono, nei (1) Formole di coincidenza per le serie algebriche co" delle coppie di punti dello spazio ad n dimensioni, * Rend. del Circolo Mat. di Palermo ,, 5, 1891. (°) Kalkiil der abziihlenden Geometrie, Leipzig, B. G. Teubner, 1879. — Die n-dimensionale Verallgemeinerung der Anzahlen fiir die vielpunktig berùh- renden Tangenten einer punktallgemeinen Fliiche m-ten Grades, “ Math. An- nalen ,, 26, 1886. (*) Formole d'incidenza per le coppie, punto e retta, retta e piano, punto e piano, nello spazio da n dimensioni, “ Atti dell’Acc. Gioenia di Catania ,, (4), 17, 1904. LA TEORIA DELLE FORMOLE D'INCIDENZA, ECC. 1057 tre;icasi particolari s=0, qg=1, s=0,g=2;s=1;qg=31, le quali formole per mezzo dei teoremi del $ 3 risultano imme- diatamente verificate. Anche quelle dello ScHusERT soddisfano pure ai teoremi dei $ 3,4; ma questa verifica non è imme- diata ed esige calcoli molto lunghi; quindi per mostrare l’as- serto occorrono le seguenti considerazioni. Nelle precedenti considerazioni si è fatto uso della for- mola (1) del $ 3 solo nel caso particolare è = 1, ed evidente- mente per è5=1 la (1) soddisfa ai teoremi del $ 3. Per provare che la (1) soddisfa sempre ai teoremi del $ 3 si potrà supporla vera per db —1 (pensando « + 1 in luogo di ), cioè basterà dimostrare che la formola (b + L, Ta di) == (b, lu 0) +. (b, Lt TASSE] + s-(6_1, 1Luta, Os u-1) — Sut1i(5)-02(5 +1) — Gupo(5) . G1(8+1)=0 soddisfa ai teoremi del $ 3. Siccome pei risultati sul problema degli spazì secanti è: (6 + I, 5 010;) + (b, 1 RESA 0x5) = Sutr (8) . 0;(8) (b, Ln (19008) SF (6— DD Tara des) == Suso(S + 1) -O5_1(8 + DIE la formola precedente diventa: 03-1(8+1). Veni (541) — Su42(8)] — Su+1(8).[0:(5+1) — 0x(5)] =0, la quale ammette come immagine nelle do, di, ...,d;: dos di, «..4ds1 12 relazione : Vò) [St __ Ò) __ SÒ) 70) pe Ae b-1l,s+1 u+2,8+1 Ss) Didi a H LI b,s+1 Ù 10 Roy 0. Questa relazione è una identità, perchè: ò SION SÒ CURA do cos dti < GIO, T(ò ZO) 7(Ò Ù SLEEP mal ti i dii } Pia S Quindi le formole dello ScHuBERT per l’ente costituito dagli spazî |s], [s+ 1] che si appartengono soddisfano ai teoremi del $ 3, e si può dimostrare subito che dovranno soddisfare ai teo- remi dei $ 3 e 4 tutte le altre formole d’incidenza o di posi- 1058 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI zione speciale trovate dallo Scnusert. Infatti lo ScHUBERT deduce tutte le altre sue formole dalla (1) per mezzo di artifizì di eli- minazione tra simboli di condizione e per mezzo di formole sul problema degli spazî secanti {formole che risultano tutte com- pletamente dimostrate per la mia citata Nota: Alcune proprietà delle funzioni, ecc., cfr. $ 7 e 8). Seguendo il ragionamento dello ScHuBERT, se in luogo delle condizioni caratteristiche si pon- gono le rispettive immagini in un conveniente gruppo di lettere, e su queste immagini applichiamo gli stessi artifizì di elimina- zione dello ScHuBERT, si otterranno funzioni È, per due con- venienti equazioni, funzioni le quali sono le corrispondenti immagini (in un conveniente gruppo di lettere) delle formole d'incidenza o di posizione speciale, che lo ScHUBERT trova suc- cessivamente. Si può dire cioè che le operazioni di eliminazione fatte dallo ScHuBert sulla formola (1) e le stesse operazioni fatte sulla immagine della (1) (in un conveniente gruppo di lettere) conducono a risultati, che sono in corrispondenza per- fettamente biunivoca, essendo le funzioni È, che si ottengono successivamente le corrispondenti immagini delle formole dello SCHUBERT. Così non solo è dimostrato che alle formole dello ScHuUBERT sono applicabili i teoremi dei $ 3 e 4, ma si è indicato il modo, come si possa verificare questa applicabilità dei detti teoremi. Inoltre si vede come gli artifizî del calcolo simbolico dello ScHu- BERT permettono di costruire funzioni È, per due equazioni me- diante altre funzioni , per altre coppie di equazioni; ossia gli artifizî del calcolo simbolico dello ScHuseRT danno implicita- mente anche risultati per la teoria delle forme binarie. Si può aggiungere che pure per le formole del GrAMPAGLIA si possono ripetere le precedenti considerazioni, perchè queste formole sono dedotte le une dalle altre per mezzo del calcolo simbolico dello SCHUBERT. Nelle precedenti considerazioni si sono ottenute altre for- mole d'incidenza e di posizione speciale, cioè quelle rappresen- tate coll’annullare le matrici (3) e (4), le quali sotto un certo aspetto si possono pensare come più generali di quelle dello Scnuert. Tali formole si possono scrivere in modo elegante, perchè il 2° teorema del $ 6 della mia citata Nota, Alcune pro- prietà delle funzioni ecc., permette di enunciare: ee: LA TEORIA DELLE FORMOLE D'INCIDENZA, ECC. 1059 Trorema IX. — Essendo i, io, ..., i, un qualunque gruppo di s numeri della serie n—-s—qQ-—-q/-1,n—s—qQ—gq',...,n—1, n, per l'ente costituito dalla coppia di spazì [s+- q], [s+-q/], che hamno in comune uno spazio [8], valgono tutte le (*+9*1*?) formole di posizione speciale: x * (Ho; hi, 0009 hs49) (fio His 009 b's19) —_ 0, dove la sommatoria è estesa a tutti i valori (interi) delle ln e delle h' per cui: 1° s dei numeri h ed s dei numeri h' siano uguali al gruppo arbitrario, ma fisso, dei numeri ix, io, ...,. i 20 la serie dei numeri ho, hi, ...3 hg l'o h'i, «3 b'uon privata dei numeri h uguali a ix, io, ..., i, e dei numeri h' pure uguali a ix, io,...,i, sia una permutazione D del gruppo G di numeri, che sì ottiene dal gruppo n—s—q—q'/--1,n—s—q— q/, «+, n— 1, n escludendo i numeri i, ig ..., i; inoltre a ciascun gruppo si dà il segno +, oppure —, secondochè la permutazione D dei numeri del gruppo & è pari, oppure dispari. (Sì sottintende inoltre: ehy Cho


0 (i=0,1,...,r), che hanno tutti in comune uno spazio [s], valgono tutte le relazioni, le cui immagini nel gruppo di lettere 1 1) l 2 2 2) di), d( PINCTET dll, di; p di n SS, DI ) ale (n) SAR Re e; sono funzioni che risultano identicamente nulle, quando si faccia: dda, = (= 0:24] 1062 GIOVANNI ZENO GIAMBELLI — LA TEORIA, ECC. Questo risultato ammette come casi particolari gli altri otte- nuti in questa Nota, e nel caso particolarissimo r=2, qg=q0=0 si ottiene la risoluzione del problema degli spazîì secanti. Così si giunge a nuovi campi di ricerche, tra i quali oc- corre ricordare: 1° Lo studio delle formole relative a configurazioni lineari, cioè delle formole riferibili ad enti costituiti da una qualsiasi configurazione di un numero finito di spazi. 2° Applicare lo studio delle formole relative a configu- razioni lineari alla ricerca delle formole di coincidenza. Sebbene possegga molti esempi di corrispondenza biunivoca tra questi studì e le forme binarie, pure ho trovato delle con- figurazioni lineari eccezionali. Queste eccezioni ed un notevole , campo nuovo di ricerche (conseguenza implicita di questo lavoro, ma non accennato esplicitamente) non possono certamente sfug- gire a chi intende spingere ulteriormente le ricerche dello SCHUBERT. GIOVANNI ISSOGLIO — DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1063 Di alcune nuove basi piridiniche. Nota del Dott. GIOVANNI ISSOGLIO. In una mia nota precedente, ho detto, come condensando il benzoilacetone coll’etere cianacetico in presenza di ammoniaca si ottenessero due meti/fenilcianossipiridine isomere (1): C*H° CHS | | C N AN H°CC.CN e H°C. C.CN leghe (Rot DHLG:... CO CH'.G 4 C0 NA NA N N Ignorando io quale posizione avesse in ogni composto il gruppo fenilico nel nucleo della piridina, mi sì presentava un problema abbastanza importante, cioè quello di stabilire la for- mola di costituzione dei due isomeri. Per risolvere tale questione, ho trasformato la metilfenil- cianossipiridina, fusibile a 309°-310° e che ottenevo in maggiore quantità, nella metilfenilpiridina corrispondente; da questa per ossidazione col permanganato di potassio ottenni un acido fenil- piridincarbonico, che distillato colla caice, mi fornì una fenilpi- ridina già conosciuta. Dalle proprietà e dai caratteri di questa fenilpiridina, ho potuto svelare la posizione del gruppo benzenico nel composto da me studiato, e quindi la struttura della cianossimetilfenilpi- ridina. Conoscendo così la formola di costituzione di uno dei due isomeri, ho potuto stabilire anche la struttura dell’altro. Però, (1) G. Issoarro, Ossipiridine isomere dai B dichetoni, “ Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino ,, vol. XL. 1064 GIOVANNI ISSOGLIO siccome io disponevo di una quantità non indifferente delle due sostanze madri dalle quali sono partito, ho voluto preparare ambedue le metilfenilpiridine isomere per conoscerne le proprietà fisiche e chimiche. Delle sei fenilmetilpiridine date dalla teoria, una sola se ne conosce studiata dalla Scholtz nel 1895, cioè la a metila'fenilpi- ridina (1): di | cl) cre Distillando con polvere di zinco le due metilfenilcianossi- piridine soprascritte ho ottenuto le due seguenti nuove basi: O°HS CHÉ ( % dl Pi 3 | | 6HP | | soa i N N ametilyY fenilpiridina afenilymetilpiridina Parallelamente a queste ricerche, ho anche preparato la ametilyessilpiridina dalla a metilyessilcianossipiridina: C6H?3 C6H!3 | | C C /N PA Lib CRSGAI CECI HO 0a lina ua Ryo CH*C_CO CH'C CH SÉ NZ N N anche di questa base descriverò in seguito le proprietà carat- teristiche. La metilfenilcianossipiridina fusibile a 309°-310°, che ottenni in maggior quantità nella reazione fra il benzoilacetone e l’etere cianacetico, essiccai in stufa a 100°. Mescolata intimamente 1 p. (1) M. Scorrz, “ Ber. , XXVIII, 1726. DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1065 di questa sostanza con 20 parti di polvere di zinco parimenti secca, introdussi la miscela in una canna di vetro difficilmente fusibile e la limitai avanti ed indietro, con due tappi di amianto. Il vetro era ricurvo ad un’estremità e da questa parte stava in comunicazione con una boccia ben raffreddata, alla quale ne seguiva un’altra, che per maggior sicurezza era anche tenuta fredda; in ultimo venivano due boccie di lavaggio più piccole, l'una contenente dell’acido solforico diluito, e l’altra dell’idrato potassico concentrato. Adagiata la canna sopra un piccolo fornello, la riscaldai mo- deratamente, facendovi passare una lenta corrente di idrogeno. Il riscaldamento non fu troppo pronunciato e non oltrepassò il rosso scuro. La distillazione durò circa due ore, e distillò un liquido denso, giallo, che mandava un forte odore di basi piri- diniche, e che conteneva in sospensione una sostanza gialla, so- lida. Per purificarlo, trattai con acido solforico diluito, sino a reazione acida marcata. Notai viva effervescenza con sviluppo di acido carbonico, e di acido cianidrico. Il liquido, fortemente acido, teneva in sospensione una sostanza solida, gialla, di cui non ho potuto studiare la natura, sia perchè si resinificava tosto all’aria, sia perchè non era in grande quantità. Il filtrato di colore giallo ranciato con fluorescenza verde, estrassi con etere, il quale asportò gran parte della sostanza colorante. Distillando la soluzione eterea ottiensi, come residuo, dell’aldeide benzoica, riconoscibile all'odore, ed anche perchè, abbandonata all’aria, dava per ossidazione dei lunghi prismi di acido benzoico. La soluzione acquosa acida, così esaurita, ho alcalinizzato con della potassa al 50 °/. Osservai allora il liquido farsi lat- tiginoso per separazione della base, che tendeva portarsi alla superficie della miscela. Estrassi con etere, e l’etere si separò con colorazione rosso bruna e fluorescenza verde. Questa soluzione eterea disseccai con potassa solida e dopo averla filtrata distillai l’etere. Rimase un residuo liquido, oleoso, bruno, alcalino, con in- tenso odore piridinico, che sottoposi a distillazione frazionata. VAT! 1066 GIOVANNI ISSOGLIO yMetila fenilpiridina C©H5 C*H*NS CH° (o Il liquido, che ho raccolto, è una base incolora o lievemente gialla, con fluorescenza verde, che esposta all’aria si altera ed ingiallisce. Bolle a 310° (corr.), è di poco più pesante dell’acqua. Ho determinato la densità col picnometro di Saussure. Peso specifico a 0° = 1,0731 ” a Caro 00 E insolubile in acqua, solubile nell’alcool, nell’etere; col- l’acido cloridrico, manda fumi, come l’ammoniaca. I. Gr. 0,1435 diedero cm3 10,27 di N a 27° ed a 723,96. II. Gr. 0,1476 diedero cm 11,00 di N:a 25° ed a 728,25. INI. Gr. 0,0973 diedero gr. 0,3042 di CO? e gr. 0,0973 di acqua. I II III. C= i pet 85,25 H — e di 6,60 N-=- 8,06 8,17 se Questi numeri corrispondono bene alla formula della met fenilpiridina per la quale si calcola: Ge 85,21 Hb == 6,51 Ne. 8,28 Dalla ossidazione di questa sostanza col KMn0*, apparirà . chiaramente, perchè a questo alcaloide abbia dato la formula di costituzione già accennata. La ymetilafenilpiridina dà coll’acido cloridrico un sale molto solubile in acqua, la cui soluzione precipita coi reattivi generali degli alcaloidi: 1) Col cloruro platinico dà dei mamelloncini di colore giallo pallido; DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1067 2) Col cloruro aurico si ottengono dei prismi gialli; 3) Coll’acido picrico precipita in giallo intenso; 4) Col cloruro mercurico dà una polvere bianca cristallina; 5) Col solfocianoplatinato di K dà dei prismi di colore giallo a forma di felci; 6) Coll’acido fosfomolibdico abbondante precipitato giallo pallido abbastanza stabile; 7) Col ioduro di potassio iodurato intorbidamento bruno; 8) Col reattivo di Nessler precipitato bianco. Dà inoltre precipitato anche in soluzione molto diluita col reattivo di Marmè, con quello di Bovchardat, ecc. ecc. Di questa base preparai ed analizzai il cloroplatinato ed il picrato. CLoropLatinATO (C!2H!!N)*?H?PtC16+2H?0. Si ottiene ag- giungendo ad una soluzione acquosa del cloridrato una soluzione concentrata di acido cloroplatinico. Si ha così un precipitato cri- stallino, che ricristallizzato dall'acqua dà dei prismi di colore ranciato. Questi aghi abbastanza solubili in acqua calda, sono quasi insolubili in acqua fredda. Fondono a 175°. Contengono 2 molecole di acqua di cristallizzazione, che perdono quando si riscalda il sale a 100°-110°. I. Gr. 0,0776 di sostanza perdono a 100-110° gr. 0,0036 di acqua e dànno gr. 0,0192 di Pt. II. Gr. 0,3048 di sostanza perdono gr. 0,0140 d’acqua e dànno gr. 0,0751 di platino. trovato calcolato per (C'*HN)H?PtC15-{- 2H?0 —— — r__ Li DI H20 4,60 4,60 4,50 Pt 94,74 24,64 24,70 Per il sale secco a 100-110° ho trovato nel 1° caso 25,94 °/o di platino, nel 2° caso 25,8, si calcola 25,97 °/o. Prcrato. C!2H1!N . C6H3N307, AI cloridrato sciolto in acqua aggiunsi una soluzione di acido picrico al 3 °/o. Il sale così ottenuto ho ricristallizzato dall’acqua bollente, e si presenta in aghi leggeri di colore giallo, che fondono a 162°. È solubile in acqua ed alcool a caldo, pochissimo a freddo. È anidro. MITI Sa? 1068 GIOVANNI ISSOGLIO Gr. 0,1008 di sostanza secca a 100°, diedero cm? 12,2 di Noa: 732100. eda 49° trovato calcolato per C'*H!'!N.C°H8N307 N°% 13,90 14,07 Acido afenilypiridincarbonico 3 /C00H 1 C ‘HONG eggs a Ho ossidato la metilfenilpiridina colla quantità calcolata di permanganato di potassio necessaria per ottenere la trasforma- zione del gruppo — CH8 nel carbossilico — COOH. L'ossidazione col permanganato avviene secondo la seguente equazione: /C00K COHEN GEE S06Hs ° | 2KMnO'=C5H5N +2Mn0?+KOH + H?20 NOISE Quindi 1 molecola di piridina corrisponde a 2 molecole di permanganato di potassio, ossia a gr. 5 di base aggiunsi gr. 18,6 di KMn04 sciolti in 500 cm di acqua, e riscaldai a b. m. sino a che l’odore piridico fosse completamente scomparso, e che la soluzione diventasse quasi incolora. La finii di decolorare con un poco di alcool ed ebbi così un liquido alcalino torbido, che conteneva in sospensione il biossido di manganese. Separai il precipitato per filtrazione e la soluzione limpida ed incolora neutralizzai con acido cloridrico; poi evaporai a forte concentrazione a bagno maria ed a bassa temperatura. Il liquido concentrato acidulai con acido cloridrico od acido ace- tico, ed allora si depose una sostanza bianca leggera costituita dall’acido fenilpiridincarbonico. L’acido acetico deve preferirsi al cloridrico, perchè il pre- cipitato, che si forma, è solubile in un piccolo eccesso di acido cloridrico. Raccolta questa sostanza la cristallizzai dall’alcool al 90 °/ ed ottenni dei bellissimi aghi setacei, leggeri, anidri, bianchi fusibili a 271°. bili - ——-.rec_ © DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1069 Gr. 0,0776 diedero gr. 0,2072 di CO? e gr. 0,0320 di acqua. trovato calcolato per C'*H°NO? Cie ‘73,81 72,96 dle xdb$ 4,52 È difficilmente solubile in acqua fredda, poco nella calda, solubile in alcool concentrato caldo, meno nell’alcool freddo, insolubile in etere. Reagisce monobasico colla fenolftaleina : Gr. 0,1192 di acido richiesero gr. 0,02412 di NaOH per essere neutralizzati. trovato calcolato per una molecola _—__r_-_FTWYWVrr NaOH 20,23 20,10 Quando venga scaldato con precauzione in un tubetto da saggio, sublima in belle lamine bianche, brillanti, iridescenti. La soluzione del suo sale di ammonio dà le seguenti rea- zioni coi diversi sali metallici: Col cloruro di bario dà precipitato bianco, che è insolu- bile in acido acetico; Col cloruro ferrico. precipitato giallo scuro; Col nitrato di cobalto precipita in bianco roseo; Coll’acetato di rame dà cristallini di colore azzurro; Col nitrato d’argento precipita abbondantemente, ed il sale di argento insolubile si altera per riscaldamento; Col solfato ferroso nè il sale d’ammonio, nè l’acido libero non danno alcuna colorazione. Già questa reazione negativa sarebbe sufficiente per dimo- strare, che il carbossile in questo acido non è in posizione a, poichè si sa, che tutti gli acidi monopiridincarbonici, che con- tengono il gruppo — COOH in posizione a, si colorano in rosso col solfato ferroso (1), mentre non si verifica questa reazione quando il carbossile è in B o Y. Però non volli fidarmi sopra questa sola reazione, che avrebbe potuto essere fallace, ma volli vedere se con facilità si poteva (1) Skravp, “ Monatsh. , (1886, 211). 1070 GIOVANNI ISSOGLIO staccare il carbossile per semplice fusione dell’acido o per ebul- lizione prolungata di questo coll’acido acetico glaciale. L'acido da me studiato resiste bene scaldato al disopra del suo punto di fusione, e del resto questa prova pare inutile quando si pensi, che scaldato sublima, senza alterarsi, in splen- dide lamelle bianche, iridescenti. La seconda prova la eseguii trattando gr. 0,1 di acido fe- nilpiridinearbonico con 10 cm? di acido acetico glaciale; facendo bollire per tre ore e raccogliendo sopra un filtro la sostanza, che rimaneva indisciolta. Questa sostanza identificai essere l’acido indecomposto; infatti quando fu secca fra carta, ne determinai il punto di fusione (171°) e dopo averla ricristallizzata feci un saggio acidimetrico: Gr. 0,0312 richiesero cm? 1,55 di soda 35 per la totale neutralizzazione. trovato calcolato per C!*H°N0? Na0H / 19,87 20,10 L’acido acetico evaporato in massima parte non diede prova di contenere traccia di metilfenilpiridina. Dunque l’ebullizione protratta per tre ore non aveva de- composto l’acido fenilpiridincarbonico. La difficoltà, colla quale si stacca il carbossile dal nucleo piridinico dimostra, che l’acido da me studiato mom contiene il carbossile in posizione orto per rispetto all’azoto. Essendosi stabilito, che le metilfenilcianossipiridine, secondo il loro modo di formazione, devono contenere il gruppo metilico e fenilico rispettivamente in posizione a e Y oppure Y ed a, ne viene di conseguenza che l’acido piridinmonocarbonico, che da queste deriva, deve avere il carbossile in posizione a, oppure in Y. Ma le esperienze, che ho accennato poc'anzi, mi dimostrano, che nell’acido da me studiato il carbossile non si trova in po- sizione orto per rispetto all’azoto, ragion vuole, che esso sia perciò in posizione para ossia in Y. Però un’altra esperienza, sulla quale non si può più avere alcun dubbio, mi dimostra che mentre il gruppo — COOH è at- taccato all’atomo di carbonio Y, il fenile d’altra parte si trova situato in posizione a. î DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1071 | Infatti distillando il sale sodico dell'acido, da me ottenuto, colla calce viva ebbi una base oleosa, che identificai come ofenilpiridina. Distillazione dell’acido afenilypiridincarbonico con calce viva. L'acido neutralizzato colla quantità calcolata di carbonato sodico, ho rimescolato con circa 5 volte il suo peso di calce viva; feci la distillazione in canna di vetro poco fusibile, che misi in communicazione con una boccia a due tubulature raf- freddata con ghiaccio. D'altra parte questo recipiente collettore stava in commu- nicazione con un tubo ad U contenente delle perle di vetro ha- gnate di HCl diluito, per ritenere le piccole quantità di piridina, che potessero sfuggire. La distillazione avvenne a pressione ridotta ed ottenni un liquido oleoso, incoloro, insolubile in acqua. Che questa base oleosa sia veramente l’afenilpiridina me lo dimostrano molti caratteri. E primieramente non può già confondersi colla yfenilpiridina (1), che cristallizza in lamelle fusibili a 77° e che è solubile in acqua. In secondo luogo il punto di fusione dei picrati delle due basi è così differente da non poter dare luogo ad alcun dubbio. Il picrato della aferilpiridina fonde a 169°-172°, quello della yfenilpiridina fonde a 195°-196°. Il picrato della base da me ottenuta, ricristallizzato dal- l'alcool fonde a 167°-168°. Finalmente confrontando i cloroplatinati delle fenilpiridine si osserva, che mentre il cloro platinato dell’afenilpiridina ceri- stallizza con 2 molecole d’acqua e fonde a 200°, come dimostrano i lavori di Skraup e Cobenzl (2), di Scholtz (3) e di Severini (4), il cloropatinato della 1 fenilpiridina è perfettamente anidro. Quello della base da me ottenuta fonde a 198°-199°, e sot- (1) Hanrzsca, “ Ber. ,, 17, 1518. (2) Skraup e Cosenzr, “ Monatsh. ,, 1883, 486, 473. (3) Scwourz, “ Ber. ,, XXVIII, 1726. (4) Severini, “ Gazz. chimica ,, 1896. “ Chem. Centrb. ,, (1896), 2, 1107. “TaSa ‘PSE 1072 GIOVANNI ISSOGLIO toposto all’analisi dimostra di contenere due molecole di acqua di cristallizzazione. Gr. 0,1532 perdono a 100°-110° gr. 0,0072 di acqua e la- sciano gr. 0,0390 di platino metallico. trovato calcolato per (C!'H°N PA*PtC1"H- 2H°0 Pi. — 26,89 27,09 H°0 = 4,70 4,76 Per tutte queste esperienze posso con sicurezza dire che l'acido da me studiato è l’afenilypiridincarbonico, che deriva dall’afenily metilpiridina e che la sostanza madre da cui sono partito è l’ afenilymetilcianossipiridina. Da ciò consegue an- cora, che l’isomero di quest’ultima sostanza dovrà essere la vfenilametilcianossipiridina; così venni a conoscere la formula di costituzione di ambedue i prodotti, che ottenni dalla conden- sazione dell’etere cianacetico col benzoilacetone. B) aMetily fenilpiridina CH) CFH?NS GEHS fo) La distillazione con polvere di zinco della vyfenil a'metileia- nossipiridina avvenne collo stesso apparecchio e nello stesso modo descritto per la a fenilymetilpiridina. L'olio oleoso, che era distillato, non aveva fluorescenza verde ed il suo colore era meno spiccato. Il liquido alcalino distillato, sciolsi nell’acido solforico di- luito e la soluzione acida estrassi con etere, poi l’alcalizzai e nuovamente estrassi con etere, asportando così la base grezza, che distillata si presentò come un liquido oleoso, quasi incoloro. Questa base si solidificò per raffreddamento con acqua ghiaccia, in una massa bianca di cristalli fusibili ad una temperatura di poco superiore