Q54 .A38A8 x ca ‘A ICE PESA I PRO PR - La 07 | : Va É è! ni ES V# VE bt DI Pa sE # Le ri Dà CI Ù ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SOGIETÀ REALE DI NAPOLI ___PbbbboLLopLbso+po ATTI DELL'ACCADEMIA DELLE SCIENZE. FISICHE E MATEMATICHE vo IV. Fi 0 AD TY v i ì Noi la 1 Y 2 ue” | LÀ è \\_* = A \ E la) e, > OP scIENo* te I erre NAPOLI STAMPERIA DEL FIBRENO Pignatelli a san Giovanni maggiore 1869 iù ca 4 a STR ta G #7! i ’ È 1° r | II è 2 (I è 8 (06. b ‘get Ca - " È Pa Di il % e tdi È 5 I lu n= i CL] Poe Ai C) n k-- VEE Ù Da i : NI Ù e edi 2 si DN Cali A i i ; > 7 Le veli 1 è tia, TATO #2 VA : sa to a CE Lil sl fa pra (e HI di | ISO N e: ei È ti» hd Ta y Ì n x 4 dA SI TRAI x ciali ef _ a; ai i STI - RE è n - Ù 0 La fot L a Un SOCI DELL'ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE Presidente — TRUDI NICOLA Vice-Presidente — DE MARTINI ANTONIO Segretario — SCACCHI ARCANGELO Tesoriere — GUISCARDI GUGLIELMO SOGII ORDINARII SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE Socii residenti . ALBINI GIUSEPPE; 13 giugno 1868. . CesATI VINCENZO; 1° agosto 1868. . CostA AcniLLe; 24 settembre 1861. . GuiscArDI GueLIELMO ; 24 settembre 1861. . De Luca SEBASTIANO ; 19 novembre 1861. . DE MARTINI ANTONIO ; 24 seltembre 1861. . NicoLucci GIUSTINIANO ; 24 settembre 1861. . PALMERI Luci; 19 novembre 1861. © 00 41 © _ Ut dd 0 SS ia . PasquaLE GIUSEPPE ANTONIO ; 2 marzo 1867. Esa 10 ip . SCACCHI ARCANGELO ; 24 settembre 1861. IR 29. 24. Socii non residenti . BertoLONI ANTONIO; 16 dicembre 1862. Bologna. . SELLA QuINTINO ; 16 dicembre 1862. Torino. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE Socii residenti . BATTAGLINI GiusEPPE ; 19 novembre 1861. . FERGOLA EMANUELE ; 19 novembre 1861. . DE GASPARIS ANNIBALE; 24 settembre 1861. . DE LucA FERDINANDO; 24 settembre 1861. . PADULA FORTUNATO ; 24 settembre 1861. . TRrupI NicoLA; 19 novembre 1861. . Tucci FRANCESCO ; 24 settembre 1861. Socil non residenti BrioscH1 FRANCESCO; 3 maggio 1864. Milano. Seccni ANGELO; 3 ottobre 1865. Roma. Oo 0 I DO lW So _ 0 DS > == VII —=&$ SOCII STRANIERI . CAYLEY ARTURO; 3 maggio 1864. Londra. . ChasLes MicHELE; 3 maggio 1864. Parigi. . Dumas GIovAN BATTISTA ; 3 maggio 1864. Parigi. . Owen RiccARDOo; 3 maggio 1864. Londra. . SrvLvesteR G. G.; 3 maggio 1864. Londra. SOCII CORRISPONDENTI NAZIONALI SEZIONE DELLE SCIENZE FISICHE . CANNIZZARO STANISLAO; 3 marzo 1863. Palermo. . CANTONI GIOVANNI; 30 dicembre 1865. Pavia. . CorNALIA EmiLio; 8 giugno 1867. Milano. . De NotARIS GiusepPE; 13 febbrajo 1869. Genova. . De Visiani RoBERTO; 2 maggio 1865. Padova. . GrorpANo GiuLIANO; 1° dicembre 1863. Napoli. . MeneGHINI GiusePPE; 10 aprile 1869. Pisa. . Moris GiusepPE; 8 giugno 1867. Torino. . PancERI PaoLo; 8 giugno 1867. Napoli. 10. 11. — VH — Savi PaoLo; 3 marzo 1863. Pisa. STOPPANI ANTONIO; 3 marzo 1863. Milano. SEZIONE DELLE SCIENZE MATEMATICHE . BeLAviTIs Giusto; 13 gennaio 1863. Padova. . Berti Errico; 13 gennaio 1863. Pisa. . Cremona Luigi; 9 maggio 1865. Bologna. . GeNoccHI ANGELO; 9 maggio 1865. Torino. . PacINI Filippo; 3 marzo 1863. Firenze. . RuBiNnI RAFFAELE; 9 maggio 1865. Napoli. . SANTINI GIOVANNI; 13 gennaio 1863. Padova. . TorToLINI BARNABA; 13 gennaio 1863. Roma. INDICE DELLE MEMORME che compongono il quarto volume PALMIERI L. — Dell’incendio del Vesuvio cominciato il 13 novembre GCRASONANS ORE cc eran N TRUDI N. — Appendice alla memoria sulle equazioni binomie . N.° 2 BarTAGLINI G. — Sulle forme ternarie di grado qualunque . . . .N.° 3 ScaAccuHI A. — Dell’acido paratartarico anidro . . . ... .N° 4 Luca (DE) F. — Sullo stato attuale della quistione della navigazione al'Polo-Borcale . .. . . . , NL PasquaLe G. A. — Flora vesuviana, 0 Catalogo ragionato (00 piante del Vesuvio, confrontate con quelle dell’isola di Capri e di altri luoghi circostanti . . . . .N.° 6 BATTAGLINI G. — Intorno ai sistemi dì rette di grado qualunque . .N.° 7 PALMIERI L. — Due quistioni risguardanti l’elettricismo naturale .N.° 8 ” — Ultime fasì delle conflagrazioni vesuviane del 1868. N.° 9 PANCERI P. — Gli organi e la secrezione dell'acido solforico nei Ga- steropodi, con un'appendice relativa ad altri or- gani glandolari dei medesimi . . . .. .N.°40 » — Intorno a due nuovi Polipi Cladactis Costa ed Hal- campa Claparedii . . . Sanno NA CESATI V. — IMustrazione della Saxifraga deruicnta (ORciz): SINSA2 NicoLucci G. —Sull’Antropologia dell’ Etruria . . . 1... .N.° 413 BATTAGLINI G. — Sulle dinami in involuzione . . . aa NA ScAccHI A. — Sulle forme cristalline di alcuni covamosti di toluene. N.° 15 4 RIST nipadatU, bi % Ù Ù si: rep TOA RI UNI _ i 6 PU [-ALUILRIN La Mure i RT DA, A MINT, < Ga a "AM ac or h) it Mo, l 5 pra (1 x cp ie. "ll ORRE . iti TAI il fra DA WILL PAIR i «Tina Uri °° % TIA RONTI 1 di [AVRA Ù Lal) N} I (I ni PL i 11 “‘ et ul PT) | rana Di Ù î di) L'oioi ILA) E # x le si si I] ua La via Mwerà + x re) n ninni. 4! i Ù nata ° È Mo insini x e av À i e al DI i met ta ì prato se Vol. IV. Nt. ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DELL’ INCENDIO VESUVIANO cominciato il 13 novembre del 1867 RELAZIONE DEL socio orpINARIO L. PALMIERI letta nell'adunanza del dì 11 aprile 1867 Jattotioniai dielliamocenduo La geologia narratrice della storia del nostro pianeta riconosce certi periodi di maggiore attività dinamica nelle forze della natura, per cui alcuni grandi fenomeni successivamente vennero manifestandosi, onde la terra ferma e le isole non apparvero nello stesso tempo fuori delle acque. Or nella vita presente della terra, la fisica del globo può vedere una pallida immagine de’grandi sconvolgimenti geologici, in certi periodi in cuì i terremoti ed i vulcani si destano insieme in una determinata re- gione più o meno ampia, e per lo più il suolo agitato si queta dopo le conflagrazioni vulcaniche. Quando il terremoto in un paese dice l’ Hu m- boldt dura per qualche tempo quasi sempre le popolazioni si aspettano l'apertura di un vulcano, ma il presagio raramente si avvera. Ora io dico invece che il presagio di raro manca di avverarsi, e l'errore sta solo nel credere che il vulcano debba aprirsi nel luogo stesso del terremoto, men- tre può manifestarsi-a grande distanza. Così il famoso terremoto delle Calabrie del 1783 finì con l'eruzione dell’Ecla dello stesso anno, e po- scia con quella del Vesuvio degli anni seguenti. Dal 1865 al 1867 i terremoti si fecero sentire in molti paesi: Isernia, Sannicandro, la Sicilia, la Grecia, l'Africa settentrionale ec. furono for- temente agitate, ed eccoti l’ Etna il Vesuvio, Santorino, le Isole Azorre Atti — Vol. IV.— N° 1 1 So e poi di nuovo il Vesuvio manifestare i loro incendî*). Cercherò di fare la storia di ciocchè è avvenuto al Vesuvio, avendo altri come il Silvestri ed il Fouqué narrata quella degl'incendî degli altri vulcani ora men- zionati. A dì 10 del mese di febbra]o del 1865, nel fondo del grande cratere ri- masto sul Vesuvio dopo le conflagrazioni antecedenti, si aprì una piccola bocca da cui uscivano con impeto fortissimo brani di lava incandescente i quali spinti a grandi altezze cadevano in parte fuori del cratere e parte giungevano sul pendìo del cono vesuviano, ora infossandosi nella neve, da cui si elevava una colonna di fumo, ed ora perchè questa era agghiac- ciata rotolavano in basso con grave pericolo di chi cercava di fare l’ascen- sione del monte. Le detonazioni erano alquanto forti ed il fumo abbon- dante. Dopo alcuni giorni i proiettili uscivano con meno forza per mo- do che di poco oltrepassavano l’orlo della profonda voragine, e cadendo in essa vi facevano un mucchio di figura conica. Ma non tardò molto ad apparire la lava, la quale veniva a riprese ed in piccole correnti, per cui la lava susseguente trovava sempre indurite tutte quelle che l’aveano preceduta, e quindi col soprapporsi di queste lave successive il piccolo cono che sorgeva entro quel cratere, ripetutamente sepolto dalle lave, sempre rinasceva di sopra del loro livello co’ materiali rigettati dalla bocca di eruzione. Durarono così le cose fino al mese di novembre del 1866, quando questo piccolo incendio si spense prima di avere del tutto colmata la profonda voragine entro la quale erasi manifestato. Nell'ottobre del 1867, la stessa bocca rimasta in silenzio parve ria- nimarsi, perocchè le fumarole si elevarono di temperatura e per alcune ore davano un copioso fumo. Alla fine di ottobre il sismografo elettroma- gnetico posto all'Osservatorio Vesuviano registrò alcune scosse locali, ma dal dì 8 al 12 di novembre esso mostrava che il suolo era in agitazione continua, e gli aghi dell'apparecchio di variazione di Lamont oscilla- vano con vibrazioni orizzontali e verticali. La notte tra il 12 ed il 13 novembre l’ incendio sì ridesta nello stesso sito ove era spento. La mat- tina del dì 15 trovai che sull’ antica bocca era sorto un piccolo cono cir- condato da quattro altri coni minori e che un’azione di sollevamento avea spinto in fuori gli strati di lave che s'erano soprapposti nel vecchio cra- tere durante il piccolo incendio antecedente di cui ho brevemente ricor- 1) Da notizie avute dal prof. Gosselet anche l’Ecla deve essere annoverata tra i vulcani venuti in attività entro questo periodo di tempo. LilYia dato la storia. Per la qual cosa il nuovo cono era per la metà dell'altezza formato di grossi prismi, quasi verticali, di lava litoidea compatta da ri- cordarti i basalti, o i filoni del Monte di Somma; questi prismi erano pezzi di que’letti orizzontali di lave che s'erano soprapposti durante l’e- ruzione antecedente. Per varî crepacci di quell’interno tavolato rotto e sconvolto uscivano delle lave che finivano di colmare il vecchio cratere del quale di sopra è detto, e tutto il piano superiore del cono vesuviano mostravasi fenduto in modo che le varie fenditure prolungate passavano pel vertice del nuovo cono. Quel cono in gran parte formato di grossi pezzi di lava compatta solle- vati dall’impeto della nuova lava, fu poscia interamente coperto dalla co- pia grandissima de’ nuovi materiali rigettati, co’qualisi videin pochi giorni elevarsi all’altezza di circa120 metri ed occupare con la sua base non solo tutto il grande orifizio dell’antico cratere di cui non rimasero che poche vestigie, mala massima parte dell’ampia spianata che si trovava alsommo del cono vesuviano. Così i piccoli coni di eruzione che circondavano il più grande furono sepolti da questo nel suo rapido ingrandirsi; ma pare che dentro di questo cono unico sussistessero quattro bocche o spiragli distinti da ciascuno de’ quali si vedevano lanciati que’ brani di lava che rendono di notte così vago l'aspetto delle bocche di eruzione. Coteste proiezioni, ora simultanee, ora successive, alcune verticali ed altre più o meno inclinate, mentre acerescevano rapidamente la mole dell’unico cono di eruzione, mantenevano il suo orifizio proporzionatamente molto ampio e spesso ne dirupavano una parte, che dopo quasi sempre si rifa- cea. Ogni menata di scorie incandescenti era accompagnata da Dboati e da detonazioni che talvolta si udivano da Napoli, e che era bello ascol- tare dall’atrio del cavallo ove a que’ muggiti rispondea un'eco bellissima dalle vicine rupi del monte di Somma. Dietro le detonazioni si formavano i globi di fumo bianco nelle cui ripiegature si vedea spesso un giallastro o rossiccio. Molte volte il fumo era nero per sabbia oscura, lapilli o ce- nere che trasportava e di cui il nuovo cono è rimasto coperto. La massi- ma altezza cui erano menati i brani di lava è stata di circa 300”. Il nuovo cono crebbe ne’ primi giorni rapidamente in altezza, e quando l’incendio parve voler finire si dirupò in parle e mostrò verso occidente una larga fenditura; maripigliando più tardi nuova forza si vide rifatto come prima’). 7) 11 22 aprile essendo comparse due nuove lave alla base del cono di eruzione, questo presentò dalle base alla cima due avvallamenti in corrispondenza dell'uscita di queste lave, i quali accenna- = AR Durante la maggiore attività del cono di eruzione non si vedeva una fumarola sulla cima del cono vesuviano, e solo di tempo in tempo si forma- vano delle sublimazioni di cloruri e solfati diversi che coprivano il piano superiore del monte, quando l’incendio parea più dimesso. Alla fine del- l'eruzione parecchie fumarole sonosi manifestate ed il cono di eruzione sì è coperto in molti luoghi di sublimazioni specialmente di cloruro di ferro. Ho sempre visto i coni efimeri, o avventicci, che dir si vogliano, mantenersi neri durante la loro attività, e tapezzarsi di sublimazioni di svariati colori quando il fuoco è cominciato a mancare. Dalla base di questo cono fin da' primi giorni uscivano varie correnti di lave le quali dopo di aver finito di colmare il vecchio cratere comin- ciarono a versarsi sul pendio del cono vesuviano, ora per una direzione ed ora per un'altra in modo che, ad eccezione del lato esposto tra sud ed ovest, tutto il cono fu quasi coperto dalle nuove lave. Le lave o erano di- scontinue per modo che mentre una si arrestava indurita un’altra si mo- strava dall’alto per la stessa o per un’altra direzione, o se erano continue avevano nel corso di un giorno ore di sensibile incremento e di forte di- minuzione. Nè solo le lave mostravano un periodo diurno con due massimi e due minimi, ma anche il cono di eruzione due volte al giorno strepi- tava più forte e menava con più impeto i suoi proiettili accennando così all'uscita di nuove lave. Osservai un certo ritardo da un giorno all’altro nelle ricorrenze de’ massimi e de’ minimi. Cotesta discontinuità periodica ovvero periodicità nel corso delle lave, unita alla poca loro mole, fece sì che le lave non giungessero a grandi distanze; imperciocchè una lava la quale non riceva alimento continuo dalla sorgente, dopo un certo tempo s'indurisce e si arresta, e però quando giunge la nuova lava dovrà o so- prapporsi a quella già indurita o prendere altra direzione. Anche le grandi lave vanno soggette a periodo, ma per la loro mole e per la maggiore durata del loro corso si trovano ancora pastose quando vengono incalzate dall’ineremento di nuova lava, e quindi riprendono insieme il loro cam- mino. Ecco perchè spesso nelle grandi eruzioni vedesi la lava rallen- tare il suo corso e quasi arrestarsi con grande giubilo di chi vedea mi- nacciate le sue sostanze, e dopo alcune ore quelle scorie indurite si veggono spinte e rotolate da nuova materia fusa che traspare sotto di esse. Al 1855 vedemmo la lava che copiosa scendeva pel fosso di Faraone ar- vano a due fenditure apertesi in quelle direzioni; onde pare che anche in un cono efimero possa avvenire quello che interviene ad un cono principale quando si avverano eruzioni eccentriche. Ma T— D — restarsi prima di giungere al ponte che metteva in comunicazione i due villaggi di Massa e Sansebastiano, per cui fon si mise mano alla demo- lizione di quel ponte, ma poco dopo con sorpresa e terrore di tutti si ria- nimò minacciosa, e non potendo passare tutta sotto le arcate del ponte, trattenuta dalle mura di questo si gonfiò alzandosi come una collina e se- polte alcune case degli anzidetti villaggi insieme col ponte, continuò il suo cammino entro l'alveo sottoposto, accennando ad un altro ponte gettato sul medesimo in sul principio della Cercola i cui abitanti, vo- lendo far prova di maggiore prudenza, furono solleciti ad atterrare il ponte; ma la lava per dare una mentita ad ogni umana preveggenza si ar- restò prima di giungere al ponte abbattuto. Le lave dunque che discesero dal cono vesuviano non ebbero lungo corso, per cui or si fermavano alla base del cono ora si distesero alquanto nell'atrio del cavallo. Solo in due direzioni durarono più lungamente e fu- rono più copiose, e quivi percorsero più lungo cammino. Queste due di- rezioni corrispondono presso a poco ad oriente e ad occidente. Dal lato orientale le lave durarono per molti giorni divise in varie correnti, e giunte nell'atrio del cavallo, soprapponendosi alle lave del 1850, si arrestarono in faccia alle rupi del Monte di Somma verso i cognoli di Ottajano. Più lunga durata ebbero le lave che ne’ mesi di dicembre e gennajo discesero sul pendìo occidentale del cono e propriamente ad OSO, le quali giunte dietro il monticello di scorie rimasto dove erano alcune bocche del 1858, si divisero in due correnti, una diretta sul piano delle ginestre verso le bocche del 1794; e l’altra verso la punta della crocella, e questa per due o tre giorni discese sotto i canteroni e si arrestò poco prima di giungere sotto l'Osservatorio. Le lave che scendevano sul cono per la direzione OSO con le due diramazioni anzidette attirarono di notte gli sguardi di tutti, e quindi richiamarono maggior numero di curiosi verso la punta della crocella o verso il piano delle ginestre. Le due strisce di fuoco che di notte splendevano sul cono nella direzione di sopra indicata e che da vicino erano due magnifiche cascate, si videro dopo qualche tempo sparire men- tre duravano splendenti le diramazioni che abbiamo descritte , per modo che gli stranieri che venivano a visitare le lave, vedendole uscire dalla base del cono, credevano essersi quivi aperta una bocca di eruzione; ma quest’apparenza nasceva da che le lave sul cono vesuviano si aveano fatto un canale coperto ovvero un cunicolo di scorie entro del quale in- visibili scendevano dal vertice alla base del cono anzidetto, e quando, RE RES per quella periodicità della quale di sopra è detto, il cunicolo non poteva accogliere una nuova piena, le sue pareti in uno o più luoghi rompendosi, de'rivoli di fuoco sì vedevano comparire sul cono. Oltre al periodo diurno l'incendio nella sua lunga durata ha presen- tato dalle fasi d’incremento e di diminuzione, tanto nell’attività del co- no quanto nella copia delle Jave, e sempre ho veduto la forza dell’incen- dio rianimarsi al tempo delle figize e procedere più dimessa in quello delle quadrature. Se togli la varietà nelle direzioni delle lave, specialmente ne' primi giorni dell'incendio, e le fasi de’ periodi de’ quali ho fatto parola, le quali richiedevano qualche diligenza nelle osservazioni, l'eruzione parea ser- bare una certa monotonia o uniformità nel suo andamento. La vivacità con cui il sismografo elettromagnetico e l'apparecchio di variazione si mostravano animatinon mi parve in proporzione conla mitezza dell’incen- dio, e però di buon'ora presagii che l'incendio o avrebbe dovuto pren- dere maggior forza, o per lo meno avere una lunga durata. La seconda cosa pur troppo si è avverata, senza che la prima del tutto venisse a mancare; imperciocchè ne’ giorni 8, 9, 10, 11 e 12 del mese di marzo le agitazioni degli strumenti si fanno maggiori, il cono di eruzione dà più forti boati e spinge in maggior copia e con più impeto i suoi proiet- tili, mentre le lave sembravano voler finire. Il cono vesuviano si fende nella notte del 10 dalla cima alla base, dal lato orientale presso al sentiere per cui ascendono coloro che vanno al Vesuvio dalla parte di Pompei: que- sta fenditura è più larga verso la base del cono e propriamente nell’ a- trio *) d'onde vien fuori cen grande tranquillità una forte corrente di lava simile a quella discesa dalla cima del cono vesuviano: questa lava oltre- passato l’atrio si precipitò tra i cognoli di Bosco sopra altre lave antece- denti, e prima di giungere sopra i terreni coltivati si arrestò, perchè anche questa serbava l'indole periodica di cui si è tenuto innanzi discorso. La lava nel giorno 11 usciva per un luogo della fenditura più prossimo alla base del cono, e nel giorno 12 cominciò ad uscire per un punto posto ) Il cono che propriamente ora diciamo Vesuvio surse entro l’enorme cratere del Monte di Som- ma, l’antico Vesuvio descritto da Strabone, e probabilmente ciò avvenne nell’anno 79. Lo spazio che rimase tra il nuovo cono e le pareti dell’antico cratere ebbesi più tardi il nome di atriî, e ciascuno de’ paesi sottoposti chiamò atrio quella porzione che gli corrispondea, onde atrio di Ottaiano, di Bosco, ec; e la parte settentrionale fu detta più recentemente atrio del cavallo. Dove le pareti del- l’antico cratere erano poco elevate l’atrio scomparve colmato dalle lave, ma pure in qualche sito ne conserva li nome come in questo luogo sopra i cognoli di Bosco. citi a maggiore distanza dalla base sudetta. Anche in qualche altro punto della parte inferiore della fenditura la lava si affacciò, ma non ebbe forza di scorrere. Il resto della fenditura si distingueva per una serie di fumarole allineate sopra di essa le quali la disegnavano sul cono e nell’atrio anche in qualche parte ove per l’arena la fenditura non si discerneva. Le due uscite della lava non produssero nè coni nè crateri, perocchè la lava usciva dal suolo con una tranquillità maravigliosa, senza rumori e senza proiettili, accompagnata solo da una mediocre quantità di fumo. Queste lave che sembravano dover durare lungamente e recare danni alle cam- pagne di Bosco, dopo una settimana cessarono per riapparire alla cima del monte d’onde erano quasi scomparse dopo che s'erano mostrate nel- l’atrio. Esaminai le fumarole allineate sulla fenditura, raccolsi le sublima- zioni prossime all'uscita delle lave e quelle che si mostravano sul corso delle medesime. Nel dì 24 marzo giorno del novilunio, l'incendio che sembrava volgere al suo termine si ravvivò, ma in sul finire del mese le lave sparirono del tutto, e ricomparvero ne’ giorni 6 e 7 aprile poco copiose, per mo- strarsi di nuovo dopo molti muggiti, nuovi proiettili e maggior copia di fumo nel dì 22 aprile tempo di altro novilunio. Se altro accadesse, avendo il cono un resto di attività per la quale l’incendio non può dirsi del tutto cessato, ne parlerò in un'appendice che seguirà la presente relazione. II. — Natura delle lave Le lave per la loro apparenza esterna possono distinguersi in due ge- neri senza tener conto delle loro varietà. Ce n’ha di quelle che scorrono pastose, a superficie unita, che s’induriscono senza rompersi, spesso ripie- gate e contorte in mille guise, e quando sonosi indurite sono nere alla superficie quasi fossero asperse di una vernice che talvolta ha uno splen- dore metallico non di rado iridescente. Queste per brevità le dirò lave senza scoria, non perchè la parte superiore non abbia numerose bolle e quindi sia meno densa e meno litoidea della parte sottoposta, ma per- chè veramente questa parte non si separa dalle rimanenti. L’altro genere è di quelle lave che nell’indurirsi si rompono come in tante zolle le quali ricoprono la parte pastosa e scorrevole; e quindi una lava di questo ge- af nere quando si vede scorrere alquanto lungi dalla sorgente sembra un aggregato di sassi più o meno roventi che cammina sul terreno: tra que- sli sassi spesso vedi scorrere delle sabbie incandescenti che sono minu- tissime scorie miste ad altre più grandi. Queste lave dovettero vedere i più antichi scrittori delle cose vesuviane quando ci parlarono di esse come di fiumi di arene incandescenti, mentre gli scrittori latini più ac- conciamente dissero pietre o sassi liquefatti le lave dell'Etna. Queste lave le dirò frammentarie. Esse spandono nel loro corso gran copia di fumo mentre quelle del primo genere fumano poco. In qualche momento l'immenso cumulo di scorie incoerenti non potendo più essere portato a galla dalla poca lava pastosa sottoposta, questa si vede venir fuori da sotto le scorie unita come quelle del primo genere, ma non è così nera ed è piena di asprezze che la distinguono. Taluni come il Serrao hanno creduto che le lave da principio siano tutte a superficie unita e poi diven- tino frammentarie allontanandosi dalla sorgente. Non vha dubbio che le lave nel venir fuori dalle bocche di eruzione sono come una pasta co- perta appena di una pellicola meno liquida e tuttavia pieghevole; ma questa in alcune ingrossandosi si spezza e si rompe in frantumi i quali rotolati si modificano, mentre altri se ne generano; e in altre che sono del primo genere, la pellicola non sì rompe, ma sì piega e si contorce sotto l’impeto della parte interna più calda e scorrevole, ancorchè per- corrano un lungo cammino. Le lave che nel 1855 dall’atrio del cavallo discesero nel fosso della vetrana ne’ primi 15 giorni erano frammentarie e per altri giorni furono senza scorie. Quelle del 1858 e 59 ad eguali distanze delle bocche sono or dell'una or dell'altra natura, sebbene le frammentarie siano poche a fronte delle altre. Le lave senza scorie pre- sentano nell’indurirsi poche fumarole, e se nel periodo di raffreddamen- to non si formassero molte fenditure dalle quali esce il fumo che viene dalle parti interne ancora incandescenti, le fumarole sarebbero anche più rare. Le lave frammentarie per contro non solo fumano più copiosa- mente quando scorrono, ma lasciano molte fumarole sopra i loro argini o murene che dir si vogliano, ed anche là dove si accumulano. Queste fumarole poi hanno una durata corrispondente alla profondità della loro comunicazione, e però le fumarole di lunghissima durata possono solo aversi sopra lave di enorme grossezza. Sulle lave del 1858 e 34 che col- marono il fosso grande, profondo oltre a cento metri, vi sono fumarole che serbano ancora una temperatura di 50°. sia Ho detto che le lave nel periodo di raffreddamento si fendono, ed al- lora aprendosi nuove comunicazioni tra la superficie della lava più o meno raffreddata e la parte interna molto incandescente, tu vedi il fuoco ed il fumo apparire dove più non ci era, e nascere ben presto copiose su- blimazioni agli orli delle nuove fumarole. Ecco perchè le fumarole, an- che quando non siano sulle murene delle lave, son quasi sempre allineate indicando la direzione della fenditura. Nelle lave a superficie unita le fenditure sono visibili, ma in quelle frammentarie se si fende la parte inferiore litoidea e compatta, la fenditura non sempre si discerne per la grande quantità di scorie onde resta coperta. Le lave dunque di questa eruzione sono state tutte frammentarie, salvo qualche piccola corrente sbucata di sotto alle scorie che s'è indurita senza spezzarsi, forse perchè si è tosto fermata. Esaminando i frammenti di queste lave si trovano generalmente nell'interno molto compatti, di colore oscuro con piccolissime e rare leuciti, e quasi privi di pirosseni. Esteriormente però questi brani hanno comunemente un colore gialliccio o verdastro, e spesso son misti ad una specie di sabbia del medesimo co- lore: il peso specifico varia da un pezzo all’altro di una medesima lava, per modo che ne ho trovata di quella che mi ha dato 2,50, ed altra 2,82. Il Prof. Silvestri ha trovato per minimo 2,467 e per massimo 2,818. L’analisi della lava compatta ha dato al valente chimico citato i risul- tamenti qui appresso notati : Silecenu io ti generi tor 3885888 Alluminarificae atta lulebsnati ivo. 04 Ino 44427 Calcetto a ei drolattorilhon sì 41100 475698 Profossido)di.ferto, fu0dn v:.0% 3000.0205, 42;698 Protossido di manganese. . . . . . 0,010 Monsanto enti aesiolbalehz za 3390) Sedai ndr ciapizyinil chi sè A 40,000 Bolassatenalrggrinetalisa coodidge dugizon 1,190 Acido solforico, acido titanico, rame. . tracce eguale sboransiieo a:ddob.012 2,063 100,007 Questi risullamenti furono comunicati all'Istituto di Francia per mezzo Atti — Vol. IV.— N01 2 AD del signor Carlo Deville nella tornata del dì 80 marzo; ma in una let- tera che il Silvestri mi spediva da Catania in data del 2 febbrajo era indicata la seguente analisi della lava compatta, la quale presenta alcune piccole differenze. Acido:silicicontit ari 90 4h Au sua dpr 88888 Calce: n grattata 698 Alltimina»n e a/sa sue toe Api AAA A 247 Protossido:-diferron catari atea ea 2:6098 -- diwmnanganese ata: 0,010 Magnesia:=x/pt sa cate pra anita 3,999 Potassa scuanò ste catestà atua atta 1,190 Soda. as iatale data ipa n000 Sesquiossido di. Temnor: Kia ei AA FICA Acido: fosforico: 100. sian ada 0,000 Acqua cita drenata ade 2,063 100,007 Quando il dotto Professore dell’ Università di Catania ebbe la cortesia di parteciparmi questo risullamento della sua analisi, io gli feci notare che il rame dovea certamente trovarsi nella lava, perocchè si trovava la tenorite sublimata sulle fumarole; per cui fatte, io credo, nuove indagini apparvero le tracce di acido titanico e di rame di cui non era fatta men- zione nella relazione della prima analisi. Del rimariente tutte le analisi delle lave fatte da parecchi chimici e geologi espertissimi dànno presso a poco i medesimi elementi notati dal Silvestri: tra poco avremo il compimento di un lavoro del Prof. Fuchs di Heidelberg il quale si è data la pena di fare l’analisi delle lave del Ve- suvio appartenenti a tutte l’eruzioni; ma finora non vi veggo notato il ra- me che in varie combinazioni si trova sulle fumarole e specialmente come tenorite. Nè io mi maraviglio solo del rame, ma eziandio del piombo e di altri corpi che senza dubbio entrano nella composizione della lava, perocchè si raccolgono sulle fumarole. La cotunnia che prima erasi raccolta presso le bocche di eruzione, la trovai abbondante sulle fumarole del 1855, e non è mancata su quelle dell'ultimo incendio; ed intanto il piombo non figura tra i componenti — 1 delle lave nelle analisi fatte finora. Che diremo dello zolfo che in forma di acido solforoso esce in gran copia da' coni di eruzione e dalle fuma- role delle lave, seguìto per lo più dall’idrogeno solforato, per manifestarsi finalmente solfo puro e cristallizzato? Io oso dire che la natura col ma- gisterio delle fumarole ci dà de’ saggi qualitativi de’ quali uopo è tener conto quando si voglia interpretare la vera composizione delle lave; ecco perchè rispettando i lavori analitici finora eseguiti, vorrei che altri se ne facessero con diverso indirizzo. IN — Fumarole Le indagini sulle fumarole hanno in peculiar modo attirata la mia at- tenzione, perocchè il loro studio accurato conduce alla intelligenza della natura e dell'origine de’ vulcani. Distinguerò per alcuni rispetti le fuma- role che si manifestano sulle lave da quelle che si trovano in vicinanza de’ crateri. A questi due generi se ne può aggiungere un terzo che direi di fumarole apparenti, imperciocchè quando le lave si formano de’ cunicoli fabbricati di scorie e camminano per essi scorrendo come acqua per doc- cia, spesso interviene di vedere copioso fumo uscire per qualche fendi- tura o spiraglio che si trova nelle pareti del cunicolo. In tutte queste fu- marole è importante vedere quali siano i prodotti che si possono racco- gliere a stato aeriforme o a stato solido per sublimazione. Fumarole delle lave. Le lave frammentarie presentano sempre, sic- come di sopra è detto, un gran numero di fumarole, prima sulle murene e poscia sulla superficie della lava che si arresta; coteste fumarole hanno varia durata, perocchè ce n’ha di quelle che dopo un giorno spariscono e di quelle che durano settimane, mesi ed anni. Le fumarole di lunga durata non si possono avere ove le lave non abbiano una grande altezza. Nell’incendio di cui parliamo le fumarole sono state numerose, ma sic- come le lave non sono state di gran mole, nè si sono in copia accumulate in uno stesso luogo, avendo preso varie direzioni, così poche hanno supe- rato un mese di loro attività, sebbene parecchie serbino ancora una tem- peratura alquanto elevata. Le fumarole delle lave si discernono non solo dal fumo che esce da- gli spiragli o crepacci della lava già ferma ed indurita, ma eziandio dalle sublimazioni bianche o colorate che circondano que’ centri di ca- lore che si mostrano sulle lave in via di raffreddamento o presso a’ cra- » = ae dl teri. Ma ci ha talora delle fumarole ricche di sublimazioni e quasi prive di fumo, ove per distillazione non sì raccoglie la benchè minima goccia di acqua, e son queste che il Deville chiama fumarole secche. Altre ce n'ha che dando copioso fumo, son prive di sublimazioni e queste le di- cono fumarole acquee. Restringendomi a discorrere delle fumarole apparse sulle lave della presente conflagrazione vesuviana, dirò che esse hanno presentato molta somiglianza. Da principio tutte hanno mostrato sublimazioni bianche di cloruro sodico solo o misto ad ossido di rame il quale talvolta come una polvere nera sporcava il sal comune, e talvolta in pagliette lucide for- mava una prima sublimazione di tenorite sulla quale si appoggiavano. i minuti cristalli di cloruro sodico. In questo primo periodo il fumo non dava reazioni nè acide nè alcaline e l’aria che in esse si raccoglieva era la più povera di ossigeno, perocchè in un saggio ho avuto Azoto. a. cantoria Va Bere ESD Ossigenos le ni or linbza pria 1 429 100,00 In'un'altro azoto 2040 86740) Ossigeno Gite MIRA EE RAR 9:00 100,00 Nelle fumarole a cloruro sodico senza ossido di rame si trova l'ossigeno meno scarso, di modo che da saggi fatti risulta per medio Az0t0 4 FAI 665 RE NARA 830 Ossigeno Mean SR ALLA IE. A 10 100,00 Le fumarole da principio le ho trovate sempre neutre in tutti gl'in- cendi del Vesuvio da me studiati, e tale è anche il fumo che si emana dalle lave; ed in ciò le mie osservazioni son d'accordo con quelle di Carlo Deville e di Aristide Mouget; e se altri ha trovato debole aiar Bina acidità, ciò ha potuto derivare dalla vicinanza di altre fumarole giunte al periodo acido; ma anche quando si vogliano ritenere i dubbi e piccoli indizi di acidi nel fumo delle lave fluenti e nelle fumarole nel primo pe- riodo di loro attività, sarà sempre vero che il periodo di emanazioni acide viene più tardi. Passato un certo tempo, che non saprei definire, perchè non mi è pa- ruto sempre lo stesso in tutte le fumarole, si avvertiva l’odore dell'acido cloroidrico e poscia quello ancora più incomodo dell'acido solforoso, an- che senza bisogno di ricorrere alle carte probatorie. In questo periodo dove ci era ossido di rame le sublimazioni hanno cominciato a divenire gialle sparendo la tenorite nelle parti più esterne per convertirsi in clo- ruro di rame. Allora nelle parti più prossime alle scorie ancora incan- descenti si vedeva tuttavia il cloruro sodico sublimato insieme con la tenorite e nelle parti più esterne tutto era di colore giallo. Questo giallo era ranciato ed anche rossiccio verso le parti più centrali e degradandosi diveniva giallo canario, e finalmente nelle parti più remote, ed alquanto più tardi, si trasformava in verde gialliccio. Trasportate all'Osservatorio le scorie coperte da queste sublimazioni, il giallo rossiccio o ranciato diventava giallo chiaro e col tempo anche verdiccio, ma messe quelle sublimazioni non ancora inverdite sopra una lamina di platino ed esposte alla fiamma di una lampada riprendevano il colore rossiccio. Durante il periodo acido oltre ai cloruri si trovavano solfiti e solfati, e si aveano, oltre la soda, la potassa la magnesia e la calce. La materia gialla menata nell'acqua diveniva verdiccia e non era molto solubile: con le reazioni costanti del rame spessissimo si aveano quelle del pion- bo, ed in alcune ho trovato il cloruro di piombo cristallizzato (cotunnia). La cotunnia questa volta non è stata nè così bella nè così copiosa come nel 1855, ma ha presentato la varietà gialla. Sopra questa varietà aven- do fatti alcuni studi ho veduto che ce n’ha di quella che contiene rame e questa tenuta in luogo umido si fa verdiccia, ma ce n’ha dell’altra che non contiene rame e non muta colore come non l’ha mutato la si- mile che raccolsi nel 1855. Nel 1855 insieme con la cotunnia io trovai la tenorite che in alcuni siti parea che avesse voluto come la cotunnia cristallizzare in fiocchi acicolari, ma veduta con la lente, gli aghi erano vere laminette lunghe e non nere come la tenorite. Queste lavate più volte con acqua calda non erano punto solubili, ma attaccate dall'acido nitrico davano le rea- MAR zioni del rame e del piombo. Di questa sostanza ho appena ravvisata ora qualche traccia. Nel 1850 il professore Scacchi ed io cercammo nelle fumarole l'acido solforico e non lo trovammo, forse per mancanza di mezzi opportuni, ma ora in qualche fumarola presso la crocella, il coadiutore Franco ed 0 lo abbiamo trovato; imperocchè aspirando l’aria di questa fumarola e facendola passare per soluzione di cloruro di bario sì avea il noto preci- pitato di solfato di barite. E poichè nelle fumarole nelle quali non an- cora è giunto il periodo acido l’aria aspirata intorbida la soluzione di nitrato di argento pel cloruro sodico trasportato o a stato aeriforme, così non ho mancato di assicurarmì che la soluzione di cloruro di bario non era intorbidata da solfati che sì sogliono manifestare tra i prodotti delle sublimazioni. Quando le fumarole delle lave hanno avuto breve durata sonosi spen- te prima di arrivare al periodo acido e sono rimaste con le sublimazioni di cloruro sodico solo o unito ad ossido di rame senza colorarsi in giallo o in verde. Ho raccolto da queste fumarole il cloruro sodico con la te- norite e quantunque il primo fosse clero molto deliquescente perchè misto a cloruro di magnesio, pure non sì è mai inverdito; onde pare che se il cloruro sodico raccolto bianco sulle fumarole diviene talvolta verde, ciò deriva dalla presenza di. acidi liberi da’ quali il sale è inquinato. Nel periodo acido delle fumarole delle lave con le reazioni più co- piose de’ cloruri ho avuto quelle de’solfati, ed anche de’ solfiti, de’ quali non ricordo che altri abbia fatto menzione perchè forse non erano stati cercati. La esistenza de'solfiti fu dimostrata per le seguenti reazioni eseguite insieme col prof. Zinno. 1°Trattata la sostanza con acido solforico sì cl un sensibile svilup- po di acido solforoso, il quale fu avvertito pel suo caratteristico odore. 2° Trattata con acido cloridrico manifestò lo stesso sviluppo. 3° Trattata con cloruro di bario diè precipitato bianco il quale fu sciolto in parte nell’acido cloridrico, ciò che dimostra che il solo sol- fato baritico rimase insolubile ; 4° Trattata con acido nitrico e poi col cloruro di bario diè precipi- tato bianco non più solubile negli acidi. 5° Trattata la sua soluzione con carta ozonoscopica resa prima azzur- ra mercè l’acqua clorata, si scolorò perfettamente. Lo stesso si verificò versandone la soluzione sul ioduro di amido. — 15 — Tra le sublimazioni bianche prima del periodo acido ho qualche volta avuto le reazioni dell’ammoniaca anche quando la lava era passata sulle vecchie scorie. Altra volta trattenni l'Accademia intorno ad alcune su- blimazioni raccolte presso al cratere del Vesuvio nelle quali insieme al prof. de Luca ebbi le reazioni dell’ammoniaca e de’ fosfati, ed in altra occasione io la tenni informata del carbonato di ammoniaca rinvenuto in uno de’crateri del 1861 dopo due anni circa da che l'incendio era cessato. Per la qual cosa non è assolutamente vero quello che da miei predecessori si teneva come fatto ben rifermato che i prodotti ammo- niacali ed in ispecie il cloruro ammonico si producesse solo sulle lave che discendono nelle parti più basse del Vesuvio ad un livello inferiore all’atrio del cavallo. Ciò non pertanto può ritenersi che quando le lave invadon i terreni coltivati il sale ammoniaco non solo non manca, ma diviene copioso. Nella presente eruzione una sola volta la lava ha bru- ciato alberi rasente la collina de’canteroni, e tutte le fumarole corri- spondenti al lato ove la lava avea investito le selve di detta collina pre- sentavano sublimazioni alcaline ove le reazioni dell’ammoniaca erano più manifeste. La poca durata delle fumarole forse non ha permesso che si manife- stasse l'idrogeno solforato che in qualche giorno copioso si avvertiva nel fumo del cono di eruzione. Il cloruro di ferro come il ferro oligisto non sonosi manifestati sulle lave, ma sonosi solo mostrati presso alle bocche di eruzione. I prodotti delle fumarole io credo che si possano ridurre a quattro categorie. 1° Prodotti primitivi che escono direttamente dalla lava, come per esempio il vapore acqueo ed il cloruro sodico. 2° Prodotti secondari che nascono dalle reazioni de’ prodotti primitivi tra loro o tra questi e quelli della 8* categoria. 3° Prodotti mediati che derivano da prodotti primitivi o secondarî con gli agenti atmosferici, quale pare che sia il sale ammoniaco. 4° Prodotti derivativi che dipendono dall’azione de’ prodotti antece- denti sulla materia stessa delle lave, le quali scomponendosi all’azione degli acidi danno de’cloruri e de’ solfati diversi. Io avea sempre creduto che l’ossido di rame fosse un prodotto pri- mitivo come il cloruro sodico, vedendoli spesso sublimare insieme ed avendoli più volte raccolti sotto campane di vetro messe sulle fumaro- We le; ma la grande scarsezza di ossigeno nelle fumarole ove si manifesta la tenorite m'induce a pensare che il rame si ossidi in presenza dell’aria; e tantoppiù mi persuado di ciò quando vedo la grande prontezza onde i fili di rame introdotti nelle fumarole si coprono di una crosta nera di ossido di rame. Che se alcuno mi obbieltasse che la temperatura di quelle fumarole non è sufficiente a volatilizzare il rame, io risponderò che la difficoltà non sì toglie anzi cresce per l’ossido di rame. Ma co- munque sia di ciò, il certo è che l’ossido di rame unito al sal comune non si altera senza la presenza degli acidi, e però che la colorazione delle sublimazioni si manifesta appunto nel periodo acido in cui si generano il solfato ed il cloruro di rame. Le sublimazioni bianche quasi sempre formate di cloruro sodico con piccola quantità di cloruro di potassio 0 di magnesio, anche arrivando al periodo acido non sì sono colorate ma hanno dato del solfato di calce. Le sublimazioni nericce composte dei cloruri antecedenti e di ossido di rame nel periodo acido divennero pri- ma gialle e poi verdicce. Le sublimazioni gialle erano molto solubili in acqua e col nitrato di argento davano il solito precipitato distintivo de’ cloruri. Il cloruro di bario poco o nulla turbava la limpidezza della soluzione, nella quale si scopriva la presenza del rame e del piombo in qualunque modo esplo- rati. Quando le sublimazioni divenivano verdicce pareano meno solu- bili, ed il Silvestri le definì per ossicloruro di rame, senza far motto del piombo che forse non incontrò. Ma avendo riesaminate queste su- blimazioni nel momento che scrivo cioè dopo circa quattro mesi da che le raccolsi, ho trovato che restano anche a caldo una parte insoluta nel- l’acqua, la quale attaccata dall’acido cloroidrico sì scioglie e contiene rame e piombo. Il rame intanto nella soluzione aquea è quasi sparito ri- manendovi il piombo, e questa soluzione s’ intorbida appena col cloruro di bario. Pare che il cloruro di piombo sia anch'esso preceduto dall’ossido di piombo, siccome risulta da qualche saggio che feci sulle scorie delle fumarole dove mi parve vedere la presenza dell’ossido di piombo, ma aspetto nuova occasione per rifermare il fatto. Se sulle fumarole delle lave si è prodotto in preferenza cloruro di ra- me con tracce forse di solfato, vedremo sulle fumarole prossime alle bocche di eruzione predominare il solfato. Il cloruro di ferro tanto comune nelle fumarole delle lave delle gran- msi [7 di eruzioni, questa volta non si è affatto osservato, e le diverse grada- zioni gialle del cloruro di rame avrebbero fatto credere alla presenza del cloruro di ferro, se i saggi analitici non avessero provato il contra- rio. Il cloruro di ferro è stato copioso sulla cima del cono vesuviano e presso l'uscita della lava dalla fenditura apertasi nell'atrio sopra i co- gnoli di Bosco: parlerò di questo discorrendo delle fumarole prossime alle bocche di eruzione ; solo conviene osservare che il cloruro di ferro spesso è un prodotto derivativo generato cioè dall'azione dell'acido clo- roidrico sulle scorie; or la poca durata delle fumarole di questo incen- dio non ha potuto dar luogo alla generazione di questo prodotto deri- vativo. L’acido carbonico che in grande abbondanza vedremo svolto dalle fu- marole prossime alle bocche di eruzione, non l’ho trovato mai con cer- tezza nelle fumarole delle lave. Fumarole prossime alle bocche di eruzione. Se le fumarole delle lave hanno presentata grande uniformità, molto varie e diverse sonosi mostrate quelle prossime alle bocche di eruzione, tanto sulla cima del monte presso agli sbocchi delle lave, quando nell'atrio dove si aprì la fenditura, della quale di sopra è detto, con uscita di lava alquanto co- piosa che durò per circa $ giorni. Cominciando dalla cima del monte distinguerò l’emanazioni aerifor- mi dalle sublimazioni che si raccoglievano a stato solido. Quasi tutte queste fumarole davano vapore aqueo e le più vaporose non erano le più calde nè le più acide, ma quasi tutte dalla più elevata alla più bassa temperatura presentavano grandissima copia di acido carbonico per fino quelle che ho dette apparenti ch’erano spiragli sul corso della lava pros- sima alla sua uscita dal cono. Questa grande profusione di acido carbonico anche nel forte dell’ e- ruzione associato perfino con gli acidi più energici come l'acido cloroi- drico e l'acido solforoso, ed alle temperature le più elevate, è un fatto del tutto nuovo o pure la prima volta bene osservato ; imperciocchè il Professor Deville avea fin dal 1855 notata sul Vesuvio qualche fuma- rola ad acido carbonico, ma queste erano delle fumarole antiche illan- guidite e che sembravano pervenute allo stadio di mofete, come spesso se ne trovano meno languide che sono nel periodo delle solfatare; ma l'acido carbonico presso all'uscita delle lave, là dove l’attività vulcanica è in grado elevatissimo, non pare che sia stato avvertito. La presenza Atti — Vol. IV. N91 3 MO (e degli acidi più energici sarà stata la cagione di non far riconoscere quella dell’acido carbonico, che indarno ho cercalo sulle fumarole delle lave, sia direttamente, sia incaricandone il coadiutore signor Franco, cui fin dal principio dell'incendio raccomandai di volgere la sua attenzione a questo genere d’indagini. Non dirò da quali motivi io fossi indotto a dubitare della universale credenza che l'acido carbonico si affacci alla fine delle grandi conflagrazioni vesuviane sempre verso le falde del mon- te, bastando avvertire che nel 1861 io trovai delle mofete ad un livello superiore a quello delle bocche di eruzione. Sarà probabile che l’acido carbonico sia l’ultimo a sparire dalle fumarole de’ crateri e che ne'luo- ghi più remoti dal focolare vulcanico esca solo. Nel 1861 entro Torre del Greco ci erano fumarole di temperatura alquanto elevata con isvolgimento d’idrogeno solforato ed acido carbonico , ma dopo 8 mesi il primo era sparito ed il secondo sussisteva. Oltre l'acido carbonico ed il vapore aqueo si è avvertito in copia l'acido cloroidrico e l'acido solforoso, ma finora l'idrogeno solforato non si è manifestato nelle fumarole, e solo qualche volta è uscito copioso col fumo dalla cima del cono di eruzione. Sul corso di una delle lave vidi qualche fumarola secca con copiosa su- blimazione di cloruro sodico e tenorite. In tutte queste fumarole l’ossi- geno si trova sempre meno di quello che dovrebbe essere, ma non mai così scarso come in quelle delle lave dove si sublima l’ossido di rame. Venendo ora alle sublimazioni di coteste fumarole dirò chele medesime hanno presentato una grande varietà di prodotti. Qui il solfato di rame è stato assai più comune del cloruro e presentava talvolta il colore azurro e. talvolta è di un belverde che lo farebbe credere unossicloruro: Làdove ho raccolto il solfato di rame vi era grande svolgimento di acido solforoso e prima della sua apparizione eravi la tenorite, onde pare che il cloruro come il solfato di rame succedano alla tenorite che precede l'apparizione degli acidi, onde in qualche fumarola secca e senz’acidi che nella fine di aprile ancora sussisteva sul cono in un sito per lo quale un mese prima era uscita la lava, eravi la tenorite col cloruro sodico senza colorazione di sorta. Le incrostazioni di un verde carico bellissimo e che ho detto solfato di rame verde, contengono anche piombo in abbondanza onde si compongono di solfato di rame e di solfato di piombo. Esse si solvono in acqua e la soluzione è azurra come azurre diventano le stesse incro- stazioni prima che finiscano di sciogliersi. Il colore di queste incrosta- zioni è simile a quello di alcune sublimazioni che col prof. Scacchi LO raccogliemmo nel 1865 e che rividi nell'incendio del 1861, ma quelle invece di presentare delle incrostazioni erano disposte in bernoccoletti da sembrare muschi vegetanti sulle scorie, e fu trovato ch’erano un sol- fato basico. Le sublimazioni dunque di questo genere che nelle colle- zioni vesuviane figurano col nome di atacamite sono solfati di rame; nimium ne crede colori. Il solfato di rame azurro poi ha un colore sbia- dato e sciogliendosi in acqua lascia un deposito bianco ch'è solfato di calce e di piombo le cui reazioni si hanno anche nella soluzione. Il cloruro di ferro si è mostrato piuttosto abbondante e spesso copriva di giallo larghe superficie. Anche il ferro oligisto, perfino ottaedrico, ho raccolto in alcuni siti, e sebbene questo generalmente si faccia derivare dal sesquicloruro, pure dopo di aver dimostrato che l’ossido di rame pre- cede ilcloruro ed il solfato, potrebbe anche darsiche accadesselo stesso pel ferro, ma per ora può solo dirsi con certezza che il cloruro di ferro spesso è un prodotto derivativoche proviene dall'azione dell’acido cloridrico sulle lave, ed aggiungo che quando l’acido cloroidrico viene mancando, il se- squicloruro di ferro scomponendosi lascia una polvere rossa e non mai il ferro oligisto. Ho raccolto de'saggi di ferro oligisto rosso di rame ed in questo ho avute le reazioni del titanio. Il titanio come sesquiossido è stato trovato dal prof. Silvestro Zinno in alcuni fiocchetti rossi che spargevano fuori di un rivestimento giallo verdiccio di aleune scorie che coprivano il corso di una lava. Egli pubblicherà il risultamento dell’ analisi di que- sta sostanza che io consegnai a lui affinchè l'avesse studiata, perchè mi parve avere un aspetto singolare, ed infatti egli avrebbe trovato contenere ossido rosso di manganese, sesquiossido di titanio, e quello che più merita attenzione lo stagno ed il cromo. Negativi sono stati i risultamenti pel fosforo, pel iodo, pel fluore, e pel selenio, quantunque altre volte avessi trovato i fiori di selenio, e qual- che fosfato. Ci ha poi certe mescolanze dove non è agevole sceverare tutti gli elementi. Allo sbocco di una delle due lave uscite dalla base del cono di eruzione il dì 22 aprile usciva copioso fumo di color giallo rossiccio e le scorie che formavano l’orifizio di scolo della lava erano coperte di un velo al- quanto sottile di materia di un colore gialliccio tendente al roseo; raccol- te alcune di queste scorie e trasportate all’ Osservatorio le sublimazioni che le coprivano sembravano in gran parte dileguarsi perdendo la viva- Li RIORA >) 202 cità del loro colorito. Non potendo distaccare siffatte materie dalle sco- rie, convenne lavare queste con acqua distillataed esaminare la soluzione. Il prof. Zinno pregato da me a farvi de’saggi mentre io andava in con- tinue peregrinazioni, trovò nella soluzione le consuete reazioni de’ cloruri e de'solfati e si assicurò dell’esistenza del sodio, del magnesio, del cal- cio, dell'alluminio e del manganese. Portate più tardi altre scorie simili nel laboratorio di chimica della nostra Università, ripresi la disamina di quelle sublimazioni incompagnia del prof. Ubaldini, e mentre rifermavamo la esistenza degli elementi trovati dal Zinno vi scoprimmo anche la presenza del rame. Lavando quelle scorie con acqua distillata vedemmo che la materia rossiccia che ricopriva le medesime restava in parte sospesa nel liquido e lentamente dava giù nel fondo del vase; onde il liquore filtrato rimanea senza colore e sì avea sul filtro la parte insolubile di colore rossiccio. Una parte della soluzione tirata a secchezza dava una materia cristal- lina di colore giallo, la quale messa in un cannello da saggio e forte- mente riscaldata si fondea dando un anello di sublimazione in cui non si ravvisava il rame. La parte insolubile si sciolse nell'acqua regia e ci presentò con gli opportuni riscontri il manganese, il rame, ed il ferro. Il manganese l'ho incontrato in molte altre produzioni spesso associato al ferro ed al titanio. Riscaldate le scoriette coperte della sostanza in parola messe in un can- nello da saggio si vedevano vapori bianchi e si sublimava del cloruro di ferro che proveniva forse dalle scorie. Sarebbe stato importante distillare il famo, ma non era possibile pel calore altissimo della lava che usciva e per l'acido solforoso che impe- diva il respiro. Quel colore giallo rossiccio del fumo che qui si vedea era molto simile a quello che spesso si vede nelle ripiegature de’ globi di fumo che si elevano da coni di eruzione. Questo colore parea potesse derivare dal cloruro di ferro, ma la scarsezza di questo sulle scorie di cui si parla non dà alcun sostegno all’anzidetta ipotesi. E ciocchè la rende del tutto infondata è l’altro fatto dell'uscita della lava alla base del cono nell'atrio di Bosco. Quivi la lava usciva in un modo del tutto simile col fumo bianco, ed intanto le scorie erano coperte di enorme quantità di cloruro di ferro che deponevasi sopra di esse per vera sublimazione, anche a distanze molto grandi dall'uscita della lava, ed avendomi il vento permesso di potere aspirare il fumo facendolo insieme con l’aria aa ni passare per acqua distillata riconobbi nel liquore la presenza del cloruro di ferro. E poichè siamo discesi nell’ atrio diciamo qualche altra cosa degli studi fatti presso le bocche che quivi si manifestarono sulla fenditura dianzi descritta. Le indagini sull’ acido carbonico presso lo sbocco delle lave riusci- rono infruttuose tanto a me quanto al coadiutore signor Franco spe- cialmente incaricato ad esplorarlo, ma potrebbe darsi che la grande abbondanza degli acidi cloroidrico e solforoso abbiano impedito all’ a- cido carbonico di manifestarsi ne'saggi che tentammo; il certo è che al- lontanatomi dallo sbocco della lava seguendo la fenditura, in alcune fu- marole che davano copioso vapore aqueo, l'acido carbonico si manife- stava chiarissimo intorbidando prontamente l’acqua di calce. { saggi eseguiti sopra moltissimi altri prodotti delle fumarole prossi- me alle bocche di eruzione hanno dimostrato delle mescolanze di clo- ruri e solfati ne’ quali ricorrevano principalmente il ferro, il rame, il piombo, il manganese ed il titanio, oltre alla soda alla potassa ed alla calce. Non consacro un articolo apposito alla cenere, perchè per quando sia incerto il modo come essa si genera, la sua composizione non diffe- risce da quella delle lave, siccome risulta da parecchie analisi fatte in diverse occasioni, e da quella del Zinno sulle ceneri della presente eruzione. Le ceneri vesuviane di cui conservo all’ Osservatorio una col- lezione, differiscono pel colorito e per la finezza de’granelli; quando sono a granelli alquanto grossi hanno un colore oscuro e le chiamano arene, perocchè il nome di cenere si è dato alle polveri impalpabili le quali hanno una tinta più sbiadata e sono anche talvolta rossicce. Un’al- tra differenza si può notare fra le diverse ceneri ed è la natura e la copia delle sostanze solubili che le accompagnano. Sotto questo aspetto l’analisi va fatta volta per volta, perchè essa rivela parecchie sostanze che accompagnavano il fumo quando spingeva fuori la cenere. E vera- mente ho visto la cenere talvolta manifestarsi umida pe’cloruri deli- quescenti di cui abbondava, ed altre volte conservasi arida e presentare al microscopio minutissimi cristalli di colori diversi. Nelle ceneri del 1858 e 59 trovai nella parte solubile molti cloruri e solfati ne’ quali si aveano le reazioni della soda, della calce, del magnesio, del ferro, del rame e anche del piombo. Ho visto molte volte la cenere divenire bian- one ca sul cono vesuviano quando rimaneva esposta a’raggi del sole, e quel bianco era una fioritura cristallina di cloruro sodico. Per la qual cosa quando lo storico dell'incendio del 1660, che io ho scoperto essere il P. Supo, dice che in quel tempo cadde copiosa cenere che talvolta era bianca sul cono vesuviano, io credo si debba conchiudere che quella cenere fosse ricca di cloruro sodico, tanto più che lo scrittore non dice di averla osservata da vicino, ma o dalla sua finestra o dalla masseria a S. Sossio. Le ceneri che questa volta sono venute fuori dal cono di eruzione sono state scarse ma frequenti, e pochi sono stali i giorni in cui non siano apparsi replicati buffi di fumo bigio che trasportava sabbie più o meno sottili. Le prime ebbero una grana non molto fina ma di maravigliosa uniformità, ce ne furono più grossolane con grana difforme ch’erano veri detriti di scorie, e ne raccolsi finalmente di quelle sottili e di co- lore cinereo, ma tutte si sono conservate asciutte quantunque conten- gano de’cloruri e solfati solubili, ma non deliquescenti. I geologi non troveranno senza importanza il vedere delle grandi masse di lava compalta sulla cima del cono vesuviano con una inclina- zione di oltre a 30°. Dopo di avere molle volte parlato della temperatura delle lave non che della loro velocità, non credo necessario ritornare su questo argo- mento. Ne’ casi in cui è dato poter misurare la temperatura della lava a stato pastoso è difficile trovarla superiore a 1000°; in quanto alla ve- locità poi essa è così varia al variare di tante condizioni che la modifi- cano, che partendo dalla massima che di raro supera un metro a mi- nuto secondo, possonsi avere tutte le gradazioni fino a trovare opportu- na la frase di pigri flutti usata da’ poeti che descrissero le lave del 1631, le quali veramente non furono tanto pigre, perchè in poco tempo giun- sero al mare. IV. — Insetti sulla cima del Vesuvio Il Covelli fu il primo a notare come in alcune termantidi del Vesuvio si raccogliesse talvolta gran numero d’insetti, 0. G. Costa più tardi ritornò su questo argomento descrivendo le specie da lui incontrate. Fin da’ primi anni in cui cominciai a frequentare il Vesuvio stimai ne- cessario chiamare l’attenzione de’naturalisti sul fatto di straordinario io numero d’insetti che accorrono in alcune fumarole a temperature tanto elevate da dovervi morire. Perchè domandava io quegl’insetti di spe- cie e generi diversi corrono dalle campagne circostanti al vulcano o dalle più basse regioni del monte a cercare la morte in alcune fuma- role d'onde per lo più emana acido solforoso? E perchè a pari tempe- ratura alcune fumarole contengono migliaia d’insetti ed altre ne sono prive? Perchè niente di simile si avvera sulle fumarole delle lave che discendono ne’luoghi più prossimi a quelli dove tali insetti sogliono vi- vere? In occasione dell’incendio del 1855 suscitai qualche altra qui- stione relativa al medesimo argomento, per cui il nostro valoroso ento- mologo prof. Achille Costa fu spinto a venire al Vesuvio a studiare il fenomeno, ed il suo lavoro fu inserito nella relazione di quell’incen- dio pubblicata per cura dell’Accademia delle Scienze. Qualche altro la- voro fu fatto più tardi sopra esemplari da me raccolti e dati allo stesso professore per compiere almeno la fauna della cima del Vesuvio, e que- sti lavori si trovano negli Annali dell' Osservatorio vesuviano. Ciò non pertanto io credo che resti ancor molto da fare per poter rispondere alle domande qui sopra riferite. Prima di tutto non in ogni anno visi- tando le fumarole alla cima del Vesuvio ne’ mesi di primavera ti acca- drà di osservare il fenomeno, nè sempre che questo si avvera troverai le stesse specie. Questa volta non ho trovata sul cono alcuna di quelle spe- cie altre volte tanto comuni, come la coccinella septempunctata, la cri- somela populi ec., ed ho invece veduto sciami di altri insetti che vola- vano e si posavano sulle scorie in una sola regione verso mezzodì dove il suolo era tutto tapezzato di sublimazioni di vario colore e da cui ema- na copioso vapore aqueo con acido cloroidrico e solforoso. Vedrò se que- st'insetti vadano più tardi a raccogliersi e morire in qualche fumarola più gradita. V.—Indicazione degli strumenti collocati all'Osservatorio Da tutte le persone intelligenti mi viene quasi sempre fatta questa domanda. Ci sono segni da’quali si possa prevedere una conflagrazione vesuviana? Nell’ esporre il frutto delle proprie investigazioni non par- lerò de’ segni o nulli o incostanti de’quali parlarono tante volte i nostri maggiori, come per esempio il dominio di certi venti, la prolungata mancanza di piogge, il disseccarsi de’ pozzi ec. BROS DOS Quello che pare meno dubbio è che quando le fumarole in cima del monte acquistano più elevata temperatura con fumo ed acidi più co- piosi, e qualche fenditura o avvallamento si mostra al sommo del cono, sì può essere quasi certo che un incendio si prepara; ma può darsi che l'eruzione sia del tutto eccentrica, ed allora i segni sul cratere potreb- bero mancare. Vediamo ora che dicono gli strumenti collocati alla distanza in linea retta dal vertice del cono di circa 2800 metri misurata per mezzo delle detonazioni che si udivano dall’Osservatorio. Gli strumenti che hanno finora dimostrato avere un’attenenza immediata con le azioni sotterra- nee del vulcano sono due; l'apparecchio di variazione di Lamont ed il mio sismografo elettromagnetico. Il primo è una maniera di magne- tometro del genere di quelli del Gauss ad aghi molto leggieri ordinato a rendere visibili le variazioni de’tre elementi del magnetismo terre- stre e quindi a far discernere le perturbazioni dalle quali potrebbero i medesimi essere affetti. Vuolsi dunque sapere che prima che un incen- dio si dichiari l'andamento ordinario di quell’istrumento si altera per modo che tu vedi le tre scale più o meno agitate da vibrazioni verticali ed orizzontali che continuano dopo che l’incendio si è manifestato indi- candone esattamente le fasi. Si potrebbe domandare se quelle agitazioni derivino da vibrazioni del suolo e siano pure azioni meccaniche o siano perturbazioni dinami- che, cioè vere procelle magnetiche. Che coteste agitazioni siano per la maggior parte meccaniche lo dirà tra poco il sismografo il quale dimo- stra che in quel tempo il suolo è inquieto, ma pare che insieme a quelle agitazioni ci siano spesso delle vere perturbazioni: parecchie volte alcu- na, delle tre scale esce fuori del campo del proprio cannocchiale per ri- tornarvi dopo qualche giorno. Ho immaginato un apparecchio di con- fronto che possa far discernere queste due maniere di azioni, ma non è stato ancora eseguito. Il sismografo elettromagnetico è ordinato a rendere palesi i più pic- coli moti nel suolo registrandoli sulla carta ed indicandone la direzio- ne, la intensità e la durata. Questo apparecchio dimostra che il suolo si agita alcuni giorni prima che l'incendio si appalesi, e mai non resta in quiete fino a che l’incendio dura. Il sismografo come l'apparecchio di variazione sono sempre in maggiore agitazione prima dell'uscita di nuove lave, e quando queste copiose scorrono essi sono meno inquieti. RDRI- Il sismografo ha sull’apparecchio di variazione il vantaggio di registrare le osservazioni, ma nel rimanente essi vanno quasi sempre di accordo. Ora il sismografo all'Osservatorio vesuviano non solo si agita poco prima che un incendio si dichiari, ma eziandio per terremoti che acca- dono altrove, o per conflagrazioni di altri vulcani; conviene dunque ve- dere se ci sia modo per distinguere questi segni. Quante volte è accaduto un terremoto alquanto forte in queste pro- vince meridionali d’Italia, sempre il sismografo all'Osservatorio vesu- viano ha registrato da qualche giorno innanzi una ricorrenza di piccole scosse le quali sonosi per parecchi giorni ripetute. Alcune di queste possono dirsi propagate dalla regione ove trovasi il centro del terremo- to, ma quelle che questo terremoto precedono ed altre che non coinci- dono in tempo, non possono dirsì una semplice propagazione di moto. Nel forte terremoto di Basilicata del 1857 si aveano al Vesuvio registrate moltissime scosse, delle quali alcune coincidevano con quelle di Basi- licata ed altre no: onde le gazzette annunziavano scosse in Basilicata che il sismografo vesuviano non registrava, e per contro questo ne se- gnava parecchie che in quella provincia non sì erano avvertite. Fenomeni del tutto simili a quelli di un terremoto lontano ho avuto dal Sismografo in due eruzioni dell'Etna accadute dopo il collocamento di questo apparato all'Osservatorio vesuviano; ma nel 1866 il sismografo era inquieto, senza che alcun forte terremoto si fosse appalesato nelle nostre province, e con pochissima ragione di sospettare che l'Etna, com- piuta appena una delle sue grandi conflagrazioni, volesse ridestarsi; per cui mi induceva a credere probabile un prossimo incendio del Vesuvio, quando leggo nelle gazzette che a Santorino s'era in modo maraviglioso ridestata l’attività di que’ vulcani sottomarini. Ma se riesce malagevole discernere i segni del terremoto da quelli di un incendio che si voglia manifestare in altro vulcano, con attente os- servazioni si potrà avere indizio di prossima conflagrazione del Vesuvio; imperocchè in questo caso il fremito del suolo appare continuo da’moti della spirale o elica dell'apparecchio e dalle altre parti dello strumento che rivelano all’ occhio dell'osservatore que’ moti del suolo ch'egli non avverte, e che il sismografo potrebbe anche registrare, se sì volesse, col rendere minori le distanze tra le punte di platino ed il mercurio. Allora anche il moto degli aghi dell’apparecchio di variazione diviene continuo; e poichè di tempo in tempo i tremori del suolo si rendono più vigorosi, Atti — Vol. IV.— N.° 1 4 La il sismografo gli registra con frequenza crescente. Quasi sempre un moto più forte accompagna il cominciamento dell’incendio o l’inizio di nuova fenditura nel cono; nè dopo che l’incendio si è dichiarato gli strumenti s'acquetano, anzi prendono vigore e ne indicano le fasi. Nell’incendio di cui sì parla ci furono de’ giorni in cui convenne togliere al sismografo la corrente elettrica perocchè avrebbe registrato un terremoto continuo; rendutolo poi meno squisito allontanando le punte di platino dal mer- curio feci in modo che segnasse soltanto le agitazioni più forti del suolo. Il moto era a quando a quando sussultorio e nel resto ondulatorio di- retto in generale da E ad 0. Questi moti del suolo continui che talvolta si traducevano in piccoli terremoti sensibili all'uomo mi fecero dire che non trovava proporzione tra le manifestazioni del vulcano e l'agitazione degli strumenti per cui presagil nuovo vigore, o per lo meno una lunga durata nell’incendio. Se oltre l’ Osservatorio si potesse avere intorno al vulcano un certo numero di stazioni ciascuna provveduta di un sismografo, sarebbe utile sapere se il suolo sia da per tutto egualmente commosso a pari distanza dal foco- lare vulcanico. Verso la fine di dicembre trovandomi nell’atrio di Bosco dove più tardi si aprì la fenditura della quale si è tenuto innanzi discorso, mi sentiva il suolo tremante sotto i piedi più di quello che si avvertiva all'Osservatorio , e ne’ primi giorni dell'incendio in Marigliano ed altri siti le scosse erano così sensibili che la popolazione uscì dalle case. An- che in Auletta si sentirono tre scosse molto forti dopo di quelle di Ma- rigliano. lo son di credere che il sismografo collocato nella regione corrispon- dente al centro di un terremoto si debba comportare come quello pros- mo ad un vulcano, e come quivi prenunzia i prossimi incendî, colà forse darebbe l’indizio di un grande terremoto mostrando le piccole agitazioni del suolo che precedono le grandi scosse; e così si darebbe ragione di quella curiosa virtù degli animali di prevedere pochi momenti prima i grandi convellimenti del suolo, che importerebbe di avere essi un sen- tire più squisito degli uomini. Il suolo ove è il centro del terremoto deve trovarsi in vibrazioni continue senza un momento di quiete perfetta, il che non deve accadere a’ paesi lontani dove possono solo propagarsi le scosse che abbiano una certa intensità. Ma lasciando questo argomento di per se stesso importantissimo, stimo ulile notare che il sismografo e l'apparecchio di variazione collocati nella Specola meteorologica del- ur ea l’Università hanno debolmente corrisposto con gli apparecchi simili col- locati all'Osservatorio vesuviano, avendo intervalli di riposo assai lun- ghi e pochi momenti di molto deboli agitazioni, il che concorda con le cose delte di sopra. L'apparecchio a conduttore mobile con l’elettrometro bifiliare potendo dare misure assolute e comparabili, ha creata la meteorologia elettrica, e già parecchi osservatorî italiani come quelli di Modena, Ancona, Mon- calieri ec., ne hanno fatto l'acquisto. Con questo apparecchio dall’Osser- vatorio vesuviano collocato all'altezza di 637 metri sul livello del mare circondato da vastissimo orizzonte e spesso immerso nelle nubi, fu age- vole quando il vulcano era in riposo scoprire le vere leggi che governa- no la elettricità atmosferica, e quindi fu possibile conoscere quali modi- ficazioni v inducesse l'attività di un incendio. Avendo esposto in altre occasioni e specialmente nella relazione dell'incendio del 1861 le leggi e le ragioni della elettricità che si svolge nelle conflagrazioni vesuviane, non credo necessario tornare su questo argomento, perocchè le osserva- zioni ora ripetute corrispondono con quelle già fatte, sebbene per non esserci stato un fumo molto copioso con cenere e lapilli in gran copia non s'abbiano potuto avere le belle manifestazioni del 1861. Resta sem- preppiù dimostrato che la elettricità è effetto e non causa de’ vulcanici accendimenti e che non può dare alcun segno precursore delle grandi eruttazioni del monte. VI. — Conclusioni che sì ricavano dallo studio dì questo incendio Quasi tutte le persone intelligenti mi hanno domandato se l’ incendio presente avesse offerto qualche particolarità importante. Io ho risposto che l’eruzioni sono come i rivolgimenti politici i quali tutti si rassomi- gliano, ma ciascuno è degno di essere studiato nella storia, non tanto pe'fatti particolari che lo distinguono quanto per la scoperta delle leggi generali onde tutti sono governati. Aggiungo ora che studiando attenta- mente i fenomeni di ogni eruzione si giunge a scoprire veramente che cosa hanno di comune e quali sono le qualità per cui si distinguono, ma quello che più importa di sapere è se vi siano alcune leggi generali la cui mercè si apre la via alla intelligenza della misteriosa origine de’vul- cani. Vuolsi poi avvertire che si possono scoprire fenomeni che quan- * — 298 — tunque generali sfuggirono alle indagini precedenti e quindi sono da re- putare nuovi solo per rispetto a noi: sotto questo aspetto dunque io voglio qui riassumere alcune particolarità osservate nella presente arsione del Vesuvio le quali ci conducono ad alcuni risultamenti generali. 1° Credo di aver dimostrato che il cloruro ed il solfato di rame deri- vano dall’ossido, che sempre li precede come prodotto primitivo o me- diato, e che cotesta trasformazione dell’ossido di rame in cloruro o sol- fato accade con l'apparizione degli acidi cloroidrico e solforoso. Avendo assistito personalmente a siffatte trasformazioni, ho ragione di tenere il fatto come perfettamente fermato. 2° La legge precedente e qualche osservazione particolare, inducono a pensare che accade lo stesso pel piombo che dallo stato di ossido cioè passi a quello di cloruro o di solfato, e fa nascere qualche dubbio sulla origine del ferro oligisto. 3° Il fumo delle lave fluenti e quello delle fumarole delle lave nel pri- mo periodo non è nè acido nè alcalino, ma ogni fumarola che abbia una certa durata passa per un periodo acido. 4° L'acido carbonico può accompagnare gli acidi più energici in vici- nanza delle bocche di eruzione e dare così delle fumarole-mofete anche ad altissime temperature, ma finora non sì è con sicurezza manifestato sulle fumarole delle lave. 5° Oltre al periodo diurno l'eruzione ha mostrato maggiore attività nel tempo delle sigizie. 6° Gli strumenti collocati all'Osservatorio vesuviano hanno dimostrato sempre più come il suolo cominci ad agitarsi prima che l’incendio si di- chiari e non torni in quiete se non quando esso sia del tutto cessato. Si direbbe finalmente che l'incendio finora descritto abbia presentato come suoi distintivi: 1° La copia grandissima di acido carbonico presso le bocche di eru- zione con la mancanza delle solite mofete alle falde del monte. 2° La frequenza del piombo quasi in tutte le sublimazioni tanto sulle lave che presso alle bocche. Il piombo fu scoperto la prima volta presso il cratere del 1822 e riveduto dal Prof. Scacchi nel 1841 sempre allo stato di cloruro. Nel 1855 lo trovai la prima volta ed in grande ab- bondanza sulle lave. Da quel tempo non ho mancato di cercarlo , e seb- bene come cloruro cristallizzato o cotunnia fosse piuttosto raro, pure più volte scoprii la presenza del piombo entro diverse sublimazioni verdi. 00) Potrebbe dunque darsi che la maggiore frequenza del piombo sia derivata dalla maggiore perseveranza con cui l'ho cercato. 3° Potrebbe anche notarsi le frequenza del manganese e del titanio, la presenza de’ solfiti con altre particolarità delle quali si è tenuto di- SCOrso. Appendice al $ I Quantunque l’incendio di sopra descritto sembrasse giunto al suo ter- mine con la fine di marzo, pure fino al giorno in cui va in torchio que- st'ultimo foglio della presente relazione (30 maggio) esso non è del tutto spento. Si è puntualmente rianimato alle figizie scemando alle quadra- ture. Tutta la sua attività si riduce a cupi muggiti in certe ore, a moderata quantità di fumo, ad alcuni proiettili ed a frequenti buffi di sabbia nera con qualche rivoletto di lava che di raro oltrepassa la metà del cono. Molti han fatto le maraviglie per la lunga durata di questa eruzione, ma la storia del Vesuvio dimostra che il fatto non è nuovo. Quello che a me pare degno di nota è la breve durata delle lave che uscirono nel- l’atrio di Bosco. Questo incendio, se togli i pochi alberetti bruciati alla base del colle de’ canteroni, non ha recato danno ad alcuno, ed ha giovato a molti per la gran folla di gente di tutte le nazioni accorsa a contemplarlo. Le lave che scendevano dalla cima del cono occuparono ben presto il sentiere per lo quale si saliva ed anche la sabbia che rendeva facile la discesa, onde il massimo numero de’ curiosi giungeva fino alle lave e pochi osa- vano tentare la salita del cono; ma con un sussidio avuto dalla Deputa- zione provinciale feci aprire un nuovo sentiere per lo quale moltissimi hanno potuto ascendere e visitare il cono di eruzione. Avendo il Prof. Schiavoni dall’uffizio di stato maggiore preso il profilo della cima del monte dopo l'incendio ed avendolo riferito ad altri profili presi in altri tempi, ho stimato utile fregiare questo lavoro con la figura che il Prof. Schiavoni ha presentata all'Accademia Pontania- na. Per l'avvenire penso giovarmi della fotografia per avere la storia figurata di tutti i cangiamenti di configurazione del cono vesuviano. SOL) mesa U?T° i ULI Nidza ELLA, + Wat] sE sea e di la ri an Ì _% pia. A i x - agata Del Era AE » ene et (CUR # Mecha Apt al Cioe a bg nii la ali di (ul MT J II “fi api PROFFILI DELLA VETTA VESUVIANA dal 1845 al 1868. ( 1868 WMO 2858. Lpoofie etinte convenzionali | ‘99 pa Piano di paragone 1007 sul livello del mare deala nutrica di 1a 3000 100 so 0 Co _ 200 se Mx poli 1668 Corpo di Stato Magg®” Nol: I, Ni oi ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SULLE FORME TERNARIE DI GRADO QUALUNQUE MEMORIA PRIMA DEL SOCIO ORDINARIO G. BATTAGLINI letta nell’ adunanza del dì 6 giugno 1868 Oggetto della presente memoria è la rappresentazione geometrica di alcuni tra gl’invarianti, 1 covarianti ed i contravarianti delle forme ter- narie di grado qualunque. A. Preliminari. Siano @, y, 3 ed X, Y, Z due sistemi di variabili; at- tribuendo ai rapporti #:y:< ed X:Y:Z tutti valori possibili, il loro in- sieme costituirà un sistema ternario (S, s). Rappresentazione del sistema ternario è il concetto del continuo nel quale si pongono le determinazioni c:y:3, ed X:Y:Z; ad ogni gruppo di queste determinazioni corrisponde nel continuo un elemento, che indicheremo generalmente con @ ed £; x,y, sono le coordinate di @, ed X, Y, Z quelle di Q. — Ponendo tra 2, y,z ed X,Y, Z la relazione lineare (1) Xr+Yy+Z2=0, per un sistema di valori attribuiti ad #:y:, o sia per un elemento @, tutti gli elementi Q che con le loro coordinate verificano l’equazione (1) si diranno appartenere ad @; e similmente per un sistema di valori at- tribuiti ad X:Y:Z, o sia per un elemento &, tutti gli elementi @ che con le loro coordinate verificano l’equazione (1) si diranno appartenere ad £Y. Adunque ogni equazione di 1° grado omogenea tra le variabili (X,Y,Z), o pure tra le variabili (2, y, 3), determina un elemento @ 0 Atti — Vol. IV. — N.° 3 1 Lao pure Q, ed i rapporti tra le sue coordinate sono quelli tra i coefficienti delle variabili nella proposta equazione. Due elementi Q, ed Q; appar- tenenti ad @ determinano questo elemento, e tra le sue coordinate si avranno le relazioni x Y 5 VIZZINI similmente due elementi @, ed @; appartenenti ad QX determinano questo elemento, e tra le sue coordinate si avranno le relazioni x Ve. di SMNZ GR Rit Elementi fondamentali del sistema (S,s) sono i tre elementi @, ed i tre elementi Q, determinati rispettivamente dalle equazioni X=0 = 0668Z=05 c=05 Elf 2,=0 per le coordinate dei quali si hanno quindi le relazioni u=%=05 2=#=0) e=4=05 YV_Z=0 A=A—0 X=Y=0. Due degli elementi fondamentali c o £2 appartengono ad un elemento fondamentale & 0 c. La più semplice rappresentazione geometrica del sistema ternario è data dalle forme geometriche fondamentali di 2° specie, cioè dal sistema dei piani e delle rette che passano per un punto, e dal sistema dei punti e delle rette che giacciono in un piano. Indicando con (@0,0,@,,Q,0,0,) una terna fondamentale nel sistema di rette e di piani concorrenti in un punto, si prenderanno per le coordinate 2, y, z di una retta @, o pure per le coordinate X, Y, Z di un piano £ del sistema, le espressioni 2 SOSIA, ter: __Senoa, 3 __Sen0g, seno,2, senw,9, seno,Q, o pure __SenL0, __senQo, __8senQ0, seno (seno seno in cui @£Y dinota generalmente l'angolo compreso tra la retta @ ed il Me piano £; saranno allora le coordinate di £2 o pure di @ espresse da X F Z x UDA de 6 DUE = - =. sar SA senoQ, senwQ, Senva, senLo, — sen Q0, — sen Lo, Similmente indicando con (Q, 0,0, , 0,0,6,) una terna fondamentale nel sistema di rette e di punti giacenti in un piano, si prenderanno per le coordinate X, Y, Z di una retta Q, o pure per le coordinate 2, y, 4 di un punto « del sistema, le espressioni X È Y E 0, 6 Az, I= RAS , 0pure = KOS) QQ, 0, Q. di (OO) ORLO (50) in cui Q@ dinota generalmente la distanza tra la retta @ ed il punto @; saranno allora le coordinate di e o pure di £Y espresse da L Y % X Y Z =——=-—, opue —=_—_= w Q oO, 09, Lo, 0, 0, I Forma ternaria pura di grado y è un polinomio omogeneo e di grado y rispetto alle variabili 2, y, %# 0 X, Y, Z. Prenderemo per una tale forma le espressioni P29900 = K(a PECE, U Zon 13. EVA Li (2,B,9)x" y , PRI O VORREI VOTO i SAAZIE estendendo il simbolo Y a tutte le partizioni («, 8,y) di y, ed indicando con K o k, affetto dal simbolo stesso («,8,y) della partizione, il coeffi- ciente del termine corrispondente di U o di wu. Adopreremo ordinariamente per indicare le forme ternarie U ed « le notazioni U=(Ax-+By+ C2)=(4,B, 0),(e,4,3), u(cX_eiF+eZ),=(0,b,e)(X.Y:2), intendendo che dopo losviluppo della potenza y”° deltrinomio Ax+By+Cz, o pure del trinomio aX+bY-+-cZ, gli esponenti di A,B,C o di a, d,c si mutino in indici, e si riguardino A,,B;,C,, 0 pure @,,03,6, come om- * e e! bre che abbiano un significato di quantità solamente nelle combinazioni AxBgC,, axb;c, corrispondenti alle diverse partizioni (x,£,y) di y, es- sendo allora A, B;C, o pure ade, eguali ai coefficienti K(a, 8,7) di U, o pure &4(a,8,7) di «, che corrispondono alle medesime partizioni. L'equazione U=0, 0 «=°0, con i diversi valori dei rapporti @:y:4, o pure X:Y:Z, che la verificano determina una serie d’infiniti elementi e 0 £ del sistema lernario; il sistema S, 0 sy di grado v degli elementi @ o Q sarà la rappresentazione della forma U o u. Si diranno ancora gli elementi @ ed Q di S, ed s, gli elementi di U e di u. Se le forme U ed u si decompongono in fattori, ciascuno di essi de- terminerà un sistema di elementi @ o €, che fa parte di S, o s,; in tal caso S, ed s, si diranno sistemi composti di grado v, in opposizione al caso generale in cui quei sistemi si diranno semplici. Se i fattori in cui si decompongono U ed sono tutti di primo grado, la rappresentazione di quelle forme sarà costituita da y sistemi di ele- menti e 0 Q appartenenti ad un gruppo di y elementi £ 0 @; indicando questi gruppi con (Q,,0,...0,...0,) ed (0,,0,...0;...0,) potrà sup- porsi U=(X,c+-Y,y+Z,2(X.x+Y,y+Z,%)...(X,x+Y,y+Z;2)...(Xxa+Y,y+Z,2) , u=(x,X+y,Y+2,Z)(r,X+y,Y+2,2)...(c,A+y,Y+,Z)...(&X+yY+2,Z) , e sarà allora °D a VIRA CIO 5 == Y(I°X. ANTICAZA si 1.2...aY1.2...BX1.2 ECO OR 4 LAO d ; a, bp €, cane x(n x..11°y..° 2), estendendo le somme Y a tutt'i prodotti delle combinazioni II”, 1%, I, corrispondenti alle diverse partizioni (x, 8, y) di y, di 4 tra le X, o &,, di Btrale Yo y,, e diytrale Z; 0 <,, supponendo però che le combinazioni delle X., Y., Z,, 0 pure delle &;, y,, #,, che si moltiplicano tra loro siano complementari, cioè tali che gl’indici delle X, Y,Z, o pure delle 2,y,4, siano diversi tra loro. Se un polinomio è omogeneo e dei gradi y,...v;...v, rispetto ai di- versi sistemi di variabili (@,Y,13,)---(4,:Y,14,)---(4,:Ya:%) 0 pure (X Yar Za) (XY, Z) (Xu, YZ), si dirà quel polinomio forma ternaria mista rispetto alle variabili (2, y,4) o (X, Y, Z) dei gradi 3) (Y,-..v;-..vy). Per esprimere una tale forma adopreremo le notazioni ombrali v U(9,-.+v;-..v,)=IT [(Ac+By+C02),];=I1, [(4, B, 0),(2,9,2)];. 7 CS Sez) (1,12) Una forma ternaria può essere ancora mista tanto rispetto alle variabili del sistema (@,y,3), quanto rispetto alle variabili del sistema (X,Y,Z); se la forma è rispetto ai diversi gruppi di variabili del primo sistema dei gradi n,...n....n,, e rispetto ai diversi gruppi di variabili del secondo sistema dei gradi N,...N;...Ny, adopreremo per rappresentarla la no- tazione e nigi N (U, u)(n N,...N,...N=IT [(Ax+By+C2),];:II, [(@X+bY+cZ)y] neo... N . A I i mn i i n m M N =I1, [(4, B, 0),(2,y,2) IL, [(a0, )m(X,Y,Z) ]; La rappresentazione della forma mista U(V,...V;...Y) OU(V,..1%; 11%) dà luogo ad una dipendenza S(Y,...%;...%,) 0 8(Y,...V;...vu) tra g ele- menti ®,...0;...0,0 Q,...O0;... O, tale che presi ad arbitrio tutti que- sli elementi, ad eccezione di uno solo tra essi per volta, per esempio ®; o £,, questo elemento @; o ©, apparterrà ad un sistema S,, o sy, di ele- menti e 0 & del grado y,. In modo analogo si ha la rappresentazione della/forma musta'(0 <)(n. na, MN. No). Indicando con di ’ da ’ ds Asi ? 12? Ass A= Da . a ? 10 ? e ì =: A, ’ 22? E Le » Isa , da | A: ’ Asa ? Azz due determinanti ad elementi reciproci, se in due sistemi ternarii ($, s) e (S',s') le variabili €, y, ed «', y', ' sono legate tra loro dalle rela- zioni (3) EE 30 HAY +33, YI AA YA, Ada L'A ay HA 3, le variabili X, Y, Z ed X', Y', Z' (supponendo sempre che esse dipendano da x,y, 3 ed a’, y', #' per mezzo delle condizioni Xx+Yy+-Zz=0, i X'e'+-Y'y'4+-Z'3'=0) saranno legate invece dalle relazioni (4) X=A,A-+A al +A,34', PSA, X+A,F+A,;Z, Z=A, AHAHA 2; sì dirà in tal caso che il sistema (8°, s') è la trasformazione lineare del sistema (S,s); la quantità A o À (la seconda delle quali è il quadrato della prima) è il determinante o modulo della trasformazione rispetto ad (c,y,3) o ad.(X,.V,Z). Le coordinate (4, y, 3) dei diversi elementi © di S, le quali sono as- soggettate tutte alla stessa trasformazione (3), si dicano variabili cogre- dienti, e le coordinate (X,Y,Z) dei diversi elementi £ di s, le quali sono assoggettate tutte alla stessa trasformazione (4), si dicono invece varia- bili contragredienti. Se (A,B,C) o (a,b,c) sono ombre che entrano nella composizione della forma Uo «, indicando con (A',B',l°) o (a',b',c') le ombre corrispondenti della trasformata U' o u', si troverà AA=A, A/'+A_,B'+A ;C', AB=A, A'+A,,B'+A, 0, AGZA, A+A,,B'+A,;0', (O) da=), 0 +I dI 04 II HI gd HA, 0 ? de Isa l'4Agab'+ dsl", sicchè saranno (A4,B,C) variabili contragredienti, ed (a,b,c) variabili cogredienti. Consideriamo un numero qualunque di forme ternarie [(U,u),, (U;,u), ...(U,u),...(U,u),] di variabili cogredienti e contragredienti, e siano (Vee e (Mai i (D',u'),] le loro trasformate lineari per mezzo delle formole (3) e (4); chiamiamo simili due funzioni(P,g)e(P',g') allorchè (P,9) è formata con le variabili (@,y,%) ed (X,Y, Z) contenute nelle forme (U, «), e con i coefficienti di queste forme, nello stesso modo che (®',9') è formata conle variabili corrispondenti (@',y',')ed (X°,Y',Z) contenute nelle forme (U', w'), e con i coefficienti delle medesime forme. Se le funzioni simili (P,@) e (P',') sono tali che ( P',9') si distingue dalla trasformata lineare di (P,9) solamente per un fattore, potenza del modulo A o A della trasformazione, si dirà (®,9) un concomitante del gruppo di forme [(U, u),,(U,u),...(U,u)....(U,u).], o semplicemente del sistema (S, s). Un concomitante prende particolarmente il nome di covariante, contravariante, o invariante, secondo che è formato con le sla variabili cogredienti, con le variabili contragredienti, o con i soli coef- ficienti delle forme proposte. Siano [(®,0),; (D, 9)... (D,0),... (0,9),] [(D!,.9),; (9,0)... (P',0'),,...(P',0'),] due gruppi di funzioni simili, relative ai gruppi anfore (Une TO, Ue) Ur) MO (Vi) (U',u')....(U',u').]; se quei gruppi di funzioni sono tali che le funzioni [(P',0),, (D',0').... (De)... (',9'),] si possano esprimere linear- mente per mezzo delle trasformate lineari delle funzioni [(P®,@),, (P, 9), -.(D,0) ...(P,9),], i coefficienti in queste relazioni lineari essendo formati con i soli coefficienti A,,, À,;, della trasformazione , si dirà [(P,9),, (P,0)....(P,9);...(P,9),] un plesso concomitante del gruppo di forme [(U,u),, (U,u),...(U,u);...(U,u),], 0 semplicemente del si- stema ($,s). Un plesso concomitante prende il nome di plesso covariante, plesso contravariante, o plesso invariante nelle stesse circostanze come per un semplice concomitante. Se un concomitante di un gruppo di forme conserva il carattere inva- rianlivo non solo per le trasformazioni lineari operate sulle variabili co- gredienti o contragredienti contenute in esso, ma anche allorchè si s0- stituiscono alle forme proposte altre forme espresse linearmente per mezzo delle prime, il concomitante prende il nome di combinante. Essendo (@,©,,@ ) ed (Q,,,Q,) terne di elementi @ ed Q del sistema (S, 5), l’espressioni LIE agi My P.(00,0,)=| %, Yi % |> e p.(09,9,)=| X, Y,, Z, Li; Y;» 4; X,, j? i si diranno le potenze di quelle terne, e l’espressione P.(p0)=xX+yY+zZ=p.(20), si dirà la potenza della coppia (@, Q). Considerando le potenze di due terne corrispondenti di elementi @ o Q dei sistemi (S, s) ed ($",s'), o pure le potenze di due coppie corrispon- denti di elementi (®, £) dei medesimi sistemi, si avrà evidentemente AP.(0'w w) = Pi w,©;) , Ip. (0°07 2°) ZIA. 2,2) (5) AP.(0'Q)=P.(09), >p.(0'0)=p.(20),*) *) Si ha la prima o la seconda di queste due ultime formole, secondo che si riguardino A;; come elementi reciproci di A;;, 02,, come elementi reciproci di A,; . 2 DA sicchè l'espressioni P. (0@,@,), p.(QQ,0), P.(eQ), p.(Qe) sono con- comitanti del sistema. In generale ogni espressione (P,@) omogenea ri- spetto alle potenzerelative a diverse terne di elementi (0,0,,0,),(Q,Q,0,), e a diverse coppie di elementi (®, 2) del sistema, sarà un concomitante. Ciò che si è detto per le potenze formate con le variabili (2, Y,%) 0 (X,Y,Z) vale ancora per quelle formate con le ombre (a,0,c) 0 (A,B,C). Consideriamo i due gruppi corrispondenti di elementi Grin araran Gioele oro) o pure Gi (Og TORE CMSSS (VARCO AEREO 0 dei sistemi (S,s) ed (8°, s'), e le espressioni corrispondenti Et E i K(a,8, OS) o pure ie pap RI (et) formate come si è detto precedentemente con le loro coordinate; è fa- cile vedere che ciascuna delle quantità £'(x,8,7) 0 #'(«,8,y), per tutte 1 ((+4)(+2) ero (+1)(0+2) 2 partizioni (x, 8,y) di y, si esprimerà linearmente per mezzo delle relazioni lineari essendo formati con i coefficienti À,;, 0 A,; della tras- ((+1)(+2) 2 quantità K(a, 8,7), 0 (a, 8,y), i coefficienti in queste espressioni K(x,8,y), 0 k(x,8,y) formano formazione; le (+4)(0+2) 2 quindi un plesso concomitante. In particolare le quantità eyz", o X* YZ” corrispondenti alle partizioni (a, 8,y) di y formeranno anche un plesso concomitante. Siano le forme ternarie U=(Ar+By+Cz),, u=(aX+bY+c2Z),, e le loro trasformate lineari U =(A'x+B'y+C'2'),, u=(0X+bV+e'Z'),; sarà A'= I A+X,B+1,,G ’ B'=\,3A+X,gB+1,20 ’ Gi— Ig A+I,,B+1, C GA, GA, b+A,,€, D'=A,,0+A,b+A,,0, CTA G+A_,b+-A,;0; e quindi, ponendo in generale 1.2.3...iî=(d), , Tati Si (2) N “ AB; G ,=% ato ESTRO dsx HE (2,)(2,)(2,) B, Ba Bs CORCIE SITA INIT fa dss I,3B, +PotYo IS dis os dos C, p ,. | ’ (8,) (42) (8,) sai (A) 0a) (1) pe inch Cada . AA») fan Ag 31% (BY, molt. per il simbolo Y estendendosi a tutte le partizioni (x, 8,7) di y, (4,,%,,4,) di a, (8,6.:8,) di B, € (Y.1Ya,Y:) di y. Segue da ciò che il gruppo delle si quantità A, Bs C,, 0 pure a, dg c,, (cioè il gruppo dei coefli- cienti della forma Uo v) costituisce un plesso concomitante. Se le forme Uedwu si decompongono inv fattori lineari Xa+Yy+Zz, ed 2 X+y,Y+. CR pee VAL Siano U', U", U” tre forme ternarie dei gradi n', n”, n°; ponendo per una qualunque delle n'n° combinazioni delle terne di ombre (A', B', C'), (AR B”, C") a= B' (Ge GB! ; b— (GATE A' Cc” ; e —— Apr B'A” ; si avrà per la risultante R(U', UV”) l’espressione R(U', U")=(a,X+b,Y+c,Z)...(aX+bY+cZ)...(a,yX+bryY+cyyZ). sid Da un’altra parte, indicando con (#,y,%) le coordinate di uno qualun- que degli n'n" elementi e comuni ad (U', VU”), si avrà ancora R(U',U)=(a,X+y,Y+3,Z)...(cX4+yY+zZ)... (0744, Y+30,2) . ’ " " li n il Ciò posto: se le forme (U', U”, U”) hanno un elemento & di comune, si avrà la condizione R(U',U",U")=m(Ax+Bry+-C7'2)...(A"0+B"y+0"2)...(Ax+B",y+C#,2)=0, il simbolo II estendendosi a tutte le n'n” terne delle coordinate (@,Y, 4) degli elementi @; quindi osservando che &(U', U’, U”) si esprime con i coeflicienti di R(U', UV’), i quali sono formati allo stesso modo con le coor- dinale (2, y,z) o con le ombre (a, d, c), si avrà A' , B' } (Gi | | (7) R(U', Ud Um A” È BL ; (Gi 5 A” ; (Bu ( GU il simbolo II estendendosi a tutte le n'n"n" combinazioni delle terne di ombre: (4°, ‘Bu, (AB) ES) La forma R(U',U”,U") è rispettivamente dei gradi nn”, n"n', n'n° nei coefficienti delle forme U', VU”, U”; essa è un combinante del sistema delle forme (U', U’, U”), e si dirà la loro risultante. Se le forme proposte sono rappresentate da gruppi 9g, ; 9,1, g, di ele- menti £ si avrà immediatamente R (UE UG U”) — x : ) dle E VAÎ , il simbolo II estendendosi a tutte le n'n"n" combinazioni di ciascun ele- mento di g, con ciascun elemento di g,, e con ciascun elemento di g,». Segue evidentemente dalle cose delte che il discriminante di una forma U del grado n è del grado 3(n—1)? nei suoi coefficienti. ea 8. Sistemi armonici dei diversi ordini; ordine e classe delle forme. Essendo $, il sistema determinato dalla forma ternaria U del grado n, riprendiamo l’equazione n ll 1 eI-2 (U, a) = U,+15 vali "n'@U.4-.... x: .+ Da n°605 U. + 7 d'EU+#U=0, che determina rispelto alla coppia fondamentale (c,, @ ) il gruppo G, degli n elementi e comuni ad $, ed Q; ponendo luna o l’altra delle condi- zioni ©'U=0, ©U,=0, nella prima delle quali si riguarda come dato @,, e nella seconda come dato e, si ha *) il gruppo G,, degli elementi armonici @, d’ordine r di @,, o il gruppo G, , degli elementi armonici ©; d’ordine s di @_, rispetto al gruppo G,; variando quindi ©, rimanendo fisso #, 0 @., l'equazione ©"U—=0, o OU=0, determinerà il sistema S..; dei gruppi G,,;, o il sistema S,,; dei gruppi G,,;; si diranno $,,; ed S,.; è sistemi armonici d'ordine r 0 s di @, 0 @ rispetto al sistema S,. Se r ed s sono complementari rispetto ad n, cioè*se r-+s=n, essendo allora identicamente ©U=©:U. si avrà la proprietà: se r ed s sono complementari rispetto ad n, ed ®; appartiene al sistema armonico d'ordine r di ©, rispetto al sistema S,, apparterrà ® al sistema armonico d'ordine s di @; rispetto al medesimo sistema S, : in altri termini @,, 0 pure ®;, ap- parterrà a tutti i sistemi $,,,;, o pure S,,;, corrispondenti ai diversi ele- menti @. di S,,;, 0 pure ai diversi elementi ; di $,.,. Il sistema $,,; armonico d'ordine r di @, rispetto ad S_ essendo deter- minato dall’equazione ©‘ U=0, il sistema armonico d'ordine s di @, rispetto ad S,,, sarà dato dall’equazione O7"(0°"7U)—=©U=0, la quale determina ancora il sistema armonico d'ordine s di @, rispetto ad S,; adunque se S,,, è il sistema armonico d'ordine r di @. rispetto ad S,, supposto s allora a tra le forme (cogredienti) dell’ involuzione quelle fono m(MmH+A) 2 forme contragredienti arbitrarie (o in attica quelle che contengono altrettanti elementi @ arbitrarii) siccome esse costituiscono un’involu- m(m+A) hi5 a) Se i zione (PE —2) , o pure —1) di grado n, nel primo sen! i seit) o] (n—m+1)? elementi m°”, e nel secondo inficiti Sa m°" appartenenti ad una forma del grado MEI) inm+1). Se ad uno stesso sistema ternario appartengono m,, m,...m, involu- zioni di grado n, rispettivamente (r:—1)?%, (m—1)?°...(r—1)f, con- siderando i sistemi di forme associate a quelle che determinano le date involuzioni, si vedrà che le forme (cogredienti) comuni alle medesime involuzioni saranno cui armoniche rispetto ad Ga forme contragredienti di grado n, e quindi supposto s < che sono coniugate armoniche con r— +41, 0 pure r— caso sì avranno 4 DAS n (O it) I, 41)=s n(n+-3) 2 n(0-49) i tuiranno un’involuzione (n—s)?“ di grado n. Allocchè s= ag Vi sarà È) costi- una sola forma comune alle date involuzioni; così, per esempio, se ad *) SALMON, Lessons on higher Algebra, pag. 217. TAL GIE j : n(n+3). . . /n(n+3 dii unostessosistema ternario appartengono 3 linvoluzioni ("® 59 9 -_1) di grado n, indicando con uri Ni abie ATVIZI la forma contragrediente con la quale sono coniugate armoniche tutte le forme di una qualunque di queste involuzioni, e con UGO A.B;0, il a 7 determinante tratto dalla matrice EM ka fe o dra 06€) bear ia oo a RANE Gin apCa ten SN STIET tetto dn) DAZIORIONIE 3 2 2 2 col togliere la linea verticale corrispondente alla partizione (a, £, y) di n, la forma comune alle proposte involuzioni sarà n (n) (CARI è) U=(Ax + By+ Ca);=£ A BO eg. i O i Allorchè s> su! le involuzioni proposte non ammettono in gene- rale forme comuni; le condizioni perchè ciò possa aver luogo si otten- gono eguagliando a zero i determinanti tratti dalla matrice o; Lie 1900." Cole ie, elia e, Ne) Ja Ale gie» supponendo che u,=(a,X+b,Y+ c;4Z}}/=Y (DS ORLO DATA rappresenti una qualunque delle forme assocciate a quelle che delermi- nano le proposte involuzioni. Dos E È ì n N & fr PESCA, O aa 4 Sapaetei o ig ai wo to) tai - o; RESA. dle. Mpeg {7 Lea | ge ra Moe è lata è a * » duri i n uo Col per ga i; di o erro mi ed get de pg Sn Prll0) co - Mie eafrialo dua:). è: at i CALIERT Sanrio ii ga sat via; hi ioni... te si î Da gn soSasost? + AI ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DELL'ACIDO PARATARTARICO ANIDRO MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO A. SCACCHI letta nella tornata del dì 5 settembre 1868 Nella memoria sulla emiedria dei paratarirati avendo esposto le ricer- che fatte per assicurarmi se i paratartrati emiedrici contenessero l’acido destro tartarico, ho pure fatto conoscere che mi era avvenuto di avere dalle soluzioni con acido solforico alcuni cristalli di particolar forma alquanto complicata, che allora non mì riuscì di determinare quanto ai loro caratteri geometrici. Ma perchè dalla loro soluzione si produssero cristalli dell’ ordinaria forma dell’acido paratartarico idrato, ed il peso dei cristalli depositati fu trovato maggiore di quello dei cristalli disciolti, conchiusi che i novelli cristalli esser dovevano di acido paratartarico anidro. i In seguito mi sono occupato ad assicurarmi dell’esistenza dell'acido paratartarico anidro cristallizzato, a determinare le condizioni nelle quali esso si genera, ed a definire la forma dei suoi cristalli. Le quali cose formano il principale oggetto della presente memoria, che sommetto al- l'attenzione dell’Accademia non tanto pel fatto dell'acido paratartarico capace di dare cristalli anidri, come gli acidi tartarici, quanto per gli straordinarii caratteri dei medesimi cristalli. I primi cristalli di acido paratartarico anidro acconci ad esser definiti che mi sì sono presentati, avevano, con piccole variazioni, la forma rap- Atti — Vol. IV.— N.