a quella ordinaria (16° circa). È un alcaloide oleoso incoloro, leggermente giallo, non fluo- rescente, che si altera all’aria, il suo sapore bruciante ed il suo odore piridico sono meno pronunciati di quelli del suo isomero. Bolle a 298° (corr.). È più denso dell’acqua. Il peso specifico a 15° è = a 1,015. DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1073 * i È insolubile in acqua, solubile invece in alcool, in etere. La soluzione alcoolica precipita per aggiunta di acqua. In presenza dell’acido cloridrico dà dei fumi bianchi. I. Gr. 0,1592 di sostanza diedero cm? 11 di N a 139,5 «eda 728nm, 89. n II. Gr. 0,1254 di sostanza diedero gr. 0,3914 di CO? e gr. 0,0728 di acqua. trovato calcolato per C'*H!!N ll: II. de —_ 85,11 85,21 bi= —_ 6,45 6,51 N 7,89 —_ 8,28 Avendo stabilito in modo indiscutibile la costituzione della piridina isomera a questa, debbo ora dare alla base analizzata la seguente struttura: La soluzione cloridrica della ametilyfeni/piridina precipita con tutti i reattivi generali degli alcaloidi: Coll’acido cloroplatinico precipitato giallo ranciato; Col cloruro d’oro dà un cloroaurato leggermente giallo ; Coll’acido picrico dà un abbondante precipitato giallo d’oro; Coll’acido fosfomolibdico si ha un fosfomolibdato, quasi bianco, abbastanza stabile; Col cloruro mercurico precipita in bianco; Col ioduro di potassio iodurato in rosso bruno; Col tannico dà abbondante precipitato bianco se la solu- zione è neutra o leggermente alcalina per ammoniaca. Il preci- pitato non avviene se la soluzione è fortemente acida; Coll’acqua di bromo precipita intensamente. Si ottiene ancora precipitato col reattivo dî Marmè, con - Sa N e 1074 GIOVANNI ISSOGLIO quello di Bouchardat, col bin di potassio, col clo- ruro mercurico, ecc. CLoroPLATINATO (C!2H!!N)? H?PtC]5. Aggiungendo una so- luzione di acido cloroplatinico al cloridrato della base si ottiene un intenso precipitato giallo ranciato, che ricristallizzato dal- l’acqua dà dei prismi aciculari, fusibili a 216°-217°, decompo- nendosi. Il cloroplatinato è poco solubile in acqua fredda, ab- bastanza nella calda, poco solubile nell’alcool a freddo. Contiene 4 molecole di acqua di cristallizzazione. Gr. 0,1794 perdettero a 100°-110° gr. 0,0160 di acqua e diedero gr. 0,0422 di Pt metallico. trovato calcolato per (C'*H'!N)*H®PtC1°4-4H?0 er. ' _— rr H?0 8,78 8,72 Pt 23,57 23,62 Pricrato. Dalla soluzione cloridrica, per aggiunta di acido picrico, precipita intensamente il picrato in aghetti pesanti di colore giallo intenso, che sono molto solubili in acqua a caldo e poco a freddo. Questi cristalli anidri fondono a 185°-186°. o Metilessilpiridina. susino. ((0) C5H3 NS (eps (n) Nella condensazione dell’ acetilmetilessilchetone coll’etere cianacetico si formano due sostanze isomere, ossia due metil- essilcianossipiridine; di queste, quella che si forma in maggiore quantità e che presenta un punto di fusione minore (108°), sottoposi alla distillazione con polvere di zinco. La distillazione avvenne collo stesso apparecchio e nello stesso modo descritto per le metilfenilpiridine. Durante il ri- scaldamento della miscela della sostanza accennata colla polvere di zinco, si svolgevano degli idrocarburi a peso molecolare alto, che avevano odore di petrolio. Avvenuta la distillazione ottenni un liquido denso, che sciolsi in acido solforico diluito. La soluzione acida, di colore rosso ranciato, estratta prima con etere e poi alcalinizzata, venne trattata muovamente con etere, che asportò la base. Evaporata DI ALCUNE NUOVI BASI PIRIDINICHE 1075 la soluzione eterea ottenni un liquido oleoso, rosso bruno, che distillai, raccogliendo ciò che passava verso 230°-240°. Questa porzione ho di nuovo distillato ed ottenni una base incolora con un forte odore sgradevole di piridina, bollente “a 238°-240° (corr.); più leggera dell’ acqua, peso spesifico a . 15°=0,936. Questa piridina è solubile in acqua, alcool, etere. Gr. 9,1360 di sostanza diedero a 725,1” ed a 17° em? 9,9 di N. trovato calcolato per C'*H!°N — e da È an Neo, 8,19 Fio _ Questa base ha la proprietà caratteristica di dare dei pre- cipitati oleosi coi principali reattivi precipitanti degli alcaloidi: Coll’acido cloroplatinico precipitato giallo chiaro, che poi diventa rosso bruno con aspetto resinoso; Coll’acido cloroaurico precipitato giallo, che si rapprende in gocciole oleose; ‘ Coll’acido picrico goccie oleose gialle. L'acido fosfomolibdico è Vunico dei reattivi provati, che dia un precipitato bianco, solido con questo alcaloide. Col ioduro di potassio iodurato dà gocciole bruno-nere oleose. Analoghi precipitati oleosi si ottengono col tannino, col toduro di Cd e potassio, col ioduro di mercurio e di potassio. CLoropLatINATO (C!2H!9N)?H2PtC]. Trattando la soluzione cloridrica dell'a metilyessilpiridina coll’acido cloroplatinico ot- tenni un precipitato intenso, giallo chiaro, che dopo alcune ore diventò più scuro e si rapprese in una massa resinosa. Lasciato il precipitato a sè per alcuni giorni in riposo si trasformò in aghi gialli, duri, friabili. Raccolti questi cristalli li asciugai fra carta. Essi sono solubili a caldo in acqua ed in alcool, insolubili a freddo. Non contengono acqua di cristallizzazione. Gr. 0,2366 di sostanza secca a 100° lasciarono gr. 0,0594 di platino. IT TE a tic i vi n ‘ trovato calcolato per (C‘*H'°N)*H®PtC1° _— ——P>orffSCee ee” oeY”rr=> Di © 25.11 25,45 Atti della R. Accademia — Vol. XL. 71 é(%e.l \ sv PE 1076 GIOVANNI ISSOGLIO ; Ossidazione della ametilvessilpiridina. Scaldai questa base a bagno maria con una soluzione acquosa di permanganato di potassio, nella quantità necessaria per ossidare il gruppo metilico. Il permanganato era diluito con 50 il suo peso di acqua distillata. Dopo alcune ore scomparve l’odore piridico, allora scolorai il liquido con un poco di alcool e lo filtrai. Il filtrato neutra- lizzai con HNO? e trattai con acetato di rame; ottenni un pre- cipitato verde, che raccolsi. Questo sale di rame in sospensione nell'acqua, ho sottoposto ad una corrente di H?S. Filtrai ed evaporai il liquido a bagno maria a bassa temperatura. Ottenni un residuo a reazione acida assai spiccata, la cui soluzione si colorava in rosso intenso col solfato ferroso. L'acido fondeva verso 180° svolgendo al momento della sua fusione una grande quantità di bollicine gazzose e dando vapori alcalini. Per queste reazioni credo di avere avuto fra le mani l’acido Tessilapiridincarbonico e quindi probabilmente la base analizzata doveva essere la ressilametilpiridina dalla formula di struttura Del resto con maggiore probabilità credo di ricavare la sua formula di struttura, più che da queste reazioni qualitative, dalle strette analogie, che passano fra la metilessilcianossipiridina da cui sono partito e la corrispondente metilfenilcianossipiridina. Mi rincresce, che l’esigua quantità di sostanza avuta fra le mani mi abbia impedito di poter rendere più complete e de- cisive le mie ricerche a questo riguardo. I A DI ALCUNE NUOVE BASI PIRIDINICHE 1077 Da questi studii risultano ora conosciute tre fenilmetilpi- ridine: CH 0. CHF c. CH HC A dà; CH HO i È CH HC A x CH Fal | 6115 vali i] pera [N] mol; c.c'H ORLO CH curo en N N N 0'METILO FENILPIRIDINA UÙMETILY FENILPIRIDINA 0 FENIL YMETILPIRIDINA In questa tabella riassumo i punti di ebullizione delle sin- gole basi ed i punti di fusione dei loro picrati o cloroplatinati : punto fusione ——T_—= ss Base p. Eb. piero clovopIabimato CENCI ai 2800-281° 135° 200° OSHAN< OH Vi 2980 1850-1860 2160-217° Bi ona o) 310° 162° 1750 Come si vede non esiste alcuna regolarità, nè alcuna ana- logia fra i punti di ebullizione di queste basi ed i punti di fu- sione dei relativi picrati e cloroplatinati. Trattandosi qui di sali abbastanza complessi è difficile di poter stabilire una re- gola, che possa servire di guida per ricerche analoghe. Il valore principale di questi dati è quello di caratterizzare le basi sulle quali ho sperimentato. Noto finalmente, che il punto di ebullizione dell’a metily essil- piridina (238°-240°) è inferiore a quello della metilfenilpiridina corrispondente; analogamente dicasi per il punto di fusione dei suoi sali. Laboratorio chim. farm. e toss. R. Università Torino. Giugno 1905. 1078 ROMEO FUSARI Contributo allo studio delle terminazioni nervose néi muscoli striati di * Ammocoetes branchialis ,. Nota del Socio ROMEO FUSARI. (Con una Tavola). La letteratura sul tema delle terminazioni nervose degli organi e specialmente sul tema delle terminazioni motrici è ormai ricchissima, ma nuove ricerche su questo campo di studi ap- paiono tutt'altro che oziose, atteso il gran numero di questioni, sia generali che speciali, le quali rimangono ancora insolute. L'interesse si è anzi ravvivato négli ultimi tempi, specialmente dopo che furono noti i sorprendenti risultati ottenuti da Apathy colle indagini sul sistema nervoso dei lumbricoidi e degli iru- dinei, i quali risultati fecero nascere l’idea, difesa poi special- mente da Bethe, che non solo negli invertebrati, ma anche nei vertebrati non esistano terminazioni nervose libere. Io, che da qualche anno mi occupo dello studio del sistema nervoso, periferico di Ammocoetes branchialis con ricerche miero- scopiche mediante metodi diversi (metodo rapido di Golgi, me- todo al cloruro d’oro di Fischer modificato da Ruffini, metodo di Ramon y Cajal col nitrato d’argento ed idrochinone), ho ot- tenuto circa alle terminazioni nervose motrici una serie di re- perti, che credo non privi di importanza e che ad ogni modo non vennero fin qui ricordati da altri. Di essi faccio oggetto una breve nota che .ho l'onore di presentare all’ Accademia. Dirò dapprima delle terminazioni motrici nei miomeri, descriverò poscia il modo di terminare delle fibre nervose sulle fibre mu- scolari delle labbra e su altre fibre striate della muscolatura viscerale. Come è noto la muscolatura del tronco dell’ Ammocoetes non possiede vere fibre muscolari. I miomeri constano di formazioni nastriformi che vennero da Stannius indicate col nome di cas- sette muscolari (Muskelkiisten) e da Maurer chiamate lamine mu- scolari (Muskelbiinder). Queste cassette o lamine, larghe, molto CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, Ecc. 1079 brevi e sopratutto sottilissime, sì estendono da un miosetto al- l’altro; stanno in generale disposte nel piano orizzontale ed in modo da presentare una estremità anteriore ed una estremità posteriore corrispondenti ad un miosetto, un margine interno o mediale rivolto, a seconda dell’altezza, verso il tubo midollare, verso la corda o verso la cavità splanenica, ed un margine esterno o laterale corrispondente alla cute. Ciascuna lamina muscolare è delimitata da una fina mem- brana connettiva nucleata; nell'interno della lamina le fibrille primitive, ordinate a foglietti, formano cinque piani che un sar- coplasma finissimamente granuloso e provveduto di nuclei se- para l’uno dall’altro. Le notizie che si hanno circa al modo di comportarsi delle fibre nervose rispetto agli indicati elementi muscolari si riducono a ben poco. Retzius nel 1892 disse che potè osservare solo oc- casionalmente le terminazioni motrici del Petromyzon; notò che queste si presentano secondo un tipo molto semplice: le fibre nervose si ramificano scarsamente, e qua e. là le diramazioni terminali appaiono provvedute di piccole placchette. Quasi con identiche espressioni ho indicate io stesso le terminazioni ner- vose nei miomeri dell’ Ammocoetes nel 1901, nell'occasione di una presentazione di preparati alla riunione della Società anatomica francese di Lyon. Ora io posso invece affermare che la terminazione nervosa motrice nei miomeri è ben lungi dall'essere così semplice. I nervi motori dell’ Ammocoetes si possono facilmente distin- guere dai nervi di senso. I loro tronchi partono direttamente dalle radici ventrali spinali ed inoltre sono esclusivamente co- stituiti da fibre nervose, mentre i tronchi dei nervi di senso derivano dalle radici dorsali e portano quasi sempre grandi cel- lule gangliari scaglionate sul loro decorso. I nervi sensitivi nel- l’allontanarsi dalla midolla spinale vanno a mettersi direttamente in rapporto coi miocommi; i nervi motori invece rasentano il margine interno dei miomeri e nel decorso inviano continua- mente rami alle lamine muscolari. Branche degli stessi nervi percorrono successivamente i miocommi e da esse branche sì ‘staccano poi rami, i quali, seguendo i setti connettivali inter- posti alle cassette muscolari, finiscono per distribuirsi ancora a queste formazioni. 1080 ROMEO FUSARI Julin nel suo studio sul sistema nervoso dell’ Ammocoetes asserisce che i miomeri ricevono rami anche dai nervi originati dalle radici dorsali; io per mia parte non ho potuto stabilire tal fatto, nè so nemmeno spiegarmi come Julin abbia potuto fare questa osservazione colle comuni colorazioni: pure non nego la possibilità che qualche fibra sensitiva parta dai fasci decor- renti nei miocommi per unirsi alle fibre motrici dei miomeri. Checchè ne sia, le fibre nervose motrici, isolate od a fa- scetti, avanti di raggiungere le cassette muscolari si allacciano variamente fra di loro formando una specie di plesso. Partendo da questo plesso esse perdono la loro guaina e, decorrendo per lo più isolatamente e dividendosi ancora più volte, passano ra- sente alla superficie della formazione muscolare, e su tutta la periferia di questa costituiscono un finissimo plesso terminale. Considerando questo plesso terminale nelle sue particolarità, comincierò col dire che esso è composto di fibre di diametro variabile, la maggior parte però finissime e decorrenti per lo più obbliquamente alla direzione delle fibrille muscolari e quasi pa- rallele fra di loro. Non è raro il caso di osservare le fibre anche le più fine passare da una cassetta a quella vicina; è meno fre- quente invece il trovare anastomosi fra le dette fibre nervose in modo da formare una rete (fig. 6): ciò si verifica specialmente verso la estremità interna delle cassette muscolari. Nei preparati coll’oro le fibre nervose del plesso, anche le più grosse, sì presentano sempre o quasi sempre fortemente varicose, e spesso in corrispondenza alle nodosità si possono osservare bar- boline o filuzzi terminanti con una pallina. — Al margine interno delle cassette muscolari, e precisamente colà dove le fibre ner- vose si mettono in rapporto con questi elementi, si rileva in detti preparati un’altra particolarità. Quivi le fibre nervose si dividono più volte. Dei rami risultanti da tale divisione alcuni sono finissimi, leggermente varicosi e sembrano terminare in posto: altri invece appaiono più grossi della branca stessa da cui derivano: altri infine si caratterizzano specialmente per grosse e fitte varicosità, che si seguono ininterrottamente le une alle altre; tali rami portano sul decorso od alla apparente termina- zione delle espansioni a guisa di placche circolari od ovoidali, che ricordano nell'aspetto le piastre terminali dei muscoli dei vertebrati superiori (v. fig. 1, 2, 3, 4). Le placche misurano 8-10 u CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 1081 secondo il diametro minore e 10-12 u secondo il diametro maggiore; in alcuni casi però sono più strette ed allungate a clava (fig. 3). Talora risultano tinte uniformemente (fig. 2), ta- lora sembrano essere costituite da un fitto accumulo di cor- picciattoli irregolari, fortemente impregnati dall’oro, ma non bene delimitati (fig. 3 e 4). Queste formazioni sono disposte a gruppo, cioe molto vicine l'una all’altra, in numero variabile da tre a sei e più per ogni lamina muscolare ed occupano un piccolo campo che è alquanto più colorato del resto della la- i mina stessa, perchè ne forma il fondo uno straterello di sostanza finamente granulosa, non ben limitata alla periferia e cosparsa qua e là da gruppi irregolari di grossi granuli. In alcuni casi le placchette suddescritte non appaiono, ed allora questa parte dell'apparecchio nervoso terminale, composta di fibre, nervose ramificate, assomiglia perfettamente alla ter- minazione da Ceccherelli descritta alla estremità delle fibre dei muscoli dorsali degli anfibi anuri e da questo osservatore con- siderata come un apparecchio sensoriale. Se su sezioni che colpiscono trasversalmente le lamine mu- scolari si esamina la parte dell’apparecchio terminale presen- tante le placchette, si rileva che queste, colla sostanza granulosa in cui sono immerse, stanno innicchiate in una depressione della sostanza contrattile e che, rispetto alle placchette, le fibre ner- vose, almeno le più grosse, appaiono situate più superficialmente. Sugli altri punti della periferia delle cassette muscolari i filamenti nervosi del plesso terminale presentano questo di spe- ciale che in generale hanno un decorso lunghissimo e sono scar- samente ramificati. Non mancano terminazioni speciali; ora sono semplici rigonfiamenti a bastoncino od a placchetta, ora sono a forma di trifoglio o di fiocchetti e ricordano allora le termina- zioni caratteristiche dei muscoli delle labbra, che io descriverò più avanti. Questo plesso terminale si appoggia alla membrana connettiva limitante la lamina muscolare, ed ho osservato che quando la detta membrana, per maltrattamenti subiti nella pre- parazione, resta isolata, si vedono su di essa in modo anche più netto le fibre e le fibrille nervose ed anche le placchette. Esaminando le sezioni impregnate d’argento col nuovo me- todo di Ramon y Cajal, si nota anzi tutto che le fibre e le fi- brille nervose appaiono quasi sempre liscie, si rileva inoltre che } | i i i È 1082 ROMEO FUSARI esistono sole terminazioni libere, senza rigonfiamenti od altro. Al margine interno delle cassette muscolari mancano quei gruppi di placchette che si rendono facilmente visibili col cloruro di oro; si osserva solo qualche filamento nervoso che termina li- beramente in mezzo ad una sostanza cosparsa di nuclei di varia forma e disseminata di granulazioni grosse o minute ma sempre fortemente tinte. Le altre fibre nervose passano su questa so- stanza per diramarsi poi sulle altre parti della lamina stessa. Collo stesso metodo di Ramon y Cajal sulle membrane con- nettivali, che servono ad isolare l’una dall’altra le lamine mu- scolari, si rende evidente un’altra particolarità istologica. Le cellule proprie di questa membrana in alcuni casi vengono co- lorate in bruno ed allora risulta chiaramente visibile la loro forma e la loro disposizione. Le cellule sono allungatissime ed estremamente sottili, tanto che piuttosto che cellule hanno tutto l’aspetto di fibre connettive; anche il nucleo è molto stretto e lungo ed in corrispondenza al nucleo ciascuna fibra appare leg- germente rigonfiata. Inoltre le dette fibre sono allineate in fitta serie, parallelamente le une alle altre a distanze molto rego- lari, e la direzione di esse è tale che incrociano sempre sotto un angolo acuto le strie trasversali degli elementi muscolari striati con cui sono in rapporto. Queste cellule possono emettere pro- lungamenti collaterali o biforcarsi su un certo punto del loro tragitto. Quando la reazione colora queste cellule in bruno, ed in nero i filamenti nervosi, sì può allora rilevare che le fibrille ner- vose del plesso decorrono su queste cellule seguendone per lunghi tratti la direzione e che, quando se ne allontanano, sono in molti casi seguite da una specie di guaina protoplasmatica tenuissima formatale dalle cellule stesse. Le fibrille nervose più fine pos- seggono quasi sempre questa guaina e, quando esse si dividono, la guaina pure si divide distendendosi dapprima a placca trian-. golare, la quale eventualmente può contenere un nucleo. In al- cuni casi ho osservato che quando le fibrille nervose terminano o sembrano terminare, la guaina protoplasmatica si continua an- cora per un certo tratto, facendosi anche più tenue, ma presen- tando in pari tempo grossi granuli colorati e talora anche in un nucleo (fig. 5). Verosimilmente la guaina protoplasmatica col metodo del- isti CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, Ecc. 1083 l’oro ed in taluni casi anche col metodo di Golgi resta colorata insieme alla fibrilla nervosa e, alterata in pari tempo dai reat- . tivi, produce allora le varicosità, le barboline, i filuzzi ed anche le placchette, le mazze ed i fiocchetti terminali, che si osser- | vano nei preparati ottenuti con tali metodi di indagine. Dirò infine che l'apparato motore non si limita al plesso terminale su cui mi sono trattenuto fino ad ora; esiste un rap- porto molto più intimo fra l'apparato nervoso motore e la la- mina muscolare, vi ha cioè una penetrazione di fibrille nervose nell'interno stesso della lamina. Queste fibrille non sono molto numerose; esse partono dal plesso terminale e si addentrano più o meno profondamente nella formazione muscolare, dove possono diramarsi (fig. 7). In taluni casi sembrano terminare liberamente, in altri presentano piccoli fiocchetti terminali (preparati coll’oro). Riassumendo risulta dalle mie osservazioni che la termina- zione nervosa motrice nelle lamine muscolari: dell’ Ammocoetes consta di tre parti diverse: 1° Vi ha un plesso avvolgente tutta la periferia della lamina muscolare; 2° In corrispondenza al mar- gine mediale della cassetta vi sono fibrille nervose, che si met- tono in rapporto con formazioni speciali simulanti le piastre mo- trici delle fibre muscolari striate; 3° Vi sono infine filamenti nervosi che da tutte le parti del plesso penetrano fra le fibrille contrattili della cassetta muscolare. E qui viene spontaneo un confronto. E noto che Apathy nello studio dei muscoli lisci di Pontobdella col comune metodo dell'oro trovò che la fibra nervosa entrando in contatto colla fibra muscolare pareva terminasse in una specie di rigonfiamento longitudinale (ongitudinale Leiste), costituito da una sostanza ora finamente granulosa, ora omogenea; è anche noto che il medesimo autore, mediante il trattamento dei pezzi col suo speciale metodo di impregnazione aurica, osservò invece che la fibra nervosa pri- mitiva non si arrestava al punto di entrata nell'elemento musco- lare, ma si prolungava nel suo interno dividendovisi variamente. Apathy avrebbe veduto anche che alcune neurofibrille uscivano da una fibra muscolare per penetrare in un’altra, ma non notò mai anastomosi fra le fibrille primitive. Abbiamo adunque nei mu- scoli di Pontobdella una pseudoterminazione manifestantesi coi comuni metodi dell’oro, come appunto si verifica nelle lamine muscolari di Ammocoetes (e dirò a tal proposito che la fig. 2 della ‘Fal? ZERI © ? 