° 4 a 1 io presentata nella figura 4, ch'è una delle più facili a prodursi. In essa sì scorge chiaro l’aspetto dei cristalli monoclini, quantunque assai spesso sì presentino alcune irregolarità non facili a definire, e la più frequente anomalia sì rinviene nelle facce C, 7 che presso gli angoli acuti del cri- stallo in @ sono rozzamente rugose ed alquanto curvate in fuori. Intanto questi cristalli non sono semplici, e la maniera come essi derivano da molti cristalli geminati con l’asse dirivoluzione perpendicolare alla faccia B sarà più tardi esposta con tutti i suoi particolari. Ci ha di più che nemmeno sono monoclini, come a prima giunta li ho creduti; sono in- vece triclini, è la forma che avrebbero se mai si trovassero non geminati, sarebbe quale vedesi figurata nel numero 1. Hanno direzioni di clivaggio nitidissime parallele alle facce A e B, e vi ho rinvenuto le seguenti mi- sure goniometriche. A sopra B= 95° 4’ media di 5 misure variabili tra 95°14’ e 94°54 A» C=412228 media di 3 misure variabili tra 122°37’ e 122°48’ B » C=411 8 media di 7 misure variabili tra 111°14/ e 110°58’ B_» y=413453 media di 5 misure variabili tra 135°21’ e 134°30" BB» %k =4101 24 media di 4 misure variabili tra 101°38’ e 101°47/ Gi (510 0k0=10240 A sopra m= 152° 9' A agi —a1926 Giani 10949 do tai = 292002 bit din 10720 Ba gine = dA 61 Uil (vini 9805 BC » Bk= 9846 BC » Bm=103 52 a:b:c=41:0,9757:1,4857; a sopra b=82°20", a sopra c=122°56”, b sopra e=111°52". A 400, B'010, GI00141 101, 0011700 2110 I cristalli dell’acido paratartarico idrato sono ancor essi triclini e della loro forma, per farne paragone con la specie anidra, ho dato le figure nel numero 5 a,b, nella prima con la faccia B parallela al piano di pro- iezione, e nella seconda con le facce della zona BC perpendicolari al me- desimo piano. In essi vi è clivaggio distinto parallelo alla faccia C, e due altre direzioni di clivaggio meno distinte parallele alle facce A e v. Qualche rara volta li ho veduto gemini, fig. 7, con l’asse di rivoluzione perpendicolare alla faccia +. DI E * A sopra B =107°27 e... sopra.v. | = 53°38' * B' » e' 410223 l va 0140404 *B _» C=11042 n » uu. =13324 #B' n ('v =142950 e' Ir I4A7 12 Beni =402 54 l n TTV906 Mg = 12947 A Ho LUI TO 20 Ao NE — 16495 k n BO — 10023 An 120 k n» ‘v = 8202 A_ n m=12750 n pae 101459 Ala pr 0130 n ne a AGI TAM ES A one e—-A40045 el_n m=411 8 e’ nine 22 m » u=123 48 Bin. 0 Bu =11013 B_» m=412058 Bn » la Bu, = 132,20 Bier 11:80:94 Bk » BC = 9951 Ch onornni=118:14 AB » Am =1415 48 GOA 195)94 e'A ai 1430/20 etti 100) = 44456 ke' » kA =4417 49 Nei cristalli gemini, fig. 7, B sopra g=154°18’, e sopra a=107°16/, A sopra y=123°%42". a:b:c=1:1,6343 : 2,2669; a sopra b=96°13', a sopra c=125°40”, b sopra c=102°50”. ANTO 01000 ISTE NITTO NR 1015 "% 102% 4 0141, 0042, m 142 n'113. Paragonando tra loro le misure goniometriche dei cristalli di entrambe le specie di acido paratartarico, si rinviene che lescambievoli inclinazioni delle facce B,C,X, fig. 1 e © a, non presentano che lievi differenze. Cristalli anidri Cristalli idrati sopra GN nen, 490040 ri A002ZETE 0 o 40023 bo 100 a 403 22 Nondimeno questa coincidenza è del tutto casuale, e non può avere alcuna importanza; dappoichè le differenze nelle direzioni di clivaggio escludono ogni ragguaglio che valesse a dimostrare una certa somiglianza * pene Capo Nord in un bel tempo di està si scoprivano, a grande distanza verso il nord, delle montagne coperte di neve; che si vedevano scendere da quella parte degli stormi di renne, respinte poi da cacciatori e da lupi; ed egli stesso le aveva osservato ritornare al nord per la stessa direzione. Con- chiudeva che quelle montagne vedute da lontano non esistevano sopra un'isola, ma su di paese esteso simile al paese loro. Diceva essergli stato raccontato da suo padre che anticamente un uomo vi ci si era portato con alcuni altri su de’ daidars o barche di pelle. Ed egli sosteneva che quel paese lontano doveva esser abitato; dapoichè alcuni anni indietro era stato trovato nell'isola di Avatuna più al sud, una balena morta tra- fitta da lame pontute di pietra di lavagna, laddove i Tchoutchis non ave- vano mai fatto uso di quelle armi. Lo stesso Wrangel, che cercò di verificare co’ proprii occhi le cose narrate dal capo di quella tribù, dice di esser convinto che quel paese fosse abitato, poichè le vicinanze erano popolate da gran numero di vacche marine (morses). Il Capitano Philips e il signor Flitner ripetono ad un dipresso le stesse cose con qualche particolarità da essi osservata. Il primo di essi così si esprime: « Je pense que les positions que j'ai déterminées pour les dif- « fèrenls points de cette terre se trouvent exactes, car M" Flinter qui « avait examiné mon chronométre, n'a su constater qu’un’erreur d'un « mille et demi ». Si determinò che la costa sud della terra di Wrangel estendevasi per 1000 miglia dall’est all’ovest. Tutti questi osservatori, compreso il Wrangel, erano di accordo dell’esistenza del mare libero in- torno al polo. Il Capitano Raynor in una sua lettera al signor Witney gli dà il rap- porto succinto « sur une grande étendue de terre située au milieu de l’Ocean Glacial Arctique, nella quale dichiara alcune particolarità, jus- qu'ici fort-pcu connues. Anterieurement, egli dice, on avait regardè ce « pays comme formè par deux îles, dont l’une est signalée sur les cartes « anglaises sous le nom de Plover Island, l’autre est seulement indiquè « comme ferre étendue avec des pics élevés. Pendant ma dernière croi- « sière j'ai longé sud et est de cette île sur une distance considérable à « trois reprices. Une fois j'ai méme croisé le long de toute la còte, et j'ai « relevé, d’apres des observations, que je crois pouvoir regarder comme sures, « la position du cap extrème au sud-ovest. La còte sud parait étre pres- « que droite et absolument stérile... J'ai appris du Capitain Bliven qu'il « l’a suivie bien plus au nord qu'il a vu des marins qui l’avaient longèe, « ]jusqu'a 72 degrès. Je crois hors de doute qu'elle s'etend bien plus au = I « « « ( (4 « nord... À la longitude de 170 dègrès ovest nous trouvions toujour la barrière de glace de 50 à 80 milles plus étendue vers le sud qu’entre cette longitude et l’île Hérald; et il y a toujours dans ces parages à une forl courant dans la direction de nord-ovest. À moins des fortes brises venant du nord...les eaux passeraient entre deux terres retenant la glace, et dont l’une est connue, tandis que l’autre ne l’est pas ». Quanto alla probabilità che la terra di Wrangel sia abitata, ecco che ne dice questo illustre ammiraglio: « Une tradition porte qu'il y a deux (4 cents ans (era il 1823) les Onkilons occupaient toute la còte, depuis la cap Chelagscoi jusque au détroit de Beering, et ce qu'il a de sur, c'est que tout du long de cette ligne on trouvent les restes des huttes faites de terre, et d’os de baleines tout à fait differentes des abitations ac- tuelles des Tchoutchis ». In quanto all’ostacolo de’ ghiacci ecco cosa dice il Capitano Wels del vapore artico Dundee (19 juin 1867): « Nous « « atterrîmes au cap Parry (più che 82°) et vimes de l’eau ouverte ..... Nous abordàmes aux glaces dans le détroit des Baleines, et ecumes sept indigénes de Nétilie è bord. Le lendemain nous dépassàmes Halkreyt- Island. A un quart de mille de cette île nous eumes de l'eau libre... Pas de glace visible au nord du haut de la hune. Au dela de Smith- Sund... nous trouvàmes des grosses glaces, des glacons comme soudés dessus et impénétrables. Nous nous diregeames vers le sud, le long des glaces de celte terre occidentale, et nous vîmes des baleines blan- ches, des ours, des phoques, des narvals et des morses, et tous en gran nombre.... Lorsque nous louvoyions pour gagner le sud il n'y avait au nord aucun indice de glace... Nous ètions alors, d’apres mon apprè- ciation sous environs 79 dégres nord... Une brise assai forte survint du còte du nord, et souleva une grosse mer. Nous fumes obbligés d’at- tacher fermes nos bateaux, et je crois que, ne fut ce la pèche qui était le but de notre voyage, nous n'aurions pas rencontré les moindres diffi- cultés d'aller aussi loin ou nord que nous aurions voulu. Pendant que nous mouillions... l’equipage alla à terre et y trouva des rennes, ainsi q'un groupe de liévres blanes, beaucoup de renards, qui se montraient journellement sur la glace... Entre le cap... la glace était molle et la vapeur la traversa sans la moindre peine.... Aussi loin que la lunette povait s°étendre cette glace flottait le long de la còte. Un balenier va- « peur aurait pu avancer sans obstacle ». Il numero del18gennajo del1868 del Monitore del Commercio (Commer- cial Advertiser) riporta una lettera del Capitano Long sull’interessante iii quistione dell'accesso al Polo Nord per la via dello stretto di Beering, quella prescelta dal Capitano Lambert. Dopo di aver passato in rivista le pruove che gli fanno supporre esser il polo circondato da un mare libero, dice dell’inutilità de’ tentativi del passaggio nord per la baja di Baflin. Nello stesso rapporto del Capitano Wels leggonsi varie particolarità relaliva- mente all’impedimento prodotto da’ ghiacci nel viaggio al polo. Dopo di aver detto che il vestimento delle pelli di renne costituiva un articolo di prima necessità ne’'viaggi in quelle alte latitudini, così continua: « La « route que je raccomanderais, comme la meilleure, serait de suivre la « còte d’ Asie, depuis le détroit de Beering jusque au cap Chèlagscoi. « C'est vers la còte que la glace fond d’abord, et les nombreux courants « d'eau produits par la fonte des neiges dloignent la glace du bord, de ma- « nière à former le long de la terre un passage libre, dans le quel un vais- secau peut tres bien passer, sur tout s'il est aidé par la vapeur .... La « glace faute de terres vers le nord est emporiée au large par ces courants, « et dispersée dans la mer libre de Wrangel en fragmenis assez espacés « pour permeltre à un navire de circuler sans danger entre cux ». Questi ragguagli sono estratti da’ giornali di Honolulu, comunicati alla Società Geografica di Parigi dalla direzione de’ consolati e affari commer- ciali nel Ministero degli affari Esteri di Francia. Ed io non poteva far a meno di studiarli in un lavoro che risguarda direttamente la quistione di andare al polo. Un'impresa di tanta importanza, qual'è il primo viaggio al polo boreale. Un'impresa, a cui niuno avrebbe volto il pensiero, come ad un assurdo insegnato in tutte le scuole e professato dagli stessi scien- ziati, vedesi come un baleno adottato da tutte le nazioni incivilite, le quali entrano nella onorevole lizza di smentire l’assurdo, e di aprire un nuovo campo alla scienza ed alla industria. E così oggi si dà la mentlita ad una teorica che jèri tutti professavamo; a tutte le associazioni scola- stiche e scientifiche ancora esistenti; alla stessa Cosmografia, i cui teo- remi sulla zona polare terrestre stanno cedendo terreno agli attacchi di nuove osservazioni e del calcolo, attacchi non anteriori al 1860, ma che sono sorti inaspettatamente sotto gli occhi nostri. Or dovendo io trattare un argomento nuovo così maraviglioso, non poteva lasciare niuna delle particolarità risguardanti il medesimo, e singolarmente riferire, in testi- monianza, ì rapporti di que’ pochi navigatori illuminati e coraggiosi *), che i primi tentarono impigliarsi in quel laberinto d’isole, di stretti, di am} CI 1) I più notevoli sono, il Parry, il WrangeleAnjou, lo Schilling, il Long, ilPhilips, il Flitner, il Raynor, il Bliven, il Wels, il Kane ecc. XK RSS | QeSE geli. Ed ho veduto la necessità di servirmi dello stesso loro linguaggio, per tema di non rendere compiutamente la loro idea colla traduzione. Ho scelto singolarmente ciò, in cui tutti convenivano. Le zone glaciali hanno a base il cerchio polare a 66°,32' di latitudine. Fino presso ad 82° si avanzano le terre, cosicchè de’ sei milioni e più di miglia quadrate, che comprende la zona fredda boreale, la maggior parte è occupata dalle terre. Il resto è acqua, secondo l'uniforme opi- nione di quelli che navigarono in que’ luoghi. Il polo boreale è dunque circondato di acqua, che gelerebbe nella stagione fredda, e disgelerebbe nella calda. Il signor Lambert, l’argonauta francese, afferma con fran- chezza « Mer auverte au pole nord ». E veramente i suoi argomenti hanno ad appoggio de’ fatti, e una lunga esperienza. In prima egli sì fonda sulla corrente fredda nord-sud, riconosciuta da tutti, ed esperimentata dal ce- lebre Parry nel 1827, come quassù abbiamo cennato. Chè questa cor- rente trascinava verso sud il banco di ghiaccio galleggiante sul quale questo famoso scopritore di nuove terre artiche cercava di guadagnare il polo su di barche mosse a slitta. Ed ecco come si esprime : « Un cou- « rant ne sort pas d’une terre! Il faut de l’eau, plus au loin remontant « le courant, pour que ce courant puisse exister. Cette raison sérieuse, « mais dont il faut comprendre le sens, car le courant peut tourner, « ajoute encore son poid à notre affirmation Mer ouvert au Pole Nord. Ma il Lambert dall’aspetto differente del ghiaccio galleggiante argo- menta che il polo nord è circondato da mare, il polo sud da terra. Egli riconosce due specie di ghiaccio, l’ice-berg distaccato dalle montagne, dalla terra; e l’ice-field, ch'è la stessa acqua la quale gela. Ecco le sue « parole. L’ice-berg à la mer se reconnait à la trasparence delaglace, à des « detritus terrestres et organiques, à une densitè moyenne plus grande « et à ses dimensions colossales. On à mesurè qui jaugeaient plusieurs « millions de tonneaux, et qui, ayant 100 ou 200 metrés au dessus de « l’eau, devaient avoir 600 à 400 métres d’epasseur totale d’apres la den- « sitè moyenne. Quand ces masses se trouvent dans certaines conditions « calorifiques, sous l’influx solaire, elles se fendîllent, se gercent, « et parfois éclatent brusquement, se brisent en mille pièces, en pro- « duisant un fracas, que des témoins auriculièrs, Hayes entre autres, « comparent au bruit de la décharge simultanée de plusieurs centai- « nes de pièces d’artillerie ». Indi, per farne meglio comprendere la for- mazione, soggiugne: « Si une mer entouroit le massif del Alpes ou de « l’Hymalaja, par exemple, cette mer serait encombrée et cernée par des RIONI | _pornS « lignes compactes d’ice-berg. C'est en ce sens, que l'on peut affirmer qu'il « doit ewvister au pole sud un massif de terre compacte et montagneue, don- « nant lieu à la production d’immenses glaciers, qui se déchargent à « l’Occan à des intervalles inègaux, quelque fois sèculières, et dont la « ceinture arréte le navigateur ». Per comprendere poi l’ice-field egli così dice: « A la mer le phònomène « de la formation du glace a un tout autre caractère. La neige, tombant « en flocons pressés, recouvre la surface, et, avant qu'elle ait au le temps « de fondre ou de se dessoudre, elle forme comme un sorte de boullie « épaisse. Si le temps est beau, la mer calme, le vent plaisible, tout « cela se prend et se fige sur une petite èpasseur, en formant une glace « moitiè franche, moitié nevée. Dés que le vent se léve, tout se brisé, « s'émiette, e produit un des spectacles les plus admirables. Chaque petit « morceau de glace s’entoure d’un véritable bains d’eau douce, qui ne se « méle pas avec l’eau de la mer. Ce sont d’embrion de banquise .... et « ainsi l’on passe en traineau d’Asie en Amerique. Quand arrivent les « fortes chaleurs de juin, tout se disloque; c'est le débacle, dont les « débris forment d’immenses banquises, ou camps de glace, l’ici-fields... « Da loin ces surfaces semblent polies et unies comme un miroir ... Il « n’est pas rare de rencontres des plaques ayant plusieurs kilométres de « superficie. Le marin expèrimenté ne doit pas pénétrer dans la mer arc- « tique avant que la débàcle ne soit accusè. Dans tous le lieux ou il y a « des camps de glace, il y a des vastes superficies de mer. Si les ice-bergs « sont méles à ces champs, c’est qu’ils viennent de dehors sous l’impres- « sions des courants ou des vents. Vers le nord-ovest du Spitzberg il y « a de ces champs de glaces et une eau profonde. Dans la mer arctique, aprés le detroit de Beering jusque par de la le 73° degré nord on ne voit que des campes de glaces ». Dietro queste considerazioni il Lam- bert conchiude risolutamente « Ainsi l’on peut considérer comme un fait « établi que l’ice-berg nait à terre et meurt à l'Océan, tandis que l’ice- « field à une origine entièrement maritime. Donc et j'insiste: Terre au « pole sud! Mer au péle nord! D'autres motifs encore viennent corroborer « cette affirmation ». Le precedenti notizie che noi abbiamo leggermente toccate, senza però lasciare nulla del più importante, hanno incoraggiato i marini più arditi a tentare la conquista del polo boreale. L’ apparizione di terre lontane verso il polo vedute dal Wrangel, che nel 1823 si spinse molto più de- gli altri innanzi verso il polo. Attestate poi da quanti capitani e bale- 2 fa) Neg | EI nieri navigarono que’ mari; che anzi misurate le coste, e segnata la situa- zione de’ capi più appariscenti per via di telescopii. Degli studii diretti sulle diverse particolarità di quelle regioni, correnti, natura dei ghiacci, banchi di ghiacci gallegganti di centinaja di chilometri quadrati, ghiacci in dissoluzione da poter esser traversati da navigli ec. ec. tutto ha inco- raggiato la navigazione al polo artico. Ed ecco cinque spedizioni delle nazioni più commercianti ne sono state la conseguenza; due delle quali sono già in corso. Così l’assurdo del poco fa è per divenire una realtà. L'uomo, che ha scoperto il passaggio al nord-ovest fra un laberinto d’isole ignote, per una via stata per tanti secoli la regione del silenzio, del freddo e della fame, Che ha rinvenuto fra que’ luoghi solinghi gli avanzi dell’infe- lice Franklin, e dell'equipaggio dell’Eredus e del Terror, morti di freddo e di fame: l’uomo saprà stabilirsi un ricovero là, ove per lo scorrere di mesi l’astro del giorno non invia un solo raggio vivificatore. Un poeta chiame= rebbe questi luoghi il regno del silenzio e della morte. Eppure le terre e 1 mare che circondano il polo sono popolati di tante specie di animali forse più che ogni altra zona terrestre. Le specie animali più giganteschi, più fe- roci, più timidi popolano a torme innumerevoli le regioni polari. Le diverse varietà di balene”) s'incontrano en quantités innombrales (parole di tutt'ina- vigatori di quelle regioni) nel mare artico: «Le bassin libre du pòle nord, « dice il Lambert, la Polynia, doil étre plus encore richement peuplé. « Il n'est pas rare dans un seul jour d’appercevoir au dessus de la sur- « face des caux quelques centaines de soufiles distinets produits par la « respiration de ces mammifères océaniens. La vache marine (Walvus o « morse in francese) de la taille d’un gran beuf normand », le foche, gli orsi bianchi e i narval, animali di una ferocia spaventevole, le renne, delle torme di lepri bianchi e di volpi, ed altri animali s'incontrano a stormi nelle regioni polari. Le renne, grandi quanto una vacca, vanno a truppa, e se ne può acquistare un gran numero da que’ selvaggi che abi- tano le regioni circompolari, con de’cambii di oggetto di poco valore. Nello svernamento al porto Foulque verso il 78° grado di latitudine i compa- gni di Hayes hanno potuto uccidere più di 600 renne. La vita animale delle regioni polari artiche è così abbondante, che oltrepassa ogni limite, ogni immaginazione. Dall’uniformità de’ rapporti di quelli che navigarono quelle regioni rilevasi che « le morse se rencontre en troupeau qui sont *) Un gran numero di questa specie ha ricevuto dagli Americani il nome di Devil-fish, o pesce dia- volo, perchè la difficoltà d’impadronirsene non compensa il loro debole valore commerciale. Il Baw- head al contrario, dolce e pacifico, diviene facilmente la preda del pescatore ed è una ricca preda. — 17 — È « des legions. Perfois le navire traverse des bandes que recouvrent la « mer sur des étendues de plusieurs kilomètres. Ils sont à l’eau, dor- « mant la téte en bas, ou s’agitant sur la vague, ou reposant en rangs « pressès sur les bancs de glace flottante)». I pesci e le conchiglie deb- bono essere anche più abbondanti, perchè possano bastare all’alimenta- zione « de ces myriades d’etres doués d° appetits gloutons ». La morue, « dans le fond des eaux, doit ètre au moins aussi abondante qu’a Terre « Neuve. Le poisson, genre salmo surtout, est tellement abondant aux « embouchure des riviéres, que vers Ochotch il est saisi par bandes dans « le glace, an moment de la prise des eaux ». La vita vegetale sottoma- rina e terrestre non può non essere meno abbondante, dapoichè la renna essendo un animale erbivoro, vi ha bisogno di una ricchezza vegetale per alimentare degli stormi di questi animali. Or « la confrontation des es- « péces polaires avec les especes qui apparaissent auprés des cimes nei- « geuses de nos montagnes doit offrir un vif interet », singolarmente nelle ricerche dell’ acclimamento delle specie vegetabili, ed animali. Questa vita vegetabile delle regioni polari, « quoique bornée aux espéces « dites Acotylédones, n’en a pas moins une intensité superieure, iméme « dans la zone des plus grands froids. Au moment des chaleurs extré- « mes, des que les glaces ont absorbées leur part d’insolation, la plante se « developpe avec une rapidité telle, qu'on la voit en quelque sorte gran- « dir... En vèrité la vie animale des régions polaires est d'une intensité « que dépasse toute limite .... Quand le temps est calme, ce qui arrive « souvent, la surface de la mer est lisse et unie comme l’eau d’un bassin, « et l’on voit des plaques huileuses ». Sulla vita animale e vegetale delle regioni polari antartiche non si hanno notizie di sorta alcuna. Nell'emisfero australe i geli si avanzano delle volte fino alle latitudini ove in Europa fioriscono delle popolate città. La terra Adelia scoperta da Dumout D’Urville era a 66°,52' di lat. sud, e a 1589,21 di longitudine occidentale all’ovest del meridiano di Pa- rigi. La terra Vittoria scoperta dall'inglese Ross nel 1841 sale un poco più verso il polo; poichè la sua latitudine sud arriva a 70°,47'; ed ha una longitudine di174°,16'all’oriente del meridiano di Greenwich. Bisogna dire però che queste scoperte a latitudini le più grandi nell’emisfero au- strale siano una cosa di eccezione; dapoichè niun altro luogo dopo essi si è elevato a latitudini eguali o maggiori, e prima l’illustre Cook, che non avea potuto oltrepassare de’ luoghi assai più bassi, aveva dichiarato *) Lambert — 183 — che non sì sarebbe passato il limite ov'egli era giunto nell'emisfero me- ridionale. Si è osservato che al sud abbonda l’albatros, le cui ali hanno più che due metri e mezzo di estensione da un estremo all’altro. Questo uc- cello manca al nord: nè la Balena del sud è il Bow-head. Quale campo di vaste ricerche offrono al naturalista le regioni polari ar- tiche, singolarmente nella quistione dell’acclimamento? La notomia di tanti animali quante quistioni potrebbe risolvere, nén meno per la struttura comparata fra loro e gli animali nostri della stessa specie, che relativa- mente alle osservazioni fisiologiche. I balenieri tolgono alle balene l’in- viluppo grasso, e rigettano all'acqua tutto il resto, senza sottoporlo a di- samina. La stessa geologia e singolarmente la Paleontologia aspettano dalla disamina delle regioni polari artiche ampia messe di novità. Seb- bene dopo Cuvier lo studio degli animali antediluviani abbia avuto un grande avanzamento, pure i fatti più importanti, culminanti della pa- leontologia esistono nella regione polare artica, il mammud inalterato scoperto da Pallas alle foci del Lena, l’avorio fossile ritrovato nelle isole della Nuova Siberia. E chi sa se da quelle regioni sorgerà una luce su- gli strati geologici, sull'età delle montagne, e sulla generazione delle medesime? Il magnetismo terrestre studiato in quelle alte latitudini da Wrangel e Anjou dovrà acerescersi d’interessanti novità, che porteranno una luce sulle leggi, alle quali vanno soggetti i suoi tre elementi, declinazione inclinazione e intensità. A quali variazioni andrà soggetto lo studio delle maree, per rispetto alla variazione di sito del sole e della luna in quei paraggi, e singolarmente al polo? Nuovi studii esigerà il pendolo nelle modificazioni relative a'rapporti ch’esistono fra la sua lunghezza, il tempo delle oscillazioni e la gravità della terra in quelle latitudini, al polo. Che ne sarà della nostra meteorologia per le variazioni che riceveranno i suoi elementi, luce, calorico, elettricità, magnetismo, venti, condizioni baro- metriche, ed altre variazioni atmosferiche? La stessa astronomia pratica ne risentirà l'influenza. Il triangolo parallatico si annulla al polo, ove il zenit si confonde col polo celeste. Le osservazioni cambieranno di modo: alcune non saranno più possibili. Al polo l'altezza degli astri è identica alla loro declinazione. Gli angoli orarii non sono più che azimut. Là si è sotto tutti meridiani; manca il modo di calcolare la longitudine terre- stre de’ luoghi. I naviganti dovrebbero conoscere o ricercare gli effetti pro- dotti dalle correnti, il loro strofinio sulle acque del mare, lo svolgimento di calore, di elettricità, di magnetismo. Quale sarà l’ influenza di tanti Pata (1 ge elementi diversi sull’Astronomia nautica? Ma lasciamo queste ed altre ri- cerche al Congresso de’ Delegati delle Socretà dotte, che terrà le sue se- dute a Parigi nella Sala d’Incoraggiamento a partire dal 21 aprile del 1868 *), il quale Congresso ha messo all'ordine del giorno, fra le qui- stioni che debbono essere trattate la seguente: Quali vantaggi possono ri- sultare alla scienza da un viaggio al polo nord? Adunque il viaggio al polo nord ha richiamato l’attenzione di tutta l'Europa, Nazioni, Dotti, Navigatori sperimentati, Industriosi. 1) Égià scorso il quinto mese dopo la riunione di questo Congresso. Thi by © dui i ri LA SO UA ANA A sure DLL AA i A0) SII ù tt tion n to “i o Mor EL sg vas ds Da 4; lai ta i î Ca vi ; ae IRA! Di a gra E “ Ma À rà sli Li più, hi i ua n noise palio r era eat a | è ha den l (I ala dina Resi o i rail salle i % pri; dial ariano rl è 448 a Ù) To; " > N F TORE 1 Pura de 5 si tsiloe,, | ; # ® iaia GL TS Vol. IV. NO ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE FLORA VESUVIANA 0) CATALOGO RAGIONATO DELLE PIANTE DEL VESUVIO CONFRONTATE CON QUELLE DELL'ISOLA DI CAPRI E DI ALTRI LUOGHI CIRCOSTANTI MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO G. A. PASQUALE letta nella tornata del dì 8 ottobre 1868 Quando, nel 1841, giovanetto frequentavo la scuola dello illustre Cav. M. Tenore, e comprendevo fin da quel tempo quanto importasse alla scienza ed al paese di avere una Flora del nostro Vulcano, mi detti come meglio da me allor si poteva, a comporla in una Memoria intitolata Mora Vesuviana, pubblicata nel 2° volume parte 2° delle Esercitazioni accade- miche degli Aspiranti Naturalisti, Napoli 1841. Dopo quella pubblicazione non so che siasi fatto altro sul Vesuvio pel riguardo botanico *). Pari- menti pubblicai nel 1840 la Flora dell’ Isola di Capri, nella citata opera, Vol. 2° parte 1° nella Statistica fisica ed economica della detta Isola. Que- sti due lavoretti giovanili, assai imperfetti, riprendo oggi a rifare sopra un piano più vasto e con disegno diverso. E dopo qualche anno di studi e gite nei luoghi natali e continue ricerche negli erbari, ve li offro riu- niti nella presente memoria. Di questo Vulcano io mi propongo descrivere la vegetazione in un ca- talogo metodico e ragionato di tutte le piante che vi nascono spontanea- mente o che generalmente vi si coltivano per l’uso economico. La topo- grafia di detta regione io la suppongo a tutti nota, come quella del più famoso e storico monte ignivomo, del quale si è tanto delto e scritto; 1) Il sig. G. Gerbino leggeva alla stessa Accademia una nota su di una pianta Vesuviana: Annali dell'Accademia degli Aspiranti Naturalisti; vol. III, Napoli 1845-46, pag. 230-232. Atti — Vol. IV.— N.° 6 1 ©) «i vuoi dal lato storico, geografico, geologico, mineralogico, zoologico, agricolo, meno però dall’aspetto botanico. Se non che per ragion di chia- rezza debbo fin da principio dichiararvi i limiti del campo prescelto alle mie ricerche. E questi sono il mare a Sud-ovest, dal Granatello cioè fino a Torre Annunciata: e dalla via di terra una linea curva che passa pei comuni di S. Giorgio a Cremano, Cercola, S. Anastasia, Somma, Oltta- jano, Bosco Tre case, per rientrare a Torre Annunciata; tenendo presente ancora il piano di Pompei, come luogo generalmente visitato. Quest'area di circa 40 miglia quadrate ha per centro in projezione il Cratere Vesu- viano, che dista dall’Est della verticale dell’ Osservatorio di Napoli mi- glia 7 e #/, di miglio, pari a chil. 14 e m. 445, e che si eleva sul livello del mare m. 1220 *), ed oggi ancor più per le ultime eruzioni. Stimo an- cora prezzo dell’opera esporre qui brevemente la generale distribuzione topografica delle piante del Vesuvio. Per procedere con ordine in questa parte generale del lavoro, dirò delle stazioni delle piante per varietà di suolo, per elevazione sul livello del mare, per esposizioni , e stati diversi di coltura. Le quali considerazioni maggiormente risalteranno col contrapporre alla Flora Vesuviana essen- zialmente e prettamente vulcanica, quella dell'Isola di Capri, consistente di sola roccia calcare non stratificata, che sta a mezzoggiorno del Vesu- vio alla distanza di 24 miglia ?). Ed ancora, perchè riuscisse più facile la comparazione con le piante dell’Isola d'Ischia, ho redatto il presente cata- logo secondo l'ordinamento della eccellente opera dello illustre G. Gu s- sone, intitolata: Enumeratio plantarum vascularium in Insula Inarime sponte provenientium vel occonomico usu passim cultarum, Neapoli 1854, in 8°, con tavole. I. — Del suolo vesuviano relativamente alla sua vegetazione. Il nostro monte presenta variate maniere di terreni vulcanici: le lave, le scorie incoerenti, le ceneri, i lapilli, e tutte quelle gradazioni che provvengono dalla scomposizione e dalla miscela di siffatte materie erut- tive, le quali concorrono a formare nello insieme un terreno detto dagli 1) Vedi: Carta delle Provincie Meridionali d’Italia del R. Oficio Topografico di Napoli 1860.— Altra misura geodetica fatta dallo stesso Oficio dal livello del mare alla Punta del Palo dà m. 1202.— La livellazione barometrica fatta dal Palmieri e Deville dà m. 1203. La Punta del Nasone, cima più alta della montagna di Somma, è a p. par. 3456, o metri 1122. L'Osservatorio Vesuviano sul colle dei Canteroni è a m. 630. 2) Ogni miglio di 60 a grado è m. 1852. LR SA agronomi siliceo, che or è sabbioso, or sassoso, ed ora rupestre ed aspro. L'elemento più speciale che questi terreni presentano a pro della vege- tazione, è nella presenza della soda e potassa ') in considerevole propor- zione, onde si veggon dotati di una certa fertilità spontanea, quantun- que essi sien venuti dall'azione del fuoco a memoria d'uomo, e a nostra vista: quindi sprovvisti d'ogni traccia di umo o di elemento organico. Per questo riguardo la naturale divisione in MoNTE DI Somma o Vesuvio antico, e Vesuvio propriamente detto, in quanto a sua forma e produtti- vità, offre due maniere di terreni distintissime fra toro; non fosse altro, per la profondità di terreno agrario di gran lunga maggiore nell'antico che nel moderno vulcano: differenza la quale interessa l'Agricoltura e la Botanica. Le lave, i luoghi aspri e sassosi si presentano poco profondi, o scoverti alla vista nella parte meridionale o moderna, quindi i prati sono aridi, costituiti da un fino e fitto tappeto di Poa dulbosa con la varietà vivi- para, Tillaca muscosa, Bellis annua, Filago gallica, Alchemilla aphanes ec., di muschi diversi, tra i quali i Bryum, i Phascum, e tra le epatiche V'0xy- mitra pyramidata la quale fa fitta zolla in cosiffatto terreno, ed ha la notevol proprietà di rinverdir sul secco tappeto in estate al cader d’una pioggia. Questa maniera di località nella regione vesuviana verdeggiante e fiorita in inverno, secca poi al finir di maggio, è la più considerevole pel botanico; dando ricovero ad una moltitudine di specie per lo più magre e piccine, specialmente presso il mare, e che in questo lavoro chiameremo col nome di prati secchi. Oggi, in Fitologia ed Agronomia è stabilito, che la costituzione fisica e meccanica del terreno ha maggiore influenza sulla vegetazione che la chimica composizione. Se non che l’una spesso si associa con l’altra; e dalla modificazione meccanica ne viene talvolta la chimica e viceversa). E di vero la porosità, fra le principali qualità fisiche, trattiene e combina gli elementi atmosferici. Or le lave vulcaniche offrono superficie molto scabrosa e porosa, onde le piante di qualunque ordine più facilmente vi fermano ed appiccano i loro semi e vi si radicano. Non così la superficie liscia e sdrucciolevole della rupe calcare, specialmente della isola di Capri, la quale mostra sempre a nudo i suoi fianchi spogli di vegetazione. E là dove è terreno agrario, questo è sempre più o meno superficiale. Il Vulcano antico, 0 MONTAGNA DI SOMMA, offre terreno molto più profondo 1) V. Girardin trait. élém. d’Agriculture, vol. I, p. 72. 2) Ancora il color nero o nereggiante delle lave e delle sabbie cagiona aumento di caloricità nel terreno, onde la vegetazione e fioritura si accelera di più giorni. ur SE e ricco del moderno detto propriamente Vesuvio. Ma questo sulle sue lave abbronzite e nereggianti, a pochi anni di età (circa dieci), incomin- cia a vestirsi per tutta la superficie, di quel lichene conosciuto col nome di Stereocaulon vesuvianum, come a primo inizio di vegetazione, il quale cuopre a guisa di velame sottile tutta la faccia della lava stessa, che per lo innanzi era la negazione d'ogni esistenza vivente. In seguito al detto lichene ed altre crittogame col seguir degli anni e dei secoli dànno ri- cetto a ginestreli e boschi: se altra lava non sopravviene. Già prima di questo avvanzato periodo di vegetazione incominciano fin dai primi lustri ad attecchir varie altre piante di cui i semi vi sian capitati: specialmente de’ semi papposi: come quei del Centranthus ruber, che rompe la triste monotonia delle lave, e fu da me osservato i suoi fiori acquistar color rosso più carico, cioè passar dall'ordinario suo color roseo al rosso- porporino; e ancora l’Helichrysum litoreum (H. angustifolium di altri au- tori); poi la Scrophularia bicolor ec., e finalmente i frutici e gli alberi. AI contrario la rupe calcarea di Capri appena dà ricetto a qualche lichene come la Roccella phycopsis (Roccella tinctoria, olim), alla Parmelia saai- cola ec., e poi se ne lava e resta a nudo di bel nuovo. Se non che la rupe calcarea in contrapposizione allalava vulcanica, ne’suoi crepacci dà luogo ad un numero di specie assai maggiore che non fa qualunque suolo vulca- nico e granitico. E ciò si andrà mostrando nel corso della nostra enume- razione comparata: condizione che favorisce gl’ interessi del botanico, ma è contraria a quelli dell’agricoltore *). Ancora un’altra ragione è da notare pel più pronto rinverdimento del suolo vulcanico. E questa sta nella cosiddetta cenere vulcanica {sabbia vulcanica) la quale cadendo ap- piana la scabrosità della superficie della lava: e da un’altra parte sì ac- concia in un modo speciale con le radicette, e specialmente con le spon- giole ed i peli radicali (succiatoi detti dal Gasparrini) delle piantoline crittogame, le quali con le dette loro produzioni cellulari s’ insinuano nei pori di quelle sottili particelle le quali nella loro piccolezza rappre- sentano talvolta materie pomicose: ancora più spesso con la materia at- taccaticcia che escreano vi aggrumiscono intorno il polverio di recente eruttato dal vulcano, o che vi si è formato. Ne viene da ciò che le ma- terie eruttate dal Vesuvio servono in vario modo ai vegetali, secondo la loro diversa fisica costituzione. Le lave recenti dopo circa dieci anni, 1) L'Isola di Capri nella sua superficie di 3 miglia quadrate offre circa settecento specie nel no- stro catalogo: mentre non va molto lungi da questa cifra il computo delle specie del Vesuvio in 40 miglia quadrate. la, -— y) — come sopra si è dello, coverte da licheni ed altre crittogame e fanero- game, ne vengon corrose e scomposte: mentre la sabbia vulcanica si presta e comporta coi vegetali in modo del tutto diverso. Imperciocchè le piante specialmente di ordini inferiori vi si radicano sopra, e cesti- scono formandovi tosto più o men fitto tappeto, ed aggregando e fer- mando quell’arenoso e mobilissimo terreno. Sugli strati di ceneri o di sabbie cadute sul dosso della montagna di Somma si distendono in tap- peto varie crittogame: e tra queste la Scapania compacta, la Bartramia fontana var. pumila (nob.), 1) Bryum elongatum, B. torquescens, la Tor- tula vinealis, il Polytrichum aloides, sulle quali e con le quali critto- game sì fanno luogo varie graminacee e giuncacee perenni, che costi- tuiscono uno strato erboso più ragguardevole e stabile, quasi fosse sel- va erbacea. Tra queste sono principalmente la Sesleria nitida Te n. il Phleum Michelii, la Calamagrostis Epigejos, la Festuca exaltata, tra le quali sulla plaga settentrionale prevale la detta Sesleria. Tutte piante queste acconce a fermare il suolo sabbioso di recente eruttato sull’antica montagna. Ma questo uffizio è dovuto in sulle prime alle Epatiche e Mu- schi testè cennati: in opposizione ai licheni litoidei che esercitano azione corrosiva nelle lave. II. — Stazione delle piante sul livello del mare. Il Vesuvio non si presta facilmente alla determinazione de’ limiti di distinte zone di vegetazione secondo l’elevazione sul livello del mare; sì perchè non è montagna molto elevata, e sì perchè, per ragioni proprie, le piante marittime, come or ora vedremo, s’internano e si elevano su per le sue pendici. Nientedimeno noteremo le tre seguenti: 1° Zona maritima che dà le seguenti piante: Asphodelus fistulosus, Eryngium maritimum, Crithmum maritimum, Rot- boella fasciculata, Glaucium luteum, Romulea Bulbocodium var. minima, Ophioglossum lusitanicum, Medicago marina, Onopordon virens, Cineraria maritima var. bicolor, Salsola Tragus, ec. Delle quali parecchie, come il Glaucium e la Medicago marina s'internano in dentro e salgono in alto fino a trovarsi ambedue alla cima del colle dei Canteroni a 700 m. La Salsola sì vede erratica pei piani di Mauro e di Pompei. A maggiori al- tezze e fino alla cima della montagna di Somma sale l’ Helichrysum lito- reum cioè fino a 3456 piedi, pari a m. 1122. 2° Zona media. A malgrado della esposta difficoltà, a livello dell’ Os- ae servatorio, a m. 630, cioè alla cima dei Canteroni, incomincia a ravvisarsi la regione del prato delle graminacee perenni, come la Sesleria nitida che invade il campo dal lato settentrionale, da questo livello (cioè da Ca- stello) in su. Vi si associa la Luzula maxima delle giuncacee, e più in su con altre piante d’inferiori ordini come la Scapania compacta delle epatiche, il Politriehum aloides dei Muschi. Le quali graminacee giun- cacee e crittogame sono acconcissime a fermare il suolo mobile di sabbia vulcanica. Le selve van di pari.passo con le dette crittogame; e poichè esse prendono grandissima ed importantissima parte nella vegetazione vesu- viana, potrebbero addimandarsi regione delle Selve. Esse propriamente, per ragioni agronomiche ed economiche, occupano il terreno esclusi- vamente al di sopra la regione de’ vigneti, che ascende fin presso il Sal- vatore dalla parte meridionale, e fino a Castello dalla settentrionale o di Somma. Vi si veggono le seguenti piante legnose: Cytisus Laburnum (volg. Maggio); Acer obtusatum (volg. conocchia); Populus australis (volg. Arbuscello); Alnus cordifolia Ten. (volg. autàno); Castanea vesca (volg. Castagno); Ostrya vulgaris (volg. carpinello); Quercus robur, var. plures ec. 1 ginestreti, o Îruticeti del Vesuvio occupano gran parte della superfi- cie vesuviana, i quali, tutti della zona media, offrono al botanico molte piante proprie di questa maniera di vegetazione silvestre, la quale sì po- trebbe ancora addimandare regione dei ginestreti: essi si compongono delle seguenti piante fruticose : Spartium scoparium (volg. Cinericci): è la ginestra più abbondante dei nostri terreni vulcanici; Spartiwm junceum (volg. Ginestra) meno abbon- dante e comune della precedente; Colutca arborescens (volg. Scoccapìreta); Genista tinctoria (più propria delle selve); Cytisus triflorus; il suddetto Cytisus Laburnum (volg. Maggio) ec. ec. I Iuoghi sassosi, i quali si trovano sì comuni o in macerie attorno alle colture, od in mucchi e monticelli nelle stesse colture, specialmente vi- gneti, dànno al botanico, tra le molte, l’Aristolochia altissima, la Cheilan- thes odora, l' Asplenium Ceterach, V Asplenium trichomanes, Vl Asplenium Adianthum nigrum, e costantemente tra le crittogame cellulari la Grim- mia pulvinata, la Targionia hypophyUa, e le tante forme di Cladonia py- xidata ec. I ciglioni di terra e poggetti soleggiati son coverti della Cor- sinia marchantioides, al Vesuvio assai più comune della stessa Lunularia vulgaris copiosa attorno Napoli. IST I prati del Vesuvio, che fan bella mostra di sè nei mesi invernali e di Se primavera fino al principiar di maggio, dopo il qual tempo tutto il loro campo è arido, si vogliono distinguere in secchi ed erbosi: tra i primi come quelli del Granatello, di Torre del Greco, Tironi ec., dànno luogo ad una vegetazione invernale assai variata; ma le piante, per piccolezza ed esiguità negli organi vegetativi, dànno risalto agli organi fiorali, i quali talvolta anch'essi s’ impiccoliscono: così l’Allium Chamaemoly, e la Sal- via clandestina; e V Ieia minima Ten., che trovasi al Granatello, non è che la forma minima dell’Ixia (Romulea) Bulbocodium e ramiflora, come si può dedurre dalle copiose collezioni di queste specie negli erbarî del Gussone e nostro, ed ancora dalla ispezione della Izia Bulbocodium figurata nel 1° tomo della stupenda Flora Greca del Sibthorp ?). I prati erbosi, che dànno piante da fieno e che costituiscono lieto pa- scolo agli animali erbivori, e nello stesso tempo adornano le pendici vesuviane, specialmente apriche e meridionali, offrono le seguenti spe- cie utili: Vicia pseudo-cracca Bert. (volg. veccia), V. ps. var. sylvatica (nobis) (volg. veccia), Vicia bithynica (volg.veccia), Lathyrus tenuifolius (volg. Dolache), Trifolium pratense (volg. moscarelli), Trifolium mutabile Port- schl., Trifolium nigrescens (volg. trifoglio), Astragalus glyciphyllos (volg. ranfa di gatta, o centre di gallo, nelle selve) Melilotus leucantha (volg. Triboli), Chrysanthemum segetum (volg. occhio di bue), Cerinthe aspera var. gymnandra (volg. sugamele), Bunias Erucago, di cui i fiori dànno un singolare odor grave al prato, ec. ec. 8° Zona estrema superiore. Per lungo tempo sono andato ricercando quei vegetali che designassero la estrema regione che si accosti per lo meno alla montana. Alla quale altezza il Vesuvio (cioè Somma) giunge sì, ma senza portarvi il Faggio ed altre piante compagne. Finalmente mi riusciva ritrovarvi la Betula alba , la quale sta alla cima del monte Somma in bosco ceduo e abbarbicato su per certi blocchi che si acco- stano alla punta del Nasone dal suo lato owest. Questa estrema vegeta- zione vesuviana va assieme col Pyrus Aria, l' Ostrya vulgaris, la Sazi- fraga rotundifolia ?), e tra i muschi il Coscinodon pulvinatus *), le quali piante stanno presso all’ estrema vetta o ciglione messo a nudo dall’ a- zione del tempo; essendo esistito questo vulcano innanzi ai tempi sto- 1) Dobbiam lamentare che nelle nostre Biblioteche botaniche di Napoli pubbliche e private non esi- ste di questa rarissima opera se non il citato 1° volume di molto avariato nella Biblioteca Tenoreana. 2) Questa però sta ancora nelle vallette inferiori. S) Nel Rendiconto di ottobre è detto per errore Grimmia sphoerica Sch. (Schistidium pulvi- natum). 9 — rici. Una moltitudine di specie che nascono nella zona inferiore qui al- lignano egualmente bene, tra le quali l’Helichrysum litoreum Guss. l'Ar- temisia variabilis Ten., la Quercus Iea, la Colutea arborescens ec. ec. La presenza della Betula sul Vesuvio è soggetto di meditazione pel geo- grafo-botanico; perchè nelle montagne circostanti è rarissima. III. — Per la esposizione. La Flora vesuviana va divisa in quella del Somma o settentrionale, ed in quella del Vesuvio propriamente detto o meridionale. L'enumerazione che io intraprendo spesso dichiara di ciascuna specie la stazione, se del- l'uno o dell’altro versante del monte. Tutte le località secche apriche e sassose vanno comprese in questa parte, le ombrose selvatiche uber- tuose da quell’altra. Tacciò de’ versanti intermedì di oriente ed occidente: mentre credo prezzo dell’opera ricordare, che dal lato meridionale la zona vegetante non giunge nemmeno a mezz’altezza del monte, cioè fino alla linea delle Piane, al di sopra della quale non esiste punto vegeta- zione. Esposizione seTTENTRIONALE — Lilium bulbiferum var. sine bulbillis (L. croceum Chx.); Rubus glandulosus; Hypericum montanum; Poa ne- moralis; Cephalanthera ensifolia; Luzula mazima; Saaifraga rotundi- folia; Arabis collina e A. rosea fino alle più basse regioni: nella critto- gamia; Scapania compacta; Polythricum aloides var. cyatiforme (nob.). Di una Bartramia vesuviana (Bartramia fontana var. pumila, nob.) dirò a suo luogo: essa è propria di questa plaga vesuviana, non trovandosi punto nella meridionale. Osservasi in tenue tappeto pei margini delle selve nelle valli e lungo i sentieri che menano su per la cima della mon- tagna di Somma. L'ESPOSIZIONE MERIDIONALE dà le seguenti specie: Salvia clandestina, Medicago marina, M.qraeca, Helichrysum litoreum, Lupinus angustifolius, Scabiosa grandiftora; Orchis papilionacea; Orchis pseudo-sambucina; Bar- tramia stricta; Bryum capillare; Oeymitra pyramidata; Riccia glauca ec. IV. -— Le regioni agronomiche vesuviane. Sono esse tre : degli Orti; delle Vigne; dei Boschi. 1. GLI ORTI, i quali stan ristretti nella angusta zona inferiore presso Portici, Resina e le due Torri, i poderi s’irrigano col mezzo delle norie, ig e de’ canali a Torre Annunciata. Il Pomidoro si coltiva estesamente su poi vigneti a secco, dacchè un morbo epidemico invadeva questa pianta più ne' siti bassi ed umidi che asciutti ed elevati ‘). 2. LA REGIONE DELLA VITE va di conserva con quella dell'Ulivo, del Fico, del Carubo e del Gelso. La quale zona finisce alla cima dei Cante- roni o all'Osservatorio; mentre che dalla parte del monte Somma, ha termine a livello di Castello ?). In questa zona stessa, in quel di Torre del Greco da trent’ anni in qua, si mostra assai vantaggiosa la introdu- zione del bosco di Pino (Pinus Pinea), che sarà d’ ora innanzi una bella fonte di riechezza per quelle aduste e sabbiose contrade, come la più ac- concia e più produttiva. La regione della vite sta tra quei limiti in cui sì trovano l’Arabis col- lina e le Felci, tra le quali quella ch'è più caratteristica del Vesuvio, cioè la Cheilanthes odora; l Aristolochia altissima, ancor propria del Ve- suvio, e molte altre piante. I vasti vigneti del Monte di Somma, se superano per estensione e per abbondanza di prodotto la parte meridionale o moderna, la cedono per la qualità del vino. Il famoso Lacrima christi non è che il vino pretto de’ vigneti diversi che allignano in luoghi di mezzana elevazione, nè scendono negli ubertosi campi inferiori, dove la inferiore qualità del vino è detta mezza lacrima. 3. NEL VERSANTE SETTENTRIONALE. Da Castello in su non sono che bo- schi, i quali coprono tutta la montagna di Somma fino alla cima, e quin- di il Botanico vi troverà quelle specie che sono proprie dei boschi, come più sopra si notava. Confronto tra la vegetazione dell’ Isola di Capri con quella del Vesuvio. L'Isola di Capri, lunga tre miglia geografiche e larga uno, è costituita di roccia calcare non stratificato, quindi di formazione apparentemente diversa dal vicino promontorio della Campanella; n'è la stessa per natura di suolo e per forma rocciosa ed alpestre. Ben poco può offrire di carat- teri relativi a stazioni diverse delle piante, in quanto ad elevazione sul livello del mare; non essendone più di 1900 p. (m. 618.) elevata la più alta cima del monte Solaro. 1) In questo anno d'estate piovosa un moggio di questa coltura ha potuto dare fino a 30 quintali di pomidoro, pari a circa 90 quint. l’ettaro. ?) Vedete V. Semmola — Delle varietà de’ Vitigni del Vesuvio e del Somma, Napoli 1848, in 4°, . pag. 24. Atti — Vol. IV. N.° 6 2 Ma Essa quantunque nella massima parte offra le stesse piante del Vesu- vio o de' Campi Flegrei; pure pel predominio di talune, e per la man- canza di altre, ed ancora pel paesaggio diverso, onde l'Isola di Capri è stata mai sempre famosa non che singolare sì da trarre a sè pittori pae- sisti di tutto il mondo, ha una Flora di fisonomia tutta propria e diversa dalle circostanti. Invano pel Vesuvio e pei campi Flegrei si cercherebbero le seguenti piante *), o difficilmente si troverebbero. Ranunculus flabellatus; Fumaria leucantha; Biscutella maritima; Cap- paris spinosa; Cistus monspeliensis; Helianthemum Fumana; H. italicum Moehringia muscosa; Linum tenvifolium; Ruta bracteosa; Pistacia Tere- binthus; Ononis Columnae; Anthyllis (Vulneraria) tetraphylla; Vicia o- chroleuca; Coronilla valentina: Hippocrepis ciliata; Astragalus hamosus; A. sesameus; Tetragonolobus purpureus; Medicago circinnata; Brignolia pastinacaefolia; Thapsia Asclepium; Smirnium Olusatrum; Asperula to- mentosa; Scolymus maculatus; Evax pygmaea; Erica ramulosa; Convolvu- lus Cneorum; U. lineatus; Lithospermum rosmarinifolium; Anchusa italica; Echium calycinum; Satureja montana; Rumex Acetosa (an R. thyrsoides passim °); Thesium divaricatum; Passerina Tartonraira; Euphorbia spi- nosa; Parietaria cretica (P. filiformis); Pinus halepensis ; Juniperus phoe- nicca; Orchis undulatifolia; Crocus Imperati; Narcissus Tazzetta var. prae- cocior (nobis); Scilla maritima; Aspidium rigidum; e tra le crittogame cellulari terrestri l’Entosthodon curvisetus; la Parmelia Lagascae; Urcco- laria scruposa; ed altre. CONCHIUSIONE Il Vesuvio non ha piante a sè proprie assolutamente. Lo Stereocaulon vesuvianum, più proprio delle suc lave, è abbondante su quelle dell’Arso in Ischia e trovasi ancora sul tufo vulcanico presso Caserta (Rendiconto R. Ace. delle sc. fis. mat. Napoli, An. VII 1868, fasc. 5°, p.98). Così ancora dicasi dell'Isola di Capri, la quale porta delle piante rare sì ma non es- clusive. La ragione di questa comunanza di vegetazione in suoli tanto disparati, quanto quelli del Vesuvio e di Capri, sta nella ubiquità delle piante; potendo queste attecchire in terreni tra loro diversi. Oltredichè 1) La Isola d'Ischia presenta piante delle due regioni diverse. 2) In quest'Isola son rarissime la Malva syluestris ed il Rumex bucephalophorus, piante tanto co- muni ed abbondanti al Vesuvio e nei Campi Flegrei. iti è consentito in scienza (e dalla presente Flora comparata meglio si con- fermerà), che è più pel predominio, che per l'esclusività di alcune piante sopra certe altre per ragioni fisiche e chimiche (più per ragioni fisiche) che si costituiscono le fisonomie delle particolari Flore de’paesi e regioni diverse; specialmente quando queste si estendono fra limiti angusti e di paesi che hanno strette relazioni di vicinanza e di commercio. Nientedimeno io noterò alcune forme proprie del Vesuvio, le quali se per alcuni botanici potrebbero avere ragioni di essere considerate come specie, per me non solo non son tenute per tali, ma spesso sono recate in mezzo ad altre vicine come forme intermedie, affinchè queste si po- tessero intuitivamente riunire ad unica specie. N. B. — Segni convenzionali — © pianta annua; Sp. bienne; % p. perenne; 5 p. legnosa; e p. coltivata, o riferita sull’ altrui fede. E DICOTYLEDO NES Thalamiflorae. RANUNCULACEAE 1. Clematis Flammula, Lin. Habitat cum sequent. varietatibus, frequens per totam plagam meridionalem. FI. junio. £ d « «var. b. foliolis suborbiculatis, C. fragrans Ten. fl. nap. |. p. 308 tab. 48. Reich. ic. fl. germ. 4. f. 4666. a. In arenosis, maceriis, meridionalibus et occidentalibus frequentissima. Torre del Greco a Mon- ticelli, Tironi, Vetrana cc. vulgo Fuoco morto. FI. junio — Rarissima cst in m. Somma, ubi in sepibus demissis nascitur, Ottajano. « «forma heterophylla, segmentis foliorum confluenti-am- pliatis. Venit non raro cum praecedenti varietate: Camaldoli ec. Fl. junio. FLORULA INSULAE CAPREARUM E SOLO CALCAREO RUPESTRI CONSTITUTAE cum Flora Vesevi e solo vulcanico comparata et in modum adnotationis in hisce paginis exposita. RANUNCULACEAE | — Vitalba (rara). | Anemone hortensis (communis). Clematis Flammula ubique, vulgo Fuoco — apennina (rarissima). morto. | == Obs. Caules plures sublignosi quoque anno e rhizomate adsurgunt. 2. C. Vitalba, Lin. In sepibus, dumetis, sylvaticis, ubique m. Somma, vulgo Vitaja aut Tortavitaja. FI. julio. « «var. a. segmentis integerrimis, Reich. ic. germ. 4 f. 1467. Sepibus sylvaticis; Camaldoli, Tironi, Canteroni ec. vulgo Vitaja aut Tortavitaja. FI. julio. 1. Anemone apennina, Lin. Sylvis olim inveni (conf. Pasquale. FI. vesu- viana in Esercitazioni dell’ Acc. degli Aspiranti Naturalisti t. 2. p. 81.); sed hodie nec a me nec a collegis meis inventa. % Obs. Anemone hortensis deest florae vesuvianae: dum communis in fl. inarimensi et prope Puteolos. 1. Ranunculus Ficaria, var. calthaefolius Guss. syn.—R. calthaefolius Jord. — Guss. inar. — R. Ficaria Ten. fl. nap. — Ficaria calthaefolia Reich. ic. fl. germ. 8. f. 4571. — Pratis apricis; Granatello, Pugliano, Torre del Greco ec. Fl. decembri. % 2. R. Philonotis, Lin.—R. hirsutus Ait. — Reich. ic. germ. 3. f. 4617. Matth. com. 1. p. 559. — In pratis herbosis ubique. FI. aprili. © 3. R. lanuginosus, Lin. —FI. dan. 397.— Reich. ic.fl. germ. f. 4609. — In convallibus: Canteroni. FI. aprili-majo. % 4. R. velutinus, Ten. fl. nap. 4. p. 950. t. 147. Syll. 272. Bert. fl. it.— Pratis, et collibus: nei R. Parchi di Portici (Gussone), della Favorita, ed ai Canteroni. FI. martio-majo. % Obs. Quamquam ob folia similia cum praccedenti videri possit con- iungenda (Reich. exc. 4609), tamen ob formam constantem achenii mutici distincta species est. } 5. R. Bulbosus, L. — FI. Dan. 551. Reich. ic. fl. germ. 3. f. 4614. In svlvaticis, Portici (Gussone).—0bs. Foliis inferioribus ternato-sectis, car- pellis parum rostratis vel muticis. % i 6. R. muricatus, Lin. — Reich. ic. germ. 8. f. 4615. — In saxosis, et pratis siccis, Granatello. Fl. martio. © 1. Helleborus foetidus, Lin. — Reich. ic. germ. 4. f. 4715. — In syl- vaticis humbrosis, Canteroni, Somma. Fl. februario. 1. Delphinium Ajacis, Lin. — Reich. ic. germ. 4. f. 4670. — Inter sege- tes, et in svlvaticis, rarum, alla Favorita S. Giorgio a Cremano : vulgo Speron di cavaliere. Fl. majo-junio. © Ranunculus flabellatus (Solaro). Delphinium cardiopetalum. — muricatus, ubique in cultis, | Nigella damascena (communis). == 13/=e 2. D. cardiopetalum, DC. —D. halteratum Sib. Sm. Prodr. fl. gr. D. pe- regrinum L. ex parte. D. junceum L. — Pasq. fl. ves. op. cit. p. 34. — In apricis cultis, et per vias passim; Granatello, Camaldoli, Strada del Salvatore, Osservatorio, Somma ec. FI. junio-julio. © Obs. Petala exteriora duo rotundato-cordata longe et flexuose ungui- culata. Stamina 14-16, ovaria 8. Nescio quo differant synon. citata a D. cardiopetalo nisi pet. ext. subcordatis. Reich. ic. fl. germ. 4. f. 4672. PAPAVERACEAE 1. Papaver Rhoeas, L.— Reich. ic. fl. germ. 4. f. 4478. In cullis com- mune, vulgo Papagno selvaggio. Fl. aprili. © 1. Glaucium flavum, Crantz. G. luteum a. Ten. fl. nap. Chelidonium Glau- cium L. — Reich. ic. germ. 4. f. 4468. — In arenosis demissis mediis nec non elatis. Portici, Mauro, Atrio del Cavallo ec. FI. aprili. X 1. Ghelidonium majus, L. — Reich. ic. germ. 4. f. 4467. — In sylvis: Eremo, Somma, ubi vulgo Papagno selvaggio. 4 FUMARIACEAE 1. Fumaria capreolata, L. — Dec. ic. gall. 34. -— Reich. ic. fl. germ. 4. f. 4456. — Coss. Germ. atl. fl. Par. t. III. f. 11-12. —In sepibus, ma- ceriis et in cultis, vulgo Fumaria bianca. © « « var. b. F. Jordani Guss. En. inar. p. 12. tab. II. F. major, Tenore (Vincentius): Bull. Acc. degli Asp. nat. an. l. p. 24 « «e. F. agraria Guss. en. inar. tab. II. quae varielas vix a praccedenti distinguitur lobis foliorum angustioribus. « «dd. F. flabellata Gasp. Sepalis serrato-ciliatis quo differat a F. capreolata typica nescio. In muris et in herbidis. 2. F. officinalis, L. — Reich. ic. 4. f. 4454. Coss. G. atl. fl. Par.t. HI f. 7-8. — Communis in cultis, vineis. FI.jan.-martio: vulgo Fumaria rossa. © PAPAVERACEAE | FUMARIACEAE Papaver hybridum. Fumaria capreolata. —. dubium, an P. intermedium Bech. | —. officinalis. — Rhoeas. | — Vaillantii. — —. var. db. minor. | — leucantha (F. parviflora Ten. fl. Glaucium flavum. nap.) Chelidonium majus. E Fumaria otf. var. e. media. F. media Loisl. Reich.ic. fl.germ.4.f.4443. F. officinalis e. Bert. excel. syn. F. Gasparrini et F. Vaillantii — Nascitur cum praecedenti. Fl. aprili-junio. © 3. F. Vaillantii Lois. — Reich. ic. fl. germ. f. 4482. — Coss. Germ. atl. fl. Par. t. II. f. 13-14. Vaill. bot. par. t. 10, f.6.—F. serotina Guss. En. in. p. 18. t. III. — F. confusa Jord.— F. Gasparrini, Babingt. (Guss. in herb.) — In cultis copiose Portici (herb. Gusson. ) ec. serius floret aprili. © Obs. Fumaria Vaillantii Loisl. transitum facit ad F. confusam et F. serotinam, ita ut mihi videantur in una specie esse coniungendae. CRUCIFERAE I. Raphanus sativus, L. — Lam. ill. gen. t. 566. Reich. ic. fl. germ. 9. f. 4175. — Colitur et quandoque spontaneus. « « varietates cultae plures; radice alba (Rafanielli tondi bianchi); 2. radice longa cylindracea rubra (Rafanielli lunghi rossi); 3. ra- dice longa alba (Rafanielli lunghi bianchi); 3. Napiformis Gasp. (Rapesta). 2. R. fugax, Presl. In vineis aprili. © Raphanus Raphanistrum var. (aliorum auctorum). 3. R. Landra, Moret. var. floribus luteis— Deless. ic. select. 2. t. 94. Pollini fl. ver. 84. 4. Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4173.—In vineis et agror. marginibus. Fl. februario © — Comeditur inter olera. $* 1. Lunaria biennis Moench. — L. annua L.—Lam.ill.t.561.f. 2. — R. Parco della Favorita, nec alibi. FI. aprili. © vel S° Obs. Siliculae subrotundae. i 1. Draba verna, Lin. — Lam. ill. gen. t. 556.f.1.— Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4234. — Ubique in pratis siccis, S. Maria a Pugliano ec. FI. januario. « « D.praccox—D. praecox Ten. fl. nap.— Reich. ic. fl. germ. 2. f. 42383. FI. februario-martio. © 2. D. muralis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 556. f. 2.— Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4233. In muris et in maceriis. FI. martio. © CRUCIFERAE | Biscutella maritima. | — ciliata. Cakile maritima. | Draba verna. Bunias Erucago. | — —. var. praecox. Capsella Bursa-pastoris. | Koniga maritima. Lepidium graminifolium. Cardamine hirsuta. sai WE ve 4. Koniga maritima, R. B. — Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4266. Alyssum maritimum, Lam. — Nihil communius nihil copiosius in cultis, mu- ris, ec. ubique. Floret per totum annum. * 5 « « formaatropurpurea — Rara per vias — Tironi, Branchini a Torre del Greco, Cercola sotto Vetrana. — Petalis versus basim, nec non siliculis atropurpureis: ita ut varietas evadat ornatui aplissima. 1. Cardamine hirsuta, Lin. — Reich. ic. germ. 2. f. 4304. —In pratis, et in humidis sylvaticis communis. FI. januario. © 4. Arabis collina, Ten. fl. nap.tom.4.tav.164.f. 1. d. A media ad sum- mam altitudinem, in maceriis, saxosis, arenosis sylvaticis: Torre del Greco a Monticelli, Camaldoli, Somma ec. FI. martio: fruetus perficit aprili. S 2. A. rosea, DG. — Delessert. Ic. select. t. 2. tab. 23. — A. collina var. virescens rosea, Ten. fl. nap. tav. 164. f.1.B. — Frequens in collibus usque ad loca editiora, Salvatore. In septemtrionali plaga etiam demissis legi potest: in Somma (sulle mura della città), Vetrana ec. FI. februario, mario. SS Obs. Haec species cum praecedente deest florae Inarimensi. 3. A Turrita, Lin. — Jacq. fl. austr. t. II. — Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4345. — In sylvaticis, Monte di Somma. Fl. majo-junio. S 1. Matthiola rupestris, DU. — Strada ferrata di Portici, ubi probabi- liter ex hortis aufugit. FI. februario-aprili. 4. Gakile maritima, Scop. — Reich.ic. fl. germ. 2. f. 4188. Bunias Cakile Lin. — In lIitore arenoso, Portici, Resina. Fl. martio. © 1. Biscutella ciliata, DO. — Reich. cent. VII. f. 831. B. coronopifolia W. DC. ic. gall. t. 39. non L.—In muris, S. M. Pugliano. Fl. martio. © 2. Bunias Erucago, Lin. var. fructu quadrangulari. — In pratis her- bosis, cultis et incultis, nec non inter segetes praesertim inter lupinos, emanans odorem peculiarem: pro foeno cum aliis herbis leguminosis adhibetur. Fl. martio. © Obs. Fructus constanter et regulariter striato-tuberculati, 4-angu- lares, minime alati, ut in Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4159. vix marginati, mar- gine regulariter tuberculato medio interrupto. Arabis collina Ten. | Alliaria officinalis. —. verna R. Br. | Sisymbrium officinale. Matthiola rupestris, ad rupes prope ma- | — polyceration re — Grottazzurra. | — thalianum (Arabis thaliana). Nasturtium officinale. i Diplotaxis tenuifolia. Erysimum Barbarea (Barbarea vulgaris). | Turritis glabra. Ue 1. Gapsella Bursa pastoris, DC. — Reich. ic. fl. germ. f.4229, Bursa pa- storis, Malth. comm. I. 521. — Ubique communissima. FI. a fine februarii per totum annum. « «forma ramosissima: per vias saxosas inter Portici et Torre del Greco. 1. Senebiera didyma, Pers. — Senebiera pinnatifida DG. Lepidium didy- mum Lin. Per vias: alle stazioni di Portici (Gussone); di Torre del Gre- co. Fl. martio. © Obs. Secus vias et stationes viae ferratae haec planta hodie habitat, olim extranea e provinciis meridionalibus Italiae (v. Pasquale. Atti della Società Pontaniana vol. IX. fasc. IX.). 1. Sisymbrium officinale, DC. Erysimum oflicinale Lin. — Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4401.—In ruderatis Granatello, et alibi. Fl. majo I 2. S. Polyceration, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4403. Irio alter Matth. com. I. p. 554. In saxosis, et in viis— Granatello. FI. aprili. © S 3. S. Thalianum, Gay. Arabis Thaliana Lin. Conringia Thaliana Reich. 2. f. 4880. — In muris, saxosis et sylvaticis communis. FI. a mense martii in majum. © 1. Diplotaxis tenuifolia, DC. — Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4420 — Sisym- brium tenuifolium Lin.—In cultis copiosa. Inter acelaria utitur, vulgo dicta Itucola selvaggia. Fl. per totum annum. © SY « «forma pinnatifida: rarior 4 S. Giorgio a Cremano. 1. Brassica fruticulosa, Cir. pl. rar. neap. fasc. 2. p. 7. t.1.—In apri- cis, muris, saxosis, nec non in cultis communis. Floret hieme et vere, et quasi per totum annum: comeditur inter olera: vulgo rapicoi. 4 d 2. B. oleracea, Lin. ©. Plures varietates coluntur in hortis, ubi prae- sertim sunt notandae sequentes: « var. Acephala Gasp. — vulgo Broccolo nero, vroccolo niuru. « Bullata Gasp. — Cavolo verzo. « Capitata Gasp. — Cavolo Cappuccio. « Caulo-rapa. — Torzelle. « « foliis fimbriatis — Torzelle ricce. « Botrytis — Cavolo fiore bianco. « «violacea — Cavolo fiore di Palermo. Brassica fruticulosa. — Napus (culta). — incana Ten. Eruca sativa. — oleracea (plures var. cultae). Sinapis nigra (culta). — Rapa (culta). — incana (communis). MORI, e 3. B. Rapa, L. vulgo Rapa late colitur pro armentorum pabulo. 4. B. Napus, (sec. Gasp.): Broccoli di Rapa. 4. Eruca sativa, Lam.— Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4421. Brassica Eruca Lin.— Erratica in cultis, et etiam colitur: vulgo Arucola di Spagna. © A. Sinapis nigra, Lin.—Reich. ic. fl. germ.2.f.4427.—In cultis sponte, per vias, in fimetariis ec.: vulgo Sendpe. © CAPPARIDEAE 4. Capparis rupestris, Sibth. Sm.— Reich. ic. fl. germ. 4. f. 4488, — In muris antiqui Coenobii Camaldulensium, et alibi (rara). FI. junio. RESEDACEAE 4. Reseda fruticulosa, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 2. f. 4449. In fruti- cetis, lavis, lapidosis, muris frequens, in demissis simul ac editioribus: vulgo Coda di volpe. Fl. aprili: ad cacumen (al Salvatore) Fl. majo. % d Obs. Unicam quamquam variabilem quoad foliorum incisiones video speciem in Vesevo; R. alba Lin. et Reich. ic. fl. germ. f. 4448. ad hanc speciem maxime accedit. CRIISST IN EAE 1. Cistus salvifolius, Lin. —Reich. ic. fl. germ. 3. f. 4559. Willk. ic. descr.tab. XCI. et XCII. —In sylvaticis, Camaldoli, Osservatorio, et prae- sertim in fruticetis apricis abundans, Ottajano ec. FI. aprili. d CAPPARIDEAE — monspeliensis(vulgo Mucchianico). — —. var.d.C.affinis Guss. syn. ct Capparis rupestris (copiosa in tota insula). En. pl. inar. Foliolis calycinis exte- — spinosa. rioribus interiora subexcedentibus. Abundat in plaga occidentali — vul- RESEDACEAE go Mucchianico. Helianthemum guttatum. Reseda luteola (culta inter tinctorias). i — —. var. a. Columnae Pres]. — fruticulosa (R.alba, Guss. v. Capri). | — Fumana. —_ levipes. CISTINEAE — thymifolium Pers. var. viride Ten. | — — Barrelieri Ten. Cistus salvifolius (vulgo Mucchianico). — vulgare var. italicum. — villosus, ubique in rupestribus. | — —. stabianum Ten. var. Atti—Vol. IV.—N.° 6 3 Ra x 2. C. Monspeliensis, L. — Reich. ic. fl. germ. f. 4561. Willk. ic. deser. t. LXXNXVI. — Real parco di Portici (nec alibi). Fl. majo. 1. Helianthemum guttatum, Mill. — Willk. ic. deser. t. CXII. - CXIV. Tuberaria bupleurifolia Willk. t. CXV. — In pratis siccis et in herbidis frequens: Strada dell’ Osservatorio, S. Jorio, Granatello, ec. Fl. majo. 1. H. vulgare, Gaert. var. unicolor Willk.H.obscurum. Pers. Reich. fl. excurs. H. grandiflorum (ratione loci) Pasq. FI. ves. in op. cit. Sylvis ce- duis mediac et superioris regionis, abundans, ai Canteroni ec. Fl. majo. S VIOLARIAE 1. Viola odorata, L. — Reich. ic. fl. germ. 3. f. 4498. — In sylvaticis et fruticetis Osservatorio ec. Fl. januario-martio. 2. V. hirta, L.— Reich. ic. germ. t. 3. f. 4493. —sepibus, fruticetis, ceduis, S. Anastasia, ec. % e « «var. fl. albido. — V. Dehnhardti Ten. fl. nap. s. p. 382. t. 219. f. 2. S. Anastasia (sec. herb. Guss.), Fosso di Vetrana (olim) Pa- squale fl. ves. in op. cit. pag. 1. Minime mihi datum est nunc invenire hanc varietatem. 9. V. sylvestris, Lam. — Reich. cent. 18. f. 4503. — V. Riviniana et V. canina Pasq. FI. Vesuv. Esercit. Acc. Aspir. Nat. v. II. p. II. pag. 33. — In sylvis communis. FI. majo. % 4. V. tricolor, var. bicolor. Inter segetes. Fl. aprili. © « «var. gracilescens. Viola gracilescens Jord. — Ad sepes et in agris, Ottajano. FI. aprili. © CARYOPHYLLEAE 1. Dianthus prolifer, L. — Kohlrauschia prolifera Reich. ic. fl. germ. f. 5009. — In apricis Vesevi et Summae. FI. junio © nec ocius observare mihi datum fuit. « «var. praecox (nobis) — D. velutinus, Guss. pl. rar. p. 166. VIOLARIAE CARIOPHYLLEAE | | Viola odorata, L. Dianthus prolifer (ad Anacapri). — hirta. — — var.praecox,D. velutinus Guss. Viola tricolor. — sylvestris (D. longicaulis). — —. bicolor, V. arvensis Ten. V. | Gypsophila saxifraga (G. permixta Guss.) gracilescens Jord. Saponaria officinalis. PRESE gi [Lo RS En. pl. inar. p.84 et 35. Kohlrauschia velutina Kth.— Reich. ic. fl. germ. {.5010.—In siccis apricis cultis et incultis frequentissimus. FI. martio usque ad medium mensem mai, nec ultra. © Obs. Pili simplices exquisite capitati. Quoad pubescentiam caulis et tempus florendi varietas dislineta: at quoad semina cymbiformia, in D. prolifero paulo minus clausa, exteritus aequaliter muricata, speciem Gussonianam varietatem existimandam esse puto: coeterum confer Guss. op. cit. loc. cit. etc. 1. Gypsophila saxifraga, Lin. — Bert. Ten. et alior. auct. G. permixla Guss. supp. pag. 120. Tunica saxifraga Scop. — Reich. ic. fl. germ. f. 5000. — In saxosis ubique aprili-majo. % A. Saponaria officinalis, L.— Reich. ic. fl. germ. 6. f.4995.— frequens, Osservatorio et alibi, Somma, S. Anastasia ec. vulgo Erba Saponaria. FI. junio. Y 1. Silene cerastioides, L.— Willk. ic. et descr. tab. XXXVII.— In cul- tis nascitur, et secus vias, Portici, cum S. gallica. FI. aprili-majo. 4. bis S. Giraldi, Guss. En. pl. inarim. 86. tab. I. f. 2. c. d. — S. cera- stioides, d. tota glabra Bertol. fl. ital. p. 574. Tra î Camaldoli ed il mare nei vigneti (ex ipso Gussonio, vide Herbarium H. R. Neapolitani olim Gussonianum) species a me in Vesevo non visa. FI. aprili-majo. © 2. S. gallica, L. Ten. fl. nap. et Rohrb. Sil.96.—S. sylvestris Schot.— S. Candolli, Jord. ex ejusd. pl. exsiccat. et S. litoralis Jord. — Reich. ic. fl. germ. 6. f. 5054-5055. — Omnium specierum communissima in cul- tis et incultis apricis demissis et editioribus, praesertim secus vias. FI. februario-aprili. © Obs. Ob pilos longos seriatim dispositos in nervis calycinis facile distinguenda a sequenti. 3. S. nocturna, L. — Reich. cent. 16. f. 5059. Ten. fl. nap. t. 230. f. 3. S. neglecta Ten. op. cit. t. cit. f. I. — Communis secus vias et in cultis sed minus praecedenti frequentior, Portici, Torre del Greco. © Obs. S. nocturna a S. neglecta non differt. 4. S. pendula, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 6. f. 5070. — In vineis, ad agrorum margines, sepes — Strada dell’Osservatorio, Portici, Ottajano, in regione vesuviana frequentissima. Fl. martio-majo. © Silene gallica. | —. italica — cerastioides. — inflata angustifolia. — Giraldi Guss. (viag. a Capri). Lychnis dioica, in dumetis. * RE). JE 5. S. Armeria, L. — Reich. ic. fl. germ. 6. f. 5079. — Arenosis, Ca- maldoli della Torre, et abundantius in editioribus Summae. FI. majo-au- gusto, Ottajano. © 6. S. italica, Pers. — Cucubalus italicus L. — In sylvaticis per totum Vesevum, sive demissis sive editioribus, et in muris. Osservatorio, Torre del Greco, Somma ec. FI. ab ineunte aprili in demissis: majo-junio in edi- tioribus. % 7. S. conica, L. — S. conoidea et S. conica Reich. ic. fl. germ. 6. f. 5061-63. non Lin. — In cultis et in herbidis: Strada dell’ Osservato- rio, ec. FI. a februario usque ad majum. © 8. S. sericea, All. — Rohrb.—S. bipartita, Desf. var. db. decumbens — S. sericea a Guss. — S. decumbens Biv. cent. l. p. 75. t. 6. — Per vias, Torre del Greco (rara et erratica). Fl. martio. © 9. S. inflata, d. angustifolia Bertol. fl. ital. —S. Cucubalus Wib. forma fol. ang. linear. Rohrb. Sil. 1868. p. 86. — S. Tenoreana, Colla herb. ped. — Cucubalus angustifolius Ten. fl. napol. I. p. 233. t. 37. — In saxosis, lavis, sylvaticis, herbosis, frequens: vulgo Garofanielli. FI. maio, junio. % d 1. Lychnis dioica, L. — Reich. cent. 16. f. 5125. — In fruticetis et in cultis communis: vulgo Fischiarelli. FI. ma]o. © 1.Sagina maritima, Don. —S. apetala Ten. ex parte Reich. ic. fl. germ. 5. f. 4960. Obvia inter saxa viarum ec. © « «var. patula, — S. patula Jord. fasc. 3. pag. 48. t. 3. f. A. 4-12. — S. apetala Ten. ex parte — Cum praecedenti, Portici (Gussone). Obs. Specimina habeo foliis brevi arista, lente videnda, terminatis. Dubito forte quin S. maritima, Don. $. densa et S. debilis Jord. loc. cit. t. 3. A. B. C. diversae sint a S. apetala L. & L. Flos Cuculi L.—L. Cyrilli. Richt. ex herb. Gusson. — In regiis viridariis, La Favorita, Portici, nec alibi inveni. FI. majo © 1. Lepigonum medium, Wahl. Arenaria rubra d. marina L. in maritimis praesertim secus vias Portici. Fl. a majo ad autumnum. © 1. Arenaria serpyllifolia, L. — A. sphoerocarpa Ten. Relaz. de’ Viag. di Abr. p. 66. FI. nap. V. t. 228. Reich. ic. 4944. — In pratis siccis. © « «var. db. leptoclados Reich. cent. 15. f. 4941. db. A. lepto- Sagina apetala (S. maritima). | — A. serpillifolia. Arenaria tenuifolia. | Moehringia muscosa (monte Solaro). — — o var. viscidula. | Stellaria media. e clados, Guss. en. inar. an Ar. Lloydii. Jord. p. 1852.? Willk. ic. descr. nov. I. p. 63. tab. LXIII. A.— Arenaria serpyllifolia Ten. non Lin. et Pa- squale fl. vesuv. in Esercit. dell’ Accad. Asp. Nat. v. II. p. 2. pag. 34. — In muris, viis, cultis, et etiam aliquando in lavis. FI. martio-aprili. © « «var. hispida, nob. Basi ramosa, merithallis abbreviatis; folia exquisite 8-6-nervia et in nervis hispida pilis albis falcatis, ad- pressa et propter merithalli brevitatem subimbricata. In culturis: Torre del Greco. Fl. aprili. © Obs. Folia in speciminibus grandioribus orbiculata, inferiora in pe- tiolum brevem angustata. 1. Stellaria media, Vill. Alsine media L. Ubique nascitur, vulgo moscel- lina. FI. hieme et vere. © « « var.b.intermedia; petalis calyce duplo brevioribus, Reich. ic. fl. germ. 5. f. 4904. « « var.c.apetala, petalis abortivis. In cultis pinguibus, in viis vulgatissima. Tam typus quam varietates eam gradationem inter se fa- ciunt, ut vix adhiberi possint uti varietates; nihilominus aspectu sunt diversissimae. Fl. a januario ad junium. © 1. Cerastium glomeratum, Thuil.—-Coss. Germ. atl. Par. IV. f. 3-5. — C. vulgatum L. — Ten. fl. nap. — C. viscosum Fries nov. ed. — Ubique in cultis. FI. januario-martio. © 2. C. varians, var. pellucidum, Coss. germ. Atl. fl. Par. t. V. f. 7, 8, 9. — C. semidecandrum, L. — In saxosis, maceriis et umbrosis. © « «var. obscurum Coss. Germ. op. cit. t. cit. —C. obscurum. Chaub. — In herbidis. © « « subvar. parviflorum, Coss. germ. Atl. FI. Par. t. V. f. 6. Torre del Greco et alibi per vias et in cultis. FI. aprili. Obs. Corolla duplo calyce breviori; sepala et pedunculi piloso-glan- dulosi cum lente visi. 4. GC. campanulatum, Viv.—C. praecox. Ten. FI. nap.4. t. 140. f. 1. — In pratis. Osservatorio, ec. FI. aprili. © ©. G. brachypetalum, Desport. Reich. cent. 3. f. 338. et 15. f. 4971. Coss. germ. Atl. fl. par. t. IV. f. 6, 7, 8. In septentrionalibus obvium usque ad cacumen m. Somma, ad saxa stillantia. Fl. majo-junio. © Stellaria media var. apetala. Communis — varians var. (semidecandrum). in tota insula. — pumilum Cerastium glomeratum. | — arenarium. LINEAE 4. Linum usitatissimum, L. — Reich. ic. fl. germ. f. 5159. —In cultis sponte, et colitur. Fl. martio. © 2. L. angustifolium, Huds. Sm. — Reich. ic. fl. germ. 6. f. 5158. — In fruticetis secus vias, Vetrana. FI. junio. © % Obs. praecedenti simile: sepalis virescentibus margine albo scario- so, nec interioribus ciliolatis (in sicco), ut not. CI. Reich. in fl. ex- curs. 5158. MALVACEAE 1. Malva sylvestris, L. in herbidis, cultis, communis: vulgo Malva. 2. M. parviflora, L. Gav. diss. 2. t. 26. f. 1. per vias et in cultis fre- quentissima. FI. aprili. A. Lavatera arborea, Lin. — Reich. ic.8. f.4857. — Camaldoli, Resina. 2. L. cretica, Lin. — L. neapolitana Ten. fl. nap. 3. p. 113. t. 65. — In Vesevo rarissima: inveni solum in ruderatis Coenobii Camaldulen- sis. Fl. aprili-majo. SY Obs. Rarissima in hac regione, communissima in Caprearum insula. » 1. Gossypium hirsutum, Lin. — Parlatore, le specie dei cotoni, t. V. G. Siamense Ten. Att. dell’Ist. d'Incorag. di Nap. v. 6. p. 193. t. 2. — Colitur Torre Annunziata. Fl. Augusto: vulgo Cotone, Cotone di Castel- lammare. © AURANTIACEAE xe 1. Citrus Bigardia, Risso hist. t. XXX. C. vulgaris Risso ann. — Ferr. hesp. t. 406.—colitur raro, vulgo Cetrangolo. LINEAE — parviflora (communissima in hor- tis.) Linum usitatissimum. — sylvestris (rara). — angustifolium. Lavatera arborea (in hortis rara). —. tenuifolium (rupestribus). —. cretica, communissima. -— decumbens. Althaea hirsuta, a Limba. — gallicum. -— strictum. AURANTIACEAE —. nodiflorum. (Sp. et varietates) — In Caprearum in- MALVACEAE sula ut in Vesevo coluntur et com- Malva alcea. mercio advheuntur. —_— 29 — $ 2. C. Aurantium, vulgaris, Risso hist. t. II. —Lam. ill. t.639. f. 2. Ferr. hesp. t. 427. 899, 401, 385. vulgo Portogallo. e 3. C. medica, vulgaris, Risso hist. t. XCVI. — Lam. ill. gen. t. 639. f. 2. — Ferrari hesp. t. 59, 60, 63. colitur: vulgo Cedro. Y- 4. C. Limonum, sylvatica, Risso hist. t. LXX. C. medica d. Limon. Lin. — Ferr. hesp. t. 247. et aliae plures coluntur varietates. $ 5. C. Limetta, Risso hist. t. LVII. colitur: vulgo Lima. $- 6. C. deliciosa, Ten. vulgo Manderino, late culta in hortis demissis non multis abhinc annis. N. B.— Aurantiaceae in hortis mare finitimis maxime coluntur et mercimoniis praesto sunt. TILIACEAE 1. Tilia europaea, L.— Rare sponte venit in ceduis, m. Somma, Cante- roni ec.Arborescultae, alla Madonna dell Arco, Osservatorio, Bosco Tre case, olim plantatae: vulgo Tiglio: FI. majo, in demissis (a Pugliano), quin- decim diebus prius quam in editioribus, Eremo (Salvatore). HYPERICINEAE 1. Androsaemum officinale, All. — Reich. ic. germ. 16. f. 5192. — In sylvaticis umbrosis, ai Canteroni. 2. Hypericum hircinum, L. — In sylvaticis, Somma, Ottajano, ec. vulgo Crapegna. FI. junio. 3. H. perforatum, Lin. — Reich. ic. germ. 6. f. 5177. — Commune in la- vis siccis maritimis et editioribus: vulgo Erba pericon. FI. junio. 4. H. montanum, L. — Reich. ic. fl. germ. f. 5187. — Inveni raro in septentrionalibus et editioribus Somma. FI. junio-julio. ACERINEAE I. Acer obtusatum, Kit. — Acer neapolitanum, Ten. FI. nap. tom. II. tav. 100. var. B. obtusatum Kit. Reich. ic. fl. g. f.4827.— Sylvis demissis et editioribus usque ad cacumen, Somma, Camaldoli, praesertim ceduis, HYPERICINEAE | — hircinum. | Androsaemum officinale (rarum in con- Hypericum perforatum. vallibus). _ wc nei Parchi reali di Portici e Favorita, etin editioribus, Somma, ubi vulgo audit Conocchia: pro combustibili utuntur. Obs. Haec species Inarimi deest: sequens rara. 2. Acer campestre, L.— Reich. ic. fl. germ. 5. f. 4825. — In sylvaticis et sepibus. AMPELIDEAE 4. Vitis vinifera, — Sylvatica — In sepibus sponte et sylvis in S. Ana- stasia, Strada Scorticatojo, Mauro, ec. De topographia vitis, et ejus distri- butione nec non varietatibus cultis in circumscriptione montium Vesevi et Summae, scripsit cl. V.Semmola de patria agricultura optime meritus’). NOMI VESUVIANI E NAPOLITANI TEMPO DELLA MATURAZIONE Uva piede di palumbo (dolcetta di Piemonte Mai er PO ri ibianca 4 diottobre — piededi palumbo, olii lio Ischia). nera 15 ottobre — coda di cavallo (ed in EE Laura bianca 15 ottobre saletta o ee - . + + Violetta 30 settembre — olivella (ed in Ischia) corvina ital. . . . nera 4-15 ottobre — livella bastardatt. 0" ci era o 30fo lione I tarantmo: 69 cOe-a 0 - . clomeras indrottobre — rosa (ed in Ischia), Tao dii Pushea bianca 30 seltembre — (di capotuosto®.. im =initulia 1, È mera; /00sotfembre MII o . Meet mera — forcinola 0 sono i ital.) .\. nera — colagiovanni . est tt rio ‘stiinera No stobne aus lies nre È Clo nera! Aulo — lugliesella (sotto i. di one . .nera 15-30 settembre AMPELIDEAE | — —. plures varietates cultae. | — Labrusca, raro colitur. Vitis vinifera (spontanea in insula). | 1) Delle varietà dei vitigni del Vesuvio e del Somma — Ricerche ed annotazioni del- l'Avvocato Vincenzo SEMMOLA, in 4°, Napoli 1848. Etiam confer Gasparrini — Osservazioni su le viti e le vigne del Distretto di Napoli: Annali Civili del Regno delle due Sicilie quaderno 69, mag. e giugno 1844 in 4°: et ejusdem auctoris— Cenno dello stato presente dell'agricoltura della Prov. di Nap. 1845 in 8°. Uva NOMI VESUVIANI E NAPOLITANI dolciolella scassacarretta, o castagnara dl Somma) 0 Santamaria (ed in Ischia) castagnarella della Torre. sancinella o jelatella (ed in Ischia) TEMPO DELLA MATURAZIONE . nera . 15 settembre .nera A ottobre nera 1 ottobre . bianca 41 settembre catalanesca (i sg fotoni : deniaae }15-30 ottobre id. bislunghi. . nera : . bianca corniola Y_ . . . nera 15 settembre cornicella . rossigna Signora !.. et0n : bianca 1-15 ottobre tostolella o duracina . di Boccuccio feteeohp. = I.fossh, marrocca idem «poanie aglianica verace (ed in sonia S aglianica. . bastarda o mascolina . . bianca 30 ottobre Wi. . mera faje . nera 15 ottobre ; . bianca - . nera +... ..nera .415-30 ottobre . nera 15-30 ottobre aglianichella di Sanseverino Ggliczichella in Ischia) . aglianicone . cannamele (ed in Ischia) È spollecarella . ferrante: d. erargit è pernice moscarella o i la (moscadella ital.) id. — falanghina (ed in Ischia) . duracb®.gt. stot .» prunaro.si.. stor... id. ARIA La moscadellone (Salamanna) . Inter easdem varietates vitium vesuvia- narum plures coluntur etiam in Insula Ca- Atti — Vol. IV.— N.° 6 . bianca 15-80 ottobre : . nera . nera . nera AUS . nera 80 ottobre Se. Deraniachorottobre .nera 15 ottobre . bianca {nera sanguigna . Jtardiva 80 settembre bianca bianca bianca nera 1 ottob. novemb. Ì A ottobre prearum (ut aglianica, catalanesca, mo- scarella, sancinella, uva Ananas, greca, 4 — 26 — NOMI VESUVIANI E NAPOLITANI Uva vetrancone . . . . verdesca etc. etc.), unde vinum famosum commercio advectum nomine Ziîno di Ca- . nera barbarossa®.r % 0 . rossa di Donnottavio . si000/ Gori eemera coda di volpe sv ta A RRIARNNa S. Francisco . rossa razza di Carruozzo. .... nera grecagna (ed in Ischia) f . bianca pignolata o pignola se Sla Frog alena campanella verace. . bianca id: bastardaton,.. . bianca di palladino. . ola i era greca. seit 4 CIDARCA guarnaccia . . nera fiorella... > ace blagca baroné: . Frutex in rupibus marit. neapolitanis communis: utilissi- mus apibus et pecoribus. 2. M. lupulina, Lin. — In herbidis cultis, incultis, et in viis ubique. F]. majo. ©: pabulo armentorum aptissima. Obs. M. Willdenowii et M. Cupaniana Guss. quo a M. lupulina dif- ferani non video. 3. M. Tenoreana, DC. — M. cancellata Ten. Inter segetes. FI. majo. © 4. M. Helix, W.—Moris fl. sard. 1. p. 438. tab. 39. f. A.— Portici (Gus- sone ex ejus herbario) « bracteolae duae scariosae basi cohalitae aut minutae sub quovis pedicello, illo brevioribus, pedunculus ultra pedi- Cytisus Laburnum (vulgo Maggio). — lupulina. — ramosissimus. — tuberculata. Vulneraria heterophilla (communissima). | — lappacea Lam. (M. flexuosa Ten.) — — forma nana purpurea (in cacu- | — litoralis. — tetraphylla. — mollissima var. M. graeca (Solaro). — recta Desf. (M. caprensis Pasq.) in Statist. fis. ec. di Capri, pag. 48. Anthyllis Barbajovis. mine montis Solaro). — — o var. arenaria. Medicago circinnata. | — 20 cellos elongatus; calyx saepe basi et ad nervorum basim sphacelatus » (sic in herb. Gusson. specim. sine fructu); foliola cuneato-obcordata apice dentata, dentibus alternis minoribus et brevioribus. Fl. majo. © 95.M. mollissima, Roth. bd. var. leguminibus villosis.—M. graeca Horn.— DC. — Ten. fl. nap.— Communissima ubique in arenosis. Fl. martio. © « «forma, M. minima — rara in arenosis secus viam, Osser- vatorio. Legi mense junio. 6. M. maculata, W. — Moris fl. sard. I. p. 449. t. 50. — Inter segetes et prata. FI. majo. © 7. M. denticulata, W. var. /lezuosa. — M. flexuosa Ten. fl. nap. 5. p. 166. tav. 178. f. 3. — Pasq. fl. ves. in op. cit. p. 87. — Inter segetes et in herbidis. Fl. majo. © 8. M. orbicularis, All. Gaert. de fr. 2. p. 349. t. 155. Moris fl. sard. I. p. 434. t. 37. — Maritimis, Mortelle di Portici (Gussone ex ejusd. her- bario). © 9. M. marina, Lin. — Cav. ic. 2. t. 130. — In arenosis maritimis et elatis, usque ad 700. ped. altit. (Cima de’ Canteroni ), idest ad extremum vegetationis in meridionali plaga Vesevi, Marina di Portici; Branchini presso Torre del Greco: Fl. aprili in demissis, et majo in editioribus. % 5 Obs. Fruticulus minimus, imo potius herba, procumbens, radice profundissima. 10.M. scutellata, AIl.— Gaert. 1. c.t.155.— In pratis maritimis, Mortelle di Portici (ex herb. Gusson.). Fl. majo. © 11. M. litoralis, Rhod.— Morisfl.sard.I.tab.48.—M. arenariaTen. fl.nap. 5. p. 173. —In arenosis demissis et elatis, cultis et incultis. Fl. martio, omnium congenerum praecocissima et communissima: ubique. © « « longiseta — Torre Annunciata, Portici al Granatello. © « « breviseta DC. (Ten. Syll. ap. 5. p. 85.) M. Braunii Gren. Godr. ex Bert. fl. ital. 8. p. 303. M. litoralis Ten. fl. nap. M. litoralis a Moris fl. sard. I. t. 40. f. 1-4. Mortelle di Portici et alibi. « « legumine parvo 3-5-ciclo: habitat cum praecedentibus varietatibus. — orbicularis. — truncatulata. — muricoleptis. Melilotus italica. — maculata. — parviflora. — agrestis (M. Gerardiana). i — mauritanica. — sphaerocarpa. — _ neapolitana. — Mmurex. Trifolium repens. > 12. M. sativa, Lin. —Colitur in pratis, ft. Parchi: vulgo luzerna: ni- mis raro colitur pro pratis artificialibus. FI. majo. % A. Trigonella corniculata, Lin. — Ubique in cultis praesertim vineis fre- quens et copiosa, Portici, Torre del Greco, Ottajano: vulgo Tribuli Mu- scarelli: haec planta pro prato artificiali colitur, jumentorum pabulo aptissima. FI. aprili. © 1. Melilotus leucantha, Koch. Ad sylvarum margines et agrorum cilia.— In Via dell’ Osservatorio, Somma, Pompei ete. FI. junio — vulgo Triboli, Tribuloni : pro foeno inservit. FI. junio-augusto. S' © 2. M. italica, Desf. d. rotundifolia. M. rotundifolia Ten. fl. nap. 5. p. 136. t. 176. f. 3. — In cultis, sylvaticis (rara), Salvatore. Fl. a martio ad majum. © Optima pro jumentorum pabulo, quamquam parum adhi- beatur. 3. M. neapolitana, Ten. fl. nap. 5. p. 186. t. 176. f. 4. — M. gracilis DC. — In aridis communissima. Fl. majo. © 4. 4 M. parviflora, Desf. — In siccis Portici (ex herb. Guss.) (rara). FI. aprili. © A. Trifolium nigrescens, Viv. fl. ital. frag. fasc. I. p. 12. t. 183. Ten. fl. nap. ©. p. 151. FI. martio. © ì « « b. polyanthemum Ten. 1. cit. T. Vaillantii Ten. Fl. nap. T. pallescens, Schreb.? Ten. fl. partic. di nap. 2. p. 996. Savi giorn. pis. t. 5. In pascuis et in viis ubique. FI. aprili. © 2. T. repens, Lin. — F1. dan. 990. — In apricis, pratis ec. Somma, Can- teroni ec. vulgo Ceuszolle. Fl. aprili-octobri. % 3. T. glomeratum, Lin. Trifolium parvum, erectum, flore glomerato cum unguiculis, Bauh. hist. 2. p. 378. In apricis herbidis, al Salvatore. FI. aprili-majo. © 4. T. suffocatum, Lin. —Brotero, phyt. lusit. 1. p. 458. t. 64. —In viis et pralis siccis — Pugliano, Granatello. Fl. martio. © o. T. angustifolium, Lin. — In herbidis et inter segetes ubique. FI. majo. © 6. T. incarnatum, Lin. —T. alopecurum, latifolium, spica longa. Barr. —. suffocatum. —_ scabrum. — angustifolium. — Bocconi, Savi. — incarnatum colitur et quandoque | — stellatum. sua sponte in cultis. — pratense. — arvense. | — lappaceum. —. ligusticum. — Cherleri. Atti — Vol. IV.— N.° 6 5 — 94 — i ic. 697. — In cultis raro sponte, saepe colitur ad prata artificialia con- ficienda, vulgo Prato — Prato majatico, Prato giugnatico, e lugliatico, quibus mensibus floret et colligitur pro foeno. © 7. T. arvense, Lin. — In herbidis communissimum. FI. aprili. © 8. T. scabrumi, Lin. — In cultis et in viis. FI. aprili. © 9. T. stellatum, Lin. — Lagopus minor erectus, capite globoso , stel- lato flore purpureo, Barr. ic. 860.—In herbidis et per vias, strada del- l Osservatorio ec. Fl. aprili. © 10. T. pratense, Lin. — Copiosius in pascuis sylvaticis montis Somma, quam in illis hodierni Vesevi: vulgo Scappuccella , moscarello , patrini, sciurilli, colligitur cum foeno, sed minime colitur. % 41. T. mutabile, Portschl. — T. vesiculosum (olim auct. neapol.) Pasq. FI. ves. in op. cit. p. 37. — In pascuis sylvaticis, Canteroni, all’Eremo; in Pompei — Colligitur pro foeno cum aliis plantis. FI. majo-junio. © 42. T. Cherleri, Lin. — Moris fl. sard. I. 480. t. 61. — In collibus fre- quens et copiosum. Portici ec. © 3 13. T. diffusum, Ehrh. var. B. vesuvianum Ten. syll. in 8. p. 38. — « humile densissime villoso-canescens, foliis infimis late ovatis duplo majoribus, corol. calyce longioribus: Perenne? Tra il monte Somma ed il | Vesuvio verso il monte d'Ottajano » (De Mettingin Ten. Syll. app. 5. 32.). 14. T. resupinatum, Lin. — secus vias in herbidis vulgo ceuzolle. « « T. suaveolens W. in herbidis. Favorita ec. 15. T. tomentosum, Lin. — Moris fl, sard. I. p. 495. t. 64: — In pratis aridis, S. M. Pugliano, Granatello ec. Fl. aprili. © 16. T. subterraneum, Lin.—Riv. tetr. irr. f. 14. — Frequens in pratis siccis, et arenosis, Pugliano, et alibi. Fl. aprili. © 17. T. agrarium, Lin. — T. procumbens Sm. Ten. fl. nap. T. campe- stre Guss. syn.—T. lupulinum Riv. tetr. irr. t. 10. f.1.— Ubique in her- bosis, apricis, muris, nec non inter segetes. Fl. majo. © 18. T. parisiense, DO.—T. patens Schreb. T. chrysanthum Gaud. — In herbidis maritimis, Marina tra Resina e Torre del Greco, in uno loco tan- tum vidi; Portici (Gussone). FI. aprili. © —. resupinatum T. suaveolens. Lotus edulis, ubique (vulgo Ciceroni). — tomentosum. — ornithopodioides. —. subterraneum. — cytisoides. — agrarium (T. procumbens Sm.) — angustissimus. Doricnium hirsutum. Tetragonolobus purpureus DC. — parviflorum. Obs. Vesevo et Inarimi deest. “aa 1. Lotus angustissimus, Lin. — L. gracilis Wald. K. pl. rar. Hung. 2. t. 229. — In apricis herbosis— Piana di Mauro (Gussone herb.) presso Bosco Tre case. Fl. aprili. © 2. L. corniculatus, Lin. var. uliginosus — L. uliginosus Hoffm. Alla Barra (Gussone herbar.). Fl. majo. © 4. Psoralea bituminosa, Lin. — Trifolium bituminosum Riv. tetr. irr. t. 15.—T. asphallites, Matth. comm. 2. p. 188. — In saxosis, sepibus, dumosis, et ad sylvarum et agrorum margines ubique. FI. ab aprili ad octobrem: vulgo fusolina salvatica : pro medicamento vermicida populo usurpatur. % e 1. Robinia Pseudo -acacia, L. vulgo Acacia, culta et suae spontis. FI. aprili. 4. Golutea arborescens, Lin. — Duh. arb. ed. 2. v. I. t. 22. Colutea, Matth. comm. 2. p. 140. — In sylvaticis praesertim fruticetis tam de- missis quam elatis nec non ad agrorum cilia. — Camaldoli, Canteroni , Atrio del Cavallo; Ottajano, ec. nihil communius. Fl. majo. 5: vulgo Scoccapirita (ita dicta ob legumina inflala compressione crepitantia). A. Astragalus glyciphyllos, Lin.—FI. Dan. t. 1108.—In sylvalicis, agro- rum ciliis, sepibus abundans, Somma, Canteroni, Camaldoli, ec. vulgo audit ranfa di gatta, centri di gallo. Pro foeno colligilur. Fl. majo. % 1. Coronilla Emerus, Lin. —Duham. arb. ed. 2. vol. 4. t. 81.—In syl- vaticis praesertim septentrionalibus, ubi late diffusus. Fl. martio. 5 2. G. scorpioides, Koch. — Cav. ic. I. p. 26. t.37.— Artrolobium scor- pioides, Bertol. fl. it.: inter segetes. FI. aprili. © 1. Ornithopus compressus, Lin. — Scorpioides leguminosa, Dalech. hist. p. 493. cum. fig. —In herbidis et pratis abundans ubique. Pro foeno ad- hibetur. © 1. Onobrychis caput galli, Lam. — Lob. ic. II. p. 81. f. 1. Copiosa in apricis per vias et in herbidis. FI. aprili. © $ 2. 0. sativa, Lin. — In cultis rara: — alla Cercola, nempe cultu- ris aufuga. Y 1. Gicer arietinum, L. — Lam. ill. gen. t. 682. colitur inter legu- mina: vulgo Cecere. © . Psoralea bituminosa. —. scorpioides (communis). Astragalus hamosus (communis). —. Valentina — Inarimi et Vesevo — glyciphyllos (rara). deest. — sesameus (communis). Ornithopus compressus. Scorpiurus subvillosa. Onobrychis Caput galli. Coronilla Emerus, — foveolata (0. crista-galli Ten.) ‘ — 36 — 1. Vicia pseudo-cracca, Bertol. amoen. ital. p. 90. et fl. it. 7. p. 487. — Ten. fl. nap. 5. p. 117. — In apricis herbosis, et in arenosis diffusissi- ma, in plaga orientali et septentrionali; prata naturalia constituens in cultis et incultis, praesertim in vineis: vulgo Veccia. Fl. martio-aprili. © « «var. sylvatica (nobis) —Racemi elati folio longiores, a di- midio insuper floribus majusculis vestiti — Planta glabriuscula dimen- sione majori, coeterum leguminibus ut in typo angustis — Inveni abun- dantem in sylva Camaldoli, latere septentrionali elapso anno, quo recen- ter caesa erat, nec alibi. Floret paulo serius quam typo, aprili. Inter- media ergo inter V. pseudo-craccam et V. dasicarpam Ten., quas ut varie- tates huc adiicio. « «var. platycarpa (nobis), V. dasycarpa Ten. fl. nap.5.p.116. t. 244.V.ambigua Guss. Syn. En. et inar. Nascitur in sylvis, R. Parco di Portici (ab ipso Gussone lecta). « «var. albiflora. — Unum specimen corollis albidis vidi in herbosis collis Canteroni sopra l’ Osservatorio ; nec alibi. Obs. V. pseudo-cracca fl. albescente, quae invenitur late diffusa et sola in arenosis graniticis primae Ulterioris Calabriae (Anoja), est varie- tas ex hac ultima aliena; non solum propter colorem corollae, sed propter vexillum alis longius, et plantam magis glaucam, quamquam ob similitu- dinem leguminum varietatem existimo. » 2. V. ochroleuca, — In sylvis artificialibus tantum invenitur, Real Parco di Portici (Guss.), IR. Parco della Favorita, nec alibi. FI. aprili. Obs. Haec species rarissima et quasi nullibi spontanea in regione ve- suviana: contra late diffusa est in solo calcari insulae Caprearum nec non Stabiarum et Amalphis ec. 3. V. bithynica, Lin. —AIl. ped. t. 26. f. 2. — In sylvaticis et herbo- sis communior, quam in demissis, Tironi, Somma. Pro foeno adhibetur. FI. aprili. © 4. V. Biebersteinî, Guss. — Ervum Biebersteinî, Guss. pr. 2. p. 445. Ten. fl. nap. 5. p. 122. In sylvis artificialibus legi, nel R. Parco della Fa- vorita, a Portici (Gussone). — pseudo-cracca Bert. cacum.Solari. Hippocrepis unisiliquosa. — platycarpa, nob. —V. dasycarpa — ciliata. | Obs. Hippocrepides Florae inarimensi i Ten. et vesuvianae desunt. | — Fontanesii Ten. Cicer arietinum, colitur. | — ochroleuca (communis). Vicia Gerardi. | — hirsutissima Cyr.—V. hirta Ten. RS 5. V. hirsuta, Babingt. —FI. dan. 639. —Ervum hirsutum Lin.—Ten. fl. nap. — In sylvaticis Ottajano, Portici (Gussone herb.). FI. aprili. © 6. V. Faba, Lin. — Faba vulgaris DC. — Late colitur inter legu- mina. FI. februario. © e 7. V. Sativa, Lin.—FI. dan. 522. ex Bertol. Rarissima in cultis Real Parco di Portici (Gussonius in herb.). Obs. V. sativa, et V. sativa var. macrocarpa, quae facile inveniuntur in calcareis quasi desunt Vesevo. 8. V. segetalis, Thuil.—V. angustifolia a Bertol.fl.it.7.p.015.—Inter segetes Portici (Gusson. herbario) et in pratis: an praeced. varietas? © 9. V. cordata, Wulf. — Guss. en. inar. — Portici, Canteroni ec. an praec. var.? © 410. V. grandiflora, Scop. fl. carn. 2. p. 65. t. 42. Ad sylvarum et agro- rum margines, Portici, Canteroni all'Osservatorio, Somma. Fl. martio. © 11. Vv. hybrida, Lin. — Jacq. Vind. 2. t. 68. In sylvaticis. — Portici, (ex herb. Gusson.). FI. aprili. © e 1. Ervum Lens. Lin. — Lam. ill. gen. t. 634. f. 1. Colitur, vulgo Nimmiccoli. © 1. Pisum sativum, L. — Lam. ill. gen. t. 633. © « caule alte scandente. Colitur in hortis. « caule nano. Haec varietas copiosior praecedenti colitur. A. Lathyrus aphaca, Lin. — In sylvaticis et in cultis. FI. aprili. © 2. L. sphaericus, Retz. — DC. ic. pl. Gall. rar. t. 32. In herbosis syl- vaticis apricis, Casina Gigli. Canteroni presso l’ Osservatorio; vulgo Dolaca FI. aprili-majo. © 8. L. angulatus, Lin. — L. hexaedrus Bert. fl. ital. 7. p. 459. Silvis, Vetrana. FI. aprili. Obs. aristae, flore longiores, 2. centim. longae. $ 4. L. sativus, Lin. — Colitur vulgo Cicerchia. 5. L. Cicera, Lin. — In pratis, Granatello a Portici (Guss. herbar.). « b. dubius. 6. L. sylvestris, Lin. Vetrana Pompei. Fl. majo-junio. % 7. L. tenuifolius, Desf. — L. tenuifolius et L. alatus Ten. fl. nap. 5. — hybrida. | — monanthum (erratice). — Faba, colitur. | — Lens, colitur. —. narbonensis. Pisum sativum, colitur. Ervum tetraspermum. Lathyrus aphaca. —. hirsutum. — alatus: vulgo Doleca. — longifolium Ten. Phaseolus vulgaris, colitur. <<" pag. 107. t. 175. f. 1. sub nomine. L. alati. In saxosis herbidis apricis. sylvaticis ubique, prata constituens: nihil in Vesevo communius, demissis et elatis: pro foeno colligitur; laetum pabulum armentis praestans et utile ad saginandam terram (per salimme vulg.): vulgo Doleca — Via dell’ Os- servatorio, Somma ec. Fl. majo. 1. Orobus variegatus, Ten. fl. nap. 2. p. 144. t. 68. O. serotinus Pres]. In sepibus, silvis caeduis demissis et editioribus, Camaldoli, Canteroni, Somma ec. FI. aprili-majo. Florae inarimensi deest. . » 1. Phaseolus vulgaris, Lin. — Savi oss. gen. Phaseolus et Dolichos f_ 13. agire. dv var. seminibus unicoloribus, vulgo Masùli bianchi. « Ph. v. niger. Fasùli turchi. « Ph. v. aureus minor. Fasùli quarantini. « Ph. v. helvolus, Savi. Fasùli tabacchini. — Hae duae varie- tates coluntur pro earum fructu viride. « Zebra, vulgo Fasùli scritti. 3 1. Dolichos melanophtalmus, DC. pr. — Colitur, vulgo Fasulilli. » 1. Ceratonia Siliqua, Lin.—Duham. arb. ed. 2. v. I. t. 50.—Colitur a Torre del Greco, Resina ec. et ope insitionis multiplicatur (Sciuscella verace), propterea quod stirps sylvatica saepe masculina sive polygama evadit (sciuscella salvaggia). Fl. augusto: perficit fructus julio anni se- quentis. —In Ceratoniae stirpe polygama in horto regio culta, e semine orta plures generaliones florum in anno adsunt aestivae et autumnales: illorum racemi floribus foemineis masculos superantibus praediti, isto- rum contra, quibus foeminei rari ut plurimum terminales exstant. AMYGDALEAE > 1. Amygdalus communis, Lin. Colitur. Fl. februario: vulgo Amen- nola. Colitur. $ Arbor maxima hodie extat in rure, a S. Vilo. e 1. Persica vulgaris, Mill. Lam. ill. gen. t. 431. f. Amygdalus Per- sica Lin. Colitur. è — —. plures varietates. colitur masculum. — romanus (Fasuli bianchi). Dolichos melanophtalmus DC. AMYGDALEAE Ceratonia Siliqua Lin. Sponte in rupestri- bus, (rara) Scala d’Anacapri. — Amygdalus communis, colitur. FI. octobri-novembri, specimen et Persica vulgaris Mill.—plures var. cultae —_ ia 1. Diapyrenae, Moris fl. sard. 2. p. 6. Pesca che spicca ital. vulgo Perseche. « «Pesca sanguigna, Pesca Carota, Gallesio pom. ital. cum tab. « «fr. ovato acuto parvo, putamine secedenti, serotino: vulgo Pesco-pomo (a Portici e Napoli). « «Pesco natalino o vernino di Napoli Galles. Pom. ital. 2. Synoyrenae, Moris fl. sard. 2. p. 6. Pesca che non spicca ital. vulgo Percoche. « « Percuoca gialla nap. Cotogna Durona massima o Gial- lona di Verona, Gallesio pom. ital. cum tab. « « PercuocadellaMaddalena in Napoli, Percuoco col pizz (in Ischia), apice acuminata praecocissima. Persica vulgaris var. papil- lata Gasp. 2. P. levis, DC. — Noiset, jard. fruit. t. 20. f. 23. e t. 21. f. 3. 4. ex DG. Gallesio pom. cum tab. — vulgo Nocepersico. A. Prunus Armeniaca, Lin. Armeniaca vulgaris DG. — Blackw. herb. t. 281. — Colitur ubique in vineis. Fl. martio-aprili. 5 « «var. alexandrina praecox, Gasp. in Guss. inar. pag. 114. vulgo Crisommolo amennolelle. « «var. alexandrina serotina, Gasp. loc. cit. Crisomolo spac- cariello. « « « subvar. db. drupa quidquam grandiore, praecociori. Gasp. l. cit. vulgo Crisommolo alessandrino. « « « subvar. c. drupa quidquam grandiore ac dulciore, Gasp. vulgo Crisommolo Gelsomino. « « var. deliciosa, Gasp. Crisomolo peres, Peres nap. « «var. serotina, Gasp. vulgo Crisomolo lugliese (Ischia). Ma- turescit fructus julio. 2. P. insiticia, Lin. —Blackw. herb. t. 305.— Guss. En. inar. p. 115. Drupa globosa vel subglobosa. A. Foliis subtus glabris, glaucis. « « gentilis, Gasp. Pruno gentile di Francia nap. « « viridis, Gasp. Pruno verdone nap. « « saccharata, Gasp. Pruno zuccherino nap. —_ levis DC. — insiticia: plures varietates colun- Prunus Armeniaca, colitur. tur in insula. MI: (SR P. insiticia, sacch. d. carneo - violacea, Gasp. zuccherino nero. Inter omnes dulcissima. « « albescens, Gasp. Pruno biancolillo. « « deliciosa, Pruno verdone di Francia. « «€ d. drupa ex flavo-viridi. Pruno verdone di Francia giallastro. B. Cerasiformis, foliis subtus pubescentibus; drupa globosa vel suboblonga, Gasp. l. cit. « « juliana, maturescit ineunte julio. Gasp. vulgo Pruno ma- jateco. « « augustina, Gasp. Pruno cacazzaro, pruno cacariello. « « serotina, Gasp. Pruno natalino. 3. P. domestica, Lin. Bert. fl. ital. in parte. —Blackw. herb. t. 309. — Varietates sequentes cultae fructu plus minus oblongato. « « oblongata, Gasp. Pruno pappagone. « « polycarpa, Gasp. Pruno di S. Giovanni (Ischia), Pruno d'india nap. « « genuensis, Gasp. Pruno genovese. « « damascena, Gasp. Pruno damascone. « « neapolitana, Gasp. Pruno cascavino; pruno scaudatiello nap. Gallesio pom. ital. cum tab. picta (optima). Maturescit sero autumno et inter fructus deliciosiores venundatur in mercimoniis neapolitanis, mense decembri. 4. P. Cerasus, L. exclus. pl. variet. — Ten. syll. — Bert. fl. ital. — Duham. arb. ed. 2. v. 5. t. 14. Guss. En. inar. p. 117.—Golitur. Fl. mar- tio-aprili. Obs. Typus est varietatum ex fructu molli (Visciolo ital.), sec. Ga-. sparrini in Guss. op. cit. l. cit. 1. rubra subrotunda. a. minor — vulgo Cerasa biancolella. b. major — Cerasa tostarella. « firmiuscula — Cerasa imperiale. « dulciuscula molliore — Cerasa cannamele. 2. rubro-ovata. — domestica, plures varietates co- tur in insula. luntur in insula. — Avium,plures varietates coluntur — Cerasus, plures varietates colun- in insula. Su P. Cerasus, rub. ov. a. neapolitana — Cerasa napolitana. « « neapolitana quidquam dulciore — Cezasa majateca napolitana. b. sanguinea — Cerasa mulignana. 3. melanocarpa — Cerasa corvinella o selvaggia. a. major — Cerasa S. Antonio. b. corvina — Cerasa corvina. 5. P. Avium, L. sp.— P. Cerasus b. Bert.—Plenk pl. med. 4. t. 377. ex Bert. Cerasus Avium N. Duh. 5. p. 10. tab. 3. FI. aprili. Obs. Typus varietatum fruetu duro (vulgo Ciliegie duracine ital. in parte; cerase tostolelle e tardive nap.) videtur sec. Gasparrini in Guss. en. inar. p. 117. f 6. P. austera, Ehrb.— P. cerasus, austera L.— Cerasus caproniana h. griotta Dec. — Blackw. herb. t. 449. Cerasus acida Tadern. ic. 985. vulgo Amarena. Fl. aprili-majo. © ROSACEAE 1. Rubus fruticosus, d. dalmalicus Ten. fl. nap. 4. 289. R. dalmaticus. Tratt.—Guss. en. inar. p. 118.—An RR. fruticosus (verus) Lin. et fl. dan. t. (picta) 1163? — In sepibus et ad margines sylvarum ubique, omnium congenerum communissima in demissis (Pompei, Mauro) ec. et elatis, Canteroni all’ Osservatorio, Somma ec. FI. junio: fructus deliciosi, vulgo Morole, et planta Rostine, appellantur. d 2. R. acheruntinus, Ten. fl. nap. 4. p. 228. t. 235. f. 2. Syll. p. 603. an R. caesius Lin. et fl. dan. t. (picta) 1213? R. corylifolius Seb. Mauri (sec. Bert. ) in colle dei Canteroni prope Eremum in uno loco tantum, presso i Tigli al Salvatore: inveni comite cl. Van Heurck. Fl. majo. d 3. R. glandulosus, Bell. — Fl. dan. 1696. — In plaga septentrionali, humbrosis sylvarum montis Somma, a media usque ad editiorem regio- nem. FI. junio : vulgo morole fr., rostine planta. FI. junio. d « « formaemarginata; petalis oblongis emarginatis, ibidem. Obs. Hae stirpes indiscriminatim nascuntur, aliae petalis ovalibus integris, aliae petalis emarginatis; ita ut duae species diversae videan- ROSACEAE Fragaria vesca. Agrimonia Eupatoria. Rubus fruticosus var. 6. dalmaticus. Alchemilla arvensis (A. aphanes). Potentilla reptans. i Rosa sempervirens. Atti— Vol. IV.—N.° 6 6 — dei tur; sed in omnibus caeteris partibus et organis sunt simillimae ; id- circo ad unigam speciem referendas puto. $* 4. R. idaeus, Lin. —Duh. arb. ed. nov. v. 6. t. 23.—FI. dan. 788. In Valle dell’ Orso a piede del territorio delle Cappuccinelle presso S. Ana- stasia, invenit Johannes Majone, Farmacopola et de apicultura laudatus scriptor. I. Potentilla reptans, Lin.—FI. dan. t. 1164.—In pratis (rara), Somma, S. Anastasia, Mauro ec. ubi vulgo Fragole selvagge. Fl. majo. X 1. Fragaria vesca, Lin.—In plaga septentrionali — Monte Somma, vulgo fragole. FI. aprili. % 1. Agrimonia Eupatoria, Lin. — Lam. ill. gen. t. 409. f. 4. — FI. dan. t. 2471. In herbidis et sylvaticis. Fl. majo. * 1. Alchemilla arvensis, Scop. — Lam. ill. gen. t. 87. A. aphanes Ten. Aphanes arvensis. Lin.—In pratis siccis maritimis, Granatello Torre del Greco, Pugliano ec. Fl. februario-martio et in sequenti mense perit. © 1. Poterium Sanguisorba, Lin. d. puberulum Ten. fl. nap. — P. muri- catum bd. stenopetalum Spach. in Walp. an. I. p. 282. Guss. En. inar. P. polygamum W. Kit. pl. rar. Hung. 2. p. 217. t. 198. Sanguisorba mi- nor, Bert. fl. it. (sec. Guss.). In pratis herbosis ubique, Canteroni, Som- ma ec. vulgo Pimpinella. Fl. majo-octobri. % 1. Rosa sempervirens, Lin. — Duh. arb. ed. nov. v. 7. t. 13. f. 4. In sepibus et dumetis communis. FI. aprili-junio. 2. R. rubiginosa, Lin. —Jacq. a. v. I. t. 50. —In dumetis, Barra (legit Gussone). Obs. Huiusmodi typum, pedunculis videlicet setoso-hispido-glan- duliferis, numquam vidi, rarus ergo in Vesevo. « « var.agrestis—R. agrestis Savi.—Pollini ver. v.2.t.2.— Guss. syn.—R. rubiginosa var. d. Guss. pr.—Bert. fl. it. — In sepibus et dumetis demissis rara: frequens autem in media regione; S. Vito, Novelle, Vetrana alla Salita di Somma. 3. R. canina, var. fr. ellipsoide. Turiones aeque ac folia juniora gla- berrime rubentes; folia rami-fertilis luride virentia, subtus ad nervos pi- losiuscula, omnia simpliciter serrata, confricata tenue pomum apiolum olentia; fructus, aeque ac pedunculi glabri, ellipsoides, utrinque aequa- — rubiginosa var. agrestis (Ana- capri). capri). —. indica, culta. — — micrantha; fl. corymbosis; — centifolia, culta. petalis calyce brevioribus (Ana- Poterium Saguisorba d. puberulum. Ms (3 PA liter angustati unum poll. longi, aurantiaci. An ad R. rubrifoliam haec varietas R. caninae rectius referenda? In dumetis editioribus: Salita di Somma per la Vetrana. Fl. majo. 5 Obs. Genuinam R. caninam ergo in Vesevo non inveni. Varietas nunc a me descripta formam intermediam se praebet inter R. caninam et ru- biginosam inter quas magna currit affinitas, et ob characteres incon- stantes setarum, pubescentiae, glandularumque, una in alteram transit. 4. R. Hecleliana, Tratt. var. vesuviana (nob.); foliis molliter pubescen- tibus, canescentibus; stipulis ampliatis acuminato-divergentibus inte- gerrimis ciliosis; foliolis profunde et simpliciter serratis, serraturis acu- tis sicco rigidis pungentibus; petalis roseis obcordatis, calycem supe- rantibus; lobis calycinis exquisite pinnatis, pinnulis ovalibus integerri- mis. Raro venit in fruticetis et sylvis; Somma, Vetrana. Fl. majo. d Obs. Flores sunt Rosae caninae, folia R. villosae. Fructum non vidi. + 5. R. indica, Lin. — R. semperflorens Curt. — vulgo Rosa di Ben- gala — Plures varietates pro ornamento coluntur. — FI. tot. annum 5 Y 6. R. centifolia, Lin. — N. Duh. t. 7. n. 12.— vulgo Rosa di mag- gio — Varietates plures coluntur.—FI. majo. d + 7. R. japonica, Wailz. — A. multiflora Ande. — N. Duh. t. 7. n. 17.— Colitur. Strada ferrata. Fl. majo. 5 POMACEAE 1. Crataegus monogyna, Jacq. austr. 5. p. 50. t. 292, FI. dan. 1162. C. oxyacantha Bert. fl. it. excl. syn. nonnullis. In sylvaticis, fruticetis, et sepibus ubique: vulgo Calavrice. è Utilissima ad sepes et ad insitio- nes. FI. marlio. Obs. Fructus globosi vel subglobosi non ovales ut observantur in insula Inarimes a cl. Gussone (conf. Guss. en. inar. p. 122). - 2. €. Azarolus, L. — Mespilus Azarolus Ten. fl. nap. — Lazzarola rossa, Galles. pom. disp. 24. cum tabula. « « var.b.chlorocarpa, M. Azarolus-chlorocarpa, Moris fl. sard. Lazzarolo bianco, Galles. pom. disp. 20. cum tabula. e 1. Eriobotrya japonica, Lindl. Mespilus japonica Lin. vulgo Nespolo del Giappone. Golitur et fructus mercimoniis praesto sunt. Fl. novembri. POMACEAE — Azarolus L. colifur. Mespilus germanica. Crataegus monogyna. Pyrus communis — Varietates plures co- * — 1. Mespilus germanica, L. ad sepes, et colitur in vineis, vulgo Nespolo. var. MACPOCATPa. — 4» A. Pyrus Aria, W. Crataegus aria Lin. — Lam. ill. gen. t. 433. f. 1. — Duh. arb. ed. nov. v. 4. t. 84. — Nascitur in summis jugis montis Sum- mae, sive antiqui Vesevi. Non floret quia ibi sterilis. $ 2. P. communis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 435. N. Duh. 6. tab. 59.— Colitur. FI. aprili-majo. 5 Sequentes varietates coluntur in Vesevo et in aliis provinciae nea- politanae locis: hic nominibus latinis (secundum cl. Gasparrini in Guss. en. inar. p. 123.) et vernaculis expositae. Varietates aestivae, fructu mat. aestate hoc signo sunt notatae. * « « ((G « « « a « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « « * * * stupea Gasp. — vulgo Pero stoppa. xanthocarpa (Pyror. aestivarum maxima)— Pero cam- pana 0 p. campanara. « Db. serotina — Pero buon cristiano d' inverno. suavis — Pero mastantuono. moschata (Pyrorum aestivarum minima) — Pero mo- scatellino, o moscatello piccolo. « subvar. major — Pero moscarellone. perlata — Pero carmosino. « Db. serotina — Pero carmosino d'inverno. nobilis — Pero spadone. « D. serotina — Pero spadone d'inverno. viridis — Pero spino d' està. coxendica — Pero coscia di donna. oenophora — Pero coscia longa. bergamotta — Pero bergamotta. deliciosa — Pero spino del Carpio. « var. butyrosa — Pero butiro. angelica — Pero angelico. fructibus fasciculatis — Pero spogna. 8. P. Malus, var. sylvestris Lin. — Duh. arb. ed. 2. v. 6. t. 45. f. 1. Malus sylvestris Dod. pempt. 690. —In fruticetis, Somma alla Vetrana. 5 Plures varietates copiose coluntur per totum Vesevum, quarum aliquas vernaculo nomine hic refero: luntur in insula. i Amygdalus communis. — Malus.Varietates plures coluntur. Prunus spinosa. Cydonia vulgaris. Cotogno. EM Aestivae — A. Melo urcolo (praecocissima); m. agostegno; m. Gaeta- niello; m. S. Pietro; m. S. Giovanni 0 m. stoppa; m. citrulo. Autumnales — A. Melo-pero; m. tramontana; m. limoncello; m. geno- vese; m. lappiolo; m. lappiolo piccolo; m. lappione; m. lappione rosso; m. zitella (fr. majori albo roseo); m. favorito; m. cannamele; m. mela- rosa; m. melodieci; m. S. Nicola (serotina); m. nurco (omnium vulga- tissima ac gustui gratissima). 1. Sorbus domestica, Lin.—Duh. arb. ed. 2. v. 3. t.84.—In sylvaticis et fruticetis Somma, Ottajano ec: vulgo Suorvo ec. FI. aprili. 5 Varietates sequentes cultae nomin. vernaculis: « «A. Suorvo agostegno; 2. suorvo a panella; 3. suorvo di ven- demmia (ut in Ischia); 4. suorvo del capitano (fructu maximo); 5. suorvo varrecchiaro (fr. ovoidali); 6. suorvo rossolello (fr. parvo rubro); 7. suorvo pascarolo (fr. serotino); 8. sorbapera (fructu epicarpio griseo opaco sca- brido, nob.). Haec ultima varietas raro colitur, Somma. 1. Cydonia vulgaris, Pers. Pyrus Cydonia Lin. Jacq. austr. t. 342. Co- litur et quandoque spontanea. FI. majo. 5 vulgo Cotogno. « «var. fructu maximo dulciore, vulgo Cotogno alappio. ONAGRARIAE 1. Epilobium tetragonum, Lin. — Coss. Germ. atl. fl. de Paris t. 12. f. E. — Reich. cent. 2. f. 340. — In sylvaticis editioribus septentriona- libus, M. Somma, rarus: etiam in demissis, în Pompei. FI. julio. % MYRTACEAE 1. Myrtus communis, Lin. — In plaga meridionali — vulgo Mortelle. FI. junio. 5. GRANATEAE 1. Punica Granatum, Lin. — Colitur, vulgo Granato. FI. junio. 5 « « fructu dulci. MYRTACEAE | macchie presso la Scala d’ Anaca- pri, fl. junio. Myrtus communis, copiosus. — —. var. acuminata (nob.): foliis GRANATEAE longe acuminatis, acumine subfal- cato: nascitur cireum rura: alle | Punica Granatum. esa fa CUCURBITACEAE 1. Bryonia dioica, Lin. —Jacq. a. t. 199. Lam. Ill. tab. 196. Rudera- tis, S. Anastasia, vulgo Cocozzelli per l'itterizia. 1. Ecbalium Elaterium, Rich. — Momordica Elaterium Lin. — Bull. herb. t. 81.—In ruderatis maritimis, Portici: vulgo Cocozzella dell'asino. FI. tot. annum. % Cucurbitaceae cultae per totum Vesevum sunt eaedem ac illae cultae prope Neapolim, videlicet: 1. Cucurbita Pepo, Lin. vulgo Cocozzellî, omnium communissima. — C. macrocarpa, Gasp. vulgo Cocozza di Spagna, Cocozza zuccarina. — C. maxima DC. vulgo Cocozza pazza. — Gitrullus vulgaris, mellone d' ac- qua. — Cucumis sativus, vulgo Getrulo. i PORTULACACEAE 1. Portulaca oleracea, Lin. — In cultis ubique, vulgo Porchiacchella. FI. majo-septembri. © PARONYCHIEAE 4. Corrigiola littoralis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 213.—In apricis et in viis non communis, Granatello, Pugliano. Fl. junio-julio. © 1. Herniaria hirsuta, d. Bertol. fl. ital. — H. cinerea DC. mem. des Paron. p. 10. t. 3. In arenosis viarum et in cultis ubique. Fl. martio, octobri. © 1. Polycarpon tetraphylium, Lin. — Lam. ill. gen. t. 54. f. 5.— Obvia. FI. julio-octobri. © 1. Scleranthus annuus, Lin.—F1. dan.t.504.—In arenosis. Communis. © CUCURBITACEAE PORTULACACEAE Cucurbitaceae cultae in insula Caprea- Portulaca oleracea. rum sunt eaedem ac supra notatae in Vesevo, et iisdem vernaculis nun- PARONYCHIEAE cupatae. Bryonia dioica. Polycarpon tetraphyllum. Momordica Elaterium, vulg. Cocozzella Scleranthus annuus. dell’ asino. Herniaria hirsuta var. d. Bert. i CRASSULACEAE 1. Tillaea muscosa, Lin. — Reich. cent. 2. f. 350. DC. pl. gras. tab. 738. — Frequens in pratis siccis maritimis et submaritimis, Granatello, Pugliano. FI. januario. © 1. Umbilicus horizontalis, DO.—Cotyledon horizontalis Guss. syn. Ten. fl. nap. 4. p. 244. t. 234. f.1. — In maceriis frequens. Antica Strada del Salvatore; Somma, ubi vulgo Coperchiole ec. FI. majo. Y Obs. Varietas sive potius forma sequentis speciei existimanda mihi videtur; quod stirpes intermediae occurrunt floribus subpedunculatis et subpendulinis. 2. U. pendulinus, DC. pl. grass. t. 156. Cotyledon Umbilicus Lin. Ten. I. c. t. cit. f.B. CI. auctor in op. cit. 1. cit. omittit explicationem allatae figurae B umbilicum pendulinum effigiantis cum praecedenti: vulgo Co- perchiole (a Somma). Fl. majo. % 1. Sedum stellatum, Lin. Sempervivum tertium, Column. phyt. ed. neap. p- 42. (cum figura). In maceriis et in saxosis demissis et elatis, Via del- l Osservatorio. Fl. aprili-majo. © 2. S. galiodes, All. ped. 2. p. 120. t. 65. f. 3. — S. Cepaea Bd. Ten. fl. nap. — Ad agrorum margines et sepes in umbrosis, S. Anastasia ec. 3. S. nicaense, All. ped. 2. p. 120. t. 90. ic. 1. S. rufescens Ten. fl. nap. I. p. 248. t. 41. S. altissimum Bertol. fl. it. — Reich. cent. 3. f. 448. In apricis saxosis, Tironi, Tironcelli; et in muris: vulgo Ugna di Janara. Fl. junio. % 4. S. dasiphyllum, Lin. — Jacq. H. vind. II. t. 153. Red. pl. grass. t. 93. S. neapolitanum Ten. fl. nap. t. 229. f. 2.—S. corsicum Ten. op. cit. 1. cit. — In muris, S. Giorgio a Cremano, Portici. FICOIDEAE > 1. Mesembrianthemum acinaciforme, Lin. — Salm. Dick. Mesembr. $ 19. f. 6.—M. acinaciforme, fl. amplissimo purpureo Dill. Elth. t. 3411. CRASSULACEAE — — purpureum (S. deltoideum. | Ten.). Umbilicus horizontalis. — rubens var. pentandrum (Crassu- — . pendulinus la rubens). Sedum stellatum. —_ litoreum Guss. — —. lutescens. — altissimum, communissimum. Mr f.270.t.212.f.271.—DC. pl. gras. t. 89. Introductum exornatu viarum aggeres in provincia neapolitana hodie quasi indigenum? — Strada Fer- rata di Portici. Fl. aprili-majo. Obs. Nondum sponte legi in Vesevo, ut cl. Gussonius fecit in In- sula Inarimes: Guss. En. inarim. p. 138. — M. rubrocinetum Haw. vix ex hac specie differt. CACTACEAE « 1. Opuntia Ficus indica, Mill. — O. vulgaris Ten. fl. nap. non alio- rum. Cactus Ficus indica DC. pl. grass. t. 188. Colitur, et quandoque suae spontis: vulgo Fico d'india. FI. majo. 5 Fructus comeditur. « « var.spinosissima— Opuntia amyclaea Ten. Syll. et fl. nap. vol. I. t. 236. Att. ac. sc. di Nap. marzo 1837. cum tab. Guss. syn. — Raro colitur, ft. Parco di Portici. FI. majo. è Fructus comeditur sicut ille typi speciei: ad instruendas sepes etiam aptissima. Obs. An haec varietas sit typus speciei et versa vice ille sit istius va- rietas inermis vel subinermis. Character desumptus a praesentia vel ab- sentia spinarum in Opuntiae speciebus, ut sedulo observavi (duce G. En- gelmann) in quibusdam speciminibus spinosis cuius rami partim fiunt inermes (ex gr. in Opuntia Dillenii), fallax est. Caeterum fructus nec non flores sunt iidem in O. Fico indica ac 0. amyclaea. SAXIFRAGACEAE 1. Saxifraga tridactylites, Lin. a lobata DG. — Stern. Saxif. t. 17. f. media (ex DC.). In muris, Somma. FI. februario-martio. © Obs. Neque forma neque varietas desumenda a foliorum divisione, mihi sunt enim specimina ex uno cespite foliis trilobis et foliis profunde quinquelobis; quod duo lobi externi foliorum triloborum bifidi evadunt. 2. S. bulbifera, Lin. — Pasq. fl. ves. in op. cit. Column. Ecph. I. p. 317. cum ic. S. veronicaefolia Bertol. amoen. In convalle olim dicta Fosso Grande, hodie a lavis repleta et obstructa (rara). 8. S. rotundifolia, Lin. — Bull. herb. t. 327. Ad saxa stillantia valle- cularum septentrionalium, a $S. Anastasia, et ad Cacumen. Montis Somma (rara). Fl. junio. % CACTACEAE : SAXIFRAGACEAE Opuntia Ficus Indica. Copiose colitur. Saxifraga tridactylites, Se9 5 SS S. rotundifolia, forma repanda. — S. repanda Sternb. Revis. pag. 17. tab. 5.— Eodem loco cum typo: presso il cilione del monte Somma (rara). FI. junio. % Obs. Foliis acute vel obtuse dentalis: crenatis in aliis speciminibus. In nostris montibus circumstantibus haec forma est frequentissima nec nota varietatis digna. Duae hae species desunt florae Inarimes et Caprea- rum insulis. UMBELLIFERAE 4. Eryngium maritimum, Lin.—FI. dan. 875. Reichb. ic. germ. XXI. t. 8. — Litore, Portici. Fl. majo-julio. X A. Sanicula europaea, Lin. Reichb. ic. germ. v.XXI. t.6.In sylvis hum- brosis, Canteroni, Camaldoli. FI. aprili. % $ 1. Apium graveolens, Lin. — Colitur: vulgo Accio. 2. Petroselinum sativum, Hoffm.—Sponte legi in colle Canteroni (er- ratice), all'Eremo: vulgo petrusino selvaggio, et colitur, vulgo Petrosino. FI. junio. dî I. Ammi majus, Lin. — Reichb. ic. germ. v. XXI. t. 20. — In cultis. FI. junio-septembri. © 4. Crithmum maritimum, Lin.— Jacq. St. Vind. 2. t. 187. — Reichb. ic. germ. v. XXI. t. 25. — Cachrys maritima Ten. fl. nap. — Ad rupes maritimas et in litore arenoso, Portici, Torre Annunziata (rara). F1. julio, septembri. % 5 > 1. Foeniculum piperatum, DC. —Guss.En.inar.—Reichb.ic.germ. v. XXI. v. 90. — Anethum piperatum, Ucria pl. ad Lin. add. — A. Foe- niculum e. Lin. Meum piperatum Ten. fl. nap.— Colitur vulgari nomine Carosella (Torre Annunziata), nec sponte nascitur, ut in Inarime insula (confer Guss. En. inar. 142.). FI. aestate. % 2. F. vulgare, Gaert. fr. t.23.DC. pr.—A. Foeniculum oflicinale, Bert. fl. it. Reichb. ic. germ. v. XXI. t. 89. Anethum Foeniculum bd. et d. Lin. Meum Foeniculum Ten. fl. nap. — In lapidosis apricis communis, UMBELLIFERAE Ammi majus: in campis (Anacapri). Crithmum maritimum, copiosum. Eryngium maritimum. Bupleurum aristatum. Sanicula europaea. Foeniculum vulgare. Apium Petroselinum. — piperatum, cultum. — — forma gigantea; cultum et — dulce, cultum. spontaneum in hortis. Oenanthe chaerophylloides. Atti — Vol. IV. — N.° 6 di MIE | DSS Tironi, Tironcelli, ec. vulgo Finocchio selvatico. Fl. aestate usque in autumnum. S'% Obs.Radix simplex fusiformis, profundissima, ab uno usque ad metra duo attingens in solo arenoso. Planta 8-4pedali elata. Foliorum inferio- rum laciniae breviores quam illae caulinorum et superiorum, capillares, molles (2-3 centim. longae). Gorollae saturate luteae. Fructus tuberculo ab exuviis disci et stilorum efformato coronati; mericarpiis 5-costatis, costis obtusis aequalibus, cum alus vittiferis obtusioribus alternantibus: vittae quinque resiniferae amplae, quarum duae commissurales. 3. F. dulce, DC. — Reich. ic. fl. germ. v. XXI. t. 89. — Colitur in hortis, vulgo Finucchio. © S Obs. Annuum et biennem, sed cum putatione perennans. 4. Ferula communis, Lin. — In collibus, Camaldoli, Bosco Tre case (rara). Fl. majo-junio. 1. Daucus setulosus, Guss. in DC. pr. et En. pl. inar. p. 144. t. IV. a, b, c, d, e.—D. speciosus, Cesati in Linnaea II. p. 322. Copiose nascitur super lavis, saxosis et alibi. Pro foeno colligitur et venumdatur in mer- catibus vulgari nomine pastinachella, ut in Ischia. 2. D. parviflorus, Desf. (sec. Gusson.) —In collibus, Salvatore (ex herb. Gussoniano). Fl. majo-junio. I 3. D. Garota, Lin. —FI. dan. 723. — Gàrt. t. 20. f. 4. —Sponte venit in cultis: vulgo Pastenache. FI. junio. S « «var. sativa: vulgo Pastenaca. « « « « subvar. rad. rubra: vulgo Pastinaca rossa. 4. D. mauritanicus, Lin. ad sylvarum margines, Camaldoli, Somma ec. vulgo Pastenaca selvaggia. A. Torilis helvetica, Gmel.—Bert.fl.it. Caucalis helvetica Jacq.H. vind. 3. t. 16. — In cultis et sylvaticis communis. — FI. aprili-majo. © « «var. a. purpurea.Torilis purpurea, Guss. syn. et Én. inar. Caucalis purpurea, Ten. fl. nap. 3. p. 279. t. 134.— ubique. FI. aprili. © « «var, bd. Ten. T. heterophylla Guss. — Portici, Pompei (ex herb. Gusson.). FI. majo-julio. © 2. T. nodosa, DG. — Jacq. aust. 5. p. 40. et app. t. 24. Caucalis no- Ferula glauca. var. neapolitana. F. nea- — nitidus, communis. politana Ten. Pro pabulo jumento- —. setulosus Guss. rum inservit. Brignolia pastinacaefolia, ubique: vulgo 7i- Daucus Carota nocchio marino, nomen commune — —. var. sativa. cum aliis umbellatis. E oca dosa Ten. — Pasq. fl. ves. in op. cit. Tordylium nodosum Lin. — Ad sepes, in herbidis et lapidosis. FI. majo. © A. Scandix Pecten Veneris, Lin. — Jacq. austr. t. 263. — Inter sege- tes. Fl martio. © 2. S. Cerefolium, Lin. — Jacq. austr. t. 390. Erratica per vias et in hortis, Portici, Resina: vulgo Cirifuoglio, etiam colitur. © S 1. Ghaerophyllum Temulum, Lin. — Myrrhis Temula, Ten. fl. nap. — Bert. fl. it. — Pasq. fl. ves. in op. cit.— Sylvarum marginibus ct sepi- bus, Camaldoli, Canteroni. S 1. Echinophora spinosa, Lin. — DC. Ombell. p. 64. t. 16. In litore Por- tici. FI. julio-augusto. S' A. Bupleurum junceum, Lin.—Reichb. ic. germ. v. XXI. t.42.— B. tri- fidum, Ten. fl. nap. III. p. 272. tav. 12. Syll. p. 131. — Collibus. Cante- roni, al Salvatore (raro), ex herb. Gussoniano. Fl. augusto-septembri. S Obs. Nullo modo differre mihi videtur Bupleurum junceum a B. tri- fido Ten. LORANTHACEAE 1. Viscum album, Lin. — Lam. ill. t. 807. — Blackw. t. 184. — Para- sitica pyri el castanearum, praecipue in septentrionalibus, S. Vito, monte Somma. Fl. februario-majo. 5 ARALIACEAE 1. Hedera Helix, Lin. — Duh. arb. ed. nov. v. 8. t. 84. — Ad muros, maceries, truncos ec. vulgo Ellera. Fl. septembri-octobri. 5 Scandix Pecten. LORANTHACEAE Bifora testiculata. Seseli polyphyllum Ten., copiosum. Thapsia Asclepium, ubique in editioribus. | Viscum album. Pimpinella magna, ubique. | ARALIACEAE Smyrnium Olusatrum, obvium: v.corinoli. | Tragium Columnae Ten., in summis jugis Hedera Helix. Solari, | Calyciflorae gamopetalae. CORNEAE 1. Cornus sanguinea, Lin. —- Lam. ill. gen. t. 74. f. 2. — In sepibus et fruticetis communis, Torre del Greco, Somma, Ottajano, ubi vulgo San- quiniello. Fl. aprili-majo. 5 CAPRIFOLIACEAE 1. Sambucus nigra, Lin. — Venit in sepibus sed rara, frequentior in demissis plagae septentrionalis. Fl. majo-junio. « «var. leucocarpa. Raro venit prope Somma (Joh. Majone). Aviculae hujus varietatis fructus magis quam illos speciei expetunt. 4. Lonicera implexa, Ait. — L. Caprifolium (pro errore) Pasq. fl. ves. in op.cit.— Venit raro in sepibus, Strada dell’ Osservatorio presso S. Vito. FI. majo-junio. d »% 1. Viburnum Tinus, L.— Nei reali boschetti di Portici e Favorita, et alibi cultura introductus. FI. decembri-januario. 5 RUBIACEAE 4. Sherardia arvensis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 641. —In apricis ubique Fl. majo. © 1. Asperula arvensis, LL — A. coerulea Dod. p. 355. — Inter segetes (rara). O 1. Rubia peregrina, L.—R. sylvestris, aspera, Moris hist. ox. 3. s. 9. t.21. f. 2. In sylvaticis, saxosis, maceriis, et sepibus ubique. FI. majo. > Obs. forma elatiore totius plantae, caule perenni usque ad tria me- CORNEAE { Lonicera implexa Ait., communis. Cornus sanguinea. RUBIACEAE | 4 i CAPRIFOLIACEAE i Sherardia arvensis. Asperula laevigata. Sambucus nigra. Extant arbores magnae, — incanaSib.Sm.—A.commutataR.S. a Tiberio. | A. tomentosa Ten, Scala d’Anacapri, pesa A tra elato et foliis perennantibus, saturate viridibus, seminibus minori- bus, aliisque notis, species aliena a R. tinctorum. $ 2. R. tinctorum, L. — Lam. ill. gen. t. 60. f. 1. — Culta, Torre Annunziata. Numquam spontaneam vidi. Fl. majo. % 4. Galium lucidum, All., ped. p. 5. t. 77. f. 2. G. erectum B. Bert. fl. it. In saxosis, lavis, fruticetis, sylvaticis, ubique, Camaldoli, S. Vito, Somma ec. FI. majo. % In insula Imarime deest (Guss. En. inar. p.157.). 2. G. Aparine, L.— Bull. herb. t. 185. —In cultis et saxosis ec., vulgo Asprinie (Somma). FI. aprili. © 3. G. cruciatum, With. —G. Cruciata All. p. Valantia Cruciata. Lin. — Cruciata Dod. pempt. p. 857. fig. FI. martio. © 4. G. murale, Dec. — All. ped. t. 72. f. 4. — In pratis siccis Grana- tello ec. FI. martio. © «var. hispidulum. Habitat cum typo. o. G. Mollugo, Lin. — Bert. exc. syn. G. elati. — FI. dan. t. 455. — In sepibus, cultis, S. Giorgio « Cremano. FI. junio-octobri. % Florae inari- mensi deest. Obs. variat internodiis plus minus elongatis, sive abbreviatis. 4. Vaillantia muralis, L. — Cruciata romana, muralis, minima, Co- lumn. Ecphr. p. 297. cum fig. — Pratis siccis, maceriis, in demissis, Granatello, S. M. Pugliano, Torre del Greco ec. FI. martio-majo. © VALERIANEAE 4. Centranthus ruber, Dec. Valeriana rubra L.—Lam.ill. t.24.f.2. — In saxosis, muris et lavis, ubique ab imis ad editiora, Granatello, S. Vito, Salvatore, Somma, ubi vulgo dicta Fiocco di Cardinale. Fl. aprili-majo. % 5 « « formaatropurpurea. Super lavis tantum observatur. Grottazzurra. Fl. a junio in autum- | —. cruciatum. num. | — aparine Rubia peregrina Lin. | — murale. — angustifolia L. Lam. ill. g. t. 6. | Vaillantia muralis, communissima. f. 2. R. sylvestris, in cacumine So- | lari typum verum speciei vidi, nec | VALERIANEAE alibi utnotavi pro errorein Statistica | fis.econ. dell’isola di Capri. p.32. | Centranthus ruber. — Bocconi Pet. communissima, | — Calcitrapa. Galium lucidum. i Fedia Cornucopiae. —. saccharatum. | — eriocarpa. — tricorne. Sh Obs. Specimina plurima super lavis recentioribus (alle Piane) insi- gnia corollis colore rubro intensiore sive cremisino. Nec alibi in provin- cia neapolitana accidit hoc colors phoenomenon. DIP.SACEAE 1. Scabiosa grandiflora, Scop.—S. maritima, Bert.—S. ambigua, Ten. var. a fl. nap. 3. t. 209. f. 1. Scop. del. ins. 3. p. 29. t. 44. S. acuti- flora Reich. cent. 4. f. 506. Pasquale fl. ves. in op. cit. pag. 89.—Ubi- que in meridionalibus a regione marilima usque ad summa juga, rara in septentrionalibus, et numquam in sylvis, Granatello, Torre del Greco lungo la strada dell’Osservatorio ec. Fl. junio ad decembrem. % Obs. Corollae constanter roseae, capitulo fructifero oblongo, nec non caulis et folia lucida. 1. S. Columbaria, Lin. — Bertol. fl. it.— FI. dan.t.314.— Venit in syl- vaticis, Mauro, Canteroni, S. Sebastiano, S. Anastasia, et alibi in Septen- trionalibus, ubi frequentissima cum varietatibus sequentibus, vulgo Morze del diavolo. F). junio. % var. uniseta. S. uniseta, Savi pis. t. 2. h. f. — Scabiosa Columnae, Ten. fl. nap. hp. 29. tab. VII. Asterocephalus Columnae, Reich. exe. Obs. capitulis globosis subdirestatis cum paucis acheniis unisetosis. var. S. integrifolia, Savi fl. pis. In sylvis. var. calva (nobis): acheniis sine pappo.— Nascitur in sylvis alla Vetrana ec. Obs. Planta heterophylla, tota pubescens, cor. lilacina, capitulo fru- ctifero sphaerico. Florae inarimensi deest. « « « « « « pinnatifidis: caeterum nihil differt a Scabiosa cretica Lin. Forma igitur aut varietas est huius speciei quam DIPSACEAE Scabiosa grandiflora (S. ambigua Ten.). — crenata Cyr. — Columbaria, var. d. integrifolia | Savi. ereticaL.var. heterophyla (nob.). S. himettia Boiss. Heldr. (rarissime | in insula invenit cl. Pedicino). Foliis infimis ramorum et supremis inte- gris, intermediis trifidis quinquefidis nostribotanici ante non viderant aut non notaverant: confer descriptio- nes S. creticae in Gussone, Syn. FI. sic. I. p.177.Quoadrationem hetero- phylliae confer quod dixi in opere Sulla Eterofillia Nap. 1867 in 4°. pag. 8. et 45. Globularia bellidifolia, v. minor Solaro. COMPOSITAE 1. Eupatorium cannabinum, Lin.— FI. dan. t. 795.—-In humbrosis: vulgo audit Cannavo selvaggio. FI. julio. % 4. Tussilago Farfara, L.— Bull. herb. t.329. —In humbrosis sylvaticis, quandoque sub saxa e lavis sejuncta: vulgo Ciampe di cavallo, 0 d'asino: Somma, Torre del Greco; alla cima dei Canteroni sotto i pezzi di lava. FI. februario-martio. % A. Erigeron canadense, Lin. — FI. dan. 292. — In cultis et vineis ubi que et copiose. FI. augusto. © 1. Bellis annua, L. — Bocce. mus. t. 85. — In pratis siccis maritimis abundans, Granatello, S. M. Pugliano, Torre del Greco ec. FI. a mense februario. © « « forma rosulata (nob.), B. dentata DC. pr. B. annua Viv. fragm. p. 8. t. 40. f. 2. Caule brevissimo, usque ad cent. longo, foliis obovato-spathulatis rosulatis; pedunculo robusto 2-3 centim. longo; ca- pitulo majusculo, squamis constanter tredecim carinatis ad apicem atro- virentibus et penicillatis; corollulis radii albae duplo squamis longiori- bus, duplici serie dispositis, circiter triginta, ad basim pilosis, semini- bus obovatis hispidulis. Haec planta ludibunda copiosior venit quam praecedenti typo, in dictis locis, ubi prata exornat. « « formaeflata(nobis): caule ramoso folioso, usque ad decim. elato, pedunculis elongatis. FI. a februario ad majum, R. Parco di Por- tici, nec alibi. « « formagracilis, caule ramoso folioso. Bellis minima praten- sis, caule folioso, capitulo minori. Obs. Hanc formam, raram in Vesevo, copiosam inveni in sabulosis graniticis primae Ulterioris Calabriae, non raram in ins. Caprearum. $ 2. B. perennis, Lin. — Lam. ill. t. 677. — Nel R. Parco di Portici, nec alibi vidi. FI. januario. % COMPOSITAE — saxatilis Lin. Anacapri. Inula Conyza. Erigeron canadense. — viscosa. Bellis perennis, communis. — graveolens. — annua. Pallenis spinosa (Buphtalmum). — — forma gracilis. Anthemis arvensis var. incrassata. Conyza ambigua DC. Maruta mixta. MERE % B. perennis, var. hybrida.—B. hybrida, Ten. fl. nap.5. p.253.t.194. f. 2. — Nel R. Parco di Portici, nec alibi. FI. decembri-majo. % Obs. Bellis annua in Ins. Inarime deest (conf. Guss.En.inar.p.164): e contra in solo Vesuviano quasi desunt B. perennis, et B. hybrida, quae.communissimae sunt in Insula Inarime. 1. Solidago Virgaurea, L.—In sylvis copiosa, Canteroni, Somma, Mauro. FI. septembri. % $ 1. Carpesium cernuum, Lin..—Jacq. austr. 3. tab. 204. Numquam a me neque collegis meis hodie visum in Vesevo nec prope Neapolim, quamquam in Flora vesuviana (in op. cit» p. 97.) notaverim, nec non cl. Tenore in FI. med. univ. e partie. della prov. di Napoli, et etiam Gusso- nius olim legerit. Haec planta, nempe hodie in hisce locis desideratur. 4. Conyza ambigua, DU. —Erigeron bonariense, Ten. pr. p. XLIX. — E. linifolium, Bert. it. Dimorphantes ambigua, Moris fl. sard.—In cultis obvia. Fl. in aestate. © 2. C. saxatilis, Lin. var. canescens (nobis) — C. saxatilis var. 5. Boc- coni, Guss. en. inar. p. 165. — C. geminiflora Ten. fl. nap. 2. p. 213. t. 67. GC. Tenorii Spr. — Phagnalon saxatile DG. — P. graecum Heldr. Boiss. — Heliochrysum saxatile, singulari capitulo, acuto et angusto, setoecadis folio, Bocc. Mus. p. 142. t. 104. Guss. op. 1. cit. excluso alio syn. Bocconiano. — In muris, $. Giorgio a Cremano, Barra presso il pa- lazzo Bisignano. Fl. majo-junio. Obs. Folia in planta juveni ampliora incana, in adulta discolora: ut in Cineraria maritima et C. bicolori accidit (conf. supra). Pedunculi soli- tarii quandoque gemini. Confer huc infra, typum speciei ab aspectu vi- ridi distinctum, in Florula caprensi. 4. Inula Conyza, DO. — Conyza squarrosa L.—In fruticetis, Somma. % 2. I. viscosa, Ait. Brot. fl. lusit. 2. t. 164. Erigeron viscosum L. Cu- pularia viscosa Gr. Godr. Subfrutex communis in apricis, saxosis et syl- varum marginibus demissis et elatis, Granatello, Somma ec. Fl. septem- bri: vulgo Erba della Madonna; pro combustibili utuntur. 5 — Cotula (Anthemis psorosperma.) Artemisia arborescens. Achillea ligustica. Evax pygmaea, copiosa per totam insu- Matricaria Chamomilla. lam. Chrysanthemum segetum. Helichrysum litoreum Guss. —. Coronarium, copiosum in tota in- Filago germanica. sula vulgo Maloperuni. Cineraria maritima (C. ceratophylla Ten. Pyrethrum Myconis. fl. med.). — iT —- 8. I. graveolens, Desf. Erigeron graveolens Lin. Cupularia graveolens Gr. Godr. — Conyza minor vera, Lob. ic. 346. In siccis; super lavis ec. FI. augusto. d A. Pallenis spinosa, DG. — Buphtalmum spinosum Lin. Blackw. herb. t. 272.—In lapidosis et pratis siccis meridionalibus communis, S. Ma- ria Pugliano, Granatello, Pompei ec. Fl. junio. % 1. Maruta mixta, Moris, Anthemis mixta L. Obvia per vias et prata, in demissis et editioribus, Portici, Torre del Greco ec. Fl. majo. © 2. M. Cotula, DC. — Moris fl. sard. Anthemis Cotula Lin. — FI. dan. 1179. A. psorosperma Ten. Syll. p. 500. — Pasquale fl. ves. in op. cit. — In cullis herbosis. Fl. junio. © 1. Anthemis arvensis, forma incrassata. A. incrassata Loisel. A. arven- sis Ten. fl. nap. 2. p. 248. non Lin. In arenosis, lapidosis, herbosis, de- missis et editioribus ubique communissima. © « «forma discoidea; sine radio. Parco di Portici (Gussone). 2. A. austriaca, Jacq. austr. 5. p. 22. t. 444. Reich. cent. 4. p. 329. f.509. A. Triumfetti DC. In horto regio Portici (Guss.). FI. majo-junio. © 1. Achillea ligustica, All. ped. I. p. 181. t. 59. f. 3. In apricis saxosis, marginibus sylvarum ubique copiosa, a litore ad cacumen montis Som- ma. FI. Junio. %. 1.Matricaria Chamomilla, L.—F1. dan.1764. —In apricis et per vias— Pugliano ec. vulgo Camomilla. Fl. majo ad autumnum. © S' 4. Chrysanthemum segetum, L.— FI. dan. t. 995. — In arvis et pratis herbidis apricis, praesertim in culturis lupinorum communissimum. FI. a mense februario-martio. Colligitur cum foeno. © 4. Pyrethrum Myconis, Moench, — Jacq. observ. 4. p. 10. t. 94. Chry- santhemum Myconis Lin.—Dalech. hist. 893. ic. —Inter segetes in cul- tis et in herbidis frequens. Fl. majo. © 1. Artemisia arborescens, Lin. —Sibth. fl. gr.t.856. (ex Guss. inar.) — Ad rupes marilimas et elatas, Portici, Salvatore, monte di Somma. FI. ma- jo-]junio. d 2. A. variabilis, Ten. Subfrutex communissimus et abundans in meri- dionalibus et septentrionalibus, praesertim in agrorum ciliis, in demis- sis, el summis jugis, vulgo Paparacchio o Passaracchio. FI. julio. d Senecio vulgaris. I Ten.). Calendula arvensis. I Centaurea Cineraria. Carlina vulgaris. | — solstitialis. — involucrata Desf. (C. corymbosa | — Crupina. Atti — Vol, IV.-— N. 6 8 Sg Obs. Neque forma neque varietas desumenda e colore glauco folio- rum; quod in eodem individuo lubenter observantur color viridis et glaucus consociati propter aetatis diversae foliorum pubescentiam: he- terophyllia videlicet inter folia primaria et secundaria sive caulinia et ramealia. 8. A. vulgaris, Lin. — FI, dan. 1176. — In sepibus, Bosco Tre Case. Fl. augusto. X d 1. Helichrysum litoreum, Guss. Gnaphalium angustifolium Lam. Ten. fl. nap. ©. p. 220. Gnaphalium litoreum, Bert. fl. it. A litore maris ad cacumen Montis Summae : frequens occurrit etiam super lavis, Granatello, Osservatorio, S. Anastasia, Somma, Punta del Nasone. Fl. majo-junio in demissis et julio in editioribus: vulgo Spicaddossa selvatica, Trotola. > Obs.Folia inferiora latiora in planta juniori illa Gnaphalii luteo-albi, vel Convzae saxatilis, referunt. 2. H. luteo-album, Reich. var. B. — Gnaphalium pompeianum, G. de- pressum Bert. Ten. — In ruderatis pompeianis (hodie raro). Legi anno 1849, comite clarissima Elisabetha Fiorini. Fl. julio. © Obs. Planta locorum stillantium, ideoque in regione vesuviana ra- rissima. 1. Filago germanica, Lin. — Coss. Germ. atl. fl. Paris t. 26. f. B. In siccis et vinetis. FI. majo. © 2. F. gallica, L.—Logfia gallica, Coss. Germ. atl. fl. Par. t.26.f. E. — Ubique in siccis, et super lavis, Torre del Greco ec. FI. aprili-majo. © Obs. Achenia exteriora birostrata, rostro squama mutica retusa lon- giore; folia superiora involucrantia plus minus erecta arcuata. « «var. fenuifolia. F. tenuifolia Presl. Filago-gallica var. d. Ten. DC. In siccis, Torre del Greco (herb. Guss.), Pompei. Fl. majo. © 3 1. Cineraria maritima, var. bicolor. — C. maritima Sibth. fl. gr. 9. p. 59. t. 871. (sec. Bert. et Guss.). GC. bicolor W. — In agror. ciliis, lungo la strada ferrata di Portici e nel IR. Parco. FI. julio. > Obs. Heterophyllia in hac varietate colorem diversum in duobus paginis foliorum secum trahit: idcirco duae hae species auctorum in una, idest C. maritima L., reducendae sunt cum sequenti C. gib- bosa Guss. Galactites tomentosa. i Garduus pycnocephalus. Kentrophyllum lanatum. i Scolymus grandiflorus Desf., Mulo ed Onopordon virens (in cacumine Solari). Anacapri (pulcherrima planta): ju- — illyricum (ex Ten.). venis planta comeditur. i ni Y Cineraria maritima, var. nuda (nobis); Cineraria gibbosa Guss. Syn.— Bert. fl. it. — Culta et quasi indigena in R. Parco di Portici (cl. Pedicino legil). FI. julio. Obs. A typo nihil differt nisi glabritie anthodii. 1. Senecio vulgaris, L.—Bull. herb. t.197. Senecio Matth. cum icone. Ubique praesertim in hortis, vulgo Cardillo. Fl. autumno et hieme. © 2. Ss. foeniculaceus, Ten. S. lividus, Bertol. fl. it. non Lin. S. trilobus Sibth. fl. gr. t. 896 (ex Guss.)— Venit in sylvaticis apricis et praecipue in fruticetis, Somma presso Ottajano, Camaldoli. FI. aprili. © « « formadiscoidea, sineligulis radii:in iisdem locis frequens. A. Calendula arvensis, Lin. — Gaert. de fruct. 2. p. 421. t. 168. f. 4.9 Tabern. ic. 396. — Ubique in cultis, et pratis siccis apricis, Granatello, S. M. Pugliano, Torre del Greco ec. Fl. a januario per tot. annum. © S « « formamicrantha.C. micrantha Tin. Guss.En.inar. p.177. tab.VI. Cum specie, et frequentius per vias: Camaldoli ec. FI. tot. annum. © Obs. Achenia in hac specie tribus modis distinguuntur in codem ca- pitulo: rostrata, dorso subechinato-cristata; cymbiformia levia dorso pa- rum tuberculata; et annulata dorso transverse et minute muricata. Ha- bemus specimina C. arvensis typicae, quibus sunt achenia duobus vel tribus formis, in eodem capitulo et in diversis capitulis eiusdem stirpis: animadvertendum tamen est, quod in speciminibus a me lectis in au- tumno achenia omnia subconformia sunt. Flores aperti ab hora 11. ant. ad 3. pm. A. Carlina vulgaris, Lin.— Gaert. de fruct. 2. t. 163. f. 4. — FI. dan. t. 1174 (picta), Pugliano, Osservatorio: ad agrorum et sylvarum margines Somma, Camaldoli, Pugliano. Fl. augusto-septembri. 2. G. involucrata, Desf. an GC. corymbosa Lin. et Ten. fl. nap.? In sa- xosis et ad sylvarum margines usque ad summa iuga, Somma, S. Ana- stasia, Canteroni. Fl. augusto. 4. Gentaurea deusta, Ten. ‘fl. nap. 2. p. 266. t. 84. In apricis saxosis herbidis, sylvaticis, demissis et elatis, Camaldoli, Portici, Salvatore, m. Somma. FI. junio, quandoque in autumno. % 5 2. G. solstitialis, L. — Colum. Ecphr. 841. — Reich. ic. fl. germ. 414. "9, t. 795. f. 4. In viis et in siccis. FI. junio. © Rhagadiolus edulis. Cichorium Intybus. Hedypnois eretica. —. Endivia. —. tubaeformis. Hypochaeris glabra. — rhagadioloides. — — forma minima. * EE C. solstitialis, forma brevissima, squamarum appendice palmato-spinosa, spina media parum lateralibus longior: ita ut ad C. Adami (Reich. 1. et tab. cit. f. 2.) transitum faciat. — Nascitur in Pompet ec. FI. julio. © 8. C. Calcitrapa, Lin. Hippophastum, Column. phyt. p. 107. t. 24. Per vias in demissis, Granatello, ec. Fl. julio. © 4. C. sphoerocephala, Lin. C. coespitosa Cyril. pl. rar. neap. fasc. I. p. 24. t. 8. In litore arenoso, Resina. Fl. junio. % 5. Cnicus benedictus, DC. Reich. ic. fl. germ. 14. t. 748. Centaurea benedicta Lin. Ten. fl. med. un. prov. nap. 42. p. et Syll. p. 449. Na- scitur in demissis orientalibus, Mauro (cl. Tenore). FI. junio. © Obs. Nunquam ego vidi in dicto loco nec alibi in Vesevo. 1. Galactites tomentosa, Moench. Centaurea Galactites Lin. Cav. ic. 3. t. 231. In apricis siccis herbidis et in viis. FI. majo. © 1. Kentrophyllum lanatum, DC. Carthamus lanatus Lin. Atractylis Dod. pempt. p. 724. fig. Atrattile Matth. In arenosis maritimis, Granatello, Torre del Greco, Pompei ec. FI. julio. © 1. Onopordon virens, DC. Acanthium virens maioribus capitis spinis Barr. Ic. 501. In herbosis maritimis, Granatello. FI. junio-julio. S © 1. Silybum marianum, Gaert. Carduus Marianus Lin. ad agrorum mar- gines — Presso Acercola. Fl. majo. © » 1. Cynara Cardunculus, L. sativa. — Scolymus aculeatus, Tabern. hist. 696. ic. Colitur nomine Carciofa. FI. majo-junio. 2. Carduus macrocephalus, Desf. C. nutans Guss. non Lin. Pasquale. FI. ves. op. cit. pag. 57. Ad vias et in herbidis nec non inter segetes. — Strada dell' Osservatorio, S. Anastasia FI. junio. % 3. G. pycnocephalus, Lin. — C. peregrinus Ten. GC. arabicus Jacq. sec. Schultz. In Phyt. can. Ten. Pasquale. FI. ves. in op. cit. —In ruderatis, per vias ubique, Granatello, Via del Salvatore ec. FI. aprili: vulgo audit (cum Onopordone, Carduo, Carlina ec.) Cardogne. Î 4. C. neglectus, Ten. Sem. H. R. Neap. 1890. p. 14. FI. nap. t. 187. Syll. p. 411. Ad agrorum margines et in hortis. Î O. Cirsium lanceolatum, Scop. — Carduus lanceolatus L. — FI. dan. 1173. — In arvis, sepibus, Pompei. Fl. augusto. % 6. G. strictum, Ten. — FI. nap. II. pag. 200. t. 75. Syll. p. 413. Car- — neapolitana Ten. { Urospermum Dalechampii. Seriola aetnensis. — picrioides. Thrincia tuberosa, communissima. Tragopogon porrifolius. N duus nemorosus italicus Barre]. Obs. 925, ic. 417. In sylvaticis, Salva- tore, Somma. FI. junio. % Obs. Pro errore cl. Reich. in ic. fl. germ. v. T. p. 281. ad Carduum pycnocephalum refert hanc speciem. In insula Inarimes deest. 1. Scolymus hispanicus, Lin. — Reichb. ic. germ. XIX, t.I.—Sc. gran- diflorus (pro errore) Pasq. FI. ves. in op. cit. p. 40. —In saxosis et pratis siccis maritimis, Granatello, S. M. Pugliano, Camaldoli. — FI. junio, vulgo Carduncello. % Planta junior, videlicet radix cum foliis teneris; inter olera usurpatur nomine vernaculo Carduncello, qui prope Neapolim colitur in hortis, et in mercimoniis venditur. 1. Lapsana communis, Lin. — Reichb. ic. germ. XIX. t. 2.— Ad sepes. Fl. majo. © 1. Rhagadiolus edulis, Gaert. — Reich. ic. germ. XIX. t. 4. R. interme- dius, Ten. fl. med. — Reich. op. t. cit. Lapsana Rhagadiolus Scop. — In saxosis et maceriis. Fl]. martio. © Obs. R. stellatus Gaert. Reich. ic. germ. v. XIX. t. cit. nihil aliud est quam varietas huius speciei; nam forma foliorum in cichoraceis ludi- bunda est. In nostra specie non omnia achenia glaberrima ut notat Cl. Guss. in plantis inarimensibus (conf. Guss. En. Inar. p. 184.) sed illa solum radii ab antodii squamis tecta glaberrima, achenia disci vero 1-3. incurvi et exquisite farinoso-pubescentia. Ideirco hic character nulli mo- menti existimandus est. 4. Hedipnois cretica, W. — Reichb. ic. germ. v. XIX. t. II. — Pralis. FI. aprili. © « «forma pumila— Erecta subsimplex: foliis lanceolatis am- plexicaulibus obsolete dentato-sinuatis ciliatis; pedunculis fructiferis ver- sus apicem fistulosis. Pilis pappi interni spinulosis. — In pratis siccis et saxosis, Pugliano, Granatello. Obs. Pili pappi interni sursum spinulosi. 1. Cichorium Intybus, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 6. — Rara et erratica. Pompei: vulgo Cicorie; 4. Frequentius colitur. se 2. C. Endivia, Lin. — Reichb. ic. germ. v. XIX. t. 7. — Colitur ver- naculo nomine Scarola, raro et erratice spontanea. FI. majo. © A. Tolpis umbellata, Bert. fl. ital. T. barbata Ten. fl. nap. — Reichb. — pratensis (Ten. Fl. medica). Helminthia echioides. Scorzonera hirsuta L. (S.Columnae Guss.) Picris spinulosa. in aridis, Tiberio (rara). Lactuca muralis. —. 0 ic. germ. XIX. t. 8. f.1.— Im apricis maritimis, Mortelle presso Portici, Torre del Greco (ex Guss. herb.). Fl. aprili-majo. © 1. Hypochaeris glabra, Lin. — H. radicata var. glabra, Reichb. germ. v. XIX. t. 47. Nascitur in pratis cum sequenti. Fl. majo. © « « formaminima DG. pr. Guss. En. inar. H. minima Cyr. pl. rar. neap. fasc. I. p. 29. t. 10. Ten. fl. nap. 5. p. 202. et H. arachnoides Ten. l. cit. p. 201. In pratis siccis. 3. H. neapolitana, Ten. In herbosis et pratis ubique. In foeno colligitur et inter olera cum Scòlymo hispanico usurpatur, vulgari nom. cesta di- pecora. FI. majo, % 1. Seriola aetnensis, Lin. — Lam. ill. t. 656. f. 14. — In muris, mace- riis, tectis. Fl. martio-majo. © 1. Thrincia tuberosa, DC. Apargia tuberosa W. Leontodon tuberosum Lin. — In pratis rara. FI. septembri. % 1. Urospermum Dalechampii, Desf. — Reichb. ic. germ. v. XIX. t. 26. Arnopogon Dalechampii W.— Reich.ic. germ.t. cit. —In apricis siccis, Torre del Greco ec. Fl. majo. X 2. U. picroides, Desf. — Arnopogon picroides W. Lam. ill. gen. t. 446. f. 3. In herbosis apricis, obvia. Fl. majo. © 1. Helminthia echioides, Gaert.—Reichb. ic. fl. germ.v. XIX. t.27. Obvia. 4. Picris spinulosa, Guss.P.hieracioides, Ten. fl. nap. non Lin. S.Ana- stasia. FI. junio-octobri. SY 1. Lactuca muralis, DC. — Bert. fl. it. Praenanthes muralis Lin. Ten. fl. nap. Pasq.Fl.ves.in op. cit. —Ad muros, all'Eremo (olim). Fl. majo. © 4 2. L. sativa, var. a. — L. sativa var. c. longifolia Lam. — Blackw. herb. t. 88. — Colitur, vulgo lattuca. © « « atrovirens, fol. elongatis ad apicem concavis: vulgo lat- tuca romana colitur. © « « pallida; foliis brevibus, vulgo lattuca biancolella. % 3. L. capitata, DC. — L. sativa @ capitata Lam. — vulgo laltuca incappucciata : colitur. © « «var. mortarella, nap. se 4.L. crispa, DCO. — L. sativa d. crispa Lin., vulgo lattuca riccia: colitur. © — sativa. — saxatilis (Apargia), communis. — saligna. Chondrilla juncea. Leontodon Taraxacum, frequens. i Hyoseris lucida, communis. 9 $- 1. Leontodon Taraxacum, Lin. — Taraxacum officinale, Wigg. in Reichb. ic. germ. v. XIX. t. 53. — T. Dens Leonis Desf. — Bert. fl. it. In herbidis, Somma, S.Anastasia, ubi Joannes Majone farmacopola invenit, nequaquam ego, rarus ergo: vulgo Cicorie selvagge. 1. Chondrilla juncea, Lin. — Reichb. ic. germ. v. XIX. t. 49.—In cam- pis aridis et ad sepes, Camaldoli, Bosco Tre case ec. FI. julio. % 1. Lapsana communis, L.— Fl. dan. 500. — In sylvaticis. Fl. majo. © 4. Crepis bulbosa, Cass. Aelheorrhiza bulbosa Cass. in DG, pr. Reichb. ic. germ. v. XIX. t. 82. Praenanthes bulbosa DC. fl. fr. Hieracium bul- bosum W. Leontodon bulbosum Lin. — In arenosis et in maceriis, co- piosa. Fl. martio. Tubera edulia sapore Endiviae. % 2. C. leontodontoides, All. — Guss. En. p. 194. Reichb. ic. germ. v. XIX. 1. 85. — Barckhausia tenerrima, Ten. fl. nap. 5. p. 199. B. taraxacifolia b. syll. p. 404. Lagoseris taraxacoides Reich. cent. I. f. 63. Barkhausia leontodontoides, Reich. fl. germ. exec. 1673. — In sylvarum et agrorum ciliis, Ottajano ec. vulgo Cicorie selvagge. FI. majo. © 3. G. neglecta, Lin. — Guss. en. inar. p. 195. C. cernua Ten. fl. nap. 5. p. 198. t. 183. Reich. cent. 4. f. 479. ic. germ. v. XIX. t. 87.—In her- bidis, viis ec. FI. aprili-majo. © « «forma corymbosa (nob.) — C. corymbosa Ten. fl. nap. tab. 184. f. 2. Folia obovato-integra, plus minus profunde dentata, vel pin- natifida. Obs. Folia polymorpha obtusa sinuoso-runcinata, lobis obtusis; obo- vata integra plus minus dentata, dentibus divergentibus acutis plus mi- nus reflexis, minus vel magis profundis, ita ut isti in lacinulas, illa in folia pinnatifido-pectinata evadant. 1. Picridium vulgare, Desf. — Reichb. ic. germ. v. XIX. t. 56. Sonchus picroides. — Ad muros, in cultis ec. communis: vulgo Scaccialepri. In acetariis adhibetur. Fl. totum annum. % 1. Sonchus asper, Hall.—S. spinosus Lam.—S. rigidus. FI. dan. t. 843. S. fallax Wallr. Guss. en. in. — In cultis pinguibus, vulgo Stracciacan- naroni. Inter olera utuntur. FI. martio-novembri. © di 2. S. oleraceus, Lin. — Fl. dan. 682.—In hortis, et campis pinguibus communis, vulgo Stracciacannaroni : inter olera utuntur. FI. martio ad autumnum. © dî — radiata. È ° — _ leontodontoides All. Lapsana communis. —_ neglecta. Crepis bulbosa (Hieracium), ubique. Zacintha verrucosa, a Limba ec. Sl ) qpt S. oleraceus, forma /laciniato-pectinata. S. lacerus W. In vineis. FI. majo. © 8. S. tenerrimus, Lin. — Reich. hort. t. 189. ic.germ.v.XIX.t.58. — In herbosis super muris: vulgo Cardillo. FI. tot. annum. © # d 1. Andryala dentata, Sibth. — A. integrifolia d. Ten. fl. nap. Sibth. fl. gr. t. SII. (ex Guss.) — In herbosis apricis et vineis per vias, Ca- maldoli, Via dell’ Osservatorio, Mauro, ec. FI. junio. © 2. A. tenuifolia, Tin. Cat. H. Pan. 1827. p. 280. sub Rhotia, Ten. Syll. ap. V. p. 38. Collibus aridis, Torre del Greco. FI. junio. © Obs. An praecedenti adsocianda. 1. Hieracium umbellatum, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 172. FI. dan. 68. — In sylvis caeduis, Bosco di Mauro. Fl. augusto. % « « var.b.lactaris. — H. Lactaris Bert.—Bauh. hist. 2. p.1030. Cum praecedenti. « «forma depauperatum, typo gracilius, olygocephalum, Mauro. 2. H. crinitum, Sib. Sm. — H. Virga aurea, Coss. Dict. sc. nat. VII. ex Reich. ic. fl. germ. v. XIX. t. 164. f. 4. — H. folio ovato acuto le- viter sinuato, Piloselle lanugine, Cup. pamp. edit. Bon. t. 144. Sylvis. FI. septembri. % « «var. glabrescens. — H. crinitum c. glabrum, Guss. inar. p. 199. Sibth. et Sm. secundum Reichb. ic. germ. v. XIX..t. 164. f. 2. Sylvaticis elatis, Somma, Bosco di Mauro. Fl. augusto. % « « varietas foliosum (nobis); caule erecto virgato robusto 4-2pedali, foliis sessilibus amplexicaulibus ovatis acutis vestito — In elalis nemorum, Mauro. Fl. a mense augusti in autumnum. % « «forma gracilis; caule gracillimo, subunifloro. Obs. Planta summe variabilis. Hieracium murorum, a me pro errore relatum in FI. ves. in op. cit. p. 40, in hac regione desideratur. 3. H. praealtum, Vill. — Reich. cent. 1. f. 114. — In herbosis mar- ginum sylvarum, Mauro. FI. majo. % 4. H. brachiatum, Bertol. fl. it. Guss. En. inar. p. 198. H. bifurcum Ten. non Marsch. nec Reich. ic. germ. v. XIX. t. 109. H. praealtum Reich. ic. germ. v. XIX. t. 114. f. 4. — In arenosis elatis herbosis oc- Picridium vulgare, vulgo scaccialepri — tenerrimus. paparastelli, comeditur. Andryala dentata Sibth. Sonchus asper. Hieracium crinitum, alle macchie. — oleraceus. — praealtum, alle macchie. n GEE cidentem prospicientibus montis Somma, a media regione usque ad ca- cumen, in Via di Vetrana a punta del Nasone. — Et in plaga orientali, Mauro nel Bosco del Principe ec. FI. junio. * Obs. Planta humilis cauli filiformi e medio semel vel iterum bifur- co, foliis setulosis insignis. Achenia atra 10-costata, costis muricatis to- tidem in dentes desinentibus, coronam achenii formantibus: setae pappi sursum serratae. Non convenit cum Ic. fl. germ. et helv. v. XIX. t. 109. sed cum H. praealto in op. vol. cit. t. 114. 1. Ambrosia maritima, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 216. — In maritimis, Portici (rara). A. Xanthium spinosum, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 214. Lam. ill. gen. t. 765. f. 4. In saxosis et ruderatis maritimis, Granatello, S. Ana- stasia, ubi vulgo azzeccarielli. Fl. augusto-septembri. © 2. X. strumarium, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 215. — Pom- pei. FI. augusto. © CAMPANULACEAE 4. Campanula dichotoma, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 231. — In siccis, Pugliano (rara). Fl. aprili. © 2. C. Erinus, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 246. — Ad muros, Ottajano. FI. aprili. © 8. C. Rapunculus, Lin. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 252. — Canteroni, Somma: vulgo Raponzolo (in Somma). FI. junio. % « «forma paniculata. Sylvis demissis, Camaldoli. Planta huc lecta superius ramosa, in inflorescentiam evadens paniculatam, habet fo- lia inferiora in petiolum attenuata, obsolete crenata, alia obtusa subspa- thulata, alia ovali-lanceolata acuta. Obs. Nec C. Rapunculus, nec C. Trachelium, sylvarum incolae, in Inarime insula nascuntur. 4. G. Trachelium, Lin. —FI. Dan. 1026.— Sylvis editioribus frequen- tissima, Somma. FI. junio. X Xanthium spinosum. — Rapunculus. —. strumarium. Specularia speculum A. DC. var. hirta Prismatocarpus hirtus Ten. CAMPANULACEAE — — var. hybrida, Specularia hy- brida A. DC. Prismatocarpus hybri- Campanula fragilis Cyr. var. glabra, co- dus Ten. Campanula hybrida. L. piosa in rupibus. -— —. var.falcata, Specularia falcata — Erinus. | A.DC.Prismatocarpus falcatus Ten. Atti—Vol. IV.—N.° 6 9 —= 061= C. Trachelium, forma glabrata, calyce glabro. Sylvis editioribus, m. Somma. FI. junio-julio. % 1. specularia speculum, var. falcata ( nobis). —S. falcata Alph. DG. — Reich. ic. germ. v. XIX. t. 255. Prismatocarpus falcatus, Ten. fl. nap. t. XX. Pasq. FI. ves. in op. cit. — Inter segetes. © « «var. hirta — Prismatocarpus hirtus, Ten. fl. nap. t. XIX. Pasq. FI. ves. in |. cit. Inter segetes cum praecedente. Obs. Character in hoc genere e laciniis calycinis desumplus, plus minus post anthesim elongatis, incurvis, sive ampliatis, parvi momenti mihi videtur ut in species erigantur stirpes eo insignitae: idcirco uti va- rietates retineo. » 1. Trachelium coeruleum, Lin. — Ad muros, Real Parco di Portici (cl. Pedicino). FI. julio-octobri. % d EBENACEAE e 1. Diospyros Lotus, Lin. culta pro fructu dulcissimo: vulgo Legno santo. d x 2. D. virginiana, Lin. — Nel R. Parco di Portici. Fructus, major ac dulcior praecedentis, propagationem huiusque arboris nobis satis com- mendat. d ERICACEAE 4. Arbutus Unedo, Lin. — Duh. arb. ed. 2. v. IL, t. 21. Caeduis meri- dionalibus, demissis, Camaldoli et mediae regionis, alle schiappe di Torre del Greco. FI. octobri-novembri: vulgo Suorvo peluso : fructus comedun- tur sed largius ingesti vomitum cient et temulentiam inducunt. 1. Erica arborea, Lin. — Fruticetis, Somma, Torre del Greco a Monti- celli, vulgo scope. Fl. martio. d ERICACEAE Erica arborea (rara). — ramulosa, frequens in rupibus. Arbutus Unedo. Na... e Corolliflorae. PRIMULACEAE A. Cyclamen repandum, Sibth. fl. gr. 2. p. 72. t. 186. C. hederaefolium Ait. — Ten. fl. nap. — Sylvis, lì. Bosco della Favorita : vulgo Viole di siepe, Orecchie di prete (in Somma). FI. aprili. % 2. C. neapolitanum, Ten. fl. nap. t. 108. Sylvis, sepibus, in elatis et de- missis, ai Canteroni, Somma, S. Anastasia, ubi vulgo Viole di siepe, Orec- chie di prete. Fl. septembri. % Obs. In insula Inarime deest. 1. Lysimachia Linum stellatum, Lin. — Sibth.fl. gr. t. 189.—In apricis, Agli Ulivi de’ monaci. Fl. majo. © 1. Anagallis arvensis, Lin. —FI. dan. t. 88. (picta). — In arvis, apricis, herbosis ec. Fl. aprili. © 2. A. Monelli, Lin. —A. coerulea, All. Schreb. A. arvensis. var. a. coe- rulea. Fl. dan. t. 1570. (picta): venit cum praecedenti. FI. aprili. © Obs. Corollae lobi apice dentato-cilioso-glandulosi: coeterum ut praecedens, praeter colorem corollae. OLEACEAE 1. Fraxinus Ornus, Lin. — Sibth. fl. gr. t. 4.—In sylvis, Reali Parchi, Camaldoli, Somma, ubi vulgo uorno. Fl. aprili. d 1. Olea europaea, Lin. —Ope insitionis habentur sequentes varietates: « «oliva da mangiare; fructus rotundi: vulgo luternello, 0 ri- tornelli (quasi rotondelli). « «da farolio: fructus oblongi acuti. PRIMULACEAE OLEACEAE Cyclamen europaeum. | Lysimachia Linum stellatum, in cacumine Fraxinus Ornus. Î Olea europaea. m. Solari. | — -—- quatuor varietales coluntur Samulus Valerandi. in insula. Anagallis arvensis. | Phylliraea latifolia (ex Guss. et Casale). — Morelli L. (A. coerulea). I — media. i Ligustrum vulgare. RR $ 1. Phillyraea angustifolia, Lin. forma oblongifolia, foliis elongatis. In viridariis regiis, Favorita, Portici, nec alibi. FI. aprili. 5 1. Ligustrum vulgare, Lin. — FI. dan. t. 1141. — Ad sepes, R. Bosco della Favorita, Somma, ubi vulgo Sanguiniello bianco; Mimmolo (a Portici e Napoli). Fl. majo. d Obs. Florae inarimensi deest. APOCINACEAE 1. Vinca major, Lin. — Duh. arb. ed. 2. v. I. t 14. —In sylvaticis Som- ma. Fl. martio. % * 2. V. acutiflora, Berto. —V. media, Del. Montag.—In sylvaticis de- missis, RR. Parco di Portici (Guss. herb.). FI. quasi totum annum. % Obs. Facile distinguitur a V. majori, cui maxime accedit, foliis non ciliatis; caeterum lobi corollae in hac planta non differunt ab illis V. majoris. 3. V. minor, Lin. — Blakw. herb. t. 59. — In umbrosis, Barra (cl. Guss. legit), et alibi? FI. aprili. % Obs. Haee species non nascitur in insula Inarime. ASCLEPIADEAE Gomphocarpos fruticosus, Brow. Asclepias fruticosa, Jacq. mise. da 1. t. 2. — Olim cultus pro seminum lana (seta vegetale), hodie erratice in viridariis, S. Sebastiano, Bosco Tre case. FI. aprili. d Je Ob GENTIANEAE 1. Erythraea Centaurium, Pers. —FI. dan. 617. — In aridis vel herbo- sis apricis passim, demissis et editioribus, Pompei, ec. FI. junio. © 2. E. maritima. In siccis (Torre del Greco). Fl. majo. (rara). © APOCYNACEAE GENTIANEAE Vinca major. Erythraea Centaurium — minor. | — — forma minima. Cynanchum Vincetoxicum (ex Ten. FI. | — maritima, a Limba. | | | med. univ.). Chlora perfoliata. — —. var. intermedia. ECSISI| 1/0 PSSE A. Chlora perfoliata, Lam. ill. t. 296. f. 1. W.— Reich. cent. 3. f. 349. ic. germ. XVII. t. 19. In campis, Pompei. FI. majo-novembri. © « «var. C. intermedia Ten. C. perfoliata var. d. acuminata Griseb. C. acuminata Koch. et Ziz. in Reich. cent. 3. f. 350. C. serotina Koch. in Reich. cit. f. 351. Obs. Non immerito ad unicam speciem cl. Bertolonius, FI. it. v. 4. p. 309. adsociat formas, idest C. acuminatam, intermediam, serotinam; quod lobi calycini plus minus profundiores, et corollini plus minus oblusi ac subacuminati, non sunt nisi formae transitoriae nullius momenti in hoc genere. CONVOLVULACEAE 1. Convolvulus arvensis, Lin. —In cultis ubique: agrorum pestis: vulgo campanielli piccoli. Fl. junio. %. 2. G. sylvaticus, Wald. K. Calystegia sylvatica, Br. Ad sepes et mace- ries, in demissis, et elatis, vulgo (in Somma) Campanielli di siepi. FI. majo. % 1. Cuscuta minor, Bauh. DC. —(C. Epithymum Sm. Reich. ic. 692. C. planiflora. Ten. nap. t. 220.— Artemisiae variabilis et Spartii juncei pa- rassita in editis, Salvatore, Somma. Multis abhine annis parassiticam vidi earumdem specierum et semper in summis jugis. FI. junio. © Obs. Sepala rubro-costata. Aliquando video lobos corollinos ovali- rotundatos abruptim acuminato-apiculatos, apice reflexo; squamulas ipostamineas apice denticulatas; stilos ad medium albos insuper e divi- sione atropurpureos. Species Tenoreana mihi videtur infirma. — In in- sula Inarimes extat C. epithyma, parassitica herbarum. BORAGINEAE 1. Heliotropium europaeum, Lin. — Guss. En. p.213. t. VII. i, X. Plenck. off. 7. Lam. ill. gen. t. 91. f. I. — In cultis ubique, vulgo Solàri. FI. . julio. © CONVOLVULACEAE —_ lineatus, copiosus. Cuscuta minor (C. planiflora Ten.) Convolvulus arvensis. — sylvaticus. BORAGINEAE — tenuissimus, copiosus. — althaeoides: an praeced. forma. Heliotropium europaeum. — Cneorum: rupestribus copiosus. — —. macrocarpum Guss. (ex ejus SMS Heliotropium europaeum, var. d. tenuiflorum, Guss. syn.H.tenuiflorum, Guss. En. pag. 213. tab. cit. f. 4. « «var. ce. macrocarpum. H. macrocarpum, Guss. En. inar. t. VII. f. 2. g. h. — In cultis et in aridis, Pompei ec. FI. septembri. © 1. Gerinthe aspera, var. gymnandra, C. gymnandra, Gasp. Rend. della R. Ace. delle sc. di Nap. v. 4. p. 72. bis. — Copiosa, prata aprica ac her- bida exornans a mense febr. per hyemem et ver usque ad medium maium, in demissis et editioribus, a marilimis usque ad cacumen. Canteroni, Salvatore, Somma ad Ottajano ec. © Obs. Corolla basi subgibbosa, antheris apice vix in viride exertis; paulo magis exertis (1. mill.) in sicco. « «forma concolor, corolla iutea; sine coloratione atropur- purea versus basim, cum typo speciei promiscue nascitur. « «forma gracilescens (nob.); corollis gracilioribus. Hanc in- signem formam vidi frequentem ad sepes, sed serius inflorescentem, Somma, Ottajano, ubi floret majo. © 1. Echium plantagineum, Lin. — E. grandiflorum Desf. (sec. Ten. Syll. ap. V. p.5.). — In cullis herbosis copiose, et ad vias ubique. FI. fe- bruario. © Obs. Radix in exsiccatione chartam tingens colore rubro-violaceo, sed minus quam illa sequentis speciei. « « var.pustulatum, E. pustulatum, Sib. Sm. E. tuberculatum Ten. Syll. Provenit promiscue cum typo speciei, eodem tempore. FI. fe- bruario. S Obs. Caule e basi ramoso in typo et varietate. Illa villosa, ista piloso- hispida, pilis basi nigro-pustulosis; caeterum mihil inter se differunt. 2. E. vulgare, Lin. — FI. dan. 445.— In arenosis, ad margines agro- rum cet in saxosis, Torre del Greco, Via dell’Osservatorio. Fl. serius quam praecedenti specie, aprili. S Radix longe fusiformis pulchre tingens rubro-violaceo colore char- tam in qua exsiccala est. Folia inferiora rosulata lanceolata obtusiuscula herbario). | — calycinum Viv. ubique. Cerinthe aspera var. gymnandra. | — italicum (E. maritimum Guss. et Echium plantagineum L. | Casale ex loco). — —. pustulatum, ramis inferiori- | Borago officinalis, v. /orraccia. bus elongatis arcte humi procum- | Anchusa undulata var. hybrida, A. hybri- bentibus. da Ten. siii colore viridi-pallido, subglaueo, caule simplici plus minus elato. Planta rarior praecedenti. 1. Borago officinalis, Lin. In culturis, sepibus ec. culta, et suae spontis, erratica: vulgo vorraccia. FI. hieme. © 1. Anchusa undulata, var. hybrida. —A. hybrida, Ten. fl. nap. I. p. 45. t. II. — Passim in cultis praesertim vineis. FI. januario. © Obs. Foliis inferioribus integris sinuosis vel repandis, quandoque undulatis: ideoque cl. Bertolonius bene adsociat cum A. undulata. — Anchusa italica, quae in flora Caprensi et Inarimensi adnumeratur, deest vesuvianae. A. Lycopsis variegata, Lin. — L. bullata Cyr. pl. rar. neap. fasc. 1. p. 94. t. 41. f. 3. Ten. fl. nap. t. 105. Anchusa variegata, Lehm.—In cul- turis et herbosis ubique. FI. februario-aprili. © « «forma gracilis. — Forsitan ob inflorescentiam seriorem vidi hanc formam floribus minoribus. Ad sepes, Ottajano. FI. majo. © 1. Symphytum bulbosum, Schimp. — Reich. — Ten. Syll. in 8. p. 84. S. tuberosum, Ten. fl. nap. 3. p. 186. Bert. fl. ital. 2. p. 316. var. d. (ex parte). In humidis umbrosis, Acercola, S. Sebastiano. FI. februario. % A. Lithospermum purpureo-coeruleum, Lin. —In sylvis, Camaldoli, Can- teroni, m. Somma. FI. aprili. %. 2. L. arvense, Lin. — FI. dan. 456. — Echioides alba Column. ecphr. I. p. 184. t. 185. Inter segeles raro, S. Giorgio a Cremano. FI. aprili. © 3. L. officinale, Lin. — Lam. ill. gen. t. 91. — A me relatum in fl. ve- suviana (in Esercit. accad. aspir. Naturalisti Vcl. 11. p. II. Nap. 1840. pag. 29.) hodie in Vesevo non invenio. % 1. Myosotis hispida, Schlecht. —Coss. Ger. Atl. Par. pl. XV. f.5,6,7.— M. collina Ten. non Ehrh,—In pratis siccis et apricis ubique, Granatello, Torre del Greco, ec. Fl. majo-octobri. © 1. Gynoglossum pictum, Ait.— Brot. phyt. lusit. 2. t. 159. — Per vias raro. FI. majo. S' Obs. Valde affinis C. officinali Lin. —. italica var. 5. humilis. Î t. 114. L. fruticosum Sib. Sm. non Lycopsis variegata. | Lin. in rupibus montis Solari. — Symphytum bulbosum. Corollae tubum sub fauce inflata Lithospermum purpureo-coeruleum. | pentagonum. — officinale. | Myosotis hispida. — rosmarinifolium, Ten. fl. nap. | Cynoglossum pictum. SOLANACEAE 1. Datura Stramonium, Lin. — Lam. ill. gen. t. 119. FI. dan. t. 486. Plenck. Ic. pl. med. I. p. 57. tab. 96. Reich. ic. germ. v. XX. t.3.—In cultis pinguibus frequens, Pompei, Somma, ubi vulgo audit Fetienti. FI. majo. © 1. Hyosciamus albus, Lin. — Lam. ill. gen. t. 117. f. 2. — In rude- ratis maritimis, Portici. © * 1. Capsicum annuum, Lin. — Blakw. herb. t. 129.— Colitur: vulgo audit Peperoni. © * 2. Cc. cerasiforme, MW. Colitur: vulgo Peperoni a cerasiello. * 3. C. grossum, Lin. mant. — vulgo Peperone a berretta. © 4. Solanum bonariense, Lin. — Dillen. Elth. tab. 272. f. 354. — Ad sepes: olim introductum, hodie indigenum, Pompei. Fl. augusto. * 2. S. esculentum, Dun. — S. melongena Lin. — Colitur et vulgo dicitur mulignana. Fl. ma]o-augusto. © 3. S. Dulcamara, Lin. Ad sepes, Convento dei Camaldoli, Siepi di Som- ma. Fl. majo. d * 4. S. tuberosum, Lin. Colitur: vulgo Patata. % 5. S. nigrum, Lin. — Planta annua, plus minus pubescens piloso-se- tulosa, caule ad basim aliquando lignoso, ideoque biennis vel perennans; ramis plus minus alatis vel nudis. Planta heterophylla. Folia angulata den- tata vel integra et integerrima circumscriptione rhombeo-ovata, in petio- lum angustata, in ramos plus minus decurrentia, integra vel dentata. Cy- mae extrafoliaceae folio subiecto breviores, racemiformes, vel axi magis abbreviato umbelliformes; corollae quinque-partitae rotatae, lobis acu- tis patulis lacinias calycinas reflexas duplo superantibus. Baccae rotundae magnitudine parvi pisi, minores quam illae in FI. danica (tab. 460, picta) effigiatae. Venit in hortis ubique, vulgo Erba solare, pummarolelle (in Som- ma). FI. aestate et autumno. © % « «forma atriplicifolium, (S. moschatum Presl.) Portici. « «forma gladrata, comwiunissima. SOLANACEAE | — cerasiforme, cultum. Solanum esculentum, cultum. Datura Stramonium. | — tuberosum, cultum. Hyosciamus albus. | — sodomaeum. Capsicum annuum, cultum. —. nigrum, plur. formae et variet. RISO, pe 6. S. miniatum, Bernh. in Wild. en. H. Berol. Dun. in DC. pr. Guss. en. inar. p. 228. S. nigri varietas, sec. multos auctores. — In vineis obvium. Fl. aestate, autumno. © De varietalibus hujus speciei, et praecedentis, quae prope Neapolim et Vesevum nascuntur, confer Gussone, Enum. pl. inar. p. 225. et Rei- chenbach, cent. v. 10. f. 1283, 1284, 1285, 1324 et ic. fl. germ. XX. CAO $ 1. Lycopersicum pyriforme, Dun. in DC. pr. v. 18. part. I. p. 23. Colitur; vulgo Pomidori a fiaschelle.—Haec planta late colitur in hortis et in omnibus vineis Vesevi: fructuum racemi in fasciculos collecti tigil- lis aut parietibus suspenduntur, et per totum annum in usu culinae adhi- bentur, et magno commercio advehuntur. x 2. L. cerasiforme, Dun. — S. Lycopersicum, Lin.— Colitur et ve- nit sponte in hortis: vulgo pomidoro a ceraselle. © Y 3. L. esculentum, Dun., Sol. p. 113. t. 7. fig.3.— Colitur in hortis: vulgo Pomidoro. © « «var. succenturiatum (Pasquale, in Itendic. dell Accad. delle Sc. fis. mat. di Napoli, an. V. pag. 360. cum tabula aenea), vulgo Pomi- doro granatino (Napoli) : colitur raro. 3 4. L. macrophyllum, Guss. Colitur raro eliam in editioribus: vulgo (Napoli) Pomidoro a foglia di Patata; Pomidoro d’ Ischia. © Obs. In plantula juveni duo folia primordialia constanter observo integra, dum in praecedentibus speciebus sive varietatibus pinnatifido- lobata sunt. Confer: Pasquale. Catalogo del R. Orto Botanico di Napoli, 1867. p. 63. 4. Cestrum Parqui, Lin. — Frutex chilensis: hodie apud nos quasi sponte nascitur. Ad sepes, S. Anastasia, Ottajano, ubi ad sepes struendas inservit. FI. aprili. ò 1. Lycium europaeum, L. — Sibth. fl. gr. t. 236. — Mich. gen. t. 10. Reich. ic. germ. XX. t. 15. f. 1. an cum L. abeliaefolio ejusdem, eadem tab. f. 2.2 — Ad sepes maritimas, Portici. FI. julio-augusto. 5 Obs. Folia in ramulis teneris sive turionibus lanceolata acuta, in ramis adultis spinosis obovata obtusa sive spathulata. Aliae species Lycii, quae extant in herbario Gussoniano ex Portici, coluntur in regiis viridariis. — — var. bacca coccinea. | — cerasiforme, cultum. Lycopersicum pyriforme, cultum. | — esculentum, cultum. Atti — Vol. IV. — N.° 6 10 RES 2° SCROPHULARINEAE 1. Verbascum Thapsus, Lin. — V. Schraderi Mey. — Reich. fil. ic. germ. v. XX. t. 16.—V. Visianianum, e]usd. op. cit. p. 13. t. 23. Verbascum I. Matth. comm.— Passim ad sylvarum margines et in herbosis, Ottajano. 214. FI]. junio. S' « «var. macrurum (nobis) —V. macrurum, Ten. fl. nap. V. tab. 214. Reich. ic. fl. germ. v. cit. t. 22. Nascitur in m. Somma, junio. « «forma albiflorum. In saxosis, Torre del Greco. FI. junio. S' Obs. Planta spica plus minus gracilis vel crassa; duobus staminibus longioribus vix barbatis vel quasi glabris. Verbascum Schraderi Mey. et V.Visianianum Rchb. fil. ad hane speciem referenda potius quam ad va- rietatem ejus, idest Verbascum macrurum Ten. 2. V. sinuatum, Lin. — Reich. ic. germ. t. 24. Verbascum aliud Matth. comm. — Communissimum per vias, Portici, Pompei, Via del Sal- vatore, Somma. Fl. julio. % 3. V. repandum, W. — V. Blattaria, Ten. fl. nap. — Reich. ic. germ. XX. t. 82. — In herbosis apricis et ad vias. FI. julio-augusto. S 4. V. rotundifolium, Ten. — FI. nap. I. p. 92. tav. XXHI. — In edi- tioribus monlis Somma, Vetrana, et in media regione, S. Vito, Tironi di Torre del Greco ec. Fl. junio. « «forma mazima; foliis inferioribus petiolatis subcordatis, Tironi di Torre del Greco. Obs. In insula Inarime haec species non nascitur. 1. Linaria Cymbalaria, Pers. — Antirrhinum Cymbalaria, Lin. Guss. en. inar. t. VIII. lit. c. Reich. ic. germ. XX. t. 59. — Ad muros humidos. FI. totum annum. %. 2. L. spuria, Mill. — Antirrhinum spurium Lin. — Reichb. ic. germ. XX. t. 59. — In arvis, S. Giorgio a Cremano. FI. julio. © Obs. Folia caulina sive ramorum principalium quandoque hastata video in aliquibus speciminibus Caserta lectis a cl. Gussonio; idcirco SCROPHULARINEAE | Solari. | — — forma maxima. Verbascum Thapsus. | — . nigrum. — . sinuatum. | Linaria cymbalaria. — repandum. — graeca:radicans, perennis.Diffusa —. rotundifolium — Cacumine mont. | per totam insulam usque ad cacu- PEN) GIRO planta heterophylla est, sed minus quam sequens varietas a cl. Tineo et Gussonio in specie propria habita. Neque calyce, neque semine a typo (L. spuria) differunt; folia autem difformia. Confer quod ego dixi de he- terophyllia plantarum; Sulla Eterofillia Nap. 1867 in 4.° con tav. pag. 8. « «var. heterophylla (nob.).—L. Praestandreae, Tin. in Guss. syn. et En. p. 285. t. IX. f. 1. a, bd, c. In herbidis, R. Parco di Portici, ex herbario Gussoniano, Fl. augusto ad autumnum. © « « « subvar. glabrata. Ibidem (ex herb. Guss.). 3. L. Elatine, L. — Reich. ic. germ. XX. t. 59. In viis et in arvis. FI. augusto-septembri. © »* 4. L. graeca, Chav. — Guss. en. inar. p. 236. t. IX. f. 2. Reich. ic. germ. XX. t. 60. — In R. viridario Portici legit cl. Gussonius (rara) FI. septembri-octobri. % Obs. Species a praecedentibus diversa, ob caulem radicantem pe- rennis; seminibus tuberculatis non foveolatis ut haud recte notat cl. Gussonius in En. inar. l. citato. 5.L. minor, Desf. — Anlirrhinum minus, DG.— FI. dan. 502. Reich. ic. germ. XX. t.61.—In campis frequens, Camaldoli, Pompei ec. Fl. majo. © 6. L. purpurea, Mill. — Antirrhinum purpureum, L. — In cultis saxo- sis, per vias passim. Fl. aestate et per totum annum. % Florae inari- mensi deest (conf. Gussone. En. inar. p. 238) ubi contra L. chalepensis et L. Pelisseriana adsunt. 4. Antirrhinum Orontium, Lin. — Lam. ill. t. 5341. f. 2. — Reich. ic. fl. g. XX. t. 57. f. 1. — In cultis ubique. FI. aprili. © 2. A. majus, Lin. —Lam. ]. cit. f. 1. Reich. op. cit. t. 58. f. 2. — Na- scitur super muris, tectis, lavis, raro. FI. hieme et vere. % 1. Scrophularia peregrina, Lin. —Sibth. fl. gr. t. 597. Reich. ic. germ. XX. t. 55. — In cultis fertilibus. FI. februario-majo. © 2. S. nodosa, Lin.—FI. dan. 1167. Reich. ic. germ. XX. t. 99. — Syl- vaticis umbrosis, Somma. FI. junio. % 3. S. bicolor, Sibth. Sm. — S. canina, Bertol. fl. ital. v. 6. p. 391. et Guss. pl. rar. t. 45. Communissima et copiosa in demissis et elatis ari- men Solari. FI. ab augusto in no- — Pelisseriana. vembrem. Scrophularia peregrina. — spuria. — bicolor, monte Solaro. minor. Veronica Cymbalaria. purpurea. — arvensis var. a. elongata. — —. var. albiflora. — agrestis, for. didyma Ten. dis, sabulosis, saxosis, et praesertim super lavis recentioribus 1812. Torre del Greco, S. Vito, Salvatore, et alibi. FI. majo-junio. 5 1. Digitalis micrantha, Roth. — Reich. cent. 2. p. 45. f. 282 et 283. D. lutea, antiquor. botan. neapolit. — Bertol. fl. ital. ex parte. — Sylvis caeduis communis, Camaldoli, Canteroni, Somma, vulgo Capo di Cane. FI. junio-julio. S 1. Veronica agrestis, Lin. — Cosson. et Germ. atl. Par. t. 16. f. 3. Reich. germ. XX. t. 79. — In cultis, herbidis ubique. © « «forma didyma, Ten. — V. polita Reich. cent. 3. f. 404 et 405. — In saxosis, viis, cultis vulgatissima. Fl. novembri-martio. © Obs.Haec forma nullo momentoso charactere a typo suo distinguitur. 2. V. hederaefolia, L. — Cosson. Germ. atl. fl. Par. t. 16. f. 41. Reich. ic. germ. XX. t. 77. — In cultis. El februario "© 8. V. persica, Poir. — Reich. ic. fl. germ. XX. t. 78. V. agrestis var. byzantiaca, Sibt. fl. gr. v. 1. tab. 8. — V. Buxbaumii Ten. fl. nap. t. I. pag. 7. tav. I. Reich. crit. II. f. 268. — In herbidis cultis et inter se- getes, ubique. FI. decembri-aprili. © Obs. Florae Inarimensi deest. 4. V. Cymbalaria, Bertol.— Viv. fl. it. frag. fasc. I. p. 14. t. 16. f. 1. V. panormitana, Tin. et Guss. en. inar. et in herbario suo. — In cultis, saxosis, et per vias ubique. FI. decembri-aprili. © « «forma cuneata, V. cuneata Guss. en. inar. p. 241. t. VIII. Portici. Obs. Forma cuneata foliorum facile transit ad cordatam, ut obser- vari potest in multis speciminibus in insula Inarime lectis et in herbario suo ab ipso el. Gussonio asservatis. Coeterum confer quod dixi in mea dissertatione: Sulla Eterofillia p. 39. et tab. VI. fig. 7, 8,9. 4. V. arvensis, Lin. — Reich. ic. fl. g. XX. t. 99. f. 1-7. — Venit ubi- que. Fl. hieme et vere. © 1. Euphrasia latifolia, Griseb. — Reich. ic. germ. XX. t. 104. Bartsia latifolia Ten. —In pratis apricis, et siccis, demissis et elatis, Granatello, S. M. Pugliano, Torre del Greco, Tironi ec. Fl. martio. © 1. Bartsia Odontites, Huds. var. serotina Odontites serotina Reich. Col. — hederaefolia. | — —. fl. labio sup. purpureo. — persica, Poir. (V. Buxbaumii). | — Odontites, var. serotina. Antirrhinum majus. | —. lutea Huds. Odontites lutea, Reich. — Oronthium. | ic.g.XX.108.Coss.Fl.Par. at.XVIII. Euphrasia latifolia. | B. O. linifolia, Don. ex Benth. Guss. Bartsia Trixago, fl. luteo. inar. p. 244. alle macchie. DI), pe ec. 202 tab. Euphrasia Odontites B. Lin. Coss. fl. Par. atl. pl. XVIII. GC. — Euphr. sylvestris major purpurea, Column., Ecphr. p. 202. cum ic. — Nascitur in sylvaticis et dumetis — Canteroni, Pompei. FI. ab augusto in novembrem. © OROBANCHEAE 4. Orobanche Hederae, Vauch.— Reich. XX. t. 182. et O. minor Sutt. Reich. op. cit. t. 183. Ad hederae radices, invenit cl. Gussonius, Portici alla Vaccheria nel R. Parco. FI. majo. * Obs. Inter 0. Hederae et 0. minorem nullam video differentiam. « « var.glaberrima, 0. glaberrima Guss. in DO. pr. XI. p. 719. O. nudiflora Reich. cent. 7. f. 883, 884, 916 et 0. denudata Moris in DC. pr. II. p. 119. — Ad radices Dianthi plumarii in R. Viridario, Por- tici, legit cl. Gussonius, Torre del Greco ec. Obs. Cum O. Hederae perfecte convenit. 2. 0. crinita, Viv. — Ten. fl. nap. — Bertol. fl. it. — Guss. en. inar. In fruticetis montis Somma, Ottajano. FI. aprili-majo. % 8. 0. pruinosa, Lapeyr. O. Viciae Fabae, Vauch. — Ad radices Ervi invenit cl. Gussonius, Portici. Fl. majo. Y 4. 0. major, ad leguminosarum radices. Fl. majo. % 9. 0. cruenta, Bert. rar. it. — Coss. Germ. fl. des. env. Par. atl. t. 19. fig. B. Reich. cent. 7. t. 669. f. 896. — O. spartii, Ten. et Guss. — Reich. ic. fl. g. v. XX. t. 218. f. 14. — Prope frutices leguminosas Spartii ec. Bosco di Mauro, m. Somma, Camaldoli. Fl. majo. % 1. Phelipaea coerulea, Mey.— Orobanche coerulea, Ten. fl. nap. Coss. Germ. atl. Par. XIX. f. K. Reich. cent. 8. f. 1058. et 1057. Ph. arena- ria, Coss. Germ. atl. Par. t. cit. f. L. Reich. ic. germ. XX. t. 145. In umbrosis. Ad Picridis radices, S. Anastasia. Fl. junio. Y Obs. In insula Caprearum observavi ad radices Achilleae ligusticae. Phelipaea lavandulacea ad hanc speciem valde accedit; propter corollam plus minus ventricosam dimensione variam. 2. P. ramosa, C. A. M. Orobanche ramosa, Ten. fl. nap. non Lin. (sec. OROBANCHEAE | — crinita. | — pruinosa: vulgo Sporchia. Orobanche canescens. Phelipaea coerulea. — barbata. — ramosa, forma simplex. — elatior. ZI A Guss. En. inar. 250). Coss. Germ. atl. Par. pl. XIX. — Reich. ic. germ. XX. t. 152. P. Mutelii Schultz. in Mut. fl. fr. Reut. in DC. pr. — Reich. ic. germ. XX. t. 150. In pratis apricis demissis: parassiticam vidi simul super variarum plantarum radicibus ( Viciae cordatae, Sherardiae arven- sis, Rumicis Bucephalophori, et Geranii rotundifolii). FI. aprili. Y Obs. Haec species ab 0. Cannabis apud nos non differt. Siquidem radiculae plantarum per pilos radicales agglutinatae sunt ad radiculas Orobanches. Praeterea inter radiculas Orobanches et illas plantarum intersunt processus filamentosi cylindrici vermiformes. ACANTHACEAE 4. Acanthus mollis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 550. — Rarus in Vesevo : in muris, Anfiteatro di Pompei dalla faccia del Nord, Somma, S. Anasta- sia, ubi vulgo audit Granfa d'urzo. Fl. majo. % VERBENACEAE 1. Verbena officinalis, Lin. — FI. dan. 628. — Communis in cultis et in incultis. Fl. junio: vulgo Vervena. % > 1. Vitex Agnus-castus, Lin. colitur in viridariis. Fl. augusto. 5 LABIATAE e 1. Lavandula Spiga, Lin. — Plenck, Ic. pl. med. 5. p. 68. t. 471. — Culta in vineis et viridariis et ad myropolarum usum venundatur, Otta- jano, Barra. Fl. junio, vulgo Spicaddossa. 5 1. Mentha macrostachya, Ten. fl. nap. 2. p. 30. t. 56. In campis et ad vias humidas, Portici, Pompei, vulgo audit Mentastro. Fl. junio, se- ptembri. % 2. M. Pulegium, Lin. — Plenck. ic. pl. med. 5. p. 67. tab. 469. — Per vias, Bosco Tre case. FI. julio. % ACANTHACEAE Verbena officinalis. Acanthus mollis. LABIATAE VERBENACEAE Mentha macrostachya. —. Pulegium. Vitex Agnus castus, mulo. | Salvia Verbenaca. MIN. pe * 1. Salvia Sclarea, Lin. —Sibth. fl. gr. 1. t. 25. Plenck, Ic. pl. med. I. p. 42. tab. 24. — Colitur. FI. majo. S' 2. S. glutinosa, Lin. In convallibus umbrosis, Fosso di Vetrana, Som- ma (rara). FI. julio ad autumnum. % 8. S. Verbenaca, Lin. — Reich. cent. 6. f. 718. — In pascuis apricis et herbosis nec non in vineis, subdemissis et elatis, minus in maritimis, ubi sequens. Fl. majo, dicembre. % Obs. Facile distinguitur a sequenti propter corollam parum exer- tam; planta robustior. 4. S. clandestina, Lin. —S. multifida Sibth. fl. gr. 1. t.23.— Venit in pratis siccis maritimis, Granatello, Torre del Greco. — Non nascitur in regione interna aut elatiore Vesevi. % Obs. Corolla duplo calycem excedens a praecedenti distinguitur. Folia in plantis vesuvianis sunt minus profunde incisa, quam illa in fl. graeca l. cit. effigiata. In insula Inarime deest (Conf. Gusson. En.), con- tra communissima in insula Caprearum. De sinonymo Sibthorpiano conf. eumdem Gussonium in Synopsi fl. sic. v. I. p. 24. * 5. Salvia officinalis, Lin. — Colitur pro ornatu et usu medicinali. d Obs. Nunquam spontanea, semper culta: folia ovata integra, quan- doque basi auriculato-triloba: ita ut a S. triloba Lin. Sibt. fl. gr. t. 17. non multo differt: imo uti varietas sive forma plantae heterophyllae, existimanda mihi videtur. e 1. Rosmarinus officinalis, Lin.—Culta, et ad agrorum margines rara e culturis aufuga: minime indigena. Contra in insula Caprearum est spon- tanea. 1. Origanum vulgare, d. virens, Bertol. fl. ital. — O. virens, Hoffm. et Link. fl. port. I. part. 119. t. 9. — Brot. fl. lusit. 2. t. 112. — Sylva- ticis et fruticetis, ubique. Fl. augusto. % 1. Micromeria graeca, Benth. Satureja graeca, Lin. Ten. fl. nap. In sa- xosis et in muris copiosa. Fl. junio. % « « b.angustifolia. In muris Pompei, S. Giorgio a Cremano ec. Obs. In autumno planta in terra nata citro grate redolet. — clandestina. | incrassati evadunt. — officinalis (rara culta?). | — —. angustifolia. Rosmarinus officinalis, forma procumbens — tenuifolia. in rupibus communis. | — approximata, copiosa in rupibus. Origanum vulgare, virens. | —. juliana, communis. Micromeria graeca, in aridis et saxosis. Satureja montana, copiosa, v. piperna. Calyces hujus speciei frequenter morbose —Calamintha officinalis. =—"80= 2. M. tenuifolia, Ten. — FI. nap. prod. p. 33. tav.151.f.4.—In muris, Pompei. d 3. M. juliana, Benth. Satureja Juliana Lin. — Sibth. fl. gr. t. 540. Ten. fl nap. t. 151. f. 3. — Super muris, S. Anastasia, ruine di Pompei (Pasquale, Engelmann), nec alibi inveni, equidem erratica et in muris. FI. majo. d Obs. Haec planta in Vesevo erratica semperque muricola, in solo calcareo insulae Caprearum contra communis est. In Micromeriis di- stinguenda folia caulina a foliis secundariis sive ramealibus: illa plus minus quam ista latiora, unde stirpes aspectu heterophyllae in omnibus speciebus. 1. Calamintha officinalis, Moench. Melissa Calamintha Lin.— Lam. ill. gen. t. 812. f. 1. — In sylvis. FI. septembri ad novembrem. % 2. C. Nepeta, HofTm. et Link. — Blakw. herb. t. 167. Melissa Nepeta Ten. fl. nap. — Calamintha Matth. cum fig. — Ubique, vulgo Anepeta. FI. a julio usque in autumnum. % « «var. micrantha; corollis vix e calyce exertis, S. Giorgio @ Cremano. FI. octobri. 1. Clinopodium vulgare, Lin. — Lam. ill. t. 84141. f. 14. — In sylvis. % 1. Thymus Acynos, Lin. — Bull. herb. t. 818. Calamintha Acinos Benth. Un altro Clinopodio, Matth. cum fig. — Communissimus in fruticetis et herbidis, demissis et editioribus, Via del Salvatore, Tironi, Camaldoli, Somma ec. Fl. majo-junio. 5 A. Melissa officinalis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 842. f. 4. — Plenck, pl. med. 5. tab. 500. Melissa Matth. cum fig. — Sylvis, Canteroni, Camal- doli. FI. a julio in autumnum. % « «var. altissima. —M. altissima, Sibth. et Sm. fl. gr. 1.579. Melissa Corsica Viv.—M. graveolens, Host. fl. austr. — In sylvaticis et ad sepes, Salvatore, Somma, typo frequentior. % d 4. Sideritis romana, Lin. — Bertol. fl. it. — Cav.ic.2. p. 19. t. 187. — Pratis, collibus apricis, Granatello, Torre del Greco, Pompei. FI. fe- bruario. © Clinopodium vulgare. Ballota nigra. Thymus Acynos. Lamium amplexicaule. Melissa officinalis | — purpureum. Siderilis romana. —. flexuosum. Stachis arvensis. i Prunella vulgaris. — sylvatica. : — alba. — recta. i Prasium majus. ll Sideritis romana, forma approximata, S. approximata Gasp. (in herb. Gussoniano). In apricis. Obs. Caulis hujus speciei plus minus elongatus, nodi plus minus distantes, ideirco character satis infirmus in quo sistit species a cl. Ga- sparrini dicta approrimata. Semina sunt tuberculato-granulosa. 1. Stachys arvensis, Lin. — FI. dan. t. 587. — Reich. cent. 10. f. 1298. — Per vias et in cultis communis. FI. ab aprili. © 1. Glechoma hederacea, Lin. — Fl. dan. t. 789. — Ad sepes et in syl- vis (rara). Fl. martio. % 2. Lamium bifidum, Cye. pl. rar. neap. fase. 1. p. 22. t. 47. In cultis (rarum). FI. martio. © 2. L. amplexicaule, Lin. — Reich. cent. 3. f. 373.—In cultis et ad vias ubique. FI. februario-majo. © 8. L. purpureum, Lin. — FI. dan. 523. —In cultis ubique. FI. octobri, majo. © 4. L. flexruosum, Ten. fl. nap. II. p. 19. t. 52. — Guss. syn. Bert. fl. it. — Reich. cent. 8. f. 948. — In hortis, ad sepes, ad agrorum et syl- varum margines commune, in demissis et elatis, vulgo Ortiche morte. Fl. majo. % Obs. Florae inarimensi deest. 4. Prunella vulgaris, Lin. — Fl. dan.t.919. Plenck, pl. med. 5. t. 492. Consolida, Matth. comm. — Communis in sepibus et sylvaticis. % 1. Ballota nigra, Lin. — Bull. herb. t. 397. B. foetida Lam. — Reich. cent. 8. f. 1041. B. borealis op. cit. f. 1042. Ballota Matth. cum fig. In hortis et cultis. FI. a julio in autumnum. % A. Teucrium Chamaedrys, Lin. — Plenck, pl. med. ©. t. 477.— In aridis apricis et in sylvaticis, Selva dei Camaldoli della Torre, Tironi, Tironcelli. FI. majo-junio. 2. T. Pseudo-hyssopus, Schreb. In saxosis et arenosis maritimis, Gra- natello, olim, ubi hodie a cultoribus quasi destructus, Torre del Greco a Branchina una cum Medicagine maritima. Fl. majo. 5 41. Ajuga reptans, Lin. — FI. dan. t. 925. — Communis in umbrosis sylvaticis et ad agrorum cilia. % Ajuga reptans. — campanulatum, Lin. (rarum), 7i- — Iva. berio. Teucrium Scorodonia. — monlanum, var. supinum, 72, So- — Chamaedrys, copiosum in cacu- laro. mine Solari, v. Camedrio. — flavum. Atti — Vol. IV.— N.° 6 11 ia Obs. A. densiflora, Ten. fl. nap. 5. p. 2. tab. 239. f. 1. et A. Barre- lieri, Ten. fl. nap. t. 239. f. 2. non immerito uti synonimae huius spe- ciei a C1. Bertolonio fl. it. 6. p. 9. habentur. 2. A. chamaepytis, Lin. — Bert. fl. it. A. chia, Schreb. — Guss. syn. et en. inar.—Plenck, pl. med. 5. t. 473. — In agris, S. Giorgio a Cremano, S. Sebastiano (Georg. Engelmann). Fl. majo-novembre. © PLUMBAGINEAE Plumbagineis Vesevus caret, quamquam in insulis Inarime et Caprea- rum Statices abundent. PLANTAGINEAE 1. Plantago major, Lin. — Plantago media, Malth. cum fig. — FI. dan. t. 461. Plenck, pl. med. t. 58. In herbidis septentrionalibus, Somma ec. vulgo Cinquenervi. Fl. majo. 2. P. lanceolata, Lin. — FI. dan. t. 437. Plenck, pl. med. 1. t. 60. — In herbidis et in viis, Pompei in via Nolana. FI. julio. % 3. P. Lagopus, Lin. var. eriostachya, P. eriostachya, Ten. fl. nap. 3. p. 149. t. 142. f. 2. In aridis super lavis et in viis communissima, Grana- tello, S. M. Pugliano ec. Fl. majo. %. 4. P. Bellardi, All. ped. 1. p. 82. t. 83. f. 3. In apricis, aridis, et per vias, Camaldoli, S. Vito, Via del Salvatore ec. © « «forma mazima: per vias, Camaldoli della Torre. « «forma minima, 1-2 centim. alta. In sterilibus. 5. P. Coronopus, Lin. — FI. dan. t. 272. pl. junior. — In pratis ma- ritimis, Portici, Resina. Fl. martio. % PLUMBAGINEAE — cumana: ex Ten. Syll. p. 161. an var. praecedentis? idest S. reticula- Statice reticulata. tae quae valde proxima S. corda- — — forma cancellata, S. can- tae L. est. cellata, Bernh., Gaspar., in herbario Gussoniano Communis in rupibus ad PLANTAGINEAE litora. — — forma pubescens, S. pube- Plantago major. scens DC.? —_ lanceolata. — Smithii: ex Ten. Syll. p. 161. an — Lagopus var. eriostachya. var. praecedentis ? — Bellardi. Mde —. RR Obs. Planta in FI. danica effigiata, spica ovato-oblonga, junior est, et perfecte convenit cum nostris speciminibus. Typus hic in insula Ina- rimes desideratur (confer Guss. Enumer. inar.). « «var. laciniata, P. commutata, Guss. P. Coronopus e. Co- lumnae, et P. macrorrhiza d. Ten. fl. nap. — Coronopus laciniatus, Co- lumn. ecphr. 2. t. 74. In aridis maritimis, Granatello, S. M. Pugliano. FI. majo. X « « P.ceratophylla, Hoff. et Link. In arenosis maritimis, lungo la strada ferrata di Portici a Resina. « « P. macrorrhiza, Poir. P. coronopus bd. Bertol. fl. ital. 2. p. 175. Coronopus siculus fruticosus, platyphyllos, Bocce. Ic. descr. rar. p. 30. t. 15. f. 2. Habitat cum praecedenti. Fl. majo-octobri. % d Obs.Haec varietas facit gradationem ad praecedentem ita ut dubito forte quin sit aliena ab illa. 6. P. arenaria, Wald. Kit. pl. rar. Hung. I. p. 51. t. 51. — In colle Canteroni prope Eremum, ubi a 1840 constanter habitat, quamquam sit annua: venit etiam in Pompei. FI. majo-junio. © 7. P. Psyllium, Lin., al Granatello ex Ten., ubi ego non vidi, nec alibi in Vesevo. Monoclamydeae. PHYTOLACCACEAE In fertilibus de- 1. Phytolacca decandra, Lin. — Lam.ill. gen. t. 393. missis umbrosis, Somma, ubi vulgo Pignatelle. % — — formainterrupta (Pasq. FI. | — Coronopus. Capr. in Stat. fis. ec. dell’ Isola di — —. macrorrhiza. Capri,in Esercitaz. accad. Asp. nat. — Psyllium, obvia. v_2. p.I. pag. 33. « Spica longiori subinterrupta, corolla tubo caly- PHYTOLACCACEAE cis duplo longiori , foliis 4-denticu- | latis scapum subaequantibus. An Phytolacca decandra (erratica). typus verus speciei? » * Men AMARANTACEAE 1. Amarantus retroflexus, Lin. Moq. in DC. pr. 18. p. II. p. 958. — Reich. cent. 5. f. 668. — In cultis, vineis ec. vulgo Jenisca. FI. au- gusto. © 2. A. Blitum, Lin. var. a. — A. sylvestris Desf., cat. H. Paris 1854. p. 44.— Ten. fl. nap. Reich. cent. 5. f. 667.—In herbosis hortorum, et in saxosis maritimis, al Granatello ec., vulgo Jenisca. FI. septembri. © 8. A. viridis, Lin. — Euxolus viridis Moqg. — A. Blitum, Ten. Reich. 5. f. 663. In cultis, S. Giorgio a Cremano. Fl. septembri. © « « var.ascendens.—Euxolus viridis var. è. ascendens Moq.— Am. ascendens Loisel. Am. spicatus Reich. cent. 5. f. 664. 665. — In hortis, S. Giorgio a Cremano. 4. A. deflexus, Lin. ex Moq. l. c. p. 275. A. prostratus Balb. Ten. — Réich. cent. 5. f. 666. Euxolus deflexus, Moq. in DG.—Ubique praeser- tim per vias, et in cultis: vulgo Jenisca. Fl. augusto. © CHENOPODIACEAE 1. Salsola Kali, Lin. —S. Tragus Lin. — Lam. ill. gen. t. 186. f. 2. — In arenosis marilimis, Portici, quandoque vidi in locis a mare dissitis, Piana di Mauro, Bosco Tre case, Somma. FI. junio-julio. © 1. Chenopodium murale, Lin. — Curtis, lond. 6. t. 20. Atriplex sylve- stris, Matth. comm.—In lapidosis maritimis, ruderatis, cultis hortensi- bus commune, Pompei ec. FI. julio-septembri. © 2. G. album, Moq. — FI. dan. 1150. — In cultis. Fl. junio. © « « b.glomerulosum. In arenosis, per semitas nemorum, Bo- sco di Mauro. Fl. augusto. © AMARANTACEAE — album, var. glomerulosum, co- piosissimum in hortis. Amarantus retroflexus. | — opulifolium. — Blitum. — vulvaria: copiosissima in cultis. — viridis. Beta vulgaris, culta. — deflexus. — Cicla, culta. Atriplex angustifolium. A. macrodyra, co- CHENOPODIACEAE piosissima in cultis. Chenopodium murale. alia 3. C. opulifolium, Schred. — Moq. in DC. Ten. fl. nap. 3. p. 256. var. a. Nascitur in cultis. © 4. C. vulvaria, Lin. — Bull. berb. t. 323. — In ruderatis, aridis ma- ritimis et secus vias, Granatello, Via Regia da Resina a Torre del Gre- co, ec. non copiose. FI. augusto-octobri. © e 1. Beta vulgaris, L.— Colitur pro radice rapacea comedenda, falso nomine vernaculo Carota (italice Bardabietola). FI. julio septembri. S 2. B. Cicla, L.— Beta candida, Dodon. pempt. 620. — Colitur in hortis nomine vernaculo Fogliamolla. — Quandoque sponte venit. FI. julio-se- ptembri. S A. Atriplex triangularis, W.— A. hastata e triangularis, Moq. in DC. — In arenosis, Marina di Resina ec. Fl. aestate. NYCTAGINEAE Y* 1. Mirabilis Jalapa, Lin. — Nictago hortensis ad ornatum colitur, et hodie quasi sponte circumvenit rura, Pompei presso la Stazione. FI. julio. Y POLYGONEAE 1. Polygonum maritimum, L.— Barr. ic. 561. f. 1. —In litore, Portici, Torre Annunziata. Fl. majo-octobri. * d 2. P. herniarioides, Del. — Bert. — Guss. inar. — In lapidosis, al Gra- natello. FI. augusto-septembri. % d Obs. An forma sil P. avicularis? 3. P. aviculare, Lin. — Polygonum mas vulgare, Dodon. 113.— (Guss. En. inar. p. 284. — In pratis arenosis, viis communissimum et copio- sum: vulgo audit Cientenodeche. Fl. a mense junio ad autumnum. % Obs. Ochreae argenteae integerrimae acutissimae; ovarium stigmate trilobo, sepalis viridi-carinatis albo-scariosis undulatis aequilongum. « « formagracilis. —P. gracile Guss. En. inar. 285. tab. XII. f,2. Obs. Forma praecedentis videtur. POLYGONEAE | — dumetorum. Rumex pulcher. Polygonum aviculare. — bucephalophorus (rarissimus!). — herniarioides. — arifolius All. R. Acetosa var. d. — Convolvulus, L. Anacapri, communis. ar pra 4. P. Convolvulus, Lin. — FI. dan. 744. — In sepibus et vineis, Bosco di Mauro cc. Fl. majo. © o. P. dumetorum, Lin. — FI. dan. 756. Ad sepes in fruticetis in syl- valicis, Bosco di Mauro ec. Fl. augusto. ©. 6. P. Persicaria, Lin. — Reich. cent. 5. f. 684. P. serotinum, Guss. — In humidis, Stazione di Pompei, non in Vesevo. Fl. octobri. © 1. Rumex pulcher, Lin. — Reich. ©. f. 679. — In pratis siccis et ad vias, Granatello, Pugliano, Barra, valgo Lampazzoni. % 2. R. bucephalophorus, L. — Cav. ic. I. t. 41. f. 1. — Ubique in cultis et inincultis nec non secus vias, nihil abundantius, nihil frequentius in apricis. FI. februario-majo. © Obs. In insula Inarime passim (idest minime abundans neque fre- quens) cl. Gussonius notat. Rarissimum quoque et quasi nullum ego vidi in insula Caprearum. 3. R. multifidus, Lin. —In arenosis cultis et in incultis, fruticetis, non minus abundans et frequens praecedenti, cui pedissequus, Vesuvio, et Somma, Ottajano. Fl. aprili. % LAURINEAE $ 1. Laurus nobilis, Lin. — Colitur, vulgo Lauro. d ARISTOLOCHIEAE 4. Aristolochia altissima, Desf. atl. v. 2. tab. 249. — Nascitur raro in maceriis plagae australis Vesevi: Via vecchia del Salvatore, S. Vito, et alibi. FI. a majo ad hiemem. >. Non nascitur in insulis Caprearum et Inarimes. SANTALACEAE 3 1. Osyris alba, Lin. — Lam. ill. gen. t. 802. — R. Parchi della Fa- vorita (ego), di Portici (Gussone), nec alibi. © THYMELAEAE pa galline. cinale. Passerina hirsuta, v. Astuta fuoco. — Tartonraira, rupibus, v. Spol- Osyris alba (ex Ten. Syll.). Daphne Gnidium, v. Ligni prischi: medi- i SANTALACEAE | Thesium divaricatum, copiosum. Gira CYTINEAE 1. Cytinus Hypocistis, Lin. — Lam. ill. gen. t. 737. — Cav. ic. 2. t, 171. — Ad radices Cisti salvifolii parassiticus, Portici. Fl. majo. % « «forma colore luteo, Portici. EUPHORBIACEAE 1. Euphorbia Peplis, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 5. f. 4755. — In are- nosis maritimis, Resina. FI. julio-septembri. © 2. E. Peplus, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 5. f. 4778. —In cultis et pra- tis communissima. © 8. E. Helioscopia, Lin.-— Reich. ic. fl. germ. ©. f. 4754. — Ubique in herbidis, cultis, vulgo Tutumaglie. Fl. januario ad junium. © 4. E. terracina, Lin. — E. italica Lam. — Ten. fl. nap. 4. prodr. in fol. p. 68. E. neapolitana Ten. |. cit. p. 266. t. 42. E. provincialis Reich. ic. fl. germ. 5. f. 4790. -- In saxosis, aridis, arenosis apricis nec non in culturis frequens — Granatello, Pugliano, Via del Salvatore, Torre del Greco, ec. vulgo Tutumaglie. Fl. per tot. annum. d Obs.Planta summe heteromorpha, aliquando herbacea, ut plurimum lignosa subfruticosa. — Inflorescentia flore centrali masculo, abortivo. — E. terracina, Reich. ic. fl. germ. f. 4775. potius spectat ad E. Laga- scae, quam ad hanc speciem, secundum Bertolonium. 5. E. amygdaloides, Lin. — Reich. ic. ff. germ. 5. f. 4799. — In sylvis prope Eremum Salvatoris, vulgo Tutumaglie. FI. februario. Sd A. Mercurialis annua, Lin. Ubique in cultis: vulgo Mercolella. FI. tot. annum. © Obs. Mercurialis perennis, quae in profundis convallibus circa Nea- EUPHORBIACEAE (vulgo Bavolle) | et culta sese appropinquavit quam maxime typo. Nascitur interra 4na- Euphorbia spinosa, cacumine m. Solari. capri. — Peplis. | — Characias, v. Bavolle cum aliis — Peplus. congeneribus, copiosa. — Helioscopia, Lin. var. vegeta (nob.). | — dendroides, copiosa. Anacapri. — Basi caespitosa meri- | — pinea, E. coespitosa, copiosa. thallis approximatis folio crispatulo. — falcata. Planta biennis habita diversa a ty- — amygdaloides. po, sed in hortum regium advecta —Mercurialis annua. polim provenit, Vesevo nune deest. Olim legeram in valle Vetrana hodie a lavis (1855, 1868) subrepleta. 1. Ricinus communis, Lin. — Colitur pro olio eliciendo, in demissis, Torre Annunciata, Pompei, et etiam sponte quandoque venit in iisdem locis et prope Ottajano. FI. tot. annum. © 5 URTICACEAE 1. Urtica pilulifera, Lin. forma pectinata (nob.) U. balearica Lin.U. pi- lulifera antig. bot. neap.; Moris, stirp. Sard. et fasc. 1. p.41. Cambessed. En. pl. Balear. In ruderatis et prope casas, Portici, Granatello. F). aprili. © Obs. In aliis congeneribus, ut U. neglecta, et membranacea, dentes sunt plus minus arguti et serrati, vel obtusiusculi, idcirco pro chara- ctere nullius momenti hune habeo ad distinguendam U. piluliferam ab U. balearica: neque majoris est ille e basi foliorum ovata vel cordata. Linnaeus nimiam aflinitatem inter duas has plantas notat et dicit: (U. balearica) varietas vel filia prioris (U. piluliferae). Lin. sp. edit. Richter. $. 7128. 2. U. dioica, Lin. — Lam. ill. gen. t. 761. f. 1. — In sylvaticis fer- tilibus et ad sepes, Somma, Ottajano ec. vulgo Ortica. Comeditur. FI. ma- jo-octobri. % 8. U. urens, Lin.—FI. dan. 739.—In hortis et cultis fertilibus, ubi- que. Fl. decembri per hiemem et ver. © 4.U. caudata, Vahl. symb. fasc. 2. p.96. Brot. phyt. lus.2.p.163.t.151! U. lusitana, Brot. fl. lusit. 1. 205. — Urtica membranacea, Poir. dict., Ten. fl. nap.; Guss. Syn., et En. inar.; Bertol. fl. it. (synonimum hoc ad specimina monoica referendum); — et U. convexa, Horn. hort. Hafn. fide speciminis in herbario Guss. e semin. cult. in H. Boccad. — U. ne- glecta, Guss.! Ind. sem. H. r. in Bocce. an. 1828. Syn. 2. 579. En. inar, 297. Ten. fl. nap. Bertol. fl. ital. (synonima haec ad plantas foemineas referenda). — Species heterogama et difformis, cujus minutissimam et perfectam descriptionem confer in Broteri phyt. 1. cit. — Herbacea an- nua, foliis ovatis grosse dentatis, floralibus serratis 3-5-nerviis; stipu- lis inter paria foliorum connatis vel in unicam membranam quandoque URTICACEAE | —. caudata Vahl, Brot. — U. membra- | nacea et U. neglecta, nella via dalla Urtica dioica. marina & Capri. — pilulifera, var. pectinata (nob.). —. urens. Pet - emarginatam reductis (non distinctis ut in U. urenti /); spicis geminatis inferioribus foemineis petiolo brevioribus, superioribus longepeduncula- tis, pedunculis quasi a medio insuper floribus vestitis. — In planta mo- noica (U. membranacea auct.), quae frequentior, spicae superiores in fa- cie superna floribus masculis vestitae, rachide complanata membrana- ceo-alata subtus nuda; — in planta foeminea (U. convexa Hornem? U. neglecta Guss.) spicae superiores aeque ac inferiores floribus foemineis undique vestitae, rachide filiformi cylindrica, aut rarius floribus andro- gynis, masculis raris immixtis, rachide interdum subdilatata, subtus nu- da. — Nascitur in hortis et in cullis pinguibus, nec non per vias campe- stres, plantis foemineis rarioribus cum dioicis semper cohabitantibus, R. Parco di Portici, vie tra Torre del Greco e Resina, ec. Fl. ab octobri ad junium. © Obs.Spicae membranaceae floribus masculis constitutae quandoque ferunt ad basim flores foemineos; et tunc in isto loco rachis cylindrica filiformis evadit: e contrario rachis spicarum foeminearum aut androgy- narum submembranacea est, et quum flores masculi foemineos supe- rent, rachis perfecte membranacea evadit. Stirpes ergo masculae et foemineae transitum faciunt inter se, quoad distributionem sexuum simul ac formam rachidis. Imo unam cum altera forma sexuali adunatam, in uno specimine magnifico in regio Viridario in Portici lecto, possideo, cujus alii rami sunt omnino U. membranaceae, et alii U. neglectae Guss. sive U. converae Hornemanni; ideirco in una specie unico nomine adsocianda. Non convenio quidem in sententiam cl. Bubanii referentis U. membranaceam ad U. urentem cujus dicit esse morbositatem. Nuov. an. sc. nat. Bolog. 1843. v. XIX. p. 401. et Bert. op. gitàtvioi. prA76. 1. Parietaria officinalis, L. in sepibus pinguibus, S. Giorgio a Cremano. FI. januario. %_ Obs. Foliis lanceolatis utrinque attenuatis. « «var. diffusa. P. diffusa Mert. et Koch. P. judaica Lin. — Bocc. sic. t. 24. f. a. Ten. fl. nap. — Lam. ill. gen. t. 853. f£. 2. — Bert. fl. ital. — In maceriis, muris, ubique: vulgo Erba di muro. FI. to- tum annum: per totum Vesevum identica haec forma nascitur, basi sub- Parietaria officinalis. | pue in maceriis, Anacapri, annua, — —. diffusa. | non perennis: habitu omnino aliena — cretica L. filiformis Ten. Strada . a P.lusitanica, quam adhuc non vidi della marina a Capri, et praeci- | in hac Insula. Atti—Vol. IV. —N.° 6 12 MIR) (RES lignosa, foliis ovato-rotundatis et breviter acuminatis, acumine obtuso, calyce fl. foeminei tubuloso-ventricoso. — In fertilibus caules plus mi- nus erecti; folia ovato-lanceolata acuminata. Mihi persuasum habeo nihil aliud esse hanc varietatem nisi formam praecedentis idest typi speciei, non aliter quam sequentem. « «var. myrtifolia (nobis): in maceriis, prope Bosco Tre case, et in terra glareosa in elatis meridionalibus , alle sechiappe della monta- gna di Torre del Greco. FI. octobri-novembri. 5. Foliis anguste lanceo- latis, acuminatis, involucri monophylli sexlobati lobis acutis; calycis demum tubo elongato, lobis quatuor acutis filamenta aequantibus. 2. P. lusitanica, Lin. — Bertol. fl. it. 2. p. 2415. excl. syn. P. filifor- mis Ten. —In maceriis, muris, communis, $S. Vito ec.. FI. januario. © Obs. Plantula juvenis habet duo paria foliorum primordialium op- posita: quandoque caulis elongatus usque ad 20 centimetra, P. creticam (P. filiformem) referens. MOREAE % 1. Morus alba, Lin. — Murier blane, Seringe Descr. et cult. des mu- riers, atl. Paris 1855. pl. XI, XII, XIII, XIV, XV. Colitur: vulgo Ceuzo bianco. « «var. italica, Poir. vulgo Ceuzo palermitano (gelso bolognese nap.); Folio spissiore quam in praecedenti. 3 2. M. multicaulis, Bonaf.—Murier blanc (multicaule), Seringe op. cit. pl. XVII. M. cucullata, ejusd. Golitur et facile multiplicatur in la- vis, Tironi ec., vulgo Ceuzo delle Filippine. FI. aprili. Frondescit martio. d > 3. M. nigra, Lin. — Murier noir, Seringe, op. cit. pl. XIX.— Colitur; vulgo Ceuzo nero. Colitur propter folia: et hodie, industria serica jam ab epidemico morbo imminuta, colitur propter fructus dulces subacidos gratissimos, saluberrimosque, qui maturant julio et comeduntur, quo usu, nec non pro conficiendo syrupo medicinali, venumdantur cum no- mine vernaculo Ceuza nera. x 1. Broussonetia papyrifera, Vent. Morus papyrifera, Lin. — Brousso- netie à papier, Sering. op. cit. pl. XXVI. Colitur pro umbra, Strada fer- rata ec. Fl. majo. d MOREAE — multicaulis, culta. — nigra, culta. Morus alba, var. Colitur. ci Ficus carica, foeminea et androgyna Lin. — vulgo Fico selvaggio. Obs. Species haec linneana in sequenti recensione generica est et syntelica; nam species sequentes, sive subspecies aut varietates in illa comprehenduntur. Gasp. in Gussone Enum. pl. inarim. p. 301. et Sem- mola Vincenzo, in Rendiconto della R. Ace. delle Se. di Nap. vol. 4. A. Ficus (Carica) leucocarpa, Gasp. Guss. En. inar. p. 301. Caprificus leucocarpa, Gasp. Ricerche sulla natura del Fico e del Caprifico. Nap. 1847. in Rend. R. Accad. v. 4. p. 132. tab. HI. et III. — In muris vetustis, et in saxosis. — Colilur. « « a.rotundata, Fico albo, Galles. pom. ital. cum tab. picta. — Bianchetta o Biancoletta, — Porta, pomar. « « b. deliciosa, Gasp. Guss. op. l.cit. Fico paradiso (in Ischia). « « c. lutescens, Gasp. Fico pissalutto, Galles. op. cit. cum tab. picta. « « d. sapida, Gasp. Fico trojano (in Ischia e Napoli) Semmola op. c. t. V. VI. Galles. p. it. cum tab. picta. « «e. depressa, Gasp. v. Fico pennese (in Ischia). 2. F. (Carica) dottata, Gasp. Galles. p. it. cum tab. picta, vulgo Fico ottato. Colitur. Caprificus gigantea, Gasp. op. cit. p. 837. tab. I. indivi- duus androgynus, spontaneus. — In asperis maritimis. « «a. microcarpa, vulgo Fico zeolella (Napoli). « « d. fusca, v. Fico cotena (in Napoli ed Ischia). « « c. viridis, Gasp. Fico d'inferno (in Ischia). « « d. serotina v. Fico natalino bianco, o fico a verticillo (in Ischia). 8. F. (Carica) turbinata, Gasp. Caprificus sphoerocarpa Gasp.? (indi- viduus androgynus), spontaneus et cultus. « « a. violacea, v. Fico brogisotto verace (in Napoli). « « b. albescens, — Fico brogisotto bianco (in Napoli). « « cc. maxima, v. Fico brogisotto imperiale (in Napoli). « « d. nigrescens, v. Fico tintore (in Napoli). « « e. viridis, v. Fico brogisotto verde (in Napoli). « « f.serotina, v. Fico natalino nero (Ischia), Fico vernino, Fico Camaldolese (in Napoli). Ficus carica, Lin. plures varietates sive rum, ut plurimum similes illis circa species coluntur in insula Caprea- | Neapolim et Vesevum cultis, sed * — i F. (Carica) turbinata, g. trifera, Gasp. l. cit. Fico di tre volte l’anno, fico pasquale, fico della Cava (in Napoli). 4. F. (Carica) Colombra, Gasp. Guss. En. inar. Fico Colombo con i fio- roni e Fichi autunnali, Semmola, op. l. cit. tab. II. Fico Colombra (in Ischia e Napoli) — semper foeminea — Fico bifaro, Agotti (in Calabria). 5. F. (Carica) polymorpha, Gasp. op. cit. Caprificus oblongata, Gasp. Ì. cit. p. 982. Profico chiajese. Semmola in Rend. l. c. t. 2. Fico pilo- sello (in Ischia), Fico mastuccino, Fico chiaese (in Napoli), Semmola 1. cit. t. 4. « «a. ]uliana, v. Fico lugliatico, fico lugliarolo (in Napoli) et fructu minori (fico diancolino). « « b.bifera, Fico Sampiero 0 Santopietro; Semmola op. l. cit. t. 10. fico di S. Giovanni (in Ischia) Semmola op. 1. cit. « «cc. sarnensis, Gasp. sarnese nero, Semmola in Rend. 1. cit. t. 7. è autunnale. Pissalutto nero, Galles. op. cit. tab. picta. « « « Fico sarnese bianco, Semmola op. cit. t. 6. Pissalutto bianco, Galles. cum t. picta. « « d. prolifera, v. Fico nerolillo (in Ischia). « «e. melanocarpa, v. Fico barbanera — Fico petronciano (est hujus lusus pedunculo violaceo). « « f. elegans, Fico vezzoso, Galles. op. cit. cum tab. picta. « « g.haematocarpa, Gasp. l. cit. Fico granato (in Ischia) Fico melograno, Galles. op. cit. — Fico brianzuolo ejusdem cum tab. (lusus hujus fici). Venit sponte in muris, saxosis, asperis, Granatello, Camaldoli della Torre, praecipue var. c. et e. 6. F. (Carica) pachycarpa, Gasp. l. c. t. v. Fico lardaro (in Napoli) — Caprificus rugosus, Gasp. |. c. p. 38. Profico ricciuto colitur, nec sponte venit. « «a. fasciata: Fico limone, fico zigarella. « « D. nobilis: Fico regina, Gall. op. cit. cum tab. picta. « «€. lusitanica: Fico portoghese, Gall. op. cit. cum tab. picta. 7. F. (Carica) deliciosa, Gasp. — Colitur, non nascitur sponte. a « a. castanea, Fico datto, Galles. pom. it. cum tab. picta. « « b. sanguinea, Fico monaco, Galles. op. cit. cum tab. picta. hujusmodi ficus Caprearum sunt | mihi parum notae. sa Di F. (Carica) deliciosa, c. latifolia — Mico cervone, fico asinino. Varietates istae coluntur nec sponte veniunt. CANNABINEAE A. Humulus Lupulus, Lin. — FI. dan. 1239. — Reich. ic. germ. 2. f. 1326. Lupulo, Matth. —Ad sepes in demissis septentrionalibus. — Nella strada della Madonna dell’ Arco a S. Anastasia, Ottajano , vulgo Lùpari. FI. augusto. % % 1. Cannabis sativa, Lin. Colitur. © CELTIDEAE 1. Celtis australis, Lin. — Caesa invenitur et raro. Strada di S. Vito, Bosco Tre case ec. FI. martio, vulgo Pirofioccolo (a S. Anastasia). d ULMACEAE 1. Ulmus suberosa, Ehrh. — Plenck, ic. pl. med. t. 172. — Ulmus campestris bd. Bertol. fl. it. —Ad sepes et in fruticetis: rarissime haec ar- bor in inlegritate sua videri potest. FI. aprili. 5 JUGLANDEAE 1. Juglans regia, Lin. — Colitur: vulgo Noce. FI. aprili-majo. 5 CUPULIFERAE 1. Gastanea vesca, Gaert. —C. vulgaris W. Fagus Castanea Lin. — Syl- vae ceduae Vesevi et Summae ex hac arbore praesertim in septentrionali plaga constituuntur. Coluntur etiam ope insitionis plures varietates in m. Somma, ubi magnum proventum oeconomia rustica trahit ex hac arbore. ULMACEAE CUPULIFERAE Ulmus suberosa. . Castanea vesca — Colitur, raro. Quercus Robur. JUGLANDEAE — Cerris? (rarissima et culta). — Ilex. Juglans regia — Colitur copiose. i Corylus Avellana, colitur. — 1. Quercus Robur, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 12. f. 1309, 1310. — Parl. fl. it. —Q. sessiliflora Sm.—Ex hac unica specie struuntur sylvae caeduae Vesevi in orientali plaga Mauro, Camaldoli, ec.: vulgo Cercola. FI. aprili. 2. Q. Ilex, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 12. f. 1307. In sylvis demis- sis usque ad cacumen extremum m. Somma, vulgo Licina. FI. aprili. d « «forma involuta—cupula, ore involuto. Confer de hac forma Rendiconto della R. Accad. delle Sc. fis. mat. di Napoli, an. 1869. fasc. 1. pag. 15. Inveni specimina in R. Viridario in Portici, nec alibi: coeterum non differt a typo satis polymorpho. 1. Corylus Avellana, Lin. — Reich. ic. fl. germ. 12. fig. 1300.—In syl- vis sponte, et colitur, vulgo Nocella. FI. a dicembre. 5 BETULACEAE 1. Alnus cordifolia, Ten. — FI. nap. II. pag. 340. t. 99. In sylvis de- missis et elatis, Camaldoli, Somma. FI. aprili. d 1. Ostrya carpinifolia, Scop.— 0. vulgaris W. Carpinus Ostrya Duh. — In sylvis caeduis editioribus montis Somma, copiosissima, vulgo carpi- niello. Fl. martio. d 1. Betula alba, var. pendula Lin. — Rupibus extremi cacuminis montis Somma, etin sylvis caeduis ad summa juga, prope cacumen ejusdem mon- ts, nec alibi inferius. FI. aprili. d Obs. Nempe spontanea est haec arbor in Vesevo, dum deest in omnibus locis provinciae neapolitanae et circumstantibus, sed tantum prope Castellammare in via di Amalfi in loco dieto Acqua di S. Croce, ubi legit cl. Gussonius, ut observari potest in suo herbario. SALICINEAE 4. Populus alba, Lin.--Duham. arb. ed. 2. v. 2. t. 51. — In fruticetis, sepibus, Somma, scesa di Vetrana ec., sed numquam invenitur arbor in- tegra: vulgo Dattinella, Pioppaina, vigna-volanielli (a Pomigliano). 5 BETULACEAE SALICINEAE Alnus cordifolia, Ten. | Populus alba, rara. —. nigra. 41. P. nigra, Lin. —In vineis colitur ad maritandas vites : et huius ra- muli flexiles ad easdem vites ligandas. % Obs. Ramuli novi individui foeminei parum flexiles sive fragiles; contra illi arboris maris sunt flexiles et tenaces. 3. Postremula, Lin. —Parl. fl.it,. — Feich. io. fl. germ. Al. t. 1274. P. australis, Ten. fl. nap. 5. p. 278. Arboscello (ita dicta a Somma, et quandoque pioppaina). In sylvis caeduis septentrionalibus montis Somma et in hujus fruticetis occidentalibus abundans, rarissime observari pot- est in sua naturali dimensione et forma. Obs. Populus australis, Ten. nihil a P. tremula, nisi pubescentia ra- mulorum, quae minime constans, differt. In nostris etiam speciminibus australibus ramuli teneri e trunci basi gignentes sunt villosi una cum foliis. Planta summe heterophylla, dimensione, forma, pubescentia fo- liorum, quae sunt margine dentata, sinuoso-eroso-dentata, serrata; eo- dem ramulo, e trunco caeso surgente, ad basim folia transversim dila- tata, subcuneata veldeltoideo-rotundata, rotundata, apice retusa, basi cor- data, cuneala (formam cuneatam ad cordatam facile transire demonstravi in op. Eterofillia in 4. pag. 38. tav. VI. fig.8,9.), demum superius ovato- cordala acuminata. In ramis antiquioribus folia omnia rotundata eroso- dentata. Ampliora 12. centim. lata et etiam quinquenervia. A. Salix aurita, Lin. — Parl. fl. it., Reich. ic. fl. germ. 11. f. 2020. — In sylvaticis m. Somma, quandoque arborea evadit (10 m. alta): vulgo lauro selvaggio, nomen rei suae respondens. > Obs. S. cinerea et S. aurita sunt eadem species varians pubescen- tia ramorum. 2. S. Caprea, Lin. — Coss. Germ. atl. fl. Paris t. 34. f. 6. Reich. ic germ. 11. t. 2024. —In sylvaticis, fruticetis, agrorum ciliis, convallibus demissis et editioribus — Vallone di Tironcelli a Torre del Greco, Pompei, Somma. Fl. martio, serius frondescit: vulgo (Somma) Vegeta aut Veceta. «a «forma constricta, S. constricta Guss. En. inar. 4030. Obs. In perula et in ramulo juniore folia exstipulata; proinde dum teneriora (longitud. 2. centimetr.) basi gerunt 2. tubercula viridia, sti- pularum principia, unde postea praedita duobus stipulis semilunaribus. Flos masculus: stamina duo, basi coalita, ad basim interius glandulam viridem gerentia representantem, forsitan organum foemineum aborti- —. tremula, frequens in terra A4n4- piuppania. capri ubi extant arbores elatae, v. Salix Caprea. ve vum? Sali2 constrieta Gussonii mihi videtur levis forma S. capreae, et forsan sunt eadem res. 3. S. alba, var. vitellina, Parl. fl. it. S. vitellina, Lin. — Golitur: vulgo audit Sa/cio, excellens ad ligandas vites et arbores. Fl. martio. > CONIFERAE $ 1. Cupressus sempervirens, Lin. — GC. pyramidalis, Targ. Toz. Parl. fl. ital. pr. Sm. DC. Colitur ad exornanda coemeteria: vulgo Cipresso maschio. « «var. horizontalis : vulgo Cipresso femina. $ 1. Pinus Pinea, Lin. vulgo Pino — Colitur sparsim et gregalim a triginta annis in sabulosis meridionalibus demissis, Torre del Greco a Monticello, ai Camaldoli: ubi hodie quasi suae spontis est. FI. aprili. > »* 2. P. halepensis, Mill. — Parl. in DC. pr. et fl. it. Lamb., Pin. ed. 2. p. 14. t. 7. P. maritima eiusd. auct. op. cit. p. 13. t. 6. culta in hortis, neò Parchi. FI. aprili. 5 e 3. P. Pinaster, Soland. — Lamb. Pin. ed. 2. p. 17. t. 9. e 40. P. Ha- miltonii Ten. —P. Pinaster var. Hamiltoni, Parl. in DC. pr. — Golitur fre- quenter in viridariis. Propagalioni in maritimis arenosis commendatur. FI. aprili. d TO MONOCOTYLEDONES AROIDEAE 1. Arum italicum, Mill. Lam. — A. maculatum All. Ubique in pingui- bus: vulgo Lengua de Vuoi (in S. Anastasia). Fl. martio. % CONIFERAE Grottazzurra, Limba ec. vulgo audit Janiparo. Pinus Pinea — culta raro. — halepensis, rupibus, passim, et AROIDEAE gregalim, alle macchie. — uncinata Graef. in literis cit in Arum italicum, vulgo jade. 1 Sylloge FI. neap. p. 1. Ego non vidi. Arisarum vulgare, copiosum: vulgo ja- Juniperus phoenicia — In rupibus omnis lella. insulae versus mare, communis, alla — proboscideum (ex Ten. Syll.). DI. 1. Arisarum vulgare, Spr. Arum Arisarum Lin. — Jacq. Hort. Schoenbr. 2. p.34. t. 142. — In cultis. FI. decembri. % LEMNACEAE 4A. Lemna arhiza, L. — Wolf. de Lemna p. 30. fig. 22, 23, Lenticularia Mich. n. pl. g. t. II. fig. 4. Wolffia arhiza. In aquario natantem prope Torre Annunziata, una vice et abunde inveni, mense octobris, comite Doctore Licopoli. © Obs. Tuberculum viride sphoericum cellulosum magnitudine semi- nis Sinapis nigrae: an eadem ac Wolffia brasiliensis? PALMAE x 1. Phoenix dactylifera, Lin. — vulgo audit Dattero. Colitur in ru- ribus. FI. junio. 5 Obs. Fructus apud nos foecundi egregie reproducunt speciem, sed non sunt edules. ORCHIDEAE A. Orchis rubra, Jacq. ic. rar. t. 183. — O. papilionacea Lin. Ten. Reich. ic. fl. g. 13. tab. 10. O. papilionacea var. rubra, Parl. fl. it. —In apricis demissis et elatis, Granatello (olim), Tironi, Tironcelli a Torre del Greco. Fl. martio-aprili. % Obs. Non video differentiam inter O. papilionaceam (veram) Lin. O. expansam Ten. et hanc speciem vesuvianam. 2. 0. pseudo-sambucina, Ten. fl. nap. 2. p. 281. t. 86. O. romana, Se- bast. et Mauri pl. rom. In apricis saxosis rara, ai Tironi. Fl. martio. % « «var. rubra, aî Tironi. « «forma intermedia, floribus luteo-rubris: cum praecedente. LEMNACEAE | dit, Palma da scopa. Lemna gibba. ORCHIDEAE PALMAE i —Orchis rubra Jacq. 0. papilionacea Ten., | ubique. Phoenix dactylifera. Arbores elatae colun- — pyramidalis, communis. tur in ruribus, vulgo Dattero. | — —. fl. albo, per totam insulam Chamaerops humilis L. In rupibus versus communis. mare, Grottazzurra ec. vulgo au- | — undulatifolia, alle macchie. Atti — Vol. IV. N.° 6 13 ia 3. 0. provincialis, Balb. mise. alt. taur. f. 2. — 0. Cyrilli, Ten. fl. nap. t. 87. — In sylvis (cl. Pedicino) rarissima. FI. aprili. % 4. 0. maculata, Lin. — Reich. cent. 6. f. 772. — Sylvaticis mediis et elatis, Canteroni, Somma, ubi vulgo Testicolo di cane. FI. majo-junio: in elatioribus julio. « «forma, fl. albis. —Sylvis, Somma: inveni die 2. julii pri- mum elapso anno 1868. rarissima. 5. 0. coriophora, Lin. — Reich. ic. fl. g. 13. 14. tab. 15. — In apricis al Granatello (olim), Torre del Greco. Fl. majo. % us Platanthera bifolia, Rich. — Reich. ic. g. 18. t. 75. f. 5-20. et t. 76. 3-19. et t. 77. —Hall. helv. t. 11. tab. 85. f. 2. Orchis bifolia Lin. — hi FI. vesuv. in op. cit. —Sylvis, Canteroni, Somma. Fl. majo. * 1. Serapias cordigera, Lin. — Helleborine cordigera, Sebast. et Mauri. FI. rom. pr. 312. t. 10.— Reich. ic. g. 13. t. 88.—In apricis sylvaticis demissis, Ottajano a Campitello. Fl. majo. Y Obs. Nec S. linguam (typicam), nec S. parvifloram, in insula Ca- prearum et Inarimes communes, in Vesevo adhuc inveni. 2. S. Lingua, Lin. var. a. S. longipetala, Poll. Parl. fl. ital. Hellebo- rine longipetala Ten. —H. pseudocordigera, Seb. f. rom. pl. fasc. 1. tab. 4. f. 1. Serapias pseudo-cordigera Moric. — Reich. ic. g. 13. tab. 89. In regione vesuviana orientali, a Mauro, invenit cl. Tenore. FI. majo. % 1. Limodorum abortivum, Sw. — Reich. cit. t. 129. Orchis abortiva, Lin. Jacq. austr. t. 193. — Sylvis, Somma. FI. junio. % . 1. Cephalanthera ensifolia, Spr. — FI. dan. 506.—Serapias ensifolia, Lin. In sylvis plagae septentrionalis, Canteroni. FI. junio. % 2. G. rubra, Reich. Serapias rubra Lin.— FI. dan. 343,—In sylvis se- ptentrionalibus, in regione editiore montis Somma. FI. junio. % 1. Epipactis latifolia, Sw. — Parl. fl. it. — Reich. ic. g. 13. t. 186. Se- rapias latifolia AI. — Hall. hely. t. 11. tab. 40.—In sylvis, Canteroni. FI. majo. % — maculata. — aranifera. Hymanthoglossum hircinum (ex Ten, Syl- — arachnites. loge). | — tenthredinifera. Aceras antropophora. Spiranthes autumnalis (Neottia autumna- Ophrys myoides (ex Gussone et Casale). | lis), in pratis. — exaltata. i Serapias lingua, insaxosis communissima. — bombylifera Link, O. tabanifera — parviflora, Parlat. In saxosis cum Reich. (Pasq. FI. diGapriop cit.) fre- | praecedente, sed rarior. Primum in- quens, Ziberio, Marina, Macchie. | veni illuc 1840: confer, Pasquale — fuciflora, alle macchie. | in op. cit. pag. 50. 1. Ophrys aranifera, Huds. — Reich. crit. 9. f. 115. ic. g. t. 97. Coss. Germ. atl. fl. Par. t. XXXII. B. — In sylvis, rara, aî Canteroni, inveni, comite Van Heurck. FI. majo. % IRIDEAE A. Iris foetidissima, Lin. — Reich. ic. g. 9. f. 775. — Sylvis et sepibus rara, Camaldoli, S. Sebastiano. FI. aprili. % 2. I. germanica, Lin. — Reich. cent. 19. f. 765. —In saxosis prope cul- turas, Tironi, Pugliano, Pompei, et etiam colitur pro floribus ornamen- tariis, vulgo spadella. Fl. aprili. % 8. I. florentina, Lin. — Reich. cent. 19. f. 766. —Ad agrorum cilia, in saxosis, Branchina a Torre del Greco, Pompei. Colitur pro rhizomate violae odorem communicante linteis; vulgo spadella. Floret aprili. % 1. Gladiolus segetum, Gaul. — Parl. fl. it. — Ker. in H. Kev. Reich. ic. crit. 6. f. 8419. et Ic. f. germ. 9. f. 781. — G. communis, Ten. fl. nap. 4. p. II. — In cultis, praecipue inter segetes. FI. aprili. % 1. Romulea Bulbocodium, Seb. Mauri, var. a minima (nob.) R. Columnae Seb. Mauri. Reich. ic. germ. 9. f.784 et 785. R. minuta Gaul. Ixia Bul- bocodium 4 minima, Ten. mem. p. 117. In apricis maritimis, Granatello presso îl forte, copiose, nec alibi. Fl. novembri-januario. % Obs. Romulea haec est forma minima R. Bulbocodii, cui accedit R. Linaresii Parl. R. ramiflora Ten. (Ixia Bulbocodium Sibth. fl. gr. 1. p. 26.). Confer, Pasquale Catalogo dell'Orto di Napoli 1867. p. 99. Quoad R. ramifloram, Ten. confer, Sibthorp. l. cit. (tab. picta), ubi effigiem Ixiae Bulbocodii tribus ramis perhibet. AMARYLLIDEAE 1. Agave americana, Lin. In agrorum ciliis, sepibus, communis: vulgo audit Sempreviva. > Ad sepiendum inservit. IRIDEAE Crocus Imperati Ten. Alle macchie. FI. februario. Iris foetidissima. — germanica. — florentina. Gladiolus segetum. Agave americana, vulgo Sempreviva. Romulea Bulbocodium, var. minima, Ten. Narcissus Tazzetta Lin. var. praecocior Cacumine moptis Solaro. FI. No- | (nobis). Cat. Ort. Nap. p. 69. in 4. vembri. Nap. 1867. N. canaliculatus Guss. AMARYLLIDEAE — 100 — 1. Narcissus italicus, Sims. Parl. fl. it. non Ten. — N. praecox, Ten. fl. nap. t. 27. In cultis. FI. novembri. % 2. N. unicolor, Ten. fl. nap. t. 26. In cultis. FI. novembri. % 3. N. Tazzetta, Lin. Guss. inar. tab. 15. Parl. fl. it. N. canaliculatus Guss. tab. cit. N. Tenorii, Parl. fl. it. — In R. Viridario in Portici. FI. martio. % Obs. Narcissos spontaneos in Vesevo hodie non video, extra virida- ria ad instar Anglorum, cos tamen retuli ex fide mei magistri M. Tenore in Sylloge et FI. med. univers. e part. della prov. di Napoli, v. A. p. 255, 256. Hujus speciei continuo habeo sub oculos plurima specimina varian- tia, magnitudine florum, forma nectarothecae integrae, crispatae, loba- tae: item folia plus minus lata, semiplana, canaliculata etc. DIOSCOREAE A. Tamus communis, Reich. ic. germ. v. 10. t. 971. In sepibus et syl- vaticis, m. Somma. Fl. aprili. % SMILACEAE A. Smilax aspera, Lin. — Parl. fl. it. —In sylvis sepibus et lapidosis, vulgo Raie. FI. septembri. 5 « «forma rotundifolia—foliis subrotundo-cordatis. Inveni in sepibus, Bosco Tre case. « «forma dilatata. S. mauritanica Desf. S. aspera Reich. ic. serm. v. 10. f. 970. Obs. Folia variabilia sunt (Reich. exc. 1. p. 101.) Igitur S. mauri- tanica Desf. ut varietas, imo potius est forma retinenda est. S. aspera, Reich. germ. ]. cit. effigiata ad S. mauritanicam potius quam ad S. aspe- ram pertinere puto. Inar. var. N. Aschersonii, Bolle At. | DIOSCOREAE Soc. ital. v. VIII. 1865. pag. 90. Cultus in horto persistit florescen- , Tamus communis. tia praecoci: sed cultura vidi necta- rium crispatum lobatum evadere. | SMILACEAE Fl. a mense octobris in martium. Communis.Scalad’ Anacapri, Ana- |. Smilax aspera, v. raje. Ruscus aculeatus. Asparagus acutifolius. capri, ec. vulgo Fiori cannelora. | — praecox Ten. (ex ipso Tenore). | — unicolor Ten. (ex ipso Tenore). | — 101 1. Ruscus aculeatus, L. — Reich. germ. v. 10. f. 968. Cup. panph. Bonan. t. 61. — In sepibus et ad agrorum et sylvarum margines fre- quens, vulgo Vroscara. FI. januario. A. Asparagus acutifolius, Lin. — Atti Gioen.11.12.4. 