1084 ROMEO FUSARI tav. 22, in cui venne da Apathy rappresentata la sua Zongitudi- nale Leiste, ricorda molto bene il gruppo delle pseudoplacchette muscolari veduto a piccolo ingrandimento); nelle due forme ab- biamo fibrille nell'interno dell’elemento muscolare e fibre che passano da uno all’altro elemento. Apathy dai reperti avuti crede giustificata la sua ipotesi di una grata nervosa elementare i cui filamenti compenetrerebbero gli elementi tutti del corpo e fra questi anche le cellule muscolari; ora in base alla comparazione da noi fatta si potrebbe pensare che la stessa ipotesi valga anche per i miomeri di Ammocoetes, cioè per un rappresentante del tipo dei vertebrati. Prima di rispondere a tal quesito dobbiamo farci una do- manda: sono le lamine muscolari di Ammocoetes da considerarsi quali unità istologiche, come lo sono ad esempio le fibre. mu- scolari di Pontobdella 0, per lo meno, come le fibre muscolari striate? perchè solo dopo una risposta affermativa a questa do- manda l'ipotesi di Apathy può essere presa in considerazione anche riguardo ai vertebrati. Ebbene, basta confrontare le lamine muscolari di Ammocoetes con quelle dello stesso animale, ma allo stato adulto, cioè con quelle di Petromyzon, per concludere che queste formazioni non sono elementi semplici. Nel Petromyzon infatti troviamo che il foglietto superficiale di ciascuna cassa muscolare non è più costituito da semplici fibrille, ma da vere fibre muscolari, aventi un sarcolemma proprio e separate le une dalle altre per opera di tessuto connettivo. Non si conosce fino ad ora come si comportino i nervi nelle cassette muscolari di Petromyzon: ma dacchè in queste formazioni si trovano fibre mu- scolari ben delimitate e separate dalle fibre vicine da tessuto connettivo, è lecito il supporre che ciascuna di tali fibre pos- segga una terminazione motrice propria. Adunque il fatto da me rilevato della penetrazione di fibrille può essere molto sempli- cemente spiegato; la cassetta o lamina muscolare di Ammocoetes non è un elemento semplice, od almeno esso è destinato ad es- sere successivamente scomposto in un certo numero di altre unità istologiche, ognuna delle quali deve essere provveduta di un apparato nervoso terminale; perciò la penetrazione delle fi- brille nella cassetta può considerarsi in relazione alla detta scom- posizione, in altre parole essa potrebbe essere un semplice fe- nomeno prodromico della scomposizione stessa, CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, Ecc. 1085 Secondo i risultati delle mie osservazioni anche le pseudo- piastre terminali, che si notano al margine interno della lamina muscolare, sono forse in rapporto colla condizione di sviluppo della lamina stessa. Su preparati ottenuti da pezzi fissati in Zenker e colorati col carminio o coll’ematossilina si rileva al posto delle pseudoplacchette un gruppo di nuclei circondati da una sostanza protoplasmatica; in alcuni casi vi si osservano vere cellule av- vicinate fra di loro a contorni ben distinti e coll’apparenza di cellule epiteliali (fig. 13). Molto verosimilmente su questo mar- gine della lamina muscolare si trova il materiale per l'ulteriore accrescimento della lamina stessa, il qual materiale sarebbe ap- punto rappresentato dalle nominate cellule e dagli accumuli di nuclei col relativo protoplasma. Il Maurer, che si è occupato dello sviluppo delle lamine muscolari, non parla di tale dispo- sizione; essa però è chiaramente accennata in una delle sue fi- gure (fig. 7, tav. 14). Con le date spiegazioni io ho senz’altro risposto al quesito propostomi: la somiglianza fra l'apparato nervoso motore di Pontobdella e quello di Ammocoetes è più apparente che reale ed il fatto della penetrazione di fibrille nervose nelle cassette mu- scolari non può essere portato a sostegno della teoria di Apathy riguardo ai vertebrati. Molto diversa è la terminazione nervosa se la si studia nei muscoli delle labbra e nei muscoli striati annessi al sistema vi- scerale (esofago, branchie, ecc.) dello stesso Ammocoetes, dove si trovano fibre muscolari di struttura uguale a quelle dei verte- brati superiori. Come ho già fatto osservare nella mia citata nota, le terminazioni motrici sulle dette fibre ricordano quelle studiate da Retzius nella Mirine glutinosa; vi si trovano piastre o fiocchetti o grappoli terminali più o meno complessi, di cui alcuni tipi ho riportato nelle figure 10, 11, 12. Ciò che im- porta qui di aggiungere è che di solito da un primo fiocchetto partono uno o più filamenti finissimi, i quali dopo un decorso più o meno lungo si gettano sulla medesima o su un’altra fibra muscolare per costituirvi una seconda espansione terminale in forma di fiocchetto o di una semplice placchetta (fig. 10, 12). Non è raro il caso che la seconda terminazione sia il punto di partenza di altri filamenti, che costituiscono nuovi fiocchetti o 1086 ROMEO FUSARI nuove placchette su altre fibre muscolari (fig. 11). In qualche preparato ho veduto anche che alla costituzione di tali termi- nazioni concorrono filamenti venuti da due diversi fiocchetti pri- marii, cosicchè vi ha quivi un congiungimento a rete di fila- menti di diversa origine. Reti nervose molto più strette si possono osservare anche su un’area abbastanza ristretta di una sola fibra muscolare. Nelle figure 8* e 9? sono rappresentati segmenti di fibre muscolari del labbro. Quivi la terminazione motrice appare costituita da più fibrille (3 nella fig. 9*, 6 nella fig. 8?) che vi arrivano formando un piccolo fascio. Giunte sull’elemento musco- lare, le fibre nervose si ramificano, ed ogni ramo porta fiocchetti terminali, ma e i rami ed i fiocchetti si congiungono fra loro molteplici volte, così che si costituisce una stretta rete. Dalla parte periferica di questo apparato terminale originano poi altre fibrille che si portano in altri elementi muscolari per costituirvi nuove terminazioni. Il numero dei fiocchetti in una stessa fibra muscolare mi è parso notevole, ma non ho potuto determinarlo, sia perchè il decorso di queste fibre difficilmente cade tutto nel piano della sezione, sia perchè l’impregnazione metallica non interessa ugual- mente tutta una sezione: è certo che in molti punti i fiocchetti sono ravvicinati l’uno all’altro (fig. 12?, a, 3) ed appaiono costi- tuiti da fibre provenienti da fascetti nervosi diversi, oppure anche da uno stesso fascetto. A piccolo ingrandimento spesse volte si ha l'impressione di una fitta rete nervosa, le cui maglie sono occupate dalle fibre muscolari striate; perchè è da aggiungere che anche i fascetti nervosi intramuscolari più considerevoli non decorrono mai isolatamente, ma stanno fra di loro in frequenti rapporti anastomotici. Questi risultati sulle fibre muscolari striate furono ottenuti col metodo di Golgi e coll’impregnazione d’oro: il metodo di Ramon y Cajal non mi rispose fino ad ora in modo soddisfacente. È noto che da Bremer, da Ruffini, da Perroncito, da Cre- vatin e da altri vennero nelle terminazioni motrici dei batraci, dei rettili e dei mammiferi trovate alcune particolarità, le quali ricordano quelle ora da me descritte nei muscoli a fibre striate di Ammocoetes. Si osservò cioè che in molti casi dalla arboriz- zazione motrice terminale parte un filamento, il quale talora va su un'altra fibra muscolare o su un fuso muscolare per formarvi ati IS CONTRIBUTO ALLO STUDIO DELLE TERMINAZIONI NERVOSE, ECC. 1087 un secondo apparato terminale. Questo filamento da Apathy, che commentò il lavoro di Ruffini, venne considerato come una prova della esistenza della grata terminale anche nei vertebrati; esso rappresenterebbe la porzione più grossolana di questa. In base a tali vedute Ruffini chiamò simili filamenti col nome di fibrille ultraterminali, mentre d’altra parte Perroncito e Crevatin attri- buirono ad esse il valore di semplici rami collaterali della fibra costituente la prima terminazione. lo pure nella mia già citata nota ammisi questa ultima interpretazione, la quale era in perfetta armonia colle conoscenze che si avevano allora delle termi- nazioni motrici dei vertebrati e non pregiudicava la que- stione. Anche oggidi mi sembra prematuro fare una compara- zione fra queste fibrille e l'apparato terminale dei muscoli degli invertebrati, perchè fra le due maniere di terminazione vi ha ancora una distanza troppo grande. Converrà insistere ancora nelle ricerche; per ora dobbiamo limitarci a dire che fra gli ele- menti muscolari di Ammocoetes, appartengano questi al tronco od alla muscolatura viscerale, esiste una rete nervosa, e che forse le così dette fibre ultraterminali trovate negli altri vertebrati, in parte almeno, corrispondono ad elementi di questa rete. BIBLIOGRAFIA DO Aparuv. Das leitende Element des Nervensystems und seine topographischen Beziehungen zu den Zellen. * Mittheilungen aus der Zoologischen Station zu Neapel ,, Bd. 12, 1897, S. 495-748, Tav. 23-32. L. Bremer. Ueder die Endigungen der markhaltigen una marklosen Nerven im quergestreiften Muskel, “ Arch. f. mikr. Anat. ,, Bd. 21, 1882. G. CeccuereLLI. Sulle piastre motrici e sulle fibrille ultraterminali nei muscoli della lingua di rana, “ Monitore zoologico italiano ,, anno XIII, 1902. A. Crevarin. Sulle fibrille nervose ultraterminali, “ Rendiconto delle sessioni della R. Accad. delle Scienze dell’Istit. di Bologna ,, anno 1900-1901. R. Fusari. Présentation de préparations microscopiques démonstrant les ter- minaisons nerveuses dans les muscles striés; dans l’épiderme et dans l’épithelium de la cavité buccale de l'“ Ammocoetes branchialis ,, © Comptes rendus de l’Association des Anatomistes ,, 3° session, Lyon, 1901. II. Grenacner Bestrdige zur niheren Kenntniss der Muskulatur der Cyclo- stomen und Leptocardie, “ Zeitschrift f. Wissensch. Zoologie ,, Bd. XVII, 1867 (citato da F. Maurer). 1088 ROMEO FUSARI — CONTRIBUTO ALLO STUDIO, ECC. Ca. Juorin. Recherches sur lapparat vasculaire et le système nerveux périphé- rique de V “ Ammocoetes , (Petromyzon Planeri), “ Archives de Bio- logie ,, tome VII, 1887. F. Maurer. Die Elemente der Rumpfmuskulatur bei Cyclostomen und hòheren Wirbelthieren, “ Morphologisches Jahrbuch ,, Bd. XXI, 1894. G. Rerzios. Zur Kenntniss der motorischen Nervenendigungen, © Biol. Unters. ,, N. F., Bd. III, 1892, pag. 41. A. Rurrini. 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Fig. 4. — Pseudopiastrine del margine interno di due lamine muscolari. Sezione nel piano ventrale. Impregnazione aurica (Koristka obb. immers. 1/1;, oc. compens. 4). Fig. 5. — Terminazione di una fibrilla nervosa seguita da un rigonfiamento nucleato della sua guaina protoplasmatica. Metodo di R. y Cajal (Zeiss obb. apocr. 2 mm., oc. comp. 8). Fig. 6. — Plesso terminale di una lamina muscolare in un punto presen- D tante delle anastomosi. Cloruro d’oro (Zeiss obb. apocr. 8, oc. comp. 8). Fig. 7. — Sezione trasversa di una lamina muscolare: a, suo margine in- terno costeggiato da una fibra nervosa; 2, 5, superficie superiore ed inferiore della lamina colla relativa membrana connettiva delimi- tante e coi filamenti nervosi del plesso terminale; e, c, fibrille ner- vose interne. Cloruro d’oro (Zeiss ob. apocrom. 4, oc. compens. 4). Figg.8 e 9. — Plesso e grappoli terminali su fibre muscolari delle labbra. Cloruro d'oro (Koristka obb. immersione ‘/;, oc. comp. 8). Figg. 10, 11, 12. — Terminazioni nervose motrici nei muscoli delle labbra con terminazioni secondarie. Metodo di Golgi (Zeiss obb. apocr. 8, oc. compens. 4). Fig. 18. — Margine interno di due lamine muscolari con cellule e nuclei di accrescimento. Colorazione col carminio (Zeiss obb. apocr. 2 mm., oc. compens. 8). FUSARI - Terminazioni nervose ecc. Ni i ID PARLI | Sea Cis. ia 3 a A cina De: fr z b_S e i nr N rn. \ \ ‘ x Cc an 3 Fig.13 Ù 33 assoli Torino Fig: 71 Atti dRAccad.d. Scienze di Torino. T0/_IZ. r \ \ (0) a x >> ps a;__ : Praniiez —; -Db | UMBERTO PERAZZO — RICERCHE SULLA VARIAZIONE, Ecc. 1089 1 icerche sulla variazione dell’ “ Hydrophilus piceus , Linn. PARTE SECONDA. Nota di UMBERTO PERAZZO. Ritengo utile far seguire alla nota sullo stesso argomento, che ebbe l’onore di esser accolta per gli Atti dall’Accademia . di Torino, nella Seduta del 21 maggio scorso, alcune tavole com- . plementari. Le prime (pag. 4-11) contengono i principali carat- | teri riguardanti la variazione assoluta e relativa nelle serie | considerate (classi estreme, medio; coefficienti di variabilità assoluta e relativa); le rimanenti la disposizione in classi delle varianti nelle diverse serie. i CY CIN 1090 UMBERTO PERAZZO Variazi O Termini estremi della variazione asc (in millimetri) Parti del dermascheletro sottoposte a misura Torino Nizza Monferra “n _ P_i CT —_=zrrecocn Ò C Ò 46,55-54,6 | 46,7-55,9 | 47-54,25 49,48 | Statura Capo. 1. Diam. antero-post. del fronte 3-3,8 | 3,15-8,85 | 3,15-3,75 | 3,55 2. Id. del capo (parte dors.) sino bI al marg. ant. del peristoma| 7,7-9,2 $,05-9,5 7,8-9 8.25 9. Id. del labbro superiore . 126-165 | 43-07 1,3-1,55 1,45 | 4. Largh. mass. del labbro sup. 4,75-5,7 | 4,95-5,9 4,8-5,7 5-È 5.Id. della parte ant. del capo (anteriore agli occhi) 6. Dist. fra le superficie laterali esterne dei due occhi . 7. Diam. antero-post. del capo (parte ventr.) sino al marg. 6,55-8,15 | 7,1-8,3 ‘| ‘6,8558 7-8) 9,25-11,15| 9,75-11,3 | 9,4-10,9 |9,755 anter. del labbro inferiore | 6.1 Pa 6,25-7,55 6,2-7,2 6,55 8.Id. del labbro inferiore . 1,7-2,05 1,8-2,1 1,7-2 1,8- 9. Largh. del labbro inferiore | 8.05 3,6 3,25-83,9 3,05-3,7 | 3.24 Protorace. 10. Diam. antero-post. del pro- torace (pronoto) . 11. Largh. massima del Fato race (pronoto) . 6,5-7,8 | 6,59-7,8 6,65-7,8 | 6,7-1 Scudetto. 12. Diam. antero-posteriore dello | scudetto . PARETO (n: 257 4,55-5,7 4,7-5,75 | 4,752 13. Largh. dello scud. (alla base) 9-0,1 | ‘5,05-6: 10061 5-5,95 D,9- Sterno. 14. Lungh. dell’apof. mesostern. 8,5-10,65 | 8,5-1 "65 9-10,6 9,05-1 15. Lungh. tot. dell’apofisi stern. 120 25-25,15| 20,3-25,1 |20,45-24,8 21,5- 16. Lungh. min. del metasterno| 5,25-6,4 5,35-6,5 5,15-6, 5,5-l 17.Id. del mesosterno . . .{ 4 o-o,lb | 4.3000290) 4,3-5,1 4,4- 18. Lungh. minima dello sterno 12: 14,65 | 12,25-14,7 |12,05-14,35 12,55 19. Id. massima dell’episterno .| 5,9-7,25 | 6,2-7,55 6,1-7,25 | 634 20. Diam. trasv. ant. del metast. 11 55- 13,751 12,25<14 11,5-13,55 [11,95 21. Id. posteriore del metasterno 13,75- 106.5 d | | | 142- 16,9 | 13,75-16,2 |14,558 Elitra. 22. Largh. mass. dell’elitra . .{ 11 ,3- 1- 3,9 | 11,2-13,1 [11,958 23. Diam. obliq. mass. dell’elitra 30, 6 ,65 30,45-35,25| 31,74 |Isoluta. | Media aritmetica m rm. estr. della variaz. assol. Differenza d fra i term. RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL’« HYDROPHRILUS », ECC. 1091 Coefficiente 2 3 ROSE d estr. della var. assol. | di variabilità assoluta Atti della R. Accademia — Vol. XL. Nizza Monferr. Torino |NizzaMonf.| Torino | Nizza Monf. og as ia vai er er 53,325] 8,05| 9,2 | 7,25 7,75|0,159|0,1790,143/0,145 3,75 | 0,8 0,6| 0,4|0,235| 0,2 0,174/0,106 8.95 | 1,5|1,45| 1,2| 1,4|0,1780,165(0,143|0,156 1,575 | 0,4|0,35) 0,25] 0,25|0,276(0,230/0,175/0,159 . 5,4 |0,950,95| 0,9| 0,8 |0,185/0,1750,1710,148 7,75 | 1,6| 1,2|1,15| 1,5|0,2180,1570,155/0,194 10,55 | 1,9|1,55) 1,5) 1,6|0,18600,1470,148/0,152 | | | | | | | 7.05 | 1,1| 1,8| 1 | 1,2|0,165/0,188/0,149|0,170 2.025|0,35| 0,3) 0,3 | 0,45/0,192/0,154/0,162/0,222 3,525 | 0,55) 0,65) 0,65) 0,65|0,165/0,182.0,192(0,184 7,325 | 1,8 1,25 1,15) 1,25|0,182|0,174/0,1590,171 7:3-|.2,9 2,45) 2,7 [0,1750,1740,151|0,157 5.3 | 1,2|1,15|1,05| 1,1|0,235|0,224(0,190(0,207 5,8 | 1,1|1,05] 0,9) 1 |0,19800,18800,164,0,172 10 |2,15|2,15) 1,6 1,9|0,2240,22400,163/0,190 3,075) 4,9 4,35|3,15Î0,2160,2110,192|0,137 6,125 [1,15 1,15| 1,05) 1,25|0,197/0,210(0,185 0,204 4,825] 0,9 0,9| 0,8 0,85/0,191|0,18900,170/0,176 13,8 [2,65] 2,45) 2,3 | 2,5 |0,199(0,182/0,174|0,181 6,8 |1,35|1,35|1,15| 0,9 [0,205|0,196(0,172(0,132 13,2 | 2,2|1,75|2,05| 2,5 [0,174|0,1330,164/0,189 15,9 [2,75 2.45 2,7|0,182/0,174|0,163|0,170 19016 8 1,9 2,3 [0,162/0,206,0,156/0,176 394,3 | 5,5 4,8| 5,2|0,167 0,191/0,146/0,152 72 1092 UMBERTO PERAZZO Parti del dermascheletro sottoposte a misura Variazio Termini estremi della variazione assolute (in millimetri) Torino Addome. 24. Diam. trasversale mass. del 2° segm. visib. dell'addome 25.Id. del 3° segmento . 26.Id. del 4° segmento . 27.Id. del 5° segmento . Zampe posteriori. 28. Lunghezza dell’anca . 29. Larghezza dell’anca . 30. Lungh. del fem. col trocant. 31. Largh. massima del femore 52. Lunghezza della tibia 33.1d. della spina inferiore 34.Id. della spina laterale int. 35.Id. del 2° articolo del tarso 36.Id. del 3° articolo del tarso 37.Id. del 4° articolo del tarso 38.Id. del 5° articolo del tarso Zampe mediane. 39. Lunghezza dell’anca . 40. Id. del femore col trocantere 41.Id. della tibia . 42.Id. della spina inferiore 43.Id. della spina laterale int. 44.Id. del 2° articolo del tarso 45.Id. del 8° articolo del tarso 46.Id. del 42 articolo del tarso 47.Id. del 5° articolo del tarso "| Zampe anteriori. 48. Lunghezza dell’anca . 49. id. del femore . 50.Id. della tibia DERE 51.Id. della spina later. esterna 52.Id. del 5° articolo del tarso 53.($) Largh. della dilataz. del 5° articolo del tarso 54.(ò) Lungh. dell'unghia magg. 55. (3) Id. dell'unghia minore . e iT::cXcg}-okk\E}\E{{f___—_———————————_—m—_——rTr———rrr—r——— ——————€—€_ 17,05-20,05) 16;2-19 15-17,5 11,9-13,9 7,95-9,4 14,38-16,6 | 15,25 11,25-13;05) 12,2-1 7,4-8,95 | 8,34 10,7-12,55 | 11,31 2,7:3,35 | 2,75 12,05-13,95| 11,8 3,35-4,1 3,4 9,5-10,95 | 9,65- 3,65-4,5 | 3,651 5,1-65 | 5,558 5,1-6 4,85: 1,85-2,25 | 1,758 1,6-1,8 1,45 9,45-2,85 | 2,158 5,9-6,9 | 6,2-7 9,5-10,9 |9,95-1 6,55-7,55 | 6,35 2,8-3,25 | 2,654 3,24 3,4-8| 4,1-5,05 | 4,335) 1,75-2,2 | 1,755) 1,5-1,8. | 1,54 2,65-3 2,59] 3,4-3,9 3,5 6,5-7,4 | 6,754 6,25-7,1 | ‘6,651 1,65-2,1 | 1,6] 2,95-3,25 | 1,92 2,6-3,2 3,55-3,05 ,95-2,2 RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL'« HYDROPHILUS », Ecc. 1093 i Media aritmetica wm Differenza d fra i term.| — OI OLAR n iterm. estr. della variaz. assol. | estr. della var. assol. di variabilità assoluta Nizza Monferr. Torino |NizzaMo f Torino Nizza Monf. TX N RO She OR SS da va e 18,754,2,5 | d 2,8 |3,25/0,141|0,160/0,164/0,190 Maio 16,625) 2,1] 259] 2,9 | 2,75|0,134/0,154/0,149)0,178 12,15 13,175] 1,6) 2 1,8 | 1,95/0,129/0,155/0,148/0,148 8,175; 8,92511,45) 1,45|1,55|1,25]0,171|0,167 0,1900,140 11625) 12/325] 1,9! 2,1 | 1,85|/2;05]J0,162 0,176/0,159 0,166 3,025 3,1 |0,65 0,75 0,65|:0,70|0,204/0,236,0,215 0,233 13,005] 13,15 | 2,75] 2,25| 1,89|: 2,7 [0,210/0,171/0,145/0,205 SIE) 3,7 10:55] 0,,75/.0,451! 0,6 0,148/0,2010,201/0,162 10,225] 10,375) 1,7 | 2,05) 1,45|1,85/0,164|0,203'0,142/0,175 4,075 4,05 [0,75] 1,05) 0,85) 0,8 [0,191 0,261 0,209 0.198 5,9 075412 | 105/14 #10] 4072 0,177)0,241/0,173 5.55 | 5,4754 0,95] 1,1|:0,9 |1,25/0,166/0,210 0,162/0,228 2,05 | 1,975 ,9 | 0,4|-0,4 110,45]0,143 0,211/0,195 0,228 55 [0,25] 0,35) 0;2 ,9 [0,149 0,164 0,118 0,194 2,65 | 2,425] 0,5 0,65) 0,4 |!0,55/0,192 0,274,0,151/0,227 6,4 bzo L AL05I LOELO5 0,1540,160/0,156,0,156 O) 19,754 4,95) 47 | 1,4 ,6 [0,190/0,163,0,137 0,149 ei, 15| Lo 1. |p1,6540,160 0,131,0,142:0,230 3,025 | 2,95 | 0,45] 0,55) 0,45) 0,6.|0,151 0,188/0,149/0,203 | 5,6 9,625.| 0,85) 0,8 |-0,8 [I0, 5|0,245/0,2290,222 0,124 | 4,575| 4,675 0,75 1,05 0,95/10,75 0,160/0,232/0,208 0,160 Roo 2 0,3 | 0,45) 0,45| 0,5 0,140/0,228 0,228 0,25 fi 3 1,65 | 1,62540,25) 0,85) 0,3 |(0,25[0,145 0,222,0,182 0,154 ,,8 4,55 | 3,825 | 2,425.0,5 ,9 | 0;35/(0,45]0,178/0,196/0,124 0,165 à | | We | 3,725) 3,65 | 3,75.|.0,50,55/,0,5 105 0,133/0,148|0,137/0,133 do 25) L1 ,05 7,175.| -6,95 25 |1,25/1,15| 0,9| 1 |0,177(0,16000,144/0,138 Mb, 7. 6,675] 7,1.10,9| 1 |0,85:0,9[0,133/0,143/0,127(0,127 B5| 1,675|.1,875| 1,7 |0,25|0,35|0,45|.0,210,137/0,201| 0,24 [0,117 505 | 2,175) 3,1 | 2,125] 0,5/0,35).0,3 | 0,45/0,1640,161/0,0970,211 ,85 | 2,9 0,6 10,6] |o,211| ‘"/o,206| 775 2,8 0,45 10,5 0,162 0,179 025 2,075 0,25] = |0,25 0,123| 0,120 _deciaiiei 1094 N ai o ® di (en) “Ji o 0%0 10. Jbl 12. 22. Ò VERI 2: | | Capo. | . Diam. antero-post. del fronte] 23-25,5 | 23,5-26 23-26 Id. del capo (parte dors.) sino al marg. ant. del peristoma| 57,5-61 59,5-62 58-61,5 Id. del labbro superiore . BT | L0S0 10-11 Largh. mass. del labbro sup.{ 35,5-38,5 | 36-39,5 | 35,5-38,5 Id. della parte ant. del capo | (anteriore agli occhi) 50,5-53,5 | 51,5-55 50,5-54 . Dist. fra le superficie laterali | esterne dei due occhi . 70,5-74,5 70,5-75 70,5-74 Diam. antero-post. del capo (parte ventr.) sino al marg. anter. del labbro inferiore | 45,5-49,5 | 46,5-50 46,5-49 .IA. del labbro inferiore . 13-14. | 13-14,5 | 12,5-14,5 Largh. del labbro inferiore 23-25 23,5-26,5 | 22,5-24,5 Protorace. | Diam. antero-post. del pro- torace (pronoto) . 1 49-53 48,5-52 49,5-52,5 Largh. massima del proto- | race (pronoto) . 112,5-121| 113-119,5| 114-120 Scudetto. Diam.antero-posteriore dello scudetto . Bl 1 4 31-38 33,5-37,5 | 34,5-38,9 . Largh. dello scud. (alla base) 37-41,5 | 37,9-40,5 36,5-40 Sterno. Lungh. dell’apof. mesostern. 65,5-71 63,5-71 65,5-72 . Lungh. tot. dell’apofisi stern. 1156,5-168,5) 153-169 154-165 . Lungh. min. del metasterno | 39,5-43 40-43 ‘ 89,5-42 .Id. del mesosterno 32,5-385 | 31,5-34,5 | 31,5-34,5 Lungh. minima dello sternof 92-96,5 91-96,5 91,5-96 Id. massima dell’episterno .| 45,5-48,5 46-50 45,5-49 . Diam. trasv. ant. del metast. 87,5-93,5 89-94,5 88-92 . Id. posteriore del metasterno [103,5-109,5| 105-111 |103,5-109,5! Elitra. Largh. mass. dell’elitra . 84-90 86-91 84,5-89 23. Diam. obliq. mass. dell’elitra [231,5-238,5| 231-238 | 231,5-238 Parti del dermascheletro sottoposte a misura UMBERTO PERAZZO Classi estreme (espresse in 360" della misura base) Variazio Torino Nizza Monferra Lo RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL'« HYDROPHILUS », ECC. ativa y Media aritmetica M fra le classi estreme T Ol é Differenza D fra le classi estreme 1095 Coefficiente di variabilità relativa 37 Nizza Monf. ino Nizza Monferr. Torino |NizzaMonf. Torino ee è {56 e|5[2|6[® 24,75| 24,5 | 2425|2,5| 2,5| 3 | 2,5|0,10300,1010,1220,103 60,75| 59,75| 60,5 | 3,5| 2,5| 3,5| 4 |0,0590,0410,0580,066 10/75 10,5 | 105|15|15| 1 | 1,5|0,146(0,13900,095)0,142 3775] 37 |8725| 3 |3:5| 3 | 8,5|0,081/0,0930,0810,094 53,251 5225) 53 | 3 | 3,5) 3,5) 4 |0,0580,06600,0670,075 72,75| 72,25| 7125] 4 | 45| 3,5] 5,5|0,055|0,062/0,048,0,077 18,25 | 47,75] 48 | 4 | 3,5|2,5| 3 [0,0840,0720,0520,062 13/75| 18,5 | 13,75| 1 | 15| 1 | 1,5|0,07400,10900,0740,109 Mero | o5. 12 2 | 3 |0.08310,120(0,085,0,120 50,25| 51 |49,75| 4 | 3,5| 4 | 2,5[0,0780,070/0,07800,050 116,25| 117 | 118 | 8,5] 6,5] 6 | 12 [0,07200,056/0,05100,101 35,5 | 865 | 3657 | 4 | 4 | 5 |0,2020,114(0,10900,136 39 |8825| 395|45) 8 |3,5| 8 |0,1140,0770,0910,076 67,25| 68,75| 67 | 5,5 6,5) 6,5] 6 |0,080(0,0970,0940,089 161 | 159,5 159,75) 12 | 16 | 11 15,5|0,070/0,09900,0690,091 41,5 | 40,75 | 41,75| 3,5) 8 | 2,5| 3,5(0,087/0,072/0,061/0,084 53 | ‘38 | 39775|25| 3 | 3 | 25/0,0740,091(0,091(0,076 93.75] 93,75 93/75] 45| 5,5) 45| 4,5 [0,0480,0590,048/0,048 48 |/47,25| 47,75| 8 | 4 |35|3,5|0,0620, 083/0,074 0,073 91.75( 90 9175] 6 | 5,5) 4 | 9,5|0,0660,060/0,044(0,103 108 | 106,5|108,25] 6 | 6 | 6 | 6,5|0,0560,055/0,0560,060 88,5 | 86,75) 895] 6 | 5 | 4,5| 6 |0,0690,05710,0520,067 234.5 29475| 233 | 7 GIOIA 0,030 0,02 610.028 0,030 1096 UMBERTO: PERAZZO Variazio Classi estreme (espresse in 360" della misura base) Parti del dermascheletro sottoposte a misura Torino Nizza Monferrato -——Tr oss _ | rn > o) È o) Addome. 24. Diam. trasversale mass. del 2° segm. visib. dell'addome | 122-130,5 |125,5-131,5 127,5-132 25.1d. del 3° segmento . . .| 107-115,5| 109-118,5 106-114,5 26.I1d. del 4° segmento . . . 84-91 84,5-92 83,5-90,5 27.Id. del 5° segmento . 57-63 59-64 59,5-62' Zampe posteriori. 28. Lunghezza dell’anca . 29. Larghezza dell'anca . . . 80. Lungh. del fem. col trocant. 81. Largh. massima del femore 32. Lunghezza della tibia 33.Id. della spina inferiore 34.Id. della spina laterale int. 35. Id. del 2° articolo del tarso 36.Id. del 3° articolo del tarso 37.Id. del 4° articolo del tarso 38.Id. del 5° articolo del tarso Zampe mediane. 80,5-85,5 | 81,5-85 | 81-85.5 21,5-23,5 | 21-23 20-23 90-95 89-94 91-95,5 25,5-27,5 | 24,5-26,5 | 25-28 71-75 | 69,5-75,5 | 70,5-76,5 26,5-30 | 25-30 27-30,5 39,5-44,5 | 38-46 | 88,5-445 37,5-42 | 33,5-40,5 | 36,5-41,5 14-16 12-14 13,5-16 1f,5-18 | 955-115 | “153 17,5-19 || 145-1870600 39. Lunghezza dell'anca . 44-47,5 45-47 45-47 40.1d. del femore col trocantere d1-Ta | 10,0-79,9 70,5-75,5 ,41,IQ. della tibia 48,5-52 | 46,5-53,5 | 47,5-53,5 42.Id. della spina inferiore 19,5-22,5 | 19,5-21,5 20-22,5 43. Id. della spina laterale int.