5. — Ad sylvarum margines, sepes, in sax0sis, collibus apricis Vesevi et montis Somma — vulgo Rostinella (in Somma): turio nomine Asparagio generaliter come- ditur. FI. augusto-septembri. 5 2. A. officinalis, Lin. — FI. dan. t. 305. Reich. germ. v. 10. f. 967.-— In sepibus, dalla Madonna dell’ Arco a S. Anastasia. Forsitan e culturis aufuga. % 3. A. tenuifolius, Lam. — Reich. germ. v. 10. f. 969. A. officinalis, var. d. Lin. A. silvaticus W. Kit. t. 201. -- Inveni an. 1840. una vice tan- tum in una e domibus pompejanis: nec amplius vidi. FI. septembri. % 1. Muscari comosum, Lin. — In cultis, sylvaticis, caeduis ec. Camal- doli ec. Floret martio-aprili. %. Bulbi ab Apulis comeduntur nomine Vampasciùli. LILIAGEAE 2. M. botryoides, MW. — Red. lit. t. 364. Hyacinthus botryoides Lin. — In apricis, Camaldoli della Torre ec. Fl. martio. * 1. Ornithogalum umbellatum, Lin. — Ten. fl. nap. t. 226. — Inter sege- tes, Torre del Greco, R. Parchi. FI. martio. « «var. eccapum, O. excapum, Ten. fl. nap. t. 34. et 226. In apricis, Portici (ex herb. Guss.), et inter segetes. FI. martio. % Obs. Me persuasum habeo Orn. nanum, 0. Gussonii et 0. excapum, Ten. ab 0. umbellato non differre nisi stria alba mediana foliorum; quae stria in omnibus plus minus clara est. 2. 0. nutans, Lin. —FI. dan. t. 912. Myogalum nutans Link. — Parl. fl. it. — Inter segetes. In insula Inarime non nascitur. FI. martio. 4 1. Allium Chamaemoly, Lin. — Cav. ic. 3. p. 4. t. 207. f. 4. In pralis apricis, Granatello, nec alibi. FI. a decembri in martium. % LILIACEAE | — stachyoides (ex Ten. Syll.) Scilla maritima, v. Cipolla canina et pro Tulipa praecox Ten. fl. nap. 1. p. 170. t. | errore Cifaglia, confer Asphode- 32. (ex Ten. Ego non vidi). lus. Communissima. Muscari comosum (Hyacinthus). | — autumnalis, communis. Hyacinthus romanus (Bellevallia). i Allium Chamaemoly — In pratis cacumi- Ornithogalum nutans. | nis Solari. FI. a Novembri. — umbellatum. — — forma,colorata:perigonium — 102 — 2. A. vineale, Lin. — Reich. crit. 5. f. 596. ic. 10. f. 1075. — In cultis et collibus apricis, super lavis recentioribus 1855. Somma, Vetrana. FI. majo. Y è « «forma, umbella tota bulbifera, planta prolifera. Ibidem in aestate, frequentissima super lavis. 3. A. Ampeloprasum, Lin. — A. Gasparrini, Guss. En. inar. p. 387. t. XV. f. 4.2. In aridis, Pompei ec. FI. julio. % - 4. A. neapolitanum, Cyr. pl. neap. fasc. 1. t. 4. A. lacteum Sibt. fl. gr. t. 325. (ex Reich.) —Nascitur sponte in hortis et super muris, S. Ana- stasia. Fl. martio. % 3 5. A. sativum, Lin. — Allium Dod. pempt. p. 682. cum icone. Co- litur, v. aglio. Fl. majo-junio. X. Ad condimenti usum adhibetur. « «forma bulbo simplici. Colitur in horlo Observatorii Vesu- viani. Obs.C1l. Palmieri, Observatorii vesuviani bemeritus Director, Acade- miae physico-mathematicae communicavit, Allia bulbis compositis plan- tata in horto Observatorii vesuviani lubenter imo constanter in allia bulbo simplici evadere. 6. A. descendens, L. — Reich. ic. g.10. f. 1082. al Granatello (ex Ten.) Pompei. Fl. aeslate. % A. Lilium bulbiferum, Lin. —var. sine bulbillis. — Gaert. 2. p. 16. t. 83. L. croceum Chaix, Reich. ic. g. v. 10. f. 996. — Sylvis, m. Somma, praecipue in apricis loci dicti, Scesa di Vetrana. Fl. junio. % Obs. Numquam bulbiferum vidi. FI. majo-junio. Hac formosa planta insulae Inarimes et Caprearum carent. 1. Asphodelus fistulosus, Lin. — Cav. ic. rar. 3. t. 204. In pratis, ma- rilimis, saxosis, et in litore, Granatello, R. Parco di Portici, Torre del Greco. Fl. aprili. % Obs. Non nascitur in Insula Inarime. extus rubro-coloratum. Ibidem. | — tenuiflorum. — Ampeloprasum. — roseum. — magicum L. — A. speciosum Cyr. — —. var.bulbiferum.A.carneum — multiflorum. | Ten. — A. Tenorii Spr. —. ciliatum Cyr. Ubique copiosum Asphodelus ramosus, vulgo audit Cifa- (trifoliatum Cyr.). | glia. — flavum (ex Guss. et Casale) | — fistulosus, alla Marina di mulo. — 103 — JUNCACEAE 1. Luzula sylvatica, Gaud. —Parl. fl. it. — L. maxima DC. — Host. gr. a. 3. t. 98. Juncus maximus W. — In editiore parte, a media altitudine ad summum cacumen antiqui montis Vesevi dicti Somma. Fl. martio, aprili, fructif. majo. % Obs. Una cum Sesleria nitida haec planta facit strata herbida aptis- sima ad terram mobilem e cinere vulcanica constitutam firmanda. 2. L. Forsteri, DC. pl. gall. rar. t. 2. Juncus Forsteri Sm. —In sylvis ubique. Canteroni, Somma. FI. aprili. % 8. L. pilosa, Gaud. — Juncus pilosus W. J. pilosus a Linn. Canteroni (comite La Cava 1840). et in m. Somma. FI. martio. % 4. L. campestris, DO. — Parl. fl. it. —L. erecla, Guss. pr. et inar. Jun- cus campestris.—Lin. Juncus nemorosus, Host. gr. austr. 3. t. 97. f. 4. In sylvis, Canteroni, Somma. Fl. martio-majo. % 4. Juncus capitatus, Weig. — FI. dan. 1690. — In pratis apricis se- mel inveni el olim, anno 1840, al Granatello. Fl. majo. © CYPERACEAE A. Cyperus olivaris, Targ. — Reich. ic. germ. 8. f. 671. C. rotundus Ten. non Lin. (sec. Guss. En. inar. 846.). In cultis ubique: agrorum pestis: vulgo Dienti di Cavallo e Dienti di cani. FI. junio-augusto. % 2. C. esculentus, Lin. — C. aureus Ten. C. Tenorii Presl. C. mela- norrhizus Del. Parl. fl. ital. — In cultis fertilibus et in hortis, Pompei, Torre Annunziata, vulgo Dienti di cani, aut Dienti di cavallo, et minus frequens a S. Giorgio a Cremano. Fl. junio-octobri. Y 4. Carex Linkii, W. Schkr. car. tab. Bbb. f. 118. — Reich. ic. g. 8. f. 629. Parl.fl.it. G. gynomane Bert.— In apricis saxosis, Tironcelli di Torre del Greco, et in sylvis, R. Parco di Portici. Fl. martio. % 2. G. serrulata, Biv. — Cup. panph. Bon. tab. 153. In herbidis, a/ Salvatore. Fl. majo. % JUNCACEAE | CYPERACEAE Luzula campestris. Cyperus olivaris. — Forsteri. Carex Linkii (C.gynomane), alle macchie. — 104 — 3. G. praecox, Jacq. fl. austr. t. 446,— Reich. ic. fl. g. 8. f. 634. — In arenosis sylvarum, Mauro. Fl. martio. 4. C. schoenoides, Host, gr. 1. t. 45. Vignea divisa, Reich. exsc. — Pratis apricis, rara, Portici. Fl. majo. % GRAMINACEAE 1. Aegylops ovata, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1358. — Aegylops II. Matth. comm. In viis et pratis, Pugliano, ec. FI. majo. © 1. Psilurus nardoides, Trin. — Reich. cent. 11. f. 1382. Rottboellia mo- nandra, Cav. Ic. 1. tab. 39. fig. 4. Nardus aristata Lin. — Ten. fl. nap. In aridis sterilibus frequens — Camaldoli della Torre, Salvatore, Piana di Mauro, super lavis ec. © 1. Rottboellia incurvata, Lin. fil. — Cyr. pl. rar. neap. fasc.I.t. 6. f. A. — Aegylops incurvata Lin. Lepturus incurvatus, Reich. cent. 11. f. 1333. In arenosis maritimis, Granatello. Fl. majo. © 1. Lolium perenne, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1346. Parl. fl. it. — L. tenue, Lin. — Ten. fl. nap. var. a. vulgare. — Ad vias raro. Fl. majo. 2. L. festucaceum, Link. — Reich. cent. 11. f. 1347. — In herbidis et inter segetes, Torre del Greco, Ottajano. F). aprili. © 8. L. multiflorum, Gaud. a. et dD. ex Bertol. fl. ital. Reich. cent. 11. f. 1345. Ad agrorum margines et in cultis, Portici. Fl. majo. © 4. L. rigidum, Gaud. — Parl. fl. it. — L. tenue Guss. — L. strictum Presl. cyp. — In faragine cultum. FI. aprili. © 5. L. temulentum, var. d. Bertol. L. robustum Reich. cent. 11. f. 1340. Lolium Matth. comm. Inter segetes. Fl. majo. © 1. Gaudinia fragilis, Palis. — Reich. cent. 11. f. 1367. Avena fragilis Lin. — In pascuis, secus vias, alla Favorita. Fl. majo. © 1. Hordeum leporinum, Link. — H. murinum. Lin.— Per vias, in steri- libus, cultis, ubique, abundans. FI. aprili. © $ 2. H. vulgare, Lin. Copiose colilur in Vesevo. © —. serrulata Anacapri. i Rottboellia incurvata. — gynobasis. | Lolium perenne. — praecox. — arvense. Spica rigida mire ludit modo contracta strictissima, mo- do elata et latior; in illa spiculae sunt bractea 5-nervia obtusa sub- Aegylops ovata. spatacea breviores; in ista lon- Psilurus nardoides. giores. GRAMINACEAE — 105 — $ 1. Secale cereale, Lin. — Host, gram. austr. 3. t. 48. — Blackw. herb. f. 424, Copiose colitur vulgari nomine jermano (italice germano). © Y 1. Triticum aestivum, Lin. — Host, gram. austr. 3. t. 26. — Raro colitur. Fl. aprili. © se 2. T. hybernum, Lin. — T. vulgare, Host, gram. austr. 8. t. 26. f. 8. (vulgo carosella): raro colitur. Fl. aprili. © 3. T. repens, Lin. (Agropyrum) Reich. cent. 11. f. 1384. 1385. Somma alla calata di Vetrana, Canteroni. Fl. junio. % « «var. bd. glaucum. — T. glaucum, Host, gr. a. t. 10? Ca- maldoli della Tome ec. Fl. junio. % 1. Catapodium loliaceum, Link. — Reich. cent. 11. f. 1372. Triticum . loliaceum Sm. Pratis maritimis, Granatello. Fl. martio. © A. Brachypodium sylvaticum, R.S. Bromus sylvaticus, Host, gr. I. t.24. Bromus gracilis W. Brachypodium gracile, Reich. cent. 11. f. 1373. In sylvis montis Somma, Ottajano. Fl. majo. % 2. B. pinnatum, P. B. — Reich. cent. 11. f. 1867-77-78. B. phoeni- coides Link. Bromus pinnatus Lin. — Festuca phoenicoides, Bert. fl. it. excl. pl. syn. — Bromus ramosus Lin. mant. 1. — Sibth. fl. gr. t. 84. — In R. viridario in Portici (Gussone ex ejus herb.). Fl. majo-julio. % 8. B. distachyum, R.S. (genuinum); Bromus distachyos, Host, gr. austr. I. t. 20. Trachynia distachya, Reich. cent. 11. f. 1863. In saxosis et muris frequens. FI. majo. © « «forma, monostashyum. Festuca monostachya, Desf. atl. 1. 6.24. f.2. « «forma, luaurians: caule cespitosissimo in dugentos et de- cem ramulos diviso, in unico specimine a me invento; ramuli 2-5-stachyi e vagina folii superioris longe exserti, spiculis erectis elongato-linearibus 20-38-floris, flosculis attenuatis distycis aristatis, aristis valva longio- ribus. — Valva interna hyalina, viridi marginata ciliata non nervosa ut in specie, sed dimensione subtiliore. Color in specie viridi-glaucus, in hac — tenue. i Secale villosum. Commune. —. multiflorum. | — montanum (Ten. in Syll.). — temulentum. si —. cereale, cultum. Gaudinia fragilis. Triticum aestivum, cultum. Hordeum leporinum Lk. (Hordeum mu- — hybernum, cultum. rinum). Sclerochloa maritima. Hordeum bulbosum (ex Ten, Syll.). — rigida. — vulgare, cultum. Catapodium loliaceum Lk. Atti — Vol. IV.—- N.° 6 i 14 — 106 — viridis. Inveni unicum specimen inter saga coacervata in maritimis. Portici al Granatello. ©. Obs. Non aliud quam lusus, et quidem singularis, mihi est visa, ita ut vix ad varietatem reduxi, quamquam peculiari habitu sese prodat. 1. Bromus mollis, Lin. — Serrafaleus mollis, Parl. fl. it. Host, gr. austr. 1. t. 19. — Reich. cent. 11. f. 1591. e 1592. In herbidis et in pratis artificialibus (farragine dictis) una cum Trifolio incarnato cultus, et in sterilibus ubique. FI. aprili. © 2. B. maximus, Desf. fl. atl. 1. p. 95. t. 2. In herbidis et in sepibus maritimis, rarus. Fl. majo. « «var. b. Gussonii, Parl. fl. it. 1. p. 407. B. maximus var. a. Bert. fl. ital. B. Gussonii, Parl. pl. rar. f. 2. p. 8. B. maximus Reich. (non Desf.) cent. 41. f. 1585. — In farragine cum 7. incarnato legi, et ad sepes, Ottajano. Fl. aprili. © Obs.B.Gussonii Parl, varietas est Bromi maximi Desf., dimensione varians et ramis paniculae plus minus extensis pendulisque, dum in fi- gura B. mazimi Desf. spiculae sunt breviter pedicellatae. 8. B. scaberrimus, Ten. fl. nap. 3. p. 89. t. 105. (sub nom. B. asper- rimi) — Ad agrorum margines ubique. FI. aprili. © 4. B. sterilis, Lin. — Parl. fl. it. — Host, gr. austr. 1. t. 16. — Reich. cent. 11. f. 1585. B. jubatus Ten. — Pasq. FI. vesuv. in op. cit. p. 66.— Ad sepes, Ottajano, Portici ec. FI. aprili. © Obs. Gradationem ad B. maximum facit. 5. B. madritensis, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1584. In muris, et in cultis ubique. Fl. aprili. © 1. Festuca myuros, Lin. — Host, gr. austr. 2. t. 93. Vulpia myuros Reich. cent. 11. f. 1525. Parl. fl. it. Festuca ciliata, Pers. non Lin. — In pascuis, Ottajano sulla strada del Mauro. Fl. aprili. © 2. P. ligustica, Bertol., Savi, cos. bot. p. 53. t. f. 10. Vulpia ligustica Reich. cent. 11. f. 1528. In pratis, Parco della Favorita. © « «var. glabrata—Vulpia pseudomyurus (Festuca, Villm.). Brachypodium loliaceum R. S. (Triticum — sterilis, forma gigantea in sepi- Barrelieri Kunt, F. Barrelieri Ten.). bus, Anacapri. —. pinnatum. — madritensis. —. distachyum. —. tectorum. — ramosum R. S. — rubens. Bromus secalinus. — erectus, in rupibus communis- — mollis. simus. — maximus var. Gussonii, — 107 — Reich. cent. 11. f. 1325. In pascuis, Ottajano sulla strada del Mauro. FI. aprili. © Obs. Praeter cilia, quae desunt in varietate glabrata , haec varietas nihil a typo differt. 93. F. ciliata, DC. fl. fr. non Pers. Vulpia ciliata Reich. cent. 11. f. 1524. In fruticetis et apricis sylvarum copiosa. Ottajano. Fl. aprili. © 4. F. exaltata, Presl. Guss. inar. — Bert. fl. it. — Parl. fl. it. Festuca sylvatica Host, non Vill. F. drymeja Guss. syn. Poa trinervata Ten. fl. nap. 3. p. 74.—In sylvaticis demissis, ft. Parco della Favorita et in syl- vis elatis abundans, Somma, Ottajano. Fl. junio. © Obs. Spiculae in speciminibus nostris Camaldoli della Torre lectis 6-florae (dum 3-5-floris notatGussonius). Rhizomata repentia; hine planta cespitosa, ita ut ad lerram sabulosam montis una cum Sesleria nitida et caterva cryptogamarum firmandam valet. 5. F. ovina, Lin. — Host, gr. austr. 2. t. 84. — In cacumine collis Canteroni sopra l Osservatorio , et in apricis sylvaticis demissis, Mauro. FI. majo. * Excellens pabulum pecoribus. 1. Dactylis hispanica, Roth. Reich. cent. 11. f. 1621. In pascuis ubi- que meridionalibus et septentrionalibus, vulgo Mazzuechella. FI. majo. % 1. Poa bulbosa, Lin., Host, gram. austr. 2. tab. 65. fig. 16. tab. Reich. cent. 11. f. 1620. Poa Pasqualii, Heldr. pl. exicc. (sec. Parlat. fl. it. I. p. 343.) In pratis siccis maritimis tapetem facit, Granatello, Pugliano, Torre del Greco. Fl. martio-aprili. % « « forma prolifera: in herbidis et saxosis. Pugliano, Via del Salvatore, Osservatorio ec. Fl. martio-aprili. % 2. P. annua, Lin. — Host, gr. austr.2.t.64. Reich. cent. 141. f. 1621. — In cultis et in pratis siccis ubique. FI. februario-aprili. © 3. P. trivialis, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1634. — In pascuis, et in herbidis, Somma. FI. aprili. Y 4. P. nemoralis, Lin. Fl. dan. 749. In editioribus sylvaticis umbrosis septentrionalibus, Somma. FI. junio-julio. % 1. Sesleria nitida, Ten. Fl. nap. tav. CII. f. 1. Parl. fl. it. t. III. p. 57. Festuca myuros. Lappago racemosa (ex Ten. Syll.) — ciliata (Vulpia). Dactylis hispanica. — alopecurus B. F. ciliata Ten. fl. Sclerochloa maritima. nap. F. ciliata var. c. minor, Tho- — rigida. mas, pl. exic. ex ins. Caprearum. Sesleria juncea (S. tenuifolia). N LOVIDA: — — forma, înterrupta, S. inter- — esxaltata (F. drymeia). rupta, Vis. fl. dalm. I. p. 87. t. 1. * — 108 — S. coerulea e Bert. fl. it. — Gramen glumis variis, Bonan. Panph. t. 4. In herbidis regionis superioris sylvaticae abundans, Canteroni et Somma, a loco dicto Castello ad cacumen usque. « «forma, spica coerulea: habitat cum typo. Obs.Constantes forma et proportio foliorum hujus speciei sunt, quae perfecte convenire mihi videtur cum S. alba Sibth. Sm. fl. gr. tab. 72. Nescio autem qua ratione CI. Bertolonius cum S. tenuifolia in unam spe- ciem, idest S. coeruleam, hanc eliam adsociet. 1. Sclerochloa maritima, Reich. — Parl. Fl.it. p. 1. 468. Triticum ma- ritimum Lin.— Cyril. pl. rar. neap. fas. 2. p. 2. t. 89.—In maritimis, Torre Annunciata. Fl. majo. © 2. S. rigida, Link. — Reich. cent. 11. f. 1518. Poa rigida Lin. Host, gram. austr. 2. t. 74. — In muris, et hortis ubique. FI. martio. © 1. Eragrostis megastachya, Link. — Reich. cent. 11. f. 1662. In cul- tis ubique. Fl. augusto-septembri. © 1. Briza virens, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1664. B. minor Ten. Guss. et alior. auct. ital. non Lin. —Inter segetes. FI. aprili. © 2. B. maxima, Lin. — Host, gr. austr. 2. t. 30. — Reich. cent. 11. f. 1666. — In pascuis apricis et in herbosis. Fl. aprili. © 1. Cynosurus echinatus, Lin. — Host, gr. austr. 2. t. 85. Reich. cent. 41. f. 1340. — Inter segetes. FI. aprili. © A. Chrysurus Cynosuroides, Pers. — Reich. cent. 41. f. 1515. Cyno- surus aureus Lin. Sibth. fl. gr. t. 49. — Super muris, Portici ec. FI. martio. © 1. Setaria verticillata, Paliss. — Reich. cent. 11. f. 1465. — Panicum verticillatum, Lin. Host, gram. austr. 2. t. 13.—In cultis et hortis prae- . sertim. FI. augusto-actobri. © Obs. Setis obverse denticulato-hispidis, idcirco vestibus adhaeren- tibus. 2. Ss. viridis, Paliss. Reich. cent. 141. f. 1467. Panicum viride Lin. — Host, gr. austr. 2. t. 14.—In cultis herbidis, praesertim in hortis, vulgo Scassaquindici (a S. Giorgio a Cremano). FI. octobri. © f. 1.In rupibus, Scala d’Anacapri. FI. februario-aprili. Eragrostis megastachya. Briza virens. Poa bulbosa. | — maxima. — — var. vivipara. Cynosurus echinatus. — annua. — elegans. — compressa. Chrysurus Cynosuroides. — 109 — 3. S. glauca, Paliss. Reich. cent. 41. f. 1466. Panicum glaucum Lin. Host, gr. 2. t. 17. Gaert. t. I. — In cultis, Torre Annunziata , Pompei. FI. septembri. ©. 4. 8. italica, Paliss. Panicum italicum, Host, gr. austr. IV. t. 14. — Co- litur pro foeno, vulgo Panico. — Sponte inveni per vias sylvae dictae Bosco di Mauro del Principe di Ottajano. FI. julio. © A. Echinochloa Crusgalli, Paliss. — Reich. cent. 11. 1411.—Panicum Crusgalli Lin. — Host, gr. austr. 2.t. 19.—In humidis, rara, S. Anasta- sia, Somma. FI. julio. © A. Digitaria sanguinalis, Scop. — Reich. cent. 11. f. 1107. — Pani- cum sanguinale Host, gr. austr. 2. t. 17. — In cultis ad vias: vulgo piede di pollo. « « forma, filiformis: Digitaria filiformis, Reich. ic. fl. germ. A. Cynodon Dactylon, Pers. Reich. cent. 11. f. 1404. — Host, gr. austr. 2. t. 18. Panicum Dactylon Lin. — Ubique in cultis, in incultis, et ad vias: agrorum pestis, vulgo grammegna. Rhizomata in usu medico pro illis Tritici repentis, quae apud neapolitanos sunt nullius usus, nec non ad pabulum jumentorum per totum annum late inservit. 1. Alopecurus utriculatus, Pers. Phalaris utriculata, Lin. Host, gr. 111, t. 7. Tozzettia utriculata, Savi. Fl. majo. © 1. Phleum Michelii, All. Schrad. t. 1. f. 2. Phalaris alpina Haenk. in Jacq. — Host, gr. 2. t. 35. Ph. ambiguum, Ten. — Pasqual. FI. ves. in op. cit.—In pascuis elatis apricis, Canteroni sopra l'Osservatorio, Somma alla scesa di Vetrana. Fl. junio. © Obs. Phleo ambiguo maxime accedit, nisi cum eodem convenit. A. Lagurus ovatus, Lin. — Host, gr. austr. 2. t. 46. Reich. cent. 11. f. 1415. — In viis et insiccis super lavis commune. Fl. majo. © A. Piptatherum multiflorum, Palis. Milium multiflorum, Cav. Ten. Pasq. FI. ves. in op. cit. Reich. cent.11.f.1459. — Host, gr. austr. 3. t. 45. — In sepibus, fruticetis. Fl. majo, septembri. 5 1. Calamagrostis Epigejos, Roth. Reich. cent. 141. f. 1453. Arundo Epi- Setaria verticillata. Phalaris canariensis, inter segetes. — viridis. Phleum ambiguum Ten. — glauca. Lagurus ovatus. Digitaria sanguinalis. Gastridium lendigerum Gaud. (G. australe Cynodon Dactylon: vulgo grammegna. PNB6)E Alopecurus utriculatus, Stipa tortilis: communissima. Chilochloa Boemeri P. B. Piptaterum multiflorum. — 110 — gejos, Lin. —Pasq. FI. ves. — Schrad. fl. germ. 1. p. 214. t. 4. f. 1.— In editioribus apricis, Osservatorio, Somma. FI. junio. % > 1. Ampelodesmos tenax, Link.— Reich. cent. 17. f. 501.— Arundo Ampelodesmos, Cyr. pl. rar. neap. fase. 2. p. 80. t. 12. — In sylvaticis R. Parco della Favorita, tantum, nec alibi inveni. % 1. Arundo Donax, Lin. — In culturis ad agrorum margines communis, aptissima ad terram sustinendam et ad plures alios usus adhibita, vulgo Canna. FI. septembri. d 2. A. collina, Ten. A. Pliniana Turr. Reich. cent. 11. f. 1732. A. mau- ritanica Desf. Ad sepes, colles ec. Canteroni, Monticello presso Torre del Greco ec. Fl. augusto septembri. d 1. Melica uniflora, Lin. — Host, gr. 11. t. 16. FI. dan. 1143.—In con- vallibus umbrosis sylvarum, Mosso dì Vetrana (olim). FI. majo. % 2. M. ciliata, Lin. — Host, gr. 11.t.12.— Granatello (olim), Portici ec. 1. Koeleria phleoides, Pers. Festuca cristala, Lin. Bert. fl. it. Festuca phleoides, Host, gr. austr. 3. t. 21. — Desf. fl. atl. T. p. 93. t. 23. Lo- phochloa phleoides Reich. — Per vias et in herbidis communissima. © « « forma, minima, in pratis aridis. I. Trisetum neglectum, R. S. Reich. cent. 11. f. 1687. Avena neglecta, Savi fl. pis. I. p. 132. t. 4. A. panicea Lam. In herbidis, per la via del- l Osservatorio alla Cappella di S. Vito. Fl. majo. © x 1. Ebrharta panicea, Sm. Panicum deflexum, Guss. Ten. in pascuis R. Viridarii in Portici. Fl. quasi per totum annum. % d Obs. In herbario Gussoniano schaedula exstat sic scripta: R. Parco di Portici al Pasconcello ubi sponte 1838. — Hodie vere ibidem copiose observatur, nec alibi in Vesevo. 1. Avena fatua, L. — Reich. ic. cent. 14. f. 1712. Avena atherantha, Presl. — In sterilibus, super muris, ubique. Fl. majo. © 2. A. sterilis, Lin. — Reich. cent. 41. f. 1711. — Host, gram. austr. 2. t. 57. — In cultis. FI. aprili. © 3 3. A. sativa, Lin. Colitur. © 1. Aira capillaris, Host, gr. austr. 4. p. 20. t. 85. Reich. cent. 11. Agrostis vulgaris. | hirsutissima, nobis, Fl. di Capri in Arundo Donax. Î op. cit. Melica ciliata, Anacapri. Avena atherantha Presl. —_ coerulea (Gussone et Casale). — fatua. Koeleria phleoides. — macilenta. — —. var. hirsutissima; minima — saliva, colitur. — 111 — f. 1677. Guss. En. inar. 889. t. XX. f. 1. a. et d. A. Caryophyllaea, var. capillaris. Vis. dalm., rarior quam sequens. — In apricis cultis et in- cultis. FI. aprili. Legi etiam 2 die julii hujus elapsae aestatis (1868) den- sis imbribus exagitatae, in cacumine m. Somma. © « «forma rubicunda; pedunculis a partitione paniculae ru- bris, Alla cima de’ Canteroni. 2. A. Cupaniana, Guss. Syn. et En. inar. p. 390. t. XX. f. 3. Nascitur ubique in aridis cultis et incultis et super lavis, copiosissima in omni regione vesuviana. Fl. aprili. © Obs. Species haec aegre distinguitur propter inconstantiam scabri- tiei carinae, et aristarum, una vel duae: ceterum confer Bertolonii fl. it. X. p. 456. Nihilominus ut species aut distineta varietas praecedentis habenda est propter constantem brevitatem pedunculorum, paniculam- que contractam. « «forma, corsica. — A. corsica Jord. — Guss. l. cit. t. cit. 3. A. caryophyllaea, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1676. — Host, gram. austr. 2. t. 44. A. canescens Host, gr. 4. t. 36. In fruticetis et sylvaticis apricis. FI. majo. © 1. Corynephorus articulatus, Paliss.—Desf. atl. I. p. 70. t. 13. In sa- bulosis, demissis et elatis, tam meridionalibus quam septentrionalibus, Torre del Greco, via dell’ Osservatorio, Salvatore, Somma ec. © Obs. Arista articulata, inferius castanea, ita ut bicolor evadat. 1. Anthoxanthum odoratum, Lin. — FI. dan. 666. Host, I. t. 5. — In herbidis et sylvarum marginibus, Osservatorio, et alibi. — Radices odo- ratae pro foeno inserviuut. Fl. martio. © 1. Holcus lanatus, Lin. — Host, gr. austr. 1. t. 2. — Reich. cent. 11. f. 1718. ad 1720. In herbidis frequens. FI. aprili. © Obs. Quandoque radices fragrantes odore Anthoxanthi odorali. 1. Sorghum halepense, Pers. — Holcus halepensis Lin. — Sibth. Sm. fl.gr.I.t.68. Host, gram. austr. I. p. 1. t.1.— Reich. cent. 11. f. 1503. v. gramignone. — In vineis. FI. junio. % 1. Imperata arundinacea, Cyr. pl. rar. fasc. 2. p. t. 11. — I. cylindrica Reich. cent. 11. f. 1504. Abundans. In arenosis cultis et incultis: ad ter- Anthoxanthum odoratum. Corynephorus articulatus Paliss. Aira capillaris, cacumine Solari. Holcus lanatus, Avena mollis, Pasq. FI. di Obs. Airae in insula Caprearum non Capri in op. cit. sunt copiosae, ut in Vesevo. Sorghum halepense. 18} ram arenosam firmandam aptissima. Tironi, Ottajano, Mauro nel Bosco del Principe ec. Fl. aestate. X. 1. Saccharum Ravennae, Lin. — Host, gram. austr. IMI. p. 1. t. 1. Erian- thus Ravennae, Presl. Reich. cent. 11. f. 1505. — In arenosis, Mauro nel Bosco del Principe d’ Ottajano. FI. augusto-septembri. % A. Andropogon hirtus, Lin. — Reich. cent. 11. f. 1498. — In saxosis tam demissis quam elatis copiosus. Fl. totum annum. % « « var.pubescens.—A. pubescens, Vis. pl. rar., et fl. Dalm.I. p. 51. t. 2. f.2.Reich. cent.11. f. 1499. A. hirtum var. b. Ten. fl. nap.— Venit cum typo et simul floret. Hoc anno hanc varietatem non vidi. 1. Zea mais, Lin. Colitur, vulgo granodindia. © INR ACOTYLEDONES Vasculares. OPHIOGLOSSEAE 1. Ophioglossum lusitanicum, Lin. — Lam. ill. t. 864. f. 3. — In pratis apricis maritimis, Granatello di Portici, nec alibi. Fructificat a novem- bri per hiemem. % Obs. In collibus calcareis insulae Caprearum (m. 617. alt.) et Mad- daloni prata constituit. LYCOPODIACEAE 1. Lycopodium denticulatum, Lin. — Dill. musc. t. 66. f. 1. A. — Se- laginella denticulata, Spring. in Koch sub S. helvetica. Ad rupes musco- Andropogon hirtus, copiosus, vulgo fe- LYCOPODIACEAE naime (fieno selvaggio). — —. pubescens Vis. rarus. Lycopodium denticulatum , copiosum Scolopendrium officinarum Sw., prope OPHIOGLOSSEAE Caprearum civitatem. — Hemionitis Sw. a Matromania Ophioglossum lusitanicum Lin. (cl. Heldreich). In pratis editioribus Solari abundat. — 113 — sas, agrorum margines, in herbidis, Via del Salvatore ai Tironi, Camal- doli, ec. : communissima. Fruct. a novembri in hiemem. % POLYPODIACEAE A. Cystopteris fragilis, Guss. Polypodium fragile L. Aspidium fragile W. Cyathea fragilis, FI. dan. t. 401. Ad rupem unicam humentem facie septentrionali inveni, in cacumine m. Somma al Ciglione (prope alla P. del Nasone) nec alibi: rarissima ergo in Vesevo. % Obs. Una cum Betula alba, Pyro Aria et Coscinodonte pulvinato extremam vegetationem superiorem Vesevi antiquioris designat. 1. Aspidium aculeatum, Sw. —A. hastulatum, Ten. fl. nap. 5. p. 146. t. 4. f. 7. Hook. Sp. fil. IV. 120. — Ad sepes, sylvarum margines, et in convallibus frequentissima, Camaldoli, Canteroni, Somma ec. 4 2. A. pallidum, Bory.A.rigidum d. australe Ten.att. ist. incorag. v. 5. p. 244. t. 2. f. 4. B.— Nephrodium rigidum var. pallidum, Hook. Sp. fil. IV. 12. rarissimum in regione Vesuviana: semel inveni super lavis, presso la Cappella di S. Vito, et in valleculis umbrosis (ubi formam giganteam assumit) m. Somma a S. Anastasia, ideo rarissimum. % Obs. In insula Caprearum, ut etiam in calcareis Stabiarum et Sur- renti, communissima et copiosa. 4. Adiantum Capillus Veneris, Lin. — In cryptis, et accliviis secus vias. 1. Cheilanthes odora, Sw. — C. suaveolens W. — Desf. fl. atl. t.257. — In plaga meridionali Vesevi ad macerias et in rupestribus. Strada vecchia del Salvatore, S. Vito, Tironi, et abundantius al Vallone de’ Tironcelli di Torre del Greco. Fruct. januario-majo. 1. Asplenium Adianthum nigrum, Lin. — Blackw. herb. t. 220. — Ad ru- pes et macerias in umbrosis commune nec non in Sylvis. % a « var. ce. acutum, Ten. fl. nap. Asplenium Virgili, Bory. 2. À. Trichomanes, Lin. — Bull. herb. t. 185. —In saxosis, maceriis, lavis, in demissis. Fruct. octobri-aprili. % POLYPODIACEAE Asplenium Trichomanes. Pteris aquilina. Aspidium pallidum, ubique in maceriis, Polypodium vulgare. Adiantum Capillus Veneris, v. Capilli- — Phoegopteris (Gus. Casale, non mordi. ego). Asplenium Adianthum nigrum, Lin. Grammilis leptophylla. — —. var. c. acutum, Ten. Ceterach officinarum. Atti—Vol. IV. —N.° 6 15 — 114 — 1. Pteris aquilina, Lin. Vulgo Felece. In septentrionalibus abundantior quam in meridionalibus, Somma, Monticello a Torre del Greco ec. % 1. Polypodium vulgare, Lin. — Bull. herb. t.191.—In maceriis apricis frequentissimum. % 1. Grammitis leptophylla, Sw. — Gaspar. Osservo. sulla Grammitis cum tab. Ad aggeres viarum et agrorum umbrosos, nec non in cryptis com- munis. Fruct. aprili. © 4. Ceterach officinarum, DC. fl. fr. Grammitis Ceterach, Barrel. ic. 603, 604, 143, 144, 1051, 1052. In saxosis et maceriis vinearum frequentis- sima ad saxa adhaerens. FI. januario-martio. % Cellulares. MUSCI Sect. I. Musci acrocarpi. 1. Phascum rectum, Sm.— Sch. syn.— Br. Sch. Bryol. eur. v. I. t. 6. Ad terram in apricis, una cum Bryo argenteo, Tironcelli di Torre del Gre- co, et abundantius al Granatello, prope Porticuum Villam. — Mat. fr. mar- tio-aprili. — Micat propter nitorem capsulae rubrae. 2. P. bryoides, Dycks. PI. crypt. — P. gymnostomoides , Brid. Bryol. un. — Br. Sch. br. eur. v. I. tab. 6. In campis et aggeribus nec non in pratis siccis apricis, al Granatello, et alibi in prov. neapolitana (mon. cl. Cesati). A longe dignoscitur propter colorem rubrum. ‘4. Pleuridium subulatum, Sch. syn.—Br. Sch. bryol. eur. vol. I. tab. 9. Phascum subulatum Lin. — Pasq. comm. bryol. neap. în Rendie. I. Ac. sc. nap. 1850 in appendice, p. 2. — Ad terram in apricis, ai Tironcelli. MUSCI | dent, nihilominus rarius fructifi- cant. Acrocarpi. Weisia viridula Dilll — Brid. — Bryol. Que: Lo Lo 22Ile A me usque adhuc observati in insula Dicranum Schreberianum, Hook. et Tayl. Caprearum, ubi, quamquam abun- Dicranella Grevilleana Sch. Cor. — — 115 — (sporadica), R. Parco di Portici all’ oliveto (instar pulvinuli). Mat. fr. mar- tio-aprili. Obs. Inveni etiam prope Puteolos, nella Solfatara die 10 martii, comile et duce cl. Cesati. 1. Gymnostomum microstomum, Hedw. — Br. Sch. Bryol. eur. v. I. t. 16. Ad aggeres viarum. Fr. mat. vere. Hanc speciem pro certo adhuc non habeo. 1. Weisia viridula, Dill. — Brid. Bryol. univ. — Br. Sch. Bryol. eur. v. I. t. 24. W. controversa, Erbar. critt. ital. n. 962. — W. controver- sae var. secundum plures auctores: communissima et copiosa ad aggeres viarum, Torre del Greco ce. Fr. februario. 2. W. pusilla, Hedw.—Seligeria pusilla, Br. Sch. Br. eur. Il. t.110.— Ad saxa, aggeres, terram omnis Vesevi. Fruct. mat. martio. A. Fissidens bryoides, Hedw., Musc. frond. —Sch. syn.— Br. Sch. V. tab. 101. — Ad terram et saxa in umbrosis, in regione vesuviana rarus, dum copiosus circa Neapolim. Fr. dicembri. % 2. FP. taxifolius, Hedw. — Pasq. Bryol. neap.— Bryol. eur. I. tab. 104. In sylvaticis umbrosis ad terram, Canteroni, Somma. Nondum vidi in fructu. 3. F. decipiens, Dnts.?— Ad saxa e lavis a $. Vito, semper sterilem vidi. « «var. ezilis, Fissidens exilis, Hedw. Sch. syn.— Br. Sch., Br. eur. — Ad lerram nudam prope Neapolim et Vesevum, praecipue ad tophum vulcanicum, neò R. Parchi di Portici: matur. fr. martio; aliunde in Vesevo rarus. Obs. Typus a longe distinguitur splendore sericeo: formam exi- guam vel quasi imperceptibilem assumit, quae prope Neapolim ad tho- phum, in Valle S. Rocco presso le cave di tufo, observari polest. « « forma terrestris (nob.), ad terram, minus nitida, It. Parco di Portici. 1. Dicranum varium, Hedw. Dicranella varia, Br. Sch. Br. eur. I. t.57, 58. Ad aggeres agrorum, Torre del Greco ec. Fr. mat. februario. 1. Trichostomum anomalum, Schp. Br. eur. II. t. 169. Tortula cirrhata, Pasq. non Arn. quoad loca, Comm. br. neap. in fend. ac. se. 1850 in ap- pendice.—Ad aggeres agrorum secus vias, Torre del Greco, Ercolano ec. Fr. martio. Erb.cr.it.n.1111.Adaggeresagro- | — bericum Dnts.? Com. critt. JI. rum, Anacapri, mat. fruct. martio. | 100. Erb. critt. ser. 2. n. 58. Ad Trichostomum anomalum. Ì lerram. — 116 — Obs. Dentes sunt articulati (conf. Bryol. europ. I. cit.). 1. Tortula aloides, Dnts. m. it. Barbula aloides. Br. Sch. Bryol. eur. Il. t. 139. Super muris. Obs.Haec species a T. rigida Wils. et Barbula ambigua Br. Sch. haud facile distinguitur. In muris. © 2. T. ambigua, Wils. — Dnts. m.it.16. t.11. (non convenit.) — Br. Sch. Bryol. eur. II. t. 139. — Habitat in locis denudatis, saxosis, Granatello. Fr. mat. martio. 8. T. cuneifolia, Hook. et Grev.— Dnts. m. it. 28. tab. X. Barbula cu- neifolia, Br. Sch. Bryol. v. II. t. 156. Ad arborum truncos et ad terram. 8. T. canescens, Montag. — Dnts. m. it. p. 80. tab. 14. Barbula cane- scens Br. Sch. Bryol. eur. II. t. 158. Ad saxa, Torre del Greco. Martio. 4. T. muralis, Hedw.—Dnts. m. it. p. 81. t. XIT. Barbula muralis Br. Schmp. Bryol. eur. II. t.159.— Super muris copiosissima, et super saxis. « «var. d. mutica, Fior. br. rom. p. 40. foliis inferioribus apiculatis, superioribus pilo brevi. Pasq. Comm. br. neap. 3. — Barbula aestiva Web. — B. mutica Brid. — Obvia ad terram, muros, saxa. Obs. Hane varietatem legi etiam prope Neapolim (a Capodimonte, s. Rocco), ad terram et ad muros : insignis ob brevitatem pili, oculo nudo quasi impercepti, typi notam bene servat in margine pellucido et inte- gerrimo; color est viridior quam in T. murali vera (Pasq. Br. neap. I. cit.). 5. T. marginata, Wils. —Dnts. op. cit.— Barbula marginata Br. Sch. Bryol. eur. t. 158. — Ad muros campestres et in terra sabuloso-vulca- nica. Fr. martio-aprili. 6. T. ruralis, Sch. — Dnts. op. cit. t. XIV. Barbula ruralis Hedw. — Bryol. eur. II. t. 166. super saxis in maceriis, ai Cappuccini di Torre del Greco (rara). 7. T. laevipilaeformis, Dnts. T. ruralis var. laevipila, Fior. —Pasq. Br. neap. p. 9. « «var. brevicaulis.—Ad arborum truncos, et ad saxa Por- tici Parco nel Regio, e Torre del Greco. Fr. januario (rara). 8. T. unguiculata, Brid. — Dnts. m. it. p. 49. t. — Barbula unguicu- lata Hedw. — Bryol. eur. II. t. 142, 123. 9. T. convoluta, Sw. — Dnts. m. it. 53. t. XXV. — Barbula convoluta Tortula aloides. | pulvinulos faciens. — muralis. | —_ laevipila Schwgr., cum praec. — marginata. | — unguiculata. — ruralis, copiosa in rupestribus | — revoluta. — 117 — Hedw. — Bryol. eur. II. 154. t. -- Ad terram copiosa praesertim in pra- tis et in arenosis. Fr. mat. d.. 10. T. revoluta, Brid.— Dnts. op. cit. p. 54. t. 26. — Barbula revoluta Schw. -— Bryol. eur. II. t. 153. 14. T. fallax, Sw. — Dots. m. it. 58. t. 29. 12. T. squarrosa, Dnts. m. it. 62. t. XXX. Barbula squarrosa, Br.®tur. II. t. 152. Late diffusa prope Neapolim, ai Ponti Rossi; minus in regione Vesevi, ubi venit abunde in quibusdam locis saxosis — Sopra Pugliano, semper sterilis. 13. T. vinealis, Wils. — Dnts. T. fallax vinealis Dnts. Syll. n. 288. Barbula vinealis Br. eur. IT. 24. t. X. Late copioseque diffusa in regione superiore et septentrionali Vesevi. Mat. fr. hieme. A. Grimmia pulvinata, Sm. — Br. Schimp. br. eur. II. t. 299. — Pasq. Br. neap. Fissidens pulvinatus Hedw. — Bryum pulvinatum Lin. — Ad saxa in maceriis, super lavis antiquioribus in demissis et editioribus, praecipue in apricis plagae meridionalis. Fr. febr. maturat fr. aprili. % « «var. d. minor capsula minori: cum typo legi in maceriis, tra Mauro e Pompei. Mense martii. « «var. c. obtusa. — var. B. Schimp. Syn. Capsula in pedi- cello breviore ovato-globosa. Cum typo. var. y. longipila. Pilo duplo longiores lamina. 2. G. leucophaea, Grev. — Br. Schimp. Br. eur. HI. t. 257. -- Rarior praecedenti. Ad saxa in apricis, Torre del Greco. Mat. fr. martio. 8. G. tergestina, Tommasini. — Br. Sch. Br. eur. II. t. 258. — Ad ru- pes trappicas meridiem prospicientes m. Somma, invenit primum cl. Ce- sati, die 14. aprilis 1868. Obs. Refert sequentem Coscinodonem pulvinatum. 1. Coscinodon pulvinatus, Spreng.— Br. Schimp. Br. eur. t. 230. Grim- mia cribrosa Hedw.—Habitat in latis et densis pulvinulis ad nudam ru- pem extremo cacumine antiquioris Vesevi (al Ciglione presso la punta del Nasone). Fructificat in aestale: inveni in fructu maturo 2 die mensis ju- lii pluviosissimae aestatis hujus anni 1868. Obs. Dubito quin differat a Grimmia tergestina, quod dentes hujus speciei pariter sint cribrosi et habitus illi persimiles. — squarrosa. i Funaria hygrometrica. Grimmia pulvinata (Solaro). | — calcarea. — tricophylla Grev. In saxis, Solaro. | | Enthostodon curvisetus, Br. Sch., Bryol. Ortotrichum diaphanum. eur, I. t.301. Gymnostomum cur- — 118 — 4. Zygodon viridissimus, Brid. — Br. Schimp. Br. eur. III. t. 206. — Ad truncos ilicum, lì. Parco di Portici, et quercuum, al bosco di Mauro per semitam quae conducit ad summitatem montis. Fruct. mat. aprili. Obs. Z. Forsteri Wils., Br. Schimp. Br. eur. t. II. t. 207, nondum in Vesevo inveni; legi ad truncos în valle de’ Ponti Rossi a s. Rocco; fr. mat? mense feb. Costae capsulae sunt pulchre aurantiacae. 1. Orthotrichum diaphanum, Schrad. — Br. Schimp. Br. eur. t. II. t. 219. Pasq. Com. br. neap.— Ad trencos quercuum, Mauro, ubi maturat fructus aprili: in meo cit. op. dico, legi abunde in ea H. Botanici Nea- politani parte, quae arboribus consita. Capsula, ineunte hieme, mature- scit et perdural per totum annum. 2. 0. urnigerum, Schimp.— Br. Schimp. Bryol. eur. III. t. 17. Ad ar- borum truncos rarus. Mat. fr. aprili. 1. Encalypta vulgaris, Hedw. -— Br. Schimp. Br. eur. III. t. 199. Ra- rissima in Vesevo et rara in aliis locis in provincia neapolitana, com- munis in calcareis prope Stabias. | 2. E. streptocarpa, Hedw. — Br. Schimp. rarissima nascitur ad rupem per viam novam Observatorii, @ S. Vito, ubi nondum vidi fructificatam; ita ut dubito ne sit var. elongata praecedentis. 1. Physcomitrium pyriforme, Br. Sch. Bryol. eur. III. t. 299. Gymno- stomum pyriforme Hedw. Bryum pyriforme Lin. — Inter segeles in oli- vetis, I°. Parco di Portici, etiam prope Casertam nel R. Parco. Mat. fr. aprili. A. Funaria hygrometrica, Hedw. — Br. Schimp. Br. eur. II. t. 305. Late diffusa per omnem Vesevum, imprimis stratum efformat solo sabu- loso vulcanico cum Bryo coespiticio. Fruct. mat. primo vere. 2. F. calcarea, F. Mihlenbergii Schraegr. — Br. Schimp. Br. eur. III. t. 303. F. hygrometrica var. sec. Drummond et Fiorini (Br. rom. p. 33.) Pasq. Comm. bryol. neap. în Rendie. Acc. Sc. nap. 1850. in appendice. Latissime diffusa in omni Vesevo, praesertim in apricis valleculis meri- dionalibus, Torre del Greco et Ottajano. Mat. fruct. primo vere. 1. Webera carnea, Schimp. — Bryol. eur. IV. t. 353. Bryum carneum, Linn. Rarissima in valleculis m. Somma, frequentior prope Neapolim in Valle S. Rocco, ad rupes lapillosas. Mat. fr. primo vere. visetum Schw. — Fr. mat. februa- | relata et Physcomitrio pyriformi. . « 5 | . . rio. Inveni hune muscum in muro Et simul cum Funaria calcarea prope januam Civitatis Caprearum inveni constanter in calcareis prope simul cum Funuria calcarea huc Stabias in Gragnano alla valle dei — 119 — 1. Bryum torquescens, Br. Schimp. Br. eur. IV. t. 358. Communis et abundans in apricis Vesevi prope Somma, Ottajano, Tironi. 2. B. atropurpureum, Web. — Bryol. eur. IV. t. 878. — Dnts. Syll. B. erythrocarpum Brid. — Ad terram in apricis et in muris ex topho. Mat. fr. primo vere. 3. B. caespiticium, Linn. — Bryol. eur. IV. t. 374, 375. Abundans in terra et in saxosis ubique praesertim plagae meridionalis, ubi dense et late tapetem efformat. 4. B. argenteum, Linn. — Bryol. eur. IV. t.384. — Abundans in quibus- dam locis praecipue ad terram nudam in viis. Fruct. primo vere. 5. B. julaceum, Sm. non Schrad. — Anobryum julaceum, Br. Schimp. Br. eur. t. IV. t. 382. — Ad saxa e lavis provenientia, in maceriis non multo diffusus. Fruct. primo vere. 6. B. capillare, Lin. — Bryol. eur. IV. t. 368. Ad terram sylvaticam, Portici, Canteroni, Somma ec. Fruct. mat. majo. A. Mnium punctatum, Linn. Hedw. — Bryol. eur. t. V. t. 3987. — Pasq. Comm. br. neap. — In valleculis sylvarum septentrionalium ad terram, rarum, in uno loco vidi prope Ottajano a Campitello , sine fructu. A. Bartramia stricta, Brid. — Bryol. eur. IV. t. 3916. — Pasq. Comm. br. neap. in op. cit. — Abundans super lavis et in maceriis per totam plagam meridionalem Vesevi, locis apricis praesertim, per vias, S. Vito, Torre del Greco, ec. rara in plaga septentrionali m. Somma. Fruct. a febr. et mat. aprili. In ins. Inarimes humidis grandiorem formam assumit. 1. Philonotis marchica, Bryol. eur. IV. t. 323. In plaga septentrionali in editiore parte, ubi raro fructificat. Una vice in fructu vidi ad saxum stillantem in hac pluvia aestate (2. julii). « «var. pumila (nobis), Ph. fontana, var. pumila, in pag. 5. hujus operis. Dioica, pumila. Caules humillimi decumbentes, ad terram plus minus adhaerentes, semipollicares, pollicares, minime erecti (aspectu hypni). Proxima Philonotidi rigidae, sed ab ea differt, quia haec monoica est. Nascitur ad acclivia vallecularum, et ad aggeres viarum cavos, in plaga septentrionali, numquam in meridionali (conf. pag. 5. hujus ope- ris), in sylvaticis tam demissis quam elatis, Ottajano a Campitello, et in parte superiori m. Somma. Fr. mat. a majo in aestatem. Obs. In insula Inarime jucundior fructifera et grandior extat. mulini, et in Calabr.U.I. prope Si- | Physcomitrium, pyriforme, ad murum pro- dernum: numquam in vulcanicis Ve- | pe januam civitatis Caprearum si- sevi nec prope Neapolim. mul cum praecedente. — 120 — 1. Anacalypta Starkeana, Nees, et Hornsch.—Bryol. eur. II. p. 3. tab. T. Pottia Starkeana C. Miill. Syn.—Weissia affinis Hook. Tayl. m. br. — Inveni in apricis arenoso-saxosis, simul una cum Phasco recto, Gra- natello prope Villam Porticuum. Mat. fr. martio. Obs. Diu ambegi utrum ad Weissiam an Seligeriam pertineat; sed tabula citata ex immortali opere Bruchii et Schimperi me cerliorem faciunt ad hane speciem Anacalyptae referri; nam dentes 16 obtusi gros- se articulati ad apicem integri, in linea divisurali parum cribrosa. In nostris speciminibus dentes candidi, quandoque linea divisurali sub dia- fano-cribrosa. A. Pogonatum aloides, P. Beauv. — Bryol. eur. IV. t. 416. — Habitat cum sequenti varietate. « « var.cyathiforme (nob.) Polytrichum aloides Web. var. cya- thiforme, Pasq. Comm. bryol. neap. in op. cit. p. 6. In sylvaticis septen- trionalibus m. Somma a media altitudine insuper abundans. Fruct. mat. novembri. An Pogonatum nanum, Bryol. eur. IV. 1. 415.? Obs. « Varietas haec distinguitur ex urna breviori quam in Polytri- cho aloide (v. Hook. Tail. tab. XI.) lata aeque ac longa, non cylindracea oblonga, neque in parte superiore subconstricla, sed exquisite obconica; oris, quod est latius, margine subrevoluto albido. Venit frequentissima et gregatim in Ult. Calabria, perbelle exornans margines agrorum et la- tera viarum prope Anojas » (in Calabria U. 1.), Pasq. Com. bryol. neap. in op. l. citato. Sectio IL. Musci Pleurocarpi. 1. Cryphaea heteromalla, Mohr. — Br. Schimp. Bryol. eur. V. t. 438. Neckera heteromalla, Hedw. Daltonia heteromalla, Hook et Tayl. — Pasq. Com. br. neap. cit.—Ad truncos arborum praesertim ulmos in m. Som- ma, sed rarior quam prope Neapolim a S. Rocco, ubi abundat. Matur. fr. aprili. A. Leptodon Smithii, Mohr. — Br. Schimp. Bryol. eur. V. t. 499. Lasia Smithii, Brid. — Copiose venit ad truncos ilicis, R. Parchi di Portici e Barra. — Matur. fr. aprili. Bryum atropurpureum. Pterogonium repens Brid., late diffusum — caespiticium. per totam insulam ad rupes, mu- —. argenteum. ros, planitiem cacuminis m. Solari: —. julaceum. quasi semper sterilem vidi. Cryphaea heteromalla. Leskea sericea, copiosa. 1. Leucodon sciuroides, Schwaegr. —Ad truncos, ft. Parchi: prope Nea- polim a S. Rocco. Fruct. mat. in autumno. 1. Fabronia pusilla, Raddi. — Bryol. eur. V. t. 450.—In nemoribus ar- tificialibus ad usum anglorum, ad truncos ilicum copiosus, It. Parco di Portici, etiam prope Casertam nel R. Parco (duce cl. Cesati). Fr. martio. 1. Habrodon Notarisii, Schimp.—Syn. p. 505. Pterogonium perpusil- lum Dnts.—Ad truncos, Camaldoli ec. Venit etiam et abundantius prope Neapolim, alla Valle di S. Rocco (monente cl. Cesati). 1. Pterogonium gracile, Sw. — Bryol. eur. V. t. 461. Pterigynandrum gracile Hedw. —Ad arborum truncos, ad terram, in sylvis, Mauro, RR. Par- chi di Portici, e Favorita. 1. Pterigynandrum filiforme, Hedw. — Bryol. eur. V. t. 460. — Ad trun- cos ilicum, R. Parco di Portici. Fruct. raro. 1. Leskea (Homalothecium) sericea, Hedw. — Br. Schimp., Bryol. eur.V. t. 456. — Nascitur copiose ad truncos, et ad saxa, Mauro, Somma, ec. Fr. mat. autumno. 1. Hypnum (Brachythecium) velutinum, Dill. Lin. — Br. Schimp. VI. t. 588. — Habitat ad saxa lophacea vulcanica et ad truncos, R. Par- chi. Fruct. mat. hieme. 2. H. (Brachythecium) rutabulum, Lins — Br. Sch. Bryol. eur. VI. 543. — Ad terram umbrosam, in sylvaticis, R. Parchi, ec. Mat. fruct. hieme et primo vere. 3. H. (Scleropodium) illecebrum, Schwaegr. — A cur ta (095.siin fruticetis et sylvis caeduis ad terram, Via dell’ Osse@®vatorio, R. Parco di Portici. Mat. fr. hieme. 4. H. (Eurhynchium) circinnatum, Brid. —Bryol. eur. V. t. 521. — Co- piose in ambulacris umbrosis viridariorum, R. Parco di Portici, e della Favorita. Raro fructificat. Legi fructificatum in R. Parco dì Caserta, ad terram secus ambulacra umbrosa sub ilices. 5. H. (Eurhynchium) striatum, Schreb. — Byrol. eur. V. t. 525. In syl- vis communissimum et abundans, Canteroni, Somma. Fruet. mat. au- tumno et primo vere. 6. H. (Eurhynchium) Stockesii, Turn. — Bryol. eur. t. 526. — Ad ter- ram in sylvaticis, Somma, R. Parchi. Hypnum velutinum. | H. cupressiforme — rutabulum. | —° purum, in fruticetis, alle mac- —. illecebrum. chie. Atti—Vol. IV. —N.° 6 16 — 122 — 7. H. (Rhynchostegium) tenellum, Dicks.—Bryol. eur. V. t. 508. — Ha- bitat ad saxa in umbrosis, R. Parchi di Portici. Mat. fr. hieme. 8. H. (Rhynchostegium) confertum, Dicks. — Bryol. eur. V. t. 510. — Ad terram in Viridariis instar anglorum parchi dictis, tapetem densum faciens, în R. Parco di Portici, sub umbra ilicum. Fruct. maturat hyeme et primo vere. 9. H. (Thamnium) alopecurum, Lin. — Bryol. eur. V. t. 518. In valle- culis septentrionalibus m. Somma rarissimus. Frequentior prope Neapo- lim in profunda Valle S. Rocco. 10. H. cupressiforme, Lin. —Bryol. eur. V. 594. — Habitat ad trunco- rum basim; abundantissimum in sylvaticis omnis regionis Vesevi. Fruct. mat. primo vere. 11. H. molluscum, Hedw. — Bryol. eur. VI. t. 598.—Ad terram tapetem densum faciens: raro fructificat, imo nondum vidi fructificare in omni regione vesuviana, R. Parco di Portici, Boschi di Somma. 12. H. purum, Linn. — Bryol. eur. VI. t. 621. — R. Parco di Portici, m. Somma ec. In Vesevo nondum vidi fructiferum. HEPATICAE 4. Jungermannia compacta, Roth. —Eckart, Syn. jung. p. 28. t.2.f.11. et t. 10. fig. 80. — Bert. fl. it. —J. resupinata, Hook. et Tayl. m. brit. Dnts. prim. Scapania compacta Lindg. — Copiosissime provenit in edi- tiori ac septentrionali plaga m. Somma, terram sabuloso-vulcanicam tegens (conf. quod dixi in pag. ©. hujus operis) nec non firmans. Fr. mat. februario. 2. J. bidentata, Lin. — Mart. cr. cl. 140. t. 111. f. 13. — Mich. n. g. t. 5. f. 12. an. J. graveolens Schrad. mart. op. c. p. 139. t. 3. f. 11. — Vidi adhaerentem ad acclivia in Herculano. Fr. aprili. 8. J. complanata, Lin. — Eckart, Syn. p. 35. t. 4. fig. 91. — J. foliis circinatis, auritis, imbricatim dispositis ex viridi flavescentibus Mich. n. g. t. 5. f. 21. Ad truncos arborum, Boschi del m. Somma, nei R. Parchi di Portici e Favorita. Fr. tot. annum. 4. J. trichomanes, Dicks. — FI. dan. t. 1896. f. 2. — J. terrestris re- HEPATICAE J. platyphylla. Anthoceros punctatus. Jungermannia complanata. —_ laevis. pens, ete. Mich. n. pl. g. p. 8. t. 5. f. 14. In sylvis ad terram musco- sam et viridariis, It. Parco di Portici, et prope Neapolim a S. Itocco. 5. J. platyphylla, Lin. — Eckart, Syn. p. 52. t. HI. f. 24, — FI. dan. t. 17414. f. 1. — Muscoides squamosus, majus, atrovirens, fol. rotun- datis, Mich. n. pl. g. t. 6. ff. 3, 4. 6. J. serpillifolia, Dicks. — Eckart, p. 52. t. II. f. 24. Muscoides squamosus, majus, atrovirens, foliis subrotundis, Mich. n. g. t. 6. î. 3, 4. 7.3. pusilla, Lin. — Eckart, Syn. p. 23. t. f. 88. Fossombronia an- gulosa Raddi. —Jung. foliis latiusculis, obtusis, undulatis, et veluti an- gulosis, Mich. 5. fig. 10. N. N. Ad terram nudam et herbosam in accli- viis praeruptis, Somma, et prope Neapolim S. Rocco, Ponti Rossi (mon. Cesati). Fruct. in primo vere. 8. J. minutissima, Sm. — J. inconspicua Rad. Lejeunia minutissima Spr. —J. omnibus minima ec. Mich. n. g. p. 9. t. 6. f. 20. Ad arborum truncos, lt. Parchi di Portici. Prope Neapolim ad saxa, S. ftocco. 9. J. dilatata, Lin. — Eckart, Syn. p. 60. t. 11. f. 18. — Muscoid. minimus ec. Mich. n. g. t. 6. fig. 6. — Ad arborum truncos. 10. J. tamarisci, L. — Eckart, Syn. p. 61. t. 2. f. 17. Frullania major Raddi. Muscoides squamosum saxalile, nigropurpureum, etc. Mich. n. g. t. 40. f. 5. — Ad truncos ilicum, RR. Parco di Portici e Favorita. 11. 3. furcata, Lin.— Metzgeria furcata Raddi. — Eckart, Syn. p. 66. t. 1. fig. 1.— Marsilea minima ete. Mich. n. g. t. 4. — Ad truncos ilicum R. Parco di Portici. 1. Anthoceros punctatus, Lin. — A. polymorphus Bert. fl. it. — A. mi- nor, Mich. n. g. pag. 11. t. 7. fig. 2.—Ad terram in umbrosis, Boschi di Somma ec. Fruct. vere. 2. A. laevis, Lin. A. polymorphus B, Bert. fl. it. — A. major, Mich. n. g. t. 7. f. Ad aggeres per vias cavas et in sylvis. 1. Marchantia conica, Lin. — Conocephalus vulgaris Dnts. — Rarissi- ma: solum vidi in theatro Herculanensi, ideo ex arida regione vesuviana quasi proscripta. 2. M. hemisphaerica, L. Rebouillia hemisphaerica, Mich. n. pl. g. t. 2. f. 2. in saxosis, et marginibus sylvarum ubique. Marchantia hemisphaerica. | Targionia hypophylla. — quadrata. Sphaerocarpos Micheli. Lunularia vulgaris. i Riccia pyramidata. — 124 — 3. M. quadrata, Scop. — Rebouillia quadrata, Bert. Ad aggeres via- rum et in macerlis. Torre del Greco ec. 4. M. triandra, Scop.— Grimaldia dichotoma Radd. — M. circumscissa Biv. (ad specim. in herb. Gusson.). — Hepatica minor, angustifolia ca- pitulo emisphaerico, Mich. n. g. t. 2. f. 3. Ad saxa praesertim in mace- riis, et in sylvis. Fruct. primo vere. 4. Lunularia vulgaris, Mich. n. g. t. 4. Marchantia cruciata Lin. — Ad terram, saxa muscosa, et in ambulacris viridariorum, communissima. Fr. mat. septembri, sed rarissime in hac regione fructificat. 1. Targionia hypophylla, Lin. — T. Michelii Card. — Targionia mini- ma et vulgaris, Mich. n. g. t. 3. f. superior. — Ad saxa in maceriis com- munis. Fr. mat. hieme. 1. Sphaerocarpos Michelii, Bell. —S. terrestris Sm. — Sph. terrestris, minima, Mich. n. pl. g. t.3.—Ad terram cultam, R. Parco di Portici. Fr. mat. martio. 1. Riccia pyramidata, Rad. — Oxymitra pyramidata Bisch. — Riccia media, obscure etc. Mich. n. g. t. 57. f. 2. In apricis, et glareosis mari- timis in plaga meridionali. — Ad terram, quam tegit denso strato, quod in aestate sub imbre revirescit (pag. 3.). Fr. primo vere. 2. R. ciliata, Hoffm. R. glauca B. ciliata, Weber, Mohr. R. tumida B. Nees. — R. minima, glauca segmentis angustioribus, ad margines pi- losis, Mich. n. pl. g. t. 57. f. 5. — Ad terram nudam in apricis mari- timis, et in cultis, Granatello, Torre del Greco. 3. R. Bischoffii, Hibn. Erb. critt.—In apricis demissis, ad terram co- piosa, Portici, Torre del Greco. 4. R. lamellosa, Rad. — R. glauca Lin. — R. glauca var. a. obtusilo- ba, De Not. Hepaticol. — R. minima angustifolia , cinericea, segmentis crassis, non sulcatis, Mich. n. pl. g. tab. 57. f. 8. — In pratis apricis aridis, Pugliano, Granatello, Marina e Tironcelli di Torre del Greco. 1. Corsinia marchantioides, had. — Riccia major, Coriandri sapore, etc. Mich. n. pl. gen. t. 57. f. 1. Ad aggeres viarum in apricis communissi- ma et copiosa. Fr. aprili. — ciliata. R. cavernosa Rad. in m. Solaro. — minima. ! Corsinia marchantioides. LICHENES Secundum ordinem FRIESII in Lichenographia europaea expositi. Quod ad Lichenes attinet parum adhuc animum vertere temporis inopia potui. [deoque Academicos rogo, ut adquiescant ad eas paucas species e mea collectione vesuviana de- promptas, licet minoris momenti, quas tuto animo huc retuli.—Jam Academici program- ma, elapso anno 1867, emisere, de cryptogamis quae saris liquefactis, vulgo lave, inhae- rent, de cujus commentatione et solutione Academia Scientiaeque aliam quam ante expli- cationem expectant. 1. Gymnocarpi. A. Ramalina farinacea, Ach. — Erb. crit. it. 420. R. polymorpha fari- nacea Massal. — Ad truncos olivarum — Portici. 1. Peltigera resupinata, Ach.— Mich. g. t. 44. Adhaeret ad terram sa- buloso-vulcanicam in sylvaticis montis Somma, Canteroni. « « papyracea, Fr. P. papyracea Hoff. (Nephroma Schaer.). Ad arborum truncos et ad terram, Portici, Somma. 2. P. canina, Hoff. — Erb. cr. it. 546. — Adhaeret ad terram sabulo- sam muscis obtectam. Bosco di Mauro, monte Somma. - A. Parmelia perlata, Ach. — Mich. g. t. 50. — Ad truncos. « «var. ulophylla Waller. —Erb. crit. it. n. 930.— Ad olea- rum truncos, h. Parchi. 2. P. tiliacea, Ach. — Erb. critt. it. — Ad olearum truncos, Portici. 8. P. stellaris, Wallr. (Hagenia stellaris Dnts. quoad specimen ab ipso communicatum). — Ad olivarum truncos, Portici. 4. P. caesia, Ach. — Ad truncos olearum, Portici. «. «var. a. Dill. M. t. 24. f. 70. Lichen Psora, Dicks. « «var. db. tenella — Mich. g. t. 50. ordo XXVIII. o. P. ciliaris, Ach. var. pusilla (nobis) an species propria — Ad saxa ex lavis in maceriis, et ad olivarum truncos, Portici, Torre del Greco ec. LICHENES Parmelia atra, ad saxa calcaria. — subfusca. Roccella phycopsis Ach.— Erb. cr.it. 69. — saxicola Ach. Solaro. Parmelia Roccella, Pasq. stat. fis. — perlata. econ. Capr.— Vulgo Erba tramon- — tiliacea. tana. Ad rupes calcarias septen- — parietina, arcte adhaerens ad saxa. trionem prospicientes (hodie rara). ‘’‘’Peltigera canina. — 126 — 6. P. aleurites, Schaer. en. Lichen aleurites Ach. — Mich. t. 51 f, 2. ordo XXX. Ad corticem Pini Pineae cum Lepra citrina legi, Portici, et alibi (martio). 7. P. subfusca, Fr. Lecanora subfusca: plures varietates extant.— Ad truncos castanearum, in monte Somma, et olivarum, Portici, Somma ec. 8. P. atra, Ach. — Dill. musc. t. 18. f. 15. Lecanora atra. Ad saxa et ad cortices arborum, Torre del Greco ec. 8. bis. P. pallescens, var. Parella. — Habitat cum sequenti varictate. « «var. lactea Schaer. sp. Lecanora pallescens var. lactea Schaer. en. Dense tegit saxa e lavis in maceriis, S. Vito, et alibi com- munissima. 9. P. vitellina, Ach. Lichen vitellinus.—FI. dan. 1347. Lichen cande- larius Lin. non alior. — Ad scorias lavarum, Torre del Greco, Mauro. 10. P. confluens, Schaer. Lichen confluens Web. Adhaeret ad saxa et lavas antiquiores, Via del Salvatore, Torre del Greco. 11. P. ocellata, Fries. Urceolaria ocellata. — Mich. g. t. 52. ord. 34. Lichen ocellatus Vill. Ad saxa terra obtecta in maceriis, Via di S. Vito. An. var. Urccolariae scruposae? 12. P. acetabulum, Dub. Fr. Erb. critt. it. 468. P. corrugata Ach. — Mich. g. t. 48. f. 2. Ad olivarum truncos. 13. P. caperata, Ach.—Schaer. en. t. III. f. 2.— Mich. D. t. 48. f. 1. Ad saxa vulgo lave et ad olivarum truncos. 14. P. sazicola, Ach. var. galactina, Fr. Psora albescens Hoff. — Ad terram. È 15. P. parietina, var. a. vulgaris Schaer. Hoff. t. 18. f. 4. Lichen pa- rietinus Ehrh. Ach. FIk. Fr. Moug. « «var. macrocarpa—Ad lavas maritimas, Granatello — For- ma majuscula macrocarpa. Apothecio lato tres-quatuor millimetra. « «var. v. candelaria, Schaer. Lichen candelarius Ehrh. — Ad arborum truncos et etiam ad ramulos siccos. — Candelaria vulgaris Mass. Erb. critt. it. 191. Lecanora candelaria a. Achar. —_ scruposa Schaer. Erb. crit. 1422. Cladonia furcata. Lich. subulatus furca- Lichen seruposus: in fissuris ru- tus Huds. —Dill. mas. t. 16. f. 30. pium calcarium monte Solaro. C.D. — In cacumine m. Solaro. — Lagascae, infissurisrupium Solaro, — pungens Kaerb. C. furcata rangi- — gypsacea, cum praecedente. | formis: copiosa. Solaro. — sordida Wallr. Isidium corallinum | — endiviaefolia, copiosa in mari- Ach. (ex Ten.). | timis, ubi dense caespitosa et de- — 127 — A. Stereocaulon vesuvianum, Pers. — Erb. critt. it. s. IT. 20. Schaer. en. — S. denudatum vesuvianum Hepp. Flecht. — Lichen saxatilis, ec. Mich. g. t. 58. f. 6. Super lavis recentioribus copiosissimus ita ut post aliquot annos ab eruptione (circa septem) nascitur demum eas tegit. Obs. Habitat etiam in Inarime insula aequaliter copiosus — Raro in lavis antiqui Vesevi — Rarissimum invenit cl. N. Terracciano ad muros campestres ex topho vulcanico conditis prope Casertam; confer Rendi- conto della R. Ac. sc. fis. mat. an. 1868. — Habitat etiam in vulcanicis ins. Teneriffae. 1. Cladonia pyxidata, Fries Johann. Inst. t. 325. — Mich. g. t. 41. f.1.2. ord. VIII. Formae plures adsunt, saxicolae, terrestres, musci- colae, lignicolae. « «forma seyphosa, praedominans in omni Vesevo quae late tegit terram praecipue plagae septentrionalis, in regione superiori mon- tis Somma. Fructificatum vidi dum vetustate fatescit, mense majo: ce- terum plerumque sterilis in plaga meridionali invenitur. « « cylindrica; rara. « « frondosa:stratum ad terram efformans: Baeomyces strepti- lis Ach. In omni Vesevo. Obs. Nihil hoc lichene variabilius, cujus formae inter se transeunt, ita ut vix existimandae sunt varietates. 2. C. pungens, Kaerb. — Erb. critt. it. 572. C. furcata pungens Fr. C. furcata rangiformis, Schaer. — Ad terram in sylvarum marginibus, et quandoque super lavis. 1. Lecidea cinereo-virens, Schaer. spic.? Super saxis terra obtectis. Obs. Propter squamulas reniformes cum hac specie convenit. 2. L. vesicularis, Ach. Psora vesicularis Hoffm. Ad saxa in maceriis, plerumque in forma pulvinari, S. Vito, Torre del Greco. 8. L. enteroleuca, Fries. — Lichen punctatus, Scopol. Ad truncos. 4. L. confluens, Schaer. Ad saxa, ubique copiosa. A. Opegrapha atra, Pers. — Ad cortices quercuum, Camaldoli della Torre ec. missa, et in elatis montis Solaro, | Opegrapha rupestris: ad saxa calcarea, ubi elatior. | in muris prope Anacapri (18 mai.). Obs. In Vesevo nondum vidi: e contra | —Collema nigrescens var. @ Zespertilio. prope Puteolos copiose nascitur in | — rupestre. Foro Vulcani (Solfatara), in Insula | —_ granosum. Ad saxa. Inarime, ec. —. cristatum. Ad rupes. — 128 — Obs. Lirellae subfalcatae sulcatae sunt conspicuae. l. Lepra citrina, Schaer. —Ad Pinorum Pinearum corticem cum Par- melia aleurite inveni — ceterum frequens in omni prov. neapolitana. 1. Collema pulposum, Schaer. — Lichen pulposus Bernh. var. vulgare Schaer. En. p. 259. t. 10. f. 7. Ad terram nudam, Portici. 2. Angiocarpì. 1. Pertusaria Wulfenii, DO.— Erb.crit.it.74.— Ad castanearum trun- cos, m. Somma ad Ottajano. 2. P. rupestris, Schaer. — P. communis B rupestris DC. Copiose na- scitur in aceliviis vallecularum et ad rupes, Somma. 8. P. communis, DC. — Ad arborum cortices, m. Somma. 1. Solorina saccata, var. laetevirens, Schaer. en. Lichen saccatus Lin. — Ad terram in sylvis septentrionalibus superioribus, m. Somma. a FUNGI Quaedam species fungorum Vesevi cum nominibus vernaculis ex illis, quae sunt mihi notae. Class. I. — Hymenomyceltes. 1. Agaricus ovoideus, Bull. Champ. t. 864. A. ovoides Vittad. (non Bull.). Fung. man. p. 9. tab. 11.— Nascitur in sylvis: vulgo Uovo, quan- doque inexacte vulgo audit in mercimoniis rdciola d’ovo, sed pro errore, Somma, S. Anastasia ec. Nascitur in autumno. Comeditur et venditur inter species gulosiores. « «var. a. Ag. leucosarcos, Brig. Hist. p. 7. t. 1. An species propria? Perniciosus secundum clarissimum auctorem l. citato. 2. Ag. Caesareus, Scop. — Vittad. t. 1. Amanita caesarea. Am. auran- tiaca Pers. Ag. aurantiacus Bull., Vittad. vulgo rocioluovo (a S. Anasta- sia). In sylvaticis. Comeditur. — plicatile. | mul cum praecedenti. — pulposum. Pertusaria rupestris, Schaer. Ad rupes — . stygium, ad saxa calcarea. calcareas. Verrucaria rupestris var. Schraderi. In- | baeret saxis calcareis, in elatis m. | Solaro. | — purpurascens Hoffm. Inhaeret si- FUNGI Agaricus ovoideus Bull. — 129 — 3. Ag. vesuvianus, Brig. op. cit. p. 115. t. II. fig. 3. vulgo Gramigna- ro. — Frequens in pratis siccis et apricis, Portici. Primo vere. 4. Ag. Nucida, Brig. op. cit. p.91.t. XIV. f. 4-7. Nascitur super amygda- larum putamina, Portici (ipse cl. Briganti legit). 5. Ag. Aegirita, Brig. op. cit. p. 65. t. 32. f.1-3. et t. 38. 1-5. A. Piop- parello, Viv. F. it. mang. (sec. Inz. f. sic. pag. 30.): vulgo fungio di piop- po; chiuvetielli (dum juvenes). Nascitur ad Populorum et Celtidum trun- cos vetustos. Comestibilis et copiose venundatur in mercimoniis, vere et autumno. 6. Ag. androsaceus, Lin. var. olivetarum, Montag. ann. sc. nat. 1886. Ag. androsaceus var. a. hygrometricus, Brig. op. cit. p. 87. t. XII. — E foliis marcescentibus oleae europacae post diuturnas pluvias autumna- les cl. Briganti vidit, Portici, Resina, Somma. Obs. Non video differentiam ab A. androsaceo, FI. dan. t. 1551. 7. Ag. rotula, Scop. -—— Brig. op. cit. t. XLII. Ad stipites Nepetae. 8. Ag. oreades, Bolt. — Brig. op. cit. p. 84. t. 89. — Viltad. op. cit. t. 10. f. 1. — In graminosis frequens autumno et vere. 9. Ag. auricolor, Brig. op. cit. p. 23. t. 3. secus vias campestres in se- pibus et ad populorum et olearum emortuarum radices. — In viridario prope Porticuum Villam (Portici) invenit ipse cl. auctor mense octobris. Pro arte tincloria propositus a cl. Fr. Briganti (op. l. cit.) et Piante tin- torie del Regno di Napoli 1842. pag. 41. 10. Ag. Medusa, Brig. op. cit. p. 73. t. 36. Ag. crenulatus Brig. non Schum. In viridariis ex citris consitis, junio invenit cl. Briganti. Ve- nenatus. A 11. Ag. fucatus, Fr. — A. deliquescens. FI. dan. t. 1370. Ag. fugax Schaeff. Coprinus atramentarius. Fr. ep. — Batt. t. 26. f. D. et J. F. — In cultis, et pratis. 12. Ag. campestris, Lin. Fries Syst. « «var. a. edulis.—Vittad. op. cit. p. 41. t. VI. Vidi in au- tumno in pinguibus olivetorum, Tironcelli di Torre del Greco. «x «var. d. pratensis — A. campestris Lin. fl. suec. FI. dan. t. 714. — Vittad. t. 7. fig. 1-6. « « var.c. sylvicola, Vittad. t. 7. fig. 7-9. In cultis apricis. Comestibilis. — caesareus. i Agaricus melleus. —. campestris. — Eringii, var. albo pileo (nob.) Dif- — aegirita, v. fungio di pioppo. . fert a figura Vittadinii f. mang. co- Atti — Vol. IV. —— N.9 6 17 — 130 — 13. Ag. fascicularis, Pers. syn. fung. 421. A. aureus, Roq. champ. 103. t.15.A. pulverulentus, Bull. ch. t. 49. Polymices simplex, tricolor, Batt. fung. 50. t. 22. f. D. — A. fasciculosus With. lateritius Schaeff. — In pinguibus hortorum, R. Parco di Portici, vidi etiam in Horto Bot. nea- politano ab autumno ad ver — Veneficus. 14. Ag. solitarius, Bull. ch. t. 10. et 593. 15. Ag. amethystaeus, Bull. herb. t. 198. FI. dan. 1250. In fissuris ru- pestribus terra repletis vidi 2. mensis julii in cacumine m. Somma. 16. Ag. ruber, Schaeff. — Vittad. t. XXI. — Nascitur in sylvis casta- nearum autumno et aestate. Comeditur et venale proponitur. 17. Ag. melleus, Vahl.— Vittad. t. III. Polymices apicibus nigris Batt. 84. t. 11. F, B. Pol. vagus Batt. 31. t. 8. f. A. Pol. cinereus Balt. 34. t. 14. f. D. Pol. croceus Batt. 84. t. 6. f. G, D. Pol. vulgatior Batt. 35. t. 6. f. E. — Communis ad basim mororum et avellanarum, vulgo se- mentino, Fungio di nocella ec. Comeditur et venale exponitur autumno. « «var. a. Ag. Vitis, Brig. op. cit. pag. 47. t. XXI. Ad vites mense oclobris et novembris post pluvias, vulgo fungio sementino buono, fungio di vite. « «var. d. Citri (nob.), an Ag. Gitri, Inz. Fun. sic. p. 33. tav. 3. f. 14?. prope aurantiorum truncos. 18. Ag. strobiloides, Brig. jun. op. cit. pag. 124 t. 46. Nascitur forsi- tan ad arborum truncos secundum cl. auctorem, l. cit., sed certo in terra culta H. R. neapolitani legit cl. Cesati, autumno. Comeditur. Obs. Accedit ad Ag. strobiliformem Vittad. op. cit. t. 9., sed differt squamis in hac rarioribus; neque minus est confundendus cum Ag. stro- bilino Pers. 1. Cantharellus cibarius, Fries. — Vittad. t. 25. — Agaricus cantha- rellus, Linn. Bull. Vittad. Merulius cantharellus, Pers.—Vulgo gallenella (cresta di gallo in Calabria). — Comeditur, sed generatim ignotus hic cibus gulosus est incolis Vesevi ( Somma, Ottajano ec.). Copiose nascitur mense novembris in sylvaticis quercuum et castanearum m. Somma, nec non copiosius in Viridariis more anglorum, alla Barra, R. Parco di Portici, Parco di Bisignano, ec. lore albo non griseo, vulgo fungio | Agaricus Vervacti, Fr. di Negli. Inter Cistos — Cacumine | Lactifluus volemus, an Ag. necator Bull. Solari et alibi. Comeditur. ch. t. 529. Valenti, Fung. sosp. — 1391 — 1. Daedalea quercina, Pers. — Ad basim truncorum, alle schiappe di Torre del Greco, novembri. 2. D. sepiaria, Fries. — Ag. hirsutus Schaeff. — In truncis ilicum, Real Parco di Portici. 1. Polyporus frondosus, Fries.— Boletus ramosissimus Schaeff.— Crescit autumno, et comeditur vulgari nomine storella (a Somma e S. Anastasia). 2. P. perennis, Fr. Boletus coriaceus Bul. Frequentissimus et semper sterilis ad terram in sylvalicis, Somma, Canteroni prope eremum: aestate. 9. P. ribis, DC. Ad basim Crataegi Azaroli vidi: alle schiappe di Torre del Greco, abundantius ad basim truncorum Rosae indicae, It. Parco di Portici, e nel R. Orto Botanico napolitano. 4. P. squamosus, Fr. — FI. dan. t. 1196. Polyporus Favolus squamo- sus Fr. — Super truncis vetustis Broussonetiae papyriferac in viridariis, nec non in H. R. Neapolitano vidi. Super ejusdem arboris truncis vidit cl. Inzenga (Funghi sic. pag. 24.). 5. P. versicolor, Fr. — Bull. ch. p. 367. t. 86.—FI. dan. t. 1994. — Ad truncos siccos communis. 6. P. conchatus, Polyporus conchatus Fries. Pers. Ad truncos ilicis in umbrosis — RR. Parco di Portici. 1. Boletus edulis, Bull. Vittad. — B. esculentus Pers. — B. bulbosus Schaeff. vulgo Silli (a Somma, Ottajano ec.), Muniti (a Napoli). Nascitur in sylvaticis m. Somma post imbres septembris: et in hac pluvia aestate copiosum vidi 2 mensis julii. Comestibilis, magni usus. 2. B. luridus, Schaeff. t. 107. —Inzenga f. sic. p. 84. — Nascitur cum B. eduli, Somma — Calabri lubenter comedunt sed fervefactum aqua, ne eis perniciosus evadat, quia perniciosus habetur: vulgari nomine vocant fungiu caddararu. 4. Hydnum repandum, Lin. — Vittad. t.25. provenit in viridariis, Parco di Bisignano alla Barra, R. Parco di Portici. Autumno. 1. Clavaria fiava, Pers. —CI. fastigiata Lin. —CI. coralloides Bull. — vulgo ardichelle. — Nascitur in humidis viridariorum, It. Parchi di Portici e Favorita, Parco Bisignano alla Barra, mense novembris. 1. Morchella esculenta, Pers.— Vittad.t. XIII. Phallus esculentus Lin. Nascitur in cullis: vulgo coppitolo. Comeditur. 2. M. conica, Pers. vulgo coppitolo. In cultis. Comeditur. t. XXIX (picta) cui valde appropin- , mense novembris—Dum viridescit quatur. Inter Cistos frequentissimus, | est piperatissimus. — 132 — 3. M. semilibera, DC. — Vittad. — vulgo coppitolo. In vinetis, S. Anasta- sia. Comedilur. 1. Helvella esculenta, Pers. — Fl. dan. 1559. vulgo monacella. Fre- quens provenit in vinetis ad terram et praesertim circa vites. — Somma, Resina ec. primo vere. Obs. Nulla species Helvellae, quam legimus in Vesevo, convenit cum H. monachella, Fr. (Mich. g. t. 86. f. 8.) ideoque hane adhuc non inveni. 2. H. crispa, Fr. Vittad. t. XXX. Inz. f. sic. p. 18. cum fig. In caeduis. I. Peziza aurantia, Pers. P. coccinea Bull. Ad terram et ad truncos R. Parchi, frequens in primo vere. 2. P. vesiculosa, Grev. (forma sphaerica) — Erb. critt. it. 773. — In foliis ilicum emarcidis, It. Parco di Portici primo vere. 8. P. cerea, Sow. — Mich. g. p. 206. n. 1. 4. P. hemisphaerica, FI. dan. t. 1558. f. inf. — Mich. tab. 86. 1. Exidia auricula, Judae.— Mich. t. 66. f. 1. — Ad truncos mortuos. Class. I.— Gasteromycetes. 1. Cyathus Olla, Pers. —Peziza lentifera Lin. — In cultis super frustu- lis siccis. A. Clathrus cancellatus, Lin. — Mich. n. g. t. 93. — In pinguibus, R. Parco di Portici, Favorita. A. Phallus impudicus, Lin. — Mich. n. g. t. 88.— Im cultis pinguibus, autumno. A. Geastrum hygrometricum, Pers. — In sabulosis sylvaticis apricis, copiosus, hieme, Bosco di Mauro, Camaldoli della Torre. 1. Lycoperdon Bovista, Lin.—Vittad. t. 33. Bovista gigantea. — In sa- bulosis humiferis sylvaticis, Torre del Greco, Bosco di Mauro. 4. L. pusillum, Fr. —Lyc. cepaeforme, Bull. — In sabuloso-humiferis, Bosco di Mauro ec. In autumno. 1. Scleroderma corium, Graves. — In arenosis sylvaticis apricis, Mauro, Torre del Greco. 1. Polysaccum pisocarpium, Fr. — P. acaule DC. Licoperdastrum au- tumnale, Mich. g. t. 99. f. 2. — In apricis arenosis inter subfrutices, Boletus edulis var. epidermide pilei qua- | chio {idest cistus). drato-rimosa vulgo Fungo di Muc- . — _ luridus. Ù —- 408 — Mauro, Torre del Greco, saepe inter cistos salvifolios vidi. Habitat etiam prope Puteolos, alla Solfatara (ubi invenit cl. Cesati), a Cuma ete. Class. II. — Pyrenomycetes. 1. Sphaeria typhina, Pers. — Polystigma typhinum, DG. Mem, Mus. 3. t. 4. f. 6. — Constanter vidi in extremitate , nempe loco spicae, Dacty- lis hispanicae, in sylvaticis, Camaldoli. 1. Graphiola phoenicis, Poit.— Erb. critt. it. n. 150. Phacidium Phoe - nicis dactyliferae in hortis, Portici. Primum inter nos detexit amicus Doctor G. Licopoli in H. R. Neapolitano. 1. Naemaspora aurea, Fr. — Erb. critt. it. 448. — Ad truncos siccos populorum rarissime vidi in aestate, in apricis Vesevi, Portici, et in Ba- gnoli prope Puteolos. 1. Capnodium Citri, Bakl. (Fumago Citri Pers. ). — Erb. critt. it. n. 848. Super foliis aurantiacearum. Class. IV — Gymnomycetes. 1. Uredo Symphyti, DC. Ad sylvarum margines in valleculis, martio. 2. U. rosae, Pers. — Erysibe rosae. — Super foliis Rosae caninae. 3. U. candida, Pers. — In caule Bursae pastoris. 4. U. leguminosarum, super leguminosarum plures species. Class. VV_— Hyphomycetes. 1. Oidium Tuckeri, Berckel. — Gaspar. Relaz. sulla mal. della vite, Napoli 1852. in 4.° tab. 1. f. 3. (optima) — Vulgo audit, Malattia della vite, muffa, crittogama, bianca. Obs. De hac mucedinea, quae inter nos infauste apparuit primum anno 1851, optime disseruit noster G. Gasparrini in op. cit. el in alia dissertatione, cujus titulus: Osservazioni sulla malattia della vite apparsa nell'estate del corrente anno 1851, lette nella tornata de' 24 luglio del R. Isti- tuto d’ Incoraggiamento. 2. 0. leuconium, Desm. — Gaspar. ftelaz. cit. t. 1. f. 1. Vulgo bianca della Rosa indica. Cyathus olla. Polysacchum pisocarpium, Fr. Clathrus cancellatus. Capnodium citri. — 134 — Oidium leuconium, var. ranunculi, Gaspar. op. cit. t. 2. f. 1. « «var. cucurbitae, Gaspar. op. cit. t. 2. f. 2. Vulgo bianco della cocozza. 3. 0. erisyphoides, Fr. — Gaspar. op. cit. t. 1. f. 2. ALGAE De algis vesuvianis studia nondum confeci; solum citare liceat Bys- sum Jolithum (Chroolepus Jolithus Agard) ad muros adhaerentem et ac- clivia secus vias excavatas; et Protococcum haematodem Kg., ad muros hu- midos campestres prope Porticuum Villam (Portici) et circa Neapolim. Uredo ruborum. i Oidium Tuckeri. — leguminosarum. —_ leuconium. — 135 — APPENDIX AD FLORAM VESUVIANAM vi Biscutella raphanifolia, Poir. (CRUCIFERAL) ex Ten. Fl. medica. Spergula arvensis, Lin. (CARYOPHYLLEAE) — In arvis communissima et ad pabulum pecorum aptissima, Mauro ec. Smyrnium Olusatrum, Lin. (UMBELLATAE ). In Regio viridario Villae Porticuum (R. Parco di Portici inferiore) nec alibi. Euphorbia Characias, (EUPHORBIACEAE). Pompei, in Vesevo non nascitur. Ideoque haec planta semper locis calcaribus Stabianis propior est. Amarantus sanguineus, Lin. (AMARANTACEAE) Circa rura, S. Giorgio a Cremano. Fl. octobri. Chenopodium ambrosioides, Lin. (CHENOPODEAE) secus vias. Ficus Carica, Lin. (MOREAE) var. Migliarolo (SemmoLA Della Caprifica- zione p. 25. tav. IX.). 4. Juglans regia, Lin. (JUGLANDEAE) var. sine putamine: putamine vi- delicet membranaceo subtili: raro colitur. Nella masseria Pagliarella tra la Madonna dell'arco e S. Anastasia Joann. Majone Farmacopola mecum communicavit. Trisetum aureum, (GRAMINACEAE) ex Ten, Torre Annunciata. Serapias Lingua, Lin. (oRcHIDEAE) Reich. ic. fl. germ. t. 439. — In apricis, Tironi, sopra il casino Gigli. Fl. majo. APPENDIX AD FLORULAM CAPRENSEM Hesperis verna, W. nea undulata Web. et Mohr. In ca- Vicia sativa, var, maculata, Vicia macu- cumine montis Solaro. lata, Presl. — Guss. syn. Ceratodon purpureus Brid. —Br. eur. t. Theligonum Cynocrambe, Lin, (cynocraM- | 189, 190, copiosus in cacumine m. BEAE) — Ubique in insula. | Solaro. Fruct. majo. Atricum undulatum Bryol. eur. Cathari- ‘ FINIS Species Florae vesuvianae (circit. 120 chil. quadr.) sunt 934. Varietates et formae 326. Species Florae caprensis (410 chil. quadr.). . . . . .799. Varietates et formae 129. s Quacieiti, Peroni Va ALTE # Ò ho a | soltti Mt Ti vò csi atei adige i in costanint nungo sura sta uh È 4 ani va rà VIMEDIITI Uli ni CALL. . | ur mesto IE LISTET «PAN blica n 3 100 PETRI tai janalaa #7 A TI RT nica i | $«.] il nrisa pun mp ap ATTIVA TICA ‘o 101408 Sensi pt i î ce | : " : Pal NACO le ò : Ò stadi Sat nt si PI PETRA MEN UT n Ji Agli flo ups EVINCE 4 bo) È L n° | a qui 420 ni ra? a, racsiodi I si "4 Mi d/ rea, Buti lerà i? MTA siizatià mabrà } È er 5 Las PP p—in di a Mrs #iWunIng cpl (1/9 0) retata > E dii ALI Ge. A | vibai MITE! Adani ala vu cosi MR firot {dan (ria Gti divi a - " “hr spari be adi Ot, ali » of Ring ts OI NONO SAID » INDEX generum FLORAE VESUVIANAE, nec non FLORULAE CAPRENSIS ad calcem cujusque paginae t. in textu, — n. in nota significat: ** v. indicat genera vesuviana quae certe excludenda sunt ab insula Caprearum. "* c. indicat genera caprensia quae certe excludenda sunt a Vesevo. " indicat genera quae continent species excludendas vel a Vesevi, vel ab insula Caprearum, in textu aut in notis conferendas. Acanthus, 78. Acer, 23. Achillea, 56. Adianthum, Aegylops, 104. Agaricus, 128. Agave, 99. Agrimonia, 41-42 Agrostis, 110. Ailanthus, 30. Aira, 110-111. Ajuga, 81. Alchemilla, 41-42. Alliaria, 15. n. * Allium, 101. . . Alnus, 94. Alopecurus, 109. Alsine, 21. c. Althaea, 22. Alyssum, 15. Amanita, 128. Amaranthus, 84. Ambrosia, 65. Ammi, 49. Ampe!odesmos, 110. Amygdalus, 38-44. Anacalypta, 120. Anagallis, 67. Anchusa, 70-71. Andropogon, 112. Androsemum, 23. Andryala, 64. * Anemone, 11-12. Anethum, 49. Anthemis, 57. Anthoceros, 123. Anthoxanthum, 111. Atti — Vol. IV.— N.° 6 “ce. Anthyllis, 31. Antirrhinum, 74-75-76. Apargia, 62. Apium, 49. * Arabis, 195. Arbutus, 66. * Arisarum, 96-97. ** v. Aristolochia, 86. Arum, 96. Arnopogon, 62. v. Urospermum. Arenaria, 20. Artemisia, 56-57. Arundo, 110. * Asparagus, 100-101. * Asperula, 52. * Aspidium, 113. Asphodelus, 102. Asplenium, 113. * Astragulus, 35. Atrichum, in appendice. Atriplex, 84-85. Avena, 110. Ballota, 80-81. Barbarea, 15. n. Barkhausia, 63. * Bartramia, 119. * c. Bartsia, 76. Bellis, 55 Beta, 84-85. ** v. Betula, 94. » c. Bifora, 51. " c. Biscutella, 14-15, Boletus, 131. Borago, 70-71. Brachypodium, 105-106. * Brassica, 16, ‘* c. Brignolia, 50. Briza, 108. * Bromus, 106. Broussonetia, 90. Bromus, 14-15, Bryonia, 46. Bryum, 119-120. Buphtalmum, 57. Bupleurum, 49-51. Cakile, 14. Calamagrostis, 109. Calamintha, 79-80. Calendula, 57-59. Calycotome, 31. Calystegia, 69. Campanula, 65. Cannabis, 93. Cantharellus, 130. Capnodium, 133. * Capparis, 17. Capsella, 14-16. Capsicum, 72. Cardamine, 14. * Carduus, 58-60. Carex, 103. Carlina, 57-59. Carpesium, 56. Carthamus, 60. Caslanea, 93. Catapodium, 105. Celtis, 93. " Centaurea, 57, 59, 60. Centranthus, 53. * v. Cephalanthera, 98. Cerastium, 21. Ceratodon, in appendice. “ e. Ceratonia, 38. Cestrum, 73. 18. — 1398 — Ceterach, 113-114. Cynodon, 109. Fissidens, 115. * c. Cheiranthus, v. Matthiola. Cynosurus, 108 Foeniculum, 49. ‘ v. Cheilanthes, 113. " Cyperus, 103. Fragaria, 41. Chaerophyllum, 51. * v. Cystopteris, 113. Fraxinus, 67. “ c. Chamaerops, 97. Cytinus, 87. Fumago, 133. Chelidonium, 13. * Cytisus, 30 et 81. n. * Fumaria, 13. Chenopodium, 84, Dactylis, 107. Funaria, 117-118. Chilochloa, 109. Daedalea, 131. Galactites, 58-60. Chlora, 68-69. " v. Daphne, 86. Galium, 53. Chondrilla, 62-63. Datura, 72. Gastridium, 109. Chroolepus, 134. Daucus, 50. Gaudinia, 104-105. * Chrysanthemum, 56-57. Delphinium, 12. Geastrum, 132. Chrysurus, 108. * Dianthus, 18. * v. Genista, 30-31. n. Cichorium, 59-61. Dicranum, 114-115, Geranium, 27. Cicer, 35-36. Digitalis, 76. Glaucium, 13. Cineraria, 56-98. Digitaria, 109. Gladiolus, 99. Cirsium, 60. Dimorphantes, 56. " v. Glechoma, 81. Cistus, 17. Diospyros, 66. * e. Globularia, 54. Citrullus, 46. Diplotaxis, 15. Gnaphalium, 58. Citrus, 22. Dolichos, 38. Gomphocarpos, 68. * Cladonia, 126-127. * c. Dorycnium, 34. Gossypium, 22. Clathrus, 132. Draba, 14. Grammitis, 113-114. Clavaria, 131. Ecballium, 46 Graphiola, 133. Clematis, 11. Echinochloa, 109. Grimmia, 117. Clinopodium, 80. Echinophora, 51. Gymnostomum, Adi Cnicus, 60. * Echium, 70-71. Gypsophila, 13-19. Collema, 127. Encalypta, 118. * v. Habrodon, 121. Colutea, 35. "* v. Enthostodon, 117. Hedera, 5f. Conringia, 16. * v. Ehrbarta, 110. * Hedypnois, 59-61. Conyza, 50-56. * Epilobium, 45. * Helianthemum, 17. * Convolvulus, 69. “* v. Epipactis, 98. Helichrysum, 56-58. Cornus, 52. Eragrostis, 108. Heliotropium, 60. " Coronilla, 35. * Erica, 66. Helleborine, 98. Corrigiola, 46. Erigeron, 55. Helleborus, 12. Corsinia, 124. Eryngium, 49. Helminthia, 61-62. Corylus, 93-94. Erianthus, v. saccharum. Helvella, 132. Corynephorus 111. Eriobotrya, 43. Herniaria, 46. * v. Coscinodon, 117. " Erodium, 27-28. Hesperis, in appendice. Cotyledon, 47. Eruca, 16-17. Hieracium, 64. Crataegus, 43. Ervum, 37. * c. Hymanthoglossum, 98. Crepis, 63. Erysimum, 15. n. "* c. Hippocrepis, 36. Crithmum, 49. Erythraca-68. Holcus, 111. =CUROCUSTTOIA Eupatorium, 54. * Hordeum, 104. Crucubalus, v. Silene. * Euphorbia, 87. ‘* v. Humulus, 93. Cryphaea, 120. Euphrasia, 76. Hydnum, 131. Cucumis, 46. "e. Evax, 56. Hyacinthus, 101. Cucurbita, 46. Evonymus, 29. Hyosciamus, 72. Cupressus, 96. Exidia, 132. Hyoseris, 62. Cuscuta, 69. " »v. Fabronia, 121. Hypericum, 23. Cyatbus, 132. * Ferula, 50. Hypnum, 121. Cyclamen, 67. Festuca, 106-107. Hypochaeris, 59-62. Cydonia, 44-45. Ficaria, v. Ranunculus. *" y. Imperata, 111. Cynara, 60. Ficus, 91. Inula, 56. Cynoglossum, 71. Filago, 56-58. Inis}199% — 139 — Iria, v. Romulea. Matthiola, 15. Peziza, 132. Iuglans, 93. et in app. * Medicago, 31. Phagnalon, 56. Iuncus, 103. Melica, 110. Phalaris, 109. n. Iungermannia, 122. * Melilotus, 133. Phallus, 132. “ e. Iuniperus, 96. Melissa, 80. Plhiascum, 114. Kentrophyllum, 58, n. 60. t. Mentha, 78. Phaseolus, 37. Koklereuschia, v. Dianthus. Mercurialis, 87. Phelipaca, 77. Koeleria, 110. Mesembrianthemum, 47. Phillyrea, 68. Kòniga, 14-15. Mespylus, 43. Phleum, 109. Lactuca, 61-62. Micromeria, 79. Phoenix, 97. Lagenaria, 46. Mirabilis, 85. Peltigera, 125. Lagoseris, 63. * e. Moheringia, 20. Physcomytrium, 118-119. Lagurus, 109. Momordica, 46. Picridium, 63-64. Lamium, 80-81. Morchella, 131. Picris, 61. " e. Lappago, 107. Morus, 90. “ Pimpinella, 51. n. Lapsana, 61-63. Muscari, 101. "ec. Pinus, 96. Lathyrus, 37. Myosotis, 71. Piptatherum, 109. Laurus, 86. Myrtus, 45. * Pistacia, 29. Lavandula, 78. Naemaspora, 133. Pisum, 37. * Lavatera, 22. ‘ e. Narcissus, 99. Phylliraea, 67. » Lecidea, 127. Nardus, 104. Phytolacca, 83. » Lemna, 97. Nasturtium, 15. * Plantago, 82. Leontodon, 62-63. Nephrodium, 113. Platanthera, 98 Lepidium, 14. cNicellazA2? * v. Pleuridium, 114. Lepigonum, 20. Odontites, v. Bartsia Poa, 107-108. Lepra, 128. Oenanthe; 49. * v. Pogonatum, 120. Leptodon, 120. Oidium, 133. Polycarpon, 46. Leskea, 120. Olea, 67. ‘cc. Polygala, 29. Leucodon, 121. Onobrychis, 35. Polygonum, 85, Ligustrum, 67-68, “e. Ononis, 30. n. Polypodium, 113-114. “ v. Lilium, 102. Onopordon, 58-60. Polyporus, 131. * v. Limodorum, 98. « Opegrapha, 127. Polysaccum, 132. " Linaria, 74. Ophlioglossum, 112. Populus, 94. * Linum, 22. * Ophrys, 99. Portulaca, 46. * Lithospermum, 71 Opuntia, 48. Potentilla, 41-42. Logfia, v. Filago, * Orchis, 97. Poterium, 42. Lolium, 104. Origanum, 79. ‘* e. Prasium, 80. Lonicera, 52. Ornithogalum, 101. Prenanthes, 62. * Lotus, 34. Ornitlopus, 35. Protococcus, 134. Lunaria, 14. Orobanche, 77. Prunella, 80-81, Lunularia, 124, Orobus, 38. Prunus, 39. * Lupinus, 30. i Orihotrichum, 117-118. Psilurus, 104. " Luzula, 103. Ostrya, 94. Psoralea, 35. Lychuis, 19-20. Osyris, 86. Pieris, 113-114. " v. Lycium, Ho Oxalis, 28. > Pterigynandrum, 1120 Lycoperdon, 132. Pallenis, 07. Pterogonium, 120-121. Lycopersicum, 73. Panicum, 109. Punica, 45. Lycopodium, 113. * Papaver, 13. Pyrethrum, 56. Lycopsis, 71. ‘ Parietaria, 89. Pyrus, 44 Lysimachia, 67. * Parmelia, 125. Quercus, 93-94. * Malva, 22. “c. Passerina, 86. * Ramalina, 125. Marclantia, 123. Persica, 38. Ranunculus, 12. Maruta, 57. * Perlusaria, 128. Raphanus, 14. Matricaria, 56. Petroselinum, 49. Reseda, 11. Rbagadiolus, 59-6t. Rhamnus, 29. Riccia, 124. Ricinus, 88. Robinia, 35. * c. Roccella, 125. Romulea, 99 Rosa, 42. * c. Rosmarinus, 79. Rotboellia, 104. Rubia, 52. * Rubus, 41. * Rumex, 89-86. Ruscus, 101. “e lRuta, 29, *v. Saccharum, 112. Sagina, 20. Salix, 94. Salsola, 84. Salvia, 78-79. Sambucus, 52. Samulus, 67. Sanicula, 49. Saponaria, 19. Sarothamnus, 31. * Satureja, 79. * Saxifraga, 48. Scabiosa, 54. Scandix, 51. c. Scilla, 101. inn Scleranthus, 46. Sclerochloa, 108. Scleroderma, 133. ** c. Scolopendrium, 113. * Scolymus, 58-61. Scorpiurus, 35. *" c. Scorzonera, 61. Scrophularia, 75. ** c. Secale, 105. * Sedum, 47. ** v. Senebiera, 16. * Senecio, 57-59. * Serapias, 98. t. n. » * — 140 — Seriola, 60-62. “ c. Seseli, 51. * Sesleria, 107. Setaria, 108. Sherardia, 52. Sideritis, 80. Silene, 19. Silybum, 60. “ e. Sinapis, 16-17. Sisymbrium, 15-16. Smilax, 100. ‘e. Smyrnium, 51. Solanum, 72, Solidago, 56. c. Solorina, 128. Sonchus, 63-64. Sorbus, 45. Sorghum, 101. Spartium, 31. Specularia, 65-66. Spergula (in append.). Sphaeria, 133. Sphaerocarpus, 124. Spiranthes, 98. Stachys, 80-81. te iStatice, 825 Ela a * Stellaria, 20-21. v. Stereocaulon, c. Stipa, 109. Symphytum, 71. Tamus, 100. Tararacum, 63. Targionia, 124. c. Tetragonolobus, 34. Teucrium, 81. " c. Thapsia, 51. ** c. Theligonum, (in append.). . . c. Thesium, 86. Thlaspi, v. Capsella. Thrincia, 60-62. Thymus, 80. * v. Tilia, 23. Tillaea, 47. Tolpis, 61. Tortula, 116. Torylis, 50. Trachelium, 66. c. Tragium, 51. Tragopogon, 60. Tribulus, 28. Trichostomum, 115. Trifolium, 32-33. Trigonella, 33. Trisetum, 110. Triticum, 105. " c. Tulipa, 101. Turritis, 15. Tussilago, 55. Ulex, 31. Ulmus, 93. Umbilicus, 47. Uredo, 133. Urospermum, 60-62, Urtica, 88. Vaillantia, 53. Valerianella, Verbascum, 74. Verbena, 78. Veronica, 75-76. Viburnum, 52. Vicia, 36. Vignea, v. Carex, 104. Vinca, 68. * Viola, 18. Viscum, 51. SCSVItex901(8ì Vitis, 24. "* c. Vulneraria, 31. ** v. Webera, 118. Weisia, 114-115. Xanthium, 65. * c. Zacintha, 63. Zea, 112. Zizyphus, 29. "” v. Zygodon, 118. * *» INDEX nominum trivialium tam FLORAE VESUVIANAE Acacia, 35. Accio, 49. Amennola, 38. Anepeta, v. Nepeta. Arbuscello, 95. Ardechelle, 131. Arecate, 79. Arucola di Spagna, 17. Astuta fuoco 86. in n. Azzeccarielli, 65. Bavolle, 87. in n. Beretto di preti, 29. Bianca della vite, 133. Broccolo, 16-17. Calavrice, 43. Camedrio, 81, in n. Camomilla, 57. Campanielli piccoli, 69. Campanielli di siepe, 69. Cannavo selvaggio, 55. Capillimorbi, 113. n. Capo di cane, 76. Carciofa, 60. Cardillo, 59. Cardunciello, 61. Carosella, 49. Carpiniello, 94. Cavolo, specie e varietà, 16, Cecere, 35. Cedro, 23. Centri di gallo, 35. Cerasa, 40. Cercola, 94. Cesta di pecore, 62. Cetrangolo, 22. Cetrulo, 46. Ceuzo, e sue specie, 90. Ceuzolle, 34. Cicerchia, 37. quam FLORULAE CAPRENSIS t. textus, n. notae significat, Ciceroni, 34 n. Cicorie, 61. Cicorie selvagge, 63. sub Leonto- don et sub Crepis, 63. Cientenodoche, 85. Cifaglia, 101. n. e 102. n. Cinericci, (Sarothamnus Scopa- rius), 6, 31. Cinquenervi, 82 et in n. Cipolla canina, 101. Cipresso, 96. Cirifuoglio, 51. Cocozza, 46, Cocozzella dell'asino, 46. Cocozzelli, 46. Cocozzelli per l’itterizia, 46. Coda di volpe, 17. Conocchia, 24. Coperchiole, 47. Coppitolo, 131, 132. Corinole, o curinole, 51. n. Cotogno, 44. n. 45. t. Cotone, 22. Crisuommolo e var. 39. Dattero, 97. Daltinella, 94. Dienti di cane, Dienti di cavallo, 103. Doleca, 37 t. n. e 38. Ellera, 51. ‘ Erba della Madonna, 56. Erba di muro, 89. Erba pericon, 23. Erba saponaria, 19. Erba solare, 69-72 Erba tramontana, 125. n. Fasolina selvatica, 35. Fasùli, 38. Fasulilli, 38. Felece, 114. Fenaime, 112 in n. Fetienti, 72. Fico d’ India, 48. Fico, e sue varietà, 91, 92, 93. Finucchio, 50. Finucchio marino, 50. n. Finucchio selvatico, 50, Fiocco di cardinale, 53. Fiori cannelora, 99. Fischiarelli, 20. Foglia molla, 85. Fragole, 42. Fragole selvagge, 42. Fumaria bianca e rossa, 13. Fungio di chiuppo, 129. Fuoco morto, 11. t. n. Gallenelle, 130. Garofanielli, 20. Ginestra selvaggia, 35. « nera, 31. Grammegna, 109. Gramignone 111. Granato, 45. Granfa d’urzo, 78. Granodindia, 112, Jale, 96. n. Jalella, 96. n. Janesta, v. Ginestra. Janiparo, 96. Jenisca, 84. Jermano, 105. Jojome, 29. Lampazzoni, 86. Lattuca, e varietà, 62. Lauro, 86. Lauro selvaggio, 95. Lazzarola, var. 43. Legnosanto, 66. Lengua de vuoi 96. Lentisco, 29. t. n. Lentisco mascolo, 29. n. Lignì prischi (o frischi), 86. in n. Lima, 23. Lùpari, 93. Maggio, 30 t., 31. n. Maluperuni, 56. n. Mazzucchelle, 107. Manderino, 23. Mellone d’acqua, 46. Mentastro, 78. Mercolella, 87. Mimmolo, 68. Morole, 41. Mortelle, 45. Morze del diavolo, 54. Moscarello, v. Muscarelli (non Tribuli). Mucchio, 17. v. Cistus, Mucchianico, 17. n. Mulignana, 72. Munacelli, 132. Muscarelli, 33. Nepeta, 30. Nespolo, 44. Nespolo del Giappone, 43. Nimmiccoli, 37. Noce, 93. Noce marino, v. Ailanthus. Noce senza guscio (appendice). Nocella, 94. Nocepersico, 39. Olivo e varietà, 67. Orecchie di prete, 67. Ortica, 88. Ortica morta, 81. Ovo, Uuvo. Palma di scopa, 97. n. Panico, 109. Papagno selvaggio, 13. sotto Che- lidonium et Papaver. Paparacchio, 57. Paparastelli, 64. in n. Passaracchio, 07. Pastenache, 01. — 142 — Pastenache selvagge, 51. Pastenachelle, 50. Patata, 72% Patrini, 34. Peperoni, 72. Percuoco, 39. Pero e varietà, 44. Peres, 39. Peperoni e varietà, 72. Piperna, 79. n. Pirofioccolo, 93. Perseche, 39. Petrusino, 49. Piede di pollo, 109. Pignatelle, 83. Pimpinella, 42. Pioppaina, 94. Pioppania, 95. n. Pomidoro, e varietà, 73. Pomidoro granatino, 73. Pommarolelle, 72. Porchiacchella, 46. Portogallo, 23. Prato, 34. Profico, v. Caprificus, 91. Pruno e varietà, 39. Rafanielli, 14. Raje, 100. et in n. Ranfa di gatto, 30. Rapa, 16. Rapesta, 14. Rapicoi, 16. Raponzolo, 65. Rociola uovo, 0 Rociolaovo. 128. Rostine, 41. Rostinelle, 101. Rucola selvaggia, 16. Ruggine v.Reseda luteola, 17.n. Salcio, 96. Sambuco, 52. Sanguiniello, 52. Sanguiniello bianco, 68. Sanguiniello feminino, 29. Saponaria, (erba) 19. Scalzapiede, 28. Scaccialepri, 63 e 64.in n. Scappuccielli, 34. Scarola, 61. Scassaquindici, 108. Sciurilli, 34. Sciuscella, 38. Scoccapirita. 35. Sempreviva, 99. Senàpe, 16. Seta vegetale, 68. Sillo, 131. Sorbapero, 45. Spadella, 99. Speron di cavaliere, 12. Spicaddossa, 18. Spicaddossa selvatica, 58. Spolpagalline, inn. Sporchia, 77. Storella, 131. Stracciacannaroni, 63. Suorvo, 45. Suorvo peluso, 66. Testicolo di cane, 98. Tiglio, 23. Tortavitaja, 12. Torzelle e varietà, 16 Tribuli, 33. Tribuloni, 33. Trotola, 58. Tutumaglie, 87. Ugna di janara, 47. et adde ad Mesembrianthemum. Uorno, 67. Uva, 24, 25, 26, 27. Vampasciuli, 101. Vite e sue varietà, 24,25, 26,27. - Veccia, 36, 37, 38. in n. Véceta, o Vegeta, 95. Vervena, 78. Vigna-volanielli, 94-95. Viole, 18. Viole di siepe, 67. Vitaja, 12. Vorraccia, 70, in n. 71. t. Vroscara, 401. Hina ri MAT Vol. IV, N.° 7 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE INTORNO AI SISTEMI DI RETTE DI GRADO QUALUNQUE MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO G. BATTAGLINI letta nella tornata del dì 7 novembre 1868 In questo lavoro ci proponiamo di estendere ai sistemi di rette di grado qualunque le nostre precedenti ricerche relative ai sistemi di 2° grado, giovandoci dei risultati ottenuti intorno alla rappresentazione geometrica delle forme binarie e ternarie, esposti in altre Memorie *). 4. Stabiliamo in prima alcune formole, che saranno utili per gli svi- luppi seguenti. Se un piano P ed un punto p sono determinati, rispetto ad un tetraedro fondamentale, dalle equazioni P_Xx+Yy4+Zz+Tt=0, p=xX+yY+zZ+tT=0, saranno (X,Y, Z, T) le coordinate del piano, ed (x,y, <,t) le coordinate del punto. Se la retta R è l'intersezione dei due piani P,=X,04+Y,y+Z;g+T,t=0, P,=Xx+Fy+Z;3+T,t=0, o pure se la retta r è la congiungente dei due punti p:=%X4y;Y+a,ZH,T=0, p,=x,X+y;Y+z,Z+,T=0, *) Memoria intorno ai sistemi di rette dì 2° grado. Aiti dell’Accademia Vol. III. Memoria intorno alle forme binarie di grado qualunque. Atti dell’Accademia Vol. III. Memoria intorno alle forme ternarie di grado qualunque. Atti dell’Accademia Vol. IV: Atti — Vol. IV. — N07 1 a le sei quantità F_Y4C3F,, @=ZX-XZ 0-1 _Kxo L=XT, MSI EIA VE4FT,_Tz,. o pure f=Y;2;—%44; » g=Z%%— 44; > h=%Y;-Y;%; » l=%;t; 4,2; m=yt; 4,4; » n=2t;A,3; » saranno le coordinate della retta. Tra le coordinate di R o di r si ha l'identità FL+GM+HN=0, o fl+gm+hn=0 . Se il punto p appartiene ad R, o pure se il piano P passa per 7, si avranno le relazioni Hy—Gx+L=0, ir=gZ ll 0. Fs—Hx+Mt=0, ΣLhX+mT=0, o pure Gr-Fy+Nt=0, gX—fY4+nT =0, Lax+My+N2z=0, X+mY+nZ =0. Se P è il piano condotto per p ed R, o pure se p è il punto d'incontro di Ped r, sarà Hy—G:+Lt _F:—Hx+Mt__Gr—Fy+Nt _ Lx+My+Ns X 1” E “» Z ai o pure hY_gZ-H1T __fZ-K1X+mT __gX—fY+nT __ lX+mY+nZ E, E y iii A Se R ed r coincidono in una sola retta (R,r) si avrà se poi t ed 7 si appoggiano tra loro sarà Ff+Gg+Hh+Ll+Mm+Nn=0. Scrivendo questa equazione, in modo abbreviato, R=0, o r=0, se- condo che si riguardi fissa la retta R o r, e variabile la retta 7 o R, sarà essa l'equazione della rettaRto r, tra le coordinate (f,...l,...)o(F,...L,...). BI A Se due rette (r,, R), (r,, R,) concorrono nel punto p, e giacciono nel piano P, ponendo generalmente (uv, —v;u;)= (uv) Ò (U,V;—V,U,)=(UV) E si avranno le relazioni (19) =Yx, (M) =—Zx, (9@)=Tx; (LG) =yX, (HL)=— — + { (Igm)+(1hn)} X7+ { (mhn)+(mfl)} YT+{(nfl)+(ngm)}ZT, il simbolo II estendendosi alle x'#"x” combinazioni di ciascun gruppo delle ombre (F',...L',...), 0 (f,...l',...), con ciascun gruppo delle ombre (F”,...L”,...), 0 (f’,...1”,...), e con ciascun gruppo delle om- BICE SS 0 (Pot Le equazioni (11) sono del grado 2x'x°x” in (£,y,,t) (X,Y,Z,T), e dei gradi xx", x"x', x'x" rispettivamente nei coefficienti di ©',07, ©", o di 0',6”,0"; esse rappresentano, in coordinate del punto o del piano, una stessa superficie di ordine e classe 2x'x"x", cioè la superficie rigata costituita dalle relte r o R comuni ai tre sistemi (0', ©", ©”) 0 (0',07,6"). 3. Rappresentiamo il sistema di rette (O, 6) del grado x con le equa- zioni ‘ ©=(Ff+Gg+Hh+Ll+Mm-+Nn),=0, (1) ul 0=(fF+gG+hH+1L+mM4+nN),=0, e siano (r,, R) ed (r;,t;) due rette che concorrono nel punto p e giacciono nel piano P; tra le coordinate di queste rette e quelle di un’altra retta (r, R) condotta per p in P essendovi relazioni della forma fi af +bf; SIRO l =al, URTI F=AF4-BF,, a RUPIA E-AL+-BL;,.... 2 ua se la retta (r, R) appartiene al sistema (®,0), ponendo per la partizione (x.,%;) di x Der) Eta ERI J (898 MAIA EEE L ) i rapporti 4:d ed A: B saranno dati dalle equazioni a": (2,0)+ -" abs (AA) 2(1,x—1)4+b"2(0,2)=0, (3) A"c(4,0)+-— A 7Box-1,1)... Sp AB(1,x1)+B"5(0,4)=0 | le quali determineranno perciò il gruppo (I°, y) delle rette del sistema (©,6), che passano pel punto p, e giacciono nel piano P. Per ogni posizione del punto p l'equazione Y(x;,%;)=0 rappresenterà la superficie conica armonica d’ ordine x, di r;, 0 d'ordine x, di r,, ri- spetto alla superficie conica X corrispondente in © al punto p, secondo che si consideri fissa la retta 7; o r,, e variabile la retta 7, o r;. Simil- mente, per ogni posizione del piano P, l'equazione 6(4,,%;)=0 rappre- senterà la linea armonica di classe x, di R,, o di classe x, di R,, rispetto alla linea o corrispondente in 6 al piano P, secondo che si consideri fissa la retta R; o R,, e variabile la retta R. o R,. Le proprietà di questi si- stemi armonici dei diversi ordini e delle diverse classi si trovano altrove dimostrate *). Ponendo le relazioni ombrali Hy-G:+Lt _ F:_Hr+Mt _ Go_Fy+Nt __ Le+My+N gipo Ende DR IT AI Z a T (4) hY-gZ+1T _ fZ—hX+mT_ gX_fY+4nT _lX4+mY+nZ x To y "| z pe È con le altre analoghe cambiando p in p;, p;; 0 Pin P,, P;, alle equazioni delle superficie coniche e delle linee armoniche potrà darsi la forma Za d= (Xx. +4Yy;+Zs, Upi (Ka, +Yy, +23, +Tt, x Dee —=-0 i (5) 2 o (4,, “)=X+yY+2Z-HT) (&X, +yP, +22. hi 107 ) *) Memoria sulle forme binarie di grado qualunque. Memoria sulle forme ternarie di grado qualunque. ll DAI x) =(A0+Yy+Z3+T%), "DE Lt+-Y,y+Z3+T 1), pa 1017 o (x,,*)=(x,X+y,f+zZ4t, sg (x,X+y;,Y+z;Z+t,T), Ps 0 LI essendo p;, e p; punti arbitrarii di », ed #,, e P,, e P, piani arbitrarii condotti per R, ed R.. Considerando fissi nella prima delle equazioni (9) i punti p;,p;, 0 pure nella seconda i piani P,, P;, si avrà una superficie d'ordine x, locale del punto p tale che le sue congiungenti r, ed r, con p, e p; sono armo- niche l’ una dell’altra degli ordini x; e x, rispetto a X, 0 pure una super- ficie di classe x, inviluppo del piano P tale che le sue intersezioni R, ed R, con P, e P, sono armoniche l’una dell’altra delle classi x, e ; rispetto a o. Nella superficie X(x,,%.) i punti p; e p; sono multipli rispettivamente d’ordini x, e x;; le superficie coniche di contatto della superficie nei suddetti punti sono le superficie coniche armoniche degli ordini %, e x; della retta p; p; rispetto alle superficie coniche Y; e X; che in © cor- rispondono a p;, e p,. Similmente nella superficie 6(4;,%;) i piani P, e P. sono tangenti multipli rispettivamente di classi x; e x;; le linee di contatto della superficie con i suddetti piani sono le linee armoniche delle classi x, e x; della retta P, P, rispetto alle linee 0, e 0; che in 6 cor- rispondono a P, e P,. Se tra le coordinate di x rette (r,,...7,,...7,) condotte pel punto p, o pure se tra le coordinate di x rette (R,,...,,...ft,) giacenti nel piano P, si ha l’una o l’altra delle relazioni : EARLE) EferEhbt.)=0) (FT. ALL +) (FAILLA) (ATALA...) =0, il gruppo di rette (r,,...7,,...7,), 0 (R,,...R,,...R.) si dice coniugato armonico rispetto a Y o a c *). Per costruire un tal gruppo di relte, prese arbitrariamiente le rette.(7,,7_--.te,); (RR. . gf . si " CRRZIRIPE ona nd i in VA] pe iadkep ” [1 4 Litta” La aaraità station | \. rogito den 4 st ia brit î nf dea, D* piani (dara) ASI OTL oNugirngin paci Hal pae I Garni iù porti ginnici oetbann Mai Apia Lr dr, ferri supsgb= apri bg bt atpatimgimon S: {uf nifticha tirano D anto bien stasi I pra im ohi cui ja "eu parrinta, 1400) 14 DUAL ann stai Agora, al: n btioonng. 41 URL: gin i ha TICCISO, hiafon 9 Hamm #20 ipo daria l dim itai byte” Latuntgeiph LP ETTI uni VI a i questa ua vuo | 3% 10 DI ’ Vit Asti sl ubi phon: egli nio” ti pira A a; RA ACRI e rr Siuiai ylah sccianyfio ai. î i gogna pole ato ins sui ‘gironi C) nflocotan (E, ‘ih oggane nuo inf drgorg «a RIC: fica Mint tao ail NTCILO guavil) opt | RPUT-E dfn Anpil. suna pale dormsdbiai agri metipqota nl rovogagì atti Arcari A i bio.) risadoi TI IIUI) si n van IU sfinr va, nato (21% ‘nvazio iubriì mngipo va a do f pedi. @ penne DI x ia x À ; petardi te i oi ugtazihi bri | da Tg per Sq î di DR oi 1 REPERTI fonte, pera i vu è ® sd miei 5 rx na sel = ” . x dl Vol. IV. N. 8 La ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE DUE QUISTIONI RISGUARDANTI L'ELETTRICISMO NATURALE MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO L. PALMIERI letta nella tornata del dì 14 novembre 1868 1° La superficie della terra è dotata di una tensione elettrica sua propria ed inducente sopra i conduttori isolati? 2° Supposta questa elettricità propria ed inducente del suolo, dovrà essa esercitare il suo influsso solo sopra i conduttori ascendenti o discen- denti, o eziandio sopra i conduttori fissi? I. Il Peltier rifacendo ed ampliando le sperienze di Sausurre e di Erman, alle quali i fisici non aveano data alcuna importanza fino al punto di non ricordarle nelle loro opere, fece fare un passo alla meteoro- logia elettrica la quale era rimasta dove il Beccaria ed il Volta l’aveano lasciata, se pur non sì voglia dire che s'era tirata più indietro. Il fisico francese dimostrò, tra le altre cose, che la elettricità che si appalesa so- pra i conduttori esposti all'aria libera procede con le leggi dell’influsso, e però che non è ad essi comunicata dall'aria circostante. E dal vedere che ne’ tempi ordinarî un conduttore che si eleva assume elettricità po- sitiva, ed abbassato, dopo di essere stato messo in comunicazione col suolo, prende elettricità negativa, ne conchiuse essere la terra un globo elettrizzato di elettricità resinosa e gli spazî planetari dotati di elettri- cità vitrea. Con questa ipotesi egli rendea ragione della elettricità che si appalesa sopra i conduttori esposti all’aria libera e di tutt'i fenomeni*di elettricità meteorica. Egli ponendo un elettroscopio tra due conduttori elettrizzati di opposte elettricità, messi entro una stanza nella stessa ver- Atti — Vol. IV.— N.° 8 1 LIGA ticale, riproduceva, elevando ed abbassando l’elettroscopio, tutt’i fenomeni che si hanno all’aria libera muovendo l’elettroscopio nello stesso modo. I fisici generalmente rigettarono la ipotesi di Peltier e dimostrarono sperimentalmente che que’ fenomeni si hanno in camera con un solo con- duttore elettrizzato, e che per dare ragione de’ medesimi all'aria libera basta la sola elettricità atmosferica. Non conosco alcuno che si fosse fatto campione della elettricità vitrea degli spazî celesti, ma parecchi in di- verso modo supposero o credettero vedere un’elettricità tellurica. Le molte osservazioni da me fatte sul proposito pareano più che sofficienti a mostrare la verità, ma poichè ancora ci ha taluno che crede la terra do- tata di una tensione elettrica sua propria, atta ad indurre tensioni sopra i conduttori che si elevano e si abbassano, così ho stimato utile ritornare per l’ultima volta sopra questo subbietto. La esistenza di una tensione propria ed inducente del suolo si desume dall’elettricità che si appalesa sia avvicinando o allontanando due con- duttori orizzontalmente, sia elevando o abbassando un conduttore. Or poichè tutti questi fenomeni debbono egualmente avverarsi tanto col sup- porre un’elettricità inducente che si svolge nell'aria con una elettricità contraria indotta nel suolo, quando col supporre che l’aria ed il suolo abbiano opposte elettricità proprie ed indipendenti, conviene dimostrare che l’esperienza conduce a riconoscere la elettricità statica del suolo come indotta da quella che si svolge nell’aria. Avvicinale due conduttori oriz- zontalmente, all'aria libera, ed essi mostreranno tensione negativa pro- porzionale alla positiva dell’aria, esplorata anche a conduttore fisso, la cui tensione elettrica, al dire degli avversarî, è indipendente da quella del suo- lo, badando solo ad evitare i tempi soverchiamente umidi. Lo stesso si av- vera paragonando siffatte tensioni con quelle che si hanno a conduttore mobile. Quando la elettricità atmosferica in qualsivoglia modo esplorata diviene fortissima, le tensioni che si osservano tra i conduttori che si av- vicinano sono anche esse di una maravigliosa intensità, per modo che il mio dito accostato ad un elettroscopio posto sulla torre meteorologica dell’osservatorio vi eccita un deviamento simile a quello che si avrebbe con un bastone di ceralacca strofinato col pannolano; se poi l’elettricità atmosferica sia negativa, quella che si ha avvicinando due conduttori sarà positiva. L’elettricità dunque del suolo, sempre opposta a quella dell’aria, cresce o scema con questa e con essa s'inverte, pare dunque evidente che non sia un’elettricità propria, ma accidentale, indotta. 4 pr Sulla terrazza della torre meteorologica, ad un'altezza dal pavimento di tre o qualtro metri avendo distesa una tenda orizzontale di seta di lana o di tela mantenuta da lacci di seta, indi avendo elevato ed abbassato ver- ticalmente un conduttore o un elettroscopio non ho mai avuto indizio di elettricità. Qui non è il caso del pozzo del Beccaria, perocchè non si tratta di un recinto chiuso, ma di due piani paralleli tra' quali due con- duttori che si avvicinano o si allontanano orizzontalmente dànno ancora indizio di tensioni elettriche, appunto perchè essi veggono il cielo in di- rezione orizzontale. Quando io faceva degli studî preparatorî sul metodo del conduttore mo- bile, paragonai più volte gli effetti che si avevano da due conduttori mo- bili eguali e simili uno posto all’aria libera e l’altro disposto in modo che nel salire uscisse dall’ interno di una stanza per un foro fatto nel cielo della medesima, e nel discendere vi rientrasse, e sempre ho avuto i me- desimi risultamenti. In entrambi si avverava che la elettricità nella di- scesa fosse di parecchi gradi minore di quella che si avea nella eleva- zione del conduttore; ma questo dipendea dalla forma del detto condut- tore, il quale fatto perfettamente simmetrico a' due estremi, dà tensioni eguali tanto nel salire quanto nel discendere, di che mi sono con appo- site indagini perfettamente assicurato. Un conduttore che abbassandosi mostra sempre un’ elettricità opposta a quella dell'atmosfera, messo in comunicazione col suolo ritorna a zero. Con le piogge temporalesche in cui l'elettricità atmosferica spesso patisce cangiamenti da un momento all’altro, si vede che nello stesso tempo e con la stessa intensità tali cangiamenti si mostrano anche nel suolo, sempre in ordine inverso, per modo che quando la elettricità del- l’aria passa per zero anche quella de’ corpi terrestri diviene nulla, e quando quella in un attimo di positiva diviene negativa, questa di nega- tiva sì fa positiva. Credo di aver dimostrato in altra occasione come mercè l'influsso della elettricità atmosferica si renda ragione delle correnti telluriche esplorate da Lamont, dal P. Secchi, dal Matteucci e da altri, nello studio delle quali bisogna usare grande circospezione, perocchè col mettere due lamine di platino in communicazione col suolo, usando un galvanometro delicato, è agevole osservare correnti che nascono pel modo di speri- mentare, ecco perchè il Matteucciletrovò ascendenti edilVolpicelli discendenti. Soltanto in presenza di grandi piogge il galvanometro, op- * CEST portunamente lavorato, il quale abbia un capo in comunicazione con un conduttore fisso terminato a punte ed un altro col suolo, dinoterà elet- tricità dinamica, la quale si trova in perfetta corrispondenza con la elet- tricità statica dell'atmosfera in qualunque modo esplorata. Per talmodo alle forti tensioni positive dell'atmosfera il galvanometro segnerà una cor- rente discendente, ed ascendente quando la elettricità atmosferica diviene negativa. Qui l’elettricità dinamica può mancare, ma se sì avrà, sarà sem- pre di accordo con la elettricità statica: l'elettricità dinamica poi che si ha ponendo i capi del galvanometro in comunicazione col suolo mercè lamine metalliche può nascere da cagioni che non sempre è facile diffi- nire. Dicasi lo stesso quando la elettricità statica vogliasi esplorare col condensatore messo in contatto con un conduttore francliniano: si avrà un’elettricità negativa sempre che la elettricità dell’aria, ancorchè posi- tiva, sia pochissima o nulla, specialmente se l’ambiente sia umido. Sola- mente osservando in questo modo si trova elettricità negativa nell’atmo- sfera, quando veramente non ci è: ecco perchè avendo usato il conden- satore in sul principio delle mie indagini, lo abbandonai non solo come inutile dopo la invenzione di elettrometri squisiti, ma eziandio come illu- sorio, e forte mi maraviglio nel vederlo tuttavia sostenuto e raccomandato dal Volpicelli, il quale sa benissimo che una lamina metallica messa in comunicazione col piattello inferiore di un elettroscopio condensatore, dà tensione negativa specialmente se abbia grandi dimensioni e se l’aria sia umida. Questa tensione sarà positiva se il metallo non tocchi il piattello immediatamente, ma per mezzo di una stoffa bagnata di acqua acidola o salata. Se si consiglia di non giovarsi della fiamma che tanto accresce la efficacia de’ conduttori fissi, temendo di avere qualche illusione, non so come si possa confidare nelle deboli indicazioni del condensatore col quale sempre che l'elettricità atmosferica sia scarsissima appariranno le tensioni elettrochimiche o di contatto, falsamente giudicate per atmo- sferiche. Ecco la vera e giusta ragione per la quale i diligenti e valorosi astronomi dell’osservatorio di Palermo giudicarono illusorio l’uso del condensatore per valutare qualitativamente l'elettricità atmosferica, del pari che inetto a darne la misura. La prova finalmente che mi pare senza replica vien data dal mio ap- parecchio portatile a conduttore mobile in cui il conduttore sì eleva come dal vertice di una piramide triangolare i cui spigoli sono tre asticelle di legno, e le tre facce sono tre pezzi triangolari di stoffa impermeabile — d — che si possono togliere ad arbitrio dell'osservatore. Ora il conduttore nell’elevarsi esce fuori della piramide e vi rientra quando si abbassa. Se il suolo sottoposto esercitasse un influsso sensibile dovrebbero aversi ef- fetti diversi operando con la piramide aperta e con la piramide chiusa, ed intanto le tensioni che si hanno sono perfettamente le stesse. Se muovete un conduttore orizzontalmente, col cielo egualmente libe- ro intorno, non avrete alcun segno di elettricità, ma se da un lato sorga un muro od un colle, avrete elettricità positiva dirigendo il conduttore verso il cielo scoperto ed elettricità negativa quando si volge o si avvi- cina al muro o al colle. Coteste elettricità s'invertono quando la elettri- cità atmosferica è negativa, e sono nulle se essa sia molto debole. L’elettricità del suolo dunque direttamente esplorata e non con metodi illusorî è sempre opposta a quella dell’aria, cresce e scema in proporzione con questa ed è nulla quando essa svanisce; e però deve considerarsi come indotta da quella che si svolge nell’aria. Ma con la continua evaporazione del suolo non deve questo rimanere negativamente elettrizzato? Il nostro globo è un enorme conduttore nel quale la distribuzione elettrica prontamente si compie e l'equilibrio tra le sue parti si ristabilisce, per cui è veramente inconcepibile senza le leggi dell’influsso intendere come in una data regione della terra possa sussistere per qualche tempo elettricità positiva, e come in un attimo talvolta essa si muti. D'altronde se i vapori che si elevano dal suolo non mostrano tensione sensibile siccome fu già da me dimostrato, ma la ten- sione si manifesta nel momento del loro condensamento, ne segue che la tensione de’ corpi terrestri si appalesa per influsso nelle stesse condi- zioni, ed accade lo scambio e la compensazione delle opposte elettricità. II. Ma supposto che il suolo sia dotato di un’elettricità propria e indu- cente sopra i conduttori esposti all'aria libera, questa elettricità affetterà solamente i conduttori mobili o anche i conduttori fissi? In altri termini i conduttori fissi sono essi esenti dell’influsso dell'elettricità del suolo e però acconci a dare le indicazioni della sola elettricità atmosferica? Chieggo perdono a tutt’i cultori di meteorologia in Italia se per un solo dissenziente entro in questa forse inutile disquisizione, dopo che molti tra essi fanno già le osservazioni di elettricità atmosferica a conduttore pad aee i mobile ed altri aspettano solo di avere il denaro per farne l'acquisto. Il loro suffragio dunque e gli encomî del Faraday renderebbero superflua la presente disamina, se non mi desse l'occasione di esporre alcune espe- rienze non ancora pubblicate. Un conduttore isolato messo tra due corpi elettrizzati di opposte elet- tricità e ridotto a zero, manifesterà nuova tensione non solo se si muova tra que corpi eleltrizzati avvicinandosi ad uno in quello che dell'altro si allontana, ma eziandio se rimanendo ove erasi collocato, varii la tensione di uno di que’ corpi inducenti. Un conduttore fisso dunque collocato al- l’aria libera dovrebbe risentire gli aumenti e lediminuzioni dell’elettricità terrestre e della elettricità atmosferica, e dovrebbe dare le stesse indi- cazioni tanto per l'incremento dell'una quanto per la diminuzione del- l’altra. Ma se una di queste due elettricità fosse indotta dall'altra le va- riazioni del conduttore fisso o mobile sarebbero sempre proporzionali a quella della elettricità inducente. Ma si dirà; il conduttore fisso perchè terminato a punta nella parte supericre sperde la elettricità omologa a quella del suolo e rende libera solo quella dell’aria. Se le cose procedono così allora è chiaro che un conduttore fisso terminato a punta nella parte inferiore dovrebbe indicare esclusivamente la elettricità del suolo sper- dendo quella dell’aria, e quindi due conduttori fissi uno con la punta in alto e l’altro con la punta in basso dovrebbero indicare elettricità opposte, giacchè, per le cose dette di sopra, l'atmosfera ed il suolo mo- strano sempre elettricità contrarie, onde non mai interviene che il con- duttore mobile nel salire e nello scendere annunzî la stessa elettricità. Ora avendo io messi sulla terrazza della specola universitaria due con- duttori fissi eguali simili e similmente disposti, vidi che entrambi davano elettricità positiva, e ne casi noti di elettricità atmosferica negativa, s'ac- cordavano entrambi nel manifestarla. Come dunque si può pretendere che i conduttori fissi siano acconci a dinotare la sola elettricità dell’aria condannando l’uso de’conduttori mobili? Il vero è che se l’aria ed il suolo avessero tensioni proprie ed indipendenti il conduttore fisso come il ma- bile ne sarebbero affetti, ma se l'elettricità dell’aria e quella del suolo siano sempre opposte e costrette a variare insieme perchè questa è l’in- dotta di quella, allora i conduttori fissi ed i mobili andranno sempre di conserva nelle loro indicazioni qualitative, salvo qualche momento nel passare da un periodo all’altro ne’ tempi di pioggia; ma in quanto a misure, dopo quello che ne disse il Peltier, è veramente singolare che ancora si e RA elevi taluno a pretendere che si debba tornare indietro solo perchè alcuni conservatori del vecchio sistema non ancora son venuti avanti, forse perchè ignorano i recenti lavori fatti in Italia specialmente per le difficoltà della lingua e per la poca pubblicità che spesso diamo a’ nostri lavori. Il certo è che nessuno osa pubblicare le osservazioni di elettricità atmosferica fatte a conduttore fisso, perchè tutti son persuasi che que’ numeri non avrebbero alcun significato: ecco perchè all’osservatorio di Palermo si contentarono per qualche tempo delle sole indicazioni qualitative, e quando si avvidero che il condensatore potea anche sotto questo aspetto dare indicazioni fallaci, giudicarono meglio di astenersi dal pubblicare quelle osservazioni nel loro eccellente Bullettino. Come in politica così nella scienza i conservatori esagerati si oppongono al giusto e ragionevole progresso, e sono funesti del pari di certi corrivi a rompicollo. Non so perchè nell'animo del Volpicelli debba fare un gran peso qualche raro osservatorio straniero che da 30 o 40 anni si trova di avere un condut- tore fisso, e non valutare per nullaun Secchi, un Cantoni, un Ragona, un de Bosis, un Densa, un Parnisetti, un Faa di Bruno ec. che accolsero in Italia il metodo del conduttore mobile. Ed il primo a richie- derlo ed a collocarlo sulla torre meteorologica dell’Università di Pavia fu il defunto prof. Giuseppe Belli la cui autorità non sarà certo ripudiata da alcuno: solo l’elettrometro in quel tempo non era così perfetto come poi è divenuto col sistema bifiliare, e l'illustre successore del Volta sta- vasi ingegnando a perfezionarlo quando fu da morte rapito *). 