| 22,5-25,5 | 23-26,5 23,9-27,5 44.Id. del 2° articolo del tarso 31-34,5 | 28-33,5 31-34,5 45.Id. del 3° articolo del tarso | 13,5-15,5 | 12-14,5 12-15 46.Id. del 4° articolo del tarso 11-13 | 10-11,5 10-15 47.Id. del 5° articolo del tarso 18-21 | 16,9-19 18-21 Zampe anteriori. 48. Lunghezza dell’anca . 49. Id. del femore . 50. Id. della tibia . piu, 51.Id. della spina later. esterna 92.Id. del 5 articolo del tarso 58.(ò) Largh. della dilataz. del 25,5-27 | 25,5-27 | 25,5-27 48,5-51,5 | 48,5-51,5 | 48-51 46,5-49,5 | 46,5-52 | 45,5-49 12-13,5 | 10,5-12,5 | 111-145 21-28 14-15,5 | 20,5-23 19,5-22 | 20,5-22,5 5° articolo del tarso | 54. ($) Lungh. dell'unghia magg. 19-21 18,5-21,5 95.(6) Id. dell'unghia minore 13,5-15 | 15,5-15 ativa Media aritmetica M fra le classi estreme, Differenza D fra le classi estreme RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL’'« HYDROPHILUS », ECC. Coeffi 1097 ciente di variabilità relativa “i Nizza Monferr. Torino 9 Nizza Monf. Torino | Nizza Monf. NS UTO DO Hi DO OTO ho UD pod 10 ra naint Ut Ut Ur Ut Ul (DA | UU! uan Ot (oi > (DL i UO Sl 10 |0,067 0,047 11,5/0,076 0,083, 9,9 0, 080, 0,085, 0,100 0, 081 0,060 0, ‘089 0, 091 0 ,0540, 055 0,075,0,078 0 o740, 077 0.0760,101 0,080/0,107 0,110 0,114 0,042 0,054 0,054 0, 139 0, 117 50,048 0,066 0,113 ,0,118 0,055 0, 083,0 ‘082 0,063 0124 0,181 0, 12110,090 0,1190, 1900, 1440, 109 0,113,0,1890,128 0,137 0,133,0,153 5, 0,122 0,082 0,0760,043 0,068 0,140 0,055 0,070) 0,142 0,125| 0,106, 0,137 0,166 0,153 0,097 0,057 0,061 0,062 0,117 0,091 0,101 0,101 0,120 0,100 0,105 0,190 0.215) 0,141 0,178 0,188. 0,139 0,140 0,057 0,061 0,175 0,169 0,148 0,1660139 0,1080,149 0,043 0,064 0,068 0,062 0,118/0,050 0,1170,146 0,156/0,103 0,106 0,097 0,222 0,148 0,260 0,133 0,153.0,162 0,057 0,078 0,061 0,090 0,074 0,082 0,274 0,173 0,1140,138 0,093, 0,150) 0) 105 1098 UMBERTO PERAZZO Disposizione delle varianti in classi nelle serie (*). A. Esemplari Èè di Torino. (1) Diametro antero-post. del fronte: 23,-23,5,-24;-(24,25)- 24,5,-259-25,5, — (2) Id. del capo (parte dorsale): 57,5,-58,- 58,52-59;-(59,25)-59,5,-60,-60,5;-617 — (3) Id. del labbro supe- riore: [8,5,]-9,59-103-(10,25)-10,5,3-11; — (4) Larghezza mas- sima del labbro sup.: 35,51-363-36,57-373-37,54-38;-38,5, — (5) Id. della parte ant. del capo: 50,53-513-51,5;-52,-52,5;-535-59,52 — (6) Dist. fra le superficie lat. esterne degli occhi: 70,53-71,- 71,57-72g-72,5,-73,-73,5,-74,5; — (7) Diametro antero-post. del capo (parte ventr.): 45,5,-46,-46,5,-471-47,53-489-48,55-49,-49,5 — (8) Id. del labbro inferiore: 13,0-13,59-14; — (9) Larghezza del labbro inf.: 23,-23,5g-241-24,57-251. (10) Diametro antero-post. del protorace: 493-50;-50,53-51;- 51,53-52,-52,5,-53, — (11) Larghezza massima del protorace: 112,5,-113,53-114,-115,5,-116,-116,5;-(116,75)-1173-117,55-118,- 118,5,-119,-1219. (12) Diametro antero-post. dello scudetto: 31,-32,5,-33,- 34,-34,5,-35,-35,51-369-36,5,-37,-37,5;-384 — (13) Largh. dello scudetto alla base: 373-37,53-383-38,55-39;-(39,25)-39,5,-40,- cbr hesta (14) Lunghezza dell’apofisi mesosternale: 65,53-66,53-67,52- 68,-(68,25)-68,5,-69,-69,5:-70,-70,53-71. — (15) Id. sternale: 156,5,-158-158,53-159,-(162,25)-162,5,-163,-163,53-1643-164,5,- 165,5;-166,-168,5) — (16) Lunghezza minima del metasterno: 39,5,-403-40,57-413-(41,25)-41,5-424-42,5:-43, — (17) Id. del ("4 (#) I valori delle varianti sono espressi in 360" della “ misura base ,, definita nella Parte I. Accanto a ciascuna classe (in basso, a destra) ne è indicata la frequenza. Le “ classi medie , sono rappresentate dai numeri stampati in carattere più grosso e nero, e questi son posti fra parentesi allorchè non corrispondono a classi realmente osservate nella serie. I nu- meri posti fra parentesi quadre corrispondono a valori eccezionali, dai quali si fece astrazione per il calcolo delle classi medie ecc. i RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL'« HYDROPHILUS », ECC. 1099 mesosterno : 32,5,-33,-33,5g-(33,75)-34-34,53-35, — (18) Id. dello sterno: 92,-92,5,-93-93,5,-94,-(94,25)-94,53-95;-95,5:-96,-96,5, — (19) Lungh. massima dell’episterno : 45,59-463-46,53-47-47,54 485-48,53 — (20) Diametro trasv. ant. del metasterno: 87,5- 883--88,5,-89,-89.53-90;-90,5;-91,5,-923-93,-93,5: — (21) Diam. trasv. post. del metasterno: 103,5,-1043-104,5,-105,-106,-106,5,- 107,5,-108;-108,53-109,-109,5,. Ehtra. (22) Larghezza massima dell’elitra: 84,-84,5,-85-5,- 86,-86,53-87;-87,5;-883-88,5,-89,-90, — (23) Diametro obliquo massimo dell’elitra: 231,5,-232,-233,52-2343-234,53-(235)-235,5;- 236,-236,59-237,-237,5,-238,51. Addome. (24) Diam. trasv. mass. del 2° segmento addomin.: 122,-123,59-124,-1253-125,53-126,-(126,25)-126,5,-127;-127,52- 128,-128,5,-129,-130,-130,5, — (25) Id. del 3° segmento: 107,- 108,-108,5,-109-109,5,-1103-110,5,-111,-(111,25)-111,5,;-1123- 113,-113,5,-114,-115,-115,5, — (26) Id. del 4° segmento: 84;- 84,5,-85,-85,53-86,-86,53-87,-87,5,-883-89,-90,-91, — (27) Id. del 5°segmento: 573-583-58,52-59,-59,5,-60;-60,5-61,-61,59-62,5,-635. Zampe posteriori. (28) Lunghezza dell’anca: 80,5,-823-82,53- 83;-83,53-84,-84,5,-85,-85,5, — (29) Larghezza dell’anca: 21,5;- 22-22,5-23,-23,5, — (30) Lunghezza del femore col trocantere: 90,-90,5,-913-91,53-92,-92,5;-93-93,5:-94;-94,5;-95, — (31) Lar- ghezza del femore: 25,53-263-26,5,0-271-27,5; — (32) Lunghezza della tibia: 71,-71,53-72,-72,5;-783-73,54-743-74,53-75 — (33) Id. della spina infer.: 26,53-27,-27,5,-28,-(28,25)-28,5,-29,-30, -— (34) Id. della spina laterale interna: 39,53-403-40,5,-411-41,57- 42,-42,53-433-43,5,-44,5, — (35) Id. del 2° articolo del tarso: 37,51-38,51-394-39,53-(39,75)-40;-40,55-413-41,5,-42, — (86) Id. del 3° articolo: 143-14,59-159-15,53-16, — (37) Id. del 4°carti- colo: 11,5;-12;-(12,25)-12,5,-13. — (88) Id. del 5° articolo: 17,5,-187-(18,25)-18,53-19%. Zampe mediane. (39) Lunghezza dell'anca: 44,-44,5,-451- 45,55-(45,75)-465-46,5,-471-47,5: — (40) Id. del femore col tro- cantere: 71,-71,5,-72;-72,5:-78,-73,54-74,-74,5,-75, — (41) Id. della tibia : 48,5;-49,5,-503-(50,25)-50,5-51-51,5-52; — (42) Id. della spina inferiore: 19,5,-20,5,-211-21,53-22s-22,5,1 — (48) Id. della spina laterale interna: 22,5,-23,-23,53-24g-24,55-25,-25,5s — (44) Id. del 2° articolo del tarso : 313-31,5,-323-32,5-(32,75)- 337-33,94-34,5, — (45) Id. del 8° art.: 13,53-14;-14,5,1-154-15,5, 1100 UMBERTO PERAZZO — (46) Id. del 4° articolo: 11,-11,5g-12-12,5,-13» — (47) Id. del 5° articolo: 18;-18,5,-19,5,0-205-20,53-213. Zampe anteriori. (48) Lungh. dell'anca: 25,5;-2611-(26,25)- 26,55-27, — (49) Id. del femore: 48,53-493-49,53-50y-50,5,-51;- 51,5, — (50) Id. della tibia: 46,53-477-47,5-48-48,5,-491-49,5» — (51)Id. della spina laterale esterna: 123-12,5;-(12,75)-13g-13,53 — (52) Id. del 5° articolo del tarso: 215;-21,510-22g-22,5:-231 — (53) Largh. della dilatazione del 5° art. del tarso: 19,5,-20s- 20,5;-20,75-21,-21,5;-22, — (54) Lungh. dell'unghia maggiore : 19;-19,54-20:3-20,5;-21a — (55) Id. dell’ unghia minore: 13,5, 14,9-(14,25)-14,5g-150. B. Esemplari 2 di Torino. Capo. A Diametro antero-post. del fronte: 23,53-24;-24,5g- (24,75)-253-25,5-26, — (2) Id. del capo (parte dorsale): 59,53- 60,-60,55-(60,75)-613-61,53-62, — (3) Id. del labbro superiore: 103-10,519-(10,75)-113-11,5; — (4) Larghezza massima del labbro super.: 36,-373-37,57-(37,75)-383-38,52-393-39,5, — (5) Id. della parte ant. del capo: 51,5,-52-52,53-53;-(58,25)-53,5;-545-54,5g- 55, — (6) Dist. fra le superficie lat. esterne degli occhi: 70,5g- 723-72,56-(72,75)-73;-73,51-74,-74,5,-75, — (7) Diametro antero- post. del capo (parte ventrale): 46,53-471-47,5;-48,-(48,25)-48,5- 49,-49,59-50, — (8) Id. del labbro inferiore: 133-13,510-(13,75)- 143-14,56 — (9 Larghezza del labbro inf.: 23,5,-247-24,56-25s- 25,99-26,01. Protorace. (10) Diametro antero-post. del protorace: 48,5;- 49;-49,5,-50g-(50,25)-50,5,-51,5,-52, — (11) Larghezza massima del protorace: 113,-114,-115,-115,5,-116,-(116,25)-116,5;-117g- 117,53-118a-118,5,-119,-119,51. Scudetto. (12) Diametro antero-post. dello scudetto: 33,5,- 34,-35,-85,5,-363-36,5;-37,-37,50 — (18) Larghezza dello scu- detto alla base: 37,5,-98g-38,52-39,-39,56-40,51. Sterno. (14) Lunghezza dell’apofisi mesosternale:; 63,51-65,= 65,53-663-66,53-(67,25)-67,53-68,-68,5,-69,-69,54-70,-70,5x711 — (15) Id. sternale: 153,-156,-156,59-157,5,-158,-158,59-1593-159,5,- 160,5,-161,-161,5,-162,-162,52-163,5,-165,-169, — (16) Lungh. minima del metasterno: 40,-40,53-41,-41,5,-42,-42,5;-48,4 — (17) Id. del mesosterno: 31,53-323-32,53-88g-33,04-343-94,01 — ten dii sele RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL’« HYDROPHILUS », ECC. 1101 (18) Id. dello sterno: 91,-923-92,53-93,-93,5;-(93,75)-94,-94,56- 95,53-96,-96,5; — (19) Lungh. massima dell’episterno: 46,-46,5,- 473-47,5:-48,-48,5,-49,-50, — (20) Diametro trasv. ant. del me- tasterno: 89,-89,54-90,-90,54-91,-91,5»-(91,75)-92,5,-94,5, — (21) Diametro trasvers. post. del metasterno: 105,-105,5,-106s- 1106;55-107,-107,5,-108;-108,5,-109,-109,5,-110,5,-111;. Elitre. (22) Larghezza massima dell’elitra: 863-86,5,-87,- 87,59-88-88,53-89;-89,5,-90,-90,5,-913 — (23) Diametro obliquo mass. dell’elitra:231,-231,5,-232,-232,53-233:-233,53-234,-234,5,- 2353-235,55-236-236,5,-237,-238,. Addome. (24) Diametro trasv. massimo del 2° segmento addo- minale: 125,9,-126,-126,53-127,-127,5,-128;-128,5,-129,-129,5,- 1303-130,5,-131,5: — (25) Id. del 3° segmento: 109;-110,53- 111,99-112,-112,5;-1134-(113,75)-114,-114,53-115,53-118,5, — (26) Id. del 4° segmento: 84,5,-86,51-87,-88,-(88,25)-88,5,-89s- 89,54-90,-90,54-91,-922 — (27) Id. del 5° segmento: 59-59,51- 603-60,53-61,-61,5,-62,-62,53-639-63,5,-64,. Zampe posteriori. (28) Lunghezza dell'anca: 81,5,-823-82,53- 83g-(83,25)-83,53-34,-84,5-85; — (29) Larghezza dell’anca: 21,- 21,54-229-22,53-23; — (30) Lunghezza del femore col trocantere: 89,-903-90,53-91,-91,5,-923-92,52-93,-93,52-94; — (31) Larghezza del femore: 24,5,-253-25,53-26,-26,56 — (32) Lunghezza della tibia: [64,5,]-69,5,-70,-70,53-713-71,54-72-72,53-73,-75,51 — (33) Id. della spina inf.: 25,-26,5,-275-27,5,-28,-28,59-295-30, — (34) Id. della spina laterale interna: [33,]-381-38,51-39,-40,56- 413-41,5;-42,-42,5,-43,5,-45,51-46, — (35) Id. del 2° articolo del tano 3905=85,5,-36,5,-373-37,59-383-38,52-3%-40,5, — (36) Id. del 3° articolo: 12,-12,5,-1834-13,510-14; — (37) Id. del 4° arti- colo: 9,5,-10,-10,59-11,0-11,5a — (38) Id. del 5° articolo: 14,5,- 16,-(16,25)-16,53-173-17,55-18,. Zampe mediane. (39) Lunghezza dell’anca: 459-45,5;-46,0- 46,56-471 — (40) Id. del femore col trocantere: 70,5,-71,5:- 12,-72,51-131-73,59-743-74,58-75,-75,5, — (41) Id. della tibia: 46,5,-491-49,5,-504-50,54-513-51,53-53,5, — (42) Id. della spina inferiore: 19,5,-207-20,5,-213-21,53 — (43) Id. della spina late- rale interna: 23,-23,53-243-24,53-(24,75)-25,-25,56-26,-26,5, — (44) Id. del 2° articolo del tarso: 28,-28,5,-29,5,-(30,75)-313- 31,53-925-32,55-33,-83,5: — (45) Id. del 3° articolo: 12-12,5s- 133-(13,25)-13,59-14g-14,5: — (46) Id. del 4° articolo: 10-10,53- 1102 UMBERTO PERAZZO (10,75)-11,,-11,56 — (47) Id. del 5° articolo: 16,5,-17,-17,5,- (17,75)-18,0-18,56-19. Zampe anteriori. (48) Lungh. dell'anca: 25,5;-26,3-(26,25)- 26,5:-27; — (49) Id. del femore: 48,5,-49;-49,5;-50;-50,55-513- 51,5, — (50) Id. della tibia: 46,5,-47,-47,5,-483-48,51-49;-(49.,25)- 49,5,-509-50,5,-52; — (51) Id. della spina laterale esterna: 10,5,- 11;-11,5,0-123-12,56 — (52) Id. del 5° articolo del tarso: 14;- 14,5,-(14;75)-15,-15,5,. C. Esemplari è di Nizza Monf. Capo. (1) Diametro antero-post. del fronte: 23,-23,53-24- 24,51:25-25,5,-26; -— (2) Id. del capo (parte dorsale): 583-59;- 59,5;-(59,75)-604-60,53-61,56 — Id. del labbro superiore: 10;- 10,5,;-11, — (4) Larghezza massima del labbro sup.: 35,5;- 363-36,57-37:-37,56-38,-38,5,1 (5) Id della” parto ati capo: 50,5,-51,-51,5-52;-(52,25)-52,5,-53,-54,— (6) Dist. fra le su- perficie lat. esterne degli occhi: 70,5,-71,-71,5;-72g-(72,25)-72,53- 733-73,52-74, — (7) Diametro antero-post. del capo (parte ven- trale): 46,5,-473-47,5;-(47,75)-48;-49, — ld. del labbro infe- riore: 12,53-13;-13,5,3-143-14,5; — (9) Larghezza del labbro inf.: 22,51-231-28,5;-2410-24,5g. Protorace. (10) Diametro antero-post. del protorace: 49,5,- 50,-50,53-51-51,50-52:-52,5, — (11) Larghezza massima del protorace: 114;-1153-1163-116,5;- 1173-117,59-1183-118,51-1203. Scudetto. (12) Diametro antero-post. dello scudetto: 34,5s- 353-35,5,-363-86,5,-37,-37,5,-38:-38,5,1 — (18) Larghezza dello scudetto alla base: 36,51-373-37,51-38;-(38,25)-38,5,-393-39,53-40.. Sterno. (14) Lunghezza dell’apofisi mesosternale: 65,5,-66,5:- 673-67,51-683-68,5,-(68,75)-69;-69,53-70,-70,59-719-71,51-72,1 — (15) Id. sternale: 154,-156,-156,5,-157,5,- 158,51-159,-159,52- 160,5,-1613-161,5,-162,-163,-163,5,-164,-1653 — (16) Lungherza minima del metasterno: 39,52-40;-40,5,-(40,75)-41,-41,5g-424 (17) Id. del mesosterno: 31,5;-32,-32,5,-883;-33.57-349-34,51 — (18) Id. dello sterno: 91,5,-92,5,- 98; -93,5:-(93,75)-94:-94,5,-95,- 95,53-96; — (19) Lunghezza massima Renate 45-5,-46,- 46,5,-47;-(47,25)-47,5,-48,-48,5,-49, — (20) Diametro trasv. ant. del metasterno: 883-88,5;-89-89,53-(90)-90,52-913-91,5,-923 — RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL'« HYDROPHILUS », ECC. 11083 (19) Diametro trasv. post. del metasterno: 103,5,-104,-105;-105,54- 106,-106,5,-107,-107,5,-108;-1093-109,50. Elitre. (22) Larghezza massima dell’ elitra: 84,5,-85,53-863- 86,53-(86,75)-87,-87,5,-88-88,5:-89, — (283) Diametro obliquo mass. dell’elitra: 231,53-232,5,-2333-233,5;-234-234,5,-(234,75)- 2354-235,53-236,-237,-237,5,-238,. Addome. (24) Diametro trasv. massimo del 2° segmento ad- dominale: 122,5,-123,5,-124;-125,-125,54 - 126, - 126,53 - 127, - (127,25)-127,5,-128,-128,53-130,5,-132, — (25) Id. del 3° seg- mento: 106,-108,-109,-109,53-1103-(110,25)-110,53-111,-111,53- 112,5,-114,5. — (26) Id. del 4° segmento: 83,5,-84,5,-85,-85,5,-863- 87,-87,5g-88,4-88,5,1-893-89,52-90,5, — (27) Id. del 5° segmento: - 55,5,-582-(58,75)-59,-59,53-60,-60,55-613-62,. Zampe posteriori. (28) Lunghezza dell’anca: 81,-81,53-82,- 82,55-833-(83,25)-83,5,-84,-84,5,-85,-85,51 — (29) Larghezza del- l’anca: 20,-21,-21,59-223-22,53-23s — (30) Lungh. del femore col trocantere: 91,-91,53-92,-92,53-932-(93,25)-93,5;-94,-94,5,-95,5, — (31) Larghezza del femore: 25,-25,54-263-26,5,-27-27,53-28, — (32) Lunghezza della tibia: 70,53-71,-71,59-72,-72,52-733-73,5;- 749-74,53-753-76,5: — (33) Id. della spina inferiore: 273-27,5,- 283-28,53-(28,75)-29,-29,5;-30,-30,5s — (34) Id. della spina late- rale interna: 38,53-40,-40,59-413-41,53-42,5,-433-49,53-44,5; — (35) Id. del 2° articolo del tarso: 36,5,-383-38,5,-893-39,5-404- 40,5g-413-41,5, — (36) Id. del 3° articolo : 13,5,-14;-14,5:-(14,75)- 155-15,5;-16, — (37) Id. del 4° articolo: 11,-11,5;-129-12,5;-13, — (38) Id. del 5° articolo: 17,59-183-18,510-197-19,53. Zampe mediane. (39) Lunghezza dell'anca: 45,-45,57-46- 46,5;-473 — (40) Id. del femore col trocantere: 70,5,-71,-71,53- 12-02,54-137:-73,53-743-74,51-75:-75,5, — (41) Id. della tibia: 47,51-481-491-49,53-50,-50,5,-513-51,53-52;-58,-59,5, — (42) Id. della spina inferiore: 20,-20,53-21,-(21,25)-21,5g-22,-22,53 — (43) Id. della spina laterale interna: 23,5,-24,-24,53-259-25,5s- 26,-26,51-27,-27,5,1 — (44) Id. del 2° articolo del tarso: [27,51 |- 313-31,59-32,-32,5;-(32,75)-33;-33,5,-34s-34,5: — (45) Id. del 5° articolo: 12,-18,5,-14g-14,59-15; — (46) Id. del 4° articolo: 10,-11,-11,5,-120-12,5g-13, —— (47) Id. del 5° articolo: 18,-193- 19,5;-20g-20,57-21s. Zampeanteriori. (48) Lunghezza dell’anca: 25,53-2611-(26,25)- 26,59-27» — (49) Id. del femore: 485-48,5,-49;-49,5g-50-50,59- 1104 UMBERTO PERAZZO . 51, — (50) Id. della tibia: 45,5,-46,5,4-47,-(47.25)-47,53-48- 48,5,-493 — (51) Id. della spina later. esterna: 11;-12,55-(12,75)- 13,-13;510-143-14,5, — (52) Id. del 5° art. del tarso: 120,53-21,- . 21,5-(21,75)-22,-22,53-29,» — (53) Larghezza della dilatazione del 5° ‘articolo del tarso: [18;]-20;57-21.4-21,53-22;-22,51 — (54) Lunghezza dell’unghia maggiore: 18,5,-20-20,514-21-21,5, — (55) Id. dell'unghia minore: 13,5:-14;-(14,25)-14,5g-15s. D. Esemplari 9 di Nizza Monf. Capo. (1) Diametro antero-post. del fronte: 233-23,5s-246- (24,25)-24,59-25,-25,5, — (2) Id. del capo (parte dorsale): 58,5;- 593-59,59-603-60,5;-61;-61,5,-62:-62,5, — (3) Id. del labbro su- periore: 107-10,53-11; — (4) Larghezza massima del labbro superiore: 35,5,-363-36,5,-37;-(37,25)-37,5,-38:-38.5,-39, — (5) Id. della parte ant. del capo: 51-51,53-52,-52,5:-583,-53,5s- 543-54,53-55a — (6) Dist. fra le superficie lat. esterne degli occhi: 68,5,-703-70,53-71;-(71,25)-71,5,-72;-72,5-73:-73,b4-74 — (7) Diametro antero-post. del capo (parte ventrale): 46,59- 475-47,5,-48,-48,53-49,-49,5, — (8) Id. del labbro inferiore: 133- 13,511-(13,75)-143-14,53 — (9) Larghezza del labbro inferiore: 25,93-249-24,57-255-25,51-26,51. Protorace. (10) Diametro antero-post. del protorace : 48,5,-49- 49,5;-(49,75)-50,-50,5;-51; — (11) Larghezza massima «del pro- torace: 112,-1133-113,5-114,5,-115,50-116,- 116,59- 117,-117,5;- 118,-118,5;-119-124,. Scudetto. (12) Diametro antero-post. dello scudetto: .343- 34,59-535-363-86,5;-375-37,5,-39, — (13) Larghezza dello scudetto alla base: 38,-38,53-393-39,5-40;-40,55-413. Sterno. (14) Lunghezza dell’apofisi mesosternale: 643-65/5;- 663-66,51-673-67,5,-68-68,5,-69,-70, — (15) Id. sternale: 152,- 153,5,-156,5,-157,-157,5,-158,-159;-159,5,-(159,75)-160x-161,5;- 1623-163,5:-164,5,-166,-167,5, — (16) Lunghezza minima del metasterno: 403-40,5,-417-41,53-(41,75) -42:-42,55-43,-43,51 — (17) Id. del mesosterno: 31,5;-32,-32,53-(32,75)-334-33,5-84a — (18) Id. dello sterno: 91,5,-92,-92,53-93,-93,51-(98,75)-94-94/53- 953-95,53-96, — (19) Lungh. massima dell’episterno: 469-46,5,- 47 5-47,55-(47,75)-48,-48,5,-49,-49,5: — (20) Diametro trasv. ant. RICERCHE SULLA VARIAZIONE DELL'« HYDROPHILUS », ECC. 1105 «del metasterno: 87, -89,-89,5; -90, -90,53-915-9 1 ,de(91 ,T5)-92,- 92,5,-93,-93,51-951-95,51-96,5, — (21) Diametro trasv. post. del metasterno : 1053-105,5;-1063-106,5,-107-108,-(108,25)-108,5x- 109,53-110-110,5,-111,-111,5,. Elitre. (22) Larghezza massima dell’elitra : 86,5,-873-87,53- 88;-893-89,5,-90,-90,5,-91,-92;-92,5) — (23) Diam. obliquo mas- simo dell’elitra: 229,5, - 230,-230,5, - 231,53 -232,-232,53-238,- 233,51-294,53-2353-235,5,-2363-236,5,. Addome. (24) Diametro trasv. massimo del 2° segmento ad- dominale: 125,-125,53-126,5,-127;-127,53-128,-128,5,-129;-(130)- 130,5,-131,5,-132,-135: — (25) Id. del 3° segmento: 108,-1093- 110,-1113-111,5,-112-112,53-1133-(1183,75)-114,-115,-116, 117,5,-119,5, — (26) Id. del 4° segmento: 84;-85;-85,5,-87,5s- 88,-88,5,-(88,75)-89,-90,-91,-91,59-92,-93,-93,5, — (27) Id. del 5° segmento: 57,5,-58,-59;-603-60,5;-613-61,5,-63,50-64,-64,5,. Zampe posteriori. (28) Lunghezza dell'anca: 813-82;-82,5s- 83;-(83,25)-83,5,-843-84,53-85,-85,5» — (29) Larghezza dell'anca: 20,-20,5,-21,-(21,25)-21,53-22;-22,53 — (30) Lunghezza del fe- . more col trocantere: |84,5,]-883-89,5,-90;-90,5;-913-91,53-92,- 92,53-93,5:-94» — (31) Larghezza del femore: 24,-24,53-25g- 25,5-26,-26,5:-27, — (32) Lunghezza della tibia: [59,5,]-69,- 69:53-703-70,5,-713-(71,25)-71,5,-72,-72,5s-73,5: — (33) Id. della spina inferiore: [21,5,]-26,5;-27;-27,5;-(27,75)-28;-28,5,-29, (34) Id. della spina laterale interna: [25,]-393-39.5,-403-40,5s- 41,-(41,25)-41,5,-42,-43,-43,5,1 — (85) Id. del 2° articolo del tarso: [26,5; ]-34,-36:-36,5;-37,-37,5,-38,-38,53-39, — (36) Id. del 3° articolo: |11,]-12,53- RO bi = (9'21dodel4 arte [4,]-10;-10,510-(10,75)-115-11,53 — (38) Id. del 5° articolo: 15,53- 16/416.5--(16,75)-17,0-17,55-18,. Zampe mediane. (39) Lunghezza dell'anca: 453-45,57-467- 46,5,-47,-47,5,-48; — (40) Id. del femore col trocantere: 70,5,- 713-71,5-72,-72,5;-(72,75)-73;-73,52-74,-74,51-75:— (41)Id. della tibia: [45,[- -48,53-49:-49,5;-(49,75)-50,-50,5o- sn = (42) Id. della spina inferiore : 19-19,53-20,-20,5,-21;-21,53-22, — (43) Id. della spina laterale interna: [20,|-23,-23,5,-243-(24,25)-24,5,-25,-25,51 — (44) Id. del 2° articolo del tarso: [15,5 |-29,51-303-30,51-313- 81,5g-327-32,5: — (45) Id. del 3° articolo: 12,5,-13;-18,57-143- 14,5» — (46) Id. del 4° articolo: 10,5,-11g-(11,25)-11,5;-123 — (47) Id. del 5° articolo: 17,-17,53-186-18,5,-19;-20,. 1106 BALBI, NICOLIS E VIKIGLIO Zampe anteriori. (48) Lunghezza dell'anca: 24,5,-25,59-260- 26,53 — (49) Id. del femore: 47,53-48,-48,59-49,-49,5;-(49,75)- 50,-50,53-515-52, — (50) Id. della tibia: 46,5,-473-47,59-48,- 48,5,-49,-49,5,-50,5, — (51) Id. della spina laterale esterna: 10,5,-11,-11,5;-123-12,5, — Id. del 5° articolo del tarso: 13,5;- 143-14,54-15;-15,5s. Posizioni apparenti di stelle del Catalogo di Neweomb per il 1906 Calcolate dai Dottori BALBI, NICOLIS e VIRIGLIO. Le posizioni apparenti di stelle date nei fogli seguenti sono la continuazione pel 1906 del lavoro analogo eseguito nel R. Os- servatorio di Torino pel 1905, e sono destinate principalmente al lavoro sistematico di riosservazione delle dette stelle, molte delle quali nel Catalogo di Newcomb non hanno il grado di precisione delle altre fondamentali date dalle grandi Effemeridi astronomiche. POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1107 Giorno |27 p Andromedae[15 x Cassiopejae {59 (Heis) Cassiop.{ 68 / Piscium 72 Piscium gr. 15,4 gr.: 4.2 gr.:5,5 gr.: gr. : 5,9 DET -—_ — —|l _—_r_>—T_l _— _tl'"_= r__w-—_- —-_—-=— F+1 MESE Ascens. |Declinaz.] Ascens. |Declinaz.] Ascens. | Declinaz.] Ascens. |Declinaz.{ Ascens. |Declinaz. | retta_| boreale { retta | boreale Y retta | boreale | retta | boreale { retta | boreale 1906 o".16" 379.26" 0.27" 62°.24" 0.44" /63°.43 | ot.52%|280.28"| 8.00 |14°.26 Genn. 1| 9,62) 595 | 3923| 595 | 61,23) 814 | 44,46) 653 | 734) 241 TIT 09,44| 58,3 | 38,84] 590 | 60,82| 81,2 | 44,31| 646 | 7,00| 234 2I 9,27| 571 38,46 | 58,0 60,42 80,4 44,15 63,7 6,87 | 22,6 gii o,i1) 55,6 | 38,1] 56,4 | 60,03| 79,0 | 44,00] 62,6 6,75 | 21,8 Febbr. 10 | 59,67) 772 | 43,86|' 61,3 6,65 | 20,9 20 | | | Marzo 2 12 | 22 | Aprile 1 | noi | | | 2I | | Maggio I | II 21] 9,86 41,0 | 33,68 32,1 | 3I| 10,19) 41,5 | 39,17) 31,7 | 60,76) 539 | 4466] 533 | 733|20,6 | | Giugno 10| 10,54) 42,4 | 39,70. 318 | ©1,29| 53,7 | 4497| 543 | 761221 20| 10,90| 43,9 | 40,24) 32,4 | 61,86. 541 | 45,30| 55; 7,92 | 23,7 - [304 11,26) 45,6 | 40,79) 33,6 | 62,43| 55,0] 45,63| 572] 823256 | Luglio 10| 11,61) 47,7 | 41,33| 35,2 | 63,00) 56,4 | 45,97| 590 | 8,55| 27,5 20 11,95 49,9 41,84 | 37,3 63,55 58,2 46,30 61,I 8,85 20,5 | 30] 12,26) 52,4 | 42,32| 39,7 | 64,07| 60,5 | 46,61) 63,2 | 9I5|31L5 Agosto 9j 12,54| 55,0 | 42,75| 42,5 | 04,54| 63,1 | 46,90) 65,5 | 942| 334 IQ| 12,78| 57,7 | 43,13] 45,5 | 04,96) 66,0 { 47,15] 678 | 967 353 29| 12,98| 60,4 | 43,44| 48,7 | 65,32| 69,2 | 47,38| 701 | 989|370 Sett. 8| 13,13] 63,1 | 43,60] 523,1 | 65,61) 72,4 | 47,57| 723 | 10,07] 38,6 18| 13,25| 65,7 | 43,86 55,5 | 05,84) 75,8 | 47,71) 744 | 10,22| 400 28] 13,32| 68,2 | 43,97| 58,9 | 65,99) 79,2 | 47,83| 76,3 | 10,33| 41,2 | Ottobre 8] 13,35| 70,5 | 44,01| 62,3 | 66,08] 82,5 | 47,90) 78,1 | I0,4I| 43,1 | I8| 13,34| 72,5 | 4398 65,5 | 66,09) 85,8 | 47,94| 79,7 | 10,46 42,9 | 28| 13,29) 74,3 | 43,89 68,4 | 66,03| 88,9 | 47,95] 81,1 | 10,48) 434 | Nov. 7} 13,21) 75,81 43,74| 711 | 65,90) 91,7 | 47,92| 82,2 | 10,47| 438 | I7| 13,51] 77,0 | 43,53) 73,5 | 65,71] 943 | 47,87] 83,1 | 10,43) 43,9 | Da 274 12,98] 77,9 | 43,26) 75,4 | 65,47| 96,4 | 47,79| 838 | 10,37| 43,9 | Dic. 7) 12,83) 78,3 | 42,96) 76,8 | 65,17] 98,1 | 47,69] 84,1 | 10,29) 438 I7| 12,67] 78,4 | 42,62) 778 | 64,83] 99,2 | 47,57] 84,2 | 10,19) 43,4 | | | | | 27 12,50| 78,1 | 42,25] 781 | 64,45] 999 | 47,44] 840 dei 42,9 | 37| 12,32| 77,4 | 41,87) 779 | 6405] 999 | 47,29] 835] 9,96| 42,3 Posizione | 0". 16". 105,02 | 0".27". 39% o4f 0". 45”. 0°,82| 0%.52%.44, 74] 1°.0%.7,51 | Atti della R. Accademia — Vol. XL. media |+37°.26.52",6{+62°.24'.47",0}+ 63°.44'.9", 2 |+ 28°. 29.2°,6 |+14°.26.26",4 -—1 dI 1108 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO Giorno | 83 t Piscium | 1 /Piscium {46 E Andromedae[48 w Andromedae|53 T Andromedae | DEI gr. :4,7 gr. 15,9 gr. : 4,9 gr. :4,9 gr.:5,2 MESE Ascens. | Declinaz.] Ascens. |Declinaz.] Ascens. | Declinaz.{ Ascens. | Declinaz. n => Declinaz. retta boreale retta boreale retta boreale retta | boreale retta boreale m m | D) 7 m | 201° m | o d LA 1906 16 (29° 35 [19.15 (28%.14 12.16" |. 450.1 [1h.22 44°.55 Th.35% |40°.5 S | S rr s " s | rr s "n Genn. 1| 28,65] 29,3 55,14) 50,5 | 48,20) 77,2 1,73.) 247 1,79| 69,1 I1| 28,49| 28,7 | 54,99] 50,0 | 47,99| 770 | 152| 245| 161) 68,9 21| 28,33| 27,9 | 54,83) 49,3 | 4777) 704 | 130 239| 142) 68,4 31] 28,18) 26,9 | 54,67) 48,3 | 4755| 754 | 108| 23,0 1,21) 67,6 | Febbr. 10| 28,04| 25,7 | 54,52 471 | 47,33| 740 | 0987| 216 | Lor) 664 | 20 | 54,38) 45,9 | 4714 724 | 067 200 | 0,82) 65,0 Marzo 2 | | 31| 28,68| 16,9 Giugno 10| 28,99 20| 29,32| 19,0 | 55,70) 4L1 | 48,61 1,68 | 52,7 2,03| 534 hi 32 00 (O) 9 W [c°) PS No) e) T|4+ 28°. 14. 3A rato. 2.10",4 |+44°. 55. 18”, I vi ig 6.43 ni Tu 2I 3I Febbr. 10 20 Maggio 1 To 21 3I Giugno 10 20 30 Luglio 10 20 30 Agosto 9 19 18 Posizione media POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1109 5 yArietis (#a S.) gr. 04,7 "= —>—— #° <'*|l.r-T- | MESE Ascens. | Declinaz.j Ascens. |Declinaz.] Ascens. | Declinaz.j Ascens. |Declinaz.j Ascens. |Deelinaz. retta boreale { retta boreale f retta | boreale retta boreale | retta boreale 1906 DTA RODA 2à.19"10°.10' Di aa 7| 23.ggrlono.18 28.42 280,51" | Genn. 1| 53,76 46,62| 60,5 | 41,56| 14,2 | 56,22] 25,6 | 18,86| 34,3 | I1|] 53,604| 56,6 | 46,51) 59,9 | 41,44] 13,8 | 56,10) 25,6 | 18,74) 34,2 21| 53,50| 56,1 | 46,37) 59,3 | 41,31] 13,4 | 55,96| 25,4 | 18,59) 340 3I| 53,34| 55,5 | 4623] 589,7 | 41,16) 12,8 | 55,79| 25,0 | 18,42| 33,5 | Febbr. 10| 53,18| 548 46,08 58,2 | 41, 00 | 12,2 | 55,61| 24,3 | 18,24| 32,9 | 20] 53,02| 540 | 45,93| 576 | 40,84) 11,5 | 55,43| 23,6 | 18,06] 32,3 (11 DI \O Marzo 2| 52,88) 532 | 45,79) 57,1 | 40,69 108 | 55,26| 22,7 | 1788) 355 | T2 | | | 55,11] 21,8 | 17772) 30,5 | | Aprile 1 î Dal 2I | Maggio 1 Qu 2I 3r Giugno 10 | 20] 53,73| | | | 30 54,08 | 55,2 | 46,82) 64,6 | 41,70) 12,5 56,20 19,5 | 18,79| 27,3 | Luglio 10| 54,34| 56,7 | 47,12) 66,3 | 42,01) 138 | 56,52. 20,7 | Ig,I1| 28,3 20| 54,66) 53,3 4743, 68,0 | 42,32) 15,3 | 56,85) 22,0 | 19,44| 29,6 | 30] 54,98) 60,0 | 47,74) 69,7 | 42,64 16,9 | 57,19 23,6 | 19,78) 310 Agosto 9| 55,29 61,8 | 48,04| 714 | 42,95] 186 | 57,52) 25,1 | 20,12| 32,5 I9I 55,59| 63,5 | 48,32) 729 | 43,24) 20,3 | 57,83) 26,7 | 20,44| 341 | 20} 55,86) 65,1 | 48,59) 74,3 | 43,52| 21,9 | 58,13| 28,4 | 20,74| 35,8 | Sett. 8 56,10 | 66,7 48,83 75,6 43,77 | 23,4 58,41, 39,0 21,03 375 18] 56,32) 68,1 | 49,05| 76,6 | 43,99 24,9 | 58,66) 31,6 | 21,28) 39,1 28| 56,51| 69,4 | 49,23| 774 | 44,19) 26,2 | 58,88] 33,1 | 21,51) 40,7 | Ottobre 8| 56,66) 70,5 | 49,39 78,0 | 44,36 27,3 | 59,08] 346 | 21,72) 42,2 I 18] 56,70) 71,5 | 49,52] 78,4 | 44,50) 28,3 | 59,24] 36,0 | 21,89) 43,6 | 28] 56,890) 72,3 | 49,62) 78,6 | 44,61! 29,1 | 59,37] 371 | 22,02) 44,8 Nov. 7] 56,95| 72,9 | 49,69 78,7 | 4469) 29,7 | 59,47| 38,2 | 22,12) 46,0 I7| 56,99) 734 | 49,73) 78,6 | 44,74| 39,2 | 59,53| 39,2 | 22,20) 47,0 i 27| 56,99) 73,7 | 4974) 78,4 | 44,76) 30,5 | 59,56 39,9 | 22,23) 47,9 | Dic. 7| 56,97) 73,9 | 49,72) 78,0 | 44,74) 30,7 | 59,56) 40,6 | 22,23) 486 | | I7| 56,91° 739 | 49,67| 776 | 44,70. 30,7 | 59,52| 4L0 | 22,20| 49,1 | 27| 5683| 738 | 4960 771 | 4463| 304 | 5945 413 | 22,13) 495 | 37| 50,72| 73,5 | 49,50) 706,6 | 44,53) 392 | 59,34| 41,4 | 22,02] 49,7 _—————1—_—+——_—_——_———————_rT—__—_——l-—__|-———tt2cx@tÒmn-{nn_—_—m______{ -—_—_——_—_———m@—t@—_nk1em | Posizione ol 19, 535; , 69 oh, 19” 465, 59 ab. 25". 475, 44 ol, gg. 55) 95 ol. 42°. 183, 55 media |+19°.27.59,8| +10°.11'.6”,5|-+17°.17' 18" I | + 27°.18.26,9]+28°.51°.35,2 POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1111 GioRrNO Is n Persei 1 Persei 35 o Persei {11 (Heis)Camelop.{ 38 o Persei BEL 13,9 gr. : 4,2 gr. 14,4 gr. 15,2 NR) A 7 i —r— °_— ——__- |; TrT_oS©_ , rei e >-FF MESE Ascens. Diclimsai Ascens. | Declinaz. Ascens. | Declinaz.f Ascens. | Declinaz. Ascens. | Declinaz. retta boreale retta | boreale retta | boreale retta ds retta boreale led n 1906 a 4g®|55°.30] 3h \49%15 | 3°.23"/47%.40 | 3°.33" 62054 30.38" | 31°.59 s mr S | "r Ss mr | Ss Î rr Genn. 1| 50,99) 26,3 | 17,50) 18,8 | 57,44 17,9 61, 304 | 192 25,77| 24,3 II| 50,77] 27,2 | 1733) 198 | 57,30] 190 | 60,81 50,9 | 25,69 248 2I| 50,50] 27,8 17,12| 20,3 | 57,12| 19,6 60,50 Pe 25,56 | 25,0 gi] 50,20) 27,8 | 16,88 20,4 56,90 | 19,9 | 60,14| 53,0 | 25,40| 25,0 Febbr. 10] 49,88| 27,4 | 16,62) 20,1 | 56,64| 19,9 | 59,75] 53,3 | 25,22) 24,9 20] 49,57| 26,6 | 16,35) 19,5 | 50,38| 19,5 | 59,33| 531 | 25,02) 24,5 Marzo 2| 49,26| 25,3 | 16,09] 18,5 | 56,11] 18,7 | 58,91| 52,4 | 24,81| 240 12| 48,99) 23,7 | 15,85| 17,2 | 55,86) 17,6 | 58,51| 513 | 24,62. 23,3 22 55,64 | 16,3 | 58,16| 49,8 | 24,44) 22,4 Aprile 1 | II | 21 Maggio 1 II 2I ci Giugno 10 20 . 30] 50,30) 6,9 | 16,88) 2,9 Luglio 10] 50,76 70 | 1728) 3,1 | 5735| 43 | 60,13] 390 | 25,76 18,9 20| 51,24| 75 | 17,70) 36 | 5776) 49 | 60,70) 39,1 | 26,10) 198 go] 51,72] 85 | 1414] 44 | 58,18) 5,8 | 61,29) 30,6 | 26,44) 20,8 Agosto gl 52,20) 9,8 | 18,57) 5,5 | 58,60| 70 | 61,87| 31,4 | 26,78) 22,0 | I9| 52,66) 11,5 | 1899. 7,0 | 5900) 8,4 | 62,45) 32,7 | 27,12) 23,2 20| 53,11) 13,2 | 19,40) 8,6 | 59,38] 10,0 | 63,01] 34,2 | 27,44| 24,5 | Sett. 8| 53,52) 15,4 | 19,78) 10,4 | 59,75| IL7| 63,54| 360 | 27,74| 258 | 18| 53,90] 17,7 | 20,14| 12,5 | 60,08] 13,6 | 64,03) 38,2 | 28,03] 27,2 | 28| 54,23| 20,1 | 20,46) 146 | 60,39| 15,6 | 64,48| 40,5 | 28,29) 28,5 | Ottobre 8| 5453| 22,7 | 20,75) 16,8 | 60,66| 17,7 | 64,87| 43,0 28,52, 20,7 I8| 54,77| 25,4 | 21,00] 19,1 | 60,89) 19,8 | 65;21) 45,7 | 28 ;73| 39,9 | 28| 54,96| 28,0 | 21,21] 214 | Nov. 7] 55,10) 30,6 | 21,37| 236 | 61,08) 21,9 | 65,49. 48,4 28,90 32,1 I7| 55,19) 33,2 | 21,48| 25,8 | 61,22] 23,9 | 65,70| SLI | 29,04| 33,2 i 27| 55,22) 35,5 | 21,55| 279 | 61,31] 25,9 | 65,82) 539] 29,15| 34,2 Dic. 74 55,18| 37,7 | 21,56] 29,7 | 61,36| 27,7 | 65,87| 565 | 2921) 35,1 I7| 55,09) 396 | 21,52, 31,4 | 61,35| 29,3 PES 58,9 29,23| 35,9 27| 54,94| 4L1 | 21,42) 338 | 61,28) 30,8 65,72 61,4 | 20,21| 36,6 37| 5473) 433 | 21,28) 33,9 | 61,17| 31,9 | 65,53] 640 | 29,14) 36,9 [—_—reo-s — —_——___—_——_—_mmm T_mÒ———_—__—_—_oo>yzy_——_—T——__—_———_____8££PT't'o\.__—_—_—m————1———_——————-._-.-_--+-+-—------—-z Posizione | 2%.43".50°,04 | 3%.2!.16%,68 | 3° .23".56%, 59 3°. 33". 598,39) 3° 380. 25°, 20 | media |+55°.3021°,0 | +49°.15.15”,8|+47°.40".16°,3 | +62°.54.456| +31°.59"26”,7 1112 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO Giorno n i su po 47% pf "142 c) DL 44 p Tauri ° È 5,4 gr. :5,6 DEL MESE [RARI Declinaz.{ Ascens. |Declinaz.{ Ascens. | Declinaz. .. | Declinaz. Ascens. |Declinaz. retta boreale retta boreale retta boreale boreale retta boreale 30.39" 23°.48' | 3Î.43%123%.45"| 3h.59%| 509.5] 41 128044] 40.52 Ss ri Ss "r s rr Ss ir s rr Genn. if 17,95| 612 | 34,72| 546 | 35,70) 48,4| 12,27) 472 6,83| 5,3 | II1| 17,87| 61,2 | 34,65| 547 | 35,59| 498] 12,21] 47,5 517155 | 21| 17,70| 61,2 | 34,54| 546 | 35,43| 50,8| 12,10) 478 | 6,67| 5,7 | 31] 17,61| 61,0 | 34,40| 54,5 | 35,21] 5L5| 11,96] 479| 653| 57 | Febbr. 10| 17,44 | 60,7 | 3423] 542 | 3495| 519| 11,79] 478 | 630| 56 20| 17,26 | 60,4 | 34,05| 53,9 | 3468| 51,8| 11,59] 476 | 6,18| 54 | Marzo 2| 17,08] 599 | 33,86] 53,4 | 34,39| 51,4| 11,39| 472 | 5,98| 50 12] 16,90| 59,3 | 33,68| 52,9 | 34,11| 50,7| IL2zo| 46,7 | 5,78) 45 __ 22| 16,73) 588 | 33,51| 52,4 | 33,85] 49,7] 11,02] 461 | 5,61| 40 Aprile 1 | 33,62| 48,3| 10,85| 45,4 | 546) 3,5 119 | 2I | Maggio 1 | II 2I 3I | | Giugno 10 | 20 | | 30 i Luglio 10| 17,66 | 590 | 34,40| 52,6 | 20| 17,97] 60,0 | 34,71| 53,5 | 35,12| 35,4| 12,07| 439 6,61) 3,3 30] 18,20 | 61,2 | 35,02| 546 | 35,54| 35,0| 12,39| 44,7 6,92| 4, Agosto 9| 18,61| 62,4 | 35,35] 55,8 | 35,97| 3501 12,72] 45,7]. 724| 53 19] 18,93 | 63,6 | 35,67] 570 | 36,40) 36,7] 13,05| 407] 757) Si | 20| 19,24| 648 | 35,98) 58,2 | 36,84 376| 13,38| 477 | 789) 71 Sett. 81 19,55| 66,0 | 36,28| 594 | 37,26| 388] 13,70) 48,8 8,20] 8,2 18| 19,83 | 67,1 | 36,57| 60,5 | 3767| 40,2| 14,01] 499 | 851| 92 28] 20,09 | 68,2 | 36,84) 61,5 | 38,05| 41,8| 14,30) 599 | 8,79| 10,1 Ottobre 8| 20,34 | 69,1 | 37,09) 62,4 | 38,41] 43,5| 14,57| 5L9| 9,06| 110 18| 20,56 | 70,0 | 37,31| 63,3 | 38,74| 45,4] 14,82] 529 | 9,31| 119 | Posizione | 38.39%.17%, 47] 3%-43".34523| 3".50%. 34,65] 4%. 1.115,67 | 4°.5".6%, 24 | media | +23°.49.5°,4|+23°:45°.59"0| +50°.5° 48”, 2|+ 28°. 44/.51%,1] +26°. 14° 9,8 | POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. DERIS i ubi Giorno 51 pu Persei 54 Persei 68 Tauri I Camelia, 80 Tauri | sE gr.:4,3 gr. :5,1 gr.: 4,6 Quer gr. :6,0 | E _—— T8"|[. —- --|Tr—o-_-T- ir — e | MESE Ascens. | Declinaz.{ Ascens. |Declinaz.| Ascens. |Declinaz.] Ascens. |Declinaz.| Ascens. | Declinaz.} retta boreale { retta | boreale | retta boreale | retta | boreale | retta | boreale | 43.7” |48°.10| 4°.14"|34°.20" 4°.20"%|17°.42 40:24") 53%42"| 4°.242|15°.25 | Ss s | " s rr s rr Ss ' S " | Genn.. 1} 60,52) 15,1 | 18,98] 21,4 3,51| 41,2 | 36,15| 25,6 | 47,44] 520 II] 60,43) 16,3 | 18,93) 22,1 | 3,46) 41,0 | 36,06 27,2 | 47,40) 51,7 | ; 21| 60,28) 17,3 | 18,83) 226 | 3,38| 40,8 | 35,90) 28,6 | 47,32 51,5 | ti gr | 60,08] 18,0 | 18,63) 22,9 3,26| 40,6 | 35,68| 29,7 | 47,20] 51,2 | Febbr. 10| 59,84| 18,4 | 18,50| 23,1 {| 3,11| 40,4 | 35,4I| 30,4 | 47,05) 510 | A 20 59,58) 18,4 | 183,209) 23,0 2,94 | 40,I 35,11) 30,6 | 46,89 50,7 | ; | | | Marzo 2| 59,30| 181 | 1808| 22,7 | 2,76] 399 | 3480) 30,5 | 46,71] 50,5 12| 59,03] 17,4 | 1787| 22,2 | 2,57| 396 | 3448| 30,0 | 46,52) 50,3 22| 58,77| 16,5 | 1766) 21,6 | 2,40) 39,3 | 34,18) 29,2 | 46,35) 59,0 | Aprile | 58,55| 15,3 | 17,48| 21,8 2,24| 39,1 | 33,92| 28,0 | 46,19] 49,9 | II | | | | 2I | | | | il | | Maggio 1 | | | II | 2I | | 3I | Giugno 10 20 30 | Luglio 10 | 20| 5991) 31 | 18,62) 158 | 3,20) 43,4 | 35,13) 12,7 | 47,09) 55,4 | 30 Agosto 9| 60,73) 36 | 1929) I70 | 3,79] 45,5 | 36,02] 12,6 | 47,67| 576 IQ| 61,55| 43 | 19,64] 178| 409| 40,5 | 36,49) 12,9 | 47,97] 58,6 (dp) (0) (nad A H 00 00 d\ NH le W (0°) SNO DN NN Lo ONTO (96) NH SO CONI Sr (O \oM o) A» a Ol NA W Ww SR 004 IN bel be SS NR +» a» 0 00 (00]®) DAI O E Hp Ottobre 8| 63,11| 10,5 | 21,28| 230 | 5,53] 59,3 | 38,72) 18,4 | 49,40 62,1 | 18| 63,44| 12,2 | 21,55] 241 | 5,78| 50,7 | 39,11] 20,1 | 49,64] 62,4 | Nov. 7| 63,99| 15,8 | 22,02| 26,3 6,20| 5LI 39,76 | 23,9 | 50,07 62,6 | Dic. 7| 64,47| 21,5 | 22,46| 29,5 6,60 | 51,2 | 40,37 27| 64,52. 249 | 22,54| 313 | 669 510 40,46 | 343 | 59,57! 61,7 | Posizione px 59), SI 4°: dg 18° ,27 4 .20%, 2° ,95 4°. DA 34, 89 4. 24".46%,88| media 5 10.15", 5|+34°- 20.24, 7|+17°.42.47,8 |+53°. 42°.26,2| +15°.25.59,3 1114 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO Giorno DO, L Tauri 40 richie 98 # Tauri } 130 Tauri 70 € Orionis 14,9 gr. gr. : 6,1 gr. -<|{_r>_—_-7— TA nrr— le” "o MESE Ascens. |Declinaz.j Ascens. |Declinaz.] Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Declinaz. Ascens, |Deelinaz.!$ retta boreale f retta boreale retta boreale retta boreale Y retta boreale 1906 4°.28" 14°.38'| 4P.47"| 14°.5'| 4.52" 249.54 | 304 | 17%47] 68.60 140.19 8 s "r Ss mr DI "r s " | Genn.. 1| 31,33| 42,5 13,45) 32,3 | 24,85| 140 | 58,05| 31,4 | 36,49] 40,3 TIT] 31,290) 42,2 | 13,42| 320 | 24,83| 14,2 | 58,08| 31,2 | 36,54| 40,0 | 21| 31,21| 41,9 | 13,35| 31,7 | 24,77| 144 | 58,06| 3L1 | 36,54] 39,7 31| 3109| 41,6 | 13,25| 314 | 24,67| 14,6 | 58,00) 311 | 36,50!) 39,5 | Febbr. 10] 30,95) 41,3 | 13,11] 31,2 | 24,52| 147 | 5789| 350 | 36,41| 394 | 20| 30,78) 41,1 | 12,95| 3L0 | 24,35| 14,7 | 57,74) 310 | 36,28| 39,3 | Marzo. 2| 30,60| 40,9 | 12,77] 308 | 2416 146 | 57,57| 350 | 36,12 39,3 | 12 30,42) 40,7 | 12,58] 30,6 | 23,96| 14,4 | 57,39) 3L1 | 35,94| 39,3 .. 221 30,25) 40,5 | 12,40| 30,5 | 23,76] 14,2 | 57,20] 35,1 | 35,75| 394 Aprile 1| 30,09) 40,3 | 12,24] 30,4 | 23,59) 138 | 5701| 310 35,57| 39,5 | II 12,10) 30,4 | 23,44| 13,4 | 56,84| 310 | 35,40] 396 | 2I | 56,70| 31,1 | 35,25| 39,8 | Maggio I | 35,12 | 40,0 II | 2I | 3I | | | | Giugno 10 | 20 | 30 | Luglio 10 | | 20| 30,95| 46,2 39) 31,23| 13,19 | 37,2 | 24,57) 141 Agosto 9| 31,52| 48,4 | 13,48] 382 | 2487| 147 | 5773| 352 19| 31,82) 49,4 | 13,77| 392 | 25,18) 15,4 | 58,01) 35,8 | 36,20| 46,3 A ORI w 29 32,12| 50,4 | 14,07| 49,1 | 25,50) 16,1 | 58,30) 363 | 36,57| 468 Sett. 8| 32,42| 512 | 1437] 408 | 2582] 168 | 5860| 367 36,85 | 47,2 | 18| 32,71| 519 | 14,66| 414 | 26,13| 17,4 | 5890| 370 3714| 47,4 28| 32,99) 52,4 | 14,95] 418 | 26,44| 180 | 5920 371 | 37,44| 474 | Ottobre 8| 33,25) 5 15,22| 421 | 26,74| 18,5 | 59,50] 372 | 37,74| 473 | 18 33,50) 53,0 15,47| 423,2 | 27,02| 19,0 | 59,79| 37,1 38,03 | 47,0 U D (0°) 28) 33,72| 531 | 15,71] 422 | 27,28) 19,4 | 60,07| 369 | 38,32| 46,7 Nov. 7| 3392) 531 | 15,93| 420 | 27,51| 198 | 60,34| 36,7 | 3860| 462 | 17| 3410) 530 | 16,12) 418 | 27,73] 20,1 | 60,58] 36,4 | 38,86) 45,6 INR 27| 34,24) 52,7 | 16,28) 41,5 | 27,90| 20,4 | 60,80| 36,1 | 39,09| 45,0 | Dic. 7f 34,35) 524 | 1641! 41,1 | 28,05| 20,7 | 60,99] 358 | 3920| 444 | 17] 3442: 52,2 | 16,50) 40,7 | 28,15) 20,9 | 61,13! 35,5 | 39,46! 439 27| 3444| 51,9 | 16,54} 40,4 | 28,20] 21,2 | 61,23| 35,2 | 39,59| 434 37| 3443| 516 | 16,54) 40,1 | 28,21| 21,5 | 61,29| 35,1 | 39,67| 430 | Posizione | 4h.28", 39), 76 la 47°.12°,83 | 40.52. 24,17 | 5%.41".57, 35) 6 0".35, 78 media ie .38.50,0] +14°.5/.40',2 |+-24°. 54 .20, 2 |+17°.41'.39 ,50|+14°.13.49/,1 POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1485) î di | GIORNÒ 74 k Orionis 2 Lycis 9 di neis 58” Aurigae | 45 Geminorum ; i gr.: 5,4 gr. : 4,8 26,0 gr. 15,0 gr. : 5,9 N DEL — __’——r ere AT enni e a} ri EA MPT — rr —_—rF MESE Ascens. |Declinaz.} Ascens. | Declinaz. Ascens. |Declinaz.| Ascens.a | Declinaz.] Ascens. | Declinaz. retta boreale retta boreale retta boreale retta horeale retta boreale 1906 68.11" |12°.17 | 60.112 | 59%2'| 6,2205803] 68.44" 410.53] 70.1" | 160.4 s Pi s Da, s ni s n se Gu Genn. 1| 10,64| 47,2 | 21,46 39,7 | 38,93| 499| 799) 249 | 59,30) 438 II 10,69 40,7 21,52 40,6 39,02 52,1 8,11 26,1 5941 | 43,3 21] 10,70| 46,3 | 21,50] 42,5 | 3902| 542| 8,16) 27,4 | 5947) 430 gI| 10,65| 46,0 | 21,39] 44,4 | 38,94| 502| 8,14| 28,7 | 5947) 42,9 Febbr. 10} 10,57| 45,8 | 21,20| 46,2 | 38,77] 580] 8,05) 300 | 59,42| 42,9 20} 10,45| 45,6 | 20,94] 47,8 | 38,53) 5961 792) 3LI | 59,34| 42,9 Î LARA 0 rata Marzo 2| 10,29) 45,6 | 20,62] 49,0 | 38,24| 60,8| 7,73) 32,1 | 59,21) 43,0 I2| Io,I1| 45,6 | 20,27) 498 | 3790| 61,7] 7,52) 328 | 5905 43,2 _ 22| 992| 45,6 | 1990! 50,1 | 37,54| 62,2] 728) 334 | 5887 434 Aprile 1| 9,74| 45,7 | 19,53] 500 | 37,18) 62,2| 703| 33,7 | 58,60 43,6 II] 9,57| 459 | 19,18) 49,5 | 36,83) 61,8] 6,80) 33,7 | 58,51| 43,9 21] 9,42) 46,1 | 18,87) 48,6 | 36,52) GLI 6,58) 334 | 5834| 441 Maggio 1f 9,29) 46,4 | 18,61 47,4 | 36,26| 60,0| 6,39 330 | 58,19. 44,4 II 6,25 32,3 53,07 44,7 2I | | 31 | | i Giugno 10 | | 20 | 30 | Luglio 10 | 20 | IQ} 10,4I| 53,3 | 20,37) 290 | 37,81) 41,5 29 10,68 53,8 20,86 | 28,1 38,29 40,5 175 | 21,6 59,12 47,8 Sett. 8| 10,96) 54,1 | 21,37] 27,5 | 38,78] 39,7] 810] 20,9 | 59,38) 478 I8| 11,25| 543 | 21,91) 27,1 | 39,29| 392 8,47| 20,4 | 5905| 47,7 28| 11,54| 543 | 22,45} 270 | 39.82] 389] 8,84) 19,9 | 5995) 474 Ottobre 81 11,84| 54,2 | 22,99| 27,2 | 40,36) 38,9 9,23| 19,6 | 60 ,25| 47,0 18| 12,13] 539 | 23,53| 277 | 4989] 39,2| 9,62) 194 60,55, 46,4 N io, » 28| 12,42) 53,4 | 24,05 41,4I1| 39,8| I0,0I| 19,4 60,86 45,7 Nov. 7| 12,69) 528 41,91 | 40,7| 10,39) 19,5 | 61,17| 44,9 I7| 12,95| 52,1 | 25,01] 308 | 42,37| 41,8] 10,75) 19,8 61,46 | 44,1 £ 27| 13,19) 51,3 | 25,43| 334 | 42,79) 43,3| I1109| 20,3 61,73 | 43,3 Dic. 7| 13,39) 505 | 25,78) 343 | 43,16] 45,0| 11,39| 21,0 | 61,99) 42,5 I7| 13,56) 49,8 | 26,06) 36,3 | 43,46| 46,91 I1,65| 21,9 | 62,22) 418 Î | N pe ® (911 DI ND O (d) 27 13,69 49,2 | 26,27| 38,4 | 43,68| 48,9| 11,85| 22,9 62,40 41,1 | 37| 13,77| 48,6 | 26,39] 40,7 | 43,82| 51,1 12,00| 24,1 | 62,54] 40,6 | Posizione | 6%.11%.9*,93 | 62.11. 19,92 | 61.22". 37°, 48| 6.44”. 73,11 7°. 2.585, 61 | media |+12°.17.55,9|+59°-2'.44,5 |+58°.13. 50%, 9] +41°.53'. 33°, 3]+ 16°.4.52",3 1116 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO CD SEZ SOR ROZEN IR NIMZTIS TEMI TATA PIZZA GIORNO 64 Aurigae 6 Canis min. | 69 v Geminor. | 71 o (teminor. 1o pu Caneri gr.t.5,t gr. 14,8 gr.14,3 gr.c.0,1 gr. :5,6 DEL MESE Ascens. |Deelinaz.{ Ascens. |Declinaz.} Ascens. | Declinaz.I Ascens. |Declinaz.i Ascens. | Declinaz. retta | boreale retta boreale retta boreale retta boreale retta boreale 1906 Tarn 12°.11 | 72.302] 27%6 | 7°.392/34°%47 | 8h22 |er°.51 Ss | mr Ss mr Ss Ss re Genn. I 31,02| 53,2 | 3455| 566] 857) 93| 263| 5L1 | 1463 II 31,17| 544 | 3468) 550| 8,72] 94 | 2,79) 518 | 14,80 21| 31,25| 55,6 | 3476) 55,3 | 8,82| 09,7] 289) 52,6 | 14,93 31 | 31,26 549 | 8,85 2,93| 53,5 | 15,90 Febbr. 10| 31,21| 58,2 | 34,76| 546 8,83 | 10,8 2,91 | 54,4 | 15,01 20| 31,10| 59,4 | 34,69| 54,5 8,76 | 11,4 2,84| 55,5 | 1497 Marzo 2| 30,94| 60,5 | 34,57| 545 8,64 | 12,I 2,71| 565 | 14,88 12] 30,74| 61,5 | 3443| 5461 8,49) 12,7| 2,55| 574 | 1470 | 22| 30,52| 62,3 | 34,26| 548 8,31 | 13,3 2,36 | 58,1 | 14,61 Aprile 1| 30,29 55,0 8,12 2,15| 59,8 | 14,44 II | 30,05 55,3 7,92 1,94 | 59,2 | 14,26 | 21| 20,83] 63,0 | 33,74) 556| 774| 144| 173| 594 | 14,08 | Maggio 1| 29,63| 62,8 | 33,59| 56,0 7,58 | 14,5 1,55| 594 | 13,91 I1| 29,44| 62,3 | 33,46] 564 | 743| 146 | 139| 593 | 13.77 TI, CATIA OLII STI POTENTE TL IESIAI cd RIA DEI IITIRZNCT ROUETTI SIE NT APERTI DOP NIDI IMI APPIA TS SOIT ORIO DENTI, O YI - WN Di rd o Dv Vo) io Dv W w Ù fo È È SE (00) o HH bai Ro (de No) 3 H 00 ÎD 2I 1,27| 59,0 | 1305 3I i Giugno 10 20 | | Mi i Luglio 10 | 20 | 30 | Agosto 9g 19 | 20 30,65| 513 | 3428) 61,2 | 8,27| 10,9 | Sett. 8] 30,97| 59,4 | 34,52| 61,3 | 8,56| 103 | 2,56) 5954 | 18| 31,32| 49,6 | 34,78| 6,1 | 8,851 97| 2,86) 495 | 28| 31,68) 48,8 | 35,06) 608 | g,15| 90| 3,19) 48,7 | Ottobre 8| 32,06) 48,2 | 35,35| 503 | 947] 83| 3,54| 479 | 18| 32,45! 47,7 | 35,65| 596 | 9,80) 75] 3,89] 471 | 281 32,84| 473 | 35,96 58,7 | 10,34| 68 4,25| 464 Nov. 7] 33,23] 47,1 | 36,27| 578 | 10,48] 6,1| 4,62) 458 | 17] 33,60| 47,1 | 36,57) 506,7 | 10,81) 54| 498) 454 | 27| 33,96) 473 | 36,86) 556 | 11L,13| 49 5,32] 45,1 | Die. 7] 3429) 47,7 | 3712) 54,5 | 1142| 45| 564 450 | I7| 3457| 484 | 37,36 53,5 | I1L60| 42| 5,93| 45,2 27 34,81 49,3 37,56 | 52,5 11,92 4,1 6,18 | 45,5 | 37| 3499| 593 | 37,71) 5h7 | 1209| 42| 6,37] 46,1 | Posizione gh, ID, 305,20 ahi 24°. 393 89 n goa me, 92 qh : DR ia 94 80, 145,07 | media 4+41°.3.2,6 | +12°.12'.4", 9|+27°.6.18%4 | +34°48/.0”,8 |l+21°.5117,6 POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. IZ GrorNo 18 x Caneri 29 Caneri . {27(Bode) Li Maj.| 55 pt Caneri 60 Caneri gr. : 5,8 gr. 16,2 gr.:6,0 gr. : 6,2 gr. : 5,6 DEL -— - 9- r/r wr T—, _ — —_ri -T—> __—”” ”- —r MESE Ascens. |Declinaz.} Ascens. |Declinaz.} Ascens. |Declinaz.{ Ascens. |Deelinaz.| Ascens. |Declinaz. retta boreale retta boreale retta boreale retta | boreale retta boreale 1906 8h.14"|27°. 91] 88,29% \14°.31"| 88.320 530.2" 81.46" 28.41" 8%.50" 11°.58'| S x s sE S ve S | ch S De | Gen. ii 2193| 11,5 | 23,18) 125 | 20,75| 17,6 | 60,59] 15,4 | 48,13| 60,7 | IT| 22,13| 116 | 23,37] 11,7 | 21,04| 18,9 | 60,82) 15,3 | 48,34] 59,7 | 21] 2227| 11,8 | 23,51| I1,I | 21,26] 20,5 | 61,00] 15,5 | 48,50] 58,8 D#pl22/361 12,20] 23/50 10,7 | 2140) 22,4] 61,12 15)9°| 48,61|-58,1 Febbr. 10| 22,39| 12,8 | 23,63| 10,5 | 21,45| 24,4 | 61,19] 16,5 | 48,67] 57,7 20| 22,36) 13,5 | 23,61| 10,5 | 21,42| 26,4 | 61,19) 17,4 48,68 | 57,6 Marzo 21 22,28| 14,3 | 23,54| 10,6 21,32 | 28,6 | 61,14| 18,3 | 48,64] 57,6 | Taj 22,16) 16,5 | 23,44) 10,8 | 21,15) 30,5 | 61,05) 192 | 48,56] 57,7 | 2a 22,01) 15,9 | 23,31 11,2 | 20,94| 32,1 | 60,92| 20,2 | 48,45| 580 | Aprile ‘if 21,84] 16,6 | 23,15| 11,6 | 20,68| 33,5 | 60,76] 21,1 | 48,31] 58,4 | tr] 21,65) 173 | 22,98| 123,1 | 20,40] 34,6 | 60,59] 21,9 | 48,16] 588 | Sii (2547) 17,7.| 22,82 12,5 “adi 35,3 | 60,41) 22,6 | 48,00) 59,3 Maggio 1| 21,29) 18,1 | 22,66) 130 | 19,83] 35,6 | 60,23) 23,2 | 47,84| 59,8 IT| 21,13] 18,3 | 22,51] 13,4 | 19,57| 35,6 | 60,06) 23,6 | 47,70] 60,3 | 21| 21,00) 18,4 | 22,39| 13,9 | 19,34| 35,2 | 59,92| 23,8 | 47,57| 60,9 | gr| 20,90| 18,3 | 22,30) 14,3 | 19,15| 344 | 5980) 23,9 | 47,46) 61,4 Giugno 10 0 3980 59,7! 23,80) 4730 Wong 20 | | | 30 | | | | Luglio 10 I | | | 20 | | | | 30 | | Agosto 9 | 19 | | 29 | | | | Sett. 8 | | | | | tiWi2D05| 119 | 23,26 1I5,I | | 281 22,393| 10,9 | 23,51| 144 | 20,74| 12,3 | 60,86| 14,6 | 48,38| 62,3 Ottobre 8] 22,63] 09,8 | 23,78| 13,6 | 21,15| 10,6 | 61,15| 13,4 | 48,64] 61,4 | taiaz/5| (8701 24,07) 12)6:| 21,60) 9,1 61,46 12,7] 48,91 | 60,4. | Nov. | 7| 23,64| 6,5 | 24,70) 10,2 | 22,56) 68 | 62,13) 93 | 49,52| 578 | H nI N (95) e \O 00 n (Oi N SI ©) N (eo) \O N W e) (O21 tc) N O D A \O ice) [ari ES Noi 0 pù (O), D (96) Dic. 7 24,65 | 3,8 25,64 | 6,3 23,99 | 6,0 63,18 6,0 50,49 53,3 Posizione | 8%.14".21%,41 | 82.23". 22° ,67| 8°.32".20%,08 8°. 47.0, 19 8°.50".47° ,69 | "nr media 14427°.31%21%, r.|-+14°.31.20"/9] +53%22049|+28%41% 25" al +11%509"756 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO GIORNO DEL MESE 1906 | | Genn. I II 2I 20 Febbr. 10 20 Marzo 2 12 22 Aprile 1 | II 2I | Maggio 1 II 2I 3I Giugno 10 20 30 Luglio 10 20 30 Agosto 9 19 29 | Sett. 8 18 | 28 | Ottobre 8 | 18 28 | Nov. nl 44(Bode)Urs.Maj. gr. : 5,6 yy —-}1— 7 <# Ascens. | Declinaz. retta boreale 88.57" 154.38 8,18 63,9 8,52 | 65,1 8,78 | 66,7 8,96 | 68,6 9,95) 79,7 9,06 | 72,9 8,99 | 75,1 8,86| 77,2 8,66 | 79,I 8,41| 80,8 8,14 | 82,I 785| 83,1 7,56 | 83,7 7,28 | 83,8 7,02 | 83,6 6,79, 83,0 5,58 | 82,1 7,99 | 59,6 8,40 | 57,6 8,84 | 55,7 9,31 | 54I 9,80 | 52,8 69 v Caneri 77 E Caneri | 36 Lyncis 16 w Leonis gr. 15,7 gr. 0539 pro 298 gr. : 5,6 Pr it-_rr Cr —r "_r_ sw Peli O ug e n © __ nn Ascens. |Declinaz.j Ascens. | Declinaz.j Ascens. | Declinaz.j Ascens. | Declinaz.|f retta boreale retta boreale retta boreale retta boreale 8.577 24°.49"| gg | 22.25" 97° 143°.35 | o.38"% |140.26" Ss " s ar Ss " Ss rr 15,01 | 14,8 | 57,78) 25,2 | 39,95| 68,5 | 37,08| 60,5 15,24 | 14,4 | 58,01| 24,6 | 40,24| 69,1 | 37,33| 594 15,42| 14,3 | 58,20| 24,4 | 40,47| 79,1 | 37,54| 58,5 15,55| 14,5 | 58,33| 24,4 | 40,64| 714 | 37570] 579 15,62 | 14,9 | 58,41) 24,6 | 40,74| 728 | 37,81| 57,5 15,64 | 15,5 | 58,44| 25,0 | 40,77| 745 37,87| 574 15,61 | 16,2 | 58,41| 25,6 | 40,73| 762 | 3788| 575 I5,53| 17,0 | 59,34| 26,3 | 40,64| 779 | 37,94| 578 15,41 | 17,8 | 58,23| 27,0 | 40,50| 79,5 | 3777| 59,3 15,27| 18,7 | 58,09) 27,8 | 40,32| 81,0 | 37,66| 58,8 15,10) 19,5 | 57,93| 28,6 | 40,12| 82,3 | 37,53| 59,4 14,93| 20,2 | 57,77| 29,3 | 39,90| 83,3 | 37,39| 60,0 14,77| 20,8 | 57,61) 29,9 | 39,68| 840 | 37,25) 60,7 14,61| 21,3 | 57,46) 30,4 | 39,47| 84,4 | 37311| 61,4 14,47| 21,7 | 57,32) 30,8 | 39,27] 84,5 | 30,97| 62,0 14,35] 21,9 | 57,20) 311 | 39,10) 84,3 | 36,85| 62,5 14,26| 21,9 | 57,11] 314 | 38,97] 83,8 | 36,75) 63,0 | 36,67 | 63,4 15,29 | 14,9 | 58,05| 25,6 | 40,03| 66,4 15,56| 13,6 | 58,31) 243 | 40,35) 645 | 37,53| 600 15,85 | 12,2 | 58,60) 22,9 | 40,70] 62,7 | 37,79| 58,6 16,17 | 10,8 | 58,01| 214 41,09 | 61,0 38,07 | 57,2 16,50| 94 | 59,23| 20,0 | 41,49| 59,5 | 38,37| 55,6 8%.57%.145,64 9Ù.3".57, 43 ol 790, 59 9°.38". 