1) Il conduttore fisso resta appena in qualche osservatorio ove fu collocato prima che Peltier ne dimostrasse la fallacia, ma dopo tutti generalmente hanno accettato il principio che regola l’ elettrometro mobile ed il conduttore mobile. Così oltre al Quetelet ed al Lamont, si sa che in Olanda hanno il conduttore mobile quantunque in altro modo dispo- sto, che il Tompson in Inghilterra ricorse alla vena liquida discendente da me studiata e proposta nel 1850, la quale è un conduttore mobile, che questo apparecchio è usato all’Os- servatorio di Lisbona, ec. Il Volpicelli si appicca secondo il solito ad una mia frase con la quale io dissi che l'apparecchio del Tompson vale come un conduttore fisso , sem- pre col pio intendimento di avvolgermi in contraddizione, e mi fa ricordare di Voltaire che trovava per lo meno sette eresie nel pater noster. L'apparecchio del Tompson mentre è un vero conduttore mobile è affetto dagl’inconvenienti del conduttore fisso, avendosi come in questo una tensione operante in modo continuo con perdite variabili che non si possono valutare. Lo capisca una volta per sempre l’egregio Professore romano che non bastava avere osservate le tensioni che si hanno da un conduttore mobile, ma bisognava sapersi giovare di questo fatto per fondarvi sopra un metodo per aver misure assolute, comparabili e corrette; . e questo credo di aver fatto io e non Cavallo, Erman ed altri che citai quando era tempo = Srl Per risparmiare al Vol picellila cura di andar cercando frasi staccate dalle varie mie memorie in diversi tempi pubblicate per mettermi in contraddizione, dichiaro per l’ultima volta, che il mio apparecchio è uni- versale, funziona cioè come conduttore fisso e come conduttore mobile a piacere dell'osservatore; che può terminare a punta, a fiamma, a disco, a globo, con alcuni pezzi di ricambio; che l’operare a conduttore fisso è utile in parecchie congiunture, come per lo studio dei fenomeni che si osservano con la caduta della pioggia della grandine o della neve, per assicurarsi della esistenza di temporali lontani ec., usando secondo il bisogno l’elettroscopio di Bohnenberger, l’elettrometro, od anche il galvanometro: ma per le osservazioni ordinarie di meteorologia elettrica nelle quali sì vogliono misure assolute e comparabili è mestieri atte - nersi al metodo del conduttore mobile. La fallacia delle misure che si hanno con un conduttore fisso messo in comunicazione con elettroscopio a pile secche per mezzo di un condensatore mi pare così evidente da non potermi far supporre che il Volpicelli così dotto e sagace, non sia in grado d’intenderlo. Operando a questo modo non solo non si hanno mi- sure, ma si sbaglia perfino sulle qualità dell’ elettrico. Sempre che il conduttore fisso da se solo dà zero e l’ambiente sia alquanto umido è fa- cilissimo avere col condensatore elettricità negativa. Nelle giornate secche il conduttore fisso, l’elettrometro di Peltier ‘ ed il conduttore mobile vanno di conserva: spesso il conduttore fisso senza il condensatore cade a zero o dà lievissime indicazioni mentre l’e- lettrometro di Peltier va ancora mediocremente di accordo col condut- tore mobile, leggendo in entrambi le tensioni con gli archi definitivi; se finalmente la umidità si accresce, accade non di raro di avere indica- zione solo a conduttore mobile, e poichè questo può farvi conoscere le perdite che si hanno per l’umido, vi sarà dato di conoscere che in tali congiunture appunto le perdite sono considerevoli, e quindi si conosce la ragione del disaccordo. Dopo queste considerazioni io lascerò volentieri all’egregio Prof. Vo l- picelli la consolazione d’invocare i suoi oracoli, fatti muti dopo la ma- nifestazione del vero. Gioverà solo prima di por termine a questa memoria dileguare qual- prima che il Volpicelli venisse oziosamente a ricordarli. Quanti lavori sulle righe dello spettro, e pure l’analisi spettrale appartiene a Bunsen! ii cheduno di moltissimi equivoci contenuti nella lunga memoria del Vo1- picelli *). 1° Le elettricità atmosferica secondo le osservazioni del celebre areo- nauta Giacomo Glaisher diminuisce a grande altezza, per modo che oltrepassati 7000” non era più sensibile con gli apparecchi de’ quali il Glaisher si giovava. « Questo risultamento, dice il Volpicelli, « sì accorda bene con la ipotesi, che il positivo mostrato da’ corpi sa- « lenti nell'atmosfera proviene dalla elettricità indotta nel corpo sa- « lente, per influenza della carica elettro-negativa dal nostro globo ». E non sarebbe più giusto il dire che la grande massa atmosferica elettro- positiva sottoposta all’areonauta basterebbe anche meglio a dar ragione del fenomeno, che io avrei accettato @ priori, trovandolo una legittima conseguenza de’ principi da me propugnati; e se si fosse trovato il con- trario avrei delto che ciò avrebbe potuto per avventura derivare dall’es- sere quelle osservazioni state fatte in ore diverse e però incapaci a far conoscere la legge con la quale l'elettricità varia con le altezze. Ma io da due anni sto facendo osservazioni simultanee a diverse altezze comin- ciando dal livello del mare, ed ho trovato che nelle giornate calme e serene dalle 9 a. m. all'una p. m. le tensioni crescono con le altezze, ma nelle prime ore del mattino, specialmente con qualche caligine bassa sì ha più forte tensione alla stazione inferiore. Le osservazioni di un altro re- cente areonauta Flammairon dànno ragione di tutto. Costui ha trovato in tutte le sue ascensioni una falda atmosferica di massima umidità la quale varia di altezza a seconda dell’ore del giorno e delle condizioni dell’aria. Quivi dunque per le cose da me dimostrate risiede il massimo di elettricità, per cui un conduttore che si elevi approssimandosi a questa falda segnerà tensioni crescenti, ma le tensioni diminuiranno se il con- duttore sorpassandola se ne allontani. Se un conduttore partisse da’ con- fini dell'atmosfera per elevarsi negli spazî planetarî con molta velocità, dovrebbe dare deboli segni di elettricità negativa, e però ci ha sempre nell'aria una falda nella quale un conduttore deve trovarsi tra due in- flussi eguali di elettricità omologhe e quindi mantenersi a zero. 2° (Quando io cominciai a fare uso del conduttore mobile, A. Quetelet da molti anni usava l’elettrometro mobile: entrambi i metodi muovono dallo stesso principio, e però ebbi ragione di dichiararmi d’accordo con 1) Analisi e rettificazione di alcuni concetti, e di alcune sperienze ec. Roma 1866. Gentil- mente speditami dall’ egregio Autore in questo anno. Atti — Vol. IV. — N.° 8 2 Sera | l'illustre Astronomo belga: solo io dicea che col conduttore mobile si evitano gl’ inconvenienti dell’ elettrometro mobile, rimanendo sempre fermo che la elettricità atmosferica va meglio esplorata con un conduttore che si eleva e si abbassa. La differenza tra il mio metodo e quello di Pel- tier è puramente accidentale, perocchè entrambi partiamo da Erman, ma l'esattezza de’ risultamenti è maggiore col mio. Qual maraviglia poi che il venerando direttore dell’Osservatorio di Brussella abbia seguitato a fare uso dell’elettrometro mobile, se il Volpicelli ancora difende il conduttore fisso? 3° Il Volpicelli si studia di trovare una contraddizione ad ogni passo delle mie memorie. Io ho condannato il conduttore fisso e l’elettrometro mobile, e ciò non di meno ho detto che in alcuni casì vanno di accordo, col conduttore mobile, vale a dire quando le perdite si possono trascurare, e non accadono rapidi cangiamenti nella tensione dell’aria. Perchè due termometri fatti con liquidi diversi vanno d’accordo per alcune tempera- ture, segue che debbono reputarsi entrambi perfetti? Dove sta dunque la contraddizione? 4° Se il Volpicelli ha dimostrato che la elettricità indotta non può tendere affatto, e quindi non accelta come indotta la elettricità negativa del suolo; io credo di avere egualmente dimostrato che la elettricità in- dotta non tende verso 1 corpi circostanti, ma tende verso il corpo indu- cente e di più tende in se stessa; per modo che un cilindretto di ottone verticale terminato da due pendolini e comunicante col suolo vi mostrerà tensione chiarissima accostandovi di sotto un corpo elettrizzato. Le parti dunque di un medesimo conduttore indotto tendono tra loro , e quindi nasce che due conduttori esposti all'aria libera mostrano tensione ne- gativa quando si avvicinano, se la elettricità dominante nell’aria sia po- sitiva, e per contro prenderanno tensione positiva se la elettricità del- l’aria sia negativa, e siffalte tensioni sono esattamente proporzionali a quella dell’aria, esplorata come si voglia, escludendo il condensatore, il quale è stato cagione di far dire al Volpicelli che la elettricità nega- tiva è più frequente ne’ luoghi bassi, con altre cose che son certo ripu- dierà quando potrà fare un confronto tra i varii metodi di osservare. Egli dotto quanto assennato non so come possa sostenere alcune cose che con la centesima parte del suo sapere, ma senza passione, si troverebbero dal vero difformi. L’egregio Professore romano pone in dubbio la verità della mia legge 14 | e secondo la quale la elettricità si appalesa in tempo di pioggia, appunto perchè essa è dimostrata col conduttore mobile che secondo lui non ma- nifesta la sola elettricità atmosferica, ma la risultante delle due, cioè dell’aria e del suolo. E pure la legge suddetta fu scoperta a conduttore fisso congiunto all’elettroscopio a pilesecche secondo vuoleil Volpicelli, siccome credo di avere più volte ripetuto. Anzi se ci ha caso in cui i0 raccomandai di mantenere il conduttore elevato e congiunto all’elettro- scopio di Bohnenberger è appunto quello dello studio delle fasi che l'elettricità atmosferica presenta con le piogge e co’ temporali. Dopo que- sta dichiarazione spero di essere di accordo con l’egregio Professore ro- mano almeno sopra un punto che credo importantissimo. Il curioso è che mentre il Volpicelli pone in dubbio la verità della mia legge, la trova contenuta nella descrizione di una gragnuola studiata da Howard, forse per negarmi la priorità della scoperta. Anch'io citai le stesse osser- vazioni di Howard, quando scoprii la legge suddetta, insieme con altre le quali poteano essere addotte in conferma del mio assunto che in sulle prime recò a molti una grande sorpresa ed ognuno stimò prudente as- pettare che da nuove osservazioni venisse rifermata. Il Melloni stesso in seno della nostra Accademia si maravigliava come una legge tanto semplice fosse sfuggita a tutti gli osservatori; l'autorità dell’Howard allora era da me invocata indarno, giacchè mi si rispondeva che con essa si adduceva un caso particolare e non già una legge, ora poi che la legge non pare più dubbia deve trovarsi un altro che l’abbia scoperta. In somma se la legge è vera appartiene ad Howard, se è falsa appartiene a me. Così pure se l'apparecchio a conduttore mobile è buono, il merito della in- venzione appartiene a Cavallo, a Sausurre, ad Erman e Dio sa a quanti altri; se poi è intrinsecamente cattivo, il malfattore sono io, ad onta che, a confessione dello stesso Volpicelli, lo abbia migliorato. Non amo spendere neppure una parola in difesa delle poche scoperte che ho fatte, giacchè son sicuro che esse saranno giudicate per quel che valgono ad onta degli sforzi dell’egregio Professore romano. I miei sforzi sono uni- camente rivolti alla verità che con maraviglia vedo dal Volpicelli im- pugnata. E sebbene io sappia come ogni scoperta abbia avuto i suoi av- versarî più o meno fieri ed accaniti i quali invano lottarono con la onnipo- tenza de) vero, pure ho creduto cogliere questa occasione per esporre alcuni fatti o non ancora pubblicati o espressi con soverchia brevità nelle mie memorie antecedenti. SC INoe 5° In quanto poi all’esistenza di nubi elettrizzate di elettricità negativa, dopo migliaia di osservazioni da me fatte entro le nubi per tanti anni, lascio volontieri al Volpicelli ed a’ suoi oracoli la consolazione di sup- porle, ed aspetto vedere con esse la mia legge invertita. 6° Il Volpicelli loda le osservazioni fatte in luogo elevato, ma de- sidera che siano comparate con altre fatte in luoghi bassi, e fa le viste d’ignorare che siffatte osservazioni da molti anni si fanno almeno tre volte al giorno a 637 ed a 57” sul livello del mare, cioè all'Osservatorio Vesuviano, ed alla Specola Universitaria, oltre quelle che da due anni sto facendo a diverse altezze siccome di sopra è detto, le quali veramente non aveva ancora pubblicate per le stampe. 7° Come un saggio poi di tanti ragionamenti ed obbiezioni che il Vol- picelli mi scarica addosso, cui non è possibile rispondere senza spen- dere inutilmente il tempo, riferirò le poche parole con le quali il mio egregio avversario interpreta un'esperienza tendente a provare la vera origine della elettricità atmosferica. Coloro che mi aveano preceduto nelle osservazioni di elettricità atmosferica, non aveano potuto avvedersi di un fatto molto importante, cioè, che le più forti tensioni si hanno durante la caduta della pioggia, della grandine o della neve, tanto sul luogo delle osservazioni, quanto in distanza; imperciocchè, quando la pioggia cadeva sul luogo delle osservazioni, gli apparecchi da essi usati, cioè, il conduttore fisso o l’elettrometro mobile, perdevano tosto il loro isolamento e restavano muti, e quando poi cadeva in distanza, da una parte le fasi espresse dalla mia legge e dall'altra il pregiudizio che facea derivare le tensioni dalle nubi elettrizzate e non dalla pioggia più o meno lontana, erano cagione di non far vedere che le più forti tensioni nascono con le piogge, durano con esse, seguendo la legge di sopra ricordata, e con esse spariscono. Ma il mio conduttore che mai non perde l’ isola» mento, perchè l’isolatore sta nell'interno della stanza, mi fece conoscere che la elettricità atmosferica si manifesta con l’addensamento de’ vapori e divien massima quando questi si risolvono in pioggia, grandine o neve. Dopo tutto questo, volli vedere se l’esperienza potesse mostrarmi la elet- tricità che si svolge da’ vapori che si convertono in acqua. Facendo dun- que bollire l’acqua in una grande coppa metallica, posta entro una ca- mera chiusa, mentre la colonna di vapore tranquillamente si elevava al- l'altezza di circa due metri, incontrava un ampio refrigeratore di platino isolato, e comunicante con un elettroscopio condensatore. Per tal modo, L'IN io vidi manifestarsi elettricità positiva. Ecco ora che ne dice il Volpi- celli: « In questa esperienza certo ha luogo il sollevamento del vapore, « il quale, come tutti gli altri corpi che salgono, si mostrano positivi, « per effetto della elettricità negativa terrestre, come più volte si è « detto *) ». Ma quando si osa di asserire che, un conduttore che si eleva entro una camera chiusa, si deve elettrizzare, un uomo onesto, che ri- spetta se stesso ed il suo avversario, si deve astenere dal rispondere: contendenti principia respondere nefas. 1) Pag. 124. pio >, i Vol. IV. N: 9 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE ULTIME FASI DELLE CONFLAGRAZIONI VESUVIANE DEL 1868 RELAZIONE DEL SOCIO ORDINARIO L. PALMIERI letta nella tornata del dì 6 marzo 1869 La storia delle continue arsioni del Vesuvio dal 13 novembre del 1867 fino al 80 maggio del 1868 fu da me esposta in una Memoria messa a stampa nel IV volume degli Atti dell’Accademia di Scienze fisiche e mate- matiche. Vengo ora, secondo la promessa fatta in fine della suddetta Me- moria, a compiere la narrazione de’ fenomeni presentati dal nostro monte fino alla fine dell’anno in cui par che abbia avuto termine un periodo di attività cominciato nel 1865. Dal mese di giugno fino alla prima settimana di ottobre il cono su- periore mostrossi sempre in attività: buffi di fumo con cenere, piccoli muggiti e frequenti proiettili infocati rappresentavano il residuo di un dinamismo che modestamente lavorava. Ma con sì poca attività della bocca di eruzione, gli strumenti collocati all'Osservatorio, il sismografo elettromagnetico cioè e l'apparecchio di variazione, non solo non erano tornati in calma dopo le antecedenti conflagrazioni, ma erano agitati più di quello che avrebbe potuto aspettarsi da così lieve energia eruttiva del Vulcano. La sera del dì 8 del mese di ottobre uscirono nuove lave che dalla cima del cono discesero nell'atrio del cavallo, attraversando il sentiero per lo quale si andava all'antica piedemontina, ed occupando il resto della sabbia per la quale tanto comodamente si discendea dal cono. Que- sle lave dopo otto giorni cessarono. À capo di un mese, cioè nel dì 8 no- Atti — Vol. IV.— N.° 9 1 — 2 vembre, nuove lave discesero dal cono e dopo sei giorni si spensero. Era- vamo al 14 novembre") senza veruna lava, ma con un poco più di attività nel cono, e gli strumenti all’ Osservatorio erano agitatissimi: il dì ap- presso verso le 11 del mattino una linea di fumarole apparve sul cono dalla cima fino alla metà, ove si aprì una bocca che con molto fumo menava gran copia di brani di lava; e più tardi nuove bocche aprendosi alla base del cono Vesuviano cominciarono a versare lave molto copiose. In poche ore sì formarono nove coni dell'altezza di circa 12 metri senza tener conto di altri tre o quattro piccolissimi. Questi coni erano dispo- sti in tre linee le quali convergevano verso la bocca apertasi prima alla metà del lato del cono vesuviano, siccome di sopra è detto, e cotesta convergenza era disegnata da fumarole che in continuazione delle linee de’ coni andavano a congiungersi con la bocca suddetta come verso il loro centro comune. Tulto ciò dimostrava ad evidenza, essere avvenuta nel cono vesuviano una fenditura, siccome nelle grandi eruzioni suole accadere, la quale passando tra quelle del 1855 e del 1858, alla metà del lato settentrionale del cono vesuviano formando una piccola bocca di eruzione, erasi divisa in tre rami, sopra i quali s'eran formate tre linee di coni che segnavano le origini di tre vigorose correnti di lave, che scorrendo da prima come tre fiumi di fuoco rinchiusi ne’loro alvei, si dirigevano per l’atrio del ca- vallo sotto le rupi del monte di Somma ove si confondevano e s’impaluda- vano, coprendosi di grande quantità di scorie incoerenti, per cui diveni- vano più pigre. Dall’atrio si versavano nel fosso della Vetrana dilagandosi sulle lave del 1855 e del 1858, e mettendo in fiamme una porzione de’ bo- schi cedui che si trovano sulle sponde di quella valle. Dal fosso della Vetra- na, all’alba del17,ilfuoco si precipitò nella sottoposta valle che col nome di fosso di Faraone va a metter capo tra i due villaggi di Massa e S. Seba- stiano. Questo vallone prima del 1855 avea una profondità enorme, ma le lave di quell’anno avendolo riempito, specialmente nella parte superiore, poteltero superarne le sponde e fare un diversivo a sinistra incanalandosi in un valloncello che riusciva verso S. Giorgio. Ora le nuove lave get- tatesi nel fosso di Faraone, invece di percorrere il cammino di questo, sì versarono a sinistra ove erasi fatto il diversivo del 1855; per tal modo i due villaggi di Massa e S. Sebastiano, in parte sepolti nell’anno suddetto, furono salvi, e le lave percorsero le fertili contrade dette delle novelle, 3) Giorno di novilunio. pri. 6 per bontà di vini e squisitezza di frutta molto rinomate, coprendo o atter- rando gran numero di case campestri, dalle quali vedevi uscire la gente alterrita, trasportando tutto ciò che potea salvare da quel fuoco divora- tore. Non mi trattengo nella descrizione di queste scene dolorose che spesso si avverarono nelle grandi conflagrazioni vesuviane, e che furono tanto bene descritte da’ miei antecessori. Alla mestizia de’ danneggiati si contrapponeva, come al solito, il tripudio de’ curiosi che specialmente di notte accorrevano in gran numero a contemplare la sublime, ma ter- ribile maestà di un incendio che, desolate le campagne, facea trepidare gli abitanti de’ paesi vicini. I villaggi di Massa e S. Sebastiano che sem- bravano salvi quando la lava non seguì .la direzione del fosso di Faraone, furono minacciati di fianco per la grande estensione che il fuoco acquistò nel piano delle novelle, e si arrestò alla distanza di pochi metri da un ponte posto sul ridente stradale che da S. Sebastiano mena a S. Giorgio, quando quel ponte era in parte abbattuto affinchè non fosse d’ impedimento alla lava che scorrea entro il sottoposto burrone. La lava che presso le bocche avea una velocità di 180%a minuto primo, percorreva nel piano poco meno di un metro guadagnando in altezza ed in estensione. Nel momento in cuì attraversava la strada che univa di- reltamente S. Sebastiano con Resina, e lungo la quale erano molte case con una chiesa, la lava portava una fronte alta circa 10”. I coni di eruzione intanto muggivano ad intervalli e mandavano fumo misto di sabbia nera senza che la bocca superiore avesse presentato ve- run cangiamento sensibile, tranne un certo aumento nel fumo ed un mag- gior numero di proiettili. Il giorno 20 sì elevò dalla bocca superiore un pino maestoso di fumo nero e cominciò a cadere gran copia di cenere. La sera delle piccole fol- gori guizzavamo in mezzo a quel fumo e le osservazioni al mio apparec- chio a conduttore mobile divenivano importanti. Fu questo il segnale di una diminuzione nella copia delle lave le quali nel giorno 22 si vedevano abbassate di livello entro que’ fiumi de’ quali si è innanzi discorso, ed anche i coni mostravano minore attività. Il 23 il fronte della lava che minacciava S. Giorgio era quasi fermo; al 24 i coni erano tranquilli e mostravano che il pericolo era cessato: solo qualche rivolelto di lava si vedeva nel fosso della Vetrana il quale si spense la notte del 26; il giorno seguente il fuoco apparve sulla cima dell'Etna, ma dopo pochi giorni cessò. eri pò La mole delle lave venuta fuori in una settimana fu di 6 in 7 milioni di metri cubici, e recò un danno di 500 mila lire. La storia del Vesuvio dimostra che le lunghe eruzioni centrali fini- scono quasi sempre col produrre qualche fenditura nel cono per la quale escono lave copiose, per cui il signor Carlo Deville ed io avevamo preveduta un’eruzione eccentrica di grave momento, la quale sarebbe ve- nuta a chiudere il ciclo delle piccole eruzioni cominciato nel 1865. Ecco su quale fondamento induttivo mì adagiava nel predire la fine del lungo periodo di eruzioni quando annunziai il cominciamento dell'ultima con- flagrazione vesuviana. Ma non conviene fermare con ciò regole assolute, imperciocchè un’altra fenditura erasi aperta nel cono Vesuviano nel mese di marzo con uscita di lava dalla parte inferiore di essa e frattanto il Vul- cano non sì quietò. Veramente questa lava usciva senza strepito e senza proiettili, per cui non si formò alcun cono presso la sua origine, nè fu copiosa per modo da far credere che rappresentar dovesse l’ultima fase di quelle prolun- gate arsioni del monte. Dal 1856 al 1858 una serie non interrotta di pic- cole eruzioni precedette la grande conflagrazione che scoppiò nel mese di maggio di quest’ultimo anno, la quale dopo il periodo di grande atti- vità che durò quasi un mese, mentre le bocche alla base del cono si spensero, ne rimase una sola che continuò a dare lava per oltre a due anni, e quando finalmente parea che tutto fosse finito, giacchè rimanea solo un residuo di attività nel cratere superiore, che dal 1856 non avea cessato mai di mandar fuori copioso fumo spesso misto a proiettili ac- compagnati da mediocri detonazioni, una nuova fenditura si aprì poco più in su di Torre del Greco (8 dicembre 1861), la quale fu veramente la fase finale di quel lungo periodo di accendimenti vesuviani. Se non temessi di allargarmi troppo in questa forse non inutile digressione, po- trei dimostrare che il maggior numero de’ più strepitosi incendî del Ve- suvio siano stati preceduti da un lungo periodo di eruzioni centrali, senza negare delle più rare occasioni di forti conflagrazioni eccentriche manifestatesi in poche ore senza che il fuoco si mostrasse nè prima nè poi alla cima del monte: un esempio più recente si ebbe nell’incendio del 1855, il quale fu preceduto solo da uno sprofondamento avvenuto molti mesi prima presso la punta del palo dal quale usciva solo mode- rata copia di fumo ed accennava al cominciamento di quella fenditura sulla quale nel maggio si vennero allineando le nuove bocche. la — d — Tornando ora alla storia dell’ incendio dirò che essendosi nel 1867 formato sul cratere antecedente un cono di eruzione dell'altezza di circa 100”, quando l'incendio si venne rianimando, nel mese di ottobre e nella prima metà di novembre, un cono più piccolo si elevò su quello dell’anno precedente e perfettamente distinto da esso, perchè avea la base minore dell’orlo del primo e si accostava verso la parte settentrionale di questo. Erano così tre coni addossati l’uno sull'altro come i tre monti de’ favolosi giganti. Dal 20 al 23 novembre mentre i coni all’atrio del ca- vallo cominciavano a perdere del loro vigore, il pino che si elevò sulla cima del monte nascose i due conì di eruzione del 1867 e del 1868, ma quando il fumo si andò dileguando l’ultimo cono era sparito e l’altro era scemato considerevolmente di altezza. I coni nell’ atrio del cavallo nel giorno 28 non solo aveano perduto ogni attività ma serbavano una temperatura pochissimo elevata per cui mi fu possibile entrarvi dentro e raccogliere varii prodotti ond’ erano tapezzati. Ma mentre questi conì più non fumavano, la bocca apertasi la prima sulla metà del lato del cono vesuviano spandeva ancora fumo co- pioso ed era circondata di molte sublimazioni gialle di sesquicloruro di ferro, e parecchie di quelle fumarole che aveano disegnata sul cono la fenditura di eruzione, spandevano tuttavia copioso vapore aqueo. Da quel tempo fino ad ora che scrivo (20 febbrajo 1869) quella bocca ha seguitato a dare fumo abbondante con qualche raro momento di riposo. Questo fatto è degno di nota, perchè non so che altra volta sia avvenuto un fenomeno somigliante. Copioso fumo bianco ha pur continuato a spandere il cono superiore tanto dalla cima quanto dalla base d’onde co- mincia la fenditura di questa eruzione. Quando il cono vesuviano si fende pare che la fenditura cominci a manifestarsi dall'alto in basso per cui l'incendio si appalesa prima nelle parti più elevate, ma la maggiore atti- vità si manifesta più in basso, e poi va rapidamente scemando. Quindi trovate le bocche superiori essere le prime a manifestarsi sopra una medesima linea, ma essere meno cospicue, e poche volte emettere pic- cole lave, mentre ad un livello inferiore l'incendio si mostra con la mag- giore energia, formando de’coni più elevati e fragorosi, dopo i quali o si veggono bocche di minore attività o semplici fumarole allineate sulla fenditura. Questo almeno ho osservato essere avvenuto negl’incendî del 1855, del 1858, del 1861 e del 1868 in cui il cono ebbe due fenditure una dal lato orientale, della quale parlai nell’antecedente relazione, e SG l’altra dal lato settentrionale, dalla quale ha avuto origine l’ultimo in- cendio di cui ho fatto brevemente la storia. Nel 1861 la fenditura non si discerneva sul cono ma si prolungava di molto al di sotto del livello delle bocche, per modo che attraversando Torre del Greco si prolungava nel mare. Ciò non pertanto la maggiore attività dell'incendio non si manifestò, in quella lunga linea di crateri, nè al principio, nè alla fine, ma quasi nel mezzo. Sebbene fin dal 26 del mese di novembre l'incendio potesse dirsi ces- sato per modo che due o tre giorni dopo si potea entrare ne’ coni d'onde quella gran copia di lave era venuta fuori, pure non solo la piccola bocca posta alla metà del lato settentrionale del cono vesuviano ha continuato a spandere molto fumo, ma anche il cono superiore mantiene una certa attività, e spesso spesso il Sismografo all'Osservatorio registra qualche sensibile agitazione nel suolo. Debbo finalmente descrivere un fenomeno che la prima volta mi è oc- corso di vedere e di cui non so dare ragione. Mentre la lava scorreva sul piano delle Novelle e metteva in fiamme tutti gli alberi che incontrava, io vidi di sera, stando presso al fronte della lava, a quando a quando apparire delle fiamme verdi che dopo qualche tempo si volgevano allo azzurro. Messomi a studiare il curioso fenomeno, mi assicurai che il me- desimo accadeva sempre che la lava metteva in fiamme qualche albero di pero. Era meco la figlia della illustre signora di Sommerville. 2. Natura delle lave, Le lave scorse dal 15 fino al 24 del mese di novembre non differiscono da quelle de’ mesi antecedenti, analizzate e descritte nella relazione letta all’ Accademia nel mese di aprile dello scorso anno. Le lave del 1855 erano ricche di pirosseni e di leuciti, quelle del 1858 abbondavano di leuciti, e rarissime erano le pirosseni, queste presentano una frattura uniforme di una tinta oscura in cui è dif- ficile ravvisare qualche tenuissimo cristallo di leucite: accade solo tal- volta poter discernere qualche laminetta di mica come nelle lave del 1861. La superficie di queste lave, formata di scorie incoerenti, l’ una dall’altra diversa, per colore, tenacità, forma e grandezza, fa un curioso contrasto con quelle del 1858 a superficie quasi continua in mille guise ripiegata e contorta. Prese queste lave a pari distanza dalle bocche pre- sentano aspetti diversissimi: queste frammentarie fin dall’atrio del ca- vallo, quelle unite scorsero in forma di pasta fino al punto in cui si ar- restarono. Le lave del 1858 stirate si riducevano in fili come il vetro, == queste del 1868 stirate tosto si spezzavano. Non può dunque ritenersi per vero ciò che scrisse l'illustre Serao nella reputatissima istoria del- l'incendio del Vesuvio del 1737, dicendo che le lave presso alle bocche scorrono unile e senza scorie distaccate a guisa di zolle, e che diventano frammentarie ad una certa distanza. Presso alle bocche si può vedere la pasta non ancora coperta di scoria, ma appena questa si forma o diviene una pellicola unita, o si rompe in frammenti, a seconda della viscosità della pasta. Al vedere intanto le lave del 1858 capaci di essere tirate in fili sottilissimi, ad onta del grandissimo numero di cristalli di leucite» che vi si vedevano dopo indurite, e le presenti spezzarsi, prive direi, di ogni maniera di duttibilità, è tale fatto da far modificare qualche auto- revole opinione emessa intorno alla natura delle lave. 3. Prodotti raccolti ne’ coni. I coni nell’atrio del cavallo si spensero con una maravigliosa prontezza, per cui non ebber tempo a tapezzarsi di molte sublimazioni. Esternamente si raccoglievano in poca quantità i so- liti cloruri e solfati, ma internamente erano formati di scorie stallatti- tiche, pendenti dalle loro pareti, le quali in una zona inferiore erano impastate di ferro oligisto, e più sopra in alcuno erano ricoperte da una polvere fuliginosa rossiccia, disposta in fiocchi e filamenti di un aspetto singolarissimo. Distaccando quelle scorie con garbo, una gran parte di que’ fiocchi rimaneva come se le particelle di quella polvere avessero avuta una certa coesione. (Questa polvere era per la massima parte ses- quiossido di ferro, dico per la massima parte, perchè si aveano anche le reazioni del manganese. Il cloruro di ferro che in grande abbondanza tapezzava la piccola bocca che si aprì sul lato del cono vesuviano, non figurava in questi coni; ma mentre essi erano in attività, spandevano col fumo gran copia di sal comune e di cloruro di ferro che si andavano su- blimando sulle vecchie lave e sulle rupi del monte di Somma. Tra le sostanze aeriformi che insieme col fumo uscivano dalle bocche, si notava l’acido cloroidrico, e dopo qualche giorno anche l’acido solfo- roso. Bisognava profittare di qualche momento favorevole per potersi accostare alle bocche , giacchè si correa pericolo di morir soffocato da questi acidi. Dal 20 al 22 l’odore dell'idrogeno solforato era insoffribile fino nelle stanze dell’Osservatorio ove era col fumo menato dal vento. Trovato un sito opportuno presso una delle bocche, potei col coadiu- tore signor Franco aspirare i prodotti aeriformi che uscivano da quella, e potemmo assicurarci della mancanza dell'acido carbonico, che non tro- ra vammo neppure dopo che i conì erano spenti; ma di questo aeriforme discorrerò altrove. 4. Fumarole delle lave. Le lave che spandono più copioso fumo men- tre scorrono, e che arrestandosi mostrano un maggior numero di fuma- role, sono appunto quelle che si coprono di scorie frammentarie. La durata poi dell'attività di queste fumarole dipende da quella del raffreddamento della massa pastosa o incandescente sottoposta, da cui la fumarola trae la sua origine. E però in que’ siti ove si depone gran copia di lave è solo possibile trovare fumarole di lunghissima durata. Ecco perchè sulle lave che nel 1858 empirono il fosso grande ed il rio di Quaglia ci hanno ancora delle fumarole nelle quali si avverte sensi- bile calore, e che fino allo scorso anno davano indizî di acido cloroi- drico. E se sulla stessa lava si vedono fumarole che tosto si spengono, ed altre che durano più o meno lungamente, ciò appunto deriva dalla diversa profondità della lava incandescente che le sostiene; e quando una lava abbia poca grossezza tutte le sue fumarole hanno breve durata. Mentre poi le lave sono in via di raffreddamento, spesso la crosta che ricopre la parte ancora incandescente, si fende facendo udire cupi rim- bombi, ed allora spesso appariscono nuove fumarole allineate sulle fendi- ture. Mentre la lava scorre forma degli argini o murene, sulle quali ap- pariscono le prime fumarole che sono perciò anche disposte in linee. Il fumo delle lave fluenti non essendo nè acido, nè alcalino, siccome dopo tante prove è stalo da me dimostrato, anche le fumarole nel loro primo apparire sulle murene delle lave che scorrono o sulla superficie di quelle che si fermano, sono perfettamente neutre, e le prime subli- mazioni che mostrano sono o di sal comune solo, o di questo e di ossido di rame, il quale ora si presenta come una polvere oscura, di cui il clo- ruro sodico è inquinato, ed ora in lucide laminette di tenorite. Se ron sopraggiunge un periodo in cui la fumarola dà emanazioni acide, le cose restano così e le sublimazioni non cangiano colore, ma se appare l’acido cloroidrico, quelle sublimazioni diventano gialle e dopo qualche tempo il giallo che corrisponde al centro della fumarola è più intenso pren- dendo una tinta di giallo rangiato e per fino di rosso mattone, ma le zone più lontane dal centro sono gradatamente più pallide e spesso di- ventano verdicce. Le sublimazioni gialle più cariche e le rossicce, por- tate a casa, diventano pallide, sbiadate e poscia inverdiscono. Le sbia- dite messe sopra una lampada in una coppa di platino ripigliano la tinta la crocea che avevano prima. Coteste sublimazioni prima di farsi verdi sono interamente solubili in acqua e la soluzione col nitrato di argento dà co- pioso il precipitato distintivo de’ cloruri, e col cloruro di bario o non dà per nulla quello de’ solfati, o appena offusca leggiermente la limpidezza della soluzione, specialmente se la lumarola oltre all’acido cloroidrico, spanda ancora l’acido solforoso. Nel liquore poi si hanno tutte le rea- zioni del rame e spesso anche quelle del piombo. Le sublimazioni inver- dite sono meno solubili, ma presentano le reazioni medesime. Mentre nelle parti esterne della fumarola si veggono queste sublimazioni, sca- vando più sotto si trova tuttavia il sal comune e l’ossido di rame che co- prono le scorie nericce alla superficie, quasi fossero affumicate. In queste fumarole, quando esse hanno una lunga durata, spesso si generano col tempo altri cloruri, solfiti e solfati, e talvolta sitrovala cotunnia associata col cloruro di rame, ed anche pura, ma quasi sempre in compagnia della tenorite. (Quando la cotunnia è pura è bianca, splendente e cristallizzata in fiocchetti acicolari, ma quando contiene del cloruro di rame ha un colore giallo sporco. Tenuta questa in luogo umido col tempo inverdisce. Non ho cercato di sapere se sia un miscuglio de’ due cloruri o un cloruro doppio, essendo questa una faccenda di chimica pura che non mena ad alcun risultamento per la scienza de’ vulcani. Ci ha poi una varietà di co- tunnia di color giallo limpido nella cui soluzione non si scopre il rame e che non cangia colore esposta in ambiente umido. Ecco quale è stata l’in- dole di quasi tutte le fumarole delle lave del 1867 e 68, nelle quali si vede come alcuni ossidi metallici precedono l’apparizione de’ cloruri cor- rispondenti, e come a questi succedono i solfati"). Ma che diremo del clo- ruro di ferro tanto comune nelle fumarole di alcune lave? Nelle lave del 1867 e 1868 il cloruro di ferro è apparso due volte, la prima in quelle che uscirono nel mese di marzo del 1868 alla base orientale del cono ve- suviano, e la seconda in queste dell’ultimo incendio. Ho cercato le condi- 1) Debbo confessare che sempre aveva vedute di queste fumarole che bianche da prima divenivano gialle, ma uso a credere co’miei antecessori che quel giallo fosse cloruro di ferro, non mi era avveduto de? fatti che in questa e nell’antecedente relazione son venuto es- ponendo. Ci ha delle fumarole secche dalle quali cioè non esce vapore aqueo e che non danno neppure emanazioni acide, ed in queste non ci ha colorazione alcuna, imperciocchè in esse si trova il cloruro sodico qualche volta solo e più spesso unito alla tenorite. Mettendo una campana di vetro su queste fumarole in breve tempo si vede tapezzata di dentro dalle materie suddette. Atti — Vol. IV. — N.0 9 2 RSS (|) PS zioni per l'apparizione del cloruro di ferro, e dopo molte osservazioni mi pare che possano tenersi per vere le conclusioni che seguono: Il cloruro di ferro può venir fuori direttamente dalle bocche di eru- zione e dalle fumarole delle lave, per cui si raccoglie da queste sotto campane di vetro soprapposte alle fumarole, siccome interviene all’ossido di rame ed al cloruro sodico, ma per aversi par che si richieda una tem- peratura molto elevata con emissione di acido cloroidrico, e di più par che la fumarola debba corrispondere a grande profondità, per cui sulle fumarole delle piccole lave, di raro trovi il cloruro di ferro tanto comune in quelle delle grandi lave. Ecco perchè nel lungo periodo di eruzioni descritto in questa e nella memoria antecedente sempre il cloruro di ferro si è trovato presso a’ coni, ma due sole volte si è mostrato sulle lave quando queste sono state più abbondanti, e poichè queste ultime sonosi accumulate in maggior copia, così questa volta il cloruro ferrico si vedeva sopra moltissime fumarole delle lave accumulate nel piano delle Novelle, spesso associato al cloruro ammonico, del quale tra poco verrò discorrendo. Oltre al cloruro di ferro che venendodall’interno delle lave in istato aeriforme, si sublima sulle scorie esterne delle fumarole, ci ha quello che si produce più tardi sulle scorie stesse per l’azione dell’a- cido cloroidrico che le attacca, per cui convien distinguere attentamente quello che si ha per vera sublimazione da quello ch'è chiaramente un prodotto derivativo *). Or dal vedere i vapori acidi delle fumarole attac- care le scorie, e generare cloruro di ferro, nasce il sospetto che in un modo simile si generi quello che come prodotto primitivo si raccoglie per vera sublimazione. Il ferro oligisto poi che quasi sempre si raccoglie ne' coni di eruzione è rarissimo sulle fumarole delle lave. Si cita qualche raro esempio, ma io confesso di non averlo mai trovato, e però non potrei dire che il mede- simo derivi dalla scomposizione del sesquicloruro di ferro, siccome ge- neralmente si crede. Venendo ora al sale ammoniaco dirò che esso è stato copioso sulle fu- marole delle lave accumulate nel piano delle Novelle, rarissimo nel fosso della Vetrana e soltanto in que’ luoghi dove le nuove lave aveano supe- rate quelle del 1855 e del 1858 occupando alcune porzioni di terreno boscoso. Dal che apparisce che quando le lave percorrone le terre colti- vate o coperte di vegetazione ivi il sale ammoniaco sempre si mostra in 1) Vedi la distinzione de’ prodotti delle fumarole da me riportata nella memoria antecedente. pes, pa abbondanza. Sono stato il primo a riconoscere la presenza dell’ammoniaca in alcune sublimazioni ch’eran miscugli di cloruri o di cloruri e solfati ed anche di carbonati raccolte in cima al Vesuvio, nell’atrio del cavallo o in altri siti dove le lave non aveano percorso terreni coltivati, ma il sale ammoniaco in abbondanza più o meno ben cristallizzato l'ho visto sempre sulle fumarole delle lave scorse sopra terreni a coltura o bo- scosi. Il sale ammoniaco è naturale che non apparisca sublimato così presto come il sal comune, essendo molto volatile; per cui dopo che le piogge hanno tolto alle fumarole il cloruro sodico già sublimato si hanno le belle sublimazioni di cloruro ammonico, il quale è puro e ben cri- stallizzato se non trova altri prodotti, altrimenti si associa 0 si com- bina con essi e quindi si ha il sale ammoniaco con colori diversi. Que- sta volta c'era cloruro ammoniaco ferrico. Ovunque in mezzo alla lava era capitato il fusto di una pianta che circondato da essa erasi bruciato rimanendovi un foro, ivi si trovava una fumarola a sale ammoniaco bi- gio. Altre volte raccolsi delsale ammoniaco rossiccio o pur giallo d’ambra ben cristallizzato, ma ora non ho avuto occosione di trovarne. Tra i solfati che ho raccolti come specie distinte si notano il solfato di potassa, il solfato di rame ed il solfato di calce. Il maggior numero delle sublimazioni essendo de’ miscugli di cloruri, solfati e solfiti, è opera malagevole sceverare le speciali combinazioni in esse contenute e può spesso accadere che alcuno degli elementi sfugga alle indagini che sulle medesime si fanno. Spero in questo anno poter fare acquisto di alcuni spettroscopii i quali potranno essere utili tanto per l’analisi delle sostanze aeriformi che si spandono dalle lave incandescenti usandoli in tempo di notte, quando per la determinazione di alcuni ele- menti contenuti nelle sublimazioni. Da qualche saggio fatto con uno spettrometro. a quattro prismi del gabinetto di fisica della nostra Univer- sità veggo che quando le sostanze contenute in una sublimazione sono molte s’ incontrano parecchie difficoltà nel determinarle tutte; ad ogni modo non conviene rinunziare a questo nuovo mezzo di analisi. Mofete. Le mofete o emanazioni di acido carbonico furono conosciute e descritte da gran tempo *). Ne’ Campi Flegrei coteste emanazioni sono perenni come nella grotta del cane e spesso se ne incontrano delle nuove scavando il suolo. È certo per altro che la quantità di acido carbonico che vien fuori dalle mofete 1) 0 Canor. co - perenni non è costante , nè si può dire senza una lunga serie di osser- vazioni ben fatte se le variazioni dipendono solo dala pressione atmo- sferica e dalla temperatura o eziandio da altre cagioni non ancora ben de- terminate. Le mofete del Vesuvio poi spesso appariscono ove prima non erano, e non di raro risorgono copiose quelle ch’erano per qualche tempo del tutto sparite. Nel 1858 per esempio apparve l’acido carbonico in un pozzo alla Cercola con la perdita totale dell’acqua che non vi è più tor- nata, e nel 1861 molte mofete che non davano più sensibili quantità di acido carbonico fortemente si rianimavano. Ecco perchè quasi sempre alla fine delle grandi conflagrazioni vesuviane si è fatta menzione di mofete manifestatesi alle falde del monte. Ci ha de’ terreni coltivati nei quali queste mofete sogliono apparire con grave detrimento delle piante, onde sono meno pregiati. Durante il lungo periodo di eruzioni avvenute dal 1865 a tutto il 1868 solo in quest'ultima conflagrazione sonosi ma- nifestate alcune mofete verso la base del monte. L’illustre geologo fran- cese Carlo Deville fu il primo a riconoscere la presenza dell'acido carbonico in qualche languida fumarola sulla cima del Vesuvio, e nel 1861 lo trovai copioso in direzione della fenditura di quell’incendio ad un livello di molto superiore a quello delle bocche di eruzione, vale a dire sul pendio del cono Vesuviano. Avendo dunque veduto che l’acido carbonico non si appalesa solo alle faldedel Vesuvio ma anche sul cono, e che spesso è anche unito al vapore aqueo, mi proposi di cercarlo da per tutto e per fino sulle lave. Frutto di queste ricerche furono i risultamenti descritti nella relazione antecedente, da’'quali risultò 1° che quasi tutte le fumarole sulla cima del Vesuvio durante il lungo periodo di eruzione degli anni 1857 e 1858 davano copioso acido carbonico, 2° che nella bocca apertasi alla base orientale del cono verso oriente il mio coadiutore signor Franco non potè dimostrarne la presenza aspirando l’aria ed il fumo da quella bocca e facendola passare per acqua di calce; ma poco lungi da quella bocca sulla fenditura nella quale erano molte fumarole a vapore aqueo, nelle quali non sì avvertiva la presenza dell’acido cloroidrico e dell'acido sol- foroso, il pronto intorbidamento dell’acqua di calce mi annunziava la pre- senza dell’acido carbonico. In quesl’ultima conflagrazione vesuviana aspirando l’aria col fumo proprio allo sbocco di una delle lave, in compagnia del signor Franco, non sì ebbe intorbidamento dell’ acqua di calce. La presenza di acidi Lat energici in abbondanza avrebbe potuto per avventura impedire la forma- zione del carbonato di calce? In altri siti abbiamo ottenuto il precipitato del sale anzidetto ad onta dell’ acido solforoso: non abbiamo per fino omesso di esaminare il precipitato anzidetto dal quale abbiamo di nuovo ricavato l'acido carbonico. Il certo è che avendo più tardi, pochi giorni dopo spento l’incendio, cercato l'acido carbonico per entro i coni e nelle fumarole circostanti neppure ve lo abbiamo rinvenuto. Il signor Franco da me incaricato di rivedere le fumarole della sommità del cono vesuviano e quelle allineate sul pendìo del medesimo mi assicurò di averlo trovato da per tutto, e per fino nel fumo che usciva dal cratere. Ma il fatto più singolare è la manifestazione dell'acido carbonico su tutto il corso delle lave cominciando dal fosso della vetrana. Esso si trovava quasi uniforme- mente sparso sulle lave senza poterne additare la sorgente. Erano delle mofete apertesi nel suolo sottoposto alle lave? Quantunque ciò non sia impossibile pure mi pare poco probabile. Ne’ primi giorni si polea sospet- tare che l'acido carbonico derivasse dalla combustione degli alberi, ma dopo molti giorni siffatta ipotesi non potea più essere accolta. Il fatto mi par degno di essere notato, ed è stato verificato da me e dal coadiu- tore signor Franco, non una ma più volte, ed in giorni diversi. I carbo- nati sulle fumarole delle lave del Vesuvio, come nelle bocche di eruzione, non furono, per quanto io mi sappia, menzionati da coloro che mi pre- cedettero in questi studî. La prima volta io gli scoprii in uno de’ crateri del 1861, un anno dopo finito l’incendio, e quindi ho saggiato sotto que- sto aspetto molte sublimazioni, ed in alcune insieme a’ solfati diversi ho avuto degli indizi di svolgimento di acido carbonico per l’azione dell’ a- cido solforico. Debbo finalmente far menzione di un prodotto non ancora osservato sulle fumarole del Vesuvio. In una fumarola posta sul corso delle lave che dal fosso della vetrana si gettavano in quello di Faraone raccolsi al- cune scorie tapezzate di una sottile crosta azzurra di una tinta cupa simile alla lazulite del monte di Somma. Messe queste scorie nell'acqua l’azurro rimaneva ed il liquido dava col nitrato di argento e col cloruro di bario il precipitato distintivo de’ cloruri e de’ solfati, e col ioduro di potassio si riconosceva la presenza del piombo. Col prussiato giallo e con altri reat- tivi non si avea alcuno indizio del rame. Le scorie state nell'acqua col disseccarsi si coprivano di una fioritura bianca, ma immerse di nuovo nell'acqua tornavano azzurre, e la soluzione dava di nuovo le reazioni di x* — Mt — prima. Dopo lunga immersione in acqua quella materia azzurra potea ra- schiarsi col temperino e serbava il suo colore anche negli acidi. Trovan- dosi presente a questi saggi che io facea il professore di chimica Silve- stro Zinno, prese una porzione di questa sostanza per farne l’analisi nel laboratorio dell'Istituto tecnico. Ecco i risultamenti comunicalimi: « Trattata la sostanza con l’acqua a freddo e filtrato il liquido ha fornito i seguenti caratteri: « 1° Con soluzione baritica ha dato abbondante precipitato insolu- bile nello eccesso dell’acido nitrico (solfato). « 2° Col nitrato di argento precipitato bianco solubile nell’eccesso dell'ammoniaca (cloruro). « 3° Con l’antimonato potassico lieve precipitato bianco (soda). « 4° Con l’ossalato ammonico lieve precipitato bianco insolubile nello eccesso del reattivo e solubile nell’acido nitrico (calce). « 5° Col fosfato sodico ammonico precipitato bianco (magnesia). « 6° Col nitrato cobaltico spingendo alla calcinazione, colorazione prima rosea poi azzurra (idem). « La sostanza rimasta insolubile nell'acqua porfirizzata, dopo averla ben lavata, si è disciolta in parte nell’acido cloridrico a caldo, e la dissolu- zione lasciata alquanto acida, ha precipitato in bruno con l'idrogeno solforato, e col solfidrato ammonico in nero; col cianuro ferroso potassico ha dato precipitato bianco, che dopo molto tempo è divenuto rosso-bruno. Il precipitato nero ottenuto col solfidrato ammonico, disciolto con l’a- cido cloridrico è diventato giallo e mano mano si è fatto verdiccio. La la- mina di ferro vi ha preso il colore di rame, e l’ammoniaca ha cambiata la soluzione in verde azzurro. « La parte rimasta insolubile nell’acido cloridrico, trattata al cannello col carbonato di soda ed un po’ di borace, ha dato una perla verde tra- sparente. « Si conchiude che la parte solubile delle dette pietre costa di solfato e cloruro sodico con calce e magnesia, forse allo stato anche di solfati, tanto più che il liquido era alquanto amarognolo. « La parte insolubile costa di ossicloruro di rame con silicato di rame. È a notarsi pure che non contiene la minima traccia di ferro ed invece tracce di piombo probabilmente in condizione di solfato ». L’autore non ha fatto menzione della presenza del piombo nella solu- zione aquea perchè era stata già dimostrata ne’ primi saggi. n Voglio in ultimo notare un fatto avvenuto all’ Osservatorio con la ca- duta della cenere del giorno 20. Le persiane ch’eran dipinte di color ver- de-prato, e che i nostri dipintori chiamano verde inglese, divennero di un color verde azzurro, colore che si ha con un’ altra maleria che in com- mercio va appunto con questo nome, e che si paga ad un prezzo più elevato. Fenomeni elettrici. Le folgori che fino da' tempi di Plinio s'eran vi- ste solcare il pino del Vesuvio nelle più grandiose eruzioni, destarono ne’ dotti che con ammirevole abnegazione si fecero più tardi a studiare i maravigliosi fenomeni del nostro Vulcano, il desiderio di fare delle esplorazioni elettriche nel tempo delle grandi conflagrazioni vesuviane. E quantunque i tentativi del Duca della Torre, del Cagnazzi e di qual- che altro non fossero riusciti infruttuosi, pure dopo di loro non trovo più fatta menzione di simili investigazioni. La mancanza di opportuni stru- menti e quella di una stabile dimora presso il focolare vulcanico, furono cagione di tale negligenza. Per la qual cosa avendo io inventato un apparec- chio per lo studio de’ fenomeni dell’elettricità atmosferica, ed avendolo potuto collocare all'Osservatorio vesuviano, mi è riuscito far quello che prima non si potea. Mi fu agevole dunque dimostrare che il fumo che esce da'coni di eruzione è fortemente elettrizzato di elettricità positiva, e ciò secondo io mi penso non solo pel suo pronto e rapido elevarsi, ma ezian- dio pel suo rapido addensarsi in seno dell’aria. Quando poi col fumo si elevano scorie, lapilli e cenere, questi cadendo prendono elettricità ne- gativa e lasciano dietro di sè, nel fumo d’onde cadono, nuova tensione positiva; questa tensione per tal modo cresciuta, spesso si traduce in is- cariche spontanee che guizzano come folgori in mezzo a’ globi di fumo che si elevano. Per la qual cosa se il fumo solo si volge verso l’ Osser- vatorio menatovi dal vento, si noterranno forti tensioni positive col solito apparecchio da me immaginato. Se poi cade la cenere senza che il fumo ingombri lo spazio soprastante all'Osservatorio, allora si noterà elettricità negativa, specialmente operando a conduttore fisso; ma se mentre cade la cenere il fumo sovrasta l'Osservatorio, allora si hanno de’curiosi con- trasti, ora prevalendo l’una ed ora l’altra delle due elettricità, con tensioni che variano da un istante all’altro, e spesso si avvera che operando a con- duttore fisso, che termini a disco, si ha elettricità negativa, ch’ è quella della cenere che cade, mentre a conduttore mobile si ha elettricità po- sitiva, ch'è quella del fumo soprastante. Questo appunto avveniva nelle fe sere de' 20 e 21 novembre quando un grandioso pino con cenere e lapilli si elevava in cima del Vesuvio, inclinandosi alquanto dalla parte dell’Os- servatorio. Le folgori dunque non si hanno se il fumo non sia spinto con forza dalle bocche di eruzione e se non sia misto a molta cenere. Guardate le figure de’ più spettacolosi incendi vesuviani ove son disegnate le fol- gori e vedrete come vi sono chiaramente espresse le due condizioni delle quali di sopra è detto. Apparecchio di variazione di Lamont. Questo apparecchio ha continuato a presentare le sue perturbazioni nel modo che fu detto anche nella memoria antecedente messa a stampa nel IV volume degli Atti della nostra Accademia. Fortissime perturbazioni si ebbero ne’ giorni 13 e 14 novembre, le quali continuarono con intensità variabile fino alla fine del- l'incendio. Posteriormente gli aghi ripresero il loro andamento regolare interrotto solo per qualche momento da leggiere oscillazioni verticali ed orizzontali corrispondenti a leggiere scosse del suolo, registrate dal sis- mografo. Sismografo elettromagnetico, Senza volere difinire se gli aghi del- l'apparecchio di variazione si muovano solo per azione meccanica, per vi- brazioni del suolo o anche per cagioni dinamiche, il certo è che i moti del sismografo corrispondono sempre con quelli degli aghi. Onde può ri- tenersi come dimostrato che il suolo comincia ad agitarsi più o meno for- temente prima che scoppi un incendio, e non torna in quiete se questo non cessi. L’ attenta osservazione dunque di questi due apparecchi può far presagire un incendio qualche giorno prima che si appalesi. I moti del suolo qualche volta sono tali da essere avvertiti senz’alcun congegno scientifico, ma per lo più passano inosservati o si avvertono solo in qual- che momento in cui si esaltano. Il segno distinto de’ moti del suolo pre- cursori degli incendi è la continuità. Le scosse interrotte a riprese le ho viste sempre corrispondere o a terremoti lontani, o a conflagrazioni di vulcani remoti: succedono alla fine di un forte incendio, piccole scosse isolate che sempre si registrano dal sismografo ed anche nel corso del- l’anno quando il Vulcano è in riposo. Le trepidazioni del suolo dunque dal 13 di novembre fino alla fine dell'incendio si mantennero continue ma con intensità variabile, seguirono poscia le piccole scosse a lunghi in- tervalli, ma ne’ mesi di gennajo e febbrajo vi furono delle ricorrenze che accennavano a terremoti lontani, e dalle gazzette ho saputo esservi stala e yi forte scossa prima in Basilicata poi a Siena e finalmente in tutta la Pu- glia ed inProvincia di Benevento. Ma mentre il sismografo e l'apparecchio di variazione si agitano all'Osservatorio Vesuviano, che cosa dicono gli strumenti simili alla specola Universitaria? Quivi o restano del tutto indifferenti 0 si muovono con intensità piccolissima, il che chiaramente dimostra come il centro di azione sia al Vesuvio. Ci ha de’ casi ne' quali un incendio vesuviano è preceduto da più forti tremori del suolo come fu nel 1861, ed allora il terremoto diviene sensibile anche in Napoli. n = operai TOLECA o: Alti LI U ak tf [SURI ti = (GI Eroune tane FETTLLTO stagna dif pati sant bolo d po va “uni tette ere ra latà (E Se ponti SLI uiaià 0, pra: LA zUa nidi punt O copi n id ca ands 4 Yad fr: Be Mllel arresi, poteata vesta ssù ; rima fossi IRR dorato PO attaccate le cellule di secrezione nei primi e l’epitelio nel secondo; sic- come in genere sì osserva. Dei muscoli che costringono i tubi in certi casi, e del condotto, sarà detto in fine: ora delle cellule secretrici. Va- riano esse di grandezza a seconda che occupano i tubi estremi termi- nati dai fondi ciechi, ovvero i tubi medii ed i maggiori; in genere sono però di considerevoli dimensioni e scorgibili facilmente anche con una lente semplice. Più esattamente però, in'alcuni fondi ciechi, siccome è anche quello figurato dal Lacaze *), si contengono cellule non diffe- renti in grandezza da quelle dei tubi medii; nella maggior quantità però degli altri cominciano coll’essere piccole quali fossero giovani elementi, i quali ingrandissero mano mano coll’ingrandire dei tubi (ig. 22). Pro- prio nello estremo dei fondi ciechi a cellule piccole, ho notato elementi così minuti da essere eguali per le dimensioni ai nuclei delle cellule de- gli altri tubi. Ora, quando dirò del contenuto delle medesime, dirò an- che delle misure; è però a considerarsi che variano sotto tale riguardo al variar del diametro de’tubi, come pur anche variano di molto a se- conda dell’esser più o meno rigonfiate dai liquidi. Al massimo di turgore le ho notate, allorchè un fiocco di tubi si osservi tosto dopo estratto dai pleurobranchi in quello stato, che ben può dirsi di idroemia, nel quale stato entrano i molluschi, quando si tengano in scarsa copia di acqua. Per la forma sono sferoidali nei fondi ciechi, e tanto più quanto sono più piccole, essendo allora perfettamente sferiche, forma che perdono poi per la mutua compressione la quale le fa poliedriche. La fig. 24 di- mostra di quanto siano mutate per la compressione quelle dei tubi medii del pleurobranchidio, abbenchè in questo disegno il piano di distinta vi- sione, secando le cellule allo scopo di trovar il nucleo, non ne lasci scorgere che quelle dimensioni che ponno nel piano stesso essere rap- presentate. La membrana esterna di queste cellule non presenta alcuna partico- larità; essa è trasparentissima, molto distensibile e si può facilmente dimostrare col farle scoppiare. Pel contenuto, sono veramente codesti elementi degni di speciale considerazione. Esso risulta da un protopla- sma liquido in cui si contengono granulazioni piuttosto voluminose, ta- lora quasi eguali ad una metà del diametro del nucleo, alquanto traspa- renti, che però in totale danno alle cellule una tinta fosca là dove sono agglomerate. In mezzo a queste granulazioni si osserva il nucleo a con- 3) Op. cit., tav. VII, fig. 3. oi torni ben distinti, provveduto di un nucleolo alquanto rifrangente, cir- condalto da granelli finissimi, ma oltre il nucleo una grande vescica la quale corrisponde alle così dette vescicole di secrezione (secretblischen). Tali vescicole si compongono indubbiamente di una membrana e di un contenuto limpidissimo: queste, che nelle piccole cellule dei fondi ciechi (fig.22) somigliano primamente ai così detli vacuoli, vanno mano mano ingrandendo coll’ ingrandire delle cellule, così che nell'osservare i tubi medii ed i maggiori, si veggono così grandi da occupare quasi tutta la cellula e da costringere il nucleo e le granulazioni del protoplasma con- tro la parete. Notasi allora ( fig. 24) che granulazioni e nucleo sono in quella parte delle cellule che trovasi in contatto della membrana pro- pria dei tubi, e che la vescicola sta in quell’ altra parte delle cellule che corrisponde al lume dei medesimi, sulla quale circostanza ritorneremo in seguito. Allorchè questo avviene, la vescicola è così grande che, adossandosi per gran parte alla membrana cellulare, deve alla sua volta passare dalla primitiva forma sferica a forme poliedriche, che poi perde allorquando, per lo scoppio delle cellule, che ad arte si può provocare, vien messa in libertà. Allora si vede che una parte delle granulazioni, aderendo tenacemente alla detta vescicola, talvolta in un sol punto ac- cumulate, tal altra in diversi luoghi della superficie, sono dalla mede- sima con se portate, nè facilmente se ne distaccano (fig. 23, v); s1 vede ancora la vescicola mutar di nuovo forma, allungarsi per esempio di molto quando sia costretta a passar per stretto calle, onde poi ritornare di nuovo sferica. Si è detto del come variar possono le dimensioni delle cellule di questa glandola; per aver però idea di loro grandezza e di quella degli elementi contenuti riferirò le dimensioni rilevate in un tubo prossimo ad un fondo cieco, nel P/. tuberculatus, lo stesso della fig. 23. Le cel- lule in media misurano 0””,056, le vescicole 0,041, i nuclei 0,012. Da ciò che i tubi di questa glandola hanno cellule con contenuto così fatto, deriva loro un aspetto particolare, sul quale insiste il sig. Lacaze, abbenchè egli non nolasse i nuclei, nè abbia detto che le vescicole siano organi distinti che possano diventar liberi collo scoppio delle cellule; un aspetto, dirò, variegato e stravagante, tanto più laddove le cellule sono, per la loro minor grandezza, agglomerate in grande copia nei tubi e siano poi imbevute di carminio. Che se si osservino i tubi medji ed i maggiori in cui cellule e vescicole, e soprattutto queste sono relati- vamente così grandi, allora a primo sguardo non vedendovi le granula- MR zioni nè il nucleo, i quali son spinti da canto, si può credere, come i0 ho creduto in prima, ed anche scritto nella mia nota dell'aprile 1868, che gli elementi dei tubi medii fossero vescicole. Rettifico dunque quì quella interpretazione e prego il benigno lettore a volere, quando quella nota gli venisse fra mano, aggiungere, là dove dice grandi vescicole traspa- renti: contenute in cellule nucleate, ed in somma quanto or ora ho detto più sopra. Condotto escretore— Arrivati i tubi secretori ad unirsi gli uni agli altri in quei tubi principali che precedono l’unico condotto escretore, le cellule, dotate di quei caratteri che sopra si sono menzionati, lasciano il posto all’epitelio del condotto, il quale è un epitelio semplice, cilin- drico, di un aspetto rigonfio e ad elementi cospicui nel pleurobranchidio (fig.27): i quali elementi vanno diminuendo in grandezza mano mano che il condotto, assottigliandosi, si avvicina allo sbocco. Le cellule di que- sto epitelio, l’asse delle quali misura in media 0,082, mostrano un conte- nuto trasparentissimo, in mezzo al quale sta il nucleo. Nel PI. testudina- rius e tuberculatus (fig. 28) invece dell'epitelio cilindrico si ha un epi- telio pure semplice, pavimentoso, trasparentissimo, con nuclei palesi. In questi epitelii, non notasi alcun accidente che faccia supporre la presenza di una cuticola, nè tanto meno ciglia. Dissi degli elementi con- tenuti nella membrana fondamentale di questa glandola; per confronto dirò ora, come si è fatto pei prosobranchi, un motto degli elementi della glandola salivale vera. Come dalla fig. 25, le cellule di questa glandola ripetono i caratteri di quelle delle glandole di questa specie, ed anche di quelle del lobo acinoso dei gasteropodi pettinibranchi di cui trattai. Cellule a contenuto granelloso misuranti in media 0””,067 nel loro dia- metro nel pleurobranchidio (fig. 25), nel quale l’epitelio del condotto è fusiforme (fig. 26) mentre nel PI. testudinarius e tuberculatus è pavimen- toso, nell’aurantiacus poi, per le osservazioni di Lacaze, a cellule ci- lindriche e cigliate. Sistema muscolare dei tubi secretori e del condotto — Fra gli elementi che trovansi al di fuori della membrana propria della glan- dola e del condotto, notai primamente, a somiglianza di quanto sì è descritto nei tubi delle glandole conglomerate dei Dolium e affini, in al- cune specie, come nel PI. testudinarius e tuberculatus, corpuscoli calcari aderenti alla membrana in forma di piccole masse ovoidali, compatte e trasparenti, le quali nel testudinarius si dispongono a foggia di maglie coincidenti coi perimetri delle cellule, e che tosto dopo la morte, 0 Atti — Vol. IV.— N.° 10 4 op dopo estratto un fiocco di tubi, per l’azione dell'acido, fanno effervescenza e trasmutansi in prismi di solfato calcare, sotto gli occhi dell'osservatore. Tali corpuscoli mancano nel Pleurobranchidium:se ne veggono però ab- bondantissimi nel lessulo congiuntivo esterno del condotto dei pleuro- branchi del pari che si è delto per la Cassidaria e per gli altri; nel Ta- studinarius sono così confluenti e sviluppati che, se il condotto si lasci essiccare, assume l’aspelto di candidissimo nastro in cui, ad occhio iner- me, si possono scorgere i punti che corrispondono ai detti corpuscoli. I muscoli dei tubi e del condolto vogliono esser specialmente descritti. Nel PI. testudinarius e tuberculatus esistono muscoli solo nel condotto escretore, ed allora se ne possono vedere due strati, l’uno longitudinale l’altro trasverso, costituiti da cellule fusiformi, allungatissime, non di- verse da quelle del tipo ordinario dei molluschi, soventi biforcate ad uno degli estremi e contenenti un nucleo ovale con un nucleolo eccentrico. Tale nucleo è circondato da un resto di protoplasma granelloso (mate- ria germinale di Beale), il quale si continua poi nell’asse delle fibre ( fig.29, a), come già si è detto parlando del Dolium. Nel PI. tubercu- latus con queste vidi altre fibre più larghe con granulazioni disposte in- vece in linee longitudinali (fig. 29, bd). Nel Pleurobranchidium poi, oltre i robusti strati muscolari del con- dolto escretore, composti di fibre fusifurmi assai più grandi di quelle dei pleurobranchi, ho notato su tulli i tubi una rete muscolare molto svi- luppata. Tale plesso è formato da cellule nucleate, le quali sono invece della forma stellata, per modo,che richiamano i muscoli reticolati che sono così comuni nell'intestino degli artropodi (fig. 80). Ciascuna cel- lula dà rami, che cingono circolarmente il condolto, intreceiandosi tra loro, ed altri che lo percorrono longitudinalmente e obliquamente. Di più rami minori si osservano, che congiungono tanto i rami principali di una stessa cellula, come i rami, già fusi tra Joro, di cellule vicine. Solttopo- nendo queste cellule stellate a considerevole ingrandimento, si veggono composte di un nucleo finamente granuloso con uno o più minuti nu- cleoli; intorno al qual nucleo si ha un ammasso di protoplasma amor- fo, che alla periferia della cellula si mostra finamente fibrillare ; fibrille che seguono poi il loro corso nei rami delle cellule (fig. 87). Si può anche, semplicemente con la macerazione, dimostrare il clivarsi in tra- verso di queste fibrille; allora tutte le fibre si interrompono, non così regolarmente però da assomigliare ai sarco-elementi. Siccome le cellule e le fibre che ne emanano, sono provviste di membrana a non dubitarne, MI. PRA così avviene che le fibrille, anche rotte ad intervalli, non mutano dire- zione e di più la membrana si rende più visibile; il carminio mette più facilmente in evidenza questo elegantissimo plesso. Avviene però an- che, che alcuni rami delle fibre del plesso muscolare lascino il loro tubo per raggiungere i Lubi vicini, come già si è osservato per le fibre musco- lari dei tubi dei prosobranchi. Sono queste le briglie che abbiamo cita- te, le quali veggonsi, nella fig. 21, legare in modo speciale tutti i tubi secretori del pleurobranchidio. Queste briglie sono propagini delle cel- lule stellate; ed alla lor volla si mostrano esser tali per via dei nuclei, che tralto tratto vi si veggono, le quali cellule si ramificano dicotome, presentando così aspelto più semplice (/ig. 22). Parlando in genere degli elementi muscolari ramosi li divide opportunamente il Leydig”) in quelli che sono stellati ed in quelli altri in cui solo i poli sono bifidi o mul- tifidi; qui nello stesso organo si avrebbero le due forme. Le cellule muscolari del condotto escretore del pleurobranchidio, grandi del doppio di quelle dei pleurobranchi propriamente detti, mi hanno presentalo un aspelto veramente insolito. Ciascuna fibra appariva terminata da una clava, in grembo alla quale ora vi si vedeva il nucleo, ora no, nè era possibile per alcun verso metterlo in evidenza. Lo sfibra- mento poi isolava sempre elementi clavali così in questi muscoli come nei muscoli di tutto l’animale. Osservando però le stesse fibre sui tubi maggiori vicini al punto dove il condotto escretore comincia, là dove le fibre non sono ancora adunate in membrana, mi fu agevole verificare trattarsi di fibro-cellule che sogliono spezzarsi nel bel mezzo della por- zione mediana rigonfia (fig. 32). Avviene allora che, rottosi il protopla- sma fibrillare e retrattosi di molto entro la membrana, si formino le due clave, una delle quali contiene poi il nucleo; avviene anche che la fibra sì franga in tre pezzi, due clavali ed uno intermedio rigonfio, onde l' a- spetto di questi muscoli, quando non se ne possa vedere la membrana superstite alla frattura del contenuto, riesce difficile ad interpretarsi. Dalle fibre stellate notate sui tubi, a queste fusiformi infrante si hanno sui tubi maggiori tutte le forme di passaggio. È veramente singolare que- sto caso di un animale in cui, colle ultime convulsioni dell''agonia, si fran- gono tutte le fibre muscolari volontarie ed involontarie, imperocchè lo stesso fenomeno ho verificato tanto nei muscoli delle pareti della cavità del corpo ed in quelli del piede, come in quelli del cuore e dell'intestino, *) Vom Bau des thierischen Kòrpers. Vol. I, pag. 81. ian come anche dei condotti della glandola salivale vera. Oltre del pleuro- branchidio, mi venne fatto di osservare tale spontanea frattura anche nel cuore e nei retrattori della massa boccale del PI. ocellatus, nè mai in altro pleurobranco, nè in altro animale; ed avendo istituite nel pleuro- branchidio diverse prove, onde determinare i casi in cui avvenga tale frattura, mi convinsi verificarsi esclusivamente allorquando l’ animale muore di morte violenta, siccome avviene per la vivisezione, o per la immersione nell’alcool. CONSIDERAZIONI CIRCA GLI ORGANI Spiegazione di alcuni fatti desunta dai dati anatomici. Alcuni fenomeni più manifesti, che in vita, siccome l’ejaculazione, in morte, siccome l’effervescenza, questi organi presentano, sono già, nelle loro cagioni, dichiarati da alcuni dei fatti anatomici esposti. La membrana muscolare del lobo inferiore delle glandole del Dolium e affini, le fibre che decorrono fra i tubi, quelle che li abbracciano ad uno ad uno, come anche il plesso muscolare che cinge ogni tubo nel pleuro- branchidio, abbastanza spiegano la emissione rapida, violenta del liquido acido.I pleurobranchi propriamente detti, mancando dei plessi, avranno meno abbondanti ejaculazioni, e queste affidate soltanto ai muscoli dei tubi maggiori e del condotto. Indipendentemente dalla natura dei nervi salivali, nei pettinibranchi, contribuir deve potentemente alla emissio- ne volontaria, la contrazione della volta della cavità del corpo, la quale costringe così da vicino le glandole, e in modo migliore, allorchè sono in istato di turgore. i I Lo stato di vacuità quasi totale delle glandole, che si nota nella Cas- sidaria appena estratta dalle reti, tale che senza danno si possono mante- nere sulla lingua, dipende al certo anche da contrazioni che le hanno spremute. Dopo un giorno, lasciando l’animale tranquillo in un aquario, la secrezione si rinnova e le glandole si fanno turgide e acidissime, e tanto più acide quanto più l’ animale si presenta rigonfiato, siccome suol avvenire allora quando sia l’acqua in scarsa quantità. La contrat- tilità perdura alquanto anche dopo messe allo scoperto le glandole ed —D_- anche estratte dall’animale; così è che l’organo muta lentamente i suoi contorni e la membrana esterna si retrae se stimolata; le quali cose sorto nel Dolium agevoli a verificarsi per la mole maggiore di questi organi. Cessata la contrazione, le cellule lasciano tosto diffondere il liquido acido. L’acido carbonico, che in sì gran copia fu dal De Luca raccolto, deriva evidentemente dall'azione del liquido diffuso sui corpuscoli cal- cari che trovansi fra i tubi della forma conglomerata, e che ho trovato anche sui tubi della forma diffusa di codesti organi. Che se si pungano o si incidano le glandole, l’ effervescenza si manifesta più viva, e tanto più se si aggiunga un eccesso di acido, siccome a principio si è detto pel Dolium. Tale svolgimento di acido carbonico non si può verificare dis- secando animali da qualche tempo venuti a morte, poichè in tal caso il fenomeno ha già avuto luogo prima della osservazione, e le reazioni dell'acido, diffuso attraverso le glandole, si possono avere ovunque nella cavità del corpo. Le incrostazioni, le masse che trovansi dopo la morte nelle glandole della forma conglomerata, ovvero i cristalli isolati che si scorgono for- marsi sui tubi della forma diffusa ne’pleurobranchi, sono evidentemente di solfato di calce. Tipi anatomici di queste glandole — Caratteri — Confronti. Essendo evidente che la secrezione acida dei nostri pettinibranchi si fa dal lobo tubolare, già creduto in prima quale semplice serbatojo, questo lobo è ora a considerarsi come l'organo dell'acido solforico. Com- parando ora i fatti esposti, si deduce che gli organi della secrezione in discorso sono conformati secondo due tipi distinti, i quali sono: I° — Quello che ci presenta il lobo inferiore delle glandole del Do- lium, e specie affini, in cui si ha: Una glandola tubolare conglomerata, chiusain una me m- branamuscolare,icuitubi sono cinti da fibremuscolarie da una rete divasicapillari, econtengono cellulespecialia pro- toplasma omogeneo. II_°— Quello della glandola arboriforme dei pleurobranchi in cui si ha: Una glandola tubolare diffusa, i cuitubi (cinti da plessi muscolari nel Pleurobranchidium), immersi nelle lacune della cavità del corpo, mancano diunsistema di capillari sanguigni, e contengono cellule speciali a protoplasma gra- nelloso, nellequalivihaunavescicola discecrezione a conte- nuto omogeneo. Dai dati relativi alla struttura è evidente che la glandola salivale, che nei pleurobranchi è distinta dalla glandola dell'acido solforico, nei no- stri petlinibranchi è congiunta a questa, ed è rappresentata dal lobo su- periore od acinoso, il quale corrisponde poi alle glandole salivari ordi- narie degli altri gasteropodi *). Ne deriva che le glandole del Dolium e affini, considerate complessivamente nei loro due lobi, aventi un solo dotto escretore comune, debbansi reputare quali glandole miste, deno- minazione che parmi opportuna, necessaria, per indicare in generale quelle glandole che presentano doppia struttura, siccome sarebbero, per esempio, le glandole ermafroditiche, i tubi del Malpighi urici ed epa- tici ete. Egli è vero che dal lobo acinoso si hanno pure le reazioni del- l'acido solforico, ma questo deve arrivare in ogni caso, nell’ intimo di questo lobo per diffusione, atteso il fatto della comunanza di condotto. Prendendo ad esame ora i due tipi che abbiamo stabiliti, si vede il primo esser distinto dall’ altro per maggior perfezione; infatti le glan- dole dei Dolium e dei Tritonium si possono paragonare a quelle conglo- merate degli animali superiori, anche a cagione del completo sistema di irrigazione, arterie, capillari e vene, le quali ultime poi, in forza del tipo generale degli organi circolatori dei molluschi, si interrompono al- l’uscir dalle glandole, e si aprono nella cavità del corpo per mezzo delle descritte bocche. I pleurobranchi invece, in relazione al posto più umile nelle serie dei gasteropodi, hanno questi organi secondo un tipo più semplice ed inferiore, siccome è il secondo. Infatti i tubi della glandola arborescente trovano paragone nelle glandole tubolari degli articolati ed in genere in quelle glandole di questa forma, nelle quali la irrigazione avviene per ciò solo che i tubi pescano nelle lacune sanguigne. La ragione della duplicità di tipo di glandole, che, nella stessa classe di animali, hanno la stessa secrezione, sta precisamente in ciò che gli animali che ne sono provvisti, occupano diverso gradino nella serie a cui appartengono. Resterebbe ora a vedersi a qual tipo appartenga l'or- gano che nella Doris (stellata?) produce, come ho detto, alla sua volta l'acido sollorico.A cagione di una certa parentela di questo genere coi pleurobranchi le maggiori probabilità sono pel secondo tipo. Un'altra differenza fra le due forme di glandole, si dovrebbe pur qui 1) Veggasi per confronto la fig. 9. mer e notare rispetto al sangue da cui sono irrigate, essendo che nel caso delle glandole del primo tipo la secrezione si fa dal sangue delle arterie sali- vali, in quelle del secondo dal sangue venoso delle lacune; ma quanto diremo circa l'origine più probabile dell’acido, toglierà ogni importanza a questa distinzione. Una necessità, relativa al valore delle parti elementari di quesli or- gani, è pur quella di determinare se le vescicole di secrezione delle glandole del secondo tipo siano, o no, elementi di prima importanza per la secrezione, la quale quistione riguarda poi il significato generale delle vescicole di secrezione. Allorechè Enrico Meckel scoperse pel primo questi elementi nelle cellule del rene delle elici, non dubitò, e nessuno dopo di lui, di dar loro, anche in altri organi glandolari, il nome di secretblischen*), atteso che nelle specie di elici da lui osservate, proprio nel loro interno, si contengono le concrezioni uriche; se non che Boll ?) recentemente, per osservazioni ulteriori comparative, trovò che le ve- scicole delle cellule renali dei molluschi, possono mostrarsi anche a modo dei così detti vacui, in forme incostanti, ed anche totalmente mancare, come nell’ Helia hortensis e negli Octopus, senza che non pertanto nelle cellule manchino le stesse conerezioni; così che tali vescicole dichiara decadute dall’alta importanza fisiologica loro attribuita. Sia pure per quei casi ove mancano, anzi aggiungerò che qui pure, nelle glandole del primo tipo, mancano del pari. Il fatto che queste vescicole nei tubi dei pleurobranchi primamente esistono e in ciascuna cellula, e poi l’al- tro che sono tanto sviluppate, e tanto più quanto dipartendosi dai tubi estremi, ove si contengono cellule non complete nello sviluppo , proce- diamo ai tubi di medio calibro ed ai grandi (che sono quelli dove avviene specialmente la secrezione) forniscono già forti argomenti per crederle elementi necessarii in questo caso ed in questo tipo. Per ultimo, a tale ri- guardo, è d’uopo notare un’altra circostanza, ed è questa che, nei tubi medii e grandi della glandola dei pleurobranchi, le vescicole sono tutte rivolte verso il lume del tubo (/îg. 24), la qual disposizione mi dice che sono esse che versano il liquido acido nelle vie per le quali verrà elimi- nato. Non c'è modo di dimostrare se le cellule contenenti queste vesci- cole, contribuiscano o meno, in vita, a produrre l’umor acido, o se le sole vescicole lo preparino, certo è che le vescicole lo contengono dal mo- 1) Vescicole di secrezione. 2) Op. cit., pag. 94, tav. IT e IV. = mento che lo versano nel lume dei tubi, siccome ne fa fede la cennata disposizione. Un'altra quistione importante è quella che si riferisce alla deiscenza 0 meno degli elementi di queste glandole. È d’uopo a questo riguardo di- stinguere un tipo dall’ altro; per le glandole del primo tipo io non ho alcun argomento per ammetterla. La grandezza delle cellule, la coinci- denza di ciascuna con una maglia capillare, finalmente la capsula che, sic- come osservai nel Dolium, ogni cellula riceve dalla membrana propria dei tubi, sono circostanze che depongono in contrario, per quanto valenti osservatori vogliano ammettere tale deiscenza, siccome in massima, ne- cessaria per gli elementi glandolari. In quanto poi alla proliferazione continua, la quale sarebbe in stretto legame colla deiscenza, credo sia ben più logico dire che non esiste dove non sì vede, nè si ha alcuna cir- costanza di fatto che porti ad ammetterla, anzi dati in contrario, che sostenere che esiste in ogni caso, col solo appoggio delle analogie, ed in omaggio al comune consentimento. Pel secondo tipo le cose sono diverse, e già ho fatto notare come si possano considerare come giovani cellule quelle dei fondi ciechi dei tubi; io non so come si producano, certo è che ne hanno i caratteri. Se tali sono, si potrebbe anche credere alla deiscenza delle più grandi; le vesci- cole di secrezione sarebbero allora messe in libertà e scoppierebbero poi, alla lor volta, in grembo al liquido, e tanto dico perchè l'umore raccolto dal condotto escretore non ne presenta punto. Se così sono le cose, si po- trebbe anche credere che nelle glandole del primo tipo si abbiano ele- menti fissi, nel secondo deiscenti. Un altro problema si riferisce all’ epitelio cigliare. Dalle osservazioni da me fatte risulta che tale forma di epitelio non esiste mai nelle glan- dole dell'acido solforico. Tutte le volte che, esaminando glandole salivali, io trovava, in un colla struttura acinosa, epitelio vibratile negli acini o nel condotto, io era quasi certo di non aver acido solforico libero a con- statare; di più coll’umor acido delle glandole spensi il moto cigliare vi- vissimo dell’esofago della Cassidaria. Nella sua importante monografia *) il signor Lacaze, precisamente in grembo ai tubi del Pleurobranchus au- rantiacus, cita in certi vacui tale movimento e ne descrive gli acciden- ti. Questa osservazione del valente anatomico mi dice: o che questa specie, ch'io invano cercai procurarmi, essendo nel golfo di Napoli assai rara, 1) Op. cit., pag. 232, t. VII. — 90 avendo organi identici agli altri congeneri, non ha questa particolare secrezione, il che è poco probabile, e mi sorprenderebbe ancor più di quello che non mi cagionasse maraviglia il caso di mancanza totale della glandola nel PI. ocellatus, ovvero che il movimento cigliare si dà anche in presenza di una soluzione di acido solforico; il che poi è in disaccordo con quello che si conosce circa le condizioni di questo movimento. Fosse mai che i fondi ciechi della glandola, là dove il Lacaze osservò tale mo- vimento, pieni di giovani cellule con giovani vescicole, fossero non per anco provveduti di un lume che li continui coi successivi tubi, e le cel- lule non peranco entrate colle vescicole in funzione, fossero provvedute di ciglia provvisorie che poi andrebbero a perdersi? Le osservazioni di- relte chiariranno a me o ad altri il fatto. Intanto se Ja glandola del Pl. aurantiacus,come credo, è deputata ad una simile secrezione, in essa si avrebbe, fosse pure che tale epitelio si trovsse allo esterno dei tubi, il fe- nomeno di coincidenza nello stesso organo, di movimento cigliare e di liquido contenente acido solforico ; il qual fatto si accompagnerebbe in certo modo con altro che abbiamo notato, di elementi avversi coesistenti negli stessi organi, siccome sono il carbonato di calce e lo stesso acido, che in vita, contenuto nelle cellule, rispetta quei corpuscoli, che nell'un tipo di glandole e nell’altro abbiamo trovati. In questo lavoro monografico, 10 mi sono proposto di esporre quanto mi venne fatto di osservare senza entrare in quistioni generali di anato- mia; giova però qui far notare che mentre le mie osservazioni circa i capillari delle glandole del Dolium sono in accordo colle osservazioni di Langer circa l’anodonta, e colle più recenti di Wedl ?) fatte sopra le elici, 1 murici, il turbo; l’altra delle boccuce venose, aperte alla superfi- cie della glandola, è un fatto di più da aggiungere ai tanti coi quali Milne Edwards dimostrò che la cavità del corpo è a considerarsi come una lacuna venosa, intorno a che vi ha al presente chi dubita, ed anche lo stesso Wedl. Si hanno nel nostro caso organi pendenti nel cavo periga- strico e chiusi da una membrana muscolare, nei quali entra un torrente di sangue per le arterie, ed in cui non si hanno organi pel riflusso cor- rispondente, se non quelli che io ho indicati nel Dolium, e che corri- spondono in essenza ai così detti orifici venosi, i quali furono, come è noto, punto di partenza degli importanti lavori dell’anatomico francese; solo che qui, a cagione del genere della membrana che attraversano tali orifici, sono piccoli ed anche contrattili. 2) Ueber Capillargefisssysteme von Gasteropoden. Sitzungber.d. K. Akad. in Wien.Juli-Heft. 1868. Atti — Vol. 1V.— N.9 10 0) RR 3) TA Noterò per ultimo che nei molluschi si hanno muscoli non di un sol tipo istologico generale, come veggo ammesso da Boll; ma oltre i mu- scoli ramificati già noti in alcuni casi nei molluschi, come nella paludina per le osservazioni di Leydig, nell’Arion after per quelle dellostesso Boll, sì hanno anche fibre, che essendo a nastro, non contengono il cordone di protoplasma granulare, ritenuto come caratteristico; come anche non lo contengono, nè le fibre fusiformi del condotto escretore del Pleuro- branchidium, nè i rami delle cellule stellate dei tubi secretori, dello stesso, mentre secondo Boll lo contengono invece quelli delle cellule stellate dell’ Arion. CONSIDERAZIONI CIRCA LA FUNZIONE Domandare perchè, solo da un piccolo gruppo di pettinibranchi, sì pro- duca un acido libero, tale che in natura non trovasi che nelle acque dei vulcani e delle solfatare; domandare perchè i pleurobranchi e non le aplisie o le ombrelle, che sono pur dello stesso ordine, siano dotati della medesima proprietà, sarebbe vano per ora. Sarebbe come domandare per- chè le torpedini e non le razze, perchè il gimnoto e non le comuni an- guille, il malapteruro e non i bagri ed i pimelodi abbiano il privilegio di così potenti armi elettriche; ovvero perchè piuttosto i pirosomi e le salpe illuminino le creste dei flutti e i loro cunicoli le foladi, che non i botrilli e le arche gli abissi del mare. Chiedere perchè una specie di Doris segreghi acido solforico, mentre molte altre non lo fanno, ovvero perchè il pleurobranco ocellato ne sia privo del pari, mentre gli altri ne abbon- dano, sarebbe come chiedere perché il muschio del Thibet sia in pos- sesso di così speciale secrezione, e non quello di Giava, ovvero perchè una specie di pianta ci appresti gradito alimento o farmachi salutari, ed un’altra specie dello stesso genere, la morte. Insistere, sarebbe esigere la dolorosa risposta che, nello stato attuale delle nostre cognizioni circa l’intimo e le ragioni degli esseri viventi, non è possibile pronunciarsi; e tanto più per questi che nascondono nelle profondità marine le loro costumanze. Origine dell'acido — Un problema di altra categoria, che più volon- tieri tentiamo, è l’altro, quello cioè dell'origine dell'acido in parola. Qui sì tratta di una quistione semplice a proposito di elementi così noti come sono il solfo e l'ossigeno. Un dilemma per primo ci si presenta: o l’acido MR — 0BE dei nostri molluschi, come si ritiene da alcuni per quello dei solfati delle orine, deriva dall’ossidazione del solfo delle sostanze albuminoidi, ovvero è il prodotto della decomposizione dei solfati del mare. To ho sempre pensato che come la composizione chimica delle piante marine, che ci forniscono l’iodio e la soda, è diversa da quella delle piante terrestri e lacustri, così quella degli animali marini, viventi in una solu- zione di differenti sali, debb’essere, sotto certi riguardi, diversa da quella degli altri, e che, a chi ne faccia studio speciale, sia per fornire argomenti atrovati novelli di prima importanza. A tentare la soluzione di questo pro- blema io procedo con queste premesse. Allorchè un Dolium od altro ga- steropodo viene pescato e messo in scarsa quantità di acqua marina, il suo corpo in breve tempo sì gonfia; le aplisie si fanno immani e deformi, il piede delle Cassis acquista tale volume che è maggiore del doppio di quello che presenta allo stato ordinario, i pleurobranchi e le tetidi si gonfiano del pari così che, attraverso il tegumento, si ponno seguire col- l'occhio nella profondità delle carni i fasci muscolari in bell’ordine disposti ed incrociati. I sipuncoli pel poro estremo, le attinie e le pen- natole per la via della bocca e delle comunicazioni dello stomaco colla cavità del corpo, le oloturie per quella delle branchie interne arbore- scenti, si gonfiano del pari, e tanto che queste ultime, non misurando, in- caute, la resistenza delle loro parti interne, finiscono collo scoppiare eva- cuando per l’ano tutta la visceraglia. Questi fenomeni i naturalisti di tutti i tempi hanno osservato, e diversamente interpretati; io credo che sia conforme alla verità il credere semplicemente che questi animali, a cagione dell’asfissia che comincia, per la scarsa mole dell’ aquario, che presto vien privata dell’ aria disciolta, si sforzino, per tutte le vie che ponno aprire, di mettersi in contatto colle maggiori quantità di acqua, al pari dell’asmatico che vuol spalancate tutte le finestre della camera. Ma se facile riesce stabilire l’ equilibrio respiratorio nell’ aquario coll’ ag- giunta di piante viventi, e se è pur facile veder i polipi vomitar di nuovo l’acqua dalla bocca se irritati, o evacuarla per l'estremo dei tentoni fo- rati, come in molte attinie, ovvero trovarla in grande copia raccolta nelle oloturie, principalmente nelle branchie interne; non è del pari agevole conoscere le vie per le quali i molluschi se ne imbevono, onde le maggiori differenze di opinioni fra gli osservatori. Io mantengo il mio proponimento di non entrare, in questo lavoro in quistioni generali, e per tanto vengo al caso nostro ed apro un Dolium in istalo di gonfiore. Il suo piede è turgido, la sua tromba del pari come K* — 36 — fosse un otricello: appena rotto il primo anfratto della conchiglia, l’ani- male si contrae in ogni modo, e già comincia ad avvizzire; aperta la cavità branchiale dal profondo della medesima, dalla grande fessura del sacco dell'organo del Bojanus, veggo scaturire a fiotti l’acqua così che l’ani- male in brevi istanti ritorna allo stato di normale volume, continuando sempre a retrarsi. Nè da questa differenti sono state le osservazioni fat- te, con molta maggior difficoltà, in altri più piccoli molluschi del mare e delle acque dolci, tra gli altri dal Gegenbaur, dal Leydig, dal Leuckart e dal Lacaze. Venendo ora all’ altra forma di gasteropodi, che ci interessa in questa occasione, cioè i pleurobranchi, altra via per lo ingresso dell’acqua ci ha indicata lo stesso Lacaze Duthiers, quasi in continuazione dei suoi importanti studii sul Dentalium. Quell’orificio esterno ch'egli scoperse nel pleurobranco, aperto al davanti della bran- chia”), e che nel Pleurobranchidium il Leue, già dal 1813, credeva aper- tura per lo sgorgo della glandola innominata ?), e che era noto anche al Delle Chiaje il quale, senza pronunciarsi, ne diede la figura *), fu da lui trovato, per un breve condotto, in comunicazione con il vaso che dalla branchia conduce il sangue al cuore per modo che dal medesimo orificio si può facilmente, nei pleurobranchi, injettare il sistema arterioso sic- come io ho costume di fare. Tale scoperta tolse ogni dubbio circa la comunicazione dell'alveo san- guigno dei molluschi acquatici coll’esterno. A chiarire il fenomeno di questa strana diluzione del sangue in tali molluschi, ed a togliere la gravezza al fatto della uscita di una parte del medesimo, quale avviene nelle circostanze accennate, è d’uopo considerare che tali circostanze sono veramente insolite, straordinarie, e che l’entrata dell’acqua, allora quando gli animali sono nelle loro naturali sedi, e la uscita del liquido cavitario, se pure a circostanze ordinarie si verifica, dovrà farsi in tempi ed in quantità determinate. Nella cavità del corpo della cassidaria io ho trovato spesso, in primavera, delle forme rabditiche, o, diremo, larvali di nematodi, nè mai, nella stessa cavità ed in altro tempo, gli adulti; parmi ragionevole il credere che tali larve, come sono entrate per la via del sacco dell’organo del Bojanus, così dopo aver abitato la cavità san- guigna della cassidaria per un certo tempo, se ne usciranno per la mede- sima via. 1) Op. cit., pag. 250, tav. IX. 2) Op. cit. pag 45.05 “) Op. cit., tav. L, fig.11; in questa tavola per uno scambio di lettere è indicato tale orificio co- me fosse l’ano. i Esposti questi fatti, è ora facile dedurre che se la cavità del corpo, co- me lo è invero, fa parte dell'alveo sanguigno, ed è accessibile all'acqua, e se questa è pur ammessa nelle arterie del pleurobranco pel canale, che chiamar si deve di Lacaze Duthiers, vuol dire che l’acqua marina viene poi portata col sangue in contatto cogli elementi speciali delle glandole. Ora, se in queste glandole vediamo affluire coll’acqua i solfati che in tanta abbondanza vi si contengono, e se dalle medesime si ottiene acido solforico fatto libero, si deve ammettere che tali organi hanno la virtù di decomporre i detti solfati, qualunque sia poi la sorte riserbata alle basi dei medesimi. Se injettando nelle vene di un animale un sol- fato in soluzione, da un organo glandolare dello stesso raccogliessimo acido solforico, 10 credo che non porremmo alcun dubbio ad ammettere nell’organo la stessa proprietà che hanno quelli descritti nei nostri mol- luschi, per quanto sia noto che le combinazioni saline dell’acido solfo- rico siano, relativamente, non troppo facili alla scomposizione. Si com- prende facilmente che, siano le glandole conglomerate del primo tipo irrorate dalle arterie, o quelle del secondo immerse nelle lacune, dal liquido delle quali attraggano i solfati, poco importa dal momento che l’acqua, commista al sangue, è quella che contiene il materiale per que- sta secrezione. Ho detto più sopra che quanto più il corpo delle cassidarie è invaso dal- l’acqua, tanto più le glandole sono turgide ed acide, e simile condizione ho verificata nei pleurobranchi, ed ora, siccome feci già nella nota dell’aprile dello scorso anno, piacemi riferire una predizione fatta dal Lacaze in occasione della scoperta della comunicazione dell’alveo sanguigno col- l'esterno nel pleurobranco. « On y trouvera, n’ en doutons pas, la elef de « bien des apergus nouveaux relatifs è cette partie de l'organisation et de « la physiologie ». Che gli altri molluschi abbiano pure l’alveo sanguigno in diretto rapporto possibile col mare e non producano l’acido in qui- stione, non mi meraviglia, dal momento che per tale secrezione abbiamo trovati organi di speciale struttura che in quelli mancano. Voglio però anche dire che io non mi stupirei punto, dato che i solfati marini pos- sano esser quelli che forniscono quest’acido, se trovassi altri animali del mare, di altre classi, in possesso di questa secrezione, fatta da or- gani anche diversi da quelli da me descritti, sapendo che la stessa se- crezione può ben farsi in animali di tipi diversi con organi differentis- simi, siccome sono per esempio i reni dei vertebrati, gli organi del Bojanus e i tubi del Malpighi degli insetti, ed anche per argomento a desunto dai nostri gasteropodì, i quali, appartenendo a sezioni diverse, hanno pure differenze anatomiche negli organi dell'acido in parola, i quali organi sono poi identici nel senso del loro prodotto. Circa le origini del- l'acido solforico in questo caso, tanto io fui condotto ad esporre dalle circostanze sopra cennate; riconosco però essere alla bilancia riservato di pronunciare l’ultima parola; nè meno importante, a mio credere, sa- rebbe dirigere l'indagine nei vegetali marini che contengono sali di soda, nel sospetto che il solfato di soda delle acque marine non fosse quello che si decomponesse allo scopo di lasciar la base combinata altrimenti nei loro tessuti. Se l’acido sia emesso o deglutito — Parlando dei muscoli delle glandole e del condotto e della loro speciale disposizione, io ho parlato anche sempre di emissione senza tener conto della possibilità che tale liquido possa essere, a circostanze ordinarie, deglutito. Pure, in vista dei rapporti di questi organi colla bocca, è a conoscersi ancora se meglio debba tenersi conto del fatto dei frammenti intatti di polipi trovati nello stomaco del Dolium da Troschel,i quali in un coll’osservazione del getto uscito dalla bocca farebbero credere alla emissione, ovvero dell'altro fat- to, osservato dal De Luca, di acido libero trovato nelle prime vie nel- l’animale ancora vivente. L'emissione poteva esser avvenuta sotto l’ in- fluenza dello strazio subìto dall’animale, mentre era divelto dalla con- chiglia, come l’inghiottimento del pari, nel caso nostro; ed i frammenti di polipi avrebbero potuto essere i residui di altri coi quali l’ umor acido si fosse, neutralizzandosi, previamente combinato. Gli esperimenti da me ideati, i quali mi avrebbero pure condotto ad essere certo o dell'una o dell’altra cosa, furono precorsi da una osser- vazione alla quale si prestò il Pleurobranchus testudinarius. In questo le ascidie composte sono il pascolo prediletto, ed allorchè io ebbi il primo esemplare di questa specie, fu anche mia cura di conoscere il contenuto dell’ingluvie che trovai disteso dalle medesime tagliate a grossi bocconi. Mi fu facile allora conoscere, dai cristalli calcari stellati, un Didemnum, ed il fatto della loro copia e della loro integrità mi fece certo che il liquido acido non aveva avuto sopra di loro la menoma azione. In fatti poi, siccome si è notato nei pleurobranchi, mentre le aperture dei dotti della glandola salivale vera sono in corrispondenza del bordo delle man- dibole cornee, l’orificio di quello della glandola dell’ acido solforico è alla commissura superiore della bocca, così che l'umore non potrebbe, che con speciale forzata contorsione delle labbra, esser avviato nella ca- — 39 — vità della medesima. Esaminando in seguito, sempre che l'occasione mi fu propizia, il contenuto dell'esofago e del proventricolo del Dolium, mi convinsi primamente che l’animale è onnivoro di modo che alghe, piccole oloturie come i fillofori, limo e sabbia trovai separatamente in diversi casi; mi fu poi del pari agevole riconoscere che ogni frammento di di- verse maniere di corpi calcari, siccome briozoi, lamine forate di ololurie, ed anche oggetli minimi siccome spiculi di spugne calcari, non avevano subìto alcun mutamento. L’uscita del liquido acido dalla bocca di un Dolium è facile a verificarsi nelle circostanze eguali a quelle della osservazione primitiva di Tro - schel, cioè allora quando s'infranga il guscio; la emissione con getto io però non viddi mai, di più essa era ancora a constatarsi nei pleurobran- chi. Il pleurobranchidio, essendo fra quelli che vivono alquanto tempo negli aquarii, ho voluto sottoporlo alla osservazione, onde è che pensai di colorare con la tintura di tornasole l’acqua nella quale lo aveva posto, onde poi vedere quando emettesse e come il liquido; ma la tintura, galleg- giando di preferenza, e l’animale restando di preferenza al fondo, non mi fu possibile di nulla osservare a primo colpo. Così fu che, adoperando largo e poco profondo recipiente, attesi lungamente ma invano; l’animale dopo al- cune ore non aveva emesso la tromba, nè dopo un giorno il liquido. Pensai allora di costringerlo e, siccome riferii nella nota citata, premendone un tentone colle pinzette, non lo lasciai finchè l’animale, dopo alquanti con- torcimenti si decidesse ad un partito. Fu allora che la proboscide uscì ed egli la rivolse verso lo stromento in atto di mordere, e nello stesso mo- mento evacuò l’ umore in gran copia, siccome me lo provarono le nubi rosse apparse in grembo al liquido del bacinetto. Questo sperimento, che ripetei sovente e che potei anche mostrare al ch. Prof. Leuckart, mi dimostrava l'emissione rapida dell’umore acido, siccome i cristalli cal- cari trovati nell’ingluvie del PI. testudinarius mi dimostrarono che non viene punto deglutito, siccome già me lo aveva predetto lo spegnersi del movimento cigliare dell'esofago della cassidaria. Circa loscopo dellasecrezione—Vuolsi finalmente conoscere nel suo scopola secrezione delliquido contenente acido solforicoe che dobbiamo, come è chiaro, considerare quale una secrezione particolare la qua- le, ad onta dei rapporti degli organi colla bocca, non ha ingerenza alcuna colla funzione della digestione. I nostri gasteropodi non scavano punto le rocce calcari e le marne; la mancanza della medesima secrezione anche nei gasteropodi affini ai nostri, siccome i buccini, che si pascono 0 di bivalvi perforandone il guscio, la natura stessa delle perforazioniy la condizione della superficie delle gallerie in cui si notano striature mi- nutissime e linee rilevate tali che un acido non avrebbe rispettate, depon- gono sempre in favor dell’azione meccanica esercitata, siccome nei bi- valvi dalla conchiglia, così nei gasteropodi dalle dentature della radula. L'esperimento del pleurobranchidio sarebbe favorevole alla credenza del suo impiego come mezzo di difesa ; è strano però che animali prov- visti di conchiglie robustissime come quelle dei Tritonium, che solo a colpi di martello si possono infrangere, e di più chiuse completamente da grossi opercoli cornei, abbiano la stessa secrezione dei pleurobranchi dal corpo molle privo di ogni guscio, come il Pleurobranchidium, ovvero prov- visto di tenuissime conchiglie interne. La sola retrazione basta a difendere i Tritonium e gli altri, e lo stesso Dolium, abbenchè manchi di opercolo e mostri ampia superficie del piede allo scoperto quando è retralto, pre- senta quest'organo così duro nella contrazione, che non sarebbe possibile ad alcuno dei più temibili abitatori del mare di portargli offesa. Posto anche che, come a difesa, si giovassero della ejaculazione del liquido aci- do, questo si diffonderebbe tosto nell’ acqua, perdendo ogni efficacia. La struttura dell'organo ela disposizione ed abbondanza deimuscoli spiegano l'emissione rapida, violenta, ma non tutti i liquidi che vengono emessi da glandole soggette all’azione muscolare, o direttamente da serbatoj mu- seolari, sono a considerarsi come aventi lo scopo di difesa, e valgano ad esempio le orine. - Amando la prudenza nel dire circa le possibilità relative allo scopo ultimo di questo singolar prodotto , io non posso astenermi dal notare che si hanno in proposito due fenomeni in presenza.L’uno è il fatto più palese, il primo che ci colpisce, ed è quello della emissione violenta in animali offesi, e questo ci conduce tosto a credere alla difesa, siccome * scopo finale della produzione dell'acido; l’altro più recondito, che è pre- cisamente la formazione dell’ acido stesso. Emana ora il bisogno di sa- pere quale dei due sia il principale, se cioè la decomposizione dei sol- fati sia subordinata alla produzione dell'acido, o tale decomposizione non sia invece il fatto principale, e l'emissione dell’acido secondaria, sic- come sarebbe l'evacuazione dei materiali urici dopo i processi di ossida- zione che determinano la secrezione dei medesimi. In questo secondo caso, l'acido sarebbe come l’urea e i sali dell’orina, cioè il caput mortuum, il residuo di reazioni che sono volute dal complessivo movimento chi- mico dell'organismo e Ta sua emissione sarebbe, a circostanze ordinarie, 4 spontanea, ovvero in animali offesi, fenomeno riflesso concomitante lo spasmo. Voglio dire che, se così sono le cose, per rispetto alla cogni- zione di questa strana secrezione, siamo allo stesso stato in cui si Lro- vavano i fisiologi prima che si fossero conosciute le ragioni della forma- zione dei materiali urici. In altri animali del mare, io invano ho cercato fino ad ora la stessa se- crezione, nè le ricerche fatte e le comparazioni circa l'anatomia dei mol- luschi in generale mi hanno rivelato coincidenze e relazioni che potes- sero dare maggiori chiarimenti al fenomeno, onde aprire la via a mag- giori spiegazioni; sono però deciso a non desistere da questo studio men- tre lascio ai fisiologi il campo a più profonde ricerche. Prima di chiudere questa parte del mio lavoro, amo esporre una pra- tica che potrà tornare utile a coloro che fanno studio degli animali ma- rini, che o per l’unao per altra cagione vogliogsi tenere in osservazione per alquanto tempo. Giovano in tal caso aquari di studio pei quali, dopo numerose prove, sono giunto a trovare la pianta più opportuna. E questa lo Sphaerococcus coronopifolius, C. Agdh., il quale, abbenchè divelto, vive per molti mesi anche in piccoli recipienti, sempre che piccola poc- zione d’acqua sia rinnovata giornalmente. Mollianimali che da soli mor- rebbero in breve ora, in compagnia di quesl’alga durano a lungo, ed un pleurobranchidio , ad onta della elevata temperatura del giugno, visse in tal modo in due litri d'acqua per tutto quel mese. Essendo parte di questa memoria già sotto i torchi, ho poluto avere e studiare il Pleurobranthus aurantiacus. Anch'esso produce acido solfo- rico mediante la glandola speciale, i tubi della quale mi hanno mostrato il moto cigliare; ho però verificato che esso si dà allo esterno dei mede- simi. Tale movimento cessa tosto col diffondersi dell'umore acido. Atti — Vol. IV. — N.