36, 85 +24°.49 .23/,9|+22°.25'.33/,8|+43°.36 .20",6{+14°.27.6,9 POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1119 i ? VERI — È È Bo "i 27vLeonis | 37Urs. Maj. | 47Urs. Maj. { 73 7Leonis | “7 Cole) ART gr tb,i gr. 5,2 gr. : 5,1 gr. : 5,6 nf ve D, | MESE Ascens. | Declinaz.{ Ascens. |Declinaz.{ Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Declinaz.{ Ascens. | Declinaz. | i retta boreale {retta boreale {retta boreale | retta boreale | retta boreale i lA ————_mn ]]eo_—_r_m__ ii rue ———=x sic ————— n —71 mm c[9_t1ò@ rr ‘I È; ' ’ ’ ’ 1906 | 9-53" 12°.53{10".20" 57°.33/|10".54" 400.55 [11®.10" 130.48" {118.11 49°,58" | | ti s " S | tr, Ss n S | na s | "a > Genn. I| 10,19| 30,3 6,66 | 46,5 | 12,06| 45,6 | 56,67| 609,2 | 23,78| 68,2 tu} 10,45] 29,0 | * 7,54] 47,1 | 12,42| 45,1 | 56,98) 67,6 | 24,21) 67,8 21] 10,67| 28,0 7,55| 48,1 | 12,75| 45,2 | 57,26| 66,3 | 24,60. 68,0 i 31] 10,84) 273 | 7,88| 49,7 | 13,03] 45,7 | 57,50 65,3 | 2494| 68,8 È Febbr. iof 10,96 | 26,8 8,14 | 51,5 | 13,26| 46,6 | 57,70| 64,6 | 25,22| 70,2 20] 11,03| 26,5 8,31 | 53,7 | 13:43| 47,9 | 57,95) 64,3 | 25:43| 71,9 Marzo 2| 11,05| 265 | 840) 56,2 | 13,53| 494 | 57,95| 64,2 | 25,58| 73,9 $ IGIR EIT,03)) 26,7 8,40| 58,7 | 13,57| 512 | 58,01| 64,5 | 25,65| 76,2 ui 22| 10,97| 27,1 8,32| 61,2 | 13,56| 53,1 | 58,02| 65,0 | 25,651 78,5 _{l Aprile 1| 10,88] 27,6 8,18) 63,6 | 13,50| 55,1 | 58,00) 65,6 | 25,60) 81,0 i TI] 10,70) 28,2 | 7,98) 65,8 | 13,40] 570 | 57,94| 66,3 | 25,49) 83,3 21] 10,63| 288 | 7,74| 67,7 | 13,26| 58,7 | 57,86| 67,1 | 25,34| 854 Maggio 1| 10,49| 205 | 7,46) 69,2 | 13,10! 60,3 | 57,77| 680 | 25,15| 87,3 II 10,35| 39,2 DIT| 794 12,93 | 61,6 | 57,66| 68,9 | 24,95| 89,0 21] 10,22| 308 | 6,88 71,1 | 12,74| 62,7 | 57,54| 698 | 24,73) 90,2 5 gr] 10,10) 31,4 | 6,60) 71,4 | 12,56] 63,4 | 57,42| 70,5 | 24:50 91,0 Giugno 10] 9,99| 31,9 | 6,33| 71,2 | 12,39) 63,8 | 57,30) 71,2 | 2428. 91,5 20 9,90 | 32,4 6,08 79,6 12,24 | 63,8 57,19| 71,8 24,07) 91,6 _ 3of 984| 328 | 5,87] 696 | 12,09) 63,5 | 57,09) 72,3 | 23,88) 91,2 Luglio 10 11,97| 62,9 | 57,00) 72,6 | 23,71 90,2 20 30 Agosto 9 | 19 | 29 | Sett. 8 18 28 Ottobre 8 18| 10,86| 28,3 6,73| 41,9 28] 1r1,13| 268 | 7,14| 392 | 12,80] 40,6 | 57,57] 64,7 | 24,31] 63,1 Nov. _7| 11,43] 251 | 7,60) 36,7 | 13,12| 380 | 57,83] 62,7 | 24,66) 60,3 I7} 11,75) 23,4 | 8,09) 346 | 13,48) 35.6 | 58,12) 60,7 | 25,05| 57,6 | 27| 12,08| 21,6 | 8,61 32,9 | 13,87] 33,5 | 58,43) 58,5 | 25,48 553 Dic. 7| 12,41, 198 | 9,15| 31,6 | 14,27] 31,6 | 58,76] 56,4 | 25,93| 533 I7f 12,73| 181 | 9,69) 30,7 | 14,68| 30,1 | 59,10] 54,4 | 26,39| 51,8 27| 1304| 16,5 | 10,22] 30,4 | 15,08) 28,9 | 59,43| 52,5 | 26,86| 50,7 37| 13,32| 15,2 | 10,71] 30,7 | 15,47| 28,2 | 59,75] 50,8 | 27,31) 50,2 Posizione | 9°%.53".10%,01 | 10%.29".6,83. | 10".54".12°,37| 11.10". 56°,89] 11°.11".24,28 media . |+12°.53.36",0 | +57°.34.1°,3 | +40°.55/-57/,I| +13°.49.137,0|+49°.59 .21°,6 | 1120 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO GIORNO 58 Urs. Maj. 95 0 Leonis 1 Canum Ven. | 6 Canum Ven. 14 Comae gr. 5,9 gr. : 5,8 gr. : 6,2 gr. : 5,8 gr. : 5,2 _ —|{_—->—}-—FTFPT =. 1_aa>— —_ _———"-»>0eoao]rro” fl e °P°|P0&0 IT Declinaz.{ Ascens. | Declinaz.} Ascens. | Declinaz. Ascens. | Declinaz boreale retta boreale retta | boreale f_ retta | boreale DEL MESE Ascens. | Declinaz.j Ascens, retta | boreale retta | | E i 1906 |11".25"43%.40' TI..50"| 16°.9' [r2h. 10% 5356! lilla 39° 31° [12".21" 279.46" { s "r S "ur Si) rr S u s 51 Genn. 1| 25,59] 69,3 | 50,10) 68,1 | 3,23| 754 Di 75,6 | 41,32) 74,2 | II | 25,99) 68,6 | 50,42| 60,4 | 3,71) 74,5 |: 12,70] 7424 4507| 726 21] 26,36) 68,5 | 50,72| 65,1 | 4,17. 743 | 1307|.734 | 4301) 714 | 31| 26,68) 68,9 | 50,99) 64,0 | 4,59| 74,6 | I34I| 73,1 | 423,32) 70,7 | Febbr. 1o| 26,94| 69,7 | 51,23) 63,3 | 4,90) 75,6 | 13,72| 734 | 423,59) 70,5 | 20] 27,15| 710 | 5142| 630 | 5,27| 770 | 13,98| 74,1 | 43,82) 706 | Marzo 2] 27,30] 72,6 | 51,56| 630 5,51| 78,9 14,18 T5j20| Ag01|4g758 I2{ 27,39| 745 | 51,660 633 | 5,68| 8L1 | 14,33| 708 | 43,15| 7231 | __ 22] 27,42| 76,6 | 51,72| 638 | 5,78| 83,6 | 14,43| 786.| 4324| 733 | Aprile 1| 27,39| 787 | 5173| 647 | 5,80) 86,2 | 14,48) 80,6 | 43,290) 74,7 | IX] 27,32| 80,8 | 5171) 65,7 | 5,76| 88,8 | 14,48| 82,8 | 43,30) 70,3 210 2,21) 82/0 5674 600)7 5,67| 91,4 | 14,44| 849 | 43,27| 780 | | | | Maggio 1| 27,06| 848 | 51,60) 678 | 5,53] 938 | 14,36) 870 | 4321) 79,7 I1| 26,90) 86,4 | 5151) 68,9 | 5,35) 95,9 | 1425| 890 | 43,13) 81,3 | 21| 26,72) 87,7 | 5141) 699 | 514. 97,7 | I4I2| 90,7 | 43,93| 82,8 31] 26,53| 88,7 | 51,30) 70,9 | 491) 99,1 | 13,97| 92,1 | 4391) 841 | Giugno 1o| 26,34| 89,3 | 51,18) 71,7 4,67|100,1 | 13,81| 93,2 | 42,79] 85,1 | 20] 26,17) 89,5 | 5107| 72,4 | 4,42|100,6 | 13,65] 940 | 42,66) 85,9 | | | | | 30] 26,00) 89,3 | 50,96 72,9 | 4,17|100,7 | 13,48 94,5 | 4353| 86,5 | Luglio 10] 25,84| 88,9 | 5985 73,3 3,93 100,3 | 13,31| 94,6 | 42,40) 86,8 20| 25,71] 88,0 | 50,75| 73,5 3,71 | 99,4 | 13,15) 94,2 | 4328| 86,8 30 | 50,67. 736 | 3,51) 98,2 | 13,01] 93,4 | 43,15] 86,5 Agosto 9 | | | | iò | AI | Sett. 8 18 28 Ottobre 8 18 | 28 | | Nov 7| 26,55| 62,4 | 17] 26,89 59,7 | 5151, 595 | 414) 66,7 | 13,50) 67,7 | 42,66) 66,3 E 27| 27,27) 573 | 5181) 573 | 454| 638 | 13,82) 648 | 42,95| 63,6 | Dic. 7] 2768 55,1 | 52,13) 550 | 498| 61,2 | 14,17) 62,1 | 43,27| 613 17] 28,10° 53,3 | 52,46, 528 | 5,45) 590 | 14,55) 598 | 43,62! 58,7 27| 28,52) 519 | 5281 508 | 5,94| 574 | 1495| 577 | 4398| 50,5 37] 28,93| 510 | 53,14) 48,9 ,43| 50,3 | 15,35] 592 | 4434) 547 | Posizione |11".25".26 14 I11h.50m +59), 56 12h. 10". 4°, 25 12:23; 13%, 19 IShorm, .42°,08 media ‘|+48%.41'.21”, 0 |+16.10‘.11",,5 |+53%57 28" ,2|+39°.32'.24"”.j94+-27°%4g 20! 3] POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1121 GroRrNO 15 Comae 74 Urs. Maj. | o Canum Ven. | 14 Canum Ven. | 17 Canum Ven. gr. 14,5 gr. : 5,6 gr. : 6,2 gr.:5,5 gr. : 6,1 DIS a e i n” —— o o el ce i - — _ _ sm MESE Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Declinaz.] Ascens. |Declinaz.} Ascens. | Declinaz.| Ascens. | Declinaz. retta | boreale retta | boreale retta | boreale retta | boreale retta | boreale a TI a i i I 128,00" 28°.47' I2l.ag® 58°.54 122.34" 410.23" gli 136°.17' Egisn 38° 59' S | UA S 7) S | ” Ss ” S rr 14,52| 20,9 | 32,90| 69,1 | 14,07| 21,4 | 19,78) 58,6 | 43,19) 46,0 | 14,88| 19,3 | 33,44| 68,2 | 1447| 199 | 20,15) 56,9 | 43,57| 44,3 15,22| 18,1 | 33,96| 67,9 | 14,85| 190 | 20,52 55,6 | 43,95| 430 gI| 15,53) 17,4 | 34,44| 68,3 | 15,21| 18,7 | 20,87) 549 | 44,31] 42,3 Febbr. 15,80| 17,2 | 34,87| 69,3 | 15,53) 18,9 | 21,20) 54,7 | 4465) 422 | 16,04 | 17,4 | 35,24| 70,8 | 15,81| 19,6 | 21,48] 55,0 | 44,95| 426 Marzo 16,23 | 18,0 | 35,53| 72,8 | 16,03| 20,8 | 21,72] 55,8 | 45,20) 43,5 16,30 | 19,0 | 35,74| 75,2 | 16,20) 22,4 | 21,91] 570 | 45,40) 448 | 16,46 | 20,3 | 35,87| 77,8 | 10,32| 24,3 | 22,05| 58,6 | 45,55| 46,5 Aprile 16,51| 21,8 | 35,92] 80,6 | 16,39| 26,4 | 22,15| 60,4 | 45,65] 48,4 16,52| 23,4 | 35,90| 83,4 | 16,40| 28,6 | 22,20) 62,5 | 45,71| 50,6 16,49| 25,1 | 35,81| 86,1 | 16,37| 30,9 | 22,21] 646 | 45,72| 52,9 Maggio 1| 16,43| 26,8 | 35,66) 88,7 | 16,30| 33,1 | 22,18| 66,8 | 45,69) 55,2 I—| 16,35| 28,5 | 35,46| 90,9 | 16,20) 35,2 | 22,11) 68,8 | 45,62] 57,4 21 | 16,25| 390 | 35,23] 92,9 | 16,07] 37,0 | 22,02) 708 | 45,53) 594 I] 16,13) 31,3 | 34,96| 94,5 | 15,92| 38,6 | 21,91) 72,5 | 45,41| 61,1 Giugno 10] 16,00| 32,4 | 34,67| 95,6 | 15,76| 39,9 | 21,78| 73,9 | 45,27| 62,6 20| 15,87| 33,2 | 34,37| 96,2 | 15,59| 40,8 | 21,63| 75,1 | 45,11] 63,8 | | 30] 15,73) 33,8 | 3407| 96,4 | I5,41| 41,3 | 21,47| 75,9 | 4494 64,7 Luglio to] 15,60) 340 | 33,78| 960 | 15,24| 41,4 | 21,31) 76,3 | 44,76) 65,1 | 20| 15,47| 338 | 33,50) 95,2 | 15,07] 4L1 | 21,15| 76,4 | 44,59) 65,2 30| 15,35| 33,7 | 33,24) 94,0 | 14,91) 40,5 | 20,99) 76,1 | 44,43) 64,8 | Agosto 9 33,00 | 92,2 | 14,76) 39,4 | 20,84| 75,4 | 44;27| 640 | | 20,70 | 74,4 | 44,12| 63,0 | Ottobre 8 | 15,85 | 13,0 | | 16,14| 10,3 | 33,95| 579 | 15,52| ILO | 16,40) 7,7 | 34,42| 55,2 | 15,87] 82 2,001 46,4 | 44,91, 33,9 16,81) 5,3 | 3493: 530 | 16,251 5,7 | 21,90 43,7 | 45,27, 312 | ITI7| 32° 35,47) 51,3 | 16,65) 3,6 | 22,27] 453.| 45,64) 28,8 I7,54| 1,4 | 35,01] 50,0 | 17,06) 1,9 | 22,65| 393 | 46,02] 268 | Posizione |r2h.22". 155,29 120.251,34", 18 12h, 34.155,06 ISU Mio” ,87 I9°.5%,44° 335 | media |+28°.4727",3 |+58*.55/.22”,5 |+41°.29/.307,8 | +36°.18'5",9 +38".59' 534 9 1122 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO Ottobre 8 18 | 17 27 | Dic. 7} 18,83 44,5 I7j 19,19 417 27| 19,56. 39,3 37] 19,97) 37,2 | SETE a Led | | Posizione {r3b.11%.185, 39 media | 6,73 17,9 | 30,15) 26,3 7,08 15,1 | 30,560! 23,4 7,45 | 12,6 31,01 | 20,8 784| 10,5 | 31,50) 18,8 ——m©@@11.:mm.x I3°:162.63, 30 13°.30".305, 64 | 735 IO,4I! 41,6 10,70! 38,7 II,I15| 36,2 14".4".10%,23 14%.12%.50*, 3I +41°,21'.4",7 |+40°.38".375,6 +55°.49‘.48”,31 +44°.18".1",4 | +51°.48.2 $o) Giorno | 19 Canum Ven. | 23 Canum Ven. | 81 Ursae Maj. 9 (Hev.) Bootis | 27 1 Bootis gr. 15,7 gr. : 5,7 gr.:5,4 gr. 15,4 gr. : 4,8 Del — as —, | n > PT Sr gr CT 1 MESE Ascens. | Declinaz.{ Ascens. | Declinaz.{ Ascens. | Declinaz. Ascens. | Declinaz.f Ascens. | Declinaz. retta | boreale retta | boreale retta | boreale retta | boreale retta | boreale 1906 I3h.11" 41°.20' |13h.161 400.38" 130.30 550.49" [14°.4% |44°.17' T4h.12%/519,47" Ss | : S | 4 Si | z S A Ss Ù Genn. 1| 17,16) 56,5 | 5,05| 29,7 | 2892] 3771) 861 545 | 48,45| 539 IL] 17,56) 547 | 544 279 | 2941 359 | 0902) 52,3 | 4888 51,9 21] 17,95) 535 | 5,83) 26,6 | 29,90. 348 | 09,42) 50,6 | 49,33 50,3 31 | 18,32| 52,8 | 6,20. 25,9 | 30,38) 343 | 0982] 494 | 40777 49,2 | Febbr. 10] 18,67! 52,7 6,55| 25,7 | 30,83 34,5 | 10,20] 43,9 | 50,20| 48,8 | 20] 18,98 53,1 | 6,86) 26,0 | 31,24| 35,2 | 10,55| 490 | 5061 49,0 Marzo 2| 19,24) 541 | 712| 26,9 31,60 36,5 | 10,87) 49,6 | 50,98| 49,8 12] 1945 55,5 | 7,34) 28,3 | 3189. 38,4 | ILI5| 508 | 5130) s12 22| 19,61| 57,2 51) 390 | 32,12) 40,7 | 11,38| 525 | 51,56 53,0 Aprile 1| 19,73. 593 | 7,62) 320 | 32,28) 433 | 1155 545 | 5177| 55,3 I1{ 19,79. 61,6 | 7,69) 34,3 | 32,37] 46,0 | 11,68| 568 | 51,93 57,9 21] 19,80) 640 | 7,71| 36,6 | 32,40) 489 | 11,77] 593 52,03 | 60,7 Maggio 1| 19,77, 663 | 7,69) 390 | 32,36| 51,7 | 11,80 62,0 | 52,06 | 63,5 | IIj 19,71] 68,6 | 7,63) 415,3 | 32,27| 544 | 11,79 64,6 | 52,04) 66,3 21] 19,61 70,7 | 7,54| 434 32,13 | 56,9 | 11,74| 67,1 | 51,97| 690 31| 19,48) 72,6 | 7,43) 45,3 | 3195| 59,1 | 11,65| 694 | 5186 71,5 Giugno to| 19,34 74,1 | 7,29) 46,9 | 31,74| 609 | 1153 75,4 | 51,71) 73,7 204 19,18) 75,3 |. 7,13| 48,2 | 31,49) 62,3 11,38| 73,1 | 51,52] 75,5 30] Ig0I| 70,2 | 6,96) 49,1 | 31,22| 63,3 | 1120] 745 | 54,91] 770 | Luglio 10| 18,83) 76,7 6,78. 49,6 | 30,94) 63,7 | ILOI| 754 51,07| 78,0 | 20] 18,64. 76,8 | 6,59. 49,7 | 30,65| 63,7 | 10,80| 759 | 50,81 78,5 30] 18,45 70,4 | 6,41) 49,4 | 30,37) 63,2 | 10,58| 760 | 50,54 78,6 Agosto 9| 18,28) 75,6 6,23| 48,7 | 30,09| 62,2 | 10,36 757 | 5527) 72 T9| I8,IL/ 743] 607) 476 | 29,83] 60,7 | 10,15] 749 | 5000 718 49,74 49,98! 41,9 50,36 | 38,9 50,78 | 36,4 —-_——_——————— 6 RIDERA 59) (EA LS pe” è sedi, i nto È Lt SI o GroRrNO DEL 1125 TARE TIE ARCI PO STI VE PASS PSE ESE SS TENNE E ENO N PRETI RI ANNNI TRENI ICONE SRO PA RI POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 34, DOS | 24 g Bootis {204 (Bode) Bootis{56(Bode)Draconis] 28 o Bootis gr. 15,7 gr. : 5,7 gr.: 6,1 gr.: 4,7 n E SI a e TA Pr Se an” RETI MESE. Ascens, | Declinaz.] Ascens. | Declinaz.f Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Deelinaz. Ascens. | Declinaz. retta | boreale retta | boreale retta | boreale retta | boreale retta |_boreale | 1906 |14®.25"50°.15' |14 n 25% 42° 12 [14.20 60°.37 |14 h 30" 30°.8' 14 ggn 26°. 55° | S | " Ss | " Ss | ” Ss | ” S "” Genn. 1| 19,86] 47,5 | 5282) 675] 733| 738] 33,80 69,3 | 16,06) 36,5 | II | 20,25| 45,1 53,18 65,0 7,83 | 72,5 34,13 | 66,9 16,38 340 | 21| 20,66) 43,3 | 53,56) 631 | 8,35) 69,7] 3448, 64,9 | 16,71) 31,9 gr] 21,10) 42,0 | 53,95] 61,7 | 8,89) 68,6| 34,83) 63,3 | I704| 30,3 | Febbr. 10| 21,52| 414 5433 60,9 9,42| 68,2 35,16 | 62,2 | 17,37| 29,I 20| 21,92) 414 | 54,09 60,7 | 992) 68,4| 35, 47| 61,7 | 17,69) 28,4 Marzo 2| 22,29| 42,1 | 55,01| 61,I 10,38 | 69,3 Lodi 61,7./|- 1797 | 28,2 | 12] 22,61| 43,3 3501 62,1 | 10,79) 708| 36,02) 62,2 | 18,23) 28,6 _ 22| 22,88| 450 | 55,55) 63,6 | 1114 728| 36,25 63,1 | 18,46 29,4 Aprile 1| 23,10] 47,2 | 55,75| 65,5 | ID41| 75,2] 36,44) 64,5 | 18,65) 30,6 IT] 23,27| 49,7 | 55,90) 67,6 | 11,62) 779| 36,58| 66,2 | 18,81) 32,1 21| 27,38) 524 | 56,01| 70,0 | 11,75| 80,9] 36,69, 68,2 | 18,92) 33,9 Maggio 1| 23,44| 55,2 | 56,07) 72,6 | 11,80) 840]| 36,77) 70,3 19,01 | 35,9 IT] 23,44| 580 | 56,09) 75,2 | 11,78] 870| 36,81) 72,4 | 1906 37,9 21| 23,39| 60,7 | 56,07) 778 | 11,70) 899| 3681| 74,6 | 19,08| 40,0 —_ 31] 23,30| 633 | 5601] 80,2 | 11,56) 92,5| 36,78. 70,7 | 19,06 420 Giugno t0| 23,17| 65,6 | 55,91 82,3 | 1136 9491 36,72. 786 | 1901) 43,9 20| 23,01| 67,5 | 55,79| 842 | 11,11) 96,9] 30,64) 80,4 | 18,94 45,6 | go| 2281) 69,1 | 55,63] 85,7 | 1082| 98,5| 36,53) 819 | 1884) 471 Luglio 10| 22,58| 70,2 | 55,45) 86,9 | 10,49 99,6| 36,40 83,1 | 18,71) 48,3 | 20| 22,33| 70,9 | 55,26| 87,7 | 10,14] 100,3| 36,24| 83,9 | 13,57| 492 | 30| 22,07| 71,1 | 55,05] 880 | 977|100,4| 36,08) 84,4 | 18,42| 498 Agosto 9| 21,80| 70,9 | 54,83) 879 | 940 100,0] 35,90) 84,5 | 18,25| 50,0 IQ| 21,54) 70,2 | 54,61 87,4 992 li 994 199,7 84,3 | 18,07) 49,9 20| 21,28) 69,0 | 54,40 86,4 8,66| 97,7| 35:55] 83,7 | 17,90| 49,5 | Sett. 8 54,20| 85,0 832| 95,8) 35,40) 82,7 | 17,74| 48,6 18 | 28 | | Ottobre 8 | | 18 | | 28 | Nov 7] | | 117) | | Sali | Dic. n 17| 21,33) 35,6 | | 27| 21,69) 326 | 5491) 525 | 880 591 361 54,8 | 18,38) 22,2 37| 22,09) 29,9 | 55,26) 498 | 9,28. 56,5] 36,43| 52,2 | 18,69] 19,6 Posizione |14%.25%.21%, 71 |14".251".54%, 49 | 14%.20%.9*, 68 | 14°.30".357,20 |14".39".17°,54 | media |+50°.15/.54,6 |+42°.13.12”,9 |+60°.38'.22",3 | +30°.9.11",7 |+26°.55-37%,7| | Atti della R. Accademia — Vol. XL. 74 1124 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO Giorno |295 (Bode) Bootist 37 € rta 44 i Bootis 45 c Bootis g t' Serpentis | | gr.: 6,4 gr.: gr. :4,9 gr. 35,2 gr.:5,5 DEL — }] ur _—— ke — _— — <| CrCT-- _—_—e”—rr| Tr—-_—_—Tc—T——t' MESE Ascens. | Declinaz. Ascens. |Declinaz.} Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Declimaz.] Ascens, Deetinaz. | retta | boreale | retta boreale { retta boreale | retta boreale | retta | boreale |P | | | | | | | 1906 14.45" 38.11 [14°.47" 19%29 | 15%" 48°%0' | 15%.3"25%.13 [15h.2m mE i | Ss a Ss | Pe S ri s | ” mr | Genn. 1| 23,64| 50,7 | 1,81) 27,7 | 39,77| 682| 8,79) 65,8 | 2418| 335 ! IT| 23,99) 481 | 2,11) 25,3 | 40,14] 65,5 | 908| 632 | 24,47] 30,1 21] 24,35) 460 | 2,44| 23,2 | 40,53| 63,3 | 9,40) 65,0 | 24,77| 27,9 | gI| 24,71] 443 | 2,76) 21,5 | 40,94| 61,7 | 9,73| 592 | 25,09| 26,0 | Febbr. 10| 25,07| 433 | 3,08| 20,1 | 41,35) 60,6 | 10,06] 57,9 | 25,40] 24,6 20] 25,42| 42,9 | 3,38| 19,2 | 41,74| 60,2 | 10,37| 570 | 25,70| 23,5 | Marzo 2 25,74.| 43,0 3,66| 18,8 | 42,11 | 60,5 | 10,67| 56,6 | 25,99) 238 12| 26,03| 43,7 | 3,92) 18,8 | 42,46| 61,3 | 10,94) 56,8 | 26,26) 22,6 | 22| 26,23) 44,9 4,14| 19,3 | 42,706| 62,7 } 11,18} 57,4 } 26,50| 22,9 | Aprile 1| 26,49) 46,5 4,33| 20,1 | 43,01| 64,6 | 11,39) 58,5 | 26,72) 23,5 I I1f 26,66| 48,5 | 449| 21,3 | 43,22) 66,9 | 11,57| 599 | 26,91] 24,4 zi] 2679| 50,7 | 462) 22,7 | 43,38) 69,5 | 11,71) 61,6 f 27,07| 25,6 | Maggio 1f 26,88! 53,2 | 471) 244 | 43,49| 733 | 11,82) 63,5 | 27,19) 271 | 11| 20,92) 55,8} 477| 26,2 | 43,54| 75,1 | 11,90) 65,5 | 27,29) 28,7 21} 26,93| 583] 481) 27,9 | 43,54| 779 | 1194) 67,6 | 27,36) 30,4 I 31] 26,90| 60,7 | 481) 29,6 | 43,50) 80,7 | 11,95| 69,6 | 27,40) 32,1 | Giugno to] 26,83| 62,9 4,78| 31,3 | 43,42| 832 11,92 | 71,6 | 27,40) 338 | zo| 26,73) 64,9 4,72| 328 | 43,29| 85,4 | 11,87| 73,4 | 2%37| 354 zoj 26,61 | 66,6 | 464| 342 | 43,13) 87,3 | 11,79) 750 | 27,32| 36,8 | Luglio 1oÌ 26,45| 67,9 f 453, 354 | 42,93| 889 | 11,68. 76,3 | 27,23| 380 zo| 26,27) 68,9 | 441 36,3 | 42,71) 90,0 | 11,55) 774 | 27.12) 390 go| 26,08 69,5 | 427| 36,9 | 42,46 90,6 | IT,4O| 78,1 | 26,99) 39, | Agosto gf 25,87) 69,7 | 411. 37,3 | 4220. 90,8 | 1123| 78,5 29,84 40,4 19| 25,66 69,4 | 3,95) 37,3 | 41,93| 90,5 | IL05| 78,6 | 20,68| 40,7 | 29| 23,45 687| 379) 371 | 4166 897 | 10,87) 783 | 26,51| 408 | Sett. 8] 25,25) 676 | 3,64| 36,5 | 41,40 88,5 {| 10,70| 77,7 | 26,34| 40,5 | 18 | | 26,19 39,9 | 28 | Ì | Ottobre 8 | 18 | 28 i Nov 7 | ' Ti] | 27 Dic. dl] Di 27| 25,73) 368 | 4,24 136 | 41,53 55,2 | 11,09 535 | 26,62 20,2 | 37| 26,06) 341 4,54 11,1 | 41,88 52,2 | 11,39) 49,8 | 26,90| 17,7 | | Posizione [14?. 45°”. 25),33| 14". 4T°.3°, 26.| 15°.0". 41%, 76] 15°.3". 10° ,35 15".21".255/75 | | media |w+58°11°.54, 4|+19°.29/.26",714-48°:1°.13/,2 | +25°14.5%,7 |#+-15°.45% 205,5] | ; È i | i | GiorNO DEL ife ie cori e. POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1125 MESE 1906 ficenn, I II 2I 3I Febbr. 10 20 Marzo 2 I2 22 Aprile 1 II 21 Maggio 1 II 21 3I Giugno ro 20 30 Luglio 10 20 30 Agosto 9 Ottobre 8 18 Nov. ni Dic. 7 27 37 Posizione media 12(Hev.) Draconis | 40 Coronae bor. | 54 Bootis {7 z Coronae bor. } 8 y Coronae bor. gr. 14,2 gr. 5,4 gr. 14,6 gr. 31359 gr. 15,2 E n lt 7° — —2-T— e — A gi Pan TA ne (Ad Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Declinaz.] Ascens. | Declinaz. Ascens. | Declinaz.j Ascens. pela retta boreale { retta | boreale | retta | boreale Y retta | boreale retta | boreale | | | [TR 15%.29%/31°.40' {15°.34" 40°.39' |15".35" 360.56 15È.381 260,35" I5h.45" 629.53 s rr S | Ù EAT) rr SU di "i Ss E 6,59| 33,4 | 25,15) 30,9 | 48,43| 25,2 | 46,01) 35,7 | 10,98) 19,3 | 6,89] 30,6 | 25,47) 280 | 48,73) 22,3 | 46,30) 33,0 f IT,40| 16,2 721 | 28,2 | 25,81 25,5 | 49,06 19,8 | 46,61, 30,6 11,88 | 13,7 | 7,54| 26,3 | 26,17| 23,5 | 49,41) 17,8 | 46,93) 28,6 | 12,40) I1,7 7,88 | 24,8 | 26,54| 22,1 | 49,76) 16,3 | 47,25| 27,1 | 12,95) 10,4 8,21 23,9 26,90 | 21,2 50,11 | 15,4 47,58 | 26,0 13,50 9,7 8,53| 23,5 | 27,25| 240 | 50,45) 15,1 | 4788, 25,5 | 1404| 09,7 8,83| 23,7 | 27,57) 21,3 | 50,76 15,4 | 48,17) 25,5 | 14,55] 10,4 g,10| 24,4 | 27,87| 22,2 | 5105) 16,2 | 48,44] 26,0 | 15,02) 11,7 | 9,34| 25,6 | 28,14) 23,7 | 51,31) 17,6 | 48,68, 27,0 | 15,43| 13,6 | 9,55| 272 | 28, ,37| 25,6 | 51,53| 19,3 | 48,89) 28,4 | 15,78) 15,9 9,72| 20,2 | 28,55) 27,9 | 5171| 21,4 | 49,07] 39,1 | 16,06 18,5 9,851 31,4 | 28,70) 30,4 | 51,85) 23,8 | 49,21) 32,1 | 16,26) 21,6 9,95) 33,7 | 28,80) 33,1 | 51,96) 26,4 | 49,32| 34,2 | 16,39. 248 10,01 | 36,1 | 28,86) 35,8 | 52,03| 29,0 | 49,40) 36,4 | 16,43| 27,9 10,04| 38,5 | 28,88 385 | 5205| 316 | 49,44| 38,7 | 16,40 310 10,03 | 40,8 | 28,86| 1rt | 52,03) 341 | 49,44) 40,9 | 16,29) 340 9, 42,9 28,79 | 43,5 51,98 | 36,4 49,41) 42,9 16,12 36,7 9,90) 44,8 | 28,60. 45,6 | 51,89) 38,4 | 49,35) 44,7 | 15,88 39,1 9,79) 40,5 | 28,55] 474 | 5177| 40,2 | 49,20. 46,3 | 15,58. 41,1 9,65| 47,8 | 28,38) 48,8 | 5161| 41,6 | 49,14) 47,7 | 15:23| 42,7 9,49| 48,8 | 28,18 49,9 | 51,43| 42,7 | 48,99) 48,7 | 14,83) 43,7 | 9,30| 49,3 | 27,96) 50,5 | 5123] 43,3 | 48,82) 49,4 | 1440) 44,3 | g,I0| 49,5 | 27,73) 50,7 | 5101] 43,6 | 48,63| 49,7 | 13,96 44,4 8,90: 49,4 | 27,49) 50,4 | 50,79) 43,3 | 48,44) 49,6 | 15,50) 43,9 8,70) 48,8 | 27,25| 49,7 | 50,57| 42,7 | 48,25) 49,2 | 13,05] 423,9 | 8,50| 47,8 | 27,02) 48,5 | 50,35) 41,6 | 48,06) 48,4 | 1261 41,5 | 12,21 | 39,5 | Î | | i | 8,72| 21,7 | 27,06| 19,7 | 50,43| 140 | 48,24| 246 9,01 | 18,8 | 27,36] 16,7 | 50,72| ILO | 48,51| 21,8 15%.29".8%, 35 [15%.34".27%, 09 | 15°.35".50%, 30 18% 38". 47%,/74|15%.45". 13% 90 +31°.40'.33,9 | +400.39'.32”,9|+36°.56'.26", 4 | +26°.35.34", 7] +62°.53/.23",7 74% Accademia — Vol. XL. Atti della R. Aprile 1 | Ottobre 8 1126 Giorno DEL MESE 1906 Genn. I II 2I 31 Febbr. 10 20 Marzo 2 | Maggio 1 II 2I 3I Giugno 10 20 30 | Luglio 10 20 30 | Agosto 9 19 18 N (0°) Nov. Li NH SISNISIIZIA 66 (Heis)Draconis BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO 5 r Herculis 16 t Coronae bor. 19 È Coronae hor. gr. 15,0 TT di Zena e Declinaz.f Ascens. | Deelinaz. 23 Herceulis gr.: retta 6,7 boreale 31°.6 | 16°. 19" 92°.32' Ascens. retta boreale 160.18" s | wr 24,50 | 33,6 24,79) 39,9 25,10| 28,8 25,42| 27,0 25,75 | 25,7 26,07 | 25,0 26,39 | 25,0 26,68 | 25,3 26,96 | 26,I 27,20 | 27,6 27,42 | 20,4 28,61 | 31,5 27,70) 338 27,87| 36,3 27,95 | 38,8 27,99 | 41,3 27,99 | 43,7 27,95 | 45,9 27,87| 47,9 27,75| 49,6 27,61 50,9 27,44 | 51,9 27,24 | 52,6 27,93 | 52,9 26,81 527 26,59 | 52,1 26,39 | 5I,I 26,20 | 49,8 18,32 64,9 | 18,61) 62,2 18,92 | 60,0 19,25| 58,2 19,58) 56,9 19,91 | 56,2 20,22 | 56,I 20,52| 50,5 20,80 | 57,4 21,05) 58,9 21,27 | 60,7 21,46 | 62,8 21,61 | 65,2 21,73) 67,8 21,81 | 70 tà Î 7 ,3 21,84 | 72,9 21,84 75,3 21,80. 77,6 21,72| 7955 21,60 | 81,3 21,45 | 827 24; 527 83,6 21,07| 84,3 | 20,86 | 84,6 | 20,63 84,4 20,41 83,8 20,20 20,0I ' 81,4 (0°) D (e) = ee e | e n__ uu nno | rr —___—_x___022 12 | n ——__—————È__mj|___ —_____r_—— 66 Posizione |; media 16.5". 32°, o516®. 18". 263,15] 16°.19". 19%, 99 gr.:5,0 gr. 15,3 gr.:5,0 "— oe” SEE anale E 7 — {]|1 8” — Ascens. |Declinaz.} Ascens. |Declinaz.} Ascens. | Declinaz. retta boreale retta boreale retta boreale Is 55% 55%o [152.56 18° 160.51 |96°.43" "rr SÌ " Ss "nr 30,98 | 5,3 59,11 | 43; 39,09 | 46,0 31,32 | 48,6 | 59,38| 40,7 | 30,37| 430 31,72) 45,9-| 5967| 38,4 | 30,68| 40,4 32,14 | 43,8 | 59,97| 364 | 3L01| 38,1 32,59 | 42,2 ,28| 348 | 31,33) 36,5 33,04 | 41,3 ,59| 33,6 | 31,69) 35,4 33,48 | 41,1 | 60,89) 32,9 | 32,03| 34,8 33,90 | 41,6 | 61,17| 326 | 32,36] 348 33,30 | 42,6 61,44 | 32,8 | 32,66 35,5 34,65 | 44,3 | 61,68| 33,4 | 32,94| 36,6 34,95 | 46,4 | 61,90) 34,5 | 33,19| 38,3 35,20 | 49,0 | 62,09) 35,8 | 33,40| 40,3 35,40 | 51,8 | 62,25| 37,4 | 33,58) 42,6 35,53 | 54,8 | 62,38) 39,1 | 33,72| 45,3 35,60 | 57,9 62,48) 41,0 | 33,82 47,8 35,62 | 61,0 | 62,55. 430 | 33,88) 50,5 35,57 | 63,9 | 62,58| 449 | 53,89) 53.1 35,47 | 66,6 | 62,58) 46,7 | 33,86) 55,6 35,31 | 69,1 | 62,54) 48,3 | 33,80) 57,9 35,11 | 71,3 | 0347| 49, 33,70| 59,9 34,86 | 73,0 | 62,38) 51,1 | 33,56| 61,6 34,57 | 74,2 | 62,26) 52,1 | 33,39| 62,9 34,25 | 75,0 | 02,11! 52,9 | 33,19| 63,9 33,91 | 75,3 | 61,94 53,4 | 32,98| 644 33,55 | 75,2 | 0170 53,6 | 33,75| 645 33,20 | 74,4 | 61,57| 534 | 3351| 64,1 32,86 | 73,2 | 61,40| 52,9 | 32,28) 63,4 32,54 71,5 1,23 52,1 32,06 62, I | Ì | j 15.55" 33 ,45 15".57”.09,82 +55° 0.54 ,7| +18°.4°.39,9 +36°. 43 - 46,0] + 31°.6.35,0|+32°. 33.67, 5 em—ooxI>. POSIZIONI APPARENTI DI STELLE, ECC. 1127 Ì Giorno | 30 g Hereulis | 53 Herculis 60 Hereulis {98 (Heis) Hereulisf 60 x Herculis BIS er. bal gr. : 4,9 gr. : 6,3 gr. : 5,0 DEL _—. x.” 2 ci — | ia rr, ax} ai i RS MESE Ascens, |Declinaz.{ Ascens. | Declinaz.. Ascens. |Declinaz.{ Ascens. | Declinaz.| Ascens. ! Deelinaz. : retta boreale $ retta | horeale | retta boreale | retta | boreale |_ retta | boreale | | { | | . LI Li , | | 1906 16.25" 42°.5 16".49" 31°.5I Tigre \12°.52 40°. 38 17°.13"\33°.11" | Ss mr s " s | | UL, s | " II| 31,43| 15,3 | 22,42. 