° 10 6 APPENDICE Struttura e significato del proventricolo in alcuni pettinibranchi. Quella parte dilatata dell'esofago dei gasteropodi che chiamasi proven- tricolo, suole dai più considerarsi quale un ingluvie, un semplice serbatojo, e tale sembra se dallo esterno lo si consideri o se ne argomenti da quello delle aplisie e di altri in cui quest'organo trovasi per consueto ripieno di alghe o di altra maniera di alimento non per anco alterato; ma se lo si esamini nei Trifonium, nella Cassis, nella Cassidaria come anche nelle natiche, tale organo acquista ben altra importanza. Il proventricolo, in genere fusiforme, provvisto di un fondo cieco nel Tritonium hirsutum (fig. 6, a) ed anche nelle natiche, è limitato all’ester- no dalla membrana muscolare dell’esofago che nasconde la disposizione, se non il colorito bruno delle parti contenute. Spaccato, è tutto lamel- lare e l’esofago non aumenta punto il proprio lume in corrispondenza di quest’organo. Cenno di tali lamelle vidi solo nelle Istituzioni di Anatomia Comparata del Delle Chiaje ’), e dello stesso autore le immagini senza testo corrispondente, nell’opera del Poli ove si veggono gli organi di un tritone), e più oltre, nelle figure che si possono riferire alle natiche Tale organo è di solito rappresentato dallo esterno, come anche nella Natica marmorata lo si vede nel Bronn °) dove per equivoco è indicato come stomaco; e se lo studio del medesimo, per quanto i0 so, non fu ancora fatto per la struttura, io credo sia in ragione di ciò che in esemplari con- servati nell’alcool, come anche nel fresco nelle piccole specie, il suo contenuto appare a primo sguardo null’ altro che una poltiglia bruna. Le lamelle accennate sono tutte adunate in una parte del rigonfia- mento; sono tra di loro parallele ed inserite così da essere nell’organo 1) Vol. II, pag. 25. 2) Vol. III, tav. LI, pag. 15. ?) Classen und Ordnungen, Vol. III, tav. LXXIX, pag. 6. i obliquamente dirette d'alto in basso, per modo che i margini liberi delle medesime guardino verso lo stomaco ( fig. 85). Tali margini colle loro serie limitano in parte il lume del canale esofageo e sono poi tutti inter- secati da un rafe mediano, a cui corrisponde un tramezzo che divide in due parti tutto il sistema (fig. 5 e 34). Dal rapporto dei margini liberi delle lamelle col lume dell'esofago deriva che tali margini sono lambiti dalle sostanze alimentari, la qual cosa non avviene poi nel grande tri- ‘ tone per ciò che due pieghe longitudinali e rilevate della mucosa esofa- gea, comportandosi siccome due imposte, vengono a dividere il lume dell'esofago dall’apparecchio delle lamelle, restando però, per la fessu- ra che lasciano fra di loro le stesse valvole, libera la comunicazione (fig. 5 e 6). Sono le lamelle alla loro superficie , lisce e di colorito verdastro o bruno; solo nel Tr. cutaceum le ho viste percorse da solchi e da spor- genze le quali s'ingranano volontieri con quelle delle lamine contigue (fig. 87); ma se di queste lamelle, le quali non sono altro che ripiega- ture della mucosa del proventricolo, s' indaghi la struttura, si veggono fondamentalmente costituite da tessuto unitivo in cui abbondano i vasi, e poi allo esterno da una membrana limitante a cui aderiscono, in sem- plice strato, cellule di secrezione (fig. 836). Tali cellule sono sferoidali, misurano nel Tr. nodiferum; 0””,020, del pari che nella cassidaria (fig. 38); contengono un gruppo centrale di granulazioni colorate dalle quali dipende il colorito totale dell'organo, ed il nucleo, il quale, da codeste granulazioni circondato, viene spesso nascosto. Avviene che l’e- pitelio dell'esofago , arrivato alle lamelle, si muta in un epitelio glan- dolare con caratteri speciali. Tale passaggio, nel 7r. nodiferum, si scorge già al margine di quelle valvole ad imposta, così che la superficie delle medesime, che è rivolta verso le lamelle, è, come queste, rivestita dalle stesse cellule pure in semplice strato ed in questa parte labilissime. Si tratta, per tanto, di una glandola foglieltata, che io non esito a con- siderare siccome una glandola a succo gastrico in cui i lumi dei tubi delle tubolari, se vogliamo confrontarla con quelle dei vertebrati, sono sostituiti dagli spazii che intercedono fra le lamelle, dai quali, per la obliqua direzione delle medesime, deve facilmente piovere il succo sul- l'alimento. Avviene quì, come negli uccelli ed altrove, che le glandole gastriche sono principalmente nel proventricolo. Questa denominazione di glandola fogliettata io credo opportuna ad in- dicare in massima, glandole in cui, come anche nell’organo di Bojanus * n MA delle elici ed in altri, si ha un epitelio secretore esteso sopra un si- stema di lamine, qualunque sia il modo reciproco di comportarsi delle medesime, solo che costituiscano uno o più coacervi e nel complesso un organo determinato. La tasca pieghettata, che Sovleyet descrisse nel Turbo rugosus nel principio dell’esofigo, credendola succedanea alle mancanti glandole della saliva, gli. organi pieghettati descritti da Leydig nella prima parte dello stomaco della paludina, sono, con ogni probabilità, glandole che hanno lo stesso significato di quelle dei tritoni e degli altri di cui ab- biamo fatto parola. Studi comparativi estesi potranno dichiarare meglio le forme diverse degli organi in discorso, come le esperienze assicurarci del significato; intanto parmi che quelle glandole descritte e figurate da- gli autori, brune, di struttura acinosa, che stanno aderenti e sboccano nell’esofago dei murici (fig. 89, a) e delle porpore chiamate da Leiblein organo esofageo e che sono ritenute come organi problematici, si possano pure considerare come glandole a succo gastrico. Queste differi- rebbero da quelle foglietiote pel rapporto e per la disposizione degli ele- menti, in quanto che sono acinose e non comprese nell’esofago ma al medesimo sospese e totalmente esterne, la qual circostanza rende questi stessi organi più che mai favorevoli alla esperienza fisiologica ed all’a- nalisi chimica, che per glandole diffuse nella mucosa di questi animali, sarebbero impossibili o difficilissime. La idea di Souleyet, il quale credeva la tasca pieghettata del turbo organo sucecdanito alle mancanti glandole salivali, abbenchè queste siano state da (fuuy e Gaimard trovate adese alla massa boccale in forma di due piccoli organi convoluti, io la raccolgo. Nei nostri pettini- branchi, provvisti della secrezione dell'acido solforico , il prodotto del lobo acinoso salivale va perduto, in quanto che il liquido viene totalmente espulso; ora si p.ò anche dire che in questi animali le cose sono così disposte che, avendo organi che rappresentano i salivali, siccome ap- puuto il lobo superiore deila glandola, non ne possono utilizzare la se- crezione. Ora pari ragionevole il credere che il grande sviluppo che prende la glandela togliettata, come nel turbo da Souleyet fu consi- derato in relazione alla mancanza delle glandole salivali, o diremo al presente , alla loro piccolezza, così nei nostri lamellibranchi la glan- dola fogliettati, alla sua volta, sia più sviluppata onde supplire col suo prodotto alla mancanza di uno dei liquidi necessarii alla digestione. La glandola foglicltata è nel Dolinm, come vedremo, secondaria, e però = ie supplita ampiamente dalle copiose glandole della mucosa del proventri- colo ; nelle natiche poi, ove la tasca foglieltata è del pari molto svilup- pata, le glandole salivali sono minime. Struttura e significato del diverticolo esofageo del Dolium. Le stesse lamelle, che trovansi parallele nel proventricolo dei tritoni, delle cassidi, delle cassidarie e delle natiche, vidi raggianti nel Dolium galea, ma esclusivamente nel diverticolo esofageo (fig. 40), mentre il pro- ventricolo non ne contiene, ed è invece rivestito da mucosa densa, glan- dolare e sollevata in grosse pieghe longitudinali ed in robuste papille co- niche. Significa che nel Dolium la glandola gastrica fogliettata, così svi- luppata nei tritoni e negli altri affini, è sostituita dalle glandole della mucosa del proventricolo, le quali sono di altro Lipo, e per tanto essa si fa atrofica e si rifugia nel diverticolo esofageo. Tale diverticolo, mal noto finora nella sua struttura, per questa 0s- servazione acquista il significato di rappresentante della glandola fogliet- tata dei generi affini, siccome alla sua volta contribuirà alla produzio- ne dei succhi. Si avrebbero così nel Dolium due maniere di glandole a succo gastrico, quelle del diverticolo e quetle del proventricolo. Questo diverticolo, che Delle Chiaje e Keferstein nel Dolium ga- lea, Quoy e Gaimard nel Dolium perdir, trovarono, per ragioni che dirò in seguito, costituito all’ interno esclusivamente da sostanza visci- da, gelalinosa, riceve del resto un cospicuo ramo dall’aorta e, come si vede nella nostra figura 4, un ramo dal nervo salivale di destra. Struttura e significato dell’organo di Delle Chiaje. Premesso avendo quanto fu detto intorno al proventricolo glandolare ed al diverticolo esofageo del Dolium, è d’uopo chiarire la struttura di un altro organo che è veramente degno di nota. Col nome di organo di Delle Chiaje, in onore del zootomo na- poletano, chiamò il Profess. Keferstein un organo che Delle Chiaje descrisse nel Dolium siccome una doccia la quale decorre aperta nella parete anteriore dell'esofago dalla radula fino al diverlicolo esofageo, la qual doccia (fig. 1, 9), mostrando pieghe trasverse nello interno, trovasi piena, come il diverticolo, di gelatinosa massa qual denso muco; nè, pel Dolium perdia, è diversa la descrizione data da Quoy e Gaimard. Il ia Keferstein ritorna sulla descrizione del Delle Chiaje e dice, alla sua volta, la doccia ripiena di gelatinosa sostanza che fa rilevante sporgenza nel lume dell'esofago; dice ancora che tal materia riempie il diverticolo esofageo e ne oltrepassa l’ ingresso. Tale massa gelatinosa egli trovò co- stituita da una sostanza fondamentale jalina sparsa di cellule fusiformi e stellate con nuclei rotondi, ed altro organo consimile vide nel Tritonium variegatum, nella prima parte dell'esofago candido, e che in basso si fa bruno, nè dà luogo a diverticolo aleuno. Non pronunciandosi punto sul si- gnificato di quest'organo, egli ricorda parti che potrebbero aver forse una struttura simile, come il diverticolo da Leiblein notato nel Murea bran- daris all’esofago al di sotto dell'anello nervoso, il diverticolo esofageo del grande buccino, l’altro lungo e circonvoluto che trovasi a mezzo l’eso- fago della Voluta undulata ed anche delle ancillarie figurati da Quoy e Gaimard, e finalmente espone il sospetto che la glandola impari del Conus, di cui diremo in seguito, sia pure a considerarsi come tale. Ag- giunge che nel pleurobranco, in una specie che non indica, tosto dopo la massa boccale osservò un piccolo tubo a fondo cieco che si apriva nella bocca con fessura, e che trovò del pari ripieno di massa limpida gelati- nosa sparsa di cellule stellate. Io non ho trovato quest'organo nei pleurobranchi, così che non parlerò che degli altri. Non desidero, nè posso, in un certo senso, contradire al dotto Professore di Gottinga e dirò che massa gelatinosa e cellule fu- siformi e stellate si veggono, ma solo nel caso che l'organo venga os- servato dopo qualche ora di permanenza nell’acqua, ovvero in animali dissecati non tosto dopo la morte ed anche in esemplari conservati nel- l'alcool allungato. In tali casi gli elementi essenziali dell'organo sono disciolti in una massa jalina, in mezzo alla quale appaiono le cellule del congiuntivo fondamentale in guisa da aversi l'aspetto del così detto tes- suto mucoso. Tale organo, osservato in più opportune condizioni, si presenta siccome essenzialmente costituito da cellule al pari di una glandola e tale è a reputarsi; cellule le quali nelle sopracitate contingenze scoppiano ben presto. Lo studio di quest'organo io lo intrapresi nella Cassis sulcosa nella quale aveva notato che l’esofago, lasciato nell’ acqua per alcun tempo, gonfiandosi, si tramuta in un cilindro compatto nel quale il lume dell'organo è totalmente scomparso a cagione di una densa massa gela- tinosa. Se coll’azione dell'alcool concentrato o puro, si ritorni l'organo al primitivo stato, ovvero lo si osservi tosto dopo la morte, vedesi costi- e SI tuito da pieghe convolute e da due cordoni contigui occupanti in un colle pieghe la parte anteriore destra dell’esofago allo interno. Ne de- riva che il lume dell’organo riesce, a circostanze ordinarie, occupato per una metà ed ancor più. Aumentando le pieghe di numero, vengono in basso a costituire un bulbo che si sovrappone alla glandola del pro- ventricolo ( Vedi fig. 2, a, e 85, p), continuandosi poi nel tramezzo chè abbiamo detto dividere le lamelle di questa glandola in due sistemi (fig. 84). Un piccolo cordone accessorio trovasi pure nel proventricolo di contro alla glandola fogliettata (fig. 85, 0'). Le sezioni praticate nella parte costituita da pieghe, fanno conoscere il loro accartocciamento, di guisa che in ogni senso si ha lo stesso aspetto, e spesso quella stessa apparenza che presentano le glandole tubolari; i cordoni per contrario, decorrendo nella stessa direzione dell’esofago, non s’inflettono punto. Oltre il tessuto unitivo fondamentale, veggonsi al microscopio cordoni e pieghe, costituiti da cellule cilindriche disposte in semplici serie, al- lungatissime pei cordoni, più brevi per le pieghe (fig. 41). Esse sono ve- ramente gigantesche, quelle delle pieghe relativamente agli altri elementi cilindrici delle glandole e degli epitelii, così che il loro asse misura 0°”, 06; quelle dei cordoni in un modo assoluto, misurando un terzo di millimetro. Tali dimensioni si notano per questi elementi traltati coll’al- cool puro; che se subiscano l’azione dell’acqua per qualche tempo, allora quelle grandezze vengono a triplicarsi. Il contenuto delle cellule è una massa omogenea ed il nucleo non è punto nell’asse, nè a contorno ellit- tico, ma parietale ed a bastoncino. La soluzione di carminio ed anche il gonfiamento lo mettono in evidenza, così che pel disegno della fig. 42 ho preferito un frammento di un preparato imbevuto di acqua, quindi aumentato di due terzi nelle dimensioni delle cellule. Fra le ordinarie cellule regolarissime allineate delle pieghe, scorgonsene alcune varie nella forma, atrofiche e granellose, che son di certo in via di degenera- zione e di assorbimento (fig. 42, @). Nel Dolium in cui la doccia è limitata da due falde longitudinali della mucosa esofagea (fig. 7,7), pieghe e cordoni notansi del pari e colla stessa struttura, varianti più o meno nella disposizione e sempre occu- panti la doccia da cui non fanno sporgenza che nel caso già menzionato del gonfiamento. Siccome nelle Cassis e nei tritoni l'organo glandolare in discorso (fig. 84, 0) si continua nel tramezzo della glandola del pro- ventricolo, così nel Dolium, entrando nel diverticolo, si fa centro alle lamine glandolari raggianti nell'interno dell'organo (fig. 40, 0). Si com- —_ MARE prende ora come, gonfiandosi la porzione di quest'organo che nel diverti- colo si trova, lo occupi tutto, facendolo apparire pieno di muco gelati- noso e, costringendo le lamelle contro la pare!e, le abbia agli anatomici prelodati nascoste. Nel 7r. nodiferum l'organo è del pari molto svilup- pato e comincia pure alla radula; la porzione bruna inferiore menzionata dal Keferstein non può essere che la glandola fogliettata del proven- tricolo, la quale può presentare , quando le cellule siano cadute dalle la- melle, l'aspetto di massa bruna ed uniforme. Sludì estesi a molle specie sono necessari onde siano conosciute le differenze di questa stravagante maniera di glandola ad elementi gigan- teschi, la quale si dovrebbe dire pure lamellare a lamelle accartocciate, labirintiformi ed a cordoni costituiti da masse cellulari. Se, come dalle proprietà del contenuto delle cellule si può argomentare, è questa una glandola mucosa, il suo sviluppo in questi molluschi sarebbe, come anche quello della glandola del proventricolo, in ragione del non poter utilizzare per la digestione l'umore delle glandole salivali. Venendo alle comparazioni, l'organo di Delle Chiaje, a cui volontieri conserviamo questo nome, ci sembra rappresentare le glandole mucose dell'esofago degli animali superiori, come la glandola del proventricolo rappresenta le glandole peptogastriche. Qui, come nella glandola fogliet- tata del proventricolo ed in quelle acinose dei murici e delle porpore, si hanno glandole gastriche conglomerate; nell'organo di Delle Chiaje poi, si avrebbe una forma conglomerata di glandole mucose esofagee, la qual maniera di organo non mi è noto siasi mai descritta in altri animali. Glandola impari del Conus mediterraneus. La glandola che, costituita da un rigonfiamento ovoidale e da un lungo escretore (fig. 43), si apre a destra nella bocca del piccolo cono del Me- diterraneo *), e che per altri vedesi figurata in analoghe esteriori for- me ?), non è punto un diverticolo esofageo provveduto nel rigonfiamento di ampia cavità, come si vede nelle figure di Delle Chiaje, nè tanto meno una glandola acinosa come è detto dallo stesso in altra opera °). Debbo ringraziare di nuovo il Prof. Troschel per le comunicazioni 1) Poli Testacea, Vol. III, tav. XLV. P 2) Bronn, Vol. III, tav. 82, fig. 4 pel Conus tulipa —Troschel Das Gebiss der Schnecken pel Conus nicobaricus. °) Istituzioni di Anat. Comp., Vol. II, p. 129. Zio fattemi al proposito. Nell'opera sua qui citata sono con molta cura de- scritte al capitolo dei Toxoglossi, le parti della bocca singolarissime dei Conidi, dai denti a foggia di freccia, spesso provvisti di doccie che li percorrono, ed è pur riferito il caso del Comandante della R. nave in- glese il Samarang, S. Edward Belcher, il quale, siccome narrò Adams, alle Molucche fu morso dal Conus aulicus, onde ne ebbe dolo- rosissima ferita. Questo falto, la forma dei denti, le nolizie che ebbe il Troschel dal Ch. D. Krohn circa i muscoli della glandola, fecero sì che egli proponesse per questa il nome di glandola velenifera. In vero il Krohn è il solo che abbia fatto cenno della costituzione in massima parte muscolare del bulbo ovoidale e dei due strati, onde è che tal cenno è riferito dal Troschel colle stesse sue parole. In fatti, dalla fig. 44 qui unita, è palese la sezione del bulbo a della fig. 43 della glandola del Conus. Lo strato esterno potentissimo è a fibre spirali, un altro interno minore è a fibre longitudinali; una membrana aponeurotica li divide. Ne consegue che la parle secretrice dell'organo è costretta in piccolo spazio e precisamente in un cavo cilindrico mediano, che nel dia- metro non differisce dal condotto escretore, la quale cavità è circoscritta da una membrana propria tapezzala di cellule. Sono queste in semplice strato e cilindriche; il loro asse misura in media 0””,080, il contenuto è limpido con minutissime e rade granulazioni, il nucleo elissoidale gra- nelloso (/ig.45). Queste cellule cessano là dove comincia il tubo escere- tore e questo trovai costituito da una membrana di tessuto unilivo fibril- lare con nuclei sparsi senza alcuna fibra muscolare, per quanto ne fa- cessi ricerca, ( fig. 46), e nello interno, da una membrana propria la quale è in continuazione con quella della piccola cavità cilindrica del bulbo, e che non trovai rivestita da alcun epitelio. Da questa.descrizione risulta, che la glandola in discorso è costituita essenzialmente da cellule poste in ristretta cavità la quale è circondata da robustissimo bulbo muscolare, a cui fa seguito un lungo tubo sprov- visto di muscoli e di epitelio, e che col suo lume fa da serbatojo al ma- teriale secreto. Vuol dire che gli elementi muscolari che avrebbero po- tuto essere estesi in forma ditonaca sul condotto, come si osserva nei casi ordinari, si son tulti raccolti coi loro due strati in un grosso bulbo, che riesce per tanto lontanissimo dallo sbocco del canale. L'ufficio del bulbo a prima giunta sembra quello di far uscire il pro- dotto della secrezione, ma, se meglio si consideri, si comprende come la influenza del bulbo sulla evacuazione del contenuto del tubo debba es- sere minima per due ragioni: la prima, perchè il bulbo può agire solo Alti — Vol. IV.— N.0 10 7 — 90 — sopra una piccolissima frazione del totale contenuto dell'organo, poi perchè essendo il tubo escretore distensibile e circonvoluto nella ca- vità del corpo, la forza sviluppata dal bulbo deve tradursi in pressioni laterali sulle pareti del tubo, le quali pressioni ne procureranno, a mezzo del liquido contenuto, lieve e diffuso distendimento piuttosto che una parziale evacuazione. Una prova di fatto poi che il bulbo non influisce all'uscita del materiale si è questa che il tubo ne è sempre ricolmo e disteso. Tolto al bulbo il significato di organo da cui dipenda precipuamente la evacuazione, resta a conoscersi qual altro ufficio gli si possa attribuire. Nel considerare i fenomeni, del resto oscurissimi, delle secrezioni, ten- gono speciale conto i fisiologi della pressione del sangue non solo, ma anche di quella a cui sono assoggettati eventualmente gli organi essen- ziali delle medesime siecome sono le cellule glandolari. Ora il fatto che in quest’ organo le cellule secretrici sono esclusivamente collocate là dove vi ha il bulbo, parmi possa farci credere che questo debba poi alla sua volta non aver altro ufficio che di esercitare sulle medesime una voluta pressione. Io non conesco altra glandola negli animali che me- glio di questa ci possa far credere alla influenza della pressione sugli elementi cellulari, per ciò che i muscoli qui non possono avere che questo esclusivo scopo; credo anche possa dirsi: la secrezione di que- sta glandola avvenire sotto la influenza di altissima pressione, che tale deve essere, attesa la copia ed il luogo degli elementi muscolari. Siccome poi il bulbo ed il canale colle sue anse riempiono tutta la piccola cavità del corpo del nostro gasteropodo, credo che alla evacua- zione del materiale possa bastare la contrazione della volta muscolare della cavità stessa. Siccome Krohn ebbe per le sue osservazioni ad annunciare, la secre- zione di questa glandola si compone di un liquido contenente copiosis- simi corpuscoli ovoidali, trasparenti, minimi; questi in massa hanno l'aspetto di una poltiglia bianca che vedesi tutta riempire il condotto, il quale colle sue anse candidissime traluce dalla parete della cavità perigastrica. Questi corpuscoli (fig. 47) misurano in media 0”,005 nel loro diametro trasverso, non sono dotati di movimento molecolare e si comportano così come fossero costituiti da una sostanza albuminoide. In un considerevole numero di individui del nostro cono, avendo ri- sercati, nelle più opportune condizioni e attentamente tali corpuscoli nel- l’esofago e nel proventricolo, non li trovai in alcun caso, onde mi per- 6, CN suasi trattarsi anche quì di una particolare secrezione, la quale, ignota al presente nella composizione e nello scopo, viene dalla bocca emes- sa. Tale emissione si vede pure, ma in circostanze straordinarie, quando cioè l’animale sia stimolato ed offeso; onde miglior partito è tener conto della mancanza costante dei corpuscoli nelle prime vie. Io non so se nei coni di altri mari tale secrezione sia venefica, o se il dolore, la irritazione successiva alla morsicatura del Conus aulicus provata dal Com. Belcher, fosse dovuta alla trafittura e laceramento fatto dai denti, i quali a cagione delle punte ricorrenti e della loro fra- gilità possono essere stati trattenuti nella ferita; dalle esperienze da me falte sugli uccelli di inoculazioni e di ingestione della secrezione della glandola impari del Conus mediterraneus, anche usata in considerevoli dosi, non ho raccolto argomento per crederla venefica in questa specie. SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE N. B. Le figure sono in una sola progressione da 4 a 47. Quelle im cui non è indicato \° ingrandimento sono nelle naturali proporzioni. TAVOLA I, fig. 1. Dolium galea, femmina. La cavità del corpo è aperta dal dorso, i fasci muscolari che legano l'esofago alla tromba sono tagliati, ond’è che appajono tron- chi sulle pareti dell'esofago e della tromba. a lobo acinoso della glandola, — è lobo tubolare ossia organo dell'acido solforico, — c dotto escretore comune ai due lobi, — d sbocco ai lati della radula,—e aorta anteriore, —f rami uterini, —g ramo al piede troncato e rialzato, A tronco ricorrente delle arterie salivali e del proventricolo, — ij nervi salivali, —% ramo del destro nervo al diverticolo esofageo, — ramo connettivo che dà rami al condotto, — m ganglio faringeo destro, — n tubi secre- tori injettati di albumina, la quale, coagulatasi per l’azione del- l'acido, li distende, —o porzione interna del condotto escretore che riceve gli sbocchi dei tubi, —p ostili venosi, —q doccia dell’ or- gano del Delle Chiaje,—r falda della mucosa che coll’omologa limita la doccia, — « ganglio del piede, — y ganglio simpalico maggiore,—< ganglio simpatico medio o branchiale; questi gangli furono enucleati onde fossero evidenti. TAVOLA II. fig. 2. Cassis sulcosa. Glandole e loro rapporti. —« tronco nervoso dal gan- glio cerebroide al ganglio branchiale; passa fra i lobuli del lobo acinoso della glandola sinistra senza però darle alcun ramo, — a bulbo inferiore dell'organo del Delle Chiaje, — 8 proventri- colo glandolare. 5° . 3. i Cassis sulcosa. Ganglio cercbroide, — a, a nervi salivali, - 6 secondo tronco proboscideo di destra,— € terzo tronco proboscideo di si- nistra, i quali danno rami ai condotti delle glandole. . Cassidaria echinophora. Glandole e loro rapporti. . Tritonium nodiferum. Glandole e loro rapporti, —-s, s nervi salivali, —a glandola del proventricolo,—d ripiegature della mucosa del- l’esofago che dividono la glandola dal cavo dell'esofago. . Tritonium hirsutum. Glandole e loro rapporti. — a fondo della glandola del proventricolo. . Tritonium corrugatum. Glandole e loro rapporti. . Tritonium cutaceum. Glandole e loro rapporti. . Ranella gigantea. Glandola salivale sinistra, figura che serve di confronto. " .. 10, Pleurobranchus testudinarius aperto dal dorso; la massa boccale è retratta, seguono l’esofago ed a l’ingluvie,—d il ventriglio,—e il foglietto,—d la glandola salivare vera i cui due condolti entrano nella massa boccale ai lati dell’ esofago, — e porzione profonda della glandoladell’acido solforico, —fporzione sinistra della stessa ripiegata a destra onde non celasse l’altra,—-g condotto escretore della glandola. In questa figura oltre il ganglio sopraesofageo veggonsi i due gangli faringei riunili a questo mediante i due tronchi connettivi. i fig. 41. Pleurobranchidium Meckelii. La tromba è rappresentata in pro- trazione, —d glandola salivale vera, s uno dei due condotti della medesima, — s' serbatojo che trovasi in ciascuno prima dell’in- gresso nella massa boccale,—g condotto escretore della glandola dell'acido solforico coi tubi principali della glandola che vi con- fluiscono,— h luogo dello sbocco, — m muscolo dorsale trasverso della massa boccale, così chiamato da Leue. TAVOLA III. fig. 12. Cassidaria echinophora. Un acino del lobo superiore delle glando- le,x180,—a tessuto congiuntivo che riveste gli acini, provvisto di corpuscoli calcari, —d cellule salivali il cui diametro minore è 0””"063,—e nucleo delle medesime siccome appare dopo l’azione prolungata dell’ acido acetico. fig. 13. Cassis suleosa. Porzione del lobo tubolare delle glandole, x 88, e - (RS per dimostrare la membrana esterna, i tubi ed il tessuto unitivo interposto che è tutto sparso di corpuscoli calcari , i quali tosto per l'azione dell'acido solforico del liquido dei tubi, secompajono con effervescenza. fig. 14. Cassidaria echinophora. Uno dei tubi più brevi del lobo inferiore della glandola, isolato, ><180;le fibre muscolari che lo allacciano sono rappresentale soltanto nella metà inferiore. fig. 15. Dolium galca. ll fondo cieco di un tubo, 180, per dimostrare la rete capillare e le fibre muscolari che circondano i tubi. fig. 16. Cellule dei tubi, per giudicare delle relative grandezze, >< 180; le misure che seguono sono prese sul diametro minore di cia- scuna. — a Dolium galea, 0"",125, — b Cassidaria echinophora, 0,070, —e Cassis sulcosa e Tr. nodiferum, 0,067, — d Tr. hirsu- tum, 0,058, — e Tr. corrugatum e cutaceum, 0,042, —a' nucleo delle cellule del Dolium; 700. Queste cellule sono a considerarsi come gli elementi essenziali per la secrezione dell’umor acido. Dolium galea. Boccucce venose della membrana del lobo infe- riore a debole ingrandimento, le stesse della fig. 1. p. fig. 18. Cassidaria echinophora. Condotto escretore, <88, lo strato ester- no unilivo è sparso di corpuscoli calcari, seguono gli strati mu- scolari, la membrana propria e l'epitelio, per la forma e le dimen- sioni del quale vedi la seguente figura. fig. 19. Cassidaria echinophora. Epitelio del condotto escretore, >< 180, misura 0,050. fig. 20. Dolium galea. Epitelio del condotto, x 180, l'asse delle cellule misura 0,030. ; fig. 21. Pleurobranchidium Meckelii. Tubi estremi della glandola dell’ a- cido solforico, x 26, legati fra di loro per fibre muscolari. fig. 22. Pleurobranchidium Meckelii. Un fondo cieco della glandola con- tenente cellule a diverse dimensioni ed allacciato da fibre musco- lari, le quali allontanandosi dal tubo vanno a costituire le bri- glie di congiunzione coi tubi vicini, x< 340. g. 23. Pleurobranchus tuberculatus. Tubo da una parte non molto lon- tana da uno dei fondi ciechi, — vdue delle vescicole dì secrezione fatte libere dallo scoppio delle cellule, x< 340. fig.24. Pleurobranchidium Meckelii.Tubo di media dimensione, x<340, — v vescicole di secrezione. Nella parte sinistra della figura sì son di- segnate le cellule siccome appajono quando nel piano di distinta —1 fig. 17. nad fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig. e visione non si incontrano i nuclei, nè i contorni delle vescicole. Aderentemente alla parete veggonsi, come in sezione, i rami mu- scolari del plesso della fig. 30. 25. Pleurobranchidium Meckelii. Cellule della glandola salivale vera per confronto, >< 180; in media misurano, 0,067. 26. Epitelio fusiforme del condotto della stessa glandola, >< 340. TAVOLA IV. 27. Pleurobranchidium Meckelii. Epitelio del condotto escretore della glandola dell’ acido solforico, < 180; l’asse delle cellule misura in media 0””,082, nella porzione più rigonfia del condolto. 28. Pleurobranchus tuberculatus. Epitelio del condotto escretore della stessa glandola, x< 180; il diametro delle cellule in media è di 0,032. 29. Pleurobranchus tuberculatus. — a cellule muscolari del condotto escretore della forma ordinaria, —d frammento di altra di strut- tura diversa, x 340. . 30. Pleurobranchidium Meckelii. Porzione del plesso muscolare, co- stiluito da cellule stellate anastomizzate, che cinge tutti i tubi della glandola, x< 340. 31. Una cellula dello stesso plesso osservata ad elevato ingrandi- mento (Hartnack, n.° Ve 9); una lieve macerazione mise in evi- denza le fibrille e il loro interrompersi in senso trasversale. 32. Pleurobranchidium Meckelii. Fibre muscolari del condotto esere- tore, >< 180. Esse trovansi tutte, in certi casi, dopo la morte, in- frante nel loro protoplasma fibrillare , restando la membrana in- tegra. 33. Dolium galea. Membrana muscolare del lobo inferiore delle glan- dole, x 340, — a nucleo delle fibre, < 700. 84.) Cassis sulcosa. Glandola del proventricolo, — 0 organo del Delle Chiaje. 39. Cassis sulcosa. Sezione longitudinale dell'esofago e del proven- tricolo ingrandili poco più del doppio. Veggonsi le lamelle della glandola del proventricolo, ed anche o l’organo del Delle Chia- je, —0' lobo accessorio del medesimo, —c cordoni principali, — p 3) Questa e le seguenti figure sì riferiscono all’ Appendice. fig. — Bara pieghe che costituiscono il bulbo dell'organo già figurato dallo esterno a Tav. II. fig. 2, a. . 96. Cassis sulcosa. Figura semischematica per dimostrare la strut- tura delle lamelle. . 97. Tritonium cutaceum. Lamelle del proventricolo mostranti le se- zioni delle pieghettature. ;. 98. Cassidaria eclinophora. Cellule della glandola del proventricolo, > 940; misurano in media 0,020. ». 359. Murex trunculus, — a glandula esofagea, — d cellule della me- desima, x 340; misurano in media 0,020. . 40. Dolium gulea. Diverticolo esofageo aperto, scorgonsi le lamine glandolari raggianti; — o organo del Delle Chiaje, porzione che dalla doccia dell'esofago discende nel diverticolo. ;. 41. Cassis sulcosa. Sezione dell'esofago, l'organo del Delle Chiaje è gonfiato alquanto cosicchè i rapporti delle sue parli sono anche alterati, — a lume dell'esofago, — 0' cordoni, —0"” pieghe. Allor- chè i cordoni sono allontanati, le cavità anfrattuose delle pieghe comunicano liberamente coll’esofago. 42. Cassis sulcosa. Sezione di una ripiegatura dell'organo del Delle Chiaje gonfiala al massimo dall'acqua, x< 88, i diametri veri delle cellule sarebbero di due terzi minori se l’organo non fosse imbevuto, — @ cellule atrofiche in via di assorbimento. .- 43. Glandola impari del Conus mediterraneus da un individuo dei più grandi, — a bulbo, — d condotto. . 44. Sezione del bulbo muscolare a della medesima, — y primo strato a fibre spirali del bulbo, — « secondo strato a fibre longitudi- nali, — z aponeurosi che li divide, —o strato delle cellule di se- erezione, x 10. ». 45. Cellule della cavità del bulbo, x 340; il loro asse in media è di 0, 080. . 46. Parete del condotto escretore db della stessa glandola,x<189. . 47. Corpuscoli che costituiscono la più gran parte della secrezione di questa glandola, x< 700. Tav I Atti della BR Accad, delle Scienne Fis.e Mat Vol. 4.N° 10 Panceri dis Ra. ri RA bandi delli Saiano Boe Vol 4. NM UONta i gÒ MENTO o hi) => = H \\ Zi ZI FA = i i ZII Z=\ll | ZZI/ 7 Vor. IV. N. LI ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE INTORNO A DUE NUOVI POLIPI CLADACTIS COSTA rp HALCAMPA CLAPAREDII MEMORIA DEL SOCIO CORRISPONDENTE NAZIONALE PAOLO PANCERI presentata nella tornata del dì 10 luglio 1869 CLADACTIS COSTA Nel febbraio dello scorso anno ebbi l'onore di presentare all’ Acca- demia una nota *) colla quale annunciava l’ esistenza nel nostro golfo di un polipo actiniario di un nuovo genere, la cui tribù non ha rappre- sentanti che nei mari del Sud, e che io chiamai Cladactis dedicandone la specie alla memoria di 0. G. Costa. Avendo ora, alli 17 dello scorso maggio, per ricerche fatte di nuovo a grande profondità nelle acque di Capri, avuto un altro esemplare della nuova attinia, di maggiori dimen- sioni del primo, potei meglio accertarmi dei caratteri, così che ne pre- sento la immagine e la descrizione. Il corpo del nuovo radiario è veramente gigantesco, potendo, allor- quando è allo stato di gonfiamento, emulare in volume una testa di feto, superando per questo riguardo tutte le altre attinie del Mediterraneo. La forma totale è quella di un cono la cui base è ampia, misurando in diametro 0”,12, la cui altezza è di 0”,1 circa, e la cui sommità tronca rappresentata dal disco è di 0,035. La base è circolare solcata da raggi maggiori ì quali raggiungono il centro e da altri minori alternanti coi primi e che con questi vengono a fondersi, ed è sprovvista di membranella chitinosa sclerobasica ; l’ ade- renza che essa incontra coi corpi.sottomarini non è così salda siccome nelle altre attinie comuni. 1) Rendiconto, 8 febbrajo 1868. Atti — Vol. IV.— N° 11 1 O) di — La colonna conica è come la base costituita da una parete esile, membranosa, translucida, e tutta solcata in relazione della inserzione dei setti. Essa è divisa in due parti, l’ una piccola superiore, cilindrica, retrattile, la quale è nuda, e l’altra che è sparsa di tubercoli carat- teristici, subtentacolari, ramosi, ì cui rami sono terminati da bottoni emisferici. Tali tubercoli sono numerosissimi, cavi, comunicanti colla cavità del corpo, e per tanto si gonfiano od avvizziscono a norma dello stato dell'animale. I loro peduncoli si retraggono se toccati, e si abbre- viano di molto; se l’animale ad una volta li contrae, vengono ad addossarsi gli uni agli altri, nascondendo la parete della colonna. I tubercoli , che nella nostra specie si ergono sulla maggior parte della colonna, sono quelli di media dimensione ( fig. 4); un verticillo di tubercoli mag- giori sta intorno al cominciamento della porzione nuda, e questi sono anche quelli i cui rami ed i cui capitoli sono più copiosi (fig. 2). Tuber- coli anche semplici, cioè costituiti da un sol bottone senza o con pic- colissimo peduncolo, quali si assomigliano a quelli delle Bunodes per cagion d’esempio, se ne trovano sparsi solo verso il bordo inferiore della colonna ( /ig.7), senza che vengano a determinare una regione distinta. I bottoni o capitoli sono emisferici, come dissi, e maggiori di molto in diametro ai rispettivi peduncoli; molti di questi bottoni sono coale- scenti e si congiungono a due, a tre, a quattro sino a sei, la quale fu- sione è favorita dalla brevità dei rami che li sostengono. Sono costi- tuiti dall’endoderma allo interno (fig. 5), poi dallo strato muscolare, a cui è sovrapposto uno strato di cellule a pigmento giallo o verde, e fi- nalmente da un denso strato di nematocisti o cridii, per guisa che cia- scun bottone può considerarsi quale una batteria orticante, di cuì facil- mente la mano risente l’effetto allorchè tocca l’animale. Tali nemato- cisti sono della forma che dal Gosse fu chiamata glomifera; sono tutti eretti ed affollati alla superficie del bottone dando a questo un aspetto vellutato, ed a certe inclinazioni, un contorno bianco (fig. 4). Cia- scun cnidio è incurvo, misura in lunghezza 0””,07, e coll’ estremo più sottile è rivolto all’esterno, dal qual polo si svagina un ectoreo prov- veduto di una strebla o filamento spirale, il quale manca però di appen- dici secondarie o di pterigio (fig. 8 a, a'). Studiando questi organi, ne ho visti anche di quelli il cu filo era a metà fuoruscito (fig. 8, «”) ed ho potuto così entrare nella opinione.di Gosse essere il filo cavo e sva- ginabile. Il disco è piano con raggi distinti, i tentacoli sono marginali ed in e doppio rango, contandone ciascuna serie più di venti. Quì è d'uopo dire che l'individuo pescato nel febbraio 1868, mi aveva presentato una sem- plice serie di tentacoli; debbo supporre quelli della serie interna fos- sero stati divelti, mancandone anche alcuno della serie esterna. Avviene anche in altre attinie, che all'avvicinarsi di un corpo alla bocca, con- traggano tosto il verticillo interno prima del secondo, che se in quel momento lo stesso corpo venga di subito allontanato, può darsi che in parte o in totalità questo verticillo venga strappato, senza che ne ri- mangano evidenti le tracce, il che credo sia avvenuto in quel caso, prima che il polipo venisse da me osservato. I tentacoli sono di mediocre grandezza, però, nello stato di maggiore allungamento, possono superare alquanto l’altezza della colonna. La loro base è rigonfia, il loro apice ottuso, imperforato,-la superficie sparsa di minuti punti rugginosi, e tali erano quelli del primo individuo os- servato; nell'altro, recentemente avuto , e che è quello stesso che è fi- gurato, tali punti erano bruni e confluenti verso la base, onde avveniva che in questa parte ciascun tentacolo presentava una zona bruna. Sotto- ponendo a ingrandimento i punti colorati dei tentacoli, si rileva prima- mente che sono sporgenti e che, oltre al pigmento che occupa in que- sti punti la superficie del tentone, ciascuna macchietta risulta da un ammasso di nematocisti (fig. 6 e 7). Questi sono di due sorte, i più co- piosi sono di quella forma che dicesi spirale e della lunghezza media di 0””,04; gli altri in minor numero occupano il centro dell'ammasso e sono glomiferi simili a quelli dei bottoni dei tubercoli della colonna, ma di dimensioni alquanto minori, misurando in lunghezza 0"”, 05, ep- però provveduti di un ectoreo pure munito di strebla semplice. La bocca è ampia e non devia dalle forme ordinarie, però il tubo go- lare vedesi facilmente protruso, e tanto più quando l’attinia è rigonfia, ovvero quando il collo è contratto. Agli angoli boccali non vi ha alcuno di quegli organi che diconsi lentigini o tubercoli gonidiali, nè i raggi gonidiali del disco presentano alcuna importante differenza. Pel colorito tutto l’animale è uniforme, roseo carnicino con riflessi gialli allorchè si osservino parti contratte; ma per quanto riguarda i tu- bercoli ed i tentacoli i due individui da me esaminati presentavano va- riazioni. Essendo bruni in entrambi i rami dei tubercoli, e tanto più in vicinanza dei bottoni, questi nell’uno erano tutti del color del pistac- chio, nel secondo in parte verdi in parte di un giallo pallido, nè in que- ste variazioni di colorito vi aveva regolarità alcuna. Pei tentoni già ho K = se notato come nel primo fossero punteggiati di macchiette rubiginose, che piuttosto confluivano verso l'apice, e nel secondo fossero invece annel- lati di bruno verso la base. Se pel colorito non è come altre attinie molto splendida la nostra, lo è per la eleganza delle forme e pel marchio singolare, impressole dai tubercoli ramosi e sporgenti, che ne fanno folta ed ornata la superficie. Allo stato di gonfiamento tali tubercoli vengono ad essere allungati, lon- tani, sparsi; per converso, allo stato di contrazione accorciati e contigui coi loro capitoli per modo che allora la conica massa dell'animale, allo stato di oncus, appare tutta verde o verde gialla e verrucosa. Allorchè in seguito alla retrazione, il disco in un coi tentacoli è completamente scomparso, il verticillo dei tubercoli maggiori viene ad occupare la som- mità del cono ed a difendere così quella parte che non potrebbe esserlo dai tubercoli minori (fig. 3 ). Il nostro polipo, non molto dopo estratto dal mare, è relativamente vivace; muta ad ogni istante i suoi contorni, allunga e retrae a vicenda tentacoli e tubercoli, si erige sulla propria base e, coi movimenti di que- sta, striscia sul fondo dell’aquario. Rifiuta ogni cibo, toccato si retrac bentosto, e ben presto poi ritorna ad espandersi. Entrambi gl’individui da me osservati morirono dopo qualche giorno, ad onta che il secondo collocassi in più ampia conca in cui posi anche alghe viventi onde fa- vorirne la respirazione. Questa misura ed il rinnovamento frequente del- l’acqua non valsero a prolungare la sua vita che di due giorni di più che non durasse in ischiavitù quella dell’altro, e dopo quattro giorni morì. Precedono la morte il gonfiamento enorme ed il collapso generale; il cono della colonna da eretto si incurva, la bocca ed il disco si vol- gono contro il suolo e lo sfacelo è, in ragione della tenuità dei tes- suti, presto a manifestare i primi indizii. Io sono sempre d’avviso, ab- benchè nel secondo individuo non verificassi il flusso di muco dallo stomaco, che cagione principale della morte così pronta in questa a differenza delle altre attinie , sia la mancata pressione per questi polipi che vivono a grandissima profondità, giudicando dai casi analoghi, che si verificano per animali di questa ed anche di altre stirpi. Per riguardo alle affinità, risulta evidente il nuovo polipo appartenere alla sezione delle attinie verrucose che dal Gosse sono chiamate Buno- didee, ma più precisamente a quella tribù che si distingue pei tuber- coli subtentacolari, nella quale dall’Edwards ') furono compresi sol- 1) Milne Edwards et Haime, Histoire naturelle des Coralliaires, t. I. lea — o — tanto i due generi Echinactis e Cystiactis dei mari australi, l'uno a tu- bercoli conici, l’altro vescicolari, in nessun dei due casi ramosi come nel nostro genere che perciò chiamai Cladactis. Il genere Aulactinia di A. Agassiz *) scoperto sulle coste della Carolina del Sud, abbenchè non abbia alcuno dei caratteri della tribù in discorso , per le lobature dei tubercoli deve essere qui citato come forma che fa preludio alla ra- mificata della Cladactis. I caratteri di questo genere possono essere così riassunti : CLADACTIS, n. gen. Basis adhaerens, orbicularis, amplissima. Columna conica imperforata, sulcata, membranacca, tuberculis subtentaculiformibus, ramosis, capitatis sparsa. Capituli tuberculorum cnidarum strato obtecti. Discus orbicularis, planus, retractilis; radii apparentes. Os amplum , absque tuberculis goni- dialibus. CLADACTIS COSTA Columnae parte superiore nuda, verticillo tuberculorum majorum cir- cumdata, quae, quum ca pars superior retrahitur, coni verticem occupant. Capitulis tuberculorum hemisphacricis , saepe coalitis. Corpore carneo, unicolore, ramis tuberculorum nigricantibus, capitulis viridibus seu flavis, tentaculis punctis robiginosis conspersis, circa basim nigricantibus, atque ita confluentibus ut zonam anularem constituant. ( Var. puneta omnia robiginosa habet absque anulo nigricante). In aquis imis Caprearum, 1) Bulletin of the Museum of Comparative Zoòlogy. Cambridge Mass. 1863, p. 57. ** HALCAMPA CLAPAREDII Alli otto dello scorso decembre il Ch. Professore E. Claparède, tro- vandosi in Napoli intento a continuare i suoi studii intorno agli anellidi, ebbe la cortesia di farmi invio di un polipo che per lo aspetto gli era sembrato differente dalle forme comuni del nostro littorale. Tale acti- niario era stato raccolto nei bassi fondi di Posilipo dove vive nelle ca- vità delle pietre e nei cespi della zostera. Allorquando è contratto, siccome suol fare rapidamente al minimo tocco, somiglia ad una piccola oloturia, conformandosi a guisa di uovo (fig. 10); quando poi si osservino individui giovani, come in seguito ebbi occasione di trovarne (fig. 72), allora, sempre che i tentacoli ed il di- sco siano nascosti, si potrebbe facilmente confondere con una Edwardsia, od anche con un Phascolosoma, per la forma allungata ed un poco ri- gonfia posteriormente. Tali simiglianze volli primamente citare essendo nella credenza che trovato, chi sa quante volte, in luogo tanto esplorato dai naturalisti, potrebbe essere stato confuso con gli animali sopraci- tati, le cui forme a primo aspetto mentisce. Lasciato tranquillo negli aquarii, dopo qualche tempo si espande (fig.9),e così fu che appalesò forme che per polipi del nostro mare non per anco furono notate. Appartiene alle attinie non aderenti, il suo corpo è bislungo, misu- rando in questo senso 0”,04, e posteriormente ingrossato dove misura nel diametro 0",012. Nella colonna si possono, in individui la cui super- ficie non fu soggetta ad alcun sfregamento, distinguere due parti: l’una anteriore che rappresenta un quinto della totale lunghezza, e che suol retrarsi in un col disco ed i tentacoli, l’altra posteriore opaca a cagione di uno strato di epitelio di un certo spessore. Otto solchi profondi cor- rispondenti ad altrettanti setti si notano longitudinalmente sulla colon- na, la quale va a finire posteriormente acuminata senza traccia di tu- bercoli, di cinclidi o di acetaboli alla sua superficie. Il disco porta una semplice corona di tentacoli marginali al numero di tredici, brevi ed im- perforati. La bocca si eleva nel mezzo al peristoma sopra un’eminenza conica provveduta di un labbro circolare munito di papille ottuse (fig. 717). Una circostanza che notai, tenendo il polipo in osservazione, si fu la uscita di muco dalla estremità acuminata della colonna, il quale tolto, Care ricompariva nel giorno successivo. Fui da ciò condotto a riconoscere in tal luogo un poro nel quale la introduzione di grossa setola può farsi senza sforzo alcuno sino ad entrare nella cavità del corpo. Tale poro, quando l’animale è contratto, è circondato da un labbro circolare e poi da rilievi irregolari e da solchi, i quali non coincidendo con quelli della colonna costituiscono una specie di verticillo intorno all’orificio (fig. 13). Nei giovani tale pertugio è relativamente più ampio ed il labbro più ri- levato (fig. 12, a); spesso in seguito a ripetute contrazioni promosse da stimolo esterno e talvolta anche spontaneamente, manifesta dallo stesso meato un prolasso per la svaginatura della parete del condotto che fa seguito allo stesso poro terminale, e di una parte dell’endoderma ( fig. 12, b).Tale sporgenza a prima giunta richiamerebbe la vescica terminale delle Edwardsie, se le dimensioni non fossero minori, e le circostanze in cui sì appalesa, differenti. Nel tegumento ho notato due sorte di nematocisti, entrambi della forma glomifera , gli uni a modo di cilindri molto allungati, sino a 0”",13, senza che l’ectoreo presentasse alcuna complicanza di struttura, (fig. 14); gli altri sono quelli dei tentacoli brevi e ricurvi, i quali mi- surano nella lunghezza 0°",026 (fig. 15). Pel colorito è principalmente degno di nota lo strato esterno dell’ epitelio della colonna in quella parte che non è trasparente; tale strato è furfuraceo, deciduo, composto di grossi elementi poliedrici, irregolari e ripieni di granulazioni di pigmento giallo, per modo che l’animale sembra in questa parte spolverato di solfo. Tale epitelio, per le sue cellule, si assomiglia a quello dello scapo delle Edwardsie, però non avviene mai che sì trovi così denso, come in quelle. Se il polipo vien tenuto a lungo negli aquarii, l’epitelio viene a cedere e si ha allora la colonna di un aspetto presso che uniforme. I ten- tacoli presentano nella faccia superiore delle macchiette trasverse rosse (fig. 11) o brune nel giovane; nell'adulto notai anche piccoli punti rossi fra le basi dei tentacoli. In vita il nostro polipo può presentarsi con tre forme: la espansa, la contratta, siccome si è detto, e poi anche quella che assume allorchè cammina; allora come nella fig. 12, il disco ed i tenta- coli sono retratti e, strisciando e contorcendosi, progredisce con una certa velocità a similitudine dei Phascolosoma ed anche delle stesse Edwardste. Nel gennaio l’individuo adulto da me figurato, mi presentò uova mature, siccome le giudicai dalle loro dimensioni relativamente grandi (fig. 76). Differendo la nuova attinia dalle Edwcardsie principalmente per la man- canza della porzione vescicolare posteriore , è evidente la parentela con e le altre attinie libere, cioè coi generi ZMyanthus, Forb., secondo Gosse tipo della famiglia, Sphenopus, Steenstr.; Xanthiopus, Keferst.; Ara- chnactis, Sars; Halcampa e Peachia di Gosse, ai quali sono da aggiun- gersi quelli altri, che a similitudine della Peachia Pultoni trovata da Wright*) aderente al manubrio di una Thaumantias, sono del pari ri- nomati per essere parassiti delle meduse. Sono questi il genere Philo- medusa di Fritz Miller, trovato così allo esterno come nelle interne cavità di una Chrysaora?) e l’altro affine, il Bicidium trovato da A. Agas- siz sopra la Cyanea arctica*). Il genere Cerianthus, che pure ha un poro terminale e l’altro il Saccanthus, dopo gli studii di Haime, sono a con- siderarsi come appartenenti a speciale famiglia. Per la presenza del poro estremo l’ attinia nostra sarebbe più affine ai generi Peachia, Philomedusa e Bicidium; io però non dubitai di rife- rirla al genere Halcampa avendone tutti i caratteri. Vero è che, nelle Halcampa erysantellum e microps delle coste d'Inghilterra, il Gosse, ed anche l’ Agassiz nell’ Halcampa albida della baja di Massachusett, non citano il poro terminale o respiratorio che dir si voglia; però lo stesso Gosse “) nella diagnosi di questo genere da lui creato, lascia in dubbio circa la presenza del medesimo, e poi nella descrizione della prima spe- cie ritorna nello stesso dubbio , notando però la piccola vescica pedun- colata che compare sotto le contrazioni , e che, per quanto ho esposto, non può essere che una svaginatura che da codesto poro si produce. Ve- rificandosi la presenza del medesimo nelle altre alcampe saranno i ca- ratteri del genere a modificarsi. La specie dedicai al Ch. Claparède, che mi fornì occasione di rico- noscere un genere, che, per quanto io sappia, non conta finora che le spe- cie sopranominate e questa, e che non per anco era stato, anche sotto altra denominazione, annoverato fra quelli del mediterraneo. HALCAMPA CLAPAREDII, N. Sp. Columna cylindracea, poro eatremo munita *). Pariete columnae in octo sulcos partito, absque acetabulis , epitelio furfureo, sulphuroso, consperso; 1) New Edinb. philos. Journal; 1860, Vol. XII, p. 156. 2) Arch. f. Naturgesch. 1860 e Leuckart's Bericht. 1860. 3) Seaside studies, 1865. 4) Actinologia britannica, 1860. 5) Hic character fortasse generi est tribuendus. SEI tentaculis tredecim în unam seriem dispositis cum maculis transversis rubris seu nigricantibus. Saepe parva macula rubra ad basim tentaculorum inter- ponitur. Ore in colliculum celato, labio papilloso. In brevibus Pausilypi, in sacorum cavo atque in zosterae cespitibus. Prima di chiudere questa Memoria non posso celare un dubbio intorno ad alcuni dei generi citati, l'Arachnactis, Philomedusa e Bicidium, ed an- che intorno alla Peachia Fultoni. Fossero mai, tutti questi, giovani forme di specie forse non per anco conosciute? Fu già notato da Gosse come la Arachnactis somigli al giovane natante dei Cerianthus, e per gli altri non sarebbe improbabile che delle meduse sì giovassero per alcun tempo come ospiti, e poi come alcune alciopi per le Cydippe, e come altre ma- niere di viventi che nella prima età sono parassitarie, per il seguito di- ventassero poi libere e indipendenti. Fino a che, per la presenza degli organi genitali, non saranno noti gli adulti di queste forme, tale sospetto non credo sarà per essere dissipato. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA fig. 1. Cladactis Costa, gr. nat. II polipo è rappresentato in un momento LINO) in cui, staccato dalla parete dell’ aquario, sta ripiegato sopra di se per modo da mostrare così la base come il disco. In tal caso la base si va ripiegando dividendosi come in lobi, e la colonna sì vede solo in parte; i tubercoli sono, come la parete della co- lonna, da questo lato che si vede, contratti, e le loro ramifica- zioni non sono apparenti. A sinistra uno dei tubercoli maggiori sporge al disotto della parte superiore nuda della colonna, la qual parte qui appare in un momento di rigonfiamento. Il disco mo- stra la bocca con una parte del tubo golare estroflesso. . Porzione superiore nuda della colonna in un momento di contra- zione, circondata dal verticillo dei tubercoli maggiori. . Sommità della colonna allorchè la porzione nuda ed il disco sono invaginati, . Uno dei tubercoli minori isolato ; vedesi il bordo bianco dei bot- toni corrispondente allo strato dei nematocisti. . Un bottone ingrandito e veduto nella sezione. Allo interno è ri- vestito dall’ endoderma , segue lo strato muscolare in un con quello del pigmento, indi la batteria orticante. . Porzione della superficie di un tentacolo; alle macchiette pigmen» tali prominenti corrispondono gruppi di nematocisti. . Uno dei più piccoli gruppi, <340. Si notano due forme di cnidii, gli spirali ed i glomiferi. . a Cnidio dei bottoni dei tubercoli, <340.—a' Ectoreo dei medesi- fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig. fig. LS |, at mi molto più ingrandito, provvisto di strebla semplice, — a" altro cnidio in cui la estroflessione dell’ectoreo si è arrestata, —d cnidii spirali dei tentacoli, >< 340. 9. Haleampa Claparedii, gr. nat. 10. La stessa allo stato di contrazione massima. 11. Disco estentacoli. 12. Due giovani in cui il disco e l'estremità anteriore della colonna sono retratti siccome quando camminano; nell’uno « è palese il poro terminale, nell'altro 4 l’estroflessione che dal poro si pro- duce in forma di vescichetta peduncolata. 19. Estremo della colonna; allo stato di contrazione il poro è cir- * condato da un verticillo di ripiegature. 14. Cnidii della colonna, x< 840. 15. Cnidii dei tentacoli, x< 840. 16. Uova, x 88. n Pendii È E tr” ludica “ VRTISLI “ darli | ù di MY DI Nqud 23 : i ah ù ba TorGlob'i0h porraa iu | sO e UO, i pid PS 4 TL SLI ty Fas o 1) DAI i; Dmmiaeni aa serata È Nana » ar s di NE È / Merpagne i il ob 990 old SION | IDATA DARE . MISS. fade | oav'ien son dina obtao la p itato of Ù i igb.oilo ae GIÙ isstlortani DI o Luk .piolonnubag LI 414894 10 È t li andisnti 10916 giuta ia: ian I blog n > mula 4 ; Cad di / NA i n . (pa I 23 di Ù 1a ei { Falk è li 2) / è is n° kei) i . DI ta | 4 2 ina 7 for i MW valli "e cid; M LETEME CTC ui piro» a pub ta he (i slo ingr di nia eu Le sitàa SRI IA pis \ I F ‘i, pisa nti ripa pi meta P° DS 5 | ” si % z Ci j Li Ì i i Ù ° î » di Lancer dis a Vol. IV. N42 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE ILLUSTRAZIONE DELLA SAXIFRAGA FLORULENTA, MORETT.; PRECEDUTA DA CONSIDERAZIONI IN ORDINE A DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DELLE ALTRE SPECIE ITALIANE DI QUEL GENERE MEMORIA DEL socio ORDINARIO V. CESATI letta nell'adunanza del di 4 settembre 1869 con tavola colorata Vago oltremodo per elegante semplicità di forme, e non meno bizzarro in certe sue particolarità, va ben conosciuto il genere Sazifraga fra li visitatori delle regioni alpestri nell'Europa temperata, delle eccelse gio- gaje indo-tibetane, e delle terre circumpolari; e piùcomunemente il nome di queste graziose pianticelle ci trasporta col pensiero sulle nude balze oltre la zona dei Faggi e negli olezzanti praticelli alpini. Là isolate pen- denti dalle screpolature di rocce spesso inaccessibili; qui raccolte in graziosi crocchi, non ultimo abbellimento dei verdissimi luccicanti tap- peti. Havvi pure buon numero di specie che albergano per indole pro- pria sulle colline, e che là pur vegetano lietamente, ricoverate nelle più ombrose stazioni discesevi da luoghi eccelsi o per forza di acque o di franamenti od altre cause qualsiansi che ne sparsero i minuti semi o di- velsero i rigogliosi cespi. Nè manca taluna forma alle pianure che penetra entro i recinti di popo- lose città in contrade a temperatura abbastanza rilevata o di pochissima altitudine. Ce ne porge esempio la Sazifraga tridactylites che puoi co- gliere abbastanza frequentemente in ottimo sviluppo per le pianure cir- cumpadane, e sulle mura di alcune città lombarde, p. es. di Milano, e sui chiusi a secco entro la stessa Napoli. Appunto sotto il riguardo di svariata geografica diffusione e di distri- buzione per altitudine di suolo giova opporre alcune osservazioni e ret- Atti— Vol.IV.—N.° 12 1 do tificazioni all’Engler il quale, in un pregevole suo lavoro dal titolo: Contributo alla Storia Naturale del genere Saxifraga*), statuisce che delle 98 specie finora rinvenute in Europa °) tre sole crescano al piano: S. tri- dactylites, Hirculus e granulata. Ammesso che in Germania, dove la S. bulbifera è ospite per nulla frequente, essa non discenda dalla collina sino al piano, è fatto innegabile che in Italia la cosa cammina diversa- mente, anzi proprio a rovescio; poichè mentre noi ritroviamo soltanto nella regione montana la S. granulata °), spazia la S. bulbifera libera- mente pel piano insubre sin basso alle sponde del Po. Sicchè possiamo se- guire il cammino di essa dalle colline Verellesi Biellesi e Novaresi pei sottostanti piani, dove stendesi in massa sui terreni erbosi asciutti, at- traversando le risaje della Lomellina *), ovunque emerga qualche striscia ghiajosa o magro praticello, sin giù ai depressi boschi fluviali della Cava di Pavia, e del pari sulle puddinghe del Ponte Molinello a Como. Parimente al novero delle Sassifraghe abituali alla regione Collina e Mon- tana inferiore, accettando il limite di 4000 che vi assegna l’Engler, per l’Italia dobbiamo aggiungere in primo luogo Sacifraga rotundifolia, cu- neifolia e stellaris, tutte specie che nelle Vallate Subalpine lungo il mar- gine settentrionale-occidentale della Conca Eridania scendono fin presso al piano , come osservasi a Biella, associate ad altre piante molte delle regioni superiori, quali sono: Crepis paludosa, Arnica montana, Hermi- nium Monorchis, Vaccinium Myrtillus e più altre: fenomeno del quale tenni parola assai anni addietro discorrendo della plaga briantea com- 1) V. Zinnaea per l’anno 1867: vol. XXXV, p. 1-124. 2) La cifra data dal’ Engler di necessità va modificata, quando si compia il novero colle specie da lui trascurate o non apprezzate per autonome. — Oltre il lavoro del Moretti era a tenersi conto delle Ricerche sulla Geografia botanica ed agraria dell’Italia del Te- nore: a carte 79 parlasi della distribuzione delle Sassifraghe in Italia. 5) Io la colsi in magnifico sviluppo entro la zona del faggio intorno all’eremo di S. Gio- vanni in Campiglia nella Valle alta del Cervo in Piemonte. 4) Sino dal 1831 io la colsi in territorio di Confienza, terra eminentemente risicola , asso- ciata all’ Anarrhinum bellidifolium, Helianthenum guttatam, Teesdalia lepidium. Sulla sponda sinistra del Sesia, proprio di riscontro a Vercelli pure la salutai associata al detto Helianthenum. Ed il Moretti sino dal 1822 ( Giornale di Fis. Chim. ec. del Brugnatelli. Dec. IV, vol. IV, bimestre IV) scriveva; S. buldifera habitat in nemoribus et locis incul- tis urbi Papiae circumjectis (cioè tra 28 e 30 metri sopra il livello dell’ Adriatico) vuZga- tissima....et D', Carli in viciniis Liviaci (Legnago) comperuit (ch'è quanto dire in suolo elevato forse un 5 o 6 metri sopra l'Adriatico). — Il Linneo stesso scrisse: habitat in Italia, in pratis saxosis umbrosis (spec. ed. I, p. 403 ) ; e quelle sono le stazioni della S. bulbifera in Italia. dgr presa nel delta lacuale che s'interpone fra Como e Lecco, una delle sta- zioni più interessanti di Lombardia per isvariatezza e singolarità di tipi vegetali *). E poichè abbiamo messo piede sul suolo lombardo; girando lo sguardo sulle rupi dolomitiche dai fantastici profili che, staccandosi dalla catena delle Prealpi Orobie e Camune, scendono in linee più o meno parallele sul declivio insubre, vi scorgeremo le seguenti specie che contraddicono alle asserzioni dello Engler. © Sazxifraga Cotyledon la quale, se nei Monti Biellesi adorna già i fianchi dello stradone che dà accesso al grandioso Santuario di N. S. d'Oropa, in Val Brembana scende sino a 600 metri sopra il livello del mare, e meglio sul lago di Como scorre fino alla spiaggia presso Dervio, Corenno e Dorio: lo che corrisponde a soli metri 200 circa di altitudine. Sazifraga Aîzoon; mantenendosi pure a metri 600 ne’ monti berga- maschi, vegeta bellamente sulle puddinghe del Ponte Molinello e dei sovrastanti Monti di S. Abbondio, regione Collina, al fianco sinistro di Como (fra 220 e 470 metri); e dall’opposto lato la ritroviamo sopra Brunate. Saxifraga elatior e erustata sulle nude rupi delle Grigne e del Re- segone nella plaga lariense; poi presso Schilpario, in Vald’Erve, a Caren- no nella provincia Bergamasca possono pure esser colte entro una zona di 300 a 700” di altitudine. Sazxifraga lingulata corre pari passo colle anzidette in tutta la regione pedemontana delle Alpi non meno che negli Appennini. Saxifraga mutata: sta sul Monte Barro il cui maggior culmine s'in- nalza di 965” rimpetto a Lecco, e sulle rupi di molti monti bergomensi s’ incontra già a soli 800”; su questi medesimi monti sembra che S. Van- dellii sfiori già un limite inferiore ai 4000 piedi. Sazifraga oppositifolia, l’aspera e l’aizoides(ambedue ospiti della regio- ne del Faggio aS. Giovanni di Campiglia a 1003”), l’ezarata, la stessa dili- catissima S. arachnoidea capiscono sempre entro una zona d’altitudine che oscilla fra li metri 600 e 900. Finalmente è famosa la rarissima S. petraca (S. Ponae Strnbg), emula dell’arachnoidea per dilicata tessi- tura , che tappezza la pur celebrata caverna del Buco del Piombo sovra Erba all'estremo lembo occidentale della Brianza, co’suoi svolazzanti ce- 1) V. Notizie Naturali e Civili su la Lombardia. Milano 1844, al Capo VII, Flora, p. 27-78. * sape spi frequentati dalla Helix serpentina (Jan.). Tanto per la cerchia setten- trionale delle Alpi Italiane ?). Per la regione appennina stanno la S. Stabiana e cochlearia forse a prova di stazioni alquanto dimesse; ma senza forse ad ogni modo la S. hede- racea—nella forma parviflora del Bivona, della quale scrive il Gussone (Syn. FI. Sic. I, 468) et in urdibus editioribus ad muros umbrosos »: e città alpine od alpestri in Sicilia non ne conosco. Non regge del pari la tesi che l'Appennino non vada adorno di alcun tipo proprio (Engl., 1. c., p. 78). Appunto la S.cochlearis, la marginata e la graziosa S. glabella del Bertoloni totalmente trasandata dal Mono- grafo breslaviense, nè sappiamo perchè °), valgono da sè a smentire l’as- serzione da lui arrischiata, anche prescindendo dal discutere intorno l'autonomia di qualche altra forma quali sarebbono la S. stabiana del Tenore e la porophylla del Bertoloni osservando, riguardo a quest’ul- tima, che lo stesso Grisebach l’ammette come spiccata varietà della S. media del Gouan (Spicil. FI. Rum. et Byth.I, 332). In base di queste osservazioni, alle quali taluna potrebbe aggiungersi risguardante specie estranee alla Flora Italiana, dovranno essere rettifi- cate alcune cifre degli specchi che l’Engler ci offre a risultato delle sue meritorie indagini. Passo ora allo scopo precipuo del presente mio lavoro, inteso a far meglio conoscere e collocare in sede la Saeifraga florulenta del Moretti, specie assai segnalata, e che rimase poco più di un mito per lunga serie d’anni in grazia della noncuranza dell’istesso suo Autore, che si accon- tentò di averla fondata mediante troppo concisa, e son per dire sibillina frase diagnostica: 7) La Flora Comense del Comolli,il Prospetto della Floradella Provincia di Bergamo del Rota ed if mio proprio Erbario stanno a documento dei fatti asseriti; e sebbene, nella generalità, manchino Je necessarie indicazioni nella Zora Italica del Bertoloni, pur tuttavia vi troviamo segnati alcuni dati precisi. Così, a cagione d’esempio, sotto S. aîzoorn evvi segnalata la stazione « a Ponte Molinello prope Comum » e più sotto; «ex Tyroli Italica a regione Vitis ad summas alpes » (Fl. Ital, IV, p. 453). — Nella stessa Revisio Saxifragarum dello Sternberg taluna delle cennate località trovasi avvisata. Citerò a ca- gion d'esempio quelle della £'. petraca (Suppl. II, p. 89), della quale notava già nel 1815 il Moretti: « la rinvenni comunissima al ponte di Cividale del Friuli » ( Notizia sopra diverse piante da aggiungersi alla FI. Vicenotina nel Giornale di Fis. e Chim. del Brugna- telli; Vol. VITI). Alle mura di Cangiano nell’Istria la colse il Biasoletto. ?) Avvertiamo che essa tiene delle Sezioni Dactyloides e Kabschia per avere le foglie ora dotate di pori ed ora no. SR « Sazifraga foliis radicalibus aggregatis lancecolatis mucronatis margine ci- liatis, caulinis lincaribus, caule fistuloso ab imo ad apicem florulento, flo- ribus racemoso-thyrsoideis. Nelle Alpi presso Nizza (Moretti nel citato Giorn. di Fis. Chim. Vol. VII, 1824, p. 104). E tale sostanzialmente si legge nel Prodromodi De Candolle vol. IV, p. 20, nel secondo Supplemento dello Sternberg a carte 54 e nella Flora excursoria del Reichenbach al n. 3614, variando in dette opere per sola trasposizione delle parole. Nè di meglio si sapeva circa la località precisa nella quale fosse stata scoperta questa bella specie. Nel 1839, essendo di passaggio per Pavia diretto al littorale ligure compreso fra Genova e le foci del Varo, con intendimento di rientrare in Lombardia pei Monti di Tenda, tanto cele- brati per isvariatezza e specialità di vegetabili, interpellai il prof.Moretti circa la stazione della sua Sazifraga: ma nulla di preciso seppe dirmene, se non che di ricercarla diligentemente intorno al dosso massimo del Colle di Tenda; tampoco avvertì alcuna cosa intorno al colore delli pe- tali e della pianta tutta: volle mostrarmela, ma gli fu impossibile rinve- nirla atteso lo stato di confusione in cui versavano allora le preziose sue collezioni. Non saprei pertanto indovinare ove abbia attinte le notizie che cidàil Cav.Ardoino da Mentone nell’eccellente sua Flore Analytique du département des Alpes Maritimes a pag. 148 intorno alla primitiva scoperta dela specie in discorso fatta verso il 1820 da un Touriste inglese fra le verticali pareti che circuiscono il lago d’Entrecoulpes a ponente di N.S.delle Finestre, ed il cui esemplare sarebbe appunto stato trasmesso al Moretti *). Questo mi so che più tardi il Dottore Piccaroli, già Assistente al sullodato Professore, ed ora Bibliotecario nella R. Univer- sità Papiense, nel riordinare il di lui erbario vi trovò effettivamente la Saxifraga florulenta. Sta sempre chela località incontrastabilmente italiana per essa tra l 0- rosa e la Rocca dell’Argentera nell’alto bacino di Valdieri è scoperta del Conte Paolo di Saint-Robert, Colonnello d’Artiglieria in ritiro ed 1) Egli soggiunge: « qui en publia une mediocre description ». Qui c'è equivoco. Sin al momento in cui l’Ardoino stesso calcava una più esatta diagnosi nel 1867 sugli esemplari Nizzardi nulla più della diagnosi surriferita esisteva intorno la nostra pianta. Stranissima poi è la fiaba del Reichenbach il quale ne attribuisce la scoperta al Biroli, il cui piede non toccò mai suolo Cispadano! — De Notaris nel suo Repertorium fl. Ligusticae, 1844, p. 484 la relega pure fra le altre piante minus cognitae. 2a assai conosciuto per dotti lavori di matematica e fisica; come suo è il merito di aver segnalato la trigynia, affatto eccezionale nel genere Sazi- fraga, nell’annunzio che ne fece alla Società botanica di Francia con lettera da Torino, 14 novembre 1864, inserta nel bullettino della stessa, vol. XI, p. 306. Esaurila così la parte storica, veniamo ad una compiuta descrizione della bella Al pigiana, che stesi sovra esemplari che il signor Conte ne donava, appena usciti dallo strettojo, aggiungendovi più tardi coll’ u- suale sua cortesia alcuni cenni in iscritto di cui avealo richiesto. SAXIFRAGA FLORULENTA, Morett. S. perennans, monocarpica , rhodantha , trigyna : foliis radicalibus pa- tule rosulutis, ca lineari lanceolatis, mucronatis, impunctatis, a basi ad dimidium fimbriatis; caulinis lincaribus , imis apice subspathulatis , acutis, cum caule erecto, ea toto florido thyrsoideo, pedicellis uni-trifloris bra- cteolatis, calycibusque ovario trimero adnatis, glanduloso-pubescentibus, nob. S. florulenta, Morett., tent. dir. ad illustr.la sinon. delle specie del genere Saxifraga in Giorn. di. fis. chim. ec. dei prof. Configliacchi Brugnatelli, (continuaz.) vol.IV,1824, p.104, etseorsumimpress. p.9.— Sering,in DC.prodr.IV,p.20.—Sternb. Revis. Sazifr.Suppl.II,p.54.— Reichb. /l. germ. eacurs. p. 598, N.° 3614. — De Not. rep. fl. lig. p. 484.—Saint-Rob. in bull. d. l. Soc. bot. de Fr. 1864, tom. XI; Compt. rend. p. 336. — Ardoin. /l. anal. des Alp. marît. p. 148, 7). Hab. în editioribus Alpium maritimarum inter rimas scopulorum ad pa- rietes pracruptas circa lacum d’Entrecoulpes e latere occiduo alpis N.D. de Fenestre (Anonymus, Lisa! et Montolivo); in montibus Bégo, Clapier et Ponsatvallis Gondolasca (Canut et Bornet) Col de l’Orosa in valle delle Ruine a metri 2500 s. l. d. mare (Saint-Robert!);— alpes di Caval- lette supra San Martino di Lantosca (Rostan ex specimine sicco !). DESCRIPTIO Radix: rhizoma perenne, monocarpicum, fuscum, breve, cylindraceum, calamum an serinum crassum, ramulosum, radiculas emittens fibrillis con- coloribus sat crebris obsitas, post florescentiam periturum: collo foliorum rosula densa, patenti, diametro bi-quadripollicari ornato. *) Bertoloni, secondo il principio da lui adottato per la sua Z/ora Italiana , non avendo veduto esemplari della pianta, ne tace affatto. eq Folia radicalia: rosulata, spiris dense stipatis, patula, usque bipollica- ria, quinque usque septem millimetra lata, lineari-lanceolata basi longe decrescenti, supra planiuscula, subtus convewa, impunctata, lucida, glabra, carnosula, angustissime albido-marginata, ab insertione ad medium pa- tenti - fimbriata , apice nudo , mucronata; demum arescentia nec decidua. Folia: caulina: alterna, lincaria, imis apice subspathulata, acuta, laxa, pro maxima parte bracteas peduneulis aequilongas efficientia. Caulis: unicus, ab uno et dimidio usque ad tria decimetra magisve lon- gus, arrectus vel sacpius ob stationeminrimis rupium verticalium linea curva adsurgens calami cycnei crassitie, fistulosum, lacviter sulcatum, ea toto flo- ridum, thyrsum constituens pyramidale, clongatum, acutum, multiftorum, glanduloso pilosum, purpurascens;—pedunculis patentibus, gracilibus, semi- pollicaribus et ultra, bracteolatis, uni-vel bi - rarissime trifloris. Flores: mediae in genere magnitudinis, e roseo virenti in purpurcum flectentes inodori. Calyx: campanulatus, ovario adhacrens *) usque ad partitionem limbi quinquefidi, glanduloso - pilosus:—laciniis ovali-lanceolatis, erectis, apiculo acuminatis, margine inlegerrimo ciliato. Petala: Calicem superantia, plus minus patentia, elliptica, obtusa, sen- sim in unguem angustissimun laminae dimidiae acquilongum attenuata , margine plano, integerrimo; — colore e pallide rosco, aetate vel statione magis aprica usque ad purpureum aucto; nervis saturatioribus quinque (tribus evidentioribus) plerumque simplicibus, lateralibus sursum convergen- tibus. Stamina: decem, evolutione in maturitate stylis ociora *) laciniarum ca- lycinarum dimidium via ultra attingentia, alternatim paullisper breviora caque calycis sinubus respondentia °), erecta;— filamentis subulatis ima basi in annulum fere confluentibus sulco calycis laciniis et ovarii summitati liberae interposito insertum; — antheris flavis, basi-ficis, introrsis, late- 1) Parmi che il genere Saxifraga stia campione contra que’ Botanici che avversano per ragioni organogeniche e morfologiche il concetto di calicì epi—e perigini aderenti all’o- vario, graduati essendo e non pochi in questo genere gli esempi di transizione dall’ovario en- tro calice perfettamente libero , alla compiuta saldatura fra li due organi. 2) La S. florulenta rientra pertanto, colle vere Sassifraghe tutte in contrapposto alle Bergeniae(S.crassifolia olimedaffini) nella serie delle piante afioriprotandri(V.Engler,t.c.) 2) Se male non mi appongo non trattasi forse di vera differenza di lunghezza, ma solo di un abbassamento di questi stami per la contrazione dei circostanti tessuti man mano che i seni calicini sì allargano. DR ovalibus , utrinque obtusis, compressiusculis; — polline (ea sicco) ellipsoideo v. subsphaeroideo, per madefactionem globuloso, leviter triplicato, granulis et verrucis nullis *). î Pistillum: Carpella tria, usque ad stylorum exortum coalita et calycis tubo arcte conferruminata; — stylis acque tribus, subulatis , superne cana- liculatis, primitus staminibus brevioribus erectis post anthesin elongatis et quadantenus divaricatis, stigma e spathulato pileiforme purpurascens ge- rentibus. Fructus: Capsula calycis tubo accreta, ovali, ea apice in maturitate hians, trilocularis; — placentis centralibus, tumidis, reticulato venosis , seminibus permultis onustis; — seminibus minutissimis, anatropis, subfu- siformibus, utrinque acutis, brunneolis, nisi sub lente composita acutiori rugulosis. Indumentum: tota planta , foliis radicalibus petalis genitalibusque ex- ceptis, legitur pilis, tune simplicibus productis, tune abbreviatis sed tri-us- que quinque-cellularibus apice nudo, tune demum simplicibus glandula glo- buloso-depressa multicellulari viscosa purpurascente terminatis. Dimensiones: peculiares partium floralium : Calycis: tubus, long.= 0,004” lat.= 0,005 » laciniae, long.= 0,0052 » Staminum: majorum long.= 0,0025 » minorum » 0,002 » antherae » 0,0008 » — 0,0009”“ Petalorum: long. lamin.= 0,004 » — 0,0045 » IRIS, « unguis.= 0,002 » — 0,0025 » latitudo. 0,002 » — 0,003 » Ovarii: post anthesin, long. 0,006 » — 0,007» lat. 0,004 » — 0,005» Styli: post anthesin, long.= 0,003 » Ora che conosciamo per bene la pianta, proviamoci ad assegnarle il giusto suo posto fra le congeneri. Malgrado i molti gruppi o sottogeneri 1) Stanno pertanto questi granelli pollinici con quelli di £. Cotyledon (e forse di S.gra- nulata), anzichè cogli altri di Bergenia (S. crassifolia), conformemente a quanto ne inse- gna Mohl (Veber d. Bau d. Pollens, p. 93). me, SO ne’ quali si scinde il genere Sazi/raga in causa della moltiplicità d’a- spetto non meno che di struttura e di fasi vegetative nei diversi suoi tipi specifici, ne ssuno riscontriamo che perfettamente si attagli al nostro. L'Engler nel già citato suo lavoro assettando tutte le specie Europee in14 Sezioni, delle quali la terza (Kabschia) è di sua fondazione (p.14), le dispone anzitutto in due grandi gruppi:1°Caudiculis epigacis, che abbrac- cia le prime nove Sezioni, e suddistinguesi in due sottogruppi, l’uno dalle foglie punteggiate da pori lungo i margini od alla punta (Sezione I-V), l’altra con foglie prive di questo carattere (Sezione VI-IX), alla quale particolarità si connette un assieme di altri caratteri che disegnano assai bene i singoli drapelli. Per tutto l’aspetto, per la distribuzione dei fiori, per la disposizione, forma e natura delle foglie, la Sazifraga florulenta verrebbe a schierarsi assai naturalmente sotto la Sezione IT. Cotyledon se non fossero le foglie acute anzi mucronate, e senza veruna traccia di pori, e la radice mono- carpica, oltre il colore porporino dei fiori anzichè bianco o giallo. Ma tampoco può entrare nella prossima Sezione III. Kabschia di quel medesimo drapello a cagione delle foglie a margine sfrangiato *), non porose, e mancanti di vera carena, quantunque s’avvicini alquanto pel co- lore dei fiori e di tutta la pannocchia alla S. media di Gouan. Le residue Sezioni restano tutte escluse o per la posizione o per forma e costituzione delle foglie che le caratterizzano. Al secondo gruppo poi, dai surculi sotterranei, s'intende da sè che non sia il caso di pensare. Se per le cose fin qui dette dimostrasi la necessità di stabilire per la Saxifraga florulenta apposita Sezione, che vada a collocarsi fra la Se- zione V. Trigonophyllum e la VI. Dactiloides nel quadro tracciato dall’E n- gler, ma che per ragione di affinità naturale dovrebb’essere intercalata fra le già cennate Sezioni II. Cotyledon e INI. Kabschia, maggiore si fa l’evi- denza di un posto distinto da assegnarlesi pel carattere tutto suo esclu- sivo — a stato normale— di avere tre carpelli, coì rispettivi stili perfetta- mente distinti, come rilevò primo ilConte Saint-Robert.(Questa partico- larità costituisce una vera anomalia di tipo nel genere Sazifraga , 0 piut- tosto nella quasi totalità delle Sassifraghe genuine, appena contandosi in tutta la famiglia due generi di pertinenza certa, Lewropetalum ( El.) e Tellima (RB.), dotati di più di due carpelli e stili, mentre altri due 1) A torto finora gli Autori le dissero cigliate ; que’ cigli apparenti sono vere sfrangia- ture del margine sottilmente cartilaginoso. Atti — Vol. IV.—N.° 12 2 — 10 — generi, Donatia (Forst.) e Litlea (Bongd.) sono di assai dubbia affinità (V. Meisn. pl.vase. gen., p.136). Non penso peraltro, che possa il men- zionato carattere bastare a separare la S. Nlorulenta di genere, essendo io del novero di coloro che amano rammentare tuttora taluno degli aurei precetti del gran riformatore svedese, il quale inculcò la massima cha- racter non facit genus troppo messa oggidì in disparte. E tanto meno saprei persuadermene però che 1’ Engler c’ insegna come anche la S$. crassifolia, posta già a tipo di genere distinto— Bergenia— dal Moench, per un certo complesso di caratteri abbastanza spiccato, non di rado pre- senti tre e sino a quattro carpelli: anomalia che ho potuto verificare su piante vive nello scorso inverno *). Conchiudendo, fondo dunque una nuova Sezione che piace appellare Tristylis appunto Cal suo distintivo più pronunziato, il cui membro unico resta per ora la bella Sa@ifraga florulenta, e che va a collocarsi fra S. longifolia (La peyr.), e S. media (Gon.),cioè fra la Sezione II. e III. del- lEngler. Piaccia ai miei Onorevoli Colleghi accogliere con indulgenza questo primo e troppo tardo saggio di cooperazione alle dotte loro fatiche. 1) Giovami segnalare un altro fenomeno osservato in quest’ultima pianta , cioè lo sloga- mento dei due stili in senso laterale all’ asse dell’ovario; per cui, quando stanno ancora affacciati l’uno all’altro, non si combaciano che per metà, l’altra restando libera: circostanza avvertita appena dall’Engler colle parole : Styli duo (haud raro tres) per anthesin sub- parallelis (Bot. Zeit. l., c., p. 839). Spiegazione della ‘Tavola Figura A. Pianta in piena fioritura. » DB. Altraa fioritura già compiuta. 1. Fiore ingrandito tre volte. 2. Petalo » sei volte. » 3. Lembo calicino, ingrand. tre volte, dal dorso. 4. » » » , da dentro. o. Fiore dopo la fecondazione, toltene alcune parti interne, ingr. due volte. » 6. Porzione del calice, da fuori, ingr. cinque volte e spo- gliato de’ peli. » 6.*Stami, ingrand. dieci volte; « faccia interna. b faccia esterna. » 7. Apice d’uno stilo collo stigma, visto sul davanti; ingr. dieci volte. » 8. Ovario , prima della fecondazione, spogliato dell’ integu- mento calicino: ingrand. tre volte. » 9. Sezione trasversale d’un ovario già tempo dopo la fecon- dazione; ingr. tre volte. » 40. Apice del medesimo ovario. » 41. Ovario già vicino a maturanza; stesso ingrandimento. Si vede un carpello (a) per metà, l’altra essendone stata divelta con metà della placenta e col terzo carpello. Il * secondo carpello è incolume (b). » 412. Foglia radicale, ingrand. due volte. » 18. Porzione del margine di essa, a maggiore ingrandimento. » 414. Peli, ingrand. trenta volte; a pelo ghiandolare; —d simile abortivo; —c peluria. Vi Sai o SISTORS IR Nang sca sa ii la A N ua ter (ai : veg €! i Ù IDA fu Vega veto Lit Di i | ara d Linpg rada È t INVM AR NE RR eng di. ai I di n n Micce Pi Mal: da lati IO nu RISO NI ALE pi a LI i} LA LI aa EUFLÀ alal Pro | sg i scatta het ailuv arpa stette ni si das a i MIKTVU a AITh ETBITILIA GE) i cauda ig P° "o asl N ski î Di agi, j Da RA. Tan gii ‘omigito IWA, ni x e i RRTaTEdo ,Ò i ta > «eee ab) alati gi î mi NA vilobi: isa di î MILOY NUDI sbunrentuait pino vtr Ali ” M al pgob-0gG%, (i) ia 0 KI AVG MH "D MICRO. Du | ah i ilo) sura spindiva L'nbbenite a ofmontilimesgni dente qord Langnau” si Rari ita pial: unohamnzag: PUT MAUTOA 184 (0) utlagana Li si } allego in èvioi too pun naty atlab ito Kids hit ù «Lul anibintat A oltagueti DL di _ i torni abustiga! "aliath ; oîù panta uni Averigiguio dti vg ligiorni fi : abiraia P=-osgioth sid yalag “st sin, i gi 5 i l SR Li fsi La 1 perte. 1 pres pd ps “nav vale ins Ca i TRO DON Fade u! FRATI (SI " co SON *% ee APPENDICE (Adunanza del dì 2 ottobre 1869) Nella Memoria ch’ebbi l’onore di presentare ultimamente alla R. Ac- cademia, trattando la Storia della Sazifraga florulenta (Moretti), erami riserbato di verificare aleuni punti sovra documenti che non aveva alla mano. Di ciò mi occupai nella gita testè eseguita attraverso l’Alta Italia e vengo a depositare in questa breve notizia il risultato delle mie ricerche. Assolutamente non esiste una descrizione qualsiasi della pianta per parte del suo Autore, epperò l’asserzione dell’Ardoino (V. la sua FI. anal. des Alpes Marit., p. 148) mi fa credere ch'egli non abbia conosciuto il lavoro del Moretti, il quale nel passo da me già citato, dopo la incom- pleta diagnosi, scrive queste sole precise parole: « questa singolare spe- < cie affatto distinta da tutte quelle finora descritte è stata trovata or « sono molti anni nelle Alpi presso Nizza. Possiedo un solo esemplare in « frutto di essa, che graziosamente mi fu donato dal Professore Biroli, « il quale lo ebbe pure in dono dal Signor Dottor Bellardi di Torino, « Decano dei Botanici Italiani. — Farebbe d’uopo , che i botanici i quali « fanno di escursioni nei Monti della provincia di Nizza ne rintraccias- « sero degli esemplari onde poterla esaminare in uno stato più perfetto » (Giorn. d. fis. chim. etc. 1. c. pag. 104). Dunque, alla sorgente, nissuna traccia di descrizione, nissuna del preteso torista inglese scovritore della pianta, nissuna pure della pretesa stazione al lago dì Entrecoulpes , dove, per la seconda volta, sarebbe stata rinvenuta dal Lisa, giardiniere capo del R. Orto del Valentino. Difilato mi recai a Torino per compulsarvi le preziose collezioni depo- sitate in quello stabilimento, preziose sempre mal grado i saccheggi e maltrattamenti in parte subìti ancor prima di giungere in quelle custodie. LS LS SIAE E trovai nell’erbario Biroli un foglio contenente un pajo rosette sterili appartenenti precisamente alla nostra pianta: e sta scritta in calce la seguente interessantenotatutta dipugno del Molineri, antico giardiniere celebre per l’intelligente opera prestata all’Allioni, il quale ad ogni passo nella flora Pedemontana riporta di luì scoverte. « Il Ch. Bellardila crede un genere nuovo perchè ne possede esem- « plari che hanno tre stili (stc/); questa io l'ho colta nelle Alpi più frede « maritime, vicino la Madonna detta di fenestre nelle ruppi, fiorisce ra- « ramente.— Credo che sia la Sazifraga mutata Lin. ma nondiHallero ». Il Biroli di propria mano v'aggiunse su scheda separata: « Sazifraga mutata ». Mi gettai con avido sguardo sull’erbario Bellardi, di cui general- mente non si conosce che la primitiva collezione, in formato quarto assai piccolo, e che è veramente la parte classica delle sue collezioni perchè là stanno le descrizioni di tutte le specie da lui scoverte od osservate, coi relativi campioni secchi : dissi stanno, e dovevo dire stavano , per- chè fu sagrilegamente mutilato sino da quando apparteneva al Signor Bonafaous! Altre due parti si compongono di un Erbario in sesto di foglio, e di molti grossi pacchi Magazzino, nei quali giacciono senza or- dine alcuno assai materiali generalmente di poco valore. Mainvano svolsi con sisifea fatica ogni foglio: la pianta alla quale alludeva il Molineri più non vi esiste. Memore di avere veduto in altre occasioni molte membra delle raccolte Bellardiane nell’erbario Colla, questo pure periustrai ma inutilmente in quanto al genere Sazifraga: essendo pur sempre possibile che la nostra pianta stiavi sepolta sotto qualche altro nome generico impostole dal Bellardi a séguito della osservazione riportata dal Molineri, ma ri- masto inedito. L'ordine alfabetico secondo il quale giacciono le piante nel detto erbario mi rese impossibile una ulteriore esplorazione. Invece la praticai all’erbario del Giusta (ora di proprietà del giardiniere Defilippi) giardiniere Capo predecessore del Lisa, e due esemplari *) vi rinvenni della Sassifraga nostra, ma senza scheda alcuna! Ora, tenendo calcolo della circostanza che prima del Lisa (anno 1856) nissun botanico piemontese aveva più riveduta quella pianta, che anzi era considerata come non esistente, v' ha tutto il fondamento per supporre che siano gli esemplari stessi già posseduti dal Bellardi. Esaminai pure l’erbario Lisa; vi ritrovai gli esemplari da lui raccolti 1) Il signor De filippi graziosamente me ne cedette una. ES (0a e la scheda sua originale, che porta esclusivamente l’indicazione: « Alpi « del colle della Madonna delle finestre; agosto 1856, ». Del Lago d’En- trecoulpes nemmeno quivi è parola. L’Ardoino suppone che Ja Sacifraga mutata dalle località Madonna delle finestre e Lantosca addotta dall’Allioni nel suo Auctarium, p. 27, N.° 1518, altro non fosse che la pianta sterile della S. florulenta, poi- chè l’altra specie giammai venne veduta nelle Alpi Marittime; consultai anche il prezioso erbario del celebre Piemontese: ma la nostra pianta non vi sì trova, e gli esemplari della Sazifraga mutata legittima sono di ben altra provenienza e località. Rimanevami ad esaminare il campione archetipo della specie nell’er- bario Moretti, attualmente compenetrato in quello del R. Orto B. di Padova; e là mi condussi — e nulla trovai. L'esemplare Morettiano è sparito. In vece sua, altro con mia sorpresanetrovai munito della seguente « scheda: « Sazifraga florulenta Moretti? — Rehb sp. N° 3614 — S. « ambigua D.C. — Ex Colle di Finestre 22 aug. 1840.— firm. Rastoin- « Brémond. » Questi pertanto, che personalmente conobbi nel mio viag- gio a Nizza del 1839, avrebbe preceduto il Lisa stesso nella riscoperta della bella Sassifraga ‘). Per ultimo m' abboccai in Venezia col chiarissimo alpinista e botanico Cav. G. Ball, dal quale ben molta illustrazione s’ebbe Italia nelle cose attinenti alla Orografia e Flora delle Alpi, e m'ebbi dalla sua gentilezza la cumunicazione di altre località della pianta in discorso. Ei la colse, senza fiori, sul monte di S. Giovanni sopra Vallasco e sopra la Vallettina, a circa 2400” di allevazione, Vallata di Valdieri. Una terza stazione la incontrò sul versante meridionale del Col della frema (femmina) morta verso 2600" di altitudine: sempre sulle pareti a picco di roccia metamor- fica granitosa (gneiss). Con ciò hanno fine i particolari che potei procurarmi intorno l’interes- sante vegetabile di cui vi tenni parola. 1) La vera Sarifraga ambigua (D.C.), ritrovata molto tempo addietro da Marchand presso Saint-Béat nei Pirenei, dai più accreditati Botanici francesi viene ora considerata siccome pianta ibrida che riconosce per genitori S. media e S. aretioides (V. Duby bot. gall., ed. 2a, vol. I, p. 208 — Gren. Godr. £2. de France, vol. I, p. 657). ipa ho svn i i att Le AI dia i sta n VA My PVI pit urelalt tArzbto IN plasma nti mit EA Wuetni WII dado ca Vas n° vi N fo izionia pi Mat (n Eni SIVE, na è aria Ms È | ta var 4 TRALAI ANTA Vega i d — Ò ni ‘ Le , RT SALA: y % giu à Bi e fl pi | to.) A sphifogoly ; d i Ma PEZIOETI PREFLIPRRLIA va si, Oroi pori, lo dint ‘grano | ah rav qu om acta Wi i) CAS delitti RATE RO a) e Da * | b ie È fel Gal Ro n LI a ' : - NE pes ' a Co < e ' % i n + di Ù fa sc Ù { 2! Lal & si - | 1 PI] NV ci. 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NICOLUCCI letta nell'adunanza del dì 4 settembre 1869 « Io mi chiamerò fortunato se potrò eccitare i dotti a far soggetto delle loro indagini gli antichi cranî etruschi, persuaso qual sono, che molto utile ne verrebbe non solo per le fisiologiche discipline, ma eziandio per la storia stessa degli Etruschi, potendosi con questo mez- zo diradare le dense tenebre che tuttora avvolgono le origini italiche ». GARBIGLIETTI, Brevi cenni intorno ad un cranio etrusco, 1841. L’Etruria e le sue antiche popolazioni L’Etruria, sede primitiva e centro della potenza etrusca, compren- deva le Province attuali della Toscana, parte di quella di Perugia, e il territorio della Dizione Pontificia compreso nel nome di Patrimonio di S. Pietro. Era confinata, pe’ gioghi dell'Appennino, dalle sorgenti del Serchio fino a quelle del Tevere; poi dal Tevere fino alla sua foce, e di qui dal lido del Mar Tirreno fino alla foce dell'Arno. Fatti gagliardi nelle armi, e sospinti dall’ambizione di maggior dominio, varcato l’Ap- pennino, s'inoltrarono gli Etruschi per le campagne bolognesi e ferrare- si, e quindi per l’ adiacente pianura fra l'Appennino e l’Alpi, escluso il territorio al di lò dell'Adige rimasto sempre a'Veneti che aveano stanza intorno al golfo del mare superiore. Ivi fondarono la Nuova Etruria di cui era capitale Felsina, oggi Bologna, da Plinio chiamata la principale di quel Nuovo Slato *). Inverso il mare di sotto tolsero a’ Liguri il pos- 1) Bononia Felsina vocitata , cum princeps Etruriae esset. H. N. XV, 15. Atti — Vol. IV.— N.° 13 1 un sesso dello spazioso golfo della Spezia e del paese più propinquo alla Magra, dove edificarono Luni, che divenne col suo porto l’emporio più grande della nazione '). Ma non contenti di questi confini volsero ancora la loro potenza contro l’Italia meridiana, ed avanzandosi di luogo in luogo, ridotti in lor soggezione parte de’Volsci e trapassato il Liri, si al- largarono pe’ fertili piani della Campania fino al Silaro che segnava il termine della Campania antica e del dominio tusco. Quivi fondarono una terza Etruria che ordinarono, come già nell'Italia Superiore, in istato confederato, e ne fecero capitale Volturno, che di poi s' ebbe il nome di Capua. Lungo tempo durarono nella regione campana finchè non vi furono oppressi dai Sanniti, i quali tolsero loro dapprima i luoghi occupati sul golfo pestano; sottomisero indi Nola, Nuceria, Pompei ed Ercolano, ed accolti come compagni nella città di Volturno, in un giorno festi- vo, a tradimento, e fra le tenebre della notte, fecero strage de’loro ospi- ti, ed annientarono per sempre la dominazione etrusca nell'Italia Infe- riore. Le stesse sventure erano toccate agli Etruschi del Po. I Celti, calati in varie schiere d’oltremonti, invasero la Nuova Etruria, e come tor- rente impetuoso che devasta ed atterra ciò che si oppone alla violenza delle sue onde tumultuose, strapparono di mano agli Etruschi una dopo l’altra le loro conquiste nell'Italia Superiore. Così i confini della potenza etrusca si trovarono di nuovo ridotti agli antichi limiti dell'Etruria primiliva, la quale rimase sempre il centro e la sede vera della nazione. « Qui stava l'unione: qui entro il popolo sovrano: qui finalmente il forte della nazione. Ed a maggior dimostranza del suo fermo imperio basti notare, che ancor dopo perduto lo stato esterno così nell’Alta, come nella Meridionale Italia, l'Etruria propria mantenutasi libera, ebbe al di dentro l’inestimabile sorte di non cangiar .mai nè nome, nè governo, nè leggi fino a tanto che durò la sua domi- nazione antica °) ». Nelle due altre Etrurie, la Settentrionale e la Meridionale, gli Etru- schi vi rimasero come accampati, e non vi acquistarono quello stabile 1) Primum (scriveva Plinio, 111,5) Etruriae oppidum Luna portu nobile; ed Ennio prima di lui : Lunei pretium est operai cognoscere civeis. 2) Micali, Storia degli Antichi popoli italiani. Ediz. 22, Milano 1836, t. I,p. 129. ig dominio che la lunga consuetudine avea loro assicurato nell’ Etruria Centrale. Fondarono, è vero, alcune città, come Nola (se pure il suo nome non è osco ) e Volturno nell’ Etruria Campana; Mantova, Felsina e Ravenna nella Circompadana; altre ne aggrandirono o fourtificarono, come Hatria pur dianzi edificata dagli Umbri, che era il più antico sti- pite dominante in quelle contrade, Melpo e Modena ove inviarono anche loro colonie, ma la somma della popolazione rimase pur sempre indi- gena, e gli Etruschi rappresentavano soltanto in mezzo ad essa il popolo dominatore, siccome non ha guari erano gli Austriaci nella Venezia e nella Lombardia. La regione adunque sulla quale porteremo di preferenza le nostre in- vestigazioni sarà quella compresa ne’ confini dell’ Etruria Media, e di essa cercheremo d’indagare quali fossero stati i primi abitatori, quali i popoli che vi avevano stanza avanti l’arrivo e il dominio dei Tirreni. L’Etruria fu abitata fino da que’ tempi remotissimi che prendono il nome di età della pietra, e sono a dimostrarlo tuttora i monumenti su- perstiti che se ne sono rinvenuti in quasi tutt'i punti del suo territorio. Pruove convincenti di popolazioni vetustissime nell'alta valle del Te- vere, che fu paese etrusco, si raccolgono negli strati di ghiaia a Ponte Molle, a Tor di Quinto, ad Acqua Traversa sulla destra del fiume, e sono armi ed utensili dell’epoca archeolitica , la quale rappresenta quel- l’età primitiva quando l’uomo incominciava a muovere i primi passi verso il lungo e difficile cammino della civiltà. Quelle armi e quegli utensili in pietra, i quali si trovano costante- mente fra le ghiaie, e non mai fra gli strati di fina sabbia od argilla, nè fra le terre della pianura fuori dell'alveo del fiume, danno fondata ra- gione al credere, che l’uomo archeolitico abitasse in que’ prischi tempi pel dorso degli Appennini d’onde discesero quelle grandi correnti qua- ternarie che raccogliendo e trasportando quanto lor si parava innanzi, inondarono e colmarono a notabile altezza la valle tiberina. Conferma queste opinioni la forma stessa degli arnesi rinvenuti, i quali presen- tano tracce più o meno evidenti di lungo rotolamento, come esser do- vea per oggetti che trasportati di lontano dalle acque, doveano serbare le impronte del lungo attrito al quale erano stati sottoposti. Descrissero quegli antichi resti dell’umana industria il Ponzi ?), il 1) Sugli strumenti in pietra focaia rinvenuti nelle cave di breccia presso Roma, ri- Seribili all'industria primitiva. Roma 1866, in 4°, con tav. x* Leggi Ceselli *), il Bleicher ?), il Pigorini °) il de Rossi ‘), ed io stesso ne raccolsi con le proprie mani nelle cave di brecce a Pontemolle e a Tor di Quinto presso Roma *). Si accompagnano con essì avanzi di animali appartenenti ad una Fa- una in parte scomparsa dalle nostre latitudini, e frequenti sono in quelle ghiaie le reliquie dell’ Elephas meridionalis , antiquus e primigenius, del Rhynoceros thycorhynus, Hippopotamus major, Bos primigenius, Cervus elaphus, Dama romana ed altri molti di cui ha dato elenco l’eminente illu- stratore della geologia e paleontologia romana, Prof. Giuseppe Ponzi') Altri manufatti della stessa età archeolitica raccolse il Cocchi nelle ghiaie diluviali della cava di rena del Vingone in quel d'Arezzo ‘), e lo stesso uomo che in que’prischi tempi coabitava in quelle regioni insieme agli elefanti, a’ cervi ed altre specie di animali perdute, e’ che fu testimonio di quegli.ultimi avvenimenti che modificarono le condizioni fisiche del nostro paese, fu scoperto dal valente geologo ora nominato a quindici metri di profondità dal piano di campagna, in uno strato argilloso e lacustre post-pliocenico al Colle dell’Olmo, in Val di Chiana, mentre si eseguivano tagli di terra per la costruzione della fer- rovia Arezzo — Perugia. Erano associati con esso « una bella punta di lancia o di freccia in selce bruna, pezzetti di legno arso e carboni, e qualche piccola pina che non riuscì di conservare °) ». Il cranio umano che si rinvenne e che fu descritto diligentemente dal Cocchi, lo era stato anche precedentemente dal Vogt, al quale parve 1) Strumenti in silice dell’epoca della pietra della Campagna Romana. Lettera a L. Pigorini. Roma, 1866, in 4°, con tav. 2) Recherches géologiques faites dans les environs de Rome. Extrait du Bulletin de la Société d’ hist. nat. de Colmar, 1866. ‘) La Paleoetnologia in Roma , in Napoli, nelle Marche e nelle Legazioni. Rela- zione al Ministro della Istruzione Pubblica. Parma 1867, in 4°. 4) Rapporto su gli studi e sulle scoperte paleoetnologiche nel bacino della Campa- gna Romana. Roma 1867, in 8°, con tav. *) Antichità delluomo nell’ Italia Centrale. Rendiconto della R. Accademia delle Scienze di Napoli, 1868. 5) Yed. fra le altre opere del Ponzi: Dell’ Anione e de’ suoi relitti. Roma 1862, 4°, con tuv.— Sui manufatti in focaia rinvenuti all Inviolatella nella Campagna Roma- na, e sull'uomo all’ epoca della pietra. Ibid. 1867, 4°, con tav. — Quadro geologico dell’ Italia Centrale. Gran folio. Roma 1866. 7) I. Cocchi, L'uomo fossile nell'Italia Centrale. Milano 1867, 4°, con tav., pag. 47, fig. 18. 4) Ibid., p. 7. — . Y) — così straordinario, che ebbe a dire di non conoscere nulla di simile in tut- ta la craniologia italiana *). E per fermo quel teschio è così deformato da un considerevole schiacciamento postumo verticale, che tulte le ossa ne sono rimaste spostate, e i diametri antero-posteriore e traversale così alterati, che nulla di certo può stabilirsi sia rispetto alla sua forma, sia all’ indice cefalico ed al volume del cranio ?). ) Nondimeno il Vogt ed il Cocchi lo vorrebbero brachicefalo, con un indice cefalico di 87 °) o di 86, 4 *), ma il D." Hamy che lesse una relazione sulla memoria del Cocchi alla Società antropologica parigi- na *) ha fatto notare, ‘che le misure della larghezza del cranio date dai due summentovati osservatori non corrispondevano con quelle delle fi- gure pubblicatene dal Cocchi, e con le misure prese da lui sopra una copia in gesso di quel teschio, ond’egli, rettificandole, ne riduceva l’in- dice cefalico a 78/'°°, la quale cifra colloca il cranio dell’Olmo in una classe interamente diversa da quella allaqualeVogte Cocchi l'avevano riferito. L'eminente antropologo Broca ‘) si associa a questa rettifica- zione proposta dal D." Ha my, nè io saprei essere d’altro avviso, giudi- cando della forma del cranio dalle misure prese sulla tav. II.® della Me- moria del Cocchi,e dall'insieme della conformazione della calvaria che quella tavola rappresenta. Questo teschio, essendo adunque probabilmente dolicocefalo, darebbe argomento a credere che anche questa forma craniale fosse propria di quegli uomini che nel cuore della nostra Penisola vissero contemporanei di una Flora e di una Fauna in parte estinta, e furono i rappresen- tanti dell'umanità in quell'epoca alla quale si dà il nome di prima età della pietra. Se e come eglino serbassero somiglianza con i susseguenti abitatori della stessa regione, le osservazioni sono troppo incomplete per 1) Su alcuni antichi cranî rinvenuti in Italia, lettera al Prof. B.Gastaldi.Torino, 1866—Zin Blick auf die Urzeiten des Menschengeschlechtes; Archiv fiir Anthropol. 1. 40— Il prof. Vogt, parlando del cranio dell’ Olmo, soggiunge « La vue d’en haut rappelle beaucoup celle du fameux cràne du Neanderthal, surtout dans la partie postérieure , ou les contours se couvrent presque exactement, mais il en diffère beaucoup par le développe- ment du front qui se rattache entièrement, par l’existence des dépressions frontales et co- ronales , au type ligurien. Lett. cit. ?) Pruner-Bey, ne’ Bulletins de la Société d’ Anthropologie de Paris, 1868,p. 117. 3) Vogt., loc. cit. 4) Cocchi, loc. cit., p. 75. 5) Bulletins de la Société d’° Anthropologie, 1868, p. 116. ©) Bulletins cit., p. 117. = tentare di deciderlo, e riserbiamo ad altre future investigazioni la so- luzione di così importante quesito. Numerose sono le testimonianze della presenza dell’uomo sul terri- torio etrusco durante l’epoca neolitica, o della pietra polita. Non vi ha contrada dell'Etruria ove non si sieno trovati resti dell’umana industria riferibili a quell'età, e qui mi basti di nominare gli oggetti raccolti nelle grotte esplorate dal Regnoli ne’ monti Pisani *), le punte di freccia rin- venute presso Orciano in val di Fine ?), i varî strumenti trovati nella Buca delle Fate presso Monte Tignoso nelle vicinanze di Livorno *), le cuspidi di freccia di Val d’Ambra “), le armi finite e le schegge della Stazione (oflicina) di Petrolo di Chianti °), le punte di saetta di Sar- teano °) e quelle di Chiusi donate al Museo Nazionale di Napoli dal sig. A.Castellani”). Citerò purele cuspidi di freccia di Campiglia*), di Vulci?), di Cinigiano *°), la lancia di Saturnia "), i coltelli e le punte di freccia e di lancia della Grotta di Telamone **), le armi ed altri utensili raccolti nella Grotta de’ Santi presso il Monte Argentaro *), nell’ Appennino Co- sentino *), in Orvieto ”’), Sipicciano e Graffignano nel Viterbese "°), gli )D'Achiardi, sopra alcune caverne e brecce ossifere de’ Monti Pisani. Nuovo Ci- mento,vol. XXV (maggio e giugno 1861) —Regnoli, Ricerche Paleoetnologiche sulle Alpi Apuane. Nuovo Cimento (novembre e dicembre 1867). 2) Cocchi, Di alcuni resti umani,e degli avanzi di umana industria de’'tempi prei- storicì raccolti in Toscuna. Milano, 1865, 4.° tav. I, fig. 5. :).Cocchi, Jbid.taw, I .3, 410,38: 4) Ibid., tav. II, 6. Zbd.. Mavi: 6547: ©) Capei. Dei Raseni in Toscana e delle reliquie dell'età di pietra in Italia, lettera al Gehrard, nelle Nuove Memorie dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica. Li- psia , 1869. 7) Sono dodici saette, perfettamente conservate, in piromaca giallo-rossastra. *) Mortillet, Matériaux pour l’histoire positive et philosophique de D homme, t. 1, p. 351. °) Capei, doc. cit. 1°) Ibid. 1) Cocchi, loc. cit. tav. I, fig. I. *) Pruner-Bey, Bulletin de la Société d° Anthropologie , t. Il, 2 Série, p. 361. ") A. Salvagnoli-Marc hetti, Atti del 7° Congresso degli scienziati italiani. Luc- ca, 1843 p. 264. 24) Capei, loc. cit. !°) Pigorini, La Paleoetnologia in Roma, in Napoli e nelle Marche, p. 17. 1°) Mortillet, Op. cit. Il, 241. PE: pEES strumenti in selce de’ contorni del lago di Bolsena *), que’ di Montefia- scone, e segnatamente del Monte Virgilio ?), le frecce di Vetralla *) e di Vejo ‘), e per ultimo la collezione singolare di tutte le armi ed utensili in pietra raccolti dal sig. Raffaele Foresi nell’Arcipelago Toscano °). Questa serie così numerosa di reliquie dell’umana industria raccolte nel territorio dell'antica Etruria non ci fa avere più dubbiezza sulla pre- senza dell’uomo, nell’età litica, per ogni parte di quella contrada. Nell’età del bronzo che seguì a quella della pietra popolazioni ancor più numerose aveano stanza nel suolo della Toscana. Un sepolcro di quel tempo scoperto dal Mellini nel 1854 in una grotta sepolcrale del Monte Calamita nell'Isola d’Elba ci ha conservato tre cranî (oggi in po- tere del sig.Foresi) che furonostudiati dal professore C. Vogt °). Si rac- colsero ancora in quel sepolcro « una tazzetta bassa ed una specie di bic- chiere con manico, tutte e due di terra cotta molto ordinaria, una fu- saiuola conica di terra cotta della stessa pasta, alquanti chicchi di bron- zo, e frammenti di fibule e d'altri oggetti d’ornamento ‘) ». I frammenti di bronzo, cimentati chimicamente dal Bechi, mostra- rono essere composti di solo rame e stagno senza mistura di alcun altro metallo°), e questo fatto per chi conosca le analisi del Fellenberg in- torno a’ bronzi antichi *), è così concludente , che il sepolero del Monte *)Gualterio, Delle armi di pietra trovate attorno al lago di Bolsena. Atti della So- cietà Italiana dì scienze naturali, t. XI, p. 630. ?) De Rossi, Secondo rapporto sugli studi e sulle scoperte paleoetnologiche nel bacino della Campagna Romana. Roma 1868. 3) Pigorini, loc. cit. p. 13. 4) Ibid., p. 16. 5) Contiene oltre a 4000 oggetti antestorici dell'Isola d’Elba, di Pianosa e del Giglio. An- che a me si compiacque il sig. Foresi di far dono di una piccola, ma preziosa Collezione di oggetti dell'età della pietra dell'Isola d’Elba , e di tanta cortesia gli sarò sempre grato e ri- conoscente. 6) Lettera al Gastaldi cit. ?) Foresi, Sopra una Collezione composta di oggetti antestorici trovati nell’ Isole dell Arcipelago Toscano, ed inviati alla Mostra Universale di Parigi. Firenze, 1867, pag. 20. 8) Foresìi, Zbid. 23. 9) Mittheilungen der Bernischen Naturforschenden Gesellschaft, 1865—Conclusions des analyses de bronzes antiques trad. p. M.C.F. Garnier, et communiquées par M. Desor,in Mortillet, Op. cit. 1,477.— Simonin, Grotte sépulcrale de l’ age du bronze récemment d’écouverte dans l’ile d'Elba. Lettre a M. Elie de Beaumont, ne’ Comptes rendus de l’ Acad. d. sc. Paris, vol. LXI, p. 601. nati n Calamita non può riferirsi che alla vera età del bronzo, escludendo V'i- dea che potesse appartenere all’epoca de’ Fenici e degli Etruschi, il cui stabilimento in Italia debb’essere riportato ad un’èra molto più bassa. Ma chi erano mai quelle genti che abitavano la contrada ch'indi si disse Etruria pria che gli Etruschi vi ponessero loro dimore? Se noi non osiamo asserire che essi fossero i discendenti diretti di quelle stirpi primitive, che nell'età archeolitica aveano tenuto il dominio dell’Italia Mediana, ben possiamo esser certi, che nell’età del bronzo erano gli Umbri che signoreggiavano in quelle contrade, onde i teschi del Monte Calamita rappresentano il tipo craniale di quel popolo che le nostre an- tiche storie ci ricordano stanziato pria degli Etruschi nel suolo della To- scana. Erano dolicocefali misti a brachicefali, che vi erano in minoranza, e corrispondevano, ne’ loro elementi etnici, a quelle altre genti dello stesso nome stabilite al di là dell’Appennino. Concordano fra gli uni e gli altri Umbri le forme generali del cranio, e confrontando più par- ticolarmente le misure de’teschi del Monte Calamita riferite dal Vogt?) con quelle de’ cranî, che io credo umbrici, tratti dalla Necropoli di Mi- sanello presso Bologna, e da me studiati per gentilezza del sig. conte Giovanni Gozzadini, si rimane persuasi della identità di entrambe le popolazioni ?), le quali abitavano, come sopra dicemmo, l’Italia Media, fin da quell’èra che dicesi del bronzo. Fu quando gli Umbri erano potenti per frequenza di popolo e per esteso imperio, che gli Etruschi vennero a porre loro stanze nel centro della Penisola. Vi erano stati preceduti da altre colonie, che Dionigi ed altri scrittori chiamano generalmente pelasgiche, le quali si erano stabilite in diversi punti della Tuscia, a Pisa °), Saturnia ‘) Tarquinia ”) Alsio ‘) 1) Lettera al Gastaldi cit. 2) Ecco alcune medie delle principali di queste misure. Monte Calamita ! Misanello Diametroant. poster... a on 181 ene —«bilaterale: Luca 144 143 Larghezza della fronte .. . . . +. 97 98 Curva fronte fronte-occipitale . . . 377 379 Indicexcefalico fai ee eee (89 786 5) Dionisio, I, 20. Servio ad Aeneid. X, 79 — Strab. V, II, 5. 4) Dionisio, Voc. cit. 7) Giustino, XX, I. ‘) Dionisio, loc. cit. — Silio Italico, VIII, 476. Pero, Sa Pirgi '), Agilla poi detta Cere *) dalla parte del Mare Inferiore, e for- s'anche a Spoleto, ad Ameria, a Ruselle, a Cossa, a Cortona, città le cui mura si mostrano tuttora di quella costruzione chiamata comune- mente pelasgica*). Dalla narrazione di Dionigi sulla venuta de’ Pelasgi si raccoglie, che una colonia di que’ popoli partita dalla Tessaglia di- ciassette generazioni innanzi la guerra di Troja, e venuta dapprima alla foce spinetica del Po, vi fondò Spina che fu a'tempi antichi la Venezia Pelasgica. Volgendo quindi per entro terra il cammino una parte di essa raggiunse presso il lago di Cutilia gli altri Pelasgi che per altre vie erano penetrati nelle vicinanze del Tevere, ed ivi collegati insieme fecero guerra a’nativi Siculi ed Umbri, e ne occuparono gran tratto di paese, distendendosi pe’ fianchi dell'Appennino e ne'luoghi sopra menzionati della Toscana dalla parte del Mare Inferiore. Cotanta fortuna non ebbe pe’ Pelasgi una lunga durata. Dal colmo della potenza caddero a un tratto nella più grande miseria, persegui- tati, come scrive Dionigi, da inauditi flagelli 4). Oppressi da una piena di mali abbandonarono il paese che abitavano 60 anni avanti la caduta di Troja, e sì dispersero, per abitudine di vita vagabonda, in più lontane province. Quelli che rimasero pare che fossero stati ridotti a servitù da- gli altri popoli; perderono lingua e costume, e sin Ja memoria di ciò che egli erano stati. Se il racconto di Dionigi non vuole aversi allo intutto per favoloso, può ritenersi come fondamento storico il fatto, che gente strania fosse passata anticamente in Italia dall'altra riva dell'Adriatico, e che il ter- ritorio etrusco a’ tempi del dominio Umbro veniva anche popolato da co- lonie forestiere che vi prosperavano e si moltiplicavano. Alcune di esse erano veramente pelasgiche ed elleniche, come Pirgi (presso Santa Severa) ed Alsio (presso Palo) sulla spiaggia di Cere. L'I- sola d'Elba (Aethalia) era anch'essa tenuta da’Greci, come Populonia po- sta sul promontorio che fronteggia quest'isola, ma i nomi degli altri luoghi che gli scrittori greci credevano essere stati pelasgici ed elleni- ci, rivelano invece un’origine cananea, c dimostrano che prima del do- minio etrusco, i Fenicî, i navigatori più arditi dell'antichità, avevano 1) Strabone, V, 11,8. ?) Dionisio, loc. cit.— 111, 58 — Strab. V, 11,3— Plinio III, V, 8.— Solino, De situ orbis terrar. cap. 7.— Servio ad Aeneid. VII, 597 — X, 183. °) Vannucci, Storia dell’Italia antica. Ediz. 2%, 1, 67. “\fEoc:tcit. 1,23: Atti — Vol. IV.— N.° 13 2 Segue fondato fattorie per assicurare ed agevolare il loro commercio nel litto- rale che fu poi degli Etruschi, ed anche in qualche punto dell’ interno del Continente. Punicum presso Santa Marinella ci ha conservato il nome di una fattoria fenicia nel territorio di Cere; Telamone è la collina (Tell) di Ammone, divinità libica limitrofa all’ antica Cartagine; Ruselle è il promontorio (Rus) di El, che era il Saturno de’ Fenicî; Agilla, il primo nome di Cere, vuol dire in Fenicio Città rotonda, perchè appunto la si presentava sotto questo aspetto a chi vedevala dal lito. Tale era l’ Etruria quando i Raseni vennero a conquistarla. A ponente vi dominavano i Liguri, ad oriente i Latini nel resto la numerosa stirpe degli Umbri, e qua e là in mezzo ad essi colonie pelasgiche, elleniche e fenicie.Ma chi erano mai questi Etruschi, d’onde venivano, quali le loro affinità con gli altri popoli conosciuti dell’antichità?Molte e varie furono le risposte date a queste dimande, ma il difficile quesito non è ancora vi- cino ad essere sciolto. Noi non osiamo di credere poter apportare molta luce in mezzo al buio di tante controversie, ma di qualche utilità crediamo pure possano riuscire le nostre investigazioni, imperciocchè studiando e comparando i cranî etruschi con quelli delle altre genti dell'antichità con cui si credono imparentati, potremo almeno rendere più semplice la quistione, eliminando quegli elementi che la comparazione de’ cranî non ci permetterà più di poter avvicinare agli Etruschi. Cia II. Glu; Etruschi L’opinione che riscuoteva il quasi unanime consenso dell’ antichità era quella che gli Etruschi si fossero transferiti in Italia dalla Lidia o dalla Meonia, in tempi assai vicini a quella della guerra di Troja”). Ero- doto per il primo raccolse quella tradizione nel 1.° delle sue Storie ?), e gli scrittori greci e latini, quasi universalmente ripetendola, mostra- vano che presso l’antichità quel fatto passava per certo. Oltracchè da due atti pubblici trovasi confermato come quella credenza rimanesse an- cora popolare molti secoli dopo e in Lidia e in Etruria. Imperocchè Ta- cito narra, che sorta disputa fra le città dell’ Asia per un tempio da in- nalzarsi a Tiberio vivente, i Sardiani, che ambivano a questo onore, prof- fersero un decreto degli Etruschi che li riconoscevano per consangui- nei, dichiarando sè esser propagati da una colonia di Lidî qui condotta da Tirreno, o Tirseno figliuolo di Ati *). A Dionigi di Alicarnasso non parve accettabile il racconto del padre della storia, e tenne opinione che gli Etruschi fossero essi stessi un po- polo nativo ed originario dell’Italia, perciocchè non solo, egli dice, le storie lidie di Xanto non fanno menzione alcuna di Tirreno, nè di una colonia di Meoni venuti d'Asia in Italia, ma gli Etruschi stessi non ave- vano in fatto di lingua, leggi, religione e costumi nulla di rassomigliante co' Lidî *). Non ostante cotesti ragionamenti dello storico di Alicarnasso egli s'ebbe contradittori molti a’ suoi tempi e ne’ posteriori, e la tradi- zione lidia ebbe sempre maggior fede fra i più autorevoli scriltori del- l’Italia e della Grecia. Non così l’origine pelasgica che Ellenico di Lesbo e Mirsilo *) ed Igi- ?) Vellejo Patercolo, lib. I, $ 1. ?) Clio, 94. °) Sardiani decretum Etruriae recitavere ut consanguinei: nam Tyrrhenum, Ly. dumque Atye rege genitos divisisse gentem. Annal., lib. IV, c. 55. 4) Lib. I, 26. ”) Dionigi, Op. cit., 1, 19. 2083) 01 no ') vollero attribuire agli Etruschi, conciosiachè a pochi degli antichi autori venne in pensiero di difenderla e sostenerla. La carezzarono invece alcuni fra i dotti moderni, i quali tennero più o meno probabile la pro- venienza pelasgica degli antichi Raseni. Tirreni e Pelasgi, secondo Vermiglioli?) e Schlegel*) erano un sol popolo, e quella colonia che venne a porre sua sede nella regione d’Ila- lia ch’ indi si disse Tuscia od Etruria, non rappresentava che una parte di que’ Pelasgi che con la stessa appellazione di Tirreni erano sparsi am- piamente per le altre contrade dell’ Asia e dell’ Europa. Nè altrimenti li considera il Raoul Rochette quando, ammessa la venuta de’ Lidi in To- scana; dal vedere com’ei vivessero in buone relazioni co’ Pelasgi ivi pree- sistenti, trae argomento a conchiudere sulla comunanza della loro stirpe, e sulla identità della loro origine “). Alla quale origine fece plauso ancora Otofredo Miller, riconoscendola in que’ coloni Lidî e Meonî, i quali misti a’ Raseni della Rezia formarono la gloriosa nazione degli Etruschi *). Più risolutamente di ogni altro sostenne questa derivazione pelasgica de’ Tirreni R.Lepsius nella sua classica dissertazione Sui Pelasghi Tirreni in Etruria “).Per lui non colonia lidia, non arrivi pelasgici dall'Asia Mi- nore e dalla Grecia. I Pelasgi che vennero in Italia non partirono che dalla loro vera patria l’ Epiro, e giunti alla foce del Po, vi fondarono i loro primi stabilimenti, e di là passando l'Appennino andarono pe’ piani dell’ Etruria, e sottomessi a sè gli abitanti vi presero il nome di Tirreni. Tirreni o Tirseni e Raseni non sono, secondo Lepsius, che forme dello stesso nome Tuffnvos, e questo nome caratteristico derivato da rufpis, tvpors (lat. turris, e senza allitterazione tursis) fu applicato (egli dice) in Italia a’ Pelasgi costruttori di quelle gigantesche fortezze che si tro- vano tanto nell'Italia, quanto nella Morea e nell’ Albania. Ad altri piacquero altre opinioni, e pure ammettendo il fatto della ve- nuta di una colonia dall’ oriente in Etruria, giudicarono esser ella stata composta di genti semitiche, le quali mosse o dalla Palestina o dal paese di Canaan, vennero ad insediarsi, col nome di Etruschi, nel cuore del- 1) Hyginus dixit Pelasgos esse qui Tyrrheni sunt: hoc etiam Varro commemorat. Servius ad ZAneid. XIII, 600. ?) Iscrizioni Perugine — Discorso Preliminare; XXVII e XXXIII. *) Annali di Eidelberga, 1816, n. 54 — Opuscula latina, p. 146 e seg. 4) Histoire des colonies grecques, lib. IV, c. 2. ) Die Etrusken ; Breslavia 1828 — Ecinleitung, II, 10, p. 163. °) Veber die Tyrrhenischen Pelasger in Etruria. Lipsia 1842, 8°. fg l’Italia. Nel ritmo sardo, conosciuto un tempo in Sardegna sotto il nome di Canzone latina del savio Deletone, e che fu scritto intorno agli anni 687-722 dell’èra volgare, trovasi la prima menzione della provenienza fenicia degli Etruschi, i quali, com’ è noto, avevano mandato in quel- l'Isola una loro colonia: v. 23 Omnes artes jam florentes (Sardinia) a Tyrrhenis habitas 24 Sive potius Cananacis quos Etruscos dicimus. Questa stessa opinione esprimeva nel suo Gello il Giambullari?), il quale non solo credeva che gli Etruschi discendessero dagli Aramei, ma tenne anche per fermo, che la lingua italiana derivata, a suo giudizio, dall’etrusca, sorella dell’ebraica e della caldaica, fosse pur essa figlia dell’aramea. Così pure l’illustre Scipione Maffei nel suo Ragionamento sugli Itali Primitivi, ove afferma gli Etruschi non essersi d’altronde spic- cati che dalla terra di Canaan, e principalmente dalla regione dell’Arnon, che avrebbe dato il nome al maggior fiume della Toscana ?). Nè altrimenti giudicava dell’origine di questo popoloil Mazzocchi, che tanto ne’suoi dottissimi Commentari sulle Tavole d' Eraclea, quanto nella Dissertazione sull'origine de’ Tirreni *) sostenne non solo gli Etruschi, ma gl’ Itali tutti essere qui pervenuti dalle regioni dell’oriente: cujusque nominis (sono sue parole) primi advenae fuerint, veluti Siculi, Ausones, Tyrrheni, Pe- lasgî, Oenotri, eos Cananeos genere, sive Phoenices fuisse, aut omnino ab oriente huc fuisse profectos non est dubitandum *). Il Rink °) e il Jannelli*)tennero per la stessa sentenza, la quale più recentemente ancora, per gli Etruschi, fu sostenuta dal Tarquini ?) e dallo Stik el °), poggiandosi soprattutto sulla interpretazione delle epi- grafi etrusche per mezzo delle lingue semitiche. Ma non ostante la som- 1) Il Gello, ossia della origine della lingua fiorentina. ?) Degli Itali Primitivi— Ragionamento in cui si procura d’investigarel’origine de- gli Etruschi e deì Latini. Mantova 1727. 3) In aeneas tabulas heracleenses Commentarii, p. 15 — Sull origine de Tirreni, Saggi dell’ Accademia Etrusca di Cortona, t. III, 165 e seg. 4) In aeneas, tab. etc. *) Annali di Eidelberga, 1814. 5) Zentamen hermeneuticum in etruscas inscriptiones. Neapoli 1840. ") Civiltà Cattolica, 1857-59. *) Das etruskische durch Erklarung von Inschriften und Namen als semitische Sprache erwiesen. Lipsia 1858. — 14 — ma perizia onde maneggiarono le favelle orientali in servizio delle loro tesi, le loro conclusioni furono solennemente riprovate dall’Ascoli") e dall’Ewald °), che mostrarono quanto fossero lungi dal vero le intepre- tazioni de summentovati scrittori, e quanto mal fondato il sistema che eglino intendevano di sostenere. Al quale giudizio non è facile di negar fede quando solo si ponga mente al fatto, che le medesime iscrizioni etrusche dichiarate dal Jannelli, dal Tarquini e dallo Stickel per mezzo delle lingue semitiche riuscivano a tre diverse e distinte inlerpre- tazioni! Del qual fatto io credo non abbia tenuto abbastanza conto lo Chavée quando sosteneva ad oltranza, innanzi alla Società antropologica di Parigi, il semitismo puro degli Etruschi, e dell’idioma che eglino fa- vellavano °). Ben più accettevoli,ci sembrano essere invece su questo argomento le opinioni de’signoriPruner-Bey ‘)e G.Lagneau”), i quali pure ammet- tendo un elemento semitico più o meno importante nella popolazione dell’ Etruria, riconoscevano in essa un fondo indigeno originario più esteso che, se era in minoranza nella parte aristocratica, preponderava grandemente nella maggioranza della popolazione. Mentre erano così divise le opinioni de’ dotti sulla origine de’ Tirreni, ecco sorgere nuove congetture, che cercando altrove la sede primitiva di questo popolo, si volsero alle Alpi, e quivi credettero di aver rinve- nuta l'originaria stanza degli Etruschi. Livio°), Giustino ')e Plinnio")raccontao comeiTusci, scacciati dalle loro sedi circumpadane, a’tempi delle galliche invasioni, seguendo Reto, s'inoltrarono nelle valli dell’Inn e del Reno, e diedero a quella alpina regione il nome di Rezia, ma che la natura de’ luoghi rese col tempo quelle genti siffattamente rozze ed inculte, che delle cose antiche nul- l’altro ritennero se non l'accento, e questo ancora corrotto. Così, giusta 1) Intorno ai recenti studii diretti a dimostrare il semitismo della lingua etrusca. Archivio storico-italiano. Nuova serie , XI, 1. 2) Novelle letterarie di Gottinga. 1) Bullettins de la Société d’ Anthropologie, 1% serie , t. II, p. 455 e seg. 4) Ibid., t. III, 448 — IV, 348. 3) Zbid., t. II, 449. 6) Alpinis quoque ea (cioè tusca) gentibus haud dubie origo est marime Rhaetis. V.. 33. 1) Tusci quoque, duce Rhaeto , avitis sedibus amissis, Alpes occupavere, et ex no- miae duciîs gentem Rhaetorum condiderunt. XX, 5. *) Rhaetos Tuscorum prolem arbitrantur,a Gallis pulsos, duce Rhaeto.H.N.1II,24. (a la opinione degli antichi autori, trassero i Reti la loro origine dagli E- truschi; ma senza seguire a puntino le orme de’nominati scrittori, io in- clinerei col ch.Conestabile ad ammettere, oltre lo stabilimento etrusco nelle Alpi retiche rimontante all’epoca della invasione de’'Galli, anche altri colonizzamenti anteriori a quell’ età, « imperciocchè omai tutti gli argomenti suggeriti dalla critica storica, dagli avanzi monumentali, e, direi anche, dal semplice criterio razionale persuadono definitivamente, che al tempo dello stabilimento cireompadano gli Etruschi si spinges- sero e s'impiantassero nelle Alpi, e assai facilmente in più punti di esse; e che per la discesa di quelle nemiche genti, affranto e sconvolto lo sta- bilimento medesimo, si ritirassero in que’ luoghi montani, ove la lor si- curezza in quegli istanti di decadimento e di sconfitta, principalmente doveva affidarsi alle basi di un impianto precedente, che, esaminate le condizioni e la forza dell’etrusco allargamento, non potè non essere un annesso, una conseguenza e una dipendenza dello stato circompadano *). Nonostante le parole così chiare di Livio e deglialtri sopracitati scrit- tori, Fréret °) congetturava, che i primi Etruschi fossero stati i Reti del Trentino, e che di quivi fossé mossa la nazione de’ Raseni per venire a conquistare l’Etruria, e dare essere e nome a quel popolo famoso. Que- sta ipotesi, per nulla curata dapprima, levò gran rumore dopo che piac- que al Niehbur e al Miiller di rinnovarla, fabbricando, comebene si es- prime il Vannucci °), sopra di essa un sistema che non ha nessun fon- damento nè sull’autorità, nè sulla ragione, anzi contradetta apertamente dall’ una e dall'altra #). Nondimeno i due valentuomini ammettevano anche altri elementi nella Nazione Etrusca; vi ammettevano cioè un fondo di popolazione umbra, indi un colonizzamento pelasgico, e per ul- timo i Raseni, non venuti di Lidia secondo la narrazione di Erodoto, ma dalla montana Rezia, d'onde discesi conquistarono Umbri e Pelasgi, e signoreggiarono per tutta l’Etruria imponendo a’ vinti il loro idioma, che troverebbe riscontro in quello ancor vivente di Graeden nel Tirolo. « E se (così il Niehbur) la Rezia fu una delle prime sedi del popolo 1) Di alcune scoperte archeologiche avvenute dal 1850 al 1855 nell’Agro Trentino, ZONDA: ?) De l'origine des Etrusques, nell’ Histoire de l’Académ. des Inscriptions, t. XVII. ‘) Storia dell Italia antica, I, 79. ‘) Ubi testes non sunt, ubi auctoritates non sunt, historia non est. Ergo hae pseudo- origines sunt anthistoricae, et propterea respuendae et damnandae. Jannelli, Ten- tam. in Etrus. Inscript., p. 79. ì — 16 — etrusco, se di là si sparse prima per l’Italia Superiore, poscia sopra le Alpi, s' intenderà di leggieri, che al tempo di quelle emigrazioni una gran parte della nazione sarà uscita da’ proprî focolari. Secondo l’ espres- sione degli Aragonesi nell’ introduzione alle loro leggi, ella non avrà vo- luto abbandonare una terra ingrata per abitare regioni più favorite dal Cielo, senza lasciare su quella terra la libertà e la virtù, se forse non pochi di que’ posteri degeneri ritornarono al tetto paterno, dopo che si dileguarono i primi giorni della fortuna » ?). Questa seducente opinione si trasse dietro altri nomi illustri in Ger- mania, in Inghilterra e in Italia, come i Grotefend ?), gli Abeken *), Steub*), Gehrard*), Mommsen °), Donaldson”), Giovannelli *), Marsili ®), ma le ragioni non crebbero in proporzione, e la ipotesi re- tica non fece un passo più innanzi di quello che fosse stata esposta dal primo fautore della medesima, l’accademico Fréret. Ma qui non cessano le congetture sulla origine degli Etruschi.Il Pel- loutier nella sua storia de’ Celti *°) li dichiara un popolo di quella stirpe che dimorava nella valle del Po, d'onde una mano rifuggì nella Rezia, un’altra in Toscana, quando i Galli invasero quella parte della Penisola. Nè ilDurandi”'), nè il Bardetti pensavano altrimenti quando asserivano che il centro e il settentrione d’ Italia erano stati originariamente abitati da un popolo di razza celto-germanica, parlante un idioma di cui re- stano molte reliquie nell’armorico, nel wallico e ne’ più vetusti monu- menti gotici, anglo-sassonici, franchi ed alemanni ”*). Poco diversa opi- nione esprimeva nella sua Storia delle lingue romanze e della loro lettera- tura dalle origini fino al secolo XIV anche il Bruce Whyte ’), a cui piac- 1) Storia Romana, trad. ital. Pavia 1832, I, 110. 2) Zur Geographie und Geschicthe von Alt-Italien. Annover 1840-42. 3) Mittel-Italien vor der Zeit der roemischen Herrschaft. Tubinga 1843. 4) Ueber die Urbewohner Réthiens u.ihr.Zusammenhang mit d. Etrusken.Monaco 1 843. 5) Rapporto Vulcente— Annali dell’Istitutodi Corrispondenza Archeologica,1821,t.3. °) Storia Romana, trad. ital., 1864, I. 7) Varronianus, Cap. 1, $ 15-17. °) De’ Rezi, dell’ origine de’ popoli d’ Italia, ete. Trento 1844 — Le antichità Rezio- Etrusche scoperte presso Matrai. Trento 1845. °) Archivio Storico italiano. Nuova serie, XII, parte. II. 1°) Histoire des Celtes, liv. I, p. 178. 1) Saggio sulla Storia degli antichi popoli d’ Italia. Torino 1769. 12) Bardetti, Della lingua de’ primi abitatori d’ Italia. Modena 1772. 1) Histoire des langues romances et de leurs litérature dépuis leur origine jusqu’ au XIV siècle. Paris 1841. MEET, 1, RE que di credere, che in tempi anteriori ad ogni umano ricordo varî dia- letti di una lingua madre sconosciuta fossero parlati nel sud-ovest del- l'Europa, e che dalla miscela di questi fossero nati il gaelico o celtico, e tutte le lingue antiche d’Italia, di Spagna e della Gran Brettagna, on- d'egli trovava nelle antiche lingue d’Italia una grande uniformità ne’dia- letti, la quale non è mai scomparsa del tutto, non ostante il velo di che furono coperti que’linguaggi quando passarono dalla bocca del popolo alla grammatica, e subirono più o meno la influenza delle lettere greche ‘). Alla quale sentenza, rispetto alla uniformità radicale della maggior parte de’ dialetti italici, io non so muovere appunto, ma quanto al mes- sapico, all’etrusco, al ligure, non vi sarà chi voglia prestarvi fede , per- ciocchè niuno potrà mai ‘concedere, che i popoli che favellavano questi idiomi fossero non pure dello stesso stipite de’ rimanenti abitatori del- l’Italia, ma neanche di quello de’ popoli indigeni delle Gallie, e della Gran Brettagna. Nondimeno l’ origine celto-iberica dell’ idioma etrusco, non meno che l'affinità etnografica del popolo dell'Etruria con quello che abitava la verde isola di Erinn, venne sostenuta con grande sforzo d’ ingegno e di erudizione dal Betham?), ma la inverosimiglianza di questa dottrina fu così manifesta fin dal suo primo apparire, che l’opera del dotto irlandese non è ricordata fra gli eruditi, se non come uno degli aberramenti più memorabili dello spirito umano. Fuvvi ancora chi tenne gl’Itali primitivi, e quindi gli Etruschi, di ori- gine slava. A questa conclusione andò il Volansky, che stimando le stirpe slave estese, in tempi antichi, da per ogni parte del mondo, giu- dicò l’Italia non essere stata nè più, nè meno che una terra di Slavi *): conclusione che divide con esso il Gobineau rispetto agli Etruschi, in- torno a’ quali egli scrive: « che quando se ne separi l'elemento stranie- ro apportatovi dalla conquista tirrenica, essi rimangono un popolo quasi interamente giallo, 0, se vuolsi, una tribù slava mediocremente bianca *). Quell’antica terra della civiltà che si nomal’Egitto, non poteva lasciarsi a) ora I Mp9 ?) Etruria Celtica; Etruscan Literature and Antiquities investigated. Dublino 1842. 3) Schrift-Denkmdler der Slaven vor Christi Geburt. 1850. 4) Essai sur l’inégalité des Races humaines. Paris, 1855,11I,57.—Una opinione presso a poco simile avea già emessa il dotto traduttore di Pausania, S- Clampi, stato professore all’Università di Varsavia. Egli scrivendoal Vermiglioli una sua lettera in data del 12 feb- Atti — Vol. IV.— N.° 13 3 è DIRI in disparte dagli eruditi che tentano‘rinvenire un luogo di origine pel po- polo etrusco; epperciò F. Buonarroti si volse a rintracciarne le prime sedi sulle sponde del Nilo, edivi gli parve trovare la culla di questa nazio- ne.« Mihi (egli scrive) Etruscorum monumenta perpendenti oritur vehemens quaedam suspicio, cos in hace Italiae loca ee Egypto profectos fuisse » *). Questa stessa somiglianza fra i monumenti etruschi ed egiziani colpì un secolo dopo anche il celebre capo della spedizione scientifica toscana in Egitto, il Rosellini?), e fu notata parimenti dal Wilkinson?) e dal- Hamilton Gray*), che congetturava ilnome di Rasena derivare dal Resen sul Tigri, d'onde una colonia partita e venuta in Egitto promosse a sua volta un altro colonizzamento della propria stirpe nel suolo dell'Etruria. Per ultima una nuova congettura sulla provenienza etrusca fu messa innanzi dall’Ellis, ed è questa, cioè, che i Tusci fossero stati una pro- pagine di Armeni, i quali negli antichi tempi si estendevano per gran tratto di paese, ed erano sparsi dall’ Armenia all’Ilalia sotto i nomi di Frigi, Traci, Pelasgi, Etruschi ed altre appellazioni. Egli crede provare 1] difficile assunto col confronto delle lingue etrusca ed armena, ma le sue dimostrazioni non sembrano affatto sufficienti a comprovarlo °). Fra tante varie opinioni, fra tanti diversi giudizî a quale dell’esposte sentenze noi crediamo di poterci affidare con maggiore confidenza? Le origini armene, egizie, slave, celto-teutoniche non ci appagano gran fatto; braio 1834, pubblicata dal Conestabile nel Libro Della vita, degli Studi e delle Opere di G. B. Vermiglioli , così si esprimeva (pag. XXXII) « Non bisogna ignorare che oltre ad innumerabili voci greche quasi letteralmente comuni a’ dialetti slavi, moltissimi nomi dei luoghi che furono il teatro delle scene omeriche nell’Zliade e nella Odissea rappresentate, aveano allora, ed in parte hanno tuttavia nomi corrispondenti a dialetti slavi, ed in Italia stessa si trovano città, castelli, monti, fiumi sino da’ tempi greci e romani chiamati con nomi della medesima derivazione. Se tuttocciò è vero, come è verissimo, ed è solo inere- dibile a chi non ha la minima idea di quelle lingue , e neppure di quel che dottissimi ar- cheologi antichi e moderni hanno scritto, come si può escludere la mescolanza di molte voci di linguaggi e dialetti oggi detti sarmatici e slavi in generale, e specificamente russo, polacco , moravo, boemo, craniolino, illirico, dalmatico, ecc. che l'origine ripetono dall’A- sia Minore, dalla Tracia, dalia Samotracia, fino dai tempi della Guerra Trojana? — Come si può escludere, io dissi, che in tutti i linguaggi italiani antichi, e nei moderni ancora se ne trovino delle reliquie, e più di tutti ne fossero nell’ etrusca lingua parlata da gente di origine Asiatica, Lidi, o Tirreni che fossero ? 1) 4d Monum. etruscaoperi Dempsteriano addita explicationes. Florentiae 1726, p.103. ?) Monumenti civili, I, 186; II, 203. °) Zopography of Thebes. Londra 1836, p. 151. 4) Tour to the Sepulchres of Etruria in 1859. Londra 1843, p. 21 e seg. ‘) The Armenian Origin of the Etruscans, Londra 1861 « Come | espansione (egli PE 1 (0 es nè la nostra mente rimane soddisfatta delle provenienze retiche e pret- tamente semitiche; nè ci sentiamo inclinati ad assentire all’opinamento di coloro, che tengono gli Etruschi per un popolo autottono ed originario dell’ Italia, imperciocchè lo stesso Dionigi, che sosteneva l’indigenato etrusco, fu pure colui che disse che i Raseni nè per lingua, nè per co- stumi non rassomigliavano ad alcuno altro de’ popoli italiani *). E se tanto erano diversi dagli altri italici, quale affinità di origine poteva mai esi- stere fra i Tusci e le rimanenti popolazioni italiane, che pure hanno sem- pre avuto il vanto di essere stati i più antichi abitatori della Penisola? DuolImi in questo giudizio essere dissenziente dall’illustre storico degli antichi popoli italiani, ma confortato dall'autorità di Erodoto, di Timeo ?), Scimno da Chio *), Licofrone *), Strabone *), Plutarco °), Ap- piano ?), Pausania °), Giovanni Lido?), Eustazio”), Cicerone"), Virgilio ‘°), Orazio ”’), Ovidio”), Silio Italico"), Vellejo Pater- colo”), Valerio Massimo"),Seneca”°), Plinio"), Tacito?°), Ter- tulliano ”’), e via dicendo, m’inchino volentieri all'opinione che gli Etru- dice) del latino dalla sua sede originaria, Roma, obliterò, ne’suoi progressi il gran numero de’ dialetti celtici, così l'espansione della stessa lingua in parte, ma più l'espansione del greco obliterò nell’ Europa e nell’ Asia Minore i dialetti appartenenti all’armeno, che si con- servò solamente nella sede originaria della razza, nell’ Armenia stessa, come rappresentante sopravvissuto di tutti que? dialetti », pag. 1. ') Dionisio, I, 30. 2) Graeci historici minores, Fragm. 19,vo0l.I,197,epressoTertulliano, De Spectac.,5. 3) Descriptio Orbis, v. 214-17. “) In Alexandra, v. 1245-1344-1350. 3) Geographica, lib. V, II, 2. °) De Bello Punico, cap. 66. 7) Quaestiones romanae, 52 — In Romul. Il, 3. 8) Corinth. ®) De Ostentis, cap. 3. 1°) Ad Dionisium Periegetem, v. 347. 1) De Divinatione, 1, cap. 22. 1°) Aneid. II, 781 — VII, 479, 80, —1X, 11 —X, 135 1°) Satyrar. 1, VI, 1. 1‘) Ars Amandi, I, I, 112 — Metamorph. HI, 583. °°) De Bello Punico, IV, 720—V,9— VII, 483 — X, 40, 483 — XIII, 828. I IRZibaInicapoli 1) Exempl. II, cap. IV, 4. 1*) Consolat. ad Helvet. cap., 6. !°) Hist. Nat. II, VIII, 1. 2°) Annal. IV, cap. 55. 11) De Pallio, cap. IV.— De Spectaculis, 4. —, vi) schi fossero stati stranieri venuti dalla Lidia o dalla Meonia in Italia; opinione la quale, oltre ad esser quella di quasi tutti gli antichi scrit- tori, ci sembra più probabile e più fondata delle altre, ed ha riscosso an- cora il suffragio di uomini assai competenti dell’età nostra, come il Lan- zi"), ’Orioli*),il Gonestabile®),il Dennis*), ilNoél de Vergers?), il Fabretti°), il Vannucci ?), il Gozzadini *) ed altri molti di merito e di fama non minori. I Lidî giungendo in Italia vi trovarono un paese abitato, e popoli inol- trati nella via della civiltà. Essi ne accrebbero il benessere materiale e la cultura intellettuale, ma i semi da loro recati se fruttarono rapi- damente, fu perchè il terreno sul quale furono sparsi era acconcio a ri- ceverli e a farli prosperare. Il fondo della popolazione rimase qual era non modificato che lievemente sotto il rispefto delle origini, ma costumi, ordinamenti civili, e in parte anche la lingua °) tutto fu opera della con- quista. I popoli indigeni che dianzi abitavano l’Etruria (Liguri, Umbri e fors'anche Latini e Sabelli sulla destra del Tevere), e che vi durarono an- che quando gli Etruschi occuparono la contrada, composero co’ loro domi- natori una sola nazione. Rimasero dominanti per numero, soprattutto nella bassa classe del popolo, come invece nella classe aristocratica dei dominato- ri predominò semprel’elemento forestiero, che dopo molti secoli didominio dovelte anche propagarsi in più vaste proporzioni sul suolo della Toscana. Il racconto della venuta de’ Lidî in Italia, com’ è riferito da Erodoto, non è certamente accettabile in tutti i suoi particolari, e se può ammet- tersi per vero il fatto principale della colonia tirrenica in Etruria, ma- nifestamente favolose si debbono riputare tutte le parti accessorie della 1) Saggio di lingua etrusca e di altre antiche d' Italia per servire alla storia de’ po- poli, delle lingue, e delle belle arti. Roma 1779 — 2% ediz. Firenze 1823-25. 2) In varie Memorie pubblicate negli Opuscoli letterari di Bologna, nell’ Antologia ita- liana, negli Annali e nel Bullettino dell’ Istituto di Corrispondenza Archeologica, nel- lAlbum di Roma, ne Monumenti etruschi dell’ Inghiramî ed altrove. *) Della vita, studi ed opere di G. B. Vermiglioli. Perugia 1855, 4°, 20-26 4) The Cities and Cemeteria of Etruria. Londra 1848, I, XXXII. *) L’ Etrurie et les Etrusques, ou dix ans de fouilles dans le Maremmes toscanes. Paris 1862-4. ‘) Glossarium Italicum sub voce Etrusci. î) Storia antica d’ Italia, cap. III. ‘) Di un sepolereto etrusco scoperto presso Bologna. Bologna 1855, p. 35, 4°. °) Dico în parte anche la lingua, perchè non sembra improbabile che gli Umbri esercitas- sero non lieve influenza sull’idioma lidio; influenza che Lepsius considera piuttosto di- struttrice che rigeneratrice LIO tradizione. « Dicono i Lidî (così scrive Erodoto) che i giuochi in uso tut- tavia appo loro ed appo i Greci sieno un loro trovato, e che quando gl’in- ventarono mandassero pure coloni in Tirrenia, così circa a queste cose narrando. Sotto il Re Ati, figliuolo di Mane, forte carestia di vitto per tutta Lidia si sparse, ed i Lidî dapprincipio se ne passarono sostenen- dola: ma poi come non cessava il male, cercarono rimedio, escogitan- done chi uno, chi altro. Allora adunque s’inventò e de’dadi e degli alios- si e della palla e di tutti gli altri giuochi la specie, fuorchè quella dei sassetti, poichè di questi l’invenzione non si appropriano i Lidî. E inven- tatili contro la fame fecero in tal modo. L'uno de’giorni tutto intero gioca- vano, per non fare richiesta di cibo, e l’altro cibavansi cessando da’ gio- chi. Ma poichè il malore non dava sosta, bensì gli violentava vieppiù, così il Re loro, divisi in due parti i Lidî tutti, la dimoranza dell’una e la uscita dell'altra dalla contrada mise alla sorte, e a quella parte cui sarebbe toccato il restarsi, il Re propose sè stesso, e all'altra che partir dovea il figliuolo per nome Tirreno. Ora coloro cui toccò l’uscire del paese a Smirnediscesero,elà procacciatisi navilii, e soprappostovi quanto ad essi era opportuno pel navigare, proseguirono in cerca di vitto e di terra, infino a tanto che, oltrepassate molte nazioni, pervennero agli Um- bri, e quivi si fabbricarono città le quali abitano sino al dì d'oggi. Ed allora invece di Lidî, mutata l’appellazione a cagione del figliuolo del Re che gli avevaguidati, edaluiderivandoil soprannome, Tirreni si domandarono » *). Questa narrazione, come abbiamo detto, vuolsi accettare nella sua generalità, ma non è ammissibile in tutte le circostanze che 1’ accompa- gnano. Che i Lidî passassero diciotto anni alleviando i mali della fame col gioco anzi che col lavoro, è un assurdo puerile, come probabilmente poetica finzione deve ritenersi quel Tirreno che fu il duce della colonia e diede il nome alla gente, ma che i Lidî travagliati dalla carestia man- dassero una parte di loro a cercar ventura in altri paesi è fatto che nean- che la più severa critica può rigettare , e noi, fra coloro che |’ oppu- gnano non abbiamo trovata alcuna seria ragione che potesse dissuaderci dall’accettarlo. E però ammettendo la venuta de’Lidî o Tirreni dall'Asia Minore in Italia, domandiamo alla storia: chi erano cotesti Lidî che, lasciata la terra natale, vennero a porre lor sede nel cuore della nostra Penisola? Io credo che a questa domanda non sia possibile di dare una risposta adeguata, avvegnachè tacendo gli antichi sulla origine lidia, e non essendosi fin qui l’idioma che essi recarono in Etruria potuto com- ?) Erodoto, C4io, I. 94. — Tyaduzione di A. Mustoxidi. parare con alcuno dei sermoni per noi conosciuti, non si possono avven- turare se non congetture, delle quali la mente avida del vero non si ap- paga, nè la critica istorica può mostrarsi punto soddisfatta. Nondimeno raccogliendo le sparse notizie che ci è possibile riunire intorno a quel popolo, ci faccia mo lecito di esporle, sperando che non sieno per riuscire affatto inutili per le nostre investigazioni. Era la Lidia, patria originaria de'Tirreni, interposta fra la Misia, la Frigia e la Caria che la limitavano ad ostro, a levante ed a mezzogiorno. All’ occaso toccava il Mare Egeo per gran tratto di quel territorio che, colonizzato più tardi da’ Greci, salì col nome di Jonia a grande altezza nell’aurora della civiltà dell'occidente ”). Antico più che altro era il nome di quella regione, perciocchè se ne trova fatta menzione ne'ricordi egizî appartenenti alla XVIII. Dinastia , cioè quattordici secoli innanzi G. C., ove si descrivono le gesta di Sethei- Meneftha e di Ramesse II. che fecero molte conquiste nell’ Asia Minore, fra le quali va annoverata quella della Terra di Ludenu, ovvero la Terra dell’alto, e la Terra del basso Luden ?). Omero non parla de’ Lidî con questo nome, ma sì li chiama Meonî, perciocchè i Lidî si dissero anche Meonî, quantunque non si possa de- cidere se l’appellazione di Meonia appartenesse a tutta la Lidia, o fosse invece limitata a quella sola parte di essa confinante con la Caria, e al- l'altopiano del Caistro. I nomi de’ primi Re Lidî, fra i quali contasi un Ercole, sono in gran parte, se non in tutto, divini od eroici. L'impero della Lidia si estese quando più, quando meno anche sui popoli vicini, e ai tempi di Creso comprendeva sotto il suo dominio, oltre a' Greci Eoli, Joni e Dori, i Misi, i Mariandini, i Calibi, i Paflagoni, i Tini ed i Bitini Traci, i Cari ed iPanfili. Varie razze di popoli componevano quel vasto aggregato di nazioni: Ariani, Semiti e Turaniani; ma Ja Lidia, la quale dividevasi in Lidia propriamente detta, dalle frontiere della Misia fino allo Tmolo, e in Torrebia, dallo Tmolo a'confini della Caria, era congiunta etnicamente con quelle due regioni confinanti. I Misi anzi venivano considerati come coloni lidi, usciti di patria in cerca di miglior vita e di più agiata sus- sistenza *), e i tre popoli, quasi a ricordo della loro fratellanza origina- ?) Strabone asserisce (XIII, IV) che a’ suoi tempi i limiti della Frigia, della Misia, della Li- dia, della Caria si confondevano fra loro, e non potevano essere facilmente determinati. Conf. Maury, Zistoire des Religions della Grèce antique, t. 111. 74 e seg. 2) Gliddon, în Indigenous Races of the Earth ; Philadelphia, 1857, p. 538. °) Erodoto, Polinnia, 74. — Strabone XII, VII ,,8. — 09T=- ria, avevano in comune festività religiose nel tempio di Zeus Cario a Milasa ‘) Strettissimi erano eziandio i rapporti etnici de’ Lidi co’Frigi, i quali si chiamavano anche Meoni come i Lidî, ed un Meone re si raccoglie da Dio- doro che avesse pure governata la Frigia. Il Dio supremo della Frigia chia- mavasiAti come uno dei primi re Lidi. Il culto di Cibele era generale tanto in Lidia che inFrigia, ed una tradizione faceva Cibele figliuola di Meone re di Lidia ?), mentre un’altra pretendeva che Ati fosse stato un Lido che aveva insegnato a’ Frigi e a’ Samotraci i misteri della madre degli Dei °). Gli abitanti di cotestefinitimeregioni dice Erodoto che erano 6uéyAes- sot; cioè che parlavano un medesimo idioma che Omero chiama bar- baro, come ci fa intendere allorchè dà ai Cari l'epiteto di fapfspogeyoî *). Ora quella barbara favella poteva essere un sermone in cui fossero com- misti elementi ariani e semitici, perciocchè Platone ci ha dimostrato , che i Frigi avevano molte parole comuni col greco, e i nomi proprî dei Re Lidî Sadiatte, Miatte, Aliatte hanno fisonomia evidentemente semitica *). D'altronde i Carî, per quanto se ne può giudicare, erano cananei, e tali anche gli altri popoli che si distendevano dal versante meridionale del Tauro sino al mare, cioè gli Erembi, menzionati da Omero ‘) nella Ci- licia, la quale Strabone assicura *) essere già stata un tempo abitata dai Siri (e per vero le monete cilicie formano una classe a parte nella numi- smatica fenicia, e rivelano in questo paese uno sviluppo semitico parti- colare *) , e i Solimi antichi abitanti della Licia, della Panfilia, della Pi- sidia °), i quali, secondo sappiamo da Giuseppe, favellavano un’idioma analogo al fenicio *°). Non vi ha però alcuna notizia certa che questi po- 1) Erodoto, Clio, 170-1. 2) Diodoro Siculo, 111-58. *) Luciano, De Dea Syra,$15 — Conf.Noèl des Vergers, l Etrurie et les Etrusques I. 136. 4) Iliade , Il, 867. 5) Rénan, Mistoire générale et système compare des langues semitiques. p. 45. 6) Odissea , IV, 84. 7) Geograph. XIV , IV, 27. ‘) Gesenius, Monum. Phenic.p.275e ses.—De Luynes, Essai sur la Numismatique des Satrapies, 1816, p. 55. — Rénan, op. cit. p. 45. 9) Omero, Iliade VI, 184 — Odissea V, 282. 1°) Contra Apionem, 1, 22.— Eusebio, Praepur. Evangel. IX—Ved.Fellow, Ax ac- count of discoveries in Lycia—Grotefend nel Zeitscriftfir die Kunde des Morgenland. t. IV. — Lassen, Veber die lykischen Inschriften, und die alten Sprachen Eleinasien, nel Zeitschrift der Morgenland. Gesellschaft. ete., X. MEC) ea poli parlassero un identico linguaggio, ma sembra invece probabile che i lor sermoni, quantunque aflini, fossero pure fra loro distinti, e forse neanche vicendevolmente intelligibili. Tutti cotesti indizî ci fanno propendere alla opinione, che se la nazione lidia non era allo intutto semitica, conservava non pertanto una for- tissima dose di sangue cananeo. Gli stessi nomi de’ loro primi re (Mane, Ati, Lido, Ercole) nascondono un senso storico, e dimostrano in Ercole che succede a Lido l’immistione della stirpe pelasgo-ellenica (sia che muovesse dall’Àsia stessa, sia dall'Europa) rappresentata da Ercole ’) con la razza aborigena personificata in Lido, eponimo del paese di Lidia, la quale razza rimase in possesso della maggior parte del suolo, limitandosi le occupazioni forestiere agli avvallamenti dell’Ermo e del Caistro, ed alle spiagge littorane ed isole adiacenti. Ma i Lidî, anche quando cresciuti in potenza, ebbero spenta la indipendenza de’Greci Asiatici, non frapposero mai ostacolo al loro libero sviluppo, nè quale era la prima volta che questi vi giunsero, nè quale poscia si continuò per molto tempo. L'influenza el- lenica sì sparse fin d'allora su tutte le contrade dell’Asia Minore, men- tre gli Asiani stessi, dal canto loro, esercitarono anch'essi un influsso notevole sul carattere greco, modificandone le manifestazioni religiose, e prestando anche un'importante concorso alle prime origini della scala musicale greca. Venuti adunque i Tirreni od Etruschi dalla Lidia in Italia, vi si este- sero rapidamente con le conquiste. Popolo forte, e vago d’imprese guer- resche, poterono vincere facilmente gli altri popoli ed ampliare l’im- perio. Si volsero dapprima contro gli Umbri circa cinque secoli avanti la fondazione di Roma ?), e prese loro trecento terre gli obbligarono a restringere in più angusti limiti la loro dominazione. Ma la catastrofe degli Umbri diede agli Etruschi con istabile fonda- mento di potenza anche l’ opportunità di ordinarsi a miglior vita politi- ca. Perchè già possessori di tutto lo spazio intra l'Arno ed il Tevere, occupanti la marina del Tirreno, e signori di ferlile e ricco paese quivi attesero a darsi stato ed a legittimare il diritto della forza con regolato dominio *). Nella loro acconcia e quasi centrale posizione di paese, ado- 7) 1l vero nome dell’Ercole Lidio è Sandon o Sandan, onde 'Oppert crede che possa es- sere stata, non una divinità ellenica, ma una divinità verosimilmente assira (Etudes assyres, p. 181). Questa stessa origine è sostenuta dal Movers e da O. Miiller. 2) Dionigi,I, 27—Varrone citato da Censorino XVII, rapporta l'avvenimento al 434 avanti la fondazione della città. 5) Micali, VII, 106. are perandosi civilmente e per terra e per mare, si renderono in breve tem- po audaci sopra ambedue : s' ammaestrarono più facilmente mediante i commerci dilatati per altre contrade, ed insieme coll’uso di nuove fogge di vita, e con nuove arti; ed ordinatovi una volta stabilmente da’ loro savî il governo politico, il valor che reggeva la loro fortuna li trasse di là ad occupare nell’Italia Superiore ed Inferiore le più belle regioni, ed a fondarvi per opera d'armi e di consiglio due nuovi Stati *). Così padroni delle riviere marittime dal Tevere fino a Luni, e possessori d’ Adria nel Mar Superiore, e signori di buona parte dei lidi della Campania poterono darsi virilmente alle arti marinaresche, nelle quali divennero sì valenti da potere non solo contrastare ai Greci ed ai Fenicî il dominio del Me- diterraneo, ma di tentare ancora più ardue navigazioni per l’ Atlantico, e di condurre una loro colonia in una delle Isole Fortunate °). E se illustri furono le loro imprese guerresche, se floridi i loro com- merci, prospera l’agricoltura e l'industria, del pari nelle arti belle emer- sero gli Etruschi valenti, vuoi nell’architettura e nella scultura, vuoi nella fusoria, nella plastica, nella pittura. Imperciocchè se guardiamo la prima di dette arti, potremo affermare che l'architettura venne dagli Etruschi trattata con ingegno, con gusto, con magnificenza, con varietà e bellezza non facilmente superabili. E più grande si farà la maraviglia in chiunque si volga a considerare i monumenti dell’arte etrusca per poco che prenda di mira la plastica, la fusoria, la toreutica, nelle qua- li, meglio che nella scultura in pietra, piacevansi i primitivi artefici to- schi. E se alcuno credesse che l’artistica cultura degli Etruschi non po- tesse dirsi egualmente splendida nella pittura, ben può torsi d’inganno volgendo uno sguardo alla serie innumerabile de’ vasi che possediamo, e penetrando per entro alle tombe di Tarquinia, di Cere, di Chiusi, di Vejo potrà notare in quelle pitture murali il buon gusto, la purezza e semplicità del disegno, il vigoroso pensiero, e l'armonia in generale che _regna in quelle composizioni. Nè ciò bastando, non si può certamente non acclamarli anche sotto questo aspetto maestri, quando si sta dinanzi alle pitture di Vulci, ove anche per la maniera, per lo stile, pel colorito, si trovano dipinti mirabili, in guisa che non si potrebbe a meno andar conla mente a compararli co’ nostri capilavori del quattro e del cinquecento *). 1) Micali, VII, 107. 2) Forse Lancerota, 0 Fuente Ventura, la più prossima al Continente. Ved.Gosselin, Récherches sur la Géographie des Anciens , 1,145 — Micali, XX, 11, 52. Î) Conestabile, Degli Etruschi e dell’ Agricoltura, dell'Industria, delle Belle Arti presso î medesimi. Discorso. Perugia 1859, p. 29-34. Atti — Vol. IV.— N.0 13 4 smog Questi numerosi monumenti superstiti, mentre aggiungono pruova alla testimonianza degli antichi che ci favellano dell'eccellenza degli Etruschi in ogni genere di cultura, ci dimostrano ancora quanta parte avessero nella loro civiltà le idee dell'Asia portate da' Tirreni nella loro emigrazione. « Quando partirono dall'Asia Minore avevano già profon- damente sentito |’ influsso orientale, e quindi alla nazione che com- posero, mescolandosi altre genti trovate in Tirrenia, dettero un’indole e una fisonomia particolare che la distingue dagli altri popoli italici. Quello che ci rimane della civiltà primitiva degli Etruschi attesta che i suoi fondamenti furono le idee della Grecia pelasgica e dell’oriente, quantun- que in appresso l’elemento orientale sparisse per dar luogo all’ellenismo *). Molti de’costumi etruschi, la costituzione sacerdotale, il sistema cosmo- gonico e il fatalismo ci ricordano i costumi, le costituzioni e le religioni dell'Asia. Di ciò attestano le loro pitture, i bassirilievi e altri monumenti che rappresentano ora simboli schifosi come larve e facce scontorte, ora pompe religiose e cerimonie del culto, ora liete danze e sontuosi ban- chetti, ora la lotta de’ due genii dell’uomo, quello del bene e quello del male, mito tutto orientale che s’ incontra sui monumenti babilonesi e persepolitani. Sopra alcuni vasi sono figure che ricordano l’arte fenicia: vi sono animali simbolici e ornamenti fantastici presi dal regno vegetale e animale, e bizzarramente accoppiati: poi personaggi mitologici che mostrano un sistema religioso differente da quello de’ Greci, mentre da altra parte greci sono la più parte degli argomenti trattati dagli artisti di Etruria. I simboli orientali appariscono frequentissimi negli ipogei di Corneto, di Chiusi, di Vulci, di Tarquinia, di Cere, di Alsio, di Pirgi, di Nola e di altri luoghi moltissimi. La forma stessa de’ sepolcri tagliati nel 1) (Anche il Lanci) Parere di M. Angelo Lanci intorno alla iscrizione della Statua To- dina del Musco Vaticano, Roma, 1837) distingue tre periodi nella vita civile degli Etruschi; 1. Quando gli elementi Fenico - Lidì giunsero in Italia; 2. Quando i Greci ottennero di me- scolarsi con essi dopo la venuta di Demarato ; 3°. Quando mitologia , lettere e lingua greca vi predominarono. Così pure il Lenormant distingue nella civiltà etrusca une phase asia- tique, une phase chorintienne, une phase athenienne. Imonumenti (continua il dotto fran- cese in un discorso letto nell’adunanza pubblica delle cinque Accademie dell’Istituto di Fran- cia, il 2 maggio 1844)hanno scioltalaquestione in favoredi quegliscrittori che nell’antichità aveano data origine lidia al popolo che dominò nell’Etruria. Un legame certo unisce le più antiche produzioni etrusche con ciò che noi conosciamo dell’arte che fioriva in un lontanis- simo tempo sulle rive dell'Eufrate. Non si sa veramente in qual tempo gli Etruschi sono ve- nutidall’Asia, ma si riconoscono con Erodoto e con Tacito, come lo smembramento di una nazione asiatica, alla quale la pratica delle arti del disegno era già familiare al tempo della sua migrazione. = tufo è analoga a quella de’sepoleri che si trovano in Frigia, in Lidia e in altri luoghi dell’Asia Minore *). L’interno degli ipogei, la disposizione e la struttura de’ monumenti si riferiscono in modo evidente allo stesso sistema di architettura, e la qualità degli ornamenti ivi trovati ha, e nello stile e nelle cose che rappresentano, l'impronta delle idee e della civiltà primitiva dell’Asia recate in Italia dai Pelasgi e da’ Tirreni *). E Ja numismatica stessa offre reminiscenza di ciò. In alcune monete umbre sì vedono tracce del culto orientale degli astri nella rappresentazione del sole e della luna °),come altri siffatti simboli colle medesime idee si tro- vano in altre monete dell’Italia centrale » 4). Ma vanamente, rifletteil Micali,senza buone leggi e senza permanenti discipline sarebbesi l’ Etruria tanto innalzata di laude e di stato, onde la vediamo ordinata in una lega formata dalle loro dodici città principali che erano capitali di altrettanti stati indipendenti, e reggevano ciascuna sotto la sua giurisdizione le minori terre, e riunivansi per mezzo di de- putati in conclave solenne presso il fano di Voltunna “), onde risolvere i più importanti affari della nazione comune. Una suprema autorità o Lucumo- ne, mutabile annualmente, presedeva ciascun popolo con potere quasi regio, ed uno di essi veniva eletto in comune a capo della lega de’ dodici popoli confederati, ed era ad un tempo generalissimo in guerra e gran sacer- dote °). Il forte di ogni città rappresentava una poderosa aristocrazia pri- vilegiata del diritto degli auspicî e conservatrice dell’ordine politico. Fin- 1) L’Architetto Luigi Canina nel 1843, prendendo occasione dalle scoperte fatte dallo Stewartin Frigia e in Lidia, notavalagrande analogia che è nella parte ornamentale di quei monumenti con quelli dell'Etruria, e anche cogli ultimi scoperti a Vejo: e ne traeva argo- mento a ricordare quanto bene fondata sia l'opinione che fa venire di Lidia gli Etruschi. Ved. il Bullettino dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica del 1843, p. 74. ?) A schiarimento di ciò si può vedere Dorow, 7oyage archéologique dans l’ancienne Etrurie; Paris 1829; Micali, Monumenti inediti a illustrazione della storia degli anti- chi popoli italiani; —le Relazioni delle ultime scoperte a Cere, a Tarquinia, a Vulci, a Chiusi, ec., negli Annali e Bullettino dell'Istituto dì Corrispondenza archeologica, e gli articoli del Raoul Rochette nel Journa! des Savans dal 1830 in poi. *) L’Aes grave del Museo Kirckeriano, ovvero le monete primitive dell’Italia media ordinate e descritte da Marchi e Tessieri. Roma 1839- ‘) Vannucci, Storia dell’ Italia antica, 1, 77-79. °) Era in Volsinio, oggi Bolsena. Hl Miller—(Ztrusken,I,lib.HI, cap.1,% 4 ) lo suppone vicino al Tevere fra Ameria, Volsinio e Falerii; e il Dennis /7he Cities ete., of Etruria I, 918-21) presso l’attuale Montefiascone 5) Lucumones in tota Tuscia duodecim fuisse manifestum est, ex quibus unus omni- bus imperavit. Servio VIII, 475, — X, 202. SEZ tantochè gli Etruschi rimasero a questo modo uniti nelle imprese acqui- starono grande potenza, laddove in progresso di tempo, discioltosi quel- l'ordine di governo, le ciltà divise cederono l’ una dopo l’altra all’ardi- mento de’ vicini *). Sorpresa l’ Etruria innanzi tutto dalle orde galliche di Sigoveso, Belloveso ed Elitovio perdeva le sue conquiste al di là del- Appennino; assaltata quindi ne’ possedimenti campani dalle armi unite delle greche colonie e dei Sanniti si trovava ridotta, nel IV. secolo di Roma, a tal punto di dissoluzione, da non rimanere a rappresentante del tosco imperio che la sola Etruria Centrale. Ma già il fato della città eterna pesava inesorabile sopra questa nobile nazione. Combattuta nel 444 a Vadimone venne in quella memorabile giornata ad essere per sempre stabilita la sorte dell’Etruria. Soggettata a Roma, le sue memorie, le sue scienze, le sue arti migliori, la lettera- tura perirono; la lingua e le glorie latine offuscarono la lingua e le glo- rie etrusche. I Greci non ne parlarono più che come di corsali e scape- strati; i Romani come di aruspici e di artisti; e fra gli stessi Etruschi la dominazione altrui soffocò fin le memorie delle virtù degli avi, null’altro lasciando che il desiderio di divenire all’intutto romani ?). 1) Strabo, V, II, 2. — Servius, VII, 65. 2) Ecco in quali lugubri accenti è cantata questa speranza da Virgilio,dopo essere stata distrutta la sua patria che era una delle colonie più belle dell’ Etruria: Aspice convexo nutantem pondere mundum, Terrasque, tractusque maris, caelumque profundum, Aspice venturo laetentur ut omnia seclo! Eclog. IV ,50-2 == III. GCranî etruschi La conoscenza delle forme del cranio etrusco ha una grande importanza per l’etnografia dell’Italia antica, perciocchè dalla forma di quel cranio sì può fino ad un certo punto giudicare delle relazioni etniche degli Etru- schi con le rimanenti popolazioni italiane. Noi potremo da questa com- parazione dedurre con molto fondamento di vero se, e quanto le altre genti italiche fossero affini alla etrusca, e non trovando somiglianza di conformazione fra i teschi etruschie quelli degli altri popoli della Penisola, potremo, sempre per via di confronti, andar ricercando se fra le nazioni più cognite dell'antichità pur se ne trovi alcuna, che sotto il rispetto cra- niologico abbia con l’etrusca la ricercata affinità. Problema di ardua so- luzione è cotesto , ma il tentare di scioglierlo è l’obbietto finale delle presenti ricerche, le quali ove non raggiungano il desiderato fine, sa- ranno , lo spero, d’incitamento ad altri antropologi, a' quali auguro mi- glior successo, quando io non possa essere felice in queste mie investi- gazioni. Parecchi e distinti uomini presero ad obbietto de'loro studî i cranî de- gli Etruschi, e dobbiamo saper loro buon grado, se ce ne diedero figure ed esatte descrizioni. Primo ad occuparsi in questo argomento fu il ch. cav.Antonio Garbiglietti,che penetrato della importanza dello studio comparativo de’ crani appartenenti alle varie razze delle quali si compone la vastissima umana famiglia, non lasciò che andasse perduta per la scienza antropologica la opportunità che gli si offeriva di avere fra le mani un teschio etrusco, e pubblicavane un'elegante memoria che fu letta in- nanzi al 2° Congresso degli Scienziati italiani radunatisi in Torino nel 1841 2). Il Garbiglietti era venuto inpossesso di quelcranio mentreera in Ro- ma medico della R. Casa di S. M. la Regina vedova Maria Cristina di Sar- degna. Egli stesso lo aveva raccolto in una tomba di Vejo aperta il 17 maggio 1839, e fu la sola parte dello scheletro che gli fu possibile di 1) Brevi cenni intorno ad un cranio etrusco. Torino 1841, in 8°, con tav. BR E conservare, essendo le rimanenti ossa divenute talmente friabili, che ap- pena toccate si ridussero in polvere. Dimostrò il Garbiglietti come quell’ipogeo appartenesse alla Vejo etrusca, enonallaromana, e comelasuaantichità dovesse essere anteriore alla presa di quella città fatta dal Dittatore Camillo nel 860 di Roma, dal che egli deduceva la vetustà del teschio non potere essere minore, nel 1841, di 2233 anni. Io debbo alla cortesia del Garbiglietti il poter riprodurre in questa Memoria la tavola da lui pubblicata, accompagnandola con altri due dise- gni dello stesso cranio de' quali sono debitore alla gentilezza del genero di lui, Sig. Conte Gioacchino Toesca di Castellazzo, gentiluomo che unisce agli studî severi che egli coltiva con successo un amore gran- dissimo per le arti belle. Con maggior copia di materiali raccolti dalle antiche tombe di Tarqui- nia, di Chiusi, di Cervetri e d’altri luoghi dell'Etruria il prof. Carlo Maggiorani prese ad illustrare i cranî etruschi comparandoli co’ ro- mani, e da queste indagini accurate egli trasse la conchiusione , che fra i due tipi craniali eravi una notevole differenza. Indicò inoltre i carat- teri proprî del cranio etrusco, fornì le misure di cinque di essi, ne pub- blicò figure, ne mise in piena luce tutte le particolarità che gli parvero più osservabili, e fece tal pregevole lavoro, che sarà sempre consultato con profitto da chiunque facciasi a studiare da senno la craniologia ila- liana *). Avendo ripetute le medesime osservazioni sugli stessi cranî etru- schi studiati dal prof. Maggiorani, ed avendole anche estese ad un maggior numero di teschi, io ho potuto trovar vero in ogni loro parte le descrizioni dell’antropologo romano, e di molte di esse ho potuto far te- soro nelle presenti ricerche, le quali io sono lieto di vedere concordì con quelle già divulgate dall’illustre prof. Maggiorani. Anders Retzius nou trattò diproposito deleranio degli Etruschi, ma nel suo Prospetto sullo stato dell’Etnologia sotto il punto di vista della parte ossea del capo, tenne opinione che fosse brachicefalo, tale giudicandolo dal cranio retico al quale credeva che appartenesse quella forma , per- suaso che i Reti fossero una propagine degli antichi Tusci penetrati nella Rezia durante la invasione de’Galli che li spodestarono dalle terre cisal- ') Saggio di studî craniologici sull’antica stirpe romana e sullaetrusca. Roma 1858 , 4° con tav. — Nuovo saggio di studi cranioloyici sull’antica stirpe romana e sulla etru- sca. Roma 1862, 4°, con tav. = pine). Matroppo deboli erano queste ragioni del Retzius per potere es- sere accolte dalla severità della scienza, onde il Baer, riprendendo a trat- tare l'argomento nel 1859, e pure ammettendo che i Reti fossero stati brachicefali, venne ad una sentenza affatto opposta a quella del Retzius, e giudicò gli Etruschi per gente dolicocefala interamente diversa da’ bra- chicefali Reti che gli parvero essere non Etruschi scampati dalle orde gal- liche, ma un popolo primitivo stanziato ab antico per le remotevalli delle Alpi retiche. « Non è da dimenticare, egli dice, che i varî cranî etru- schi che si conoscono presentano la più specchiata forma dolicocefala, come lo dimostrano le tavole del Maggiorani, il cranio di cui C. Bo- naparte arricchiva la Collezione di Parigi, e i tre altri che dal Re di Baviera furono donati alla Collezione del Blumenbach ?) ». A questo giudizio del Baer si aggiunse l’altro non meno autorevole di di R. Wagner, che investigando su maggior numero di teschi la vera forma del cranio etrusco, riconobbe del pari essere la dolicocefala , op- ponendosi così anch’egli a quanto sopra semplici congetture era stato asserito dal celebre antropologo svedese ‘). Non disconviene da questa opinione neppure l’eminente antropologo Pruner-Bey,che nel maggior numero de’teschi etruschi ha incontrato la forma dolicocefala. Que’ cranî brachicefali che pur si trovano, in mi- nor proporzione, commisti a’ precedenti negli ipogei dell'Etruria egli ') Blik auf den gegenwdrtigen Standpunkt der Ethmologie mit Bezung auf die Gestalt des Knòchernen Schiidelgeriistes, trad. in tedesco dal Peters, in Mller's Archiv, 1855— Ethnologische Schriften, p.139. Egli aggiunse nella nota I,a pag. 140 « Die Rhetier sind den brachycepalen Europtiern durch D". L. Steub Schrift: » Zur rhétischen Ethnologie, Stuttgart, 1854 hinzugefiigt worden. Der Verf. dieser interessanten Schrift hat histo- risch-linguistisch festgestellt, das die Rhitier Etrurie waren, welche vom nordlichen Ita- lien nach Tyrol und in die Schweiz einwanderten. Dass die Etrurier Pelasger, sowie dass die Pelasger ein turanischer brachycephalischer Volksstamm waren, glaube ich mit Bestimm- theit annehmen zu kònnen ». 2) « Es muss aber noch bemerket werden, dass manche KUpfe, welche man als Etruski- sche aufgestellt hat, die dolichocephalische Form wollstiindiger darstellen als die Abbildung von Maggiorani. Soder Kopf, welchen Ch. Bonaparte der Sammlungin Paris einverleibte, so auch die drei Kòpfe, welche der Kònig von Bayern der Blumenbaeb'schen Sammlung ge- schenkt hat. » C.E. v. Baer, Veber den Schéidelbau der Rheitischen Romanen, in Bul- letin de P Académie des Sciences de St. Petersbourg; 1859, I, 259. ) Zwar rechnet Retzius die Etrurier zu den Brachycephalen; aber die gewis èchten Schidel aus etrurischen Gribern, welche unsre Sammlung dem Kònig Ludwig von Bayern verdankt, sind dolichocepalisch, womit auch andre Berichte iibereinstimmen ». — Die cra- niologischen Elemente zur Begriindung einer historischen Anthropologie ete. Zoologi- sch-anthropologische Untersuchungen, Gittingen 1861, p. 13. 99 =—-— 08 — crede che si debbano riferire agli Iberi, i quali prima degli Etruschi, e durante la signoria di questi ullimi aveano sempre abitato nel suolo della Toscana”). Invece alLagneau pare più probabile (e le sue asserzioni pog- giano meno sopra osservazioni direlte, che sopra induzioni storiche) che i brachicefali predominassero in mezzo agli Etruschi, perciocchè egli am- mette che Pelasgi e Reti (brachicefali entrambi) concorressero in maggior parte alla formazione della nazione etrusca, mentre per la minor parte vi contribuivano i dolicocefali Semiti, che lasciarono vestigia di sè nelle necropoli, e il lor tipo fisionomico ne’ vasi e ne' monumenti funerarî °). Ma così non opinarono i distinti autori de’ Crania Helvetica, His e Rutimiayer, i quali non solo non ammisero pe'cranî etruschi la forma brachicefala, ma lo stesso cranio retico giudicarono di forma delicoce- fala; laonde s'egli è mai da cercarsi (essi dicono) una somiglianza fra il cranio degli Etruschi e quello de’ Reti, questa somiglianza non può rinvenirsi nel cranio brachicefalo, che non fu proprio nè degli uni, nè degli altri, ma sì nel dolicocefalo che fu comune a'Reti ed agli Etruschi °). « Si conosce oggi (così in altra scrittura uno degli egregî autori de’ Cra- nia Helvetica) un certo numero di cranî etruschi, e sono teste lunghe. Ne ho veduto anch'io due appartenenti al Museo di Gottinga, uno dei quali era prognato, l’ altro ortognato, ed avevano forme rotonde somi- glianti fino a un certo punto ad alcune delle nostre teste bastarde Stîon- Disentis. Finchè la testa de’ Reti primitivi passò per brachicefala, con- venne, come lo ha fatto il sig. de Baer, negare i rapporti fra essi e gli Etruschi conosciuli; ma ora che noi sappiamo che l’antico Reto, non men che l’Elveto antico, erano dolicocefali, noi potremo riprendere la quistione, ed io mi prenderò sollecita cura di raccogliere da ossuarî gri- gioni un certo numero di cranî rassomiglianti ad uno de’ due cranî etru- schi ch'io conosco ‘). Fin oggi, per quanto io sappia, il sig. His non ha comunicato altre osservazioni per la ulteriore illustrazione dell'argomento, ma invece nuove indagini sui cranî etruschi sono state pubblicate dal prof.C. Vogt, il quale ebbe la opportunità di studiare alcuni cranî etruschi del Museo ?) Bulletins de la Société d’ Antropologie de Paris, t. II, p. 448: ?) Bulletins cit., t. Il, p. 449. ‘) Crania Helvetica. Sammlung schweizerischer Schéidelformen. Basel u. Genf. 1864, 4°—Ved. le tavole in fine dell’opera che rappresentano sotto due aspetti diversi due cranî etruschi della Collezione di Gottinga. 4) His, Sur la population rhétique. Bulletins cit., 1864, p. 579-80. Lame Fiorentino, e ne fece argomento di una lettera antropologica che egli diresse al prof.B. Gastaldi di Torino nel 1865 *). Le sue osservazioni lo condussero a richiamare in onore la opinione già professata dal Ret- zius sul brachicefalismo del cranio etrusco, il quale, egli dice, é molto grande... e presenta in media l'indice cefalico di 82 » °). Fin qui le ricerche degli autori che si sono occupati più o meno se- riamente de’ cranî etruschi. La maggior parte di essi, e coloro soprat- tutto che ebbero agio ad osservarne un maggior numero, convengono nel crederli di forma dolicocefala, mentre il Retzius, il Lagneau, il Vogt sostengono la tesi opposta, e li stimano di forma brachicefala. Noi aggiun- gendo altri materiali al patrimonio della scienza osiamo sperare di poter contribuire a rischiarare un argomento così controverso, e giovare ad un tempo alla conoscenza di un popolo che salì in Italia a tanta altezza pri- ma che il gran nome di Roma oscurasse tutte le altre glorie italiane. Diciannove sono i cranî etruschi che noi abbiamo studiato, o di cui conosciamo solamente alcune misure. All infuora de’ due teschi della Collezione blumenbachiana di Gottinga, de’ quali ignoriamo la prove- nienza, gli altri provengono da Vejo, Cere, Tarquinia, Vulci, Chiusi, Pe- rugia, Volterra. I cranî di Chiusi e di Volterra sono conservati nel Mu- seo di Storia Naturale di Firenze, e furono descritti dal prof. Vogt nella citata lettera al Gastaldi; quello di Perugia, stato già nelle mie mani, fa ora parte dell’ insigne Collezione craniologica del Dott.J. B. Davis, e fu pubblicato nel Thesaurus Craniorum di questo illustre Antropologo °). Il teschio di Vejo, del Museo antropologico della R. Accademia Medico- Chirurgica di Torino, è quello stesso che forniva argomento alla bella Me- moria del cav.Garbiglietti, ed uno diCere si conservanel Museo di Zoo- logia ed Anatomia Comparata dell’ Università di Roma. Tutti gli altri appartenevano al prof.Maggiorani, ed ora formano, per generoso dono dell’ illustre professore, il più bello ornamento della Collezione Antro- pologica della R. Accademia Medico-Chirurgica di Torino. I diciannove teschi sono tutli maschili, ad eccezione di quello di Pe- rugia che è di sesso femmineo. Ve ne sono di tutte le età, fra i 25 e i 65 anni. Sono privi della mascella inferiore, tranne quelli di Vejo e di Perugia, che sono quasi completi in tutte le loro parti. Si dividono in 7) Su alcuni antichi crani umani rinvenuti in Italia cit. *\bid:31pi77ò °) Thesaurus Craniorum. Catalogue of the Skulls of the various races of Man in the Collections of J. B. Davis. London, 1867, 8°, p. 85. Atti — Vol. IV. — N.° 13 65) MS) 105 dolicocefali (12) e in brachicefali (7), nella proporzione su cento di 63 de’ primi e 87 de’ secondi. Fra otto cranî di Tarquinia due soli sono brachi- cefali. De' due di Vulci, l’uno è brachicefalo, l’altro è dolicocefalo. I rimanenti brachicefali sono di Chiusi, Perugia e Volterra, ed uno della Collezione del Blumenbach descritto ne'Crania Helvetica da His e Ru- timayer. Un cranio di Tarquinia (dolicocefalo) dell’età probabile di 65 anni conserva persistente la sutura mediana della fronte. Nel cranio di Vejo è osservabile una singolare anomalia già descritta dal cav. Garbiglietti, e consistente in una sutura che divide orizzontalmente in due parti di- suguali entrambe le ossa zigomatiche, e si stende quasi parallela al mar- gine inferiore della superficie facciale dell’ osso, dalla connessione di questo col mascellare superiore all'altra connessione coll’apofisi zigo- matica del temporale *). Studiando il cranio etrusco nella sua forma particolare, i seguenti mi sembrano essere i caratteri che gli son proprî, e che lo distinguono da- gli altri cranì conosciuti. Per avere un termine di confronto, io lo anderò paragonando col cranio romano, e questa comparazione sarà tanto più utile, in quanto che, essendo stati gli Etruschi finitimi a' Romani, e sem- pre stretti di relazioni con essi fin da'tempi anteriori alla fondazione della città, a niun altro popolo della Penisola potrebbero essere considerati più affini, onde la loro somiglianza o dissomiglianza sarà anche argo- mento a poter giudicare delle loro reciproche attinenze e divergenze et- niche. Il cranio etrusco di poco inferiore in grandezza al romano, si presenta nel suo insieme di aspetto che può dirsi muliebre, poco o niuna essendo la ruvidità della superficie delle sue ossa, poco rilevate le apofisi, lieve la sporgenza delle linee e delle creste, quasi sempre incerti e tondeg- gianti gli angoli. Le sue ossa hanno ancora una spessezza minore di quella del cranio romano, e il peso totale del teschio è inferiore al peso del te- schio romano. Il cranio etrusco, privo della sua mascella inferiore, pesa in media 540 grammi, il romano 650 grammi. Raro è il caso d’incontrare nel cranio etrusco la obliterazione di qual- che sutura, rarissima la presenza di ossa wormiane, mentre all’opposto nel romano frequente è la sinostosi delle sue suture, anche in teschi giovanili, e comunissime vi sono le ossa Wormiane. !) Garbiglietti, Di una singolare e rara anomalia dell’osso jugale, ossia zigomati- co. Torino 1866, 8°, con tav. Carro La norma laterale (norma lateralis) non ci offre nel contorgo del cra- nio etrusco quel dolce profilo della calvaria del romano dalla sutura naso- frontale alla tuberosità occipitale, ma la linea che la circoscrive nella superiore sua parte, abbassandosi sulla fronte, corre quasi orizzontale pel sommo della testa, e declina quindi rapidamente, dopo le gobbe pa- rietali, in direzione obliqua sulla protuberanza occipitale. Dalia quale conformazione risulta manifesta la prevalenza delle parti posteriori del teschio sulle anteriori, la quale è resa anche più evidente, se posto il cranio privo della mascella inferiore sopra un piano orizzontale, si sol- levi una linea perpendicolare che passando pel forame uditivo ne tagli un’altra che sia diretta orizzontalmente dalla glabella alla protuberanza occipitale. Le due porzioni preauricolare e postauricolare divise dalla linea verticale, comparate fra loro, lasciano vedere egualmente di quanto la prima sia superata dalla seconda negli Etruschi, mentre ne’ Romani questa è vinta costantemente da quella. Ritenendo la linea postaurico- lare equivalente a 100, le proporzioni della linea preauricolare sono in media : ne’ cranî etruschi . .. 87 » PENZE ODIA] 1, a AO Questo predominio della parte anteriore della calvaria sulla posteriore nel cranio etrusco, in confronto del cranio romano, è reso anche osser- vabile dalla comparazione delle curve aure-frontale ed aure-occipitale di entrambi i cranî. L'arco aure-frontale dell’ etrusco supera appena i 13 millimetri l'arco aure-occipitale, mentre nel romano la differenza giunge fino a 26 millimetri. Il cranio romano vince nella lunghezza del- l’arco frontale di 9 millimetri il cranio etrusco, ma questo invece lo su- pera di 4 millimetri nella lunghezza dell'arco aure-occipitale. Le misure delle due curve sono in entrambi i cranî: 9 Arco Aure-frontale etrusco. . . . 296 romano. . . . 805 ipi { lecito 2 Arco Aure-occipitale . etrusco 283 TOMano:.. + I rapporti fra le due curve, considerato l'arco aure-frontale come 100, si traducono nelle seguenti proporzioni : ce Arco Aure-sfrontale ETRE RR RRI00. sr CErUSscCosi Arco Aure-occipitale dr 95 romano rs R0e9] Questa preponderanza nella porzione postauricolare del cranio etru- sco in confronto del cranio romano è spiegata tanto per la direzione ge- nerale delle ossa verso la parte posteriore della calvaria, quanto per la lunghezza dell'osso occipitale, che misurata negli Etruschi suol riuscire superiore a quella dell'osso corrispondente de’ cranî romani, laddove le lunghezze del frontale e de’ parietali sono invece sempre minori negli etruschi che ne’ cranî romani. La curva fronte-occipitale che dà la mi- sura della estensione totale della calvaria, e che ne’ romani è 8 millim. più lunga che negli etruschi, si divide ne’ due ordini di teschi nelle pro- porzioni seguenti. Curva fronte occipitale P. frontale P. parietale P. occipitale Etruschi: .. e Versa, INI Re DO 127 Romani! | 37. 881 1292020, ovvero, considerando come eguale a 100 la curva fronte-occipitale, le lunghezze delle sue varie porzioni vi corrispondono, in entrambi i cranî, nelle proporzioni come appresso : Curva fronte occipitale P. frontale P. parietale P. occipitale Grant Etcuschi.s,-T1002/493:01 7a A oa pil Romani.» 400a 65 887907 AR 920 Il cranio etrusco non presenta differenza, nell’altezza, dal cranio ro- mano. Piccole sono le apofisi mastoidee, poco visibili le linee semicir- colari del frontale e de’ parietali; poco apparenti quelle dell’occipitale, la cui protuberanza è lieve e per nulla rugosa, e la cresta occipitale e- sterna appena osservabile. Gli archi sopracigliari non sono molti rilevati, ma la radice del naso è depressa, e le ossa nasali alte e prominenti. Sporgente e prognato è il profilo del cranio corrispondente alla sua parte mascellare superiore, la quale mostrasi proiettata innanzi in un LIT grado più o meno considerevole dalla radice del naso fino all’orlo dei denti incisivi. Il prognatismo non si estende a tutto l’arco dentario, ma è limitato alla parte del medesimo che contiene gl’ incisivi e canini, e i soli primi denti molari. La mascella inferiore non partecipa punto di questo prognatismo. Gli alveoli de’ denti sopra menzionati sono inclinati anch'essi verso l’esterno, e i denti che vi s° impiantano, seguendo la stessa direzione, vanno a raggiungere i denti della mascella inferiore non perpendicolar- mente, ma sotto un lieve angolo d’ inclinazione. Ed invero, continuando sempre a guardare il teschio con la norma la- terale, ma collocato senza la mandibola sopra un piano orizzontale, si vede come poggino su quel piano i soli ultimi denti molari, mentre gli altri se ne allontanano di più in più gradatamente, seguendo la direzio- ne dell’orlo mascellare. Il cranio romano è talvolta anch'esso prognato, ma il suo prognati- smo non è che alveolare o dentario, essendo limitato alla sola arcata al- veolare, o alla parte dentaria che comprende i denti stessi, mentre nel- l’etrusco è tutto l'osso malare che prende parte al prognatismo, e che per questa sua particolare conformazione imprime al volto una fisono- mia caratteristica. Il processo zigomatico dell'osso frontale (e questa osservazione era stata già fatta dal Maggiorani) discende più in basso chenon faccia nel cranio romano, e il suo margine esterno, alquanto rotondato, si confon- de quasi col piano temporale, ed anche la linea per l'inserzione del mu- scolo di questo nome si rende quasi evanescente, e presto curvasi in arco. Nel cranio romano, al contrario, il margine summentovato è più tagliente, più staccato dal piano temporale, e la linea semicircolare, che è un seguito del margine anzidetto, percorre un limite ben definito, de- scrivendo ancora una curva più larga. Se guardisi il cranio etrusco dalla parte del vertice, o con la norma verticale (norma verticalis),il carattere principale che n’emerge è la for- ma particolare del contorno della calvaria. Essa rappresenta un ovoide molto più ristretto nella parte anteriore che nella posteriore, e confor- mato per guisa che dalla fronte, slargandosi gradatamente, va a raggiun- gere il suo maggiore sviluppo nelle tuberosità parietali che sono poste alquanto più indietro che non sogliano essere ne’cranî romani. La stret- tezza della parte anteriore della calvaria lascia vedere altresì distinta- mente l’ arcata zigomatica, la quale in taluni cranî apparisce altrettanto REI: a sporgente a'lati come ne’ cranî mongollici. La differenza tra il diametro dell'abside anteriore della calvaria misurato fra le linee semicircolari al di sopra degli archi sopracigliari, e il diametro interposto fra le gobbe parietali è di millim. 46, laddove nel cranio romano, il primo diametro è vinto dal secondo per soli millim. 34 Le proporzioni fra i due diametri, tanto nel cranio etrusco, quanto nel romano, sono le seguenti: GC. etrusco | GC. romano Diametro anteriore della calvaria. . . .... . 99 110 Diametro-biparietale. .-. . . Maia LS 144 Rapporto fra il 1° e 2° diametro Gann come 100. 69 76 La norma basilare (norma basilaris), ovvero il cranio guardato per la sua base, ci mostra come in questa sua regione, il cranio etrusco si ri- stringa in maggiori proporzioni che il cranio romano, e rendasi anche più tondeggiante che non soglia essere il teschio romano. Il diametro interauricolare, misurato fra i due pori acustici esterni nel cranio etru- sco,ilcui diametro interparietale di millim. 145, ha la lunghezza di 105 millim., mentre nel romano, che offre un diametro bi-parietale di 144 millimetri, l’interauricolare ha la larghezza di 111 millimetri. Anche il foro occipitale è nell’ etrusco alquanto più piccolo che nel romano, e i suoi orli che sogliono essere in quello scabrosi e diseguali, sì trovano essere negli etruschi più levigati e più eguali. Le apofisi stiloidi del temporale sono meno lunghe e meno robuste che ne’ cranî romani, e medesimamente più corto, men ricuryo e men forte è l’Ramulus pterygoideus della lamina interna dell’ apofisi pterigoi- dea, che nel cranio romano suol essere più forte, più IuAGoh e più ri- curvo a mo’ di uncino. Lo scheletro anteriore, o la norma prospettica o facciale del cranio (norma facialis) ci rivela ancora altre maggiori particolarità. Considerata nell'insieme, compresa la fronte, la faccia dell’Etrusco si presenta stret- ta, lunga e di forma ovale con l'abside inferiore, o mascellare assai più ristretto dell'abside superiore o frontale. La fronte non molto alta, e spesso fuggente, è stretta ed angusta nella inferior sua parte, ma larga ed espansa nella regione superiore. Note- vole è la sproporzione fra il diametro frontale al di sopra degli archi so- pracigliari, e quello misurato alla metà dell'altezza delle linee semicir- colari. Poco sviluppati sono i seni frontali, poco altresì prominenti le tube- — 39 — rosità frontali, le quali sono così ravvicinate fra loro, che in taluni cranî sembrano congiungersi insieme e formarne una sola nel mezzo della fronte; i processi malari più lunghi e più distesi in basso, ed anche volti più all’ esterno di quello che non si osservi negli altri cranî. Le orbite moderatamente grandi, più volgenti alla forma rotonda che alla quadrata, sono inclinate all’ esterno più che negli altri cranî, ac- compagnandosi a questa conformazione la inclinazione maggiore del pia- no orbitario dell’ osso malare. I zigomi si mostrano assai sporgenti di lato alle facce, non perchè essi veramente distassero molto fra loro, e molto esteso fosse il diame- tro interzigomatico, ma perchè la fronte più stretta al di sopra delle orbi- te, mettendo più in mostra quelle ossa, le lascia preponderanti in quella parte della faccia. Piultosto piccola che grande è l’arcata alveolare della mascella supe- riore; la sua forma più parabolica che circolare. I denti alquanto incli- nati al di fuori si accompagnano al lieve prognatismo di tutta la parte anteriore dell'osso molare. Le ossa del naso sottili e prominenti, ma l’apertura esterna della ca- vità nasale mediocremente alta e larga. La mascella inferiore non offre rugosità ed asprezze nella sua super- ficie. Il suo margine inferiore è tondeggiante, e poco o nulla si volge all’esterno intorno all’angolo che esso costituisce col margine poste- riore della branca ascendente. La forma della mascella si avvicina quasi alla triangolare, e le due branche laterali con linea quasi retta vanno a riunirsi al mento acuto e sporgente. La branca ascendente è piuttosto breve, ed impiantata ad angolo molto oltuso con la branca orizzontale. Se confrontiamo le misure delle varie parti della faccia dell’etrusco con le corrispondenti del cranio romano, vedremo singolari differenze fra l’ uno e l’altro cranio. L’altezza della faccia dalla sutura naso-frontale alla punta del mento è quasi la stessa in entrambi i cranî, essendo negli Etruschi di 120, e ne’ Romani di 119 millimetri. Intanto con la medesima altezza, i varî diametri frontali e facciali de’cranî etrusco e romano si differenziano granden:ente fra di loro. Il diametro frontale superiore (nella metà dell'altezza delle lince se- micircolari) che nell’etrusco è di 113 millim., nel romano è di 117; il Se e frontale inferiore, di 99 nel primo, e di 110 nel secondo. La distanza fra gli orli interni de’ processi zigomatici dell'osso frontale, che nell’e- trusco è di 102, nel romano è di 103 millim.; quella fra i centri zigo- matici è di 107 nel primo e di 1183 ne] secondo. La distanza fra gli orlì inferiori dell’ apofisi malare dell’osso:mascellare è nell’etrusco di 95, e nel romano di 100 millimetri. Il diametro intermascellare che negli etruschi è di 94 millimetri, ne’ romani giunge a 96 ;° il diametro inter- condiloideo che è di 105 negli uni, si allarga fino a 107 negli altri. La branca ascendente della mascella inferiore dall'angolo superiore alla sommità del condilo è dell'altezza di 56 millimetri nell’etrusco, e di 67 nel cranio romano. Le orbite offrono negli etruschi l'altezza e la lar- ghezza di 34 e 40, e ne’ cranî romani di 35 e 41 millimetri. I rapporti che quelle misure presentano, sia fra loro nello stesso cra- nio, sia fra i due ordini di cranî, comparati con la misura verticale del- la faccia considerata come 100, sono espressi nella tavola seguente. Altezza della faccia Diametro frontale superiore Diametro frontale inferiore Distanza fra gli orli interni de’ processi zigomatici del frontale Distanza fra i centri zigomatici Distanza fra gli orli inferiori dell’apofisi malare del mascellare Diametro intermascellare Diametro intercondiloideo Altezza del ramo ascendente Altezza delle orbite Larghezza delle orbite Cranî etruschi | 100/94,1[82,5|84,1|89,1[79,1|78,3|87,5|46,6)28,3|33,3 Cranî romani | 100|98,3|92,4|86,5/94,9/83,9/80,6|89,9/57,1|30,2|34,4 a Noi non abbiamo potuto misurare le capacità de’ cranî etruschi che in soli sette di essi, de’ quali uno di Vejo, due di Cere, tre di Tarquinia , ed uno di Perugia, cranî tutti maschili, ad eccezione di quello di Peru- gia che, quantunque femmineo, pure raggiunge una grandezza non infe- riore a quella de’ cranî virili.La capacità cubica di questi cranî è abba- stanza notevole, giungendo in media a 1501 centim. cubici. Importando di conoscere a qual peso del cervello corrispondano i 1501 centim. cubici del cranio etrusco, abbiamo dedotto dal volume anzidletto, che equivale ad un peso corrispondente di 1501 grammi di MAN acqua distillata, il 15 per 9% come tara del peso della dura madre, dei fluidi delle membrane e de’ ventricoli, e del sangue contenuto nei vasi, ed abbiamo convertito il peso residuale in materia cerebrale, la cui gra- vità specifica è noto essere stata determinata da uomini competenti a 1040. Così il cranio etrusco, con una capacità media di 1501 centim. cubici conteneva un cervello del peso di 1327 grammi, peso poco al di sotto del medio de’cranî europei che l'illustre J. B. Davis valutava a 1367 grammi *). I caratteri che noi abbiamo esposti come proprî del cranio etrusco so- no più spiccati ne’cranî dolicocefali che ne’ brachicefali, ma lo stesso tipo è osservabile in entrambi gli ordini di cranî, e le misure che si tro- veranno registrate nella tavola mostreranno gli stretti rapporti che esi- stono fra le due forme craniali degli Etruschi. Intanto dalla compara- zione che noi siamo venuti fin qui facendo fra il cranio etrusco ed il ro- mano ci siamo fatti cèrti, che i due cranî si differenziano fra di loro, che l’etrusco non è il romano, e che l’Etruria ebbe altri elementi etnici che non furono quelli che ebbero stanza nelle contrade al di qua del Tevere. Riassumerò, per essere più chiaro, in poche parole i caratteri distin- tivi fra il cranio etrusco ed il.cranio romano. Caratteri del cranio etrusco 1. Il cranio etrusco è dolicocefa- lo, l'indice cefalico medio ottenuto dalle misure di diciannove cranî essendo 78,0. 2. Spesseggiano fra di essi anche i cranî brachicefali, ma il lor nu- mero è molto al di sotto di quello de’ dolicocefali, e si ragguagliano con questi nella proporzione di 37 per o: 9. Questi cranî non presentano Caratteri del cranio romano 1. Il cranio romano è dolicoce- falo, ilsuoindice cefalico medio ot- tenuto dalle misure di 50 cranî es- sendo 77,4. 2.I cranî brachicefali non sono infrequenti fra di essi, ma il lor nu- mero non oltrepassa in media il 30 DeL 8. La superficie del cranio roma- ?) Contributions towards determining the Weight of the Brain în different Races of Man. Philosophical Transactions, 1868. Atti. — Vol. IV.— N.° 13 BET O rugosità, nè sporgenze notevoli nella loro superficie. Le loro ossa sono piuttosto sottili, e il lor peso, senza la mascella inferiore, non su- pera, in media, i 540 grammi. 4. Rara è in essi la obliterazione di qualche sutura, e più rara anco- ra la presenza di ossa wormiane. o. La calvaria, vista dall'alto, si presenta della forma di un ovoi- de molto più ristrelto nel suo ab- side anteriore che nel posteriore, e la differenza fra il diametro del primo misurato fra le linee semicir- colari al di sopra degli archi sopra- cigliari, e quello del secondo mi- surato fra le gobbe parietali è co- me 69 a 100. 6. Gli archi zigomatici sporgono distintamente di lalo all’abside an- teriore della calvaria, e in taluni appariscono quasi altrettanto spor- genti come ne’ cranî mongollici. 7. Se il cranio si divida in due parti per mezzo di una linea che discenda perpendicolarmente dal vertice sul forame uditivo, la par- te che si vedrà predominante sarà quella che si trova al di dietro del foro acustico, d’onde-è evidente il predominio della posteriore sulla regione anteriore del cranio. 8. La fronte non molto alta e fuggente. Il suo diametro al di so- no è sparsa di asprezze e di rugo- sità. Le ossa sono spesse e pesan- ti, e il peso del cranio, privo della mascella inferiore, giunge in me- dia a 650 grammi. 4. Frequente è la obliterazione delle sue suture; comunissima quel- la della sagittale. Ovvia ancora la presenza di ossa wormiane, soprat- tutto di quelle corrispondenti alla fontanella laterale posteriore ( Fon- ticulus lateralis posterior Gasserii). 5. La calvaria, vista dall’alto, si presenta in forma di un ovoide con l'abside anteriore più ristretto del posteriore, ma le proporzioni fra il diametro del primo misurato fra le linee semicircolari al di so- pra degli archi sopracigliari, e quel- lo del secondo misurato fra le gob- be parietali è come 76 a 100. 6. L’arcata zigomatica o non è visibile affatto, o lo è appena di lato all’abside anteriore della cal- varia. 7. Se il cranio si tagli da una li- nea che discenda perpendicolare dal vertice sul forame uditivo, si troverà diviso in due metà disegua- li, preponderando evidentemente l'anteriore sulla posteriore regio- ne del cranio. 8. La fronte è mediocremente al- ta e retta. Il diametro della stessa DAI, TR pra degli archi sopracigliari è mol- to stretto, e la relazione di esso col diametro frontale misurato nella metà dell'altezza della fronte, è nella proporzione di 86 a 100. 9. Gli archi sopracigliari sono poco rilevati, le gobbe frontali av- vicinate fra loro per guisa che sem- brano formarne una sola nel mezzo della fronte. 10. I processi zigomatici del- l'osso frontale discendono più in basso ed all'infuori che negli altri cranî, e i loro margini esterni, al- quanto rotondati, si confondono quasi col piano temporale. 11. Le ossa zigomatiche come sporgono di lato all’abside anterio- re dell’ ovoide craniale (guardato con la norma verticale), così mo- stransi pure estese di lato alla fac- cia, non perchè il diametro inter- posto fra i due centri zigomatici fosse molto grande, ma per la re- lativa strettezza della regione fron- tale inferiore, la quale misura in media 99 mill., mentre ii diametro fra i due centri zigomatici si esten- de a 107 millim. 12. L’arco alveolare della ma- scella superiore è strelto e di for- ma parabolica. 15. I denti anteriori della ma- scella superiore, volti alquanto ver- so l'esterno, si accompagnano al prognatismo dell'osso malare che sporge lievemente innanzi dalla su- tura nasale all'orlo alveolare. al di sopra degli archi sopracigliari è di poco inferiore a quello misu- rafo nella metà della sua altezza , essendo il primo in proporzione del secondo come 94 a 100. 9. Gli archi sopracigliari spor- genti, le gobbe frontali rilevate e ben distinte fra loro. 10. I processi zigomatici del fron- tale si uniscono a perpendicolo col- l’osso malare; i loro margini esterni son recisi e taglienti, e la linea se- micircolare, ascendente in alto, presenta un contorno poco curvo , ma ben definito. 11. Le ossa zigomatiche poco 0 nulla si estendono di lato alla fac- cia, e il diametro interposto fra i centri di queste ossa è quasi eguale al diametro frontale inferiore, il quale misura 110 millim., mentre il diametro interzigomatico si al- larga a 113 millim. 12. L’arco alveolare superiore è grande e di forma tondeggiante. 13.I denti sono tutti verticali, e la mascella ortognata. Se talvolta si osserva un lieve prognatismo , questo è limitato esclusivamente all’arcata alveolare. peo pere 14. Le orbite di forma tondeg- giante, ed inclinate notabilmente verso l’esterno. n 15. Non lunghe e poco robuste le apofisi stiloidi del temporale. Pa- rimenti poco robusto l’hamulus pre- rygoideus della lamina interna del- l’apofisi pterigodea. 16. Il foro occipitale piuttosto stretto, e i suoi bordi levigati ed eguali. 17.Le apofisi mastoidee non mol- to grandi, e i loro apici distanti fra loro per 111 millimetri. 18. La protuberanza occipitale esterna poco sviluppata, poco ru- gosa, e in taluni cranî appena di- scernibile. 19. La mascella inferiore di for- ma triangolare; le due branche la- terali quasi rette, il mento acuto e sporgente; l’altezza della branca ascendente molto limitata. 20. La capacità cubica media del cranio etrusco ascende a 1501 cen- tim. cubici; il peso del cervello a 1327 grammi. 14. Le orbite grandi, di forma quasi quadrata, e disposte orizzon- talmente. 15. Lunghe e robuste sono leapo- fisi stiloidi del temporale; forte , lungo e ricurvo l’ hamulus pterygoi- deus della lamina interna dell’apo- fisi pterigoidea. 16. Il foro occipitale è grande e di una regolare forma ovale; i suoi bordi scabrosi e diseguali. 17. Le apofisi mastoidee grandi e rugose, e i loro apici distanti fra loro 108 millimetri. 18. La protuberanza occipitale esterna grossa, sporgente, rugosa; molto rilevate le linee semicirco- lari; alta e robusta la spina occi- pitale. 19. La mandibola è grossa e pe- sante, di forma decisamente para- bolica; la branca ascendente alta e larga. 20. La capacità cubica del cra- nio ascende a 1525 centim. cubici; il pesodel cervello a 1345 grammi. Ne’ cranî etruschi, come abbiamo osservato , alla forma dolicocefala è associata la forma brachicefala nella proporzione di 37 per %,. È qui facciamo la domanda. Le due forme craniali degli Etruschi erano pro- prie di quella stirpe, o una sola di essa rappresentava il tipo rasenico, e l’altra il tipo degli indigeni in mezzo a’ quali si stabiliva la colonia li- dia venuta dall'Asia? Jo credo che non solo sia molto difficile, ma an- che impossibile chiarire in maniera soddisfacente e non ipotetica il que- sito che si propone. I cranî etruschi per noi esaminati provengono da autentici sepolcri etruschi, come per il maggior numero di essi com- LIA pruovano.le iscrizioni in lingua etrusca che vi furono rinvenute. Quelle sepolture contenevano certamente gli avanzi degli ottimati della nazio- ne, il fiore della cittadinanza, e quindi i veri discendenti de’ coloni lidî che avevano presa stanza in Etruria. Non pare che si possa dubitare sulla origine genuina di que’ nostri cranî, e perciò potremo con molta proba- bilità tenere per accertato, che entrambe le forme craniali esistessero originariamente nella stirpe etrusca, e che questa razza fosse già una razza mista prima di porre il piede nel territorio toscano. Questa mescolanza di tipo negli Etruschi spiega la contradizione nella quale sono caduti coloro che si sono occupati della craniologia dell’Etru- ria. Mentre ad alcuni il cranio etrusco mostravasi assolutamente dolico- cefalo, ad altri si presentava brachicefalo, e sino a che le osservazioni erano limitate a pic col numero di teschi, non vi era ragione sufficiente a propendere per l’una piuttosto che per l’altra opinione. Noi crediamo che il numero de’cranî da noi riuniti ci permetta di po- ter asserire, cheniuno degli osservatori era in errore, ma che la varietà de’giudizî sorgeva dal fatto stesso della esistenza della duplice forma cra- niale presso gli Etruschi. Ma poichè l’una di essa forma è grandemente preponderante sull’altra, così volendo determinare il tipo craniale etru- sco, diremo senza esitazione che esso è dolicocefalo, essendo questo il tipo che maggioreggia fra gli Etruschi, e che fra 100 cranî s'incontra 63 volte. È vero che potrebbe esser messa innanzi la ipotesi, che gli Etruschi, essendo originariamente dolicocefali, venuti inItalia, e messi in relazione con genti presso le quali non era infrequente la forma brachicefala, aves- sero potuto.subire in parte la influenza del tipo indigeno, e mutare, per commistione di stirpi, una parte del loro tipo craniale originario in quello che era comune al popolo fra cui si erano stabiliti; ma anche qui la os- servazione ci dimostra, che sebbene non possa negarsi la relazione che ha dovuto stabilirsi fra conquistatori e conquistati, tuttavolta, finchè la nazione etrusca si mantenne in fiore ed in potenza, l'elemento originario conservossi immutato sino ad un certo punto, e se vi fu, come vi dovette essere, mistione di razze, essa fu molto limitata, e il tipo indigeno, se pur mescolavasi al raseno , era invece assorbito da questo , e vi perdeva la sua impronta nativa. Era, io credo la stessa cosa de’ Turchi in Europa , degli Inglesi nell'India, de’ Francesi in Algeria. Se fosse stato altrimenti, noi vedremmo il cranio etrusco assomigliarsi ad alcuno di quelli de’ po- poli con cui essi vennero in contatto, o Romani, o Liguri, con cui con- e finavano a mezzogiorno e a settentrione, ovvero Umbri nel cui territorio gli Etruschi vennero a porre stanza. Ma pe' Romani abbiamo già notato quanto sia diverso il loro cranio da quello degli Etruschi. Altrettanta, ed anche maggiore varietà noi troviamo fra i cranî etruschi brachicefali e il cranio ligure brachicefalo anch'esso. Rispetto agli Umbri non è men chiara la loro differenza dagli Etruschi. I cranî umbri disotterrati nel Bolognese dall’illustre conte Gozzadini ci fanno conoscere il tipo pro- prio di questa antica razza italiana, e noi che li abbiamo studiati non abbiamo potuto rinvenire alcun punto di rassomiglianza fra que’ cranî e i teschi de’ Raseni. Il cranio umbro (nella sua grande maggioranza dolicocefalo) è alquanto più piccolo dell’etrusco; ha minore la capacità craniale, e le parti an- teriori del cranio sono grandemente preponderanti sulle posteriori. Re- golarmente ovale è il contorno della calvaria, nè vi sporgono di lato al- l'abside anteriore dell’ovoide craniale gli archi zigomatici siccome negli Etruschi. La fronte è alta e bene sviluppata, benchè non molto larga. La faccia, in generale, più piccola che nell’etrusco. La mascella superiore ortogonata con l’arco dentario di figura parabolica, come la mascella in- feriore, la quale è anche più alta in tutto il suo corpo e nelle sue bran- che ascendenti, ed offre una distanza maggiore fra i suoi angoli inferiori. Le ossa wormiane, così rare negli etruschi, sono frequentissime nei cranî umbri, e non v'ha quasi sutura che non ne presenti. Anche la su- perficie del cranio mostra quelle asprezze e rugosità di cui son privi i cranî etruschi, e tutto insomma fa vedere chiaramente, che i teschi um- bri sono affatto differenti dagli etruschi, e che non può in nessun conto essere ammessa la ipotesi, che ii tipo umbro avesse, ai tempi della do- minazione rasenica, alterata la forma nativa de’ Toschi, e si fosse in tutto o in parte sostituito a quella, mentre è evidente, che sino agli ultimi tem- pi della sua esistenza nazionale questo popolo si conservò quasi nella sua purezza originaria, e i suoi contatti etnici con la nazione conquistata fu- rono così limitati e lievi, che il tipo etrusco non ebbe a soffrirne alcuna variazione, imperciocchè i cranî di questa stirpe, dovunque raccolti, si trovano essere sempre identici, sempre forniti di quelle caraiteristiche che noi abbiamo veduto esser proprie de’ medesimi. Non così ne’ tempi posteriori quando, perduta la loro indipendenza, gli Etruschi divennero a loro volta sudditi di Roma. La sventura liaccomunò senza riserva co’ popoli a’ quali dianzi e’ soprastavano: non vi furono più distinzioni fra Umbri ed Etruschi; essi divennero un popolo solo, e col LU volgere degli anni composero quella popolazione che ha occupato costan- temente fino ad oggi quella parte d’Italia che chiamavasi Etruria, e che comprende attualmente la Toscana intera, parte della Provincia di Pe- rugia e il Patrimonio di San Pietro. Il cranio etrusco non ha adunque somiglianza nè col romano, nè col ligure, nè coll’umbro. Nè più felici sarebbero le comparazioni se siesten- dessero a’teschi degli altri popoli antichi dell’Italia, conciossiachè per quanto questi popoli si avvicinino ad alcuno de'tipi indigeni summento- vati, altrettanto si differenziano dall’etrusco, che rimane straniero e so- litario nel mezzo delle popolazioni della Penisola. Con ragione gli eruditi si sono volti a ricercarne la origine e la provenienza al di fuori dell’ Ita- lia, ma nel vasto pelago delle congetture accumulate, è anche più diffi- cile trovare un porto nel quale sì possa approdare con sicurezza. E dapprima si fa innanzi la ipotesi della provenienza pelasgica degli Etru- schi, ma il nome di Pelasgo è così vago ed incerto presso gli antichi scrit- tori, che noi non sappiamo veramente qual popolo esso fosse, quale la sua patria originaria, quali le sue relazioni con gli altri popoli conosciuti dell'antichità. La congettura più probabile è quella, che i Pelasgi fossero un popolo antichissimo della Grecia (IMasy:, ovvero ITeXioy:, gli antichi, i vecchi, d'onde più tardi IIeXaoyi, TTeAgoyor®) che scacciato da molti punti di quel territorio dagli Elleni, parte emigrava in lontane contrade, parte ricoverava presso i suoi confratelli dell'Epiro ove dura tuttavia nu- meroso sotto il nome di Epiroti od Albanesi. Se questi adunque erano i Pelasgi dell'antichità, e se gli Etruschi erano un ramo de’Pelasgi, i cranî di entrambi i popoli dovrebbero comprovarlo con la somiglianza della loro conformazione, ma la comparazione appunto de’ cranî etruschi e pelasgici non ci concede di ammettere alcuna rela- zione fra di essi, e ci fa giudicare inamissibile la opinione della deriva- zione pelasgica de’ Tirreni. Il cranio pelasgico (epirotico) è brachicefalo ortognato. Alta, larga e retta ne è la fronte, grandi e ravvicinati fra di loro i seni frontali, larga e breve la faccia, moderato lo sviluppo de’ zigomi, quadrate e quasi rette le orbite, forte e di forma parabolica la mascella inferiore, aspre e rile- vate le linee frontali, temporali, occipitali, prominente e forte la spina occipitale, lunghe e robuste le apofisi stiloidi del temporale, forte ed uncinato l’hamulus ptrerygoideus della lamina interna dell’apofisi pterigoi- ') Zaviziano, sul Tipo Arvano-ellenico. Napoli, 1869, 8°, p. 41. Sen, (OD dea '). Confrontando questi caratteri con quelli che sono proprî del cranio etrusco, ognuno dileggieri può riconoscerne la grande differenza, e quindi la niuna parentela etnica fra gli Etruschi e le popolazioni pelasgiche °). Nè maggiori somiglianze ci è dato di notare fra i cranî etruschi e quei de’ nativi dell’antica Rezia, d'onde autorevoli scrittori hanno dedotta la provenienza degli antichi Raseni. Al Retzius che credeva gli Etruschi essere brachicefali parve che il cranio retico potesse essere identico con l’etrusco, perchè il teschio dei Reti, a suo giudizio, anch'esso era brachicefalo®), ma il Baer, che si fece e studiare con molto interesse la forma del cranio retico, pure ammet- tendo il brachicefalismo di questo, non potè riconoscervi alcuna analo- gia con l’etrusco che egli vide essere dolicocefalo, e si attenne alla opi- nione, che fra Reti ed Etruschi non si poteva ammettere nè identità di cranio, nè affinità di stirpe *). Ma queste deduzioni, come già abbiamo veduto innanzi, non furono accolte da His e Rutimiayer,iquali non am- mettendo la ipotesi che gli antichi Reti fossero stati brachicefali, giudi- carono invece dolicocefala la forma craniale delle popolazioni primi- tive dell’Elvezia. Nondimeno il tipo retico dolicocefalo, quale è descritto sotto il nome di tipo Sion dagli autori de’ Crania Helvetica, non presen- ta alcuna somiglianza con il cranio dolicocefalo etrusco, perocchè, ol- tre ad altri caratteri, se ne differenzia per la fronte alta ed estesa e per la preminenza degli archi sopracigliari. La faccia ne è ortognata, le cavità orbitarie piccole, rette e quadrate, le arcate zigomatiche robuste, la ma- scella inferiore alta e forte, e la sua branca ascendente larga ed alta; gros- se e rugose ne sono le apofisi mastoidee, rilevate ed aspre le linee semicir- colari della fronte e dell’occipite, larga, alta e forte la spina occipitale ’). 