24,7 | 21} 3175) 12,5 } 22,60) 21,9 | 59,76] = 5| 60,9 gr} 32,08| 10,1 | 22,98) 19,5 | 60,02 58,4 | Febbr. 10| 32,43 23,29| 17,5 | 60,30 Î 56,3 zo | 32,80 23,61) 16,0 | 60,60, | 54,0 | | | Marzo 2| 33,16 23,93 | 15,1 60,89 | 50,75| 53,5 I2Ì 33,50 24,25| 14,8 | 61,18 | 51,08 | 53,0 | 22} 33,84 24,56) 15,0 | 61,47] | 25 È 51,39|.531I Aprile 1| 34,16 24,85| 15,7 | 61,74 i 8 51,60 | 53,7 | IT} 3443 25,12| 17,0 | 61,99 5 54,9 | 21| 34,67 25,36 | 18,7 | 62,23| 6 | 5| 56,5 | Maggio 1| 3487 1 25,58| 20,7 | 62,45 IT} 35,04 25,76| 23,1 | 62,64. , 21] 35,16 5 | 25,9I| 25,6 | 62,80 | 5 63,4 31 | 35,24 26,02 | 28,2 | 62,93 | 5 | 66,1 Giugno 10 | 35,26 26,08 | 30,8 } 63,03 | 53, 68,8 20| 35,25 20,11) 33,3 | 03,99, | 53,I5| 714 58,5 | 30] 35,19| 30,5 | 26,10) 35,7 | 63,11 | 30,5 | 53,16) 740 | Luglio 10| 35,08 26,05 | 37,9 | 63,10 5 | 76,4 | 20) 34,93 25,95) 39,8 | 63,95 | | 35 53,04 73,5 30| 34,75| 36 25,82) 41,5 | 62,96 52,92 | 80,4 | Agosto 9| 3454): 25,65 | 42,8 | 62,84 | 5 81,9 34,30 25,46 | 43,7 | 62,70, | 5 83,1 | 34,04 | 25,25| 44,2 | 62,53] | 4055 | 52:37| 838 | 3377 | 25,03 | 44,3 | 62,35 = 84,1 | 33,51 | 37,5 | 24,80) 440 | 62,16 = 5 | 84,1 33:25 | 24,58 43,3 | 61,97 5 83,7 | 32,99 | 3: 24,37| 42,1 | 61,80] 7 | 51,45| 82,7 | | 61,65 | 7 5 81,2 | 17 27 37 Posizione |16%.25". 33°, 20|16t.49%. 24,17 | 17.1". 1°,15 |17°. 4%. 423, 78 |17°.13".51°, 13 media +42%5". 18,3;|+31°.51°:25/,1|+12°.52'. 10°, 1}-+40°.38.. 19", 3]+ 33°.12°.3/,6 BALBI, NICOLIS E VIRIGLIO GIORNO DEL MESE 1906 Genn. I Febbr. i Marzo Aprile. 1 II 21 Maggio 1 II ZI 31 i Giugno ro | 20 30 Luglio 10 | 20 | 30 Agosto 9 | 19 209 8 18 28 | Ottobre 8 18 Sett. Nov. n INDICI q media 69 e Herculis gr.: 4,8 dana Ascens. | Declinaz. retta | boreale Ty ai dae ci Ss | : 24,08 | 19,6 24,36 | 17,0 24,67! 14,8 24,99 | 13,I 25,32 | 12,0 25,66 | 11,5 25,99 | IL6 20,30 128 26,60 | 13,5 26,88 | 15,2 27,12 173 27,33 | 19,7 27,51) 22,4 27,64 | 25,3 27,74 | 28,1 27,78| 30,9 27,78 | 33,6 27,74| 36,1 27,65| 38,3 27,51| 40,3 27,34 | 41,9 27,14 | 43,1 26,91 | 43,8 26,07 | 44,2 20,42 | 44,I 26,16 | 43,6 25,92 | 42,5 25,70 | 41,1 | 75 p Herealis gr.: 4,4 it — sr — — -—rP i — -__-F< Ascens. | Declinaz.j Ascens. | Deelinaz Ascens, | Declinaz. retta | boreale retta | boreale retta | boreale | | | I7}.20"|37°.13 |17}.24"|48°.20' [172.26 26°.10! Ss | r: s | L Ss | Ù 24,73| 520 | 12,87) 15,1 | 54,81| 508 25,00) 49,4 | 13,17| 12,2 | 55,07| 484 25,31| 47,5 | 13,51| 99 | 55,34| 4683 25,63| 45,4 | 13,87| 8,1 | 55,63| 44,7 25,96 | 44,3-| 14,25] 68 | 55,94| 43,6 26,20 | 43,7 | 14,63| 6,2 | 56,25| 430 26,62| 43,7 | 1501) 6,3 | 56,55| 439 26,94 | 44,3 | 15,38] 70 | 56,84| 434 27,24 | 45,6 | 15,73] 83 | 57,52| 443 27,52| 47,2 | 16,05| 10,2 | 57,39| 45,7 27,T7| 49,3 | 10,33| 12,4 | 5763| 475 27,99) 51,7 | 10,57| 15,1 | 5784 49,6 28,17) 54,4 | 16,77| 180 | 58,02| 5109 28,31 572 | 16,92| 21,1 | 58,17] 54,3 28,41 | 60,1 | 17,01) 24,2 | 58,29) 56,8 28,46 | 62,9 17,05 | 27,3 58,36 | 59,2 28 Da 65,6 | 1704| 30,3 | 58,39| 61,6 28,43| 68,1 16,97 | 33,1 | 58,38| 63,9 28,34| 70,4 | 16,64| 35,6 | 58,33| 65,9 28,22| 72,4 | 16,67) 37,8 | 53,24| 67,7 28,05 | 740 | 16,45| 39,6 | 59,11| 69,1 27,65) 75,3 | 1620| 410 | 5795| 793 | 27,63| 76,1 | 15,91] 42,0 | 57,76| 713 27,38| 76,5 | 15,60) 42,5 | 57,56) 715 27,13| 76,5 | 15,28| 42,4 | 57,34| 756 26,88 | 76,0 14,96| 41,9 | 57,32| 71,2 26 ,03 | 75,1 | 1465| 40,8 | 56,92| 70,5 26 ,40 | 73,7 | 1437) 39,1 | 50,73) 69,4 77 x Herculis f 76 X Hereulis gr. 15,7 gr. 14,6 —___————_—_—_—_—_—__r | ir.u@m@@@9@@’é$@Îzmua cme i cme memmua X563 xa | comme vuicos nammee son 24 v! Draconis gr. : 4,9 ET nn Ascens. | Declinaz retta | boreale 17°.30" 550.14" sl 4 | 17,37| 49,5 17,70| 46,4 18,07 | 43,9 18,47 | 42,2 18,90 40,9 19,34 | 40,2 19;77| 40,3 20,19) 41,0 20,59 | 42, 20,95 | 44,2 21,28 46,5 21,55) 49,2 21,77 52,2 21,93) 55,4 22,03 | 58,6 22,06 | 61,9 22,03 | 65,0 21,94 | 67,9 21,78| 70,6 21,57| 72,9 21,391 7459 20,99 | 76,4 20,65 TIA 20,28 | 77,9 19,89 78,0 19,51 | 77,5 19,14 | 76,5 18,79 75,0 Posizione |17°.14". 25°, 72 172.205, 26° ,83 ITpP9 4, 76 17: .26%. 56,36 Ty? 205 195,51 +37°.23'.22",9 |+37°.13/.55",1]+48°.20.19",2 [+26°.10.52°,0 |+55°.14.53,8 bite POSIZIONI APPARENTI, DI STELLE, ECC. 1129 GIORNO DEL MESE » 1906 Genn. 1 II ZI 3I Febbr. 10 20 Marzo 2 12 22 Aprile Ottobre 8 18 28 ui 17 27 7 17 Dic. 27 37 || Posizione media ( 25 v? Draconis gr. 14,8 7 _ Ascens. retta ee n, boreale Declinaz. | 17".30"55°.13' 22,70| 68,1 23,03| 64,9 23,40 | 62,5 23,80 | 60,7 9 59,4 24,66 | 58,8 25,10 | 58,8 25,52 59,6 25,92 | 60,9 26,28) 62,7 26,60 | 65,1 26,88 | 67,8 27,10| 70,8 27,20| 74,0 27,36| 77,2 27,39 | 80,4 27,36 | 83,5 27,26 | 86,5 27,11 | 89,1 26,89| 91,4 26,63 93,4 26,32 | 94,9 25,98 | 95,9 25,61 | 96,5 25,22 | 90,5 24,84 | 96,0 24,47) 95,0 24,11 93,5 88 2 Herculis 168 (Heis) Baton gr. 16,4 gr.:6 GEIE tin PA na, Ascens. | Declinaz. Ascens. | Declinaz.] retta Met retta | boreale I7.4T"| 48°.24' 17".48" 39°.59 Ss | " Ss , Î 34,17| 63,8 | 59,70] 63,5 34,49 61,3 59, 61,0 34,84) 593 | 60,28) 59,0 35,20 57,8 | 60,62] 576 35,58) 570 | 60,96 56,9 35,90 | 56,8 | 61,31| 56,7 36,34 573 | 61,64| 571 36,70| 58,4 | 61,96 58,1 37,04 | 60,1 62,26 | 59,6 37,34| 02,2 | 62,54| 61,7 37,61| 64,8 62,79) 64,0 37,84| 676 | 6301| 66,7 38,01 | 70,6 63,18 | 69,6 38,14] 73,8 | 63,31| 72,6 38,21 | 77, 63,39 | 75,5 38,24| 80,1 | 63,43] 78,4 38,19 | 83,0 63,41 | 81,2 38,09 85,7 | 63,35| 83,8 37,94| 88,1 | 63,23| 86,0 37,73| 90,2 | 63,08) 88,0 37,50| 91,8 {| 62,88| 89,6 37,22 | 93,0 62,66 90,7 36,92| 93,8 | 62,41) 91,4 36,60| 94,1 | 62,14| 91,7 36,27| 93,9 | 61,87| 91,5 35, 93,1 | 61,60) 90,9 35,66 91,9 | 61,35| 89,7 35,39| 90,2 | 61,13| 88,1 19% 300 248, ,84 17° 47°. +55°. I4. I2 ‘,4|+48°.25.9",9 ———— n |—ncce SCENE l rercninone “ero sce) | en ,35), 85] 17% 49". 15,21 IÙ = Herculis Bode) Lyrae | 2a gr.:3,9 Sie Ascens. | Deelinaz. Ascens. |Declinaz. retta | boreale | retta boreale 17 4 29 iii EI99 Sage MAO TIN | 32,6 5,59| 21,8 | 41,98| 30,0 5,87) 20,0 | 42,28| 27,9 6,17 | 18,7 | 42,61) 26,3 6,48| 17,9 | 42,95| 253 | 6,79) 17,6 | 43,29| 249 | ,09 | 18,0 | 43,64| 25,2 6,39| 18,9 | 43,98) 26,0 | 6,67 20,2 44,31 | 274 | 7,93| 219 | 44,61 29,2 ,I7| 24,0 | 44,89| 3L5 8,38| 20,4 | 45,13) 34,2 8,56| 29,0 | 45,33| 37,1 8,70) 31,6 | 45,48| 490 8,80| 34,3 | 45,59| 43,2 8,85 | 369 | 45,64) 46,2 8,86| 39,3 | 45,66) 49,1 8,83| 41,6 .| 45,61] 51,9 8,75 43,6 45,51 | 5b4 8,63 | 45,4 | 45,37| 56,6 8,48| 46,8 | 45,18) 58,4 8,29| 47,9 | 44,95] 598 8,09| 48,5 | 44,70| 00,8 7,86| 48,9 | 44,63| 61,4 7,63| 48,7 | 44,15| 61,4 7,41| 48,2 | 43,87| OLI | 7,20| 47,2 | 43,60) 60,2 7,02 | 45,8 | 43,35| 58,8 Igqh. 54°. 6, 73 18. 12”, 43), 33) 57,1) +40°.0'. 8,6 |+ 29°. 15.27, 6|.+42°. 7. 1150 Relazione intorno alla Memoria del Dr. Luis Coexerm De Marmus, intitolata: G4 Oligocheti della regione neo- tropicale. Il Museo Zoologico di Torino possiede una ricchissima col- lezione di Oligocheti della regione neotropicale dovuta alle attive ricerche fatte dai dottori G. Festa e A. Borelli durante i loro viaggi in quella regione e agli invii ripetuti dei dott. Biolley, Alfaro ed altri. Il Prof. Daniele Rosa aveva già anni or sono studiato una parte di questo materiale in una memoria che ebbe l'onore di essere stampata nei volumi della nostra Accademia. Il Dott. Luigi Cognetti ha studiato ora l’intero materiale, e tenendo conto dei lavori pubblicati da altri autori, presenta nella sua memoria un quadro completo delle conoscenze presenti in- torno agli Oligocheti di una delle più ricche ed interessanti re- gioni faunistiche della terra. Il lavoro del dott. Cognetti affidato al nostro esame com- prende la prima parte delle ricerche fatte e tratta gli Oligocheti appartenenti alle famiglie: Aeolosomatidae, Naididae, Phreodri- lidae, Tubificidae, Euchytraeidae, Megascolecidae, Lumbricidae e ancora quelli appartenenti alla famiglia G/ossoscolecidae, ad ec- cezione della sottofamiglia Glossoscolecinae. Questa verrà studiata nella seconda parte del lavoro. Le descrizioni sono diligenti e ben condotte. Numerosi sono i punti anatomici discussi e le nuove contribuzioni portate alla conoscenza della struttura e della corologia dell’intero gruppo degli Oligocheti. Buone ed utili figure chiariscono i dati di mag- gior interesse. La vostra Commissione riconosce che il lavoro del Dr. Luigi Cognetti de Martiis è degno di prendere posto nei volumi delle Memorie Accademiche e ne propone la stampa. T. SALVADORI, L. CAMERANO, relatore. L’ Accademico Segretario LoRrENZo CAMERANO. 1151 CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE Adunanza del 2 Luglio 1905. PRESIDENZA DEL SOCIO PROF. PAOLO BOSELLI VICE-PRESIDENTE DELL'ACCADEMIA Sono presenti i Soci: FERRERO, Direttore della Classe, MAnNO, CaRLE, CipoLLa, Brusa, Savio, RurFiNI, e RENIER Segretario. — Scusano l’assenza il Presidente D’OvIpro ed il Socio ALLIEVO. Viene approvato l'atto verbale dell'adunanza antecedente 18 giugno 1905. Il Presidente D’Ovipro, essendosi dovuto assentare per ra- gioni d'ufficio, manda per lettera ai Colleghi i suoi saluti ed augurî di ottime ferie. Il Vice-Presidente BoseLLI si rende in- terprete della Classe ricambiandogli saluti ed augurî. È letta una lettera del Socio ALLievo, con la quale egli ringrazia per le condoglianze inviategli nell'ultima tornata. Il Presidente fa omaggio alla Classe da parte degli autori: 1° del 2° volume dell’ Année linguistique dal Socio corri- spondente Aristide Marr, Paris, Klincksieck, 1904; 2° del 1° volume dell’opera di L. GranpEAU, L’agricul- ture et les institutions agricoles du monde au commencement du XX° siècle, Paris, Imprimerie Nationale, 1905. Il Direttore della Classe FERRERO presenta un opuscolo del Prof. G. BarcILLI, Manoscritti della Biblioteca della R. Accademia Militare, Torino, 1905. 1132 Il Socio CipoLLa, incaricato col Socio RenIER di riferire * intorno alla memoria del Dr. Pietro GRIBAUDI, La geografia di S. Isidoro di Siviglia, contributo alla storia della geografia nel medioevo, legge la relazione, che è approvata e compare negli Atti. La Classe, presa cognizione della monografia del Dr. Gri- BAUDI, ne delibera, con votazione segreta unanime, l’inserzione nelle Memorie accademiche. Il Socio Brusa esprime il suo divisamento di leggere negli inizi del novello anno accademico alcune sue note intorno alla riforma del codice di procedura penale italiano, desideroso che all'importante soggetto sia volta l’attenzione dei corpi scientifici. — Il Presidente ringrazia il Socio Brusa in nome della Classe e lo assicura che le sue dotte comunicazioni saranno ascoltate con interesse e profitto. Con gli augurî del Presidente alla Classe e della Classe al Presidente, l'adunanza è tolta. ann n______° °° | Relazione sulla memoria del Prof. Pietro GrIBAUDI, inti- tolata: La Geografia di S. Isidoro di Siviglia. Con- tributo alla storia della. Geografia nel medioevo. Il Prof. Pietro GrisAUDI nel suo lavoro intorno alla Geo- grafia di S. Isidoro di Siviglia prende in considerazione le varie opere del celebre vescovo spagnuolo, e in particolare maniera studia i XX libri delle Etimologie, che costituiscono una vera enciclopedia scientifica, e rappresentano, condensato, tutto il sa- pere, a dir così, dei suoi tempi. Egli trova che se le opere di S. Isidoro vennero studiate sotto altri diversi aspetti, meno si esaminarono sotto il riguardo geografico. Eppure, se non si ha una cognizione precisa delle Etimologie Isidoriane anche sotto il punto di vista geografico, non si può intendere adeguatamente lo sviluppo delle cognizioni scientifiche e il grado di coltura del- l'Occidente cristiano nei primi secoli del medioevo. Il Gribaudi studia Isidoro col duplice scopo di esporre in forma sistematica le sue dottrine e le sue cognizioni in fatto di geografica fisica e di geografia politica, e di mettere in luce quali siano le fonti alle quali egli ricorse, sia mediatamente, sia immediatamente. L'autore ha studiato il suo argomento con diligenza, e dimostra di avere pratica della letteratura moderna che lo ri- guarda. Egli non pretende di avere fatto un lavoro completo. E non approfitta sempre di quella luce che ad illustrare il suo Autore avrebbe forse potuto ricavare dal raffronto con altri scrittori dell’alto medioevo. Ad ogni modo il lavoro del Gribaudi riuscirà gradito ai coltori della storia della geografia, e costituirà un buon supple- mento al saggio assai conosciuto che in quest'ordine d’indagini scrisse, non pochi anni or sono, il compianto prof. G. Marinelli. Per tali considerazioni i sottoscritti sono d’avviso che la dissertazione del Prof. Gribaudi possa esser letta alla Classe. RopoLro RENIER, CarLo CipoLLa, Relatore. L’ Accademico Segretario RopoLro RENIER. 1154 INDICE DEL VOLUME AL ELenco degli Accademici residenti, Nazionali non residenti, Stranieri e Corrispondenti al 20 Novembre 1904 . : . Pag. m PussLicazionI ricevute dalla R. Accademia delle Scienze 3 Torino durante l’Anno accademico 1904-1905 DAI, Concorso indetto dall’Associazione costituzionale di Milano ad un premio di L. 500 . * : + FOGLI ELezione di Soci della Classe di scienze {dhe suite LiSBAE e naturali, 451 Erezione di Soci della Classe di scienze morali, storiche e filologiche , 538 Invito del Comitato permanente del dii internazionale di Bota- nica che si terrà a Vienna. ‘ 1, 549 Inviro dell’Unione Zoologica italiana al convegno E sì ea. nel- l’isola d’Elba 5 4 ; i, : : ; È , 549 Istituzione Giovanni Moretti in Paribas Nomina della Commissione per l’esame dei lavori presentati pel concorso al premio dell’anno 1905. : ; ; , s 633 LeGaro BERRUTI . 3 . È , - , ; S : s 632 Premio Bressa: Programma del XV premio Bressa (1903-1906) . a ° n "TOT Nomina della 2* Giunta per il XIV premio Bressa . ò s 633 Premio GAUTIERI: Programma del premio per la Letteratura . c î } fa AR Proposta di divisione del premio . ‘ i. ;264 Relazione della Commissione per il premio eta di Sua (triennio 1901-1903) . i, ,° 208 Conferimento del premio per la Ùtola redento 1901- 11903) n 285 Elezione della Commissione per il conferimento del premio di Letteratura (triennio 1902-1904). , £ 3 , : medio Premio PoLtini: Programma » 193 Regolamento ATREST per it) bolife:S0ito del premio Pollini Ag cc; Sunti degli Atti verbali delle Classi Unite 1 J . 267, 285, 632 Sunti degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali 3 1, 103, 124, 201, 286, 339, 431, 448, 491, 549, 615, 661, 829, 917, 1011. Sunri degli Atti verbali delle Adunanze della Classe di Scienze mo- rali, storiche e filologiche . : ; Ri 123, 196, 272, 315, 380, 444, 490, 533, 604, 634, 777, 900, 975, 1131. eee INDICE DEL VOL. XL 1185 AprranI (Gio. Battista) — V. D'Ovipro (Enrico). — V. Ferrero (Ermanno). ArmonertI (Cesare) — Determinazioni di gravità relativa nel Piemonte 3 eseguite nell’estate dell’anno 1904 coll’apparato pendolare di Sterneck : a «Pag. 918 ArracgnI (Carlo) — IRR miocenici dei dà di S. Maria Tiberina (Umbria) È : , 43 ArLievo (Giuseppe) — Presenta per v inetzibaie nei dotta dettò Memorie accademiche un manoscritto del Dr. soi BeLLOTTI, intitolato: Empedocle . È A 190 — Ritirasi dalla Commissione coglierne A) Phiicane la memoria del Prof. Augusto BeLLorTI su Empedocle { i , 445 — La nuova scuola pedagogica ed i suoi pronunciati . { SIIT Armansi (Emilio) — Sull’equilibrio dei sistemi disgregati . n 989 Amarpi (Ugo) — V. Secre (Corrado) e Morrra (Giacinto). ArrmenIus (Svante Augusto) — Eletto Socio corrispondente . n 492 Bacsi (Vittorio). Nrcoris (Ugo) e Virrerio (Luigi) — Posizioni appa- renti di stelle del Catalogo di Newcomb per il 1906. » 1106 Baupr pr Vesme (Alessandro) — V. D'Ovipro (Enrico). Bazzi (Francesco) — Brevi appunti in contributo alla storia dell’as- sedio di Verrua (1625) 905 BeLLortI (Augusto) — V. AtLtievo fiato: BràpeGo (Giuseppe) — Una falsa iscrizione intorno all’anfiteatro di Verona . ‘ ] ) 3 7 P È : * ; DEREESO BrancHi (Luigi) — Sulla deformazione delle superficie flessibili ed inestendibili c È ANTA Bossa (Romualdo) — Intorno il caso e a osi in nd cmobatta » 881 BoarLIncr (Otto v.) — V. D'Ovipro (Enrico). Boero (Tommaso) — Sulla deformazione delle corna elastiche sog- gette al calore . 3 A ; aLA219 Camerano (Lorenzo) — Presenta per P inserzione nei SETTORE delle Memorie accademiche un suo scritto, intitolato: Antonio Val- lisneri e è moderni concetti intorno ai viventi . i CRUI — Delegato a rappresentare l'Accademia al convegno dell’ Dugini Zoologica italiana all'isola d'Elba . i, 3 n 549 — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Montone Acento un lavoro del Dr. Luigi Coanerti pe Martms, intitolato: Gli Oligocheti della regione neotropicale GOTI — e Sarvapori (Tommaso) — Relazione intorno a memoria del Dr. Luigi Conerti pe Mart, intitolata: Gli Oligocheti della regione neotropicale . . L ; i 1139 Camperti (Adolfo) — Sulla ES ‘dell bike nei vapori di jodio . : | : dda — e Nozari (Mario) — Sulla variazione del io di diuciabine elettrolitica colla temperatura di RI CarsoneLi (Giovanni) — Suppellettile di una busta ua oil sco- perta a Sibari 1136 i INDICE DEL VOL. XL ini (Filiberto) — Il birapporto di quattro punti nello spazio con applicazioni alla Geometria del Tetraedro 3 «.nePag:! 579 Cessi (Roberto) — Prigionieri illustri durante la guerra fra Scaligeri e Carraresi (1386) ; ; 976 Cain: (Mineo) — Sopra una piE equazione differenti deli 1° ordine . , 4 CiproLra (Carlo) — Presenta ie loin dol Pane. del Mogli Rosselli, riprodotte dall’Ing. Morrese 7 : 6 $ pra O — Le case degli Scaligeri a Venezia. : Lera — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Mii Îe accada una monografia del Dr. Pietro GrisAUDI, intitolata: La Geografia di S. Isidoro di Siviglia, contributo alla Storia della Geografia nel medioevo. È . sul 904 — e Grar (Arturo) — Huolssigne invia SA memoria pal fia ond delin ForrsrER, intitolata: Sull’autenticità dei codici d’Arborea , 446 — e Renier (Rodolfo) — Relazione intorno alla memoria del Dr. Pietro GrIBAUDI, intitolata: La Geografia di S. Isidoro di Siviglia, con- tributo alla Storia della Geografia nel medioevo . ? ; » 1133 — V. De Sanceris (Gaetano) e Crporra (Carlo). — V. Rurrini (Francesco) e Cirorra (Carlo). — V. De Sanctis (Gaetano), Cirorra (Carlo) e Savio (Fedele). Cocnerti pe Marrus (Luigi) — V. Camerano (Lorenzo) e SALvaADORI (Tommaso). Corini (Angelo) — Gli è conferito il premio Gautieri per la Storia (triennio 1901-1903). 4 : ‘ 9 n 285 — Ringrazia pel conferitogli premio Cau 3 ì « . 815,339 Cooper (J. L.) — Les congruences isotropes qui servent à repré- senter les fonctions d’une variable complexe. II° Note . » 202 Cornu (Alfredo) — V. Vorrerra (Vito). Corrapi (Giuseppe) — Note sulla guerra tra Tolemeo Evergete e Seleuco Callinico . * 7 e 3 ; - » 805 Dasrre (A.) — Eletto Socio nto) : : ; è » 452 De Sanctis (Gaetano) — Teodoro Mommsen - Commemorazione po SE — Relazione pel conferimento del premio Gautieri di storia (triennio 1901-1903) . i i ; » 268 — Presenta per l’inserzione nei dritti delle Mi sirio condo un lavoro del Prof. Augusto Maxcini, intitolato: Sulla inter- pretazione e sulla fortuna dell’Egloga IV di Virgilio 5 , 635 — e Ciponra (Carlo) — Relazione sulla Memoria del Prof. Augusto Mancini, intitolata: Sulla mariana e sulla fortuna del- l’Egloga IV di Virgilio , ? è, "915 — e Pezzi (Domenico) — Relazione sulla memoria presenti dal Dr. Angelo Taccone, intitolata: Sophoclis tragoediarum locos melicos..... descripsit, de antistrophica responsione ete. disseruit A. T. (Aiax, Electra, Oedipus rex) . . 3 9 3 282 Doxa (Mario) — Contributo allo studio delle formazioni limitanti il canale inguinale nell'uomo . b : ; i s » 9541 INDICE DEL VOL. XL 1157 D'Ovipro (Enrico) — Comunica i telegrammi inviati ai Sovrani ed | alla Regina Madre in occasione della nascita del Principe Ereditario e le risposte ricevute : 3 ; j ORO, 79 — Comunica una lettera del Ministero dell'Istruzione Pubblica del- | l'Impero Germanico . ) ata SI, 79 | — Partecipa l'invito del Comitato perm tnostantà del Codec Bob nico che si terrà in Vienna i, 2 A 1 —. Partecipa la morte del Socio Cia dea Wilio Veiiai e quella del Socio corrispondente Roberto Armando Pritiepi , 1 — Comunica che i signori Alessandro Baupr pr Veswe e Carlo FratI accettano di far parte della Commissione per la riproduzione fototipica del Messale Rosselli . 2 7 1 rmro79 — Partecipa i decessi dei Soci stranieri Otto v. Sia e Enrico Watnon e del Socio corrispondente Luigi Parma pr Ceswyora , 80 — Comunica la lettera di ringraziamento del Socio Icilio GuarEescHI per le onoranze resegli nell'occasione del 25° anno d’insegna- mento . : 3 . : muo23, 124 — Comunica i tn Graz Amen aci Viculitonle dell’ * Académie des inscriptions et belles-lettres , dell'Istituto di Francia per le condoglianze inviate per la morte del Socio E. WaLrowx . 123, 124 — A nome del Socio Mosso presenta il volume 1° dei lavori del Laboratoire scientifique international du Mont Rosa e accenna all'importanza dei lavori contenuti . . ; , 389 — Annunzia un lavoro ms. pervenuto alla Presidenza, del sig. Nic- colò PizzareLLo, sul quale richiedesi il giudizio della Classe , 340 — Ringrazia i Colleghi della Classe per i rallegramenti fattigli in occasione della sua nomina a Senatore del Regno . } » 450 — Invia a nome della Classe rallegramenti per la nomina a Sena- tori del Regno ai Soci VoLrerra, FercoLa e Rini . 3 , 451 — Comunicale lettere di ringraziamento dei Soci Senatori VoLreRRA, FergoLa e RicnI . À ; ? ; 3 : f $ n° A91 — Comunica i ringraziamenti per la loro nomina a Soci corrispon- denti dei Proff. GoLpscamipr, WreswAnN e OstwaLD . ; » 491 — Presenta un numero del giornale L'Ora di Palermo, nel quale si rende conto delle onoranze tributate al Socio corrispondente GEMMELLARO . " ; i E ; ; : ; ) su d9b — Comunica le lettere di ringraziamento per la loro nomina a Soci corrispondenti dei sigg. Dastre, Hue, Levy, ExceLMANN, ARRHE- NnIius, Ray LankestER, PLItTER, SuEss . ; ? È i Aod9 — Annunzia la morte del Socio corrispondente Pietro Taccnmi , 549 — Comunica l'invito dell’ Unione Zoologica italiana al convegno nell’isola d'Elba . ; È ; 4 ; A a a n 549 — Comunica l'invito al Congresso internazionale di Botanica che si terrà in Vienna 3 È ; ° - a ; sn 949 — Comunica la lettera del Prof. S. A che ringrazia per la sua nomina a Socio corrispondente . 4 3 } : s 615 tf indio Maat è, Pale e ii ASTROAZOANONA 1138 INDICE DEL VOL. XL D’Ovipio (Enrico) — Partecipa che con R. Decr. 22 agosto 1904 l’Acca- demia è autorizzata ad entrare in possesso del lascito Berruni Pag. 632 — Partecipa la morte del Socio corrispondente Prof. Augusto Piccini, 661 — Partecipa la morte del Socio corrispondente G. B. AprIaNnI. s 900 — Invia al Socio Arrievo le condoglianze della Classe per la grave sventura che l’ha colpito . È 31975 — Dà il benvenuto a nome della Classe aî ii Proff. C pren e R. Fusari . ? 4 ; . s OM ExceLmanN (Teodoro ipelicinio) _ Eletto Spin pren sn 452 Ferrero (Efisio) e Nozart (Mario) — Sullo spettro di assorbimento delle soluzioni di allume di cromo . ; , 458 Ferrero (Ermanno) — Presenta a nome della Classe colmi al Presidente E. D’Ovrpro per la sua nomina a Senatore » 490 — Presenta per l’inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un lavoro del Prof. Arturo Seerk, intitolato: La questione sa- bauda e gli avvenimenti politici e militari che prepararono la tregua di Vaucelles ; , 634 — Gio. Batt. Adriani. Parole corri patti È ‘ 301902 — e Manwo (Antonio) — Relazione sulla memoria del Prof. mona: Seare: La questione sabauda e gli avvenimenti politici e militari che prepararono la tregua di Vaucelles È ; n 837 Fesra (Enrico) — Osservazioni intorno agli Orsi dell’ Hicuadan : sc ASD Foà (Pio) — Contributo alla conoscenza dell’infiltrazione adiposa , 65 Foersrer (Wendelin) — V. CipoLra (Carlo) e Grar (Arturo). Frati (Carlo) — V. D’Ovipro (Enrico). Fusini (Guido) — Alcuni nuovi problemi, che si presentano nella teoria delle equazioni alle derivate parziali ». 