1) Nicolucci, Antropologia della Grecia, Napoli 1867, 4° con tav. 2) Lo stesso Gehrard, strenuo difensore della provenienza pelasgica de’ Tirreni, non osa considerare i Pelasgi d’Italia identici a quelli che furono costanti abitatori di alcune contrade elleniche. Li crede di stirpe diversa, e lo argomenta dalle opposte abitudini della loro vita, e dalle loro disformi religioni. « I Pelasgi Tirreni , egli dice nel suo celebre rapporto sui vasi vulcenti, distinguevansi da qualunque altra pelasgica stirpe, giacchè mentre quelle furono generalmente abitanti di coste, questi per lo più abitavano i paesi mediterranei, siccome la Tessaglia e l’Arcadia, e in conseguenza quelli ebbero fama di pirati, questi d’agricoltori , ed ebbero importante diversità anche nella loro religione». Annali dell'Istituto di Corrispon- denza Archeologica 1831, 1. 111, p. 203. 5) Ethnologische Schriften. p. 140, nota I. 4) Ueber den Schéidelbau der Rhétischen Romanen— Bullet. de lAcad. de St. Peters- bourg, t. 1, p. 260. ; ‘) Crania Helvetica. — AO Ho sott'occhio anch'io alcuni cranîì trentini diS. Romedio, nella valle di Non, avuti in dono dalla cortesia delProf.G.Canestrini, ed altri cranî parimenti trentini, così antichi come moderni, furono descritti dal sun- nominato professorein unasua dissertazione pubblicata nel 1868 *). Questi cranî raccolti in una parte del territorio dell’antica Rezia, e in quella ap- punto che conserva maggiori avanzi di civiltà reto-etrusca, hanno per le nostre comparazioni forse maggior valore che non quelli de’ Grigioni, così ampiamente illustrati ne’ Crania Helvetica. Ora i teschi trentini da me posseduti sono brachice fali, e di que’descritti dal Canestrini, 1 due adulti antichi sono dolicocefali, e i sei moderni si dividono in bra- chicefali e dolicocefali, ma tanto gli antichi, quanto i moderni dell’ uno e dell’altro tipo, confrontati osso per osso con gli Etruschi, non offrono, al pari di que’ di Grigioni, alcuna analogia, ne’ loro caratteri, co’ cranî toscanici, e quindi niuna identità è possibile ammettersi fra entrambi i popoli a cui que’ cranî si appartengono. Non pochi ed autorevoli fautori si ebbe anche la opinione della pro- venienza semitica degli Etruschi, ed un uomo illustre, a cui gli studî antropologici sono debitori di molti e reali progressi, in un suo pregiato lavoro che s'intitola: Résultats de Craniometrie, riunisce senza distin- zione Etruschi e Fenici per dedurne i risultati craniometrici apparte- nenti agli antichi Semiti °). A noi è sembrato egualmente che sangue semilico scorresse inlargacopia nelle vene degliEtruschi, ma non abbiamo osato di spingerci fino a crederli di puro ceppo semitico, avvegnachè per molti argomenti ci sembra ammissibile la congettura, ch’ei fossero il ri- risultamento di più antico connubio con altre stirpi, confondendosi in questo popolo elementi ariani e turaniani con quelli che hanno il nome da Sem. Il confronto de’ cranî etruschi con que’ pochi che si conoscono degli antichi Fenicî avvalora questa nostra opinione, imperciocchè, se per molti lati i cranî toschi si possono dire affini a’ fenici, per molti altri mostrano divergenze che noi crediamo doversi riferire agli elemen- ti ario o turanico che hanno probabilmente modificato in parte l’origi- nario tipo lidio de’ Raseni. I cranî etruschi che più rassomigliano a’fenicî sono i cranî a tipo doli- cocefalo. Essi vincono di qualche millimetro i fenicî nella circonferenza 1) Sopra alcuni cranî antichi scoperti nel Trentino e nel Veneto. Modena, 1868, 8° con 2 tav. 2) Résultats de Craniometrie p.Pruner-Bey—Mém. de la Société d’ Anthrop. de Paris: tp 492500 ve Atti— Vol. IV.—N.0 13 7 Bi orizzontale, ne’'diametri antero-posteriore e trasversale, ed hanno la re- gione superiore della fronte alquanto più slargata di questi, come più grande ancora di quello de’ fenicî è il loro diametro interzigomatico, os- sia la distanza fra i centri de'zigomi, ma la faccia egualmente larga ne- gli uni e negli altri, e forse un po’ più alta ne’ primi che ne’ secondi. Quel leggero prognatismo caratteristico degli Etruschi incontrasi pa- rimenti ne’cranî fenicî, a'quali è comune ancora la sporgenza del mento, che abbiamo notata ne’ cranî toscanici. Ne’ Fenicî non troviamo, come negli Etruschi la forte obliquità delle orbite che si accompagna ad un prolungamento maggiore de’ processi zi- gomatici dell’osso frontale, ma ravvisiamo in essi lo sporgere de’zigomi a' lati dell'abside anteriore dell’ovoide craniale quando osservisi la cal- varia col metodo verticale, la preponderanza della metà posteriore sul- l'anteriore del cranio, la poca o niuna scabrosità delle ossa, la breve sporgenza delle linee e della cresta occipitale. Eguale è ancora l’altezza del cranio, eguale l’indice cefalico, e appena osservabile la differenza nell’indice verticale *). Nonavendo più oggi a miadisposizione cranî fenicî per trarne altre mi- sure da confrontarsi con quelle de’ cranî etruschi, mi limito a riprodurre quelle sole che già si trovano da me pubblicate, aggiungendone alcune altre che conservo inedite nel mio portafoglio, ed esse basteranno, io spero, a far persuaso il lettore dell’ affinità che stringe insieme i cranî etruschi co’ cranî fenicî. MISURE DI XII CRANII ETRUSCHI DOLICOCEFALI MASCHILI COMPARATE CON QUELLE DI VI CRANIL FENICI MASCHILI Cranî etruschi |Cranî fenicî Girconferenza orizzontale. Sf. e 02 029 Arcofronte-0ecpitaler Nt, Mei Re 382 Diametro antero=posteriore TaMeste A ES 185 Diametro bilaterale, o traversale . . . . . . 448 141 Atezza*del'eratio*t te e AA RE e e RO 135 Larghezza inferiore della fronte fra le linee semicir- colari al di sopra degli archi sopracigliari. . . 99 99 » superiore della fronte alla metà della sua altezza fra le linee semicircolari. . . . . . 4146 108 Indice cefalico; retta MPa eee ea 108 76,2 Indice :nerticale: gen a. fara e 74 1) Per una più minuta descrizione de’ cranì Fenicì ved. Nicolucci. Di un antico cranio fenicio rinvenuto nella Necropoli di Tharros in Sardegna.—Memorie dell’ Accad. del- Mec, | grana Le differenze che lo specchio precedente ci presenta fra le misure dei cranî etruschi dolicocefali e quelle de’ cranî fenicî sono così lievi, che io non le credo punto valutabili quando si confrontino con quelle che si osservano fra i teschi fenicî e quelli degli altri rami della stessa razza semitica, Giudei ed Arabi, co’quali peraltro concorda perfettamente l’in- dice cefalico (Giudei 76,1 — Arabi 76,9) quale io lo desumo dalle mi- sure pubblicatene dalVan der Hoeven®), Vrolik?),Pruner-Bey *)e J. B.Davis*). i Ho scelto a titolo di comparazione co’ fenicî i cranî etruschi dolico- cefali, poichè in questi appunto sono più specchiati i caratteri proprî della razza, e perchè essi rappresentano meglio il tipo nazionale quale lo mostrano i monumenti figurati fino a noi pervenuti. Ed anche ammesso (come non si può dubitare) che nella colonia lidia si trovassero insieme dolicocefali e brachicefali, i primi ne formavano per vero l'elemento predominante, e questo elemento appunto è quello che ci presenta così grande affinità co' teschi fenicî, e rende molto probabile la congettura sulla origine mista del popolo raseno. Il seguente specchio che comprende le misure più importanti de’ cranî etruschi da me studiati, e quelle de’due teschi della Collezione di Got- tinga pubblicate ne’ Crania Helvetica da His Rutimiyer, e de’ due altri cranî del Museo di Storia Naturale di Firenze descritti dal prof. G. Vogt, metterà sott'occhio del lettore la maggior parte degli elementi che hanno servito di base alle nostre descrizioni. Egli vi troverà ancora un termi- ne di comparazione per giudicare fino a qual punto siano accettabili le nostre deduzioni. Scienze di Torino, Serie II, t. XXI. — Di alcuni crani fenici rinvenuti nella Necropoli di Tharros nell'Isola di Sardegna. Rendiconto della R. Accad. delle Scienze di Napoli 1864. — Cranio fenicio rinvenuto presso Palazzolo Acreide in Sicilia — Rendiconto cit., 1865. 1) Catalogus craniorum diversarum gentium. Lug d. Batav. 1866, 8° p. 23-25. 2) Catalogue de la Collection de MM. Ger et I. Vrolich. Amsterdam 1863, 8°, p. 27-28. 1) Resultats de Craniometrie cit. ‘) Thesaurus craniorum, p. 93-110, 115-16, 128-29. "Tavola di misure (in millimetri) crani Numero de’ x O) È: da 0 LO ma 13 44] 15] 16 17 18 | 19 PROVENIENZA MALGUIDIANA aa o RA Idem: <_ 0 eri CRI MERA BRA reso sot E rc IAT. Media de’cranî dolicocefali . . . . - NOCI OR CHIUSI tene ea DELUSA CORE TALGUIMIA RR IAC EEE VOMITARE I Media de’ cranî brachicefali . . . . . Media generale de’ cranî . ..... Arco fronte-occipitale Età probabile e sesso Circonferenza orizzontale Db CE OO CONCNONONNCNO = aa Lu LUNGHEZZA frontale parietale occipitale | rr | — | | ——_ | —T— |__| —T_ |__| ————-|‘|- = | -—-|--— Altezza verticale (dal margine anteriore del foro occipitale al vertice) Arco aure-frontale Arco aure-occipitale Diametro interauricolare (fra i pori acustici esterni) Diametro intermastoideo (fra gli apici delle apofisi mastoidee) Linea foro-alveolare (dall’orlo anter. del foro occipitale al margine alveolare) Linea foro-occipitale ; (dall’orlo anter. del foro occipitale allatuberosità occipitale) Diametro frontale inferiore Diametro antero-posteriore Diametro trasversale o bilaterale (al di sopra degli archi sopracigliari) ee acre —_—__ [TTT [| ——T—_- | ——_-_[_—_—_____ [— | =“ SS z 2 a pb W_ab ao Wa ta da nn dii PRIX Cirranîi Etruschi a si ALTEZZA | |S ORBITE] della Ha ° faccia a © SS = mn ® _ i Slo da w po; cio ES PEZZA SL o s EM DT © oi ona leCo SU Biol = © = zelo n on io la) PS tei TT A Uni loft Og S) © w RZ S fa (5) smi f=| (ei © + [a] Pai © Ue) Pi 2 n 9 n e D pei a ® dollte S 3 n a sa O © [a +» ® tai o) CU da Ò 5 |°oc|fo0/82| 5 Sii [el colse/ 2h BE md | 20 E 5 esatti n g day o = (2 Ae a Fal di 5 ac |59 |a Sio :S © COLLEZIONE Dei =) N (©) [a] Uan Ss [= È N Su da dn s [Si i cd = 1 sa|no » fr] Do | co da DLE = S sa A sli | A w N a MCR == & È sa) dals:|3s|-s | Ss |eS|loa|Ss|es8|ze/s3/A8|8|£| 8 Ila quale i cranî 5° CHIC È 3 sE 2 È © o | gu Ciche- 7 ° E ® alla quale 1 crani appartengono Meo enel a eee a ( A ORIANA SITR ITA SP IU iiplarertag vgsti DE i” tua sa ni My by 1 nu: rag idiagnt Lofà i Man i aa asuanto Pata Pi risi l aria (PD sad: aim pi DFS dà ti dà 6 urgoi ‘nti intatti tipo biltaity an ara AIAR gus det MU E î he JT La Ò h = LOD Pi NO n ur si INDICE DELLE MATERIE I. L’Etruria e le sue antiche popolazioni . II. Gl Etruschì III. Cranì etruschi. IV. Glì Etruschi effigiati ne’loro monumenti . . . ... » 54 IERI : 1 Mesi È v ni n vivi x | > % pesta, Lal he Va LL a i) Sea tara! Ri Ù . AGE De: v o ‘ et è MR)! ami POTTA ar ni N Basie Mr RCVI UA hi "a Mol QI N.° 14 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE STUIEMIRERASDAINEASMSIRS INA GINAVEIOREMUEZIO UNITE MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO G. BATTAGLINI letta nell'adunanza del 6 novembre 1869 L'azione di più forze su di un sistema di forma invariabile è definita, come è noto, da sei quantità, le somme cioè delle componenti delle forze date, parallele a tre assi ortogonali, e le somme dei loro momenti rispetto ai medesimi assi: queste sei quantità costituiscono ciò che PLic- kER ha denominato le coordinate di una diname *); ad esse possono so- stituirsi le sei forze che, agendo secondo gli spigoli di un tetraedro, formano un sistema di forze equivalente al sistema proposto **). Ora in questo scritto ci proponiamo la ricerca delle proprietà delle dinami, che con le loro coordinate verificano una o più equazioni omogenee di 1° grado. 1. Siano a, b, c, di verlici di un tetraedro q, e dinotiamo con E ag Lari pol bo db gli spigoli è bet, Cab ab, ad, bd, cd: secondo queste relte agiscano rispettivamente le forze fbe , gea , hab , lad , mbd , ned ; le diremo componenti di una diname @, di cui (f. 9, h, L, m, n,) sono le coordinate. ‘) PLickeR, On fundamental Views regarding Mechanics. Philos. Trans. of the R. Sociely of London. Vol. 156, Part. I. ‘) Nota sulla composizione delle forze. Rend. dell’Accad., febbraio 1869. Atti — Vol. IV.— N.° 14 1 ag Se tra le coordinate di una diname si ha la relazione (4) fl+gm+hn=0, "9 la diname ammette una risultante r agente secondo una retta r; indi- cando generalmente col simbolo [r,, r,], relativo a due rette (r,, r)), il prodotto della loro minima distanza pel seno dell'angolo da esse com- preso, si avranno allora le relazioni gi [r,m] [r,n] > fbe=1 (i, 1) © Re ; Mb ra] ; [r, f] [r, g] [rh] adr] " pi eran ; ned== nh] f In tal caso le quantità (f,.. l,..) si potranno considerare come coor- dinate della retta r. Sia (r,, ?,,...) un sistema qualunque di forze agenti secondo le rette (cr, 12,-+--); sostituendo a ciascuna di queste forze le sue componenti secondo gli spigoli del tetraedro q, determinate per mezzo delle formo- le (2), e ponendo == dee saranno (f,..4,..) le coordinate della diname @ equivalente al sistema delle forze proposte. Se, rimanendo le stesse le rette (r,, r.,,...), le forze (7,,7,,...) variano tutte in un rapporto x, anche le quantità (f,..2,..) varieranno nello stesso rapporto; le due dinami di coordinate (xf,..%l,..) ed (f,..,..) si diranno tra loro proporzionali. Siano (r,, 7;) due forze, agenti secondo le rette (r,, r;), ed equiva- lenti alla diname @; essendo allora . f=ftf;;.. I=lA1,,.... sl avrà (3) fl. Aff... =... A-lfA4-...=fl4gmthn, laonde presa arbitrariamente la retta r; o r;, resteranno determinati, in virtù di queste relazioni, i valori di (f;,.. l;,..) e quelli di (f;,..4;,..), e quindi sarà determinata la retta r; o r;. Le rette (r;, r,) si dicono con- iugate rispetto alla diname @. *) Nota cit., Rend., feb. 1869. RES Se (r,, r,) sono due forze qualunque agenti secondo le rette (r,, r;), sì avrà (4) rr;[r,,r,)=(fl;+--.+Lf;+...)abcd, (in cui abcd dinota il sestuplo del tetraedro q), sicchè se le rette (r,,F,) si appoggiano tra loro, e quindi le forze (r,, r,) ammettono una risul- tante, si avrà la condizione fl; +-g,m;+-h,m-+1f,+-m,g;+-n,h,=0 . La formola (4) determina il momento r;[r,, r;] della forza #, rispetto alla retta r;, o pure il momento r;[r;, r;] della forza r; rispetto alla ret- ta r;. L'espressione r,7;[r;, r;] dinota il sestuplo del tetraedro costruito sui segmenti (r,, r;) delle rette (r,, r;) come spigoli opposti. Siano (f,..,..) le coordinate di una diname @ equivalente al sistema delle forze (r,, 7,,..) agenti secondo le rette (r,, r,,..), ed (f,,-.L,..) le coordinate di una diname che ammette una risultante r, agente se- condo la retta r,; sarà (5) rio,r.}=(fl+...+Ifr+...)abcd=r,2r,[r,.r,], il simbolo XY estendendosi a tutte le forze r, del sistema. La quantità [@,r,] è il momento della diname (f,..2,..) rispetto alla retta r,; allorchè [@,r,]==0, la retta r, si dice asse di momento nullo rispetto alla diname (f,..,..). Siano (f",..l',..) ed (f/,..l",..) le coordinate di due dinami (0', 0°) equivalenti rispettivamente ai sistemi delle forze (r1, 72, ..) ed (r1, 72, ..) agenti secondo le rette (r,, r;, ..) ed (ri, r{,..); sarà (6) Lo,0]=(PV+...+Vf+..Jabed=xr/r% [11,1], al il simbolo Yestendendosi a tutte le combinazioni di ciascuna forza r del primo sistema con ciascuna forza r° del secondo sistema. Se poi le due dinami (@', @”) coincidono con la diname @, sarà allora 1) al0,a] =(fl4gm+lm)abod==r,r, [1,1] , il simbolo Y estendendosi a tutte le combinazioni a due a due delle forze (r;, 7,) del sistema. E pei La quantità [c', @" | si dirà il momento seambicvole delle due dinami (c', ”), e quando [a', @”]=0 diremo che le due dinami sono armoni- che tra loro. Nel caso di una sola diname @, la quantità [@, @] sarà il momento della diname rispetto.a se stessa, e se la diname ammette una risultante, essendo [@, e]=0, la diname sarà armonica con se stessa. Se tra le coordinate (f, . ./, ..) di una diname ® si ha un'equazione omo- genea di 1° grado, potendosi dare ad essa la forma fl'4-gm'+lhn'4lf4-mg'+nh'=0, tutte le dinami che la verificano saranno armoniche rispetto alla dina- me ' di coordinate (/",.. /',..): sicchè date una, due, tre o quattro equazioni omogenee di 1° grado fra le coordinate di @, si avrà una se- rie quadrupla, tripla, dupla o semplice di dinami ®@ armoniche rispetto ad una, due, tre o quattro dinami date @;,, ®,, @,, @,. Se poi si hanno tra le quantità (f, .. l, ..) cinque equazioni omogenee di 1° grado, rima- nendo determinati i rapporti tra quelle quantità, si vedrà che le dinami e armoniche rispetto a cinque dinami date @,, @;, ..@, sono tra loro pro- porzionali. 2. Supponendo 1<6, e (,,%,,...x,) coefficienti arbitrari, conside- riamo le dinami di cui le coordinate sono espresse da (1) Ea a Pap Lo =, + gl, t... 4a... ; queste dinami, variando (4,, %,;-.. %,) sì diranno tra loro în involuzione (A). Eliminiamo dalle equazioni (1) i coefficienti x, sommandole, dopo di averle moltiplicate rispettivamente per le indeterminate (!',../",..), ed eguagliando a zero i moltiplicatori di (%,, ,,..4); si avrà così l’equa- zione risultante (2) fl+...+lf+...=0, con le condizioni fl4...+Lf+...=0, fila ALe == queste daranno per (/",.. /,...) espressioni della forma (3) fata +4 fo l'=nltrabt. 4a ARRCESA GIRTO ,’ essendo t4+-t=6, e (41, #,.. x/) coefficienti arbitrarii. 01 RR Diremo associati i due sistemi delle dinami (f,. . 2,..) ed (f",../,..). L'equazione (2) esprime che le dinami (f,...,...), in involuzione ((—1)?”“, sono armoniche rispetto alle dinami associate (/",.. 2, ..), le quali sono in involuzioni ('—1)”". Se una delle dinami (/,..1,..) am- mette una risultante agente secondo una retta r, sarà r asse di momento nullo rispetto alle dinami associate (/", ..l',..), e viceversa se una delle dinami (f",.. l',..) ammette una risultante agente secondo una retta r', sarà r' asse di momento nullo rispetto alle dinami associate (f,.. l,. Le linee r, e le linee r', secondo le quali agiscono le risultanti con- tenute nella serie delle dinami (f, .. l,..), e nella serie delle dinami (f',..0,..), si appoggeranno scambievolmente le une alle altre. Un’involuzione (t—1)”* di dinami è determinata allorchè si cono- scono ‘ dinami appartenenti all’involuzione, le quali si può supporre che siano di quelle che ammettono risultante. L’ involuzione (r—1)!° è determinata ancora dalle condizioni di essere le dinami armoniche ri- spetto a 6— dinami arbitrarie, o in altri termini di dovere le dinami soddisfare a 6—t equazioni omogenee di 1° grado: segue da ciò che nella serie delle dinami in involuzione ((—1)?“, quelle che sono armo- niche rispetto ad una, due, ete. date dinami, ovvero che verificano una, due, etc. date equazioni omogenee di 1° grado, saranno in involuzione Odio: Le formole (1) esprimono che la diname (f, . . 2,..) appartenente ad un’involuzione (t—1) è equivalente al sistema di 1 dinami propor- zionali rispettivamente alle dinami (f,;.. 4,3...) --. (fn. 4, ..) della in- voluzione, essendo (x,,..%,) i coefficienti di proporzionalità; date que- ste dinami e dati i coefficienti x, resta determinata la diname (f, ..4, ..), e viceversa date quelle dinami, e la diname (f,..,..) appartenente al- l’involuzione determinata da esse) resteranno determinati i coefficienti 4. Segue da ciò che, considerando le linee d'azione r delle risultanti con- tenute nella serie delle dinami (f, ../,..), una forza r agente secondo una di tali rette r, potrà decomporsi in : forze (r,, . . ”,) agenti secondo < di quelle medesime rette [r,,..r,]; in altri termini (+4 delle rette r possono essere linee d’azione di altrettante forze r che si facciano equi- librio *). Risulta ancora da questa proprietà che se r, è la retta coniugata di una retta qualunque ri, rispetto alla diname (f;..l,..) dell’involuzione (4), corrispondente ad un dato sistema di valori attribuiti ai coef- *) Nota sulla teorica dei momenti. Rend. dell’Accad., maggio 1869. — io ficienti x, variando questi coeflicienti le rette r, apparterranno all’invo- luzione ©” determinata dalla retta r, insieme alle dinami ivba sdlibika 1) I (fi, -.L,-.) che determinano la proposta involuzione. x . . ‘3° 1° . . . pla la Se si hannoy involuzioni di dinami, rispettivamente (y—A4)"%,(&,—1)"% \pla . . . . .. (&4—4)%, una diname (f; ..l,..) comune a queste involuzioni sarà armonica rispetto a 6v—(y+t,-+-..+t) dinami date, sicchè quelle di- nami (f, ..I,..) saranno in involuzione (L+t,-+...+4y+5— 6y)"". 3. Esaminiamo in particolare i diversi casi dell’involuzione *). Sia (=1; sarà ife ae ferie ERRO, (1) Le dinami (f,..l,..), armoniche rispetto alle cinque dinami (f;;--0,..), . «(far + Li -+), e quindi rispetto a tutte le dinami (f',../",..) sono pro- porzionali; esse in generale non ammettono risultante, non essendovi ingenerale alcunasse di momentonullo rispettoatuttele dinami(/",..0,..), o sia alcuna retta comune ai cinque complessi di rette determinati dalle equazioni fl+..+lfe+...=0,afle+.. +1 + =0. Le rette r, coniugate di una retta r, rispetto alle dinami (f, ..l,..) coincidono con la retta r, coniugata di r, rispetto alla diname (f,;..L,,..). Le dinami (/",..l",..) sono in involuzione quadrupla; esse sono armo- niche rispetto alla diname (f,;.. 4,,..) e quindi rispetto a tutte le dinami (f,..l,..). Le rette r' secondo le quali agiscono le risultanti contenute nella serie delle dinami (f",..0',..) costituiscono il complesso degli assi di momenti nulli rispetto a tutte le dinami (f, . .l,..), 0 sia il complesso delle rette r' determinato dall’equazione (2) fit... +lf,+...=0. Tutte le rette r' che passano per un punto p'*) giacciono in piano P, e tutte quelle che giacciono in un piano P passano per un punto p. Se più punti p giacciono in un piano P, i loro piani corrispondenti P_ passe- ranno pel punto p corrispondente al piano P, e viceversa. Se più punti p appartengono ad una retta r;, i loro piani corrispondenti P passeranno *) Nota sulle serie di sistemi di forze. Rend. dell’Accad., agosto 1869. **) Nota intorno ai sistemi di rette di 1° grado. Rend. dell’Accad., giugno 1866. VEL, 0A per una retta r., e viceversa se più piani P passano per r,, i loro punti corrispondenli p apparterranno ad r,. Le rette (r;,r,) sono coniugate ri- spetto alla diname (f,..l,..); se di due rette coniugate l’una passa per un punto p, l’altra giacerà nel piano corrispondente P, e viceversa ; le rette coniugate (r,,r;) sono tra loro in dipendenza anarmonica. Date cinque delle rette r' possono determinarsi quante si vogliono al- tre rette r': combinando le rette date a quattro a quattro, e determinando per ciascuna di queste quaterne di rette la coppia delle rette che si ap- poggiano ad esse, si avranno così coppie di rette coniugate (r,, r;) rispetto alla diname (f, ../,..); se per un punto p, 0 pure in un piano P, si ti- rino le rette r' che si appoggiano a queste coppie di rette coniugate, esse giaceranno nel piano P corrispondente a p, o pure passeranno pel punto p corrispondente a P. Le rette r; coniugate di una retta qualunque r' rispetto alle dinami (f',..l',..) saranno tutte le rette dello spazio. Consideriamo il complesso degli assi di momenti nulli rispetto ad una delle dinami (f",..0,..), cioè il complesso delle rette r determinato dal- l'equazione a (flr+ ++) (fl + f+...)=0 nel quale giacciono le rette del complesso che passano per un punto p', e p, il punto nel quale concorrono le rette del complesso che giacciono in un piano P'. Indicando con P).=0, p,=0 le equazioni del piano P/; e del punto p;; riferiti ad un tetraedro fondamentale, si avrà Po=%Pr+...+xPi=0, pr=xprt...+xpi=0, essendo P:=0,... P.=0, e pp=0,... p.=0 le equazioni dei piani P, corrispondenti al punto p, e dei punti p; corrispondenti al piano P, allorchè la diname (/",../',..) coincide con una delle dinami (ft,--4,-») ««+(fs,--d.-). Ora, al variare della diname (/’,..l,..), passando tutti i piani P, pel punto p'’, e giacendo tutti punti p;. nel piano P', se (Pi, Pg, P;) è una terna qualunque di piani condotti per p, e (pa, per Pr) è una terna qualunque di punti appartenenti a P, potranno determinarsi SII coeflicienti (a', 6', c') ed (A', B', C') in modo da avere identicamente (N Pi=a;P'4-b P'4et P' ,.... Pi—afP'4-b} P'+ciP', a p' y' a' g' y pi==Ap' +Bip'+G:p' ,.... pi =Ap' +Bip'+ Cip’, do 3 d da È ci sicchè ponendo tra i coefficienti x' le relazioni a+... + 0% birt +... + bia CpH+... + 04% eee TE E b’ Pra erieRrafen ASA B'xt+-..14+ Bi Gt... + Chat vil B' ia (Gi i sì avrà P'—a!P=2b PSP 20 MICA ISS SCE ' a' p' y! x a' B' y' LA Segue da ciò che un piano P,, condotto per p, ed un punto p/ posto in P, possono riguardarsi come corrispondenti rispettivamente al punto p ed al piano P nei complessi degli assi di momenti nulli relativi a tutte le dinami (/",../,..) determinate dai coefficienti x’ assoggettati al primo o al secondo sistema delle relazioni precedenti; tali dinami (/",..0",..) formano un’ involuzione doppia contenuta nell’involuzione quadrupla de- finita dalle formole (1). Nel caso particolare in cui f,+g,m+h,n,=0, la diname (f,,--b,,..) ammette una risultante agente secondo una retta r, ed allora tutte le dinami (f,../,..) ammetteranno risultanti, che agiscono secondo la stessa retta r. In tal caso le rette r' si appoggiano tutte ad r. Sia in secondo luogo 1=2; sarà NECA ES N a aes Reato (3) fee Le dinami (/,../,..) sono in involuzione semplice; esse sono armo- niche rispetto alle dinami (fi, ..0,,..)...(f/,--U»-), e quindi armo- niche rispetto a tutte le dinami (f", ..0',..). Le rette r secondo le quali agiscono le risultanti contenute nella serie delle dinami (fi . . {,..) sono gli assi di momenti nulli rispetto a tutte le dinami (/",.. /',..) 0 sia sono le due rette r comuni ai quattro complessi di rette determinati dalle equazioni (4) flirt fee gh e, I valori di (,:%,) che determinano queste due rette r sono dati dal- l'equazione (9) x (filt GMt h,n,) ar rsa (f.l.+t ot fat. . .) FI 7) (f.l.+t Jam, + h,n,) =0 = Le rette r, coniugate di una retta r, rispetto alle dinami (f, . .l, ..) for- mano con r; e con le due rette r le generatrici di uno stesso sistema in una superficie rigata di 2° ordine Y,. Le dinami (/",..l,..) sono in involuzione tripla; esse sono armoniche rispetto alle dinami (f,,--4,--) ed (f.3--4.-.); e quindi armoniche ri- spetto a tutte le dinami (f; . .l,..). Le rette r' secondo le quali agiscono le risultanti contenute nella serie delle dinami (/',../",..) sono gli assi di momenti nulli rispetto a tutte le dinami (f, . .7, ..) o sia sono le rette r' comuni ai due complessi di rette determinati dalle equazioni (6) CES nere. elit =—0; le rette r' sono quelle che si appoggiano alle due rette r. Date quattro delle rette r', sono determinate le due rette r che si appoggiano ad esse, e quindi possono determinarsi quante si vogliano altre rette r'. Le rette r;. coniugate di una retta r/. rispetto alle dinami (/",..1,..) formano con r; e con le rette r’ un complesso lineare. Considerando il complesso degli assi di momenti nulli rispetto ad una delle dinami (f; ../,..) cioè il complesso delle rette r' determinato dal- l'equazione a(flt ALT. (++. )=0 per un dato valore del rapporto (4,:%,), sia P, il piano nel quale giac- ciono le rette del complesso che passano per un punto p, e p, il punto nel quale concorrono le rette del complesso che giacciono in un piano P. Variando la diname (f,../,..) i piani P, passeranno per la retta r' che condotta per p si appoggia alle due relte r, ed i punti p, apparter- ranno alla retta r' che in P si appoggia alle stesse due rette r: se tra le dinami (/; -.2,..) se ne considerano due (fi, ..l;,..) ed (f;,..4;,..) ar- moniche tra loro, i piani corrispondenti a p(P,, P_) saranno coniu- gati armonici rispetto ai due piani condotti per la retta r', comune a tutti i piani P,, e per ciascuna delle due rette r, e similmente i punti corri- spondenti a P (p,, p,) saranno coniugati armonici rispetto ai due punti Atti -— Vol. IV.— N.0 14 2 fata, (J0° d’incontro della retta r’, alla quale appartengono tutti i punti p,, con ciascuna delle due rette r. Considerando poi i complessi degli assi di momenti nulli rispetto alle diverse dinami (/",.. 2’,..) sì vedrà, come sopra, che un piano P}; con- dotto per un punto p, ed un punto p; posto in un piano P, possono riguardarsi rispettivamente come piano corrispondente al punto p, e come punto corrispondente al piano P, nei complessi degli assi di mo- menti nulli relativi a tutte le dinami (/",..2',..) di un’involuzione sem- plice contenuta nell’involuzione tripla definita dalle formole (3). Allorchè si annulla il discriminante dell'equazione (5), o sia si ha la condizione fil + Lf filet + ft. (7) AZ 5 =0 falit..0+loft 00, falt...+Lft > le radici (4,:%,)dell’equazione (5) essendo eguali, le due rette r coincidono in una sola; in tal caso le rette r' appoggiandosi ad r sono tali che tutte quelle condotte per un punto p di r giacciono in un piano P condotto per r, e viceversa; il punto p ed il piano P sono tra loro in dipendenza anarmonica. Le superficie rigate di 2° ordine Xx, costituite dalle rette r, coniugate delle diverse rette r, rispetto alle dinami (f, . . 2, ..) sì tocche- ranno lungo la retta r, il loro piano tangente comune in un punto p di r essendo il piano corrispondente P. Nel caso particolare in cui si annullano gli elementi del determinante A, o sia si ha (8) legna hm, = 0 ? (ese iaia lf. + Di =) ? SE IM t h,n,=0 ’ le dinami (f,,-.4,,..) ed (f,,--l,,..) ammettono risultanti concorrenti in un punto p e giacenti in un piano P; in tal caso tutte le dinami (f;..l,..) ammettono risultanti, condotte pel punto p nel piano P, e le dinami (f",..2,..) che ammettono risultanti hanno le loro lince d’azione r' che passano per p, 0 pure che giacciono in P. Sia ora\i—=95 sarà (9) Î =%;f,+-0Jat*%fs II da l a+, 4+-* gl, KR f=sfetafrtnsfio i atrata... Le dinami (f;..1,..) sono in involuzione doppia; esse sono armoniche UM rispetto alle -dinami (ft. 43) (far +0 +); (fin --Li»-), e quindi armo- niche rispetto a tutte le dinami (/",..1',..). Le rette r secondo le quali agiscono le risultanti contenute nella serie delle dinami (f,. .l,..) sono gli assi di momenti nulli rispetto a tutte le dinami (/",..0',..), 0 sia sono le rette r comuni ai tre complessi di rette determinati dalle equazioni (40) fll+...+ifi(+...=0, fh+.+lfet...=0, fl+...+1fi+...=0; queste rette costituiscono le generatrici di uno stesso sistema in una superficie rigata di 2° ordine Y °). [ valori di (x,:%,:%,) che determinano le rette r sono assoggettati alla condizione ; xi (fl+ gm +h,n,)+-%(fla JM, hm) pas(f.L,+g,Mm+h,n,) +eg(fl At ALf+- Aa +-. Af+- .) +apto(fl.+t- ++ f4---)30. Date tre delle rette r è determinata la superficie Y, e quindi possono determinarsi quante si vogliano altre rette r. Le rette r, coniugate di una retta r; rispetto alle dinami (f,..4,..) formano con r, e con le rette r una congruenza lineare; le due direttrici a cui si appoggiano tutte le rette della congruenza sono le due rette r' di X, di sistema diverso delle r, condotte per i punti d’ incontro dì r, con Y.. Î Similmente le dinami (/",../',..) sono in involuzione doppia; esse sono armoniche rispetto alle dinami (fs, lee): (fel) (farla) 0 quindi armoniche rispetto a tutte le dinami (f, . .4, ..). Le rette r' secondo le quali agiscono le risultanti contenute nella se- rie delle dinami (/",..l",..) sono gli assi di momenti nulli rispetto a tutte le dinami (fi. .l,..), 0 sia sono le relte r' comuni ai tre complessi di rette determinati dalle equazioni (42) fl4-.40f.+.-.=0,. fLH_A-l'f.4+=0, fl4..Al'f+.=0; queste rette costituiscono le generatrici di uno stesso sistema in una superficie rigata di 2° ordine Y'. Le superficie Y e X' non formano che una sola superficie (Y, Y'), in cui le generatrici di un sistema sono le rette r e le generatrici dell’al- tro sistema sono le rette r'. *) Nota cit. Rend., giugno 1866. Ae ai Date tre delle rette r' è determinata la superficie X', e quindi possono determinarsi quante si vogliano altre rette r'. Le rette r: coniugate di una retta r; rispetto alle dinami (f',..0',..) formano con rj. e con le rette r' una congruenza lineare; le due diret- trici a cui sì appoggiano tutte le rette della congruenza sono le due rette r di Y', di sistema diverso delle r', condotte per i punti d'incontro di CNCONINE Considerando il complesso degli assi di momenti nulli rispetto ad una delle dinami (f,..L,. .), cioè il complesso delle rette r' determinato dal- l'equazione a(PIt AA (PA AV (+ AV +.) =0 per un dato sistema di valori dei rapporti (,:%,:%,), sia P, il piano nel quale giacciono le rette del complesso che passano per un punto p, e p, il punto nel quale concorrono le rette del complesso che giacciono in un piano P. Ad ogni diname (f, ../,..) corrisponde un piano P, ed un punto p,, e viceversa: se tra le dinami (f; . .0,..) se ne considerano due (f.+-d-.), (f;;--L;;-.) armoniche tra loro, i piani corrispondenti p(P,, P,), ed i punti corrispondenti a P(p,,p,) saranno coniugati armonici rispetto alla superficie rigata di 2° ordine X. Se poi,tra le dinami (f;..l, ..) se ne considerano tre (f;;-+U..), (fir.-Ua--): (,--L;.-)x°a ‘due a due armoniche tra loro, essendo (P;, P;, P,) i piani corrispondenti a p, se sulle relte d’in- tersezione dei piani (P;, P,), (P. P;), (P,,P,) si prendono i punti (p,P;; P.) coniugati armonici di p rispetto a X, delerminando così un piano P, il tetraedro, coniugato rispetto a Y, che ha per facce i piani (P,,P;,P,.P), e per vertici i punti (P;, p,,P., p), è tale che, relativamente ai complessi degli assi di momenti nulli rispetto alle dinami (fi, +4»), (fine), (fi; --Uy-.) Ie terne'dei piani ‘(P;, P;, Pa); (PP, Pi o), (Por) sono corrispondenti rispettivamente ai punti (p, P;, P;,P.), e le terne dei punti (p;. p;, Pe), (P. Ps P;): (Par Pa Pi); (P;» Pi p) SONO corrispondenti rispet- tivamente ai piani (P, P,,P., P.,). Analoghe considerazioni possono farsi intorno ai complessi degli assi di momenti nulli rispetto alle dinami (/",..0",..). ’ Allorchè si annulla il discriminante dell’equazione (14), o sia sì ha la condizione fl A ft fl A ft ft At (13) 2=>| fd elfo] ft A fi fit ALT fl +Lf + Sid il primo membro dell'equazione (11) decomponendosi in due fattori omo- genei di 1° grado in (%,,%,,%,), ognuno di essi darà luogo ad una serie di dinami (f,..,..) in involuzione semplice, contenuta nell’involuzione doppia definita dalle formole (9), e tutte le dinami dell’una e dell'altra involuzione ammetteranno risultanti, di cui le linee d'azione r passeranno rispettivamente per un punto p; giacendo in un piano P,, e per un punto p, giacendo in un piano P,; la diname (f, ..l,..) corrispondente ai valori di (%,:%,:%,) che annullano simultaneamente i due suddetti fattori di 1° grado, essendo comune alle due involuzioni semplici, ne segue che la retta r congiungente dei due punti (p,, p,) è nello stesso tempo l’inter- sezione dei due piani (P,, P;). In tal caso le dinami (/", ..0',..) che am- mettono risultanti costituiranno anche due involuzioni semplici conte- nute nell’involuzione doppia definita dalle formole (9); le rette r' corris- pondenti ad una di queste involuzioni passeranno pel punto p, giacendo nel piano P,, e le rette r' corrispondenti all'altra involuzione passeranno pel punto p; giacendo nel piano P,. Se poi si annullano i determinanti minori del discriminante A, nel qual caso il primo membro dell’ equa- zione (11) è un quadrato, le due involuzioni semplici costituite dalle di- nami (f,..l,..), e dalle dinami (f",..l',..), che ammettono risultanti, si ridurranno ad una sola, sicchè le rette r e le rette r' passeranno per un punto p giacendo in un piano P. Nel caso particolare in cui si annullano gli elementi del determinante A, osiasi ha flA4g,m+h,n,=0 ? fol A4- gm 4h, a 0 ? f.ltg,m+h,n, =0 ? filt+.+Lfy+...=0, fl t..+Lfit..=0, fil, ton +1f+..=0, le dinami (f.,.-03+.), (fax--0:-.), (fi--1.;..) ammettono risultanti con linee d’azione (r,, r,, r,) che a due a due sì appoggiano tra loro, sicchè queste tre relte o concorreranno in un punto p, 0 giaceranno in un piano P; nel- l’una o nell'altra supposizione tutte le dinami (f,../,..) ammetteranno risultanti, e le rette r passeranno tutte pel punto p, o giaceranno tutte nel piano P. Accadrà lo stesso per le dinami (/",../",..). Supponendo :(=4, o 1=5, sarà '=2, o =; si ricadrà allora nei casi d’involuzione esaminati precedentemente, scambiando tra loro le dinamo ee (0a) 4. Cerchiamo ora se tra le dinami di un’involuzione ve ne siano di quelle di cui le coordinate si annullano, o come altrimenti può dirsi, vi = | siano dinami in equilibrio *). Siano le dinami (f,.. 2,..) in involuzione Ti ola ((—1)"° espresse dalle formole (4) fit + fr alti +5 se una di queste dinami è in equilibrio, i valori di (x,:...:%,) che la determinano dovranno soddisfare alle equazioni (2) xi fre, =0 a xl +... +%1,=0, ORA, sicchè, essendo 1<6, non potranno aversi dinami (f,..,..) in equili- brio se non quando si ha fi» Ir» h,, l,, UE) n, | PAPI PRESO APOLOE, O (3) Me =="0%. 1 EL AREE Supponiamo che la condizione (3) sia soddisfatta annullandosi tutti i determinanti d'ordine '—+-1 tratti dalla matrice M; allora i valori di (4,,...%,) che verificano le equazioni (2) saranno della forma } AO 00 ORO. Bo, ® DIGO, 0,0 (4) Veni saloni i siae saio, essendo (k°,...k7) coeflicienti arbitrarii, e le dinami (f..l,..) corrispon- denti a questi valori (4î,...2°) di (4,,...,) saranno tulte dinami in equi- librio; potremo quindi dire che nell’involuzione (r—1)?" definita dalle formole (1) è contenuta un’involuzione (i—1)?” di dinami in equilibrio. Ponendo in generale ache rea .-+k, rr ? (5) MERA ATL %, ii ao atei egli: e Aha; ’ in cui (k,,...%,_;) dinotano al pari di (4°,...k;) coefficienti arbitrarii, e (A,13 +0 +%,a) re 0 (Hi; + +%4,,-:) SONO 1 valori di (4;,++:#,) che determinano *) Nota cit. Rend., agosto 1869. LATE le dinami (fx. -+-d:---)» (fine «Li, i-in+ +.) dell’involuzione proposta, le formole (1) si ridurranno ad (6) f=bfxt 0 +-b,;f ei 2 a E=kli teo At-k, bi La sicchè per un sistema di valori assegnati ai coefficienti (k,,.. .k,_,)» tutte le dinami (f, ..2,..) date da (1) e corrispondenti ai valori (4,,..%,) espressi dalle formole (5), variando comunque i coefficienti (47, ...k°), coincideranno con la diname (f, .. 2, ..) data da (6) e corrispondente a quei valori assegnati a (k,;... È,_,). Le formole (6) definiscono un’involuzione ((—i—1); adunque la multiplicità dell’involuzione delle dinami (f,..2,..) si abbassa di è unità, in conseguenza dell’esistenza di un’involuzione (i--1)"" di dinami (f,..1,..) in equilibrio. Sia simbolicamente ®=(2,0,+%,0,+...+%0,)°, intendendo che dopo lo sviluppo si ponga @,@0;=| @;,@; |; sarà P=0 l’e- quazione alla quale debbono soddisfare i coefficienti (4,, ...,) affinchè la diname corrispondente (f, ..,..) ammetta una risultante. Ora il di- scriminante A di ® essendo espresso da [0,3,]: [(0,:2]:++ [0,30] IC PAL CTR LORI NA QUOTE PR PSI. PR CAR È [0,0,]» CACAR DO [0,,0,] for Gar las la, MM, | (lm f Joh, ci Pr itgio: (OMO, I) CZARENIOA a | | [0,30]: [0,30,]:+.- [0,0] OA TIE CA I MES E ORS TRI C si vedrà facilmente che annullandosi tutt'i determinanti d’ordine .—i+1 tratti dalla matrice M, si annulleranno i determinanti minori dello stesso ordine 1 —i#+1 del determinante 4; allora, come è noto per la teoria delle forme quadratiche, la forma ® che contiene variabili (4,,...%,) potrà esprimersi con sole 1—i altre variabili (k,,..k,_,); il che d’altronde risulta evidentemente dalla riduzione pocanzi ottenuta delle formole (1) alle formole (6). Segue dalle cose dette che quando in un’involuzione vi sono dinami in equilibrio, le linee d’azione delle risultanti contenute nella serie delle dinami proposte, sono assoggettate alle leggi che hanno luogo per le involuzioni di multiplicità inferiore. culi Anti. sertf aa Moi alligpò i n On, À isolani sand o: RETRO VERRA MW ifasiafitnon i papi 1a a nta i 2 (I) 4A att (ARA) drill | nigi cin i E iL OMM VANS GS AI i rrasorita atto‘ vivi anpiza i DLL dui ib nanolgi bd È bad Ri VT Ade. l'ala INCA) Saba s e |a 19004 de dati vt vir CESANO 2 orolanbbron angdi pater gut sà tirannia 7. AR radianti “iv'dabi MET i vai (na : “A ‘i Vil] i RN pih, balle sb VT id i De pat mo: 4 bt URZIE l'A ‘ LA 14! me Vi DE LIEIRA CN vai AMET UNISTTO I)IV.)G ai Ù ag adi mn MOVIRICIOCNI Pat imnAt PAT ittero i [GI0N MUSTO VESIUE di aosta na i Nes MUCTLISINARLOTE tato) pl TAR) dh Has MINE e o i tV 'eliffvat 4 MSl0 aflass dl addi. : acta È dA o sima ti Snai toni raro ce ail sid przez Vash orbi nda ngi! ans ni odo tig [di su) ih Vol. IV. Ns**t0 ATTI DELLA R. ACCADEMIA DELLE SCIENZE FISICHE E MATEMATICHE SULLE FORME CRISTALLINE DI ALCUNI COMPOSTI DI TOLUENE MEMORIA DEL SOCIO ORDINARIO A. SCACCHI letta nell'adunanza del dì 11 dicembre 1869 Nello scorso mese di settembre ho ricevuto dal Prof. Koerner al- cune novelle sostanze organiche cristallizzate preparate nel laboratorio di chimica della R. Università di Palermo diretto dal Prof. Cannizza- ro. Accettato l’incarico affidatomi di esaminare le loro forme cristalli- ne, ben presto mi sono accorto che per avere esatta conoscenza dei ca- ratteri cristallografici di alcune di esse era mestieri sottoporle a nuove cristallizzazioni con particolar cura in vario modo intraprese. La qual cosa avendo eseguito, sommetto con la presente nota al giudizio dell’Ac- cademia i-risultamenti ottenuti. Idroclorato di parabromo-ortotoluidina. Ho ricevuto con questo nome due specie di cristalli di forme per nulla tra loro comparabili, quan- tunque entrambe si riferissero al sistema monoclinoedrico. Vedremo an- cora in seguito esservi qualche differenza nella loro composizione chi- mica. La prima specie abitualmente di color roseo è in forma di tavo- lette monocline terminate nel lato destro da specie di facce diverse da quelle che sono nel lato sinistro ; val quanto dire ch’essa è emiedrica; e ci ha di più che nei diversi cristalli presenta due maniere di emiedria una inversa dell'altra. Nelle figure 2 e 3 sono rappresentate le forme particolari a ciascuna delle due emiedrie con le facce O, C' in a parallele al piano di proiezione ed in b perpendicolari al medesimo piano. Guar- dando i cristalli dal lato ove sono le facce w, essi si presentano incli- nati a sinistra se hanno Ja forma della figura 2, ed inclinati a dritta se Atti — Vol. IV.— N.° 15 1 (0) — id — hanno l’altra forma della figura 3; e per questo carattere possiamo di- stinguere gli uni dagli altri chiamando i primi levoclini, e destroclini i secondi. Nella figura 1, ab ho rappresentato tutte le specie di facce fin ora rinvenute allogate come se il cristallo fosse oloedrico. Figura1, a b A sopra B—=4104°19'’; media di sei misure variabili tra 104°44’ e 104°26' A_» k=4131 928; media di quattro misure variabili tra 134 25 e 131 32 B_» u=413512; media di cinque misure variabili tra 135 8 e 135 18 A n MINZIIIIO A sopra m =114°25’ A_» e =413915 B' » m=420 55 A » u =100 6 Cc » m =130 40 Au » AB=1834 418 PA >> E — 12989 Bi» lk'=9925 Baia 13205% uo 13025 G >» n =12347 u » k'=411419 e name CSI ei ARTE — 12.008 di ni SIAZO GICANOLAIIA0 mi hI=43938 (27 » ei —=12595 n » k =4146 30 uil d'=d14826 a:b:c=1:0,8774:0,8562; a sopra b=104°19" 4100, B 010, G 001, d 110, e 110) E 101) « 011, m 111 n T1T° Clivaggio nitidissimo parallelo ad A; alquanto meno nitido parallelo a B. Cristalli piroelettrici, polo antilogo corrispondente alle facce C, C', fig. 2, 3, dal lato ove sono le facce w, w'. Non di raro si hanno due cristalli un levoclino ed un destroclino congiunti col polo antilogo, fi- gura 5. Le descritte forme cristalline si hanno dalle soluzioni acquose alle basse temperature ordinarie dall’ ambiente, o anche a temperature più elevate sino a circa 90°. A_ circa 80° uniti ai medesimi cristalli si pro- ducono i cristalli dell’ altra specie che ho pure ricevuto dal Prof. Koer- ner la cui forma è rappresentata dalla figura 6, a b. Non conoscendo la precisa differenza di composizione che intercede tra questa specie e la precedente, nel dover distinguere l’ una dall'altra, mi gioverò del ca- rattere distintivo delle loro forme che sono nella prima emiedriche e nella seconda oloedriche. ee Figura 6, a b Asoprau =115° 4’; media di tre misure variabili tra 115° 0’ e 115° 9' » ww = 9232; media di tre misure variabili tra 9229 e 9236 A_n m =13214; media di quattro misure variabili tra 134 52 e 132 31 ATTI OO = 00 Au sopra Au’ = 80°30’ Mn MI SSIITOI Cm "cu == ‘9025 Mm ' =S1148 28 Am » mm'=412827 A» uu —12554 Am » mu = 7318 4A» mm'=144831 Aw cn. Luw =416:35 Au » mu =125 57 a:b:c=1:1,7227:1,4584; a sopra b—125°54' 4100, C001, 0141, m111. Clivaggio di A nitidissimo, di « alquanto meno facile a scuoprirsi. I cristalli oloedrici sono affatto diversi dai cristalli imiedrici, come si scorge chiaramente dalle condizioni di clivaggio e dalle misure go- niometriche di ciascuna specie; e resta a conoscere se tale differenza sia effetto di dimorfismo o dipenda da diversità nella chimica loro com- posizione. Lasciando allo stesso Prof. Koerner risolvere la quistione col mezzo delle analisi chimiche, esporrò i pochi saggi da me fatti per giungere al medesimo scopo. Nei quali saggi ho incontrato una grave difficoltà che presentano le soluzioni acquose quando sono riscaldate. Dappoichè portata la temperatura a circa 40°, e tenendo i cristallizzatoi chiusi con lastra di vetro , le goccioline acquose che si raccolgono sotto la lastra sono intorbidate da sostanza bianchiccia; e quando si prosciu- gano alle basse temperature dell'ambiente, restano una macchia bianca. Val quanto dire che alla riferita temperatura notevole quantità della so- stanza disciolta si esala. Non ho osservato la medesima cosa riscaldando i cristalli emiedrici a circa 40°; e quando li ho riscaldati per esaminare la loro piroelettricità, si sono conservati intatti sino a. circa 70°, e sol- tanto hanno cominciato ad appannarsi presso gli angoli diedri quando il termometro, il cui bulbo era tenuto in contatto del cristallo, è giunto a 75°. Forse la sostanza disciolta è semplicemente trasportata dal va- pore aqueo; ma è sempre un grave inconveniente che in qualsivoglia modo la sostanza di cuì ci occupiamo sì esali dalle soluzioni tenute a moderato calore. Nelle goccioline acquose raccolte dalle soluzioni te- nute tra 35° e 36° non ho potuto notare sensibile intorbidamento, e Li ee en dopo la loro evaporazione le lastre di vetro non restano macchiate. Non- dimeno la loro limpidezza non basta a dimostrare che dal cristallizza- toio non si emani altro che vapore acqueo, ed il forte odore che le so- luzioni tramandano, anche alle ordinarie temperature dell’ambiente, mostra quanto sia difficile impedire le perdite che si hanno in ragione della temperatura. Egli è però che per gli esperimenti che mi proponeva eseguire diretti a riconescere se i cristalli oloedrici abbiano la medesima composizione dei cristalli emiedrici, ho cominciato dal prendere notizia della perdita che si produce nelle soluzioni tra 35° e 36°. Avendo disciolto in piccolo cristallizzatoio di peso determinato grm.1,099 di cristalli emiedrici, ed evaporata la soluzione alla riferita termperatura sino a completo dissec- camento, ho trovato che, dedotto il peso del cristallizzatoio, i cristalli depositati pesavano grm. 1,042. Si è quindi avuta la perdita di grm. 0,057, ovvero 5,19 per 100. Un altro saggio è stato diretto a trasformare i cristalli oloedrici in emiedrici, siccome avviene per le sostanze dimorfe quando una specie di cristalli è immersa nelle soluzioni che dànno origine all’altra specie. Ho quindi preso una soluzione di cristalli emiedrici che alla temperie dell’aria ambiente, variabile tra 17° e 18° aveva depositato cristalli, e però era satura; l’ho messo nella stufa ove il termometro segnava cir- ca 35°, e quando la temperatura del liquore si è equilibrata con quella della stufa, vi ho immerso alquanti cristalli della specie oloedrica. In principio ho avvertito che i cristalli immersi sì sono in piccola parte di- sciolti, ed in meno di un’ora sono apparsi su ciascuno di essi molti mi- nuti cristalli che si sono di continuo ingrandili. Il giorno seguente estralti i cristalli immersi per esaminarli, li ho trovato impiccoliti e ri- coperti di nitidi e distinti cristalli emiedrici senza alcuna regola su di essi disposti. In questo esperimento non essendosi avuta la trasforma- zione dei cristalli oloedrici, ho reputato per lo meno molto probabile che la loro differenza dai cristalli emiedrici non derivi da dimorfismo. E questa conclusione è stata rifermata da un altro esperimento fatto con la soluzione di quantità determinata dei cristalli oloedrici. Grm. 0,983 di cristalli oloedrici polverizzati sono stati disciolti con acqua stillata a circa 86° in piccolo cristallizzatoio di peso determinato non maggiore di quindici grammi; ed evaporata la soluzione alla mede- sima temperatura, dopo due giorni ha lasciata nitidi cristalli di color roseo intenso della specie emiedrica, e niente altro che questi cristalli. a -— — )0 — Pesato il cristallizzatoio con i novelli cristalli, e dedotto il peso del cri- stallizzatoio, ho trovato i cristalli emiedrici pesare gem.1,009. Vi è stato quindi l'aumento in peso di grm. 0,026 ovvero del 2,58 per 100. In un altro saggio da grm. 1,051 di cristalli oloedrici ho avuto grm. 1,084 di cristalli emiedrici; e però il peso aumentato in parti centesime è stato di 2,95. In questi esperimenti delle soluzioni acquose dei cristalli oloe- drici, essendosi avuto cristalli emiedrici, e non altro che cristalli emie- drici con aumento di peso, è chiaro che la composizione dei primi diffe- risca da quella dei secondi per una minore quantità proporzionale di 0s- sigeno e d’idrogeno in quantità atomiche tra loro eguali. Ed è pur chia- ro che l'aumento in peso sarebbe stato molto maggiore se, come innanzi si è veduto, le soluzioni acquose evaporate tra 35° e 36° non dassero una notevole perdita. Se in tale perdita potesse ammettersi una ragione costante, essendosi essa trovata nel precedente saggio eguale a 5,19 per 100, l’aumento nei cristalli degli ultimi esperimenti andrebbe cal- colato eguale a 7,77 o 8,14. Nondimeno per ragioni facili ad intendersi la riferita perdita non può serbare una proporzione costante; e però re- sta a definire con l’analisi di entrambe le specie di cristalli l’esalta pro- porzione dell’eccesso di acqua contenuta nei cristalli emiedrici. L'alcool assoluto disciogliel’idroclorato di parabromo-ortotoluidina me- glio dell’acqua, e la soluzione prende color giallo bruniccio o color ros- sobruno intenso quando è riscaldata. Alle ordinarie temperature dell’am- biente inferiori a 80° si hanno cristalli emiedrici di color giallo brunie- cio ed in apparenza molto diversi da quelli depositati dalle soluzioni ac- quose. Nella figura 4 ho disegnato la forma abituale di questi cristalli in a con le facce C parallele al piano di proiezione ed in b con le facce C perperidicolari al medesimo piano. Essi sono ancora emiedrici, ora levoclini, come quello figurato, ed ora destroclini; ma nel polo antilogo invece di trovarsi molto estese le facce w, fig. 2 e 3, siccome avviene nei cristalli delle soluzioni acquose, esse sogliono mancare, e si tro- vano assai grandi le facce &; ed è pure notevole la grande estensione della faccia e che nei cristalli delle soluzioni acquose suol essere assai piccola e spesso manca del tutto. La forma poi di questi cristalli in po- chi giorni si muta se si fanno ingrandire in soluzione acquosa, acqui- stando assai maggiore estensione le facce A, w; come pure i cristalli generati nelle soluzioni acquose immersi nelle soluzioni aleooliche ed ingranditi, man mano sì accostano ad avere quella estensione di facce che vedesi rappresentata nella figura 4. ci Quando le soluzioni alcooliche sono evaporate a temperature mag- giori di 30° depositano gli stessi cristalli oloedrici, fig. 6, che dalle so- luzioni acquose si è veduto prodursi a circa 80°. Le soluzioni che in principio sono di colore leggermente hruniccio acquistano a poco a poco colore più intenso che passa al rosso fosco, il quale mutamento avviene tanto più presto per quanto più elevata è la temperatura. Per gli espe- rimenti che saranno or ora esposti si vedrà che il color rosso fosco de- riva dalla formazione di una novella sostanza vischiosa incapace di cri- stallizzare solubile nell’alcool, e poco solubile nell’acqua. L'esame di questa sostanza non sì appartiene alla presente memoria se non per la parte che essa prende nel modificare la forma dei cristalli emiedrici che si generano nelle soluzioni acquose che la contengono disciolta. Nè po- trei dire con certezza se una sola o diverse sostanze incristallizzabili si generino nelle soluzioni alcooliche evaporate ed elevata temperatura. Quando per accelerare la cristallizzazione nelle soluzioni alcooliche le ho evaporate tra 50° e 60°, il liquore decantato si è col raffreddamen- to rappreso in massa cristallina che in breve tempo si è prosciugata. E di questa massa fattane soluzione con l’acqua stillata, sono rimaste in- disciolte molte particelle nerastre che ho dovuto separare con la filtra- zione. Le particelle nerastre poi le ho trovate solubili nell’alcool al quale comunicano color rosso fosco. Intanto il liquore filtrato posto a cristallizzare, e più volte di seguito separato per decantazione dai cri- stalli depositati e concentrato, mi ha dato nelle successive cristallizza- zioni risultamenti diversi. Nelle prime cristallizzazioni ho avuto cristalli laminari terminati in lunghe punte acute della forma rappresentata dalla figura 9; nelle cri- stallizzazioni successive i cristalli sono riusciti in forma di larghe lami- ne di estrema sottigliezza, fig. 10; ed infine dalla evaporazione delle ul- time acque madri ho avuto deposito rossastro in forma di tubercoletti nei quali o non apparisce alcun segno di cristallizzazione o vi sono co- sparse poche laminucce cristalline. L'ultimo deposito tubercoloso poi è formato della stessa sostanza cristallizzata dei precedenti depositi me- scolata con sostanza incristallizzabile. E me ne sono assicurato scioglien- dolo nell’alcool ed evaporando il liquore alcoolico a circa 35° sino a completo disseccamento; nella quale operazione ho avuto per residuo i cristalli oloedrici sporcati da poca sostanza vischiosa rossobruna. Di più questo residuo della soluzione alcoolica ridisciolto con acqua, è rima- sta indisciolta piccola parte nerastra e molle; ed evaporata la soluzione PE i acquosa si è riprodotto il deposito tubercoloso simile a quello ottenuto dopo i primi depositi cristallini. In altri esperimenti le soluzioni alcooliche sia dei cristalli emiedrici, sia degli oloedrici sono state evaporate a circa 35°. Questa temperatura ho trovato essere la più opportuna per avere nitidi cristalli oloedrici, tenendo coverto il cristallizzatoio con carta sugante piegata a quattro doppii, e sopra di essa un piccol peso che mantenga la carta unita agli orli del cristallizzatoio. Si ottiene così che, senza impedire la evapora- zione, si allontanano gl’inconvenienti che nascono dall'azione dell’aria ambiente sulla superficie del liquore. Quando la soluzione perviene al giusto punto di concentrazione cominciano a depositarsi nel fondo del cristallizzato i cristalli oloedrici isolati che lentamente s’ingrandiscono sino alla completa evaporazione del liquore; e finita l’evaporazione, i cristalli sì trovano inquinati di poca sostanza vischiosa di color rosso scuro. In principio la soluzione è di colore alquanto bruniccio; questo colore si conserva anche dopo l’ apparizione dei primi cristalli e diventa soltanto di poco più intenso; in seguito si manifesta il color rosso scuro la cui intensità va continuamente crescendo. Egli è però chiaro che il color rosso della soluzione non deriva dal suo stato di concentrazione, perchè tarda a manifestarsi anche qualche tempo dopo l'apparizione dei cristalli, e cresce la sua intensità senza che la soluzione sia più concen- trata. Se si estraggono i cristalli oloedrici prima che comparisca il co- lor rosso, o anche quando questo colore non è molto intenso, essi sono bianchi. Se il colore del liquore è divenuto molto intenso, i cristalli estratti, nel prosciugarsi, ritengono alquanto il colore delle acque madri, che facilmente si può togliere lavandoli con l'alcool. Così pure i cri- stalli che si hanno tra 50° e 60° e che sono di color bigio-violetto, di- ventano bianchicci lavati con l'alcool che scioglie facilmente la sostanza colorante. Intanto il deposito che si ottiene dalle soluzioni evaporate a 35°, di- sciolto con acqua, resta un piccolo residuo indisciolto formato in parte di neri granelli che restano in fondo ed in parte di goccioline vischiose nuotanti di color rosso fosco; ed il liquore filtrato dà i medesimi depo- siti prima cristallino e di poi tubercoloso che si è veduto prodursi nelle soluzioni acquose fatte con i depositi delle soluzioni alcooliche evapo- rate a circa 60°. I neri granelli che vanno in fondo dell’acqua sono mol- li, e stemperati manifestano il color rosso fosco delle goccioline super- ficiali; e però sembrano essere la medesima sostanza più addensata. e Bia Darò termine a questo articolo con la esposizione delle ricerche fatte sulla duplice emiedria della specie emiedrica. Il carattere della emie- dria d’ordinario si manifesta assai distinto per le grandi facce w, w' che si trovano ora presso la faccia C, fig. 2, di sinistra ed ora presso la fac- cia C', fig.9, di destra quando si tiene il cristallo con l’angolo diedro ottuso AB allogato anteriormente nella parte superiore. Dal lato oppo- sto a quello ove sono le facce w si trovano due specie di piccole facce m, n. À questa apparente differenza tra le facce del lato dritto e del si- nistro dei cristalli si aggiunge la loro piroelettricità col polo analogo dal lato ove sono le faccette m. Le facce m, n non le ho mai osservate che nel polo analogo, mentre le facce w che contraddistinguono il polo antilogo, talvolta le ho osservate, quantunque piccolissime, ripetute nel polo analogo. Omettendo-altre differenze di minor conto osservate nelle forme cristalline che si hanno nelle ordinarie soluzioni acquose, importa ricordare come nei cristalli delle soluzioni alcooliche le facce u, m, n sono minutissime ed il più delle volte mancano affatto. Nondi- meno l’emiedria si manifesta perchè nel polo antilogo le facce k, fig, 4, sono più grandi che nell’opposto polo analogo. Intanto è notevole che il carattere dell’emiedria e levoclina e destro- clina impresso nei cristalli nella loro primitiva origine è in essi persi- stente, nè per cagione alcuna va soggetto a mutarsi. I piccoli frammenti di cristalli posti nelle soluzioni sature, quando per l'ingrandimento che ricevono riescono terminati da nuove faccette, nelle faccette così pro- dotte si osserva sempre quella specie di emiedria levoclina o destroclina del cristallo dal quale sono stati distaccati i frammenti. Quando poi si fa soluzione di cristalli che abbiano la medesima specie di emiedria, da questa soluzione si ottengono indistintamente cristalli emiedrici di en- trambe le specie. Egli è però che la cagione per la quale si hanno cristalli emiedrici di due specie deve ricercarsi nel primordio della loro formazione; e l’espe- rienza mi ha dimostrato che i cristalli riescono levoclini o destroclini se- condochè nel primitivo accozzamento di molecole essi s' impiantano per la estremità C, fig. 2, di sinistra, o per la opposta estremità C', fig. 3, di destra. Questo fatto si appalesa ben distinto nei cristalli che si producono nelle soluzioni alcooliche. Concentrate le soluzioni a tal punto che nel raggiungere la temperatura dell'ambiente si producano cristalli, questi riescono bislunghi nel verso dell'asse c, uniti in gruppi raggiati, e con- RESI (> pe giunti insieme per una delle estremità corrispondenti alle facce (0 C'. Nei cristalli così ottenuti mancando le facce «, m, n non si manifesta ben distinta l’emiedria, e si veggono soltanto le facce & dalla parte ove i cristalli sono impiantati più grandi di quelle che sono nella estremità opposta ch'è libera. Ma immergendo nelle soluzioni acquose e sature sia gli stessi gruppi raggiati, sia i cristalli distaccati dai gruppi, nei quali si badi a non confondere la estremità libera con quella che aderiva al gruppo, dopo qualche tempo che si fanno ingrandire, si manifesta di- stinta l’emiedria per le faccette m, n nelle estremità libere e per le fac- ce u nella parte opposta per la quale i cristalli erano impiantati. E di molti cristalli che compongono lo stesso gruppo sono gli uni levoclini e gli altri destroclini. Riesce ancora facile avere cristalli impiantati alle pareti del cristal- lizzatoio per un punto determinato nelle soluzioni acquose dei residui delle soluzioni alcooliche evaporate ad elevata temperatura. Si è veduto innanzi che queste soluzioni contengono disciolta una sostanza incristal- lizzabile la quale in proporzione della sua quantità contribuisce a dare particolar forma ai cristalli emiedrici; ed ora debbo aggiungere che per la presenza della stessa sostanza incristallizzabile i cristalli emiedrici riescono quasi sempre impiantati per una delle estremità corrispondenti alle facce C o C'. Nei primi depositi cristallini, quando la quantità delle materie straniere è in minori proporzioni, nelle estremità libere dei cri- stalli si rinvengono le faccette nm, fig. 9, e però non è a dubitare che anche in queste soluzioni i cristalli si fissano per il polo antilogo. Egli è vero che queste faccette, quasi sempre piccolissime e spesso impercet- tibili, potrebbero scambiarsi con le facce vu; ma in due cristalli son riu- scito ad assicurarmi che sono le m misurando le loro inclinazioni sulla faccia A; ed avendo pure ripetuto la pruova di fare ingrandire qualche cristallo delle medesime soluzioni nella soluzione di puri cristalli emie- drici, ho trovato le estremità libere corrispondere al polo analogo. Quanto poi ai cristalli laminari, fig. 10, che si hanno dalle soluzioni con quan- tità maggiore di sostanza incristallizzabile, l’esser essi impiantati pel polo antilogo non si argomenta altrimenti che per le intime relazioni che essi hanno con i precedenti cristalli da’ quali si differenziano per insen- sibili gradazioni. Essi sono lamine di estrema sottigliezza che non la- sciano vedere nei margini alcuna specie di faccetta nemmeno osservan- dole con lente d'ingrandimento, e soltanto per analogia si può argo- mentare il luogo delle faccette e e delle faccette m. E per la stessa loro Atti — Vol. IV.— N.° 15 2 ae pn sottigliezza sono talmente disadatte a maneggiarsi, che non mì è riuscito di tramutarle in soluzione di puri cristalli per osservare nei cristalli in- granditi qual posto prendono le faccette m ed w. Nell’investigare la cagione della duplice emiedria ho dovuto tratte- nermi a prender nota di questi particolari che ci offrono i cristalli de- positati dalle soluzioni alcooliche e dalle soluzioni acquose che conten- gono un po di sostanza incristallizzabile, dappoichè le medesime cose non si osservano nei cristalli delle soluzioni acquose pure. I cristalli di queste soluzioni sembrano essere indifferenti; val quanto dire che si gene- ranoinsenoalle soluzioni senza cercare un sostegno al quale fissarsi, e però senza che si possa in essi riconoscere alcun punto determinato col quale s'impiantano. Se le soluzioni sono discretamente concentrate, si hanno i cristalli isolati poggiati nel fondo del cristallizzatoio per le facce A, perchè queste facce sono le più grandi; e dalle soluzioni più concentrate si hanno cristalli aggruppati senza regola alcuna, come il caso li ha por- tati ad incontrarsi, mentre gli uni indipendenti dagli altri si sono ge- nerati in seno alle soluzioni. Abbiamo dunque nella specie di cui ci oc- cupiamo l'esempio di cristalli che, secondo la natura delle soluzioni nel- le quali si generano, talvolta sono, o sembrano essere indifferenti per la maniera d’impiantarsi, ed altre volte si fissano per una parte determinata. Nel giudicare poi della cagione che dà origine alla duplice. emiedria credo bastare il costante rapporto dimostrato dall'esperienza tra il polo antilogo ed il punto di attacco quando i cristalli sono impiantati per una loro parte determinata. Per gli altri casi, nei quali non si scuopre nei cristalli la qualità di fissarsi per un punto stabile, farò osservare non po- tersi conchiudere che manchi tale qualità perchè non appariscente. In diversi modi sì può intendere che i cristalli nei loro primordii abbiano un punto di attacco determinato senza che ciò si possa riconoscere quan- do sono ingranditi. Quali credo che siano questi diversi modi non reputo vantaggioso esporre, essendo miglior partito attendere che le future in- vestigazioni chiarissero l'argomento di cui ci occupiamo con quella evi- denza alla quale aspira il naturalista. Farò soltanto notare (perchè non si dimentichi un fatto che forse tornerà utile alle future ricerche ) che spesso dalle pure soluzioni acquose ho avuto cristalli coniugati pel polo antilogo, che si veggono disegnati nella figura 5; val quanto dire due cri- stalli impiantati l’uno sull’altro per i poli antiloghi. Questo fatto è ap- punto il contrario di quello avremmo dovuto attenderci nella ipotesi che i cristallini primordiali avessero virtù elettrica come i cristalli ingranditi Ma per effetto di variabile temperatura; dappoichè si congiungono i poli dello stesso nome tra i quali secondo le leggi dell’elettricismo vi do- vrebbe essere ripulsione. Intanto abbiamo che si attaccano scambievol- mente i poli antiloghi che sono appunto quei poli per i quali i cristalli si attaccano ai sostegni quando il carattere d’impiantarsi è manifesto. E su questo fatto ho voluto richiamare l’attenzione dei naluralisti re- stando ad investigare se ciò che apparisce chiaro in alcuni casi non fosse regola generale; potendo stare che per tutti i cristalli che non si fissano ai sostegni per le facce C o C' nell’iniziarsi la cristallizzazione sì attac- chino scambievolmente per i poli antiloghi due cristallini uno dei quali soprafatto dall'altro non s' ingrandisca. Considerata la cosa sotto di questo aspetto, vi sarebbe questa inattesa differenza tra i cristalli che si generano nelle pure soluzioni acquose e quelli che si hanno dalle soluzioni alcooliche; che i primi cioè sono co- niugati, congiungendosi per i poli antiloghi un cristallo levoclino con un altro destroclino, ed i secondi sono semplici impiantati pure per i poli antiloghi. Di cristalli coniugati per i poli antiloghi si ha un altro esempio nella calamina di Altenberg; e siccome essi rappresentano un cristallo con polarità centrale, potrebbe questo fatto servire a rendere ragione della polarità centrale che si ritiene rinvenirsi nei cristalli di topazio e di prenite i quali, quantunque semplici in apparenza, potreb- bero essere coniugati. Dalle cose fin qui esposte sopra i cristalli emiedrici dell’idroclorato di parabromo-ortotoluidina si scorge che essi offrono un esempio del tutto somigliante all’altro già noto dei cristalli di solfato litico sì per ri- guardo alla duplice loro emiedria e sì per le relazioni tra la specie di emiedria levoclina o destroclina ed il punto pel quale essi s'impian- tano. Conviene intanto ricordare che i cristalli del solfato litico, nei pochi casi in cui si è osservata la loro maniera d’impiantarsi, erano at- taccati pel polo analogo *). Idroclorato di orto-toluidina. Tranne la definizione dei caratteri cristal- lografici, non ho fatto altre ricerche sopra i cristalli di questa sostanza. Essi sono monoclini, e la loro forma è rappresentata dalla figura 8, in a con lejfacce A, B perpendicolari al piano dì proiezione, ed in b con le facce B parallele al medesimo piano. !) Delle combinazioni della litina con l'acido solforico. Napoli 1868, pag. 24. RESO (O A sopra B= 94%8'; media di quattro misure variabili tra 94°%36/e 95° 2’ A_» d=12913; media di quattro misure variabili tra 128 58 e 129 24 B_» u=11649; media di tre misure variabili tra 116 41 e 116 56 A_» e=13433 Ae sopra Au =116°43’ Al lie 292710 Au » eu =136 54 ei Un'=11047 Au » uu = 8550 d'\inl iui=108/547 A» | Id'iw=132158 a:b:c:=1: 0,8969: 0,5033; a sopra b =85%2" A4100, B010, d'110, e 110, 014. Clivaggio di A nitidissimo, di B interrotto. Parabromo-ortonitrotoluene. I cristalli di questa sostanza di color giallo pallido vanno riferiti al sistema triclinoedrico. La loro forma vedesi di- segnata nella figura 11 con le facce C parallele al piano di proiezione, e sogliono avere ora le facce G ed ora le facce Bassai più grandi delle altre. A sopra B—4102°48’; media di quattro misure variabili tra 102°40’ e 102°51” A_» C=441946; media di tre misure variabili tra 119 8 e 119.22 B_» C=4124 2; media di tre misure variabili tra 123 51 e 124 8 A_» k =11054; media di quattro misure variabili tra 110 43 e 111 2 G_» u =135 34; media di quattro misure variabili tra 135 27 e 135 37 BA IT 1T13002 G ‘sopra n i 197034) A » UNU k » NE A28902 u » k =11446 AC » BC= 8552=asopra db Al tm = 16438 AB » Ba=1161060=>îa0 c Bin =V68338 ABI (nMVAGE=A02IMR = Moe G >» m=102034 AG » Au=13034 Arc». 014921 Au » Cu =108 52 B » n=410948 Bm! »> BA=420 2 o: b:-e=1:4,2158: .0,9673 A100,.B 010, C004,-E101, 014 44142241 Cristalli gemini 1° Asse di rivoluzione perpendicolare ad A, fig. 13. B sopra g=154°24 a sopra a =120°56’ Gi =421028 bibi 00 d' ‘n pi=43842 C » c=% u » n=133 48 cio VR a 2° Asse di rivoluzione parallelo agli spigoli AB, fig. 12. C sopra ) = 84°38’ a sopra a = 53°40' U ” n—57416 b ” b_— 64 6 A » y=o0 CRE CA =(00 I cristalli si sfaldano facilmente in lamine nitidissime e flessibili pa- rallele alla faccia A; altro clivaggio poco distinto parallelo a B. Questi cristalli sono solubili nell’alcool e solubilissimi nell’ etere. Dalle soluzioni nell’ etere si hanno grossi cristalli con le facce C più grandi, e non di raro geminati con la prima legge. Dalle soluzioni al- cooliche si hanno cristalli più piccoli, spesso con le facce B più grandi ed assai di raro li ho osservati geminati con la seconda legge, Si hanno pure per raffreddamento della sostanza fusa grossi e nitidi cristalli della forma figurata, ed importa notare la parte che prende la coesione cri- stallografica nel suo cambiamento di stato , ed il potersi avere liquida in particolari casi a temperature assai più basse di quella necessaria a fon- dere i cristalli. I cristalli essendo insolubili nell’ acqua, quando sono in questa immersi cominciano a fondersi a circa 42°. Nondimeno quando ho riscaldato le soluzioni alcooliche idrate nelle quali per raffredda- mento si erano depositati i cristalli, questi si sono in parte disciolti ed in parte fusi a temperature più basse; d’ordinario a circa 35°. Quando poi la sostanza fusa divien solida, questo cambiamento di stato se non è disturbato da rapida cristallizzazione, succede producendosi uno o più cristallini sui quali man mano va a depositarsi in breve tutta la sostanza fusa. Ho pure avuto in diversi casi la medesima sostanza liquida alla tem- peratura di circa 20°, ed anche a temperature più basse. Avendo fatto so- luzione alcoolica molto concentrata per prolungata evaporazione a 36°, e spenta la lampada della stufa, quando il termometro è giunto a se- gnare 22°, la soluzione ha cominciato ad intorbidarsi. Passati alquanti minuti il liquore si è chiarito, e nel medesimo tempo si sono raccolte nel fondo del cristallizzatoio molte goccioline somiglianti ad olio che hanno durato in questo stato sino a che la temperie della stufa si è ab- bassata a 20°,6. A questo punto vi è stata rapida ed abbondante produ- zione di cristalli , e le goccioline oleose, come sono venute in contatto dei cristalli depositati, ancor esse si sono consolidate in globetti cri- stallini. In altre esperienze precedenti dalle soluzioni alcooliche con- = centrate si sono depositati i cristalli a temperature maggiori di 80°; quin- di mi è sembrato strano che nel caso presente, essendo la soluzione concentratissima, non si sono avuli cristalli a minor grado di calore. Ed invece il liquore si è intorbidato, il quale intorbidamento è stato senza dubbio l’effetto della precipitazione della sostanza in goccioline di estrema piccolezza, che poi raccolte nel fondo in minor numero sono divenute distinte. Nell'’osservare questo fatto mi è sembrato che la densità del li- quore si opponesse alla cristallizzazione della sostanza disciolta; dap- poichè esso ha depositato i cristalli quando per la separazione delle goc- cioline oleose si è scemata la sua densità. Intanto nei risultamenti di questo esperimento sono a notare due cose ben distinte; lo stato liquido del parabromo-ortonitrotoluene con un grado di calore molto inferiore a quello necessario per fonderlo, e la densità della soluzione ch'è di ostacolo alla produzione dei cristalli. Non ho trascurato ripetere il saggio per meglio assicurare l’una e l’altra conseguenza; ma è assai difficile riuscire a concentrare la soluzione al- coolica al giusto punto che per eccesso di concentrazione debba deposi- tare goccioline liquide in luogo di cristalli quando il suo calore si è ri- detto alle basse temperie di circa 20°. Quindi non mi è riuscita la pruova in due volte che ho cercato riprodurre con tutti i suoi particolari il pre- cedente esperimento. È sempre avvenuto che l’intorbidamento del liquore ed il conseguente deposito delle goccioline oleose si è verificato tra 33° e 36°, e però ad un grado di calore prossimo a quello necessario per fon- dere i cristalli; di poi si sono depositati i cristalli. Egli è però che dai nuovi saggi è stato confermato il fatto della cristallizzazione impedita dall’eccesso di concentrazione del liquore *); e non ho fatto altri ten- tativi per avere dalle soluzioni alcooliche concentrate la sostanza fusa a basse temperature, perchè questo fatto è comprovato da altri saggi di più facile riuscita. In un altro esperimento ho osservato la medesima sostanza fusa in una soluzione alcoolica concentrata tenuta per tre giorni in cristallizza- toio chiuso all'aria libera ove il termometro segnava 18°,6. Avendo ag- giunto un po di acqua alla soluzione alcoolica, si è prodotto abbondante precipitato formato di fiocchetti grumosi. Dovremo in seguito occuparci dei peculiari effetti che si hanno aggiungendo l’acqua alle soluzioni al- 1) Nel paratartrato di litina si è incontrato un altro fatto che dimostra la maggiore densità della so- luzione poter essere di ostacolo alla cristallizzazione della sostanza disciolta. Sulle combinazioni della litina con gli acidi tartarici per A. Scaccni. Napoli 1867, pag. 17 e seg. “pi cooliche; intanto nel caso di cui ora ci occupiamo il precipitato gru- moso si è ben presto in parte trasformato in goccioline oleose; indi sono apparsi alquanti cristallini, l'ingrandimento dei quali ha proceduto ra- pido in guisa da scorgersi ad occhi veggenti, nel medesimo tempo che il precipitato grumoso primo a formarsi si è disciolto. I cristallini poi ingrandendosi giungevano a toccare le goccioline oleose, e come queste erano da quelli raggiunte e toccate in un punto, di repente si sono rap» prese in globetti con punte cristalline prominenti; ne alcuna gocciolina è divenuta solida se non toccata dai cristallini che di continuo s’ingran- divano. Anche questo esperimento non mi è avvenuto di osservarlo altra volta ripetersi con i medesimi particolari, e l’ho voluto esporre come un caso straordinario che si riferisce all'argomento che stiamo esaminando. In- tanto si giunge ad osservare questa sostanza fusa a basse temperature in modo più facile e sicuro mettendo i piccoli cristalli sull’ acqua riscal- data a temperature alquanto maggiori di 42°. I cristalli d’ordinario ri- marranno sospesi alla superficie, e per la loro fusione si produrranno molte goccioline galleggianti di varia grandezza. Col raffreddamento al- cune goccioline, e costantemente le più grandi, passeranno allo stato solido quando il termometro immerso nell'acqua segnerà all’invirca 36°. Scemandosi gradatamente il calore dell’acqua sino ad equilibrarsi con quello dell’aria ambiente, la maggior parte delle goccioline andranno successivamente a consolidarsi, la qual cosa si fa manifesta, perchè da trasparenti che prima erano divengono opache; e quando sarà stabilito l'equilibrio tra il calore dell’acqua e quello dell’aria sino a circa 19°, rimarranno ancora alcune di esse, le più piccole, nello stato liquido. Le ho veduto durare in questo stato per alcune ore, e quando le ho toc- cate con la punta di un corpo duro, in un subito si sono rapprese. Ho pure osservato assai spesso le goccioline fuse tra 14° e 15° quando i cristalli fusi sono stati evaporati a secco a circa 37° in piccole cop- pette di vetro, e poi ho lascialo queste all’aria libera. In tal caso il co- lore delle goccioline è bruniccio e mî è sembrato che esse siano tanto più persistenti nello stato liquido per quanto più lungo tempo è durata la lenta loro evaporazione. In uno dei saggi fatti alle riferite condizioni di tempera ho trovato dopo due giorni di esposizione all'aria della cop- petta aperta alcune goccioline ancora liquide unite ad altre più grandi consolidate, ed esse ancora si sono di repente rapprese toccandole con punta di platino. il = Egli è però che il parabromo-ortonitrotoluene è tra le materie in cui chiaro apparisce che il cambiamento di stato da liquido a solido, oltre al derivare dall’abbassamento di temperatura dipende altresì dal concorso delle forze cristallografiche. Dappoichè esso si mantiene liquido a tem- perature molto più basse di quella richiesta per fondere i cristalli sino a che una cagione qualunque non venga a promuovere la cristallizza- zione. La medesima sostanza può aversi cristallizzata per sublimazione, ed il fatto meno aspettato per i cristalli ottenuti con tal mezzo si è che i medesimi sono di due specie diverse. Avendo osservato che essa tra- manda forte odore che ricorda quello delle mandorle amare e che i cri- stalli tenuti per più giorni all'aria libera anche a temperature più basse di 20° diminuiscono di peso, ho voluto indagare per via sperimentale se la parte volatile conservi inalterata la medesima composizione dei cri- stalli. Gli esperimenti sono stati eseguiti a temperie variabili tra 37° e 43°, ed ho fatto uso talvolta dei cristalli ben prosciugati, altre volte delle soluzioni dei medesimi cristalli. Le coppette nelle quali ho esposto al calore della stufa 1 cristalli, le ho tenute coverte con imbutini rovescia- ti, e spesso tra l’imbutino e la coppetta vi ho posto la carta sugante pie- gata a quattro doppii. Trascorse non più di cinque ore dopo la fusione dei cristalli, sulle interne pareti dell’imbuto si sono mostrati molti cri- stallini assai minuti; e dopo dieci ore, divenuti i cristalli più grandetti, ho potuto distinguere con lente d'ingrandimento la loro forma simile a quella dei cristalli depositati dalle soluzioni alcooliche. Uniti poi ai me- desimi cristalli se ne sono prodotti altri capillari non più larghi di un quarto di millimetro e di lunghezza spesso maggiore di trenta millime- tri. Sulle relazioni che intercedono tra i cristalli capillari e quelli del- l’ordinaria forma triclina dovremo in seguito occuparci, e per ora mi basta avvertire che nelle sublimazioni fatte a secco ho sempre avuto en- trambe le specie di cristalli che si sono contemporaneamente generate. E soltanto ho notato questa differenza che quando ho coverto la cop- petta col solo imbuto, sino alla parte più alta dell’imbuto ho avuto le due maniere di cristalli uniti alla rinfusa; e quando la cavità dell’im- buto era separata da quella della coppelta per la carta interposta, sulle pareti della coppetta e nella pagina inferiore della carta ho avuto molti cristalli capillari con pochi triclini, e nella cavità dell’imbuto si sono depositati soltanto i minuti cristalli triclini, o a questi erano uniti po- chi cristalli dell'altra specie capillare. MEO, (I Quanto poi alle soluzioni, quelle fatte con alcool assoluto tenute nel- la stufa in coppetta coverta con carta e sopravi l’imbuto per più di dieci ore , quantunque divenute concentratissime, non hanno dato alcun su- blimato. La medesima cosa è avvenuta per le soluzioni fatte con alcool unito ad un po’ d’acqua, con la sola differenza che in questo caso sì sono raccolte nell'interno dell’imbuto molte goccioline acquose. Finalmente per le soluzioni alcooliche con maggiore quantità di acqua, in mezzo alle stesse goccioline acquose raccolte sulle interne pareti dell’imbuto ho avuto non pochi cristallini , ora della sola specie triclina , ora della stessa specie unita all'altra capillare. L’alcool allungato con acqua discioglie pure il parabromo-artonitro- toluene tanto meno facilmente per quanto maggiore è la quantità pro- porzionale dell’acqua; e la presenza dell’acqua nelle soluzioni alcooli- che produce particolari fenomeni che importa esaminare. Se nelle solu- zioni alcooliche si aggiungono poche gocce di acqua, si produrrà un pre- cipitato come di fiocchetti grumosi che subito si scioglie prima di giun- gere in fondo. Continuando ad aggiungere l’acqua in quantità alquanto maggiore, il precipitato giunto al fondo vi rimane per qualche tempo stabile. Ma in breve, d’ordinario in meno di un minuto, nel mezzo del precipitato compariscono alquanti cristalli di due specie diverse che continuano ad ingrandirsi mentre il precipitato grumoso si discioglie. È molto facile distinguere tra loro i cristalli delle due specie, dappoichè gli uni sono in forma di piccoli prismi triclini, e sono senza alcun dub- bio identici a quelli già descritti; gli altri sono capillari, ovvero in forma di lunghe ed esili fibre il più delle volte riunite in ciocche raggiate o in fascetti. Mi è avvenuto talfiata osservare i cristallini triclini precedere la formazione dei cristalli filiformi, ed altre volte questi sono stati i primi a comparire. Del resto questa precedenza non può avere notevole importanza, perchè, tranne rari casi che saranno in seguito dichiarati, la differenza suol essere di pochi secondi, e spesso non è facile a scor- gere quale delle due specie di cristalli sia stata la prima a prodursi. In- tanto vi sono alcuni fatti dei quali conviene prender nota. Il primo con- siste nella maniera come s' ingrandiscono i cristalli filiformi ch'è rapi- dissima, potendosi spesso seguire con l'occhio il loro ingrandimento come lo spandersi dell'olio nella carta sugante; e questo ingrandimento è di breve durata, mentre durano ad ingrandirsi sino alla completa evaporazione del liquore i cristalli triclini che con essi si sono generati. Ma il fatto più notevole è la faciltà con la quale i cristalli capillari si Atti — Vol. IV.— N.° 15 3 REN (O trasformano in minutissimi cristalli triclini disposti in serie secondo la loro lunghezza. Le molte volte che ho ripetuto l’esperienza, sperando di avere i cristalli capillari col prolungato ingrandimento alquanto più larghi per deferirne la forma, in meno di un'ora dal primo loro compa- rire li ho veduto del tutto metamorfizzati. Non voglio tacere un altro fenomeno che si presenta quando il preci- pitato grumoso si trasforma sia in cristalli capillari sia in cristalli tri- clini. Ove comincia ad apparire una di queste due specie di cristalli si svolgono minutissime bollicine gassose che continuano a prodursi per qualche tempo durante l'ingrandimento dei medesimi cristalli, e sono tanto più abbondanti per quanto maggiore è la quantità dell'alcool in proporzione dell’acqua. Abbiamo dunque per la mescolanza dell’acqua alle soluzioni alcooli- che la formazione di tre sostanze, almeno nella forma, diverse; un de- posito amorfo, una specie di cristalli capillari ed un’altra specie di cri- stalli triclini. S' intende di leggieri che l’acqua dà origine a questi de- positi appropriandosi l'alcool che teneva disciolto il parabromo-ortoni- trotoluene. Quindi la quantità delle materie depositate, siccome dall’e- sperienza è confermato, deve riuscire proporzionata al grado di concen- trazione della soluzione alcoolica, ed alla quantità dell’acqua aggiunta- vi. Nasce ora la difficoltà di sapere se vi sia differenza nella chimica com- sizione di questi tre depositi, e nel caso affermativo di rinvenire in che consiste la differenza; dappoichè non è facile definire la quistione col mezzo delle analisi chimiche. Il precipitato grumoso nel quale non ap- parisce alcun indizio di cristallizzazione da una parle manca di stabilità, come sì è innanzi veduto, e da un’altra parte è quasi impossibile olte- nerlo esente dai depositi che vi lascerebbe la soluzione quando si cer- casse prosciugarlo; essendo esso assai difficile a sgocciolare. I cristalli filiformi sono ancor essi difficili a prosciugare, e nel caso presente si aggiunge pure a rendere incerti i risultamenti delle analisi la faciltà con la quale essi si trasformano in cristalli triclini. E probabilmente questa trasformazione avviene anche all’asciutto, dappoichè gli esili cristalli che sono splendenti quando si estraggono dal’ liquore cristallizzante ,-in breve sì veggono appannarsi. Si è veduto innanzi che per sublimazione si hanno pure d’ ordinario riunite insieme le due specie di cristalli. I cristalli capillari con tal mezzo ottenuti li ho qualche volta veduti trasformarsi durante la sublimazione in cristallini triclini come quelli depositati dalle soluzioni alcooliche, ed il più delle volte non hanno patito alcun cambiamento anche prolun- gando per qualche giorno la lenta sublimazione; e conservandoli durano inalterati assai meglio di quelli avuti per via umida. Osservati al micro- scopio li ho trovati ora terminati in punta aguzza, ora con piccolissima faccetta terminale siccome se ne vede il disegno nella figura 7. Egli è probabile che mettendo a sublimare grandi quantità della medesima so- stanza si giunga ad ottenere i cristalli capillari più grandi, atti ad essere misurati col goniometro per definirne la forma, ed anche non molto dif- ficili ad essere separati dai cristalli triclini per farne l’analisi. La qual cosa mi è stata fin ora impossibile ad affettuare, non avendo avuto che circa sei grammi di cristalli, co quali ho dovuto eseguire i moltiplici esperimenti esposti in questa memoria, Dichiarate le difficoltà, e forse anche la impossibilità, di giungere con l’analisi alla soluzione sicura del proposto quesito, non reputo del tulto inutile esporre le ragioni per le quali mi sembra probabile che 1 tre de- positi siano d’identica composizione chimica. Ed in prima tra i cristalli capillari ed i cristalli triclini vi sono non poche di quelle relazioni che intercedono tra i cristalli di tipo diverso delle sostanze polisimmetriche. Si hanno da una parte i cristalli triclini stabili ed incapaci di metamor- fizzarsi; da un’altra parte i cristalli capillari più rapidi a prodursi, ma poco stabili e facili a trasformarsi nei primi. I cristalli poi che nascono per trasformazione sono allogati con le facce della medesima specie tra loro parallele. Questo carattere ove fosse ben comprovato in lutti i suoi particolari, sarebbe di per sè bastevole a dimostrare l’identica compo- sizione chimica delle due specie di cristalli. Ma, almeno fin ora, non mì è riuscito avere i cristalli filiformi atti a poter essere misurati col goniometro; e però non ho potuto verificare se, trasformandosi essi in cristalli triclini, le facce dei secondi si trovino allogate parallelamente alle facce analoghe dei primi. Resta che i cristalli triclini che nascono per metamorfismo, siccome sì scorge nella figura 14, hanno una posi- zione determinata rispettivamente ai cristalli filiformi dai quali derivano. E questo fatto mi fa credere per lo meno molto probabile che tra le due specie di cristalli non vi sia altra differenza se non quella che intercede tra i due tipi cristallini di una sostanza polisimmetrica. Alla medesima conclusione riescono pure favorevoli i particolari co- me si generano, s'ingrandiscono e si trasformano le due specie di cri- stalli; ed importa trattenerci alquanto ad esaminare la maniera come esse sì generano. Dalle soluzioni fatte con alcool assoluto o con etere * == non ho mai avuto i cristalli capillari ; li ho avuti, come si è detto pre- cedentemente, per sublimazione o dalle soluzioni alcooliche più o meno sature quando, aggiungendo un po'di acqua, sì ottiene prima precipitato amorfo, e di poi si generano i cristalli capillari ed i triclini, mentre il primo precipitato si discioglie. Ho pure avuto i cristalli capillari dalle soluzioni fatte con l’ alcool al quale erasi mescolata dell’acqua prima di fare la soluzione. In tal caso non ho trovato modo sicuro di condurre l’esperienza in guisa da riu- scire ad avere con certezza i cristalli capillari, ovvero i cristalli triclini come più piace. Per prodursi l’una o l’altra specie di cristalli parmi che contribuisca- no la proporzione tra l’acqua e l'alcool, e la proporzione tra l'alcool idrato e la sostanza disciolta. Intanto è molto difficile determinare le ri- spettive quantità proporzionali tra l'alcool, l’acqua e la sostanza disciolta allorquando questa comincia a depositarsi. Fatte le soluzioni sia a fred- do, sia a caldo, e concentrandole sia con la lente evaporazione alla tem- peratura dell'ambiente, sia con più rapida evaporazione nella stufa, non si conosce quanto di alcool e quanto di acqua siasi evaporata. Essendo l'alcool più volatile dell’acqua , si potrebbe credere che la maggiore quantità di liquore evaporato sia dovuto all'alcool. Ma nel fatto succede il contrario; dappoichè il parabromo-ortonitrotoluene è insolubile nel- l’acqua, e quando l’alcool idrato non è in quantità maggiore di quella necessaria per tenerlo disciolto, è l’acqua che si evapora più facilmente dell’ alcool. Con tutto ciò resta sempre ignoto quanto di acqua e quanto di alcool si evapora. Quindi è che negli esperimenti fatti non ho mai potuto conoscere con precisione le quantità proporzionali tra la sostanza disciolta, l’acqua e l’alcoo]. Non pertanto vanno distinti due casi; dap- poichè non mancherà una notevole differenza nei risultamenti secondo- chè all'alcool assoluto col quale si vuol fare la soluzione siasi aggiunta una quantità di acqua di esso maggiore, ovvero minore della sua metà. Nel primo caso le soluzioni calde col raffreddamento s'intorbidano, e l’intorbidamento provviene senza dubio dalla precipitazione degli stessi fiocchetti grumosi che si è veduto prodursi quando alle soluzioni alcoo- liche si aggiunge l’acqua. Lasciate le soluzioni torbide in riposo, la s0- stanza precipitata subisce dei cambiamenti difficili a discernere con chia- rezza. D’ordinario una porzione dei fiocchetti pare che persista senza trasformarsi, ed in mezzo ad essi si ravvisano più o meno abbondanti alquanti cristallini aghiformi che potrebbero essere la medesima cosa dei cristalli capillari, ed altre produzioni granulari che forse sono i cri- stalli triclini irregolarmente terminati. Nell'esaminare ripetute volte i depositi deile soluzioni fatte con la mescolanza di grande quantità di ac- qua mi è sembrato che avvenga pure la trasformazione dei fiocchetti gru- mosi in cristalli filiformi e triclini, sebbene con grande difficoltà; nè ho potuto assicurarmi che i cristalli filiformi si trasformino in cristalli tri- clini. Egli è però che da questi risultamenti così dubbiosi non può trarsi al- cun partito pel fatto della polisimmetria che siamo intesi a chiarire. Li ho menzionati per nulla tacere di quanto l’esperienza mi ha mostrato, e passerò ad esporre ciocchè si produce dalle soluzioni con minore quan- lità di acqua. In quest'altro caso dalle soluzioni discretamente concentrate il più delle volte non ho avuto altro che gli ordinarii cristalli triclini, e tal- volta prima dei cristalli triclini si sono prodotti i cristalli filiformi. Ho avuto specialmente questi cristalli delle soluzioni prima concentrate nella stufa a tal punto che secondo la pratica acquistata dai precedenti saggi poleva prevedere che conservandole all’aria libera in cristallizzatoi chiusi con lastra di vetro non avrebbero dato cristalli quando la loro temperatura fosse giunta ad equilibrarsi con quella dell’aria; e sì sareb- bero invece formati i cristalli poco dopo avere aperto il crisltallizzatoio. Così operando, non sempre sono riuscito ad avere i cristalli capillari per la riferita difficoltà di determinare le proporzioni tra l'alcool, l’acqua e la sostanza disciolta. Intanto i cristalli capillari spesso sono apparsi; essi si sono ingranditi con quella rapidità ch'è loro carattere distintivo; il loro ingrandimento è stato di breve durata, e su diverse parti di al- cuni di essi si sono mostrati alquanti punti opachi che in poco d’ora si sono moltiplicati. Ed a ciascun punto opaco, quando la trasformazione è giunta al suo termine, è stato facile scorgere che corrispondeva un minuto cristallo triclino allogato nella posizione determinata che si vede espressa nella figura 14. Nel medesimo tempo che ha progredito la for- mazione dei cristalli triclini generati nella indicata maniera, i cristalli filiformi nei quali non era cominciata la trasformazione si sono impicco- liti sciogliendosi; ed in una delle volte ho tenuto d'occhio una intera ciocca di cristalli capillari che, non essendosi metamorfizzata, si è disciolta completamente. Sta il metamorfizzarsi dei cristalli capillari in cristalli triclini, sia il disciogliersi dei primi mentre si generano i secondi, sono fenomeni che #4 _— 2 — avvengono tra i cristalli di tipo diverso delle sostanze polisimmetriche. Il primo fatto è certamente più ovvio; e del secondo fatto si ha un esem- pio nel paratartrato acido di sodio *), nel quale le analisi hanno dimostrato non esservi differenza di composizione tra i cristalli ortogonali ed i tri- clini, e si è trovato che i primi si disciolgono mentre i secondi s'ingran- discono senza che questi prendano il posto di quelli permetamorfismo *). D'altronde non è probabile che i cristalli capillari abbiano composi- zione diversa da quella dei cristalli triclini; dappoichè in tal caso non vi sarebbe ragione del loro disciogliersi senza che si fosse mutata nè la temperatura, nè la composizione chimica del solvente. Al contrario tra due specie di cristalli diverse per polisimmetria deve succedere di ne- cessità che quando nel liquore cristallizzante comincia a formarsi la spe- cie più stabile, l’allra meno stabile, se non si metamorfizza, si disciol- ga; dappoichè la soluzione che in principio, essendo satura, ha depo- sitato la specie meno stabile, in seguito per la formazione dei cristalli della specie più stabile diventa esausta ed atta a disciogliere i cristalli innanzi depositati. Parmi per le cose fin qui esposte poter ritenere , fino a che nuove os- servazioni non vengano a mostrarci il contrario, che le due riferite spe- cie di cristalli si differiscano soltanto per polisimmetria; e resta a cer- care le peculiari condizioni che danno origine a ciascuno dei due tipi di forme. Sul quale argomento dopo aver fatto notare che dalle solu- zioni fatte con l'etere o con l'alcool assoluto non ho mai avuto altro che i cristalli triclini, e dalle soluzioni alcooliche idrate si generano entrambe le specie di cristalli, è facile conchiudere che la presenza del- l’acqua nelle soluzioni alcooliche, senza esclure la genesi dei cristalli 1) Della polisimmetria dei cristalli. Napoli 1863, pag. 104. 2) Tra questi due casi dello sciogliersi i cristalli di tipo meno stabile mentre si producono i cri- stalli di tipo più stabile, o il metamorfizzarsi dei primi nei secondi non vi è tanta differenza quanta alla prima osservazione del fatto pare che vi sia; e spesso anche per i cristalli tenuti fuori le solu- zioni avviene che si metamorfizzano in cristalli di altro tipo perchè essi si disciolgono. Così ap» punto succede per i cristalli triclini del bitartrato di stronzio con quattro proporzionali di acqua, 08H°Sv0*=,4H0, quando all’aria libera si metamorfizzano in cristalli monoclini (Della polisimme- tria dei cristalli. Napoli 1863, pag. 95); e lo stesso si è veduto avvenire per i cristalli prismatici e romboedro-prismatici del solfato litico-ammonico che scambievolmente si metamorfizzano con la singolare condizione che a temperalure maggiori di 24° i cristalli prismatici si metamorfizzano in romboedro-prismatici perchè di questi più solubili a tali temperature; ed a temperature più basse di 24°, essendo i cristalli prismatici meno solubili dei romboedro-prismatici, succede al contra- rio il metamorfismo di questi in quelli. (Delle combinazioni dellu litina con l’acido solforico. Na- poli 1868, pag. 58 e seg. LAN 1 an i triclini, promuove la produzione dei cristalli capillari. Nondimeno porto opinione di non avere così svelata la vera cagione che dà origine a cia- scuna delle due specie di cristalli; e la presenza dell’acqua non mi per- suado che sia la cagione diretta che produce i cristalli capillari. L’ ac- qua nel caso presente son di avviso che non faccia altro se non rendere meno solubile e più facile a depositarsi con maggiore rapidità il parabro- mo; quindi è che la vera cagione che dà origine alle due diverse forme risiederebbe nella virtù delle molecole di aggregarsi ora con maggiore ed ora con minore rapidità; e si abbiano cristalli capillari nelle condizioni favorevoli alla più rapida aggregazione delle molecole. Che la presenza dell’acqua non sia necessaria alla produzione dei cristalli capillari è pure compruovato dal fatto che i medesimi cristalli si hanno per sublima- zione. D'altra parte il caso presente non è dei meglio accomodati a far progredire le nostre conoscenze sulle cagioni del polimorfismo e della polisimmetria, essendo uno di quei non rari esempii sia di polimorfismo sia di polisimmetria nei quali le condizioni che dànno luogo alla genesi di ciascun tipo di forma non sono tanto diverse da escludersi a vicenda; e però nella stessa soluzione e nella stessa sublimazione possono aversi, e si hanno ad un tempo cristalli di entrambi i tipi. Non meno difficile è la investigazione diretta a sapere se i fiocchetti amorfi che sì precipitano con l’acqua dalle soluzioni alcooliche abbiano la medesima composizione chimica delle due specie di cristalli sulle quali ho tenuto finora discorso. Quando per produrre il precipitato si ado- pera grande eccesso di acqua esso non si trasforma, o per lo meno la trasformazione è lentissima. Egli è però che questo mezzo sarebbe da tentarsi per averlo puro; e lo avrei tentato se avessi potuto occuparmi a farne l’analisi. Intanto finchè non sia con più valide pruove definita la quistione, importa ricordare il caratte speciale del precipitato amorfo che dopo essersi formato si discioglie dando luogo alla genesi dei cri- stalli filiformi e triclini. Il quale carattere, si è già detto esser proprio dei cristalli di tipo diverso delle sostanze polimorfe e polisimmetriche. Lo stato di talune specie di corpi nel quale non si scorge alcun indi- zio di forme geometriche, non dubito doversi considerare nell'ordine dei carattari cristallografici; e tra le sostanze amorfe, come soglion chia- marsì, e le cristallizzate esservi quella stessa differenza, ed in grado maggiore, che intercede tra le sostanze che si riferiscono a diversi si- stemi di cristallizzazione. Le forme geometriche dei cristalli sono ne- cessaria conseguenza di forze attrattive delle molecole in determinate di- = VM — rezioni, e si è veduto altrove *) che le determinate direzioni di forze at- trattive non esistono nelle molecole isolate, ma si svolgono in esse nel- l'atto della loro congiunzione quando i corpi dallo stato liquido o dallo stato gassoso possano allo stato solido. A giudicare da quello che l’ e- sperienza sembra dimostrare, possiamo altresì conchiudere che queste stesse forze attrattive non raggiungano in un istante il completo svol- gimento di cui sono capaci. Considerato con questo concetto il fenome- no della cristallizzazione, ne conseguita che secondo le condizioni nelle quali avviene il consolidamento dei corpi, sia per effetto di aggregazione più o meno rapida, sia per altre cagioni influenti, o non si svolgano forze attrattive in determinate direzioni, o variamente sì svolgano. Nel primo caso si avranno sostanze amorfe, e nel secondo sistemi diversi di cristallizzazione. Egli è però che lo stato amorfico dei corpi del pari che lo stato cristallino co’ suoi diversi sistemi, dipendendo l’uno e l’al- tro da speciali maniere come le forze attrattive si rinvengono nelle mo- lecole nell’ atto del consolidamento, il primo stato va considerato non altrimenti che come un distinto sistema di cristallizzazione, un sistema amorfico. E dovrà ritenersi che sia dimorfo un corpo che si presenti ora cristallizzato in un sistema qualunque ed ora amorfo. Uno dei più note- voli esempi di tal sorta di dimorfismo l’ abbiamo nel cloruro di argento che precipitato per doppia scomposizione dalle soluzioni dei cloruri è amorfo, e depositato per la evaporazione delle soluzioni fatte con l’am- moniaca è cristallizzato. Per le cose fin qui esposte son di avviso che il precipitato amorfo, i cristalli filiformi ed i cristalli triclini del parabromo-ortonitrotoluene abbiano la medesima composizione chimica; che tra il primo e le due specie di cristalli intercedano le differenze che sono tra i cristalli per- tinenti a diversi sistemi delle sostanze dimorfe; e che le due specie di cristalli siano tra loro diverse per polisimmetria. 1) Ricerche sulle relazioni tra la geminazione dei cristalli ed il loro ingrandimento. Napoli 1864, pag. 4 e seg. AAADAAA pe mar È. ND AY b, iN id 74, ubi > e 7 2A - - 19° Prrvvvetr® INDICE DELLE MATERIE Idroclorato di parabromo-ortotoluidina. Descrizione dei suoi cristalli emiedrici; descrizione di un’altra specie di cristalli oloedrici che si hanno dalle soluzioni acquose a temperature più elevate; pag. 1-3. Esperienze che dimostrano i primi cristalli contenere maggiore quantità di acqua; p. 3-5. Differenze delle medesime specie di cristalli depositati dalle so- luzioni alcooliche; sostanza incristallizzabile che si produce in queste soluzioni; particolari depositi delle soluzioni acquose che contengono la sostanza incristallizzabile; p. 5-7. Ricerche sulla cagione della du- plice emiedria della prima specie di cristalli; cristalli coniugati per i poli antiloghi; p. 7-11. Idroclorato di ortotoluidina. Descrizione dei suoi cristalli; p. 141, 12. Parabromo-ortonitrotoluene. Descrizione dei suoi cristalli e diversi modi di ottenerli; p. 12, 13. Esperimenti che dimostrano le soluzioni molto concentrate essere di ostacolo alla produzione dei cristalli; e che a tem- perature molto più basse di quella necessaria per fondere tale sostanza essa si mantiene liquida se non sia promossa la cristallizzazione ; p. 13 a 15. Due specie di cristalli ottenuti per sublimazione; p. 16. Precipi- tato amorfo e due specie di cristalli che si producono aggiungendo l’ac- qua alle soluzioni alcooliche; metamorfismo dei cristalli capillari in cri- stalli triclini; p. 17, 18. Ragioni in sostegno della opinione che i cri- stalli capillari ed i triclini siano tra loro diversi per polisimmetria; e che tra il precipitato amorfo e le due specie di cristalli intercedano le differenze che sono tra i cristalli di tipo diverso delle sostanze dimorfe; p. 19 e seguenti. Ù LI ii) DUE TUA (ata «sima krto14nr 046 na È ma \ fa) x : PL 1145 ù D JI «hl 3 st Hi sito (44° DD UB alla: } uAt v7 out iù PRO Loi èj Ei # sh ‘agcisiises li pad atlanti TA, toro DOLO | nti gita ID s1U9UA Hi IOVITT UDO «slay 910 110 ONERE ty dare LUI. 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