616 Fusari (Romeo) — Eletto Socio nazionale residente . 1 ; , 451 — Ringrazia per la sua nomina a Socio . : 1 ; , LOLA — Contributo allo studio delle terminazioni nervose nei muscoli striati dell'Ammocoetes branchialis . * È ì » 1078 GartI (Enrico) — Particolarità della rifrazione senta ad una corona cilindrica retta -. } = E 3 3 } E È n 732 Grampecri (Giovanni Zeno) — La teoria delle formole d’incidenza e di posizione speciale e le forme binarie . > i , 1041 Giuprce (Francesco) — Metodo di Newton perfezionato e nuovo me- todo pel calcolo assintotico delle radici d’equazioni ‘ s 105 Gora (Giuseppe) — Sulla respirazione intramolecolare nelle piante palustri 5 : 5 3 : 5 ) : È ; » 880 -— V. MarmroLro (Oreste) e Camerano (Lorenzo). GoLvscamipr (Viktor) — Eletto Socio corrispondente . ? n 452 Grar (Arturo) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un manoscritto del Socio corrispondente Prof. Wen- delin ForerstER, intitolato: Sulla questione dell’autenticità dei codici d’ Arborea ; 5 — V. Ciporra (Carlo) e Grar (Arturo). 3) 080 “6 INDICE DEL VOL. XL Greco (Michele) — Sul calcolo della sezione e delle armature di una trave in cemento armato sottoposta a flessione retta semplice Pag. 507 Grisaupr (Pietro) — Vedi Crrorra (Carlo) e RewIer (Rodolfo). Guarescar (Icilio) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un suo lavoro, intitolato: Sintesi di com- posti piridinici degli eteri chetonici coll’etere cianacetico in pre- senza dell’ammoniaca e delle amine ì s ° £ Osservazioni sul “ De arte illuminandi , e sul Manoscritto Bolo- gnese (Segreti per colori) V. D’'Ovipro (Enrico). Guipr (Camillo) — Una proprietà degli archi elastici Haus (Emilio) — Eletto Socio corrispondente Horr (Giacomo Enrico von ’t) — Eletto Socio straniero IssoeLio (Giovanni) — Ossipiridine isomere dai 6 dichetoni Di alcune nuove basi piridiniche . Japanza (Nicodemo) — Esposizione finanziaria per si Se eser- cizio 1904, e bilancio preventivo per l’anno in corso Nuovo metodo per determinare il E diastimometrico in un cannocchiale distanziometro . Kersager (Michele) — Eletto Socio nazionale non soa Laxkesrer (Edwin Ray) — Eletto Socio corrispondente Laura (Ernesto) — Sulle equazioni differenziali canoniche del moto di un sistema di vortici elementari, rettilinei e paralleli, in un fluido incompressibile indefinito Levi (Attilio) — Appunti di lessicografia romanza Levi (Beppo) — Punti doppîì uniplanari delle superficie slug hnio Levi (Eugenio Elia) — Sulla struttura dei gruppi finiti e continui Levy (Michele) — Eletto Socio corrispondente . Lincro (Gabriele) — Sul berillo di Vall’Antoliva e di datani ; Lorenzoni (Giuseppe) — Eletto Socio nazionale non residente Maco (Umberto) — Osservazioni sul riassunto dato da Fozio dei TTepoikd di Ctesia 5 4 L x : ; Mavcrni (Augusto) — V. De SancrIs (Cadtallo) e Crporca (Carlo). Maxno (Antonio) — V. Ferrero (Ermanno) e Manno (Antonio). Marrer (Edoardo) — V. MamriroLo (Oreste) e Parona (Carlo Fabrizio). MarriroLo (Oreste) — Delegato a rappresentare l'Accademia al Con- gresso internazionale di botanica a Vienna Î i Presenta il volume: Scritti botanici pubblicati nella ricorrenza centenaria della morte di Carlo Allioni ed invita i Colleghi a visitare il busto in bronzo eretto in onore dell’insigne botanico Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un lavoro del Dr. Giovanni Neri, intitolato: Lu vegetazione della Collina di Torino 3 - Presenta per l'inserzione nei algo ATO PICS ie indent un manoscritto del Dr. Giuseppe Gora, intitolato: Ricerche n n » » ”» n 1, n n sulla biologia e sulla fisiologia dei semi a tegumento impermeabile , 1159 549 5340 1140 i INDICE DEL VOL. XL MartiroLo (Oreste) — Rende conto del Congresso botanico interna- zionale di Vienna nel quale rappresentò l'Accademia . Pag. 1012 —. e Camerano (Lorenzo) — Relazione intorno alla memoria presen- tata dal Dr. Giuseppe Gora, dal titolo: Ricerche sulla biologia e sulla fisiologia dei semi a tegumento impermeabile . e n 487 — e Parona (Carlo Fabrizio) — Relazione intorno alla Memoria presentata dal Dr. Giovanni Neri, intitolata: La vegetazione della Collina di Torino | ; 5 s i - — e Parona (Carlo Fabrizio) — Relazione intorno alla Memoria presentata dal Prof. E. MartEL, intitolata: Contribuzione all’'Ana- tomia del fiore delle Ombrellifere . 3 s 602 MowmreLiAno (Attilio) — Perchè Don Rodrigo muore sal suo gioni 636 Mocci (Antonio) — Documenti inediti sul canonista Paucapalea ” ‘816 Momwxsen (Teodoro) — V. De Sancris (Gaetano). Morera (Giacinto) — Presenta una sua memoria da inserirsi nei vo- lumi delle Memorie accademiche, intitolata: SulVattrazione degli ellissoidi e sulle funzioni ellissoidali di seconda specie » 104 Mosso (Angelo) — Il male di montagna ed il vomito : . TORI — V. D’Ovipro (Enrico). Naccari (Andrea) — A nome dei Colleghi della Classe porge al Pre- sidente Enrico D’Ovipro i SE per la nomina a Se- natore del Regno ; n 450 — Comunica la relazione della I° Cinti per il XIV premio dat 633 — Emilio Vinzari. Commemorazione . ; ù x , 1014 Neri (Giovanni) — V. MarriroLo (Oreste) e Pioli (Goro Fabrizio). 2 109482 Nerysr (Walter) — Eletto Socio corrispondente . È i, ì n (462. Newcome (Simone) — Eletto Socio corrispondente . ; 451 Nicoris (Ugo) — V. Bani (Vittorio), Nicoris (Ugo) e Virrierio Luigi). Novarese (Vittorio) — La grafite nelle Alpi piemontesi . E s 241 Nozari (Mario) — V. Camperti (Adolfo) e Nozari (Mario). — V.Ferrero (Ffisio) e Nozari (Mario). Osrwarp (Guglielmo) — Eletto Socio corrispondente . i s 2: 458 Pauma pr Cesnora (Luigi) — V. D'Ovipro (Enrico). PaxertI (Modesto) — Teoria della resistenza delle piastre tronco-co- niche e sue applicazioni al calcolo di alcuni organi meccanici e dei serbatoi cilindrici . 4 n 949 Parona (Carlo Fabrizio) — Presenta a nome SE) Lt cn Ma TIROLO per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un lavoro del Prof. Edoardo Marret, intitolato: Contribuzione all’Anatomia del fiore delle Ombrellifere . : È : sn 492 — V. Martiroro (Oreste) e Parona (Carlo Fabrizio). Parerra (Federico) — Una lettera concernente trattative per la pace tra i Guelfi ed i Ghibellini di Firenze . » 6505 Praxo (Giuseppe) — Presenta per l'inserzione nei pori delle Memorie accademiche un lavoro del Prof. Mario Pieri, intito- lato: Nuovi principî di Geometria proiettiva complessa . s 201 — V. Secre (Corrado) e Praxo (Giuseppe). INDICE DEL VOL. XL 114l Prrazzo (Umberto) = Ricerche sulla variazione dell’ “ Hydrophilus piceus , Linn. . : i . Pag. 885, 1089 Pezzi (Domenico) —- V. De Bawcne (Canto) e Prezzi (Domenico). PxiLipri (Roberto Armando) — V. D’Ovipro (Enrico). Piccini (Augusto) — V. D’Ovipro (Enrico). Piccinini (Galeazzo) — Azione del bromo sopra alcuni derivati non saturi } ProLri (Giuseppe) — Sull aplite di Caiana T'oriiena 3 Pivano (Silvio) — V. Rurrini (Francesco) e Creotra (Carlo). PizzareLLo (Niccolò) — Su alcune esperienze di trasmissione senza fili di segnali a distanza . — VV. D’Ovipro (Enrico). Ponzio (Giacomo) — Su alcuni nuovi acidi della serie oleica. Nota II: n Acido 2,8-ipogeico; Nota III: Derivati dell’acido 2,3-oleico 263, Prever (Pietro Lodovico) — Sulla fauna nummulitica della scaglia dell'Appennino centrale ; 4 ; . Renier (Rodolfo) — Presenta per 1’ inguine nei volumi delle Memorie accademiche una dissertazione di metrica greca in- viata all'Ufficio di Segreteria dal Dr. Angelo Taccoxe — Segnala il volume, dal Socio corrispondente G. Borriro mandato in dono all'Accademia: La Quaestio de aqua et terra, di Dante Alighieri — V. Crronra (Carlo) e Picasa (Rodolfo). Rimonpini (Filippo) — Sul calcolo approssimato degli integrali doppî , Rrrrer (Guglielmo) — Eletto Socio corrispondente Roccati (Alessandro) — Ricerche ra sulle Valli del Goniò (Valli di S. Giacomo) . 4 È N Romano (Giacinto) — Gli è conferito n premio Rada per la storia n n n n n (triennio 1901-1903) : 2 ; ) È — Ringrazia pel conferitogli premio GauTIERI . i î o 31% Rurrini (Francesco) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un manoscritto del Dr. Silvio Pivano, intitolato: Lineamenti storici e giuridici della cavalleria medio- evale È . ; ; , E F . K — e Creorna (Carlo) — Relazione intorno alla memoria presentata dal Dr. Silvio Prvano: Lineamenti storici e giuridici della ca- valleria medioevale Sacco (Federico) += Fenomeni dsatigrattoi dose ell ario settentrionale e centrale î SaLvaporiI (Tommaso) — Delegato dalla Case a ld presenterà ye cademia al convegno dell’Unione Zoologica italiana all'isola d’ Elba . { s : ‘ i; — V. Camerano (Lorenzo) e Sarvapori (Tommaso). Sanvisenti (Bernardo) — Un giudizio nuovo su Cristéval de Castillejo ne’ suoi rapporti coll’italianismo spagnuolo . ; ì È Savio (Fedele) — V. De Sanctis (Gaetano), CreoLra (Carlo) e Savio (Fedele). » ” n » 463 114 nS1 970 566 196 634 168 444 659 126 549 1142 INDICE DEL VOLUME XL Seere (Arturo) — V. Ferrero (Ermanno) e Manno (Antonio). Segre (Corrado) — Presenta per l'inserzione nei volumi delle Memorie accademiche un lavoro del sig. Ugo Amarpi, intitolato: I gruppi conformi reali nello spazio . i; 7 +. Pag. 830 — e Morrra (Giacinto) — Relazione ja memoria del Dr. Ugo Amatpi, intitolata: I gruppi conformi reali nello spazio . 37 074 — e Pravo (Giuseppe) — Relazione sulla memoria del Prof. Mario Pieri: Nuovi principî di Geometria projettiva complessa. . n 878 Severi (Francesco) — Sulla differenza tra i numeri degli integrali di Picard, della 1° e della 2* specie, nic ad una super- ficie algebrica . 3 È ; n.288 — Sul teorema di Riemann- Roch e sue serie dale di curve ap- partenenti ad una superficie algebrica . . s 766 Severini (Carlo) — Sopra gl’integrali delle equazioni differenziali or- dinarie d’ordine superiore al primo, con valori prestabiliti in punti dati . . ; » 858 — Sopra gl'integrali delle equazioni vftaloannli pra di se- condo ordine con valori prestabiliti in due punti dati . » 1035 Soave (Marco) — Sulle sostanze proteiche del muscolo . ; s 831 SomieLiana (Carlo) — Eletto Socio nazionale residente x 5 ASL — Ringrazia per la sua nomina a Socio . : i ; s 1011 Spezia (Giorgio) — Contribuzioni di Geologia dai La possa! è chimicamente inattiva nella solubilità e ricostituzione del quarzo . : E : : i } 3 ] » 254 —; Il fasi e la minerogenesi . È i i. s 698 Surss (Francesco Edoardo) — Eletto Socio corrispondente . i n 452 TaccHini (Pietro) —- V. D'Ovrpro (Enrico). Taccone (Angelo) — Le fonti dell’episodio di Paride ed Enone in Quinto Smirneo . i : ; ; ; : i ) sn 534 — VV. Rexier (Rodolfo). — V. De Sanctis (Gaetano) e Pezzi (Domenico). Varmagei (Luigi) — Tacitiana . ì i ? : A ° s 409 Virrari (Emilio) — V. D'Ovipro (Enrico). — V. Naccari (Andrea). VirieLio (Luigi) — V. Bars (Vittorio), Nicoris (Ugo) e VirieLio (Luigi). Virari (Giuseppe) — Sulle funzioni integrali . 1 £ : » 1021 Vorrerra (Vito) — A nome della signora Cornu, presenta in dono all'Accademia cinque volumi di lavori del Socio corrispondente Alfredo Cornu, e accenna all'importanza scientifica dei medesimi, 448 Waron (Enrico) — V. D'Ovipro (Enrico). Wersman (Augusto) — Eletto Socio corrispondente . , s 452 Zanorti Branco (Ottavio) — I concetti moderni sulla figura SEITOTA tica della Terra. Appunti per la storia della Geodesia. Nota 2°: Saigey e le variazioni della gravità . } : ; i: 37 1 8 Torino, Vincenzo Bona, Tipografo di S. M. e de' RR. Princip;. Cla dd le °D 0F SCIENCES ATTI DELLA «RR. ACCADEMIA DELLE SCIENZE IESLlOoOTRENTO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XL, Disp. f?, f904=905. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1905 DISTRIBUZIONE DELLE SEDUTE < mante Ù (DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO i nell’anno 1904-9005. | divise per Classi Classe di Scienze Classe di Scienze ; ; fisiche, matematiche morali, storiche. ; e naturali e' filologiche “1904 - 20 Novembre .| 1904-= ‘27 Novembre! - 4 Dicembre > - 11 Dicembre » - 18 » 1905 - 10 Gennaio 1905 - 8 Gennaio SPENGO [i pato pet » - 22 % » - 29 ‘» - 5 Febbraio »i-112 Febbraio i » - 19 » » - 26.» » ©. 5 Marzo ». - 12 Marzo. » - 19 » » -,26 » » - 2 Aprile » - 9 Aprile è era dine 90: » - 7 Maggio » - 14 Maggio » -— 21M» »- 228 ande » - 11 Giugno » — 18 Giugno PRO) » | » - 2 Luglio Tip. Vincenzo Bona — Torino. Saigey e le variazioni della gravità . Arracni (Carlo) — Echinodermi miocenici dei dintorni ai $ Tiberina (Umbria) È ò % s È «i Camperti (Adolfo) — Sulla dispersione dell'elettricità ne jodio . RR d : ) 3 Mit Foi (Pio) — Contributo alla conoscenza dell'infiltrazione Classe di Scienze Morali, Storiche e Fil ADUNANZA del 27 Novembre 1904... De Sancmis (Gaetano) — Teodoro Mommsen - PAERRERO | Bripe6o (Giuseppe) — Una falsa iscrizione ui all’ pe Verona... |. > La ; a DI ne’ suoi rapporti coll’italianismo spagnuolo — na I Premii di Fondazione GaurIERI Lil... io Mura td ud Tip. Vinoenzo Bona — Torina PUBBLICATI Von. XL. Disp. 2? e 8°, 1904-905. | Rao » TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1905 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 4 Dicembre 1904 . i : i n Pag. 108 “a Giupice (Francesco) — Metodo di Newton perfezionato e Nuovo me- | todo pel calcolo assintotico delle radici d'equazioni 3 ProLri (Giuseppe) — Sull’aplite di Cesana Torinese . È i Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA dell'11 Dicembre 1904... 0%. Pag. (128. Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. | ADUNANZA del 18 Dicembre 1904 . ; E .. Pag. 124. ì Sacco (Federico) — Fenomeni stratigrafici osservati nell'Appennino settentrionale e centrale ; ; aruta Levi (Beppo) — Punti doppi E, delle RS ale bnicio 10 Rimonvini (Filippo) — Sul calcolo approssimato degli integrali doppi , - 168. Camperti \A.) e Nozari (M.) — Sulla variazione del grado di disso- ciazione elettrolitica colla temperatura . È : OZ TAO SH Festa (Enrico) — Osservazioni intorno agli Orsi dell’ Îedsfioe x Pe Co Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 1° Gennaio 19050... ‘Pag. 196 Programma per il XV premio Bressa . ; r ; ; GESTI. CORNER IA Premio di Fondazione Pollini 2-Y- 198 Regolamento interno per il conferimento del premio "Polti d Pe SIL. Oc SCIENCES ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DE: TLROR ENO PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XL, Disp. 4’, 1904=905. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1905 SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. || ADUNANZA dell'8 Gennaio 1905... /. Pag. 201 Coorinee (J. L.) — Les congruences isotropes qui servent à repré- DN senter les fonctions d’une variable complexe. II° Note. . —, 202. Boecio (Tommaso) — Sulla deformazione delle piastre elastiche s0g- ftt gette al calore . —. SEZ roi Novarese (Vittorio) — La grafite Lomo ‘dpi SEZ i ì SGREE Spezia (Giorgio) — Contribuzioni di Geologia chimica. La pressione: SA è chimicamente inattiva nella solubilità e ricostituzione del. © quarzo . 3 RR 5 SR Poxzio (Giacomo) — Su loi nuovi soli dolls serie sietuai Nota Is #1 Acido 2,3-ipogeico Classi Unite. ADUNANZA del 15 Gennaio 1905. . i ; ; . Pag. 267 i De Sawcris (Gaetano) — Relazione pel conferimento del premio Gautieri , di storia (triennio 1901-1908) (L.A Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 15 Gennaio 1905. |. (. .° (.° Pag. 272 Ciporra (Carlo) — Le case degli Scaligeri a Venezia. E gag ona De Sanctis (Gaetano) — Relazione sulla memoria present dal i Dr. Angelo Taccone, intitolata: Sophoclis tragoediarum locos melicos..... descripsit, de antistrophica responsione ete. disseruit i A. T. (Aiax, Electra, Oedipus rex) . ( ; $ 3 282 lin Vincenzo Bona Terima Ha Sono Pol ADE MY OF SCIENGES ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI © 190429050 Li TORINO “iu UNA CARLO CLAUSEN ; SARTI Classi Unite. ADUNANZA del 22 Gennaio 19063" di un sistema di vortici elementari, rettilinei e parallel, fluido incompressibile indefinito ; 2 3 air ee So — Relazione intorno alla Memoria prat . Giovanni Neri, intitolata: La vegetazione era - Corti Ù Torino i ADUNANZA del 29 Gennaio 1905 Mocci (Antonio) — Documenti inediti sul sanenieni Paucapalea do Sia Mago (Umberto) — Osservazioni sul riassunto dato da Rorio dei. Ttepoixò di Ctesia Si Tip. Vinsenzo Bona — Torina à PART dI de | TORINO. TRY n E « A ERI di R a s° Ù ved: PUBBLICATI |» “SRI Lv po EMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI RIO hi È A x * ore: i, Disp. 6°, 1904-905. ina o e ; 1 cr 3 Sa his > # d Usa Ne h wi } s È ri CER 4 TORINO | i RLO CLAUSEN ae ia Libraio della R. Accademia delle Scienze 1: oa ERE K 1905 3° SEGR pt | ì Lesa A Bo; . È LARIO # SOMMARIO Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali. ADUNANZA del 5 Febbraio 1905 Dona (Mario) — Contributo allo studio delle formazioni limitanti il canale inguinale nell'uomo : a PaxnertI (Modesto) — Teoria della resistenza delle piane trogosnli niche e sue applicazioni al calcolo di alcuni organi meccanici e dei serbatoi cilindrici Seere (Corrado) — Relazione sulla memoria del Prof. Mago Pia Nuovi principî di Geometria projettiva complessa Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. ADUNANZA del 12 Febbraio 1905 Bossa (Romualdo) — Intorno il caso e la fortuna in Democrito Varmaeer (Luigi) — Tacitiana CarsoneLLI (Giovanni) — dibvelistale: di una ubi di conii sco- perta a Sibari . 889 341 349 378 880 381 409 427 DI TORINO M li i ‘PUBBLICATI e ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI i TORINO CARLO CLAUSEN, Libraio della R. Accudemia delle Scienze ue 1905 Pa pei sl NA h Tip. Vincenzo Bons -. Torine Lena intitolata: Sull'autenticità dei cme "u o des Marzo 1905 . RI Do MarriRoLO de ARE ADUNANZA del 12 Marz0.1905//.//.0/. de: = $ D EGRETARI DELLE DUE CLASSI {a FaN t x sl pi de fi | TORINO ARLO CLAUSEN braio della R. Accademia delle Scienze Quinto Smirneo . ? eran ; SME Tip. Vincenzo Bona — Torino SR WCW I NI FRPRARO % so MEIN Ji DE LOPUBBRICATI DI VEC MELI ” DI Lp n Viet Pai Ma "lg È % t i f k O % 7) e 1 My A I i Li; » i LOI - XL, Disp. 10*, 1904-905. TORINO n " Libraio della R. Accademia delle Scienze AI 4 RLOOLAUSEN 4 Tk MACAU nd V EMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Prever (Pietro Lodovico) — Sulla fauna nummulitica { ella ; Padnine RIA «dell'Appennino centrale... ; do PM ii CasreLLano (F.) — Il birapporto di quattro SENT nello Spi para applicazioni alla Geometria del Tetraedro |. i MarmtIirRoLo (Oreste) — ° Relazione intorno alla MEANA bp fiore delle Ombrelifere È AR È MASATE ADUNANZA del 9 Aprile 1905 . ; SSL] tra i Guelfi ed i Ghibellini di Mirenzes HE i Tip. Vineenzo Bona — Torina CA] a i, x A A Mia we IaRENIA L. XL, r DOSI, gel vi x } (SI É { Patt. "ta DEMIC Y, A Mi Ù n 14 t) ès È d; î sy È 4 R poi Va 4 NITS ; È Ù la vic VITI #; Ì i È n K f P, x | TORINO di ARLO CLAUSEN | Libraio della R. Acendemia delle Scienze 1905 1 Disp. ff", 1904-905. Y "e Î su i , ri i » d pra sigioitan f "a Ao Y LAI "M SU 2 iv 4 TERI ade Sta Re Fr ar é I SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Classe di Scienze Fisiche, Matematiche ie: N ADUNANZA del 16 ica 19056 si CO SI Fumi (Guido) — ‘Alcuni “nuovi problemi, che si presentano.) teoria delle Seni alle. derivate ergal Classi Unite. ADUNANZA del 30 ) Aprile IR valleria medioevale Tip. Vineenzo Bona — Torina LATTA RETE AREA SADE i; Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e ADUNANZA del 7 sago: e: Aa NERC Jananza (Nicodemo) — Nuovo niefide per I Sis diastimometrico in un RAUL, distanziometro TRO GIR, MAGIE ; $ NGI TS Garri (Enrico) — Particolarità della rifrazione dovuta ad È cilindrica retta . ; : Roccari (Alessandro) — Ricerche petrografiche sulle Valli del (Valli di 'S. Giacomo) . È : : 3 3 SEVERI (Francesco) — Sul teorema di Riemann. Roch e sulle s ser | ADUNANZA del 14 Maggio 1905... |. Atuievo (Giuseppe) - La nuova scuola pedagogica n i s nunciati ; ; : 3 pa Si Corrapi (Giuseppe) — Note cn guerra toa Tolsuio Lverg te Seleuco Callinico . È A î Poe, Ferrero (Ermanno) — Relazione sata memoria del Prof. Ai S ° La questione sabauda e gli avvenimenti politici e DICAZATA ch pararono la trequa di EAueeda, ; Sgr ai lip Vineanzo Bona Torino Pia A aL SA OF SCIENCES ATTI DELLA | R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE L PRE. TORE EDS:O PUBBLICATI DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XL, Disp. f3*, 1904-905. TORINO OARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1905 ADUNANZA del 21 Hi 1905 SS più da i Soave (Marco) — Sulle sostanze proteiche del. ini 3 Severini (Carlo) — Sopra gl’integrali delle equazioni. differ ROSA È dinarie d’ordine superiore al primo, con valori. DA punti dati . È È Tango (Gabriele) — Sul batio ni Vall’ ATE e nn Così Tx Gora (Giuseppe) — Sulla vdizica i intramolecolare. nell palustri RIA ? È REA RR Perazzo (Umberto) — Ricerche sulla variazione > dell " Hydro piceus , Linn. Parte prima MAE È AS; Bazzi cei _ Do Sn in contributo alla storia < S sh sedio di Verrua (1625) AS ) } pe ra Mancini, intitolata: Sulla luigadani e sulla a ford l'Egloga IV di Virgilio ; ; 3 ì FASE x es! i FEIIACD SA E CI De i lin. Vincenzo Bons Torino «N. Y. ACADEMY OE SCIENCES ATTI DELLA | R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE DITO RINO DAGLI ACCADEMICI SEGRETARI DELLE DUE CLASSI Vor. XL, Disp. f4*, 1904-905. tia ee ene A la du: retti het i È A ian ST che D pediliiu lit anso iS E Sed < ; ; oi 35497 n _ date EE O fe. TORINO CARLO CLAUSEN Libraio della R. Accademia delle Scienze 1905 Meta) ciba ho ha Classe di Scienze Fisiche, Matematiche. ) ADUNANZA: dell'Il Giugno 1905/05 SIE AIMONETTI (Cesare) — Determinazioni di gravità Sr o I eseguite nell'estate dell’anno 1904 SOLSRReRdO pendo Sterneck . $ : Ue È ‘Aumansi (Emilio) — Sull ia dei sistemi diesen Guipi (Camillo) — Una proprietà degli archi elastici A Ponzio (Ciaoo) — Su alcuni nuovi acidi della serie oleica. N ta I: Derivati dell'acido 2,3-oleico ARMA 4 ig Ha Secre (Corrado) — Relazione sulla Memoria del Prof Ugo pa intitolata: I Laren conformi reali dello @pazio, pi \ ADUNANZA del;18'Giueno, 190054. ea Cessi (Roberto) — Prigionieri illustri durante la guerra fra Scalige e Carraresi (1386) |. X È i : MARI) ‘ Levi (Attilio) — Appunti di lessicografia romanza . l'ip. Yineenzo Bona lorina Ù VAN DE CLASSI . La Psr si EN . Accademia delle Scienze | Ve * — ADUNANZA del 25 Giugno LAOS A sia (Andrea) — Fmilio Villari. Commemorazione : «. Vrravi (Giuseppe) — Sulle funzioni integrali ; Severini (Carlo) — Sopra gl’integrali delle equazioni differen sa ordinarie del secondo ordine con valori prestabibibai in » E punti dati ; : £ ) 0 : SE GIAMBELLI (Giovanni Zeno) — La A HUne formole d'incidenza e i di posizione speciale e le forme binarie... 0,1 Issogrio (Giovanni) — Di alcune nuove basi piridiniche .//.0 Fusari (Romeo) — Contributo allo studio delle terminazioni nervose nei muscoli striati di Ammocoetes brunchialis . d i Prrazzo (Umberto) — Ricerche sulla variazione dellEydrophilus O Mer piceus Linn. Parte Il. Are, ; Sp di Basi, Nicoris e VirieLio — Posizioni Operai: di stelle del cata ‘logo di Newcomb per il 1906 3 o : i Cocnerti De PARE intitolata: Gli Oligocheti della regione i n SIRIO ; Ì s ì È \ ° 3 I o ADUNANZA del 2 Luglio 1905 . Creorra (Carlo) — Relazione sulla Memoria del Prof. Pietro GrigauDI, intitolata: La Geogr afia di S. Isidoro di Siviglia. Contro: alla storia della Geografia nel medioevo ana Inpice . 4 ; Fip. Vincenzo Bona - Tornò DI